Lily Sandler's Memories

di Phoebebell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'inizio del viaggio ***
Capitolo 3: *** 11 Aprile: gatti fuggiaschi e balli di coppia ***
Capitolo 4: *** Duetto musicale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


LILY SANDLER’S MEMORIES


- TITANIC: DAL SOGNO ALL’INCUBO -





 

“La Nave dei Sogni” aveva annunciato entusiasta suo padre due settimane prima, mentre un elegante biglietto faceva capolino dall’interno del pacco regalo “E’ così che la chiamano. Sarà una vacanza memorabile, Principessa.”
Lily ricordava di aver sorriso, lasciandosi contagiare dall’euforia paterna: era da tempo che desiderava fare un viaggio in America, visitando le città che fino ad allora aveva conosciuto soltanto tramite i racconti dei parenti o della sua amica Rose.
L’aria salmastra non risultava molto gradita alle delicate narici di Miss Sandler, tuttavia, l’emozione per l’imminente partenza riusciva in qualche modo ad alleviarle i vari fastidi. Sarebbe stata persino pronta a sopportare nel modo più stoico possibile il mal di mare che l’avrebbe sicuramente perseguitata durante la navigazione.
Permise allo zio Eric, un uomo alto e attraente sulla quarantina, di aprirle la portiera dell’auto parcheggiata in quello che era – a detta dell’autista - un punto strategico del porto di Southampton e, facendo il possibile per restare in equilibrio sui tacchi sottili degli stivaletti, cominciò ad osservarsi intorno con fare impettito.
Di media altezza, dotata di forme piacevoli, Lily era avvolta in un elegante completo color rosa antico, cucito secondo la moda londinese del momento. I capelli castani erano raccolti in un’elaborata acconciatura celata parzialmente dal capellino abbinato al vestito, mentre gli occhi dalle iridi nocciola, unica caratteristica fisica ereditata dal padre, brillavano per l’emozione da dietro le lunghe ciglia.
Di sicuro, lei, figlia del noto professore universitario Andrew Sandler, non aveva nulla da invidiare alle donne aristocratiche che in quel momento le passavano accanto, sole o aggrappate al braccio di qualche gentiluomo.
Un vanesio pensiero attraversò la mente di Miss Sandler, che nascose un risolino dietro la mano guantata: “A sedici anni non erano sicuramente belle ed eleganti come sono io adesso”.
Trasalì quando qualcuno la destò dai propri pensieri con una sgraziatissima manata sulla spalla. Non si sorprese, tuttavia, nell’udire la voce calda ma leggermente nasale di sua sorella Violet giungere con prepotenza ai suoi timpani.
- Cos’hai da ridere, Principessa? La fatina del cervello ti ha suggerito una battuta divertente? In tal caso voglio saperla anch’io.
- Piantala – ordinò Lily, scostandosi con fare altezzoso – Non stavo affatto ridendo.
- No, certo, perché tu non ridi mai. Ridere è una cosa da poveri – ironizzò la maggiore, gettando poi un’occhiata alle proprie spalle – Papà ha detto che possiamo andare in avanscoperta mentre lui e zio Eric si organizzano con i bagagli.
Lily finse di ignorare la battutaccia della sorella riguardo al ridere e, dandosi un certo contegno, cominciò a camminare con lei in direzione del molo.
Nessuno, vedendo le signorine Sandler fianco a fianco, avrebbe pensato che fossero sorelle: Violet era alta, bionda e slanciata, una sorta di copia al femminile del padre, fatta eccezione per il colore turchino delle iridi, ereditato dalla madre. Era abbigliata con un moderno ma comodo abito azzurro, che si chiudeva sul davanti con una fila di piccoli bottoni, e, a differenza della sorella, indossava stivaletti dal tacco molto basso.
- Non vedo l’ora di salpare – disse la mora, nascondendo invano l’eccitazione – Vorrei vedere le nostre cabine in questo preciso momento! E, al contempo, non vedo l’ora di giungere a destinazione! Secondo te come sarà l’America?
- Io so che ci sarà da divertirsi – rispose Violet, impedendo ad una folata di vento di portarle via il capello color crema – Pensa un po’, zio Eric ha promesso di portarmi ad una partita dei New York  Highlanders! Non sto più nella pelle, sarà il primo match di baseball oltreoceano a cui assisterò!
- Magnifico – commentò Lily con poca convinzione - Sport, sempre sport. Stai diventando ripetitiva, Viv.
- Ehi, tu hai le tue fisse con l’Arte e roba simile, Principessa, io ho le mie – replicò Violet senza scomporsi, fermandosi dinnanzi ad un’imponente struttura navale – Ebbene, eccoci qua: che te ne pare del tanto decantato Titanic?
- Dov’è? – domandò l’altra, ignorando bellamente il colosso che le si parava di fronte – A sinistra o a destra della petroliera?
La bionda aggrottò un attimo la fronte, confusa, poi soffocò a stento una risata: - Ehm… no, tesoro. Il Titanic è proprio la “petroliera”.
L’entusiasmo che aveva animato la mattinata della giovane Sandler si spense all’improvviso, come la fiamma di una candela ormai consunta.
Lily sgranò gli occhi sbigottita, la sua bocca si dischiuse automaticamente in una O di palese stupore misto a perplessità.
Quando suo padre le aveva parlato della “Nave dei Sogni”, nella sua mente si era immediatamente formata l’immagine di un elegante transatlantico dalle forme aggraziate e dai colori tenui e delicati. Un mezzo di trasporto adatto ad una principessa.
Doveva esserci senz’altro un errore, quella specie di gigante dalla forma squadrata e tinto quasi interamente di nero non poteva essere sul serio l’ormai arcinoto Titanic.
- Guarda che così fai entrare le mosche.
La voce di Violet richiamò la sognatrice delusa alla realtà, portandola a serrare di scatto le mandibole con un brivido di disgusto al pensiero di una mosca svolazzante all’interno della propria cavità orale.
Per un attimo, Lily fu tentata di fare dietrofront e rinchiudersi in auto, ma si bloccò non appena vide il padre raggiungerla con aria raggiante, la gabbietta del loro micetto Theo ben stretta tra le mani.
Nonostante il caratteraccio poco affabile, Lily non sarebbe mai stata capace di deludere l’amato genitore, così si sforzò di rispondere al sorriso, fingendo di non aver perso l’entusiasmo di pochi minuti prima.
- Tutti pronti? – domandò il professor Sandler, cercando di impedire agli occhiali da vista di cadere tramite buffi movimenti del naso – L’America ci aspetta!
- Tenete ben strette le giarrettiere, ragazze, così potrete sventolarle dal ponte quando saremo a New York! – scherzò lo zio Eric, strappando una risata a Violet ed un sibilo scandalizzato a Lily.
La famigliola si incamminò quindi in direzione del pontile d’imbarco, accompagnata dal gran vociare della folla circostante unito al fruscio delle onde e allo stridio dei gabbiani.
Nel momento in cui raggiunsero gli altri passeggeri di Prima Classe che attendevano il proprio turno di salire a bordo, Lily portò istintivamente la mano destra all’altezza del petto, sfiorando con le dita il ciondolo d’oro recentemente ereditato dalla nonna paterna.
Il contatto durò meno di un secondo: stranita dalla propria reazione, la sedicenne lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.
In risposta, il ciondolo rifletté la luce solare con un sinistro bagliore.






***



 Angolo dell’autrice: Eccomi qua con il prologo della mia prima storia pubblicata sul fandom di Titanic.
 Sono Tinkerbell92 ma sto usando il profilo condiviso con la mia amica PiccolaPhoebe perché alla fin fine è insieme a lei che ho progettato i personaggi di questa storia qualche anno fa, durante le ore di lezione. Sì, siamo delle studentesse modello.
 Comunque, Lily Sandler è la protagonista della nostra storia. Suppongo che in questo momento la troviate simpatica come un mazzo di ortica nelle mutande e non vi do torto.
 Lily non è simpatica, per niente. E’ una ragazza ricca e viziata che non sa praticamente nulla delle difficoltà della vita, vive nel suo mondo fatato di principesse e unicorni e pensa che tutto le sia dovuto, che tutto sia facile.
 Ma allora, perché raccontare la storia di un personaggio del genere? Ebbene, sappiamo che il Titanic è la storia di una tragedia, ma anche di un viaggio. E quello che vi racconterò riguarderà anche il “viaggio interiore” che compirà la nostra protagonista.
 Perché ho un debole per i personaggi che affrontano un percorso di crescita personale durante la loro storia.
 Un’altra cosa che bisogna sapere è che questa è anche una storia interattiva: per arricchire il racconto muoverò i personaggi che mi sono stati affidati da altri scrittori.
 Ci tengo a precisare due cose:
 1.    Le interattive non sono vietate in questo sito, basta che seguano il regolamento scritto dalle amministratrici a riguardo.
 2.    Scrivere una storia interattiva non significa “non ho voglia di inventare personaggi, lo faccio fare agli altri per me”. Da due anni faccio parte di un gruppo Facebook di autori, dove è sempre un piacere “affidare” i propri personaggi ad altri per vederli muovere da una “mano esterna”. Non è mancanza d’ispirazione dello scrittore, quanto più un piacere del creatore del personaggio e futuro lettore.  
 Pertanto, chiunque abbia qualcosa contro le interattive, è pregato di abbandonare all’istante questa storia. Non tollererò proteste di alcun genere riguardo all’argomento.
 Bene, ora posso smettere con l’atteggiamento da dura.
 Ho messo come scadenza per le schede dei personaggi il 5 Ottobre, perciò non penso di pubblicare presto il primo capitolo. Comunque non disperate che prima o poi qualcosa arriverà.
 Grazie per aver letto, alla prossima!
 Tinkerbell92 e PiccolaPhoebe

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Capitolo 2
*** L'inizio del viaggio ***


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(grazie a Pandamito per il banner)


ATTO I – POV Lily

La parte esterna del Titanic non aveva soddisfatto le aspettative della secondogenita del professor Sandler, tuttavia, la raffinatezza gli interni di Prima Classe riuscì a strapparle un sorriso.
La famigliola affidò i bagagli alle cameriere, dopodiché si diressero tutti al Ponte A per assistere alla partenza: il professor Sandler e zio Eric si fermarono a chiacchierare con alcuni conoscenti, mentre le due ragazze si avviarono a passo spedito verso il parapetto.
Una folta chioma rossa, raccolta in un’ordinata acconciatura, attirò immediatamente la loro attenzione: la proprietaria di quella meravigliosa capigliatura era una ragazza di media altezza, le cui piacevoli forme arano avvolte da un elegante abito bianco e blu.
- Rose! – esclamò Lily, abbandonando il solito contegno da principessa snob e raggiungendo di corsa l’amica.    
Rose Dewitt Bukateer si voltò sorpresa, giusto in tempo per ricambiare l’abbraccio della Sandler più giovane: - Ragazze! Mi stavo giusto chiedendo quanto tempo avremmo impiegato per incontrarci!    
- Beh, la nave sarà pure enorme, ma penso che, durante il tragitto da qui a New York, sicuramente a furia di girare in tondo ci saremmo ritrovate almeno una volta – scherzò Violet, abbracciando la diciassettenne – La tua allegra famigliola bazzica da queste parti oppure si è rintanata in salone per non respirare la stessa aria degli altri immondi nobiliastri?
Lily pestò con forza il piede della bionda, ma Rose non sembrò prendersela per il commento: - Non lo so – rispose – alla prima occasione mi sono allontanata con una scusa. Cal cominciava ad asfissiarmi.
In quell’istante, la Sandler minore si sentì tremendamente in colpa: l’aver storto il naso per l’aspetto della nave le sembrò improvvisamente un gesto egoista e infantile, specialmente se paragonato al disagio che stava vivendo in quei giorni la sua migliore amica.
“Zio” Richard Dewitt Bukateer, amico di vecchia data del professor Sandler, si era suicidato l’anno prima, lasciando la famiglia sommersa dai debiti, così Rose era stata promessa in sposa al facoltoso quanto insopportabile Caldeon “Cal” Hockley. Lily aveva conosciuto Cal qualche settimana prima ed era uscita da quell’incontro alquanto disgustata: il futuro marito di Rose era un trentenne egocentrico e maschilista, visibilmente convinto di essere Dio sceso in Terra.
Un vero idiota, senza dubbio, ma un idiota ricco, il che era ciò che più importava alla vedova di zio Dewitt Bukateer.
- Che ne pensate della nave? - domandò la rossa, ignorando l'occhiata insistente di un ragazzo elegantemente vestito. 
- A me non dispiace - rispose allegramente Violet, attorcigliando attorno al dito indice una ciocca dei capelli castani della sorella - E' Lily che, come al solito, ha qualcosa da ridire...
- Non mi piace molto la forma e credo sia troppo grande – si giustificò l’altra, rifilando un’occhiataccia alla maggiore.
Rose sorrise piuttosto svogliatamente, abbassando lo sguardo: - Ad essere sincera, nemmeno a me sembra un granché. Insomma, è sempre la solita storia: posti lussuosi pieni di gente snob, aristocratici che ti guardano dall'alto al basso, come se attendessero impazienti un tuo minimo errore… tutti pretendono da te un particolare atteggiamento, quasi fossi una loro marionetta...
Si interruppe, rendendosi conto di aver parlato un po' troppo, ma Violet si intromise circondandole le spalle con un braccio: - Che vuoi farci, è questo il prezzo che si paga stando nell'alta società! Io credo che dovremmo infischiarcene di ciò che pensano gli altri.
- La fai sempre facile, tu – borbottò Lily voltandosi, rischiando di scontrarsi con la madre di Rose, che in quel momento giungeva dalla direzione opposta.
- Oh, scusami, Ruth... – balbettò la sedicenne, indietreggiando di un passo.  La donna rispose con un sorriso molto forzato: - Dovresti tenere la testa alta quando cammini, Lily – osservò, senza accennare il minimo saluto -  Sei un'aristocratica, non una volgare contadinella! 
La ragazza, stizzita, si morse la lingua per non replicare, per nulla abituata a ricevere dei rimproveri, ed inorridì non appena notò che la rossa era fastidiosamente avvinghiata al braccio di suo padre, il quale lanciava occhiate disperate qua e là. Zio Eric finse di soffiarsi il naso per celare le risa.
Approfittando dell’attimo di silenzio che si era appena creato, Cal Hockley, si fece avanti con aria melliflua, afferrando la mano della fidanzata. I suoi capelli neri, notò Lily con disgusto, erano pomposamente impomatati, al punto da sembrare unti.
 - Ti stavamo cercando, Zuccherino – disse, sorridendo viscidamente - Perché sei scappata via subito? Il professor Sandler ci stava deliziando con alcune sue interessanti teorie sulla Lettura Anglico-Americana fino a poco fa...
- Letteratura Anglo-Americana - lo corresse il signor Sandler, cercando con nonchalance di liberarsi dalla morsa di Ruth.
Cal fece finta di non averlo sentito e fissò Rose con fare mieloso. Lei alzò gli occhi al cielo, si morse le labbra, ed, infine, borbottò semplicemente: - Scusami, Cal. La prossima  volta avviserò, prima di allontanarmi.
Ruth lanciò uno sguardo adorante alla coppia, come se sentisse già risuonare nella propria testa il motivetto della loro marcia nuziale, poi domandò ingenuamente alle sorelle Sandler: - Volete unirvi a noi, ragazze? Pensavamo di assistere alla partenza da una postazione migliore...


ATTO II – POV Joelle

- Partenza con un’ora di ritardo. Questo viaggio comincia proprio bene.
Joelle Grace Conn, domestica e sarta diciannovenne, abbozzò un sorriso alla vista del volto imbronciato della padroncina Emily, che non aveva smesso un solo istante di brontolare da quando la famiglia Browning aveva messo piede sulla nave.
John Browning posò gentilmente la mano sulle spalla della primogenita, tentando invano di calmarla: - Abbiamo sfiorato un incidente, tesoro –spiegò, riferendosi al rischio corso poco prima dalla piccola nave New York, quasi risucchiata dal Titanic durante la partenza – Sono sicuro che tra poco salperemo.   
- Come no – ribatté l’altra, incrociando le braccia.    
Joelle, che conosceva Emily meglio di chiunque altro, sapeva bene che il suo malumore non derivava realmente dal tempo di attesa: la famigliola (composta da padre, madre e tre figli) si sarebbe recata in America per assistere al matrimonio di una parente e, con l’occasione, la figlia maggiore, ormai quindicenne, sarebbe stata introdotta nel mondo dell’alta società. Per una ragazzina solitaria e scorbutica come Em la prospettiva non era di certo allettante, tanto più se ad essa si abbinava il sospetto che i genitori fossero intenzionati a trovarle un marito.
- Fino a ieri non volevi partire, adesso hai cambiato idea? – scherzò la giovane domestica – Abbiamo portato sulla nave un’altra Emily? Magari una Emily che non guarda le persone come se volesse prenderle a pugni?
I signori Browning ed i loro figli più piccoli, Jane di dodici anni e Anthony di sette, si lasciarono sfuggire una risatina, ed anche Emily, seppur cercasse di ostentare irritazione, non poté nascondere un sorriso.
Proprio in quel momento, la nave cominciò a muoversi lentamente, mentre i passeggeri radunati sul ponte emettevano borbottii eccitati.
- Vuoi provare ad avvicinarti al parapetto per far assistere anche i tuoi piccoli alla partenza, cara? – domandò la signora Browning, riferendosi a Gabriel e Cerìse, i due gemellini che Joelle aveva partorito l’anno prima – Potranno vantarsene quando saranno più grandi.
- Oh… certamente, grazie signora – rispose entusiasta la diciannovenne, prendendo in braccio il maschietto, mentre Emily si occupava della bimba – Loro padre, il mio povero Michael… avrebbe sicuramente apprezzato tantissimo quest’idea.
Mrs Browning si portò una mano al cuore, sospirando tristemente. La storia di quella povera creatura, rimasta vedova così presto, mentre portava in grembo due bambini, riusciva ad impietosirla ogni volta che ci pensava. Persino suo marito si commuoveva non appena Joelle nominava l’amato coniuge scomparso.
Con un braccio, la domestica sistemò meglio il piccolo Gabriel contro il proprio petto, mentre con la mano libera afferrava quella di Anthony Browning, poi cominciò a muoversi cautamente tra la folla, raggiungendo finalmente il parapetto. Emily e Jane la affiancarono quasi subito.
Il vento accarezzò il volto lentigginoso di Joelle, scompigliandole i capelli, mentre il Titanic scivolava sulla superficie del mare, prima lentamente, poi acquisendo man mano velocità.
I volti della gente che salutava dal molo erano pressoché indistinguibili dall’alto del ponte di Prima Classe, ma la ragazza allargò comunque le labbra in un radioso sorriso, salutando chiunque a gran voce. Anthony e Jane la imitarono con entusiasmo, sporgendosi addirittura dal parapetto e agitando le braccia fino a quando la nave non lasciò il porto, avviandosi verso il mare aperto.
- Per me questo è l’inizio di un’incredibile avventura- commentò la giovane domestica – Voglio dire, avrò l’occasione di osservare da vicino la moda americana del momento!  Ci sarà qualche stilista famoso tra gli invitati al matrimonio, no? E poi, se non sbaglio, mi hai detto che sulla nave c’è anche Lucy Duff Gordon! Sarebbe così bello poter anche solo ammirare il suo stile da lontano…
- Sono contenta che almeno tu sia così entusiasta, Jo – commentò la maggiore dei fratelli Browning, venendo però interrotta dalla sorella.
- Guarda che tu sei l’unica a brontolare, Em, come al solito – osservò Jane, ignorando l’occhiataccia da parte dell’altra – Non ti va mai bene niente.
- Non litigate in pubblico – s’intromise prontamente Joelle – Ricordatevi che la gente che vi circonda ha l’abitudine di storcere il naso per molto meno.
Emily borbottò qualcosa tra sé riguardo al naso storto dei passeggeri di Prima Classe e al posto in cui potevano ficcarselo, ma evitò di prolungare la discussione.
La domestica si lasciò sfuggire un sorriso, poi volse lo sguardo verso l’orizzonte: sì, non vedeva l’ora di giungere a New York. Lì avrebbe sicuramente avuto grandi possibilità di conoscere celebrità della moda, di osservare da vicino i capolavori di sartoria d’oltremare.
E chissà, magari ottenere delle informazioni riguardo suo fratello, fuggito in America anni prima e da allora mai più rivisto… 


ATTO III – POV Joanne

Sarebbe stato molto più saggio attendere che Sean terminasse di sistemare i bagagli in cabina, tuttavia la curiosità era troppo forte e Joanne Chloé Martinez non vedeva l’ora di esplorare ogni singolo angolo della gigantesca nave.
Probabilmente non aveva ancora smaltito l’adrenalina provocata dall’incredibile catena di eventi avvenuta poco prima: la fuga da casa, il denaro insufficiente per l’acquisto del biglietto, il fortuito incontro con Sean e il miracoloso imbarco clandestino.
Non che imbrogliare l’innocente controllore le avesse fatto piacere, ma era più che certa che, se egli fosse stato al corrente della sua situazione, avrebbe per lo meno riflettuto due secondi, prima di farla tornare sui propri passi.
Il clima cupo e solitario della grande Villa Martinez, le asfissianti pretese dei genitori che si ricordavano di avere una figlia soltanto quando dovevano imporle qualcosa, il rischio di vedere il proprio sogno svanire…
Joanne si scosse dai propri pensieri con una brusca scrollata di spalle: no, non doveva rovinarsi il viaggio pensando ai due despoti che l’avevano messa al mondo: aveva ventinove anni, un grande amico su cui poter sempre contare ed un brillante futuro da scrittrice davanti a sé. Le rigide regole, le imposizioni e le punizioni ingiuste facevano parte del passato.
Calò la veletta in pizzo del cappello sul proprio sguardo, sicura che l’avrebbe aiutata a non attirare l’attenzione, e cominciò l’esplorazione scendendo al ponte di Terza Classe.
Si fermò un istante per aiutare una giovane cameriera che aveva appena rovesciato un’intera pila di asciugamani, dopodiché attraversò i corridoi delle cabine per uscire finalmente all’aria aperta.
Non le dispiacque trovarsi circondata da gente semplice, poveramente vestita. Osservò con attenzione i loro atteggiamenti, gli sguardi, il modo di conversare, con lo scopo di annotare tutto quanto nel proprio quadernetto la sera stessa. Ogni minimo dettagli avrebbe potuto fornire degli spunti per nuovi personaggi o intrecci di trame.
Di tanto in tanto, i passeggeri squadravano con una rapida occhiata incuriosita quella signorina bionda ben vestita, ma tornavano quasi immediatamente alle proprie occupazioni.
“Tornerò sicuramente qui più di qualche volta” pensò sorridendo “Hanno tutti l’aria così gentile e rilassata… e c’è un bel clima accogliente e famigliare, quasi mi sembra…”
- Ursäkta mig, ung dam.
Joanne si rese conto appena in tempo di essere in procinto di scontrarsi con un ragazzo alto e robusto dai capelli castani, poco meno che trentenne. Parlava in lingua svedese ma, fortunatamente, la bionda non fu colta impreparata: tra le attività a cui i suoi genitori l’avevano costretta rientrava lo studio di diverse lingue, tra le quali lo svedese.
Comprese che il giovane si era appena scusato con lei, così sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e replicò: - Det är mitt fel. Jag ser inte där jag tänkte.
Il moro sembrò colpito sentendosi rispondere nel proprio idioma, così ricambiò il sorriso e tese la robusta mano da lavoratore: - Olaus.
- Joanne – rispose prontamente lei, stringendola.
Lo svedese sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si interruppe non appena un ragazzo italiano dai capelli scuri gli assestò da dietro un’amichevole pacca sulla spalla.
- Ehi amico! Ancora non ho capito come ti chiami e non capisco un accidenti della tua lingua, ma credo che tuo fratello ti stia cercando. A meno che non abbia perso il cane, ma non mi pare voi abbiate un cane, giusto?
- Fabrizio – s’intromise un biondino smilzo dall’accento americano – Come tu non capisci la sua lingua, lui non capisce la tua... che tra l’altro a volte faccio io stesso fatica a comprendere, visto che sembra uno strano miscuglio tra italiano e inglese...
- Quante storie, Jack! – protestò l’altro – E come pensi dovrei parlare con questo qui? A gesti? Oppure tu potresti fargli un disegno, sapresti disegnare suo fratello con la faccia da ”sto cercando qualcuno o qualcosa”?
- Oppure – fece eco Joanne – Potreste domandare all’interprete che avete davanti di riferire ad Olaus il vostro messaggio.
Il ragazzo di nome Fabrizio sembrò illuminarsi non appena si accorse della sua presenza: - Ma come ho fatto a non notarVi prima? Perdonatemi, incantevole signorina – disse galantemente, inchinandosi e baciandole la mano – Fabrizio De Rossi, al Vostro servizio.
- Lei è la terza con cui ci provi da quando siamo saliti sulla nave – rise il suo compagno americano, rivolgendo poi un bel sorriso alla bionda – Jack Dawson, piacere.
- Joanne Martinez – rispose lei, trattenendo a fatica una risatina per i modi buffi dell’italiano – Volete che traduca il vostro messaggio?
Alla risposta affermativa dei due, Joanne riferì ad Olaus quanto stato detto. Lo svedese ringraziò distrattamente i compagni di stanza, salutò Joanne sorridendo (quasi un po’ timidamente) e poi si avviò di corsa in direzione delle cabine.
- Allora – riprese Fabrizio, con aria da seduttore – Come mai una signorina elegantemente abbigliata bazzica per i quartieri dei poveracci?
Jack lo colpì con una leggere gomitata, ma la ventinovenne non si mostrò infastidita dalla domanda: - Alloggio in Seconda Classe, ma volevo fare un giro. Mi piace esplorare posti nuovi.
- Beh, puoi fare un giro con noi – propose il moro, offrendole il braccio ed ignorando il proprio compagno, intento a scuotere la testa – Anche noi adoriamo esplorare.
Joanne scoppiò a ridere, afferrò il braccio dell’italiano e rispose: - D’accordo, accetto volentieri.


ATTO IV – POV Charles


Più il tempo passava, più Charles Leonard Fitzherbert si domandava cosa sua sorella ci trovasse nell’elegantone babbeo che aveva sposato.
“Chissà cosa la attira di più” pensò ironico, varcando la soglia della propria cabina di Seconda Classe “La faccia da idiota, la simpatia da sardina affumicata o il portamento da mummia? Bah, si è pure fatta mettere incinta da quel coso…”
Charles avrebbe potuto giurare solennemente di aver perlomeno provato a socializzare con il cognato, per amore di Agnes, ma qualsiasi tentativo di “spronarlo” ad uscire da quel guscio di imbranataggine era miseramente fallito.
- Nemmeno le mie fantastiche filastrocche sconce hanno avuto successo – borbottò accigliato – Magari, se Agnes non mi avesse ordinato di smettere, avrei ottenuto qualcosa… ma probabilmente no, quel tipo è un caso perso.
Avrebbe passato i mesi seguenti a stretto contatto con quel “caso perso”, ma l’idea di poter vivere finalmente il sogno americano gli faceva apparire la tediosa prospettiva come un accettabile compromesso.
Christopher Nolan Thompson, membro dell’ambasciata americana, aveva conosciuto Agnes Fitzherbert  grazie al (o, a detta di Charles, “per colpa del”) mandato che l’aveva spedito a Londra qualche anno prima. Al termine del periodo di trasferimento, il giovane aveva prenotato un viaggio in Prima Classe insieme alla moglie per poterla (finalmente) presentare ai genitori ancora ignari. Un terzo biglietto, di Seconda Classe, era destinato al maggiore dei fratelli Fitzherbert, Robert, ma, grazie ad una serie di circostanze (tra cui l’inattesa gravidanza della sorella diciannovenne) e ad una brillante sequela di argomenti a proprio favore, Charles era riuscito a convincere il fratello a cedergli il posto.
In qualità di studente di Medicina (anche se non troppo diligente) avrebbe potuto aiutare Agnes nei mesi di gestazione, nonché restare con lei in America durante i primi anni di maternità.
Un po’ gli era dispiaciuto dover piantare in asso i suoi amici dell’università, in particolare Lloyd e Bryan, ma il richiamo dell’America era troppo forte per essere ignorato.
Una volta che ebbe sistemato i propri bagagli, sfilò gli occhiali da vista, diede una rapida ravvivata ai propri capelli scuri ed uscì con fare tronfio dalla cabina.
Non gli andava di re-incontrare subito Chris il Babbeo, così scelse di fare una passeggiata sul ponte di Seconda Classe, tanto per sondare un po’ il terreno, visto che avrebbe passato buona parte della crociera in quella zona. Magari avrebbe fatto qualche incontro interessante, “magari qualcuno che apprezzi le mie filastrocche”, pensò con una nota di puntiglio.
Era talmente impegnato a guardarsi attorno, mentre attraversava il salone, da non accorgersi in tempo del giovane che giungeva dalla direzione opposta con passo nevrotico. Una piccola imprecazione (che però fu udita da buona parte dei presenti) sfuggì dalle labbra del ventunenne, quando si ritrovò praticamente l’altro passeggero in braccio.
- Amico, guarda dove vai – lo rimproverò, ignorando bellamente il fatto di aver commesso la medesima imprudenza.
Quello balzò subito all’indietro, controllandosi scrupolosamente le pieghe dell’elegante giacca. Tirò quindi fuori una specie di spazzola dalla tasca destra e corresse con fare meticoloso ogni singola imperfezione.
Charles aggrottò la fronte, leggermente spiazzato dall’eccessiva pignoleria dello strano passeggero: dimostrava circa una trentina d’anni, era molto magro e non raggiungeva il metro e settanta. Aveva i capelli castani e le iridi tinte di verdeazzurro, i baffi ben pettinati e gli zigomi affilati.
- Mi scusi – disse in tono gentile, non appena ebbe terminato di sistemarsi – Sto cercando una mia amica, si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in pizzo…
- No, mi dispiace, io sono appena uscito dalla mia stanza – rispose Charles, ignorando i plateali gesti di una ragazza dalla parte opposta del salone – Perché la sua amica gira con una veletta nera? E’ forse in lutto?
L’interlocutore face un sorrisino di circostanza, ignorando il commento sarcastico: - La ringrazio lo stesso, signor…
- Charles Leonard Fitzherbert  - disse il ragazzo con un piccolo ghigno – Ma tutti mi chiamano Charlie o Leo o… beh, no, Lev è un lusso che concedo soltanto alle signorine…
- Sean Emmett Grimm, molto piacere – tagliò corto l’altro – Probabilmente mi vedrà al piano in una di queste serate. Ma mi tolga una curiosità: la signorina che si sta sbracciando in fondo alla sala ce l’ha con Lei?
Charles provò a focalizzare la persona indicata dal pianista e, osservando meglio i colori dell’abito, la riconobbe: - Oh… è mia sorella. Con il suo permesso, signor Grimm, temo sia mio dovere raggiungerla.
- Perché non indossa un paio di buoni occhiali da vista, signor Fitzherbert? – osservò pragmatico il maggiore – Se permette, la miopia può provocare situazioni imbarazzanti…
Il ventunenne rispose con una semplice risatina: - Ah! Io mica sono miope! – mentì, raggiungendo poi di corsa la sorella minore.  


ATTO V – POV Lily

La lunga tavola, sontuosamente apparecchiata per la cena, era coperta da una candida tovaglia di seta e circondata da almeno una trentina di sedie.
- Si accomodi pure vicino a me, Lily.
Il volto sorridente di Lady Leslie concesse alla ragazza una piccola distrazione dal tremendo senso di nausea che aveva incominciato a tormentarla già poche ore dopo la partenza.
La contessa di Rothes era una bella donna poco oltre la trentina, dai lucidi capelli castani e gli occhi neri simili a pozzi profondi. Aveva un bel modo di fare e Lily sedette accanto a lei senza esitazioni, invitando il padre ad occupare la sedia accanto alla propria.
Dentro di sé, Andrew Sandler tirò un sospiro di sollievo, ben felice di staccarsi dai tentacoli di Ruth.
Zio Eric e Violet si sedettero di fronte ai familiari, così come Rose, Cal ed i Richardson, una delle famiglie più facoltose all’interno della nave.
- Le sue figlie sono cresciute moltissimo dall’ultima volta che ci incontrammo, Andrew – affermò Ann Elizabeth Isham, un’elegante cinquantenne dai capelli biondi, accarezzando la testa del proprio cane alano, Dane, accucciato sotto la sua sedia – Sono davvero meravigliose!
- La ringrazio, Ann – rispose cordialmente il professore, assumendo, per un istante, un’aria un po’ malinconica – Non poteva essere altrimenti: avevano una madre meravigliosa…
- Oh, tutti noi pensiamo sempre a Danielle con molto affetto – asserì Lady Leslie, dando dei colpetti affettuosi sulla mano di Lily – E voi due, figliole, me la ricordate molto.
- Beh, sono certo di ricordagliela anch’io, Contessa – sorrise zio Eric, evitando che la situazione si incupisse troppo – Anche se ho sempre trovato ingiusto che Danielle avesse preso tutta la bellezza per sé. Insomma, i gemelli non dovrebbero condividere virtù e difetti?
- Ma Eric! – rise la signora Richardson, una donna attraente e formosa, dai folti ricci biondi – Non parli così, Lei è un uomo affascinante!
- Sempre troppo gentile, Anna – ringraziò il quarantaduenne, approfittando della distrazione del Colonnello Richardson per strizzarle l’occhio.
Lily aggrottò la fronte, un po’ stupita da quel gesto, ma fu immediatamente distratta dalla voce acuta e cristallina di Missouri Richardson, che si era appena rivolta al cameriere per ordinare del salmone con maionese. 
Miss Sandler non aveva mai scambiato qualche parola con i due figli dei Richardson, li aveva incontrati un paio di volte a qualche festa ma se n’era sempre tenuta alla larga.
Missy era una signorina alta e raffinata, classe 1889, che portava i capelli biondi pettinati in un singolare taglio a caschetto. A Lily piacevano molto gli abiti che indossava e più d’una volta era stata tentata di chiederle dove se li fosse procurata, tuttavia, lo sguardo glauco e ambiguo della giovane era sufficiente ad intimidirla.
Ma se, per la piccola Sandler, Missy era fonte di soggezione, il fratello di lei, James, provocava un ben più fastidioso senso d’inquietudine: un diciannovenne dall’aria solitaria e un po’ cupa, con gli occhi celesti costantemente celati dietro ai trascuratissimi capelli scuri. Lily non l’aveva mai visto sorridere ed era abbastanza sicura di non averlo nemmeno mai sentito parlare. Aveva talvolta scorto dei rapidi movimenti delle labbra, solitamente indirizzati alla sorella maggiore, nulla di più.
- Quanti anni avete adesso, ragazze?
La domanda della Contessa di Rothes scosse Miss Sandler dai propri pensieri.
- Io ne ho compiuti sedici due settimane fa – rispose Lily velocemente, quasi rischiando di mordersi la lingua – Violet ne ha fatti diciotto a Febbraio.
 - E nessuna delle due ha ancora un uomo al proprio fianco – commentò Ruth, beccandosi un’occhiataccia da parte della figlia.
Lily arrossì per il nervoso e, d’istinto, aprì la bocca per rispondere a tono, ma si bloccò non appena Violet commentò sarcastica: - Beh, visto come stanno andando fidanzamenti e matrimoni, ultimamente, non moriamo di certo dalla voglia di impegnarci, Ruth.
Molti commensali si lasciarono sfuggire una risata di comprensione, senza però capire la sottile allusione rivolta ad un fidanzamento in particolare, ossia quello di Rose.
Ruth serrò le labbra nervosamente, per poi replicare con un sorrisetto di circostanza.
- A proposito di matrimoni – s’intromise Missy Richardson, mettendo in mostra i denti candidi con un sorriso malizioso – Vorrei farvi notare che futuri parenti dello Zar Nicola sono appena entrati in sala…


ATTO VI – POV Sean

“Non ti azzardare ad avvicinarti di nuovo a quel dannato strumento! La prossima volta che ti vedo ti taglio le dita e ti chiudo in cantina per il resto dei tuoi giorni!”
Sean si scosse con un brivido, lasciando quasi cadere a terra il prezioso pettine d’argento, unico cimelio di famiglia. Era da un po’ di tempo che la voce di suo padre, il suo sguardo furente, le sue percosse non si ripresentavano nella sua testa, eppure, come al solito, il ricordo si mostrò in modo maledettamente nitido.
Voltò il pettine e sfiorò con un dito la foto della sua piccola Elise, sospirando malinconico. Era passato quasi un mese dall’ultima volta che l’aveva vista, da quando gli era stata portata via senza una spiegazione, senza nemmeno concedergli la possibilità di dirle addio.
- Ti ritroverò, amore mio – promise con un sussurro – A costo di setacciare ogni singola via di Philadelphia. Papà ti troverà e ti riporterà a casa.
Ripose il pettine al suo posto, indossò un paio di guanti candidi ed uscì dalla cabina, dirigendosi verso il salone di Seconda Classe. In cuor suo sperava che Joanne se ne fosse rimasta buona ad attenderlo ma, come previsto, della ragazza non vi era alcuna traccia.
- Per fortuna che non doveva dare nell’occhio – borbottò Sean tra sé, cominciando a guardarsi attorno alla ricerca dell’amica: era riuscito a farla imbarcare clandestinamente per darle una possibilità di fuga dalle pressioni della famiglia e facendole fare un passo in avanti verso il proprio sogno (dopotutto, lei non aveva forse fatto lo stesso, anni prima, dandogli rifugio in casa propria e permettendogli di trovare lavoro al pub come pianista?) ma l’idea di essere scoperti lo inquietava non poco.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare: - Salve Sean, sei pronto per stasera?
John Law Hume, violinista nonché uno dei membri più giovani dell’orchestra ufficiale della nave, osservava il trentaduenne con un gran sorriso. Era un bel giovanotto dai grandi occhi azzurri e le guance piene, innamoratissimo della fidanzatina che, purtroppo, non aveva potuto seguirlo nel viaggio verso New York.
- Oh… sì, naturalmente. Ci vediamo tra poco alle prove, John.
Il ragazzo annuì, allontanandosi verso il reparto cabine, così Sean riprese la frenetica ricerca della migliore amica fuggiasca. Sussultò bruscamente non appena si scontrò con un giovanotto dai capelli scuri, che reagì al contatto con una colorita imprecazione.
- Amico, guarda dove vai!
Sean si scostò da lui immediatamente, sistemandosi con cura le pieghe della giacca. Non sopportava le imperfezioni, i suoi genitori gli avevano inculcato a suon di scapaccioni una profonda ossessione per l’ordine, che sicuramente non sarebbe mai guarita.
- Mi scusi – disse infine, ignorando il tono leggermente irritato dell’altro – Sto cercando una mia amica, si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in pizzo…
Dal modo in cui il ragazzo strizzava gli occhi per mettere a fuoco le persone attorno a loro, Sean immaginò soffrisse di miopia, sicuramente non grave ma comunque sufficiente ad impedirgli di identificare la signorina che lo stava chiamando dalla parte opposta della sala.
Era un curioso personaggio, tanto che il giovane pianista non poté fare a meno di notare diversi bizzarri dettagli durante la loro breve conversazione, come il fatto di non riuscire a stare fermo, il vizio di accompagnare le parole a gesti delle mani ed il modo rapido di muoversi, pure restando fermo nello stesso punto.
Quando egli si allontanò, Sean fu colto da una strana sensazione: aveva già incontrato quel giovanotto da qualche parte.


ATTO VII – POV Danielle

- Danielle, per favore, fà attenzione quando scendi le scale con quella pila di asciugamani – si raccomandò il signor Andrews, osservando con una certa apprensione i movimenti della cameriera dai capelli rossi – Ti prego, un gradino alla volta… lentamente…
Danielle O’Connell si limitò ad annuire, abbozzando un timido sorriso. Il signor Andrews era un uomo molto gentile, conosceva per nome buona parte del personale e, nonostante la ventitreenne irlandese fosse perseguitata da un’incredibile sfortuna che la portava sempre ad inciampare o combinare guai sul posto di lavoro, egli non l’aveva mai rimproverata, né umiliata, né  insultata (a differenza degli orribili padroni per cui aveva lavorato anni prima).
Riuscì miracolosamente ad arrivare illesa al ponte di Terza Classe, anche se era piuttosto sicura che la sua sfortuna non avrebbe tardato a presentarsi. Infatti, proprio mentre si addentrava cautamente nel corridoio che portava alle cabine, due indisciplinati bimbi scandinavi le ostacolarono il tragitto, rincorrendosi tra loro e litigando.
Cercando di evitare di essere investita, Danielle si scansò a destra, ma inciampò in una piega del tappeto e finì lunga distesa a terra, la faccia affondata nel mucchio di asciugamani ancora caldi.
Pregò con tutta sé stessa che i membri del personale o dell’equipaggio non bazzicassero proprio da quelle parti e cercò di rialzarsi in fretta per salvare il salvabile.
- Posso aiutarti? 
Danielle sussultò, alzando di scatto lo sguardo: una donna bionda sulla trentina, il cui volto era parzialmente celato dalla veletta nera del cappello, si era appena inginocchiata di fronte a lei, valutando il disastro con una rapida occhiata.
- Non… non si disturbi – balbettò la cameriera arrossendo – La prego, non voglio che…
- Non è un disturbo per me – ribatté l’altra con un sorriso – Quando vivevo ancora con i miei genitori mi faceva piacere dare una mano ai domestici… naturalmente, senza che i miei ne fossero al corrente – aggiunse, lasciandosi sfuggire una risatina.
Ripiegarono gli asciugamani ancora utilizzabili, sistemando gli altri in un sacchetto che Danielle portava legato al braccio.
-La ringrazio – sussurrò la minore timidamente – E’ stata molto gentile.
- Non c’è di che – disse la donna, strizzando l’occhio – Buon proseguimento.
- Anche a Lei…
La consegna degli asciugamani proseguì senza altri intoppi, così, quando ebbe terminato, Danielle si avviò spedita verso la lavanderia. Spiando nel sacchetto semi-aperto, si poteva intravedere il segno del rossetto lasciato sull’asciugamano su cui aveva posato il viso durante la caduta.
Attraversò il corridoio delle cabine a ritroso, ma si interruppe non appena una misteriosa musica giunse alle sue orecchie. Incuriosita, proseguì lentamente, cercandone la fonte: era il meraviglioso suono di un pianoforte.
Ce n’era uno a disposizione dei passeggeri nella sala principale: il suonatore non poteva chiaramente essere uno dei due pianisti ufficiali della nave, ossia Brailey e Grimm, visto che loro si occupavano già di allietare i viaggiatori di Prima e Seconda Classe, eppure la sua maestria non sembrava affatto inferiore.
Poteva forse trattarsi di un artista squattrinato, un signorotto caduto in miseria, un insegnante licenziato per ignote ragioni…
La fantasia della cameriera viaggiava attraverso infiniti possibili scenari, intrecciando storie da romanzo e situazioni drammatiche.
“Potrebbe anche essere una donna” osservò, bloccandosi all’istante non appena raggiunse la soglia della sala. Per una qualche strana ragione non volle farsi vedere, così si appiattì contro il muro e sbirciò cautamente: il pianista era un uomo, abbigliato semplicemente. Era voltato di spalle, perciò Danielle non ebbe modo di osservarne i lineamenti, ma per lei furono più che sufficienti i fugaci momenti in cui i suoi occhi si persero dietro l’armoniosa danza delle sue dita sui tasti. La melodia prodotta era un celestiale e struggente incontro di malinconia e speranza, di mistero e rivelazione.
C’era un minuscolo sgabuzzino situato proprio nel punto in cui la ragazza si trovava: Dani aprì la porticina senza far rumore, sgusciò dentro e sedette silenziosa contro la parete, le ginocchia strette al petto ed il sacco di asciugamani sporchi ancora serrato tra le dita.
Chiuse gli occhi e rimase lì ferma ad ascoltare, fino a quando la musica cessò. Allora Danielle uscì cautamente dal proprio nascondiglio, esitando diversi secondi prima di affacciarsi finalmente alla soglia della sala.
Il pianista se n’era già andato.


ATTO VIII –POV Lily

La cena era terminata da un pezzo e la maggior parte dei passeggeri illustri si era radunata nel salone principale, dove le note dell’orchestra allietavano le chiacchiere e le presentazioni.
Lily sedette su un divanetto accanto a Rose, mentre Violet e zio Eric improvvisavano un buffo ballo di coppia, urtando di tanto in tanto qualche ricco passeggero (e quasi mai involontariamente).
- Come ti senti? – domandò la Sandler minore alla migliore amica, approfittando dell’assenza di Cal e Ruth.
Rose diede un’alzata di spalle: - Sicuramente meglio di quella cameriera che ha rischiato di rovesciare i piatti – disse, alludendo alla scena a cui avevano assistito poco prima.
La sfortuna di Danielle aveva colpito ancora, ma senza andare completamente a segno: mentre la ragazza incastrava il piede nella gamba di una sedia, perdendo l’equilibrio, il signor Andrews (sull’attenti dal momento in cui ella era entrata in sala) si era alzato alla velocità della luce, afferrando al volo i preziosi dischi di ceramica e bloccando la caduta della bella irlandese permettendole di aggrapparsi alle proprie braccia. 
- Le è andata bene – commentò Lily, nascondendo a malapena un sorriso – Oh, ma hai visto quei tizi della Russia?
- I Volkov – annuì Rose – Ne avevo sentito parlare.
- Ma secondo te è vero quello che ha detto Missy Richardson? Il ragazzo è veramente promesso ad una delle granduchesse Romanov?
- A Marija o Tatjana – asserì la rossa, squadrando distrattamente la facoltosa famiglia di Mosca: erano sette in tutto, genitori, quattro figli e marito della maggiore tra le tre ragazze.
Il primogenito, nonché unico maschio, in quel momento si stava intrattenendo in una formale e distaccata conversazione con Cal, Mr Browning ed i signori Duff-Gordon. Il suo nome era Lukas e, fisicamente, rappresentava deliziosamente il prototipo del principe azzurro: alto, affascinante, curato, con meravigliosi ricci biondi e magnetici occhi turchini.
- Ha delle belle mani – notò Lily, mentre Lukas offriva un sigaro agli interlocutori maschili – La maggior parte delle ragazze in sala non gli ha tolto per un istante gli occhi di dosso.
- E non solo le ragazze – ridacchiò Rose.
-Già – Miss Sandler accettò distrattamente il calice di vino offerto dalla cameriera maldestra e bevve un piccolo sorso – Probabilmente anche Cal se lo porterebbe a letto. Ma non è il mio tipo.
- E chi sarebbe il tuo tipo? – la punzecchiò l’amica – Uno con la barba?
- Chiudi il becco – ribatté l’altra, sussultando non appena una ragazza minuta sbucò all’improvviso da dietro le poltrone. Aveva i capelli biondi e grandi occhi scuri, fissi in direzione del gruppetto di Lukas Volkov.
La riconobbe come la domestica della famiglia Browning.
- Vi chiedo scusa – balbettò la diciannovenne, senza distogliere lo sguardo dal centro della propria attenzione – Secondo voi mi sarà permesso avvicinarmi?
- Non lo so – rispose Rose – Non ho idea di che tipo sia Lukas Volkov…
- Oh… no, io non mi riferivo a lui – precisò Joelle, torcendo le mani tra loro per l’emozione – La signora Duff-Gordon… io… vorrei così tanto poter anche solo ammirare da vicino la sua ultima creazione… la sta indossando proprio ora…
- Perché non ti avvicini con la scusa di riferire qualcosa al signor Browning? – suggerì Lily, senza sapere perché si stesse facendo coinvolgere dai drammi di una giovane domestica – E cogli l’occasione per guardarla. Magari puoi anche farle un complimento, quello non penso sia indecoroso.
- Posso fare così! – rispose Joelle, illuminandosi – Vi ringrazio!
Le due ragazze aprirono la bocca per replicare qualcosa, ma la biondina si era già allontanata, sistemandosi le pieghe dell’abito con fare convulsivo.
- Buon per lei se riesce ad entusiasmarsi per così poco – commentò Miss Sandler, distraendosi all’istante non appena vide il padre dialogare allegramente con i membri della famiglia Richardson.
-Strani tipi quelli – osservò Rose, squadrando Missy e Jamie con fare sospettoso – Non sono mai riuscita a parlarci.
- Nemmeno io… - mormorò la mora, aggrottando la fronte non appena un giovane ed affascinante ufficiale raggiunse il gruppo, provocando una curiosa reazione ad entrambi i fratelli Richardson. La voce di Missy era sufficientemente squillante da giungere fino alle orecchie delle due amiche, nonostante lasciasse trasparire una certa tensione.
- Credo di avervi parlato più volte di Dunn… cioè, del Sergente Duncan Peters… a Settembre ha cominciato ad occuparsi del corso di Jamie in accademia, quindi… sì, è uno dei suoi istruttori.
Il signor Richardson sorrise calorosamente, praticando il saluto militare, al quale Duncan Peters rispose con zelo.
Approfittando della distrazione dei genitori, Missy e James si scambiarono un’occhiata nervosa.
- Non hai l’impressione… che abbiano tutti qualcosa da nascondere in quella famiglia? – domandò Lily, sospettosa – Sono così… insoliti.
Rose fece per rispondere, ma uno schianto improvviso interruppe i discorsi di tutti i presenti, che si voltarono all’istante verso la fonte del rumore: Danielle O’Connell aveva appena rovesciato un intero secchio di posate sporche sul prezioso pavimento della sala.




***
Angolo dell’Autrice: Oggi, come al solito, parla Tinkerbell.
Ecco qua il primo capitolo con i POV dei primi cinque personaggi dei partecipanti all’interattiva, che accompagnano quello di Lily. Nel prossimo capitolo credo inserirò il POV di altri cinque, tra i quali Lukas Volkov, ma dipende anche dalle schede che arriveranno.
Allora, innanzitutto spero di aver mosso bene Joelle, Charles, Joanne, Sean e Danielle, in caso ci sia qualcosa di sbagliato chiedo ai creatori di farmelo notare in modo da poter correggere nei capitoli successivi.
Ho scelto di non rivelare subito ogni dettaglio dei loro background, in particolare quello di Sean legato alla sua bambina, questo naturalmente per riservare le rivelazioni migliori per i capitoli seguenti.
Ah, per quanto riguarda i dialoghi in svedese tra Olaus e Joanne… ehm, purtroppo posso affidarmi solo a Google Traduttore, quindi ci saranno sicuramente degli errori (quello che gli ha risposto lei, comunque, significa a grandi linee: “E’ colpa mia, non guardavo dove stavo andando”). E restando in tema, solitamente i personaggi si danno del “Lei”, ma a Fabrizio faccio adoperare il “Voi” perché nella mia mente lui viene dal Sud Italia, dove mi pare che una volta si usasse più il “Voi” del “Lei” (magari sbaglio, però in realtà questa cosa mi piace quindi la terrò per buona).
Che poi in realtà la vera lingua della storia è l’inglese, dove il Lei non esiste, ma facciamo finta di niente XD
Per ora dovrebbe essere tutto, grazie per aver letto e al prossimo capitolo!
Tinkerbell e Phoebe.

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Capitolo 3
*** 11 Aprile: gatti fuggiaschi e balli di coppia ***


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ATTO I– POV Andrea

Lingue di vento freddo scivolavano imperterrite sul molo di Queenstown, insinuandosi tra i capelli dei centoventitré passeggeri pronti ad imbarcarsi.    
Andrea Mekner, diciannovenne italo-tedesca, serrò forte le dita attorno alla maniglia della propria valigia, mentre con l’altra teneva premuto contro la chioma bionda il cappellino verde che minacciava di volar via da un momento all’altro.   
Di tanto in tanto, i lembi del suo cappotto grigio perla si spalancavano, scoprendo le pieghe della gonna smeraldina, ma lei non si mostrava minimamente infastidita: l’emozione per l’imminente partenza rappresentava un’ottima fonte di distrazione dai disagi causati dal forte vento.    
Guardò alla propria destra, dove un ragazzo alto e robusto stava abbracciando una giovane donna dai folti ricci color rame, sotto lo sguardo benevolo di una coppia sulla cinquantina.
- Non preoccuparti – disse la rossa al giovanotto, rivelando un marcato accento irlandese – Gli affari stanno andando bene, appena possibile ti raggiungerò. E potremo fare gli stupidi insieme in America.    
- Non vedo l’ora – rispose l’altro, baciandola sulla guancia e sciogliendo brevemente l’abbraccio per salutare quelli che Andrea identificò come i genitori.     
Un sorriso affiorò sulle labbra dell’italiana, mentre la sua mente evocava i ricordi dei famigliari e degli accoglienti paesaggi pugliesi in cui era cresciuta.     
Non si rese conto di essersi imbambolata con lo sguardo fino a quando la ragazza irlandese le domandò con fare gioviale: - Anche tu in partenza?
Andy arrossì vivacemente: il volto della sua interlocutrice presentava dei lineamenti incantevoli, resi ancor più attraenti dalla presenza di vispi occhioni verdi.     
- S-sì, s-sono im-impaziente – rispose la diciannovenne, tentando invano di controllare la propria balbuzie. Quasi l’avessero udita, i controllori cominciarono finalmente ad invitare i passeggeri sulle passerelle di legno che conducevano alle varie entrate, chiedendo di esibire il biglietto.    
La rossa si gettò un’ultima volta tra le braccia del fratello, gli stampò un bacio sulla guancia barbuta e gli sussurrò parole che Andy non riuscì a comprendere: - Buon viaggio, deartháir níos óige.    
L’ennesima folata di vento rischiò di portar via il cappellino dell’italiana che aveva portato la mano in tasca per afferrare il biglietto. Andrea alzò gli occhi al cielo, ma si lasciò sfuggire una risatina d’eccitazione non appena posò i piedi sulla passerella.     
- Sembra incredibile, vero? – commentò il ragazzo irlandese dietro di lei, strappandole un sorriso – Da piccolo pensavo che avrei potuto soltanto ammirare dall’esterno i grandi transatlantici. A proposito, io mi chiamo Tommy, naturalmente Terza Classe.    
- A-Andrea – rispose la bionda, mostrando il biglietto al controllore – S-seconda Classe.
- Allora sei entrata dalla parte sbagliata – rise lui – Ti toccherà fare più strada per arrivare in cabina.    
- Oh… n-non im-importa… m-mi farò un g-giro…     
Nel preciso istante in cui si ritrovò all’interno del Titanic, Andy dovette fare un paio di respiri profondi per contenere l’emozione. Salutò Tommy sorridendo, poi si avviò spedita verso le scale che portavano ai piani superiori.    
Aveva respirato brevemente l’atmosfera della Terza Classe, eppure notò all’istante la differenza quando si addentrò nel salone della Seconda: gli interni erano decisamente più raffinati, così come l’abbigliamento e il portamento della gente che alloggiava lì. O meglio, il portamento della maggior parte delle persone: un ragazzo dai capelli scuri, visibilmente ubriaco, gesticolava come un pazzo, poggiato con il gomito al pianoforte situato in un angolo della sala. L’uomo intento a suonare gli lanciava di tanto in tanto delle occhiate perplesse, mentre l’unica donna del trio, alta e bionda, sembrava piuttosto divertita dalle pagliacciate del giovane.    
Andrea si avvicinò incuriosita, serrando entrambe le mani attorno al manico della valigia: soltanto quando si trovò sufficientemente vicina si accorse che il ragazzo sbronzo stava canticchiando una filastrocca sconcia e che il pianista lo stava accompagnando, seppur con poca convinzione.    
- E’ un maledetto genio! – esclamò la donna bionda, rivolgendosi al musicista – Sean, sul serio, formate un duo comico, sono sicura che riscuotereste un successo strepitoso!
- Jo, non voglio denigrare nulla, ma le mie aspirazioni sono leggermente… diverse – rispose l’altro, sussultando non appena l’ubriaco barcollò in avanti, inciampando sulla gamba del pianoforte e salvandosi da una brutta caduta solo grazie all’intervento della donna di nome Jo.    
- Finalmente ho trovato qualcuno che apprezza le mie filastrocche! – biascicò, appoggiandosi scompostamente allo strumento – Altro che quel babbeo di mio cognato, hic! Se l’occhio ti strizza a Christopher non si rizza! Vedrai come canta, se lo metti a novanta!
Andrea si lasciò sfuggire una risatina, attirando l’attenzione della bionda.    
- Avete un’ammiratrice! – sorrise, lanciando poi un’occhiata incoraggiante a Sean – Vedi? Dovresti sul serio riflettere sulla mia idea.    
- Ci penserò senz’altro – replicò il pianista, lasciando trasparire un tono volutamente ironico – Magari ne parlerò con Charles non appena tornerà sobrio… se tornerà sobrio.
Jo alzò gli occhi al soffitto, scuotendo la testa. Indossava un elegante completo blu ed aveva raccolto parte dei capelli dietro la nuca, lasciando che il resto della chioma cadesse libero sulle sue scapole. Non appena incontrò nuovamente il suo sguardo, Andrea arrossì violentemente, esattamente com’era successo poco prima con la bella irlandese.
- E’… è s-stato un p-piacere as-ascoltare le f-filastroche – balbettò, pregando di non sputare – Ora d-devo rag-ragg… beh, recarmi alla mia c-cabina…    
- Torna pure quando vuoi – rise la donna, dando una gomitata all’amico pianista – Chissà che qualcuno non riesca a convincere il signor Emmett a darmi retta.    
- Dammi retta, spogliati in fretta! – fece eco Charles, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Accelerando il passo, Andrea raggiunse finalmente il corridoio delle cabine, entrò nella singola che aveva prenotato e si chiuse dentro, poggiando la schiena contro la porta.
Sospirò, maledicendosi: perché, tra tutti i vizi, doveva capitarle quello di prendersi cotte tanto facilmente?


ATTO II – POV Lily

- E’ un peccato che non ci abbiano permesso di scendere a dare un’occhiatina a Queenstown. L’Irlanda ha fascino.
Violet volgeva lo sguardo oltre il parapetto della nave, accomodata  su una delle belle sedie poste sul lato scoperto del Ponte A. Aveva lasciato sciolti i lunghi capelli biondi, che, appena mossi dal vento, brillavano come oro sotto i riflessi del sole.
Lily e Rose avevano preso posto su due comode sdraio: la minore accarezzava distrattamente il piccolo Theo, appallottolato sulle sue gambe, mentre la rossa esponeva il volto pallido e tondo alla luce solare, ignorando volutamente l’ultima delle paranoie della madre riguardo le scottature al naso.
- Sarebbe stato confusionario e dispersivo, credo – rispose la Sandler castana – Far scendere duemila e passa persone per poi aspettare che tornino tutte all’orario stabilito… insomma, avremmo perso un sacco di tempo, c’è una tabella di marcia da rispettare e…
- Guarda che la mia era una semplice considerazione – la interruppe Violet in tono brusco – Non agitarti, la tua preziosa tabella di marcia e tutte le tue fisse maniacali sugli orari sono al sicuro.
- La tabella di marcia non è mia! – sbottò l’altra, facendo sussultare Theo – E scusa tanto se ritengo che la puntualità sia importante!
- Ragazze, non è il caso di litigare – le interruppe Rose, posando la mano su quella di Lily con fare comprensivo – Calmatevi. Lily, se ti metti a urlare fai solo la figura della bambina isterica, e Violet, quella frecciatina potevi risparmiartela.
Le due sorelle si lanciarono un’occhiata in cagnesco, ma vennero immediatamente distratte da una figura scura e minuta che si affacciò al parapetto proprio davanti a loro.
Vista da dietro, sembrava quasi una ragazzina: superava di poco il metro e sessanta grazie ai tacchi degli stivaletti, il corpicino ossuto era fasciato da un lungo completo grigio e viola.
Indossava dei guanti bianchi, mentre un cappellino abbinato all’abito celava buona parte della sua chioma castana raccolta sulla nuca.
Lily la squadrò attentamente, pervasa da un ingiustificato senso di inquietudine, ed avvertì un brivido quando la strana ragazza si voltò all’improvviso, mostrando buona parte del volto dai tratti spigolosi. L’aveva intravista la sera prima, nel salone, ma non ricordava di averla mai incontrata prima.
“Ce l’ha con noi?” si domandò istintivamente la piccola Sandler, sospirando di sollievo non appena si rese conto che l’attenzione della misteriosa aristocratica era stata attirata dalla giovane domestica dei Browning che avanzava rapidamente verso di lei.
- Lady Mildred!
Il volto di Joelle era leggermente arrossato, prova che la ricerca della lady in grigio era stata piuttosto lunga e affannata.
-Lady Mildred – ripeté la fanciulla, prendendo fiato – Mi perdoni se l’ho disturbata. La mia padrona, Mrs Browning, vorrebbe invitarLa a prendere il tè con lei tra mezz’ora, sulla veranda. Saranno presenti anche Mrs Richardson, Mrs Dewitt Bukater, Mrs Duff-Gordon, Mrs…  
- Ragazzina, hai sul serio imparato la lista delle invitate a memoria? – la interruppe annoiata Lady Mildred, mostrandole il palmo della mano guantata – E non prendi mai il respiro tra una parola e l’altra?
Joelle si schiarì la voce, rispondendo con un sorriso alle parole scortesi dell’interlocutrice: - Mi sembrava giusto fornirLe più informazioni possibili. Molte delle invitate sarebbero liete di fare la Sua conoscenza.
- Il sentimento è senza dubbio reciproco – ghignò l’altra, sarcastica – Comunque accetto l’invito della tua padrona. Riferiscile che Lady Mildred Clarabelle Newell siederà al tavolo delle invitate tra mezz’ora precisa. Mi raccomando, scandisci bene il mio nome completo, visto che hai così buona memoria.
Joelle non mostrò risentimento verso le provocazioni ricevute, face un piccolo inchino e partì di corsa in direzione degli alloggi di Prima Classe.
- Che personcina deliziosa – commentò Violet mentre Lady Mildred si allontanava, senza curarsi di abbassare la voce – Simpatica come un calcio nel culo.
- Ma chi è? – sussurrò Lily, colpendo il braccio della sorella con un piccolo schiaffo – Lady Mildred… cosa?
- Lady Mildred Newell – rispose Rose con fare circospetto – Fa parte dei “Nuovi Ricchi”. Da quel che ho sentito dire, una zia le ha lasciato una discreta somma di denaro in eredità, che lei ha successivamente investito facendo fruttare una bella somma. Non mi ha fatto una buona impressione, ma un po’ ammiro il fatto che sia riuscita ad arricchirsi tanto facendo quasi tutto da sola.
- La cosa divertente è che il nome Mildred ha un significato positivo – ironizzò Violet – Significa qualcosa come “animo buono e forte”. Invece lei sembra una grandissima stronza.
Lily aprì la bocca per rispondere, ma Theo, attirato improvvisamente da qualcosa, balzò giù dal grembo della padroncina, schizzando rapido verso le scale che portavano al ponte inferiore.
- Theo! – gridò la ragazza, balzando in piedi e lanciandosi all’inseguimento del piccolo felino – Dove stai andando? Torna qui!
Rischiando più volte di urtare malamente qualche passeggero, Lily seguì la bestiola scendendo ai livelli più bassi della nave. Il micetto si intrufolò tra le gambe di un allarmato ufficiale per poi raggiungere il ponte principale della Terza Classe.


ATTO III –POV Lukas

Lukas Volkov, soprannominato da tutti “Il Principe”, aveva impiegato poco tempo per diventare uno dei passeggeri più ammirati e desiderati all’interno della raffinata realtà di Prima Classe.
In quel momento, a un’ora dalla partenza da Queenstown, si trovava nel salone principale insieme ai genitori, intrattenendo una conversazione con il Colonnello Richardson.
La prima delle sue sorelle minori, Katrina, aveva scelto di farsi accompagnare dal marito Valerian per una breve passeggiata sul ponte B; la più piccola, Nika, di soli sei anni, giocava a carte con la domestica Larisa, accomodate ad un tavolino poco distante, mentre Elena, alias la capricciosa terzogenita Volkov, era sparita da circa mezz’ora e Lukas sapeva che, probabilmente, non si sarebbe fatta viva prima di cena.
“Farà i conti con me quando tornerà” promise mentalmente il biondo, celando il nervosismo che lo divorava dall’interno “Le farò passare la voglia di comportarsi da idiota”.
- Dunque Lei viene dall’Inghilterra, signora Elizabeth.
La voce profonda del Colonnello Richardson, le cui parole erano rivolte alla moglie di Aleksandr Volkov, destò il giovane Lukas dalle invettive personali contro la sorella. Dopo la risposta affermativa della madre, il Principe s’intromise nel discorso con fare cordiale: - E’ proprio grazie alle origini della mia adorata mamma se io e le mie sorelle ci troviamo a nostro agio disquisendo in lingua inglese, Colonnello.
- Ho infatti notato il Suo accento impeccabile, signor Lukas – rispose l’uomo ammirato – Ma, da quanto ho sentito, Lei è impeccabile in diversi ambiti.
- Lukas ci ha sempre resi fieri di lui – affermò orgoglioso Aleksandr, posando una mano sulla spalla del primogenito – Ottimo nuotatore, spadaccino e ballerino, perfetto gentiluomo e brillante studioso.
- Quali materie di studio preferisce, signor Lukas? – domandò il Colonnello, sempre più incuriosito. Jamie Richardson, che in quel momento era rimasto in silenzio alle spalle del padre insieme alla domestica Shannon, alzò immediatamente lo sguardo in attesa della risposta.
- Letteratura, Musica e Poesia. Ma trovo che anche la Matematica abbia il suo fascino.
- Anche a Jamie piacciono la Musica e la Poesia! – esclamò Mr Richardson, voltandosi verso il figlio e spingendolo leggermente verso l’affascinante ragazzo russo – Lui suona il violino fin da quand’era piccolo!
- Davvero? Ha portato il Suo violino sulla nave, Jamie? – domandò Lukas interessato – Mi piacerebbe molto ascoltare qualche pezzo.
James Richardson diventò completamente paonazzo, puntò lo sguardo a terra e sussurrò qualche monosillabo incomprensibile.
Il Principe aggrottò le belle sopracciglia bionde: - Come, scusi? Temo di non aver inteso la sua risposta…
- Sì, ha portato il violino con sé – intervenne prontamente la signorina Shannon, una bella diciassettenne irlandese dallo sguardo vispo – Ma nemmeno io ho capito se abbia intenzione di suonare per Lei o meno…
- Sì, lo farò – borbottò il ragazzo, sforzandosi di guardare il russo negli occhi – Quando desidera…
- Oggi alle diciotto in punto può andare?
Jamie annuì, poi, senza mutare il colore rosso acceso delle guance, si congedò, prese per mano Shannon e la trascinò via con sé.
Mr Richardson sorrise appena: - Il mio ragazzo è molto timido… non capisco come mai si trovi così a disagio in presenza di persone che non siano sua sorella o Shannon…
- Nessun problema, Colonnello, si figuri – cominciò Lukas – Le assicurò che…
Qualsiasi parola il giovane russo volesse pronunciare morì all’istante nella sua gola: qualcosa lo colpì al gomito, provocandogli un sussulto. Lukas alzò lentamente il braccio, osservando con sgomento la macchia di vino che imbrattava la manica della sua costosa giacca bianca.
Riuscì a rimuovere rapidamente qualsiasi traccia di furia omicida nel proprio sguardo, ma non abbastanza in fretta da impedire alla colpevole di scorgerla. La ragazza, una giovane cameriera dai capelli rossi, indietreggiò impaurita, gli occhi verdi sbarrati.
- Signorina! – la rimproverò Mrs Volkov – Per l’amor del cielo, faccia attenzione!
- Mi… mi dispiace – balbettò l’altra, immediatamente identificata come la domestica pasticciona che la sera prima aveva rovesciato la posate sul pavimento – Vi giuro che sono mortificata, signori…
- Non fa niente, non si preoccupi – assicurò Lukas, cercando di mostrarsi più calmo e accomodante possibile – E’ stato un incidente, nulla a cui non si possa porre rimedio.
- Lei è un vero gentiluomo, signor Lukas – commentò ammirato il Colonnello Richardson.
Il ventiduenne rivolse un bel sorriso alla ragazza sbadata, che provò a ricambiare per pura cortesia: per qualche motivo, la goffa irlandese non sembrava disposta a fidarsi dei modi gentili dell’aristocratico. Si scusò un’altra volta, ringraziò per la comprensione e, dopo aver fatto un breve inchino, si allontanò in fretta.
Fingendo che tutto rientrasse nella norma, Lukas si sfilò la giacca e si congedò: - Vado a cambiarmi, con vostro permesso. La nostra domestica si occuperà del danno. Larisa! Seguimi!
Con una certa flemma, Larisa Zykova posò le carte sul tavolino, intimando Nika di fare lo stesso, poi si alzò e seguì il padrone fino in cabina.
 
    
ATTO IV – POV Mildred

Esattamente all’ora stabilita, Lady Mildred Newell sedette al tavolo delle signore, gettando occhiate di sufficienza alle grandi vetrate della splendida veranda.
Attese in silenzio che tutte le invitate prendessero posto e scambiassero i dovuti convenevoli, poi, mentre la signora Dewitt Bukater apriva la bocca per commentare qualcosa, Mildred la interruppe con tono provocatorio: - Sbaglio o non a tutte piace la puntualità, qui?
Per un attimo, l’intero tavolo fu pervaso dal silenzio, mentre le donne fissavano sbalordite la giovane lady: erano presenti la signora Browning insieme alla domestica, Mrs Dewitt Bukater, la Contessa di Rothes, Lucy Duff Gordon, Mrs Richardson, Ann Isham (sempre in compagnia del suo gigantesco alano), la diciannovenne Helen Walton-Bishop e l’estroversa Molly Brown, che come Lady Newell faceva parte della categoria dei cosiddetti “Nuovi Ricchi”.
Fu proprio Molly a prendere parola, rompendo il momento imbarazzante provocato dall’arroganza della grigia dama: - Onestamente, a me piacciono le torte, il buon vino e un bel paio di bicipiti abbinato a pettorali e addominali scolpiti. A Lei, invece cosa piace, Contessa? Coraggio, è un buon argomento per cominciare una conversazione!
Noel Leslie si lasciò sfuggire una risatina: - Mi piacciono le fotografie.
- Bene, molto bene. E a Lei, Ann? A Lei piacciono i cani?
- Sì, mi piacciono i cani – rise Lady Isham, accarezzando la grossa testa di Dane. Helen Bishop alzò la mano con fare infantile, indicando con quella libera la cagnetta di piccola taglia che sedeva composta sul suo grembo: - Anche a me piacciono i cani! Dick mi ha regalato Freu Freu perché ci tenesse compagnia durante il viaggio di nozze!
Mildred storse il naso, maggiormente infastidita dalla vocetta odiosa della ragazza piuttosto che dalla risposta di Molly: Helen era diventata da poco la seconda moglie di un giovane riccone, Dickinson “Dick” Bishop, e amava atteggiarsi mostrando a chiunque i costosi doni del marito.
- Che accidenti di nome sarebbe Freu Freu? – domandò in tono acido, ignorando volutamente l’occhiata ammonitrice di Ruth Dewitt Bukater – E’ un modo alternativo per dire “voglio segnare per sempre e in modo irreparabile la tua miserabile vita canina”?
- Oh, suvvia Lady Newell, non sia scortese – disse gentilmente la signora Richardson, sporgendosi appena per afferrare un pasticcino – Piuttosto, perché non ci racconta un po’ di Lei? Mrs Browning l’ha invitata apposta per questo.
- Esatto! – sorrise la donna appena nominata – Sappiamo così poco di Lei e… Joelle, non stare lì in piedi, accomodati, cara… e ci piacerebbe conoscere qualche dettaglio sulla Sua storia.
Mildred aggrottò per un attimo le sopracciglia scure, leggermente stupita dal trattamento amichevole che Mrs Browning aveva riservato alla propria domestica, ma si ricompose all’istante, tornando alla solita espressione di disgusto e sufficienza: - In realtà non c’è molto da dire. Posso cominciare dicendo che “scortese” è il mio terzo nome, Mrs Richardson. Il nome completo, invece, sono certa che potrà dirlo la cameriera di Mrs Browning , che pare avere una memoria di ferro.
- Lady Mildred Clarabelle Newell – rispose prontamente Joelle con un sorrisetto innocente – O meglio, Lady Mildred Clarabelle Scortese Newell.
- Che ragazzina sveglia – commentò Mildred, ricambiando il sorriso ironico della fanciulla con un ghigno falso – E’ sicuramente una domestica eccezionale, giusto, Mrs Browning?
- Oh, assolutamente, Joelle è un angelo inviatoci dal Signore – rispose estasiata la donna.
- Ed ha occhio per la moda – s’intromise Lucy Duff Gordon, facendo avvampare le guance della dolce domestica – Comunque, continui pure, Lady Newell. Ci può raccontare di come ha ottenuto il Suo capitale attuale? Abbiamo udito soltanto qualche voce a riguardo…
- Ho saputo cogliere la mia occasione – rispose spiccia la grigia dama, prendendo un sorso di tè alla menta – Ho ricevuto una cospicua somma in eredità da mia zia, ho investito il denaro e l’ho fatto fruttare. Niente sotterfugi né matrimoni combinati – aggiunse, lanciando un’occhiata sadica a Ruth, che si irrigidì – Ho fatto quasi tutto da sola. Ecco perché, a ventisei anni e mezzo, mi ritrovo felicemente nubile e con un ottimo futuro assicurato.
- Beh, in questo caso bisogna dirlo: tanto di cappello, signorina – commentò Molly – Non sarà il massimo della simpatia, ma sa il fatto suo in campo economico.
- La simpatia non porta da nessuna parte, signora Brown – replicò Mildred  in tono pragmatico – La logica di mercato e il fiuto per gli affari, invece, mi stanno portando in America.
- Ma un po’ di simpatia non guasta, a parer mio – s’intromise Mrs Richardson, urtando accidentalmente con il seno prosperoso una tazzina fortuitamente vuota – Fa sempre piacere ricevere un sorriso.
Mildred alzò un sopracciglio con aria scettica, ma fu distratta dall’arrivo di un attraente uomo sulla quarantina che, senza preavviso, raggiunse il tavolo delle signore.
Era alto, ben vestito, con i capelli castani e luminosi occhi azzurri. Lo riconobbe come Mr Eric Doyle, cognato del professor Sandler.
- Perdonate l’irruzione, mie belle dame – esordì, strappando una risatina vezzosa a Helen Bishop – Sarò breve e conciso: ho appena accettato la sfida di mia nipote – indicò la ragazza bionda che lo osservava ridacchiando dalla soglia della veranda – e dovrei disturbare una di voi per un piccolissimo lasso di tempo.
- Al momento sta disturbando tutte per un lasso di tempo tutt’altro che breve – rispose acida Mildred, notando a malapena il sorriso che Mrs Richardson stava rivolgendo all’affascinante signore.
Eric, in tutta risposta, le mostrò la lingua (lasciandola esterrefatta e facendo inorridire Ruth) e si mosse verso il lato opposto del tavolo: - Allora sarà meglio sbrigarsi. Signora, col Suo permesso.
Tra lo stupore generale, il quarantaduenne stampò un bacio sulle labbra di Molly, si congedò con un inchino e raggiunse la nipote con aria vittoriosa.
Sbigottite, tutte le donne si voltarono in direzione della signora Brown, la quale, abbozzando un sorrisetto soddisfatto, si limitò a commentare: - Il viaggio è partito piuttosto bene, non trovate?


ATTO V – POV Lily

Lily esitò, serrando le dita sul cancelletto che separava la zona della Terza Classe dal resto della nave. Si morse il labbro, cercando di aguzzare la vista, ma invano: per scovare Theo era necessario scendere e camminare in mezzo a gente povera che l’avrebbe sicuramente squadrata con fare sbigottito, probabilmente con uno sguardo simile a quelli che si rivolgono ai fenomeni da baraccone.
- Cerca qualcosa, signorina?
La ragazza si lasciò sfuggire un piccolo grido, arrossendo subito per la vergogna: un giovane ufficiale dai capelli biondi e scompigliati la fissava con uno strano sorrisetto, le iridi dei suoi occhi grandi e tondi presentavano una curiosa colorazione verde ambra.
- Mi perdoni, se l’ho spaventata – disse in tono cordiale – Dubito che una del suo rango possa trovare qualcosa di interessante in Terza Classe.
- Io… sto cercando il mio gatto – balbettò Lily, cercando di darsi un po’ di contegno – E’ piccolo e grigio, col manto tigrato… mi è sfuggito mentre lo tenevo in braccio e si è intrufolato lì sotto…
- La cosa non mi sorprende, potrebbe aver visto o fiutato qualche topo – rispose calmo l’ufficiale, restando impassibile di fronte allo sguardo inorridito della fanciulla – Non è una cosa impossibile, signorina: i topi solitamente abitano le zone più basse delle navi, ma può capitare che uno di loro riesca ad intrufolarsi in Prima Classe, nonostante gli scrupolosi controlli…
- Questo mi fa sentire davvero meglio – borbottò l’altra ironica, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
Il biondo la osservò per qualche istante, poi si lasciò sfuggire una mezza risatina: - La sto semplicemente informando sui fatti, signorina. Comunque, io sono l’Ufficiale Nicholas Brandy e, per una curiosa coincidenza, anch’io mi trovo in procinto di scendere in Terza Classe per cercare qualcuno. Pertanto – concluse, aprendo il cancelletto e facendosi da parte – dopo di Lei, Mademoiselle.
Leggermente titubante, Lily scese le scalette per poi addentrarsi nei meandri di quella realtà che tanto la intimoriva. Dietro di sé udiva il passo spartano e deciso dell’Ufficiale Brandy, insieme alla musica soffusa di un pianoforte mischiata al chiacchiericcio delle persone e al sibilo del vento, ma non osava voltarsi per paura di inciampare sul giocattolo di qualche bambino e cadere su un pavimento dove poco prima qualche ratto poteva aver posato le sue luride zampette.
Represse un brivido e, evitando di incontrare qualsiasi sguardo, tenne la testa bassa, muovendo gli occhi qua e là alla ricerca del pestifero felino. Non fu però sufficientemente attenta da evitare un imbarazzante scontro con una ragazza bassa dalla carnagione olivastra.
- Ehi, guarda dove vai! – esclamò quella, serrando le mani sui fianchi – Voi nobiliastri siete tutti uguali: guardate sempre in alto, da bravi snob, oppure in basso, quando cercate i diamanti che vi sono cascati dalle tasche. Se teneste lo sguardo dritto di sicuro evitereste di venirmi sempre addosso!
Dimostrava l’età di Violet o poco più, aveva la fronte alta, i capelli castani, un fisico formoso e impertinenti occhi scuri.
Lily indietreggiò: in quel momento era talmente in ansia per Theo e imbarazzata dalla situazione generale che non riuscì ad nemmeno offendersi per la maleducazione mostrata dall’altra: - Sto… sto cercando il mio gatto… non diamanti…
La ragazza scontrosa cambiò subito atteggiamento: - Gatto? E’ per caso piccolo, grigio e pestifero?
- Sì! – s’illuminò la piccola Sandler – Dov’è?
- Da quella parte, vicino al parapetto. Tre ragazzi sono riusciti a prenderlo prima che si ammazzasse in modo stupido.
- La ringrazio!
Prima che l’altra potesse aggiungere qualcosa, Lily si diresse rapidamente nella direzione indicata. Scivolò in mezzo alla folla (per fortuna non fitta), facendo istintivamente attenzione a non farsi toccare, e sospirò di sollievo non appena una piccola sagoma grigia entrò nuovamente nella sua visuale.
Appoggiati al parapetto, tre ragazzi sulla ventina parlottavano allegramente: uno di loro era biondo, magro e sbarbato, aveva un viso simpatico e delle belle mani affusolate, prive di qualsiasi segno dei lavori faticosi che solitamente svolgevano i poveri; un altro era leggermente più basso ma di aspetto meno esile, aveva la carnagione olivastra e i capelli neri e, dalla parlata e dal frenetico gesticolare, Lily intuì che provenisse dall’Italia; Theo era comodamente accoccolato tra le braccia robuste del terzo, un tipo alto e massiccio dall'aria gioviale.
Si avvicinò titubante, schiarendosi la voce. Non aveva mai intrapreso una vera conversazione con gente di rango inferiore, domestici esclusi, e la cosa la innervosiva non poco.
- Scusatemi…
I tre si zittirono all’istante, fissandola con aria stupita.
- Ehm… il gatto… lo stavo cercando e…
- Oh, ma allora è Suo! – anticipò il ragazzo più alto, rivelando un marcato accento irlandese – Ci sembrava troppo pulito e in carne per essere di Terza Classe.
- Quindi sei un nobiliastro, eh, amico? – rise l’italiano, rivolgendosi al micetto – E hai pure una padrona molto carina!
- Fabrizio, non incominciare – lo ammonì il biondo sorridendo, rivelando una parlata di origini americane – Ho perso il conto delle ragazze con cui ci hai provato da quando ci siamo imbarcati.
- Perdonate se vi interrompo - s’intromise Lily, torcendo involontariamente le dita per il nervosismo – Vorrei tornare ai miei alloggi il prima possibile… e con il mio gatto…
Il trio si scambiò un’occhiata eloquente, poi l’irlandese avanzò di un passo, porgendole con delicatezza il piccolo felino: - Ecco a Lei. Non si preoccupi, non gli ho attaccato le pulci. Nessuno di noi le ha, giusto?
I suoi compagni si lasciarono sfuggire una risatina.
Lily sgranò gli occhi, restando per un attimo sbigottita, poi, il nervosismo fu sostituito dall’ostilità e dal puntiglio: come si permettevano quei tre straccioni di prenderla in giro? Avevano forse il coraggio di biasimarla per via del suo rango?
Afferrò Theo, lo strinse al petto ed alzò il mento altezzosa, squadrando il colosso irlandese con aria di superiorità: - Non mi tratterrò oltre, non sia mai che la mia puzza di nobiliastra infastidisca le vostre delicate narici. Signor Dublino, signor Roma, signor… non ne ho idea… vi ringrazio per avermi reso Theo e arrivederci!
Girò i tacchi e se ne andò impettita, avendo il tempo di udire un’ultima frase pronunciata in tono confuso dal ragazzo italiano: - Ma io vengo da Napoli…


ATTO VI – POV Larisa

Sapeva bene che, una volta entrato in cabina, al sicuro da sguardi indiscreti, Lukas avrebbe dato sfogo alla propria ira, sbraitando, prendendo a pugni le pareti, forse lanciando qualcosa. Magari l’avrebbe pure colpita, non era del tutto escluso, ma a lei non sarebbe importato.
Erano passati anni dall’ultima volta che Larisa Zykova aveva dato importanza a qualcosa o qualcuno. Sì, in un certo senso le stavano a cuore Nika, Katrina, Elena e lo stesso Lukas, nonostante il carattere violento e dispotico che in pubblico celava dietro una maschera di cortesia, ma la verità era che nulla ormai sembrava capace di scrollare la giovane balia dal velo di apatia che avvolgeva le sue candide membra giorno e notte.
- Mi spieghi che cazzo di problemi bisogna avere per assumere gente tanto incapace?
Il volto di Lukas era più rosso della gigantesca macchia di vino che deturpava la sua giacca.
- Lo stipendio di uno qualsiasi degli inetti che lavorano qui non basterebbe ad acquistare nemmeno un bottone di questa fottuta giacca! Porca puttana! Maledetti loro e la loro miserabile esistenza!
Larisa non batté ciglio quando il ragazzo le scagliò addosso l’indumento rovinato, si limitò a scostarlo dal viso e lisciarne le pieghe, avviandosi verso il bagno della cabina. Senza preavviso, Lukas le afferrò un braccio con violenza, la mise con le spalle al muro e la bloccò contro la parete, schiacciandola con il proprio corpo: - Dove pensi di andare?
- A pulire la tua giacca – rispose ingenuamente la ragazza. I capelli scuri incorniciavano ordinatamente un volto giovane, congelato in un’espressione perennemente assente e svagata. Gli occhi celesti, fissi in quelli del ventiduenne russo, non lasciavano trasparire alcun cenno di timore.
- Ho deciso che se ne occuperanno gli imbecilli che lavorano sulla nave – spiegò il Principe in tono mellifluo, togliendole l’indumento di mano e lasciandolo cadere a terra - Tu, al momento, dovrai occuparti d’altro.
Con foga, premette la bocca contro quella della balia, mordendole il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Soddisfatto, si scostò repentinamente, afferrando la ragazza per le spalle e gettandola a terra. Larisa cadde carponi sul tappeto, senza emettere alcun gemito, si rialzò stoicamente e presa a lisciarsi le pieghe della gonna con aria assente.
- Nika mi sta aspettando – commentò distrattamente, rivolgendosi quasi più a sé stessa che all’affascinante aguzzino – Si starà chiedendo perché ci metto tanto…  
Il ceffone che la colpì in pieno volto fu sufficientemente forte da farla cadere sul morbido letto coperto da lenzuola cremisi.
- Si può sapere che cazzo hai detto? – ringhiò Lukas, sedendosi accanto a lei ed esercitando con le mani una pressione sulla sua schiena abbastanza forte da bloccarla contro il materasso – Adesso parli da sola come i pazzi?
Larisa non replicò. Rimase immobile, permise al biondo di posizionarla su un fianco e ricambiò il secondo bacio che lui le rubò, stringendo con forza uno dei suoi seni tra le dita affusolate.
Non le dava fastidio. Nulla l’aveva più infastidita da quel maledetto giorno, quando suo padre aveva danneggiato in modo irreparabile ogni minimo frammento della sua esistenza…
Due piccoli colpi alla porta destarono il carnefice da qualsiasi proposito: Lukas si alzò dal letto rapidamente, cercando di rendersi presentabile: - Avanti.
Il volto dolce di Katrina Volkov fece timidamente capolino dalla soglia della cabina: - Larisa è qui? Nika la sta aspettando in sala.
Come nulla fosse, il Principe annuì, rivolgendosi alla balia in tono cordiale e pacato: - Vai da Nika.
La diciottenne si alzò dal letto senza fiatare, diede una rapida controllata alle proprie vesti e, sistemandosi un ciuffo ribelle, oltrepassò la porta senza fiatare, limitandosi ad annuire quando Katrina le domandò “Tutto a posto?” con fare apprensivo.
La parte di volto colpita dallo schiaffo presentava una colorazione vivace, ma il labbro rotto stava già smettendo di sanguinare. Eliminando ogni traccia di emorragia con un fazzoletto, Larisa tornò al salone principale di Prima Classe, raggiungendo il tavolino dove la piccola Nika l’attendeva sorridente in compagnia di un giovanotto magro dai capelli scuri.
- Ehi, buonasera! – salutò quello, rigirando tra le dita il mazzo di carte – Spero che la mia presenza non La infastidisca, sto smaltendo una sbornia e i miei famigliari mi hanno permesso di stare in Prima Classe a patto che non mi salti in mente di avviare conversazione con adulti di alto rango.   
- Charles fa giochi di magia con le carte! – esclamò entusiasta Nika, mentre la balia prendeva posto senza replicare – Prova a pescarne una dal mazzo, ma non fargliela vedere: lui la indovinerà!
Con fare flemmatico, Larisa estrasse il Re di Fiori, osservandolo per qualche secondo e poi mostrandolo a Nika. Lo ripose quindi nel mazzo, fissando con occhi impassibili il giovane prestigiatore tutto intento a mescolare le carte con aria astuta e teatrale.
- Ordunque, mia signora- disse infine - sono piuttosto certo d’aver finalmente intuito quale sia la carta da Lei pescata.
Con un gesto plateale, depose il Re di Fiori al centro del tavolo: - E’ forse questa?
Larisa si limitò ad annuire, mentre Nika lanciò un gridolino entusiasta, battendo le mani: - Esatto! Hai visto, Risa? Hai visto? Come avrà fatto? Pensi che potrei mai imparare?
- Solitamente un mago non rivela mai i suoi trucchi al pubblico – spiegò Charles in tono furbo – Ma forse potrei fare un’eccezione per una signorina così bella.
Nika rispose con una risatina acuta, arrossendo fino alla punta delle orecchie: - Che bello, imparerò a fare magie! Poi le farò vedere a Lukas e lui resterà sbalordito! Ma… Risa… che cos’hai sulla faccia?
La balia si portò istintivamente la mano al viso. La guancia era ancora calda e pulsante, ma, come al solito, il dolore si presentava ai suoi nervi in modo molto ovattato, come appartenesse ad una realtà differente, insieme a tutto il resto.
- Niente, un piccolo incidente – rispose senza tradire emozioni, ignorando lo sguardo perplesso di Charles – Vogliamo riprendere la partita?


ATTO VII – POV Nancy

Nancy Henrietta Kahn era rimasta in disparte a fissare i tre ragazzi che correvano qua e là sul ponte, cercando di afferrare il gattino grigio che si intrufolava tra le gambe delle persone, saltava su tavolini e sedie esterni e provocava più scompiglio della coppia di topi avvistata la mattina stessa nella sala del pianoforte.
Acciuffarono la bestiola un istante prima che balzasse sulla ringhiera del parapetto, evitandole un rischio fatale.
Nancy sospirò, riprendendo la camminata che l’avrebbe portata alla propria cabina. Si stava annoiando, erano ore che non succedeva nulla di interessante da quelle parti, la cattura del felino aveva per lei rappresentato la massima fonte di svago del pomeriggio.
Mentre si domandava cosa potesse inventarsi per far passare il tempo, si scontrò con una ragazzina altezzosa, abbigliata con un elegante abitino bianco e lilla dall’aria costosa.
- Ehi, guarda dove vai! – protestò accigliata – Voi nobiliastri siete tutti uguali: guardate sempre in alto, da bravi snob, o in basso quando cercate i diamanti che vi sono cascati dalle tasche. Se teneste lo sguardo dritto di sicuro evitereste di venirmi sempre addosso!
Forse era stata un pochino ingiusta, ma ne aveva davvero abbastanza della gente che finiva inevitabilmente per non notarla e urtarla a causa della sua altezza.
- M-mi dispiace – balbettò l’aristocratica con aria quasi confusa - Sto… sto cercando il mio gatto… non diamanti…
- Gatto?
Ah, dunque era lei la proprietaria di quel terremoto tigrato!
Con fare poco convinto, Nancy le indicò la direzione intrapresa dalla bestiola, poi, quando la ragazza ricca si fu allontanata, riprese tranquillamente a camminare, non notando l’ombra scura che la seguiva.
La piacevole melodia di un pianoforte giunse alle sue orecchie, portandola a compiere una deviazione alla sala principale di Terza Classe: era sempre lui a suonare, l’uomo allampanato dall’aria assente.  
Aveva suscitato un certo interesse tra i passeggeri più poveri, per via della sua eccezionale bravura ma, soprattutto, per l’atteggiamento particolare e leggermente svampito che mostrava se costretto a distogliere l’attenzione dal proprio spartito.
Nancy prese una sedia abbandonata in un angolo della sala e si accomodò un po’ in disparte, lo sguardo fisso sul misterioso musicista.
Aveva appena cominciato a trovare un po’ di sollievo dalla noia e dal nervosismo, quando qualcuno le toccò una spalla ed una voce maledettamente famigliare le sussurrò in un orecchio: - Che piacevole sorpresa!
Nan si voltò di scatto, gli occhi sbarrati. Una colorita imprecazione sorse spontanea dalle sue labbra carnose: - Che diamine ci fai tu qui?
Il ghigno stampato sull’odiosa faccia di Nicholas Brandy si trovava pericolosamente vicino al suo volto pieno e grazioso. Represse a stento l’istinto di mollargli un pugno sul naso e scappare.
- Potrei domandarti la stessa cosa – replicò calmo l’altro, cercando di non attirare l’attenzione dei passeggeri circostanti – Ti sei pagata il viaggio con del denaro sporco. Che in parte spettava a me.
- Non dire stronzate! – sibilò Nancy minacciosa – Non ho idea di cosa tu stia parlando, ho comprato il biglietto con soldi miei.
- Ti ricordo che abbiamo organizzato la truffa assieme, Nancy. Voglio la mia parte.
- Ripeto: non so di cosa tu stia parlando.
Nicholas aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò non appena si accorse che un paio di persone avevano cominciato a fissare lui e Nan con aria incuriosita. Senza scomporsi, l’ufficiale porse il braccio alla fanciulla, parlando in tono sufficientemente alto da farsi sentire: - La Sue bellezza mi ha stregato, signorina: vuole concedermi l’onore di questo ballo?
Nancy gli rifilò un’occhiata in cagnesco, ma non voleva rischiare di attirare troppa attenzione su di sé, così accettò l’invito, cominciando a volteggiare con lui per la stanza a ritmo di musica.
Ben presto, diverse coppie si unirono alle danze, dando luogo ad una piacevolissima coreografia improvvisata. Il pianista continuava imperterrito a muovere le dita sui tasti, avvolgendo l’intera sala con meravigliose melodie.
- Come si chiama? – domandò Nicholas alla compagna, indicando il suonatore con un cenno della testa – Suona piuttosto bene per essere un povero…
- Non lo so, non ha ancora parlato con nessuno – replicò fredda Nancy – A vederlo, pare non sappia nemmeno di stare al mondo.
- Ci penso io – assicurò l’altro, conducendola in prossimità del pianoforte senza interrompere la danza.
- La Sua musica è incantevole, signore – disse, cercando di attirare l’attenzione dell’uomo – Potrei sapere dove ha studiato?
Quello voltò la testa lentamente, le sopracciglia aggrottate. Dimostrava una trentina d’anni o poco più, aveva i capelli corti e castani, pettinati in modo piuttosto approssimativo, e impassibili, seppur profondi, occhi grigioverdi.
- Qua e là – rispose, senza batter ciglio – Anche improvvisando, sempre sulle navi. Almeno credo.
Nick lo fissò piuttosto perplesso, ma Nan lo trascinò via con fare stizzito: - Hai visto? Lascia perdere, te l’avevo detto: quello non sa nemmeno di stare al mondo.


ATTO VIII – POV Lily

Rose era stata piuttosto strana durante la cena. Aveva riso di gusto nel pomeriggio, quando Lily le aveva raccontato dell’incontro con i tre insolenti ragazzi di Terza Classe, ma, nel giro di qualche ora, era diventata seria e silenziosa. Cal e Ruth dovevano averla fatta arrabbiare parecchio.
- Prima o poi prenderò a pugni tutti e due – sibilò la piccola Sandler, prendendo posto su un divanetto accanto alla sorella – Li odio. Non capisco cosa ci trovino di divertente nel farla star male.
- Io non credo che il loro comportamento abbia il fine di dare il tormento a Rose – rispose Violet placidamente – Semplicemente sono due imbecilli. E a proposito di Rose, dov’è finita?
- Non lo so – Lily fece scorrere lo sguardo lungo tutto il perimetro della sala- Ha detto che ci avrebbe raggiunte più tardi.
- Signori! – proruppe improvvisamente a gran voce una donna bionda quando l’orchestra terminò di suonare – Buonasera a tutti!
- Ma chi diamine è questa? – esclamò stupita la sedicenne – Da quando si fanno annunci o presentazioni a quest’ora?
- Invito tutti ad accogliere con un applauso – continuò la presentatrice improvvisata – il pianista Sean Emmett Grimm, che suonerà per voi la sua ultima composizione su gentile richiesta del signor Andrews!
- Bravo Sean! – urlarono in risposta un ragazzo dai capelli scuri (che Lily identificò come il fratello scapestrato di Agnes Fitzherbert) ed una biondina minuta, la quale arrossì immediatamente, quando percepì lo sguardo degli altri passeggeri su di sé, e si nascose dietro al compare.
Sean Grimm si diede il cambio con il pianista ufficiale, William Brailey, fulminando con lo sguardo i tre che avevano organizzato la sua chiassosa quanto grossolana presentazione.
- Che razza di pagliacciata è mai questa? – domandò Ruth al signor Sandler, il quale si era appostato a pochi passi dal divanetto su cui sedevano le figlie.
- Non sia sempre così acida – commentò il professore, mentre il pianista cominciava a far scorrere le dita sui tasti – Sono curioso di ascoltare il suo brano.
- E poi, perché critica tanto le pagliacciate, Ruth? – domandò ingenuamente zio Eric – Insomma, la parrucca che Lei porta in testa ricorda molto la capigliatura di un qualsiasi pagliaccio!
- La mia non è una parrucca! – strillò la donna offesa, allontanandosi con fare sdegnoso.
Lily si lasciò sfuggire un sorrisetto sadico, ripromettendosi di dare allo zio un forte abbraccio una volta tornati in cabina.
L’abilità di Sean Grimm fu sufficiente a far dimenticare presto lo scherzo giocatogli dai suoi amici: i passeggeri di Prima Classe ascoltavano rapiti, alcuni seduti con gli occhi chiusi, altri, tra i quali Lukas e Katrina Volkov, improvvisando eleganti balli di coppia.
Lily per un attimo sentì i propri pensieri annullarsi, lasciandosi cullare dalle note dolci e malinconiche del piano, ma sussultò quando udì qualcuno mormorare dietro di sé: - No, non è lui…
Si voltò stupita: la cameriera sbadata di nome Danielle fissava Sean con aria disillusa, seppur incantata.
- La musica è divina… ma non è la sua…
- Parli con me? – domandò la piccola Sandler, pregando che quella non si spaventasse e le rovesciasse addosso qualcosa – Chi è lui?
Danielle si scosse bruscamente, quasi si fosse appena destata da un lungo sonno. Ricambiò per qualche istante lo sguardo della sedicenne, poi mormorò qualcosa di incomprensibile, allontanandosi in fretta.
Lily sbuffò, alzandosi con aria stizzita: - Ma si può sapere cos’hanno tutti, oggi? Vado a cercare Rose, tienimi il posto, per favore.
Senza attendere la risposta della sorella, raggiunse rapidamente l’uscita della sala, rischiando di scontrarsi con Jamie Richardson che, in quel momento, stava varcando la soglia. Aveva un’aria circospetta e nervosa, mentre, dietro di lui, il sergente Duncan Peters chiacchierava tranquillamente con la cameriera di nome Shannon.
- Mi dispiace – si scusò la ragazzina – Non ti avevo visto…
Jamie la fissò ad occhi sgranati, voltandosi poi allarmato verso i due compagni.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: senza attendere una risposta, Lily passò accanto a loro stringendo i pugni e mordendosi nervosamente la lingua. Ne aveva avuto abbastanza della scortesia, dei comportamenti sospetti e delle stranezze delle persone.
Raggiunse le cabine di Prima Classe e bussò un paio di volte alla porta dei Dewitt Bukater.
- Rose? – chiamò – Rose, sei qui? Va tutto bene?
Attese pazientemente per diversi secondi, senza ottenere alcun cenno di vita dall’interno dell’alloggio. Strano.
Istintivamente, la ragazzina si portò una mano al collo, tastando tra le dita il ciondolo della nonna. Esattamente com’era successo al momento dell’imbarco, Lily fu colta da uno strano presentimento: senza sapere il perché, cominciò a correre lungo il corridoio, attraversando una lunga successione di porte elegantemente verniciate.
Una sola parola le si impresse nella mente, la stessa che aveva insistentemente pensato il giorno in cui zio Dewitt Bukater morì.
Suicidio.



***
Angolo dell’Autrice: Ecco qua il secondo capitolo, nel quale sono stati presentati tutti i personaggi prenotati. Naturalmente, nel prossimo capitolo si leggeranno anche i POV di Nicholas Brandy e del misterioso pianista di Terza Classe.
Come al solito, speriamo che i personaggi rispecchino le aspettative dei loro creatori.
Grazie a tutti per aver letto,
Tinkerbell e Phoebe

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Capitolo 4
*** Duetto musicale ***


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ATTO I - POV Nicholas

-  Tutto ciò è inammissibile! Cosa ti ha fatto pensare di poter mettere le mani addosso alla mia fidanzata? Guardami, feccia umana!  
-  Cal…    
-  Che ti è saltato in mente?
Il riccone con la faccia da topo sembrava pronto a sputare fiamme e fumo su un ragazzino smilzo dai capelli biondi, vestito piuttosto poveramente. Nicholas picchiettò le dita sulla spalla del Colonnello Archibald Gracie, domandando cosa diamine stesse succedendo.
Stava tranquillamente portando a termine la propria ronda, quando delle grida provenienti da poppa l’avevano costretto a correre sul posto insieme ad altri ufficiali.
Prima che il Colonnello avesse il tempo di aprire la bocca per spiegare la situazione, la bella ragazza dai capelli rossi, presunta fidanzata di Faccia da Ratto, si fece avanti per svelare l’arcano e placare le ire del futuro consorte. Da sotto la coperta che l’avvolgeva, si poteva notare un vistoso strappo sulla gonna del suo costoso abito cremisi.     
-  È stato un incidente- assicurò, alterando ingenuamente il tono di voce - Davvero. Banalissimo. Mi ero sporta e sono scivolata. Mi ero sporta un po' troppo per vedere... ah... ehm... le... le...    
-  Eliche? – suggerì Faccia da Ratto perplesso.     
-  Le eliche – annuì lei - E sono scivolata. Sarei caduta in mare, ma il signor Dawson mi ha salvata, e per poco non cadeva anche lui in acqua.    
Gli uomini presenti aggrottarono la fronte con aria confusa.     
- Volevi vedere le... voleva vedere le eliche!     
- Come dico spesso – rise il Colonnello Gracie - Donne e motori non legano.
“Se lo sentisse Nancy lo manderebbe a fanculo, lui e i suoi motori” sogghignò Nick, allontanandosi con flemma. Evidentemente era stato solo un falso allarme e non c’era bisogno del suo aiuto. E poi, l’espressione viscida del tirapiedi di Faccia da Ratto lo infastidiva non poco.
Evitò per un pelo di scontrarsi con una ragazzina di Prima Classe che stava attraversando il ponte di corsa (forse era la stessa che cercava disperatamente il gatto quello stesso pomeriggio), poi si appoggiò distrattamente al parapetto, osservando le acque scure che scorrevano diversi metri più in basso.
Non era affar suo l’episodio della rossa e dell’eroico biondino, eppure si ritrovò presto a rimuginare su un paio di incongruenze: prima di tutto, dov’è che lo smilzo aveva trovato il tempo di slacciarsi le scarpe, nell’istante in cui la ragazza perdeva l’equilibrio? E soprattutto, come poteva lei pretendere di vedere le eliche della nave da quella postazione? Forse stava sottovalutando l’ignoranza e la stupidità umana, ma a Nicholas sembrava assurdo che una persona adulta potesse sul serio partorire un’idea simile.   
“O non l’hanno mai fatta uscire di casa” pensò “Oppure quella ragazzina è pericolosamente…”
- Ingenua.
L’ufficiale Brandy si voltò, rompendo il suo solito atteggiamento di noncuranza. Per un attimo non vide nessuno dietro di sé, così cominciò a credere di essersi soltanto immaginato quell’inquietante voce femminile, poi però, aguzzando la vista, notò una figura minuta seminascosta dalla penombra. Era in piedi, immobile, si scorgeva appena il luccichio maligno dei suoi occhi. Lo stava fissando.
Mantenendo il sangue freddo, Nick raddrizzò la propria postura, facendo scivolare la mano sulla pistola: - Prego?
La figura fece un passo in avanti, permettendo alle luci artificiali della nave di rivelare parzialmente il suo volto. Era una passeggera di Prima Classe, intravista durante i controlli il giorno dell’imbarco.
- Ho detto che quelle persone sono stupidamente ingenue, se credono alle parole della ragazza.
Nicholas sostenne il suo sguardo ferino, ignorando il forte senso di disagio che lo stava tormentando: - Lei ha quindi assistito alla scena, signorina…    
- Lady Mildred Newell – lo interruppe lei in tono saccente – E’ il mio nome, può tranquillamente utilizzarlo per rivolgersi a me, mio caro…    
- Ufficiale Nicholas Brandy – la anticipò il ventiquattrenne, giocando allo stesso gioco – Sarò certamente lieto di adoperare il Suo nome, Lady Newell, così come suppongo Lei sarà lieta di adoperare il mio.    
- I nomi sono importanti – convenne la donna con un sorriso velenoso – Così come le parole ed i gesti. Ma è raro che qualcuno dia ad essi il giusto peso, come hanno dimostrato poco fa il signor Hockley ed i suoi compari.
Nick trattenne con forza l’istinto di battere le palpebre. Solitamente non ne avvertiva la necessità tanto spesso, anzi, ma lo sguardo gelido e fisso di quell’inquietante signorina gli provocava una sensazione di disagio mai avvertita prima. Per un istante, in quelle terrificanti pupille vide il riflesso di una tempesta, onde alte, pioggia fitta… percepì un orrido gusto salato in bocca e le membra intorpidite dall’acqua ghiacciata. Assi di legno spezzate che galleggiavano attorno… la mano di Byron che scivolava via dalla sua, scomparendo tra i flutti…
- Non è stato un incidente, vero? – domandò, cercando di scacciare dalla mente quell’incubo ricorrente contro cui lottava da anni.
Lady Newell avanzò di un altro passo, portando l’interlocutore a lottare contro l’impulso di indietreggiare. Sembrava in procinto di rivelare un importante segreto, invece si limitò a sollevare gli angoli della bocca in un gelido sorriso abbozzato, rispondendo con aria sibillina: - Lei sì che è perspicace, Ufficiale Nicholas Brandy.
Il biondo non replicò, la fissò per qualche istante mentre si allontanava, sempre protetta dalla penombra, poi volse nuovamente lo sguardo verso il mare, certo che quella notte avrebbe udito ancora per un po’ nella testa il riecheggiare, ormai lontano, di quei terribili passi.
“Quella tipa sembra pericolosa” pensò “Non so perché ma ho una brutta sensazione…”
Quasi automaticamente, le sue gambe cominciarono a muoversi sempre più rapidamente, portandolo a scendere sempre più in basso.
La corsa terminò di fronte all’ingresso delle cabine di Terza Classe.



ATTO II – POV Lily

Non le importava che i capelli si scompigliassero durante la corsa, o che l’abito rischiasse di impigliarsi da qualche parte, strappandosi. In quel momento, Lily Sandler pregava con tutte le proprie forze di non inciampare e di non perdere la sua migliore (e in realtà unica) amica.
“Non puoi, Rose. Non puoi farlo. Tuo padre non ha risolto nulla, anzi.”
Non sapeva nemmeno perché stesse correndo con tanta sicurezza in una determinata direzione, ma non importava, avrebbe setacciato la nave da cima a fondo pur di impedire a Rose di compiere una stronzata.
Rischiò di scontrarsi con un ufficiale (non era quello che l’aveva portata da Theo solo poche ore prima?) e, proprio mentre aveva quasi raggiunto gli scalini che portavano a poppa, la figura alta e impettita di Cal fece capolino in cima alla scalinata, affiancato da una sagoma più bassa e formosa, avvolta in una coperta.     
Lily non le diede nemmeno il tempo di scendere.    
- Rose!
Aveva il volto arrossato, i capelli appiccicati alla fronte ed il respiro affannoso, forse il suo abito si era pure macchiato di sudore, ma non pensò nemmeno di darci peso, si lanciò tra le braccia della migliore amica, rischiando di farla cadere. Non avvertì nemmeno la scia bagnata delle lacrime che avevano cominciato a rigarle le guance.
- Rose! Oddio, sei qui… sei qui, stai bene…
- Sto… bene – balbettò la rossa sorpresa – Lily, cosa… che cosa ci fai qui?
- Potrei farti la stessa domanda! – urlò l’altra senza smettere di singhiozzare – Pensavo… pensavo che tu…
- Lily, calmati – disse Cal in tono viscidamente cortese – Rose è molto scossa, stava per avere un incidente terribile…
- Quale incidente? – domandò sospettosa la castana, cercando di prendere il respiro.
- La signorina Rose, a quanto pare, era convinta di riuscire a vedere le eliche della nave sporgendosi dal parapetto – intervenne Lovejoy impassibile – Ha perso l’equilibrio e stava per cadere in acqua, ma un giovane di Terza Classe è intervenuto e le ha salvato la vita. Almeno, questo è quanto la signorina Rose ha raccontato.
- E’ andata così – asserì la rossa, lanciando di nascosto un’occhiataccia al viscido tirapiedi.
- Le eliche?     
Lily sgranò gli occhi incredula. Di tutte le assurdità che aveva sentito, quella occupava senza dubbio un posto sul podio.
Si offrì di accompagnare l’amica in cabina, permettendo a Cal e Lovejoy di tornare a godersi la compagnia dei ricconi in sala, ma non proferì parola fino a quando non si trovarono sulla soglia dell’alloggio delle Dewitt Bukater.
- Volevi vedere le eliche – ripeté la Sandler in tono ironico – Seriamente? Una scusa peggiore no?
- E’ vero – borbottò la rossa, per nulla convinta – Madeleine Astor mi ha detto che lei è riuscita a…
- Primo, non nominarmi quella lurida arrampicatrice sociale – sbottò Lily, contenendo a fatica la rabbia nell’udire il nome di una delle persone che più la disgustavano – Secondo, forse un deficiente come Cal potrà credere che tu sia in grado di commettere simili idiozie, ma io ti conosco da troppo tempo, Rose Dewitt Bukater. Che cosa è successo veramente?
- Ho rischiato di cadere in acqua e un ragazzo mi ha salvata – ribatté ostinata la diciassettenne – E’ la verità. Si è trattato solo di un incidente.
Stava mentendo. Lily ormai aveva imparato ad interpretare i gesti ed il linguaggio della migliore amica e non aveva alcun dubbio in proposito. In più, non si era mai sbagliata quando presentimenti tanto forti la coglievano all’improvviso, in particolare da quando aveva cominciato ad indossare il ciondolo della nonna.
Ferita per quella totale mancanza di fiducia, la ragazzina alzò il mento altezzosa e replicò in tono gelido: - Benissimo. Grazie per la sincerità, Rose.
Girò i tacchi, allontanandosi a passo svelto. Rose la chiamò soltanto una volta, ma non si fermò. Quando raggiunse il salone, aveva gli occhi ludici.
- Lily, dove sei stata? – la accolse Violet, il volto segnato dalla preoccupazione – Hai parlato con Rose? Ho sentito che ha rischiato un brutto incidente…
- Sì, le ho parlato – sibilò fredda la minore – Adesso sta benissimo.
Suo padre e zio Eric stavano discutendo animatamente con Cal, attorniati da un gruppetto di gentiluomini e dame. Ruth non aveva perso occasione di avvinghiarsi al braccio del signor Sandler.
- Chiedo scusa, Miss Sandler. Abbiamo udito di quanto è accaduto poco fa, potrebbe fornirci delle delucidazioni?
A parlare era stato Lukas Volkov, avvicinatosi insieme alla domestica e due sorelle. L’eleganza del biondo Principe, che aveva stregato buona parte dei presenti, incuteva uno strano senso di gelo e distacco nella mente della Sandler più giovane.
- Non ero presente – borbottò risentita – Posso solo riferirvi quanto mi è stato raccontato. A quanto pare, Rose si è sporta dal parapetto di poppa per vedere le eliche della nave, è scivolata ma è stata salvata da uno... da uno straccione di Terza Classe!
Sputò le ultime parole quasi con rabbia, stringendo i pugni. Rose avrebbe dovuto fare i salti mortali per ottenere il suo perdono.
Comprensibilmente, i Volkov e Violet si scambiarono un’occhiata confusa.
- Perdonami ma la tua amica è un po’ tonta. A me non sarebbe mai passato per la testa di fare una cosa simile – asserì Nika Volkov, scuotendo poi il braccio della tata – Vero, Lari?
- Non l’avresti mai fatto – concesse la diciannovenne con aria assente – No, tu sei una bambina giudiziosa.
- Non serve essere giudiziosi per evitare simili imprudenze – osservò Lukas, bevendo un sorso di vino rosso – Forse la signorina Dewitt Bukater aveva alzato un po’ il gomito?
- L’importante è che adesso stia bene – si intromise Katrina Volkov in Sokolov con fare materno – Ha bisogno di qualcosa? Se vuole, possiamo farle visita o portarle una tazza di tè…
- Rose sta bene – replicò Lily lapidaria – La ringrazio per il pensiero, Katrina, ma non si disturbi. Ho visto che Trudy, la sua domestica, si è avviata di corsa verso le cabine, ci penserà lei.
- Allora speriamo che Miss Dewitt Bukater dimentichi in fretta il brutto incidente – sorrise il Principe, sfiorando con un gesto furtivo la mano di Larisa – Si sarà presa un bello spavento e…
- Chiedo scusa – lo interruppe la balia russa, fissando un punto imprecisato alle spalle di Lily – Elena è finalmente tornata.
- Oh! – esclamò Lukas, portando Katrina a rabbrividire, seppur per un attimo – Quale gioia! Cominciavo a credere che la nostra cara sorella avesse lasciato la nave! Con permesso, signorine.
C’era un qualcosa di strano nel modo in cui gli erano brillati gli occhi e qualsiasi cosa fosse non portava a nulla di buono. Katrina si congedò piuttosto spiccia, seguendo il fratello con sguardo apprensivo, mentre Larisa, senza lasciar trasparire alcuna emozione, prese in braccio Nika e la portò fino al divanetto dove si era stravaccato quello squinternato di Charles Fitzherbert.
- Rose si è rincoglionita tutt’a un tratto oppure c’è qualcosa che mi stai nascondendo? – domandò Violet alla sorella – Perché quella delle eliche, sinceramente, mi pare una storia assurda.
- L’unica che nasconde qualcosa è Rose – brontolò la ragazzina, tendendo istintivamente l’orecchio per udire i bisbigli che Lukas Volkov stava rivolgendo alla sorella fuggiasca. Il suo tono era basso, ma più che sufficiente a darle i brividi. L’ultima frase risuonò spaventosamente chiara.    
“Adesso in cabina facciamo i conti, stupida puttana!”



ATTO III – POV Joanne

- Mi domando ancora cosa mi spinga ad avere a che fare con voi – brontolò Sean, scendendo controvoglia le rampe di scale che portavano in Terza Classe – Girare così, alla cieca, di primo mattino… e giusto perché lo sappiate, non vi ho ancora perdonato la buffonata dell’altra sera.
- Sei piaciuto a tutti – lo rimbeccò Joanne con un sorriso – Abbiamo soltanto reso la tua performance ancor più indimenticabile.
- Al-alcuni hanno detto c-che è s-stata una trovata s-simpatica – si giustificò timidamente Andy, che non aveva ancora preso una gran confidenza col giovane pianista.
- E poi fidati – soggiunse Charles con un ghigno furbo – Poteva andarti peggio. Alla fine ero molto meno ubriaco del solito.
Sean alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, e Joanne lo abbracciò, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia. Sapeva che, nonostante tutto, il suo migliore amico non l’avrebbe mai piantata in asso. A differenza dei terribili parenti che il caso aveva loro affibbiato, si erano consapevolmente “scelti” come fratello e sorella ed avrebbero felicemente convissuto con questa scelta fino alla fine dei loro giorni.   
- Ma mi volete spiegare perché stiamo andando in Terza Classe?
La bionda si guardò attorno circospetta, l’immancabile veletta calata sugli occhi verdi: - E’ successo un mezzo casino ieri sera, pare che un ragazzo di basso rango abbia salvato una giovane aristocratica…
- Rose Dewitt Bukater – specificò Charles – Non ero completamente lucido ieri sera, ma ho sentito strani discorsi. Poi, mentre stavo tornando in cabina, passando per il ponte, una figura indistinta mi ha suggerito di indagare un po’ sulla cosa. Ha detto che sarebbe stato divertente.
- No, ma quindi mi state dicendo che noi dovremmo investigare su un fatto che non ci riguarda solo perché una “figura indistinta” ha detto a Charles, miope e quasi perennemente sbronzo, che ci saremmo divertiti?
Il pianista si coprì gli occhi con il palmo della mano: - Rettifico: perché continuo ad aver a che fare con voi?
- Preferiresti passare le giornate in Seconda Classe, bighellonando e intrattenendo conversazioni noiose? – domandò Jo con fare sarcastico – Dai, Sean, cosa c’è di più affascinante di un mistero da svelare?
- E p-poi – aggiunse Andrea – Ho s-sentito che in T-Terza Classe c’è un altro pianista b-bravissimo. M-magari potete con-confrontarvi un po’?
Il trentaduenne aprì la bocca per rispondere, ma sobbalzò quando, girando l’angolo, non si scontrarono per poco con una ragazza bassa e formosa.
- Oh, magnifico! – sbottò quella – A quanto pare, su questa nave, la gente non fa altro che venirmi addosso!
- Scusa – rispose Jo, nascondendo a fatica un sorriso – Siamo qui solo di passaggio. Vorremmo sapere qualcosa di più sul ragazzo che ieri sera ha salvato Rose… Dewitt Bukater o qualcosa del genere.
- Mi correggo – brontolo l’altra, piantando le mani sui fianchi – La gente su questa nave non fa altro che scendere in Terza Classe, venirmi addosso e cercare cose, animali o persone! Ieri la mocciosa con il gatto, oggi voi con il tizio che ha salvato il culo alla riccona! Ma perché non potete restare nei vostri alloggi a mangiare caviale?
- N-non volevamo of-offendere – balbettò Andy, costringendosi in tutti i modi a non sbirciare la scollatura della ragazza – S-se vuoi ce ne an-andiamo…
- Eh no, ragazzi, non vi ho seguiti fino a qui per restare a mani vuote! – proruppe Sean, beccandosi occhiate incredule fa parte del gruppetto di amici – Signorina, non vogliamo dare fastidio e non l’abbiamo urtata intenzionalmente. Ci farebbe un enorme favore se ci indicasse dove trovare qualche informazione.
- E perché dovrei farvi un favore? – ribatté l’altra ostinata – Non vi conosco nemmeno.
- Perché siamo delle bellissime persone super simpatiche con abilità interessanti. Lui è un pianista, lei una scrittrice, lei una pasticcera e io invento filastrocche sconce – rispose Charles con un sorriso a trentadue denti – Beh, in realtà dovrei anche essere uno studente di Medicina, ma sono più bravo con le filastrocche e gli alcolici, e poi…
- Va bene, basta! Se lo fate star zitto vi porterò da qualcuno che potrà testimoniare su quanto è accaduto ieri sera!
Il ventunenne rivolse un’occhiata trionfante agli amici, seguendo la moretta verso la sala principale di Terza Classe.
- Il ragazzo che cercate si è appena allontanato con una rossa ben vestita, però posso portarvi dai suoi compagni di cabina. Sono svedesi ma qualche parola inglese la capiscono.
- Oh, nessun problema – sorrise Jo – Io ho studiato lo Svedese.
- Buon per voi allora.
Seduti ad un tavolo rotondo, due ragazzi robusti (uno moro sui trent’anni, l’altro poco più vecchio) stavano giocando a carte con una donna dai capelli scuri vicina alla quarantina, abbigliata con una semplice camicia ed una lunga gonna nera.
- Oh, ma conosco uno di loro! – esclamò la scrittrice entusiasta – E’ Olaus, l’ho visto proprio…
Un attimo di silenzio calò in mezzo al quartetto: la loro guida era sparita nel nulla.
- N-non l’ho vista n-nemmeno andare v-via… - borbottò incredula Andrea, scambiando un’occhiata interrogativa con Charles.
- Pazienza, almeno adesso abbiamo una pista – replicò distrattamente Joanne, avvicinandosi al tavolino da gioco. Non appena la vide, Olaus si illuminò, posando subito il proprio mazzo di carte: - Joanne!
- God morgon, Olaus – rispose la bionda, accomodandosi sulla sedia libera accanto alla donna dai capelli scuri - Jag är glad att se dig igen.
- Credo l’abbia salutato e gli abbia detto qualcosa come ”è un piacere rivederti” – tradusse Sean per intuizione, notando le espressioni confuse di Charles e Andrea.
- De är mina vänner – continuò Jo, indicando il trio alle proprie spalle – Charles, Andrea e Sean, min antagna bror.
- Voi prende sedia! – sorrise lo svedese castano, facendo loro cenno di avvicinarsi, per poi rivolgersi nuovamente a Joanne - Han är min bror, Bjorn. E... han är Mary. – disse, indicando prima il tizio biondo seduto accanto a lui e poi la donna con cui stavano giocando.
- Io parlo solo inglese – rise quella, gettando di tanto in tanto un’occhiata di controllo in direzione di un bambino sui sette anni che correva per la sala – Volete giocare?
- Perchè no? – rispose Jo – Così, già che ci siamo, potremmo parlare degli eventi accaduti ieri sera...



 ATTO IV – POV Nine

Anche quella mattina aveva scordato di pettinarsi. Probabilmente, prima o poi, si sarebbe dimenticato pure i pantaloni o la camicia. O entrambi.
La vita di Jonathan Nihil Nine era stata avvolta nel mistero fin dai suoi primi giorni: era stato abbandonato su una nave da crociera quando aveva poco più di un anno ed in seguito adottato dall’orchestra di bordo. Non recava alcun documento con sé, nessun misero indizio riguardo la propria identità: fu così che i membri della banda decisero di creargliene una nuova. Lo battezzarono con due nomi: Jonathan, come il fratello scomparso del direttore, e Nihil, che significava “nessuno”. Ci volle un po’ di più per decidere il cognome del bimbo, ma alla fine il pianista propose un’idea che fu ben accolta da tutti: il giorno stesso in cui fu abbandonato, il piccolo si era imbambolato ad ascoltare il gruppo intento a suonare la Nona Sinfonia di Beethowen; così Jonathan Nihil divenne Jonathan Nihil Nine.
Si era staccato da propri genitori adottivi soltanto di recente: sarebbe sempre rimasto grato a loro per averlo accolto e introdotto al mondo della musica, ma non aveva accettato il loro sentirsi scoraggiati e propensi a mollare tutto dopo esser stati soppiantati da un’altra orchestra, più avanguardista e di lusso.
Lui non voleva mollare. Lui voleva suonare il pianoforte sulle navi, navi di qualsiasi tipo e in qualsiasi condizione; non gli interessava sguazzare negli agi e nella ricchezza, né diventare famoso ed avere un pubblico raffinato. Per essere felice, gli bastavano un piano ed un mare su cui navigare.
Giunse al salone di Terza Classe, notando, non senza un filo di disappunto, che qualcuno stava già suonando in quel momento. Con un sospiro, si lasciò cadere su una sedia situata in un angolo della stanza, in disparte rispetto al resto dei passeggeri.
Tirò fuori il proprio orologio dal taschino del gilet, esercitò una leggera pressione sul bottoncino posto accanto all’attaccatura della catenella e, quando l’oggetto si aprì, s’imbambolò a fissare le scritte che lui stesso aveva impresso all’interno.
"JNN – 9 Sett. 1879 – Pianista"
La sua identità racchiusa in poche lettere. Certo, l’unica cosa “vera” era la professione, ma, in caso si fosse perso nuovamente o fosse stato vittima di amnesia, non avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.
Stralunato sì, ma non sprovveduto.
-Chiedo scusa…
Nine batté un paio di volte le palpebre, riponendo istintivamente l’orologio nel taschino. C’era un tizio dai capelli biondi, medio –alto, in abiti militari; lo stava fissando con uno stranissimo sguardo, quasi si aspettasse qualcosa… ma cosa poteva volere un ufficiale sconosciuto da un pianista di Terza Classe?
- Lei mi sembra una persona per bene – continuò quello – Sembra tanto distratto e fuori dal mondo, ma secondo me, in realtà, Lei è un grande osservatore. Vorrei chiederle un favore: potrebbe tenere d’occhio una persona ? E’ una ragazza bassa, carina, con i capelli scuri… aspetti, posso mostrarLe una sua foto. Sa, ieri sera sono accadute delle cose che non mi fanno stare tranquillo e, anche se non mi va che si sappia in giro, sono preoccupato per…
- Che diamine stai facendo, Brandy?
Il militare si voltò di scatto, nascondendo nella tasca della giacca la foto che stava per tirare fuori. Una giovane piccolina ma formosa lo fissava con fare sospettoso.
“Bassa, carina, capelli scuri…” pensò distrattamente Nine, ripetendo le parole del biondo come una filastrocca “Potrebbe essere lei?”
- Perché parli con questo tipo? Ti ho già spiegato che vive in un mondo tutto suo e non ascolta una parola di quello che dici!
- Volevo solo provare a complimentarmi con lui, Nan – mentì l’ufficiale – Solo perché non risponde non significa che sia uno stupido o indegno di ricevere apprezzamenti, giusto, amico?
- No, non sono uno stupido – mormorò il pianista, fissando un punto imprecisato davanti a sé – La ringrazio per gli apprezzamenti.
- Visto? – sorrise il giovanotto con aria trionfante.
La moretta alzò gli occhi al soffitto, prendendo poi per mano il compagno e trascinandolo in disparte: - Vuoi smetterla di farti vedere da queste parti? La gente gira molto più di quanto dovrebbe: ieri mi sono imbattuta in una mocciosa di Prima Classe, oggi sono scesi anche quattro pazzi di Seconda… in questa nave iniziano a succedere cose strane e sinceramente non vorrei rischiare di…
- A proposito di cose strane – sussurrò l’altro, avviandosi con lei verso l’uscita della sala – Visto che sei qui, ho bisogno di metterti in guardia…
Nine li osservò allontanarsi per qualche secondo, poi diede un’alzata di spalle: si erano dimenticati di lui quasi subito, ma la cosa non gli dispiaceva in fondo. Non era mai stato bravo ad interagire direttamente con le persone, preferiva esprimere emozioni e sentimenti attraverso la musica.
Con sua somma gioia, quando alzò nuovamente lo sguardo vide che il pianoforte era libero: si avvicinò, camminando sulle nuvole, poi, dopo essersi accertato che nessuno volesse accomodarsi prima di lui, si sedette, accarezzando i tasti con amore.
Mentre rifletteva rapidamente sulla melodia da eseguire, la sua attenzione venne attirata da un qualcosa posizionato proprio accanto allo spartito: petali cremisi, lungo gambo verdastro con impressi i segni delle spine rimosse.
“Una rosa” pensò, afferrando delicatamente il fiore ed osservandolo con curiosità. Un dubbio improvviso s’insinuò nella sua mente: che qualcuno l’avesse messo lì per lui?
“Strano” rifletté “Non conosco nessuno… chi mai potrebbe farmi un regalo? Mi sembra un po’ assurdo…”
Sì, quel pensiero era abbastanza assurdo, azzardato. Eppure, lo portò lo stesso a piegare le labbra in un lieve sorriso.



ATTO V – POV Lily

- Per quanto ancora hai intenzione di non parlarmi?
La temperatura mattutina era piuttosto piacevole, spirava una leggera brezza ed il cielo era limpido e sgombro dalle nubi.
Lily incrociò le braccia, fingendo di guardare altrove, mentre Rose sbuffava stizzita, scuotendo la testa.    
- Va bene, come vuoi. Ma giusto perché tu lo sappia, una qualsiasi bambina di tre anni è molto meno infantile di te.
- Rose, lascia perdere, dai – sorrise Violet, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi – Lo sai che ce ne vuole prima che le passi un’arrabbiatura.
- Violet, puoi domandare alla signorina Dewitt Bukater perché stiamo scendendo al piano degli straccioni? – la interruppe la sorella minore in tono piatto – Vuole forse prendersi i pidocchi?
- Molto maturo da parte tua, Lily Sandler, davvero! – sibilò la rossa – Se proprio vuoi saperlo, ho intenzione di parlare con lo straccione che ieri sera mi ha salvata.
La sedicenne alzò il mento con fare pomposo, rischiando di scivolare su uno degli scalini. Pregò che le altre due non se ne fossero accorte.
L’atmosfera del salone di Terza Classe, sebbene un po’ grezza, era allegra e rilassata, per nulla spiacevole. Qualcuno stava suonando un vivace motivetto al pianoforte, anche se la musica cessò non appena la gente si accorse della presenza delle tre ragazze aristocratiche.
- Devo dir loro che veniamo in pace? – brontolò Lily a bassa voce, strappando un sorriso alla sorella.
Rose si guardò attorno per qualche secondo, poi si diresse verso una coppia di panchine in legno, sulle quali sedevano diversi passeggeri. Tre di essi avevano un’aria molto famigliare.
Lily sgranò gli occhi, mordendosi nervosamente la lingua: - Non ci credo…
Il trio di giovanotti che il giorno prima aveva recuperato Theo fissava incredulo la rossa che si avvicinava lentamente. Il biondino smilzo e l’italiano occupavano due posti sulle panchine, l’irlandese invece si era accomodato su una sedia, le labbra serrate su una di quelle orribili sigarette.
Rose si fermò a distanza di sicurezza, senza perdere un solo istante la sua aria composta e regale: - Buongiorno, signor Dawson – disse rivolta all’americano.
- Buongiorno – rispose lui un po’ incerto.
I suoi due amici ed una ragazza bionda seduta accanto all’italiano sogghignarono sotto i baffi con aria maliziosa.
- Vorrei parlarLe – continuò la diciassettenne – In privato. Ragazze, vi dispiace se…
- Tranquilla, ti aspettiamo qui – sorrise Violet, provocando un sibilo disgustato alla sorella.
Il signor Dawson fulminò i compagni con un’occhiataccia, poi si alzò, seguendo la rossa fuori dal salone. Non appena i due uscirono dalla visuale, signor Napoli, signor Dublino e la biondina scoppiarono in una risata sguaiata.
- Non capisco cosa ci troviate di tanto buffo – disse Lily in tono gelido – E’ così strano che una donna vi rivolga la parola?
- Sì, se si tratta di una donna appartenente al vostro ceto sociale – spiegò l’irlandese riprendendo fiato – Come credo risulterebbe strano a Lei se un rozzo plebeo provasse a rivolgerLe la parola, signorina Londra.
La ragazzina si morse il labbro, innervosita dalla palese provocazione, ma il giovane napoletano bloccò qualsiasi risposta acida stesse per sputare: - Come sta il nostro amico peloso?
- Theo sta bene – rispose lei distaccata, inorridendo quando Violet occupò il posto lasciato libero dal signor Dawson.
- Quindi siete voi i salvatori del nostro gattino! Piacere di conoscervi, io sono Violet, sorella della Principessa Musona qui presente.
- Incantato, Meraviglia! – trillò il ragazzo italiano illuminandosi – Io sono Fabrizio e ho un debole per le ragazze bionde. Beh, anche per le more e le rosse in realtà. Lui invece è Tommy, mentre il guaglione che ha seguito la vostra amica è Jack e lei… non ho ancora capito come si chiama, ma so che è norvegese e già la adoro… - concluse indicando la fanciulla seduta accanto a lui.
Quella si lasciò sfuggire una risatina e strinse la mano che Violet le stava porgendo: - Helga Dahl.
Lily alzò gli occhi al soffitto, gettando occhiate nervose alla soglia della sala. Rose non accennava a tornare e questo non fece che aumentare il suo malumore.
“Dopo di questa, puoi star certa che non ti rivolgerò mai più la parola, Rose Dewitt Bukater” pensò minacciosa “Oh sì, mia cara, ci puoi scommet…”   
I pensieri si annullarono non appena puntò lo sguardo sotto una sedia vuota situata a pochi passi da lei. Un musetto grigio scuro, munito di baffi e orecchie tonde, fece capolino da dietro una delle quattro gambe in legno levigato.
Spalancò al massimo gli occhi in preda al terrore, emise uno strillo soffocato e balzò all’indietro, perdendo però l’equilibrio e ritrovandosi seduta sulle gambe del ragazzone irlandese.
- Che schifo! Avete perfino i topi qui! – urlò, mentre la bestiola scappava a nascondersi nella propria tana – Oddio adesso vomito!
- Non su di me, per favore – replicò signor Dublino, trattenendo a fatica una risata – Forse Le sembrerà strano, ma mi sono lavato giusto poco fa.
- Ma poi non dovete preoccuparVi, Splendore – cercò di rassicurarla Fabrizio – Questi topolini sono assolutamente innocui, hanno più paura loro di Voi di quanta Voi ne abbiate di loro.
- Questo è tutto da vedere – ringhiò la piccola Sandler, alzandosi in piedi e lisciandosi freneticamente le pieghe dell’abito – Non mi tratterrò un secondo di più in questo ricettacolo di sporcizia!
- Se vuoi torna in cabina – replicò Violet con un’alzata di spalle – Io però vorrei restare qui ancora un po’, le persone sono più simpatiche in Terza Classe.
- Fà come ti pare! Non c’è pericolo che mi perda.
- Posso accompagnarla io fino a un certo punto.
Lily si zittì all’istante, voltandosi incredula. A parlare era stato signor Dublino.
- Avevo intenzione di fare due passi – continuò in tono calmo – Naturalmente, se alla signorina Londra non fa ribrezzo essere accompagnata da un rozzo popolano che vive in un ricettacolo di sporcizia.
- Non mi importa chi mi accompagna – soffiò la sedicenne – Voglio solamente uscire da qui.



ATTO VI – POV Danielle

Le dita facevano ancora un po’ male, ma per fortuna avevano smesso di sanguinare. Strinse i denti quando afferrò il grosso vaso di ceramica che aveva poggiato a terra per spolverare meglio la piccola cassapanca in legno, ma riuscì comunque a riposizionarlo correttamente.
Sobbalzò quando qualcuno la chiamò, posandole una mano sulla spalla, e si girò di scatto, spaventando la futura interlocutrice. Era una ragazzina dal viso tondo e grazioso, la chioma color biondo scuro e gli occhi grandi ed espressivi.
Dietro di lei, due donne di Prima Classe ed una ragazza altissima con i capelli biondi tagliati a caschetto si lasciarono sfuggire una risatina alla vista delle loro reazioni.
- Non volevo spaventarti – si giustificò la minore, arrossendo leggermente – Mi chiamo Joelle, domestica della famiglia Browning. E… beh, Mrs Browning e Mrs Richardson vorrebbero chiederti un favore.
- Se non ti arreca disturbo, cara – soggiunse una delle due aristocratiche, quella con i capelli scuri – Dimmi, per caso conosci il pianista che ha suonato l’altra sera? Quello che è stato presentato dai propri amici con un siparietto comico?
- Il signor Grimm – rispose Danielle, tenendo lo sguardo basso – E’ il pianista di riserva…
- Splendido! – trillò l’altra signora, riccia e formosa – Per caso saresti in grado di trovarlo e riferirgli un messaggio?
- Sì, signora…
- Vorremmo proporgli un duetto con mio fratello, James Richardson – continuò la ragazza col caschetto – Lui suona il violino e gli giacerebbe molto essere accompagnato al piano dal signor Grimm, sfortunatamente è troppo timido per farsi avanti da solo.
- Riferirò – promise la rossa, eseguendo un piccolo inchino.
Stava per allontanarsi, quando Joelle fece cadere distrattamente lo sguardo sulle sue mani, trasalendo: - Cos’hai fatto alle dita?
- Oh, povera cara! – esclamò quella che doveva essere la signora Browning – Ti sei ferita con delle schegge?
- S-sì – mentì Dany, indietreggiando – Non è nulla, sto bene. Vado a riferire al signor Grimm il vostro messaggio.
- Ti suggerisco di passare dal medico di bordo! – si raccomandò la donna, osservandola allontanarsi.
Danielle sospirò, scendendo rapidamente le scale che portavano in Seconda Classe. Non sarebbe successo nulla se avesse raccontato a Mrs Browning la verità (“punta più volte togliendo le spine ad una rosa”), ma, per una misteriosa ragione, considerava quelle ferite come un piccolo segreto.
Il signor Grimm non si trovava nel proprio alloggio, così si trovò costretta a fermare il direttore d’orchestra, Wallace Hartley, per domandargli notizie del secondo pianista.
- Ho visto Sean recarsi in Terza Classe insieme a tre suoi amici – disse il trentaquattrenne con un sorriso – Non so cosa sia andato a fare, ma penso proprio che lo troverai lì.
-La ringrazio – rispose la cameriera, avviandosi a falcate verso la mèta indicata. Aggrottò la fronte confusa, mordendosi le labbra: perché i passeggeri di quella nave sembravano insofferenti di restare nei propri spazi?
Riuscì finalmente a trovare il musicista in mezzo all’allegro caos popolano: sedeva ad un tavolo rotondo insieme ad altre persone, tutto intento a giocare a carte.
La rossa provò a schiarirsi la voce, avanzando timidamente, ma inciampò sul giocattolo in legno di un bambino e piombò di peso in mezzo al tavolo,  provocando un sussulto nei presenti.
- Tombola! – esclamò ridendo uno dei giocatori, un ragazzo castano dagli occhi azzurri che Dany aveva già visto in Seconda Classe – Questa sì che è una partita col botto!
- Ti senti bene? – domandò una donna bionda, la stessa che aveva incontrato due giorni prima quando le erano caduti gli asciugamani – Aspetta, ti aiuto…
- S-sto bene – balbettò mortificata la cameriera, lisciandosi le pieghe del grembuile – Sto cercando il signor Grimm…
- Oh cazzo, Sean, se hai qualche oggetto fragile con te nascondilo subito! – scherzò il ragazzo moro, beccandosi uno schiaffo sul braccio dalla ragazzina che gli sedeva accanto.
- Sm-smettila, Charles, n-non è carino da p-parte tua!
- Dimmi pure – s’intromise il pianista, facendo un cenno con la mano ai due che avevano iniziato a battibeccare – Hai un messaggio da parte di Wallace?
- In realtà, da parte di Mrs Browning e Mrs Richardson – sospirò Dany, sforzandosi di ignorare le occhiate perplesse dei due svedesi e della donna inglese che non avevano ancora aperto bocca – Volevano chiederLe se avrebbe avuto piacere ad accompagnare il signor James Richardson al violino.
- Vogliono sul serio che sia io a farlo? – domandò l’uomo con aria piacevolmente sorpresa – Sicura che vogliano proprio me?
- E’ sicuramente merito della nostra presentazione – sorrise la sua amica bionda, strizzandogli l’occhio.
Dany si limitò ad annuire: - Se vuole accordarsi per l’orario, le consiglio di recarsi in Prima Classe per discuterne con la signora Richardson.
- Ti ringrazio, vado subito allora.
I quattro passeggeri di Seconda Classe si alzarono, poggiando le carte sul tavolino. La ragazza più grande rivolse qualche parola in svedese ai giocatori rimasti; quello con i capelli scuri assunse un’espressione dispiaciuta, ma la mutò immediatamente in un sorriso quando lei lo salutò con un bacio sulla guancia.
Mentre quelli si allontanavano, una musica molto famigliare giunse alle orecchie di Danielle, che si voltò immediatamente in direzione del pianoforte: insolitamente alto, magro e spettinato, le dita danzavano armoniose sui tasti. Sì, era lui.
Il cuore della giovane irlandese saltò un battito quando ella si accorse che il misterioso pianista teneva in grembo una bella rosa rossa dal lungo gambo.
Fece sfiorare tra loro le dita ferite, abbozzando un sorriso di gioia.
Ne era valsa la pena.



ATTO VII – POV Joelle

- Per quando è fissato il duetto? – domandò Emily, seduta scompostamente sul letto con aria annoiata – Devo per forza assistervi?
- Cominceranno a suonare tra mezz’ora circa – rispose Joelle, sistemandosi i capelli davanti allo specchio – E sì, tua madre è stata molto chiara a riguardo. Pensa che potrebbe esserti d’aiuto ascoltare un po’ di musica.
- Aiuto per cosa? – piagnucolò l’altra, affacciandosi alla culletta di Gabriel e Cerìse – Vuole che diventi una cretinetta sempre allegra? Una di quelle perfette signorine del cavolo, col sorriso perennemente stampato e capaci di dire soltanto “sì”? Una di quelle che si sposano anche se giocavano con le bambole soltanto il giorno prima, che stanno zitte e obbedienti, piegate al volere del maledetto marito tiranno molto più vecchio di loro che…
- Em! Calmati, adesso stai esagerando!
La quindicenne abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente la lingua. Joelle le prese il volto tra le piccole mani, alzandole il mento con delicatezza.
- I tuoi genitori non vogliono trasformarti in una bambolina – la rassicurò – Né farti sposare con un uomo più vecchio. Te l’ho già detto un sacco di volte, lo sai che non ti farebbero mai un torto simile.
- Anche Sarah credeva che i suoi genitori le volessero bene e che non l’avrebbero mai resa infelice – mormorò l’altra con gli occhi lucidi, riferendosi alla propria migliore amica – Invece l’hanno fatta sposare con quel tizio, quel Mansfield, che ha il doppio della nostra età. Chi mi assicura che i miei non mi pugnaleranno alle spalle allo stesso modo?
Joelle la fece sedere sul letto, permettendole di poggiare la testa contro il proprio petto. Le accarezzò i capelli, parlandole con voce bassa e morbida: - Non prevedo il futuro e non leggo nel pensiero, Em. Ma ormai credo di conoscere abbastanza bene i tuoi genitori per ritenerli degni di fiducia. Secondo me non ti getteranno a tradimento tra le braccia di un trentenne ricco.
- Elle… quanta differenza avevate tu e tuo marito?
La domestica si irrigidì, tentando in tutti i modi di mascherare il disagio ed il senso di colpa: - Lui aveva quattro anni più di me… a differenza di molte ragazze ho avuto la possibilità di sceglierlo…
Involontariamente si morse la lingua. Si trovò sul punto di cedere.
- Em, ascolta… - la sua voce si fece titubante – Vedi, a proposito del padre di Gabriel e Cerìse…
- Splendori, siete pronte?
Le due ragazze si staccarono all’istante, mentre Mrs Browning entrava nella stanza con un gran sorriso: - E’ quasi ora!
- Arriviamo subito – rispose Joelle, afferrando il manico della carrozzina dei gemelli – C’è molta gente in sala?
- Abbastanza – rispose la donna più vecchia – Vado a prendervi i posti intanto.
Emily alzò gli occhi al cielo mentre la madre correva via, poi diede un’ultima rapida occhiata al proprio riflesso allo specchio.
- Elle… si vede che ho quindici anni, vero?
- Sì, tesoro, si vede – la rassicurò la domestica aprendo la porta – Se qualche lurido vecchiaccio bavoso oserà anche solo sfiorarti con lo sguardo lo sistemerò a dovere.
La ragazzina sorrise, raggiungendo l’altra oltre la soglia della cabina. Avevano ormai percorso metà corridoio quando una delle porte si aprì lentamente, con un sinistro cigolio.
Istintivamente, Emily posò la mano su quella di Joelle, serrata attorno al manico della carrozzina. Una donna minuta ma dall’aria minacciosa si fermò sull’uscio, squadrandole dalla testa ai piedi.
- Quale sorpresa! – sorrise amabilmente la giovane domestica – Lady Mildred Scortese Newell! Anche Lei sta andando ad assistere al duetto musicale?
- Non che ci sia molta alternativa, mia cara – sibilò l’altra con un ghigno falso – Se mi trovassi un passatempo stimolante in Prima Classe credo che potrei regalarti uno dei miei gioielli.
- Proverò ad informarmi – promise la diciannovenne, senza mutare l’atteggiamento eccessivamente cortese.
- Elle… andiamo, per favore… - sussurrò Emily, guardandosi nervosamente attorno – Ci staranno aspettando… oh… di bene in meglio…
Joelle si voltò, domandandosi cosa o chi rendesse la padroncina tanto nervosa: a pochi passi da loro, immobile e statuaria, c’era la domestica dei Volkov. Non aveva ancora avuto occasione di parlarle, ma a prima vista le era sembrata piuttosto inquietante, quasi quando Lady Newell. Così pallida, così silenziosa, così fredda…
- Che simpatica riunione! – ironizzò Mildred – Quattro donne in corridoio, due aristocratiche e due sguattere.
- Elle non è una sguattera! – sbottò Emily con rabbia, apparentemente dimentica del nervosismo che la ventiseienne le provocava – Non si permetta mai più di dire una cosa del genere!
- La verità fa male? – replicò l’altra con un ghigno.
La ragazzina serrò i pugni, facendo un passo in avanti, ma Joelle bloccò la sua traiettoria con il braccio: - Em, non importa, non mi sono offesa. E credo che non si sia offesa nemmeno la signorina… ehm…
- Larisa – continuò la ragazza russa con voce atona – Il mio nome è Larisa. No, non mi sono offesa. Se non vi dispiace, ora vorrei passare. Il signor Lukas mi sta aspettando in salone.
- Sarà meglio anche per noi darsi una mossa – sorrise Joelle – Altrimenti ci perderemo l'inizio del duetto.
- Se non vi dispiace, farò la strada con voi – sogghignò melliflua Lady Mildred, ben conscia del fatto che la primogenita dei Browning non avrebbe affatto gradito la sua presenza.
Emily, infatti, la fissò con odio durante tutto il tragitto.



ATTO VIII – POV Lily

Le balenò di sentirsi leggermente in colpa per il proprio comportamento soltanto un paio di volte, mentre attraversava a falcate il ponte principale di Terza Classe. Si fermò proprio nei pressi della prima scalinata, esitando: forse non era necessaria quella sceneggiata, però i topi la terrorizzavano (così come altri animaletti sporchi e portatori di malattie) e, ad essere sinceri, si sentiva ancora turbata per la discussione avuta con Rose.
- Se sta aspettando che qualcuno srotoli per Lei un tappeto sulle scale resterà delusa. Quaggiù lussi e premure da parte del personale scarseggiano, Le basti pensare che i Suoi amici di Prima Classe portano i cani a scacazzare proprio sul suolo che sta calpestando in questo momento.
Lily serrò le labbra e sbuffò dalle narici, voltandosi lentamente verso Mr Dublino che la fissava con aria irrisoria. Resistette con fatica all’impulso di urlargli contro gli insulti coloriti che aveva udito più volte pronunciare dallo zio Eric.
- Se non la smette di prendermi in giro giuro che le cavo quella schifosa sigaretta dalla bocca e gliela spengo in fronte!
- E’ sicura almeno di arrivarci alla mia fronte? – replicò lui con un sorrisetto furbo.
La ragazza strinse i pugni, li puntò sui fianchi e gonfiò il petto: - Sono alta un metro e sessantacinque, ci arrivo benissimo alla Sua stupida fronte! Si sta dando delle arie perché è molto più alto della maggior parte degli uomini? Vuole un inchino per questo? E comunque, se non arrivassi alla fronte gliela spegnerei sul naso o sul mento.
- Così mi prenderebbe fuoco la barba! – osservò lui, scoppiando a ridere – Io amo la mia barba! Lei è davvero tremenda!
- Ha cominciato Lei a provocarmi! – protestò stizzita la sedicenne – Mi tratta da stupida soltanto perché appartengo ad un ceto sociale più alto del suo. E probabilmente anche perché sono inglese.
Mr Dublino riprese fiato: - Ammetto che questa combinazione non è una delle mie preferite.
- Lei ha pregiudizi.
- E Lei no? Non crede forse che noi di Terza Classe siamo tutti rozzi, sporchi e pieni di pidocchi?
Lily si zittì, mordendosi nervosamente la lingua. I pregiudizi di quel ragazzo sulla gente ricca la infastidivano, ma mai prima d’ora si era posta il problema che ad altri potessero dare fastidio i suoi pregiudizi. Le era sempre stato facile associare una persona di basso rango ad aggettivi come “sporca”, “rozza”, “ignorante”…
Quell’irlandese era abbastanza irritante, ma, riflettendoci, non le dava affatto l’idea di essere sporco, né tantomeno ignorante.
Aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma una voce famigliare la costrinse a ricacciare le parole indietro e voltarsi. Zio Eric la stava raggiungendo con passo salterino.
- Ehi, Principessa! Quasi stentavo a credere alle parole di Rose, sei davvero scesa nella bolgia infernale? – strizzò l’occhio a Mr Dublino, che gli rispose con un sorriso complice – Dov’è tua sorella? Jamie Richardson sta per esibirsi col violino, accompagnato al pianoforte da Sean Grimm!
C’era un qualcosa di strano nella sua voce e nel suo atteggiamento: l’entusiasmo era decisamente eccessivo, anche per uno come lui.
- Credo che Violet preferisca restare qui per un po’ – rispose dubbiosa la ragazzina – Però io assisterò volentieri all’esibizione. Beh, arrivederci, signor Dublino, grazie per avermi accompagnata fin qui.
- Si figuri – replicò l’irlandese, aspirando l’ennesima boccata dalla propria sigaretta.
Lily afferrò il braccio dello zio e salì rapidamente le scale. Si insospettì leggermente quando udì una specie di tonfo sordo, tipico di un oggetto che cade sul pavimento, ma per un’astrusa ragione non ci fece caso, proseguendo a falcate. Qualche istante dopo le parve anche di udire la voce di Mr Dublino che la chiamava, ma ormai aveva raggiunto il ponte principale di Seconda Classe.
Quando lei e zio Eric giunsero destinazione si sentì leggermente stordita.
Suo padre aveva preso posto accanto ai Volkov, ben lontano da Ruth Dewitt Bukater. Lily si guardò attorno rapidamente, constatando con amarezza che Rose non si trovava lì.
- Ben arrivata, tesoro – le disse il professor Sandler, facendola accomodare accanto a sé – Tua sorella ha dato buca?
La sedicenne annuì, gettando una rapida occhiata alla propria sinistra: vicino a lei c’era la domestica dei Volkov, nel posto successivo sedeva l’affascinante Lukas e, proseguendo con ordine, Lily riuscì a scorgere i genitori di lui, le due sorelle grandi ed il marito della prima.
La piccola Nika si trovava in braccio a Charles Fitzherbert, il quale aveva occupato le sedie davanti a quelle dei Sandler insieme a due biondine, una sui trent’anni col volto in parte celato da una veletta, l’altra molto più giovane e vestita di bianco.
In mezzo al grande salone, proprio al centro del semicerchio creato dalle multiple file delle sedie, Jamie Richardson stanziava in piedi e immobile, quasi paralizzato. Stringeva nervosamente tra le mani l’impugnatura del violino e l’archetto e, di tanto in tanto, gettava occhiate nervose al pianista che l’avrebbe accompagnato.
- Il ragazzino se la sta facendo sotto – sibilò una voce fredda proveniente dalla fila posteriore – Potrei scoppiare a ridere se sbagliasse qualche accordo.
Lily si voltò in simultanea con Lukas Volkov e la sua cameriera: a parlare era stata la tipa inquietante che aveva visto discutere il giorno prima con la domestica dei Browning, Lady Mildred Qualcosa.
- Io l’ho ascoltato proprio ieri – replicò il Principe con flemma – Credo che quel ragazzo abbia talento.
- Il talento non basta se ci si lascia sopraffare dal terrore. Sono certa che anche Lei commetterebbe degli errori nelle attività che preferisce se l’ansia avesse la meglio, mio caro zar. Ma probabilmente nessuno glielo farebbe notare, Lei ha l’aria di uno di quei bambocci viziati che vengono applauditi da parenti e servitù anche quando scoreggiano.
Lukas e la giovane governante (che doveva chiamarsi Larisa o qualcosa del genere) si scambiarono un’occhiata eloquente, volgendosi poi in contemporanea verso l’interlocutrice. Pur non essendo certa di comprenderne il motivo, Lily ebbe la sensazione di stare per assistere ad uno scontro tra titani.
Scontro che però non ebbe luogo in quel momento, poiché Sean Grimm cominciò a suonare la Quarantesima Sinfonia di Mozart. Jamie ebbe un attimo di titubanza e volse lo sguardo verso Missy, Shannon ed il Sergente Peters, seduti tutti e tre in prima fila.  Chiuse quindi gli occhi ed inspirò a fondo, poi si unì alla melodia del pianoforte, accarezzando in modo dolce ma deciso le corde del violino con l’archetto.
Non sbagliò gli accordi, contrariamente alla previsione di Lady Newell, e riuscì a trasmettere con facilità il proprio amore per la musica, pur essendoci un velo di struggente malinconia nelle sue note, anche durante i motivetti più allegri.
Ad un certo punto, zio Eric si alzò in piedi, raggiunse il centro della sala, afferrò la mano della cameriera maldestra che passava di là per caso e cominciò a danzare con lei. In poco tempo, buona parte dei passeggeri decise di seguire il suo esempio: le due amiche di Sean Grimm, Charles Fitzherbert con la piccola Nika, Missy con Duncan Peters, il professor Sandler con Molly Brown (agguantata velocemente prima che Ruth potesse avvicinarsi)… perfino Lukas Volkov, dopo aver gettato un’occhiata trionfante a Lady Newell, prese la mano di Larisa e cominciò a volteggiare con lei.
Lily si ritirò in disparte, non se la sentiva in quel momento di lasciarsi coinvolgere nelle danze. Istintivamente portò una mano al collo, cercando il ciondolo della nonna, ma un’orrenda sensazione di gelo la pervase non appena le sue dita entrarono in contatto con la pelle nuda. Il ciondolo non c’era!
“Maledizione!” pensò, uscendo a falcate dalla sala “Ecco cosa mi è caduto in Terza Classe! Perchè diamine non mi sono fermata a controllare?”
Scese fino alla “bolgia infernale” per la terza volta da quando aveva messo piede sulla nave, pregando ardentemente che qualche sempliciotto non avesse deciso di intascare il suo prezioso possedimento.
Un’improvvisa ed inaspettata ondata di sollievo la colse quando vide Mr Dublino appoggiato al parapetto, lo sguardo volto all’orizzonte. Si era acceso un’altra stramaledettissima sigaretta.
Quando si accorse di lei, un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra.
- Ehm… - cominciò Lily leggermente imbarazzata – Io credo di aver perso qui…
- … la collana col ciondolo – finì lui, tirando fuori dalla tasca della giacca il gioiello perduto – Mi domandavo quanto ci avrebbe messo ad accorgersene, Miss Londra. Sarei venuto a portagliela di persona, ma sa, agli straccioni non è permesso salire in Prima Classe, quindi l’ho aspettata qui.
- E’ stato gentile… - mormorò la sedicenne, voltandosi e sollevando le ciocche di capelli che le cadevano lungo la schiena – Dovrei chiederLe un altro favore, visto che ci siamo… potrebbe aiutarmi ad allacciarla?
Il ragazzo afferrò con cautela le estremità della catenina, cominciando ad armeggiare con fare un po’ indeciso: - Mi perdoni se non sono molto rapido in questo, ho le mani da operaio… dita grosse e poco delicate… in fabbrica ho sempre svolto lavori pesanti… ok, fatto.
-La ringrazio ancora.
Lily volse di nuovo lo sguardo verso di lui, abbozzando un sorrisetto: - Lavori pesanti? E’ per questo che è così robusto, immagino…
- Immagino anch’io.
- Comunque, seppur mi costi ammetterlo, mi ha già fatto tre favori da quando ci siamo incontrati: ha salvato Theo, ha conservato la mia collana e mi ha aiutata ad allacciarla…
- Quattro – la corresse l’irlandese – L’ho accompagnata fino alle scale quando ha dato di matto per via del topo… e se non sbaglio l’ho anche tenuta sulle ginocchia per poco tempo…
- Ma quello non conta! – esclamò la ragazzina, senza trattenere un sorriso.
- Conta eccome! – replicò lui ridacchiando – Avrebbe mai pensato di sentirsi in debito con un plebeo, Miss Londra?
- E Lei avrebbe mai pensato di fare dei favori a una nobiliastra inglese?
- Ammetto che un'idea simile non è mai rientrata nei miei piani, prima d'ora.
Si osservarono per qualche secondo, sorridendo, poi la sedicenne diede una piccola alzata di spalle: - Forse potremmo smettere di chiamarci Mr Dublino e Miss Londra, suppongo. Solo che non ricordo il Suo nome…
- Thomas Ryan – rispose lui, tendendo la grossa mano – Però tutti mi chiamano Tommy.
- Lily Danielle Sandler – disse lei, facendo combaciare i palmi e assumendo un’espressione furba  – Però tutti mi chiamano Vostra Altezza.




***
Angolo delle Autrici: Bene, ecco a voi il nuovo capitolo!
Ovviamente speriamo vi sia piaciuto e che l’attesa sia valsa la pena. E’ stato un po’ un parto scrivere perché tra una cosa e l’altra c’erano sempre delle interruzioni.
Come al solito, avviso che per la parlata in Svedese mi sono affidata a Google Translate, che non è il massimo dell’affidabilità, perciò non stupitevi se ci saranno degli errori.
Con questo capitolo abbiamo finalmente letto tutti i POV dei personaggi prenotati. Anche stavolta ho cercato di inserire ognuno di loro in almeno due atti ed ho cercato di bilanciare le “presenze” rispetto al capitolo precedente.
Nel prossimo naturalmentre ci saranno di nuovo cinque POV oltre a quello di Lily.
Grazie mille per aver letto, alla prossima!
Tinkerbell e Phoebe. 

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