Capitano. Vicina.

di AThousandSuns
(/viewuser.php?uid=634652)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitan Hydra ***
Capitolo 2: *** Gender bender ***
Capitolo 3: *** Scelte ***
Capitolo 4: *** Ascensore ***
Capitolo 5: *** Detective AU ***
Capitolo 6: *** Steve/Sharon/Bucky AU ***
Capitolo 7: *** Espiazione AU ***
Capitolo 8: *** Bucky/Sharon/Steve ***



Capitolo 1
*** Capitan Hydra ***


Prompt: AU Evil!Steve. Dove Sharon ha una missione dello Shield e deve uccidere Steve. Cose accadono e lei non ci riesce.
 
Sharon si sporge dalla balconata e lascia vagare casualmente lo sguardo sulla sala finché non individua il suo obiettivo - non è difficile da trovare, è praticamente un armadio ambulante - stasera è solo in ricognizione, non può certo far fuori "Capitan Hydra", come lo chiama scherzosamente la Hill, in pubblico. Scende le scale alzando appena la gonna del suo vestito, e va a prendersi dello Champagne: è circondata da ricconi, tanto vale approfittarne.
Sorseggia il drink spavalda finché qualcuno alle sue spalle non sussurra:-Temo di non aver avuto il piacere. Vuole concedermi un ballo?
Lo Champagne le va di traverso, il naso le pizzica per via delle bollicine, ma lui non scoppia a riderle in faccia: un assassino gentiluomo, allora le voci su di lui sono vere.
Sharon recupera il contegno:-Ma certo.
La mano di lei si perde nella sua, e il modo i cui la stringe e la guida nella danza senza mai soffocarla le fa girare la testa. Solo un po'... Colpa dello Champagne, ne è sicura.
-Indossa accessori davvero interessanti, se posso dirlo.
-La collana di diamanti? È un regalo di...
Lui la guarda malizioso e con la mano le sfiora la coscia attraverso lo spacco dell'abito: lì dove una fascetta tiene fermo il coltello.
Sharon ignora l'effetto che il suo tocco scatena sulla sua pelle: quel vestito bianco d'un tratto le sembra troppo stretto.
Ricambia il sorriso:-Una signora deve potersi difendere, girano brutti ceffi a quest'ora.
Il sorriso di Rogers si allarga, sta per ribattere, quando un'auto infrange la vetrata della sala: c'è il simbolo dell'Hydra sul cofano. Prima che Sharon possa rendersene conto, un uomo prende la mira nella sua direzione: Steve la afferra mettendosi dietro di lei e facendole da scudo; quasi la getta oltre il bancone del bar mentre lei sente i primi spari. La ragazza afferra la pistola che qualche ora prima ha fissato con lo scotch al tavolo e lo copre mentre lui si rifugia al suo fianco. Gli punta contro la pistola:-Chi mi ha venduto?
Lui alza le mani:-Non sono venuti per te.
Sharon sgrana gli occhi:-Li hai traditi!
Lui la ignora:-Esci da qui, ti copro.
Sharon si morde il labbro indecisa, dopotutto le ha appena salvato la pelle: dannazione, sa che se ne pentirà, ma le parole escono praticamente da sole:-Resto con te.
Lui la guarda come se fosse impazzita - deve esserlo, altrimenti perché si metterebbe ad aiutare un supersoldato indottrinato dai nazisti? - ma poi fa spallucce:-La vita è tua, agente.
Ne escono malconci, ma ne escono.
-Ne hanno mandati parecchi a darti la caccia.
-Non rinunceranno facilmente alla loro marionetta- ribatté lui in tono monocorde.
-Sai, Fury potrebbe anche farti un'offerta. Magari è uno dei suoi giorni buoni.
Steve la guarda scettico:-Preferisco stare un po' per conto mio.
Lui sta per andarsene, quando lei parla:-Mi aveva mandata ad ucciderti.
Le sorride stanco:-Lo so.
-E hai ballato comunque con me?
-Ti sei vista in quell'abito? Non ho resistito.
Alla sua faccia interdetta ride:-Ci vediamo, agente!
Sparisce inghiottito dal buio mentre il Quinjet per l'estrazione comincia ad atterrare. Sharon non sa spiegarsi perché, ma quelle parole le suonano come una promessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Gender bender ***


Prompt: Male!Sharon x Fem!Steve
"Beh direi che possiamo finire la serata qui" AKA quando gli Avengers bevono un bicchiere di troppo e Fem!Steve è l'unica persona sobria della stanza.
I nomi che ho scelto sono Stephanie e Shane (quest'ultimo non mi piace granché ma volevo che somigliasse almeno un po' all'originale).
 
Stephanie deve la sua vita al siero, eppure adesso non può far altro che maledirne gli effetti: in fondo voleva solo sbronzarsi un po' con la sua squadra, era forse chiedere troppo?
"Beh direi che possiamo finire la serata qui"; Bruce per tutta risposta scoppia in una risata sguaiata mentre Clint, che ha cercato inutilmente di alzare Mjornil, si ritrova con il sedere a terra, e si unisce al dottore. Un peccato che Thor sia con Jane, si sta perdendo un vero spettacolo. Stephanie si accorge di aver parlato troppo presto: Tony, bottiglia di scotch ancora in mano, barcolla verso di lei e fa per metterle un braccio attorno alle spalle, ma la manca clamorosamente. Prima che lei possa fare qualcosa, lui si china e rimette nel vaso di porcellana cinese vicino al tavolino: il preferito di Pepper, ovviamente. In mattinata, il fastidio del dopo sbornia sarà l'ultima delle sue preoccupazioni. Tony si stende sul pavimento abbracciando il vaso: Stephanie ha già le chiavi della moto in mano, sarebbe semplice svignarsela. Guarda l'amico sbuffando prima di caricarselo in spalla:-Vomita di nuovo e ti ammazzo.
È così che la trova Shane, quando le porte dell'ascensore si aprono:-Capitano?
-Niente domande per favore.
-Immagino che la missione di Fury dovrà aspettare- il ragazzo scuote la testa. È una delle poche persone che la raggiunge in altezza, è la prima cosa che ha notato di lui: beh, dopo i suoi occhi. E le sue mani. Comincia a pensare che forse tutto quel bere ha avuto effetto anche su di lei.
Raggiungono l'appartamento di Stark: Stephanie decide che no, non si merita di dormire nel suo letto, perciò lo lascia sul divano.
Si ritrovano in cucina, a chiacchierare e mangiare la scorta di Oreo di Tony.
Shane si schiarisce la voce:-Non ti ho mai chiesto scusa per aver finto di essere il tuo vicino.
Stephanie gli sorride:-Non ce n'è bisogno: stavi eseguendo gli ordini di Fury. Sono io che devo scusarmi, ho reagito male e non ce n'era motivo.
Lui si rilassa e le sorride spontaneo per la prima volta da quando lei ha scoperto la sua vera identità; Stephanie non se lo aspetta, quindi aggiunge:-Mi sembrava strano che fossi sempre a corto di zucchero, uova, o latte. Ero convinta che ci stessi provando, ma poi hai rifiutato il caffè, quando te l'ho offerto.
Shane si muove sulla sedia per avvicinarsi a lei:-Hai ragione: forse sarebbe ora di accettarlo.
Stephanie sorride e si sporge verso di lui: sono a pochi centimetri l'uno dall'altra, quando Stark, dal salotto, inizia a russare rumorosamente. Anche quand'è privo di conoscenza riesce ad essere inopportuno, incredibile. Trattengono entrambi una risata, guardandosi negli occhi; Shane le sfiora la guancia con le dita, prima che Stephanie lo attiri a sè e lo baci.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scelte ***


Prompt: Steve essendo Cap. America sa che il dovere viene prima di qualunque altra cosa, anche dell'incomprensibile attrazione che prova per la Carter.
 
L'agente 13 ci aveva messo poco a riguadagnare la sua fiducia, dopo il disastro di Washington: era preparata, intelligente e dedita al suo lavoro. Tutte cose che il Capitano non poteva far altro che ammirare: il fatto era che, dopo un po', aveva cominciato a notare altro di lei, e in una prospettiva decisamente poco professionale. Come il modo in cui gli sorrideva quando lui faceva una delle sue gaffe da novantacinquenne che si è perso settant'anni di storia. O l'innata flessuosità dei suoi movimenti - specie quando prendeva a pugni gli scagnozzi dell'Hydra. Il suo tagliente senso dell'umorismo e la spontaneità della sua risata. E il modo in cui l'uniforme fasciava le sue curve.
Steve si azzardò a guardarla: era al suo fianco, ai comandi del Quinjet, concentrata e silenziosa. Anche questo le piaceva di lei: non c'era bisogno di riempire il silenzio tra loro con discorsi inutili, erano perfettamente a loro agio. Ma in quel momento aveva davvero bisogno di parlarle, chiederle se avesse voglia di prendere quel famoso caffè lasciato in sospeso mesi prima.
Steve strinse i pugni, quella era una pessima idea: una relazione avrebbe di certo complicato le dinamiche sul lavoro. Osservò le mani di Sharon salde sulla cloche, chiedendosi come sarebbe stato prenderle tra le sue, intrecciare le loro dita.
Chiuse gli occhi provando a liberare la mente: in fondo era la pronipote di Peggy, sarebbe stato strano. Eccetto per il fatto che si trattava di due persone completamente distinte, e Sharon non le somigliava poi molto, d'aspetto e di carattere: dei Carter c'era solo la testardaggine. Diamine, ma perché si metteva tutto quel profumo per venire a lavoro? O forse era lo shampoo, Steve non ne aveva idea, sapeva solo che gli dava alla testa, e gli faceva venire voglia di sfiorarla.
Giardò fisso davanti a sè, i muscoli contratti, come se si stesse preparando ad attaccare. Capitan America non aveva tempo per certe cose, e non poteva permettersi il lusso di una distrazione come quella.
Con la coda dell'occhio si accorse che Sharon lo guardava: lei distolse subito lo sguardo, mordendosi il labbro. Steve fu preso dal bisogno impellente di stringerla e baciarla, accarezzare la sua pelle candida e perdersi nel suo abbraccio.
Oh, al diavolo! Non aveva forse anche lui il diritto di essere felice, come una persona normale?
-Sharon?
Si voltò verso di lui, sorpresa che l'avesse chiamata per nome:-Sì, Steve?
Gli sorrideva appena, e i suoi castelli crollarono in un attimo: lui non era una persona normale, e aveva delle responsabilità. Ma cosa più importante, non poteva lasciarsi andare, con nessuno. Le persone che amava non erano altro che bersagli per i suoi nemici: se sei un soldato, l'amore è una debolezza. E cosa fanno i nemici, se non sfruttare le debolezze per colpire l'avversario? Aveva già perso Bucky, non avrebbe messo in pericolo nessun altro.
Si schiarì la voce:-Agente 13. Quanto manca all'atterraggio?
Sharon tornò a fissare il cielo di fronte a sè:-Quindici minuti, Capitano.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ascensore ***


Prompt: sono ad un passo dal farlo in ascensore, quando Thor li interrompe(Bonus: Effettivamente sì, il martello può salire in ascensore)
 
Quando scendono dal Quinjet, nessuno dei due dice una parola. Incrociano Thor in corridoio:-Capitano! Stark aveva detto che sarebbe stata una missione semplice, cos'é accaduto?
-Certo, per Stark è tutto un gioco! Questa volta mi sente.
-Stiamo bene Thor, davvero. Una doccia, e saremo come nuovi- fa Sharon.
In effetti, sembra più grave di quel che è: le uniformi sono stracciate, e Sharon è sicura di avere la sabbia del Marocco fin dentro le orecchie. Per il resto, tagli e lividi fanno parte del loro lavoro, lo sanno, e sarebbe potuta andare molto peggio: che Steve metta il broncio con Stark se vuole, lei è contenta di essere alla torre tutta intera.
Salgono in ascensore e lei sta per premere il numero che li porterà al loro appartamento:-Prima dobbiamo fare rapporto dalla Hill.
Sharon sbuffa e preme un altro bottone.
L'ascensore è a metà strada quando Steve le parla:-Non farlo mai più.
Allora è con lei che vuole tenere il broncio:-Cosa? Salvarti la pelle?- Sharon lo guarda sfidandolo: se vuole litigare ha appena trovato pane per i suoi denti.
-Disubbidire agli ordini per coprirmi le spalle. È stato avventato e pericoloso.
-Eppure siamo qui.
Lui la afferra per il braccio, e lei è costretta ad arretrare:-C'è mancato poco che non saltassi in aria, per proteggere me!
Non l'ha mai visto così; non le fa paura, però non se l'aspetta da lui:-Se non fossi corsa da te, saresti saltato in aria tu!
-C'è la ricetrasmittente per queste cose!
-Era andata! Cosa avrei dovuto fare? Per una volta, non potresti semplicemente ringraziare?
Lui la fissa per un istante, prima di avventarsi sulla sua bocca, arrabbiato e famelico. La spinge contro la parete dell'ascensore, lei allarga le gambe per poterlo stringere più forte a sè.
Steve blocca l'ascensore appena prima che le porte si aprano.
Sono esausti, frustrati e ricoperti di sabbia, ma a Steve non importa: gli importa solo che lei sia tra le sue braccia.
-Che stai facendo, Capitano?- gli chiede scherzosa.
-Ti sto ringraziando.
-Devo salvarti più spesso.
Prima che lui possa ribattere, le porte dell'ascensore si spalancano. Svelti, cercano di ricomporsi.
Thor li osserva perplesso:-Ho dimenticato Mjolnir nell'ascensore.
Steve guarda il martello nell'angolo opposto al loro:-Ma guarda, chi l'avrebbe mai detto! L'ascensore è degno.
Sharon prova a trattenere una risata, senza riuscirci.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Detective AU ***


Prompt: Sharon è un detective della polizia e Steve un barista che diventa il suo informatore

Bucky gli tira una gomitata e Steve alza lo sguardo mentre la donna si siede al solito sgabello; il locale è semi deserto, il momento perfetto per Sharon di farsi viva. Bucky la saluta e si dirige ai tavoli per dare una sistemata.
Steve le rivolge un sorriso e non può far a meno di pensare che sarebbe carino se non parlassero esclusivamente di lavoro.
Scuote la testa e le prepara il solito drink ancor prima che lei possa chiederglielo.
Lei sembra a suo agio ma c’è qualcosa nella sua postura e nel modo in cui studia il locale tipico degli sbirri.
La prima volta che Steve gliel’ha fatto notare lei ha riso e negato, ma lui è cresciuto nei bassifondi di Brooklyn: riconosce un detective quando lo vede.
«Serata tranquilla» esordisce lei spostando lo sguardo dal bicchiere al viso di Steve.
Lui le sorride: «Nel mio bar tutte le serate lo sono».
Sharon lo guarda per un attimo con un lieve sorriso ad incresparle le labbra prima di tornare seria.
Steve sa bene perché è lì ma non ha intenzione di sollevare l’argomento, così le lascia fare il proprio lavoro.
Lei abbassa il tono della voce sebbene siano soli al bancone: «In strada si mormora di un accordo tra bikers e cinesi per il controllo dello spaccio di eroina. Mi chiedevo cosa ne sapessi».
«Non molto, solo bisbigli» purtroppo Steve è un pessimo bugiardo e lei un’ottima detective: una combinazione letale.
Sharon infatti lo guarda come se fosse sul punto di prenderlo a pugni: chiaramente il caso è importante.
Lui si limita ad una scrollata di spalle: «Questo bar è la Svizzera, sai come funziona».
E lo è davvero: c’è una legge non scritta per la quale nessuno può toccare lo Stars and Stripes; Steve ed il suo bar sono attivamente coinvolti nella comunità, offrendo una mano a chiunque ne abbia bisogno e cercando di togliere dalla strada i ragazzi del quartiere. E nessuno si è mai azzardato ad interferire.
Brooklyn può essere crudele, Steve l’ha imparato a proprie spese.
Come a confermare i suoi pensieri Sharon comincia a parlare: «Qualcuno è morto ieri notte giù alle case popolari; uno scambio andato male. Peccato che ci sia finito di mezzo un ragazzino innocente. Questo bar potrà essere intoccabile, ma cosa succederà al resto del quartiere? Quanto altro sangue vuoi in strada? Dobbiamo fermarli e non posso farlo senza il tuo aiuto».
È brava nel suo lavoro: sa esattamente quali corde toccare con lui.
Steve stringe le labbra con disappunto prima di arrendersi alla propria coscienza: «L’incontro è andato male, a quanto pare i bikers hanno aperto il fuoco per primi. Cho e Morrow vogliono risolverla in silenzio. Fossi in voi darei un’occhiata all’ex studio medico sulla Quattordicesima».
Il volto di Sharon si illumina e Steve pensa che ne sia valsa la pena solo per quel momento. Poi lei posa la mano sulla sua e la stringe appena e Steve smette di pensare.
Si schiarisce la voce: «Devi stare più attenta quando vieni qui, la gente mormora e girano voci».
Lei corruccia lo sguardo e inclina la testa, pensierosa, prima di tirare fuori dalla borsa carta e penna e scribacchiare qualcosa.
Steve rigira il foglietto tra le dita: «Ho già il tuo numero per le emergenze».
Lei gli sorride: «È il mio numero privato, in caso volessi dare fondamento a tutte quelle voci».
Steve rimane interdetto e lei ne approfitta per sporgersi oltre il bancone e posargli un bacio leggero sulla guancia: «Buonanotte Steve».
Lei esce dopo aver fatto un cenno a Bucky e lui rimane immobile per qualche momento cercando di processare ciò che è appena successo.
Bucky gli tira un asciugamano in faccia per scuoterlo: «Era ora, amico» dice con tono affettuoso.
Oh, sa già che lo stuzzicherà per tutta la sera.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Steve/Sharon/Bucky AU ***


Prompt: Steve/Bucky/Sharon: Soulmate!AU in cui la prima e l'ultima frase della tua soulmate compaiono si tatuano sulla pelle. Eppure con Steve i conti non tornavano: su di lui non c'erano 2 frasi, ma 4.
 
Da qualche parte sulle Alpi, 1945
Steve butta giù l’ennesimo bicchiere di quel liquore scadente mentre per la prima volta maledice il siero che gli impedisce di prendersi una sbronza epocale. Non avverte il vento freddo che cerca di scuoterlo né la stanchezza che fa tremare i suoi muscoli: c’è spazio solo per il lutto quella notte nel suo cuore.
Guarda per l’ennesima volta le frasi impresse sul suo polso: In piedi amico, non abbiamo finito qui. Ricorda ancora quella mattina, quella in cui Bucky è intervenuto per evitare che dei ragazzini irlandesi continuassero a pestarlo. Le prime parole che gli ha rivolto.
E poi guarda la seconda frase e l’unica cosa che pensa è che sia sbagliata: Bucky ha urlato il suo nome mentre cadeva, è sicuro di non averlo immaginato, perciò la frase dovrebbe essere quell’unica parola.
Però non lo è.
Forse una parte di sé cerca di negare ciò che è successo, o forse sta solo impazzendo.
Sì, non c’è altra spiegazione, il siero gli sta consumando il cervello: spera solo che uno dei Commandos gli pianti una pallottola in testa prima che finisca per dare di matto come il Teschio Rosso.
 
Russia, 1996
Non sa che anno sia quando lo svegliano, non lo chiede. Non chiede mai nulla perché ha imparato che ad ogni domanda corrisponde ad una manganellata, un pugno, un calcio.
Non sa che anno sia, ma sa che è passata almeno una decade dall’ultimo risveglio: lo sente nei muscoli contratti, in ogni scricchiolìo delle ossa, nel freddo che ancora penetra in ogni sua cellula e rifiuta di lasciare il suo corpo dissipando il poco calore che gli rimane.
Ha difficoltà a muoversi e come da routine i camici bianchi che lo circondano controllano i suoi parametri vitali; lo ignorano così come lui ignora loro, almeno finché uno non si lascia scappare un’imprecazione. O almeno crede. Non capisce molto di russo: i suoi proprietari si sono limitati ad insegnargli un lessico militare, ma il tono è concitato.
Quello non è mai un buon segno, pensa il Soldato, e si chiede distrattamente cos’abbia fatto questa volta, come lo puniranno. Dopotutto, cos’altro possono fargli?
Un paio di medici sghignazza mentre l’uomo indica il suo torace, a destra, in corrispondenza dell’ultima costola e il Soldato abbassa lo sguardo: c’è un tatuaggio sulla pelle martoriata dalle cicatrici. Un tatuaggio che prima non c’era: se devi uccidermi, fallo in fretta.
Il Soldato è confuso, sente il cuore accelerare nel petto per qualche misteriosa ragione: non ricorda bene… Non aveva forse un'altra scritta? Una frase che gli sfugge, ma è passato così tanto tempo e lui non deve ricordare, non deve provare nulla o lo puniranno di nuovo. No, non vuole essere punito, obbedirà, ma deve star fermo altrimenti lo capiranno…
Serra la mano di metallo con un gesto istintivo, il fantasma di quell’arto che ha lasciato sulle Alpi decenni prima. In un’altra vita.
Sì, su quel braccio c’era una frase ma non la ricorda, non vuole, non vuole soffrire ancora.
Il suo supervisore è stato chiamato; sputa con rabbia alcune parole in direzione di uno dei camici e il Soldato capisce che verrà punito, si arrende a quella consapevolezza: è stanco di combattere se stesso.
Quella frase è chiara e loro vogliono assicurarsi che non lasci in vita il proprio obiettivo, chiunque sia; che rimanga fedele ai suoi proprietari ed obbedisca.
Mentre sente la scarica che gli attraversa il cervello, calda e impietosa, lui si dimena inutilmente ed un ultimo pensiero si affaccia nella sua mente: non ho bisogno del tuo aiuto, li ho in pugno.
 
Washington DC, 2014
Ha insistito con Fury ma lui è stato irremovibile: non ha intenzione di rimuoverla dall’incarico, non si fida di nessun altro se non di una Carter per quel lavoro. Poco importa che Steve Rogers sia la sua anima gemella. Esatto: Steve Grant Rogers, l’uomo senza tempo, la leggenda vivente, quel Steve Rogers che si getta dagli aerei senza paracadute e ascolta vecchi vinili nel buio e nella solitudine del suo appartamento. L’uomo che Fury le ha chiesto di tener d’occhio e di proteggere, se necessario.
Un giorno ha semplicemente bussato alla porta del suo finto appartamento per presentarsi, cosa che a DC nessuno fa più dagli anni Cinquanta, ma a lei ha fatto piacere. Finché non ha parlato.
«Ciao, sono il tuo nuovo vicino, Steve» la stessa identica frase che Sharon ha tatuata sulla schiena, appena sotto la scapola. Non poteva essere lo stesso Steve, non poteva.
Però quella possibilità esisteva, così ha dato la risposta più generica possibile: «Piacere di conoscerti, Steve».
Dopo quell’incontro ha sfogliato i file di Steve allo Shield ed ha scoperto che lui ha un tatuaggio con quelle parole, appena sotto la scapola sinistra: un tatuaggio che è comparso mentre era ancora sepolto nel ghiaccio dell’Antartico. E così ha capito di essere sul serio la sua anima gemella.
Beh, una delle due: probabilmente sono parte di una triade dato che lei possiede un altro tatuaggio sul torace. Un bel casino, Sharon.
«Questo non cambia nulla» le ha detto Nick quando l’ha scoperto.
E invece cambia tutto, avrebbe voluto rispondergli.
Si sente di tradirlo ogni giorno che passa, anche se il suo lavoro è importante per lei; anche se il suo lavoro è assicurarsi che lui stia bene, che si integri nel mondo moderno, che non sia troppo solo.
Vorrebbe solo confessargli la verità: sa che si arrabbierebbe, ma non le importa, perlomeno smetterebbe di vivere in una menzogna. È stanca di mentire a se stessa.
È sul punto di raccontargli tutto la sera che lui le offre di uscire, ma lei declina e rinuncia alla verità in nome di una responsabilità più grande, prima di rientrare in casa.
Allora si accorge di lui: il Soldato d’Inverno. Lo riconosce perché Natasha le ha raccontato di quel fantasma dal braccio di metallo che le ha sparato ad Odessa.
Ma lei non è la Vedova Nera, sa che non uscirà viva da quell’appartamento: l’unica cosa che può fare è guadagnare un po' di tempo ed allertare la squadra appostata al piano inferiore. Lei è soltanto una pedina: quell’uomo è lì per Steve e se proprio Sharon deve morire che muoia per salvarlo.
La sua voce è triste ma decisa quando gli dice: «Se devi uccidermi, fallo in fretta» preme un bottone e la squadra è avvisata. Steve se la caverà, pensa sollevata. E poi accade l’impossibile: l’assassino che ha di fronte tentenna, c’è una strana luce nei suoi occhi per un attimo ma svanisce appena prima che lui la colpisca.
Sharon cade a terra con un tonfo: le ci vuole un minuto per riprendersi, il pavimento freddo contro il fianco e la guancia la scuotono da quel torpore.
Quando sfonda la porta dell’appartamento di Steve trova Nick riverso in una pozza di sangue e si concentra nel tenerlo in vita: avrà tempo per chiedersi perché il Soldato l’ha lasciata in vita.
 
Londra, 2016
Steve la accompagna al suo albergo e tra loro aleggia il peso di mille parole non dette. Sono passati due anni da quando si è svegliato in una finta stanza anni Quaranta allestita per lui dallo Shield e per la prima volta desidera qualcosa di più di un’amicizia da una donna. Se Natasha potesse sentirlo riderebbe di lui, ma non gli importerebbe: è stanco di ingannare se stesso.
Certo, ha un tempismo pessimo.
Il fatto è che si è svegliato con un nuovo tatuaggio e una nuova speranza: avere quattro tatuaggi anziché due è un evento rarissimo e suo malgrado spesso si ritrova a pensare a come sarebbe stato formare una triade con Bucky e il suo cuore si riempie di dolore ed affetto, come se il tempo non fosse mai passato. Come se Bucky non fosse una macchina di morte dagli occhi freddi e un braccio di metallo.
Eppure la possibilità di essere felice è racchiusa in quella frase sulla sua spalla, così generica che spesso Steve si lascia andare alla frustrazione.
Forse si sbaglia: forse la possibilità di essere felice è ad un passo da lui, davanti ai suoi occhi. Ha due anime gemelle e forse non è destinato a vivere con nessuna di loro.
Vorrebbe baciare Sharon e dimenticare anche solo per un secondo il destino, le sue responsabilità, gli Accordi e i cocci della squadra che avrebbe dovuto guidare. Vorrebbe gettare via lo scudo ed essere Steve Rogers, fare qualcosa perché vuole e non perché deve.
Legge negli occhi nocciola di Sharon lo stesso desiderio, ma Sam li interrompe preoccupato e basta un attimo perché il suo mondo venga stravolto ancora.
 
Lipsia, 2016
L’auto che Steve ha scelto è ridicola e Sharon non perde l’occasione di farglielo notare. Sembra sorpreso di vedere lo scudo e le ali di Sam nel suo bagagliaio; si è procurata anche dei vestiti per Bucky: non può mandarlo a combattere Ironman con quella maglietta.
Non si ricorda di lei: l’ha messa KO senza esitare il giorno prima ed ora a malapena ne intravede la sagoma attraverso il parabrezza, ma è sicura che se sapesse la verità non rimarrebbe dentro l’auto. Così se ne sta zitta: quella missione è più importante di qualunque cosa quel destino beffardo abbia in serbo per loro.
Mente di nuovo, ad entrambi, ma quale altra scelta ha? Nel momento in cui ha sottratto lo scudo è divenuta una fuggitiva; Steve e Bucky invece devono volare dall’altra parte del globo e salvare il mondo.
E poi Steve la bacia: è cauto e gentile nei movimenti, quasi temesse di romperla; è un bacio che la lascia più affamata di prima, insoddisfatta. Forse perché manca ancora un pezzo di quello strambo puzzle.
Sale in auto mentre cerca di zittire la voce nella sua testa che sta tentando di farla tornare sui suoi passi: se davvero c’è un futuro per loro ci penserà il destino, si dice mentre mette in moto l’auto e lancia un ultimo sguardo in direzione degli uomini che il fat continua ad allontanare da lei.
 
Wakanda, 2016
Ora che Wanda ha messo le mani sul suo cervello – letteralmente – è libero dai condizionamenti dell’Hydra. Ma non è emozionato per quello.
Lui e Steve aspettano un Quinjet dall’Europa: spera che Sharon sia riuscita a seminare i jet dell’Air Force.
«Arriverà, sta’ tranquillo» gli sussurra Steve quasi gli avesse letto il pensiero. Bucky si limita a sospirare pesantemente e a muoversi un po' più vicino all’altro, abbastanza perché le loro braccia si sfiorino. Un contatto semplice ma che ha il potere di riequilibrarlo, come la gravità.
Finalmente ricorda la notte in cui ha incontrato Sharon ed è rimasto spiazzato quando ha capito che Steve era all’oscuro di tutta la faccenda.
Sharon ha delle spiegazioni da dare, ma in quel momento non c’è spazio per la rabbia in nessuno di loro: vogliono solo che arrivi sana e salva.
Il Quinjet atterra con qualche difficoltà: è danneggiato e Bucky capisce che i bastardi hanno cercato di abbatterlo.
Però non ci sono riusciti e Bucky si prepara per il momento che aspettava da anni.
Nota subito che Sharon è abbronzata e dimagrita, i capelli sono tinti di scuro, probabilmente nel tentativo di camuffarsi meglio.
Lei si ferma ad un paio di passi da loro e capisce che sanno tutto: stringe le labbra preoccupata ed aspetta che uno di loro dica qualcosa.
È Bucky a rompere quel silenzio: «Era ora che ci conoscessimo, Sharon» le dice gentile; non sa bene come comportarsi così tende una mano per stringere la sua.
Sharon sorride e chiude la distanza tra loro abbracciandolo stretto: è la prima frase che le abbia mai detto. Le sfugge un singhiozzo e il modo in cui lo stringe vale più di mille parole.
Bucky si perde nel suo profumo e sente le braccia di Steve avvolgere entrambi: per la prima volta dopo anni pensa che per una volta il destino ha combinato qualcosa di buono con loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Espiazione AU ***


 Prompt: AU in versione Atonement: Sharon e Steve sono costretti a separarsi, e la guerra non risparmia nessuno.

Steve trema e suda; non riesce a capire se sente caldo o freddo, ma non fa poi molta differenza: è troppo debole per scostare le lenzuola. Il petto si muove su e giù veloce, ogni respiro corto e affannato sibila contro i denti serrati.
Una vocina subdola gli sussurra che avrebbe dovuto immaginare come sarebbe finita: con lui accoccolato a morire in un letto d’ospedale.
Strizza le palpebre e un lamento soffocato gli sfugge dalle labbra screpolate, tremanti, e ignora la sua coscienza: lavorare nell’ospedale è l’unico modo che ha per dare una mano ed è suo dovere farlo. Giudicato non idoneo per il servizio militare, nessuno ha battuto ciglio quando si è presentato come infermiere all’ospedale: sua madre gli ha insegnato le basi e ci sono troppi soldati bisognosi di cure perché i medici possano rifiutare un volontario, non importa che pesi cinquanta chili e soffra d’asma.
Sa che ha commesso uno sbaglio, ma non riesce a pentirsene: nessuno potrà giudicarlo un codardo, nessuno potrà disprezzarlo per essere rimasto in America mentre il sangue dei suoi compagni viene versato in Europa.
Deglutisce a fatica: la sua gola è così secca, se solo potesse avere un sorso d’acqua…
È sempre più difficile mantenere gli occhi aperti, ma sa che se si addormenta potrebbe non svegliarsi e lui non è uno che si arrende: in tutta la sua vita ha avuto la febbre più volte di quante possa ricordare, ce la farà anche oggi, ne è sicuro.
Però è stanco, forse riposare un po’ gli farebbe bene: abbassa le palpebre ma continua a lottare, si aggrappa con tutta la forza che gli rimane al ricordo della persona che più di tutte desidera rivedere una volta fuori da lì.
Sharon.
Come l’ha vista l’ultima volta: la divisa pulita, i capelli biondi raccolti con precisione e il sorriso, Dio, il suo sorriso...
Ripensa a come gli ha insegnato a fare a pugni sfruttando la sua magrezza e la velocità; a come l’ha sempre guardato scrutando fin nella sua anima senza fermarsi alla sua statura; a come lo rimproverava quando lui falsificava documenti per potersi arruolare. Ma più di ogni cosa ricorda il modo in cui lo baciava, lentamente, come avessero tutto il tempo del mondo.
Gli sembra un’altra vita quella prima della guerra, più semplice, più felice.
Steve riporta alla memoria il profumo dolce di Sharon, le sue labbra, il suo abbraccio cauto ma impaziente, e pensa che lei tornerà, che le loro vite sono destinate ad incrociarsi di nuovo.
Sì, deve continuare a lottare, pensa prima si scivolare in un oblio dal quale non si sveglierà.
 
Dugan corre a perdifiato nella struttura informando i compagni dell’imminente evacuazione. Deve trovarla, lei deve sapere.
Raggiunge l’angolo dove l’ha vista l’ultima volta e trova una figura in piedi accanto a lei.
Tenta di riprendere fiato: «Che ci fate ancora qui? Dobbiamo muoverci, stanno arrivando i rinforzi».
«È tua amica?» gli chiede il ragazzo con tono piatto.
Dugan annuisce e si avvicina a grandi falcate, ma si ferma secco quando si accorge degli occhi scuri che lo fissano dalla branda, spalancati e senza vita.
«Aveva detto di stare meglio» sussurra quasi a se stesso.
«Mi dispiace, amico». Una mano si posa sulla sua spalla e stringe appena: «Dobbiamo informare qualcuno? Conosci la sua famiglia?».
«Solo una persona» risponde con voce rotta.
Cala il silenzio mentre accanto a loro gli altri soldati continuano a muoversi come nulla fosse successo; sono troppo assuefatti alla morte per piangere una sconosciuta.
Tranne il ragazzo al suo fianco: «Come si chiamava?».
«Sharon». Basta una parola e Dugan si arrende a quella morte che giace davanti ai suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Bucky/Sharon/Steve ***


Prompt: Bucky/Sharon/Steve: 3+1 con tre volte in cui Steve, Bucky e Sharon hanno avuto dei dubbi, e una volta in cui sono finalmente riusciti a capirsi.
 
 
Steve e Bucky condividevano un passato di cui lei non faceva parte: erano cresciuti insieme e avevano combattuto una guerra l’uno al fianco dell’altro; si erano amati, in segreto, per anni: come avrebbe potuto reggere il confronto?
 
La parte peggiore era che nessuno dei due aveva colpe: entrambi si adoperavano perché lei si sentisse parte integrante di quel rapporto e non un’intrusa, eppure Sharon li osservava di quando in quando e non poteva fare a meno di chiedersi cosa ci facesse tra loro.
 
Ai suoi occhi, Steve e Bucky si completavano: c’era un’intimità tra loro, una spontaneità nei loro gesti così intensa da mozzarle il fiato. Come poteva eguagliare un rapporto costruito in decenni di amicizia?
 
Avrebbe voluto dar voce a quei dubbi, ma temeva di rovinare ciò che condividevano… No. Temeva che Steve e Bucky avrebbero fatto a meno di lei, e quel pensiero la atterriva. Così, quando Steve prendeva la mano del compagno o Bucky menzionava un aneddoto della loro gioventù a Brooklyn, lei distoglieva lo sguardo e ignorava il dolore attanagliato nel proprio petto.
 
*
 
Certe notti, Bucky si svegliava di soprassalto in preda ai soliti incubi; a volte invece era Steve a scuoterlo mentre Sharon se ne stava in disparte – con la sua forza avrebbe potuto ferirla seriamente, pur non volendolo. Il Wakanda gli aveva fatto bene, ma Bucky non era guarito. Non del tutto, almeno.
 
La verità era che una parte di lui sarebbe sempre stata spezzata e nulla – nessuno - lo avrebbe aggiustato: l’Hydra era penetrata troppo a fondo, come un’erbaccia velenosa che non può essere estirpata.
 
Steve lo aveva amato prima della Guerra, ma Bucky era sorpreso che il proprio compagno avesse continuato a farlo per tutti quegli anni - perfino in quel momento, a dispetto di come il Soldato d’inverno aleggiasse su di loro, un’ombra muta ma non per questo meno pericolosa.
 
Il fatto che anche Sharon avesse trovato un modo tutto suo di amarlo era ancor più sorprendente. A differenza della maggior parte delle persone, non sembrava temerlo; oppure era brava a nasconderlo, dopotutto era una spia.
 
A volte Bucky si ritrovava ad osservarli e quasi s’illudeva che anche per qualcuno come lui potesse esserci un lieto fine a questo mondo; poi si ricordava di come la vita continuasse a ingannarlo per poi portargli via ogni briciolo di felicità, ancora e ancora. Così chiudeva gli occhi e si stringeva nelle spalle, arrendendosi alle proprie paure.
 
*
 
Steve non si riteneva un codardo, ma questo non significava che non nutrisse delle paure. Sentiva più che mai il peso delle sue responsabilità nei confronti dei Secret Avengers, in modo particolare Bucky e Sharon: nessuna relazione era facile. Se poi si trattava di una triade di ricercati la situazione non poteva che complicarsi.
 
Steve continuava a chiedersi se lui facesse abbastanza per loro, se fosse abbastanza per loro – a volte gli pareva di no.
 
Si sforzava di trovare un equilibrio e di esserci per entrambi, ma spesso le missioni li tenevano separati per settimane; altre volte la squadra aveva bisogno di Capitan America – o meglio, Nomad, come si faceva chiamare ora - e Steve non poteva ignorare le proprie responsabilità. Ma sacrificare ciò che stava tentando di costruire con Sharon e Bucky gli sembrava ingiusto: non aveva forse diritto di essere felice come tutti gli altri?
 
Forse era solo stanco di essere un soldato, ma la sua coscienza gli impediva di ritirarsi: il mondo aveva ancora bisogno di eroi, e gli eroi erano costretti a fare dei sacrifici, no?
 
*
 
«Bucky!»
 
Steve non era ancora rientrato: Sharon si fece coraggio e strattonò Bucky nel tentativo di svegliarlo. Sentì la mano metallica dell’uomo afferrarle il polso in una stretta dolorosa, ma lei si morse la lingua e non fiatò: l’ultima cosa di cui l’uomo aveva bisogno in quel momento era il senso di colpa.
 
Nella penombra della stanza Sharon udì il respiro di Bucky rallentare; le lasciò il polso di scatto e lei accese la luce.
 
Non riusciva a guardarla negli occhi e si teneva la testa tra le mani. «Avrei potuto ferirti seriamente.»
 
«Ma non l’hai fatto» sottolineò lei.
 
Bucky scosse la testa e gli parve così vulnerabile: dopo un attimo di esitazione tornò sul letto, accanto a lui. Cauta, gli passò una mano sulle spalle e cominciò a disegnare piccoli cerchi sulla sua schiena nella speranza di confortarlo.
 
«Sono ancora qui» sussurrò la donna e suonava come una promessa. «So che vorresti ci fosse Steve, ma temo dovrai accontentarti.»
 
L’asprezza del suo tono spinse Bucky a fissarla perplesso. «È questo che pensi? Di non essere abbastanza
 
«Devi ammettere che è difficile competere con voi due, con il vostro passato.»
 
Bucky, più tranquillo, sbuffò. «Non difficile quanto competere con Mister e Miss perfezione. Voglio dire, guardami: non so perché vi ostiniate a starmi accanto.»
 
Sharon trasalì. «Non avevo idea che ti sentissi così.»
 
«Già. Facciamo pena in queste cose, uh?»
 
Lei gli prese la mano. «Bucky…»
 
Fu interrotta dalla porta che si apriva piano; apparve il volto di Steve, esausto. La stanchezza però si sostituì presto alla sorpresa. «Non credevo di trovarvi ancora in piedi.»
 
«Bucky ha avuto un incubo…»
 
«Traditrice.»
 
Sharon ignorò quel commento. «Stavamo avendo una specie di… momento?»
 
Steve si tolse le scarpe e sedette sul materasso aggrottando la fronte, confuso. «Momento?»
 
«Qualcosa da confessare, Rogers?»
 
Bucky riuscì a strapparle un sorriso, ma poi Steve abbassò lo sguardo sulle proprie mani con aria colpevole.
 
«Essere Nomad mi sta portando via tutte le energie: vorrei davvero passare più tempo con voi, ma poi succede sempre qualcosa e quando sono in missione mi sento in colpa perché so che meritate di meglio e io…» Steve sospirò lasciando la frase in sospeso.
 
«Steve…» Sharon gli passò una mano tra i capelli sfiorandogli il mento per costringerlo a guardarla in volto.
 
«Siamo proprio un casino» ammise Bucky.
 
La donna strinse le labbra pensierosa. «Che ne dite di un appuntamento, domani?»
 
Steve la osservò perplesso mentre Bucky annuiva curioso.
 
Lei proseguì: «Prendiamoci una giornata per noi: cinema, cena. Ieri ho notato un parco divertimenti non molto lontano da qui.»
 
«Dovremmo evitare di attirare l’attenzione» osservò Steve, ma Bucky gli diede una piccola spinta con la mano.
 
«Possiamo camuffarci; dopotutto dubito che qualcuno si aspetti di vedere Capitan America sulla ruota panoramica.»
 
Sharon ridacchiò a quel commento e anche la tensione evidente nelle spalle di Steve si alleggerì.
 
«Immagino valga la pena provare» disse lui quando capì di essere in minoranza.
 
Bucky diede il cinque a Sharon e Steve alzò gli occhi al cielo ma non riuscì a trattenere un sorriso. Ancora con l’uniforme indosso, si avvicinò alla donna nel tentativo di posarle un bacio sulle labbra, ma Sharon lo fermò con una mano sulla sua spalla.
 
«Non entri in questo letto se prima non fai una doccia, Rogers.»
 
«Concordo» mormorò Bucky.
 
Con un sospiro Steve si diresse in bagno. «Vi coalizzate sempre contro di me.»
 
Gli altri due ridacchiarono mentre l’uomo spariva nella stanza accanto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3244636