Rivederti

di hirondelle_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Era inverno.
Lo poteva capire dai fiocchi che continuavano a posarsi sul suo viso inerme, freddo. L’aria era gremita del silenzio attonito che la neve bianca aveva portato con sé, soffice, indiscreta.
“Sein? Stai sanguinando.”
Aprì gli occhi. Feroci e assassini occhi color ambra lo stavano fissando spenti.
“Va bene. È tutto ok, ricominceremo da capo.” Sussurrò piano, e gli parve di scorgere una lacrima solcare il viso bruno dell’altro.
“No...” Voce incrinata, una carezza al viso.
“Sì” Un flebile lamento nell’aria.
“No...” Voce rotta, la mano che andava a stringersi alla sua.
Sein si mise a piangere e la vista gli si offuscò. Era la prima volta che si sentiva così pieno. “Non posso... Non posso farcela, Desta...”
Un peso sul suo petto lo avvertì che il Demone aveva appoggiato la testa lì dove un cuore stava iniziando a battere dolorosamente. Nulla di più che pochi singhiozzi disperati.
Nulla di più che loro.

Rivederti


“Ha bisogno di qualcosa?”
Il ragazzo a quelle parole sembrò agitarsi sul sedile, un po’ in imbarazzo, un po’ stizzito per essere stato colto in flagrante. Shuji alzò un sopracciglio, scrutando gelidamente lo sconosciuto che (ne era sicuro) lo stava osservando da quando era salito sul treno e si era seduto di fronte a lui.
“Ero soprappensiero.” borbottò fiaccamente, sistemandosi gli occhiali da sole sul viso olivastro e stringendosi nella giacca di pelle. Aveva uno stile che Shuji non poteva proprio sopportare, tuttavia giudicò che non fosse una condizione necessaria per trattarlo sgarbatamente.
“Capisco. Presti attenzione, è una cosa spiacevole.”
Il ragazzo non commentò ulteriormente. Tanto bastò per dimenticarsene e tornare alla piacevole lettura in cui si era immerso qualche giorno prima: una sublime edizione di Anna Karenina in lingua originale. Non avrebbe chiesto di meglio dal suo compleanno.
A parte forse una vita sociale, ma ai suoi genitori sembrava non importare.
Di nuovo, venne distratto da una vocina petulante al suo fianco: “Ha fatto benissimo, giovanotto. Se vuole chiamo l’inserviente per lei.”
Shuji si rivolse cortesemente alla grinzosa signora seduta accanto a lui, esibendo un sorriso che voleva essere gentile. “Non si preoccupi per me. La mia fermata non è lontana.”
La donna annuì, come se avesse detto una verità sacrosanta. Oh, era più di quanto potesse sopportare. Odiava le vecchie in una maniera esponenziale.
Gettò un altro sguardo allo sconosciuto (ovviamente lo stava ancora fissando), ma non disse niente. Solo quando l’anziana scese alla fermata successiva si decise nuovamente a parlare: “Sa, le consiglierei di portarsi un libro la prossima volta che sale su un treno. È un passatempo molto istruttivo.” affermò pacatamente, nascondendo una velata punta di sarcasmo. La risposta dell’altro ragazzo arrivò subito, soffocata dall’irritazione: “Non sembra divertente” affermò, indicando il mattone che sostava sulle ginocchia.
Shuji arricciò il naso. “Le assicuro che è molto più proficuo di quanto pensa. Sempre meglio che fissare insistentemente un onesto universitario.”
Il ragazzo sembrò voler finalmente smuoversi dalla posizione scomoda che aveva preso durante il viaggio, e si mise composto. “Senti, devo dirlo: mi ricordi qualcuno.”
L’espressione di Shuji non cambiò: difficilmente avrebbe creduto a parole tanto mediocri. Non c’era alcuna possibilità che si fossero incontrati prima d’allora: tanto per cominciare Shuji non usciva mai se non per portare a spasso il cane attorno al quartiere residenziale in cui viveva, e in secondo luogo non avrebbe mai frequentato gente di quel rango. “Credo proprio che si stia sbagliando, mi dispiace.”
Il ragazzo sbuffò. “Insomma, ovvio che mi sto sbagliando.” Mormorò qualcosa in dialetto che non afferrò. “Voglio dire, non ci siamo visti in giro. Ma hai qualcosa di famigliare.”
Shuji lo osservò altezzoso, ma non disse nulla. “Cosa le fa pensare che abbiamo qualcosa a che fare l’uno con l’altro?”
Lo sconosciuto si guardò attorno, poi si passò una mano sui capelli: rasati ai lati, un enorme ciuffo castano che quasi andava a coprirgli l’occhio destro. Terrificante. “Senti, non mi crederai ma... Io ti ho visto da qualche parte. In un sogno forse. Non ricordo.”
Quel ragazzo era fatto di qualcosa. Shuji lo osservò togliersi gli occhiali cercando di mantenere un’espressione quantomeno impassibile, anche quando venne colpito dalle due pietre d’ambra: esse iniziarono a vagare inquiete a destra e a sinistra, sviando il suo sguardo.
“Uhm, ecco, non ti ricordo nulla? Nulla di nulla?”
Silenzio. Il silenzio era l’arma che aveva sempre adottato per occasioni come quella. Il silenzio freddo e imbarazzante di chi vuole solo far sentire a disagio una persona: era piuttosto orgoglioso di quella capacità, e anche in quella circostanza ci stava evidentemente riuscendo.
Disarmato, lo sconosciuto tirò su col naso. Poi tuffò una mano inanellata e rovinata da piaghe nella borsa sgualcita che aveva di fianco. Sbuffò quasi infastidito. “Senti, coso, io sono Kunio. Non mi interessa se non ti va di parlare con me. Tanto so come è fatta la gente come voi, tutta scema.”
“Devo scendere.” proclamò freddamente Shuji, alzandosi. “La ringrazio Kunio-san, ma non ho la minima intenzione di avere a che fare con lei. Voglia scusarmi.”
Sentì distintamente una sua mano sfiorarlo all’ultimo secondo, prima di scendere, ma non lo degnò di uno sguardo. Quando mise piede sulla terraferma, era già il tramonto e sulla piattaforma c’erano solo i residui di pallide orme.

Ad accoglierlo a casa fu ovviamente la governante. Con cipiglio severo, lo aspettava davanti alle scale quasi avesse fatto qualcosa di terribilmente ingiusto e sbagliato: un po’ gli ricordava episodi stupidi e infantili di quando era piccolo. “Lei è in ritardo, Shuji-san.”
Stancamente, il ragazzo si tolse la borsa di dosso e scacciò le scarpe senza la decenza di allinearle con le altre. “Il treno era in ritardo, Touko-san” si scusò, ma non era affatto credibile: difficilmente i treni arrivavano in ritardo. E difatti Touko non gli credette. Beh, gli si poteva leggere in faccia che aveva mentito.
“La cena del Signorino è quasi pronta. L’aspetto tra mezz’ora nella sala da pranzo.”
Annuì distrattamente, troppo stanco per commentare: per colpa di quel drogato aveva dovuto farsi tre chilometri buoni con l’unico ausilio dei suoi deboli piedi. Che infame. Persino la difficile salita degli scalini che portavano al piano di sopra gli sembrava fatale, ma fortunatamente riuscì a buttarsi sul letto senza prima crollare al suolo.
Si svestì piano, svogliatamente. Si sbottonò la camicia un po’ riluttante lasciandola cadere sul tappeto, e scalciò i pantaloni con malagrazia, sfilando fuori solo il portafogli e il cellulare. Si ritrovò a rigirare tra le mani un pezzetto di carta con un numero: presumibilmente, Kunio gliel’aveva infilato nella tasca posteriore prima che scendesse. Dopo aver accartocciato il fogliettino e buttato nel cestino con un tiro da maestro Shuji si ritenne soddisfatto, e appallottolò i pantaloni sul fondo del letto ripromettendosi di mettere in ordine in un secondo momento. Rimase steso in quella posizione per attimi interminabili.
Era stata sicuramente una giornata orrenda: non solo non aveva ottenuto i risultati che sperava al test di medicina, ma non era riuscito nemmeno a leggere le trenta pagine giornaliere prestabilite. Come se non bastasse, era stato trattenuto da quel ragazzo con evidenti problemi psichici.
Sbuffando, si rigirò tra le lenzuola ignorando i crampi di fame. Non aveva di certo intenzione di seguire anche quella sera la dieta vegana a cui era costretto dai suoi adorabili genitori (pare che da piccolo avesse avuto delle complicazioni a causa di questo regime, e probabilmente ancora ne risentiva).
Ignorò i richiami della domestica provenienti dal piano di sotto, e si assopì facilmente.

~

Prima dei corpi a terra, si accorse del liquido scuro. Era ovunque, sui vestiti e sulla pelle. Ne sentiva il sapore sulle labbra screpolate, arse, come se il suo intero corpo stesse bruciando.
Si guardò attorno, nel grigiore del fumo e della morte. Il suo sguardo si posò sui cadaveri di luce che venivano assorbiti dolcemente dal terreno viscido, poi sulle ali spezzate dalla sua spada, ormai ammassi informi di piume: gli sciacalli iniziavano già a cibarsi delle carcasse, prima che sprofondassero.
Voltò lo sguardo e lo vide.
Abbandonata contro il tronco affumicato e corroso dal fuoco l’anima bianca lo stava fissando da tempo, immobile e spettrale come un’apparizione. Shuji gli si avvicinò, tremando, riconoscendosi in quegli occhi azzurri e stanchi e i capelli rossi arruffati dalla battaglia e dal vento.
“Hai concluso la tua caccia?” chiese l’altra immagine di se stesso, con un sorriso stanco.
Una voce che non gli apparteneva proruppe dalle sue labbra: “Pare che abbia catturato un bell’esemplare.”
L’angelo chiuse gli occhi e Shuji sentì una risata macabra salire lungo la gola e scoppiare imperterrita tra le sue fauci spalancate.


~


“Ohi”
Shuji si alzò con un gemito, gli occhi spalancati e fissi sul vuoto. Una mano si posò sulla schiena, iniziando ad applicare lenti e regolari movimenti in circolo. “Shuji, respira. Non è successo niente.”
Il ragazzo annuì, ma era difficile riprendere la calma. Si sforzò di concentrarsi sulla carezza del fratello, ad ascoltare la sua voce calma. “Tutto bene? Non dovresti mangiare pesante di sera, sai che non ti fa bene”.
Avrebbe potuto replicare. Non ci riuscì. Con uno sforzo che aveva del disumano, Shuji cercò il suo profilo nella penombra della stanza: riconobbe i tratti spigolosi del suo volto, così maturi e differenti dai suoi, e scorse il sorriso che avevano ereditato entrambi dal padre. Genichi ricambiò il suo sguardo, mostrandosi rassicurante. “Che ore sono? Che ci fai qui?” gli chiese, non appena si riprese abbastanza per rivolgergli la parola.
“Sono solo venuto a prendere le ultime cose.”
“Di notte?”
“Sono le undici. È tardi, lo so. Ti ho sentito dal piano di sotto.”
Shuji accese la lampada sul comodino e gli occhi azzurri di suo fratello fecero capolino dal buio della sua camera. Si portò una mano al viso, quasi del tutto ripresosi dall’incubo, e gli sfuggì qualche lacrima. Non era passata neanche una settimana, eppure senza di lui si sentiva già un bambino smarrito. Era felice di vederlo, e allo stesso tempo non sarebbe potuto sembrare più triste. “Perché non torni qui?”
Il maggiore si sedette accanto a lui, sfiorandolo appena. Si era ricostruito una nuova vita, lui, lontano da pressioni e da inutili litigi. “La mia scelta l’ho fatta. E puoi farla anche tu, se vuoi.”
“Genichi” Lo invidiava. Lo invidiava da morire...
“Lo sai che non avrei problemi a prenderti con me.” ... Lo invidiava. E questo il fratello lo sapeva.
Shuji si sciolse un sospiro misto a un gemito. Non era decisamente una conversazione che avrebbe voluto affrontare in un momento come quello e il fratello lo capì: gli accarezzò i capelli e si limitò a baciargli la fronte prima di alzarsi. “Sembri ancora pallido. Vado a prenderti un bicchiere d’acqua.” mormorò, e Shuji ebbe appena il tempo di vederlo sparire dietro la porta prima di crollare di nuovo fra le lenzuola e prendersi il volto tra le mani.
Non era stato un incubo diverso da tanti. Si poteva dire che tutti i suoi sogni avessero una sorta di filo conduttore, non c’erano elementi nuovi più spaventosi di altri. Eppure quella volta era stato diverso: non più immagini sfocate e sensazioni irreali, stavolta aveva percepito qualcosa di concreto farsi strada nella sua mente: si era riconosciuto. Era come se improvvisamente avesse riacquistato il controllo di tutti i sensi sui propri sogni. E con essi, la sensazione che l’incontro con Kunio non fosse stato casuale.
Lentamente portò lo sguardo al cestino dei rifiuti accanto alla porta. Sospirò, nell’alzarsi, quasi stesse agendo contro la sua volontà. “Cerchiamo di capirci qualcosa.” disse a se stesso, nell’infilare la mano nel cestino e nel recuperare il numero di telefono ancora accartocciato.
Lo distese sotto i propri occhi, ma non fece altro che fissarlo. Quando suo fratello tornò in camera lo trovò seduto sul letto intento a digitare il numero al cellulare. “Che stai facendo?” chiese distrattamente, appoggiando il bicchiere sul comodino e sedendoglisi di fianco. Shuji lo guardò di sfuggita. “Devo fare una telefonata.”
“Adesso?” chiese Genichi, stranito.
“Adesso.”
Il fratello non capì, ma sorrise. “Cerca di non fare tardi. Io vado a salutare la signora Touko e vado.”
Shuji alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise debolmente. “Ok.”
Genichi se ne andò sotto un cielo che minacciava pioggia. Shuji sentì appena il motore dell’automobile allontanarsi lungo il viale e pregò solo di poterlo sentire ancora.
Poi schiacciò il tasto verde.

~ o ~

Aveva chiuso le vecchie imposte per non far entrare zanzare, ma sembrava una precauzione vana: incredibile come queste trovassero sempre il modo di entrare per azzannarlo alla prima distrazione. Ma Kunio non si stupiva di certo di quelle presenze moleste: la casa dei suoi anziani genitori era vecchia e malmessa, figlia della tradizione contadina e di certo non del cemento armato delle metropoli. Considerando che nei pressi vi erano indisturbate delle splendide e acquitrinose paludi, era ormai abituato a quell’affollamento estivo; soprattutto visto e considerato che fin da piccolo gli era stato insegnato il rispetto per la vita, anche di insetti così fastidiosi. Certo, ora che i parenti più stretti erano passati a miglior vita sarebbe stato più semplice trasgredire qualche regola e schiacciarne incidentalmente una tra il tatami e il palmo della sua mano... Ma con i defunti non si poteva mai sapere.
“Pezzo di merda” borbottò a denti stretti, torturando il bastoncino del gelato quasi riducendolo in pezzi. “Muori, muori, muori!”
Beh, non che in quel momento stesse avendo un comportamento posato e dignitoso: da ore aveva assunto una posizione alquanto scomoda davanti alla vecchia televisione, il joystick in mano e diversi pacchetti di patatine sparsi per il pavimento. Se non altro sembrava un buon metodo quello di ignorare semplicemente le beccate e concentrarsi sull’ennesima orda di zombie.
“Merda, è la quarta volta!” strillò arrabbiato non appena sulla schermata comparve la fatidica scritta Game Over. Kunio lanciò un verso che avrebbe fatto effettivamente invidia agli zombie e fece scivolare il joystick dall’altra parte della stanza. Sconsolato e raccapricciato, si alzò per l’ennesima volta per rovistare nel frigo alla ricerca di qualcosa di fresco che abbattesse l’afa. Senza successo, ovviamente, perché l’ultimo succo di frutta era già nel suo stomaco da un pezzo.
Sarebbe uscito a importunare la vicina se non fosse stato per la suoneria del cellulare. Se lo portò all’orecchio senza nemmeno leggere il numero. “Sì?”
“Parlo con Kunio-san?” la voce dall’altra parte era tremula, agitata. Il ragazzo dapprima non riuscì a riconoscerla, poi comprese che non poteva appartenere ad altri che al ragazzo che aveva incontrato in treno. Poté sentire il suo cuore fare un triplo salto mortale all’indietro.
“Sono io.” rispose. “Sei il ragazzo del treno, giusto? Senti, mi dispiace...”
“Non so cosa tu mi abbia fatto” lo interruppe l’altro, prima che potesse aggiungere qualche scusa. “Ma cerca di spiegarmi cosa sta succedendo. Ho bisogno di risposte. Quello di stanotte non è stato un semplice incubo.”
Kunio rimase in silenzio, attonito: da quel tono ansioso, sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva incontrato solo quel pomeriggio. “È la prima volta che fai sogni del genere?” chiese, cauto, ma sapeva già la risposta. Il silenzio che precedette quel diniego sussurrato fu la risposta a tutte le sue preoccupazioni: aveva trovato la persona che cercava.
“Posso rispondere alle tue domande. Mi serve solo che tu mi ascolti. Me lo prometti?”
Il ragazzo rispose con un mormorio. “Sì.”
“Perfetto. Allora...”
“Non qui al telefono. Vorrei incontrarti di persona.”
Kunio deglutì. “Va bene. Dove?”
“La stazione centrale può andar bene?”
Era parecchio distante: ci sarebbero volute delle ore per arrivarci dalla sua zona. Ma non c’era assolutamente tempo da perdere. “Nessun problema. Domani sarei occupato, facciamo per venerdì pomeriggio?”
Il ragazzo assentì, ma si poteva sentire dal tono di voce che era agitato. Kunio poteva ricordare ancora il suo primo incubo. “Allora ci vediamo. Posso farti solo una domanda?”
“Chiedi pure.”
“Qual è il tuo nome?”
Il silenzio arrivò acuto al suo orecchio come una stilettata lenta e feroce. “Il mio nome è Shuji” rispose lentamente l’altro, come se gli costasse fatica.
Kunio non aveva bisogno di altro.

~

Il rumore ritmico e costante delle gocce di pioggia impregnava da tempo la grotta immersa nell’oscurità: l’unica fonte di luce proveniva dall’alto e bastava per illuminare a malapena i loro volti stanchi.
Desuta tagliò le corde strette ai polsi dell’angelo, preoccupandosi solo di lasciargli legata alla caviglia una catena che potesse ricondurlo obbligatoriamente a lui. “Qui non puoi scappare.” ghignò sedendosi su una roccia poco distante e accendendo un fuoco tra le sue mani ossute. “E non possono neanche trovarti.”
Sein si massaggiò i polsi doloranti, alzandosi in piedi e fissandolo con sufficienza: anche da prigioniero, manteneva il suo orgoglio. Desuta si chiese se avrebbe fatto altrettanto una volta raggiunti gli Inferi. “Che hai da guardare?” chiese, appoggiando sapientemente la fiamma su pochi ceppi trascinati lì dalle correnti. “Non ti piace il posto, principessa?”
“Il posto va benissimo. È la tua presenza a risultarmi sgradevole.” commentò gelido l’altra creatura, guardandosi attorno: la grotta era stata scavata da un fiume sulfureo. Vapori e gas si slanciavano verso l’apertura sul soffitto coperto da stalattiti, cercando una via d’uscita.
“Hai poco da lamentarti. Non mi sembra che tu sia nella posizione.”
Non sentì risposta e inizialmente credette che semplicemente avesse deciso di chiudersi nel mutismo. Dopo aver accarezzato amorevolmente la fiamma, però, si volse verso di lui: si era chinato su una pozza poco distante e fissava la superficie assorto nei suoi pensieri.
“Ehi, quella non la puoi bere.” lo avvertì, sull’attenti.
Sein non lo ascoltò. Desuta abbe appena il tempo di alzarsi e raggiungerlo che quello si era già portato alle labbra un po’ di quel liquido velenoso, in un gesto suicida.

 

 

Angolino della rondinella

BUON SANTA FERRAGOSTO SAW!!!!!!!!

Sì ecco, sono un po' in ritardo e non avrei nemmeno completato il regalo, ma... Odio far aspettare la gente e questa è davvero la prima volta che non sono puntuale con le consegne. Poi ho avuto questa infelice idea di fare una cosa complicata ed eccomi qui insomma, con dieci giorni di ritardo :DDD

Il regalo non è finito qui, probabilmente questa cosa sarà una Two-Shots. Ma non aspettarti un aggiornamento immediato *coff*

Spero che il tuo primo Santa sia stato una bella esperienza cvc Aw sei una cutie~

Ora vado a "rifinire" quell'altro tuo regalo per vedere se è una cosa pubblicabile o meno.

uehuehuehueh.

Have a good day~

 

Fay

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Rivederti

 

“Quindi è questo.”
Shuji non alzò gli occhi. Annuì solamente, a disagio, senza incrociare il suo sguardo. Si stringeva la sua borsa a tracolla al petto, incapace di parlare: a Kunio ricordava un po’ se stesso, nella sua atroce infanzia passata nell’inconsapevolezza e nel terrore: conosceva bene quello che stava provando. Il problema era che non sapeva bene come aiutarlo.
“Ho avuto il tuo stesso incubo.” gli confessò cautamente, distogliendo gli occhi da lui. Poté intuire comunque che il ragazzo si sorprese a quelle parole. “Com’è possibile?” si sentì chiedere, e si morse il labbro. “Non lo so” rispose. “Speravo che trovandoti lo avrei capito, ma non è stato così.”
Era stata una mera illusione, la sua. La parte più irrazionale di lui aveva sperato in quell’incontro per anni: aveva sempre pensato che trovare l’altra persona avrebbe messo le cose a posto, e magicamente il tutto si sarebbe potuto spiegare con qualche tipo di illuminazione divina (o sciocchezze di quel genere insomma).
Shuji si abbandonò sulla sedia. La stazione era gremita di studenti che pullulavano come formiche. “Che mi dici del fatto che il ragazzo che ho visto era identico a me?”
“Se è per questo, anche l’altro ragazzo è identico a me” si affrettò a precisare.
Shuji gli scoccò uno sguardo stranito e infastidito assieme. “Non ho visto nessuno.”
Kunio sfilò dalla tasca un pacchetto di chewing-gum. “Questo perché eri tu quella persona. Ne vuoi?”
Il ragazzo scosse la testa. “No, grazie. Piuttosto, non capisco cosa vuoi dire.”
Il moro iniziò a masticare esageratamente la gomma e sembrò aspettare qualche attimo per rispondere. “Beh, avrai sicuramente notato che nel tuo sogno non eri te stesso. Non è così semplice da capire, soprattutto all’inizio, ma penso che qualcosa te lo abbia suggerito, se sei chi credo tu sia.”
Shuji abbassò di nuovo lo sguardo e annuì, il ricordo indelebile di quella risata rauca ancora ben in mente. “Sì, ho capito. Quindi mi stai dicendo che io sono te e tu sei me?”
“Qualcosa del genere.” borbottò Kunio, grattandosi una guancia. “Sì.”
“Tutto questo è assurdo.” fece notare Shuji, ma non si scompose. “Come lo sai?”
Kunio si voltò verso di lui, sorpreso. “Io, ecco...” Arrossì, a disagio. “Io lo sentivo. Non è lo stesso anche per te?”
Lo sguardo che l’altro gli rivolse era tra i più confusi che avesse mai visto. Non solo evidentemente il ragazzo non era mai stato a conoscenza di quei fatti, ma era sempre stato qualcosa che andava al di là della percezione che aveva della realtà. In poche parole, era diverso da lui.
“Non preoccuparti!” si affrettò a rassicurarlo, borbottando. “Non è... Non è una tragedia. I miei erano molto religiosi, si vede che mi sono avvicinato a questa cosa anche per merito loro.” spiegò, non risultando tuttavia abbastanza convincente. Infatti Shuji si strinse nella giacca, pensieroso.
“Ti... Ti va un caffè?” propose per sbloccare la situazione, accarezzandosi la parte rasata della nuca. Non conosceva molte caffetterie nella zona, per la verità. Ma il ragazzo scosse la testa, assorto. “Tutto questo è assurdo.” ripeté, ma non sembrava così sconvolto: era come se sotto quel caschetto rosso non ci fosse spazio per le emozioni. Non era dissimile dal personaggio che Kunio interpretava in quei sogni angoscianti.
Shuji si alzò per primo e senza salutarlo si allontanò, rivolgendogli un debole inchino non appena ritenne di aver preso le dovute distanze. “Ti contatterò nel caso facessi altri incubi.” lo informò, impassibile, prima di voltarsi e camminare verso l’uscita della stazione.
Kunio strinse le labbra in una linea sottile e osservò il suo profilo fin quando esso non scomparve tra le orde di studenti.

Pezzo di merda” fu la prima cosa che sentì riprendendo i sensi. Sein sbatté le palpebre, arricciando il naso a quella volgare esclamazione. “Quale fine epiteto.” protestò sarcasticamente.
Per tutta risposta ricevette una leggera pacca sulla testa, non appena fu abbastanza in forze per sollevarsi sui gomiti. La vista che gli si presentò davanti lo stupì.
“Ti ho dovuto tenere sulle spalle per tutto il tempo. Ma lo sai quanto pesi?”
“Gli angeli non pesano.” rispose la creatura, quasi come se stesse rimbeccando per riflesso involontario. Si guardò attorno, appena spaesata, prima di riprendere la sua solita compostezza. “Che ci facciamo qui?”
Vide il demone sedersi poco distante, sull’erba arida: erano saliti in superficie, questo era certo, ma si trattava comunque di un ambiente ostile. Sotto il cielo plumbeo, scorse nel viso del demone qualcosa di molto simile al risentimento.
“Siamo nel purgatorio.” spiegò fissandolo malevolo. “Ho capito che non saresti sopravvissuto lì dentro. Devo trascinarti giù di sotto in un’altra maniera.”
“Che assurdità.” replicò Sein, sorridendo. “Come se potessi convincermi.”
“Non ti convincerò, infatti. Intendo costringerti.”
“Da vero galantuomo. È così che si trattano gli ospiti?”
Ammutolì non appena vide lo sguardo dell’altro farsi serio e guardarlo truce. “Ma che ti prende? È dalla battaglia che ti comporti in modo strano. Ti conosco da secoli. Non ti ho mai visto così.” mormorò Desuta, e sembrava sinceramente preoccupato.
“Io sarei quello che si comporta in modo strano? Da quando saresti la mia balia?” replicò stizzito, ma sapeva che il demone aveva ragione al riguardo. A confermare i suoi dubbi, avvertì un certo calore irradiarsi in tutto il corpo: lui che di solito era sempre così freddo... Non era la prima volta che accadeva.
“Cosa ci sta succedendo?”

Kunio diede un’occhiata bieca al vecchio intento ad osservare una pregiata radio degli anni ’50: era l’oggetto più caro dell’intera casa e il ragazzo era felice che qualcuno ne fosse interessato, ma stava iniziando a fare buio. Accigliato, prese distrattamente a chiudere le prime porte scorrevoli, facendo attenzione a non prendere sulle dita qualche scheggia infelice: sperava che l’uomo, una volta captato il rumore, si sarebbe deciso gentilmente ad andarsene. Quando ciò non accadde Kunio si spostò dall’altra parte della stanza, iniziando a sistemare ordinatamente i tatami perché non si rovinassero. Ancora una volta, nessuna reazione. Infine, sospirando, si avvicinò lentamente all’ometto. “Mi scusi, io starei chiudendo.” annunciò frettoloso, provando a dimostrarsi gentile. Quando il vecchietto si girò nella sua direzione e lo fissò malamente, intuì però che i suoi tentativi non erano andati a buon fine, forse anche per il suo aspetto minaccioso: e infatti il cliente ormai perduto se ne andò senza neanche salutare, mormorando qualcosa sui “bei vecchi tempi”.
Il ragazzo, ormai abituato a simili comportamenti, chiuse definitivamente anche l’ultima porta e cercò invano di sistemare al meglio la carta di riso ormai stracciata. Non sarebbe sopravvissuto all’inverno in un posto simile e iniziava a preoccuparsene.
“Vorrei proprio sapere per quale oscura ragione ho avuto la dannata idea di vendere tutto.”
La risposta che si fece largo nella sua testa fu qualcosa di simile a: “Soldi”. Vero. Lui aveva un disperato bisogno di soldi. Quale strategia migliore a quella di vendere tutto quanto fosse contenuto all’interno di quella casa e magari la casa stessa? Il problema consisteva nel fatto che non c’era nessuno con cui contrattare. Dettaglio trascurabile: se fosse stato necessario, avrebbe girato tutti i negozi di antiquariato della zona, e oltre.
Andò in cucina, prese una birra dal frigorifero e si trasferì di nuovo nell’altra stanza. La stappò e se la portò alle labbra, tracannando rumorosamente: poi dispose quelle poche centinaia di yen che era riuscito a racimolare per quella giornata. All’appello mancavano, nell’ordine, un portapenne e una statuina del Buddha. Incredibile come gli oggetti religiosi fossero andati a ruba in breve tempo.
“Ancora millequattrocento...” commentò sconfortato, fissando intensamente quei pezzi di carta. Se solo fosse riuscito a vendere la radio. Sarebbe bastato.
Si stese sul tatami e portò lo sguardo al cielo che si intravedeva dalla finestra rotta, di una sfumatura rossastra. Stava per assopirsi, ma dalla tasca dei suoi pantaloni giunse indistinto un suono stridulo, accompagnato da una vibrazione.
Sperò fosse qualche compratore interessato (aveva sparso il suo numero in lungo e in largo), ma quando fece scivolare il cellulare sul palmo scoprì che il messaggio era di Shuji.

Ho scoperto qualcosa di strano.

Kunio rotolò sul fianco e rispose. Non dovette attendere molto che il cellulare vibrò di nuovo.

-Cosa?
- Ho avuto un’altra visione. Posso chiamarti?

Assentì e attese qualche minuto. Rispose immediatamente.
“Allora?”
“Credo di aver scoperto qualcosa.”
“Me l’hai già detto.” bofonchiò stancamente, stropicciandosi gli occhi.
“Penso che possano trattarsi di creature ultraterrene. Hai presente la Divina Commedia?”
“No.”
“Ovviamente.” replicò con fare saccente il ragazzo.
Iniziava ad abituarsi a quel suo atteggiamento da saputello. “Continua” commentò soltanto.
“Oggi pomeriggio ho fatto un altro sogno. Ho sentito una parola che mi ha fatto riflettere: Purgatorio.”
Per qualche attimo ci fu un silenzio imbarazzante. Kunio era rimasto alla seconda superiore, e non ricordava granché del periodo passato a studiare. “Quella cosa del cristianesimo?”
“Esatto. Purgatorio, Inferno e Paradiso. Non capisci? Sono un angelo e un demone.”
Un brivido gli caracollò lungo la schiena. Si appoggiò alla parete, assorto. “Credevo... Credevo fossero dei kami.” balbettò, corrugando la fronte.
“Non proprio. Sono rivali, di due fazioni opposte.”
“Cosa hanno a che fare l’uno con l’altro?”
“Speravo potessi dirmelo tu.”
Kunio non rispose. Perplesso, si mise a contemplare la distesa di tatami di fronte a sé. “Io... Credo dovremmo dormire insieme.” pronunciò lentamente, assorto.
Dall’altra parte arrivò un silenzio sbigottito. “Cosa? Ma sei impazzito?” esclamò il ragazzo, con la voce velata di terrore.
“Sì, credo ci potrebbe aiutare. Con la storia dei sogni e tutto.”
“Sei letteralmente impazzito.” concluse Shuji
“Può darsi.” arrossì Kunio. Non voleva ammettere quanto il pensiero lo elettrizzasse.

Lo sai? Ti ho sempre immaginato in modo diverso.”
L’angelo si voltò nella sua direzione, distrattamente. Stava intrecciando i capelli in movimenti calmi e precisi, quasi distanti. Sein non si era del tutto ripreso, ma non si poteva dire che anche lui fosse in forze: quel luogo lo rendeva tremendamente debole.
“In che senso diverso?” chiese l’anima, guardandolo con sufficienza e continuando nei suoi ipnotici movimenti.
“Non lo so. Ti ho sempre visto dietro un’armatura per millenni: non pensavo potessi essere così...” Desuta non continuò e abbassò il capo, contemplando i radi steli rinsecchiti che ricoprivano il suolo marcio e coperto di neve. Lontano, oltre i cespugli nodosi, si poteva sentire il fragore del mare.
“Dovresti finire le tue frasi, demone. Potrebbe rivelarsi una brutta abitudine.” si limitò a replicare Sein, dopo avergli lanciato una lunga occhiata. Fermò la treccia con un laccio e se la portò dietro le spalle, altezzoso.
“...Così bello.” gracchiò infine il demone, guardandolo di sottecchi, e il comportamento impassibile della creatura divina vacillò un po’, costringendolo a rivolgergli uno sguardo perplesso.
“Tutti gli angeli sono bellissimi: siamo riflessi di Dio, dopotutto.” spiegò Sein brevemente, senza soffermarsi sulle parole dell’altro. “Anche Lucifero, prima che intendesse tradire il suo stesso Padre, era bello.”
“Tu hai mai visto Lucifero?”
“No. Ma non mi abbasserei mai a desiderare di arrivare al cospetto di un essere così ripugnante.”
Era troppo. Desuta si alzò e lo raggiunse minacciosamente, la rabbia gli offuscava ormai qualsiasi pensiero razionale: lo afferrò per la treccia prima che lui potesse reagire e, nonostante il freddo improvviso che avvertì a quel contatto, con un artiglio gli tagliò i capelli quasi sotto la nuca. L’angelo gridò, come se fosse stato ferito fisicamente, al che il demone mollò la presa e scaraventò la treccia lontano, furente. “Non siamo ripugnanti. Voi ci avete condannato a tutto questo. Io... Io... Ti ho sempre invidiato. Ero ossessionato da te. Io...”
Sein lo guardava ad occhi sbarrati, la compostezza svanita. Balbettò, in preda allo shock, tremando convulsamente. “... Non avresti dovuto...”
Il demone non abbassò lo sguardo e lo puntò sugli occhi azzurri dell’altro. “No. No, non avrei dovuto.”

Shuji fece cadere la borsa con un tonfo sonoro, e arricciò il naso al leggero odore di muffa che impregnava la modesta casa di Kunio. “Carina.” commentò, tentando di non sembrare troppo sarcastico. Kunio avvertì comunque la poca sincerità nel tono di voce. “Ti piace? Nuova di zecca. Pensavo di venderla.”
“Auguri.” sospirò, togliendosi le scarpe e muovendosi lentamente sui tatami. “Permesso.” mormorò guardandosi attorno con circospezione: lo spazio era praticamente vuoto, a eccezione di un antico mobile di bambù sul quale sostava una radio d’epoca. Dall’altra parte erano disposti armadi e cassapanche dall’aria pregiata: e difatti su ognuno di quegli oggetti vi era una targa di plastica a indicarne il valore. “Stai facendo una svendita? Perché?”
“Mi servono soldi.” bofonchiò schietto l’ospite, prima di fargli un cenno. “Dai, ti mostro dove dormiamo.”
Shuji arrossì. “Scusa?” balbettò. “Dovremmo dormire nella stessa stanza?”
Kunio si sporse dall’altra stanza, accigliato. “Ovviamente. Non avrebbe senso altrimenti.”
“Ah.” rispose il ragazzo, seguendolo. “Beh, se non altro credo che siamo molto vicini alla conclusione.”
Finora nessuno dei due aveva sollevato la questione: ma era vero, la visione di quella notte li aveva decisi finalmente a incontrarsi sotto lo stesso tetto. Poco importava che fossero pressoché sconosciuti: la curiosità su quanto stava avvenendo nelle loro teste era molto più importante.
“Dormiremo qui.” proclamò serio Kunio, indicando due vecchi futon dall’aria un po’ triste. Per fortuna erano opportunamente separati, anche se la disposizione creò comunque un certo disagio nella mente di Shuji. “Uh.” replicò. “Suppongo prenderò quello blu.”
“Perfetto. Vado di là a preparare da mangiare, sistema pure le tue cose.”
“Non ho molto, credo farò dopo.” commentò nel seguirlo in cucina. “Per la verità, uhm... Ecco, non so se te l’ho detto, ma io sono vegano. In realtà la dieta vegana mi è stata imposta ma... Avrei qualche problema a... Insomma...” Sperò che non lo considerasse troppo sfigato per questa cosa. Rimase sullo stipite della porta, rivolgendogli uno sguardo nervoso e studiando la sua reazione: quante volte era stato deriso per quella sua mancanza di carattere?
Kunio si bloccò sulla maniglia del frigo, sbiancando visibilmente. “Ah.” rispose in imbarazzo. “Credo... Uhm... Di avere un po’ di tofu.” mormorò, e non avrebbe potuto essergli più grato.

“Come hai fatto a convincere i tuoi a farti uscire con uno sconosciuto?”
Era stato un po’ imbarazzante: mangiare insieme allo stesso tavolo, lavarsi i denti cercando di non scontrarsi a causa dello specchio troppo piccolo. Vestirsi in stanze separate, un po’ di inevitabile confusione con gli asciugamani. Poi si erano infilati ognuno nel proprio futon e non si erano più parlati per minuti interi: era stato difficile trovare argomenti di conversazione che fossero tali fino a quel momento.
Shuji scosse la testa: “I miei non lo sanno: sono in viaggio di lavoro. Alla governante ho detto che sarei stato a casa di un amico per studiare.”
Kunio si volse verso di lui e ghignò. “Racconti spesso bugie del genere?”
Shuji rimase serio. “Sì. Quando vado a casa di mio fratello.”
Il sorriso scomparve poco a poco dal sorriso del ragazzo. Per lunghi attimi il silenzio fu rotto dal gracidio delle rane, poi parlò di nuovo. “Sai, al di là di tutta questa storia... A me piacerebbe conoscerti meglio. Dico sul serio. Mi sembri uno a posto, tutto sommato. All’inizio parlavi un po’ strano.”
Shuji fece una risata strana, secca. “In effetti in quei momenti mi sento figo, ma faccio la figura dell’imbecille.”
“Forse un po’” assentì Kunio, rivolgendogli un’altra occhiata bieca. Poi si girò su un fianco e lo guardò negli occhi. “Sul serio, Shuji. Qualunque cosa accada stanotte... Non voglio perderti.”
L’altro si girò verso di lui, stropicciandosi gli occhi azzurri. “Non sei tanto male. Possiamo provarci.”
Kunio sorrise. Era tutto quello che voleva sentirsi dire. “Buonanotte.” mormorò, chiudendo le palpebre, e non aspettò risposta.

È questo posto...” balbettò l’angelo, un nuovo terrore negli occhi. “Ha qualcosa di strano... Io... Mi sento così debole...” confessò poi, stringendosi la tunica all’altezza del petto.
Desuta continuava a fissarlo con intensità, senza muovere un muscolo, quasi il tempo si fosse fermato improvvisamente. Ma c’era ancora il frastuono del mare, da qualche parte, e la fitta e lenta caduta dei primi fiocchi di neve. Quel luogo aveva qualcosa di innaturalmente umano.
“Questo... Questo non è il Purgatorio.” realizzò infine, alzandosi e muovendo pochi passi: sentiva freddo. Non avrebbe dovuto, esattamente come Desuta non avrebbe dovuto provocargli dolore. “Desuta, questo non è il Purgatorio.” ripeté, voltandosi. “Siamo sulla Terra.”
Desuta sbiancò. Gli si avvicinò, realizzando finalmente di cosa stava loro accadendo. “Ecco perché... Ecco perché mi sento così strano.”
L’angelo si voltò verso di lui. “Dobbiamo assolutamente andarcene di qui: è pericoloso. Non potremo più tornare a casa.”
Il demone annuì, ma rimase immobile. Sein lo guardò interrogativo, poi comprese che il nemico non era davvero intenzionato ad andarsene. Trattenne il respiro, sbarrando gli occhi, consapevole che lui stesso non riusciva a muoversi di un passo.
“Ho sempre voluto tornare a casa.” dichiarò Desuta, rivolgendogli uno sguardo serio, umano. Era tremendamente diverso dal generale a cui più volte aveva dato la caccia, che per millenni aveva cercato di ricacciare negli inferi. Comprese, improvvisamente, che condividevano lo stesso sentimento.
“Non posso.”
“Sì che puoi. Siamo liberi ora.”
Sein singhiozzò, guardandosi attorno nel tentativo di scollarsi quello sguardo di dosso. “Dobbiamo andarcene.” proclamò, ma il suo corpo non rispondeva alla sua volontà.
Desuta lo afferrò per il polso e lo costrinse a guardarlo negli occhi. “È questo il nostro posto, idiota!” esclamò rabbioso, ma Sein scosse violentemente il capo nel tentativo disperato di divincolarsi dalla sua stretta.
Non voleva.
Lo voglio.
“Desuta... Desuta...” chiamò, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. “Desuta, mi sento strano...”
Percepì un dolore atroce nel petto, lì dove il cuore andava formandosi in quella vasta landa gelida. Alzò gli occhi e vide Desuta piegarsi in due, nei suoi occhi il suo stesso terrore.

L’alba li colse già svegli, immersi nella pace tranquilla della boscaglia. Shuji si portò un sorso di birra alle labbra, senza una parola, intento a osservare i cambiamenti repentini del cielo
“Dici che si amassero?” mormorò Kunio, a un certo punto. “Si conoscevano da sempre...”
“Non credo. No. Non credo si amassero.” rispose soltanto l’altro, senza voltarsi.
Kunio non replicò subito e appoggiò la lattina sul legno marcio, perplesso. “Eppure... Si sono reincarnati l’uno nel corpo dell’altro.” sussurrò, assorto nei suoi pensieri, senza davvero prestare attenzione alla presenza dell’altro: era come se parlasse a se stesso. “Non credo sia un caso. Io... Ecco, i miei genitori... loro...” Si bloccò, sulle labbra ancora un pensiero, ma scosse la testa. “No, hai ragione, è stupido pensarci.”
Shuji non commentò. Lo guardò di sottecchi, finendo l’ultimo sorso e poggiando la lattina accanto alla sua. Si erano svegliati presto, nello stesso istante, quasi non avessero potuto reggere ancora di più. Avevano interrotto il sogno, intimoriti da quanto sarebbe potuto succedere, eppure finalmente consapevoli.
“Cosa pensi di fare?
“Venderò la casa e mi iscriverò all’Accademia Militare.”
“Quindi non ci vedremo più.”
“Tornerò.”
“E quando?”
“Presto.”
Shuji tornò a guardare l’orizzonte, scoprendo con amarezza che il leggero colore rosato andava svanendo nei colori del primo autunno. Non voleva perderlo: non ora che aveva trovato una parte così importante di sé. “Presto è una parola strana.”
Kunio gli sorrise e si distese sui tatami, chiudendo gli occhi. La brezza gli accarezzava il viso, dolce come una madre. “È stato bello vederti di nuovo, Desuta.”
Shuji tornò a guardarlo. Non sorrideva. “Anche per me, Sein.” rispose amaro.
Non andartene.


Angolino di mademoiselle hirondelle
IL FINALE FA UN PO’ SCHIFO, DEVO CONCEDERVELO, ma volevo creare l’impressione di un finale “aperto”. Ovviamente mi scuso per l’ooc dei personaggi but non credo di aver mai scritto molto su di loro- spero solo che sia una fic nei limiti della decenza.
(Scusa Saw)

Desuta: Shuji (secondo figlio che studia)
Sein: Kunio (ragazzo delle campagne)

Un bacio a tutti i lettori ❤

Fay

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