The Final Frontier

di _Akimi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scimmia ***
Capitolo 2: *** La Bambola ***
Capitolo 3: *** Il rosso è il colore del sangue ***



Capitolo 1
*** La scimmia ***


-Autore : _Akimi
-Titolo storia : The Final Frontier
-Fandom : Project K
-Personaggi : Misaki Yata,Anna Kushina. Citati : Mikoto Suoh,Fushimi Saruhiko
-(Eventuali) Pair : Nessuna
-Generi : Angst,Triste,drammatico.
-Avvertimenti generali : //
-Avvertimento prenotato : Angst, Death Character - Zombie!AU
-Note autore : Nella storia ci sono un paio di riferimenti alla serie originale. Avendo indicato solo l'anime, non ho inserito particolari momenti legati al Film che, in ogni modo, consiglio di vedere.
Il titolo "The Final Frontier" è ispirato alla canzone del gruppo metal Iron Maiden dato che tratta un argomento facilmente collegabile all'AU scelto.
 


 
The Final Frontier
Capitolo I - La scimmia

 
121 giorni dal contagio.

Un paio di edifici scintillanti si stagliavano nel cielo imbrunito, riflettendo gli ultimi e deboli raggi di un Sole ormai tramontante. In lontananza, risuonava un fruscio di foglie secche, accompagnate da un riecheggiare metallico prodotto da un oggetto sconosciuto, molto probabilmente, abbandonato dal rispettivo padrone.
Era da molti giorni,oramai, che la città non brillava della sua usuale bellezza : non c'era più nessuna giovane figura ad animare le piazze principali, nessun uomo alle prese con le ultime tecnologie o anziano che, data l'età, percorreva i viali alberati con la pacatezza e la saggezza che tanto lo caratterizzavano.
In effetti, per quanto la città avesse mantenuto buona parte dell'architettura moderna di una grande metropoli, non c'era più nulla che desse segno di vita tra le lunghe strade e i negozi erano stati completamente saccheggiati e abbandonati a sé stessi. Il piacevole profumo di donuts e di cappuccino nei café aveva lasciato spazio al nauseante odore di morte, di carne imputridita e vittima delle intemperie. Il saltellante ritmo in 8bit delle sale giochi sostituito da qualche voce debole e sommessa e infine, persino i fiori di ciliegio che avevano da poco cominciato a spuntare, sembravano avere una forma e un colore diverso.
La paura e la tristezza erano diventate più concrete del solito, impregnando l'aria, facendo gonfiare gli occhi di lacrime alle persone che dovevano convivere con quell'inferno. Molti dei cittadini, non per altro, si erano arresi senza mai indagare sul perchè di tutto ciò, preferendo sprofondare in un senso di torpore e di morte prematura; non c'era più differenza tra i vivi e i defunti, nessun cuore pulsante che animasse lo spirito di persone qualunque, di persone che avessero ancora voglia di proclamare il proprio diritto di vivere lì, nella città che li aveva visti crescere.
Alcuni sostenevano che si trattasse di una qualche misteriosa calamità naturale, dato l'eccessivo abuso dell'uomo nei confronti della sua stessa terra; i più superstiziosi,invece, erano convinti che fosse una punizione del Cielo, voluta dagli Dei per condannare le trasgressioni e la malvagità che ogni individuo della società si era concesso.
Non solo,nonostante la città di Shizume fosse tecnologicamente avanzata e fosse particolarmente conosciuta per gli alti livelli di sicurezza, rimanevano anche dei gruppi di cittadini che discutevano su quanto la Nazione non si fosse dimostrata pronta ad un attacco nemico di natura nucleare, forza che aveva portato al veloce deperimento delle cellule umane e vegetali.


Qualsiasi fosse la causa, definita sconosciuta anche dall'organizzazione Scepter 4, aveva portato sconforto e anarchia nell'intera società. Non c'erano più veri princìpi su cui fare affidamento, né tanto meno sulle forze armate che avevano mantenuto la tranquillità prima del contagio.
Senza contare che, con il passare dei giorni, il cibo e l'acqua cominciavano a scarseggiare e i posti di blocchi al confine della città si erano fatti più severi, permettendo solo ai più giovani e ai malati di poter avere degli approvvigionamenti per continuare a sopravvivere.


Sì,sopravvivere.


Perché ormai quella non era più vita e non c'era più un vero posto sicuro da chiamare casa. Le strade gremivano di cadaveri irriconoscibili,di macchine distrutte e utilizzate come ripari provvisori. Ciò che più faceva paura, tuttavia, non erano né gli oggetti inanimati né tanto meno i resti delle persone che, un giorno, avevano fatto parte di quella vivace città.
Con l'inizio del contagio, era cominciata anche una nuova esistenza, sempre se così poteva essere considerata.
Tutti li potevano osservare dagli spiragli delle finestre sbarrate malamente con dei pezzi di legni, tutti potevano sentirli attraverso le porte che erano rimaste sigillate per settimane, se non mesi.
Non avevano parole, ma solo gemiti e grida che esprimevano la loro insaziata voglia di carne.
Non avevano un intelletto per comprendere ciò che era giusto e sbagliato, seguivano il loro istinto, dettato principalmente dai sensi che avevano più sviluppati degli uomini normali.
Forse era fin troppo crudele discriminarli in quel modo, ma nessuno dei vivi riusciva più a credere a ciò che vedeva e mentre la sopravvivenza si faceva più ostica, loro continuavano ad aumentare.
I loro rantoli sempre più udibili, diventavano maggior fastidio anche per chi, non ancora completamente arreso, voleva poter trovare qualcosa di positivo in questo caos quotidiano.
 
* * *


Un ragazzo aumentò il passo, attraversando con familiarità le strade che dovevano portarlo al sicuro da quella nuova minaccia. La fortuna di essere vivi, pensava alle volte lui, risiedeva solamente nelle ultime forze che il proprio fisico dava a disposizione, permettendo di essere più veloce di qualsiasi creatura rimasta là fuori.
A differenza di altri, non aveva mai avuto una grande paura di quegli strani esseri, per quanto fossero pericolosi e pronti ad attaccare persone innocue con facilità; anzi, preferiva ironizzare sulla triste situazione in cui si trovava, limitandosi a dire che anni e anni passati a giocare a survival games sarebbero serviti finalmente a qualcosa.
Una volta svoltato nell'ultimo vicolo alla fine della strada principale, il giovane distolse lo sguardo dalla direzione in cui era intento dirigersi, alzando di poco lo sguardo per osservare il cielo che stava poco a poco dando spazio a piccole stelle luminose.


-Merda.-
Esclamò a bassa voce, togliendosi le ingombranti cuffie bianche che era solito indossare per rilassarsi un po'. Preferiva coprire i tetri gemiti di quei non-morti con una playlist che avrebbe fatto rabbrividire la madre, date le parole poche aggraziate nelle canzoni che ascoltava, ma qualsiasi pezzo sarebbe stato più gradevole delle urla di quei mostri.
Era troppo orgoglioso per ammettere di essere in svantaggio numerico, per ammettere che la sua famiglia era lontana da lui e che gli mancava più di quanto avesse mai pensato. Voleva poter vedere i suoi fratelli e dirgli che finalmente era ritornato a casa, la sua casa.
Tuttavia, sapeva che la speranza non l'avrebbe portato da nessuna parte, proprio per questo aveva imparato a cavarsela da solo. Non voleva trovarsi impreparato all'invasione di quegli esseri né tanto meno risultare spavaldo, attirando la loro attenzione.
Certo, dato il suo carattere impulsivo, gli era piuttosto difficile evitare di distruggere un paio di teste di quei bastardi, ma la pazienza avrebbe decisamente premiato in futuro, permettendogli di raggiungere al più presto i propri famigliari.
Così, con la certezza di poter trovare rifugio anche in quella notte, il ragazzo si rimise il suo amato skate sotto ai piedi, dandosi un paio di spinte per passare fulmineo attraverso le vie più strette e buie, in genere conosciute da chi abitualmente girovagasse nella zona.


2 a 0 per Yata Misaki.


Era abbastanza cosciente di non essere il ragazzo più intelligente della città, ma la sua velocità e prontezza gli facevano onore, motivo per cui non si sarebbe mai stancato di schernire quegli stolti non-morti che seguivano la sua tavola in modo del tutto dispersivo e poco tattico.
Sì, era certo che la città avrebbe potuto ritrovare il suo - non molto antico - splendore e una volta scoperto il metodo che avrebbe tratto la popolazione in salvo da quel male, Misaki non avrebbe atteso altro che potersi riunire con la propria famiglia, concedendosi al lato più affettuoso di sé.
-Non lo pensi anche tu,amico?-
Esclamò con un sorriso beffardo dipinto sul volto quando, all'improvviso, uno di loro allungò le braccia verso di lui, tentando di fargli perdere l'equilibrio e di fermare la sua corsa abituale verso una casa abbandonata, trasformata comodamente in un rifugio anti-zombie.
Il ragazzo si rannicchiò velocemente verso il basso senza perdere velocità e si limitò a drizzarsi solamente quando la figura del non-morto cominciò ad essere sfuocata alla sua vista, divenendo infine un tutt'uno con il grigiore degli edifici circostanti.


-Oh,finalmente.-
Lo skate scivolò elegantemente sulla punta del piede che, con un colpo netto, gli permise di alzare la tavola e di tenerla in mano, in modo da potersi fermare per pochi istanti.
Si avvicinò lentamente alla ringhiera che costeggiava il mare e ove, in lontananza, si intravedevano le linee spigolose dell'isola più famosa della città, completamente adibita a scuola. L'istituto che risiedeva là, lontano dalle coste, era stato uno dei Licei più rinomati in tutta la zona, ma anche dei più costosi, motivo per cui Yata si ritrovò a frequentare un istituto di poco conto sulla terra ferma.
Non che l'idea di andare a scuola gli fosse mai piaciuta un granché e, in ogni modo, non voleva pesare economicamente sulla sua famiglia, sapendo quanto fosse impegnativo avere tre figli giovani a carico.
-Mi sei mancata,piccola.-
Misaki allungò la mano verso un oggetto scintillante, uno dei pochi che, timidamente, rifletteva la flebile luce della Luna. Quest'ultima spuntava lenta attraverso le nuvole, lasciando che i sopravvissuti trovassero pace nella sua vista e che continuassero a sperare nell'arrivo di un nuovo giorno, dopo più di cento di inferno.
Per quanto banale potesse sembrare, Yata si era affezionato a quella che, da semplice strumento sportivo, era divenuta un'arma letale contro i non-morti. La sua mazza da baseball, compagna di infantili avventure, l'aveva infatti salvato più di una volta quando si era ritrovato a fronteggiare direttamente quelle creature e non c'era giorno in cui non ringraziasse sua madre per avergliela regalata.
Ovviamente, non si era risparmiato nel tenere ben nascosta anche una pistola piena di proiettili, quest'ultima guadagnata non molto correttamente nei suoi anni di Liceo. Tuttavia, sopratutto negli ultimi tempi, si era rivelata anch'essa un'ottima alleata contro gli zombie, risultando più utile in quei momenti piuttosto che puntata addosso ai delinquenti nella quotidianità di Shizume.
Perché, per quanto non ci fossero paragoni con la catastrofe che aveva colpito la città, non si poteva negare che la società in cui Yata era costretto a vivere, non fosse mai stata gentile verso i ragazzi come lui. Bastava aver pochi soldi in tasca e un'espressione non molto amichevole per poter sembrare un teppistello qualunque.
Era una figura che, in ogni modo, a Misaki non dispiaceva e gli permetteva di avere più libertà di quante effettivamente potesse avere e nessun pericolo l'aveva mai spaventato abbastanza da farlo allontanare da quel mondo losco.
Ora aveva solamente un motivo più valido per maneggiare oggetti del genere, senza dover sembrare, come sempre, l'irresponsabile di turno.


Sapeva di dover farsi perdonare non pochi comportamenti scorretti, sopratutto dal momento in cui sua madre aveva fatto tutto il possibile per assicurargli una vita dignitosa. Sì, non sarebbe mai stato uno dei ragazzi delle scuole Elite di Shizume, ma non gli era mai importato avere così tanto denaro da spendere se alla fine non si sarebbe potuto concedere le passioni che adorava di più.
La sua vita era semplice, ma questo non significava che non la vivesse appieno : il solo andare in skate gli dava un senso di libero arbitrio e sicurezza che nessun altro avrebbe mai compreso allo stesso modo.
Yata Misaki era un ragazzo sbandato, orgoglioso e decisamente poco incline ad usare un linguaggio opportuno con gli altri, ma era anche una persona affettuosa, se voleva, colma di princìpi e con un senso del dovere nei confronti della sua famiglia che avevano ben pochi, alla sua età.
Ed era per questo che quei pochi soldi che aveva, spesi per la maggior parte in abiti troppo larghi per lui o in console e videogiochi, valevano molto più di un'eredità legata a chissà quale famiglia importante.


Yata.
Un cognome qualunque? Forse.
Ma il ragazzo voleva farsi valere per quello che era, non per le sue origini né tanto meno per quante monete nascondesse nella tasca.
Così, si ritrovò a pensare che quel contagio non era nient'altro che una lezione per tutte le persone che, a differenza di lui, davano per scontato molte cose delle proprie vite e sopratutto, anche delle vite degli altri.
* * *
 
Ripresa la strada verso il suo rifugio, galoppante nonostante il senso di stanchezza che cominciava a sentirsi, Misaki continuò ad ascoltare la propria playlist, incurante dell'alternarsi di canzoni di genere completamente diversi tra loro: una canzone metal bastava per rianimarlo dal torpore per via del sonno che iniziava ad assalirlo, un pezzo pop per ricordarsi della sorella minore Megumi e uno hip pop che lo riportava ai tempi del liceo, giorni decisamente più tranquilli di quelli.
Nel ricordarsi dei momenti passati sui banchi di scuola, il volto sorridente del suo migliore amico gli balzò alla mente. Erano anni che non si parlavano, anche se alle volte Misaki si domandava se ne fosse valsa la pena, litigare per questione sciocche. L'orgoglio di entrambi li aveva allontanati, ma non provava rimorso per come si era comportato : si era sentito tradito dall'atteggiamento del suo compagno, anche se non riusciva a scordare i giorni passati in sua compagnia.
Saruhiko Fushimi, un ragazzo all'apparenza decisamente più pacato di Yata, aveva deciso di punto in bianco di abbandonarlo, forse perchè, con l'indole fortemente razionale che lo caratterizzava, aveva capito che il frequentare Misaki si sarebbe trasformato in un susseguirsi di cattive abitudini.
Saruhiko Fushimi si considerava troppo intelligente per un ragazzo semplice come il rosso e se dapprima essere amici si era rivelato un piacere per entrambi, con il passare del tempo i due si erano persi di vista, entrambi troppo presi dal proprio metodo per giudicare il mondo di cui facevano parte.


Misaki odiava Fushimi, ma nonostante non lo riconoscesse più come un amico leale, non riusciva a non preoccuparsi per lui.
Dov'era andato a finire? Era riuscito ad uscire dalla città o sopravviveva lì, proprio come faceva lui?
Erano domande che alle volte lo assalivano, ma la stanchezza nel cercare risposte l'avevano portato a lasciar perdere la questione. Non poteva fare altro che pensare a sé stesso, senza fare affidamento sull'aiuto di nessun altro. I suoi pensieri erano dettati dalle esperienze passate, sapendo quanto fosse spregevole il mondo nella propria quotidianità e ora, che le cose si erano fatte a poco a poco più ostiche e assurde, la generosità e l'umanità erano diventate qualità utopiche.
Utopia era vivere in una città piena di vita e i giorni passati a nascondersi o ad uccidere quei non-morti non sembrava non finire mai, portando allo sfinimento le persone più deboli e scoraggiando le più forti.
Anche lo stesso Yata, oramai, non aveva idea a quale categoria appartenesse; era debole? Probabilmente no, dato che cercava in tutti i modi di andare avanti con le proprie forze e senza doversi affidare ad elementi del tutto illogici.
Allora doveva essere per esclusione una persona forte, anche se non era certo che lo fosse. C'era qualcosa in lui che, istintivamente, gli faceva capire che alla fine avrebbe commesso qualche errore che l'avrebbe portato alla morte.


Forse poteva considerarsi un pensiero esagerato, ma Misaki, come molti altri, aveva paura di morire e aveva ancora più paura nel rendersi conto che, all'improvviso, avrebbe potuto trasformarsi in uno di loro. La sua vita, in quella forma, non avrebbe avuto nessun senso e senza il proprio volere, avrebbe seminato terrore tra i sopravvissuti.
Eppure, nonostante le possibilità di essere infettato fossero alte, il ragazzo continuava a proseguire sulla sua strada, limitandosi a stringere con forza la mazza tra le mani e a scivolare silenzioso tra le vie con il suo skate sotto i piedi.
Non poteva avere compassione per nessuno, non era mai stato bravo nell'occuparsi degli altri e per questo aveva deciso di rimanere solo, evitando di aggiungersi in sciocchi gruppi di persone che pensavano che l'unione servisse a trarli tutti in salvo.
Sapeva che gli altri, proprio in momenti negativi come questi, non avrebbero esitato nel colpirlo alle spalle non appena ne avrebbero avuto la possibilità. Sapeva che il suo migliore amico, Saruhiko Fushimi, non era l'unico a non provare vergogna nell'essere considerato infame e nella città, ormai pullulante di non-morti, erano i vivi a fargli più paura.


Non poteva fidarsi di nessuno.
Non voleva.
 
* * *
Voltò con destrezza per l'ultima volta, scomparendo in un vicolo illuminato solamente da un lampione che minacciava di cadere se qualcuno si fosse appoggiato su di esso. La flebile luce giallognola gli permetteva di vedere le ombre dei cassonetti proiettate sotto i suoi piedi; alla sua destra, un cumulo di cadaveri in putrefazione venivano martoriati dal continuo volare di mosche e altri fastidiosi moscerini.
Aveva sempre odiato quel genere di vista, portandolo a sperare che non gli sarebbe capitato di riconoscere qualcuno lì, in mezzo a quei corpi esanimi. Era scorretto che tutte quelle persone non avessero una sepoltura adeguata e in più, non si poteva mai essere certi del motivo del loro decesso.
Molti di loro morivano di denutrizione, altri di disidratazione, ma per quanto fosse doloroso abbandonare in quei modi la vita terrena, si aveva la sicurezza di lasciarla per sempre.
Misaki non credeva ciecamente in un'altra vita oltre a quella, ma preferiva non avvicinarsi a quei cadaveri, rischiando di scoprire che non fossero del tutto morti come potevano sembrare.
Sapendo quali fossero i pericoli, Yata aveva imparato a non provare rimorso nell'attaccare soggetti in movimento, sapendo che colpirli dritti in volto con la sua mazza non significasse ucciderli. Loro non dovevano più appartenere a quella città, né a quel mondo ed era certo che la violenza fosse l'unico modo per assicurare una via di pace per tutti loro, anche se non erano coscienti di ciò che stavano facendo ed il perchè del loro comportamento.
Più di tutti gli altri, Misaki credeva fortemente nel libero arbitrio e un umano, se privato di questo, non avrebbe mai più potuto apprezzare il vero senso della vita. Proprio per questo era arrivato a pensare che chiunque avesse causato quel contagio, meritasse una morte più sofferta di quella di tutte quelle vittime.


Senza pietà, senza nessun senso di colpa.



Non avendo prestato attenzione alla strada, in poco tempo, Misaki perse l'equilibrio sulla tavola, vedendola schizzare in avanti senza controllo. Per quanto avesse cercato di attutire la caduta, il ragazzo si ritrovò ad appoggiare il piede sinistro in malo molo e cadde rovinosamente a terra. Perse lentamente la presa dalla mazza e quest'ultima, dopo aver provocato un fastidioso tintinnio sull'asfalto, rotolò lontano dal proprio padrone, fermandosi solamente quando fu ostacolata dalla parete di un edificio.
Per quanto avesse poca coscienza di ciò che stava accadendo intorno, Misaki si rimise in piedi prontamente, dirigendo la mano e lo sguardo verso l'arma argentea che minacciava di scomparire nelle ombre proiettate dagli edifici vicini.
Allungò il braccio verso di essa, ma inaspettatamente, qualcosa attirò la sua attenzione, obbligandolo ad indietreggiare per poter acquisire spazio.
Non aveva idea di cosa o chi avesse di fronte, l'oscurità non gli permetteva di riconoscere al meglio le figure che lo circondavano e fu obbligato ad aspettare non poco, prima che la sua vista si abituasse al buio notturno.


Agilmente, avvicinò la mano vicino al suo fianco, scoprendo una piccola lama che teneva ben nascosta negli abiti, in casi di estrema urgenza.
L'arma, un coltello a serramanico che possedeva segretamente da molto tempo, scattò in modo meccanico verso l'alto, lasciando che la lama affilata riflettesse la poca luce Lunare che raggiungeva la piccola via.
-Se non vuoi finire sgozzato, allontanati subito da qui.-
Gridò minaccioso, mentre con le dita stringeva l'impugnatura dell'arma. Non voleva arrivare ad atti estremi, ma era certo che la sua vista non lo stesse tradendo : c'era qualcuno di fronte a lui, dalla dimensione della sua figura poteva trattarsi di un giovane, o in alternativa, di una persona che fosse inginocchiata a terra.


Che fosse ferita?


Misaki non ne aveva certezza, ma non voleva avvicinarsi abbastanza per scoprire che cosa avesse. Di quei tempi, infatti, essere feriti significava essere spacciati e non era così generoso da preoccuparsi per gli altri. Teneva più alla sua vita e voleva solo ritornarsene a casa, in sicurezza possibilmente.

-Mi dispiace.-
Una voce delicata raggiunse le sue orecchie, mentre i suoi occhi si stupirono non appena una bambina avanzò lontano dalle tenebre, fissando incuriosita e spaventata il ragazzo sconosciuto davanti a sé.
I capelli chiari le ricadevano morbidi sulle spalle e insieme alla carnagione pallida, diventava più evidente il contrasto con gli occhi scarlatti. Due iridi rosse non smettevano di osservare Misaki e per la prima volta in tutta la sua vita, evitò di ricambiare quello sguardo, temendo che la piccola potesse scoprire qualcosa di lui in poco tempo.
-Perfetto...una fottuta bambina.-
Sbuffò Yata abbassando lentamente il coltello certo che, anche se avesse provato ad attaccarlo, non sarebbe riuscita a fargli alcun male.Non aveva intenzione di ferirla in qualche modo, sopratutto dal momento che pareva confusa, ma non spaventata. Era inusuale trovare una ragazzina come lei che, a differenza di molte altre, non si era nascosta in un angolo della città per piangersi addosso.
O almeno, a Misaki dava quest'impressione, ma forse si sbagliava.
-Non sono una bambina.-
Pronunciò lei con tono piatto, dandosi una sistemata al vestito elegante che indossava. Anche il suo stile, a differenza di quello del ragazzo, pareva fuori luogo, ma agli occhi di chiunque poteva sembrare decisamente graziosa. La pelle che pareva di porcellana, il portamento di una piccola dama di chissà quale epoca passata, ma l'espressione,diamine, la sua espressione la rendeva decisamente meno adorabile.
Era ancora lì, immobile e non smetteva di osservare Misaki con uno sguardo indecifrabile.

-Allora io sono vecchio.-
Rispose lui, sembrando più annoiato di quanto effettivamente fosse. Non aveva intenzione di fare il baby-sitter a nessuno e non gli importavano le intenzioni della ragazzina dato che aveva un piano in mente che riguardava lui,solo, nel suo rifugio.
Non per altro, dopo aver sistemato nella felpa il coltello, riprese la sua mazza e si diresse in silenzio verso lo skateboard. Si allontanò dalla bambina solo con un paio di passi, ma non si voltò verso di lei fino a quando non riprese la tavola, sistemandola a terra per continuare il suo breve viaggio.

-A-aspetta!-
La ragazzina risultò più veloce di quanto Misaki avesse calcolato e con lo sguardo rivolto verso di lei, la vide fare un paio di passi incerti per fermarlo. Nessuno dei due parlò per un una manciata di secondi, lasciando che il silenzio calasse lentamente, sostituito poco dopo da un paio di gemiti non molto distanti da lì.
Misaki, ormai impaziente di ripartire, sapeva quale fosse la cosa più corretta da fare, ma per una volta non era certo di volersi prendere quel genere di responsabilità : non sapeva neppure il nome di quella bambina, eppure, dal suo sguardo sembrava che si conoscessero da molto tempo e che lei non avesse aspettato altro che incontrarlo lì, in quel vicolo stretto e maleodorante.
No, si continuava a ripetere che non sarebbe bastato un semplice sorriso o uno sguardo più dolce di altri per portarla al suo rifugio, ma una parte di sé sapeva bene che non aveva speranza di sopravvivere lì da sola, anche se sosteneva di non essere una bambina.


Diamine, gli ricordava così tanto la sua sorellina.

-Da quanto tempo sei da sola?-
Domandò, riprendendo tra le mani lo skateboard per poi, alla fine, arrendersi e fare cenno di seguirlo.
Non poteva succedere nulla di male, era troppo innocua per colpirlo all'improvviso, era troppo innocua per un mondo del genere e sapere che fosse rimasta per molto tempo da sola in parte lo rendeva un ragazzo meno rigido, anche se non sarebbe mai arrivato ad essere troppo dolce con lei.
In quel genere di situazione,purtroppo, Misaki era più spinto a seguire la sua indole aggressiva, pensando che non ci fosse tempo per generosità e sentimentalismi. Non era cattiveria, semplicemente, era di per sé difficile proseguire da soli, figuriamoci avendo una bambina di quell'età accanto.
Poteva persino essere matura, cosa che, per ora, Misaki dubitava altamente, ma non sarebbero cambiati i rischi che entrambi potevano correre. Gli zombie non provavano pietà per i bambini, né per le donne né per ragazzi come lui per cui portarsi appresso soggetti deboli era la scelta peggiore che qualsiasi persona adulta potesse prendere.
Ovviamente, sapeva che non avrebbe pensato allo stesso modo se quella stupida ragazzina fosse stata una sua parente ed era principalmente per questo che si decise, alla fine, di portarla al sicuro.


Solo per questa volta, solo per questa notte,Misaki.

-Non lo so, sono scappata in fretta.-
Bisbigliò lei, affiancandolo senza smettere di guardarsi le spalle.
Ora sì che sembrava spaventata, ma Misaki si limitò ad una smorfia, pensando che qualcosa di simile già lo avevano : entrambi non accettavano di avere paura.
-Non dirmi che hai girovagato senza nessuno fino ad ora.-
Non era per nulla stupito, ma voleva avere abbastanza tatto da poterle chiedere se sapesse che fine avessero fatto i suoi genitori, se li avesse visti morire oppure erano stati proprio loro a farla scappare.
Odiava il modo in cui aveva lentamente iniziato ad interessarsi alla sua situazione, ma non per questo le avrebbe domandato qualcosa della sua vita solo per metterla a suo agio. Non dovevano diventare amici, né tanto meno affezionarsi l'uno l'altro, semplicemente avrebbero condiviso un posto sicuro per una singola notte e poi lontani, ognuno per la sua strada.


-Perché? Sei preoccupato per me?-
Domandò accennando un sorriso ingenuo, anche se non era sua intenzione schernirlo.Sapeva che fosse difficile fidarsi di una sconosciuta, per quanto fosse chiaro che tra i due non ci fossero molti anni di differenza.Tuttavia, era grata dell'avere trovato un ragazzo come lui, anche se al primo impatto aveva dato l'impressione di essere scontroso e diffidente.
Non le erano mai piaciute le persone aggressive, ma in cuor suo era certa che il giovane non fosse altro che orgoglioso e che quel visetto pallido e infantile gli avesse ricordato qualcuno in tempi lontani, forse una sorella piccola o una vecchia amica d'infanzia.

-Come potrei!Non so neppure come ti chiami!-
Misaki alzò istintivamente la voce, mentre si sentì il volto avvampare. Ringraziò gli Dei per essere completamente immerso nell'oscurità, sicuro che la bambina non avrebbe potuto vedere la sua sciocca espressione in quel momento. Infatti, nonostante l'apparenza brusca, il ragazzo si imbarazzava facilmente se qualcuno capiva le sue vere intenzioni ed era difficile per lui nascondere le proprie impressioni in quei momenti.
-Anna.- Esclamò lei, mentre un timido sorriso le illuminò il volto. Era strano trovare qualcuno di così giovane, in mezzo a tutto quel caos. Era difficile sopravvivere negli ultimi tempi e la bambina non poteva negare che in quei giorni, sopratutto da quando si era ritrovata senza nessuno accanto, avesse sentito un forte dolore alla bocca dello stomaco, causato sia dalla paura di morire che dalla fame, sensazione decisamente più fastidiosa e concreta.
Era da giorni, se non più, che non metteva qualcosa di appetitoso sotto i denti; dalla sua fisionomia, si poteva ben capire che non fosse una ragazza che amasse abbuffarsi di dolci, mangiava il giusto, ma da quando i viveri avevano cominciato a scarseggiare, iniziò a rimuginare su tutti i dolciumi che aveva gentilmente rifiutato, pensando che non fosse sano riempirsi troppo con del cibo spazzatura.
-Mh?-
Rispose disinteressato Misaki che, in quei pochi attimi, si era concentrato solamente sul cielo davanti a sé.
Si domandava quanti altri giorni si sarebbero conclusi così, quante settimane sarebbe durato in mezzo ai non-morti e quanti mesi sarebbero passati prima che qualche governatore decidesse di non offrire più cibo ai sopravvissuti. Pareva del tutta assurda la situazione in cui i cittadini di Shizume erano obbligati a vivere : il resto della Nazione aveva messo in quarantena l'intera città, formando posti di blocco agli estremi di tutti i quartieri. I soldati controllavano che nessun infetto attraversasse il confine, mentre chi risultava in salute poteva considerare la possibilità di andarsene da lì.
Pareva facile allontanarsi da quell'inferno, ma attraversare la città senza mezzi di trasporto validi e senza una giusta dose di provviste poteva risultare letale.
Misaki trovava ingiusto il modo in cui la Nazione trattava quella città, una cittadina come tutte le altre ed era stato solamente un caso che quell'epidemia fosse toccata a loro e l'equilibrio che lo Stato cercava di mantenere tra i sani e gli infetti diventava sempre più sottile.


Prima o poi sarebbe toccato a tutti.

-Mi chiamo Anna Kushina.E tu?- La bambina fu obbligata a rimanere al passo con il ragazzo, così, per non rischiare di perdersi, strinse tra le dita un lembo della felpa rossa che l'altro teneva stretta alla vita.
Non voleva allontanarsi da lui, non ora che, finalmente, aveva trovato qualcuno con cui passare quelle notti fredde e anonime. Aveva sempre odiato dormire in solitudine alla sera e aveva imparato a riconoscere i sinistri richiami di quelle creature orribili. Aveva imparato ad osservare i loro movimenti con attenzione, notando come strisciassero i piedi a terra e come le loro fauci cercassero costantemente carne fresca da masticare.
Aveva capito come allontanarsi da loro e come fossero ciechi nel mondo che li circondavano. Tuttavia, nonostante non avessero un'ottima vista, venivano facilmente attratti dai rumori assordanti e dagli odori che non riconoscevano come simili ai loro.


Adoravano il profumo della vita.
O almeno, questa era una delle tante conclusioni di Anna.
Credeva che quei non-morti meritassero una fine proprio come qualsiasi persona sofferente e malata, ma lei non era abbastanza forte, né fisicamente né psicologicamente, per aiutare ognuno di loro a trovare un posto più sicuro nella vita successiva. Voleva essere più intraprendente, più sicura, ma una parte di sé stessa sapeva che,infondo, era ancora una bambina e nessuno avrebbe mai voluto portarsi dietro una mocciosa come lei.

-Yata.-
Rispose lui, non volendo rivelare il suo nome. Non gli era mai piaciuto un granché Misaki, forse perchè troppo femminile a confronto della sua personalità, ma al tempo stesso, era convinto che il suo cognome gli desse un'aura decisamente più spaventosa e severa.
-Tu puoi chiamarmi Anna.- Gli rispose in fretta, trovando palese il modo in cui il ragazzo cercasse di nascondere il suo nome. Forse non si fidava di lei e poteva comprenderlo dato che si erano appena conosciuti, ma per quanto non sapessero ancora niente l'uno dell'altro, la ragazza non aveva intenzione di essere formale nei suoi confronti. Yata era più grande di lei, ma sembrava abbastanza giovane da poter essere trattato come un qualsiasi altro ragazzino incontrato prima dell'epidemia.


-Anna...che nome da bambina.-
La ragazzina lo guardò, accennando un sorriso malinconico. Ogni volta che pensava al suo nome le veniva spontaneo ricordare la propria famiglia, ma ormai era da sola e non aveva più idea di che fine avessero fatto le persone a cui voleva bene. Sapeva che crescere significava anche quello, ovvero imparare a sopportare il dolore e a diventare più forte, per quanto fosse ostica la situazione che era ormai costretta a vivere assieme a molti altri.
-Ho già undici anni!-
Esclamò lei, stringendo istintivamente la presa sulla felpa del più grande. Sapeva che l'avrebbe schernita per questo, ma non le importava.

 
Preferiva le risate di due improbabili adulti alle grida sommesse dei mostri che si nascondevano là fuori.

 

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Capitolo 2
*** La Bambola ***


The Final Frontier
Capitolo II - La bambola
 
121 giorni al contagio

Non aveva mai percepito il freddo, le dispiaceva la fine dell'inverno. La neve le ricordava i giorni passati a casa da scuola, assieme alla sua famiglia e ai suoi amici. Non che ne avesse mai avuti molti, ahimè, per i suoi coetanei, era sempre risultata una ragazzina strana.
Era il suo aspetto a contribuire alla sua pessima reputazione o forse il suo carattere, indecifrabile e distaccato, che la faceva sembrare agli occhi di altri una bambina stramba.
Doveva pur ammetterlo, aveva sempre sofferto la solitudine, era una sensazione più forte di tutte le altre e non riusciva a combatterla in nessun modo. Odiava sapere che nessuno la stesse pensando e che nessuno la considerasse un'amica importante, qualcuno di cui fidarsi.
Non aveva mai realmente compreso il motivo di quel distacco : certo, non si dimostrava una ragazzina estroversa e solare, ma non era per nulla malvagia. Faceva semplicemente fatica a fidarsi degli altri, ma se si affezionava, diamine, era capace di dare tutta sé stessa.
Capitava raramente, ma i suoi cari riconoscevano la sua lealtà e il suo affetto, trovandola una figlia e un'amica preziosa. Purtroppo però, temeva al tempo stesso di poter ferire le persone che amava, temeva di non essere abbastanza per loro e la sua visione del mondo era poco a poco cambiata, divenendo incline ai sentimenti negativi come tristezza e crudeltà.


Nonostante molte persone l'avessero volontariamente isolata, ora che la città era presa dal caos, lei era arrivata a provare mancanza della sua vita precedente, aspetti negativi compresi.
Non poteva paragonare un paio di fastidiosi bulli ai non-morti né tanto meno la paura di deludere i propri cari con quella della morte.
In più, dal momento che aveva perso la sua famiglia, non aveva più qualcuno su cui fare affidamento. Era a coscienza di quanto fosse difficile per una ragazzina della sua età sopravvivere ad un mondo così complesso e tragico, ma non aveva intenzione di arrendersi facilmente alle violenze di quelle creature né tanto meno di terminare quella vita con le proprie mani.
Ci voleva fegato, molto probabilmente, ma non era arrivata ancora ad odiare la propria esistenza fino a quel punto. Sperava, forse ingenuamente, che ci dovesse per forza essere una soluzione, uno studio che servisse ad aiutare gli infetti e credeva che gli uomini, in un momento drastico come questo, sarebbero stati finalmente capaci di aiutarsi a vicenda senza dover trarne benefici.
Ci sperava con tutto il cuore, sapendo tuttavia che la positività non sarebbe servita a salvarle la vita. Aveva imparato ad essere attenta e a rinunciare ai comfort a cui era abituata.
Purtroppo, aveva anche appreso cosa significasse affrontare la morte di persona, dettaglio, direste voi, piuttosto banale in una città presa d'assalto da esseri privi di vita.


Erano ormai passati numerosi giorni da quando, forzata dai genitori, era riuscita a fuggire dalla propria camera, lasciandosi alle spalle quello che era stato il luogo in cui era cresciuta, l'unico in cui aveva trovato davvero pace e agio.
Le prime settimane di contagio furono le peggiori : nessuno riusciva a comprendere ciò che realmente stava succedendo e il panico si stava velocemente dilagando, non lasciando tempo alle famiglie di riunirsi, organizzando viaggi veloci e pratici per uscire dalla città. Non per altro, quando lo Stato si accorse di ciò che stava accadendo a Shizume, fu più sbrigativo bloccare tutte le strade e trovando una soluzione dichiarata come "provvisoria".
Il Governo avrebbe trovato un modo per abbattere il virus al più presto, ma per ora, non poteva fare altro che mettere in quarantena l'intera città.
Il pensiero di essere stati abbandonati era una sensazione che poco a poco aggravava sempre più sulla vita di ciascun cittadino : la stessa Anna non trovava mezzi adeguati per poter raggiungere il perimetro e da quello che aveva sentito bisbigliare dalle labbra di altri, anche se sarebbe giunta al confine, sarebbe stato difficile convincere le guardie a farla passare.
In parte, per quanto fosse una follia, la ragazzina non aveva intenzione di andarsene. Voleva rimanersene lì, rischiando la vita per quella speranza che non aveva mai smesso di rallegrarla nei momenti più difficili. Era una speranza che, passato il primo mese dal contagio, la raggiunse sotto forma di umano.


Uno sguardo malinconico l'aveva osservata da lontano e senza neppure accorgersene, quello stesso paio di occhi si fece più vicino a lei, portandola al sicuro da un gruppo di non-morti che minacciavano di divorarla.
Dapprima, il suo comportamento nei confronti di quello sconosciuto salvatore era distaccato, diffidente, anche se non si risparmiò di dedicargli un timido -Grazie-, accompagnato da un sorriso stanco.
Non aveva ancora idea di chi l'avesse aiutata, del perchè l'avesse fatto, ma non appena vide il suo volto, fu certa che quella persona avesse, proprio come lei, affrontato le mostruosità di quel mondo. I suoi occhi, di un inusuale rosso carminio, riflettevano le stesse sensazioni che avevano pervaso il cuore di Anna nelle ultime settimane.
Rabbia,nostalgia,tristezza, ma anche speranza in qualcosa di diverso, in una città diversa.
Al contempo, la mancanza dei cari si percepiva attraverso le iridi di entrambi ed era il dolore che, con il passare del tempo, aveva aiutato i due sconosciuti a fidarsi l'uno dell'altro.
Il suo salvatore si chiamava Mikoto Suoh, un uomo all'apparenza distaccato e malinconico, ma si era dimostrato generoso e protettivo nei confronti della piccola Anna.
Era stato più semplice per lei dimenticare la solitudine, per quanto Mikoto non avrebbe mai potuto sostituire i suoi genitori, la sua famiglia. Nonostante non ci fosse un legame di sangue che unisse i due, Anna si sentiva sempre al sicuro in sua compagnia, sapendo che il raggiungere i confini della città con lui sarebbe stato più facile. Voleva poter ricominciare a trascorrere delle giornate all'insegna della tranquillità, voleva poter passare ore e ore ad ascoltare l'uomo raccontare gli incontri del suo passato quando, ancora immaturo e impulsivo, aveva avuto modo di assaporare al meglio la vivacità della città in cui era nato.


Per quanto fossero divisi da più di dieci anni di età, Mikoto non aveva mai trattato Anna come una bambina, ma al tempo stesso, ormai divenuto un giovane adulto, sapeva quanto le bugie fossero necessarie per alleviare la mancanza della vita precedente al contagio.
Non aveva mai amato nascondere la verità, né tanto meno negare l'evidenza, ma alle volte, ingenuamente, la ragazzina credeva davvero a ciò che lui le diceva.
Le raccontava che avrebbero superato i confini assieme, che avrebbero trovato un appartamento in cui vivere e che avrebbe fatto di tutto per poter farle continuare gli studi.
Anna rispondeva mantenendo quei toni speranzosi, preferendo l'affettuosa atmosfera che si creava insieme a quelle chiacchiere, piuttosto che dover scappare dagli zombie che circondavano le case dove erano soliti nascondersi.



-E' per me?-
Aveva domandato un giorno, accennando un sorriso dolce quando, inaspettatamente, Mikoto aveva stretto le mani attorno alle sue, bisbigliando che quello era un piccolo regalo per ringraziarla della sua compagnia. Ripeteva che era una sciocchezza, ma che sperava che si sarebbe ricordata di lui, qualsiasi cosa sarebbe successa in seguito.
In quel momento, con la spontaneità e la spensieratezza che caratterizzavano i ragazzini della sua età, Anna non aveva prestato per nulla attenzione a quelle parole. Accettò lusingata il dono da parte del suo nuovo amico e non appena allargò le dita, rivelando il misterioso regalo, le sue iridi scarlatte si illuminarono di curiosità.
Mikoto le aveva donato cinque perle, ricordavano il colore degli occhi di entrambi, ma queste ultime erano lucide e riflettevano il sorriso timido che si era dipinto sul suo volto pallido.
Non aveva mai ricevuto qualcosa di così affascinante, ma al tempo stesso di così semplice, aggettivo che rappresentava una parte del carattere dell'uomo che gliele aveva donate.
Da quel momento, non smise mai di ringraziare Mikoto per tutto ciò che stava facendo per lei, non smise di credere che per loro la possibilità di poter fuggire da quell'inferno non fosse utopia, ma si sarebbe trasformata poco a poco in realtà.


Nelle notti più difficili, quando non riusciva ad addormentarsi, si voltava spesso dalla parte in cui Mikoto era solito coricarsi.
-E' davvero un dormiglione.- Pensava, non riuscendo a nascondere una risata divertita. Era incredibile come l'uomo riuscisse a prendere sonno in una situazione come quella e l'espressione che si dipingeva sul suo volto lo faceva sembrare una persona completamente diversa : era più rilassato, sembrava davvero felice e non preoccupato come quando, debolmente, il sole iniziava a risplendere sulle sue teste.
Altre volte, invece, era lo stesso Mikoto a non chiudere occhio. Si sedeva in un angolo buio della stanza, sfilava una sigaretta dalla tasca della sua giacca scura e la portava alla bocca. Dopo un paio di tentativi con un accendino ormai consumato, iniziava a sospirare verso l'alto, rilasciando dalle labbra invisibili nuvole di fumo.
Pareva strano, ma la debole luce rossastra che emanava quel tubetto di carta sottile era diventato un modo, per Anna, di scacciare dalla mente ogni pensiero negativo.
Il vedere quella sigaretta bruciare nella notte significava che Mikoto fosse ancora lì, vivo, assieme a lei. Aveva imparato a non dare più importanza al fastidioso odore di fumo, anche se sperava che l'uomo non dipendesse troppo dal tabacco.


Anna attendeva il giorno in cui Mikoto avrebbe buttato a terra il pacchetto vuoto, il giorno in cui i suoi polmoni avrebbero cominciato a respirare aria pulita, ma doveva essere sincera, desiderava anche che quelle maledette sigarette non finissero mai, in modo da poter vedere quella flebile luce illuminare, anche se ben poco, la stanza buia in cui si nascondevano dai mostri là fuori.
Ma i mostri erano sempre più vicini, sbattevano distrattamente contro le finestre sbarrate,graffiavano contro le porte e gridavano, disturbando il dormiveglia della piccola.


-Aspetta qui.-
Le ultime parole di Mikoto, il pacchetto di sigarette accartocciato a terra e Anna che, sorridendogli inconsciamente per l'ultima volta, si mise a giocare con le perle che le aveva regalato, facendole scivolare sulla superficie liscia di un tavolo che occupava il salone principale.

 
* * *


Doveva essere vivo.
Se lo ripeteva spesso, ma ormai erano passate due settimane da quel giorno. Ingenuamente, Anna l'aveva aspettato rannicchiata sotto ad una delle scrivanie della casa. La gonna le copriva le gambe tremanti per via del freddo e le perle scarlatte erano ancora lì, davanti a lei.
Le osservava, pregava che da un momento all'altro potessero riflettere la figura slanciata dell'uomo. Voleva poterlo abbracciare, passare le dita tra i suoi capelli spettinati e nascondersi sotto la sua giacca, facendogli promettere che non se ne sarebbe più andato via.
Voleva poterlo vedere sorridere con un paio di borse scure sotto agli occhi, dimostrazione che, nonostante la stanchezza, riuscisse lo stesso a trovare la forza per rallegrarla.
Le mancava, anche se non avevano avuto davvero così tanto tempo per conoscersi.


Quando si decise di lasciare la casa, strisciando lentamente verso la porta che mandava al retro dell'edificio, portò le perle con sé, nascondendole nella piccola tasca del vestito.
Si promise che avrebbe trovato Mikoto e che l'avrebbe portato via con sé fino al confine della città.


Abbandonata la casa alle spalle, Anna evitò le strade principali ormai pullulanti di zombie e di persone che, con un aspetto cadaverico, minacciavano ormai di raggiungere anche loro lo stato di non-morti.
Non voleva pensare che tra loro ci potesse essere anche l'uomo che le aveva salvato la vita, ma per fortuna, osservando attentamente un paio di quelle creature, non riconobbe in loro lo sguardo di Mikoto.
Decise di incamminarsi verso est, ove in lontananza si stagliavano un paio di grattacieli più alti dell'intera città. Nonostante il caos, questi ultimi scintillavano sotto i raggi del Sole e quella visione, per quanto precaria, pareva riportare all'originale splendore la cittadina di Shizume.
Avrebbe passato ore ad osservare quegli edifici, quelle grandi vetrate che riflettevano la sua esile figura, ormai divenuta più sottile per via della malnutrizione.
Aveva fame, ma non trovava da mangiare.
Le labbra screpolate per la mancanza di acqua e le mani che le tremavano un po', sia per la paura di morire che per il freddo.



-E' primavera,almeno.-
Lo pensava, qualche volta. Forse erano i timidi ciliegi in fiore a ricordarle gli anni in cui, come molti altri ragazzini, aspettava i suoi amici sotto i viali alberati.
La fine della scuola, l'inizio delle vacanze da trascorrere assieme alla famiglia. Erano ormai pensieri legati al passato, ma la rincuoravano ancora, sperando che potessero ritornare in un futuro non molto lontano.
Allontanò lo sguardo dalle chiome rosate degli alberi e ritornò a concentrarsi sulla strada, percorrendo un paio di vie che non era certa di conoscere, ma arrivata a quel punto, non poteva più fermarsi.
Respirava lentamente, le suole delle scarpe che non provocavano nessun rumore a contatto con un paio di cartacce che sporcavano le strade e le braccia lasciate cadere ai fianchi, senza avere più la forza per proseguire. Voleva fermarsi almeno per poco, ma non era certa che la zona attorno a sé fosse sicura ed era altrettanto convinta che non avesse le abilità necessarie per affrontare uno di quei mostri, sempre se avesse avuto la sfortuna di trovarne uno di fronte.
Mikoto le aveva insegnato come fuggire da loro, approfittando della differenza di intelletto tra le due specie. Per quanto piccola, le aveva detto, poteva comprendere facilmente quali fossero i loro punti di debolezza e sfruttarli a proprio vantaggio per evitare uno scontro diretto.
Proprio perchè più piccola, aveva la possibilità di nascondersi in punti in cui non l'avrebbero mai raggiunta e alla loro vista, già di per sé pessima, sarebbe risultata come una semplice ombra nell'oscurità.
L'olfatto,invece, era uno dei sensi più sviluppati dei non-morti ed era più complicato celare il proprio odore, in quanto troppo differente da quello acre e fastidioso di quelle creature.
Gli umani, esseri colmi di buon sangue che scorreva nelle loro vene, sarebbero sempre stati le migliori prede per gli zombie e l'unica possibilità per non essere attaccati da loro, oltre a nascondersi ovviamente, era diventare uno di loro.
La stessa Anna sapeva che non c'era nulla di male nell'augurare una fine a quelle creature dato che, a differenza degli esseri viventi, poteva essere sofferente per gli stessi non-morti mantenersi in quello stato. Alcuni la pensavano diversamente, ma dentro di sé, la ragazzina era convinta che quelle creature si rendessero in parte conto di ciò che stava accadendo e che desiderassero solamente un po' di pace.
Un pensiero ingenuo, forse, ma nessuno poteva essere certo di ciò che passava nella mente di quelle persone.


Anna si ritrovò a scuotere appena la testa, celando gli occhi gonfi con un paio di ciuffi di capelli chiari. Iniziava ad essere davvero stanca e più proseguiva in quelle strade, più era certa che, da un momento all'altro, si sarebbe accasciata a terra per l'affaticamento accumulato nelle ultime settimane.
Era stremante proseguire da sola, trovando poco cibo ancora commestibile e ancora peggio per l'acqua, elemento che poco a poco rischiava di essere infetto dal virus che aveva trasformato buona parte della popolazione in non-morti. Preferiva non bere, per quanto non fosse così facile resistere alla sete, ma la paura di ammalarsi non smetteva mai di assalirla.
Non temeva la morte, ma l'immagine di sé trasformata in una di quelle creature era ciò che più l'intimoriva.
Non avrebbe mai sopportato di fare del male inconsciamente a qualcuno e sopratutto, si era ripromessa di giungere ai confini della città viva, in modo da potersi riunire assieme a Mikoto.


Con i ricordi dell'incontro con Suoh, decise finalmente di imboccare un vicolo non molto distante dalla famosa isola che ospitava uno dei migliori licei della città.
Non aveva mai visitato quella zona, anche se aveva conosciuto casualmente un paio di studenti che avevano frequentato quell'istituto. Nonostante il contagio, l'edificio mostrava ancora la compostezza e l'architettura di un tempo, anche se l'avanzata tecnologia che l'aveva reso particolarmente conosciuto ormai era fuori uso.
L'elettricità non era sparita del tutto nella città, ma erano rari i posti in cui un paio di lampioni illuminavano le strade, assieme alle strambe insegne che segnalavano l'ingresso di stravaganti negozi.
Per quanto sciocco potesse sembrare, le mancava il girovagare nella città, comprare un paio di vestiti da indossare abitualmente o qualche accessorio per adornare i capelli lisci. Sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivato il momento in cui le serrande dei locali si sarebbero di nuovo alzate e aspettava con speranza il poter ritornare alla vita banale di prima.
Non le importava se la sua esistenza fosse sempre stata monotona a confronto delle altre, non le importava avere tanto denaro da spendere, neppure molti amici con cui passare il tempo.


Voleva solo ritornare indietro.


Si accovacciò in un angolo buio della strada, notando come un lampione di fronte illuminava debolmente una parte di quella strada. I gemiti degli zombie parevano lontani dalla sua posizione e questo la tranquillizzò, portandola per pochi attimi a chiudere gli occhi per riposarsi.
Strinse le ginocchia vicino al petto e passò delicatamente una delle perle rosse tra le mani, rilassandosi nel sentire la superficie liscia di essa. Le bastava avere quel ricordo per stare meglio, per dimenticarsi,anche se per poco, l'inferno che la circondava.
-Ci rivedremo,vero?-
Bisbigliò portando il piccolo oggetto alle labbra, cercando di trattenere vanamente le lacrime amare che minacciavano di solcarle le guance scavate.
Sapeva che non poteva sperare solamente nel ritorno di Mikoto, ma con il ricordo di quest'ultimo, finì con l'addormentarsi così, rannicchiata in un angolo buio della città.
 
* * *


Quando si risvegliò, infastidita da un inusuale rumore metallico vicino a sé, si ritrovò ad osservare in silenzio una figura che si nascondeva dalla parte opposta della strada.
Istintivamente, nascoste la perla assieme alle altre e si alzò, premendo il corpo contro la parete umida dietro di sé.
Non voleva farsi vedere ora, anche se non aveva idea di chi fosse di fronte a lei. I primi pensieri la portarono ad immaginare che fosse una di quelle creature, ma nessun gemito o grido le ricordava i non-morti e dubitava che uno di loro avrebbe mai aspettato così a lungo prima di provare ad afferrarla.
Sospirò un paio di volte, portandosi una mano al torso. Il petto si gonfiava e si sgonfiava velocemente, obbligando la ragazzina a tentare di riprendere un respiro regolare. Non poteva permettere che il panico avesse la meglio su di sé, ma non voleva neppure affidarsi alla Dea Bendata, sperando che quest'ultima l'aiutasse ad uscire da quella brutta situazione.


Quando riuscì a tranquillizzarsi, si osservò attorno per trovare un qualsiasi piccolo dettaglio per comprendere al meglio chi avesse di fronte.
Solo abbassando lo sguardo, riuscì a trovare un oggetto che non poteva assolutamente appartenere ad uno dei non-morti. Si trattava di una mazza da baseball argentata che, per quanto non fosse illuminata direttamente da una fonte di luce, pareva scintillare orgogliosamente.
Doveva essere un'arma di un essere, un essere vivente proprio come lei, ma questo non escludeva la piccola Anna da qualsiasi forma di pericolo. Era scrupolosa e sapeva che non poteva fidarsi di qualsiasi sconosciuto incontrasse, rendendosi conto di quanto fosse stata fortunata nel conoscere un uomo benevolo come Mikoto precedentemente.


Infatti, non bastavano gli zombie per rendere Shizume una città pericolosa : anche gli umani facevano parte di una società ormai allo sbando e la cattiveria aveva preso piede tra le persone che,almeno prima del contagio, si erano dimostrate sempre di buon cuore.
I corrotti d'animo potevano essere considerati i veri nemici di un mondo come quello perchè, a differenza dei non-morti, i loro comportamenti non erano dettati nè da istinti né da inconsapevolezza.
Le persone malvagie sapevano di far soffrire gli altri e nel dolore altrui trovavano la propria felicità, il proprio sollievo. Anna aveva conosciuto poche persone di quel genere, ma le era bastato per comprendere quanto il mondo fosse vario, buono quando esistevano persone capaci di dare sé stesse per un bene collettivo, cattivo, invece, quando creavano scompiglio tra i propri simili solo per piacere personale.
Era meglio essere neutrali a tutto, anche se Anna era troppo sensibile e ingenua per riuscire ad ignorare qualsiasi sentimento umano. Lei era sentimento ed era incontrollabile affezionarsi alle persone, soffrire per loro, sperare di poterle incontrare.


Fu questo uno dei tanti motivi che spinse la bambina ad osservare con occhio curioso la persona di fronte a sé. La sua vista si abituò all'oscurità e vide un giovane ragazzo stringere un coltello tra le mani, guardando un punto buio di quel vicolo dove, molto probabilmente, un rumore aveva attirato la sua attenzione.
Forse era stato il respiro di Anna ad allarmarlo, ma non attese un attimo di più, alzandosi e avvicinandosi al lampione per farsi riconoscere.
Il ragazzo sembrava deluso, ma sollevato al tempo stesso.
Solo una bambina. Era un'affermazione che si aspettava da uno come lui e nel sentirlo parlare poco dopo, Anna non ebbe nessuna reazione. Era abituata ad essere trattata come un'immatura, come una creatura che avrebbe creato solo problemi a chi fosse intorno a lei. Per questo, non si offese nel vedere il ragazzo trattarla con iniziale sufficienza, ma in cuor suo era certa che non avesse cattive intenzioni.
Pareva, all'apparenza, un giovane scorbutico e sicuro di sé. Un cappello scuro gli copriva la fronte, ma un paio di ciuffi rossi fuoriuscivano da esso, sfiorandogli le guance chiare. Non era molto alto, ma la sua forza non risiedeva in un fisico possente : era l'aura che lo circondava a far sorridere istantaneamente la piccola.
Le ricordava qualcuno, anche se il ragazzo pareva ancora acerbo e impulsivo nei modi. Sembrava non accettasse l'idea di essere seguito all'improvviso da lei,ma Anna giurò di vedere un piccolo sorriso sul suo volto quando, istintivamente, si ritrovò a stringere le dita contro la felpa che aveva legata in vita.
Era un piccolo segno per avvisarlo che non voleva rimanere sola, non più. Sapeva quanto fosse difficile accettare di avere una ragazzina così giovane accanto, ma avrebbe fatto tutto il possibile per dimostrarsi un'alleata utile e sincera. Aveva ingenuamente pensato di potercela fare da sola, ma il ragazzo, per quanto infastidito dal suo atteggiarsi da ragazzina adulta, non l'allontanò da sé e si limitò a camminare fianco a fianco con lei.
 

* * *
I due raggiunsero in meno di un quarto d'ora una casa dall'apparenza incerta. Si trattava, in realtà, di un piccolo monolocale distante dal centro città, in un quartiere che Anna era solita non frequentare.
I suoi genitori, data la sua giovane età, non l'avevano mai lasciata libera di girovagare nelle strade e quelle costruzioni, quell'arredamento, sembrano dettagli assolutamente nuovi per lei.
Una città in una città.
All'inizio era non poco intimorita di varcare la sogna di quell'umile ambientazione, ma non appena Yata le fece cenno di entrare, si tolse naturalmente le scarpe e a timidi passi si fermò davanti all'ingresso.
La sala principale era completamente oscurata, le finestre sbarrate con le usuali assi di legno e anche nelle ore diurne, dubitava che la casa fosse illuminata da forti raggi di Sole.
Da una parte, l'aspetto chiuso e celato del rifugio la faceva sentire bloccata, come se non si trattasse di un luogo sicuro, ma di una gabbia. Dall'altra,però, era certa di non dover temere l'arrivo di nessun non-morto lì, sopratutto perchè, iniziando ad esplorare la casa, si accorse che non c'era nessun altro ad abitarla.


-Abiti qui?-
Domandò al ragazzo, vedendo che iniziò a giocherellare innervosito con un paio di fili della luce. Si fidava ciecamente delle proprie abilità, a quanto sembrava. Non che Anna avesse qualcosa da dire in contrario, ma era pericolo per lo stesso Yata gestire dei cavi elettrici senza esserne davvero esperto.
Ignorò i numerosi tentativi del ragazzo di far scattare l'elettricità nella casa e si sedette vicino ad un kotatsu ormai non funzionante. La ventola sotto il tavolino, molto probabilmente, era stata staccata e la coperta che lo attorniava non era nei migliori degli stati, ma teneva pur sempre caldo in una notte così silenziosa.


-Ovvio che no, l'ho trovata abbandonata come molte altre.-
Rispose scocciato il ragazzo, non tanto per la domanda posta dall'altra, ma semplicemente perchè la corrente non mostrava nessun segno di vita. Sperava solamente di non finire bruciato per colpa di quel maledetto interruttore.

-E dov'è casa tua?-
Chiese di nuovo, alzando lo sguardo verso di lui.
Forse era sbagliato domandare qualcosa di così personale, ma non voleva che tra i due calassero dei silenzio imbarazzanti, sapendo che prima o poi si sarebbero dovuti in ogni modo parlare.
Non aveva idea da quale parte della città Yata venisse, neanche quanti anni avesse, ma le ispirava una genuina simpatia ed era certa di non sbagliarsi.

-E una volta che lo sai?Tanto non ci ritornerò più, molto probabilmente.-
Esclamò seccato mentre, finalmente, il lampadario del salone principale si accendeva all'improvviso.
La luce accecante della lampadina infastidì dapprima la più piccola, ma quest'ultima si limitò a sospirare sollevata non appena vide Yata allontanarsi dal contatore. Aveva sul serio paura che potesse rimanere fulminato, anche se il ragazzo non sembrava per nulla preoccupato della sua incolumità. Pareva irresponsabile, ma in poche mosse, con tutto lo stupore di Anna, si dimostrò un ragazzo pragmatico e organizzato.
Infatti, sparendo per lunghi minuti in una sala adiacente, ritornò vicino alla ragazza per potersi sedere al tavolo assieme a lei per poi svuotare una sacca sulla superficie liscia in legno.
L'espressione che si dipinse sul volto di Anna non fu inaspettata agli occhi di Yata. Era certo che la ragazzina non avesse mangiato nell'ultimo periodo e questo era facilmente comprensibile dal viso pallido e dalle braccia sottili e deboli che teneva sul grembo.
Pareva più piccola dell'età che diceva di avere, ma Yata decise di non toccare quel genere di argomento, temendo di poterla innervosire con le proprie parole.
La bambina aveva dimostrato subito il suo intento di volerlo seguire, stupendo un poco il più grande per quella dimostrazione di iniziativa. Tuttavia, ora che si ritrovava con una piccola quantità di cibo davanti agli occhi, decise di non fare nulla, limitandosi ad alternare lo sguardo sui viveri e poi verso il viso dell'altro.

-Beh?!Prendi qualcosa, che diamine.-
Le disse facendo strisciare una barretta energetica verso di lei, gesto che, a contatto con la superficie del tavolo, emanò un fastidioso suono per entrambi.
Non aveva intenzione di supplicarla per vederla mangiare, era una sua scelta se occuparsi del proprio senso di fame o meno, ma era certo che non sarebbe stato piacevole vederla nei giorni successivi di nuovo in quello stato. Era graziosa, a modo suo, ma pareva stanca e demoralizzata.
-Hai rubato anche queste?-
Ah, però aveva le forze di fare domande insolite e fastidiose.Da una parte, si ritrovò a pensare il ragazzo, era decisamente meglio così : se aveva le forze di chiedergli cose del genere allora, significava che avesse ancora un po' di energie in serbo per resistere alla lunga notte che si prospettava davanti ad entrambi.
-Oh sì, le ho rubate. Se le assaggi, sentirai che gusto.-
Rispose senza celare l'ironia e l'impazienza che tanto lo caratterizzavano. Non poteva credere che la ragazza avesse intenzione di fargli una lezione di moralismo proprio in un momento del genere e per quanto non la conoscesse, era sicuro che fosse una delle tipiche bambine curiose di sapere il perchè di ogni cosa.
Partiva prevenuto il ragazzo, ma il suo istinto da teppista in erba non si sbagliava mai. Avrebbe dovuto sopportare il carattere di Anna almeno per un po', ma se doveva essere sincero, gli era mancata la compagnia di qualcuno e non trovava la ragazzina davvero così fastidiosa come voleva lasciar intendere.

Per quanto Yata prendesse alla leggera il gesto di rubare in un mondo così, si stupì nel vedere Anna ancora incerta sul prendere o meno una barretta di fronte a sé. Provava dispiacere nell'abbuffarsi pensando che quei dolci appartenessero a qualcun altro, ma non poteva negare le proprie esigenze fisiche : lo stomaco le faceva male già da un paio di giorni e il vedere Yata azzannare una barretta di cioccolato con tanta foga non l'aiutava per nulla nella scelta.
Non era una cena corretta quella, dato che si trattavano solo di dolciumi e di altri prodotti che probabilmente servivano agli sportivi per guadagnare un po' di energia dopo un allenamento, ma Anna non voleva mostrarsi agli occhi di Yata come una ragazza superficiale e altezzosa. Non era per quello che si rifiutava di mangiarle e sperava che anche l'altro l'avesse capito.
-Anna.- Misaki la chiamò per la prima volta seriamente da quando si erano incontrati. La guardò in silenzio e le strinse tra le dita una di quelle maledette barrette, senza smettere di fissarla negli occhi. Pareva inutile, per lui, preoccuparsi con quel genere di pensieri e per quanto trovasse nobile da parte della piccola riflettere su quanto fosse prezioso il cibo che avessero davanti, voleva solamente che si riempisse la pancia con una di quelle schifezze senza fare ulteriori storie. -Se non l'avessi presa io, in ogni modo, sarebbe andata nello zaino di qualcun altro. Di questi tempi non è facile entrare in qualche minimarket per trovarci qualcosa, quindi non farti paranoie.-
Non era esattamente un richiamo, il suo. Solamente, non voleva che la ragazza si sentisse in colpa pensando di aver rubato del cibo a qualcun altro e quindi, aver privato un suo simile di sopravvivere un giorno in più.
Ognuno di loro aveva le proprie necessità, questo non significava che Yata supportasse con convinzione i furti e la violenza verso altri, anzi, era contrario a qualsiasi atteggiamento che portava a rovinare la vita di persone più deboli di lui. Avrebbe benissimo potuto lasciare Anna in quel vicolo buio e l'averla portata in quel rifugio improvvisato non era solamente servito ad aumentare il suo ego.
No, l'aveva aiutata perchè era il comportamento più corretto da seguire in una situazione del genere.
Poteva essere la sua sorellina o una sua qualsiasi conoscente e voleva mostrare che, nonostante i non-morti togliessero possibilità di una vita normale, lui non sarebbe mai cambiato.

Era uno sbandato come sempre, ma aveva i propri princìpi.


La bambina,finalmente, decise di scartare la barretta e di portarsela alla bocca, abituandosi in poco tempo al gusto dolciastro del cioccolato. Non l'aveva mai amato un granché, ma ora aveva tutto un altro sapore. Forse erano state le parole di Yata a farla sentire meglio, a farle comprendere che non c'era nulla di male nell'essere egoisti, alle volte.
Avrebbe voluto imparare in fretta la lezione, ma non era così facile come poteva sembrare. Misaki pareva un ragazzo diretto,più spontaneo e con un carattere tale che non gli permetteva di rimuginare troppo su ogni sua piccola azione, ma Anna non era così e questo non era dato dal fattore età.
Le loro personalità erano opposte, ma c'era più di una cosa che li accomunava e la ragazzina iniziava a rendersene conto proprio ora.
Voleva poter imparare altro da lui, voleva poter dire che ciò che le aveva insegnato quel giorno le sarebbe servito anche in futuro, ma non appena aprì bocca, pensando che avrebbe fatto piacere a Yata, quest'ultimo si limitò ad osservarla divertito.
-Lo sapevo che avevi fame. In questo sono anche io un po' bambino, adoro queste schifezze, anche se non mi dispiacerebbe poter avere qualcosa di serio da cucinare.-
Ascoltò le sue parole e sorrise spontaneamente, trovando piuttosto strano immaginare un ragazzo come lui alle prese con i fornelli.
Forse, per quanto improbabile, i due si sarebbero rincontrati in qualche altra città dove la vita scorreva tranquillamente. Forse Misaki avrebbe potuto aiutarla con i compiti o insegnarle ad andare sullo skate, dato che il ragazzo non si separava mai dalla sua tavola.
Erano supposizioni che la facevano distrarre un po' e senza rendersene conto, i due iniziarono a parlare su ciò che avrebbero fatto una volta raggiunti i confini della città, mentre parevano più imbarazzati nel ricordare le loro vite precedenti.


Finito di mangiare, Anna appoggiò la testa sulla superficie liscia del tavolo e chiuse gli occhi, certa che si sarebbe addormentata in poco tempo. Quella notte, anche se non riusciva ancora spiegarselo, pareva come una di quelle in cui Mikoto sorvegliava su di lei, preoccupandosi che nessuna creatura potesse disturbare il suo riposo.
Per quanto avessero caratteri diversi, Yata le ricordava l'uomo che l'aveva salvata tempo prima e forse era proprio per questo che, istintivamente, l'aveva seguito senza dover sapere troppo sul suo conto. Era gentile, a modo suo ed era sicuro delle proprie abilità, motivo per cui anche la stessa Anna riusciva a provare un senso di stabilità dentro al rifugio.
Non sarebbe mai stata agile e forte come Misaki, ma voleva poter imparare da lui a diventarlo, ad imparare come resistere a quel mondo senza essere assaliti da un senso di angoscia perpetuo.


-Tieni questa, altrimenti morirai di freddo.-
Yata le parlò delicatamente, cosa che la stupì, ma che le fece del tutto piacere. Si stropicciò in modo infantile gli occhi e prese tra le mani una piccola copertina che doveva essere appartenuta a qualcuno di giovane. Un bambino, forse, abitava quella casa prima di loro e i suoi genitori si erano presi cura del figlio fino a quel momento.
Una famiglia felice.
La stessa immagine si creò nella testa di entrambi, ma nessuno dei due diede forma a quei pensieri, rinchiudendo i ricordi dei rispettivi parenti nel cuore. Entrambi voleva poter riabbracciare le persone che amavano, ma per Yata era diverso. Lui avrebbe potuto, prima o poi, rivedere i sue fratelli e sue madre. Non ne aveva certezza, ma li aveva visti fuggire aldilà del confine, vedendo il modo in cui la donna che l'aveva messo al mondo fosse scoppiata a piangere. Il pensiero di aver perso un figlio era stato troppo struggente per lei, ma ancora non sapeva.
Ancora non sapeva che Misaki era vivo, era chiuso in quella nuova realtà, ma era disposto a scappare per rincontrarla.


-Yata?-
Il ragazzo aveva spento la luce e pensava che questo sarebbe bastato per far addormentare al più presto entrambi, ma una volta passati un paio di minuti, Anna si rivelò ancora sveglia e per quanto assonnata, non riusciva davvero a chiudere occhio.
Non voleva disturbare l'altro, ma non appena lo sentì rispondere con un debole -Mh?-, la bambina alzò di poco il capo così da poter distinguere la sua ombra nell'oscurità della stanza.
Poteva comprenderla. Dormire in compagnia di uno sconosciuto, per quanto l'avesse aiutata, non doveva essere facile. Al tempo stesso, sapeva che i bambini come lei avevano degli strani riti per addormentarsi, ma non aveva intenzione di umiliarsi, magari accoccolandosi vicino a lei o raccontandole una stupida storia con un altrettanto stupido finale.
Era pur sempre un fratello maggiore, ma si imbarazzava troppo nell'occuparsi di questioni del genere.


Così,senza aggiungere nulla, si alzò e tastò il terreno cercando ciecamente il suo paio di cuffie e il proprio mp3. Sapeva che non era rimasta molta batteria per l'indomani, ma forse, almeno per una volta, la musica sarebbe servita a distrarre qualcun altro che non fosse solamente lui.
Si riavvicinò quindi alla ragazzina e le poggiò poco delicatamente i grandi auricolari sulle orecchie, illuminando il volto di entrambi con il display chiaro del lettore musicale.
-Vedi di addormentarti il prima possibile.-
Le bisbigliò in parte scocciato, ma si preoccupò di scegliere una playlist che avrebbe - ovviamente - aiutato a conciliarle il sonno.
Forse i loro gusti erano diversi, ma davanti a quel gesto, Anna increspò appena le labbra,anche se il se Yata si era già allontanato e non ebbe la possibilità di bearsi del viso rilassato della ragazzina.


-Yata?-
-Che c'è ancora?- Domandò in fretta e furia, nascondendosi sotto una delle coperte che aveva trovato nella stanza matrimoniale della casa. Non era molto pesante, ma bastava per aiutarlo a tenersi al caldo almeno per quel paio di ore in cui non avrebbero lasciato la casa.


-Grazie e buonanotte.-
Concluse con la voce impastata dal sonno, lasciando che delle note gentili di un piano le riempissero le orecchie e che la mente, poco a poco, si colmasse di dolci sogni.


 

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Capitolo 3
*** Il rosso è il colore del sangue ***


The Final Frontier
Capitolo III - Il rosso è il colore del sangue

 
133 giorni al contagio.

Era passata all'incirca una settimana da quando due ragazzi, all'apparenza così opposti tra loro, si erano incontrati casualmente in un vicolo nella notte.
Era strano pensare come le loro vite, senza neppure volerlo, si fossero trovate a condividere un obiettivo comune, un viaggio che doveva portare entrambi alla salvezza.
Misaki Yata, il più grande tra i due, aveva spiegato sin dall'inizio che non era sua intenzione rallentare per sciocche motivazioni. Non gli importava apparentemente dei problemi della sua nuova amica, Anna Kushina, ma la verità era che quella bambina, o ragazzina che dir si voglia, aveva mostrato volontà d'animo ed era riuscita ad imparare molto dal suo accompagnatore.
Non voleva essere un peso per nessuno e per quanto all'inizio si fosse dimostrata titubante, ora ringraziava il rigore e la freddezza apparente di Yata. Il ragazzo le aveva insegnato in poco tempo ad impugnare un'arma da fuoco, le aveva mostrato quali fossero i punti più deboli dei non-morti, anche se lui stesso non riusciva sempre a colpire il cranio di questi ultimi.
Al contempo, in alternativa alla sua amata pistola, Misaki aveva cominciato con più naturalezza a brandire la propria mazza per uccidere quelle creature. Non provava risentimento e anche se non voleva ammetterlo, aveva evitato per quell'intera settimana di lasciare Anna in preda a quei mostri.


Infatti, nonostante fossero passati sei giorni da quando si erano incontrati, la bambina non aveva avuto ancora la fortunata occasione di poter sparare mortalmente ad uno di loro. Qualche volta, istintivamente, aveva premuto il grilletto serrando gli occhi per timore di ucciderli.
Sì, perchè nonostante fossero considerati da tutti creature malvagie, qualcosa in lei le diceva che ucciderli non fosse la scelta più appropriata.
Ancora troppo ingenua per quel genere di vita. E non voleva abituarsi ad agire in quel modo, anche se era tutta questione di sopravvivenza.


All'inizio, Misaki l'aveva rimproverata per il suo essere così sbadata e magnanima, ma segretamente, la stimava per la sua purezza di spirito. Non era mai spinta dalla rabbia o dalla vendetta, anche se aveva lasciato intendere che avesse dei validi motivi per odiare quei non-morti. Aveva perso la sua famiglia, ma l'astio non aveva ancora invaso il suo cuore ed era questo uno dei tanti modi in cui le personalità dei due si bilanciavano.
Da una parte, pragmatico e vendicativo, Misaki non riusciva ad intravedere non più nulla di umano negli occhi arrossati di quegli zombie, non combatteva per piacere personale, ma si toglieva in ogni modo un po' di soddisfazione nel vederli perire una volta per tutti davanti ai suoi occhi.
Alle volte, incontrollabile, era capitato che li colpisse violentemente sulla testa. La mazza argentata che si infrangeva contro le loro ossa, il cranio che si sbriciolava sotto la sua forza bruta.
Non gli importava quanto fosse cruento, anche loro lo erano ed era persino peggio il trattamento che riservavano ai vivi in città.

Anna,invece, sensibile ed empatica, cercava di comprendere lo sguardo di ognuno di loro. Chiudeva i propri occhi quando scattava la sicura della pistola e premeva il grilletto. Non voleva vederli soffrire davanti a sé, non voleva sentire i loro gemiti sommessi dal dolore.
Eppure, comprendeva in buona parte anche l'atteggiamento di Misaki, per quanto alle volte le facesse paura vederlo immerso nel proprio senso di rabbia e vendetta.
Nonostante questo, il ragazzo sapeva essere gentile come nessun altro. Si era poco a poco abituato all'idea di scherzare con la bambina, la trattava decisamente meglio di quando si erano incontrati la prima volta e le notti passate addormentati l'uno accanto all'altro erano diventate poco a poco più frequenti.
Misaki osservava spesso gli occhi di Anna chiudersi, le sue braccia attorcigliarsi delicatamente attorno al suo collo e il respiro pacato che si infrangeva contro la pelle. Gli mancava quel senso di tepore, quello che lo faceva sentire a casa, anche se non c'era nessun legame di sangue tra i due ragazzi.
Avevano iniziato ad apprezzare i reciproci difetti, anche se spesso Anna non riusciva a nascondere momenti in cui la paura e la tristezza avevano la meglio su di sé. Piangeva, ma Misaki poteva udire solo dei timidi singhiozzi perchè una brutta peculiarità che avevano in comune era quella di essere entrambi troppo orgogliosi.
Non volevano ammettere le proprie debolezze, ma in fin dei conti, non erano mancati anche quegli attimi in cui i loro occhi lucidi si incontravano, segno che entrambi si sarebbe messi a piangere per qualcosa.


Non era proprio un pianto, a dire il vero, quello di Misaki Yata. Il ragazzo perdeva il controllo quando si rendeva conto di quanto le cose diventassero difficili di giorno in giorno. Alle volte, quando riuscivano a raggiungere un punto abbastanza alto di qualche grattacielo, in lontananza potevano intravedere i posti di blocchi e le bandiere che indicavano l'inizio della zona controllata dal governo centrale.
Siamo animali chiusi in gabbia.
Lo pensavano spesso entrambi, ma nessuno dei due aveva intenzione di esclamarlo ad alta voce, segno di resa davanti a quelle ingiustizie. No, volevano combattere per ciò che di diritto spettava a tutti i cittadini di Shizume : volevano ritornare al passato, dovevano ritornare indietro di settimane.
Eppure, per quanto la speranza fosse ancora presente tra gli uomini, non mancavano quei momenti in cui anche la rassegnazione aveva la meglio sui loro animi.

Attraversavano silenziosi le strade, lasciandosi alle spalle cadaveri non solo di non-morti, ma anche di persone che casualmente avevano incontrato in quel viaggio.
Alcune avevano erano padri e madri di famiglia, altri erano ragazzi del liceo proprio come Misaki. Dicevano che la scuola gli mancava, che gli mancava sentirsi annoiati in quelle quattro mura che dovevano insegnare ai giovani come vivere la propria vita.
Altri ancora, erano dei bambini cui occhi non riflettevano altro che dolore e vuoto. Vuoto nel pensare alla mancanza dei propri genitori, dolore nel sapere che, ormai, un futuro per loro non esisteva più.


Chi si sarebbe preso cura di Anna, una volta arrivati al confine?
Misaki se lo chiedeva spesso e la loro destinazione si faceva sempre più vicina. Non poteva dire con certezza che la bambina avesse ancora qualcuno, anche se l'aveva vista spesso stringere tra le dita delle perle scintillanti, un brillante ricordo di qualcuno dal passato.
-Sono della tua famiglia?-
Aveva domandato una volta, mentre la vedeva intenta ad osservare la luce del Sole riflessa in quel piccolo oggetto sferico. A quelle parole, tuttavia, la bambina sembrò turbata ed innervosita. Accennò un semplice "no" con la testa e cominciò a parlare di un uomo, come se si trattasse di un essere surreale, una fantasia di un'Anna che poco a poco si stava dividendo dalla sua infanzia.


-Si chiama Mikoto.Mi aspetta alle porte della città.-
Quell'affermazione aveva infastidito Misaki. Si sentiva scioccamente tradito, come se fino ad ora non fosse stato altro che un mezzo per la bambina. Non si sarebbe più rivisti oltrepassati i blocchi perchè lei aveva qualcun altro ad attenderla, mentre lui avrebbe dovuto continuare il suo viaggio in ricerca della sua famiglia.
Era ingiusto, ma forse era meglio così. La ragazzina meritava di avere qualcuno accanto, qualcuno che fosse capace di prendersi davvero cura di lei.


-Andiamo e come fai ad essere certa che lui sia vivo?-
Pronunciò quelle parole senza neppure rendersene conto quando, una sera, la ragazzina non aveva smesso di lamentarsi dell'aver perso una di quelle maledette perle.
Misaki sapeva che l'avrebbe ferita in quel modo, ma fece finta di non interessarsi a quella storia, di non sentirsi parte integrante della vita di Anna.
Loro non erano più amici o forse non lo erano mai stati.
 
* * *

 
Negli ultimi giorni, senza spiegazioni, i due avevano iniziato a parlarsi di rado. Comunicavano per avvisarsi quando gli zombie si facevano troppo vicini, quando trovavano altri sopravvissuti sul punto di morte, ma mai per altro.
Non raccontavano più delle loro vite, di che cosa li avrebbe aspettati varcato il confine, né di ciò che avrebbero detto le persone che conoscevano quando li avrebbero visti vivi e in perfetta salute.
Misaki, più di Anna, non aveva più voglia di ricercare un qualche contatto con altri essere umani. Pareva stravagante e inusuale per lui, ma la sua pazienza era completamente svanita e trovava solo sfogo nell'attaccare quegli esseri immondi che l'avevano allontanato dalla propria famiglia.


Quando lasciarono il loro ultimo rifugio improvvisato, dimenticandosi delle persone che avevano incontrato in quella casa abbandonata, la luce di un nuovo giorno li aiutò a trovare il legame perduto che li aveva uniti fin dal loro primo incontro.
Anna non lasciava mai il fianco di Yata, anche se era troppo timida per iniziare a conversare con lui. Voleva poterlo ringraziare per ciò che aveva fatto per lei, potergli dire che sperava ancora di poter incontrare Mikoto, ma che la sua compagnia era stata altrettanto importante. Si ricordò delle parole di sua madre quando, spiacevolmente, la faceva arrabbiare per un paio di capricci.
Quando le persone si vogliono bene è normale litigare, significa che la sicurezza di chi si ha vicino è una priorità per entrambi
Solo ora, in un momento come quello, Anna si rese conto di cosa significasse avere accanto un ragazzo come Misaki. Aveva rischiato per una sconosciuta, etichettandola dapprima come bambina, ma non aveva esitato nel condividere un tetto con lei o un paio di stupide barrette.
Si era affezionata a Yata e avrebbe fatto di tutto per non abbandonarlo, proprio come lui aveva fatto in quella notte, in quel vicolo.

Non appena socchiuse le labbra, tuttavia, il ragazzo gli fece cenno di non parlare. Era pericoloso farsi sentire là fuori, circondati da quelle creature alla costante ricerca di carne. Avevano iniziato entrambi ad essere più intraprendenti, ma Anna continuava a temere di rimanere indietro o di perdere Misaki all'improvviso.
Più di una volta Yata le aveva detto di non preoccuparsi, le aveva sorriso dicendo che "Un ragazzo testardo come me non può essere un buon pranzo".
Lo diceva con leggerezza, ma a dire il vero, provava timore al solo pensiero di essere ferito da uno di loro. Aveva ancora tutta una vita da vivere, una famiglia con cui condividere il proprio futuro e anche Anna, se l'avesse desiderato, poteva farne parte.


Si accovacciarono in un angolo di una strada, entrambi con i corpi schiacciati contro la parete fredda di un edificio. Si potevano udire solo i loro respiri e i gemiti sommessi di quei non-morti. Non riuscivano a comprendere da quale parte provenissero, ma erano lì, erano lì vicino a loro. Di questo ne erano entrambi certi.
-Aspettami qui.- Le bisbigliò lui, a pochi centimetri dal suo volto. Le appoggiò affettuosamente una mano sul capo per poi alzarsi e svoltare verso la via principale dove, per quanto avesse immaginato, dovevano esserci i loro nemici.
Anna,tuttavia, non aveva intenzione di dividersi da lui e ricopiò i suoi movimenti, osservando silenziosa il ragazzo muoversi in mezzo ai palazzi davanti a loro. Era cauto, le orecchie tese per poter sentire ogni singolo rumore, ma l'aver raggiunto un incrocio non poté che peggiorare la situazione. Erano circondati e da qualsiasi di quelle vie potevano arrivare gruppi numerosi di non-morti.
Tuttavia, era piuttosto strano non vederne neppure uno lì, per quanto l'aria fosse impregnata da un acre odore di carne rancida ed entrambi potevano sentire il rumore di fauci scontrarsi con la pelle e gli organi ormai deteriorati con il passare del tempo.
Si stavano cibando dei cadaveri abbandonati della città, di quei poveretti che, molto probabilmente, avevano preferito uccidersi o forse erano stati vittime di qualche infezione data da ferite troppo gravi da curare.


Yata abbassò per un attimo la guardia, lasciando cadere il braccio che impugnava la mazza al fianco. Poco cibo era rimasto e la fatica iniziava a sentirsi anche per lui, non per questo,però, si era risparmiato dal dare gli ultimi viveri alla ragazzina. Lei, per quanto lo negasse, aveva una fisionomia più debole e incerta di Misaki. Necessità di zuccheri, di proteine e di acqua. Tutti elementi che ormai scarseggiavano in tutta la città.
Misaki si ripeteva che non doveva ormai mancare molto, forse un paio di quartieri, ma erano ormai giunti alla fine del loro viaggio. Non potevano correre, avrebbero attirato troppa attenzione, ma potevano proseguire a passo veloce verso il sud-est della città.
Così, con il pensiero di poter raggiungere finalmente un mondo sicuro, Yata si voltò verso la parte di Anna, suggerendole di raggiungerlo.
Pochi metri distanziavano l'uno dall'altro, ma nonostante la breve distanza, Misaki si ritrovò all'improvviso in una scomoda posizione.
Per la prima volta da settimane, aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno, aveva bisogno di liberarsi di uno di quei non-morti che, senza preavviso, si era messo a correre verso la sua parte sbucando da un vicolo oscurato da un grande palazzo.

La creatura, gridando e sbattendo i piedi a terra a grande velocità, afferrò prima la mazza del ragazzo e proprio grazie a quella presa, tentava di avvicinarsi a lui con l'intenzione di divorarne le carni. I suoi movimenti, agli occhi di Misaki, parevano troppo veloci a confronto di tutti gli zombie che avevano incontrato nel viaggio, eppure non c'era nulla di umano o di vivo in lui.
I suoi occhi, arrossati e vuoti, riflettevano lo sguardo colmo di terrore di Yata, ma non solo quello.
Dietro di lui, Anna si avvicinò abbastanza da poter intervenire. Era la prima volta che si ritrovava a gestire una situazione di quel calibro ed era presa dal panico proprio come il ragazzo che era stato poco prima attaccato.

Le mani della bambina tremarono quando l'indice sfiorò il grilletto della pistola. Iniziò ad ispirare ed espirare lentamente, ricordandosi tutto ciò che Misaki le aveva insegnato a proposito dello sparare ad una di quelle creature.


Alza la canna della pistola.
Pensò inizialmente, allungando le braccia sottili davanti a sé, in modo che la traiettoria del suo sguardo potesse essere in perfetta linea con lo zombie che minacciava il ragazzo.
Non voleva sbagliare, non poteva sbagliare. Un solo errore l'avrebbe portata a pentirsi per sempre delle sue azioni, mostrandosi la solita bambina incapace che tutti ignoravano a scuola, che tutti additavano come stramba e fin troppo silenziosa.
Con Yata era stato completamente diverso : lui era più grande, aveva ormai diciannove anni ed era normale che i suoi occhi percepissero Anna come un'infantile ragazzina. Eppure, aveva imparato ad apprezzare la sua ingenuità, capendo che era il punto di forza di quest'ultima. Era ciò che la rendeva diversa da tutti gli altri e il mondo non poteva meritare una creatura come lei.

Concentrati e mira verso il tuo obiettivo.
Si ripeté ancora, vedendo tuttavia i due soggetti completamente sfuocati davanti a sé. Yata si muoveva, cercava di allontanare lo zombie da sé, ma quest'ultimo, lentamente, aveva allungato la mano libera verso di lui, afferrandolo per la maglia chiara. Voleva ucciderlo, voleva farlo diventare come uno di loro, ma per quanto Anna continuasse a ripeterselo e per quanto fosse decisa su ciò che doveva fare per salvarlo, le sue dita rimanevano ferme, i suoi ochi non le permettevano di distinguere al meglio ciò che aveva di fronte.

Trattieni il respiro e premi in grilletto.
Anna riempì il petto di aria, alzando di poco le spalle per rimanere del tutto concentrata sul tiro. Quando premette sul grilletto, rimanendo in parte stordita dal rumore dello sparo, spontaneamente si ritrovò a chiudere gli occhi, trattenendo delle lacrime per via dello spavento e della paura di aver fatto del male al ragazzo.
No, non aveva abbastanza forza per vedere che cosa gli fosse successo, per vedere Misaki ferito per un suo errore. Odiava far del male agli altri ed era per questo che preferiva starsene sempre da sola e in disparte.


I suoi occhi si gonfiarono di lacrime e quando riaprì le palpebre, non prestando più attenzione a ciò che era accaduto, si ritrovò solamente a pensare a quello che aveva appena fatto.
Aveva ucciso un uomo.
Uno di loro, ma pur sempre un essere che aveva abitato la città proprio come lei. Il senso di colpa sopraggiunse nel suo cuore e lasciò cadere a terra la pistola, infastidita dal tonfo provocato da essa quando sfiorò il tiepido asfalto.
Era divenuta un'assassina, ma sapeva di non aver avuto altre scelte. Il solo pensiero di perdere Misaki l'aveva spinta a tanto e non per altro, quando vide il ragazzo alzarsi, allontanando da sé il corpo ormai esanime dello zombie, la sua mente ritornò ad un iniziale lucidità.
-Merda, Anna...pensavo che sarei morto qui.-
La voce di Misaki riecheggiò nella sua testa; era ancora confusa, le mani le tremavano e non davano segno di fermarsi. Eppure, l'avvicinarsi di Yata a sé l'aiuto a tranquillizzarsi e passarono un paio di minuti in silenzio, senza doversi dire nulla per rendere quella situazione più piacevole.
Dovevano farcela entrambi, era questo ciò che continuò a pensare Misaki, anche quando si chinò verso di lei, accennandole un sorriso tremante.

-Anna,sei stata bravissima.Hai seguito tutto ciò che ti ho detto e ti ringrazio.-
La voce di Misaki mostrava il senso di paura che l'aveva percosso poco prima, ma ora stava meglio ed era contento di sapere che la bambina, nonostante il nervosismo, fosse riuscita a salvarlo dalla morte. Non si pentiva di averla allontanata da quel vicolo molti giorni prima ed ora era ancora più sicuro di voler proseguire con lei, aiutandola, se fossero riusciti, a trovare quell'uomo che aveva detto di conoscere.


-Ora però dobbiamo andare, altrimenti ne arriveranno altri.-
Il ragazzo ritornò alla sua abituale determinazione, anche se, stringendo la mazza con la mano, Anna notò come le sue dita stessero ancora tremando, segno che entrambi fossero scossi da ciò che era appena accaduto.
Era felice di aver potuto aiutare il suo compagno e quando quest'ultimo le riconsegnò la pistola tra le mani, fu spontaneo avvicinarsi di nuovo al suo fianco, tenendosi stretta alla felpa di Yata per non rischiare più di trovarsi in una situazione simile.

 
* * *
Durante il loro proseguire, non ebbero occasione di discutere su ciò che era successo. Entrambi temevano che sarebbe accaduto di nuovo un episodio simile ed era stata sola la fortuna, quella volta, a salvare la pelle al ragazzo più grande.
Ora, era solo la speranza che li spingeva sempre più vicini ai confini e quando riuscirono a ripercorrere il decumano della città, i blocchi alla fine di esso apparirono finalmente davanti ai loro occhi.
Ancora tre quartieri li dividevano dalla salvezza. Pareva così vicino, ma mancavano ancora molti edifici da superare e il pericolo non sembrava essere scemato da quando si erano lasciati alle spalle più di un cadavere.
Anna si era ritrovata a sparare ai non-morti ancora una, o forse due volte. Aveva mancato il primo bersaglio perchè presa di nuovo dal nervosismo ed ora le rimaneva solo un proiettile, una sola occasione per uccidere un altro di quei mostri.
Misaki aveva distolto l'attenzione dalla ragazzina già da molto, impegnato anche lui a colpire un paio di uomini striscianti che si erano avvicinati alle sue spalle. Parevano entrambi indipendenti ora, ma fu questo che si mostrò come condanna dei due compagni.
La loro disattenzione, ahimè, era ciò che portò ad un finale diverso da ciò che avevano sperato e desiderato.


Quando finalmente decisero di riposarsi, rifugiandosi in un edificio che pareva più sicuro di altri, Misaki si rese tristemente conto di aver fatto un errore che sarebbe costata la salvezza ad uno dei due.
I suoi occhi scorrevano leggermente verso il basso, una linea di sangue caldo gli aveva sporcato la mano quando, accidentalmente, Anna si era scontrata contro di lui per entrare nella costruzione in cemento.
Sangue.
Una ferita invisibile agli occhi del più grande aveva attirato la sua attenzione troppo tardi, dannandosi per aver sopravvalutato le abilità di entrambi. Erano ragazzini alle prese con un mondo complicato ed era diventato troppo ostico per loro sopravvivere. Non avevano la forza necessaria per proseguire, non più, non assieme.


-Anna.- Lo sguardo vermiglio di Misaki si concentrò sulla figura minuta della ragazzina.Tremava, stringendo tra le mani la pistola che poco prima, sfortunatamente, le era scivolata a terra nel momento del bisogno.
I suoi occhi non incontrarono quelli del più grande, si limitò ad abbassare il capo e ad accennare un "no" con la testa. Una volta e poi ancora, lasciando che i capelli le coprissero il volto pallido e le labbra tremolanti.
Non poteva essere successo in quel poco lasso di tempo, non davanti allo sguardo vigile di Misaki. Eppure, per quanto avesse sorvegliato sulla vita di entrambi, Yata sapeva di aver fatto un grandissimo errore.
Aveva lasciato Anna indietro per pochi attimi, pochi attimi nel momento in cui aveva aperto velocemente la porta per entrare e la ragazza era rimasta indietro, cercando di uccidere uno di quei mostri.

-Anna, fammi vedere la gamba.- Parlò con tono pacato, anche se quell'innaturale freddezza lo tradiva. Era preoccupato, il cuore gli batteva all'impazzata nel petto e per quanto continuasse a ripetersi che non poteva essere davvero successo, dentro di sé la rassegnazione stava già prendendo parte nel suo animo.
-Yata, dobbiamo andare avanti...non...non abbiamo tempo.-
La bambina finalmente lo guardò, ma i suoi occhi arrossati non bastarono per fermarlo dall'avvicinarsi a lei, scostandole di poco la gonna per poter vedere il sangue che le ricopriva buona parte del polpaccio sinistro.
A prima vista, poteva essere una ferita qualunque, Yata non voleva arrivare a pensare al peggio, per quanto tutti quei segnali non portassero ad altro che ad una fine incerta e negativa.
Anna,no, non poteva essere stata attaccata da uno di quei mostri, non davanti ai suoi occhi, non quando lei stessa aveva occasione di ucciderli con l'arma da fuoco che le aveva consegnato.

-M-mi dispiace...io.La pistola era troppo lontana e...- Le parole vennero interrotte da un pianto, delle lacrime incontrollate che le rendevano le guance umide, il volto segnato dalla paura improvvisa di non potercela più fare.
La sua vita le passò velocemente davanti, non riusciva neppure a riconoscere i momenti in cui era stata felice assieme ai suoi familiari e quelli in cui, intimorita, aveva preferito allontanarsi dai suoi coetanei, da quel mondo che l'aveva sempre discriminata.
Ora il colorito pallido della sua carnagione sembrava del tutto naturale pensando che, purtroppo, era proprio il grigiore della pelle ad essere diffuso tra tutte le persone che stavano poco a poco abbandonando la vita da semplici esseri umani.
Non sarebbe stata più una ragazzina stramba agli occhi degli altri, non più una bambina curiosa agli occhi di Yata.
Sarebbe diventata una di loro e non avrebbe più avuto occasione di iniziare una nuova vita con Misaki, né rincontrare Mikoto.
Nel rendersi conto di tutto questo in poco tempo, le sue ginocchia minacciarono di non poterla più reggere e la ragazza si lasciò scivolare lentamente a terra, interrompendo il silenzio che si era creato con i suoi singhiozzi.
Voleva che Misaki non si arrabbiasse con lei, che non la giudicasse per essere stata una bambina imprudente, ma i gesti che susseguirono quei pensieri lasciarono intendere l'ormai mal celata preoccupazione del più grande.


Yata si inginocchiò davanti a lei, sfiorando con le dita la gamba deturpata dal morso brutale di una di quelle creature. Il sangue di Anna gli sporcava di nuovo la mano, ma non gli importava della vista di quella ferita, del rischio a cui era esposto toccandola senza nessuna protezione.
Il suo viaggio iniziò a perdere lentamente valore, i momenti passati assieme a lei sembravano scomparire dalla sua mente, sostituiti dall'immagine del corpo esanime della bambina.


L'avrebbe vista diventare poco a poco una di loro? O forse c'era possibilità che quella ferita, quella dannata ferita fosse solamente uno scherzo?


Istintivamente, Yata si ritrovò a sospirare e socchiudere per poco gli occhi, scacciando qualsiasi pensiero irrealistico che gli aveva riempito la testa.
Era la prima volta che provava sentimenti così contrastanti : delusione in sé stesso, ma anche rabbia, rabbia verso una qualsiasi entità che aveva deciso di punire una creatura come Anna.
Non lui, non lui che era sempre stato un ragazzo complicato e testardo. Era più semplice attaccare l'ingenuità e la bontà di una bambina come lei.

-Mi dispiace,Anna.- Non aveva il coraggio di prometterle nulla. Le sfiorò i capelli chiari, spostandoli delicatamente dietro al suo orecchio. Singhiozzava ancora, ma i suoi occhi ora incontravano quelli di Yata e le labbra si sforzarono di abbozzare un sorriso timido.
-No...sei stato gentile con me.- Bisbigliò lei, sentendo il corpo perdere poco a poco la forza per proseguire. Le sue palpebre minacciavano di chiudersi lentamente, ma le dita strinsero il polso di Misaki con determinazione e con un tono d'affettuosità che avevano sempre caratterizzato la bambina.
Voleva che il ragazzo rimanesse ancora un po' con lei, che non l'abbandonasse fino all'ultimo, ma una parte di sé sapeva quanto fosse egoistica tale richiesta.
Significava che Misaki l'avrebbe vista divenire una di quei non-morti e l'immagine di Anna priva della propria volontà era troppo anche per un ragazzo orgoglioso e testardo come Yata. Non avrebbe potuto resistere nel vederla soffrire e la sola vista del sangue sulle proprie mani sembrava spaventare anche la stessa Anna.


-Stupida, non dire così. Avrei potuto fare molto di più...- Anche le parole di Misaki vennero spezzate da un singhiozzio inusuale per lui, ma che fece sorridere di nuovo Anna.
Forse Yata non era solamente un ragazzo sicuro di sé, aveva solamente bisogno di un buon motivo per piangere e mostrare il lato più debole del proprio io. Anna non voleva conoscere questa parte del ragazzo in un momento del genere, ma sorrideva e continuava a farlo, sapendo quanto non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per lei.


-Ma io non ho chiesto di più.- Sorrise ingenuamente, osservando le pupille di Yata ristringersi lentamente, mentre i denti sfioravano nervosamente il labbro inferiore. Non l'aveva mai visto così nervoso ed era chiaro che stesse pensando a ciò che fosse più giusto da fare per entrambi.
Sì, era vero, non le aveva promesso nulla, ma non era sua intenzione dimenticarla con facilità, proseguendo per la sua strada come se le loro vite non si fossero mai intrecciate.
Si erano incontrati nella loro città ormai a pezzi, presa dalla sconforto dei suoi stessi abitanti, ma nonostante la tragicità della situazione, Misaki non poteva negare a sé stesso che Anna avesse conquistato una parte di lui, mostrandosi una cara amica nonostante provenissero da quartieri opposti.
Non importavano gli anni che li dividevano, non importava se Anna avesse sempre preferito chiudersi nel suo mondo, mentre Misaki era sempre stato abbastanza sfacciato da affrontare tutti gli altri.
Erano diversi, ma si erano affezionati l'uno all'altro e questo bastò per aiutare Yata a fare la scelta giusta.


Anna allungò le braccia verso di lui, cercando un po' di affetto che non aveva ricevuto da molto,troppo tempo. Sapeva che Misaki non amava manifestazioni di quel tipo e per questo si stupì nel vederlo avvicinarsi a lei senza esitazione.
Le mani piccole della bambina trovarono appoggio sulle spalle di Yata, mentre quest'ultimo le cinse la schiena, lasciandole una lieve carezza sulla nuca.
Non potevano vedersi, ma il singhiozzare di entrambi era ciò che più li assimilava in quel momento. Non c'erano altre parole che potevano dirsi, ma bastavano quei gesti, quel semplice abbraccio che fece capire ad Anna che le cose sarebbero andate per meglio, che non doveva preoccuparsi di soffrire.

-Le puoi tenere tu per me?-
Gli bisbigliò vicino all'orecchio, mentre la mano sinistra scese lentamente verso la tasca dove nascondeva le tre perle rimaste.
Una smarrita poco dopo essersi conosciuti ed un'altra, quasi per certezza, le era caduta proprio quando era stata attaccata da quel non-morto. Forse qualcuno le avrebbe trovate durante il suo viaggio, forse Mikoto avrebbe avuto modo di raccoglierle nel raggiungere il confine, ma ora non le importava più.
Voleva solamente che Misaki le tenesse come dono, che si ricordasse di lei e che gli portassero fortuna una volta varcato il posto di blocco.
-Le puoi regalare ai tuoi fratelli.- Una piccola risata le scappò dalle labbra secche e Yata, a quelle parole, sorrise di rimando. Aveva intenzione di ricambiare quel gesto, di farle rincontrare la sua famiglia perchè, anche se non era certo di una vita successiva, era invece sicuro che Anna la meritasse completamente.
-Lo farò e racconterò loro di quello che abbiamo passato assieme.-
Quelle furono le ultime parole che pronunciò, concludendo baciandole affettuosamente la fronte.


La sua pelle era divenuta poco a poco più fredda e passarono pochi attimi prima che, debolmente, le sue braccia si allontanarono dal ragazzo, cadendo delicatamente verso il pavimento divenuto rosso per via del sangue.
Yata si sistemò le perle nella tasca, per poi fermarsi ad osservare il viso riposato della piccola.
Ora, con l'abito ordinato e la carnagione sempre più chiara, pareva anche ai suoi occhi una graziosa bambola. Una bambola che non era più capace di parlare, ma che non avrebbe mai perso l'ingenuità e la curiosità che caratterizzava Anna.
Una bambina, come le aveva detto al loro primo incontro, ma si sbagliava. Era più di questo, dimostrandosi abbastanza matura per resistere alle crudeltà di un mondo come quello.

Decise di appoggiare le cuffie bianche sulle sue orecchie,lasciando che le ultime energie del suo mp3 finissero lì,assieme alla vita di quella bambina.
Così, mentre risuonava un Requiem Rosso* nell'aria, Misaki afferrò la pistola, appoggiandola delicatamente sulle tempie della ragazzina.
Non sarebbe mai diventata una di loro, non l'avrebbe mai permesso.
-Buona notte,Anna.-
Lo sparo disturbò per poco quel silenzio, sostituito infine dal rumore di quattro ruote muoversi sul pavimento freddo dell'edificio.
 





ANGOLO DELL'AUTRICE
*Nota: Red Requiem é la theme song di Anna e dei Rossi.
C'è troppo da dire a riguardo di questa storia. Forse che l'ho fatta più lunga del dovuto, forse che, alla fine, ho affrettato gli ultimi momenti, rovinandoli un po'.
Nonostante questo, mi piace il risultato finale ed ho iniziato ad apprezzare sempre di più Anna, personaggio che mi è sempre piaciuto, ma non è mai stato tra i miei preferiti.
Yata,invece, è quello che preferisco di più in tutta la serie ed ha un carattere volubile, proprio per questo adoro il rapporto che ha con la più piccola. Credo che nel film i due abbiano più spazio per la loro amicizia e non mi pento di aver scelto questo fandom con questo AU.
Sono certa di scrivere altro su K-Project e non vedo l'ora di vedere la seconda serie.
Alla prossima!
P.S. No Blood!No bone! No ash!

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