La Cascata del Potere

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Magia di una notte di leggende ***
Capitolo 2: *** Irthen e il cantastorie ***
Capitolo 3: *** Tra sogno e follia ***
Capitolo 4: *** Gli ingranaggi iniziano a girare ***
Capitolo 5: *** A carte scoperte ***
Capitolo 6: *** "La gente del Nord è gente tosta" ***
Capitolo 7: *** Abby ***
Capitolo 8: *** Alec di Phia ***
Capitolo 9: *** Dente di Cobra ***
Capitolo 10: *** Sulla cresta dell'onda ***
Capitolo 11: *** A casa di Joel ***
Capitolo 12: *** "Cambio vita di nuovo, oggi!" ***
Capitolo 13: *** Caleb ***
Capitolo 14: *** Notturni ***
Capitolo 15: *** "Benvenuta a bordo" ***
Capitolo 16: *** Interludio ***
Capitolo 17: *** Cyanor ***
Capitolo 18: *** Il processo ***
Capitolo 19: *** Luci e ombre ***
Capitolo 20: *** Giorno per giorno ***
Capitolo 21: *** Lungo il Morgael ***
Capitolo 22: *** Goccioline ***
Capitolo 23: *** La Cascata del Potere ***
Capitolo 24: *** Tempo di risposte ***
Capitolo 25: *** Il mago e lo stregone ***
Capitolo 26: *** Sul piede di guerra ***
Capitolo 27: *** Compromessi ***
Capitolo 28: *** Biforcazioni ***
Capitolo 29: *** In riva al fiume ***
Capitolo 30: *** La biblioteca del Re ***
Capitolo 31: *** Fuoco nella notte ***
Capitolo 32: *** In attesa ***
Capitolo 33: *** A rotta di collo ***
Capitolo 34: *** "Vorrei davvero riuscire ad odiarti" ***
Capitolo 35: *** Oltre il velo rosso ***
Capitolo 36: *** "La nostra improbabile alleanza finisce qui" ***
Capitolo 37: *** Finalmente Natìm ***
Capitolo 38: *** Nel regno delle ombre ***
Capitolo 39: *** Fuori asse ***
Capitolo 40: *** "Non basterebbe una magia" ***
Capitolo 41: *** Senza margine d'errore ***
Capitolo 42: *** Questione di sangue freddo ***
Capitolo 43: *** Jonna ***
Capitolo 44: *** Impari ***
Capitolo 45: *** Le stanze di Storr ***
Capitolo 46: *** Preludio ***
Capitolo 47: *** Giro di boa ***
Capitolo 48: *** Una linea sottile ***
Capitolo 49: *** Torat ***
Capitolo 50: *** Stasi ***
Capitolo 51: *** "Il tempo sta per scadere" ***
Capitolo 52: *** In cerca di una strategia ***
Capitolo 53: *** Il potere del Fuoco ***
Capitolo 54: *** Garanzia ***
Capitolo 55: *** Stregoni ***
Capitolo 56: *** Di morte e sogni infranti ***
Capitolo 57: *** Orizzonti (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Magia di una notte di leggende ***


Perduto, ecco cos’era! Perduto in una terra sconosciuta, solo e senza una guida. Era nei guai, guai seri. Quando Liam avesse scoperto la sua assenza sarebbe andato su tutte le furie. Che idea malsana!
« Stupido, stupido, stupido Ged!» gridò nel vento.
Per qualche minuto, Irthen imprecò contro quel vecchio pazzo, contro i creduloni come lui, contro tutti gli abitanti di Pothien e contro tutti gli Dei che gli vennero in mente. Poi si calmò. Si sedette cercando di ritrovare l’autocontrollo. Aveva combinato un bel casino. Si guardò attorno, sconsolato, senza scorgere altro che roccia spazzata dal vento. Le sue provviste di acqua erano quasi esaurite, e la fuga precipitosa da quegli esseri raccapriccianti lo aveva allontanato di molto, di troppo, dalla pista. In mezzo a quel deserto roccioso ci sarebbe voluto un miracolo per ritrovarla. Che possibilità aveva? Tornare a casa? Non gli sarebbe bastata l’acqua nemmeno per raggiungere gli estremi del deserto, e da là c’erano almeno due giorni di strada a separarlo da Pothien. Non poteva escludere, poi, che sarebbe stato lo stesso Liam a ucciderlo con le sue stesse mani se anche fosse riuscito a tornare a casa. Proseguire? Era evidente che Ged gli aveva dato delle indicazioni sbagliate, altrimenti avrebbe già incontrato il Monte Satki e la Valle Satkita. Invece…nulla di nulla. Sospirò, paralizzato dall’indecisione. Il sole splendeva incandescente, facendo salire vampe di calore dalla nuda roccia che distorcevano la sua percezione visiva. Guardandosi distrattamente attorno, notò qualcosa in lontananza che sembrava muoversi. Un piccolo punto nero ondeggiante. Si stropicciò gli occhi, mentre la figura si avvicinava, assumendo i contorni di un essere umano. Domandandosi se fosse un miraggio e se dovesse temere per la propria incolumità, Irthen impugnò saldamente la spada e attese.
 
 
 
 
Era una calda serata estiva, di quelle che restano incollate addosso con il loro profumo di fiori e di rosmarino, con il frinire delle cicale, con le risate degli amici. Tutta la popolazione della piccola cittadina di Pothien si era riunita nella piazzetta principale. La musica colorava con le note eteree dell’arpa le serate del Nord della Terra dei Tuoni, e i cantori narravano le loro storie affascinanti a chiunque le volesse ascoltare. L’estate era una stagione magica nel Nord perché i prati erano verdi e freschi, le montagne respiravano, liberate dalla coltre bianca di ghiaccio che sempre le avvolgeva, gli animali scendevano fino alle prime pendici, insofferenti all’insolito caldo. Pothien era poco più di un paese, e sorgeva proprio ai piedi dell’immensa catena montuosa – “i Giganti”, come gli abitanti della zona erano soliti chiamare affettuosamente i loro monti – che delimitava a nord la Terra dei Tuoni.
Quella notte, i musici pizzicavano allegri le corde dei loro strumenti, e Ged cantava racconti epici ai ragazzini affamati di leggenda.
« Fidatevi di un vecchio che ha girato il mondo, miei giovani puledri…a sud, oltre il Deserto Roccioso, si trovano inenarrabili meraviglie!»
Le sue storie iniziavano tutte in questo modo e proseguivano raccontando ora delle prodezze dei draghi, ora della leggiadria degli elfi, ora della Fonte dell’eterna giovinezza, ora di incantesimi e stregoni. A volte, anche della Cascata del Potere. Tutta Pothien apprezzava i suoi racconti, tanto che alcuni li ascoltavano volentieri anche una volta cresciuti, continuando in cuor loro a domandarsi se davvero fosse possibile vivere una di quelle incredibili avventure.
Liam era uno di loro. Era diventato adulto con le storie di Ged, le leggende che il vecchio era tanto abile a raccontare gli avevano dato la forza di superare, uno ad uno, tutti gli ostacoli che la vita gli aveva gli aveva posto innanzi: la morte prematura dei genitori e della sorellina Syra, la difficoltà di educare da solo il fratello minore Irthen, il peso del duro lavoro che li sostentava entrambi e, da ultimo, la necessità di tener celate agli abitanti di Pothien le sue capacità “particolari”. Il cipiglio di Ged gli strappò un sorriso, e i suoi occhi color dell’ebano si illuminarono di nostalgia.
« Ti muovi, Liam? Perderemo l’inizio»
Riscuotendosi, Liam scosse il capo per allontanare i ricordi che sfilavano leggeri e impalpabili davanti a lui, e si affrettò a seguire Irthen, che stava prendendo posto ne piccolo anfiteatro accanto ad un nutrito gruppo di amici. Domandandosi se a venticinque anni non fosse ormai troppo vecchio per confondersi in mezzo ai ragazzini, si predispose all’ascolto del tanto atteso racconto del cantore.
 
« Inenarrabili, vi dico!» ripeté Ged, accompagnando le sue parole con un gesto teatrale del braccio destro, mentre con il sinistro si sorreggeva al bastone.
« Pothien è un piccolo paradiso incontaminato, ma si è preservata pura solamente grazie alla magia dei Giganti. Li vedete? Ci sovrastano, sembrano volerci schiacciare sotto alle loro moli formidabili…eppure non lo fanno. Anzi, ci forniscono acqua, carne, tutto quanto ci è indispensabile!»
« I monti sono magici, Ged?» domandò un bambino in prima fila.
« Oh, lo sono, eccome!» rispose paziente il vecchio alzando lo sguardo alle cime lontane.
La platea seguì il sue gesto, ritrovandosi a contemplare a sua volta la catena montuosa incombente. La luna brillava nel cielo sereno e le stelle sembravano lì ad un passo. Quando il cantore riportò gli occhi ai suoi ascoltatori, tutti gli dedicarono di nuovo totale attenzione.
« La storia che vi racconterò questa notte, bambini di Pothien, narra della Cascata del Potere»
Un coro di “oh!” accolse le sue parole e Ged sorrise compiaciuto.
« Ora ascoltatemi attentamente. Era una notte limpida e calda, proprio come questa, quando Nastomer lasciò la sua povera dimora. Non aveva più niente, il povero ragazzo, tutta la sua vita era racchiusa nel sacco che portava sulla spalla e nella spada che gli pendeva dal fianco sinistro. Non sapeva dove andare, non aveva più una famiglia. Nastomer camminò per giorni sotto il sole cocente delle pianure del sud, nutrendosi di erbe, funghi e bacche, e dei piccoli animali che ogni tanto riusciva a catturare. Le acque sorgive lo dissetavano. Perse il senso del tempo, tanto le giornate si susseguivano identiche le une alle altre. Ma una notte, Nastomer fece un sogno: un uomo, un nano e un elfo gli apparvero in vesti fulgide e armi splendenti. “Prendi le armi,” gli dissero “una guerra attende nel tuo futuro”. Nastomer si svegliò in preda al panico. Che erano quelle persone? Erano reali? A che guerra si riferivano? Lui non sapeva combattere, non sapeva nemmeno cacciare. Turbato riprese il proprio cammino. La notte successiva ricevette una nuova visione: una donna bellissima, mezza umana e mezza pesce, gli parlò con una voce celestiale e gli disse “Ti sto aspettando, Nastomer. Cerca la Cascata”. Confuso, il ragazzo si domandò a che cascata potesse riferirsi quella sirena. Non sapeva che esistessero cascate in quella zona della Terra dei Tuoni, ma desiderava molto incontrare la creatura meravigliosa del sogno. Così, cominciò ad interrogare ogni viandante, ma nessuno sapeva dargli le risposte che cercava. Sempre più perplesso, Nastomer prese a frequentare i sobborghi delle città che si trovavano sul suo cammino. Domandava a chiunque incontrasse se ci fosse una cascata da quelle parti, ma nessuno ne conosceva una. Dopo mesi di infruttuose peregrinazioni, stanco e scoraggiato, decise di rinunciare. Preparò la sua bisaccia e si accinse a tornare nel suo paese natio. “Fermo!” una voce tuonò nella valle deserta gelandogli il sangue nelle vene. Si guardò attorno, terrorizzato…ma non riuscì a scorgere nessuno. “Chi sei?” domandò incerto. “Sono colui che ti condurrà alla Cascata del Potere”. La voce guidò Nastomer passo dopo passo, attraverso la sterminata piana di Thann, il bosco Lossar e il fiume Morgael dalle acque mortifere. Il viaggio fu lungo e difficile, ma Nastomer fu ricompensato: la sirena, Kore, che custodisce la Cascata, diede al ragazzo il permesso di bagnarsi in quelle acque. In questo modo, Nastomer acquisì il potere di controllare gli elementi della natura, diventò uno Stregone»
Ged si lisciò la barba soddisfatto alla vista dei volti annichiliti dei bambini attorno a lui. Sorrise compiaciuto.
« E poi che cosa è accaduto, Ged?» piagnucolò il solito bambino.
Ged gli si avvicinò, le sopraciglia cespugliose che incorniciavano i penetranti occhi azzurri.
« Poi, Nastomer raggiunse la reggia degli elfi nel Reame Eterno e incontrò Re Horlon, il nano Kirik e il mago Storr, che dissero di averlo atteso con ansia per contrastare i draghi nella guerra incipiente. Come sapete, la guerra con i draghi durò centinaia di anni e si concluse con un concordato di pace proposto proprio da Nastomer e firmato da lui stesso, da Horlon, Kirik, Storr, e da Bearkin, il sovrano dei draghi. La tregua dura ancora oggi» concluse con un’alzata di spalle.
« Ma come, Ged, non ci racconti della guerra?» si lamentò una vocina.
Ged, che già si stava allontanando, si fermò e affrontò il suo pubblico con un sorrisetto divertito.
« Vorrai scherzare, ragazzo! Mi ci vorrebbero tre giorni e tre notti per raccontarvi anche questa storia. E poi non ha niente a che fare con la Cascata del Potere. La prossima volta, magari, vi racconterò dei draghi»
Percosse la terra con la punta del bastone e si allontanò nella notte.
 
Liam si alzò e si stiracchiò soddisfatto.
« Ged non mi delude mai! Nonostante abbia già ascoltato questa storia decine di volte non ne sono mai sazio»
Irthen si alzò a sua volta e puntò i limpidi occhi verdi in faccia al fratello maggiore. Liam lo squadrò sospettoso.
« Che c’è?» domandò scompigliandogli i riccioli castani quando fu certo che Irthen non avrebbe commentato il suo sguardo insolitamente mesto.
« Credi che esista davvero quella Cascata?» disse pensoso mentre lasciavano la piazza diretti verso la casetta su due piani in cui abitavano ai margini della cittadina.
Il bel viso di Liam si rabbuiò.
« Credo che in ogni leggenda ci sia una base di verità, Ir»
Il ragazzo continuò a camminare senza rispondere. Scuotendo il capo divertito, Liam non poté fare a meno di pensare tra sé e sé “Non può esistere leggenda più vera di questa”.





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Ed eccoci di nuovo qui! Questa volta voglio provare un nuovo brivido: tento (che fatica!) di sopprimere il mio predominante lato puntiglioso e di pubblicare i capitoli man mano li scrivo..ovviamente impazzirò, ci impiegherò un'esistenza per postare, ci saranno mille contraddizioni e via dicendo..portate pazienza :) Ovviamente le eventuali recensioni sono sempre graditissime (Hareth e Socorro98 vi aspetto al varco XD), soprattutto perchè se non mi insultate quando scrivo delle oscenità letterarie io non posso saperlo!! :D Grazie a tutti, e buona lettura!
Cat

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Capitolo 2
*** Irthen e il cantastorie ***


L’alba di perla si levava ad Est, avvolgendo i Giganti in delicati tentacoli opalescenti. L’aria frizzante carezzò amorevole il viso di Liam e gli scompigliò i lunghi capelli castani, strappandogli un sospiro. Sua madre avrebbe sicuramente disapprovato quella pettinatura. Ricordava benissimo le infinite litigare riguardo al periodico taglio di capelli…scosse la testa per scacciare i ricordi. Quei tempi, ormai, erano lontani. Aveva passato la vita a tenere Pothien lontana dai suoi traffici e cominciava a sentirsi esausto. Gli affari lo portavano spesso lontano da casa, anche per giorni interi, e sebbene suo fratello fosse un bravo ragazzo aveva pur sempre quindici anni, e questo faceva di lui un potenziale uragano. Con il passare degli anni riscopriva sempre più evidenti in Irthen i tratti che avevano caratterizzato sua madre Naìba: intelligenza, esuberanza, una smodata curiosità ma, ahimè, poca lungimiranza. Cosa che impensieriva Liam non poco. Ogni volta che lasciava casa si aspettava di trovarla rasa al suolo al suo ritorno, ma fortunatamente non aveva ancora riscontrato danni irrimediabili. Tutto sommato non aveva motivo di lamentarsi: Irthen aveva dimostrato di saper badare a sé stesso.
Sellò il baio, caricò le provviste e lanciò un’ultima occhiata alla sua piccola abitazione. Un movimento nell’ombra della finestra della cucina lo convinse che Irthen si era già alzato. Trasse un respiro profondo e prese le redini del cavallo. Quando partiva all’alba cercava di fare meno rumore possibile e, soprattutto, di non dare nell’occhio.
« Te ne vai di già? Sei tornato solo da pochi giorni…»
Liam si voltò lentamente, maledicendo la propria sfortuna. Amina, la guaritrice. Con i capelli castani raccolti in due treccine, la frangetta e le lentiggini sul naso, non si sarebbe potuto capire quanti anni avesse, anche se lui era convinto che fosse più vecchia di almeno un paio d’anni. Nessuno la conosceva granché bene: era giunta a Pothien in visita alla nonna quasi tre anni prima e non se n’era andata più. Liam si sentiva sempre a disagio davanti a lei, perché i suoi occhi nocciola screziati di verde sembravano saper guardare oltre le apparenze per leggere nel suo cuore quello che era veramente.
« Sei mattiniera, Amina» rispose imponendosi di non essere maleducato, cosa ardua visto l’inopportuno interesse dell’inquietante compaesana.
Amina si strinse nelle spalle.
« Vuoi che controlli tuo fratello mentre sei via?» domandò con un sorriso amichevole.
Liam aggrottò le sopracciglia.
« Perché ti sta tanto a cuore Irthen?»
Amina rise.
« Mi sta simpatico» rispose.
Liam alzò le mani in segno di resa. Quella domanda l’aveva già posta in mille modi diversi, e non aveva mai ottenuto una risposta degna di tale nome. La guaritrice aveva iniziato a prendersi quella responsabilità poco dopo il suo arrivo, e sebbene non si fidasse di lei, Liam non era riuscito a trovare un modo civile di scaricarla. Così, una volta di più, ingoiò le imprecazioni e si inchinò, come a ringraziarla. Poi si volse e attraversò velocemente l’arco di legno che segnava l’ingresso di Pothien, sotto lo sguardo divertito di Amina.
Quando fu certo di essere abbastanza lontano da essere fuori dalla visuale della cittadina, montò Baio – non aveva mai dato un vero nome al suo cavallo, e non se ne vergognava – e lo spronò, per fermarlo subito dopo. Provava la spiacevole sensazione di essere osservato. Si guardò attorno ma non riuscì a scorgere niente di insolito. Un innaturale soffio di vento gli scostò i capelli dal viso, facendolo sentire ancora più a disagio. Con rinnovata preoccupazione, carezzò il muso del cavallo e ripartì. Sarebbe stato via poco, non più di una settimana…in così poco tempo non poteva certo accadere chissà quale catastrofe!
 
Guardando Liam che tirava Baio per le redini, Irthen inghiottì il magone. Ogni volta che suo fratello si allontanava per concludere i misteriosi affari che li sostentavano, lui si trovava al centro dell’attenzione. Tutta Pothien si domandava che razza di traffici conducesse, dove, con chi e soprattutto come potessero fruttargli tanto. E la curiosità era pienamente giustificabile, perché Liam a riguardo era più muto di una tomba. Nemmeno Irthen aveva mai capito di cosa si trattasse e nonostante le sue insistenti domande e i suoi tentativi di cogliere il fratello in un momento di distrazione, non aveva mai ottenuto una risposta precisa. Ovviamente, la reticenza di Liam sull’argomento non aveva fatto che fomentare i dubbi e i sospetti di tutta la cittadina, ma Irthen aveva smesso di angustiarsi da tempo: suo fratello era scorbutico, lunatico, pignolo e sarcastico, ma aveva dei sani principi e amava la sua terra. C’era qualcosa che valeva di più?
Sospirò e voltò le spalle alla finestra, poggiando la schiena al davanzale. Le parole della storia che Ged aveva narrato la sera prima echeggiavano ancora nella sua mente. Quanto avrebbe voluto essere uno stregone, quanto avrebbe voluto bagnarsi nella Cascata del Potere! Avrebbe smesso di essere solo il fratellino di Liam, o il povero orfano di Thurla. Avrebbe dimostrato che sapeva cavarsela da solo, senza che Amina lo controllasse come un bambino disobbediente. Sentì il sangue ribollire nelle vene mentre un’idea si andava formando, attraente nella sua follia, nella sua mente.
 
Il sole brillava alto nel cielo quando Irthen bussò trepidante alla porta del vecchio cantastorie. Spostando il peso da un piede all’altro, impaziente, attese davanti all’uscio dal battente arrugginito che nessuno sembrava intenzionato ad aprire. Tese l’orecchio, ma non captò alcun rumore provenire dall’interno. Assolutamente certo che Ged non potesse essere uscito bussò di nuovo, più forte. Dovette bussare una terza volta prima che il ticchettio del bastone sul pavimento di pietra bucasse il silenzio. Sorridendo e cercando di darsi un’aria intelligente, Irthen si ravviò i riccioli e raddrizzò le spalle. Il vecchio socchiuse la porta e i suoi occhi azzurri scrutarono per un attimo il ragazzo con divertimento. Poi spalancò l’uscio e disse con un sorrisetto sdentato:
« Questa è bella! Che cosa ci fa un puledro tronfio davanti a casa mia?!»
Irthen si morsicò la lingua per obbligarsi a non rispondere alla provocazione, nonostante l’orgoglio ferito.
« Allora? Che vuoi?» incalzò Ged.
Irthen fece un bel respiro profondo, poi disse:
« Ieri sera ho ascoltato la tua storia. Mi è piaciuta molto e vorrei farti qualche domanda. Posso entrare?»
Ged gettò un’occhiata alle proprie spalle, come a verificare che tutto fosse al proprio posto, poi guardò intensamente Irthen e annuì.
Precedendolo all’interno, il ragazzo si rese conto di aver trattenuto il fiato.
« Tuo fratello è già ripartito?» domandò il vecchio chiudendo la porta con il catenaccio.
« Proprio così» rispose Irthen, guardandosi attorno.
La casa di Ged era più piccola e molto più ordinata di quanto avesse immaginato. Il salotto e la cucina erano un tutt’uno, e vi si affacciava un’unica porta, che doveva essere quella della camera da letto. Alle pareti erano appesi strumenti musicali dalle forme più strane: cetre, arpe, flauti, un tamburello. Un tavolo al centro della sala era circondato da tre sedie e vi faceva bella mostra di sé un vaso con un’orchidea.
« Non ti facevo uno da botanica» ridacchiò Irthen.
« Solo perché sono vecchio e vivo solo dovrei tenere la mia casa come fosse una porcilaia?»
Irthen arrossì, anche se il tono del vecchio era amichevole.
« Su, su, ragazzo, cosa sono questi rossori da fanciulla? Siediti, forza! Che non si dica in giro che Ged non sa come si trattano gli ospiti! Gradisci del tè?»
Mentre il ragazzo prendeva posto, Ged si mise ad armeggiare con il fuoco. Nel giro di qualche minuto l’aroma delle foglie di tè riempì la piccola abitazione.
« Amina ti sta ancora addosso?» domandò il vecchio sedendosi di fronte a lui.
Irthen sbuffò.
« Già…non sai quanto sia irritante. Per carità, è simpatica, ma è anche tremendamente ficcanaso!»
Ged ridacchiò.
« Che cosa volevi chiedermi, Irthen?»
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle mani che si stava torcendo.
« Ecco, io…io vorrei sapere qualcosa di più riguardo alla Cascata del Potere»
Ged si rabbuiò.
« Qualcosa di che tipo?»
« Qualunque cosa…»
Il vecchio lo guardò intensamente negli occhi per qualche lunghissimo secondo, poi abbassò lo sguardo sulla propria tazza e si accarezzò la barba bianca.
« Temo che dovrai farmi qualche domanda più precisa se non vorrai passare qui i tuoi anni migliori» borbottò.
Irthen sospirò, cercando di dare ordine e priorità ai propri dubbi.
« Dunque» cominciò « prima di tutto vorrei sapere se le tue storie…ecco…si, se sono vere»
Un sopracciglio cespuglioso si alzò con aria critica.
« Vorresti insinuare che io sia un ciarlatano?» sbottò il vecchio. « Ma certo che sono vere! In ogni leggenda c’è un fondo di verità, non l’hai mai sentito dire? E poi che razza di domanda è?!»
Irthen si grattò la testa imbarazzato.
« Quindi anche la Cascata esiste?»
Ged sospirò esasperato.
« Naturalmente» rispose.
« E sai dove si trova?»
Gli occhi azzurri del cantore si fissarono ancora più intensamente che in precedenza in quelli verdi e intimoriti di Irthen. Per minuti interi non rispose, ma continuò a scrutare i più profondi recessi dell’anima del ragazzo. Infine disse:
« Nessuno lo sa»
Lo disse in modo strano, come volesse convincerne sé stesso prima ancora che il ragazzo. Irthen lo guardò a lungo prima di sorseggiare il tè e commentare a mezza voce:
« Non ti credo»
Ged non ne parve sorpreso.
« Perché ti importa sapere dove si trova? Hai intenzione di recartici?»
La sua voce non lasciava trasparire l’ombra dello scherno, anzi, suonava mortalmente seria. Il ragazzo ammutolì di fronte a quella risolutezza.
« Allora? Vuoi diventare uno stregone?» incalzò.
Prendendo il coraggio a quattro mani, rispose tutto d’un fiato:
« Si, voglio trovarla, bagnarmi delle sue acque e diventare uno stregone»
Ged restò impassibile a quelle parole, ma una scintilla di luce attraversò il suo sguardo.
« Liam starà via una settimana, forse di più, e io devo approfittare della sua assenza. Puoi aiutarmi, Ged?»
Il vecchio posò la tazza vuota sul tavolo e congiunse le mani davanti a sé.
« E Amina?» domandò con un sorrisetto astuto.
« Amina?!» domandò di rimando Irthen, senza capire.
« Ti controlla. Dovrai eludere la sua sorveglianza, ingannarla…» spiegò.
« Oh, questo non sarà un problema. Preparerò il necessario per il viaggio nella mia stanza, che si trova al piano superiore, così non potrà notare nulla di insolito spiando dalle finestre come è solita fare. Questa sera, quando tutti si saranno ritirati dopo le musiche e i balli, partirò. Sua nonna è vecchia, Amina non la lascerà sola in casa dopo il tramonto»
Ged annuì lentamente.
« In questo modo, fino a mattina nessuno noterà la tua assenza…» Sospirò. « D’accordo, Irthen. Sappi però che le indicazioni di cui dispongo sono imprecise e non verificate, e non sarà un viaggio semplice»
« Me le farò bastare»
Ged chiuse gli occhi e respirò profondamente. Poi disse:
« Esci da Pothien dalla porta sud e prosegui in quella direzione fino a quando non ti troverai ai margini del Deserto Roccioso. A cavallo ci metterai un paio di giorni, più o meno. Poi, attraversa il deserto in verticale fino a raggiungere il Monte Satki. Lo riconoscerai per forza, ai suoi piedi sorge una specie di oasi verde. A quel punto dirigiti a sud-ovest, attraverso la Valle Satkita. Percorrila in tutta la sua lunghezza. Quando incrocerai un corso d’acqua, ricorda, è il fiume Brumo, seguilo verso ovest fino alla foce. Il Lago di Nebbia, la distesa d’acqua sterminata in cui si tuffa il Brumo, bagna diverse città interessanti, tra cui Efford e Natìm. Evitale, perché so che tuo fratello vi conduce affari. Dalla foce scendi verso sud, fino ad incontrare la Piana di Thann. È immensa, non disperare se non ne vedi la fine. Proprio al centro sorgono le rovine di una città andata distrutta in tempi antichi, oggi è conosciuta come Città dei Morti. Da lì prosegui verso ovest fino ad incontrare il Bosco Lossar. La sua superficie è molto estesa, è facile smarrirsi, tuttavia è attraversato da un fiume, il Morgael, che seguirai verso ovest. Attento, le sue acque sono soporifere ed è pieno zeppo di animali più grossi di noi due messi assieme! Il fiume ti condurrà fuori dal Bosco Lossar e attraverso un Canyon lungo e stretto. Ebbene, in mezzo a quelle rocce, ben nascosta, troverai la Cascata»
Irthen aveva seguito con estrema attenzione ogni singolo passaggio. Aveva una buona memoria, contava di ricordare le indicazioni. Bevve l’ultimo sorso di tè e puntò gli occhi sul vecchio, che se ne stava inquieto davanti a lui.
« Perché mi stai aiutando?»
Ged sorrise.
« Perché quando avevo la tua età anch’io ho desiderato intraprendere questo viaggio. Ma mi è mancato il coraggio. Tu, invece, di coraggio ne hai da vendere, Irthen, e sono certo che realizzerai il tuo sogno»
Si alzò e lo accompagnò alla porta.
« Forza, non hai tempo da perdere in chiacchiere con uno stupido vecchio pieno di rimpianti. Porta i miei omaggi a Kore»
Irthen lo ringraziò riconoscente e si affrettò verso casa, in preda ad una febbrile eccitazione.




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Eccomi quaaaaa con il secondo, atteso, capitolo! - atteso solo da me medesima, probabilmente, ma sono dettagli, un po' di autocelebrazione non può fare male XD - Approfitto per augurare a tutti buone vacanze, dato che domani parto e per una quindicina di giorni non avrete mie notizie..nè di Irthen, ovviamente XD Bye bye!

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Capitolo 3
*** Tra sogno e follia ***


Nonostante i dubbi che lo assalivano come ondate sempre più potenti, Irthen raccolse nella sua stanza tutto quanto credeva che avrebbe potuto essere di qualche utilità. Preparò uno zaino robusto, quello che era solito portare con sé quando andava a caccia per i boschi che ricoprivano i Giganti, e vi ripose del pane, della carne secca, della frutta e tre borracce d’acqua. Doveva farsi bastare le provviste abbastanza da raggiungere il Monte Satki. Là avrebbe trovato l’oasi e avrebbe potuto rifornirsi di acqua e forse anche di carne. Preparò anche un maglione, nel caso le notti fossero risultate fredde, e una coperta. Infine estrasse da sotto il letto la spada e la soppesò. Era molto affezionato a quell’arma, era appartenuta a Liam, che gli aveva insegnato ad utilizzarla con maestria, come anche a tirare con l’arco. Aveva sempre avuto cura di tenerla lucida e affilata, anche se non aveva mai realmente creduto che avrebbe potuto tornargli utile. Posò anche la spada accanto allo zaino e si allontanò di qualche passo per valutare meglio il proprio operato.
Un colpo alla porta lo obbligò a rimandare l’autocompiacimento. Chiuse a chiave l’uscio della propria camera e si infilò la chiave nella tasca del pantaloni, poi scese di corsa le scale. Soffocò un’imprecazione scorgendo dalla finestra della cucina due inconfondibili treccine. Ringraziando gli Dei di aver avuto l’illuminazione di chiudere a chiave il suo magazzino improvvisato, aprì la porta con il sorriso più credibile che riuscì a fingere.
« Ciao, Ir!»
Amina gli sorrise in attesa di un invito ad entrare.
« Ehm, ciao, Amina. Che sorpresa…» disse facendosi da parte per lasciarla passare.
Amina lo precedette in cucina mentre Irthen alzava gli occhi al cielo maledicendo lei e tutte le ficcanaso come lei. Bella, niente da dire, con quel visino da ragazzina, gli occhi da cerbiatta e la vita da vespa, ma dannatamente ficcanaso.
« Allora, come te la passi qui tutto solo soletto?» domandò con aria innocente.
Irthen si strinse nelle spalle.
« Come al solito» rispose.
Amina annuì.
« Non hai ancora preparato niente da mangiare, per cena? Il sole sta per tramontare»
Il ragazzo si grattò la testa arrossendo.
« No, veramente no. Oggi sono stato un po’ preso e non mi sono accorto che fosse così tardi…»
La guaritrice sorrise indulgente.
« Ti preparerei qualcosa io, ma questa è l’ora delle medicine per mia nonna»
« Oh, non ti preoccupare, so badare a me stesso»
Passandogli accanto, Amina gli scompigliò i riccioli e, uscendo, lo salutò con la mano.
Irthen la guardò sparire tra le viuzze cercando di ignorare le vampate di calore allo stomaco. Era dannatamente ficcanaso, ma, per gli Dei!, quanto era bella…
 
La verità era che, quella sera, Irthen non aveva affatto fame. Si guardava attorno come in una trance, osservava gli oggetti che casa sua custodiva, piccoli cimeli che sapevano di pace e di buono. La clessidra sul ripiano della cucina, il calderone perennemente appeso nel camino, il disegno che aveva fatto con il carboncino sul muro intonacato del corridoio, da bambino. Sua madre l’aveva sgridato molto, ma non aveva cancellato la sua opera. Sullo stipite della porta della cucina era rozzamente intagliato un metro. Suo padre, Thurla, era solito misurare i suoi bambini su quel metro. Si inginocchiò e sfiorò con i polpastrelli le incisioni con scritto accanto i nomi suo, di Liam e di Syra. Sembrava passato un secolo, da allora. Sospirò e pregò con tutte le sue forze il Dio del Viaggio perché lo facesse tornare a casa sano e salvo. Ad affrontare le ire di suo fratello, implicito. Non poteva sperare di scappare di casa, senza dire nulla a nessuno, e di ripresentarsi come niente fosse dopo chissà quanto tempo senza subirne le amare conseguenze. Liam era un uomo giusto, ma non era mai stato indulgente. Quello no.
Quando il sole scomparve dietro alle cime, l’oscurità vellutata avvolse Pothien. Il vociare aumentò: i cittadini si riunivano allegri in piazza, come tutte le sere. Guardando dalla finestra, Irthen vide la famiglia di Elias, il fabbro, che usciva rumorosamente di casa. Lavorava nella sua bottega tre giorni alla settimana. Quel lavoro era un’altra delle cose che stava per sacrificare. Sospirò. Non sarebbe stato saggio sprecare la sua ultima serata a Pothien guardando la vita sfilare oltre il vetro. Indossò rapidamente gli stivali e uscì richiudendosi la porta alle spalle.
La cittadina non era cambiata granché negli anni. Era cresciuta, certo, ma non in misura tale da far balzare all’occhio la differenza. Quand’era bambino, Irthen aveva ardentemente desiderato il caos delle grandi città di cui sentiva tanto parlare, ma crescendo aveva imparato ad apprezzare la pace e la monotonia della sua patria. Per anni si era domandato come potesse suo fratello amare tanto casa dopo aver visto tutte le più popolose città del Nord. Ora lo capiva. Come lui, Liam subiva il fascino delle cose semplici, come il profumo dell’erba appena tagliata e della resina di pino. Sorrise tra sé salutando con la mano Jeremy, suo insostituibile compagno d’infanzia, che si dirigeva con il suo inconfondibile passo strascicato verso di lui. Sentì chiudersi lo stomaco al pensiero di cosa avrebbe pensato di lui quando sarebbe tornato stregone. O quando non fosse tornato affatto. Deglutì mentre il sorriso sbiadiva.
« Ehi, fratello, che faccia hai! Hai mangiato una mosca?»
Irthen scoppiò a ridere.
« E questa dove l’hai sentita, Jer?!»
Gli diede una pacca sulla spalla mentre sentiva sollevarsi il macigno che gli pesava sullo sterno. Jeremy gli faceva sempre quell’effetto: senza rendersene conto alleviava i suoi problemi.
« Sei scandalosamente in ritardo, Ir, Dott ti ha insultato per più di mezz’ora. Però ti ha tenuto da parte una coscia di pollo. Cioè, ti aveva tenuto il pollo intero, ma si è distratto un attimo e Crusca…beh, sai com’è fatto»
« Dannato cane, anche il mio pollo adesso!» esclamò Irthen bonariamente « Non gli è bastato il mio pallone la settimana scorsa?!»
Jer abbassò gli occhi mortificato.
« Mi dispiace, avrei voluto lasciarlo a casa, ma Amanda ha insistito tanto…»
« Sto scherzando, Jer! Sto solo scherzando…» sorrise, ulteriormente rasserenato al pensiero della sorella dell’amico.
Amanda era una bella ragazza di quattordici anni con i capelli biondi come raggi di sole e occhi azzurri come il mare. Irthen aveva sempre sospettato che fosse interessata a lui e questo lo lusingava, ma non aveva mai fatto un passo deciso verso di lui, e Irthen non ci aveva provato ancora troppo spudoratamente per paura di litigare con Jeremy. Due begli occhi non dovevano rovinare la sua migliore amicizia.
« Quindi Dott è incazzato con me?» domandò cercando di tornare con i piedi per terra.
Jeremy annuì convinto.
« Ci puoi giurare! Ti sei dimenticato che gli avevi promesso di accompagnarlo da Amina, prima del tramonto?»
Irthen sbuffò.
« Col cavolo! Già me la trovo davanti a casa mille volte al giorno, ci manca solo che mi metta ad andarla a cercare!» sbottò.
Jeremy sghignazzò.
« Io non mi lamenterei se me la potessi trovare davanti a casa…anche solo una volta ogni tanto sarebbe abbastanza!»
Scoppiarono a ridere mentre attraversavano il volto di pietra che si apriva sulla piazza. Puntarono verso l’angolo più buio, quello dove erano soliti incontrare i loro amici, la sera, sotto lo sguardo bieco dei più anziani che li immaginavano intenti in chissà quali attività immorali. Come sempre, sulla spalliera della panca di pietra stavano sedute tre figure. La prima a destra era goffa e massiccia e reggeva un piatto.
« Alla buon’ora!»
Dott balzò giù, barcollò, poi ritrovò l’equilibrio e sbatté il piatto in mano a Irthen. La coscia di pollo allo spiedo superstite era gelata e non aveva un aspetto invitante, ma per non aggravare ulteriormente la sua posizione agli occhi dell’amico, già furioso, la addentò. Masticò lungamente e deglutì a fatica. E pensare che non aveva nemmeno fame…
« Grazie, Dott» biascicò tra un morso e l’altro.
« Si, si, grazie lo dico io! Ti ho aspettato per quasi un’ora, e tu non ti sei fatto vivo. Chi lo dice ora a quella vipera di mia madre che non sono andato a ritirare le sue gocce per l’emicrania?»
Irthen alzò un sopracciglio, scettico.
« Sicuro che sia per questo? Non sarà, piuttosto, che avevi solo voglia di vedere la tua bella Amina? Non illuderti, quella ha la fila, non ci starebbe mai con te, nemmeno se tu le promettessi di farle…» si interruppe contagiato dalla fragorosa risata dei compagni mentre Dott arrossiva smodatamente.
« Scherzo, amico, scherzo» si affrettò ad aggiungere fingendosi rammaricato, vedendo che Dott si apprestava a ribattere con aria feroce.
Ignorò il cipiglio dell’amico e si sedette sulla panchina. Lanciò a Crusca l’osso di pollo. Il grosso cane di Jeremy abbaiò tutta la sua riconoscenza. Infondo, quella palla di pelo gli stava simpatica, non fosse altro perché nelle sere fredde scaldava i piedini bianchi della dolce Amanda…
« In effetti, stasera sei arrivato più tardi del solito, Ir» commentò Roman, il più smilzo, sporgendosi dal suo posto per osservare il nuovo arrivato.
« Ha ragione, amico. Come mai? Non è mai successo che dovessimo venirti a cercare» disse Hans, il biondino, dando man forte a Roman.
Irthen sospirò.
« Scusate, ragazzi, avevo molto da fare e non mi sono reso conto del tempo che passava»
Hans lo guardò sospettoso per qualche secondo, poi liquidò i dubbi con un’alzata di spalle.
« Ehi, Jer, è vero che tua sorella andrà a stare a Pall?» disse improvvisamente Roman.
Jeremy sbuffò. Era evidente che non era un tasto felice, quello.
« Si, ma solo per qualche mese. Mia madre vuole che impari a ricamare da mia zia»
« E non ci sono brave ricamatrici a Pothien?» domandò Ir cercando di mantenere un tono neutro, disinteressato.
« Lo sai anche tu com’è fatta mia madre…è fissata con queste cazzate»
Nessuno commentò. Jeremy era molto legato a sua sorella ed era molto protettivo nei suoi confronti. In condizioni normali non avrebbe mai usato il termine “cazzate”, ma piuttosto qualcosa come “manie”, oppure “assurdità”. Le volgarità non erano nel suo repertorio, al punto che spesso riprendeva anche gli amici quando esageravano. Irthen a volte lo chiamava “principino” per la sua attenzione quasi folle al lessico. L’utilizzo, da parte del principino, di una parolaccia, per quanto contenuta, era indice di nervi molto, molto tesi.
Rimasero a lungo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, mentre la piazza si animava. Irthen si guardava intorno cercando di fissare in modo indelebile nella sua mente ogni minuscolo dettaglio della cittadina, consapevole che per lungo tempo non avrebbe rivisto quei piccoli angoli di paradiso tanto familiari.
Era poi tanto sicuro di voler partire?, si domandò. Si, lo era. Aveva ottime motivazioni. E quando fosse tornato vittorioso, Liam l’avrebbe perdonato, ne era certo.
« Che mortorio, ragazzi! È successo qualcosa? O avete di nuovo abusato di quei funghi che vi aveva venduto quello squilibrato di Seeb?»
La voce cristallina di Amanda fece sussultare i cinque ragazzi, e Crusca scodinzolò felice.
« Ciao» disse Irthen, cercando di atteggiarsi al solito compagno di baldorie.
La ragazza lo scrutò un attimo accigliata, gli si avvicinò, gli controllò le pupille, poi sorrise.
« Brutta giornata, eh? Nessun problema, Ir, puoi continuare ad elucubrare tutta notte, non ti disturberò…» poi, rivolgendosi al fratello « mamma vuole che torni subito a casa, Jer. Nonno sta dando di nuovo i numeri»
Jeremy sbuffò e saltò giù dalla panca.
« Impeditemi di invecchiare così, ragazzi» mormorò « Notte»
Amanda salutò con la mano e Irthen si congedò mentalmente dal suo miglior amico e dai begli occhi della ragazza.
Li stava ancora guardando allontanarsi tra la folla quando Hans gli assestò una gomitata nelle costole che lo richiamò dolorosamente alla realtà.
« Ged sta per cominciare»
Irthen mise a fuoco la massa di persone, in fila ordinata per prendere posto, e scosse il capo.
« No, vecchio. Scusate ma ho bisogno di riposare. Non sono molto in forma stasera…»
I tre lo guardarono stupiti: che cos’era successo al più festaiolo e scavezzacollo della compagnia? Il ragazzo non lasciò loro il tempo di fare domande. Diede una pacca sulla spalla di Hans e si ritirò con il groppo in gola.
Invece che tornare a casa, però, decise di percorrere la via principale di Pothien diretto a nord, dove il bosco avvolgeva ogni cosa con le sue tenebre. “Una passeggiata per rilassare i nervi, niente di più”, si disse. Quel sentiero che si inerpicava sul monte lo conosceva come le sue tasche, dopotutto. Camminare gli svuotava la mente. La luce della luna, perla liquida, filtrava tenue tra i rami, illuminando il sottobosco. Camminò fino al piccolo laghetto formato dal torrente in una delle sue anse placide e si sedette sul masso umido. Quand’era piccolo si recava spesso lì con la sua famiglia, e con il passare degli anni non aveva perso l’abitudine.
Improvvisamente, Irthen si sentì spingere giù dal masso e cadde nell’acqua gelata. Aveva avvertito chiaramente il tocco di due mani sulle scapole, perciò riemerse infuriato e pronto a sbranare il burlone che gli aveva donato un bagno di mezzanotte. Ma non trovò nessuno. Si guardò attorno frastornato, scostandosi i capelli gocciolanti dagli occhi, domandandosi se non ci fosse qualcuno nascosto tra gli alberi.
« C’è…c’è nessuno?» domandò.
Un leggero soffio di vento lo fece rabbrividire.
Turbato, Irthen si affrettò a issarsi fuori dall’acqua e a tornare in paese.
 
Esausto, con il groppo in gola per l’agitazione, Irthen chiuse alle sue spalle la porta di casa, poi vi si appoggiò tremante: le gambe minacciavano di non reggere più il suo peso. Alla preoccupazione per quello che avrebbe potuto pensare Liam di lui si erano sommati il pensiero dei suoi amici e la strana sensazione di essere stato seguito.
« Coraggio, Ir, il gioco vale la candela. Quando sarai uno stregone potrai avere la tua rivincita. Le persone che ami non moriranno, Liam non dovrà più viaggiare per mantenerti negli agi e nei lussi. Finalmente potrai badare a te stesso» mormorò tra sé e sé.
Ricacciò indietro la vocina maligna che nella sua testa ripeteva instancabile “non esiste alcuna Cascata, povero fesso” e prese un bel respiro, cercando di calmare i nervi.
Ritrovato un po’ di autocontrollo, iniziò a sentire freddo. I vestiti e i capelli avevano smesso di gocciolare, ma era ancora bagnato fradicio. Si affrettò su per la rampa di scale verso la propria stanza, girò stancamente il pomello ma la porta non diede segno di volersi aprire. Perplesso spinse con la spalla, senza successo. Solo dopo diverse imprecazioni ricordò di averla chiusa a chiave all’arrivo di Amina. Infilò spazientito la mano in tasca ma la scoprì vuota. Tentò anche l’altra tasca, ma niente, la chiave era sparita.
Masticando bestemmie, realizzò che doveva averla persa quando era caduto nel torrente. Arrabbiato e infreddolito, scese da basso e uscì di nuovo, diretto alla stalla dove teneva gli strumenti da lavoro. L’aria fresca della notte gli portò il profumo dei dolci che Mirabel vendeva con la sua bancarella in piazza. Inspirò a pieni polmoni ed entrò nell’edificio. Gli ci vollero solo pochi secondi per trovare quello che cercava. Era evidente che l’ultimo a fare qualche intervento di manutenzione era stato suo fratello: aveva sempre disprezzato la meticolosità e l’ordine maniacale di Liam ma quella notte non poté fare a meno di ringraziarlo. Riacquistando un po’ di baldanza trotterellò fuori e si bloccò di colpo. Un bambino stava davanti a lui, e sorrideva con due occhioni color ghiaccio – anche se forse sarebbe stato più appropriato dire color argento – spalancati. Inspiegabilmente, Irthen si sentì a disagio: non tanto perché non aveva mai visto quel bambino, cosa praticamente impossibile vista l’ampiezza limitata del bacino demografico di Pothien, quanto perché i suoi occhi erano così penetranti e affascinanti che sarebbero stati meglio in un viso centenario. Su un bambino di si e no sei anni erano inquietanti. Poi il bambino parlò.
« Non lo fare, Irthen. Te ne pentiresti» tintinnò la sua voce adamantina.
« Chi sei tu?» domandò il ragazzo facendo un passo indietro, turbato oltre ogni logica.
Per tutti gli Dei, era pur sempre uno scricciolo! Cosa ne sapeva quell’insettino fastidioso delle sue intenzioni?
Il bimbo scosse la testolina mora con l’aria di disapprovare la sua decisione. Si voltò e si allontanò nella notte. Dopo un momento di esitazione, Irthen lo rincorse, ma svoltato l’angolo il piccolo sconosciuto era scomparso, puf!, volatilizzato. Come se il soffio di vento freddo che si era improvvisamente levato l’avesse scomposto in tante piccolissime particelle e l’avesse portato via con sé… Irthen scosse violentemente il capo per allontanare quegli inquietanti pensieri e strinse saldamente la limetta che teneva tra le mani. Quella era fredda, reale, visibile. Rientrò in casa strascicando i passi e salì al piano superiore. Impietrì. Al pomello stava appeso, come un cappio, un lungo pezzo di spago, e allo spago era legata la chiave.
Il ragazzo indietreggiò tremante fino a sbattere contro la parete e si lasciò scivolare a terra. Continuava a fissare la chiavetta che dondolava all’inesistente brezza come fosse stata un fantasma, come aspettandosi di vederla scomparire da un momento all’altro. Ma questo non accadde. Solamente dopo molto tempo trovò la fermezza di rimettersi in piedi e avvicinarsi alla porta. Sfiorò la chiave con la lima producendo un tintinnio rassicurante.
« Ottimo, sono impazzito…cazzo» mormorò prima di afferrare la chiave, inserirla nella toppa e far scattare la serratura.






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Ed eccomi di ritorno dalle vacanze! Come vedrete ho lavorato per voi - invece di studiare, mannaggia - e se ho dimenticato qualche C qua e là portate pazienza, ero circondata da toscani e in 15 giorni ho preso la cadenza e perso la C..cercherò di parlare intensamente il dialetto mantovano nei prossimi giorni per recuperare! :) Baci, Cat

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Capitolo 4
*** Gli ingranaggi iniziano a girare ***


Irthen non poteva indugiare oltre, lo sapeva bene, e nemmeno lo desiderava dopo gli inquietanti dettagli in cui era incappato nelle ultime ore. Allora perché esitava? La notte invecchiava rapidamente e lui se ne stava lì, imbambolato, con lo zaino sulle spalle e il cavallo sellato, a fissare la porta chiusa di casa. La spada c’era, la coperta anche, il cibo e l’acqua li aveva preparati…aveva ripassato infinite volte il suo equipaggiamento ed era convinto che non mancasse nulla. Eppure esitava. Sospirò.
Uno stridio improvviso lo fece sobbalzare. Gli ricordò il cigolio di un cancello di ferro arrugginito che ruotava sui cardini. Scrutò l’oscurità che si faceva via via più luminosa attorno a lui alla ricerca di qualche concittadino troppo mattiniero. Tutti i suoi sensi erano all’erta.
« Non è niente, fifone» disse al cavallo che scalpicciava nervosamente, cercando di tranquillizzare anche sé stesso.
Salì in groppa e si allontanò velocemente, salutando con la mano la porta di casa. Seguendo le indicazioni precise di Ged attraversò la porta sud, pregando che nessuno lo notasse, magari un genitore svegliato nella notte dalle coliche del figlio neonato, o un vecchio alla ricerca disperata del bagno. O peggio ancora, Amina.
La minuscola macchia di vegetazione che si apriva appena oltre le mura di Pothien gli offrì rifugio e protezione. Irthen tirò un respiro di sollievo. Il primo, grande, difficile passo era stato fatto: decidersi a partire.
 
Liam si svegliò di soprassalto, con una strana sensazione di panico che gli chiudeva lo stomaco, dandogli la nausea. Per un attimo non riconobbe la stanza che lo ospitava, poi ricollegò: si trovava a Tior, la cittadina ai margini del Deserto Roccioso in cui era stato obbligato a sostare per raggiungere le grandi città dell’Est. Si passò una mano sugli occhi cercando di calmarsi e di normalizzare il battito cardiaco.
« Che ti prende, Liam?» mormorò.
Si alzò e aprì la finestra. L’aria fresca della notte riempì la piccola camera e lo fece sentire subito meglio. Con la coda dell’occhio notò che l’acqua nel catino che stava sul comodino sembrava scossa da un’insistente vibrazione. Liam aggrottò la fronte e l’acqua tornò immobile.
« Non fare cazzate» si disse stropicciandosi gli occhi e tornando a stendersi, inquieto.
 
Allontanandosi da Pothien, Irthen si era sentito sempre meno oppresso dalle preoccupazioni, come se l’aria più pura del piccolo bosco prima e della campagna poco popolata poi, avesse disperso la cappa di inquietudine che gli eventi delle ultime ore avevano addensato nel suo cervello. E mentre il cielo schiariva rapidamente, Irthen ripose timori e preoccupazioni in un anfratto remoto del suo Io: nel torrente ci era semplicemente scivolato, una comune disattenzione; lo strano bambino doveva essere un parente impiccione in visita a qualche famiglia del vicinato; la chiave…beh, quella stupida chiave forse era sempre stata nella sua tasca. Infondo, era stanco, infreddolito, ancora irrazionalmente turbato, e per dirla tutta non aveva nemmeno mangiato, quando gli era sembrato di trovarla appesa alla porta. Probabilmente aveva ceduto ad un colpo di sonno e aveva sognato. Niente di più logico. Doveva essere avvenuto tutto lì, in quel limbo di semicoscienza che si estende tra sogno e realtà. Non poteva farci nulla se Madre Natura gli aveva dato una fantasia troppo fertile…
L’alba lo trovò sulla larga e battuta strada per Eremo, l’ultimo baluardo di civiltà prima dell’inospitale Deserto Roccioso. Decisamente non aveva avuto un lampo di genio quando, due anni prima, aveva chiamato Fulmine quel cavallo. Forse perché era sempre stato impiegato per i lavori più pesanti, ma Irthen si convinse presto che andando a piedi sarebbe andato più veloce. Sospirò irritato. Di quel passo non sarebbe mai arrivato. La prima luce avvolgeva i Giganti di rosa e arancio, dando un aspetto tutto nuovo alla catena montuosa. Ma l’umore nero di Irthen non gli permetteva di apprezzare quello spettacolo sublime: la meta era tutto quello che contava, il viaggio solo uno spiacevole inconveniente. Domandandosi dove potesse trovarsi suo fratello, decise di aggirare i paesi che incontrava sul suo cammino per ridurre al minimo il rischio di incontrarlo. Naturalmente, questo comportava percorrere della strada in più, o per meglio dire molta strada in più nei casi delle piccole cittadine. Il sole era ormai sorto completamente quando, solleticato dal profumo di pane appena sfornato, Irthen pensò che, tutto sommato, non poteva essere poi così pericoloso fermarsi alla bottega del fornaio del minuscolo agglomerato urbano dal nome non precisato – le sue competenze geografiche erano molto limitate – per comprare un’appetitosa focaccia. Con l’acquolina in bocca e lo stomaco che brontolava, mise mano alla cintura, alla quale era solito assicurare il borsellino, e si sentì mancare: l’amato peso non c’era. Il suo stomaco si contrasse dolorosamente mentre Irthen veniva assalito da un giramento di testa.
« Dannazione» mormorò accasciandosi sul collo del cavallo, che nitrì irritato. « Come puoi essere stato così idiota da lasciare a casa i soldi, vecchio?»
Fermò il cavallo per riflettere sul da farsi. Era ridicolo anche solo sperare di poter raggiungere la meta agognata senza denaro! Si compianse in silenzio per alcuni minuti, battendo la testa sul collo di Fulmine, ma quando questo tentò di disarcionarlo rinsavì. Cercò di riflettere, in preda al panico e alla rabbia. Che possibilità aveva? Tornare a casa? Amina lo avrebbe torturato prima, e Liam gli avrebbe dato il colpo di grazia poi. Andare avanti e sperare in un miracolo? Sospirò. Non aveva alternative se non proseguire quel viaggio assurdo e avere cura, in futuro, di essere più accorto.
« Niente focaccia, Fulmine» disse scoraggiato rimettendo il cavallo al passo.
Improvvisamente realizzò che non metteva qualcosa nello stomaco dal pranzo del giorno prima. Estraendo dallo zaino un tozzo di pane cominciò a domandarsi quanto mancasse alla Cascata.
In quello stesso momento, Amina bussava alla sua porta.
 
Nell’oscurità azzurra della grotta, due donne guardavano un’immagine riflessa nella polla d’acqua. Una delle due annuiva compiaciuta, l’altra scuoteva il capo contrariata.
« Secondo me ti sbagli» disse la seconda.
La sua voce suonò come liquida, come il gorgoglio di un ruscello.
« Dopo più di un secolo, ancora non ti fidi di me?» domandò l’altra, la voce bassa e vellutata sembrava accarezzare le pareti rocciose.
« No, non è questo…ma, insomma, guardalo! È solo un ragazzino!» ripeté la prima che aveva parlato, tirandosi i lunghissimi capelli sulla spalla sinistra per vedere meglio.
« È lui, ti dico. La mia chiave di volta»
L’altra la guardò crucciata.
« Non fare quella faccia scontenta. Ti ho detto come stanno le cose. Non mi dirai che, ora, hai paura…non vorrai tornare sui tuoi passi, eh?»
L’altra spalancò gli occhi, poi scoppiò a ridere, imitata dall’amica.
Quella dalla voce bassa si sporse di nuovo per guardare l’immagine: un ragazzino dai boccoli scuri e gli occhi verdi su un cavallo di poco valore. Sfiorò con il palmo della mano il pelo dell’acqua e l’immagine scomparve.
« È giunta l’ora, tesoro. Gli ingranaggi iniziano a girare, e sarà meglio che girino nella direzione giusta» mormorò facendosi improvvisamente seria.
 
Irthen non era mai stato lontano dalla sua cittadina natale e si guardava intorno con curiosità. A mano a mano che si allontanava dalle montagne, l’aria diventava più calda, dalla strada salivano vampate bollenti che lo facevano boccheggiare. I contadini nei campi si tergevano stancamente il sudore dalla fronte, senza degnare di uno sguardo il ragazzo e il suo cavallo. Le donne si affaccendavano nelle aie delle proprie abitazioni in mezzo a galline, cani e bambini con i loro giocattoli rozzamente intagliati nel legno. Tutto trasmetteva una pace infinita.
« Hai visto, Fulmine, che bella la campagna?» sorrise estasiato.
La vita gli ruotava attorno come in un sogno mentre proseguiva la sua strada verso il Sud.
Aveva collezionato molte storie, in anni ed anni di racconti e leggende più o meno credibili, riguardo alle zone a lui sconosciute della Terra dei Tuoni. Per esempio, aveva sentito dire che dopo la grande guerra i pochi draghi superstiti si erano ritirati nell’estremo Sud, dove faceva freddo più ancora che sui Giganti e dove le lande erano completamente disabitate. Sapeva anche che ad Est erano scomparsi i nani centinaia di anni prima, e che da quel momento nessuno li aveva più visti. Nemmeno Ged aveva saputo dirgli dove fossero andati e perché. Pare che i nani e i draghi non andassero molto d’accordo, forse era il fatto che gli uni vivessero nel cuore della terra e gli altri nell’aria aperta a renderli incompatibili. A Irthen non sarebbe dispiaciuto incontrare un nano, ma i draghi…quelli li avrebbe evitati volentieri! Anche delle sirene sapeva qualcosa. Erano donne bellissime con la coda di pesce, e vivevano solo nelle acque più pure. Qualcuno diceva di averle avvistate a Sud, verso le sorgenti del Morgael – che Irthen non avrebbe mai saputo collocare su una cartina – e nell’estremo Nord, nei ruscelli sui Giganti, nonché, naturalmente, nelle acque blu cobalto dell’Oceano. Degli elfi, invece, aveva sentito qualcosa di più preciso. Era risaputo che prima della guerra vivevano in armonia in un grande bosco sulle sponde dell’Oceano, a Sud-Ovest, oltre la Piana di Thann. La capitale del Reame Eterno, Lumia, sorgeva su un’isola a forma di stella e da là Re Horlon governava con saggezza. Ma la disastrosa guerra e il diffondersi sempre più rapido della razza umana li spinse a frazionarsi in tante piccole comunità. Qualche temerario ancora lo si incontrava in giro per la Terra dei Tuoni, ma la maggior parte di loro cercava di condurre la sua eterna esistenza in pace e tranquillità, e in assoluta riservatezza. E poi c’erano loro, i maghi. Esseri umani con capacità particolari, legate alla loro affinità con uno dei quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Si diceva che in tempi antichi vivessero in una loro città che era poi andata distrutta, e che si fossero dispersi per tutta la Terra dei Tuoni. Per quello che ne sapeva Irthen, la magia non era una questione di sangue: non si ereditava, che cosa facesse sì che un umano acquisisse il potere di governare un elemento lui proprio non riusciva ad immaginarlo. Infine, c’erano gli stregoni. Erano pochissimi, e si distinguevano dai maghi perché avevano potere su tutti e quattro gli elementi indistintamente, e non su uno soltanto. L’unico modo di diventare stregone era bagnarsi nelle acque della beneamata Cascata.
Per un attimo, Irthen indugiò sulle memorie delle altre storie, quelle che raccontavano di mostri orribili, di cavalli grandi quanto elefanti e feroci come tigri, di minuscoli insetti letali, e via dicendo. Ma accantonò immediatamente quelle sciocchezze: era evidente che tutte quelle creature mortifere non potevano esistere veramente.
Sorrise tra sé all’idea di poter incontrare qualche essere affascinante e spronò Fulmine perché accelerasse il passo.
Così, il sole seguiva il suo eterno corso, disegnando un arco perfetto nel cielo sereno del Nord e scandendo le ore, i minuti, i secondi, che separavano l’inquieto Irthen dalla meta.
 
Il sole era allo zenit quando Amina bussò, per la seconda volta in quella giornata, alla porta del fratellino di Liam. Si sentiva inquieta da quando quella mattina presto non aveva ricevuto risposta, ma ignorando i cattivi presentimenti che l’avevano subito assalita si era imposta di provare più tardi prima di farsi prendere dal panico. Dopotutto, Irthen poteva aver fatto tardi ed essere rimasto a letto più del solito, oppure il contrario, essersi alzato prima ed essere già uscito. Impalata davanti alla porta chiusa si guardò attorno. Doveva sembrare una vera zitella acida, pensò. Sempre lì a torturare quel povero ragazzo! Sospirò. Le dispiaceva dover essere così ossessiva, Ir le stava simpatico, ma gli ordini erano chiari…e poi non era certo colpa sua se Liam era stato così irragionevole.
Bussò di nuovo e attese ancora qualche momento prima di decidersi ad aggirare la casetta per verificare la sua peggiore ipotesi – in effetti no, non considerava l’eventualità che il ragazzino potesse essere svenuto in casa, o ubriaco di birra dalla sera prima, o fatto di chissà quali erbe allucinogene, o morto, la cosa peggiore che potesse capitargli –: sperando che nessuno la vedesse invadere una proprietà privata, si infilò furtivamente nella stalla e richiuse il portone alle sue spalle. Quando i suoi occhi si furono abituati alla penombra e poté verificare l’assenza del cavallo sciancato, sbiancò.
« Il capo mi ucciderà…» gemette prendendosi il viso tra le mani.
Si crogiolò nello sconforto per qualche momento, ma si riscosse velocemente. Non poteva perdersi d’animo se voleva riparare il danno. Poteva ancora rintracciare quello sciagurato ragazzo prima che si cacciasse nei guai, ma doveva muoversi velocemente. Si precipitò fuori dalla stalla e richiuse con cura il portone, poi si incamminò verso il centro di Pothien, verso la casa di Jeremy. Chi meglio del suo migliore amico avrebbe potuto sapere qualcosa di lui? In pochi minuti raggiunse la bella casa del ragazzo e, dopo essersi data una rassettata al vestito, bussò. Con una rapidità sorprendente una donnina minuta aprì la porta e la squadrò sospettosa. Amina sorrise gentilmente.
« Posso aiutarti?» domandò.
La guaritrice faticò a nascondere la meraviglia. Nella voce acuta traspariva un’evidente ostilità.
« Ehm, si, cercavo Jeremy» rispose Amina senza scomporsi.
« Mio figlio? E perché mai?» domandò la donna.
Amina si accigliò. Fece per ribattere ma dall’interno giunse la voce del ragazzo.
« Chi è, mamma?»
« Jeremy, questa…donna chiede di te» disse senza nascondere lo sdegno.
Amina la guardò storto. Come si permetteva di parlare di lei in quel modo, vecchia megera? Dalla porta fecero capolino due occhi castani e un ciuffo rossiccio.
« Oh, ciao Amina!» disse arrossendo imbarazzato.
Lanciò un’occhiataccia a sua madre e uscì, accostando la porta alle sue spalle.
« Scusala, è un po’ paranoica. Hai bisogno?»
Amina gli sorrise.
« Veramente non sapevo a chi chiedere, e spero che tu possa aiutarmi…non riesco a trovare Irthen. È uscito prima dell’alba e ha portato con sé il cavallo. Ti ha detto che avesse intenzione di andare da qualche parte?»
Jer aggrottò la fronte e disse:
« Non ne so niente, mi dispiace»
Amina si strinse le tempie tra gli indici.
« Vorrei sapere cosa gli passa per la testa» disse sconsolata.
Jeremy si strinse nelle spalle.
« Non preoccuparti per lui, Amina, Ir è un po’ strano ma sa badare a sé stesso e non è uno stupido. Vedrai che ricomparirà tra qualche ora. Anche se, ora che ci penso, ieri sera era più strano del solito…»
« In che senso?»
« Sembrava…giù di corda, ecco»
Amina annuì pensierosa.
« Grazie, Jer. Scusa se ti ho disturbato per una sciocchezza. E ringrazia anche tua madre»
Jeremy sorrise e rientrò in casa, lasciando la guaritrice confusa.
Quando era stata da Irthen la sera prima, in effetti, sembrava un po’ sulle spine…si stava preparando a partire? Per questo non si era cucinato la cena? E dove poteva essere andato? Doveva esserci sotto qualcosa di veramente grosso se non ne aveva fatto parola nemmeno con il suo migliore amico.
Si incamminò lentamente verso casa, riflettendo sulla prossima mossa da fare. Non voleva ancora esporsi troppo. Dopotutto, poteva davvero rivelarsi un falso allarme, e allora la sua copertura sarebbe servita ancora…Improvvisamente ricordò un ammonimento che il fratello di suo marito le aveva lasciato anni prima: “la Terra non ti tradirà, Mina, la Terra ha sempre tutte le risposte”.
Sorridendo tra sé, compiaciuta per il lampo di genio, la guaritrice si chinò e posò entrambi i palmi al suolo.
« Dove è andato?» mormorò.
L’immagine del ragazzo fermo davanti ad una porta chiusa, in attesa di una risposta, attraversò la mente di Amina facendola sobbalzare. Aveva riconosciuto immediatamente il battente arrugginito. Spalancò gli occhi e balzò in piedi, per dirigersi a passo svelto verso la casa del cantastorie. Se Ged sapeva qualcosa del ragazzo, lei l’avrebbe fatto parlare.
 
Sotto il sole sempre più caldo, Irthen cominciava ad accusare le ore di sonno perse. Gli occhi gli si chiudevano, avrebbe tanto desiderato fermarsi a riposare, ma sapeva di dover mettere quanta più strada possibile tra sé e Pothien. Non poteva certo sperare che la sua scomparsa non fosse ancora stata notata. La sua unica possibilità stava nell’eventuale esitazione di Amina: se lei avesse tardato a prendere una decisione in merito, le sarebbe stato più difficile rintracciarlo. Senza rendersene conto attraversò un ponticello che scavalcava un rigagnolo d’acqua senza degnare di uno sguardo l’uomo seduto all’ombra di una betulla, lì accanto.
« Ehi, amico, non hai dimenticato qualcosa?»
Irthen si voltò sorpreso e gli fece tanto d’occhi.
« Che cosa, signore?» domandò.
L’uomo si alzò e gli si fece incontro. Indossava una lurida camicia smaniata che gli copriva a stento la pancia prominente, e puzzava da morire. Irthen storse il naso.
« La tassa, ragazzino. E non fare il furbo con me» minacciò gonfiando i bicipiti.
Irthen lo guardò preoccupato.
« Perdonami, sono di passaggio e non so di cosa tu stia parlando»
L’uomo diventò tutto rosso, convinto che Irthen si stesse prendendo gioco di lui. Cominciò ad urlare:
« La tassa, maledizione, la tassa!» poi si calmò davanti al terrore che si era disegnato sul viso del ragazzo. « Se vuoi passare su questo ponte, devi pagare la tassa»
« Cosa?!» esclamò Irthen sbalordito. « E perché mai dovrei pagare per attraversare un fiume che è poco più largo di una pisciata di cane?!» sbottò indignato.
« È la legge di Pontefosso, ragazzino. O paghi o te ne vai»
Irthen si morsicò il labbro inferiore.
« Io non ho soldi» mormorò.
« Allora tanti saluti» disse il guardiano del ponte sbarrandogli la strada.
Irthen sospirò e fece dietrofront. Masticando imprecazioni, risalì per un lungo tratto la strada appena percorsa fino a trovare un bivio. Lo imboccò e cercò il modo di aggirare il problema del ponte. Avrebbe perso tempo, ma il tipaccio gli aveva dato un’informazione che l’aveva rassicurato: si trovava già nel territorio di Pontefosso, che era circa a metà strada tra Pothien ed Eremo. Aveva già coperto, quindi, la strada che secondo Ged avrebbe dovuto coprire entro sera. Il viottolo si estendeva in mezzo ai campi e curvava in lontananza verso sud. Spronò Fulmine al galoppo, godendo dell’aria calda che gli sferzava il viso. Gli uomini nei campi alzavano il capo e gesticolavano, indirizzando improperi a quello sciagurato che alzava polvere e spaventava gli animali da tiro. I riflessi del sole sui covoni di fieno ricordavano ad Irthen i bei capelli di Amanda…anche lei avrebbe lasciato Pothien nel giro di pochi giorni. Strano il destino.
La stradina curvò secca a sinistra e Irthen avvistò un altro ponte. Se voleva evitare di dover cercare un guado, quella era la sua unica possibilità. Si avvicinò con circospezione: c’era un’altra guardia accanto al passaggio, e sembrava addormentata. Il ragazzo prese un bel respiro e, senza pensarci troppo su, si lanciò al galoppo, pregando solo che nessuno gli sbarrasse la strada. Al passaggio impetuoso di Fulmine, la guardia si svegliò e balzò in piedi, urlando insulti e bestemmie indistinte al trasgressore, imitato dai contadini che lavoravano là attorno. Irthen li ignorò senza accennare a rallentare. Non aveva il denaro per pagare la tassa, e non aveva intenzione di mettersi a derubare vecchiette per ottenerlo…
Si fermò solo quando fu in vista di Pontefosso. Allora smontò, diede due colpetti riconoscenti sul muso di Fulmine e si fermò ad ammirare le fortificazioni che cingevano la città.
« Mica male» commentò tra sé e sé attraversando l’arco d’ingresso.
Pontefosso era più grande di Pothien, ma più piccola delle grandi città sul Lago di Nebbia. Nonostante ciò, era la prima città vera e propria in cui Irthen mettesse piede. E ne era semplicemente incantato. Le strade erano larghe e pulite, piastrellate di porfido scuro che contrastava con le pareti intonacate di bianco degli edifici. Anche la prima periferia sembrava una capitale paragonata alla sua patria. Nella luce dorata del sole che inclinava sull’orizzonte, proiettando ombre sempre più lunghe, Irthen desiderò con tutto sé stesso di potersi confondere con i cittadini di Pontefosso. Tornare alla sua bella casa dove la sua famiglia numerosa lo attendeva per la cena, e poi uscire con gli amici e rientrare solamente a notte fatta, per godere del meritato riposo. Scosse il capo per allontanare quelle immagini di pace che non gli appartenevano. Lui era uno straniero, e non avrebbe nemmeno potuto fermarsi là a dormire, visto che nella sua immensa lungimiranza aveva dimenticato a casa il denaro…sospirò e si affrettò ad attraversare la città.
Il centro era adornato di aiuole e statue di bronzo di fattura pregevole. Si fermò un momento ad osservare una composizione floreale particolarmente spettacolare quando una risata profonda lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto, la mano posata sull’impugnatura della spada.
Alle sue spalle stava un uomo sulla quarantina, altissimo e altrettanto magro, anche se sotto la tunica verde stretta in vita da un nastro argentato si intuiva una muscolatura solida. I capelli neri tagliati corti erano appena spruzzati di grigio e gli occhi neri e penetranti gli davano un’aria intelligente. Irthen lo guardò sospettoso.
« Sei di passaggio, vero, ragazzo?» domandò l’uomo con una voce bassa e vellutata.
Irthen annuì.
« Come lo sai?» rispose sulla difensiva.
L’uomo sorrise amichevolmente.
« Ti sei fermato ad osservare tutte le mie aiuole. Non ne hai saltata nemmeno una. Se tu fossi di qui ci saresti abituato»
Il ragazzo rimase a bocca aperta.
« Tue? Nel senso che le fai tu?» farfugliò.
L’uomo rise di nuovo, mostrando una collezione di denti candidi e perfetti.
« Si, esatto. Mi fa piacere che qualcuno ancora le apprezzi»
« Come fai?» domandò Irthen tornando ad osservare gli intrecci impossibili tra fiori, arbusti e rampicanti.
« Oh, è facile!» esclamò l’uomo.
Si avvicinò e sfiorò con le dita affusolate un bocciolo da cui crebbe immediatamente un meraviglioso fiore rosso.
« Sono un mago» disse osservando la propria creatura.
Poi allungò la mano e si presentò.
« Konstantin, della Terra. E tu sei…?»
Irthen gli strinse la mano combattuto tra lo shock, il terrore e l’ammirazione.
« Irthen» rispose.
Gli occhi di Konstantin scintillarono sotto alle sopracciglia curate.
« È un piacere conoscerti, Irthen. Ti fermerai a lungo?»
Irthen si ravviò i riccioli, orgoglioso che un mago fosse lieto di conoscerlo.
« Almeno mezz’ora…il tempo di attraversare la città» rispose con un sorriso.
Il mago scoppiò a ridere.
« Capisco! Beh, in questo caso permetti che ti accompagni»
Irthen lasciò che Konstantin lo accompagnasse attraverso le vie più trafficate di Pontefosso e che gli mostrasse i monumenti e le opere architettoniche più interessanti. Dalle piazze ovali, tipiche del Nord, alle torri, al palazzo di marmo del Sovrintendente, al Tempio del Dio della Terra, basso e piatto, costruito interamente di mattoni rossi e senza finestre. Konstantin disse che Pontefosso era l’ultima città dedicata alla Terra prima del Deserto Roccioso. Il sole tramontava quando raggiunsero l’arco di pietra nelle mura sud.
« Sei certo di non volerti fermare qui per la notte?» domandò il mago scrutando il cielo striato di arancio e rosso.
« Sono di fretta, purtroppo. Grazie della compagnia, Konstantin. Spero di rivederti»
« Lo stesso io. Buon viaggio»
L’uomo si congedò con un inchino e si allontanò tra le vie piastrellate.
Sospirando, Irthen uscì dalla città con l’intenzione di accamparsi poco lontano dalle mura. Non gli piaceva l’idea di viaggiare di notte e aveva bisogno di riposare. Anche se solo per poche ore, ma doveva farlo. Il rigagnolo d’acqua incriminato proseguiva disegnando un’ansa attorno a Pontefosso, a ridosso della quale cresceva qualche pianta. Ai piedi di una quercia piena di ghiande ancora verdi, Irthen distese la sua coperta e, dopo aver mangiato qualcosa, si accoccolò. Il gorgoglio dell’acqua lo cullò in un sonno inquieto, popolato da maghi, stregoni e ponti da attraversare.
 
Dopo aver salutato il viaggiatore, Konstantin si affrettò verso la propria abitazione. Irthen, occhi verdi, proveniente da Pothien…non poteva essere che lui. E il fatto che fosse a Pontefosso poteva significare soltanto una cosa: Mina se l’era fatto scappare.

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Capitolo 5
*** A carte scoperte ***


Liam scrutò la notte con apprensione mentre lasciava che Baio riposasse. Ancora faticava a ricollegare. Quando aveva ricevuto la lettera di Amina, quel pomeriggio, legata ad una colomba bianca, aveva percepito distintamente il terreno sbriciolarsi sotto ai suoi stivali. Aveva avuto un breve momento di catatonia, poi si era infuriato, aveva gridato, aveva bestemmiato, era stato sul punto di piangere di rabbia. Poi si era calmato e si era reso conto che quella dannata lettera non diceva nulla che non avesse sempre saputo: che Irthen avrebbe fatto una qualche follia, prima o poi, perché la sua fantasia era troppo fertile e la sua curiosità troppo incosciente, e che Amina aveva qualcosa di sospetto. I pezzi iniziavano ad andare al proprio posto. E la causa di tutto quell’immenso casino era lui. Se non fosse stato per i suoi principi, per le sue manie di integrità (che strano effetto faceva una simile parola sulle labbra di uno come lui, che aveva mentito per anni a tutta la sua comunità e che negli ultimi tempi aveva rischiato il linciaggio ad opera di tre mariti diversi…), se non fosse stato per la sua testardaggine, Irthen non avrebbe rischiato così tanto.
Dalla tasca interna della giacca estrasse il foglietto giallo e spiegazzato sul quale la calligrafia rotonda ed prettamente femminile della guaritrice aveva scritto:
Liam,
devi tornare immediatamente a Pothien. Irthen è scomparso, credo che Ged sappia dove è  diretto ma non riesco a farlo confessare, è irremovibile. Sbrigati, sai meglio di me quanto tuo fratello possa essere in pericolo. Ti aspetto.
Amina, della Terra.
P.S. So chi sei.
Ripiegò la lettera e la ripose. L’aveva letta e riletta talmente tante volte in poche ore che i bordi si erano consumati. Dannata doppiogiochista, pensò. Tre anni a servirsi di Irthen, senza ritegno.
Se non avesse perso tempo e avesse viaggiato al massimo delle capacità di Baio, entro mezzogiorno sarebbe stato a Pothien, e allora avrebbe pensato lui a far parlare il vecchio. Con le buone o con le cattive. E Amina, la guaritrice, la maga, la spia, avrebbe dovuto rendere conto a Liam dell’Acqua. E il suo capo, chiunque fosse, avrebbe imparato a temere ancora di più quel nome.
Montò Baio e lo spronò. Mentre la notte invecchiava, Liam fece ammenda per tutto quello che in quei quindici anni aveva taciuto ad Irthen e pregò gli Dei che glielo rendessero sano e salvo.
 
Appena recuperate le forze, Irthen riprese il cammino. Le stelle brillavano ancora ad un passo da lui, le prime luci dell’alba erano ancora lontane. Bruciando terra sotto agli zoccoli, si affrettò sulla strada che sempre più spesso attraversava cittadine con case intonacate ed edifici alti e curati dedicati al Dio dell’Acqua. Ai margini del deserto, il culto di quella divinità era molto sentito, perché l’acqua scarseggiava. I centri abitati dormivano silenziosi, solo, ogni tanto, un viaggiatore come lui bucava il velo del silenzio con lo scalpiccio degli zoccoli e con lo sfrigolare della ghiaia sotto ai suoi piedi. Irthen respirava a pieni polmoni l’aria fresca della notte. Si sentiva un fuggiasco, un ricercato sul cui capo pendeva una cospicua taglia. Era certo che qualcuno fosse già sulle sue tracce e il solo pensiero lo terrorizzava. Se lo avesse saputo Dott non avrebbe smesso più di prenderlo in giro…Deglutendo, scrutava ogni ombra, ogni vicolo, ogni anfratto. Nella densità del buio si annidava il pericolo, questo gli avevano insegnato le storie popolari.
Un lampo argentato attirò il suo sguardo nell’intercapedine tra due edifici. A fissarlo con i suoi occhi impossibili stava il bambino che gli era scomparso sotto al naso davanti a casa sua, un’eternità o soltanto poche ore prima. Rimase inebetito a fissarlo, indeciso se archiviarlo come scherzo dell’immaginazione, se scappare a gambe levate o inseguirlo. Esitò ancora un momento, poi smontò da cavallo e si avvicinò alla figurina che si stagliava sull’ombra che la circondava. Il bambino lo guardò dal basso e sorrise. Irthen si inginocchiò davanti a lui perché non fosse costretto a stare con il naso all’insù. Ricordava ancora troppo bene quando doveva farsi venire il torcicollo per guardare in faccia gli adulti.
« Mi stai seguendo?» domandò Irthen senza preamboli.
« Si, ma oltre Eramo non potrò spingermi. Se qualcuno di loro mi riconoscesse dovrei scappare di nuovo, e non mi va»
Irthen aggrottò la fronte, confuso.
« Chi sono “loro”? I tuoi genitori? Sei scappato di casa?» domandò sentendosi inspiegabilmente coinvolto.
« I miei genitori?! Oh, no!» gli posò una manina sul viso « Ora è ancora presto, Irthen, ma capirai. Ci sono forze in gioco, schieramenti, fazioni…e io non mi voglio invischiare in queste lotte di potere che non condivido. Per questo devo tenermi lontano da loro»
Irthen sbatté le palpebre senza capire. La maturità che traspariva dalle parole del bambino era sconvolgente. Quello riprese:
« Le pedine sono schierate, e tu ti trovi nel mezzo della scacchiera. Dovrai stare molto attento, d’ora in poi»
Il bambino tolse la mano dalla guancia del ragazzo e gli sorrise di nuovo. I suoi occhi d’argento scintillarono nella penombra.
« Chi sei tu? Perché mi stai dicendo queste cose?» farfugliò Irthen.
« Sono Lukas. Ti dico questo perché i tuoi occhi sono buoni, Irthen, e verranno tempi difficili per te. Ora devo andare. Non è bene che io mi fermi troppo a lungo nello stesso luogo»
Gli volse le spalle e si allontanò nell’oscurità del vicolo, scomparendo dalla sua vista.
Un soffio di vento innaturalmente freddo scompigliò i riccioli di Irthen e lo fece rabbrividire. E gli parve che nell’aria aleggiasse, come un sospiro, la voce di Lukas:
“Ci rivedremo”.
Irthen rimase inginocchiato nella polvere a lungo prima di ritrovare la fermezza delle gambe. Quando, infine, si decise ad alzarsi vacillò.
« Ehi, ragazzo, ti senti bene?»
Un uomo stava uscendo di casa in quel momento e l’aveva visto barcollare. Gli si fece incontro, ma Irthen fece un passo indietro.
« Sei pallido come un cencio…non sarai malato, eh?»
Il ragazzo scosse il capo, sconvolto, e corse via, lasciando l’uomo perplesso e preoccupato.
Uscito dal vicolo, trovò Fulmine esattamente dove l’aveva lasciato, montò e lo sferzò tanto forte da strappargli un nitrito irritato. Lasciò immediatamente quel paese e si diresse a rotta di collo verso Eremo. Il cielo impallidiva ad Est.
 
La prima missiva di Amina era stata seguita da una seconda, nella quale si comunicava un avvistamento di Irthen nei pressi di Pontefosso al calare del sole. La fonte sembrava essere certa, per quanto non precisata dalla maga. Così, Liam aveva dovuto prendere una decisione difficile: continuare il viaggio verso casa, oppure inseguire suo fratello? Magari cercare l’informatore di Amina? Non era poi così lontano da Pontefosso, ma oramai albeggiava. Dal tramonto ne era passato molto di tempo, troppo, e se Irthen, come lui, avesse viaggiato anche durante la notte, avrebbe potuto già trovarsi lontano. Rischiava di sprecare tempo prezioso. Aveva così optato, col cuore grave, per Pothien, nella speranza di scoprire dove suo fratello fosse diretto. Fulmine, a dispetto del nome, era più lento di Baio, e nell’ipotesi in cui non fosse riuscito a raggiungerlo avrebbe sempre potuto spostarsi per via fluviale. Il Nord era pieno zeppo di acqua, e l’acqua era il suo regno.
« Ancora un piccolo sforzo, Baio, poche ore, poi potrai riposare un po’» mormorò piegato sul collo dell’animale, con gli occhi che lacrimavano per l’aria tagliente. « Ma poi, dico io, che coglione! Era così ovvio che mi avrebbero controllato, come ho fatto ad essere così sprovveduto da non prendere delle precauzioni?! Perché sono stato così idiota, perché?» gridò nel vento. « E sarà meglio che la smetta di parlare da solo, o penseranno che sia pazzo…»
Baio nitrì e Liam si accigliò. Anche il cavallo rideva di lui…o forse voleva dirgli che era impazzito sul serio? Scosse la testa per schiarirsi la vista e i capelli gli andarono in faccia. Li allontanò irritato. Era a pezzi, gli si chiudevano gli occhi e la tensione lo stava uccidendo. Magari si sarebbe addormentato, sarebbe caduto, avrebbe battuto la testa e sarebbe morto…bello scherzo per Amina e i suoi amici! E anche per quei dannati stregoni!
« Più veloce, Baio, se non vuoi che muoia per strada» sbottò ad occhi chiusi, domandandosi se Pothien fosse sempre stata così lontana.
 
La luce del giorno dissipò le angosce di Irthen. Seppur con il pensiero fisso a quel bambino che si comportava da adulto, riprese a guardarsi intorno con rinnovata curiosità. Gli sembrava ancora impossibile essere partito davvero, essersi lasciato alle spalle tutto, così, improvvisamente. Se avessero saputo i suoi amici di tutte quelle esitazioni non ci avrebbero creduto! Proprio lui, che era sempre così sicuro, così coraggioso…che vergogna! Sorrise tra sé. Il paesaggio cambiava lentamente, si faceva più brullo, le piante venivano sostituite da piccoli arbusti e mirti, la temperatura saliva. La presenza del Deserto Roccioso nelle vicinanze iniziava a farsi notare.
Avvistando un contadino che tirava un carretto carico di ceste di pomodori, gli si affiancò e smontò da Fulmine.
« Scusa, amico, quanto manca ad Eremo?» domandò.
« Un paio d’ore, al massimo» disse l’uomo asciugandosi la fronte. « Vieni da lontano?»
Irthen esitò. Lukas gli aveva detto di stare in guardia, e forse dare confidenza ad un perfetto sconosciuto non era un’ottima idea.
« Abbastanza» rispose vago.
Il contadino sorrise, indulgente.
« Sei prudente, ragazzino. È un bene. Cosa ti porta in questo inferno di fuoco ed afa?»
« È una storia lunga, e anche se te la raccontassi non mi prenderesti sul serio» disse Irthen.
« Ho un figlio che deve avere più o meno la tua età, sai? Non sarei tranquillo a saperlo in viaggio da solo»
Il ragazzo non rispose, così il contadino aggiunse:
« Devi scusarmi. Non è che voglia farmi gli affari tuoi, ma è raro che qualcuno mi rivolga la parola lungo la strada. Sei mai stato da queste parti?»
Irthen negò.
« Com’è Eremo?» domandò dopo qualche minuto.
Il contadino sbuffò.
« Uno schifo. Un vero e proprio crocevia. Sai, mercanti, pellegrini, maghi…» si strinse nelle spalle.
Irthen si fece pensieroso. Altri maghi. Possibile che a Pothien non ce ne fossero mentre appena fuori di là il mondo ne pullulava? Era ridicolo.
Per qualche tempo camminò in silenzio accanto al contadino, poi rimontò in sella.
« Beh, è stato un piacere avere un po’ di compagnia» disse congedandosi.
« Buon viaggio, ragazzino»
Si allontanò al galoppo, rinfrancato dall’idea che solamente due ore lo separassero dall’ultima città prima del deserto.
La pista era sempre più battuta. Come aveva detto il contadino, sembrava che tutti dovessero passare per Eremo. Uomini con carri di frutta e verdura, cavalieri con armi lucidissime, pastori con le loro greggi, mercanti di tessuti e di spezie. Osservarli era interessante, vestivano nei modi più strani, a volte i finimenti delle loro cavalcature erano molto raffinati, le loro acconciature erano diverse da quelle degli abitanti del Nord. Il ragazzo si incantò ad osservare una bella donna dai capelli rossi come rame appena lucidato, e quando questa si accorse del suo sguardo e lo salutò con la mano, sferzò Fulmine e si allontanò velocemente, rosso di imbarazzo.
Sotto il sole incandescente di mezzogiorno, varcava le porte di Eremo.
 
Sotto il sole incandescente di mezzogiorno, Liam varcò le porte di Pothien.
« Già a casa, Liam? È successo qualcosa?»
Il vecchio fornaio ammutolì davanti al gesto stizzito di Liam, che gli impose il silenzio e si diresse veloce verso casa. La stanchezza, l’angoscia, la frenesia erano state sostituite per qualche tempo da un’inquietante, calma lucidità, ma in vista della cittadina l’ira era tornata ad accecarlo. Lasciò il cavallo a casa e si affrettò verso il centro. Raggiunse la porta con il battente arrugginito, nell’alterazione del suo stato mentale riuscì a cogliere un movimento alla finestra – sicuramente Amina – e prese un bel respiro. Entrò come una furia nella modesta abitazione di Ged e sbatté la porta. Amina indietreggiò fino ad addossarsi alla parete, spaventata a morte dall’aggressività che si leggeva in viso al nuovo venuto. Ignorando il vecchio legato sulla sedia al centro della stanza, Liam attraversò impetuosamente l’ambiente e inchiodò la guaritrice al muro. Con una mano premuta sulla gola sottile riusciva a sentirle il cuore battere all’impazzata. Era terrorizzata, eppure non batteva ciglio. Liam represse l’istintiva ammirazione in favore dei suoi propositi. Si fissarono con ira per qualche lunghissimo secondo.
« Chi sei, veramente?» sibilò, infine, ritraendosi e lasciandola libera di respirare.
Amina tossicchiò massaggiandosi il collo e gli lanciò un’occhiata truce.
« Vengo da Madian, e sono qui per ordine del Maestro Ruben. Dovevo fingermi nipote di Hamil per poterti controllare da vicino…per controllare che non ti alleassi con Micael e i suoi»
« Dannazione» mormorò Liam passandosi una mano tra i capelli « È anche peggio di quanto pensassi…cazzo!»
Con un gesto secco scaraventò a terra il vaso che ornava il tavolo.
« Con te faccio i conti dopo» disse minaccioso ad Amina, prima di inginocchiarsi davanti a Ged, con le mani giunte come in preghiera.
« Veniamo a noi, Ged. Mettiamo le cose in chiaro: ti conosco da molti anni e non vorrei doverti fare del male, ma in questo momento sono disposto a tutto. Dove si trova mio fratello?»
Il vecchio si limitò a scrutarlo con i suoi occhietti penetranti.
« Ti prego, Ged» mormorò.
Il vecchio sbuffò.
« L’ho sempre saputo, ragazzo, che avevi qualcosa di più. Ho sempre saputo che in quel pozzo doveva essere accaduto qualcosa di…magico»
Liam balzò in piedi e prese a misurare la stanza a larghi passi.
« Tu non capisci la gravità della situazione…» gemette torcendosi le mani. « Ged, siamo sull’orlo di una guerra. E Irthen è diventato una pedina, per colpa mia»
« Liam, non vorrai davvero…?» intervenne Amina.
« Si, Amina. Questa assurdità è andata avanti anche per troppo tempo. Ascoltami bene, Ged: i draghi, a sud, si stanno muovendo. Vogliono riconquistare i territori che tanti anni fa acconsentirono a lasciare. E hanno dichiarato che li occuperanno a qualunque prezzo. A questo punto, nani, stregoni, elfi e maghi si sono riuniti ad Effort, cinque anni fa, per discutere della situazione e decidere quale tattica adottare per fronteggiare la crisi ed impedire ai draghi di massacrarci. E qui è sorto il problema…gli stregoni si sono alleati con i draghi perché questi hanno promesso loro Lumia, la capitale degli elfi. Gli stregoni conosciuti sono soltanto tre, ma sono molto potenti, e alcuni maghi hanno scelto di unirsi a loro. A questo punto, i traditori sono stati estromessi dal Consiglio, ed i restanti si sono riuniti attorno a due figure carismatiche, Ruben e Micael. Il primo desidera ricomporre l’accordo che è andato distrutto, il secondo vorrebbe combattere per estinguere la razza dei draghi. Naturalmente, come immaginerai, sotto a questo si nasconde una lotta di potere enorme, la fazione che prevarrà eleggerà il proprio Maestro Re di tutti i maghi della Terra dei Tuoni, e sono centinaia di anni che non viene eletto un Re. Dai tempi di Storr, credo. I draghi sono un utile espediente per scoprire le carte. Ai tempi del Consiglio di Effort io non mi schierai perché le lotte politiche non mi sono mai interessate. Avevo il mio lavoro, una casa e un fratello piccolo a cui badare, pensai che quando fosse scoppiata la guerra avrei difeso la mia vita e la mia città al meglio delle mie capacità. Ma Ruben e Micael non la presero bene…»
Ged si accarezzava la barba preoccupato e perplesso.
« Qui non è giunta notizia della guerra di cui parli, come è possibile? Gli altri abitanti della Terra dei Tuoni? Combatteranno? Che cosa ha a che fare Irthen con tutto questo?»
Fu Amina a rispondere.
« Elfi e nani si sono schierati in favore, rispettivamente, di Ruben e Micael. I draghi non hanno ancora attaccato, quindi per il momento i civili sono stati lasciati allo scuro di tutto. Sai…per non creare allarmismo…il vero problema è che ci sono tutte quelle creature più o meno selvatiche – orchi, cavalli dai denti a sciabola, unicorni, e così via – che non si sono ancora pronunciate e non si sa con chi staranno, e questo è un bel problema»
« Irthen è in grave pericolo, Ged» disse Liam con la voce che tremava « perché, come Amina mi sorvegliava per conto di Ruben, probabilmente anche Micael lo faceva…e forse anche gli stregoni. Non schierandomi mi sono reso una mina vagante. Mio fratello non sa nulla di questa faida, e rischia di divenire merce di scambio, capisci? Se lui finisse in mani sbagliate…» la sua voce si perse in un sospiro sofferente.
Ged si prese il viso rugoso tra le mani.
« Mi dispiace, Liam. Non potevo immaginare» disse.
« Dove si è diretto mio fratello, vecchio? Ti prego…»
« Alla Cascata del Potere»
Amina imprecò fra i denti.
Liam si chinò a liberare il cantastorie e disse:
« Seguimi, Amina. Devo partire il prima possibile e ci sono cose di cui dobbiamo discutere»
Liam uscì velocemente e si diresse a passo spedito verso la propria abitazione, aprì la porta ed entrò, seguito dalla donna che richiuse la porta alle proprie spalle.
« Cosa vuole il tuo Maestro da me?» domandò secco rifocillando la bisaccia delle provviste.
« Il tuo potere e il tuo appoggio, è ovvio» rispose Amina stringendosi nelle spalle.
« Perché?»
« Sei carismatico, Liam. È rischioso lasciarti libero uccel di bosco»
« È per questo che insistevi per badare a lui?» sibilò fronteggiando la guaritrice.
Amina lo guardò negli occhi, a prova della sua sincerità.
« L’idea inizialmente era questa, guadagnarmi la tua fiducia e scoprire qualcosa in più su di te. È stato subito più che evidente che non ci sarei mai riuscita, e che mi mal sopporti. Ho continuato a farlo perché mi sono affezionata ad Ir e desideravo tenerlo fuori dai guai»
Liam la fissò negli occhi a lungo, alla ricerca di qualche indizio di menzogna, ma alla fine dovette riconoscere che, almeno su quel punto, la spia era onesta.
Si voltò e verificò il contenuto della borsa di primo soccorso.
« Devo raggiungerlo prima che faccia l’immensa cazzata di bagnarsi in quella Cascata. È troppo giovane per poter gestire simili poteri. Ho percepito una forte presenza magica pochi giorni fa, qui, e nel territorio di Pontefosso ho sentito parlare della vicinanza di uno stregone»
« Chi?» domandò Amina preoccupata.
« Non lo so, ma le coincidenze non mi piacciono. Se dovessi incontrarlo, o se avesse qualcosa a che fare con Irthen, non sarei abbastanza potente da contrastarlo»
Amina si mordicchiò il labbro inferiore.
« Vorrei tanto venire con te, ma Hamil sta male ed io…è vero che non sono la sua vera nipote, ma non me la sento di lasciarla ora. Potrebbe rimanerle poco»
Liam si buttò a tracolla la bisaccia e le si avvicinò. La maga fece un passo indietro, pronta ad un nuovo scoppio d’ira, invece Liam la sorprese abbracciandola.
« Grazie di averlo tenuto sotto controllo. Se tu non mi avessi scritto subito, io…ti devo un favore» disse.
Poi la allontanò tenendola per le spalle e sfoggiò un sorriso disarmante, divertito dalla confusione della guaritrice. Infine le voltò le spalle e si allontanò.
« Riguardati, Amina della Terra» disse dalla strada.
« Anche tu, Liam dell’Acqua» mormorò Amina, senza riuscire a scollarsi di dosso quel sorriso.



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Buondì e buona domenica a tutta :) Spero di non aver incasinato troppo questo capitolo, nel caso conto che me lo farete presente (anche con insulti va bene, vista la penuria di recensori XD) Vi anticipo che il prossimo capitolo potrebbe tardare qualche giorno causa sessione d'esame..se tutto va bene (in senso lato, s'intende), a domenica prossima, altrimenti portate pazienza :) Baci
Cat

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Capitolo 6
*** "La gente del Nord è gente tosta" ***


Eremo era una città che, a dispetto del nome, brulicava di vita. La lunghissima via principale era lastricata e curata, i banchi dei mercanti erano posizionati ad entrambi i lati e mettevano in bella mostra la loro merce migliore. Il chiasso di venditori, acquirenti e rispettivi animali rimbombava ovunque, sulla pietra, sugli edifici, sulle fontane che sembravano mute perché il loro gorgoglio era sopraffatto dal vociare, dando ad Irthen l’impressione di trovarsi in un’immensa centrifuga rumorosa e caotica.
« Facciamo presto, Fulmine, o mi esploderà la testa» disse affrettandosi lungo la fila infinita di banchi.
Nonostante i suoi nobili propositi, tuttavia, la tentazione di girovagare un po’ per quell’immenso bazar ebbe la meglio sul buon senso: armi, spezie, tessuti, suppellettili, gemme, cibi esotici, pollame, abiti, sembrava che non ci fosse articolo che al mercato di Eramo non si potesse trovare.
« Un po’ di buona biada per il tuo cavallo, ragazzino?» gridò un uomo da dietro il bancone per sovrastare il chiasso.
Irthen scosse risolutamente il capo e si allontanò. Ogni venditore tentava di fermarlo per rifilargli qualcosa a prezzo sproporzionato, lo sapeva bene. Era giovane, aveva la faccia da ingenuo – gli occhioni da cerbiatto non avevano mai aiutato in quelle situazioni – ed era solo. Si guardò attorno imbarazzato: non era piacevole sapere che tutti, là attorno, lo ritenevano un gonzo di prima categoria.
Il banco di un gioielliere attirò la sua attenzione, convincendolo a fermarsi un momento. Una gemma blu a forma di goccia faceva bella mostra di sé appesa ad una catenina d’oro al centro dell’espositore. Aveva le dimensioni di una noce e mandava bagliori azzurrini anche senza essere colpita direttamente dalla luce. Sembrava che la luce fosse all’interno della pietra stessa. Irthen  non aveva mai visto niente di simile.
« Bella, vero?» disse il venditore avvicinandoglisi.
« Altroché» mormorò il ragazzo.
« Conosco quello sguardo: è quello di chi sta immaginando un bel gioiello indosso alla propria innamorata. Eh? Sbaglio?»
Irthen arrossì. Effettivamente stava pensando ad Amanda, ma gli sembrava un po’ eccessivo chiamarla “innamorata”…
« Non sbagli di molto, amico. Peccato che non abbia con me un solo spicciolo»
L’uomo lo scrutò con attenzione.
« La tua spada sarebbe sufficiente per saldare il debito»
Irthen sfiorò l’elsa con affetto e sospirò.
« Forse, dopotutto, questa donna non vale tanto» disse con un sorriso tirato.
L’uomo sorrise a sua volta.
« Sei del Nord, vero? Conosco il tuo accento. È molto simile a quello dell’uomo che ha creato questa gemma. È un mago, sai, e con i suoi poteri riesce a fare cose davvero meravigliose…è il migliore, nel suo ramo, non ci sono dubbi. Magari ne hai sentito parlare, si chiama Liam»
Irthen spalancò gli occhi senza parole. Possibile? Per un attimo credette seriamente che quel mago fosse proprio suo fratello, poi recuperò la logica e si rese conto che “Nord” era piuttosto vago come indicazione geografica, e di Liam ce ne dovevano essere parecchi in tutta la Terra dei Tuoni.
Notando la sua esitazione, il gioielliere continuò:
« È alto appena più di te, capelli castani lunghi fino a metà schiena, pizzetto, occhi scuri…»
Irthen continuava a fissarlo sempre più turbato. La descrizione calzava a pennello.
« Vedo dalla tua espressione che lo conosci» disse l’uomo, entusiasta.
Il ragazzo scosse risolutamente il capo.
« Non lo conosco. Addio, amico»
Il gioielliere rimase inebetito a fissarlo mentre scompariva tra la folla.
Improvvisamente le bancarelle avevano perduto ogni attrattiva. Irthen camminava come uno spettro, completamente assorto nei propri pensieri. Nei suoi occhi scorrevano le immagini della sua infanzia, di suo fratello. Le vagliava alla disperata ricerca di qualche appiglio che potesse dissipare i suoi dubbi.
I loro genitori erano morti quando aveva soltanto sei anni, due in più della sorellina. Da allora era stato Liam a badare a lui. All’inizio era stato difficile, a soli sedici anni non era una passeggiata crescere un bambino. Liam non sapeva cucinare, non sapeva lavare i panni, non sapeva rammendare. Era infuriato e depresso per il destino che gli era toccato in sorte, e la pazienza non era mai stata una sua prerogativa. Ma si era rimboccato le maniche e aveva imparato. Era maturato, si era assunto le indesiderate responsabilità. Così gli anni erano passati. Irthen aveva imparato a cavalcare, a combattere con arco e spada, a battere il ferro, a nuotare e arrampicarsi sugli alberi. Liam gli aveva insegnato a quali valori ispirarsi, gli aveva insegnato a distinguere il bene dal male. Possibile che gli avesse mentito su una cosa tanto importante per tutti quegli anni?
No, doveva esserci una spiegazione razionale. Il mago che creava pietre preziose doveva essere un omonimo.
Per colpa della calca, Irthen impiegò un’eternità ad attraversare Eremo. Quando finalmente si lasciò alle spalle le mura Sud, non mancava molto al tramonto. Si voltò ad osservare l’ultimo baluardo di civiltà e sospirò. Aveva riflettuto a lungo sulla collocazione del campo per quella notte. Fermarsi ad Eremo era escluso, al limite avrebbe potuto, come a Pontefosso, accamparsi vicino alle mura. Oppure avrebbe potuto intraprendere subito la traversata del Deserto, ma l’idea di potersi risparmiare una notte di sonno sulla nuda roccia lo allettava. Alla fine prese la sua decisione: avrebbe proseguito la sua marcia fino a quando non si fosse trovato sul confine del deserto, poi si sarebbe fermato per la notte.
Così, in groppa a Fulmine, percorse l’ultimo tratto del territorio di Eramo sotto al sole morente, e si fermò solamente quando la terra cedette il posto alla roccia calda, e nessun arbusto più si intravedeva a spezzare la monotonia del paesaggio. Stesa la coperta, accese un piccolo falò per tenere lontani gli animali e porzionò il cibo. Le provviste iniziavano a scarseggiare e, notò con sconforto, gli restava poca acqua. Avrebbe dovuto centellinarla per raggiungere incolume l’oasi di cui aveva parlato Ged. Consumò la sua cena squallida e si accoccolò sul suo giaciglio, gli occhi aperti sulle stelle che splendevano sopra di lui. Si sentiva a pezzi, i muscoli e le ossa gli dolevano per le lunghe ore a cavallo, ma nonostante questo faticava ad addormentarsi. Passò molto tempo prima che i suoi begli occhi si decidessero a chiudersi, ma quando questo avvenne, il viaggiatore cadde in un sonno senza sogni.
 
Se Liam era preoccupato quando era partito da Pothien, quando si fermò per la notte – l’avrebbe evitato, ma il suo fisico non poteva reggere un’altra veglia – era disperato.
La sua mezza giornata di viaggio era stata tutt’altro che proficua: aveva tentato di ripercorrere la strada seguita da Irthen, ma gli era capitato ogni genere di contrattempo. Non appena partito, Baio l’aveva disarcionato, cosa mai accaduta prima. Poi era stato circondato da un gregge ostinato, che non ne voleva sapere di disperdersi. Ridicolo, un mago temuto come lui neutralizzato da una folla di pecore indisciplinate… Quando finalmente era riuscito a liberarsene, una vipera aveva terrorizzato il cavallo. Altro tempo perso per calmarlo. Infine era stato assalito da uno sciame d’api, che l’aveva costretto a lasciare la strada per scappare a gambe levate, e l’aveva scampata per miracolo. La morale della vicenda era semplice: aveva dovuto adattarsi e convincersi a passare la notte a Ca’ del Fosso, un piccolissimo centro abitato sperduto nel nulla, poco distante da Pothien. Niente male, per uno che sperava di raggiungere Pontefosso entro il tramonto…di quel passo non sarebbe mai riuscito a raggiungere Irthen. Anche perché aveva la spiacevole sensazione che tutti quegli assurdi imprevisti non fossero frutto della sfortuna. Di cose strane, in venticinque anni, gliene erano capitate tante, ma qui si rasentava l’inverosimile! Un’irritante vocina dentro di lui gli ripeteva, spietata, che c’era lo zampino di uno stregone. E il fatto che uno stregone cercasse di rallentarlo era tutt’altro che lusinghiero.
Davanti allo specchio sbeccato dell’unica locanda del paese, si disinfettò la puntura – l’unica, ed era davvero un mezzo miracolo – lasciatagli in dono dallo sciame d’api inferocito. Aveva sempre detestato le api, facevano un male tremendo. Anche se doveva riconoscere che guadagnavano punti simpatia grazie al miele che producevano. Gli piaceva molto il miele…scosse il capo, domandandosi come potesse pensare ai dolciumi mentre Irthen era in pericolo di vita. Si rispose immediatamente che se ci avesse pensato troppo si sarebbe suicidato, e si congratulò con sé stesso per essere riuscito, non senza fatica, a condurre a termine il ragionamento senza esprimerlo ad alta voce.
Cercò di pettinarsi e si lavò alla meglio prima di coricarsi.
C’erano molte cose che gli frullavano in testa, impedendogli di addormentarsi. Innanzitutto, di chi era la presenza magica che aveva avvertito a Pothien? Non si trattava di certo di Amina, non aveva idea di come avesse fatto, ma quella streghetta da quattro soldi non aveva mai lasciato trapelare il suo potenziale magico. Ma allora chi era? Aveva qualcosa a che fare con la fuga di Ir? In secondo luogo, dov’era Amina quando ad Effort si discuteva dei draghi? Era assolutamente certo che non fosse presente, altrimenti l’avrebbe riconosciuta. Se aveva una dote, quella era la memoria visiva. E poi, per dirla tutta, era una bella donna, non gli sarebbe passata inosservata…Terzo quesito: se fosse riuscito a recuperare in tempo Irthen, come avrebbe potuto convincerlo a ritornare a casa? Con la forza? E come l’avrebbe persuaso a rimanerci? E cosa avrebbe fatto con Amina, ora che sapeva che era una spia? Inoltre, da un punto di vista prettamente venale, tutta quella faccenda gli era costata un affare davvero interessante.
Sbuffò e si volse sul fianco. Le lenzuola profumavano di pulito. Gli ricordavano il bucato di sua madre. Si impose di chiudere gli occhi, crogiolandosi in quei ricordi lontani su cui quotidianamente si imponeva di non indugiare.
 
La mattina presto, Liam riprese il viaggio rinvigorito dalla notte di buon sonno. Ma ben presto il suo sistema nervoso riprese a vacillare. Poco lontano dalla locanda, un gruppo di contadini cercava di spostare un tronco divelto dalla strada, ma nonostante tutto il loro solerte impegno, quello non si muoveva. Liam attese per un po’ inquieto ai margini della strada, poi smontò da cavallo e cercò di aiutare i contadini. Nemmeno con il suo aiuto il problema si risolse. L’albero non si mosse di un pollice, e questo lo convinse che nemmeno in quel caso si trattasse di un comune incidente. Rifuggendo per precauzione la magia pericolosa dello stregone, si affrettò a rimontare per aggirare l’ostacolo. Gli bastò un occhiata per capire che il terreno ai lati della pista battuta, lì, era troppo fangoso per reggere il peso di Baio senza che si impantanasse. Non aveva altra scelta che tornare indietro e cercare un’altra via. Ovviamente, una strada parallela non sembrava esserci nel raggio di miglia. Fu così costretto a tagliare attraverso i campi coltivati, accompagnato dai legittimi insulti dei lavoratori. Liam non era il genere di persona facile al lamento e all’auto commiserazione, “la gente del Nord è gente tosta” diceva sempre suo padre, ma sotto al sole sempre più caldo, invischiato in una faccenda tutt’altro che simpatica, consapevole del pericolo che minacciava suo fratello, disperso in mezzo a zolle e pannocchie, si ripromise che se fosse riuscito a recuperare Irthen tutto intero l’avrebbe fatto a pezzi con le sue stesse mani. Poi, sarebbe toccato a Ged, infine ad Amina. Improvvisamente, un latrato lacerò il silenzio afoso. Il mago si immobilizzò, pronto a qualunque cosa. Un enorme cane grigio ed arruffato sbucò dalle piante di granturco, in mezzo alle quali il mago tirava per le redini il cavallo irritato, e mostrò subito le sue intenzioni poco amichevoli. Senza pensarci troppo su, scappò a gambe levate, seguito da Baio. Mentre la bestia tentava di azzannarlo con insistenza, Liam corse attraverso i campi finché le gambe lo ressero, ma una volta alle strette, con il fiatone e i muscoli che imploravano pietà, dovette decidersi a tramortirlo. Fare del male agli animali era una delle poche cose capaci di farlo sentire abominevole. Non si era mai fatto tanti scrupoli a servirsi delle altre persone, sfruttarle a suo personale vantaggio o ferirle, ma gli animali erano ingenui, si fidavano di lui: tradirli era un gesto orribile. Tuttavia, non aveva avuto alternative.
Proseguì mesto la marcia per qualche tempo, tutti i sensi all’erta. Inerpicandosi tra le piante piene di pannocchie ancora acerbe, Liam riuscì finalmente a riconquistare la via principale. Rimontò Baio e si lanciò a rotta di collo verso Sud.
Il sole brillava nel cielo di mezzogiorno quando si levò un vento impetuoso che impedì al viaggiatore di proseguire. E l’ennesima sosta diede il colpo di grazia all’umore del mago.
« Adesso basta» esclamò rivoltò ad un interlocutore invisibile.
Legò i capelli per evitare che con le raffiche gli finissero negli occhi e, non senza fatica, si arrampicò sul cavallo, nervoso come mai lo era stato prima.
« Niente storie, vecchio mio, adesso si va, venissero giù gli Dei stessi per fermarci, si va! Abbiamo fretta, e qualcuno si sta divertendo alle nostre spalle»
Il cavallo oppose resistenza, poi cedette e obbedì. Il vento portò presto con sé grossi nuvolosi scuri, e nel giro di pochi minuti iniziò a piovere a dirotto. Liam ghignò, godendosi le gocce fredde sul viso.
« Per chi mi hai preso?!» mormorò sollevando una mano sopra alla testa, con il palmo rivolto verso l’altro.
La pioggia scivolò giù ai loro lati senza bagnarli, respinta dalla magia del mago. Improvvisamente com’era cominciato, l’acquazzone cessò, le nubi si dispersero, il vento si acquietò.
Il mago sospirò di sollievo quando, dal velo d’acqua che si era asciugato, emerse il profilo di Pontefosso.
Quando giunse all’ombra delle mura, trovò un uomo ad attenderlo, un uomo che ricordava bene. Lo squadrò sospettoso.
« Benvenuto, Liam dell’Acqua» disse Konstantin con la sua voce profonda.
« Con quale dei due gemelli di Phia sto parlando?» domandò sulla difensiva.
« Konstantin, della Terra»
Liam si rilassò.
« Stai con Ruben, mi ricordo di te ad Effort. Sei tu l’informatore di Amina?»
« Sono io. Infatti ti stavo aspettando»
Si fissarono a lungo con un velo di diffidenza, infine fu Liam a parlare:
« Sai, non è vero, che c’è qualcuno che si diletta nel flagellarmi con ogni genere di sciagura? Come posso evitare questi contrattempi? Di questo passo non raggiungerò mai Irthen in tempo…»
Senza scomporsi, Konstantin guardò l’orizzonte oramai terso.
« Il tuo regno è l’acqua, ragazzo. Sfruttala a tuo vantaggio. Devia verso Ovest e naviga lungo il Brumo»
Liam annuì pensieroso.
« Poi, una volta nel Lago di Nebbia, taglia verso Sud-Ovest, approda a Speen, aggira Bosco Lossar fino a dove il Morgael si immette nel Canyon»
« In questo modo, però, allungherò di molto la strada…e perderò l’opportunità di intercettare mio fratello» obiettò.
« Non lo intercetterai comunque, se lo stregone continuerà a metterti i bastoni fra le ruote. Se invece seguirai un percorso alternativo, lo coglierai impreparato e ti lascerà più spazio di manovra, ne sono certo»
Liam rifletté velocemente, infine dovette riconoscere che non aveva un’alternativa valida.
« Sta bene. C’è altro che devo sapere?» domandò.
Konstantin negò. Così, Liam sferzò Baio e si lanciò verso Ovest. Aggirò Pontefosso e prese la via carovaniera, la strada più veloce per raggiungere il fiume. Non potendo fare a meno di pensare che con un altro mago accanto – Amina, nella fattispecie – sarebbe stato tutto più semplice, cavalcò fino a quando il sole non scomparve dietro l’orizzonte e la luna brillò alta nel cielo. E non incontrò ulteriori intoppi. Si accampò in mezzo al nulla di una valle verde alle pendici dei Giganti, fiducioso di poter raggiungere entro due giorni le acque amiche del Brumo.
 
Irthen aveva cavalcato fino a notte inoltrata, fino a quando la sua mente non aveva preso a vacillare tra sogno e realtà, prima di decidersi ad accamparsi. Il Deserto si stava rivelando un avversario anche più ostico di quanto avesse osato immaginare. Il caldo era soffocante, la pietra scottava e le vampate di aria incandescente seccavano occhi e bocca. Ma la cosa peggiore era la piattezza disarmante: l’orizzonte era tanto monotono da sembrare uscito da un libro di fiabe, uno di quelli in cui il giovane protagonista impazziva dopo essersi perso nel nulla più totale. Non un albero, non un arbusto, non un filo d’erba. Il tempo sembrava sospeso, scorreva con una lentezza estenuante. Irthen sapeva di non dover lasciare che la vastità di quel nulla annichilente lo deprimesse, ma era davvero impossibile. Cominciava a capire perché Liam avesse preso il vizio di parlare da solo: viaggiare senza compagnia era estremamente noioso. Quella notte l’aveva strascorsa avvolto stretto stretto nella sua coperta, domandandosi se il piccolo fuoco che con immensa fatica aveva acceso sarebbe stato sufficiente a proteggerlo. C’erano animali in quell’inferno? E se si, potevano essere pericolosi? Nel silenzio più completo, l’unico suono era il crepitio delle fiamme. Irthen si addormentò, esausto, sognando il monte Satki.





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Buongiorno e buona domenica a tutti! Spero che questo capitolo non vi abbia fatto schifo, per inciso a me non piace, ma mi sono fatta forza e dato che è necessario ve l'ho rifilato :) Come sempre ringrazio Socorro98 ed Hareth che non mi hanno ancora abbandonata, e anche Thewindy che è risorto dalle tenebre dell'oblio (scherzo, lo sai che ti voglio bene ;)).. A domenica prossima, un bacione a tutti!
Cat

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Capitolo 7
*** Abby ***


Quando Irthen riemerse dall’oblio del sonno non era ancora l’alba. Il fuocherello si era spento e l’aria era ancora fresca. Raccolse le sue cose e si affrettò a rimettersi in marcia per approfittare di quel piacevole venticello che si era levato durante la notte e che gli scompigliava i capelli. Sapeva che la tregua dall’afa sarebbe potuta durare poco, non aveva intenzione di perdere l’attimo. E presto scoprì che non aveva motivo di rimpiangere il suo duro giaciglio: nelle prime luci, la pietra sembrava colorarsi di tutte le sfumature del fuoco. Il cielo iniziò a schiarire e ad Est un bagliore prima rosa, poi arancio, infine sempre più tendente al rosso, prese il posto dei colori tenui della notte ormai morente. Da ultimo, il sole si levò, avvolgendo quel mondo vuoto di fiamme. Beandosi di quella visione, Irthen quasi non si accorse della temperatura che saliva, inesorabile. Asciugandosi infastidito una goccia di sudore che gli colava giù dalla tempia facendogli il solletico, ebbe la sgradevole sensazione di percepire una sorta di ronzio echeggiare tra la pietra. Tirò le redini e tese l’orecchio. Più nulla.
« Ci siamo sbagliati, Fulmine…Fulmine?!»
Irthen smontò rapidamente rendendosi conto che il suo cavallo era in affanno.
« Che c’è, bello?» domandò preoccupato tamponandogli il sudore dal collo con un pezzo di stoffa.
Il cavallo schiumava. Il caldo e la fatica lo stavano indebolendo rapidamente. Il ragazzo gli offrì un po’ dell’acqua rimasta, ma oramai erano agli sgoccioli. Se non fossero riusciti a raggiungere entro sera la tanto agognata oasi sarebbero stati in grossi guai. Sospirò.
Improvvisamente, la roccia fu attraversata da una forte vibrazione e il ronzio si trasformò in un rombo sordo, dissipando ogni dubbio circa le percezioni uditive di Irthen, e cresceva di intensità.
Da Est si levò una nube di polvere che oscurò il sole. Istintivamente, Irthen saltò in groppa a Fulmine e lo sferzò, con l’intenzione di scappare a gambe levate. Ma il cavallo non era più in grado di tenere il passo. Il rombo si avvicinava e il ragazzo continuava a voltarsi indietro, terrorizzato. Dalla polvere emersero delle figure: avevano le fattezze di cavalli particolarmente grandi, ma dalla bocca spuntavano zanne ricurve, minacciose e affilate. Il manto nero e lucido scintillava sinistro in contrasto con le criniere e le code color panna.
« Oh, Dei…» gemette Irthen, in preda al panico.
Senza curarsi di puntare verso Sud, lasciò che fosse l’istinto di auto conservazione di Fulmine a guidarlo. Ma le orride creature guadagnavano terreno, e si avvicinavano sempre di più. Ormai, il ragazzo poteva vedere le orecchie sproporzionatamente piccole piegate all’indietro per creare il minor attrito possibile con l’aria, e gli occhi piccoli e scuri fissi su di lui. Vide anche che la mandria era formata da otto capi, troppi perché potesse sperare di riuscire ad abbatterli.
« Che faccio, che faccio, che faccio?!» gridò.
Fulmine incespicò in una roccia e Irthen fu scaraventato lontano. Atterrò rovinosamente e rotolò sulla schiena, e rimase stordito per qualche secondo, senza riuscire a muoversi. Lentamente, riprese l’uso degli arti e si sfregò gli occhi. La vista si spannò e si guardò attorno. E a quel punto fu l’orrore a paralizzarlo.
Quelle bestie orride avevano raggiunto il suo cavallo e lo stavano sbranando. Gli schizzi di sangue macchiavano di cremisi i crini chiari rendendo la scena ancora più raccapricciante. Il ragazzo sentì lo stomaco contrarsi, ma riuscì a resistere all’impulso di vomitare. La situazione era già abbastanza tragica così, senza che si coprisse di ridicolo nei suoi ultimi minuti di vita.
Cercò di alzarsi. La schiena gli faceva un male tremendo e il ginocchio destro era sbucciato e sanguinava. Sapeva che, tutto sommato, era stato fortunato: avrebbe potuto svenire o rompersi qualcosa. Il rumore disgustoso provocato dal banchettare delle bestie zannute riportò Irthen alla necessità di scappare. Gli animali sembravano concentrati sulla carcassa quasi completamente spolpata di Fulmine, con un po’ di fortuna sarebbe riuscito ad allontanarsi a sufficienza senza essere notato. Quatto quatto, fece qualche passo prima di bloccarsi, folgorato, soffocando un’imprecazione: la coperta, il cibo e, soprattutto, l’acqua erano rimasti nello zaino legato al dorso di Fulmine. Poteva andarsene incolume, forse, ma quanto tempo avrebbe potuto resistere senz’acqua? Deglutì e si guardò attorno, atterrito all’idea di restare un minuto di più nelle vicinanze di ciò che restava del suo fido compagno. A un centinaio di passi c’era una roccia abbastanza grande da ripararlo in attesa che le creature se ne andassero per la loro strada. Sfiorò l’elsa della spada per darsi coraggio, ringraziando di non aver lasciato anche quella nello zaino. Senza curarsi troppo delle conseguenze spiccò la corsa e non si guardò indietro fino a ché non fu al sicuro all’ombra del masso. Allora, e solamente allora, dopo avere preso un bel respiro, sbirciò. Due bestie stavano fiutando l’aria con circospezione, tre stavano ripulendo le ultime costole della carcassa, una strattonava lo zaino sparpagliandone il contenuto ovunque. Le restanti due pascolavano placide tra le rocce, come innocui cavalli.
« Se mi fiutano è la fine» mormorò Irthen tra sé e sé, aggrappandosi saldamente alla pietra.
La creatura alle prese con lo zaino andò ad urtare una delle tre che ancora mangiavano e scoppiò una zuffa. Il ragazzo dovette imporsi un immenso sforzo di volontà per restare al suo posto e non fuggire a gambe levate davanti a quello spettacolo: uno dei cavalli si impennò e colpì con gli zoccoli possenti il suo compagno al fianco. Quello reagì azzannandolo al collo. Un fiotto di sangue scuro zampillò, ma la bestia non sembrò risentirne. Attaccò di nuovo con le zanne scoperte. Irthen si impose di non guardare e si accucciò stringendosi le ginocchia al petto, tremante. Dopo quella che gli parve un’eternità la lotta ebbe termine. Con un verso straziante il soccombente fu abbattuto, e fra gli ululati – più simili a risa di demoni che a nitriti di cavalli – degli altri, fu smembrato a morsi dal vincitore.
Inevitabilmente attratto dai rumori agghiaccianti, il ragazzo si sporse e immediatamente se ne pentì: i mostruosi equini stavano ripulendo anche la seconda carcassa. Si stava domandando se almeno quella li avrebbe saziati quando una folata di vento caldo gli scompigliò i capelli, portando il suo odore ai predatori. Tutti e sette si immobilizzarono e alzarono il muso a fiutare l’aria. Irthen si sentì mancare mentre quelli puntavano decisi verso di lui. Sguainò la spada e la impugnò saldamente, pronto a tutto pur di uscirne vivo, ben sapendo che era completamente solo contro sette bestie sanguinarie. L’animale più vicino ringhiò scoprendo le zanne e il ragazzo, suo malgrado, indietreggiò. Mentre la bestia caricava non riusciva a muovere un muscolo, teneva gli occhi sbarrati su quell’orrore e su quella che credeva sarebbe stata la sua prematura morte. Il cavallo spiccò un balzo, Irthen si lanciò alla sua destra per schivarlo. La bestia ringhiò furiosa e ritentò. Il ragazzo lanciò una pietra colpendola un pieno muso. Nell’attimo di stordimento che ne seguì, approfittò della vicinanza per ferire la zampa anteriore sinistra del predatore. Quello ululò di dolore e cominciò a menare calci nell’aria. Irthen li schivò miracolosamente, ma quando tentò di fuggire si rese conto che gli altri sei cavalli lo avevano accerchiato. La bestia ferita sbavava furiosa. Scoprendo le lunghe zanne si avventò sul ragazzo, che si proteggeva dietro alla sua inutile arma. All’improvviso, un ronzio sembrò prorompere dalla roccia, e gli animali si bloccarono. Immediatamente si volsero nella direzione da cui proveniva il fastidioso rumore. Le loro pupille si dilatarono un secondo, prima che si dessero alla fuga disordinata, e scomparissero veloci come erano comparsi. Il tutto accadde in un lasso di tempo tanto breve che Irthen impiegò un po’ a capire che la mano scheletrica della Morte aveva lasciato la presa sul suo giovane collo. Tremante e sconvolto si guardò attorno. Qualunque cosa avesse terrorizzato quei “cosi” non poteva essere amichevole. Con le gambe molli tornò ad accucciarsi dietro al masso. Appena fu al riparo, un’immensa nube di cavallette lo circondò. Per un attimo temette che avessero intenzione di mangiarlo, ma immediatamente si rese conto che gli insetti erano più interessati a inseguire i cavalli zannuti. Infatti, gli ronzarono attorno veloci e scomparvero nell’orizzonte vuoto.
Sentendosi completamente privo di forze, Irthen si afflosciò sulla pietra calda.
« C’è mancato poco, Ir…davvero poco…» rantolò.
Per qualche tempo perse la percezione di sé stesso e navigò in quell’oceano di consolante oblio. Ma quando rinvenne il ragionamento gli riusciva più semplice. Facendosi violenza balzò in piedi, pulì alla meglio la spada sporca di sangue sui pantaloni e la rinfoderò, e si diresse verso le carcasse. Non c’era tempo da perdere. Evitò accuratamente di fissare lo sguardo sulla pozza di sangue, sul brandelli di carne strappata e sul cadavere di Fulmine – o ciò che ne restava – recuperò rapido lo zaino e il suo contenuto. Si assicurò che nessuna goccia di acqua fosse andata perduta e si mise in marcia, a piedi, verso la direzione da cui gli sembrava di essere venuto.
 
Il Deserto sembrava immensamente silenzioso senza il suono rassicurante degli zoccoli di Fulmine a riempirne il vuoto. Irthen aveva dovuto cedere al pianto per liberarsi di un po’ di quella tensione che minacciava di prosciugarlo di ogni energia. Ma quando i suoi occhi si asciugarono la situazione gli si offrì in tutta la sua tragicità: dov’era il Monte Satki? Almeno all’orizzonte avrebbe già dovuto potersi scorgere…invece niente. Dove si trovava? Quei Cosi assassini sarebbero tornati? Non si era mai aspettato che la ricerca della Cascata fosse una passeggiata, ma non credeva certo di dover affrontare esseri demoniaci, cavallette carnivore, e tutto il resto! Improvvisamente, per la prima volta nella sua vita, si sentì infiammare da un’ira cieca e incondizionata. Perduto, ecco cos’era! Perduto in una terra sconosciuta, solo e senza una guida. Era nei guai, guai seri. Quando Liam avesse scoperto la sua assenza sarebbe andato su tutte le furie. Che idea malsana!
«Stupido, stupido, stupido Ged!» gridò nel vento.
Per qualche minuto, Irthen imprecò contro quel vecchio pazzo, contro i creduloni come lui, contro tutti gli abitanti di Pothien e contro tutti gli Dei che gli vennero in mente. Poi si calmò. Si sedette cercando di ritrovare l’autocontrollo. Aveva combinato un bel casino. Si guardò attorno, sconsolato, senza scorgere altro che roccia spazzata dal vento. Le sue provviste di acqua erano quasi esaurite, e la fuga precipitosa da quegli esseri raccapriccianti lo aveva allontanato di molto, di troppo, dalla pista. In mezzo a quel Deserto Roccioso ci sarebbe voluto un miracolo per ritrovarla. Che possibilità aveva? Tornare a casa? Non gli sarebbe bastata l’acqua nemmeno per raggiungere gli estremi del deserto, e da là c’erano almeno due giorni di strada a separarlo da Pothien. Non poteva escludere, poi, che sarebbe stato lo stesso Liam a ucciderlo con le sue stesse mani se anche fosse riuscito a tornare a casa. Proseguire? Era evidente che Ged gli aveva dato delle indicazioni sbagliate, altrimenti avrebbe già incontrato il Monte Satki e la Valle Satkita. Invece…nulla di nulla. Sospirò, paralizzato dall’indecisione. Il sole splendeva incandescente, facendo salire vampe di calore dalla nuda roccia che distorcevano la sua percezione visiva. Guardandosi distrattamente attorno, notò qualcosa in lontananza che sembrava muoversi. Un piccolo punto nero ondeggiante. Si stropicciò gli occhi, mentre la figura si avvicinava, assumendo i contorni di un essere umano. Domandandosi se fosse un miraggio e se dovesse temere per la propria incolumità, Irthen impugnò saldamente la spada e attese. Quella specie di ombra si avvicinava lentamente, e lui non aveva nemmeno il coraggio di congetturare. E mentre i tratti si definivano, Irthen pensò di essere impazzito, perché quella che gli si faceva incontro era senza margine di errore una donna. E tirava un cavallo per le redini. Si stropicciò di nuovo gli occhi. Il cuore gli batteva forte, lo sentiva rimbombare in ogni fibra, amplificato al massimo nel pugno che stringeva la spada. I capelli incollati alla fronte gli gocciolavano negli occhi. Quando la donna distava ormai pochi piedi, il ragazzo alzò l’arma con aria minacciosa. La sconosciuta si fermò, inclinò la testa da un lato e scoppiò a ridere. Irthen si rabbuiò, contrariato.
« Chi sei? Che cosa vuoi?» domandò indietreggiando un passo.
« Abbassa quell’affare, piccolo, potresti farti male»
Irthen non si mosse. Avrebbe dovuto offendersi, ma il turbamento inibì l’orgoglio: la voce della donna era tremendamente strana, ricordava il fruscio di un tessuto ruvido sulla pelle. Strizzò gli occhi ma nel riverbero del sole non gli riusciva proprio di distinguere i lineamenti della sua misteriosa interlocutrice.
« Chi sei?» ripeté.
La donna alzò le mani a mostrare che non aveva intenzioni bellicose.
« Mi chiamo Abby. Posso avvicinarmi, ora?» domandò spazientita.
Dopo un’ultima esitazione, Irthen abbassò la spada. Abby tirò un sospiro di sollievo e coprì con un passo flessuoso degno di un felino, la distanza che li separava.
« Tu invece sei…?»
Il ragazzo balbettò il suo nome sotto allo sguardo divertito della nuova arrivata. Non aveva mai visto nessuno come lei: la sua pelle era nera come la notte, la fronte e gli zigomi pronunciati, il naso un po’ schiacciato, le labbra carnose. Ma niente era stupefacente quanto i suoi occhi…i suoi occhi erano verdi quasi quanto quelli di Irthen. Doveva venire da molto, molto lontano, perché lineamenti simili, al Nord, non si erano mai visti. Quella bellezza esotica era esaltata da una camicia bianca – un po’ troppo scollata per i gusti di Ir – che metteva in risalto le forme generose, e da un paio di pantaloni di pelle neri attillati. Superato lo shock iniziale, il ragazzo si rese conto che quella Abby doveva essere anche molto giovane, diciotto, forse vent’anni.
« Ehi, dico a te! Mi stai ascoltando, sì?»
Perso nelle sue congetture, non si era nemmeno reso conto che gli stava parlando. La ragazza si scostò dagli occhi le sottili treccine nere che le raccoglievano i capelli e le cadevano sulle spalle.
« Che ci fai in mezzo al Deserto Roccioso tutto solo?» domandò ancora con quella sua voce vellutata.
« È la stessa cosa che potrei chiedere a te» rispose Ir cercando di ricomporsi.
Essere trattato da poppante da una perfetta sconosciuta incontrata in mezzo al nulla, peraltro non particolarmente vecchia, era quantomeno irritante, aveva già fatto la prima figura da allocco, non le avrebbe concesso un altro motivo per ridere di lui.
« Io non sono sola» disse indicando il cavallo bianco al quale erano assicurati i suoi bagagli – tra i quali Irthen scorse un arco – « Questa è Luce. Saluta, Luce»
L’animale chinò il capo. La criniera candida lanciò bagliori di madreperla.
« Anch’io viaggiavo con il mio cavallo…» mormorò Irthen.
Abby annuì comprensiva.
« Temo di averne trovato i resti, un’oretta fa. Cavalli dai denti a sciabola?»
Irthen spalancò gli occhi.
« Si chiamano così quegli affari con le zanne enormi? Hanno pure un nome?!» domandò incredulo.
Abby annuì.
« Sono un flagello. È impossibile non destare la loro attenzione ed è difficile uscire vivi da un confronto con loro. Si muovono sempre in branco. La cosa carina è che sono tanto bellicosi da attaccarsi anche tra di loro…se non altro si ammazzano a vicenda ogni tanto! Scommetto che ti hanno salvato le cavallette carnivore. Se li mangiano, i cavalli dai denti a sciabola, vedessi come li ripuliscono bene!»
Irthen non riuscì a nascondere un moto di disgusto davanti all’umorismo macabro di Abby, la quale, comunque, sembrò non notarlo.
« Ad ogni modo, non farai molta strada senza cavallo sotto questo sole. Dove sei diretto? Posso darti un passaggio» disse battendo affettuosamente la mano sul collo di Luce.
Le parole del piccolo Lukas fluttuavano ancora limpide nella mente di Ir: come poteva fidarsi di una persona che aveva appena conosciuto, e per di più in circostanze molto sospette? Era evidente, però, che senza l’aiuto della misteriosa Abby sarebbe morto di stenti, perciò…
« Devo raggiungere il Monte Satki» disse infine.
Abby annuì.
« Allora stai andando nella direzione sbagliata, tesoro, ma non temere!» guardò il cielo schermandosi gli occhi con una mano « Entro il calare del sole saremo in vista dell’oasi. Io sono diretta al Lago di Nebbia, il Monte è sulla mia strada»
Irthen sorrise stancamente.
« Sei molto gentile»
La ragazza gesticolò con la mano in segno di noncuranza. Poi montò agilmente Luce e tese la mano al suo nuovo compagno per aiutarlo a salire dietro di lei. Irthen arrossì vedendosi costretto ad aggrapparsi alla sua schiena per non cadere. Quando l’avesse raccontato a Jeremy…
« Sei pronto, sì?» domandò Abby.
« Sono nato pronto!» esclamò.
La ragazza scoppiò a ridere.
« Che bimbo simpatico» mormorò spronando il fiero animale, diretta verso l’orizzonte.




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Chiedo perdono per le descrizioni, Hareth, sono una causa persa XD XD XD
Baciiii

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Capitolo 8
*** Alec di Phia ***


« Che cosa ti avevo detto? Abby non sbaglia mai i calcoli: Abby dice “entro il calare del sole”, ed ecco!» segnò con l’indice il sole che iniziava ad annegare nell’orizzonte « Il sole sta calando, e quella è la tua oasi!»
Irthen sorrise, estasiato dalla visione che gli si offriva.
La grande macchia verde spiccava nel grigiore della roccia circostante, e l’ombra del Monte Satki incombeva alle sue spalle.
« Acqua» farfugliò.
Abby scoppiò a ridere.
« Certo, acqua! Ma non solo, anche carne fresca, erba morbida su cui riposare, e tregua dall’afa. Che dici, acceleriamo il passo, sì?»
Il ragazzo annuì convinto. Abby sferzò Luce e in pochi minuti raggiunsero l’ombra fresca e rassicurante.
Irthen si sentiva sfinito, ma dopo aver abbondantemente bevuto dalla pozza d’acqua limpida riacquistò un po’ di forze. Abbastanza da accendere un fuoco mentre la sua compagna cacciava nei recessi della vegetazione. L’aveva osservata mentre raccoglieva le treccine in una coda ed estraeva l’arco dal bagaglio. Era un’arma molto bella, la lavorazione raffinata non ne aveva indebolito il legno e non ne aveva ridotto la gittata. Abby lo aveva incordato e si era munita di faretra e cesto, poi era scomparsa. Il sole era ormai completamente tramontato e il fuoco scoppiettava allegro quando la ragazza era tornata con un paio di lepri e una buona quantità di bacche rosse. Gettandosi sulle coperte che Irthen aveva steso attorno al falò sbuffò.
« Odio cacciare» disse « preferisco lungamente trovare pronto»
Irthen sorrise.
« Ma non mi dire! Dai qui, le pulisco io»
Abby sgranò gli occhi.
« Vorrai scherzare, io voglio mangiare prima del sorgere del nuovo giorno, tesoro…e poi è pericoloso dare un coltellaccio in mano a uno della tua età» esclamò.
Irthen si accigliò.
« Guarda che non ho cinque anni, so usare un coltello» sbottò.
La ragazza lo ignorò e sfilò dalla bisaccia un coltello enorme.
« Sto parlando con te!» insistette il ragazzo.
« Senti, Irthen, sei stanco e hai scampato la morte per miracolo, perché non ti fai un bel bagno mentre io penso alla cena, sì?»
Borbottando imprecazioni a mezza voce, Irthen prese con sé la spada e si diresse verso la sorgente d’acqua. Si guardò attorno circospetto, reticente a spogliarsi. Sembrava che a parte loro due non ci fosse anima viva. Facendosi forza e augurandosi che la sua compagna di viaggio non decidesse improvvisamente di farsi una passeggiata, si sfilò velocemente stivali, pantaloni e camicia, e si lasciò scivolare nell’acqua. Rabbrividì. Nonostante il clima afoso e le rocce incandescenti, la sorgente era ghiacciata. Superato il trauma iniziale, però, si sentì rinascere. Quel posto era incredibilmente bello e rassicurante, la brutta avventura con quella specie di equini zannuti – cavalli dai denti a sciabola, li aveva chiamati Abby – sembrava lontana secoli. Sfiorò con i palmi il pelo dell’acqua, domandandosi ancora una volta cosa ci facesse quella ragazza, sola, nel bel mezzo del Deserto Roccioso. Non sembrava molto più vecchia di lui, eppure c’era qualcosa nel suo modo di fare che la faceva apparire molto più navigata.
« Uno della tua età…ma chi si crede di essere?!» borbottò tra sé e sé nuotando lentamente verso il centro della polla.
Irthen valutò che dovesse essere l’appendice di un corso d’acqua sotterraneo, o di qualcosa del genere, altrimenti le sue acque non avrebbero potuto preservarsi tanto limpide. Scostandosi dagli occhi i riccioli che gocciolavano fastidiosamente, si impose di fare il punto della situazione: mancava da casa da quattro giorni, ormai, e aveva paura di congetturare riguardo ad Amina, a suo fratello e a Jeremy; aveva coperto, nella migliore delle ipotesi, un ottavo della distanza che lo separava dalla cascata e già aveva rischiato le penne; un bambino misterioso lo aveva pedinato e messo in guardia non si sa da cosa; aveva sentito parlare di un mago che somigliava dannatamente a Liam; aveva perso il cavallo; aveva incontrato una strana ragazza che si era offerta di accompagnarlo. In qualche modo, ora, avrebbe dovuto raggiungere la Cascata a piedi e senza uno spicciolo. Era indubitabile che si trovasse in una situazione incresciosa…
Ringraziando che, per lo meno, Abby non fosse il suo tipo, uscì dall’acqua, si asciugò alla meglio e si rivestì. Il profumo di carne alla brace stava diventando irresistibile.
« È quasi pronto» disse Abby vedendolo apparire dall’oscurità sempre più densa.
Irthen non rispose e si sedette accanto a lei. La ragazza lo guardò sospettosa.
« Qualcosa non va, tesoro?» domandò.
« Va tutto bene, tranquilla» mugugnò.
Abby alzò le sopracciglia con aria scettica.
« Non si direbbe proprio»
Quando fu chiaro che il ragazzino non avrebbe spiccicato parola, si mise ad armeggiare con la bisaccia e ne estrasse una mappa. La spiegò e la studiò con attenzione. Suo malgrado, Irthen allungò il collo e domandò:
« Dove ci troviamo, ora?»
« Qui, nel mezzo del Deserto Roccioso» rispose puntando un dito scuro sulla mappa.
Il ragazzo notò solo allora l’anellino che indossava al medio: una sottilissima fede di un metallo azzurro che non aveva mai visto prima, con incastonato al centro una pietra nera.
« Tanto per curiosità, ora che hai raggiunto questo piccolo paradiso felice, dove pensi di andare?»
Il ragazzo staccò a fatica gli occhi dal gioiello per puntarli in quelli verde opale di Abby.
« Perché vuoi saperlo?» domandò sulla difensiva.
L’espressione della ragazza si indurì un momento, per poi tornare subito rilassata.
« Curiosità. Sai come si dice, che la curiosità è femmina, sì?»
Irthen sospirò e segnò una macchia verde sulla mappa.
« Questo è il Bosco Lossar?»
Abby annuì.
« Allora devo andare qui» disse.
Gli occhi della ragazza non tradirono un’emozione. Si limitò a rispondere:
« In questo caso, almeno fino al Lago faremo la stessa strada. È pronto»
Prese la carne dal fuoco e la offrì ad Irthen, che la addentò senza pensarci due volte. Erano giorni che non faceva un pasto decente. In un batter d’occhio la sua generosa razione si volatilizzò.
« Avevi fame, eh, piccolo?» ridacchiò Abby.
Irthen mugolò soddisfatto.
« Credi che quei Cosi zannuti potrebbero attaccarci, stanotte?» domandò dopo qualche momento, quando il suo stomaco si fu abituato all’enorme quantità di cibo che il proprietario aveva ingerito.
Soffocando un poco femminile rutto, Abby si alzò e fece sparire i resti della loro cena. Ir la guardò storto.
« No, siamo già troppo a Sud per loro. Ma è meglio non rischiare di attirarli con l’odore della carne…non sono solo quei Cosi, come li chiami tu, le uniche presenze di cui dobbiamo preoccuparci»
Si lasciò cadere sulla coperta e vi si avvolse.
« Dormi sonni tranquilli, piccolo viaggiatore solitario» sbadigliò « Abby veglia su di te»
Irthen si accoccolò a sua volta tra le coperte, troppo sfinito anche per ribattere. No, quella strana tipa non era proprio il suo genere di ragazza, ma tutto sommato era simpatica.
 
La giornata di viaggio di Liam era trascorsa senza grossi intoppi. Tutto sommato, forse Konstantin aveva ragione, se poi lo stregone si stesse riorganizzando oppure se si trovasse troppo lontano per poterlo colpire con efficacia, non lo poteva sapere, ma aveva poca importanza. Il Brumo non era più così distante, e questo per il mago era sufficiente. Il suo istinto magico riusciva già a percepire l’umidità e il gorgoglio del fiume lontano. Avvolto nella pesante coperta per proteggersi dal gelo della notte, non poté fare a meno di osservare le stelle che facevano capolino, timide, tra le nuvole leggere. Negli ultimi anni gli era capitato raramente di dormire all’addiaccio, il suo lavoro rendeva bene e durante le sue peregrinazioni non aveva mai dovuto vietarsi il letto comodo di una locanda. Amava la natura come la propria casa, ma poche cose erano capaci di renderlo malinconico come una notte sotto le stelle. Ricordava bene quando, bambino, suo padre lo portava con sé a caccia sui Giganti. Sua madre non voleva e si opponeva strenuamente, temeva che potesse capitargli qualcosa di brutto, allora, per convincerla, Thorla attraversava la strada e bussava alla porta verniciata di verde della casetta del macellaio.
“Joel, vecchio mio, vado a caccia!” diceva.
Joel, un omone grande e grosso con i lunghi capelli biondo-ramato legati sulla nuca e due immensi occhi nocciola che intimorivano più dei coltellacci che era solito maneggiare, rispondeva immancabilmente:
“Era ora, vecchio pigrone, i miei coltelli hanno fame!”
La sequenza era sempre la stessa. A quel punto, Thorla si lisciava la barba, fingendosi pensieroso.
“Pensavo di portare con me il ragazzo, sai, perché prenda dimestichezza col mestiere…ma non vorrei che si annoiasse, tutto solo, per tre o quattro giorni consecutivi…” commentava.
Allora il macellaio spalancava gli occhi, come colto da un’epifania, ed esclamava:
“Porta con te anche la mia figliola, allora! Così si faranno compagnia”
Thorla tornava a casa baldanzoso, e Naìba si convinceva che se il saggio Joel permetteva alla sua Chloé, coetanea di Liam, di andare, non poteva essere poi tanto pericoloso…
Liam sorrise tra sé e sé. Aveva assistito a quel teatrino tante di quelle volte da perderne il conto. Nelle notti passate sui Giganti in compagnia di suo padre e dell’impavida figlia del macellaio, i cieli erano tersi, e lui e Chloé inventavano storie inverosimili guardando quelle stesse stelle.
Poi, gli anni erano passati, e tutto era diventato più difficile. L’incidente del pozzo, la nascita di Irthen e di Syra, due anni dopo. La moglie di Joel era sempre stata di salute cagionevole e, una fredda giornata di inverno, il suo cuore aveva smesso di combattere contro la terribile febbre che la consumava da settimane. Chloé e suo padre furono prostrati dal dolore, ma era gente forte e l’amicizia di Thorla aveva fatto tornare loro il sorriso. Lentamente le loro ferite si erano cicatrizzate. Così, la sua antica amicizia si era consolidata al punto tale che, pur dopo tutti quegli anni, non era venuta meno. Poche primavere dopo, una brutta polmonite colpì Pothien, e si portò via Thorla, Naìba e la piccola Syra, lasciando Liam solo a badare a suo fratello. Joel e sua figlia, allora, gli erano stati accanto e lo avevano sostenuto, incoraggiato e aiutato in modo straordinario. E quando si trasferirono ad Effort il legame con loro non si spezzò. Ogni volta che il mago capitava in quella città, il macellaio lo ospitava nella sua casa, e la compagnia di Chloé aveva il potere di purificarlo. Ecco, Chloé era la sua catarsi: una sorella, un’amica fidata, una coscienza senza peli sulla lingua che aveva esplorato ogni più recondito anfratto del suo essere, e con la quale condivideva dolori, ricordi, pregi, difetti, passioni, vizi, e, disgraziatamente, buona parte di perversioni. Era l’unica persona che potesse dire di conoscerlo davvero.
Liam sospirò, sommerso dall’onda incontrollabile di quei ricordi lontani. I cieli stellati lo rimandavano inevitabilmente ad allora, a quando la sua vita era perfetta, a quando Chloé cercava di spaventarlo nelle notti fredde dei Giganti, a quando era ancora un bambino limpido come l’acqua che tanto amava, e non il dannato bugiardo e donnaiolo che era diventato.
Cercando di scacciare la malinconia che si era impossessata di lui, come sempre accadeva quando si permetteva il lusso di ricordare il passato, sfiorò l’elsa fredda del pugnale che teneva sotto alla coperta.
« Buona notte, Baio» mormorò imponendosi rigidamente di chiudere gli occhi.
 
Nel silenzio della notte, Liam fu destato da una fastidiosa sensazione di disagio, come una lievissima nausea, oppure un prurito alla schiena in un punto dove non si arriva a grattarsi. Senza tradire un movimento, strinse saldamente il pugnale. Tese l’orecchio, sperando di sorprendere un eventuale assalitore. Ma il silenzio rimase immoto e perfetto. I muscoli tesi iniziavano a dolergli.
Improvvisamente percepì una presenza magica che aveva già avuto modo di incontrare: la ricordava chiaramente a Pothien il giorno della sua partenza, il giorno precedente alla partenza di Irthen. Un soffio di vento lo fece rabbrividire.
« Buona sera, Liam dell’Acqua»
La voce si era materializzata accanto a lui tanto improvvisamente da farlo sobbalzare. Istintivamente, il mago scattò per attaccare con la piccola lama a cui si teneva aggrappato il nuovo venuto, ma scoprì con una fitta di panico di non potersi muovere.
« Ma che…» grugnì.
« Non avevo intenzione di farmi tagliare la testa. Perdonami»
Mentre le parole ancora tintinnavano nell’aria, la stretta invisibile si allentò, lasciandolo libero di balzare in piedi. Ma ciò che si trovò davanti lo lasciò sbigottito: un bambino dai morbidi capelli scuri che gli cadevano sulle spalle e dai lineamenti gentili lo fissava con degli inquietanti occhi grigio-argento. Il sorrisetto ironico del bambino era totalmente stonato sul suo viso. Almeno quanto la spada corta che impugnava.
« Chi diavolo sei tu?!» farfugliò.
« Sono Lukas, dell’Aria. Il fatto che tu non mi conosca testimonia la tua cecità ottusa verso le correnti politiche»
Liam continuò a fissarlo con gli occhi spalancati. Nel mentre scavava affannosamente nella sua memoria in cerca di informazioni su quel fantomatico Lukas. Poteva avere sei anni, ma di certo nel suo atteggiamento c’era qualcosa di immensamente sbagliato.
« Può darsi che io non sia un’autorità in ambito di politica, ma di certo so riconoscere un agguato quando ne subisco uno»
Il bambino sorrise con garbo.
« Ti ho già posto le mie scuse, Liam. Non ti interessa sapere perché ti ho svegliato in piena notte?»
Liam rifletté qualche secondo, poi annuì.
« Prima vorrei capire che cosa facevi a Pothien solo pochi giorni fa»
Lukas si sedette con un sospiro stanco.
« D’accordo. Ma non ho molto tempo. Non posso fermarmi a lungo in nessun luogo»
Liam si sedette a sua volta, sempre più confuso.
« Sono passato casualmente da Pothien, un paio di settimane fa, e ho scoperto che vi dimora Amina della Terra. Sapendo che è schierata con Ruben mi sono domandato se fosse lì per sorvegliare te, Liam, il famoso mago senza padrone…così ho scoperto che tuo fratello meditava la fuga. Ho cercato di spaventarlo per convincerlo a desistere, ma a quanto pare è molto cocciuto. L’ho seguito fino ad Eremo, ma nel Deserto non mi sono addentrato, anche perché sentivo la presenza di uno stregone nei paraggi. Così sono tornato sui miei passi, e quando mi sono imbattuto in Alec del Fuoco ho cambiato direzione. Poi ho avvertito la tua presenza e mi è venuta voglia di conoscere il mago che ha mandato in panico il Consiglio di Effort»
Si grattò la testa, come cercando di mettere ordine nei propri pensieri.
« Sono solo un bambino, Liam, ma i miei poteri sono immensi, e hanno plasmato la mia mente rendendola molto più simile a quella di un adulto che non a quella di un bimbo della mia età. Per questo ho deciso di non schierarmi, perché è molto probabile che potrei cambiare le sorti del conflitto. Il problema è che il mio corpo è ancora troppo acerbo per poter resistere ad una simile sollecitazione, non sopravviverei. Ruben sembra l’abbia capito, per questo ha preferito sorvegliare te, mentre Micael mi dà la caccia ininterrottamente. Sono costantemente in fuga, oramai»
« Mi dispiace» mormorò Liam, cercando di assimilare tutte quelle informazioni.
Conosceva Alec, era il fratello gemello di Konstantin, ed era un uomo senza scrupoli, la sua fama lo precedeva.
« Ancora non capisco, però, perché tu abbia cercato di aiutare Irthen»
Lukas sorrise.
« Perché il suo cuore è buono»
Liam finse di riflettere, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno al dito. In realtà non sapeva più che cosa pensare, non c’era nessuno di cui si potesse fidare. Nemmeno un bambino.
Lukas puntò i suoi occhi d’argento verso le stelle.
« Ascoltami, Liam, perché sto per rivelarti il vero motivo della mia visita. Il fatto che tu non ti sia ancora piegato a nessuna fazione mi spinge a considerarti un uomo poco incline al conflitto. Se dovessi cadere nelle mani di Micael e dovessi scatenare tutto il mio potere, ricorda: solo un colibrì potrà fermarmi»
Liam batté le palpebre.
« Un colibrì?! E perché mai?»
« Questo non ti riguarda, Liam dell’Acqua!» sbottò il bambino « Te ne ricorderai?»
« Me ne ricorderò»
Lukas annuì. La sua espressione si rasserenò, svelando per un momento la sua vera età. Liam si lasciò scappare un sorriso ebete. Il bambino tornò immediatamente serio e il mago si ricompose.
« Ora devo andare»
Si alzò e un soffio improvviso di vento sollevò una nuvola di polvere che accecò Liam. E quando l’aria tornò limpida, Lukas era scomparso.
 
Per tutto ciò che rimaneva della notte, il sonno di Liam fu agitato da incubi, presenze invisibili e pericoli imminenti che minacciavano i suoi cari. Sognò anche Amina, la sognò che rideva di lui, il più potente mago d’Acqua in circolazione che si era rivelato tanto ingenuo da non scoprire la presenza di una maga appena fuori dal suo uscio.
Così, quando riprese il cammino era giorno fatto, e il suo umore era decisamente nero.
« Quanto credi che mancherà al fiume, Baio?»
Il cavallo nitrì e il mago sbuffò.
« Solo quello sai dire! Mai una volta una risposta utile…»
La sua voce si perse. Aveva avvertito un cambiamento nell’aria attorno a lui. Una sorta di brivido, come se tutto fosse permeato di elettricità. Si guardò velocemente intorno, alla ricerca di un riparo, ma i boschi distavano qualche miglio a Nord, e a Sud solo una distesa piatta. Sferzò Baio, con poca convinzione. I pensieri che gli assediavano la mente, frutto dei sogni indesiderati di quella notte, avevano indebolito la sua capacità di percezione di aure magiche. Se fosse stato al massimo della lucidità si sarebbe reso conto con maggior margine del pericolo, ma ormai era tardi, e non era nel suo stile piangere sul latte versato…Poteva ancora sperare di guadagnare tempo, però.
Gli zoccoli del cavallo scandivano i secondi con infinita lentezza, mentre l’aria diventava sempre più calda e sempre più elettrica.
Improvvisamente, un lampo di luce gli tagliò la strada, spaventando Baio, che si impennò. Non senza sforzo, il mago riuscì a mantenersi in sella. Ma ci mancò davvero poco che cadesse quando si volse nella direzione da cui era giunto il colpo. Ai margini della Via Carovaniera stava un uomo con un braccio alzato, il palmo della mano rivolto verso Liam. I suoi capelli appena brizzolati, gli occhi neri come la pece, la carnagione ambrata e il portamento altero lo identificarono immediatamente come il secondo dei gemelli di Phia: Alec, il braccio destro di Micael. L’esatta copia di Konstantin, solo più bellicoso, e schierato con l’opposta fazione. Un sorriso affascinante si dipinse sul suo volto.
« Guarda guarda…il nostro eterno indeciso»
Liam deglutì. Non voleva affrontare un combattimento contro quell’uomo, era troppo potente, se anche ne fosse uscito vivo sarebbe stato sfinito e avrebbe perso molto tempo.
« Non ho tempo da perdere in scaramucce sterili, Alec del Fuoco» rispose rimettendo Baio al passo.
Alec ghignò. Dalla sua mano aperta proruppe un nuovo fascio di luce che obbligò Liam a fermarsi.
« Che cosa vuoi?» sbottò.
« Sto cercando un bambino. Un mago. Qualcosa mi dice che tu l’abbia incontrato» disse Alec guardandosi con noncuranza le unghie perfette.
« Se fosse?» domandò Liam sulla difensiva.
Gli occhi di Alec si fecero sottili.
« Dove si è diretto?»
Liam si strinse nelle spalle.
« E che ne so!»
Smontò da cavallo e si scrocchiò le dita delle mani. Quell’uomo cercava un pretesto per attaccarlo, era più che evidente, e lui non si sarebbe fatto cogliere impreparato. Infatti, Alec rispose:
« La tua insolenza non mi piace, ragazzino» e lanciò un globo infuocato in direzione di Baio.
Liam alzò entrambe le mani e creò appena in tempo uno scudo d’acqua per proteggere il suo cavallo, che fuggì via spaventato. La violenza dell’impatto gli fece tremare i muscoli. Poi contrattaccò, accecato dall’ira. Il suo vortice evaporò infrangendosi contro alla colonna di fuoco prontamente creata dall’avversario. Liam digrignò i denti. Proprio un mago di Fuoco doveva capitargli…Alec balzò verso di lui e Liam non si fece pregare. I loro incantesimi si scontrarono in una pioggia di scintille blu e rosse. Senza perdere tempo, Liam lanciò un getto d’acqua gelata. Alec lo parò. A sua volta colpì con una vampa di aria incandescente. Liam la schivò senza problemi, ma nella concitazione non si rese conto che Alec era balzato, agile come un felino, verso di lui. Quando scoprì il proprio errore era troppo tardi. Tentò di allontanarlo con un nuovo vortice, ma Alec era troppo vicino. Una nuova vampa di calore lo colpì in pieno petto, scaraventandolo a terra. Il dolore dell’impatto gli tolse il respiro e per qualche secondo tutto divenne scuro. Ma il tocco gelido del metallo sulla gola lo fece rinvenire. Aprì gli occhi. Alec incombeva su di lui, la spada lunga e sottile premeva sulla pelle delicata. Anche il semplice deglutire avrebbe potuto provocargli una lesione. Alec ghignò.
« Sei fortunato, Liam dell’Acqua. Non ho avuto ordine di ucciderti, per il momento. Perciò, se non ti dispiace, mi rimetterò in cammino»
Liam si sentì venir meno quando il suo avversario rinfoderò l’arma e si allontanò, uscendo dal suo campo visivo. Poi, il mondo prese a vorticare e tutto divenne scuro…




**************
Liam, perdonami per la figura ignobile ^^

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Capitolo 9
*** Dente di Cobra ***


Quando Liam riaprì gli occhi, Baio gli stava leccando il viso con la lingua ruvida. Gli occhioni a mandorla lo scrutavano con apprensione.
«Dei…» gemette.
Si puntellò sui gomiti e si guardò intorno. Il sole era allo zenit, doveva essere rimasto privo di sensi per ore.
«Ci credo che eri preoccupato, Baiuccio mio» disse carezzando il muso lungo del cavallo.
Aggrappandoglisi si trasse in piedi.
«Che brutta figura, Liam, che pessima figura…sfidato, battuto e miracolosamente graziato da un mago sadico con quasi vent’anni più di te…che cazzo.»
Si issò a fatica in sella, massaggiandosi il collo, dove ancora sentiva il soffio freddo della Morte, impersonata dalla lama di Alec.
« Andiamo, Baio. Abbiamo già perso anche troppo tempo.»
Sferzò il cavallo masticando imprecazioni e giurando vendetta per il suo orgoglio ferito.
 
Luce era molto veloce e, soprattutto, molto resistente. Quando Irthen si era svegliato quella mattina, aveva scoperto che Abby aveva già fatto i bagagli e riempito le borracce d’acqua. Poi aveva caricato il cavallo e aveva atteso pazientemente il suo risveglio. Così si erano accinti a lasciare la lussureggiante oasi per cimentarsi nella traversata della Valle Satkita. Il Monte incombeva su di loro come un immenso nuvolone nero. Aggirarlo si rivelò impegnativo, perché anche se non era molto alto, il suo diametro era notevole. Irthen sentì brividi salirgli lungo la spina dorsale nel passargli accanto: era completamente privo di vegetazione, si ergeva come uno scoglio dall’orizzonte piatto circostante. Una volta superato il Monte, si offrì alla vista dei viaggiatori la Valle, che in realtà non differiva di molto dal resto del Deserto. Solo, ogni tanto, qualche ciuffo d’erba costellava l’ambiente inospitale. Irthen si era aspettato una valle verde e rigogliosa e quando aveva scoperto l’amara verità aveva storto il naso, in preda allo sconforto. Abby aveva riso di lui, ma il ragazzo non se l’era presa più del dovuto: se aveva capito una cosa della sua strana compagna di viaggio era che la sua visione del mondo era del tutto singolare. Irthen era un poppante, il sole incandescente del Deserto un toccasana per le ossa, i Cosi zannuti “interessanti creature” e l’ottima carne di coniglio “meglio di niente”. Perciò aveva iniziato ad accettare il suo curioso modo di fare senza porsi grandi problemi. Inoltre, era una chiacchierona, per tutta la mattina aveva raccontato storie e leggende sul Deserto Roccioso e sul Monte Satki. Era una fonte inesauribile. Irthen aveva così scoperto che Satki altri non era che un mago che, ben prima della Grande Guerra, si era imbattuto in un feroce drago nero, Kuwa, tristemente famoso per aver raso al suolo interi villaggi, l’aveva affrontato e l’aveva sconfitto. La leggenda diceva che il combattimento fosse durato mesi, durante i quali le vampe di fuoco di Kuwa bruciarono e distrussero ogni cosa nel raggio di miglia e miglia. Fu così che si formò il Deserto Roccioso, dalle fiamme del drago. Satki, i cui poteri erano legati all’Acqua, si adoperò per tenere in vita una piccola porzione di verde, dalla cui umidità i suoi poteri venivano rigenerati. E così nacque l’Oasi. Quando, dopo un estenuante combattimento, Satki ebbe la meglio, chiese l’aiuto di un amico di elemento Terra per costruire una tomba a Kuwa. Ed ecco il Monte. Poi, trionfante, lasciò il Deserto tra due ali di folla, percorrendo quella che fu chiamata Valle Satkita.
Era probabile che non si trattasse di altro che di una favola, ma Irthen ne rimase lo stesso affascinato. Abby non era certo brava quanto Ged a raccontare storie, ma era dotata di una naturalezza che dava al tutto un’incredibile impressione di verità.
«Sembri stanco, Ir. Vuoi riposare?»
Irthen alzò gli occhi dalle bacche che stava sbocconcellando e scosse risolutamente il capo. La prima metà della giornata era scivolata via con una rapidità sconvolgente.
«No, no, non ti preoccupare. Solo non sono abituato ad un caldo così afoso.»
Abby tossicchiò un attimo, poi non resistette e scoppiò a ridere.
«Sei troppo buffo! Quando muovi la testa ti dondolano i capelli!» e continuò a ridere, rotolandosi per terra.
Irthen la guardò perplesso, poi si lasciò contagiare dal suo buonumore e rise con lei.
«Tu sei completamente pazza» riuscì ad articolare.
Quando la ragazza si fu ripresa, si asciugò gli occhi con il polsino della camicia e disse:
«Scusami, piccolo, non sono abituata a viaggiare in compagnia. Non mi capitava da…beh, da molti anni, ed è molto più piacevole.»
«Viaggi molto?» domandò Irthen.
«Si, ma per diletto, non per lavoro» rispose.
Ir annuì.
«E come mai, allora, devi andare al Lago?»
Abby rifletté qualche secondo.
«Perché ci sono molti maghi in quella zona. Le più grandi congregazioni hanno sede lì. Sono interessanti, i maghi, sempre così inclini a cimentarsi in imprese più grandi di loro…ne hai mai conosciuto qualcuno?»
«Uno solo. Si chiama Konstantin, sta a Pontefosso.»
Abby annuì.
«Ne ho sentito parlare. Tu sei del Nord, vero? Ci sono maghi dalle tue parti?»
«Non a Pothien. Ma in realtà non sono molto informato sull’argomento. È la prima volta che mi metto in viaggio.»
La ragazza si massaggiò la fronte, pensierosa.
«Come mai viaggi solo? I tuoi si fidano?»
Irthen si rabbuiò.
«I miei sono morti. Molto tempo fa. Ho un fratello maggiore, ma è sempre lontano. Non so nemmeno se abbia già scoperto la mia assenza…»
Gli occhi di Abby si assottigliarono.
«Mi stai dicendo che sei scappato di casa?!»
Irthen si morsicò la lingua e la guardò di sottecchi, senza alzare il capo dal suo pranzo., domandandosi se avesse appena commesso l’ennesimo, madornale, errore. Ma la ragazza proruppe in un nuovo scoppio di ilarità.
«Accidenti, Ir, non ti facevo così disgraziato! Tuo fratello deve essere un vero mostro per metterti in fuga in questo modo, sì?»
Il ragazzo ingurgitò l’ultima bacca e sorrise amaramente.
«No, non direi. È un po’ strano, questo sì, ma tutto sommato andiamo d’accordo.»
Abby si alzò e si stiracchiò come una gatta assonnata. Poi gli tese la mano per aiutarlo a mettersi in piedi.
«Meglio muoverci, allora. Se tuo fratello è tenace anche solo la metà di te, abbiamo di che preoccuparci.»
Ripresero il viaggio attraverso la Valle che non era una valle, sotto il sole cocente che nulla aveva da invidiare a quello del più profondo Deserto Roccioso, ed Abby continuò a subissare il passeggero di domande. Così Irthen si trovò a raccontare la storia della sua vita: a partire dai suoi primi ricordi della sorellina, una bella bambina dai boccoli scuri e dagli occhi d’ebano, con la pelle bianca come la neve che ricopriva le cime dei Giganti; parlò dei suoi genitori, di quanto sua madre fosse apprensiva e suo padre, di contro, permissivo; parlò della loro morte prematura e dei tempi difficili che ne erano seguiti; le disse dei suoi amici, di Jeremy e di Amanda. Abby l’aveva un po’ preso in giro, ma la sua allegria era subito scomparsa quando Irthen le aveva domandato se lei, invece, avesse famiglia, legami, un fidanzato.
«Io…no, Ir, io sono sola. Da molti anni ormai. Ho solo un’amica, che vive lontano da qui, ma per il resto…sono sola.»
Si era rabbuiata, e Irthen aveva capito che quello era un argomento da evitare.
Per molto tempo, la compagna non aveva più spiccicato parola, ai commenti del ragazzo aveva risposto per monosillabi. Così, ad Irthen non era rimasto altro da fare che guardarsi intorno, godendo dell’aria sul viso – ancorché calda – e della vastità che lo circondava.
Quasi cadde da cavallo per lo spavento quando Abby imprecò.
«No, no, no e poi ancora no! Non adesso!» sbottò.
Smontò da cavallo ed estrasse la spada che teneva legata al bagaglio. Il ragazzo la guardò senza capire.
«Muoviti, ragazzino! E spero proprio che tu te la sappia cavare con quella lama!»
«P-perché?!» balbettò Irthen.
«Credi che quelli siano elementi del paesaggio?»
Gli occhi verde opale di Abby saettarono a destra e a sinistra alle spalle di Ir, che si volse lentamente. Delle figure scure e sottili si stagliavano sullo scenario piatto. Le contò: cinque. Cinque era un numero affrontabile. A meno che…
«Dì un po’, Abby, non saranno mica “sciacalli dalla coda esplosiva”, o qualcosa di simile, eh?»
Abby ghignò.
«Sono sciacalli, punto e basta. E sembrano particolarmente affamati.»
Il ragazzo estrasse la spada e si preparò a difendersi. Gli sciacalli si avvicinarono, e Irthen dovette, suo malgrado, ammirarne l’eleganza. Con quel pelo lucido, le zampe lunghe, il muso affusolato e le orecchie diritte, era un peccato anche solo pensare di ucciderli…
“Che dici, stupido? Saranno loro a uccidere te!” pensò scuotendo il capo.
Il primo animale attaccò, con un balzò si avventò su Abby, che lo schivò e con un movimento rapido del polso riuscì a ferirlo ad una zampa posteriore. Lo sciacallo guaì, e gli altri quattro partirono alla carica. Quello ferito e due compagni si dedicarono alla ragazza, i restanti due scelsero Irthen.
«Ho la carne più tenera, ci scommetto!» gridò loro contro cercando di ricacciare indietro il pulsare sordo del panico.
I due animali attaccarono insieme, con le zanne snudate. Il ragazzo li schivò e cercò di prenderli alle spalle, ma quelli erano troppo veloci. Attaccarono di nuovo. Ir menò un fendente che sfiorò un orecchio, ma lo sciacallo non si fece intimidire. Ringhiando attaccò di nuovo. Una frazione di secondo dopo, il suo compagno fece altrettanto.
“Quando mai gli sciacalli vanno a caccia di giorno? E attaccano prede così grosse? E in branco?! Ci sono cose strane in questo posto!” riuscì a pensare mentre uno dei due gli atterrava sul petto, scaraventandolo al suolo. Irthen ringraziò gli Dei che la sua spada fosse affilata, perché se non lo fosse stata sarebbe sicuramente morto. Mentre l’animale si avventava su di lui per azzannarlo al collo, cercò di ripararsi agitando la lama convulsamente e, senza una vera intenzione di farlo, tagliò la gola al primo sciacallo. Uno schizzo di sangue scuro e caldo gli macchiò il viso e la camicia, facendogli venire la nausea.
«Bravo, Ir!» sentì Abby gridare, ma i suoni gli giungevano incredibilmente ovattati.
Spingendo via il cadavere dell’animale, ebbe la fugace visione di due occhi scuri e dei lunghi denti gialli, poi un dolore pulsante e annichilente al polpaccio. Con gli occhi annebbiati, vide il secondo avversario con le zanne conficcate nella sua gamba e si sentì mancare. Ma non poteva. Non poteva cedere, se fosse svenuto sarebbe stata la sua fine. Con un immenso sforzo di volontà, levò il busto da terra e conficcò la spada nel collo del secondo sciacallo, che stramazzò al suolo tra gli uggiolii.
Irthen tentò di alzarsi ma la gamba ferita non lo resse. Cadde in ginocchio. Abby stava avendo la meglio sull’ultimo avversario e sembrava tutta intera. Il sangue era ovunque: sulla roccia, sulla lama, sul suo viso. Sangue suo e sangue di sciacallo. La lacerazione, pure, sanguinava copiosamente. Sopraffatto dal dolore insopportabile, Irthen crollò svenuto.
 
Riaprendo gli occhi, la luce del sole lo accecò.
«Ehi» disse la ragazza a mo’ di saluto in risposta al suo grugnito incomprensibile.
Abby stava completando la fasciatura, e il polpaccio gli faceva meno male.
«Ma che…che…che cazzo» sospirò, sfinito, rinunciando ad articolare la frase.
Abby rise.
«La ferita non è grave. L’ho disinfettata e suturata, con un po’ di impiastri di erbe e altre schifezze simili dovrebbe sistemarsi tutto in tempi ragionevoli.»
Si alzò e si pulì le mani in un panno umido, poi lo lanciò al ragazzo.
«Pulisciti quel sangue dalla faccia. Sembri un macellaio.»
Irthen avrebbe voluto ridere della battuta ma non gli riuscì. Il dolore era ancora troppo intenso.
Lentamente, i due si rimisero in marcia. La gamba era fuori gioco, non avrebbe potuto affrontare un nuovo attacco, se non strisciando.
«Te la sei cavata bene, oggi, Irthen» concesse Abby.
«Una meraviglia» commentò il ragazzo sarcastico.
«No, davvero! Credevo che ti avrebbero sbranato.»
«Questo solo perché non hai fiducia in me»
Abby sorrise guardando l’orizzonte.
«Può darsi. Ma la prima prova l’hai superata. Speriamo solo che per il momento gli sciacalli non ricompaiano, altrimenti sarà dura davvero, sì?»
«Ce ne sono molti?» domandò Ir.
«Abbastanza.»
Irthen sospirò, appuntandosi di dirne quattro a Ged se fosse riuscito a tornare a casa tutto intero.
Quando il sole scomparve all’orizzonte, Abby decise di fermarsi e montare il campo. Aiutò Irthen a mettersi comodo, accese il fuoco e razionò le provviste.
«Credo che sarebbe meglio fare dei turni di guardia, questa notte» disse il ragazzo lucidando la spada, dopo aver cenato.
«Probabilmente hai ragione, ma tu non saresti in grado di combattere» rispose Abby estraendo a sua volta la lama per valutare che non avesse riportato danni.
Irthen la osservò stupito: il metallo sembrava lo stesso dell’anello, al centro dell’elsa lavorata stava una pietra nera del tutto simile a quella che ornava il gioiello, la lama era solcata per tutta la sua lunghezza da una fessura larga un dito, che la divideva in due. Tutti e quattro i fili erano taglienti.
«Non hai mai visto una spada simile, sì?» domandò la ragazza.
Irthen negò. La voce di Abby assunse un’inflessione morbida mentre accarezzava con affetto il filo micidiale.
«Ci scommetto. Sai, io sono originaria dell’Est, di quel territorio caldo e inospitale che si estende oltre il Reame dei Nani. Laggiù questo tipo di lama è molto diffuso. Lo chiamiamo Dente di Cobra. È forgiata con un metallo resistentissimo di nome Tibunda. Non perde mai il filo. Questa pietra invece è detta Buio, perché non riflette la luce» Sospirò. «È una pietra porta fortuna.»
Irthen ascoltò interessato, sorpreso di poter scoprire così all’improvviso qualcosa sulla misteriosa Abby.
«Sono gli stessi materiali del tuo anello, vero?» domandò.
La ragazza allargò gli occhi.
«Sei un buon osservatore. Si, sono gli stessi materiali. Mio padre mi regalò questo anello quando compii dodici anni. È la maggiore età, per noi»
«Quanti anni hai, Abby?»
Abby sorrise scaltra.
«Tu quanti ne hai?» domandò in risposta.
«Quindici.»
«E quanti me ne daresti?»
Irthen si grattò il capo, colto alla sprovvista.
«Non saprei…diciotto, venti?» rispose incerto.
«Allora diciamo che ne ho diciannove» ghignò.
Irthen sbuffò.
«Così non vale!»
Abby ripose Dente di Cobra, badando che restasse a portata di mano.
«Riposati, piccolo guerriero. Se gli sciacalli dovessero tornare li sentirò subito e ti sveglierò.»
Irthen non se lo fece ripetere due volte. Aveva perso parecchio sangue ed era esausto.
 
Quando il nastro argentato del Brumo si offrì alla sua vista, Liam trasse un sospiro di sollievo. Le stelle brillavano sempre più intensamente mentre il mago si accampava poco lontano dal porto, appena fuori dalla Via Carovaniera. Le ossa e i muscoli gli dolevano per il combattimento. Era stato breve, eppure l’aveva sfinito.
«Dannazione, Liam. C’è una guerra alle porte e tu sei più moscio di…di…cazzo! Hai venticinque anni e ti fai umiliare da un quarantenne frustrato, sei vergognoso» borbottò tra sé e sé mentre accendeva un fuoco.
Baio gli schiacciò il naso umido sulla guancia. Liam gli accarezzò il muso.
«Lo so, lo so che ti mi vuoi bene anche se faccio pietà anche ai miei nemici» Sospirò lasciandosi cadere al suolo. «Chissà se Irthen sta bene…»
Cenò lentamente, cercando di rilassarsi. Infuriarsi con sé stesso non poteva giovargli, anche se era innegabile la masochistica soddisfazione che provava nel biasimarsi. Poi si stese riflettendo sulla giornata a venire: al porto stava ormeggiata una barchetta – una zattera, ad essere onesti – con la quale percorreva il Brumo fino al Lago di Nebbia quando aveva particolarmente fretta. Alle prime luci dell’alba si sarebbe quindi diretto là, avrebbe recuperato la barca e avrebbe navigato fino alla foce. Una volta nel Lago, però, quel mezzo non sarebbe più stato utilizzabile: la bagnarola era troppo poco resistente per affrontare le acque profonde del grande Lago fino a Spleen, città consigliatagli per l’attracco da Konstantin, che si trovava sul lato opposto rispetto alla foce del Brumo. Tenendosi vicino alla costa avrebbe perso troppo tempo per via di tutti quei golfi, insenature e secche che costellavano la sponda Sud. Il Nord, invece, era ventoso, e il pescaggio troppo ridotto della barca non era certo una garanzia in caso di onde alte. Era troppo rischioso. La sua unica possibilità consisteva nel risalire fino ad Effort, relativamente vicina alla foce, e una volta là implorare Joel di prestargli nuovamente la sua barca, che era più grande e più resistente. Il macellaio non ne sarebbe stato sicuramente contento, ogni volta gliela rendeva con qualche danno più o meno grave, ma forse Chloé sarebbe riuscita a convincere suo padre. Infondo, era in gioco la vita di Irthen…
Le palpebre gli si facevano pesanti. Prima di abbandonarsi totalmente al sonno, tuttavia, Liam decise che, da quel momento, ogni mattina e ogni sera avrebbe dedicato un po’ di tempo all’allenamento. Non poteva rischiare di farsi trovare di nuovo impreparato da un uomo come Alec. O da Debrina, o Malik, o qualche altro dannato mago di elemento Fuoco.



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Buongiorno miei piccoli tesorucci zuccherosi (Hary, aiuto, le tue storie iniziano a farmi male, inizio a parlare come Zaal O___+), ebbene sì, alle 8e41 della domenica mattina sono in piedi e prima di forzarmi allo studio ossessivo compulsivo vi pubblico un capitolino! Spero apprezzerete l'impegno XD Buona giornata, bacioni!
Cat :)

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Capitolo 10
*** Sulla cresta dell'onda ***


Nella luce tenue dell’aurora, Lukas li sentì vicini. Erano in due. Aveva viaggiato tutta la notte, era troppo stanco per sfruttare il vento come mezzo di trasporto e sopravvivere al proprio incantesimo. Accelerò il passo, pregando gli Dei di coprire le tracce lasciate dai suoi piccoli piedi nel sottobosco. Se Micael aveva mandato i suoi scagnozzi ad inseguirlo anche nella fitta vegetazione delle prime pendici dei Giganti, significava che qualcosa si stava muovendo. Che il primo pedone si era mosso di una casa avanti.
Una risata gutturale lo bloccò. Nelle vicinanze doveva esserci un bivacco di cacciatori. Si affrettò a cambiare direzione. Percorse un miglio, forse due. Sentiva chiaramente l’aria riscaldarsi con i raggi del primo sole. E i due maghi erano ancora egualmente vicini. Voltandosi indietro per accertarsi di non essere entrato nel loro campo visivo inciampò. Cadde al suolo con un grugnito di dolore. Osservando la radice contro la quale aveva battuto la punta del piede, notò con orrore che questa si stava ritraendo nel terriccio. Era dunque a portata di incantesimo. Balzò in piedi con l’intenzione di scappare il più velocemente possibile, ma la voce profonda di Alec lo inchiodò sul posto.
«Dove credi di andare, moccioso?»
Lukas si voltò lentamente. Alec ghignava e solo gli Dei sapevano quanto volentieri l’avrebbe preso a calci.
«Dopo aver scaricato tua moglie per gli ideali folli del tuo Maestro, te la prendi con i bambini?» accusò.
Il visino imbronciato stonava con la durezza che pervadeva ogni sua parola.
«Non mi commuovi, piccolo mostro. Sono mesi che aspetto questo momento, e non ti basterà di certo tirare in ballo lei per rovinarmi la festa!»
Lo disse con ferocia, ma la sua voce tradì un lieve tremito sul “lei”. Lukas non si fece sfuggire l’occasione.
«Ne sei certo, Alec? Non mi dirai che ti lascia totalmente indifferente l’idea di dover affrontare la tua bella Amina sul campo di battaglia…» insinuò.
Alec digrignò i denti e fece per attaccare.
«NO!»
Una voce femminile si levò dalla boscaglia, e dall’ombra emerse una figura: una ragazzina di sì e no tredici anni, con i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle che incorniciavano due occhi scuri e spaventati. Il bambino la osservò stupito. Non l’aveva mai vista prima, doveva essere una nuova recluta.
«Non puoi lanciare fiamme nel bosco, Alec!»
L’uomo sbuffò.
«Allora provvedi tu, Lia, di grazia.»
La ragazzina esitò, poi strinse le dita. Prima che i rami si avventassero a comando su di lui, Lukas richiamò una folata di vento che soffiò uno stuolo di aghi di pino in faccia ai maghi. Questi si ripararono, ma la ragazza non si fece abbindolare. Riuscì comunque a spingere il bambino contro ad un tronco e a bloccarlo. Lukas si divincolò, ma il ramo che gli premeva sul collo non cedette. La ragazzina si avvicinò, pronta a comandare agli arbusti di imprigionarlo, e lui capì di avere una sola possibilità di uscirne libero senza ucciderla. Scoppiò a piangere, sperando che l’attenzione dei suoi avversari si catalizzasse sulle sue inaspettate lacrime. Infondo, aveva pur sempre sei anni, accipicchia! E funzionò. Mentre i due lo fissavano scioccati, fece levitare un ramo spezzato e lo avvicinò silenziosamente alla ragazza. Poi, con uno schiocco secco, la colpì alla nuca. Quella si accasciò svenuta, e il suo potere sul prigioniero venne meno.
Finalmente libero, Lukas prese a correre.
«OPHELIA!»
La voce di Alec gli giunse soffocata mentre, richiamando a sé quanto più potere possibile senza rischiare il suicidio, lasciò che il vento si portasse via il suo corpo, al sicuro. Almeno per un po’.
 
Liam si svegliò di soprassalto, come se qualcuno gli avesse versato addosso un secchio di acqua gelata. Impiegò qualche secondo a capire dove si trovasse, perché e, soprattutto, per quale motivo fosse così indolenzito. Poi ricollegò e fece una smorfia. Si passò una mano sul viso e rimpianse uno specchio e una lama con cui radersi. Il suo bel pizzetto era andato a farsi benedire, soffocato da quella barba maltenuta. Chissà che cosa ne avrebbe pensato Tara, lei si lamentava già del pizzo…però Marina ne sarebbe sicuramente stata lieta. Ma si chiamava poi Marina, la bionda di Eremo?! Liam scosse la testa, contrariato. Quando iniziava a confondere i nomi non era mai un buon segno. Si alzò e si stiracchiò. Memore del suo buon proposito formulato a tarda notte, si prese qualche momento prima di darsi alla ginnastica. Giusto per muovere un po’ i muscoli. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva fatto dei piegamenti? Eppure sapeva bene quanto poteva essere vitale in un corpo a corpo la forma fisica. Così, facendosi violenza, si impegnò in addominali, piegamenti e pesi – i suoi bagagli si prestavano particolarmente bene allo scopo – e dopo aver completato il programma mattutino con saltelli e qualche scatto si dichiarò soddisfatto. “La spada a stasera” si disse. Il sole era ormai sorto e il tempo stringeva, inutile ripeterselo. Secondo i suoi calcoli, Irthen doveva trovarsi ancora nel Deserto. I pensiero di essergli stato tanto vicino e di aver dovuto rinunciare alla caccia lo affliggeva. Nessuna sconfitta fa male come quella che ti capitola addosso a un passo soltanto dal trionfo. Fece colazione maledicendo lo stregone e raccolse le sue cose, sinceramente sollevato al pensiero di trovarsi ad un passo dal fiume.
Il piccolo porto stava andando alla malora. Un tempo, la Via Carovaniera era stata la principale arteria di comunicazione a Nord del Deserto, ma da anni ormai i traffici commerciali languivano. L’alveo del Brumo si era ristretto, le navi più pesanti non riuscivano più a percorrerlo in tutta la sua lunghezza, quell’approdo non aveva più ragione di esistere. I viaggiatori che sfruttavano quella pista erano sempre più rari, basti pensare che Liam ne aveva incontrati soltanto due da quando aveva lasciato Pontefosso. D’altra parte, i villaggi erano ormai ridotti all’osso: poco commercio, poco denaro, pochi abitanti, pochi servizi, e di conseguenza ancor meno commercio. Liam sospirò facendo scivolare gli occhi su quei grandi moli deserti, costellati qua e là da barche più o meno malridotte.
«Che tristezza, Baio. Ti ricordi solo pochi anni fa come brulicava tutto di vita?»
Scosse il capo cercando invano di scacciare la malinconia. Dal camino della casetta del guardiano guercio si alzava un filo di fumo. Quell’uomo si occupava con passione dei pochi mercanti rimasti fedeli alle vecchie abitudini fin da quando il mago aveva comprato la sua bagnarola. Smontò da cavallo e si diresse verso la costruzione. Bussò e si affacciò alla porta socchiusa. L’uomo alzò gli occhi strabici dalla rete da pesca che stava aggiustando e sorrise.
«Liam, che piacere vederti, ragazzo.»
Posò la rete e si alzò.
«Salve, Tod» disse Liam guardandosi attorno in cerca del fedele cagnolino bianco e nero.
«Oh, è inutile che lo cerchi, Campanella è uscito a fare una passeggiata.»
Liam sorrise tra sé e sé domandandosi cosa potesse spingere una persona sana di mente a chiamare il proprio cane “Campanella”.
“Ti ricordo che il tuo cavallo si chiama Baio” mormorò una vocina acida nella sua testa. La ignorò.
«Allora, mio buon amico, è da un po’ che non ci si vede. Come vanno gli affari?»
«Vanno abbastanza bene, Tod, grazie.»
Si incamminarono lungo il molo a cui era assicurata la barchetta del mago.
«Ho sostituito il sartiame» disse Tod «Oramai era mezzo marcio.»
«Ottimo lavoro, amico. Mettimelo in conto al prossimo canone, per favore.»
«Già fatto, Liam.»
L’uomo aiutò il mago a far salire il Baio sulla barca e, quando anche Liam fu a bordo, mollò gli ormeggi.
«Starai via molto?» domandò mentre, mossa dai piccoli remi, la bagnarola si allontanava.
«Non ne ho idea, ma è probabile» gli gridò Liam.
Poi lo salutò con il braccio teso e si immise nel flusso veloce della corrente.
 
«Dai, pigrone, sveglia! Il sole è già sorto!»
Irthen mugugnò.
«Amanda…»
Abby ridacchiò.
«No, tesoro, mi dispiace tanto ma non sono Amanda. Ma mi vuoi bene lo stesso, sì?»
Irthen spalancò gli occhi. La sua compagna di viaggio stava seduta accanto a lui, le treccine nere sparse sulle spalle, la pelle scura che scintillava al sole, lo sguardo verde opale fisso su di lui e un sorrisino divertito sulle labbra piene.
«Stavo facendo un ben sogno» si lamentò il ragazzo.
«Lo so. Ti ho lasciato dormire il più possibile, mi dispiaceva disturbarti. Ma comincia a farsi tardi…»
Con uno sbadiglio, Irthen si mise a sedere. Il sole era caldo. Si toccò cautamente la fasciatura al polpaccio e scoprì con meraviglia che andava molto meglio. Alzò gli occhi sulla ragazza, sbalordito. Questa annuì soddisfatta e iniziò a caricare i bagagli.
«Come cavolo fa ad andare così meglio?!» borbottò qualche tempo dopo.
Aveva riflettuto a lungo, mentre la Valle Satkita scorreva attorno a loro, ma non era riuscito a darsi una risposta razionale per i suoi progressi medici.
Abby si strinse nelle spalle.
«Non si dice “così meglio”.»
Irthen non rispose. Il suo sguardo era stato attirato da una figura solitaria che puntava il muso sottile verso di loro.
«Gli sciacalli non ci attaccheranno» disse Abby intuendo la causa del suo silenzio.
«Perché?»
«Perché lo dico io. Fattelo bastare.»
Irthen si rabbuiò e si morse la lingua. Se le avesse risposto come avrebbe desiderato risponderle, Abby lo avrebbe abbandonato in mezzo agli sciacalli, di questo non dubitava minimamente. Ma si era illuso che dopo due giorni di strettissima convivenza, la ragazza avesse capito di potersi fidare di lui. Forse si fidava solo di sé stessa, dopotutto. E non aveva tutti i torti. Liam si era fidato, e lui come l’aveva ricambiato? Scappando di casa. Ci aveva messo un po’ troppo tempo, lo sapeva, ma all’alba del sesto giorno di viaggio iniziava sul serio a sentirsi in colpa. E gli atteggiamenti improvvisamente ostili di Abby non aiutavano di certo.
«Parlami di tuo fratello, Irthen.»
Ir sobbalzò. Nuovo cambio di umore?
«Perché dovrei farlo? Ti ho già detto tutto su di me, sulla mia infanzia, sui miei amici, su Pothien, sui miei genitori, su cosa mi piace e non mi piace fare…tu invece? So che vieni da Est, e che tuo padre ti ha regalato un anello» sbottò.
Abby non rispose e la conversazione si spense di nuovo. Irthen sentiva il cuore martellare contro le costole per la frustrazione, nell’attesa di scoprire se la ragazza avesse accettato pacificamente l’accusa. Il problema era semplice: quella non aveva affatto l’aspetto di una persona pacifica. Tutto di lei, a partire dalla lama che impugnava – e con che maestria! – passando per il suo abbigliamento, il portamento, il tono di voce, l’attitudine spiccata a comandare, fino ad arrivare alle risposte brusche e alla reticenza che mostrava quando si parlava di lei, tutto dava ad Irthen la sensazione di trovarsi davanti ad una cacciatrice. La domanda era: era più pericolosa lei oppure gli sciacalli?
 
Con l’aria fresca che gli solleticava il viso e il gorgoglio rassicurante dell’acqua, il suo regno, Liam si sentì rinascere. Restava sempre impressionato da quanto vigore i suoi poteri acquisissero dall’umidità. Come se ogni gocciolina che gli schizzava addosso avesse potuto prolungare la sua vita di cento anni.
Il Brumo era un corso d’acqua pacifico. Non era pericoloso navigarlo con una barca come quella, soprattutto se la corrente ubbidisce ad ogni tuo ordine senza protestare. Il mago si godette il viaggio. Solo, ogni tanto, rovistava con lo sguardo le sponde alla ricerca di un viaggiatore solitario a cavallo. Ma l’orizzonte si manteneva irrimediabilmente privo di ciò che gli occhi scuri di Liam cercavano affannosamente. Così, miglio dopo miglio, le acque del Brumo lo trasportavano giù, verso il Lago di Nebbia. E nonostante le preoccupazioni, la bellezza del panorama riuscì a soggiogarlo. Le sponde verdi, i canali di irrigazione che si perdevano nei campi, i contadini al lavoro. In secondo piano, il Deserto monotono allungava i suoi tentacoli letali verso Est, e verso Ovest le grandi città. Ogni tanto, una barca di pescatori incrociava il suo cammino, e lo osservava scivolare fuori dalla visuale a velocità innaturale. E i poveretti facevano tanto d’occhi, con immenso compiacimento di Liam. Un po’ di auto-celebrazione, diamine!
Le prime ore trascorsero pacifiche. Il profumo dell’umidità riempiva i polmoni e vuotava la mente. Ma passato da poco il mezzogiorno una forza estranea tentò di opporsi a quella del mago. Il Brumo ribollì irrequieto mentre le due volontà si scontravano silenziosamente.
«Ci risiamo» mormorò il mago.
Respirò profondamente e richiamò tutto il suo potere.
«Non fare arrabbiare, mia dolce e letale Acqua…non vorrai tradirmi per uno stregone senza scrupoli e senza stile, eh?»
Il fiume sembrò ascoltare il richiamo dei Liam, la cui magia riprese il sopravvento. L’interferenza si acquietò, anche se non scomparve completamente. Forse, il suo nemico era troppo lontano per tentare un attacco più incisivo. Meglio così.
 
Abby fermò Luce nel bel mezzo del nulla e Irthen ne fu sorpreso. Da quanto gli era stato detto, quella sera si sarebbero trovati sulla sponda del Brumo. La ragazza non aveva più spiccicato parola dal piccolo battibecco di quella mattina, nemmeno durante la sosta per il pranzo, e Irthen si sentiva a disagio. Perché, dopotutto, aveva la sensazione di non essere lui la causa di quel silenzio. Gli sciacalli non avevano attaccato, ed erano scomparsi nell’afa della Valle. Il sole oramai tramontava. Sporgendosi da dietro alla schiena di Abby, il ragazzo scoprì con immenso sollievo che la roccia cedeva il posto alla terra compatta, e che la natura ritrovava la vita. Il fiume, anche se non si presentava ancora alla visuale, doveva essere vicino.
Abby smontò e Irthen la imitò.
«Ci fermiamo già?» domandò.
Abby annuì.
«Non possiamo accamparci troppo vicino all’acqua, le zanzare ci farebbero a pezzi.»
Irthen la osservò in silenzio per qualche secondo. Non aveva un gran bell’aspetto, la fronte imperlata di sudore e i begli occhi appannati non promettevano nulla di buono.
«Ti senti bene, Abby?»
Quella annuì, mentre accendeva un piccolo fuoco con una rapidità sconcertante e frugava tra i bagagli alla ricerca delle provviste.
«Secondo me hai la febbre» insistette.
Quando tutto fu pronto, la ragazza gli si accomodò accanto e gli scompigliò i capelli.
«Si, Ir, probabilmente ho la febbre. Ma mi capita spesso quando sono molto stanca. Perciò non ti preoccupare, sì? Vedrai che dopo una bella dormita mi sentirò meglio…» Sorrise. «Sei stato carino a preoccuparti.»
Irthen sorrise a sua volta.
«Sei un po’ strana, Abby, ma sei simpatica.»
Abby rise.
«Dimmi la verità, ragazzino. Tu non sei un delinquentello qualunque, sei una brava persona, si vede a miglia di distanza. E non sei per niente bravo a mentire. Se sei scappato di casa devi aver avuto un ottimo motivo, e mi piacerebbe conoscerlo…»
Irthen sentì il groppo salirgli alla gola. Aveva bisogno di dirle la verità, ne aveva un bisogno disperato. Ma le parole del bambino inquietante erano ancora incredibilmente vivide nella sua mente. Sospirò, cercando di prendere una decisione.
«Come faccio a fidarmi di te, Abby? Praticamente non ti conosco, non so nulla di te, eviti le mie domande come la peste…dammi qualche certezza.»
Abby lo fissò attentamente, gli occhi verdi assottigliati in atteggiamento di riflessione.
«Non è sufficiente il fatto che io mi sia fidata di te? Insomma, infondo ti ho portato con me fino a qui, io, una fanciulla sola e indifesa…ti rendi conto del pericolo a cui mi sono esposta?!»
Irthen la fissò scioccato per qualche secondo, poi scoppiò a ridere, seguito a ruota da Abby.
«Ma ti ascolti quando dici certe cazzate?!» farfugliò con le lacrime agli occhi.
«Dici che abbia esagerato?» rispose la ragazza stringendosi la pancia, scossa dai singhiozzi.
Prese qualche respiro profondo per riprendersi.
«A parte gli scherzi, Ir, sono quasi tre giorni che viaggiamo insieme. Avrai capito che non mi piace parlare di me, pensare al mio passato mi fa stare male. Ho fatto cose di cui non vado fiera e scelte che mi sono costate molto…viaggiare mi tiene occupata la mente, e tu sei un compagno di viaggio interessante. Mi farebbe piacere seguirti ancora un po’, purché la tua meta si riveli altrettanto interessante.»
Irthen arrossì appena. Non si era mai sentito interessante. Decise, nonostante tutto, di fidarsi.
«Conosci la storia della Cascata del Potere?» domandò titubante.
Abby annuì, con gli occhi che scintillavano. Per la curiosità o per la febbre?
«Beh, sto andando là.»
La ragazza non si scompose. Rifletté qualche momento, poi disse:
«Sai come arrivarci?»
«Più o meno.»
Abby sorrise e Irthen notò per la prima volta il brillantino che scintillava sull’incisivo destro.
«Sai cosa ti dico, caro il mio ragazzo? La meta è interessante.»




********
Eccomi eccomi scusate il ritardo! Questa settimana ho scantinato, colpa di Hareth che mi sta drogando con le sue storie (così intanto ti faccio un po' di sana pubblicità XD)!
Capitolino di transizione, spero non sia stato noioso, d'altra parte non posso sempre attentare alla vita di uno dei due, altrimenti mi viene un attacco di angina ;)
Mia cara Socorro, non mi uccidere, - sento l'eco degli accidenti arrivarmi per via di Amina - vedila così: hai avuto un altro capitolo di bonus prima di conoscere Chloé :b
Alla prossima..e vedrò di essere puntuale!
Besos!

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Capitolo 11
*** A casa di Joel ***


I raggi del sole, inclinati sull’orizzonte, donavano al Lago di Nebbia un’affascinante sfumatura dorata. Il Brumo si apriva nella sua foce e l’immensa distesa d’acqua si offriva alla vista del viaggiatore in tutto il suo indiscutibile splendore. Liam trasse un respiro profondo. Nonostante le lunghe ore di viaggio e la posizione scomoda a cui le dimensioni della barca lo obbligavano, si sentiva ancora fresco e riposato. Come avesse dormito dodici ore consecutive. Nemmeno la necessità di tenere testa al silenzioso e tenace attacco dello stregone aveva intaccato le sue energie. Anche perché, a dire il vero, il tentativo di intralciarlo era stato piuttosto debole. Domandandosi per la centesima volta se fosse la distanza, la stanchezza, oppure una scelta tattica a tenere il suo nemico così lontano, puntò verso le luci lontane di Effort. La costa correva rapida alla sua destra, mentre le correnti invisibili lo sospingevano verso la città. Verso Chloé, e verso la barca di cui aveva bisogno per raggiungere Spleen. Sperava ardentemente che Chloé non gli chiedesse di rimandare la partenza all’indomani. Era fin troppo consapevole dell’ascendente che quella dannato donna esercitava su di lui, non sarebbe riuscito ad opporsi, anche perché, lo sapeva, si preoccupava per lui più di quanto non fosse disposta ad ammettere, ma il senso di sfiancante impotenza che la fuga di Irthen aveva suscitato in lui  gli imponeva di agire. Se Irthen intendeva raggiungere il Canyon, la strada più breve lo avrebbe costretto a fiancheggiare il corso del Brumo almeno per tre giorni. Il fatto che non l’avesse incrociato poteva significare molte cose: poteva averci impiegato più del previsto ad attraversare il Deserto Roccioso, oppure molto, molto meno…o poteva aver scelto un’altra direzione.
“Potrebbe aver già fatto una brutta fine, mago” insinuò la solita vocina.
Liam rabbrividì, allontanando l’idea. Il sole rosso si tuffava nell’orizzonte quando giunse in vista del grande porto di Effort. I grandi vascelli puntavano gli alberi possenti verso il cielo di sangue, e Liam non poté fare a meno di ammirarli.
«Benvenuto.»
La voce dell’inserviente al molo numero quattordici lo riscosse. Il mago ripose l’espressione da bimbetto-che-non-ha-mai-visto-nulla, come chiamava Chloé quella faccia da ebete che gli sfuggiva davanti alle navi indecentemente grandi (e non lo diceva certo per fargli un complimento, era una sua specialità utilizzare locuzioni carine per farlo sentire un completo idiota), e volse lo sguardo all’uomo. Sbarcò, scaricò Baio – che se n’era stato buono buono tutto il giorno, fiducioso nelle doti magiche del suo cavaliere – e pagò l’uomo perché ormeggiasse il suo mezzo. Poi non perse altro tempo: si diresse vero il quartiere Sud-Est, quello in cui risiedevano artigiani, commercianti, armatori, e tutti coloro che conducevano affari nella zona del porto. Conosceva bene Effort. Da quando Joel, quattro anni prima, si era trasferito, gli aveva fatto spesso visita, non si era mai lasciato sfuggire l’occasione di soggiornare almeno una notte a casa sua. Imboccò il viottolo che aggirava il mercato del pesce, trascinando un recalcitante Baio per le redini e tenendo una mano stretta all’impugnatura della spada. Evitò la conceria di Bob, dopo che aveva scaricato sua figlia in malo modo era meglio non farsi vedere, passò veloce davanti all’osteria che faceva angolo con la strada principale. Gli schiamazzi e la puzza di fumo rancido gli fecero storcere il naso. In altri momenti si sarebbe concesso un goccio, ma non poteva permetterselo, non quel giorno.
«Toh, guarda! L’amico di Clo!»
Liam si voltò verso l’ingresso del locale. Contro allo stipite stava appoggiata una donna con il grembiule ocra da cameriera. Il mago si maledisse.
«Roxanne» salutò senza entusiasmo.
La donna assottigliò gli occhi con aria critica. Poi si staccò dallo stipite e gli si avvicinò. Spostò il peso sulla gamba sinistra e si attorcigliò una ciocca di capelli all’indice.
«Non ti fermi più a salutarmi, mago?» domandò.
Liam rabbrividì, domandandosi quanto dovesse essere stato disperato per portarsi a letto una racchia del genere. Aveva passato abbondantemente i quaranta e si atteggiava a ragazzina. Deglutì.
«Purtroppo, mia bella amica, oggi sono un po’ troppo di fretta…» disse, cercando di assumere un’aria distaccata.
Diavolo, perché portava una camicia così scollata?!
Roxanne batté i piede e gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo.
«Certo! Occupato con la tua bionda!» sbottò prima di mandarlo a quel paese e tornare al lavoro.
Liam fissò per qualche secondo inebetito la porta in cui la donna era scomparsa e si grattò la testa.
«Perché, Baio, non so tenermi stretti i pantaloni?» piagnucolò allontanandosi mesto.
Svoltò l’angolo, attraversò la principale e si addentrò nell’ombra di un’altra viuzza dall’aspetto poco rassicurante, ed emerse in una bella piazzetta rettangolare. Puntò deciso verso una porta di legno consumato e saltò con un balzo i due gradini di pietra che le stavano davanti. Prese un bel respiro e picchiò con il battente sul legno. Immediatamente udì dei passi leggeri avvicinarsi, e la porta fu scostata.
«Oh! Signore, non ti aspettavamo!» squittì una vocina.
Liam sorrise e la giovane cameriera arrossì violentemente.
«Lo so, Theresa, infatti sono un po’ di fretta. C’è qualcuno in casa? Oltre a te, s’intende…»
La ragazza arrossì ancora di più, e Liam si fece un po’ schifo. Non ci poteva fare nulla, davanti ad una donna gli usciva quel tono basso e accattivante, che in una frazione di secondo la riduceva a gattina miagolanti. Non se ne rendeva nemmeno conto nella maggioranza dei casi, se non dopo che la sua interlocutrice prendeva a fare le fusa. E pensare che quella nemmeno gli piaceva…si passò una mano sul viso. Theresa sgranò gli occhioni e farfugliò:
«Forse il signore non si sente bene?»
Liam sentì i nervi tendersi nel desiderio di prenderla a calci. Sempre la stessa storia: quando aveva tutto il tempo del mondo nessuno lo considerava, quando aveva una fretta disperata sembrava che ogni essere vivente desiderasse fare conversazione con lui.
«Sto benissimo, Theresa. Dunque?»
Theresa batté le ciglia, senza capire, poi sembrò svegliarsi dall’ipnosi, arrossì di nuovo e mormorò:
«Il padrone non è ancora rientrato dal lavoro, e la signorina è uscita poco fa e…e…»
Gli occhi della ragazza si persero a fissare qualcosa dietro alle spalle di Liam.
«…e?» incalzò esasperato.
«La signorina è tornata, Terry. Sistema Baio, all’ospite penso io.»
La voce tagliente indusse il mago a voltarsi con un immenso sorriso stampato in faccia. Chloé lo osservava accigliata mentre con una mano accarezzava il muso di Baio. Theresa si affrettò ad eseguire gli ordini e la padrona di casa invitò Liam a precederla in salotto.
Il mago si accomodò su una panca imbottita di cuscini e si guardò attorno. Quel posto non cambiata mai, a parte per i cuscini: l’amica aveva una vera mania per i cuscini, ne aveva un’infinità, sparsi ovunque, di ogni tipo e colore. Chloé scomparve in cucina e riapparve pochi minuti dopo con due bicchieri pieni di un liquido rossastro. Ne mise uno in mano a Liam e si accomodò sulla poltrona di vimini di fronte a lui. Il mago assaggiò e storse il naso.
«Cos’è questa roba, bionda?»
«Karkadè, tesoro. Non mi dirai che non ti piace» rispose accavallando le gambe.
«Una volta mi offrivi alcolici.»
Chloé si strinse nelle spalle, passandosi le dita tra i lunghi capelli biondo-ramati con aria pensierosa. Liam sbuffò.
«Dai, dillo.»
«Cosa?» domandò la ragazza.
La cameriera ricomparve, gettò un’occhiata timida a Liam e fuggì in cucina.
«Quello che stai pensando» continuò il mago.
Chloé sorrise giocherellando con i capelli e puntò i suoi occhi color cioccolato in quelli di Liam. Si prese il tempo di sorseggiare la sua bevanda.
«Sto pensando che sei incorreggibile. Dovresti smetterla di fare il cascamorto con quella povera ragazza, non lo vedi che la metti in imbarazzo?»
Liam si imbronciò.
«Guarda che io non ho fatto proprio niente» protestò.
«Certo, come no.»
Lo sguardo della ragazza si perse nel suo bicchiere.
«Non mi dirai che sei gelosa, bellezza.»
Le labbra di Chloé si piegarono in un sorrisino ironico.
«Da morire, Liam. Infatti, li vedi quei fiori?» indicò un vado di girasoli, che faceva bella mostra di sé accanto all’ingresso «Me li ha regalati Gustavo, ieri.»
Liam tentò di reprimere una risata, ma non ci riuscì.
«Cosa ci trovi di divertente?»
«Gustavo…che cosa?» farfugliò tra i singhiozzi.
Chloé lo guardò stralunata per un attimo, poi scoppiò a ridere a sua volta.
«Solo tu avresti potuto pensare una cretinata simile!»
«Chi è costui?» domandò il mago.
«Il figlio della fiorista. Ho ballato con lui, l’altra sera, e ora dice di volermi sposare…» sospirò.
«Della fiorista? Allora non si è applicato tanto per pensare a cosa regalarti» la fissò sospettoso «Non ne sembri molto lieta» osservò.
«Se tu l’avessi visto capiresti, Li’…è indescrivibilmente brutto, e non ha un minimo di senso dell’umorismo.»
«È ricco almeno?»
Chloé scosse il capo sconsolata. Liam ghignò divertito.
«Allora perché ci hai ballato? Eri ubriaca?»
«Ubriaca? No…solo un po’ alticcia.»
Liam riprese a ridere e la ragazza lo colpì con un cuscino.
«Attenta! Mi rovesci il ciarpatè!» protestò.
«Karkadè, ignorante, e tanto non ti piace!»
Sospirò.
«Che cosa ti porta qui, Liam? Non dovevi andare ad Est?»
«Già…» mormorò il mago.
«Hai un aspetto terribile, tesoro. È successo qualcosa?»
«Sono nei guai fin sopra ai capelli.»
«Con “fin sopra i capelli” includi tutta la lunghezza?»
«Assolutamente si.»
«Allora è grave. Dimmi tutto, Li’.»
La bionda si sporse in avanti puntellandosi con i gomiti sulle ginocchia.
«Quello sciocco di Irthen ha approfittato della mia assenza per farsi una bella gita al Canyon. Tu…ricordi che cosa si cela nel Canyon, vero?»
Chloé annuì socchiudendo gli occhi.
«Quando Amina ha scoperto la sua assenza mi ha richiamato, così ho scoperto che non è affatto nipote di Hamil e che è a Pothien per sorvegliarmi per conto di Ruben. Sono partito all’inseguimento, ma c’è un maledettissimo stregone che continua a mettermi i bastoni fra le ruote. Perciò sono costretto a spostarmi via acqua. Cos’altro? Ah, sì, sono stato aggredito nel sonno da un mago-bambino inquietante e mi sono fatto umiliare in duello da Alec del Fuoco.»
Chloé si massaggiò la fronte.
«Quindi vorresti in prestito la barca di mio padre per attraversare il Lago, ho capito bene?»
Liam annuì, domandandosi come avesse potuto non battere ciglio davanti a quella situazione ingrata. Nervi d’acciaio, sempre sostenuto.
«D’accordo, amico, ma ricorda che Joel mi ucciderà per davvero questa volta…»
Liam la guardò di sottecchi.
«Potrebbe avere presto qualcosa di più importante di cui occuparsi» mormorò.
La ragazza spalancò gli occhi nocciola.
«Sta per iniziare?» domandò in un sussurro.
«Credo che ormai siamo agli sgoccioli.»
Il mago trasse un lungo sospiro.
«Chloé, tu sei la mia migliore amica, mi sei sempre stata accanto, come una coscienza insopprimibile…»
«Come una zecca» lo corresse lei.
«Appunto. Più o meno è la stessa cosa. Tu sei l’unica persona che possa dire di conoscermi veramente. E io sto per chiederti una cosa schifosamente egoista, sbagliata e pericolosa…»
La bionda gli lanciò una peculiare occhiata maliziosa.
«Non tergiversare. Vuoi che combatta con te, Liam dell’Acqua?»
Liam sorrise a sua volta.
«Non mi sentirei al sicuro senza il tuo arco a coprirmi le spalle, bellezza.»
Chloé si raddrizzò e tornò a posare la schiena contro allo schienale della poltrona.
«Come sei ingenuo, Li’…avevo già deciso di farlo.»
Posò il bicchiere e si alzò. Liam la guardò affascinato per qualche momento, ammirando le innati doti di seduttrice dell’amica. Si domandò per la miliardesima volta se fossero troppo uguali per innamorarsi sul serio l’uno dell’altra e si rispose immediatamente: innamorarsi di una zecca sarebbe da folli! Scosse il capo divertito e la seguì.
«Devo partire al più presto, Clo.»
La ragazza lo ignorò e aprì la porta della stanza degli ospiti – della stanza di Liam, per meglio dire.
«Mi stai ascoltando, bionda?»
«Io ti ascolto sempre, mago presuntuoso, solo che a volte non ritengo necessario risponderti. Infatti, se mi conosci – e mi conosci – avrai messo in conto che non ti lascerei mai partire in piena notte sapendo che hai uno stregone alle calcagna. Perciò ora fila in camera, datti una sistemata, lavati, raditi, fai quello che ti tira, ma tra mezz’ora a tavola.»
Liam fece per ribattere, ma lo sguardo risoluto di Chloé lo piegò ancora una volta. Borbottando imprecazioni entrò nella stanza e si richiuse la porta alle spalle.
 
Come previsto, il buon Joel non si era dimostrato particolarmente lieto di dover prestare la sua bella barca a “quel disgraziato di un mago”, ma non si oppose. Infondo, non era certo senza cuore, non avrebbe mai messo a repentaglio la vita di Irthen per quattro pezzi di legno e un po’ di tela.
Dopo cena, Liam si ritirò contrariato. Fissava già da un po’ in proprio riflesso sul vetro della finestra, e ogni tanto sospirava. Se non altro aveva recuperato il pizzetto.
Due colpi lievi alla porta lo fecero trasalire.
«Avanti» disse senza staccare gli occhi dal riflesso.
Vide la porta socchiudersi e la testa di Chloé fare capolino.
«Disturbo?» mormorò.
Liam sorrise e si volse verso di lei.
«Vuoi scherzare.»
La ragazza entrò e richiuse la porta alle proprie spalle. Indossava già la camicia da notte e portava i capelli legati in una treccia che le cadeva sulla spalla sinistra. Si stringeva nelle braccia, come chi ha freddo.
«Ti senti bene, Clo? Qualcosa non va?» domandò il mago avvicinandosi.
«S-si, io…» lo guardò con gli occhi velati di lacrime e deglutì.
Liam esitò. In una frazione di secondo ripercorse i venticinque anni di amicizia che lo legavano a Chloé e si rese conto che le ultime lacrime che le aveva visto versare risalivano alla morte di sua madre. Decisamente ad una simile situazione non era preparato.
«Clo, che cosa-»
«Scusa, Li’» lo interruppe. «Io…credo di avere un po’ paura.»
«P-paura?» balbettò il mago.
Chloé tirò su con il naso e ridacchiò.
«Non si va in guerra tutti i giorni, sai?»
Liam si lasciò scappare un sorriso triste. Le aveva chiesto di rischiare la vita, avrebbe dovuto sentirsi come minimo in colpa, ma non ci riusciva. La verità era che sapere di avere l’appoggio della sua coscienza gli era vitale.
«Mi dispiace, Clo…mi dispiace tanto» sussurrò abbracciandola.
La ragazza si lasciò stringere e soffocò un singhiozzo.
«Non ti farai ammazzare, vero, Li’?»
«Che fai, bellezza, me la tiri?!»
Chloé rise.
Per qualche minuto gli unici suoni ad accarezzare il silenzio furono i sospiri della ragazza e il respiro lento e profondo del mago.
«Posso restare qui, stanotte?» domandò alla fine Chloé, liberandosi dalle braccia di Liam.
Il mago evitò il suo sguardo.
«Non si può, Clo. Già tuo padre non mi sopporta così…immaginati se venisse a sapere che hai passato la notte con me. Magari ti sfugge, ma non godo di un’ottima fama.»
«Povero Joel, è segretamente convinto che prima o poi gli chiederai di sposarmi.»
Liam sgranò gli occhi.
«Cosa?! Io…sposare te?!»
Chloé rise.
«Assurdo, lo so.»
«E poi, non lo sa che sua figlia è una poco di buono?»
Chloé gli diede un pugno amichevole alla spalla.
«Che gentile! Beh, se tanto sono una poco di buono, posso dormire qui.»
Lo aggirò e si infilò sotto alle coperte. Liam scosse il capo sconsolato. Guardò bieco la ragazza accoccolata sul fianco e ringraziò per lo meno di aver avuto in dono un pigiama da Joel.
“Avresti mai detto di temere una donna, Liam?” mormorò la dannata vocina.
“Lei non è una donna, è la mia zecca” rispose.
“Certo, bello, certo”.
Sbuffando si cambiò velocemente e si infilò al calduccio accanto a Chloé.
«Ricordi, Li’, quando tuo padre ci portava nei boschi?»
Intrecciò le dita nei capelli di Liam.
«Certo, come potrei dimenticarlo?»
«E ricordi che avevo paura del buio?»
Liam la guardò storto.
«Tu non avevi paura del buio…io ne avevo, e tu approfittavi per spaventarmi.»
La ragazza rise.
«Ero così stronza?»
Liam annuì convinto.
Lei gli si avvicinò e gli posò la testa sul petto, le gambe intrecciate a quelle del mago. Liam si sentì invadere i sensi da quel profumo di fiori di campo che l’amica da sempre si portava appresso e boccheggiò.
«Clo, io…io credo che sarebbe meglio se tu ti allontanassi di un paio di spanne…» sussurrò.
«Perché? Quando dormivamo nei boschi potevo farlo.»
Iniziava a biascicare le parole, si stava addormentando.
«Lo so, ma vent’anni fa avevo giusto qualche ormone in meno in circolo…» frignò il mago.
Il respiro di Chloé si fece regolare. Si era addormentata. Liam imprecò tra sé e sé.
“Una zecca, Liam” si ripeté, come un mantra, cercando di prendere sonno.





*******************
Eddaaaaaaai lo so che questo capitolo è il più inutile ai fini della trama che io abbia mai scritto, ma suvvia..mi sono divertitra troppo XD Tutti gli insulti del caso destinateli pure a me, Liam non ha colpe, lui si è opposto ma io gli ho risposto che l'audience era più importante dei suoi - falsissimi, per altro - scrupoli di coscienza! Detto ciò, fatemi sapere cosa ne pensate della mia amica Chloé (io la adoro, tenetelo prersente per avere salva la vita :b)!
Ragazzi, non è per mendicare recensioni, ma vedo che l'ultimo capitolo ce lo siamo visitati in 16..voglio ragionevolmente pensare che qualcuno l'abbia pure aperto e si sia reso conto che non gli interessava (sono pessimista, diciamo la metà?)..restano comunque 8 persone, più o meno..considerando che di queste presunte 8 ho sentito il parere di 3....ragazzi non mangio nessuno :) Se qualcuno avesse qualche dubbio, osservazione, anche insulto va bene, mi dica pure, che mi è solo utile!
Intanto vi auguro buona domenica!
Bacioni, Cat :)

Liam: -Ehi, Cathy, ma devi proprio pubblicare di domenica mattina? Cioè..hai sette giorni, perché mi devo alzare all'alba anche oggi??-
Cathy : -Scusa, Li', hai ragione..devo smettere di farmi del male..-
Liam ciondola la testa a destra e a sinistra fissando con l'occhio fisso la tazza di tè..

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Capitolo 12
*** "Cambio vita di nuovo, oggi!" ***


Il molo che ospitava la barca di Joel era deserto nelle prime luci dell’alba. Chloé si avvolgeva stretta in uno scialle di lana per proteggersi dall’umidità del mattino. Liam caricò Baio e le provviste che il buon macellaio gli aveva fatto preparare. Poi fece scivolare lo sguardo sull’orizzonte piatto, e non riuscì a scorgere la sponda meridionale del Lago.
«Ho la sensazione che il nostro prossimo incontro non sarà così piacevole» sospirò la ragazza mentre il mago scendeva dal ponticello della barca di suo padre.
Liam la scrutò con i suoi occhi di ebano in modalità “rimprovero”.
«Certo, piacevole. È stato davvero piacevole dormire da cani perché la figlia del padrone di casa decide di mettere alla prova il tuo autocontrollo, notoriamente instabile» sbottò.
«Scusa, non pensavo fossi messo così male» disse con aria innocente, ma bruciando immediatamente l’effetto facendogli una linguaccia.
Il mago le cinse la vita e le scoccò un bacio sulla fronte.
«Sai, bellezza, sei rimasta la stessa stronza che eri da bambina» Chloé rise «Ma sarei morto, senza di te» concluse.
«Si, lo credo anch’io» rispose liberandosi dal suo abbraccio.
Sciolse la cima e attese che l’amico salisse a bordo, poi gli lanciò la corda.
«In bocca al lupo, Li’» gli gridò, mentre le correnti amiche trascinavano il mago al largo.
 
Il sole non era ancora sorto quando Abby svegliò Irthen e lo spronò ad alzarsi. Si prepararono velocemente e si rimisero in viaggio. La ragazza aveva ritrovato un briciolo di buon umore con la scomparsa della febbre. Volle sapere tutto del viaggio di Irthen e di Ged, delle indicazioni che gli aveva dato, e anche di quelle che non gli aveva dato.
«Come fai a conoscere la storia della Cascata, Abby?»
Quella si strinse nelle spalle.
«È una storia conosciuta. Viaggio molto, ne ho sentite di ogni genere. Ti assicuro che questa non è la più incredibile! Piuttosto, come mai un bravo omino come te dovrebbe voler diventare uno stregone?»
Irthen non rispose.
«Ehi? Ci sei?» insistette.
«Ci sto pensando, Abby, ma non trovo le parole giuste per spiegartelo. Vorrei…vorrei poter intervenire sulla realtà per renderla perfetta. Vorrei che mio fratello non fosse obbligato a viaggiare continuamente per mantenerci, e che le persone che amo non debbano soffrire. E poi vorrei che la gente di Pothien mi considerasse semplicemente Irthen, non “il fratellino di Liam”, o peggio ancora “l’orfano di Thorla”. Lo so che è da pazzi, ma…» sospirò e lasciò cadere la frase.
Abby volse il capo verso di lui e sorrise.
«Si, è da pazzi, ma sarebbe un buon utilizzo dei poteri. Sei un idealista, Ir.»
Irthen rise.
«A te non alletta l’idea di diventare stregone?»
Abby ci pensò su un po’, infine disse:
«Io non sono una brava persona come te. Sarebbe sconsigliabile.»
«Non è una risposta.»
Abby gli concesse un sorriso storto.
«Vero. Allora diciamo che mi alletterebbe, sì?»
«Sei davvero strana» disse Irthen.
Il primo sole scintillava sulle acque placide del Brumo, ed era uno spettacolo da togliere il respiro.
«Quindi, se ho capito bene, ora andiamo giù fino alla foce e poi a Sud verso la piana di Thann, sì?»
«Sì» confermò il ragazzo. «Quanto credi che ci vorrà a raggiungere la foce?»
Abby aggrottò la fronte.
«Con un cavallo qualunque ci vorrebbero almeno tre giorni, ma con Luce…diciamo che entro il tramonto di domani dovremmo essere in vista del Lago.»
«Com’è possibile?!» domandò Irthen sbalordito.
«Questo splendore è uno dei pochi esemplari rimasti di una razza quasi estinta, che aveva il pregio di essere molto veloce ed estremamente resistente» sorrise affettuosamente accarezzando il muso candido del cavallo. «Che dici, Luce, gli facciamo vedere di cosa sei capace?»
Luce nitrì e si lanciò al galoppo attraverso i campi coltivati che costeggiavano il fiume. Abby ululò di gioia e Irthen fu obbligato a tenersi stretto alla vita della ragazza per non essere sbalzato. Quella sì che era velocità! Altroché Fulmine! Per la prima volta ringraziò sinceramente gli Dei di aver messo quella strana ragazza sul suo cammino, e, con gli occhi che lacrimavano per l’aria tagliente, si sentì leggero come una piuma, come non gli succedeva da tanto tempo.
«Ehm, Abby» le gridò nell’orecchio.
«Dimmi, tesoro.»
«Ho dimenticato di dirti che non ho soldi!» disse.
Abby rise.
«Parliamone stasera, sì? Ora non sento un accidente» gridò in risposta.
Irthen scosse il capo divertito e decise di godersi il viaggio.
 
Il grande Lago di Nebbia si allargava intorno a lui a perdita d’occhio. Respirando lentamente l’aria satura di umidità, Liam giurò a sé stesso che un giorno avrebbe visto il mare. L’immensità, la brezza salmastra, il profumo delle alghe che si seccano sotto il sole sul bagnasciuga se li sognava la notte, fin da quando aveva acquisito il potere dell’acqua. Il viscerale desiderio di darsi completamente a quella vastità infinita non poteva essere represso per sempre.
“Recupero Ir, e prima che scoppi la guerra lo porto al mare” si disse con un sorriso.
“…e là, lo anneghi, quel malnato” aggiunse la vocina acida.
Controllò scrupolosamente che Baio fosse legato bene. Era stato costretto a coprirgli gli occhi per evitare che durante la lunga traversata si facesse prendere dal panico, e si sentiva in colpa, anche se sapeva di non averlo potuto evitare: se si fosse ferito o se fosse annegato, non avrebbe dovuto piangere solo un buon amico, ma anche un fratello che non sarebbe riuscito a salvare.
Il vento rinforzava. Affrettandosi a dare agio alla piccola vela, incitò le correnti. Improvvisamente, un’onda che aveva poco di naturale si infranse con violenza sulla murata di dritta, facendo ondeggiare la barca furiosamente, tra i nitriti spaventati del cavallo, obbligando il mago a reggersi ai bordi.
«Dannazione» mormorò.
Forzò la sua volontà nella direzione della corrente ostile, spingendo le acque amiche a contrastarla. La magia estranea oppose resistenza. Stringendo il legno fino a far sbiancare le nocche, Liam trasse a sé tutta l’energia a sua disposizione. L’acqua ribollì sotto alla barca di Joel, e Baio nitrì ancora più forte. Liam sentì scivolare una goccia di sudore lungo il collo. Improvvisamente com’era comparsa, l’interferenza scomparve e la barca schizzò il avanti, spinta dalla magia del mago, che si sedette prendendo un respiro profondo.
«Porca miseria, Baio» mormorò «Un altro attacco così e ci toccherà andare a nuoto.»
 
Amina si volse indietro e prese un bel respiro. Eccoli lì: quattro – quasi – anni della sua inutile vita archiviati. Badare alla vecchia Hamil le aveva tenuto la mente sufficientemente occupata da non riflettere sulle sue ultime, infelici, scelte di vita. Il Consiglio di Effort era stato la sua rovina. Più ci pensava, più se ne convinceva. Se fosse stata presente anche lei, allora forse…inutile piangere sul latte versato. Ad Effort lei non c’era, era confinata in campagna a riprendersi da una brutta bronchite, e non aveva avuto voce in capitolo. Erano passati cinque lunghi anni da allora, ma ricordava ancora molto bene il giorno in cui Alec era tornato da lei.
“Mina” aveva detto, dopo aver riassunto i termini della controversia “Micael ci vuole con sé”.
Amina aveva sgranato gli occhi.
“Mi-micael?” aveva balbettato.
Suo marito l’aveva abbracciata stretta. Le sembrava di poter respirare ancora il suo profumo speziato, guastato appena dalla polvere del viaggio.
“Ma…ma, Alec…Micael vuole estinguerli” aveva mormorato confusa.
“Immagina, amore: un mondo lontano dai pericoli e dalle guerre, libero da quei mostruosi draghi, che non portano altro che sventure”.
Amina aveva sentito il respiro morirle in gola e aveva allontanato Alec da sé.
“Che cosa stai dicendo, Alec? Non ti riconosco”.
Gli occhi neri si erano allargati appena, ma non aveva risposto.
“Che cosa stai dicendo?” aveva ripetuto la maga, mentre le lacrime le rigavano le guance.
“Perché piangi, Mina?” aveva farfugliato suo marito.
“Io sono legata alla Terra, Alec, lo sai, io…non posso nemmeno pensare di contribuire all’estinzione di una specie, sono esseri viventi!”.
L’uomo aveva spalancato la bocca.
“Tu…tu non ti unirai a me?” aveva balbettato incredulo.
Amina aveva scosso il capo lentamente, cercando di assimilare il significato di quella decisione presa di impulso. L’unica decisione possibile. Ed ecco, puf!, buttati al vento tre anni e mezzo di felice matrimonio.
Alec se n’era andato con il cuore infranto, e Amina aveva sofferto come un cane. Cinque anni dopo era assolutamente certa di aver scelto di stare dalla parte del giusto, non appoggiando quel guerrafondaio di Micael, ma c’era una parte di lei che rimpiangeva quel momento in cui aveva lasciato che suo marito prendesse la sua strada. Una strada che lei non aveva potuto seguire.
Si asciugò le lacrime con il palmo della mano e sospirò. Ora che Hamil era morta, che Irthen se n’era andato e Liam aveva scoperto la sua identità, nemmeno a Pothien c’era più nulla per lei. Era giunta l’ora di tornare a Natìm, alla base operativa di Ruben.
Volse le spalle alla porta di legno della cittadina. Non aveva una cavalcatura, ci avrebbe messo un secolo se Aqua non si fosse offerta di passare a recuperarla con il suo carretto. Guardò il sole. L’amica era in ritardo, come sempre. Si domandò che effetto le avrebbe fatto rivederla dopo quasi quattro anni e sorrise tristemente. Da Sud, la Terra portava la vibrazione di zoccoli e ruote.
Il sorriso di Aqua sembrava uscire da un passato lontano. Un passato in cui era una ragazzina di Madian, e, come Amina, non sapeva come fare per imparare a governare i poteri. Amina era più vecchia di sei anni, e aveva cercato di farle da maestra, ma i loro elementi erano troppo diversi. E poi, come sempre, ognuno è il miglior maestro di sé stesso. Ma i tempi erano cambiati, erano cresciute, e si erano entrambe schierate con Ruben. Aqua la abbracciò stretta e la invitò a salire sul carro.
La campagna prese a correre al suo fianco, e Amina non poteva fare a meno di pensare che solo pochi giorni prima Irthen aveva attraversato quello stesso paesaggio. A che cosa pensava? Che cosa gli era saltato in mente, quando aveva deciso di partire? E Liam? Era furioso, e ne aveva buoni motivi. Suo fratello era scappato, rischiava la vita, e lei gli aveva mentito per quasi quattro anni. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la sfuriata del mago a casa di Ged.
«Suvvia, Mina, non fare quel musetto triste, mi si spezza il cuore!»
Amina staccò gli occhi dai campi e li fissò su Aqua. I lunghissimi capelli scuri le ondeggiavano ai lati del viso sottile, facendola sembrare ancora più esile. Gli occhi di quel grigio scuro, screziato di castano, la scrutavano con apprensione. Non rispose. La ragazza atteggiò la boccuccia dalle labbra sottili a broncio.
«Hai ventun’anni, non credi di essere un po’ troppo cresciuta per fare i capricci?» disse con un sorriso forzato.
Riportando gli occhi al cavallo che trainava il suo carro e alla strada, Aqua sorrise. Poi la sua espressione tornò imperscrutabile ed enigmatica come di consueto.
«Non sono abituata a vederti così giù di corda, tutto qui. Di solito sono io quella negativa. Tu sei solare, allegra, ottimista. La “Mina triste” non l’avevo mai incontrata» sospirò. «Ti stanno bene quelle treccine.»
Amina aggrottò la fronte.
«Le trecce…le avevo dimenticate.»
Armeggiò con i nastri e sciolse i capelli, tentando di pettinarli con le dita. Aqua le lanciò un’occhiata di disappunto.
«Cambio vita di nuovo, oggi!» spiegò tendendo il collo verso i raggi del sole.
«Ti senti bene?»
Amina la guardò storto.
«Vuoi qualcosa? Ho una borraccia d’acqua, da qualche parte…e in quella borsa c’è del pane.»
«Sto bene così, grazie» rispose.
«Sicura? Sembri dimagrita, Mina, e non è che tu fossi un armadio prima» obiettò Aqua.
Amina sospirò.
«Smettetela di trattarmi come se fossi fatta di vetro soffiato, non sono così fragile!»
Aqua non rispose e non staccò lo sguardo dalle mura della cittadina che si profilava all’orizzonte.
«E quando giungeremo a Natìm, che cosa ne sarà di me? Ruben sarà furioso, se non avessi permesso ad Irthen di fuggire, ora non saremmo in questa situazione.»
Rabbrividì e si rimproverò mentalmente per aver dissipato ogni possibile dubbio circa la suddetta fragilità. La verità era che Aqua la conosceva troppo bene. Infatti, quella lasciò andare le redini e posò una mano su quella dell’amica.
«La tua copertura non ti permetteva di intervenire in modo più diretto, Mina. Hai fatto quello che dovevi. Il Maestro è preoccupato, ma non arrabbiato. Anche perché Liam ha seguito i suggerimenti di Stan e  ha preso la vecchia Via Carovaniera e dovrebbe riuscire ad intercettare il tuo amico giungendo da Nord. Ne avrebbe tutto il tempo. Debrina mi sta sostituendo nella sorveglianza dell’amica del mago, quella di Effort, quindi nemmeno lei correrà il pericolo di venir avvicinata da Micael o dagli stregoni.»
Amina annuì. Dopotutto, sembrava che la situazione fosse sotto controllo.
«E se Liam non riuscisse a fermarlo?»
Aqua si strinse nelle spalle.
«Se tutto andrà per il verso giusto, avremo presto uno stregone adolescente e influenzabile ad ingrassare le nostre schiere. Se invece la presenza che ostacola il mago avesse dei progetti per il ragazzino…»
«…non ci resta che pregare, insomma» concluse Amina, sprofondando di nuovo nella malinconia.
Restarono in silenzio a lungo, mentre Aqua aggirava Ca’ del Fosso e riportava il carro sulla via principale.
«Quindi, una volta a Pontefosso raccoglieremo Stan?»
La ragazza annuì.
«E poi?»
La vocina dolce e innocente di Aqua fece venire i brividi ad Amina, perché sapeva bene che celava un animo tutt’altro che pacifico. E più la voce diventava infantile, più i pensieri di Aqua diventavano pericolosi.
«Poi, prenderemo la Carovaniera e raggiungeremo il Maestro a Natìm. E per strada speriamo di incontrare qualcuno da massacrare, perché la prolungata inattività mi sta uccidendo.»
“Appunto”, pensò Amina. L’aria da scolaretta non era mai preludio a belle cose.
Che strano, però. Aqua e Liam governavano lo stesso elemento, ma non si somigliavano affatto. Forse perché l’Acqua non è mai uguale a sé stessa.
Liam era un tipo impulsivo e collerico, non c’era spazio per sfumature, in lui. Saltava da uno stato d’animo all’altro con l’agilità di una cavalletta. Era Acqua impetuosa, come quella di un torrente di montagna o di una cascata. Ti strattonava e ti trascinava via, mandandoti a sbattere qua e là tra le rocce affilate che celava tra la spuma.
Aqua, al contrario, era imperturbabile ed imperscrutabile. Sembrava sempre tranquilla, perfettamente dominata e controllata, ma dietro a quell’aspetto di placida e rassicurante serenità si celava un animo pericoloso. Aqua era come l’oceano più profondo: nel suo blu perfetto lo sventurato si avventura fiducioso, e le sue correnti mortali lo trascinano nell’abisso.
Amina sorrise del proprio ragionamento. Concluse che la differenza si leggeva negli occhi: profondi e immobili quelli della ragazza, laghi di fuoco quelli di Liam. Era molto che non le capitava l’occasione di fare filosofia. Non si rese conto del divertimento con cui la osservava la sua compagna fino a quando questa non cominciò a ridere.
«Che c’è?!» sbottò.
«Deve essere vero quello che si dice sul fascino di Liam, se è riuscito a soggiogare anche te, Mina.»
Amina arrossì.
«Ma che cosa vai farneticando, ragazzina ficcanaso! Quello è solo un donnaiolo, non penserai che io sia suscettibile a quel fascino!» si difese.
Aqua annuì e riprese a ridere. Amina cercò di mettere il broncio, poi scoppiò a ridere a sua volta.
«Beh, è innegabilmente bello. Ha quegli occhi che scottano, e il naso diritto, gli zigomi alti…le spalle…insomma, riconosciamoglielo!»
Aqua scosse il capo lentamente.
«Sai che gli uomini, per quanto affascinanti, non mi tentano, Mina.»
«Però non te ne vai in giro con gli occhi bendati, no? E comunque, meglio per te se non ti tenta. Di certo, Liam non è la persona giusta per ricominciare…»
Si incupì improvvisamente, ripensando ad Alec. Aqua comprese e sospirò.
«Può darsi, ma di certo un po’ della sua sana compagnia non ti farebbe male.»
Scoccò un’occhiata maliziosa all’amica, che arrossì di nuovo e riprese a ridere.
«Non mi tentare, Aqua, non mi tentare, che mi tento già a sufficienza da me!»
 
Le onde alte trascinavano la barca di Joel qua e là come una foglia secca. Aggrappato alla sponda, Liam tentava inutilmente di acquietare le acque che il vento – contrario, neanche a dirlo – sconvolgeva con tutta la sua violenza. Dopo altri due, pesanti attacchi, il suo nemico invisibile aveva capito che, stregone o no, Liam nel suo elemento era più potente. Così, dopo una tregua di qualche ora, era tornato all’attacco sfruttando l’aria, sulla quale il mago non aveva potere alcuno. Liam era stato costretto ad ammainare la vela, e da ore combatteva per avere salvi il mezzo di trasporto e la vita di Baio. Ma cominciava ad essere stanco. Nonostante l’umidità rigenerasse le sue energie, quell’attacco, ormai, si protraeva con troppa insistenza da troppo tempo. Gli avrebbe fatto davvero comodo l’aiuto di Lukas.
Guardò l’orizzonte con trepidazione: si scorgeva appena il profilo della sponda Sud. Stava perdendo troppo tempo, l’unica possibilità che aveva di riguadagnarlo era di viaggiare anche durante la notte, fiducioso che anche gli stregoni avessero bisogno di qualche ora di sonno. In realtà non sapeva se avessero bisogno di dormire, di consumare pasti regolari. Si diceva che potessero trasfigurarsi in qualunque essere vivente, ma lui non ci credeva. Se fosse stato vero, il loro potere sarebbe stato pressoché illimitato, e Liam era certo che gli Dei non l’avrebbero permesso. Prese un bel respiro. Le goccioline invisibili gli scesero lungo la gola, trasferendogli nuove energie. Si oppose con più vigore alle onde e, insieme, spinse la barca verso Sud.





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Buondì, ragazzuoli!
Aggiorno con un giorno d'anticipo per vari motivi, primo dei quali Hareth che mi mette pressione (cara lei XD) e Socorro che si è coalizzata con Liam per dormire di più la domenica mattina :)
Beh, questo è il prodotto dell'ultima settimana, spero valesse la pena di aspettare :) Baci ragàs!

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Capitolo 13
*** Caleb ***


Il cielo coperto non impediva a Liam di orientarsi con sicurezza. Con o senza stelle, nell’acqua sapeva sempre perfettamente dove si trovava e che direzione prendere per raggiungere la meta. Con il tramonto del sole, anche l’interferenza dello stregone era scomparsa, permettendogli di procedere più spedito. Fissò lo sguardo, stringendo gli occhi, nella traiettoria sulla quale si trovava il porto di Spleen. La sponda non era nulla più che una linea sottile e irregolare, nel buio di una notte senza luna. Valutò che, di quel passo, avrebbe potuto attraccare alle prime luci dell’alba.
«Come va lì sotto, amico?» domandò dando un buffetto sul fianco del cavallo incappucciato.
Facendo i conti sulle dita, calcolò che Irthen era in viaggio da sette giorni. Non poteva aver portato con sé abbastanza cibo da sopravvivere per tutto quel tempo, e decisamente non era un ottimo cacciatore. “Non ha avuto Thorla, come maestro”, pensò con amarezza. Il punto era: come faceva a sopravvivere? Doveva pur aver trovato qualcosa da mangiare, magari era qualcun altro a procurarglielo…oppure era morto. I morti non mangiano. No, non era morto. Se fosse morto, lo stregone avrebbe smesso di intralciare Liam, e poi, con tutte le spie che Ruben aveva disseminato per la Terra del Tuoni, Amina l’avrebbe saputo e l’avrebbe avvertito.
Amina. Non aveva pensato molto a lei, dopo essersi messo all’inseguimento di Irthen. Aveva avuto tutta l’intenzione di vendicarsi su di lei per le menzogne che gli aveva rifilato in quel tre anni e mezzo – e pensare che si era sempre imposto di essere cortese! –, ma quando l’aveva guardata negli occhi non era stato capace di farle del male.
«Che gentiluomo, Liam» disse tra sé e sé appoggiandosi di peso all’albero.
Sì, un po’ di sana paura non le avrebbe fatto male, ma, tutto sommato, era stata capace di farsi perdonare: l’aveva prontamente richiamato a Pothien, e aveva pure avvisato Konstantin del suo arrivo imminente a Pontefosso.
«Ma sì, è stata brava» continuò. «E poi, Baio, non hai visto i suoi occhi…era preoccupata sul serio, quella spia!»
Sospirò.
«Forse aveva solo paura della reazione di Ruben alla scoperta della fuga di Ir, e io la sto sopravvalutando. Però…»
Il ricordo dei suoi occhi, con quelle iridi castane variegate di verde, che aveva sempre giudicato troppo penetranti, lo fece rabbrividire.
«Meno male che non ci ho provato anche con lei, Baio. Ed è strano da parte mia non averlo fatto, considerato quanto è carina» concluse.
Sopraffatto dalla stanchezza, si lasciò scivolare sulle assi di legno e socchiuse gli occhi. Chissà se nel dormiveglia la magia funzionava allo stesso modo. Meglio non rischiare di provocare un’onda anomala. Si rialzò a fatica e tornò a scrutare il profilo un po’ più nitido di Spleen. Ancora poche ore e avrebbe potuto farsi una bella dormita, in città. No, non avrebbe potuto. Avrebbe dovuto partire subito, direzione Bosco Lossar, aveva già perso anche troppo tempo. Sospirò. Altre venti ore, minuto più, minuto meno, prima di potersi coricare…
 
Irthen si girò sul fianco e socchiuse le palpebre. La luce del sole invadeva prepotente la sua stanza dalla finestra aperta. Gli uccellini cantavano e l’aria profumava di fiori. Il ragazzo si stiracchiò e si alzò. Dopo aver fatto un’abbondante colazione ed essersi vestito di tutto punto, uscì dal palazzo con il suo bel cavallo bianco, con l’intenzione di fare una bella cavalcata rigenerante. La rugiada non aveva ancora abbandonato l’erba e le farfalle volavano da un fiore all’altro, incapaci di decidere quale fosse più bello. Irthen adocchiò un placido laghetto e si disse:
“Sarebbe proprio piacevole stendersi sul prato accanto ad un laghetto simile!”.
Così, smontò da cavallo e lo lasciò pascolare libero, e si sedette nell’erba bagnata, con la schiena poggiata al tronco nodoso di un salice. Nell’aria c’era il profumo della primavera. Chiuse gli occhi e si addormentò.
Una torre si stagliava, alta e minacciosa, al centro della radura. Lui sapeva bene che la sua bella Amanda era rinchiusa proprio in quella prigione, e doveva trovare il modo di liberarla. La matrigna la teneva prigioniera, e l’unica via d’accesso era la finestrella dalla quale la sua bella era solita sporgersi per osservare la vita che le correva attorno. Amanda gettava giù i suoi lunghissimi capelli d’oro, e la matrigna si issava fino alla finestra. Approfittando della sua assenza, un giorno, Irthen aveva convinto la bella ragazza a farlo salire. Infatti, da molto tempo conosceva l’esistenza di quella torre e osservava le abitudini delle sue abitanti. Così si erano innamorati. Ora, lui desiderava salvarla dalla prigionia ma non sapeva – cra! – come fare, perché la torre era molto alta e Amanda non poteva certo calarsi giù da sola – cra! – …
Irthen si svegliò e sbatté le palpebre, stava sognando. Sognando la torre, e anche Amanda. Il laghetto rifletteva i raggi del sole, mandando bagliori ovunque.
Cra!
Irthen abbassò lo sguardo. Accanto a lui stava una rana verde con due occhi immensi, e lo fissava.
«Finalmente ti sei svegliato!»
Aggrottò la fronte. Quella voce la conosceva…
«Abby?!» domandò.
«E chi altri?» sbottò la rana.
«Perché sei diventata una rana?»
La rana sbuffò.
«Che palle, Ir, ti sembra il momento di fare domande cretine? È ovvio! È stato Liam a trasformarmi! Ora muoviti e fammi tornare umana, sì?»
Rinunciando a capirci qualcosa, Irthen sospirò.
«Come faccio a rompere l’incantesimo di Liam?»
«Baciami.»
«Cosa?!» farfugliò. «Vorrai scherzare!»
«Perché? Non lo sai che le rane hanno la lingua lunga?» domandò Abby seria.
«Ma che schifo! Non esiste che io baci una rana, mi dispiace.»
Gli occhi di Abby si ingigantirono a dismisura e saltò in faccia ad Irthen, che cacciò un urlo.
Si svegliò di soprassalto. Impiegò qualche secondo a capire che stava solo sognando, e trasse un sospiro di sollievo. Una risata soffocata, nell’ombra, lo informò che, nonostante fosse molto presto e il sole non fosse ancora sorto, Abby era già sveglia.
«Che hai da ridere?» sbottò, alzandosi a sedere e passandosi una mano sul viso.
«Come mai non volevi darmi un bacino?» domandò Abby sghignazzando.
Il ragazzo sgranò gli occhi e arrossì.
«Parli nel sonno» spiegò lei.
«Eri una rana. E volevi un bacio per tornare umana.»
«Mi hai lasciata rana? Che crudeltà» commentò.
«Tu mi baceresti se fossi un rospo?!»
Abby scoppiò a ridere ancora più forte.
«Oh, Dei, sei così buffo, Irthen! Secondo me non mi avresti baciata nemmeno se fossi stata una principessa!»
Irthen arrossì di nuovo, ma domandò, a metà tra l’offeso e l’ironico:
«Perché? Non sei certo una cozza, Abby, inoltre sei più vecchia di me, e questo mi darebbe un certo tono…»
La ragazza ci mise qualche minuto a riprendersi completamente e si asciugò gli occhi dalle lacrime.
Irthen attese paziente che si ricomponesse. Aveva capito da un pezzo che la sua compagna veniva presa spesso da attacchi del genere, il più delle volte apparentemente ingiustificati.
«Ir, sei così carino! Ma tu l’hai mai baciata una ragazza?»
Il ragazzo la guardò storto.
«Certo, per chi mi hai preso?!»
«Sicuro? Un bacio vero?» insistette.
«La vuoi smettere di prendermi in giro?» sbottò.
«Dai, ti insegno!» disse battendo le mani divertita e sporgendosi verso di lui.
Irthen strisciò indietro gesticolando.
«Per carità, Abby, sei impazzita?»
Quella riprese a ridere e a rotolarsi per terra.
Quando il nuovo attacco di risa incontrollabili scemò, Irthen sorrise e si alzò.
«Di buon umore oggi, eh? Dai, ripartiamo, che di questo passo non arriveremo mai…»
Abby si alzò a sua volta e si spolverò i vestiti. Poi alzò i suoi occhi verdi su quelli del ragazzo.
«Cavoli, ragazzino, stai cercando di dirmi che hai deciso di condurre il gioco? Sta bene! Mi piacciono gli uomini che mostrano di avere carattere! Luce, andiamo! Facciamo colazione più tardi, sì?»
Irthen scosse il capo, convinto che una tipa così non gli avrebbe mai permesso di condurre alcunché. Ma il suo innato spirito da leader tornava a farsi sentire dopo giorni, e questo non poteva non renderlo felice.
 
Appena prima del sorgere del sole, lo stregone attaccò di nuovo. Il vento si fece potente, le onde impetuose minacciavano di mandare in pezzi la barca, che non era fatta per resistere a simili sollecitazioni. Liam pregò con tutte le sue forze che quell’accozzaglia di assi resistesse ancora quel poco che gli bastava per raggiungere il porto, perché, in caso contrario, se anche fosse sopravvissuto sarebbe stata Chloé ad ucciderlo. E l’avrebbe fatto con le sue stesse mani.
I contorni della città si andavano definendo nella nebbia mattutina e le acque ribollivano rispondendo ai suoi comandi, obbedienti. Non fosse stato per quel maledetto vento…
Improvvisamente, poi, ogni manifestazione ostile cessò, e una folata innaturale increspò l’orizzonte. Liam si sentì attraversare da una scarica di adrenalina. La superficie del lago fu turbata da un’ondulazione, che si propagava veloce. Il mago innalzò una barriera attorno alla sua barca, appena in tempo prima che la scia di energia la investisse. Nonostante la protezione, le assi scricchiolarono, e per un lunghissimo secondo Liam credette che sarebbero esplose, nonostante tutto il suo impegno. Mormorò una sfilza di imprecazioni disarticolate sentendo la magia risucchiare le sue forze come una spugna.
Uno stormo di gabbiani che dondolava sul pelo dell’acqua si alzò in volo stridendo, e una nave, poco distante, si sbriciolò tra le grida dell’equipaggio.
L’ondulazione passò oltre. Quando fu certo che fosse sufficientemente lontana, il mago abbassò la barriera, e si affrettò a coprire le poche miglia che lo separavano dalla costa. Aveva riconosciuto la mano che si celava dietro a quell’attacco, la sua peggior paura stava prendendo corpo: Caleb, lo stregone più antico, e decisamente il più potente. Contro di lui nulla poteva un mago venticinquenne, se avesse deciso di mettercisi anche lui ad ostacolare Liam, allora ciao ciao Irthen! Perché se di una cosa era assolutamente certo era che i precedenti attacchi non provenivano da Caleb. E ciò significava che almeno due dei tre stregoni conosciuti si stavano adoperando contro di lui.
 
Attraccò nel porto di Spleen meno di un’ora dopo l’alba, e si affrettò ad attraversare la città, avvolto nel mantello e con il cappuccio calato sugli occhi. Spleen era una città commerciale, una specie di immenso porto, e di gente strana se ne vedeva anche troppa per le strade, soprattutto la mattina presto e la sera tardi. Aveva la sgradevole sensazione che qualcuno lo osservasse, quella sorta di formicolio alla testa che ti avvisa quando c’è qualcosa fuori posto. Baio recalcitava e il mago era obbligato a dargli continui strattoni perché lo seguisse. Evitò il centro e attraversò la periferia più esterna diretto verso la porta Ovest. Di vicolo in vicolo, cercava le zone meno frequentate per potersi muovere più velocemente e per poter evitare che qualcuno lo riconoscesse.
«Toh, guarda Frank! Uno straniero nel nostro vicolo.»
Liam si fermò al gracchiare di quella voce sgradevole e impastata. Due uomini emersero dall’ombra: quello che aveva parlato era largo il doppio di lui e alto la metà, l’altro, Frank, era alto e magro, e impugnava un grosso coltello. Rimpiangendo di non aver rispettato il proposito di esercitarsi nella scherma, sospirò. Scoprì il viso perché il cappuccio non gli limitasse il campo visivo e sfoderò la spada.
«Hai visto, Frankie? Mica male stasera…il nostro nuovo amico vuole combattere. Secondo me pensa di essere più meglio di noi, con quella limetta in mano!»
Liam rabbrividì di fronte all’abominio lessicale e si preparò a difendere il suo cospicuo gruzzolo.
Il primo uomo si lanciò verso di lui barcollando. Il mago lo schivò, e sentì lo stomaco chiudersi quando fu raggiunto dalla zaffata di alcol. Il secondo uomo attaccò con il coltello proteso. Liam parò il colpo e l’uomo indietreggiò, stupito. Il primo cercò di sorprenderlo alle spalle con il pugno alzato, ma il mago si abbassò e sgusciò di lato, dandogli un calcio che lo mandò gambe all’aria nella polvere. Nel mentre, parò un nuovo fendente di Frank, ma questo non desistette. Attaccò di nuovo, mirando al fianco scoperto. Liam parò di nuovo e contrattaccò, ferendolo al polso. Frank lasciò cadere il coltellaccio con un gemito e fuggì a gambe levate. Il primo uomo, rialzatosi, colse Liam di sorpresa e lo immobilizzò passandogli un braccio attorno alla gola. Il mago tentò di divincolarsi ma nella concitazione la spada gli sfuggì di mano. L’uomo rafforzò la presa, impedendogli di respirare. Cercando di non farsi prendere dal panico, Liam sferrò una gomitata nelle costole del suo assalitore, poi un’altra, e un’altra ancora, finché questo non mollò la presa e si accasciò, scivolando in ginocchio. Quando il furfante rialzò lo sguardo, la lama di Liam era puntata al suo collo. Per qualche lunghissimo secondo, l’uomo credette che la sua potenziale vittima l’avrebbe sgozzato, invece abbassò la lama e sibilò:
«Sparisci.»
Non se lo fece ripetere due volte. Balzò in piedi e fuggì il più veloce possibile.
Liam rinfoderò la spada e sbuffò, massaggiandosi il collo dolente. Baio sbucò dall’ombra e gli si avvicinò.
«Grazie dell’aiuto, eh» sbottò.
Il cavallo lo ignorò e lo precedette fuori dal vicolo.
Fu un sollievo lasciarsi Spleen alle spalle. Poter rimontare Baio e lanciarsi a rotta di collo attraverso i prati verdi sotto al sole caldo lo faceva sentire pericolosamente onnipotente. In lontananza, si allargava come un’ombra minacciosa il Bosco Lossar. Entro il tramonto avrebbe raggiunto i suoi margini e a quel punto gli si sarebbe presentata una scelta: seguire il confine della vegetazione fino al punto in cui il fiume Morgael emergeva dagli alberi per inoltrarsi nel Canyon, la via più lunga, ovvero addentrarsi nel Bosco e tagliare verso Sud-Ovest, soluzione più rapida, ma anche più rischiosa. Quel bosco non era un luogo ameno. La natura era stata corrotta dalle acque del Morgael, che erano contaminate da chissà quale sostanza che le rendeva soporifere. Così, vi si trovavano alligatori enormi, ippopotami incredibilmente aggressivi e piante rampicanti carnivore. Oltre agli Unicorni. Una volta, gli Elfi abitavano quel luogo, e allora era tutto in ordine. Erano amici degli Unicorni e vivevano in armonia. Poi, gli immortali si erano ritirati nel Reame Eterno, solo pochi erano rimasti negli anfratti più oscuri del Bosco Lossar, e gli umani avevano iniziato a cacciare ed uccidere gli Unicorni per i loro crini d’argento e per il pregiato corno. Così, questi si erano inselvatichiti al punto tale che ai tempi del Consiglio si erano rifiutati di prendere in considerazione un’alleanza con chicchessia. Tuttavia, erano creature molto intelligenti, e disponevano di poteri vecchi come il mondo, che Liam non osava neppure immaginare. Per questo motivo avrebbe preferito girare alla larga dal loro territorio.
Non si era ancora allontanato di molto dalla città quando una figura comparve improvvisamente in mezzo alla strada, tanto vicino da obbligare Baio a scartare. Liam tirò le redini, domandandosi da dove fosse comparsa quella persona che se ne stava carponi in mezzo alla polvere. Il mago smontò da cavallo e si avvicinò.
«Ehi, va tutto-»
Le parole gli morirono in gola quando la figura si dissolse sotto ai suoi occhi. Per qualche secondo fissò il punto in cui quella persona era scomparsa, con la mano ancora tesa. Un nitrito spaventato di Baio lo riportò alla realtà. Si volse di scatto e annaspò. Il cavallo si stava mettendo in salvo e Caleb lo guardava galoppare via, con aria divertita. Pietrificato dalla paura, Liam osservò lo stregone che spostava lo sguardo su di lui e sorrideva. I denti innaturalmente bianchi scintillavano, distogliendo l’attenzione del mago dagli occhi castani e falsamente gentili di quell’uomo che dimostrava sì e no trentacinque anni, ma che ne aveva almeno trecento. I capelli castano chiaro legati in una mazza coda cadevano perfetti sulle spalle. Liam rabbrividì.
«Oh, Liam, non mi dire che ti ricordi di me, mi lusinghi.»
Fu colto da un nuovo brivido, come se una grossa lumaca viscida gli fosse scivolata giù per la schiena. Deglutì.
«Impossibile non ricordarsi di te, stregone.»
Caleb scosse il capo contrariato.
«Quanto disprezzo. Male.»
Preparandosi ad un duello, Liam ignorò l’allarme che ripeteva insistente nella sua testa “deficit di energie”. Non dormiva da più di ventiquattro ore e aveva sollecitato la magia fino allo stremo, l’ultima delle cose che desiderava era affrontare un combattimento con uno stregone. Quello stregone, si corresse. Non poté fare a meno di pensare di nuovo a quanto gli sarebbe stato utile avere un’Amina qualunque accanto.
«Che cosa vuoi, Caleb?» domandò.
Caleb rise.
«Solo giocare un po’ con te.»
Esasperato, Liam domandò ancora:
«Che cosa vuoi, davvero
A quel punto, lo stregone tornò serio. Le labbra si chiusero e una linea sottile, gli occhi si assottigliarono.
«Non mi interessano i tuoi poteri, mago, se non nella misura in cui non li voglio vedere al servizio di uno dei miei oppositori. Dato che io e i miei compagni non siamo concordi circa il tuo destino, abbiamo deciso di imprigionarti e, almeno per il momento, impedirti di raggiungere il tuo caro fratellino.»
“Menzogna!” gridò la vocina nella testa di Liam. “Nessuno si opporrebbe mai ad una sua decisione, se non, forse, un drago, ma ai draghi non frega niente della tua vita, Li’, Caleb ti vuole uccidere e se non lo fa deve esserci un altro motivo. E quel motivo potrebbe essere Irthen”.
«Ti aspetti davvero che ti creda?» domandò richiamando tutte le energie a disposizione.
«Dovrebbe avere importanza?» rispose Caleb con un sorriso astuto.
La terra tremò e Liam cadde in ginocchio. Lo stregone si avvicinò lentamente. Liam si trasse in piedi e sfoderò la spada. Concentrò il potere nella lama e quando fendette l’aria, una linea blu scintillante investì Caleb, il quale alzò una mano e spezzò l’incantesimo con facilità. Fu di nuovo il suo turno di attaccare: sollevò una raffica di vento potentissimo, dalla quale Liam cercò di proteggersi innalzando uno scudo d’acqua. Ma la sua barriera non fu sufficiente. Il vento penetrò le sue difese e lo scaraventò lontano. Riuscì, con una massa di umidità, a rallentare la caduta e a balzare subito in piedi.
«Dannazione, sta solo giocando e non riesco comunque a contrastarlo» mormorò tra sé.
Guardò la spada che ancora stringeva in pugno e valutò che la sua unica speranza consisteva nel corpo a corpo. Caleb sembrò leggergli nel pensiero e rise.
«D’accordo, mago. Anche se non sarà altrettanto divertente.»
Liam digrignò i denti e si lanciò verso lo stregone. Caleb sfoderò la sciabola. Quando le due lame cozzarono mandarono scintille blu e violette. Caleb ritrasse l’arma e la roteò agilmente, mirando al fianco sinistro di Liam, che balzò di lato e attaccò a sua volta.
Convogliando ogni sua energia magica in quella lama mediocre, il mago resisteva agli assalti precisi e micidiali di Caleb, che da secoli combatteva con quella sciabola in pugno. E nonostante tutti i suoi tentativi di cogliere l’avversario di sorpresa, quello sapeva sempre come, dove e quando parare il colpo, e in che modo contrattaccare per obbligare il mago a retrocedere. Ad ogni fendente, Liam si sentiva più spossato, ad ogni parata i muscoli tremavano di più. In preda al panico, rinunciò ai buoni propositi e scagliò un incantesimo diretto al petto di Caleb. Lo stregone lo schivò per un soffio, ma il passaggio della magia gli bruciacchiò l’abito e l’espressione sardonica si contrasse in una smorfia di rabbia. Fissò gli occhi in quelli di Liam e lanciò un globo di luce. Il mago schivò.
«Così, vieni meno ai tuoi propositi!» disse secco, continuando a lanciare incantesimi di ogni tipo contro il mago, che li schivava e si riparava con sempre maggiore affanno.
Accecato da un’esplosione di luce, non riuscì a vedere il suo avversario che gli si faceva incontro con la lama snudata. Solo all’ultimo momento poté alzare la spada, ma una fitta di dolore lancinante gli strappò un grido. Il fendente dello stregone l’aveva colpito alla spalla. Il sangue iniziava ad inzuppare i vestiti e ad impregnare l’aria. Caleb rise, ma Liam non riuscì a vedere il suo ghigno perché le lacrime di dolore gli offuscavano la vista. Nonostante questo, passò la spada nella mano sinistra e attaccò nuovamente, con ferocia. Colto alla sprovvista, Caleb perse la sciabola, ma schioccò le dita e Liam sentì tutti i muscoli contrarsi, e gridò di nuovo, scivolando a terra. Caleb raccolse la sua arma e rise. E Liam era certo che sarebbe impazzito, se lo stregone non l’avesse liberato da quell’incantesimo terribile.
Ma in quel momento qualcosa indusse Caleb a distogliere l’attenzione dal mago.
Un immenso stormo di rondini piombò in picchiata sullo stregone, che prese ad agitare le braccia per ripararsi. Un uomo smontò da un cavallo nero, accompagnato da altre due persone, che Liam non riconobbe.
«Ruben» mormorò, finalmente libero di rimettersi in piedi.
Ruben sorrise, asciutto.
«Liam» salutò. «È un piacere rivederti tutto intero…o quasi» aggiunse con un’occhiata preoccupata al sangue che gli inzuppava gli abiti.
«Che…che cosa…?!»
Caleb ruggì e buona parte delle rondini esplose in un tornado di piume.
«Non c’è tempo da perdere, vai, ora! Rifugiati nel Bosco. Caleb teme gli Unicorni, hanno avuto dei dissapori, duecento anni fa, non ti seguirà» gli tese le redini di Baio, che aveva recuperato. «Vai, lo stregone lo teniamo occupato noi.»
Liam gli lanciò un’occhiata riconoscente, montò Baio e si lanciò a rotta di collo verso il Bosco Lossar. Cercò di imprecare, ma non aveva più abbastanza forza nemmeno per quello. Anche nella debolezza si rendeva conto di quanto significasse aver accettato l’aiuto di Ruben. Era praticamente con le spalle al muro: era giunta l’ora di scegliere da che parte stare.





*********
Hola gente!
Aggiornamento strarapido questa volta (nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, me la sto tirando)! Prima di tutto sappiate che dovete ringraziare - o maledire - la mia immensa voglia di studiare diritto commerciale per la produzione di questi due giorni, e un po' anche Hareth che mi mette pressione (Hary, sei già sul mio libro paga come motivatrice XD)..Inoltre, mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo, come sempre quando infierisco su Liam (L: "-____- esiste un telefono azzurro anche per i pg maltrattati??"), e scusate la digressione assurda su torri, rane e affini, in questi giorni sono in pieno delirio Disney :) Non ve ne fregherà niente, ma voglio rendervi partecipi comunque: dopo aver "strolicato" minuti e minuti e minuuuti sul nome per lo stregone, ho aperto Itunes e ho impostato la modalità casuale..ebbene, la prima canzone che il random ha scelto per me è stata Caleb dei Sonata Arctica - che sono io conoscerò, tutto nella norma - e mi sono detta "beeeella lì!!" ;) Baci!

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Capitolo 14
*** Notturni ***


I boati della battaglia giungevano ovattati alle orecchie di Liam, che cavalcava accasciato sul collo di Baio verso l’ombra del bosco. Con quel poco di energia che gli era rimasta aveva rallentato la fuoriuscita del sangue, che gli inzuppava camicia e mantello all’altezza della spalla. Il sangue era liquido, quindi poteva, in una certa misura, controllarlo. Ma non poteva certo guarire la ferita, quello andava oltre le sue competenze. E ne aveva già perso troppo per poter sperare di restare cosciente a lungo. Sperava solo che Ruben e i suoi non ci lasciassero le penne prima che riuscisse a mettersi al riparo…
Il tempo sembrò dilatarsi e restringersi, elastico, mentre i sensi del mago percepivano solo suoni vaghi e ombre. Il dondolio ritmato del galoppo di Baio, il pulsare debole del proprio cuore, una vaga euforia. Il calore del sole, che improvvisamente scomparve, sostituito da un’umidità fresca e rigenerante. Riscuotendosi, Liam socchiuse gli occhi. Erano avvolti da ogni sfumatura di verde e marrone. Bosco Lossar. Gli occhi si chiusero di nuovo.
Quando li aprì di nuovo, l’oscurità era più fitta. Baio era nervoso, sbuffava.
«Che…Baio…è tutto a posto?» articolò con estrema difficoltà.
Il cavallo rallentò il passo fino a fermarsi. Il mago cercò di mettersi diritto in sella, ma non ci riuscì. Tutto ciò che vide fu un guizzo argentato, prima di ripiombare nel buio.
 
«Il tuo cavallo è davvero veloce, Abby» disse Irthen addentando una coscia di airone ai ferri.
Il sole era tramontato oltre la linea retta dell’orizzonte e alla loro destra si apriva l’immensa foce del fiume Brumo.
«Abby non sbaglia i calcoli: se dice entro il tramonto di domani…com’è che avevo detto? Beh, non ha molta importanza. Il punto è che abbiamo rispettato i tempi, sì?» rispose la ragazza guardando con odio un pezzo di carne che si rigirava tra le dita da un po’.
«Non mi dirai che neanche questo ti piace!» lamentò il ragazzo.
Abby sbuffò.
«È un po’ asciutto. Preferisco il cinghiale. Vedrai che bei cinghiali grassi troveremo nel Bosco Lossar!»
Irthen mangiò in silenzio per qualche tempo, rimuginando sull’assurdità della scelta di intraprendere quel viaggio. Non riusciva a capacitarsi del fatto che Liam non fosse partito alla sua ricerca. Con la sua abitudine a viaggiare, la conoscenza che aveva del territorio e le zampe buone di Baio, avrebbe già dovuto essere nei paraggi. Che Ged non gli avesse rivelato la sua meta? Oppure Amina aveva deciso di non avvisare suo fratello. O forse, era stato Liam stesso a lasciarlo al suo destino…forse era deluso di lui a tal punto, che…
«Va tutto bene, Ir?»
Alzò gli occhi. Abby lo fissava con quel suo sguardo opalino che tanto contrastava con la pelle scura.
«Non lo so» rispose sinceramente.
«Non sei più certo della tua scelta?» domandò la ragazza con un’inedita vena dolce nella voce.
Irthen sorrise e scosse il capo.
«Hai ragione, Abby. In fondo, sono solo un ragazzino, senza palle, tra l’altro. Non mi sono mai allontanato per più di qualche ora da Pothien, e senza i miei amici intorno mi sento nudo. Temo il giudizio di mio fratello e temo che non riuscirò a tornare a casa. In conclusione, sono un fifone, ma sono ancora convinto di voler andare a cercare quella cavolo di Cascata. Perciò ti ringrazio di esserti offerta di accompagnarmi. Senza di te starei ancora vagando sperduto per il deserto, cercando di difendermi da quei cosi assassini…»
Abby rise.
«Ti svelerò un segreto, tesoro. Per ogni decisione che prenderai nella tua vita, ci saranno sempre delle ombre ad insidiare la tua coscienza. Anche quando riuscirai a convincerti che la tua scelta era l’unica possibile, il dubbio non smetterà mai di assalirti. Ti chiederai: potevo fare diversamente?; potevo fare meglio?; potevo causare meno dolore ai miei cari?» sospirò. «Queste incertezze non verranno mai meno, nemmeno quando sarai vecchio e i tuoi begli occhi saranno appannati. Finché conserverai intatta la tua coscienza, non ti libererai dalla preoccupazione. Ma ricordati una cosa: i rimorsi non sono necessariamente un male, aiutano a ricordare dove si è sbagliato e dove ci si può migliorare, ma non cedere mai ai rimpianti!»
Irthen la ascoltò rapito. La sua compagna non era una tipa di molte parole, ma quando decideva di dispensare qualche saggio consiglio incantava. Forse era per via della sua voce, che pareva di velluto tanto era morbida, e di quell’accento dell’est che arrotondava ogni parola, anche quelle dal suono più duro, facendole suonare indicibilmente bene, oppure il motivo risiedeva in quell’espressione malinconica che le si dipingeva in viso quando decideva di calare per un momento la maschera da giocherellona.
«Parli come se tu avessi vissuto a lungo questo conflitto, Abby. Sai, ci sono cose che davvero non capisco di te…il tuo modo di fare, i tuoi sbalzi d’umore, la tua disillusione verso tutto, e la tua reticenza a parlare di te…ma ho deciso che, tutto sommato, non me ne frega niente.»
Abby lo guardò, incuriosita.
«Voglio dire, viaggiare in tua compagnia è piacevole, sei una persona gentile e tutto il resto. Perciò non ha importanza se sei strana. E grazie del consiglio» concluse arrossendo lievemente.
La ragazza si guardò i piedi e sorrise.
«Non è che non ti voglia parlare di me, Irthen, è che…sono ricordi dolorosi. Come ti ho già detto, ho fatto errori di cui non vado fiera, e per via dei quali ho perso tutto: la mia famiglia, la mia posizione nella comunità, il mio onore. Da ultimo anche la mia coscienza. Nel mio prossimo futuro vedo già altri imperdonabili errori, perché oramai sono irrecuperabile. Tu, invece, sei un bravo ragazzo, di quelli che si incontrano di rado, anche per una sempre in viaggio come me. Per questo motivo non voglio che ti affezioni a me. Se ti raccontassi del mio passato, finiremmo per diventare amici, è inevitabile, e allora non ti causerò altro che dolore. E non voglio farlo.»
Irthen chinò il capo, confuso. Il discorso duro di Abby gli aveva irrazionalmente chiuso lo stomaco, anche se non avrebbe saputo definire con certezza il motivo. Forse, perché quando passi una settimana a così stretto contatto con una persona non ti aspetti di sentirti dire di non prenderti la libertà di considerarla un’amica. Deglutendo a vuoto, cercò di sorridere.
«Ok, Abby. Ho capito.»
Dall’espressione dispiaciuta della ragazza dedusse che la sua capacità di mentire non era affatto migliorata nell’ultima settimana. In altre parole, era rimasta pari a zero.
«Davvero» aggiunse con più convinzione.
Abby annuì. Si alzò e raccolse velocemente i resti della cena.
«Domani sera, se tutto va bene, saremo in vista della Piana di Thann» disse, spegnendo il falò. «Ci sono già stata. È un’immensa pianura verde, quindi per il cibo non ci sarà problema. L’acqua, invece, ce la dovremo portare dal lago.»
«È disabitata?» domandò Irthen.
«Sì. Come ti ha detto il tuo Ged, al centro sorgono le rovine di una città. Ora la chiamano Città dei Morti, ma in origine si chiamava Cyanor, ed era la capitale dei maghi. Vi risiedeva una grande comunità, era come Lumia per gli elfi di Horlon. I maghi eleggevano un Re, che governava Cyanor, e di conseguenza era una guida per tutti i maghi dispersi qua e là per la Terra dei Tuoni. Quando la città è stata abbandonata, le superstizioni si sono alimentate dell’ignoranza di chi vedeva loro simili compiere incantesimi, senza riuscire a capirne il motivo, così la zona è diventata deserta. E da qui, anche l’appellativo di “Città dei Morti”. Non c’è nessun morto, solo l’Intelligenza.»
Irthen scoppiò a ridere.
«Perché i maghi la abbandonarono?»
«Perché dopo la morte di Storr – quello della Guerra dei Draghi, sì? – non si è riuscito ad eleggere pacificamente un successore. Forse lo saprai già, ma la magia non si trasmette con il sangue. La si acquisisce quando ci si trova in certe situazioni, per esempio quando si è in pericolo di vita. È come se la magia fosse latente in ognuno di noi e, sollecitando il nostro fisico oltre una certa soglia, fosse possibile risvegliarla.»
Irthen aggrottò la fronte.
«E l’elemento?»
«Dipende dal tipo di sollecitazione, e dal carattere di chi vi è sottoposto. Ti faccio un esempio: Konstantin, che tu hai conosciuto a Pontefosso, ha un fratello gemello, Alec. Entrambi sono maghi, il primo di elemento Terra, il secondo Fuoco. Ho sentito dire che, quando erano molto piccoli, la fattoria in cui abitavano a Phia andò a fuoco. I loro genitori morirono nell’incendio. Alec sviluppò la capacità di domare le fiamme, e riuscì a salvare sé stesso e il suo fratellino. Nonostante tutto, però, rimasero sepolti dalle macerie. Fu allora che il potere si risvegliò il Konstantin: scoprì di poter creare un cunicolo, e si salvarono. Poi, la magia va affinata, è chiaro…»
«Da brivido» commentò il ragazzo, lo sguardo perso nei propri pensieri.
Avrebbe voluto chiederle come faceva a sapere tutte quelle cose, ma si trattenne, memore del deprimente ammonimento di poco prima. Mormorò soltanto:
«Sei una maga, Abby?»
Abby scoppiò a ridere.
«Oh, no, Ir! Davvero no! Su, a letto adesso. Domani sarà un’altra lunga giornata di cavallo.»
Irthen imprecò sottovoce.
«Come dici, bello?»
«Ho detto che mi fanno male le chiappe, a forza di stare a cavallo» ripeté più forte.
La ragazza sorrise.
«Anche a me, tesoro. Sembra che i maghi d’aria più potenti possano viaggiare velocemente sfruttando il vento, ma, ahimè!, non è il mio caso.»
Irthen si sforzò di sorridere, prima di alzarsi e prepararsi per la notte.
 
Amina vagava in un dormiveglia pieno di ombre e di ricordi agrodolci, mentre Aqua dormiva con la testa appoggiata precariamente alla sua spalla e Konstantin conduceva il carro, strofinandosi gli occhi a intervalli regolari. Il cielo era nuvoloso, non riusciva nemmeno ad orientarsi. Avevano deciso che avrebbero dormito a turni, così da poter viaggiare anche durante le ore di buio. Ma lei era abituata a dormire poco, perché Hamil aveva bisogno di alzarsi molte volte ogni notte. Povera donna. Non aveva esitato a credere alla ragazza che si era presentata come figlia della figlia di suo fratello. Chissà se aveva davvero un fratello…sospirò. Le sarebbe mancata la sua compagnia.
«Sei sveglia, Mina?» sussurrò Konstantin, senza staccare gli occhi dalla strada.
«Sì. Vuoi il cambio?»
Konstantin scosse il capo.
«Come ti senti?» domandò.
Amina fissò lo sguardo su un punto imprecisato della Via Carovaniera.
«Determinata, Stan.»
L’uomo aggrottò le sopracciglia.
«Non è esattamente la risposta che mi aspettavo.»
Amina sorrise.
«In questo momento è la sensazione predominante, credimi. Se vuoi posso dirti anche che mi sento sciocca per essermi lasciata scappare il mio protetto, mi sento in ansia per la guerra, mi manca tuo fratello…ma soprattutto mi sento determinata. Spero solo che Liam riesca a salvare Irthen.»
Il mago annuì.
«Abbiamo pari responsabilità, tu ed io, in questa storia. Ma fare di più, sorvegliare il ragazzo più strettamente, bloccarlo a Pontefosso, sarebbe andato oltre gli ordini del Maestro, lo sai bene. Perciò, alla domanda “avrei potuto fermarlo in tempo?” la risposta è “sì, certamente”, ma a “avrei potuto farlo senza trasgredire agli ordini?”…beh, no, senza ombra di dubbio. Come vedi, so esattamente quali pensieri ti frullano in quella testolina, Mina» concluse dedicandole un sorriso affettuoso.
Amina fissò per un momento, turbata, il profilo del cognato, così uguale a quello di Alec. Ricacciò indietro la nostalgia e scosse il capo. I capelli slegati le fecero il solletico alle guance. Non era più abituata a quella sensazione.
«Hai sue notizie?» domandò, abbassando ulteriormente la voce.
Konstantin capì al volo e trattenne un sospiro.
«Sta ancora inseguendo il bambino. Micael è riuscito ad arruolare una maga legata alla Terra, come noi, ed ora si è unita alla caccia di Alec.»
«Terra?!» esclamò Amina, sbalordita. «Com’è possibile?»
Il mago si strinse nelle spalle.
«Pare sia molto giovane.»
Amina annuì.
«Speriamo che il bambino non si faccia fregare…»
«Già. E poi mi è giunta notizia di uno scontro, tre giorni fa, su questa Via, tra un elemento Fuoco e un Acqua.»
«Liam?» suppose Amina.
«E Alec, molto probabilmente.»
La maga si coprì gli occhi con le mani, sopraffatta dalla preoccupazione.
«Scusa se infierisco, ma per chi è che ti stai arrovellando, Mina?» domandò il mago posandole una mano sul ginocchio.
«Per entrambi, maledetta me.»
Stan rise sommessamente.
«Mi sei mancata» disse.
«Anche tu, amico mio, anche se parlare con te mi dà sempre la sensazione che tu mi legga nel pensiero…ehi, che cos’è quello?» domandò, puntando il dito su un’ombra a mezz’aria che si avvicinava veloce.
Konstantin strinse gli occhi.
«Sembra un gufo. È un messaggio?»
L’uccello atterrò sulla sponda del carro.
«Il gufo è il messaggero di Erika» mugugnò Aqua, tirandosi a sedere.
Amina slegò la pergamena arrotolata alla zampetta, e il messaggero volò via.
«”Ruben dell’Aria, ad Amina della Terra. Spero che il vostro viaggio proceda come da accordi. Qui complicazioni. Caleb ha attaccato il mago e l’ha ferito. Io, Erika e Timothy l’abbiamo fermato, e Liam si è rifugiato nel Bosco. Stiamo tornando alla base, ma potremmo dover combattere di nuovo, presto. Vi aspetto a Natìm il prima possibile”. Caleb?! Che cosa c’entra Caleb?!» farfugliò Amina con voce tremante.
«Accidenti» commentò Aqua, scostandosi i lunghi capelli dal viso. «Se c’è quello di mezzo, deve essere una cosa grossa.»
«Dunque è vero, uno stregone sta tenendo Liam lontano da Irthen» mormorò Stan.
«E Liam è ferito, cazzo!» sbottò Amina. «Mi aveva chiesto di accompagnarlo ed io, da immensa imbecille quale sono, gli ho detto di arrangiarsi!» gli occhi le si riempirono di lacrime. «Ora potrei guarirlo, potrei…»
Konstantin la abbracciò.
«Smettila di crearti angosce senza senso, Mina. Nel Bosco, Caleb non lo seguirà. E a Bosco Lossar risiede Glenndois, ricordi? Ci penserà lui, a Liam. Adesso fai dei bei respiri profondi e calmati.»
Amina obbedì e si sentì subito meglio.
Glenndois. Era mezzo matto e non aveva molta simpatia per gli umani, ma non avrebbe rifiutato il suo aiuto ad un amico di Ruben. Forse non tutto era perduto.
 
 


***************
Buenos dias, chicas!
Poiché in questi giorni ho poca voglia di studiare (Liam: "In questi giorni, Cat?! Ma s'at fè mai gnint!!"), vi ho già sfornato un altro inutilissimo capitolo! Infierendo un po' qua e là - chiedo scusa a Ir e a Mina per la parte ingrata che ho dato ad entrambi, esigenze di copione XD - ho sfogato un po' del nervoso che mi sono fatta venire negli ultimi due giorni per motivi esterni alla Terra dei Tuoni..Ma non temete, il prossimo capitolo sarà più..più..come possiamo dire, Li'?
Liam: "Più inutile.."
-____-"

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Capitolo 15
*** "Benvenuta a bordo" ***


Al suo risveglio, Irthen impiegò pochi secondi a ricostruire la conversazione tenuta la sera prima con Abby. Il messaggio era chiarissimo: niente confidenze. Allora perché lei si poteva prendere tutte le libertà che voleva, facendosi raccontare di tutto e di più, ponendo mille domande personali e imbarazzanti, trattandolo da poppante e tentando addirittura di baciarlo?!
“Col cavolo, Ir, che starai al suo gioco!”
Il problema era che neanche volendo avrebbe potuto scaricarla. Non aveva soldi, non aveva cavallo, oramai si rendeva perfettamente conto che da solo non aveva aspettative di vita.
«Sei sveglio, Ir?»
Irthen si puntellò sui gomiti.
«Sì» rispose.
Abby lo guardò storto.
«Ti senti bene?»
«Benissimo.»
Si alzò e si stirò la schiena. Bevve dalla borraccia un lungo sorso d’acqua e sbocconcellò qualche avanzo della sera prima. Quando ebbe terminato il suo piccolo rituale mattutino, la ragazza lo stava ancora squadrando dal suo giaciglio.
«Muoviti, per favore. Non voglio passare la giornata qui. Ci sono delle zanzare enormi» disse con tono serio.
Abby batté le ciglia, perplessa, ma obbedì senza fiatare. Irthen, dal canto suo, sentì le sue parole come provenire da un anfratto remoto del suo cervello, un cantuccio in cui sembrava somigliare pericolosamente a Liam. Scosse il capo, tentando di dare una forma ai riccioli, vanamente. Poi mosse qualche passo verso la piccola macchia di vegetazione che li separava dalla foce.
«Do-dove vai?» balbettò Abby.
«A fare pipì, vuoi partecipare, per caso?» sbottò, sentendosi sempre più Liam.
 
Non si rivolsero la parola mentre raccoglievano le loro cose e si preparavano. Montarono Luce e ripartirono.
Il silenzio pesava come un macigno sullo stomaco di Irthen, che pure non voleva cedere. Gentile, carino, coccoloso e tutto il resto, ma una dignità ce l’aveva anche lui. Aveva condiviso le sue informazioni con Abby più per bontà d’animo che per interesse, non pretendeva riconoscenza, ma di essere trattato a pesci in faccia proprio non gli andava.
Cercò di concentrarsi sul paesaggio per non pensare al fatto che le sue mani stavano sui fianchi di quella vile traditrice. A destra, le grandi città si allargavano fino alle sponde del Lago di Nebbia. Aveva desiderato tanto vederle, e ora che ci passava così vicino da poterne sentire i profumi non poteva fermarcisi. Era ingiusto. Oltre le città, l’immensa distesa d’acqua scintillava come oro liquido. A sinistra, invece, si profilava una catena di colline basse e brulle che proiettavano lunghe ombre sulla loro strada.
“Chi l’avrebbe detto, solo poche settimane fa, che avrei visto il Lago?”
Sospirò asciugandosi gli occhi che lacrimavano per l’aria fredda.
La ragazza condusse il cavallo per un sentiero parallelo alla via principale. Avevano convenuto che fosse meglio evitare le rotte troppo trafficate, per via della possibilità che qualcuno stesse cercando Irthen. La pista si restringeva mentre si allontanava dai bagliori del lago, per addentrarsi tra cespugli e arbusti bassi, a ridosso dei rilievi collinari. Improvvisamente, Abby tirò le redini e alzò il naso, come fiutare l’aria. Socchiuse gli occhi e si guardò attorno.
«Maledizione» mormorò.
Irthen attese che proseguisse, ma quando la ragazza rimise il cavallo al passo, domandò:
«Cosa succede?»
«Non lo senti, questo odore?»
Irthen annusò l’aria e negò.
«Tu che cosa senti?»
La ragazza fece una smorfia.
«Puzza di sudore, pelle conciata e fumo. Sono orchetti dell’Est.»
«O-orchetti dell’Est?! Ma che cavolo sono?!» farfugliò Irthen sgranando gli occhi.
«Sono simili agli orchi, ma più piccoli e meno resistenti. Devono essercene alcune decine accampati tra queste colline e la Piana.»
«A-accampati? Ma…perché? Che ci fanno, qui, quei cosi?»
Abby sorrise freddamente.
«Tutte le cose che non ti piacciono diventano “cosi”, Ir, l’hai notato?» Irthen la guardò storto. «E comunque non lo so, perché sono qui! Ma è meglio che ci sbrighiamo, perché vista la loro triste capacità nel corpo a corpo si sono specializzati con l’arco…»
Il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di spaventarsi, prima che una freccia sibilasse accanto a loro e si conficcasse nel terreno, poco lontano.
«Accelera, cazzo, accelera!» strillò dando pacche sulla schiena della ragazza.
«Smettila, cretino, mi fai male! Prendi l’arco e rispondi» gridò Abby di rimando.
«Ma sei matta?! Non riesco neanche ad incordarlo se non ci fermiamo!»
Altre frecce sibilarono mancandoli per miracolo. Le testoline bitorzolute degli orchetti spuntavano dai cespugli bassi, con gli archi in mano. Abby si guardò attorno mentre i dardi continuavano a piovere attorno a loro.
«Porca vacca, Irthen, sei proprio un bambino!» sbottò. «Prendi quel cazzo di arco e dammelo. Tu tieni le redini, io penso al contrattacco.»
Irthen obbedì. Estrasse l’arco dai bagagli assicurati al fianco di Luce e lo tese alla ragazza. Quando questa afferrò l’arma, dovette incollarsi alla sua schiena per raggiungere le redini. In un attimo, Abby incordò l’arco e, torcendo il busto, mirò alla testa di un orchetto, che cadde trafitto. Sfiorando il naso di Irthen, incoccò una nuova freccia e colpì un secondo nemico.
Un grido gutturale si levò dalla sommità del colle e l’attacco cessò.
Irthen spronò Luce e il cavallo schizzò in avanti, facendo perdere l’equilibrio ad Abby, che non venne disarcionata solamente perché Irthen riuscì a trattenerla in sella. Alla prima occasione deviarono verso il lago, intenzionati a mettere quanta più strada possibile tra loro e quelle colline. A quel punto, meglio il rischio di venire avvistati in città piuttosto che finire infilzati su uno spiedo.
 
Abby non ripose l’arco fino a quando non si fermarono a pranzare sulle sponde del lago, poco lontano dalla città di Clas. Solo allora si decise ad abbassare la guardia e a prendere un bel sospiro di sollievo.
«Irthen» disse.
Il ragazzo si lasciò cadere al suolo e la fissò, in attesa che proseguisse. Ma Abby non aggiunse altro, così sbottò:
«Che vuoi?»
Per una frazione di secondo, la ragazza sembrò dispiaciuta, poi il suo viso divenne di pietra.
«Volevo solo sapere se eri tutto intero.»
«Sì. Tu?» mugugnò.
«Sì. Ci è mancato poco.»
Irthen annuì.
«Perché, Abby, tu sai sempre tutto quello che sta per succedere un attimo prima che ci lasciamo le penne? No, no, non fare quella faccia da “non sono affari tuoi”. Non mi interessa niente di quello che hai fatto o non hai fatto nella tua cavolo di vita, o chi ti ha regalato l’arco o il cavallo! Non me ne frega niente di niente, va bene? L’unica cosa che voglio sapere, e questa la voglio proprio sapere, cazzo, è come fai a capire sempre tutto!»
Abby balbettò qualcosa di incomprensibile, ma Irthen la zittì.
«Va bene, va bene, lascia stare…solo…la prossima volta che sto per morire, cerca di dirmelo un attimo prima , così faccio in tempo a farmi un esame di coscienza, sì?»
Abby lo guardò stralunata per un secondo, poi scoppiò a ridere.
Sentendo la tensione defluire improvvisamente dai muscoli, Irthen si abbandonò a sua volta alle risa.
Quando la ragazza riuscì a riprendersi, si asciugò gli occhi e rispose:
«Ok, Ir, ti avviserò con un po’ più di margine» sospirò. «Va meglio, ora?»
Il ragazzo prese un bel respiro e annuì.
«Posso riavere il vecchio Irthen?» domandò ancora.
Irthen abbassò lo sguardo e sorrise.
«Credo di sì.»
«Meno male.»
Abby diede una pacca affettuosa sul collo del cavallo e sbrogliò la sacca delle provviste dagli altri bagagli.
«Non è un bene che quei cosi, come li chiami tu, siano così vicini alle brandi città.»
«Credi che dovremmo avvisare qualcuno della loro presenza?» domandò il ragazzo.
Lei si prese il naso tra le dita, come faceva sempre quando rifletteva.
«Forse sì, ma se lo facessimo finiremmo al centro dell’attenzione e resteremmo bloccati a Clas per giorni e giorni. Considerando che è bastato rispondere con un paio di frecce per farli battere in ritirata, non credo che quegli orchetti siano intenzionati ad attaccare qualcuno nei prossimi giorni…»
«Ma allora che ci fanno, lì?»
Abby si strinse nelle spalle.
«Non ne ho proprio idea. Ma temo che ce ne possano essere altri, in giro per la zona. Come te la cavi con la spada, Ir?»
«Cosa conta la spada se loro mi infilzano con una freccia?» sbottò.
La ragazza sbuffò.
«Bisogna proprio insegnarti tutto! Se loro hanno l’arco, o noi si scappa a gambe levate, oppure ci si porta troppo vicino perché possano tirare senza ferirsi a vicenda.»
«Io voto per il “noi si scappa”» dichiarò Irthen alzando la mano.
«Mi sta bene. Ma sarà meglio tenerci pronti comunque. Stasera ci fermeremo a Promar, una cittadina sul confine della Piana, e allora vedremo anche di esercitarci un po’ con le lame, sì?»
Irthen annuì.
Terminato il pranzo si rimisero in marcia, questa volta accogliendo come una benedizione la prossimità dei sobborghi di ogni cittadina.
 
Con i palmi posati sul bancale della finestra aperta, Chloé trasse un respiro profondo. Le parole di Liam le rimbombavano ancora nella testa: la guerra stava per avere inizio. Sapeva da cinque anni che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, ma non aveva mai affrontato seriamente con sé stessa la realtà. Sapeva che Liam le avrebbe – poco altruisticamente, tra l’altro – chiesto di partecipare, e si era detta che, sì, l’avrebbe fatto. Ma aveva ragionato poco su quello che poteva significare davvero essere in guerra. E forse era stato meglio così. Perché le era bastato rifletterci solo un poco per rendersi conto che guerra significava dolore, morte, distruzione. La cosa importante, a quel punto, era non farsi cogliere impreparati. Liam avrebbe dovuto presto prendere una decisione e promettere la sua fedeltà a una fazione. Secondo il suo modesto parere, aveva già procrastinato troppo a lungo. Quella di poter combattere solo per sé stesso era pura utopia.
Sospirò e voltò le spalle ai sobborghi di Effort. Accanto al letto, l’arco accuratamente avvolto nella sua custodia di cuoio e panno era pronto da quando Liam aveva lasciato la sua casa diretto a Spleen. Quella notte si erano verificati strani fenomeni, sul lago: venti levatisi improvvisamente, correnti inspiegabili, una strana onda d’urto che aveva sbriciolato una nave in pochi secondi. I superstiti avevano parlato di un rombo e delle assi che si erano disintegrate tra gli scricchiolii, senza alcun motivo. Liam non aveva dato sue notizie…non che fosse sua abitudine farlo, ma in quell’occasione non le sarebbe affatto dispiaciuto. Sospirò di nuovo e prese ad attorcigliarsi una ciocca di capelli tra le dita.
«Clo, posso entrare?»
La testa di Joel fece capolino dalla porta della stanza e Chloé sobbalzò, strappata ai propri pensieri.
«Certo, papà» rispose.
L’omone entrò esitante e richiuse la porta alla proprie spalle. Si guardò attorno il meno possibile, a disagio. Evidentemente, l’idea di scoprire qualcosa che confermasse le voci sulla presunta dissolutezza di sua figlia lo angosciava.
«Qualcosa non va?» domandò la ragazza quando suo padre si sedette, pallido come un cencio, sul bordo del letto.
«Che cosa sta succedendo, Clo?» domandò in un sussurro. «Tu…te ne stai chiusa in camera tutto il giorno, dall’ultima visita di Liam, sei sempre tra le nuvole. Capisco la preoccupazione per Irthen, capisco l’ansia per il tuo amico, ma io…che cosa ti sta accadendo? Sei…sei incinta? Hai combinato qualche casino dei tuoi, hai…?» farfugliò, lasciando cadere la frase.
Chloé si prese la testa tra le mani, attraversata da una risatina isterica che non riuscì a reprimere.
«Oh, Dei, come vorrei fosse questo…» mormorò. «È per via della guerra, papà. Ricordi che cosa ci disse Li’ cinque anni fa? Riguardo ai draghi, agli stregoni, e a tutto il resto?»
Joel annuì.
«Beh, pare che ci siamo.»
Il macellaio aprì la bocca, poi la richiuse.
«Senti, io…ho deciso di combattere, papà. Con Liam. Lo so, è pericoloso, è folle, dovrei stare qui al sicuro con te, perché non ho poteri magici che possano difendermi, ma…ho preso questa decisione tanti anni fa in un bosco buio, una notte di luna crescente, quando io e Liam ci promettemmo che ci saremmo sempre stati l’uno per l’altra. È tempo di onorare la promessa.»
Joel deglutì a vuoto.
«Non posso farti cambiare idea, vero?» gemette.
La ragazza scosse il capo.
«No, mi dispiace.»
L’uomo sospirò.
«L’ho sempre detto che quel ragazzo ha una cattiva influenza su di te.»
«Credo di essere io, ad avere una cattiva influenza su di lui.»
Joel si sforzò di sorridere.
«Che cosa farai, ora?»
«Non lo so. Forse tenterò di anticipare le sue mosse. Credo…credo che potrei partire, presto.»
Suo padre si alzò e la abbracciò forte.
«Ho paura, Clo. Se tu dovessi morire, che cosa farò?»
Ricacciando eroicamente indietro le lacrime, la ragazza sussurrò:
«Se io dovessi morire, non arrenderti. Ricordi cosa mi dicesti quando la mamma se ne andò? “C’è sempre un domani, piccola”, questo mi dicesti. Nessuno sarà più al sicuro quando comincerà, quando i draghi e gli stregoni metteranno a ferro e fuoco la Terra dei Tuoni, e i maghi si combatteranno a vicenda. Nessuno sarà più al sicuro nemmeno qui, ad Effort. Nemmeno a Pothien. Io voglio rendermi utile.»
«Non ho nemmeno un nipote» piagnucolò a metà tra il serio e il comico.
Chloé rise.
«Non devo necessariamente lasciarci le penne, papà.»
«Non ho speranza che ti sposi, vero? Eppure con tutto quello che fai per lui…»
«Chi, Liam?! Oh, temo di no…ma questo è un bene, pensa che calamità naturali sarebbero i nostri figli! E poi, nemmeno ti piace» scherzò.
Joel la allontanò, trattenendola per le spalle. I suoi occhi color cioccolato erano gonfi.
«Beh, magari sarà l’occasione giusta per incontrare un mago migliore.»
Chloé non rispose. Il groppo alla gola non le permetteva di parlare.
«Beh…è meglio che vada, ora» mormorò suo padre, prima di sparire oltre la porta.
Quando i passi di suo padre sparirono giù dalle scale, Chloé si sedette sul letto. Le gambe tremavano. Fece qualche respiro profondo, fino a quando non si sentì più calma. Solo allora si alzò e si guardò nello specchio, alla ricerca di quel cipiglio, quella determinazione così connaturata in lei da non averla mai nemmeno messa in dubbio, e che negli ultimi giorni sembrava averla abbandonata. Joel aveva ragione, non poteva passare le giornate chiusa nella sua stanza a consumare il pavimento a furia di camminare avanti e indietro. Era colpa di quel senso di perenne attesa, ne era certa. La sfiancante sensazione di non avere parte nella scelta del proprio destino, come di sabbia che sfugge tra le dita. Si guardò e si scostò una ciocca di capelli dagli occhi. Era giunto il momento di dare una svolta a quella situazione di stallo. Se Liam non aveva il coraggio di esporsi, allora l’avrebbe fatto lei, e a lui non sarebbe rimasta altra scelta che seguirla. E se Amina aveva aiutato il mago nelle ricerca di Irthen, e lui aveva accettato l’aiuto, allora la sua strada era già tracciata: Ruben si sarebbe aspettato qualcosa, in cambio dell’appoggio dei suoi maghi.
Persa nei propri ragionamenti, si tirò i capelli sulla spalla sinistra e li legò con un laccio, si sistemò lo scollo dell’abito e strinse un nastro sui fianchi. Poi prese un bel respiro ed uscì.
C’era una cosa che né Liam né suo padre sapevano, l’ultima carta che le era rimasta da giocare. Ruben aveva messo una delle sue spie a controllarla.
All’inizio era solo una sensazione sgradevole, come un fastidio, come il sentirsi osservati, ma fino a pochi giorni prima non aveva avuto lo spunto per elaborare la sua teoria. Quando la sua solitaria dirimpettaia, una bella ragazza sui vent’anni che metteva raramente il naso fuori di casa, aveva ricevuto la prima visita in tre anni. Una donna aveva bussato alla porta e la ragazza l’aveva fatta entrare velocemente, e aveva richiuso l’uscio. Strano, per una che non riceve mai ospiti, non mostrarsi sorpresa né felice. Il buon vecchio Thorla diceva che “quando diventi cacciatore, lo sei per tutta la vita”, e Chloé era perfettamente d’accordo con lui. Aveva fiutato la preda, così aveva atteso ed osservato. La misteriosa ragazza aveva raccolto in poche ore le sue proprietà e se n’era andata a bordo di un carretto. L’altra donna era rimasta, ma non aveva disfatto i suoi pochi bagagli. In compenso, aveva iniziato a ricevere visite continue di gufi, colombe e pennuti vari, ognuno dei quali recava una pergamena arrotolata stretta ad una zampetta. E quando ripartivano, il messaggio era legato con un nastrino rosso.
Quella donna passava molto del suo tempo alla finestra, ad osservare la porta chiusa della casa del macellaio. E Chloé guardava lei, convinta che, in un modo o nell’altro, si sarebbe tradita.
Infatti, quella mattina aveva dimenticato di tirare la tenda prima di accendere il fuoco, con un semplice schiocco delle dita. A quel punto, i sospetti di Chloé avevano trovato conferma: la sua dirimpettaia era una maga. Non restava che da scoprire a chi avesse giurato fedeltà.
Scesa in piazza, si diresse verso il mercato del pesce. Maghe o no, anche quelle donne mangiavano. E se cercava informazioni, Theo era la persona giusta a cui chiedere, più pettegolo di una comare e, da bravo cinquantenne scapolo, fin troppo sensibile al fascino femminile. Così, rallentò il passo e puntò il suo banco.
«Buon pomeriggio, Theo» esordì con un sorriso, fingendo di osservare le carpe esposte a fare bella mostra di sé.
«Oh, ciao, Chloé!» Theo sorrise. «Posso aiutarti? Cerchi qualcosa di speciale per la cena? Qualche ricorrenza, magari?»
Chloé sorrise di rimando, mascherando la nausea che il tono accomodante del pescivendolo le suscitava.
«No, no, nessuna ricorrenza…veramente volevo solo fare due chiacchiere» disse guardandolo di sottecchi.
Theo prese a torcersi le mani.
«Beh, è…è un piacere» farfugliò.
«Hai sentito che la strana tipa che abitava di fronte a me se n’è andata?» disse fingendo noncuranza, mentre giocherellava con il laccetto della coda.
«L’ho sentito dire. Mi hanno anche detto che a casa sua, ora, abita un’altra donna…altrettanto strana.»
La ragazza annuì.
«È anche più strana dell’altra! Se ne sta tutto il giorno alla finestra» sorrise. «Sai per caso come si chiama?»
Theo le lanciò un’occhiata strana e distolse lo sguardo.
«Perché ti interessa?» domandò prendendo uno straccio e prendendo a lucidare convulsamente la lama di un coltello.
Chloé lo fissò perplessa.
«Per curiosità. Sai come si dice, no, che la curiosità è femmina? C’è qualcosa di male?»
L’uomo scosse il capo, imbarazzato.
«No, è solo che…sai cosa si diceva dell’altra…Aqua o come si chiamava?»
Chloé negò, con aria innocente. Theo si avvicinò e abbassò la voce con fare cospiratore.
«Beh, sembra che…ecco…le piacessero le donne!»
Chloé sbatté le palpebre, stentando a cogliere il nesso.
«Ed era vero?» domandò.
Theo si strinse nelle spalle.
«Chi lo sa? Era sempre così sulle sue…»
«Ma che cosa c’entra tutto questo con la mia nuova vicina? No, aspetta, ho capito! Tu hai paura che nemmeno a lei piacciano gli uomini e che io condivida le loro opinioni, e per questo la voglia conoscere! Oh, Dei, Theo, con la fama che ho in città sarebbe ridicolo!»
Theo balbettò qualcosa di incomprensibile, sempre più imbarazzato.
«Allora, appurato che ho altri gusti, mi dici questo nome?» incalzò ammiccando.
«Debrina. Si chiama Debrina ed è alquanto rissosa. Stamattina ha litigato con Toby perché sosteneva che i suoi gamberi non erano freschi!»
«Roba da matti» commentò Chloé, che con la testa era già altrove.
Mentre Theo ciarlava ancora di affari altrui, più o meno privati, la ragazza lo interruppe.
«Beh, grazie amico mio, sei il migliore! Ci vediamo.»
Si allontanò velocemente, lasciando il pescivendolo inebetito.
Quando fu sufficientemente lontana, sfilò dal borsellino il taccuino su cui aveva appuntato, nei cinque anni trascorsi dal Consiglio, i nomi e le informazioni raccolte su ogni mago di cui avesse sentito parlare. Lo sfogliò rapidamente, fino a trovare ciò che cercava:
Debrina, del Fuoco; Ruben.
Non era molto, ma era più che sufficiente. Stava con la fazione di Amina, e tanto bastava.
Ripercorse la strada a ritroso, passò davanti alla bottega della madre di Gustavo attenta a non farsi vedere – dopo aver rinunciato alle buone maniere e aver mandato al diavolo il figlio della fiorista, questa non si era dimostrata molto lieta di incontrarla – e raggiunse l’uscio della dirimpettaia. Levò il pugno per bussare, ma la porta si aprì prima che potesse farlo.
«È permesso?» domandò entrando.
«L’avevo detto, al Maestro, che questo lavoro non era adatto a me.»
La voce proveniva dalla stanza attigua. Chloé la seguì e trovò la proprietaria comodamente seduta in poltrona, con i piedi sul tavolino e un bicchiere di vino rosso in mano. Nonostante i capelli scuri fossero striati di grigio, non poteva avere più di trent’anni.
«Benvenuta, Chloé. Accomodati. Posso offrirti qualcosa?»
Chloé si sedette di fronte a lei.
«No, grazie. Debrina, giusto?»
Debrina sorrise.
«Sei più sveglia del tuo amico, a quanto pare. Lui non l’avrebbe mai scoperta, Amina.»
«Probabilmente, lei non si è mai dimenticata di tirare le tende prima di dare sfoggio delle sue abilità magiche…»
La donna sogghignò. Colta da un’improvvisa illuminazione, Chloé si batté il palmo della mano sulla fronte.
«Ma certo! Che stupida, tu sapevi che ti stavo osservando, per questo l’hai fatto, perché facessi uno più uno e venissi da te, costringendo Liam a fare altrettanto!»
La maga bevve un sorso di vino e posò il bicchiere.
«Perché sei qui, Chloé?»
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore. Era il momento di decidere, e una volta deciso non si poteva tornare indietro.
«Per offrirvi il mio aiuto. Non varrà molto, ma…»
Debrina si alzò e Chloé si interruppe.
«Perché? Sei consapevole del fatto che stai tradendo Liam, scegliendo per lui?»
La ragazza scosse il capo.
«Liam ha scelto nel momento stesso in cui ha accettato l’aiuto di Amina, solo che non ha ancora avuto il coraggio di riconoscerlo con sé stesso. Perciò, io non lo sto tradendo, lo sto soltanto anticipando.»
«Che cosa sai fare, ragazza?» domandò.
«Tiro con l’arco discretamente bene. E sono una buona osservatrice. Niente di più.»
Debrina annuì.
«È sufficiente. Per quando potresti essere pronta a partire?»
Chloé guardò fuori dalla finestra al cielo che imbruniva.
«All’alba.»
«Sta bene. Benvenuta a bordo» concluse la maga tendendole la mano.



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Eccomi qua! Questo capitolo è stato un parto, è giusto che lo sappiate..
Prima di tutto, BENVENUTO NOVEMBRE, mese meraviglioso dato che ci compio gli anni XD
Secondo: Socorro cara, in questo capitolo non ho previsto Amina - neanche nel prossimo U.U - spero tu non nutra desideri omicidi nei miei confronti, per questo..
Terzo: Hary HAI VISTO che qualcuno della tua amata nave SI è SALVATO!!!!! Sgrunt :)
Quarto: voglio rendere tutti partecipi del mio disappunto. Girando per negozi in cerca di un cellulare nuovo, ho tragicamente scoperto di aver chiamato la capitale degli elfi come uno smartphone -____-" Scusa, Horlon, giuro che non lo sapevo..però guarda il lato positivo: le comunicazioni sono più veloci che con la colomba di Mina XD

Baciiii

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Capitolo 16
*** Interludio ***


Dall’oscuro vuoto dell’incoscienza una luce si fece strada e acquisì, lentamente, consistenza. Liam si schermò gli occhi, abbacinato, mentre l’ambiente attorno a lui prendeva forma. E quando riuscì finalmente a guardarsi intorno, la curiosità e la preoccupazione si mischiarono alla sorpresa.
Si trovava in una stanza circolare, illuminata da un tenue bagliore che sembrava generarsi direttamente dalle pareti di roccia. Su tutto il perimetro circolare si aprivano delle porte – ventisei, ne contò – una delle quali sembrava solo disegnata. Lui se ne stava in piedi al centro della strana stanza su un’isola di pietra, circondata tutto attorno da un baratro senza fine, che si allungava per diversi piedi tra il piedistallo del mago e la parete. Solo una sottile passerella congiungeva la sua isola ad una delle venticinque porte vere.
«Ma dove accidenti mi trovo?» mormorò il mago.
Improvvisamente si rese conto che la spalla non gli doleva come avrebbe ragionevolmente dovuto. Tastandola, esitante, scoprì che era perfettamente integra, e gli abiti puliti. Ma non solo: compiendo quel semplice gesto, notò anche l’assenza della cicatrice che gli segnava il polso destro. Se l’era procurata cercando di incordare il suo primo arco, da bambino. E così mancavano anche tutti gli altri piccoli segni che i suoi venticinque anni di vita gli avevano lasciato addosso. Venticinque, come le porte. E una ventiseiesima non ancora terminata.
«Perfetto. Sono morto» sbottò. «Eppure…dai, che assurdità! Nessuno muore per una ferita del cavolo così!»
Si grattò la testa, tentando di decidere il da farsi.
«Beh, Li’, non è che tu abbia grandi alternative: o ti butti di sotto…»
Gettò un’occhiata al precipizio, la cui parete di roccia si perdeva nel buio. Poi imboccò la passerella, facendo attenzione a non cadere, e si fermò davanti alla porta contro alla quale terminava. Posò, esitante, la mano sul pomello e la porta si aprì.
 
Per un attimo restò bloccato sulla soglia alla vista della stanza che gli stava innanzi. La camera da letto dei suoi genitori era illuminata dalla luce del sole e la risata profonda di Thorla sembrava riempire ogni angolo. Naìba era seduta sul letto con una fagotto stretto tra le braccia. Accanto a lei, suo marito e i due bambini. Un Liam di dodici anni con il piccolo Irthen aggrappato al collo.
«Posso prenderla, mamma?» domandò Liam del passato.
«Quando sarà un pochino più grande, tesoro. Adesso è troppo delicata» rispose Naìba, dolcemente.
Gli occhi di Liam del presente si riempirono di lacrime.
«Syra…» mormorò.
I presenti non si voltarono, come neanche fosse esistito. Facendo appello a tutta la sua forza per fermare il tremore alle gambe, si avvicinò al gruppetto. I suoi occhi indugiarono su ognuno del presenti, sulla bellezza altera di sua madre e sui lineamenti del Nord, così simili ai suoi; sullo sguardo commosso e affettuoso di suo padre; sulle guanciotte arrossate e paffute della sorellina appena nata; sugli occhioni verdi e sgranati di Irthen; infine, su se stesso.
«Li’, mamma ci vuoe ancoa bene?» mugugnò Irthen.
«Ma certo, schiocchino» risposero in coro i due Liam.
Il piccolo sorrise, poco persuaso, e il mago sentì le lacrime scivolargli giù lungo le guance.
Tutto quello che il destino gli aveva portato via stava lì, davanti a lui. E pure tutto ciò che gli era rimasto.
«Se non riuscirò a fermarti, Ir, potrei perdere anche te. E allora che cosa farò? Che cosa diresti, mamma, se sapessi che casino ho combinato?»
Si sedette sul bordo del letto e allungò istintivamente una mano verso Syra.
Improvvisamente, tutto divenne nero e, prima che potesse capire che cosa stava accadendo, Liam si ritrovò al centro della stanza circolare.
Si asciugò il viso con la manica e sospirò.
«Splendido. Siamo daccapo.»
Scosse il capo e attraversò di nuovo la stanza. Quando fu davanti alla porta, quella si aprì, ma l’interno era cambiato.
 
Stava in piedi nel grande prato che si trovava appena fuori da Pothien, quel prato che non esisteva più perché vi era stato costruito un granaio.
Il piccolo Liam aveva un polso fasciato e tendeva con cipiglio ostinato e presa malferma un piccolo arco.
«Puntalo più in alto, Li’» suggerì Thorla.
Il bambino obbedì e scoccò. La freccia mancò clamorosamente il bersaglio, e il piccolo arciere scoppiò a piangere, deluso. Suo padre lo guardò storto.
«È inutile piangere sul latte versato, ragazzo. Quel cervo l’hai perso. Ma la gente del Nord è gente tosta, quindi niente lacrime, e cerchiamo un’altra preda. Recupera quella freccia e mira di nuovo.»
Il bambino tirò sul con il naso e annuì.
“Quanti anni avevo, quattro?” si domandò il mago sfiorando meccanicamente il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la cicatrice che si era procurato con quello stesso arco.
In un battibaleno, il prato scomparve per lasciare posto alla fredda roccia della stanza iniziale.
 
Di nuovo all’origine, nuova porta. Liam la spinse senza esitazione e rimase frastornato dalla luce troppo intensa. Gli ci volle un momento per capire che era per via della neve, che ricopriva ogni cosa a perdita d’occhio. Si stupì di non riconoscere quel luogo. Eppure, doveva essere un ricordo recente, a giudicare dall’aspetto di Liam del passato e dal fatto che cavalcava Baio. Doveva aver vissuto quel momento al massimo un paio di anni prima.
«Dov’ero durante l’inverno di due anni fa?» si domandò il mago.
Davanti a lui si stagliavano le mura di una cittadina che proprio non gli diceva niente. Liam del passato smontò da cavallo e si guardò intorno con circospezione, poi oltrepassò la cinta muraria, seguito a ruota da Liam del presente. Solo quando si trovò davanti all’imponente mole del Tempio del Fato riconobbe quel posto come Anànvola, piccolo centro frequentato per lo più da pellegrini, a Ovest dei Giganti. Ma non ricordava proprio di esserci stato. Mai. Conosceva la facciata piena di guglie, di trifore e strombature del Tempio perché era molto famoso e lo si trovava raffigurato in molti testi, sacri e non.
Seguì il ricordo, scioccato, e aggirò l’edificio, per poi fermarsi davanti ad una casetta addossata alla facciata Nord. Liam del passato bussò.
La porta si scostò e comparve un occhio a mandorla di un azzurro freddo. Poi l’uscio si aprì e i due Liam entrarono. L’interno era illuminato dal riverbero di grossi ceri bianchi.
«Ti aspettavo, Liam dell’Acqua.»
La proprietaria della voce emerse dall’ombra. Era una donnina bassa e minuta, con il volto da bambina, ma lunghi capelli color argento che le scendevano fino quasi al ginocchio.
Liam del presente spalancò la bocca riconoscendola come Selene, il quarto stregone, che non era però riconosciuto tale perché rinnegava la sua natura e i suoi simili, e utilizzava i suoi immensi poteri solo all’interno del recinto sacro di quel Tempio.
Liam del passato chinò il capo con deferenza.
«Tu sei qui per sapere con chi dovrai schierarti per arrecare meno danno possibile alla Terra dei Tuoni» disse la Veggente con la sua voce adamantina. «È ammirevole, da parte di un mortale. Ebbene, per questo motivo te lo dirò. Ma sappi che dimenticherai questa conversazione, e non ricorderai di essere stato qui, né di avermi parlato, se non al momento opportuno.»
«In che modo mi gioverà sapere, allora?» domandò l’ospite.
«Il Fato ha molte vie per riportarci a noi stessi, mago» lo guardò intensamente. «Il tuo appoggio andrà a Ruben. Il suo aiuto ti sarà indispensabile, negli anni a venire, per proteggere te stesso, Irthen e la bella Chloé. Ma il vento può cambiare improvvisamente, Liam. Tendi l’orecchio al richiamo del Fato.»
Il mago annuì. Selene descrisse un arco con il palmo aperto della mano sinistra e, in un battito di ciglia, Liam si ritrovò nella stanza delle porte.
Sconvolto, si sedette sull’isola di pietra e si prese la testa tra le mani. Aveva deciso di recarsi ad Anànvola per consultare la Veggente, aveva ottenuto risposta ma non ricordava nulla di quel viaggio. Ruben. Naturale, senza l’aiuto suo e dei suoi non avrebbe nemmeno saputo da che parte cominciare, forse non avrebbe ancora scoperto l’assenza di Irthen. E senza il loro appoggio non aveva speranza di salvarlo. Selene…come aveva potuto dimenticarla? Al Consiglio di Effort, lei, non si era nemmeno presentata, tanto si sentiva lontana dai suoi simili. Aveva deciso di chiudersi nella sua torre d’avorio e osservare l’evolversi della guerra con un giorno d’anticipo. Liam storse il naso.
«È quello che hai fatto anche tu, codardo.»
Si trasse in piedi e si diresse verso una nuova porta.
 
Dall’oscurità dedusse che era notte. Una candela illuminava un Liam ed una Chloé adolescenti, seduti ad un tavolino. La ragazzina stava fasciando una mano dell’amico, che teneva un labbro stretto tra i denti per non gemere. Liam del presente sorrise fra sé e sé.
«Non avresti dovuto farlo» sussurrò Chloé.
«Vorrai scherzare, quello ti ha detto che sei una sgualdrina» sbottò il ragazzino passandosi una mano sugli occhi.
«Sì, ma non c’era bisogno di prenderlo a pugni…» disse con un mezzo sorriso.
 
Il ricordo svanì veloce, e Liam non perse tempo. Si lanciò subito sulla porta successiva.
«IRTHEN!»
La voce di Naìba lo fece sussultare.
Sua madre si teneva le mani tra i capelli mentre osservava il bambino che, con un carboncino, dipingeva le pareti bianche dell’ingresso. Syra comparve gattonando, seguita dal giovane Liam, che spalancò gli occhioni scuri, combattuto tra l’entusiasmo e la preoccupazione.
«Hai vitto che bavo shono, mamma?»
Liam chiuse gli occhi per un secondo, per assaporare meglio quella scena, ma quando li riaprì era di nuovo al centro della stanza circolare. Con un sospiro scocciato, oltrepassò di nuovo il ponte.
 
La nuova porta si apriva sul momento che più temeva di dover rivivere del suo passato. Trasse un bel respiro e varcò la soglia.
Una bambina si sporgeva dal parapetto sulla bocca di un pozzo, in equilibrio pericolosamente precario. Pur sapendo che Chloé non sarebbe caduta, Liam provò il fortissimo impulso di trascinarla al sicuro. Trattenendosi, si avvicinò. La piccola Chloé piangeva in silenzio.
«Vai a chiamare papà, Clo» disse una vocina dal fondo lontano del pozzo.
Liam non aveva bisogno di guardare giù per sapere che ci avrebbe trovato sé stesso appeso alla parete rocciosa, nel tentativo disperato di non finire annegato.
Chloé scosse la testolina.
«Non ti lascio solo» disse guardandosi attorno.
Liam replicò irrazionalmente il gesto della bambina. Il sole stava tramontando sulla piccola radura ai margini del bosco che si allargava appena a Nord di Pothien. Un posto dove due bambini di neanche sette anni non avrebbero mai dovuto trovarsi.
«Ti prego, Clo, non ce la faccio più!»
Chloé rimase lì, impalata.
«Cerco una corda» mormorò.
«Non ci sono corde, qui! Ho paura, chiama papà!»
«No» frignò.
Liam del presente chiuse gli occhi. Sapeva cosa stava per accadere, lo ricordava alla perfezione.
Ricordava come le sue dita, scivolando sulla roccia umida, avevano perso l’appiglio precipitandolo sott’acqua, come le braccia gli facevano troppo male per riportarlo a galla. Tutto era scuro e freddo e aveva creduto fermamente che sarebbe annegato. Lo strillo terrorizzato di Chloé aveva squarciato anche il velo dell’acqua. Sfinito, aveva sentito quel pesante muro liquido sovrastarlo, mentre scivolava lentamente verso l’oscurità più profonda. E quando, obbedendo alla necessità di ossigeno, aveva tentato di respirare, l’acqua aveva invaso le sue vie respiratorie. Ma, anziché soffocarlo, gli aveva reso tutto d’un tratto le energie, e non solo. L’Acqua aveva iniziato a ribollire e a risalire le pareti del pozzo, portandolo su fino all’imboccatura, dove una spaventata Chloé l’aveva afferrato per le braccia e trascinato sull’erba asciutta. In una frazione di secondo, tutto era tornato normale, e lui era svenuto. Al suo risveglio era nel suo letto, al sicuro.
Anche nel ricordo, la bambina aveva gridato e l’acqua aveva iniziato a gorgogliare, sempre più forte fino a sciabordare e ritirarsi.
Il mago aprì gli occhi mentre i bambini finivano pancia all’aria per terra.
«Li’…? Li’, svegliati, ti prego…» mormorò Chloé.
Esitò, poi abbracciò forte l’amico svenuto e si trasse in piedi. Si asciugò gli occhi e le guance e corse via alla ricerca di aiuto.
Liam del presente sospirò, mentre tutto si oscurava di nuovo e si ritrovava nella sala circolare.
 
«Adesso basta, devo trovare il modo di uscire di qui» si disse, attraversando di corsa la passerella per l’ennesima volta e aprendo la porta con un calcio.
«SILENZIO, per favore!»
Una voce echeggiava in una grande sala, cercando di zittire la folla urlante. Il Consiglio di Effort.
Liam individuò sé stesso senza fatica e si guardò intorno. Konstantin, in prima fila, parlottava stretto stretto con Alec, e, accanto a loro, una ragazzina magra dagli occhi penetranti fissava l’oratore con aria serafica.
«Il comportamento degli stregoni e dei loro seguaci è inaccettabile!» dichiarò Micael, alzandosi in piedi.
La platea assentì.
«È giunto il momento di prendere la nostra decisione, maghi della Terra dei Tuoni. È giunta l’ora di schierarci» aggiunse.
Il mago si lanciò nella sua arringa, e dopo di lui fu in turno di Ruben di perorare la propria causa. Ma Liam non prestò attenzione. Scrutava in viso i presenti cercando conferma dell’assenza di Amina. Quando fu ragionevolmente certo che non fosse presente, si sentì rincuorato. Se non altro, non era stato completamente fesso a non identificarla come maga.
Improvvisamente, calò il silenzio e un uomo si alzò. Osservandolo con più attenzione, Liam si rese conto che i suoi capelli erano più lisci e più luminosi del normale, che la sua pelle era diafana e le sue orecchie vagamente appuntite. Scavò a fondo nella memoria, per scoprire che non ricordava quasi nulla di quell’intervento.
«Parlo a nome degli Immortali che ancora vivono in pace con gli antichi Unicorni nelle ombre sacre del Bosco Lossar. Non appoggeremo mai chi desideri sterminare la stirpe dei draghi, mutando così l’equilibrio delle cose. Per questo motivo, io, Glenndois, offro l’alleanza mia e dei miei fratelli a Ruben dell’Aria e ai suoi sostenitori.»
Liam spalancò gli occhi.
«Glenndois…gli elfi del Bosco Lossar, li avevo completamente dimenticati!» esclamò. «Ma certo, è Glenndois che dovrò cercare se gli Unicorni faranno storie!»
Tutto divenne nuovamente buio.
Aspettandosi di ricomparire ancora nella stanza delle porte, sospirò. Ma questa volta, qualcosa cambiò.



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Ma sì, crepi l'avarizia! Addirittura due aggiornamenti questa settemana! Ma non abituatevi bene, dovrò pur decidermi a studiare ogni tanto... :)

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Capitolo 17
*** Cyanor ***


La totale assenza di luce e di ogni genere di suono si prolungò, precipitandolo in uno stato di attesa e inquietudine. Poi, una limpida voce femminile riverberò nell’oscurità.
Svegliati, Mago. Il processo è completato. Torna alla luce.
Liam obbedì. Il bagliore tenue del sottobosco gli ferì gli occhi come una lama. Tentò istintivamente di schermarsi il viso, ma scoprì con orrore di non riuscire a muoversi. Non un muscolo rispondeva ai suoi ordini. Ad eccezione del viso, il suo corpo sembrava addormentato. Spostò gli occhi a destra e a sinistra. Qualcuno si era preso la briga di metterlo seduto su una sedia di legno decisamente non imbottita, anche se davanti a lui non c’era altro che alberi.
«Ben svegliato, Liam dell’Acqua» disse la voce limpida alle sue spalle.
Il mago sarebbe sobbalzato se ne avesse avuto la possibilità. Rimpianse di non potersi voltare, tanto quella voce suonava perfetta.
«Dove sono?» domandò, scoprendo con un vago sollievo di poter parlare.
La proprietaria della voce entrò nel suo campo visivo e Liam ammutolì. I capelli di un castano dai riflessi biondi, sparsi sulle spalle esili, incorniciavano un viso affilato, nel mezzo del quale spiccavano due occhi blu. Non azzurri. Proprio blu. Le sue labbra sottili erano tirate in un sorriso poco spontaneo. Il mago non ebbe bisogno di vedere le orecchie per capire che si trovava davanti ad un’elfa.
«Sei prigioniero del Nobile Glenndois, governatore di Bosco Lossar. Il mio nome è Rowena, e sono sua figlia. Ti ho indotto un sonno artificiale per poter curare in tutta sicurezza e il più rapidamente possibile la ferita alla spalla.»
Liam batté le palpebre. Non aveva mai visto un elfo così da vicino, non sapeva in che modo fossero soliti relazionarsi tra loro e con gli umani, ma era certo che quella Rowena gli fosse vagamente ostile. L’elfa proseguì:
«Prima di tutto il resto, però, ci devi della spiegazioni.»
«S-spiegazioni?» balbettò.
Quella sospirò e prese a camminare avanti e indietro, tradendo il nervosismo.
«Ti riassumerò la situazione, mago. Sei giunto nel nostro territorio troppo debole persino per tenere gli occhi aperti, qualcuno ti aveva inferto una ferita interessante, e quel qualcuno doveva volerti davvero male. Il tuo intelligente cavallo ti ha portato dagli unicorni, i quali però desideravano ardentemente smembrarti e gettare i tuoi miseri resti nel Morgael. Non corre ottimo sangue tra loro e gli umani, lo saprai…Glenndois si è opposto, ma solamente perché mio fratello ha insistito sul fatto che fosse almeno il caso di capire perché sei qui, prima di eliminarti.»
Liam respirò a fondo cercando di calmare i nervi prima di rispondere:
«Quindi, tu mi avresti lasciato in pasto agli unicorni? Molto gentile. Soprattutto dopo che il governatore ha promesso appoggio a Ruben.»
Rowena si fermò e fissò gli occhi blu sul mago.
«È così. Ma non mi risulta che tu stia con Ruben.»
«Ti risulta male. Non gli ho ancora parlato perché ho avuto qualche contrattempo, come avrai notato.»
L’elfa annuì con aria saputa.
«Certo, molto opportuno. Soprattutto vista la tua attuale situazione.»
Liam sbuffò.
«Ti ha mai detto nessuno che sei davvero antipatica?»
Rowena lo guardò storto.
«Senti, bellezza, ti spiego il mio problema, va bene? Ho un fratello idiota di quindici anni che è scappato di casa per andare a cercare quella dannata Cascata del cazzo, e quello stronzo di Caleb mi ha aperto una spalla per impedirmi di raggiungerlo, suppongo gli farebbe comodo un manovrabilissimo stregone adolescente nuovo di zecca, non lo so…siccome Ruben e i suoi amichetti mi stanno aiutando, e io sono una persona riconoscente, ho intenzione di giurargli fedeltà, ma devo prima recuperare quel cretino di Irthen e liberarmi dello stronzone. Perciò, adesso te lo chiedo con gentilezza: fammi a pezzi o togliti dalle palle e lasciami andare!»
L’elfa sbatté le palpebre, scioccata. Balbettò qualcosa di incomprensibile, ma si interruppe quando una risata proruppe dal bosco. Dall’ombra di un albero spuntò un secondo elfo, lui pure dotato di occhi blu e capelli chiari, solo tagliati più corti, sulle spalle anziché a metà schiena.
«Ho fatto bene a salvargli la vita, Nana, è uno spasso! Nessuno ti aveva mai detto di toglierti dalle palle!»
Rowena gli lanciò un’occhiata omicida, che l’elfo ignorò bellamente.
«Ciao, Liam! Ho sentito parlare molto di te. Il mio nome è Oliandro, sono il fratello di questa acidona.»
Liam rinunciò a capirci qualcosa e lo fissò a bocca aperta.
«Su, chiudi quella bocca, gli elfi non sono tutti antipatici come Nana, sai?»
Cercando di mettere ordine nei propri pensieri, il mago rimpianse di non poter prendere a calci qualcosa.
«Perché mai un elfo che non ho mai visto in vita mia dovrebbe volermi salvare la vita?» domandò.
L’elfo si strinse nelle spalle.
«Mi piacciono gli umani. Ma il vecchio Glenn non è dello stesso parere. Lui non si fida di voi, dice che siete volubili, capricciosi e avidi. Il fatto che abbiate cacciato per anni gli unicorni non depone in vostro favore. L’unica eccezione, ai suoi occhi, è Ruben, che ha l’immenso merito di rappresentare il male minore rispetto a Micael e agli stregoni…»
«Glenndois non voleva schierarsi» intervenne Rowena con un sospiro affranto. «Fosse stato per lui, ci avrebbe fatti arroccare qui, con il solo scopo di difenderci. Ma quando i draghi hanno promesso ai loro seguaci Lumia…» rabbrividì. «I draghi vogliono distruggere il Reame Eterno, e Re Horlon si è subito dichiarato alleato della fazione più moderata. Così, nostro padre si è aggregato.»
«Ad ogni modo, Nana, potevi risparmiargli il tuo teatrino» mormorò Oliandro.
Liam spostò lo sguardo dall’uno all’altra.
«Di che teatrino parli?» domandò.
L’elfo scoccò un’occhiata in tralice alla sorella e rispose:
«Sappiamo già tutto di te, Liam. Su tuo fratello, sui tuoi rapporti con Ruben, sui tuoi poteri. Gli unicorni hanno insistito per sondare la tua mente, prima di acconsentire a trattenerti nel loro territorio. Mentre Nana ti rimetteva in sesto, loro sono entrati nella tua testa e hanno dato una sbirciatina…non è una cosa molto carina, lo ammetto, ma è servito a salvarti la vita.»
Liam chiuse gli occhi sopraffatto da un attacco di ira cieca, che disgraziatamente non gli era concesso di sfogare. Tutti i ricordi, dolorosi e personali, che aveva rivissuto dovevano essere quegli stessi ricordi su cui gli unicorni avevano deciso di porre accento.
«Hai rovinato tutto il divertimento, Dodo» sbottò Rowena, pestando i piedi come una bambina.
«Divertimento?! Poveraccio, lo stavi facendo uscire di senno!»
«Beh? Non succede mai niente in questo cavolo di bosco! Se solo Glenn mi lasciasse andare a Lumia…»
«Ne abbiamo già parlato, non possiamo! Dobbiamo partire per Natìm, tra due giorni.»
«Sì, però…»
«Ehm, scusate» li interruppe stancamente Liam.
I due lo guardarono, come avessero ricordato improvvisamente la sua presenza.
«Prima di tutto, vi sarei grato se non parlaste di me come se non fossi qui ad ascoltarvi. In secondo luogo, devo sapere da quanto mi trovo qui. Il tempo, per me, è prezioso. Lasciatemi andare…»
Oliandro si rattristò e prese a torturarsi un’unghia con i denti. Rowena sospirò.
«Sei qui da ventisei ore, mago. E…per il momento non se ne parla di lasciarti andare» l’elfa abbassò lo sguardo, mortificata. «Glenndois sta per ritirarsi in riunione con i capi degli unicorni per discutere della tua situazione. Fino a ché non raggiungeranno un verdetto, dovrai restare qui.»
«Se dipendesse da me, amico, ti libererai seduta stante, ma sono stati gli unicorni a immobilizzarti. La loro magia è antica, non può essere infranta da un elfo» disse Oliandro.
Liam si sentì svenire alle parole “ventisei ore”. Più di un giorno buttato via per colpa dello stronzone. Cercando di controllare il montare del panico, domandò:
«Quanto ci vorrà?»
L’elfo scosse il capo e calò il silenzio. Liam rifletté rapidamente. Se i suoi calcoli erano corretti, c’erano ancora dai quattro ai cinque giorni di viaggio a separare Irthen dal Canyon, mentre con molta probabilità a lui ne sarebbe bastato uno per raggiungere la Cascata. Poteva fare lo sforzo di pazientare qualche ora ancora.
Di colpo, il viso di Rowena si illuminò ed esclamò:
«Dodo, ho un’idea! Vai da Glenn, digli che il mago si è svegliato e che vuole sottoporsi al processo!»
Oliandro sgranò gli occhi.
«Ma sei matta?!»
L’elfa puntò lo sguardo blu su Liam, che rabbrividì istintivamente.
«Se Liam avrà la meglio, gli unicorni lo rispetteranno e si fideranno di lui, e allora forse…»
Oliandro continuava a fissare la sorella a bocca aperta, così Liam domandò:
«Che cos’è il processo?»
L’elfo deglutì.
«È un rito in cui un imputato si espone all’interrogatorio del governatore e dei capi degli unicorni. Questi ultimi fanno un incantesimo su una coppa d’acqua attinta dal Morgael, e l’imputato la deve bere. Se, durante l’interrogatorio, l’imputato dichiara il falso, l’acqua incantata brucia nello stomaco come acido, e lui soffre come un cane. C’è la possibilità che ci lasci le penne…»
«Che scopo ha tutto questo?» domandò il mago, inorridito.
«È una prova di fiducia, coraggio e sincerità. Per gli unicorni sono qualità essenziali da ricercarsi negli amici. Se tu dovessi superare la prova, ti guadagnerai il loro rispetto, cosa non da poco in vista della guerra, dato che non si sono ancora schierati» disse Rowena.
«Non è il caso che tu lo faccia, amico» intervenne Oliandro. «Sottoporsi al processo è come mettere a nudo ogni anfratto del nostro essere, senza possibilità di mentire, se non rischiando la vita…»
Liam sospirò. Se gli unicorni avevano già sondato la sua mente, non poteva esserci molto altro da tenere celato.
«Se io accettassi e ne uscissi vivo, potrei andarmene prima di quanto non farei se attendessi l’esito della riunione?» domandò.
Oliandro fece per rispondere ma Rowena gli posò una mano sulla spalla, parlando in sua vece.
«La riunione potrebbe durare giorni e giorni, mago. Elfi ed unicorni sono creature immortali, il tempo per noi non ha lo stesso peso che ha per gli umani. Se invece avrà luogo il processo, l’eccitazione per il rito li spingerà ad agire in tempi brevi. Ma devi rifletterci bene, prima di acconsentire, perché non potrai tirarti indietro fino alla conclusione.»
«Anche se dovessero chiederti la cosa più imbarazzante del mondo, sarai obbligato a rispondere» aggiunse Oliandro.
Liam passò in rivista le informazioni in suo possesso circa Micael, gli stregoni, Lukas, valutò le proprie scelte, soppesò la propria vita, Chloé, il lavoro, i suoi vizi. E decise che valeva la pena di rischiare.
«Oliandro» disse «dì a tuo padre che mi voglio sottoporre a questo rito.»
L’elfo sospirò e si allontanò velocemente.
 
Nel riverbero del tramonto, la Piana di Thann sembrava divorata dalle fiamme. Fiamme a perdita d’occhio. Il pensiero che in quell’immensità si potessero annidare orchetti e chissà cos’altro fece correre un brivido lungo la spina dorsale di Irthen. C’era qualcosa, però, come un’ansia non definita che gli toglieva il respiro, che non aveva niente a che fare con la Piana. Guardò di sottecchi la sua compagna di viaggio, con un misto di timore e aspettativa inscindibili. Non riusciva a smettere di contorcersi nella curiosità di sapere qualcosa di più su di lei. Come avesse imparato a tirare con l’arco con una simile precisione, per esempio, oppure come potesse aver viaggiato tanto alla sua età, e che errore potesse aver mai commesso da temere persino di parlarne. Come fosse possibile che i suoi occhi fossero così verdi e la sua pelle così scura. Abby era un’incognita, un immenso punto di domanda con le gambe. Perché tutto quello che faceva e che diceva riusciva a coglierlo impreparato, a risultare così assurdamente fuori luogo da ammutolirlo. E nonostante il buonsenso gli ripetesse con insistenza – e con la voce cristallina di Lukas, per giunta – che se Abby faceva di tutto per non farsi conoscere doveva avere motivi torbidi per farlo, e quindi non poteva permettersi di fidarsi ciecamente di lei, c’era una parte irrazionale di lui che aveva deciso, al contrario, di mettere la propria vita nelle sue mani. E si rendeva perfettamente conto di quanto fosse stupido e pericoloso. Ma questo non faceva che renderlo ancora più vittima della sua parte irrazionale, quella dove erano gli istinti a tenere banco.
Abby alzò gli occhi dalla mela che stava sbucciando con precisione maniacale.
«Tutto ok?»
Irthen si riscosse.
«Liam mi sta cercando» mormorò, cercando di dar voce a quel senso di ansia che gli schiacciava il torace.
La ragazza tagliò il frutto in quattro fette, poi ne addentò una. Quando ebbe masticato e deglutito, disse:
«Come lo sai?»
Irthen, che ormai non sperava più in una risposta, sobbalzò.
«È…una sensazione. Non lo so. Ma lui è un ottimo cacciatore, non ci accorgeremo della sua presenza fino a quando non ci sarà addosso.»
Abby scosse lievemente la testa, con fare scettico.
«Hai molta considerazione di Liam, vero, Ir?» domandò addentando di nuovo la fetta.
Irthen arrossì di indignazione.
«Stai insinuando che lo sopravvaluto per il semplice fatto che è mio fratello?!»
Rendendosi conto che il suo tono era un po’ più aggressivo di quanto consigliabile, cercò di controllarsi e aggiunse:
«Sì, ho stima di lui e delle sue doti perché lo conosco bene, e so di che cosa è capace. Non voglio dovermi considerare un fesso per averlo sottovalutato.»
La ragazza sorrise, spiazzandolo. Si era aspettato il solito silenzio irritato, non certo un sorriso garbato.
«Non ti scaldare, tesoro. Non c’era sarcasmo nella mia domanda. Senti, se credi che possa essere sulle tue tracce, forse dovremmo viaggiare anche di notte, sì?»
Irthen sbatté le palpebre e non rispose. Abby si rigirò la mela tra le mani e proseguì.
«Bisognerebbe dormire a turni…uno di noi tiene le redini e uno riposa. Oppure potremmo fermarci ogni due o tre ore e dormire dieci muniti. Dicono basti.»
Irthen sgranò gli occhi.
«Viaggiare di notte? In un posto disabitato e pieno zeppo di orchetti?!» domandò incredulo.
Abby si rabbuiò un secondo, poi sorrise.
«Sì, hai ragione, è un suicidio. Meglio starcene qui ad aspettare di assistere alla comparsa del prode cacciatore…»
Il ragazzo scosse risolutamente il capo, orripilato all’idea di cadere prematuramente nelle grinfie di Liam.
«Non mi va proprio di mettermi a dormire se c’è il rischio di venire attaccati di nuovo. Preferisco la prima ipotesi» disse dopo una breve riflessione.
Abby annuì lentamente.
«Sta bene, ma dovremo escogitare un modo perché quello dei due che dorme non cada come una pera matura da cavallo, sì?»
«Ma come, non vuoi tenermi stretto stretto?» ghignò Irthen, ironico.
La ragazza sorrise.
«Adoro gli uomini con il senso dell’umorismo. Però no, pensavo più a qualcosa come una striscia di stoffa, da far passare dietro alla schiena di quello che riposa per tenerlo in sella.»
Irthen si ravviò i riccioli.
«Non funzionerebbe. Cadremmo entrambi, a meno che tu non riesca a tenere in equilibrio il mio peso morto. E poi ti sbaverei sulla spalla.»
«Sentiamo, allora, Sua Genialità: che cosa proponi?»
Il ragazzo si strofinò gli occhi, pregando di non arrossire.
«Premettendo che non mi piace per niente l’idea di buttarmi tra le tue braccia, credo che l’unico modo sia questo: quello davanti dorme appoggiato a quello dietro, che intanto tiene le redini, e con le braccia impedisce all’altro di cadere.»
Imprecò tra sé e sé sentendo le guance e le orecchie scaldarsi, e ringraziò che i riflessi del fuoco distorcessero i colori.
Abby socchiuse gli occhi e si prese il naso tra le dita.
«Sì, potrebbe funzionare.»
Una vocina remota nella testa di Irthen prese a strillare “Allarme!”.
 
Così, spento il falò e raccolti i bagagli, si rimisero in viaggio. L’immensità della Piana di Thann sembrava amplificarsi nel buio della notte che sorgeva. Irthen aveva cercato di resistere il più possibile alla stanchezza, ma alla fine aveva dovuto cedere. Maledicendo “Sua Genialità”, ovvero sé stesso, si era accoccolato in una coperta tra le braccia di Abby e aveva dormicchiato per qualche ora. Quando si era svegliato, aveva insistito per darle il cambio. La ragazza non si era fatta pregare e gli aveva ceduto le redini di Luce.
Così, ora, se ne stava lì, nel mezzo di un regno uscito dal passato, in piena notte, cavalcando un cavallo altrui con una semi-sconosciuta addosso. E nonostante la stanchezza che gli pesava sulle palpebre come un macigno e la paura matta degli orchetti, si sentiva bruciare il sangue nelle vene come fuoco.
Il tempo aveva una consistenza strana, era denso, colloso come miele, mentre con gli occhi perquisiva l’orizzonte, cercando di distinguere le ombre dense degli alberi e dei massi da ciò che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Sobbalzò quando comparvero in lontananza i bagliori di quello che era inequivocabilmente un accampamento. Si prese qualche momento per normalizzare le pulsazioni, poi deviò la traiettoria. Decise di non svegliare Abby, se avesse continuato a dormire gli avrebbe messo meno ansia, con tutte quelle battutine sarcastiche e quel cavolo di “sì” che rischiava di contagiarlo appena avesse abbassato la guardia. Si domandò se gli orchetti avessero una buona vista nell’oscurità, o un udito particolarmente sviluppato. Luce era bianca come il latte, se voleva evitare che spiccasse nella notte come un faro doveva portarsi nell’ombra del filare di alberi che si allungava da un miglio ad Ovest. Mise il cavallo al passo, notando con gioia che l’erba morbida attutiva il rumore degli zoccoli.
Lentamente e con estrema cautela, aggirò l’accampamento nemico senza che da questo si levasse un solo suono. Magari, quei mostriciattoli dalla testa bitorzoluta non avevano abbastanza cervello per mettere delle sentinelle. Dopotutto, chi si aspetterebbe dei viaggiatori a ridosso della tanto temuta Città dei Morti?
Quando fu abbastanza lontano e da potersi ragionevolmente permettere di sferzare Luce, trasse un lungo sospiro di sollievo.
«Te la sei cavata bene» commentò Abby in un sussurro.
«Da quanto sei sveglia?» domandò Irthen, ringraziando che non le fosse venuta voglia di domandare ad alta voce e nel momento sbagliato perché procedessero a passo d’uomo.
La ragazza ridacchiò.
«Una buona mezz’ora.»
Irthen si irrigidì. Mezz’ora di paranoie e scomodità estrema che avrebbe potuto risparmiargli. Attese pazientemente che Abby si alzasse, ma quella rimase beatamente accoccolata nelle coperte contro di lui.
«Non ti dispiace, vero? Tieni un bel calduccio…» mormorò, invece, con uno sbadiglio.
Il ragazzo sospirò, opponendosi all’impulso di buttarla giù con una spinta ben assestata.
“Autodisciplina, Ir. È una ragazza, è bella, ha un buon profumo e tu non sei lucido, quindi immagina di abbracciare Crusca, sì? Quando piove e puzza di cane bagnato. Autodisciplina”.
Sforzandosi di respirare regolarmente, riportò Luce sulla giusta traiettoria, attento ad ogni rumore, bagliore o movimento che potesse tradire una qualche presenza.
 
La notte scivolò via lentamente, e le prime luci dell’alba tingevano di rosa la cinta muraria della leggendaria Cyanor quando i due viaggiatori emersero da una minuscola macchia di vegetazione, trovandosi la sua mole davanti agli occhi. Abby propose di togliersi velocemente dallo spazio aperto, per evitare che con il sorgere del nuovo giorno qualche sgradito compagno di viaggio li adocchiasse. Irthen acconsentì, convinto che fosse meglio studiare la situazione dall’alto dei bastioni.
Mentre oltrepassava lo spesso muro di cinta di quella che, un tempo, era stata la roccaforte dei maghi, il ragazzo fu scosso da un brivido. Secoli prima, in un epoca per lui remota, in quel posto sperduto, uomini e donne avevano amato, sofferto e vissuto. E la Storia si era dimenticata di loro. Nessuno, a Pothien, conosceva la verità su Cyanor, eccetto forse i cantori. Si guardò attorno, lasciando scivolare lo sguardo sugli edifici diroccati, sulla vegetazione che aveva preso il possesso di ampi sprazzi di strada piastrellata, rendendola inagibile.
«Che cos’è quella faccia?» domandò Abby, prendendolo per un polso e trascinandolo verso una porta scardinata che lasciava intravedere una scala.
«Non riesco ad immaginarla, quando era ancora bella e pulita» rispose Irthen, stringendosi nelle spalle.
Abby aprì la porta cigolante e salì la scala di pietra. Sperando che non cedesse, il ragazzo la seguì. I gradini si avvolgevano intorno ad un perno centrale. Lo spazio era angusto, troppo perché potessero muovercisi degli armati.
«Come combattono i maghi, Abby?»
La sua voce echeggiò in modo lugubre.
«Con la magia e con le armi» rispose quella.
«Quali armi? Fammi un esempio.»
La ragazza sbuffò.
«E che ne so? Quelle che vogliono, spade, archi, lance…Eccoci!»
La scala terminava sul ballatoio delle mura. A quell’altezza spirava una piacevole brezza, ed Abby aprì le braccia con un sorriso beato stampato in faccia. Irthen la osservò, divertito.
«Guarda» disse la ragazza «Quelli là sono altri due accampamenti.»
Irthen seguì il suo sguardo e individuò due ammassi di tende. Il vento, ogni tanto, portava anche suoni gutturali e rumore di ferraglia. Abby si volse nell’altra direzione, quella che avrebbero dovuto percorrere. Un solo accampamento sulla traiettoria.
«Dobbiamo evitare di scontrarci con loro» mormorò.
Il ragazzo annuì.
«Potremmo aspettare che si spostino verso Nord» suggerì.
«E se restassero lì per giorni? No, dobbiamo trovare un’alternativa» Abby si massaggiò la fronte. «Sai, dicono che ci sia un passaggio sotterraneo che conduce alle paludi dal palazzo reale.»
«Paludi?« domandò Irthen.
«Sì, da qui non le si vede perché sono leggermente infossate rispetto al livello della Piana, ma ci sono due grandi acquitrini, ad Ovest, circa a metà strada tra qui e il confine del Bosco Lossar. Se noi si riuscisse a trovare questo passaggio, si potrebbe percorrere quel tratto sotto terra, evitando così di incappare negli amici bitorzoluti, sì?»
Reprimendo il brivido che l’aveva assalito all’idea di percorrere miglia e miglia sotto la superficie, senza vedere la luce del sole, Irthen deglutì.
«Sicura che non possiamo combatterli?» mormorò.
Abby lo guardò storto.
«Ti ricordo, signorino, che meno di una settimana fa uno sciacallo ti ha spappolato una gamba! Capisco che grazie alle mie innate doti di guaritrice tu te lo sia subito dimenticato, ma per fortuna ci sono io a ricordartelo.»
«D’accordo, ho capito. Muoviamoci allora. Togliamoci il pensiero» sbottò Irthen.
Abby scoppiò a ridere e si precipitò giù dalla scala a chiocciola. 




**********************
Che parto ragazzi!!! Oh, a far parlare Irthen perdo l'affinità con l'italiano, quel giovine mi instupidisce il cervello (Sì, sì, Ir, ti voglio bene lo stesso). Se avete delle critiche feroci siete liberissimi di farle, credo che quel cavolo di pezzo nella piana sia uno dei miei peggio pezzi..pazienza, tanto è colpa di Ir XD
Ringrazio pubblicamente Hary per la concessione del nome "Oliandro", troppo perfetto per lui :)
Baci!!

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Capitolo 18
*** Il processo ***


Attraversarono Cyanor a piedi, Luce li seguiva obbediente. Il silenzio era disturbato soltanto dagli schiocchi degli zoccoli, dal loro scalpiccio, dalle rade parole che si scambiavano e dal gracchiare di qualche uccello, che si alzava in volo spaventato dall’insolita presenza estranea. Irthen cercava di immaginare, invano, la città all’apice del suo splendore. Piena di vita, di voci, di colori. Non riusciva a concepire l’idea che gli abitanti avessero deciso di abbandonarla al suo destino, lui non avrebbe voluto lasciare Pothien per nulla al mondo.
“Eppure è quello che hai fatto, bello” insinuò una vocina nella sua testa.
«È vero, ma era una giusta causa!» sbottò.
«Che cosa, era una giusta causa?» domandò Abby.
«Lascia stare, pensavo ad alta voce» rispose agitando la mano, imbarazzato.
Ottimo, ora parlava anche da solo. Liam sarebbe stato fiero di lui. Magari era qualcosa di famiglia…
Perso nei propri pensieri, si sorprese di trovarsi davanti il portone scrostato del palazzo reale. Era imponente ma elegante, i merli erano affusolati, le finestre allungate, le feritoie a forma di mezza luna. Esprimeva un gusto estetico completamente diverso da tutto ciò a cui era abituato.
«Mica male» commentò.
Abby sorrise, con il naso all’insù.
«È un capolavoro. Ti sei chiesto, Ir, perché in questa città il decadimento degli edifici è più lento? Insomma, guarda questo portale! È appena scrostato, eppure sono passati secoli da quando qualcuno l’ha ritoccato l’ultima volta. Dovrebbe, come minimo, essere ridotto in polvere, poche schegge ai piedi dell’arco di ingresso…»
Irthen si volse verso di lei, indeciso se metterla a parte dei propri pensieri oppure no. Esitò, infine disse:
«Ci ho pensato, sì. E mi sono dato una risposta. Ti sembrerà ridicolo, ma io credo che ogni particella di questo posto sia ancora tanto impregnata di magia, che anche le cose più normali, come il deterioramento del legno, ne sono influenzate. Forse, chi ci abitava ha fatto talmente tanti incantesimi, che una parte dei loro poteri non ha lasciato Cyanor. È una cretinata, lo so» concluse arrossendo.
Abby scosse lievemente il capo, con un mezzo sorriso sulle labbra.
«È una cretinata. Ma è la stessa risposta che mi sono data io.»
Si appoggiò con tutto il suo peso al portone, che si aprì cigolando.
Oltre l’arco di ingresso, un porticato ombreggiava un bel cortile piastrellato di porfido, sul quale si aprivano molte porte. Ciuffetti d’erba spuntavano qua e là tra le pietre, e una facciata era completamente coperta di edera. Abby piantò le mani sui fianchi e si guardò attorno, stringendo gli occhi.
«Sei mai stata qui, prima d’ora?» domandò Irthen, chiedendosi come avrebbero fatto a trovare ciò che cercavano.
«Certo, tutti i fine settimana li passo in una città diroccata per provare l’ebbrezza del pericolo di crollo» ghignò.
«Che ne so io di cosa fai nei fine settimana» sbottò il ragazzo, offeso.
Abby sorrise.
«Non eri così permaloso quando ci siamo conosciuti. La mia compagnia ti fa male, sì?»
Avanzò fino al centro del cortile sotto lo sguardo perplesso del compagno di viaggio.
«Che cosa dobbiamo cercare?» domandò Irthen.
La ragazza lo ignorò. Si chinò e raccolse qualcosa da terra. Un pezzo di metallo. Lo soppesò, lo lanciò in aria e lo riprese al volo, la fronte corrugata. Poi tornò velocemente da lui e gli porse l’oggetto.
«La punta di una freccia?» tentò Irthen dopo esserselo rigirato tra le mani.
«Esatto. E a giudicare dalla fattura, potrebbe essere degli orchetti. Ovviamente non so da quanto tempo sia qui, ma non possiamo escludere che si trovino ancora in città. È meglio sbrigarci.»
Si volse, ma Irthen la trattenne per un polso. Abby sgranò gli occhi, fissando, come a volerli incenerire, prima la sua mano e poi lui.
«Se ci sono degli orchetti, è meglio evitare di esporci ai loro archi» spiegò il ragazzo lasciandola andare e indicando lo spazio aperto al centro del cortile.
Abby sbatté le palpebre, così riprese:
«Qui siamo discretamente riparati, cerchiamo di ragionare prima di girovagare a caso per il palazzo. Che cosa sai di questo passaggio?»
«N-niente di che…solo che lo utilizzavano per spostare le truppe senza attirare l’attenzione» rispose incerta.
Irthen si massaggiò le tempie.
«Truppe. Quindi anche i loro cavalli?» disse, proseguendo nel ragionamento.
Gli occhi di Abby si illuminarono.
«Cavalli, ma certo! I cavalli non fanno le scale, e sono ingombranti, quindi l’ingresso deve trovarsi in un luogo ampio e facilmente accessibile» esclamò battendo le mani. «Per esempio una stalla, oppure una caserma…»
«O un cortile secondario?» suggerì il ragazzo. «Ci deve per forza essere un altro cortile, qui non c’è abbastanza spazio per schierare un gruppo di armati. O per tirare con l’arco, o per-»
«Sei un genio, Ir!» lo interruppe Abby, scoccandogli un bacio sulla guancia.
Estrasse Dente di Cobra e costeggiò il porticato. Quando raggiunse l’altra estremità dello spiazzo si voltò e fece cenno ad Irthen di seguirla. Il ragazzo stava ancora fissando la punta della freccia, con le orecchie che fischiavano e le guance incandescenti. Si riscosse con immensa fatica e si maledisse, mentre percorreva spalle al muro la distanza che lo separava da Abby, seguito a ruota da Luce.
Varcarono un nuovo arco di pietra, per trovarsi in un salone lungo, con le pareti tappezzate di arazzi consumati. La ragazza puntò verso una porticina sulla parete Est, a destra dell’ingresso e la oltrepassò. Sprofondarono in un’oscurità di stanze, stanzette e corridoi che puzzavano di polvere e muffa, troppo bui persino per distinguerne l’arredo.
«Sai dove stiamo andando, sì?» domandò Irthen, soffocando un grugnito di dolore dopo essere andato a sbattere contro ad un tavolino.
Abby gli lanciò un’occhiata divertita.
«Naturale, tesoro!» rispose. «C’è un cortile che fa al caso nostro, contro alle mura Ovest del palazzo. Vi si affacciano le stalle, l’armeria e l’ufficio dell’amministratore. È collegato con il campo di addestramento e con la casa del maestro d’arme.»
«Conosci bene la planimetria. Eppure credevo che tu non venissi qui tutti i fine settimana…» insinuò.
«Infatti ci vengo il mercoledì» rispose Abby, eludendo ulteriori richieste di spiegazioni.
“Di nuovo” si appuntò Irthen, frustrato.
Abby si arrestò di colpo e il ragazzo le andò a sbattere contro.
«Irthen, ricordi che cosa ti ho detto riguardo alle domande su di me, vero?» domandò voltandosi indietro.
Irthen sentì lo stomaco chiudersi ermeticamente.
«Come potrei dimenticarlo?» sibilò tra i denti.
Rabbrividì istintivamente al suono della propria voce. Abby abbassò lo sguardo.
«Non prenderla così. Ho i miei buoni motivi, per-»
«Mi sono rotto dei tuoi buoni motivi, Abby. Può anche starmi bene di farti da galoppino: ti copro le spalle, ti faccio da cuscino, ti intrattengo con la storia della mia vita. Questo lo posso accettare, ma non esiste che tu ti diverta alle mie spalle! Quello che non mi vuoi dire, lo puoi anche tenere per te, ma tieniti pure tutto il resto e smettila di trattarmi come un burattino.»
«Tu-tutto il resto?» balbettò confusa.
«Le battutine, le occhiate, le smancerie, tutto! Sarò anche più piccolo di te, ma non sono nato ieri! Non sono il tuo giocattolo, perciò smettila di illudermi per poi tirarti indietro, io non ti ho chiesto niente!»
Abby lo fissò a bocca aperta, sbattendo le ciglia, per qualche secondo, e Irthen fu certo di averla fatta arrossire. Cosa che gli procurò un feroce moto di orgoglio, e stemperò la frustrazione che gli faceva desiderare di prenderla a schiaffi.
«N-non era mia intenzione-»
Si interruppe quando dalla stanza adiacente proruppe un grido. Abby puntò l’indice sulla creatura nell’ombra che aveva dato l’allarme ed esclamò:
«Orchi! Cazzo, questi sono orchi!»
Irthen spalancò gli occhi. Un orco aveva acceso una torcia, e si mostrava in tutto il suo orrendo aspetto: di un nauseabondo verde muffa, aveva la stessa testa piccola e bitorzoluta dei cugini orchetti, e le stesse braccia sproporzionatamente lunghe, ma era grosso il doppio, e ai lati della testa aveva delle corna nere lunghe una spanna.
«Via, via!» gridò Abby, trascinandolo verso la porta, che si apriva sulla stanza successiva.
Alle loro spalle, gli orchi si riversarono nel corridoio ringhiando minacce e imprecazioni nella loro lingua dura e gutturale. Correndo a perdifiato, Irthen seguiva Abby: svoltarono un paio di angoli, oltrepassarono un arco, percorsero un corridoio, scesero una scala. Finalmente, da una porta scardinata intravidero la luce del sole. Abby sfondò la porta con un calcio.
«Questo è il cortile, Ir. Cerca il passaggio, io penso agli orchi»
Trafitto dall’angoscia, Irthen obbedì. Sapeva benissimo che la ragazza aveva molte più probabilità di quante ne avesse lui di riuscire a tenere a bada una banda di orchi. Esplorò il cortile con lo sguardo. Quadrato, ampio, molti edifici altrettanto quadrati affacciati, tra cui una stalla. Molte, troppe porte. Il sibilare delle spade gli annunciò che il primo orco aveva raggiunto Abby. Le lanciò un’occhiata fugace: era rimasta sulla porta perché la strettoia impedisse ai nemici di attaccarla in massa.
“Ragiona, Ir, le porte!” si disse.
Le osservò attentamente. Erano tutte di legno grezzo, con chiavistelli e cardini di ferro arrugginito, e targhe di ottone applicate ad altezza d’occhio. Tutte tranne una. Una delle porte, pur essendo ricavata dallo stesso legno e finita con lo stesso ferro, al posto della sua targa recava impressa una grande chiave dorata. Attraversò velocemente il cortile e cercò di aprirla,  ma non cedeva.
«Luce» chiamò. «Dammi una mano.»
Luce si impennò e abbatté la porta con un unico, poderoso colpo di zoccoli. Lo schianto sollevò una nuvola di polvere che rese impossibile ad Irthen tenere aperti gli occhi.
«Ir!» sollecitò Abby dall’altro lato dello spiazzo.
La polvere si posò lentamente, lasciando intravedere a poco a poco una scala dai gradini ampi e consumati, che scendeva dolcemente. Le pareti di pietra erano costellate di torce pronte all’uso.
«Dei, fate che sia quella giusta…» pregò. «Trovato, Abby!»
La ragazza gettò un’occhiata alle proprie spalle e fischiò. Il cavallo nitrì e galoppò in suo aiuto. Stendendo l’avversario con un unico fendente, Abby balzò agilmente in sella. Irthen la fissò agghiacciato mentre attraversava il cortile con gli orchi che sciamavano alle sue spalle. Passandogli accanto, rallentò e gli tese un braccio, tirandolo in sella dietro di lei, poi spronò Luce, che si lanciò giù per la scalinata dolce del passaggio. I gradini lunghi sembravano pensati apposta per gli zoccoli di un cavallo.
Cavalcando rasente alla parete, Abby afferrò una torcia dal suo supporto, passò le redini ad Irthen e con la pietra focaia che teneva sempre a portata di mano la accese in un attimo. Il calore e la luce invasero la galleria, illuminando una svolta appena in tempo prima che vi si schiantassero. Abby sterzò bruscamente, Irthen si sbilanciò, ma riuscì a tenersi stretto a lei. Gli orchi gridavano alle loro spalle mentre scendevano di corsa la scalinata.
«Più veloce, bellezza, più veloce» incitò Abby.
Un urlo e un tonfo, seguiti da una serie di rumori metallici, gelarono il sangue nelle vene ad Irthen. La terra tremò mentre gli orchi ruzzolavano giù. E quando la massa rotolante si schiantò contro una parete si alzò un boato. Abby sferzò il cavallo senza pietà, mentre a causa dell’urto grossi blocchi di pietra crollavano nel passaggio, sbarrando la strada ai loro inseguitori, ma chiudendo così l’ingresso alle loro spalle.
 
Attraverso i rami fitti e le foglie, Liam aveva compreso che era calata la notte. Rowena aveva acceso piccole lanterne dalla luce bianca che facevano tremolare i contorni del suo visino affilato, quando il buio era diventato troppo fitto per poterci vedere. Anche se il mago sospettava che gli elfi ci vedessero benissimo comunque, e che quella piccola accortezza fosse a suo personale beneficio. Oliandro era tornato dopo molto tempo con un’aria pensierosa che faceva a pugni con gli occhi vispi, e aveva comunicato solennemente che la richiesta del prigioniero era stata accolta: il rito del processo si sarebbe celebrato al sorgere del sole, alla presenza di tutta la comunità degli elfi di Bosco Lossar e degli unicorni. Poi si era allontanato di nuovo, lasciando Liam in compagnia dei propri pensieri e della silenziosa Rowena. L’elfa non aveva aperto bocca fino alla ricomparsa di suo fratello, e si era limitata a passeggiare avanti e indietro, prendendo grandi sospiri, dopo averlo salutato di nuovo.
Inizialmente, il mago aveva sperato che sarebbe stata una cosa veloce: “mi offro”, “accettiamo”, l’acqua incantata, le domande e via. Ma si era presto reso conto che quella che lo aspettava sarebbe stata una lunga, lunga notte. Così, dopo ore di lugubri elucubrazioni in merito a ciò che gli infidi unicorni avrebbero potuto domandargli, aveva raggiunto una sorta di pace dei sensi. Si era crogiolato nell’oblio di quei ricordi che aveva recentemente rivissuto, fino a quando Rowena non si era fermata davanti a lui.
Liam l’aveva guardata dal basso della sua seggiola e aveva domandato:
«Stai cercando di comunicarmi qualcosa?»
L’elfa arricciò il nasino.
«Stavo per dirti che mi dispiace che tu ti sia trovato in questa brutta situazione, Liam, ma hai appena inibito il mio istinto di compatimento.»
Il mago alzò un sopraciglio con fare scettico.
«Non fare quella faccia! Senti, gli umani non mi stanno particolarmente simpatici, ma gli unicorni mi stanno proprio sulle scatole…» si sedette a gambe incrociate davanti a lui e abbassò la voce. «Io non…posso fare a meno di pensare che se dovessi sparire o trovarmi in pericolo, vorrei che Dodo facesse esattamente quello che stai facendo tu, per riportarmi a casa sana e salva.»
«Per questo ti sei presa gioco di me? Per manifestarmi tutta la tua stima?» sbottò Liam.
Rowena si irrigidì.
«No, mago maleducato. Quello l’ho fatto perché sono acida. Acida e frustrata, perché vorrei essere a Lumia ad organizzare l’attacco accanto al Re, e invece sono confinata in questo bosco muffito, in attesa di raggiungere il quartier generale di Ruben a Natìm. E sono anche antipatica, come hai giustamente rilevato» sospirò.
«Quindi, Oliandro è più vecchio di te?»
«Ma certo!» ripose irritata, come se la cosa dovesse essere palese a tutti.
Liam si domandò da cosa si potesse capire l’età di un elfo. Intanto, la sua interlocutrice sospirò di nuovo.
«Perché continui a sospirare, Nana?»
L’elfa gli lanciò un’occhiataccia.
«Prima di tutto, non mi pare di averti dato il permesso di chiamarmi così. Anzi, dovresti chiamarmi Signorina, o Sua Elficità, oppure Splendido Giglio…In secondo luogo, sospiro perché mi annoio.»
«Nessuno sospira perché si annoia. Sua Elficità» disse Liam, calcando ironicamente sul titolo.
Rowena sospirò per l’ennesima volta.
«Non avrei dovuto spingerti ad accettare di sottoporti a questa pagliacciata del processo. È…immorale! E pericoloso.»
Liam tentò di stringersi nelle spalle, ma non gli riuscì. Irritato, ringhiò un’imprecazione.
«Non sei molto gentile» commentò Rowena.
«Non sopporto di non potermi muovere, dannazione! Perché Glenndois ce l’ha a morte con gli umani?»
«Non è un buon argomento, mago. Non stanotte. Se sopravvivrai al processo, e me lo auguro perché se tu dovessi lasciarci le penne mio fratello mi ucciderà, e pure a Caleb, allora combatteremo fianco a fianco, e forse ti racconterò di Glenndois…»
«Rowena, mi fa prurito in naso.»
L’elfa sgranò gli occhi.
«Cosa?! Stai scherzando, vero?»
«Sì.»
Liam scoppiò a ridere.
«Senti, non puoi indurmi di nuovo quel sonno artificiale?»
«No, stupido mago. Guardati intorno, impara ad usarli quegli occhi: è quasi l’alba, ormai. Sono certa che a breve riprenderai le tue amate funzioni motorie, e allora potrai prendere a calci e pugni tutti gli alberi che vorrai, ma per il momento vivi la tua misera vita mortale e lasciami in pace.»
Liam alzò gli occhi verso il cielo. L’elfa aveva ragione, la luce stava cambiando.
 
«Bentornati, ragazzi»
Amina rabbrividì alla vista della ferita recente che deturpava la guancia destra di Ruben.
Tornare a Natìm dopo tanto tempo non le aveva reso la pace interiore che sperava di recuperare, anche se la voce calma e profonda del Maestro aveva sempre una certa capacità balsamica.
«Che cosa ti è successo al viso?» domandò Aqua, inclinando il capo con aria innocente.
Stan la guardò storto. Tra lei e il Maestro non era mai corso buon sangue, Aqua era troppo orgogliosa per accettare passivamente gli ordini. Ma dal tono eccessivamente infantile, Amina dedusse che il loro rapporto doveva essersi deteriorato ulteriormente.
«Caleb» rispose secco Ruben. «Con l’aiuto di Timothy e di Erika, sono riuscito a tenerlo lontano da Liam, ma da quando il ragazzo si è inoltrato nel bosco non ho più avuto notizie. Spero che Oliandro riesca a farlo uscire tutto intero dal covo degli Unicorni.»
«Oliandro? Il figlio di Glenndois?» domandò Konstantin.
Ruben annuì.
«Perché non Glenndois stesso?» domandò Amina. «È nostro alleato!»
«Glenndois è meno affidabile ogni anno che passa…e più succube dei cavalli cornuti. No, grazie agli Dei, suo figlio ha cervello e fegato anche per lui! E anche sua figlia, a quanto si dice. Li aspettiamo entro tre giorni, è tempo di muoversi. Allora, forse, avremo notizie di Liam. Approposito, cara Aqua, pare che una tua vecchia amica stia venendo qui.»
Aqua alzò un sopraciglio.
«Sarebbe?»
Ruben sorrise, vagamente divertito.
«La bella Chloé. Si è presentata da Debrina, chiedendo di unirsi a noi.»
«Chi è?» domandò Konstantin.
«La migliore amica di Liam, Stan» spiegò Aqua senza lasciar trasparire i propri pensieri.
Amina si domandò cosa le stesse passando per la testa. Perché era evidente che Debrina si era fatta scoprire, gettando alle ortiche quattro anni del suo lavoro.
«Non è una maga, Ruben» aggiunse Aqua.
«Lo so, ma sembra sia un ottimo arciere. E poi, riflettici: avere lei, significa avere Liam.»
Amina rabbrividì. Quell’affermazione suonava terribilmente come un ricatto. Anche Aqua tradì l’indignazione con una smorfia.
«Ci sono notizie di Irthen?» domandò Stan.
Ruben scosse il capo.
«Deve esserci qualcuno che copre le sue tracce molto bene. Non mi piace la presenza di Caleb nei dintorni, temo che possa aspirare a portarlo dalla sua parte con la promessa dei poteri della Cascata…»
«E la sirena? La sirena risponde agli Dei, lei non può venire meno al suo giuramento» esclamò Amina. «Non aiuterebbe gli stregoni, se questo fosse un’azione malvagia!»
«A meno che lei non sia convinta di fare la cosa giusta» mormorò Stan. «Finché lei sarà ferma in questa convinzione, il giuramento non sarà violato.»
Amina gemette. Le variabili in gioco cominciavano a diventare troppe.
 
Poco prima dell’alba, Oliandro era ricomparso, vestito in modo impeccabile e con i capelli raccolti da un nastro dorato.
«Pronto, amico?» aveva domandato, mentre sua sorella spariva sbuffando nell’ombra.
Subito dopo, un fastidioso formicolio aveva comunicato a Liam l’agognata ricomparsa della mobilità. Con gli arti intorpiditi, si era alzato e si era stiracchiato.
«Ti mancava, vero?» aveva detto l’elfo con un sorriso.
«Non immagini quanto, Oliandro» aveva risposto Liam, verificando con stupore la perfetta guarigione della spalla.
«Chiamami Dodo. Presto saremo commilitoni!» aveva esclamato, con una pacca sulla spalla.
Poi l’aveva condotto attraverso un sentiero sul quale i rami si intrecciavano formando una volta, e dando al tutto l’aspetto di un lunghissimo corridoio. Ogni tanto, nel fitto del fogliame, un fruscio avvisava della presenza di un uccello o di uno scoiattolo.
«Dove siamo diretti, Dodo?» domandò improvvisamente Liam, sentendo la stretta della tensione farsi sempre più forte.
«All’arena.»
«Arena?!»
«È l’anfiteatro che utilizziamo per le riunioni» spiegò Oliandro.
Dovettero camminare ancora per qualche minuto, prima che Liam riuscisse a cogliere il vociare delle due comunità riunite. A volta dei rami terminava in un arco di legno, e oltre l’arco una radura ospitava un anfiteatro scavato nel terreno. Quattro file di gradoni erano occupate dagli elfi, impeccabili nei loro abiti candidi e con i loro capelli lucidi. La platea ospitava invece gli Unicorni. Liam non ne aveva mai visto uno: erano splendidi, delle dimensioni di un pony, il loro manto era di un bianco talmente freddo da tendere all’azzurro, i crini di puro argento, e il leggendario corno. Le corna, in particolare, sembravano essere non di osso, ma di pietre dure, un minerale differente per ogni soggetto. Un Unicorno aveva il corno di quarzo, uno di giada, uno di topazio, uno di ametista. Al centro dell’anfiteatro stava una gabbia di legno lucido, e di fronte ad essa uno scranno cesellato, sul quale stava seduto Glenndois, il viso affilato, i capelli chiari e gli occhi neri tali e quali a quelli del ricordo. Ai suoi lati, due Unicorni, uno con il corno di diamante, uno di oro grezzo – Liam l’avrebbe riconosciuto tra milioni di pietre.
Oliandro gli prese gentilmente il gomito e lo accompagnò giù dalla scalinata che conduceva alla gabbia. Lo fece entrare e la chiuse, dedicandogli un sorriso di incoraggiamento. Liam deglutì a vuoto. Si sentiva le gambe molli e il cervello fuso.
«Che il processo abbia inizio» dichiarò Glenndois, con la sua voce adamantina.
Oliandro si sedette dietro a suo padre, al centro del gradone più basso, accanto a Rowena.
Il mago contò una trentina di Unicorni. Trenta creature potentissime che avrebbero potuto dare il loro contributo alla causa di Ruben, e che invece non si erano presi la briga di schierarsi. Gli lefi, invece, potevano essere un centinaio, non di più.
«Che l’imputato beva» disse il Governatore.
Un elfo emerse dalla moltitudine di Unicorni con una coppa tra le mani. Attraversò l’arena e lo offrì a Liam attraverso le sbarre.
“Come fai a sapere che è stata incantata nel modo giusto?” domandò la solita vocina.
“Non lo posso sapere, idiota, ma se lo chiedo mi fanno a pezzi” si rispose, e bevve dalla coppa.
L’acqua aveva una strana consistenza, era più densa del normale, e sapeva vagamente di lavanda. Ed era bollente. Con una smorfia, Liam riconsegnò la coppa.
«Bene. Cominciamo. Io sono il nobile Glenndois, governatore sotto il regno di Re Horlon» disse l’elfo.
Poi, una voce profonda riverberò nell’aria, incorporea. Il mago impiegò qualche momento a comprendere che proveniva dall’Unicorno con il corno di diamante.
«Il mio nome è Speranza, mortale. E costui è il mio compagno, Pace. Hai violato il perimetro del nostro regno. Eri consapevole di farlo?»
«Sì» rispose Liam.
I due Unicorni annuirono.
«Cominciamo, Glenndois» disse quello che gli era stato presentato come Pace.
Glenndois fece un respiro profondo.
«Nome?»
«Liam.»
«Ascendenza?»
«Thorla, figlio di Rob, e Naìba, figlia di Sunita.»
«Sei un mago?»
«Sì, legato all’Acqua.»
«Da che età?»
«Sei anni e otto mesi.»
«Legami affettivi?»
Liam esitò.
«Ho un fratello minore. Irthen, quindici anni.»
«Una moglie?»
«No.»
«Una compagna stabile?»
«No.»
Glenndois abbassò un momento lo sguardo.
«Una compagna occasionale?»
Liam colse un lieve rimprovero nella sua voce.
«Molte. Nessuna indispensabile.»
Dal pubblico si levò un lieve mormorio. Gli elfi dovevano essere dei moralisti. Splendido.
«Occupazione?»
«Compro, lavoro e rivendo pietre preziose e cristalli. Ho clienti in tutto il Nord, nelle città sul Lago di Nebbia, e ad Est.»
«Utilizzi la magia per lavorare queste pietre?»
«Sì, signore.»
«Non credi che un dono come quello della magia dovrebbe essere posto al servizio di fini più nobili del guadagno?» intervenne Speranza.
Liam si strinse nelle spalle.
«Può darsi, ma questo lavoro mi piace, mi dà soddisfazione e mi permette di mantenere mio fratello e di non fargli patire la fame, per me tanto basta.»
«So che viaggi molto. Non credi che questo possa essere un male per Irthen?» insistette.
Il mago sospirò.
«Sì.»
«Come ti giustifichi, dunque?»
«Amo Pothien. È la mia casa, il posto in cui sono nato e cresciuto. Ma non posso trattenermici a lungo, per via dei miei poteri. I miei compaesani non hanno mai saputo che sono un mago. Al Nord, le persone sono estremamente superstiziose, vivono di leggende e faticano a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. All’inizio, mio padre mi impose di non dire niente a nessuno. Successivamente, ho continuato a tenere il segreto, per abitudine e per tenere Irthen fuori dalle speculazioni altrui.»
«Menti a tuo fratello, dunque» commentò Pace.
«Sì. E la cosa non mi turba, perché lo faccio a fin di bene.»
«Tuttavia, qualcuno era a conoscenza del tuo segreto» disse Glenndois.
Liam annuì.
«Chloé. La mia migliore amica. Era con me quando caddi nel pozzo.»
«La stessa persona che hai recentemente esposto al pericolo, chiedendole di seguirti in guerra, anziché mettersi al sicuro?»
«Sì» confermò il mago con un sospiro affranto.
«Perché?»
«Perché sono egoista, forse. O forse perché, se dovessi scegliere come morire, vorrei farlo con lei accanto.»
Speranza scalpitò.
«Non hai timore di esporti davanti a noi in tutte le tue carenze, mago.»
«Dovrei? Mi avete letto la mente, sapete già tutte queste cose. Come sapete anche del mio passato, dei miei vizi e dei miei difetti. Sapete che ad Effort non mi sono schierato perché non mi andava proprio di fare la guerra. covavo l’infantile speranza che il mondo magico si sarebbe dimenticato di me, e che avrei potuto continuare a condurre la mia pacifica esistenza lontano dai guai. Mi sbagliavo, ovviamente. Su tutto.»
«Bene, hai fatto bene a introdurre questo argomento. Parliamo di Ruben» disse il governatore. «In che rapporti sei con lui?»
«Mi sta aiutando. Molto, ad essere onesti. Appena questa storia si sarà conclusa mi unirò alla sua compagine.»
«Perché?»
«Glielo devo, è il minimo che possa fare. E poi, la sua fazione è quella meno bellicosa.»
«Perché non Micael?»
Liam sbuffò.
«È pazzo. Vuole estinguere i draghi.»
«Tu non vuoi?»
Il mago lo guardò storto.
«Gli Dei li hanno creati, io non ho alcun diritto di distruggerli.»
«E gli stregoni?»
«Servono solo il loro interesse. E non mi alletta per niente l’idea di sterminare gli elfi.»
«Hai mai avuto rapporti con loro?»
Liam abbassò la voce. Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno all’indice.
«Sì, con tre di loro. Selene, la Veggente, mi ha predetto il futuro, lo sapete. Caleb, che ha recentemente cercato di farmi fuori, lo conobbi ai tempi del Consiglio, voleva che mi unissi a loro. Non per il mio valore, però, ma perché non offrissi il mio braccio ad altre fazioni. Un colpo basso al mio orgoglio…sfiorammo il duello, per fortuna Alec ci divise. Rafik lo incontrai solo in occasione del Consiglio.»
«E…lei? Quella che chiamano “la Lama”?»
Liam ghignò.
«”La Lama”, come la chiamate voi, la conobbi sette anni fa. Si faceva chiamare Emelia, all’epoca. Divisi il letto con lei per qualche mese, poi litigammo e la persi di vista. La rividi ad Effort, e da allora non la incontrai più.»
Gli elfi riempirono l’arena di sussurri e gli Unicorni scalpitarono.
«Sapevi che era uno stregone?»
«No, credevo fosse una semplice maga molto dotata. Fu per questo che ci salutammo. Non mi piaceva l’idea che fosse riuscita ad ingannarmi con tanta abilità.»
Calò il silenzio. Rowena sussurrò qualcosa ad Oliandro, che annuì.
«Parliamo di Lukas» disse Speranza.
«Non so molto di lui. L’ho incontrato solo una volta, pochi giorni fa. Mi ha detto che Micael lo vuole per sé e mi ha spiegato come fare per neutralizzarlo, anche se non mi è ancora chiaro che cosa intendesse dire…»
Glenndois annuì. Liam si sorprese delle semplicità di quelle domande, che non lo avevano ancora messo in difficoltà.
«Perché hai cercato di portare Caleb nel nostro territorio?» domandò Pace.
Liam scosse il capo.
«Non avevo intenzione di portarlo qui. Anzi, ho varcato i confini del Bosco Lossar proprio per scrollarmelo di dosso. Ruben ma ha garantito che non mi avrebbe seguito, io ero ferito, non avevo molte alternative. Avrei preferito evitare di trovarmi in questa incresciosa situazione, credetemi, so bene che diffidate degli umani.»
«Insinui che non dovremmo?» esclamò Pace, indignato.
«Tutt’altro! Io stesso diffido degli umani. Diffido anche di me stesso! Sapete meglio di me che ho poco autocontrollo. L’unico compagno di cui mi fido è il mio cavallo.»
«Al quale non hai dato un nome» commentò il governatore.
Liam non rispose.
«Se dovesse accadere qualcosa ad Irthen, che cosa faresti?»
«Non lo so, cercherei vendetta, forse.»
«Perché hai deciso di sottoporti al processo, Liam?»
«Perché non ho nulla da nascondere, e non ho fatto niente per meritare la prigionia a cui mi avete costretto. Tutto ciò che desidero è andarmene il prima possibile perché ogni minuto accresce le probabilità che io non riesca a salvare mio fratello. Non ho mai cacciato, né ucciso Unicorni, né ho mai desiderato farlo. Comprendo il vostro risentimento, ma non merito che lo sfoghiate su di me. Perciò, dopo avermi sottoposto le domande più disparate, sono io a chiedervi: prendete una decisione in merito alla mia vita. Se ritenete che, pur avendo superato la prova di fiducia, coraggio e sincerità, io non meriti il vostro rispetto, allora uccidetemi, perché io non debba vedere Irthen nelle mani sporche di sangue di Caleb. In caso contrario, liberatemi senza indugio.»
Speranza girò il bel muso verso Glenndois e verso Pace. Li fissò intensamente per qualche secondo. Liam si convinse che potessero comunicare telepaticamente. Poi disse:
«Che l’imputato sia condotto via, mentre discutiamo il verdetto.»
Oliandro si alzò, raggiunse la gabbia e liberò il mago. Lo prese di nuovo per in gomito e lo condusse fuori dall’arena.




****************
Buondì! Ah, il capitolo più lungo della mia vita..spero non sia una palla XD Baciii

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Capitolo 19
*** Luci e ombre ***


«Sei andato alla grande, amico!» esplose Oliandro quando furono al sicuro da orecchie indiscrete.
L’elfo l’aveva condotto in una bella casetta di legno poco lontano dall’arena. Nessuno sembrava averli seguiti. Pensandoci bene, nemmeno quando era stato trasferito dalla sua solitaria seggiola all’arena, qualcuno si era preso la briga di controllarlo, oltre ad Oliandro. Non temevano che tentasse di fuggire, contavano di poterlo riacchiappare facilmente, oppure il figlio del governatore era perfettamente in grado di tenergli testa? Quindi, l’apparente fragilità altro non era che un’immagine ingannevole?
«Tu credi?» domandò Liam, massaggiandosi le tempie, afflitto al pensiero di doversi predisporre ad una nuova, lunga attesa.
«Sai, nei miei milleduecentoquarantadue anni ne ho visti parecchi di processi, ma è la prima volta che mi capita di vedere un imputato che invita i giudici a darsi una mossa.»
Liam ghignò.
«Non ne potevo più. E tutto quell’echeggiare della voce degli Unicorni mi faceva venire il mal di testa.»
Oliandro rise.
«Pensa a viverci…»
«Come credi che andrà a finire?»
L’elfo si strinse nelle spalle.
«Non sono riusciti a metterti in difficoltà, né sottolineando i tuoi eccessi di egoismo, né menzionando la tua passata relazione con lo stregone, né accusandoti di ignavia. Neanche rinfacciandoti di aver mentito a tuo fratello e alla tua comunità per tutti questi anni. Onestamente, non vedo come potrebbero rifiutare di lasciarti libero.»
Liam annuì.
«Eppure qualcosa non mi torna» mormorò.
Oliandro aggrottò le sopraciglia.
«Le domande che mi hanno posto erano troppo semplici. Perché non ho rischiato la morte tra mille sofferenze?!»
«Ti dispiace di essere sopravvissuto?» ridacchiò l’elfo.
«Figurati! Però mi sembra strano…»
«Forse, perché non ti interessa quello che gli altri pensano di te. Se ti credono un egoista, un bugiardo e un pervertito, non ti tocca minimamente! Non è una cosa comune, sai?»
Liam scosse il capo e si sedette.
«…e poi, avevi la consapevolezza che non valeva la pena di mentire, dato che ti avevano già letto nel pensiero.»
«Ma questo lo sapevi anche prima, quando Rowena ti ha suggerito l’ipotesi del processo, e tu ti sei opposto, sostenendo che era troppo pericoloso» osservò Liam.
Oliandro si grattò la punta del naso.
«Non ti credevo così sfacciato» rispose.
Liam sorrise. Egoista, bugiardo, pervertito. E pure sfacciato! Splendido. Scosse il capo, indeciso se ridere oppure offendersi. Quell’elfo aveva qualche rotella fuori posto.
Dalla finestra, i raggi del sole che filtravano dai rami poco fitti della radura illuminavano di oro il pavimento di legno. Stava perdendo altro tempo prezioso.
«Quanto ci vorrà?» sospirò.
«Non lo so, amico. Allena la pazienza, è un’arma che può aiutarti più di una buona spada, in battaglia. Fidati di un elfo.»
Oliandro si volse e uscì dalla casetta.
«Aspetta, dove vai?» esclamò Liam, improvvisamente turbato all’idea di restare solo in attesa del verdetto.
L’elfo gli sorrise.
«A influenzare la giuria. Fai il bravo, in mia assenza. C’è una guardia, qui fuori, pronta ad intervenire se tu dovessi decidere di fuggire.»
Liam chinò il capo. Fuggire, certo! A piedi, attraverso il regno degli Unicorni, ricercato e disarmato. Verosimile…
Il tempo passò lentamente. Il mago aveva osservato tanto attentamente ogni dettaglio della parete che gli stava davanti, che al ritorno del figlio del governatore conosceva a memoria ogni più minuscola venatura del legno.
Oliandro bussò e aprì la porta. Non disse nulla, si limitò a fargli un cenno con il capo. Liam si alzò e lo seguì fuori, attraverso la radura e di nuovo giù nell’arena.
Elfi ed Unicorni erano ancora tutti là dove li aveva lasciati – quanto tempo prima, un ora, due? – ma al centro dell’anfiteatro, la gabbia era scomparsa. Al suo posto stava una predella con un bancale di legno lavorato. Il mago salì il gradino della pedana, con le gambe che minacciavano di non reggerlo, e la nausea. Per un secondo, guardando diritto negli occhi neri di Glenndois, credette che sarebbe svenuto. Poi il governatore sorrise. Un sorriso, ancorché forzato, era pur sempre un sorriso. In quel momento gli ricordò terribilmente Rowena.
«Bentornato, Liam dell’Acqua, figlio di Thorla. Abbiamo discusso a lungo la tua situazione, e l’esito della prova impegnativa a cui ti sei volontariamente sottoposto questa mattina. Siamo tutti concordi che, nonostante tutte le mancanze da te stesso evidenziate e riconosciute, meriti la libertà.»
Liam sentì il macigno che gli pesava sullo stomaco dissolversi all’improvviso, e il vuoto che lasciò lo fece vacillare. Chinò il capo per nascondere la sua momentanea debolezza.
«Per questo motivo, sarai presto libero di ricongiungerti al tuo cavallo e riprendere la tua ricerca. Domani, i miei figli partiranno per Natìm, dove raggiungeranno Ruben e i suoi alleati, e gli porteranno tue notizie.»
Il governatore fece una pausa, poi riprese con voce più grave:
«Tuttavia, c’è un’ ultima domanda che ancora vorremmo sottoporti, mago. Bada che questa richiesta, per quanto forse crudele, ha un importanza cruciale, per te come per noi.»
«Sentiamo» disse Liam, cercando di tenere ferma la voce.
Gli Unicorni guardarono Glenndois, che esitava, e annuirono lievemente.
«Attraverso i tuoi occhi, abbiamo potuto rivivere la morte dei tuoi genitori e di tua sorella. Abbiamo osservato la loro malattia peggiorare, toccato il tuo dolore e la tua paura. Abbiamo vegliato accanto a loro nell’ultima ora. E poi abbiamo pianto al loro funerale. Quello che ci siamo domandati, però, è se tu fossi completamente certo della loro morte.»
Liam si aggrappò alla sponda.
«C-cosa volete dire?» farfugliò.
«Sappiamo che hai preparato tu Thorla e sua moglie per l’inumazione, e non dubitiamo del tuo giudizio. Ma Syra…»
Glenndois lasciò cadere la frase, imbarazzato.
«Non ebbi il cuore di farlo io. Se ne occuparono Chloé e la vecchia guaritrice. Venuta a mancare due anni dopo» fu scosso da un brivido. «Perché mi fate una simile domanda?»
Speranza si agitò, facendo ondeggiare la criniera d’argento.
«Micael ha arruolato una nuova maga. Attraverso i tuoi ricordi, tutti noi abbiamo ravvisato una somiglianza sorprendente tra Syra e questa ragazzina, che chiamano Ophelia.»
La testa di Liam prese a vorticare, obbligandolo a reggersi alla sbarra.
«Syra è morta. Io l’ho seppellita.»
«Quanto tempo era passato? Dalla sua morte, quanto era passato?»
Il mago scosse il capo.
«Poche ore. Eravamo nel bel mezzo di un’epidemia, Pothien non poteva permettersi di tenersi i corpi in casa.»
«Se fosse-»
«Non era morte apparente!» lo interruppe Liam. «Non lo era! Io non l’ho seppellita viva! Sento il sangue scorrere nelle vene di ciascuno di voi, grazie ai miei poteri, e io suo cuore non batteva!»
«È legata alla Terra, Liam» disse quieto Pace.
«Non l’ho seppellita viva!» gridò il mago battendo i pugni sul banco.
Glenndois si rabbuiò.
«Calmati, mago.»
«Calmarmi?! Mi avete appena accusato di aver seppellito viva mia sorella di quattro anni! Come faccio a stare calmo?!»
Glenndois arrossì e fece per ribattere, ma Speranza lo zittì.
«Il mago ha ragione, Glenn. Le nostre parole sono state troppo dure. Perdonaci, Liam. Sappiamo che i casi di morte apparente sono estremamente rari, e che tu non hai agito con leggerezza. Tuttavia volevamo averne la certezza. Capirai che è oltremodo strano che una maga che attinge i propri poteri dalla Terra si allei con una fazione aggressiva come quella di Micael, è contro natura che possa accettare di contribuire alla distruzione di una qualsivoglia specie vivente. È nostro desiderio fare chiarezza su questa Ophelia. Per questo abbiamo insistito tanto.»
Liam chinò il capo, cercando di regolarizzare il respiro. Quando fu sufficientemente calmo, rispose:
«Sono certo che la povera Syra fosse morta. Ma non sarò tranquillo fino a quando non avrò verificato che le mie certezze siano fondati. Vi prometto che, non appena potrò, tornerò a Pothien e disseppellirò la sua bara.»
Speranza annuì.
«Ti ringrazio a nome dei nostri due popoli, Liam. È tutto. Oliandro ti accompagnerà alle cucine, dove potrai ristorarti, e in un luogo tranquillo per riposare. Poi potrai recuperare il tuo cavallo e ripartire.»
«Non potrei andarmene subito? …non che disprezzi il cibo che mi state offrendo, e la vostra ospitalità, ma il tempo che ho a disposizione non è infinito.»
«È meglio che tu ti trattenga almeno fino al calare del sole, mago. Fino a che l’acqua incantata non avrà esaurito il suo effetto. Non possiamo permetterci che tu incappi in Caleb, o un altro nemico, e che tu debba decidere se spiattellare tutto quello che sai di noi e di Ruben, oppure morire.»
Oliandro e Rowena si alzarono e gli si affiancarono. E Liam si lasciò condurre via, con la stretta dell’apprensione che si serrava di nuovo sul suo stomaco.
 
Quando furono al sicuro dal crollo, Abby tirò le redini e Luce si fermò. La nuvola di polvere che li aveva preceduti si posò lentamente, e i due tennero naso ed occhi affondati nel tessuto delle maniche fino a quando la visibilità non tornò accettabile. Poi si scambiarono un’occhiata cupa.
«E adesso?» domandò Irthen.
La sua voce rimbombò nel tunnel illuminato solo dal riverbero della loro torcia.
«Adesso, prega i tuoi Dei che non ci siano stati dei crolli anche più avanti. Altrimenti avremo un bel po’ di tempo da passare insieme…»
Irthen deglutì a vuoto e tese l’orecchio: nessun rumore si udiva più, oltre al rotolare di qualche ciottolo che ancora scivolava giù dai detriti. Gli orchi, se erano sopravvissuti, avevano rinunciato a seguirli. La ragazza gli passò la torcia e mise il cavallo al passo.
«Abby.»
«Sì?»
«La conversazione di prima è solo rimandata» disse, ostentando la sicurezza che era ben lungi dal provare.
Abby sbuffò.
«D’accordo. Ma cominci a stancarmi con questa storia.»
Irthen si morse un labbro per non rispondere e strinse convulsamente la torcia.
I gradini cedettero il posto ad una spianata di piastrelle di porfido, larghe e scure, che assorbivano quel poco di luce che i due avevano a disposizione.
Nel silenzio che era calato, ogni colpo inferto alla pavimentazione dagli zoccoli suonava amplificato all’infinito. Il tempo perdeva consistenza, dilatandosi e restringendosi, e sprofondando Irthen in un universo di apatia, di vuoto senza pensieri. L’eco faceva tramare le pareti.
«Uffa, Irthen!» sbottò improvvisamente Abby.
Il ragazzo sobbalzò.
«Che ho fatto?!» domandò allarmato.
«Rendi sempre tutto difficile!» rispose.
«Ah, io rendo tutto difficile!» esclamò, sentendo la collera risvegliarsi e montare. «Sei tu quella instabile!»
«Instabile?! Sentiamo, in che cosa sarei instabile?» disse la ragazza, alzando la voce.
«In cosa? Prima di tutto nel tuo modo di comportarti con me! Non sai nemmeno tu quello che vuoi, ci scommetto. Un momento mi stai appiccicata, un attimo dopo prendi le distanze. Secondo, non si capisce mai se quello che dici lo pensi davvero e se mi sfotti. Terzo, ogni volta che prendo l’iniziativa fai la sorpresa, come se fossi un simpatico marmocchio di cinque anni che cerca di attirare l’attenzione. Beh, ti svelo un segreto: non lo sono! Sono abituato ad arrangiarmi e non sono nato ieri. E di certo non ho bisogno di una mamma che mi cambi il pannolone. Questo solo per farti qualche esempio, ma potrei andare avanti ad oltranza. Perciò, deciditi: io non ci riesco più ad andare avanti così. Non sono io a rendere tutto difficile, sei tu! Crescere con Liam mi ha reso immensamente paziente, ma anche la mia pazienza ha raggiunto il suo limite.»
Abby incassò. Non rispose e per lunghi minuti il silenzio non fu turbato da una sola parola. Infine, quando ormai Irthen aveva riposto le speranze di ricevere una risposta, una qualunque, anche un meritatissimo “fottiti”, la ragazza mormorò:
«Che cosa vuoi che ti dica? Che quando abbasso la guardia anche solo per una frazione di secondo mi dimentico di tutto il resto? Che sei così vero, che i tuoi occhi sono così limpidi da darmi l’illusione che anche per una come me ci sia ancora speranza? Che ogni volta che ti fai coinvolgere da quello che stai dicendo e ti appropri del mio “sì” per chiudere una frase mi faccio prendere da un irrazionale moto di euforia? Oppure che potrei vagare con te da un piana all’altra anche senza la meta interessante che mi hai posto, e senza sentirne la necessità, fino a quando la Terra dei Tuoni non tornerà ad essere una landa disabitata?»
Abby fece una pausa, mentre Irthen cercava di mantenere un minimo di lucidità. Si sentiva precipitare in un’immensa voragine senza fine, con le guance in fiamme e le orecchie che fischiavano. Poi, la ragazza aggiunse:
«Posso dirti che mi piaci da matti, Ir, ma questo non cambierebbe le cose. Non cambierebbe quello che sono io, né quello che sei tu, e nemmeno quel lunghissimo e paranoico discorso che ti ho faticosamente fatto tre giorni fa. Se sono instabile è perché alterno momenti di euforia a momenti di razionalità, e seppure io sia sempre stata brava a controllarmi, ultimamente sembra che il mio cervello sia andato in vacanza. Perciò, non so che cosa tu provi per me, ma non fare la cazzata di dare corda ai miei eccessi. Ti sei fidato tante volte, fallo di nuovo, fosse anche l’ultima volta. Girami alla larga anche quando io non riesco a fare altrettanto. So già come andrà a finire tutta questa storia.»
La sua voce era pervasa da una profonda malinconia, e fu quella che convinse Irthen a non ribattere, a tenere per sé il magone e le lacrime che miracolosamente era riuscito a ricacciare indietro, e l’eco della frase “potrei vagare con te fino a quando la Terra dei Tuoni non tornerà ad essere una landa disabitata”. Assalito da ondate di sentimenti contrastanti, Irthen si sentiva sul punto di vomitare.
Ok, forse non era stato del tutto onesto con sé stesso. Forse Abby gli piaceva. Forse gli piaceva molto. Gli piaceva il colore della sua pelle, i suoi lineamenti pronunciati, le sue forme morbide. Ma gli piaceva anche il suo modo di fare, sempre così deciso e imprevedibile. Gli piaceva la sua voce. E gli piaceva quel maledetto “sì”. Sta bene, ora l’aveva ammesso. E lui piaceva a lei. Da matti, a suo dire. Perché, allora, quella disgraziata continuava a tirarsi indietro? Era per via di quel famoso errore che aveva fatto e che non gli voleva rivelare?
«Ci-ci sei ancora?» domandò la ragazza.
Irthen deglutì a fatica, cercando di ignorare la nausea.
«Ci sono. Ci sono, sì. Ho capito: io ti piaccio, ma non abbastanza. Chiaro» mormorò, sforzandosi di dare un senso a tutto lo scenario.
Abby si irrigidì un momento, poi si rilassò e sospirò.
«Credi che sarebbe pericoloso accelerare un po’?» le domandò il ragazzo.
«No, certo che no. Solo che…niente, va bene. Hai sentito, Luce, sì?»
Luce nitrì sommessamente e si lanciò al galoppo nell’aria immota del passaggio sotterraneo. Irthen socchiuse gli occhi, riassaporando ancora una volta il ricordo del suo dolce peso premuto sul petto in una cavalcata notturna e domandandosi se fosse stato quello a fregarlo.
 
Il rumore degli zoccoli cullava Irthen in una dimensione atemporale, nella quale le uniche, pungenti sensazioni erano costituite dalla puzza di chiuso, dalle vampate bollenti della torcia che reggeva con una mano, e dal tepore del fianco di Abby, al quale si teneva stretto con l’altra. E mentre il tempo scivolava via sotto agli zoccoli veloci, si lasciava trasportare in quello stato di semicoscienza, pensando a Pothien, a Jeremy e a sua sorella Amanda. I contorni del suo viso gli apparivano sempre più sfuocati.
Si riscosse improvvisamente quando Abby mise Luce al passo. Si sporse e trattenne il respiro. In mezzo alla galleria giacevano dei detriti che impedivano al cavallo di proseguire.
«Dobbiamo sgomberare il passaggio» disse Abby, tirando le redini.
Irthen smontò e le tese una mano per aiutarla a fare altrettanto. Immediatamente se ne pentì, perché la ragazza esitò, prima di lasciarsi aiutare.
Infilarono la torcia nel supporto sulla parete e studiarono la situazione: in mezzo alla strada c’erano due grossi massi e altri frammenti, staccatisi dalle pareti in occasione di un crollo precedente. Uno dei due blocchi più grossi era proprio impossibile da aggirare, l’altro invece non sembrava creare grandi problemi.
«Basterebbe spostare questo» disse Irthen, cercando di valutare quanto potesse pesare. «Ma come?»
Provò a spingerlo, ma quello non si mosse. Abby si prese il naso tra le dita.
«Il fatto è che nemmeno spingendolo in due, quell’affare si muoverà.»
«Luce non riuscirebbe a tirarlo, mentre noi spingiamo?» domandò il ragazzo.
Abby scosse il capo.
«Non ha abbastanza spazio. Potrebbe prenderlo a calci, ma non voglio rischiare che si ferisca o che si azzoppi…»
«Serve una leva» disse Irthen.
«E dove la troviamo una leva?» sbottò Abby.
«Ci portiamo dietro una marea di bagagli, avrai pure qualcosa che possa servire da leva!»
«Certo! Pieno così, di leve!»
Irthen si grattò la testa.
«Allora non abbiamo molte alternative: o riusciamo a spingerlo via, oppure finiamo qui i nostri giorni. Anche se continuo a domandarmi che cavolo ci tieni in tutte quelle sacche…»
Si appoggiò con tutto il peso alla roccia, ma questa non si mosse. Abby sbuffò, prese la rincorsa e si lanciò sul masso. Imprecò per il contraccolpo, ma l’ostacolo si spostò di qualche pollice. Irthen sgranò gli occhi.
«Ma come cavolo hai fatto?!» esclamò.
«Non lo so, ma mi sono fatta un male cane. Ancora un paio di tuffi, poi mi dai il cambio, sì?»
Prese la rincorsa di nuovo e il masso si spostò ancora un po’. Poi di nuovo e di nuovo. Al quarto tentativo, Irthen la intercettò e la bloccò tenendola per le spalle.
«Smettila, ti stai distruggendo. Lasciami provare.»
Abby si addossò alla roccia, e Irthen si allontanò di qualche passo, per poi lanciarsi di corsa contro alla pietra. All’impatto, le ossa delle braccia scricchiolarono, i muscoli ammortizzarono il colpo, e mille punti di dolore lo accecarono. Ma il masso rotolò via, lasciando libero il passaggio.
«Bravissimo, Ir!» esclamò Abby.
Con una smorfia, Irthen alzò il pollice. La ragazza recuperò la torcia e rimontò Luce.
«Andiamo, tesoro?» disse allungandogli la mano.
Lui la guardò stralunato per un secondo, poi scosse il capo, indeciso se mettersi a ridere o se scoppiare a piangere e si issò in sella.
 
Lungo la galleria incontrarono i resti di altri crolli, nessuno dell’entità del primo. Irthen non smetteva mai di sorprendersi della resistenza di Luce, che non accennava a stancarsi, né a rallentare l’andatura, e che evitava con sicurezza, anche nella poca luce a disposizione, i detriti. Cambiarono più volte torcia, chi aveva attrezzato quel passaggio doveva avere avuto molta paura di restare al buio, perché ne aveva piazzate ovunque. Parlarono poco. Irthen avrebbe desiderato rompere il silenzio, ma non voleva sembrare sempre il solito sciocco. Più pensava alla piega inaspettata e infelice che aveva preso il suo rapporto con Abby, più si rendeva conto che aveva giocato le sue carte nel peggiore dei modi. D’altra parte, la sua compagna di viaggio non era certo una persona equilibrata, se aveva deciso di non cedere, non avrebbe ceduto nemmeno se le fosse saltato addosso. Non che l’idea non fosse allettante…
«Finalmente!» esclamò Abby, facendolo sobbalzare. «C’è una porta, Ir!»
Luce si arrestò, Irthen smontò e fece scorrere il catenaccio. Con un cigolio, la porta si aprì, lasciando entrare la luce del sole che tramontava.
Davanti a lui, una serie di piccoli laghetti dall’aria poco salubre si allargavano tra isole di canne di bambù e di foglie di loto marce. Una rana gracidò.
Abby emerse dal passaggio con le briglie di Luce strette in mano.
«Ti presento le paludi, tesoro.»
Irthen prese un bel respiro, ma l’aria umida gli chiuse la gola. La ragazza spinse la porta con un calcio, e questa sbatté e un secondo dopo scomparve.
«Co-co-come cavolo…?!» balbettò Irthen, fissando il vuoto dove un attimo prima c’era il passaggio che li aveva condotti fin lì.
«Magia» disse Abby con un sorriso enigmatico. «Ti pare che un genio come Storr avrebbe lasciato incustodito un passaggio che porta direttamente in casa sua?»
Sentendosi sempre più ottuso, il ragazzo dovette riconoscere che il ragionamento non faceva una piega.
«E ora?» domandò.
«Ora è meglio se ci muoviamo. Non oso immaginare che insetti possano vivere in questo posto malsano, se non annegheremo nel fango putrido, entro notte saremo già dall’altra parte delle paludi. E allora, viaggiando anche di notte come ieri, raggiungeremo il confine del Bosco Lossar per mezzogiorno di domani!»
Irthen deglutì, indeciso se fosse peggio la prospettiva di finire in una palude fino al collo, oppure di passare un’altra notte come la precedente.



*********
HAHAHA ragazzi che scherzone che stavo per farvi! Ho aperto il file sbagliato, avete rischiato di beccarvi due pagine word di domande di diritto commerciale XD XD XD

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Capitolo 20
*** Giorno per giorno ***


Liam si assicurò che il suo bagaglio fosse ben fissato alla schiena di Baio e guardò Oliandro negli occhi blu.
«Grazie, amico. E grazie anche al tuo popolo, per l’ospitalità che mi ha dimostrato.»
Oliandro sorrise.
«Spero davvero che vada tutto bene, Liam.»
Il mago accarezzò meccanicamente il muso lungo del cavallo, che lo guardava con quei suoi occhioni liquidi. Gli era mancato. Niente da fare, Baio restava sempre il migliore compagno di viaggio.
«Il sole è tramontato» mormorò tra sé e sé.
Oliandro annuì, osservando il cielo che si faceva sempre più scuro.
«C’è qualcosa che devo riferire a Ruben?» domandò.
Liam scosse il capo.
«Digli quello che riterrai opportuno. Buon viaggio, Dodo.»
Gli assestò una pacca amichevole sulla spalla e si incamminò, con le redini strette in pugno, lungo il sentiero che gli elfi gli avevano indicato.
«Anche a te, amico!» gli rispose l’elfo, mentre sua sorella gli si affiancava e commentava a mezza voce:
«Riposato e con lo stomaco pieno è quasi sopportabile…»
Liam trattenne un sorriso e salutò con la mano, senza voltarsi.
 
Glenndois aveva, con poche, precise parole, distrutto il suo piano di viaggio. Gli aveva spiegato che sarebbe stato preferibile evitare la fascia centrale del Bosco, quella che si estendeva in prossimità del fiume Morgael. Ne avevano perso il controllo da decine di anni e avevano tentato una sola volta di recuperarlo, ma si erano resi immediatamente conto che non ne valeva la pena: la natura era troppo selvaggia, gli animali troppo feroci, e il numero degli elfi troppo esiguo per poter sperare di mantenere l’ordine. Si erano, quindi, trasferiti a Nord del fiume, e solo qualche temerario era rimasto a Sud. Era sfumata, così, la sua speranza di poter intercettare il fiume e seguirlo fino alla Cascata. E dato che nessuno si era offerto di accompagnarlo – non che desiderasse la compagnia di un elfo moralista o di un Unicorno dal nome ridicolo – aveva dovuto studiare un percorso alternativo per filo e per segno. Non poteva uscire dal territorio degli Unicorni per colpa di Caleb, la sua unica possibilità era attraversare il Bosco Lossar in diagonale, per raggiungere in punto in cui il Morgael emergeva dalle piante per nascondersi nel Canyon. A detta di Oliandro, quel sentiero conduceva dritto dritto là, ma Liam non era così tranquillo. Se si fosse perso in quell’inferno di rami…
«Quante storie, Li’, ti basterà seguire l’umidità del fiume» si disse.
«Certo. E finire come niente in pasto ad un ippopotamo gigante. Bell’idea, mago! Meglio non perdersi, magari» si rispose.
Il sentiero si allargò abbastanza da permettere a Baio di trottare. Liam montò in sella e lo sferzò.
 
Irthen era certo che avrebbe ricordato quel crepuscolo come uno dei peggiori della sua vita. Attraversare incolumi la palude lo aveva letteralmente spossato, con la continua necessità di prestare attenzione ai piedi propri, della propria compagna di viaggio, e della povera Luce. Quando finalmente era riuscito a convincere Abby a fermarsi per mangiare qualcosa, era notte fatta. E mentre la ragazza riesumava quei pochi avanzi che avrebbero consumato al freddo e al buio per evitare ospiti inattesi – ospiti con le testoline deformi e le braccia lunghe -, lui guardava la distesa di acqua putrida che si erano faticosamente lasciati alle spalle. Luci fioche, in lontananza, denunciavano la presenza di un accampamento. Il vento soffiava tra le canne, facendole ululare, e un rospo, ogni tanto, gracidava. Irthen rabbrividì. Il pericolo corso nella traversata e la concentrazione che gli era stata necessaria, gli avevano tenuto la mente meravigliosamente occupata, ma ora che era al sicuro, per quanto la desolata Piana di Thann potesse permetterlo, non poteva fare a meno di crogiolarsi nella tragica assurdità della sua situazione: aveva incontrato una ragazza, che gli aveva salvato la vita svariate volte, che aveva scelto di seguirlo, che lo aveva istupidito e che gli aveva confessato il suo interesse per lui. Ma che subito dopo gli aveva detto di girare alla larga. Di più, gli aveva detto di farlo anche se lei l’avesse cercato! Scosse il capo, sconsolato. Come poteva pretendere che fosse lui ad allontanarla? Sarebbe andato contro natura! E poi, con tutte le decisioni cretine che aveva preso negli ultimi tredici giorni, quella di continuare a provarci con lei non sarebbe certo stata la peggiore.
«È pronto, Ir» disse Abby alle sue spalle.
Prese un bel respiro, prima di voltarsi verso di lei, e cercò di assumere un’espressione rilassata. Si avvicinò lentamente, controllando l’impulso di scappare a gambe levate, e le si sedette accanto. La ragazza lo guardò per un secondo con sospetto, poi gli posò un pezzo poco invitante di carne fredda in mano.
«Non hai un bell’aspetto» commentò.
«Sarà che non mi lavo decentemente da una settimana…» rispose con un sorrisino forzato.
«Può essere. E di certo tutta la polvere che ci è piovuta addosso stamattina non è stata un toccasana. Però non mi riferivo a quello.»
Inclinò la testa di lato, osservandolo con attenzione, poi si strinse nelle spalle e tornò ad occuparsi della sua cena. Irthen, invece, continuò a fissarla. Ancora una volta, l’ennesima, si domandò quando avesse iniziato a vederla con occhi diversi, ma non riuscì a risalire al momento preciso. Di colpo, puf!, aveva scoperto che era diventata qualcosa più che “Abby”. Non aveva un bell’aspetto, aveva detto. Bella faccia tosta…
Un rospo particolarmente vicino gracidò, ricordandogli terribilmente il suo sogno. Non riuscì a trattenere una risata.
«Posso ridere anch’io? In mezzo a tutte queste cose putride ne ho bisogno!» disse Abby.
«Non credo che ti farebbe ridere. Non più.»
«Sorprendimi.»
Irthen chiuse un momento gli occhi.
«Ricordi quando ho sognato che eri stata trasformata in rana?»
Abby ghignò.
«…che è una perifrasi per dire “ricordi quando mi hai sfottuto e sfidato a baciarti”.»
Irthen arrossì, sentendo lo stomaco accartocciarsi su sé stesso.
«Ehm…sì.»
«Mi ricordo. Anche perché sono passati solo tre giorni, la mia memoria non è ancora così malridotta» rispose. «Anche se continua a sfuggirmi cosa ci sia di divertente.»
«In realtà proprio niente, solo che qui c’è pieno di rane. Oh, Dei, Abby! Avevi degli occhi assurdi!»
Abby scoppiò a ridere.
«Ho come l’impressione che non sia un complimento.»
Irthen sorrise, ma si rabbuiò immediatamente.
«Che cosa avresti fatto se ci fossi stato?» domandò.
Abby aggrottò la fronte.
«Ero sicura che non l’avresti fatto.»
«Perché?»
«Perché sei un bravo ragazzo» disse alzando le spalle.
«E se invece ci fossi stato?» insistette.
Abby sbuffò.
«Che ne so, Ir! Probabilmente ti avrei baciato davvero! Di solito non rifletto molto prima di agire…»
Irthen sospirò. Facendo violenza al proprio stomaco, ingurgitò la cena e si alzò.
«Dove vai?» domandò Abby, alzando gli occhi.
«A cercare una rana da baciare. Con te me la sono giocata» disse con un mezzo sorriso.
Colse l’occhiata preoccupata della ragazza, prima di allontanarsi velocemente.
Per qualche minuto girovagò in mezzo a felci e canne di bambù, poi si fermò, nascosto alla vista dell’accampamento, e si prese la testa tra le mani. La verità era che non riusciva a stare fermo. Una parte di lui si rimproverava per aver mosso quel vespaio, che non gli consentiva più di starle vicino con la leggerezza di prima, l’altra parte ripeteva che prima o poi avrebbe dovuto comunque affrontare il problema.
“Ormai siamo in ballo, Irthen. Tanto vale che balliamo” si disse.
Doveva trovare il modo di reprimere l’impulso di fare l’ennesima figura infelice. Per quanto l’istinto gli dicesse di insistere, il cervello non poteva non ripetergli di ritirarsi e salvare quel minimo di dignità che gli era rimasta.
«Coraggio, bello…è solo una ragazza! E di ragazze è pieno il mondo!» mormorò a sé stesso.
Si ravviò i riccioli e si volse. Fece un passo, a testa bassa, e sentì con orrore il piede affondare in uno strato di melma appiccicosa. Cercò di ritrarre il piede, ma il fango oppose resistenza. Si sbilanciò e finì nella pozza anche con l’altra gamba, evitando per miracolo di cadere di faccia.
Quando fu certo di essere stabile, tentò di divincolarsi dal pantano, ma più si muoveva più affondava. In preda al panico, cercò un appiglio. In un batter d’occhio, la melma l’aveva avvolto fino alla vita, e l’unica foglia di felce abbastanza lunga si strappò, ferendogli la mano. Imprecò e cercò di calmarsi, invano. Non riusciva a fare a meno di pensare a che morte idiota sarebbe stata, quella. Ridicola, come ridicolo era lui! La situazione peggiorava rapidamente, il panico gli impediva di stare fermo e ragionare. Quando ormai il putridume gli arrivava allo stomaco e la situazione era sempre più disperata, una mano gli afferrò il polso. Stralunato, roteò gli occhi. Abby si era legata una fune in vita, l’altro capo era tra i denti del cavallo.
«Non chiamarmi, eh!» sbottò la ragazza, trascinandolo faticosamente fuori dalla palude, aiutata da Luce.
Quando, finalmente, Irthen fu al sicuro sulla terra asciutta, Abby si lasciò scivolare per terra. Il ragazzo la imitò. Le gambe non lo reggevano, il cuore sembrava sul punto di esplodergli.
«Fanculo, Irthen.»
«Grazie» mugugnò.
«No, sul serio, sei un vero idiota! Che cosa aspettavi a chiedere aiuto? Di finirci dentro fino alle orecchie?!»
«Non lo so, io…sono andato in panico…»
«Se non mi è venuto un infarto oggi, non mi verrà mai più.»
«Come facevi a sapere che stavo per morire sepolto da strati e strati di schifo?»
Abby lo guardò storto.
«Ti ho seguito.»
«Cosa?!»
La ragazza sbuffò.
«Volevo vedere se avresti baciato sul serio una rana…»
«Non sono così disperato, Abby!»
Abby sorrise.
«Sei coperto di fango, Ir. Ce l’hai un cambio? Sul mio cavallo, così, non ci sali…»
Irthen annuì. Si trasse in piedi e si incamminò verso l’accampamento, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi. Frugò tra i bagagli ed estrasse il necessario. Si sfilò la camicia sporca, ringraziando che quel fango fosse tanto gommoso da non passare nemmeno attraverso i vestiti.
«Mi vuoi risarcire per il disturbo di averti ripescato?» domandò Abby, alzando le sopracciglia.
Irthen arrossì, la maledisse mentalmente e la guardò storto.
«Non credo proprio. Anzi, girati per favore» sbottò.
Abby mise il broncio e gli voltò le spalle, coprendosi gli occhi con le mani.
«Nemmeno una sbirciatina?» insistette.
«No. Smettila, non è divertente.»
Si cambiò il più velocemente possibile, senza verificare che la ragazza onorasse l’accordo. Decise che preferiva non saperlo. Quando fu pronto, iniziò a raccogliere le loro cose.
«Possiamo ripartire, sì?» domandò Abby.
«Dobbiamo ripartire» corresse lui.
 
Ancora agitato per aver sfiorato la morte per annegamento nel fango, Irthen aveva scelto il primo turno di veglia. Convinto che, comunque, non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Abby si era avvolta nella coperta, come la notte precedente, e si era accoccolata contro di lui, rannicchiata come neanche un gatto avrebbe saputo stare, sfidando ogni legge umana e divina per stare in equilibrio precario su un cavallo in movimento senza cadere. E lui, facendosi forza, si era concentrato sulla strada. Ogni tanto, incrociavano ancora qualche pozza putrida, ma Luce era un cavallo sveglio.
“Più sveglio di me” pensò Irthen con un sospiro affranto.
Se Abby aveva ragione, e “Abby non sbaglia mai i calcoli”, come amava ripetere, entro mezzogiorno avrebbero raggiunto i margini del Bosco Lossar, e a quel punto sarebbe stato meglio fermarsi fino all’alba. Infatti, da quanto aveva detto Ged, il Morgael scorreva abbastanza vicino al confine del bosco, e se avessero proseguito avrebbero dovuto accamparsi in mezzo alle piante oppure navigarlo di notte. Irthen sbuffò. Anche quella storia del navigare il fiume non lo convinceva per niente, Ged aveva parlato di coccodrilli e ippopotami…non sarebbe stato meglio costeggiarlo a cavallo?
Perso nelle proprie elucubrazioni, non si accorgeva nemmeno dello scorrere del tempo. Ormai, la meta era vicina, vicina come non avrebbe mai osato sperare. E poi, che cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato a Pothien, ovviamente. E…lei, invece?
«Smettila di farti delle paranoie, tesoro» mormorò Abby.
Irthen si irrigidì.
«Che cosa vuoi dire?»
«Che sento il cigolio delle rotelline nel tuo cervello. Non pensare troppo, non ne vale la pena. Vivi quello che la vita ti offre giorno per giorno, fidati di me.»
Il ragazzo sospirò.
«Non ti sembra di chiedermelo un po’ troppo spesso?»
«Cosa?» domandò Abby, soffocando uno sbadiglio.
«Di fidarmi» rispose Irthen.
«Hai ragione, non dovrei» disse senza esitazione.
«Mi stai confondendo…» borbottò Irthen.
Abby rise e si raddrizzò un pochino, quel tanto che bastava per consentirle di posare la testa sulla sua spalla.
«Non manca molto all’alba» sussurrò.
Il ragazzo non rispose. La notte gli era scivolata via tra le dita senza nemmeno che se accorgesse.
«Vuoi il cambio?»
«No. Mi piace stare…così» disse arrossendo. «Che cosa troveremo, nel Canyon, Abby?» aggiunse, cercando di ricomporsi.
«La sirena. Conosci la storia della sirena?»
«No. Vorresti raccontarmela?»
Abby chiuse gli occhi, e prese a raccontare, cantilenando le parole, modellandole su una musica che Irthen non conosceva, e facendogli correre brividi caldi lungo la schiena.
«Quando gli Dei crearono la Terra dei Tuoni, si domandarono se gli uomini sarebbero stati capaci di mantenere puro il loro cuore, incorrotto dalle infinite opportunità che si offrivano loro. Qualcuno propose allora di creare una prova, superata la quale l’uomo virtuoso avrebbe ottenuto in premio l’immortalità e grandi poteri. Gli altri Dei la trovarono una buona idea, e il Dio dell’Acqua creò la Cascata del Potere. A custode posero una vestale, la sirena Kore, che è vincolata da un giuramento: valutare il cuore dei candidati e consentire a chi abbia un cuore buono di bagnarsi nelle Acque magiche. Sempre che questo non comporti un danno per l’equilibrio della Terra dei Tuoni. Da allora, Kore esamina i candidati in vece degli Dei. Chi si dimostra degno, può passare; chi non supera la prova, perde i ricordi inerenti alla Cascata, e torna alla sua vita precedente» concluse.
«Una prova? Ged non ha mai parlato di una prova!» disse Irthen, sentendosi invadere dal panico.
«A quanto pare, ci sono parecchie cose che il buon Ged ignora…»
«E se io non la superassi? Dimenticherei tutto: la Cascata, il viaggio…dimenticherei te!» farfugliò.
Abby sorrise ad occhi chiusi.
«Non sarebbe un male. E comunque la supererai.»
Irthen sbatté le palpebre per schiarirsi la vista. Il cielo iniziava a tingersi di rosa.
«Ho paura, Abby. È da deboli, avere paura?» domandò.
«No, tesoro. È da pazzi non averne» rispose voltando il viso verso di lui.
Irthen guardò per un lungo secondo in quegli occhi così verdi, stordito, e per un momento fu consapevole solo del battito furioso del proprio cuore e del sangue che gli bruciava nelle vene. Per quel lungo secondo, si sentì come sospeso in un limbo di semicoscienza, in cui niente era come doveva essere, prima di realizzare che, dopotutto, non era davvero la sua decisione più cretina.
«Quello che la vita offre giorno per giorno» mormorò, prima di obbedire all’istinto e posare le labbra su quelle morbide di Abby.
 
Al sorgere del sole, Liam era ancora abbastanza riposato da poter evitare la sosta-colazione. Aveva passato giorni senza dormire e senza mangiare decentemente, qualche ora di relativo riposo nella bella casetta che Glenndois gli aveva messo a disposizione gli aveva fatto bene. Il Morgael non era lontano, l’umidità giungeva fino a lui, rigenerandolo. E lo rendeva sicuro circa la direzione seguita. L’unica cosa di cui doveva preoccuparsi era di non avvicinarsi troppo al corso d’acqua.
Allora perché si sentiva così male? Perché quel freddo che gli attanagliava il cuore, e i brividi che non lo abbandonavano? Perché si sentiva vuoto?
Liam sapeva bene perché, nel suo autocontrollo, qualcosa era andato in frantumi. Era quella stessa sensazione che lo aveva abbattuto, sfiancato, spezzato dall’interno quando la famiglia, che aveva sempre considerato un qualcosa di certo e indistruttibile, era svanita nel nulla. Il dolore e la paura lo avevano prostrato, ma la responsabilità di badare ad Irthen e i suoi occhioni verdi lo avevano spinto ad andare avanti. E come tutte le ferite, anche quella si era rimarginata. Lentamente, magari, ma era guarita.
Possibile che avesse fatto una cosa tanto orribile? Possibile che avesse commesso un errore, e che Syra…non riusciva nemmeno a concepire l’idea.
“No, non è possibile, Liam. Lo sai anche tu. Certo, eri sconvolto, eri disperato, non eri lucido. Ma c’era Chloé! Lei è la razionalità, non avrebbe sbagliato! E poi, c’era anche Daria, era guaritrice da molti anni. D’accordo, poniamo che questa Ophelia le somigli…che le somigli molto! Non è una cosa inverosimile. Può succedere che due persone si assomiglino. E che abbiano la stessa età. È vero che è strano che abbia il potere della Terra e che stia con una fazione di guerrafondai, ma se è così giovane, magari è stata allevata da uno degli affiliati di Micael, oppure quel pazzo ha qualche rapporto con la sua famiglia…”
Sospirò. Come poteva trattarsi di Syra? Se fosse stata viva e fosse riuscita a salvarsi, sarebbe tornata a casa. A meno che non si fosse persa, o avesse avuto un’amnesia. Ma anche in questo caso, qualcuno avrebbe notato la terra smossa al cimitero. Anche se per via dell’epidemia in pochi frequentavano quel luogo, allora. E pioveva. Pioveva moltissimo. Sospirò di nuovo.
«Basta, Liam!» sbottò. «Tutte queste paranoie non ti porteranno da nessuna parte! Adesso smettila di pensare a futilità, quando sarà il momento verificherai la fondatezza dei tuoi timori, ma adesso concentrati. Se perdi il fiume, sei nei casini. E non puoi sprecare tempo a pascolare per questo luogo ameno.»
Si stropicciò gli occhi e schivò per un soffio un ramo basso che stava per colpirlo in faccia. Per quanto potesse amare la natura, non si sarebbe mai abituato a viaggiare a cavallo nei boschi…
«Ancora un piccolo sforzo, Baio, solo qualche ora. Ormai è l’alba, se Dodo ha fatto bene i conti, intorno a mezzogiorno saremo fuori da questo inferno di rami!»
 
Il sole era sorto, e Irthen fingeva di dormire. In realtà, la luce, la scomodità e l’agitazione gli rendevano difficile anche solo tenere gli occhi chiusi. Si limitava a tenere la testa bassa, nella speranza che Abby non sospettasse nulla.
L’aveva baciata, ottimo. E lei, alla faccia della coerenza, ci era stata! Aveva risposto al bacio, si era aggrappata alla sua nuca e gli aveva lasciato sperare che, una volta nella vita, avesse fatto la scelta giusta. Purtroppo, poi, l’aveva allontanato da lei e, in perfetto “stile Abby”, gli aveva detto:
“Non farlo mai più. Sappiamo benissimo entrambi che, ogni qualvolta tu mi bacassi, io ti lascerei fare, salvo poi incavolarmi e non rivolgerti la parola per ore. Perciò, mettici una pietra sopra, sì?”.
Irthen non aveva ribattuto. Non era ancora riuscito a decidere se avesse incassato così passivamente perché, infondo, si aspettava una reazione ben peggiore, oppure perché per un brevissimo momento aveva osato sperare davvero. Ma l’instabilità di Abby non era certo una novità. Oramai, ci era abituato. Avrebbe sopportato il nuovo cambio di rotta.
La stoica sopportazione iniziale, però, era degenerata velocemente, sprofondandolo in uno stato di insofferenza  e di angoscioso senso di colpa. Per cosa, poi? Nemmeno si era disturbata ad alzarsi, quell’approfittatrice! Si era accoccolata di nuovo, come niente fosse e aveva preso a canticchiare una specie di ninnananna bassa e dolce, che sembrava uscire da una favola. Così, quando non era più stato capace di sopportare quella situazione, aveva chiesto di poter riposare un po’. Abby aveva sorriso e gli aveva ceduto il posto, senza fare storie.
Ed eccolo lì, a fingere di dormire per non dover mostrare la tranquillità che era ben lungi dal sentire.
Il dondolio uniforme del passo di Luce era, in qualche modo, rassicurante.
Abby sussurrò qualcosa in una lingua che Irthen non aveva mai sentito, e Luce nitrì sommessamente. Il ragazzo aggrottò istintivamente la fronte.
«Guarda che lo so che sei sveglio…» aggiunse a voce più alta.
«Certo. Sua Signoria sa sempre tutto» sbottò Irthen in tono un po’ più acido di quanto avrebbe voluto.
Abby si irrigidì appena. Il ragazzo si raddrizzò e si stiracchiò, strofinandosi gli occhi. La giornata nuvolosa metteva tristezza.
«Possiamo mangiare qualcosa, sì?» domandò.
Sul viso della ragazza si dipinse un sorriso divertito e lui si morsicò la lingua. Maledetto intercalare.
«No, non possiamo, tesoro. Abbiamo dato fondo ai viveri. Ti pare che ieri sera avrei mangiato quella cosa schifosamente gelida e molliccia se avessi avuto qualcos’altro?»
Irthen sgranò gli occhi.
«C-c-cosa?!» balbettò.
«Oh, non fare quella faccia! Non è la fine del mondo, sei magro, ma puoi sopravvivere qualche ora senza mangiare. Quando saremo in prossimità del Bosco Lossar, potremo accamparci, riposare e, finalmente, fare un pasto decente! Riesci ad immaginare quanto mi senta ansiosa di poter fare tutte queste cose, sì?»
Il ragazzo mugugnò tutto il suo dissenso e Abby ridacchiò.
«Lo so che devi crescere, ma la vedi quella linea nera?» disse puntando il dito davanti a sé. «Quella è la nostra meta!»
Irthen strizzò gli occhi. In effetti, all’orizzonte si stagliava una linea scura e frastagliata.
«Sei certa che lo raggiungeremo entro mezzogiorno?» domandò perplesso.
«Tu, Luce, che cosa dici?» disse con un sorrisino malizioso.
Il cavallo nitrì e si lanciò al galoppo attraverso le ultime propaggini della Piana di Thann. Con lo stomaco che brontolava, Irthen non poté fare altro che affidarsi nuovamente alle zampe buone dello strano cavallo di Abby.
 



*******************
Io, Irthen lo adoro. Ve lo dico :b

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Capitolo 21
*** Lungo il Morgael ***


 L’aria del bosco era fresca e Irthen si era sentito immediatamente rinascere. Abby aveva sbrogliato l’arco dai bagagli ed era andata a caccia, lasciandolo solo e rilassato come non lo era da giorni, in mezzo agli alberi più radi, a preparare un fuoco per cuocere il cinghiale che – diceva – avrebbe catturato. Fortuna che era figlio di un cacciatore, e sapeva come fare per non mandare a fuoco tutto quanto con una semplice scintilla! La signorina-so-tutto non se l’era nemmeno posto, il problema…
Prese un bel respiro. Quando Ged aveva parlato di “bosco”, si era figurato tutto un altro tipo di ambiente: pini, funghi, profumo di resina e così via. Classico scenario da Giganti. Ma il Bosco Lossar non si adattava per niente a quel quadro. Gli alberi erano faggi, pioppi e betulle, alti e fitti, e la luce che filtrava era resa azzurrina dalle foglie che, sulle cime, la riflettevano. Il terreno non era umido, ma asciutto e soffice d’erba. L’unico odore che si percepiva era quello del terriccio.
Quando si sentì soddisfatto del falò che aveva acceso e alimentato, si sedette sulla coperta e attese. In un universo parallelo, sarebbe andato lui a caccia di cinghiale, ed Abby avrebbe preparato il fuoco. In un universo parallelo, se avesse baciato una ragazza senza permesso si sarebbe, molto probabilmente, trovato cinque dita stampate in faccia. In un universo parallelo, Abby sarebbe stata coerente e lui, forse, avrebbe saputo come comportarsi.
“Andiamo, bello,” si disse “non cercare di farmi credere che se lei fosse una tipa come tante ti piacerebbe allo stesso modo!”.
Sorrise tra sé e si coricò, con il naso rivolto verso le cime. Dato che in un universo parallelo non si trovava, gli toccava accendere il fuoco in attesa del ritorno del cacciatore – che non era lui – e riflettere su cose che non gli riusciva proprio di capire. Forse, era lui ad essere limitato. Sì, doveva essere proprio così.
«Cos’è quella faccia ebete?»
Irthen si alzò a sedere e si volse. Abby trascinava un cinghiale verso il fuoco, con immenso sforzo.
«Cavolo!» commentò il ragazzo, sentendo lo stomaco protestare.
«Ecco, infatti» sbuffò Abby mollandolo davanti al falò. «Mi aiuti a pulirlo, sì?»
Con l’acquolina in bocca, Irthen si mise all’opera.
 
Dovette riconoscere che Abby aveva ragione: coniglio e airone non erano molto meglio della carne secca se paragonati al cinghiale alle brace. Con cura maniacale, la ragazza aveva mostrato ad Irthen come pulirlo e come cuocerlo nel modo migliore. E lui si era limitato a seguire le istruzioni e ad annuire ogni tanto. Aveva una fame tale da fargli desiderare di riempire lo stomaco il prima possibile. Lentamente, il profumo di carne era andato via via spandendosi  tra gli alberi, e l’umore di Abby era migliorato.
Quando, finalmente, i morsi della fame furono lautamente placati, Irthen si coricò con le mani sulla pancia piena. Soffocò un rutto.
«Avevi ragione, Abby! Questo cinghiale era la fine del mondo!»
Abby mugugnò qualcosa di indefinito in risposta.
«Adesso cosa prevede il programma? Fino a mattina saremo fermi qui, giusto?»
La ragazza guardò il cielo. Il sole alto filtrava dai rami radi.
«Che ore saranno? Le cinque?» si prese il naso tra le dita. «Dobbiamo mettere insieme una zattera, o qualcosa di simile che possa portarci in sicurezza sul Morgael. Quando avremo finito, potremo dormire. Non so tu, ma io ne ho davvero bisogno…»
Irthen sospirò. Si alzò, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che potesse andare bene per costruire una zattera.
«Tu lo sai, vero, che se dovremo abbattere degli alberi ci impiegheremo più di qualche ora?!»
Abby si alzò a sua volta.
«Non preoccuparti di questo.»
«Posso preoccuparmi di come trasporteremo la zattera fino al fiume, sì?»
«Nemmeno, tesoro. A questo ho già pensato io» rispose secca Abby.
Irthen sbuffò.
«Sta bene. Cosa devo fare, allora?»
«Oh, finalmente una domanda intelligente! Vai a cercare dei rami lunghi e resistenti, che non misurino più di un pollice di diametro.»
«Per farci cosa? E quanti?»
Abby rifletté un secondo.
«Tre. Tre dovrebbero bastare. Coraggio, ci muoviamo, sì?»
Sbuffando, Irthen sguainò la spada e si addentrò nel bosco. In una frazione di secondo tutto il buonumore indottogli dal pasto caldo si era volatilizzato. Tre rami, lunghi, resistenti e che non misurassero più di un pollice di diametro. Si guardò attorno e si grattò la nuca, affranto: i rami di quel tipo non cadono di certo da soli. Quando un ramo cade è perché è secco, o marcio, o tanto sottile da essere spezzato da uno scoiattolo o utilizzato da un uccello per il nido. Per trovare i rami che cercava Abby, avrebbe dovuto arrampicarsi e reciderli lui stesso. Prospettiva poco allettante.
«Diamo comunque un’occhiata, bello. Per scrupolo. Magari siamo fortunati» si disse, prima di iniziare a girovagare a testa bassa.
Tra rametti, foglie e ramoscelli, di ciò che cercava non c’era nemmeno l’ombra. Ma la sua curiosità fu presto catturata da una serie di impronte che sembravano umane. Si accovacciò ad esaminarle: lunghe, sottili, uniformi, probabilmente lasciate da scarpe di cuoio. A giudicare dalla lunghezza della falcata, chi le aveva lasciate doveva essere molto alto. Più di lui. E anche più di Liam. Tirò un sospiro di sollievo.
«Giochi al giovane esploratore?»
Irthen sobbalzò, maledicendo Abby e il suo passo furtivo.
«Ci sono delle impronte» disse, facendosi da parte.
Abby si accosciò accanto a lui. Annuì tra sé e sé, poi sorrise e gli scompigliò i riccioli.
«Questo spiega tutto! Sono impronte di elfo, si capisce dalla leggerezza e dal tipo di suola.»
Irthen aggrottò la fronte.
«Elfo? Ci sono elfi, qui?»
«Oh, sì, ma sono molto più a Nord, normalmente.»
«E che cos’è che spiega?» domandò ancora.
«Spiega la barca che ho trovato. Lascia perdere quei rami, non ne ho più bisogno!»
Lo prese per un polso e lo trascinò indietro, verso l’accampamento.
Perso nei propri dubbi, Irthen si lasciò condurre. Così, scoprì che il Morgael scorreva vicinissimo a loro, e che non giungeva il suo rumore solamente perché, in quel punto, la corrente era particolarmente lenta. Accanto all’alveo stava una barchetta. Era stata tirata in secca, ma non da Abby, perché il legno era già completamente asciutto. Sembrava in buone condizioni, c’erano anche due remi. Non era certo il genere di cosa che una persona sana di mente avrebbe abbandonato al proprio destino. Una serie ininterrotta di domande affiorò alle labbra del ragazzo, ma all’ultimo momento decise di tenerle per sé. La fortuna era una cosa non disprezzabile, ma quella storia della barca andava oltre ogni più ottimistica aspettativa. Chi l’aveva lasciata lì? Come aveva fatto, Abby, a decidere di accamparsi in un posto così opportuno? Se il proprietario della barca era l’elfo che aveva lasciato quelle orme, non c’era il rischio che tornasse prima dell’alba? E prenderla non sarebbe stato come commettere un furto? E gli elfi erano buoni o cattivi? E perché, Abby aveva capito subito che si trattava di un elfo? Scosse lentamente il capo e si limitò a chiedere:
«A che cosa sarebbero serviti i rami?»
«A costruire un carrello su cui trasportare la zattera fino al fiume. Ma non serve più.»
Irthen annuì. Troppe cose incastrate alla perfezione. Si volse e tornò all’accampamento.
Abby lo raggiunse qualche tempo dopo. Il sole doveva essere molto inclinato sull’orizzonte, perché tra gli alberi era già piombata l’oscurità.
«Sei stato davvero molto socievole» sbottò.
Irthen la ignorò e si rimboccò meglio la coperta nella quale era arrotolato.
«Qualcosa non va?» domandò Abby sedendosi, esitante, accanto a lui.
Il ragazzo si compiacque per un secondo di quell’esitazione, ma le sue preoccupazioni tornarono a pungere come una spina conficcata nella sua coscienza. Troppe coincidenze improbabili si stavano verificando. A pensarci bene, molti dei suoi problemi si erano istantaneamente risolti con la comparsa di Abby: la mancanza di un cavallo, così come quella di cibo e acqua, e anche quella di denaro…ora anche la mancanza di una barca! Senza parlare dei “Cosi” zannuti, degli sciacalli, degli orchi…
«Ir?»
Irthen la guardò e deglutì a vuoto. Come poteva confessarle che la sua fiducia in lei iniziava a vacillare?
«Dimmi, Abby» mormorò con il cuore pesante.
Abby scostò la coperta e gli si accoccolò contro. Il ragazzo sentì i nervi sciogliersi al contatto del suo corpo.
«Cosa ti è successo, Irthen?» sussurrò la ragazza, con la testa posata nell’incavo del suo collo.
Dilaniato dai dubbi, Irthen sospirò.
«Nulla, Abby. Sono solo stanco.»
«D’accordo, tesoro. Non ti credo, ma mi sta bene.»
Il ragazzo chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime che spingevano per uscire. E stringendo Abby a sé, si disse:
“Magari, stanotte mi pianterà Dente di Cobra nel cuore. Fanculo, mi voglio fidare!”.
 
«Andiamo, Ir, sei sempre il solito!»
Irthen aprì gli occhi a fatica. Era ancora buio.
«È già ora?» mugugnò.
Si alzò a sedere, stiracchiandosi. Abby stava già raccogliendo i bagagli. Il ragazzo si guardò le mani, assalito dalla sensazione di incertezza che lo tormentava dal pomeriggio prima. E il fatto che, nonostante le sue preoccupazioni, Abby non l’avesse infilzato come uno spiedino e lasciato in mezzo al nulla lo faceva sentire terribilmente in colpa. E poi, perché mai aveva voluto strusciarsi a quel modo contro di lui, la sera prima?! Era sleale! La guardò di sottecchi, senza riuscire a mascherare l’aria di disapprovazione. Fortunatamente, Abby non gli prestò attenzione. Mangiò in silenzio, imitato dalla ragazza, che non sembrava aver maggiore voglia di fare conversazione. Sicuramente si era già pentita.
Quando furono finalmente pronti per rimettersi in marcia, Luce fu caricata di tutti i bagagli, tranne dell’arco, che Abby tenne a portata di mano, e si diressero verso il fiume. La piccola barca era ancora dove Abby l’aveva trovata. La ragazza si avvicinò e iniziò a spingerla verso l’acqua.
«Aspetta!» esclamò Irthen colto da un’improvvisa epifania «E il cavallo? Come faremo a portarlo con noi su una barca tanto piccola?»
«E ci sei arrivato solo ora?» sbottò Abby.
Irthen arrossì.
«Sì, scusa se non sono sveglio come Sua Signoria» rispose piccato.
Abby si interruppe e gli lanciò un’occhiata omicida.
«Il cavallo ci raggiungerà a piedi. O meglio, a zoccoli, sì?»
Irthen sbatté le palpebre, poco convinto.
«E i bagagli? E…gli animali feroci?»
La ragazza sbuffò.
«Prima di tutto, è gentile da parte tua preoccuparti prima della salute di Luce che della mia; in secondo luogo, ti assicuro che sa badare a sé stessa; terzo, ho già preso dai bagagli tutto quello che può servirci, viveri inclusi; infine, smettila di fissarmi così.»
Irthen si riscosse e si morsicò la lingua per non rispondere. Abby finì di spingere in acqua la barca, che vista da vicino sembrava più una canoa. Il ragazzo salutò Luce con uno sguardo affettuoso e seguì Abby.
 
Ged si era raccomandato di stare attento alle acque del Morgael. Erano soporifere, aveva detto. A quel punto, non sapeva nemmeno più se crederci. La corrente dolce del fiume li trascinava verso la loro meta senza sforzo. E il Bosco Lossar correva loro attorno, placido. Le piante avevano creato, tra loro, intrecci che Irthen avrebbe detto impossibili in natura. Ricordò con una punta di nostalgia le aiuole di Konstantin a Pontefosso. Sembrava passata una vita da allora, invece…invece? Contò sulla punta delle dita. Erano passati solamente dodici giorni. Fece scivolare lo sguardo sulle sponde e sull’acqua dal colore scuro, innaturale. Si domandò dove nascesse il Morgael, se le sue acque giungessero contaminate fino a lì, oppure se ci fosse qualcosa all’interno di quel bosco a trasformare un fiume placido in qualcosa da temere. Ma non osò esporre le sue curiosità. Preferì proseguire in silenzio, e godersi le ultime ore di quel viaggio che lo aveva portato tanto lontano, e non solo in senso geografico.
L’acqua ribollì accanto a loro, e un ippopotamo emerse vicino alla riva.
«Non agitarti» lo anticipò Abby. «Per il momento, degli animali non dobbiamo preoccuparci.»
Irthen annuì, deglutendo a fatica. Il dorso lucido dell’ippopotamo rifletteva i bagliori dell’acqua in modo inquietante. L’animale sbadigliò, mostrando le lunghe zanne gialle, e il ragazzo rabbrividì istintivamente.
“L’importante è che non cadi in acqua, bello” si disse, cercando di prendere respiri profondi e di calmarsi.
A mano a mano che il sole si levava, i suoi raggi filtravano tra i rami scaldando l’aria, e il Bosco Lossar si svegliava. Uccelli, scoiattoli, cinghiali, facevano capolino sulle rive, per poi scomparire di nuovo nell’ombra.
«Sei silenzioso» disse improvvisamente Abby, interrompendo il suo flusso di pensieri.
Irthen colse un’inusuale vena apprensiva nella sua voce, ma la cosa non lo intenerì.
«Non ho niente da dire» rispose.
La ragazza non commentò. E la barca continuava a scivolare, portata dalla corrente favorevole, senza nemmeno bisogno di porre mano ai remi. E il tempo, anche, scivolava. Più veloce di quanto si sarebbe mai aspettato. Strano, pensò, ogni volta che si aspetta con ansia qualcosa, i minuti sembrano eterni, perché in quel caso era il contrario? Forse perché, arrivato alla Cascata, avrebbe molto probabilmente dovuto dire addio ad Abby? Il sole si spostava velocemente, disegnando il suo arco nel cielo.
«Scusami» mormorò Abby dopo un lungo silenzio, alzando lo sguardo opalino su di lui.
Irthen alzò un sopracciglio.
«Non avrei dovuto comportarmi così…»
«Ti riferisci a ieri sera, oppure a stamattina?» domandò Irthen.
Abby si rabbuiò.
«Beh, veramente mi riferivo a stamattina…ma ora che mi ci fai pensare, anche ieri sera non avrei dovuto.»
«Si può sapere che cosa vuoi dalla vita, Abby?!» sbottò.
Lei scosse il capo, lentamente. Confusa?
«Vorrei cose che non posso sperare di ottenere» mormorò. «Cose che non devo sperare di ottenere, per il bene di molte persone, prima tra tutte tu, Ir.»
«Io non ti capisco» disse il ragazzo.
«È meglio così, credimi. È meglio che tu non mi capisca. Porta pazienza ancora un po’, con me. Al tramonto saremo giunti al termine del nostro viaggio, e allora le nostre strade si divideranno. E allora sarà tutto più semplice.»
Irthen abbassò lo sguardo. Al tramonto. Quanto mancava al tramonto?
 
La corrente del fiume accelerò, e massi coperti di muschio affioravano sempre più frequenti tra la spuma delle onde. La forma della barca, lunga e sottile, era studiata apposta per evitare di finire distrutta dalle rocce, ed Irthen ringraziò, nonostante tutto, la serie di inverosimili coincidenze che lo avevano portato a trovarla. Con una zattera non avrebbero avuto molte possibilità di scampo. Con un remo, Abby la accompagnava nei passaggi più rischiosi, la spingeva verso le acque più sicure e, lentamente, la guidava verso la tanto agognata meta.
Superato quel tratto, il fiume tornò placido. La corrente si acquietò, e Irthen poté tirare un sospiro di sollievo. Non che la preoccupazione lo avesse consumato troppo: la sua compagna aveva mostrato di essere abilissima anche in quell’attività. E in cosa non lo era?
Dopo aver mangiato un po’ del cinghiale rimasto, Irthen schiacciò un pisolino. E quando si svegliò, il sole era ancora alto, ancorché più inclinato sull’orizzonte. Il tempo sembrava essersi fermato. Perlustrò con gli occhi la riva alla ricerca del manto bianco di Luce, ma quello che il suo sguardo incontrò fu qualcosa di inaspettato. Un uomo stava ritto sul ciglio, e li fissava. I lunghi capelli cadevano lucidi sulle spalle, nella mano sinistra teneva un arco.
«Abby…» disse.
La ragazza seguì il suo sguardo e, quando colse cosa lo turbava, spalancò gli occhi.
«Merda» disse, afferrando l’arco a sua volta.
«Chi è?» domandò Irthen, impugnando la spada, messo in allarme dal suo atteggiamento aggressivo.
«È un elfo. Scommetto che non è qui per lanciarci petali di rosa…»
«Perché? Gli elfi sono nemici?»
L’elfo sollevò l’arco, incoccò la freccia e mirò. Ma fu Abby a scoccare per prima. Il dardo attraversò il Morgael, e passò a pochi pollici dal viso dell’elfo, che scoccò a sua volta.
«Freccia!» gridò Abby.
Istintivamente, Irthen levò la spada e tranciò il dardo a metà, rabbrividendo nel notare che lo avrebbe colpito in pieno petto. Si guardò intorno, ben sapendo che non c’era nulla, a bordo, con cui potessero ripararsi.
«Stai bene?» domandò la ragazza.
«Sì, ma siamo nei guai! Perché ci attaccano?! Cazzo, ce n’è un altro!»
Puntò il dito sul secondo elfo, che era emerso dal bosco, poco lontano dal primo. Anche quello impugnava un arco.
«Perché ci attaccano?» ripeté, sentendo il panico montare.
«Perché sono svitati. Dobbiamo allontanarci da qui.»
Irthen schivò un’altra freccia.
«Se questo cavolo di fiume scorresse un po’ più veloce, non saremmo un bersaglio così facile» disse.
«Hai ragione» mormorò la ragazza.
Volse lo sguardo opalino sulle acque placide del Morgael, e la barca prese velocità. Irthen sentì chiaramente lo strattone, mentre un nuovo dardo sibilava loro accanto, mancandolo di un soffio.
«Ma che cosa…?! Abby!» farfugliò.
«Taci, e prega che quelli non si mettano a rincorrerci fino al Canyon, sì? Gli elfi sono resistenti.»
Con la testa che girava, il ragazzo si concentrò sulle figure degli elfi che andavano scomparendo nell’umidità del fiume.
Lentamente, la barca riprese la velocità normale. Nessuna freccia riapparve, ed Abby sospirò di sollievo. Irthen la guardò storto, e lei sgranò gli occhi con aria innocente.
«Che c’è?» domandò.
«Che c’è?!» ripeté il ragazzo, allargando le braccia. «C’è che hai fatto accelerare il Morgael, ecco cosa c’è! Si può sapere chi cavolo sei?!»
«Ma di che diavolo stai parlando?» esclamò Abby.
«Smettila di mentirmi, Abby, non sono così idiota!» esclamò, battendo i pugni sul bordo della barca, che dondolò. La ragazza si fece scura in volto e abbassò lo sguardo.
«Non so che cosa tu creda che io abbia fatto, ma ti sbagli» disse.
Irthen si prese la testa tra le mani, cercando di reprimere la rabbia.
«Facevo bene a dubitare» disse a sé stesso.
«Du-dubitare?»
«Sì, a dubitare. A dubitare di te. Mi hai chiesto tante volte di avere fiducia, e l’ho sempre fatto, e quando l’istinto mi ha detto di scappare a gambe levate l’ho ignorato. Di più, mi sono sentito in colpa per aver anche solo potuto concepire l’idea che tu fosse una bugiarda. Bene. Forse, dopotutto, avrei dovuto farlo.»
Abby aprì la bocca, poi la richiuse, esitò, infine disse:
«Va bene, Ir. Pensa pure quello che vuoi. Pensa che io sia una bugiarda, se questo risponde alle tue domande meglio di quanto non lo faccia io. Pensa che sia una stronza, una di quelle donne che si approfittano di ragazzi fragili e soli per ottenere i loro biechi scopi. Pensa che io ti abbia sfruttato per arrivare fino a quella maledetta Cascata, e che sia stata la cazzata più grande del mondo affezionarti a me. Sta bene. Sono abituata a stare da sola, non è certo la prima volta che vengo scaricata…» fece una pausa, poi puntò gli occhi nei suoi e sorrise. «Solo, per favore, permettimi di restarti accanto fino a quando non saremo giunti alla meta. Poi, potrai decidere che strada prendere. Ci stai?»
Irthen chinò il capo, incapace di reggere quello sguardo, così limpido. Annuì.
«Ti ringrazio. Non dovrai pazientare molto. Guarda» disse, puntando il dito scuro davanti a sé.
Irthen alzò gli occhi. Gli alberi diradavano, la luce filtrava sempre più chiara dalle foglie.
«Presto lasceremo il Bosco Lossar ed entreremo nel famigerato Canyon. A quel punto, avremo ancora un po’ di strada da percorrere, ma prima del tramonto avremo attraccato, e allora sarà solo questione di minuti prima che la Cascata si offra ai nostri occhi. Lo so, lo so, ti stai chiedendo come faccio a saperlo…»
Irthen arrossì. Eccome, se se lo chiedeva! Abby sorrise.
«Ogni cosa a tempo debito, sì? Ogni come andrà a finire, però, ricordati una cosa: quello che ti ho detto in quel passaggio sotterraneo…è tutto vero. Credo con tutta me stessa in ogni parola.»
Irthen arrossì ancora di più e cercò di sorridere, anche se sospettava che, più che un vero sorriso, gli fosse riuscita una brutta smorfia. Cominciava a capire perché Liam viaggiasse solo.
 
Quando si lasciarono gli alberi alle spalle, il sole era ancora caldo. Davanti a loro, un grande Canyon di pietra scura inghiottiva il Morgael, che sembrava scomparire nella roccia. Irthen trattenne il fiato. D’un tratto, la luce del sole scomparve, sprofondandoli in un’oscurità innaturale. Le pareti alte del Canyon incombevano su di loro minacciose. Il ragazzo si avvicinò istintivamente ad Abby, che gli prese la mano e gli si accoccolò addosso.
“Ultime ore con lei, bello” si disse, cercando di farsi forza.
La barca scivolava leggermente più veloce tra le rocce, e il paesaggio monotono fece cadere Irthen in un torpore da cui fu Abby a svegliarlo. Quanto tempo era passato?
«Ci siamo, tesoro» disse.
Prese i remi e condusse la barca verso la sponda. Solo allora, Irthen notò che un sentiero si inerpicava tra le rocce, a partire da un piccolo spiazzo affacciato sul fiume. Quando la prua della barca toccò la roccia, Abby tese al ragazzo un’estremità di un remo e saltò sulla riva, tenendo ben stretta l’altra estremità. La barca dondolò.
«Coraggio, avvicinati, Irthen.»
Irthen obbedì. Si alzò in piedi e, cercando di mantenersi in equilibrio, afferrò la mano che la ragazza gli offriva e sbarcò. Abby lanciò il remo nella barca, prima che quella venisse trascinata via dalla corrente dolce del Morgael. Entrambi la guardarono sparire nelle ombre del Canyon, prima di guardarsi negli occhi. Si tenevano ancora la mano.
Abby sorrise e gli scoccò un bacio sulle labbra.
«Siamo alla fine, piccolo viaggiatore» mormorò.
Improvvisamente, Irthen si sentì cadere sulle spalle il peso di quei lunghi giorni di viaggio. Tutta la strada, la fatica, la fame e la sete, le ore di sonno perso, le speranze, tutto stava per trovare un senso. Abbracciò stretto Abby, congedandosi mentalmente dalla sua pelle scura, dai suoi occhi improbabili, dall’irriverente brillantino sull’incisivo destro, dall’anello con la pietra nera. E da quel suo modo di fare così unico da averlo conquistato.
«Andiamo, bellezza» disse, lasciandola andare e inerpicandosi sul sentiero roccioso.




**********************
Irthen: "Sgrunt, Cathy. Prima faccio la figura del fesso, poi di un Romeo con dei disturbi mentali, adesso chiudo con una bella frase in stile Liam..ma per chi mi hai preso?"
Cathy: "Eddaaaaiiiii, tato sei pur sempre suo fratello, avrete pure qualche gene in comune! E poi sono così fiera di te.."
*Occhi che brillano*
I: "Seh seh..tanto sono io quello con la sindrome bipolare.."
*Irthen scuote la testa contrariato e medita di contattare il sindacato del pg maltrattati*

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Capitolo 22
*** Goccioline ***


«Credo che ormai ci siamo, Baio» mormorò Liam, più a sé stesso che al suo cavallo.
La luce si faceva più intensa, gli alberi diradavano, il suo soggiorno a Bosco Lossar stava per trovare fine. Meravigliandosi di essere potuto sopravvivere ad un’intera notte trascorsa in quell’inferno di rami, radici e scricchiolii improvvisi, emerse dal sentiero ed espose il viso ai raggi del sole. Chiuse gli occhi, per assaporare quel momento al meglio. Gli era mancato, il sole. Si schermò gli occhi con una mano e si guardò intorno. Un centinaio di piedi più a Sud, il fiume spuntava dagli alberi e, dopo un brevissimo tratto esposto, scompariva tra la roccia scura. Il Canyon: quello era l’ultimo incubo che gli era rimasto da affrontare.
«Pronto?» domandò, dando un buffetto affettuoso a Baio.
Il cavallo scalpitò e si diresse verso il fiume senza aspettare il comando del suo cavaliere.
Il lento corso del Morgael sollevava qualche spruzzo e leggere goccioline di umidità. Liam respirò a pieni polmoni quell’aria satura d’acqua mentre attraversava a rotta di collo la breve distanza che lo separava dal Canyon. Chissà se l’umidità rigenerante del fiume poteva essergli nociva come le sue acque…decise che non gli importava. Da giorni non si sentiva così vivo, così pieno di energie. La Cascata era vicina. Da bambino, aveva desiderato tanto andarci. L’idea di poter ottenere quegli immensi poteri aveva solleticato la sua fantasia. Lui e Chloé ne avevano parlato spesso, dicevano “quando andremo alla Cascata…”. Poi erano cresciuti. Liam si era reso conto che un potere tanto grande rischiava di essere corrosivo, e Chloé aveva deciso che stava benissimo così com’era. Chi avrebbe mai immaginato che avrebbe finito per andarci davvero…
Quando ebbe raggiunto l’ombra delle rocce, individuò il sentiero che, costeggiando il fiume, lo avrebbe portato alla meta. Ma prima di imboccarlo, si volse indietro: il sole era allo zenit, i calcoli di Oliandro si erano rivelati esatti. Con la sensazione che il tempo a disposizione iniziasse a scarseggiare, sferzò Baio, che si arrampicò a fatica su per il sentiero roccioso.
Un passo dopo l’altro, Liam metteva strada tra sé e il reame degli Unicorni. Il sole appariva e scompariva tra le rocce e l’aria scottava.
«Siamo sicuri che sia la direzione giusta, Baio?» domandò. «Certo, sciocco, conoscevi questo sentiero ben prima che gli elfi te lo segnalassero. Cosa sono questi dubbi esistenziali proprio ora? E poi, ti rendi conto che questa cosa del parlare da solo sta peggiorando?»
Il nastro scuro del Morgael correva qualche piede più in basso, e rifletteva quei rari raggi di sole che riuscivano a raggiungerlo. E il tempo scivolava via troppo veloce, a differenza della strada, che sembrava non consumarsi mai. Liam non ricordava quanto distasse la Cascata dal Bosco, non lo ricordava affatto e se ne rammaricava. Sul sentiero di roccia, Baio non riusciva a tenere il passo che il mago avrebbe desiderato. Frustrato, smontò per sgranchirsi le gambe. Dal fiume, giunse l’eco fievole di un incantesimo che, più ad Ovest, stava agendo sul suo corso. Troppo vago per poterne stabilire la provenienza.
«Tutto sommato, Baio, potrebbero essere gli elfi. O gli Unicorni, chissà…quel bosco è pieno di gente strana…»
Si allontanò di qualche passo, per sporgersi sul Morgael. Un nitrito spaventato del cavallo lo mise in allarme, ma non riuscì a voltarsi, perché un’esplosione di dolore gli avvolse il capo, e tutto divenne buio.
 
Quando riaprì gli occhi, si sentì come trafiggere da mille spilli. Cercò di prendersi la testa tra le mani, ma si scoprì legato.
«Non di nuovo…» gemette.
«Finalmente ti sei ripreso, mago. Non ti facevo così delicato.»
Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre la vista si spannava e metteva a fuoco Caleb, che lo osservava sogghignando.
«Sono davvero stanco di giocare con te, stregone» sbottò.
Caleb allargò le braccia con fare teatrale.
«Mio caro amico, il gioco, ormai, si è concluso» volse gli occhi al cielo. «Non vedi? Non manca molto al tramonto, e il tuo ingenuo fratellino sta per raggiungere la sua ambiziosa meta. Hai fatto tardi all’appuntamento, Liam.»
Liam sbatté le palpebre.
«Questo non è possibile, Irthen non avrebbe mai potuto raggiungere la Cascata in così poco tempo…»
Caleb lo guardò con un sorriso compiaciuto stampato in faccia.
«Da solo, certamente no. Non lo sai, ma ha perso il cavallo ancor prima di raggiungere il Satki, quello sprovveduto!»
«Ma allora come-»
Liam ammutolì. Fino a quando non era stato raggiunto sul Lago di Nebbia dallo stronzone, c’era stata un’altra presenza a importunarlo e a rallentarlo.
«Chi viaggia con lui?» domandò con un filo di voce.
Gli occhi di Caleb si ridussero a due fessure.
«Eppure si dice che tu sia potente, Liam dell’Acqua. Potente e sveglio. Ma, lascia che te lo dica, non mi stai facendo una buona impressione. Per esempio non hai notato una cosa molto importante, qui vicino.»
Liam chiuse gli occhi e cercò di calmarsi. Immediatamente, percepì un’aura magica, potentissima e antica, poco lontano, e un’umidità diversa da quella causata dal Morgael, nell’aria.
«Eppure, ero certo che avresti colto subito l’esistenza di una sirena nelle vicinanze. Infondo, il tuo elemento è l’Acqua, o sbaglio?»
Spalancando gli occhi, il mago domandò:
«Siamo così vicini?»
«Mi sono preso la briga di darti un passaggio fino a qui, così che il tutto possa risolversi in tempi più brevi. Sono stanco di te.»
«Che cosa vuoi da Irthen?» mormorò.
Caleb scoppiò a ridere.
«È ancora presto per questi discorsi impegnativi, mago! Sarà lei ad esporti le condizioni del nostro patto!»
«Lei?! Chi c’è con mio fratello, Caleb? Chi è lei
Caleb scosse la testa contrariato.
«Sempre più deludente» si batté una mano sulla fronte, con aria sconsolata. «Bisogna proprio spiegarti tutto, Liam. Eppure avresti dovuto riconoscere la sua mano, dietro agli incantesimi che ti hanno perseguitato per tanti giorni…Mio caro, sciocco, mago…Abigail, detta “la Lama” per il particolare tipo di spada che impugna, viaggia con tuo fratello. E in questo momento stanno attraccando poco lontano da qui.»
Liam sentì la terra mancargli sotto i piedi. Una sequenza di immagini si susseguì rapida davanti ai suoi occhi: il breve periodo che aveva trascorso con quella che all’epoca si faceva chiamare Emelia; il giorno in cui l’aveva incontrata, i suoi occhi innaturali, il suo modo di fare così incostante; con quale facilità se ne fosse sentito attratto; e la profonda delusione che gli aveva lasciato scoprire di essere stato ingannato come un poppante. Emelia non era il vero nome di quella ragazza, che ad essere pignoli nemmeno ragazza si poteva definire, dato che aveva la bellezza di centoquarantatre anni! Maledetti stregoni!
“Ragiona, Liam, ragiona. Irthen se ne va a spasso da giorni e giorni con quella vipera, probabilmente si fida di lei, probabilmente non gli ha detto di essere uno stregone. E ora sono ad un passo da quella dannatissima Cascata. Devi fermarli, Li’, devi fermarli prima che Ir diventi la pedina di Caleb”.
«Sei ancora dei nostri, Liam? Cos’è, sei emozionato all’idea di rivedere la tua vecchia amica?»
Liam digrignò i denti e respirò a fondo. La Cascata era magica, creata dal Dio dell’Acqua in persona, ogni sua più minuscola gocciolina era intrisa di potere. E l’aria era satura di quelle minuscole goccioline magiche.
«Sai, Caleb, credo che tu abbia fatto un errore, portandomi qui» disse, sentendosi attraversare da un’innaturale scarica elettrica.
Caleb alzò un sopracciglio.
«Cosa stai cercando di architettare, adesso?» sbuffò.
Liam sorrise, ostentando tutta la sicurezza che quel piccolo tocco divino gli aveva lasciato addosso.
«Vedi, come tu hai giustamente rilevato, l’Acqua è il mio elemento, l’elemento da cui traggo tutte le mie energie. Portandomi vicino alla Cascata, tu mi hai inavvertitamente avvicinato alla più alta concentrazione di potere legata al mio elemento. Motivo per cui…» con il minimo sforzo, spezzò le corde che gli legavano i polsi.
Caleb sfoderò la spada e fece un passo indietro. Liam lo imitò, pregando di non lasciarci le penne prima di aver salvato Irthen.
«Sei pronto a combattere, stregone?» sibilò, prima di spiccare la corsa.
La sciabola di Caleb stridette quando la lama del mago si abbatté su di lei. Lo stregone fu costretto ad indietreggiare di un altro passo, mentre Liam colpiva di nuovo, tutta la sua magia condensata nell’arma.
“Attento, Li’, il tuo peggior difetto è l’impulsività. Non rischiare di farti fregare, lui ha un’immensa esperienza alle spalle” si disse.
Dopo un primo momento di smarrimento, Caleb contrattaccò. Colpi fluidi e veloci si abbatterono sulle braccia di Liam, facendole tremare ad ogni impatto. Ma, mentre all’epoca del duello alle porte di Spleen era ridotto ad uno straccio, ora il mago era in ottima condizione fisica: le sue ferite erano state guarite, aveva dormito, aveva mangiato e bevuto a sazietà. Inoltre, attingeva il suo potere direttamente dalla Cascata, e questo Caleb non l’aveva previsto. Ora sapeva come combatteva lo stregone, mescolando incantesimi di bassa e media potenza a colpi mirati di sciabola, per stancare l’avversario a sufficienza da permettergli di sopraffare le sue difese magiche. Non si sarebbe fatto fregare di nuovo. Per questo innalzò una barriera attorno a sé stesso, come quella che tanto bene l’aveva protetto sul Lago di Nebbia. Caleb lo percepì e balzò indietro, digrignando i denti. La terra tremò, ma Liam era preparato, e attaccò mirando al fianco. Caleb schivò, ruotò sul posto e attaccò a sua volta. Il mago scartò, e il fendente dello stregone gli lasciò un graffio sulla guancia. Senza curarsi di asciugare il rivolo di sangue che gli era velocemente scivolato giù lungo il viso, gli lanciò addosso un vortice d’acqua. Caleb si riparò e contrattaccò con un lampo di fuoco, che si infranse contro alla barriera di Liam. Lo stregone si asciugò il sudore dalla fronte con la manica. Stava prendendo tempo per decidere la strategia, e anche Liam avrebbe dovuto farlo. Lo stava mettendo in difficoltà, e questo era già un risultato ammirevole, ma l’unico ferito era lui. Segno che i suoi sforzi non erano sufficienti.
«Cosa c’è, mago? Non sai più che cosa inventarti?»
Liam non riuscì a trattenere un sorriso nell’udire l’affanno nella voce dello stregone. Senza rispondere lanciò un nuovo incantesimo. Ogni minuto era prezioso, non si sarebbe fatto ingannare, questo era certo. L’incantesimo difensivo di Caleb si oppose al suo, avvolgendo il Canyon nel rombo spaventoso delle raffiche di vento che le due scariche di energia sollevavano. La magia potente dello stregone cominciò a spingere su quella di Liam, e il groviglio di lampi che erano diventati i due incantesimi si spostò verso il mago. Questo inspirò a pieni polmoni e sentì istantaneamente aumentare energie e lucidità. Il fronte magico avanzò di nuovo verso il suo avversario. In quel momento, Liam avvertì una pressione sulla sua barriera magica. Ricordava ancora fin troppo bene quel terribile incantesimo che lo aveva piegato e ridotto a poco più di una larva. Se non fosse stato per l’arrivo di Ruben sarebbe caduto prigioniero di Caleb già allora, e là nessuna Cascata l’avrebbe aiutato. Rinforzò la protezione, senza permettere all’incantesimo d’attacco di perdere potenza. Ma lo stregone non mollava.
“Pensa, Liam, pensa! Qualcosa che non si aspetta!”
Pure con l’aiuto della Cascata non sarebbe mai stato in grado di tenere vivi due incantesimi abbastanza potenti da contrastare quelli del suo avversario e, insieme, proteggersi dai suoi attacchi mentali, perciò l’idea di attaccarlo su due fronti si escludeva da sé. Come l’aveva battuto Alec, sulla Via Carovaniera?
Sorrise tra sé. Strategia suicida. Approvata.
Strinse forte l’impugnatura della spada e spiccò la corsa. Aggirò il vortice e si lanciò su Caleb. E come previsto, questo non si fece sorprendere. Parò senza difficoltà il colpo. E, come sperato, creò una raffica di vento che scaraventò Liam lontano. Incurante di quanto avrebbe potuto farsi male cadendo sulla nuda pietra, il mago concentrò tutto il suo potere nell’incantesimo di attacco, che balzò in avanti, facendo esplodere in mille scintille viola quello del suo avversario, e investendo in pieno lo stregone. Nel boato, Caleb fu sbattuto contro ad una parete di roccia, e scivolò al suolo, inerte.
Il dolore dell’atterraggio tolse il respiro a Liam e gli annebbiò la vista, ma una nuova boccata dell’aria satura di magia lo fece sentire subito meglio. Si trasse faticosamente a sedere e si guardò intorno. La sua spada giaceva poco lontano da lui. Con una smorfia di dolore si alzò e la recuperò, poi si avvicinò cautamente al suo avversario. Non dava segni di vita, ma sentiva chiaramente il suo sangue scorrere nelle vene. Era svenuto. Deglutì e gli puntò contro la lama.
Per un lunghissimo momento, la punta della spada di Liam vibrò ad un soffio dalla gola di Caleb. Era possibile uccidere uno stregone con una semplice arma?, si domandò. Sarebbe bastato poco, un unico colpo ben assestato, per liberare la Terra dei Tuoni dalla malvagità di uno stregone che da generazioni non perdeva occasione di accumulare ricchezze e potere. Strinse più forte l’impugnatura. Una gocciolina di sudore gli scivolò giù dalla tempia.
«Che cosa sto facendo?!» farfugliò, gettando la spada lontano.
Barcollò indietro e si prese la testa tra le mani.
«Chi sei, tu, stupido mago, per pretendere di eleggerti giudice?» sussurrò.
Scosse il capo. Tempo. Non c’era tempo. Gettò un’ultima occhiata allo stregone privo di sensi, raccolse la spada e corse via, nella direzione della Cascata del Potere.





********************
EBBENE scusate per il ritardo, impegni più o meno universitari mi hanno logorata nelle ultime due settimane! Ma, ehi, è Natale! Auguriiiiiiiii, auguri a tutti, anche a te, Liam, che ancora una volta hai temuto di fare la tua solita figura barbina, ma questo giro ti ho salvato la faccia..lo so, lo so che mi vuoi bene XD E auguri anche a te Abby..o Abigail, o Emelia, o "Lama", o come ti pare, mi sta venendo una crisi d'identità per te :)
Beh ragazzi, come sempre spero che i miei voli pindarici non risultino eccessivamente banali, ma ahimé mi rendo conto di deficitare di colpi di scena, perdonatemi!
Approfitto per fare gli auguri di Buon Natale a tutti e per mandarvi un bacione!!
Cathy ^^

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Capitolo 23
*** La Cascata del Potere ***


Il sentiero si inerpicava tra la roccia grigia, ed Irthen faceva strada. Si sentiva lo stomaco ingarbugliato, sopraffatto dalle emozioni contrastanti che si avvicendavano nel suo animo. Era poi così sicuro di quello che stava facendo?
I passi di Abby lo seguivano da vicino, ma non troppo. Come se la sua compagna di viaggio avesse desiderato lasciargli un po’ di intimità in quel momento così particolare, il brivido prima del grande salto nel vuoto.
“E se la sirena non mi lasciasse passare?”, si domandò. Poco male. Avrebbe dimenticato tutto, Cascata, viaggio, Abby, con annessi e connessi. Soluzione semplice e veloce che gli avrebbe risparmiato numerose notti in bianco.
“Altro che notti in bianco, bello, ti conviene che ti lasci passare…ti servirà ben più che quei poterei per difenderti da Liam, quando ti avrà messo le mani addosso!”
Il sentiero curvò dolcemente verso Nord e inclinò leggermente verso il basso. L’aria si faceva via via più umida, i capelli gli si appiccicavano alla fronte.
«Ehi, mi sa che ci siamo quasi» disse.
Scostò una cortina di edera che, cadendo da un arco di pietra, sbarrava loro il passaggio e si bloccò.
«Cosa ti fa pensare che-» cominciò la ragazza, ma si interruppe, superato a sua volta il velo.
Davanti a loro si apriva una gola stretta e lunga, in fondo alla quale, scintillante sotto ai raggi del sole, rumoreggiava la Cascata. Tutto era verde e fiorito, la desolante roccia grigia del Canyon sembrava un incubo lontano.
«Miseriaccia» mormorò Irthen.
Abby annuì, e per una frazione di secondo un sorriso le illuminò lo sguardo, per poi scomparire, immediatamente sostituito dal solito cipiglio indecifrabile.
«Allora, sei ancora convinto, sì?» domandò.
Il ragazzo annuì. Si voltò verso di lei.
«Abby, io-»
Una scossa fece tremare la terra, e i due si guardarono preoccupati.
«È meglio se ci muoviamo, tesoro» disse Abby.
«D’accordo.»
Si incamminarono cauti. La scossa fu seguita da una serie di boati, ai quali Irthen preferì non attribuire un significato. Si limitò ad affrettare il passo, incoraggiato dalla bellezza del luogo e dalla sua meta, che ormai era lì, visibile, tangibile.
Negli ultimi raggi di sole, Irthen giunse ai piedi della Cascata del Potere.
 
Seguendo la concentrazione di umidità sempre crescente, Liam si diresse a rotta di collo verso la Cascata. Doveva arrivare prima, prima che Irthen si bagnasse in quelle acque, prima che la necessità di controllare quegli immensi poteri lo costringesse a sottomettersi a Caleb, prima che Abigail…che senso aveva, lei, in tutta quella storia? Certo, sapeva bene che desiderava Lumia tanto quanto Caleb, ma perché aiutare Irthen a raggiungere la Cascata? Perché non rapirlo subito? La testa minacciava di esplodergli.
 
Con gli occhi sgranati, il ragazzo ammirava l’acqua azzurra che cadeva e si infrangeva sulle rocce affilate. Tanta era la bellezza di quell’angolo di paradiso, che non gli sembrò affatto strano che in sottofondo aleggiasse una musica ultraterrena. Non vi prestò la benché minima attenzione, fino a ché questa non si interruppe. Solo allora si riscosse.
«Ma cosa…?»
«Benvenuto, viaggiatore.»
La voce riverberò limpida, scivolò sulle rocce, rimbalzò sull’acqua, avvolgendo ogni cosa e incatenando ogni più intima fibra di Irthen al proprio suono.
«Sei qui per la Cascata?» proseguì.
Irthen si guardò intorno a bocca aperta, ma non riuscì ad individuarne la fonte.
«Dunque?» incalzò.
«Sì» rispose. «Sono qui per la Cascata. Tu sei la sirena?»
Una nuvola di goccioline si addensò davanti a lui, dando forma ad una figura umana. Quando la nube si disperse, sul masso coperto di muschio che si trovava sotto ai suoi occhi era comodamente distesa una sirena. I lunghissimi capelli scuri le cadevano sulla spalla sinistra, gli occhi azzurri dalle ciglia lunghe lo osservavano con cortesia, la coda coperta di lucide squame di un bel blu notte si muoveva lentamente. Irthen deglutì.
«Sono la Vestale, sì. Il mio nome è Kore. Il tuo, invece?»
«Sono Irthen. Irthen di Pothien» balbettò.
La sirena sorrise.
«Piacere di conoscerti, Irthen di Pothien. Hai degli occhi molto belli.»
Irthen arrossì.
«Kore…» mormorò Abby alle loro spalle.
Il ragazzo si volse di scatto verso di lei. Se ne stava seduta per terra a gambe incrociate, con il viso tra le mani.
«Certo» rispose la sirena. «Scusa, piccolo.»
Irthen avrebbe voluto domandare a che cosa si riferisse, ma non ne ebbe la possibilità. Kore riprese a cantare e tutta la sua attenzione fu catalizzata da quel canto. La voce liquida avvolgeva lentamente la sua mente, strappandolo dalla realtà e precipitandolo in un torpore da cui non aveva nessun desiderio di risvegliarsi. L’ultima sensazione fu quella di un grido, lontano, e poi il buio.
 
Con il fiato corto, Liam si precipitò nella gola. Ma quello che vide davanti alla Cascata gli gelò il sangue nelle vene. La sirena cantava una di quelle sue canzoni capaci di annichilire gli esseri umani e renderli poco più che vegetali ad un Irthen apparentemente privo di sensi. Gridò. Per la frustrazione, per la rabbia di essere arrivato tardi. Lo stregone, seduta poco distante, balzò in piedi.
Dopo poche, ultime note, il canto si spense.
«Abigail, no!» gridò di nuovo, e il suo grido squarciò il silenzio che si era venuto a creare allo zittire del canto della sirena.
Il mago si lanciò verso il corpo di suo fratello, ma Abby alzò le mani e una folata di vento lo respinse.
«Tu!» inveì Liam. «Dovevo capirlo che c’eri tu dietro a tutta questa storia! Dannatissimo stregone, che cosa vuoi da lui?»
Abigail abbassò le mani e volse lo sguardo ad Irthen. Un’ombra di dolore attraversò fugacemente il suo volto, e fu immediatamente sostituita da un sorriso beffardo.
«Kore?» disse.
La sirena annuì.
«Dorme» confermò con quella sua strana voce liquida.
«Che cosa hai fatto a mio fratello, Abigail? Sirena…tu sei una Vestale, è agli Dei che hai giurato di sondare il cuore dei candidati con rettitudine…» gemette il mago.
Kore socchiuse gli occhi blu e mormorò:
«È un sacrificio necessario per il bene della Terra dei Tuoni. Ne sopporterò le conseguenze.»
«Non devi temere per lui, Liam. Almeno non fino a ché obbedirai ai miei ordini» disse Abby. «Tu non combatterai questa guerra. Né per Ruben, né per Micael, né per te stesso.»
«A voi non servono i miei poteri, Caleb è molto più potente di me» ribatté Liam.
«Il problema non è questo. Non ha importanza che tu ti schieri con noi, oppure no. Quello che importa è che non ti schieri con altri.»
Gli occhi dello stregone si ridussero a due fessure, dalle quali affioravano solo due mezzelune verdi.
«Ora ascoltami bene, mago: Irthen non riacquisterà i sensi fino a ché Kore non spezzerà il suo incantesimo. Sta solo a te decidere quando questo accadrà. Finita la guerra se ti comporterai bene, mai più se trasgredirai.»
Con gli occhi che bruciavano per le lacrime che non voleva versare, Liam valutò ogni possibilità, dalla più assurda alla più pericolosa, ma non trovò soluzione.
«Che cosa dovrei fare?» domandò fiocamente.
Abby sorrise.
«Kore si occuperà di Ir, mentre tu, mio bel mago, verrai con me senza opporre resistenza e ti lascerai imprigionare dal buon Caleb. Poi non sarai più affar mio.»
Liam si accigliò.
«Mi prendi in giro?!» domandò.
Abby lo scrutò senza rispondere.
«Vuoi farmi credere che tu,» proseguì il mago «la fiera e spietata Abigail, ti sei abbassata ad eseguire gli ordini di quel megalomane di Caleb?»
Abby non commentò, ma le narici si dilatarono appena, sintomo della sua collera.
«E poi, che importanza ho, io? Aspetta, forse inizio a capire…è per via di Selene! Selene è una Veggente, deve aver predetto qualcosa sul mio conto, sì?» disse, beffandosi di lei.
Abigail ringhiò.
«Stai fuori dagli affari degli stregoni, in particolare da quelli di Selene, stupido mago, ti avverto!»
Liam si arricciò una ciocca di capelli attorno all’indice.
«Dunque ho fatto centro…interessante. Magari ha visto che farò qualcosa di eclatante che risolverà il conflitto a vostro sfavore…magari qualcosa che riguarda Lukas?»
Abby impallidì.
«Ora basta! Prendi la tua decisione, Liam.»
Liam scosse il capo e puntò gli occhi sulla sirena.
«Kore, come hai potuto prestarti ad un simile ricatto? Tu, che sei immortale, non dirmi che non sai leggere nel cuore di Irthen che è una persona giusta. Non ha mai fatto del male ad una mosca, non mi ha mai disobbedito! Non pretendo di essere senza macchia, ma è giusto che sia mio fratello a farne le spese? A pagare per qualcosa a cui è completamente estraneo? Qualcosa che deve ancora accadere e che non lo coinvolgerà in nessun modo?»
Kore sgranò gli occhi.
«Non farti circuire, Kore. Sa usare bene le parole, niente di più» disse Abby.
La sirena spostò lo sguardo dall’amica, al ragazzo che giaceva inerte davanti a lei, al mago. Approfittando della sua indecisione, Liam incalzò:
«Non ti rendi conto che quella che chiami amica si sta servendo del tuo potere per ottenere i suoi scopi? Per vincere questa guerra con l’inganno, a spese di innocenti?»
«Non lo farebbe mai…» mormorò la sirena.
«Taci, mago» sbottò Abigail.
«Kore! Abigail ti ha detto che i draghi stanno reclutando gli orchi, a Sud, e che gli abitanti dei villaggi più prossimi ai loro monti sono morti tentando di sfuggire alla distruzione delle fiamme? Che cosa può mai averti detto per convincerti che mio fratello, mio fratello, sia un pericolo?!»
Kore spalancò la bocca e si volse verso Abby. Lo stregone fissava il mago con un misto di preoccupazione e rabbia dipinti in volto. La sirena scosse il capo, confusa. Due grosse lacrime le rigarono le guance.
«Mi avevi detto che quest’uomo era un pericolo, e che l’unico modo che avevamo per fermarlo era fermare suo fratello. Mi avevi detto che avrei dovuto prendermi cura del ragazzino fino a quando non sarebbe stato il momento di lasciarlo andare, quando il pericolo non sarebbe più esistito. Mi avevi detto che l’equilibrio della Terra dei Tuoni avrebbe vacillato per colpa dell’ambizione di questo mago, ma sai che cosa vedo io? Vedo un uomo disperato! Vedo un fratello disposto a tutto pur di riavere sano e salvo Irthen. Ebbene, è questa forse una dimostrazione di ambizione?» mormorò.
Abby aprì e richiuse la bocca più volte senza riuscire  a parlare. Altre lacrime scivolarono giù dal viso della sirena.
«Abby! Mi hai ingannata! Ti sei servita di me!» esclamò, battendosi il petto, lo sguardo sofferente cercava segni di rimorso sul volto dell’amica.
«No!» si difese quella «No, Kore, io ti ho detto la verità. Quest’uomo è una minaccia, per colpa sua moltissime creature moriranno» disse gesticolando verso Liam. «L’unico modo per fermare i draghi è allearsi con loro, combatterli non farà che spingerli a distruggere con più ferocia, su questo mi sembravi d’accordo…se li contrasteremo, devasteranno tutta la Terra dei Tuoni» ribatté.
«E come mi collocherei, io, in questo contesto apocalittico?» domandò Liam.
«La tua ambizione avrebbe spinto gli altri maghi a combattere» farfugliò la sirena.
«Ambizione? Quale ambizione, per tutti gli Dei?! Uno stregone viene a parlare di ambizione a me, che ho scelto di non schierarmi perché non avevo intenzione alcuna di combattere, roba da matti!» si prese la testa tra le mani. «È questo che ti ha fatto credere, Kore?»
La sirena lo guardò confusa. Il mago abbassò gli occhi su Irthen e riprese:
«Non ti ha detto, dunque, che i draghi hanno promesso ai loro sostenitori il dominio su Lumia? E che io stesso ero presente quando gli occhi di Abigail hanno scintillato di avidità al solo pensiero di una simile ricompensa?»
Kore spalancò gli occhi e mormorò:
«Lumia? Ma questo non è possibile, Lumia è la capitale di Horlon, per averla i draghi dovrebbero…» la sua voce si perse in una smorfia di orrore quando comprese quale destino era stato riservato al Reame Eterno e ai suoi abitanti.
«Sta mentendo, Kore! Il mago mente! Come puoi credergli?» insistette lo stregone.
Kore si passò una mano sul viso, e quando il suo sguardo tornò a posarsi su Abigail vi brillava una luce inquietante.
«No, Abby. Quest’uomo dice il vero. Ora capisco…capisco molte cose. I tuoi lunghi viaggi a Sud, le tue perlustrazioni della costa. Studiavi il nemico, non è così? Per tutti i coralli! Ti sei servita di me per eliminare un uomo innocente minando i suoi affetti, e solo perché Selene ha predetto che ti avrebbe intralciata!» lanciò un grido di rabbia «E lo sai qual è la cosa che mi fa più male? Ancora più che essere stata tradita da un’amica che consideravo una sorella? L’umiliazione di essere stata io a valutare il tuo cuore, più di un secolo fa. Io ti ho dato il permesso di bagnarti in queste acque, io ti ho resa ciò che sei! A quanto pare non avevo capito nulla…» mormorò.
Poi spostò gli occhi su Liam.
«Tuo fratello, mago, ha un cuore nobile. Io sono una Vestale, il giuramento prestato mi obbligava a dargli accesso alla Cascata. Sono venuta meno al mio compito. Per questo motivo…» alzò una mano e i due inorridirono.
Era scomparsa. Dal polso gocciolavano perle d’acqua lucida.
«C-cosa…?!» balbettò Liam.
«Sto scomparendo, Liam dell’Acqua. È il prezzo da pagare. Mi sono prestata a questa follia perché ero intimamente convinta che fosse necessaria per l’equilibrio della Terra dei Tuoni, ma nel momento stesso in cui mi sono resa conto del terribile errore commesso…beh, gli Dei non sono indulgenti con i traditori.»
«Io-io non sapevo» mormorò Abigail. «Deve esserci un modo per salvarti, Kore, deve!» strillò.
La sirena scosse il capo, mentre l’intero braccio destro si disperdeva in una cascata di gocce brillanti.
«Ti assicuro che non c’è. Sorella, ascoltami: c’è una cosa che devi fare, per me, ed è liberare questo ragazzo innocente dalla maledizione che ho gettato su di lui. Non ho più il potere di richiamarlo dal sonno, ma c’è un modo per risvegliarlo.»
«Quale?» la esortò Liam.
La sirena esitò, osservando la propria coda scomporsi lentamente.
«Horlon. Horlon lo sa. Non ho abbastanza tempo per spiegarvi tutto. Vai da lui, mago» sussurrò.
«Kore…sorella» singhiozzò Abby, il viso rigato di lacrime.
Kore le sorrise.
«Dispiace anche a me. Abbiamo commesso un crimine terribile, Abby, paga il mio debito. È tutto ciò che ti chiedo. Aiutalo» disse mentre anche il torace si dissolveva. «Ripara il nostro errore…» sussurrò.
«NO!» strillò lo stregone quando il viso dell’amica si scompose in una corona di goccioline.
Si lanciò verso il punto in cui fino ad un momento prima stava la sirena, ma quello che trovò non fu altro che aria umida. Cadde sulle ginocchia e, con il viso tra le mani, scoppiò a piangere.
Liam si precipitò sul corpo di Irthen e lo scosse.
«Ir? Ehi, bello, dai! Svegliati…prometto che non ti ammazzo, ti prego…Ir?»
«Non si sveglierà…» mormorò Abby.
Liam le lanciò un’occhiata omicida.
«E stato incantato da una sirena, solo la sirena che ha lanciato l’incantesimo può risvegliarlo» aggiunse.
«Ti rendi conto che quella sirena è morta, vero?» sbottò Liam.
Abby singhiozzò.
«Horlon. Ha detto che devo andare da Horlon, ed è quello che farò. Sempre che tu non abbia ancora intenzione di consegnarmi a Caleb…»
Abigail scosse il capo, lo sguardo perso nel vuoto.
«Maledizione, Emelia, torna in te!»
«Non mi chiamo in quel modo» disse asciugandosi gli occhi.
«Almeno, Abigail è il tuo vero nome?»
La ragazza annuì.
«Verrò con te.»
«Non esiste. Io non vado da nessuna parte in tua compagnia» rispose Liam. «Anzi, è già un miracolo che non ti abbia ancora uccisa con le mie mani per quello che hai fatto a mio fratello.»
«Uccidimi allora! Che cosa aspetti?» gridò lo stregone sguainando Dente di Cobra e lanciandola al mago.
Liam afferrò la spada e se la rigirò tra le mani. Si avvicinò e la puntò alla gola di Abigail.
«Già, che cosa?» domandò. «Questa spada è davvero meravigliosa. Basterebbe sfiorarti per risolvere tutti i miei problemi, lo sai?»
Abby ricambiò il suo sguardo senza vacillare. Liam scosse il capo e gettò via la spada.
«Troppo facile, bella mia. Se io ti uccidessi adesso non soffriresti abbastanza solitudine da pentirti della cazzata che hai fatto.»
Guardò il cielo, ormai tinto di un azzurro scuro che tendeva al blu della notte che si avvicinava.
«E adesso che faccio?» mormorò.
Tornò da Irthen e lo abbracciò stretto.
«Ti prometto che ti riporterò qui, Ir. Fosse anche l’ultima cosa che faccio.»
Si asciugò gli occhi umidi e si rivolse allo stregone:
«C’è un posto riparato nelle vicinanze?»
Abby si riscosse.
«Sì, perché?»
«Sta scendendo la notte, non ho intenzione di starmene qui ad aspettare l’arrivo di Caleb.»
«Caleb sta tornando alla base. È ferito. Per il momento non tornerà. Seguimi» disse traendosi in piedi.
Liam si caricò Irthen in spalla e la seguì.
Aggirata la cascata e il laghetto nel quale precipitava, sul lato della gola si apriva una bocca nella roccia. Una caverna non troppo ampia, ma sufficiente ad accoglierli per la notte. Abby si sedette in un angolo e non disse più una parola, non mosse più un muscolo. Liam avvolse il fratello nel proprio mantello e lo adagiò su una roccia piatta. Poi fischiò, nella speranza che Caleb non avesse ucciso Baio e che il codardo fosse scappato come sua abitudine nel momento del pericolo. Non aveva niente per scrivere con sé, e non poteva certo portarsi dietro un Irthen addormentato fino a Lumia. Doveva contattare Ruben e chiedergli aiuto. Di nuovo. Nell’attesa della ricomparsa del suo cavallo, mise insieme qualche legnetto e accese un piccolo falò. Iniziava a fare freddo.
Quasi gridò di gioia quando il muso di Baio comparve nell’antro.
«Grazie agli Dei!» disse correndogli incontro. «Come stai, amico mio?»
Baio gli strofinò il muso sulla guancia.
«Sono felice di vederti.»
Tirò il cavallo al sicuro dall’umidità e scaricò i bagagli. Estrasse una pergamena e il necessario per scrivere e buttò giù un bigliettino veloce, nel quale spiegava a grandi linee l’accaduto e chiedeva l’aiuto di Ruben per trasportare Irthen a Natìm, e naturalmente per ospitarlo mentre Liam andava a Lumia. Lo rilesse e lo piegò.
«Ehi, Abigail» la ragazza sobbalzò e alzò lo sguardo per la prima volta da quando si era seduta nella grotta. «Non è che manderesti questo biglietto da Ruben?»
Abby annuì. Si alzò, prese il biglietto dalle mani di Liam e richiamò una civetta, alla zampa della quale legò il messaggio. Poi le sussurrò poche, incomprensibili parole, e l’animale volò via nella notte.
“L’avrà veramente mandato a Ruben?” si domandò il mago, sentendosi invadere da un’ondata di sconforto.
Si inginocchiò davanti al falò e, con un legnetto, mosse i ceppi.
«Liam?» mormorò lo stregone, torcendosi le mani.
Il mago alzò gli occhi, minaccioso, dal fuoco che stava attizzando senza che ce ne fosse bisogno. Abby esitò e si strinse nelle braccia.
«Mi dispiace» sussurrò infine.
«Sì, certo, come no» commentò Liam.
La ragazza sospirò.
«Lo so che credi che io non abbia un cuore, dannato mago, ma non è così! Ho sbagliato, va bene? E chi ha pagato il prezzo più alto è stata Kore, l’unica persona che mi conoscesse davvero, l’unica che mi volesse bene…»
Le sue guance si rigarono di nuovo di lacrime e la sua voce si spezzò.
«Non mi fido più di te, Abigail. Hai ingannato me, hai ingannato mio fratello, hai ingannato Kore. Non mi era rimasta una grande considerazione di te dopo aver scoperto che per mesi mi avevi tenuto allo scuro dei tuoi poteri, ma se possibile, ora, ne ho meno ancora…»
Abby singhiozzò.
«Merito il tuo disprezzo. Lo so bene. Come meritavo quello di mio padre e della mia comunità centoventicinque anni fa. Sono una stronza, va bene? Una stronza e una bugiarda. Ma, per una volta nella vita, fosse anche solo oggi, ti prego di credermi. Maledizione, Liam, ho appena causato la morte della mia migliore amica! Forse non merito il tuo rispetto, ma almeno la tua pietà sì…tu non hai qualcuno a cui affideresti la tua vita? Qualcuno per cui combatteresti?» gemette.
Il volto di Chloé lampeggiò nella mente turbata di Liam. Come si sarebbe sentito se, con una sua leggerezza, l’avesse condannata a morte? Si alzò e, in un impeto di comprensione, la abbracciò. Abby singhiozzò ancora più forte, con il naso affondato nella sua spalla.
«Sì, ce l’ho una persona come questa» disse.
Quando la ragazza si fu calmata abbastanza da articolare frasi di senso compiuto lo allontanò e si asciugò gli occhi. La sua voce era tornata ferma.
«Non so dirti quanto vorrei non aver portato Irthen fino a qui, Liam. Non doveva andare così, avrebbe dovuto essere al sicuro. Non potevo immaginare che Kore sarebbe scomparsa prima di richiamarlo dal sonno. Lui è…una di quelle persone che si incontrano di rado, uno di quelli che sanno tirare fuori il meglio anche dai casi irrecuperabili, come me» sospirò. «Forse sono i suoi occhi, che sono così limpidi…»
Liam non disse nulla, anche se avrebbe voluto farle notare quanto fossero simili ai suoi per taglio e tonalità di verde. Abby continuò:
«So che la mia parola vale meno di nulla ai tuoi occhi, mago, che mi sono giocata la tua stima sette anni orsono, ma ti do la mia parola che farò tutto quanto è nelle mie capacità per riportare Ir tra noi. E quando ci saremo riusciti, ognuno andrà per la sua strada. Ci stai?»
Tese la mano per suggellare il patto. Liam esitò. Fidarsi di uno stregone era pericoloso, molto pericoloso, ma se c’era una persona capace di rompere l’incantesimo che teneva imprigionato Irthen, quella era Abigail. Prese un bel respiro e, d’impeto, le strinse la mano.



**************
HAHAHA che burlona che sono! Pensavate che fosse finita eh? XD

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Capitolo 24
*** Tempo di risposte ***


Abby si appisolò tra le coperte vicino al fuoco, e Liam si trovò a misurare l’antro a larghi passi. C’erano tante domande che si affollavano nella sua mente, ma, per quanto si fosse ripromesso di non avere pietà, di fronte alla crisi di pianto di Abby aveva ceduto. L’aveva mandata a dormire e aveva rimandato l’interrogatorio alla mattina successiva.
“Che gentiluomo, Liam. Le donne in lacrime ti commuovono sempre” pensò con amarezza.
Abigail e Irthen in viaggio verso la Cascata del Potere. Lui all’inseguimento, intralciato da Abigail stessa e da Caleb. La sirena a sua volta ingannata dagli stregoni. Il tutto per colpa di una stupida profezia? Che cosa c’era dietro a tutta quella storia? Dipendeva tutto da quella sciocchezza del colibrì? Significava che gli stregoni tenevano i fili di tutti i burattini che si muovevano sul palco della Terra dei Tuoni? Era tutto già deciso? E che cosa poteva aver spinto Abigail a scegliere di aiutarlo? Possibile che lo facesse davvero per esaudire l’ultimo desiderio di Kore? Quanto rischiava, venendo meno alla parola data agli altri stregoni? E che cosa poteva cambiare, nella dinamica dei loro piani, il voltafaccia di Abby?
“Abigail, non Abby. Abigail. Non prendere confidenza, bello, questa potrebbe pugnalarti nel sonno con la stessa tranquillità con cui spezzerebbe una pagnotta”.
Niente da fare, per trovare risposta a quelle domande avrebbe dovuto aspettare il risveglio dello stregone. Quanto avrebbe impiegato il suo messaggio ad arrivare a Natìm? E quanto i rinforzi a raggiungerlo? Si sedette accanto ad Irthen. Sembrava semplicemente addormentato, il respiro e il battito erano regolari. Osservandolo bene, Liam ebbe la sensazione che in quei pochi giorni fosse cambiato molto. Il viso più spigoloso, i capelli più spettinati, gli abiti sporchi lo facevano sembrare molto più uomo di quanto non fosse.
Curioso, avrebbe dovuto sentirsi furioso, invece non riusciva a fare a meno di pensare che senza l’aiuto di quella donna non sarebbe mai riuscito a compiere il miracolo. Incredibile come la rabbia fosse dominata dalla speranza. Follia.
Si distese e chiuse gli occhi, con la certezza che non appena si fosse addormentato, lo stregone l’avrebbe pugnalato al cuore.
 
Ma questo non avvenne. Quando riaprì gli occhi, la luce dell’alba faceva capolino dall’ingresso dell’antro, e la sua sgradita coinquilina stava ravvivando ciò che rimaneva del fuoco. Liam si trasse a sedere e si stiracchiò. Aveva tutti i muscoli indolenziti e le ossa doloranti.
«Sono invecchiato» mugugnò.
«’Giorno, mago» disse Abby.
«Che fai?» domandò Liam.
«Preparo la colazione. Ieri è avanzato del cinghiale. Vuoi favorire?»
Liam annuì. Mise la testa fuori dalla grotta e scoprì che, accanto a Baio, pascolava un altro cavallo, di un bianco quasi accecante.
«Ehi, quello è amico tuo?» domandò rientrando.
«Sì, lei è Luce» rispose la ragazza.
«Non è un cavallo normale.»
Abby sorrise.
«No, è uno degli ultimi Antichi del Sud.»
«Ne ho sentito parlare. Non sono quell’incrocio tra cavalli e Unicorni, quelli che vivono sul Monte Alba, nella Terra dei Draghi?»
«Esatto. Ne sono rimasti pochi ormai. Luce è con me da molti anni, ed è un ottimo cavallo.»
Liam annuì distrattamente. Una colomba era entrata planando e si era posata su uno sperone di roccia. Alla zampetta portava legato un biglietto. Abby seguì lo sguardo del mago e aggrottò la fronte.
«Che cos’è?»
Liam sorrise e si affrettò a slegare la pergamena.
«Un messaggio di Amina. Impara, stregone: questa sì che è classe, non quella tua civetta spennacchiata…»
«Dove la trovavo una colomba in piena notte?!» sbottò la ragazza.
Liam si strinse nelle spalle. Il biglietto diceva soltanto:
“Ricevuto. Ruben è fuori, ma entro l’alba sarà qui, e allora verrà a prendere Irthen. Guardati le spalle, Liam!
Amina.”
La rilesse un paio di volte prima di infilarsela in tasca. Il dado era tratto.
«Allora? Che dice?» domandò Abby.
«Che dall’alba in poi dobbiamo aspettare l’arrivo del capo.»
Lo stregone annuì. Liam si sedette davanti a lei e la guardò attentamente. Incredibile come, negli ultimi setti anni, non fosse cambiata di una virgola.
«Che hai da guardare?» domandò sospettosa.
Il mago scosse il capo e addentò un pezzo di cinghiale.
“Niente confidenza, Liam, pugno d’acciaio! Ok la necessità di salvare Irthen, ma da lì al fare l’amicone ce ne passa”.
«Ho accettato di imbarcarmi in questa avventura con te, Abigail, a mio rischio e pericolo. Non so a che cosa sto andando incontro, non mi fido di te più di quanto mi fiderei di una vipera, e meno ancora mi fido di Caleb, che mi pare di capire sia il tuo capo. Tuttavia, e il mio osso del collo prega che sia così, mi sei sembrata sinceramente pentita. Per questo ho acconsentito. Inoltre, per quanto tu mi abbia mentito senza alcun ritegno, devo riconoscere che i mesi passati con te non sono stati disprezzabili…in memoria dei vecchi tempi, fingerò di credere che tu voglia riparare al danno.»
Abigail lo fissò per qualche secondo, sbattendo le ciglia.
«Non ti ricordavo così teatrale, Liam» commentò.
«Probabilmente non lo ero. Quello che volevo dire è che, dato che nella mia immensa magnanimità  non ti ho obbligata a parlare questa notte unicamente perché mi sei sembrata sconvolta, mi aspetto delle spiegazioni soddisfacenti adesso, prima che arrivi quel ficcanaso di Ruben.»
«Non è gentile parlare così del tuo nuovo Maestro.»
«Non divagare» insistette Liam.
Abby storse il naso.
«Quali spiegazioni dovrei darti?»
«Quali?!» esclamò il mago. «Tutte quelle che hai! Ho passato buona parte della notte a chiedermi come cavolo ci sia finito Irthen in questo casino, e perché mai io dovrei poter mandare a rotoli i piani di non uno, ma ben tre stregoni! Perché mio fratello se ne sta lì con l’attività psico-fisica di una pianta grassa, dannazione?!» gridò.
La ragazza si stropicciò gli occhi.
«Non ti posso raccontare i dettagli del piano, Liam…»
«Il piano non esiste più, Abigail» rispose duramente.
Abby sospirò.
«Hai ragione, anche se mi duole ammetterlo. E decidendo di aiutarti sono già venuta meno al mio impegno con la Congregazione degli stregoni, sì?» si massaggiò le tempie. «Caleb sa che tornerò, non oserà attaccarci mentre siamo insieme: perdendo me, perderebbe un’alleata preziosa, e tu l’hai già sconfitto una volta…»
«Che cos’è la Congregazione degli stregoni?» domandò Liam.
«Un accordo che lega me, Caleb, Rafik e Selene. Una specie di patto di non belligeranza.»
«Non ne ho mai sentito parlare.»
«Naturale, perché è segreto! Se ci combattessimo tra noi ci distruggeremmo a vicenda, per questo esiste la Congregazione.»
Liam rifletté per qualche momento sulle implicazioni di un simile accordo.
«Anche Selene?» domandò ancora.
«Anche lei, ma in realtà la sua presenza è solo formale. Vive nel suo bel tempio, non le importa nulla del presente. Si limita a farci avere qualche informazione utile, quando vede qualcosa che può servirci.»
Liam annuì. Simpatica, la Veggente. Che fosse quello il motivo dei suoi ricordi andati in fumo?
Il fatto che Abigail avesse deciso di aiutarlo, la poneva in una posizione difficile rispetto al resto della Congregazione, anche se sembrava convinta di potersi permettere una simile scappatella. Dopotutto, gli stregoni interessati alla guerra erano solamente tre, uno in più o in meno poteva fare la differenza.
«Perché vuoi aiutarmi?»
Abby fissò gli occhi nei suoi.
«È stato l’ultimo desiderio di Kore» rispose.
«Solo questo?» incalzò Liam. «Possibile che, in dieci giorni di convivenza, tu non ti sia affezionata nemmeno un po’ a lui?!»
La ragazza si morsicò il labbro inferiore.
«Taci, mago, non sai di cosa parli» mormorò.
Liam alzò un sopracciglio con aria scettica. Possibile che fingesse così bene?
«Sembri davvero scossa, Abigail. Vuoi dirmi che mi sono sbagliato? Che, contrariamente a quanto pensassi, tu ti sei davvero legata a lui? Infondo, non è forse tua abitudine far cadere ai tuoi piedi ragazzi ingenui per prenderti gioco di loro? Sarebbe davvero una beffa se la tua vittima ti avesse a sua volta conquistata…»
Abby agitò un braccio, e una folata di vento lo rovesciò.
«Non è mia abitudine» mormorò. «Tu mi piacevi, Liam. E anche Irthen mi piace. Non avevo nessuna intenzione di finire in questa situazione, quando ho capito che era interessato a me ho fatto di tutto per allontanarlo. Ho rischiato di rivelargli il piano! Ma è dannatamente cocciuto…»
Il mago si accigliò.
«Qual era il piano, Abigail?»
Abby sospirò di nuovo. Balzò in piedi e prese a misurare l’antro a larghi passi.
«D’accordo, Liam, te lo dirò. Ma dovrai dare sfoggio di tutta la tua limitata pazienza, perché parte da lontano, sì?»
Liam annuì e si mise comodo.
«Dunque…quando i draghi decisero di rompere l’accordo, tutti noi ci riunimmo ad Effort. Ruben e Micael proposero i loro piani, e voi maghi vi riuniste attorno all’uno o all’altro, ma noi stregoni no. Queste cose già le sai. Quello che non sai, è che noi avevamo già preso contatti con i draghi. Ci dissero che, se non li avessimo intralciati, ci avrebbero offerto Lumia, e la possibilità di fare ciò che più ci aggrada per tutta la Terra dei Tuoni. Rafik non era d’accordo, credeva che questo patto ci avrebbe resi vassalli dei draghi, e secondo me aveva ragione. Tuttavia, Caleb desiderava Lumia, e anch’io, quindi accettammo. Ad Effort si definirono gli equilibri. Ruben e Micael si dichiararono tacitamente guerra, e noi ne approfittammo. Non potevamo certo sperare, in tre, di riuscire a tenere testa ad una schiera di maghi uniti contro di noi…convenimmo che la scelta migliore fosse aspettare: quando fosse stato il momento giusto, i due schieramenti si sarebbero combattuti tra di loro, il piccolo Lukas, che all’epoca aveva poco più di un anno, sarebbe caduto tra le mani di Micael e avrebbe distrutto la schiera di Ruben, oltre che sé stesso, e a quel punto sarebbe stato facile per noi sbaragliare i pochi seguaci di Micael superstiti. Sarebbe stato perfetto. Ma qui subentrasti tu, Liam. Selene ci fece sapere di aver avuto una visione sul tuo conto, ci disse che ti saresti alleato con Ruben, e che avresti sottomesso Lukas prima che il suo potere deflagrasse. Questo sarebbe stato un dramma: tutto il nostro piano sarebbe andato in fumo. E ci saremmo trovati da soli contro a tutte le creature unite della Terra dei Tuoni. Non potevamo permettere che ci mettessi i bastoni tra le ruote. Dato che ti conoscevo bene, Caleb mi chiese in che modo avremmo potuto fermarti. Rafik propose di ucciderti, ma io e Caleb ci opponemmo, perché temevamo che questo avrebbe sollevato tutti contro di noi, ed era l’ultimo dei nostri desideri. Anche tenerti prigioniero era fuori discussione, qualcuno avrebbe certamente cercato di liberarti, non sono molti i maghi di elemento acqua, e sono molto utili quando si ha a che fare con tipacci sputa fuoco. In un primo momento pensai di servirmi di Chloé, ma poi mi dissi “no, il Liam che conosco non metterebbe in pericolo il suo fratellino per nulla al mondo, nemmeno per lei”. Così, decisi di servirmi di Ir. Per quasi quattro anni abbiamo atteso il momento giusto. Amina della Terra lo sorvegliava da vicino in tua assenza, rendendo impossibile avvicinarsi a Pothien senza essere scoperti. Poi, ecco che finalmente ha deciso di partire! Era l’occasione che aspettavamo. “Che cosa faremo del ragazzino?”, mi chiese Caleb. Cosa potevamo farne di lui? Se lo avessimo ucciso non avremmo ottenuto niente. Se lo avessimo imprigionato avremmo rischiato che, in qualunque momento, tu riuscissi a liberarlo. No, ci serviva un incantesimo potente, uno fuori dalla tua portata, uno da cui soltanto noi avremmo potuto liberarlo. Pensai a Kore. Se avesse indotto il suo sonno magico ad Irthen, lui sarebbe stato al sicuro, e solamente lei avrebbe potuto liberarlo. Ma era una Vestale, perciò dovevo convincerla che, agendo in quel modo, avrebbe agito per il bene della Terra dei Tuoni. Le dissi che se ci fossimo opposti ai draghi, non avremmo fatto altro che spingerli a distruggere con maggior crudeltà, e che sarebbe stato meglio assecondarli e cercare in seguito di ricondurli alla ragione. La persuasi. Poi, le raccontai che c’era un uomo pericoloso, che aveva l’ambizione di sedere sul trono di Storr e che voleva riunire i maghi sotto al suo comando per affrontare i draghi. Che l’unico modo per fermarlo era questo: prendere in custodia suo fratello per costringerlo a restare inerte fino alla fine del conflitto. All’inizio era perplessa, ma poi…poi…» si asciugò una lacrima con il palmo della mano. «Kore aveva perso l’abitudine di sondare il mio cuore, perché si fidava di me, e io…» sospiro. «Io non potevo immaginare che la punizione degli Dei potesse essere tanto dura.»
Liam si grattò il capo. Troppe informazioni in un colpo solo.
«Ma perché accompagnare Irthen fino a qui? Non sarebbe stato più semplice rapirlo appena lasciata Pothien e portarlo direttamente dalla sirena?»
Abby scosse la testa e le treccine sottili dondolarono.
«No, perché tu saresti arrivato arrabbiato e preparato. Magari avresti anche raccolto consensi e alleati. In questo modo, invece, eri convinto di inseguire un ragazzo inesperto e non hai insistito perché qualcuno ti accompagnasse. Inoltre, ti sei debilitato lungo il viaggio, sia nel fisico che nella mente. Ma Caleb non avrebbe dovuto portarti tanto vicino alla Cascata. È stato un errore grossolano.»
«E se Irthen si fosse diretto verso un'altra meta? Se non avesse deciso di partire?» domandò Liam.
Abby si strinse nelle spalle.
«Nel primo caso, l’avrei avvicinato e gli avrei raccontato di essere diretta qui. Sai bene che mi avrebbe seguita. Nel secondo caso…beh, ci sarebbe stata un’altra occasione. Senza fretta. Noi stregoni siamo immortali, sì?»
«Sì…» mormorò Liam. «Quindi, riassumendo: volevate tenere Irthen prigioniero di un incantesimo che soltanto voi avreste potuto infrangere fino alla fine della guerra, per impedire a me di impedire a Lukas di distruggere Ruben e i suoi, così che voi avreste dovuto affrontare solo Micael e non anche Ruben…e poi? Credo di essermi perso…»
«Poi, avremmo vinto la guerra, e ci saremmo spartiti il bottino con i lucertoloni.»
«Ah, già.»
«Ma Caleb ha combinato un disastro. Se non ti avesse portato qui, con un po’ di fortuna non avresti capito che tipo di incantesimo imprigionava Irthen, e di certo non avresti spiattellato a Kore la verità. Anche se, forse, il vero casino l’ho fatto io.»
«Sarebbe a dire?»
«Credo di essermi fatta prendere un po’ troppo la mano, e…beh, cercando di tenerlo lontano da me, io…» spostò lo sguardo su Irthen e tirò su con il naso. «Credo di essermi presa una cotta per lui, Liam. Una grossa cotta. Anzi, diciamo pure che mi sono innam-»
«Per carità, non dirlo nemmeno per scherzo!» esclamò Liam. «Innamorata di Irthen, robe da matti! E sarebbe questo il tuo modo di dimostrarlo?!» sbottò allargando le braccia.
«Senti, non potevo farci niente, sì? Al massimo potevo lasciarlo diventare uno stregone e attirarlo dalla mia parte con la promessa di insegnargli a controllare i poteri. Ma oramai eri troppo vicino, mi hai messa con le spalle al muro.»
Liam incrociò le braccia e la guardò storto.
«Ah, quindi adesso sarebbe colpa mia?»
«Senti, ho fatto l’ennesima cazzata, ok? E considerando l’interezza della mia vita, non è la peggiore. Ho praticamente pugnalato al cuore la mia migliore amica e ho mandato in coma Ir. Al primo problema non c’è soluzione, ma al secondo sì: permettimi di accompagnarti da Horlon. Finché saremo insieme, Caleb non si arrischierà ad attaccarti. Non te ne pentirai.»
«E poi?» domandò il mago sospettoso.
«Poi, risveglierai Irthen, e ognuno andrà per la sua strada. Io tornerò da Caleb e da Rafik. Mi faranno una lavata di capo, ma alla fine mi perdoneranno, hanno bisogno di me» Abby alzò lo sguardo. «Magari, al momento giusto, gli stregoni combatteranno lealmente, sì?»
«Sarebbe una bella novità» commentò il mago.
«Ci puoi scommettere, tesoro.»
«È una follia!»
Entrambi balzarono in piedi, con la mano stretta sull’impugnatura della spada. In mezzo alla bocca dell’altro spiccavano tre figure, una minuta, una robusta e una lunga e sottile. La prima si lanciò nella grotta e si precipitò sul corpo di Irthen.
«Amina?» mormorò Liam spalancando gli occhi.
Amina alzò un momento lo sguardo penetrante su di lui.
«Stai bene, Liam?» disse, sfiorando la fronte del ragazzo.
Liam annuì. Con i capelli slegati che le cadevano in onde sulle spalle aveva faticato a riconoscerla.
«Non è una buona idea, Liam» insistette Ruben facendosi avanti.
Il mago lo guardò storto.
«Che cosa, non è una buona idea?» domandò.
«Fidarsi di uno stregone, mi sembra evidente!»
Ruben si sedette e prese un pezzo di carne.
«Vieni, Tim, mangia anche tu. Devi recuperare le energie, se vuoi trasportare Amina fino a Natìm sfruttando l’Aria.»
Lo smilzo si sedette esitante e afferrò un boccone di cinghiale.
«Mi ricordo di te» disse Liam. «C’eri anche tu quando mi avete salvato da Caleb.»
«Sì, signore. Sono Timothy dell’Aria, signore» disse il ragazzino.
«Piacere di conoscerti, Tim» rispose, valutando che non potesse essere molto più vecchio di Irthen.
«Non sviare il discorso, ragazzo» intervenne Ruben. «Come puoi sopportare la presenza di questa donna, quando è solamente a causa sua che ti trovi in questa situazione?»
Liam si morsicò la lingua per obbligarsi a non rispondere d’impulso. Non ricordava che la voce di Ruben fosse tanto irritante.
«Rivoglio indietro Irthen, e senza di lei non so se ce la farò» rispose infine.
«Che cosa succederebbe se ti consegnasse a Caleb?»
«Non lo farò» intervenne Abby.
«Non sto parlando con te» sibilò Ruben.
«Oh, certo! Fate pure come se non ci fossi! Io vado fuori, Li’…»
Liam sospirò e si sedette di fronte a Ruben.
«Fidati di me, Maestro» sussurrò.
Gli occhi di Ruben si allargarono appena nell’udire il titolo.
«Io di te mi fido, Liam, ma di lei no! È un’assassina e una traditrice. Come puoi essere certo che non finirai ammazzato nel sonno?!»
Liam lanciò un’occhiata ad Irthen. Amina lo fissava preoccupata, e seguiva attentamente la conversazione. Al pensiero di Abby innamorata di suo fratello gli scappava da ridere.
«Ho buoni motivi» rispose asciutto.
Ruben chinò il capo.
«Sta bene, ragazzo. Spero che i tuoi motivi siano davvero buoni come dici. Ma d’ora in avanti farai capo a me, intesi?»
«Sì, Maestro.»
Amina si schiarì la voce.
«Ehm, forse non è il momento migliore, ma ci sono alcune persone che ti mandano i loro saluti, Liam.»
«Da Natìm?» domandò perplesso.
Amina annuì e un sorriso le increspò le labbra.
«Prima di tutto, Oliandro dice di fare buon viaggio e di salutargli Re Horlon. E di assaggiare il liquore elfico, perché è certo che ti piacerà. Sua sorella, invece, ti manda a dire che – testuale – ti odia e alla prima occasione ti incollerà della resina nei capelli perché tu andrai a Lumia, mentre lei è costretta in una città di umani bifolchi…»
«Acida» commentò Ruben a mezza voce.
Liam si lasciò scappare un sorriso.
«Infine» proseguì Amina «Chloé ti manda un bacio, e ti prega di non ucciderla quando tornerai.»
«Che diavolo ci fa, lei, da voi?!» esclamò il mago.
«È una storia un po’ troppo lunga…diciamo che ha scoperto che Debrina la sorvegliava e, stanca del tuo temporeggiare, le ha chiesto di unirsi a noi…»
Liam si prese la testa tra le mani.
«Si farà ammazzare» gemette.
«Di certo è più al sicuro che a casa sua…» commentò Ruben. «Non sarà una maga, ma ha tempra. Abbiamo bisogno di persone come lei.»
«Queste donne mi faranno impazzire» sussurrò Liam.
Amina scoppiò a ridere e si alzò.
«Come ti senti, Tim, sei pronto a rientrare?»
Timothy annuì e si trasse in piedi.
Ruben si alzò a sua volta.
«Mi raccomando, Liam, fai attenzione. Non voglio perdere un elemento valido come te dopo aver fatto tanta fatica per arruolarlo.»
Gli diede una pacca sulla spalla e prese Irthen tra le braccia.
«Ti aspetto a Natìm, con la soluzione a questo spiacevole inconveniente.»
Uscì dall’antro e scomparve in un soffio di vento.
«Non mi ci abituerò mai» mormorò Liam.
«Immagina quanta impressione fa quando ti trasportano così!» esclamò Amina.
Lo abbracciò stretto e sussurrò:
«Sono certa che ce la farai, Li’.»
Poi fece un passo indietro e sorrise.
«Dai, Timmy, non restare lì imbambolato!»
Prese il ragazzino per mano e corse fuori dalla grotta. Un secondo soffio di vento si portò via le due figure.
Liam scosse il capo, sconsolato. Non aveva nemmeno salutato Irthen, e forse Abigail l’avrebbe ucciso prima che potesse rivederlo.
«Cos’è quella faccia, mago?» Abby si affacciò.
Aveva già preparato Luce e Baio per la partenza.
«Mi chiedo ancora perché non ti ho uccisa quando potevo farlo» rispose.
Abby si strinse nelle spalle.
«Ci saranno altre occasioni. Spegni quel fuoco e partiamo, sì?»
Mentre lasciava la gola in groppa a Baio non poté fare a meno di lanciare un’ultima occhiata alla Cascata del Potere. Scosse il capo e sferzò il cavallo.
 
«La corsa è finita, piccolo demonio.»
Lukas si volse indietro. La voce di Alec gli dava sui nervi, troppo morbida addosso ad un tipo come lui.
Si piegò in due, con il fiatone e la milza dolorante. Il mago ghignava, mentre veniva raggiunto dalla piccola Ophelia, anche lei ansimante. La situazione era davvero sfavorevole. Non gli era rimasto un briciolo di energia per fuggire. L’oceano, alle sue spalle, rumoreggiava nonostante non si levasse un filo di vento. Come era possibile?
«Vedi, Lukas, l’Acqua sente la presenza di Rayhana» disse Alec intuendo i suoi pensieri, e una risata femminile seguì le sue parole.
Lukas si voltò. Un’onda si infranse su uno scoglio, e la spuma avvolse la figura incappucciata che vi sedeva.
«Ciao, Alec. Lia» salutò la maga.
Lukas rabbrividì. Rayhana dell’Acqua. E l’oceano a sbarrargli la strada.
«Lieti di vederti, Ray. E ora, dì addio ai tuoi sogni di gloria, piccolo mostro…»
Lukas si guardò attorno in cerca di una via di fuga. E mentre un’onda gelida si abbatteva, spietata, su di lui, non poté fare a meno di pregare gli Dei che Liam ricordasse le sue parole.



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Ohi ragazzi scusate le tempistiche! Ho avuto qualche problemino orgnizzativo, che spero di aver risolto al meglio :) Bene, detto questo, adesso viene il bello: Abby e Liam in contemporanea, mi vien freddo XD
Baciiii

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Capitolo 25
*** Il mago e lo stregone ***


Il trotto regolare di Baio cullava Liam in un universo parallelo fatto di ricordi e speranze disattese. Se solo fosse arrivato cinque minuti prima…Se si fosse liberato prima di Caleb, se non avesse perso così tanto tempo dagli Unicorni…
“Di se e di ma non è fatta la storia, Liam. Lo diceva sempre tuo padre”, si disse.
«Non è tutto perduto. Perciò non fare quella faccia, sì?» lo apostrofò Abby.
«Pensa per te» sbottò il mago. «È solo colpa tua, e il fatto che ti sopporti non significa che io ti abbia perdonata.»
Abby mise il broncio, e Liam tornò ad ignorarla, come faceva dalla partenza. Anche se sapeva bene che avrebbe dovuto fare almeno lo sforzo di essere meno acido, se non altro perché aveva deciso di sfruttare le conoscenze e i poteri di Abigail. E dovevano ancora decidere il piano di viaggio. Non potevano risalire il Morgael dal momento che gli Unicorni non avrebbero accettato la presenza di uno stregone nel loro territorio, perciò, una volta raggiunta l’imboccatura del Canyon, avrebbero dovuto scendere verso Sud. Puntando su Phia, magari.  Liam non conosceva quella zona, e piuttosto che chiedere aiuto a lei si sarebbe fermato a chiedere indicazioni ad un cavallo dai denti a sciabola. Non gli era nemmeno particolarmente chiaro dove si collocasse Lumia, ma sapeva che si trovava su un’isola a forma di stella al centro del Golfo Edera, un’immensa insenatura le cui sponde erano completamente coperte di boschi. Il Reame Eterno. Guarda caso, proprio il regno che Abby e i suoi due amichetti stavano pensando di smantellare. Sicuramente gli elfi l’avrebbero accolta a braccia aperte. Sospirò. No, Abigail non poteva varcare i loro confini. Dovevano aggirare il bosco fino in corrispondenza del punto di minore distanza tra la riva e Lumia. A quel punto, volente o nolente, lo stregone avrebbe dovuto lasciarlo andare da solo. Re Horlon non era certo pazzo. Inoltre, non avevano una barca, motivo in più per non inimicarsi subito gli elfi.
«Il tuo cavallo è lento, mago» borbottò Abby.
«Baio è un comune cavallo. Non tutti ci possiamo permettere di cavalcare specie in via di estinzione, come Vossignoria» rispose acido.
«Quanto sei antipatico! Non mi frega niente se anche vuoi venderlo e comprarti un mulo, è solo che ci impiegheremo una vita ad arrivare a Lumia di questo passo.»
Liam sbuffò.
«Non rompere, Abigail. Anche tu saresti lenta se dovessi saltellare tra le rocce con un passeggero in groppa. Vedrai che quando saremo fuori da questo dannato Canyon saprà tenere il passo…»
Abby gli lanciò un’occhiata preoccupata.
«Lo spero.»
Chiuso in sé stesso, Liam tornò a guardarsi attorno. Voleva portarlo al mare. E non ci era riuscito. Il suo fratellino se ne stava là, profondamente addormentato, tra le braccia gentili di Amina, nel quartier generale di Ruben. E tutto per colpa di Ged! Se Ged non avesse raccontato quella stupida storia, ad Irthen non sarebbe venuto in mente di cercare la Cascata, e se non gli avesse detto dove andare, lui…
“Chi vuoi prendere in giro, Liam? La colpa è solamente tua. Se tu non avessi procrastinato tanto a lungo, se gli avessi detto la verità, lui avrebbe saputo di chi fidarsi”.
Gi Unicorni avevano appreso con perplessità che nessuno, a Pothien, era mai stato a conoscenza dei poteri di Liam, nemmeno suo fratello. E avevano ragione ad essere perplessi. Aveva tenuto nascosta una parte fondamentale di sé alla sua famiglia e alla sua comunità per quasi vent’anni. Che cosa avrebbe pensato Irthen quando si fosse svegliato? Sospirò. L’aria umida lo fece sentire un po’ meglio. C’era anche la questione di Syra da affrontare. Avrebbe dovuto tornare a Pothien a verificare di persona. Avrebbe chiesto a qualcuno di accompagnarlo, perché non potesse scappare a gambe levate. Ad Amina, magari. Amina sembrava proprio il tipo di persona adatta per assistere in un momento simile. E poi era una guaritrice…
«Credo che ormai non manchi molto.»
La voce di Abigail lo strappò ai propri pensieri, e Liam sbatté le palpebre.
«Come dici?» balbettò.
Abby sbuffò.
«A volte sembri davvero rimbambito, Liam.»
«Sarà lo stare in tua compagnia. A stare con lo zoppo…comunque stavo pensando.»
«L’ho notato» commentò con un sorriso forzato. «Lo so che non ti vado a genio, ma dal momento che ci siamo posti lo stesso obiettivo, ossia spezzare il sonno di Irthen, non credi che dovremmo per lo meno impegnarci a sopportarci a vicenda? Non andremo da nessuna parte, se continuiamo a tirarci frecciatine.»
Liam le lanciò un’occhiata bieca. La cosa non lo allettava per niente, ma, tutto sommato, la strega aveva ragione. Inoltre, forse, stipulando una tregua con lei avrebbe potuto scoprire qualcosa di più sul nemico. Prese un bel respiro ed espirò con un lungo sibilo. Poi spianò la fronte e si sforzò di sorriderle.
«Sta bene, Abigail. Hai ragione. Infondo, una volta svegliato Irthen, ognuno andrà per la sua strada, giusto?»
«Giusto» rispose quella.
«Che cosa stavi dicendo, ad ogni modo?»
Abby fece scivolare lo sguardo sulla roccia grigia, poi sul Morgael, infine, sul cielo nuvoloso.
«Dicevo che saremo presto fuori da questo Canyon.»
«Come fai a dirlo?»
La ragazza si gettò e treccine dietro alle spalle.
«Ho vissuto qui molti anni.»
Liam annuì. Se almeno avesse potuto orientarsi con il sole, avrebbe saputo che ora era. Ma la coltre di nubi non gli permetteva un simile lusso.
«Verrà a piovere» commentò.
«In quel caso, la prenderemo. Non abbiamo ancora parlato del piano di viaggio, mago, ma credo che tu sappia che non posso varcare i confini degli Unicorni…né degli elfi.»
«Suppongo convenga tagliare verso Sud prima di Bosco Lossar. Ma non so molto di questa zona.»
“Ci siamo, adesso mi sfotte”, pensò.
Invece, con sua immensa sorpresa, Abby si massaggiò l’attaccatura del naso. Liam trattenne un sorriso: ecco un’abitudine che non aveva perso.
«Secondo me, dovremmo scendere in verticale fino ai confini del Reame Eterno. La costa presenta una grande insenatura, il Golfo Edera, al centro del quale si colloca la nostra belle isola. Il bosco si estende tutto attorno, e gli elfi lo presidiano, di certo non ci lasceranno passare senza fare storie. Inoltre, è probabile che in mia compagnia tu non concluda niente. Se vuoi che io ti aspetti fuori dai loro confini, forse dovremmo portarci fino in corrispondenza della Baia delle Sirene.»
«Baia delle Sirene?!»
«È il piccolo golfo in cui gli elfi hanno collocato il loro porto, ed è il punto della costa più vicino a Lumia.»
Liam annuì.
«Sei ben informata.»
Abby ghignò.
«Ad ogni modo, consiglio di tenerci vicini alle città. Io e Ir abbiamo incontrato orchi e orchetti tra il Brumo e la Piana di Thann, non mi va proprio di ricascarci, sì?»
«Ero convinto che orchi e affini stessero con voi…»
«Non è ufficiale. E comunque stanno con i draghi» corresse Abby. «Non confondiamo, io non sputo fuoco.»
«Di questo non ho prove.»
Abby sorrise. Con un indice segnò l’orizzonte: davanti a loro si intravedeva una spianata verde e, oltre, il Bosco Lossar.
«In che rapporti stai con il vecchio Glenndois?»
«Accettabili.»
«Allora è meglio che deviamo prima che ci becchi insieme, sì?»
Luce imboccò un canalone laterale che curvava verso Sud, e Liam notò che Baio la seguiva istintivamente. Forse, percepiva la sua superiorità?
“Forse è perché è una femmina, Liam! È pur sempre il tuo cavallo!” insinuò la solita vocina.
Il mago scosse il capo, a metà tra l’offeso e il divertito.
 
Secondo i piani dello stregone, ci avrebbero impiegato tre giorni a raggiungere Phia. Tre giorni di poco riposo e di ossa indolenzite. Poco male: in quel tempo, Liam avrebbe potuto tentare di estorcere informazioni ad Abigail. Che almeno potesse ripagare, in qualche modo, l’aiuto che Ruben gli stava dando. Il Bosco Lossar li accompagnò per tutta la giornata, sfilando accanto a loro come una presenza costante. E quando si accamparono al calare della notte erano ancora ben lontani dal lasciarselo alle spalle.
Liam si era aspettato un qualche tipo di visita durante la giornata. Non tanto di elfi o Unicorni, dal momento che si trovavano oltre il Morgael e quel territorio era stato quasi completamente abbandonato, ma almeno un segnale da parte degli altri stregoni gli sembrava d’obbligo…invece nulla, sembrava si fossero dimenticati di loro.
Steso sulle coperte, chiuse gli occhi in attesa che Abigail  tornasse dalla caccia serale con la cena. Ridicolo, lui era il cacciatore! Per una frazione di secondo aveva pensato di proporsi di andare al posto suo, poi però la pigrizia aveva avuto la meglio sulla galanteria. Così si era concesso un po’ di meritato riposo. Aveva acceso il fuoco e si era dedicato alla contemplazione del cielo nuvoloso, che li aveva graziati dalla pioggia, permettendo loro di sopravvivere un’intera giornata senza consumare energie o finire zuppi.
«Sei pensieroso, mago» disse Abby sbattendo un coniglio per terra accanto al falò.
«Sono stanco, stregone. Ti ho rincorsa per tutto il Nord, e non ho ottenuto nulla, credo sia normale sentirmi sfinito, che dici?»
Abby annuì, con la fronte aggrottata. Poi estrasse un coltello dai bagagli e pulì la preda in silenzio.
Non sarebbe stato per nulla facile farle confessare qualcosa dei loro piani…sempre che ci fosse qualcos’altro oltre a ciò che aveva già ammesso. E in ogni caso, quella donna era incredibilmente brava a mentire. Non poteva biasimare Irthen per essersi fidato di lei. Anche lui ci era caduto, quando aveva pochi anni di più. Tutto sommato, forse, lui e suo fratello avevano qualcosa in comune.
«…mai che sia qualcosa di buono» mormorò tra sé e sé.
«Che cosa?» domandò Abby sfruttando i suoi poteri per arrostire la carne più in fretta.
Liam si puntellò sui gomiti e osservò l’operazione con interesse.
«È utile in questi momenti poter comandare il fuoco, sì?»
«Non ti è permesso scimmiottare il mio meraviglioso “sì”. Che cosa non è buono?» insistette.
«Ah, niente, lascia perdere. Meditavo sulle affinità mie e di Ir. Tutte cose negative. Te inclusa.»
Abby sospirò e gli lanciò un pezzo di carne.
«Deve essere un vizio di famiglia» rispose senza entusiasmo.
Liam annuì e addentò il coniglio. Ad essere onesti, quello stregone abbattuto che gli stava seduto di fronte non era la persona che ricordava, non ci assomigliava nemmeno un po’. Fino a dove poteva arrivare la sua abilità teatrale?
«Che cosa hai fatto in questi anni, Liam?»
Il mago alzò gli occhi dalla cena. Abigail si rigirava tra le mani una coscia di coniglio, con aria assorta.
«Non ricordavo che non ti piacesse la carne.»
Abby gli concesse un mezzo sorriso.
«Non è la carne in genere. È quella stopposa che mi dà la nausea.»
«Purtroppo è difficile trovare qualcosa di meglio quando si è in viaggio attraverso lande desolate» commentò Liam.
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Pazienza, non sono patita, sì?»
Il mago diede un altro morso, masticò lentamente e deglutì.
«Vuoi sapere che cosa ho fatto in questi anni? Credevo mi teneste sotto controllo…»
Abigail lo guardò storto.
«Se non la smetti di fare l’acido finisce male, mago» sospirò. «Una volta tanto, il mio era interessamento sincero. Non mi sono occupata io della tua sorveglianza e, anche se ti è difficile crederlo, mi è dispiaciuto che sia finita in modo così poco civile, tra noi.»
Liam socchiuse gli occhi. Ricordava ancora molto bene la poco edificante litigata che era seguita alla confessione di Abby in merito ai suoi poteri. Con tanto di effetti speciali.
«Beh, diciamo che, in questi sette anni, l’attività che avevo messo su si è sviluppata molto bene. Sembra che, tutto sommato, io non sia niente male a lavorare pietre preziose.»
«Vorrà dire che, quando Irthen si sveglierà, mi regalerai una collana.»
«Un cappio, vorrai dire.»
Abby scoppiò a ridere.
«Come sei romantico! È per questo che non hai ancora trovato una donna che si prenda l’onere di sopportarti per tutta la vita?»
Liam le lanciò un osso.
«Io ho la fila di donne, bella mia!»
«Aha» commentò, continuando a ridere.
Liam scosse il capo, divertito.
«Sai, Abigail, tra tutte le persone che non avrei mai pensato di poter incontrare di nuovo, tu sei senza dubbio quella che si trovava in cima alla lista.»
«La vita sa essere strana, mago.»
 
La pioggia fredda svegliò Liam prima dell’alba. Si alzò e si guardò attorno. L’umidità che avvolgeva il profilo del Bosco aveva un ché di inquietante.
«Sveglia, Abigail» borbottò con la voce ancora impastata dal sonno.
La ragazza mugugnò e si voltò dall’altra parte. Liam sbuffò. Si inginocchiò e la scosse.
«Dai, Abby, dobbiamo andare…»
«Va bene, va bene, ma smettila di spingermi, ho capito» farfugliò.
In pochi minuti furono pronti per rimettersi in viaggio.
La pioggia aumentava di intensità. Avevano deciso di non proteggersi con la magia, per risparmiare energie in caso di necessità. Così, bagnati fradici, ripresero la loro corsa verso Sud.
Lungo il margine del bosco non c’era traccia di centri abitati, come se la presenza del fiume contaminato fosse di per sé sufficiente a tenere lontana ogni forma di vita umana. Ma comparvero tracce di orchi. Resti di accampamenti e fuochi, e ossa di piccoli animali. I due si avvicinarono all’ombra della vegetazione, senza rallentare il passo. Non avevano bisogno di specificarlo: se qualcuno o qualcosa li avesse attaccati, non avrebbero avuto pietà.
Si fermarono per mangiare qualcosa a metà mattina, con l’umore decisamente basso.
«Baio è lento» commentò Abby.
«Baio è un cavallo, l’unico di cui dispongo, e non lo cambierei per nulla al mondo. Perciò smettila di mortificarlo» sbottò Liam.
«Non capisco che cosa ci facciano degli orchi, qui. Dovrebbero essere molto più a Sud, oltre il Reame Eterno.»
Il mago si impose di non rispondere con il “se non lo sai tu che sei amica loro…” che gli sorgeva spontaneo.
«In ogni caso» continuò lo stregone «se continua a piovere dovremo accamparci nel bosco, questa sera.»
«Ci troveremo ancora lungo il perimetro del Bosco Lossar?»
«Secondo i miei calcoli, ci lasceremo alle spalle le ultime propaggini nella prima mattina di domani. E io non sbaglio mai i cal-»
Abby si bloccò a metà della frase e balzò in piedi. Caricò velocemente i bagagli e rimontò Luce.
«Andiamo, muoviti» sibilò.
Liam la fissò scioccato per qualche momento, poi fece altrettanto. Sferzò Baio per raggiungere la ragazza, che si era già allontanata al galoppo.
Domandandosi che cosa le fosse preso, fu costretto a scartare quando quella tirò le redini, bloccandosi in mezzo alla strada.
«Ma che ti prende, sei impazzita? Vuoi goderti il panorama, adesso?» le gridò dietro.
Lo stregone alzò una mano e il mago tacque. Gli occhi verdi di Abby saettarono a destra e a sinistra. Preoccupato, Liam le si avvicinò.
«Abigail, cosa-»
«Rafik è vicino. E sospetto che abbia qualcosa da ridire circa il mio comportamento. Quindi stammi vicino, sì? Fosse per lui, saresti già morto da un pezzo…»
Liam deglutì. Aveva avuto occasione di incontrare Rafik una sola volta, in passato, al Concilio di Effort. Non sapeva molto di lui.
«Ci attaccherà?» domandò.
«Non lo so. Se gli è rimasto anche solo un briciolo di intelligenza non lo farà. Se io li mollo, loro avranno più di qualche problema a gestire allo stesso tempo Micael, Ruben e il Signor Lucertola.»
Liam sospirò.
«Tu…ti sei resa conto, vero, che venendo con me hai mandato a puttane il piano che vi ha tenuti impegnati ben quattro anni?»
Abby piegò la bocca in una smorfia.
«Certo» rispose.
«E come pensi di giustificarlo ai tuoi soci?»
«Già, come?» domandò una voce strascicata alle loro spalle.
Si voltarono con le spade sguainate.
«Ma che bella accoglienza. Abigail. È sempre un piacere incrociare le lame con te, ma gli spettatori non mi piacciono. Soprattutto quando sono uomini di Ruben.»
«Che cosa vuoi, Rafik? Non lo vedi che abbiamo fretta?» sibilò la ragazza.
«Sì, l’ho notato. Tuttavia, io e Caleb ci stavamo domandando per quale ragione il ragazzino si trovi a Natìm, e il mago sia in tua piacevole compagnia, anziché dove dovrebbero essere secondo copione.»
«Cambio di programma, amici. Faccio un salto con Liam a Lumia, ma torno presto.»
Lo stregone annuì, con fare ironico.
«E pensi che noi non avremo nulla da obiettare, immagino.»
«Caleb di certo non si è ancora ripreso totalmente, altrimenti sarebbe venuto di persona. E tu non sei potente abbastanza da contrastarci entrambi. Sei ridicolo. E, come vedi, sono ben consapevole di quello che faccio. Tuttavia, se non vorrete trovarvi in due, soli soletti, sul più bello, mi lascerete fare di testa mia. Al mio ritorno vi raggiungerò, e allora penseremo a questa guerra.»
Rafik ghignò.
«Hai ragione, non sono qui per fermarti. Né per estrometterti dalla Congregazione. Ho un messaggio da parte di Caleb: Alec ha preso il bambino.»
Abigail spalancò gli occhi, e Liam si sentì mancare la terra sotto ai piedi.
“Lukas…”
La ragazza si ricompose immediatamente e sorrise.
«Grazie della splendida notizia, Rafik. In questo caso, vedrò di essere di ritorno quanto prima. Ora, se non ti dispiace, ho delle cose da fare, sì?»
«Va bene, Abigail. Ma dovrai rendere conto, al tuo ritorno.»
Detto ciò, scomparve in una nuvola di vapore.
Senza pensarci due volte, Abby fece voltare Luce e la sferzò, e Liam si trovò di nuovo a rincorrerla.
«Porta pazienza, Baio, non è colpa nostra, sono loro che sono isteriche. Sono femmine, è normale.»
 
Al calare della sera aveva smesso di piovere, ma il cielo era rimasto nuvoloso. Dall’incontro con lo stregone, Abigail non aveva più spiccicato parola, e Liam iniziava ad irritarsi. Aveva tentato di intavolare la conversazione più volte, senza risultato. Dopo aver cenato nel più totale silenzio, si alzò e si allontanò.
«Dove vai?» domandò Abby alzando gli occhi.
«Che ti importa?» sbottò, facendosi largo a colpi di spada nel sottobosco.
«Fermati, razza di idiota! È pericoloso andartene in giro per il Bosco Lossar da solo dopo il tramonto!»
Il mago si fermò e si voltò lentamente.
«Si può sapere che cavolo hai nella testa, Abigail? Nonostante tutto quello che mi hai fatto passare, ho acconsentito a darti un’altra possibilità, mi sono impegnato per essere amichevole, e tu continui a trattarmi da cani! Sono stanco di te e dei tuoi sbalzi d’umore! Non ho più la pazienza che avevo una volta, sono invecchiato, perciò lasciami fare una passeggiata da solo prima che tenti di ucciderti, condannandomi a morte.»
Le fece un gestaccio e riprese a camminare.
«Sei uno stronzo» gli gridò dietro la ragazza.
Continuando a massacrare arbusti, il mago seguì il rumore del fiume, sempre più forte, fino a trovarsi sulla riva. L’acqua nera scorreva impetuosa.
Lukas nelle mani di Micael. Povero bambino. Questo significava che la guerra era più vicina che mai. E lui diretto da tutt’altra parte. Dove sarebbe scoppiato il conflitto, ad Effort? Oppure a Sud, oltre la Piana di Thann? O ancora, nel territorio degli elfi? Aveva detto che gli orchi avrebbero dovuto trovarsi più a Sud, che motivi potevano avere di tenerli là? Perché fossero più vicini ai draghi e, quindi, più controllabili? Si prese la testa tra le mani.
«Sei un idiota, Li’, la strega ha ragione» si disse. «Cosa pensi di ottenere insultandola? Non che non se lo meritasse, intesi, ma, almeno per il bene di Irthen, devi cercare di sopportarla…»
Sospirò e si trasse in piedi. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare, e qualcuno gli premette una mano sulla bocca e lo spinse dietro ad un masso. Alzò la spada, ma un attimo prima di colpire si rese conto che si trattava di Abigail. Quella si posò un indice sulle labbra e poi gli tolse la mano dal viso.
«Ma che-»
«Shhh» sussurrò. «Orchi. Si spostavano con il buio, non li ho visti. Ma loro hanno visto il nostro fuoco. Quando ho capito che si dirigevano nella nostra direzione, ho portato via l’essenziale e sono venuta a cercarti.»
«I cavalli?» domandò il mago.
«Al sicuro.»
Liam annuì.
«Che cosa facciamo?»
Abby si massaggiò l’attaccatura del naso.
«Attacchiamo. Non vedo alternativa. Il fuoco era acceso, penseranno che siamo qui intorno, da qualche parte. Non si aspetteranno certo di venire attaccati dalle prede, sì?»
Prese Liam per un polso e lo trascinò via, verso la direzione da cui erano venuti.



****************
No, no, tranquilli, non sono morta. E se mi avete tirato degli accidenti avete fatto bene. Scusatemi tantissimo, gli appelli invernali mi hanno consumata nel corpo e nelle spirito, ma prometto che riprenderò il ritmo :) Liam, tesoro, mi sei mancato tanto *___*
Beh, ragàs, spero che questo capitolo non sia venuto fuori orrendo, dal momento che per me è stato un dramma da scrivere, ma conto che me lo farete sapere, se fa schifo :b
Baciiiiii

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Capitolo 26
*** Sul piede di guerra ***


«Brutti, piccoli, schifosi» sibilò Abigail.
Avvolti nelle ombre del primo sottobosco, stregone e mago osservavano gli orchi frugare tra i loro bagagli e fare pulizia di ogni sorta di genere alimentare superstite.
«Se mi toccano l’arco, faccio una strage!»
«Calma. Stai calma, o perdiamo l’effetto sorpresa.»
Abby ringhiò.
L’orco più grosso, con un elmo sproporzionatamente grande sulla testa minuscola, mise insieme una serie di incomprensibili suoni gutturali, a cui gli altri risposero con un coro di grida.
«Tu capisci?» mormorò Liam.
«Ha detto che è stanco di schifezze e che vuole carne fresca. Quindi entreranno nel bosco per cercarci. Sei pronto? Sono tredici, vediamo di non farne scappare, sì?»
Liam annuì e scivolò silenziosamente a posizionarsi nel punto concordato, poco più avanti lungo il sentiero. Secondo le previsioni dello stregone, gli orchi avrebbero seguito le tracce del mago, il sentiero che si era creato a colpi di spada nella vegetazione. E loro li avrebbero accolti a braccia aperte.
Il capo diede un altro ordine, e dieci orchi si disposero in fila indiana e si misero in marcia. Liam notò con disappunto che il capo era rimasto fuori con due guardie. Avrebbero dovuto fare un lavoro pulito, perché non riuscisse a scappare. Quando l’orco che apriva la fila raggiunse la postazione di Abby, il mago si predispose all’attacco. La fila procedeva verso di lui rapidamente, oltrepassando lo stregone, ignara di ciò che stava per accadere. E quando l’ultimo degli orchi le diede le spalle, Liam scattò.
Una lama di ghiaccio trapassò il primo e il secondo della fila con una rapidità tale da lasciarli senza parole. Caddero di lato senza emettere un suono, sotto allo sguardo sbigottito del terzo. Un secondo dopo, un lampo di luce ed un grugnito indussero tutti a voltarsi. L’ultimo si contorceva al suolo, come in preda a spasmi. Quando, infine, rimase immobile, era ormai morto. I sette restanti si strinsero, schiena contro schiena, guardandosi attorno.
“Ottima scelta” pensò il mago.
Un’altra punta di ghiaccio ne trapassò altri due, ferendone un terzo, che strillò. In contemporanea, il sesto e il settimo caddero fulminati. In preda al panico, l’ottavo estrasse la spada e attaccò il nono, ferendolo a morte. Poi si volse al ferito, il quale, prima di fare la stessa fine del compagno, lo uccise a sua volta. Rimasto solo, poi, tentò la fuga, ma Dente di Cobra lo trapassò da parte a parte.
Abigail fece un cenno a Liam, che lasciò il proprio nascondiglio e la seguì verso l’accampamento. Il capo stava ancora frugando tra i loro bagagli, e le due guardie scrutavano l’oscurità del bosco.
«Riesci ad eliminarli senza che lui se ne accorga?» sussurrò il mago.
Abby fece un segno affermativo. Socchiuse gli occhi, e i due orchi crollarono al suolo. Il capo, con l’enorme elmo infilato nella sacca dello stregone, estrasse compiaciuto la custodia dell’arco. Si bloccò quando la spada di Liam premette sul suo collo.
«Posa quell’affare, essere immondo» sibilò.
L’orco tentò di divincolarsi e Liam premette più forte.
«Quell’arco è della signorina. Te lo ripeto per l’ultima volta: posalo.»
Con uno scatto sorprendentemente veloce, l’orco estrasse la spada, ma il mago non si fece sorprendere. Con un movimento altrettanto veloce gli tagliò la gola, e quello si accasciò in una pozza di sangue.
Liam pulì la spada schifato e sospirò.
«Dobbiamo nascondere questi tre nel bosco» disse.
«Hai esitato» commentò Abby.
«Certo che ho esitato, mi ha sporcato tutta la coperta. Ci dormi tu, adesso, sul sangue di questo qui?» sbottò.
«Per tutti gli Dei, Liam, comandi l’Acqua! Lavala!»
Il mago storse il naso e trascinò l’orco dietro ad un albero.
«Mi aiuti, per favore?» pregò tornando indietro a prendere il secondo cadavere.
Abigail lo fissò per qualche secondo con le mani sui fianchi, poi disse:
«Dai, levati, mi fai compassione.»
Con un semplice gesto della mano, sollevò i due orchi e li fece scomparire nel verde.
Liam si lasciò cadere a terra.
«Ieri hai detto che quei cosi dovevano essere più a Sud. Perché, allora, sono qui?!»
Abby controllò che il suo prezioso arco fosse a posto, poi si sedette a sua volta e si prese le tempie tra le dita.
«Non lo so. Non ha nessun senso che siano qui, come non avevano senso nella Piana. Le possibilità sono due: o sono fuori controllo e fanno di testa loro, oppure il caro Djalmat ha preso delle decisioni di cui non siamo stati resi partecipi. In ogni caso, è una gatta da pelare» concluse.
Liam aveva sentito parlare di Djalmat. Era il Re dei draghi, era colui che doveva ringraziare per aver spezzato l’accordo.
«Il problema» riprese la ragazza «è che da qui fino alla terra dei draghi non ci sono zone desertiche. Non da questa parte del Morgael, almeno. Questo significa che quei dannatissimi orchi sono passati per dei centri abitati per arrivare qui. Scommetti che non sono passati inosservati?»
Liam si arrotolò una ciocca di capelli attorno all’indice.
«Non ci avevo pensato. Avranno creato allarme.»
Abby sospirò.
«L’avevo detto, io, che non dovevamo fidarci di loro. Ma Caleb: “Che cosa stai dicendo, Abigail? Non possiamo rifiutare il loro aiuto, il grande Djalmat si incazzerebbe a morte!”…e indovina, avevo ragione! Lo sapevo che ci saremmo trovati in questa situazione!»
«Ti sei resa conto del fatto che abbiamo appena sterminato un contingente delle tue stesse truppe, vero?» commentò il mago.
Lo stregone gli lanciò un’occhiataccia.
«Grazie per la precisazione.»
Liam lasciò cadere il discorso, ma si appuntò di rispolverare l’argomento alla prima occasione. L’astio di Abigail nei confronti di orchi e orchetti era sospetto. Sospetto per uno stregone, almeno.
 
Ciò che restava della notte, passò lentamente. Programmarono dei turni di guardia, ma Liam non riuscì a chiudere occhio. Orchi o meno, aveva usato i suoi poteri per uccidere a sangue freddo, cosa che non aveva mai fatto prima. E sapeva che avrebbe dovuto farci il callo. La guerra si avvicinava a velocità agghiacciante, non poteva permettersi di tirare fuori il moralista sepolto in lui. Lo stregone, ovviamente, non ne sembrava minimamente turbata. Chissà quanti orchi aveva ucciso nella sua lunga vita…quanti esseri umani.
Accolse con gioia le prime luci dell’alba. Il sole filtrava da qualche spiraglio tra le nubi che ancora non davano segno di dissiparsi. In silenzio, si prepararono a affrontare un’altra lunga giornata di viaggio. E senza cibo, grazie alla visita della notte precedente.
Come Abby aveva preannunciato, nella prima mattinata si lasciarono alle spalle il Bosco Lossar. Più ad Est, il nastro opaco del Morgael scompariva in lontananza. Lentamente, la vita tornava a governare la natura: prima pascoli, poi campi coltivati e qualche fattoria, poi piccoli centri abitati, facevano la loro apparizione nello scenario. Ma la gioia per la ricomparsa degli esseri umani fu presto offuscata dai segnali del passaggio degli orchi: coltivazioni calpestate, recinzioni divelte, rifiuti e capanni bruciati. I contadini li squadravano con sospetto, al loro passaggio i bambini correvano a nascondersi. Nei paesi, la situazione non era molto migliore. Si incontravano poche persone, e tutte – notò Liam – portavano un qualche tipo di arma in bella vista, donne incluse.
«Non mi piace» mormorò lasciando l’ennesimo borgo seguito dagli sguardi spaventati dei pochi esseri umani in circolazione.
Abigail annuì.
«Questi atteggiamenti…non sono quelli di persone scioccate da un evento improvviso. Sono tesi, sono all’erta. Come se si fossero abituati a convivere con questo flagello.»
Liam la guardò sgranando gli occhi.
«Credi che queste non siano le prime scorribande degli orchi?!» esclamò.
«Non farmi quegli occhioni da cerbiatto spaventato, mago! Ti rammento che a breve saremo in guerra! E per rispondere alla tua domanda, sì, credo che questi cosi se ne vadano in giro per questo territorio da un bel po’…» Intercalò una sfilza di imprecazioni in una lingua che Liam non aveva mai sentito. «Rafik aveva ragione, quel dannato drago ci sta fregando come fossimo dei pivelli!»
Liam rabbrividì. Gli occhi dello stregone si erano ridotti a due fessure e brillavano d’ira.
«Cerca di calmarti, adesso. Per il momento limitiamoci a raggiungere incolumi Phia, da là potrai comunicare con i tuoi amichetti e mandare Caleb a fare pulizia. Sta bene?»
«Sta bene» sibilò Abby.
Liam prese un sospiro di sollievo. Uno stregone impazzito in mezzo ad una compagna popolata di orchi. Situazione assolutamente pericolosa.
 
Amina passeggiava nervosamente avanti e indietro nella sala riunioni del quartier generale di Ruben, a Natìm. Avevano deciso che uno di loro sarebbe rimasto sempre a guardia di Irthen, per essere certi che non gli accadesse niente – o nient’altro, per meglio dire. Così si era persa la riunione strategica tenutasi durante il suo turno di guardia. Quando Chloé le aveva dato il cambio, le aveva detto di recarsi subito in sala riunioni, perché il Maestro potesse aggiornarla. Ma era più di mezz’ora che aspettava, invano, l’arrivo di Ruben.
«Speriamo non sia successo nulla» mormorò tra sé e sé.
Da quando, due giorni prima, si erano perse le tracce del piccolo Lukas, il quartier generale era continuamente sottosopra. Le loro spie lavoravano a ritmi serrati per trovare conferme o smentite ai loro peggiori timori: che il bambino fosse finito tra le mani di Alec e che la guerra sarebbe presto scoppiata. Oliandro aveva assicurato loro che Liam sapeva come arginare il suo potere, ma era comunque troppo presto, non erano pronti per affrontare la guerra. Prima di tutto, i civili non ne sapevano ancora nulla, e bisognava trovare il modo di avvertirli. In secondo luogo, gli Unicorni non si erano ancora decisi ad appoggiare Ruben e i suoi. Infine, Liam era lontano, e con uno stregone per giunta! Si fermò e prese due respiri profondi.
“Calma, Mina, calma. Se ti fai prendere dal panico è la fine. Hai già fatto abbastanza danni perdendo Ir” si ripeté.
Aveva interrogato i figli del Governatore Glenndois circa il metodo che gli elfi potevano conoscere per risvegliare il ragazzo, ma questi avevano asserito di non saperne nulla. Rowena aveva detto, però, che a Lumia c’era una splendida biblioteca, che racchiudeva tutto il sapere elfico dalle origini della Terra dei Tuoni, e che certamente là ci sarebbe stata una risposta. Così non poteva fare altro che osservarlo e aspettare. Controllare ogni tanto i parametri vitali, e aspettare ancora. Sospirò.
«Perché sospiri, Mina?»
Amina si volse di scatto. Ruben era entrato silenziosamente e si stava chiudendo la porta alle spalle.
«Ci sono novità?» domandò di rimando.
«Accomodati.»
Ruben accompagnò le sue parole con un gesto brusco della mano. Amina esitò, poi obbedì. Il mago si sedette a sua volta e si passò le mani sul viso con aria stanca. Ruben era originario di Phia, come Konstantin, perciò Amina sapeva qualcosa in più degli altri sul suo passato. Sapeva che aveva cinquantatre anni, ma che ne dimostrava qualcuno di meno. Sapeva che aveva avuto una moglie, che l’aveva lasciato per un altro uomo. Sapeva che non aveva figli, ma che aveva un padre molto anziano nella sua città natale. Sapeva che dietro al suo fare autoritario e dietro a quegli imperturbabili occhi azzurri, c’erano esitazioni e debolezze che raramente mostrava. Quello, era uno di quei rari momenti.
Amina distolse lo sguardo, imbarazzata, e fissò gli occhi sulle pareti spoglie di quella stanza senza finestre.
«Amina della Terra, non allontanare i tuoi occhi da me come fossi un lebbroso. Come sta il ragazzo?» mormorò.
La maga deglutì a vuoto. Il Maestro era sempre stato un acuto osservatore, aveva sempre saputo leggere nella sua mente come in un libro aperto.
«Le condizioni di Irthen sono invariate» rispose.
Ruben annuì.
«Glenndois ci comunica che gli orchi stanno risalendo i confini del Bosco Lossar. Ho mandato Debrina e Timothy a verificare la situazione. Inoltre, le nostre spie a Torat hanno notato movimenti sospetti al quartier generale di Micael.»
«Movimenti sospetti?» domandò Amina.
«Sono rientrati molti agenti e spie che fino a pochi giorni fa erano disseminati per  tutta la Terra dei Tuoni, tra i quali anche Alec del Fuoco, Rayhana dell’Acqua, e una ragazzina che a detta di Oliandro dovrebbe chiamarsi Ophelia della Terra.»
«Alec e Rayhana cercavano Lukas dell’Aria…»
«Esatto. Anche se nessuno ha effettivamente visto il bambino entrare nell’edificio, è logico supporre che sia stato catturato. E noi ci comporteremo di conseguenza.»
«Ovvero?»
Ruben congiunse la mani davanti al viso, e la maga rabbrividì. Gli occhi del Maestro si assottigliarono.
«Ovvero, ho richiamato anch’io i nostri maghi, e ho dato l’ultimatum agli Unicorni. Se il bambino è nelle mani di Micael, dobbiamo farci trovare pronti. Inoltre – e ti prego di non diffondere questa notizia, dal momento che gli unici a saperlo, per il momento, siete tu e Stan – Jonna del Fuoco ci sta raggiungendo. E con lei qui, avremo un canale aperto con la mente di Djalmat.»
Amina annuì, pregando che Ruben non notasse il sudore freddo che le imperlava la fronte.
Jonna del Fuoco. L’ultima follia del capo. Una donna tanto bella quanto gelida, spuntata dal nulla con i suoi incredibili poteri, e con la sua innata capacità di vedere con gli occhi del Re dei draghi. Ruben ne era follemente innamorato, e la teneva in una gabbia dorata in attesa del momento migliore per utilizzare la sua utilissima capacità. Amina l’aveva incontrata solo due volte, e le erano bastate. Jonna aveva il cuore di ghiaccio, e un sangue freddo degno di un sicario.
«Sei tra noi, Mina?» domandò Ruben agitandole una mano davanti al viso.
«Sì, certo, scusami. Pensavo. Dovremmo avvisare Liam?»
«No, Liam è in compagnia della Lama, gli stregoni saranno sicuramente più informati di noi circa la sorte di Lukas. Prepariamoci a combattere, amica mia. Da cinque anni ci prepariamo a questo momento.»
Amina si congedò e si diresse stancamente verso la sua stanza. Lukas catturato, Liam lontano, gli orchi a due passi da Natìm e Micael sul piede di guerra. Il dado era tratto, e, presto, avrebbe dovuto scendere in campo e affrontare Alec a viso aperto.
 
Il profilo di Phia si stagliò all’orizzonte nella luce del tramonto. Come da programma.
«Le porte sono state sprangate» disse Abby stringendo gli occhi. «Maledizione, si sta facendo buio.»
«Che cosa facciamo?» domandò Liam.
Abby si massaggiò la fronte.
«Bussiamo, ci identifichiamo e chiediamo di entrare per la notte. Phia è una città di contadini, non possono essere tanto crudeli da lasciarci fuori!»
Spronò il cavallo e Liam la lasciò andare avanti. Una ragazza alle porte di una città in stato d’allerta, dopo il tramonto: al posto del guardiano, lui, avrebbe aperto.
Aveva sempre immaginato Phia come una grande città, con mura solide e un grande portone d’ingresso. Ma ora che se la trovava davanti, si rendeva conto di essersi completamente sbagliato. Come aveva detto la strega, era una città di contadini: mura di legno, portoncino con finestrella, dimensioni modeste e tetti di paglia.
«Che postaccio» mormorò tra sé e sé, mentre Abby smontava da cavallo e bussava con le nocche sulla porta.
La finestrella si aprì e due occhi spaventati scrutarono i viaggiatori.
«Cosa volete?» sibilò il guardiano.
«Ricovero per questa notte.»
«Chi siete?» domandò ancora.
«Emelia e Liam, di Pothien.»
Il mago le lanciò un’occhiata omicida e smontò a sua volta per avvicinarsi.
«Che cosa vi porta a Phia?»
«Siamo solo di passaggio» rispose Abby, spazientita.
«Facci entrare, buon uomo. La notte è prossima, e non è sicuro qua fuori…» pregò Liam.
L’uomo esitò ancora un momento, poi chiuse la finestrella. Liam ed Abby si guardarono preoccupati, ma il rumore metallico del catenaccio, seguito dallo stridio dei cardini li rasserenò. La porta si aprì, e il guardiano li studiò da capo a piedi.
«Siete armati?» domandò.
«Certo che siamo armati! Se non l’hai notato, è pieno di orchi, qua fuori!» sbottò Liam, censurando un “razza di idiota” per amor del quieto vivere.
L’uomo lo guardò storto e si fece da parte per lasciarli passare. Poi richiuse velocemente la porta e la sprangò.
«Se cercate un posto dove passare la notte, girate a destra e poi ancora a destra. Troverete una locanda chiamata “Le tre pinte”. È una bettola, ma è l’unico posto che riuscirete a raggiungere prima che scatti il coprifuoco. Quindi muovetevi!»
Indispettito, il mago gli volse le spalle e si incamminò nella direzione che gli era stata indicata. Sentì Abby, alle sue spalle, ringraziare il guardiano e si domandò che bisogno ci fosse di ringraziare una persona tanto maleducata.
Il cartello consumato della locanda dondolava nella brezza tiepida. Liam prese un bel respiro e spinse la porta. Il vociare che si aspettava ferisse le sue orecchie era del tutto assente. Anche del fumo, tipico attributo di quel genere di posto, non vi era traccia. Sbatté le palpebre, mentre gli occhi dell’oste, della cameriera e degli unici due avventori, s spostavano, stupiti, su di loro.
«Buonasera» disse la strega, precedendolo.
«Bu-buonasera a voi» rispose l’oste, posando il boccale che stava asciugando. «Posso aiutarvi?»
«Cerchiamo alloggio per questa notte. Per noi e per i nostri cavalli.»
L’uomo si grattò la barba ispida e annuì.
«Adam!» gridò affacciandosi alla porta della cucina.
Un ragazzino con un grembiule sudicio comparve pulendosi le mani nello strofinaccio.
«Clienti?!» mormorò sgranando gli occhi.
«Clienti con cavalli, ragazzo» precisò l’oste.
Adam annuì e uscì di corsa.
Liam lo seguì con lo sguardo, domandandosi da quanto tempo gli orchi devastassero quella zona.
«Penserà mio nipote ai vostri cavalli. Prego, accomodatevi. Come posso servirvi?»
Abigail si fece avanti ed elargì un paio di larghi sorrisi rassicuranti all’uomo e alla cameriera.
«Vorremmo mettere qualcosa sotto i denti. E una stanza» disse.
«Due» corresse Liam.
Abby lo guardò perplessa per un secondo.
«D’accordo, due» concesse, tornando a concentrarsi sull’oste, che spostava lo sguardo dall’uno all’altra, incuriosito.
«Russa» spiegò Liam con un’alzata di spalle.
L’uomo esitò, poi fece loro cenno di seguirlo al primo piano. L’angusta scaletta sbucava in un corridoio buio, sul quale si affacciavano cinque porte. Ne indicò loro due e tornò al piano terra, con la promessa di uno spezzatino caldo.
 
Dopo essersi dato una lavata e una sistemata, Liam si stese sul letto e chiuse gli occhi. Ad una manciata di giorni di viaggio, tutto il suo mondo stava in attesa del suo ritorno, possibilmente con una soluzione in mano. Irthen, Chloé, Ruben e i suoi seguaci…e gli orchi avanzavano velocemente verso di loro. Non aveva dubbi che Ruben avrebbe saputo proteggere i suoi cari in sua assenza, ma non gli piaceva affatto l’idea che quegli affari bitorzoluti si avvicinassero tanto velocemente alla sua famiglia. Sospirò. La porta si aprì e il mago aprì gli occhi. Abigail stava in piedi sull’uscio, con la solita aria di superiorità.
«Non usa più bussare?» domandò Liam.
«Due stanze, Liam?» domandò in risposta lei. «Spiegami una cosa: abbiamo dormito ad un passo e mezzo di distanza per tre notti, gratis, oggi che si paga prendiamo due stanze?! Hai l’albero dei soldi, in giardino?!»
Liam richiuse gli occhi, cercando di controllare l’istinto omicida. Quella sua voce vellutata, che un tempo tanto gli piaceva, non riusciva proprio più a soffrirla.
«Non sono ancora così disperato. Te l’ho detto, il mio lavoro rende bene. E sarei disposto a privarmi di un paio di pasti pur di averti fuori dal mio campo visivo per qualche ora.»
Abby fece per ribattere, ma all’ultimo momento sembrò ripensarci.
«Ho fame» disse invece. «Sei pronto?»
Liam sbuffò e si trasse a sedere. Non gli sembrava vero di avere davanti un’intera notte in un letto comodo, con un cuscino, una brocca d’acqua sul comodino, un pettine…
«Liam? Sei tra noi?!» sbottò la strega.
«Sì, arrivo, che palle! Coraggio, Emelia, il nostro spezzatino sarà pronto ormai…» sibilò dedicandole una nuova occhiataccia.







*************
Io mi ero impegnata per darmi delle scadenze, ve lo giuro, ma questa combinata Abby-Liam mi inibisce la voglia di scrivere!!! Non lo sopporto insieme >.< 
Ragazzi faccio una precisazione, dal momento che mi è stato fatto presente che la situazione non è chiara:
Lukas è importante per tutti gli schieramenti perché___
1. Micael ne ha bisogno per contrastare il buon Ruben, che è più "attrezzato", e per polverizzare lui e tutti i suoi amichetti;
2. Ruben, a sua volta, ha tutto l'interesse che Lukas non finasca tra le mani del nemico, anche se ha deciso di non sfruttare il suo potere a proprio vantaggio perché, nonostante sia ghignoso, Ruben è il capo dei "buoni";
3. Gli stregoni sono quelli più interessati di tutti, dal momento che se Micael ottiene il bambino può eliminare Ruben, e se Micael elimina Ruben loro hanno la metà della gente da affrontare al momento decisivo. Quindi tante gatte da pelare in meno!
Meglio con lo schemino riassuntivo?
Baciii

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Capitolo 27
*** Compromessi ***


«Come avete detto di chiamarvi?» domandò l’oste, servendo un cestino di pane.
«Io sono Emelia. E lui è Liam» ripeté la ragazza, abbuffandosi di carne.
«Piacere di conoscervi, ragazzi. Io sono Stephan. Lei è mia figlia Karen.»
La cameriera sorrise e abbozzò un inchino, poi tornò a strofinare il tavolo lasciato libero dagli ultimi due avventori.
«Cosa vi porta in questa terra dimenticata dagli Dei?»
Abby sfoggiò uno sguardo addolorato perfettamente intonato alla situazione.
«Il fratello di Liam è malato. Stiamo andando a cercare un vecchio amico medico che potrebbe essere capace di curarlo.»
Stephan si sedette a tavola con loro e sospirò.
«Mi dispiace. Sono tempi duri per viaggiare, questi. Venite da lontano, vero?»
«Abbastanza» rispose Liam a denti stretti, schifato dalla naturalezza con cui Abigail mentiva.
«Lungo la strada abbiamo incontrato una banda di orchi. L’abbiamo evitata. Pensavamo fosse un caso isolato, ma poi…» Abby esitò e abbassò gli occhi «poi abbiamo visto la campagna devastata, i paesi in stato d’allerta, e, infine, Phia, con coprifuoco e tutto il resto. Da quanto va avanti questa storia?» mormorò.
Liam staccò gli occhi dalla carne. Avrebbe dovuto ammirare l’abilità con cui la strega aveva saputo condurre la conversazione a loro vantaggio, ma non poteva fare a meno di biasimarla. Forse, era solo invidioso…
L’oste sospirò di nuovo e si afflosciò sullo schienale della sedia.
«La prima banda di orchi è comparsa tre mesi fa. E da allora la zona è flagellata dalla loro presenza. Calpestano le coltivazioni, bruciano le fattorie, rapiscono le donne…sono arrivati da Sud, e sembra non abbiano alcuna intenzione di andarsene» fece una pausa e scambiò uno sguardo affranto con la figlia. «La situazione economica sta peggiorando, perché nessuno osa più viaggiare, e anche il commercio ristagna.»
«Avete provato a cacciarli?» domandò Liam.
«Ci abbiamo provato, certo» intervenne Karen. «Ma non siamo avvezzi all’uso delle armi. Siamo contadini e pastori. Le nostre perdite superavano di gran lunga le loro, così ci abbiamo rinunciato» concluse con un’alzata di spalle.
“Tutto questo grazie a te, strega”, urlava la vocina nella testa del mago.
Evitò lo sguardo di Abigail, perché sapeva che cosa ci avrebbe trovato: un misto di pietà e timore che celavano alla perfezione la sua reale indifferenza al problema. Nella testa di quella donna, l’unica cosa davvero importante era recuperare quante più informazioni possibile sulla situazione, per poterle riferire allo stronzone – Caleb. Stephan spiegò loro che il coprifuoco veniva rimosso alle prime luci dell’alba, per consentire ai contadini di recarsi nei campi limitrofi.
«Partirete presto?» domandò l’uomo.
Lo stregone guardò Liam, che si arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice, combattuto.
«Non lo so, Emelia…da un lato, il tempo stringe, dall’altro, ho indecentemente bisogno di dormire. Tu cosa vorresti fare?»
Abby simulò un convincente sorriso affettuoso e vuotò il boccale di birra.
«Sta bene, amico mio, riposa pure un po’ di più domani! Chissà che il tuo umore non migliori dopo una notte di buon sonno.»
Gli strizzò l’occhio con aria complice e Liam sgranò gli occhi, senza capire.
Dopo aver servito loro una fetta di torta, Stephan e Karen si ritirarono in cucina, per aiutare il ragazzino e la moglie dell’oste a riordinare.
Una volta soli, Abby gli rivolse uno sguardo malizioso.
«Che ti prende?» domandò Liam, sulla difensiva.
«Si vede che stai invecchiando, tesoro» commentò la ragazza divertita.
«Ma di che cavolo parli?!»
Abby rivolse gli occhi alla porta della cucina e prese a giocherellare con una treccina, con aria innocente.
«Quella Karen…quanti anni avrà? Diciotto, diciannove?»
«Anche venti» corresse Liam.
«Bene, mi preoccupa che tu non l’abbia notato. Non ti ha mai tolto gli occhi di dosso. E, dal momento che sono magnanima, ti ho accordato qualche ora di sonno in più. Vedi di farla fruttare.»
Posò la forchetta, si alzò e si allontanò.
«Buona notte, signori!» disse, passando davanti alla cucina, prima di sparire lungo la scala.
Liam fissò il punto in cui era scomparsa, perplesso, per qualche secondo, poi finì la sua fetta di torta e vuotò il boccale. Stephan riemerse dalla cucina.
«Tutto di tuo gradimento, spero» disse.
«Tutto ottimo! Dico davvero» rispose con un sorriso amichevole.
L’oste annuì soddisfatto e sparecchiò. Dalla stanza accanto giunse la risata allegra di Karen e Liam si trovò a pensare che, tutto sommato, era carina.
«Sarebbe possibile passare a salutare il mio cavallo, prima di ritirarmi?» domandò, colto dall’improvviso desiderio di verificare la teoria dello stregone.
L’uomo lo guardò per un secondo, esitante.
«Temi che Adam non si sia occupato di lui nel migliore dei modi?»
«Lungi da me, buon uomo! È solo che sono in viaggio da quasi venti giorni, e ho preso l’abitudine di fare una chiacchierata con lui, prima di dormire, mi aiuta a rilassarmi» spiegò.
L’uomo si rasserenò.
«Capisco. Il fatto è che io e mia moglie avremmo voluto ritirarci presto…»
«Non preoccuparti, papà» intervenne Karen alle sue spalle. «Lo aspetterò io. Una volta che abbiamo clienti, non vorrai privarli di un sonno sereno!»
Stephan le dedicò un sorriso affettuoso e le accarezzò la guancia.
«Grazie, figliola. Accompagnalo tu, allora. E ricorda di chiudere bene la porta, quando rientrate.»
La ragazza fece cenno a Liam di seguirla, così il mago si alzò e si affrettò ad obbedire, domandandosi se quell’atto di magnanimità fosse una coincidenza oppure una conferma alla teoria di Abigail. Che cosa avrebbe potuto fargli, il buon oste, se avesse osato sfiorare sua figlia? Liam ghignò.
La porta di servizio si affacciava su un cortile. Nell’ombra, la stalla sembrava minuscola.
«Grazie, Karen. Sei stata davvero gentile ad accontentarmi» disse Liam con un sorriso, mutuato più dalla presa di consapevolezza delle belle forme della ragazza che dalla cortesia.
Karen gli sorrise di rimando, senza un briciolo di vergogna nonostante lo sguardo insistente del mago.
«Sono io a dover ringraziare te. Tu e la tua amica avete movimentato la serata, e, credimi, ce n’era davvero bisogno!»
“Che ne pensi, mago, ci starà?” mormorò speranzosa la vocina nella sua testa.
Liam deglutì a vuoto.
«Sai, Karen, avevo veramente bisogno di prendere fiato. Sono solo tre giorni che viaggio con Emelia, e già non ci sopportiamo più. Non so proprio che cosa ci trovi mio fratello in lei…»
La ragazza spinse la porta della stalla, che si aprì con un cigolio, e accese una lanterna. Lasciò passare il mago e chiuse la porta.
«È la ragazza di tuo fratello?»
Nella luce tremolante, a Liam non sfuggì l’occhiata sospettosa.
«Più o meno» rispose, senza smettere di fissarla.
La ragazza deglutì e disse:
«Il tuo cavallo è laggiù…sempre che tu sia ancora interessato ad intrattenerti con lui» aggiunse con un velo di malizia.
Liam fece un passo verso di lei e mormorò:
«Beh, se tu volessi farmi compagnia, sono certo che Baio non se ne avrebbe a male.»
Karen sorrise e sfilò il grembiule. Liam la attirò a sé e la baciò, pregando che al povero Stephan non venisse voglia di andare a controllare.
 
Al sorgere del sole, il mago si obbligò ad alzarsi. Fino alla notte prima non aveva mai voluto riconoscerlo con sé stesso, ma la verità era che lui aveva un problema. Un serio problema, una vera e propria dipendenza. Accompagnata da una carenza di autocontrollo. E a dimostrarlo era il fatto che, con tutta la naturalezza dell’universo, aveva lasciato la cameriera, a notte fonda, sul primo gradino della scala, era salito nella sua stanza, si era lavato, pettinato, e se n’era andato a letto. E aveva dormito indecentemente bene.
Si guardò allo specchio e si disse:
«Se non è dipendenza questa, Li’…»
Domandandosi come potesse non farsi schifo da solo, districò una pagliuzza superstite dai capelli e si diede un’ultima occhiata. L’accenno di occhiaie che avevano incorniciato gli occhi scuri era scomparso, e anche le rughe d’espressione sembravano attenuate.
«Visionario» mormorò.
Due colpi alla porta lo fecero sobbalzare.
«Ci siamo?» disse Abby dal corridoio.
La voce attutita gli fece meno effetto urticante del solito. Sorrise tra sé, aprendo la porta. Drogato o no, era evidente che l’astinenza lo rendeva eccessivamente irritabile.
Dopo un’abbondante colazione servita da un’assonnata Karen, Liam saldò il conto e si rimisero in marcia.
Lasciarono Phia in silenzio. Le strade popolate di persone schive sembravano troppo poco sicure per qualunque genere di discorso che non inerisse il meteo. Quando si furono finalmente lasciati alle spalle la diffidenza dei cittadini, Liam sentì di poter respirare più liberamente.
«Qual è il programma di oggi, capo?» domandò stiracchiandosi.
«Diritto verso Sud. Presto ci troveremo a spostarci lungo il confine del bosco, e da quel momento dovremo limitarci a seguirlo, almeno fino a Fell. Da lì, un altro giorno di sopportazione e poi ti lascerò tutto solo soletto. Capito tutto, sì?»
Liam annuì, soddisfatto dell’insolita risposta esauriente.
«Allora…» cominciò Abby. «Tutto bene, la notte scorsa? Dal netto miglioramento del tuo umore e dalle occhiaie della cameriera devo dedurre di sì…»
Il mago le dedicò un sorrisetto compiaciuto.
«Possiamo dire di sì. Grazie della segnalazione.»
«Dovere. E poi, torna a mio vantaggio, eri davvero insopportabile, Liam! Non dovresti negarti le tue dosi.»
Liam non rispose, era troppo occupato a sopprimere la vocina che urlava:
”Se tu non avessi adescato Irthen, l’avrei riportato a casa e sarei tornato alla mia vita”.
«Ci sei?» insistette Abby.
«Ci sono, certo. Senti, posso chiederti come mai ti sei presentata come Emelia, anziché con il tuo vero nome?»
Abby lo guardò storto.
«Beh, scusa ma è evidente: quante Abigail credi che ci siano in giro per la Terra dei Tuoni con la mia pelle e i miei occhi? Siamo vicini al Reame Eterno, Horlon avrà sicuramente delle spie in giro, non mi va di annunciare il mio arrivo a cuor leggero. Soprattutto, non mi va che il mio nome venga accostato a orchi e affini.»
«Capisco, ma con tutti i nomi che ci sono, proprio Emelia dovevi riciclare?!» sbottò.
La ragazza gli fece la linguaccia.
«Ho pensato che ci fosse meno rischio che tu sbagliassi nome» rispose.
Liam scosse il capo.
La campagna attorno a loro non era poi molto diversa da quella del Nord. Distese di pannocchie a perdita d’occhio e, qua e là, un campo di frumento. Sospirò. Se pensava a tutto quello che lo attendeva gli girava la testa: gli elfi, il viaggio di ritorno a Natìm in un territorio infestato dagli orchi, Irthen, la guerra. E Syra. Cercava di non pensarci troppo, ma doveva anche risolvere quel problema.
«Ti senti bene?» domandò Abby.
«Abby.»
Il tono lugubre catturò l’attenzione dell’interlocutrice, che fissò gli occhi verdi su di lui.
«Abby, tu hai mai…hai mai incontrato Ophelia della Terra?»
Lo stregone sbatté le ciglia, perplessa.
«Perché me lo chiedi?»
Liam esitò. Per nessuna ragione al mondo le avrebbe confidato la natura del suo interesse. Non dopo quello che aveva fatto ad Irthen.
«Tu non puoi dirmi le ragioni della tua domanda» disse Abigail, tornando a guardare davanti a sé. «E io non posso rispondere con chiarezza. E non per via della tua reticenza, ma per una questione di inopportunità.»
«Non vuoi darmi informazioni utili sul nemico, è così?» domandò Liam.
«È così» confermò.
«Tuttavia l’hai incontrata» insistette.
Abby sospirò.
«Non esattamente. Diciamo che ho sentito parlare di lei da Rafik, che l’ha incontrata.»
«Oh» mormorò Liam, deluso. «Quindi non l’hai mai vista? Intendo dire, non sai che aspetto abbia?»
Abby si strinse nelle spalle.
«So solo che ha capelli e occhi scuri. Mi dispiace.»
Liam imprecò mentalmente. Notizie inutili.
«Credi di conoscerla?» domandò la ragazza.
Il mago scosse il capo.
«Gli Unicorni pensano di sì, ma…non importa, dimenticalo» concluse.
Proseguirono in silenzio per buona parte delle mattinata, fino a quando Abigail non proruppe in un grido, additando l’orizzonte.
«Il Reame Eterno!» spiegò, davanti allo sguardo sgomento del mago.
Strizzando gli occhi, il mago riuscì a fatica a distinguere il profilo del bosco.
«Certo che ci vedi bene…»
«Purtroppo sì, perché quelli sono orchi» ribatté.
Sferzò Luce.
«Dove sono? Io non li vedo.»
«Beh, sono perfettamente davanti a noi, dubito che riusciremo ad evitarli. Però…»
«Però?» incalzò Liam, incitando Baio, che faticava a tenere il passo.
«Fidati di me» disse in un tono che non ammetteva repliche.
Liam deglutì a vuoto, certo che fidarsi di Abigail fosse tutt’altro che un’idea salutare.
Seguendo, obbediente, il cavallo bianco, il mago cercò di svuotare la mente da ogni genere di domanda che poteva mandarlo in panico e farlo girare sui tacchi. Infondo, Abby non aveva alcun interesse ad intrattenersi con quegli affari bitorzoluti e puzzolenti, aveva dimostrato spesse volte di odiarli con tutta l’anima, perché preoccuparsi? Allora perché l’aria baldanzosa con cui si avvicinava all’accampamento degli infidi gli sembrava tanto sospetta?
Quando giunsero al limite della gittata delle frecce, lo stregone si fermò e attese che Liam si affiancasse.
«Ce la fai a tenere lo sguardo fisso davanti a te? E a non parlare?» disse.
«Come se fossi in trance?»
«Precisamente. Tu sarai mio prigioniero, sarai sotto la mia ipnosi, e chiederò ai nostri preziosi alleati acqua e provviste per continuare il viaggio verso Sud, verso la Terra dei Draghi. Non mi negheranno l’accesso al loro accampamento, l’unica obiezione potrebbe essere inerente alla tua presenza, ma se crederanno che tu sia sotto ipnosi non dovrebbero esserci problemi, sì?» spiegò.
Liam si arricciò una ciocca attorno alle dita.
«E se mi scoprono mi fanno secco? Sai, mi romperebbe parecchio finire sullo spiedo dei tuoi amici…sono ancora giovane per morire.»
Con un movimento troppo veloce perché il mago potesse avere il tempo di reagire, Abigail tese il braccio e gli strinse la gola tra le dita.
«Non. Osare. Chiamarli. Miei amici. Sono stata chiara, mago?»
Lo lasciò andare e Luce si mise al trotto.
«Preparati, tesoro. Si va in scena!»
Liam si massaggiò il collo, turbato. Avrebbe potuto ucciderlo, oh sì, avrebbe potuto ucciderlo come e quando avesse voluto! Altroché Caleb! Quella pazza era decisamente più pericolosa, senza l’amore incondizionato dello stronzone per la teatralità.
Prese un bel respiro, fissò lo sguardo davanti a sé e indossò la sua miglior faccia neutra, poi si affrettò a seguirla.
Dopo una lunga discussione fatta di grugniti e di non meglio definiti suoni gutturali, l’orco di guardia acconsentì a lasciarli passare. Facendo la massima attenzione a non farsi scoprire, Liam cercò di immagazzinare quante più informazioni possibile sul nemico, con la determinazione di trasmetterle a Ruben alla prima occasione. Avrebbe dovuto trovare un modo rapido di comunicare, come Amina, che aveva quella sua colomba…gli avrebbe fatto davvero comodo.
Un orco più addobbato di pelli e pezzi di armatura dei suoi simili si fece loro incontro, scambiò qualche parola con lo stregone e fece portare loro un otre d’acqua, uno di vino e un contenitore di carne scura e maleodorante, che Abigail rifiutò. Poi li accompagnò fuori dall’accampamento e grugnì un saluto.
«Anche meglio del previsto» commentò la ragazza quando furono sufficientemente lontani.
«Tanto per curiosità, posso sapere che cosa vi siete detti?» domandò Liam.
«Niente di avvincente. Hanno creduto subito che fossi la vera Abigail, chissà perché non hanno voluto rischiare!» ghignò. «Il difficile è stato convincerli che non c’era alcun pericolo nel portare te all’interno del loro accampamento. Ma, dopotutto, chi crederebbe mai che io e te viaggiamo insieme?!»
«Già…a volte non ci credo nemmeno io…» rispose Liam con un ghigno.
«Ad ogni modo, il comandante mi ha detto che ci sono altri due accampamenti tra qui e Fell, ma sono entrambi più ad Est, sulle rive del Lago Otre. Quindi non dovremmo incontrare altri problemi di questo genere. Ah, ha detto anche che gli elfi non si sono ancora visti.»
«Sta bene. Allora cerchiamo di accelerare il passo. Se questa sera saremo a Fell, domani sera potremmo essere in corrispondenza della Baia delle Sirene. Giusto?»
«Giusto. Hai sentito Luce? Si accelera!» disse, sferzando il cavallo e lanciandosi nella campagna.
 
Aqua lasciò scivolare lo sguardo sull’orizzonte piatto del Lago di Nebbia. Il resoconto di Debrina e Timothy non era per nulla lusinghiero. Accampamenti di orchi lungo Bosco Lossar, e con tutta probabilità lungo tutto il corso del Morgael, fino alla Terra dei Draghi. La guerra era vicina, vicina come mai lo era stata prima. E se gli orchi avessero continuato a stringere il cerchio, si sarebbero trovati a combattere proprio lì, sulle sponde del Lago, la zona più popolata della Terra dei Tuoni. Con il rischio che molti civili ci andassero di mezzo.
Si sedette sullo scoglio e sfiorò l’acqua con i polpastrelli. Il contatto con il freddo le schiarì la mente. Doveva convincere Ruben e tenere quei mostri fuori da Natìm, dovevano appostare una linea difensiva tra il Bosco e il punto in cui il Lago si restringeva e prendeva il nome di Fiume Llatas.  Dovevano impiegare almeno un mago di ogni elemento, e sperare che fosse sufficiente.
Balzò in piedi e tornò in città. Le vie di Natìm erano affollate a ora di pranzo. Persone ignare del pericolo che incombeva sul loro capo chiacchieravano e ridevano agli angoli delle vie, si infuriavano per il prezzo del pane, davano colpi ai muli indisciplinati. Con i capelli agitati dal vento, la maga accelerò il passo prima che la risolutezza la abbandonasse. Individuò il quartier generale, un edificio basso, con un grande portone di quercia. Bussò con il batacchio, e l’usciere le aprì. Attraversò l’ingresso senza compiacersi dell’arredamento essenziale ma raffinato, emblema dello stile del Maestro, salì a due a due i gradini della scala a chiocciola di pietra che portava alle stanze, percorse il lungo corridoio illuminato dalla luce grigiolina della giornata nuvolosa che filtrava dalle finestre, e si fermò davanti alla porta della stanza di Debrina. Bloccò la mano a un pollice dalla porta. Non poteva presentarsi da lei con il fiatone e l’aria di chi ha appena visto un fantasma, non sarebbe stata credibile, e non le andava proprio di fare la figura della ragazzina davanti a quell’antipatica di Debrina. Attese pazientemente che il respiro tornasse regolare, solo allora bussò.
I passi pesanti della maga risuonarono oltre la porta, che si aprì. La donna teneva in mano una pergamena, e non aveva un aspetto molto rilassato.
«Che vuoi?» sbottò.
Aqua deglutì. Quanto la odiava.
«Posso entrare? È successo qualcosa?» domandò, più per educazione che perché si aspettasse una risposta.
Debrina abbassò lo sguardo, poi si fece da parte e la lasciò entrare, per poi richiudere la porta alle sue spalle.
«Mi è appena giunta una lettera di James» disse.
«Tuo fratello? Sta bene?» chiese Aqua, sentendosi stringere il petto da una fitta di apprensione.
Ma Debrina annuì.
«Sta bene, sì, ma ha rischiato grosso. Ha incontrato un contingente di orchetti poco lontano da Clas, mentre risaliva la sponda Est del Lago per rientrare alla base come ha ordinato Ruben.»
Aqua spalancò la bocca, sopraffatta dalla sorpresa.
«Orchetti? Anche ad Est?!» esclamò.
«A quanto pare sì. Che cosa volevi?»
Aqua si torse le dita.
«Veramente, era proprio di questo che volevo parlarti. Volevo il tuo parere prima di andare dal Maestro a fare figuracce.»
Debrina si sedette.
«Perché proprio il mio?» domandò.
«Perché è risaputo che io e te non andiamo d’accordo. Se tu condividerai il mio punto di vista, significa che non è una pessima idea.»
«Sentiamo.»
Aqua prese un bel respiro.
«Gli orchi risalgono Bosco Lossar. Si suppone siano diretti qui. Ma i cittadini privi di poteri magici non sospettano nulla, e noi siamo ancora troppo pochi, finirebbe in un bagno di sangue. A meno che noi non collochiamo una linea difensiva nella strettoia tra il Bosco e il Llatas, dove potremo affrontare gli orchi a mano a mano arrivano. Avremmo più probabilità di vittoria e i cittadini rischierebbero meno» spiegò.
Debrina annuì.
«Per fare questo però servirebbe almeno un mago di ogni elemento…»
Aqua sorrise.
«Sei giunta alla mia stessa conclusione, Dede.»
Debrina balzò in piedi e le tese la mano.
«Aqua dell’Acqua, sei una ragazzina insolente e hai un nome ridicolo, ma sono d’accordo con te, e sono stanca di starmene qui a languire. Il tuo piano mi piace.»
Aqua le strinse la mano, soddisfatta. La donna si volse e lasciò la stanza.
«Do-dove vai?» balbettò la ragazza.
«A cercare Ruben!» gridò Debrina in risposta.
Aqua sospirò. Finalmente, forse, qualcosa si sarebbe sbloccato.



********************
Credetemi non sono morta. Vivo sepolta dai codici, ma non sono ancora morta. Abbiate fede, anche Liam troverà il suo spazio XD

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Capitolo 28
*** Biforcazioni ***


Anche Fell si dimostrò essere sul piede di guerra. Meno pacifici degli abitanti di Phia, i vicini di casa avevano piazzato sentinelle, posti di guardia, blocchi stradali e guarnigioni. Quanto quelle precauzioni fossero effettivamente utili, Liam non lo sapeva, ma giudicò comunque ammirevole l’impegno.
Superati senza particolari difficoltà tutti i controlli, i due riuscirono ad entrare in città e pernottarono in una locanda sulla via principale, con l’intenzione di passare una notte tranquilla. Quando si rimisero sulla strada, la mattina dopo, avevano racimolato qualche notizia utile: non solo gli orchi provenienti da Sud avevano un capo, ma quel capo era un drago! I viaggiatori erano riusciti a mostrarsi sorpresi e inorriditi di fronte alla notizia incredibile, assecondando le aspettative dell’oste, che aveva raccontato loro il terribile pettegolezzo. Tuttavia, lo sguardo d’intesa che si scambiarono era carico di una preoccupazione diversa. Perché sapevano di Djalmat? Chi aveva diffuso quella voce? Che anche i draghi fossero in movimento? Che si fossero già palesati? Da ultimo, erano stati raggiunti da un dispaccio che metteva in guardia gli abitanti e i contadini di Fell da una nutrita banda di orchetti in rapido avvicinamento da Est. I due ringraziarono e si affrettarono. Appena lasciata la città, deviarono verso Ovest, per tenersi il più possibile vicino al bosco ed evitare così di dover escogitare qualche nuova messa in scena. E se c’erano dei draghi in zona – eventualità che non poteva più essere esclusa – era meglio tenere aperta una via di fuga rapida.
 
Aqua poteva ritenersi soddisfatta. Quando lei e Debrina si erano presentate da Ruben con la loro proposta, questo non aveva avuto bisogno di rifletterci troppo per rendersi conto che era necessario fermare il nemico.
“Tuttavia” aveva detto “dal momento che James parla di orchetti ad Est, dobbiamo stringere i tempi. La situazione è peggiore di quanto pensassi. È giunta l’ora di avvisare i civili.”
Così era stata indetta una riunione straordinaria, e i compiti erano stati divisi: Aqua dell’Acqua, Debrina del Fuoco, Erika della Terra e Timothy dell’Aria sarebbero partiti senza indugio per far fronte all’emergenza ad Ovest; Christalia della Terra, Gedeone dell’Acqua e Konstantin della Terra si sarebbero occupati, insieme ad Tiana dell’Aria e a Peter dell’Acqua, appena rientrati, rispettivamente, da Madian e da Anànvola, della linea difensiva ad Est di Effort; Amina della Terra sarebbe rimasta al quartier generale per occuparsi di Irthen, in compagnia di Eetan del Fuoco, di Hailie dell’Aria e Jonathan della Terra; nel mentre, Ruben avrebbe passato in rassegna i governanti delle città più popolose per chiarire la situazione e diffondere l’allarme, cercare alleanze e offrire aiuti; Chloé, invece, aveva il compito di raccogliere consensi tra i civili, coadiuvata dalla cerchia più stretta di sostenitori della fazione di Ruben.
Con le prime luci dell’alba, il gruppetto diretto ad Ovest lasciò Natìm. Un mago per ogni elemento. “È pochino, ma può bastare”, pensò Aqua.
Dopotutto, anche se Timothy era ancora troppo giovane per poter essere considerato affidabile sul campo di battaglia, Erika e Debrina erano maghe navigate, di quelle che sanno come gestire le situazioni critiche e ricondurle a loro vantaggio. Ruben aveva fatto un buon lavoro.
«Quanto credi che impiegheremo a raggiungere la meta?»
Aqua sobbalzò. Timothy la fissava con gli occhi sgranati. Vulnerabile. Quegli occhioni da cucciolo lo facevano sembrare vulnerabile. Doveva imparare a controllare le proprie emozioni, o non avrebbe retto alla pressione della guerra.
«Credo che stasera potremmo trovarci già nel punto concordato. Ma dipende molto da quanto reggeranno i cavalli» rispose.
Il ragazzo annuì e tornò a fissare la strada davanti a sé. Aqua indugiò sui ricordi dei suoi diciassette anni. Non che fosse passato molto, da allora. Ma a quell’età, lei aveva già combattuto, aveva già affrontato la morte e la violenza, aveva partecipato al Consiglio di Effort e visto con i suoi stessi occhi a che cosa può portare l’avidità dell’essere umano. Scosse il capo, chiedendosi se fosse vero quel che si dice, che non tutto il male viene per nuocere.
«Notizie di tuo fratello, Dede?» domandò Erika.
Aqua si fece attenta. La salute di James le stava a cuore, nonostante avesse lo stesso sangue di Debrina, lo trovava molto più interessante di lei. E di certo era meno scorbutico.
«Nessuna, dopo ieri. Non so nemmeno quando possa raggiungere Natìm, dato che non era certo di riuscire a trovare un passaggio in nave. Spero che non si faccia ammazzare.»
Gli altri tre annuirono, convinti.
«Ad ogni modo» aggiunse Debrina, «cominciate a pensare ad una strategia d’attacco, onde evitare di essere noi a finire ammazzati. Anche se mi rendo conto che quando ci si chiama Aqua non si può pretendere troppo dal proprio cervello…»
Aqua ignorò la frecciatina e si concentrò sul rumore delle onde del Lago che si infrangevano sugli scogli, poco lontano. Un giorno, Debrina e tutti gli idioti come lei avrebbero avuto la loro ricompensa.
 
Liam non poteva fare a meno di pensare che, nella luce grigiolina della giornata nuvolosa, l’immensa distesa di alberi fosse minacciosa. Forse perché la immaginava popolata di elfi antipatici come Glenndois, forse perché sapeva che avrebbe dovuto attraversarla da solo, oppure perché non poteva prevedere quanto fosse realmente estesa. Tuttavia, quella era l’unica possibilità che aveva per spezzare il sonno di Irthen, quindi poche storie. Baio reggeva incredibilmente bene i ritmi di marcia, e il mago sospettava che Abigail stesse in qualche modo influendo sulla sua resistenza. Meglio così: più veloce si fossero allontanati, meno facile sarebbe stato imbattersi nei nemici accampati sulle sponde del lago Otre.
Lo stregone se ne stava in silenzio, forse pensava a come gestire un eventuale attacco. E mentre bruciavano strada, i centri abitati diventavano sempre più simili a villaggi, i campi lasciavano spazio a vaste distese di erbacce, le nuvole diventavano sempre più grigie.
«Che cos’è quello, Abigail?» domandò Liam, quando un puntino scuro comparve nel cielo all’orizzonte.
Lo stregone strizzò gli occhi.
«Non lo so, ma direi che è qualcosa che vola» rispose.
Continuarono a fissare il punto, mentre diventava via via più grande.
«Si muove velocemente…» osservò il mago.
«Un po’ troppo velocemente, per i miei gusti. E poi, ora che lo vedo meglio…»
La voce di Abigail si perse.
Volse gli occhi a Liam, che capì al volo: perché uno stregone potesse mostrarsi tanto sgomento di fronte a qualcosa con le ali, doveva per forza trattarsi di un drago.
«Cerchiamo un riparo, svelta!»
«Non posso varcare i confini del Reame Eterno, Liam.»
«Appunto, cerchiamo un dannatissimo riparo!»
Perlustrando i dintorni con lo sguardo, fu immediatamente chiaro che non c’era nulla che potesse nasconderli alla vista del drago. E quello era sempre più vicino.
«Gli stregoni comandano tutti gli elementi, giusto? Non puoi spostarci sfruttando il vento?» domandò Liam.
«Se potessi l’avrei già fatto, ti pare? Anche a me fanno male le chiappe ad andare a cavallo, cosa credi?» sbottò.
«Allora crea un crepaccio, qualcosa!»
«E i cavalli?»
«Vorresti farmi credere che gli elfi ucciderebbero due cavalli?!»
Abby balzò a terra e posò i palmi delle mani sul suolo, che tremò e si crepò. Una fenditura larga un braccio e profonda appena perché ci stesse una persona si allargò nel campo di gramigna. Lo stregone si lasciò scivolare dentro, seguita a ruota da Liam, mentre le loro cavalcature si rintanavano all’ombra degli alberi fitti.
«Menomale che non sono claustrofobico» sibilò il mago.
«Che palle Liam, sei peggio di tuo fratello! Taci e prega che non ci veda.»
Attesero in spasmodico silenzio, mentre il rumore delle grandi ali che fendevano l’aria si faceva a mano a mano più forte. Accucciandosi il più possibile, assistettero al passaggio del gigantesco drago nero, che li superò senza degnarli di uno sguardo.
Trattennero il respiro fino a che il rumore tremendo non scomparve, poi lo stregone si issò fuori dal nascondiglio. Liam esitò.
«Che c’è? Ti piace stare lì? Vuoi trasferitici?» sbottò Abigail.
«Smettila di fare l’acida, non è colpa mia se quel coso è passato proprio di qui. Anzi, potresti anche ringraziarmi, visto che se fosse per te saremmo diventati il pasto della lucertola volante!»
«Come osi?! Ti ricordo che sono stata io a risolvere il problema, ieri, con gli orchi!»
Liam prese un respiro profondo e uscì dalla fenditura.
«Con tutto il rispetto, Abby, e non in senso ironico, incasinata lo sei sempre stata, ma non mi sei mai sembrata poco lucida come ora. Non sei attenta, non sei affidabile. Perciò, se non ti dispiace, non farmi la morale se mi tremano le gambe dopo aver rischiato le penne come poco fa.»
Con grande sorpresa di Liam, la ragazza incassò passivamente.
«Possono anche tremare, l’importante è che tremino a cavallo di Baio. Non sappiamo quando potrebbe tornare indietro quel drago, ma vorrei trovarmi in un luogo meno infelice quando dovesse accadere…»
 
Nel corso della giornata ebbero modo di parlare e riparlare dell’inquietante presenza degli emissari di Djalmat. Non era un buon segno. Non lo era soprattutto in relazione alla cattura di Lukas e al fatto che uno stregone non ne sapesse nulla. Nella mente di Liam si era formata la convinzione che il sodalizio draghi-stregoni versasse in cattive acque. Come c’era da immaginarsi.
“Non può funzionare quando l’uno aspetta sempre il momento propizio per fregare l’altro!”, si disse.
Si appuntò di parlarne con il capo, non appena fosse tornato a Natìm.
Quando, finalmente, raggiunsero il minuscolo villaggio di Erbaverde, erano entrambi esausti. Trovarono ospitalità a casa della guaritrice del luogo, che mise a loro disposizione una stanza e una cena calda. La donna si ritirò presto, raccomandandosi di non lasciare in disordine e di chiudere bene la porta d’ingresso.
Punzecchiando lo stufato, Liam posò il mento sul palmo della mano. Non aveva avuto bisogno di chiedere conferma, era certo che la padrona di casa avesse qualche abilità magica, anche se non molto sviluppata. Percepiva la sua aura, come un pizzicorino nell’aria. L’aveva senz’altro capito anche lo stregone.
Avevano già preso accordi in merito al giorno seguente: il mago sarebbe partito prima dell’alba e avrebbe puntato ad Ovest, diritto verso la Baia delle Sirene; Abigail, invece, si sarebbe occupata di remunerare la guaritrice, poi si sarebbe spostata poco più ad Est, verso la cittadina di Nihil, dove avrebbe alloggiato in attesa del ritorno di Liam. Da bravo sottoposto, il mago aveva mandato una lettera a Ruben, nella quale lo informava circa la sua posizione, gli orchi, il drago. Abigail gli aveva assicurato che se fosse partito di buon’ora avrebbe raggiunto la Baia prima del tramonto, ma questo non aveva allentato la morsa della tensione allo stomaco.
«Dovresti mangiare, prima che diventi tutto freddo.»
Sobbalzò e guardò Abigail, che mangiava la sua porzione con insolito entusiasmo.
«Sì, mamma» borbottò, facendosi violenza e masticando controvoglia.
«Domani è il grande giorno. Domani entrerai nel regno degli elfi. E lo farai da solo, Liam» mormorò la ragazza con aria mesta.
«Trattiene l’entusiasmo, Abby, potrebbe travolgermi.»
Lo stregone ghignò.
«Non sai quanto mi irriti l’idea di lasciarti andare da solo. È vero che Horlon è alleato di Ruben, ma…» esitò.
«Ma?» incalzò Liam.
«Non mi fido di lui. Lo sai che, in passato, ha addirittura accettato di allearsi con gli orchi?!» esclamò scandalizzata.
Sopprimendo la vocina che domandava se lei non avesse fatto altrettanto, il mago si arrotolò una ciocca scappata dalla coda attorno all’indice.
«Che cosa c’è?» domandò la ragazza, rompendo il silenzio pesante che si era venuto a creare.
«Dovrebbe esserci qualcosa?» rispose Liam.
«C’è sempre qualcosa quando ti arricci i capelli.»
Liam sospirò.
«Allora?» insistette Abigail.
«La verità è che mi stavo chiedendo perché uno stregone debba provare una simile repulsione verso gli orchi. Qual è il vero motivo, intendo. Non rabbuiarti, non pretendo una spiegazione. Solo, me lo chiedo da un po’, perché ci conosciamo da sette anni, Abby, ma in realtà sei solo tu a poter dire di conoscere me, non è corrisposto. E ogni volta che cerco di capirci qualcosa, in te, finisco per farmi venire il mal di testa. Sei definitivamente troppo complicata, oppure sono io ad essere limitato, il ché cambia poco la realtà dei fatti.»
Abigail abbassò lo sguardo sulla cena, e Liam si domandò se non avesse parlato troppo duramente.
“Duramente, mago?! Dimentichi un po’ troppo spesso che quella non è una donna comune!”.
«Nemici naturali» mormorò Abby.
«Come dici?» domandò Liam.
«Siamo nemici naturali. Mio padre non faceva che ripeterlo.»
Liam spalancò la bocca, senza riuscire a contenere lo stupore, mentre lo stregone gli dedicava un sorriso enigmatico.
«Che c’è? Ti penti di averlo chiesto? Non vuoi più saperlo?»
Tentando di ricomporsi, Liam farfugliò:
«Sì…cioè, no, non mi pento! Però sono sorpreso.»
«Fai bene ad esserlo, sciocco mago. E se scoprirò che anche una sola parola di ciò che sto per dirti sarà trapelata, ti farò pentire di essere nato. Intesi?»
Liam deglutì, e lo stregone si concesse una risatina soffocata.
«Assomigli tremendamente ad Irthen, a volte. Beh, le mie radici sono ad Est, oltre il Reame dei Nani. Laggiù, la vita è completamente diversa da quella che sei abituato a vedere  - o almeno, lo era un centinaio di anni fa. Il sole è incandescente, fa un caldo atroce tutto l’anno, e l’aria è secca. Nonostante questo, però, fiumi sotterranei alimentano grandi laghi limpidi, come oasi, e l’acqua non manca mai. Zone rocciose si alternano a piane verdi, popolate da molti tipi di animali. Le persone hanno la pelle scura come la mia, e vivono raggruppate in comunità molto più simili a villaggi che a vere e proprie città. Queste comunità sono guidate da un Sapiente, un capo, che discende in linea retta dal Dio del Fuoco – ovviamente è una sciocchezza, non c’è bisogno che te lo dica, sì? Questo Sapiente detta le leggi, dirime le controversie, dispensa consigli, benedice i bambini, e così via. Lui e la sua famiglia sono tenuti in grande considerazione. A guastare questo meraviglioso quadretto di pace ci sono loro, gli orchetti dell’Est. Flagellano le comunità, non rispettano la benché minima norma civica, massacrano indiscriminatamente uomini e animali, inquinano le falde acquifere…e più se ne uccidono, più sembrano spuntarne. La mia comunità era quella più grande, quindi anche la più ricca. Di conseguenza, era quella che subiva gli attacchi più pesanti» Abby sospirò. «Sono cresciuta nel terrore di finire infilzata da una loro freccia, ho visto con questi occhi di quali atrocità sono capaci, senza mutare minimamente espressione. Non voglio avere nulla da spartire con loro» concluse incrociando le braccia.
Liam abbassò lo sguardo sulle posate che teneva tra le mani e che stringeva convulsamente. Con fatica, riuscì ad allentare la presa.
«Non capisco. Perché te ne sei andata dal tuo villaggio? Per cercare la Cascata? Una volta diventata stregone, avresti potuto tornare a casa…»
Abigail esitò, punzecchiando la cena con la forchetta.
«L’ho fatto» disse infine.
Liam trattenne il respiro, con la vaga sensazione di essere un completo idiota.
«L’ho fatto, sono tornata a casa, ma…non è andata come speravo. Sono stata estromessa dalla comunità.»
«Cosa?!» esclamò Liam. «Perché?!»
«Prima di partire, avevo dichiarato di voler intraprendere quel viaggio, e mio padre mi aveva diffidata dal farlo. Diceva che porsi un simile obiettivo equivaleva a sfidare gli Dei, che era blasfemia. Io, naturalmente, non gli diedi retta. Per più di due anni vissi sulla strada, e quando fui finalmente di ritorno…»
Il mago si prese qualche minuto per elaborare le informazioni, mentre finiva la propria cena. Estromessa dalla comunità. Come si sarebbe sentito, lui, se avesse subito un trattamento simile? Eppure c’era ancora qualcosa che non tornava: perché suo padre avesse il potere di estrometterla…
«Ehi, Abby, non è che tuo padre era immanicato con il Santone del villaggio?»
Abigail lo guardò in tralice.
«A parte il fatto che non si chiama Santone ma Sapiente…e poi, più che essere immanicato, diciamo che era lui, il Sapiente della mia comunità.»
«Porca miseria, Abby! Tu discendi dal Dio del Fuoco?!» esclamò.
La ragazza scoppiò a ridere.
«Cazzate. Io discendo da una famiglia che ha sempre avuto nel carisma la sua migliore dote. Ad ogni modo, per concludere, mio padre non era un simpatizzante di orchetti e affini, e io non posso che condividere il suo punto di vista.»
Liam sospirò, faticano ad immaginare una Abigail poco più che adolescente cacciata di casa con ignominia.
«Accidenti…mi dispiace per quello che ti è successo. Che cosa hai fatto dopo?»
Lo stregone si incupì. Bevve un lungo sorso di vino.
«Non vuoi veramente saperlo, Liam.»
“Ha ragione, mago, non lo vuoi sapere”, mormorò la vocina.
Sopprimendola senza pietà, rispose:
«Vorresti raccontarmelo?»
«A tuo rischio e pericolo» sussurrò. «Ebbene, ho massacrato mio padre, suo fratello, sua sorella e il marito di lei. Ho risparmiato mia madre e i miei due fratelli minori. Poi, ho raso al suolo metà villaggio e me ne sono andata.»
«Co-co-?! Non sei riuscita a controllare i poteri?!» balbettò il mago, scioccato.
«Vorrei fosse così. No, li controllavo alla perfezione. Ero perfettamente cosciente delle atrocità che stavo commettendo. E questa è la prima delle macchie di sangue di cui mi sono sporcata. La prima delle tante…»
Liam scosse il capo, faticando a realizzare. La Sirena aveva consentito ad una ragazza di bagnarsi nelle acqua magiche perché aveva un cuore puro. Eppure, pochi mesi dopo aveva massacrato la propria famiglia, senza un briciolo di pietà.
«Sono un mostro, lo so. Irthen mi ha chiesto tante volte che cosa avessi fatto di tanto orribile da spingermi a rifuggire ogni domanda sui miei trascorsi, ma…scusa la sincerità, ma avevo bisogno di tenermelo buono fino a quando non fosse arrivato da Kore, non potevo fare la figura della pazza omicida, sarebbe scappato a gambe levate. E comunque non sono ricordi su cui mi piace indugiare. Ho soddisfatto la tua curiosità, sì?»
Liam annuì.
«Mi sorprende che tu mi abbia detto tutta la verità.»
Abigail si strinse nelle spalle.
«Era quasi un secolo che non ne parlavo con nessuno, cominciava ad opprimermi un po’. Rinnovo la minaccia che avevo premesso al mio racconto: se una parola soltanto in merito uscirà dalla tua bocca, sarà l’ultima cosa che farai. Inoltre, dal momento che sono stata buona e ho inaspettatamente risposto docilmente alle tue domande, tocca a te sparecchiare e lavare i piatti! Notte, mago.»
Liam tentò di balbettare qualche protesta, mentre Abigail si alzava e spariva nella stanza da letto.
 
Il sole era completamente tramontato quando i maghi raggiunsero la stretta distesa erbosa che occupava lo spazio tra il Bosco Lossar e la sponda del fiume Llatas, l’emissario del Lago di Nebbia che scendeva fino all’oceano, attraversando il territorio di Madian. Durante la lunga giornata di viaggio, Erika e Aqua avevano elaborato un piano, che Debrina aveva apostrofato con un “è imbarazzante da tanto è elementare”, ma dal momento che né lei né Tim avevano fatto lo sforzo di concepirne uno migliore…
Così, avevano montato le tende, avevano cenato e organizzato i turni di guardia. Timothy per primo, Debrina per seconda, Erika per terza, e Aqua per ultima.
Lieta di poter vedere il sorgere del sole in solitudine, Aqua si accoccolò nelle sue coperte e prese immediatamente sonno. Ma la pace non durò a lungo.
Un grido la svegliò dopo quelli che le parvero pochi attimi. La voce allarmata di Tim chiamava tutti a raccolta. La ragazza balzò in piedi e si precipitò fuori dalla propria tenda, seguita da Erika. Debrina li raggiunse qualche momento dopo, imprecando a mezza voce.
«Si può sapere che cosa ti prende?! Hai paura del buio, per caso?!»
Strizzando gli occhi, Aqua individuò la fonte dell’allarme. Una figura più scura della notte sorvolava il bosco, poco lontano dal loro accampamento. Una figura con grandi ali e squame che mandavano bagliori sinistri. Naturalmente, Debrina era troppo impegnata a schernire Timothy per guardarsi attorno.
«Vuoi smetterla di lamentarti per un secondo, razza di idiota?!» sbottò Erika, tirandole una gomitata nelle costole.
Compiacendosi silenziosamente della presa di posizione della pacifica Erika, Aqua alzò un indice:
«C’è un drago, Dede, laggiù.»
Debrina sgranò gli occhi.
«Drago?!» mormorò. «Che diavolo ci fa un drago, qui?!»
«Non lo so, ma…ho fatto male a svegliarvi?» farfugliò il ragazzino.
«No, Tim, hai fatto bene» lo rassicurò Aqua, chiamando a raccolta tutte le sue energie.
Un drago sputava fuoco, e lei comandava l’acqua, doveva tenersi pronta a qualunque cosa.
Ma la creatura virò improvvisamente verso Sud-Est, tagliandoli fuori dalla rotta. I quattro tirarono un respiro di sollievo, mentre il drago scompariva in lontananza.




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Sì, sì, lo so che non vi ricordate più un accidente di quello che era successo e che stava succedendo, perché è passata un'era zoologica dall'ultimo aggiornamento...mea culpa, non posso dire altro, ho scantinato. Ed è perfettamente inutile che stia qui a promettervi che sarò più celere, lo faccio ogni volta e poi scantino ancora :'( Portate pazienza con me! 
In merito a questo capitolo, l'ho letto e riletto 50mila volte, e ancora non riesco a capire se mi piace o se mi fa schifo. Se fa schifo, siete pregati di farmelo sapere ^^
Baciuzzi

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Capitolo 29
*** In riva al fiume ***


«Oltre non ti posso accompagnare, Li’» disse Abby smontando da Luce.
Liam alzò gli occhi alle imponenti moli degli alberi che proteggevano il Reame Eterno. La luce dell’alba filtrava dalle nubi che iniziavano a disperdersi.
«E se dovessi perdermi?» mormorò con una vaga apprensione che gli chiudeva lo stomaco.
Lo stregone scoppiò a ridere.
«Non ti perderai. Anche perché gli elfi ci impiegheranno davvero poco a catturarti, una volta entrato nel loro territorio, sì?»
Il mago deglutì.
«Quando ti chiederanno chi sei, con chi stai e che cosa vuoi, dì loro la verità. Non vale la pena di mentire, non hai nulla da perdere, e se saranno ligi al dovere rispetteranno l’impegno che hanno preso con Ruben. Io ti aspetterò a Nihil.»
Annuì e prese un bel respiro.
«Beh, in bocca al lupo, mago» concluse Abigail.
Liam sferzò il cavallo e lasciò che la vegetazione rigogliosa lo inghiottisse.
 
Il bosco che celava il Reame Eterno era luminoso nonostante il sole non filtrasse tra i rami. Baio procedeva spedito, senza dare segni di nervosismo, particolare che infondeva una certa tranquillità nel mago. Se quel “fifone-mangia-carote-a-tradimento” del suo cavallo non aveva paura, significava davvero che si poteva stare rilassati. Anche se doveva riconoscere che era stato proprio lui, il ronzino ingrato, a portarlo da quei pazzi assassini degli Unicorni…meglio non pensarci! Riassumendo: Lukas nelle mani di Micael, Irthen addormentato, orchi ovunque, un drago a spasso e uno stregone alle porte del bosco, che aspettava proprio lui. Al pensiero, gli scappò una risatina isterica.
«Bel casino, Li’» commentò tra sé e sé, con un insano compiacimento.
Il sentiero di ghiaia si inoltrava sempre più nella vegetazione e non dava segno di scomparire, come se, ogni giorno, qualcuno si fosse curato di mantenerlo in ordine e ben visibile. Nessuna biforcazione che potesse trarre il viaggiatore in inganno, nessun ramo fuori posto.
Con il trascorrere lento delle ore, Liam iniziò a domandarsi se fosse normale il silenzio totale che lo circondava. Possibile che nessun uccello cantasse, che nessuno scoiattolo si spostasse dal suo ramo ad un altro, che nessuna presenza, né amica né ostile, fosse comparsa per sincerarsi delle intenzioni del visitatore? Dov’erano gli elfi? Secondo Abby, quel sentiero l’avrebbe condotto dritto dritto alla Baia, ma se si fosse sbagliata? Se si fosse perso e fosse morto di stenti in quel bosco immobile, sempre uguale a sé stesso? Che ne sarebbe stato di Irthen? E di Chloé, di Amina…?
«Smettila di fare il melodrammatico, Liam. Abigail dice che la strada è questa, e fino ad ora non ha sbagliato un colpo, perciò non sbaglierà proprio questa volta.»
Già, Abigail. Per qualche assurdo motivo, il racconto della sera prima non l’aveva sconvolto come avrebbe umanamente dovuto. Insomma, di fronte alla tranquillità con la quale la strega gli aveva detto di aver massacrato suo padre e mezzo parentado, nel piano delle capacità mentali, avrebbe dovuto inorridire. Invece non poteva fare altro che prendere atto della velata malinconia che quello scenario gli aveva infuso, e di una innegabile compassione. Sì, perché non gli era difficile immaginare con quali aspettative una giovane Abigail fosse tornata a casa, dopo un lungo e pericoloso viaggio compiuto in completa solitudine, e quanto grande dovesse essere stata la vergogna, la delusione e, poi, la rabbia per l’ingiusto trattamento riservatole dal cosiddetto Sapiente. Anche se una reazione simile e uno spargimento di sangue di tale portata non potevano essere in nessun modo giustificati e tollerati, il mago non poteva evitare di sentirsi solidale. Dopotutto, da più di cento anni lo stregone pagava il suo crimine con la solitudine.
“Adesso sai come è cominciato tutto, Liam. Soddisfatto?”
Sospirò. Anche Irthen faceva le spese della superstizione del padre di Abby. Si strinse le tempie tra gli indici.
«Sto impazzendo del tutto, Baio…»
Estrasse la borraccia e bevve un minuscolo sorso d’acqua, giusto per schiarirsi le idee. Quando riportò gli occhi sulla strada, trovò il sentiero sbarrato da una fitta siepe di bosso.
«Ma che caz-»
«Liam di Pothien, benvenuto nel Reame Eterno.»
Una voce riverberò tra le foglie e i tronchi, come amplificata, come se ad ogni rimbalzo acquisisse tonalità diverse. Liam resistette all’impulso di sfoderare la spada. Il proprietario della voce era indubitabilmente un elfo e, considerato il motivo della sua visita, il mago non poteva fare altro che fidarsi.
«Grazie» rispose. «Sai perché sono qui?»
Il silenzio si protrasse, facendogli temere che non avrebbe mai ottenuto risposta. Infine, lo scricchiolio della ghiaia alle sue spalle lo costrinse a far voltare Baio.
Un cavallo dal manto scuro e lucido era comparso nel mezzo del sentiero, e portava sul dorso una figura incappucciata.
«Chi sei?» mormorò Liam, spaventato.
Due mani candide fecero scivolare il cappuccio giù dai capelli neri, rivelando un viso eccessivamente giovane per quegli occhi blu che vi spiccavano.
«Sono Prinforn. Oliandro ci ha avvertiti del tuo arrivo.»
La voce adamantina dell’elfo calmò immediatamente i nervi del mago, che sospirò.
«Potete risolvere il mio problema?» domandò, cercando di soffocare la speranza, mentre lo stomaco si chiudeva.
«Seguimi, ti accompagnerò a Lumia. Il figlio del Governatore è responsabile e affidabile, ma di certo non ha il dono della sintesi. Il suo messaggio non era molto chiaro» concluse con aria leggermente imbarazzata.
Liam si lasciò scappare un sorriso al pensiero di che razza di messaggio potesse essere arrivato a Re Horlon.
Il cavallo nero oltrepassò Baio e l’elfo alzò le mani, i palmi rivolti alla siepe, che si ritrasse tra i crepitii. Prinforn si mise in marcia e Liam lo seguì, incitando Baio e domandandosi quale elfo avesse simili poteri.
 
«Che cosa farai quando il mago tornerà con la soluzione al suo problema? Sempre che una soluzione esista…»
Abigail si mordicchiò un’unghia mentre misurava la stanza a larghi passi. Non ci voleva. La visita di Caleb non ci voleva.
«Lo sai, mi piace improvvisare» rispose.
«Abbiamo visto dove ci ha portati la tua improvvisazione» sibilò lo stregone.
Abigail si fermò e strinse la mano a pugno. Caleb gemette e cadde in ginocchio, stringendosi il petto.
«Le tue ferite sono ancora recenti, dolcezza, non provocarmi. In questo momento sono in vantaggio. E ci tengo a ricordarti che è tutta colpa tua se è successo quello che è successo. Se tu non avessi portato Li’ così vicino alla Cascata, non ti avrebbe schiacciato come una pulce…»
Caleb batté il palmo della mano sul pavimento di legno della locanda e Abby si piegò in due, le mani alle tempie a cercare di fermare quel dolore insopportabile.
«Li’?! Cos’è, avete fatto amicizia?! Sarò anche ferito, ma sono pur sempre lo stregone più antico.»
Si trasse in piedi e strinse le dita intorno al collo della ragazza.
«Ricordati da che parte stai, Abby.»
Abigail lo allontanò con una spinta.
«Non temere, non lo dimentico. Piuttosto, dovresti mandare quell’idiota di Rafik da Djalmat. Non mi piace questo scorrazzare di orchi a nostra insaputa. Così come non mi è piaciuto il volo radente della mega-lucertola di ieri.»
Caleb annuì.
«Hai ragione, non è un buon segno. Non mi va fare lo schiavetto ai draghi.»
Con una smorfia, lo stregone scomparve.
Abigail sospirò e posò i palmi sul bancale della finestra. La piccola locanda alla periferia di Nihil non le sembrava più tanto accogliente.
 
L’elfo volle sentire il racconto di Liam circa gli eventi che lo avevano portato lì, nel Reame Eterno, e non nascose la sua perplessità in merito alla presenza di Abigail appena fuori dal confine. Il mago non si era aspettato nulla di diverso, e non aveva alcuna intenzione di fornire retroscena. Anche perché, lo sapeva, le ragioni che stavano alla base della sua scelta di non liberarsi di lei quando ne avrebbe avuta l’occasione suonavano troppo flebili anche alle sue stesse orecchie. Tuttavia, Prinforn oppose una resistenza più debole del previsto, e proseguì la sua marcia verso la Baia delle Sirene.
«Senti, amico, che tipo è il Re?» domandò improvvisamente Liam, assalito da uno dei ciclici attacchi d’ansia.
Prinforn sorrise.
«Il Re? Beh, diciamo che è un elfo abbastanza disponibile. Ma è indegnamente vecchio, e come tutti i vecchi ha la testa dura e a volte è un po’ logorroico.»
Liam si rabbuiò.
«Significa che potrebbe non aiutarmi?» domandò.
«Oh, no, significa che a volte riesce ad essere acido quasi quanto Rowena…d’altra parte è sua nipote, avranno pur qualcosa in comune.»
«Rowena è nipote di Horlon?!» esclamò Liam.
L’elfo portò gli occhi su di lui.
«Non lo sapevi? Glenndois e il Re sono fratelli.»
Liam scosse il capo. Ottimo, aveva insultato fratello e nipote del millenario Re degli elfi.
«Non perderti nelle preoccupazioni non strettamente contingenti, Liam. Presta attenzione alla strada» ammonì Prinforn. «Non potrò accompagnarti sulla via del ritorno, e presto inizieranno a comparire le prime biforcazioni. È inutile che ti dica che se dovessi perderti qui sarebbe un bel guaio…»
Il mago deglutì a vuoto. “Bel guaio” era un eufemismo. Un grande eufemismo.
 
Notte praticamente insonne. L’ideale prima di una battaglia. Aqua si sporse oltre il ciglio della riva e si sciacquò il viso con l’acqua fredda del Llatas. Del drago non si era più vista nemmeno l’ombra, ma non potevano escludere che sarebbe tornato in caso di conflitto. Quanto veloce poteva volare una creatura con ali così grandi?!
«Hai fatto bene a spronare il Maestro a schierare i pedoni. Non ti credevo così temeraria, Aqua» disse Erika sedendosi accanto a lei.
Aqua tese la mano a sfiorare la superficie liquida, tentando di reprimere l’irritazione. Possibile che tutti la credessero ornamentale? Solo Amina si rendeva conto che non necessariamente essere silenziosi equivaleva ad essere stupidi? Certo, nessuno la conosceva bene quanto lei, era stata la sua maestra, la sua confidente, una sorella maggiore…ma possibile che dovessero crederla tutti una persona priva di inventiva?! Quegli orchetti si avvicinavano velocemente, e presto avrebbero messo a ferro e fuoco la campagna di Natìm. L’aveva già visto accadere, e quando aveva lasciato Madian in compagnia di Ruben si era ripromessa che non sarebbe più stata una semplice spettatrice della tragedia.
Staccò gli occhi dallo scorrere dolce del fiume e mise a fuoco Erika, che la guardava con un filo di apprensione. Sospirò.
«Questo perché siete tutti fissati con quel Liam. “Ci serve Liam, Liam è potente, Liam è carismatico, Liam è bello”…che noia.»
Erika si irrigidì.
«Nessuno pensa che tu non sia alla sua altezza» mormorò sulla difensiva.
«Non mi interessa il tuo parere, tanto meno quello di Ruben.»
Socchiuse gli occhi. Concentrandosi sul contatto con l’acqua poteva intravedere, sfocata, la sagoma di un gruppetto di orchi che, più a Ovest, lavava le armi sporche di sangue nel fiume. Interruppe bruscamente il contatto e balzò in piedi.
«Orchi poco lontano. Andiamo, Erika.»
Tenendo la gonna lunga sollevata per non inciampare, Aqua si precipitò al loro accampamento, ma si bloccò appena fu in vista della tenda. Timothy stava in piedi, lo sguardo fisso, la testa che dondolava leggermente avanti e indietro. Aqua deglutì, aveva già assistito a scene simili, il ragazzo stava ascoltando qualcosa nell’aria. Si avvicinò silenziosamente e si affiancò a Debrina, che osservava in disparte. Erika le raggiunse, con il fiato corto.
«Che succede?» ansimò.
Aqua accennò al ragazzo, che in quel momento si riscosse e si volse verso di loro con gli occhi sgranati.
«Orchi. Si stanno avvicinando. Sono…sono…» farfugliò Timothy.
«Tre miglia a Nord-Ovest, sulla riva del Llatas» concluse Aqua.
Debrina annuì.
«Prepariamoci, allora.»
Timothy si precipitò nella sua tenda e Aqua lo seguì. Si fermò sulla soglia. Non era brava a incoraggiare, non lo era mai stata, maledizione. Quanto rimpiangeva l’assenza di Amina e di Kostantin in momenti come quello…
Il ragazzo si lasciò cadere sullo stuoino con la testa tra le mani.
«Tim.»
Alzò gli occhi su di lei. I soliti occhi sgranati. Aqua sospirò.
«Qualunque cosa ci dica Debrina…tu lo sai, noi lo sappiamo che siamo all’altezza della situazione. Tu ed io possiamo dare il nostro contributo, non sei d’accordo? E togliti quella faccia da allocco!» sbottò lanciandogli addosso uno straccio. «Non sei l’ameba che dice lei» concluse voltandogli le spalle e lasciando la tenda.
Ribollendo di irritazione, raccolse velocemente le cose che avevano dislocato qua e là per l’accampamento: una pentola, il bollitore per l’acqua, un telo. Poi si unì agli altri e, insieme, si prepararono a dare battaglia. Un piano, per quanto puerile, ce l’avevano, e avrebbero venduto cara la pelle.
 
Non dovettero attendere troppo nell’incertezza. Gli orchi emersero dalla nebbiolina del mattino, comparendo all’imboccatura della strettoia, armati fino ai denti. Aqua trattenne il respiro. Erano meno del previsto. Un avamposto, forse?
«Dede, stanno arrivando!»
La voce tremante di Timothy fendette il silenzio inquieto, e i maghi si disposero all’attacco.
«Attenzione alle frecce» ammonì Debrina. «Ricordate il piano, ricordate che il ruolo di ognuno di voi è fondamentale per la riuscita.»
“Evitare il dispendio inutile di energie” si ripeté Aqua, mentalmente.
Lei ed Erika avevano la possibilità di attingere, rispettivamente, dal Llatas e dal Bosco Lossar, ma Debrina e Tim rischiavano di rimanere a secco se non avessero centellinato gli incantesimi, in assenza di una fonte naturale di calore e di vento.
L’orco che apriva la fila puntò l’arco verso di loro. Il tempo sembrò fermarsi. Poi scoccò.
Timothy alzò una mano e la freccia deviò bruscamente, finendo a conficcarsi lontano. L’orco grugnì un ordine e la schiera spiccò la corsa.
«Adesso!» gridò Debrina.
Erika posò le mani sul terreno, il suolo tremò e una voragine si aprì, inghiottendo un buon numero di creature. I ranghi si scomposero, mentre una lingua di fuoco creata da Debrina impediva ai nemici la ritirata. Qualche freccia si levò ancora verso i maghi, ma Timothy continuò a deviarle, una ad una. Aqua prese un bel respiro e si concentrò sul fiume. Influì sulla corrente, facendo in modo che le onde alte si abbattessero sull’imbuto di terra in cui Debrina ed Erika avevano fatto convergere gli orchi.
«Non spegnere il fuoco, Aqua.»
La voce della maga le giunse lontana. Aqua prese un lungo respiro, cercando di fermare il sibilo alle orecchie, sintomo dell’energia che stava bruciando troppo velocemente. Non credeva che deviare il Llatas sarebbe stato tanto faticoso.
«Che cosa devo fare?» domandò.
Erika mormorò qualcosa di incomprensibile, mentre un nuovo crepaccio inghiottiva altri nemici. La linea di fuoco strinse di più i superstiti.
«Non lo so, ma fai qualcosa!» sibilò Debrina.
«Tim, aiutami!» implorò Aqua, in preda al panico.
Qualcosa nel piano non aveva funzionato bene, forse se li avessero spinti verso l’acqua sarebbe stato più semplice.
«Tim, ho bisogno di vento, di vento che sollevi le onde prima che si abbattano su di loro.»
«Che cosa hai in mente?» domandò Erika.
«Lasciami provare. Pronto Tim?»
Timothy annuì.
Aqua continuò a spingere il fiume sugli orchi, e l’incantesimo del ragazzo innalzava l’acqua alta sulle loro teste. Con uno sforzo che le fece girare la testa, Aqua cristallizzò gli schizzi, perché piovessero sugli orchi come lame di ghiaccio.
Dalla massa, si levarono grugniti e gemiti, segno che l’attacco era andato in porto. Ripeterono l’operazione più volte, fino a che Timothy non si lasciò cadere sulle ginocchia, ansimante.
«Mi dispiace…io non…non ce la faccio più» farfugliò.
«Sei stato fantastico, Tim» sospirò Aqua, stremata.
«Ora tocca a noi, Dede, chiudere la partita» disse Erika.
Debrina annuì e Aqua represse un brivido di inquietudine.
L’aria si surriscaldò sensibilmente e le lingue di fuoco avvolsero gli orchi, mentre il terreno si sgretolava sotto ai loro piedi, facendoli precipitare nel vuoto.
Quando l’ultimo grido si spense, Debrina si sedette per terra e le fiamme languirono prima di spegnersi del tutto. Erika vacillò, ma riuscì a reggersi.
«Dovremmo andare a controllare…» mormorò.
Timothy la guardò implorante, Debrina sembrava sul punto di svenire.
«Ci vengo io» disse Aqua, traendosi faticosamente in piedi.
Coprirono sostenendosi a vicenda le poche centinaia di metri che le separavano dal campo di battaglia e trattennero il respiro. Sul terreno irregolare e martoriato giacevano corpi carbonizzati e trafitti a morte. La terra era inzuppata di acqua e sangue dove non era stata lambita dal fuoco.
Erika non riuscì a trattenere un conato di vomito. Aqua se l’era aspettato: una maga legata alla Terra non poteva accettare pacificamente di fare scempio di una qualsiasi creatura vivente. Distolse lo sguardo e lo portò sul Llatas, il cui corso era tornato placido e regolare.
Era una fortuna che orchi, orchetti e affini non si fossero organizzati per attaccare tutti insieme. Nel complesso, la loro strategia si era rivelata un completo fallimento, troppo dispendiosa dal punto di vista energetico e troppo poco efficace per quanto riguardava i danni. La lingua di terra che si allargava tra la riva del fiume e il Bosco degli Unicorni era stretta, ma non abbastanza per un’azione del genere. Avrebbero dovuto apportare delle migliorie al campo di battaglia. Sbagliando si impara, diceva sempre Amina. E loro ne avevano parecchio, di margine di miglioramento. Sfortunatamente avrebbero imparato qualcosa anche i loro nemici. Era improbabile che potessero contare di nuovo sulla disorganizzazione o sui numeri esigui. E poi c’era la questione del drago…come si poteva abbattere un drago?
Aqua sospirò. Alla faccia dei risultati scadenti e della spossatezza, la battaglia l’aveva galvanizzata.
«…e la partita è appena cominciata!» canticchiò saltellando tra i cadaveri, preda di un improvviso moto di euforia.
 
Liam sobbalzò e fermò Baio con un brusco strattone alle redini. Anche Prinforn fermò il suo cavallo.
«Che cos’è stato?!» domandò il mago. «Qualcuno sta combattendo? Ho sentito…ho sentito come una concentrazione altissima di energia…»
L’elfo annuì gravemente.
«Temo di sì, temo che ci sia stato un combattimento. Mi meraviglia che tu l’abbia percepito, Liam, è stato parecchio distante. Credo di sapere di cosa si tratta.»
Liam attese per qualche momento che continuasse, ma il silenzio che si protraeva lo costrinse a domandare spiegazioni.
«Sembra che Ruben abbia iniziato a muoversi. Ha mandato dei contingenti a presidiare Natìm ad Est e ad Ovest, mentre lui si occupa di cercare alleanze tra i civili. Gli orchi che hai incrociato venendo qui si stanno spostando verso le città del Nord, e il primo gruppo deve essersi scontrato con i maghi.»
Liam si incupì.
«Speriamo non ci siano stati problemi…» mormorò.
«Non preoccuparti di questo, Liam. Pensa alla strada.»
Liam si concentrò. Superarono il terzo bivio.
“Al terzo, diritto” si disse.
La giornata di viaggio trascorse lentamente. Prinforn era un tipo di poche parole, e il mago non era dell’umore giusto per obbligarlo a fare dialogo. Il bosco si diradò appena, e piccoli capanni iniziarono a comparire qua e là, tra il verde. Poi, il sentiero prese a dividersi sempre più spesso, e i fruscii tra il fogliame suggerivano la presenza di qualche osservatore silenzioso.
Finalmente, una porta di legno completamente tappezzata d’edera si stagliò nel mezzo della via, e i due si fermarono.
«Eccoci, Liam. Questo è l’ingresso del Porto. Ti prego di portare pazienza se gli abitanti ti dovessero osservare insistentemente, sono centinaia di anni che non vedono un essere umano camminare tra le loro case. Tu limitati a seguire me. C’è una nave che ci aspetta e che ci condurrà direttamente a Lumia.»
Il portone si aprì e il mago trattenne il respiro.
Una costellazione di case di legno e di lanterne dalla luce soffusa davano un tocco di magico ai moli, ai quali erano ormeggiate barche lunghe e sottili. Decine di occhi si posarono sul mago e sul suo anfitrione, e li osservarono con curiosità. Liam cercava invano di trattenersi dal volgere la testa a destra e a sinistra come un bambino, per saziarsi della vista di quelle creature magnifiche e immortali. Prinforn fece strada verso la barca più grande, accanto alla quale stava un elfo biondo, che li salutò chinando il capo e li aiutò a salire a bordo. Puntò il remo contro la banchina e la barca si staccò lentamente dal molo. L’acqua scura e immota la cullava verso le luci della grande isola poco lontana.
«Ci siamo, dunque. Quella è Lumia…» mormorò tra sé e sé.
L’elfo gli posò una mano sulla spalla e sorrise. Poi si volse al traghettatore.
«Possiamo aumentare la velocità?»
«Possiamo» rispose quello. «Ma non vorrei che i cavalli si spaventassero.»
«I cavalli» ripeté Prinforn, come rivolto a sé stesso.
«Maestà? Dunque, che devo fare?» incalzò l’elfo.
Liam quasi cadde in acqua per la sorpresa. Sperando di aver capito male, si volse verso la sua guida e balbettò:
«Co-come ti ha chiamato?!»
Prinforn sorrise, divertito.
«Maestà. Mi ha chiamato Maestà, Liam. Perdonami se non sono stato onesto» disse.
Liam sgranò gli occhi.
«Perché?!»
«Perché volevo conoscerti per come sei quando abbassi la guardia, mago, e di certo non l’avresti fatto se avessi saputo di trovarti davanti al millenario Re degli elfi…e poi, lasciamelo dire, anch’io ho bisogno di svagarmi ogni tanto!»
“Beh, che ha la testa dura te l’ha detto, no?” sghignazzò la vocina nella sua testa.
Alla lista delle cose infelici fatte nelle ultime settimane, aggiunse aver chiesto a Re Horlon informazioni su sé stesso.
«Beh…» commentò con un filo di apprensione «se mi stai portando a Lumia, significa che non sono poi così male, giusto?»
Horlon scoppiò a ridere.
«L’aveva detto Oliandro che sei uno spasso! Adesso goditi il panorama, mago, tra qualche minuto attraccheremo.»
Liam tornò a concentrarsi sull’isola che spiccava nella luce dorata del tramonto. A quanto pare stava diventando un’abitudine prenderlo per i fondelli…
 



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Io già me li immagino, i pochi lettori che mi saranno rimasti - sempre che ne siano rimasti - che tirano accidenti per tutte le cose che (giustamente) non capiscono e non si ricordano! Oh ragàs, scusate i miei tempi imbarazzanti, giuro che non è colpa della pigrizia!
*Occhioni lucidi e mestolino*
Scusatemi! Non ci provo neanche più a promettere aggiornamenti rapidi...

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Capitolo 30
*** La biblioteca del Re ***


«Non riesco a sopportarlo, Mina!» sbottò Chloé, camminando avanti e indietro nella stanzetta.
Amina sospirò e sfiorò la fronte di Irthen con affetto.
«Quello che è stato è stato. Non possiamo tornare indietro nel tempo per impedire a Irthen di fidarsi di Abigail, né per convincere Liam a confessare la criticità della sua posizione a suo fratello. È inutile arrovellarsi, cerchiamo di riparare ai suoi danni eseguendo gli ordini del Maestro al meglio delle nostre capacità.»
Chloé calciò l’aria e grugnì:
«Stupido mago!»
Amina represse una risata. Era incredibile come una persona pratica e concreta come l’amica di Liam potesse diventare infantile quando si faceva prendere dall’irritazione.
«Ma tu come fai ad essere così tranquilla?» esclamò.
«Ho fiducia in lui» rispose con un’alzata di spalle. «Sono intimamente convinta che tornerà con una soluzione al sonno di Ir. Liam è quel genere di persona che quando si pone un obiettivo, per quanto ambizioso, lo raggiunge. Io ho fiducia in lui, Clo. E tu?»
La bionda si fermò e la guardò stralunata, sbattendo le ciglia. Amina sorrise tra sé. Di certo non doveva essere stato un grande disturbo per Aqua sorvegliare una ragazza tanto carina.
«Certo che ho fiducia in lui, che domande…» mormorò, riscuotendosi.
«Allora dai tempo al tempo. Ormai sarà giunto a Lumia, credo che avremo presto sue notizie.»
Chloé scosse il capo, contrariata.
Due colpi alla porta le fecero sobbalzare. L’uscio si scostò e fece capolino un ciuffo scuro e un occhio castano.
«Mi dispiace disturbarvi…» balbettò la ragazza.
«Chloé, lei è la cameriera di Ruben, nonché la sua più fidata messaggera. Entra pure Yu, hai qualche comunicazione?»
«Il maestro manda a chiamare Chloé. La attende nel suo ufficio.»
«È successo qualcosa?» domandò Chloé.
«È rientrato James. Credo abbia un compito da affidarvi. Ti prego di seguirmi.»
Amina le salutò con la mano. Una missione a Chloé e a James? Non prometteva bene…
 
La bionda bussò alla porta di legno ed entrò senza aspettare l’invito. Ruben parlava fitto fitto con un uomo che le dava le spalle. Il mago alzò lo sguardo.
«Vieni, Chloé. Ti presento James, è appena rientrato da Torat, dove sorvegliava il quartier generale di Micael. Jim, questa è Chloé, la nuova recluta di cui ti parlavo.»
L’uomo si volse e la squadrò con aria critica. Gli occhi azzurro chiaro lasciavano trasparire le diffidenza che il sorriso freddo non aiutava a mascherare. Tuttavia, le tese la mano.
«Piacere di conoscerti» disse.
Chloé lo studiò per un momento con attenzione: era indubbiamente un uomo affascinante, con i capelli scuri tagliati corti, le spalle larghe e la vita stretta. Nei lineamenti aveva qualcosa che ricordava Debrina. Se non fossero stati sull’orlo di una guerra, avrebbe anche potuto farci un pensierino…
«Voi due verrete con me» proseguì Ruben. «Abbiamo un appuntamento con il Governatore di Natìm domani mattina, e devo trovare il modo di spiegargli che presto saremo in guerra senza che mi accusi di tradimento per non averglielo detto subito.»
«E noi che cosa faremo?» domandò Chloé.
«Voi siete umani privi di poteri magici, e avete un aspetto rassicurante. Voi dovete andarvene in giro per le piazze e convincere gli abitanti in età accettabile ad offrirmi il loro aiuto.»
«Cosa?!» esclamò la bionda. «Ma…Maestro, è un’utopia!»
«Conta su di noi, Ruben» rispose James senza battere ciglio.
«Grazie ragazzi. Andate a dormire. Domani mi servite lucidi.»
James prese Chloé per un polso.
«Andiamo, biondina» sibilò, trascinandola fuori.
Quando si furono lasciati alle spalle l’ufficio del Maestro, la ragazza si liberò con uno strattone.
«Senti un po’, signorino, ti sei posto il problema di come fare a dire a quei poveracci che presto le loro case saranno bruciate da un drago?!»
James le lanciò un’occhiata omicida.
«Cos’è, hai paura che la folla ti spettini?»
«Prego?!» domandò incredula.
«Ascoltami bene, biondina, non mi va di andare in giro con una di quelle ragazzine viziate che hanno paura di rompersi un’unghia, perciò vedi di non fare i capricci.»
«Con chi credi di avere a che fare, razza di maleducato?! Mettiamo le cose in chiaro, tu non mi conosci, non mi hai mai vista prima d’ora, e la storia delle bionde oche è solo un luogo comune. E ti faccio presente che ho un nome, la prossima volta che ti permetti di chiamarmi “biondina” o “ragazzina” o affini ti tiro un pugno, sono stata chiara? A meno che tu non voglia essere chiamato “topolino”, “batuffolino”, oppure “occhioni blu”. Per tutti gli Dei, come fa Dede a sopportarti?!»
«Datti una calmata, Chloé. Non ho né tempo né voglia di litigare con te. Non mi interessa minimamente conoscerti. Ho vissuto benissimo per trent’anni, e sono sicuro di poter continuare. Ora diamoci una mossa: Ruben si aspetta molto da noi.»
Si volse e se ne andò, lasciando Chloé schiumante di rabbia in mezzo al corridoio.
«Ma che cavolo sei, un sicario?!» mormorò tra sé e sé, chiedendosi se il caratteraccio di quel James fosse imputabile ad un’infanzia trascorsa in compagnia di Debrina, oppure a qualcosa di particolarmente irritante in sé stessa.
 
Lumia era bella oltre ogni dire. Bella come una città delle favole, di quelle che splendono di una luce che sembra generarsi dalle fondamenta, di quelle che sembrano vivere di magia. La prima oscurità avvolgeva con i suoi tentacoli di velluto quelle strade piastrellate con una cura maniacale, e il Re chiese a Liam di coprirsi il capo con il cappuccio del mantello, per evitare di venir bloccati ad ogni passo lungo la via che conduceva al palazzo. Il mago obbedì, ancorché riluttante: la visuale limitata gli impediva di osservare tutto ciò che avrebbe voluto osservare. Sembrava un bambino? Non poteva interessargli di meno! Quando gli sarebbe ricapitato di mettere piede nella millenaria capitale degli elfi? Rabbrividì al pensiero di quel gioiello nelle mani di Caleb.
Il palazzo sorgeva nel centro della città, circondato da un giardino immenso. Il sentiero che conduceva al portone d’ingresso era costellato di lanterne dalla luce fredda. Facendo attenzione a non inciampare nei ciottoli, Liam si lasciò guidare all’interno della dimora di Re Horlon, attraverso un dedalo di stanze, corridoi e scale. Da qualche finestra, ogni tanto, riusciva ad intravedere i bagliori della luna riflessa sul mare placido della Golfo Edera. Il solo pensiero di quella vastità d’acqua gli toglieva il respiro.
Dopo essersi inerpicati su una strettissima scala a chiocciola, l’elfo spinse una porta e gli occhi del mago furono feriti dalla luce abbagliante che irradiava dalla stanza. Sbattendo le palpebre, riuscì a mettere a fuoco scaffali e scaffali di libri, ordinatamente disposti a ricoprire ogni più piccola porzione di parete. Si guardò attorno a bocca aperta, non riusciva a concepire l’idea di così tanti libri riuniti nello stesso posto. Non che fosse un grande lettore, ma quelli erano secoli e secoli di sapere! Quando il Re gli assestò una gomitata nelle costole, si riscosse e si rese conto che davanti a loro stava un elfo minuto, con i capelli castani raccolti in una coda dall’aspetto precario. Si inchinò, rischiando di far cadere la pina di libri che teneva tra le braccia.
«Si-sire, non ti aspettavo così presto!» farfugliò.
«Così tardi, vorrai dire…è notte, hai ragione, ma…ricordi quella cosa di cui ti ho parlato qualche giorno fa?»
L’elfo guardò Liam e annuì.
«È lui?» domandò timidamente.
Liam lo osservò con maggiore attenzione e notò gli occhialini che portava sulla punta del naso.
“Un elfo con gli occhiali?!” si domandò. Ged non aveva mai parlato di elfi con carenze di vista…
«Sì, lui è Liam» disse Horlon. «Liam, questo è Frunn, il mio bibliotecario.»
Frunn salutò con un cenno del capo.
«Seguitemi» disse.
Posò la pila di libri sul tavolo alle sue spalle e sparì ad una velocità sorprendente dietro ad uno scaffale. Horlon si affrettò a seguirlo e, dopo un’ultima esitazione, il mago fece altrettanto. Attraversarono l’intera biblioteca prima di giungere davanti ad un cancello chiuso.
«È così, dunque» mormorò il Re. «Sei certo che ci sia?»
Frunn annuì e gli occhialetti scivolarono ancora più giù. Se li spinse su con un dito sottile.
«Assolutamente sì. I miei registri non mentono. Se i registri dicono che quel libro c’è, allora puoi stare certo che c’è davvero! Solo che…essendo oltre quel cancello non ho potuto recuperarlo…»
«Perché? Che cosa c’è oltre quel cancello?» domandò Liam, lievemente preoccupato.
«Non agitarti, mago, niente di cui angustiarsi. È una zona della biblioteca riservata alla famiglia reale. Per questo motivo devo entrare io a cercare il nostro libro» spiegò Horlon. «Grazie, Frunn. Ottimo lavoro.»
Frunn chinò il capo e si allontanò il silenzio.
«Aspettami qui, Liam.»
Il Re posò una mano sul chiavistello e questo scattò. Spinse il cancello e scomparve tra gli scaffali.
Il mago attese trattenendosi a stento dal rincorrerlo. L’eco dei passi del bibliotecario davano un tocco inquietante ai borbottii indistinti e lontani di Horlon, ogni minuto sembrava durare tutta la notte.
“Forse ci impiega tanto perché il libro che cerca non c’è…” mormorò la vocina cattiva nella sua testa.
«Ma la vuoi smettere una buona volta?!» sbottò.
«Parli con me?»
Re Horlon emerse dal cancello con un grosso volume polveroso tra le braccia.
«No, certo che no» rispose Liam, passandosi una mano sugli occhi.
«Oh, non mi dirai che sei stanco, mago! Il lavoro inizia adesso. Questo è il volume che cercavo.»
Lo posò sul tavolo e lo aprì.
Liam si sentì invadere dallo sconforto: quanti secoli gli ci sarebbero voluti per trovare le informazioni giuste in un tomo come quello? Si lasciò scappare un sospiro. Horlon ghignò.
«Non temere, ragazzo, le cose non sono sempre complicate come sembrano…per fortuna» aggiunse con un sorriso incoraggiante.
Sfogliò velocemente le pagine sottili e ingiallite, con una delicatezza e un affetto quasi paterno. Mordicchiandosi il labbro inferiore, l’elfo scorreva con il dito indice i titoli dei paragrafi, compilati in eleganti idiomi che il mago non sapeva leggere. Con il fiato sospeso, Liam pregava. Anche l’eco dei passi di Frunn sembrava essere scomparso, assorbito dal vuoto che minacciava di divorare il mago dall’interno. Sobbalzò quando, finalmente, il Re picchiò il palmo della mano sul legno verniciato del tavolo.
«L’hai trovato?» balbettò Liam.
Horlon annuì.
«Che cosa dice? Si può fare qualcosa?» incalzò, incapace di trattenere l’impazienza.
Annuì di  nuovo.
Trattenendo il respiro, il mago attese che l’elfo finisse di leggere. E quando questo alzò gli occhi dal libro ebbe la netta sensazione che il tempo si fosse fermato.
«È più complicato di quanto pensassi, Liam. Ma si può fare.»
Prese una sedia e gliela porse. Liam si sedette e domandò:
«Cosa intendi per “più complicato”?»
«C’è un antidoto da preparare» si massaggiò la fronte. «Ho capito. Ascoltami: devi preparare una pozione. Qui c’è un elenco di ingredienti, alcuni sono facili da reperire, altri meno, ma comunque recuperabili qui nei dintorni. Soltanto uno ci darà problemi, e dovrai chiedere l’aiuto dello stregone. Se riuscirai a preparare l’antidoto e a somministrarlo a tuo fratello, gli ci vorranno circa quindici giorni perché faccia effetto. E gli verrà la febbre, forse alta. Ma si sveglierà» concluse.
«Oh, Dei, grazie! Non bestemmierò più, lo prometto» gemette.
Horlon sorrise.
 
Mentre il bibliotecario si occupava di tradurre il paragrafo perché il mago potesse leggerlo e portarlo con sé, Horlon guidò Liam su e giù per il palazzo, perché potesse lavarsi, mangiare e riposare. Quando Frunn li raggiunse con la pergamena legata stretta da un nastrino, il sole era alto.
Il Re accompagnò il mago al molo, dove lo attendeva il timoniere in compagnia di un bel cavallo nero.
«Dov’è Baio?» domandò con un filo di apprensione.
«Nella stalla del mio palazzo. Sta riposando e mangiando a sazietà. Ascolta, Liam, io non posso accompagnarti fino a dove vorrei e lo sai. Ma vorrei che prendessi questo cavallo con te. È un Antico del Sud, della stessa razza della cavalcatura di Abigail. È veloce e resistente, con lui sarà semplice spostarti. Raggiungi la tua compagna di viaggio e spiegale il problema, sono certo che saprà come aiutarti. Nel frattempo, noi cercheremo tutti gli altri ingredienti della pozione. Quando avrai recuperato ciò che manca torna qui. Le mie sentinelle mi avvertiranno quando varcherai i confini del mio regno e io ti verrò incontro con il resto del materiale. Poi potrai portare a Natìm il tutto e far preparare la pozione ad Amina della Terra. Intesi?»
Liam annuì.
«E il mio cavallo?»
«Lo troverai al quartier generale. Ciò di cui hai bisogno ora è velocità.»
Con il groppo in gola, Liam tentò di sorridere.
«Grazie, Sire. Grazie davvero.»
Horlon gli diede una pacca sulla spalla.
«Vai, ora. La guerra è vicina.»
Liam salì sulla barca e il cavallo lo seguì, docile. Gli accarezzò il muso liscio.
«Come si chiama?» domandò mentre già prendeva il largo.
«Sophia. È una femmina, ed è molto permalosa!» gridò in risposta il Re.
Liam guardò Lumia sparire all’orizzonte.
«Povero me, un’altra femmina…» mormorò con un sorriso. «Bene, cara Sophia. Spero proprio che tu conosca la strada, perché io ho tenuto il conto dei bivi partendo da Erbaverde, e non è stato proprio quello che si dice un colpo di genio…»
 
Sulla riva del Llatas, nemmeno una mosca si era più fatta viva dalla prima scaramuccia. E la cosa non poteva non insospettire i maghi. A ventiquattrore dalla battaglia, non un orco, non un drago, nemmeno una lucertola aveva dato segni di vita. Aqua stava seduta a gambe incrociate sulla riva del fiume, in ascolto.
«Che cosa senti?» mormorò Tim alle sue spalle.
Aqua scosse il capo.
«Niente di particolare. Animali che fuggono, eco lontane di passi, una barca…se ci sono nemici sulla sponda, devono essere estremamente abili nel non lasciare tracce della loro presenza.»
Timothy annuì.
«Eppure io…»
«Tu senti il pericolo nell’aria, lo so, ho capito!» sbottò Aqua, irritata.
Il ragazzo si rabbuiò.
«Lo so che i tuoi sensi sono all’erta e che hai i nervi tesi allo spasmo, ma cerca di pensare che tutti noi ci sentiamo come te. Perciò, ti prego, non mettermi più ansia di quanta non ne abbia già.»
 
Chloé si asciugò la fronte con un fazzoletto. Starsene in piedi, una piazza dopo l’altra, sotto il sole cocente, la stava uccidendo.
Gli abitanti di Natìm avevano bevuto ogni singola parola uscita dalla bocca di James, che – incredibile ma vero – era conosciuto e stimato dai cittadini.
«Non devi preoccuparti di questo, per il momento, Beth. Il Maestro e i suoi maghi cercheranno di portare i combattimenti lontano dalla tua casa» stava dicendo il suo nuovo collega, sfoggiando il sorriso più rassicurante che Chloé avesse mai visto.
«Allucinante…» mormorò tra sé e sé, mentre la vecchia Beth stringeva le mani di James tra le sue e lo ringraziava.
Da quando, quella mattina, Ruben li aveva lasciati in pasto alla folla e si era ritirato in riunione con il Governatore, la gente non aveva smesso un secondo di fare domande. James aveva fatto riunire tutti nella piazza principale e aveva riassunto la situazione nei termini più chiari e onesti possibili. Si era levato qualche grido di protesta, ma a quanto pareva, Ruben era considerato un’autorità. Chloé se ne sarebbe rimasta più che volentieri in un angolo, dimenticata, ma il simpatico collega le aveva lanciato una serie i occhiate omicide che l’avevano obbligata a prendere la parola.
«Mi rendo conto che è chiedere molto, anzi, moltissimo…ma se qualcuno di voi avesse qualche talento da mettere a disposizione del maestro, e se la sentisse di farlo, ogni aiuto sarebbe prezioso» aveva detto.
«Di cosa c’è bisogno?» aveva gridato un uomo dalla terza fila.
Chloé si strinse nelle spalle.
«Principalmente soldati, uomini in età da combattere. Ma qualunque cosa sarà ben accetta! Per esempio, lei:» puntò con l’indice una donna in prima fila con il grembiule bianco di farina «lei è capace di fare il pane? Potrebbe servire per sfamare l’esercito. Oppure, lei:» e segnò un uomo con uno spesso grembiule di cuoio «se fa il conciatore, o meglio ancora, il fabbro, sarebbe estremamente utile.»
James annuì gravemente.
«Ognuno di voi può dare il proprio contributo, e vi assicuro che non sarà disprezzato. Per qualunque domanda, informazione, o proposta, potete rivolgervi a me, a quella bella signorina bionda di nome Chloé, oppure a uno qualunque dei collaboratori del Maestro che ben conoscete.»
Chloé si era lasciata trascinare su e giù per la città, e aveva docilmente risposto a centinaia di domande. Aveva la sgradevole sensazione che James la tenesse sotto controllo.
Il caldo era opprimente. Non le riusciva di tenere il conto delle ore che passavano. Un giramento di testa la obbligò ad abbandonare la calca per prendere fiato. Sostenendosi ad una porta sprangata, chiuse gli occhi e trasse un bel respiro.
«Stai bene, signorina?»
Riaprì gli occhi. Una bambina la guardava dal basso, i capelli legati in una treccia da un fiocco rosa e un cestino di fiori in mano. Chloé si inginocchiò davanti a lei. Aveva i capelli biondi e gli occhi castani.
«Oh, Dei, quanto mi ricordi me da piccola!» farfugliò.
La bimba sorrise.
«Mia, dove sei?»
Una donna emerse dalla folla facendo saettare gli occhi a destra e a sinistra. Quando individuò la bambina, puntò verso di lei.
«Mia, quante volte devo dirti di non allontanarti da sola?»
Prese la bambina per mano e la trascinò via.
«Ciao, signorina!» gridò Mia agitando la manina in direzione di Chloé.
«Ciao, piccola…» mormorò lei.
Un refolo di vento le scompigliò i capelli e si volse di scatto. Ruben la osservava con aria stanca.
«Capo. Com’è andata?» domandò.
«È andata. Sono sopravvissuto per raccontare che il Governatore si è incazzato come una bestia, ma che ha deciso di risparmiarmi» ghignò. «Come se avesse potuto uccidermi!»
Chloé sorrise.
«Qui mi sembra che le cose non vadano male» disse.
Il Maestro annuì.
«Bene. Recupera Jim. Partiamo subito per Spleen.»
Chloé gemette. Anche il pomeriggio l’avrebbe passato sotto il sole. E molto probabilmente anche i giorni a venire.
«Sicura che la guerra sia peggio, bionda?» gemette tra sé e sé, facendosi violenza e ricacciandosi nella calca.
 
Sophia era incredibilmente veloce. Liam si vergognava ad ammetterlo, ma Baio non avrebbe mai potuto portarlo fuori dal Reame Eterno in così poco tempo. Iniziava a comprendere il disappunto della strega circa l’andatura del suo cavallo. Il bosco scorreva ai margini della sua visuale, una macchia indistinta verde e marrone, l’aria tagliente gli faceva lacrimare gli occhi. Sentiva la pergamena nella tasca interna della giacca pesare come un macigno.
Quando la luce del sole gli ferì con violenza gli occhi, comprese di essersi lasciato il territorio degli elfi alle spalle. Tirò le redini e Sophia si fermò. Liam si guardò intorno: niente orchi all’orizzonte, ma una serie di impronte enormi schiacciavano la gramigna e alcune zolle erano state divelte.
Non si attardò oltre. Una cosa soltanto poteva lasciare simili impronte, e il fatto che fosse atterrata lì era tutt’altro che un buon segno.
 

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Capitolo 31
*** Fuoco nella notte ***


Abby fece scorrere il dito sulle lettere tracciate dalla mano precisa di Frunn. La pietra nera dell’anello brillò alla luce del sole che entrava dalla finestra. Annuì tra sé e sé e si schiarì la voce.
«Vediamo…Come rompere il sonno incantato indotto da una sirena. Promette bene, sì?»
Liam sbuffò.
Aveva raggiunto Abigail nel primo pomeriggio nella minuscola cittadina di Nihil. Trovare lo stregone era stato estremamente semplice: c’era una sola locanda.
«Tu l’hai già letta?» domandò.
Liam annuì.
«L’ha letta Horlon. Ma vorrei che la rileggessimo insieme. Senza il tuo aiuto, non me ne faccio niente.»
Abby gli scoccò un’occhiata penetrante e lesse.
«          Munirsi di: calderone, quindici pollici di diametro e venti di profondità, resistente alle alte temperature; un coltello affilato; un mestolo di legno di frassino; pestello di granito; ciotola di frassino.
 Ingredienti: acqua; argilla in polvere; ali di farfalla; latte di capra; miele di agrifoglio; erba cipollina; rosa lunare.
Ahi ahi, Li’, la rosa lunare è una bella gatta da pelare!»
Liam sospirò.
«Vai avanti.»
«          Preparazione:
accendere un fuoco, e porvi il calderone, precedentemente riempito per tre quarti di acqua, possibilmente di fonte. Una volta raggiunta l’ebollizione, aggiungere tre cucchiai di argilla in polvere. Mescolare bene e lasciar sobbollire per dodici minuti. Triturare nel pestello due ali di farfalla fino ad ottenere una polvere finissima, e aggiungerne un pizzico al calderone. Versarvi due mestoli di latte di capra. Riportare ad ebollizione e aggiungere un mestolo di miele di agrifoglio. Mescolare e attendere altri tre minuti. Sminuzzare cinque fili di erba cipollina e aggiungerli alla pozione. Mescolare, togliere dal fuoco e coprire. Lasciar riposare per venti minuti. Infine, aggiungere tre petali di rosa lunare e somministrare all’incantato.
N.b. L’antidoto necessita di c.a. quindici giorni per dare risultati. Nei giorni immediatamente antecedenti al risveglio, l’incantato subirò un innalzamento della temperatura corporea, anche rilevante.
Perfetto, Liam! Come pensi di trovare tutte queste cose?» domandò lo stregone stiracchiandosi la schiena.
«Penseranno a tutto gli elfi. L’unica cosa che dobbiamo cercare noi è la rosa lunare.»
«Noi?»
Liam sospirò.
«Mi duole immensamente ammetterlo, ma ho bisogno del tuo aiuto. Lo sai qual è l’unico posto in cui cresce la rosa lunare?»
Abigail lo guardò in tralice.
«La Valle del Sole Nascente, ai piedi del monte Alba, tra le fauci di Djalmat» mormorò.
«Appunto.»
Abigail si massaggiò a lungo in silenzio l’attaccatura del naso. Infine disse:
«Se io non ti aiutassi tu non ne usciresti vivo, questo è certo. E se tu rinunciassi, Irthen non si sveglierebbe mai, e io verrei meno alla promessa che ho fatto a Kore in punto di morte…» sospirò.
Liam si impose disciplina e represse l’istinto di strapparsi i capelli. Quella strega ci stava pure pensando…
Si alzò e le voltò le spalle. Forse non avrebbe notato la rabbia e l’impazienza dipinte sul suo viso.
«Vado a farmi un giro, Abigail. Tu riflettici e prendi la tua decisione.»
Non ebbe il tempo di raggiungere la porta prima che un cuscino lo colpisse il piena testa.
«Ma che diavolo fai?! Mi spettini!» sbottò, raccogliendolo e rilanciandolo alla ragazza.
«Oh, i tuoi poveri capelli!» ghignò Abby. «Non mi pare il caso che si perda tempo in amene passeggiate nei campi, tesoro, è meglio partire subito.»
Liam si passò le dita tra i capelli nel vano tentativo di sciogliere i nodi.
«Ti sei già fatta desiderare a sufficienza?» domandò sospettoso.
«Non capisco di cosa stai parlando» disse alzandosi e iniziando a raccogliere i bagagli disseminati per la stanza.
Domandandosi se non ci fosse qualcosa di strano nel suo comportamento – di più strano – il mago scosse il capo e uscì.
 
Il sole percorreva il suo arco nel cielo con lentezza estenuante e la campagna scivolava via sotto agli zoccoli degli Antichi del Sud. Le città diventavano sempre più piccole, il paesaggio brullo e le tracce di orchi evidenti. L’aria si raffreddava rapidamente, mentre il profilo delle montagne incombeva sempre di più. Abigail conosceva poco la Terra dei Draghi, ma aveva garantito a Liam di poterlo portare direttamente alle pendici del monte Alba senza perdersi. Evitare di incappare nei proprietari di casa sarebbe stato più complesso.
A ridosso delle montagne, la terra aveva ceduto il posto alla pietra. I pochi cespugli che si arrischiavano a crescere erano secchi e raggrinziti. In lontananza, il nastro argentato del Morgael scorreva impetuoso, illuminato qua e là dai raggi inclinati del sole che tramontava. Abby imboccò un sentiero stretto che correva tra due pareti rocciose.
Il mago la seguiva in silenzio, domandandosi che cosa avrebbe fatto se un drago si fosse messo sulla loro strada: se la sarebbe data a gambe, piantandolo in asso come un fesso, oppure avrebbe onorato gli accordi?
Il sole scomparve velocemente dietro alle cime, e l’aria si fece ancora più fredda.
«Pensi che dovremmo fermarci, stanotte?»
Abby si guardò distrattamente alle spalle e annuì.
«Sì, ci fermeremo. E il prima possibile, anche. Sto cercando un posto adatto.»
«Quale sarebbe un posto adatto?» sbottò Liam, sempre più nervoso all’idea di vagare dopo il tramonto nel territorio dei suoi peggiori nemici.
«Uno difendibile, Liam. Possibile che debba spiegarti tutto?»
Liam represse l’istinto di tirarle una sassata nella schiena. Quella supponenza proprio non la poteva soffrire. L’ombra avvolgeva oramai ogni cosa quando Abigail puntò una insenatura nella roccia.
«Accampiamoci là» disse.
Dietro a quella che sembrava una semplice protuberanza, si nascondeva una vera e propria grotta, perfettamente riparata, e comunicante con l’esterno tramite una bocca larga a sufficienza per lasciar passare i cavalli.
«Un drago qui non riuscirà ad entrare» disse lo stregone.
«Un drago intero forse no, ma la sua testa ci passa eccome» commentò Liam. «E se ci carbonizza?»
Abigail sbuffò.
«Accidenti, Liam! Siamo uno stregone e un mago che comanda l’Acqua, riusciremo a non finire carbonizzati dalla testa di un drago, sì? E io che pensavo che Irthen fosse una lagna!» un’ombra passò sul suo viso, e per un attimo sembrò mostrare molti più anni del solito. «La situazione è già abbastanza complessa, cerca di non renderla ancora più difficile con il tuo insopportabile pessimismo.»
Liam chinò il capo, sconfitto. Ancora una volta, la strega aveva ragione. Crogiolarsi nel pessimismo non avrebbe reso le cose più semplici.
Abigail scaricò i bagagli.
«Domani entro mezzogiorno saremo nella Valle, prenderemo ciò che ci serve e torneremo qui. Se tutto andrà per il verso giusto, passeremo qui un’altra notte e poi torneremo dal tuo amico Horlon.»
«Approposito di Horlon! Me n’ero completamente dimenticato! Ho trovato delle impronte appena oltre i confini del bosco, oggi…impronte di drago.»
«Ah.»
Liam si lasciò cadere a terra. Gli faceva male tutto a forza di stare a cavallo.
«Ah?» domandò. «Tutto qui?»
Abby lo guardò in tralice.
«Era lì per Caleb» rispose con un’alzata di spalle.
«Ca-caleb?!» balbettò il mago.
«Sì, è passato a trovarmi a Nihil, ho dimenticato di dirtelo. Gli ho consigliato di fare una visitina al signor lucertola, giusto per capire cosa ci fanno i suoi amichetti a spasso per la Terra dei Tuoni.»
Liam si morse la lingua per non rispondere. Il suo peggior nemico confabulava con la sua sgradita alleata, e lei si dimenticava di informarlo. Certo, un dettaglio assolutamente irrilevante.
 
«Avete fatto un buon lavoro, ragazzi.»
Ruben estrasse una mappa e la distese sulla scrivania. Intinse la penna nell’inchiostro verde e tracciò un cerchio attorno alle città di Natìm e Spleen.
«Che cosa significano quei segni?» domandò Chloé.
«Le città favorevoli alla nostra fazione» rispose James.
Ruben picchiettò con il dito su un cerchio rosso.
«Precisamente. I segni rossi, invece, sono le roccaforti di Micael. Per il momento, ha solamente Torat e Madian, ma avendo richiamato tutte le spie non possiamo avere notizie aggiornate» sospirò. «Sarebbe perfetto se riuscissimo a guadagnare le città sul Lago di Nebbia e qualche centro del Sud. Tipo Phia, oppure Lenada…»
«Non sarà semplice. La sponda Sud-Est del lago è storicamente più bellicosa» commentò James.
«Effort potrebbe non essere un problema» interloquì Chloé.
Entrambi la guardarono.
«Vi ho abitato per tanti anni, mio padre è ancora là. Ho buone conoscenze nei bassifondi, sono certa che ci appoggeranno.»
Ruben annuì.
«In questo caso, conto su di te, Chloé. Appena la nave sarà pronta, salperemo verso Effort. In questo modo, domani potremo mettere alla prova le conoscenze della nostra recluta, e io potrò parlare con il Governatore. Domani sera, poi ripartiremo e scenderemo fino a Clas. Trascorreremo là la mattinata successiva, poi ci trasferiremo a Riva, e durante la notte navigheremo fino a Spleen. Da lì, le nostre strade si divideranno. Io andrò a Phia, voi tornerete a Natìm. In base alle notizie che ci farà avere Liam, valuterete il da farsi.»
Chloé guardò di sottecchi James per tentare di capire che cosa pensasse. Non le aveva più fatto scenate isteriche ma, a onor del vero, non gliene aveva data l’occasione. Chissà per quanto tempo avrebbe resistito senza sfogare i nervi…ghignò tra sé e sé. Poteva rendergli la vita un inferno.
«Che hai tu da ridere?» sibilò l’interessato.
Chloé sorrise.
«Rido perché avremo un sacco di tempo da trascorrere insieme, occhi negli occhi, Jamie. Immagina quanto ci divertiremo!»
Si compiacque malignamente dello sguardo d’orrore del collega, ma ancora di più del sorrisetto divertito di Ruben.
“E guerra sia”.
 
Il peggiore dei loro incubi si avverò quando la notte aveva già avviluppato ogni cosa nel suo manto scuro. La comparsa del drago fu preannunciata dall’inquietante suono ovattato delle grandi ali che sferzavano l’aria, e dalle grida di Timothy, che aveva sentito l’atmosfera surriscaldarsi sempre di più, e aveva compreso immediatamente il significato del fenomeno.
I quattro maghi si erano disposti in linea, in riva al fiume, e avevano atteso, nel terrore che quel drago non fosse solo, che avesse portato con sé il resto della combriccola di orchi. Stretti l’uno all’altro, attendevano nell’ansia.
«Lo vedo» mormorò improvvisamente Debrina. «Sembra solo…tu senti qualcosa, Erika?»
Erika scosse il capo.
«Nessun movimento significativo. Non via terra» rispose.
«Nemmeno via acqua, se è per questo» aggiunse Aqua.
«Bene.»
Aqua si mordicchiò nervosamente un’unghia. Per quale motivo il drago avrebbe dovuto presentarsi da solo? Forse li riteneva troppo deboli, oppure il contingente era ancora troppo lontano. Non poteva essere solo di passaggio, non di nuovo e non in piena notte.
«Non è lo stesso dell’altra volta» disse Timothy.
Sforzando la vista, Aqua riuscì a vedere ciò che il suo compagno vedeva: una sagoma chiara che si avvicinava a grande velocità, riflettendo i bagliori delle stelle contro al cielo nero. Aveva ragione, non era lo stesso drago nero di due notti prima.
«Dede.»
Debrina grugnì.
«Odio doverlo dire, ma tu sei la più esperta, e sei anche quella che, molto probabilmente, ha meno difficoltà a ragionare come un drago. Che cosa faresti se fossi al suo posto?»
«Al posto del drago?!» esclamò con aria scandalizzata.
Quando si rese conto che Aqua era estremamente seria, ci rifletté per qualche secondo, poi disse:
«Prepara uno scudo d’acqua, ragazzina. Io raderei tutto al suolo.»
Aqua deglutì e si preparò a sopportare lo sforzo.
Il drago scomparve per qualche secondo, inghiottito da un banco di nebbia. Poi piombò su di loro, all’improvviso, sollevando turbini di polvere e sputando fiamme. Aqua attinse dal Llatas acqua ed energia e sollevò lo scudo. Le fiamme si infransero con un boato e un’esplosione di fumo contro alla barriera.
«Così!» esclamò Debrina.
Aqua quasi non la sentì, divisa tra il sollievo per il dispendio contenuto di energie nel respingere l’attacco e tra l’euforia della battaglia imminente.
Il drago riprese quota, virò e calò di nuovo su di loro. Tim alzò le braccia e una folata di vento ben assestata lo destabilizzò, costringendolo ad impostare una nuova manovra, con un ruggito di frustrazione.
«Non possiamo usare l’acqua per contrastarlo?» domandò Erika.
«Dubito che si possa “spegnere” il focolaio di un drago…al massimo posso infastidirlo e allontanarlo, ma tornerà, oppure ripararci dai suoi attacchi. Da sola non posso fare di più. Forse con un altro mago d’Acqua…ma non lo so, dovrei parlarne con Ruben.»
«Che cosa facciamo, allora?!» gemette Erika. «Questo qui non dà cenni di stancarsi, dobbiamo trovare il modo di colpirlo.»
Il drago risalì a spirale e si preparò alla discesa in picchiata. Ruggì una lunga vampa di fuoco. Timothy alzò le braccia e la fiammata si spezzò.
«Ma che hai fatto?!» esclamò Debrina sgranando gli occhi.
«Ho tolto l’ossigeno» farfugliò il ragazzo.
«L’idea non era male, Tim, ma ho l’impressione che adesso sia alquanto arrabbiato» mormorò Erika.
La creatura li attaccò con le zanne snudate e gli artigli protesi, obbligandoli a rompere i ranghi. Debrina lanciò una sfera infuocata.
«Fuoco contro fuoco, Dede?» gridò Erika.
Debrina non rispose. Il suo attacco era rimbalzato come niente sulla pelle squamosa, senza provocare alcun danno. Infuriata, attaccò di nuovo. Il drago rispose all’attacco. Le fiamme si scontrarono con una pioggia di scintille. Aqua comprese con sgomento che la maga non intendeva lasciar perdere. Teneva vivo l’incantesimo con i muscoli tesi, come fosse stata una prova di forza fisica, dalle sue mani scorreva un flusso continuo di energia che surriscaldava la notte. E il drago non sembrava avere problemi a respingere il suo attacco. La massa instabile che l’incontro dei due fuochi alimentava si avvicinava lentamente a Debrina. Il mostro era più potente di lei.
«Lascia perdere, ti farai ammazzare!» gridò Aqua.
«Invece che perdere tempo ad insultarmi, attaccatelo! Razza di idioti!»
«Che cosa possiamo fare?» gemette Timothy.
Erika fischiò, e una nuvola di uccelli di ogni genere si sollevò dal bosco, e si precipitò in loro soccorso.
Il drago tentò di scacciarli, infastidito dal loro becchettare. Ma non poteva reagire senza interrompere l’attacco a Debrina. Aqua imbracciò l’arco, incoccò una freccia, ricoprì la punta di ghiaccio tagliente e mirò.
«Tim, direzionala» disse.
«L-la direziono, certo! Dove?»
Aqua rifletté un secondo. Non aveva idea di quale fosse il punto debole di un drago.
«Erika, qual è il punto più esposto? Quello con la corazza meno spessa?»
«Ehm…l’ascella, direi. Diciamo l’interno dell’attaccatura della zampa anteriore. Se non vuoi piantargliela in bocca, quello è l’unico punto.»
«Finché sputa fuoco, la bocca non è raggiungibile. Sentito, Tim? Ascella!»
«Ci muoviamo, o volete che vi faccia portare dei pasticcini?!» strillò Debrina.
Aqua deglutì. Era il suo momento di dimostrare che non era un peso morto. Poteva funzionare.
«Ora, Tim!»
Scoccò.
La freccia sibilò in direzione del drago. Timothy alzò i palmi delle mani e la traiettoria oscillò. Schivò qualche uccello, deviò per evitare l’ala possente, allargò, prese velocità e si conficcò nella pelle esposta sotto all’attaccatura della zampa anteriore sinistra.
Il drago ruggì di dolore e interruppe la vampa, consentendo all’incantesimo di Debrina di colpirlo in pieno. Rischiò di precipitare, ma riprese quota e, bombardato da ogni sorta di incantesimo, lanciò un’ultima fiamma e batté in ritirata.
Aqua tentò di colpirlo mentre si allontanava veloce nella notte.
«Dite che dovremmo inseguirlo?» domandò Timothy esitante.
Debrina scosse il capo.
«È troppo lontano, ormai. Peccato. Avremmo avuto l’occasione per abbatterlo. Temo che la prossima volta che lo incontreremo non sarà solo…»
Erika sfiorò la terra bagnata del sangue che era caduto in grosse gocce dalla creatura ferita e un’ombra di dolore le oscurò il viso. Per un secondo, Aqua provò compassione per lei. Giusto un secondo, il tempo di ricordare che quel drago aveva appena rischiato di carbonizzare Debrina…
«Che vengano. Noi saremo qui ad aspettarli» mormorò.
 
La nave di Ruben ondeggiava dolcemente, sospinta dal vento innaturale che il Maestro comandava. Ma per quanto delicato fosse il suo incedere, Chloé non sopportava di restare in coperta. Quando l’avesse scoperto Liam che soffriva il mal di mare non le avrebbe più rivolto la parola…sorrise tra sé. Chissà dov’era il suo amico in quel momento. Prese un lungo respiro, considerando che sul ponte la nausea andava meglio. Sporgendosi dalla murata di diritta, riusciva a intravedere i primissimi raggi di sole che facevano capolino dall’orizzonte frastagliato della foce del Brumo. Presto avrebbero attraccato nel porto di Effort. Forse sarebbe riuscita a salutare sul padre. Sospirò, assalita da un nuovo attacco di nausea. Se non altro si sarebbe goduta una bella alba limpida…
Un’imprecazione soffocata, nell’ombra, attirò la sua attenzione. Esitò, combattuta tra la curiosità e un’irrazionale paura. Si impose qualche respiro profondo, nel tentativo di normalizzare il battito, e si avvicinò lentamente. Tese l’orecchio. Un sospiro, un sibilo. Si avvicinò ancora. Dietro ad una montagna di sartiame, un uomo stava disteso supino, il respiro irregolare. Chloé si avvicinò.
«Ehi, va tutto bene?» domandò, sempre più agitata.
L’uomo sobbalzò e tentò di alzarsi affannosamente, lasciando cadere una pipa lunga e sottile, che tintinnò sulle assi di legno. Il genere di pipa che Chloé aveva avuto spesso modo di vedere nei bassifondi di Effort. Mentre l’odore dolciastro le bruciava le narici, sentì le gambe tremare. Stupida, stupida, stupida. Preoccupata che qualcuno stesse male, era invece incappata in una persona che avrebbe potuto perdere il posto a causa del contenuto di quella pipa. Nell’ombra densa, l’uomo riuscì a trarsi in piedi. Le si avvicinò barcollando e la ragazza fece un passo indietro.
«P-perdonami…io…» balbettò, prima di voltarsi e allontanarsi velocemente.
«Chloé, aspetta!»
La bionda incespicò, raggiunta nella prima luce dell’alba dall’inconfondibile voce di James.



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Liam: "Oooohhhh bona ragas! Finalmente posso lasciare io un commento alla fine del capitolo! Prima di tutto sappiate che sono ancora scioccato per la velocità di pubblicazione (si vede che la sessione estiva è finita). In secondo luogo, vorrei rispondere a tutte le dolci puellae che hanno infamato me e la mia capa, qui, per aver "licenziato" Baiuccio...devo dirvelo, io ho combattuto strenuamente per la sua sopravvivenza nella storia, ma mi è stato detto che avrei dovuto sopportare Abby per parecchi giorni di più. Oh capitemi, ormai me la sogno anche di notte...anzi, me la INCUBO! Posta questa premessa, vorrei scusarmi con Hareth perché la banalità dell'ingrediente X è colpa mia. Alla Caterinella era piaciuta molto l'opzione rhum, ma ancora di più l'opzione Dan, ma mi sono opposto con insistenza (le do detto 'Dove cavolo lo trovo, un Dan per la pozione?! Verrebbe fuori un crossover da fuoco!!'), alla fine il capo ha dovuto cedere. Scusa, Hary, mi farò perdonare, promesso. Infine ringrazio Socorro e Anneke, che immancabilmente recensiscono, e spesso e volentieri prendo del maniaco e affini, sì, lo so che voi preferite Aqua. Approposito, dice di salutarvi. Infine, un appello ai lettori silenziosi (potrei chiamarvi 'lettori enigma', oppure 'lettori ombra'? Mi fa molto Batman come cosa...): ogni nuovo recensore riceverà in regalo un cd dei Doors autografato da ME! So che vi sto allettando XD Bene, a questo punto vi saluto (la connessione, qui nella Terra dei Tuoni, fa schifo), fiducioso in un aggiornamento in tempi umani! Ciaooooo
Li'  \m/  "

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Capitolo 32
*** In attesa ***


«Cautela, Liam. Non ti chiedo altro. Dobbiamo essere silenziosi, disciplinati e dobbiamo, possibilmente, muoverci nell’ombra. Sono stata chiara, sì?»
Liam annuì riluttante. Quanto sarebbe andata avanti, ancora, quella solfa?
«Nessuna lamentela, nessuna defezione, nessuna bieca insinuazione.»
Sbuffò. Strinse la cinghia della sella e si issò sul dorso di Sophia.
«Entro notte, Abigail» sibilò.
La ragazza gli lanciò un’occhiata omicida e sferzò Luce.
Quando lasciarono il loro rifugio, la luce del sole non riusciva ancora ad infiltrarsi tra le cime. Il vento tagliente sembrava volerli respingere, e non accennava a mollare. Si tennero a ridosso della parete di roccia, e Liam pregava di poter raggiungere la Valle senza intoppi, perché ad uno scontro in territorio nemico non sarebbero sopravvissuti. Questo doveva averlo ben chiaro anche lei, altrimenti qual era il motivo di tutte quelle raccomandazioni?
“Coraggio, Li’, ormai ci sei quasi” mormorò la solita vocina, stranamente mansueta.
Abby attirò la sua attenzione con un cenno e indicò una delle vette che torreggiava sulle altre. La neve la imbiancava, nascondendo la pietra e i picchi affilati. Qualche rada macchia di vegetazione punteggiava, qua e là, le pendici più basse. Il Monte Alba. La roccaforte di Djalmat. Deglutì.
Un ruggito echeggiò lontano tra le montagne e Abby fermò il cavallo, in ascolto. Un altro verso, più stridulo, rispose al primo, poi più nulla. Lo stregone annuì.
«Capisci la loro lingua?» domandò Liam.
Abby si rimise in marcia.
«Per tutti gli sciacalli, Liam, i draghi non comunicano così, non sono mica cani!»
Liam rimase un momento interdetto.
«E come fanno allora?!»
«Come gli Unicorni, comunicano mentalmente. È incredibile quanto tu sia ignorante.»
Il mago represse brutalmente l’istinto di rispondere. Aveva promesso di non farlo, e non poteva giocarsi l’aiuto della zitella sul più bello.
Il sole fece capolino tra le pareti rocciose, illuminando alcuni punti del sentiero che i due viaggiatori percorrevano. Improvvisamente, Luce svoltò a sinistra e imboccò una fessura praticamente invisibile ad occhio umano, una stradina che si inerpicava tra i cespugli mezzi secchi. Sophia la seguì senza difficoltà. Dopo qualche minuto di marcia, il viottolo cominciò ad allargarsi e scendere fino a sbucare in una valle innaturalmente verde e fiorita in mezzo alla desolazione della Terra dei Draghi. Liam si rese conto di essere rimasto a bocca aperta solo quando Abigail gli assestò uno scappellotto.
«Svegliati, mago.»
«Questa è la Valle del Sole Nascente?»domandò.
«Esatto. O almeno, questo è il lato opposto rispetto alle pendici dell’Alba. Ed è dannatamente esposta. Ora ascoltami bene, Liam: non sarai tu ad andare a cogliere quel fiore, e nemmeno io.»
Liam sbatté le palpebre, sentendosi molto ottuso. Non capiva. Abigail accarezzò il muso bianco di Luce.
«Andrà lei» spiegò.
«U-un cavallo, Abigail?!» balbettò.
«Errato, mago. Non un semplice cavallo, ma un Antico del Sud. Sai perché si chiamano “Antichi del Sud”? Perché sono originari del Sud. E noi dove ci troviamo? A Sud, pensa che coincidenza! Questo è il loro habitat. Un drago non presterà attenzione ad una specie animale della zona. Ma ad un essere umano…beh, quello non passerà inosservato, sì?»
«E se lo mangia?» domandò il mago guardando con perplessità il cavallo.
Antico o non antico, sempre un cavallo restava. Abby sbuffò.
«Sciocchezze, i draghi non mangiano gli Antichi.»
Diede una pacca affettuosa sul dorso di Luce e la liberò della sella e dei bagagli. Sorrise e il brillantino sull’incisivo scintillò nell’ombra.
«Vai, bellezza. Sai cosa devi fare.»
Luce nitrì piano e, sbuffando, lasciò il rifugio per addentrarsi nella valle illuminata dal sole.
 
Chloé era riuscita ad evitare senza troppa difficoltà James per tutta la mattinata. L’attracco ad Effort lo aveva tenuto impegnato, accanto a Ruben e all’equipaggio, nelle manovre di routine. Dopo lo sbarco, il Maestro li aveva condotti nella piazza centrale a bordo di un carro e si era ritirato nel palazzo del Governatore, lasciandoli in balia della folla. Nonostante i tentativi di James di trarla in disparte, Chloé era riuscita a non dargli l’occasione di trovarsi a quattrocchi con lei. Perché temere, poi? Quello dalla parte del torto era lui. Più ci pensava, più si domandava come potesse un pedone in una posizione tanto strategica permettersi di fumare oppio proprio prima di presentarsi in pubblico. Perché su quello non c’erano dubbi: se anche non fosse stata sufficiente la presenza di quel particolare tipo di pipa e dell’odore – che avrebbe riconosciuto a distanza di miglia – di certo la reazione dell’interessato non lasciava margini d’errore. Possibile che Ruben non lo sapesse? Oppure, scenario ancora più inquietante, che lo sapesse e non gliene importasse?
“Tranquilla, bionda, tanto ti odiava già prima…” si disse.
Quando si ritirarono per il pranzo, Ruben ancora non era ricomparso, ma Chloé ebbe la possibilità di incontrare suo padre. Lieta di poter mangiare qualcosa con Joel, che non sperava di vedere dopo così poco tempo, gli spiegò per filo e per segno la situazione. Il macellaio ascoltò con attenzione, e i suoi occhi color cioccolato si fecero sempre più cupi.
«Farò il possibile per aiutarvi, Clo» disse infine. «Non dovrebbe essere troppo difficile sollecitare il quartiere del porto ad appoggiarvi. Quanto al centro…»
«Dovresti parlare con Claude» lo interruppe Chloé.
«Claude?» domandò perplesso Joel.
«Non te lo ricordi? È quel ragazzino che lavora a casa di Lady Margareth.»
«Ah, sì, il cuoco!»
«Sì, esattamente. Digli di pubblicizzarci con i suoi colleghi. Ci penseranno loro, poi, a diffondere la voce, e presto si parlerà di Ruben in toni accomodanti anche nei salotti della Effort bene.»
Joel annuì.
«Sei diabolica.»
Chloé sorrise.
Quando si salutarono, la bionda sapeva che quello poteva essere il loro ultimo incontro prima della guerra. Ovvero, il loro ultimo incontro in assoluto.
 
Liam si mordicchiava un ciuffo di capelli. Sapeva che li avrebbe rovinati, ma aveva problemi più contingenti. Non ricordava di aver mai provato una simile ansia in tutta la sua vita. Luce vagava disinvolta per la valle, un punto luminoso in mezzo al verde e agli alberi, che a momenti la nascondevano alla vista. Ogni tanto, un ruggito accapponava la pelle al mago. Incapace di arrendersi ad una attesa fiduciosa, mormorò:
«Perché ci mette tanto?»
Abby si passò la manica sulla fronte per asciugare il sudore, unico dettaglio a tradire la sua tensione.
«La rosa lunare non è il fiore più diffuso della Terra dei Tuoni, Li’…non è una margherita. Sii paziente.»
Un’ombra immensa oscurò il sole per un secondo, e i due si schiacciarono contro alla parete rocciosa. Il drago planò, girando in cerchio sulla valle, per qualche tempo. Poi scese in picchiata. I due trattennero il respiro mentre quello spalancava le fauci micidiali e afferrava qualcosa, che lanciò un verso acuto innaturalmente simile ed un grido umano. Tirarono un sospiro di sollievo quando il drago volò via con un cinghiale a penzoloni.
Il mago si lasciò scivolare per terra, sopraffatto dalla spossante sensazione di impotenza. Le gambe non lo reggevano più.
Passò altro tempo. Altri draghi sorvolarono le pendici del Monte Alba senza notarli e senza mostrare interesse alcuno per l’Antico del Sud che brucava spensierato.
Liam si lasciò sprofondare in uno stato di dormiveglia in cui, disgraziatamente, i pensieri non volevano cedere. Se fosse uscito vivo da quell’inferno, avrebbe dovuto risolvere la questione di Ophelia – non Syra, Ophelia – recandosi di persona a Pothien. Il solo pensiero gli faceva venire il vomito. Si augurava che, per lo meno, gliene restasse il tempo prima dello scoppio della guerra.
Si riscosse e spalancò gli occhi. Abigail lo scuoteva dolcemente.
«Sta tornando» disse.
Lo aiutò a trarsi in piedi e attesero insieme l’arrivo di Luce, che teneva tra i denti due fiori dallo stelo lungo e dai petali grandi di un bell’azzurro cielo.
«Non ha l’aspetto di una rosa» disse il mago tra sé e sé.
Abby si strinse nelle spalle.
Quando il cavallo li ebbe raggiunti, Abigail prese i fiori e li consegnò a Liam.
«Impara cos’è la lungimiranza, mago. Te ne ha portati due, uno in più per sicurezza» disse accarezzando l’animale.
Sentendosi improvvisamente più leggero, Liam prese i due fiori e li ripose al sicuro nel contenitore che Horlon gli aveva dato.
«Grazie Luce. Ti devo un favore.»
«Solo a lei?» sbottò Abigail.
Liam le lanciò un’occhiataccia.
«Dai, muoviamoci a tornare alla grotta. Se si fa sera qui sono cazzi amari.»
Si rimisero in marcia, ripercorrendo la strada di quella mattina, nascondendosi al primo segnale di allarme ed evitando il più a lungo possibile la luce del sole.
La notte precoce del canalone tra le montagne aveva già avvolto ogni cosa quando raggiunsero il loro rifugio sicuro.
 
Quando Ruben riemerse con aria soddisfatta dal palazzo del Governatore, i suoi galoppini iniziarono a disperdere la folla. Il sole stava tramontando e Chloé si sentiva sfinita. Aveva trascorso l’intera giornata a sorridere e a dare risposte rassicuranti, nella maggior parte delle quali non credeva minimamente. Non che si fosse mai fatta tanti scrupoli a fare buon viso a cattivo gioco, a spostare quelle stesse persone sulla scacchiera come pedoni da sacrificare per ottenere il maggior vantaggio personale ipotizzabile. Ma la porta in gioco, ora, era troppo alta. Dalla sua capacità di improvvisazione dipendeva la rete di alleanze di Ruben e, quindi, in senso lato, anche di Liam.
Si massaggiò le tempie, cercando di riportare alla mente il programma: la mattina dopo Clas, il pomeriggio Riva. Conosceva qualcuno da quelle parti? Non ricordava.
Si spostò in un angolo defilato della piazza. Le faceva male alla testa, aveva bisogno di un po’ di quiete per raccogliere le idee. Faticando a mettere a fuoco, ebbe la sgradevole sensazione che qualcuno venisse verso di lei. Qualcuno con i capelli a spazzola, le spalle larghe e la vita stretta. Gemette e si infilò nel vicolo alle sue spalle.
«Chloé.»
La voce di James la raggiunse chiara e nitida, ma la ignorò, addentrandosi sempre di più nel cuore di Effort. I passi alle sue spalle echeggiavano tra le pareti di mattoni, sempre più vicini.
«Chloé!»
La ragazza affrettò il passo, nel tentativo di seminare l’inseguitore. Svoltò in una via più larga e imboccò un nuovo vicolo, seminascosto dalla bancarella di un venditore ambulante di dolci. Perché stava scappando, poi? Si sentì mancare l’aria quando, svoltato un nuovo angolo, si scoprì in un vicolo cieco. James la raggiunse, sentiva il suo respiro affannoso pochi passi dietro di lei, ma non si voltò. Rimase in silenzio a fissare la parete spoglia che aveva bloccato la sua fuga.
«Chloé…» mormorò James. «Mi hai evitato per tutto il giorno.»
La ragazza strinse i pugni. La voce era stanca, un po’ più roca del normale.
«Non che di solito siamo grandi amici, ma…è per quello che hai visto stamattina, vero?»
Chloé continuò imperterrita ad ignorarlo, tentando, invano, di elaborare una strategia difensiva. Anche se, in realtà, non sembrava arrabbiato, né aggressivo. Di questo doveva prendere atto.
«Ti prego, dimmi che non l’hai detto a Ruben…»
Chloé sobbalzò. Cos’era quel tono implorante? Si riscosse e si voltò lentamente.
«A Ruben?» balbettò.
James sbuffò.
«Certo, a chi sennò? A chi vuoi che interessi la mia salute psicofisica?!»
Chloé si prese il naso tra le dita, cercando di fare ordine tra i propri pensieri. A chi, diceva? A Debrina, per esempio, a Ruben, e anche a lei. James era una delle spie migliori del Maestro, una di quelle con gli incarichi più delicati. Come cavolo faceva a fare la spia e l’oppiomane allo stesso tempo senza implodere?!
“Frena, bionda, magari la situazione non è così compromessa…” si disse.
E aveva anche il coraggio di chiederle di reggergli il gioco! Certo, sempre meglio piuttosto che avesse negato fino alla morte, oppure tentato di ucciderla.
«Non l’ho detto a Ruben, né a nessun altro. Non avevo intenzione di farlo. Ma non c’è bisogno che ti dica che, alla luce della tua posizione, è una cosa altamente irresponsabile, vero?»
James non abbassò lo sguardo. Anzi, lo tenne fisso in quello di Chloé, che per un secondo si sentì mancare. Come potevano essere così innaturalmente limpidi, quegli occhi? Forse stava solo tentando di commuoverla, con quegli occhioni da cerbiatto. Scosse il capo.
«James» sibilò, furiosa con sé stessa per essersi lasciata abbindolare.
«Lo so» sbottò. «Sì, lo so che è da idiota, ma è l’unico modo che ho di reggere tutto questo.»
«Tu-tutto questo?» balbettò.
«Vivere nell’ombra, rischiare di continuo l’osso del collo…fare buon viso a cattivo gioco per Ruben…con le mie sole forze non ci riesco più. Tu mi hai chiesto come faccio a dire a questi poveracci che un drago potrebbe comparire da un momento all’altro e bruciare le loro case, ora lo sai, come cazzo faccio! Tu…tu non farti trascinare nel vortice, tu sei ancora in tempo.»
Esitò ancora un momento, come se avesse voluto aggiungere qualcosa, poi si volse e si allontanò, lasciando Chloé sola e turbata in fondo ad un vicolo cieco nel cuore di Effort.
Per tornare al porto, la ragazza fece un giro lungo, per prendersi il tempo necessario a calmarsi. Quando raggiunse il molo, la nave era già pronta a salpare.
«Ohi, bionda, che fine avevi fatto?» gridò Ruben dal ponte, armeggiando con una cima.
«S-scusa, capo. Sono passata a salutare una persona» rispose, domandandosi perché anche lui avesse iniziato a chiamarla con quel nomignolo sciocco.
Insomma, Liam poteva sopportarlo, ma solo perché era Liam.
«Sì, sì, d’accordo, ma ora muoviamoci.»
Chloé salì a bordo, e il vento favorevole prese a soffiare, conducendo la nave fuori dal porto. Sospingendola verso la foce del fiume Brumo.
 
Nel silenzio della notte giovane era difficile abbandonarsi al sonno. Era difficile dimenticare come il drago li aveva quasi carbonizzati, la notte prima, e quanto Debrina ci aveva impiegato a riprendersi dallo sforzo. In tutta la giornata avevano avvistato solamente un gruppo sparuto di orchetti, che non era stato difficile eliminare. Ma di lucertole volanti e affini nessuna traccia. Konstantin aveva fatto avere loro notizie da Est: non avevano ancora dovuto affrontare i contingenti che risalivano lungo la sponda del lago in campo aperto, ma la situazione si faceva via via più complessa. Aqua prese un lungo respiro. Quelle scaramucce non le poteva soffrire, si consumava nell’attesa dello scoppio della guerra vera e propria. Quella in cui le battaglie sono degne di tale nome, quella in cui la tensione si sfoga nel sangue. Quella in cui la gente muore e le città vengono distrutte.
 
Chloé si svegliò al rumore delle nocche che bussavano alla sua porta. Si alzò, accese un lume e si avvolse in una vestaglia. Che fosse successo qualcosa perché la si svegliasse in piena notte? Per un breve, terribile secondo, temette che fosse James, intenzionato ad ucciderla, a dispetto dell’edificante discorsetto di quel pomeriggio. Tanto più che la ragazza aveva notato – non senza un filo di inquietudine – che l’atteggiamento del collega nei suoi confronto era leggermente mutato. La voce attutita di Ruben giunse come manna a dissipare ogni dubbio.
«Chloé, ho bisogno di parlarti. Posso entrare?»
Rincuorata, ma non meno perplessa, la ragazza fece scorrere il catenaccio nella guida e scostò la porta quel tanto che bastava per far entrare il mago. Richiuse velocemente la porta e la bloccò.
«È successo qualcosa?» domandò.
Ruben si sedette sullo scranno accanto al letto e si massaggiò la cicatrice che lo scontro con Caleb gli aveva lasciato sul viso, senza rispondere. Chloé si sedette sul letto e lo guardò con attenzione. Sembrava molto provato. Forse gli impegni diplomatici non rientravano nel suo campionario di hobby.
«Capo? Stai bene?» domandò più dolcemente.
«So che l’hai visto» disse.
«Prego?» balbettò, colta alla sprovvista.
«So che hai visto Jim farsi di quelle schifezze. Oh, non fare quella faccia! È tutto il giorno che lo eviti. E non puoi davvero pensare che non mi sia reso conto fin da subito della sua dipendenza.»
Chloé aprì la bocca, poi la richiuse, sentendosi molto sciocca. Naturale che lo sapesse, l’unica che non l’aveva capito era lei…e d’altra parte aveva considerato fin da subito l’ipotesi che lui sapesse.
«Questo è uno dei motivi per cui ti ho affiancata a lui, bionda. Conosco James, so di potermi fidare di lui. Ma mi preoccupa l’idea che possa lasciarsi sfuggire la situazione di mano. Tu sei una persona responsabile e pratica, sono sicuro che riuscirai a tenerlo sotto controllo, in caso se ne presentasse la necessità.»
La ragazza chinò il capo. Aveva la sgradevole sensazione di essere arrossita, un po’ per l’irritazione, un po’ per la vergogna.
«Credevo di essere qui per aiutare te, non lui…» mormorò, reprimendo la vocina che urlava “per le mie capacità”.
Ruben la fissò per qualche interminabile secondo con quei suoi occhi azzurrini, che alla luce fioca e tremolante della candela prendevano sfumature strane. Infine disse:
«Credimi se ti dico che colmare le lacune di Jim è il modo migliore per aiutare me.»
«”Colmare le lacune di Jim”. Devo fargli da balia, insomma» sbottò.
«Non essere ridicola, James sa badare a sé stesso vorrei che tu avessi fiducia in lui, così come ne ho io.»
«Forse, tu lo conosci meglio di me.»
«Allora impegnati a conoscerlo» sibilò.
Si alzò e se ne andò senza voltarsi indietro.





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Bene ragazzi, faccio senza implorare pietà per la mia totale incapacità di dare titoli accettabili ai capitoli, ma portate pazienza...è un titolo scadente, ma per lo meno non avete dovuto aspettare vent'anni come al solito per vederlo XD Ora che ho aggiornato posso andare in vacanza senza rimorsi di coscienza :)
Baciiiii

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Capitolo 33
*** A rotta di collo ***


All’alba, Liam ed Abigail si prepararono alla partenza. Se fossero riusciti a rispettare i tempi, per ora di pranzo si sarebbero trovati nei dintorni di Nihil, e allora avrebbero potuto incontrare Horlon – o chi per esso – e ripartire per Natìm prima del tramonto.
Dopo un paio d’ore di marcia, con immensa gioia di entrambi, cominciava ad essere evidente che si stavano lasciando alle spalle la Terra dei Draghi: l’erba ricominciava a crescere, il paesaggio si faceva meno ostile e l’aria più mite.
«Abby, quanti draghi sono rimasti?»
Lo stregone gli lanciò un’occhiata opalina e non rispose.
«Coraggio, non lo dico a Ruben!» insistette.
«Vorrai scherzare! Non sono mica matta a venirti a raccontare certe cose! Tu me lo diresti quanti sono gli Unicorni?!»
«E chi lo sa, quanti sono? E poi non stanno con noi…»
«Beh, nemmeno con noi, ma è molto più probabile che si schierino dalla vostra, di parte.»
«Se lo dici tu…»
Si chiuse in un silenzio indispettito e per qualche tempo continuò a pensare ai draghi. Come si poteva fare per abbattere un drago? Non ne aveva la più pallida idea. Di certo, il suo potere da solo non poteva bastare. Ricordava vagamente la leggenda di quel mago che aveva combattuto il drago tanto a lungo da creare il Deserto Roccioso e tutti gli annessi e connessi, ma non aveva intenzione di campare centinaia di anni, e a lui, di draghi, ne sarebbero toccati parecchi. Si appuntò di parlarne con quel vecchio balordo di Ged, quando fosse tornato a Pothien.
“Bardo, Liam, non balordo…” ghignò tra sé e sé, con un certo compiacimento. “Il bardo balordo…quel balordo di un bardo!” continuò per qualche minuto a combinare le due parole, divertito.
Quando Abigail cominciò a guardarlo storto, si impose un po’ di contegno.
«Senti, zitella» interloquì, colto da un’improvvisa rivelazione. «Non ho visto animali, qui, a parte quel cinghiale, in quasi due giorni. Che cosa mangiano Djalmat e i suoi?»
«Punto numero uno, zitella vai a dirlo alla tua amica bionda; punto numero due, mi domando perché tu ci abbia pensato solo ora, anche se mi rendo conto che non dovrei più stupirmi di nulla; punto numero tre, adesso sai perché i draghi vogliono uscire dal territorio in cui il patto li costringe.»
Abby arrestò il cavallo e gli fece cenno di tacere. Liam obbedì. Il sentiero che stavano percorrendo, lo stesso che due giorni prima li aveva condotti alla Valle del Sole Nascente, presentava tracce di un passaggio recente. Tracce che non erano stati loro due a lasciare. E di certo non erano le grandi impronte di un drago. Abby smontò e si accosciò accanto ai segni lasciati nel sottile strato di polvere.
“Orchi?” si domandò Liam con una fitta di ansia.
No, l’espressione dello stregone non era contratta. E non poteva trattarsi di elfi, loro non avrebbero lasciato indizi del loro passaggio. Umani? Quale folle si sarebbe avventurato in quell’inferno?
Quando Abigail tornò a montare Luce, le spiegazioni che Liam si aspettava non giunsero. Disse soltanto:
«Proseguiamo in silenzio. Anche voi, Luce e Sophia.»
Ripresero la marcia, e il mago notò che Abigail si era fatta ancora più circospetta. Ma quando il sentiero emerse dalle montagne e si aprì davanti a loro la distesa pianeggiante che si estendeva dal nastro scintillante del Morgael fino alla costa, Liam sentì il peso che gli opprimeva il petto dissolversi. Erano fuori dalla Terra dei Draghi, e avevano la rosa lunare. Respirò a pieni polmoni l’aria tiepida e si volse sorridente verso la sua compagna di viaggio. Abby, però, non condivideva il suo entusiasmo. Perlustrava con gli occhi opalini ridotti a fessure ogni pollice di territorio, incupendosi sempre di più.
«Che cosa stai cercando?» domandò Liam seguendo il suo sguardo.
«Le tracce di prima…» mormorò. «Appartenevano a nani.»
In un primo momento, il mago pensò di aver capito male. Ma Abigail non aveva la solita aria strafottente, al contrario, sembrava molto tesa.
«Nani?!» ripeté incerto.
La ragazza annuì lentamente.
«Quelle erano impronte di nani. Inconfondibili. E i nani non dovrebbero decisamente essere qui.»
Liam si appuntò di darne notizia a Ruben non appena ne avesse avuto l’occasione: i nani erano alleati di Micael fin dai tempi di Effort, se si trovavano nel territorio del loro comune nemico dovevano essere spie.
«Ad ogni modo, al momento non ha grande importanza. Nei paraggi non riesco a scorgerli, perciò è molto probabile che si trovino ancora tra le montagne, sì?»
“Non ha importanza perché se ne occuperà Capitan Lucertola, non appena l’avrai avvisato, dico bene?” mormorò la vocina nella testa di Liam.
«Muoviamoci. Il tempo passa veloce, e sarebbe preferibile essere già sulla strada per Natìm con tutti i tuoi giocattoli prima del tramonto. Come sei rimasto d’accordo col vecchio?»
«Il vecchio sarebbe Horlon? Devo andargli incontro. Quando varcherò i confini, le sue sentinelle lo avvertiranno e lui mi raggiungerà.»
Abigail si massaggiò l’attaccatura del naso.
«Quanti millenni di senso pratico buttati…» commentò a mezza voce.
Sferzò Luce, e Sophia si lanciò dietro di lei a tutta velocità senza bisogno di sollecitazioni.
Lasciarsi alle spalle la Terra dei Draghi fu un vero sollievo per Liam. Poter cavalcare a rotta di collo verso il Reame Eterno aveva un effetto lenitivo: anestetizzava la stanchezza, la fame, l’ansia, e anche quella sensazione strana che gli chiudeva lo stomaco. Oh, lo sapeva che cos’era. Era la consapevolezza di essere sempre più vicino alla fine della sua avventura. La consapevolezza che, presto, avrebbe salutato quella donna irritante che cavalcava al suo fianco, che era stata la principale causa dei suoi problemi ma che pure tanta parte aveva avuto nel suo maldestro tentativo di risolverli. La consapevolezza che quando l’avesse incontrata di nuovo sarebbe stato sul campo di battaglia.
 
Chloé non era mai stata a Class. La sponda del lago che si estendeva dalla foce del fiume Brumo fino a Spleen era molto diversa da ciò che era solita vedere: spiagge lunghe, onde basse, insenature e scogli che affioravano dalle secche minacciose. Minuscole barche di pescatori dondolavano, cullate dal vento dolce, mentre gli uomini ritiravano le reti.
«Non sembra male» commentò.
James sorrise, contratto.
Ruben le aveva chiesto di fidarsi del collega oppiomane, ma per riuscirci doveva fare lo sforzo di conoscerlo almeno un minimo. Ma non desiderava affatto conoscerlo. Qualcosa dentro di lei, un specie di sesto senso, le diceva che non era una buona idea. Tuttavia, seppur a malincuore, aveva smesso di evitarlo come la peste. Una cosa sola la consolava: nemmeno lui sembrava essere particolarmente lieto della sua vicinanza. Forse, una volta appurato che la sua sgradita collega non aveva intenzione di ricattarlo, il suo interesse era scemato.
Chloé sospirò e gli occhi azzurri di James si spostarono su di lei.
«Qualcosa non va?» domandò, ed ogni parola sembrò costargli uno sforzo immenso.
La bionda si strinse nelle spalle. Tante cose non andavano, ma di certo non l’avrebbe raccontato a mastro-pipa. Tanto per cominciare, a che cosa gli serviva il laccio che teneva legato al polso? Di certo non per legarsi i capelli…
«Sei mai stato qui?» disse invece.
James annuì lentamente.
«Prima di essere trasferito a Torat ero di stanza a Class. Ci ho abitato per parecchio tempo.»
«Quindi hai degli agganci?» domandò speranzosa.
James ghignò.
«Non ci contare, biondina. Non sono particolarmente apprezzato da queste parti.»
Chloé gli lanciò un’occhiata obliqua.
«Ah, davvero? E come mai, Jamie
Notò con un certo compiacimento che occhioni-azzurri era in imbarazzo.
«Diciamo che ho avuto qualche dissapore con la figlia del Governatore.»
Chloé spalancò gli occhi.
«Per tutti gli Dei, James! Credevo che fossi un bravo ragazzo!» esclamò.
«Lo ero, all’epoca, ma era lei a non esserlo. Le ho perdonato anche l’imperdonabile, ma alla fine, quando ha scoperto che ero un agente di Ruben, mi ha fatto tanto di scenate e mi sono rotto. Bella da morire, ma oca, viziata ed egocentrica. Anche se tutto sommato dovrei ringraziarla: se non mi avesse incattivito così tanto non sarei diventato quello che sono oggi, e non avrei ottenuto la promozione che mi ha portato a Torat.»
La ragazza prese appunti: storia d’amore finita male. La figlia del Governatore doveva essere senz’altro bionda. Ah, quanto avrebbe desiderato avere un pettegolo come Theo a cui chiedere informazioni!
 
«Sei pensieroso Liam.»
Il mago sobbalzò. Più che pensieroso era stanco. Il sole era caldo, aveva sete. E gli facevano male le chiappe.
«Non che questo mi dispiaccia, sia chiaro. Per lo meno te ne stai zitto» proseguì Abby.
Liam si concesse un sorriso.
«Sei davvero pessima, Abigail. Come cavolo facevi a piacermi?»
Lo stregone scoppiò a ridere.
«Mi chiedevo la stessa cosa, sai?» si guardò intorno con attenzione. «Tra un’oretta saremo in vista di Nihil. È un po’ che ci penso, non mi sembra logico che tu debba andare incontro ad Horlon. È un’immensa perdita di tempo.»
Liam la guardò perplesso per qualche momento.
«Cosa vorresti fare?» domandò poi.
Abby si massaggiò l’attaccatura del naso.
«Non sarebbe più pratico mandargli un messaggio per comunicargli il nostro arrivo, così che possa mandare qualcuno al confine? Ti risparmieresti la gita tra i boschi e potremmo ripartire subito, sì?»
Liam ci pensò per qualche momento, ma si rese immediatamente conto che quella era effettivamente la soluzione più logica. Annuì.
«Sta bene. Ma devi prestarmi un messaggero.»
«Un giorno me li pagherai, vero, tutti questi favori che ti faccio?»
Liam scosse il capo, sconsolato.
«Che te ne frega, Abby? Con tutta probabilità è solo questione di settimane prima che ci ammazziamo a vicenda…»
«E allora? I soldi sono soldi!»
Liam continuò a scuotere il capo.
 
Chloé non si sentiva tranquilla. Non che normalmente lo fosse, ma quel giorno si sentiva ancor meno tranquilla del solito. Ruben le era sembrato stranamente teso quando aveva varcato le mura del palazzo del Governatore, e James non era certo una compagnia rassicurante.
Non appena messo piede nella piazza in cui la popolazione era stata radunata per loro, fu evidente che non erano i benvenuti. E se gli sguardi ostili dei cittadini non erano sufficienti a scoraggiare ogni tentativo di approccio, il colpo di grazia giunse nella forma della voce angelica di un bambino, che nel silenzio inquietante seguito ad un sermone di James squittì un “l’altro signore era più simpatico”, sollevando un coro di approvazione da parte della platea.
Chloé si sentì agghiacciare a quelle parole. Si avvicinò a James e bisbigliò:
«A quale “altro signore” si riferisce, Jamie?»
Quello si strinse nelle spalle, ma la studiata noncuranza faceva a pugni con lo sguardo cupo.
«Quello che è già stato qui su ordine di Micael, evidentemente…merda! Questi ce li siamo già giocati.»
«Che cosa facciamo?» domandò la ragazza, ulteriormente innervosita dal tono allarmato del collega.
James fece saettare gli occhi a destra e a sinistra, per individuare eventuali movimenti sospetti nella piazza.
«Procediamo come da copione, e speriamo che le doti diplomatiche del Maestro convincano quel decerebrato del Governatore e quella zoc-»
Chloé gli assestò una gomitata nelle costole. Al centro della piazza stava scoppiando una rissa. Due uomini gridavano, uno aveva estratto un pugnale.
«Ehi tu!» gridò James. «Fermati! Che cosa hai intenzione di fare?»
L’uomo lo ignorò e si avventò sull’altro litigante. Chloé provò l’istinto di gettarsi in mezzo alla folla, ma si trattenne, e afferrò un polso di James, che stava per scendere dal palchetto. Il collega la fulminò con uno sguardo, ma la ragazza non si fece intimidire. Non poteva permettergli di andare a sedare risse in mezzo a gente che molto probabilmente lo avrebbe accoltellato volentieri.
«Jim, Clo!»
I due si volsero di scatto. Ruben era comparso alle loro spalle. Aveva ben nitido il contorno di una mano stampato in faccia.
«Che ti è successo?» domandò James.
«La tua ex non è stata lieta di vedermi, né di sapere che sei in città. È meglio che ce ne andiamo, e alla svelta anche! Qui sono tutti amiconi di Micael. Vado avanti a preparare la partenza, voi non fatevi ammazzare.»
Balzò giù dal palco e scomparve come era apparso. Chloé esitò. Sapeva che avrebbe dovuto seguirlo, ma si sentiva le gambe pietrificate. Dall’altro lato della piazza, un uomo era uscito gridando dal palazzo del Governatore, e una marea di armigeri prorompeva alle sue spalle, riversandosi nella piazza. Senza tanti complimenti, James la spintonò giù.
«Quando il capo dice di levare le ancore ha sempre ottime ragioni. Forza, biondina, qui si mette male!»
La ragazza si gettò un’ultima occhiata alle spalle e si aggrappò alla sua mano, lasciandosi trascinare lontano dalla folla che si apriva in due ali per lasciar passare gli uomini della guardia di Class. Che cosa avrebbe dato per aver portato l’arco con sé!
“Sei circondata da maghi, sciocca! E poi c’è James, pensi che lui ti lascerebbe morire?” si disse, ma non era poi così ansiosa di verificare.
Si infilarono in un vicolo, seguiti dagli uomini di Ruben che li avevano accompagnati. Qualcuno domandò dove stessero andando, la voce lontana di James rispose di fidarsi di lui. Chloé soffocò una risatina isterica: correva come una forsennata, per mano al drogato più antipatico che avesse mai incontrato, e una ventina di uomini armati fino ai denti li voleva fare secchi. Sperava di sopravvivere per poterlo raccontare a Liam. Senza tentare nemmeno di prestare attenzione alla strada, corse fino a quando le pareti del vicolo non si aprirono sul porto. James imboccò il molo, sul quale Ruben teneva bloccati con la sua magia tre soldati che avevano anticipato le loro mosse.
«Corri, Clo!» gridò James spingendola sulla passerella.
Chloé balzò a bordo, e lui la seguì parando con la spada i colpi degli armigeri che li avevano raggiunti.
«Muoviti Jim!» disse Ruben, allontanando gli avversari con una raffica di vento.
La passerella oscillò, ma James riuscì ad issarsi a bordo e la nave si staccò prontamente dal molo. E quando il grosso della guardia raggiunse la banchina, stava già prendendo il largo.
Sostenendosi alla murata, Chloé cercò di prendere fiato. Il cuore le batteva all’impazzata, per la paura e per l’adrenalina. Le gambe le tremavano.
«Sei resistente, per essere una femmina.»
Lanciò un’occhiata indispettita a James, che la osservava con aria divertita. Notò con soddisfazione che anche lui ansimava.
«Trovi?» rispose, piccata.
Tuttavia si pentì subito del tono acido. Nei suoi occhi, una volta tanto, non c’era ironia. Così aggiunse, più accomodante:
«Sono nata e cresciuta alle pendici dei Giganti, il padre del mio migliore amico faceva il cacciatore. Mi ha insegnato il mestiere, e ne traggo ancora i frutti.»
Lasciò vagare lo sguardo sul profilo irregolare del porto, senza osare concedersi un momento nostalgico. E quando riportò gli occhi al suo collega, questo la stava ancora fissando.
«Che c’è?» domandò sulla difensiva.
«Quando dici “il mio migliore amico” ti riferisci a Liam? Il famoso Liam dell’Acqua?»
Chloé annuì.
«Non si dicono cose belle su di lui…o per lo meno sulla sua moralità» commentò con un sorrisetto indecifrabile.
«Non ne dubito. Temo di non essere stata una buona compagnia per lui…»
James scoppiò a ridere.
«Vorresti farmi credere che sei tu quella dissoluta e lui la vittima?!»
La ragazza tornò a guardare il mare e la riva sempre più lontana.
«Temo di sì» mormorò. «E lo so che cosa stai pensando.»
«Davvero?» domandò James scettico.
«Certo. Stai pensando: “Tutte a me le sfighe! Inutile, acida e pure zoccola!”. Non è così?»
James rise ancora più forte, piegandosi su se stesso. Suo malgrado, Chloé dovette riconoscere che, quando riponeva quel modo di fare ostentatamente irritante, poteva essere davvero una compagnia interessante.
«Ti senti bene?» domandò picchiettandogli sulla spalla.
«Oh, Dei!» singhiozzò, asciugandosi gli occhi umidi. «No, accidenti, non pensavo quello!»
«Ah, no?» domandò Chloé ridacchiando, contagiata da quella ilarità inappropriata.
Si domandò se fosse il calo di tensione, oppure se avesse preso troppo sole in testa.
«Che cosa pensavi allora?» domandò.
«Pensavo che, di te, non avevo proprio capito niente!»
«Sono lieto che almeno voi vi stiate divertendo.»
La voce cupa di Ruben spazzò via ogni traccia di allegria. Il capo aveva ragione, non era esattamente il momento migliore per le idiozie.
«Class è andata. Micael è arrivato prima di noi e ce l’ha soffiata da sotto il naso. Ad essere onesti, non avevo molta fiducia di riuscire ad aggiudicarmela, e probabilmente avrei fatto meglio a lasciarti sulla nave, Jim…ma tra poche ore attraccheremo a Riva, e sarà diverso. Là, fino a poche decine di anni fa abitavano ancora degli elfi, e gli elfi sono nostri alleati. Ho un messaggio di Rowena per il Governatore, speriamo che vada tutto secondo i piani…»
Diede una pacca sulla spalla di James e si allontanò.
«Ah, ragazzi, vedete di non farvi ammazzare, per cortesia. Oggi ho rischiato di fare un colpo.»
 
Il sole inclinava leggermente verso Ovest quando Liam ed Abigail giunsero in vista del sentiero che conduceva attraverso il Reame Eterno, alla Baia delle Sirene. Liam smontò.
«Adesso che si fa?» domandò Abby.
«Adesso si aspetta» rispose il mago con un sospiro impaziente.
Nessuna traccia di Horlon. Eppure l’aveva avvisato. Che non fosse riuscito a trovare tutti gli ingredienti? Oppure era successo qualcosa? Forse aveva deciso che non valeva la pena di preoccuparsi tanto. Diede un calcio ad un sasso, sentendo crescere la frustrazione.
«Non ti agitare, Li’. Forse è meglio che ti aspetti più avanti, sì?»
Liam annuì in silenzio.
«Vediamoci ad Erbaverde. Porta Sud» disse.
Con un cenno del capo, lo stregone volse il cavallo e si allontanò.
Il mago seguì con lo sguardo la figura fino a quando non scomparve all’orizzonte. Poi tornò a guardare cupamente il bosco. Per qualche tempo attese immobile, pregando che Horlon non l’avesse lasciato a piedi. Il sole nel cielo si spostò. Rimpiangeva di non avere Baio accanto, ci avrebbe scambiato volentieri due parole.
Si passò una mano sul viso. Il pizzetto era di nuovo in pessimo stato. Avrebbe dovuto decidersi ad eliminarlo, prima o poi.
“Coraggio, Liam! Presto tutto questo viaggio assurdo sarà finito” si disse.
E allora avrebbe finalmente scaricato quella doppiogiochista di Emelia, o Abigail, o come diavolo si chiamava. E avrebbe anche riabbracciato Irthen. Dei, quanto l’avrebbe sgridato!
«Liam.»
Il mago sobbalzò. Gli occhi blu del Re lo scrutavano dalla linea di alberi.
«Sei venuto tu?!» domandò incredulo il mago.
Horlon stiracchiò le labbra sottili in un sorriso nervoso.
«Sì, ma mi hanno affibbiato le balie» rispose guardandosi intorno.
Liam intuì che dovessero esserci altri elfi tra il fogliame, ma non riusciva ad individuarli.
«Hai trovato la rosa lunare, dunque. Intoppi?»
«No, per quanto incredibile. Ma ci sono dei nani che gironzolano per la Terra dei Draghi. Senza dubbio sono lì per ordine di Micael.»
Horlon si rabbuiò.
«Così, anche i loro pedoni hanno fatto la prima mossa…» mormorò.
Poi spianò la fronte.
«Non preoccuparti di questo, adesso. Ruben sta facendo un ottimo lavoro sul lago: grazie alle sue doti diplomatiche, i Governatori di Natìm e di Effort hanno offerto la loro alleanza. E la tua amica Chloé sta aiutando James con l’immagine pubblica. Ai nani penserà il mio popolo.»
Liam sussultò al nome dell’amica. Stava bene? Era in viaggio? E chi era quel James che stava aiutando? L’elfo sembrava ben informato e il mago dovette farsi violenza per sopprimere l’impulso di fare domande.
«Sei riuscito a trovare tutto?» domandò invece.
Horlon annuì.
«È tutto qui» disse, porgendogli un involto di tela. «Calderone, ali di farfalla e tutto il resto.»
Liam gli dedicò il suo miglior sorriso e prese il pacco.
«Non so come ringraziarti, Horlon. Tu e i tuoi elfi siete stati dei veri amici. Qualunque cosa tu voglia in cambio, non esitare a domandare…»
Anche il Re sorrise.
«Per il momento pensa ad Irthen. Ne riparleremo a tempo debito.»
Liam assicurò il bagaglio al dorso di Sophia e montò in sella.
«Ah, Liam» aggiunse l’elfo. «Liberati della Lama. La sua presenza inizia ad innervosirmi.»
Il modo di fare amichevole era sparito repentinamente, lasciando posto solo al gelo dei suoi occhi e ai lineamenti affilati. Il mago annuì, a disagio.
«Non temere. Sono ansioso quanto te di scaricarla.»
Volse il cavallo e ripartì.
Abigail lo aspettava, come concordato, alla porta Sud di Erbaverde. Adocchiò il nuovo bagaglio ma non fece domande. Liam si chiese se non stesse facendo, nonostante tutto, ancora il doppio gioco. Che cosa sarebbe successo se, ora che avevano tutti gli ingredienti, la zitella si fosse impossessata del suo prezioso carico e l’avesse usato per ricattarlo? Tanti anni prima si era ripromesso che mai più si sarebbe fidato di Abigail “la Lama”. Che cos’era cambiato? Niente. La guardò di sottecchi mentre varcava la porta della cittadina, e un brivido lo scosse.
“Sto diventando paranoico” si disse.



********************
Liam: "In un primo momento ho temuto che il collo in procinto di rompersi fosse il mio, poi ho sperato fosse quello di Abigail, poi ho creduto che Chloé l'avrebbe rotto a James...ma alla fine ho dovuto arrendermi alla triste realtà: questo non è altro che l'ennesimo titolo banale della Cathy..."

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Capitolo 34
*** "Vorrei davvero riuscire ad odiarti" ***


Sophia sapeva essere davvero veloce, e Liam se ne rallegrava. Non aveva tempo da perdere, orchi o non orchi non avrebbe rallentato né deviato il suo itinerario. Se anche qualcuno avesse avvistato i due cavalli e i loro cavalieri e avesse pensato di seguirli, non sarebbe mai stato in grado di tenere il passo. Quanto alla possibilità di capitare a tiro di freccia, la cosa non lo impensieriva: non sarebbe stato troppo impegnativo proteggersi. Abigail era taciturna, e la cosa non lo faceva sentire troppo tranquillo. Temeva che stesse architettando qualcosa alle sue spalle. Ma in ogni caso era certo che non sarebbe riuscito a scoprirlo, se non troppo tardi.
Avrebbero cavalcato fino al tramonto e non si sarebbero fermati neppure quando il cielo si fosse riempito di stelle. Liam era stanco, ma non osava nemmeno pensarlo. Ora che il traguardo era tanto vicino, sarebbe stato disposto a sfinirsi pur di raggiungerlo con mezza giornata di anticipo.
 
Le strutture basse del porto di Riva avevano un aspetto semplice e rassicurante, pensò Chloé sbarcando. Per tutto il resto del viaggio, James non si era fatto vedere. Si era chiuso nella propria cabina, e la ragazza non desiderava scoprirne il motivo, anche se una parte di lei si augurava che volesse semplicemente riposare. Era ricomparso solamente al momento dell’attracco, e sembrava abbastanza lucido, ma i suoi movimenti erano più lenti e leggermente scoordinati.
“Scacco matto”, pensò Chloé con amarezza.
Ruben ci aveva visto giusto, su quel luogo: il ricordo degli elfi era ancora vivido nei cuori dei cittadini, e gli amici degli elfi erano considerati amici della città. Il Governatore accolse fraternamente il Maestro e lo introdusse nel suo palazzo, che più che un centro del potere sembrava una comunissima abitazione. James, invece, prese il suo posto d’onore al centro della piazza e attaccò con il solito discorso, provato e riprovato, ma che riusciva sempre ed immancabilmente a far apparire spontaneo. Chloé non aveva voglia di ascoltarlo, ormai lo conosceva. Chi erano, perché erano lì, com’era la situazione al di fuori dalle mura della città X, che cosa pensavano di fare per risolverla… Non che avesse molta importanza stare lì a discuterne, quella gente si beveva ogni parola! Forse perché l’oratore descriveva i progetti di Ruben in toni estatici e lievemente euforici. La ragazza si limitava a sorridere e ad annuire ogni tanto distrattamente, consapevole solo dei raggi caldi del sole che ogni tanto filtravano dal cielo nuvoloso, e della brocca d’acqua che teneva tra le mani, a disposizione di mastro-pipa. Inutile bere, doveva evitare di fumare. Riemerse da quel torpore solo quando l’applauso della folla esplose, svegliandola.
«Ti senti bene?» domandò James porgendole il bicchiere perché lo riempisse.
Chloé sbatté le palpebre, colta da un lieve giramento di testa.
«S-sto bene» mormorò.
James la squadrò, scettico.
«Sì, certo. E io sono un drago. Dai, vieni con me, devi mangiare qualcosa, sei verde.»
Scambiò qualche parola con uno degli uomini del Maestro, e se la trascinò dietro, fuori dalla folla.
Chloé lo seguiva meccanicamente, con le gambe molli. La testa non la smetteva di girare. Si accorse appena delle mani di James che la spingevano a sedere su un muretto e dei suoi occhi che la fissavano preoccupati.
«Hai pranzato, oggi?» domandò.
La ragazza scosse cautamente il capo.
«In nave mi viene la nausea…» gemette.
«Hai un calo di zuccheri. Non cadere» le disse, mentre frugava nella bisaccia che portava a tracolla ed estraeva un grosso involto.
«Che cos’è?» farfugliò quando le porse una specie di mattonella appiccicosa.
«Si chiama croccante. È fatto con le nocciole caramellate. Dai, mangia, starai meglio» disse gentilmente.
Chloé morsicò, obbediente, e masticò a fatica. Era troppo dolce, troppo colloso, e decisamente troppo faticoso da mangiare.
«E se mi rompo un dente? È troppo dura sta roba. Se me lo romperò e sarò orribile sarà solo colpa tua» protestò dopo il terzo boccone.
James ghignò.
«Se la tua acidità è proporzionale al tuo livello di salute, direi che sta passando…ma non devi saltare i pasti, Clo. Non puoi stare in piedi sotto il sole tutto il giorno a stomaco vuoto.»
Chloé deglutì l’ultimo pezzo e constatò che la testa non girava più. Si pulì le mani in un fazzoletto, sistemò la gonna e si passò le dita tra i capelli, cercando di reprimere l’istinto che la portava verso litigio certo. Ma non le riuscì.
«Bel coraggio, hai, a farmi la morale! Credi che non mi sia accorta che ti sei fatto di nuovo?» sbottò infine.
James si irrigidì.
«Non sono affari che ti riguardano» sibilò.
La ragazza si impose di non perdere le staffe più del dovuto.
«Tecnicamente lo sono. Io e te lavoriamo insieme, che ci piaccia o no. E come può creare problemi a te che io svenga e cada come una pera matura, così non rende tranquilla me sapere che tu potresti restarci secco con una dose sbagliata, oppure-»
«Basta! hai già detto abbastanza!»
Imprecando a mezza voce, James se ne andò, lasciandola sola e depressa. Tuttavia, Chloé non riuscì ad arrabbiarsi. Era preoccupata per lui, era così difficile da capire? Si prese la testa tra le mani e sospirò.
«Vorrei davvero riuscire ad odiarti, Jamie» gemette.
Prese un respiro profondo prima di obbligarsi a scendere da quel muretto e tornare al lavoro.
Il pomeriggio trascorse con lentezza estenuante. Ruben si unì a loro per festeggiare il suggello dell’alleanza, in occasione del quale il Governatore aveva fatto chiamare il miglior musico della città perché si esibisse in piazza. Così, dopo aver potuto apprezzare l’arpa e le focacce al miele tipiche della zona, qualche cittadino improvvisò delle danze popolari. Gli abitanti di Riva non si fecero pregare e scesero in pista. La notte buia era rischiarata dalla luce calda delle torce e la musica vivace sembrava rimbalzare sul tetto di nubi e tornare giù amplificata.
«Non balli, bionda?»
Ruben si lasciò cadere sullo sgabello accanto a Chloé. Aveva il fiatone.
«Non sono dell’umore giusto, capo» rispose quella con un sorriso tirato.
Il Maestro si asciugò la fronte con una manica della camicia.
«Capisco. Sei stanca, vero?»
La ragazza lo guardò perplessa. Sembrava un po’ alticcio.
«Non temere, potrai rifarti domani!»
«Domani?»
Ruben annuì.
«Domani, a Spleen, ci sarà un ballo in onore delle future nozze del figlio del Governatore, e noi parteciperemo.»
Chloé storse il naso. Non aveva vestiti abbastanza eleganti con sé.
«Ci saranno anche Oliandro e Rowena» aggiunse alzandosi e lasciandola sola.
La ragazza tornò a guardare la piazza. La gente ballava e rideva, e lei stentava a riconoscersi. In altri momenti non sarebbe mai rimasta ai margini in quel modo. Sbuffò.
Un’ombra le si parò davanti, costringendola ad alzare gli occhi. Un uomo le tendeva la mano.
«Un ballo?» disse.
Chloé distolse un momento lo sguardo, cercando di elaborare un rifiuto garbato. Per un momento intravide James in compagnia di una ragazzina dallo sguardo adorante. Reprimendo una fitta di irritazione tornò a guardare l’uomo che le stava davanti. Gli dedicò il migliore dei suoi sorrisi e prese la mano che le offriva.
 
La sponda del Lago Otre, ancora lontana, era costellata dai fuochi degli accampamenti. Fermarono i cavalli per mangiare qualcosa e riposare.
«Se tutto andrà secondo i piani, domani a quest’ora potremmo essere intenti a guadare il Morgael, a Ovest di Bosco Lossar» disse Abby.
«Conto le ore, strega.»
Abigail ghignò.
«Forse è meglio che inizi a pensare ad una scusa con cui presentarmi dai miei amichetti.»
Liam si domandò, ancora una volta, se non ci fosse stato sotto qualcosa che lui non riusciva a vedere. Va bene la carenza di stregoni e tutto il resto, ma come poteva essere così rilassata? Nonostante la stanchezza e l’emicrania, il mago insistette per ripartire subito. Mentre cavalcava era certo di non addormentarsi, e mentre era sveglio era certo che lei non sarebbe fuggita con il suo prezioso bagaglio, lasciandolo, come il più fesso dei fessi, solo e circondato dagli orchi.
La notte di viaggio sembrava non finire mai. Senza la luce della luna, coperta da uno strato di nubi che si faceva via via più spesso, Liam non riusciva a valutare lo scorrere del tempo. E non poteva fare a meno di porsi e riporsi gli stessi interrogativi, destinati a non trovare risposta. Per esempio, che cosa avrebbe deciso di fare Irthen una volta risvegliato? A quello stato dei fatti, Liam non poteva pretendere da lui che se ne tornasse a Pothien senza fiatare, luogo che, per altro, non sarebbe stato più sicuro di Natìm. La guerra era alle porte, e nonostante si andasse verso i mesi freddi dell’anno era evidente che il conflitto non avrebbe atteso la nuova primavera. Ma Irthen non era un mago, e non era di certo una folgore con la spada. Se avesse scelto di combattere, avrebbe potuto imporgli il proprio volere e impedirglielo? Una volta, forse, ma non dopo quello che era accaduto. E di Abby che cosa gli avrebbe detto? Che gli aveva fatto credere di essere interessata a lui solo per fregare suo fratello? Oppure che era davvero infatuata, ma la sua natura intimamente e irreversibilmente stronza l’aveva spinta a raggirarlo comunque? Forse, il meglio che poteva fare, da responsabile fratello maggiore, era dirgli la verità, e nulla più. E se Ir era davvero innamorato di lei, poteva decidere di lasciare lui, Amina e tutti gli altri per schierarsi con gli stregoni? Quello era un dubbio atroce che fino a quel momento era riuscito ad ignorare. Ma ora, nel silenzio della campagna buia, si era insinuato nel suo cuore, dandogli le vertigini.
 
Nonostante la nausea persistente, Chloé rimase al sicuro da incontri nefasti nella propria cabina fino all’attracco nel porto di Spleen. Dopo di ché, si limitò al minimo indispensabile di interazioni personali, anche con Ruben, che pagava così il fio di colpe altrui, e Chloé lo sapeva bene ma non poteva fare a meno di essere acida.
La festa di Riva si era conclusa come prevedibile: fiumi di birra e lei che, mezza sbronza, si era lasciata trascinare in un vicolo da un tizio di cui non ricordava nemmeno la faccia. Incredibile come riuscisse ancora, dopo tutti quegli anni, a guardarsi allo specchio.
Sbarcò in compagnia dell’altrettanto prevedibile mal di capo e si accodò alla carovana di gente che lasciava la nave. Alla maggior parte di quelle persone non si era mai nemmeno preoccupata di domandare il nome, e non le interessava minimamente. Perché si era andata a cacciare in quel viaggio assurdo? A volte stentava a ricordare, sopraffatta dalla preoccupazione per la guerra incombente, per Irthen moribondo, per Joel tutto solo a casa, per quell’idiota permaloso di Jamie che credeva che la sua vita appartenesse solamente a lui, e invece non aveva capito un accidente! Le ci voleva poco, però, perché tutti i suoi buoni propositi riemergessero di colpo: era per Liam che si era lanciata in quel casino improponibile, per aiutare lui, che da bravo pseudo-pacifista qual era non era stato capace di prendere una posizione definita. E per Liam poteva sopportare qualunque cosa.
Spleen era una città grande quanto Effort, e il Maestro aveva suddiviso la giornata sulle piazze principali, quelle che intendeva far visitare loro. Chloé sapeva che sarebbe stata un’altra giornata pesante, fatta di sorrisi falsi, rassicurazioni vuote, e di James con quell’aria da mastino stitico che si era incollato sulla faccia il giorno prima e che le faceva venire voglia di prenderlo a calci. Il cielo, però, minacciava pioggia: se non altro non avrebbero preso un’insolazione. Meglio bagnati, dopotutto. E poi, la prospettiva della serata la rallegrava lievemente, non tanto per il ballo in sé quanto per la presenza di Rowena, che di certo avrebbe condiviso con lei la sua sofisticata acidità.
 
«Sicura che sia una buona idea, Abby?»
Alle prime luci dell’alba era stato evidente che la situazione sarebbe peggiorata ulteriormente. Le campagne erano bruciate, le cittadine sprangate, e gli accampamenti di orchi andavano via via aumentando.
«Vorrei tanto sapere da dove sono sbucati tutti quelli…» mormorò la ragazza storcendo il naso.
«Abby?» insistette Liam. «Sei certa che sia una buona idea buttarci nella mischia? Una volta che ci avranno avvistati non avremo la possibilità di ripararci, se non con la magia. Potremo solo proseguire. E non abbiamo dormito, siamo stanchi, sia noi che i cavalli…»
Abigail annuì. Si scostò le treccine dagli occhi e misurò lo spazio a disposizione con la mano aperta. Liam si domandò se ci riuscisse davvero o se fosse solo coreografia.
«Siamo pronti, mago, sì?»
Liam aprì la bocca per protestare, ma non gliene lasciò il tempo. Lo stregone spronò Luce, e a lui non rimase altro da fare che seguirla e pregare di uscirne vivo.
Erano ancora lontani quando i primi orchi si accorsero della loro presenza e diedero l’allarme. Tuttavia, il mago notò con sollievo di aver valutato male le distanze. Lo spazio a disposizione per il passaggio tra i due accampamenti era maggiore del previsto. Gli orchi si erano già riversati fuori quando imboccarono la strettoia.
«Quelli di destra sono orchetti, Li’, occhio alle frecce!» gridò Abigail, parando con la magia i primi attacchi.
Liam seguì il suo esempio e si riparò. Decine di dardi cozzarono sul suo scudo, spezzandosi e mandando scintille. Da sinistra, gli orchi correvano verso di loro, cercando di intercettarli. Allontanò quelli più vicini con una scarica di energia, e vide Abby estrarre la spada. Nella giornata  nuvolosa, la pietra nera sembrava assorbire ogni residuo di luce.
Nei momenti che seguirono, Liam non poté fare altro che smettere di pensare e lasciarsi guidare dall’istinto: frecce e lance piovevano su di loro ininterrottamente, e qualche orco armato di spada tentava di aggirare le loro difese. I due cavalli galoppavano veloci, senza esitazioni, verso Nord.
Improvvisamente, la pioggia di dardi si placò. Orchi e orchetti grugnivano imprecazioni nella loro lingua gutturale, ormai impossibilitati ad attaccare. I due fuggitivi erano fuori tiro, e Liam sì compiacque della velocità di Sophia, e ovviamente non poté fare a meno di sentirsi in colpa nei confronti del suo povero Baio. Tirò un respiro di sollievo, senza pensarci nemmeno a guardarsi alle spalle.
«Mettiamo quante più leghe possibile tra noi e loro, Abby» gridò affiancandosi a Luce.
Abigail annuì, ma uno spasmo di dolore le attraversò il viso.
«Che ti prende?» domandò Liam, sentendosi stringere lo stomaco dall’ansia.
La ragazza scostò il mantello: la camicia era macchiata di sangue.
«Sei ferita?!» esclamò Liam. «Dobbiamo fermarci subito!»
«No! Non sarebbe di nessuna utilità. E poi mi ha colpita solo di striscio. I poteri stanno già rimarginando la ferita, perciò zitto e vai!»
Il mago avrebbe voluto obiettare ma si trattenne. La solita vocina cattiva nel suo cervello proruppe in una risata isterica.
“Ci pensi, Li’? Con tutti gli orchi che ci sono tra qui e Natìm devi pregare con tutta l’anima che sopravviva…e tra poche settimane dovrai cercare di farle la pelle!”
La sorte, a volte, sapeva essere davvero meschina…
Quando fu assolutamente certa di essere abbastanza lontana dai nemici appena incrociati e, al contempo, riparata da eventuali occhi indiscreti, Abigail acconsentì a fermarsi. Lasciò che Liam esaminasse la ferita al fianco, e il mago non poté fare a meno di rabbrividire: nonostante non fosse affatto il graffio che lei aveva dipinto, era già quasi completamente rimarginata. Erano dunque quelli i poteri degli stregoni? Oppure era una particolare attitudine della sola Abigail? E come poteva porle a bruciapelo una simile domanda senza che si insospettisse? Tre di quei cosi che si autoguarivano alla velocità della luce, in una guerra, potevano costituire un bel problema… Ruben non ne sarebbe stato per nulla contento.
«Allora?» sbottò Abby. «Soddisfatto, adesso?»
«Sì» mugugnò. «Come ha fatto a colpirti?»
Abigail si strinse nelle spalle.
«L’ho sottovalutato. Ho aspettato un secondo di troppo ad innalzare lo scudo. Possiamo ripartire ora, sì? Non possiamo perdere altro tempo se vogliamo attraversare il Morgael prima dell’alba…»
Liam la aiutò a rimontare in sella.
«Senti, ma…questa cosa delle ferite che si rimarginano…» tentò.
«Non ci pensare, tesoro. Ho perso un po’ di sangue e la mia camicia preferita è da buttare, ma non sono ancora così rincoglionita!»
Liam sbuffò, imprecando mentalmente.
Nel corso della giornata, si trovarono costretti ad altre fughe simili. Aggirarono le cittadine, per non perdere troppo tempo e non rischiare di restare bloccati in un coprifuoco o in un assedio. E accolsero con sollievo il profilo del Bosco Lossar, che dal primo pomeriggio divenne una compagnia confortante. Tuttavia, qualcosa rendeva Liam inquieto. Per prima cosa, ogni traccia di presenza nemica sembrava scomparsa. E ricordava bene che, mentre era in viaggio verso Lumia, aveva captato l’eco di una battaglia. Sapeva che sarebbe stato sciocco confidare in una vittoria schiacciante, che era molto più probabile che le truppe accampate nei paraggi si fossero spostate in prossimità della zona calda. Ma se questa si fosse trovata sulla sua strada, che cosa avrebbe dovuto fare? In secondo luogo, poteva essere matematicamente certo di non trovarci anche un drago, in compagnia degli orchi?
 
Rowena la guardò, con la testa inclinata di lato e un ciuffo – deliberatamente lasciato libero dalla crocchia – che le cadeva sul nasino a punta. Dopo un lungo momento annuì e accennò un sorriso.
«Ma sì, sei mortale e un po’ cicciottella, ma non sei male.»
Chloé la guardò storto.
«Cicciottella?! Guarda che sei tu quella fuori categoria! Gli umani non sono esili come gli elfi» sbottò.
«È quello che intendevo dire. Ti aspetto fuori.»
Chloé aspettò che l’elfa uscisse prima di concedersi un lungo sospiro. Troppe notizie in pochi minuti. Quando Rowena e Oliandro erano arrivati a Spleen, Ruben aveva convocato una riunione strategica. Le notizie non erano granché buone: si combatteva ad Est e ad Ovest del Lago di Nebbia, e i due minuscoli contingenti, seppur a fatica, sembravano in grado di resistere. Liam si dirigeva velocemente verso Natìm, e presto sarebbe stato al quartier generale con tutto l’occorrente per rimettere Irthen in sesto, ma con lui c’era uno stregone, e non era ancora chiaro come avesse intenzione di toglierselo dai piedi. La trattativa con gli Unicorni non era ancora andata in porto, nonostante gli sforzi diplomatici di Horlon e di suo nipote. Di Lukas più nessuna traccia, e Micael si stava accaparrando la fedeltà delle città dell’Est e del Sud. La mattina successiva, quindi, Oliandro sarebbe andato in soccorso ai maghi stanziati ad Ovest, Rowena a quelli ad Est, James e Chloé sarebbero rientrati a Natìm in attesa di ordini, mentre Ruben sarebbe passato da suo padre a Phia. La loro presenza al ballo di quella sera, invece, aveva come scopo fare bella mostra dei due elfi e far parlare del Maestro in termini d’ammirazione. Perciò, sorriso finto e modi cordiali. Chloé sospirò di nuovo. Non aveva mai avuto così poca voglia di partecipare ad un ballo in vita sua.
«Il tuo ingresso nell’alta società, bionda. Dovresti esserne entusiasta…» mormorò rivolta allo specchio della stanzetta che il padre del futuro sposo aveva messo a disposizione sua e di Nana.
Se non altro, aveva rimediato un vestito. Non era decisamente nel suo stile, troppo serio, di un rosso così scuro, con il collo alto, i bottoncini di perle e le maniche ai gomiti. Più si guardava, più si sentiva vecchia. Forse, la colpa era delle occhiaie che il trucco faticava a mascherare, e dei capelli di quell’assurda tonalità biondo rame che faceva a pugni con l’abito.
“Cara grazia che ho trovato qualcosa che ti va bene tra la mia roba!” aveva detto Rowena.
Bello sforzo, faceva lei! Con un sacco di patate toglieva il respiro…
Tentò, invano di legarsi i capelli. L’emicrania non le dava tregua da un paio di giorni. Razionalmente sapeva che la causa era la carenza di sonno, ma una parte di lei non poteva fare a meno di addossare la colpa a James. Ci rinunciò, e uscì dalla stanza domandandosi se qualcuno si sarebbe scandalizzato della sua indecenza.
Le sale allestite per la serata di gala erano troppo addobbate per i suoi gusti. Una serie di ambienti circolari, decorati con nastri e ghirlande di fiori, perché sembrasse un susseguirsi di padiglioni in un ricco giardino. Persino l’aria sembrava satura del profumo di fiori di campo. Chloé storse il naso. Il futuro sposo stava al centro della sala principale a scambiava convenevoli con tutti gli invitati che gli capitavano a tiro. La ragazza girò alla larga, augurandosi di non incapparci per disgrazia. Sarebbe stato imbarazzante spiegargli che non aveva la minima idea di chi fosse…
«I balli, a Lumia, sono molto più raffinati» sussurrò Rowena quando Chloé l’ebbe raggiunta.
Sorrise.
«Anche gli elfi organizzano balli, Nana?» domandò.
«Perché non dovrebbero?» rispose scandalizzata.
«Perché non sembra un passatempo da immortali, è evidente!» intervenne Oliandro, comparendo alle loro spalle. «Tuttavia, Clo, non tutti siamo antipatici come mia sorella, quindi a qualcuno fa piacere stare in compagnia in modo un po’ meno…”formale”, e farsi quattro salti ogni tanto.»
«Oh, stai zitto, Dodo! Sai che rottura l’eternità senza balli?! E poi è un ottimo modo per socializzare» aggiunge con un sorriso cortese accettando l’invito di un cavaliere che la invitava a ballare.
«Se non altro, mentre balla starà zitta» mormorò.
Chloé ridacchiò.
«Che dici, biondina, lo balli qualcosa con me?» domandò l’elfo in tono amichevole.
Chloé si concesse un po’ di tregua dai pensieri negativi. Ballò con Oliandro e con qualche altro invitato. Alcuni la tempestarono di domande su Ruben e i suoi uomini, sui maghi, gli incantesimi che aveva visto loro fare. Un temerario pensò perfino di chiederle che tattica avrebbe adottato in vista della guerra. Cercò di rispondere gentilmente alle domande, eludendo nel modo meno evidente possibile quelle inopportune, e domandandosi che fine avesse fatto il Maestro, che non si era ancora fatto vedere. Intravide un paio di volte James, e si ritrovò inconsapevolmente a domandarsi come potesse essere ballare con lui. Malgrado tutti i suoi sforzi, la serata iniziò a pesarle, l’emicrania si fece via via più insistente, fino al punto di obbligarla a sgusciare fuori dalla ressa, alla disperata ricerca di un angolo, nel parco immenso che circondava la villa, dove potesse ritrovare il proprio autocontrollo. Tutte quelle attenzioni finalizzate unicamente a scoprire i piani di Ruben e della sua allegra combriccola la stavano irritando oltre ogni dire.
«Questa me la paghi, ciarlatano di un mago» sbottò, varcando il portone.
Il giardino era silenzioso, la luna illuminava la grande fontana zampillante con la sua luce bianca. Sospirò. E dire che una volta amava quel genere di feste…stava davvero invecchiando. Chissà che cosa avrebbe detto Liam di lei. Si lasciò cadere su una panchina e lisciò le pieghe dell’abito.
«Che ci fai qui?»
La bionda sobbalzò. Due occhi azzurri erano spuntati dal nulla e la fissavano con aria arcigna.
«J-jamie?» balbettò. «Non ti ho sentito arrivare, mi hai fatto prendere un colpo! Perché sei qui?» domandò. «Mi hai seguita, per caso?» aggiunse timorosa, memore di non averci scambiato una sola parola che non fosse indispensabile nelle ultime dieci ore.
James si sedette accanto a lei.
«Manie di protagonismo, eh? Veramente io ero già qui, sei tu ad aver invaso il mio spazio vitale.»
Chloé si sforzò di sorridere, ma le riuscì solo una smorfia. James si tese un momento verso di lei e le scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
«Non hai un bell’aspetto, sai? Stai bene?»
Un sentore lieve di tabacco le diede un brivido, e chiuse gli occhi, stretti, per obbligarsi a non notare la barba fatta di fresco, la camicia elegante portata con disinvoltura, i capelli ben pettinati. Possibile che non ci fosse nessun altro, in quel dannatissimo giardino?!
«Clo?» insistette punzecchiandole una spalla con l’indice.
Con immenso sforzo, Chloé si costrinse ad aprire gli occhi.
«Non ne posso più di stare là dentro a fare buon viso a cattivo gioco, non ce la faccio, non da sobria! È impegnativo vendere Ruben come migliore alternativa, dal momento che non si è nemmeno degnato di farsi vedere, stasera…e convincere dei poveretti che rischiano di perdere tutto a combattere per lui contro stregoni, draghi, orchi…non ci riesco. Sono cresciuta in un paesino del cavolo, dove la gente è povera, vive nella superstizione e si nutre di leggende, lo so che cosa significa finire catapultati in un mondo di cui non si capisce la logica.»
Sentì la propria voce vacillare, e si domandò che cosa James stesse pensando di lei. Molto probabilmente, pensava di aver avuto ragione a valutarla una ragazzina oca e senza un minimo senso del pericolo. Sospirò, senza osare guardarlo in faccia.
«Suvvia, non c’è bisogno di prenderla così sul serio. Dopotutto, siamo ad una festa, no? Alle feste si ride, si scherza…si beve» disse James scompigliandole i capelli. «Non mi guardi? Nemmeno per farmi frontino?» domandò in tono più accomodante.
Chloé sorrise tra sé. Forse aveva fatto la figura della sciocca, ma aveva davvero tanta importanza?
Alzò gli occhi e gli fece una linguaccia.
«Tu perché eri qui tutto solo soletto?» mormorò, improvvisamente consapevole della sua vicinanza inopportuna e pericolosa.
James si avvicinò ancora un po’, e lei si perse in quegli occhi così assurdamente limpidi, sopprimendo senza pietà la vocina che, nella sua testa, si domandava che diavolo avesse intenzione di fare. Il sentore di tabacco le diede un altro capogiro, mentre James intrecciava le dita nei suoi capelli. Gli occhi azzurri si posarono per un momento sulle sue labbra prima di tornare a cercare i suoi. Chloé si sentiva sospesa in un limbo, in cui il tempo e lo spazio non avevano nessuno spessore, in cui non esisteva alcuna guerra da combattere, nessuno stramaledetto ballo a cui presenziare. James si chinò su di lei, i loro nasi che si sfioravano.
«Sono qua fuori per il tuo stesso motivo…curioso, no?» sussurrò, prima di baciarla.
Nonostante il cervello desse preoccupanti segnali di avaria, Chloé riuscì a pensare a quanto fosse ridicola quella situazione. A quanto fosse improbabile! Se li avesse visti Ruben, non avrebbe creduto ai suoi occhi.
James le prese il viso tra le mani e la scostò. Aveva l’aria sconvolta.
«Va-va tutto bene?» balbettò la ragazza.
«No, che non va bene!» gemette. «Non va bene per niente, questa cosa non…»
La baciò di nuovo.
«Clo, perché mi hai incasinato la vita? Perché Ruben ti ha spinta tra le mie braccia?»
«Non vorrei contraddirti, Jamie, ma tra le tue braccia mi ci sono ficcata io, e la tua vita era già abbastanza incasinata prima che ci incontrassimo, perciò…ora che si fa?»
James le dedicò un’occhiata maliziosa e Chloé arrossì.
«Visto che il genio ci ha dato buca, temo che almeno noi saremo costretti a tornare alla festa…» disse infine. «Però un ballo, da te, lo esigo!» aggiunse alzandosi e tendendole la mano.
Chloé scosse il capo, sconsolata. Da quanto tempo un uomo non riusciva a metterla in imbarazzo? Prese la mano di James e lo seguì.
 
Liam ed Abigail raggiunsero il guado sul Morgael prima del sorgere del sole. Erano stati costretti ad addentrarsi per qualche miglio nel bosco, perché gli accampamenti si erano fatti troppo frequenti e impossibili da aggirare o evitare senza mettere mano alle armi. Oltre il fiume, solo poche ore di marcia li separavano da Natìm, e dalla loro agognata separazione. Proseguirono in silenzio, il più velocemente possibile, e alle prime luci dell’alba emersero dal Bosco Lossar, ma ciò che videro affacciandosi sulla piana che convergeva verso il fiume Llatas li lasciò senza parole.




*************************
Ok. Adesso potete uccidermi. Mi ucciderei anch'io.
Chloé, uccidimi. 
Liam, uccidimi.
HARETH UCCIDIMI! Era l'occasione buona per liberarci di Abby, lo so, e l'ho sprecata.
Tuttavia...in questo momento è molto più grande il desiderio di uccidere Jamie tra atroci sofferenze...
*James si nasconde sotto al tavolo, tenendo stretto il coltellaccio*
Se non si è capito, mi sono andata ad infilare in un altro immenso casino gestionale auto-indotto, dal quale non so come uscirò. Magari potrei far scoppiare un'epidemia di qualcosa ed eliminare in un colpo solo 4 o 5 personaggi scomodi XD XD

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Capitolo 35
*** Oltre il velo rosso ***


Aqua aspettava. Non poteva fare altro, vista la situazione. Non aveva alternative. Ferma su quella roccia, un minuscolo scoglio al centro della baia, non riusciva neppure più a piangere. I bagliori delle fiamme avvolgevano la sua bella Madian, e lei se ne stava lì, a guardare, come una sirena dal suo scoglio, senza poter fare niente. Quel mago dagli occhi chiari l’aveva portata lontano dal fuoco, con voce gentile ma ferma le aveva detto che avrebbe dovuto aspettarlo lì, che sarebbe tornato a riprenderla, e che una situazione del genere era troppo pericolosa per una maga di elemento Acqua appena quindicenne. L’istinto e la disperazione l’avrebbero portata a combattere le fiamme, e sarebbe morta. E anche se nel profondo sapeva che quel mago sconosciuto aveva ragione, non poteva non odiarlo: La sua vita, i suoi parenti, i suoi amici, stavano finendo in cenere, e lei non poteva essere nulla più che una spettatrice. Strinse i pugni, assalita da una nuova ondata di furia cieca. Gridò, e per una manciata di secondi il suo grido eclissò il crepitio del fuoco, gli schiocchi e le urla dei suoi concittadini.
«Andiamo via, Aqua dell’Acqua.»
Si volse di scatto. Il mago era ricomparso alle sue spalle e le tendeva la mano.
«No!» sibilò.
Gli occhi chiari si assottigliarono e il mago prese un lungo respiro profondo.
«Ragiona, ragazzina. Credi che  Madian stia bruciando per un incidente? Qualcuno, o qualcosa, ha dato fuoco alla tua città, e se ho ragione questo non è che l’inizio! Altri maghi, ora, stanno cercando di spegnere le fiamme e trarre in salvo quanto più persone possibile. Tu non puoi fare nulla per loro, ma io sì. E avrò bisogno di maghi che mi aiutino, negli anni a venire. Maghi e maghe come te.»
«Chi sei tu?!» domandò Aqua, a metà tra l’atterrito e il furioso.
«Ruben dell’Aria. E chi ti ha fatto questo pagherà, hai la mia parola. Mi aiuterai?»
Dubbiosa, Aqua strinse la mano di Ruben. Gettò un ultimo sguardo cupo a Madian e, prima che il mago la portasse via con sé, si giurò che mai più sarebbe stata a guardare.
 
Aqua si destò, ma non aprì gli occhi. Il giorno era ancora lontano, lo sentiva dall’umidità intensa. Debrina russava piano, poco lontano da lei, trascinandola a forza fuori da quel sogno che si ripeteva troppo spesso. Si asciugò gli occhi con il palmo della mano. Non era più tornata a Madian dopo quel giorno di sei anni prima. Ruben l’aveva portata a Natìm, dove era rimasta più o meno prigioniera, senza amici, senza sapere che cosa ne fosse stato della sua famiglia, della sua casa, di Amina… Fino a quel giorno in cui Konstantin e suo fratello non si erano presentati lì per portarla con loro ad Effort, dove i maghi si stavano riunendo in vista di un’assemblea generale. Erano stati loro a raccontarle che cos’era accaduto: un drago era improvvisamente comparso, infrangendo l’accordo che lo costringeva nell’estremo Sud del mondo, e aveva causato danni lungo tutta la linea del suo passaggio. Danni che avevano trovato in Madian il loro culmine. Quel drago era Djalmat, il Re del suo popolo. I maghi adulti erano stati impegnati per mesi per rimettere a posto le cose e ricostruire le cittadine distrutte. Amina aveva fatto il possibile per la famiglia di Aqua, aveva detto Alec, ma non c’era stato nulla da fare. Sua madre e suo padre erano rimasti sepolti sotto alle macerie della loro casa, così come suo nonno. La nonna era deceduta poco tempo dopo a causa delle ustioni che si erano infettate. Anche a distanza di tutti quegli anni, Aqua non poteva fare a meno di pensare che se si fosse trovata a casa con loro, sarebbero stati ancora vivi. Ma lei non c’era, era uscita di nascosto per incontrarsi con una ragazza che suo padre le aveva vietato di vedere. La ricordava bene, si chiamava Pat. Chissà che cosa ne era stato di lei…
Ciò che era accaduto dopo Effort non era un segreto. I maghi si erano divisi, chi appoggiava Ruben, chi invece Micael. Amina e suo marito avevano preso strade diverse, e Aqua aveva deciso di seguire lei e Stan. Nonostante l’istinto la spingesse ad appoggiare l’altra fazione, non se l’era proprio sentita di abbandonare l’unica amica che le fosse rimasta. Amica che, per altro, era a pezzi.
Sospirò. Debrina aveva smesso di russare.
«Di nuovo quel sogno?» mormorò nel buio.
Aqua si irrigidì.
«Che ne sai, tu, dei miei sogni?» sbottò.
Debrina esitò.
«Non vorrei davvero dover essere io a dirtelo, Aqua…tu parli nel sonno. Tanto.»
Aqua arrossì. Che cosa poteva aver detto?
«Beh, scusa se mi sono preoccupata, eh» mugugnò Debrina voltandosi rumorosamente sull’altro fianco.
Aqua soffocò un’esclamazione di scetticismo.
«Preoccupata tu? Ma figuriamoci! Tu non ti preoccupi per nessuno!»
«Cretina.»
Non raccolse la provocazione. L’ultima delle cose che aveva voglia di fare era mettersi a litigare in piena notte.
«Hai qualche notizia di James?» domandò invece.
La risposta tardò qualche secondo ad arrivare, tanto da farle temere che la sua interlocutrice si fosse riaddormentata. Infine disse:
«No, nessuna. Ma credo che Ruben me lo avrebbe fatto sapere se gli fosse capitato qualcosa di brutto…»
«Non ci contare» rispose amaramente.
«Ma mi volete lasciar dormire?!» sospirò esasperata Erika.
«Scusa Chicca» disse Aqua.
«Scusa» ripeté Debrina.
«Scusate…» aggiunse una voce dall’ingresso della tenda.
«Che c’è ancora, Tim?» domandò Erika, passandosi una mano sul viso, rassegnata.
«Credo che dovreste venire a vedere.»
Aqua si trascinò stancamente in piedi. Dormire per terra le stava spezzando le ossa. Sperando con tutto il cuore che la sveglia di Timothy fosse solo l’ennesimo falso allarme, uscì dalla tenda e vacillò. In fondo alla valle, decine di fuochi avanzavano nella loro direzione. Gli orchi, avevano, infine, deciso di attaccare. Di colpo, si sentì completamente sveglia.
«Dede, hai controllato la diga, ieri sera?» domandò.
«Sì, è in perfetto stato.»
Erika, che si premeva ancora le mani sulla bocca, si riscosse.
«Preparate le armi. Vado a dare l‘ultima occhiata» disse sparendo nella notte.
Aqua ringraziò gli Dei di aver avuto quell’idea. Costruire una diga, una specie di grosso imbuto che obbligasse gli aggressori ad incanalarsi in una strettoia. Avrebbe costretto gli orchetti a riporre gli archi per non colpire i compagni, e avrebbe arginato la carica degli orchi. Grazie al costante spauracchio degli Unicorni, nessuno si sarebbe arrischiato ad entrare nel bosco, anche se lei iniziava a dubitare che ci sarebbe stato un qualunque genere di reazione da parte loro. Così, avevano unito i loro poteri per costruire quell’affare, ed ora era giunto il momento di collaudarlo.
«Se non reggesse?» domandò Timothy, guardando con crescente orrore gli orchi che avanzavano.
Aqua non rispose. Non erano neanche domande da farsi, quelle, e poi non c’erano alternative, potevano solo pregare che funzionasse.
«Aqua?» insistette Tim.
«Vedi di smetterla, ragazzino!» sbottò Debrina. «Mi stai mettendo ansia!»
Aqua prese un respiro profondo. Sentiva quel peculiare stato di esaltazione che le induceva l’idea del combattimento e della luce macabra che rifletteva dalla lama della spada macchiata di sangue.
«Quella diga reggerà, Tim. Quella terra ha la consistenza della roccia, resiste alla forza dell’acqua, al vento, al fuoco…non vedo perché non dovrebbe resistere anche a loro» disse.
Tim e Debrina si scambiarono un’occhiata allarmata, e Aqua capì di aver usato di nuovo quel tono di voce inquietante che le usciva solo quando si parlava di massacri. Chissà perché, non se ne rendeva conto.
Erika ricomparve, e sul viso aveva un’espressione soddisfatta. Nessuno fece domande, il concetto era chiaro: armi in mano e pronti a vendere cara la pelle.
Aqua imbracciò l’arco, ma controllò che la spada lunga e sottile che portava legata in cintura fosse  a portata di mano. Non avevano preparato un piano, tutti e quattro sapevano che l’unica cosa che avrebbe potuto salvare loro le penne era la loro abilità. Incoccò la freccia. Al buio non vedeva molto bene, ma le torce non potevano fluttuare nell’aria. Mirò alla fiamma più vicina e scoccò. Un grido fu seguito da una serie di imprecazioni e la colonna si fermò.
«Approfittiamone» sussurrò Debrina.
Aqua incoccò di nuovo, mentre la compagna faceva piovere una cascata di scintille infuocate. Alcune colpirono ciuffi di erba secca, che divamparono, illuminando la piana. Gli orchi gettarono le torce e sollevarono gli scudi sopra al capo. Caricarono, avvicinandosi velocemente alla diga. La loro vista era buona nell’oscurità, ma riuscivano a vederlo, quell’immenso ostacolo buio come la notte? I maghi indietreggiarono di qualche passo, Aqua ripose l’arco e sfoderò la spada, imitata dagli altri. Gli orchi raggiunsero l’ostacolo e si bloccarono, grugnendo tra di loro. Poi, un grosso orco dall’elmo coperto di borchie gridò un ordine, e la prima linea si risolse ad infilarsi nella bocca dell’imbuto. I maghi si disposero nel punto più stretto, a due e due. Davanti, Aqua ed Erika dovevano bloccare l’avanzata con le armi, subito dietro, Debrina e Timothy avevano il compito, rispettivamente, di attaccare e di difendere per mezzo della magia. Quando Aqua ed Erika fossero state troppo stanche, non avrebbero dovuto fare altro che chiedere il cambio, e i ruoli si sarebbero invertiti. Aqua strinse forte l’impugnatura della spada. I muscoli le facevano male per la tensione.
Quando gli orchi si lanciarono su di loro, la lama scattò velocemente a parare il colpo che il primo assalitore le aveva misurato. Sorpreso, l’orco attaccò di nuovo, ma la spada di Aqua non era un’arma qualunque, era intrisa della sua magia, e non sarebbe andata in frantumi per così poco. La ragazza schivò un altro colpo, ruotò su sé stessa e conficcò la punta della lunga lama nel collo del nemico, il punto lasciato più esposto dalla semplice armatura di ferro e pelle conciata. Uno schizzò di sangue scuro e denso le sporcò la camicia bianca, dandole un brivido. Che, naturalmente, non era di orrore. La luce di un incantesimo di Debrina passò sopra alla sua testa e le grida che ne seguirono la fecero sorridere. Una grossa goccia d’acqua le colpì la guancia. Iniziava a piovere.
«Non chiedo di meglio» disse tra sé e sé sollevando l’arma, senza sforzarsi più di trattenere quella sete di sangue che esigeva prepotentemente soddisfazione.
 
Il tempo scorreva lentamente, e i corpi degli orchi si ammucchiavano uno sopra all’altro, rendendo sempre più complicato il corpo a corpo. La pioggia aveva iniziato a cadere con più convinzione. Aqua alternava momenti di fredda lucidità ad altri di totale delirio, durante i quali la sua vista vacillava e poteva affidarsi unicamente all’istinto. In quei frangenti, il mondo le appariva come velato di rosso, e alla realtà si sovrapponevano immagini del suo passato. E distinguere la creatura che le stava davanti dalle case in fiamme e dalla figura sfocata di Ruben, reo di averla resa impotente davanti alla fine straziante dei suoi cari, diventava impossibile. A tratti realizzava dove fosse e che cosa stesse facendo, ma per la maggior parte del tempo si limitava a soddisfare quel bisogno di violenza che le stringeva il petto, senza farsi troppe domande. Il fattore scatenante, dopotutto, lo conosceva: era la vista del sangue, il suo odore disgustosamente metallico e nauseante, l’appiccicaticcio che lasciava sulle mani. Il suo autocontrollo aveva dei limiti, e quei limiti erano stati ampiamente superati.
Le grida degli altri maghi, ogni tanto, fendevano il velo che la separava dal reale. Erika doveva essere ferita, ma continuava a combattere, perciò non doveva essere una cosa grave. Ad ogni nemico ne seguiva un altro, quelle creature ripugnanti non sembravano avere mai fine. Come le fiamme. Le fiamme che avvolgevano il campo di combattimento, che avevano bruciato Madian, che avevano arso i suoi abitanti, e che tornavano di frequente a perseguitare i suoi sogni. I sogni che Amina aveva invano tentato di curare con i suoi poteri e le sue erbe.
Riemerse dal delirio al pensiero di Amina. Il sangue era ovunque e da qualche spiraglio tra le nubi che andavano alleggerendosi iniziava ad intravedersi il cielo rosato dell’alba.
«Aqua! Tutto bene?» gridò Tim.
Aqua sgranò gli occhi. Anche la spada di Timothy grondava perle rosse, ma sembrava tutto intero.
«Tim…» balbettò.
«Lieti di riaverti tra noi, ragazzina» disse Debrina, trafiggendo il suo avversario.
Dalla sua voce traspariva un vago sollievo. Aqua lanciò un incantesimo e una pila di corpi volò addosso a due orchi che si avvicinavano a Debrina con le spade levate. Si domandò se fossero così evidenti i suoi momenti di smarrimento da indurre i suoi compagni a temere per lei. Oppure, era per la loro stessa incolumità che temevano?
«Com’è la situazione, Dede?» domandò.
La maga stese un altro avversario.
«Non lo so, ma dobbiamo tenere duro ancora per un po’. Non possono essercene ancora molti!»
Aqua stava per rispondere che non ne era poi tanto sicura, ma un’esplosione, nel mezzo dello schieramento nemico, catalizzò la sua attenzione. Un’esplosione che non avevano provocato loro, e che di certo non rientrava nel repertorio degli orchi.




**************
Beh, questo direi che si commenta da solo!
Spero non vi sia venuto il vomito, sappiate solo che mi sono divertita da matti a scrivere questo capitolo. Finalmente, io e Aqua iniziamo a capirci!
Sì, sì, lo so, è corto. Ma abbiate fede. Iniziamo ad avvicinarci alla fine della prima parte di questa storia. Approposito di questo, posso chiedervi un parere? Pensavo di dividere la storia in due parti, e la seconda dovrebbe riguardare la parte della guerra vera e propria. Più che altro per questioni di praticità e per evitare che saltino fuori 80 capitoli... Secondo voi è un'idea infelice? 
Aspetto con ansia qualche parere, e thank you in anticipo!
Baciiiiii

Ps @ Hary: Come anticipato, niente pucci pucci. Non mi sembrava che ci stesse bene XD

Ps @ Anneke: Scusa scusa scusa per quello che sto facendo ad Aqua, lo so che doveva essere la donna della tua vita, ma è diventata una maniaca omicida! Ha fatto tutto lei, giuro! Ma, devo essere sincera, io la preferisco così, è più "me" XD

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Capitolo 36
*** "La nostra improbabile alleanza finisce qui" ***


Liam si prese la testa tra le mani. Addio speranza di raggiungere Natìm in mattinata. Davanti a loro si estendeva un grande campo di battaglia: decine e decine di orchi erano tenuti in scacco da quattro maghi che, nel punto più stretto tra il bosco e il fiume, avevano costruito un immenso imbuto, in cui gli orchi erano stati costretti ad incanalarsi. Una pensata geniale. L’unica alternativa che si offriva al nemico, in quel modo, sarebbe stata aggirare l’argine passando dal bosco, invadendo così il territorio degli Unicorni, e rischiando di affrettare la decisione di questi ultimi di scendere in campo.
Liam strinse gli occhi, nel tentativo di riconoscere i maghi. Il ragazzino che sembrava essere stato tirato per le braccia e per le gambe tanto era lungo e sottile era sicuramente Tim. Dinoccolato così poteva esserci solo lui. La maga dai riccioli scuri poteva essere quella che, insieme a Ruben e al ragazzino, l’aveva soccorso mentre cercava di farsi ammazzare da Caleb, appena fuori da Spleen, una vita prima. La donna alta con i capelli tagliati corti era senza ombra di dubbio quella permalosa di Debrina. La quarta, invece, non la riconosceva. Gli ricordava qualcosa, però…il viso affilato, quei lunghi capelli e l’aria fragile. Di colpo comprese: era la ragazzina dall’aria disinteressata che, al Consiglio di Effort, stava in compagnia dei gemelli di Phia.
«Liam?»
Il mago si volse. Abigail aveva l’aria di chi ha appena preso un pugno sul naso.
«Non ci sono alternative, lo sai. Dobbiamo passarci in mezzo» mormorò.
«In mezzo?!» balbettò Liam. «Come cavolo facciamo a passare in mezzo a una folla di gente che si massacra a vicenda e uscirne illesi, me lo spieghi?!»
Lo stregone si guardò attorno, e Liam notò goccioline che le imperlavano la fronte. Non erano causate dalla pioggia, che riusciva appena ad attraversare i rami fitti, né dal caldo. Il fatto che anche quell’animale a sangue freddo di Abby fosse in ansia non lo fece sentire meglio.
«Non ci sono alternative» ripeté.
Il mago tornò a guardare il campo di battaglia.
«E se proseguissimo nel bosco?» domandò.
«Non possiamo farlo. Gli elfi mi stanno tenendo d’occhio, sento il loro fiato sul collo, e per raggiungere l’altro lato da qui saremmo costretti a passare vicino alle zone abitate.»
Abby si prese l’attaccatura del naso tra le dita.
«Senti, da un lato ci sono i miei alleati, dall’altro i tuoi. Sfruttiamo questa situazione. Uniamoci agli orchi come se fossimo qui per combattere con loro, di certo mi riconosceranno e mi lasceranno avvicinare a quella specie di diga. Quando saremo abbastanza vicini, poi, potrai farti strada ammazzandoli e raggiungere i tuoi amici, sì?»
Liam aggrottò la fronte.
«E tu?»
Abby ghignò.
«Io me la darò a gambe, ovviamente. La nostra improbabile alleanza finisce qui.»
Liam si sentì stringere il petto e se ne vergognò. Sapeva che quel giorno sarebbe venuto, sapeva che Abigail, o Emelia, o la Lama, o come cavolo voleva farsi chiamare, sarebbe tornata ad essere nulla più che un nemico, non meno micidiale di Caleb. Sapeva anche che la colpa di tutto quello che era successo ad Irthen era sua, e che era una doppiogiochista senza scrupoli. Ma sapeva anche che aveva rischiato molto per riparare al danno, e aveva poca importanza che l’avesse fatto per senso di colpa, per Ir, per Kore o per capriccio. Sapeva che da solo non ce l’avrebbe fatta.
«Per tutti gli sciacalli, mago, non fare quella faccia da cucciolo bastonato! Credevo stessi contando le ore…»
«È così. Ma non mi alletta più di tanto l’idea di doverti uccidere alla prima occasione» mugugnò.
«Tranquillo, tanto non ci riuscirai. La tua occasione l’hai buttata in vacca davanti alla Cascata.»
Liam sorrise.
«Al momento non me ne pento, ma so che presto dovrò ritrattare! Intanto, grazie.»
Abigail scoppiò a ridere. Ma la sua risata era palesemente forzata.
«Ho davvero sperato fino all’ultimo che saresti passato dalla mia parte, Li’…ma tu sei un maledetto pacifista!» disse ricomponendosi.
«E tu sei sempre la solita ottimista. Il che è un bene, visto quello che ci aspetta fra poco.»
Abby riportò lo sguardo al campo di battaglia.
«Bando alle ciance, mago. Finché noi prendiamo il tè i miei amichetti, come li chiami tu, finiscono massacrati dai tuoi, di amichetti. Al mio segnale scendiamo nella valle. Stammi incollato, io mi farò largo tra la folla, fino all’imboccatura di quel coso. Tu, però, quando sarai in vista dei maghi dovrai farti riconoscere, o ci penseranno loro a farti la pelle. Quando sarai al di là della barricata, io me ne andrò. Chiaro?»
Liam annuì lentamente, cercando di ritrovare la calma. Si legò i capelli, controllò che il suo prezioso bagaglio fosse fissato bene. A giudicare dalle pozzanghere che si intravedevano sul campo di battaglia doveva essere piovuto parecchio senza che loro, al riparo delle piante, se ne potessero rendere conto. Ma ora il cielo iniziava ad aprirsi, e strisce rosa davano un tocco di classe alla scena. Come nelle più coreografiche tra le storie del vecchio Ged. Liam si concesse un sospiro, poi si volse verso Abigail.
«C’è qualcosa che devo dire ad Irthen da parte tua?»
La ragazza si incupì e abbassò lo sguardo, torcendosi le mani. Il mago si domandò come dovesse interpretare quel comportamento, se fosse un segno di rimorso, indecisione, oppure se stesse architettando qualcosa di teatrale.
«È probabile che non lo rivedrò più, sì?»
Liam si strinse nelle spalle.
«Questo non lo posso sapere. Forse vi rivedrete, ma la situazione potrebbe non essere delle migliori…»
«Su un campo di battaglia» mormorò tra sé e sé.
Con aria persa, fece girare intorno al dito la fedina con la pietra nera.
«Non lo so. Ci sono così tante cose che gli vorrei dire…ma nessuna che vorrei far passare attraverso di te e la tua voce sgraziata.»
Sorrise, come colta da un’illuminazione, e sfilò l’anello.
«Tuo fratello era la mia ultima speranza di redenzione, e vi ho rinunciato. Dagli questo» disse posandogli la fedina sul palmo della mano.
Liam sbatté le palpebre.
«Stai scherzando? Dovrei dargli un anello?!» domandò incredulo.
Abby annuì convinta.
«È stato al centro di un lungo discorso, una sera, attorno al fuoco. Non posso salutarlo come vorrei, perciò…questo è un commiato appropriato.»
Il mago fissò lo strano gioiello per qualche secondo, incapace di risolversi. Che fosse stregato? Permeato di chissà quale magia negativa? Oppure che con quel dono Abigail volesse spingere Irthen a scappare di nuovo per raggiungerla e giurare fedeltà a lei? Forse, dopotutto, era in buona fede e desiderava solamente lasciargli un ricordo. E, forse, lui era solo invidioso, perché un anello in dono da una bella ragazza non l’aveva mai ricevuto…
«Sta bene, strega» concluse, infilandosi l’anello al mignolo. «Ir avrà il tuo regalino. Ora andiamo.»
 
Mentre seguiva Abigail giù dal pendio dolce, Liam si sforzò di non pensare a niente. La pioggia cadeva rada, e le grida e i rumori della battaglia si fondevano in un unico rombo indistinto, che oscurava tutto il resto. Luce puntò direttamente al cuore dello schieramento nemico, e Sophia la seguì. Abigail stava eretta in tutta la sua teatralità sulla sella, e gli orchi facevano largo non appena riconoscevano in lei la Lama, colei che avrebbe potuto portare loro la vittoria in quella battaglia. Liam si lasciò guidare fino all’imboccatura della strettoia. Nessuno sembrava notarlo, erano tutti abbagliati dallo splendore del manto di Luce.
«Vai, Li’, è giunto il momento del tuo atto dimostrativo» gridò Abby per sovrastare il frastuono che li circondava.
Liam si guardò attorno. Poche decine di passi davanti a lui, una pila di cadaveri prese il volo e stese due orchi che cercavano di aggirare Debrina.
“Se non ti riconoscono, sei fottuto” piagnucolò la vocina nel suo cervello, e Liam non poté non trovarsi pienamente d’accordo.
Lanciò un’ultima occhiata ad Abigail, chiamò a raccolta le forze e lanciò un incantesimo di pura energia, che creò una luce abbagliante e scaraventò lontano tutto quanto si trovasse nelle vicinanze. Senza preoccuparsi più di tanto per Abby, approfittò dello stordimento generale per lanciarsi a rotta di collo verso la linea degli alleati. Eliminò brutalmente dalla traiettoria gli orchi che avevano avuto la prontezza di rimettersi in piedi per fermarlo, mentre la voce roca di Debrina del Fuoco gridava:
«Fatelo passare, veloci, toglietevi di lì!»
La ragazza dai capelli lunghi si spostò appena in tempo da consentirgli di oltrepassare la linea invisibile che divideva la salvezza dalla morte.
«Liam?!» balbettò Timothy, riprendendo a lanciare incantesimi a destra e a manca.
«Ciao, Tim! Scusa ma sono un po’ di fretta, devo-»
Un boato si levò dall’esercito nemico e a Liam morirono le parole in gola.
Ogni altro suono, sul campo di battaglia, sembrò spegnersi, tutti gli occhi rivolti a quel rombo che faceva vibrare i timpani.
Un gigantesco drago, una figura pallida nella luce grigia, si avvicinava sorvolando la schiera di orchi e orchetti, e lanciava lingue di fuoco che mettevano in fuga i suoi alleati al suo passaggio.
«Di nuovo…» gemette la ragazza magra.
«L’avete già incontrato?» domandò Liam.
«Sì, ma siamo riusciti solamente a ferirlo» rispose Debrina.
Per un momento, Liam valutò la possibilità di fuggire a gambe levate verso Natìm. Non poteva farsi ammazzare lì, non dopo essere uscito senza danni dalla Terra dei Draghi. Sarebbe stato da vero coglione. Ma come poteva andarsene e lasciare i suoi alleati nella merda più nera?!
Il drago passò sulla loro testa e, d’istinto, Liam creò uno scudo protettivo. Il suo incantesimo si fuse con quello proveniente dalla ragazza, che gli lanciò un’occhiata sorpresa.
«Tu sei Liam?!» esclamò.
Il mago si domandò che importanza avessero le presentazioni in un momento simile. Fu Debrina a rispondere e dissuaderlo dall’insultarla.
«Sì, Aqua, questo è Liam. E ora che abbiamo due padroni dell’Acqua, forse riusciremo ad abbattere quel mostro!»
Aqua. Liam si appuntò mentalmente quel nome.
«Sta tornando» avvertì Timothy.
Aqua attaccò e il drago virò.
Le prime linee degli orchi erano malridotte, chi era rimasto ucciso nell’attacco del drago, chi se la stava dando a gambe. Ma quelli che stavano nelle retrovie si affrettavano a prendere il loro posto.
«Un piano, Liam, presto!» disse Debrina.
“Piano?” avrebbe voluto rispondere. “Ma se me ne sto andando!”.
Si fece forza e tentò di convincersi che non sarebbe arrivato a Natìm – né da nessun altra parte – vivo, se quel coso con le ali avesse deciso di seguirlo.
«Ok» mormorò, più a sé stesso che ai colleghi. «Ok! Tu e tu» disse puntando il dito contro Debrina ed Erika «respingete gli orchi. Non importa come, purché non interferiscano. Tu, Tim, dovrai destabilizzare il drago.»
«Come?» gemette il ragazzino.
«Non lo so, sei tu che comandi l’Aria! Inventati qualcosa. Io e te, Aqua, cercheremo di tirarlo giù.»
Aqua annuì.
«È probabile che il fianco sinistro sia il più debole.»
Liam si preparò a parare la nuova ondata di fuoco. Il drago tornava verso di loro.
«Sta bene. Fianco sinistro sia» concluse.
Considerando con sommo disappunto che non avrebbe potuto abbandonare il cavallo – non con un simile carico, per lo meno – Liam si sistemò meglio sulla sella. Il mostro aprì le fauci, e Aqua fu svelta a parare la lingua di fuoco che ne proruppe. La creatura tentò una virata stretta, e per un momento vacillò, ma riprese subito il controllo.
«Di più, Tim» gridò Aqua.
Liam, intanto, cercava di individuare i segni della ferita recente, ma gli riusciva difficile. Si muoveva troppo velocemente. Infine, notò una sottilissima linea argentea, come una cicatrice. Se la ferita era davvero quella, i draghi dovevano avere le stesse capacità rigenerative degli stregoni. Oppure, era stato proprio uno stregone a rimetterlo in sesto.
«Liam» gridò Debrina. «Non fatevelo scappare!»
Liam si concentrò sulle gocce di pioggia che gli colpivano il viso per non sentire le stanchezza che martoriava le gambe e la schiena.
«Pronta per quando si avvicina, bellezza.»
Aqua gli lanciò un’occhiata omicida, ma si predispose all’attacco.
Il drago salì in verticale e scese in picchiata verso di loro. Liam faticava a concentrarsi, la tensione si sommava alla rabbia per quel ritardo. Il drago aprì le fauci. Nella sua gola brillava, ben visibile, una soffusa luce rossa, come quella delle braci che covano il calore. Improvvisamente, il mago cambiò idea.
«Togligli l’aria, Tim!»
«Cos…?!» farfugliò Timothy, eseguendo l’ordine.
La creatura si fermò disorientata, e allargò ancora di più le fauci tentando, invano, di recuperare il respiro. In simultanea, con un tempismo che sorprese Liam quasi più dell’intuizione della sua collega, i due maghi di elemento Acqua colpirono con tutta l’energia di cui erano capaci il drago, direttamente nella gola.
Due lampi di luce, uno blu scuro e uno azzurro, trapassarono la pelle e le squame del collo, e la creatura tentò di allontanarsi, incapace perfino di ruggire di dolore. Grosse gocce di sangue piovvero al suo passaggio, mentre volava intorno senza meta, come in avaria.
Liam osservava la scena pietrificato, pregando che non precipitasse su di loro. All’ennesimo passaggio sulle loro teste, Aqua lo colpì di nuovo con un grido di gioia che fece accapponare il sangue nelle vene del mago. Il dragò atterrò rovinosamente sulla prima linea dell’esercito nemico, mettendo in fuga gli orchi superstiti e abbattendo parte della diga di contenimento.
Per una manciata di secondi, ogni rumore sembrò spegnersi, così che, quando proruppe, il grido di Erika suonò amplificato.
La maga crollò al suolo contorcendosi, sotto agli sguardi agghiacciati dei suoi compagni.
«Che le succede?» strillò Timothy.
Una spalla e parte del viso erano ricoperti di una sostanza nera e viscosa, da cui salivano fili di fumo. Aqua ebbe la prontezza di riflessi di lavargliela via di dosso, ma quella roba era collosa, ed Erika si dimenava. Quando finalmente riuscì ad eliminarla del tutto, scoprirono che la pelle della maga era gravemente ustionata.
Liam si riscosse. Se n’era stato lì a guardare, rigido come uno stoccafisso, consapevole della sua inutilità, e vagamente nauseato. Tutto era accaduto così in fretta che non era nemmeno riuscito a capire che cosa fosse realmente successo. Che diavolo era quella schifosissima colla incandescente? Oppure era acido? Qualcosa di corrosivo? La povera maga era anche ferita ad un fianco, e la sua camicia era intrisa del sangue che non la smetteva di uscire. Sangue, come quello che gocciolava dal drago ferito a morte…
«Sangue» esclamò sbigottito.
«Cosa?» domandò Debrina, bloccando dietro al una linea di fuoco i pochi nemici che non avevano rinunciato ad attaccarli.
«È il sangue di quel dannatissimo drago» spiegò. «Deve essere incandescente.»
Erika aveva smesso di contorcersi, ma il suo respiro si faceva via via più debole.
«Che cosa stai aspettando, Liam? Vai!» sibilò Debrina. «A meno che tu non sia un guaritore, qui non sarai di nessun aiuto.»
Liam sbatté le palpebre, colto da un improvviso impulso di annegarla. La sua amica stava morendo tra sofferenze atroci, e lei si preoccupava di cacciarlo via? Ad un’analisi un minimo più razionale, però, si rese conto che aveva ragione, che di loro nessuno sapeva come curare un’ustione del genere, né comandare gli animali per spedirli in cerca di aiuto, e che quindi doveva raggiungere Natìm il prima possibile.
«Sta arrivando qualcuno» mormorò Timothy, con le guance rigate delle lacrime che non faceva nessuno sforzo per trattenere. «Qualcuno a cavallo» precisò.
Per una frazione di secondo, Liam pensò che si trattasse di Abigail. In lontananza, un puntino bianco si muoveva nella loro direzione, diventando più grande man mano si avvicinava. Ma non era di lei che si trattava. Quando cavallo e cavaliere furono più vicini, Liam riconobbe Oliandro.
«Sono arrivato troppo tardi?» domandò allarmato, smontando per precipitarsi al capezzale.
«Che cosa è stato a fare questo?» domandò inorridendo davanti al respiro sempre più debole della donna.
«Il sangue del drago che abbiamo abbattuto, pare» rispose Tim.
L’elfo si volse di scatto, gli occhi allargati.
«Il sangue? Ne siete certi? Solo i membri della stirpe reale possiedono un sangue capace di fare una cosa simile.»
La vocina nella testa di Liam sospirò esasperata.
“Fortunati come sempre. Con tutti i draghi che ci sono, noi chi tiriamo giù? Un parente di Djalmat, mi pare ovvio!”.
«Che cosa ci fai ancora qui, Liam?» disse fissando lo sguardo blu su di lui. «Svelto, vai prima che succeda qualcos’altro.»
Liam lanciò un’ultima occhiata ad Erika, sentendosi terribilmente impotente, poi volse il cavallo e se ne andò senza dire una parola.
Spronò Sophia, con la consapevolezza che soltanto poche miglia lo separavano da Natìm e da suo fratello, ma senza riuscire a togliersi dalla mente il pensiero che se anche uno soltanto di loro fosse stato a conoscenza degli effetti devastanti che il sangue di un drago poteva avere, sarebbe stato un gioco da ragazzi prendere le dovute precauzioni, ed Erika non sarebbe stata in quello stato.




************************************
Che ne sarà di Erika?
*Si illude che interessi a qualcuno, mentre la prima alla quale non fa né caldo né freddo è lei*

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Capitolo 37
*** Finalmente Natìm ***


Varcando le mura di Natìm, Liam non si prese la briga di rallentare. Aveva ricominciato a piovere forte, era inzuppato fino al midollo perché non aveva più le forze di ripararsi. Aveva dato fondo ad ogni riserva di energia. Raggiunse il quartier generale di Ruben affidandosi a ricordi incerti e remoti e all’ottimo istinto del suo cavallo, e là trovò Amina ad attenderlo. Per qualche motivo, vederla lì in piedi sotto al volto d’ingresso lo fece sentire a casa. Infondo, era stata proprio lei l’ultima persona che aveva salutato lasciando Pothien, per ben due volte consecutive.
«Liam» sospirò mentre il mago si lasciava scivolare giù dalla sella sgraziatamente. «Sono così felice che tu stia bene…»
Barcollò mentre la guaritrice lo abbracciava stretto. Intimamente convinto di non aver mai apprezzato tanto le braccia calde di una donna, con immenso sforzo la scostò.
«Mina…c’è stato un problema. Erika…»
Amina si incupì.
«Lo so. Dodo ci ha fatto giungere un messaggio» mormorò.
«Come sta?» domandò Liam, con la voce che tremava, anche se l’espressione della maga lasciava poco spazio a dubbi.
«Non ce l’ha fatta. È morta poco dopo la tua partenza» sussurrò.
Una lacrima le rigò la guancia spruzzata di lentiggini, ma fu svelta ad asciugarla con la manica del vestito sgualcito che indossava. E mentre Liam ancora la guardava turbato, slegò il bagaglio dalla sella e trascinò il mago al riparo dalla pioggia.
«Forza, andiamo dentro» disse. «Mentre preparerò la pozione per Irthen, tu potrai lavarti e mangiare. Yu ti sta già aspettando.»
Vagamente perplesso e con la mente annebbiata, riuscì a domandarsi chi cavolo fosse Yu. Ma la necessità di togliersi quegli abiti bagnati e sporchi per scomparire in una vasca di acqua bollente, più ancora che il bisogno di cibo, piallò tutti i suoi dubbi. Seguì Amina nel cuore del quartier generale, senza osare sperare che parte dei suoi problemi fossero risolti.
 
Pulito e con lo stomaco miracolosamente pieno come non gli capitava da un’eternità, Liam si fece accompagnare dalla paziente Yu alla stanza di Irthen. Ruben non c’era, gli aveva spiegato la cameriera, ma era atteso in città in giornata.
Amina era ancora chiusa nella stanza, e Yu si offrì di far compagnia al mago. Ma Liam declinò. Non aveva nessuna voglia di fare conversazione e l’ultimo dei suoi desideri era di mostrarsi inerme nella sua angoscia davanti ad una perfetta sconosciuta. Per quanto gentile.
In quell’attesa che sembrava non finire mai, un pensiero fisso baluginava sempre più insistentemente nella sua testa. E nemmeno la stanchezza e il vago sollievo di essere riuscito ad arrivare fin lì riusciva a scacciarlo.
La porta si aprì e Liam si strofinò gli occhi. Dalla finestra, entrava il profumo inconfondibile della pioggia. Amina uscì dalla stanza richiudendosi l’uscio alle spalle.
«Allora?« domandò il mago arrotolandosi un ciuffo attorno all’indice.
La maga si sciolse i capelli con aria stanca.
«Gli ho somministrato la pozione. Stando alle indicazioni del tuo libro, ci vorranno almeno quindici giorni perché faccia effetto, e il risveglio sarà preceduto da qualche giorno di febbre alta. Quindi, per il momento almeno, non possiamo fare altro che stare a guardare e aspettare una qualche reazione» sospirò. «Sei stato eroico, Liam. Hai fatto un viaggio lungo e difficile, in compagnia di un nemico letale, attraverso terre inospitali, e con una guerra che incombe. Eppure, ci sei riuscito, mi hai portato tutto il necessario per preparare la pozione. È davvero…»
La sua voce si perse mentre il mago la abbracciava e affondava il viso nei suoi capelli. Cercando invano di controllare il battito cardiaco impazzito, Amina mormorò:
«Va tutto bene?»
Liam respirò a fondo. Tutta la tensione di quelle settimane pesava sulle spalle come un grosso masso, la stanchezza sembrava sul punto di farlo impazzire. Ma il profumo della maga era buono, e ci si aggrappò come ad un sogno evanescente.
«Grazie, Mina. Grazie per esserti presa cura di lui. Sempre. Io sono…un fratello pessimo» articolò con estrema difficoltà.
«È il mio lavoro» rispose, imbarazzata.
«Mina, ho bisogno del tuo aiuto. Ne ho bisogno ancora una volta» sospirò.
«Di-di cosa hai bisogno?» balbettò, allontanandolo quel tanto che bastava da poterlo vedere in viso.
«Devo andare a Pothien. E ho bisogno che tu venga con me.»
«A Pothien? Ora?» domandò confusa.
Liam annuì lentamente e si prese la testa tra le mani.
«È una questione complicata, io…»
«Va bene» lo interruppe tappandogli la bocca con una mano. «Va bene, Liam, verrò dove vorrai. Ma non prima che tu abbia dormito in un letto decente. Hai abusato del tuo fisico, e in queste condizioni non ti accompagno da nessuna parte.»
Il mago chiuse gli occhi e annuì. La richiesta era ragionevole. E non gli aveva nemmeno domandato perché volesse fare tutta quella strada alla vigilia di una guerra. Amina doveva essere la donna più buona del mondo. Oppure la più pazza.
 
La mattina dopo, Liam fu fatto accomodare nella sala riunioni, in attesa che il Maestro fosse libero per incontralo. Dopo una notte di sonno, la situazione gli sembrava meno drammatica. La questione Irthen era risolta, se non altro. Si rigirò attorno al mignolo l’anellino di Abigail. Che fine aveva fatto? Se l’era veramente data a gambe prima dell’arrivo del drago? La povera Erika era morta, e solo gli Dei sapevano quando avesse sofferto, e uno stregone avrebbe potuto facilmente curarla. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Abby era sua nemica, le azioni che compiva, le decisioni che prendeva erano finalizzate unicamente al proprio personale vantaggio. Sospirò.
Quando si era svegliato quella mattina aveva incontrato Chloé. Quella sciocchina aveva lasciato Effort perché “se avessi aspettato te, sarei morta di vecchiaia”, aveva detto. Un’incolumità in più per cui temere sul campo di battaglia.
“Chi vuoi prendere in giro, idiota? Eri stato tu a chiederle di combattere con te” protestò il suo subconscio. E dovette riconoscere che quell’antipaticissima vocina aveva ragione, come sempre. Senza Clo accanto non sarebbe stata la stessa cosa. Anche se adesso, lei, aveva trovato un compagno di cui riuscisse a ricordare il nome. Non era cosa da poco, considerata la frequenza con cui la bionda cambiava amanti. Sorrise tra sé, reprimendo una dolorosa fitta di gelosia. La sua eterna compagna di degenero aveva messo la testa a posto, a quanto sembrava, e lui ancora se ne stava lì, a combattere con l’istinto di portarsi a letto lei, Amina e la cameriera del capo, a rotazione.
Ruben entrò silenziosamente e si sedette accanto a lui.
«Beh, pare che tu ce l’abbia fatta, ragazzo!» disse con un sorriso stanco, ma cortese.
La ferita infertagli da Caleb sulla guancia aveva lasciato una brutta cicatrice. Senso di colpa su senso di colpa. Liam storse il naso, nauseato da sé stesso.
«Più o meno» sbottò.
Il mago lo guardò con disappunto.
«Quanto hai detto che ci metterà a svegliarlo?»
«Una quindicina di giorni, suppergiù.»
Ruben lo fissò ancora per qualche momento con quei penetranti occhi azzurrini, prima di battere il pugno chiuso sul tavolo.
Liam sobbalzò.
«Allora vedi di toglierti quella faccia da “mi è morto il gatto”, stupido mago! Io non ti capisco, hai fatto carte false per preparare quella pozione, ed ora che sei ad un passo dall’obiettivo…»
Liam deglutì a vuoto.
«Devo fare un salto a Pothien, Maestro» sospirò.
«Come? Perché? Vorrai scherzare, la guerra sta per iniziare, le mie truppe si stanno già radunando…» balbettò Ruben.
«Forse gli elfi ti avranno accennato qualcosa» spiegò, relegando le proprie paure  in un angolino remoto del cervello. «Gli Unicorni sono convinti che Ophelia della Terra, la ragazzina che sta con Micael e i suoi, sia in realtà mia sorella Syra, che io avrei erroneamente sepolto viva una decina di anni fa. Ho promesso loro che avrei verificato.»
La sua voce suonò eccessivamente fredda anche alle sue stesse orecchie. Il Maestro chinò il capo.
«È…è possibile?» mormorò.
Liam esitò. Era possibile? Se lo domandava svariate volte ogni santo giorno, ma non aveva una risposta a quella domanda.
«Secondo me no. Però lo devo sapere, devo avere una conferma o una smentita, perché così non posso continuare.»
Ruben annuì.
«Brutta situazione. Va bene, ragazzo. Perdonami, non potevo immaginare che un peso simile ti opprimesse il cuore. Ti consiglio di partire al più presto, allora, perché tu possa essere di ritorno prima dello scoppio del conflitto, e prima del risveglio di tuo fratello.»
«Già. Prima del suo risveglio. Perché quando si sveglierà dovrò essere in grado di dargli molte risposte.»




*************************
Ooook ragazzi, e con questo capitolo - corto, lo so, ma spero comunque intenso - si chiude la parte "Irthen". Pronti per la guerra? Io no, ve lo confesso. Per questo motivo mi prendo un po' di tempo per organizzarmi. Perdonate se, come probabile, non ci saranno aggiornamenti a breve, ma è per una giusta causa. Ho intenzione di rileggermi tutto dall'inizio per essere sicura di non perdermi nulla per strada. E nel frattempo spero che la nostra cara Hareth ci pubblichi la sua di guerra, così mi metto in clima massacro! XD
(Momento pubblicità: se non la conoscete, vi invito a visitare la sua pagina, ne vale davvero la pena ;) Che brava fan che sono XD) 
Bene! Rebus sic stantibus, vi saluto! Buon inizio di scuola per chi è ancora in età, vi invidio un sacco :) Baciiiiii
Cat ^^

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Capitolo 38
*** Nel regno delle ombre ***


Il vento soffiava forte e feriva gli occhi con le sue raffiche taglienti. Le foglie, strappate dai loro rami troppo presto, vorticavano qua e là, strattonate da mulinelli invisibili. Liam rabbrividì. Con quel freddo, preludio dell’autunno incipiente, nessuno calcava la terra del cimitero di Pothien al crepuscolo.
«Stai bene?»
Il mago volse faticosamente gli occhi alla sua compagna. Alla luce tremolante della lanterna, portata più per precauzione che per necessità, Amina sembrava uno spettro, gli occhi grandi arrossati dal vento.
«Sto bene» rispose, con più convinzione di quanta se ne sentisse in cuore.
La guaritrice annuì.
«Fammi strada, Liam.»
Il mago si incamminò sul sentiero di ghiaia rossa verso i due cipressi lontani che segnavano l’ingresso delle tombe di chi, come la sua famiglia, era caduto vittima di qualche pericoloso morbo. Ogni secondo che passava, ogni passo che metteva tra sé e il mondo dei vivi, facevano crescere il desiderio di fuggire a gambe levate. E si compiaceva di aver chiesto aiuto ad una donna come Amina: determinata, comprensiva e silenziosa. Si sorprese a godere della sua presenza, così innegabilmente viva in quel mondo di ombre.
E mentre un sole freddo scompariva dietro alle ultime cime, Liam attraversò quella soglia invisibile che lo separava dalla verità che poteva sconvolgere irrimediabilmente la sua vita.
“Come se potesse essere più sconvolta di così…” mormorò la solita vocina cattiva nella sua testa.
Che cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che Ophelia della Terra era davvero la sua Syra? L’avrebbe davvero lasciata accanto a Micael? Avrebbe avuto il sangue freddo di affrontarla in campo aperto? E…che cosa avrebbe detto ad Irthen?
Vacillò. Amina lo prese sottobraccio e sussurrò:
«Non sei obbligato a farlo.»
Liam perlustrò la distesa di lapidi con gli occhi e trascinò Amina verso un gruppetto di tre sepolture. Tre pietre allineate, coperte di foglie secche e di erbacce, recavano ancora ben leggibili i nomi incisi: Naìba, figlia di Sunita; Syra, figlia di Naìba; Thorla, figlio di Rob.
Prese un bel respiro ed espirò lentamente.
«Sì, invece. Devo sapere. Devo sapere se ho sepolto viva la mia sorellina.»
La sua voce suonò incredibilmente mesta anche alle sue stesse orecchie. La guaritrice rabbrividì e lasciò andare il braccio.
«Reggimi questa, allora» disse, porgendogli la lanterna.
Il mago strinse l’impugnatura di ferro, e si sorprese di trovarla tiepida. Le mani di Amina dovevano essere calde.
La maga si guardò attorno per sincerarsi un’ultima volta della totale assenza di intrusi e si inginocchiò sulla terra fredda. Posò i palmi sul suolo e premette le dita nel terreno duro. Chiuse gli occhi e strinse le labbra.
Liam si sentì mancare quando la terra davanti a lei prese a ribollire. Lentamente, il potere di Amina portava alla luce una piccola bara consumata. Il legno marcio sembrava stare insieme per miracolo. Il brulicare, infine, cessò, e Liam si inginocchiò accanto alla guaritrice.
«Pronto?» mormorò questa.
Il mago annuì. Tese una mano. Il cuore gli batteva forte, rimbombava nello stomaco, nella gola, nelle tempie. Posò due dita sul legno umido. Esitò.
«Sono contento che tu sia qui, adesso, Mina» sussurrò.
Amina sorrise.
«Coraggio, Li’. Più aspetti, più ti fai male.»
«Hai ragione…»
Chiuse gli occhi e scoperchiò la bara. Amina trattenne il respiro. Con immensa fatica, si obbligò a guardare.
La bara non era vuota. Un piccolo scheletro vi giaceva, vestito di un abitino azzurro, circondato da qualche ciocca nera.
Liam trasse un sospiro di sollievo, mentre si sentiva svenire per il calo improvviso di tensione. Notò distrattamente due lacrime scivolargli giù lungo il viso. Richiuse la bara con le mani che tremavano e si ritrasse mentre la maga riportava il tumulo alla stato originario. Liam attese, seduto a gambe incrociate davanti alla lapide di suo padre. E quando le braccia di Amina gli cinsero le spalle, non poté fare a meno di abbandonarsi a quel calore, pregando che lo riportasse, il più presto possibile, nel mondo dei vivi.
 
Aqua si lasciò cadere sul suo letto. Prima di mangiare, prima di lavarsi, aveva bisogno di dormire.
Il rientro a Natìm era stato veloce e indolore, ma lei avrebbe preferito lungamente restare al fronte. Capiva perché Ruben aveva mandato un contingente a sostituire lei, Debrina e Tim, capiva che Oliandro e quel gruppo di civili travestiti da soldati, accompagnati da qualche mago mediocre, potevano essere più produttivi di loro. Ma non le piaceva pensare che la morte di Erika potesse aver intaccato a tal punto le loro facoltà psico-fisiche. La faceva sentire debole, la faceva sentire impotente. Ma per quanto fosse difficile e doloroso, doveva riconoscere che la mossa del Maestro era stata corretta: ora che le città alleate avevano mandato a Natìm i loro uomini e che le spie erano rientrate, ci si poteva permettere qualche vizio in più. Come per esempio guarnire di un centinaio di uomini la riva del Llatas.
Erano passati quasi quattro giorni dalla morte di Erika, eppure ancora Aqua faticava ad accettarlo. Era incredibile quanto poco bastasse a spazzare via l’esistenza di un essere umano. Incredibile quanto sforzo, per contro, servisse per abbattere un drago. Sospirò. Qualcuno bussò alla porta, e Aqua lo ignorò. Non aveva voglia di vedere nessuno. Era stanca, tanto stanca…
«Aqua, aprimi, so che ci sei!»
La voce roca di Debrina la costrinse ad aprire gli occhi.
«Che vuoi?» mugugnò.
«Dai, aprimi, non mi va di star qui a gridare in corridoio!»
Aqua sbuffò e si trascinò giù dal letto. Girò la chiave e aprì la porta. La maga entrò senza chiedere il permesso e si sedette sul bordo del letto, sotto allo sguardo assonnato e corrucciato della proprietaria. Scuotendo il capo, rassegnata, Aqua si sedette accanto a lei e soffocò uno sbadiglio.
«Allora?» incalzò.
«Stai bene?» domandò Debrina.
Aqua storse il naso.
«Mi prendi in giro? Quando mai ti è interessata la mia salute? Senti, Dede, dimmi quello che vuoi dirmi e poi sparisci, che casco dal sonno…»
Debrina ghignò e si passò una mano tra i capelli corti.
«Prima di tutto volevo dirti che James è tornato tutto intero, e che si è anche trovato una donna, a quanto sembra. Ci tenevo ad informarti, visto che ti eri interessata» Aqua annuì. «In secondo luogo, devi sapere che la suddetta donna è la nostra amica bionda di Effort, che tanto piaceva a te.»
«Cosa?!» esclamò, svegliandosi di colpo. «Chloé sta con tuo fratello?! Si salvi chi può! Quei due insieme sono potenzialmente distruttivi…e bravo Jim!»
Debrina la guardò storto.
«Mi sorprende che tu l’abbia presa tanto bene…»
Aqua si strinse nelle spalle.
«Guarda che il fatto che sia carina non comporta necessariamente che io avessi delle mire su di lei. Peraltro, è risaputo che le piacciono gli uomini…puoi chiedere a qualunque essere vivente di sesso maschile nella zona del porto di Effort.»
«D’accordo, come vuoi tu. In realtà ero venuta per un altro motivo.»
«Sarebbe?»
Debrina esitò.
«Hai conosciuto Liam. Cosa ne pensi di lui?»
«Conosciuto è una parola grossa» mormorò Aqua. «Che cosa intendi per “cosa ne pensi”?»
La maga sbuffò.
«Ruben lo ha aspettato per anni, come se lui da solo potesse risolvere tutti i nostri problemi in un battito di ciglia, ma…ecco, io forse non l’ho mai considerato con obiettività, non abbiamo mai avuto un rapporto idilliaco, perciò vorrei un tuo parere. Insomma, comanda il tuo stesso elemento, forse una tua valutazione potrebbe essere più veritiera.»
Una sua valutazione? La collega con la quale meno cose aveva da spartire, le stava chiedendo un parere sul mago che con la sua sola esistenza faceva passare lei come l’ultima ruota del carro?! Era uno scherzo?!
«Non credo sia il caso, Dede» disse.
Debrina la guardò storto.
«Che razza di risposta è?»
Aqua non rispose, domandandosi che impressione potesse averle fatto Liam. Di certo la sua magia era la più potente magia d’Acqua che lei avesse mai visto. Ma questo non cambiava il concetto che si era fatto di lui in quegli anni: un’ameba priva di spina dorsale, che aveva preferito nascondersi piuttosto che prendere una decisione e accettare la posizione che gli spettava nel conflitto.
«Certo, cos’altro potevo aspettarmi da te? Continuo a sopravvalutarti, ragazzina» sbottò Debrina balzando in piedi.
«Fai buon riposo» sibilò sbattendosi la porta alle spalle.
Schiumante di rabbia, Aqua si lasciò cadere sul cuscino. Fanculo a Liam, fanculo a Debrina. E fanculo anche a lei.
 
Amina trafficava in cucina. Non che fosse rimasto molto di commestibile, in quella casa…da ventisette giorni Irthen aveva lasciato Pothien, Liam li aveva contati. Un profumo indefinito, tuttavia, iniziava ad aleggiare in tutta la casa, mentre il mago aspettava, stremato e tremante, seduto in salotto. La sua casa non era bella, curata ed accogliente come quella di Chloé, figurarsi!, lasciata per la maggior parte del tempo nelle mani di un adolescente disordinato. Ma più si guardava attorno, più si rendeva conto di quanto ci fosse legato. In quella casa era nato e vissuto per venticinque anni abbondanti, e l’idea di lasciarla, così, con una guerra alle porte, gli metteva addosso una malinconia indescrivibile. Quella clessidra sul ripiano della cucina, quel metro intagliato nello stipite, perfino il disegno infantile del piccolo Irthen sull’intonaco del corridoio, tutto tra quelle quattro mura faceva parte di lui in modo così intimo che il pensiero che forse non l’avrebbe rivisto mai più gli stringeva il cuore. E poi c’erano quelle cose che non si potevano vedere, i ricordi che ancora fluttuavano e che addensavano l’aria. Gli occhi verdi di sua madre, le mani grandi di suo padre, il sorrisino sdentato di sua sorella…li ricordava così bene! Chissà se Irthen si ricordava di loro, se i lineamenti dei loro volti erano scolpiti nella sua memoria altrettanto bene. Non gliel’aveva mai chiesto. Non parlavano mai della loro famiglia. Per nove anni, Liam aveva sepolto ogni nostalgia, come se l’ indugiarvi avesse potuto essergli nocivo. E aveva obbligato suo fratello a fare altrettanto. Ma un bambino non aveva certo bisogno di quello…Irthen ricordava il volto dei loro genitori? Liam si prese la testa tra le mani, cercando di trattenere le lacrime. Era una persona orribile. Come aveva potuto non rendersene conto?
Prese un respiro profondo. Doveva concentrarsi sul profumo del cibo, sulla donna carina e premurosa che si stava occupando di lui. La stessa donna che per tre anni aveva guardato con sospetto ed evitato come la peste. Non potevano cedergli i nervi sul più bello, proprio quando due dei suoi problemi più spinosi si erano miracolosamente risolti.
«Stai male?» domandò preoccupata Amina, entrando in salotto.
Liam si riscosse.
«No» rispose, pregando che la maga non notasse gli occhi lucidi e la voce più roca del dovuto.
«Oh, meglio così. Perché ho già fatto anche troppa fatica a rianimare la cena. Il pollo che ci ha regalato Ged non era particolarmente accattivante. Ti piace la salvia, vero?» domandò sgranando gli occhioni.
Liam sorrise.
«Sì, certo.»
Amina sospirò di sollievo.
«Scusa, ma non sono un granché come cuoca, con le erbe maschero un po’ la pochezza delle mie creazioni!»
Il mago scoppiò a ridere.
«Hai una vaga idea di come cucini io?! Secondo te, come mai Irthen è così magro?»
Amina rise a sua volta.
«Meno male che ogni tanto gli portavo qualcosa io, allora! Vieni, Liam, c’è pronto.»
Si sedettero a tavola e cenarono in silenzio. La maga era stanca, Liam riusciva a vederlo chiaramente. Avevano coperto la distanza che separava Natìm da Pothien in meno di tre giorni grazie alle zampe buone di Sophia e ai poteri di Liam, che avevano permesso loro di attraversare il Lago di Nebbia e risalire il corso del Brumo ad una velocità soprannaturale. Questo, sommato alla tensione e alla carenza di sonno, li aveva spossati. Liam era abituato a viaggiare, e reggeva abbastanza bene i ritmi, ma Amina non era solita fare questo tipo di vita e glielo si leggeva in faccia. Nonostante questo, non una parola di rimprovero era uscita dalla sua bocca, né una lamentela.
«A che cosa pensi?»
Liam si riscosse. Gli occhi dolci di Amina lo fissavano. Si strinse nelle spalle.
«Ci aspettano altri due giorni interi di viaggio. Dobbiamo cercare di partire alle prime luci dell’alba. Perciò ai piatti penserò io, tu vai pure a letto presto.»
Amina abbassò gli occhi.
«Ho visto Jeremy, questa sera. L’ho incontrato davanti alla porta di Ged. Mi ha chiesto dov’ero stata, e che cosa ne era stato di Irthen. Era molto preoccupato…» la voce si incrinò.
«Che cosa gli hai detto?»
«La verità. O per lo meno, un incipit della verità. L’ho tirato in casa di Ged e ho detto a quest’ultimo di informare Jeremy di quello che sta accadendo. Non so se Ruben si arrabbierà, ma…» si strinse nelle spalle. «È giusto che anche queste persone si preparino al peggio, tu non credi?»
Liam la fissò inebetito per qualche momento. Aveva detto a un ragazzino di sedici anni la verità. Che loro erano maghi, che stava per scoppiare una guerra, che Irthen era stato incantato? La vera natura che con tanta cura aveva celato a tutta la sua comunità per quasi vent’anni era stata spiattellata da Amina ad un ragazzino, senza un minimo di riguardo per il suo volere?
«Perdonami, ti ho fatto infuriare» mormorò la donna arrossendo.
Il mago si riscosse e cercò di dominarsi.
«Prima o poi avrebbero dovuto saperlo» disse, simulando noncuranza. «Spero che gli credano…»
Amina annuì.
«Ad ogni modo» proseguì poi «ho chiesto a Jer di tenere le informazioni per sé almeno fino a domani mattina. Così potremo lasciare Pothien indisturbati.»
Liam non rispose. Troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle.
«Cosa c’è che non va?» domandò timidamente la maga. «Le cose si stanno sistemando, no? Sei stanco? Vuoi che ti prepari una tisana?»
Liam cercò di sorridere. Già, le cose si stavano sistemando. Allora perché si sentiva così inquieto?
«Ti ringrazio, Mina, ma no. Piuttosto, dove credi che scoppierà il conflitto?»
Amina si accigliò.
«Dove, dici? Se vuoi il mio parere, il conflitto è già scoppiato. Quello che hai visto nella piana tra il bosco e il fiume non era esattamente una scaramuccia, e sul fronte Est la situazione è ancora peggiore. Per quanto mi riguarda, siamo già in guerra.»
Liam si arricciò una ciocca di capelli attorno all’indice. Il fronte Est era quello che Konstantin della Terra stava difendendo tra Effort e la foce del Brumo, e che loro erano riusciti a tagliare dall’itinerario risalendo il fiume. Non avevano visto nulla nel buio della notte, ma si diceva che i combattimenti fossero molto aspri, da quel lato del Lago di Nebbia.
«Non mi sembra una bella prospettiva quella di combattere sulla sponda del lago…è una zona popolosa, sono troppi i civili che potrebbero lasciarci le penne.»
Amina si legò i capelli e iniziò a sparecchiare. Liam le tolse i piatti di mano e la obbligò a risedersi.
«Sei mia ospite, già sei stata costretta a cucinare, permettimi almeno di rendermi utile.»
Amina sospirò.
«Grazie. Quello che dici è vero. Tuttavia devi pensare che tutti i nostri alleati, o almeno la maggior parte, si trova in prossimità del lago. Proprio perché gli abitanti della zona non hanno poteri magici, è necessario che li si possa mettere in condizione di spostare i propri contingenti con facilità e in tempi ragionevoli. E l’unico mezzo possibile è la navigazione. Inoltre, la comparsa degli orchi tanto a Nord ci ha presi alla sprovvista. Abbiamo rischiato di finire accerchiati e, ora come ora, è un po’ troppo complicato spostare la linea.»
«Sì, me ne rendo conto» mormorò Liam, tutt’altro che persuaso.
Quello era il motivo per cui avrebbe voluto evitare di finire invischiato in quella faccenda: ponderare gli interessi, scegliere il male minore, anche se poteva comportare grossi sacrifici. Non gli piacevano i compromessi, non gli erano mai piaciuti. Scendere a compromessi era da codardi.
«Gli stregoni erano meravigliati quanto noi della presenza di orchi e orchetti nel Nord» aggiunse. «Abby mi ha detto che non rispondono a loro, ma direttamente a Djalmat. Motivo per cui le ragioni della loro presenza vicino al lago possono essere solamente due: o sono cani sciolti – e mi risulta difficile crederlo – oppure i draghi stanno facendo di testa loro, fregandosene bellamente degli alleati.»
Amina si rabbuiò.
«Contrasti interni, dici? È interessante. Ma se le cose stanno davvero così, Jonna avrebbe dovuto avvertirci…»
«Chi è Jonna?» domandò Liam impilando piatti, posate e bicchieri in un catino.
Amina si coprì la bocca con una mano.
«Avevo dimenticato che tu non lo sai!» esclamò.
«Comincio a pensare di sapere davvero poco…»
«Beh, questa la devi sapere. Jonna del Fuoco è la compagna di Ruben. L’informazione è abbastanza riservata, perciò acqua in bocca…» Liam trattenne un ghigno, ma Amina era concentrata e non colse l’ironia delle proprie parole. «Lei ha un canale mentale aperto con Djalmat» concluse.
Liam si bloccò e posò il bicchiere che teneva in mano.
«Prego?!»
La maga sospirò.
«Lei ha come delle visioni. Non so se proprio veda, o se senta, o se percepisca, ma riesce a captare informazioni direttamente dalla mente del Re dei draghi. Per questo credo che una decisione come quella di mandare gli orchi ad attaccarci non sarebbe passata inosservata…»
Liam rimase per un momento a fissare Amina a bocca aperta, prima di realizzare che doveva sembrare un allocco. Perché mai una semplice maga poteva possedere una capacità simile? E perché non aveva mai sentito parlare di nessuna Jonna del Fuoco? E poi, non era tutto un po’ troppo vago?
«Credo non mi sia molto chiaro» riuscì a dire.
Amina abbassò lo sguardo.
«Non posso essere più chiara, purtroppo. Ho delle perplessità anch’io. A quanto si dice, nell’incendio di Madian di sei anni fa si scontrò con Djalmat. E da quello scontro uscì ferita e malconcia, ma con questo nuovo potere.»
«”A quanto si dice”?» domandò Liam scettico.
La maga si rabbuiò ulteriormente.
«È sbucata poco più di un anno fa. L’ha scovata il Maestro, e quando ha compreso le sue potenzialità l’ha arruolata e spedita ad Anànvola, per tenerla al sicuro. Pare che presto ci raggiungerà al quartier generale.»
 
Liam mostrò ad Amina la stanza degli ospiti, e rimase alzato fino a tardi, inventando ogni genere di occupazione per non essere costretto ad andarsene a letto. E non per via del ragionevole turbamento che gli avrebbe probabilmente causato la consapevolezza della donna che dormiva nella stanza accanto, ma perché già sapeva che , quando si fosse coricato, nel buio della sua stanza, dietro alle sue palpebre avrebbero iniziato ad affollarsi le immagini della bara e del corpo di Syra, di Erika, del drago che avevano abbattuto e di una misteriosa sconosciuta in forma di ombra che poteva vedere con gli occhi del mostro.




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TADAAAAAANNNNNNNNN
Ok, ho già l'ombrello aperto per ripararmi dagli accidenti che Hareth mi starà tirando per via della cara Syra, che a questo punto NON è Ophelia XD
*Liam tira un sospiro di sollievo*

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Capitolo 39
*** Fuori asse ***


Dal loro arrivo a Natìm, il tempo aveva iniziato a scorrere troppo velocemente. Chloé non riusciva quasi a respirare, risucchiata dal mondo che le vorticava attorno.
Oliandro era andato ad Ovest, Rowena ad Est, Liam era tornato e poi era partito di nuovo. Se n’era andato così improvvisamente che era riuscita appena a salutarlo, e quando aveva chiesto al Maestro il motivo di quella fuga improvvisa non aveva potuto fare a meno di sprofondare nello sconforto. Era stata lei ad inumare la piccola Syra... Quando Ruben era rientrato da Phia, aveva aggiornato la mappa delle città alleate: Phia, Fell e i centri del Sud-Ovest erano diventati verdi. Poi aveva spedito James ad organizzare i contingenti dei soldati e la cavalleria che avevano iniziato a riversarsi in città da ogni parte della Terra dei Tuoni. Chloé, invece, era stata mandata ad occuparsi delle donne, quella nutrita schiera di infermiere, cuoche e lavandaie che collaboravano con loro, offrendo aiuto prezioso. A detta del grande capo, lei aveva il senso pratico necessario e le doti organizzative per occuparsi della questione. Più facile a dirsi che a farsi. Un’orda di galline e oche starnazzanti, spaventate ma non abbastanza da impedirsi di essere pettegole. Avrebbe fatto cambio volentieri con James. In assenza di Amina, Yu, la cameriera-spia-messaggera e chissà cos’altro del Maestro, si occupava di Irthen e teneva il direttivo aggiornato sulle sue condizioni. Non che ci fosse granché da riferire, in realtà, ma il Maestro era stato categorico: qualcuno avrebbe dovuto stare al capezzale del ragazzino, giorno e notte, fino al ritorno di suo fratello. Chloé era rimasta meravigliata della sollecitudine di Ruben nei confronti del fratellino di Liam, ma si era resa presto conto che, con tutta probabilità, Irthen non era altro che il mezzo per ottenere la lealtà di Liam. Quell’intento traspariva, ogni tanto, tra le trame dei progetti che il capo tesseva. Se fosse voluto o meno, lei non sapeva dirlo, ma la cosa la metteva a disagio.
Dopo la tragica morte di Erika, Debrina e i due maghi che erano stati con lei al fronte Ovest erano rientrati alla base, sostituiti da un contingente proveniente da Spleen. Dodo era rimasto là per guidare i nuovi arrivati che, dopotutto, non avevano nulla di magico da sfruttare.
Dopo aver verificato che le provviste di grano inviate dal Sud fossero state perfettamente appuntate nei registri, Chloé trasse un lungo respiro. Non credeva che ci potesse essere un sistema organizzativo simile dietro ai grandi eserciti.
Il sole era tramontato quando la bionda si ritirò nella sua stanza. Si sentiva le ossa a pezzi, eppure iniziava a punzecchiarla l’idea della guerra imminente. I preparativi ferventi del quartier generale erano coinvolgenti, e, in un certo senso, il pragmatismo macabro di James la stava contagiando. Ogni giorno, la guerra era più vicina, e lei si sarebbe fatta trovare pronta: arco in mano e pugnale tra i denti.
 
Rientrarono a Natìm quando la notte era calata già da un pezzo. Amina era aggrappata alla schiena di Liam, la testa posata pesantemente contro alla scapola in uno stato intermedio tra il sonno e la veglia. Lungo il fiume erano stati costretti a fermarsi per ore, nell’attesa che un contingente di orchetti dislocasse l’accampamento. Avrebbero potuto modificare il piano di viaggio, certo, ma questo avrebbe comportato abbandonare la barca. E dover poi arrivare a cavallo fino a Natìm…
“Povera Mina”.
Già, perché la poverina si era sorbita quasi sei giorni di viaggio, su mezzo cavallo, nella massima scomodità immaginabile, per un problema che non la sfiorava neanche di striscio. E tutto per il semplice fatto che lui le aveva chiesto di farlo. Forse soffriva della sindrome della crocerossina. Per una frazione di secondo gli balenò alla mente il dubbio di come avesse fatto a sposare Alec del Fuoco, ma represse la curiosità. E anche una punta d’invidia. Il cortile antistante il quartier generale era affollato di uomini chiassosi, nonostante l’ora tarda. Amina mugugnò parole sconnesse contro alla sua schiena.
«Sveglia, Mina, siamo arrivati.»
La maga si alzò di scatto, completamente sveglia in una frazione di secondo.
«Chi è tutta questa gente?!» gemette strofinandosi gli occhi.
«Lo chiedi a me?»
«Sono gli aiuti inviati dal Governatore di Effort» rispose una voce tagliente alle loro spalle.
Liam fece voltare Sophia. Un uomo li guardava con le labbra tirate in un mezzo sorriso. I capelli scuri tagliati a spazzola, le spalle larghe e i lineamenti spigolosi gli davano l’aria da soldato.
«Ciao Jim! Che cosa ci fai ancora in piedi?» disse Amina accettando l’aiuto che questo le offriva per smontare da cavallo.
Liam si lasciò scivolare giù dalla sella e tese la mano.
«Non credo che ci conosciamo. Io sono Liam.»
«Piacere. James.»
Liam allargò gli occhi. Dunque, stava stringendo la mano alla nuova fiamma di Chloé. Leggermente fuori genere per le sue abitudini. La stronza della coppia, di solito, ere lei…ghignò.
Gli occhi azzurri di James si assottigliarono e al mago ricordò tremendamente un gatto selvatico.
«Trovi divertente il mio nome, oppure il fatto che io sia qui in piena notte a tentare di collocare un numero assurdo di persone nei propri alloggi, e possibilmente con lo stomaco pieno?»
«Nessuna delle due cose. In realtà, pensavo che, molto probabilmente, Chloé ha trovato pane per i suoi denti!»
James ghignò a sua volta, poi si rivolse ad Amina.
«La vostra missione?»
Amina sorrise.
«Tutto per il verso giusto.»
«Gli Unicorni si sbagliavano, Syra è ancora a Pothien. Ti prego di dirlo a Clo. Sono certo che la vedrai prima di me» aggiunse Liam.
James annuì.
«Meno male che hai avuto solo due fratelli, Liam dell’Acqua. Ora, se non vi dispiace, torno alla mia amena occupazione. Notte, ragazzi.»
Dopo aver affidato il cavallo di Horlon ad uno stalliere, Liam ed Amina si diressero verso gli appartamenti privati di Ruben. Svegliato da una cameriera, il Maestro si mostrò lieto del loro ritorno in tempi così brevi.
«Andate a dormire, ragazzi. È tardi e avete fatto un lungo viaggio.»
Liam scosse il capo.
«Ho promesso a Glenndois e agli Unicorni che avrei scritto loro non appena avessi verificato, perciò…»
Ruben gli posò la mano sulla spalla.
«Lascia stare, Liam. Ci penserò io domani mattina. Non avertene a male, ma ho tutta l’intenzione di sfruttare questa circostanza per pressare quei cavallini spocchiosi…»
Liam sorrise.
«Sta bene, capo. Scusa se ti abbiamo svegliato.»
 
Era notte fonda quando, finalmente, James bussò alla sua porta. Chloé sospirò, irritata, e si alzò per aprirgli.
«Problemi anche oggi?» mormorò richiudendo la porta alle sue spalle.
«No, non direi. Ma da Effort è arrivata un sacco di gente, mi ci è voluto uno sproposito di tempo per mettere ognuno al proprio posto. Maledizione» sbottò. «Sono stanco di fare le ore piccole.»
Alla luce fioca della candela, Chloé poteva vedere la stanchezza sul suo volto. Gli scoccò un bacio sulle labbra e lo aiutò a spogliarsi.
«Per quanto tempo ancora pensi di andare e venire dalla mia stanza come se nulla fosse, Jamie?» domandò.
James ghignò e la attirò a sé.
«Per quanto? Perché, ti dispiace?» rispose giocherellando con il laccetto della camicia da notte.
Chloé ridacchiò.
«Non è educato rispondere ad una domanda con un’altra domanda, non te l’ha detto la mamma?« soffocò uno sbadiglio. «Comunque, sei tu quello con una reputazione, qui. Se non interessa a te preservarla…»
«Ma quale reputazione! E poi lo sanno già tutti.»
«In questo caso…»
Chloé lo trascinò verso il letto. Per un momento James la lasciò fare, poi si riscosse.
«A-aspetta, aspetta» farfugliò. «Dovevo dirti prima una cosa.»
«Proprio ora?!» sbottò contrariata.
«Liam è tornato.»
Chloé lo lasciò andare e il suo sguardo si perse nel vuoto.
«Quando?» mormorò.
«Poco fa.»
«Dunque?» incalzò con un filo di voce.
Si sentiva il cuore sul punto di esplodere. Perché Jamie si perdeva in inutili sproloqui, quando il suo concetto di sé stessa e la sua stessa vita sembravano dipendere da una risposta?
James le premette le labbra sulla fronte.
«Stai tranquilla. Sua sorella è ancora a Pothien, esattamente dove l’avete lasciata» sussurrò. «Clo, stai tremando?»
Lasciandosi cadere di peso sul letto, la bionda chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo.
«Stai bene?» domandò James stendendosi accanto a lei.
«Quale Dio credi che dovrei ringraziare per questo?» disse con voce incerta, tentando di impedire alle lacrime che premevano di uscire.
La risata bassa di James riverberò in ogni fibra di Chloé, dandole i brividi.
«Non saprei. Il Dio dell’Acqua, forse, trattandosi di Liam?»
Chloé si accoccolò contro di lui. Mai come in quel momento si era sentita grata di averlo accanto, con la sua ironia fuori luogo, con le sue mani calde e la barba maltenuta.
«Sai, credo di essere un po’ geloso» sbottò James.
«Di Liam? Interessante» ghignò.
«Interessante, eh? Ti faccio vedere io, che cosa è interessante!» disse, soffiando sulla candela e facendo piombare la stanzetta nell’oscurità.
 
Il giorno dopo, Liam si alzò tardi. Una parte di lui avrebbe voluto precipitarsi al capezzale di Irthen, l’altra avrebbe fatto qualunque cosa pur di non vedere nessuno, incluso barricarsi in camera da letto. Così, era rimasto a lungo a poltrire sotto alle coperte, ricordando con nostalgia la meravigliosa sensazione di onnipotenza che gli aveva dato, nel Canyon, respirare l’aria satura della magia proveniente dalla Cascata. Alla fine, però, dovette arrendersi al brontolio del suo stomaco. La fame lo tormentava tanto da impedirgli di stare fermo, forse per via del calo di tensione. Si alzò, si lavò, si pettinò e si vestì. Da quanto non gli capitava il lusso di potersi dare una sistemata con calma? Si guardò allo specchio. Di nuovo quel cavolo di pizzetto in disordine. Prese un respiro profondo, mentre si faceva strada in lui la consapevolezza di doverlo eliminare una volta per tutte.
 
Bussò alla porta della stanza di Irthen ed entrò. Amina era già china su suo fratello, e gli controllava la temperatura.
«Ciao, Mina» disse.
Amina terminò l’operazione e si volse.
«’Giorno, Li’. Che fine ha fatto il pizzo?« domandò inclinando la testa di lato.
«Non era più tempo per noi» rispose con un’alzata di spalle.
«Stai bene. Non che tu stessi male prima, è chiaro» aggiunse arrossendo.
Liam sorrise. Adorabile.
«Come sta?» disse indicando Irthen.
Amina prese un breve sospiro.
«Mah. La situazione non è cambiata dalla nostra partenza…»
Il mago annuì.
«Manca ancora una settimana al suo risveglio, giorno più giorno meno. Perciò credo non ci sia nulla di cui preoccuparsi» aggiunse con un sorriso incoraggiante.
Liam si rese conto che la stava fissando con un po’ troppa insistenza quando Amina abbassò gli occhi, imbarazzata. Improvvisamente, sentì l’aria farsi pesante, ogni fibra del suo corpo pervasa di elettricità. La maga era bella, dolce e premurosa. Gli sarebbe piaciuto averla per sé, almeno per una notte. Avrebbe voluto avere per sé tutta quella rassicurante semplicità, strapparla a Ruben, a Konstantin, ad Alec. Come poteva essere tenere tra le braccia quella creatura così fragile? Fece un passo verso di lei, poi si riscosse. Amina lo guardava con un misto di curiosità e preoccupazione dipinto in volto. Doveva uscire. Doveva uscire immediatamente da quella stanza se non voleva fare cazzate.
«Sai se c’è la possibilità di usufruire di un campo di allenamento, o…o qualcosa di simile?» articolò con un po’ di difficoltà.
«Sì, immagino di sì. Ti consiglio di rivolgerti a Eetan del Fuoco. È lui che si occupa delle strutture.»
Liam ringraziò e scappò a gambe levate.
Solo quando ebbe raggiunto lo spazio aperto del cortile, riuscì a respirare liberamente.
«Maledizione» gemette.
Non poteva fare danni di quel tipo al quartier generale. Non poteva rischiare con una persona come Amina. Doveva darsi un contegno.
«Ciao!»
Liam sobbalzò.
«Scusa, non volevo spaventarti. Liam, giusto?»
«Sì» ansimò Liam.
«Piacere di conoscerti, sono Eetan» disse tendendogli la mano.
Liam represse una risatina isterica. Eetan era poco più di un ragazzino. Possibile che non ci fossero maghi maturi tra loro?
«Aha, lo so che cosa stai pensando. Stai pensando che ho dei capelli assurdi.»
«No, veramente no» rispose il mago, notando che effettivamente i capelli di Eetan avevano un ché di assurdo.
Erano ricci, neri, e formavano una specie di grossa palla intorno alla sua testa. Ridacchiò.
«Ora che me li fai notare, però…»
Eetan sorrise e gli occhi a mandorla di un bel castano intenso si illuminarono di ironia.
«Posso fare qualcosa per te?» domandò.
«Spero di sì. Ho bisogno di un angolino per allenarmi. Sai, arco, spada…sono un po’ fuori forma. Mi hanno detto di rivolgermi a te.»
Il ragazzo annuì convinto.
«Seguimi, Liam dell’Acqua. Mi piacerebbe battermi con te, con la mia sciabola. Dicono che tu sia forte…»
«Magari qualche anno di bagordi fa!» rispose Liam, seguendolo.
 
Liam passò la giornata sul campo, e non si considerò soddisfatto fino a quando ossa e muscoli non furono ridotti in pappa. Fino a quando non fu troppo stanco perfino per mangiare. Passò dalla stanza di Irthen prima di andarsene a dormire, e vi trovò Yu. Il lato irrazionale di lui si dispiaque di non avervi trovato Amina.
Se ne andò presto e si chiuse nella propria stanza, fino a mattina.
Ma non dormì bene. Un momento aveva caldo, un momento dopo freddo, un attimo dopo di nuovo caldo. E l’indolenzimento di braccia e gambe non gli dava tregua. Si alzò all’alba e tornò da Irthen. Rimase a lungo seduto alla scrivania accanto al letto, prima che la porta si aprisse.
«Liam, che ci fai già qui?»
Il mago alzò appena gli occhi su Amina e lasciò ricadere la testa sulle braccia incrociate.
«Non hai un bell’aspetto. Stai bene?» domandò di nuovo avvicinandosi e tastandogli la fronte.
Liam si alzò di scatto e indietreggiò.
«Sto…bene, grazie. Non preoccuparti.»
Amina lo fissò per un momento corrucciata.
«Va bene. Ma cerca di riposare un po’. Hai le occhiaie…»
Liam annuì e lasciò la stanza. Dormire, certo, come se le sue occhiaie dipendessero da quello!
Il sole era alto quando lasciò il quartier generale con un unico obiettivo: doveva trovare Chloé. Chiedendo un po’ qua e là, scoprì che la biondina che accompagnava Ruben nella sua campagna politica si stava occupando delle infermiere nell’edificio dismesso adiacente l’ospedale. Vi si diresse senza nemmeno pensare a che cosa le avrebbe detto.
Girò attorno all’edificio un paio di volte prima di trovare una porticina con i cardini arrugginiti che potesse sembrare un ingresso. Bussò e non ottenne risposta. Così, scostò la porta e sbirciò. Uno sciame di donne indaffarate correva a destra e a sinistra, chiacchierando e ridendo. Il baccano era tale che non si riusciva ad udire la voce della bionda che, al centro, gridava ordini. Chloé si mise le mani nei capelli, sull’orlo di una crisi di nervi, e Liam si lasciò scappare un sorriso. Aprì completamente la porta e le donne più vicine all’ingresso si interruppero, attirando l’attenzione delle altre. In un batter d’occhio, tutto l’edificio era immobile e fissava lui. Inebetito, ci impiegò un attimo prima di rendersi conto che Chloé marciava minacciosa verso l’ingresso.
«Liam! Che ci fai qui? E dove hai messo il pizzo? Dei, mi sembra di essere tornata a quando avevamo quindici anni!» Chloé incrociò le braccia, ergendosi in tutta la sua statura.
Si volse verso le donne.
«Che avete da guardare, voi? Al lavoro!» latrò. «Guarda che se sei venuto a donne sarò costretta a cacciarti via…» aggiunse guardandolo storto.
«Ma ti prego!» sbottò il mago, divertito.
La bionda si accigliò.
«Che cosa c’è, allora?»
«Ho un problema, Clo, e ho bisogno di parlarne con te» disse, cercando di non sembrare eccessivamente melodrammatico.
«Anch’io. Quarantotto donne incapaci che si professano guaritrici e infermiere, ma che non reggono la vista del sangue.»
«Il mio è peggiore. Come faccio a non portarmi a letto Amina?»
«Scusa?!» esclamò Chloé sgranando gli occhi.
«Per favore, bionda, aiutami! Mi serve un consiglio.»
La ragazza si lanciò un’occhiata alle spalle, poi gli si accostò.
«Precisamente qual è il consiglio che vorresti?»
Liam sbuffò. Possibile che non fosse stato abbastanza chiaro?
«Come faccio a resistere?»
«Sei serio?» domandò scettica.
«Sì, cazzo!»
Chloé si grattò la testa, con fare dubbioso.
«Scusa ma non vedo la tragedia… fallo e basta, se ti piace così tanto. Oppure hai paura che non ci stia? Brutta cosa l’orgoglio, fidati di me.»
Liam si strofinò il viso con le mani. Gli sarebbe venuta l’emicrania. Chloé scoppiò a ridere.
«Non c’è niente da ridere!» sbottò. «Senti, la situazione è questa: Amina mi piace, purtroppo ci lavoro assieme, con la sfiga che ho se ci provassi ci starebbe di sicuro, e allora avrei rovinato un buon rapporto di amicizia con una delle rarissime persone che mi sopportano senza palesi secondi fini per una misera scopata.»
Chloé rise ancora di più.
«Ma dai, Li’, stai scherzando?! Guarda che se anche ci dovesse stare, non te la devi mica sposare per forza! E poi, cosa ti fa pensare che rovineresti il vostro rapporto? Magari le fa pure bene, quanto è? Cinque anni che non sta più con suo marito?»
«L’esperienza me lo fa pensare, amica degenere!» esclamò.
Qualche donna si fermò a guardarli incuriosita.
«D’accordo, d’accordo, calmati» disse, trattenendosi a fatica dal ridere e spingendolo fuori dall’edificio, per poi accostare la porta alle loro spalle.
«Se sei così convinto di non voler rischiare, cercati qualche attività extra che ti distragga durante il giorno e che ti stanchi abbastanza da non lasciarti sufficienti energie alla notte.»
«Pensi che non ci abbia pensato? Ho passato la giornata di ieri sul campo di allenamento, Eetan mi ha distrutto, ma non è bastato.»
Chloé sospirò.
«Cercatene un’altra, allora! Eddai, tesoro, non sei mai stato moralista, e se tu lo diventassi sarei costretta ad ucciderti!»
Liam scosse il capo sconsolato.
«Grazie, Clo. Ci rifletterò.»
«Va bene. Ma ti consiglio di usare il cervello per pensare, ogni tanto. Sai, giusto per provare un’emozione nuova» gli strizzò l’occhio.
Il mago ghignò.
«Tu pensi che io abbia dei problemi? Qualche strana disfunzione che mi spinge a calarmi le braghe nei momenti meno opportuni?» domandò.
«No, tranquillo. Sei solo un uomo. Anche se mi rendo conto che non sia facile da accettare.»
Con un sorriso, Liam le volse le spalle. Mentre già si allontanava, fu raggiunto dalla voce divertita di Chloé che diceva:
«Questi problemi te li fai perché ti ostini a pensare come una donna. Sei un maschio, comportati come tale e non farti troppe domande.»
Il mago lasciò il quartier generale, nella speranza  che una passeggiata per le vie affollate della città gli schiarisse le idee. Chloé aveva ragione, quando mai gli era importato di rovinare un rapporto? Non aveva certo bisogno dell’amicizia di Amina! Ne aveva fatto a meno per venticinque anni abbondanti. Com’è che aveva detto Abby? “Non devi negarti le tue dosi”? Beh, era vero. La sua ultima dose risaliva alla notte passata a Phia, ovvero almeno a quindici giorni prima. Che cosa gli impediva di cercarsi un’altra, una valida sostituta, tra i banchi soffocanti del mercato di Natìm?
“Te lo impedisce il fatto che ci sono questioni più importanti a cui pensare” appuntò la sua vocina interiore, mortalmente seria per l’occasione. E quanta ragione aveva!
Si diresse verso il porto, fuori dal trambusto, inesorabilmente attratto dall’immensa massa liquida. Una figura solitaria catturò la sua attenzione lungo il molo deserto. I capelli lunghi e sottili fluttuavano nel vento un po’ troppo freddo per quella stagione. Quella era Aqua. Non l’aveva più incontrata dal giorno della battaglia. La raggiunse e le si sedette accanto sul pontile umido.
«Ciao.»
«Ci conosciamo?» domandò quella senza degnarlo di uno sguardo.
«Direi di sì. Sono Liam.»
«Ah, già. Avevi quella cosa in faccia, l’altra volta…»
Liam si accigliò.
Era evidente che sapeva benissimo chi era fin da subito. Si divertiva a prenderlo in giro? Eppure non sembrava divertita. Passò in rivista la sua lista mentale di torti fatti e subiti, per sincerarsi che Aqua non vi comparisse, e non vi compariva. Perché dunque quella ostilità?
«Già. Beh, che ci fai qui?» domandò cercando di controllare l’impulso di annegarla – cosa che, per altro, lo sapeva, non sarebbe stata facile.
«Riflettevo sugli affari miei, prima che arrivassi tu a disturbare.»
Liam si lasciò scappare un sorriso ironico. Che atteggiamento infantile.
«Certo. Colpa mia, scusa. Come ho fatto a pensare che avremmo potuto avere una normalissima conversazione?»
Si alzò e fece per andarsene, ma la ragazza disse:
«Che rottura. Tutti pensate che io stia da sola perché sono depressa o cose del genere… anche Erika lo faceva, veniva sempre a cercare il dialogo quando mi vedeva sola.»
«Se devo essere sincero, mi importa davvero poco che tu sia depressa o meno. Passavo di qua, ti ho vista e ho pensato di fare quattro chiacchiere. Siamo colleghi e governiamo lo stesso elemento. Avrebbe potuto essere interessante.»
Si allontanò, ripercorrendo il vecchio pontile. La voce improvvisamente infantile di Aqua lo raggiunse, come accompagnata dallo sciabordio delle onde sui moli.
«Sei davvero potente come dicono?»
Liam chiuse un momento gli occhi, rabbrividendo senza motivo.
«Lo spero tanto» mormorò nel vento.
 
Liam bussò piano alla porta, e quando non ricevette risposta entrò, richiudendola rapidamente alle sua spalle. Allo scattare della serratura, Mina si riscosse. Si era addormentata.
«Che cosa ci fai qui, Liam? Dovresti riposare» mugugnò.
Liam la ignorò e si sedette per terra, con la schiena contro la parete fredda.
«Liam?» mormorò la maga, esitante.
«Ho riposato abbastanza. Come sta?»
Amina si strinse nelle spalle.
«Come al solito. Manca ancora qualche giorno prima che possiamo sperare che si muova qualcosa.»
Liam abbassò lo sguardo.
«Ti senti bene?» domandò la maga.
«Ti manca tuo marito, Mina?»
La domanda fu posta a bruciapelo, con una voce tagliente che non si abbinava bene ai modi abituali di Liam. Amina arrossì e posò lo sguardo su Irthen, incapace di risolversi a rispondere. Gli sfiorò la guancia con una carezza. Infine disse:
«Sì e no. L’ho amato molto, e una parte di me lo ama ancora, ma vivere accanto a lui è come vivere in un mondo privo di colori. In un mondo estremo.»
Liam la osservò incuriosito.
«Allora come puoi amarlo?» domandò dubbioso.
La maga sorrise tra sé, sentendo l’usuale malinconia che la riassaliva, come ogni volta che parlava di Alec. Anche se l’idea di parlarne con lui era vagamente assurda. Si sentì arrossire ancora.
«Per il fuoco che brucia dentro di lui. So che non puoi capirlo. È difficile da spiegare…sei mai stato innamorato?»
«Non lo so» rispose sinceramente.
«Come, non lo sai?!»
«È così. Alcuni giorni mi sveglio e mi sento innamorato, altri no.»
Amina scosse lentamente il capo.
«Sei davvero strano» disse.
Liam inclinò la testa di lato. Non riusciva a staccare gli occhi dalla donna che gli stava davanti, era come incantato. Quei capelli che, sciolti, le cadevano in ode morbide sulle spalle, e gli occhi, gonfi per la stanchezza, che si chiudevano, lo attraevano in modo irresistibile. Quelle labbra socchiuse sembravano così morbide…
«Che cosa c’è?» domandò la maga imbarazzata dall’insistenza di quello sguardo.
Il cuore prese a batterle furiosamente, senza che potesse fare niente per controllarlo. Gli occhi di Liam brillavano di una luce strana.
«Sei molto bella, Mina. Alec deve essere un vero idiota per aver preferito Micael a te» sussurrò.
Con il viso in fiamme, Amina aprì la bocca, poi la richiuse, confusa. Infine balbettò:
«I-io…tu…cioè, grazie.»
Liam non aggiunse altro, ma continuò a guardarla intensamente, con quel suo sguardo strano.
Amina sbatté le palpebre. Possibile che stesse fraintendendo? Come poteva dire una cosa del genere, con un’espressione del genere, e sembrare perfettamente a suo agio?! Sospirò. A meno che non avesse capito un accidente, il mago aveva lanciato il sasso e non aveva affatto nascosto la mano – né l’avrebbe fatto, se la sua fama aveva anche il minimo fondamento – e ora stava a lei: raccogliere il sasso, oppure percuotere la mano?
Chiuse gli occhi e trasse due respiri profondi. Non poteva ingannare sé stessa, Liam l’aveva sempre attratta, forse per quella sua bellezza così atipica, forse per il suo caratteraccio, forse perché era estremamente sbagliato. Era bugiardo, era violento ed era un donnaiolo. Ma il suo sorriso aveva un fascino tutto particolare, e ogni inflessione della sua voce era capace di farle venire i brividi. Non poteva ingannarsi. Quanto sarebbe stata disposta a perdere per una notte – anche un pomeriggio andava benissimo! – tra le sue braccia? Dopotutto, Alec aveva già fatto la sua scelta, e lei non ne aveva fatto parte. Era tesa come la corda di un’arpa, ormai, con la guerra, Irthen, e via dicendo, una sana distrazione ogni tanto poteva farle poi tanto male?
Si alzò di scatto e tese una mano a Liam, per invitarlo ad alzarsi. Il mago la guardò dubbioso per un secondo, poi accondiscese.
«Come devo interpretare?» domandò.
«Non so se tu abbia legami stabili, Liam dell’Aqua, ma la tua fama ti precede» spiegò con un’alzata di spalle.
Sorrise davanti allo stupore vagamente indignato del mago. Proseguì:
«Non so se posso essere all’altezza delle tue abitudini, ma…» si arrotolò una ciocca di capelli del mago attorno alle dita «ma mi incuriosisci. Che ne pensi?»
Liam sorrise, vagamente consapevole della vicinanza di Amina, e del fatto che, contrariamente ad ogni aspettativa, era lei che ci stava provando. Non riuscì a trattenere un ghignò.
«Credi che se la sappia cavare da solo per un po’?» domandò, accennando ad Irthen.
«Assolutamente sì.»
«In questo caso…»
Liam le posò le mani sui fianchi e la attirò a sé. Respirò a fondo il profumo dei suoi capelli, poi la lasciò andare e le fece segno di seguirlo.
 
Il tragitto dalla stanzetta di Irthen alla propria, sembrò a Liam infinitamente più lungo del solito. Non credeva che Mina avrebbe ricambiato il suo interesse, di certo non dopo aver affermato di amare ancora suo marito. Se non altro, gli aveva dato la certezza di non nutrire aspettative di un loro possibile rapporto stabile. Con un po’ di fortuna, poteva avere ragione Chloé: non necessariamente i suoi ormoni dovevano incasinare tutto. No, dopotutto, forse, non era mai stato innamorato.
Quando la porta della sua stanza si richiuse alle loro spalle e la serratura scattò, domandò:
«Lo sai, vero, che poi ti sentirai in colpa?»
Mina rise.
«Mi sento già in colpa. Perciò fai in modo che ne valga la pena» disse attirandolo delicatamente a sé.
Liam rise a sua volta. Scostandole i capelli dal collo bianco le sussurrò:
«Prometto che non te ne pentirai…»


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Nel caso ve lo stiate chiedendo, come mia madre che mi ha insultata, il titolo "Fuori asse" ha un significato, nel mio cervellino malato. Fuori asse è tutto ciò che non va secondo i piani, che esce dalla linea tracciata, dal programma. Sì, lo so, è assurdo, ma compatitemi: è giovedì e sono le 22.54 XD

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Capitolo 40
*** "Non basterebbe una magia" ***


Amina era irrequieta. Camminava avanti e indietro nell’orto botanico del quartier generale, tormentata dai sensi di colpa. Perché, poi? Liam ci aveva provato e lei c’era stata, punto. Non doveva necessariamente comportare altri risvolti. Sapeva già dall’inizio con che genere di persona aveva a che fare, e aveva deciso che le stava bene. Che cosa aveva da perdere, infondo? La sua vita era costellata di ponti tagliati…
«Mina.»
La maga sobbalzò e si volse di scatto. Yu stava in piedi in mezzo al sentiero, con il fiato grosso.
«È successo qualcosa?» domandò allarmata.
«È tornato Konstantin» ansimò. «È ferito.»
Per un momento, Amina sentì lo stomaco sprofondare. Ferito? Dove? Come? Era grave? Non poteva essere, non Stan. Poi si riebbe.
«Dove lo trovo?» domandò con la voce che tremava, stringendosi nello scialle e seguendo la cameriera fuori dall’orto.
Si sentiva la mente annebbiata, dalla preoccupazione e dal profumo della pelle di Liam che, a tratti, riusciva ancora a sentirsi addosso.
«Nella sua stanza. Mina, non è…non è grave, Christalia ha già fatto qualcosa per lui prima che tornasse, ma…insomma, il trasporto non gli ha giovato.»
La luce dorata del tramonto incorniciava la figura di Yu, che la precedeva lungo il vialetto.
«Hai perso peso?« le domandò, notando che il vestito le abbondava sui fianchi e che le ossa sulle spalle erano un po’ troppo pronunciate.
«Un pochino» rispose la ragazza, evasiva.
«Mangi abbastanza?» insistette.
«Ma sì, Mina, non preoccuparti.»
La guaritrice la afferrò per un polso e la bloccò. Yu sgranò gli occhioni castani.
«Cosa c’è che non va? Qualcosa ti preoccupa troppo?»
Yu esitò.
«Ma no…è solo che ci sono tante cose da fare e sono un po’ tesa» accennò un sorriso. «Davvero, non ti preoccupare.»
Amina la lasciò andare, poco convinta, e quella si rimise velocemente in marcia.
Yu era cresciuta accanto a Ruben. Il maestro l’aveva comprata da sua madre, una sarta di Phia troppo povera per poterla mantenere, tredici anni prima, quando aveva solo cinque anni. Per quel motivo, il Maestro si fidava ciecamente di lei, perché la considerava alla stregua di una figlia. Ma lei? Che sentimenti nutriva nei riguardi dell’uomo che l’aveva strappata alla sua famiglia? Amina non era mai riuscita a capirlo. Yu era eccezionalmente brava a tenere per sé i propri pensieri. E, chiaramente, anche a mentire, qualora se ne fosse presentata la necessità.
Quando raggiunsero la stanza di Konstantin, Aqua stava passeggiando avanti e indietro lungo il corridoio.
«Ho portato un altro catino d’acqua calda, almeno può darsi una lavata» disse. «Non è una bella ferita, ma ne hai curate di molto peggiori» aggiunse con un sorriso incoraggiante.
Amina ringraziò lei e Yu e prese un bel respiro prima di bussare.
«Stan? Posso entrare o sei impresentabile?»
«Un momento» rispose la voce profonda dall’interno.
Amina attese, faticando a reprimere l’impazienza di vederlo tutto intero, davanti a quella porta per quella che le sembrò un’eternità, prima che Konstantin le dicesse:
«Entra pure, ora.»
La maga aprì la porta e si affacciò, esitante.
«Come stai?»
Konstantin si strinse nelle spalle. Indossava solo un paio di braghe, e sulla spalla destra spiccava una ferita profonda.
«Che cos’è stato?» domandò avvicinandosi.
«Un giavellotto. È passato da parte a parte. Gli Dei maledicano gli orchetti e la loro precisione!»
Amina sorrise.
«Chi ti ha riportato qui?»
«Tiana. E non deve essere stato facile, per lei, portarmi fin qui. Ultimamente i suoi poteri non sono molto in forma…Non è così grave, Mina. Lo sai com’è fatto Ruben, è sempre pessimista.»
Amina esaminò la ferita con attenzione.
«Può darsi, ma deve essere curata. E hai bisogno di riposare. Non possiamo rischiare che si infetti, o, peggio ancora, che tu perda l’uso del braccio destro.»
Konstantin la guardò per un momento con un espressione strana. Poi disse:
«Non hai il tuo solito profumo. Di chi è l’odore che hai addosso?»
Amina arrossì.
«I-io…» balbettò, domandandosi come avesse fatto a sentirlo.
Ma Stan alzò una mano e la interruppe.
«Lascia stare, non sono fatti miei, e non avrei dovuto metterti in imbarazzo. Perdonami. È solo che io…»
La sua voce si perse, come il suo sguardo.
«Qualcosa non va?» mormorò Amina, inumidendo un panno e tamponando la spalla ferita. Konstantin si irrigidì.
«Scusa, probabilmente ti farà male, ma devo essere certa che sia pulita prima di fare qualunque cosa.»
«Non mi fai male.»
«Allora che cosa c’è?» domandò, armeggiando con una benda per fasciarlo. «Oggi vi comportate tutti in modo strano con me.»
Konstantin rise, ma la sua risata si trasformò in una smorfia al contatto della ferita con il tessuto.
«Scusami.»
Il mago le posò un dito sulle labbra.
«Smetti di scusarti, Mina. Non ti rendi nemmeno conto di quanto hai fatto e stai ancora facendo per me…» sussurrò. «Allora? Chi sono questi “tutti” che si comportano in modo strano?»
«Beh, tu, Yu, Liam…» arrossì di nuovo.
Konstantin lasciò cadere la mano e abbassò gli occhi.
«Capisco.»
Amina sentì una fitta di apprensione stringerle il petto. Capiva cosa? Capiva tutto? Dalla sua reazione sembrava proprio di sì. Che cosa avrebbe pensato di lei il fratello di suo marito? Ma Konstantin non commentò quanto poteva aver intuito. Anzi, le dedicò uno dei suoi sorrisi dolci e rassicuranti e disse:
«Non era mia intenzione essere strano. Ma quando ho visto quel giavellotto piovere su di me e mi sono reso conto che non sarei riuscito a proteggermi, né ad evitarlo, ho avuto la certezza che sarei morto senza poterti nemmeno rivedere. Per fortuna mi sbagliavo» concluse.
La maga gli diede un pizzicotto.
«Che razza di pensieri, Stan! Sei sempre così negativo» disse sforzandosi di sembrare allegra. «Pensa a riposare, ora, dimenticati la spada per un po’. Sono contenta di rivederti, ma avrei preferito lungamente vederti sano.»
Konstantin la attirò a sé e la strinse forte con il braccio sinistro, cogliendola di sorpresa. Suo cognato non era mai stato incline a quel genere di esternazioni, era quel genere di persona discreta e controllata che tanto irritava il suo focoso fratello.
«Scusa se mi ripeto, ma qualcosa non va?» domandò di nuovo. «Oggi sei davvero strano!»
«Probabilmente hai ragione. Ma il semplice averti accanto mi fa sentire meglio.»
Sempre più perplessa, la maga si liberò dalla sua stretta gentile.
«Vado a prenderti qualcosa che ti aiuti a dormire, d’accordo?»
Stan scosse il capo.
«No, aspetta. Ho promesso a Ruben che appena mi fossi ripreso avrei aggiornato il direttivo sulla situazione al fronte Est. Perciò, ti prego, digli di convocare una riunione.»
Seppur riluttante all’idea di sottoporlo ad un simile stress, Amina annuì.
«Va bene» disse. «Ma cerca di non affaticarti troppo.»
Konstantin le dedicò un altro dei suoi sorrisi gentili, un’altra delle pochissime cose che lo distinguevano da Alec, e la guaritrice si congedò, convinta che le stesse sfuggendo qualcosa di vitale.
 
Liam si lasciò  scivolare lentamente nella vasca di acqua calda e chiuse gli occhi, pregando che quella piccola “magia” funzionasse ancora. Quando era bambino, sua madre gli diceva che se qualcosa non andava, niente faceva sentire meglio di un bagno caldo. E aveva ragione. L’acqua calda era sempre stata capace di acquietare ogni suo timore, ogni preoccupazione. E poi, l’acqua era il suo regno, niente come l’acqua riusciva a farlo sentire completo e padrone di sé. Eppure, questa volta la magia non riusciva. Forse, perché nell’aria aleggiava ancora il profumo di Amina, che sen’era andata da meno di un’ora.
«E allora?» mormorò a sé stesso.
Clo aveva ragione, che cosa c’era di sbagliato? Lui era solo, lei era sola. Che cosa c’era di male nel fatto che avessero cercato la reciproca compagnia?
“Mina è una tua amica” disse la vocina, supponente.
«E allora?» ripeté Liam.
Ce n’erano state molte, di amanti, con cui aveva mantenuto un rapporto amichevole.
“Certo, ma loro sono state amanti prima, ed amiche eventualmente poi” apostrofò.
«Stronzate.»
Chloé era stata in primis amica, poi amante, e non aveva smesso mai di essere amica. Il loro rapporto aveva sempre funzionato alla perfezione, per quanto l’equilibrio potesse sembrare instabile non lo era mai stato.
Allora perché quel senso di colpa? Le immagini di quel pomeriggio si susseguivano come flash nella sua mente, impedendogli di abbandonarsi completamente al calore della vasca. Le mani piccole di Amina che sfioravano la sua pelle, il profumo lieve dei capelli, le labbra morbide…
Scosse il capo per allontanare il ricordo ancora fresco, senza grande successo. La spossatezza non favoriva la lucidità, tanto meno il bruciare dei graffi. Non avrebbe mai immaginato che dietro all’aspetto della più innocente delle bambine si nascondesse una donna capace di simili slanci. Forse era complice il suo elemento, che la metteva in sintonia con tutte le creature viventi. O forse era solo questione di astinenza.
“Eddai, stupido mago! È stata sposata per tre anni e mezzo con Alec del Fuoco, e sappiamo entrambi cosa si dice dei maghi di fuoco…scommetto che non hanno giocato a scacchi tutte le sere per tre anni e mezzo!” ghignò la vocina.
Liam agitò una mano, come per cacciare una presenza fastidiosa, schizzando goccioline dappertutto. L’acqua. Doveva concentrarsi su quella. Fu attraversato da un brivido al fluire di una nuova serie di immagini: pelle bianca, respiro accelerato, calore…Si lasciò scivolare più giù nella vasca, maledicendosi. E mentre le immagini andavano e venivano perse la cognizione del tempo.
Si riscosse di colpo e spalancò gli occhi. Qualcuno bussava con insistenza alla porta.
«Chi è?» domandò, tentando di schiarirsi la mente.
«Sono Yu. È tornato Konstantin dal fronte Est. Tutti convocati in sala riunioni» esitò. «So – o per lo meno intuisco – che ti ci potrebbe volere un po’ per renderti presentabile, ma cerca di fare in fretta. Ruben è piuttosto nervoso.»
I passi si allontanarono e Liam sbuffo. Se non altro gli avrebbero dato qualcosa per tenere la mente occupata.
 
Quando Liam raggiunse la sala riunioni, si rese conto che non era l’unico ritardatario. Prese posto accanto a James, che lo salutò con un cenno del capo.
«Chi manca?» domandò alzando la voce per sovrastare il chiacchiericcio.
«Aqua e Hailie dell’Aria» fece una pausa. «Ma pare che Aqua non verrà.»
«Perché?»
James sospirò.
«Ha litigato di nuovo con Ruben, e rifiuta di presentarsi.»
Liam scosse il capo, incredulo.
«E per quale motivo avrebbero litigato, tanto per curiosità?»
«Ruben ha deciso di inviare Debrina al fronte in sostituzione di Stan. Aqua vuole andarci al suo posto, ma il capo non vuole. Così lei fa i capricci» si strinse nelle spalle. «Capiamoci, Liam: non è facile per nessuno sottostare agli ordini, ma lei non fa il minimo sforzo e temo che questo possa costarle caro, un giorno o l’altro. E mi dispiacerebbe.»
Hailie entrò, scusandosi per il ritardo.
«C’è nessuno che riesce a farla ragionare?» sussurrò, mentre il chiacchiericcio si spegneva.
«Amina. Ma era impegnata con Stan.»
Liam lanciò una fugace occhiata alla maga che, seduta accanto ad un Konstantin con un braccio al collo, si tormentava l’unghia del pollice con i denti.
“È nervosa per colpa mia, di suo cognato, oppure di Aqua?” si domandò.
«Buonasera, amici. Ringrazio tutti voi per essere qui, cosa che non può più darsi per scontata, a quanto sembra» esordì Ruben, sollevando qualche mormorio e guadagnandosi un’occhiataccia di Debrina.
Liam cercava disperatamente di concentrarsi, ma la sua attenzione altalenava. Ogni tanto, James gli assestava una gomitata per riscuoterlo dal torpore. E gli Dei soli sapevano quanto gli fosse grato…
Al termine della lunghissima riunione, tuttavia, qualche concetto l’aveva afferrato: primo, nessun drago aveva attaccato ad Est; secondo, il quantitativo di orchetti/orchi/affari bitorzoluti era molto maggiore che sul fronte Ovest; terzo, Konstantin era ferito, e per qualche tempo non avrebbe potuto combattere, e dal momento che era lui a coordinare l’operazione, serviva che Debrina lo sostituisse; quarto, negli ultimi giorni alcuni contingenti nemici avevano lasciato la linea di combattimento, diretti apparentemente a Sud, perciò non si poteva escludere che fossero in corso conflitti anche il prossimità di Torat.
Quando i convocati iniziarono a disperdersi, anche Liam si alzò. La sala riunioni non aveva finestre, e, quando, uscì, il mago scoprì che si era fatto buio. Tornando verso la sua stanza, programmò mentalmente la giornata che lo aspettava l’indomani: campo di allenamento la mattina, veglia su Irthen il pomeriggio, cavalcata con Baio nei dintorni la sera. Il solo pensiero di quante giornate uguali a sé stesse potessero aspettarlo gli indusse uno sbadiglio.
 
Lukas sospirò. Nonostante la sua cella fosse confortevole, restarsene lì rinchiuso non gli piaceva per niente. I maghi d’aria sono i più potenti, dicevano, perché il loro elemento solo può influenzare gli altri tre, mentre non è scontato il contrario. Ma a che cosa serviva? Come poteva sperare di liberarsi e conservare energie sufficienti per allontanarsi prima di venire riacciuffato, quando mangiava il minimo indispensabile per sopravvivere, dormiva male, e nemmeno un refolo raggiungeva mai il suo appartamento? Quando, sfinito, era stato accerchiato da Alec, Ophelia e Rayhana, colpito da Fuoco, Terra e Acqua, era caduto loro prigioniero ed era stato trasportato privo di sensi fino a Torat, al quartier generale di Micael dell’Acqua. Lì, si era svegliato in una stanza senza finestre. Le uniche due prese d’aria erano stata schermate dagli incantesimi congiunti dei suoi carcerieri, così che l’ossigeno, seppur in grado di tenerlo in vita, non potesse fungergli da serbatoio di energia.
La sua unica consolazione era il pensiero di essere riuscito a confidare a qualcuno il suo punto debole, anche se il mago su cui aveva puntato non sembrava il più recettivo della compagine di Ruben.
Dalla porta giunsero delle voci. Si alzò e si accostò all’uscio sprangato, nel tentativo di cogliere qualche informazione.
«Non sta andando bene» diceva la voce di Alec del Fuoco.
«Credi che durerà molto?» domandò l’interlocutrice.
Lukas non avrebbe saputo dire se si trattasse di Ophelia oppure di Rayhana.
«Non lo so. Ma gli orchi continuano ad aumentare, e questo non mi fa sperare per il meglio.»
Una lunga pausa.
«Anche gli uomini di Ruben sono impegnati su due fronti, e a quel che si dice hanno dovuto vedersela anche con un drago. Dovremmo tenerlo presente, e tenerci pronti al peggio.»
«Un drago?! Come lo sai?»
«Non ti riguarda» rispose secco. «Ora, se non c’è altro, puoi andare a riposare. Al moccioso penso io.»
I passi della donna si allontanarono e ripiombò il silenzio. Lukas tornò alla sua brandina, vagamente preoccupato.
Che cosa sarebbe successo se il suo pedone si fosse fatto ammazzare prima del tempo? Quella era un’eventualità che non aveva considerato.
 
Quando entrò nella stanza di Irthen, il giorno dopo, il sole di mezzodì illuminava di una luce calda la figura di Amina che pestava avanti e indietro.
«Oh, Li’! Finalmente sei arrivato.»
«È successo qualcosa?» domandò raggelando al tono ansioso di Amina.
«Febbre. No molta, ma qualche linea è salita.»
«Ma sono passati solamente nove giorni!» esclamò. «Significa che avrà la febbre alta per sette giorni?!»
«Beh, il libro di Re Horlon diceva più o meno quindici giorni, quindi tecnicamente potrebbero essere anche meno…però hai ragione, è comunque presto» sospirò la maga.
«Sei certa di aver seguito le istruzioni alla lettera?»
Amina si volse verso di lui con uno sguardo feroce che Liam non credeva le avrebbe mai visto.
«Stai insinuando che io abbia somministrato a tuo fratello la pozione sbagliata?» sibilò.
«Sto solamente dicendo che non è normale!» rispose, incapace di trattenersi.
Amina strinse le labbra e abbassò gli occhi.
«È veramente questo che pensi?» domandò con un filo di voce. «Se pensi che io sia così sbadata, incapace o approssimativa, avresti potuto chiedere a qualcun altro di prepararla…»
Pietrificato, Liam balbettò:
«Ma che…? No! No, Mina, perdonami, non lo penso, naturalmente. È solo che…cazzo! Ogni volta che sembra che le cose inizino a girare si sputtana qualche ingranaggio.»
Amina sospirò.
«D’accordo, Liam, io…io devo chiederti di uscire. Ho bisogno di riflettere e…esci.»
«Mina, io non-»
«Esci!» sibilò, senza riuscire a trattenere la rabbia.
Liam obbedì e la maga gli sbatté la porta alle spalle.
Dopo un secondo di stordimento, il mago si sentì invadere dalla furia. Contro Amina che aveva frainteso, e contro sé stesso che non aveva un filtro tra cervello e bocca. Assestò un calcio alla porta chiusa, facendosi un male cane, e se ne andò imprecando.
 
Ruben era rigido come uno stoccafisso già da diversi minuti, ma Yu non aveva intenzione di mettere fretta al suo ragionamento. Si sentiva già miracolata ad essere stata convocata per quel consulto, nonostante l’arrivo di Sua Signoria Jonna, che metteva in ombra tutto il resto. Il profilo dell’uomo che l’aveva cresciuta era corrucciato, e in qualche modo lei se ne sentiva turbata. Ruben non era il tipo di persona che mostrava facilmente le proprie preoccupazioni, come in quel momento.
«Non so cosa fare» disse improvvisamente. «Tu cosa faresti, Yu?»
La ragazza sbatté le palpebre.
«Che cosa farei io se sapessi che un drago sta comandando a orchi e orchetti di tenere impegnati i suoi nemici su tutti i fronti possibili, per poter, intanto, spostare i suoi contingenti di draghi nella deserta Piana di Thann, in un punto estremamente centrale della Terra dei Tuoni? Da cui potrà poi, in un niente di tempo, attaccare Torat, Natìm, Bosco Lossar, e magari anche Lumia?»
Ruben la guardò in attesa di una risposta, ma Yu non sapeva proprio cosa dire. Era una cosa troppo grossa per una cameriera, lo sapeva anche lei.
«Ma ne è certa?» mormorò.
«Jonna dice di averlo visto. E mi fido» rispose Ruben.
Yu sospirò.
«Io…credo che scriverei ai miei alleati per metterli in guardia, e poi andrei di persona a parlare con gli Unicorni.»
«Ho già dato loro l’ennesimo termine.»
«Lo so, Maestro, ma non credo che lo rispetteranno se non l’hanno fatto fino ad ora. Forse potresti portare Liam con te…» suggerì.
«No, Liam deve restare qui. Si è fatto rispettare, è vero, ma è troppo impulsivo perché possa portarlo da loro in una simile contingenza. Ho bisogno di una persona più…rassicurante.»
«Stan.»
«Stan è ferito, Amina non me lo lascerà portare via prima che si sia rimesso.»
«Lei si opporrebbe, ma se lui fosse disposto a rischiare credi che lo tratterrebbe?»
Ruben si massaggiò la fronte.
«Sì. Sì, hai ragione. Si arrabbierà da matti, ma è una buona soluzione.»
Yu abbassò lo sguardo sui propri piedi, domandandosi se Jonna non fosse riuscita ad elaborare un piano altrettanto utile.
“Altro che Stan…con gli Unicorni non basterebbe una magia!” pensò.



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Ok, ragazzi, mi rendo conto che inizia ad esserci tanta, tanta carne al fuoco. Se mi è sfuggito qualcosa e avete dei dubbi riguardo a qualunque genere di contenuto (personaggi, nomi, luoghi, etc.) non esitate a dirlo. Voi forse risolverete il dubbio, e io mi renderò conto che sto delirando XD
Baciiiii

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Capitolo 41
*** Senza margine d'errore ***


L’aria era fredda, dopo il tramonto. L’autunno si avvicinava velocemente, e a Nord del Lago di Nebbia il clima era sempre un po’ più rigido. Anche se non quanto a Madian. Amina non era più tornata nella sua città d’origine, dopo il Consiglio di Effort. In parte perché il Governatore si era dichiarato immediatamente alleato di Micael dell’Acqua, in parte perché la brutta cicatrice della devastazione di Djalmat le riportava alla mente tutto il terrore e la disperazione di quei giorni. Anche se, allora, c’era ancora qualcuno capace di riempire il suo mondo…
Da ore, la maga non faceva altro che pensare e ripensare a che cosa potesse essere andato storto, ma non c’era niente, niente, che potesse aver sbagliato. Le indicazioni erano chiare e semplici, non lasciavano margine d’errore, e lei le aveva seguite alla lettera. E di certo non era probabile che l’elfo che le aveva copiate nella sua bella grafia avesse sbagliato. L’unica spiegazione possibile era che il fisico di Irthen avesse reagito in modo leggermente diverso rispetto a quanto previsto. Forse si sarebbe svegliato prima. O forse, come temeva Liam, avrebbe avuto la febbre alta per sette giorni…
Scosse il capo per allontanare l’immagine del mago. Una parte di lei si rimproverava per averlo cacciato, nonostante le avesse chiesto scusa; l’altra parte, quella permalosa e mortalmente offesa, rimpiangeva di non avergli lasciato anche lo stampo di cinque dita sulla faccia.
“Tutto in poche ore…” pensò, soffocando una risatina isterica. “Questo è quello che ti meriti per aver fatto l’oca”.
«Sii positiva, Mina» sbottò ad alta voce. «Tutto questo può solo significare che il risveglio di Ir è vicino!»
«Esatto» disse una voce alle sue spalle.
Amina si volse di scatto.
«Dovresti stare a letto, Stan» mormorò, cercando di normalizzare il battito cardiaco.
Quella voce, per un momento, giusto una frazione di secondo, cogliendola di sorpresa, l’aveva catapultata indietro nel tempo. Ma non apparteneva ad Alec, come il suo subconscio le aveva fatto credere, bensì al suo gemello, identico a lui in così tante cose. Incluso quel sorriso sornione che negli ultimi tempi aveva iniziato a sfoggiare.
«Non posso stare a letto. E non potete trattarmi tutti come se avessi già un piede nella fossa. È per questo che sono venuto a cercarti…sì, lo so, fuori fa già freddo. Ma sei tu quella che passa le sue serate in un orto.»
Mina ascoltò con crescente apprensione dell’intenzione di Konstantin di accompagnare Ruben a Bosco Lossar per parlare personalmente con gli Unicorni, e nonostante ormai le facesse male il collo a forza di scuotere la testa, suo cognato non voleva sentire ragioni.
«Qui non sono di alcun aiuto, Mina.»
«Sei di aiuto a te stesso!»
«E a chi giova? Starmene qui buono buono non aiuterà te, come non aiuterà Ruben, né Aqua, né nessun altro. Apprezzo che tu tenga alla mia salute, ma non sono inconsapevole delle conseguenze in cui poteri incorrere viaggiando in queste condizioni.»
Amina si rabbuiò.
«Quindi non ti importa nulla del mio parere? Né delle ore di sonno che perderò?»
«Mi importa, e te ne sono grato. Ma non posso permetterti di servirtene per ricattarmi, ora.«
La maga abbassò lo sguardo.
«D’accordo, Stan. Sta bene» rispose piccata. «Se è questo che vuoi, non sarò certo io a fermarti. Sei grande abbastanza da decidere per te stesso, giusto?»
«Sei arrabbiata?» domandò esitante.
«Sì. Sì, sono arrabbiata. A quanto pare è vero, non so fare il mio lavoro, mi sono delusa da sola.»
«Chi ti ha detto una cosa tanto sciocca?»
Amina scosse il capo, incapace di parlare per il nodo di pianto represso che le bloccava la gola.
«Perché ti preoccupi tanto per me?» domandò ancora.
La maga sgranò gli occhi. Che domanda assurda! Perché gli voleva bene, non era abbastanza ovvio? Perché c’erano sempre stati l’uno per l’altra, anche quando Alec se n’era andato, si erano sostenuti a vicenda, avevano ricucito le reciproche ferite. Avevano combattuto fianco a fianco le loro battaglie personali, avevano…
«Mina?» incalzò.
«Quasi dieci anni di amicizia possono racchiudersi in una parola?» balbettò confusa.
Konstantin aggrottò le sopraciglia, e alla maga non sfuggì il breve sospiro esasperato. Sentendosi di nuovo inadeguata e reprimendo la frustrazione, Amina ripeté:
«Possono?»
«Sì, possono» rispose Stan, voltandole le spalle e incamminandosi con il braccio al collo lungo al vialetto.
«Non andarci, ti prego! Ci sono tanti maghi che rischiano di meno a viaggiare, e non c’è nemmeno Oliandro, là» farfugliò.
«Dammi un buon motivo, Mina. Dammi la motivazione che cerco» rispose il mago fermandosi.
Amina raggelò e non seppe rispondere. Improvvisamente, e per un brevissimo momento, si era accesa una candela nella sua mente, che le aveva lasciato intravedere i contorni di qualcosa, nell’ombra, ma non era rimasta accesa abbastanza da permetterle di mettere a fuoco. E, ripiombata nel buio, le era rimasta un’unica, istintiva certezza: una risposta, di qualunque genere, poteva costarle cara.
Davanti al suo silenzio, Konstantin scosse il capo e se ne andò, senza aggiungere una sola parola, senza lasciarle la possibilità di chiedere spiegazioni, senza lasciarle il tempo di salutare.
 
Aqua alzò l’arco davanti al viso, la freccia incoccata le sfiorava la guancia, mentre mirava il bersaglio. Scoccò, e la freccia mancò il centro di una spanna. La ragazza sbuffò.
«Secondo me non hai calcolato bene il vento. E la luce non aiuta, con il crepuscolo le ombre giocano brutti scherzi.»
Aqua non si volse nemmeno. Avrebbe riconosciuto la voce di Chloé tra mille, con tutto il tempo che aveva passato a sorvegliarla.
«Io invece credo di avere una pessima mira» sbottò.
«Non direi. Anzi, stai utilizzando un arco piuttosto impegnativo per una stazza come la tua. Sei minuta, devi essere molto forte per riuscire a tendere un arco come quello, e arrivare tanto vicino al centro…»
Aqua incoccò un’altra freccia, ma ci ripensò e abbassò l’arco.
Posò l’arma e si girò, imponendosi di non sfogare su di lei la sua rabbia repressa.
«Hai bisogno?» domandò.
La bionda si strinse nelle spalle e una ciocca di capelli le cadde sul naso.
«Veramente no, ma ho pensato che sarebbe stato interessante scambiare due parole con te. Infondo, mi hai osservata tanto a lungo da poter dire di conoscermi, suppongo. Beh, vorrei poter dire la stessa cosa, perciò…» le tese la mano.
Aqua aggrottò la fronte. Che sciocchezza, aveva interrotto il suo allenamento per presentarsi ad una persona che già la conosceva? Qualcosa nel cipiglio deciso di Chloé la fece sorridere. Aveva qualcosa di diverso dall’ultima volta che l’aveva vista, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Le tese la mano.
«Questo arco era di mio nonno. Tu ne usi uno diverso?»
La bionda annuì.
«È più piccolo e maneggevole. Credo che per una donna sia più pratico da gestire.»
«Te ne intendi di armi?» domandò la maga, interessata.
Trovarsi faccia a faccia con lei era tremendamente strano.
«No, per la verità no. Solo di archi e frecce. Prima di trasferirmi ad Effort mi piaceva cacciare» spiegò.
«E sei brava?»
«Me la cavo. Anche se con la pratica non sono brava quanto con la teoria» sorrise fissando il nulla.
Aqua si domandò se si fosse persa in qualche ricordo piacevole.
«Tuttavia» aggiunse «al momento sono un po’ arrugginita.»
La ragazza avrebbe voluto ribattere che certe cose, una volta imparate, non si dimenticano facilmente, che le sarebbe bastato un po’ di allenamento, ma ogni buon proposito si assopì quando focalizzò Debrina che si faceva loro incontro. Chloé seguì il suo sguardo con un sopraciglio alzato.
«Che vuoi, Debrina? Non vedi che stiamo parlando?» sibilò Aqua.
Debrina le lanciò un’occhiata offesa.
«Sempre disponibile tu, vero?»
«Colpa mia, Dede!» intervenne Chloé, con tono conciliante. «L’ho interrotta sul più bello, e ho anche dato consigli inopportuni. Anzi, è meglio che vada ora! Devo farmi lasciare da Ruben le consegne prima che parta. Sei in partenza anche tu, vero?»
Debrina annuì e Aqua represse a fatica l’istinto di tirarle un calcio.
«Buon viaggio, allora! Non fare impazzire Rowena!»
«Ho paura che sia più facile il contrario.»
Chloé salutò con la mano e si allontanò.
Aqua la guardò allontanarsi, con una punta di invidia: la bionda era bella, intelligente e tutti la apprezzavano.
«Mio fratello non sarebbe felice di sapere che stai guardano il di dietro della sua donna» commentò Debrina con un sorrisino ironico.
Aqua la guardò storto.
«Possibile che tu non riesca a pensare ad altro?» sbottò. «Che cosa vuoi?»
Debrina si fece improvvisamente seria.
«Non sei venuta alla riunione, ieri. Ruben era parecchio arrabbiato.»
Aqua scrollò le spalle.
«Dovrebbe importarmi?»
«Sì che dovrebbe, razza di incosciente!» esclamò.«Non ti rendi conto di quanto rischi, comportandoti in questo modo? E di quanto fai preoccupare tutti?»
Aqua sbuffò.
«Tutti chi? Sentiamo…»
«Amina, prima di tutto. E poi anche Stan, e James! E anch’io sono preoccupata! Stai tirando molto la corda, troppo…se il Maestro decide di metterti fuori non ti lascia tornare a casa sulle tue gambe, lo sai, vero? Sei stata nel quartier generale per troppo tempo, e sei a conoscenza dei nostri piani. Se ti mette fuori, ti ammazza…» concluse in un sussurro.
Aqua rabbrividì. Non si era soffermata troppo a pensare alle possibili conseguenze del suo gesto.
«Mi stai ascoltando?» insistette Debrina.
«Sì, Dede, ti ascolto.»
«Dimmi una cosa…è stata veramente colpa mia? Voglio dire, era solo perché sono stata scelta io per sostituire Stan che hai fatto quella scenata?»
Aqua la focalizzò a fatica. Le girava lievemente la testa.
Gli occhi neri di Debrina la scrutavano con ansia.
«No…no, non è stato solo quello. Cioè, è stato quello ma…è stata solo la goccia» farfugliò. «È da anni che io e Ruben…è complicato, non cercare di capirlo, non ne vale la pena. Ma ho un conto aperto con lui, e non ho intenzione di dimenticarlo. Scusa, ma che importanza ha se è stata colpa tua oppure no?» domandò confusa.
Debrina ci pensò un attimo prima di rispondere. Alla fine distese le labbra sottili in un sorriso stranamente remissivo e disse:
«Non lo so, ma mi sento meglio. Riguardati Aqua dell’Acqua.»
Mentre si allontanava, la ragazza si massaggiò la fronte, perplessa. Niente “ragazzina” e termini irritanti affini quel giorno?
 
La luce la abbagliava, tutto risplendeva di un giallo abbacinante. Era quello che doveva fare, un campo di girasoli degno di tale nome: Trasmettere calore al semplice sguardo. Amina trasse un respiro profondo, confortata. Sapeva che sua madre la aspettava a casa, ma non aveva il coraggio di lasciare quel posto incantevole. Il suo sguardo fu attratto da una figura che passava ai margini del suo campo visivo. La schiena perfettamente dritta, la pelle olivastra, i capelli scuri…avrebbe riconosciuto quell’uomo tra centinaia di migliaia. Gli corse incontro.
«Alec! Che cosa ci fai qui?» domandò con la voce rotta dall’emozione.
Alec la guardò con gli occhi sgranati.
«Come fai tu a conoscermi? E cosa fa una bambina come te in giro tutta sola?»
Amina aggrottò la fronte, senza capire.
«Che significa?» domandò facendo un passo verso di lui.
Alzò istintivamente una mano davanti al viso, e si rese conto che era piccola e bianca, priva di calli e cicatrici. Abbassò lo sguardo. Era una bambina. Una bambina minuta, coperta di lentiggine e con i capelli tagliati a caschetto.
«Com’è possibile?» mormorò.
Alec la guardò e sorrise, quel sorriso che amava così tanto e che ora le stringeva il cuore. Quel sorriso che aveva desiderato avere tutto per sé e che aveva perduto.
«Ti sei persa? Ti accompagnerei a casa io ma, vedi, sto sanguinando.»
Mentre pronunciava quelle parole, la punta di una spada gli trapassò il petto, e il sangue cominciò a inzuppargli gli abiti. Amina gridò conficcandosi le unghiette nei palmi delle mani. Dietro di lui, stava un’Amina adulta, con la spada stretta tra le mani. Dalla lama, il sangue di Alec le colava sulle dita, striandole di rosso.
«Non mi ringrazi, Mina? Ti ho appena salvato la vita!» esclamò, raggiante.
La bambina sentì le lacrime bagnarle le guance, incontrollate.
«Lo hai ucciso» singhiozzò. «Lo ho ucciso!»
Affondò il viso tra le mani, senza osare alzare lo sguardo.
«Perché piangi, Mina?»
Amina sobbalzò all’udire la voce di Liam.
«Perché anche tu sei qui?» farfugliò.
Immediatamente si riscosse rendendosi conto che il timbro di voce era cambiato. Scostò le mani dagli occhi e si ritrovò, adulta,in una stanza buia, illuminata solo dalla luce di una candela. Faceva freddo, il suo respiro formava nuvolette. Alec era scomparso, così come l’altra sé stessa.
«Mina?» insistette Liam.
«Tu non dovresti essere qui» mormorò, ancora sconvolta dalla morte di Alec e turbata dall’improvvisa attrazione che provava per la figura che le ondeggiava davanti nella luce fioca.
«Hai ragione. Me ne vado» disse allontanandosi nell’ombra.
«No, aspetta! Non lasciarmi qui al buio da sola!» gridò inseguendolo.
Andò a sbattere contro qualcosa e imprecò.
«Ti sei fatta male?» domandò il qualcosa.
«Oh, Dei» mormorò confusa.
Konstantin rise.
«Che succede, Mina? Hai paura del buio?»
«No, è solo che io…io non ci capisco niente, perché adesso ci sei tu?»
«Non vado bene?» domandò offeso.
Amina sospirò.
«Ah, è così dunque?» sbottò Konstantin. «Io sto qui ad aspettarti al buio e al freddo per una vita e tu mi rifiuti? Sei un’ingrata! Un’ingrata e un’incosciente!»
«Ri-rifiuti?Che significa?» balbettò di nuovo, stanca di chiederlo.
«Dammi la motivazione che cerco!»
«Non posso! Ho ucciso Alec! Io ho…ucciso…»
 
Amina spalancò gli occhi e si sorprese di trovarsi nella stanza di Irthen. Era giorno fatto.
«Tutto bene?»
Sobbalzò, soffocando un gridolino sorpreso.
Alla scrivania stava seduto Liam.
«Perché me lo chiedi?» farfugliò.
Il mago si strinse nelle spalle.
«Sembrava che tu stessi facendo un brutto sogno.»
Amina si accigliò. Tutto sommato, forse, sognava ancora…altrimenti per quale motivo Liam se ne doveva stare alle sue spalle a guardarla agonizzare? Forse perché lo stava maltrattando gratuitamente da ventiquattro ore?
«Sapevi che era un incubo, e non mi hai svegliata?»
Liam sbuffò.
«Eri tranquilla, fino a poco fa. E comunque non sono la tua balia…»
Amina si prese le tempie tra le dita. La sera prima, dopo la discussione con Stan, si era chiusa nella sua stanza per essere certa di non incontrare nessuno su cui potesse sfogare la sua frustrazione, ma l’occasione si era presentata lo stesso quella notte. Mentre si spostava silenziosamente per i corridoi, diretta alla stanza di Irthen, aveva incontrato Liam, di ritorno chissà da dove. Lui l’aveva bellamente ignorata, evidentemente era ancora arrabbiato per essere stato cacciato via in malo modo. Lei l’aveva tacciato di essere un maleducato, lui aveva risposto che era instabile e lunatica, e lei se n’era andata mandandolo nei peggiori posti ipotizzabili.
Non era Liam la causa del suo malumore, lo sapeva, e sapeva che non si meritava il trattamento che gli aveva riservato, ma non riusciva a farne a meno: sfogarsi su qualcuno che rispondeva per le rime, in qualche modo, la faceva sentire meglio. Masochista, ecco cos’era…e Liam era abbastanza focoso da soddisfare il suo insano desiderio di autodistruzione. Non perdeva l’occasione di rispondere alle provocazioni, era sempre così estremo in tutto…
«Perché sei rossa?» domandò dall’angolo.
Amina affondò nello scialle.
«E tu perché mi fissi?» ribatté.
Non si mosse quando sentì lo scricchiolio della sedia e i passi del mago che si avvicinavano.
«Mi domando perché ti stia comportando in questo modo. Tu non sei questa, questa non è Amina! Senti, se vuoi continuare così, a me sta bene…ma vorrei almeno sapere perché. Non dirmi che è ancora per quello che ti ho detto ieri, non ti credo, non sei il tipo da portare rancore.»
Con il cuore che batteva tanto forte da assordarla, Mina mormorò:
«Tu non sai niente di me.»
Liam sbuffò.
«Giusto. È vero, un’amica ha qualcosa che non va e si comporta da idiota, ma chissenefrega! Tanto non la conosco, non so niente di lei, che si arrangi!»
Qualcosa che non andava? Lei non aveva qualcosa che non andava, perché avrebbe dovuto? …o forse sì? Il groppo alla gola tornò a farsi sentire forte.
«Senti, Mina, io…non sono il genere di persona capace di gestire questo tipo di situazioni. Ho resistito all’impulso di andarmene di nuovo, come ho fatto ieri, come ho fatto stanotte, ma la mia pazienza è notoriamente molto limitata. Se vuoi continuare a fare la bambina e a crogiolarti nei tuoi dolori, sei liberissima di farlo. A meno che non sia io la causa della tua disperazione, però, gradirei che la smettessi di servirti di me come capro espiatorio.»
Amina singhiozzò, con le mani premute sugli occhi, mentre i passi di Liam si allontanavano.
«Non andartene…» gemette. «Non andartene anche tu!»
 
Liam si bloccò, con la mano già sulla maniglia della porta.
«”Anche tu”, dici? È per via di Konstantin, dunque?» domandò, incapace di reprimere una punta di gelosia e di frustrazione per essere stato maltrattato in sostituzione di un altro uomo.
Rifletté velocemente: poteva avere senso? Dopo essere stata lasciata dal marito poteva aver sviluppato una sorta di sindrome dell’abbandono?
“No, non ha senso” concluse.
Lasciò cadere la mano e si volse verso di lei.
«Io sto aspettando» disse, sorprendendosi della fermezza nella sua voce.
Amina singhiozzò e si alzò lentamente. Non sembrava molto stabile.
«No, hai ragione. Devo smetterla di comportarmi da stupida. Non posso continuare a piangermi addosso, né a sfogare i miei problemi su di te» si asciugò gli occhi nella manica, come avrebbe potuto fare una bambina.
Liam trattenne un sorriso intenerito.
«Grazie per la tua pazienza, Liam dell’Acqua» concluse.
Il mago sbatté le palpebre, perplesso.
«Cosa significa?» balbettò, istintivamente allarmato dal tono improvvisamente risoluto.
Amina gli rivolse un sorriso tirato.
«Che ti sollevo dall’onere di sopportare le mie paranoie.»
Al mago ci volle qualche momento per comprendere. Dopodiché, una nuova ondata di rabbia irrazionale lo invase con rinnovato vigore.
«Mi…sollevi dall’onere?!» esclamò. «Ma ti rendi conto delle cazzate che dici? Ti rendi conto di quanto sei infantile?!»
La maga piantò le mani sui fianchi con aria offesa.
«E tu ti rendi conto che non puoi pretendere di farmi da padre? Sono una donna adulta, so badare a me stessa, non ho certo bisogno che sia un mago qualunque a pensare a me!» strillò.
Liam fece un passo verso di lei, spinto dalla feroce necessità di farla tacere, in qualche modo.
«Un mago qualunque?» sibilò. «Io non sono un mago qualunque, Amina della Terra!»
Amina tacque e arrossì, con immenso compiacimento di Liam, che non seppe dire se la causa fosse l’indignazione o l’imbarazzo.
«Non puoi pretendere che…che…» farfugliò.
Liam fece un altro passo verso di lei, e Amina indietreggiò, trovandosi con le spalle al muro. Il mago deglutì, colto a tradimento dalla consapevolezza della loro vicinanza, e dalla certezza che non fosse mai stata più bella, con quei capelli arruffati e il viso accaldato.
Le si accostò e le prese il mento tra le dita.
«Non posso?» domandò in un sussurro.
Amina lo allontanò con una spinta poco convinta e il mago si riscosse. Che cosa stava facendo? Che cosa avrebbe fatto se lei non l’avesse respinto? Colto dalla vertigine fece un passo indietro, intenzionato a scappare a gambe levate. Ma in una frazione di secondo, Amina balzò in avanti gettandosi tra le sue braccia, lo scialle lasciato cadere a terra e il viso sepolto nella camicia del mago.
«Mina? Va tutto bene?» balbettò confuso.
Amina lo strinse forte.
«Scusami. Forse ho solo bisogno di dormire…» mormorò.
Liam la abbracciò, domandandosi dove si fosse nascosta per quasi ventisei anni tutta quella delicatezza che negli ultimi tempi gli riusciva spontaneo sfoggiare.
«Stai tranquilla, è tutto a posto. Non è ancora successo nulla di irreparabile. Vedrai che presto Irthen si sveglierà, che Konstantin tornerà tutto intero da Bosco Lossar, e che dopo un po’ di sonno decente ti sentirai un’altra persona. Solo…non devi sfinirti così, Mina. Sii un po’ più egoista ogni tanto. Non puoi passare tutte le notti su una sedia.»
Amina tirò su con il naso e annuì.
«Dove stavi andando stanotte, Li’?» domandò.
Liam ghignò.
«Curiosa, eh? In cucina. Ieri sera sono stato sul campo di allenamento con Eetan fino a tardi, e quando sono tornato in camera ero talmente a pezzi che sono andato a letto senza cena…ma dopo un po’ mi sono svegliato con una fame tremenda, così sono andato a cercare qualcosa in dispensa…»
Amina ridacchiò.
«Non ho parole.»
Liam sorrise.
«Vai a riposare, Mina. Hai bisogno di rilassarti un po’, stai chiedendo troppo a te stessa…»
Amina lo ringraziò e se ne andò, lasciandolo solo accanto al letto di Irthen. Il mago prese un respiro profondo e passò una mano sulla fronte di suo fratello. Scottava.
 
«Sei pronto, Stan?»
Konstantin annuì. La spalla gli doleva, ma non quanto la testa. L’idea di andarsene senza salutare Amina, senza averle chiesto scusa per essere stato così duro con lei, lo affliggeva più di quanto fosse disposto ad ammettere con sé stesso. Eppure, avrebbe dovuto essersi abituato a quella sensazione ormai, come di sabbia che sfugge tra le dita, avrebbe dovuto averci fatto il callo a vederla allontanarsi. E ad affliggerlo ancora di più era la totale mancanza di reazione della maga di fronte alle sue parole, la sera prima. Aveva cercato di essere chiaro e delicato al tempo stesso, per darle la possibilità di comprendere che cosa lo stava consumando dall’interno senza mandarla in paranoia, ma forse non lo era stato per nulla. Forse, era solo riuscito a creare confusione. Forse, avrebbe dovuto essere diretto, anche a discapito della riservatezza di Amina. Dopotutto, sapeva fin da subito che non sarebbe stata una buona idea quella di sconvolgere gli equilibri. Se si era tenuto dentro tutta quella tempesta per quasi dieci anni un motivo c’era, ed era più che valido: l’amore quasi folle – e pienamente ricambiato – di Amina per Alec e, successivamente, la sua disperata determinazione a dimostrare di non aver fatto il più grande errore della sua vita. Cosa, quest’ultima, che l’aveva resa fragile come vetro soffiato, e altrettanto incantevole. Disgraziatamente, nel suo maldestro tentativo di restarle accanto, lui non aveva fatto altro che finire relegato nella parte dell’alleato indispensabile, o del fratello maggiore, prospettiva oltremodo deprimente. Innegabile: una simile etichetta sarebbe stata impossibile da scollare.
«Sono pronto, Ben» disse.
Il Maestro annuì e afferrò saldamente il polso del braccio sinistro di Konstantin, quello sano.
«Andremo più piano» disse. «Ci impiegheremo di più, ma spero accuserai meno il viaggio.»
Stan strinse i denti. Odiava viaggiare in quel modo. Non solo perché gli faceva venire la nausea il vorticare del mondo attorno alla sua persona, ma anche perché sentiva di perdersi tante cose: i profumi, i suoni, tutto quell’insieme di elementi che rendevano unico un viaggio. Ruben prese un respiro profondo e mormorò:
«Andiamo, allora.»
Konstantin sentì il terreno svanire da sotto i suoi piedi e lo stomaco schiacciarsi. Chiuse gli occhi per cercare di limitare il disagio, consapevole solo dell’innaturale immobilità dell’aria attorno a lui. Forse perché l’aria era lui, scomposto in minuscole particelle dalla magia di Ruben. Nonostante questo stato semi incorporeo, sentiva la ferita alla spalla bruciare come attraversata da un tizzone rovente. Forse, Amina aveva ragione, forse i punti di sutura avrebbero ceduto e la piaga si sarebbe riaperta. Avrebbe trovato un elfo disposto a rimetterlo in sesto? Infondo, gli elfi erano loro alleati, non potevano abbandonarlo…oppure sì? Forse la scelta di accompagnare Ruben era stata mutuata solamente dal suo egoismo, dal desiderio di mettere Amina alla prova, di “misurare” l’attaccamento che provava per lui. Forse, se non l’avesse vista arrossire al solo pronunciare il nome di Liam dell’Acqua, non l’avrebbe torturata tanto.
“Sono una persona orribile” concluse con amarezza.
E si promise che non avrebbe più permesso alla gelosia di soffocare la sua razionalità, che non le avrebbe più fatto del male, anche se Amina avesse voluto continuare a vederlo come un fratello fino alla fine dei suoi giorni. Pur di poterle stare accanto…
Uno strattone doloroso gli strappò un gemito e lo riportò alla realtà, proprio mentre i suoi piedi ritrovavano l’appoggio. Si accasciò, colto dalla vertigine.
«Va tutto bene?» domandò Ruben con un filo di voce.
Trasportare sé stesso e un’altra persona doveva essere molto stancante, pensò Konstantin premendosi la mano sulla spalla. Quando la ritrasse era bagnata di sangue.
«Maledizione» gemette.
Ruben esplose in una sfilza di colorite imprecazioni, strappandogli una risata sofferente.
«Rilassati, Ben, non morirò per così poco» disse.
Tutt’altro che persuaso, Ruben imprecò ancora.
«Può darsi, ma le braccia potrebbero servirti entrambe in guerra. Resisti, gli Unicorni non mi lasciano varcare i loro confini con la magia, perciò abbiamo un po’ di strada da fare a piedi.»
Konstantin si trasse faticosamente in piedi. Davanti a loro si stagliavano gli alberi alti che segnavano il perimetro di Bosco Lossar.
«Allora non perdiamo altro tempo» disse.
 
Nei due giorni che seguirono, non giunsero notizie di Ruben e di Konstantin, e il quartier generale era in fermento.
Liam osservava con cinico distacco lo stato di tensione che sembrava espandersi a macchia d’olio, contagiando un numero sempre maggiore di persone, come una sorta di epidemia. Ascoltava con disinteresse le discussioni sull’opportunità o meno di inviare qualcuno in aiuto al Maestro, così come anche i rapporti sugli scontri ancora aspri su entrambi i fronti. Non poteva biasimare i suoi commilitoni per il panico in cui versavano, dopotutto, il direttivo era stato scorporato: Ruben e Stan da un lato, Debrina dall’altro. Per quanto non formalizzato, tutti sapevano che lei e Konstantin erano figure di riferimento quasi quanto Ruben stesso. Ed ora che erano tutti e tre lontani, e che persino Oliandro e Rowena non potevano dare il loro contributo al mantenimento dell’ordine, tutto sembrava lasciato in balia degli eventi. L’unica persona lucida e pensante, ancora capace di dare ordini e risultare credibile, era James.
Forse avrebbe dovuto dargli una mano. Sì, avrebbe dovuto, ma aveva scelto, una volta di più, di anteporre la sua battaglia personale all’interesse collettivo. La temperatura corporea di Irthen non aveva fatto che aumentare, e nonostante il respiro irregolare, la fronte imperlata di sudore e qualche spasmo muscolare involontario – innegabili segnali positivi di una qualche reazione alla terapia – Liam non si era mai sentito più in ansia. Non faceva che domandarsi se la febbre troppo alta avrebbe potuto, in qualche modo, causargli danni permanenti. Lui, Amina e Yu facevano in modo di avere sempre a portata di mano un catino di acqua fredda per inumidire il panno con il quale tamponavano la fronte del ragazzo, e si suddividevano le ore di veglia per non sfinirsi prima del tempo. Ma di più non si poteva fare, e Liam lo sapeva.
Al tramonto del quarto giorno di febbre il mago vegliava, solo, in attesa che accadesse qualcosa. Il petto di Irthen si alzava e si abbassava velocemente, il battito era accelerato. Con la testa tra le mani, il mago non poté fare a meno di ripetere a sé stesso, ancora una volta, che tutto quel casino era solo colpa sua: se si fosse assunto le sue responsabilità ad Effort…
Sentì la porta aprirsi con un cigolio e non si volse nemmeno, già afflitto all’idea di un nuovo battibecco con Amina, che sembrava incapace di allontanarsi passivamente dal paziente per andarsene a letto.
«Vai a riposare, Mina» disse secco, continuando a fissare il volto arrossato di suo fratello.
Non ottenne risposta, e la porta non si richiuse. Così, irritato, si alzò e si girò, intenzionato a mandarla via con la forza, ma rimase inebetito. Sull’uscio non stava Amina, bensì una donna che non aveva mai visto. Alta ed esile, era vestita di una tunica blu scuro che le scendeva fino ai piedi, stretta da un nastro argentato in vita. Il pallore spettrale e i capelli di un biondo chiarissimo, che le cadevano innaturalmente lisci fino a oltre metà schiena, le davano l’aspetto di un fantasma. I lineamenti erano delicati, e nella penombra sembravano vagamente disarmonici. Liam fissò sbigottito l’apparizione, poi farfugliò:
«Tu non sei Mina…»
La sconosciuta sollevò le sopraciglia con aria perplessa.
«Sul serio?» domandò, sarcastica.
La sua voce aveva un timbro alto, ma era estremamente controllata. “Finta”, pensò istintivamente Liam. Parlava con un accento duro che non conosceva. Il mago storse il naso.
«Chi sei? E che cosa vuoi da noi?» sibilò, ponendosi tra lei e suo fratello.
La donna lo ignorò e lo allontanò con una spinta, per avvicinarsi al capezzale di Irthen. Il mago non riuscì a reagire, impressionato dall’energia che emanava da lei e stordito dall’intenso profumo di vaniglia che la avvolgeva. Una ciocca di capelli le scivolò davanti al viso, lasciando intravedere un piccolo tatuaggio nero, un fiocco di neve che spiccava sulla pelle candida del collo, appena sotto l’orecchio destro.
La donna posò il palmo della mano sulla fronte di Irthen e fissò gli occhi grigio chiaro su di lui. Liam attese in silenzio, confuso. Chi cavolo era quella? E perché la stava lasciando fare? Sentiva che c’era qualcosa di rischioso, in quella sua remissività istintiva. Attese in silenzio, e mentre la fronte alta si imperlava di sudore e le guance prendevano un po’ di colore, Irthen prese a respirare con meno affanno.
Improvvisamente, la donna ritrasse la mano e si scostò i capelli dal viso. Aveva il respiro accelerato. Liam considerò che potesse essere più giovane di lui. Ma chi era? E perché era lì?
«Sono Jonna del Fuoco» disse con un sospiro. «Ho alleviato la febbre di tuo fratello. Presto dovrebbe svegliarsi.»
Liam la fissò a bocca aperta. Alleviato? Come? I maghi di fuoco potevano fare una cosa simile? Oppure solo lei? Dunque quella era Jonna? Non l’aveva immaginata così…
«Hai il dono della parola, Liam?» domandò, riacquistando il tono sarcastico.
«Grazie» balbettò imbarazzato.
Chloé l’avrebbe preso per i fondelli fino alla morte, se l’avesse visto…
«Ringrazia Amina. È stata lei a chiamarmi» disse freddamente, lasciando la stanza.
«Incredibile» mormorò il mago, incapace di smettere di fissare la porta che Jonna del Fuoco si era richiusa alle spalle.
«Cosa…cosa è incredibile?»
Una voce flebile, alle sue spalle, gli fece balzare il cuore in gola. Si volse di scatto e fissò gli occhi in quelli verdi e lucidi di Irthen.
«Una ragazza bellissima ti ha appena salvato le penne, Ir» disse con la voce rotta.
«Me la sono persa» gemette.
Liam scoppiò a ridere, e non provò nemmeno a trattenere le lacrime di sollievo.





********************
Sìììììì odiatemiiiiiii!!!!!!!!

Stan: "Io ti odiavo già"
*Liam gli fa pat pat sulla spalla, partecipe*

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Capitolo 42
*** Questione di sangue freddo ***


«Come ti senti?» domandò Liam sedendosi accanto al letto.
Irthen cercò di alzarsi, ma gli mancarono le forze e ricadde indietro sul cuscino.
«A pezzi» gracchiò.
La sua voce non rispondeva alla perfezione ai comandi. Dov’era? Come era arrivato lì? I ricordi iniziarono a risvegliarsi: il viaggio, il Canyon, la Cascata, la sirena…Abby! Dov’era Abby? E perché Liam era lì con lui?
«Che cosa è successo?» mormorò confuso.
Liam si rabbuiò.
«Dovrei ucciderti» minacciò.
«Lo so.»
«La donna che ti ha condotto alla Cascata è uno stregone. Era in combutta con la sirena per sequestrarti e convincermi ad allearmi con i draghi.»
Irthen sbatté le palpebre, convinto di non aver capito nulla.
«Eh?!» farfugliò.
Liam sospirò.
«Ok, Ir. Pensi di riuscire ad ascoltare una storia? Ti avverto che sarà una cosa lunga…»
Irthen annuì.
Con fatica, il mago raccontò al ragazzo della guerra incipiente, delle alleanze che si erano formate, dei suoi poteri, della posizione suicida che aveva scelto di assumere, di Amina, di Konstantin. Raccontò di come l’aveva inseguito senza riuscire a raggiungerlo, di quello che era successo davanti alla Cascata, del viaggio verso il Reame Eterno e, poi, nella Terra dei Draghi, di come Abigail l’aveva aiutato a trovare la rosa lunare per la pozione. Gli disse tutta la verità, per filo e per segno, e Irthen sentì la vergogna bruciargli le guance per non essere mai stato capace di capire la verità su suo fratello, e anche per essersi lasciato abbindolare da Abby. Quando Liam gli mise tra le mani l’anellino che aveva custodito in attesa del suo risveglio, domandò:
«Cosa ci dovrei fare?»
Liam si strinse nelle spalle.
«Valuta tu. Mi ha chiesto di darlo a te, ed è quello che ho fatto. E questo è quanto» concluse con un lungo sospiro.
Irthen continuò a giocherellare con l’anello, senza osare alzare gli occhi su suo fratello. Dire che era confuso sarebbe stato riduttivo. Tutto ciò in cui aveva sempre creduto era crollato. Liam era un mago, lo era sempre stato e non ne aveva mai fatto parola. Perché? Era una cosa tanto terribile? Da non doverlo confessare nemmeno al suo unico fratello? Perché non si era fidato di lui? E Abby, poi! Abby uno stregone, Abby che aveva causato tutti quei problemi, e che l’aveva tradito, disposta a servirsi di lui come merce di scambio. Abby che aveva aiutato Liam a riportarlo indietro, ma che, tuttavia, non aveva rinunciato alla sua posizione. Abby che gli aveva mandato il suo anello. Che cosa si aspettava che facesse? Che scappasse di nuovo per andarla a cercare? Le lacrime premevano per uscire, ma non si sarebbe concesso il lusso di piangere. Non con gli occhi di Liam puntati addosso. Prese un respiro profondo.
«Ci sei?» domandò Liam.
La febbre gli faceva pulsare le tempie.
«Non so se ho capito bene…» rispose debolmente. «Sta per scoppiare una guerra, anzi, potremmo tranquillamente dire che è già scoppiata, e ci sono tre schieramenti: stregoni e draghi; elfi e Ruben; nani e Micael. Ci troviamo nel quartier generale di Ruben, dove Amina – maga anche lei – si è presa cura di me per settimane. Abby mi ha fregato, e Lukas – il bambino inquietante che potrebbe distruggere tutti in un secondo – è prigioniero dei cattivi. Fra i quali c’è, tra l’altro, una maga sosia di Syra, ma che non è lei. Ovvietà, dal momento che Syra è morta da dieci anni…» Liam deglutì a vuoto. «Tu mi hai indegnamente mentito per quindici anni, e adesso sei qui ad elemosinare il mio perdono e la mia comprensione. Mi sfugge qualcosa? Ah, sì!  Molto probabilmente moriremo tutti, e io non riuscirò nemmeno a salutare i miei amici. Oh, e quasi dimenticavo: non solo siamo tutti nella merda fin sopra i capelli, ma tu e i tuoi geniali amici superdotati non avete pensato di avvisare i poveri sfigati come me, senza potere alcuno, se non quando ormai è troppo tardi perfino per pregare! Sì, credo che ora il quadro sia sufficientemente completo» concluse, lanciando una teatrale occhiataccia a Liam, che abbassò lo sguardo e prese ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno all’indice.
Irthen si rese conto, non senza stupore, che era la prima volta che riusciva ad avere la meglio in una discussione con lui, la prima volta che riusciva a metterlo con le spalle al muro.
«Non ti difendi nemmeno?» insistette, per rompere il silenzio prolungato che lo metteva a disagio.
Liam scosse il capo lentamente.
«Niente da eccepire alla tua analisi, Ir. Hai ragione: sono uno stronzo e un fratello pessimo, Abigail è una opportunista e credimi se ti dico che so cosa si prova a sentirsi idioti davanti a lei, e molto probabilmente moriremo tutti. Perciò, se deciderai di andartene, o di unirti agli stregoni, non ti fermerò. Ho perso ogni diritto su di te.»
Irthen sgranò gli occhi. Erano lacrime quelle che brillavano negli occhi di suo fratello?
«Non…non mi fermeresti?» balbettò.
«No.»
«Non…ti interessa nulla, dunque, di me? Non ti interessa sapere dove sono, se sto bene, se…» la sua voce si perse, mentre la stretta dell’angoscia si faceva più forte.
Liam lo guardò storto.
«Non dire cazzate, Ir, la situazione è già abbastanza tragica così» sbottò.
«Ma è quello che hai appena detto!»
Liam sorrise e gli spettinò i capelli.
«Sei mio fratello, puoi davvero pensare che non mi interessi? Volevo solo dire che…che mi rendo conto di non essermi comportato nel modo migliore, nel modo in cui avrebbe dovuto comportarsi un fratello maggiore responsabile, e mi rendo anche conto che, per quanto possa averti sfruttato, il rapporto che si è instaurato tra te ed Abby non è stato mutuato dal mero inganno e dall’opportunismo di quella disgraziata. A testimonianza di questo sta l’anello che tieni tra le mani e il grosso aiuto che mi ha dato. Non sono la persona migliore per dirti che cosa è giusto e che cosa non è giusto fare, quindi se pensi di…volerla andare a cercare, oppure di voler tornare a casa…beh, non sono nelle condizioni di fermarti. Per quanto sarei disposto a dare la mia mano destra per tenerti qui.»
Irthen fu invaso da un’altra ondata di pianto represso. Non poteva farlo, non poteva sfogare la sua frustrazione su Liam, non si meritava tanto. E poi, da quand’era che nutriva sentimenti tanto feroci nei suoi confronti? Nel bene e nel male, Liam era sempre stato un esempio per lui, l’aveva cresciuto, gli aveva insegnato tutto quello che sapeva. Meritava davvero il suo risentimento?
«Puoi stare tranquillo, Li’. Non ho intenzione di tornare a Pothien, né di andare a cercarla. Abby è una nemica, e se tanto mi dà tanto presto dovremo cercare di ucciderla, giusto?» la sua voce si spezzò, ma non gli importava più granché.
Liam annuì.
«Per cui, non preoccuparti, resterò qui e cercherò di dare il mio contributo. Che almeno possa ripagare Amina e gli altri per le loro premure…»
Liam lo fissò poco persuaso, e Irthen non resistette all’impulso di tirargli i capelli.
«Ahi!»
«Fammi il favore, portami un bicchiere d’acqua, ti prego. Ho molta sete…»
Liam sorrise e si alzò, proprio mentre Amina si catapultava nella stanza, lanciando gridolini di gioia.
Irthen si sforzò di sembrare allegro. Dopotutto, se non fosse stato per Amina non sarebbe stato lì a respirare aria libera.
 
Ruben picchiò il pugno chiuso sul tavolo.
«Non ha nessuna importanza il fatto che abbiano subito più perdite gli orchi di noi! » strepitò. «Mentre ci occupiamo di tenere quegli esseri immondi lontano dalle nostre famiglie, Djalmat potrebbe arrivare indisturbato fino alla Piana di Thann, e da lì distruggerci tutti in un battito di ciglia. Possibile che non ve ne rendiate conto?»
Glenndois si massaggiò la fronte, esasperato.
«Ti prego di smetterla di gridare, Ruben. Te l’ho detto, io non posso fare niente per convincere gli Unicorni.»
Ruben scosse il capo.
«Cazzate, Glenn. Puoi fare molto più di ciò che stai attualmente facendo. Loro tengono in considerazione il tuo parere, potresti-»
«La diplomazia non mi consente di-»
«Non me ne faccio niente della diplomazia, a me serve la loro magia!»
Glenndois lo guardò, gelido.
«Sei qui per litigare? Oppure hai anche un fine più costruttivo?»
Ruben si passò le mani tra i capelli corti.
«Non voglio litigare con te. Non è produttivo. Ma voglio essere certo che tu non abbia sottovalutato il mio avvertimento.»
Gli occhi neri del Governatore lampeggiarono.
«Te lo ripeterò un’ultima volta, Ruben: non ho autorità sugli Unicorni, non l’ho mai avuta, non la ho oggi e non l’avrò mai. Non posso in nessun modo costringerli ad intervenire. Hai solo perso il tuo tempo venendo qui.»
Il mago si sforzò di mostrare un sorriso conciliante.
«Suvvia, Glenn, questo non è vero! Ho messo i miei preziosi alleati al corrente dei piani dei draghi, e ho avuto la certezza che il messaggio abbia raggiungo anche Lumia. Se, come dice Jonna, Djalmat ci sta tenendo occupati per spostare il suo popolo a Cyanor senza dare nell’occhio, siamo tutti in grave pericolo. In una posizione tanto centrale potrebbe tenerci tutti in scacco senza difficoltà.»
Glenndois annuì.
«Sono due giorni che me lo ripeti. Voi umani dopo la cinquantina iniziate a perdere colpi, o sbaglio?»
Ruben ghignò.
«I miei uomini sono pronti, Ben. Tuttavia, preferirei evitare di mandarteli a Natìm, per il momento: metterebbe in difficoltà te, e lascerebbe indifese le nostre città.»
«So che sarai il primo ad accorrere, in caso di necessità.»
Ruben si congedò dall’elfo con un filo di apprensione.
Come aveva previsto, gli Unicorni non si erano mostrati più accomodanti nei suoi confronti dal loro ultimo incontro, e insistevano nel dichiararsi neutrali. Di positivo c’era il fatto che Konstantin, con la sua attitudine all’empatia, era riuscito ad instaurare un seppur fragile rapporto. Aveva dimostrato di conoscere la loro gerarchia, di comprendere la loro posizione, ed era stato capace di mettere a frutto i propri poteri legati alla Terra per comunicare con loro su un livello sensoriale che a Ruben era precluso. E avevano accettato di curarlo. Per tutti questi motivi, il loro viaggio non era stato tempo perso.
«Pronto a rientrare, Stan?» domandò avvicinandosi al mago che si stava congedando dall’elfo che l’aveva ospitato per due giorni.
«Pronto, Ben» rispose.
Konstantin ruotò il braccio destro e sorrise soddisfatto.
«Sono stati molto generosi, con me» aggiunse.
Ruben lo osservò con attenzione.
«Non mi piace il tuo sguardo, è quello di quando stai macchinando qualcosa.»
Stan scoppiò a ridere.
«Allora? Che ti frulla in quella testaccia piena di rampicanti?» insistette.
Il mago tornò serio e prese un respiro profondo.
«Parlando con gli Unicorni, mi sono reso conto che il loro potere è grande abbastanza da permettere loro di restarsene in disparte, e pure essere perfettamente aggiornati su ciò che accade nella Terra dei Tuoni. E, anche se in misura minore, possono permetterselo anche gli elfi. Ma noi non abbiamo questa recettività, e da quando abbiamo richiamato i nostri informatori siamo diventati come ciechi. Che cosa sta succedendo a Torat, per esempio? Dal rientro di Jim e dei suoi uomini non sappiamo più nulla. Rowena dice che gli orchi assediano la città, ma non possiamo permetterci di dipendere dai nostri alleati per questo tipo di informazioni… E i nani? Perché si trovavano nella Terra dei Draghi? Non amano lasciare le loro montagne, per essersi spinti tanto a Sud devono avere avuto un buon motivo…o un buon incentivo! Capisci cosa intendo?»
Ruben lo squadrò.
«Dove vuoi arrivare?» domandò inquieto.
«Le rovine di Cyanor si trovano in un punto strategico. È centrale rispetto al Lago di Nebbia, a Torat, al Reame dei Nani, alla Terra dei Draghi, agli insediamenti degli elfi, a tutto! Voglio andare là.»
«A che pro? Ti rendi conto di quello che stai dicendo?» insistette Ruben, faticando a controllare la voce.
Konstantin sospirò e il Maestro riconobbe chiaramente nei suoi occhi i segni di quell’eccitazione che era tanto bravo a camuffare.
«Terra, Acqua e Aria. Sono i mezzi di cui tre maghi potenti possono fare uso per tenere sotto controllo la situazione.»
Ruben scosse il capo.
«Non se ne parla. Le rovine della città, così come l’intera Piana, brulicano di orchi.»
«Ci sono zone del Palazzo sigillate con la magia, ricordi? Possiamo sfruttarle.»
«No, Stan, è una follia! Sei impazzito, per caso?!»
Konstantin si rabbuiò ma il suo sguardo determinato non vacillò.
«Senti, parliamone a Natìm, va bene?»
Stan annuì, riluttante, e Ruben sospirò. Sapeva che non sarebbe stata una cosa da niente riunire l’intero consiglio, ma per quanto detestasse riconoscerlo con sé stesso il piano di Konstantin poteva funzionare.
 
Nel corso della giornata la febbre continuò a scendere, e Irthen iniziava a stare meglio. Nonostante non fosse riuscito ad alzarsi e avesse mangiato poco, Amina diceva che era tutto a posto e che presto sarebbe tornato in ottima forma, e a Liam tanto bastava. Anche se, notava, suo fratello sembrava lievemente artefatto. Cosa incredibile e inquietante se riferita ad Irthen, che era sempre stato limpido come l’acqua di un torrente. Una parte di lui si augurava che fosse semplicemente arrabbiato per essere stato tenuto allo scuro di tutto, e che non avesse nulla a che fare con Abigail.
Al calare della sera, Ruben e Konstantin erano rientrati alla base, ma non si erano fatti vedere. Voci di corridoio dicevano che con gli Unicorni non si fosse concluso niente, e che la spalla ferita di Stan fosse stata sanata. Liam non faticava a crederlo.
Jonna non si era più fatta vedere, e lui non aveva potuto fare a meno di congetturare sulla natura della sua presenza a Natìm. O, pensando ancora più in grande, della sua presenza accanto a Ruben. E poi c’erano delle cose che non gli tornavano: prima di tutto, stando al racconto di Mina, doveva aver vissuto a Madian, eppure il suo accento era molto diverso da quello di Amina e di Aqua, che pure erano originarie di quella città; in secondo luogo, perché poteva percepire i piani del Re dei draghi? Possibile che nessuno a parte loro lo sapesse?; e come aveva fatto a sopravvivere ad uno scontro diretto con Djalmat?; e poi non aveva nessun senso che Ruben l’avesse tenuta reclusa ad Anànvola per più di un anno, in primis perché là risiedeva uno stregone, in secondo luogo perché al posto suo, lui, per averla sotto controllo se la sarebbe tenuta stretta. E poi c’era qualcosa in lei che non gli piaceva per niente… Si domandò se ci fosse possibilità di indagare, in qualche modo, sulla donna del Maestro, ma si rendeva perfettamente conto che sarebbe stato estremamente rischioso. Senza contare che era alta la probabilità che nessuno ne sapesse niente. Amina, infatti, aveva detto anche che le informazioni in merito erano strettamente riservate. La parte più orgogliosa e autolesionista di lui ripeteva che l’unico modo di capirci qualcosa era cercare di conoscerla, l’istinto di auto conservazione si opponeva fermamente.
Concluse che fosse meglio dormirci sopra. Dopotutto era stanco, aveva una giornata pesante alle spalle, e se anche avesse pensato di presentarsi da lei sarebbe stato indubbiamente più costruttivo farlo con la luce del giorno.
 
Amina sedeva in disparte e osservava. Dopo una notte di buon sonno, Irthen era finalmente riuscito ad alzarsi e mangiava con appetito lo stufato che Chloé gli aveva preparato. Tra un boccone e l’altro, subissava suo fratello di domande. Lo osservò con attenzione. Dal punto di vista medico, sembrava stare alla perfezione: l’incarnato era buono, gli occhi solo leggermente lucidi, non aveva perso peso. Il sonno magico delle sirene era qualcosa di incredibile, anche agli occhi di un mago. Rimuovendo il filtro della guaritrice, però, Amina riusciva a vedere su di lui i segni della sua avventura. Li vedeva nei lineamenti più spigolosi, nei capelli più lunghi e disordinati, nei movimenti più coordinati. Qualcosa nel nuovo Irthen le ricordava tremendamente Liam, forse gli zigomi alti, oppure il taglio delle labbra.
“Gli Dei non vogliano”, pensò, ridacchiando tra sé.
Liam le lanciò un’occhiata sospettosa, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al fratellino.
Amina sospirò. Non si sentiva tranquilla, l’arrivo di Jonna le aveva messo più apprensione del previsto. Non che avesse mai avuto motivo di dubitare di lei, aveva persino acconsentito a tentare di intervenire sulla temperatura corporea di Irthen, ma…qualcosa di lei la inquietava profondamente. Il suo sguardo era sempre troppo freddo, il suo atteggiamento troppo distante. Nonostante le sue capacità empatiche, Amina non era mai riuscita ad entrare, anche minimamente, in relazione con lei. Possibile che Ruben ne fosse davvero innamorato? Era bella, certo, e il suo potere poteva essere spaventosamente utile, ma… Avrebbe tanto voluto poterne parlare con Stan, ma non osava cercarlo. Di certo non poteva pensare di condividere le proprie preoccupazioni con Liam, era troppo impulsivo, nelle reazioni come nei giudizi, e poi sarebbe stata utopia pura sperare di ottenere un parere obiettivo su una bella donna da uno come lui. Aveva più ormoni che buon senso.
«Mina» Chloé le sventolava una mano davanti al viso. «Sei tra noi?»
«Sì, scusami. Ero tra le nuvole. Mi hai chiesto qualcosa?»
«Ho bisogno di maggiorana. Ne hai, per caso, nel tuo orto?»
«Sì, certamente. Seguimi» disse alzandosi precedendola fuori dalla stanza.
Camminarono per un po’ in silenzio,  i corridoi del palazzo erano stranamente deserti. Dalle finestre entrava una luce grigia, il cielo minacciava pioggia.
«Che cosa c’è che non va, Mina?» domandò improvvisamente Chloé.
«P-prego?» balbettò, colta alla sprovvista.
Chloé la prese sotto braccio con fare cospiratore.
«Coraggio, a me puoi dirlo! So riconoscere una persona inquieta quando ne vedo una. E tu sembri proprio un cervo braccato…»
Amina la guardò con gli occhi sgranati, indecisa se ridere o se scappare a gambe levate.
In effetti, poteva non essere una cattiva idea, chiedere un parere a Chloé: era intelligente, pratica, affidabile; era la migliore amica di Liam e la compagna di James; Ruben la riteneva affidabile…
«Allora?» incalzò. «È colpa di Liam?»
La maga sorrise.
«Liam ha sempre qualche colpa, ma questa volta non è lui a farmi perdere il sonno» si guardò attorno, alla ricerca di eventuali ascoltatori sgraditi.
Poi attirò la bionda ancora più vicino e sussurrò:
«Hai già incontrato Jonna del Fuoco?»
Chloé si rabbuiò.
«La principessa delle nevi? Sì, credo di essere un po’ invidiosa di lei» ghignò.
«Non mi risulta che Jim l’abbia mai apprezzata più di quanto non la apprezzi io.»
«E tu non la apprezzi?»
Amina si scostò la frangia troppo lunga dagli occhi.
«Non lo so, mi spaventa, forse. È sempre così fredda, così distaccata…sembra che nemmeno provi sentimenti! Non riesco a farmela piacere. Tu che cosa ne pensi di lei?»
Chloé si fece pensierosa.
«Non lo so, Mina. Non la conosco granché, l’ho incontrata solo un paio di volte. Vorrei poterla studiare meglio prima di pronunciarmi.»
Amina annuì, per nulla rincuorata.
«Sì, hai ragione.»
La bionda sorrise e le diede un pizzicotto sulla guancia.
«Su, tesoro, non fare quel musino triste! Sono certa che Ruben non sia così sciocco da farsi irretire da due belle tette.»
Amina scoppiò a ridere e prese un respiro profondo. Chloé aveva ragione, doveva avere fiducia nel Maestro.
 
Al suo ritorno, Chloé chiuse la porta e vi si appoggiò.
«Posso parlarti, Li’?»
Liam la guardò per un lungo momento prima di rispondere.
«A meno che non si tratti di qualcosa di scabroso, voglio rendere partecipe anche Ir.»
Irthen alzò le sopraciglia con aria incredula.
«Fa parte del mio programma di riabilitazione» spiegò Liam con un’alzata di spalle.
Tutt’altro che persuasa che fosse una buona idea, Chloé squadrò il ragazzo.
«Se una parola soltanto uscirà da questa stanza, tesoro…» cominciò.
«Lo so, lo so. Sarai costretta ad uccidermi» concluse Irthen agitando una mano con noncuranza.
«Nel modo più atroce» specificò. «Beh, si tratta di Amina. Mi ha chiesto cosa ne penso di Jonna del Fuoco. È stata sul vago, ma credo non si fidi di lei.»
Liam prese a giocherellare con una ciocca di capelli.
«E tu cosa le hai risposto?»
«Che non la conosco abbastanza da potermi fare un’opinione.»
Liam annuì e non commentò, lasciando la bionda perplessa. Non era da lui mostrare così poco entusiasmo per la problematica, doveva esserci qualcosa sotto.
«Dunque?» domandò.
«Dunque, cosa?» ribatté Liam.
«Sai, credo che la biondina voglia un tuo parere sulla questione» intervenne Irthen, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di entrambi.
«Voi due iniziate ad assomigliarvi in modo inquietante» gemette Chloé.
«Ma come faccio a darvi un parere, scusa? Sono quello che l’ha vista meno di tutti!» sbottò il mago.
Chloé si massaggiò le tempie, sempre più irritata.
«O ti sei completamente rincitrullito, Li’, oppure c’è qualcosa che non vuoi dirmi.»
«Che assurdità!»
Chloé ghignò. Non che avesse motivo di stare allegra, perché il solo pensiero che potesse esserci qualcosa che Liam aveva deciso di non condividere con lei la mandava su tutte le furie… Sperava, però, di riuscire a metterlo abbastanza a disagio da farlo confessare. Così disse:
«Prima di tutto, è inverosimile che tu non sia meravigliato quanto me del fatto che Amina si sia pronunciata negativamente su qualcuno, e qualcuno tanto vicino al capo, per di più… In secondo luogo, la tua apatia è notoriamente sintomo del lavorio delle rotelline nella tua testa di rapa.»
«Anche questa, adesso…» sbuffò il mago.
«Ma non mi inganni, tesoro, non me! Perciò, se vuoi farti desiderare hai sbagliato persona!» sibilò, ostentando tutta la sicurezza che era ben lungi dall’avere.
«Non fare la bambina, Clo. Non ti sembra di esagerare?»
Chloé spostò lo sguardo su Irthen in cerca di sostegno, ma il ragazzo fissava il fratello, sbigottito. Soffocando un’imprecazione e pestando i piedi per la frustrazione, si sforzò di tenere un portamento altezzoso e uscì dalla stanza. Ma se c’era qualcosa sotto, l’avrebbe scoperto. Oh, sì…
 
Quando la porta si chiuse alle spalle di Chloé, Liam sentì defluire la tensione e prese un respiro profondo.
«Cavoli, Li’! Non ti ho mai visto litigare con Clo» mormorò Irthen.
Liam ghignò.
«Litigare con Clo è estremamente stancante. E nella stragrande maggioranza dei casi vince lei.»
«Credo che abbia ragione. Non so perché, ma credo che sia vero che stai nascondendo qualcosa» disse Irthen.
Liam lo guardò, sorpreso.
«E tu che ne sai?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«Ci ho fatto il callo, ai bugiardi» disse con un sorriso amaro.
«Sembra che tu sia improvvisamente diventato saggio…d’accordo, allora ascoltami bene.»
«No, no, frena, aspetta: vorresti dire a me quello che hai rifiutato di dire a lei?!» esclamò.
«Ti dispiace?» domandò Liam, chiedendosi per l’ennesima volta se fosse la scelta sbagliata.
«Starai scherzando!»
«OK, allora fai silenzio e ascolta: quello che ha detto Mina è solo una sgradevole conferma della mia prima impressione, ma non ho intenzione di dirlo a Clo, né alla stessa Mina, né a nessun altro a parte te. Questo perché non ho nessun motivo concreto per diffidare di questa Jonna, se non la sua odiosa supponenza, e non mi sembra una buona idea invischiare altre persone nelle mie supposizioni. Inoltre, essendo l’attuale compagna di Ruben, non posso permettermi di indagare troppo apertamente…mi capisci?»
Irthen annuì.
«Quindi cosa intendi fare?»
«Non lo so. Per il momento niente di più che cercare di conoscerla. E non sarà facile, senza cedere all’istinto di ammazzarla.»
«Perché me lo stai dicendo?» domandò Irthen.
Liam sorrise.
«Te l’ho detto, fa parte del mio programma di riabilitazione. Sei mio fratello, voglio che tu sia mio alleato. Ma questo comporta metterti in pericolo, e comporta anche obbligarti a tenere queste confidenze per te. Ma, detto fra noi, se sei sopravvissuto ad Abigail, dovresti riuscire a sopportare anche me.»
Irthen scoppiò a ridere.
«Grazie della fiducia.»
«Tieni occhi e orecchie aperte. Magari potrebbe capitarti di sentire qualcosa di interessante su di lei. Io approfitterò della scusa di ringraziarla di averti aiutato per parlarle.»
Il ragazzo annuì.
«Credi che possa essere una specie di spia? Di infiltrato che passa informazioni al nemico?»
«”Spia” forse è un po’ pretenzioso come termine. Però tutta la strategia del Maestro si basa sulle sue percezioni, quindi credo che sarebbe interessante approfondirne la natura.»
Irthen annuì ancora.
«Vai, allora! Sono curioso!»
Liam scoppiò a ridere.
«Stai cercando di cacciarmi via? Aspetti qualcuno per caso?»
Il ragazzo si rabbuiò.
«Tutte le persone alle quali voglio bene si trovano dall’altra parte della Terra dei Tuoni» mormorò.
«Mi dispiace, Ir. Con un po’ di fortuna, forse, avremo salva la vita, e potremo tornare a casa.»
 
Percorrendo i corridoi avvolti nella penombra, Liam non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi di suo fratello. Quello sguardo tormentato non gli si addiceva, non era il suo. E avrebbe dato qualunque cosa pur di strapparlo via…
Con l’aiuto di Yu, raggiunse facilmente l’ala dell’edificio in cui soggiornava Jonna, e, in attesa che la cameriera ricomparisse dopo averlo annunciato, si strofinò le mani fastidiosamente sudate sulle braghe.
“Va bene, bellezza…vediamo chi di noi ha più segue freddo” si disse imponendosi respiri profondi.
Deglutì, mentre due serie di passi si avvicinavano alla porta chiusa.



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Aggiornamento a sopresa (per me) XD
 

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Capitolo 43
*** Jonna ***


La porta si aprì sul sorriso incerto di Yu.
«Prego, Liam» disse, facendogli segno di entrare.
Indispettito all’idea di dover trattare con una qualunque maga come fosse stata la regina dell’intera Terra dei Tuoni, Liam si impose di non dare in escandescenze. Se voleva scoprire qualcosa non poteva inimicarsela subito.
«È permesso?» domandò, facendosi avanti.
Sentì la porta richiudersi alle sue spalle e si guardò intorno, abbagliato dalla luce che entrava dall’immensa portafinestra. Un soffio d’aria gelida entrò dal vetro aperto e gli strappò un brivido.
«Non dirmi che hai freddo, Liam dell’Acqua.»
Liam si volse di scatto, reprimendo un nuovo moto di stizza. La maga se ne stava in piedi alle sue spalle, ghignando dell’aria stupita che doveva evidentemente esserglisi dipinta in volto.
«Sì, ho freddo. Non credo ci sia niente di male» rispose sforzandosi di non suonare sgarbato.
Anziché chiudere la finestra, però, la ragazza se ne rimase immobile, rigida come uno stoccafisso, con quell’aria di superiorità incollata addosso.
«Porto del tè?» domandò Yu.
«No, grazie. L’ospite non si tratterrà molto» rispose Jonna senza scomporsi.
Il tono freddo riusciva a risaltare ancora di più accanto alla cortese premura caratteristica della cameriera. Per una frazione di secondo, Liam si domandò se Ruben fosse tanto masochista da preferire un cubetto di ghiaccio gelido e spigoloso come quello al tepore che Yu trasmetteva con la sua sola presenza.
“In guardia, mago, è pur sempre un elemento fuoco…ci sarà pur una fregatura da qualche parte”.
«Puoi andare» aggiunse Jonna.
Yu si inchinò e li lasciò soli.
«Allora, mio inaspettato ospite…sembra che verrà a piovere. Immagino che la cosa ti rallegri.»
Liam rimase per un momento perplesso. Dove voleva andare a parare?
«Veramente non troppo, dal momento che avevo intenzione di uscire a cavallo prima di sera» rispose.
«Perché sei qui?» domandò, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la portafinestra.
Disattendendo ogni speranza del mago, non la chiuse, anzi, la spalancò e uscì sul balcone. Convinto che se l’avesse seguita gli sarebbe venuta la polmonite, si tenne a debita distanza.
«Volevo ringraziarti per quello che hai fatto per mio fratello. Sai, ieri non ero molto lucido, mi sono reso conto di non essermi comportato in modo molto educato. Così sono venuto qui, per conoscere la persona che ci ha tanto generosamente offerto il suo aiuto.»
Jonna lo ignorò completamente. Forse era un po’ sorda? Oppure era semplicemente maleducata?
«Ehm…Jonna?» tentò.
«Sei noioso» sbuffò. «Oltre che falso e opportunista. Ma farò finta che tu voglia davvero mostrarti gentile nei miei confronti. Allora, caro Liam, come sta il tuo moribondo fratellino?»
Liam si rese conto di digrignare i denti quando la mandibola iniziò a fargli male.
«Sta bene, grazie» rispose faticosamente. «È ancora un po’ intontito, ma sta bene.»
«Allora dovresti tornare da lui.»
Rinunciando alle buone maniere, Liam fece un passo verso di lei.
«Lasciami dire una cosa, prima: sono venuto qui animato dalle migliori intenzioni, per esprimerti la mia gratitudine e per conoscere l’elemento più importante della compagnia, e tu mi tratti nel peggiore dei modi, senza alcuna ragione! Posso sapere per quale motivo ti comporti in questo modo?»
La ragazza continuò ad ignorarlo con la sua disinvoltura invidiabile.
«Jonna? Permetti un consiglio?» e continuò «Certo che lo permetti, che domanda idiota. Pretendi di ignorarmi, come se potessi veramente renderti impermeabile a tutto e tutti…Beh, io non sono di certo la persona migliore per dare consigli comportamentali, ma essere la compagna del capo non significa solo poter avere abiti belli e riverenze. Comporta anche degli obblighi, tanta diplomazia e altrettanta pazienza. Forse Ruben sopporta il tuo atteggiamento perché tiene a te, ma i suoi uomini non hanno nessun vincolo nei tuoi confronti, e credimi se ti dico che con tutta la tua spocchia riscuoterai ben poche approvazioni.»
Si interruppe. Le dita candide della maga stringevano convulsamente la balaustra e l’aria si era fatta improvvisamente tiepida.
«Ruben è una brava persona e un buon capo. Mi addolorerebbe sapere che la sua immagine è stata screditata dal comportamento della donna che gli sta accanto» concluse.
Si volse per andarsene, ma si bloccò quando con uno schiocco uno dei vetri si crepò.
Jonna si era voltata e lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure.
«Che vuoi fare, adesso? Uccidermi?» domandò Liam, tentando di mascherare il nervosismo.
Quello sguardo gelido non gli piaceva.
«Credi che non ne sarei in grado?» disse la ragazza.
Nonostante tutto in lei manifestasse tensione, il suo tono di voce rimase perfettamente stabile.
«Io sono sopravvissuta ad uno scontro diretto con Djalmat» aggiunse.
«O per lo meno, è ciò che sostieni» rispose Liam, sudando freddo e chiedendosi se avesse senso provocarla e se avrebbe davvero osato attaccarlo.
Jonna sbottò in una risata finta.
«Dici?» sibilò, sollevando una manica del vestito.
Liam rabbrividì. La pelle bianca del braccio sinistro era deturpata da una brutta cicatrice irregolare che si estendeva dal palmo della mano alla spalla.
«Questo è quello che mi è rimasto in ricordo di quel giorno. E mi ritengo fortunata, se l’ustione fosse stata poco più estesa sarei morta» sospirò e si lasciò cadere sulla poltrona. «Il fuoco di un drago è l’essenza stessa del mio elemento, ma proprio per questo esula dalla mia disponibilità. Curioso, no?»
Liam si sedette nella poltrona di fronte alla sua, elaborando le nuove informazioni.
«Tu non sei originaria di Madian, vero?» domandò addolcendo il tono. «Perché sei finita invischiata in quella brutta storia di Djalmat?»
«Vivevo là. Non credo che se un drago attaccasse Natìm domani, ti risparmierebbe solo perché non sei di qui.»
«E dopo quel giorno che hai fatto?»
Jonna si strinse nelle spalle.
«Ho atteso pazientemente che l’ustione guarisse. E ho giurato vendetta. Poi ho incontrato Ben, e ho deciso di abbracciare la sua causa.»
«Mettendo a disposizione i tuoi poteri? Mi hanno detto che hai come delle visioni, ma non ho capito come funzionano…» tentò cautamente.
La ragazza si irrigidì e si alzò in piedi.
«Questi non sono problemi tuoi!» disse.
L’aria tornò di colpo a farsi elettrica, nonostante i suoi occhi fossero ancora inespressivi. Liam la osservò attentamente, senza alzarsi. Non era come affatto come pensava, Jonna non era impermeabile a tutto, incapace di provare emozioni. Era semplicemente molto brava a nasconderle. Dietro a quella sua maschera di ghiaccio, però, bastava poco perché il fuoco divampasse, e qualche volta erano proprio i suoi poteri a tradirla.
«Che hai da fissare?» domandò, piantando le mani sui fianchi.
Il mago si trasse in piedi. Non era stata infruttuosa, come prima indagine.
«Hai dei bellissimi occhi, Jonna» disse con un ghigno.
Jonna alzò un sopraciglio con aria scettica.
«Te ne stai andando?»
«Ti dispiace?»
«Mi stavo giusto chiedendo se non avessi qualche impegno improrogabile…»
Liam scoppiò a ridere.
«Rilassati, o ti verranno le rughe. Sarebbe un vero peccato» disse dirigendosi verso la porta. «Grazie della squisita ospitalità, Jonna del Fuoco. Tornerò a trovarti, non temere.»
«Mi trovi qui» rispose in tono di sfida.
Quando la porta fu chiusa, Liam trasse un lungo sospiro silenzioso. Si sentiva sfinito.
 
Il sole stava tramontando sul Lago di Nebbia. Chloé era riuscita a svignarsela dal quartier generale, con l’aiuto di James che la aveva offerto il pretesto per uscire indisturbata. L’atteggiamento apatico di Liam ancora le bruciava, e non tanto perché il mago l’aveva estromessa dai propri pensieri, quanto perché sapeva bene che quel genere di comportamento era sintomo di qualcosa che lei non poteva capire. Qualcosa che la testolina malata del suo amico stava macinando, e che lo spingeva a chiudersi in sé stesso, in attesa di un’illuminazione. Non era certo la prima volta che capitava, ed ogni volta era andata a finire nello stesso modo: quando ormai Chloé aveva gettato la spugna, Liam aveva vuotato il sacco. Se la ricordava ancora bene la nascita di Irthen…
 
Era una notte serena, ma il freddo pungeva già le guance. Erano i primi giorni di ottobre. Chloé batteva il piedino calzato degli stivali nuovi, impaziente. Quel cosetto ci stava mettendo troppo a nascere, per i suoi gusti. Guardò le stelle, consapevole del fatto che aspettavano da prima che il sole tramontasse. Avrebbe tanto voluto assistere, ma sua madre “Assolutamente no, biondina, sono cose da grandi, queste!” aveva detto.
Si stropicciò gli occhi con uno sbadiglio.
«Puoi andare a letto, se vuoi» biascicò Liam, dopo aver emulato il suo sbadiglio.
La bambina si sedette sulla terra fredda vicino a lui e gli posò la testa sulla spalla. Si accoccolò di più contro il suo fianco, cercando di attingere al suo calore. Liam si irrigidì un secondo, poi si rilassò e sbadigliò di nuovo.
«Spero che sia una femmina. Così non ruberà le mie cose» mormorò.
«Chissà come sarà…» rispose la bambina. «Magari ti assomiglierà, Li’…magari avrà gli occhi scuri scuri come i tuoi.»
Il bambino si strinse nelle spalle.
«Non hai l’aria felice, Li’» disse Chloé ritraendosi e guardandolo imbronciata. «E non ignorarmi! Non mi piace quando mi ignori!» aggiunse assestandogli un pizzicotto.
«Ahi!» si lamentò Liam massaggiandosi il braccio dolente.
Chloé lo guardò minacciosa per qualche secondo, pensando a che cosa dire per scuoterlo. Non era normale che se ne stesse lì, buono buono, in attesa di un evento che gli avrebbe cambiato la vita per sempre.
«Cosa c’è che non va? Hai il mal di pancia?»
«Smettila, Clo! Lasciami in pace! Non ho niente.»
«Sei un brutto antipatico, Liam. Io sono preoccupata per te, e a te non interessa niente…» mormorò con il magone.
Liam si strofinò gli occhi asciutti.
«Non è vero» disse.
«Allora perché non dici niente?»
«Non ho niente da dire» tagliò corto.
La notte sembrava infinita, ogni momento scandito dalle grida di Naìba e dalle parole sommesse della levatrice. Poi, improvvisamente un grido più acuto. I due bambini balzarono in piedi e Liam cercò istintivamente la mano di Chloé. Restarono con il fiato sospeso un’eternità, prima che il pianto di un neonato riempisse la notte.
«Oh, Dei, grazie!» gridò Chloé, saltando di gioia con il peso morto di Liam ancora per mano.
«Li’? Non sei contento?» domandò perplessa.
«Credi che resterà come prima?»
Chloé lo guardò senza capire.
«Che cosa?»
«Tutto» rispose con un’alzata di spalle. «Insomma, che…la mamma mi rimboccherà ancora le coperte, e che papà mi porterà nei boschi, e…e tu.»
«Ma certo! Che domanda strana, perché non dovrebbero?!»
Liam sorrise, e tutto il malumore di colpo scomparve.
 
Chloé sorrise tra sé al ricordo di quella notte. Erano già passati quasi sedici anni, eppure ricordava tutto così bene. Sospirò. Liam era sempre stato così, munito di un sistema di autodifesa che lo portava a sigillare tutto quello che riteneva un pericolo potenziale per sé e per le persone che amava. Anche dopo il Consiglio di Effort aveva subito uno di quegli attacchi di mutismo. Si era presentato a casa sua in piena notte. Pioveva a dirotto ed era bagnato fradicio. Le ci vollero ore per tirargli fuori poche parole, giorni per fargli raccontare di come si era dichiarato neutrale e disinteressato alle logiche delle alleanze.
“Perché?” gli aveva chiesto, incredula.
“Non voglio dover rischiare la vita per la causa di qualcun altro. Se devo morire, foglio farlo difendendo la mia famiglia e la casa in cui sono nato”.
Poche parole, ancora una volta, per non cedere, per non dare libero sfogo all’uragano che gli infuriava dentro.
Sospirò di nuovo. Il sole ormai era scomparso e il molo era avvolto nell’ombra.
«Sta bene, Li’» sussurrò alla risacca. «Se vuoi lasciarmi fuori devi avere i tuoi motivi. Sta bene, basta che non ti faccia ammazzare per colpa di quella donna…»
 
Irthen si svegliò, ma tenne gli occhi ermeticamente chiusi, del tutto deciso a riaddormentarsi. Attraverso le palpebre, la luce del nuovo giorno che entrava dalla finestra gli dava fastidio. Forse, avrebbe dovuto tirare la tenda prima di andare a dormire.
Da quando si era risvegliato, due giorni prima, Amina non gli aveva ancora permesso di lasciare quella stanza. La febbre alta l’aveva tormentato per giorni, diceva, ed era meglio che riposasse ancora un po’. Ma nei lunghi momenti in cui nessuno poteva restare a fargli compagnia, tutti impegnati com’erano a preparare la guerra, i pensieri negativi lo ossessionavano. Non riusciva a fare a meno di domandarsi se non fosse tutto un sogno, un incubo assurdo in cui ogni cosa era stata invertita. Liam un mago, da non crederci! Era sembrato tanto dispiaciuto di non avergli mai confessato la verità, che Irthen non aveva avuto il cuore di sfogare tutta la sua rabbia e la sua delusione. Come avrebbe potuto, con un fratello distrutto davanti? Ma questo non significava che  avesse accolto le rivelazioni a cuor leggero. Tutti quegli anni di menzogne…solo al pensiero gli girava la testa. Come gli girava all’idea di essersi lasciato fregare da Abby. Nonostante l’istinto l’avesse messo in guardia da lei, aveva scelto di fidarsi ciecamente, di fidarsi di uno stregone! Pazzesco, aveva preteso di accompagnare uno stregone alla Cascata del Potere. Aveva addirittura pensato che avrebbero potuto stare insieme, che…e lei gli aveva addirittura fatto credere di essersi innamorata di lui! Una cento-e-qualcosa-enne! Che cosa imbarazzante.
“Sei ingiusto, bello”, si disse. “Lei te l’ha detto in tutti i modi possibili di starle alla larga, finché avevi le gambe buone per farlo”.
Vero anche quello. Come vero era quel cavolo di anello che ora faceva bella mostra di sé al suo mignolo destro. L’anello di quello strano metallo chiamato Tibunda e con incastonata la pietra Buio, quella che non riflette la luce e che dovrebbe portare fortuna. L’anello che il padre di Abby le aveva regalato in occasione del suo ingresso nella maggiore età, lo stesso padre che era poi finito massacrato pochi anni dopo.
Deglutì. Il pensiero della sua assenza gli faceva male in un modo strano, in un modo nuovo. Non si era mai soffermato più del dovuto sulla natura dei sentimenti che nutriva per lei, e non sapeva dire se fosse una cosa buona oppure no. E se anche razionalmente si rendeva conto di quanto gli fosse andata bene separandosi da lei prima di finirci irrimediabilmente invischiato, come in quella cavolo di palude in cui era caduto come una pera matura, questo non gli impediva di rimuginare su quanto gli mancasse e su quanto volentieri avrebbe sentito la sua voce di velluto.
Doveva ringraziare Liam e gli Dei tutti, perché se suo fratello non fosse giunto in tempo gli equilibri della guerra avrebbero potuto essere ben diversi.
Quanti casini erano successi unicamente per colpa sua. Che cosa avrebbe potuto fare per riparare? Arruolarsi con Ruben, ovvio. Liam gli aveva detto che non avrebbe interferito nella sua decisione, ogni quale strada avesse imboccato, e se una parte di lui desiderava tornare a Pothien e stare accanto ai suoi amici e alla bella Amanda – quanta fatica faceva a ricostruire i suoi lineamenti! – nel momento del pericolo, un’altra parte si struggeva al pensiero di Abigail, dei suoi occhi verdi, del naso a patata e delle treccine che le incorniciavano il bel viso scuro. Ad essere del tutto onesti, anche delle sue tette.
“Cavolo, Ir, stai diventando peggio di tuo fratello!” si disse.
Ad ogni modo, questi erano i motivi per cui preferiva occupare il tempo dormendo. Troppe paranoie, da sveglio.
La porta si aprì con un cigolio, e per una frazione di secondo Irthen valutò l’idea di fingersi addormentato. Ma il profumo del brodo di carne lo convinse ad aprire gli occhi. Una ragazza con i capelli scuri raccolti in una crocchia e un grembiulino immacolato stava posando un vassoio di cibo sul tavolo.
«Chi sei?» domandò, incapace di trattenere la curiosità.
La ragazza sobbalzò e si portò una mano al petto.
«Oh, Dei, che spavento! Perdonami, credevo dormissi. Il mio nome è Yu, sono la cameriera del Maestro. Amina è impegnata, così sono stata incaricata di occuparmi del tuo pranzo.»
«Oh» commentò Irthen. «Ha un buon profumo.»
«Speriamo abbia anche un buon sapore. Vuoi mangiare a letto, oppure preferisci alzarti?» domandò gentilmente Yu.
«Mi alzo, grazie.»
Irthen si lasciò scivolare giù dal letto e barcollò. La cameriera gli passò prontamente un braccio attorno alla vita e lo aiutò a raggiungere il tavolo. Quando fu seduto comodo sulla sedia imbottita dovette sforzarsi per frenare l’impulso di affondare la faccia nel piatto.
«Posso fare qualcos’altro, per te?» domandò la ragazza con un sorriso cortese.
Irthen ci rifletté. In un primo momento aveva pensato di chiedere una fetta gigante di torta di mele, ma si era subito reso conto che, in realtà, c’era qualcosa di cui aveva decisamente più bisogno.
«Fammi compagnia, ti prego. Questa stanza è così fredda quando tutti se ne vanno e resto solo io…»
Yu gli versò un bicchiere d’acqua.
«Va bene, Irthen. Di certo, ora che Ruben ha riguadagnato la compagnia della sua amata non avrà più tanto bisogno della mia presenza.»
La sua voce prese una sfumatura amara, e Irthen si domandò se potesse essere gelosa del suo padrone.
«Ad ogni modo, ho sentito Mina dire a Liam che sei pronto a lasciare la tua stanza» concluse.
Il ragazzo si illuminò.
«Davvero?» esclamò, rischiando di rovesciarsi addosso il brodo caldo.
Yu annuì.
«Proprio questa mattina!»
«Posso chiederti che ore sono?» domandò, colto da un improvviso dubbio.
«Beh, ora di pranzo, ormai. Ma non preoccuparti, non c’è fretta e avevi bisogno di recuperare le energie. Questo pomeriggio avrai modo di cominciare a conoscere qualcuno.»
Irthen finì con calma di mangiare, e prima che la cameriera se ne andasse con il vassoio tra le braccia, disse:
«Grazie della compagnia, Yu. Tornerai?»
La ragazza sorrise.
«Magari questa sera. Come ti dicevo, con molta probabilità avrò parecchio tempo libero in questi giorni. Quindi…perché no?»
Se ne andò lasciando Irthen solo, ma rincuorato.
Poco dopo arrivò Liam, e gli disse di prepararsi. Ruben aveva riunito il Consiglio, richiamando addirittura i maghi che si trovavano al fronte. Doveva esserci sotto qualcosa di grosso, ed erano tutti convocati, Irthen incluso. E mentre tentava di rendersi presentabile – invano, i capelli gli erano cresciuti troppo, e non ne volevano sapere di stare al loro posto – Liam riportò il colloquio con Jonna.
«Uhm, simpatica la ragazza» commentò, infilandosi gli stivali. «È così anche Ruben?»
Liam scosse il capo.
«No, non lo è. Ruben è un concentrato di diplomazia. Sei pronto?»
Irthen annuì. Gli riusciva ancora difficile crederlo: stava per attraversare il quartier generale di una congregazione di maghi, a Natìm, diretto ad una riunione alla quale era stato espressamente invitato, e alla quale avrebbero partecipato decine di maghi, quegli stessi maghi che tenevano tra le mani la storia.
 
Liam disapprovava. Disapprovava nel più totale dei modi quella riunione generale.
Tutti compressi nella sala riunioni di Ruben, aspettavano l’arrivo di Jonna, l’unica, splendida, ritardataria. E in quel momento, Liam l’avrebbe annegata, eccome! Sepolta sotto miglia e miglia di acqua. Irthen gli diede di gomito, e lui lo guardò con aria interrogativa.
«Hai lo sguardo assassino» spiegò suo fratello con quella sua semplicità disarmante.
Persino Aqua aveva avuto la decenza di presentarsi puntuale. Persino chi era dislocato qua e là sulle linee di combattimento era arrivato per tempo, elfi inclusi, e quella bisbetica platinata dov’era?
Anche quella cosa del “tutti presenti” gli dava sui nervi. Trovava immensamente inutile e dispendioso aver fatto rientrare tutti i maghi. Non solo avevano obbligato persone già provate da numerose battaglie ad affrontare un viaggio disagevole, ma avevano abbandonato a loro stessi gli uomini che le città alleate avevano offerto loro. Uomini completamente privi di poteri magici, e spesso anche del benché minimo rudimento in fatto di combattimento, che si trovavano senza preavviso ad affrontare i loro peggiori incubi: orchi, orchetti e draghi. Ne valeva la pena? Valeva la pena di “tutto” per una maledetta riunione?!
«Anche secondo me, Li’» disse Irthen, sempre senza scomporsi.
«Che cosa?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«Questa riunione è una cazzata inutile.»
Liam sbatté le palpebre.
«Come cavolo fai tu-»
Si interruppe. La regina delle nevi stava facendo il suo ingresso in sala, e il brusio si spense.
«Ce l’hai stampato in fronte» sussurrò Irthen con un sorrisino.
Il mago distolse lo sguardo. Chi era quel mostro di acume che gli sedeva accanto? Dov’era finito l’immaturo, ingenuo Irthen? Quello che non faceva niente senza i suoi amici e che non mangiava verdura? Dei, Abigail, gli aveva fatto davvero male.
Quella nuova versione di suo fratello lo inquietava. Era innaturale la sua maturazione, troppo improvvisa. Oppure, aveva solo avuto bisogno di spazio per scoprire l’adulto che era già lì, latente. Era rimasto strabiliato dal contegno che aveva tenuto quando gli erano stati presentati Ruben, James, Aqua, Debrina, Oliandro e tutte le altre persone che avevano desiderato conoscerlo. Non li aveva tempestati di domande, come Liam si era aspettato, non era sembrato un ragazzino spaesato. Ora se ne stava lì, a parlare in sussurri con Oliandro, seduto accanto a lui.
Ruben batté la mano sul tavolo e il silenzio divenne assoluto.
«Fate silenzio, signori, vi prego. Abbiamo tante cose da dirci e poco tempo per farlo» si schiarì la voce. «Prima di tutto voglio che mi sia chiarificata la situazione sulle due linee di combattimento. Oliandro?»
Oliandro si alzò in piedi e fissò gli occhi su Ruben.
«Non ci sono state grandi svolte, dal mio arrivo. Una battaglia, poi gli orchi si allontanano, si riorganizzano e attaccano ancora dopo due o tre giorni. Non sono attacchi incisivi, sembra quasi che prendano tempo…Abbiamo subito qualche perdita, ma meno del previsto. Di draghi più nessuna traccia. Complessivamente, possiamo dire di trovarci in una situazione di stallo. Gli uomini che ci hanno mandato gli alleati sono volonterosi, ma non reggeranno all’infinito accampati tra un fiume e un bosco. L’inverno si avvicina, le notti sono fredde e l’aria è umida. Il morale sta scendendo velocemente, perciò…» sospirò. «Ah, Aqua, la tua diga regge benissimo» aggiunse.
«Oh! Davvero?» farfugliò Aqua.
«Aha, è ancora in piedi! E funziona divinamente.»
«C’è altro, Oliandro?» intervenne Ruben.
L’elfo sorrise, affettato.
«Cos’altro vorresti sapere? Quanti uomini abbiamo perso? Quanti feriti? Quanti orchi sono morti? Vorresti più dettaglio?» domandò.
Nella sua voce era filtrata una venatura fredda, e Liam si domandò se fosse una sua impressione oppure se a Dodo non stesse molto simpatico Ruben.
«Voglio sapere se gli orchi diminuiscono o se aumentano.»
Oliandro si grattò una tempia.
«Non direi che stiano calando. Ma nemmeno aumentando. Diciamo che il numero resta stabile, il ché equivale a dire che aumentano in proporzione al numero di nemici che eliminiamo, non so se mi spiego…»
Ruben annuì.
«Come temevo. Rowena, ad Est?»
«Ad Est gli orchi sono calati, Ben. Non ho prove per dimostrarlo, ma dalla direzione che hanno preso lasciando il fronte credo che siano diretti a Torat. Infondo, non abbiamo motivo di pensare che Micael dell’Acqua e i suoi non stiano subendo i nostri stessi attacchi. Ad ogni modo, inizialmente i combattimenti sono stati molto duri, e abbiamo subito molte perdite. Oggi, però, la situazione è buona.» Lanciò un’occhiata obliqua al Maestro e aggiunse «perdona la domanda, ma mi sfugge il significato della nostra presenza a Natìm con degli uomini che muoiono sul campo.»
Dai maghi si levò un mormorio di approvazione, e Irthen si mosse sulla sedia.
«I motivi della vostra presenza sono due. Prima di tutto, devo dirvi una cosa importante che ho esitato a comunicarvi, ma che ora vedo confermata dai vostri resoconti: ci è stato riferito che Djalmat vuole trasferire le sue forze a Cyanor.»
Si sollevò un’onda di sussurri, e anche Liam trattenne in respiro.
«Ma Cyanor non è la Città dei Morti?» bisbigliò Irthen.
«Sì, esatto.»
«È molto vicino!»
Liam annuì e lanciò un’occhiata a Jonna, che stava osservando la scena in silenzio. I loro occhi si incrociarono e la ragazza sostenne il suo sguardo con aria di sfida. Suo malgrado, Liam dovette cedere quando Ruben riprese a parlare.
«Abbiamo ragione di credere che il motivo degli attacchi continui e poco aggressivi sia proprio questo, tenere i nostri occhi puntati altrove, mentre i draghi si preparano al trasferimento.»
«Ne siamo certi?» intervenne Debrina.
Ruben annuì.
«A questo punto sì.»
«Qual è la fonte?» domandò Rowena, gli occhi blu fissi su Jonna.
«È una fonte riservata. Ma è affidabile» tagliò corto Ruben.
L’elfa storse il naso.
«Con i draghi tanto vicini, dovremo trovare il modo di tenerli sotto controllo» disse James.
«Questo è il secondo motivo per cui siete qui. Stan, lascio a te.»
Konstantin si alzò in piedi e disse:
«Come saprete, nei giorni scorsi siamo stati a Bosco Lossar. Volevamo parlare con gli Unicorni, ma soprattutto volevamo informare Glenndois di questo problema dei draghi, e accertarci che la notizia raggiungesse anche Horlon a Lumia. Beh, trascorrendo un po’ di tempo con loro, mi sono reso conto di quanto rischiosa, ancorché necessaria, sia stata la nostra scelta di richiamare gli informatori. Gli Unicorni sono di gran lunga più aggiornati di noi, e parzialmente anche gli elfi, perché la loro magia è potente abbastanza da attingere notizie qua e là, con un raggio molto ampio. Ma noi non ci riusciamo, siamo limitati, i nostri poteri sono poca cosa rispetto ai loro, come anche alla recettività degli elfi…»
«Dove vuole andare a parare?» mormorò Chloé, seduta accanto a Liam.
«Non so, ma non mi piace.»
«Così mi sono detto:» proseguì «bisognerebbe impostare una specie di centro di raccolta informazioni in un punto strategico. E quale punto migliore della stessa Cyanor?»
Dalla platea si sollevò un boato. I maghi cominciarono a parlare tutti insieme.
«Ma quel posto è pieno zeppo di orchi, Li’! Non può pensare davvero di andare là!» esclamò Irthen.
Chloé gli artigliò istericamente il braccio.
«Silenzio un po’!» tuonò Jonna.
Tutti tacquero in simultanea, e Liam sospettò che fosse più la sorpresa di averla vista scaldarsi che il rispetto ad indurli al silenzio. Le dedicò un sorrisetto divertito che gli fruttò un’occhiata omicida.
«Da quali fonti un mago può attingere informazioni?» riprese Konstantin. «Dall’Acqua, dall’Aria e dalla Terra. Io credo che tre maghi adulti con discrete capacità possano coordinare i propri elementi per catalizzare le informazioni. Ma naturalmente, questo può funzionare se ci si trova nel posto giusto, non in un angolo remoto della Terra dei Tuoni, ma nel luogo più centrale possibile.»
«Tu lo sai, vero, che quando i draghi saranno là ci sarà ben poco da stare allegri?» domandò Eetan.
«Lo so. E so anche che la città è già in mano agli orchi. Ma all’interno del Palazzo c’è un’area che fu sigillata con la magia, ai tempi in cui la città fu abbandonata. Di certo, né orchi né draghi posso avervi accesso. Possiamo stare là, e non sapranno nemmeno della nostra presenza.»
«E se dovessero scoprirlo?» domandò Aqua.
«E se dovessimo morire di fame?» aggiunse Debrina.
«Faremo in modo di avere cibo a sufficienza per un po’, in seguito cercheremo il modo di procurarcelo…»
«È impazzito» sussurrò Chloé. «Non dici niente, Li’?»
«Io…»
Liam la guardò. Nella follia di quel piano c’era qualcosa di geniale, non poteva nasconderlo a sé stesso. E nemmeno a Chloé, che sgranò gli occhi.
«Per tutte le frecce, Liam! Tu sei favorevole!» esclamò.
Qualche mago si volse nella loro direzione.
«Io…sì, credo di sì…»
«Se ci vai, ti spezzo le gambe.»
Liam ghignò e picchiò il palmo della mano sul tavolo.
«Io ci sto, Konstantin! Sei completamente pazzo, ma il tuo piano mi dice bene!»
Ruben lo guardò male.
«Tre maghi, dunque?» domandò Amina, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a mordicchiarsi le unghie.
Konstantin annuì, e Liam non poté fare a meno di sentirsi irritato per lo sguardo complice che i due si erano scambiati.
«Tre maghi, e uno dei tre sarò io» precisò.
«Lasciami venire con te!» disse Aqua battendo le mani entusiasta.
Konstantin guardò Ruben.
«Per me va bene» disse il Maestro. «Hailie, vorresti unirti a loro?»
Hailie annuì con un po’ troppa convinzione, tradendo l’agitazione.
«Perfetto. Faremo in modo di organizzare la vostra partenza il più rapidamente possibile. Quanto agli altri, vi ringrazio per la vostra presenza qui. Capite il motivo dell’urgenza della comunicazione, credo. Capite che abbiamo un serio problema incombente, e che dobbiamo attuare un piano oltremodo rischioso.»
La riunione si sciolse, e quando Liam si alzò, Irthen gli afferrò il polso e lo attirò vicino. I suoi occhi mandavano lampi.
«Si faranno ammazzare» sibilò.
«Abbi fede in Stan» rispose.
«No, non capisci. Io ci sono stato, in quel cavolo di palazzo, e non sopravvivranno a lungo se gli orchi scopriranno la loro presenza!»
«Lo so, Ir. Lo so, ma non sopravvivremo a lungo noi se non riusciremo a infiltrare qualcuno…Stan è un ottimo mago, e Aqua è giovane ma non è una sprovveduta. Non conosco Hailie, ma ho la massima fiducia in loro, e per il resto…preghiamo gli Dei.»
Irthen allentò la presa.
«Spero che tu abbia ragione…»




***********************
Spero non sia una palla pazzesca, ragazzi, non ho un buon rapporto con le riunioni strategiche! Fatemi sapere se c'è qualcosa di non chiaro, che l'unica che si fa sentire con dei dubbi è Hareth.
Approposito di Hareth.. come promesso, è arrivato il tuo regalo-aggiornamento di Natale :b Auguri XD

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Capitolo 44
*** Impari ***


Irthen camminava avanti e indietro da quelle che gli sembravano ore, ormai. Aveva lasciamo Liam in – non troppo – piacevole compagnia di Rowena. Per un po’ si era intrattenuto con loro, ma il mal di testa tornava di continuo a farsi sentire. Aveva pensato e ripensato a quanto si era detto alla riunione, e non era riuscito a farsi piacere in nessun modo il piano che Konstantin aveva proposto. Lo stesso Konstantin che gli aveva mostrato le sue aiuole bellissime a Pontefosso, per poi correre a scrivere ad Amina. Che era sua cognata. Certo che il mondo era proprio piccolo…
Nonostante tutte le cose pazzesche che gli erano capitate da quella disgraziata sera in cui aveva ascoltato per l’ennesima volta il racconto di Ged sulla Cascata, quello che irrazionalmente lo inquietava più di tutto il resto era la strana complicità che Liam si stava sforzando di creare. Non che non apprezzasse l’impegno, ovvio, ma non poteva davvero pensare di recuperare quindici anni – quasi sedici, per la verità – così. Era innaturale, era strano, non era da suo fratello! Era come se, una volta liberatosi di quello spesso strato di bugie che si era portato appresso per una vita, si fosse trovato nella completa incapacità di gestire il vero sé stesso. Davanti a lui, per lo meno, perché era evidente che con Chloé e con gli altri maghi era tutta un’altra storia. In compagnia di Irthen, Liam era come un quindicenne imbarazzato e senza il sostegno degli amici, abbandonato in un mondo di adulti. Peccato che la situazione reale dovesse essere esattamente l’opposto!
Si fermò davanti alla finestra. Si era fatto buio, e Yu non era tornata. Per qualche motivo sperava che mantenesse la parola, qualcosa in lei gli infondeva tranquillità. Forse era la pacatezza che traspariva dai suoi modi, oppure il fatto che avesse più o meno la sua età. O quella velata malinconia che il suo sorriso gentile non riusciva a nascondere completamente.
 
Liam svuotò un altro boccale di birra e lo picchiò sul tavolo di legno dell’osteria. Iniziava a sentirsi un po’ intontito, ma non gliene importava granché. Era stato un periodo difficile, denso di problemi di ogni tipo e genere, ma aveva deciso che da quel momento in poi le cose sarebbero andate meglio. Le avrebbe fatte andare meglio. Ormai non aveva più conti in sospeso da saldare, Irthen era in grado di badare a sé stesso, se anche gli fosse disgraziatamente capitato qualcosa.
«Cazzo, Liam! Hai la faccia di uno che ha appena visto un cavallo dai denti a sciabola nel proprio orto!»
Liam dedicò a Rowena un sorriso storto.
L’elfa era appena tornata dal bancone con l’ennesima pinta in mano e non sembrava particolarmente stabile. Ma la sua innata acidità non si era attenuata.
«Sicura di reggerne un’altra?» domandò.
L’elfa gli lanciò un’occhiataccia.
Dopo che Irthen si era ritirato, il livello della conversazione era degenerato dalla situazione geopolitica alla spocchia della compagna di Ruben. Poi aveva iniziato a languire. Colpa del troppo alcool, probabilmente.
«Senti un po’, splendore…ricordo che una volta mi dicesti che quando ci fosse stato tempo mi avresti raccontato per quale motivo il buon Glenn è tanto imbestialito con gli umani…mi pare che ora ci sia tempo.»
Rowena sbuffò.
«Non ne ho voglia.»
«Eddai, Nana, ti prego» cantilenò.
«È una sciocchezza, Liam, non ne vale la pena…non vorresti piuttosto sapere qualcosa di Horlon? È un elfo più avvincente» disse.
«Perché?»
«Horlon è una testa dura. Come Glenn, solo che Horlon è più saggio di lui, e non permette al suo cuore di perdersi nel rancore per eventi passati.»
Liam la osservò con attenzione per qualche momento prima di rispondere.
«Io non conosco tuo padre, ma il Re mi ha ricordato molto di più te che non suo fratello.»
L’elfa mascherò con un colpo di tosse il sorriso spontaneo che le era affiorato alle labbra, ma senza riuscire ad ingannare il mago, che si disse:
“Se puoi fare amicizia con lei, puoi tutto”.
«Per favore» supplicò.
Rowena distolse lo sguardo e si passò le dita tra i capelli. Liam notò che anche lei, come Oliandro, si mangiucchiava le unghie.
«Non aspettarti un racconto epico, però.»
Il mago annuì e si sedette più comodo.
«Quando Dodo era piccolo, per un certo periodo di tempo lui, mamma e papà hanno vissuto a Riva, insieme ad altri elfi e a tanti umani. In quei tempi noi elfi non ci eravamo ancora ritirati nei nostri attuali territori, vivevamo in mezzo a voi e nessuno ne era stupito. Non come oggi. Hai visto alla riunione, come ci fissavano?» sospirò. «Scusa, sto divagando, e vista l’ora è meglio se stringo. Beh, Dodo mi ha raccontato che Glenn andava pazzo per le frittelle di mele della pasticcera del posto, ne mangiava uno sproposito. E questa pasticcera gli aveva promesso che avrebbe insegnato a mia madre a farle lei stessa, ma un bel giorno questa tizia scomparve nel nulla. Glenn la cercò, e il marito gli disse che era scappata con l’ortolano. Non tornò mai, e nessuno seppe più fare frittelle buone quanto le sue. Fine della storia.»
Liam sgranò gli occhi.
«Seriamente?» esclamò appoggiando il boccale.
«Sì, seriamente. Te l’ho detto, era una sciocchezza.»
«Vorresti farmi credere che tuo padre non voleva aiutare Ruben perché la donnina delle frittelle è scappata senza lasciargli la ricetta?!»
Rowena annuì.
«Per la precisione, perché non ha mantenuto la promessa. Per lui la parola data è sacra…»
Liam scosse il capo.
«Non posso crederci.»
L’elfa vuotò il boccale, lo appoggiò e si alzò.
«Perdonami, Liam, ma domattina devo ripartire. Perciò è ora di andare a letto. Grazie della compagnia, e della birra!»
«Stai cercando di dirmi che offro io?»
«Certamente. Io ci ho messo l’intrattenimento, tu l’alcool! Notte, mago.»
Liam scosse il capo, ridacchiando tra sé. E pensare che si era sempre figurato gli elfi come esseri eterei e coscienziosi…
 
Il sole era sorto e Irthen non aveva dormito granché. Si era alzato presto, incapace di restare a letto a fissare il soffitto un minuto di più. Era un’altra giornata nuvolosa, e nonostante il camino fosse acceso faceva freddo.
Qualcuno bussò alla porta, e Irthen si sistemò il maglione prima di aprire. Aveva la sensazione di non essere molto presentabile. Per fortuna era Yu.
«Già fatto colazione?» domandò con un sorrisone.
«No, veramente no» balbettò spostandosi per lasciarla passare.
La cameriera sistemò un paio di fette di torta e due tazze di latte fumante sul tavolo.
«Non ti dispiace se ti faccio compagnia, vero? Sono in piedi dall’alba, ma non ho ancora avuto il tempo di mangiare.»
Irthen spalancò gli occhi alla vista del dolce.
«Per tutti gli Dei!» esclamò. «Non sarà mica torta di mele!»
Yu annuì con evidente compiacimento.
«Liam mi ha detto che è il tuo dolce preferito.»
Irthen si tuffò sul piatto sotto lo sguardo divertito della ragazza, che si sedette e prese a sorseggiare lentamente il suo latte. Il pensiero che qualcuno si fosse preso la briga di fare una cosa simile per lui gli scaldava il cuore, era un pensiero dolcissimo.
«È il più bel regalo che tu potessi farmi» disse a bocca piena.
«Mi sei sembrato un po’ giù di corda.»
Il ragazzo deglutì l’ultimo pezzo di torta e bevve un lungo sorso di latte.
«A te fanno mai torte, quando sei triste?» domandò.
Yu aggrottò la fronte.
«No, nessuno mi fa torte» rispose.
«Dovrebbero. Funziona!»
Yu sorrise.
«Ne sono lieta.»
Irthen posò la tazza, colto dall’improvviso impulso di approfondire quella conoscenza.
«Posso dirti una cosa?»
La ragazza appoggiò a sua volta la tazza e lo guardò. Per una volta, non riuscì a camuffare alla perfezione quel velo di apprensione.
«Tu sei la cameriera di Ruben, giusto?»
Yu annuì, vagamente perplessa.
«Però ho la sensazione che tu ti comporti più come la padrona di casa che non come la cameriera…vai dove vuoi, passi il tempo come vuoi, fai torte per chi vuoi…»
La ragazza si irrigidì e ridacchiò nervosamente.
«In un certo senso, è come se lo fossi. Vivo qui da talmente tanti anni…»
Dispiaciuto all’idea di averla messa in imbarazzo con quella che non voleva essere niente più che una semplice constatazione, Irthen domandò:
«Come hai conosciuto Ruben?»
Yu sospirò.
«Siamo entrambi originari di Phia. Ruben conosceva mia madre: faceva la sarta, mio padre l’aveva lasciata, e a lei era rimasto un lavoro poco redditizio e tre bambini sotto i cinque anni. Non riusciva a mantenerci, così, quando il Maestro si offrì di comprarne uno, non ci pensò troppo su. Io ero la più grande, l’unica già in grado di fare qualcosa, e avevo un carattere pessimo. Da quel giorno sono sempre rimasta accanto a Ruben» concluse.
Irthen sbatté le palpebre.
«È…è una cosa orribile» farfugliò, senza riuscire a capacitarsi della tranquillità con cui ne parlava.
«Dici?» mormorò Yu, bevendo l’ultimo sorso di latte. «Può darsi, ma gli sono comunque grata. Mi ha dato cibo e abiti nuovi che non avrei mai pensato di poter avere, e soprattutto mi ha dato un’istruzione. Sarò sempre in debito con lui per questo.»
Il suo sguardo risoluto non vacillò, e Irthen pensò che, forse, quello che sua madre aveva considerato un “carattere pessimo” fosse solo testardaggine.
«E la tua famiglia? L’hai più vista?»
La ragazza scosse il capo.
«Mia madre mi ha venduta, e non ci ha riflettuto più di venti secondi prima di farlo. Credo di poter a buon diritto considerare questa la mia famiglia.»
Irthen annuì. Aveva ragione, eppure quel pensiero gli metteva tristezza.
«Perdonami, non avrei dovuto deprimerti con i miei problemi personali.»
“L’unica depressa dovresti essere tu”, pensò tra sé. Invece non sembrava affatto toccata dal suo passato. Anche se c’era qualcosa in quella sua gentilezza esasperata che gli suonava male, che non lo convinceva del tutto. Ogni tanto, qualcosa si agitava in fondo a quegli occhi castani, come un dolore, o una mancanza, che Yu doveva essere diventata molto brava a nascondere. E il desiderio di scoprire di che cosa si trattasse lo punzecchiava.
«Sai, mi fa ancora effetto vederti con gli occhi aperti» disse la ragazza, per nulla infastidita dall’insistenza del suo sguardo.
«P-perché?» balbettò, colto alla sprovvista dal cambio di argomento.
«Ti ho guardato dormire tanto a lungo che, alla fine, ci ho fatto l’abitudine» ridacchiò tra sé, ma tornò subito seria. «Temo di essermi servita di te, mentre eri privo di coscienza. Il tuo respiro era talmente regolare che mi bastava concentrarmici perché la tensione sparisse improvvisamente. Eri una specie di tranquillante. Per questo passavo qui ogni momento possibile…»
Cercando di scacciare l’inquietante immagine di Yu che se ne stava appollaiata accanto al suo letto a fissarlo, Irthen disse:
«Quindi non venivi per ordine di Ruben?»
«Qualche volta era lui a chiedermelo. Quando tuo fratello è stato via con Amina ho dato una mano a Chloé, e il Maestro voleva che non restassi mai solo.»
Irthen si grattò la testa, sempre più persuaso che quella non fosse una normale cameriera.
«Quindi, Ruben ti lascia molta libertà» commentò.
Gli occhi di Yu si assottigliarono. Lo squadrò con sospetto e si alzò.
«Ruben è una persona molto generosa.»
Irthen la fissò negli occhi, cogliendovi un altro guizzo sospetto. Allora era il Maestro il fulcro del problema? Ricordava perfettamente con quale amarezza avesse parlato di Jonna, il giorno prima.
«Generosa?» disse. «È per questo che ti sei innamorata di lui?» tentò.
Yu sbiancò e il suo volto si fece di pietra.
“Centro!”, si disse Irthen.
«Non so di cosa stai parlando. Perdonami, ma ora devo andare.»
Si mosse verso l’uscita, ma il ragazzo fu più svelto. Balzò in piedi e la bloccò contro alla porta. Yu non si scompose.
«E adesso?» sbottò. «Si può sapere che ti prende?»
Irthen si chinò per guardarla negli occhi. Fino a quel momento non aveva fatto caso a quanto più bassa di lui fosse. Almeno due spanne.
«Siamo in una posizione impari, io e te, e questo non mi piace. Sono stanco di questo tipo di situazione. Tu sai tutto di me, addirittura hai studiato la mia frequenza respiratoria…e io posso dire lo stesso, forse? Che cosa so di te? Soltanto quello che mi lasci intravedere, un filo d’erba in una prateria! Non è affatto corretto, sì?»
Yu continuò a fissarlo negli occhi senza reagire, e lui avrebbe tanto voluto trovare il modo di scuoterla, un modo qualunque.
«Lasciami andare, Irthen» sussurrò Yu, ed erano tanto vicini che il suo respiro gli fece correre un brivido lungo la schiena.
Aveva ragione, doveva lasciarla andare. Ma il cervello non reagiva, i muscoli non obbedivano. C’era qualcosa che lo teneva pietrificato lì, combattuto tra la razionale consapevolezza della sua imperdonabile maleducazione, e l’illogico impulso di spingersi ancora oltre. Senza, peraltro, riuscire a capire se fosse solo meschino desiderio di farla confessare, o se ci fosse qualcos’altro che non si mostrava ancora con chiarezza.
«Ir?» insistette.
Gli posò una mano aperta sul petto, ma non spinse per allontanarlo.
Assalito da una nausea improvvisa, Irthen deglutì a vuoto.
Qualcuno bussò, ed entrambi sobbalzarono.
Irthen fece un passo indietro e Yu gli lanciò un’ultima occhiata prima di spalancare la porta e sparire velocemente.
«Tutto bene?!» domandò Liam guardandosi alle spalle, nella direzione in cui era scomparsa la ragazza.
Irthen non rispose. In effetti, se lo stava chiedendo anche lui.
Gli occhi di Liam si ridussero a due fessure.
«Che cosa le hai fatto?» sibilò.
Il ragazzo sgranò gli occhi.
«Io?! Niente! Che cosa avrei dovuto farle?» esclamò, indignato.
«Non saprei, dimmelo tu! La ragazza più gentile mai nata è appena scappata a gambe levate dalla tua stanza senza neanche salutare!»
«Ma sei impazzito?! Per chi mi hai preso? Non sono mica come te!»
«Io non ho mai messo le mani su una donna contro la sua volontà!» ringhiò Liam sbattendo la porta.
«Nemmeno io» ribatté Irthen senza abbassare lo sguardo, nonostante le guance che gli bruciavano, per l’indignazione e per la vergogna.
Liam continuò a guardarlo negli occhi per qualche interminabile secondo, poi sospirò e cedette.
«D’accordo. Scusami.»
«Scusami? Ma sei diventato scemo?!»
«Scusa, ho detto. Ma che le è preso?»
«Ho insinuato che sia innamorata di Ruben…a quanto pare non ha gradito» tagliò corto.
Omettere parti di verità era mentire?, si domandò. Probabilmente sì.
Liam fischiò.
«Devi aver toccato un tasto molto dolente.»
Irthen si strinse nelle spalle, cercando di reprimere il disappunto. Qualcosa gli suggeriva che non l’avrebbe rivista tanto presto.
 
La spada sanguinava, le braccia gli facevano male e il sudore gli colava negli occhi, accecandolo.
Alec combatteva da ore, dal sorgere del sole, e quei maledettissimi orchi non accennavano a ritirarsi, nonostante fossero in evidente affanno. I combattimenti si susseguivano da giorni, ormai, e Micael non aveva esentato nessuno, nemmeno i carcerieri del piccolo mostro. Così, alla fine, era giunto anche il suo turno. Non che la cosa gli dispiacesse più di tanto: la stasi lo sfiniva, poter mozzare qualche orrida testa lo faceva sentire notevolmente meglio.
Gli uomini di Torat e delle città alleate stavano combattendo con valore, ma ad onor del vero il nemico non era agguerrito come si temeva. E la cosa lo turbava.
“Non dovrei farmi troppe domande”, pensò, affondando la lama nel collo di un orco.
Ormai, era talmente zuppo di sangue che lo zampillo dell’arteria della sua ultima vittima non faceva la differenza.
«Usa la magia, Alec, dannazione!» gridò il nano accanto a lui, agitando un martello enorme.
Alec ghignò e si pulì il viso dal sangue.
«Non mi dà la stessa soddisfazione, Iogrunn!»
«Sei un pazzo sanguinario» gli urlò di rimando, mentre il mago si lanciava su un altro orco.
«Non te lo immagini neanche» sussurrò tra sé e sé, investito da un nuovo fiotto di sangue.
 
«Stai bene, Stan?» domandò Aqua.
Konstantin si riscosse e le sorrise.
«Ho avuto un brivido, e mi inquieta non capirne il motivo» rispose.
Aqua annuì. Stan era diventato strano, nell’ultimo periodo, e non le sembrava probabile che la causa fosse l’imminente trasferimento a Cyanor. In fondo, era stato lui a congegnare il piano, non era il tipo da lanciare il sasso e tirare indietro la mano.
«Coraggio, ormai ci siamo» mormorava Hailie, camminando avanti e indietro.
La ragazza sbuffò. Possibile che ci dovesse per forza essere una palla al piede nelle missioni in cui partecipava anche lei?!
Ruben entrò nella sala accompagnato da Timothy, Amina, Liam e Irthen, e chiuse la porta.
«Se siete pronti, direi di procedere» disse senza preamboli.
Aqua deglutì e si mise in spalla lo zaino.
Avevano convenuto che il modo più rapido e meno rischioso di raggiungere la Città dei Morti fosse di farsi trasportare dai maghi di Aria. Non che Hailie ne avesse bisogno, ma per lei e Stan poteva essere un problema attraversare l’intera Piana di Thann, la città e il Palazzo senza venir notati.
La ragazza fece scorrere lo sguardo sui presenti. Il fratello di Liam era accigliato, forse disapprovava quel piano. Anche lei, in parte, ma piuttosto che restare a Natìm a languire considerava una prospettiva più accattivante quella di farsi ammazzare là.
«Sicure di voler venire?»
Konstantin spostò i suoi penetranti occhi neri da Hailie ad Aqua, che annuì.
«Forza, ragazzi, è meglio muoversi» disse Ruben. «Tim, tu pesa ad Aqua, che è più leggera; Stan con me. Non sarà un viaggio rilassante, soprattutto per quanto riguarda il ritorno, perciò utilizza meno energie possibile, Tim, chiaro?»
Timothy non rispose, ma si portò accanto ad Aqua. Aveva l’aria spaventata.
«Cos’è quella faccia, Timmy? Devi avere più fiducia in te stesso!» gli sussurrò la ragazza assestandogli un pizzicotto.
«Non è quello…sono preoccupato per voi…per te» mormorò arrossendo fino alla punta delle orecchie.
Aqua sospirò, reprimendo l’irritazione.
«Andrà tutto bene» rispose prendendo la mano che le offriva.
«Ho lasciato detto a James di occuparsi dei problemi più urgenti fino al mio ritorno. Se ce ne fosse necessità, aiutalo tu, Mina» disse Ruben.
Amina era pallida come un lenzuolo, e Aqua se ne sentì inquietata.
«Mi raccomando« la ammonì, e Aqua alzò il pollice con un sorriso che sperava  risultasse rassicurante.
«Te la riporterò tutta intera» disse Konstantin, dedicandole uno di quei suoi sguardi dolci, quelli che riservava solo ad Amina e che facevano sentire tutti gli altri lì intorno di troppo.
«Bravo, e vedi di riportare indietro intero anche te stesso, questa volta» rispose la maga arrossendo.
Un attimo dopo, Konstantin e Ruben erano scomparsi.
«Buon viaggio, Hailie. Abbi fiducia in Stan» le disse Aqua prima che scomparisse anche lei.
Da ultimo, la ragazza sentì uno strattone e la terra scomparve da sotto i suoi piedi. Chiuse ermeticamente gli occhi e si aggrappò alla mano di Timothy.
 
«Non li hai nemmeno salutati come si deve, Mina» disse Liam.
Amina continuò a fissare il punto in cui due delle persone più care che avesse al mondo erano sparite nel nulla.
«Perché avrei dovuto?» mormorò. «Hai sentito anche tu, Stan mi ha promesso che torneranno sani e salvi. L’ha promesso…» la sua voce si spezzò.
Incapace di sopportare la sua angoscia, Liam la abbracciò stretta.
«Hai ragione» disse.
Irthen scosse la testa, scettico, ma per fortuna Amina non lo vide. Doveva ringraziare di non essere a portata di piede, altrimenti un calcio non gliel’avrebbe tolto nessuno.
«Sapete che cosa potremmo fare?» domandò improvvisamente la maga balzando indietro.
«Cosa?» domandarono in coro, scambiandosi sguardi perplessi.
«Potremmo andare a trovare Eetan! Scommetto che dopo un paio d’ore sul campo di allenamento con lui saremo troppo stanchi anche per pensare!»
Liam si illuminò.
«È una buona idea! Hai già conosciuto Eetan, Ir?»
Irthen scosse la testa, e Liam se ne compiacque. Suo fratello era un po’ troppo mesto per i suoi gusti, ed Eetan aveva pochi anni più di lui e un carattere più espansivo di quello di Timothy, sicuramente la sua compagnia gli avrebbe giovato.
Ma tutti i suoi buoni propositi vennero meno non appena giunti sul campo. In un angolo defilato, Jonna maneggiava con immensa difficoltà un arco, e Liam realizzò improvvisamente che non aveva minimamente pensato a lei da dopo la riunione della sera prima. Irthen seguì il suo sguardo e gli lanciò un’occhiata eloquente. Chiedendosi se Amina si sarebbe offesa, esitò.
«Pare che la bionda non sia molto brillante con l’arco…» disse allora Irthen a mezza voce.
Amina volse lo sguardo nella direzione del loro e ghignò.
«Se si cavasse un occhio, dovrei curarla io?» domandò con una smorfia.
I due fratelli scoppiarono a ridere.
«Io al massimo riuscirei a cavarle anche l’altro!» disse Irthen, con le mani premute sulla pancia.
«Fermatela, prima che sia troppo tardi» disse la maga.
Irthen non si mosse, ancora scosso dalle risa.
«Ci penso io» disse Liam, sforzandosi di apparire serio, e ringraziando mentalmente per l’arguzia di suo fratello.
«Intanto cerchiamo Eetan» sentì Amina dire alle sue spalle.
Via via che si avvicinava a Jonna, Liam sentì le gambe farsi sempre più pesanti. Ogni particella del suo essere sembrava ribellarsi all’idea di doverle parlare. E poi, perché lo stava facendo? Curiosità? …Autolesionismo?
«So che non sono affari miei, ma quel braccio lo dovresti stendere di più» disse avvicinandosi.
Jonna abbassò l’arco e gli lanciò un’occhiataccia.
«Possibile che tu sia sempre ovunque, Liam dell’Acqua?»
Liam si strinse nelle spalle.
«Che ci vuoi fare, sono molto richiesto. Sei sfortunata» rispose.
«Lo vedo.»
Scoccò, e la freccia mancò il bersaglio.
«Te l’ho detto, devi stendere di più il braccio» ripeté Liam.
«L’arco non è la mia specialità. Per combattere preferisco la spada» disse prendendo una nuova freccia.
Liam sospirò: Chloé da bambina non era altrettanto cocciuta.
«Con un occhio solo potresti fare fatica anche con quella.»
Si avvicinò e le sollevò il gomito, per posizionarla correttamente. Jonna sgranò gli occhi.
«Che c’è? Sei velenosa, anche?» sbottò Liam.
«Non ancora, ma potrei lavorarci…»
Le mostrò la tecnica corretta e, quando scoccò di nuovo, la traiettoria migliorò notevolmente. Tuttavia, la cosa sembrava irritarla più che farle piacere.
«Sei impossibile, Jonna. Quando qualcuno più esperto di te cerca di aiutarti, dovresti esserne grata, invece che sbuffare.»
«Guarda che io non ti ho chiesto niente!»
«D’accordo, buono a sapersi. La prossima volta me ne fregherò, e se ti farai del male starò in un angolo  a ridere.»
Liam rimase in attesa di una risposa acida che non giunse. Ci impiegò un attimo a capire che lo sguardo di Jonna si era perso nel vuoto.
«Ehi, va tutto bene?»
Jonna non rispose. Rimase a fissare il nulla per qualche secondo, poi si riscosse e vacillò.
Liam la sostenne.
«Stai bene?» domandò senza riuscire a mascherare l’apprensione.
«I-io…sì. Aiutami a tornare nei miei appartamenti, Liam, ti prego» balbettò.
«Hai visto qualcosa?» domandò il mago.
«Non lo so, forse…devo riflettere.»
Vacillò di nuovo, non appena tentò di muovere un passo.
Liam si guardò attorno, chiedendosi dove fossero finiti Irthen ed Amina, poi prese Jonna tra le braccia, imprecando contro quel pungente profumo di vaniglia che si tirava dietro, e la portò dentro.
 
«Puoi aprire gli occhi ora» disse Timothy scuotendola dolcemente.
Aqua obbedì. La terra era ricomparsa sotto i suoi piedi.
«Dove siamo?» domandò Hailie.
Konstantin si guardò attorno.
«Questa è la murata Nord del Palazzo. Siamo esattamente sopra alla zona che dobbiamo raggiungere. È meglio se ci muoviamo.»
Aqua si affacciò cautamente dal parapetto. Non aveva mai visto Cyanor, e non aveva mai provato ad immaginarsela, ma anche se l’avesse fatto non ci sarebbe andata nemmeno lontanamente vicina. Una distesa di palazzi diroccati a perdita d’occhio, gli elementi architettonici più disparati fusi in uno strano amalgama. Una città uscita da un sogno.
«Voi andate, Ben. Non è sicuro stare qui» stava dicendo Stan.
«Non mi faccio pregare. In bocca al lupo, ragazzi. Fate attenzione e non rischiate più del necessario. Aspetteremo vostre notizie…Pronto, Tim?»
Tim annuì e li salutò con la mano, prima di scomparire. Ruben lanciò loro un’occhiata penetrante e lo seguì.
«Ora che si fa?» domandò Hailie, scostandosi i capelli biondi che il vento le mandava negli occhi.
«Ora cerchiamo di scendere» rispose Konstantin.
Con gli zaini in spalla, i tre maghi percorsero la murata fino alla scala che portava all’interno dell’edificio.
«Dobbiamo fare attenzione» disse Konstantin. «Gli orchi non devono sapere che siamo qui. Lasciate che vada avanti io, che posso captare la loro presenza…»
Iniziò a scendere cautamente i gradini di pietra, e Aqua lo seguì.
«Che cos’è questo rumore?» domandò Hailie, ferma sul primo scalino.
Gli altri due si guardarono.
«Quale rumore?» domandò Aqua.
Hailie si premette le mani sulle orecchie.
«È terribile, non lo sentite?!»
Konstantin e Aqua attesero in silenzio, allarmati. In sottofondo, quasi completamente coperta dal sibilo del vento, giungeva una vibrazione, che andava via via definendosi in una sequenza di colpi sordi. Aqua sgranò gli occhi quando, in lontananza, comparvero dei punti scuri nel cielo.
«Qu-quelli sono…?» balbettò.
«Qui fuori siamo in pericolo! Svelte, raggiungiamo le stanza protette!»
Aqua lo seguì, trascinando Hailie per un polso, con la testa completamente vuota.
I draghi erano già arrivati, e loro avrebbero potuto diventare la loro cena.
 
Jonna si riebbe di colpo. Era svenuta tra le braccia di Liam, prima che il mago potesse raggiungere la sua stanza. Seduto nella poltrona accanto al divanetto su cui l’aveva posata, Liam alzò gli occhi.
«Stai bene?» domandò.
Jonna si alzò a sedere, e Liam si inquietò. Era pallida – più del normale – e i suoi occhi grigi erano sgranati. Circondata com’era da quei sottilissimi capelli chiari sembrava ancora di più uno spettro.
«No!» esclamò. «Ho capito…ho visto…» farfugliò.
Liam si alzò e si avvicinò, contagiato da quell’angoscia.
«Che cos’hai visto?» incalzò.
«Djalmat…è già arrivato a Cyanor.» 






********************
ECCOCI QUAAAA!!!
Ringraziate Hareth per l'aggiornamento, sono due giorni che mi pressa :)
Spero che si capisca qualcosa, gli ultimi capitoli sono pieni di cambi di punto di vista, mi rendo conto che incasinano un po' tutto, ma che ci volete fare...mi piacciono :b
Buon anno fanciulli!
Baciiii

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Capitolo 45
*** Le stanze di Storr ***


Aqua correva per i corridoi deserti, faticando a tenere il passo con le gambe lunghe di Konstantin. Il suono raccapricciante delle ali che percuotevano l’aria si era fatto assordante. Il mago svoltava con sicurezza a destra o a sinistra quando incontravano dei bivi, e a lei iniziava a mancare il fiato. Alle sue spalle, Hailie arrancava.
«Stan!» chiamò.
Konstantin disse:
«Resistete ragazze, manca poco!»
Aqua strinse i denti. Svoltarono l’angolo e si trovarono davanti ad una grande porta. Konstantin vi posò le mani aperte e dai palmi sprigionò una luce verde.
Dall’esterno giunse un tonfo e un ruggito.
«Veloce, Stan» piagnucolò Hailie.
Konstantin gemette quando, con un’esplosione di luce, la porta scomparve.
I tre maghi si precipitarono nel salone e, quando si voltarono indietro, l’ingresso era nuovamente occupato dalla porta chiusa.
«Ma come cavolo..?»
Konstantin sospirò.
«Era lo stile di Storr. Ne ha creati un sacco, di passaggi di questo tipo. Porte che appaiono e scompaiono, oppure che si vedono da un lato soltanto» spiegò.
«Siamo certi che nessuno possa entrare?» domandò Hailie.
Il mago annuì.
«Fidatevi di me. Da ragazzo, ero molto interessato alla storia di questo posto. Nemmeno un drago potrà entrare in quest’area del palazzo. La porta non verrà giù neanche a spallate.»
«E uno stregone, invece?» domandò Aqua.
Il mago volse loro le spalle e attraversò il salone.
«Stan?» insistette.
«Teoricamente no.»
«Teoricamente?!» ripeté Hailie, e la sua voce salì di un’ottava.
«Non preoccupatevi. Non entrerà nessuno» tagliò corto.
Poco persuase, le ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata e lo seguirono.
 
Jonna dondolava avanti e indietro sul divanetto, come in trance, e Liam non era ancora riuscito a spiccicare parola. Si teneva le mani nei capelli, senza sapere come affrontare il problema. I draghi erano già a Cyanor. La regina delle nevi l’aveva visto. Dovevano solo sperare che i loro fossero già al sicuro.
“Allegro, mago! Adesso sai come funzionano le sue visioni!”, disse la vocina acida nella sua testa.
Bell’affare, se ci restavano secchi in cinque.
«Credi che fossero già arrivati?» mormorò Jonna, dopo un abisso di silenzio.
«Non ne ho la minima idea» rispose.
La ragazza sospirò. Sembrava affranta, pensò Liam. Sembrava…umana. Istintivamente le prese una mano gelida tra le sue.
Jonna lo guardò sorpresa, ma non si ritrasse.
«Dovresti mangiare qualcosa, sai? Ti capita spesso di perdere i sensi?»
«Solo quando mi connetto a lui
«E…quello ti capita spesso?»
Jonna sospirò.
«Non ti arrendi mai, eh?» sbottò. «Ogni tanto succede. È iniziato tutto dopo Madian. Stavo male, avevo delle visioni, sentivo suoni che nessun altro poteva sentire…la donna che mi curava credeva che fossi impazzita, ma si sbagliava. Io…io non so che cosa sia successo quel giorno, il mio potere deve aver in qualche modo reagito al fuoco di Djalmat.»
Liam annuì, impreparato a ricevere quel tipo di confidenza così, all’improvviso.
«C’è qualcosa che ti faccia stare meglio?» domandò.
Jonna accennò un sorriso, e per una volta non era un sorriso sarcastico.
«Il malessere passa da solo, pian piano. Ma grazie di averlo chiesto» guardò verso la finestra. «Credi che dovremmo avvertire James? Ruben ha incaricato lui di fare le sue veci…»
Liam si mordicchiò un labbro.
«Non so. Forse vale la pena di aspettare. Temo che ormai la frittata sia fatta.»
Qualcuno bussò, e la porta si aprì.
«Jonna?»
Era Ruben. Liam lasciò immediatamente la mano della ragazza, pregando che il Maestro non avesse visto nulla.
«Disturbo?» disse, secco, guardandoli con sospetto.
Jonna si alzò e traballò, ma si sforzò di andargli incontro.
«Stai bene?» sussurrò la ragazza, crollando tra le sue braccia.
«È successo qualcosa?» domandò Ruben guardando ora lei, ora Liam.
Liam si alzò. Aveva la sensazione di aver appena rischiato l’osso del collo, e lo sguardo del capo era tutto fuorché amichevole.
Jonna non accennava a rispondere, così Ruben insistette.
«Liam?»
«I draghi sono già a Cyanor. Se non lo sapevi, devo dedurre che tu e Tim abbiate fatto in tempo a ripartire prima del loro arrivo» spiegò.
Ruben strinse Jonna.
«È tutto a posto?» le disse.
Jonna annuì.
«Come facciamo a sapere se stanno bene?» domandò cercando di reggersi sulle sue gambe.
«Possiamo solo aspettare loro notizie, tesoro.»
«Dal momento che non c’è più bisogno di me, se non vi dispiace, vado a cercare mio fratello» disse Liam, cercando di defilarsi.
C’era qualcosa nel rapporto di quei due che gli dava la nausea, qualcosa di viscido. Aveva la sgradevole sensazione che la loro fosse una relazione di opportunità. O, forse, era solo una malignità gratuita, frutto di un’impressione sbagliata.
«Liam…»
Si fermò sulla porta e si volse indietro. Ruben era già sparito nella stanza attigua, e Jonna se ne stava in equilibrio precario in mezzo al salottino.
«Grazie» mormorò.
Liam sorrise. Per la prima volta, aveva visto una scintilla di luce attraversare i suoi occhi.
 
Le braci nel camino languivano. La notte scendeva sempre prima, e Irthen attendeva raggomitolato sotto le coperte che il sonno lo portasse finalmente via con sé. Ma cominciava a disperare.
Liam gli aveva dato troppe cose per cui preoccuparsi, tutto ciò che di positivo poteva avergli fatto la compagnia vivace di Eetan del Fuoco era finito schiacciato sotto la storia di Jonna e delle sue visioni. Senza contare che si sentiva ancora discretamente in colpa per come aveva trattato Yu – non riusciva ancora a capacitarsi di quanto avesse perso il controllo – e avrebbe voluto farsi perdonare, cosa che avrebbe dovuto cercare di fare anche suo fratello con Amina, dato che la stava bellamente ignorando e gli sguardi di lei erano sempre più eloquenti. Non aveva bisogno di prove per sapere che quei due erano finiti a letto insieme. Da Liam non poteva aspettarsi nient’altro, ma da Amina non se lo sarebbe mai aspettato.
“Se lo sapesse Jeremy, farebbe un infarto”, si disse con un sorriso pieno di nostalgia.
Chissà che cosa stava facendo il suo migliore amico…e chissà che cosa stava facendo Abby! Per quanto si sforzasse di non pensare a lei, quell’accidenti di anello non faceva che ricordargli la sua assenza, e la figuraccia che ci aveva fatto. Ma col passare dei giorni, quella bruciava via via meno. Restava solo il vuoto doloroso, e pur di cancellare quella vertigine sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa. Più o meno.
Si mise in ascolto: nel silenzio della notte, percepì dei passi in corridoio. Trattenne il respiro, assalito da un’ondata di panico, quando la serratura della sua porta scattò. Rimpianse amaramente di non avere un coltello o un’altra arma qualsiasi a portata di mano. La luce tenue delle braci non era sufficiente per consentirgli di identificare la persona che si stava introducendo nella sua stanza, ma forse gli poteva permettere di sgattaiolare fuori dalle coperte per prendere il coltello da caccia abbandonato nella borsa da viaggio. Lentamente, cercando di non fare rumore, scivolò verso il bordo del letto. La porta si richiuse con uno scrocco.
«Sei sveglio?» mormorò una voce conosciuta.
Irthen si rilassò di colpo, ringraziando di non aver avuto davvero un’arma a portata di mano. Era la voce di Yu.
«Come cavolo hai fatto ad entrare? E cosa ci fai in camera mia in piena notte?!» esclamò.
Imprecò mentalmente, sentendo la propria voce sfociare nel panico.
«Ho una copia di tutte le chiavi» disse con aria colpevole.
«Cosa sei, una specie di maniaca?» farfugliò.
Yu scoppiò a ridere.
«Ma ti pare? E anche se fosse, sei alto due volte me…»
Irthen si concesse una risata, ma si fece subito serio.
«Non credevo che saresti tornata…» disse.
«Perché?»
«Non mi sono comportato molto bene.»
Il profilo poco definito della ragazza si strinse nelle spalle.
«Niente di così drammatico.»
Si avvicinò. Irthen constatò con sorpresa che non indossava il solito grembiule e che i capelli non erano raccolti nella solita crocchia, ma erano sparsi sulle spalle.
“Ovviamente”, si disse, “di notte dorme anche il personale di servizio…o almeno dovrebbe”.
«Posso stare un po’ qui con te?»
«C-certo, ma…»
Prima che potesse aggiungere altro, si era infilata sotto alle coperte.
«È…successo qualcosa, per caso?» balbettò, colpito prima da una folata di aria gelida, poi dal calore del corpo steso vicino al suo.
«È stata una giornataccia. Anche per colpa tua, se proprio lo vuoi sapere. Perciò permettimi di sfruttarti ancora una volta, la tua compagnia mi fa bene. Dormi pure, se vuoi, ho la chiave e prima dell’alba sparirò, promesso.»
Irthen la guardò, poco persuaso. Dubitava che sarebbe riuscito a dormire, e dubitava soprattutto che fosse una buona idea quella di tenere una ragazza nel suo letto.
«Non ti molesto, non preoccuparti» aggiunse Yu.
Al ragazzo sfuggì una risatina nervosa.
«Potrei molestarti io.»
Yu si accoccolò tra le coperte e ridacchiò, per nulla colpita.
«Ma non ce l’hai, tu, una stanza?» gemette allora.
«Sì, ma non ci voglio stare…su, fai il bravo, fingi che io sia il tuo cane.»
Nella mente di Irthen balenò vivida l’immagine della piana di Thann e di un accampamento di orchi in lontananza.
«Non, funziona, credimi!»
«Allora sarò un orchetto. Avrò le corna, la testa bitorzoluta, le pustole, e puzzerò di morto. Grazie dell’ospitalità, Ir…sogni d’oro.»
«Buona notte, Yu» rispose perplesso, aggiungendo mentalmente:
“Come se avessi avuto scelta…”.
 
Aqua si svegliò all’alba, maledicendo la luce che le dava fastidio. Si era addormentata solo da poche ore, aveva passato buona parte della notte a fissare il soffitto affrescato. Un movimento attirò la sua attenzione. Si alzò a sedere, e vide che Konstantin era già in piedi, e guardava fuori dalla finestra. Cercando di non svegliare Hailie, sgusciò fuori dalle coperte e gli si affiancò.
Il sorgere del sole colorava tutto di rosso e rosa, case, palazzi, mura e, in lontananza, la Piana di Thann.
«Non dirmi che ti piace» commentò Konstantin con un sorriso.
Aqua gli diede un pizzicotto.
«Che cosa vorresti insinuare? Che sono troppo acida per apprezzare un bel paesaggio?» domandò in rimando.
«L’hai detto tu.»
Aqua sorrise, incapace di decidere se la rischiosità di quella situazione fosse di suo gradimento o meno. Se non altro, stavano facendo qualcosa.
«Hai un’aria strana» disse il mago.
«Bel coraggio hai, tu, a dire una cosa del genere! Hai una vaga idea di quante cose assurde tu stia facendo, ultimamente? E di quanto strano tu sia diventato?»
Konstantin le lanciò un’occhiata cupa.
«Ultimamente, mi ricordi tanto Alec…» aggiunse con un filo di voce. «Sai niente, di lui?»
Konstantin scosse il capo, e il dolore che trasparì dai suoi occhi fece sentire la ragazza in colpa.
«Niente. Non riesco ancora a credere che sia diventato un nemico, sai? Che…presto saremo entrambi su un campo di battaglia, e in schieramenti opposti» sospirò. «Come sta Mina?»
Aqua riportò lo sguardo sull’alba e si strinse nelle spalle.
«È difficile dirlo. Cerca sempre di sembrare forte, anche quando è evidente che tiene tutto insieme per miracolo. Credo che la compagnia di Liam le faccia bene, però.»
Stan annuì lentamente, e Aqua si sentì ancora più in colpa. Era chiaro e lampante come il mago fosse innamorato perso di Amina, e Aqua lo ricordava così da sempre, ma non poteva davvero illudersi che lei lo avrebbe mai ricambiato. Amina aveva amato troppo Alec, e troppo aveva sofferto per lui perché potesse sopportare di stare con una persona che lo ricordava così tanto. Avevano lo stesso viso, gli stessi occhi, le stesse mani, la stessa voce…avevano persino lo stesso odore!
«Lo so che hai ragione, ma non posso farci niente» mormorò Stan.
Aqua sgranò gli occhi.
«Prego?»
«Empatia. Percepisco il tuo stato d’animo e lo condivido. E hai ragione tu, sono senza speranza.»
Aqua avrebbe voluto dirgli qualcosa per incoraggiarlo, ma esitò. Non era brava per niente in quel tipo di cose. Forse perché non era mai stata innamorata davvero. Storielle qua e là, più per sentirsi meno sola che per altro, ma quello che provava davvero Stan non era nella sua disponibilità.
Un ruggito improvviso le strappò un grido. Hailie si svegliò di soprassalto, farneticando parole sconnesse, e Konstantin si allontanò dal vetro.
Un immenso drago passò per un momento davanti alla finestra. Le squame verde smeraldo brillavano come gemme nella luce obliqua.
«Wow» commentò Hailie avvicinandosi.
«C’è modo di riconoscerli?» domandò Aqua.
«Quello è Raj, figlio primogenito di Djalmat. Ogni drago ha caratteristiche particolari. Raj, per esempio, a parte il colore meraviglioso, ha una coda particolarmente lunga, e una grossa serie di aculei di osso sul dorso» spiegò Konstantin.
Hailie rabbrividì.
«Ottimo, adesso che siamo qui che si fa?» domandò.
Aqua si guardò attorno.
«Io propongo di esplorare l’area a nostra disposizione e, poi, di iniziare ad impostare una rete informativa.»
Konstantin annuì.
«Sono d’accordo. Dobbiamo sapere quanto spazio abbiamo a disposizione, e avere la certezza che non ci siano falle nell’sistema di protezione di Storr.»
«È possibile?» domandò Aqua.
«In teoria no, ma preferisco verificare.»
 
Consapevole di aver saltato la sua sessione di allenamento quotidiana per colpa di Jonna, Liam aveva dato appuntamento a suo fratello vicino alle cucine, per poter fare colazione insieme e, poi, dirigersi al campo. Ma Irthen non si era presentato. Non che la cosa fosse strana, non era mai stato un mostro di puntualità. Così, Liam aveva mangiato senza di lui e poi si era spostato verso il luogo dell’appuntamento. Quando, finalmente, era comparso Irthen, Liam iniziava già ad innervosirsi.
«Alla buonora!» disse, ma rimase un attimo inebetito davanti all’aria persa di suo fratello. «Non hai un gran aspetto, sai?»
Irthen si passò le mani sul viso.
«Se ti dicessi cosa mi è successo stanotte non ci crederesti» mugugnò.
Incuriosito, Liam si fermò davanti a lui e lo guardò. Aveva un principio di occhiaie.
«Devi mangiare?» domandò.
«No, lascia perdere.»
Liam si strinse nelle spalle e si incamminò verso il campo.
«Dunque? Che ti è successo?»
«Beh, ero già a letto da un po’, quando la tua amica Yu si è introdotta furtivamente nella mia stanza – approposito, io ci starei attento, ha una copia di tutte le chiavi – insistendo nel voler dormire con me.»
Il mago sgranò gli occhi, colto da una vertigine di apprensione.
«Quella Yu?! Quella che è scappata a gambe levate da te meno di ventiquattro ore fa?» balbettò.
Irthen annuì.
«E tu che hai fatto?» esclamò.
«Ho tentato di cacciarla via, ma non c’è stato verso. Così ho dormito da cani perché occupava metà del mio letto, perché avevo la fobia di spiaccicarla, e per altri mille motivi che non ho bisogno di elencarti…»
Poco persuaso, Liam lo guardò storto.
«Sul serio?»
«”Sul serio” cosa? Che ha voluto dormire con me, oppure che ho dormito da cani?»
«Che ha voluto dormire da te e che tu hai dormito» ribatté, scettico.
«Sul serio entrambe le cose» disse con uno sbadiglio.
Combattuto tra l’apprezzare l’autocontrollo di suo fratello e il deplorare la sua mancanza di iniziativa, Liam scosse la testa.
«E pensare che sembrava una persona normale.»
«Normale, dici? A me non sembra affatto normale. Quale persona sana di mente si innamorerebbe dell’uomo che l’ha comprata, manco fosse una forma di formaggio?»
Liam scoppiò a ridere.
«Non è infrequente come credi» disse afferrando la maniglia della porta che si apriva sul cortile.
Irthen lo bloccò afferrandogli il polso.
«Che c’è?» domandò allarmato.
«E se dovesse tornare? Anche stanotte, intendo?»
«Ti preoccupa dormire male di nuovo? Oppure temi che qualcuno possa vederla andare e venire dalla tua camera?»
Irthen esitò, e Liam comprese perfettamente quale fosse il problema.
«Lascia stare» mormorò il ragazzo aprendo la porta.
Fu il turno di Liam di bloccarlo.
«Non è mai successo che Abby ti dormisse addosso?» disse in un sussurro.
Irthen arrossì e si strinse nelle spalle.
«Non per necessità, intendi? Una volta sola. Ed ero discretamente arrabbiato con lei, ero certo che stesse cercando di tenermi buono, quindi non credo che conti, sì?»
Il mago sospirò.
Come poteva dargli consiglio di quel genere lui, che non si era mai fatto il minimo scrupolo?
«Magari non tornerà» disse.
“Codardo!”, gridò la sua coscienza.
«O magari sì» ribatté Irthen.
«Io sono la persona più sbagliata del mondo a cui chiedere aiuto, Ir, lo sai…tuttavia, se posso darti un consiglio, cercando di formularlo con il cervello e con null’altro, se dovesse tornare, forse dovresti cercare di capire perché lo fa…che cosa vuole, insomma. Una ragazza non crea una simile situazione, con un quasi perfetto sconosciuto, fra l’altro, senza secondi fini. In base a quello che deduci, fai le tue valutazioni. Perdona la brutalità, ma nel tuo letto ci è arrivata con le sue gambe, e ormai sei grande abbastanza per poter decidere se scopartela o meno.»
Irthen arrossì di nuovo, ma mugugnò un “OK” poco convinto.
La porta si spalancò di colpo, colpendo il ragazzo in piena fronte. Incapace di trattenersi, Liam scoppiò a ridere.
«Acc…scusami tantissimo! Ti ho fatto male?» farfugliò James emergendo dal cortile, investito dalle imprecazioni di Irthen, che si teneva le mani sulla testa.
«È successo qualcosa?» domandò Liam, cercando di frenare le risa.
«Seguitemi» disse.
 
«Manca ancora qualcuno?» domandò James entrando nella sala riunioni.
Amina annuì.
«Ruben» rispose.
«Non verrà» disse Jonna con un breve sospiro. «È impegnato con il Governatore. Puoi procedere.»
Amina le lanciò un’occhiata infastidita.
«Va bene. Ho ricevuto una lettera di Konstantin, che ci informa dell’arrivo di Djalmat a Cyanor, immediatamente successivo alla partenza di Ben e Tim. Ci chiede se ci sono stati problemi per il loro rientro, e dice anche che loro tre stanno bene. Hanno trovato facilmente le stanze protette ed entro la giornata di oggi cercheranno di organizzarsi per avere notizie più precise della situazione della Piana, e, soprattutto, di Torat» fece scorrere gli occhi sulla lettera che teneva tra le mani. «Che altro? Ah, sì, cercheranno di farci avere notizie ad intervalli il più brevi possibile, senza dare troppo nell’occhio. Dovrebbe essere tutto» concluse.
Liam trasse un respiro di sollievo. Aver visto rientrare Ruben tutto intero l’aveva fatto sentire meglio, ma la lettera di Konstantin era quel genere di cosa capace di cambiargli la giornata.
«Il Maestro dice» intervenne Jonna «che non sappiamo in che modo si metteranno in contatto con noi, perciò teniamo tutti occhi e orecchie aperte. Aqua, Terra ed Aria conosco innumerevoli mezzi per trasmettere notizie…»
Qualcuno annuì, altri distolsero lo sguardo per evitare di doverle rispondere. Decisamente Jonna non andava a genio a molti, si appuntò Liam.
 
Tornati sul campo di allenamento, Liam sfoderò la spada.
«Che vuoi fare?» domandò Irthen.
«Duellare con te. Potremmo aver bisogno di combattere da un momento all’altro, e dubito che tu voglia startene a guardare…»
Irthen deglutì a vuoto. Suo fratello aveva ragione, ma aveva una paura tremenda di mettersi alla prova con lui. Perché aveva la certezza che avrebbe fatto una figuraccia, perché sapeva di non essere bravo quanto lui, e perché aveva addosso una stanchezza tremenda.
«Pronto?»
Liam impugnò meglio l’arma e stabilizzò la posizione.
“Prima comincia, prima finisce” si disse Irthen, lanciandosi su di lui.
Liam schivò con estrema facilità il suo primo attacco. Scartò di lato e parò. Senza perdere tempo, Irthen attaccò di nuovo, e di nuovo.
Quando le gambe iniziavano a farsi pesanti, Liam si fermò e alzò una mano.
«Non stai usando il cervello, Ir.»
«Che vuoi dire?» ansimò.
«Non puoi lanciarti come un pesce nella rete, in un duello! Guarda chi hai davanti, studia le sue tecniche, l’arma che impugna, cerca di immaginare le mosse future del tuo avversario! Non puoi pensare che ogni avversario sia uguale, e ognuno ha un punto debole, anche se magari poco evidente. Ti mostro cosa intendo, sei pronto?»
Irthen annuì, stringendo la spada.
Liam si avvicinò lentamente, muovendosi in diagonale. Improvvisamente, balzò in avanti, mirando al fianco destro. Irthen si predispose a parare, ma, all’ultimo momento, Liam fece mezzo giro su sé stesso, cogliendolo di sorpresa. La spada lo colpì di piatto sulle costole, togliendogli il respiro.
«Scusa» disse Liam. «Questo è quello che intendevo. Hai perennemente il fianco sinistro scoperto. Se tu avessi pensato a quale mossa avrebbe potuto fare il tuo avversario, ti saresti reso conto che sarebbe stato sciocco da parte mia tentare sul destro, e forse ti saresti accorto che il sinistro era in pericolo. Chiaro?»
Irthen annuì, premendosi una mano sul fianco. Gli sarebbe uscito un bell’ematoma, a ricordargli quanto fosse sciocco per qualche giorno.
«Chiaro» mormorò.
«Riproviamo» disse Liam alzando la spada.
Irthen sospirò. Cominciava a sospettare che sarebbe stata una giornata lunga…
 
«Questa è l’ultima» disse Konstantin, posando il palmo sulla porta intagliata che chiudeva la sesta stanza.
«Come lo sai?» domandò Aqua.
«Lo sento. È piena zeppa di magia, significa che è quella che isola dal resto del palazzo» spiegò.
Hailie adocchiò una sedia e vi prese posto.
«Aiutatemi a ricapitolare» disse. «Sei stanze, di cui: due saloni, una stanza da letto, una stanza da bagno, una cucina e una dispensa vuota. Ciò che manca è il cibo, ma, forse, qualcosa riusciremo a recuperare sfruttando il potere di Stan di attirare gli animali. Per quanto riguarda l’acqua, invece?»
«Nel bagno c’è un sistema di canalette che portavano acqua dalla falda sottostante il palazzo fin quassù. Sperando che funzioni ancora, non dovrebbe essere troppo complicato purificare l’acqua e renderla potabile. Anzi, penso che questo sistema potrebbe essere utile anche per raccogliere notizie. Attraverso l’acqua corrente posso vedere quello che succede a miglia da qui» disse Aqua.
Hailie annuì.
«Anche per quanto riguarda il mio elemento non sarà un problema. Mi basta poter aprire una finestra.»
«Tu, Stan, cosa pensi di fare?» domandò Aqua.
Konstantin sorrise.
«Semplicissimo: sfrutterò la finestra aperta da Hailie per chiamare qui gli animali e attingere alle loro informazioni. L’unico problema è…»
«…Come fare perché nessuno noti il via vai di uccelli dalla finestra?» concluse Hailie.
«E come fare perché Djalmat non mangi i tuoi informatori pennuti, Stan?» aggiunse Aqua.
Konstantin sospirò.
«Dovremo fare molta attenzione» disse.
Uno scoppio di grida attirò la loro attenzione. Si avvicinarono tutti e tre alla finestra. Da quella stanza, era visibile il cortile interno del palazzo, dove Raj, il drago verde smeraldo, stava ruggendo contro ad un grosso orco dalle corna ricurve. L’orco fece un passo avanti, grugnendo qualcosa nella sua lingua gutturale, e gettò a terra la sua ascia. Con un gesto fulmineo, il drago scattò in avanti e afferrò l’orco tra le zanne, tra le urla degli altri orchi. Lo lanciò lontano, mandandolo a schiantarsi sulla parete di un edificio, che si sgretolò.
«Speriamo che non demoliscano il palazzo» commentò Hailie.
«Sarebbe un bel problema» concesse Konstantin con un sorriso tirato.
 
Il sole stava tramontando e, nonostante fosse quasi ora di cena, Liam aveva voluto passare dalle stalle per salutare Baio. Non aveva avuto occasione di uscire con lui, e non voleva passare l’intera giornata senza vederlo. La sua compagnia lo tranquillizzava, quegli occhioni liquidi lo facevano sentire a casa.
Non appena messo piede nell’edificio, il mago capì di non essere solo. Una voce sussurrava, nella penombra, e proveniva proprio dal box di Baio. Liam si avvicinò cercando di non fare rumore, ma il sussurro si interruppe.
«Liam?» mormorò la voce dopo un attimo di silenzio.
Il mago sussultò, ed entrò cautamente.
«Mina…che ci fai qui?» domandò, sorpreso.
Amina si strinse nelle spalle.
«Volevo salutare Baio» disse.
Convinto che fosse una bugia, Liam si costrinse ad annuire.
«Com’è andata con Ir?» domandò Amina accarezzando il muso lungo di Baio.
«Speravo meglio» disse Liam. «Speravo che Abby gli avesse insegnato qualcosa, ma evidentemente era concentrata su altro. Contro un soldato se la caverebbe di certo, ma contro un mago…»
«Non è necessario che affronti un mago, Li’…per i maghi ci siamo noi.»
«Lo spero. Non sopporterei di…di…» la sua voce si perse.
L’immagine del corpo inerte di Irthen gli tolse il respiro.
Amina si avvicinò e gli prese la mano.
«Non succederà» disse con fermezza.
Liam sorrise.
«È sempre confortante parlare con te, Mina.»
La maga scoppiò a ridere, e Liam si incantò ad osservarla. Nella penombra, la sua pelle sembrava diafana. Senza pensarci troppo, le prese il viso tra le mani e la baciò.
«Va tutto bene?» farfugliò Amina, staccandosi per respirare.
«Più che bene…» sussurrò Liam, spingendola contro alla parete di legno, mente la vocina nella sua testa gridava “Drogato!”.
La ignorò con disinvoltura, e, d’altra parte, Amina non sembrava intenzionata ad obiettare quando le sue mani andarono a cercare la pelle nuda.
“Ognuno ha i suoi vizi”, si disse. “E il mio non è certo quello più deprecabile”.

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Capitolo 46
*** Preludio ***


Aveva finito per saltare la cena, ma ne era valsa la pena, oh sì. Era notte fatta quando Liam si era diretto, quatto quatto, alla propria stanza. Passando davanti alla porta di Irthen si lasciò scappare un sospiro. Chissà se quella cameriera mezza matta sarebbe tornata da lui…
La luce della luna entrava dalle finestre , illuminando i corridoi del palazzo ormai deserto. Finalmente, le nuvole si stavano diradando. Si fermò ad osservare il cielo, prima di andarsene a dormire, consapevole di quanto ogni notte di luna limpida gli ricordasse le battute di caccia sui Giganti.
Un rumore dietro all’angolo poco lontano attirò la sua attenzione. Doveva esserci qualcun altro insonne quanto lui, nonostante l’ora ormai tarda. Incuriosito, seguì l’istinto di controllare. Oltrepassò senza rimpianti la propria porta e svoltò nel corridoio attiguo.
C’era buio, ma la luce tenue della luna illuminava una figura. I gomiti erano appoggiati al davanzale della finestra aperta, e un filo di aria fredda faceva fluttuare qualche ciuffo pallido attorno a lei. Liam sorrise: una volta tanto, Jonna non sembrava la regina delle nevi. Avrebbe anche potuto piacergli, se solo fosse stata meno incline ad arroccarsi sul suo piedistallo… Si allontanò in silenzio, del tutto intenzionato a non farsi scoprire a spiarla. Ma una mattonella sconnessa schioccò sotto ai suoi piedi, e la ragazza sobbalzò.
«Chi è? C’è qualcuno?» sussurrò.
Liam alzò le mani, imprecando mentalmente, e fece dietrofront.
«Sono Liam» rispose.
Jonna si lasciò scappare un sospiro.
«Mi hai spaventata.»
«Non era mia intenzione. E comunque, chi mai avrebbe potuto essere? Siamo nel quartier generale di Ruben,  probabilmente non esiste posto più sicuro di questo, al momento.»
Jonna si strofinò le mani sul viso.
«Sì, probabilmente…» mormorò.
Lanciò un’ultima occhiata fuori dalla finestra, poi aggiunse:
«È meglio che vada. Si è fatto tardi.»
Liam annuì, e la guardò allontanarsi lungo il corridoio buio, fino a svoltare l’angolo e sparire dal suo campo visivo.
Uno spiffero gelido gli ricordò che la finestra era rimasta aperta. Da quell’angolazione, in lontananza, si vedevano il Lago di Nebbia e le navi ormeggiate in porto, che dondolavano dolcemente. Tutto era avvolto da una leggera foschia spettrale. Niente vento, stranamente, quella sera. Forse, anche Jonna stava pensando la stessa cosa prima che arrivasse lui a disturbarla.
Scuotendo il capo, cercò di scacciare quell’inquietudine improvvisa che l’aveva assalito senza apparente motivo.
 
Nonostante fosse vigile e in attesa, quando la serratura scattò Irthen fece un salto. Qualcosa lo aveva reso assolutamente certo che Yu sarebbe tornata, e tuttavia una parte di lui aveva sperato di sbagliarsi. Senza salutare, la ragazza si richiuse la porta alle spalle e si infilò sotto alle coperte.
«Io e te dobbiamo fare un discorsetto» sussurrò Irthen, deglutendo a fatica.
Lo stomaco gli si era improvvisamente chiuso.
«Non possiamo parlare domani? Adesso ho sonno…» rispose Yu.
«No, non possiamo. Io non…non voglio essere crudele con te, ma rischio di non riuscire  ad evitarlo, Yu, e mi dispiacerebbe.»
Yu si puntellò sul gomito e lo guardò storto.
«Temo mi sfugga il punto» disse.
Irthen sospirò, incapace di organizzare i pensieri in un discorso coerente.
«Il punto è che sono stanco di fare il bambolotto. Non mi sta più bene di essere sballottato qua e là senza sapere perché, facendo il carino con tutti, tenendo tutte le domande per me in attesa che siate voi a centellinarmi le informazioni. Il mio maledettissimo istinto mi ha messo in guardia dal primo momento nei confronti di Abigail, ma da vero idiota l’ho represso, giorno dopo giorno, perché desideravo ardentemente che sbagliasse. Desideravo fidarmi, e guarda che casino ho fatto! Mi ha fatto irrazionalmente comodo chiudermi nelle mie scuse, nell’ingenuità e nell’inesperienza, ma adesso sono stanco di essere la zavorra e la marionetta di tutti quelli che passano…»
Yu lo guardava senza battere ciglio, così riprese:
«Sei stata gentile con me, ma è chiaro e lampante come tu, non appena ho abbassato le difese, abbia sfruttato le mie debolezze per servirti di me. E anche ora lo sta facendo, senza il minimo rispetto e senza la minima vergogna. Perciò ora ti chiedo: che cosa ci fai qui?»
Yu rabbrividì.
«Non…non puoi farmi sentire una persona orribile…» farfugliò.
«Non è quello che voglio» rispose Irthen freddamente.
«Che cosa vuoi allora?» domandò la ragazza ritrovando l’autocontrollo.
«Voglio sapere chi è veramente Yu. Io non sono mai stato bravo a mentire, e inizio a pensare che sia una cosa di cui andare orgoglioso…tuttavia, ho la sensazione che tanta parte del mondo che mi circonda non sia altro che una menzogna costruita nel minimo dettaglio. Adesso sono stanco, e voglio vederci chiaro. So di non poter smantellare tutte le falsità che mi ruotano attorno, ma credo di avere il diritto di sapere che cosa c’è dietro al sorriso dolce della ragazza che mi perseguita…Vuoi sapere che cosa penso?»
Yu si lasciò cadere sul cuscino, gli occhi socchiusi, un sorriso amaro sulle labbra.
«Penso che tu non sia nulla più che una maschera, che dietro al tuo sorriso ben costruito ci sia un vuoto immenso, fatto di confusione e di dolore, ma riesci a celarlo alla perfezione, anche se non so davvero come tu faccia…»
Una lacrima scivolò giù dalla guancia di Yu.
«Come puoi dire una cosa simile?» balbettò.
Irthen si avvicinò e le prese il viso tra le mani. I loro nasi si sfioravano.
«Guardandoti negli occhi riesco a vedere ogni singola crepa del tuo cuore. Io riesco a vedere attraverso la tua maschera» mormorò, sentendosi precipitare.
«Come?» disse in un sussurro.
Irthen sorrise amaramente, colpito da una certezza improvvisa.
«Forse perché è pressappoco quello che provo io. Tu ed io siamo uguali, Yu, qualcosa in noi non funziona più bene. Solo che…io l’ho accettato.»
Una grossa lacrima scivolò giù dalla guancia pallida della ragazza e si perse nei suoi capelli.
«Mi permetti di condividere il mio vuoto con il tuo, almeno per un po’?» domandò dolcemente.
 
Quando Irthen posò le labbra sulle sue, Yu credette che si sarebbe allontanato non appena si fosse reso conto di quanto quel gesto fosse ardito. Ma si rese subito conto di essere in errore. Lo capì quando la pressione aumentò e le labbra del ragazzo si schiusero. Il suo respiro caldo era, in qualche modo, confortante.
«Mi sto ancora servendo di te» precisò, faticando ad articolare, con il cervello in pappa.
«Se non altro, questa volta è reciproco» rispose Irthen, gli occhi ridotti a due fessure verde opale, e una vena vagamente crudele nella voce.
Istintivamente, Yu si strinse a lui e stette al suo gioco, desiderosa soltanto che quel maledetto dolore, anche se solo per poco, fosse lenito.
 
«Sveglia!» latrò Konstantin. «Svegliatevi subito!»
Aqua si svegliò di soprassalto e balzò in piedi.
«Cosa? Che succede? Ci attaccano? Ci…?» farfugliò.
Hailie si stropicciò gli occhi.
«Ma che ti prende, Stan? Sei impazzito?»
Konstantin lanciò a ciascuna di loro un’occhiataccia e puntò il dito verso una finestra.
«La vedete quella?» sibilò.
Aqua rabbrividì. Konstantin furioso era uno spettacolo che si sarebbe persa volentieri. Seguì il suo dito e capì: la finestra era accostata.
«Cosa?» ripeté Hailie.
«Non l’hai aperta tu immagino…» mormorò Aqua.
«No. Non l’ho fatto. E nemmeno ieri sera. Perciò deve essere stata una di voi due. Non vi sembra che la situazione sia abbastanza rischiosa senza bisogno di commettere certe imprudenze? Non sappiamo che grado di protezione ci offrano gli incantesimi di Storr, perciò non sognatevi mai più – mai più – di dimenticare una finestra aperta, sono stato chiaro?»
Aqua si rabbuiò. Era assolutamente certa di non aver aperto alcuna finestra, aveva passato il pomeriggio a studiare il funzionamento del sistema di canalette, la finestra non le serviva. Guardò Hailie, che scuoteva risolutamente il capo, facendo rimbalzare i riccioli biondi a destra e a sinistra.
«No, Stan, ti sbagli, ma io non ho aperto quella finestra. Se ben ricordi, ho svolto i miei esperimenti nel salone principale, quello che si affaccia sul cortile interno, e non qui. E…beh, non credo che ad Aqua servisse una finestra» disse, voltandosi verso di lei.
Aqua annuì, e disse:
«Se non l’hai aperta tu…»
Konstantin si era fatto via via più pallido.
«Ne siete sicure? Completamente sicure?» domandò.
Entrambe annuirono.
«Non può essersi aperta da sola» mormorò in tono lugubre.
«Stan…è entrato qualcuno? O qualcosa?» domandò Aqua rabbrividendo.
Konstantin sospirò.
«In questo momento non c’è nessuno, qui, tranne noi tre. Ma non posso sapere se qualche creatura si sia introdotta nel palazzo durante la notte, per poi andarsene prima del mio risveglio. In ogni caso, siamo ancora vivi e vegeti, e questo mi fa pensare che non si trattasse di qualcosa di ostile.»
Hailie scosse ancora il capo.
«Non mi piace. Non mi piace per niente. Forse dovremmo fare dei turni di guardia…»
«Abbiamo l’intera giornata per organizzarci» concluse Stan chiudendo la finestra.
 
Chloé sopirò, guardando la nave allontanarsi dal porto di Natìm. James la salutò con un cenno formale del capo e si ritirò in coperta. Salpavano per Riva, che nella notte era stata attaccata da un contingente di orchi. La notizia era giunta prima dell’alba, e Ruben non aveva perso tempo: aveva organizzato una squadra di sostegno per gli uomini che erano rimasti là a difesa della propria città, e aveva affidato il comando a James.
Ancora non riusciva a capacitarsi di essere stata lasciata lì a penare… Non poteva sopportare l’idea che lui fosse impegnato sul fronte, che una parte delle infermiere da lei stessa addestrate potesse seguirlo, e che lei invece dovesse aspettare le notizie ufficiali per sapere se il suo uomo fosse vivo o morto. Aveva provato in tutti i modi a convincere lui e il Maestro, ma entrambi erano stati irremovibili.
“Il quartier generale è inquietantemente sguarnito, ormai, e preferisco averti qui”, aveva detto Ruben.
“Combatterò più tranquillo sapendoti a casa”, aveva aggiunto Jamie.
Strana scelta terminologica, pensò Chloé, casa. Natìm non era affatto casa sua. Poteva forse esserlo per James, ma non lo sarebbe stata mai per lei. Casa era Pothien, nient’altro. Nemmeno James avrebbe potuto cambiare quel fatto, era una certezza inscalfibile.
Tornò lentamente al palazzo, domandandosi che cosa sarebbe successo se i draghi avessero sorvolato la Piana di Thann, il Lago, e avessero attaccato direttamente Natìm. Probabilmente, la città e i suoi abitanti avrebbero subito la stessa sorte di Madian, che sei anni prima era stata quasi rasa al suolo. Ma se era davvero così semplice, perché non l’avevano già fatto? Forse, perché senza l’effetto sorpresa sarebbe stato più rischioso? C’era qualcosa in tutta quella storia che le sfuggiva. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno che fosse ben informato sui fatti. E dal momento che Ruben era inavvicinabile, con tutte quelle riunioni strategiche che lo tenevano occupato, che Aqua e Stan erano lontani, che Jonna non le ispirava simpatia, l’unica che forse poteva sapere qualcosa era Amina. Anche se sapeva che spingerla a ricordare sarebbe stato peggio che pugnalarla.
 
Yu bussò alla porta dell’appartamento di Ruben prima di entrare. Il Maestro tamburellava nervosamente con le dita sulla mappa spiegata sulla scrivania. Non alzò nemmeno gli occhi quando la ragazza richiuse la porta.
«Ben?»
«Avvicinati, bambina.»
Yu sospirò e obbedì.
«Che cosa vedi?» disse Ruben facendole posto davanti alla cartina.
Yu si scostò i capelli dagli occhi. Accidenti ad Irthen, le aveva fatto fare tardi, e quando Ruben l’aveva mandata a chiamare non era neanche lontanamente presentabile.
Una serie di segni di vari colori e forme costellava la Terra dei Tuoni. Cerchi verdi per indicare le città alleate, cerchi rossi per i domini di Micael, croci nere i fronti di combattimento. Un’enorme freccia puntava su Cyanor.
«A parte un delirio di inchiostro di dubbia coerenza?» domandò confusa.
Ruben rise tra i denti.
«Sì, a parte questo.»
Yu continuò ad osservare.
«Mi dispiace davvero, ma continuo a non capire» disse infine.
Ruben puntò il dito sulla cittadina di Riva.
«Questa notte, gli orchetti hanno attaccato Riva. Ho inviato Jim in aiuto con una squadra, ma non mi è ancora chiara la gravità della situazione. Quello che mi preoccupa è che ci stanno accerchiando, oltre che costringendo a frazionare il nostro esercito in modo pericoloso. Il Nord del Lago di Nebbia è la zona più popolosa della Terra dei Tuoni, uno scontro qui sarebbe un massacro. Devo trovare il modo di spostare tutto questo…disastro da qualche altra parte.»
«Dove?» domandò Yu.
«Ancora non lo so» sospirò.
«Come posso aiutarti, Ben?»
Ruben si rabbuiò e scosse il capo. Gli occhi azzurri la trafissero.
«Perché sei sempre convinta che debba esserci un secondo fine nelle mie convocazioni? Non posso mandarti a chiamare per sapere come stai?»
Fiutando un raggiro, Yu si fece circospetta.
«Negli ultimi giorni ci siamo visti poco, ragazza mia. Certo, l’arrivo di Jonna mi ha complicato un po’ la vita, e mi ha fatto piacere sapere che hai continuato a frequentare il giovane Irthen. Alla tua età è giusto passare del tempo con i coetanei, temo di essere stato un padre adottivo pessimo sotto questo punto di vista…»
Sentendosi sempre più un animale braccato, Yu deglutì a vuoto, cercando di mantenere un’espressione calma. Mai Ruben le era sembrato tanto pericoloso come in quel momento, per qualche oscura ragione sentiva il bisogno di scappare a gambe levate.
“È questo l’uomo che ami?”, si domandò.
Il mago non notò il suo conflitto interiore, e tornò a guardare la mappa.
«Questa tua nuova amicizia è interessante, mia cara Yu. Non mi fido completamente di Liam, è impulsivo e incline a fare cose sciocche quando ci sono di mezzo certe persone. Ora che il tuo amico cammina sulle proprie gambe, ho perso parte del potere che esercitavo su suo fratello, e, di conseguenza, su Amina, su Chloé, e di riflesso anche su James. Sembra che, in un modo o nell’altro, Liam stia raccogliendo intorno a sé un folto gruppo di simpatizzanti, e questo non mi fa dormire sonni tranquilli. Sarebbe bene che tu tenessi occhi e orecchie aperte: potresti scoprire qualcosa di interessante, frequentando quei due fratelli senza partito…magari un punto debole, chissà.»
Yu lasciò la stanza di Ruben con lo stomaco sottosopra. Ancora una volta non si era sbagliata, ancora una volta l’aveva rabbonita con parole gentili per poi inviarla a fare il lavoro sporco al posto suo. La sola idea le dava la nausea. Non si era mai sentita tanto disturbata dal proprio ruolo di spia. Non credeva che Liam avesse intenzione alcuna di soffiare il comando a Ruben, e il solo pensiero di dover tradire Irthen la faceva stare male. Ma aveva alternative, se a chiederglielo era Ruben?
 
Il sole entrava dalle finestre aperte della stanza di Chloé, ma l’umidità che saliva dal lago rendeva l’aria soffocante. Liam stava seduto sul davanzale, fingendo di ascoltare il lungo ragionamento che la bionda aveva iniziato a ricostruire dopo essere andata a requisire lui e suo fratello, frutto di un discorso che doveva aver tenuto impegnate lei ed Amina per parecchio tempo, quella mattina presto.
James era partito per Riva, gli orchetti avevano attaccato anche da là, i draghi a Cyanor. Ogni tanto Irthen sbadigliava, e lui non poteva fare a meno di imitarlo.
«Così, ho chiesto a Mina perché Djalmat ha avuto vita tanto facile a Madian. Naturalmente, per l’effetto sorpresa, mi ha risposto. Ma quell’effetto ora non ce l’ha, perché tutti i maghi della Terra dei Tuoni si aspettano un attacco da parte sua» disse Chloé.
«Fin qui, siamo tutti concordi» commentò Liam, distrattamente.
«Qual è il punto?» domandò Irthen.
«Il punto è: perché se Djalmat da solo ha potuto radere al suolo una città, i draghi non attaccano tutti insieme prima Natìm e poi Torat, garantendosi l’egemonia senza tante guerre e strategie snervanti?»
«Non vogliono esporsi?» tentò Irthen.
Con grande sorpresa, Liam notò che sembrava davvero interessato all’argomento. Ancora una volta si domandò che fine avesse fatto suo fratello.
«In un primo momento» intervenne Amina «io e Clo abbiamo pensato che potessero aver scelto di restare a margine per non rischiare perdite e poter, una volta finita la guerra, sbarazzarsi degli alleati scomodi. Magari non addirittura gli stregoni, ma orchi e orchetti. Non penso che combattano gratis, avranno pure qualche tornaconto.»
«Terre, probabilmente» disse Liam.
«Esatto.»
«Tuttavia, questa teoria è debole» riprese Chloé. «Anche se un “tutti contro tutti” sarebbe molto opportuno, per loro, mi sembra comunque troppo improbabile che tutto questo sia stato architettato per risparmiare energie per combattere gli orchi…»
«Così ci siamo dette:» Amina si alzò e iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro «da quanto tempo i draghi non lasciano il territorio del patto? O meglio, da quanto tempo non abbiamo notizie certe di loro?»
«Beh, da quando sono stati confinati nell’estremo Sud credo che nessuno si sia mai realmente interessato» disse Liam.
Iniziava a capire dove volevano andare a parare, e la cosa si faceva interessante.
«Appunto. Sono passati centinaia di anni da quella guerra. Non pensate che in questo lungo lasso di tempo, trascorso in una terra inospitale e non particolarmente ricca di cibo, il loro numero possa essersi ridotto?»
Liam prese a giocherellare con una ciocca di capelli, valutando le implicazioni di una simile possibilità.
«Poniamo che sia così, che i draghi siano pochi» disse Irthen. «Questo che cosa comporterebbe?»
Amina guardò Chloé prima di rispondere.
«Comporterebbe che ogni perdita potrebbe essere una tragedia, e che, soprattutto, potrebbe essere a rischio la loro supremazia sugli stregoni. Formalmente, il loro è un rapporto su pari livello, ma dubito che lo sia davvero. Abigail ha detto che sono i draghi a gestire l’esercito, giusto? Io credo che Djalmat avrebbe tutto l’interesse a tenere celato, agli stregoni in primis, la vera entità del loro numero, anche nella prospettiva di una possibile vittoria. Il rischio di un colpo di mano è troppo alto…»
Liam annuì, piacevolmente colpito dagli scenari che si aprivano loro.
«E come possiamo fare per verificare la vostra teoria?» domandò Irthen.
Chloé si strinse nelle spalle.
«Con un po’ di fortuna, saranno le nostre spie a Cyanor a confermarlo. Per il momento conviene aspettare…»
 
L’aqua di quei condotti proveniva dal lago di Nebbia, e si diramava per tutta la Piana, fino al Bosco Lossar verso Ovest, e fino a Torat ad Est. A Sud sfiorava la città di Pall. Non era niente male come campo di indagine, pensò Aqua.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul liquido gelato che le intorpidiva le dita. Seguendo il fluire del suo elemento, poteva catturare immagini e suoni di tutto ciò che vi entrava in contatto, ma l’intensità della connessione andava diminuendo in proporzione all’aumentare della distanza. In cima alla lista delle priorità c’era Cyanor e i suoi occupanti, così non permise alla sua mente di divagare…
Il buio freddo della tubatura scendeva diramandosi tra le pietre del Palazzo. Decine di sussurri, grugniti, presenze. Orchi e orchetti, un numero imprecisato che si muoveva nell’edificio. Principalmente concentrati tra il primo piano e il piano terra, forse non amavano l’altezza. Oppure le scale. Nessun drago all’interno delle mura. Probabilmente non c’era spazio a sufficienza. Allargando, nuove biforcazioni, che si estendevano in tutta la città. Altri orchi, dislocati qua e là. Sentinelle. Ogni tanto, la luce del sole e la brezza fresca. Fontane. Cyanor ne era piena. Nell’estremo Ovest della città, un grande spiazzo, con l’aspetto di un anfiteatro. Tutto attorno, palazzi abbattuti, case bruciate, piante estirpate, lastre di pietra frantumate. L’immagine vivida di una zanna e di un occhio smeraldino, dalla pupilla verticale. Il fluire dell’acqua rallentò, per poter osservare meglio. Nell’anfiteatro c’erano tre grandi draghi. Conosceva due di loro: Djalmat e suo figlio Raj. Il terzo era il più piccolo, nero. Sembrava che comunicassero tra di loro, ma nessun suono particolare turbava la corrente. Attorno all’anfiteatro, altre presenze simili. Riducendo al minimo la velocità, cercò di contarle, ma era difficile. Non vedeva bene, poteva basarsi solo sulle vibrazioni prodotte dai loro movimenti. Uno, due, tre…sei draghi, forse. Solo sei? Potevano essercene altri, in giro? Forse ancora nella Terra dei Draghi?
«Aqua!»
Aqua sobbalzò e tornò nel proprio corpo. Era madida di sudore.
«È successo qualcosa?» domandò.
Hailie si lasciò cadere per terra di fronte a lei.
«Ho scoperto una cosa incredibile, scandagliando la città! Sai quanti draghi ci sono, a Cyanor?»
Aqua ghignò.
«Nove?»
Hailie sgranò gli occhi.
«Come cavolo fai a saperlo?!» esclamò battendo il palmo della mano per terra.
«È quello che ho appena visto anch’io. Credi che siano così pochi? Oppure che ce ne siano altri?»
Scosse il capo.
«Chi lo sa… Bisognerebbe cercare notizie a Sud, ma i miei poteri non mi consentono di arrivare così lontano. E nemmeno i tuoi, credo. L’unico che può capirci qualcosa è Stan.»
Aqua annuì.
«Dov’è, ora?»
«Chiuso nell’ultima stanza. Credo stia cercando il modo di tenere sotto controllo i movimenti nel Palazzo.»
Uno schiocco secco proveniente dalla stanza accanto le fece balzare in piedi.
«Cos’è stato?» sussurrò Hailie.
Aqua si avvicinò cautamente alla porta del bagno. Nel salone attiguo, uno specchio giaceva infranto sulle pietre.
«E quello?» mormorò Aqua.
Hailie si avvicinò e si nascose dietro alla sua schiena.
«Che cos’è stato?» ripeté.
«Lo specchio. Deve essersi staccato dal suo gancio.»
Si guardò attorno e andò a raccogliere lo specchio. L’anello che lo sosteneva era intatto.
«Non capisco…»
Konstantin comparve dall’altro ingresso. Aveva il fiatone.
«Uno specchio?» domandò.
«Sei…sei certo che siamo soli, qui?»
Stan annuì lentamente.
«Ti rendi conto, vero, che è altamente improbabile che sia caduto da solo?» insistette Aqua.
«Potrebbe essere colpa di Storr» disse.
«Storr è morto da centinaia di anni!» farfugliò Hailie.
«Intendevo della sua magia! Smettila di frignare per qualunque cosa, Hailie!» sbottò. «Forse tutta la magia che ha ammucchiato in queste stanze, a distanza di tanto tempo e senza manutenzione, inizia a fare le bizze…»
«Quindi potremmo improvvisamente trovarci scoperti? Ottimo» commentò Aqua.
«Potremmo anche saltare in aria, se è per questo» precisò Stan. «Sentite, cerchiamo di raccogliere più informazioni possibile, e leviamo le tende prima che sia troppo tardi.»
Aqua e Hailie annuirono. Anche se non si era ancora parlato di come avrebbero fatto a lasciare il Palazzo di Storr.



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Ok, non uccidetemi :)

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Capitolo 47
*** Giro di boa ***


Irthen soppesò il sasso piatto prima di lanciarlo. Lo guardò rimbalzare quattro volte prima di affondare nell’acqua scura.
«Sei bravo» disse Liam.
Irthen sorrise.
«Scommetto che tu lo sei di più. Scommetto che riusciresti a farlo rimbalzare fino alla riva opposta, con i tuoi poteri…»
«Invidioso?» ghignò suo fratello.
«Non immagini quanto!»
Prese un altro sasso, ma non lo lanciò. Si limitò a rigirarselo tra le mani. Si era aspettato il terzo grado da parte di Liam, ma suo fratello l’aveva sorpreso astenendosi da qualunque indagine. E non sapeva se considerare la cosa un traguardo oppure una fonte di inquietudine.
Avevano parlato a lungo delle deduzioni di Amina e Chloé, senza pretesa di poter aggiungere qualcosa all’analisi. Lui non ne sapeva assolutamente nulla di draghi, e tutto ciò che Liam aveva capito era che orchi e orchetti erano diretti sottoposti di Djalmat, e che gli stregoni erano molto irritati dalla mancanza di collaborazione e trasparenza del re dei draghi.
Sapevano benissimo entrambi che indugiare in quel genere di riflessione era totalmente privo di utilità, ma la verità era che quell’attesa stava diventando sfiancante. Che cosa stava facendo Ruben? Perché dovevano aspettare lì che il mondo finisse? Non sarebbe stato più proficuo e meno rischioso attaccare per primi, magari direttamente a Cyanor?
Liam sospirò.
«Non è niente male questo posto, sai? Molto meglio del molo» disse, guardando la spiaggia di sassi che li ospitava.
«A volte, a vagabondare a caso…» rispose Irthen.
Da quanto tempo era che non aveva la possibilità di passare tutte quelle ore in compagnia di suo fratello? Anni, probabilmente. Era bello, era come avere di nuovo una famiglia.
«Cos’è quella faccia ebete?» domandò Liam con un sorrisino sospettoso.
Irthen scosse il capo.
«Pensavo« rispose. «Hai qualche novità interessante su Jonna?»
Liam si fece subito serio.
«No. Mi irrita non capirci niente, in lei…lo considero un fallimento personale» rispose. «E poi…non so come dire, mi mette i brividi, mi sento a disagio in sua compagnia.»
Irthen ghignò.
«Sono impressionato, una donna che ti mette in difficoltà!»
Liam gli lanciò un sasso.
«Fai meno lo spiritoso!» sbottò, mascherando male un sorriso divertito. «Comunque, oggi tornerò a darle fastidio…ho una brutto presentimento, su di lei.»
Irthen annuì. Non osò chiedere che tipo di presentimento fosse.
 
La sola idea di dover sostenere una conversazione con Jonna lo metteva di cattivo umore, ma non vedeva alternative. Se voleva verificare la teoria delle ragazze, l’unica persona in grado di dargli delle risposte era lei. E poi…poi non gli piaceva l’idea di restare solo in sua compagnia. Il suo sesto senso per il pericolo gli diceva che non era consigliabile. Non poteva sottovalutare il rischio che il suo cervello si scollegasse improvvisamente e gli ormoni lo spingessero a rischiare di farsi ammazzare da Ruben. Per una come Jonna non ne valeva davvero la pena.
Attraversò il quartier generale faticosamente, aveva la sensazione di camminare nella sabbia. E quando raggiunse la porta della stanza della maga fu sul punto di tornare indietro. Ma non poteva fare la figura del codardo. Era proprio quello lo scopo di dire ad Irthen che sarebbe andato da lei, impedirsi di fare dietrofront senza ricoprirsi di ridicolo. Prese un respiro profondo e bussò. Per un attimo, il silenzio assoluto lo fece sperare che Jonna non ci fosse. Purtroppo, però, la porta si schiuse. Dalla fessura un occhio grigio lo sbirciò con circospezione.
«Ciao» balbettò Liam.
Jonna aggrottò la fronte, poi aprì la porta.
«Posso esserti utile?» domandò vagamente ironica.
«Spero di sì. Posso entrare?» domandò.
Gli occhi della maga si assottigliarono un momento, poi sospirò.
«D’accordo. Ma che sia una cosa rapida. Ben non ha apprezzato la tua sollecitudine nei miei confronti, l’altro giorno. Mi ha tempestata di domande, e odio dovergli giustificare ogni frazione di pensiero, perciò…»
Lasciò cadere la frase e si scansò per lasciarlo entrare. Liam entrò velocemente e richiuse la porta.
«Buono a sapersi, la prossima volta ti lascio svenuta in giro per la città. Sei sola?»
«Perché? Vuoi molestarmi?»
«Siete tutti convinti che io sia un molestatore…» sbottò.
Jonna rise.
«Non è un problema, mi so difendere» disse, chiudendo le finestre. «Hai freddo?»
Liam scosse il capo.
«Mi inquieta questa tua disponibilità.»
«Mi preferisci di cattivo umore?»
«Per carità!» esclamò, lasciandosi cadere sulla poltrona.
Jonna si sedette di fronte a lui.
«Allora? Che succede?»
«C’è qualche novità da Cyanor?»
«Non che io sappia. Perché?»
Liam tentò di riassumere brevemente l’ipotesi di Chloé e di Amina sul numero dei draghi, e la ragazza andò facendosi via via più cupa, ma non lo interruppe.
«E io che cosa c’entro?» domandò quando ebbe concluso.
«Mi domando se, magari, nelle tue “visioni” tu abbia percepito qualcosa che possa confermare questa ipotesi…»
Jonna si passò le dita tra i capelli, con aria preoccupata.
«Non lo so, Liam…le visioni sono confuse. Non so come spiegartelo, ma io sono Djalmat in quei momenti. E non sono padrona della mia mente, non sono libera di pensare atro rispetto a ciò che lui pensa…» la sua compostezza vacillò. «Spesso interagisco – interagisce – con suo figlio, oppure con un drago nero di nome Rikk. Ma gli ordini e le comunicazioni passano sempre attraverso uno di loro, perciò…» Jonna scosse il capo e alzò gli occhi su di lui. «Perché mi stai guardando in quel modo? Ho detto qualcosa di strano?»
Liam si riscosse. Non si era aspettato tanta disponibilità da parte sua, l’aveva disorientato.
«No. No, certo che no. Senti, hai mai…provato a…entrare spontaneamente nella mente di Djalmat?» domandò.
Jonna sgranò gli occhi.
«No!« esclamò. «Entrarci è orribile! È doloroso, e mi indebolisce. E non sognarti di dare a Ben un simile suggerimento, mi sfrutta già abbastanza così.»
Liam inclinò la testa di lato, domandandosi, ancora una volta, l’ennesima, che tipo di rapporto ci fosse tra quei due.
«Ho l’impressione che Ruben non sia limpido come vuole darci a vedere» commentò.
Jonna abbassò gli occhi, apparentemente intenta a giocare con il polsino di pizzo della manica.
«Ruben…lui è una persona strana. Ma ha un obiettivo, e cerca di raggiungerlo nel modo più pulito possibile.»
Liam ghignò.
«Risposta degna di un diplomatico» disse.
«Qualcuno, una volta, mi ha detto che con il mio atteggiamento avrei rovinato l’immagine pubblica del capo.»
«Non farmene pentire» rispose con un sorriso tirato. «Senti, Jonna, toglimi una curiosità, perché quel fiocco di neve?» domandò puntando un dito verso il suo collo.
Jonna si sfiorò automaticamente il tatuaggio, scatenando l’irrazionale istinto di Liam di farlo a sua volta.
«Perché ti interessa?»
Il mago si strinse nelle spalle.
«È strano, il tuo elemento è il fuoco, e la neve è fatta d’acqua.»
«Quando ero bambina, c’era tanta neve. Sai, freddo e ghiaccio…mi piaceva. Quando quei bei giorni sono finiti ho cercato un modo per tenerli sempre nella mente.»
«È un modo originale» commentò Liam.
Jonna sorrise.
«Tu sorridi poco, Jonna. Non sei felice, qui?» domandò.
«Non devo essere felice, devo essere utile.»
Il mago scosse il capo.
«Che cavolata. È Ruben che te l’ha detto? Guarda che non sei obbligata a sopportarlo…puoi essere utile comunque, anche se stai meglio da sola.»
Solo lo sguardo confuso di Jonna lo spinse a domandarsi cosa cavolo stesse dicendo. Chi era, lui, per suggerirle di mollare Ruben? Come gli era venuta un’idea del genere? Perché? E soprattutto come erano finiti a parlare di una cosa tanto delicata?
Jonna si alzò e girò attorno alla poltrona di Liam per affacciarsi alla finestra. Il mago respirò a pieni polmoni quel vago sentore di vaniglia che si portava dietro, e si domandò, di nuovo,  se fosse profumo, sapone, oppure il suo odore naturale. Allungò il collo per seguirla con lo sguardo.
«Sei gentile con me, Liam. E non so davvero cosa posso aver fatto per meritarlo…»
«Credo di avere un qualche disturbo mentale che mi spinge a fare il carino con le donne» rispose in uno slancio di amara sincerità.
Jonna rise.
«Ad ogni modo, non ha più molta importanza» disse in un sussurro.
«Che vuoi dire?» domandò Liam, allarmato dal tono improvvisamente serio.
«Devo andare via.»
«T-tu cosa?!» balbettò Liam.
La testa gli si era svuotata di colpo, ogni proposito, ogni pensiero, ogni progetto cancellato da tre semplici parole.
«Me ne vado» ripeté voltandosi lentamente verso di lui.
«Perché?» domandò.
Jonna si strinse nelle braccia ed esitò.
«Non vuoi dirmelo? Oppure, non puoi?»
«Entrambe le cose» rispose recuperando la sua classica voce fredda.
Liam si alzò e le si avvicinò lentamente. Quando si sentì invadere di nuovo i sensi dal profumo seppe di essersi avvicinato troppo.
«Ma non puoi farlo» insistette. «Ci sono ancora così tante cose che devo scoprire su di te, e…» tese la mano a sfiorare con l’indice il fiocco di neve sul collo della ragazza. «E Ben?»
Jonna fu percorsa da un brivido.
«Ben è d’accordo» mormorò.
«Cosa?!»
Sospirò.
«D’accordo. Ma devi giurare che non ne parlerai con nessuno, nemmeno con Ruben. Perché se tu lo facessi, saprebbe che ho tradito la sua fiducia, e la mia vita sarebbe in pericolo.»
Liam scosse il capo.
«Non posso giurare una cosa del genere.»
«Liam!» implorò.
Il mago deglutì a vuoto.
«Va bene» capitolò.
Jonna sembrò delusa per una frazione di secondo, ma si ricompose subito.
«Parto per Torat, alle prime luci dell’alba» sussurrò.
«Torat?!» ripeté Liam incredulo. «Perché mai dovresti andare a Torat?»
«Per infiltrarmi tra gli uomini di Micael.»
Liam continuò a scuotere la testa, sempre più preoccupato. Aprì la bocca, ma la ragazza gliela tappò con una mano per impedirgli di parlare.
«Dirò di avere disertato! Dirò che la vendetta che cerco non può essere soddisfatta dagli ideali di Ruben e che voglio combattere per Micael. Non mi rifiuteranno quando sapranno che sono stata la compagna di Ben per quasi due anni. Racconterò loro una valanga di balle e vi passerò tutte le informazioni che riuscirò a carpire. È perfetto! Quando sarà il momento tornerò da voi.»
Liam scosse di nuovo il capo, ormai il collo gli faceva male.
«È un suicidio.»
«Lo so» disse. «Ma io sono la persona giusta per farlo! Nessuno è bravo quanto me a mentire, e nel peggiore dei casi ci saranno le visioni a salvarmi l’osso del collo.»
Il mago fissò gli occhi in quelli grigi e freddi della ragazza. Avrebbe dato volentieri la mano destra pur di cancellarvi quella determinazione.
«E Djalmat?» tentò ancora.
«Abbiamo informatori più aggiornati di me, ora.»
«Come hai fatto a convincerlo?»
Jonna abbassò lo sguardo.
«Tu sei così…convinto che tenga a me? A me persona, intendo? Per Ruben, io non sono altro che una meravigliosa e potentissima arma.»
Dalle sue parole traspariva un’amarezza tale da far rabbrividire.
«C’è…un modo in cui io possa fermarti?» domandò Liam.
La maga sorrise guardandosi i piedi.
«No, nessuno» rispose. «Ora devo ultimare i preparativi per la partenza, Liam. Perdonami, ma devo chiederti di lasciarmi sola.»
«Per quale motivo mi sta tanto a cuore la tua vita?»
La ragazza gli passò accanto, sfiorandolo.
«Perché sei una persona migliore di quanto tu voglia far credere. Addio, Liam dell’Acqua.»
 
Aqua lasciò che la sua coscienza fluisse di nuovo nei condotti idraulici, espandendosi nel sottosuolo della Città dei Morti. Sentiva l’attrazione dell’immensa massa d’acqua del lontano Lago di Nebbia, a Nord. Sapeva che di Torat si stava occupando Hailie, due stanze più in là, anche se avrebbe desiderato di gran lunga fare cambio, era senza dubbio un’occupazione più gradevole di quella che era toccata a lei. Konstantin le aveva chiesto di scandagliare i dintorni ad Ovest della città, per capire se ci fossero possibilità di fuggire in qualche modo, attraverso gli acquitrini, magari. Era chiaro che nemmeno lui aveva la benché minima idea di come uscirne vivo. Ed era chiaro anche che, indipendentemente dal quantitativo di orchi, era altamente improbabile che nemmeno uno dei nove draghi che occupavano per certo la città si sarebbe mai alzato in volo per visionare il territorio. Come poi si potesse pensare anche solo di arrivarci alle paludi, per lei era un mistero.
La maga sospirò, sforzandosi di mantenere la concentrazione. Mentre i draghi sembravano stanziati ad Ovest della città, gli orchi e gli orchetti erano dislocati un po’ ovunque. Non sembravano in numero abnorme, ma comunque troppi perché tre maghi potessero passare inosservati. Oltre l’anfiteatro di Djalmat, oltre la cinta muraria, il terreno degradava leggermente, e si faceva via via più morbido, fino a trasformarsi in palude. Aqua fece una smorfia. Miglia e miglia di acque putride e maleodoranti, a perdita d’occhio. Di positivo qualcosa c’era: non poteva esserci anima viva fino ai confini di Bosco Lossar. Ma come arrivare fin là? Studiò ogni minimo anfratto di quella distesa acquitrinosa, in cerca di una via. Si poteva chiaramente rintracciare un sentiero, anche se poco battuto, ma non sapeva come raggiungerlo, dal momento che iniziava a ridosso della palude.
Quando si ritrasse era esausta. Stava gelando, avrebbe dato qualunque cosa pur di avere a disposizione i poteri di un mago di Fuoco…chissà come se la stava passando Debrina sul fronte Est. Nel salone principale trovò Konstantin che fissava il camino vuoto. Si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. Stan sobbalzò.
«Aqua!» esclamò. «Scusami, ero soprappensiero.»
«Ho interrotto qualcosa?» domandò sedendosi accanto a lui.
«Figurati! Qualche novità?»
Aqua spiegò al mago quanto era riuscita a dedurre dal suo sopralluogo incorporeo, e Stan parve soddisfatto.
«Era ciò che speravo» disse.
Aqua non domandò spiegazioni. Era talmente stanca che anche la curiosità di capire cosa ci fosse di tanto positivo finì soffocata da uno  sbadiglio.
«Tu?» domandò, invece.
Il mago si distese di schiena per terra e rimase a fissare il soffitto.
«Io sono riuscito a racimolare qualche informazione interessante, qua e là. Intanto, attorno al Monte Alba non è rimasto nessuno…se ci sono altri draghi – e io non credo – non si trovano là. Inoltre, a Nord un distaccamento di orchetti si sta dirigendo verso Promar, quindi è probabile che anche Micael sia sotto assedio come noi. Infine…» esitò. «Beh, l’ultima cosa la terrò per quando ci sarà anche Hailie.»
Aqua continuò a guardarlo poltrire ad occhi chiusi sul pavimento freddo fino al ritorno di Hailie. Chi l’avrebbe mai detto, che avrebbe cercato la morte in mezzo a una città in rovina accanto all’uomo che, assieme al fratello, l’aveva tenuta bloccata a Natìm in attesa di notizie della sua famiglia, tanti anni prima…
«Smettila di fissarmi» borbottò il mago.
Aqua ghignò.
«Oh, non è colpa mia se sei così affascinante!»
Konstantin sorrise.
«Ma smettila di fare l’asina» sbottò, mascherando il divertimento.
«Vedo che qualcuno è di buonumore» gracchiò Hailie entrando con passo strascicato.
Aveva le occhiaie marcate, e i capelli più arruffati del normale.
«Ti senti bene?» domandò Stan puntellandosi sui gomiti.
La maga si lasciò cadere per terra e prese un respiro profondo.
«Sono esausta. Avete una vaga idea di quanto disti Torat?!»
«Dunque?» incalzò Aqua.
«Curiosa, eh? Beh, a Torat se la passano maluccio. Combattono da giorni, ormai, a Nord-Ovest della città, e non troppo lontano dalle mura. Di negativo c’è che ci sono anche dei nani a dare una mano. Tuo fratello è vivo, Stan» concluse.
Konstantin si irrigidì.
«Lo dici come se fosse una cosa brutta» sbottò Aqua.
«Scusa la schiettezza, ma lo è! È uno degli uomini migliori di Micael.»
Aqua balzò in piedi, con il cuore che batteva forte per l’indignazione.
«Come puoi parlare così davanti a Stan?» gridò. «E poi, tu nemmeno lo conosci, non sai niente, come ti permetti?!»
Hailie sbiancò e si fece piccola piccola. Ma Konstantin alzò una mano.
«Vi prego, ragazze, pace. Per quanto male mi faccia il pensiero, Hay ha ragione. Apprezzo davvero tanto il tuo affetto e la tua stima, Aqua, ma…» la frase incompleta aleggiò nell’atmosfera pesante per qualche interminabile secondo.
Cercando di mantenere controllata la voce, nonostante la rabbia che le bruciava dentro, Aqua disse:
«Cos’è che hai scoperto e che hai voluto aspettare a dirmi, Stan?»
Konstantin le lanciò un’occhiata obliqua e un angolo della sua bocca tradì un sorriso represso.
«C’è un passaggio segreto che ci porterà alle paludi.»
 
Liam sapeva di aver giurato, ma non poteva sopportare l’idea di Jonna che rischiava la vita, sola, in mezzo ai maghi di Micael. Se l’avessero scoperta? Se le avessero estrapolato ogni informazione possibile e poi l’avessero uccisa? La sola idea gli metteva i brividi.
Si mise alla ricerca di Ruben, ma dovette attendere il suo rientro da Effort per potergli parlare. Bussò ed entrò nel suo appartamento senza aspettare un invito.
«Qualcosa non va?» domandò il Maestro con aria irritata.
Liam si richiuse la porta alle spalle e si guardò attorno, sotto allo sguardo sempre più perplesso di Ruben.
«Sì, tante cose non vanno, io per primo, dal momento che sto venendo meno ad un giuramento. Ma una mi sconvolge più delle altre…» si avvicinò. «Come hai potuto acconsentire a lasciarla andare?» disse in un sussurro.
Il Maestro si tolse il mantello e lo gettò sul divanetto.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
Liam sbuffò.
«Non c’è bisogno che eludi il discorso, Jonna mi ha detto tutto. Cioè…l’ho praticamente costretta a confessare. Perciò voglio parlare chiaramente: non dubito delle sue capacità, ma mi sembra comunque troppo pericoloso.»
Ruben si tolse anche la spada e si girò a squadrarlo.
«Apprezzo la tua franchezza, ragazzo, ma non so davvero di cosa tu stia parlando. Cos’è che è troppo pericoloso? E cosa c’entra Jonna?»
Liam batté le palpebre.
«D-davvero?!» farfugliò, mentre un presentimento gelido gli si insinuava nelle ossa.
Ruben si strinse nelle spalle.
«Allora abbiamo un grosso problema» mormorò Liam.
 
Aqua non riuscì ad impedirsi di spalancare la bocca.
«Pa-passaggio segreto?!» balbettò Hailie.
Konstantin annuì.
«Stando a quanto ha raccontato Irthen, Abigail l’ha sfruttato per scappare dalla città, inseguita da una banda di orchi inferociti. Ha subìto un crollo piuttosto serio, ma sono certo di poterlo sistemare abbastanza da consentirci il transito. Ora sappiamo che dalle paludi in poi il territorio è libero, se saremo bravi nessuno saprà mai che siamo stati qui» si interruppe e prese un respiro profondo. «Tuttavia, ci sono almeno tre problemi. Diteli voi…»
Aqua si passò distrattamente le dita tra i capelli.
«Per prima cosa, dove si trova questo passaggio?» domandò.
Il mago schioccò le dita.
«Primo problema: centrato. Un punto per Aqua. L’ingresso è in quel cortile che si vede dalla finestra dell’ultima stanza. Non sarà semplice raggiungerlo senza farci scoprire. Poi?»
«Siamo certi che riuscirai a liberarlo dai detriti?» mormorò Hailie.
«Su questo non ci sono dubbi, cara mia» intervenne Aqua. «Stan sa il fatto suo. Ma mi chiedevo…dovrai farlo una volta là, vero?»
«E questo è il secondo problema, un altro punto per Aqua e uno in meno per Hay, che dubita delle mie doti» Hailie arrossì, con immensa soddisfazione di Aqua. «Da qui, ahimè, non posso fare nulla, devo essere sul luogo. Quindi non ci basterà arrivare fino a là senza farci scoprire, ma dovremo anche trovare il modo di tenere gli orchi alla larga fino a ché non avrò finito, e non so quanto potrei metterci.»
Hailie scosse il capo, atterrita.
«La situazione mi sembra già eccessivamente rischiosa così, Stan, e tu dici che c’è un terzo problema?»
«Sì, e non da poco. Quando – se mai dovessimo riuscirci – saremo all’aperto, nel mezzo delle paludi, cosa succederà se un ipotetico drago in perlustrazione si accorgerà di noi?»
Aqua sbottò in una risata isterica e gli altri due la guardarono.
«Stan, tu…temo di avere un quarto problema da sottoporti.»
Hailie gemette e Konstantin sospirò.
«Temevo che l’avresti detto. Di che si tratta?»
«Una volta fuori da queste stanze, verrà meno la protezione di Storr. Forse non gli orchi, che sono grulli, ma i draghi potrebbero avvertire la nostra aura magica, o almeno il nostro odore, mentre passeremo pochi piedi di terra sotto le loro pance squamose…»
Il mago annuì gravemente, mentre la bionda si prendeva la testa tra le mani.
«Sentite, parliamone domani. Si fa sera, e di certo non possiamo fare nulla di notte.»
«Non possiamo?» mormorò Aqua, colta da un’illuminazione. «Non possiamo sfruttare proprio il buio per raggiungere il cortile? Non ci vedranno!»
«Il problema è che non ci vedremo nemmeno noi» ribatté Hailie.
«Parliamone domani. Ho bisogno di rifletterci, e prima di fare qualunque mossa devo comunicare con Ben.»
A malincuore, Aqua chinò il capo. La spaventava l’idea di passare un’altra notte in quelle stanze dotate di volontà propria, ma non desiderava contestare l’autorità di Konstantin.
 
Dopo aver bussato con insistenza e non aver ottenuto risposta, Ruben sfondò la porta dell’appartamento di Jonna con un calcio e si precipitò nel salottino, seguito da Liam. Le luci erano spente, le finestre chiuse.
«Jonna!» chiamò Ruben.
Una cameriera arrivò trafelata dall’appartamento attiguo.
«La signorina si è ritirata presto, non si sentiva bene» spiegò.
I due maghi si scambiarono un’occhiata carica di significati e Ruben si affrettò verso la stanza da letto della ragazza. Liam attese nel salotto, preda di un’ansia feroce. Il Maestro tornò imprecando e distribuendo calci a tutto ciò che capitava a tiro. La cameriera si dileguò, spaventata.
«Se n’è andata, maledetta bugiarda!» latrò. «Come ha potuto farlo?»
Liam indietreggiò un passo, per sicurezza.
«Io le ho dato tutto ciò che avrebbe potuto desiderare, e lei come mi ripaga? Vendendomi a quel cane di Micael! Maledetto il giorno in cui l’ho incontrata.»
«Sei certo che si sia diretta a Torat?» domandò Liam.
«Che senso avrebbe avuto, altrimenti, raccontarti quella storia? Ti ha fatto giurare di non farne parola, e se tu avessi rispettato il giuramento chissà quanto tempo sarebbe passato prima che si scoprisse la sua assenza!» mollò un calcio ad un anfora, mandandola in frantumi. «Quella puttanella mi ha preso in giro per tutto questo tempo, ed io mi sono fidato ciecamente di lei. L’ho tirata fuori dalla stalla in cui viveva, le ho dato un palazzo, bei vestiti, una posizione sociale…»
«Lascia perdere, adesso! La dobbiamo fermare…se riesce a raggiungere Torat è un disastro» lo interruppe Liam.
«Lo so, ma se è stata in combutta con Micael per tutto questo tempo, è molto probabile che sia venuto qualcuno a prenderla appena fuori Natìm, non possiamo sperare di intercettarla.»
Liam si sedette sul solito divanetto e si prese la testa tra le mani.
«Ma ci deve pur essere qualcosa che possiamo fare…»
«Quanto ci impiega un Antico del Sud da qui a Torat?» domandò Ruben.
«Non lo so, almeno tre giorni.»
«È troppo.»
«A cosa pensi?» domandò Liam, inquieto.
Ruben si sedette di fronte a lui e si passò le dita tra i capelli.
«Ricapitoliamo: Jonna è scappata, e la sua fuga era premeditata, perché ha portato via quasi tutta la sua roba. Tuttavia, prima di andarsene ti ha raccontato una storia fantasiosa sul suo supposto incarico di spionaggio, fornendoti la probabile destinazione della fuga. Non so se sia stato un errore dettato dalla preoccupazione di sviarti dalla verità, oppure se ci sia un calcolo che non riesco a vedere, ma noi possiamo sfruttarlo…» si alzò e prese a misurare la stanza a larghi passi. «Segui il mio ragionamento: se tu ti presentassi a Torat…»
«Scusa?!» esclamò Liam.
«Zitto un attimo! Se tu ti presentassi a Torat dicendo di aver disertato per seguire Jonna, nessuno ne dubiterebbe visti i tuoi precedenti con le donne. E se tu, Liam dell’Acqua, chiedessi a Micael di arruolarti, di certo non ti rifiuterebbe: sei potente e ben informato. Nessuno sano di mente penserebbe che sia io ad averti mandato, sarebbe folle regalare uno dei miei migliori elementi al nemico, giusto?»
«Jonna mi ammazzerà!»
«No, Liam, è molto semplice. È sufficiente che tu dica di essere venuto meno al giuramento e di aver parlato con me. Una volta scoperto l’inganno, io ho deciso di impiegare tutte le mie forze per ottenere vendetta e uccidere Jonna, tu ti sei opposto, ma ovviamente io non mi sono lasciato commuovere. Così tu, disperato, hai deciso di disertare a tua volta, per raggiungerla.»
Liam scosse la testa.
«È la cosa più assurda che io abbia mai sentito! Perché mai dovrei volerla raggiungere e lasciare qui Irthen, Chloé e Amina?!»
«Ma che importanza ha? Inventati qualcosa, dì che…che sei follemente innamorato di lei! Una volta là mi farai sapere quali informazioni ha spifferato, e mi terrai aggiornato sulle strategie di Micael. È perfetto.»
Liam sentì una goccia di sudore gelido corrergli giù lungo la spina dorsale. Ruben aveva già preso la sua decisione, lo stava facendo fuori. Forse voleva vendicarsi per quello che supponeva ci fosse stato tra lui e la sua compagna, o forse era impazzito…
«Non lascerò Irthen» disse.
«Irthen se la sa cavare benissimo da solo. E poi, quando sarà il momento, non dovrai fare altro che cambiare schieramento.»
«La fai facile, tu!» sbottò. «È il mio osso del collo che rischia, non il tuo!»
Ruben gli lanciò un’occhiata gelida e si diresse verso la porta.
«All’alba sarai per strada, ragazzo, e niente storie. Non farne parola con nessuno, ufficialmente avrai disertato. Sarebbe troppo rischioso, se mai dovesse giungere qualche voce a Micael ti farà ammazzare. Sono stato chiaro?»
Liam si morsicò un labbro, cercando di impedirsi di gridare. All’alba sarebbe andato in contro ad un molto probabile suicidio, senza poter salutare nessuno, senza nessuna certezza, e senza poter obiettare. Che cosa avrebbe detto Amina di lui quando Ruben le avesse detto che era scappato dietro a Jonna? E Chloé? Avrebbe davvero creduto che lui, il suo migliore amico, avrebbe mollato tutto così, su due piedi? E Irthen? Che cosa avrebbe pensato di lui?
Ignorando il capogiro che l’aveva assalito, balzò in piedi.
«Fanculo» sibilò, e si diresse alla stanza di Irthen.



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Scusate tantissimo il ritardo indecoroso! Ho avuto l'influenza e l'ultimo dei miei desideri era mettermi davanti alla tastiera a ordire inganni XD
Cercherò di essere più proficua :)

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Capitolo 48
*** Una linea sottile ***


Liam raccontò davanti agli occhi sgranati di Irthen tutto quanto era successo da quando l’aveva lasciato sulla riva del lago, e quanto Ruben aveva deciso. Irthen non osò interromperlo, tutte le sue reazioni si limitarono ad allargare e stringere gli occhi, e ad aprire e chiudere la bocca senza emettere suono. Ma quando il mago ebbe finito di parlare, il ragazzo era tremendamente pallido.
«Stai bene?» domandò Liam posandogli una mano sulla spalla.
Irthen annuì gravemente.
«Sei proprio sicuro di doverlo fare? Non c’è proprio altra soluzione?» mormorò.
Liam sospirò, ignorando l’ennesimo attacco di nausea da panico.
«Ho…paura di no.»
«M-ma…» farfugliò meccanicamente Irthen. «Ma io come faccio?! Insomma, come posso starmene qui buono senza sapere nemmeno se sei vivo? Non posso certo chiederlo a Ruben se devo fargli credere di non sapere la verità…e Clo, Mina? Cosa dirò a loro?»
«Dovrai mentire a tutti quanti» rispose stringendosi nelle spalle. «Non sarà facile, lo so.»
Irthen scosse la testa, e il mago si sentì stringere il cuore.
«Non andare, Li’.»
Liam si prese la testa tra le mani. Ormai gli era venuto il mal di testa a furia di chiedersi come avesse fatto a non capire che Jonna faceva il doppio gioco, di domandarsi se ci fossero alternative a quella missione suicida, se ci fosse il modo di non lasciare suo fratello sepolto dalle bugie che avrebbe dovuto sostenere, e non da ultimo di insultare mentalmente Ruben e tutti i suoi antenati. Prese un respiro profondo.
«Se io, ora, decidessi di oppormi alla decisione di Ruben, equivarrebbe a disertare sul serio, e non ho nessuna intenzione di farlo. C’è troppo, qui a Natìm, a cui tengo. Vivo o morto, se rimango sotto l’ala di Ben tu sarai al sicuro, perciò non farmene pentire facendo cose stupide, ok?»
Irthen trattenne eroicamente un singhiozzo.
«È colpa mia, Li’…se io non avessi insistito perché indagassi su Jonna…»
«Non dire cazzate, era una cosa che andava fatta e che io per primo volevo fare. E meno male che l’abbiamo fatta! Vediamola così: se non mi ammazzano prima, potrò essere più vicino di quanto avrei mai osato sperare a Lukas, e quando sarà il momento potrebbe essere molto più semplice fermarlo.»
Si sforzò di sorridere con aria convinta, cercando di reprimere la rabbia e la paura.
«E se ti uccidono? Se non si fidano di te?»
«Me la stai tirando?» ghignò, profondendosi in gesti scaramantici.
«No, però…» Irthen sospirò. «Va bene, mi rendo conto che neppure tenendoti qui a discutere tutta la notte potrei cambiare qualcosa. Io farò del mio meglio per coprirti, ma tu cerca di tornare!»
Liam annuì, ignorando il nodo di pianto che gli toglieva il respiro. Suo fratello aveva più dignità di lui, senza ombra di dubbio.
«Farò del mio meglio anch’io. Tu bada a te stesso anche se io non dovessi tornare mai, sì? Promettilo.»
«Prometto.»
A malincuore, si separò da Irthen. Si era già fatto buio, il corridoio deserto del palazzo gli diede i brividi. Sapeva che sarebbe stata buona cosa dormire per qualche ora, ma c’era ancora  troppo da preparare: bagagli, provviste, cavalcatura. Avrebbe dovuto prendere di nuovo in prestito Sophia, il cavallo di Horlon. Gli elfi non sarebbero stati per nulla contenti di sapere che uno dei loro preziosissimi Antichi se n’era andato ad Est con un mago disertore.
Inutile piangersi addosso. “La gente del Nord è gente tosta”, si ripeté, e l’ira di Horlon non era certo la cosa peggiore che l’immediato futuro avrebbe potuto riservargli.
 
Irthen continuò a camminare avanti e indietro per la sua stanza, irrequieto. Girava e rigirava l’anellino di Abby attorno al dito, obbligandosi ad accettare la nuova, tragica, svolta che gli eventi avevano preso. Era doloroso e imbarazzante ammetterlo, ma dal momento del suo risveglio aveva data per scontata la presenza di Liam, senza contemplare nemmeno di sfuggita l’ipotesi che la guerra li potesse, prima o poi, allontanare l’uno dall’altro. Che convinzione puerile.
Si fermò davanti alla finestra, domandandosi se ci fosse qualcosa da fare per lui a Natìm, oltre che aspettare e pregare. E oltre che mentire, su questo punto Liam era stato molto chiaro. Sospirò e riprese a misurare la stanza.
Era notte fonda quando la porta si aprì con un cigolio e Yu entrò reggendo una candela. Il ragazzo sobbalzò: era stato tanto assorto nella sua confusione da aver rimosso dal cervello la curiosa abitudine che la cameriera aveva preso negli ultimi giorni di andare da lui in piena notte.
«Sono contenta di trovarti sveglio, Ir» disse chiudendo la porta.
Irthen notò che, nonostante l’ora tarda, era ancora in abiti da lavoro.
«Ti senti male? Perché non sei a letto?» continuò, senza posare la candela.
«N-no, sto bene, stavo solo…» farfugliò, faticando a trovare una scusa da accampare.
“Dobbiamo migliorare, bello” si disse.
«Beh, non importa, non posso trattenermi molto e devo dirti due cose importanti.»
Irthen deglutì, perplesso, mentre la ragazza controllava di aver chiuso bene la porta.
«Tuo fratello sta per partire» sussurrò. «Non dovresti saperlo, anzi, tu non lo sai affatto, perché Ruben non vuole, ma…si dirà che Liam ha disertato e non si merita che anche tu lo creda capace di una cosa del genere.»
Sentendosi pervadere da un vago e irresponsabile sollievo, Irthen la interruppe prima che potesse aggiungere altro e compromettersi ulteriormente.
«Lo so. È stato qui e…so che non avrebbe dovuto dirmelo.»
«Oh. Meglio così» tagliò corto Yu. «Mi risparmia di doverti riassumere tutta la storia. Sei pregato di non farne parola con nessuno, perché Liam ci rischia l’osso del collo, e anche la sottoscritta.»
Irthen annuì.
«La seconda cosa?» incalzò.
«La seconda cosa riguarda te, e anche me…insomma, noi due. Ruben si è accorto che siamo diventati…amici, e mi ha ordinato di tenerti sotto controllo, perché possa scoprire il tuo punto debole. Vuole avere la certezza di poter controllare Liam, e sa che l’unico modo per farlo è controllare te. Ma io…io non voglio che ci riesca. Non approvo i ricatti, quando si ricattano gli alleati. Non voglio tradire te, ma non posso nemmeno tradire lui, capisci?»
Irthen scosse il capo, perplesso.
«Non molto» confessò.
«Io il tuo punto debole non lo conosco, e non lo devo per nessun motivo conoscere, perché poi mi sentirei obbligata a riferirlo a Ben!» sbottò. «Perciò, perdonami, ma devo girarti alla larga. E ti invito a fare altrettanto. È il modo migliore per evitare a te di restare fregato, e a me di sentirmi un verme.»
Il ragazzo annuì lentamente, sentendo svanire nel nulla la speranza di aver trovato un aiuto, quella bella sensazione di calore nello stomaco che ormai lasciava il posto al gelo precedente. Ma non faceva poi così male, non dopo il saluto di Liam.
«Va bene» disse, e la sua voce suonò più stabile di quanto avrebbe mai osato chiedere.
Yu annuì, chinando il capo.
«Grazie della comprensione. Beh, è meglio che vada…cerca di dormire.»
Quando la porta si fu richiusa e la piccola e tremula luce della candela fu scomparsa, però, Irthen sentì le ginocchia cedere e si sedette. In qualche modo, ora, il buio era più denso.
 
Il sole non aveva ancora fatto capolino oltre il profilo irregolare della scogliera che circondava Natìm quando, in sella a Sophia, Liam si lasciò alle spalle la città e quanto aveva di più caro. Poco lontano, aveva detto Ruben, avrebbe trovato un piccolo porto ed una barca abbastanza resistente da poter traghettare il mago e il suo cavallo fino alla sponda orientale del Lago di Nebbia, espediente che gli avrebbe permesso di risparmiare tempo prezioso. Il Maestro gli aveva garantito che la sua fuga non sarebbe stata scoperta almeno fino al tramonto, e doveva sfruttare al meglio il tempo concessogli.
Mentre Sophia percorreva quel tratto di costa frastagliata senza alcuno sforzo, il mago si concentrò sullo sciabordio delle onde che si infrangevano sugli scogli, con il solo desiderio di liberare la mente dai cupi pensieri omicidi che la infestavano, e che la notte in bianco aveva alimentato senza pietà. Doveva controllarsi, non poteva rischiare di esplodere ed aggredire Jonna non appena se la fosse trovata davanti. Aveva chiesto ad Irthen di fare il bravo, ma sapeva di dover fare altrettanto.
«Coraggio, Li’, non è altro che un normalissimo viaggio. Niente di diverso dal solito: parti, lasci a casa qualcuno, ti vendi bene e menti spudoratamente. Ormai dovresti esserci abituato, no? Un viaggio come un altro.»
Sospirò, poco persuaso. Già l’assenza di Baio lo metteva di cattivo umore.
Percorse rapidamente le poche miglia che lo separavano dal porto. L’uomo che custodiva i due piccoli moli non fece domande: come aveva garantito Ruben, la barca era pronta per lui. Il cavallo si lasciò condurre a bordo, obbediente, e il mago guidò le correnti per allontanarsi dalla terraferma. Aveva la sgradevole sensazione che il Maestro  si fosse mostrato un po’ troppo entusiasta di mandarlo dall’altra parte del campo di battaglia…si strinse nelle braccia, percorso da un brivido per il vento freddo che spazzava la superficie del lago e guardò diritto avanti a sé: il sole sorgeva, ad Est, placcando l’oro la sconfinata distesa d’acqua. E non c’era davvero nient’altro a cui Liam desiderasse pensare in quel momento.
 
«Ripetilo!» sibilò Aqua, con le mani ficcate tra i capelli.
«Non. Si. Torna. L’ho scandito abbastanza bene?» ripeté Konstantin, piccato.
Aqua sentì le ginocchia vacillare. Dopo la notte inquietante trascorsa non poteva davvero immaginare un buon motivo per restarsene lì ad aspettare di impazzire. Lontana, lontana sentì la voce tremante di Hailie domandare:
«Ma cosa dice di preciso Ruben? Fammi leggere.»
Rumore di carta che veniva spiegazzata, poi silenzio.
«Non ci posso credere!» esclamò dopo aver letto la risposta del Maestro, pervenuta loro poco prima dell’alba. «Ma che gli passa per la testa?!»
Nella sua voce iniziava a trasparire una vena isterica che richiamò Aqua alla contingenza. Hailie le tendeva il foglio incriminato.
«Vuoi darci un occhio?»
Non ne aveva alcuna voglia. Persino le lettere di quell’uomo riuscivano a farla andare su tutte le furie. Tuttavia la prese per non sembrare totalmente disinteressata alla vita propria e dei propri compagni. Stupita, osservò la grafia precisa e tondeggiante con gli occhi sgranati.
«Ma è la scrittura di Yu» mormorò. «Che accidenti sta succedendo a Natìm? Ben non ha mai delegato la corrispondenza…»
«Strano, vero?» disse Stan.
“Prendiamo atto della situazione. Non potete rientrare. Manderemo notizie presto. Per il momento cercate di resistere, e non fatte sciocchezze.
Ben.”
Aqua scosse il capo sconsolata.
«Io me ne frego. Un’altra notte qui non la passo» disse accartocciando la lettera e lanciandola addosso ad Hailie.
«Ma che…» si lamentò quella, lanciandola indietro.
«Basta!» supplicò Konstantin. «Siete insopportabili!»
Aqua frenò a stento l’impulso di ghiacciarlo.
«Tu hai visto, vero, cos’è successo stanotte?» balbettò Hailie.
Konstantin annuì gravemente, e Aqua rabbrividì al ricordo. Nel buio della notte, il palazzo era stato scosso da un terremoto a cui erano seguiti scricchiolii e gemiti. Piccole luci avevano preso ad apparire e scomparire, qua e là, e aliti di vento fantasma soffiavano all’improvviso. Era magia impazzita, magia instabile, niente di più evidente. Né di più pericoloso.
«Non ha importanza, Hay. Capisco che siate spaventate, lo sono anch’io, ma qualcosa si sta muovendo al quartier generale, e noi serviamo qui. Perciò niente storie» sospirò. «Aqua…»
Aqua lo guardò. Gli occhi preoccupati di Konstantin non fecero che aumentare la sua apprensione.
«D’accordo, Stan. Ma lo faccio perché me lo chiedi tu, non per Ruben, e mi auguro che qualcuno si degni di darci delle spiegazioni.»
 
Senza la presenza ostile di Abby ad intralciarlo, Liam coprì molto più rapidamente del previsto la distanza che lo separava dalla sponda sud-orientale del Lago di Nebbia. Si domandò che fine avesse fatto Abigail. Non aveva più sentito parlare di lei dopo averla salutata nella piana del Llatas. Chissà se anche gli stregoni avevano una sede operativa, da qualche parte. Al posto loro, lui sarebbe rimasto vicino alla Terra dei Draghi… Improvvisamente realizzò con estrema chiarezza di avere sbagliato i calcoli: aveva ipotizzato un viaggio di almeno tre giorni, ma, nella rosea ipotesi di non incontrare ostacoli, in un paio se la sarebbe potuta cavare. Aveva dimenticato quanto potesse essere veloce un Antico del Sud. Si domandò dove avrebbe potuto sostare per la notte. Di certo non era consigliabile viaggiare con il buio se alla foce del Brumo si combatteva, come pure a Torat, stando alle notizie che giungevano dalla Città dei Morti. E non era la migliore prospettiva possibile quella di fermarsi a Class, feudo di Micael. Anche se prima o poi avrebbe dovuto farsene una ragione: quella sarebbe stata la sua nuova famiglia , o la sua nuova tomba.
“Meglio poi che prima” appuntò la vocina acida.
«Ben detto» mormorò Liam tra sé e sé.
Man mano che le ore scorrevano sotto allo scafo della barca di Ruben e il sole compiva il suo arco nel cielo, Liam mantenne costante il flusso di magia che lo sospingeva verso la sponda. Sentiva l’energia fluire nelle sue fibre con l’umidità e gli schizzi d’acqua, e uscirne in forma di magia, come il moto ondoso della risacca. Non poteva impedirsi di indugiare sul pensiero di ciò che si era lasciato, suo malgrado, alle spalle. Chissà che cosa stava facendo Irthen…probabilmente non aveva chiuso occhio, ed era rimasto confinato nella sua stanza fino a mattina inoltrata. Poi, forse, era stato in città, a gironzolare tra le vie affollate per non pensare alla prova che avrebbe dovuto superare entro sera. Sospirò, domandandosi se suo fratello sarebbe riuscito a convincere chi gli stava attorno della sua estraneità a tutta la faccenda. Non lo preoccupavano tanto Amina – che di certo non avrebbe avuto il cuore di torturare il povero Irthen, a costo di ridurre in poltiglia in proprio – e gli altri maghi come Eetan e Tim, quanto Chloé, che sapeva essere un vero sciacallo in caso di necessità. No, Chloé non avrebbe creduto alla storia della sua fuga, lei lo conosceva troppo bene per accettare la notizia passivamente. Seguì con lo sguardo una grossa nave che si dirigeva nella direzione opposta alla sua, continuando a seguire il filo dei propri pensieri lugubri. Yu, invece? Di certo Ruben l’aveva messa al corrente. Sarebbe riuscita a capire che Irthen sapeva? Era stata gentile con lui e con suo fratello, da quando erano giunti a Natìm, e, nonostante quello che supponeva fosse successo tra lei e Irthen, aveva la sensazione che non fosse facile spingerla a tradire il suo capo. E di certo era un’acuta osservatrice, abituata ad attendere nell’ombra che qualcosa si muovesse. Che cosa sarebbe successo se avesse scoperto che aveva spifferato il piano? L’avrebbe riferito a Ben? E che cosa ne sarebbe stato di Irthen?
Il sole stava tramontando quando la barca raggiunse, sospinta dalle correnti invisibili, il porto di Class.
 
«Spariti?!» balbettò Amina, sbiancando.
«M-ma questo non è possibile, deve esserci una spiegazione» esclamò Irthen, pregando di suonare credibile.
Avrebbe tanto desiderato saper mentire con la disinvoltura di Abby. Il sole era tramontato quando Ruben aveva convocato tutti coloro che ancora si trovavano a Natìm nella fredda sala riunioni. Irthen si domandava perché non la chiamassero “sala interrogatori”, perché a lui sembrava più una prigione che altro. Spoglia e senza finestre.
Chloé alzò una mano e mise a tacere ogni protesta.
«Spiegati meglio» sibilò, lanciando a Ruben un’occhiataccia che avrebbe gelato il sangue nelle vene persino ad un cavallo dai denti a sciabola.
«Non c’è molto da aggiungere» sbottò il mago a denti stretti.
Sembrava voler masticare ogni parola prima di decidersi a sputarla fuori.
«Liam è scappato, e con lui la mia donna. Hanno lasciato tutto ciò che non fosse indispensabile e sono scomparsi.»
Era livido. Irthen valutò che, tutto sommato, gli sarebbe bastato anche saper recitare come lui.
«Ma Baio è nella stalla» obiettò Amina con un filo di voce.
«Vero. Ma manca Sophia, l’Antico di Re Horlon» precisò Yu.
Eetan si mise le mani nei folti capelli ricci, imprecando a mezza voce.
«Abbiamo qualche idea di dove si siano diretti?» domandò Irthen nel suo tono più allarmato.
Notò che Yu evitava accuratamente di incrociare il suo sguardo.
«Ho condotto delle ricerche» disse Ruben. «Le tracce arrivano poco lontano da Effort e poi scompaiono.»
«Come scompaiono?» incalzò.
«Svaniscono nel nulla. Come se fossero stati trasportati lontano dalla magia. Da un mago di elemento Aria» precisò. «Ora, sapendo per certo che nessuno dei nostri li ha aiutati a fuggire e che l’unico stregone in grado di fare una cosa simile – Caleb – si trova a Sud, dalle parti di Lenada, resta solo Micael…»
«Stai dicendo che hanno disertato per unirsi a lui?!» esclamò Timothy, poco convinto.
«Onestamente non vedo altre opzioni. Per quanto detesti ammetterlo, Jonna mi ha tradito nel peggiore dei modi, e posso solo ipotizzare che abbia persuaso Liam a seguirla» picchiò il pugno chiuso sul tavolo e imprecò.
«Non l’avrebbe mai fatto!» esclamò Irthen, sorprendendosi dell’enfasi che riuscì a trasfondere nelle parole.
Forse perché era la verità.
«Mi dispiace, ragazzo» disse semplicemente Ruben, alzandosi.
«Ora, perdonatemi, ma questo ci pone in serio pericolo. Jonna era a conoscenza di tutti i miei progetti. Ho molti piani da rivedere.»
Uscì rapidamente dalla stanza, seguito da Yu, e lasciò una scia di silenzio dietro di sé.
Irthen strinse i pugni e sospirò, facendo scorrere lo sguardo sui presenti. C’era qualcosa di assurdamente perverso nella conversazione che si era appena conclusa. Tre persone avevano sfacciatamente mentito a tutti, ignare l’una dei veri piani delle altre due: Ruben gli aveva raccontato della presunta diserzione di Liam; Irthen aveva mostrato, di rimando, tutta la sua incredulità e la sua frustrazione; Yu, con un piede in due scarpe, aveva avuto cura di mantenersi nella sua abituale maschera di apatia, reggendo il gioco di entrambi all’insaputa del suo capo. In un certo senso, il vantaggio era a favore di Irthen. E poi c’erano gli altri: Amina sedeva sul bordo della sedia, pallida e tirata, sicuramente si stava domandando come fosse possibile. Che cosa provava Amina per suo fratello? Era un po’ troppo tardi per domandarselo… Chloé, invece, stringeva i pugni e fissava il posto lasciato vuoto da Ruben, impassibile. Irthen rabbrividì istintivamente quando la bionda spostò gli occhi nocciola su di lui.
«Tu gli credi?» disse.
Irthen scosse il capo, cercando di immaginare dove volesse andare a parare.
«Vieni con me» sibilò, alzandosi e trascinandolo fuori per un polso.
Chloé lo condusse fino alla propria stanza e, dopo averlo spinto dentro, bloccò la porta. Irthen la lasciò fare, inquieto. La ragazza sbatté la testa contro al legno solido.
«Ora dimmi la verità, Ir» sussurrò.
«Prego?» balbettò Irthen.
«Non ci credo neanche un po’ che Liam se ne sia andato senza dirtelo. Aveva promesso che non ti avrebbe più mentito, e lui mantiene sempre le poche promesse che fa. Perciò, ora parla.» Agghiacciato, il ragazzo la fissò per un secondo a bocca aperta.
«Non lo so dov’è andato» disse infine. «Ieri sera mi ha detto che oggi avrebbe avuto delle cose da fare. Non gli ho fatto il terzo grado.»
«Non ti credo» disse Chloé avvicinandosi e puntandogli l’indice contro il petto.
Irthen si strinse nelle spalle.
«Questo non cambierà la triste realtà, temo.»
Chloé ringhiò e snocciolò una sfilza di colorite imprecazioni.
«Non lo sopporto! Non sopporto che vi somigliate così tanto, avete la stessa dannatissima piega delle labbra, e anche la forma del naso, e gli zigomi! Mi sento come se stessi dicendo a Liam di non accettare così passivamente la sua stessa scomparsa, tu…» mollò un calcio al tavolo, che scricchiolò.
«Cerca di darti una calmata» disse lapidario, mentre in un cantuccio del suo cervello si domandava dove fosse tutta quella somiglianza, perché lui proprio non la vedeva. «Romperti un piede non riporterà indietro Liam, e di certo non ci sarà d’aiuto.»
«Che cosa sai di lei?»
«Di Jonna? Niente di ché. Ruben l’ha trovata ad Anànvola e l’ha presa con sé. Anche se sospetto che l’abbia fatto più per la storia delle visioni che per i suoi begli occhi…»
«Ma Liam non si fidava di lei, vero? Stava indagando, non è così? È possibile che abbia avuto rapporti con Micael?»
Irthen sbuffò.
«E come faccio a saperlo?! Mi sono svegliato in questa cavolo di città di cui fino ad una settimana fa non conoscevo nemmeno l’esistenza! Cosa vuoi che ne sappia, io, di quello che ha fatto Jonna nella sua vita precedente!»
Chloé alzò una mano per assestargli uno schiaffo, ma Irthen fu più rapido e le bloccò il polso.
«Piantala di comportarti come una bambina» le disse. «Capisco che tu sia preoccupata: tuo padre ad Effort, James al fronte e Liam scomparso…lo capisco, ma credi davvero che sfogarti su di me cambierebbe qualcosa? Inoltre, ogni dove sia andato a finire, c’è ben poco che possiamo fare. Se è vero che è scappato con lei, non lo troveremo, e non lo troveremo neppure se fosse stato rapito da lei o da Micael, o da Caleb, o da chiunque altro. Possiamo solo sperare che stia bene e che torni presto.»
Chloé sgranò gli occhi e lasciò cadere la mano. Si sedette sul bordo del letto e prese un respiro profondo.
«Hai ragione» disse, con la voce rotta. «Ma non sopporto di starmene qui buona, buona a guardare il mio mondo che va in pezzi.»
Irthen si sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio.
«Sono certo che ci sia una spiegazione, Clo. Io credo in Liam» mormorò, e il quel momento sentì chiaramente di aver oltrepassato la sottile linea che divideva le persone oneste dai bugiardi.
 
Il porto di Class era grande e caotico, ma Liam riuscì a districarsi dall’intreccio di viuzze e si diresse verso la porta Nord della città. Avrebbe dovuto risalire per qualche miglia lungo la sponda per poter aggirare le colline che gli avrebbero bloccato la strada ad Est. Avrebbe potuto attraversarle, certo, ma il tempo era denaro, e stando al racconto di Irthen erano piene zeppe di orchetti. Naturalmente era molto probabile che quei contingenti fossero gli stessi che ora assediavano la foce del fiume, quindi il rischio di imbattersi in simili sorprese non era poi così alto, ma non valeva comunque la pena di rischiare. La situazione era già abbastanza complicata così.
Con sorpresa scoprì che il cancello a Nord era sbarrato e sorvegliato da due guardie. Gli bastò scambiare poche parole con una di loro per scoprire che, data la situazione del territorio circostante, il Governatore aveva preso delle precauzioni in materia di sicurezza, in particolare era stato imposto il coprifuoco. Così, rassegnato, aveva cercato una locanda dove mangiare qualcosa e passare la notte. Evitò di malavoglia la compagnia di un paio di cameriere, sorprendendo anche sé stesso, e si ritirò nella sua stanza. Non poteva fare altro che cercare di dormire qualche ora, per ripartire poi alle prime luci del giorno.
 
Yu sospirò, massaggiandosi le tempie. Aveva un bisogno disperato di dormire, si sentiva le palpebre tanto pesanti che temeva di finire addormentata da un momento all’altro. Frenando l’istinto di afferrare un pezzo qualsiasi di mobilia e di lanciarlo addosso a Ruben, chino sulle sue carte, gli si avvicinò e attese. Il mago tamburellò con il dito medio sulla mappa della Terra dei Tuoni, all’altezza di Natìm.
«La chiave è qui, su questa mappa» mormorò.
La ragazza soffocò uno sbuffo di impazienza.
«Non mi sembra una buona idea quella di prendere decisioni importanti con più di quaranta ore di veglia addosso. Secondo me dovresti andare a dormire» disse dolcemente, posandogli una mano sulla spalla.
I tendini tesi si rilassarono appena sotto al suo tocco.
«Dovrei farlo, lo so. Ma ora che si è scoperta la fuga, tutti si aspettano che io faccia qualcosa. Dannazione! È talmente logico, Liam è scappato con la mia donna, io devo fare qualcosa!»
Yu scosse il capo, avvilita. Avrebbe tanto desiderato poter cancellare la preoccupazione da quegli occhi pallidi.
«Yu…» sospirò Ruben stancamente.
«Sì?» disse la ragazza, esitante.
«Non sei obbligata a vegliare.»
«Lo so. Lo faccio perché lo voglio fare» rispose stringendosi nelle braccia.
Amina aveva sicuramente ragione, stava diventando troppo magra, pensò percependo il contatto delle costole. Negli ultimi tempi si sentiva tesa come la corda di un’arpa, e la sola idea del cibo le faceva venire la nausea. Tutta colpa di Jonna. Ah, se solo avesse potuto prendere a schiaffi Ruben, sbattendogli in faccia quel “te l’avevo detto” che premeva brutalmente sulla bocca dello stomaco!
«Non so davvero come farei se non avessi te» le disse con un sospiro.
Yu arrossì, cercando di misurare l’entusiasmo. Lo sapeva bene, quelle non erano altro che belle parole per rabbonirla. Tredici anni di esperienza l’avevano preparata alle tortuose perifrasi del suo padre adottivo.
«Cosa ne pensi di questa cosa di Liam?» domandò infatti dopo qualche minuto di snervante silenzio.
«Intendi dire in merito alla sua partenza?» Ruben annuì. «Penso che questo immenso casino sia capitato nel momento e nella modalità migliore per risolvere il problemuccio della sua crescente notorietà.»
Ruben sospirò di nuovo e si volse bruscamente verso di lei.
«Tu pensi che io sia un codardo. Un codardo e un traditore» disse lentamente.
Yu impallidì.
«Non l’ho detto» protestò.
«Ma l’hai pensato» ribatté Ruben.
«Che sciocchezza! Che cos’è? Un processo alle intenzioni?!»
Lo sguardo del mago si fece per un momento tagliente, poi si ammorbidì.
«Io ti conosco, bambina, più di quanto non ti conosca tu stessa.»
Rabbrividendo, Yu tentò di tenere un tono leggero.
«Permettimi di dubitarne» rispose.
Ruben fece mezzo sorriso e tornò a fissare la mappa.
«Abbiamo detto a Stan di non azzardarsi a lasciare Cyanor, ma è stata la scelta giusta?»
«Dipende» mormorò Yu.
«Da cosa?»
«Da quello che deciderai di fare adesso» disse. «Immagino che tu abbia in mente qualcosa che necessita di una squadra là.»
Ruben rimase in silenzio a lungo, muovendo le dita nervose sulle carte ammassate disordinatamente. Quando Yu non riuscì più a reggere l’attesa domandò:
«Hai letto, vero, il rapporto di James? Non possiamo reggere attacchi su tre fronti all’infinito. Le forze e gli uomini verranno meno, e allora…»
«…allora, draghi e stregoni ci massacreranno» concluse il mago. «Lo so. Per questo voglio attaccare Cyanor.»
La ragazza si aggrappò alla spalliera della sedia, colta da un capogiro.




****************
OK, non dirò niente, ho finito le scuse per giustificare i miei ritmi di aggiornamento U.U

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Capitolo 49
*** Torat ***


Poco prima dell’alba, Liam si portò nei pressi del cancello Nord di Class, nella speranza di poter lasciare velocemente la città. Ma scoprì che una piccola folla si era già radunata davanti alle guardie: uomini con carri, attrezzi da lavoro, giare e ceste vuote, ma anche qualche raro viandante. Facendo appello a tutta la sua pazienza si accodò, in attesa che il cancello venisse aperto.
«Mi venisse un colpo!» esclamò una voce alle sue spalle. «Ma tu sei Liam di Pothien!»
Sorpreso, il mago si volse. Un omino sulla cinquantina, calvo e con un naso adunco ricoperto di lentiggini, gli sorrideva con entusiasmo. Liam scavò velocemente nella propria memoria, senza risultato.
«Ci conosciamo?» domandò infine, imbarazzato.
L’omino scoppiò a ridere.
«Forse tu non ti ricorderai di me, ma di certo io ricordo te! Sono Todor, l’orefice di Via delle Fontane. Ho comprato da te le migliori gemme che io abbia mai avuto tra le mani.»
Liam represse un sospiro di sollievo e sorrise.
«Todor, ma certo! Perdonami, ma c’è qualcosa di strano in te. Non avevi…» lo squadrò.
«I capelli? Eccome se li avevo!» rispose quello. «Un’epidemia di pidocchi in casa mia mi ha obbligato a tagliarli.»
Liam fece un passo indietro precauzionale.
«Allora, ragazzo, dimmi: sei ancora in affari? È parecchio che non ti fai vedere a Class. Non sarà per via degli orchi?» continuò.
«No, in verità no. Ho avuto qualche problema in famiglia e sono stato costretto a lasciare l’attività» rispose, scoprendo di non aver avuto nemmeno il tempo di rimpiangere il suo amatissimo lavoro.
L’orefice si passò le mani sulla testa lucida.
«Un vero peccato, un vero peccato» ripeté. «Chissà che presto tu possa riprendere il tuo commercio, ragazzo. Todor sarà sempre interessato alle tue offerte» sentenziò.
«Grazie, lo terrò a mente» rispose Liam, domandandosi se mai sarebbero sopravvissuti entrambi per tornare ai loro scambi.
Uno stridio ed il vociare della folla lo richiamarono alla realtà. Il cancello si stava aprendo, e lui doveva andare.
«È stato un piacere incontrarti, Todor» disse.
L’orefice gli strinse cordialmente la mano.
«Qualora tu volessi rientrare nel giro, sai dove trovarmi.»
Lasciata la città, Liam si lanciò, veloce, verso Nord, in direzione della foce del fiume Brumo. Secondo i suoi nuovi e più attendibili calcoli, avrebbe potuto lasciarsi le colline alle spalle entro mezzogiorno, per poter poi proseguire speditamente alla volta di Torat.
 
Aqua accolse con un entusiasmo nuovo le prime luci del giorno. Con un’altra notte quasi insonne alle spalle non poteva fare a meno di veder profilarsi un futuro particolarmente nero. Anche se, doveva ammetterlo, non si erano più verificati terremoti e affini, non potevano permettersi di abbassare troppo la guardia. Ogni tanto, una finestra si apriva da sola, rischiando di rivelare la loro presenza, pezzi di mobilia cadevano in briciole di punto in bianco, e i soffi di vento fantasma si erano fatti gelidi. Tuttavia, Aqua aveva notato che gli elementi maggiormente instabili sembravano essere Aria e Terra. Come se la magia che aveva generato quelle particolari difese decadesse più rapidamente. Perché, infondo, l’unica testimonianza di un potenziale rischio sul fronte del Fuoco era costituito da quelle luci che ogni tanto si accendevano e si spegnevano, per il momento innocue e poco frequenti, mentre l’Acqua non aveva dato alcun segno di cedimento. Aqua non era mai stata molto interessata alla storia, ma sapeva che Storr, l’ultimo Re, era stato un mago di elemento Acqua. Aveva seduto sul trono di Cyanor per centinaia di anni, sfidando ogni legge umana, e alla sua morte aveva lasciato un vuoto che nessuno era riuscito a colmare, non potendosi eguagliare la sua saggezza e il suo carisma. Di certo doveva essere stato molto potente. Chi poteva essere stato a suggellare l’incantesimo di Fuoco, invece?
“Meglio così” si disse la ragazza, “dal momento che noi un mago di Fuoco non ce l’abbiamo per sistemare le cose”.
Il filo dei suoi pensieri si interruppe bruscamente.
Già, sistemare le cose. Era così impossibile sfruttare i loro poteri per stabilizzare almeno i due elementi che stavano creando più problemi?
Svegliò Konstantin, che era riuscito, nonostante tutto, ad appisolarsi, e chiamò Hailie dalla stanza accanto. Espose loro la sua idea, entusiasta di poter finalmente fare qualcosa di concreto.
Ma il mago si mostrò più cauto di quanto avesse immaginato.
«Non possiamo sapere che incantesimo utilizzarono per proteggere queste stanze» disse.
«Che importa? Sono i nostri elementi, lo capiremo entrando nel flusso di energia» rispose Aqua.
«E se non lo capissimo affatto? Ragiona: è magia vecchia di centinaia di anni…»
«L’Acqua non cambia nemmeno in centinaia di anni, e nemmeno in migliaia, Stan! La Terra è sempre Terra!»
Konstantin scosse il capo.
«È troppo rischioso.»
Aqua sbuffò.
«Per te è sempre tutto troppo rischioso! Accidenti, Stan, tu e la tua cavolo di lungimiranza! Hai proposto tu di venire in questa città, sapevi che stava cadendo tutto in pezzi, sapevi che sarebbe stato un suicidio quando l’hai fatto, e io non voglio starmene qui ad aspettare di fare la fine del topo!»
«Aqua ha ragione» intervenne Hailie.
Entrambi la guardarono, increduli. La maga si strinse nelle spalle.
«Acqua e Fuoco sembrano resistere, ma Terra e soprattutto Aria stanno cedendo. Noi dobbiamo fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.»
Aqua non riuscì a trattenere un sorriso.
«Al miracolo!» esclamò, battendo le mani.
Hailie sorrise a sua volta. Per la prima volta da quando erano giunti a Cyanor, i suoi occhi riflettevano una luce azzurra limpida e sicura.
«Io voglio provarci! L’Aria, qui dentro, è un po’ troppo stantia per i miei gusti.»
Hailie e Konstantin si sedettero l’uno di fronte all’altra sul pavimento di pietra. Aqua li osservava con un filo di invidia, e camminava avanti e indietro lungo il perimetro della sala. I due erano un po’ rigidi, ma Hailie sembrava più padrona della situazione: aveva le mani posate sulle ginocchia, le gambe incrociate e la fronte spianata. Konstantin, invece, teneva le mani intrecciate tanto strette da evidenziare i tendini tesi, le palpebre chiuse lasciavano intravedere i movimenti degli occhi sottostanti. Aqua era certa di non averlo mai visto così nervoso.
«Sarebbe di grande aiuto se tu stessi ferma, Aqua» disse il mago tra i denti.
«Scusa» sbottò fermandosi e addossandosi alla parete.
Per qualche sconosciuto motivo le tremavano le gambe.
«Forza, Stan, concentrati» disse Hailie, respirando profondamente.
Aqua cercò di sintonizzarsi sulla sua frequenza respiratoria, sperando di trarne beneficio. Konstantin si stava sforzando di rilassare i muscoli, senza grandi risultati.
Hailie sorrise, e una soffusa luce azzurrina si diffuse attorno a lei. Aqua trattenne un’esclamazione di stupore.
«Entra nel flusso di energia, Stan. Concentrati sulla vena di magia che pulsa in questa stanza» sussurrò la bionda.
Il mago si rabbuiò per un momento, per poi aprirsi in un sorriso pieno di meraviglia, mentre una luce smeraldina iniziava ad aleggiargli attorno.
«Funziona!» esclamò.
Aqua sospirò. Una parte di lei non poteva fare a meno di invidiare quell’atmosfera intima che si era creata e dalla quale lei era inevitabilmente rimasta esclusa.
Le luci diventavano via via più brillanti, e l’aria si saturava di energia al punto tale che ad Aqua iniziavano a fischiare le orecchie. Con il passare dei minuti, la sua eccitazione iniziò a svanire, sostituita da un vago torpore. Il ronzio aumentava di intensità, la testa le doleva. Chiuse gli occhi e si premette le mani sulle tempie. Dei lampi di luce disturbavano l’oscurità delle sue palpebre, e la maga gemette. Delle figure iniziavano a muoversi sullo scenario della sua mente, definendosi gradualmente con maggiore nitidezza. Quattro persone sedute a terra in cerchio, le mani giunte, quella stessa stanza a fare da sfondo. Tre di loro erano scure, come avvolte da un’ombra fitta, e Aqua non riusciva a distinguere i loro volti. Ma il quarto…il quarto sentiva di conoscerlo bene. Aveva un bel viso, i capelli neri erano legati in una coda, ma qualche ciuffo troppo corto gli cadeva sulla fronte. Il naso diritto gettava una piccola ombra sulle labbra socchiuse. La pelle era ambrata, gli occhi scuri e obliqui. Perché quel senso di familiarità? Le sue labbra si muovevano, ma lei non sentiva null’altro che quel maledetto ronzio. Poi, una luce iridescente si sprigionò dalle mani giunte, espandendosi in tutta la stanza. Aqua non riusciva a distogliere l’attenzione, attratta in quel vortice di luce e di colore. Si sentiva leggera, incorporea, liquida
Sbatté le palpebre, sorprendendosi dell’improvvisa immobilità e decadenza dell’ambiente che le stava davanti.
Konstantin e Hailie si stavano alzando, le luci erano scomparse, l’aria si era fatta più elettrica del normale. Il ronzio andava via via scomparendo, non così il cerchio alla testa.
«Ha funzionato?» domandò Stan.
La sua voce sembrava venire da molto lontano.
«Per un po’ dovrebbe bastare, ma non so per quanto. C’è qualcosa di strano nei flussi di energia, di…estraneo, ecco» rispose Hailie. «Tu che cosa ne pensi, Aqua? …Aqua?»
Aqua si riscosse e si strofinò gli occhi.
«Va tutto bene? Sei pallida.»
Konstantin le si avvicinò e le posò le mani sulle guance. Aqua si sentì immediatamente meglio, come se le fosse stato rimosso un peso dalle spalle.
«Che cos’è successo?» domandò il mago, obbligandola a sedersi.
Aqua raccontò loro quanto aveva visto, tentando di descrivere le strane sensazioni che le erano passate per la testa.
«Credi che tu possa aver visto un frammento di passato?» domandò Hailie. «Del momento in cui furono create queste stanze?»
Aqua annuì.
«Credo di sì. Credo che la magia di Storr, la più potente, abbia veicolato alcuni dei suoi ricordi fino a me. Forse, mente voi eravate concentrati su Aria e Terra, io sono stata trascinata nel flusso dell’Acqua… Sì, deve essere così. Per questo quella familiarità. Quell’uomo doveva essere Storr, e io condivido il suo elemento.»
«È una cosa davvero strana» disse Konstantin. «Anche in relazione alla non completa corrispondenza della magia antica ai nostri poteri. È come se mancasse qualcosa in noi, e penso che sarebbe opportuno scoprire cosa.»
Aqua chiuse gli occhi, pregando che il mal di testa la lasciasse per un momento in pace, e domandandosi se sarebbe riuscita a rientrare in quel vortice per cercare delle risposte.
 
Irthen era stanco morto, e non era ancora passato mezzogiorno. Aveva trascorso la mattinata ad evitare Chloé, nel terrore che potesse scoprire che stava mentendo. Così, era stato sul campo di allenamento e aveva aiutato Eetan a gestire i turni di accesso al campo delle truppe ancora alloggiate a Natìm. Il sole in testa, però, gli aveva mandato in ebollizione il cervello, cosa che ad Eetan non sembrava accadere, complice probabilmente il potere del suo elemento. Quando il mago aveva scoperto che Irthen aveva lavorato come apprendista da un fabbro gli aveva chiesto di dargli una mano, nei giorni a venire, per sistemare armi e ferrature varie. Inoltre, aveva ottenuto il permesso di andare e venire dall’armeria a suo piacimento, e di prendere in prestito qualunque tipo di arma desiderasse provare. Irthen aveva ringraziato, ma sapeva bene che non c’era altra arma con cui desiderasse combattere oltre alla spada di Liam.
Ora, con i piedi nudi a mollo nell’acqua gelida del lago, non poteva fare a meno di ripensare alla sua vita precedente con una vena pulsante di rimpianto. Dove sarebbe stato, in quel momento, se non avesse inseguito il malsano desiderio di trovare la Cascata del Potere? A Pothien, probabilmente, a vivere la sua vita pacifica accanto a Jeremy e alla bella Amanda. Una vita pericolosamente ignara della catastrofe imminente. Una vita priva di tutto ciò che aveva scoperto del mondo, di suo fratello e della magia. Priva dei capricci di Yu, ma priva anche di Abby e di tutto lo scombussolamento interiore che questa gli aveva causato. Dalla partenza di Liam, non aveva potuto impedirsi di indugiare sempre più spesso sul pensiero del tempo che aveva trascorso in compagnia di Abigail. Sentiva le mura della città di Natìm stringersi sempre più attorno a lui e togliergli il respiro. La sua parte più istintiva non faceva che ripetergli che quella sarebbe stata la sua ultima occasione di rivederla prima della fine. Che senza Liam – e senza Yu, inutile negarselo – a Natìm non era rimasto niente a trattenerlo. Imprecò quando posò il piede su un sasso appuntito. Di certo, starsene lì, su quella spiaggia che gli ricordava tanto Liam, non lo aiutava a ragionare con lucidità.
Sospirò, raggiunto dallo scricchiolio dei passi sui ciottoli alle sue spalle. Dopotutto, tutti i suoi sforzi non erano serviti a nulla. Ma doveva aspettarselo: come suo fratello, Chloé aveva il fiuto di un cacciatore.
«Allora, Irthen? Che cosa hai deciso di fare?»
La voce tagliente della ragazza lo indispose. Come faceva Liam a sopportarla?!
«Di cosa stai parlando?» rispose senza voltarsi.
«Di Li’. Accetterai così, passivamente, la sua scomparsa?»
«Che altro posso fare? E poi mi sembrava di essere stato chiaro: non farò assolutamente nulla. Chiamami codardo se la cosa ti gratifica. Non mi farò ammazzare per lui.»
Chloé trattenne rumorosamente il respiro. Irthen recitò mentalmente una preghiera agli Dei per chiedere perdono, certo di meritare la più atroce delle morti anche solo per aver osato proferire una simile crudeltà. Sperava, se non altro, che Chloé si indignasse abbastanza da lasciarlo in pace.  
«T-tu sei…sei…» balbettò. «Sei un ingrato. Dopo tutto quello che ha fatto per te, tu osi dire una cosa del genere?! Non meriti affatto un fratello come lui! Non te lo meriti!»
Irthen gemette quando un sasso lo colpì alla schiena, prima che i passi di Chloé si allontanassero velocemente.
Nemmeno allora si volse verso di lei, e non per paura di veder crollare i resti del ponte che aveva appena bruciato, ma perché non era disposto a condividere quelle lacrime che gli rigavano le guance con nessuno al mondo. Erano la sua punizione e la sua personale preghiera.
 
Chloé attraversò impetuosamente la città, incapace di darsi pace. Quel moccioso le stava mentendo, lo sapeva benissimo, ma non sapeva come fare per obbligarlo a confessare. Non credeva potesse rivelarsi un osso tanto duro.
“Sarà che su di lui non puoi vantare l’ascendente che, invece, hai su Liam”, si disse.
Ma quella consapevolezza non cambiava la realtà dei fatti: tutte le argomentazioni che Irthen aveva portato a sostegno dell’inutilità della ricerca di Liam suonavano dolorosamente concrete e razionali. E per quanto sapesse che c’era una guerra da combattere e che le vite di tutti loro erano pericolosamente in bilico, non poteva comunque cancellare quel senso di solitudine che le dava il pensiero dell’abbandono di Liam. E poi, aveva promesso che ci sarebbe sempre stata…perché non si era confidato con lei? Dei, quanto avrebbe desiderato avere James accanto.
Una fitta di angoscia le strinse il petto, facendola incespicare. Scosse il capo per allontanare i pensieri negativi. Era inutile passare le giornate nell’afflizione, lo sapeva: erano in guerra, doveva imparare a convivere con la precarietà. Senza contare che c’erano molti preparativi da portare a termine, non ultimo l’addestramento di quel branco di capre delle infermiere.
«Tu la fai facile, cervello» mormorò, imboccando il portone d’ingresso del palazzo di Ruben.
Una guardia la bloccò sotto l’arco di pietra e dopo aver verificato la sua identità la lasciò passare. Il quartier generale era un vero labirinto per chi, come lei, vi si era trasferito da poco. L’edificio centrale era costruito su due piani e un seminterrato, senza che vi fosse una logica disposizione degli ambienti. Alcune stanze da letto erano situate al primo piano, altre al piano terra insieme alle cucine, la sala riunioni era nel seminterrato con i magazzini e le dispense. Tutto attorno erano collocate le strutture di servizio: l’armeria, le scuderie, una piccola stalla, i campi di allenamento, e affini. Tra queste appendici era compresa  anche una grande serra, nella quale i maghi di elemento Terra coltivavano un’ampia varietà di erbe officinali e piante, alcune allo scopo medico, altre alimentare. Chloé si diresse là, alla disperata ricerca di qualcuno disposto a darle retta.
Quando varcò la soglia della struttura, il caldo afoso le tolse il respiro. Come si potesse pensare di lavorare in un posto simile, lei proprio non riusciva a capirlo. Si fece forza e si avventurò lungo il sentiero ritagliato tra aiuole e vasetti. Da qualche parte giungevano delle parole sommesse. Seguendo il suono flebile del mormorio, trovò Amina che, inginocchiata davanti ad una pianta di malva, sussurrava parole pacate alle sue foglie, facendo acquistare loro vigore. Chloé sospirò, in attesa che la maga portasse a termine la sua opera.
Amina sfiorò con un dito il bel fiore rosa appena sbocciato e si volse verso di lei.
«Come ti sembra?» domandò.
Chloé si obbligò a gettare almeno un’occhiata alla pianta, il suo sguardo inevitabilmente attratto da Amina. La maga aveva legato i capelli in due treccine, e quegli occhi castani venati di verde, già così innaturalmente espressivi, sembravano eccessivamente grandi. Forse erano gonfi.
«La pianta, intendi?»
«Che altro?» rispose Amina con un sorriso perplesso.
«Tu, per esempio, non mi sembri altrettanto in forma. Stai bene?»
Amina arrossì.
«Naturalmente. Nei limiti dell’incresciosa situazione in cui ci troviamo. Sei gentile a preoccuparti, ma sospetto che tu non sia qui per informarti sul mio stato di salute, ho ragione?»
Chloé ghignò.
«Non so come, ma quella tua aria da ragazzina mi frega sempre…quanti anni hai detto di avere?»
La maga rise.
«Ventotto, Clo, come l’ultima volta che me l’hai chiesto.»
«Che invidia. Ne ho tre di meno e sembro tua nonna» commentò Chloé.
Mina si alzò e si spolverò la gonna.
«Cosa posso fare per aiutarti?»
 Chloé sospirò.
«Irthen sa dove si trova Liam e perché, ma non vuole confessare.»
Amina si rabbuiò.
«Avrà i suoi buoni motivi.»
«Buoni motivi? Non esistono motivi sufficientemente buoni! Lui non è l’unico a soffrirne, non ha il diritto di tenerci allo scuro…»
«Ne sei certa? È suo fratello, il suo unico famigliare, chi ha più diritto di lui?»
Chloé pestò i piedi, trattenendo a stento le lacrime di rabbia. Possibile che a nessuno importasse nulla di lui? Poteva essere stato rapito, poteva essere morto…
«È solo un  ragazzino, Mina!»
La maga scosse lentamente il capo.
«Ti sbagli. Ho passato tanto tempo ad osservare Irthen, negli ultimi tre anni, e quello di cui ora stai parlando non è lo stesso ragazzo che ha lasciato Pothien, perciò non puoi pretendere di trattarlo come fosse ancora il bambino di quando ti sei trasferita ad Effort. La vita l’ha obbligato a crescere tanto e in poco tempo, non puoi non essertene resa conto. Non avertene a male, ma secondo me tu sei semplicemente gelosa del fatto che Liam abbia scelto di condividere i suoi segreti con lui anziché con te.»
Chloé aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza farlo. Forse, Amina aveva ragione. Sicuramente aveva ragione. Ma, chissà perché, la consapevolezza della sua debolezza non la fece sentire meglio.
«Tu pensi che dovrei mettermi il cuore in pace?» mormorò.
Amina fece un passo verso di lei e la abbracciò stretta.
«Io credo che se si potesse fare qualcosa per riportarlo qui, o anche solo per aiutarlo, Irthen ce l’avrebbe detto. Quindi sì, credo che dovresti andare avanti senza voltarti troppo spesso indietro. Se agli Dei piacerà, presto o tardi lo rivedremo.»
«Ma tu…non credi, vero, che abbia mollato tutto per Jonna?»
La maga tremò e la strinse più forte.
«Il Liam che conosco non avrebbe lasciato Irthen per nessuna donna al mondo. O, per lo meno, questo è quello che credevo. Ma ora…ora non lo so più.»
Chloé la prese per le spalle e la allontanò per guardarla negli occhi.
«Non dici sul serio!»
Amina scosse il capo e si asciugò gli occhi nel polsino della manica.
«Avrei giurato sul mio stesso cuore che Alec non mi avrebbe lasciata mai, eppure l’ha fatto… Io non sono più certa di niente.»
 
Amina osservò Chloé allontanarsi con la testa incassata tra le spalle e l’aria abbattuta. Sapeva che cosa si provava a gettare la spugna, e sentiva tutto il suo senso di inadeguatezza e la sua frustrazione riverberare in ogni sua fibra. Così come aveva sentito la disperazione di Irthen. Maledetta empatia! Come se non fosse stata sufficiente tutta la confusione che le albergava nel cuore. Avrebbe dato qualunque cosa pur di riuscire a preoccuparsi sinceramente per Liam, senza farsi ribrezzo per quella non proprio velata vena di gelosia, impossibile da mettere a tacere. Senza parlare di Stan, bloccato in una città semidistrutta piena zeppa di nemici, senza nemmeno averle dato la possibilità di chiarire. Chiarire cosa, poi? E Alec? Dov’era Alec? Era ancora vivo?
 
Liam tirò le redini e Sophia nitrì, irritata. Aggirare le colline poteva essere stata una buona idea, ma di certo non era stato sufficiente per chiudere i problemi fuori dalla porta: davanti a loro si estendeva un grande campo di battaglia, che inglobava resti di villaggi e fattorie, a perdita d’occhio, fino alle mura di Torat.
«Cazzo» mormorò Liam. «Come lo attraversiamo questo delirio, eh, bellezza?»
Sophia lo ignorò, e il mago non poté fare a meno di pensare che Baio fosse più di compagnia.
Liam studiò la piana davanti a sé: qualche miglia a Nord del campo di battaglia erano ammassati gli accampamenti degli orchi; ad Est, verso le mura cittadine, quelli degli assediati. Si domandò se ci fosse modo di raggiungere la città senza passare dalla carneficina. Forse avrebbe potuto aggirarla da Sud, ma era utopia sperare che nessuno lo notasse, e di certo non sarebbe stato produttivo proporsi come alleato dopo aver accuratamente evitato di prestare soccorso. No, doveva finirci in mezzo, e doveva essere abbastanza coreografico da farsi notare dagli uomini di Micael.
«Pensa che figura, Sophia, se mi ammazzano prima ancora di arrivare!» piagnucolò dando di sprone.
Quando raggiunse le propaggini della battaglia, Liam si rese improvvisamente conto che non aveva la minima idea di come gestire una simile situazione. L’unico campo di combattimento che avesse mai calcato era quello che l’aveva visto combattere un drago, ma era tutta un’altra storia! Prima di tutto non era solo, e poi si trattava di combattere quasi esclusivamente con la magia. Ai margini, scoprì di avere sufficiente spazio di manovra, così si circondò di uno scudo magico e si lanciò verso il cuore della battaglia. Notò con sorpresa che, accanto agli uomini, erano schierati molti nani. Non ne aveva più visto uno dal Consiglio di Effort, e non credeva che sarebbero stati disposti a lasciare le loro montagne se non prima che la fine fosse imminente. Il ché non era proprio un pensiero incoraggiante. Mano a mano che si addentrava nella mischia, perse sempre più il controllo delle proprie azioni. Lasciò che fosse l’istinto a guidare la sua spada e la sua magia, mentre Sophia cercava corridoi e pertugi in mezzo alla marea di corpi senza bisogno di una guida. E quando non era proprio possibile passare, era sufficiente un incantesimo ben assestato per spazzare via orchi, orchetti e tutto il loro corredo di corna. Presto il mago si ritrovò grondante di sangue nero, incapace di orientarsi, incapace di pensiero razionale. L’adrenalina gli bruciava nelle vene, contrastando splendidamente l’indolenzimento alle braccia e il dolore per le ammaccature e le piccole ferite di cui iniziava a coprirsi, mentre la sua spada affondava ancora e ancora, tranciando armature, tessuti, carne e ossa. Come in un sogno sfuocato. Sophia scartava agilmente per evitare i dardi che piovevano su di loro e i nemici che si ammassavano sul loro percorso. Un’esplosione e una nuvola di polvere, poco lontano, attirarono l’attenzione di Liam. In mezzo a tutte quelle grida e a quella puzza di sangue, di sudore e di chissà cos’altro, non riusciva a percepire con chiarezza le auree magiche, ma qualcosa lo rendeva certo che quella fosse opera di Alec. Sophia si diresse istintivamente verso di lui, e Liam iniziò ad avere seriamente paura: che cosa gli garantiva che Alec non l’avrebbe ucciso non appena se lo fosse trovato a tiro? Un altro boato e le grida di un nano che, ora poteva inquadrare bene la scena, sfondava crani a colpi di martello, come fossero stati gusci di noci. Da una nuvola di polvere emerse Alec del Fuoco. Anche la sua spada gocciolava sangue, e macchie scure inzuppavano i suoi abiti. Come se avesse percepito lo sguardo di Liam su di sé, il mago si volse nella sua direzione e lo individuò. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.
Sophia si imbizzarrì e disarcionò Liam, che non riuscì ad evitare di essere sbalzato e cadde pesantemente sul terreno polveroso. L’urto gli mozzò il respiro. Stordito, notò solo marginalmente la figura vaga di un orco entrare nel suo campo visivo, e così l’arma che si levava su di lui. Doveva respirare, niente era più importante dell’aria, la cui assenza bruciava come fuoco nei polmoni.
Una scarica di luce rossa scaraventò lontano il suo assalitore e fece venire la pelle d’oca a Liam.
«Che diavolo fai?» gridò il nano.
Liam riacquistò la lucidità giusto in tempo per trovarsi l’ormai familiare spada di Alec del Fuoco puntata alla gola. Di nuovo.
«Lo voglio ammazzare con le mie mani» ringhiò quello in risposta.
«A-aspetta» esclamò Liam. «Aspetta! Sono qui per combattere insieme a voi, non farlo!» farfugliò, in preda al panico.
Alec alzò un sopraciglio con aria critica e Liam lo trovò tanto identico a Konstantin da rabbrividire.
«Insieme a noi? Perché dovresti? E, soprattutto, perché dovrei crederti?»
Per un lunghissimo momento, il mago lo guardò fisso negli occhi, mentre la battaglia infuriava attorno a loro come un mare in tempesta.
«Jonna è qui, non è vero? Sono qui per lei» disse infine.
«Che cosa vuoi da Jonna?» incalzò Alec.
«Voglio vederla, maledizione! È scappata da Natìm, e Ruben ha giurato che avrà la sua vendetta…non voglio che le faccia del male. Cazzo, Alec, avrai pur amato anche tu!»
Per una frazione di secondo, il volto di Amina aleggiò davanti agli occhi di Liam, ma scacciò l’immagine prima che lo facesse sentire troppo stronzo.
«Muoviti, Alec! Che cosa stai aspettando?!» gridò di nuovo il nano, sottolineando il concetto con una sfilza di imprecazioni per metà in una lingua che Liam non conosceva.
Alec ritrasse di colpo la lama e, senza perdere di vista un solo istante il suo prigioniero, disse:
«Non posso, non sono autorizzato. Lo porto a Torat, Iogrunn. Aiutami a retrocedere verso la città.»
Liam tirò un sospiro di sollievo e si trasse in piedi. Il primo obiettivo era stato centrato.



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Ricordatemi di non scrivere più di massacri prima di andare a letto, per favore >.>

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Capitolo 50
*** Stasi ***


Con lentezza estenuante, i due maghi e il nano attraversarono il campo di battaglia fino al limite orientale. Sophia era scomparsa nel nulla, e Liam poteva solo augurarsi che ne fosse uscita indenne. Se le fosse successo qualcosa, Horlon avrebbe voluto la sua testa, su questo non c’erano dubbi.
Tenendo a distanza gli orchi a colpi di spada e di martello, emersero in una sorta di zona franca che si estendeva per un miglio fino all’accampamento alleato.
«Andate» disse il nano. «Ti copro le spalle, Alec.»
«Grazie, amico!»
Alec mollò una pacca sulla spalla al nano e lanciò un’occhiataccia a Liam.
«Andiamo, ragazzino. E non fare scherzi, qui non sei ospite, e ti ricordo che in duello ti ho già battuto» sibilò.
Liam ringhiò e si impose di non cedere alla provocazione. Era giunto fino a quel punto, non poteva buttare tutto all’aria per una cosuccia come l’orgoglio.
Attraversarono l’accampamento quasi deserto installato ai piedi delle mura. I pochi abitanti – per lo più donne e feriti – si nascondevano al loro passaggio. Liam si domandò che razza di reputazione si fosse guadagnato Alec tra gli alleati di Torat.
«Di qua» disse Alec precedendolo al di fuori della piccola città di tende.
«È tanto che vi assediano?» domandò Liam.
Alec lo ignorò e si avvicinò al portone d’ingresso della città. La grata stridette sollevandosi per lasciarli passare, e si richiuse con un tonfo alle loro spalle.
La città di Torat non era affatto come Liam l’aveva immaginata. Era completamente diversa dalle grandi città che sorgevano sul Lago di Nebbia. Immensa ma logica, squadrata, calcolata. Nonostante i palazzi alti e le strade strette, conservava un opprimente aspetto ordinato. Fredda, ecco cos’era.
Liam sbatté le palpebre. Alec stava risalendo la via piastrellata che si allungava all’infinito davanti a loro. Si volse e latrò:
«Ti muovi o devo tirarti per i capelli?»
Il mago sbuffò ma si affrettò ad obbedire. Era tutta colpa di Jonna, e quella vipera, presto o tardi, l’avrebbe pagata.
 
Aqua non era disposta a cedere. Se davvero c’era qualcosa che non andava nella loro magia, lei avrebbe scoperto cosa, a costo di restarci secca nel tentativo. Non ci stava ad accettare che fosse cambiato qualcosa, dai tempi di Storr ai suoi, nell’Elemento, e di certo non poteva essere cambiato chi lo governava. E poi lei aveva visto l’ultimo Re, l’aveva sentito…ed era esattamente uguale a lei. Molto più vivo di tante persone vive. Molto più limpido di tante persone sedicenti tali. Così tanto più reale da obnubilare la realtà vera e soffocarla nella nebbia di un tempo passato che, razionalmente lo sapeva, non esisteva più, e mai più sarebbe esistito.
Per questo, aveva lasciato che Stan e Hailie si adoperassero, una volta di più, nella ricerca di informazioni, mentre lei si era rinchiusa nella stanza da bagno con l’intenzione di ricreare il contatto con quello spettro di ricordo, ma ogni tentativo era stato vano. E non era difficile immaginare il motivo del fallimento: da sola non poteva entrare nel flusso di energia, non era capace di concentrarsi. Il suo potere di per sé non era sufficiente.
Ancora una volta la ragazza immerse le dita nell’acqua fredda e chiuse gli occhi.
«Aqua, stai bene?»
La maga balzò in piedi, irritata per l’interruzione.
«Sto bene!» sbottò. «Che c’è?»
Hailie esitò.
«Stan dice di dirti che non sei di alcun aiuto chiusa lì dentro, e che i draghi sono nervosi. Vorrebbe un tuo parere.»
Aqua digrignò i denti.
«Come faccio a sapere perché i draghi sono nervosi, scusa?!»
Hailie non rispose e Aqua sbuffò. Poteva ignorarla, certo, ma quanto ci avrebbe messo Konstantin ad abbattere quella porta che la divideva dal mondo?
«Arrivo» capitolò. «Dov’è Stan?»
«Nel salone. Aqua…» Hailie la trattenne afferrandola per un polso.
«Ti senti bene?!» sibilò, liberandosi.
«Sono preoccupata per Stan. Si comporta in modo strano, non è più lui da quando siamo arrivati qui.»
Aqua deglutì.
«Ho notato.»
«Perché si comporta così? Tu lo conosci bene, perché lo fa?»
«È impossibile capire che cosa gli passi per la testa, Hay. Credo che l’idea di doversi trovare, presto, a fronteggiare Alec non gli dia tregua. Il legame che c’è tra loro, io non riesco nemmeno ad immaginarlo. E poi c’è Amina, che se ne sta lì nel mezzo, ignara o quasi di quanto Stan abbia bisogno del suo sostegno. Per non parlare di quel caprone di Ruben, che ci ha mollati qui a tempo indeterminato…»
Hailie annuì.
«Credi che dovremmo parlargli?» domandò.
«E dirgli che cosa? Che ostinandosi ad obbedire agli ordini folli del Maestro che ritiene un amico ci farà ammazzare? Oppure che l’idea di venire a Cyanor era già di per sé un suicidio di massa? Che la paura gli sta bruciando il cervello? Oppure che se non scopriamo il trucco che ha usato Storr per incantare questa stanze, i vostri interventi di manutenzione dureranno poco?» scosse il capo. «Mi dispiace, ma io passo. Litigare con lui è l’ultima cosa che desidero.»
La porta si aprì con un cigolio e Konstantin entrò nella stanza. Aveva l’aria stanca. Le due maghe si guardarono allarmate, ma lui non diede segno di aver udito la loro conversazione.
«C’è mancato poco, davvero poco, che lo scoprissero, ma il merlo che ho mandato in perlustrazione è tornato, e le notizie non sono buone.»
Hailie gemette.
«Può davvero andare peggio di così?»
«Può. Liam e Jonna sono a Torat.»
Hailie proruppe in una serie di esclamazioni disarticolate alle quali Aqua non prestò attenzione.
«Prigionieri?» farfugliò.
Konstantin scosse il capo.
«Non lo so ancora. Ma lo scoprirò. Però voi dovete tenere quei draghi sottocontrollo. Qualcosa non va, sono nervosi…»
Aqua rabbrividì e si affrettò a seguire Konstantin ed Hailie nel salone principale.
 
Liam si era lasciato condurre nei sotterranei di un vero e proprio castello, dove era stato scaricato in una stanzetta sorvegliata da due guardie. Non aveva sollevato obiezioni, naturalmente, ma l’idea di venir parcheggiato nell’attesa che Micael dell’Acqua si degnasse di riceverlo lo urtava enormemente. Alec si era pure portato via la sua spada, il suo arco e la sua bisaccia.
“Cose di vitale importanza quando sei un mago” si disse.
Ma la verità era che completamente solo, in quel sotterraneo spoglio, senza armi né uno straccio di alleato, poteri o non poteri, aveva una paura fottuta. Paura che Micael decidesse di liberarsi di lui, che Jonna lo strangolasse con le sue mani, paura di non vivere abbastanza da vedere il mare. Inoltre, ad ogni minuto che passava, aumentava l’indolenzimento a braccia e gambe per i colpi inferti e parati, le piccole ferite bruciavano, i lividi pulsavano dolorosamente. Aveva gli abiti inzuppati di sangue di orco, i capelli ingarbugliati, e puzzava in modo orribile.
Micael non si fece attendere troppo.
Quando i suoi passi echeggiarono lungo il corridoio, Liam percepì la sua aura magica e riacquistò la lucidità.
La porta si aprì, e sulla soglia apparve il mago che aveva radunato attorno a sé le frange più feroci del Consiglio di Effort. Liam non lo vedeva da cinque anni ed era cambiato molto da allora. I capelli allora scuri erano diventati grigi, la pancia abbondante era scomparsa. Sembrava invecchiato del doppio di quanto avrebbe ragionevolmente dovuto. Micael gli dedicò un sorriso freddo prima di richiudersi la porta alle spalle.
«Non so davvero come interpretare la tua presenza qui, Liam dell’Acqua…» disse sedendosi di fronte a lui. «Alec mi dice che hai attraversato tutta la lunghezza del campo di battaglia per raggiungere la città, ma dice anche che non devo fidarmi delle buone intenzioni che dichiari.»
Liam sorrise con una sicurezza che non sentiva minimamente.
«Non mi aspettato niente di diverso, da lui» commentò. «Ma la sua visione della vita e del mondo mi interessa poco, Micael. Mi interessa di più quello che pensi tu.»
Il mago scoppiò a ridere.
«Quello che penso io? Ah, io non sono un filosofo, Liam, al contrario, sono una persona anche troppo pragmatica. Per questo mi rendo conto di trovarmi di fronte ad un grosso problema:» sospirò «da un lato, mi si offre l’inatteso aiuto di un mago potente, aiuto non disprezzabile vista la situazione pietosa del mio esercito; dall’altro, non posso non convenire con Alec che la tua presenza qui sia un po’ troppo sospetta per non suscitare la mia diffidenza. Quindi che fare?»
Si alzò e prese a camminare avanti e indietro nella stanza angusta. Un vecchio leone in gabbia, ecco che cosa sembrava.
«Coraggio, Liam, convincimi della tua buona fede.»
«Convincerti? Non sono mica un venditore ambulante, io!» sbottò Liam.
«Il ché è un vero peccato, perché un mio ordine potrebbe bastare per decretare la tua morte.»
Liam sbuffò. Sapeva che si sarebbe arrivati a quel punto. Fanculo, Ruben.
«Ne sono consapevole» rispose, cercando di conservare un minimo di autocontrollo. «Tuttavia, non riesco ad immaginare che altro potrei aggiungere alle mie azioni a sostegno della mia buona fede, come dici tu. Ho mollato tutto per attraversare il macello che hai qua fuori, e tutto solo per unirmi a te. Ho lasciato mio fratello, i miei amici…ho seguito Jonna fino a qui. Non c’è davvero niente che io possa aggiungere.»
“Non strafare”, ripeteva la vocina nella sua testa. E una volta nella vita, Liam aveva intenzione di darle retta.
«Jonna» mormorò Micael. «Così avresti fatto tutto questo solo per lei? Non merita tanto.»
Liam si rabbuiò. Una lama di panico gli trafisse lo stomaco mentre, per la prima volta, si domandava se Ruben non avesse puntato sul cavallo sbagliato. Tutto il suo piano, tutte le sue speranze di uscirne sulle proprie gambe, si reggevano sul presupposto che Jonna del Fuoco fosse benvista a Torat, ma se così non fosse stato? Se Jonna non era in una buona posizione, allora lui era morto. Matematico.
«Curioso che tu non abbia nulla da obiettare.»
Si riscosse. Micael lo fissava, sospettoso, gli occhi ridotti a due fessure color del ghiaccio.
«Come posso obiettare? In realtà non so nulla di lei…non so nemmeno se Jonna sia il suo vero nome…»
Micael scoppiò in una fragorosa risata che accapponò la pelle al prigioniero.
La porta si aprì con un cigolio e Liam sobbalzò. Jonna fissava ora lui, ora Micael con l’aria di chi ha appena visto la morte in faccia, e Liam si domandò da quanto tempo fosse lì.
«Capiti al momento giusto, Jo» disse Micael con un sorriso freddo.
La ragazza non ricambiò minimamente e senza battere ciglio sibilò:
«Che cosa ci fa lui qui?!»
Micael scostò una sedia e le fece cenno di sedersi, ma Jonna lo ignorò. Il mago rise.
«Vedi, Liam, che cosa si rischia a mandare le proprie figlie a studiare lontano da casa? Trovano un protettore ricco che le tratta come principesse, e quando tornano si aspettano di ricevere lo stesso trattamento.»
Liam sentì il sangue affluirgli al viso, per poi defluire di colpo, dandogli un capogiro.
«Jonna è tua figlia?!» balbettò.
«La vita sa essere crudele…»
«Padre!» incalzò Jonna.
«Stai calma, Jo. Liam è qui per te. Patetico, vero?»
Jonna trapassò Liam con il suo sguardo di ghiaccio. Che effettivamente, il mago doveva capirlo subito, era identico a quello di suo padre.
«Perché?»
Liam deglutì.
«Io…io sono venuto meno alla mia promessa. Ho temuto che ti succedesse qualcosa, così ho parlato con Ruben. Abbiamo scoperto la tua fuga e Ruben ha dato i numeri. Dice di volere la tua testa e io…» la voce gli morì in gola.
Un effetto studiato e perfezionato in anni di pratica, che riusciva a rendere perfettamente naturale. E, come tutte le altre, anche Jonna trattenne visibilmente il respiro. Ma non cedette come da programma: il suo sguardo rimase freddo e immobile.
Il silenzio si protrasse, pesante come un’immensa massa d’acqua, fino a che Micael non lo interruppe.
«Ora basta, stiamo perdendo troppo tempo. Il punto, ora, è decidere se uccidere Liam o fidarci di lui. E considerata la situazione di merda in cui versiamo, credo che convenga la seconda.»
«Padre, io non credo che sia una buona idea fidarsi di lui!» esclamò Jonna.
Micael si avvicinò a Liam e lo scrutò con quei suoi occhi inespressivi per un lungo momento. A disagio, il prigioniero dovette concentrarsi sui dolori sparsi per il corpo per impedirsi di distogliere lo sguardo, perché il sangue freddo non era abbastanza. Ne aveva abusato, di quel sangue freddo, nelle ultime settimane, e le scorte erano diventate esigue. Infine fu Micael a cedere, e si volse verso sua figlia.
«Parla» disse soltanto.
La ragazza prese un respiro profondo.
«È troppo pericoloso credere alla sua parola quando Ruben ha con sé il suo unico fratello! Non puoi dimenticare che gli stregoni hanno fatto leva proprio su quel fratello per ricattarlo…è il suo punto debole, e in questo momento è nelle mani di Ruben.»
Micael ascoltò attentamente, poi tornò a rivolgersi a Liam.
«È un’argomentazione ragionevole. Tu che hai da dire in merito?»
Liam si trattenne a stento dall’esprimere il suo sincero parere su quella situazione. Aveva del ridicolo che quel mago ambizioso mettesse in dubbio il saggio consiglio di una figlia che tanto aveva rischiato per lui pur di guadagnarci un alleato potente. Potere, questa era la chiave di tutto?
«Jonna ha ragione» disse, stringendosi nelle spalle. «Ho lasciato Irthen a Natìm, ma l’ho lasciato in buone mani. Non mi sono arruolato perché messo con le spalle al muro, e non ho disertato per lo stesso motivo. La verità è che il mio punto debole, oltre a Irthen, sono le donne, caro Micael, e purtroppo tua figlia è una bella donna» sospirò. «Mi rendo conto che non avete altro che la mia parola a testimonianza delle mie buone intenzioni, ma non ho altro da offrirvi. Cosa ci guadagnerei ad inventare credenziali che scoprireste poi essere false? Tanto vale essere onesti, seppur poco convincenti…»
Jonna aprì la bocca per ribattere, ma Micael alzò una mano e lei si bloccò. Qualcuno bussò alla porta.
«Sì?» disse il mago.
Alec del Fuoco entrò nella stanza con la bisaccia di Liam in mano.
«Niente di insolito, Mik» disse. «Cibo, acqua, qualche erba medicinale, arco e spada. Niente di ché.»
«Cosa ti aspettavi di trovare?» sbottò Liam.
Alec gli lanciò un’occhiata di sufficienza.
«Non sei un problema mio.»
Micael scoppiò a ridere.
«Ben detto, Al, non è un problema nostro! In fondo, il ragazzo è qui per Jo, giusto? Quindi che sia lei ad occuparsene.»
«Prego?!» farfugliò Jonna.
«Liam è sotto la tua responsabilità. Da questo momento.»
«Ma…»
«Niente “ma”, signorina! Fai in modo che il tuo ospite abbia una stanza decente e ciò che gli serve. Tienilo d’occhio. Domattina lo voglio sul campo.»
Micael se ne andò, preceduto da Alec, sbattendo la porta. Jonna si volse lentamente verso Liam, gli occhi ridotti a due fessure. Il mago deglutì. Tutto sommato avrebbe potuto andargli peggio, ma avrebbe senza ombra di dubbio potuto andargli molto, molto meglio.
 
«È tempo perso» sbottò Aqua con la fronte appoggiata al vetro sporco.
Hailie le lanciò un’occhiata partecipe.
«Può darsi. Ma, ehi, che altro abbiamo da fare? Tanto vale tenere gli occhi puntanti su quegli splendori di luce…guarda: quando i raggi del sole le colpiscono, le loro squame brillano come diamanti…»
Aqua trattenne un sorriso.
«È vero» disse. «Sono davvero belli. Ma non ne vorrei uno come animaletto da compagnia!»
Hailie scoppiò a ridere.
«Definire un drago “animale” è quasi blasfemo, Aqua» ghignò Konstantin.
Il mago stava sfogliando un vecchio volume dalle pagine di pelle ruvida e dagli angoli consumati.
«Come dovrei chiamarlo?»
«I draghi sono creature ancestrali, come gli unicorni. Definiresti mai un unicorno “animale”?»
Aqua ed Hailie si guardarono e annuirono.
Konstantin scosse il capo sforzandosi di reprimere un sorriso. Poi sospirò.
«Nemmeno qui.»
Chiuse il libro e lo posò sulla pila di volumi che si era accumulata sul tavolo.
«C’è solo un modo per scoprirlo, Stan, te l’ho detto.»
«Ricreare il contatto con Storr? Che sciocchezza! Storr è morto, Aqua, non ti darà alcuna risposta.»
«Sarà anche morto, ma la sua magia è ancora viva, e tiene in piedi questa catapecchia. Quanto credi che impiegherà il tuo incantesimo ad indebolirsi? Quale che sia la ragione de malfunzionamento dei nostri poteri, dobbiamo sapere se è qualcosa che dipende da noi e che possiamo rimediare, oppure no.»
Konstantin spostò lo sguardo su Hailie.
«Sono d’accordo con lei, Stan» disse quella.
Il mago chinò il capo.
«Se le cose stanno così, non mi resta che cedere.»
Si lasciò cadere sul pavimento e tese le mani. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata incerta e si sedettero a loro volta.
Aqua chiuse gli occhi: il pavimento freddo le gelava le ossa anche attraverso i vestiti, e la mano di Konstantin era anche più fredda.
Una luce azzurra la obbligò ad aprire gli occhi, investendola dello scintillio della magia dell’Aria. Forse, aveva sempre sottovalutato Hailie. Forse, sotto quella massa caotica di riccioli c’era davvero un cervello. Per una frazione di secondo la mano di Konstantin si strinse sulla sua, per poi rilassarsi in un turbinio di raggi smeraldini. Come sarebbe stato il fascio di Fuoco? Rosso, senza dubbio. Ma sarebbe stato più vermiglio o più scarlatto? Magari dipendeva dal mago. Magari, se ci fosse stata Mina al posto di Stan, il fascio della Terra sarebbe stato più chiaro, più soffice. Di che colore era la luce dell’Acqua? Rivelando la luce che era in lei, avrebbe forse dovuto esporre il proprio essere più intimo alle persone le mani delle quali giacevano rilassate sulle sue? Era certa di volerlo fare? E se non ne fosse stata capace? Che cosa avrebbero detto di lei? “Liam ci sarebbe riuscito”, le sembrava già di sentire le loro voci.
“Sono ingiusta, loro non hanno mai fatto simili paragoni. È tutto qui, in questa stupida testa che non vuole darmi retta” si disse. “E se non la smetto di pensare farò davvero la figura della stupida!”.
Socchiuse gli occhi, perché il suo sguardo potesse percepire solo i colori cangianti.
“Che meraviglia” pensò, immaginando di seguire i tortuosi sentieri di quei fasci splendenti.
E avvitandosi su se stessa, con il fiato sempre più corto, si ritrovò improvvisamente prigioniera. Ma non desiderava liberarsi di quel bozzolo caldo che la avvolgeva, era lì che doveva stare, dove Aqua non esisteva, inglobata nel flusso di energia.
Spalancò gli occhi: il bozzolo c’era, era tangibile, ed era costituito di luce argentata.
«Wow» sussurrò.
Accanto a lei, Konstantin ed Hailie erano scomparsi, sostituiti da ombre scure. Così come d’ombra era fatta la figura che le stava davanti, il quarto elemento, il Fuoco. Non aveva bisogno di volgere lo sguardo a sé stessa per sapere che cosa avrebbe visto: in un lontano passato, in quello stesso punto era stato seduto Re Storr. Improvvisamente percepì una presenza esterna che premeva sul suo bozzolo. Doveva essere quella l’anomalia di cui parlavano i suoi compagni. Era come un’immensa presenza estranea che permeava tutto l’ambiente circostante. Aqua si guardò attorno, cercando di individuare la provenienza di quell’energia. In un angolo, addossata alla parete, c’era una persona. La figura era nebulosa, ma meno scura delle altre. Aqua poteva distinguere il naso sottile e la fronte larga, nascosta da un ciuffo sfuggito alla coda disordinata. Portava un pugnale in vita. Non c’erano luci attorno, eppure Aqua era certa che l’immenso potere provenisse da quella persona. C’era qualcosa di infantile nei lineamenti di quello che a giudicare dall’abbigliamento e dalla larghezza delle spalle doveva essere un uomo. Quale uomo poteva essere tanto potente da intervenire su tutti e quattro gli elementi? Un Dio, forse?
“O uno stregone” realizzò improvvisamente, con un tuffo al cuore.
Il bozzolo di luce si avvolse più strettamente attorno a lei, trascinandola in una sorta di oblio fatto di immagini confuse.
L’ondeggiare più rapido delle luci le faceva girare la testa. Le figure che le stavano accanto si muovevano convulsamente come in preda ad un delirio. Lo stregone si avvicinò e alzò le mani. Le luci si condensarono in una bolla luminosa che avvolse Aqua e gli altri tre maghi, prima di esplodere, colpendo le pareti della stanza e lasciandole per un momento lucide ed iridescenti.
Aqua osservò quello spettacolo di riflessi fino al loro scomparire, fino a quando la figura di Storr non lasciò il suo posto a sedere, attirando l’attenzione della ragazza.
Il Re scuoteva lo stregone, il cui corpo giaceva inerte sul pavimento freddo. Gli altri maghi assistevano alla scena come paralizzati, mentre dagli occhi obliqui di Storr sgorgavano lacrime che andavano a colpire il viso sfocato dello stregone privo di vita.
Aqua si riebbe quando la mano gentile di Konstantin la scosse. Scoprì di avere le guance bagnate.
«Che cosa hai visto?» domandò il mago.
La sua voce era rassicurante, notò Aqua, profonda come una fossa oceanica, placida come il mare calmo del Golfo di Madian. Ringraziò mentalmente gli Dei di averle messo accanto una persona come lui e prese un respiro profondo.
«C’era anche una quinta persona, e credo fosse uno stregone. Fu lui a perfezionare l’incantesimo. Ma c’è stato un incidente…non so se lui l’avesse previsto o meno, ma la magia congiunta, sua e dei maghi, l’ha centrato in pieno. Credo sia morto.»
Hailie si coprì la bocca con le mani.
«Uno stregone che aiutava Storr?» mormorò Stan.
«Sai chi era?» domandò Aqua.
Il mago annuì.
«Doveva essere Nastomer.»
Aqua trattenne il respiro. Tutti conoscevano la storia della Cascata del Potere e di come Nastomer l’avesse trovata e vi si fosse immerso. I suoi poteri, poi, gli avevano permesso di combattere accanto a Storr, a Horlon e a Kirik, l’allora nutrito esercito del draghi, contribuendo alla vittoria e alla redazione del trattato stipulato in seguito. Ma che cosa ne fosse stato di lui dopo la guerra…beh, quello era materia degli storici.
«Nastomer rimase qui a Cyanor, accanto al Re suo amico» spiegò Konstantin. «Fino a quando non scomparve improvvisamente dalle cronache, più o meno in concomitanza con la creazione di queste stanze» gli occhi del mago si allargarono. «Non ho mai immaginato che avesse avuto parte nella creazione del sistema di difesa del palazzo. C’è una possibilità che i suoi resti siano ancora qui! Ma ci pensate? Aqua, questa è una scoperta grandiosa, un pezzo di storia!» esclamò.
«Perdona se freno il tuo entusiasmo» intervenne Hailie «ma credo che abbiamo un problema…»
Aqua seguì lo sguardo terrorizzato della maga: il drago nero, quello più piccolo, li scrutava con un immenso occhio azzurro dalla pupilla verticale attraverso la finestra chiusa.
«Può vederci?» domandò Aqua, sentendo distintamente il sangue gelarsi nelle vene.
«Se ci vedesse, avrebbe già dato l’allarme. La nostra interferenza nei flussi di energia l’ha attirato qui» disse Konstantin. «Se saremo fortunati, penserà che sia collassato qualche nucleo magico sopravvissuto al tempo. Quando le acque si calmeranno, lascerà perdere. Ma c’è una cosa di tutta questa storia che mi preoccupa: se Nastomer poteva stare qui…Caleb, tanto per dirne uno a caso, riuscirebbe ad entrare?»
 
«Tu sei la persona più stupida che io abbia mai incontrato, Liam!»
Jonna batté la mano aperta sul tavolo. Al contatto con la sua pelle, il legno prese a sfrigolare, e quando la ragazza tolse la mano, ne rimase la sagoma annerita.
«Guarda che hai fatto! Hai rovinato un bel tavolo da interrogatorio!» ironizzò Liam.
«Smettila subito!» sbottò la maga. «Non capisci che è una cosa seria?»
Jonna si avvicinò e accostò il viso al suo. Liam ne percepì tutto il calore, come se si fosse avvicinato troppo ad una fiamma.
«Ti rendi conto di quanto hai rischiato venendo qui?!»
Liam ghignò.
«Interessante reazione…per la prima volta, la regina delle nevi si è scaldata.»
Jonna arrossì e si allontanò.
«Io sono il Fuoco, stupido mago narcisista.»
«Narcisista senza dubbio, ma stupido non abbastanza da essermi già dimenticato di come hai cercato di convincere tuo padre ad ammazzarmi!»
Liam si alzò e le si avvicinò.
«Non è gentile da parte tua, dal momento che sono qui per te…»
«Pensi davvero che ci abbia creduto?! Mi offendi» sibilò Jonna.
Liam si strinse nelle spalle.
«Come dici tu. Ma dovrai sotterrare l’ascia di guerra, tesoro, perché ormai sono arruolato. Sarà il tempo, eventualmente, a farti cambiare idea…» aprì la porta. «Allora? La mia stanza?»
Jonna lo allontanò con una spinta e richiuse la porta.
«No, Liam, aspetta un attimo. Tu non hai davvero capito nulla! Venendo qui hai fatto solo il loro gioco…il gioco di tutti loro!»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Di mio padre, e anche di Ruben. Si servono delle persone che stanno loro intorno come di oggetti e quando i loro giocattolini si rompono, non fanno altro che gettarli via e sostituirli con un giocattolo nuovo. Perché credi che Ruben ti abbia spedito qui? Lo so che ti ha mandato lui, è inutile che tu faccia quella faccia, io lo conosco bene, ormai… Tu gli sei diventato scomodo!»
Liam rimase paralizzato, incapace di reagire davanti ad una rivelazione tanto sconvolgente quanto ovvia. La regina delle nevi aveva ragione, Ruben si era mostrato troppo entusiasta di liquidarlo, questo gli era parso immediatamente evidente. Come aveva fatto a cascarci? Non che l’averlo capito subito avrebbe potuto giovare molto alla sua situazione…
«Cazzo» mormorò.
«Buongiorno» sbottò la ragazza.
Liam si passò le mani tra i capelli.
«In realtà, questo non cambierebbe niente. A Natìm c’è la mia famiglia, e se anche il prezzo da pagare per la loro salvezza fosse stato questo viaggetto indesiderato, avrei preparato la valigia. Ma per mia fortuna sono qui di mia iniziativa, perciò niente rimpianti» concluse con un sorriso.
Sperò che non risultasse eccessivamente finto.
Jonna scosse il capo e l’aria tornò a farsi elettrica.
«Non puoi essere così stupido.»
«Tuo padre è anche più stupido di me, dal momento che mi ha creduto sulla parola.»
«Non mi sembra di aver mai sostenuto il contrario!»
Liam sbuffò.
«Senti, Jonna, starei volentieri qui a bearmi della tua splendente bellezza fino alla fine della guerra, ma purtroppo, a quanto pare, domattina mi toccherà combattere. Perciò saresti così gentile da mostrarmi dove posso darmi una lavata e schiacciare un pisolino prima della mia prematura morte? Se proprio ci tieni, e se sarò ancora al mondo, potremo proseguire la nostra piacevole conversazione domani sera…»
Jonna abbassò lo sguardo e Liam trattenne un sorriso. Evidentemente, il modo di metterla a tacere esisteva.
 
Sotto un certo punto di vista, Irthen si riteneva fortunato. Chloé sembrava aver rinunciato ad importunarlo e, anche se la sassata di congedo gli aveva procurato un bel livido, non poteva non esserne grato. Ma questa piccola consolazione non era abbastanza. Dopo aver allontanato Chloé, aveva avuto una visione estremamente chiara della sua situazione: era solo in mezzo ad una banda di sconosciuti. Persino Yu l’aveva scaricato, e in nome di quale principio, poi?
“Tradire la mia fiducia, oppure quella di Ruben. Non si può stare con un piede in due scarpe”. Ma importava davvero qualcosa a qualcuno della sua fiducia? Era solo il fratello sfigato di un disertore con il vizio delle donne, che importanza aveva il suo destino? Ad Abby, pure, non importava niente. O forse no. Doveva riconoscere che Abby era stata onesta, a suo modo. Gli aveva detto di essere una persona da evitare, di diffidare e di non provarci con lei. Lui aveva fatto l’esatto opposto e la colpa era solo sua, non poteva imputare a lei il proprio comportamento irresponsabile. E poi aveva aiutato Liam perché riuscisse a svegliarlo, e gli aveva mandato il suo anello!
Doveva andare da lei. Doveva farlo, prima che fosse troppo tardi.
“No che non devi, razza di idiota! Non ti sembra di aver già fatto abbastanza danni?”, di disse.
No, doveva lasciare Natìm prima di impazzire, soffocato dalle bugie e dalla solitudine.
“Non sei solo, c’è Amina, qui! Lei è tua amica”.
No, Amina aveva già troppi problemi a gestire sé stessa per poter pensare anche a lui.
“C’è Yu”.
Yu? Lei l’aveva scaricato senza riguardi.
“L’ha fatto perché ti vuole bene”.
O perché era di peso.
“Yu non è quel tipo di persona, lo sai, tu vedi oltre la maschera”.
Irthen si sedette sul pontile del porto vecchio di Natìm e alzò gli occhi al cielo. Grosse nuvole scure iniziavano ad oscurare il sole, si preannunciava un temporale.
«Che cosa devo fare?» gemette.
L’aveva promesso. Aveva promesso a Liam che non avrebbe fatto cazzate. Abby sarebbe stata una cazzata?
“Assolutamente sì”, pensò, sentendosi mancare l’aria.
Aveva bisogno di un’ancora.
 
Irthen fece irruzione nelle cucine, guardandosi intorno come un animale il trappola. Una donna anziana tesseva davanti al camino, una bambina impastava il pane. La donna non alzò nemmeno gli occhi, ma domandò:
«Hai bisogno, tesoro?»
Irthen deglutì a vuoto.
«Yu» annaspò.
Sempre senza guardarlo, la donna sorrise.
«In cantina. Prendi quella porta, poi la botola nell’angolo a destra.»
Irthen si affrettò a seguire le indicazioni. La botola si affacciava su di una scala stretta e tremendamente buia, ma dal fondo giungeva il bagliore delle torce. Scese cautamente gli scalini consumati e giunse in una stanza fredda, piena di botti e giare.
«Yu?» balbettò. «Sei qui?»
Da dietro una botte emerse la testa della ragazza.
«Che ci fai qui, Ir?» domandò.
Teneva in mano un foglio su cui appuntava dei numeri con il carboncino. Irthen si avvicinò, le tolse l’elenco dalle mani e lo posò sulla botte.
«Ma che ti prende?!» sbottò, irritata.
«Impediscimi di andarmene» mormorò Irthen.
Yu sgranò gli occhi.
«Sei ubriaco?»
Il ragazzo scosse il capo. Sentiva l’angoscia premergli sulla bocca dello stomaco. Nella luce tremolante del fuoco, Yu sembrava una figura evanescente, sul punto di sparire da un momento all’altro.
«Ir?» insistette.
Irthen deglutì di nuovo a vuoto.
«Tienimi qui, Yu, ti prego. Impediscimelo…» farfugliò.
Yu gli prese il viso tra le mani.
«Non so di cosa stai parlando, ma cerca di calmarti. Sediamoci» disse trascinandolo verso un angolo della stanza.
Lo fece sedere sotto ad una torcia e si sedette davanti a lui.
«Ora fai un bel respiro profondo e aiutami a capire. È per via di Liam?»
Irthen annuì.
«Tu mi hai detto di tenere i miei punti deboli al sicuro, ma il mio principale punto debole se n’è andato incontro a morte certa, lasciandomi qui con un'unica richiesta: “bada a te stesso, anche se io non dovessi tornare”. E non c’è niente, qui, che io senta davvero mio, Yu, niente! Sono come un cane smarrito che non trova più la via di casa! Non c’è nessuno che possa avere bisogno di me, che mi stimoli a farlo, a prendermi cura di me stesso. Mina, Clo, tutti hanno qualcuno su cui contare. Eravamo solo io e lui, una minuscola famiglia che comunque funzionava…e ora sono solo. E non c’è nulla, ora, che io desideri di più che uscire là fuori per cercare Abby, ma lei si farebbe trovare, maledizione, lo so! E allora io sarei perduto, e sarei venuto meno all’unica promessa che mio fratello mi ha imposto prima di andarsene…Yu, non me ne frega niente se sei una spia di Ruben, se stai con me per necessità, opportunismo, o perché ti è stato ordinato, purché tu riesca ad impedirmi di lasciare Natìm!»
La ragazza aveva gli occhi tanto sgranati da sembrare un rospo.
«M-ma, Ir…come…» balbettò.
«Non ha importanza, legami se vuoi…» gemette. «Mi resti solo tu.»
Yu lo abbracciò stretto, e Irthen si sentì rincuorato dal suo peso premuto addosso. L’avrebbe fatto anche contro la sua volontà, se necessario. Avrebbe fatto di lei la sua ancora.
 
Yu posò sul tavolino di cristallo il vassoio con la teiera fumante, le tazze, la giara di miele e la brocca di latte, e si affrettò a cacciare fuori la ragazza che aveva portato i pasticcini. Non era nello stile di Ruben accogliere gli ospiti in un modo simile, ma anche la giovane cameriera poteva rendersi conto della gravità della situazione.
Nel tardo pomeriggio, dopo essere riuscita a convincere Irthen a mangiare e a farsi un bagno con la promessa che la cosa l’avrebbe fatto sentire meglio, Ruben l’aveva mandata a chiamare con urgenza. Il Governatore Glenndois di Bosco Lossar era giunto a Natìm con buona parte del suo esercito – un’ottantina di elfi e altrettanti cavalli – ed era stato raggiunto poche ore dopo da Re Horlon in persona, accompagnato da un piccolo contingente delle guardie di Lumia.
Il loro arrivo aveva creato scompiglio in città. Da tempi immemori la gente non vedeva elfo, ad eccezione di Rowena e di Oliandro, e la loro comparsa improvvisa era stata percepita come un segnale d’allarme: la guerra stava per scoppiare. Probabilmente era proprio così, pensò Yu.
I due elfi non avevano voluto saperne del Consiglio e avevano imposto a Ruben un colloquio privato, loro tre soli. Yu costituiva l’unica eccezione, e non sapeva decidere se sentirsi onorata o terrorizzata. E mentre si ritirava nel suo angolino, Glenndois le lanciò l’ennesima occhiataccia.  
«Non possiamo andare avanti così per tutta la notte, Glenn» disse il Re addentando un dolcetto.
«Non andrò in guerra per un motivo tanto indecoroso!» sbottò il Governatore incrociando le braccia.
Yu sospirò silenziosamente.
“Eccoci di nuovo daccapo”, si disse, frustrata.
I due elfi avevano voluto spiegazioni, ogni minimo dettaglio possibile sulla fuga di Jonna e di Liam, e Ruben non aveva potuto tacere loro la verità. Ci aveva provato, oh sì!, ma non era possibile mentire spudoratamente a due elfi millenari senza venire indegnamente scoperti. Avevano discusso della presenza di tre maghi nel cuore di una città di ruderi occupata dal nemico e del progetto di Ben di spostare le truppe a Cyanor per tenere il conflitto lontano dal bacino del Lago di Nebbia ed evitare di finire nella morsa di un assedio, come Torat.
Glenndois non era d’accordo. Non desiderava lasciare il Bosco, almeno fino a quando non ci fosse stata più alcuna alternativa percorribile.
Horlon, invece, sembrava interessato, ma era reticente a lasciare Lumia sguarnita. Bosco Lossar era protetto dagli unicorni, aveva detto, ma la sua capitale sarebbe stata completamente indifesa sotto agli eventuali attacchi degli stregoni. Perciò proponeva di inviare la metà del suo esercito, e di lasciare la restante parte nel Reame Eterno.
A quel punto, era stato Ruben a dichiararsi contrario: anche lui aveva tre fronti da difendere, e non aveva uomini sufficienti per continuare a farlo e, insieme, attaccare Cyanor.
L’unica alternativa praticabile, allora, si era deciso, era quella di lasciare i contingenti delle città alleate del Nord in difesa delle linee, e spostarsi nella piana di Thann con i soli maghi e qualche squadra di supporto, proveniente dalle città del Sud come Phia, Fell e Pall. Ma questa sarebbe stata una strategia sufficientemente suicida già con l’appoggio degli elfi di Horlon e quelli di Glenndois. Se il Governatore si tirava indietro non si poteva fare.
Di questo si discuteva ormai da ore e Yu cominciava a pensare che non si sarebbe più raggiunto un punto d’incontro.
«Non ci si può fidare degli umani, è ciò che ho sempre sostenuto» disse Glenndois picchiando il pugno chiuso sul tavolino.
Il servizio da tè tintinnò.
«Sei ingiusto» disse Ruben. «Liam ha superato la vostra stupida prova con l’acqua incantata, merita più rispetto.»
«Mi hai frainteso, Ruben dell’Aria, il problema non è Liam, ma sei tu.»
Yu trattenne il respiro.
«Tu hai mandato un elemento che poteva essere determinante per l’esito del conflitto verso una morte molto probabile, e l’hai fatto per scopi personali» proseguì l’elfo.
“Lo sanno”, pensò Yu, “sanno che Ben voleva liberarsi di lui!”.
Ruben non rispondeva. Si limitava a guardare l’elfo diritto negli occhi neri senza battere ciglio. Stava studiando una strategia.
Horlon tossicchiò e si sporse per prendere un altro pasticcino.
«Glenn ha ragione. Tuttavia, la cosa ha un risvolto positivo: se Micael dovesse decidere di servirsi dello smisurato potere di Lukas dell’Aria, allora uno dei nostri sarà lì per impedirlo.»
Glenndois scosse di nuovo il capo.
«Non è un’argomentazione sufficiente.»
Ruben bevve un lungo sorso e posò la tazza.
«Signori miei, avete letto i rapporti. Gli orchi non danno segno di calare, a differenza dei miei uomini, e ho già perso una maga. L’aiuto che le città alleate mi sta dando è grande, ma non abbastanza da permettermi di mantenere tre fronti di guerra. Se le cose non cambieranno, presto questa città cadrà, e così Effort e la mia coalizione. Gli orchi invaderanno Natìm, Riva, e poi i principali centri del Sud. Torat, a quanto si dice, si sta difendendo da un esercito che è già giunto a ridosso delle mura cittadine. Quanto credete che impiegheranno Caleb e Djalmat a dirigersi verso Lumia?»
Glenndois non batteva ciglio, ma Horlon si mordeva il labbro inferiore con ferocia. Nel silenzio che seguì le parole di Ruben, Yu fu certa che nulla sarebbe cambiato, che sarebbero rimasti lì a discutere tanto a lungo da diventare statue di pietra. Ma improvvisamente Horlon si alzò.
«Smettila di fare il bambino, Glenn! Ruben è uno stronzo opportunista, ma ha ragione! Se attacchiamo Cyanor, sono certo che i draghi richiameranno parte dei contingenti dislocati sui vari fronti e la situazione si alleggerirà. E poi…lo so che è un piano suicida, questo, ma quanto tempo guadagneremmo aspettando? L’ultima volta, i draghi non potevano vantare l’alleanza di tre stregoni, lo sai bene, e noi avevamo Nastomer dalla nostra! Le cose non sono come allora, perché non riesci a mettertelo in quella zucca vuota che ti ritrovi?»
Yu si rese conto di sorridere solo quando incrociò lo sguardo di disapprovazione di Ruben. Ma che ci poteva fare? Quell’elfo dai capelli neri e dagli occhi blu era pieno di sorprese!
Glenndois chinò il capo, una cascata di capelli d’oro gli coprì il viso.
«È questo il volere del mio Re?» mormorò.
«No» disse Horlon posandogli una mano sulla spalla. «No, questo è l’infantile desiderio di tuo fratello. Desidero combattere accanto a te, come ho sempre fatto. Quella che si prospetta potrebbe essere l’ultima battaglia, non privarmi di questa sicurezza…»
Glenndois sorrise, e Yu era pronta a giurare che avesse gli occhi lucidi.



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Non credo che partorire possa essere peggio di scrivere un capitolo come questo............

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Capitolo 51
*** "Il tempo sta per scadere" ***


Irthen uscì dalla sala riunioni con il cuore più leggero, anche se si rendeva conto che, molto probabilmente, doveva essere l'unico dei convocati a pensarla a quel modo.
Ruben aveva dichiarato che sarebbero partiti per Cyanor, che avrebbero attaccato direttamente al cuore dello schieramento nemico. Avevano l'appoggio di Re Horlon del Reame Eterno e del Governatore Glenndois di Bosco Lossar. Alle prime luci del giorno di sarebbero messi in marcia, attraversando il Lago di Nebbia a bordo di due grosse chiatte, per attraccare poi sulla sponda meridionale e proseguire a cavallo verso Sud. Nel mentre, Ruben, Tiana e Timothy si sarebbero occupati di fare la spola per recuperare dai fronti di combattimento tutti i maghi, Oliandro, Rowena e James. Le città alleate del Sud erano già state debitamente informate perché onorassero la promessa di inviare i rinforzi necessari nella Piana di Thann. Tutto era deciso, tutto era pronto.
Peccato solo che piovesse, pensò Irthen affondando nel fango. Preparare armi, cavalli e tutto il resto sotto a quell'acqua non sarebbe stato per nulla divertente.
Nessuno aveva osato ribattere a Ruben, ma era ben evidente chi fosse favorevole ad un simile attacco frontale e chi contrario. Chloé, ad esempio, non stava più nella pelle, e come lei Eetan. Amina, invece, era profondamente turbata, così come Timothy. Ad Irthen il programma stava bene: l'inerzia non  faceva per lui, avrebbe tenuto la testa sufficientemente occupata da non pensare troppo né a Liam né ad Abby, e si sarebbe lasciato alle spalle le opprimenti mura del quartier generale.
«Irthen?»
Il ragazzo si volse. La figura sottile di Yu se ne stava in piedi rigida come una colonna sotto al porticato, facendogli segno di avvicinarsi. Irthen prese un respiro profondo, beandosi per un secondo del profumo polveroso della pioggia, poi andò da lei.
«Dimmi.»
Yu lo guardò e gli scostò un ricciolo gocciolante dalla fronte.
«Hai notato che piove, vero?»
Irthen annuì.
«Andrai a Cyanor?» continuò Yu.
Irthen la scrutò attentamente. Aveva gli occhi gonfi e cerchiati da accenni di occhiaie. Si domandò se Ruben c'entrasse qualcosa.
«Hai dormito stanotte?»
Yu scosse il capo.
«Sono stata in riunione con Ben e con gli elfi fino all'alba...» soffocò uno sbadiglio e si allontanò dal naso un ciuffo scappato dalla crocchia con un gesto un po' troppo nervoso.
«Allora? Ci andrai?» incalzò.
«Naturalmente» rispose Irthen. «Non era ovvio?»
Yu sorrise, ma non era uno dei suoi sorrisi dolci, era più una smorfia.
«Non esattamente, dal momento che tu non sei un mago, e nemmeno un soldato.»
«Nemmeno Clo ha dei poteri, e di certo non combatte» ribatté Irthen irritato.
«Lo so, ma lei ha James al fronte, è logico che voglia raggiungerlo. Mentre tu...»
«Io cosa?» sbottò, arrossendo. «Io sono incapace e solo come un cane? Ti ringrazio di avermelo ricordato, motivo in più per andarci!»
Lo sguardo di Yu divenne inespressivo.
«Volevo solo rilevare che non sei obbligato ad andarci. Deve esser una scelta, non una costrizione.»
Sforzandosi di mantenere la calma, Irthen contò mentalmente fino a dieci, come gli consigliava sempre di fare Jeremy. Poi disse:
«È Ruben che ti ha chiesto di farlo? Di dirmi queste cose? Di...scaricarmi? Mi vuole fuori dai piedi, vero? Non gli basta più essersi liberato di Liam?»
La ragazza sgranò gli occhi e scosse il capo.
«Ma che cavolo dici?! No, certo che no! Ruben si aspetta che tu ci sia, non si è nemmeno posto il dubbio..»
«Allora perché? È a te che rompe la mia presenza?»
Yu gli lanciò un'occhiata ferita, e Irthen si pentì di non aver contato fino a venti.
«Prima vieni a cercarmi e mi fai sentire la peggior persona del mondo, mi implori di aiutarti, di salvarti la vita, di starti vicino e tante cretinate commuoventi. Ora che lo faccio dubiti di me...che cosa devo fare per salvarti l'osso del collo, Ir?!»
Irthen restò a fissarla inebetito per un lunghissimo momento. Era chiaro che Yu si aspettava una qualche risposta, ma lui di risposte da dare proprio non ne aveva. Si era lasciato prendere dalla tensione e aveva parlato senza pensare.
"Dille qualcosa!", gemette la sua coscienza, ma lui continuava a fissarla a bocca aperta. Una carpa, ecco cosa doveva sembrare.
Yu scosse il capo e si volse. Solo allora qualcosa si mosse, e Irthen le afferrò un polso.
«Tu, però, verrai?» mormorò.
Lo sguardo di Yu si addolcì, attraversato dall'ombra di un sorriso.
«Naturalmente» rispose.
Si liberò e scomparve tra le ombre del cortile.
 
Liam prese un respiro profondo, godendosi il primo momento di tregua dall'alba. Come ordinato da Micael, alle prime luci del giorno era sceso sul campo di battaglia, accompagnato solamente dalla sua spada e da una cotta di cuoio racimolata in armeria. Con un simile equipaggiamento un soldato semplice non avrebbe avuto speranze di sopravvivenza, ma per un mago come lui poteva essere sufficiente. Il sole, ormai, era alto sull'orizzonte, e più di qualche graffio non aveva rimediato. Poteva ritenersi soddisfatto. Inoltre, il pensiero che Micael avesse disposto dei turni perché nessun mago fosse costretto sul campo di battaglia per due giorni consecutivi lo rincuorava: si trattava di arrivare vivo al tramonto per guadagnarsi ventiquattro ore di vita bonus.
Sempre che Torat non fosse caduta prima. Guardandosi attorno, l'ipotesi non gli sembrò poi tanto remota.
«Tutto bene, novellino?» domandò Rayhana dell'Acqua raggiungendo quella minuscola oasi di pace nella quale Liam si era rifugiato.
«Novellino a chi?» ghignò Liam.
Rayhana scoppiò a ridere, e in qualche modo la sua risata suonò piacevole alle orecchie del mago.
Quando quella mattina presto Jonna, chiusa nel suo ostinato mutismo, lo aveva accompagnato all'accampamento, era stata quella strana ragazza a prenderlo in consegna, spiegandogli che la figlia di Micael non combatteva perché aveva un'altra importante mansione: tenere sotto controllo la situazione a Cyanor e i suoi occupanti. Così, era stata Rayhana ad aggiornarlo sulla condizione disastrosa dell'esercito e a fornirgli le indicazioni essenziali su nemici ed alleati. Era una tipa socievole, non sembrava minimamente interessata al passato di Liam, eseguiva gli ordini con un'efficienza invidiabile. Ed era anche la prima maga di elemento Acqua con cui Liam sentisse di avere una qualche affinità, il ché rendeva il dialogo più interessante.
Sembrava ancora tutta intera, valutò Liam. Aveva una striscia di sangue secco sul naso ma non era certo il suo.
«Malik ha bisogno di te al quadrante Nord.»
Liam volse lo sguardo a Nord. Era là che la battaglia infuriava con più violenza.
«Che cosa devo aspettarmi?» domandò.
Rayhana si strinse nelle spalle.
«Tanto sangue. Non hai lo stomaco debole, vero?»
Si volse e scomparve nella mischia.
Liam prese un respiro profondo. Doveva raggiungere il quadrante Nord senza farsi ammazzare anzitempo, e doveva farlo in fretta.
Con la spada stretta nella mano destra, il mago si costrinse a tornare nel caldo soffocante del combattimento. No, non era debole di stomaco, ma sarebbe stato comunque meglio a casa sua, su questo non potevano esserci dubbi. Falciò un grosso orco con un fendente alla gola scoperta e storse il naso quando un fiotto di sangue nero gli zampillò addosso. Un altro orco si fece avanti,e poi un altro ancora.
«Scusate, ragazzi, ma sono un po' di fretta.»
Con un'onda di energia si fece strada attraverso il campo di battaglia. Se Ruben pensava che la situazione a Natìm e dintorni fosse negativa, avrebbe davvero dovuto vedere Torat.
«Eccoti, finalmente!» latrò Malik quando Liam riuscì a raggiungere il quadrante Nord.
«Non ho dovuto attraversare un campo di margherite, sì?» sbottò Liam schivando un'ascia. «Qual è il problema?»
Quando gli fu abbastanza vicino da poter parlare ad un tono di voce normale, Malik del Fuoco gli si pose schiena contro schiena e disse:
«Avrei dovuto coprire una sortita dei nani nell'accampamento nemico con Joan, ma lei è rimasta ferite ed è rientrata. Sostituiscila tu.»
Liam deglutì a vuoto.
«S-sortita?» balbettò.
«I nani entrano, distruggono le giare di acqua e danno fuoco alle dispense, ed escono. Gli orchi restano senza acqua e cibo e noi siamo contenti.»
«E noi due?» domandò.
«Noi due attiriamo l'attenzione.»
Liam annuì.
«Ti ha mai detto nessuno che hai il dono della sintesi?»
Con una lama di ghiaccio infilzò due orchetti in una volta e si guardò attorno. La terra era nera e viscida per il sangue che non riusciva ad assorbire del tutto, i corpi mutilati erano ammassati ovunque.
«Pronto?» domandò il mago alle sue spalle.
«Pronto» gemette, preparandosi al peggio.
 
Aqua immerse il viso nel catino di acqua ghiacciata. Aveva bisogno di schiarirsi le idee, e sapeva che non sarebbe bastato così poco, ma non aveva trovato alternative più accattivanti. Aprì gli occhi, ma tutto ciò che vide fu il fondo smaltato del recipiente.
Quella mattina, Konstantin aveva ricevuto la tanto agognata lettera dal quartier generale, ma le notizie non erano quelle previste. La loro speranza di lasciare quanto prima quel posto inquietante e decadente  si era infranta contro il muro della volontà del Maestro.
"L'esercito verrà qui", pensò Aqua dominando il panico.
Ruben aveva deciso di affrettare gli aventi, questo riusciva a capirlo, e capiva anche che spostarsi a Cyanor presentava degli innegabili vantaggi — avrebbe costretto gli orchi impegnati su tre fronti ad inviare truppe nella piana, privandosene, e avrebbe allontanato il conflitto dalle città del Lago di Nebbia, cuore pulsante della Terra dei Tuoni — ma non poteva fare a meno di vedere la lunghissima lista di svantaggi che quel piano comportava. Stava lì, davanti ai suoi occhi. Tanto per cominciare, orchi o draghi o, peggio ancora, stregoni avrebbero potuto intercettare la spedizione. Se i draghi si fossero mossi tutti insieme, di certo i maghi non avrebbero mai raggiunto la Piana di Thann. Oppure, le truppe promesse dalle città del Sud avrebbero potuto arrivare tardi, o non arrivare affatto. Senza contare che quella di affrontare i draghi tutti assieme in un territorio a loro favorevole era un'idea che sfiorava la pazzia.  Aveva sentito Hailie mormorare, rivolta al nulla, "che ne sarà di noi se gli otto draghi rimasti ci attaccheranno simultaneamente ai tre stregoni e alle loro schiere di orchi?". Inutile negarlo, quella testa disordinata aveva colpito nel segno. E poi, Liam e Jonna erano a Torat…perché erano là? Ruben non ne aveva fatto menzione.
Aqua ritrasse la testa dal catino e rovesciò il liquido sul pavimento. Osservò i rivoletti che correvano verso i canali di scolo, assecondando le impercettibili, vitali, pendenze della stanza.
Doveva forzarsi ad aspettare con pazienza e determinazione. Entro poche ore, un paio di giorni forse, i rinforzi sarebbero stati lì. Sarebbe stato lì James, sarebbe stato lì Timothy, e anche Debrina. Amina.
Deglutì a vuoto. Se non altro, sarebbe morta in buona compagnia.
 
Irthen chiuse il bagaglio e sospirò. Non era gran cosa ma sarebbe stato comunque faticoso da trasportare in cortile. I carri stavano caricando le provviste, le bende e i medicamenti, le armi di riserva e tutto l'occorrente per forgiarne di nuove. Anche i cavalli sarebbero stati preparati e caricati sulla stessa chiatta che avrebbe trasportato i carri, e dal momento che Irthen non aveva più un cavallo e che Liam aveva preso Sophia, il ragazzo aveva deciso di prendere in prestito Baio.
Trascinò il baule fino al cortile e lo lasciò alle cure degli uomini di Ruben. La pioggia non accennava a mollare la presa su Natìm.
«I poteri di un mago di elemento Acqua sarebbero stati utili in questo frangente» commentò Eetan guardando il cortile dal porticato con aria sconsolata.
«Sarebbe andato bene anche un elemento "fango"» rispose Irthen.
«Beh, per avere quello bastava mischiarlo con un elemento Terra…»
«Se ti sentisse Mina!» ghignò il ragazzo scrollandosi la pioggia dai capelli. «Sono via tutti? I maghi di Acqua intendo.»
Eetan annuì.
«Liam…beh, lo sappiamo. Aqua è a Cyanor, Gedeone e Peter sui fronti Est ed Ovest» scosse la massa di riccioli, afflitto.
Irthen gli assestò una pacca amichevole sulla spalla.
«Mio fratello non si sarebbe scompigliato i capelli per preservare i nostri, questo è poco ma sicuro» disse con un sorriso.
«Aqua come minimo si sarebbe lanciata nuda sotto alla pioggia torrenziale!»
Irthen arrossì. Per fortuna, nella semioscurità del porticato e della giornata uggiosa, Eetan non diede segno di averlo notato.
«Povero me» sospirò il mago. «Appena arrivato qui mi presi una mega cotta per Aqua. È stato un trauma scoprire che mentre io facevo il filo a lei, lei probabilmente lo faceva ad Amina.»
Irthen scoppiò a ridere.
«Ridi, ridi pure delle mie disgrazie!» ghignò Eetan.
«Dovrebbe consolarti, per lo meno non era colpa tua se non le piacevi!»
In quel momento, Yu attraversò il cortile di corsa, cercando di ripararsi invano dalla pioggia con un braccio. Apparve e scomparve in pochi secondi, e in quel brevissimo lasso di tempo Irthen non poté fare a meno di tenerle gli occhi incollati addosso, come se una forza irresistibile li calamitasse.
«Sai, girano voci interessanti su di voi» commentò il mago con tono cospiratore.
«V-voi chi?» balbettò Irthen.
«Voi! Tu e Yu» specificò, senza nemmeno tentare di nascondere la curiosità.
Irthen annuì distrattamente, chiedendosi se l'interessamento di Ruben avesse trovato origine in quelle voci.
«Non mi chiedi che cosa si dice?» incalzò il mago.
«Sospetto di conoscerle» mormorò colto da un capogiro.
Istintivamente, sfiorò l'anello di Abby come a volersi assicurare che fosse ancora al proprio posto.
«E non neghi?» Eetan sembrava deluso.
Irthen si costrinse a sorridere.
«Mi crederebbe qualcuno?» domandò.
Il mago scoppiò a ridere.
«Temo di no!» Prese un respiro profondo. «Devo farmi forza e buttarmi in quell'inferno di acqua e fango…» gemette.
«Vuoi una spinta?»
«No, grazie! Mi basta che mi compiangi.»
Irthen ridacchiò tra sé. Quella sarebbe stata la sua ultima mezza giornata tra le mura di Natìm.
 
«Cerca di stare fermo» sibilò Jonna tra i denti. «Se c'è una cosa in cui davvero sono incapace, è fare fasciature.»
Liam gemette. La testa gli faceva un male tremendo, non sapeva dire dove avesse trovato la forza di resistere in mezzo alla battaglia fino al tramonto, quando orchi e orchetti avevano iniziato a ritirarsi. Solo allora si era lasciato trascinare da Malik e da Rayhana all'accampamento montato a ridosso delle mura cittadine, e là era stato preso in custodia da Jonna, che l'aveva accolto con la solita spocchia…almeno fino a quando non aveva realizzato che era ferito.
Dal punto in cui aveva picchiato brutalmente al suolo, il dolore si allargava, tentacolare, fino alla base del cranio.
«Scusami» gemette. «Non so davvero come fare a stare fermo…ho dolori ovunque. Forse sono troppo vecchio per fare la guerra.»
Jonna cercò inutilmente di mascherare un sorriso sospirando, e annodò la benda.
«Continuo a non avere ben chiara la dinamica dell'incidente.»
Liam si portò cautamente una mano alla fasciatura.
«Malik. I nani stavano lasciando l'accampamento degli orchi dopo la sortita, e avevano un'orda di orchetti inferociti alle calcagna. Ci siamo divisi i compiti: io sono rimasto dov'ero, per impedire che altri orchi mollassero la battaglia per prendere parte all'inseguimento, mentre Malik ha coperto le spalle ai nani. Nonostante i miei sforzi, però, si è trovato accerchiato, così ha pensato bene di fare esplodere una specie di bolla di fuoco che ha spazzato via tutto quanto si trovasse nei paraggi. Per fortuna ho i riflessi buoni. Se non mi fossi riparato mi avrebbe carbonizzato, invece me la sono cavata con un bel volo e un atterraggio sgraziato.»
Jonna ghignò.
«Avresti dovuto tornare subito all'accampamento, Liam. Le botte in testa non vanno mai sottovalutate…»
Liam sbuffò.
«Scusa, mamma.»
«Adesso aspetta qui che Ophelia si liberi per darti una controllata. Al momento è impegnata con i feriti gravi, ma prima o poi arriverà anche qui.»
«È l'unica guaritrice?» domandò il mago.
«No, ma è l'unica dotata di poteri…diciamo aggiuntivi. L'unico elemento Terra che abbiamo, ecco.»
Si strofinò le mani sulla gonna e guardò il cielo. Il sole stava tramontando dietro alle colline.
«È meglio che io torni in città, ora. Micael si starà illudendo che io sia finita vittima di qualche orco penetrato tra le linee alleate.»
Istintivamente, Liam le afferrò il polso, guadagnandosi un'occhiataccia. L'idea di trovarsi faccia a faccia con Ophelia l'aveva improvvisamente atterrito.
«Non andartene, per favore. Io non…» esitò.
«Non?» incalzò Jonna.
«Non voglio stare solo con lei» concluse con estrema difficoltà.
Una scintilla di curiosità attraversò gli occhi freddi della ragazza. Jonna prese uno sgabello e si sedette di fronte a Liam.
«Sentiamo, Liam dell'Acqua, perché mai un ragazzone come te dovrebbe avere paura di una tredicenne?!»
Liam prese un respiro profondo.
«Lo sai, di certo Ruben te l'ha detto. Gli unicorni erano certi che quella ragazzina fosse mia sorella, e mi hanno costretto a verificare la loro teoria assurda. Ho dovuto tornare a Pothien, disseppellire la bara di Syra, guardare ciò che resta di lei dopo nove anni, corrompere ogni memoria che del suo visino mi era rimasta, riaprire una ferita che non si può rimarginare del tutto, per poi scoprire che gli unicorni sbagliavano. Syra è morta, e Ophelia non è altro che una ragazzina di tredici anni che potrebbe somigliarle. Solo che…»
Jonna  gli prese una mano tra le sue con un sorriso. Liam lottò con l'istinto di ritrarla e allontanarsi da lei, ancora sporco com'era di polvere, di sudore e di sangue.
«Ho capito, resto ancora un po'. In verità non ho poi tanta voglia di vedere mio padre…»
La sua voce si perse e Liam si domandò quali sentimenti si agitassero dietro allo schermo di quegli occhi.
Il sole era completamente scomparso e l'accampamento era avvolto da una semioscurità vellutata quando Ophelia della Terra riuscì a visitare Liam. Il mago constatò che era proprio come l'aveva immaginata: aveva lunghi capelli scuri, come gli occhi, e la pelle bianca. Aveva un viso dolce, dal profilo ancora rotondo. Si domandò se Syra avrebbe potuto diventare carina come lei. Il dolore per la perdita della sua famiglia bruciava quasi come il primo giorno.
«Sei stato fortunato» disse la ragazzina versando un mestolo di brodaglia verde in una ciotola e offrendogliela. «È solo una botta. Bevi questa, ti farà meno male. E cerca di andare a letto presto, se puoi. Quella roba fa schifo, lo so benissimo, ma ti assicuro che funziona, quindi non ti lamentare.»
Liam buttò giù l'intruglio tutto d'un fiato. Pur di far passare il mal di testa avrebbe fatto qualunque cosa. Ophelia sorrise.
«Ma guarda che bravo paziente…vorrei che fossero tutti come te!»
Il mago non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
Liam tornò al palazzo di Micael in compagnia di Jonna. Percorsero in silenzio le strade semideserte di Torat, e una volta tanto il mutismo di Jonna non sembrava disinteresse, ostinazione o spocchia. Era solo silenzio, niente di più. La sua fronte era spianata, e Liam non riusciva a credere di avere accanto la stessa persona che aveva rischiato di incenerire un tavolo di legno massiccio appena un giorno prima.
«Sei stranamente silenzioso» disse, destandolo improvvisamente dalle sue meditazioni.
«Ti sto studiando. E per dirla tutta sono talmente stanco che anche infastidirti mi costa fatica.»
«Puzzi, Liam.»
«Grazie. Purtroppo mi sento anch'io…»
Jonna rise, riportando Liam a quella conversazione sulla necessità di partire svoltasi solo pochi giorni prima nelle stanze di Ruben. Eppure sembrava passata una vita. Le aveva detto che avrebbe dovuto ridere più spesso, e lo pensava ancora, anche se adesso capiva perché non lo facesse: vittima di un agghiacciante contatto mentale con un drago, sfruttata senza scrupoli dal padre per questo suo dono, costretta ad infiltrarsi tra i nemici, a sedurne il capo e a permettergli di usarla come arma. Era stata uno strumento nelle mani di Micael e di Ruben per tutto quel tempo.
«Ti preferisco stanco e muto, credo.»
"Io ti preferisco umana, Jonna" si disse Liam, ma tenne quel pensiero per sé.
«Non ribatti?» insistette lei.
Liam soffocò uno sbadiglio.
«Delusa, eh? Non ne ho la forza, per stasera sei fortunata.»
«Fate pure con calma!» esclamò Micael quando varcarono la soglia del palazzo. Jonna si rabbuiò istantaneamente.
«È colpa mia» disse Liam.
La ragazza gli posò una mano sulla spalla. Il palmo era incandescente.
«Grazie, ma non ne vale la pena. Fatti un bagno, Li'…se domani puzzerai ancora così, giuro che non mi avvicinerò nemmeno.»
Jonna prese di malavoglia il braccio che Micael le offriva e si allontanò con lui, lasciando Liam in preda ad una fastidiosa e improvvisa nausea.
 
Yu fece scorrere lo sguardo sulla lista che teneva tra le mani e cancellò la riga che recitava "bende e materiale medico". Prese un respiro profondo. Aveva passato la giornata a controllare che ogni più minuscolo dettaglio dei preparativi per la partenza fosse in ordine e finalmente l'ultima voce dell'elenco era stata spuntata. Non era semplice preparare la partenza di così tanti uomini, donne e animali in poco più di ventiquattro ore. E, per dirla tutta, quello non era nemmeno il suo lavoro. Lei era una cameriera! Il fatto che Ruben le avesse insegnato a leggere, a scrivere e a fare di conto, e che si servisse di lei come ci si servirebbe della più fidata delle spie, esulava dal suo mestiere. Era qualcosa che era nella sua piena disponibilità rifiutare.
O almeno questo era ciò di cui lei aveva sempre cercato di convincersi. La verità era che Ruben era il suo padrone, l'aveva comprata, e lei gli doveva obbedienza. Anche se lui non le aveva mai fatto pesare quella situazione, lei non poteva dimenticarlo.
Non avrebbe mai potuto immaginarlo, tredici anni prima, che avrebbe finito per prendere parte ad una guerra insieme a maghi, elfi, nani, draghi e stregoni. E ad Irthen.
Irthen avrebbe dovuto restare a Natìm perché non era abbastanza lucido per affrontare ciò che avrebbe potuto accadere. Avrebbe potuto trovarsi di fronte ad Abigail, avrebbe potuto veder morire le persone che amava…avrebbe potuto morire lui stesso. Rabbrividì.
«Yu? Come va con i preparativi?»
La ragazza alzò lo sguardo a Ruben, che stava in piedi in mezzo alla porta.
«Ehm…bene, direi. Dovremmo essere pronti.»
Ruben annuì.
«Bene. Non so come ringraziarti per il tuo impegno, ragazza mia.»
«Sono qui per questo.»
Ruben si avvicinò e le sfiorò il viso con due dita.
«Stai bene? Sembri stanca.»
Yu sorrise.
«No, perché? In fondo, sono solo quarantotto ore che sono in piedi» disse.
Ruben ghignò e a Yu sembrò di vedere un'ombra attraversare i suoi occhi. Fu colta da un tremito, ma lui non sembrò notarlo.
«Avrai modo di riposarti nei prossimi giorni.»
«Che vuoi dire?»
«Tu resterai qui, a Natìm. Dovrai controllare che i miei ordini vengano eseguiti alla lettera.»
«C-cosa? Perché?!» farfugliò sgranando gli occhi.
«Perché questo ho deciso. Non voglio saperti sul campo di battaglia, e ho bisogno di una persona di fiducia al quartier generale.»
Colta da una vertigine, la ragazza si sostenne alla parete. La sua vista si era improvvisamente annebbiata.
«Lo vedi? Sei troppo sotto pressione» disse Ruben, voltandole le spalle.
«No!» esclamò Yu. «Non puoi farmi questo! Non posso restare, devo…devo…» farfugliò.
Ruben le rivolse un'occhiata inespressiva.
«Io non posso restare» ripeté con più fermezza. «Hai altri uomini di fiducia, ed io non posso restare mentre tutto il mio mondo sarà a Cyanor, non puoi farlo, tanto vale uccidermi adesso!»
«Non posso?» sibilò il mago afferrandole un braccio con forza. «Non posso, dici? Io posso tutto, e tu lo sai bene!»
Yu sentì lo stomaco contrarsi quando la terra scomparve improvvisamente da sotto i suoi piedi. In una manciata di secondi, il quartier generale le scivolò accanto, e quando il mondo smise di vorticare e la solida pietra riprese il suo posto scoprì di trovarsi in una cella di pietra.
Stordita, cadde sulle ginocchia. Sentì appena lo scatto del chiavistello e la voce fredda di Ruben che diceva:
«Speravo davvero di non doverlo fare, ma non mi hai lasciato scelta. Un giorno, forse, mi ringrazierai. Abbi cura di te, Yu.»
 
Il sole si levava appena sull'orizzonte e il porto di Natìm brulicava di vita. Le chiatte erano quasi pronte alla partenza, l'una carica di carri, armi e cavalli, l'altra di vettovaglie, maghi, infermiere, e di pochi altri civili partecipanti alla missione. Irthen si era assicurato personalmente che Baio fosse al sicuro e che il suo bagaglio fosse stato caricato, ed ora osservava con apparente distacco la vita altrui.  Coppie che si salutavano sul molo, bambini in lacrime per la partenza di uno o di entrambi i genitori.
"Nessuno ci crede davvero", pensava. "Nessuno crede in una vittoria…"
Ruben fece la sua comparsa sul molo in compagnia di Amina. Niente Yu. Irthen lo trovò strano. Non l'aveva vista, fino a quel momento, ma non se n'era preoccupato, convinto che si trovasse, come sempre, all'ombra del Maestro. Ora, però, lui era lì, e Yu continuava a mancare. Che avesse deciso di non partire?
"Non lascerebbe Ruben, è impossibile" si disse.
Ruben salì a bordo della prima chiatta e Amina rimase sul molo.
Yu doveva essere lì, da qualche parte, senza che lui riuscisse ad individuarla. Un irragionevole senso di panico cresceva nel petto di Irthen, mentre si insinuava in lui la convinzione che le fosse successo qualcosa.
"Non essere ridicolo, Ir".
Prese un respiro profondo, nel tentativo di calmarsi, e attraversò lentamente la chiatta. Sbarcò, rischiando di inciampare nelle funi della passerella per l'agitazione, e raggiunse Amina.
«Ciao, Ir. Pronto?» domandò la maga, notandolo.
«Hai visto Yu?» domandò di rimando.
«No, non ancora. Va tutto bene?»
«No lo so…cioè, no, non riesco a trovare Yu. Credi che possa aver deciso di non venire?»
Amina si rabbuiò.
«Impossibile. Sai che facciamo? Adesso provo a concentrarmi e vediamo se riesco a percepire la sua presenza. Con le persone che conosco da tanto tempo ci riesco.»
Amina chiuse gli occhi ed Irthen trattenne il respiro, sentendosi estremamente ridicolo. Ma quando la maga riaprì gli occhi, l'ombra di apprensione che Irthen vi lesse mise a tacere ogni dubbio.
«Hai ragione, Yu non è qui.»
Irthen vacillò.
«Devo trovarla» mormorò.
«Ci penso io. Tu sali sulla chiatta e mandami Chloé.»
 
Mentre aspettava Chloé ai piedi della passerella, Amina ripercorse con gli occhi della mente le presenze sul molo di Natìm. Captava tanti globi deboli, le aure di tutte quelle persone che conosceva superficialmente o che non conosceva affatto. Spiccavano delle aure più luminose, quella di Irthen, di Eetan, di Chloé. Sulla chiatta accanto, chiara, nitida e ben riconoscibile quella di Ruben. Yu avrebbe dovuto brillare di pari intensità, invece non riusciva ad individuarla. Forse avrebbe dovuto chiedere spiegazioni a Ben, ma qualcosa nel modo di fare del Maestro, quella mattina, l'aveva indisposta. Gli era sembrato più misurato, più ostentatamente calmo, meno onesto del solito. Forse Irthen aveva ragione, era meglio trovare velocemente Yu. Amina aveva un brutto presentimento.
«Eccomi» esclamò Chloé. «Che succede?»
«Dobbiamo fare un salto al quartier generale» disse Amina.
Chloé si rabbuiò.
«E se le chiatte partissero, mentre noi siamo via?» domandò.
«Non possono partire, sono io a comandare la missione in assenza di Ben, e Ben sta per partire con Timothy per il primo viaggio di recupero dei maghi al fronte. In altre parole sarò io che ordinerò di salpare» sospirò. «Allora, me la dai una mano? Ti spiegherò tutto per strada.»
Le due ripercorsero i vicoli di Natìm in direzione del centro operativo il più velocemente possibile. Amina pregava che Ruben non si fosse reso conto della sua scomparsa prima di partire, perché temeva che l'avrebbe intercettata prima che potesse trovare Yu. Non nutriva molte speranze che l'assenza della cameriera fosse incidentale rispetto allo strano atteggiamento di Ben di quella mattina. Possibile che lui non si fosse reso conto che la sua ombra sembrava svanita nel nulla? Inverosimile. Ruben non era lucido in quei giorni, la fuga di Jonna l'aveva messo a dura prova. Proprio lui, che tanto predicava l'accortezza, aveva tenuto accanto a sé una spia nemica per un anno e mezzo senza nutrire il minimo dubbio, svelandole i suo progetti, i punti deboli del suo schieramento, i propri. Fiducia malriposta, un colpo basso da cui non si sarebbe ripreso facilmente. Soprattutto perché credeva di tenere tra le mani la migliore arma a disposizione. In realtà, era l'arma a tenere in pugno lui.
Amina non riusciva a convincersi che Liam l'avesse seguita spontaneamente. Lo aveva osservato per anni, ed era certa che una volta ritrovato suo fratello non l'avrebbe più lasciato, soprattutto in una situazione come quella che si profilava al vicino orizzonte. Non l'avrebbe lasciato per una donna, nemmeno per una come Jonna. Ciò che Amina temeva, e che non aveva alcuna intenzione di  confessare a Clo, era che Liam si fosse allontanato su preciso ordine del Maestro. Tanto a lungo aveva atteso l'arrivo di Liam dell'Acqua ad ingrossare le sue schiere, tanto poco aveva impiegato a mostrare segni di insofferenza nei suoi riguardi. Dettagli, difficili da notare per i più, ma che Amina vedeva e percepiva con estrema chiarezza. Ben ribolliva ogni volta che Liam posava gli occhi su Jonna, e questo si poteva comprendere, ma Amina aveva colto ondate di irritazione e di disappunto anche ogni volta che un qualunque mago della sua compagnia gli aveva rivolto la parola, ogni volta che aveva visto Chloé o lei stessa in compagnia di Liam. Non si trattava di gelosia, Ruben aveva ceduto a quel logorio causato dal potere: temeva che Liam potesse ottenere sostegno sufficiente da scalzarlo dalla propria poltrona e guidare la carovana al posto suo. Pura follia! Il carisma, Liam, ce l'aveva nel sangue, mai e poi mai avrebbe anche solo lontanamente potuto pensare di proporsi come guida.
«Mina?»
Amina sobbalzò. Chloé le stava parlando, ma non aveva ascoltato una sola parola.
«Scusa, come dici?»
«Ho chiesto come faremo a trovarla.»
La maga sorrise.
«Oh, è semplice. Con un vecchio trucco che mi ha insegnato Stan e che mi è servito per ripercorrere i passi di Irthen quando è scappato di casa.»
Varcarono il portone del palazzo stranamente silenzioso e Amina condusse Chloé alla stanza di Yu. Quando bussarono e non ottennero risposta, Amina abbassò la maniglia e la porta si aprì. La stanza era in ordine, un piccolo baule era posato ai piedi del letto, chiuso.
«Adesso che si fa?» mormorò Chloé.
«Adesso lasciami un momento per concentrarmi. Spero che funzioni, perché qui non si tratta di terra ma di pietra, ma…»
Si inginocchiò sul pavimento e posò i palmi delle mani sulla pietra fredda.
"La terra ha tutte le risposte. Ma tu non sei da meno, non è vero? In fondo, anche tu sei parte del mio elemento, non è così?", pensò con tutte le sue forze.
I palmi le formicolarono quando una serie di immagini confuse le affollò la mente. Yu in cortile, Yu in magazzino, nella serra, nel salotto di Ruben. Yu in un sotterraneo, chiusa in una cella.
Balzò in piedi, con gli occhi sgranati.
«L'hai trovata?» domandò Chloé.
«Spero di sì. Vieni!»
Amina attraversò di nuovo il palazzo, correndo a perdifiato, con Chloé alle calcagna. Man mano si avvicinava alle celle sotterranee, la presenza di Yu si faceva più evidente. La sua aura guidò Amina fino ad una fredda parete di pietra, una minuscola stanza chiusa da una pesante porta di ferro. Dall'interno giungevano del singhiozzi soffocati.
«Yu!» gridò Amina.
Dall'altra parte, la prigioniera picchiò i pugni sul ferro.
«Mina, tirami fuori di qui» singhiozzò la voce di Yu.
«Solo un momento» disse Amina, sopraffatta dal sollievo.
La maga posò i palmi delle mani sulla parete di pietra, concentrandosi sul contatto della pelle con la superficie fredda e irregolare. Era difficile escludere le ondate di emozioni provenienti da Yu, che la colpivano come raffiche di pioggia. Dolore, delusione, speranza. Accidenti all'empatia. La pietra tremò e si sbriciolò tra le sue dita, creando un varco appena sufficiente per lasciar passare un bambino. Vacillò, e Chloé le fece passare un braccio attorno alla vita. Yu scivolò nel varco con estrema agilità, raggiungendole nel corridoio. Aveva gli occhi gonfi e i capelli sciolti e spettinati.
«State bene?» domandò Chloé.
Amina annuì, e così Yu.
«Non posso credere che Ruben ti abbia fatto questo» mormorò la maga, strofinandosi le mani sulla gonna per liberarsi della polvere.
«Come facevate a sapere che mi trovavo qui?»
«Irthen non ti ha vista al molo e ha pensato che ti fosse successo qualcosa. E Mina ha un buon rapporto con i pavimenti» spiegò Chloé.
Gli occhi di Yu si riempirono di lacrime, ma la ragazza le ricacciò eroicamente indietro.
«È un bravo ragazzo, vero?» mormorò.
Amina sorrise e la abbracciò stretta.
«Sicuro. E sono certa che non ti lascerebbe dimagrire così» le disse, assestandole un pizzicotto.
Chloé sbuffò.
«Sarebbe meglio muoverci.»
«Giusto» Amina si guardò attorno. «C'è qualcosa che devi portare oppure possiamo cercare di recuperarti il necessario sulla chiatta?»
Yu scosse il capo.
«Andiamocene. Ma sarebbe meglio che Ruben non mi vedesse.»
Amina annuì. Se fosse sopravvissuta a quella guerra, Ruben ne avrebbe sentite quattro, oh sì.
 
Irthen sentì tutti i muscoli rilassarsi di colpo quando sul molo comparvero Chloé ed Amina accompagnate dalla figura esile di Yu. Era avvolta in un mantello scuro troppo largo e il cappuccio calato sugli occhi le copriva il viso, ma la sua camminata era inconfondibile.
Amina si fermò sul molo e per un attimo Irthen credette che Yu avrebbe fatto altrettanto. Oppure, che avrebbe scalato la passerella della seconda chiatta per raggiungere Ruben. Ma non fece niente di tutto ciò. Chloé la prese sottobraccio e la condusse a bordo. Passandogli accanto, la bionda gli lanciò un'occhiata allarmata che lo obbligò a seguirle. Raggiunto un angolo riparato dietro ad una pila di sartiame, Chloé liberò il braccio della cameriera.
«Vado a cercarti qualcosa da mangiare» disse allontanandosi.
Yu si sostenne alla pila di casse assicurata con dei cavi al ponte.
«Yu?» mormorò Irthen. «Stai bene?»
La ragazza si strofinò gli occhi, rinunciando per un attimo al ferreo autocontrollo.
«Io ti devo dei ringraziamenti, Irthen» la sua voce si spezzò. «Se non fosse per te, ora sarei prigioniera in una cella in attesa della vostra partenza.»
Irthen le si avvicinò.
«Non capisco.»
Yu gli prese una mano e lo attirò a sé. Affondò il viso nel suo petto e singhiozzò.
«Va tutto bene» disse il ragazzo, abbracciandola.
In realtà non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, ma pregò con tutte le sue forze che non si notasse troppo.
«Sono davvero stupida…ho fatto tutto ciò che mi ordinava, e anche di più. Mi sono sporcata le mani per lui, ho bruciato ogni briciolo di energia per aiutarlo, sostenerlo, consigliarlo…e lui? Lui non l'ha affatto dimenticato che sono una sua proprietà.»
«Ti ha fatto del male?» sussurrò Irthen.
«No. Ma mi ha imprigionata per impedirmi di partire con voi. Se tu non avessi mandato Mina…»
«Forse voleva proteggerti» suggerì, esitante.
«Non me ne frega niente del perché l'ha fatto!» esclamò assestandogli un pugno gratuito nella schiena. «Anch'io volevo proteggerti, ma ti ho lasciato scegliere.»
Irthen annuì. Aveva ragione, cavolo se ne aveva! E, forse, quel pugno non era poi così gratuito.
La chiatta ebbe un sussulto e si staccò lentamente dal molo. Yu lo allontanò e si sistemò meglio il cappuccio sugli occhi.
«Sono in debito con te, Ir. Prometto che lo ripagherò.»
Chloé ricomparve con una focaccia al miele e la mise in mano alla ragazza.
«Mangia. Non sai quanti accidenti ho preso per portarmela via. Mina dice che, compatibilmente  con il meteo, con il sussidio dei maghi d'Acqua e d'Aria, e con le eventuali interferenze, prima del tramonto cavalcheremo verso Sud.»
Irthen deglutì a vuoto. Per qualche assurdo motivo sentiva un cappio stringerglisi attorno alla gola.
 
Abigail buttò le gambe sulla tavola e bevve un sorso di birra fresca.
«Che cosa pensi di fare, Caleb?»
Caleb la guardò di sottecchi e continuò a giocherellare con la sciabola.
«Io? Io propongo di aspettarli a Cyanor. Se è questo che Ruben vuole, non sarò certo io a dissuaderlo. Tutto sommato ci risparmia della fatica inutile: a separarlo dal Reame Eterno e dai suoi alleati ci saranno le paludi, l'aiuto che potrà giungere dall'Ovest non sarà certo una gran cosa. Una volta eliminata la confederazione di Natìm, il grosso del lavoro sarà fatto. Potrebbe essere questione di giorni prima che Torat cada nelle nostre mani, e quando questo avverrà Micael radunerà i superstiti e verrà a Cyanor a fare compagnia ai suoi amici del Nord. Tuttavia…» si concesse una pausa teatrale «tuttavia, a volte ho la sensazione che la vera domanda debba essere "che cosa pensi di fare, Abby?".»
Abigail gli lanciò un'occhiataccia.
«Non ti seguo.»
Lo stregone rise.
«Non sono sicuro di potermi fidare di te. A Cyanor ci sarà il tuo amichetto, questo lo sai, non è vero?»
Gli occhi di Abby si assottigliarono.
«Ne sono consapevole» sibilò.
Caleb posò la sciabola sul tavolo e si chinò verso di lei.
«Questo non è sufficiente» rispose tra i denti.
«Ho mai lasciato qualcosa a metà? Farò ciò che va fatto, tesoro, l'ingranaggio gira troppo veloce per pensare di poterlo fermare. Mi voglio troppo bene per rischiare. Ciò di cui dovresti preoccuparti è quel bambino. Ci sono notizie di lui?»
«Lukas è imprigionato nei sotterranei del palazzo di Micael, pericolosamente vicino al tuo amico Liam. È ben protetto, non credo che dovremmo preoccuparcene fino a quando non lo porteranno da Djalmat.»
«E tu sei certo che lo faranno, sì?» constatò Abigail.
«Fidati di me, Abby. Il tempo sta per scadere.»



***********************
Dite la verità, non ci credevate più, sì? ;)

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Capitolo 52
*** In cerca di una strategia ***


Opponendosi al desiderio di restare a letto, Liam si trascinò fino alle cucine. La testa gli faceva ancora discretamente male, e tutti i muscoli pulsavano di un indolenzimento che avrebbe potuto essere facilmente evitato rispettando la promessa fatta a sé stesso sulle rive del Brumo di fare un po' di esercizio tutti i giorni. Per lo meno non puzzava più.
Seduti ad un lungo tavolo nel locale adiacente alle cucine c'erano Malik, Joan e Rayhana. Il primo lo ignorò, mentre le ragazze lo accolsero con un sorriso. Joan aveva il braccio destro fasciato.
«Come va la testa?» gli domandò quest'ultima.
Liam le si sedette accanto.
«Tutta intera, dicono. Il tuo braccio?»
«Gomito lussato. Lia l'ha rimontato, ma non credo di poter combattere, domani.»
Liam annuì. Joan dell'Aria era giovane, il mago la ricordava ad Effort. Allora era una ragazzina secca, spettinata e piena di brufoli, oggi la situazione della sua pelle era migliorata, ma per il resto non era cambiata molto.
«Un giorno in più di riposo» sbottò Malik, nel suo irritante tono strascicato. «E ti lamenti pure?»
Quanti anni poteva avere, invece, Malik del Fuoco? Liam non sapeva dirlo. La sua pelle scura formava delle rughe sottili attorno agli occhi.
«Tu che fai oggi, Ray?» domandò Joan a Rayhana.
La ragazza si allontanò un ciuffo dagli occhi e appoggiò il mento alla mano.
«Sono di turno dal bambino. Tutto il giorno.»
A Liam si drizzarono i capelli sulla nuca. Parlavano di Lukas? Nel caos della battaglia aveva completamente rimosso la sua presenza a Torat.
«Stai scherzando, vero? Oggi c'è un sole pazzesco e tu passerai la giornata nei sotterranei?!» esclamò Joan.
Rayhana annuì con aria afflitta.
Liam alzò gli occhi dalla propria tazza e scoprì che Malik lo osservava attentamente. Gli occhi neri del mago erano fissi su di lui. Che avesse colto il suo interesse?
«Qualcosa non va?» gli domandò con un sorriso che sperava risultasse incredulo.
Malik non rispose e non batté ciglio. Rayhana gli diede una gomitata, con fare conciliante, ma a Liam non sfuggì il lampo nei suoi occhi verdi, segnale di allarme.
«Ehi, ti sei incantato? Guarda che Jonna è gelosa» scherzò.
«Oh, ne dubito» rispose Liam. «Temo che tutti i miei buoni propositi siano destinati a morire di stenti…»
Si sorprese della punta di amarezza nella propria voce. Doveva stare attento a non calarsi troppo nella parte, sarebbe stato davvero sciocco cadere nella propria rete. Le due ragazze scoppiarono a ridere.
«Pazienza, stellina» disse Rayhana. «Consolati così: sono certa che se tu volessi cercare un'alternativa non faticheresti a trovare volontarie!»
Malik sbuffò, si alzò di scatto e uscì dalla stanza, sotto agli occhi stupiti dei commensali.
«Mi sbaglierò, ma mi pare che tu non gli stia molto simpatico» mormorò Joan, cercando invano di allontanare dalla faccia dei ciuffetti indisciplinati.
«Oh, biondina, non è una cosa educata da dire!» ghignò Rayhana.
«Può darsi, ma Liam non sembra stupido, l'avrà pure notato anche lui…»
Il mago non riuscì a trattenere un sorriso. Solitamente lo urtava quando la gente parlava di lui come se non fosse presente, ma in quel caso era diverso: per un momento, ebbe la sensazione che la guerra fosse solo una cosa lontana, che la morte non esistesse, riscaldato dalle risate incoscienti di quelle due ragazze un po' svitate.
«Comunque, con Malik è una storia vecchia» intervenne.
«Oh, me lo ricordo! Ad Effort vi siete picchiati!» esclamò Joan.
«Non proprio, ma c'è mancato poco» rispose il mago.
Rayhana sgranò gli occhi.
«Veramente? Ma quando? Io non me lo ricordo, non è giusto!»
«Sono desolata, ma devo interrompere questo piacevole momento auto celebrativo» disse la voce di Jonna dall'ingresso.
Liam si volse e le sorrise.
«Mi risparmi una figuraccia, ho rischiato di prenderle!» disse. «Cerchi me?»
«Chi, sennò? Micael vuole vederti.»
Il mago guardò sconsolato la propria tazza ormai vuota. Micael se lo sarebbe risparmiato volentieri, soprattutto di prima mattina.
«Lascia perdere, te la lavo io» disse Rayhana rimboccandosi le maniche e raccogliendo le tazze.
«Grazie, Ray, ti devo un favore.»
«Anch'io» esclamò Joan con un sorrisone.
«Tu me ne devi già parecchi di favori di questo tipo, biondina!»
Liam ridacchiò, divertito, e raggiunse la sua, di biondina. Decisamente l'aspetto di Jonna era meno allegro di quello di Joan.
In silenzio, la ragazza lo condusse attraverso il corridoio lungo e buio che aveva percorso al suo arrivo a Torat, e per una manciata di minuti Liam temette che l'avrebbe di nuovo parcheggiato nella fredda cella con il tavolo bruciacchiato. Invece, Jonna imboccò una scala che risaliva il palazzo avvitandosi su sé stessa.
«Dove stiamo andando?» domandò.
«Nelle sue stanze» rispose la ragazza. «È vero che ti sei picchiato con Malik?»
Il mago sorrise.
«Più o meno. Ci siamo solo presi per il collo.»
Jonna scosse il capo, come a volergli far capire che non si fa, che nemmeno i bambini si azzuffano così, ma in realtà stava sorridendo.
«Si sente che la tua testa va meglio.»
Attraversarono un corridoio poco illuminato e si fermarono davanti ad una porta di legno lucida. Jonna bussò.
«Avanti» rispose la voce di Micael dall'interno.
«Salutamelo» sussurrò Jonna.
«Tu non vieni?» domandò Liam.
«Meno lo vedo e meglio sto.»
Liam prese un respiro profondo ed entrò.
Il salotto di Micael era avvolto dalla luce calda del fuoco che ardeva nel camino. Le pareti erano tappezzate di arazzi, i pavimenti di tappeti, e Liam si sentì soffocare dal calore.
«Liam, Liam…»
La voce di Micael proveniva da un angolo in penombra, e vibrava di tensione. Liam si avvicinò. Il suo anfitrione era chino su un tavolino, una mappa spiegazzata distesa sotto agli occhi.
«Ho un grosso problema» disse Micael dell'Acqua. «Proprio qui» aggiunse tamburellando con le dita sulla città di Torat.
«Temo di averlo notato.»
«Ci scommetto!» sospirò. «Torat non ha speranze. Nemmeno con l'aiuto dei nani sopravvivrà.»
«Quanti sono?» domandò Liam.
«I nani? Centosettanta, nano più nano meno. Ma gli orchi non sembrano avere fine, per ognuno che muore ne compare un altro pronto a sostituirlo.»
Liam si rabbuiò.
«Perché mi hai convocato? Perché mi stai dicendo queste cose?» domandò.
Micael alzò gli occhi grigi su di lui.
«Prima di tutto per sentire la tua opinione e le tue idee, e poi perché tu possa capire in che cazzo di trappola ti sia cacciato per colpa di mia figlia.»
«Per quale motivo nutri così poca stima di lei? Jonna ha rischiato la vita per eseguire i tuoi ordini, è addirittura andata a letto con Ruben! E quando l'hai richiamata è tornata da te. Che cosa vuoi di più da lei?»
Lo sguardo di Micael si perse.
«Suppongo che tu abbia ragione. E tuttavia non mi basta.»
Per un secondo, Liam credette che non sarebbe riuscito ad impedirsi di ribattere, ma un tonfo sordo fuori dalla porta attirò la loro attenzione. I due maghi si scambiarono uno sguardo allarmato. Micael lo spedì a controllare con un cenno rigido del capo.
Liam si avvicinò cautamente alla porta e la scostò con cautela, pronto a reagire in qualsiasi modo si fosse dimostrato necessario. Ma tutto ciò che vide fu una ragazza svenuta nel mezzo del corridoio.
«Jonna?» mormorò inginocchiandosi accanto a lei.
Micael si affacciò alla porta e si guardò intorno.
«Portala dentro, ragazzo. Quando si riprenderà avrà sicuramente qualcosa di interessante da dirci.»
"Djalmat" pensò Liam mentre prendeva tra le braccia il corpo esile della maga. "Un'arma, ma soprattutto una maledizione".
Micael lo aiutò ad adagiarla sulla poltrona più vicina al fuoco, il suo elemento, perché potesse recuperare più velocemente le forze. Liam osservò di sottecchi l'espressione di Micael: se provava ansia, aspettativa, dispiacere o qualunque altra cosa, non si poteva capirlo. Il suo viso era una maschera di pietra, totalmente impermeabile a qualunque emozione.
«Sta diventando un vizio, Li'…»
Il mago spostò lo sguardo su Jonna, che si stava riprendendo e sorrideva debolmente.
«Come ti senti?» domandò con il tono più gentile che gli fosse possibile.
«Meglio» mormorò.
Micael sbuffò.
«Rimandate a più tardi le smancerie. Che cosa hai visto?»
Gli occhi freddi di Jonna furono attraversati da un lampo innaturale mentre la ragazza li alzava su suo padre, e Liam rabbrividì istintivamente.
«Non ti piacerà.»
Micael sbuffò di nuovo.
«Non ho tempo per i tuoi giochetti, dimmi che cosa hai visto!»
Jonna sospirò. La sua voce era un mormorio appena udibile.
«Caleb ed Abigail sono a Cyanor, e un contingente di maghi provenienti da Natìm si sta dirigendo là. In questo momento attraversano il Lago di Nebbia. Capito, padre? Mentre tu te ne stai qui ad aspettare la fine come un topo in trappola, Ruben dell'Aria prende saldamente tra le mani il destino della Terra dei Tuoni. Dovresti imparare da lui come si comanda!»
Micael alzò una mano con l'evidente intenzione di darle uno schiaffo, ma Liam lo intercettò, bloccandogli il braccio.
«Non osare toccarla» sibilò.
Micael lo trapassò con il suo sguardo gelido, acquistando un aspetto calmo che mal si conciliava con le ondate d'ira che promanavano dalla sua aura. Tuttavia, Liam non mollò la presa.
«Non sfidarmi, ragazzino.»
Liam si costrinse a sorridere.
«È facile andare d'accordo con me, Mik. È sufficiente che non si alzino le mani sulle donne.»
«Jonna è mia figlia.»
«Non ha alcuna importanza» Liam liberò il braccio del mago e indietreggiò di un passo. «Sempre che ti interessi ancora, questo è il mio parere: se Ruben perde, noi non riusciamo ad abbattere tutti i draghi e gli stregoni da soli, nemmeno con l'aiuto dei nani e di Lukas dell'Aria. Se loro cadono, cadiamo tutti con loro. Perciò io seguirei l'esempio di Ben, lascerei Torat nelle mani dei soldati e andrei a Cyanor con maghi e nani» concluse.
Micael gli scoccò un'occhiata omicida e si rivolse a Jonna.
«C'è altro?» sibilò.
Jonna scosse il capo.
«Allora sparite dalla mia vista.»
Liam aiutò la ragazza a rimettersi in piedi e le passò un braccio attorno alla vita. La testa sembrava sul punto di esplodergli per lo sforzo di mantenere la calma: Ruben a Cyanor, di certo con Chloé, con Amina e, soprattutto, con Irthen. Doveva trovare il modo di raggiungerli.
 
Jonna si lasciò cadere sulla panca della mensa e Liam le mise davanti una fetta di torta che era riuscito ad estorcere ad una delle governanti.
«Non avresti dovuto farlo» disse la ragazza.
Erano le sue prime parole da quando avevano lasciato il salotto di suo padre.
«Lo sai quanto è precaria la tua posizione, Liam. Che cosa sarebbe successo se Mik avesse deciso di farti decapitare? Hai idea di quanto ami le decapitazioni?!»
Il mago si strinse nelle spalle.
«Non è successo» rispose.
«Ma se fosse successo?» insistette.
«Senti, se vuoi ringraziarmi, ringraziami. Altrimenti sei pregata di risparmiarmi la predica» sbottò.
«Grazie» mormorò Jonna.
Liam si sedette accanto a lei e si prese la testa tra le mani.
«Credi che ci sia anche tuo fratello con loro?»
Annuì. Non osò guardare Jonna, sentiva gli occhi bruciare.
«Sei un mago coraggioso, Li'. Sei stato coraggioso a venire qui, ogni quale sia il vero motivo, sei stato coraggioso a fermare Micael, e lo sei anche adesso.»
La ragazza lo obbligò ad alzare il viso, e Liam non ebbe la forza di opporre resistenza. Sentì una lacrima tracciare una linea fredda sulla pelle.
«Andremo a Cyanor» dichiarò Jonna. «Convincerò Micael che sia la strategia migliore. E se non ci dovessi riuscire, ci andremo io e te.»
«Sei uscita di senno?» farfugliò Liam.
«È il minimo che possa fare. Ho passato la vita ad inseguire i desideri degli altri: ora, per una volta, voglio tentare di inseguire i miei!»
Sorrise, e Liam trovò quel sorriso così sincero, così caldo, così carico di speranza da sentirsene contagiato, irradiato. Le scoccò un bacio sulle labbra e la abbracciò stretta.
"La gente del Nord è gente tosta", si disse, " e anche Jonna viene dal Nord".
 
Aqua si ritrasse rapidamente dalla finestra. Aveva la fronte coperta da un velo di sudore freddo e le gambe le tremavano.
«Non ci voleva» sussurrava Konstantin alle sue spalle, camminando avanti e indietro senza posa.
«Sono ancora là» disse Aqua sottovoce, come se avessero potuto sentirla.
In quella situazione sembrava pericoloso perfino respirare troppo forte. Da quando Caleb ed Abigail erano giunti a Cyanor era cambiato tutto. La situazione dei tre maghi nascosti tra le rovine del palazzo era improvvisamente precipitata. Le stanze che occultavano la propria presenza ai draghi non li avrebbero protetti anche dalla magia degli stregoni, era solo questione di tempo prima che le loro auree magiche venissero notate. Stan aveva detto alle due ragazze di proiettare la propria magia al di fuori di loro, nell'ambiente circostante, perché desse meno nell'occhio, ma Aqua non era affatto certa che avrebbe funzionato. Dentro o fuori, la magia sarebbe rimasta, e avrebbe di sicuro attirato l'attenzione.
«Dobbiamo prepararci al peggio.»
Aqua si volse di scatto. La voce di Hailie aveva pronunciato quelle ultime parole in modo fermo e deciso, mostrando una sicurezza che non era mai stata la sua caratteristica dominante. Che ne era stato della biondina spaventata che aveva lasciato Natìm con loro?
«Non guardarmi così, Aqua, sai che è la verità. Ruben, ormai, sarà in vista della costa, e non sarà cosa semplice né veloce arrivare fino a qui. Ora che due stregoni ci hanno raggiunti…non mi va per niente di accettare la morte senza combattere! Ho solo trentadue anni, praticamente ho una vita davanti, e non lascerò che quei due me ne privino. Ora sappiamo che anche gli stregoni possono morire, e noi siamo in tre contro due. I draghi e gli orchi non possono accedere a questi ambienti, e le stanze hanno assorbito una parte dei nostri poteri. Questo significa che finché restiamo qui siamo noi a giocare in casa.»
Aqua seguì il ragionamento di Hailie con crescente incredulità. Decisamente non era più la stessa persona quella che le stava davanti. In qualche modo, le stanze di Storr stavano influenzando lei, Konstantin e la stessa Aqua: Stan sembrava smarrito, sfiduciato; Hailie si era trasformata in una leonessa; e lei? In che cosa si era lasciata trasformare? Forse erano i fasci di energia che avevano operato il cambiamento, la personalità dei maghi antichi aveva innescato il processo. Il mago di elemento Acqua era Storr…
"Magari prendessi qualcosa da lui", si disse Aqua, "qualcosa tipo la potenza!".
Tenne per sé quei pensieri e domandò:
«Credete che sopravvivremmo?»
«Gli stregoni governano indistintamente i quattro elementi» disse Konstantin. «Ma ce n'è sempre uno in cui eccellono. Caleb, per esempio, ha storicamente utilizzato con più frequenza i poteri legati alla Terra, Abigail all'Acqua e Rafik al Fuoco. Forse potremmo cercare di sfruttare quello che sappiamo di loro e obbligarli ad evitare gli incantesimi che riescono loro più congeniali.»
«Insomma, tu affronteresti Caleb ed io Abigail» disse Aqua. «Ed Hailie?»
«Io  posso aiutare chi ne ha più bisogno» disse la bionda. «Il vero problema è questo: se dovesse arrivare anche Rafik?»
Konstantin si strinse nelle spalle.
«Ci penseremo a tempo debito…»
Aqua gettò un'altra occhiata dalla finestra. Caleb stava ancora parlando con Djalmat, ma Abigail era scomparsa.
 
La traversata era stata piacevole. Ruben, Timothy e Tiana avevano trasportato a bordo Debrina del Fuoco, Christalia della Terra, Gedeone dell'Acqua e Rowena dopo averli recuperati dal fronte Est, Peter dell'Acqua, Jonathan della Terra e Oliandro di stanza sul fronte Ovest, e da ultimo James da Riva. Chloé gli aveva gettato le braccia al collo senza ritegno e lui aveva ricambiato la stretta, totalmente incuranti del fatto che l'intera chiatta li stesse osservando. Anche Irthen se n'era rimasto lì a guardare, punto sul vivo dall'invidia.
Dall'arrivo dei due maghi di elemento Acqua, comunque, la velocità delle chiatte era aumentata e il viaggio si era fatto più rapido. Yu era rimasta rintanata nel suo mantello scuro troppo grande, con la ferma intenzione di passare inosservata agli occhi di Ruben, precauzione che ad Irthen sembrava del tutto inutile: il Maestro era collassato — come gli altri due maghi d'Aria — non appena terminata l'operazione di recupero dai fronti, prostrato dallo sforzo compiuto.
«Terra in vista» disse Amina prendendolo sottobraccio.
Irthen staccò gli occhi a fatica dal verde cupo dell'acqua per alzarli sul profilo frastagliato della sponda meridionale. La maga si guardò cautamente attorno, poi lo tirò per il braccio e lo obbligò ad avvicinare il viso al suo. Da quella distanza minima, Irthen ebbe l'impressione che profumasse di menta.
«Ho chiesto a Ben, mentre era moribondo, dove potevo trovare Yu, giusto per vedere che cosa mi avrebbe risposto…»
Irthen sentì un brivido freddo corrergli giù lungo la schiena.
«Dunque?» domandò.
«Prima ha detto che era rimasta a Natìm per coordinare il quartier generale. Ma io gli ho fatto notare che sono empatica e che fiuto le menzogne a distanza di miglia, così mi ha regalato una mezza verità: ha dichiarato che non si è fidato a portarla con sé perché ultimamente non si è dimostrata abile. È distratta, stanca, e spesso non gli sembra sincera come è sempre stata. Perciò, per evitare brutte sorprese che potessero pregiudicare l'esito della missione o costarle la vita, l'ha abbandonata a Natìm.»
«E tu non ci credi?» mormorò Irthen sempre più confuso.
Amina sospirò.
«Io credo che sia vero in parte. Senza dubbio Ben è preoccupato anche per la salute di Yu, ma credo che sia preoccupato soprattutto per sé stesso. La vede tesa, nervosa e spesso distratta, e teme che questi siano indizi di un tradimento.»
Il ragazzo deglutì a vuoto.
«Non riesco a seguirti.»
«Yu è l'ombra di Ruben da tredici anni, Ir. Lui la conosce meglio di chiunque altro, me inclusa, e ha capito benissimo che tipo di affetto la leghi a lui. Ma sa anche che, in qualche modo, tu sei riuscito ad inserirti in quel sistema di fiducia e necessità reciproca che era faticosamente riuscito a creare.»
Irthen scosse il capo.
«Quindi l'avrebbe imprigionata solo perché io e lei siamo diventati amici?! È ridicolo!»
«Non è colpa tua, è colpa della fuga di Jonna. Con lei ha fatto un errore tremendo, le ha confidato ogni suo progetto, senza alcuna riserva, e lei…beh, lo sai. Ora, Ruben è insicuro, non sa più di chi fidarsi, continua a cambiare idee e prende decisioni pericolose ed avventate, e converrai con me che queste non sono le doti migliori in un leader. Più ha l'impressione che la sua posizione vacilli, più vacilla davvero» concluse con un sospiro.
Era per questo che aveva allontanato Liam, si disse Irthen, una decisione assurda ed irrevocabile presa su due piedi, perché erano troppe le persone che iniziavano, più o meno inconsciamente, a stringerglisi attorno.
«Cosa succederebbe se una di queste sue cazzate ci costasse l'osso del collo, a Cyanor?» domandò.
«È quello che mi domando anch'io. Il suo successore naturale sarebbe Konstantin, ma con lui assente…»
«…Con lui assente resti tu» concluse il ragazzo.
Amina gli lanciò uno sguardo eloquente mentre la chiatta perdeva velocità e si avvicinava al molo.
 
Il palazzo di Re Storr era pieno zeppo di orchi e orchetti. Entrando nel salone principale, Abby fu sopraffatta dalla nausea e dalla repulsione che tutti quei grugniti e quegli odori pungenti le suscitavano.
«Neanche fossero a casa loro, sporchi pidocchi…» mormorò gettando uno sguardo disgustato attorno a sé.
Era proprio necessario allearsi con quella spazzatura?
Un orco le si fece incontro gesticolando con una coscia di pollo stretta nel pugno.
«No, no, per carità! Mangiala pure tu, sì?» sbottò lasciando velocemente quell'ambiente immenso.
Nel suo vagabondare, Abigail aveva avuto modo di esplorare a fondo le rovine della vecchia Cyanor. Sapeva che, oltre alla facciata decadente di quelle pietre, si nascondevano ancora dei nuclei pulsanti di energia magica. I maghi dei tempi passati dovevano essere stati ben più potenti dei suoi contemporanei per aver lasciato un'impronta tanto netta e resistente. Magari, erano maghi fatti della pasta di Lukas dell'Aria. Magari era proprio quello il motivo che aveva spinto Nastomer a farseli amici.
Scosse il capo per allontanare quei pensieri assurdi. Aveva cose molto più importanti a sui pensare, per esempio il fatto che Ruben fosse ormai al confine con la Piana di Thann. Che cosa avrebbe scelto di fare? Accamparsi sul limitare della zona nemica per la notte e proseguire alle prime luci dell'alba, oppure cavalcare nottetempo? I draghi erano inquieti, erano incapaci di pazientare e attendere lo svolgersi spontaneo degli eventi. E, in un certo senso, lo era anche lei. Da più di cinque anni progettavano quel momento, ma ora che il cappio iniziava a stringersi attorno al collo dei suoi nemici, Abby sentiva sempre più forte il richiamo delle grandi pianure calde dell'Est. Che assurdità.
"Per Lumia. Lo faccio per Lumia", si disse.
Man mano scalava i piani del palazzo di Storr, la presenza dei suoi sgradevoli abitanti si faceva sempre più lontana. La pace dei piani superiori era intaccata solo dagli scricchiolii dei cedimenti e, ogni tanto, dal ringhio di un drago proveniente dall'esterno. Improvvisamente, qualcosa di insolito attirò la sua attenzione. Proprio sopra alla sua testa si dipanavano i grandi ambienti magici, le Stanze di Storr, ancora permeati di energia dopo tutti quei secoli. Eppure c'era qualcosa di insolito, come se l'aria avesse iniziato a vibrare su una frequenza differente. Come se un'energia diversa si fosse inserita nella maglia del lento e costante decadimento di quella enorme struttura.
"C'è un intruso" realizzò con un brivido di eccitazione.
 
Liam deglutì a vuoto. Jonna, illuminata dall'alone caldo della torcia che reggeva, gli faceva strada nei sotterranei del palazzo di suo padre, assecondando il desiderio del mago di incontrare Lukas dell'Aria. La figura sottile, avvolta da un vestito ben meno maestoso di quelli che era solita indossare a Natìm, procedeva con passo spedito, rischiando senza esitazioni di capovolgere la propria posizione agli occhi di Micael. Liam era confuso: lo faceva per lui, per ribellarsi a suo padre, oppure c'era qualcosa che gli sfuggiva? Che interesse poteva avere la sua supposta innamorata ad inimicarsi anche quella fazione, oltre a quella con sede a Natìm? Il corridoio si inoltrava nelle profondità di pietra dell'edificio, e la falda acquifera sottostante la città di Torat trasportava le vibrazioni della battaglia in corso davanti alle mura fino a lì. Al mago iniziava a mancare l'aria.
«Manca molto?» domandò con un filo di voce.
«No. Tieni duro.»
Nella luce tremolante, il corridoio di pietra finì bruscamente contro ad una porta rinforzata con fasce di ferro. Jonna bussò tre volte e, dall'altra parte, la voce di Rayhana domandò:
«Parola d'ordine?»
La bionda sospirò.
«Tutte le volte, Ray? Dai, aprimi che Liam sta per svenire…»
Liam sentì una serie di chiavi girare nelle toppe e una serie di chiavistelli scattare. Poi la pesante porta si schiuse.
«Veloci» disse Rayhana lasciandoli passare.
Non appena varcata la soglia, Liam si sentì rinascere. Prese un respiro profondo e si guardò intorno con stupore. Pensava che si sarebbe trovato in una cella, ma si sbagliava di grosso: Rayhana li aveva accolti in un salottino comodo e ben illuminato, dove l'aria era fresca e pulita e la luce sembrava irradiare dalle pareti.
«Ma come è possibile?» balbettò.
La maga scoppiò a ridere.
«Sai quello che si dice delle stanze magiche di Cyanor?»
Liam scosse il capo, pensando a Konstantin, alla follia di quel piano, e domandandosi se Jonna avesse raccontato anche quello a suo padre.
«Beh, Alec sostiene che Storr abbia creato delle stanze magiche all'interno del suo palazzo. Attraverso la magia propria e di altri tre maghi, avrebbe reso le stanze…si potrebbe dire invisibili, accessibili solo ai maghi. Noi non siamo capaci di fare una cosa simile, è troppo complessa e non sarebbe nemmeno servita allo scopo. Quello che serviva a noi era isolare il prigioniero ed impedirgli di ribellarsi attraverso la magia. Un mago per ogni elemento è intervenuto sull'ambiente che ci circonda, e questo è il risultato!» concluse lanciando occhiate fiere attorno a sé.
Liam annuì, poco persuaso.
«Un ottimo risultato» commentò.
Rayhana guardò Jonna con aria confusa.
«Perché siete qui? Sai che quest'aria è riservata…»
«Liam vorrebbe vedere il bambino» disse Jonna.
«Ce l'ha l'autorizzazione di Mik?»
La bionda esitò.
«Non ce l'ho» sospirò Liam. «Ma se avete incantato la sua cella in quattro, che danni potrei mai fare da solo? Suvvia, Ray, abbiamo combattuto fianco a fianco e ti sei fidata di me…»
«Non è che non mi fidi, caro Liam, è che c'è in ballo il mio osso del collo!»
«Accompagnalo tu» suggerì Jonna.
Rayhana la guardò storto per un momento, poi sembrò rassegnarsi.
«Sta bene. Ma Mik non lo saprà mai» capitolò.
Liam sorrise, soddisfatto, e la seguì fino alla porta incernierata della cella del piccolo Lukas. Sperava che il bambino cogliesse il significato di quella visita senza bisogno di specificarlo: lui sapeva come fermarlo, anche se non aveva ben chiari i dettagli, ed ora era lì con lui, pronto ad intervenire in qualunque modo possibile. Prese un respiro profondo e attese pazientemente che la maga aprisse tutti i lucchetti.
«Fammi almeno questo piacere, Jonna, richiudi tutto una vola che saremo dentro.»
Una volta all'interno, Liam sentì appena l'eco delle serrature che scattavano di nuovo, la sua attenzione attratta dalla figurina raggomitolata in un letto troppo grande. La cella di Lukas era confortevole come la stanza che il mago aveva appena lasciato, ma l'aria sembrava diversa, più pesante. Liam si avvicinò al bambino addormentato e si sedette sulla sponda del letto.
«Lukas» sussurrò, scuotendolo dolcemente.
Il bambino spalancò gli occhi argentati e sorrise; per un momento sembrò un bambino normale.
«Liam dell'Acqua. A Torat anche tu» constatò.
Poi volse lo sguardo verso Rayhana.
«Ciao, strega. Come sta Alec? Si annoierà ora che non deve più inseguirmi.»
La maga ghignò e Liam non poté fare a meno di rabbrividire.
«Come stai?» domandò, cercando di mantenere l'autocontrollo.
«Stavo meglio prima di scoprire che sei anche tu prigioniero di Micael» rispose rizzandosi a sedere.
Liam scosse il capo.
«No, ti sbagli. Non sono prigioniero.»
Lukas si rabbuiò.
«Allora perché sei qui?»
Liam sorrise davanti allo smarrimento improvviso del bambino.
«Ho seguito una donna» disse. «Una donna di cui non potrei fare a meno.»
Lukas storse il naso.
«Gli adulti sanno essere davvero stupidi.»
Rayhana scoppiò a ridere.
«Prendetemi pure in giro come se non ci fossi» disse Liam, domandandosi quanto fosse lontana dalla verità la sua precedente affermazione.
«No, il fatto è che ha ragione! Guarda in che guaio ti sei cacciato tu! Per seguire Jonna hai dovuto attraversare la Terra dei Tuoni, un campo di battaglia, e ti fai maltrattare da quello squilibrato di Micael. Credo di invidiarla un po', quella ragazza» disse con un sorriso.
Liam sorrise a sua volta, sperando di dissimulare l'imbarazzo.
«Che cosa fa Ruben?» domandò Lukas soffocando uno sbadiglio.
«Eh, questa è una gatta da pelare…» mormorò Liam.
Non sapeva quanto fosse il caso di rivelare a Rayhana. Jonna bussò alla porta, togliendolo di impiccio.
«Credo stia arrivando qualcuno!»
Lukas lanciò un ultimo sguardo penetrante a Liam, facendogli sperare che il succo del messaggio fosse passato, poi tornò a stendersi, voltandogli le spalle.
Poco dopo essersi immersi nell'oscurità opprimente del corridoio di pietra, Liam e Jonna incontrarono Joan.
«Oh, da dove arrivate voi due?» domandò.
«Sto facendo vedere il palazzo a Liam» rispose freddamente Jonna. «Tu dove vai?»
Joan sorrise, per nulla toccata dal tono della sua interlocutrice.
«Vado a fare compagnia a Ray.»
«Hai l'autorizzazione di mio padre?» insistette Jonna.
"Ma guarda che faccia tosta", pensò Liam. La prese sottobraccio e disse:
«Sono certo che ce l'abbia, tesoro. Andiamo ora, o non farò in tempo a vedere tutto prima che faccia buio…»
Jonna si lasciò trascinare via di malavoglia ma senza opporre resistenza, e Liam non osò guardarsi indietro per vedere la luce della torcia di Joan scomparire nel buio.
Davvero non era possibile evitare di massacrarsi a vicenda?
 
Konstantin si irrigidì e mormorò:
«Lo sentite?»
Aqua si mise in ascolto, tutti i sensi tesi a cogliere ogni variazione dell'ambiente circostante. Hailie soffocò un'imprecazione premendosi le mani sulla bocca, mentre anche Aqua comprendeva lo sgomento dei suoi compagni: due auree potentissime avanzavano verso l'ingresso delle Stanze di Storr. Le auree dei due stregoni, non potevano esserci dubbi.
«Che facciamo?» domandò.
«Combattiamo, che altro?» mormorò Hailie.
Stan annuì.
La grande porta d'ingresso vibrò e si dissolse lentamente, per rivelare le due figure che Aqua mai avrebbe desiderato trovarsi davanti: Caleb, i capelli castani raccolti sulla nuca e la sciabola assicurata in cintura; Abigail, la pelle scura che faceva contrasto con il verde opalino degli occhi.
«Te l'avevo detto Caleb, sì?» ghignò quest'ultima, scostandosi una treccina dal viso.
Aqua rabbrividì.
«Il vecchio Djalmat non ha più il fiuto di una volta» rispose Caleb con aria di rimprovero.
Poi sorrise.
«Tre cuccioli che hanno perso la strada di casa…li aiutiamo noi, Abby?»
«Mi pare doveroso.»
Caleb sguainò la sciabola ed Aqua trattenne il respiro.




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Hola!
Come potete notare, la mia breve permanenza al mare non ha fruttato grandi novità nella Cascata, e, siccome il procastinare è un'arte, lo scontro con Abby e Caleb lo dovremo penare ancora un po'.
Immaginatemi al mare: aprendo la mia borsa, ci si trovava la crema solare, la settimana enigmistica, una Replay verde, Solomon Kane (letture leggere da ombrellone, la mia migliore amica mi ha impedito di portarmi la Gerusalemme Liberata...) e Liam! Ad onor del vero, c'era anche l'ebook, completo della spassosissima "Reviad", antica storia di Hareth rivisitata da lei stessa in una versione scompisciosissima (ve la consiglio!).

Inutile che vi dica che all'idea di Ruben che cavalca "nottetempo" me lo sono visto in compagnia di Stan Picchetto -.-


Baciiiii

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Capitolo 53
*** Il potere del Fuoco ***


Caleb fece un passo avanti, la sciabola che luccicava in modo innaturale stretta nel pugno. Konstantin sfoderò a sua volta la spada: per una frazione di secondo, l'aria attorno al mago vibrò di una luce smeraldina.
«Se questa è da considerarsi una sfida, io mi prenderò le signorine» disse Abigail preparandosi allo scontro.
Aqua non aveva mai visto una spada come la sua. Sapeva di possedere un'arma vecchia ed ordinaria, ed iniziava a domandarsi se avrebbe retto l'impatto. Per dirla tutta, non era nemmeno un granché nel corpo a corpo.
«Portiamola lontano da Stan» disse Hailie afferrandola per un polso e trascinandola nella stanza attigua.
Aqua la lasciò fare, convinta che la cosa non avrebbe giovato a nessuno, e tenne gli occhi incollati su Abigail. Lo stregone sbuffò e si incamminò dietro di loro, come se quella messa in scena non fosse altro che l'ennesima seccatura.
Hailie corse fino quando non ebbe raggiunto la porta intarsiata che divideva l'ultima stanza dal resto del palazzo.
«Perché così lontano? E se avesse bisogno di noi?» domandò Aqua.
«Non dire assurdità, è più facile il contrario! Stan è il mago di elemento Terra più potente attualmente in vita!»
Aqua sapeva che aveva ragione, ma lo sguardo feroce negli occhi verdi di Abigail le incuteva meno timore ora che avevano smesso di scappare. Sollevò la spada davanti a sé, e vide Hailie fare altrettanto.
«Non so se possa considerarsi leale il due contro uno…»disse Abigail senza scomporsi.
«Uno stregone che parla di lealtà? Ma non farmi ridere!» sbottò Aqua.
Senza preavviso, la donna si lanciò su di lei. Aqua parò il colpo, mentre Hailie ne approfittò per attaccarla. Ma il suo fendente non arrivò a colpirla, perché una barriera respinse la spada della maga. Aqua attaccò a sua volta, caricando l'arma di tutta la sua energia magica, ed Hailie fece altrettanto. Lo stregone digrignò i denti ma non arretrò. Forse la bionda aveva ragione, Stan se la sarebbe potuta cavare meglio di loro, ma questo non cambiava le cose: essersi allontanate tanto dal loro compagno avrebbe potuto costare loro la vita.
 
Irthen si schermò gli occhi mentre guardava il sole inclinato ad Ovest. L'estate volgeva al termine, le giornate erano sempre più corte e l'aria al tramonto gli faceva pizzicare il naso. La prospettiva di passare una notte in sella non lo allettava per niente, soprattutto perché era ancora tanto vivido il ricordo di una notte simile, forse appena più limpida di quella che si prospettava, passata in quello stesso luogo in compagnia di Abby. Solo che, allora, la Piana di Thann brulicava di orchi mentre oggi sembrava deserta a perdita d'occhio. Si augurava che tutta quella desolazione fosse la conseguenza dei combattimenti in corso qua e là per la Terra dei Tuoni, ma di certo non era normale che non avessero ancora intravisto anima viva dal loro sbarco. Se c'era una cosa che aveva capito di Abigail, era che lei sapeva sempre tutto, perciò di certo era a conoscenza della loro presenza, e per quanto rapida potesse essere stata l'organizzazione dell'operazione, gli stregoni li stavano tenendo sotto controllo. Allora perché non li avevano fermati? I volti dei suoi compagni di viaggio si facevano sempre più tesi: non era l'unico a percepire la minaccia nell'aria.
«Irthen?»
Il ragazzo si riscosse e rimise Baio al passo per affiancarsi al cavallo di Chloé.
«Qualcosa non va?» domandò la bionda.
«Non lo trovi strano? Tutto questo vuoto e questo silenzio?» domandò con un filo di voce.
Chloé annuì.
«Ci stiamo andando a cacciare in una trappola, questo è evidente. Ma ormai siamo qui, e mi sembravi favorevole a questo piano…»
«E lo sono ancora» sbottò. «Solo che…»
Volse lo sguardo alla colonna di cavalli e carri e deglutì.
Chloé si protese verso di lui per posargli una mano sulla guancia.
«Sei cresciuto così tanto, Ir. Liam me lo diceva, ma credo di non avere mai preso sul serio le sue parole prima di due giorni fa.»
Irthen cercò di sorridere, consapevole di non essere bravo a dissimulare l'imbarazzo.
«Ogni come andrà a finire, ogni cosa ci troveremo a dover combattere, non sarà stato invano» concluse la ragazza.
Nei suoi occhi c'era uno sguardo determinato che Irthen si trovò ad invidiare. Sapeva che aveva ragione, che era loro dovere fare il possibile per tutelare tutte quelle persone che vivevano nelle popolose città del Centro-Nord, ma sapeva anche che presto — troppo presto — avrebbe dovuto affrontare Abby. Il solo pensiero lo dilaniava. Lei si era servita di lui, l'aveva usato senza il minimo scrupolo, eppure la sola idea di trovarsi sul fronte opposto gli spezzava le ginocchia. Forse era per quello che aveva voluto Yu accanto, perché il qualche modo annullava l'incantesimo di Abby. Irthen fu scosso da un brivido: l'aveva liberata e portata in quel vuoto a morire per puro egoismo.
 
Gli attacchi dello stregone erano precisi, senza il magazzino di energia costituito dalla stanza nella quale si trovava, Aqua non sarebbe riuscita ad assorbirli.
Il piano di Konstantin, in qualche modo, funzionava: obbligando Abigail a combattere contro di lei, la costringeva a servirsi dell'elemento che meglio contrastava la magia dell'Acqua, il Fuoco, che lo stregone non governava bene quanto gli altri.
Aqua aveva la tragica consapevolezza che la spada da sola non avrebbe tenuto in vita a lungo né lei né Hailie, perciò non si fece scrupoli a servirsi della magia latente del palazzo. La sua compagna, invece, era più prudente, e si notava chiaramente dal respiro sempre più affannoso e dai movimenti sempre più lenti. Sapeva di avere a disposizione meno energia di quella che Storr aveva lasciato per Aqua, e la gestiva con oculatezza. Troppa oculatezza. Abigail aveva notato la sua difficoltà e aveva concentrato gli attacchi su di lei, obbligando Aqua a triplicare gli sforzi.
Aqua sollevò la spada per attaccare, ma esitò: da qualche parte, nelle stanze attigue, si era verificata un'esplosione che aveva fatto tremare il pavimento di pietra. L'aria, satura di magia, vibrava. Hailie deviò all'ultimo momento un colpo dello stregone diretto alla testa di Aqua.
«Sveglia, Aqua! Che ti prende?!» ansimò la maga.
Aqua si riscosse.
«Devi tornare da Stan!» disse caricando la spada di energia e attaccando.
«C-cosa?» balbettò Hailie.
«Vai, Hay, muoviti!» gridò.
Hailie corse via. Abigail si volse per inseguirla e Aqua ne approfittò: il suo incantesimo colpì lo stregone tra le scapole e lo scaraventò contro alla parete.
La maga attaccò di nuovo, ma Abigail fu pronta a schivarla. Si lanciò di lato e balzò in piedi. Si asciugò con il polsino della camicia un rivolo di sangue che le scendeva dal labbro. Gli occhi verdi brillavano di una luce folle, e Aqua capiva benissimo perché il fratello di Liam avesse perso la testa per lei.
«Chi ti credi di essere, inutile pulce?» sibilò, avanzando minacciosamente.
Aqua percepì con estrema chiarezza una goccia di sudore che le correva giù lungo la spina dorsale. Quella piccola macchia rossa  sul polsino bianco era la prova che anche uno stregone poteva subire danni, che anche l'attacco di una maga mediocre poteva andare a segno.
Abigail rinfoderò la spada e alzò i palmi e Aqua si preparò a contenere il colpo. Chiamò a raccolta il suo potere e innalzò uno scudo protettivo. Il pavimento tremò di nuovo, ma la maga non aveva il tempo di domandarsi cosa stesse succedendo ai suoi compagni. La vista del sangue le aveva, per una frazione di secondo, acutizzato i sensi, ma ora che il momento era passato, quella specie di velo rosso stava tornando a posarsi sui suoi occhi, a filtrare il reale e a confonderlo con il mondo dentro di lei. Scosse il capo. Non poteva perdersi, non ancora, non mentre Abigail si preparava a scatenare tutta la sua furia su di lei.
Dalle mani dello stregone si sprigionò un'energia potentissima che investì il suo scudo con la violenza di un uragano. Aqua boccheggiò, senza fiato. Un turbine di fuoco le vorticava attorno, tanto vicino da scottarle il viso. Ma lo scudo continuava a reggere.
Il pavimento tremò di nuovo, più forte, e la maga vacillò. Anche l'incantesimo di Abigail perse  intensità mentre i vetri della stanza esplodevano in migliaia di schegge.
Un frammento ferì lo stregone, deconcentrandolo. La vibrazione delle Stanze di Storr non accennava a placarsi e i libri cadevano dalle librerie.
"Crollerà!", realizzò improvvisamente Aqua.
Il palazzo era tenuto insieme dalla magia che permeava quegli ambienti, magia che loro avevano dovuto integrare e ritoccare, perché rischiava il collasso. Ora se la stavano riprendendo, e il palazzo non aveva più di che sostentarsi.
Con un'esplosione, la porta della stanza si disintegrò e sull'uscio comparve Hailie.
Abigail non perse tempo e la attaccò, ma la maga schivò e si lanciò oltre la zona protetta dallo scudo di Aqua.
«Che sta succedendo?» domandò Aqua.
«Dobbiamo andarcene, o resteremo sepolti dalle macerie!»
In quel momento, come una furia, entrò Caleb.
«Dov'è Stan?!» esclamò Aqua.
«Sta bene, credo. Ora interrompi l'incantesimo, dobbiamo andare.»
«Non me ne vado senza di lui!»
«Non è il momento di questionare! Al mio tre…»
Hailie le strinse il polso.
«Uno…»
Sollevò l'altra mano e caricò un incantesimo.
«Due…»
Aqua strinse i denti. Caleb aveva aggiunto la sua energia a quella di Abigail.
«Tre!»
La maga interruppe l'incantesimo e si sentì strappare da terra. Una luce azzurra invase la stanza e in un battito di ciglia Aqua poteva osservare dall'esterno il palazzo di Cyanor crollare come un castello di carte.
Udì il ruggito di un drago, poi più nulla se non il sibilo del vento nelle orecchie, mentre la piana di Thann illuminata da un tramonto rosso scorreva sotto di loro.
 
 Irthen non aveva idea di come funzionasse, ma trovava che il modo in cui quei maghi di elemento Aria potevano spostare sé stessi e gli altri fosse a dir poco eccezionale. La comparsa improvvisa di Aqua e di Hailie li aveva colti tutti di sorpresa e aveva gettato la carovana nel panico. Ruben aveva ordinato che fosse dato loro da mangiare e da bere mentre spiegavano perché avessero disobbedito al comando ricevuto di aspettare i rinforzi a Cyanor.
«Quando sono arrivati gli stregoni, ci hanno messo poco per scoprirci…» iniziò Aqua.
«Ma le stanze non erano protette?» domandò Timothy.
«Non contro di loro. Lo abbiamo scoperto solo due giorni fa, all'incantesimo di occultamento delle stanze prese parte anche Nastomer. Per questo gli stregoni sono riusciti ad entrare, era un potere simile al loro!»
«Avete combattuto?» domandò Debrina, che fino a quel momento se n'era stata zitta in un angolo.
Aqua le lanciò un'occhiata intensa mentre Hailie annuiva.
«Stan ha fatto in modo che Caleb si concentrasse su di lui, per impedirgli di attingere al potere della Terra, e ha lasciato Abigail a noi.»
Irthen sussultò.
«Dov'è Stan?» domandò Amina dando voce alla domanda che nessuno osava esternare.
Aqua guardò Hailie, che sospirò.
«Quando abbiamo sentito il primo boato, Aqua mi ha pregata di andare ad aiutarlo contro Caleb, e così ho fatto. Ma il problema non era lo stregone: il palazzo stava collassando. La struttura delle stanze era fragile sin dall'inizio, avevamo cercato di stabilizzarla, ma il combattimento l'ha danneggiata ulteriormente. Konstantin, che è legato alla Terra, l'ha capito prima di me. Mi ha detto che ce ne saremmo dovute andare prima dell'implosione, di portare via Aqua e di non preoccuparsi di lui perché aveva un piano.»
Irthen faticava a prendere fiato. Ascoltava il racconto in apnea.
«Lui ha attinto alle ultime energie del palazzo e si è tramutato in pietra» concluse.
Un silenzio attonito calò sulla piccola platea.
«È…è vivo?» balbettò Amina, pallida come un cencio.
Hailie annuì.
«Mi ha detto che solamente lui avrebbe potuto infrangere quell'incantesimo, e che in quel modo sarebbe stato invulnerabile sia agli stregoni che al crollo, fino al nostro arrivo…»
«E tu gliel'hai lasciato fare?» esclamò Aqua. «Cosa succederebbe se Caleb scoprisse come annullare l'incantesimo? Oppure se…se lo disintegrasse?!»
«Cos'altro avrei potuto fare?» mormorò Hailie.
Il sole era completamente tramontato quando la carovana si rimise in marcia. Irthen non riusciva a togliersi dalla mente le lacrime trattenute negli occhi di Amina, e avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa, perché quella cavolo di guerra finisse. Perché Mina non dovesse più piangere, perché Yu la smettesse di dimagrire, perché Liam lo riportasse a Pothien da Jeremy.
Rallentò fino a raggiungere le retrovie e i carri, su uno dei quali viaggiava Yu, e si augurò di non dover sopportare altre lacrime.
 
Liam represse l'ennesimo sbadiglio e accarezzò il muso lungo di Sophia. I bagagli erano pronti, il suo cavallo era pronto, i maghi di Micael erano pronti…e lui?
Quando, la sera prima, Mik aveva annunciato che alle prime luci dell'alba sarebbero partiti per Cyanor, si era sentito sereno e determinato, ma ora che il momento era giunto le gambe gli tremavano.
"Che razza di fifone", si disse. "Tuo fratello ha dieci anni in meno di te e il doppio del fegato".
«Stai bene?» domandò Rayhana comparendo accanto a lui.
Liam annuì.
«Tu?»
La ragazza sospirò.
«Non vedo come la mia situazione potrebbe peggiorare.»
Liam sorrise.
«Che scarica di ottimismo!»
Rayhana ghignò.
«Scusa se la prospettiva di morire tra atroci sofferenze alle tenera età di vent'anni non mi alletta. Anche se, forse, restando qui non andrebbe molto meglio…la mia famiglia se n'è fatta una ragione da un pezzo, comunque.»
«Hai parenti qui? A Torat?» domandò Liam.
«I miei genitori, una sorella, un fratello e il mio fidanzato. Dice che mi sposerà, se tornerò viva…»
Sospirò di nuovo e nei suoi occhi passò un lampo di tristezza.
«Quindi vediamo di portarla a casa questa vittoria, d'accordo?» aggiunse, guardando verso Ovest.
Liam annuì, combattuto tra l'ammirazione e la disapprovazione: lui non aveva quasi niente da perdere in quel conflitto, ma lei? Lei che aveva una famiglia, un futuro…perché lo faceva?
Si guardò intorno, cercando di individuare la figura di Jonna, ed eccola là. Stava accanto a suo padre, a cavallo di un purosangue alto due volte di lei. Faceva fresco, ormai, a quell'ora del mattino, ma lei portava le maniche sopra ai gomiti. L'orrenda cicatrice che il fuoco di Djalmat le aveva inciso nella carne del braccio sinistro si confondeva nel pallore della sua pelle. Era la prima volta che vedeva la maga esporla a quel modo, come un trofeo.
Liam scosse il capo obbligandosi, a fatica, a guardare altrove.
 
Amina avvicinò Irthen con circospezione.
«Ruben dice che presto dovrebbe comparire Cyanor» disse.
Irthen si guardò attentamente intorno, chiedendosi se fosse possibile. Il sole faceva capolino in mezzo alle nuvole, ad illuminare una sconfinata distesa verde. Niente orchi all'orizzonte.
«Come sta Yu?» domandò la maga avvicinandosi di più.
«L'ho vista stare meglio» mormorò, ripensando ai cerchi scuri attorno agli occhi della loro clandestina.
Amina sospirò.
«Tienila su di morale, Ir» disse, prima di allontanarsi.
Irthen prese un respiro profondo. Nel corso della mattinata, Ruben aveva ricevuto messaggi da parte degli elfi e delle truppe delle città dell'Ovest. Erano posizionati tra le paludi e le mura Sud-Ovest della città, in attesa dell'arrivo dei maghi dal Nord.
Se era vero quanto gli avevano raccontato, Djalmat aveva distrutto da solo la città di Madian in una notte. Quanto ci avrebbe messo a disperdere il loro esercito?
Un messaggio interessante era giunto anche da Est: ad ora di pranzo, il Maestro aveva riferito che l'esercito di Micael era in marcia per Cyanor, e sarebbe giunto in vista della città entro notte. Se Liam era vivo, probabilmente sarebbe stato con loro, ma come poteva saperlo? Non poteva certo chiedere informazioni, dal momento che tutti lo credevano un disertore.
Ad un certo punto della marcia, il cavallo di Aqua si era affiancato a Baio. La maga aveva cavalcato al suo fianco in silenzio per qualche tempo, prima di rompere il ghiaccio con l'intenzione di chiedere notizie di Yu.
«Amina mi ha detto tutto» si giustificò davanti alla confusione di Irthen. «Non ha molto senso che se ne resti chiusa in un carro, dal momento che prima o poi Ruben la dovrà per forza notare…»
Irthen scosse il capo, sconsolato.
«Se riesci a convincerla ad uscire di lì, sei la benvenuta» rispose. «In ogni caso dovrà farsene una ragione…guarda!» disse puntando il dito verso un profilo scuro e frastagliato che emergeva dalla linea piatta dell'orizzonte. «Quella è Cyanor.»
Aqua deglutì e si spostò i lunghi capelli sulla spalla.
«Vista da qui è ancora più inquietante.»
Irthen sorrise.
«Pensa che l'altra volta che sono stato qui ero a cavallo con Abigail…» mormorò.
Aqua lo guardò di sottecchi.
«Com'è stato viaggiare con lei?»
Irthen si rigirò l'anello intorno al dito.
«È stato…frustrante, in un certo senso. Ogni cosa io facessi, o dicessi, o pensassi, sembrava che lei l'avesse già calcolato e previsto. Abby è…una forza della natura, un uragano, ecco!» concluse con un sorriso. «Mi spaventa l'idea di rivederla.»
Lo sguardo di Aqua si indurì.
«Ne farei volentieri a meno anch'io…non so per quanto avrei potuto resistere contro di lei, e di certo senza l'appoggio dell'energia di Storr non sarei qui, ora. È come dici tu, è un uragano…»
Irthen riportò lo sguardo alle mura di Cyanor e sospirò. Abby sapeva che lui era lì?
 
"Questo cavallo è stato un affare", pensò Liam quando si rese conto di quanto poco si stancasse Sophia rispetto ai normali cavalli dei suoi commilitoni, "ma quanto a compagnia, Baio non lo batte nessuno".
Se la colonna avesse potuto tenere i ritmi dell'Antico del Sud prestatogli ha Horlon sarebbero arrivati a Cyanor in un baleno. Ma nonostante la sfoltita che Micael aveva dato alla sua schiera decidendo di lasciare a Torat tutto il superfluo — reparto infermeria e vettovaglie inclusi, scelta opinabile nella prospettiva di un assedio — i nani rallentavano notevolmente i ritmi. Cavalcavano pony, non si poteva pretendere di più da loro. Ma Liam fremeva al pensiero di Irthen su un campo di battaglia, e ogni minuto di attesa gli pesava come un macigno sullo stomaco.
Jonna cavalcava accanto a lui da quella mattina, silenziosa e con l'aria cupa. Aveva ceduto il suo posto alla destra di Micael ad un esaltatissimo Alec, senza celare la gioia per la separazione dal padre. Liam sperava di poter alleviare la tensione conversando con lei, ma era evidente che Jonna non era dello stesso parere. Pazienza, già averla accanto era una buona distrazione.
"In guardia, Li'", ripeteva la sua vocina interiore, "ha agilmente fregato Ruben, non le ci vuole niente a fregare anche te…"
Era possibile che Jonna gli ronzasse attorno perché ancora non si fidava, ma nell'immediato la cosa aveva poca importanza: il piano puerile di Liam stava funzionando. Si stava dirigendo a Cyanor, e, in un carro poco distante da lui, Lukas dormiva un sonno incantato impostogli da Ophelia. Ora non gli restava che capire che cosa significasse quella specie di indovinello del colibrì…una cosa da nulla, insomma.
 
«Ci accamperemo qui» disse Ruben smontando da cavallo.
Irthen non riusciva a staccare gli occhi dalle mura imponenti di Cyanor, che incombevano su di loro. Gli sembrava che fosse passata una vita dalla prima volta che si era trovato davanti a quella che dalle sue parti veniva chiamata Città dei Morti. Non si vedeva anima viva, nemmeno un uccello volava. Tutta apparenza: orchi, orchetti, draghi e stregoni era il minimo che potessero aspettarsi.
«Attaccheremo con le prime luci del giorno» proseguì il Maestro. «Voglio James, Amina, Debrina, Gedeone e Tiana con me per un sopralluogo a ridosso delle mura. Gli altri montino il campo e aiutino le infermiere con i preparativi.»
«Non è il caso di aspettare il giorno, Ben. Gli orchi vedono discretamente bene anche nell'oscurità, e ti assicuro che sul Llatas i draghi non si sono fatti problemi ad attaccarci in orari sleali» disse Debrina passandosi una mano tra i capelli.
«Non attaccherò una città piena di chissà cosa con il buio» ribatté Ruben.
Irthen intercettò lo sguardo di Amina e annuì, memore delle preoccupazioni che la maga aveva esternato circa la lucidità di Ruben. Avrebbe voluto rendersi utile, ma non aveva la minima idea di come fare per organizzare un eventuale piano di riserva. Forse, però, poteva approfittare dell'assenza di Ruben per cercare aiuto…In fondo, Chloé aveva l'intelligenza tattica, Aqua la conoscenza della reale situazione del territorio e Yu l'autorità. Mancava qualcosa?
 
Il cielo si era completamente coperto di nubi, ma doveva essere all'incirca il tramonto quando la carovana di Micael giunse in vista di Cyanor. I rinforzi provenienti dalle città del Sud erano in ritardo, troppo poco il preavviso dato loro. Ma la città ormai era lì, nitida nonostante il tempo che volgeva al peggio, e non c'era più spazio per i ripensamenti. Lo sguardo di Jonna si era fatto sempre più cupo, e Liam non aveva osato distoglierla dalle sue riflessioni. Si era accontentato della sua presenza muta e di quel senso di calore che promanava dalla sua persona, che fosse l'energia del Fuoco oppure altro proprio non gli importava.
In lontananza, verso Nord, si vedevano dei fuochi.
«Quello è Ruben» disse improvvisamente la ragazza, interrompendo il suo lunghissimo silenzio e facendo sobbalzare Liam.
«Potrebbe esserci anche mio fratello, là» mormorò.
Jonna si volse a guardarlo, i suoi occhi tanto inespressivi da sembrare di vetro.
«Andrai da lui?» domandò.
Imponendosi di controllare le reazioni, Liam scosse il capo.
«Non potrei nemmeno se volessi. E non sono sicuro di volere.»
Jonna sbuffò.
«Continua pure con questa farsa della fuga per inseguire me, come se fossi tanto scema da crederti! Maledizione, Liam, credevo di potermi fidare di te ormai, credevo che…che…» farfugliò.
«Ho solo detto che non potrei tornarci, ad è la verità. Per quanto riguarda le mie ragioni, ormai ha poca importanza dal momento che siamo tutti qui» mormorò. «E poi che razza di domanda è?! Se anche ci volessi andare, ti pare che te lo direi?!»
Jonna abbassò lo sguardo.
«È vero, ma mi sembrava doveroso chiedertelo.»
Una volta giunti a ridosso delle mura, Micael ordinò che si montasse il campo, o almeno quella parvenza di accampamento che i loro scarsi bagagli consentivano di montare.
«Attenti a Ruben dell'Aria, non mi fido di lui. Potrebbe attaccarci con il favore della notte. Voglio delle sentinelle. Alec, scegli dieci nani e mettili di ronda. Dormite, se potete, ma pronti per ogni evenienza. Questo posto non mi piace» concluse.
Liam si trovò un angolino il più lontano possibile dai nani. Non gli avevano fatto niente di male, ma erano decisamente troppo chiassosi per i suoi gusti. Montò la piccola tenda che Micael aveva avuto la compiacenza di fargli avere e vi si rintanò. Non aveva nessuna voglia di starsene lì fuori ad aspettare di veder sbucare un drago, o Caleb, o Caleb a cavallo di un drago. O peggio, Abby. Abby e Caleb a cavallo di un drago. Abby e Caleb, ciascuno a cavallo di un drago. Scosse vigorosamente il capo per liberarsi la mente da quelle immagini inquietanti.
«Cerchi di far scappare i pidocchi?» domandò Jonna, facendo capolino dall'ingresso.
«Io non ho i pidocchi!» esclamò Liam, indignato.
Jonna sorrise.
«Non sia mai che i tuoi capelli abbiano qualcosa di cui lamentarsi.»
Liam sorrise a sua volta. Che cavolo ci faceva la regina delle nevi nella sua tenda?
«Mi controlli?» domandò.
«Certo, devo pur occupare il tempo» scostò il lembo della tenda e guardò fuori. «Si è fatto buio.»
Temendo di essersi perso qualche passaggio, Liam domandò:
«Vuoi sederti? Non ho granché da offrirti, ma una coperta da mettere per terra ce la dovrei avere…»
«Grazie.»
Liam accomodò la coperta sull'erba e si sedette accanto alla ragazza.
«Adesso mi dici che cosa ci fai qui?» disse.
Jonna prese a giocherellare con un cerchietto di metallo che aveva attorno al polso.
«Tanto lo so che non ti do fastidio» rispose.
Sempre più confuso, Liam insistette:
«Non ho detto che mi dai fastidio, ma per quanto io gradisca la tua compagnia mi pare un filino strano che tu sia qui, nella mia tenda, quando tre giorni fa cercavi di convincere tuo padre a decapitarmi…»
Jonna annuì.
«La tua obiezione ha senso, lo ammetto» disse.
«Quindi?»
«Quindi cosa?»
«Quindi perché sei qui? Accidenti, Jo, mi farai invecchiare prima del tempo!» esclamò.
Jonna sorrise.
«Non lo so. È così importante? Avevo voglia di stare in tua compagnia. Dietro quelle maledettissime mura, Djalmat si sta preparando a distruggerci una volta per tutte. Lo sento, è così vicino che mi fa star male, sento la potenza delle sue fiamme scorrermi nelle vene come la mia stessa energia. Se non lo farà lui questa notte, domani sarò io ad andarlo a cercare. Ho un conto aperto con lui e ho intenzione di chiuderlo, anche se so che sarà l'ultima cosa che farò. Capisci, Li'?» mormorò.
Liam le scostò un ciuffo di capelli dal viso e deglutì a vuoto.
«Equivale ad un suicidio» disse.
Jonna annuì e fece una smorfia.
«Non piangere troppo, eh.»
Liam cercò di sorridere, sorprendendosi del nodo che improvvisamente gli aveva chiuso la gola, togliendogli il respiro.
«Mi viene da piangere già adesso, se proprio lo vuoi sapere…»
Jonna gli si avvicinò e gli passò le braccia attorno al collo.
«Che razza di uomo sei?»
«Quello sentimentale» ghignò, inspirando a fondo quell'innaturale sentore di vaniglia. «Non è quello che piace alle ragazze?»
Jonna lo baciò, e per un attimo Liam perse la cognizione del tempo. I draghi, Cyanor, la morte, la fine di tutto era così vicina e incombente, eppure gli sembrava così remota. Irreale.
«A me piace» sussurrò Jonna staccandosi da lui.
Liam sospirò e sfiorò con i polpastrelli il fiocco di neve che marchiava la pelle candida sotto l'orecchio destro. Scottava.
«Mi sento vagamente raggirato» disse.
«Anche tu hai cercato di raggirarmi» osservò lei.
«Perché tu avevi aggirato prima me…»
«Sei un credulone» disse attirandolo verso di sé.
«Aspetta un momento» disse faticosamente Liam, fermandola.
Gli girava la testa, in quella situazione c'era qualcosa di diverso da ciò a cui era abituato. Ma che cosa?
«Non allontanarmi, Li'. È immorale!» esclamò.
«Immorale?!» balbettò Liam.
«Sì, immorale! Prima di tutto, tu non vuoi allontanarmi davvero, e poi ti ho appena confessato che c'è un'altissima probabilità che questa sia la mia ultima notte di vita, non ti sembra di avere l'obbligo morale di accontentarmi?!» 
«E se poi tu dovessi sopravvivere? Che cosa succederebbe? Ci hai pensato?» domandò il mago, sempre più confuso, faticando addirittura a captare le parole di Jonna tanto sembrava assordante il suo battito cardiaco.
Jonna si imbronciò.
«Se io dovessi sopravvivere, mi piacerebbe che tu avessi voglia di sopportarmi per gli anni a venire, credo» mormorò arrossendo. «E sarebbe meglio che tu ce l'avessi davvero, dopo aver ardentemente dichiarato a mio padre di aver rischiato la vita per amor mio» aggiunse recuperando l'usuale sarcasmo.
Liam rinunciò a capirci qualcosa e la strinse tra le braccia.
«Sai una cosa? Accontentarti non mi sarebbe costato alcuno sforzo comunque, ma alla fine credo di essermi innamorato davvero di te…per quel che può contare…»
«Conta, eccome…» sussurrò Jonna.
 
Liam si svegliò di soprassalto. Doveva essere ancora buio, eppure una luce instabile si rifletteva sulle pareti della tenda.
«Dei del cielo! Ti sei svegliato finalmente!» esclamò Jonna gettandogli addosso i suoi vestiti.
«Ma che… che caz-?!» farfugliò Liam.
Qualcuno, fuori, gridava.
«Ci stanno attaccando, muoviti con quella roba!» disse lanciandosi fuori.
Tra i lembi di tessuto scostati, per una frazione di secondo, il mago ebbe una fugace visione di fiamme e si sentì cadere nel vuoto. Balzò in piedi e si vestì il più velocemente possibile, prese con sé spada e arco e si precipitò fuori.
L'accampamento era nel caos: gruppi di orchi si riversavano fuori dalla porta Est della città, mentre un drago scuro volava su di loro in ampi cerchi concentrici ruggendo lingue di fuoco. Liam si mosse alla ricerca di Micael. Lo trovò in compagnia di Rayhana, entrambi intenti a domare l'incendio che si stava propagando nel campo.
«Serve una mano?» disse aggiungendo le proprie energie alle loro.
«Dove ti eri cacciato?!» sbottò Rayhana.
«Ho il sonno pesante» si giustificò.
«No, Liam, qui ce la facciamo!» disse Micael. «Cerca Alec e dagli una mano con quel drago!»
Liam annuì e ripartì. La luce intensa delle fiamme in contrasto con il buio della notte gli feriva gli occhi, le vampe incandescenti gli scottavano la pelle. Dove si era cacciata Jonna? Quel drago non era il Re, Liam ne era certo. Cercò di guardarsi attorno e, in mezzo al caos, riuscì a distinguere un plotone di nani armati fino ai denti, diretto alla porta Est, dove già si combatteva.
Un lampo di luce partì dal suolo e avvolse il drago, facendolo vacillare. Liam si diresse verso il punto di partenza dell'incantesimo, dove trovò gli altri maghi che, capitanati da Alec del Fuoco, cercavano di abbattere il drago. Jonna non c'era.
«Alec, cosa posso fare?» domandò Liam avvicinandosi.
«Muovere il culo, Liam! Al mio tre, attaccate!»
Liam attaccò insieme agli altri maghi, senza avere davvero capito che cosa avesse in mente Alec. Una serie di fasci di energia si incrociarono e si fusero nell'aria, diretti a colpire il drago, che scartò e scese in picchiata verso di loro, sputando fiamme. Il fuoco della creatura si infranse contro ad uno scudo di energia che promanava dalle mani di Alec. Il mago digrignava i denti, ma non cedeva, pensò Liam con ammirazione. Ruggendo indignazione, la creatura virò, inseguita dagli ordini di Alec e dagli incantesimi dei maghi. Deviò le proprie lingue di fuoco di nuovo sull'accampamento, e poi sulla schiera di nani impegnati nel combattimento. Alec era ormai troppo lontano per proteggerli con il proprio scudo, gridò un avvertimento che si perse nella cacofonia della battaglia. Ma all'ultimo momento, una striscia di fuoco intercettò quella del drago. L'esplosione causata dallo scontro delle due diverse fiamme gettò nani ed orchi al suolo, ma non Jonna, che se ne stava perfettamente diritta, con le mani alzate a proteggere il suo esercito dal drago scuro.
«Non è possibile…» mormorò Joan accanto a Liam. «Non sembra nemmeno fare fatica…»
«È per via di Djalmat» disse Alec. «Il suo potere è stato influenzato dalla purezza del Fuoco di Djalmat. Più gli si avvicina, più la sua magia diventa efficace!»
Liam trattenne il respiro: che cosa aveva davvero in mente quando diceva di voler cercare Djalmat?
Dal cuore di Cyanor si levò un ruggito, il più profondo che Liam avesse mai sentito. Il drago volse il capo verso la città, con un unico, possente colpo d'ali, si librò alto nel cielo nero e scompare oltre la cinta muraria. Contestualmente, gli orchi batterono in ritirata e i nani li incalzarono fino alla porta Est.
«Che cosa significa? Perché se ne va?» gridò Malik.
«Perché Djalmat ha sentito Jonna. Per stanotte hanno rischiato abbastanza. Ci hanno dimostrato che possono coglierci imparati come e quando vogliono. Per il momento è abbastanza. Domani sarà una lunga giornata…» disse Alec.
«Per qualcuno non è ancora finita» mormorò Joan, puntando un dito verso Nord.
Liam sentì il respiro morirgli in gola alla vista della luce rossa delle fiamme che si rifletteva sulle nubi nel cielo in prossimità dell'accampamento di Ruben.




*************************
*Liam apre l'ombrello e fa posto alla Caterinella*
L: "Fidati di me, è l'unico modo per ripararsi dai pomodori"

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Capitolo 54
*** Garanzia ***


Irthen colpiva a caso ormai da un po', cercando di tenere gli occhi il più chiusi possibile e pregando di non ferire erroneamente qualcuno dei suoi. Sapeva che sul campo di battaglia sarebbe stata dura, ma nemmeno nei suoi peggiori incubi avrebbe immaginato tanto sangue e tanto terrore. Gli orchi avevano cominciato ad uscire all'improvviso dalla porta Nord della città, senza alcun preavviso. In pochi minuti era scattato il piano di emergenza: Debrina, Aqua e Timothy erano rimasti in disparte, pronti ad intervenire nel caso di comparsa di uno o più draghi; gli altri maghi, i due elfi e i pochi civili in grado di combattere avrebbero fronteggiato gli orchi e qualunque altra cosa fosse uscita dalle mura. E alla fine il drago era arrivato davvero. Le squame luccicavano di oro anche nella luce scarsa di quella notte nuvolosa, il corpo lungo e affusolato si muoveva in modo sinuoso nonostante la mole. Teneva le zampe anteriori ripiegate sotto il corpo mentre il suo peso era sorretto dalle ali immense. Si serviva della coda crestata come di un timone. Irthen non aveva mai visto niente di più perfetto. Era rimasto inebetito a fissare quella apparizione, dimentico della battaglia che lo circondava, fino a che la creatura alata non aveva aperto le fauci e non aveva sputato una vampa di fuoco. I tre maghi avevano reagito e deviato le fiamme, tra le urla provenienti dall'accampamento. Il ragazzo si era allora riscosso. Il suo compito era quello di tenere gli orchi lontano dal campo, e non era un'impresa semplice.
Ruben aveva faticosamente mascherato il disappunto per l'evidente premeditazione di un piano da parte dei suoi uomini, ma non aveva osato né potuto opporsi. In fondo, se non ci avessero pensato lui, Yu e Chloé a programmare qualcosa, se avessero accettato passivamente le disposizioni di Ruben, sarebbero ormai tutti morti stecchiti.
Ma gli orchi erano davvero tanti e, nonostante tutti gli sforzi, il fuoco cominciava a divampare qua e là, illuminando il campo di battaglia e le sue atrocità. Da quel momento, Irthen aveva iniziato a guardare il meno possibile. Perché più guardava, più la paura lo bloccava e gli faceva tremare le gambe. Come ai tempi dei Cavalli dai denti a sciabola.
Gli incantesimi sfrecciavano ovunque, intorno a lui, e il ragazzo iniziava a domandarsi se quell'inferno avrebbe mai avuto fine. Un orco si lanciò verso di lui e Irthen alzò meccanicamente la spada una volta di più. Ma prima che le lame potessero incrociarsi, l'orco fu percorso da uno spasmo e cadde bocconi. Irthen alzò lo sguardo con la bocca aperta: in piedi dove fino ad un attimo prima stava il suo avversario c'era Abigail. Indossava un mantello e teneva il cappuccio calato sul viso, ma avrebbe riconosciuto la sua figura tra milioni, così come inconfondibile era la spada che teneva in pugno. Irthen deglutì a vuoto cogliendo sotto l'ombra del cappuccio il verde di quegli occhi che bucavano la notte.
«Abby» gemette.
Un bagliore sotto il cappuccio tradì il sorriso dello stregone.
«Noto con piacere che sei ancora vivo» disse alzando Dente di Cobra davanti a sé. «E che porti il mio anello.»
Irthen si strinse istintivamente alla spada.
«Non ti sei ancora stancata di giocare?» sibilò balzando in avanti.
Quando le lame cozzarono, Dente di Cobra mandò scintille.
«Giocare? A me non è mai piaciuto giocare, tesoro» girò su sé stessa e parò un nuovo attacco di Irthen. «E poi se sei qui è soprattutto merito mio, perciò ho ripagato il mio debito, sì?»
Il ragazzo sentiva la rabbia e la frustrazione ribollirgli nello stomaco e attaccò di nuovo senza temere di poterle fare del male, cosa che sapeva di non desiderare: l'aveva vista combattere con sciacalli, con orchi e con orchetti, non era un'avversaria alla sua portata.
«Ripagato un corno! Mi hai mentito, mi hai ingannato, hai abusato di me e mi hai utilizzato come merce di scambio! Io mi fidavo di te, Abby! Mi piacevi e hai sfruttato il tuo ascendente in modo becero per obbligare mio fratello ad obbedirti!» Abby continuò a parare i suoi assalti senza rispondere e senza battere ciglio. «Anche adesso lo fai, anche adesso stai giocando con me! Attaccami, Abby! Uccidimi una volta per tutte, puoi riuscirci senza sforzo!»
In sottofondo, delle voci chiamavano il suo nome, ma suonavano lontane. Gli incantesimi si infrangevano contro ad una cupola invisibile che separava Irthen e lo stregone dal resto del mondo.
«Non sono qui per ucciderti» disse Abby.
Irthen deglutì, consapevole di essere tutt'altro che lucido e stupendosi della rabbia che gli bruciava nel petto nel posto in cui avrebbe dovuto trovarsi la delusione, o per lo meno la vergogna.
«Perché allora?» sibilò.
«Perché da questa guerra del cazzo non usciremo entrambi vivi, Ir! Bisogna sempre dirti tutto?!» sbottò. «Volevo vederti, piccolo ingrato!»
«Beh io no, perciò te ne puoi andare!»
 Abby lasciò scivolare la propria lama fino alla guardia e sorrise.
«Ingrato e bugiardo. La vedi questa cupola? Se regge così bene agli attacchi dei tuoi amici là fuori, è solo perché stai dando il tuo contributo anche tu. È la tua rabbia, Ir, che la alimenta…una rabbia che non vuoi condividere con loro.»
Irthen esitò. Non ne sapeva molto di magia, e di certo non sapeva dire se fosse possibile una cosa simile. Ma importava davvero così tanto?
«Non significa che ti volessi vedere» ribatté.
Abigail sbuffò.
«Sei una delusione, Irthen.»
Lo stregone attaccò di nuovo, e finalmente lo fece sul serio. Dente di Cobra saettò, un lampo di luce azzurrina in mezzo al rosso acceso delle fiamme. Irthen balzò istintivamente indietro, schivando per un soffio il filo micidiale della lama. Ma Abigail non si fece scoraggiare. Avanzò, continuando a menare fendenti e obbligando il ragazzo a retrocedere, in preda al panico. Sarebbe morto per mano di Abby, non aveva il minimo dubbio. Senza poter rivedere Jeremy, né Amanda, né Elias il fabbro. Senza poter più assaporare il piacere di una notte passata in compagnia di Yu. Senza riabbracciare Liam, né godere del profumo della resina di pino che aleggiava a Pothien. Che cos'è che gli aveva detto Liam quando aveva duellato con lui nel cortile del palazzo di Ruben a Natìm? Che aveva il fianco sinistro perennemente scoperto, e anche che avrebbe dovuto studiare l'avversario e cercare di anticipare le sue mosse. Smise di indietreggiare e parò. Gli occhi di Abby si assottigliarono. Che cosa sapeva Irthen di lei? L'aveva vista combattere, ma l'unica cosa che ricordava con chiarezza era che non amava fare finte. Ogni suo attacco era mirato a raggiungere l'obiettivo. Il ragazzo tentò un affondo, facilmente parato, poi un altro e un altro ancora. Abby non mostrava di fare alcuno sforzo a differenza di lui. Il sudore gli gocciolava negli occhi, le braccia gli dolevano.
«Non hai speranza contro di me, Ir!» sibilò lo stregone attaccando al fianco scoperto.
Irthen se lo aspettava e parò di nuovo, con una smorfia.
«Perché sei venuto qui? Sei uno stupido, mi costringi a farti del male!»
«Tu mi hai fatto del male dal primo momento, Abby!» esclamò aggirandola per cercare, invano, un punto debole.
«È stata tutta colpa tua!» gridò lanciando lampi di luce azzurra.
Colto di sorpresa, Irthen fu colpito in pieno petto dall'incantesimo di Abigail e si trovò improvvisamente a terra, circondato dai cadaveri. Tentò disperatamente di rialzarsi, ma si trovò bloccato da Dente di Cobra. Sollevò gli occhi dalla spada al viso di Abby, contratto in una smorfia.
«Tu eri la mia possibilità di redenzione, la mia ultima chiamata. Ho scelto di rinunciarvi. Che diritto hai, ora, di ripresentarti davanti a me?»
Irthen trattenne il respiro, la testa completamente vuota. Dall'esercito di Ruben si levò un boato che attirò l'attenzione di entrambi. Si udivano suonare corni che non appartenevano ai maghi. Il drago passò sopra il campo di battaglia e scomparve oltre le alte mura della città.
«Vieni con me, Ir» disse Abigail tornando a posare lo sguardo su di lui.
Irthen scosse faticosamente il capo.
«No. È tardi, ormai. Abbiamo entrambi perso la nostra occasione…»
Abby sospirò. Abbassò la lama e in una frazione di secondo scomparve in un soffio di vento caldo. La cupola scomparve e i suoni tornarono a farsi assordanti. Amina si precipitò da Irthen, che si ritrovò in piedi sulle gambe malferme, con lo stomaco sottosopra, sospinto verso l'accampamento e soffocato da un torrente di domande angosciate provenienti da tutte le direzioni. Ma una sola era la domanda che lampeggiava nella sua testa e che non voleva dargli tregua: perché Abby non l'aveva ucciso?
 
Aqua lasciò che un'infermiera le fasciasse un braccio ferito senza obiettare. Quella ragazzina che armeggiava maldestramente con le bende era troppo giovane per rischiare la vita in un casino simile. Era troppo giovane Irthen, che era miracolosamente sopravvissuto ad uno scontro diretto con Abigail, e che ora stava facendo frontino a Ruben dopo che quest'ultimo aveva scoperto la presenza di Yu. Amina non riusciva a raffreddare gli animi e tutto quel gridare stava facendo venire ad Aqua un gran mal di testa. Uscì dalla tenda e guardò verso Est. Il sole sorgeva dietro uno strato sottile di nubi, evidenziando i danni subiti dal loro accampamento. Non potevano andare avanti così. Erano appena arrivati e già avevano rischiato la distruzione. Anche il campo di Micael aveva subito un attacco pesante, quella notte, e le fiamme si erano estinte da poco. Aqua si sentiva schiacciata e impotente. Tre maghi erano a malapena riusciti a tenere un drago lontano dalle tende e, a differenza di quanto era accaduto sul Llatas, questa volta non l'avevano nemmeno scalfito. Dentro alle mura ce n'erano altri sette pronti ad attaccarli, per non parlare degli stregoni e di Lukas dell'Aria. Al ricordo dei corni elfici accorsi in loro aiuto con gli alleati del Sud-Ovest per mettere in fuga quel mostro alato si sentiva ancora mancare il respiro. Dov'era Konstantin? Stava bene? Doveva fare qualcosa, non poteva starsene lì ad aspettare la fine. Si mise meccanicamente in cerca di Debrina, certa che quell'idea folle che le si era affacciata alla mente nel culmine della battaglia avrebbe affascinato anche lei.
Debrina del Fuoco stava estinguendo gli ultimi focolai, con l'aria stanca e il passo pesante.
«Aqua» constatò quando questa le posò una mano sulla spalla. «Stai bene?»
La ragazza annuì. Debrina la guardò con malcelata apprensione.
«Posso aiutarti?»
Aqua prese un respiro profondo.
"Tutto passa", le diceva sempre Stan. "Devi lasciare che la piena passi e restare lì ad aspettare, impermeabile ai flutti". Sentiva ancora le sue parole risuonarle nelle orecchie. Era davvero questo il trucco? Restarsene immobile al centro del torrente ingrossato dalle piogge estive, come un ciottolo, ignorando l'inferno, la confusione, la distruzione? Lasciare che la potenza impareggiabile ed incontenibile la levigasse, smussando gli angoli, per renderla più cedevole, più facilmente sottomettibile? Non era questo ciò che Aqua desiderava, non era questo il ruolo che rivendicava per sé stessa. No, non sarebbe stata un qualunque ciottolo in balia degli eventi; lei voleva essere una roccia, quella roccia solida contro la quale i flutti nulla avrebbero potuto, quella che avrebbe obbligato la corrente a spezzarsi e che avrebbe offerto riparo, appiglio e protezione.
«Aqua?» incalzò Debrina.
La ragazza si riscosse e raddrizzò le spalle.
«Ho bisogno che tu venga con me, Dede. Ma ho il dovere morale di avvisarti che potremmo non tornare…»
 
Irthen prese un respiro profondo, invocando tutti gli Dei che gli venivano in mente perché gli dessero la pazienza e la fermezza di non aggredire Ruben. Amina l'aveva trascinato fino alla tenda delle infermiere, nonostante le sue proteste. Non era ferito, non aveva bisogno di cure e si era giurato che sarebbe scappato non appena la maga avesse girato lo sguardo. Ma una volta arrivato a destinazione non gli era stato possibile allontanarsi. Ruben aveva appena scoperto la presenza di Yu e stava sfogando tutta la sua ira sulla ragazza e su Chloé. E il suo ingresso nella tenda non fece che peggiorare le cose. In pochi minuti si sentì accusato di egoismo, di ingratitudine, di insubordinazione e di tradimento, scoprendo con sorpresa che la cosa non lo toccava minimamente. Si sentiva la testa completamente vuota dal momento in cui aveva visto Abby scomparire da sotto il suo naso, scacciata da lui stesso. Aveva fatto la sua scelta definitiva e non gli restava che sopportarne le conseguenze, fino al momento della propria prematura morte. Che importanza aveva il parere di Ruben?!
«Ma smettila!» sbottò, interrompendo bruscamente la sequela di lamentele.
Per la sorpresa Amina e Yu sgranarono gli occhi e Chloé fischiò, mentre Ruben digrignava i denti. La frustrazione che Irthen aveva dentro ribolliva come olio incandescente.
«Fai tante scene perché abbiamo liberato una prigioniera che non aveva nessun motivo di restare in una cella, e neanche ringrazi per averti scavalcato, questa notte, impartendo gli ordini che sono stati essenziali per salvare le chiappe di tutti, incluse le tue! Dici di essere il capo e poi non ti comporti come tale! Guardati: sei qui in una tenda sovraffollata a sgridare i tuoi collaboratori più attivi come fossero cuccioli disobbedienti, e intanto la tua gente, là fuori, cerca di riorganizzarsi per essere pronta a sostenere il prossimo assalto. Con il dovuto rispetto, Ruben, ho appena visto Dente di Cobra passare a un dito dal mio collo, non me ne frega un cazzo delle tue manie di persecuzione, né di quello che pensi di me!»
Ruben sfoderò la spada e si avvicinò minacciosamente ad Irthen, che fece altrettanto. Ma Yu balzò fra loro, e subito Amina e Chloé le furono accanto.
«Datevi una calmata, adesso. Non è con inutili spargimenti di sangue che vinceremo questa guerra» dichiarò.
Irthen deglutì a vuoto, consapevole della ragionevolezza delle parole della ragazza ma non riuscendo comunque a placare l'ira.
«Ti prego, Ir…» mormorò Yu. «Vi prego.»
Ruben abbassò la lama e posò lo sguardo sulla ragazza.
«Credevo sapessi perché l'ho fatto» sibilò tra i denti.
«Non avevi alcun diritto di privarmi della possibilità di combattere accanto alle persone che amo» rispose Yu senza abbassare gli occhi.
Ruben fece una smorfia, e in quel momento Irthen fu certo di avere vinto.
«Non vorrei interrompere il quadretto» intervenne James avvicinandosi velocemente, «ma Aqua e Dede chiedono di vederti urgentemente, Ben. E anche gli altri.»
Irthen e Ruben si lanciarono un'ultima occhiataccia prima che il Maestro si voltasse a seguire James.
 
Nella piccola tenda di Ruben, dodici persone erano compresse in attesa: il Maestro, Amina, James, Chloé, Yu, Irthen, Oliandro e Rowena da un lato; Aqua, Debrina, Timothy ed Hailie dall'altro. Tra quelle quattro pareti di stoffa riuscivano a malapena a muoversi. Aqua si domandò che bisogno ci fosse di tutta quella gente e spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. Debrina aveva insistito perché fosse lasciato a lei il compito di esporre il piano. "Ruben direbbe di no anche solo per fare un dispetto a te", le aveva detto, e probabilmente aveva ragione. Eppure sembrava lo stesso nervosa.
«Qual è il motivo di questa buffonata?» domandò Ruben seccamente.
Debrina prese un respiro profondo. Era pallida come un cencio, e Aqua si domandò che cosa stessero pensando i presenti in quel momento.
«Abbiamo preso una decisione, e preciso sin da ora che la porteremo avanti a qualunque costo.»
Il clima si fece ancora più teso. Debrina continuò:
«La situazione qui è difficile, ci sono orchi, draghi e la bellezza di tre stregoni, per non parlare delle truppe di Micael. È vero, sono arrivati gli elfi con i rinforzi dal Sud-Ovest, ma sappiamo bene che se ci sono dei favoriti quelli non siamo noi.»
«Vieni al punto» incalzò James, che se possibile era ancora più pallido della sorella.
«Nel nostro organico manca ancora qualcosa che ci sarebbe estremamente utile, qualcosa che era stato fondamentale a Storr e a Horlon per vincere la loro guerra contro i draghi: sto parlando di uno stregone. Per questo motivo io ed Aqua abbiamo chiesto a Tim e ad Hay di accompagnarci alla Cascata del Potere. Una volta là ci bagneremo nelle acque magiche che ci conferiranno i poteri degli stregoni. Dopodiché distruggeremo la Cascata e porremo fine a questa follia.»
Nel silenzio attonito che calò sulla tenda, la prima a riaversi fu l'elfa, che esclamò:
«Voi siete matte! Svitate come tappi, siete!»
«Perché?» intervenne Oliandro. «Hanno ragione, ai tempi della prima guerra Nastomer era stato di grande aiuto!»
«Sì, Dodo, ma cosa ci garantisce che una volta diventate stregoni non si schiereranno dalla parte di Caleb?! E poi pensi davvero che sia così semplice distruggere la Cascata? L'ha creata il Dio dell'Acqua, non il primo fesso che è passato di lì!»
«Ma per favore, Nana! OK, magari non si riuscirà a distruggerla, ma non vedo perché dovrebbero schierarsi con Caleb se hanno combattuto con noi fino ad ora…»
«Perché il potere corrompe!» ribatté la sorella con veemenza.
«Non le corromperà mica in due giorni!» insistette Oliandro.
«E tra trecento anni, se per grazia divina dovessimo essere ancora vivi, le combatterai tu quando vorranno di nuovo conquistare Lumia?» insistette l'elfa.
Oliandro stava per rispondere a tono, quando Irthen domandò:
«Kore è scomparsa, ma siamo certi che la sirena non sia stata rimpiazzata? Perché in quel caso potrebbe essere tutto più complicato…»
Debrina guardò Aqua, che non le prestò attenzione. Era concentrata sul silenzio ostinato di Ruben, che non le piaceva per niente.
«Tu se l'unico fra noi che ci sia stato con l'intenzione di diventare uno stregone, Irthen. Che cosa ci puoi dire?» domandò Chloé.
Il ragazzo socchiuse gli occhi mentre rifletteva, e Aqua si ritrovò a pensare che se Liam fosse stato più simile a suo fratello quella guerra sarebbe già finita da un pezzo.
«La Cascata si trova in mezzo al Canyon, ma non sono in grado di collocarla con esattezza, e d'altronde non credo che ne abbiate bisogno. Ho ricordi confusi di quei momenti…ricordo il canto della sirena, e ricordo che mi chiese se ero lì per la Cascata, poi più nulla. Però Abby mi disse che la sirena ha il compito di sondare il cuore del candidato e verificare che sia puro: se lo è, gli consente di accedere alle acque magiche; in caso contrario, cancella ogni ricordo inerente alla Cascata dalla mente del malcapitato…» si passò una mano tra i capelli per scostare i ciuffi troppo lunghi dagli occhi. «Se volete il mio parere, è improbabile che la Cascata sia lasciata incustodita, ma credo che si possa provare. Nel peggiore dei casi ci saremo noi a raccontarvi che cosa è successo. E poi, è sicuramente vero che il potere corrompe, ma per quel che ne so alla base del mutamento di condotta di Abby c'è stata una forte delusione. È chiaro, il rischio potenziale c'è, ma se morissimo tutti qui non faremmo un affare, mi sembra…» concluse Irthen.
Oliandro annuì vigorosamente.
«E poi non dimentichiamo che c'è anche uno stregone atipico come Selene in circolazione» aggiunse l'elfo.
Debrina era ancora molto pallida e Ruben non si era pronunciato. Per questo Aqua si sentiva tremendamente inquieta. Rowena fu la prima a capitolare.
«D'accordo. Per me sta bene, ma con papà e con lo zio ci parli tu, Dodo!»
Oliandro sorrise alla sorella e annuì.
«Ben?» incalzò Debrina.
Ruben teneva la mascella serrata tanto stretta che Aqua credeva si sarebbe spezzata da un momento all'altro.
«Il mio parere, ormai, conta meno di nulla» sibilò.
«Se così fosse, saremmo venute a dirtelo?» sbottò Aqua. «Andiamo! Sai anche tu come stanno le cose! Se stanotte non siamo stati in grado di fronteggiare un drago soltanto, che cosa succederà quando Djalmat scenderà in campo accanto a Caleb, e Micael schiererà Lukas contro di noi? Non basteranno tutti gli eserciti elfici a salvarci l'osso del collo. Qui non si tratta di più di imporre il proprio volere, o di stabilire chi comanda. Come ha detto Debrina, questa cosa la faremo con o senza il vostro consenso, solo che…» esitò, sopraffatta dall'emozione.
«…Solo che con il nostro consenso è più semplice» concluse James.
Aqua lo guardò timorosa. Aveva coinvolto la sua unica sorella in un piano che avrebbe cambiato le loro vite per sempre. Ma James sorrideva.
«Sarei pazzo per non comprendere la necessità di questa mossa. Stai attenta, Dede» disse abbracciando sua sorella.
«Maestro» mormorò Hailie.
Ruben posò lo sguardo su Hailie e su Timothy, che si erano offerti di trasportare le due maghe alla Cascata del Potere, e dopo un lunghissimo momento di immobilità annuì.
«Sta bene anche a me» disse infine.
«Grazie» rispose Aqua, perché Debrina sembrava aver perso l'uso della parola. «Comprendiamo il rischio a cui esponiamo tutti voi, Ben.»
«Beh, sarà meglio organizzare subito la partenza» intervenne Oliandro mordicchiandosi un unghia.
«No, Dodo, sarà meglio che tu vada subito a dirlo al Re» ribatté Rowena.
Oliandro sospirò, scontento, e lanciò ad Aqua un'occhiata che diceva "muovetevi a partire prima che qualcuno dia i numeri".
 
Liam seguiva pazientemente Alec mentre questi percorreva in largo e in lungo l'accampamento, facendo la conta dei danni. I primi rinforzi dalle città alleate del Sud erano già visibili all'orizzonte, entro poche ore sarebbero stati pronti a dare il loro contributo. Ma la cosa non lo faceva sentire meglio. Aveva visto un drago sputare fuoco e fiamme sulla testa di suo fratello, e sapeva che presto o tardi Jonna sarebbe entrata in città in cerca di Micael. La cosa più drammatica era che una parte di lui avrebbe voluto accompagnarla. Ma come poteva, dopo aver promesso ad Irthen che avrebbe fatto il possibile per tornare sano e salvo?! E se in sua assenza Micael avesse deciso di scatenare il potere di Lukas? Sospirò, guadagnandosi l'ennesima occhiataccia di Alec. Non aveva ancora risolto quella specie di indovinello del colibrì, e ormai il tempo stringeva.
«Ehi, Alec! C'è modo di entrare in città?» domandò.
«Certamente! Puoi chiedere un passaggio al prossimo drago che viene a bruciarci le chiappe, oppure puoi provare a bussare!» rispose ostentando totale disinteresse.
«Trattieni l'entusiasmo, potrebbe travolgermi» sbottò Liam.
«Perché mai dovrebbe entusiasmarmi l'idea di lanciarmi tra le fauci aperte di Djalmat, di grazia?»
Liam lo trattenne per un polso e lo obbligò a voltarsi per guardarlo in faccia.
«L'hai detto tu che Djalmat teme la presenza di Jonna. Sfruttiamo la situazione! Se quella pazza entrerà in città da sola per andarlo a cercare come ha intenzione di fare, noi perderemo il nostro scudo e dubito che lei durerebbe molto da sola in compagnia di otto draghi. Se invece entrassimo a Cyanor, gli edifici ci offrirebbero protezione dal fuoco, non saremmo costretti a combattere in campo aperto, inoltre accorceremmo notevolmente i tempi, cosa non disdegnabile dal momento che ci siamo portati dietro il minimo indispensabile…»
Alec si liberò dalla sua stretta e lo allontanò con una spinta, ma Liam non poté fare a meno di notare la scintilla di interesse nei suoi occhi.
«Tu sei pazzo» sibilò.
Liam sorrise e alzò le mani con fare conciliante.
«D'accordo, d'accordo… se non ti attira l'idea di riconquistare Cyanor edificio per edificio possiamo fare a modo vostro e starcene qui ad attendere il prossimo attacco di Djalmat. Chi lo sa, magari verrà a trovarci anche Caleb…»
Alec gli lanciò un'altra occhiataccia.
«Continua tu, qui. Vado a parlare con Micael.»
Mentre Alec del Fuoco si allontanava, Liam non riuscì a trattenere una risata isterica.
 
Quando il mondo smise di vorticare e la terra ebbe ripreso il suo posto sotto ai suoi piedi, Aqua aprì cautamente gli occhi, per poi spalancarli, travolta dallo stupore. Si trovava al centro di una vallata verde e fiorita sopra alla quale si allargava un cielo sereno e privo di nuvole. Timothy barcollò e Aqua gli passò un braccio attorno alla vita.
«Timmy, non mi avevi detto che è così bella» mormorò.
Prese un respiro profondo, inebriandosi delle particelle di energia magica che saturavano l'aria umida. Sullo sfondo, una cascata di acqua cristallina precipitava, riflettendo e centuplicando i raggi del sole, in un laghetto innaturalmente placido.
I quattro maghi attraversarono la vallata verde in reverenziale silenzio. Lasciare un campo di battaglia intriso di sangue e ritrovarsi in quell'idillio di luci e di colori aveva un ché di doloroso e crudele. Aqua riusciva a percepire ogni più minuscolo spostamento d'aria, ogni rumore, ogni lievissimo movimento che si stava verificando nella vallata, tutti i sensi amplificati dall'aria satura di magia.
«Così sarebbe questa la famosa Cascata del Potere?» sbottò Debrina quando giunsero sulla sponda del laghetto. «Non mi sembra niente di speciale.»
Aqua scosse il capo, incredula.
«Vuoi scherzare! Questa è la cosa più pazzesca che io abbia mai visto! Mi sento così…così…» esitò, incapace di trovare le parole adatte a descrivere ciò che provava.
Era come se ogni fibra del suo corpo fosse sul punto di esplodere.
«Siete sicure di volerlo fare?» domandò Timothy.
Debrina annuì.
«È l'unico modo.»
Prese la mano di Aqua e sorrise. «L'avresti mai detto che ti avrei seguita in un'impresa del genere?!»
«In effetti, detto così sembra assurdo» concordò Aqua domandandosi perché la mano di Debrina fosse così piacevolmente calda.
«Chi siete voi?» domandò una tintinnante voce incorporea.
I quattro maghi si irrigidirono. L'ombra si addensò sotto i loro occhi, assumendo le fattezze via via più definite di una sirena.
«Oh, Dei» mormorò Hailie coprendosi la bocca con le mani.
Aqua sentì le dita di Debrina stringere spasmodicamente le sue, e solo questo le impedì di spalancare la bocca davanti ai lunghissimi riccioli neri e alla coda color oro, elegantemente adagiata su uno scoglio del laghetto.
«Chi siete?» domandò di nuovo la sirena, scrutandoli con cortese curiosità.
Aqua si riscosse.
«Siamo Aqua, Debrina, Hailie e Timothy. Siamo qui per la Cascata.»
La sirena sembrò sorpresa.
«Tutti quanti?» domandò sgranando dei scintillanti occhi dorati come le squame della coda.
Aqua scosse il capo. Non si era mai sentita tanto minuta e insignificante in vita sua.
«Soltanto io e Debrina» rispose timidamente.
La sirena inclinò il capo da un lato e la osservò.
«Sento la forza e perseveranza dell'Acqua in te. Sei una maga» constatò.
«Lo siamo tutti» intervenne Debrina.
La creatura spostò lo sguardo su di lei.
«Il vostro cuore è colmo di rancore» disse. «Questo potrebbe precludervi l'accesso alla Cascata.»
«A Sud è in corso una guerra» spiegò Aqua, facendo appello a tutto il proprio sangue freddo per impedire alla voce di tremare. «Tre stregoni si sono alleati con Djalmat, il re dei draghi, allo scopo di sterminare chiunque si opponga alla loro brama di conquista, maghi, elfi o nani che siano. I maghi si sono divisi in due fazioni, l'una vorrebbe estinguere la razza dei draghi, l'altra ricondurla alla ragione e ai termini dell'accordo precedentemente in vigore. Noi apparteniamo alla seconda. Il rancore di cui parli, non lo nego, è quello suscitato dalla vista dei corpi senza vita dei nostri compagni, e delle nostre città distrutte.»
Si interruppe, sentendo la gola serrarsi nella morsa del panico. Che cosa sarebbe accaduto se la sirena avesse negato loro l'autorizzazione?
«La nostra unica speranza di vittoria consiste nell'acquisire gli stessi poteri di cui dispongono i nostri nemici. Da questo dipende l'esito della guerra» aggiunse Debrina.
Lo sguardo della sirena indugiò in quello di Aqua, facendola rabbrividire.
«Ricordo le fiamme spietate che lambivano la città di Madian. Ricordo il pianto dei bambini e le lacrime delle mie sorelle, mentre osservavamo la scena pietrificate dall'orrore poco distante dalla riva…» la sua voce adamantina si perse e Aqua chiuse gli occhi per scacciare le immagini che aleggiavano ancora vivide nella sua memoria.
«Allora forse ricorderai anche una ragazzina abbandonata su uno scoglio della baia, costretta ad osservare impotente il proprio mondo che andava in fumo» mormorò.
«Ti prego di lasciarci passare, questa è la nostra unica possibilità» ripeté Debrina.
«È inaudito che due candidati si presentino insieme» disse la sirena muovendo nervosamente la coda.
Timothy gemette:
«Ma qual è la differenza? Che cosa cambia in quanti si presentano?!»
La sirena esitò.
«Niente, forse. O forse tutto. Ho semplicemente constatato che un fatto simile mai si era verificato nella storia della Cascata. Potreste volervi alleare tra voi e costituire una nuova e diversa fazione.»
Aqua si mise la mano libera nei capelli, esasperata. L'altra era ancora stranamente intrecciata a quella di Debrina.
«Ti hanno messa lì apposta per sondare i nostri cuori, per tutti gli Dei! Cosa ci stai lì a fare se non ne sei capace?!»
Lo sguardo dorato della sirena si indurì.
«Calmati» mormorò Debrina. «È esattamente quello che sta facendo.»
Aqua prese un respiro profondo. Per qualche sconosciuta ragione la voce di Debrina la calmò davvero. Liberò la mano e si avvicinò alla sirena, che alzò un sopraciglio.
"Profuma di mare", si disse, e sorrise.
«Questo è esattamente il motivo per cui ho chiesto a Debrina di affrontare questa prova con me: io e lei siamo diametralmente opposte, come gli elementi che governiamo; siamo poco indulgenti per quanto riguarda i reciproci difetti, e sempre troppo cieche rispetto ai pregi; non siamo mai state capaci di dialogare civilmente, prevenute e tese alla ricerca dei punti deboli per sapere come e dove colpire per fare più male; nondimeno, sappiamo controllarci a vicenda e sostenerci quando nessun altro è disposto a farlo. Anche se non sembra, nel nostro piccolo sistema c'è equilibrio. Questo è il motivo per cui ci presentiamo entrambe come candidate, è una garanzia, siamo capaci di frenare a vicenda i nostri eccessi» concluse cacciando in fuori il mento con aria di sfida.
Non ricordava di aver mai pronunciato così tante parole consecutive in vita sua.
Debrina le si avvicinò e sgranò gli occhi.
«Lo pensi davvero?» balbettò. «Perché non me l'hai mai detto?»
«Che cosa?» domandò, colta alla sprovvista.
«Quello che hai appena detto! Su di noi!»
Aqua non poté impedirsi di arrossire. Per quale motivo Debrina la stava fissando in quel modo?
«Ho detto qualcosa di troppo strano?» domandò.
Debrina esitò, scosse il capo e sorrise. Poi si volse alla sirena, che le osservava con perplessità.
«Mi impegnerò a tenere sotto controllo Aqua e a riportarla alla ragione, qualora lo si rendesse necessario. E sono certa che lei farà altrettanto» sorrise davanti all'indecisione della sirena. «Forza, lo so che la stai tirando lunga solo per fare scena… La verità è che lo sai che abbiamo diritto ad accedere alla Cascata, non è così? Altrimenti ci avresti già rimandati tutti da dove siamo venuti!»
La sirena la guardò storto per qualche lunghissimo momento, poi sospirò.
«Temo che tu abbia ragione. Per quanto la vostra arroganza non mi piaccia per niente, devo lasciarvi passare. Prego, accomodatevi» disse indicando la polla d'acqua ai piedi della Cascata con un gesto teatrale.
Aqua e Debrina si scambiarono un'occhiata carica di emozione.




*************
So che lo credevate tutti, ma non sono morta! 
(Liam: "Lo credevo anch'io in realtà!)
Questa lunghissima assenza è davvero ingiustificabile e imperdonabile, ma spero con questo e con i prossimi aggiornamenti di farmi perdonare! Ormai vediamo la luce alla fine del tunnel! 
(Liam: "Spero non siano fiamme...)

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Capitolo 55
*** Stregoni ***


«Sei pronta?» mormorò Debrina avvicinandosi alla sponda del piccolo lago.
Aqua si lasciò sfuggire un risolino nervoso.
«Non lo so, Dede. Mi fa strano pensare di dire addio al mio rapporto preferenziale con l'Acqua.»
Debrina rise.
«Stai per diventare immortale e ti preoccupi di queste sottigliezze?!»
Aqua arrossì.
«Non ci avevo pensato» confessò.
Le ginocchia, ora, le tremavano davvero.
«Se mi stancherò dell'eternità mi ucciderai, vero Dede?» disse affiancandosi a lei sul ciglio del laghetto.
«Spero di non dover arrivare a tanto» Debrina prese un respiro profondo. «Aqua, è un po' che devo dirtelo: credo di non essere stata capace, in questi anni, di apprezzare il tuo vero valore. Sono stata pessima nei tuoi confronti, anche se non lo meritavi.»
Con lo sguardo fisso sulla Cascata nel tentativo di celare la confusione che le parole della maga suscitavano in lei, Aqua commentò:
«Ogni tanto lo meritavo.»
«Quello che volevo dire è che… ora lo apprezzo. Insomma, in tutti questi anni non avrei mai detto che sarei stata contenta di fare questa follia insieme a te.»
Aqua alzò una mano per bloccarla. Il cuore le batteva troppo forte, e la ragazza si rifiutava di concedere a quella antipatica di Debrina un simile immeritato potere.
«Qualunque cosa tu stia pensando di aggiungere, ti prego di non farlo» disse.
«Io invece credo proprio di doverlo fare.»
La voce roca di Debrina tremava, e Aqua non poté fare a meno di sorridere del suo imbarazzo.
«Ho letto da qualche parte che la gente dice cose di cui poi finisce per pentirsi, quando crede che morirà presto. Perciò facciamo che se sopravvivremo a questa cosa prima e alla guerra poi, me lo dirai allora! Sta bene?»
Debrina le lanciò un'occhiata scontenta.
«Sta bene» mugugnò.
Poi, cogliendo Aqua totalmente di sorpresa, le afferrò un braccio e la trascinò in acqua con sé.
 
«Come avete potuto permettere una cosa simile? Sono molto deluso» dichiarò Glenndois con un tono di voce calmo e pacato che agghiacciò Oliandro più di quanto avrebbero fatto le sue urla.
Rowena si avvicinò istintivamente al fratello, rabbrividendo.
«Era la soluzione migliore» ribatté Oliandro, sperando che la sua voce risultasse regale e sdegnata almeno la metà di quella di suo padre.
«La soluzione migliore era parlarne prima con il vostro Re».
«Non c’era il tempo di parlarne al nostro Re».
Re Horlon camminava silenziosamente avanti e indietro da qualche minuto, i suoi occhi e la piega neutra delle sue labbra non tradivano alcuna emozione. Oliandro deglutì.
«Se quelle due donne diventeranno stregoni, gli elfi si troveranno in una situazione di sudditanza rispetto ai maghi, e Ruben potrà fare il bello e il cattivo tempo senza contemplare nemmeno l'ipotesi di consultarci. Avete pensato a questo quando avete dato la vostra autorizzazione?» sibilò Glenndois.
«L'abbiamo contemplata, naturalmente. Ma si dà il caso che Ruben non fosse più contento di te di questo arrangiamento. Inoltre, una delle due maghe in questione non ha mai dimostrato di apprezzare la propria sottomissione al suo capo. Non ci creeranno problemi da quel punto di vista.»
Glenndois aprì la bocca per ribattere quando il Re si fermò e si volse verso i nipoti.
«Questa conversazione non ha alcun senso» sbottò. «A meno che tu non voglia incarcerare i tuoi figli, Glenn, e processarli per alto tradimento, stiamo sprecando tempo.»
Rowena balbettò qualcosa di incomprensibile e Oliandro si sentì venir meno le forze. Glenndois era tremendamente bianco e non dava segno di potere ribattere, così Oliandro si fece coraggio e fece un passo avanti, ponendosi fra il Re e sua sorella.
«Se qualcuno dovrà pagare per questa decisione, lo farò io. Rowena non ha colpa e non merita alcun tipo di reprimenda» dichiarò.
Rowena singhiozzò e si avvinghiò al braccio di suo fratello.
Glenndois fissava suo figlio con gli occhi sgranati e la bocca aperta in una smorfia di orrore.
Re Horlon scosse la testa con un cipiglio scontento.
«Smettetela di fare sceneggiate, abbiamo cose più urgenti di cui discutere! Siete proprio padre e figlio! Glenn, riprenditi!» esclamò dando una pacca sulla spalla al Governatore. «Non voglio che nessuno sia processato, meno di tutti i miei nipoti, era solo per dire!»
Glenndois farfugliò delle scuse sconnesse e Oliandro si rese conto di aver trattenuto il respiro. Una goccia di sudore gelido gli corse giù per la schiena. Rowena lasciò andare il braccio a cui si era tenuta aggrappata e si lasciò scappare una risatina nervosa.
«Che cosa facciamo adesso?» domandò cautamente Oliandro.
Horlon sospirò.
«Quello che abbiamo fatto finora. Continuiamo ad onorare l'accordo stretto con Ruben. Se le sue maghe avranno successo alla Cascata, faremo in modo di tenercele care. Dopotutto, siamo stati proprio noi a condurre Nastomer al Canyon, e il suo aiuto ci è stato prezioso anche dopo la fine della guerra. Se riusciremo a tenerle accanto a noi, confido che non ci daranno problemi.»
Oliandro si sforzò di sorridere. Per sua fortuna, ancora una volta il Re aveva dimostrato di essere più ragionevole di suo fratello.
 
Aqua riemerse dalle acque cristalline della Cascata del Potere e buttò indietro i capelli, faticando a trovare respiro. Tuffarsi nel lago era stato come lanciarsi in una vasca di ghiaccio, tutto il suo corpo sembrava essere stato trafitto da centinaia di spilli. Nuotò fino alla sponda e si issò, rabbrividendo. Notò distrattamente Debrina che riemergeva a sua volta e la seguiva, perché la sua attenzione era stata calamitata dalla strana reazione che le goccioline di acqua magica stavano avendo a contatto con l'aria: man mano che il suo corpo usciva dalla polla, l'acqua le scivolava via di dosso, lasciando la sua pelle, i suoi vestiti, i suoi capelli perfettamente asciutti. Come se la linfa magica della Cascata non potesse - o non volesse - abbandonare il suo posto. Una volta sulla riva, la ragazza tese la mano a Debrina. Poi si protesse gli occhi dal sole abbagliante e si guardò attorno. Per qualche strana ragione, ogni dettaglio le appariva più definito, ogni colore più vivido; riusciva a percepire con estrema chiarezza le auree magiche dei suoi compagni; captava il pulsare di tutti e quattro gli elementi, come fossero tutti parte di lei.
«Come state?» balbettò Hailie avvicinandosi con circospezione.
Aqua mosse le dita, sollevando un leggero soffio di vento caldo.
«A meraviglia!» rispose con un sorriso.
Timothy sgranò gli occhi e le si avvicinò di più.
«Come fai a farlo? È difficile? Ti senti diversa? Sai anche volare?»
Aqua scoppiò a ridere e lo scrollò per le spalle.
«Riprenditi, Tim! Come faccio a risponderti se mi fai mille domande in una volta?»
«Dobbiamo tornare a Cyanor» intervenne Debrina, che stava a sua volta sperimentando su piccola scala i suoi nuovi poteri.
«Non credi che dovremmo prima avere la certezza di essere capaci di tornarci?» domandò Aqua.
«Vi portiamo noi!» disse Timothy.
Aqua scosse il capo.
«Non vi siete ancora ripresi dal viaggio di andata, e io non ho intenzione di sfinirti se lo posso evitare.»
Debrina annuì e accennò con il capo alla Cascata.
«Sei ancora intenzionata a distruggerla?»
Aqua guardò a sua volta quelle acque limpide che precipitavano nella polla immota, poi spostò lo sguardo sulla sirena, che  ancora le fissava dal suo scoglio.
«Ora che la vedo e che ne percepisco il potere, mi rendo conto che Rowena aveva ragione: non è possibile distruggerla…» sospirò. «E poi che cosa ne sarebbe di lei se facessimo una cosa simile?»
La sirena ricambiò il suo sguardo con la testa inclinata.
«Non ci riuscireste» decretò. «E, d'altra parte, non credo nemmeno che a questo punto lo vogliate.»
«Sapevi che avevamo intenzione di farlo?» domandò sorpresa Debrina.
La sirena le lanciò un'occhiata indulgente.
«Ma naturalmente! Comunque, se posso darvi il mio parere, la ragazzina ha ragione. Dovreste provare a fare un po' di pratica prima di tornarvene alla vostra guerra…»
Aqua arrossì e si volse ad Hailie.
«Nell'immediato è di riuscire a spostarci che abbiamo bisogno. Credi che sareste capaci di spiegarci come fare?»
Hailie esitò, poi guardò Timothy ed entrambi annuirono.
Debrina si rimboccò le maniche.
«Allora mettiamoci al lavoro.»
 
Dopo aver portato a termine il compito affidatogli da Alec del Fuoco, Liam aveva cercato Jonna e l'aveva trovata nella sua tenda, intenta a rovistare tra i pochi bagagli che aveva portato con sé.
«Che stai facendo?» domandò il mago, sforzandosi di non suonare troppo apprensivo.
«Mi preparo a partire» rispose Jonna senza degnarlo di uno sguardo.
Per un momento Liam si domandò se non si fosse sognato tutto quanto era successo quella notte e si passò le mani sul viso, assalito dalla vertigine.
«Forse dovresti aspettare ancora qualche ora» suggerì con un filo di voce.
«Perché?»
Il mago esitò e la ragazza interruppe la sua febbrile attività per avvicinarglisi.
«Che cosa hai combinato questa volta? Oh, Liam, tu non sei un mago, sei una calamità naturale!» sbottò.
Liam sorrise.
«C'è la possibilità che Alec convinca tuo padre ad entrare in città.»
Jonna sgranò gli occhi.
«Non mi sembra il momento di scherzare.»
«C'è un motivo particolare per cui nessuno mi prende mai sul serio?!»
La ragazza gli si accostò tanto che i loro nasi si sfiorarono e Liam riusciva a percepire il calore innaturale che emanava.
«Vi siete bevuti il cervello?» sussurrò.
«È bello sapere che i miei sforzi di restarti accanto vengono apprezzati…»
Jonna gli scoccò un bacio poi tornò a guardarlo storto.
«Ecco, ora li ho apprezzati, ma è ugualmente una pessima idea. Vi farete ammazzare prima del tempo.»
«Se stanotte non ci fossi stata tu a fare da scudo ai nani, avemmo potuto fare colazione con una bella grigliata di carne. Se tu te ne vai, le nostre speranze di sopravvivenza si dimezzano comunque.»
Jonna sbuffò, e aprì la bocca per ribattere, ma il suo sguardo si fece vacuo.
«Li'…» mormorò dopo un lungo momento.
Liam la scrollò.
«Che ti prende?» domandò allarmato.
«Djalmat è arrabbiato. Molto, molto, molto arrabbiato. Furioso…» gemette portandosi le mani alla testa.
«Perché? Che cosa è successo?» incalzò Liam.
«Non lo so, ma dobbiamo prepararci.»
 
Quando le porte della decadente città di Cyanor si aprirono di nuovo tra mille scricchiolii, la schiera di Micael era pronta. I rinforzi non erano ancora arrivati, però, e nonostante Alec fosse riuscito a convincere il loro capo dell'opportunità di spostare i combattimenti all'interno delle mura, era impensabile agire senza il sostegno degli alleati.
Liam impugnò la spada domandandosi se Djalmat avrebbe corso il rischio di mandare uno dei suoi draghi contro di loro nonostante la presenza di Jonna.
Dalle fila di orchi emerse una figura umana. Liam strinse gli occhi per mettere a fuoco il naso aquilino di Rafik. Scambiò un'occhiata perplessa con Jonna, accanto a lui: uno stregone da solo non se la sarebbe passata bene contro un esercito di maghi. Deglutì a vuoto, aspettandosi di veder comparire Caleb, oppure Abigail. Sarebbe riuscito a combattere Abby, qualora se ne fosse presentata la necessità? Certo, perché lei non si sarebbe fatta alcun riguardo nei suoi confronti.
«Alec, Ophelia e Joan: con me sullo stregone!» berciò Micael. «Gli altri pensino agli orchi. Se arriva un drago, Liam, Malik e Pierre, occupatevene voi, Jonna in copertura. Se arrivano gli altri stregoni, invece, Liam e Malik su Abigail, Pierre e Rayhana su Caleb. Se arrivano altri draghi, si tengano pronti tutti gli altri. Se arrivano sia gli altri stregoni che gli altri draghi, allora pregate i vostri Dei.»
«E Lukas?» domandò Malik.
«Non è ancora tempo. Siamo troppo lontani da Ruben» rispose Micael.
Dalle mura risuonò il rullo di un tamburo e i maghi alzarono lo sguardo. Un ululato si levò dalla schiera di orchi, che caricò.
Liam vide Micael, Alec, Ophelia e Joan scattare per farsi largo tra le fila nemiche e raggiungere Rafik a ridosso delle mura. Sarebbero stati a portata di freccia, ma la cosa non sembrava impensierirli. Forse, Micael confidava nell'intervento della propria maga di elemento Aria per tenersi al riparo.
Quando l'orda di orchi lo raggiunse, Liam impugnò più saldamente la spada. L'impatto fu doloroso e assordante: le armi cozzavano con violenza, e così gli scudi, gli elmi e le armature dei nani, attrezzati di tutto punto per la battaglia. Gli orchi non avevano molto criterio nel combattimento, si disse il mago. Si lanciavano sui loro avversari senza preoccuparsi di studiare una strategia d'attacco, senza pensare di difendere i propri punti più esposti. Si affidavano unicamente alla forza e alla portata delle loro braccia, più nerborute e più lunghe di quelle umane. Sarebbe stato un gioco da ragazzi batterli se solo non fossero stati così tanti! Liam schivò un colpo d'ascia, girò su sé stesso e conficcò la propria lama di punta nel fianco scoperto dell'orco che l'aveva attaccato. La ritrasse coperta di colloso sangue nero mentre il suo avversario, ferito e infuriato, roteava di nuovo la propria arma. Il mago evitò il colpo e attaccò di nuovo, ferendo l'orco al braccio destro. Ma quello non lasciò cadere l'ascia, come Liam aveva sperato, bensì la passò nella mano sinistra e colpì con quella. Il mago balzò indietro e lanciò un incantesimo che centrò il nemico in pieno petto e lo scaraventò lontano. Con il fiato grosso si volse all'avversario successivo. Evitando di un soffio una daga che calava su di lui, Liam lanciò un'occhiata alla porta Est: a ridosso delle mura c'era fermento, si vedevano lampi di luce e scintille, e i boati degli incantesimi sovrastavano il frastuono della battaglia. Una scia di fuoco gli sfrecciò accanto inducendolo a voltarsi, per scoprire che il proprietario della daga che aveva rischiato di staccargli un orecchio giaceva bocconi con la cotta di cuoio mezza carbonizzata. Jonna scagliò un altro incantesimo e si accostò a Liam, che nel mentre abbatté un nuovo orchetto con un solo colpo di spada.
«Che stai facendo? Ti godi il panorama?!» gridò la ragazza. «Ti avevo visto morto!»
Liam intercettò un incantesimo vagante e lo deviò sull'orco che si stava avvicinando a Jonna.
«A buon rendere, bellezza!»
Una serie di boati obbligando i due a guardare di nuovo in direzione di Rafik. Un esplosione di luce e l'eco di un'onda di energia strapparono a Liam un'imprecazione.
«Conosco lo stile: questo è Caleb. Vieni con me!»
I due maghi si fecero largo tra la calca, fino a ridosso delle mura dove Caleb e Rafik combattevano schiena contro schiena.
Lasciando orchi e orchetti ai nani e ai primi alleati che stavano giungendo sul campo di battaglia, tutti i maghi dello schieramento di Micael si stavano concentrando attorno ai due stregoni, che si coprivano le spalle a vicenda e sembravano inscalfibili.
Jonna si aggrappò al braccio di Liam e lo trascinò indietro.
«Non mi piace, Li', non ha senso! Perché dovrebbero esporsi così agli attacchi di tutti noi messi assieme? E dov'è Abigail?»
Liam si bloccò, allarmato. Se Jonna aveva ragione e quei due stavano solo attirando la loro attenzione, allora doveva esserci una grossa fregatura da qualche parte. Cercando di dare un senso a quella situazione, Liam si allontanò dalle mura in compagnia di Jonna.
«Vedi qualcosa di strano? Di sospetto?» le domandò osservando l'orizzonte.
Da Sud, il grosso delle truppe alleate stava giungendo sul campo di battaglia a portare aiuto.
«Laggiù! Orchi! Ci stanno circondando!» gridò Jonna saltellando con il braccio teso nella direzione degli alleati.
Liam impiegò qualche secondo a comprendere a che cosa si riferisse: in lontananza, dietro alla schiera di soldati, si stava facendo avanti un altro fronte di orchi e di orchetti. La retroguardia delle truppe alleate stava già combattendo per permettere ai compagni di giungere a destinazione.
«Dobbiamo avvisare Mik!» esclamò Jonna.
«Sta combattendo contro due stregoni contemporaneamente, scommetto quello che vuoi che non gliene può fregare di meno, in questo momento.»
Liam si fermò a riflettere.
«Al momento credo ci sia più bisogno qui, a meno che…»
Strinse gli occhi per mettere a fuoco meglio. In lontananza temeva di avere visto esplodere un incantesimo. Attese una conferma, trattenendo il respiro. Quando individuò un nuovo lampo di luce sobbalzò e Jonna imprecò a fior di labbra.
«Scommetto che non ci sono maghi tra gli alleati…»
La ragazza scosse il capo.
«Deve essere Abigail» disse. «Li massacrerà.»
Liam annuì.
«Mi sa che l'idea era proprio questa. Io vado là!»
«Vengo con te!»
"Sempre che riusciamo ad arrivarci" si disse il mago osservando il campo di battaglia attorno a loro.
Rinunciando a risparmiare le energie, Liam e Jonna si fecero strada a colpi di magia tra gli orchi e gli orchetti, apostrofati dalle imprecazioni dei nani che non capivano per quale motivo due dei loro maghi più potenti stessero cercando di allontanarsi dal campo di battaglia. Deviarono verso Sud-Ovest, intenzionati a tenersi abbastanza vicini alle mura di Cyanor da restare ai margini dei combattimenti, ma anche abbastanza lontani da non essere a portata di freccia.
«È sempre stata così distante la porta Sud?» ansimò Jonna.
Liam annuì, arrancando.
Quando finalmente raggiunsero il nuovo fronte di combattimento, Liam individuò Abigail grazie alle esplosioni dei suoi incantesimi e alle grida dei soldati. Il mago si bloccò e deglutì a vuoto, con la gola completamente asciutta.
«Jonna» gemette.
La ragazza lo guardò.
«Se ti provoca - e lo farà - non lasciarti fregare. Qualunque cosa ti racconti, non crederle. Tenterà di approfittare della tua distrazione.»
Jonna annuì con poca convinzione.
Prima che Liam potesse aggiungere ulteriori raccomandazioni, tre soldati saltarono in aria, volando in tre direzioni diverse. Rimasta sola al centro di uno spazio vuoto costellato di cadaveri, Abby si volse verso di loro e sorrise. I soldati che cercavano di tenerle testa seguirono il suo sguardo e, individuati i due maghi, si aprirono in due ali per lasciarli passare. Percorrendo la breve distanza che li separava, Liam si rese conto di quanto fosse già stanco a quell'ora del mattino. Aveva combattuto tutta la notte, buona parte della mattinata, aveva dovuto attraversare di corsa metà della Piana di Thann… se non avesse avuto accanto Jonna sarebbe scappato a gambe levate.
«Sei davvero sciocco, Li'. Avresti potuto startene ad ammazzare orchi in relativa sicurezza, invece vieni a cercarmi per costringermi ad ammazzarti. Ora capisco da chi ha preso Irthen» disse Abby.
Liam sentì la pelle accapponarglisi a quelle parole.
«…Perché di certo saprai che è qui anche lui» aggiunse.
«L'avevo immaginato» rispose il mago stringendo la spada.
Jonna gli si affiancò, impugnando la propria lama, lunga e sottile come un fioretto.
Abby inclinò la testa, scrutandola.
«Jonna del Fuoco, la nuova fiamma di Liam, perdonate il gioco di parole. Per la cronaca, non mi sei mancato nelle ultime settimane…»
Liam ghignò, cercando di sopprimere impietosamente il senso di nausea dettato dall'urgenza di conoscere  le condizioni di salute di Irthen.
«Nemmeno ti rispondo!»
Jonna si  mosse, a disagio.
Abby alzò Dente di Cobra e la puntò verso di loro, il braccio teso davanti a sé.
«Di nuovo due contro uno, sì?» sospirò. «Voi maghi non avete un minimo di senso dell'onore…coraggio, fatevi avanti!»
Jonna non se lo fece ripetere e attaccò, lasciando a Liam solo la fugace visione della lama sottile avvolta da spire di fuoco. Investito in pieno dalla consapevolezza della propria inutilità, il mago cercò di inserirsi a sua volta nel combattimento, ma Jonna ed Abby si muovevano troppo velocemente. Dente di Cobra mandava scintille azzurre ogni volta che intercettava la spada di Jonna. Ad uno sguardo meno disincantato, il duello sarebbe sembrato equilibrato, ma agli occhi di Liam era evidente come Jonna si stesse giocando il tutto per tutto e come, di contro, il respiro di Abigail fosse ancora regolare. Doveva intervenire, doveva farlo prima che lo stregone riuscisse a sfinirla. Si avvicinò di più, cercando di sincronizzarsi con i movimenti delle due donne, e fintò un attacco al fianco di Abigail. Quella balzò indietro e gli lanciò un'occhiata sospettosa. Liam attaccò e Abby fu costretta a concentrare la propria attenzione su di lui, e finalmente la smise di giocare per combattere seriamente. Rimpiangendo la pigrizia che aveva drammaticamente inciso sulla sua forma fisica, Liam teneva faticosamente testa allo stregone, che pure cominciava ad ansimare.
«Attento sulla sinistra!» gridò Jonna.
Liam scivolò di lato e schivò l'attacco di Abigail, che indietreggiò di un passo per riprendere fiato.
«Avresti dovuto insegnare a tuo fratello come si combatte» ansimò.
«L'ho fatto» ribatté Liam.
«Allora non ti sei impegnato abbastanza, sì?»
Liam imprecò, sperando di poter seppellire la preoccupazione sotto alle bestemmie. Non poteva aver fatto del male ad Irthen, lo stava soltanto ubriacando di parole per fargli abbassare la guardia, proprio come si era aspettato.
«Avresti dovuto dirgli di proteggere meglio il fianco sinistro» aggiunse Abigail con un'occhiata penetrante.
Liam vacillò, assalito dalla vertigine.
Percepì uno spostamento d'aria e in una frazione di secondo Abby gli fu addosso. Il mago ebbe la nitida visione di una spada azzurra che calava su di lui dall'alto con una lentezza estenuante, come se il tempo si fosse dilatato. Le braccia erano troppo pesanti per poter sperare di parare il colpo, ma qualcosa di lungo e sottile si interpose tra il mago e Dente di Cobra, fermando la corsa di quest'ultima con un clangore metallico, e riportando lo scorrere del tempo alla velocità normale.
Jonna digrignava i denti, sforzandosi di reggere l'impeto dell'assalto di Abigail.
«Cosa dicevi, biondino? Di non crederle?» sbuffò.
Liam si riscosse.
«A buon rendere anche questo» disse aggirando Abby per colpirla alle spalle.
Abigail si liberò e balzò di lato, volgendosi a parare l'attacco di Liam, e in contemporanea lanciò una scarica di energia verso la maga, che tentò di scartare ma non riuscì ad evitare del tutto il colpo, che la ferì alla spalla sinistra. Liam lanciò un grido e concentrò tutta la sua magia nella propria lama, che colpì Dente di Cobra di taglio. Il contraccolpo respinse Abby, catapultandola indietro. Approfittando dell'attimo di distrazione, Liam lanciò un incantesimo che colpì lo stregone al fianco, gettandola al suolo. Con un ruggito, Abby si rimise in piedi e si premette una mano sul fianco: la camicia, un tempo bianca, si stava velocemente inzuppando di sangue.
Abigail sgranò gli occhi si Liam, che la fissava a sua volta sbalordito. Barcollò, rinfoderò la sua spada e con una smorfia si dissolse in un soffio di vento.
Liam rimase per un momento a fissare il punto in cui fino ad un attimo prima si trovava Abby, poi si precipitò su Jonna. Si rendeva conto solo in quel momento che gli alleati avevano fatto scudo tra loro e gli orchi.
«Porca puttana» gemette la ragazza traendosi in piedi.
Liam sorrise della caduta di stile.
«Ti senti bene?» domandò.
«Circa. Per fortuna è il sinistro» disse cercando di ruotare il braccio e rinunciando immediatamente.  «Fa un male cane. Abigail? È…?»
Liam scosse il capo.
«Ci vuole ben altro, ma per il momento non ci darà più fastidio. Le servirà tempo per riprendersi» strinse i denti, cercando di ricacciare indietro quel dolore quasi fisico che gli aveva procurato la vista del sangue di Abby. Il pensiero di averla quasi uccisa dopo tutto quello che avevano passato insieme gli dava la nausea. Anche se sapeva che non c'era alternativa.
«Vieni, Jo» disse, passando un braccio attorno alla vita della ragazza. «Cerchiamo di tornare alla porta Est.»
 
Aiutati da un manipolo di soldati di Lenada, Liam e Jonna raggiunsero la Porta Est, dove ancora Rafik e Caleb dettavano legge. I maghi di Micael si erano dimezzati e Liam non osò nemmeno domandarsi che fine avessero fatto, ad esempio, Ophelia e Rayhana. Anche i nani combattevano ancora, e il terreno era coperto dai corpi degli orchetti che questi avevano abbattuto. Facendosi faticosamente largo nella calca, raggiunsero il gruppo di maghi, dal quale emerse Micael. Aveva una ferita sulla fronte.
«Dove eravate finiti?» latrò.
I suoi occhi si posarono sulla spalla di sua figlia e un'ombra di apprensione gli attraversò il viso.
«Abigail ha guidato un contingente di orchi proveniente dalla porta Sud per accerchiare le truppe alleate. Abbiamo combattuto con lei, e Liam l'ha ferita» spiegò Jonna.
«Ora dov'è?» domandò Micael.
Jonna si strinse nelle spalle e gemette.
«Scomparsa!»
Micael guardò i due stregoni, e altrettanto fece Liam. Rafik era ferito al braccio destro ma non sembrava risentire dei rivoli di sangue che gli inzuppavano gli abiti, Caleb era coperto di graffi.
«Torna all'accampamento, Jo, e cerca Lia. Sta aiutando Rayhana e Pierre con…» esitò. «Joan è stata ferita. Molto ferita» farfugliò.
Liam deglutì a vuoto, sordo alle proteste di Jonna. Per un secondo indugiò sulla visione offertagli dalla sua mente del corpo ferito e insanguinato di Joan, rabbrividì e prese il viso di Jonna tra le mani.
«Tuo padre ha ragione, non puoi combattere con quella spalla.»
«Ma sei impazzito, Liam?!» balbettò quella sgranando gli occhi.
Liam la abbracciò, facendo attenzione a non stringerle la spalla ferita.
«A causa tua e di Irthen nelle ultime settimane sono invecchiato di dieci anni…consentimi di essere almeno un po' apprensivo.»
Jonna trattenne il respiro. Quando Liam la lasciò andare, notò che le sue guance avevano preso un po' di colore.
«Sta bene» capitolò. «Ma solo perché in queste condizioni non posso affrontare Djalmat.»
Quando la ragazza si fu allontanata, Liam si volse a Micael.
«Quanto è grave la situazione?» domandò.
Micael sospirò.
«Abbastanza…»
 
All'ennesimo passaggio del drago sul campo di battaglia, Irthen smise anche di coprirsi la testa. Aveva già smesso di abbassarsi da un pezzo, ma certi istinti erano duri da sopire. Aqua, Debrina, Timothy e Hailie erano partiti da poco quando l'inferno era ricominciato. La porta Nord aveva ricominciato ad eruttare orchi e orchetti, e non aveva tardato ad arrivare il drago. Per il momento l'azione combinata di Ruben, di Eetan e di Gedeone era riuscita a limitare i danni, ma non era incoraggiante che non si riuscisse nemmeno a scalfirlo.
Colpendo l'ennesimo orchetto allo stomaco, il ragazzo si passò un braccio sulla fronte. Doveva decidersi a tagliarli quei capelli, iniziava a non vederci più fuori. Scuotendo la spada per cercare di liberarla dello schifoso sangue nero degli orchi si domandò, una volta di più, se Liam fosse ancora vivo. Amina gli sfrecciò accanto lanciando incantesimi in tutte le direzioni.
«Mina!» chiamò Irthen.
La maga si guardò attorno e quando lo individuò gli corse in contro.
«Tutto bene, Ir?» domandò squadrandolo velocemente alla ricerca di eventuali lesioni.
Irthen annuì.
«Tu?»
«Anch'io» disse Amina.
«Ci sono novità delle ragazze?»
La maga scosse il capo.
«Ancora nulla. Ma ormai dovrebbero tornare, in un modo o nell'altro. Hai visto Horlon?»
Il ragazzo scosse il capo. Aveva perso di vista il Re degli elfi all'inizio della battaglia, quando la sua falange di guerrieri si era infranta nell'impatto con lo schieramento nemico.
«Devo andare, Ir. Se ti capita di vederlo, digli che lo sto cercando!»
Irthen annuì e la guardò scomparire nel caos dei combattimenti, immaginandosi ad adescare il Re nel pieno degli scontri picchiettandogli sulla spalla. Trattenne a stento una risata. Nonostante la stanchezza, combattere, ora, gli risultava più semplice. Forse perché era sceso sul campo consapevole di quello che ci avrebbe trovato, o forse perché l'aver affrontato Abby l'aveva scosso abbastanza da togliergli di dosso quel fastidioso senso di inadeguatezza. Probabilmente non sarebbe mai stato preciso ed elegante come un elfo, o potente come un mago, ma poteva ugualmente dare il proprio contributo: ora lo sapeva.
Da qualche parte, nelle retrovie, un esplosione scosse la Piana di Thann. Qualcuno gridava mentre il drago scendeva in picchiata sputando fuoco. Irthen allungò il collo cercando di capire che cosa stese succedendo. Il mostro alato virò all'ultimo momento ed evitò di un soffio un raggio magico. Incuriosito, Irthen si fece largo tra la folla di combattenti, e quando raggiunse le retrovie si bloccò, incapace di trattenere un sorriso entusiasta: al centro di uno spiazzo, circondate da un cordone di elfi e maghi, c'erano Aqua e Debrina. Sembravano in tutto e per tutto le stesse persone che avevano lasciato l'accampamento, salvo che loro due da sole stavano tenendo in scacco un drago. Aqua alzò le mani e dai suoi palmi scaturì una fontana di scintille argentate. Il drago cambiò di nuovo traiettoria e puntò sulla città.
«Sta cercando di scappare, Dede! Fallo ora!» gridò Aqua.
Debrina non se lo fece ripetere due volte: il suo incantesimo, potente e preciso, lacerò le membrane delle ali del drago, che, incapace di volare, fu costretto ad atterrare nel mezzo del campo di battaglia. Rapidamente circondato dai maghi, il drago ruggì ed eruttò fuoco, ma Eetan e Debrina riuscirono ad arginarlo ancora una volta. Con un gesto secco della mano, Aqua lanciò una freccia luminosa che fendette l'aria e si conficcò nell'occhio della creatura. Il drago ruggì di nuovo, e Debrina approfittò delle fauci spalancate per colpirlo direttamente in gola, dove era più vulnerabile. Nell'esplosione che seguì, Irthen perse l'orientamento per qualche momento. Le orecchie gli fischiavano e la testa gli girava. Quando si sentì di nuovo stabile tornò ad osservare la scena: l'immenso corpo del drago giaceva sul fianco in una pozza di sangue scuro e gli orchi fuggivano terrorizzati. Una piccola folla di maghi stava circondando i due nuovi stregoni, mentre gli elfi si tenevano a distanza di sicurezza. Irthen deglutì, indeciso su quale delle due linee abbracciare. Da un lato era affascinato dal potere immenso che conferiva la Cascata del Potere, dall'altro si rendeva conto fin troppo bene che quando aveva deciso di partire per il suo viaggio non aveva in realtà la minima idea di quello che avrebbe potuto diventare. Perché il cambiamento era già evidentissimo per quelle due, che già erano maghe, figuriamoci quanto sarebbe stato sproporzionato su un comune ragazzo di quindici anni. Ancora indeciso sul da farsi, Irthen notò un elfo in piedi accanto a lui. Aveva i capelli neri e gli occhi blu, ed assomigliava tremendamente a Rowena.
«Signore…Sire?» mormorò, domandandosi quale fosse il titolo con cui appellarsi al Re degli elfi.
Horlon spostò gli occhi su di lui.
«Il fratellino di Liam» commentò.
A disagio, Irthen sperò che sotto tutta quella polvere e quello schifo che doveva avere in faccia non si notasse che era arrossito.
«Amina ti sta cercando» disse.
Il Re annuì.
«Lo so, grazie, la sto evitando accuratamente.»
Irthen tacque. Non aveva la minima idea di cosa rispondere. Chiedere perché la stesse evitando sarebbe stato irrispettoso, ma ignorare completamente il commento non gli sembrava gentile.
«Non mi chiedi spiegazioni perché sei intimorito oppure perché sei educato?» domandò il Re sorridendo della sua esitazione.
«Entrambe le cose, credo.»
Horlon sospirò.
«Che cosa vedi laggiù?» disse ancora, puntando la spada sguainata verso il corpo senza vita del drago.
Irthen guardò, confuso.
«Un drago» rispose.
«Sbagliato, quello è un cadavere, caro ragazzo… Un drago è quello che ci sputava fuoco sulla testa fino a pochi minuti fa.»
Irthen si grattò la testa.
«Sono…sono la stessa cosa, sì?» farfugliò.
Horlon scosse il capo, contrariato.
«Beata gioventù! Quindi tu credi che tra una creatura viva e una morta non passi alcuna differenza, ho capito bene?»
Irthen arrossì ancora di più.
«Non ho mai detto una sciocchezza simile!» sbottò. «È evidente che c'è una differenza abissale tra un drago vivo e un drago morto, ma pur sempre un drago rimane!»
Horlon volse lentamente il capo e lo squadrò con gli occhi sgranati.
«Chiedo scusa…» mormorò il ragazzo.
Horlon sospirò di nuovo.
«Amina mi cerca perché spera che io convinca Ruben a non uccidere i draghi, perché sono rimasti soltanto in otto - anzi, ormai in sette - e se li uccidessimo tutti la specie si estinguerebbe.»
«Ma se non li uccidiamo, sono loro a uccidere noi…» commentò Irthen.
«Per quanto la cosa mi ripugni enormemente, temo che nelle attuali condizioni tu abbia ragione. Ora perdonami, ragazzo, ma Amina sta venendo qui e io non ho nessuna intenzione di farmi scovare!»
Irthen sbuffò. Quegli elfi riuscivano ad essere peggio dei bambini, quando volevano. Amina aveva ragione ad essere arrabbiata: aveva lasciato suo marito perché questi voleva uccidere i draghi, sacrificando tutto per un ideale che Ruben ora rinnegava.
Un'imprecazione richiamò Irthen dai propri pensieri. Aqua stava discutendo con Ruben, ma il ragazzo aveva la netta sensazione che stessero facendo più scena che altro. Una volta tanto, dopotutto, sembravano d'accordo.
Aqua pestò i piedi.
«Io non lo lascio Stan là con Caleb e con Djalmat! Ora me lo posso permettere: andrò in città e lo andrò a riprendere!»
«Sfonderesti le resistenze degli orchi sulle mura e attraverseresti tutta la città con l'esercito?!» esclamò il Maestro, enfatizzando l'incredulità.
Aqua annuì sporgendo il mento con fare ostinato.
«OK. Ci sto» capitolò improvvisamente Ruben.
Aqua spalancò la bocca e Irthen scoppiò a ridere.
Giurò a sé stesso che se avesse avuto la fortuna di invecchiare avrebbe fatto il bardo. Con tutte le assurdità che aveva sentito nell'ultimo periodo avrebbe avuto storie per decenni!



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L'avreste mai detto? Due aggiornamenti in 15 giorni? ^____^
Perdonate l'autocitazione, ma la Clessidra è quasi vuota, ormai (fuor di metafora, siamo agli ultimi capitoli, anche se non riesco ancora a quantificare)... è inutile che vi dica che mi sta salendo l'ansia da prestazione!

Alla prossima gente!
Baciiiii

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Capitolo 56
*** Di morte e sogni infranti ***


Micael si accostò a Liam e gli afferrò un braccio, come fosse stato in procinto di scappare .
«Tu hai visto gli alleati, Liam. In che condizioni sono? Sono lontani? Tra quanto saranno pronti ad unirsi a noi?»
Liam resistette all'impulso di svincolarsi dalla sua stretta. Odiava sentirsi messo con le spalle al muro.
«I primi contingenti sono già operativi e stanno combattendo insieme ai nani. Le retrovie si sono fermate più a Sud a combattere gli orchi guidati da Abby. Direi che potrebbero essere già abili, però se intendi portarli in città dovresti come minimo avvisarli, prima…»
Micael annuì.
«Prendi il mio posto, ragazzo» disse allontanandosi tra la calca.
Liam sospirò e si inserì tra le fila dei maghi.
Non combatteva da molto quando una forte esplosione scosse la Piana di Thann, obbligando tutti quanti a trattenere il respiro. In pochi minuti la voce che Ruben aveva abbattuto un drago si diffuse per tutto il campo di battaglia. Liam soppresse ancora una volta l'ansia e tornò a concentrarsi su Caleb. Lo stronzone non si lasciava proprio colpire, a parte qualche misero graffio era come nuovo. Per di più, ogni volta che incrociava il suo sguardo sembrava dire "povero scemo, avresti dovuto uccidermi quando ne avevi la possibilità". E aveva ragione, ma sul momento Liam aveva fatto la scelta che gli era sembrata migliore.
Quando tutti gli alleati ebbero finalmente raggiunto la porta Est, gli orchi iniziarono a battere in ritirata, travolgendo i maghi che combattevano a ridosso delle mura.
Liam e Malik si concentrarono sulla marea di nemici in fuga, per impedire loro di attaccare gli altri impegnati con gli stregoni. Quando la massa ebbe oltrepassato il manipolo di maghi, circondò Caleb e Rafik, che ne approfittarono per svignarsela.
Rientrando al campo, Liam fu spiacevolmente colpito dal silenzio innaturale che vi aleggiava. Prima di finire vittima di altre brutte notizie, si precipitò nella sua tenda e imprecò fra i denti quando vi trovò Jonna, raggomitolata sul suo giaciglio.
«Va tutto bene?» domandò esitante.
La ragazza alzò gli occhi su di lui. Erano gonfi.
«Joan è…» singhiozzò. «È morta.»
Liam vacillò. Si lasciò cadere accanto a lei e la abbracciò, incurante del dolore che si diffondeva rapidamente a partire da un punto imprecisato all'altezza dello stomaco, e incurante anche del sangue e dello schifo che la battaglia gli aveva lasciato addosso. In realtà anche lui aveva disperatamente bisogno di essere abbracciato, ma pensò che se avesse potuto almeno un poco aiutare lei si sarebbe sentito meglio a sua volta.
«Mi dispiace tanto» mormorò.
«Lei era…così giovane, così allegra!» gemette Jonna affondando il viso nella camicia lurida del mago.
Liam si guardò intorno preoccupato: l'aria era sempre più elettrica e la temperatura si stava alzando.
«Fai attenzione, ti prego, manderai tutto a fuoco!»
«Non me ne frega niente» sbottò. «Liam, io voglio andare da Djalmat. Devo andare da lui.»
Liam sospirò.
«Credo che, dopo quello che è successo oggi, lo vogliano tutti…»
 
Aqua e Debrina camminavano lentamente in testa all'esercito di Ruben e di Horlon, dirette alla porta Nord della città di Cyanor. Incuranti della selva di frecce che pioveva invano su di loro dalle mura, avanzavano decise, armi in pugno. Anche Irthen non poteva fare a meno di seguirle, ignorando la nausea che gli dava il vuoto di stomaco. Tra una cosa e l'altra non metteva niente sotto i denti dalla sera prima, e la sua mente stanca non faceva che riproporgli immagini della favolosa torna di mele di Yu. Yu, che non aveva nemmeno potuto salutare a dovere prima di avventurarsi in quell'inferno che era il campo di battaglia, alla quale non aveva potuto porgere le proprie scuse per averla coinvolta in quel viaggio suicida per il mero egoismo di avere accanto la propria ancora personale. Amina, accanto a lui, gli assentò una dolorosa gomitata.
«Smettila di rimuginare» sbottò in risposta al suo sguardo interrogativo. «Sono empatica, porca miseria! Qui è già tutto un casino senza che ti ci metta anche tu!»
Irthen bofonchiò qualche scusa, consapevole che il casino a cui si riferiva la maga era dentro di lei.
Quando i due stregoni raggiunsero il portone si fermarono e si scambiarono un'occhiata e Irthen rabbrividì: sul volto di Aqua si era dipinta un'espressione entusiasta che faceva a pugni con il contesto e metteva inquietudine. E quando alzò una mano e la posò sul portone di legno, quello esplose in migliaia di pezzi. Irthen sentì le schegge passargli sopra alla testa ed evitarlo e alzando gli occhi scoprì che Debrina aveva protetto il grosso dell'esercito con i suoi nuovi poteri.
«Ma sei uscita di testa?» strillò quest'ultima con una nota isterica nella voce che non ottenne più di un'alzata di spalle da parte di Aqua.
«Beh, si è aperta, no?» rispose.
Irthen si sforzò di non ridere perché Amina, accanto a lui, era imbronciata.
La maga si guardò intorno e gli si avvicinò di più.
«Dove sono gli orchi?» domandò.
Il ragazzo capì al volo e la voglia di ridere gli passò subito. All'apertura delle porte sarebbe stato lecito immaginare un contrattacco da parte degli orchi, ma tutto taceva. Anche la pioggia di frecce proveniente dalle mura si era interrotta. Il silenzio inquieto si diffuse a cascata tra le fila dell'esercito mentre i due stregoni varcavano con circospezione la porta Nord. Quando fu il turno di Irthen di passare sotto all'arco di ingresso, non poté fare a meno di trattenere il respiro: non era passato poi così tanto tempo da quando aveva oltrepassato quella stessa soglia, eppure tutto era cambiato radicalmente. Quando l'ultimo soldato ebbe varcato la soglia, il silenzio cupo della città esplose. Un'onda di orchi e orchetti si riversò nelle strade da tutti gli edifici. Gli uomini di Natìm si compattarono per difendersi dai nemici che provenivano da ogni direzione. Irthen si ritrovò schiacciato tra James e un elfo, con la spada in pugno e il cuore che batteva all'impazzata.
In poco tempo, l'esercito di Ruben si sfaldò in piccoli contingenti, dispersi tra le vie caotiche e gli edifici fatiscenti della città di Cyanor. Irthen perse di vista James e anche Amina e i due stregoni. Nella confusione della battaglia si limitava a lasciarsi a condurre dalla marea umana. L'unica cosa essenziale era la meta: vicino alla porta Ovest c'era un'arena, e là si trovavano i draghi. Il trucco era arrivarci vivo.
 
Liam era stanco di deglutire a vuoto, anche perché il fatto che un mago d'Acqua fosse rimasto a corto di salivazione aveva qualcosa di ridicolo e di drammatico al tempo stesso. Non era mai stato il tipo di persona soggetta a crisi d'ansia, ma il suo autocontrollo era ormai giunto al limite. In piedi tra Jonna e Alec, si sentiva tra l'incudine e il martello: l'una desiderava battersi con il Re dei draghi incurante delle conseguenze potenzialmente disastrose, l'altro aveva sfoggiato lo sguardo omicida di chi sa di dover combattere contro la propria amata ex moglie.
Micael camminava nervosamente avanti e indietro, a metà strada fra i suoi uomini e le mura della città, e il suo andirivieni non faceva che aumentare l'ansia di Liam.
«Pensi che si fermerà mai?» domandò Jonna spostando il peso da un piede all'altro.
«Non ne ho idea» rispose il mago.
Quando finalmente Micael si bloccò, si volse verso di loro.
«Vi rendete conto meglio di me che una volta che ci troveremo tra quelle infernali rovine saremo in trappola. Là dentro ci sono orchi, orchetti, stregoni e draghi, e probabilmente anche i maghi di Ruben. La nostra priorità è raggiungere la base dei draghi, perché è quello che cercherà di fare anche Ruben. Solo se ci riusciremo potremo mettere in campo Lukas. Per prima cosa dobbiamo trovare i draghi.»
Liam lanciò uno sguardo fugace a quella specie di scatola con le ruote che imprigionava il bambino, pronta per essere trasportata in città.
«Sono passati cinque anni da quando avete scelto di seguirmi» proseguì. «Oggi, qui, abbiamo l'opportunità di realizzare l'obiettivo che ci siamo posti tanto tempo fa. Sarà dura, lo sappiamo tutti, ma oggi abbiamo il potere e il dovere di mettere la parola fine alla lunga e mortale discendenza dei draghi. Per noi, per i nostri figli, per la città di Madian e i suoi abitanti! Non permettete al vostro braccio di tremare, né al vostro respiro di mozzarsi prima che l'ultima orrenda testa sputa fiamme sia caduta! Per Madian!» gridò, e dalla sua schiera si sollevò in risposta un ululato che fece vacillare le ginocchia di Liam.
L'esercito di Micael si lanciò all'attacco della Porta Est, che saltò in aria in una pioggia di schegge infuocate sotto agli incantesimi di Jonna e di Alec.
Non appena varcata la soglia delle mura di Cyanor, Liam si trovò sommerso dagli orchi. Si era ripromesso che sarebbe rimasto accanto a Jonna a qualunque costo, ma in quel caos sembrava un'impresa impossibile. Ma se c'era qualcuno con qualche possibilità di raggiungere i draghi, quella era lei, e di certo Micael l'avrebbe seguita con la gabbia di Lukas. L'indovinello del colibrì fluttuava ancora davanti agli occhi di Liam, come un colibrì in piume e ossa, e lui ancora non aveva capito che cosa potesse significare. Non ci aveva mai azzeccato con gli indovinelli, non avrebbe certo iniziato a venticinque anni. Ma perché mai Lukas non aveva parlato chiaro?, si domandò affondando la spada nel fianco scoperto di un orco.
Cercando di ignorare la nausea suscitata dalla puzza del sangue, continuò a procedere seguendo la scia di Jonna che avanzava spedita, come se le sue energie aumentassero ad ogni nemico abbattuto anziché calare.
La città di Cyanor era un'immensa distesa di rovine pericolanti, e se era strato pericoloso attraversarla quando era deserta, piena di orchi e orchetti era una trappola assassina. Tra la pietra diroccata il caldo era infernale, i vestiti si incollavano alla pelle, schiacciati dalle placche delle armature, e l'aria era pensante. Da Nord provenivano boati della battaglia, sintomo che anche Ruben e i suoi stavano combattendo. L’idea che anche Irthen, Chloé e Amina fossero invischiati in quell’inferno gli dava la forza di non cedere sotto i colpi degli orchi.
«Liam! Avvicinati!» gridò Micael sovrastando il frastuono.
Spostando un gruppo di orchi con un incantesimo, il mago riuscì ad avvicinarsi a Micael quel tanto che bastava per sentire quello che aveva da dire.
«Ruben è entrato in città, e pare che ci siano due stregoni con lui.»
«In che senso “con lui?”» domandò Liam, confuso.
«Nel senso che fanno parte della sua schiera. Sto aspettando informazioni più precise, ma non si tratta degli stregoni che conosciamo. Se due dei suoi sono andati e tornati dalla Cascata del Potere, abbiamo due grossi problemi non preventivati.»
Liam vacillò. Irthen gli aveva promesso che non avrebbe fatto cretinate, non poteva trattarsi di lui. Vero che non poteva? Deglutì a vuoto.
«Quando sai qualcosa di più preciso informami subito» disse.
Micael annuì.
Liam colpì un orchetto al collo, abbattendolo, roteò e incrociò la lama con un altro nemico. Si stava lentamente avvicinando all’arena dei draghi: il momento della verità era drammaticamente vicino.
 
Con le braccia ch bruciavano per le ferite e per lo sforzo, Irthen iniziò a rimpiangere seriamente di non essere tornato alla Cascata con le ragazze. Ma aveva promesso e aveva intenzione di mantenere la parola – e comunque nessuno lo aveva invitato. Qualcuno aveva detto che gli uomini di Micael erano entrati in città e che Liam era con loro, perciò aveva deciso che non appena avesse potuto sarebbe scappato da lui. Aqua diceva che da qualche parte sotto alle rovine del palazzo c’era Stan tramutato in roccia, ma se doveva scegliere di sfidare i draghi per qualcuno non l’avrebbe certo fatto per lui.
Quando un orco si lanciò dal palazzo sopra alla sua testa con la spada sguainata, il ragazzo indietreggiò per schivarlo. Un incantesimo gli sfrecciò accanto, bruciacchiandogli i vestiti e spaventandolo a morte, e colpì l’edificio da cui era emerso l’orco, destabilizzandolo. Il palazzo vacillò e grossi blocchi di pietra iniziarono a staccarsi e a cadere sulla testa dei combattenti.
Irthen si allontanò, imitato dall’orco, che però esitò un momento di troppo e rimase sepolto dalle macerie. Il ragazzo sospirò e si guardò attorno per verificare che nessuno dei suoi fosse rimasto coinvolto nel crollo.
«Tutto ok, Irthen?» gridò Aqua passandogli accanto.
«Sì! Dove stai andando?» domandò vedendola correre controcorrente.
«Vado a riprendere Stan!» rispose scomparendo nella polvere.
Irthen alzò gli occhi. In lontananza svettava sopra agli altri edifici il palazzo di Re Storr.
 
Aqua allontanò il gruppo di orchi che tentava di circondarla senza troppi riguardi. Doveva fare in fretta se voleva tornare in tempo per intercettare Ruben prima che entrasse nell’arena di Djalmat. Non aveva idea di come fare a trovare Konstantin in mezzo alle macerie del palazzo, ma era certa che in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscita. In lontananza, i rumori della battaglia infuriavano, e non provenivano solo da Nord: Micael era entrato a sua volta in città, i suoi sensi affinati di stregone riuscivano addirittura a percepire la posizione di Liam dell’Acqua in tutto quel casino. Facendosi strada tra i nemici, la ragazza raggiunse l’ingresso Nord del palazzo reale. Il crollo delle stanze di Storr aveva coinvolto una parte delle mura perimetrali, creando una voragine che le dava facile accesso a ciò che più la interessava: il cortile che si trovava a Nord-Ovest del plesso e sul quale le stanze protette si affacciavano. Contrariamente a quanto si fosse aspettata, l’interno del palazzo era deserto, forse perché si trovava in una zona non ancora colpita direttamente dai combattimenti, forse perché gli orchi erano troppo impegnati altrove. Il cortile era ingombro di detriti provenienti dall’ala Ovest del palazzo, andata quasi completamente distrutta. Facendo attenzione a non ferirsi, la ragazza raggiunse a balzi la zona in cui, secondo i suoi calcoli, Stan aveva combattuto prima della fuga di Hailie e della stessa Aqua. Si concentrò alla ricerca di un flebile indizio della sua presenza, ma nulla. Solo pietra e corpi senza vita.
«Eppure so che sei qui!» disse a sé stessa.
Konstantin non poteva essere morto. Lui era il più potente elemento Terra dell’epoca moderna, non ce lo vedeva ad essere caduto vittima del suo stesso incantesimo come un novellino.
Konstantin era stato capace di frenare i suoi eccessi dopo la distruzione di Madian, salvandola dalla follia. Era stato capace di restare accanto ad Amina interpretando il ruolo che, giorno per giorno, si era reso necessario. Aveva fatto tanto per tutti, ed ora spettava a lei fare qualcosa per lui.
Hailie diceva che solo lo stesso Konstantin avrebbe potuto spezzare l’incantesimo che si era imposto, ma come? Quando? Spostando pietre, cadaveri e macerie, Aqua si sentiva sempre più frustrata. Doveva pur esserci un modo più veloce… Cedendo all’irritazione, si lasciò sfuggire una scarica di energia che spazzò via tutto ciò che la circondava. Si coprì la bocca con le mani, spaventata dalla potenza distruttiva della magia sfuggita momentaneamente al suo controllo. Tenere a freno tutta quella energia era tremendamente complicato. Si guardò intorno, preoccupata di aver attirato l’attenzione di qualcuno o di qualcosa, ma tra le rovine del palazzo non volava una mosca.
Riprese a scavare. Un oggetto attirò la sua attenzione: era una cornice, la cornice dello specchio che stava appeso in uno dei saloni di Storr. Lo prese tra le mani tremanti. Quando aveva deciso di partecipare a quel piano folle di Konstantin non credeva che nell’arco di pochi giorni la situazione si sarebbe stravolta a quel modo. Sospirò e lo gettò da parte. Sotto allo specchio c’era una pietra di forma strana, che non sembrava un frammento del palazzo. Aqua riprese a scavare con rinnovato entusiasmo quando comprese che si trattava dell’estremità della mano di una statua. Liberò velocemente la statua raffigurante Konstantin, la raddrizzò e la controllò. Sembrava non aver subito danni nel crollo del palazzo, neanche la minima incrinatura.
Si strofinò le mani con il cuore che batteva forte. Che cosa doveva fare per fargli capire che non c’era più pericolo?
«Stan?»mormorò.
Sfiorò con le dita il profilo della statua, non osando domandarsi se ci fosse vita dentro a quel guscio.
«Stan, puoi svegliarti adesso. È passato il pericolo» disse ancora.
Qualcosa si mosse impercettibilmente, un guizzo di energia che attraversò la pietra. La ragazza posò i palmi sul viso di Konstantin.
«Forza, Stan, dobbiamo andare! Stan? Sono Aqua!»
Aqua sentì i palmi delle mani formicolare mentre la pietra si scaldava, trasformandosi lentamente in pelle. L’incantesimo di Konstantin si stava infrangendo, permettendo al mago di tornare a vivere. Quando gli occhi si aprirono, Aqua si allontanò di un passo, sorridendo.
«Bentornato» disse.
Il mago si riscosse e si portò le mani al viso.
«Che cosa è successo? Aqua? Che cosa ti è capitato?!» balbettò.
«È lunga da spiegare. Lascia perdere e seguimi, non ci resta molto tempo.»
 
L’avanguardia dell’esercito di Micael raggiunse il palazzo di Storr senza troppe difficoltà. Anche gli orchi prima o poi sarebbero finiti, Liam non faceva che ripeterselo.
«Tagliamo a Sud» gridava Micael, appena più indietro, e lui non se lo fece ripetere due volte.
Per raggiungere l’arena dei draghi dovevano aggirare il palazzo, ed era senza dubbio meglio farlo verso Sud, il più lontano possibile da Ruben. Se non ci fosse stato quello stupido carretto a rallentarli sarebbe stato tutto più semplice, ma nel bene o nel male una volta raggiunto Djalmat sarebbe successo qualcosa.
Una freccia gli passò accanto sfiorandogli un braccio e strappandogli un grugnito. Era l’ennesima piccola ferita di cui non aveva bisogno, e Liam cominciava ad accusare. Accanto a lui, Rayhana era coperta di sangue nero. La ferocia con cui si stava battendo era pari solo a quella di Alec che roteava la sua spada e abbatteva orchi con la facilità con cui si raccolgono le margherite.
«Ruben è nell’arena» gridò improvvisante Jonna.
«Come lo sai?» gridò il mago in risposta.
«Lo so e basta. C’è anche tuo fratello, diamoci una mossa!»
Così dicendo, alzò le braccia davanti a sé e dalle sue mani proruppe una vampa di fuoco che carbonizzò tutti gli orchi che le stavano davanti. Liam si affrettò a seguirla.
 
Entrando nella grande arena, Irthen trattenne il respiro: sette draghi immensi li aspettavano, circondati dai tre stregoni e da orchi e orchetti. Djalmat, davanti a tutti, costituiva una visione agghiacciante. Le sue squame rosso scuro brillavano anche nella luce spenta di quel pomeriggio che sembrava già autunnale, i suoi occhi dalle pupille verticali erano puntati su Ruben.
«Sei arrivato, alla fine.»
La sua voce profonda riverberò come un’eco nella testa di Irthen facendogli venire la pelle d’oca. Il Re dei draghi aprì le fauci ed eruttò una cascata di fiamme. Accanto a Ruben, Debrina ed Eetan alzarono uno scudo protettivo contro il quale le fiamme si infransero esplodendo in bombe di fuoco. Djalmat ruggì e Irthen distolse faticosamente gli occhi dalle sue zanne per decidere come muoversi. Aqua si era avvicinata ad Amina quatta quatta e c’era Konstantin con lei. Per qualche assurdo motivo, il ragazzo si sentì più tranquillo.
«Coraggio» si disse.
Impugnò più stretta la sua spada e la sollevò davanti a sé. Djalmat agitò le ali possenti e si alzò in volo, imitato dal suo piccolo esercito.
«Aqua, Dede!» chiamò Ruben.
«Ci pensiamo noi» gridò in risposta Debrina.
Il rumore del battito d’ali era spaventoso e assordante, ma non era nulla in confronto al quantitativo d’aria che muovevano. Irthen riusciva appena a tenersi in piedi. Arrancando, vide Aqua e Debrina stringersi a Timothy e ad Hailie e prepararsi all’attacco. Quando una nuova onda di orchi e orchetti si fece avanti anche tutti gli altri si lanciarono. Anche Irthen era intenzionato a fare altrettanto, ma quando si trovò la strada sbarrata da Abigail gli tremarono le gambe e dovette, suo malgrado, indietreggiare. Sapeva che sarebbe successo, avevano un conto aperto che prima o poi avrebbero dovuto chiudere e forse quel momento era arrivato.
«Pronto, Ir? Questa volta non si scherza» disse prima di lanciarsi su di lui.
Irthen parò il colpo, ma le braccia minacciarono di piegarsi tanto era stato violento l’impatto. Non poteva battere una guerriera come Abby, poteva solo cercare di prendere tempo, in attesa che succedesse qualcosa. Il suo fianco sinistro era perennemente scoperto, gli aveva detto Liam. Istintivamente guardò il fianco dello stregone: la camicia era zuppa di sangue. Anche se non dava segno di risentirne, doveva essere stata ferita di recente. Irthen attaccò a quel fianco, ma Abby parò agilmente e contrattaccò. Il ragazzo indietreggiò ancora, incespicando. Lo stregone approfittò di quell’attimo di esitazione e attaccò di nuovo. Quando la lama affilata di Dente di Cobra lo colpì al petto e incontrò l’armatura di cuoio, Irthen grugnì. Nonostante la protezione, il colpo era stato tanto potente da togliergli il respiro e sbilanciarlo. Con l’agilità di una pantera Abby balzò di nuovo su di lui, e anche se Irthen faceva del suo meglio per contenerla, le capacità dello stregone erano di troppo superiori alle sue. Abby lo colpì alla spalla e il ragazzo lasciò cadere la spada, ululando di dolore. Abby sollevò di nuovo Dente di Cobra.
 
Liam rincorse Jonna a perdifiato fino all’ingresso dell’arena. Djalmat volava in circolo mentre i suoi draghi sputavano fuoco e schivavano gli incantesimi che dal basso venivano lanciati verso di loro. Tutti combattevano ed era difficile capirci qualcosa. Jonna si bloccò improvvisamente, obbligando Liam a fare altrettanto.
«Li’, laggiù c’è Irthen. Tu pensa a lui, io devo andare da Djalmat.»
Liam sgranò gli occhi. Il momento che aveva tanto temuto era giunto.
«Non andare, non sei obbligata a farlo» farfugliò.
La ragazza gli posò una mano sulla guancia.
«Lo so. Ma io ho assorbito una parte – seppur minima – dei suoi poteri, quindi se c’è qualcuno che può batterlo, quella sono io. Non ho parole per ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me, Liam.»
«Smettila di parlare come se stessi per morire!»
Jonna sorrise e fece un passo indietro.
«Vai» disse prima di voltarsi e scomparire tra la ressa.
Liam cercò invano di seguirla con lo sguardo, sopraffatto per un attimo dalla disperazione e dal bisogno fisiologico di seguirla. Poi prese un respiro profondo e le volse le spalle. Guardando nella direzione che Jonna gli aveva indicato non riusciva ad individuare suo fratello. Mentre il resto dell’esercito di Micael si faceva largo nell’arena, però, riconobbe Konstantin e si precipitò da lui.
«Stan! Ho bisogno di te!»
«Liam?!» domandò quello meravigliato.
«Non c’è tempo per spiegare! Perché un colibrì dovrebbe poter fermare un mago d’Aria impazzito?» domandò.
«Parli di Lukas? È qui?»
Liam segnò il carretto che i nani stavano trascinando nell’arena. Konstantin si passò una mano sul viso.
«Non saprei. Il colibrì è l’uccello che batte le ali con la frequenza più alta, riesce a restare perfettamente immobile e anche a volare all’indietro se lo desidera. In un certo senso sfida l’aria...molto poetica come immagine.»
Liam imprecò.
«Che cavolo significa? Che devo prendere un colibrì e lanciarglielo contro?!»
Konstantin si rabbuiò.
«Tu non comandi gli animali.»
«Era solo un modo di dire» sbottò Liam.
«Ti fidi di me?» domandò improvvisamente Konstantin.
«S-sì, perché?»
«Tu vai da Irthen, a Lukas penso io.»
«Ma…»
«Per favore.»
Liam deglutì a vuoto e annuì.
Konstantin gli volse le spalle e Liam non sprecò un secondo di più: si lanciò alla ricerca di Irthen, pregando di essere ancora in tempo. Spostandosi tra le fila di combattenti attirava sguardi perplessi e confusi. Le persone che l’avevano visto scappare e piantare tutto, ora lo vedevano ricomparire senza un’apparente motivazione. Avrebbe tanto voluto gridare loro la verità, ma non c’era tempo. Da lontano vide la doppia lama azzurra di Dente di Cobra saettare e colpire Irthen al braccio. Irthen lasciò cadere la propria spada ed Abby si preparò ad attaccare di nuovo, per l’ultima volta.
«No!» gridò Liam lanciando un incantesimo contro di lei.
Abby se ne avvide in tempo e lo parò, mentre Irthen raccoglieva l’arma e correva incontro a Liam.
«Li’, sei vivo!» esclamò.
Liam gli sorrise.
«Avevi dei dubbi? Com’è quella ferita? È una cosa seria?»
«Non lo so, non credo. Ma fa male e non so quanto ancora riuscirò a combattere.»
Liam annuì. Abby li aveva raggiunti e ora li guardava con una luce assassina negli occhi.
«Mi domando perché io debba sempre vedermela con due persone alla volta» disse.
«Te lo chiedi pure?» sbottò Liam.
Puntò la spada verso di lei.
«Non avrei mai voluto arrivare a tanto…» mormorò.
Liam aveva promesso a sé stesso che avrebbe portato Irthen a veder il mare, quindi non  poteva morire per mano di Abigail. Trasfuse la sua magia nella spada e attaccò.
 
Quando l’esercito di Micael fece il suo ingresso nell’arena, Amina non poté fare a meno di scandagliare la massa di combattenti. Davanti a tutti stava Jonna, subito dietro a lei Liam, e poi l’oggetto della sua ricerca: Alec.
Il cuore di Amina mancò un colpo. Non vedeva suo marito dal giorno in cui le loro strade si erano divise, e aveva fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per evitare di incontrarlo. Anche da quella distanza poteva notare come quei cinque anni non l’avessero cambiato, come fosse ancora perfettamente identico a Stan. Anche Alec si guardava intorno, e quando i loro occhi si incrociarono si mosse verso di lei. Amina deglutì. Se avesse dovuto combattere contro di lui non avrebbe osato cercare di fargli del male, sarebbe morta piuttosto.
«Speravo che non saresti stata qui, Mina» disse quando la raggiunse.
La sua voce aveva mantenuto la stessa meravigliosa profondità.
«Mi dispiace» rispose faticosamente.
«Non sei cambiata.»
Amina tentò di respirare profondamente ma il cuore le batteva troppo forte.
«Non dici niente?» insistette Alec.
«Non c’è niente che non ti abbia già detto» farfugliò.
Il mago si rabbuiò.
«Anche Stan è qui» disse.
Amina annuì e Alec si concesse un sorriso amaro.
«E pensare che eravate voi ad opporvi a tutto questo! Guardati intorno: hai rinunciato a seguirmi e che cosa hai ottenuto? Che cosa è cambiato adesso?»
«Adesso è una necessità, non una scelta» rispose Amina sentendo tornare un po’ di fermezza. «Sei tu che hai preferito la vendetta a quello che avevamo costruito insieme!»
«Può darsi, ma è la tua città ad essere finita in cenere, la tua famiglia ad essere bruciata viva! Se avessi avuto un po’ di dignità avresti fatto il possibile tu stessa per ottenere vendetta!»
Accecata dal dolore e dal senso di colpa, Amina sentì vacillare il controllo dei suoi poteri.
«Non è vero!» gridò. «Io ho fatto tutto quello che potevo per loro, la vendetta non me li restituirà!»
«Nemmeno lo startene con le mani in mano, se è per questo.»
Amina lanciò un incantesimo, mancando Alec volutamente, e il mago sogghignò.
«Nemmeno adesso, nonostante tutte le cattiverie che ti sto dicendo, hai il coraggio di combattermi?!»
Alzò una mano e la attaccò obbligando Amina a difendersi.
«Fammi vedere che cosa avresti voluto dirmi in questi cinque anni, Mina» disse preparandosi ad attaccare di nuovo.
 
Raggiunto il centro dell’arena, Jonna alzò il capo verso l’immenso drago rosso che volava in circolo sopra alla sua testa.
«Sono qui, Djalmat» gridò.
Il Re dei draghi planò e si posò davanti a lei. La fissò con quegli occhi dorati e la ragazza sapeva che avrebbe dovuto tremare di paura ma non ci riusciva. La vicinanza del drago le dava un’energia che non credeva di possedere e di fuggire non aveva proprio voglia.
«Ti stavo aspettando» disse il drago.
«Abbiamo un conto aperto, mi pare.»
Djalmat spalancò le fauci ed eruttò una vampa di fuoco. Jonna lo lasciò fare, proteggendosi solo il minimo indispensabile. Il calore delle fiamme del drago la avvolgeva come un bozzolo. Non aveva un’idea razionale di come combattere un drago, non l’aveva avuta nemmeno a Madian, ma come allora un istinto irrazionale si era risvegliato. Cinque anni prima ci era andata tremendamente vicina, e cinque anni prima non aveva ancora quei poteri mostruosi. Quando le fiamme si estinsero, la ragazza sbuffò.
«Se hai finito e se non hai niente in contrario, ora tocca a me» disse alzando le mani.
Il fuoco che proruppe dai suo palmi non raggiunse Djalmat perché questo rispose al fuoco. L’urto le fece male alle braccia, ma si obbligò a resistere. Aveva promesso a sé stessa che questa volta avrebbe vinto lei: non poteva fallire.
 
«Ascolta, Ir» disse Liam dopo l’ennesimo attacco andato a vuoto. «Tutto il potere che posso mettere in questo pezzo di ferro non sarà comunque sufficiente, ho bisogno del tuo aiuto. So che la spalla fa male, ma devi cercare di ignorarla. Ce la puoi fare?»
«Non parlarmi come se fossi ritardato, Liam!» sbottò Irthen ruotando il braccio destro con una smorfia.
«Dobbiamo attaccarla insieme» continuò il mago. «Oggi ha già subito una brutta ferita, e per quanto grandi possano essere i suoi poteri, non può averla già rimarginata completamente…»
«Fianco sinistro?» domandò Irthen.
«Fianco sinistro» confermò Liam.
Il mago osservò suo fratello lanciarsi senza esitazioni verso Abby con una punta d’invidia. Se aveva paura non lo dava a vedere. Lui, invece, se la stava facendo nelle mutande, ma non poteva permettersi di essere da meno. Mentre la spada di Irthen cozzava contro Dente di Cobra, anche Liam attaccò con la lama sollevata carica della sua energia magica, al fianco destro. Abigail sollevò uno scudo protettivo, ma Liam riusciva a percepirne la debolezza. Combattere su due fronti era troppo impegnativo per lei con quella ferita ancora fresca. Tuttavia, lo stregone non si dava per vinto. Con un incantesimo allontanò Liam abbastanza da potersi permettere qualche colpo mirato diretto ad Irthen. Liam trattenne il respiro quando vide la doppia lama calare su suo fratello, ma inaspettatamente Irthen schivò il colpo e riuscì ad aggirare Abby. Liam lanciò un incantesimo e lo stregone lo parò, ma in una frazione di secondo la sua espressione si congelò. Con aria sorpresa, Abigail abbassò lo sguardo sulla lama che le sporgeva, insanguinata, dallo stomaco.
 
Irthen sentì le lacrime rigargli il viso sporco di polvere e di sangue, ma non vi prestò grande attenzione. Sfilò lentamente la spada dal corpo di Abby e l’unica cosa di cui era vagamente consapevole era il sangue che colava lungo la lama, l’elsa e sulle sue mani.
Abigail cadde in ginocchio.
«Proprio tu…» mormorò con un filo di voce.
«Se non l’avessi fatto mi avresti ucciso» disse Irthen con la voce che tremava.
«L’avrei fatto, sì?» sussurrò Abby. «Avresti potuto essere la mia redenzione, Ir…»
Gemette e cadde bocconi.
Irthen singhiozzò cedendo a quel senso di vuoto che gli dilaniava il petto. Attorno a lui la battaglia infuriava, ma cosa importava? Abby era morta, e lui l’aveva uccisa, trapassata con la spada che era appartenuta a Liam.
«Ir? Stai bene?»
La voce di suo fratello lo riscosse.
«N-non lo so» balbettò. «Suppongo che dovrei star bene…»
Liam lo abbracciò stretto, cogliendolo di sorpresa e facendogli male alla spalla.
«Ma che fai? Siamo in guerra» sbottò.
«Lo so, ma ti rendi vagamente conto di che cosa sei riuscito a fare?!»
Irthen scosse il capo e si asciugò gli occhi con la manica strappata. Quando tornò a guardare Abby notò che lentamente il suo corpo si stava polverizzando. Le folate di vento sollevate dai draghi in volo disperdevano irrimediabilmente ciò che restava di lei.
«Prendi Dente di Cobra» disse Liam.
«Cosa?!»
«Dai, non fare l’idiota! Se non la prendi tu, presto lo farà qualcun altro! Non ti resterà niente di lei su cui piangere.»
Irthen lo fissò inebetito ancora per un secondo, poi annuì.
Si inginocchiò accanto a lei, le sfiorò il viso. Sotto alle dita, il suo corpo si stava trasformando in sabbia.
«Mi dispiace tanto, Abby…» sussurrò.
Poi prese la spada e si tirò in piedi.
 
Quando Konstantin fu abbastanza vicino alla schiera di Micael, non riuscì a trattenere un’imprecazione. In tutto quel caos tremendo, una ragazzina stava spingendo la gabbia di Lukas al centro dell’arena. Il mago si guardò rapidamente intorno: Ruben stava affrontando Micael ed era difficile dire chi stesse avendo la meglio; Eetan combatteva con una maga di elemento Acqua dai folti capelli rossi; Djalmat volava in circolo su di loro, bersagliato dagli incantesimi di Jonna; Aqua e Debrina – non aveva idea di cosa fosse capitato loro, ma funzionava magnificamente – aiutate da un gruppo di maghi di ambo le fazioni, si stavano occupando dei draghi e ne avevano già abbattuto uno, mettendo in fuga parecchia gente; lontano ma ben visibili ai suoi occhi, Amina e Alec combattevano tra loro. Konstantin non sapeva dire se facessero sul serio o meno, ma non osava sperare di rivederli entrambi sani e salvi. Con il cuore pesante si obbligò a prestare attenzione a Lukas. La ragazzina stava sciogliendo alcuni incantesimi dalla gabbia del bambino, aiutata da Malik del Fuoco, da Pierre dell’Aria, e da Leonor dell’Acqua. Stan si ricordava di loro, avevano preso parte attiva al Consiglio di Effort. Liam non se n’era reso minimante conto, ma quella sua stizza nei confronti del povero colibrì di cui gli aveva parlato Lukas aveva risolto l’indovinello, o almeno lui sperava fosse così. Ora, Konstantin non doveva fare altro che aspettare il momento giusto e farsi trovare pronto.
 
Liam attraversò di corsa il campo di battaglia trascinandosi dietro Irthen. Era preoccupato per lui, ma ora non c’era tempo per pensarci. Voleva trovare Jonna prima che fosse troppo tardi. Un drago passò a pochi piedi da terra, come in avaria, e Liam alzò uno scudo sulle loro teste, memore di quanto accaduto ad Erika sulle rive del Llatas. Irthen gli aveva detto che Aqua e Debrina erano state alla Cascata e ne erano tornate con dei poteri inimmaginabili. Mossa rischiosa ma di indubbia utilità, anche se l’idea di una persona instabile e capricciosa come Aqua in possesso di simili poteri non lo lasciava tranquillo. Djalmat passò sulla loro testa schivando un incantesimo e Liam cercò di individuare il punto di partenza. La rapidità con cui si susseguivano gli attacchi e i contrattacchi tra Jonna e il Re dei draghi gli dava la sensazione che la maga fosse ovunque.
«Laggiù» gridò improvvisamente Irthen.
Liam volse lo sguardo nella direzione che suo fratello gli indicava e la vide.
 
Quando le pareti della gabbia che tratteneva il piccolo Lukas caddero, Konstantin serrò i pugni. I quattro maghi lo colpirono con quattro fasci di energia, strappandogli un grido. Era quello il piano di Micael? Fargli abbastanza male da farlo impazzire? Era disumano. Konstantin chiamò a raccolta le proprie forze e avocò un colibrì. Non sarebbe stato facile farlo giungere incolume fino a lì, non avrebbe potuto perdere il contatto nemmeno per un secondo. Doveva riuscire a fargli attraversare un campo di battaglia popolato, fra l’altro, di orchi, orchetti, stregoni, maghi, elfi e nani.
«Vedo che nonostante tutto sei ancora in splendida forma, Konstantin della Terra.»
Stan si volse lentamente. Caleb lo osservava con i suoi placidi occhi castani, come se avesse incontrato un vecchio conoscente al mercato, e non un nemico giurato che gli era sfuggito da sotto il naso nel pieno di un duello.
Il mago lanciò un’occhiata a Lukas e Caleb ghignò.
«Ah, sei qui per il bambino, allora. Come sospettavo.»
Sfoderò la sciabola e lo attaccò,  e Konstantin si vide obbligato a difendersi, consapevole di non potersi distrarre. Osservando lo stregone da vicino poteva vedere quanto fosse provato, nonostante la sua baldanza. Il sangue che gli inzuppava gli abiti non era tutto altrui.
Lontano, Djalmat continuava a sputare fuoco contro Jonna, che non sembrava intenzionata a farsi ammazzare.
«Non ti permetto di ignorarmi!» sibilò Caleb attaccando ancora.
Il colibrì era sempre più vicino.
Improvvisamente l’attenzione di entrambi fu catturata da un boato. Lukas era circondato da una tremolante luce argentata e i maghi che l’avevano attaccato si stavano allontanando di corsa.
Konstantin scattò verso di lui, solo vagamente consapevole della presenza di Caleb che lo inseguiva. Doveva raggiungere quel bambino, prima che fosse troppo tardi.
 
Amina respirava a fatica in mezzo a tutta quella polvere e a quel sangue.
«Alec» mormorò.
Anche Alec era piegato in due e ansimava. Lo sforzo di attaccarsi senza la reale intenzione di farsi male era spossante. Allora perché continuavano? Amina non aveva idea di come stesse andando la battaglia, aveva la sensazione che il suo mondo sarebbe finito lì, in quel momento.
«Dovremmo smetterla» disse.
«Smetterla?!» esclamò Alec. «E se la smettessimo che cosa succederebbe? Non possiamo fare altro, siamo qui per questo!»
«Ma io non voglio battermi con te!» gridò Amina.
Alzò gli occhi appena in tempo per vedere un lampo che si dirigeva verso di lei, troppo vicino perché potesse evitarlo. Senza capire che cosa fosse accaduto, la maga si ritrovò stesa sul terreno viscido e sconnesso, schiacciata dal peso di Alec.
«M-mi hai salvato la vita?» balbettò.
Alec la guardò con gli occhi sgranati e Mina temette che se ne fosse pentito, ma il grido di Ruben li fece sobbalzare. Alec balzò in piedi e tese una mano ad Amina, sfogando una sfilza di imprecazioni. L’incantesimo che aveva rischiato di uccidere Mina aveva colpito in pieno Micael, che ora giaceva bocconi. Ma Ruben, fermo accanto a lui, gridava e gesticolava verso un punto davanti a sé. Amina e Alec guardarono in quella direzione e trattennero il respiro, accecati da una fiamma argentata.
 
Irthen si stava lasciando trascinare in giro da Liam alla disperata ricerca di Jonna. Non riusciva a capire per quale motivo dovessero trovarla a tutti i costi, ma Liam era tanto preoccupato che non osava contraddirlo. E quella ricerca assurda aveva il pregio di tenergli la mente occupata. Quando finalmente giunsero in vista della maga, una grande luce attirò la loro attenzione. Anche Liam si bloccò di colpo e prese Irthen per un braccio, attirandolo a sé.
«Che cavolo è?!» domandò il ragazzo.
«Quello è Lukas» rispose Liam alzando una barriera davanti a sé.
 
Konstantin corse a perdifiato verso quella luce. Dietro di lui Caleb continuava a lanciare incantesimi per rallentarlo, ma le raffiche potentissime di vento generate dal bambino li deviavano, allontanandoli da Stan. Il mago aveva la sensazione che ogni raffica gli strappasse di dosso pelle e carne, ma sapeva di dover andare avanti. Aveva detto a Liam di fidarsi di lui, non poteva fallire. Davanti a sé vide giungere il colibrì che stava aspettando e per il quale aveva profuso tanto impegno e tanta energia. Lasciò cadere la spada e prese l’uccellino tra le mani. Lukas ormai era vicino, il vento feriva il viso e le mani del mago.
«Lukas, fermati!» gridò, invano.
Sentiva dietro di sé Caleb farsi sempre più vicino, ma quando riuscì ad entrare nell’aureola di luce argentata perse ogni contatto con ciò che lo circondava. Quella luce bruciava la pelle come fuoco. Al centro del bozzolo, avvolto da correnti sempre più furiose, stava Lukas.
«Lukas!» chiamò di nuovo Stan arrancando faticosamente verso di lui, l’uccellino ancora stretto tra le mani.
Prese un respiro profondo e schiuse le dita. Il colibrì sbatteva le ali freneticamente.
«Fermo!» gridò Caleb alle sue spalle.
Stan trattenne il fiato quando la sciabola dello stregone lo colpì alla schiena. Il colibrì gli sfuggì di mano e rimase a fluttuare, immobile, davanti a Lukas. Non sembrava soffrire il vento esagerato, la luce bollente né le correnti che avrebbero dovuto trascinarlo via. Come in una bolla magica batteva le sue ali e si manteneva stabile.
E come tutto era cominciato, improvvisamente, così tutto cessò. I venti si placarono, la luce si spense. Lukas tese la mano e il colibrì si posò sul suo palmo. Konstantin sorrise, poi crollò al suolo, sopraffatto dal dolore e dalla debolezza. Il bambino sgranò gli occhi sul mago ferito a morte ai suoi piedi, poi guardò la sciabola insanguinata di Caleb. Alzò la mano libera e colpì lo stregone al petto, scaraventandolo lontano come fosse stato una bambola di pezza.
 
Quando con un lampo la luce scomparve e il vento cessò, Amina si lanciò verso il punto in cui avevano visto scomparire Konstantin e Caleb, con il cuore in gola, seguita a ruota da Alec. Videro Lukas colpire lo stregone e quest’ultimo volare verso di loro e schiantarsi al suolo in modo scomposto. Amina sapeva che era morto prima ancora di toccare terra, concentrata com’era su di lui aveva sentito chiaramente la sua vita centenaria spegnersi. Senza perdere un secondo si precipitò da Konstantin. Lukas la guardò con occhi colpevoli e con l’uccellino ancora stretto a sé scomparve in un leggero soffio d’aria.
«Voi due» mormorò Stan. «Non c’era nessun altro che desiderassi vedere…»
Amina non riuscì a soffocare un gridolino quanto comprese quanto grave fosse la ferita infertagli da Caleb.
«Lascia che ti giri, Stan. Lascia che ti curi» farfugliò.
Konstantin sorrise, ma il suo sorriso si trasformò in una smorfia.
«Sai bene che non si può» disse.
Amina guardò Alec, che aveva gli occhi lucidi ma non piangeva.
«Dobbiamo fare qualcosa, Alec!»
Alec guardò suo fratello e sorrise, e la tristezza di quel sorriso si rifletteva sul volto pallido di Konstantin.
«Che cosa hai combinato, Stan?» mormorò.
«Vi ho salvato le chiappe. E ne valeva la pena» disse, la voce ormai ridotta ad un sussurro. «Mi sei mancato da impazzire, Al.»
«Anche tu, Stan» rispose Alec, ma suo fratello, ormai, non poteva più sentirlo.
 
Liam trattenne il respiro.
«Li’? Che succede?» domandò Irthen tirandolo per un braccio.
Liam scosse il capo.
«Non sono sicuro, ma temo qualcosa di brutto» disse.
Era chiaro che Konstantin era riuscito a fermare Lukas, ma che cos’era successo poi? Non osava farsi domande, ma quel secondo lampo di luce non gli diceva niente di buono.
«Dove è andata a finire Jonna?» domandò Irthen.
Liam si riscosse e cercò la maga con lo sguardo, ma era scomparsa.
«Nel casino l’abbiamo persa.»
Alzò gli occhi al cielo. Djalmat non si vedeva più. Per una frazione di secondo osò sperare ma capì subito che il drago era atterrato e ora combatteva con Jonna in un angolo defilato dell’arena. Liam si affrettò a raggiungerla, ma presto si rese conto di non potersi avvicinare: la temperatura dell’aria era troppo alta.
«Maledizione!»
«Che cosa vorresti fare?» domandò suo fratello.
«Non posso fare niente, sono un elemento Acqua, a questa temperatura non sono neanche sicuro che i miei incantesimi riescano a raggiungerli!»
Sembrava incredibile ma i colpi che i due si lanciavano si equivalevano in potenza. Liam ora capiva perché Jonna diceva di essere l’unica ad avere la possibilità di battere il Re dei draghi. Non l’avrebbe mai creduta capace di una cosa simile. La maga era sfinita, ma lo era anche Djalmat, e di questo nessuno avrebbe potuto dubitare.
«Liam, guarda» gridò Irthen puntando il dito su qualcosa sopra di loro.
Un altro drago stava precipitando. Si schiantò al suolo con un gran boato e Malik si affrettò a tagliargli la grossa testa crestata.
Liam riportò subito lo sguardo al duello che gli interessava e trattenne il respiro. Jonna era caduta in ginocchio nella polvere e Djalmat si stava preparando a colpire di nuovo. Il mago scattò ma Irthen lo trattenne.
«Lasciami, Ir!»
«No! Guarda!»
Liam si sforzò di contenere l’angoscia e obbedì. Irthen aveva ragione. La maga era in ginocchio ma la sua testa era ancora alta e lo sguardo tutt’altro che sconfitto. Non era finita.
Djalmat ruggì e sputò un fiume di fuoco. La maga alzò le braccia e rispose al colpo attaccando a sua volta. Le due fiamme si scontrarono con il frastuono di un’esplosione, e l’onda d’urto fece cadere Liam ed Irthen a terra. Ma né Jonna né il drago cedevano terreno. E le fiamme si alimentavano a vicenda accrescendo il potenziale distruttivo dell’incantesimo.
“Esploderà!” realizzò improvvisamente Liam.
Prese un polso di Irthen e lo trascinò via, con il cuore a pezzi. Alzò una barriera dietro di sé, pregando che fosse sufficiente a salvare loro la vita. Non aveva bisogno di voltarsi indietro per sapere che la palla di fuoco era immensa ed estremamente instabile. Poi, con un boato assordante le fiamme esplosero, avvolgendo ogni cosa.
Liam tenne stretto Irthen dietro al suo scudo e trattenne il respiro, sentendo le energie che scemavano velocemente, consumate dalla violenza dell’esplosione. Tenne la mente fissa sullo scudo per non pensare che là in mezzo c’era Jonna.
Quando il fuoco si fu estinto, lasciò cadere la barriera e si guardò intorno con circospezione. I maghi come lui si erano protetti a vicenda dimenticando nemici e alleati, e avevano protetto nani, elfi e i civili indifesi, ma moltissimi orchi e orchetti erano finiti in cenere. Nel punto d’origine, Djalmat e Jonna giacevano a terra, immobili.
Liam si avvicinò lentamente. Aveva la sgradevole sensazione che il tempo si fosse fermato. Djalmat era, infine, morto, ma Jonna – la sua bella e coraggiosa Jonna – aveva condiviso il suo destino.
«No…» mormorò Liam, lasciandosi cadere accanto a lei.
Le sfiorò i capelli impolverati, domandandosi come fosse possibile che quell’esplosione tremenda non avesse intaccato il suo corpo.
«Non avrei dovuto permettertelo» sussurrò.
Sentì appena la mano di Irthen posarsi sulla sua spalla. In un attimo, era come se tutto quello per cui aveva combattuto e vissuto fosse andato perduto, come se da quel momento in poi ogni desiderio gli fosse precluso, totalmente estraniato dalla sua vita. Sentiva la follia in quel pensiero, e in qualche modo l’idea di essere impazzito lo consolava.
«Guarda, Li’» disse Irthen.
Liam alzò faticosamente lo sguardo.
I pochi draghi rimasti stavano fuggendo verso Sud, gli orchi battevano in ritirata. Questo poteva solo significare che tutti e tre gli stregoni erano caduti.
«Abbiamo vinto, nonostante gli Unicorni ci abbiano piantati in asso» disse Irthen con la voce che tremava.
«Sì, ma a quale prezzo?» rispose Liam volgendo gli occhi a quell’inferno di morte e sogni infranti.





********************
Ok, dopo la bellezza di 5 mesi e mezzo ecco a voi un aggiornamento! 
Lo so, lo so, è un bagno di sangue, vi prego di non odiarmi più di quanto meriti...non sapete quanto sia stata dura starmene in spiaggia sotto all'ombrellone, vista mare, con la mia agendina e la penna a massacrare personaggi innocenti ("Non tutti..." N.d.Liam).
Detto questo, vi informo ufficialmente che nell'arco di una settimana - spero non sia una promessa da marinaio - avrete il gran finale! 
Perciò adesso aiutatemi a raccogliere tutti i fazzoletti che ho sparso per terra e a buttare i filtri della camomilla :3



Cat

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Capitolo 57
*** Orizzonti (Epilogo) ***


Irthen vagava ormai da ore sul campo di battaglia deserto senza trovare pace. Qualche timido raggio di sole filtrava dalle nubi che andavano diradandosi, ma Irthen non aveva nessuna voglia di vederlo. Un bel tramonto non avrebbe fatto che peggiorare il suo umore nero. Erano passate quasi ventiquattro ore dalla morte di Abby, e di Jonna, di Stan… A volte gli sembrava fosse accaduto solo pochi minuti prima, altre che fossero già passati anni.
Ruben aveva decretato che alle prime luci dell’alba sarebbero ripartiti per Natìm, e non sarebbe stato un viaggio semplice. Erano stanchi, feriti, e depressi. Avevano vinto, ma sembrava non interessasse a nessuno. Nel silenzio di quel tramonto surreale, Irthen non era riuscito a starsene nella propria tenda: sentiva ancora il richiamo di Abby, tra quelle rovine.
«Ir?»
Il ragazzo sobbalzò. In piedi dietro di lui c’era Chloé.
«Che cosa ci fai qui?» le domandò.
«Ti ho seguito. È pericoloso stare qui, potrebbe crollare qualcosa, potrebbero esserci ancora orchi! Per non parlare della puzza…»
Irthen scosse il capo, assalito da un improvviso attacco di nostalgia.
«Domattina partiremo e io non so se nella mia vita avrò mai la possibilità di tornare qui. Volevo salutarla un’ultima volta.»
Chloé abbassò lo sguardo.
«Tu e Liam non siete venuti alla riunione, questa mattina.»
«Non eravamo dell’umore» rispose. «Che cosa si è deciso?»
«Credevo avessi già parlato con Yu. Mi ha detto che sarebbe venuta da te» disse Chloé.
Irthen arrossì.
«Abbiamo fatto altro.»
Chloé sorrise.
«Degno fratello di Li’. Non è che si sia deciso granché… I superstiti dell’esercito di Micael torneranno a Torat guidati da Rayhana e da Malik. I nani andranno con loro, per poi proseguire verso Est. All’inizio sembrava volessero inseguire i draghi in fuga fino al Monte Alba, ma senza i maghi non se la sentono, quindi hanno rinunciato. D'altronde, anche i loro alleati torneranno alle rispettive città. Orchi e orchetti sembrano essere spariti nel nulla, i ricognitori non ne hanno trovato traccia. Tuttavia, per maggior sicurezza gli elfi di Glenndois verranno con noi fino a Natìm, mentre quelli di Horlon andranno a Lumia guidati da Rowena. Il Re verrà con noi e poi andrà con Glenn a Bosco Lossar prima di tornare a casa. Aqua e Debrina se ne sono andate per conto loro dicendo che devono imparare a gestire i loro nuovi poteri, e anche Mina e Alec sono già partiti. Credo che torneranno a Madian, ma non erano molto loquaci… Tutti gli altri torneranno a Natìm, per poi fare rotta verso casa, suppongo» concluse Chloé. «La Confederazione non ha più motivo di esistere.»
«E tu che cosa farai?» domandò Irthen.
«Io?» Chloé arrossì e Irthen fu certo di aver assistito ad un miracolo. «Io farò un salto ad Effort da mio padre, e poi…poi farò ciò che desidera Jamie. Voi invece? Tornate a Pothien?»
Irthen scosse il capo.
«Liam vuole vedere il mare. Dice che se l’era promesso.»
Chloé sorrise.
«Credo che gli farà bene. Stagli vicino, Ir. Verranno tempi duri.»
Irthen la guardò allontanarsi tra le rovine. Se solo non fosse stato a sua volta così a pezzi…
 
Quando la chiatta si staccò dalla sponda Sud del Lago di Nebbia, Liam continuò a guardare verso Cyanor, anche se il profilo della città non era più visibile già da un pezzo. Ogni volta che la sua mente ritornava all’ultima battaglia, il suo cuore si rompeva in frammenti sempre più piccoli. Sapeva di dover ringraziare gli Dei per aver avuto salva la vita propria e quella di Irthen, cosa tutt’altro che scontata, ma quanto era stato portato loro via non era quantificabile. L’assenza di Jonna gli bruciava nel petto come il Fuoco che le era appartenuto, e non sapeva come fare a placare quel dolore tremendo. Che cosa sarebbe successo se fosse stato sincero fin dall’inizio con suo fratello? Irthen non sarebbe scappato, non avrebbe incontrato Abby, non sarebbe caduto vittima del canto della sirena… Forse la situazione non sarebbe degenerata così velocemente, e lui avrebbe potuto continuare la sua vita senza prendere parte a quella follia di sangue.
“Sei un idiota, Liam” si disse. “Stan è morto per adempiere un compito che era stato affidato a te, e tu stai qui a piangerti addosso”.
Respirò a fondo l’aria carica di umidità e sentì la debolezza diminuire. Non vedeva l’ora di attraccare a Natìm per poter finalmente partire con Irthen. Sentiva il richiamo del mare già da lì.
Quando il Re degli elfi gli si accostò e si sporse dalla murata, Liam si volse verso di lui.
«Horlon» salutò. «Mi dispiace di aver portato Sophia a Torat senza la tua autorizzazione.»
Horlon fece un mezzo sorriso.
«Ho perso molti amici, negli ultimi due giorni» disse. «Non ti biasimo per esserti servito di lei dal momento che l’idea idiota è venuta a Ruben. E comunque l’hai riportata sana e salva, quindi non pensarci più.»
Liam annuì.
«Ad ogni modo, Liam» aggiunse il Re «sono certo che ti ricorderai che mi devi un favore per l’aiuto offerto dalla mia gente a tuo fratello.»
«Lo ricordo bene. “Qualunque cosa” ti dissi.»
Horlon gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
«Lo terrò a mente.»
Liam tornò a guardare l’orizzonte frastagliato della sponda Sud, sempre più lontana. Avrebbe tanto voluto essere già in marcia verso la costa.
 
Una volta raggiunta Natìm, gli elfi si congedarono. Solamente Oliandro decide di restare, almeno per un po’ di tempo, accanto a Ruben. Gli orchi avevano abbandonato i fronti di combattimento, ma c’era molto da ricostruire. Chloé era partita per Effort con James. Liam aveva riso quando la bionda aveva detto di volerlo portare da suo padre. Non faticava ad immaginare che faccia avrebbe fatto Joel quando se lo fosse trovato davanti. Prima di andare, Chloé gli aveva fatto un imbarazzante discorsetto su quante belle sorprese gli stava riservando la vita: era preoccupata per lui ma non l’avrebbe mai ammesso, e d’altra parte non ce n’era bisogno. Lui ed Irthen ci erano già passati, sapevano che cosa significava seppellire delle persone care. Sarebbero sopravvissuti anche a questo.
Finalmente,  tutto fu pronto e i cavalli furono sellati, pronti alla partenza. Ruben aveva regalato ad Irthen uno dei suoi cavalli perché Baio non sarebbe riuscito a portare in giro entrambi carico com’era di bagagli. Era bianco ghiaccio, e il suo nome era Tempesta. Irthen si era lamentato, diceva che non poteva veder morire un cavallo di nome Fulmine e montarne poi un altro di nome Tempesta, ma aveva accettato il dono con grande calore.
Assicurando l’ultimo bagaglio, Irthen sospirò.
«Ripasseremo da Natìm prima di tornare a Pothien, vero?» domandò.
Liam annuì.
«Perché me lo chiedi?»
«Perché adesso non sono dell’umore di salutare nessuno» disse accarezzando l’elsa di Dente di Cobra, legata insieme al resto.
«Eppure mi sa che qualcuno ci tiene a salutare te…» mormorò Liam con un sorrisino.
Irthen si volse. In piedi nella luce fioca dell’alba c’era Yu.
 
La vista di Yu per un momento fece girare la testa ad Irthen. La sua figura minuta si perdeva quasi nelle ombre del cortile deserto. La raggiunse.
«Pare che sia ora di salutarci» mormorò la ragazza.
Irthen sorrise, colpito dall’insolita incertezza nella sua voce. Yu si torturava le mani con aria nervosa, e lui non poteva fare a meno di continuare a sorridere con aria ebete. Era strano pensare che una volta finita la guerra non fosse rimasto nulla ad accomunarli.
Yu lo guardò di sottecchi.
«Ir?»
Irthen si riscosse e, d’impulso, la abbracciò stretta. Yu si irrigidì per un momento, prima di lasciarsi andare e aggrapparsi a lui.
«Mi mancherai» gli disse.
Irthen sospirò.
«Sai, io e Liam andremo a Ovest, verso la costa. Lui vuole vedere il mare, dice che… che dobbiamo andarci insieme. Ma quando ripasseremo da qui per tornarcene a casa… non so, magari potrebbe venirti voglia di venire con noi. Insomma, Pothien è un paesino, ma c’è tanto posto.»
Sentì Yu sussultare tra le sue braccia e si domandò perché mai gli fosse venuta la voglia di portarla via da Natìm. Forse perché non sopportava l’idea di vederla struggesi per quell’ingrato di Ruben, oppure perché in qualche anfratto del suo essere sapeva di non più fare a meno della sua presenza. “Non è così. La fine della guerra non ci rende estranei” si disse.
«Dici davvero?» farfugliò Yu.
«Certo.»
Nel breve silenzio che seguì, Irthen si sentì assordare dal proprio battito cardiaco. Perché non diceva niente?
Infine la ragazza si liberò dal suo abbraccio e gli sorrise.
«È un pensiero molto dolce, ma io non so se… Insomma, se Ruben…»
Colto da un’ondata di nausea, Irthen agitò le mani sperando di riuscire a nascondere l’imbarazzo.
«Non devi decidere adesso! Quando ripasseremo da Natìm mi risponderai, sì?»
Yu ridacchiò.
«Sì, va bene» gli scoccò un bacio sulle labbra e gli assestò un pizzicotto. «Buon viaggio, Ir. Portami una conchiglia.»
Irthen sorrise e si allontanò, massaggiandosi il braccio dolente.
«Siamo pronti?» domandò Liam montando Baio.
Il cavallo scalpicciò.
«Ho appena fatto una follia» balbettò il ragazzo montando Tempesta.
«Se è una follia lo si vedrà» rispose Liam sferzando il suo cavallo.
 
«Yu.»
Yu alzò gli occhi dalla pagnotta che impastava svogliatamente. L’anziana donna che fino a poco prima era stata accanto a lei era scomparsa, e al suo posto, ora, stava Ruben dell’Aria. Aveva lo sguardo stanco, e gli tendeva una ciotola di farina.
«Grazie» disse Yu prendendone una manciata.
«Stai pensando alla proposta di Irthen?»
La ragazza arrossì senza staccare gli occhi dall’impasto.
«Chi te l’ha detto?» ribatté sulla difensiva.
«L’Aria mi trasmette molte informazioni. Allora?»
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Non c’è nulla su cui pensare» tagliò corto.
Ruben si accigliò.
«Ho la sensazione che tu stia evitando di porti il problema, approfittando della situazione per nasconderti dietro a scuse insensate.»
Yu sbatté l’impasto sull’asse e piantò le mani sui fianchi.
«Io non scappo, Ben. Dovresti sapere che non sono una codarda.»
Ruben sorrise.
«Quello che intendevo dire è che dovresti considerare sul serio l’idea. Certe occasioni non si ripresentano, e meritano di essere valutate.»
La ragazza sospirò.
«Ti ricordo che io sono di tua proprietà. Mi hai comprata tredici anni fa, te ne sei dimenticato?»
«È questo il punto, bambina: per tredici anni mi sei stata accanto, hai eseguito fedelmente i miei ordini, sei stata un’alleata indispensabile per coraggio, acume, obbedienza e discrezione. Ma hai solo diciotto anni e io non voglio privarti del tuo futuro. Ti meriti di più di questa cucina, Yu.»
«C-che significa?» farfugliò la ragazza.
«Che sei libera» Ruben sorrise davanti ai suoi occhi sgranati. «E qualunque cosa deciderai, la mia casa sarà sempre la sua casa.»
“Libera”. La parola echeggiò nelle orecchie e in ogni fibra di Yu mentre con le guance rigate di lacrime guardava Ruben allontanarsi.
 
Per raggiungere la costa occidentale, Liam scelse di seguire il lungo corso del fiume Llatas. Gli ultimi soldati stavano ancora smantellando gli accampamenti, i volti tirati erano segnati dai combattimenti e dalle perdite subite. Liam evitò il più possibile di incrociare altre persone. Qualcosa dentro di lui lo convinceva ogni miglio di più che quello era un viaggio che lui ed Irthen dovevano affrontare da soli. E mentre da un lato il silenzio gli evitava di doversi nascondere dietro ad una maschera di cortesia che sentiva di non poter reggere, dall’altro non gli offriva appiglio per emergere da quel mare in tumulto di pensieri che rischiava di soffocarlo. E quando guardava suo fratello, leggeva lo stesso tormento nei suoi occhi. Fino a poche settimane prima era convinto di non avere assolutamente niente in comune con lui: non si era mai sbagliato tanto in vita sua.
Al tramonto si accamparono sulla sponda del fiume. Era una notte fredda e serena, e la luna piena illuminava di luce bianca il loro piccolo falò. Sbocconcellando un pezzo di pane, Liam prese un respiro profondo.
«Irthen, devo farti una domanda. È un po’ che ci penso ma mi è già mancato il coraggio talmente tante volte che è meglio se colgo l’attimo.»
Il ragazzo inghiottì un sorso d’acqua e lo guardò.
«Sentiamo.»
Liam si attorcigliò una ciocca di capelli intorno all’indice, improvvisamente nervoso.
«Ecco, io… Ultimamente mi sono trovato a pensare molto a mamma e papà, a com’era la vita prima che loro e Syra se ne andassero. È una cosa che mi sono sempre imposto di non fare, perché se l’avessi fatto non sarei riuscito a sopravvivere a tutto il resto.»
«La stai prendendo larga, Li’.»
«Nel mio sforzo di non pensare a ciò che avevo perso, ho obbligato anche te al silenzio.»
Si interruppe, alla ricerca delle parole giuste per chiedere a suo fratello se ricordasse ancora il volto dei suoi genitori. Ma Irthen sorrise.
«Il fatto che io non parlassi di loro con te non significa che non ne parlassi con nessuno. C’erano Jeremy, Roman, Hans e Dott, e poi c’era Elias… Insomma, di persone più inclini di te alla commemorazione ce ne sono sempre state tante.»
Liam sentì il peso sul cuore sollevarsi e scomparire completamente quando Irthen aggiunse:
«Non ho mai rispettato il tuo divieto, e i miei ricordi mi sono troppo cari. Stai sereno.»
Liam si picchiò il palmo della mano sulla fronte e sorrise.
«Quindi per tutto questo tempo quello maturo sei stato tu!»
Irthen rise, ma la sua risata si spense velocemente.
«Farai così anche con Jonna? La chiuderai da qualche parte per non pensarci?» mormorò. «Io non voglio dimenticare Abby. Nel bene e nel male, l’incontro con lei mi ha cambiato la vita, e ha rovesciato i mio modo di vedere il mondo» disse, ruotandosi l’anellino intorno al mignolo.
Liam sorrise.
«Non la dimenticherai, non ci si potrebbe dimenticare di lei nemmeno volendo. E la stessa cosa vale per Jonna.»
Per poche ore aveva davvero creduto di poter ricominciare da capo, una nuova vita accanto a lei. Quell’ultima battaglia aveva cambiato tutti gli equilibri: Jonna era morta, Clo aveva trovato la sua strada, Stan si era sacrificato per loro e la bella Mina, alla quale Liam doveva tanto, aveva ritrovato il suo posto tra le braccia di Alec. Tutto era cambiato.
«Li’?»
«Uhm?»
«Quanto impiegheremo a raggiungere il mare?»
Liam si strinse nelle spalle.
«Dipende dall’andatura che terremo, ma considerando il Canyon direi un paio di giorni.»
Irthen annuì.
«Mi piace viaggiare con te.»
Il mago fece una smorfia.
«Stai diventando sdolcinato, Ir.»
 
Attraversarono la valle verde nascosta tra le rocce  del Canyon in religioso silenzio, gli occhi fissi sul nastro lucente sullo sfondo.
Quando giunsero ai piedi della Cascata del Potere, Irthen si lasciò scivolare a terra e si stese al sole.
«Facciamo un pic-nic?» ironizzò Liam.
«Non credo proprio» rispose una voce da un punto imprecisato del laghetto.
Proteggendosi gli occhi dai raggi del sole, i due fratelli individuarono, sopra ad uno scoglio che affiorava dalle acque innaturalmente immote, la sirena.
«Rilassati, tesoro, stavo scherzando.»
La creatura lanciò al mago uno sguardo omicida.
«Siete qui per la Cascata?» domandò.
«No» rispose Irthen puntellandosi sui gomiti per guardarla.
«No?!» balbettò incredula.
«No» ripeté il ragazzo.
«Allora che cosa ci fate qui?»
Liam si sedette accanto ad Irthen e ghignò.
«Per quanto mi riguarda, ho intenzione di commemorare Kore e di farle sapere – sempre che sia rimasto qualcosa di lei, qui – che Abby ha mantenuto la sua promessa.»
La sirena sgranò gli occhi.
«Tu conoscevi Kore?»
Liam annuì.
«Io invece sono venuto per lasciare qui Dente di Cobra» disse Irthen.
«Veramente?!» esclamò Liam.
«Il suo posto è qui, non credi? Ma prima ho intenzione di rilassarmi un po’» disse tornando a posare il capo sull’erba morbida. «Oggi, per me, il cerchio si chiude.»
La sirena spostò lo sguardo dall’uno all’altro, sempre più confusa.
«Possiamo restare un po’, non è vero?» domandò Liam.
La creatura annuì.
«Purché non vi bagnate nelle acque magiche senza la mia autorizzazione» aggiunse.
«Me ne guardo bene» mormorò Liam, ed Irthen sorrise ad occhi chiusi.
 
Dopo essersi lasciato alle spalle la Cascata del Potere, Liam si sentiva meglio. Era proprio come aveva detto Irthen, un cerchio si era chiuso. Non immaginava che suo fratello volesse abbandonare laggiù una spada unica come Dente di Cobra. Come se fosse stata la cosa più normale del mondo, aveva preso la spada e l’aveva piantata nell’erba accanto alla Cascata. La sirena non aveva avuto nulla da obiettare, così l’avevano lasciata là, come una lapide in memoria di Abigail. Da quel momento in poi ciascuno di loro avrebbe potuto tornare alle proprie vite, ma con qualche conquista: Irthen aveva imparato a riflettere prima di agire, aveva visto il mondo e le cose bizzarre che ospitava; Liam aveva scoperto quanto fosse più facile essere sé stessi e aveva incontrato Jonna, e il suo ricordo l’avrebbe accompagnato da lì in avanti.
 
Un sole pallido e velato di nubi si levò ad Est la mattina dopo. L’estate stava volgendo al termine e al Nord l’aria pizzicava già. Liam non era mai stato tanto ad Ovest. Man mano procedevano, il paesaggio intorno a loro cambiava. La temperatura si fece più mite ancora prima che giungessero in vista della costa. Ma quando la striscia azzurra comparve all’orizzonte, Liam non poté trattenere un urlo di gioia.
Ad ogni miglio, il mago sentiva crescere un desiderio che non aveva mai provato prima, come se una forza invisibile lo attirasse.
«Tu non lo senti?» domandò ad Irthen.
Il ragazzo scosse il capo, divertito.
«Dimentichi un po’ troppo spesso che io non sono un mago.»
Irthen non aveva più parlato di Yu e del fatto che le avesse chiesto di seguirlo a Pothien, e Liam non aveva chiesto nulla. Yu gli piaceva, era gentile e carina, e dopo quello che le aveva fatto Ruben aveva di certo bisogno di cambiare aria. Non dubitava che lei ed Irthen si sarebbero fatti del bene reciproco.
 
Trovarono una piccola locanda in una cittadina sulla riva del mare. Sistemarono i loro bagagli e i cavalli, poi raggiunsero la spiaggia.
A piedi nudi sulla sabbia, si sedettero sul bagnasciuga in silenzio, con la brezza che scompigliava loro i capelli. L’orizzonte davanti a loro era sconfinato e nei raggi obliqui del tramonto il mare sembrava una distesa di fuoco.
«L’avesti mai immaginato così, Ir?»
Irthen lasciò vagare lo sguardo su quell’improbabile distesa di nulla, poi lo fissò su Liam. Gli occhi di suo fratello riflettevano quella incredibile luce liquida in modo perfetto.
«Così come?» domandò. «Grande? Profondo? Pericoloso? Freddo?»
Liam sorrise.
«Potente» rispose.
Irthen ci rifletté su. Infine disse:
«Forse no. Forse non l’avrei immaginato così “potente”. Anche se devo riconoscere che il termine è appropriato.»
Liam lasciò che il suo sguardo abbracciasse l’orizzonte sconfinato, domandandosi come avesse potuto vivere tutti quegli anni senza regalarsi una simile esperienza. Sapeva che tutta quella pace non sarebbe stata altro che un’oasi di benessere temporaneo, che non appena avesse voltato le spalle tutto il dolore, il vuoto e il buio sarebbero tornati ad avvolgerlo e a togliergli il respiro, ma in quel momento non avrebbe permesso che nulla intaccasse il suo intimo senso di completezza. Lo sciabordio delicato delle onde sulla spiaggia di sabbia scura e sassi levigati, la luce rossa del tramonto e la presenza di suo fratello accanto sarebbero bastati a trattenerlo lì per sempre. Accanto a lui, Irthen inspirò ed espirò lentamente.
«Tu credi che…loro ci vedano?» domandò in un sussurro a stento udibile.
Liam sospirò, non osando chiedergli se si riferisse ai loro genitori, oppure alle persone che avevano perso la vita in quella guerra insensata. Dopotutto, aveva poca importanza.
«Sono certo di sì» rispose sorridendo, senza staccare gli occhi dal mare.
Irthen spostò lo sguardo su suo fratello, consapevole che nulla sarebbe più stato come prima. Liam aveva socchiuso gli occhi, la brezza marina gli accarezzava il viso e gli ingarbugliava le lunghe ciocche di capelli, e stranamente lui non se ne lamentava. Per una volta, sembrava in pace.
 
Dalla torretta più alta del Palazzo di Storr, Lukas lasciò correre lo sguardo sull’immensità della Piana di Thann. La città dei morti era tornata silenziosa come un tempo, ma quella valanga di corpi ammassati ovunque davano il voltastomaco. Per non parlare di quel che restava dei draghi…
Carezzando la testolina del colibrì, il bambino prese un respiro profondo. Quando aveva detto a Liam dell’Acqua come fermarlo, in realtà non era certo che avrebbe funzionato. Quando era molto piccolo possedeva un piccolo carillon a forma di colibrì, e sua madre diceva che era l’unica cosa capace di calmarlo quando perdeva il controllo dei suoi poteri, cosa che all’epoca accadeva di frequente.
Prese un altro lungo respiro, cercando di comprendere il significato della parola libertà.
«Si torna a casa» disse con un sorriso.



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Ed è con immenso orgoglio che vi pubblico il finale.
Dopo la bellezza di 3 anni (il primo capitolo della Cascata, ho guardato, risale al 23 luglio 2012!) l'abbiamo portata in fondo, e vi confesso che non sempre ci ho creduto.
Ringrazio tutti voi, e in particolare le mie donnine meravigliose: Hareth, Skye Targaryen e Anneke! Senza di voi Liam ed Irthen non avrebbero combattuto questa guerra.

Un bacione a tutti!
Alla prossima!

Cat :3

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