Lily Sandler's Memories di Phoebebell (/viewuser.php?uid=563352)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'inizio del viaggio ***
Capitolo 3: *** 11 Aprile: gatti fuggiaschi e balli di coppia ***
Capitolo 4: *** Duetto musicale ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
LILY
SANDLER’S MEMORIES
- TITANIC: DAL SOGNO ALL’INCUBO -
“La
Nave dei Sogni” aveva annunciato entusiasta
suo padre due settimane prima, mentre un elegante biglietto faceva
capolino dall’interno del pacco regalo “E’
così che la chiamano. Sarà una vacanza
memorabile, Principessa.”
Lily ricordava di aver
sorriso, lasciandosi contagiare dall’euforia paterna: era da
tempo che desiderava fare un viaggio in America, visitando le
città che fino ad allora aveva conosciuto soltanto tramite i
racconti dei parenti o della sua amica Rose.
L’aria
salmastra non risultava molto gradita alle delicate narici di Miss
Sandler, tuttavia, l’emozione per l’imminente
partenza riusciva in qualche modo ad alleviarle i vari fastidi. Sarebbe
stata persino pronta a sopportare nel modo più stoico
possibile il mal di mare che l’avrebbe sicuramente
perseguitata durante la navigazione.
Permise allo zio Eric,
un uomo alto e attraente sulla quarantina, di aprirle la portiera
dell’auto parcheggiata in quello che era – a detta
dell’autista - un punto strategico del porto di Southampton
e, facendo il possibile per restare in equilibrio sui tacchi sottili
degli stivaletti, cominciò ad osservarsi intorno con fare
impettito.
Di media altezza,
dotata di forme piacevoli, Lily era avvolta in un elegante completo
color rosa antico, cucito secondo la moda londinese del momento. I
capelli castani erano raccolti in un’elaborata acconciatura
celata parzialmente dal capellino abbinato al vestito, mentre gli occhi
dalle iridi nocciola, unica caratteristica fisica ereditata dal padre,
brillavano per l’emozione da dietro le lunghe ciglia.
Di sicuro, lei, figlia
del noto professore universitario Andrew Sandler, non aveva nulla da
invidiare alle donne aristocratiche che in quel momento le passavano
accanto, sole o aggrappate al braccio di qualche gentiluomo.
Un vanesio pensiero
attraversò la mente di Miss Sandler, che nascose un risolino
dietro la mano guantata: “A
sedici anni non erano sicuramente belle ed eleganti come sono io
adesso”.
Trasalì
quando qualcuno la destò dai propri pensieri con una
sgraziatissima manata sulla spalla. Non si sorprese, tuttavia,
nell’udire la voce calda ma leggermente nasale di sua sorella
Violet giungere con prepotenza ai suoi timpani.
- Cos’hai da
ridere, Principessa? La fatina del cervello ti ha suggerito una battuta
divertente? In tal caso voglio saperla anch’io.
- Piantala –
ordinò Lily, scostandosi con fare altezzoso – Non
stavo affatto ridendo.
- No, certo,
perché tu non ridi mai. Ridere è una cosa da
poveri – ironizzò la maggiore, gettando poi
un’occhiata alle proprie spalle – Papà
ha detto che possiamo andare in avanscoperta mentre lui e zio Eric si
organizzano con i bagagli.
Lily finse di ignorare
la battutaccia della sorella riguardo al ridere e, dandosi un certo
contegno, cominciò a camminare con lei in direzione del molo.
Nessuno, vedendo le
signorine Sandler fianco a fianco, avrebbe pensato che fossero sorelle:
Violet era alta, bionda e slanciata, una sorta di copia al femminile
del padre, fatta eccezione per il colore turchino delle iridi,
ereditato dalla madre. Era abbigliata con un moderno ma comodo abito
azzurro, che si chiudeva sul davanti con una fila di piccoli bottoni,
e, a differenza della sorella, indossava stivaletti dal tacco molto
basso.
- Non vedo
l’ora di salpare – disse la mora, nascondendo
invano l’eccitazione – Vorrei vedere le nostre
cabine in questo preciso momento! E, al contempo, non vedo
l’ora di giungere a destinazione! Secondo te come
sarà l’America?
- Io so che ci
sarà da divertirsi – rispose Violet, impedendo ad
una folata di vento di portarle via il capello color crema –
Pensa un po’, zio Eric ha promesso di portarmi ad una partita
dei New York Highlanders! Non sto più nella pelle,
sarà il primo match di baseball oltreoceano a cui
assisterò!
- Magnifico
– commentò Lily con poca convinzione - Sport,
sempre sport. Stai diventando ripetitiva, Viv.
- Ehi, tu hai le tue
fisse con l’Arte e roba simile, Principessa, io ho le mie
– replicò Violet senza scomporsi, fermandosi
dinnanzi ad un’imponente struttura navale – Ebbene,
eccoci qua: che te ne pare del tanto decantato Titanic?
-
Dov’è? – domandò
l’altra, ignorando bellamente il colosso che le si parava di
fronte – A sinistra o a destra della petroliera?
La bionda
aggrottò un attimo la fronte, confusa, poi
soffocò a stento una risata: - Ehm… no, tesoro.
Il Titanic è proprio la “petroliera”.
L’entusiasmo
che aveva animato la mattinata della giovane Sandler si spense
all’improvviso, come la fiamma di una candela ormai consunta.
Lily sgranò
gli occhi sbigottita, la sua bocca si dischiuse automaticamente in una
O di palese stupore misto a perplessità.
Quando suo padre le
aveva parlato della “Nave dei Sogni”, nella sua
mente si era immediatamente formata l’immagine di un elegante
transatlantico dalle forme aggraziate e dai colori tenui e delicati. Un
mezzo di trasporto adatto ad una principessa.
Doveva esserci
senz’altro un errore, quella specie di gigante dalla forma
squadrata e tinto quasi interamente di nero non poteva essere sul serio
l’ormai arcinoto Titanic.
- Guarda che
così fai entrare le mosche.
La voce di Violet
richiamò la sognatrice delusa alla realtà,
portandola a serrare di scatto le mandibole con un brivido di disgusto
al pensiero di una mosca svolazzante all’interno della
propria cavità orale.
Per un attimo, Lily fu
tentata di fare dietrofront e rinchiudersi in auto, ma si
bloccò non appena vide il padre raggiungerla con aria
raggiante, la gabbietta del loro micetto Theo ben stretta tra le mani.
Nonostante il
caratteraccio poco affabile, Lily non sarebbe mai stata capace di
deludere l’amato genitore, così si
sforzò di rispondere al sorriso, fingendo di non aver perso
l’entusiasmo di pochi minuti prima.
- Tutti pronti?
– domandò il professor Sandler, cercando di
impedire agli occhiali da vista di cadere tramite buffi movimenti del
naso – L’America ci aspetta!
- Tenete ben strette
le giarrettiere, ragazze, così potrete sventolarle dal ponte
quando saremo a New York! – scherzò lo zio Eric,
strappando una risata a Violet ed un sibilo scandalizzato a Lily.
La famigliola si
incamminò quindi in direzione del pontile
d’imbarco, accompagnata dal gran vociare della folla
circostante unito al fruscio delle onde e allo stridio dei gabbiani.
Nel momento in cui
raggiunsero gli altri passeggeri di Prima Classe che attendevano il
proprio turno di salire a bordo, Lily portò istintivamente
la mano destra all’altezza del petto, sfiorando con le dita
il ciondolo d’oro recentemente ereditato dalla nonna paterna.
Il contatto
durò meno di un secondo: stranita dalla propria reazione, la
sedicenne lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.
In risposta, il
ciondolo rifletté la luce solare con un sinistro bagliore.
***
Angolo
dell’autrice: Eccomi qua con il prologo della mia prima
storia pubblicata sul fandom di Titanic.
Sono
Tinkerbell92 ma sto usando il profilo condiviso con la mia amica
PiccolaPhoebe perché alla fin fine è insieme a
lei che ho progettato i personaggi di questa storia qualche anno fa,
durante le ore di lezione. Sì, siamo delle studentesse
modello.
Comunque,
Lily Sandler è la protagonista della nostra storia. Suppongo
che in questo momento la troviate simpatica come un mazzo di ortica
nelle mutande e non vi do torto.
Lily
non è simpatica, per niente. E’ una ragazza ricca
e viziata che non sa praticamente nulla delle difficoltà
della vita, vive nel suo mondo fatato di principesse e unicorni e pensa
che tutto le sia dovuto, che tutto sia facile.
Ma
allora, perché raccontare la storia di un personaggio del
genere? Ebbene, sappiamo che il Titanic è la storia di una
tragedia, ma anche di un viaggio. E quello che vi racconterò
riguarderà anche il “viaggio interiore”
che compirà la nostra protagonista.
Perché
ho un debole per i personaggi che affrontano un percorso di crescita
personale durante la loro storia.
Un’altra
cosa che bisogna sapere è che questa è anche una
storia interattiva: per arricchire il racconto muoverò i
personaggi che mi sono stati affidati da altri scrittori.
Ci
tengo a precisare due cose:
1.
Le interattive non sono vietate in questo sito, basta che seguano il
regolamento scritto dalle amministratrici a riguardo.
2.
Scrivere una storia interattiva non significa “non ho voglia
di inventare personaggi, lo faccio fare agli altri per me”.
Da due anni faccio parte di un gruppo Facebook di autori, dove
è sempre un piacere “affidare” i propri
personaggi ad altri per vederli muovere da una “mano
esterna”. Non è mancanza d’ispirazione
dello scrittore, quanto più un piacere del creatore del
personaggio e futuro lettore.
Pertanto,
chiunque abbia qualcosa contro le interattive, è pregato di
abbandonare all’istante questa storia. Non
tollererò proteste di alcun genere riguardo
all’argomento.
Bene,
ora posso smettere con l’atteggiamento da dura.
Ho
messo come scadenza per le schede dei personaggi il 5 Ottobre,
perciò non penso di pubblicare presto il primo capitolo.
Comunque non disperate che prima o poi qualcosa arriverà.
Grazie
per aver letto, alla prossima!
Tinkerbell92
e PiccolaPhoebe
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Capitolo 2 *** L'inizio del viaggio ***
(grazie a Pandamito per il banner)
ATTO
I – POV Lily
La parte esterna del Titanic non aveva soddisfatto le aspettative della
secondogenita del professor Sandler, tuttavia, la raffinatezza gli
interni di Prima Classe riuscì a strapparle un sorriso.
La famigliola affidò i bagagli alle cameriere,
dopodiché si diressero tutti al Ponte A per assistere alla
partenza: il professor Sandler e zio Eric si fermarono a chiacchierare
con alcuni conoscenti, mentre le due ragazze si avviarono a passo
spedito verso il parapetto.
Una folta chioma rossa, raccolta in un’ordinata acconciatura,
attirò immediatamente la loro attenzione: la proprietaria di
quella meravigliosa capigliatura era una ragazza di media altezza, le
cui piacevoli forme arano avvolte da un elegante abito bianco e blu.
- Rose! – esclamò Lily, abbandonando il solito
contegno da principessa snob e raggiungendo di corsa
l’amica.
Rose Dewitt Bukateer si voltò sorpresa, giusto in tempo per
ricambiare l’abbraccio della Sandler più giovane:
- Ragazze! Mi stavo giusto chiedendo quanto tempo avremmo impiegato per
incontrarci!
- Beh, la nave sarà pure enorme, ma penso che, durante il
tragitto da qui a New York, sicuramente a furia di girare in tondo ci
saremmo ritrovate almeno una volta – scherzò
Violet, abbracciando la diciassettenne – La tua allegra
famigliola bazzica da queste parti oppure si è rintanata in
salone per non respirare la stessa aria degli altri immondi nobiliastri?
Lily pestò con forza il piede della bionda, ma Rose non
sembrò prendersela per il commento: - Non lo so –
rispose – alla prima occasione mi sono allontanata con una
scusa. Cal cominciava ad asfissiarmi.
In quell’istante, la Sandler minore si sentì
tremendamente in colpa: l’aver storto il naso per
l’aspetto della nave le sembrò improvvisamente un
gesto egoista e infantile, specialmente se paragonato al disagio che
stava vivendo in quei giorni la sua migliore amica.
“Zio” Richard Dewitt Bukateer, amico di vecchia
data del professor Sandler, si era suicidato l’anno prima,
lasciando la famiglia sommersa dai debiti, così Rose era
stata promessa in sposa al facoltoso quanto insopportabile Caldeon
“Cal” Hockley. Lily aveva conosciuto Cal qualche
settimana prima ed era uscita da quell’incontro alquanto
disgustata: il futuro marito di Rose era un trentenne egocentrico e
maschilista, visibilmente convinto di essere Dio sceso in Terra.
Un vero idiota, senza dubbio, ma un idiota ricco, il che era
ciò che più importava alla vedova di zio Dewitt
Bukateer.
- Che ne pensate della nave? - domandò la rossa, ignorando
l'occhiata insistente di un ragazzo elegantemente vestito.
- A me non dispiace - rispose allegramente Violet, attorcigliando
attorno al dito indice una ciocca dei capelli castani della sorella -
E' Lily che, come al solito, ha qualcosa da ridire...
- Non mi piace molto la forma e credo sia troppo grande – si
giustificò l’altra, rifilando
un’occhiataccia alla maggiore.
Rose sorrise piuttosto svogliatamente, abbassando lo sguardo: - Ad
essere sincera, nemmeno a me sembra un granché. Insomma,
è sempre la solita storia: posti lussuosi pieni di gente
snob, aristocratici che ti guardano dall'alto al basso, come se
attendessero impazienti un tuo minimo errore… tutti
pretendono da te un particolare atteggiamento, quasi fossi una loro
marionetta...
Si interruppe, rendendosi conto di aver parlato un po' troppo, ma
Violet si intromise circondandole le spalle con un braccio: - Che vuoi
farci, è questo il prezzo che si paga stando nell'alta
società! Io credo che dovremmo infischiarcene di
ciò che pensano gli altri.
- La fai sempre facile, tu – borbottò Lily
voltandosi, rischiando di scontrarsi con la madre di Rose, che in quel
momento giungeva dalla direzione opposta.
- Oh, scusami, Ruth... – balbettò la sedicenne,
indietreggiando di un passo. La donna rispose con un sorriso
molto forzato: - Dovresti tenere la testa alta quando cammini, Lily
– osservò, senza accennare il minimo saluto
- Sei un'aristocratica, non una volgare
contadinella!
La ragazza, stizzita, si morse la lingua per non replicare, per nulla
abituata a ricevere dei rimproveri, ed inorridì non appena
notò che la rossa era fastidiosamente avvinghiata al braccio
di suo padre, il quale lanciava occhiate disperate qua e là.
Zio Eric finse di soffiarsi il naso per celare le risa.
Approfittando dell’attimo di silenzio che si era appena
creato, Cal Hockley, si fece avanti con aria melliflua, afferrando la
mano della fidanzata. I suoi capelli neri, notò Lily con
disgusto, erano pomposamente impomatati, al punto da sembrare unti.
- Ti stavamo cercando, Zuccherino – disse,
sorridendo viscidamente - Perché sei scappata via subito? Il
professor Sandler ci stava deliziando con alcune sue interessanti
teorie sulla Lettura
Anglico-Americana fino a poco fa...
- Letteratura Anglo-Americana - lo corresse il signor Sandler, cercando
con nonchalance di liberarsi dalla morsa di Ruth.
Cal fece finta di non averlo sentito e fissò Rose con fare
mieloso. Lei alzò gli occhi al cielo, si morse le labbra,
ed, infine, borbottò semplicemente: - Scusami, Cal. La
prossima volta avviserò, prima di allontanarmi.
Ruth lanciò uno sguardo adorante alla coppia, come se
sentisse già risuonare nella propria testa il motivetto
della loro marcia nuziale, poi domandò ingenuamente alle
sorelle Sandler: - Volete unirvi a noi, ragazze? Pensavamo di assistere
alla partenza da una postazione migliore...
ATTO
II – POV Joelle
- Partenza con un’ora di ritardo. Questo viaggio comincia
proprio bene.
Joelle Grace Conn, domestica e sarta diciannovenne, abbozzò
un sorriso alla vista del volto imbronciato della padroncina Emily, che
non aveva smesso un solo istante di brontolare da quando la famiglia
Browning aveva messo piede sulla nave.
John Browning posò gentilmente la mano sulle spalla della
primogenita, tentando invano di calmarla: - Abbiamo sfiorato un
incidente, tesoro –spiegò, riferendosi al rischio
corso poco prima dalla piccola nave New York, quasi
risucchiata dal Titanic durante la partenza – Sono sicuro che
tra poco salperemo.
- Come no – ribatté l’altra, incrociando
le braccia.
Joelle, che conosceva Emily meglio di chiunque altro, sapeva bene che
il suo malumore non derivava realmente dal tempo di attesa: la
famigliola (composta da padre, madre e tre figli) si sarebbe recata in
America per assistere al matrimonio di una parente e, con
l’occasione, la figlia maggiore, ormai quindicenne, sarebbe
stata introdotta nel mondo dell’alta società. Per
una ragazzina solitaria e scorbutica come Em la prospettiva non era di
certo allettante, tanto più se ad essa si abbinava il
sospetto che i genitori fossero intenzionati a trovarle un marito.
- Fino a ieri non volevi partire, adesso hai cambiato idea? –
scherzò la giovane domestica – Abbiamo portato
sulla nave un’altra Emily? Magari una Emily che non guarda le
persone come se volesse prenderle a pugni?
I signori Browning ed i loro figli più piccoli, Jane di
dodici anni e Anthony di sette, si lasciarono sfuggire una risatina, ed
anche Emily, seppur cercasse di ostentare irritazione, non
poté nascondere un sorriso.
Proprio in quel momento, la nave cominciò a muoversi
lentamente, mentre i passeggeri radunati sul ponte emettevano borbottii
eccitati.
- Vuoi provare ad avvicinarti al parapetto per far assistere anche i
tuoi piccoli alla partenza, cara? – domandò la
signora Browning, riferendosi a Gabriel e Cerìse, i due
gemellini che Joelle aveva partorito l’anno prima –
Potranno vantarsene quando saranno più grandi.
- Oh… certamente, grazie signora – rispose
entusiasta la diciannovenne, prendendo in braccio il maschietto, mentre
Emily si occupava della bimba – Loro padre, il mio povero
Michael… avrebbe sicuramente apprezzato tantissimo
quest’idea.
Mrs Browning si portò una mano al cuore, sospirando
tristemente. La storia di quella povera creatura, rimasta vedova
così presto, mentre portava in grembo due bambini, riusciva
ad impietosirla ogni volta che ci pensava. Persino suo marito si
commuoveva non appena Joelle nominava l’amato coniuge
scomparso.
Con un braccio, la domestica sistemò meglio il piccolo
Gabriel contro il proprio petto, mentre con la mano libera afferrava
quella di Anthony Browning, poi cominciò a muoversi
cautamente tra la folla, raggiungendo finalmente il parapetto. Emily e
Jane la affiancarono quasi subito.
Il vento accarezzò il volto lentigginoso di Joelle,
scompigliandole i capelli, mentre il Titanic scivolava sulla superficie
del mare, prima lentamente, poi acquisendo man mano
velocità.
I volti della gente che salutava dal molo erano pressoché
indistinguibili dall’alto del ponte di Prima Classe, ma la
ragazza allargò comunque le labbra in un radioso sorriso,
salutando chiunque a gran voce. Anthony e Jane la imitarono con
entusiasmo, sporgendosi addirittura dal parapetto e agitando le braccia
fino a quando la nave non lasciò il porto, avviandosi verso
il mare aperto.
- Per me questo è l’inizio di
un’incredibile avventura- commentò la giovane
domestica – Voglio dire, avrò
l’occasione di osservare da vicino la moda americana del
momento! Ci sarà qualche stilista famoso tra gli
invitati al matrimonio, no? E poi, se non sbaglio, mi hai detto che
sulla nave c’è anche Lucy Duff Gordon! Sarebbe
così bello poter anche solo ammirare il suo stile da
lontano…
- Sono contenta che almeno tu sia così entusiasta, Jo
– commentò la maggiore dei fratelli Browning,
venendo però interrotta dalla sorella.
- Guarda che tu sei l’unica a brontolare, Em, come al solito
– osservò Jane, ignorando l’occhiataccia
da parte dell’altra – Non ti va mai bene niente.
- Non litigate in pubblico – s’intromise
prontamente Joelle – Ricordatevi che la gente che vi circonda
ha l’abitudine di storcere il naso per molto meno.
Emily borbottò qualcosa tra sé riguardo al naso
storto dei passeggeri di Prima Classe e al posto in cui potevano
ficcarselo, ma evitò di prolungare la discussione.
La domestica si lasciò sfuggire un sorriso, poi volse lo
sguardo verso l’orizzonte: sì, non vedeva
l’ora di giungere a New York. Lì avrebbe
sicuramente avuto grandi possibilità di conoscere
celebrità della moda, di osservare da vicino i capolavori di
sartoria d’oltremare.
E chissà, magari ottenere delle informazioni riguardo suo
fratello, fuggito in America anni prima e da allora mai più
rivisto…
ATTO
III – POV Joanne
Sarebbe stato molto più saggio attendere che Sean terminasse
di sistemare i bagagli in cabina, tuttavia la curiosità era
troppo forte e Joanne Chloé Martinez non vedeva
l’ora di esplorare ogni singolo angolo della gigantesca nave.
Probabilmente non aveva ancora smaltito l’adrenalina
provocata dall’incredibile catena di eventi avvenuta poco
prima: la fuga da casa, il denaro insufficiente per
l’acquisto del biglietto, il fortuito incontro con Sean e il
miracoloso imbarco clandestino.
Non che imbrogliare l’innocente controllore le avesse fatto
piacere, ma era più che certa che, se egli fosse stato al
corrente della sua situazione, avrebbe per lo meno riflettuto due
secondi, prima di farla tornare sui propri passi.
Il clima cupo e solitario della grande Villa Martinez, le asfissianti
pretese dei genitori che si ricordavano di avere una figlia soltanto
quando dovevano imporle qualcosa, il rischio di vedere il proprio sogno
svanire…
Joanne si scosse dai propri pensieri con una brusca scrollata di
spalle: no, non doveva rovinarsi il viaggio pensando ai due despoti che
l’avevano messa al mondo: aveva ventinove anni, un grande
amico su cui poter sempre contare ed un brillante futuro da scrittrice
davanti a sé. Le rigide regole, le imposizioni e le
punizioni ingiuste facevano parte del passato.
Calò la veletta in pizzo del cappello sul proprio sguardo,
sicura che l’avrebbe aiutata a non attirare
l’attenzione, e cominciò l’esplorazione
scendendo al ponte di Terza Classe.
Si fermò un istante per aiutare una giovane cameriera che
aveva appena rovesciato un’intera pila di asciugamani,
dopodiché attraversò i corridoi delle cabine per
uscire finalmente all’aria aperta.
Non le dispiacque trovarsi circondata da gente semplice, poveramente
vestita. Osservò con attenzione i loro atteggiamenti, gli
sguardi, il modo di conversare, con lo scopo di annotare tutto quanto
nel proprio quadernetto la sera stessa. Ogni minimo dettagli avrebbe
potuto fornire degli spunti per nuovi personaggi o intrecci di trame.
Di tanto in tanto, i passeggeri squadravano con una rapida occhiata
incuriosita quella signorina bionda ben vestita, ma tornavano quasi
immediatamente alle proprie occupazioni.
“Tornerò
sicuramente qui più di qualche volta”
pensò sorridendo “Hanno
tutti l’aria così gentile e rilassata…
e c’è un bel clima accogliente e famigliare, quasi
mi sembra…”
- Ursäkta mig,
ung dam.
Joanne si rese conto appena in tempo di essere in procinto di
scontrarsi con un ragazzo alto e robusto dai capelli castani, poco meno
che trentenne. Parlava in lingua svedese ma, fortunatamente, la bionda
non fu colta impreparata: tra le attività a cui i suoi
genitori l’avevano costretta rientrava lo studio di diverse
lingue, tra le quali lo svedese.
Comprese che il giovane si era appena scusato con lei, così
sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e replicò:
- Det är mitt
fel. Jag ser inte där jag tänkte.
Il moro sembrò colpito sentendosi rispondere nel proprio
idioma, così ricambiò il sorriso e tese la
robusta mano da lavoratore: - Olaus.
- Joanne – rispose prontamente lei, stringendola.
Lo svedese sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si
interruppe non appena un ragazzo italiano dai capelli scuri gli
assestò da dietro un’amichevole pacca sulla spalla.
- Ehi amico! Ancora non ho capito come ti chiami e non capisco un
accidenti della tua lingua, ma credo che tuo fratello ti stia cercando.
A meno che non abbia perso il cane, ma non mi pare voi abbiate un cane,
giusto?
- Fabrizio – s’intromise un biondino smilzo
dall’accento americano – Come tu non capisci la sua
lingua, lui non capisce la tua... che tra l’altro a volte
faccio io stesso fatica a comprendere, visto che sembra uno strano
miscuglio tra italiano e inglese...
- Quante storie, Jack! – protestò
l’altro – E come pensi dovrei parlare con questo
qui? A gesti? Oppure tu potresti fargli un disegno, sapresti disegnare
suo fratello con la faccia da ”sto cercando qualcuno o
qualcosa”?
- Oppure – fece eco Joanne – Potreste domandare
all’interprete che avete davanti di riferire ad Olaus il
vostro messaggio.
Il ragazzo di nome Fabrizio sembrò illuminarsi non appena si
accorse della sua presenza: - Ma come ho fatto a non notarVi prima?
Perdonatemi, incantevole signorina – disse galantemente,
inchinandosi e baciandole la mano – Fabrizio De Rossi, al
Vostro servizio.
- Lei è la terza con cui ci provi da quando siamo saliti
sulla nave – rise il suo compagno americano, rivolgendo poi
un bel sorriso alla bionda – Jack Dawson, piacere.
- Joanne Martinez – rispose lei, trattenendo a fatica una
risatina per i modi buffi dell’italiano – Volete
che traduca il vostro messaggio?
Alla risposta affermativa dei due, Joanne riferì ad Olaus
quanto stato detto. Lo svedese ringraziò distrattamente i
compagni di stanza, salutò Joanne sorridendo (quasi un
po’ timidamente) e poi si avviò di corsa in
direzione delle cabine.
- Allora – riprese Fabrizio, con aria da seduttore
– Come mai una signorina elegantemente abbigliata bazzica per
i quartieri dei poveracci?
Jack lo colpì con una leggere gomitata, ma la ventinovenne
non si mostrò infastidita dalla domanda: - Alloggio in
Seconda Classe, ma volevo fare un giro. Mi piace esplorare posti nuovi.
- Beh, puoi fare un giro con noi – propose il moro,
offrendole il braccio ed ignorando il proprio compagno, intento a
scuotere la testa – Anche noi adoriamo esplorare.
Joanne scoppiò a ridere, afferrò il braccio
dell’italiano e rispose: - D’accordo, accetto
volentieri.
ATTO IV – POV Charles
Più il tempo passava, più Charles Leonard
Fitzherbert si domandava cosa sua sorella ci trovasse
nell’elegantone babbeo che aveva sposato.
“Chissà
cosa la attira di più”
pensò ironico, varcando la soglia della propria cabina di
Seconda Classe “La
faccia da idiota, la simpatia da sardina affumicata o il portamento da
mummia? Bah, si è pure fatta mettere incinta da quel
coso…”
Charles avrebbe potuto giurare solennemente di aver perlomeno provato a
socializzare con il cognato, per amore di Agnes, ma qualsiasi tentativo
di “spronarlo” ad uscire da quel guscio di
imbranataggine era miseramente fallito.
- Nemmeno le mie fantastiche filastrocche sconce hanno avuto successo
– borbottò accigliato – Magari, se Agnes
non mi avesse ordinato di smettere, avrei ottenuto qualcosa…
ma probabilmente no, quel tipo è un caso perso.
Avrebbe passato i mesi seguenti a stretto contatto con quel
“caso perso”, ma l’idea di poter vivere
finalmente il sogno americano gli faceva apparire la tediosa
prospettiva come un accettabile compromesso.
Christopher Nolan Thompson, membro dell’ambasciata americana,
aveva conosciuto Agnes Fitzherbert grazie al (o, a detta di
Charles, “per colpa del”) mandato che
l’aveva spedito a Londra qualche anno prima. Al termine del
periodo di trasferimento, il giovane aveva prenotato un viaggio in
Prima Classe insieme alla moglie per poterla (finalmente) presentare ai
genitori ancora ignari. Un terzo biglietto, di Seconda Classe, era
destinato al maggiore dei fratelli Fitzherbert, Robert, ma, grazie ad
una serie di circostanze (tra cui l’inattesa gravidanza della
sorella diciannovenne) e ad una brillante sequela di argomenti a
proprio favore, Charles era riuscito a convincere il fratello a
cedergli il posto.
In qualità di studente di Medicina (anche se non troppo
diligente) avrebbe potuto aiutare Agnes nei mesi di gestazione,
nonché restare con lei in America durante i primi anni di
maternità.
Un po’ gli era dispiaciuto dover piantare in asso i suoi
amici dell’università, in particolare Lloyd e
Bryan, ma il richiamo dell’America era troppo forte per
essere ignorato.
Una volta che ebbe sistemato i propri bagagli, sfilò gli
occhiali da vista, diede una rapida ravvivata ai propri capelli scuri
ed uscì con fare tronfio dalla cabina.
Non gli andava di re-incontrare subito Chris il Babbeo, così
scelse di fare una passeggiata sul ponte di Seconda Classe, tanto per
sondare un po’ il terreno, visto che avrebbe passato buona
parte della crociera in quella zona. Magari avrebbe fatto qualche
incontro interessante, “magari
qualcuno che apprezzi le mie filastrocche”,
pensò con una nota di puntiglio.
Era talmente impegnato a guardarsi attorno, mentre attraversava il
salone, da non accorgersi in tempo del giovane che giungeva dalla
direzione opposta con passo nevrotico. Una piccola imprecazione (che
però fu udita da buona parte dei presenti) sfuggì
dalle labbra del ventunenne, quando si ritrovò praticamente
l’altro passeggero in braccio.
- Amico, guarda dove vai – lo rimproverò,
ignorando bellamente il fatto di aver commesso la medesima imprudenza.
Quello balzò subito all’indietro, controllandosi
scrupolosamente le pieghe dell’elegante giacca.
Tirò quindi fuori una specie di spazzola dalla tasca destra
e corresse con fare meticoloso ogni singola imperfezione.
Charles aggrottò la fronte, leggermente spiazzato
dall’eccessiva pignoleria dello strano passeggero: dimostrava
circa una trentina d’anni, era molto magro e non raggiungeva
il metro e settanta. Aveva i capelli castani e le iridi tinte di
verdeazzurro, i baffi ben pettinati e gli zigomi affilati.
- Mi scusi – disse in tono gentile, non appena ebbe terminato
di sistemarsi – Sto cercando una mia amica, si è
allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non riesco a trovarla.
Per caso l’ha vista? E’ bionda, magra,
probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in
pizzo…
- No, mi dispiace, io sono appena uscito dalla mia stanza –
rispose Charles, ignorando i plateali gesti di una ragazza dalla parte
opposta del salone – Perché la sua amica gira con
una veletta nera? E’ forse in lutto?
L’interlocutore face un sorrisino di circostanza, ignorando
il commento sarcastico: - La ringrazio lo stesso, signor…
- Charles Leonard Fitzherbert - disse il ragazzo con un
piccolo ghigno – Ma tutti mi chiamano Charlie o Leo
o… beh, no, Lev è un lusso che concedo soltanto
alle signorine…
- Sean Emmett Grimm, molto piacere – tagliò corto
l’altro – Probabilmente mi vedrà al
piano in una di queste serate. Ma mi tolga una curiosità: la
signorina che si sta sbracciando in fondo alla sala ce l’ha
con Lei?
Charles provò a focalizzare la persona indicata dal pianista
e, osservando meglio i colori dell’abito, la riconobbe: -
Oh… è mia sorella. Con il suo permesso, signor
Grimm, temo sia mio dovere raggiungerla.
- Perché non indossa un paio di buoni occhiali da vista,
signor Fitzherbert? – osservò pragmatico il
maggiore – Se permette, la miopia può provocare
situazioni imbarazzanti…
Il ventunenne rispose con una semplice risatina: - Ah! Io mica sono
miope! – mentì, raggiungendo poi di corsa la
sorella minore.
ATTO V
– POV Lily
La lunga tavola, sontuosamente apparecchiata per la cena, era coperta
da una candida tovaglia di seta e circondata da almeno una trentina di
sedie.
- Si accomodi pure vicino a me, Lily.
Il volto sorridente di Lady Leslie concesse alla ragazza una piccola
distrazione dal tremendo senso di nausea che aveva incominciato a
tormentarla già poche ore dopo la partenza.
La contessa di Rothes era una bella donna poco oltre la trentina, dai
lucidi capelli castani e gli occhi neri simili a pozzi profondi. Aveva
un bel modo di fare e Lily sedette accanto a lei senza esitazioni,
invitando il padre ad occupare la sedia accanto alla propria.
Dentro di sé, Andrew Sandler tirò un sospiro di
sollievo, ben felice di staccarsi dai tentacoli di Ruth.
Zio Eric e Violet si sedettero di fronte ai familiari, così
come Rose, Cal ed i Richardson, una delle famiglie più
facoltose all’interno della nave.
- Le sue figlie sono cresciute moltissimo dall’ultima volta
che ci incontrammo, Andrew – affermò Ann Elizabeth
Isham, un’elegante cinquantenne dai capelli biondi,
accarezzando la testa del proprio cane alano, Dane, accucciato sotto la
sua sedia – Sono davvero meravigliose!
- La ringrazio, Ann – rispose cordialmente il professore,
assumendo, per un istante, un’aria un po’
malinconica – Non poteva essere altrimenti: avevano una madre
meravigliosa…
- Oh, tutti noi pensiamo sempre a Danielle con molto affetto
– asserì Lady Leslie, dando dei colpetti
affettuosi sulla mano di Lily – E voi due, figliole, me la
ricordate molto.
- Beh, sono certo di ricordagliela anch’io, Contessa
– sorrise zio Eric, evitando che la situazione si incupisse
troppo – Anche se ho sempre trovato ingiusto che Danielle
avesse preso tutta la bellezza per sé. Insomma, i gemelli
non dovrebbero condividere virtù e difetti?
- Ma Eric! – rise la signora Richardson, una donna attraente
e formosa, dai folti ricci biondi – Non parli
così, Lei è un uomo affascinante!
- Sempre troppo gentile, Anna – ringraziò il
quarantaduenne, approfittando della distrazione del Colonnello
Richardson per strizzarle l’occhio.
Lily aggrottò la fronte, un po’ stupita da quel
gesto, ma fu immediatamente distratta dalla voce acuta e cristallina di
Missouri Richardson, che si era appena rivolta al cameriere per
ordinare del salmone con maionese.
Miss Sandler non aveva mai scambiato qualche parola con i due figli dei
Richardson, li aveva incontrati un paio di volte a qualche festa ma se
n’era sempre tenuta alla larga.
Missy era una signorina alta e raffinata, classe 1889, che portava i
capelli biondi pettinati in un singolare taglio a caschetto. A Lily
piacevano molto gli abiti che indossava e più
d’una volta era stata tentata di chiederle dove se li fosse
procurata, tuttavia, lo sguardo glauco e ambiguo della giovane era
sufficiente ad intimidirla.
Ma se, per la piccola Sandler, Missy era fonte di soggezione, il
fratello di lei, James, provocava un ben più fastidioso
senso d’inquietudine: un diciannovenne dall’aria
solitaria e un po’ cupa, con gli occhi celesti costantemente
celati dietro ai trascuratissimi capelli scuri. Lily non
l’aveva mai visto sorridere ed era abbastanza sicura di non
averlo nemmeno mai sentito parlare. Aveva talvolta scorto dei rapidi
movimenti delle labbra, solitamente indirizzati alla sorella maggiore,
nulla di più.
- Quanti anni avete adesso, ragazze?
La domanda della Contessa di Rothes scosse Miss Sandler dai propri
pensieri.
- Io ne ho compiuti sedici due settimane fa – rispose Lily
velocemente, quasi rischiando di mordersi la lingua – Violet
ne ha fatti diciotto a Febbraio.
- E nessuna delle due ha ancora un uomo al proprio fianco
– commentò Ruth, beccandosi
un’occhiataccia da parte della figlia.
Lily arrossì per il nervoso e, d’istinto,
aprì la bocca per rispondere a tono, ma si bloccò
non appena Violet commentò sarcastica: - Beh, visto come
stanno andando fidanzamenti e matrimoni, ultimamente, non moriamo di
certo dalla voglia di impegnarci, Ruth.
Molti commensali si lasciarono sfuggire una risata di comprensione,
senza però capire la sottile allusione rivolta ad un
fidanzamento in particolare, ossia quello di Rose.
Ruth serrò le labbra nervosamente, per poi replicare con un
sorrisetto di circostanza.
- A proposito di matrimoni – s’intromise Missy
Richardson, mettendo in mostra i denti candidi con un sorriso malizioso
– Vorrei farvi notare che futuri parenti dello Zar Nicola
sono appena entrati in sala…
ATTO
VI – POV Sean
“Non ti
azzardare ad avvicinarti di nuovo a quel dannato strumento! La prossima
volta che ti vedo ti taglio le dita e ti chiudo in cantina per il resto
dei tuoi giorni!”
Sean si scosse con un brivido, lasciando quasi cadere a terra il
prezioso pettine d’argento, unico cimelio di famiglia. Era da
un po’ di tempo che la voce di suo padre, il suo sguardo
furente, le sue percosse non si ripresentavano nella sua testa, eppure,
come al solito, il ricordo si mostrò in modo maledettamente
nitido.
Voltò il pettine e sfiorò con un dito la foto
della sua piccola Elise, sospirando malinconico. Era passato quasi un
mese dall’ultima volta che l’aveva vista, da quando
gli era stata portata via senza una spiegazione, senza nemmeno
concedergli la possibilità di dirle addio.
- Ti ritroverò, amore mio – promise con un
sussurro – A costo di setacciare ogni singola via di
Philadelphia. Papà ti troverà e ti
riporterà a casa.
Ripose il pettine al suo posto, indossò un paio di guanti
candidi ed uscì dalla cabina, dirigendosi verso il salone di
Seconda Classe. In cuor suo sperava che Joanne se ne fosse rimasta
buona ad attenderlo ma, come previsto, della ragazza non vi era alcuna
traccia.
- Per fortuna che non doveva dare nell’occhio –
borbottò Sean tra sé, cominciando a guardarsi
attorno alla ricerca dell’amica: era riuscito a farla
imbarcare clandestinamente per darle una possibilità di fuga
dalle pressioni della famiglia e facendole fare un passo in avanti
verso il proprio sogno (dopotutto, lei non aveva forse fatto lo stesso,
anni prima, dandogli rifugio in casa propria e permettendogli di
trovare lavoro al pub come pianista?) ma l’idea di essere
scoperti lo inquietava non poco.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla, facendolo
sobbalzare: - Salve Sean, sei pronto per stasera?
John Law Hume, violinista nonché uno dei membri
più giovani dell’orchestra ufficiale della nave,
osservava il trentaduenne con un gran sorriso. Era un bel giovanotto
dai grandi occhi azzurri e le guance piene, innamoratissimo della
fidanzatina che, purtroppo, non aveva potuto seguirlo nel viaggio verso
New York.
- Oh… sì, naturalmente. Ci vediamo tra poco alle
prove, John.
Il ragazzo annuì, allontanandosi verso il reparto cabine,
così Sean riprese la frenetica ricerca della migliore amica
fuggiasca. Sussultò bruscamente non appena si
scontrò con un giovanotto dai capelli scuri, che
reagì al contatto con una colorita imprecazione.
- Amico, guarda dove vai!
Sean si scostò da lui immediatamente, sistemandosi con cura
le pieghe della giacca. Non sopportava le imperfezioni, i suoi genitori
gli avevano inculcato a suon di scapaccioni una profonda ossessione per
l’ordine, che sicuramente non sarebbe mai guarita.
- Mi scusi – disse infine, ignorando il tono leggermente
irritato dell’altro – Sto cercando una mia amica,
si è allontanata dalla cabina mezz’ora fa e non
riesco a trovarla. Per caso l’ha vista? E’ bionda,
magra, probabilmente indossa un cappello con la veletta nera in
pizzo…
Dal modo in cui il ragazzo strizzava gli occhi per mettere a fuoco le
persone attorno a loro, Sean immaginò soffrisse di miopia,
sicuramente non grave ma comunque sufficiente ad impedirgli di
identificare la signorina che lo stava chiamando dalla parte opposta
della sala.
Era un curioso personaggio, tanto che il giovane pianista non
poté fare a meno di notare diversi bizzarri dettagli durante
la loro breve conversazione, come il fatto di non riuscire a stare
fermo, il vizio di accompagnare le parole a gesti delle mani ed il modo
rapido di muoversi, pure restando fermo nello stesso punto.
Quando egli si allontanò, Sean fu colto da una strana
sensazione: aveva già incontrato quel giovanotto da qualche
parte.
ATTO
VII – POV Danielle
- Danielle, per favore, fà attenzione quando scendi le scale
con quella pila di asciugamani – si raccomandò il
signor Andrews, osservando con una certa apprensione i movimenti della
cameriera dai capelli rossi – Ti prego, un gradino alla
volta… lentamente…
Danielle O’Connell si limitò ad annuire,
abbozzando un timido sorriso. Il signor Andrews era un uomo molto
gentile, conosceva per nome buona parte del personale e, nonostante la
ventitreenne irlandese fosse perseguitata da un’incredibile
sfortuna che la portava sempre ad inciampare o combinare guai sul posto
di lavoro, egli non l’aveva mai rimproverata, né
umiliata, né insultata (a differenza degli
orribili padroni per cui aveva lavorato anni prima).
Riuscì miracolosamente ad arrivare illesa al ponte di Terza
Classe, anche se era piuttosto sicura che la sua sfortuna non avrebbe
tardato a presentarsi. Infatti, proprio mentre si addentrava cautamente
nel corridoio che portava alle cabine, due indisciplinati bimbi
scandinavi le ostacolarono il tragitto, rincorrendosi tra loro e
litigando.
Cercando di evitare di essere investita, Danielle si scansò
a destra, ma inciampò in una piega del tappeto e
finì lunga distesa a terra, la faccia affondata nel mucchio
di asciugamani ancora caldi.
Pregò con tutta sé stessa che i membri del
personale o dell’equipaggio non bazzicassero proprio da
quelle parti e cercò di rialzarsi in fretta per salvare il
salvabile.
- Posso aiutarti?
Danielle sussultò, alzando di scatto lo sguardo: una donna
bionda sulla trentina, il cui volto era parzialmente celato dalla
veletta nera del cappello, si era appena inginocchiata di fronte a lei,
valutando il disastro con una rapida occhiata.
- Non… non si disturbi – balbettò la
cameriera arrossendo – La prego, non voglio che…
- Non è un disturbo per me – ribatté
l’altra con un sorriso – Quando vivevo ancora con i
miei genitori mi faceva piacere dare una mano ai domestici…
naturalmente, senza che i miei ne fossero al corrente –
aggiunse, lasciandosi sfuggire una risatina.
Ripiegarono gli asciugamani ancora utilizzabili, sistemando gli altri
in un sacchetto che Danielle portava legato al braccio.
-La ringrazio – sussurrò la minore timidamente
– E’ stata molto gentile.
- Non c’è di che – disse la donna,
strizzando l’occhio – Buon proseguimento.
- Anche a Lei…
La consegna degli asciugamani proseguì senza altri intoppi,
così, quando ebbe terminato, Danielle si avviò
spedita verso la lavanderia. Spiando nel sacchetto semi-aperto, si
poteva intravedere il segno del rossetto lasciato
sull’asciugamano su cui aveva posato il viso durante la
caduta.
Attraversò il corridoio delle cabine a ritroso, ma si
interruppe non appena una misteriosa musica giunse alle sue orecchie.
Incuriosita, proseguì lentamente, cercandone la fonte: era
il meraviglioso suono di un pianoforte.
Ce n’era uno a disposizione dei passeggeri nella sala
principale: il suonatore non poteva chiaramente essere uno dei due
pianisti ufficiali della nave, ossia Brailey e Grimm, visto che loro si
occupavano già di allietare i viaggiatori di Prima e Seconda
Classe, eppure la sua maestria non sembrava affatto inferiore.
Poteva forse trattarsi di un artista squattrinato, un signorotto caduto
in miseria, un insegnante licenziato per ignote ragioni…
La fantasia della cameriera viaggiava attraverso infiniti possibili
scenari, intrecciando storie da romanzo e situazioni drammatiche.
“Potrebbe
anche essere una donna” osservò,
bloccandosi all’istante non appena raggiunse la soglia della
sala. Per una qualche strana ragione non volle farsi vedere,
così si appiattì contro il muro e
sbirciò cautamente: il pianista era un uomo, abbigliato
semplicemente. Era voltato di spalle, perciò Danielle non
ebbe modo di osservarne i lineamenti, ma per lei furono più
che sufficienti i fugaci momenti in cui i suoi occhi si persero dietro
l’armoniosa danza delle sue dita sui tasti. La melodia
prodotta era un celestiale e struggente incontro di malinconia e
speranza, di mistero e rivelazione.
C’era un minuscolo sgabuzzino situato proprio nel punto in
cui la ragazza si trovava: Dani aprì la porticina senza far
rumore, sgusciò dentro e sedette silenziosa contro la
parete, le ginocchia strette al petto ed il sacco di asciugamani
sporchi ancora serrato tra le dita.
Chiuse gli occhi e rimase lì ferma ad ascoltare, fino a
quando la musica cessò. Allora Danielle uscì
cautamente dal proprio nascondiglio, esitando diversi secondi prima di
affacciarsi finalmente alla soglia della sala.
Il pianista se n’era già andato.
ATTO
VIII –POV Lily
La cena era terminata da un pezzo e la maggior parte dei passeggeri
illustri si era radunata nel salone principale, dove le note
dell’orchestra allietavano le chiacchiere e le presentazioni.
Lily sedette su un divanetto accanto a Rose, mentre Violet e zio Eric
improvvisavano un buffo ballo di coppia, urtando di tanto in tanto
qualche ricco passeggero (e quasi mai involontariamente).
- Come ti senti? – domandò la Sandler minore alla
migliore amica, approfittando dell’assenza di Cal e Ruth.
Rose diede un’alzata di spalle: - Sicuramente meglio di
quella cameriera che ha rischiato di rovesciare i piatti –
disse, alludendo alla scena a cui avevano assistito poco prima.
La sfortuna di Danielle aveva colpito ancora, ma senza andare
completamente a segno: mentre la ragazza incastrava il piede nella
gamba di una sedia, perdendo l’equilibrio, il signor Andrews
(sull’attenti dal momento in cui ella era entrata in sala) si
era alzato alla velocità della luce, afferrando al volo i
preziosi dischi di ceramica e bloccando la caduta della bella irlandese
permettendole di aggrapparsi alle proprie braccia.
- Le è andata bene – commentò Lily,
nascondendo a malapena un sorriso – Oh, ma hai visto quei
tizi della Russia?
- I Volkov – annuì Rose – Ne avevo
sentito parlare.
- Ma secondo te è vero quello che ha detto Missy Richardson?
Il ragazzo è veramente promesso ad una delle granduchesse
Romanov?
- A Marija o Tatjana – asserì la rossa, squadrando
distrattamente la facoltosa famiglia di Mosca: erano sette in tutto,
genitori, quattro figli e marito della maggiore tra le tre ragazze.
Il primogenito, nonché unico maschio, in quel momento si
stava intrattenendo in una formale e distaccata conversazione con Cal,
Mr Browning ed i signori Duff-Gordon. Il suo nome era Lukas e,
fisicamente, rappresentava deliziosamente il prototipo del principe
azzurro: alto, affascinante, curato, con meravigliosi ricci biondi e
magnetici occhi turchini.
- Ha delle belle mani – notò Lily, mentre Lukas
offriva un sigaro agli interlocutori maschili – La maggior
parte delle ragazze in sala non gli ha tolto per un istante gli occhi
di dosso.
- E non solo le ragazze – ridacchiò Rose.
-Già – Miss Sandler accettò
distrattamente il calice di vino offerto dalla cameriera maldestra e
bevve un piccolo sorso – Probabilmente anche Cal se lo
porterebbe a letto. Ma non è il mio tipo.
- E chi sarebbe il tuo tipo? – la punzecchiò
l’amica – Uno con la barba?
- Chiudi il becco – ribatté l’altra,
sussultando non appena una ragazza minuta sbucò
all’improvviso da dietro le poltrone. Aveva i capelli biondi
e grandi occhi scuri, fissi in direzione del gruppetto di Lukas Volkov.
La riconobbe come la domestica della famiglia Browning.
- Vi chiedo scusa – balbettò la diciannovenne,
senza distogliere lo sguardo dal centro della propria attenzione
– Secondo voi mi sarà permesso avvicinarmi?
- Non lo so – rispose Rose – Non ho idea di che
tipo sia Lukas Volkov…
- Oh… no, io non mi riferivo a lui –
precisò Joelle, torcendo le mani tra loro per
l’emozione – La signora Duff-Gordon…
io… vorrei così tanto poter anche solo ammirare
da vicino la sua ultima creazione… la sta indossando proprio
ora…
- Perché non ti avvicini con la scusa di riferire qualcosa
al signor Browning? – suggerì Lily, senza sapere
perché si stesse facendo coinvolgere dai drammi di una
giovane domestica – E cogli l’occasione per
guardarla. Magari puoi anche farle un complimento, quello non penso sia
indecoroso.
- Posso fare così! – rispose Joelle, illuminandosi
– Vi ringrazio!
Le due ragazze aprirono la bocca per replicare qualcosa, ma la biondina
si era già allontanata, sistemandosi le pieghe
dell’abito con fare convulsivo.
- Buon per lei se riesce ad entusiasmarsi per così poco
– commentò Miss Sandler, distraendosi
all’istante non appena vide il padre dialogare allegramente
con i membri della famiglia Richardson.
-Strani tipi quelli – osservò Rose, squadrando
Missy e Jamie con fare sospettoso – Non sono mai riuscita a
parlarci.
- Nemmeno io… - mormorò la mora, aggrottando la
fronte non appena un giovane ed affascinante ufficiale raggiunse il
gruppo, provocando una curiosa reazione ad entrambi i fratelli
Richardson. La voce di Missy era sufficientemente squillante da
giungere fino alle orecchie delle due amiche, nonostante lasciasse
trasparire una certa tensione.
- Credo di avervi parlato più volte di Dunn…
cioè, del Sergente Duncan Peters… a Settembre ha
cominciato ad occuparsi del corso di Jamie in accademia,
quindi… sì, è uno dei suoi istruttori.
Il signor Richardson sorrise calorosamente, praticando il saluto
militare, al quale Duncan Peters rispose con zelo.
Approfittando della distrazione dei genitori, Missy e James si
scambiarono un’occhiata nervosa.
- Non hai l’impressione… che abbiano tutti
qualcosa da nascondere in quella famiglia? –
domandò Lily, sospettosa – Sono
così… insoliti.
Rose fece per rispondere, ma uno schianto improvviso interruppe i
discorsi di tutti i presenti, che si voltarono all’istante
verso la fonte del rumore: Danielle O’Connell aveva appena
rovesciato un intero secchio di posate sporche sul prezioso pavimento
della sala.
***
Angolo
dell’Autrice: Oggi, come al solito, parla
Tinkerbell.
Ecco qua il primo capitolo con i POV dei primi cinque personaggi dei
partecipanti all’interattiva, che accompagnano quello di
Lily. Nel prossimo capitolo credo inserirò il POV di altri
cinque, tra i quali Lukas Volkov, ma dipende anche dalle schede che
arriveranno.
Allora, innanzitutto spero di aver mosso bene Joelle, Charles, Joanne,
Sean e Danielle, in caso ci sia qualcosa di sbagliato chiedo ai
creatori di farmelo notare in modo da poter correggere nei capitoli
successivi.
Ho scelto di non rivelare subito ogni dettaglio dei loro background, in
particolare quello di Sean legato alla sua bambina, questo naturalmente
per riservare le rivelazioni migliori per i capitoli seguenti.
Ah, per quanto riguarda i dialoghi in svedese tra Olaus e
Joanne… ehm, purtroppo posso affidarmi solo a Google
Traduttore, quindi ci saranno sicuramente degli errori (quello che gli
ha risposto lei, comunque, significa a grandi linee:
“E’ colpa mia, non guardavo dove stavo
andando”). E restando in tema, solitamente i personaggi si
danno del “Lei”, ma a Fabrizio faccio adoperare il
“Voi” perché nella mia mente lui viene
dal Sud Italia, dove mi pare che una volta si usasse più il
“Voi” del “Lei” (magari
sbaglio, però in realtà questa cosa mi piace
quindi la terrò per buona).
Che poi in realtà la vera lingua della storia è
l’inglese, dove il Lei non esiste, ma facciamo finta di
niente XD
Per ora dovrebbe essere tutto, grazie per aver letto e al prossimo
capitolo!
Tinkerbell e Phoebe.
|
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Capitolo 3 *** 11 Aprile: gatti fuggiaschi e balli di coppia ***
(Banner di Pandamito)
ATTO
I– POV Andrea
Lingue di vento freddo scivolavano imperterrite sul molo di
Queenstown, insinuandosi tra i capelli dei centoventitré
passeggeri pronti ad imbarcarsi.
Andrea Mekner, diciannovenne italo-tedesca, serrò
forte le dita attorno alla maniglia della propria valigia, mentre con
l’altra teneva premuto contro la chioma bionda il cappellino
verde che minacciava di volar via da un momento
all’altro.
Di tanto in tanto, i lembi del suo cappotto grigio perla si
spalancavano, scoprendo le pieghe della gonna smeraldina, ma lei non si
mostrava minimamente infastidita: l’emozione per
l’imminente partenza rappresentava un’ottima fonte
di distrazione dai disagi causati dal forte vento.
Guardò alla propria destra, dove un ragazzo alto
e robusto stava abbracciando una giovane donna dai folti ricci color
rame, sotto lo sguardo benevolo di una coppia sulla cinquantina.
- Non preoccuparti – disse la rossa al giovanotto,
rivelando un marcato accento irlandese – Gli affari stanno
andando bene, appena possibile ti raggiungerò. E potremo
fare gli stupidi insieme in America.
- Non vedo l’ora – rispose
l’altro, baciandola sulla guancia e sciogliendo brevemente
l’abbraccio per salutare quelli che Andrea
identificò come i genitori.
Un sorriso affiorò sulle labbra
dell’italiana, mentre la sua mente evocava i ricordi dei
famigliari e degli accoglienti paesaggi pugliesi in cui era cresciuta.
Non si rese conto di essersi imbambolata con lo sguardo fino
a quando la ragazza irlandese le domandò con fare gioviale:
- Anche tu in partenza?
Andy arrossì vivacemente: il volto della sua
interlocutrice presentava dei lineamenti incantevoli, resi ancor
più attraenti dalla presenza di vispi occhioni verdi.
- S-sì, s-sono im-impaziente – rispose
la diciannovenne, tentando invano di controllare la propria balbuzie.
Quasi l’avessero udita, i controllori cominciarono finalmente
ad invitare i passeggeri sulle passerelle di legno che conducevano alle
varie entrate, chiedendo di esibire il biglietto.
La rossa si gettò un’ultima volta tra
le braccia del fratello, gli stampò un bacio sulla guancia
barbuta e gli sussurrò parole che Andy non riuscì
a comprendere: - Buon viaggio,
deartháir níos óige.
L’ennesima folata di vento rischiò di
portar via il cappellino dell’italiana che aveva portato la
mano in tasca per afferrare il biglietto. Andrea alzò gli
occhi al cielo, ma si lasciò sfuggire una risatina
d’eccitazione non appena posò i piedi sulla
passerella.
- Sembra incredibile, vero? – commentò
il ragazzo irlandese dietro di lei, strappandole un sorriso –
Da piccolo pensavo che avrei potuto soltanto ammirare
dall’esterno i grandi transatlantici. A proposito, io mi
chiamo Tommy, naturalmente Terza Classe.
- A-Andrea – rispose la bionda, mostrando il
biglietto al controllore – S-seconda Classe.
- Allora sei entrata dalla parte sbagliata – rise
lui – Ti toccherà fare più strada per
arrivare in cabina.
- Oh… n-non im-importa… m-mi
farò un g-giro…
Nel preciso istante in cui si ritrovò
all’interno del Titanic, Andy dovette fare un paio di respiri
profondi per contenere l’emozione. Salutò Tommy
sorridendo, poi si avviò spedita verso le scale che
portavano ai piani superiori.
Aveva respirato brevemente l’atmosfera della Terza
Classe, eppure notò all’istante la differenza
quando si addentrò nel salone della Seconda: gli interni
erano decisamente più raffinati, così come
l’abbigliamento e il portamento della gente che alloggiava
lì. O meglio, il portamento della maggior parte delle
persone: un ragazzo dai capelli scuri, visibilmente ubriaco,
gesticolava come un pazzo, poggiato con il gomito al pianoforte situato
in un angolo della sala. L’uomo intento a suonare gli
lanciava di tanto in tanto delle occhiate perplesse, mentre
l’unica donna del trio, alta e bionda, sembrava piuttosto
divertita dalle pagliacciate del giovane.
Andrea si avvicinò incuriosita, serrando entrambe
le mani attorno al manico della valigia: soltanto quando si
trovò sufficientemente vicina si accorse che il ragazzo
sbronzo stava canticchiando una filastrocca sconcia e che il pianista
lo stava accompagnando, seppur con poca
convinzione.
- E’ un maledetto genio! –
esclamò la donna bionda, rivolgendosi al musicista
– Sean, sul serio, formate un duo comico, sono sicura che
riscuotereste un successo strepitoso!
- Jo, non voglio denigrare nulla, ma le mie aspirazioni sono
leggermente… diverse – rispose l’altro,
sussultando non appena l’ubriaco barcollò in
avanti, inciampando sulla gamba del pianoforte e salvandosi da una
brutta caduta solo grazie all’intervento della donna di nome
Jo.
- Finalmente ho trovato qualcuno che apprezza le mie
filastrocche! – biascicò, appoggiandosi
scompostamente allo strumento – Altro che quel babbeo di mio
cognato, hic! Se
l’occhio ti strizza a Christopher non si rizza! Vedrai come
canta, se lo metti a novanta!
Andrea si lasciò sfuggire una risatina, attirando
l’attenzione della bionda.
- Avete un’ammiratrice! – sorrise,
lanciando poi un’occhiata incoraggiante a Sean –
Vedi? Dovresti sul serio riflettere sulla mia idea.
- Ci penserò senz’altro –
replicò il pianista, lasciando trasparire un tono
volutamente ironico – Magari ne parlerò con
Charles non appena tornerà sobrio… se
tornerà sobrio.
Jo alzò gli occhi al soffitto, scuotendo la
testa. Indossava un elegante completo blu ed aveva raccolto parte dei
capelli dietro la nuca, lasciando che il resto della chioma cadesse
libero sulle sue scapole. Non appena incontrò nuovamente il
suo sguardo, Andrea arrossì violentemente, esattamente
com’era successo poco prima con la bella irlandese.
- E’… è s-stato un p-piacere
as-ascoltare le f-filastroche – balbettò, pregando
di non sputare – Ora d-devo rag-ragg… beh, recarmi
alla mia c-cabina…
- Torna pure quando vuoi – rise la donna, dando
una gomitata all’amico pianista – Chissà
che qualcuno non riesca a convincere il signor Emmett a darmi
retta.
- Dammi
retta, spogliati in fretta! – fece eco Charles,
senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Accelerando il passo, Andrea raggiunse finalmente il
corridoio delle cabine, entrò nella singola che aveva
prenotato e si chiuse dentro, poggiando la schiena contro la porta.
Sospirò, maledicendosi: perché, tra
tutti i vizi, doveva capitarle quello di prendersi cotte tanto
facilmente?
ATTO
II – POV Lily
- E’ un peccato che non ci abbiano permesso di
scendere a dare un’occhiatina a Queenstown.
L’Irlanda ha fascino.
Violet volgeva lo sguardo oltre il parapetto della nave,
accomodata su una delle belle sedie poste sul lato scoperto
del Ponte A. Aveva lasciato sciolti i lunghi capelli biondi, che,
appena mossi dal vento, brillavano come oro sotto i riflessi del sole.
Lily e Rose avevano preso posto su due comode sdraio: la
minore accarezzava distrattamente il piccolo Theo, appallottolato sulle
sue gambe, mentre la rossa esponeva il volto pallido e tondo alla luce
solare, ignorando volutamente l’ultima delle paranoie della
madre riguardo le scottature al naso.
- Sarebbe stato confusionario e dispersivo, credo
– rispose la Sandler castana – Far scendere duemila
e passa persone per poi aspettare che tornino tutte
all’orario stabilito… insomma, avremmo perso un
sacco di tempo, c’è una tabella di marcia da
rispettare e…
- Guarda che la mia era una semplice considerazione
– la interruppe Violet in tono brusco – Non
agitarti, la tua preziosa tabella di marcia e tutte le tue fisse
maniacali sugli orari sono al sicuro.
- La tabella di marcia non è mia! –
sbottò l’altra, facendo sussultare Theo
– E scusa tanto se ritengo che la puntualità sia
importante!
- Ragazze, non è il caso di litigare –
le interruppe Rose, posando la mano su quella di Lily con fare
comprensivo – Calmatevi. Lily, se ti metti a urlare fai solo
la figura della bambina isterica, e Violet, quella frecciatina potevi
risparmiartela.
Le due sorelle si lanciarono un’occhiata in
cagnesco, ma vennero immediatamente distratte da una figura scura e
minuta che si affacciò al parapetto proprio davanti a loro.
Vista da dietro, sembrava quasi una ragazzina: superava di
poco il metro e sessanta grazie ai tacchi degli stivaletti, il
corpicino ossuto era fasciato da un lungo completo grigio e viola.
Indossava dei guanti bianchi, mentre un cappellino abbinato
all’abito celava buona parte della sua chioma castana
raccolta sulla nuca.
Lily la squadrò attentamente, pervasa da un
ingiustificato senso di inquietudine, ed avvertì un brivido
quando la strana ragazza si voltò all’improvviso,
mostrando buona parte del volto dai tratti spigolosi. L’aveva
intravista la sera prima, nel salone, ma non ricordava di averla mai
incontrata prima.
“Ce
l’ha con noi?” si domandò
istintivamente la piccola Sandler, sospirando di sollievo non appena si
rese conto che l’attenzione della misteriosa aristocratica
era stata attirata dalla giovane domestica dei Browning che avanzava
rapidamente verso di lei.
- Lady Mildred!
Il volto di Joelle era leggermente arrossato, prova che la
ricerca della lady in grigio era stata piuttosto lunga e affannata.
-Lady Mildred – ripeté la fanciulla,
prendendo fiato – Mi perdoni se l’ho disturbata. La
mia padrona, Mrs Browning, vorrebbe invitarLa a prendere il
tè con lei tra mezz’ora, sulla veranda. Saranno
presenti anche Mrs Richardson, Mrs Dewitt Bukater, Mrs
Duff-Gordon, Mrs…
- Ragazzina, hai sul serio imparato la lista delle invitate
a memoria? – la interruppe annoiata Lady Mildred, mostrandole
il palmo della mano guantata – E non prendi mai il respiro
tra una parola e l’altra?
Joelle si schiarì la voce, rispondendo con un
sorriso alle parole scortesi dell’interlocutrice: - Mi
sembrava giusto fornirLe più informazioni possibili. Molte
delle invitate sarebbero liete di fare la Sua conoscenza.
- Il sentimento è senza dubbio reciproco
– ghignò l’altra, sarcastica –
Comunque accetto l’invito della tua padrona. Riferiscile che
Lady Mildred Clarabelle Newell siederà al tavolo delle
invitate tra mezz’ora precisa. Mi raccomando, scandisci bene
il mio nome completo, visto che hai così buona memoria.
Joelle non mostrò risentimento verso le
provocazioni ricevute, face un piccolo inchino e partì di
corsa in direzione degli alloggi di Prima Classe.
- Che personcina deliziosa – commentò
Violet mentre Lady Mildred si allontanava, senza curarsi di abbassare
la voce – Simpatica come un calcio nel culo.
- Ma chi è? – sussurrò Lily,
colpendo il braccio della sorella con un piccolo schiaffo –
Lady Mildred… cosa?
- Lady Mildred Newell – rispose Rose con fare
circospetto – Fa parte dei “Nuovi
Ricchi”. Da quel che ho sentito dire, una zia le ha lasciato
una discreta somma di denaro in eredità, che lei ha
successivamente investito facendo fruttare una bella somma. Non mi ha
fatto una buona impressione, ma un po’ ammiro il fatto che
sia riuscita ad arricchirsi tanto facendo quasi tutto da sola.
- La cosa divertente è che il nome Mildred ha un
significato positivo – ironizzò Violet –
Significa qualcosa come “animo
buono e forte”. Invece lei sembra una
grandissima stronza.
Lily aprì la bocca per rispondere, ma Theo,
attirato improvvisamente da qualcosa, balzò giù
dal grembo della padroncina, schizzando rapido verso le scale che
portavano al ponte inferiore.
- Theo! – gridò la ragazza, balzando in
piedi e lanciandosi all’inseguimento del piccolo felino
– Dove stai andando? Torna qui!
Rischiando più volte di urtare malamente qualche
passeggero, Lily seguì la bestiola scendendo ai livelli
più bassi della nave. Il micetto si intrufolò tra
le gambe di un allarmato ufficiale per poi raggiungere il ponte
principale della Terza Classe.
ATTO
III –POV Lukas
Lukas Volkov, soprannominato da tutti “Il
Principe”, aveva impiegato poco tempo per diventare uno dei
passeggeri più ammirati e desiderati all’interno
della raffinata realtà di Prima Classe.
In quel momento, a un’ora dalla partenza da
Queenstown, si trovava nel salone principale insieme ai genitori,
intrattenendo una conversazione con il Colonnello Richardson.
La prima delle sue sorelle minori, Katrina, aveva scelto di
farsi accompagnare dal marito Valerian per una breve passeggiata sul
ponte B; la più piccola, Nika, di soli sei anni, giocava a
carte con la domestica Larisa, accomodate ad un tavolino poco distante,
mentre Elena, alias la capricciosa terzogenita Volkov, era sparita da
circa mezz’ora e Lukas sapeva che, probabilmente, non si
sarebbe fatta viva prima di cena.
“Farà
i conti con me quando tornerà”
promise mentalmente il biondo, celando il nervosismo che lo divorava
dall’interno “Le
farò passare la voglia di comportarsi da idiota”.
- Dunque Lei viene dall’Inghilterra, signora
Elizabeth.
La voce profonda del Colonnello Richardson, le cui parole
erano rivolte alla moglie di Aleksandr Volkov, destò il
giovane Lukas dalle invettive personali contro la sorella. Dopo la
risposta affermativa della madre, il Principe s’intromise nel
discorso con fare cordiale: - E’ proprio grazie alle origini
della mia adorata mamma se io e le mie sorelle ci troviamo a nostro
agio disquisendo in lingua inglese, Colonnello.
- Ho infatti notato il Suo accento impeccabile, signor Lukas
– rispose l’uomo ammirato – Ma, da quanto
ho sentito, Lei è impeccabile in diversi ambiti.
- Lukas ci ha sempre resi fieri di lui –
affermò orgoglioso Aleksandr, posando una mano sulla spalla
del primogenito – Ottimo nuotatore, spadaccino e ballerino,
perfetto gentiluomo e brillante studioso.
- Quali materie di studio preferisce, signor Lukas?
– domandò il Colonnello, sempre più
incuriosito. Jamie Richardson, che in quel momento era rimasto in
silenzio alle spalle del padre insieme alla domestica Shannon,
alzò immediatamente lo sguardo in attesa della risposta.
- Letteratura, Musica e Poesia. Ma trovo che anche la
Matematica abbia il suo fascino.
- Anche a Jamie piacciono la Musica e la Poesia! –
esclamò Mr Richardson, voltandosi verso il figlio e
spingendolo leggermente verso l’affascinante ragazzo russo
– Lui suona il violino fin da quand’era piccolo!
- Davvero? Ha portato il Suo violino sulla nave, Jamie?
– domandò Lukas interessato – Mi
piacerebbe molto ascoltare qualche pezzo.
James Richardson diventò completamente paonazzo,
puntò lo sguardo a terra e sussurrò qualche
monosillabo incomprensibile.
Il Principe aggrottò le belle sopracciglia
bionde: - Come, scusi? Temo di non aver inteso la sua
risposta…
- Sì, ha portato il violino con sé
– intervenne prontamente la signorina Shannon, una bella
diciassettenne irlandese dallo sguardo vispo – Ma nemmeno io
ho capito se abbia intenzione di suonare per Lei o meno…
- Sì, lo farò –
borbottò il ragazzo, sforzandosi di guardare il russo negli
occhi – Quando desidera…
- Oggi alle diciotto in punto può andare?
Jamie annuì, poi, senza mutare il colore rosso
acceso delle guance, si congedò, prese per mano Shannon e la
trascinò via con sé.
Mr Richardson sorrise appena: - Il mio ragazzo è
molto timido… non capisco come mai si trovi così
a disagio in presenza di persone che non siano sua sorella o
Shannon…
- Nessun problema, Colonnello, si figuri –
cominciò Lukas – Le assicurò
che…
Qualsiasi parola il giovane russo volesse pronunciare
morì all’istante nella sua gola: qualcosa lo
colpì al gomito, provocandogli un sussulto. Lukas
alzò lentamente il braccio, osservando con sgomento la
macchia di vino che imbrattava la manica della sua costosa giacca
bianca.
Riuscì a rimuovere rapidamente qualsiasi traccia
di furia omicida nel proprio sguardo, ma non abbastanza in fretta da
impedire alla colpevole di scorgerla. La ragazza, una giovane cameriera
dai capelli rossi, indietreggiò impaurita, gli occhi verdi
sbarrati.
- Signorina! – la rimproverò Mrs Volkov
– Per l’amor del cielo, faccia attenzione!
- Mi… mi dispiace – balbettò
l’altra, immediatamente identificata come la domestica
pasticciona che la sera prima aveva rovesciato la posate sul pavimento
– Vi giuro che sono mortificata, signori…
- Non fa niente, non si preoccupi –
assicurò Lukas, cercando di mostrarsi più calmo e
accomodante possibile – E’ stato un incidente,
nulla a cui non si possa porre rimedio.
- Lei è un vero gentiluomo, signor Lukas
– commentò ammirato il Colonnello Richardson.
Il ventiduenne rivolse un bel sorriso alla ragazza sbadata,
che provò a ricambiare per pura cortesia: per qualche
motivo, la goffa irlandese non sembrava disposta a fidarsi dei modi
gentili dell’aristocratico. Si scusò
un’altra volta, ringraziò per la comprensione e,
dopo aver fatto un breve inchino, si allontanò in fretta.
Fingendo che tutto rientrasse nella norma, Lukas si
sfilò la giacca e si congedò: - Vado a cambiarmi,
con vostro permesso. La nostra domestica si occuperà del
danno. Larisa! Seguimi!
Con una certa flemma, Larisa Zykova posò le carte
sul tavolino, intimando Nika di fare lo stesso, poi si alzò
e seguì il padrone fino in cabina.
ATTO
IV – POV Mildred
Esattamente all’ora stabilita, Lady Mildred Newell
sedette al tavolo delle signore, gettando occhiate di sufficienza alle
grandi vetrate della splendida veranda.
Attese in silenzio che tutte le invitate prendessero posto e
scambiassero i dovuti convenevoli, poi, mentre la signora Dewitt Bukater
apriva la bocca per commentare qualcosa, Mildred la interruppe con tono
provocatorio: - Sbaglio o non a tutte piace la puntualità,
qui?
Per un attimo, l’intero tavolo fu pervaso dal
silenzio, mentre le donne fissavano sbalordite la giovane lady: erano
presenti la signora Browning insieme alla domestica, Mrs Dewitt
Bukater, la Contessa di Rothes, Lucy Duff Gordon, Mrs Richardson, Ann
Isham (sempre in compagnia del suo gigantesco alano), la diciannovenne
Helen Walton-Bishop e l’estroversa Molly Brown, che come Lady
Newell faceva parte della categoria dei cosiddetti “Nuovi
Ricchi”.
Fu proprio Molly a prendere parola, rompendo il momento
imbarazzante provocato dall’arroganza della grigia dama: -
Onestamente, a me piacciono le torte, il buon vino e un bel paio di
bicipiti abbinato a pettorali e addominali scolpiti. A Lei, invece cosa
piace, Contessa? Coraggio, è un buon argomento per
cominciare una conversazione!
Noel Leslie si lasciò sfuggire una risatina: - Mi
piacciono le fotografie.
- Bene, molto bene. E a Lei, Ann? A Lei piacciono i cani?
- Sì, mi piacciono i cani – rise Lady
Isham, accarezzando la grossa testa di Dane. Helen Bishop
alzò la mano con fare infantile, indicando con quella libera
la cagnetta di piccola taglia che sedeva composta sul suo grembo: -
Anche a me piacciono i cani! Dick mi ha regalato Freu Freu
perché ci tenesse compagnia durante il viaggio di nozze!
Mildred storse il naso, maggiormente infastidita dalla
vocetta odiosa della ragazza piuttosto che dalla risposta di Molly:
Helen era diventata da poco la seconda moglie di un giovane riccone,
Dickinson “Dick” Bishop, e amava atteggiarsi
mostrando a chiunque i costosi doni del marito.
- Che accidenti di nome sarebbe Freu Freu? –
domandò in tono acido, ignorando volutamente
l’occhiata ammonitrice di Ruth Dewitt Bukater –
E’ un modo alternativo per dire “voglio segnare per
sempre e in modo irreparabile la tua miserabile vita canina”?
- Oh, suvvia Lady Newell, non sia scortese – disse
gentilmente la signora Richardson, sporgendosi appena per afferrare un
pasticcino – Piuttosto, perché non ci racconta un
po’ di Lei? Mrs Browning l’ha invitata apposta per
questo.
- Esatto! – sorrise la donna appena nominata
– Sappiamo così poco di Lei e… Joelle,
non stare lì in piedi, accomodati, cara… e ci
piacerebbe conoscere qualche dettaglio sulla Sua storia.
Mildred aggrottò per un attimo le sopracciglia
scure, leggermente stupita dal trattamento amichevole che Mrs Browning
aveva riservato alla propria domestica, ma si ricompose
all’istante, tornando alla solita espressione di disgusto e
sufficienza: - In realtà non c’è molto
da dire. Posso cominciare dicendo che “scortese”
è il mio terzo nome, Mrs Richardson. Il nome completo,
invece, sono certa che potrà dirlo la cameriera di Mrs
Browning , che pare avere una memoria di ferro.
- Lady Mildred Clarabelle Newell – rispose
prontamente Joelle con un sorrisetto innocente – O meglio,
Lady Mildred Clarabelle Scortese Newell.
- Che ragazzina sveglia – commentò
Mildred, ricambiando il sorriso ironico della fanciulla con un ghigno
falso – E’ sicuramente una domestica eccezionale,
giusto, Mrs Browning?
- Oh, assolutamente, Joelle è un angelo inviatoci
dal Signore – rispose estasiata la donna.
- Ed ha occhio per la moda – s’intromise
Lucy Duff Gordon, facendo avvampare le guance della dolce domestica
– Comunque, continui pure, Lady Newell. Ci può
raccontare di come ha ottenuto il Suo capitale attuale? Abbiamo udito
soltanto qualche voce a riguardo…
- Ho saputo cogliere la mia occasione – rispose
spiccia la grigia dama, prendendo un sorso di tè alla menta
– Ho ricevuto una cospicua somma in eredità da mia
zia, ho investito il denaro e l’ho fatto fruttare. Niente
sotterfugi né matrimoni combinati – aggiunse,
lanciando un’occhiata sadica a Ruth, che si
irrigidì – Ho fatto quasi tutto da sola. Ecco
perché, a ventisei anni e mezzo, mi ritrovo felicemente
nubile e con un ottimo futuro assicurato.
- Beh, in questo caso bisogna dirlo: tanto di cappello,
signorina – commentò Molly – Non
sarà il massimo della simpatia, ma sa il fatto suo in campo
economico.
- La simpatia non porta da nessuna parte, signora Brown
– replicò Mildred in tono pragmatico
– La logica di mercato e il fiuto per gli affari, invece, mi
stanno portando in America.
- Ma un po’ di simpatia non guasta, a parer mio
– s’intromise Mrs Richardson, urtando
accidentalmente con il seno prosperoso una tazzina fortuitamente vuota
– Fa sempre piacere ricevere un sorriso.
Mildred alzò un sopracciglio con aria scettica,
ma fu distratta dall’arrivo di un attraente uomo sulla
quarantina che, senza preavviso, raggiunse il tavolo delle signore.
Era alto, ben vestito, con i capelli castani e luminosi
occhi azzurri. Lo riconobbe come Mr Eric Doyle, cognato del professor
Sandler.
- Perdonate l’irruzione, mie belle dame
– esordì, strappando una risatina vezzosa a Helen
Bishop – Sarò breve e conciso: ho appena accettato
la sfida di mia nipote – indicò la ragazza bionda
che lo osservava ridacchiando dalla soglia della veranda – e
dovrei disturbare una di voi per un piccolissimo lasso di tempo.
- Al momento sta disturbando tutte per un lasso di tempo
tutt’altro che breve – rispose acida Mildred,
notando a malapena il sorriso che Mrs Richardson stava rivolgendo
all’affascinante signore.
Eric, in tutta risposta, le mostrò la lingua
(lasciandola esterrefatta e facendo inorridire Ruth) e si mosse verso
il lato opposto del tavolo: - Allora sarà meglio sbrigarsi.
Signora, col Suo permesso.
Tra lo stupore generale, il quarantaduenne stampò
un bacio sulle labbra di Molly, si congedò con un inchino e
raggiunse la nipote con aria vittoriosa.
Sbigottite, tutte le donne si voltarono in direzione della
signora Brown, la quale, abbozzando un sorrisetto soddisfatto, si
limitò a commentare: - Il viaggio è partito
piuttosto bene, non trovate?
ATTO
V – POV Lily
Lily esitò, serrando le dita sul cancelletto che
separava la zona della Terza Classe dal resto della nave. Si morse il
labbro, cercando di aguzzare la vista, ma invano: per scovare Theo era
necessario scendere e camminare in mezzo a gente povera che
l’avrebbe sicuramente squadrata con fare sbigottito,
probabilmente con uno sguardo simile a quelli che si rivolgono ai
fenomeni da baraccone.
- Cerca qualcosa, signorina?
La ragazza si lasciò sfuggire un piccolo grido,
arrossendo subito per la vergogna: un giovane ufficiale dai capelli
biondi e scompigliati la fissava con uno strano sorrisetto, le iridi
dei suoi occhi grandi e tondi presentavano una curiosa colorazione
verde ambra.
- Mi perdoni, se l’ho spaventata – disse
in tono cordiale – Dubito che una del suo rango possa trovare
qualcosa di interessante in Terza Classe.
- Io… sto cercando il mio gatto –
balbettò Lily, cercando di darsi un po’ di
contegno – E’ piccolo e grigio, col manto
tigrato… mi è sfuggito mentre lo tenevo in
braccio e si è intrufolato lì sotto…
- La cosa non mi sorprende, potrebbe aver visto o fiutato
qualche topo – rispose calmo l’ufficiale, restando
impassibile di fronte allo sguardo inorridito della fanciulla
– Non è una cosa impossibile, signorina: i topi
solitamente abitano le zone più basse delle navi, ma
può capitare che uno di loro riesca ad intrufolarsi in Prima
Classe, nonostante gli scrupolosi controlli…
- Questo mi fa sentire davvero meglio –
borbottò l’altra ironica, incrociando le braccia e
mettendo il broncio.
Il biondo la osservò per qualche istante, poi si
lasciò sfuggire una mezza risatina: - La sto semplicemente
informando sui fatti, signorina. Comunque, io sono
l’Ufficiale Nicholas Brandy e, per una curiosa coincidenza,
anch’io mi trovo in procinto di scendere in Terza Classe per
cercare qualcuno. Pertanto – concluse, aprendo il cancelletto
e facendosi da parte – dopo di Lei, Mademoiselle.
Leggermente titubante, Lily scese le scalette per poi
addentrarsi nei meandri di quella realtà che tanto la
intimoriva. Dietro di sé udiva il passo spartano e deciso
dell’Ufficiale Brandy, insieme alla musica soffusa di un
pianoforte mischiata al chiacchiericcio delle persone e al sibilo del
vento, ma non osava voltarsi per paura di inciampare sul giocattolo di
qualche bambino e cadere su un pavimento dove poco prima qualche ratto
poteva aver posato le sue luride zampette.
Represse un brivido e, evitando di incontrare qualsiasi
sguardo, tenne la testa bassa, muovendo gli occhi qua e là
alla ricerca del pestifero felino. Non fu però
sufficientemente attenta da evitare un imbarazzante scontro con una
ragazza bassa dalla carnagione olivastra.
- Ehi, guarda dove vai! – esclamò
quella, serrando le mani sui fianchi – Voi nobiliastri siete
tutti uguali: guardate sempre in alto, da bravi snob, oppure in basso,
quando cercate i diamanti che vi sono cascati dalle tasche. Se teneste
lo sguardo dritto di sicuro evitereste di venirmi sempre addosso!
Dimostrava l’età di Violet o poco
più, aveva la fronte alta, i capelli castani, un fisico
formoso e impertinenti occhi scuri.
Lily indietreggiò: in quel momento era talmente
in ansia per Theo e imbarazzata dalla situazione generale che non
riuscì ad nemmeno offendersi per la maleducazione mostrata
dall’altra: - Sto… sto cercando il mio
gatto… non diamanti…
La ragazza scontrosa cambiò subito atteggiamento:
- Gatto? E’ per caso piccolo, grigio e pestifero?
- Sì! – s’illuminò
la piccola Sandler – Dov’è?
- Da quella parte, vicino al parapetto. Tre ragazzi sono
riusciti a prenderlo prima che si ammazzasse in modo stupido.
- La ringrazio!
Prima che l’altra potesse aggiungere qualcosa,
Lily si diresse rapidamente nella direzione indicata.
Scivolò in mezzo alla folla (per fortuna non fitta), facendo
istintivamente attenzione a non farsi toccare, e sospirò di
sollievo non appena una piccola sagoma grigia entrò
nuovamente nella sua visuale.
Appoggiati al parapetto, tre ragazzi sulla ventina
parlottavano allegramente: uno di loro era biondo, magro e sbarbato,
aveva un viso simpatico e delle belle mani affusolate, prive
di qualsiasi segno dei lavori faticosi che solitamente svolgevano i
poveri; un altro era leggermente più basso ma di aspetto
meno esile, aveva la carnagione olivastra e i capelli neri e, dalla
parlata e dal frenetico gesticolare, Lily intuì che
provenisse dall’Italia; Theo era comodamente accoccolato tra
le braccia robuste del terzo, un tipo alto e massiccio
dall'aria gioviale.
Si avvicinò titubante, schiarendosi la voce. Non
aveva mai intrapreso una vera conversazione con gente di rango
inferiore, domestici esclusi, e la cosa la innervosiva non poco.
- Scusatemi…
I tre si zittirono all’istante, fissandola con
aria stupita.
- Ehm… il gatto… lo stavo cercando
e…
- Oh, ma allora è Suo! –
anticipò il ragazzo più alto, rivelando un
marcato accento irlandese – Ci sembrava troppo pulito e in
carne per essere di Terza Classe.
- Quindi sei un nobiliastro, eh, amico? – rise
l’italiano, rivolgendosi al micetto – E hai pure
una padrona molto carina!
- Fabrizio, non incominciare – lo
ammonì il biondo sorridendo, rivelando una parlata di
origini americane – Ho perso il conto delle ragazze con cui
ci hai provato da quando ci siamo imbarcati.
- Perdonate se vi interrompo - s’intromise Lily,
torcendo involontariamente le dita per il nervosismo – Vorrei
tornare ai miei alloggi il prima possibile… e con il mio
gatto…
Il trio si scambiò un’occhiata
eloquente, poi l’irlandese avanzò di un passo,
porgendole con delicatezza il piccolo felino: - Ecco a Lei. Non si
preoccupi, non gli ho attaccato le pulci. Nessuno di noi le ha, giusto?
I suoi compagni si lasciarono sfuggire una risatina.
Lily sgranò gli occhi, restando per un attimo
sbigottita, poi, il nervosismo fu sostituito
dall’ostilità e dal puntiglio: come si
permettevano quei tre straccioni di prenderla in giro? Avevano forse il
coraggio di biasimarla per via del suo rango?
Afferrò Theo, lo strinse al petto ed
alzò il mento altezzosa, squadrando il colosso irlandese con
aria di superiorità: - Non mi tratterrò oltre,
non sia mai che la mia puzza di nobiliastra infastidisca le vostre
delicate narici. Signor Dublino, signor Roma, signor… non ne
ho idea… vi ringrazio per avermi reso Theo e arrivederci!
Girò i tacchi e se ne andò impettita,
avendo il tempo di udire un’ultima frase pronunciata in tono
confuso dal ragazzo italiano: - Ma io vengo da Napoli…
ATTO
VI – POV Larisa
Sapeva bene che, una volta entrato in cabina, al sicuro da
sguardi indiscreti, Lukas avrebbe dato sfogo alla propria ira,
sbraitando, prendendo a pugni le pareti, forse lanciando qualcosa.
Magari l’avrebbe pure colpita, non era del tutto escluso, ma
a lei non sarebbe importato.
Erano passati anni dall’ultima volta che Larisa
Zykova aveva dato importanza a qualcosa o qualcuno. Sì, in
un certo senso le stavano a cuore Nika, Katrina, Elena e lo stesso
Lukas, nonostante il carattere violento e dispotico che in pubblico
celava dietro una maschera di cortesia, ma la verità era che
nulla ormai sembrava capace di scrollare la giovane balia dal velo di
apatia che avvolgeva le sue candide membra giorno e notte.
- Mi spieghi che cazzo di problemi bisogna avere per
assumere gente tanto incapace?
Il volto di Lukas era più rosso della gigantesca
macchia di vino che deturpava la sua giacca.
- Lo stipendio di uno qualsiasi degli inetti che lavorano
qui non basterebbe ad acquistare nemmeno un bottone di questa fottuta
giacca! Porca puttana! Maledetti loro e la loro miserabile esistenza!
Larisa non batté ciglio quando il ragazzo le
scagliò addosso l’indumento rovinato, si
limitò a scostarlo dal viso e lisciarne le pieghe,
avviandosi verso il bagno della cabina. Senza preavviso, Lukas le
afferrò un braccio con violenza, la mise con le spalle al
muro e la bloccò contro la parete, schiacciandola con il
proprio corpo: - Dove pensi di andare?
- A pulire la tua giacca – rispose ingenuamente la
ragazza. I capelli scuri incorniciavano ordinatamente un volto giovane,
congelato in un’espressione perennemente assente e svagata.
Gli occhi celesti, fissi in quelli del ventiduenne russo, non
lasciavano trasparire alcun cenno di timore.
- Ho deciso che se ne occuperanno gli imbecilli che lavorano
sulla nave – spiegò il Principe in tono mellifluo,
togliendole l’indumento di mano e lasciandolo cadere a terra
- Tu, al momento, dovrai occuparti d’altro.
Con foga, premette la bocca contro quella della balia,
mordendole il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Soddisfatto, si
scostò repentinamente, afferrando la ragazza per le spalle e
gettandola a terra. Larisa cadde carponi sul tappeto, senza emettere
alcun gemito, si rialzò stoicamente e presa a lisciarsi le
pieghe della gonna con aria assente.
- Nika mi sta aspettando – commentò
distrattamente, rivolgendosi quasi più a sé
stessa che all’affascinante aguzzino – Si
starà chiedendo perché ci metto tanto…
Il ceffone che la colpì in pieno volto fu
sufficientemente forte da farla cadere sul morbido letto coperto da
lenzuola cremisi.
- Si può sapere che cazzo hai detto? –
ringhiò Lukas, sedendosi accanto a lei ed esercitando con le
mani una pressione sulla sua schiena abbastanza forte da bloccarla
contro il materasso – Adesso parli da sola come i pazzi?
Larisa non replicò. Rimase immobile, permise al
biondo di posizionarla su un fianco e ricambiò il secondo
bacio che lui le rubò, stringendo con forza uno dei suoi
seni tra le dita affusolate.
Non le dava fastidio. Nulla l’aveva più
infastidita da quel maledetto giorno, quando suo padre aveva
danneggiato in modo irreparabile ogni minimo frammento della sua
esistenza…
Due piccoli colpi alla porta destarono il carnefice da
qualsiasi proposito: Lukas si alzò dal letto rapidamente,
cercando di rendersi presentabile: - Avanti.
Il volto dolce di Katrina Volkov fece timidamente capolino
dalla soglia della cabina: - Larisa è qui? Nika la sta
aspettando in sala.
Come nulla fosse, il Principe annuì, rivolgendosi
alla balia in tono cordiale e pacato: - Vai da Nika.
La diciottenne si alzò dal letto senza fiatare,
diede una rapida controllata alle proprie vesti e, sistemandosi un
ciuffo ribelle, oltrepassò la porta senza fiatare,
limitandosi ad annuire quando Katrina le domandò “Tutto a
posto?” con fare apprensivo.
La parte di volto colpita dallo schiaffo presentava una
colorazione vivace, ma il labbro rotto stava già smettendo
di sanguinare. Eliminando ogni traccia di emorragia con un fazzoletto,
Larisa tornò al salone principale di Prima Classe,
raggiungendo il tavolino dove la piccola Nika l’attendeva
sorridente in compagnia di un giovanotto magro dai capelli scuri.
- Ehi, buonasera! – salutò quello,
rigirando tra le dita il mazzo di carte – Spero che la mia
presenza non La infastidisca, sto smaltendo una sbornia e i miei
famigliari mi hanno permesso di stare in Prima Classe a patto che non
mi salti in mente di avviare conversazione con adulti di alto
rango.
- Charles fa giochi di magia con le carte! –
esclamò entusiasta Nika, mentre la balia prendeva posto
senza replicare – Prova a pescarne una dal mazzo, ma non
fargliela vedere: lui la indovinerà!
Con fare flemmatico, Larisa estrasse il Re di Fiori,
osservandolo per qualche secondo e poi mostrandolo a Nika. Lo ripose
quindi nel mazzo, fissando con occhi impassibili il giovane
prestigiatore tutto intento a mescolare le carte con aria astuta e
teatrale.
- Ordunque, mia signora- disse infine - sono piuttosto certo
d’aver finalmente intuito quale sia la carta da Lei pescata.
Con un gesto plateale, depose il Re di Fiori al centro del
tavolo: - E’ forse questa?
Larisa si limitò ad annuire, mentre Nika
lanciò un gridolino entusiasta, battendo le mani: - Esatto!
Hai visto, Risa? Hai visto? Come avrà fatto? Pensi che
potrei mai imparare?
- Solitamente un mago non rivela mai i suoi trucchi al
pubblico – spiegò Charles in tono furbo
– Ma forse potrei fare un’eccezione per una
signorina così bella.
Nika rispose con una risatina acuta, arrossendo fino alla
punta delle orecchie: - Che bello, imparerò a fare magie!
Poi le farò vedere a Lukas e lui resterà
sbalordito! Ma… Risa… che cos’hai sulla
faccia?
La balia si portò istintivamente la mano al viso.
La guancia era ancora calda e pulsante, ma, come al solito, il dolore
si presentava ai suoi nervi in modo molto ovattato, come appartenesse
ad una realtà differente, insieme a tutto il resto.
- Niente, un piccolo incidente – rispose senza
tradire emozioni, ignorando lo sguardo perplesso di Charles –
Vogliamo riprendere la partita?
ATTO
VII – POV Nancy
Nancy Henrietta Kahn era rimasta in disparte a fissare i tre
ragazzi che correvano qua e là sul ponte, cercando di
afferrare il gattino grigio che si intrufolava tra le gambe delle
persone, saltava su tavolini e sedie esterni e provocava più
scompiglio della coppia di topi avvistata la mattina stessa nella sala
del pianoforte.
Acciuffarono la bestiola un istante prima che balzasse sulla
ringhiera del parapetto, evitandole un rischio fatale.
Nancy sospirò, riprendendo la camminata che
l’avrebbe portata alla propria cabina. Si stava annoiando,
erano ore che non succedeva nulla di interessante da quelle parti, la
cattura del felino aveva per lei rappresentato la massima fonte di
svago del pomeriggio.
Mentre si domandava cosa potesse inventarsi per far passare
il tempo, si scontrò con una ragazzina altezzosa, abbigliata
con un elegante abitino bianco e lilla dall’aria costosa.
- Ehi, guarda dove vai! – protestò
accigliata – Voi nobiliastri siete tutti uguali: guardate
sempre in alto, da bravi snob, o in basso quando cercate i diamanti che
vi sono cascati dalle tasche. Se teneste lo sguardo dritto di sicuro
evitereste di venirmi sempre addosso!
Forse era stata un pochino ingiusta, ma ne aveva davvero
abbastanza della gente che finiva inevitabilmente per non notarla e
urtarla a causa della sua altezza.
- M-mi dispiace – balbettò
l’aristocratica con aria quasi confusa - Sto… sto
cercando il mio gatto… non diamanti…
- Gatto?
Ah, dunque era lei la proprietaria di quel terremoto
tigrato!
Con fare poco convinto, Nancy le indicò la
direzione intrapresa dalla bestiola, poi, quando la ragazza ricca si fu
allontanata, riprese tranquillamente a camminare, non notando
l’ombra scura che la seguiva.
La piacevole melodia di un pianoforte giunse alle sue
orecchie, portandola a compiere una deviazione alla sala principale di
Terza Classe: era sempre lui a suonare, l’uomo allampanato
dall’aria assente.
Aveva suscitato un certo interesse tra i passeggeri
più poveri, per via della sua eccezionale bravura ma,
soprattutto, per l’atteggiamento particolare e leggermente
svampito che mostrava se costretto a distogliere l’attenzione
dal proprio spartito.
Nancy prese una sedia abbandonata in un angolo della sala e
si accomodò un po’ in disparte, lo sguardo fisso
sul misterioso musicista.
Aveva appena cominciato a trovare un po’ di
sollievo dalla noia e dal nervosismo, quando qualcuno le
toccò una spalla ed una voce maledettamente famigliare le
sussurrò in un orecchio: - Che piacevole sorpresa!
Nan si voltò di scatto, gli occhi sbarrati. Una
colorita imprecazione sorse spontanea dalle sue labbra carnose: - Che
diamine ci fai tu qui?
Il ghigno stampato sull’odiosa faccia di Nicholas
Brandy si trovava pericolosamente vicino al suo volto pieno e grazioso.
Represse a stento l’istinto di mollargli un pugno sul naso e
scappare.
- Potrei domandarti la stessa cosa –
replicò calmo l’altro, cercando di non attirare
l’attenzione dei passeggeri circostanti – Ti sei
pagata il viaggio con del denaro sporco. Che in parte spettava a me.
- Non dire stronzate! – sibilò Nancy
minacciosa – Non ho idea di cosa tu stia parlando, ho
comprato il biglietto con soldi miei.
- Ti ricordo che abbiamo organizzato la truffa assieme,
Nancy. Voglio la mia parte.
- Ripeto: non so di cosa tu stia parlando.
Nicholas aprì la bocca per rispondere, ma si
bloccò non appena si accorse che un paio di persone avevano
cominciato a fissare lui e Nan con aria incuriosita. Senza scomporsi,
l’ufficiale porse il braccio alla fanciulla, parlando in tono
sufficientemente alto da farsi sentire: - La Sue bellezza mi ha
stregato, signorina: vuole concedermi l’onore di questo ballo?
Nancy gli rifilò un’occhiata in
cagnesco, ma non voleva rischiare di attirare troppa attenzione su di
sé, così accettò l’invito,
cominciando a volteggiare con lui per la stanza a ritmo di musica.
Ben presto, diverse coppie si unirono alle danze, dando
luogo ad una piacevolissima coreografia improvvisata. Il pianista
continuava imperterrito a muovere le dita sui tasti, avvolgendo
l’intera sala con meravigliose melodie.
- Come si chiama? – domandò Nicholas
alla compagna, indicando il suonatore con un cenno della testa
– Suona piuttosto bene per essere un povero…
- Non lo so, non ha ancora parlato con nessuno –
replicò fredda Nancy – A vederlo, pare non sappia
nemmeno di stare al mondo.
- Ci penso io – assicurò
l’altro, conducendola in prossimità del pianoforte
senza interrompere la danza.
- La Sua musica è incantevole, signore
– disse, cercando di attirare l’attenzione
dell’uomo – Potrei sapere dove ha studiato?
Quello voltò la testa lentamente, le sopracciglia
aggrottate. Dimostrava una trentina d’anni o poco
più, aveva i capelli corti e castani, pettinati in modo
piuttosto approssimativo, e impassibili, seppur profondi, occhi
grigioverdi.
- Qua e là – rispose, senza batter
ciglio – Anche improvvisando, sempre sulle navi. Almeno
credo.
Nick lo fissò piuttosto perplesso, ma Nan lo
trascinò via con fare stizzito: - Hai visto? Lascia perdere,
te l’avevo detto: quello non sa nemmeno di stare al mondo.
ATTO
VIII – POV Lily
Rose era stata piuttosto strana durante la cena. Aveva riso
di gusto nel pomeriggio, quando Lily le aveva raccontato
dell’incontro con i tre insolenti ragazzi di Terza Classe,
ma, nel giro di qualche ora, era diventata seria e silenziosa. Cal e
Ruth dovevano averla fatta arrabbiare parecchio.
- Prima o poi prenderò a pugni tutti e due
– sibilò la piccola Sandler, prendendo posto su un
divanetto accanto alla sorella – Li odio. Non capisco cosa ci
trovino di divertente nel farla star male.
- Io non credo che il loro comportamento abbia il fine di
dare il tormento a Rose – rispose Violet placidamente
– Semplicemente sono due imbecilli. E a proposito di Rose,
dov’è finita?
- Non lo so – Lily fece scorrere lo sguardo lungo
tutto il perimetro della sala- Ha detto che ci avrebbe raggiunte
più tardi.
- Signori! – proruppe improvvisamente a gran voce
una donna bionda quando l’orchestra terminò di
suonare – Buonasera a tutti!
- Ma chi diamine è questa? –
esclamò stupita la sedicenne – Da quando si fanno
annunci o presentazioni a quest’ora?
- Invito tutti ad accogliere con un applauso –
continuò la presentatrice improvvisata – il
pianista Sean Emmett Grimm, che suonerà per voi la sua
ultima composizione su gentile richiesta del signor Andrews!
- Bravo Sean! – urlarono in risposta un ragazzo
dai capelli scuri (che Lily identificò come il fratello
scapestrato di Agnes Fitzherbert) ed una biondina minuta, la quale
arrossì immediatamente, quando percepì lo sguardo
degli altri passeggeri su di sé, e si nascose dietro al
compare.
Sean Grimm si diede il cambio con il pianista ufficiale,
William Brailey, fulminando con lo sguardo i tre che avevano
organizzato la sua chiassosa quanto grossolana presentazione.
- Che razza di pagliacciata è mai questa?
– domandò Ruth al signor Sandler, il quale si era
appostato a pochi passi dal divanetto su cui sedevano le figlie.
- Non sia sempre così acida –
commentò il professore, mentre il pianista cominciava a far
scorrere le dita sui tasti – Sono curioso di ascoltare il suo
brano.
- E poi, perché critica tanto le pagliacciate,
Ruth? – domandò ingenuamente zio Eric –
Insomma, la parrucca che Lei
porta in testa ricorda molto la capigliatura di un qualsiasi pagliaccio!
- La mia non è una parrucca! –
strillò la donna offesa, allontanandosi con fare sdegnoso.
Lily si lasciò sfuggire un sorrisetto sadico,
ripromettendosi di dare allo zio un forte abbraccio una volta tornati
in cabina.
L’abilità di Sean Grimm fu sufficiente
a far dimenticare presto lo scherzo giocatogli dai suoi amici: i
passeggeri di Prima Classe ascoltavano rapiti, alcuni seduti con gli
occhi chiusi, altri, tra i quali Lukas e Katrina Volkov, improvvisando
eleganti balli di coppia.
Lily per un attimo sentì i propri pensieri
annullarsi, lasciandosi cullare dalle note dolci e malinconiche del
piano, ma sussultò quando udì qualcuno mormorare
dietro di sé: - No, non è lui…
Si voltò stupita: la cameriera sbadata di nome
Danielle fissava Sean con aria disillusa, seppur incantata.
- La musica è divina… ma non
è la sua…
- Parli con me? – domandò la piccola
Sandler, pregando che quella non si spaventasse e le rovesciasse
addosso qualcosa – Chi è lui?
Danielle si scosse bruscamente, quasi si fosse appena
destata da un lungo sonno. Ricambiò per qualche istante lo
sguardo della sedicenne, poi mormorò qualcosa di
incomprensibile, allontanandosi in fretta.
Lily sbuffò, alzandosi con aria stizzita: - Ma si
può sapere cos’hanno tutti, oggi? Vado a cercare
Rose, tienimi il posto, per favore.
Senza attendere la risposta della sorella, raggiunse
rapidamente l’uscita della sala, rischiando di scontrarsi con
Jamie Richardson che, in quel momento, stava varcando la soglia. Aveva
un’aria circospetta e nervosa, mentre, dietro di lui, il
sergente Duncan Peters chiacchierava tranquillamente con la cameriera
di nome Shannon.
- Mi dispiace – si scusò la ragazzina
– Non ti avevo visto…
Jamie la fissò ad occhi sgranati, voltandosi poi
allarmato verso i due compagni.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: senza attendere
una risposta, Lily passò accanto a loro stringendo i pugni e
mordendosi nervosamente la lingua. Ne aveva avuto abbastanza della
scortesia, dei comportamenti sospetti e delle stranezze delle persone.
Raggiunse le cabine di Prima Classe e bussò un
paio di volte alla porta dei Dewitt Bukater.
- Rose? – chiamò – Rose, sei
qui? Va tutto bene?
Attese pazientemente per diversi secondi, senza ottenere
alcun cenno di vita dall’interno dell’alloggio.
Strano.
Istintivamente, la ragazzina si portò una mano al
collo, tastando tra le dita il ciondolo della nonna. Esattamente
com’era successo al momento dell’imbarco, Lily fu
colta da uno strano presentimento: senza sapere il perché,
cominciò a correre lungo il corridoio, attraversando una
lunga successione di porte elegantemente verniciate.
Una sola parola le si impresse nella mente, la stessa che
aveva insistentemente pensato il giorno in cui zio Dewitt Bukater
morì.
Suicidio.
***
Angolo
dell’Autrice: Ecco qua
il secondo capitolo, nel quale sono stati presentati tutti i personaggi
prenotati. Naturalmente, nel prossimo capitolo si leggeranno anche i
POV di Nicholas Brandy e del misterioso pianista di Terza Classe.
Come al solito, speriamo che i personaggi
rispecchino le aspettative dei loro creatori.
Grazie a tutti per aver letto,
Tinkerbell e Phoebe
|
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Capitolo 4 *** Duetto musicale ***
(Banner di Pandamito)
ATTO I -
POV
Nicholas
-
Tutto ciò è inammissibile! Cosa ti ha fatto
pensare di poter mettere le mani addosso alla mia fidanzata? Guardami,
feccia umana!
-
Cal…
-
Che ti è saltato in mente?
Il
riccone
con la faccia da topo sembrava pronto a sputare fiamme e fumo su un
ragazzino smilzo dai capelli biondi, vestito piuttosto poveramente.
Nicholas picchiettò le dita sulla spalla del Colonnello
Archibald Gracie, domandando cosa diamine stesse succedendo.
Stava
tranquillamente portando a termine la propria ronda, quando delle grida
provenienti da poppa l’avevano costretto a correre sul posto
insieme ad altri ufficiali.
Prima
che
il Colonnello avesse il tempo di aprire la bocca per spiegare la
situazione, la bella ragazza dai capelli rossi, presunta fidanzata di
Faccia da Ratto, si fece avanti per svelare l’arcano e
placare le ire del futuro consorte. Da sotto la coperta che
l’avvolgeva, si poteva notare un vistoso strappo sulla gonna
del suo costoso abito cremisi.
-
È stato un incidente- assicurò, alterando
ingenuamente il tono di voce - Davvero. Banalissimo. Mi ero sporta e
sono scivolata. Mi ero sporta un po' troppo per vedere... ah... ehm...
le... le...
-
Eliche? – suggerì Faccia da Ratto perplesso.
-
Le eliche – annuì lei - E sono scivolata. Sarei
caduta in mare, ma il signor Dawson mi ha salvata, e per poco non
cadeva anche lui in acqua.
Gli
uomini
presenti aggrottarono la fronte con aria confusa.
- Volevi
vedere le... voleva vedere le eliche!
- Come
dico
spesso – rise il Colonnello Gracie - Donne e motori non
legano.
“Se
lo sentisse Nancy lo manderebbe a fanculo, lui e i suoi
motori”
sogghignò Nick, allontanandosi con flemma. Evidentemente era
stato solo un falso allarme e non c’era bisogno del suo
aiuto. E poi, l’espressione viscida del tirapiedi di Faccia
da Ratto lo infastidiva non poco.
Evitò
per un pelo di scontrarsi con una ragazzina di Prima Classe che stava
attraversando il ponte di corsa (forse era la stessa che cercava
disperatamente il gatto quello stesso pomeriggio), poi si
appoggiò distrattamente al parapetto, osservando le acque
scure che scorrevano diversi metri più in basso.
Non era
affar suo l’episodio della rossa e dell’eroico
biondino, eppure si ritrovò presto a rimuginare su un paio
di incongruenze: prima di tutto, dov’è che lo
smilzo aveva trovato il tempo di slacciarsi le scarpe,
nell’istante in cui la ragazza perdeva
l’equilibrio? E soprattutto, come poteva lei pretendere di
vedere le eliche della nave da quella postazione? Forse stava
sottovalutando l’ignoranza e la stupidità umana,
ma a Nicholas sembrava assurdo che una persona adulta potesse sul serio
partorire un’idea simile.
“O
non l’hanno mai fatta uscire di casa” pensò “Oppure
quella ragazzina è pericolosamente…”
-
Ingenua.
L’ufficiale
Brandy si voltò, rompendo il suo solito atteggiamento di
noncuranza. Per un attimo non vide nessuno dietro di sé,
così cominciò a credere di essersi soltanto
immaginato quell’inquietante voce femminile, poi
però, aguzzando la vista, notò una figura minuta
seminascosta dalla penombra. Era in piedi, immobile, si scorgeva appena
il luccichio maligno dei suoi occhi. Lo stava fissando.
Mantenendo
il sangue freddo, Nick raddrizzò la propria postura, facendo
scivolare la mano sulla pistola: - Prego?
La
figura
fece un passo in avanti, permettendo alle luci artificiali della nave
di rivelare parzialmente il suo volto. Era una passeggera di Prima
Classe, intravista durante i controlli il giorno
dell’imbarco.
- Ho
detto
che quelle persone sono stupidamente ingenue, se credono alle parole
della ragazza.
Nicholas
sostenne il suo sguardo ferino, ignorando il forte senso di disagio che
lo stava tormentando: - Lei ha quindi assistito alla scena,
signorina…
- Lady
Mildred Newell – lo interruppe lei in tono saccente
– E’ il mio nome, può tranquillamente
utilizzarlo per rivolgersi a me, mio
caro…
-
Ufficiale
Nicholas Brandy – la anticipò il ventiquattrenne,
giocando allo stesso gioco – Sarò certamente lieto
di adoperare il Suo nome, Lady Newell, così come suppongo
Lei sarà lieta di adoperare il mio.
- I nomi
sono importanti – convenne la donna con un sorriso velenoso
– Così come le parole ed i gesti. Ma è
raro che qualcuno dia ad essi il giusto peso, come hanno dimostrato
poco fa il signor Hockley ed i suoi compari.
Nick
trattenne con forza l’istinto di battere le palpebre.
Solitamente non ne avvertiva la necessità tanto spesso,
anzi, ma lo sguardo gelido e fisso di quell’inquietante
signorina gli provocava una sensazione di disagio mai avvertita prima.
Per un istante, in quelle terrificanti pupille vide il riflesso di una
tempesta, onde alte, pioggia fitta… percepì un
orrido gusto salato in bocca e le membra intorpidite
dall’acqua ghiacciata. Assi di legno spezzate che
galleggiavano attorno… la mano di Byron che scivolava via
dalla sua, scomparendo tra i flutti…
- Non
è stato un incidente, vero? – domandò,
cercando di scacciare dalla mente quell’incubo ricorrente
contro cui lottava da anni.
Lady
Newell
avanzò di un altro passo, portando l’interlocutore
a lottare contro l’impulso di indietreggiare. Sembrava in
procinto di rivelare un importante segreto, invece si limitò
a sollevare gli angoli della bocca in un gelido sorriso abbozzato,
rispondendo con aria sibillina: - Lei sì che è
perspicace, Ufficiale Nicholas Brandy.
Il
biondo
non replicò, la fissò per qualche istante mentre
si allontanava, sempre protetta dalla penombra, poi volse nuovamente lo
sguardo verso il mare, certo che quella notte avrebbe udito ancora per
un po’ nella testa il riecheggiare, ormai lontano, di quei
terribili passi.
“Quella
tipa sembra pericolosa” pensò “Non
so perché ma ho una brutta sensazione…”
Quasi
automaticamente, le sue gambe cominciarono a muoversi sempre
più rapidamente, portandolo a scendere sempre più
in basso.
La corsa
terminò di fronte all’ingresso delle cabine di
Terza Classe.
ATTO
II – POV Lily
Non le
importava che i capelli si scompigliassero durante la corsa, o che
l’abito rischiasse di impigliarsi da qualche parte,
strappandosi. In quel momento, Lily Sandler pregava con tutte le
proprie forze di non inciampare e di non perdere la sua migliore (e in
realtà unica) amica.
“Non
puoi, Rose. Non puoi farlo. Tuo padre non ha risolto nulla,
anzi.”
Non
sapeva
nemmeno perché stesse correndo con tanta sicurezza in una
determinata direzione, ma non importava, avrebbe setacciato la nave da
cima a fondo pur di impedire a Rose di compiere una stronzata.
Rischiò
di scontrarsi con un ufficiale (non era quello che l’aveva
portata da Theo solo poche ore prima?) e, proprio mentre aveva quasi
raggiunto gli scalini che portavano a poppa, la figura alta e impettita
di Cal fece capolino in cima alla scalinata, affiancato da una sagoma
più bassa e formosa, avvolta in una coperta.
Lily non
le
diede nemmeno il tempo di scendere.
- Rose!
Aveva il
volto arrossato, i capelli appiccicati alla fronte ed il respiro
affannoso, forse il suo abito si era pure macchiato di sudore, ma non
pensò nemmeno di darci peso, si lanciò tra le
braccia della migliore amica, rischiando di farla cadere. Non
avvertì nemmeno la scia bagnata delle lacrime che avevano
cominciato a rigarle le guance.
- Rose!
Oddio, sei qui… sei qui, stai bene…
-
Sto… bene – balbettò la rossa sorpresa
– Lily, cosa… che cosa ci fai qui?
- Potrei
farti la stessa domanda! – urlò l’altra
senza smettere di singhiozzare – Pensavo… pensavo
che tu…
- Lily,
calmati – disse Cal in tono viscidamente cortese –
Rose è molto scossa, stava per avere un incidente
terribile…
- Quale
incidente? – domandò sospettosa la castana,
cercando di prendere il respiro.
- La
signorina Rose, a quanto pare, era convinta di riuscire a vedere le
eliche della nave sporgendosi dal parapetto – intervenne
Lovejoy impassibile – Ha perso l’equilibrio e stava
per cadere in acqua, ma un giovane di Terza Classe è
intervenuto e le ha salvato la vita. Almeno, questo è quanto
la signorina Rose ha raccontato.
-
E’ andata così – asserì la
rossa, lanciando di nascosto un’occhiataccia al viscido
tirapiedi.
- Le
eliche?
Lily
sgranò gli occhi incredula. Di tutte le assurdità
che aveva sentito, quella occupava senza dubbio un posto sul podio.
Si
offrì di accompagnare l’amica in cabina,
permettendo a Cal e Lovejoy di tornare a godersi la compagnia dei
ricconi in sala, ma non proferì parola fino a quando non si
trovarono sulla soglia dell’alloggio delle Dewitt Bukater.
- Volevi
vedere le eliche – ripeté la Sandler in tono
ironico – Seriamente? Una scusa peggiore no?
-
E’ vero – borbottò la rossa, per nulla
convinta – Madeleine Astor mi ha detto che lei è
riuscita a…
- Primo,
non nominarmi quella lurida arrampicatrice sociale –
sbottò Lily, contenendo a fatica la rabbia
nell’udire il nome di una delle persone che più la
disgustavano – Secondo, forse un deficiente come Cal
potrà credere che tu sia in grado di commettere simili
idiozie, ma io ti conosco da troppo tempo, Rose Dewitt Bukater. Che
cosa è successo veramente?
- Ho
rischiato di cadere in acqua e un ragazzo mi ha salvata –
ribatté ostinata la diciassettenne – E’
la verità. Si è trattato solo di un incidente.
Stava
mentendo. Lily ormai aveva imparato ad interpretare i gesti ed il
linguaggio della migliore amica e non aveva alcun dubbio in proposito.
In più, non si era mai sbagliata quando presentimenti tanto
forti la coglievano all’improvviso, in particolare da quando
aveva cominciato ad indossare il ciondolo della nonna.
Ferita
per
quella totale mancanza di fiducia, la ragazzina alzò il
mento altezzosa e replicò in tono gelido: - Benissimo.
Grazie per la sincerità, Rose.
Girò
i tacchi, allontanandosi a passo svelto. Rose la chiamò
soltanto una volta, ma non si fermò. Quando raggiunse il
salone, aveva gli occhi ludici.
- Lily,
dove sei stata? – la accolse Violet, il volto segnato dalla
preoccupazione – Hai parlato con Rose? Ho sentito che ha
rischiato un brutto incidente…
-
Sì, le ho parlato – sibilò fredda la
minore – Adesso sta benissimo.
Suo
padre e
zio Eric stavano discutendo animatamente con Cal, attorniati da un
gruppetto di gentiluomini e dame. Ruth non aveva perso occasione di
avvinghiarsi al braccio del signor Sandler.
- Chiedo
scusa, Miss Sandler. Abbiamo udito di quanto è accaduto poco
fa, potrebbe fornirci delle delucidazioni?
A
parlare
era stato Lukas Volkov, avvicinatosi insieme alla domestica e due
sorelle. L’eleganza del biondo Principe, che aveva stregato
buona parte dei presenti, incuteva uno strano senso di gelo e distacco
nella mente della Sandler più giovane.
- Non
ero
presente – borbottò risentita – Posso
solo riferirvi quanto mi è stato raccontato. A quanto pare,
Rose si è sporta dal parapetto di poppa per vedere le eliche
della nave, è scivolata ma è stata salvata da
uno... da uno straccione di Terza Classe!
Sputò
le ultime parole quasi con rabbia, stringendo i pugni. Rose avrebbe
dovuto fare i salti mortali per ottenere il suo perdono.
Comprensibilmente,
i Volkov e Violet si scambiarono un’occhiata confusa.
-
Perdonami
ma la tua amica è un po’ tonta. A me non sarebbe
mai passato per la testa di fare una cosa simile –
asserì Nika Volkov, scuotendo poi il braccio della tata
– Vero, Lari?
- Non
l’avresti mai fatto – concesse la diciannovenne con
aria assente – No, tu sei una bambina giudiziosa.
- Non
serve
essere giudiziosi per evitare simili imprudenze –
osservò Lukas, bevendo un sorso di vino rosso –
Forse la signorina Dewitt Bukater aveva alzato un po’ il
gomito?
-
L’importante è che adesso stia bene – si
intromise Katrina Volkov in Sokolov con fare materno – Ha
bisogno di qualcosa? Se vuole, possiamo farle visita o portarle una
tazza di tè…
- Rose
sta
bene – replicò Lily lapidaria – La
ringrazio per il pensiero, Katrina, ma non si disturbi. Ho visto che
Trudy, la sua domestica, si è avviata di corsa verso le
cabine, ci penserà lei.
- Allora
speriamo che Miss Dewitt Bukater dimentichi in fretta il brutto
incidente – sorrise il Principe, sfiorando con un gesto
furtivo la mano di Larisa – Si sarà presa un bello
spavento e…
- Chiedo
scusa – lo interruppe la balia russa, fissando un punto
imprecisato alle spalle di Lily – Elena è
finalmente tornata.
- Oh!
– esclamò Lukas, portando Katrina a rabbrividire,
seppur per un attimo – Quale gioia! Cominciavo a credere che
la nostra cara sorella avesse lasciato la nave! Con permesso, signorine.
C’era
un qualcosa di strano nel modo in cui gli erano brillati gli occhi e
qualsiasi cosa fosse non portava a nulla di buono. Katrina si
congedò piuttosto spiccia, seguendo il fratello con sguardo
apprensivo, mentre Larisa, senza lasciar trasparire alcuna emozione,
prese in braccio Nika e la portò fino al divanetto dove si
era stravaccato quello squinternato di Charles Fitzherbert.
- Rose
si
è rincoglionita tutt’a un tratto oppure
c’è qualcosa che mi stai nascondendo? –
domandò Violet alla sorella – Perché
quella delle eliche, sinceramente, mi pare una storia assurda.
-
L’unica che nasconde qualcosa è Rose –
brontolò la ragazzina, tendendo istintivamente
l’orecchio per udire i bisbigli che Lukas Volkov stava
rivolgendo alla sorella fuggiasca. Il suo tono era basso, ma
più che sufficiente a darle i brividi. L’ultima
frase risuonò spaventosamente chiara.
“Adesso
in cabina facciamo i conti, stupida puttana!”
ATTO
III
– POV Joanne
- Mi domando ancora cosa mi
spinga ad avere a che fare con voi – brontolò
Sean, scendendo controvoglia le rampe di scale che portavano in Terza
Classe – Girare così, alla cieca, di primo
mattino… e giusto perché lo sappiate, non vi ho
ancora perdonato la buffonata dell’altra sera.
- Sei
piaciuto a tutti – lo rimbeccò Joanne con un
sorriso – Abbiamo soltanto reso la tua performance ancor
più indimenticabile.
-
Al-alcuni
hanno detto c-che è s-stata una trovata s-simpatica
– si giustificò timidamente Andy, che non aveva
ancora preso una gran confidenza col giovane pianista.
- E poi
fidati – soggiunse Charles con un ghigno furbo –
Poteva andarti peggio. Alla fine ero molto meno ubriaco del solito.
Sean
alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, e Joanne lo
abbracciò, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Sapeva che, nonostante tutto, il suo migliore amico non
l’avrebbe mai piantata in asso. A differenza dei terribili
parenti che il caso aveva loro affibbiato, si erano consapevolmente
“scelti” come fratello e sorella ed avrebbero
felicemente convissuto con questa scelta fino alla fine dei loro
giorni.
- Ma mi
volete spiegare perché stiamo andando in Terza Classe?
La
bionda
si guardò attorno circospetta, l’immancabile
veletta calata sugli occhi verdi: - E’ successo un mezzo
casino ieri sera, pare che un ragazzo di basso rango abbia salvato una
giovane aristocratica…
- Rose
Dewitt Bukater – specificò Charles – Non
ero completamente lucido ieri sera, ma ho sentito strani discorsi. Poi,
mentre stavo tornando in cabina, passando per il ponte, una figura
indistinta mi ha suggerito di indagare un po’ sulla cosa. Ha
detto che sarebbe stato divertente.
- No, ma
quindi mi state dicendo che noi dovremmo investigare su un fatto che
non ci riguarda solo perché una “figura
indistinta” ha detto a Charles, miope e quasi perennemente
sbronzo, che ci saremmo divertiti?
Il
pianista
si coprì gli occhi con il palmo della mano: - Rettifico:
perché continuo ad aver a che fare con voi?
-
Preferiresti passare le giornate in Seconda Classe, bighellonando e
intrattenendo conversazioni noiose? – domandò Jo
con fare sarcastico – Dai, Sean, cosa
c’è di più affascinante di un mistero
da svelare?
- E
p-poi
– aggiunse Andrea – Ho s-sentito che in T-Terza
Classe c’è un altro pianista b-bravissimo.
M-magari potete con-confrontarvi un po’?
Il
trentaduenne aprì la bocca per rispondere, ma
sobbalzò quando, girando l’angolo, non si
scontrarono per poco con una ragazza bassa e formosa.
- Oh,
magnifico! – sbottò quella – A quanto
pare, su questa nave, la gente non fa altro che venirmi addosso!
- Scusa
– rispose Jo, nascondendo a fatica un sorriso –
Siamo qui solo di passaggio. Vorremmo sapere qualcosa di più
sul ragazzo che ieri sera ha salvato Rose… Dewitt Bukater o
qualcosa del genere.
- Mi
correggo – brontolo l’altra, piantando le mani sui
fianchi – La gente su questa nave non fa altro che scendere
in Terza Classe, venirmi addosso e cercare cose, animali o persone!
Ieri la mocciosa con il gatto, oggi voi con il tizio che ha salvato il
culo alla riccona! Ma perché non potete restare nei vostri
alloggi a mangiare caviale?
- N-non
volevamo of-offendere – balbettò Andy,
costringendosi in tutti i modi a non sbirciare la scollatura della
ragazza – S-se vuoi ce ne an-andiamo…
- Eh no,
ragazzi, non vi ho seguiti fino a qui per restare a mani vuote!
– proruppe Sean, beccandosi occhiate incredule fa parte del
gruppetto di amici – Signorina, non vogliamo dare fastidio e
non l’abbiamo urtata intenzionalmente. Ci farebbe un enorme
favore se ci indicasse dove trovare qualche informazione.
- E
perché dovrei farvi un favore? –
ribatté l’altra ostinata – Non vi
conosco nemmeno.
-
Perché siamo delle bellissime persone super simpatiche con
abilità interessanti. Lui è un pianista, lei una
scrittrice, lei una pasticcera e io invento filastrocche sconce
– rispose Charles con un sorriso a trentadue denti
– Beh, in realtà dovrei anche essere uno studente
di Medicina, ma sono più bravo con le filastrocche e gli
alcolici, e poi…
- Va
bene,
basta! Se lo fate star zitto vi porterò da qualcuno che
potrà testimoniare su quanto è accaduto ieri sera!
Il
ventunenne rivolse un’occhiata trionfante agli amici,
seguendo la moretta verso la sala principale di Terza Classe.
- Il
ragazzo che cercate si è appena allontanato con una rossa
ben vestita, però posso portarvi dai suoi compagni di
cabina. Sono svedesi ma qualche parola inglese la capiscono.
- Oh,
nessun problema – sorrise Jo – Io ho studiato lo
Svedese.
- Buon
per
voi allora.
Seduti
ad
un tavolo rotondo, due ragazzi robusti (uno moro sui
trent’anni, l’altro poco più vecchio)
stavano giocando a carte con una donna dai capelli scuri vicina alla
quarantina, abbigliata con una semplice camicia ed una lunga gonna
nera.
- Oh, ma
conosco uno di loro! – esclamò la scrittrice
entusiasta – E’ Olaus, l’ho visto
proprio…
Un
attimo
di silenzio calò in mezzo al quartetto: la loro guida era
sparita nel nulla.
- N-non
l’ho vista n-nemmeno andare v-via… -
borbottò incredula Andrea, scambiando un’occhiata
interrogativa con Charles.
-
Pazienza,
almeno adesso abbiamo una pista – replicò
distrattamente Joanne, avvicinandosi al tavolino da gioco. Non appena
la vide, Olaus si illuminò, posando subito il proprio mazzo
di carte: - Joanne!
-
God morgon,
Olaus – rispose la bionda, accomodandosi sulla sedia libera
accanto alla donna dai capelli scuri - Jag
är glad att se dig igen.
- Credo
l’abbia salutato e gli abbia detto qualcosa come
”è un piacere rivederti” –
tradusse Sean per intuizione, notando le espressioni confuse di Charles
e Andrea.
- De
är mina vänner –
continuò Jo, indicando il trio alle proprie spalle
– Charles, Andrea e Sean, min
antagna bror.
- Voi
prende sedia! – sorrise lo svedese castano, facendo loro
cenno di avvicinarsi, per poi rivolgersi nuovamente a Joanne - Han
är min bror,
Bjorn. E... han
är Mary.
– disse, indicando prima il tizio biondo seduto accanto a lui
e poi la donna con cui stavano giocando.
- Io
parlo
solo inglese – rise quella, gettando di tanto in tanto
un’occhiata di controllo in direzione di un bambino sui sette
anni che correva per la sala – Volete giocare?
-
Perchè no? – rispose Jo –
Così, già che ci siamo, potremmo parlare degli
eventi accaduti ieri sera...
ATTO
IV – POV Nine
Anche
quella mattina aveva scordato di pettinarsi. Probabilmente, prima o
poi, si sarebbe dimenticato pure i pantaloni o la camicia. O entrambi.
La vita
di
Jonathan Nihil Nine era stata avvolta nel mistero fin dai suoi primi
giorni: era stato abbandonato su una nave da crociera quando aveva poco
più di un anno ed in seguito adottato
dall’orchestra di bordo. Non recava alcun documento con
sé, nessun misero indizio riguardo la propria
identità: fu così che i membri della banda
decisero di creargliene una nuova. Lo battezzarono con due nomi:
Jonathan, come il fratello scomparso del direttore, e Nihil, che
significava “nessuno”. Ci volle un po’ di
più per decidere il cognome del bimbo, ma alla fine il
pianista propose un’idea che fu ben accolta da tutti: il
giorno stesso in cui fu abbandonato, il piccolo si era imbambolato ad
ascoltare il gruppo intento a suonare la Nona Sinfonia di Beethowen;
così Jonathan Nihil divenne Jonathan Nihil Nine.
Si era
staccato da propri genitori adottivi soltanto di recente: sarebbe
sempre rimasto grato a loro per averlo accolto e introdotto al mondo
della musica, ma non aveva accettato il loro sentirsi scoraggiati e
propensi a mollare tutto dopo esser stati soppiantati da
un’altra orchestra, più avanguardista e di lusso.
Lui non
voleva mollare. Lui voleva suonare il pianoforte sulle navi, navi di
qualsiasi tipo e in qualsiasi condizione; non gli interessava sguazzare
negli agi e nella ricchezza, né diventare famoso ed avere un
pubblico raffinato. Per essere felice, gli bastavano un piano ed un
mare su cui navigare.
Giunse
al
salone di Terza Classe, notando, non senza un filo di disappunto, che
qualcuno stava già suonando in quel momento. Con un sospiro,
si lasciò cadere su una sedia situata in un angolo della
stanza, in disparte rispetto al resto dei passeggeri.
Tirò
fuori il proprio orologio dal taschino del gilet, esercitò
una leggera pressione sul bottoncino posto accanto
all’attaccatura della catenella e, quando l’oggetto
si aprì, s’imbambolò a fissare le
scritte che lui stesso aveva impresso all’interno.
"JNN
– 9 Sett. 1879 – Pianista"
La sua
identità racchiusa in poche lettere. Certo,
l’unica cosa “vera” era la professione,
ma, in caso si fosse perso nuovamente o fosse stato vittima di amnesia,
non avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.
Stralunato
sì, ma non sprovveduto.
-Chiedo
scusa…
Nine
batté un paio di volte le palpebre, riponendo istintivamente
l’orologio nel taschino. C’era un tizio dai capelli
biondi, medio –alto, in abiti militari; lo stava fissando con
uno stranissimo sguardo, quasi si aspettasse qualcosa… ma
cosa poteva volere un ufficiale sconosciuto da un pianista di Terza
Classe?
- Lei mi
sembra una persona per bene – continuò quello
– Sembra tanto distratto e fuori dal mondo, ma secondo me, in
realtà, Lei è un grande osservatore. Vorrei
chiederle un favore: potrebbe tenere d’occhio una persona ?
E’ una ragazza bassa, carina, con i capelli scuri…
aspetti, posso mostrarLe una sua foto. Sa, ieri sera sono accadute
delle cose che non mi fanno stare tranquillo e, anche se non mi va che
si sappia in giro, sono preoccupato per…
- Che
diamine stai facendo, Brandy?
Il
militare
si voltò di scatto, nascondendo nella tasca della giacca la
foto che stava per tirare fuori. Una giovane piccolina ma formosa lo
fissava con fare sospettoso.
“Bassa,
carina, capelli scuri…” pensò
distrattamente Nine, ripetendo le parole del biondo come una
filastrocca “Potrebbe
essere lei?”
-
Perché parli con questo tipo? Ti ho già spiegato
che vive in un mondo tutto suo e non ascolta una parola di quello che
dici!
- Volevo
solo provare a complimentarmi con lui, Nan – mentì
l’ufficiale – Solo perché non risponde
non significa che sia uno stupido o indegno di ricevere apprezzamenti,
giusto, amico?
- No,
non
sono uno stupido – mormorò il pianista, fissando
un punto imprecisato davanti a sé – La ringrazio
per gli apprezzamenti.
- Visto?
– sorrise il giovanotto con aria trionfante.
La
moretta
alzò gli occhi al soffitto, prendendo poi per mano il
compagno e trascinandolo in disparte: - Vuoi smetterla di farti vedere
da queste parti? La gente gira molto più di quanto dovrebbe:
ieri mi sono imbattuta in una mocciosa di Prima Classe, oggi sono scesi
anche quattro pazzi di Seconda… in questa nave iniziano a
succedere cose strane e sinceramente non vorrei rischiare di…
- A
proposito di cose strane – sussurrò
l’altro, avviandosi con lei verso l’uscita della
sala – Visto che sei qui, ho bisogno di metterti in
guardia…
Nine li
osservò allontanarsi per qualche secondo, poi diede
un’alzata di spalle: si erano dimenticati di lui quasi
subito, ma la cosa non gli dispiaceva in fondo. Non era mai stato bravo
ad interagire direttamente con le persone, preferiva esprimere emozioni
e sentimenti attraverso la musica.
Con sua
somma gioia, quando alzò nuovamente lo sguardo vide che il
pianoforte era libero: si avvicinò, camminando sulle nuvole,
poi, dopo essersi accertato che nessuno volesse accomodarsi prima di
lui, si sedette, accarezzando i tasti con amore.
Mentre
rifletteva rapidamente sulla melodia da eseguire, la sua attenzione
venne attirata da un qualcosa posizionato proprio accanto allo
spartito: petali cremisi, lungo gambo verdastro con impressi i segni
delle spine rimosse.
“Una
rosa”
pensò, afferrando delicatamente il fiore ed osservandolo con
curiosità. Un dubbio improvviso
s’insinuò nella sua mente: che qualcuno
l’avesse messo lì per lui?
“Strano” rifletté “Non
conosco nessuno… chi mai potrebbe farmi un regalo? Mi sembra
un po’ assurdo…”
Sì,
quel pensiero era abbastanza assurdo, azzardato. Eppure, lo
portò lo stesso a piegare le labbra in un lieve sorriso.
ATTO
V – POV Lily
- Per
quanto ancora hai intenzione di non parlarmi?
La
temperatura mattutina era piuttosto piacevole, spirava una leggera
brezza ed il cielo era limpido e sgombro dalle nubi.
Lily
incrociò le braccia, fingendo di guardare altrove, mentre
Rose sbuffava stizzita, scuotendo la testa.
- Va
bene,
come vuoi. Ma giusto perché tu lo sappia, una qualsiasi
bambina di tre anni è molto meno infantile di te.
- Rose,
lascia perdere, dai – sorrise Violet, scostandosi una ciocca
di capelli dagli occhi – Lo sai che ce ne vuole prima che le
passi un’arrabbiatura.
-
Violet,
puoi domandare alla signorina Dewitt Bukater perché stiamo
scendendo al piano degli straccioni? – la interruppe la
sorella minore in tono piatto – Vuole forse prendersi i
pidocchi?
- Molto
maturo da parte tua, Lily Sandler, davvero! –
sibilò la rossa – Se proprio vuoi saperlo, ho
intenzione di parlare con lo straccione che ieri sera mi ha salvata.
La
sedicenne alzò il mento con fare pomposo, rischiando di
scivolare su uno degli scalini. Pregò che le altre due non
se ne fossero accorte.
L’atmosfera
del salone di Terza Classe, sebbene un po’ grezza, era
allegra e rilassata, per nulla spiacevole. Qualcuno stava suonando un
vivace motivetto al pianoforte, anche se la musica cessò non
appena la gente si accorse della presenza delle tre ragazze
aristocratiche.
- Devo
dir
loro che veniamo in pace? – brontolò Lily a bassa
voce, strappando un sorriso alla sorella.
Rose si
guardò attorno per qualche secondo, poi si diresse verso una
coppia di panchine in legno, sulle quali sedevano diversi passeggeri.
Tre di essi avevano un’aria molto famigliare.
Lily
sgranò gli occhi, mordendosi nervosamente la lingua: - Non
ci credo…
Il trio
di
giovanotti che il giorno prima aveva recuperato Theo fissava incredulo
la rossa che si avvicinava lentamente. Il biondino smilzo e
l’italiano occupavano due posti sulle panchine,
l’irlandese invece si era accomodato su una sedia, le labbra
serrate su una di quelle orribili sigarette.
Rose si
fermò a distanza di sicurezza, senza perdere un solo istante
la sua aria composta e regale: - Buongiorno, signor Dawson –
disse rivolta all’americano.
-
Buongiorno – rispose lui un po’ incerto.
I suoi
due
amici ed una ragazza bionda seduta accanto all’italiano
sogghignarono sotto i baffi con aria maliziosa.
- Vorrei
parlarLe – continuò la diciassettenne –
In privato. Ragazze, vi dispiace se…
-
Tranquilla, ti aspettiamo qui – sorrise Violet, provocando un
sibilo disgustato alla sorella.
Il
signor
Dawson fulminò i compagni con un’occhiataccia, poi
si alzò, seguendo la rossa fuori dal salone. Non appena i
due uscirono dalla visuale, signor Napoli, signor Dublino e la biondina
scoppiarono in una risata sguaiata.
- Non
capisco cosa ci troviate di tanto buffo – disse Lily in tono
gelido – E’ così strano che una donna vi
rivolga la parola?
-
Sì, se si tratta di una donna appartenente al vostro ceto
sociale – spiegò l’irlandese riprendendo
fiato – Come credo risulterebbe strano a Lei se un rozzo
plebeo provasse a rivolgerLe la parola, signorina Londra.
La
ragazzina si morse il labbro, innervosita dalla palese provocazione, ma
il giovane napoletano bloccò qualsiasi risposta acida stesse
per sputare: - Come sta il nostro amico peloso?
- Theo
sta
bene – rispose lei distaccata, inorridendo quando Violet
occupò il posto lasciato libero dal signor Dawson.
- Quindi
siete voi i salvatori del nostro gattino! Piacere di conoscervi, io
sono Violet, sorella della Principessa Musona qui presente.
-
Incantato, Meraviglia! – trillò il ragazzo
italiano illuminandosi – Io sono Fabrizio e ho un debole per
le ragazze bionde. Beh, anche per le more e le rosse in
realtà. Lui invece è Tommy, mentre il guaglione che ha seguito la vostra
amica è Jack e lei… non ho ancora capito come si
chiama, ma so che è norvegese e già la
adoro… - concluse indicando la fanciulla seduta accanto a
lui.
Quella
si
lasciò sfuggire una risatina e strinse la mano che Violet le
stava porgendo: - Helga Dahl.
Lily
alzò gli occhi al soffitto, gettando occhiate nervose alla
soglia della sala. Rose non accennava a tornare e questo non fece che
aumentare il suo malumore.
“Dopo
di questa, puoi star certa che non ti rivolgerò mai
più la parola, Rose Dewitt Bukater” pensò minacciosa “Oh
sì, mia cara, ci puoi scommet…”
I
pensieri
si annullarono non appena puntò lo sguardo sotto una sedia
vuota situata a pochi passi da lei. Un musetto grigio scuro, munito di
baffi e orecchie tonde, fece capolino da dietro una delle quattro gambe
in legno levigato.
Spalancò
al massimo gli occhi in preda al terrore, emise uno strillo soffocato e
balzò all’indietro, perdendo però
l’equilibrio e ritrovandosi seduta sulle gambe del ragazzone
irlandese.
- Che
schifo! Avete perfino i topi qui! – urlò, mentre
la bestiola scappava a nascondersi nella propria tana – Oddio
adesso vomito!
- Non su
di
me, per favore – replicò signor Dublino,
trattenendo a fatica una risata – Forse Le
sembrerà strano, ma mi sono lavato giusto poco fa.
- Ma poi
non dovete preoccuparVi, Splendore – cercò di
rassicurarla Fabrizio – Questi topolini sono assolutamente
innocui, hanno più paura loro di Voi di quanta Voi ne
abbiate di loro.
- Questo
è tutto da vedere – ringhiò la piccola
Sandler, alzandosi in piedi e lisciandosi freneticamente le pieghe
dell’abito – Non mi tratterrò un secondo
di più in questo ricettacolo di sporcizia!
- Se
vuoi
torna in cabina – replicò Violet con
un’alzata di spalle – Io però vorrei
restare qui ancora un po’, le persone sono più
simpatiche in Terza Classe.
-
Fà come ti pare! Non c’è pericolo che
mi perda.
- Posso
accompagnarla io fino a un certo punto.
Lily si
zittì all’istante, voltandosi incredula. A parlare
era stato signor Dublino.
- Avevo
intenzione di fare due passi – continuò in tono
calmo – Naturalmente, se alla signorina Londra non fa
ribrezzo essere accompagnata da un rozzo popolano che vive in un
ricettacolo di sporcizia.
- Non mi
importa chi mi accompagna – soffiò la sedicenne
– Voglio solamente uscire da qui.
ATTO
VI – POV Danielle
Le dita
facevano ancora un po’ male, ma per fortuna avevano smesso di
sanguinare. Strinse i denti quando afferrò il grosso vaso di
ceramica che aveva poggiato a terra per spolverare meglio la piccola
cassapanca in legno, ma riuscì comunque a riposizionarlo
correttamente.
Sobbalzò
quando qualcuno la chiamò, posandole una mano sulla spalla,
e si girò di scatto, spaventando la futura interlocutrice.
Era una ragazzina dal viso tondo e grazioso, la chioma color biondo
scuro e gli occhi grandi ed espressivi.
Dietro
di
lei, due donne di Prima Classe ed una ragazza altissima con i capelli
biondi tagliati a caschetto si lasciarono sfuggire una risatina alla
vista delle loro reazioni.
- Non
volevo spaventarti – si giustificò la minore,
arrossendo leggermente – Mi chiamo Joelle, domestica della
famiglia Browning. E… beh, Mrs Browning e Mrs Richardson
vorrebbero chiederti un favore.
- Se non
ti
arreca disturbo, cara – soggiunse una delle due
aristocratiche, quella con i capelli scuri – Dimmi, per caso
conosci il pianista che ha suonato l’altra sera? Quello che
è stato presentato dai propri amici con un siparietto comico?
- Il
signor
Grimm – rispose Danielle, tenendo lo sguardo basso
– E’ il pianista di riserva…
-
Splendido! – trillò l’altra signora,
riccia e formosa – Per caso saresti in grado di trovarlo e
riferirgli un messaggio?
-
Sì, signora…
-
Vorremmo
proporgli un duetto con mio fratello, James Richardson –
continuò la ragazza col caschetto – Lui suona il
violino e gli giacerebbe molto essere accompagnato al piano dal signor
Grimm, sfortunatamente è troppo timido per farsi avanti da
solo.
-
Riferirò – promise la rossa, eseguendo un piccolo
inchino.
Stava
per
allontanarsi, quando Joelle fece cadere distrattamente lo sguardo sulle
sue mani, trasalendo: - Cos’hai fatto alle dita?
- Oh,
povera cara! – esclamò quella che doveva essere la
signora Browning – Ti sei ferita con delle schegge?
-
S-sì – mentì Dany, indietreggiando
– Non è nulla, sto bene. Vado a riferire al signor
Grimm il vostro messaggio.
- Ti
suggerisco di passare dal medico di bordo! – si
raccomandò la donna, osservandola allontanarsi.
Danielle
sospirò, scendendo rapidamente le scale che portavano in
Seconda Classe. Non sarebbe successo nulla se avesse raccontato a Mrs
Browning la verità (“punta
più volte togliendo le spine ad una rosa”), ma, per una misteriosa
ragione, considerava quelle ferite come un piccolo segreto.
Il
signor
Grimm non si trovava nel proprio alloggio, così si
trovò costretta a fermare il direttore
d’orchestra, Wallace Hartley, per domandargli notizie del
secondo pianista.
- Ho
visto
Sean recarsi in Terza Classe insieme a tre suoi amici – disse
il trentaquattrenne con un sorriso – Non so cosa sia andato a
fare, ma penso proprio che lo troverai lì.
-La
ringrazio – rispose la cameriera, avviandosi a falcate verso
la mèta indicata. Aggrottò la fronte confusa,
mordendosi le labbra: perché i passeggeri di quella nave
sembravano insofferenti di restare nei propri spazi?
Riuscì
finalmente a trovare il musicista in mezzo all’allegro caos
popolano: sedeva ad un tavolo rotondo insieme ad altre persone, tutto
intento a giocare a carte.
La rossa
provò a schiarirsi la voce, avanzando timidamente, ma
inciampò sul giocattolo in legno di un bambino e
piombò di peso in mezzo al tavolo, provocando un
sussulto nei presenti.
-
Tombola!
– esclamò ridendo uno dei giocatori, un ragazzo
castano dagli occhi azzurri che Dany aveva già visto in
Seconda Classe – Questa sì che è una
partita col botto!
- Ti
senti
bene? – domandò una donna bionda, la stessa che
aveva incontrato due giorni prima quando le erano caduti gli
asciugamani – Aspetta, ti aiuto…
- S-sto
bene – balbettò mortificata la cameriera,
lisciandosi le pieghe del grembuile – Sto cercando il signor
Grimm…
- Oh
cazzo,
Sean, se hai qualche oggetto fragile con te nascondilo subito!
– scherzò il ragazzo moro, beccandosi uno schiaffo
sul braccio dalla ragazzina che gli sedeva accanto.
-
Sm-smettila, Charles, n-non è carino da p-parte tua!
- Dimmi
pure – s’intromise il pianista, facendo un cenno
con la mano ai due che avevano iniziato a battibeccare – Hai
un messaggio da parte di Wallace?
- In
realtà, da parte di Mrs Browning e Mrs Richardson
– sospirò Dany, sforzandosi di ignorare le
occhiate perplesse dei due svedesi e della donna inglese che non
avevano ancora aperto bocca – Volevano chiederLe se avrebbe
avuto piacere ad accompagnare il signor James Richardson al violino.
-
Vogliono
sul serio che sia io a farlo? – domandò
l’uomo con aria piacevolmente sorpresa – Sicura che
vogliano proprio me?
-
E’ sicuramente merito della nostra presentazione –
sorrise la sua amica bionda, strizzandogli l’occhio.
Dany si
limitò ad annuire: - Se vuole accordarsi per
l’orario, le consiglio di recarsi in Prima Classe per
discuterne con la signora Richardson.
- Ti
ringrazio, vado subito allora.
I
quattro
passeggeri di Seconda Classe si alzarono, poggiando le carte sul
tavolino. La ragazza più grande rivolse qualche parola in
svedese ai giocatori rimasti; quello con i capelli scuri assunse
un’espressione dispiaciuta, ma la mutò
immediatamente in un sorriso quando lei lo salutò con un
bacio sulla guancia.
Mentre
quelli si allontanavano, una musica molto famigliare giunse alle
orecchie di Danielle, che si voltò immediatamente in
direzione del pianoforte: insolitamente alto, magro e spettinato, le
dita danzavano armoniose sui tasti. Sì, era lui.
Il cuore
della giovane irlandese saltò un battito quando ella si
accorse che il misterioso pianista teneva in grembo una bella rosa
rossa dal lungo gambo.
Fece
sfiorare tra loro le dita ferite, abbozzando un sorriso di gioia.
Ne era
valsa la pena.
ATTO
VII – POV Joelle
- Per
quando è fissato il duetto? – domandò
Emily, seduta scompostamente sul letto con aria annoiata –
Devo per forza assistervi?
-
Cominceranno a suonare tra mezz’ora circa – rispose
Joelle, sistemandosi i capelli davanti allo specchio – E
sì, tua madre è stata molto chiara a riguardo.
Pensa che potrebbe esserti d’aiuto ascoltare un po’
di musica.
- Aiuto
per
cosa? – piagnucolò l’altra,
affacciandosi alla culletta di Gabriel e Cerìse –
Vuole che diventi una cretinetta sempre allegra? Una di quelle perfette
signorine del cavolo, col sorriso perennemente stampato e capaci di
dire soltanto “sì”? Una di quelle che si
sposano anche se giocavano con le bambole soltanto il giorno prima, che
stanno zitte e obbedienti, piegate al volere del maledetto marito
tiranno molto più vecchio di loro che…
- Em!
Calmati, adesso stai esagerando!
La
quindicenne abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente la
lingua. Joelle le prese il volto tra le piccole mani, alzandole il
mento con delicatezza.
- I tuoi
genitori non vogliono trasformarti in una bambolina – la
rassicurò – Né farti sposare con un
uomo più vecchio. Te l’ho già detto un
sacco di volte, lo sai che non ti farebbero mai un torto simile.
- Anche
Sarah credeva che i suoi genitori le volessero bene e che non
l’avrebbero mai resa infelice – mormorò
l’altra con gli occhi lucidi, riferendosi alla propria
migliore amica – Invece l’hanno fatta sposare con
quel tizio, quel Mansfield, che ha il doppio della nostra
età. Chi mi assicura che i miei non mi pugnaleranno alle
spalle allo stesso modo?
Joelle
la
fece sedere sul letto, permettendole di poggiare la testa contro il
proprio petto. Le accarezzò i capelli, parlandole con voce
bassa e morbida: - Non prevedo il futuro e non leggo nel pensiero, Em.
Ma ormai credo di conoscere abbastanza bene i tuoi genitori per
ritenerli degni di fiducia. Secondo me non ti getteranno a tradimento
tra le braccia di un trentenne ricco.
-
Elle… quanta differenza avevate tu e tuo marito?
La
domestica si irrigidì, tentando in tutti i modi di
mascherare il disagio ed il senso di colpa: - Lui aveva quattro anni
più di me… a differenza di molte ragazze ho avuto
la possibilità di sceglierlo…
Involontariamente
si morse la lingua. Si trovò sul punto di cedere.
- Em,
ascolta… - la sua voce si fece titubante – Vedi, a
proposito del padre di Gabriel e Cerìse…
-
Splendori, siete pronte?
Le due
ragazze si staccarono all’istante, mentre Mrs Browning
entrava nella stanza con un gran sorriso: - E’ quasi ora!
-
Arriviamo
subito – rispose Joelle, afferrando il manico della
carrozzina dei gemelli – C’è molta gente
in sala?
-
Abbastanza – rispose la donna più vecchia
– Vado a prendervi i posti intanto.
Emily
alzò gli occhi al cielo mentre la madre correva via, poi
diede un’ultima rapida occhiata al proprio riflesso allo
specchio.
-
Elle… si vede che ho quindici anni, vero?
-
Sì, tesoro, si vede – la rassicurò la
domestica aprendo la porta – Se qualche lurido vecchiaccio
bavoso oserà anche solo sfiorarti con lo sguardo lo
sistemerò a dovere.
La
ragazzina sorrise, raggiungendo l’altra oltre la soglia della
cabina. Avevano ormai percorso metà corridoio quando una
delle porte si aprì lentamente, con un sinistro cigolio.
Istintivamente,
Emily posò la mano su quella di Joelle, serrata attorno al
manico della carrozzina. Una donna minuta ma dall’aria
minacciosa si fermò sull’uscio, squadrandole dalla
testa ai piedi.
- Quale
sorpresa! – sorrise amabilmente la giovane domestica
– Lady Mildred Scortese Newell! Anche Lei sta andando ad
assistere al duetto musicale?
- Non
che
ci sia molta alternativa, mia cara – sibilò
l’altra con un ghigno falso – Se mi trovassi un
passatempo stimolante in Prima Classe credo che potrei regalarti uno
dei miei gioielli.
-
Proverò ad informarmi – promise la diciannovenne,
senza mutare l’atteggiamento eccessivamente cortese.
-
Elle… andiamo, per favore… - sussurrò
Emily, guardandosi nervosamente attorno – Ci staranno
aspettando… oh… di bene in meglio…
Joelle
si
voltò, domandandosi cosa o chi rendesse la padroncina tanto
nervosa: a pochi passi da loro, immobile e statuaria, c’era
la domestica dei Volkov. Non aveva ancora avuto occasione di parlarle,
ma a prima vista le era sembrata piuttosto inquietante, quasi quando
Lady Newell. Così pallida, così silenziosa,
così fredda…
- Che
simpatica riunione! – ironizzò Mildred –
Quattro donne in corridoio, due aristocratiche e due sguattere.
- Elle
non
è una sguattera! – sbottò Emily con
rabbia, apparentemente dimentica del nervosismo che la ventiseienne le
provocava – Non si permetta mai più di dire una
cosa del genere!
- La
verità fa male? – replicò
l’altra con un ghigno.
La
ragazzina serrò i pugni, facendo un passo in avanti, ma
Joelle bloccò la sua traiettoria con il braccio: - Em, non
importa, non mi sono offesa. E credo che non si sia offesa nemmeno la
signorina… ehm…
- Larisa
– continuò la ragazza russa con voce atona
– Il mio nome è Larisa. No, non mi sono offesa. Se
non vi dispiace, ora vorrei passare. Il signor Lukas mi sta aspettando
in salone.
-
Sarà meglio anche per noi darsi una mossa –
sorrise Joelle – Altrimenti ci perderemo l'inizio del duetto.
- Se non
vi
dispiace, farò la strada con voi –
sogghignò melliflua Lady Mildred, ben conscia del fatto che
la primogenita dei Browning non avrebbe affatto gradito la sua
presenza.
Emily,
infatti, la fissò con odio durante tutto il tragitto.
ATTO
VIII – POV Lily
Le
balenò di sentirsi leggermente in colpa per il proprio
comportamento soltanto un paio di volte, mentre attraversava a falcate
il ponte principale di Terza Classe. Si fermò proprio nei
pressi della prima scalinata, esitando: forse non era necessaria quella
sceneggiata, però i topi la terrorizzavano (così
come altri animaletti sporchi e portatori di malattie) e, ad essere
sinceri, si sentiva ancora turbata per la discussione avuta con Rose.
- Se sta
aspettando che qualcuno srotoli per Lei un tappeto sulle scale
resterà delusa. Quaggiù lussi e premure da parte
del personale scarseggiano, Le basti pensare che i Suoi amici di Prima
Classe portano i cani a scacazzare proprio sul suolo che sta
calpestando in questo momento.
Lily
serrò le labbra e sbuffò dalle narici, voltandosi
lentamente verso Mr Dublino che la fissava con aria irrisoria.
Resistette con fatica all’impulso di urlargli contro gli
insulti coloriti che aveva udito più volte pronunciare dallo
zio Eric.
- Se non
la
smette di prendermi in giro giuro che le cavo quella schifosa sigaretta
dalla bocca e gliela spengo in fronte!
-
E’ sicura almeno di arrivarci alla mia fronte? –
replicò lui con un sorrisetto furbo.
La
ragazza
strinse i pugni, li puntò sui fianchi e gonfiò il
petto: - Sono alta un metro e sessantacinque, ci arrivo benissimo alla
Sua stupida fronte! Si sta dando delle arie perché
è molto più alto della maggior parte degli
uomini? Vuole un inchino per questo? E comunque, se non arrivassi alla
fronte gliela spegnerei sul naso o sul mento.
-
Così mi prenderebbe fuoco la barba! –
osservò lui, scoppiando a ridere – Io amo la mia
barba! Lei è davvero tremenda!
- Ha
cominciato Lei a provocarmi! – protestò stizzita
la sedicenne – Mi tratta da stupida soltanto
perché appartengo ad un ceto sociale più alto del
suo. E probabilmente anche perché sono inglese.
Mr
Dublino
riprese fiato: - Ammetto che questa combinazione non è una
delle mie preferite.
- Lei ha
pregiudizi.
- E Lei
no?
Non crede forse che noi di Terza Classe siamo tutti rozzi, sporchi e
pieni di pidocchi?
Lily si
zittì, mordendosi nervosamente la lingua. I pregiudizi di
quel ragazzo sulla gente ricca la infastidivano, ma mai prima
d’ora si era posta il problema che ad altri potessero dare
fastidio i suoi pregiudizi. Le era sempre
stato facile associare una persona di basso rango ad aggettivi come
“sporca”, “rozza”,
“ignorante”…
Quell’irlandese
era abbastanza irritante, ma, riflettendoci, non le dava affatto
l’idea di essere sporco, né tantomeno ignorante.
Aprì
la bocca per rispondere qualcosa, ma una voce famigliare la costrinse a
ricacciare le parole indietro e voltarsi. Zio Eric la stava
raggiungendo con passo salterino.
- Ehi,
Principessa! Quasi stentavo a credere alle parole di Rose, sei davvero
scesa nella bolgia infernale? – strizzò
l’occhio a Mr Dublino, che gli rispose con un sorriso
complice – Dov’è tua sorella? Jamie
Richardson sta per esibirsi col violino, accompagnato al pianoforte da
Sean Grimm!
C’era
un qualcosa di strano nella sua voce e nel suo atteggiamento:
l’entusiasmo era decisamente eccessivo, anche per uno come
lui.
- Credo
che
Violet preferisca restare qui per un po’ – rispose
dubbiosa la ragazzina – Però io
assisterò volentieri all’esibizione. Beh,
arrivederci, signor Dublino, grazie per avermi accompagnata fin qui.
- Si
figuri
– replicò l’irlandese, aspirando
l’ennesima boccata dalla propria sigaretta.
Lily
afferrò il braccio dello zio e salì rapidamente
le scale. Si insospettì leggermente quando udì
una specie di tonfo sordo, tipico di un oggetto che cade sul pavimento,
ma per un’astrusa ragione non ci fece caso, proseguendo a
falcate. Qualche istante dopo le parve anche di udire la voce di Mr
Dublino che la chiamava, ma ormai aveva raggiunto il ponte principale
di Seconda Classe.
Quando
lei
e zio Eric giunsero destinazione si sentì leggermente
stordita.
Suo
padre
aveva preso posto accanto ai Volkov, ben lontano da Ruth Dewitt
Bukater. Lily si guardò attorno rapidamente, constatando con
amarezza che Rose non si trovava lì.
- Ben
arrivata, tesoro – le disse il professor Sandler, facendola
accomodare accanto a sé – Tua sorella ha dato buca?
La
sedicenne annuì, gettando una rapida occhiata alla propria
sinistra: vicino a lei c’era la domestica dei Volkov, nel
posto successivo sedeva l’affascinante Lukas e, proseguendo
con ordine, Lily riuscì a scorgere i genitori di lui, le due
sorelle grandi ed il marito della prima.
La
piccola
Nika si trovava in braccio a Charles Fitzherbert, il quale aveva
occupato le sedie davanti a quelle dei Sandler insieme a due biondine,
una sui trent’anni col volto in parte celato da una veletta,
l’altra molto più giovane e vestita di bianco.
In mezzo
al
grande salone, proprio al centro del semicerchio creato dalle multiple
file delle sedie, Jamie Richardson stanziava in piedi e immobile, quasi
paralizzato. Stringeva nervosamente tra le mani l’impugnatura
del violino e l’archetto e, di tanto in tanto, gettava
occhiate nervose al pianista che l’avrebbe accompagnato.
- Il
ragazzino se la sta facendo sotto – sibilò una
voce fredda proveniente dalla fila posteriore – Potrei
scoppiare a ridere se sbagliasse qualche accordo.
Lily si
voltò in simultanea con Lukas Volkov e la sua cameriera: a
parlare era stata la tipa inquietante che aveva visto discutere il
giorno prima con la domestica dei Browning, Lady Mildred Qualcosa.
- Io
l’ho ascoltato proprio ieri – replicò il
Principe con flemma – Credo che quel ragazzo abbia talento.
- Il
talento non basta se ci si lascia sopraffare dal terrore. Sono certa
che anche Lei commetterebbe degli errori nelle attività che
preferisce se l’ansia avesse la meglio, mio caro zar. Ma
probabilmente nessuno glielo farebbe notare, Lei ha l’aria di
uno di quei bambocci viziati che vengono applauditi da parenti e
servitù anche quando scoreggiano.
Lukas e
la
giovane governante (che doveva chiamarsi Larisa o qualcosa del genere)
si scambiarono un’occhiata eloquente, volgendosi poi in
contemporanea verso l’interlocutrice. Pur non essendo certa di
comprenderne il motivo, Lily ebbe la sensazione di stare per assistere
ad uno scontro tra titani.
Scontro
che
però non ebbe luogo in quel momento, poiché Sean
Grimm cominciò a suonare la Quarantesima Sinfonia di Mozart.
Jamie ebbe un attimo di titubanza e volse lo sguardo verso Missy,
Shannon ed il Sergente Peters, seduti tutti e tre in prima fila. Chiuse quindi gli
occhi ed inspirò a fondo, poi si unì alla melodia
del pianoforte, accarezzando in modo dolce ma deciso le corde del
violino con l’archetto.
Non
sbagliò gli accordi, contrariamente alla previsione di Lady
Newell, e riuscì a trasmettere con facilità il
proprio amore per la musica, pur essendoci un velo di struggente
malinconia nelle sue note, anche durante i motivetti più
allegri.
Ad un
certo
punto, zio Eric si alzò in piedi, raggiunse il centro della
sala, afferrò la mano della cameriera maldestra che passava
di là per caso e cominciò a danzare con lei. In
poco tempo, buona parte dei passeggeri decise di seguire il suo
esempio: le due amiche di Sean Grimm, Charles Fitzherbert con la
piccola Nika, Missy con Duncan Peters, il professor Sandler con Molly
Brown (agguantata velocemente prima che Ruth potesse
avvicinarsi)… perfino Lukas Volkov, dopo aver gettato
un’occhiata trionfante a Lady Newell, prese la mano di Larisa
e cominciò a volteggiare con lei.
Lily si
ritirò in disparte, non se la sentiva in quel momento di
lasciarsi coinvolgere nelle danze. Istintivamente
portò una mano al collo, cercando il ciondolo della nonna,
ma un’orrenda sensazione di gelo la pervase non appena le sue
dita entrarono in contatto con la pelle nuda. Il ciondolo non
c’era!
“Maledizione!”
pensò, uscendo a falcate dalla sala “Ecco cosa mi
è caduto in Terza Classe! Perchè diamine non mi
sono fermata a controllare?”
Scese
fino
alla “bolgia infernale” per la terza volta da
quando aveva messo piede sulla nave, pregando ardentemente che qualche
sempliciotto non avesse deciso di intascare il suo prezioso
possedimento.
Un’improvvisa
ed inaspettata ondata di sollievo la colse quando vide Mr Dublino
appoggiato al parapetto, lo sguardo volto all’orizzonte. Si
era acceso un’altra stramaledettissima sigaretta.
Quando
si
accorse di lei, un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra.
-
Ehm… - cominciò Lily leggermente imbarazzata
– Io credo di aver perso qui…
-
… la collana col ciondolo – finì lui,
tirando fuori dalla tasca della giacca il gioiello perduto –
Mi domandavo quanto ci avrebbe messo ad accorgersene, Miss Londra.
Sarei venuto a portagliela di persona, ma sa, agli straccioni non
è permesso salire in Prima Classe, quindi l’ho
aspettata qui.
-
E’ stato gentile… - mormorò la
sedicenne, voltandosi e sollevando le ciocche di capelli che le
cadevano lungo la schiena – Dovrei chiederLe un altro favore,
visto che ci siamo… potrebbe aiutarmi ad allacciarla?
Il
ragazzo
afferrò con cautela le estremità della catenina,
cominciando ad armeggiare con fare un po’ indeciso: - Mi
perdoni se non sono molto rapido in questo, ho le mani da
operaio… dita grosse e poco delicate… in fabbrica
ho sempre svolto lavori pesanti… ok, fatto.
-La
ringrazio ancora.
Lily
volse
di nuovo lo sguardo verso di lui, abbozzando un sorrisetto: - Lavori
pesanti? E’ per questo che è così
robusto, immagino…
-
Immagino
anch’io.
-
Comunque,
seppur mi costi ammetterlo, mi ha già fatto tre favori da
quando ci siamo incontrati: ha salvato Theo, ha conservato la mia
collana e mi ha aiutata ad allacciarla…
-
Quattro
– la corresse l’irlandese –
L’ho accompagnata fino alle scale quando ha dato di matto per
via del topo… e se non sbaglio l’ho anche tenuta
sulle ginocchia per poco tempo…
- Ma
quello
non conta! – esclamò la ragazzina, senza
trattenere un sorriso.
- Conta
eccome! – replicò lui ridacchiando –
Avrebbe mai pensato di sentirsi in debito con un plebeo, Miss Londra?
- E Lei
avrebbe mai pensato di fare dei favori a una nobiliastra inglese?
-
Ammetto
che un'idea simile non è mai rientrata nei miei piani, prima
d'ora.
Si
osservarono per qualche secondo, sorridendo, poi la sedicenne diede una
piccola alzata di spalle: - Forse potremmo smettere di chiamarci Mr
Dublino e Miss Londra, suppongo. Solo che non ricordo il Suo
nome…
- Thomas
Ryan – rispose lui, tendendo la grossa mano –
Però tutti mi chiamano Tommy.
- Lily
Danielle Sandler – disse lei, facendo combaciare i palmi e
assumendo un’espressione furba –
Però tutti mi chiamano Vostra Altezza.
***
Angolo
delle Autrici:
Bene, ecco a voi il nuovo capitolo!
Ovviamente speriamo vi sia
piaciuto e che l’attesa sia valsa la pena. E’ stato
un po’ un parto scrivere perché tra una cosa e
l’altra c’erano sempre delle interruzioni.
Come al solito, avviso che per
la parlata in Svedese mi sono affidata a Google Translate, che non
è il massimo dell’affidabilità,
perciò non stupitevi se ci saranno degli errori.
Con questo capitolo abbiamo
finalmente letto tutti i POV dei personaggi prenotati. Anche stavolta
ho cercato di inserire ognuno di loro in almeno due atti ed ho cercato
di bilanciare le “presenze” rispetto al capitolo
precedente.
Nel prossimo naturalmentre ci
saranno di nuovo cinque POV oltre a quello di Lily.
Grazie mille per aver letto,
alla prossima!
Tinkerbell e Phoebe.
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