I Dalton nel futuro

di Black Hayate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La tecnologia fa miracoli ***
Capitolo 2: *** Un poliziotto solitario ***
Capitolo 3: *** Quando i fagioli costano troppo ***
Capitolo 4: *** Riunione di famiglia ***



Capitolo 1
*** La tecnologia fa miracoli ***


Buona sera, signorini e signorine! Fin da piccola ho sempre avuto una passione per i cartoni ed i fumetti di Lucky Luke e, guarda un po’, i miei personaggi preferiti erano proprio i fratelli Dalton. Inutile dire che, quando sono incappata nel loro cartone su K2, ho avuto una specie di rivelazione e ho deciso di scrivere questa cagata. Insomma, avete mai pensato a come sarebbe Lucky Luke se fosse ambientato ai giorni nostri? Beh, questa è la mia idea, poi fate voi!

Adiós e ai prossimi capitoli (se avrò voglia di scriverli. Purtroppo non sono brava con le fan fiction lunghe. Ma confido in me. Forse.)

Black Hayate

 

 

Il sole stava tramontando.

Un ultimo solitario raggio di luce filtrò da una mesa lontana che faceva capolino oltre le sbarre della cella, andando a picchiare contro la fronte di Joe. Lui nemmeno se ne accorse, intento com’era ad osservare il piccolo computer che teneva sulle gambe suo fratello William.

-Allora, a che punto siamo?- ringhiò impaziente, socchiudendo le palpebre per vedere meglio ciò che era scritto sullo schermo. Non che servisse a molto, comunque: non aveva idea di come funzionassero i codici che William aveva scritto, l’importante era che penetrassero nel programma di sicurezza del penitenziario, facendo scattare le serrature delle celle e rendendo lui ed i suoi fratelli liberi come l’aria fredda del deserto.

William sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Ho bisogno ancora di qualche attimo per convertire il codice in programma ed inserirlo nel server della prig…-

-Va bene, va bene, basta che ti sbrighi! Stanotte è la notte giusta- sbottò Joe, scuotendo la mano con sufficienza. Il fratello minore si strinse nelle spalle e continuò a digitare in silenzio.

 

***

Tutto era cominciato qualche mese prima, quando William, nelle sue peregrinazioni nella biblioteca del penitenziario, aveva trovato un manuale di programmazione informatica di base. Dopo aver sfogliato qualche pagina, aveva trovato la lettura decisamente interessante e aveva chiesto alla signorina Betty di poterlo portare in cella assieme ad altri volumi più approfonditi, per continuare a leggere in tranquillità (ovviamente nei momenti in cui lui e i suoi fratelli non cercavano di evadere). Ma fu solo dopo il tentativo di fuga con i trapani portati di nascosto da mamma Dalton per forare il muro e scappare dalle fognature che l’idea aveva preso forma. Dopo quell’ennesimo fallimento, infatti, Joe aveva preso la decisione di picchiare la testa contro il muro finché non gli fosse venuta una buona idea, e nemmeno tutti e tre i fratelli insieme erano riusciti a smuoverlo. Solo Averell l’aveva fermato per qualche secondo. Si era messo a piangere, mugolando: -Ma Joe, così ti fai male…!-

Il fratello maggiore si era voltato lentamente: un rivoletto di sangue gli scivolava lungo il naso, mentre un gigantesco livido gli si allargava in fronte. Aveva posato gli occhi arrossati sul fratello minore e aveva pronunciato le seguenti parole:

-Se non stai zitto ti unisci a me, hai capito Averell?-

Nella mezz’ora successiva il silenzio era stato totale, tralasciando il rumore della testa che batteva contro la parete. Poi Jack, da sopra il giornale che stava leggendo, aveva lanciato un’occhiata implorante al gemello, e così William aveva cominciato a raccontare a Joe le meraviglie del computer e di come si potessero creare programmi per fare qualsiasi cosa.

-Pensa, tecnicamente si potrebbe anche hackerare il sistema di sicurezza del penitenziario, se fossimo collegati…- disse speranzoso. Lasciò morire le parole in gola: Joe si era fermato e aveva cominciato a lisciarsi il mento con interesse. Dopo qualche attimo alzò lo sguardo.

-Vai avanti, forse ho un piano-

-Beh… bisognerebbe trovare un collegamento alla rete del penitenziario e naturalmente avere un computer- continuò William titubante. Forse non aveva suggerito una gran cosa. Chi mai avrebbe concesso loro un PC e libero accesso alla rete?

 

-Un computer per giocare a Pinball?- ripeté perplessa la signorina Betty. Averell si grattò la testa e sorrise timidamente.

-Quando ero piccolo la mamma mi ci faceva giocare sempre…- disse mestamente, ripensando con nostalgia alle sfide vinte contro i suoi fratelli. Lui se la cavava piuttosto bene e Joe lo incitava fino allo sfinimento, per poi perdere miseramente le tre palline al primo colpo quando era il suo turno. A quel tempo non lo picchiava…

Una lacrimuccia scese dagli occhi di Averell e la signorina Betty sorrise conciliante.

-Beh, non vedo perché non concederglielo, signor Averell! La avviso però che non potrà essere collegato ad internet per ragioni di sicurezza-

Averell le rivolse un sorrisone e prese il vecchio portatile che la donna gli aveva portato. I suoi fratelli sarebbero stati così fieri di lui…

 

-Imbecille! Questo computer non è collegato alla rete!- urlò a pieni polmoni Joe. William ribatté che non era poi così grave, sarebbero riusciti a trovare un punto d’accesso nei fili che passavano nelle pareti della cella, ma era troppo tardi: Averell si era rintanato in un angolo e aveva cominciato a girarsi i pollici imbronciato, mentre un esitante Jack gli dava delle leggere pacche sulla spalla, cercando di consolarlo con qualche parola gentile. Dopo qualche minuto il fratello minore si era calmato ed il gemello più piccolo si era avvicinato a Joe, bisbigliando:

-Joe, come faremo ad uscire dal penitenziario una volta che si saranno aperte le porte? Il cancello principale è comunque sorvegliato dalle guardie-

-Ho già pensato a tutto, ovviamente- ribatté il fratello maggiore con noncuranza. –In effetti io e te dovremo andare a cercare qualche cosa per fare delle corde e dei rampini-. Qualcosa di tremendamente spiacevole si contorse nello stomaco di Jack, ma evitò di commentare: era meglio non contrastare i piani di Joe e, dopotutto, dal punto di vista pratico, era sempre stato il fratello più abile. Forse sarebbero riusciti a cavarsela.

 

***

 

La notte calò lentamente sulla vastità del deserto. La temperatura cominciò ad abbassarsi, ma i fratelli Dalton quasi non vi badarono: erano ormai abituati alla differenza climatica tra giorno e notte di quelle spoglie pianure e praticamente non ne risentivano più.

-Manca poco- sussurrò William, stropicciandosi gli occhi stanchi. Joe era rimasto sveglio tutto il tempo al suo fianco, leggendo febbrilmente le stringhe di codice e continuando a non capirci un accidente, ma si riscosse immediatamente.

-Ehi, voi! In piedi, è giunta l’ora- borbottò, tirando un calcio a Jack ed Averell, accovacciati e sonnecchianti sulle brandine della cella.

-Ma Joe, stavo sognando che riuscivamo ad evadere…-

-Fermatemi o giuro che lo ammazzo-

D’un tratto si udì un piccolo scatto e la porta della cella sussultò, lasciando uno spiraglio aperto. I fratelli guardarono William, che richiuse il portatile con un colpo secco.

-Che c’è, ho rovinato la suspense?- chiese, grattandosi la testa. Joe lo guardò storto e poi fece un cenno verso la porta. Con circospezione i fratelli si guardarono attorno: solo qualche detenuto si era accorto che la serratura era stata sbloccata e i più erano rimasti appena fuori dalla cella, con la bocca spalancata, increduli per il regalo di Natale anticipato.

-Svelti, presto arriveranno le guardie!- sibilò Joe, correndo lungo le scale che portavano al cortile. Aveva avuto premura che William disattivasse anche le luci, così le guardie avrebbero faticato a vedere la loro silenziosa fuga. Purtroppo non aveva tenuto conto del fattore Averell: evidentemente il fratellino non era proprio abituato a camminare al buio ed era caduto dalle scale, facendo un fracasso che aveva svegliato pure Rantanplan, il quale aveva cominciato a seguirli, scodinzolando allegramente.

-Dannazione Averell, non mi rovinare l’evasione o io rovinerò te- sussurrò Joe, prendendo il fratello per un orecchio. Proprio in quell’istante le guardie sfilarono di fronte a loro, senza nemmeno notarli. Il maggiore dei fratelli ghignò compiaciuto e, in men che non si dica, i quattro uomini e il cane da guardia furono nel cortile. Joe fece un cenno a Jack e questi preparò l’attrezzatura. Alla fine se l’era cavata cucendo pezzi di uniforme “presi in prestito” dalla lavanderia: il risultato era una lunga corda gialla e nera, abbastanza simile ad un nastro segnaletico per galeotti, ma senza dubbio solida. Il rampino era stato ottenuto con posate piegate. Jack pregò silenziosamente che reggesse, ma ormai era tardi per fare prove. Tenendo la lingua in mezzo alle labbra, prese attentamente la mira e lanciò l’attrezzo. In un modo che a lui parve quasi incredibile, il rampino scivolò elegantemente dall’altra parte delle mura, impigliandosi poi da qualche parte.

-Non ci credo- disse incredulo.

I fratelli cominciarono ad arrampicarsi in fretta sulla spessa parete di cemento. Il filo spinato della cima si avvicinava sempre di più, così come l’agognata libertà. Joe cominciò a sentire gli occhi lucidi ed accelerò, procurandosi un brutto taglio sulla mano per colpa delle spine, ma che importava? Erano sul tetto del mondo per quanto lo riguardava e l’aria frizzante della notte era dolce come miele.

La discesa fu ancora più facile della scalata e atterrarono quasi con delicatezza sulla terra secca del deserto. Joe si guardò intorno: la strada che conduceva verso la civiltà era poco distante e facilmente visibile, dato che le strisce dipinte sul cemento rilucevano al chiarore della luna.

-Io non lo so se esisti, ma grazie per averci fatto nascere nel 21° secolo- disse ad alta voce. Camminando tutta notte sarebbero sicuramente giunti ad un paesino o ad una stazione di servizio e da lì in poi sarebbe stato facile contattare la mamma, il loro principale punto d’appoggio.

-Si va verso nord- disse, puntando il dito verso la direzione opposta e cominciando a correre, felice come non lo era da tempo.

 

 

Simpatico POST SCRIPTUM

Lo sapevate che un penitenziario nel bel mezzo del deserto del Nevada esiste veramente al giorno d’oggi? Ecco la prova! http://www.primadanoi.it/news/cronaca/499208/Nel-penitenziario-dove-i-detenuti-restaurano-auto-d-epoca-per-rifarsi-una-vita.html

E che dei detenuti sono riusciti davvero ad evadere scavando un tunnel con dei trapani? http://www.ilpost.it/2015/06/07/evasione-new-york/

Ahahah!

 

 

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Capitolo 2
*** Un poliziotto solitario ***


Di nuovo buonasera! La febbre per i Dalton non dev’essermi ancora passata, perché la storia sta assumendo contorni sempre più definiti. Vi lascio alla lettura e vi prego di commentare (sempre che abbiate voglia eh) se vi è piaciuto ciò che avete letto o se volete chiedermi qualcosa. Lascio comunque qualche spiegazione in fondo alla pagina! :D

 

 

L’aria secca e infuocata del deserto abbracciava l’automobile in una stretta torrida e, per quanto il ragazzo tenesse i finestrini spalancati e i suoi capelli si muovessero al ritmo della corrente, non riusciva proprio ad asciugare il sudore, che continuava a colargli con esasperante lentezza lungo il collo. Ma tutto ciò sembrava non interessargli più di tanto: gli occhi iniettati di sangue, rossi come i suoi capelli, osservavano pigramente il paesaggio, mentre un pezzo di Steve Earle registrato su una vecchia cassetta faceva da colonna sonora all’autostrada polverosa. Ma la stanca melodia d’un tratto cambiò, intrecciandosi con il suono acuto e penetrante di una sirena. Il ragazzo diede un’occhiata allo specchietto retrovisore: da quanto tempo aveva dietro quell’agente in moto? Ma perché quegli sbirri gli stavano sempre tra i piedi? Imprecando, il giovane rallentò, accostando ad un lato della strada deserta. Anche il poliziotto rallentò, parcheggiando la moto proprio di fronte alla macchina del ragazzo. Il tizio era uno spilungone dall’aria taciturna. Come tutti gli agenti della polizia stradale portava gli occhiali da sole e, da sotto il casco, si riusciva ad intravedere un largo ciuffo nero. Era però il resto dell’abbigliamento che lasciava perplessi: il ragazzo non ricordava di aver mai visto uno sbirro con la camicia gialla, o con un fazzoletto legato al collo a mo’ di cowboy. L’uomo smilzo si appoggiò alla carrozzeria dell’auto e fece cenno di abbassare il finestrino. Di malavoglia il giovane obbedì.

-Buongiorno. Documenti?- chiese con voce tranquilla lo sbirro.

Facendo una smorfia, il ragazzo prese il portafoglio. L’agente guardò per qualche secondo i fogli, dopodiché disse senza tante cerimonie:

-Dunque Henry, hai fumato?-

Il ragazzo gli rivolse uno sguardo furente e agitato. Stava effettivamente facendo il corriere tra Reno e Las Vegas e per rilassarsi aveva deciso di spararsi un cannone. Dopotutto chi si sarebbe aspettato di trovare un maledetto sbirro nel deserto?

-Allora?-

-No signore- si costrinse a dire il giovane. L’effetto distensivo dell’erba stava svanendo e sentiva prudere la mani: aveva un revolver sotto il sedile e stava sentendo l’esigenza di usarlo contro quel ficcanaso. Non era la prima volta che si sbarazzava di qualcuno in quel modo e, nel deserto, seminare le proprie tracce sarebbe stato un gioco da ragazzi.

-Perché non apriamo il bagagliaio dell’auto e vediamo che cosa c’è dentro?- continuò l’uomo. Il giovane posò lentamente il suo sguardo su quello dello sbirro. Dannazione, ora sì che avrebbe dovuto farlo fuori.

Una frazione di secondo dopo aveva in mano la pistola, pronto per fare fuoco. Si sentì un forte sparo e…

Si ritrovò con le mani vuote e tremanti. Si voltò, con gli occhi sbarrati: l’arma era andata a finire oltre l’altro finestrino, chissà in che modo. Si girò nuovamente verso l’agente e lo vide nella stessa posizione di prima, tranquillamente appoggiato al finestrino, ma con in mano una pistola.

-Ma che ca**o fai?- urlò furibondo il ragazzino.

-Suvvia Henry, il tuo nome ha fatto il giro prima di quanto pensassi. Henry McCarty, nel giro ti fai chiamare Billy The Kid, no? Certo che sei giovane per aver già ammazzato due tuoi colleghi-

-Mi avevano messo alle strette! Io mi sono solo difeso!- gridò il giovane, divincolandosi dalla presa dell’uomo che gli stava mettendo le manette.

-Raccontalo al tuo avvocato- ribatté sorridendo l’altro. –Vado a chiamare una volante, non dovrebbero impiegarci più di qualche ora-

Ignorando le bestemmie che il ragazzo gli stava urlando contro, l’uomo andò a prendere la radiotrasmittente sulla moto. Il familiare crepitio della radio si interruppe.

-Qui 794, ho un arresto per detenzione e trasporto di stupefacenti-

-Luke, ci sei?-

-Certo Jane-

-Ah bene, stavo cercando di contattarti da un po’. I Dalton sono evasi-

L’uomo incrociò le braccia, sospirando.

-Ci hanno impiegato meno del solito, stavolta-

 

***

Una goccia d’acqua.

Joe non avrebbe desiderato altro in quel momento. Al diavolo tutti i sogni su libertà, banche svaligiate e mazzette da mille dollari. Voleva solo un po’ d’acqua, era chiedere tanto? Anche se forse nel deserto del Nevada non era la cosa più accessibile…

-Joe, io ho tanta sete- si lamentò Averell, asciugandosi il sudore con una sudicia manica della divisa a righe.

-Sta’ zitto Averell- ribatté Joe stancamente, con la voce ormai inaridita.

 

Dopo aver corso per qualche miglio nel bel mezzo della notte, cercando di far perdere le proprie tracce distanziandosi sufficientemente dal penitenziario, i fratelli avevano deciso di “comune accordo” di recuperare un po’ le forze, riposando per qualche ora dietro un masso sufficientemente lontano dalla strada. Joe ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma non c’era stato verso di far cambiare idea agli altri (soprattutto ad Averell, che aveva già cominciato a dormire e non si era svegliato nemmeno con i calci).

Tuttavia al sorgere del sole avevano avuto una sorpresa piuttosto inaspettata.

-Joe, se il sole sta sorgendo da quella parte significa che stiamo andando verso Sud, non Nord- aveva osservato William. Prendendosi mentalmente a schiaffi, Joe aveva minimizzato, dicendo che prima o poi da qualche parte sarebbero arrivati.

-Sì, però Reno era più vicina…- aveva cominciato Jack, rinunciando a proseguire dopo l’occhiata che Joe gli aveva rifilato.

Avevano camminato quindi per tutta la mattina, facendo attenzione a nascondersi non appena scorgevano all’orizzonte qualche auto del penitenziario. Le escursioni delle guardie erano state piuttosto frequenti nelle prime ore dalla loro evasione, per poi diminuire lentamente. Evidentemente Peabody aveva rinunciato a cercarli, affidandosi alla polizia di stato. Joe si morse la lingua dalla rabbia. Sapeva chi sarebbe stato il primo a cercarli, ma non ce l’avrebbe fatta stavolta: avrebbe piantato un paio di pallottole in quella stupida testolina. Quel dannato sbirro che si dava arie da cowboy solitario lo tormentava da quando i fratelli Dalton avevano cominciato ad assumere un certo interesse per la Highway Patrol del Nevada e, dal momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, la carriera criminale dei Dalton aveva subito un inesorabile declino. In compenso l’agente era diventato un personaggio così emblematico dopo le loro continue catture da parte sua da meritarsi pure un soprannome, “Lucky Luke”. Ridicolo.

L’immagine di quello stupido cowboy non accennava ad andarsene dalla mente di Joe, tanto che fece fatica ad accorgersi che i fratelli lo stavano tirando per la collottola dell’uniforme.

-Joe, una macchina! E non è delle guardie o della polizia!- dissero trionfalmente in coro William e Jack. Il fratello maggiore ghignò e si scrocchiò le dita.

-La fortuna comincia a girare dalla nostra parte- sussurrò tra sé e sé.

 

Dopo quello che parve un tempo interminabile, l’auto colmò l’enorme distanza che li separava, raggiungendo il punto in cui si trovavano. Più che una vera e propria automobile si trattava di uno scrostato pick-up, così vecchio da far pensare che non avrebbe retto per un altro miglio. Dal veicolo si affacciò un indiano dall’aria seria e indecifrabile, che li squadrò per qualche attimo senza dire niente. Il silenzio cominciò a prolungarsi, così Joe prese l’iniziativa.

-Mi scusi, buon uomo- cominciò con il suo tono migliore –Abbiamo dovuto abbandonare il nostro mezzo nel deserto e siamo stati costretti a camminare per molte miglia. Potrebbe portarci al centro abitato più vicino?-

L’indiano continuò a fissarli in silenzio, senza che il suo cipiglio cambiasse. Infine, dopo un tempo inenarrabile, rimontò sul pick-up, facendo segno ai fratelli di salire. Mettendo in moto, disse:

-Mi chiamo Nawkaw, che significa Lupo Pazzo. Io, la mia famiglia e il mio socio in affari abitiamo non molto lontano da qui-

E questo fu tutto ciò che pronunciò fino alla fine del viaggio.

 

 

Simpatico POST SCRIPTUM

Per farvi capire meglio l’ambientazione, vi lascio qualche appunto:

1.       Henry McCarty è il vero nome di Billy The Kid, Wikipedia mi è testimone! Ho deciso che il miglior ruolo per lui era di essere un giovane criminale nei giri della droga. D’altra parte quello è uno dei rami più proficui se al giorno d’oggi uno vuole fare il gangster

2.       Il nostro caro Lucky Luke fa parte del Nevada Highway Patrol, un corpo di polizia di stato valido in tutto il Nevada e libero di girare e intervenire in tutte le strade dello stato.

3.       In questo capitolo ho fatto riferimento alla geografia del Nevada. Per farvi ambientare un po’ vi lascio il link di una cartina: http://www.voyagesphotosmanu.com/Complet/images/cartina_geografica_nevada.gif Edit dell'ultimo minuto: se volete sapere che canzone stava ascoltando Billy, ecco il link! https://www.youtube.com/watch?v=kQmUgKaeYr0 Viva i pezzi fumosi!

 

 

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Capitolo 3
*** Quando i fagioli costano troppo ***


Salve giovani! Ho avuto un po’ da fare in queste settimane, così sono riuscita ad aggiornare solo ora. Sono contenta che questa storia abbia cominciato ad appassionare qualcuno e spero vivamente di continuare a farvela piacere ;) Ma vi lascio ai nostri amati Dalton e a quel figone di Lucky Luke. Come al solito, ogni recensione è ben accetta, anche per dirmi che vi fa tutto schifo e che sono una persona orribile (anche se spero proprio di non averne!)

 

 

“Lo stato del Nevada è quasi interamente interno al Grande Bacino, un deserto mite in cui scorre soltanto un fiume, lo Humboldt. È delimitato a nord dall’altipiano della Columbia, a sud dal deserto del Mojave, dove è situata la zona di Las Vegas, a est dalle Montagne Rocciose e ad ovest dalla Sierra Nevada”.

Le parole dell’enciclopedia che aveva letto in uno dei suoi tanti giorni di prigione risuonavano nella mente di William, mentre i suoi occhi stanchi e nostalgici osservavano la catena montuosa che incominciava ad intravedersi dal finestrino del furgone. Quella era senza dubbio la sierra, l’avrebbe riconosciuta ovunque: non per niente era il posto dove era nato e cresciuto.

Era uno spettacolo impressionante: la grigia strada asfaltata proseguiva dritta verso quei colossi che troneggiavano fieri alle propaggini del deserto. Osservandole dal basso verso l’alto, si poteva notare che una ricca vegetazione lasciava spazio al bruno secco delle rocce, per poi terminare in punte bianche, ricoperte da una neve appena accennata che non accennava ancora a sciogliersi. William diede un’occhiata al resto della compagnia: Averell dormiva della grossa, mentre Jack scrutava le montagne rapito quanto lui. Joe, invece, sul sedile anteriore, era più attento alla strada e al vecchio indiano che stava guidando. Sembrava sempre più impaziente.

-Chiedo scusa, quanto manca ancora?- chiese alla fine in tono apparentemente cortese, ma che lasciava trasparire una vena minacciosa. Il pellerossa rimase in silenzio per qualche attimo, facendo spazientire ancora di più il fratello maggiore, dopodiché rispose:

-Voi visi pallidi avete sempre fretta-. Joe assunse una sfumatura violacea, ma l’indiano proseguì seraficamente:

-Quella è la mia casa-

In effetti all’orizzonte si scorgeva un edificio di legno. Il pick-up cominciò a rallentare e, nel giro di qualche minuto, erano arrivati. La “casa” era più che altro un vecchio negozio con una pompa della benzina a fianco (William reputò abbastanza pericoloso avere così vicino legno e combustibile, ma evitò di esprimersi). L’indiano scese dalla macchina e fece cenno di entrare. Joe lanciò uno sguardo al resto dei fratelli e cominciò a sfregarsi le mani, ma non prima di aver tirato un calcio ad Averell.

Entrando, la prima cosa che si notava era il sottile strato di polvere che copriva ogni cosa. In realtà anche in penitenziario era così: il vento del deserto lasciava poche speranze alla pulizia. Per il resto il locale era composto da un bancone con una gran quantità di carne e fagioli in scatola, diverse taniche d’acqua e qualche pacchetto di sigarette. Il pellerossa porse l’acqua ai fratelli, dopodiché entrò nel retrobottega, dove presumibilmente si trovava la casa vera e propria. I quattro bevvero avidamente, dopodiché Joe cominciò a guardarsi intorno, bisbigliando:

-Il vecchio deve avere un’arma da qualche parte. Dobbiamo trovarla-

William e Jack si diedero un’occhiata d’intesa e iniziarono a rovistare nella stanza. Averell, d’altro canto, si mise una mano sulla pancia, borbottando:

-Ma Joe, io ho fame…-

Joe si voltò, stringendo i pugni con rabbia.

-Idiota! Prendi qualcosa dal bancone, non sai fare altro-

Il fratellino sorrise e si diresse verso le tante scatolette ammucchiate contro la parete. Joe scosse la testa, riprendendo a rovistare tra cumuli di giornali di un decennio prima. Ma, dopo nemmeno qualche attimo, sentì un tonfo. Aveva già una vaga idea di cosa fosse successo e svariate altre sulla punizione da dare ad Averell, quando udì proprio la sua voce dire:

-Ehi, sono scivolato e mi è caduto in testa un fucile. Pensavo che facesse male solo quando ti sparavano addosso!-

Elettrizzato, corse dal fratello minore e, dopo avergli tappato la bocca, sussurrò:

-Senti Averell, adesso tieni questo dietro la schiena e lo nascondi finché non te lo dico io, hai capito?-

Averell annuì incerto, ma a Joe bastò, anche perché aveva sentito i passi dell’uomo che stava tornando.

Si ricompose in fretta, aiutando Averell ad alzarsi e fulminandolo con lo sguardo.

Il pellerossa fece nuovamente capolino dalla porta del retrobottega, accompagnato da una donna gigantesca e  da un uomo… con una maschera di legno sul volto.

I fratelli lo guardarono inquietati.

-Questi sono Ayasha, mia moglie, e mio nipote nonché socio in affari Vero Falco, o Chayton- disse il vecchio indiano. -Non spaventatevi, è talmente brutto che preferisce tenere una maschera- aggiunse sottovoce.

L’uomo con la maschera si fece avanti, battendo le mani con soddisfazione.

-Benvenuti, signori, nella nostra umile dimora! E adesso veniamo agli affari: per l’acqua, la scatola di fagioli e la benzina che mio zio ha consumato per portarvi fino qui sono 50 dollari-

-COSA?! Ma è un FURTO!- sbottò Averell tutto d’un fiato -E io che pensavo foste delle persone gentili!-

-La gentilezza ha sempre un prezzo- ribatté Vero Falco, schioccando le dita. -Dunque, avete intenzione di pagarci o dobbiamo usare le maniere forti?- continuò, mentre la donna rovistava sotto il bancone. Si rialzò furente.

-Dove diavolo l’avete messo? Devo sempre mettere a posto il vostro disordine!- cominciò ad urlare, tirandosi su le maniche. Joe colse teatralmente l’opportunità.

-Forse state parlando di questo?- chiese con dolcezza, prendendo il fucile nascosto dietro Averell e puntandolo contro i tre indiani. Da pellerossa quali erano sbiancarono all’istante.

-Vi prego, siate ragionevoli…- cominciò il vecchio, alzando le mani lentamente.

-Imbecilli! Siamo appena scappati di prigione, come pensate che possiamo essere ragionevoli?!- sbraitò imbestialito Joe.

-E come vi permettete di fare questi prezzi!- continuò Averell, girandosi sdegnato. Il resto del gruppo lo fissò sbalordito. Poi Joe continuò:

-Tu, vecchio. Dammi le chiavi del furgone-

-E della benzina- continuò William.

-E anche dell’acqua- aggiunse Jack.

-E 10 lattine di carne in scatola!- completò Averell.

-Ma è l’unico mezzo che possediamo…-

-Dovevi pensarci prima di minacciarci! Noi siamo i Dalton, che cosa pensavi?- rispose Joe con un ghigno. -E adesso muoviti o sarò costretto ad usarlo-

 

***

 

Il recupero del ragazzo aveva richiesto più tempo del previsto e ormai si era fatta sera. Quando rientrò in centrale, c’era una piccola comitiva ad accoglierlo.

-Ehi Luke, un altro colpo a segno?- chiese un agente baffuto e dalla pancia prominente.

-Così sembrerebbe, Patrick- rispose l’uomo alto, ammiccando verso l’altro, il quale stava già ridendo sotto i baffi.

-Sei incredibile, devo offrirti un’altra birra!-

-Un’altra volta, adesso voglio solo tornare a casa-

-Non ancora, Luke, la signora di vuole- disse un altro agente, sottolineando il termine con un filo di stizza.

-Porta rispetto, Jenkins- gli rispose di rimando Patrick, dandogli una pacca sulla testa.

L’uomo alto rise e lanciò un’occhiata oltre le spalle dei suoi colleghi, verso un’ampia porta a vetri. Una targa segnava che quello era l’ufficio di Canary-Burke. Avanzò a grandi passi varcò la soglia.

-Mi cercava, signora?-

-Luke, piantala o ti faccio passare quell’aria baldanzosa-

L’uomo smise di sorridere all’istante. Era meglio non contraddire una donna di quel calibro.

-Mi spiace Jane, cercavo di sdrammatizzare- si scusò Luke, passandosi una mano fra i capelli.

-Sì sì, evitiamo. Tanto lo so che quegli idioti dei miei sottoposti continueranno a prendermi per il culo-

-Non sanno con chi hanno a che fare- replicò duramente l’uomo.

Lei fece spallucce, per poi distendersi in una rauca risata. Eppure Luke era stato serissimo con quell’affermazione. Martha Jane Canary-Burke era stata una delle prime donne ad entrare nella Highway Patrol e il primo agente in assoluto a fronteggiare da sola (ed uscirne viva) una sparatoria di narcotrafficanti per difendere un collega ferito. Questo intervento, oltre ad una medaglia al valore, le aveva fatto guadagnare il soprannome di Calamity Jane. Da quel momento la sua carriera era stata in continua salita, anche se non priva di difficoltà: pur essendo un bravissimo poliziotto sul campo e altrettanto competente in faccende burocratiche, era stata sempre e comunque guardata con una certa malizia dai colleghi dell’altro sesso. Lei, con la sua grinta inarrestabile e la sua risata raspante, sembrava non risentirne più di tanto, anche se a volte (come quel giorno) si capiva quanto le pesasse non essere considerata una pari.

In effetti Luke era l’unico ad essere riuscito a conquistarsi la stima della donna, anche se molto più giovane di lei. Dopotutto lui stesso era veramente ammirato che, all’età di 55 anni suonati, Jane riuscisse a svolgere in modo eccellente il proprio lavoro, nonché ad aver avuto una figlia ed averla cresciuta tutta da sola. Lui probabilmente non ci sarebbe mai riuscito e non intendeva nemmeno provarci.

La donna lasciò sopire la risata, dopodiché prese un sigaro da un astuccio nascosto sotto la scrivania. Ne porse un altro a Luke, che rifiutò con gentilezza. La donna mugugnò qualcosa a proposito di quanto le sigarette fossero insulse e invitò l’uomo a sedersi. Infine disse:

-Bel colpo, Luke. Dovrò offrirti una birra-

L’uomo rise e replicò: -Già me ne ha offerta una Patrick, volete farmi ubriacare?-

Jane gli soffiò addosso il fumo del sigaro e rispose:

-Naaah, tanto lo sappiamo tutti che tu bevi solo limonata. Si fa per dire. Che poi che razza di uomo beve limonata ad un pub?-

Luke sorrise placidamente. -Uno con la mira perfetta-

La donna si fece una grossa risata.

-Hai un punto, figlio mio. In effetti ti servirà, dato che i Dalton sono di nuovo in circolazione- disse a bassa voce.

L’uomo si fece serio, stirandosi sulla sedia e armandosi di cartine e tabacco.

-Sappiamo qualcosa?-

-Hanno lasciato qualche traccia. Sembra che siano stati avvistati da quegli indiani che vivono in mezzo al deserto che ti stanno tanto simpatici.-

-Come? Lupo Pazzo e Vero Falco?- chiese stupito Luke, mentre si rollava la sigaretta.

-Proprio loro. I Dalton hanno rubato il loro pick-up e qualche provvista, dopodiché sono partiti verso le montagne della sierra-

Jane osservò l’uomo incupirsi mentre gli porgeva l’accendino. -Stanno andando dalla madre- disse lui, dopo qualche boccata di fumo. Stranamente, non sembrava compiaciuto della considerazione. Spiegò le sue perplessità qualche istante più tardi.

-La sierra è un ottimo posto per nascondersi e mamma Dalton lo sa: è piena di rifugi che conoscono solo i pastori e i minatori e che a volte non si vedono nemmeno con le ricognizioni in elicottero-

La donna annuì pensierosa e si godette il sigaro per un po’, in silenzio.

-Organizzare delle squadre costerà un sacco di soldi-

Luke si accarezzò il mento, riflettendo. -Forse non servirà. È possibile che facciano qualche passo falso e si facciano beccare. Dopotutto sono i Dalton- disse, spegnendo la sigaretta nel portacenere di Jane. -Domani mattina andrò a fare visita alla loro mamma. Magari scopro qualcosa-

Si alzò, osservando i fili sottili di fumo ormai espansi in nubi grigiastre nell’ufficio. Teoricamente non si poteva fumare in locali come quello, ma era l’unico vizio che lui ed il suo capo si permettevano di tanto in tanto e, in fin dei conti, non sarebbe mai riuscito a rinunciarvi. Rimase in piedi, mentre Jane, la stanza e lui stesso si facevano sempre più opachi.

-Come sta tua figlia?- chiese, dopo un po’. -So che stava cercando lavoro-

Jane inarcò un sopracciglio.

-Molto bene- rispose con soddisfazione. -Adesso sta facendo un dottorato al Caltech-

-Ottimo- replicò Luke, ed uscì dall’ufficio.

 

 

Qualche link utile (come al solito):

-Qualche bella immagine della Sierra Nevada:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4a/Mount_Alice_and_Temple_Crag_in_the_Sierra_Nevada_(U.S.).jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a3/Sierra_Nevada-terabass.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/16/Sierra_Nevada_(Spain).jpg

-Chi era Calamity Jane? Ho deciso di introdurla perché volevo inserire un bel personaggio femminile, così la mia scelta è caduta su di lei (ma non solo, come poi si capirà).

https://it.wikipedia.org/wiki/Calamity_Jane

-Che cos’è il Caltech?

https://it.wikipedia.org/wiki/California_Institute_of_Technology

 

 

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Capitolo 4
*** Riunione di famiglia ***


Buondì giovani! Ho aggiornato abbastanza in fretta, avevo proprio voglia di scrivere ;) In questo momento si sta creando un po’ di tensione, ma per le rivelazioni più importanti dovrete aspettare il capitolo successivo (che comunque comincerò in breve). Ho dedicato questo capitolo solo ai Dalton, quindi nel prossimo sarà Lucky Luke ad avere una parte più consistente. Non temete comunque, ci sarà posto per entrambi nella storia! Ma vi lascio alla lettura.

 

Il crepuscolo stava incalzando, tingendo di fuoco i contorni scuri delle montagne della sierra. Jack, che era alla guida, tirò su i finestrini del pick-up: incominciava a far freddo e Averell aveva da poco iniziato a battere i denti nel sonno. Nessuno si era lamentato, comunque. Erano abituati alla rigidezza di quei monti, dato che ci avevano passato buona parte della loro infanzia. Mamma Dalton si era trasferita in quel posto per qualche anno, quando loro padre era ricercato, e ci era rimasta anche dopo la sua morte, avvenuta quasi per ironia della sorte: il buon vecchio Ned stava cercando di recuperare il suo bottino, che aveva accuratamente sigillato in una cava, ma aveva a disposizione solo della dinamite (ordigno antiquato e decisamente superato) e aveva calibrato male la disposizione dei candelotti. Il danno non era stato di per sé molto grave, ma l’uomo aveva insistito cocciutamente nel non andare in ospedale -altrimenti l’avrebbero nuovamente catturato- e le ferite erano andate in setticemia, senza alcuna possibilità di ripresa. Solo Joe aveva dei ricordi sulla morte del padre, ma erano molto vaghi e non ci pensava spesso. La mamma aveva provveduto a loro egregiamente, rendendoli fieri di essere dei criminali!

Jack si grattò la testa, cominciando a rallentare. Ormai era quasi buio e la strada era diventata una serie di tornanti con qualche raro bivio sterrato. Osservando attentamente la strada, il guidatore si rivolse al fratello maggiore:

-Joe, non ricordo la strada… era questo il sentiero?-

Joe sospirò irritato, cercando di non pensare che doveva sopportare quell’umiliazione solo perché non aveva le gambe abbastanza lunghe per raggiungere i pedali.

-Certo che no, è quello dopo- borbottò, strofinandosi gli occhi e sbadigliando vistosamente. Quella fuga aveva messo a dura prova la sua caparbietà, ma alla fine erano giunti a casa.

Jack fece un “mmmh” poco convinto. Stava per proseguire lungo la curva, quando Joe si scosse improvvisamente, facendogli cenno di fermarsi.

-Dovremo lasciare qui la macchina, per depistare gli sbirri che verranno a cercarci. Proseguiremo a piedi, tanto il terreno è secco, quindi non lasceremo impronte-

-Sei un genio, Joe!- disse Jack, anche se non sembrava così contento di farsi una fredda passeggiata al chiaro di luna.

-Dovremo svegliare Averell- aggiunse William, dando un’occhiata al fratello minore, mezzo sdraiato sul sedile posteriore.

-Per quello non c’è problema- ribatté Joe, sghignazzando. Ma Averell doveva essere proprio stanco, perché nemmeno le scosse e i calci di Joe riuscirono a svegliarlo.

-Dannazione, ci toccherà portarlo in spalla- grugnì il maggiore.

Jack e William si guardarono, alzando gli occhi al cielo. Non sarebbe stata proprio una passeggiata di salute.

 

Qualche centinaio di metri dopo e dopo diverse imprecazioni i tre fratelli svegli si fermarono per riprendere fiato.

-Ma quanto pesa Averell?! Eppure è uno stecchino!- urlò furibondo Joe, preparandosi a svegliare il fratello con ogni mezzo.

-Su, calmati, Joe- disse William col respiro corto. -Dev’essere tutto quello che mangia- Sentì lo stomaco brontolare e si rattristò. Eppure, eppure c’era qualcosa nell’aria che gli ricordava vagamente…

-POLLO ARROSTO!- gridò Averell, balzando in piedi in un istante, come resuscitato. Fece dei profondi respiri, annusando l’aria con attenzione. D’un tratto i suoi occhi si fecero lucidi e si sciolse in un sorriso sereno.

-È quello della mamma- sussurrò ai fratelli. Prese Joe e se lo caricò in spalla, cominciando a correre gioiosamente verso una stradina che nessuno aveva notato. -Ahh, mettimi giù, Averell!- borbottò Joe, a metà tra l’imbarazzato e l’infastidito. -Sai almeno dove stai andando?-

-Certo Joe, non riconosci la nostra casetta?- domandò Averell, indicando una piccola baita sopra una collina, invisibile fino a qualche istante prima, fiocamente illuminata dalla luce della luna. Joe sorrise raggiante e accarezzò la testa del fratello.

-A volte mi colpisci davvero, Averell-

Il fratellino sorrise di rimando e urlò verso il fondo della stradina:

-William, Jack! È pronto in tavolaaaa!-

La porticina della baita si aprì e da essa uscì una piccola signora, che sembrava volutamente più anziana di quanto non fosse. Squadrò l’orizzonte con un cipiglio arcigno, ma alla vista del figliol prodigo si emozionò.

-Averell! Piccolo mio, sapevo che avresti avuto fame, così ho preparato una cosa che ti piace!- disse ma’ Dalton, abbracciando il ragazzone in una stretta soffocante, alla quale lui non si oppose. Joe si divincolò dalle spalle del fratello, incrociando le braccia e facendo una smorfia scontenta.

-Ma’, ci sono anch’io- ricordò burberamente.

La donna alzò la testa e acchiappò il figlio per il collo.

-Il mio Joe!-

Forse avrebbe fatto meglio a stare zitto.

In breve arrivarono anche William e Jack e si unirono al goffo abbraccio di famiglia, al quale Joe stava cercando a tutti i costi di sottrarsi. Riuscì a divincolarsi e, spazzolandosi l’uniforme da carcerato, guardò lo strambo quadretto con un’espressione tra il commosso e il disgustato. Dopodiché si rese conto di una cosa.

-Mamma, come facevi a sapere che saremmo arrivati?-

La signora si districò dalle braccia dei figli e fece l’occhiolino al figlio maggiore, assumendo subito dopo un’espressione severa.

-Di questo vi parlerò dopo che avrete mangiato! Entrate, altrimenti si raffredda-

-Evviva!- gridò Averell, catapultandosi nella piccola casa.

 

La cena fu un’autentica abbuffata: era da un giorno intero che non mettevano praticamente nulla sotto i denti (a parte Averell, che aveva preso le scatolette di carne dagli indiani) e dopo il pasto il clima nella baita era un’insonnolita soddisfazione. Joe però era inquieto: come mai la mamma sapeva che erano usciti dal carcere? Nella baita non c’era la TV. E poi gli sbirri sapevano dove abitava, quindi avrebbero dovuto trovare un nascondiglio tra le montagne.

La madre lo guardò, abbozzando un mezzo sorriso: -Sei proprio come tuo padre. Che cosa ti frulla in testa?-  chiese con tranquillità.

Joe si abbracciò le ginocchia sulla sedia e cominciò a dondolare, riflettendo.

-Ti ha avvisato qualcuno del nostro arrivo, vero mamma?- domandò a bassa voce, per non disturbare il sonnecchiare dei fratelli. Jack comunque aprì un occhio e diede una leggera gomitata al gemello per farlo ascoltare.

La signora annuì divertita, ma anticipò i dubbi del figlio. -Non devi preoccuparti, Joe, non mi ha contattato nessun poliziotto. Però…- e abbassò la voce -…c’è qualcuno che si è interessato a voi e mi ha tenuta informata dei vostri spostamenti-. Joe strabuzzò gli occhi e si accigliò.

-E come facciamo a sapere di poterci fidare?- chiese con sospetto alla madre. Lei chiuse gli occhi e sorrise con dolcezza.

-Ho assoluta fiducia in questa persona- ribatté in tono sicuro. Joe cominciò a ringhiare sordamente, stringendo i pugni.

-Insomma, chi diavolo è?-

-Ci avrete a che fare domani. Mi ha detto che avete un computer: userà quello per contattarvi. Ha detto che dovete “scaricare un programma”, ma non so che cosa significhi-

William si avvicinò, sbadigliando rumorosamente. -Ti ha detto che programma era?- La donna aggrottò le sopracciglia e cominciò a rovistare nelle tasche dell’ampio vestito. Ne trasse fuori un piccolo pezzo di carta, con scritto a lettere stentate una sigla: “Tor”. William la osservò stupito, accarezzandosi il mento con interesse. Jack lo guardò di sottecchi e poi gli chiese:

-Perché quella faccia?-

William si strinse nelle spalle, sempre più stupito.

-Questo è un programma per entrare nel deep web, una parte di internet nascosta dai motori di ricerca normali. Tecnicamente qui si possono anche contattare degli hacker professionisti o dei sicari- rispose al fratello. Nella sua voce si riusciva a percepire una punta di eccitazione. -Ho sempre voluto farlo, ma in penitenziario non c’era la rete- aggiunse a bassa voce.

Mamma Dalton fece un cenno affermativo col capo, come se avesse capito tutto.

-Vedrete, è una persona piena di risorse. Ma non pensateci adesso: dovete riposarvi. Inoltre domani mattina dovrete cercare un nascondiglio da queste parti, sono certa che qualcuno della polizia verrà a cercarvi- disse velocemente la signora. -Quindi adesso filate a nanna!- I fratelli non se lo fecero ripetere due volte e salirono al piano di sopra, dove si trovavano le loro camere. Quando erano molto piccoli ma’ Dalton era riuscita a farli stare tutti in un solo grande letto matrimoniale, ma crescendo era stato necessario separarli: Joe con Averell in una stanza, i due gemelli in un’altra. Dandosi la buonanotte, Joe pensò che domani sarebbe stata una giornata ugualmente impegnativa alle precedenti, ma l’atmosfera di casa lo rendeva più fiducioso.

 

La mattina dopo mamma Dalton svegliò i suoi quattro figlioli all’alba, a suon di mestolate su una padella.

-Fate colazione in fretta, sento puzza di straniero nell’aria- sibilò, spingendoli giù dalle scale, in direzione di mucchi di bacon sfrigolante e uova fritte. I fratelli consumarono in fretta il pasto, dopodiché la madre prese da parte Joe, addestrandolo a dovere.

-Salite fino alla prima parete rocciosa, poi proseguite verso destra. Dopo un miglio circa dovreste trovare l’entrata di una miniera in disuso. È un posto sicuro, ci troverete già qualche provvista, anche se non dovrebbero servire: verrò a cercarvi io quando la casa sarà nuovamente sicura- gli disse, abbracciandolo con forza. Joe ricambiò con qualche timida pacca sulla spalla, rispondendole di non preoccuparsi. Dopotutto non per nulla erano i suoi figli!

-Bene. E adesso sciò! Non voglio vedere nulla in questa casa che faccia pensare che voi siate stati qui!-

-William, prendi quell’aggeggio- disse al gemello più alto, indicandogli il portatile. -E tu, Averell, ricordati i calzini di ricambio!-

Senza tante cerimonie, cacciò i figli fuori dalla porta del retro, indicando loro la direzione da seguire.

Proprio in quel momento, il campanello suonò.

 

I Dalton passarono il resto della giornata nella piccola cava che aveva indicato loro la madre. Solo nel tardo pomeriggio la signora Dalton andò a recuperarli, ed Averell aveva già fatto fuori da solo metà delle provviste che avevano trovato. Entrando nella miniera, la donna sbuffò, sistemandosi la cuffia che le era caduta nella foga di salire.

-Quel Lucky Luke si è voluto fermare pure per pranzo, accidenti a lui!-

Il corpo di Joe subì una scossa istantanea. L’uomo si voltò lentamente, digrignando i denti con ferocia.

-Hai detto Luck… Lucky… Lucky Lu…- Non riusciva proprio a pronunciare il quello stupido nome che lo faceva sembrare un dannato cowboy. Joe e William lo presero con gentilezza per le braccia, cercando di calmarlo. Mamma Dalton alzò gli occhi al cielo, proseguendo:

-Comunque adesso è andato via, quindi potete tornare. Non dovrebbe mancare molto alla chiamata-

Madre e figli scesero di corsa dal sentiero di montagna, rincorrendo il sole che stava calando. Una volta giunti a casa, William si collegò al WiFi (paradossalmente mamma Dalton aveva un computer e un modem, ma non una televisione. Peraltro non l’aveva mai usato, anche se era un regalo dei figli) e scaricò Tor. La schermata di accesso non era nulla di eccezionale e William stava giusto capendo che altro avrebbe dovuto fare, quando sullo schermo apparve l’immagine di un minuscolo telefono, con accanto la scritta lampeggiante “Chiamata anonima”.

-Dev’essere lei! Forza, rispondi!- lo esortò mamma Dalton, raggiante.

William diede un’occhiata a Joe e cliccò sul telefono, trattenendo il fiato.

Si udì un lieve fruscio nelle casse del computer, seguito da un piccolo “bip”.

-Buonasera, signori- disse una bassa e musicale voce femminile.

 

Solite informazioni di servizio (ogni volta metto qualcosina di nuovo e non so se voi sappiate bene di cosa sto parlando xD):

-Il deep web esiste veramente e uno dei modi per accedervi è proprio scaricando Tor. Io non l’ho mai fatto, anche se sarei curiosa, e comunque quello che avverrà di seguito sul computer di William è abbastanza frutto di fantasia. Comunque ecco il link per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Web_sommerso

 

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