Un anno e una città.

di Izayoi_1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Direzione opposta ***
Capitolo 2: *** partenza ***
Capitolo 3: *** Equivoco ***
Capitolo 4: *** Earls Court ***
Capitolo 5: *** London Eye ***
Capitolo 6: *** Teatro ***
Capitolo 7: *** Merry Christmas ***
Capitolo 8: *** E poi? ***
Capitolo 9: *** Secondi atti nascosti ***
Capitolo 10: *** Cambiamenti ***
Capitolo 11: *** Aria di Primavera ***



Capitolo 1
*** -Direzione opposta ***


-Capitolo 1
 
“Prendi la direzione opposta all'abitudine e quasi sempre farai bene”
J.J.Rousseau



Era dopo aver letto quella frase che Eva capì che l'abitudinaria direzione che stava percorrendo la stava portando a un punto di stallo nella sua vita e di una cosa era assolutamente certa,lei a 23 anni,fresca di laurea,non voleva sentirsi insoddisfatta del sentiero che doveva percorrere.



Perciò aveva deciso di remare nella direzione opposta,prendersi un anno di libertà dai doveri/impegni che richiedeva la laurea magistrale,pace dai continui screzi peri il divorzio dei suoi genitori e non voleva più essere assillata per aver deciso di porre fine al suo fidanzamento di quattro anni con il classico bravo ragazzo che ogni madre vorrebbe per la propria figlia.



Aveva pensato a ogni possibilità:corsi di studio,imparare bene su campo una lingua,stage professionali per “farsi le ossa” ma ogni opzione le dava la nausea,così avrebbe significato continuare la propria routine in un'altra città e non era ciò che voleva;lei desiderava dare una drastica sterzata alla sua vita e per un anno,un anno solo,essere ciò che voleva veramente,no quello che si aspettava la sua famiglia,cioè vederla dietro una scrivania/cattedra dalla mattina alla sera,il solo pensiero le faceva sentire un nodo intorno al collo.



Cosi una mattina prese il coraggio a quattro mani (ma forse anche otto) e invitò il padre a cena per discutere con lui di una questione “della massima urgenza”.



Nonostante fosse Ottobre l'aria della sera era ancora tiepida e permetteva di indossare abiti abbastanza leggeri. Eva entrò nel ristorante che dava sul mare e con gli occhi cercò il padre che era intento a leggere una e-mail o un articolo sul suo Ipad. La ragazza si incamminò verso il tavolo e si accomodò. Ettore era un uomo di quasi sessanta anni,perennemente in giacca e cravatta e con il fisico appesantito dalle troppe cene di lavoro.



I due iniziarono a parlare del più e del meno,Eva si informò sulla data della sua prossima partenza lavorativa per Tokyo e lui le chiese quando sarebbero iniziate le lezioni, “Sai papà è proprio di questo che volevo parlarti” il cuore rischiava di uscirle dal petto per quanto le andava veloce. Il genitore inarcò le sopracciglia e fermò la forchetta a mezz'aria
“Parla”
“Io ora non me la sento di rimettermi subito sui libri,vorrei fare altro..”.
L'ansia la stava divorando e sotto il tavolo si torturava le mani tanto il nervoso. Ettore sorrise sollevato,forse aveva pensato che ciò che la figlia dovesse dirgli fosse veramente “della massima urgenza”,oppure stava prendendo il desiderio della giovane superficialmente.
“Eva non devi perdere tempo con la magistrale,alla triennale sei andata benissimo,ora perché vuoi lasciare tutto?”
“No non voglio lasciare tutto,voglio solo un anno papà,andare via di qui per dodici mesi e fare una nuova esperienza”.
Ettore sospirò rumorosamente alzando gli occhi al cielo, “Amore di papà perché ora questa cosa,cosa hai?non pensi sia meglio fare un passo del genere?”
Non doveva arrendersi,anche se la paura le stava stringendo la gola lei doveva combattere e vincere.
“Sono sicura che dopo la laurea magistrale avrebbe più senso...”,Ettore sorrise soddisfatto al suono di quelle parole,
“Ma non è ciò che voglio” il tono della figlia era sicuro,la voce roca e lo sguardo accigliato, “Se facessi questo viaggio tra qualche anno non avrebbe più senso,avete sempre voluto il meglio per me e avete sempre pensato che il vostro meglio coincidesse con il mio ma non è così...voglio,anzi no,devo fare qualcosa che mi faccia sentire libera,qualcosa che mi faccia capire che se chiudessi una porta davanti a me il mondo me ne offrirebbe mille aperte. Dammi la possibilità di non essere più la Eva che vive nella routine quotidiana ma che può esserci qualcosa di completamente nuovo che mi posso riscuotere”.
L'uomo in giacca e cravatta rimase perplesso da quelle parole ed Eva ne dovette usare ancora molte quella sera per convincerlo.



“Dove vuoi andare?”
Stavano passeggiando quando glielo chiese ma a questo lei non aveva pensato con precisione,alzò le spalle e scosse la testa,
“Non lo so bene ammetto,la cosa su cui mi sono concentrata di più era il pensiero costante che non volevo fare ciò che faccio qui in un altro luogo. Mmm forse Sydney,oppure Parigi”.
Il padre stette per un po in silenzio pensieroso “E se andassi a Londra da Miriam?”.
Eva non aveva pensato a quella possibilità e ripensò all'amica con un sorriso divertito,erano sempre state molto e con gli anni quelle differenze erano aumentate e non solo perché Miriam aveva nove anni più di Eva. L'amica in questione aveva capelli cortissimi e aveva provato una varietà di colori che andavano dal verde mela all'arancione,amava indossare anfibi scuri e abbinare tonalità improponibili ,quindi era tutto l'opposto Eva che non aveva mai tagliato i suoi lunghissimi capelli neri naturali e amava indossare vestiti color crema e tacchi,ciò che però le faceva essere amiche era la solarità di Miriam e l'ironia di Eva,nemmeno la differenza di età si era mai fatta sentire,le due avevano molti interessi comuni,l'arte e lo spettacolo di cui la stravagante ragazza aveva fatto dell'amore per la fotografia un lavoro che in Italia non la soddisfaceva ma che Londra gli stava dando grandissime opportunità...unito,certo,a un lavoro in una
 caffetteria.
“Si,forse papà hai avuto un'ottima idea”.



Miriam fu chiamata il mattino dopo e fu entusiasta della notizia,insistendo che rimanesse a vivere con lei e prendendosi la responsabilità di trovarle un lavoro e iscriverla a un corso di lingua,sembrava necessario (purtroppo). Zoccolo più duro fu comunicare la sua decisione a Moira,la madre,che vedeva nella partenza di Eva come la più brutta delle calamità e aveva reagito alla notizia prima con stizza,accusando la figlia di non averla interpellata e poi con sospiri e pianti nostalgici,forse cercando di convincere la “sua bambina” a non partire,ma ormai la decisione era presa,i preparativi pronti e il giorno dopo,alle 6.30,aveva il volo per Londra.



La sera prima di partire Eva aveva cenato con parenti e amici,ridendo e scherzando ma quando si mise sotto le coperte guardò ogni fotografia nella sua camera con un pizzico di malinconia e un po di paura,sperando di non aver fatto il passo più lungo della gamba.






-ANGOLETTO DELLO SCRITTORE-
Salve amici eccomi con una nuova storia,che posso dire...chi di noi non ha mai provato il senso di oppressione dato dalle troppe responsabilità e dalle troppe aspettative di chi ci circonda e non si è detto mentalmente “vorrei trovarmi su di un isola deserta senza sentire nessuno”;ecco questo è ciò che accade ad Eva che stanca di soddisfare gli altri ora vuole un anno per soddisfare se stessa e decide di farlo nella città che più la rispecchia,Londra.
Chissà cosa accadrà alla nostra moretta,non vi anticipo nulla ma qualcuno l'attende.
Fatemi sapere cosa ne pensate con le vostre recensioni,baci.

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Capitolo 2
*** partenza ***


La sveglia era suonata molto presto,l'orario sul display del cellulare segnava le 4.00 ma Eva aveva gli occhi aperti già da tempo. Si alzò dal letto con la voglia di guardare il paesaggio addormentato fuori la sua finestra,i giardini intorno casa sua,la strada,tutto era immobile,non si muoveva nulla,in lontananza qualche cane abbaiava e sopra di lei il cielo era ancora buio e in quel momento pensò che la sera successiva avrebbe dormito in un'altra casa,in un altro letto e guardato nuovi paesaggi fuori la finestra.

 

Nel prepararsi aveva cercato di fare meno rumori possibile ma quando scese in cucina sua madre era già li ad attanderla davanti a una fumante tazza di thè. Anche se erano le 4,40 del mattino Moira era una di quelle donne che non avresti mai visto con i capelli spettinati e i pigiami due taglie più grandi,nel suo DNA c'erano incise le parole ORDINATA&COMPOSTA a caratteri cubitali.

“Mi raccomando Eva stai attenta,non dare confidenza a nessuno,nemmeno appena scesa dall'aereo e qualcuno vuole aiutarti con le valigie; hai visto in quel film “io vi troverò” come rapivano le ragazze?”

la figlia guardò la madre con un sopracciglio alzato scuotendo la testa

“Ma come fai ad avere tanta fantasia alle 4,50 del mattino?”

la ragazza rise divertita,la madre era sempre stata molto apprensiva ma quella era nuova. Dopo le varie raccomandazioni sul chiamarla e “non andare in vicoli bui” arrivò il momento dei saluti,il momento più difficile. Abbracciò Moira in maniera fobica,non volendosene quasi staccare e inutilmente cercò di trattenere le lacrime. Nell'aprire la porta guardò per un attimo la casa dove era cresciuta,cercando di imprimere nella memoria ogni dettagli,ogni angolo del salotto e persino la disposizione dei quadri appesi alle pareti,sorrise alla madre e alla fine uscì.

 

Il tragitto in macchina fu fatto di raccomandazioni da parte di Ettore e di carezze. Arrivati all'aeroporto il cielo era ancora buio ma nell'edificio le persone entravano e uscivano carichi di valigie.

“Miriam ti aspetta all'aeroporto di Stansted,non credo abbia la macchina perciò prenderete i mezzi o un taxi”

la voce dell'uomo era nervosa e non faceva che ripetere informazioni che lei già sapeva.

“Chiamami sempre e per qualsiasi cosa avvertimi e ti verrò a prendere subito” nella voce dell'uomo c'era come una nota di urgenza mista ad ansia,non era da lui,Ettore,a differenza di Moira,aveva sempre lasciato agire più liberamente i figli e lasciato fare le loro esperienze senza essere preoccupato ma ora sentirlo così per Eva era una novità che le fece improvvisamente rendere conto che il momento era arrivato veramente.

 

Il padre accompagnò la figlia fino ai controlli,mentre la ragazza era in fila nel percorso a serpentina si lanciavano dei sguardi ma una volta superati i metal detector e ripresi i propri effetti Eva ed Ettore si guardarono fissi a lungo e con gli occhi rossi lucidi di lacrime. Improvvisamente aveva paura e nonostante il padre fosse poco distante lo sentiva già mancare e si maledì mentalmente per tutte le volte che era stata avara di abbracci,visto che in quel momento era ciò che le serviva. Lo salutò con la mano,l'espressione un po persa e il cuore in gola,come un bambino il primo giorno d'asilo,mentre lui le mandò un bacio. Rimasero qualche altro secondo a fissarsi,le lacrime scendevano e non senza fatica la giovane interruppe il contatto visivo e con forza cercò di non voltarsi indietro a guardare la figura paterna e proseguì per la sua strada.

 

Il salto era stato fatto,questo fu il pensiero che le venne non appena l'aereo prese quota. Cosa l'aspettava in quell'anno?lei non lo sapeva ma una cosa fu certa,nemmeno seduta su quella poltrona riuscì a dormire un po,l'eccitazione era troppa e il desiderio di mettere piede sul suolo britannico non la faceva stare nella pelle.

 

Scesa dall'aereo si incamminò per gli interminabili corridoi di Stansted,con le sue interminabili scale-mobili,prese i bagagli,superò i controlli e finalmente l'uscita.

 

Si fermò vicino l'ingresso guardandosi intorno,l'aria era fredda e le faceva pizzicare il naso,l'amica sapeva da qualche terminal sarebbe uscita,si voltò più volte e alla fine la vide,una ragazza di 32 anni con capelli blu scuro,occhiali da sole rotondi (nonostante fosse nuvoloso),una maxi maglia grigia con delle calze di lana giallo senape e un parka mimetico.

“Di sicuro si è vestita ad occhi chiusi”

Eva rise dicendo quella frase,felice di vedere che l'amica non era cambiata di una virgola. Le due amiche si guardarono con un sorriso che metteva bene in vista la dentatura di entrambe e si abbracciarono fino a strangolarsi.

“Ciao ciao ciao cucchiaino,che bello ancora non ci credo”

Miriam si era precipitata come una valanga su di Eva,mordicchiandole la guancia come faceva sempre da bambina,la povera nuova arrivata non amava eccessivamente il contatto fisico,cosa che invece l'amica adorava e si ritrovò immobilizzata da quell'abbraccio che ricambiò con felicità ma in maniera più pacata.

“Blu scuro adesso Miriam?non è da te,un colore così tranquillo,mi meravigli. Dove è andato a finire quella bella accoppiata di arancione e verde che quasi fece morire tua nonna?”

il tono di Eva era ironico e scherzoso,era sempre stata curiosa,quando rivedeva l'amica,di ammirare il suo nuovo look di capelli.

“Mmm mi da un'aria più professionale direi,da grande imprenditrice”.

Risero entrambe e si diressero verso l'autobus portando valigie e borsoni.

 

Per tutto il viaggio Miriam non fece altro che dirle quanto fosse felice e le assicurò che il lavoro da cameriera che le aveva trovato in un caratteristico pub londinese l'avrebbe fatta subito ambientare. La notizia della cameriera sconvolse un po Eva facendole spalancare gli occhi e la parola “pub” le fece quasi cadere la mascella. Miriam incrociò le braccia al petto risoluta

“Susu cucchiaino,devi buttarti nell'arena,qui non siamo a casa. Cosa ti aspettavi che ti trovassi un lavoro d'ufficio dal lunedì al venerdì dove andare vestita con vestito,tacchi e una ventiquattr'ore? Se volevi questo volevi rimanere a casa,non sono state le tue testuali parole “devo avere una vita diversa in questo anno,lontana dalle abitudini che ho qui”.

Eva rise nervosa,l'amica l'aveva presa in parola

“Ti ricordi..che io non ho mai lavorato vero Mir?”

l'amica fece un'espressione furbesca e rise sotto i baffi

“Diciamo che quando ho chiesto al mio amico di assumerti ho dato ad intendere che avessi già esperienza...quindi rimanga tra di noi questo piccolo particolare”.

Ecco che Eva non respirava più,non riusciva nemmeno a pensare a una soluzione,a parte chiedere perdono al proprietario del pub.

“Ma vedrai che andrai alla grande cucchiaino”

disse Miriam dando una pacca d'incoraggiamento all'amica. Eva elaborò per qualche minuto la notizia,convincendosi che non sarebbe stata una cosa impossibile nascondere la sua incapacità di portare un solo piatto alla volta.

“Io nell'arena ti ci butto..ma con Moira dentro”.

Miriam fece una finta espressione terrorizzata ridendo di gusto entrambe.

 

Rivedere Londra era come sempre una meraviglia,quella era la quarta volta che vi faceva visita,la conosceva piuttosto bene ma come sempre “la vecchia signora” (come lei si divertita chiamarla) la faceva sempre rimanere a bocca aperta. Quella città,si era giurata Eva,sarebbe stata l'unica che non sarebbe stata inquinata da ricordi romantici e luoghi che possano ricordare di essere stati condivisi con un'altra persona. Quella città sarebbe stata solo sua,non l'avrebbe condivisa con gli altri,per Eva quel luogo simboleggiava una sorta di “isola che non c'è” e voleva continuarla a vedere così,un rifugio.

 

Miriam aveva un appartamento nel quartiere di Soho,la casa era al terzo piano senza ascensore. Arrivate in cima alle scale con il fiatone per la fatica di portare tutte le valigie,le attendeva una porta marrone scuro,la padrona di casa frugò nella borsa e alla fine estrasse un enorme mazzo di chiavi. Aperto l'uscio si presentò un piccolo ingresso dove al centro della stanza si trovava un divano verde scuro con cuscini colorati,un tappeto patchwork ai piedi di esso,scaffali alla pareti pieni di libri,foto alle pareti che ritraevano persone che parlavano su di una panchina o anziani che giocavano a carte e per finire una televisione un po vintage su di un mobile basso. Alle finestre non c'erano tende e ciò teneva la casa illuminata (almeno per quello che permetteva il tempo inglese). La cucina era adiacente,piccolina ma ben fornita e sistemata,mentre la parte notte era formata da un minuscolo bagno e due camere,quella di Eva probabilmente era un ripostiglio perché era di poco più grande del bagnetto. Anche se non era un appartamento che affacciava sul Tamigi e non aveva camere spaziose e un bagno con una vasca con idromassaggio ad Eva sembrava bellissima.

 

Posò le valigie,si guardò attorno e mentre Miriam parlava e parlava Eva si affacciò a una nuova finestra,come era tutto diverso lì,il clima così rigido,il cielo grigio,le case di mattoni marroni si somigliavano quasi tutte,c'erano molte persone fuori dai vari negozi,non solo inglesi ma molti indiani,pakistani e c'era persino una pizzeria italiana. La nuova arrivata guardò curiosa le persone che camminavano e parlavano per strada,sorridendo felice e fiduciosa,si sentiva euforica,una nuova strada le si stava aprendo davanti e lei era pronta ad incamminarsi.

 

 

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE

Salve a tutti,eccomi qui con un nuovo capitolo,ricapitolando,Eva ha lasciato tutte le sicurezze di casa sua con una madre molto protettiva e un padre che invece cerca di spingere i figli a “buttarsi”,certamente la nostra protagonista viene da una situazione dove il suo unico problema è studiare,non ha mai lavorato e quando vede i suoi genitori farlo è sempre in uffici e studi,perciò la notizia del pub la destabilizza perchè non aveva ancora ben pensato alla realtà dei fatti,cioè lavorare per vivere. Ho voluto descrivere un po il momento della partenza,perchè per quanto si può essere euforici un pizzico di malinconia prende tutti. Indovinate un po?presa forse da questa storia,vuoi che Londra mi mancava da morire ho fatto un bel biglietto aereo,quindi a novembre andrò a rivedere la mia cara “vecchia signora”,perciò quando aggiornerò potrò descrivere al meglio ogni luogo,clima e panorami.

Ringrazio tantissimo chi ha letto questo primo capitolo,spero continuiate a farlo e un grazie a chi ha recensito,siete meravigliosi. Fatemi continuare a sapere cosa ne pensate vi prego,chiedetemi se avete curiosità o dubbi. Detto questo alla prossima,baci :)

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Capitolo 3
*** Equivoco ***


Capitolo 3

 

A volte succedono cose strane,un incontro,

un sospiro,un alito di vento che suggerisce

nuove avventure della mente e del cuore.”

Alda Merini

 

 

Al diavolo il risparmio,è un mese che sono a Londra e ancora non ho preso un cappuccino come si deve da Starbucks ma continuo a farmi trivellare lo stomaco da quello scempio che serve Greggs. Basta,oggi dico NO al mal di stomaco e SI al baffo di schiuma che mi rimarrà sulle labbra e al diavolo se faccio tardi al corso!”. Si trovava immersa in quel pensiero,con l'espressione un po imbronciata mentre teneva d'occhio il cartello della stazione che stava scomparendo veloce e studiava attentamente la piccola cartina della metro dove Miriam,molto pazientemente,le aveva evidenziato la fermata di Earls Court,dato che era lì il pub dove Eva lavorava. Non c'era nulla da fare,per lei ogni metro,di ogni città del mondo era un mistero,dato che era la persona più incapace a capire come funzionasse quel mezzo infernale.

 

Entrò dentro Starbucks di corsa,ok che non le interessava far tardi al corso ma l'orario d'inizio della lezione era già passato da quindici minuti e lei ancora doveva ordinare.

Quanto sei ribelle Eva”,si prese in giro da sola ridendo di sé sotto i baffi. Ordinò il suo cappuccino a portar via e si accomodò in attesa che la sua ordinazione fosse pronta,quel giorno il locale era affollato e c'era molta fila. Senza accorgersene piombò nei suoi pensieri,stupita che fosse già trascorso un mese dal suo arrivo e notando come il tempo trascorresse troppo velocemente e immersa in quella riflessione si isolò del tutto.

 

Il mento era poggiato sul palmo della mano,un sorriso da bambina le sfiorava le labbra e gli occhi,lunghi capelli bruni le scendevano morbidamente sulla schiena e i grandi occhi a mandorla scuri erano immersi in qualche pensiero. L'espressione così assorta,così innocente,rivelava la sua giovane età,forse facendola anche dimostrare di meno. Il suo abbigliamento era casual e ricercato,jeans a sigaretta,stivaletto nero che le arrivava alla caviglia con un plateau altissimo,camicetta rosa pallido avvitata,con una grande collana di pietre bianche e un impermeabile rosso lasciato aperto. Ne era rimasto folgorato,nel verso senso della parola e fu grato a quell'improvvisa smania di caffeina che aveva quella mattina,dato che non era un assiduo frequentatore di Starbucks. I suoi lineamenti scuri che contrastavano con il chiarore della carnagione,il suo sorriso assorto,l'avevano catturato,facendogliela notare prima ancora di aprire la porta di vetro. Aveva fatto l'ordinazione non togliendole gli occhi da dosso,sapeva di doverla guardare almeno in maniera più discreta ma non ci riusciva;la sua testa gli imponeva più discrezione ma la sua volontà lo faceva rimanere lì incantato.

 

Improvvisamente,come richiamata alla realtà,il suo sguardo pensieroso tornò vigile e la prima cosa che i suoi occhi videro fu un uomo,di tutte le persone presenti nel locale il suo sguardo si fermò li. Per un lungo momento la mente di Eva fu sgombra da ogni pensiero,anche lui la guardava,serio in volto,non nascondeva di stare ad osservarla e ciò la mise in imbarazzo facendole abbassare un po gli occhi. Era bello come non aveva mai pensato di nessun'altra persona,affascinante nel suo essere un uomo maturo,senza i tratti da ragazzo (che a lei non erano mai piaciuti nei suoi coetanei),elegante e classico,pantaloni neri,camicia candida,maglione scuro che aderiva perfettamente alle spalle e una cravatta grigio antracite. Il viso aveva un accenno di barba,i capelli erano corti,pettinati accuratamente e spostati sulla sinistra,ed era alto,tanto alto che lei sarebbe sicuramente sparita se gli fosse stata vicina. La mente non le dava più segni di vita e immersa in quegli occhi color ghiaccio,così profondi,sentì il cuore batterle più forte nel petto. Ringraziò per quella sensazione che le fece riprendere fiato,sbattere le palpebre e slacciarsi da quel legame visivo che si era creato. “Datti un tono Eva” disse perentoria la sua vocina interiore ma si sentiva imbarazzata al pensiero di dover passare vicino a quell'uomo per prendere la sua ordinazione,per un momento pensò di lasciarla lì e andarsene ma così avrebbe fatto la figura della stupida per qualcosa che nemmeno lei sapeva cosa fosse.

 

Prese un respiro e si diresse verso il bancone,più si faceva avanti e più l'altezza di lui la sovrastava ma nell'andargli incontro notò come le sue pupille si dilatassero e gli occhi seguissero ogni suo passo.

 

Avvenne tutto molto velocemente,si ritrovarono vicini,l'uno affianco all'altra,il profumo di lui era intenso,sapeva di muschio e per un attimo chiuse gli occhi assaporando quella fragranza. L'uomo le fece un sorriso tirato e imbarazzato,Eva improvvisamente si sentì divorare dall'imbarazzo,abbassò di scatto la testa,prese il suo cappuccino e a passo svelto andò via.

 

Si ritrovò ad avere il respiro trattenuto,il cuore che gli martellava nel petto nel vedere quell'impermeabile rosso che ora si trovava fuori dal locale. La barista lo invitò a prendere la sua ordinazione e far posto alle altre persone ma quando andò a prendere il suo caffè il bicchiere con il suo nome,che si trovava li fino a poco prima,era sparito,lasciandone uno con su scritto “Eva”. Inconsciamente capì subito che la ragazza che ora si trovava fuori il bar aveva erroneamente preso la sua ordinazione e prima ancora che se ne rendesse conto si stava già dirigendo fuori Starbucks da lei.

 

Aveva respirato a pieni polmoni una volta all'aria aperta,il fresco del leggero vento che le accarezzava il viso l'aiutò a riprendersi. “Devo essere impazzita” disse sottovoce toccandosi la fronte. Il cuore però batteva forte nel petto,si sentiva le guance in fiamme e gli occhi color ghiaccio di quell'estraneo erano ancora fissi nella sua mente che la guardavano. Tirò fuori dalla tasca il cellulare e sbarrò gli occhi,notando che i semplici quindici minuti di ritardo erano diventati quasi un'ora. Odiava fare tardi,le metteva l'ansia e doveva sbrigarsi. Fermò un taxi che attendeva che il semaforo diventasse verde e gli disse l'indirizzo,bianca in volto. Proprio mentre la macchina partì vide l'uomo di poco prima uscire dal bar,i loro sguardi si legarono di nuovo,facendo voltare Eva verso il vetro del cofano,mentre lei si allontanava di corsa. Rimase con gli occhi verso di lui fino a che l'auto non svoltò verso destra,facendola tornare al suo posto con la testa bassa. Un misto di sollievo,perché era una gran fifona e aveva paura degli estranei che la fissavano in quel modo ma anche delusione,perché se avesse aspettato una frazione di secondi in più sarebbe potuta stare a guardare quell'uomo che l'aveva così turbata.

 

Aveva notato che mentre prendeva il cellulare dalla tasca le erano caduti dei fogliettini di carta ma non appena uscì dal locale lei era salita su di un taxi,si erano guardati per l'ultima volta e non appena la macchina aveva svoltato a destra,sparendo dalla sua visuale,una nota di dispiacere si era impossessato di lui,una nota che non sapeva da dove e il perché si facesse sentire. Si chinò a raccogliere ciò che alla ragazza era caduto dalla tasca: tre bigliettini di alcuni locali e una piccola mappa della metro. Le spalle gli si abbassarono mestamente e le labbra gli si incresparono per la disapprovazione. “Potevi sbrigarti di più Richard,invece di rimanere imbambolato,si rimproverò mentalmente. Ora l'unica cosa che aveva erano dei bigliettini,una mappa della metro e il suo nome “Eva”,lo pronunciò attentamente,a bassa voce,sorridendo leggermente per ogni lettera di quel nome che gli usciva dalla bocca.

 

 

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE

Salve a tutti,la mia breve fuga londinese è terminata e quella città già mi manca terribilmente,anche perché mi sono mangiata i gomiti pensando che una settimana prima anche io mi trovavo a Leicester Square :(

Tornando a noi,Eva e Richard si sono visti per la prima volta,più che visti,si sono studiati senza staccarsi mai gli occhi di dosso,posso immaginare che possa sembrare una cosa scontata ma non lo è,parlo per esperienza personale,è qualcosa che nemmeno te sai da dove viene ma appena vedi quella determinata persona non gli togli gli occhi da dosso,sentendo come qualcosa che vi lega...una bella sensazione e non così banale direi. Un AVVERTIMENTO la storia è ambientata un anno prima che Richard abbia il ruolo di Thorin.

Detto questo vi saluto miei cari,ringrazio chi ha letto la storia e chi l'ha recensita,fatelo ancora lo adoro :) un grazie speciale va a 12thDeepStar :)

A presto 

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Capitolo 4
*** Earls Court ***


"Gli incontri non sono perfetti soltanto perché te li aspetti.
Ci vogliono milioni di occasioni mancate per coglierne
finalmente una. Milioni di incontri messi via,senza 
pathos,senza alchimia."

Massimo Bisotti


Eva si ritrovò a beccarsi un rimprovero per l'eccessivo ritardo al corso,dove mestamente si accomodò al suo banco e guardò avvilita il cellulare senza campo (è scientificamente provato che nei momenti peggiori il cellulare non prenda),alzò gli occhi al cielo e cercò di concentrarsi. 

La giornata era stata piatta,l'unico giorno libero della settimana dal lavoro lo aveva passato al centro di lingua inglese,ascoltando annoiata l'insegnante spiegare,facendo esercizi e ripetendo a pappagallo la pronuncia corretta. Ma nonostante tutto,inavvertitamente e silenziosamente il ricordo le andava sempre a quell'uomo,no,anzi,non a QUELL'UOMO,a Richard;al primo sorso si era accorta di aver preso l'ordinazione sbagliata,notando il nome sul bordo del bicchiere.
"Sicuramente è per questo che era uscito da Starbucks",si disse mentalmente con aria delusa. Sospirò a questo pensiero e cercò di consolarsi immaginando di essere rimasta lì impalata sul marciapiede,con il "suo" caffè in mano,mentre lui la raggiungeva e magari tra un sorriso e una scusa per l'errore sarebbero rimasti insieme a consumare la colazione. Scosse la testa ritornando alla realtà,si vergognò da sola per quel pensiero e cercò di non rimuginarci più.

Le prove teatrali lo avevano assorbito per tutta la giornata ma non appena si distraeva un attimo il pensiero di quella ragazza gli passeggiava per la mente. Durante la pausa aveva esaminato i biglietti che le erano caduti dalla tasca e lesse (per la milionesima volta) il nome sul bicchiere di Starbucks,che non aveva gettato.

Eva si trovava sulla metro e si rigirava il bicchiere tra le mani fissandolo,
"Chissà se lui è li" disse con un filo di voce e per un attimo pensò di fare un salto in caffetteria per accertarsene. La metro si fermò proprio in quel momento alla stazione dove aveva visto Richard (quando il fato ci si mette).

Dopo le prove,ormai erano quasi le 18,30,si era organizzato di andare a bere un drink ma qualcosa lo turbava,l'impazienza,l'ansia di uscire dal teatro e la smania di andare a vedere se anche lei,per qualche fortuito caso,forse spinta dallo stesso pensiero martellante di rivederlo si trovasse lì. A passo svelto fece la strada che separava il teatro dallo Starbucks,la speranza di vederla lo fece camminare più velocemente. Entrò a passo di carica nel locale,un sorriso leggero sulle labbra.

Si stava torturando le mani nel dubbio se scendere e andare a controllare,oppure rimanere dove era. Si muoveva nervosamente sul sedile,mentre i secondi passavano. Alla fine decise,si alzò di scatto e si diresse verso l'uscita. Il vagone era stipato di persone e muoversi era un'impresa e a pochi passi dall'uscita il suono che annunciava la chiusura delle porte la immobilizzò. Pochi secondi e con sguardo vitreo sentì la locomotiva riprendere vita. Chiuse gli occhi,qualcosa dentro di lei le disse che aveva veramente fatto un errore.

Guardò nella sala,in ogni angolo,persino nei bagni, insospettendo lo staff ma di lei nessuna traccia. Uscì dal locale e diede uno sguardo al tavolino che Eva aveva occupato quella mattina,era deluso,convinto che quella stessa sensazione che provava lui fosse riflessa in lei,che non era stata cieca a quello sguardo,che non lo avevo dimenticato con una scrollata di spalle non appena salita sul taxi...ma così non era stato.

Nonostante fossero passati i giorni sia Richard che Eva si pensavano,fissando quel nome scritto su di un bicchiere di carta come unica testimonianza reale di quell'evento. Si facevano mille domande,si costruivano mille strade alternative,mille bivi che avrebbero potuto cambiare quella loro mattinata e quei giorni.

Eva si ritrovava a sospirare profondamente (non faceva altro che fare quello) e ringraziava tutte le divinità presenti nel mondo per le ore che passava nel pub a lavorare,immersa tra ordinazioni e boccali di birra e cosa immancabile,presa in giro da Carl,il proprietario del locale che non appena aveva visto la ragazza la prima volta aveva capito che non sapeva fare assolutamente nulla e così si divertita a farle credere di aver sbagliato ordinazione,provocando le risate di tutti i clienti e l'infarto prematuro alla giovane cameriera. Li,in più,oltre ad aver trovato un luogo accogliente e scherzoso aveva fatto anche amicizia con Lucy e Stuart,rispettivamente la cuoca e il lavapiatti;i due ragazzi erano molto simpatici,alla mano e gentili ma soprattutto,come lei,si erano trasferiti a Londra: Lucy era Gallese,ricoperta di lentiggini e con un caschetto rosso che la facevano assomigliare a un personaggio un po' buffo di qualche libro per bambini,aveva "momentaneamente" interrotto gli studi di arte per la perdita d'ispirazione; Stuart,invece era Irlandese,e alternava i "suoi periodi blu" all'amore per il rock n'roll anni '80,insomma ancora doveva trovare la sua strada e la sua vera passione ma fino a quel giorno si spostava dove voleva,sempre alla ricerca di nuove ispirazioni.
"Beh non sono l'unica mosca bianca per fortuna" pensò Eva riferendosi alla sua fuga londinese.
Tuttavia era proprio quando smetteva di lavorare o di studiare e si trovava a camminare per la città che la sua mente la riportava a quegli occhi. Lo cercava sui volti degli altri uomini ma nessuno,nemmeno lontanamente,era lui,nessuno era Richard. Si era fermata sotto il Big Ben,i turisti intorno a lei sorridenti si scattavano foto intralciando il resto dei passanti che svelti si dirigevano alla metro ma nemmeno li,nel posto che più amava di Londra le si toglieva l'amaro di bocca per qualcuno di cui nemmeno sapeva come era il timbro della voce.
"Tutto questo è veramente inspiegabile,insopportabile,stancante,frustante,insoddisfacente e se continua così qualcuno mi scambierà per pazza visto che parlo da sola...e sto pure gesticolando" si era infatti ritrovata con una mano a tenere il conto di tutte le cose fastidiose che le provocava quella situazione e con l'altra a farla svolazzare in aria nervosamente. Sospirò profondamente e rumorosamente mentre si incamminava.

Era nervoso,non riusciva a concentrarsi e ciò gli faceva sbagliare i tempi delle battute e questo lo faceva andare su tutte le furie. La prima dello spettacolo sarebbe stata tra due settimane e lui non ne azzeccava una. Il pensiero di Eva lo accompagnava dalla mattina alla sera. Non se ne poteva dimenticare e basta visto che non si erano nemmeno rivolti parola? No,si ritrovava ad essere ossessionato dal ricordo per quella ragazza. Si rimproverò mentalmente mentre con gesto stizzito indossava il lungo cappotto blu scuro,si frugò nelle tasche e si assicurò che quei tre bigliettini e la mappa della metro fossero ancora li,poi una folgorazione,un'idea gli attraversò la mente;tirò fuori quei pezzi di carta e li esaminò attentamente: Trafalgar Tavern,The Ship Tavern e Cittie Of York,erano dei pub,magari lei lavorava lì oppure era una cliente abituale. Sicuramente era una follia ma voleva provare a cercarla,
"Ma per dirle cosa?" la domanda che la sua mente gli pose lo gelò,con precisione non sapeva nemmeno lui cosa dirle esattamente se l'avesse trovata,tentennò per diversi minuti in piedi davanti la porta d'uscita del teatro,inspirò forte e ricacciò quella domanda nell'angolo più lontano della sua mente,non si sarebbe fatto abbattere,non voleva.

Aveva iniziato subito la sua ricerca e si era diretto al Trafalgar Tavern,un classico pub inglese dagli interni in legno scuro,grossi boccali di birra lungo tutta la parete del bancone e una partita di calcio di qualche squadra straniera trasmessa alla televisione. Si sentiva impacciato per quello che stava per fare,si mise seduto in uno dei tavoli più isolati,così che nessuno avrebbe potuto sentire ciò che doveva chiedere ma non appena il cameriere gli si avvicinò gli ordinò una birra,non trovando il coraggio di fargli il suo terzo grado. Cercò di costruirsi un discorso mentale ma sembrava come se la sua mente sotto sforzo non producesse grossi risultati,doveva stare calmo. Proprio mentre cercava di capire come iniziare il discorso un cameriere dalla camicia di qualche taglia più grande di lui,viso pallido e con qualche bolla di troppo sulle guance,gli portò la sua birra. Senza dire una parola il giovane lasciò il boccale sul tavolo e se ne andò,lasciando Richard con gli occhi sgranati per non avergli dato nemmeno il tempo di ringraziarlo e così si trovò costretto a richiamare il giovane due volte e farlo tornare al tavolo. Quel gesto lo infastidì e guardò il cameriere con sguardo infastidito,
"Dovrei chiederle una cosa,saprebbe dirmi se lavora qui una ragazza di nome Eva?".
Il cameriere lo guardò inarcando le sopracciglia un po' intimorito e allo stesso tempo mortificato per la sbadataggine che aveva avuto qualche minuto prima,
"N-no signore mi dispiace".
Fu un brutto colpo quella risposta ma non si perse d'animo
"Per caso è una cliente abituale?una ragazza giovane,all'incirca sulla ventina,non molto alta,lunghi capelli neri,occhi scuri e un piccolo neo sotto il labbro". 
Per un attimo Richard si sorprese da solo nel notare come si ricordasse di un particolare così minuzioso come poteva essere un neo ma notando il giovane davanti a se si accorse che era leggermente impaurito per quelle domande.
"Mi dispiace signore ma non mi sembra".
Avrebbe voluto chiedergli altro ma preferì non insistere troppo,non lo avrebbe portato a nulla. Lasciò andare il cameriere scusandosi e bevve controvoglia metà boccale di birra massaggiandosi a ogni sorso le tempie. Cercò di farsi forza era convinto che l'avrebbe trovata al primo tentativo. Non terminò il liquido ambrato e se ne andò di malumore gustandosi la leggera pioggia che lo colpì una volta all'aria aperta.

Le sue giornate ormai seguivano un'ordine ben definito:
-Controllare Starbucks 
-Prove teatrali
-The Ship Tavern
-Prove teatrali
-Cittie of York
-Starbucks 
Ma niente,in nessun locale lavorava o aveva fatto domanda di assunzione una ragazza di nome Eva. Il senso di nervosismo si mischiava a quello d'insoddisfazione per non aver trovato nulla,ciò lo faceva essere di pessimo umore e poco incline a stare a contatto con altre persone,voleva starsene da solo e non essere costretto a parlare solo per educazione.
"Al diavolo!" disse a voce alta accartocciando quei bigliettini e gettandoli sul pavimento del camerino del teatro. Si passò nervosamente una mano tra i capelli,rimproverandosi per quell'idiozia. Chiuse gli occhi e respirò profondamente,cercando di calmarsi; poi guardò quei pezzetti accartocciati e con un sorriso mesto li riprese e lì notò una cosa sulla cartina della metro,la stazione di Earls Court evidenziata e sottolineata in grande. Il respiro gli si fermò in gola e sbarrò gli occhi.

"Eva una chiamata per te"
Carl la chiamò passandole il telefono.
"Cucchiaino ho fatto un pasticcio"
"Cosa hai fatto?" la voce ansiosa da madre apprensiva 
"Mi sono chiusa fuori casa...".
Silenzio,Eva si massaggiò le tempie esasperata dalla distrazione di Miriam.
"Vieni qui al pub a prenderti le mie chiavi"
"E come?ho tutto in casa,compresa la oyster e i soldi".
Esasperata era poco.
"Aspetta in linea".
Si diresse da Carl con la coda tra le gambe e il sorrisetto colpevole di chi aveva commesso una marachella e sperò che il suo datore di lavoro non la uccidesse.
"Carl scusami ma la mia coinquilina si è chiusa fuori casa e non può nemmeno venirsi a prendere le mie chiavi...potrei..?".
Gesticolò indicando la porta per fargli capire se poteva andare,l'uomo alzò gli occhi al cielo con disapprovazione.
"Va bene ma devi fare una volata".
Eva sorrise raggiante,prese di corsa le sue cose e si diresse alla metro.

Uscì dal teatro e si diresse alla metro per arrivare ad Earls Court,il cuore in gola.

Per il rotto della cuffia era riuscita a salire sul vagone,era accaldata per la corsa e cercò di ricordarsi di dover rimproverare Miriam per la sua sbadataggine. Arrivò davanti la porta di casa trovando l'amica seduta sugli scalini con aria annoiata. La fulminò con lo sguardo,le diede le chiavi di casa e la pregò di aprirle la porta quando sarebbe tornata dal lavoro. Quando riprese la metro per arrivare ad Earls Court si sentì improvvisamente stanca e per un attimo pensò al nome scritto sul quel bicchiere,
"Richard dove sei?" disse mestamente a testa bassa.

Erano le 23.00,c'era poca gente alla fermata di Earls Court. Era stanco per l'intera giornata passata tra le prove teatrali e la ricerca della ragazza con l'impermeabile rosso. Improvvisamente,però,si ritrovò a essere calmo,il nervoso che aveva accumulato in quei giorni era sparito. Si allentò il nodo della cravatta e si mise seduto su di una panchina.
"Se non dovesse arrivare con la prossima metro la lascerò stare,non la cercherò più". Sospirò e annuì per quella decisione.

Non erano trascorse molte fermate quando Eva si accorse di aver sbagliato direzione,l'ansia per la corsa,la preoccupazione di far tardi,la seccatura per la distrazione di Miriam e la sua grande incapacità di prendere i mezzi le avevano fatto sbagliare direzione. Era nel panico,sola e in tremendo ritardo.
"Respira Eva,dentro e fuori".
Fece profondi respiri e una volta ripreso un minimo di controllo corse al centro informazioni per chiedere quale direzione avrebbe dovuto prendere per Earls Court.

Richard si era visto sfrecciare via la locomotiva,la quinta da quando si era messo seduto in attesa e ogni volta che ne arrivava una e lei non c'era si ripeteva,
"Se nemmeno alla prossima scende me ne vado."
Ma ne erano passate cinque e lui era ancora li.

Persa,l'aveva persa...si trovava in coda al centro informazione e proprio quando era il suo turno l'operatore le aveva indicato un treno,che era quello che doveva prendere lei e che,ovviamente,stava partendo in quell'istante. La ragazza si portò sconsolata davanti la fermata,aspettandosi la chiamata di rimprovero di Carl. Le evinca da piangere e l'adrenalina di poco prima,data dalla corsa,la stava lasciando,facendola sentire fiacca e debole,
"Ci manca solo che svenga".

Sospirò seccato per averci provato così tanto in quei giorni,seccato per la sua stupidità per essersi fissato su di una perfetta estranea e un po' prendendosela anche con quella sconosciuta. Si alzò bruscamente dalla panchina,si battè le mani sui pantaloni,quasi per riprendersi e tornare nel mondo reale e si incamminò verso la scala per andare via.

Il vagone si stava fermando,Eva si avvicinò mollemente all'uscita sbuffando,spalle basse e occhi un po' lucidi per la preoccupazione.

Stava salendo gli scalini con passo deciso ma un suono,l'arrivo di un nuovo treno lo fece fermare e lo lasciò lì tra il dubbio se continuare dritto per la su strada o voltarsi e dare un'ultima occhiata.

Un volta aspettato il suo turno tra la folla che doveva scendere,finalmente mise piede a terra ma subito dopo qualche passo si bloccò...una forza che nemmeno lei conosceva le aveva fTto alzare gli occhi,percorrendo con lo sguardo la scalinata e trovando lui li.
"Richard..".

Era rimasto,aveva aspettato con il cuore in fibrillazione che tutti scendessero e alla fine l'aveva vista. Accorgendosi di trattenere il respiro per la felicità mista al sollievo e rimanendo stupito che anche lei,non appena scesa dal vagone,lo guardava,come se si ricordasse di lui,come a voler dire 
"Eccoti qui,finalmente sei arrivato".

I visi di entrambi erano spenti,stanchi per le fatiche del lavoro ma nel vedersi si illuminarono. Si ritrovarono così,l'uno davanti all'altra,un po' impacciati e senza parole,perché come facevano a dirsi che non avevano fatto altro che pensarsi e cercarsi in quei giorni?come facevano a dirsi che quel banale equivoco li aveva portati a sentire che si appartenevano e si conoscevano da sempre?

I battiti del cuore veloci,i rumori ovattati,oltre la sua figura vedeva tutto sfocato e mentalmente doveva imporsi di respirare per non andare in iper ventilazione. Il suo corpo era come di pietra,seppure avesse voluto muoversi non ci riusciva.

Si ritrovarono così,ognuno di fronte all'altro a pochi passi di distanza. Immobili come statue a fissarsi in silenzio,con gli occhi che però di urlavano di essersi cercati nei volti di mille passanti senza arrendersi mai.

Lui era pochi gradini più su di lei,una mano nella tasca del cappotto,l'altra che gli scendeva lungo il fianco e gli occhi non si muovevano da lei.

Le era mancata,come si sente la mancanza di qualcuno che si conosce da una vita e con la quale si condividono i lati migliori e peggiori di essa.
"È bellissima" si disse mentalmente,come fosse in trance.
I grandi occhi neri luccicavano per la sorpresa,le guance erano rosse,la grande sciarpa rosa e le sneakers le davano un'aria molto dolce,così sbarazzina che lo catturarono ancora di più.

Eva era lì davanti a quell'uomo e mai come in quel momento si sentiva come una bambina,troppo minuta nelle sue comode scarpe,così infantile con la grande sciarpa di lana doppia rosa che le copriva la bocca;mentre lui era così maledettamente perfetto nella sua camicia bianca,la cravatta blu scuro un po' allentata e il cappotto che lo abbracciava morbidamente 
"Cosa ci fa qui?" Si chiese guardandolo come si osserva un miraggio nel deserto.
"Muoviti a fare le scale,Carl ti sta aspettando". 
La sua vocina interiore la sgridò severamente con le braccia incrociate sul petto,il piede destro che veniva sbattuto velocemente e gli occhi stretti a fessura che la minacciavano di fare ciò che le veniva detto. La ragazza si mosse timidamente,il capo chino e le mani che si tenevano alla grande sciarpa,mentre le dita fredde al contatto con le guance tenute al caldo dalla lana le diedero un leggero brivido.

Il suo cervello non gli aveva dato nessun impulso,almeno nessuno di cui si accorse in tempo poiché non appena la vide muoversi le si portò davanti,adesso la giovane era a un passo da lui e si accorse che forse si era mosso troppo velocemente perché gli occhi di Eva erano impauriti da quel movimento improvviso e aveva fatto un passo indietro.

"Tu sei...la ragazza dello Starbucks",non era una domanda ma un'affermazione ed Eva si ritrovò ad essere riportata alla realtà dal timbro di voce di quell'uomo,baritonale,una delle più belle voci che avesse mai sentito,perché congiungeva la limpidezza con la potenza,ed era pastosa,pieghevole,elastica,profonda..la stessa profondità che vedeva riflessa nei suoi occhi che non erano il classico azzurro ma erano un color ghiaccio,così intensi ed espressivi che parlavano da soli.
"Mi ha riconosciuta".
Eva lo guardò sbalordita,erano passati sei giorni dal loro primo "incontro",ora si trovavano in una metro e lui...non si era dimenticato di lei. Con la voce più chiara e seria riuscì ad aprire bocca,
"Mi dispiace per il caffè,io non volevo ma ero in ritardo e non ho fatto caso al nome,sono mortificata".
Prese fiato perché aveva detto tutto di getto senza far pause. Si guardò intorno,cercando il modo di uscire da quella imbarazzante situazione. Cominciò a cercare nella borsa trovando il portafogli.
"Scusami ancora ti prego".

Quando Richard la vide prendere il portafogli gli si spalancarono gli occhi.
"No per favore,lascia stare,non sono qui per qui per quello".
La sua voce baritonale era rassicurante ma accompagnata da una nota d'ansia e istintivamente,non sapendo nemmeno lui il perchè,accompagnò quella frase toccandole la mano destra per farle mettere via l'oggetto. Le sue mani erano fredde,sottili,così piccole rispetto alle sue e si accorse che prima di allontanarla da quella di Eva passarono alcuni interminabili secondi,dove i loro sguardi sembrarono fondersi insieme.

"Le sue mani sono così calde,così morbide,mi piacciono".
Eva gli sorrise dolcemente,scaldata da quel lieve tocco che sembrava tanto familiare. 

Forse quel contatto (che le assicurava che lui era reale) oppure la fine di quella continua smania interiore che aveva poiché desiderava incontrarlo di nuovo,le diedero il coraggio di formulare a fil di voce e trattenendo un po' il respiro,la domanda che le martellava nella mente,
"Come mai sei qui?"
Il cuore rischiava di uscirle fuori dal petto tanto le andava veloce e improvvisamente l'ovvietà della risposta che lui stava per darle si fece spazio in lei:si trovavano in una metro,lui sicuramente era lì per raggiungere la sua destinazione. Eppure quella risposta così certa le sembrava anche la più improbabile. 

Richard la osservò serio in volto,sapeva che la risposta che stava per darle l'avrebbero potuta spaventare e ciò lo preoccupava,rimproverandosi di non averci riflettuto prima. Sorrise un po' in imbarazzo e le fece segno di sedersi su di una panchina e mentre si sedettero tirò fuori dalla tasca i tre bigliettini dei locali e la cartina della metro,Eva inarcò le sopracciglia riconoscendole 
"Credevo di averle perse"
Richard piegò le labbra in una smorfia mortificata,
"È difficile e strano da spiegare ma sappi che è la prima volta che mi comporto così,non è assolutamente da me". Pausa
"Sembra come se fosse stato fatto tutto con una logica precisa,che quegli equivoci così banali fossero come pezzi di un puzzle. Ti avevo subito notata nel locale,eri come il polo opposto della mia calamita...poi tu che prendi l'ordinazione e scappi via e questi bigliettini che ti cadono dalla tasca..ero uscito dalla caffetteria con il pretesto del caffè ma feci troppo tardi."
Si interruppe fissando un punto fisso del pavimento e immergendosi in quel ricordo,
"Ti pensavo. Il motivo per cui sono qui è perché stavo cercando e nonostante mi dicessi che dovevo andarmene perché non saresti arrivata non ci riuscivo".
Mentre parlava di getto si torturava le mani. Non era riuscito a guardarla negli occhi ma quando finì di raccontarle ciò che aveva provato vide che lo fissava sbalordita e per interminabili minuti attese che lei dicesse qualcosa.

Eva stava cercando di elaborare quelle parole,cercando di capire come due perfetti estranei,come erano loro due,avessero potuto provare dei sentimenti così affini. Non fu molto facile riscuotersi dal tuo torpore,l'aiutò a tornare alla realtà quel profumo di muschio che aveva sentito sei giorni prima e notò che Richard la guardava un po preoccupato.
Gli sorrise dolcemente,ripetendosi mentalmente tutte quelle magnifiche parole che aveva appena sentito e facendosi investire dalla felicità che le portarono. Gli strinse la mano,come se quel gesto fosse abituale,come se l'avesse sempre fatto. Come era strano ciò che stava accadendo,di quell'uomo sapeva solo il nome,nè i suoi anni,che lavoro facesse o dove abitasse,eppure lo conosceva,sentiva di conoscerlo da sempre (lasciandola meravigliata visto che era una persona molto diffidente).
"Capisco perfettamente cosa provi,ad essere sincera anche io ti pensavo e ho provato a cercarti...è una cosa così strana che nemmeno io so spiegarmela o capire cosa sia ma ora siamo qui,nonostante Londra sia così grande TU MI HAI TROVATA e te ne sono grata perché non sai quante volte avrei voluto poter tornare indietro e non prendere quel taxi. Perciò perché non ricominciare da dove eravamo sei giorni fa?perciò perché domani mattina non ci sediamo in quel famoso tavolo da Starbucks e parliamo un po'?"
Ma Eva fu brutalmente riportata alla realtà dalla chiamata di Carl che tra i denti la minacciava di sbrigarsi.
"Tempismo perfetto Carl",pensò tra se alzando gli occhi al cielo.

Si era irrigidita,il sorriso era sparito,qualcuno l'aveva fatta innervosire e istintivamente (come se fosse predisposto biologicamente) si accorse di volerla proteggere.
"Cosa succede?".
Eva fece un sorrisetto amaro,
"Suppongo che il mio datore di lavoro mi ucciderà,oppure mi licenzierà per l'eccessivo ritardo".
"Ti accompagno,gli dirò che è colpa mia del tuo ritardo".
Dicendo ciò si alzò sicuro porgendogli la mano per farla alzare. Eva sbattè gli occhi sorpresa per quella reazione inaspettata.
"No,non ce ne è bisogno,mi riprenderà ma lo saprò gestire.
Gli sorrise cercando di convincerlo di quelle parole e di convincere anche se stessa.
"Come è strano avere qualcuno che si preoccupa per te e di..difende quasi",
si alzò facendo questa riflessione,guardandolo come se volesse accertarsi che fosse vero.

Richard non era molto sicuro da quella risposta ma preferì non insistere ma fu irremovibile sul fatto di accompagnarla fino al locale.

Passeggiarono silenziosamente,a volte rilassati e altre un po' impacciati nel trovarsi a incrociare gli sguardi e così giunsero al pub.
"Sicura che non vuoi che rimanga?"
"Si tranquillo non ce ne è bisogno"
"Non fare tardi e vai subito a casa",avrebbe voluto aggiungere "non farmi preoccupare" ma evitò.
"Avvertimi,se vuoi ovviamente,quando sei rientrata,ok?"

Eva era felice di quelle piccole accortezze,felice persino di quelle semplici domande e quanto le faceva bene vedere che qualcuno non la dava per scontata,che aveva fatto i salti mortali per trovarla. Sta accadendo veramente a me?dove è finita la Eva che veniva vista come un'adulta che non aveva bisogno di qualcuno che si preoccupava neppure un minimo di lei? (Almeno secondo il suo vecchio fidanzato).

Si scambiarono i numeri i cellulare e tra l'impaccio del saluto e il rammarico nel dividersi Eva entrò nel locale,non facendo altro che guardare dalla finestra quell'alta figura che si allontanava e che proprio mentre si trovava sul marciapiede opposto della strada si voltò e la ritrovò lì a guardarlo,regalandole un sorriso raggiante che la fece avvampare.

Mentre si allontanava dalla finestra si ricordò di dover ringraziare Miriam per la sua distrazione,senza di lei non sarebbe uscita dal locale e non avrebbe incontrato Richard. Con un malcelato sorriso raggiante affrontò Carl ma di ciò che le disse non si ricordava una parole,dato che l'unica voce che aveva nelle orecchie era quella baritonale di lui.

Una cosa sapeva per certo Richard,quella notte addormentarsi non sarebbe stato semplice,tanta era la felicità e si riprovò a fare il conto di quante ore mancassero alla mattina per quanto era impaziente. 






ANGOLETTO DELLO SCRITTORE
Buongiorno a tutti amici,scusate per il ritardo ma tra le abbuffate natalizie e lo studio feroce in vista degli esami non ho avuto molto tempo.

Tornando a noi,Richard ha finalmente trovato Eva,si è fatto letteralmente in quattro per rincontrarla,a volte speranzoso e altre maledicendosi perché non riusciva a levarsela dalla testa. Perché,obiettivamente,chi è che non desidera essere rincorsa con tale insistenza da una persona a cui ti senti così legata? (Soprattutto se si tratta di uno come Richard).
Sicuramente questa affinità così "immediata",quasi a pelle,non è una cosa che capita con tutti e tutte le volte,ed è una cosa che non riesci a spiegarti,te la senti dentro e basta,nemmeno si può ignorare;bisogna sola non arrendersi e lui ha fatto così.
Per quanto riguarda l'incapacità nel prendere i mezzi pubblici io ne sono l'esempio vivente,evito di elencarvi le volte che mi sono persa -.-".


Detto questo vi saluto e ci vediamo al prossimo capitolo :)
Ringrazio come sempre chi legge e chi lascia una sua recensione,mi piace tantissimo e spero che continuiate a farmi sapere cosa ne pensate (fa sempre bene una critica).
A presto :)

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Capitolo 5
*** London Eye ***


“Quando saremo due saremo veglia e sonno

affonderemo nella stessa polpa

come il dente da latte e il suo secondo,

saremo due come sono le acque,le dolci e le salate,

come i cieli,del giorno e della notte,

due come sono i piedi,gli occhi,i reni,

come i tempi del battito

i colpi del respiro.

Quando saremo due non avremo metà

saremo un due che non si può dividere con niente.

Quando saremo due,nessuno sarà uno,

uno sarà l'uguale di nessuno

e l'unità consisterà nel due.

Quando saremo due

cambierà nome anche l'universo

diventato diverso”.

-Cit.

 

Erano le 2.15 di notte quando Eva era rientrata in casa come un uragano e aveva sommerso una povera e insonnolita Miriam che nel bel mezzo della notte si ritrovò tra le braccia dell'amica che non faceva altro che ridere raggiante e saltellare a destra e a sinistra come un grillo. La povera fotografa si accasciò sul divano aspettando che l'amica tornasse in sé e le spiegasse cosa fosse accaduto per renderla così euforica.

“Richard Richard Richard” si voltò la ragazza precipitandosi sul sofà ridendo sonoramente,Miriam si grattò la nuca e sbadigliò forte,

“Si può sapere chi è questo Richard per ridurti così?”

Eva prese le mani dell'amica e la guardò intensamente,accorgendosi in quel momento del suo vero stato di pura e semplice gioia,

“sono felice Miriam,così tanto credo di non esserlo mai stata”.

Miriam guardò stupita la ragazza di fronte a sé,aveva detto quelle parole con tale intensità che non se l'aspettava e incuriosita da ciò che poteva esserle accaduto scacciò il sonno e si accomodò meglio,pronta per farsi raccontare tutto quello che poteva esserle accaduto in una serata. Eva le raccontò tutto con grande trasporto,muovendo convulsamente le mani per enfatizzare i fatti e,a volte,imitando addirittura il suo stato d'animo triste e sconsolata mentre era sulla metro per tornare al pub e di come,invece,la sorpresa di ritrovarselo davanti ad aspettarla l'avesse del tutto ridestata da quel triste torpore.

“Mi ha trovata Mir,ti rendi conto? Ci siamo pensati così tanto dopo quell'incontro in caffetteria che temevo di impazzire e mi dispiaceva così tanto non poterlo rivedere più. È come se sentissi che lui centrasse qualcosa con me...e lo stesso ha percepito anche lui,non si è arreso,per quanto può sembrare folle e insensato il suo gesto”.

Eva riprese fiato,raccontare così intensamente quella vicenda l'aveva lasciata senza fiato,come se avesse appena fatto una lunga corsa. Miriam capì al volo il perché l'amica si sentiva così felice e come se ne fosse stata contagiata anche lei iniziò a ridere e si catapultò su di Eva che mai come in quel momento stava amando gli abbracci.

“Si può morire di gioia Mir? Perché io temo di si ma vorrei arrivare a domani”.

Risero di nuovo insieme a quelle parole,rimanendo per qualche minuto in silenzio con i volti rossi per tutto quel calore che sentivano dentro.

“Non ho nulla da mettermi,oh no sembrerò uno spaventapasseri domani mattina”,quel semplice pensiero la preoccupò subito,voleva essere al meglio per quell'incontro,così con cipiglio serio cominciò a pensare mentalmente al suo guardaroba. Miriam alzò gli occhi al cielo senza parole

“Ti è venuto a cercare per tutta Londra,sai cosa gli importa di ciò che indossi,smettila di fare la scema e vai a dormire”.

Eva annuì sentendosi un po stanca quel quella pazza giornata ma l'adrenalina ancora le scorreva veloce nel corpo. Si diedero la buona notte e ognuna andò nella sua stanza,Miriam crollò come un sasso con l'immagine nella mente dell'amica che salterellava per la casa e sorrise lievemente prima di addormentarsi. Eva,invece,rimase a fissare il soffitto per un po e come riportata alla realtà si alzò di scatto ricordandosi di dover inviare un sms a Richard per avvisarlo del suo ritorno a casa. Erano le 3.00 e temeva di svegliarlo e mai come in quel momento scrisse e cancello in testo del messaggio almeno 10 volte,alcuni erano troppo seri,altri troppo stupidi e altri ancora troppo smielati,insomma una via di mezzo proprio non la riusciva a trovare. Fece un sospiro profondo e senza pensarci troppo gli inviò la prima cosa che la sua mente elaborò,non volendo far passare troppo tempo.

SMS

EVA: “Scusami per l'orario,spero di non svegliarti ma volevo avvertirti di essere tornata a casa”.

 

Morfeo proprio non si degnava di fargli visita quella notte ma poco gli importava,in quel momento la sua testa era troppo impegnata a ricordare gli eventi di quella settimana e più ci pensava e più ne rimaneva stupito,di sicuro quella sensazione così strana e trascinante era qualcosa di inspiegabile che li aveva coinvolti entrambi e quell'incontro così improbabile,in quel momento a Richard,gli sembrò quasi voluto da un Fato benevolo,da un burattinaio che muoveva dei fili invisibili. Si girò e rigirò nel letto con la consapevolezza che non avrebbe chiuso occhio,prese il cellulare che era sul comodino e controllò che se fosse arrivato un sms da Eva ma nulla. Non aveva nemmeno fatto in tempo a riposare l'iphone,però,che un suono lo avvertì dell'arrivo di un messaggio.

SMS

RICHARD: “Partendo dal presupposto che sarei stato felice di essere svegliato da te ma non stavo dormendo,ti pensavo e aspettavo che tornassi dal lavoro. Non tardare domani,anche perché adesso hai capito che ti troverei.

Notte”.

 

Il cellulare di Eva si illuminò pochi minuti dopo (anche se le sembrarono interminabili) e subito il suo cuore mancò un battito nel leggere quelle parole.

SMS

EVA: “A proposito,grazie per avermi trovata. Notte”.

 

Richard rimase per tutto il tempo dell'attesa con il cellulare in mano e non appena si illuminò andò subito a leggere il contenuto del testo,sorridendo felice per quelle parole,stava quasi per risponderle ma cambiò idea,cancellò il messaggio e posò il cellulare cercando di addormentarsi.

Aveva dormito si e no 2 ore ma non si sentiva stanca,quella sensazione di euforia non la lasciava ed Eva quella mattina salutò il mondo felice e briosa come non mai. Si preparò minuziosamente,impiegandoci così tanto tempo da mettere spavento dato che era sempre stata una ragazza abbastanza veloce ma quel giorno non voleva lasciare nulla al caso. Optò per qualcosa di semplice ma casual,gonna a vita alta che le metteva in risalto la sua vita sottile,calze doppie nere,lo stivale fino alla caviglia con il plateau altissimo (era obbligatorio data l'altezza sconvolgente di Richard) e maglietta con manica a ¾ con una bellissima Marilyn Monroe tatuata. Era pronta da un pezzo ma non si decideva ad uscire di casa,tutti i dubbi del mondo l'assalirono

“Cosa gli dirò? Se rimanesse deluso e non ne volesse più sapere di me? Se ci fossero quegli odiosi silenzi imbarazzanti cosa dovrei fare?”. La sua mente rimbombava al suono di quelle domande e ci volle tutta la forza del mondo per farla uscire fuori di casa e ancora di più per farle muovere i piedi che le sembravano pesanti come macigni.

 

Lo sapeva,all'appuntamento mancava ancora più di un'ora ma la casa lo soffocava e non aveva più la pazienza di aspettare,così Richard si era precipitato per strada come un fulmine cercando di scaricare la tensione facendo una tranquilla passeggiata ma non era servita a nulla.,anzi,se possibile lo aveva ancora di più messo in agitazione e così a passo di carica si era precipitato allo Starbucks,assicurandosi anche di occupare il “loro” tavolo. Si muoveva su quella sedia come se ci fossero i tizzoni ardenti,non trovando mai una posizione,guardava l'orologio con la paura che lei non si presentasse e alla fine cercò di respirare il più profondamente possibile per calmarsi.

 

Ansia,pura ansia,ecco cosa le scorreva nelle vene. Per tutto il tragitto non era riuscita a rilassarsi,dato che la paura di non trovarlo nella caffetteria l'aveva paralizzata e osservando il cellulare alla ricerca di una chiamata o di un sms che cancellava il loro incontro. Gli ultimi passi furono i più difficili,il cuore rischiava di uscirle dal petto e le gambe erano pesanti come tronchi,già si sentiva sul volto i segni della preoccupazione e pensò che uno spaventapasseri,in quel momento,sarebbe stato in condizioni più decenti di lei.

 

La porta del locale si aprì:

“LUI è qui”

“LEI è arrivata”

pensarono entrambi sollevati.

 

I volti dei due si rilassarono visibilmente,Richard ricominciò a respirare regolarmente e il passo di Eva tornò leggero come sempre. Si andarono incontro e si strinsero in un abbraccio,i loro profumi di mescolarono dolcemente,quello di lui così intenso contrastava perfettamente con quello dolce di lei. Non si staccarono subito e si guardavano sorridendo come bambini la notte di Natale,felici di trovarsi insieme.

 

Fecero le loro ordinazioni e spinti un po dalla fame e un po dalla gola,Richard ordinò dei fumanti pancake sommersi dallo sciroppo d'acero,mentre Eva optò per un dolce al limone. Di solito si vergognava a mangiare davanti degli estranei ma per lei Richard non lo era mai stato,con lui si sentiva a suo agio. Iniziarono a parlare del più e del meno,Eva gli raccontò della sua folle idea di trasferisrsi a Londra (ma non seppe nemmeno lei il perché,non gli disse della durata limitata del suo soggiorno,quella piccola clausola che le imponeva di far ritorno a casa dopo un anno). Parlarono e scherzarono e alla fine si ritrovarono a mangiare ognuno il dolce dell'altro,ridendo per quel gesto così insolito da parte loro,

“Credo proprio che lo dovremmo far diventare una nostra consuetudine,prendere dolci diversi e poi mangiare ognuno ciò che ha ordinato l'altro”. Eva lo guardò con la bocca piena cercando di trattenere una risata,in quel momento Richard divenne rosso dall'imbarazzo e puntò gli occhi nel piatto,non avendo il coraggio di guardarla,

“Almeno a me è sembrata un'idea carina”.

Eva inghiotti il boccone velocemente,desiderosa di rassicurarlo e dolcemente gli strinse entrambe le braccia intorno al suo braccio destro e vi poggiò delicatamente la testa sopra,

“Hai avuto una splendida idea”.

Il tono di lei era un misto tra il commosso e l'estasiato,era un gesto così semplice ma fatto da una persona che fin da subito si era rivelata diversa dalle altre,acquistava un sapore del tutto speciale. Richard le sfiorò delicatamente la testa con le labbra e fece un profondo sospirò,la fece girare e si guardarono seri e silenziosi. Uscirono dalla caffetteria e si diressero a Westmister,il tempo era grigio ma fortunatamente non accennava a piovere,passeggiarono tranquillamente,ognuno stretto tra le braccia dell'altro e per la prima volta Eva capì cosa significasse sentirsi protetta. Richard non faceva altro che stringerla a sé,lei che era così piccola e delicata,quasi la volesse difendere da tutto e tutti,con l'unico scopo di vederla felice. Salirono sulla London Eye e si misero a guardare il panorama immersi in quella bolla di pace,

“Questa notte non ho chiuso occhio,non facevo altro che pensarti”, Eva fu riportata sulla terra al suono di quella voce che in quel momento era bassa e un po roca,gli prese la mano,che a paragone con la sua era così grande,e gliela strinse forte,

“Anche io non ho dormito quasi per niente,contavo le ore che mancavano a questa giornata e cercavo di non farmi prendere dall'emozione ma non ci sono riuscita molto”. Risero entrambi capendo al volo quella sensazione.

“Cosa mi stai facendo Eva? Sembra come che io da ieri sera non ci stia capendo più nulla di ciò che mi circonda,riesco solo a concentrarmi su di te...ed è così strano tutto questo,così nuovo,inaspettato che nemmeno io riesco a spiegare”.

Eva rimase un po' interdetta da quelle parole,non sapeva come interpretarle,doveva essere felice o no? Richard la fissò aspettando una sua risposta,la fronte di lei si corrugò e lui le fece alzare il viso ora un po imbronciato e con gli occhi (quegli splendidi occhi) quasi le chiese cosa avesse.

“Dovrei preoccuparmi per questo..?è così brutto?”. Si maledisse mille volte se le era sembrato interdetto da quella sensazione e l'avvolse letteralmente nel suo abbraccio stringendola forte,la guardò sorridendo e le accarezzò la guancia,

“No assolutamente,non volevo darti un'idea sbagliata,era per farti capire che non mi era mai capitato,anzi non credevo nemmeno che esistesse una cosa del genere,perciò grazie”.

La strinse ancora di più a sé sorridendo felice e notando le le tre ragazze asiatiche (turiste) li guardavano sorridendogli e per la prima volta Richard non si vergognò.

“E poi volevo dirti ancora una cosa,questa notte stavo per scrivertela ma ho preferito aspettare...Grazie a te per esserti fatta trovare,ti ritroverò sempre ricordatelo”. Entrambi si guardarono intensamente,mentre i loro corpi assorbivano quelle parole e impercettibilmente i loro volti si avvicinarono,i loro respiri di fusero e le loro labbra si unirono. Richard le circondò il volto con le mani,quasi non volendosi più staccare;mentre Eva si ritrovò persa in una serie di emozioni e di pensieri,

“Come sono morbide le sue labbra,sembrano combaciare con le mie...io non voglio più baciare altre labbra al di fuori di quelle di Richard”.

 

 

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE

Buon pomeriggio amici,chiedo perdono in ginocchio per l'eccessivo ritardo ma la sessione invernale mi sta uccidendo e in più al giornale non mi danno tregua.

 

Tornando a noi,finalmente Richard ed Eva sono usciti e i due sembra come se si comportino come una coppia collaudata che si conosce da tempo,lasciandosi trasportare da manifestazioni d'affetto,quando entrambi non sono così eccessivamente espansivi. Il Richrd dolce e premuroso mi fa sciogliere e la Eva ansiosa e un po bambina mi fa diventare un po tenera ma ATTENZIONE fate particolare attenzione a una cosa importante che io ho scritto tra parentesi (e ditemi,ovviamente quale è). il fatto del mangiare ognuno la metà del dolce dell'altro è una cosa che a me piace così tanto (oggi sono troppo tenera),me li immagino seduti stretti stretti che ridendo e scherzando si scambiano i piatti e assaggiano i dolci (con tutta una serie di:buono/no,meglio il mio/Richard non prenderlo più non mi piace/ne prendiamo un altro piatto?) ehehe. Ringrazio chi legge e chi lascia recensioni,fatevi sentire per farmi sapere cosa ne pensate,alla prossima baci :)

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Capitolo 6
*** Teatro ***


Adesso mi dimostri come sei stata crudele,crudele e falsa. Perché mi

hai disprezzato? Perché hai tradito il tuo stesso cuore,Catherine? Io non ho una parola di conforto per te: tu hai quello che ti meriti. Ti sei uccisa da te stessa. Sì,tu puoi baciarmi, e piangere,puoi strapparmi lacrime e baci: essi ti arderanno,ti danneranno. Tu ami amavi: che diritto avevi,allora,di lasciarmi? Che diritto,rispondimi,di sacrificarmi al tuo miserabile capriccio per Linton? Mentre né la miseria,né la degradazione,né la morte,nulla di tutto quel che Dio e Satana potevano infliggerci,ci avrebbe separato,tu,di tua piena volontà hai fatto ciò. Non io ti ho spezzato il cuore,ma tu stessa: e il mio col tuo. Tanto peggio per me se sono forte. Ho forse bisogno di vivere? Che razza di vita sarà la mia quando tu...oh,Dio! Vorresti tu forse vivere con l'anima tua nella tomba?”

Cime Tempestose,Emily Bronte

 

 

Eva chiuse la porta e assaporò immediatamente il calore della casa,Novembre stava terminando e il vento freddo che aveva soffiato nella capitale britannica l'aveva accompagnata per l'intera giornata. Sospirò rilassata,finalmente un po di riposo,aveva trascorso l'intera giornata a scrivere articoli per il giornale ed era stata in ansia in attesa del risultato del test finale del corso di lingua inglese. Si allontanò dalla finestra,ormai era diventata una sua personale consuetudine sbirciare fuori non appena rientrava,e pian pian cominciò a spogliarsi da quel pesante cappotto e dalla sua immancabile sciarpa,slacciò la zip degli stivali e li lasciò cadere sul pavimento,rimanendo a piedi scalzi. Le era mancata la sensazione di sentire il parquet sotto il piede avvolto nella calza e,come se fosse una bambina,approfittando del pavimento lisciò strofinò i piedi per terra fingendo di pattinare. Questo gesto la fece sghignazzare e in un attimo si sentì leggera grazie a quel gesto così semplice e infantile.Una volta arrivata in cucina si riempì la tazza con del thè fumante e lì,nel silenzio di quella casa (così pacifica quando Miriam non c'era...e le mancava) Eva fece un breve conto di quanto la sua vita,da lineare,pianificata e anche prevedibile,le stava regalando continue novità; la vita in Italia le sembrava lontana anni luci,avvolta in un alone di opacità e di grigiore,capitava spesso che doveva concentrarsi intensamente per richiamare alla mente fatti avvenuti quando si trovava a casa sua e che erano avvenuti non molto tempo prima,come se la sua mente stesse resettando (o cancellando) quell'esistenza,come se si rifiutasse di accettare persino che ci sia mai stata;mentre il benessere e la familiarità che provava in quella nuova città la facevano sentire viva,come se quel posto le fosse sempre appartenuto,oppure che lei fosse sempre appartenuta a Londra. Pensò e ripensò,sempre con il sorriso sulle labbra,tutto lì era una novità,un cambiamento continuo e ciò che le stava accadendo ne era la prova tangibile.Un giorno,infatti,quasi per caso aveva letto su di un piccolo giornale locale che si cercavano giornalisti,anche con esperienza minima (lei in verità di esperienza non ne aveva nessuna) e anche se tra mille perplessità e dubbi l'indomani si era recata nella piccola sede del giornale ubicata quasi alla periferia della città e anche se le pareti giallo chiaro dell'edificio e il poco riscaldamento non la convincevano eccessivamente lei stoicamente rimase seduta su quella sedia,nel piccolo corridoio (cercando di reprimere il desiderio di avere il “suo Richard” affianco a sé per tranquillizzarla),attendendo che fosse il suo turno. Rupert Green,il direttore del giornale,era un uomo alto e dalla corporatura eccessivamente esile,il naso aquilino e non appena Eva chiuse la porta dietro di sé e lo vide pensò che qualsiasi indumento egli avesse indossato,anche il più bello,sarebbe sempre sembrato uno spaventapasseri. L'uomo esaminò la licenza di laurea (che diligentemente la ragazza aveva portato con sé),tutti i suoi attestati di lingua che aveva preso in Italia e all'estero,con una lettera di raccomandazione della sua insegnante britannica. Mr.Green esaminò tutto silenziosamente,con sguardo attento e leggermente severo,non degnando mai la ragazza di un'occhiata e nella stanza l'unica cosa che si poteva udire era il respirò pesante di lei,che per quanto cercasse di calmarsi otteneva solamente il risultato opposto,tanto che la pelle sulle nocche le era diventata bianca per quanto ella teneva la mano chiusa.

 

“Lei non ha la minima esperienza di come si scrive un articolo..”

 

Mr.Green aveva detto quella frase alzando scetticamente un sopracciglio e il tono della voce era un misto tra l'annoiato e lo stufo (segno di chi in quei giorni aveva letto e riletto curriculum e referenze di tantissime persone),una tonalità che diede subito fastidio ad Eva,che risvegliata da quel torpore di paura si accorse di avere le spalle curve,facendo trasparire così tutta la sua ansia. Rilassò le mani,ormai martoriate e si eresse in tutta la sua altezza,fissando con aria di sfida il direttore.

 

“Non avrò esperienza,questo è vero ma è vera anche un'altra cosa..IO imparo molto facilmente e di sicuro una seconda volta l'argomento non mi si deve spiegare”.

 

A quel ricordo accaduto solo pochi giorni fa, ora che Eva si trovava seduta sulla sedia della cucina ne rideva ma in quel momento l'astio verso quell'uomo era tangibile e il suo cervello non riusciva a filtrare le parole che le uscivano dalla bocca. L'interrogatorio fu lungo e devastante (tanto che quando terminò si sentiva realmente stanca) e l'attesa sull'esito di quell'incontro non l'aiutarono a rilassarsi ma quel giorno il fato era stato dalla sua parte e a fine giornata Rupert Green in persona le aveva mandato una mail di conferma del lavoro,dandole appuntamento il giorno dopo per la firma delle carte e di come si svolgeva il tutto.

 

La ragazza terminò il thè e mise la tazza nel lavello,controllò l'orologio e poi si diede una controllata allo specchio per vedere in che stato fosse.

 

“Complimenti Eva,come sempre uno stato pessimo,occhiaie così non me le vedevo dai tempi degli esami di diritto. La prossima volta invece del thè mi dovrò fare un caffè dello studente per darmi una svegliata”.

 

Si lamentò per qualche altro minuto e alla fine decise di andarsi a dare una sistemata per l'arrivo di Richard,in quei giorni non si erano visti molto e anche se voleva sbrigarsela da sola il giorno del colloquio avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo vicino a se,per sentire la sua mano calda intrecciata alla sua,il profumo di lui fresco che le dava sicurezza e per vedere il suo sorriso d'incoraggiamento e quegli occhi brillanti mentre lei chiudeva la porta per discutere “di affari”. Si fermò per un attimo a quel pensiero e sorrise dolcemente a quell'immagine e sentì improvvisamente lo stomaco chiudersi ancora di più per la mancanza di Richard ma non fece nemmeno in tempo di pensarlo che suonarono alla porta. Maledì mentalmente chiunque fosse a disturbarla prima del suo restyling intensivo e con i piedi scalzi e i capelli legati malamente aprì la porta.

 

Da diversi giorni non vedeva Eva per bene,era stato molto impegnato con la fine dello spettacolo e le prove gli avevano tolto ogni minuto libero,tanto che per vederla scappava durante la pausa pranzo per dirigersi da lei a locale. Le mancava,le mancava immensamente,da quando l'aveva conosciuta tutto aveva un sapore nuovo,come se vedesse il mondo per la prima volta e si accorse che in tutto ciò che lo circondava cercava sempre qualcosa che ad Eva potesse piacere o meno,si immaginava (quando non era con lei) di fare lunghe chiacchierate,oppure ridendo ricordava le centinaia di espressioni che la fidanzata (perché per lui da subito fu così) faceva inconsciamente,tutte così tenere e un po buffe che gli facevano stringere il cuore. Uscì dal teatro con il nuovo copione stretto in pugno e a passo svelto si era incamminato verso la metro. Seduto sul sedile,mentre il vagone si muoveva,mai come in quel momento gli sembrava che il mezzo andasse lentissimo,come se ci fosse una molla che lo tirasse indietro e a ogni fermata gli sembrava che le porte rimanessero aperte per troppo tempo. Ad ogni passo che lo avvicinava all'appartamento di lei si immaginava il contatto caldo e rassicurante del suo abbraccio,quel corpo così piccolo che lui adorava avvolgere nel suo e a cui aderiva perfettamente. Un corpo,una voce e un profumo che per lui sapevano di casa.

 

Non aveva nemmeno fatto in tempo ad aprire la porta che un uragano altro il doppio di lei,dalla voce inconfondibile e dal profumo penetrante la travolse alzandola di molti centimetri da terra. Ad Eva non gli servì nemmeno guardarlo negli occhi,le sue braccia gli si strinsero meccanicamente intorno al collo assaporando finalmente quel contatto che tanto le era mancato. Ancora avvinghiata a lui e sospesa da terra i due innamorati si guardarono negli occhi raggianti e sorridenti come se fossero stati bambini il giorno del proprio compleanno. Si baciarono sulla soglia della porta di casa,fregandosene se qualcuno li avesse visti e sentendo quelle morbide labbra toccarsi,sfiorarsi,poi allontanarsi per poi rifiondarsi su quella bocca,come fossero state due prede.

 

Quando si staccarono erano entrambi senza fiato,Eva dovette tenersi al braccio di lui per non cadere per terra tanto la testa le girava dalla gioia. Richard ridette sotto i baffi dandole uno sbuffetto sulla guancia ed entrambi si raggomitolarono sul divano,sotto quella tremenda coperta di lana tutta colorata.

 

“Mi hai lasciata tutti questi giorni da sola”

Eva finse il muso e incrociò le braccia con aria offesa,lì per lì Richard era sbiancato,credendo veramente che la ragazza fosse arrabbiata ma lei non era una grande attrice e non riuscì a trattenere più di tanto le labbra ferme per non ridere.

 

Così anche Richard iniziò il gioco

“Lo so,lo so ma sai come è la vita dell'attore? Mille impegni e molte ammiratrici...”

 

Pausa...Pausa...Pausa (intanto le orecchie di Eva si erano tese per capire dal tono di voce di lui se scherzasse o meno)

 

“E infatti proprio ieri sera alla fine dello spettacolo sono andato a cena con una ragazza che era nel pubblico”

 

L'attore non riuscì nemmeno a finire la frase che si ritrovò afferrato per la maglietta e spinto addosso alla spalliera del divano

 

“Ah si Armitage? E chi sarebbe lei? Non sa che sei MIO?”

Amava vederla ingelosire,era un modo per sentirsi rassicurato del suo amore. Rise a voce alta e la strinse a sé

“Tuo,sono irrimediabilmente e perdutaamente TUO”.

 

Dopo gli scherzi i due cominciarono a parlare del proprio lavoro, Richard non era eccessivamente entusiasta nel nuovo lavoro al giornale di lei,troppi uomini e lì non poteva tenerla d'occhio come al locale ma cercava di non farglielo troppo pesare,amava vederla parlare di articoli e interviste con tanto entusiasmo.

 

“Cosa hai amore,perché quell'espressione indecisa quando ti ho chiesto del nuovo ingaggio?”

Richard storse un po la bocca e raccolse da terra il copione un po stropicciato e lo fece cadere senza alcuna cura sul divano (un atteggiamento che non era assolutamente da lui).

 

“Cime Tempestose...ecco quale dovrebbe essere il mio nuovo lavoro. La storia d'amore più incomprensibile e senza senso che sia mai stata scritta”.

Disse quelle parole con tale convinzione da sembrare irremovibile ma Eva non lo stava nemmeno ad ascoltare,prese il copione con tanto tatto che sembrava avesse trovato un'importantissima reliquia; conosceva quel libro,Dio se lo conosceva,aveva perso il conto per tutte le volte che lo aveva letto,sottolineato ogni frase e nella sua più ingenua adolescenza sognato di incontrare un uomo come Heathcliff.

 

La ragazza senza dire una parola corse nella sua stanza e frugando nella valigia trovò la sua vecchia copia dalla copertina usurata.

 

In ogni nuvola,in ogni albero,nell'aria della notte e nell'aspetto di ogni oggetto durante il giorno,io sono circondato dalla sua immagine. I più comuni visi di donna o uomo,i miei stessi lineamenti si prendono gioco di me con il loro ricordarla. Il mondo intero è per me un'immensa collezione di cimeli che mi ricordano che lei è esistita e che io l'ho persa.”

 

Eva fece un sospiro trasognante ma Richard rimaneva scettico con le braccia incrociate mentre squoteva la testa.

 

“Armitage non dirmi che non lo hai mai letto? L'amore tra Catherine ed Haethcliff è puro,vero,cattivo e autentico...i due sono resi folli da questo sentimento che li brucia,li divora ma entrambi preferirebbero azzannarsi che ammetterlo e tirare su bandiera bianca. Sono così masochisti l'uno con l'altro che forse è proprio questo farsi male a vicenda che li unisce”. Eva rise per quella spiegazione ma Richard rimase imassibile.

“leggilo e poi magari cambierai idea”

“Mh si,ci penserò”

“Bugia Richard,ormai te le riconosco”.

Lui fece un sorrisetto di chi era stato appena preso con le mani nella marmellata e con un gesto rapido la riprese sul divano per reclamare quelle labbra che in quei giorni gli erano tanto mancate.

 

L'argomento fu abbandonato,non si parlò più né di articoli né di teatro ma si cominciarono a rilassare come una normalissima coppia,guardando la tv e sonnecchiando un po sul divano; Richard infatti era crollato e il suo respiro rilassato fece intenerire Eva che comprese quanto fosse stanco il compagno e così decise di spegnere la Tv,coprirlo per bene e lasciargli tutto lo spazio disponibile mentre lei iniziò a fare una cosa che non faceva da parecchio tempo,cucinare per la persona che amava. Mentre prendeva dal frigorifero gli ingredienti le venne per un attimo alla mente l'ultima volta che lo aveva fatto,per un attimo la sua mente si allontanò da quell'appartamento nel quartiere di Soho e si ritrovò a diversi anni prima,in una lei dai capelli più corti,con abiti estivi,in una calda sera di Agosto...non appena la sua memoria stava per riportare a galla i particolari Eva tornò in sé e se ne allontanò. Sospirò profondamente mentre i suoi occhi ripresero contatto con la realtà e guardò la sagoma distesa sul divano e automaticamente sorrise rassicurata,Richard per lei stava a significare un nuovo inizio,stava a significare che non era arida di sentimenti (come le era stato rimproverato) ma solamente che lui vedeva in lei il tutto dove gli altri vedevano il niente e che ogni suo gesto per lui era il più bello. Anche per lei c'era speranza,lei che già si immaginava a rimanere a vita sola e a impararsi a bastare,ad essere forte nonostante le situazioni,ora,invece,c'era qualcuno che la voleva con sé a tutti i costi.

 

Era ancora con gli occhi chiusi,in quell'attimo che divide il sonno dal dormiveglia e infine dall'essere piacevolmente svegli. Non sapeva quanto aveva dormito ma si sentiva finalmente riposato ma subito aveva notato l'assenza di quel piccolo corpo che gli si rannicchiava addosso. Per qualche secondo combattè tra il desiderio di rimanere ancora avvolto in quel calore e il voler andare a vedere dove fosse Eva ma all'improvviso l'odore di buon cibo lo fece svegliare del tutto. Si mise seduto sul sofà stropicciandosi gli occhi e cercando di sistemare al meglio i capelli e con passo felpato si diresse in cucina e tra i meravigliosi profumi una piccola ragazza con i piedi scalzi armeggiava con mano esperta con una padella,assaggiando,aggiustando di sale e mescolando,non l'aveva mai vista così,non se l'era mai immaginata alle prese con i fornelli ma gli piacque,qualcosa in quella semplicità lo stava stregando,qualcosa che nemmeno lui sapeva spiegarsi,l'unica cosa certa era che dietro l'aria da ragazza Eva aveva molto di più,aveva qualcosa che a lui mancava e che lei possedeva ed era proprio quel particolare che lo attirava a lei come fosse stato una calamita. Sempre facendo silenzio si mise dietro di lei e le avvolse la vita,immergendo il viso nell'incavo del suo collo e dandole un lieve bacio. La sentì ridere leggermente,la barba le faceva il solletico e poi sospirare soddisfatta mentre strofinava la sua guancia sui capelli di lui.

 

Una cosa era sicura a Richard Armitage non mancava l'appetito e lo stava dimostrando a pieno mentre gustava la seconda porzione di ciò che Eva aveva preparato. Stavano finendo la cena quando il cellulare di lei cominciò a squillare. Trafficò nella borsa e alla fine trovò l'iphone che squillava incessantemente. La vista del nome (in quel momento) non le piacque e scusandosi si allontanò chiudendosi in camera di Miriam.

 

“Ciao papà,come va?”

“Sto bene,sono tornato qualche ora fa da Tokyo e volevo sentire come stavi”,nel tono del padre c'era un po di malinconia mal celata e questo fece stringere il cuore ad Eva. Gli raccontò degli ultimi giorni,di come procedeva il lavoro al pub e cosa più importante che aveva cominciato a scrivere per un piccolo giornale locale.

“Veramente?e senza esperienza alcuna ci stai riuscendo? Complimenti Eva sono veramente felice e fiero di te”.

Fiero di lei?quella frase non gliel'aveva mai detta,nemmeno il giorno della sua laurea e questo quasi la commosse e la imbarazzò

“Grazie papà” e cominciò a toccarsi i capelli come quando si trovava in imbarazzo.

“Sei a casa con Miriam?” quella frase la mise un po in allarme e guardò la porta con ansia,sperando che Richard non entrasse proprio in quel momento.

“Si sono a casa ma sono sola,Miriam è stata chiamata per scattare delle foto. Io ho appena finito di mangiarmi un panino e mi metto a letto,sono stanca”.

“Bene allora,non ti trattengo,vai a riposare,ci sentiamo domani,buona notte amore”. Sorrise a quella parola ma si sentì un po in colpa per quella bugia

“Buona notte papà”.

Rimase un attimo nella camera a chiedersi il perché di quella menzogna detta e alla fine uscì,cercando di mascherare il suo umore.

 

“Scusa se ci ho messo molto,era mio padre”,disse quella frase cercando di non dargli importanza.

“Me lo hai salutato?”,Richard l'aveva detto con un grande sorriso sulle labbra,nel modo più ingenuo possibile ma ad Eva il cuore le si bloccò.

“Ah perdonami,presa dal desiderio di raccontargli del giornale mi è passato di mente”,quanto le uscivano bene le bugie quel giorno.

L'uomo scosse la testa come per rimprovero

“La prossima volta salutamelo,non voglio che pensi che sono un maleducato”. Eva mosse come una bambola a molla la testa,non trovando le parole.

 

I giorni passavano veloci,i suoi pezzi piacevano al “Capo” e anche ai suoi nuovi colleghi,con la quale la ragazza fece subito amicizia (anche se era un rapporto del tutto diverso da quello che aveva con i suoi amici al locale).

 

Stava finendo di sistemare un articolo quando Mary,una ragazza sulla trentina l'avvertì che Mr.Green la voleva nel suo ufficio. Non aveva nemmeno chiuso la porta che subito arrivarono le domande (come sempre)..

 

“Questa sera è impegnata?”

Eva per un attimo sbarrò gli occhi e non seppè come interpetare quella domanda.

“C'è uno spettacolo teatrale,l'ultima a quanto ho sentito e sta avendo un notevole successo,perciò vada,intervisti tutti gli attori che può e faccia l'articolo”.

 

Si presentò a teatro un momento prima della chiusura delle porte e cercando di non farsi notare si mise seduta su quella poltroncina rossa cercando di mimetizzarsi tra il resto del pubblico e risultare il più professionale possibile.

 

Non lo aveva mai visto recitare,non gli aveva mai chiesto di poterlo andare a vedere,non voleva imbarazzarlo ma mentre lo spettacolo procedeva Eva rimasse sbalordita dalla bravura di Richard,notando come fosse in sintonia con quel palco,come conoscesse bene non solo le battute ma lo stesso personaggio che interpretava e alla fine la giovane giornalista si ritrovò ad essere trasportata dal ritmo della storia da non sentire più che ricopriva né il ruolo di giornalista né quello di fidanzata ma di semplice spettatrice desiderosa che quello spettacolo non terminasse.

 

Il tempo volò,ci furono scene che la fecero rimanere con il fiato sospeso fino alla fine e altre che la fecero commuovere tanto erano intense,una volta aveva letto che il teatro o lo si amo o lo si odia,ma quando lo si amo è per tutta la vita e in quel momento,con quelle emozioni che le erano state trasmesse comprese a pieno quella frase.

 

Le luci del teatro da soffuse quali erano si fecero vive,lo spettacolo era terminato e già tra la folla il brusio era molto,Eva udiva perfettamente ciò che il pubblico diceva: “Hai visto quel pezzo lì,si proprio quello,è stato recitato alla perfezione -oppure- mio Dio che odio quel personaggio,sarei voluta salire sul palco per dirgliene quattro”. Ovviamente non mancarono gli apprezzamenti sul personaggio principale, “Che voce,così profonda da darti i brividi”, Eva a quelle parole sorrideva soddisfatta e sicura di sé,lì nessuno lo sapeva ma quella voce era solamente sua. Ma fu proprio quel particolare che la riportò alla realtà,l'intervista...ed ecco l'ansia (ormai familiare),il cuore battere troppo forte,le gambe pesanti e il non trovare mai la forza e il momento giusto per alzarsi e fare quelle maledette domande.

 

Il sipario si aprì nuovamente e gli attori erano già lì,tutti vicini,pronti per il saluto finale al loro numeroso pubblico. L'aveva notata,da subito,dalla prima scena Richard l'aveva vista,lei che cercava di non guardarlo nemmeno direttamente negli occhi,lei così un po imbarazzata ma poi l'attore che è in lui era uscito fuori e si era immedesimato completamente con il suo personaggio,dimenticandosi quasi della platea sottostante;ma ora che tutto era finito lui poteva ritornare a guardarla,così orgogliosa mentre lo applaudiva.

 

Il regista ringraziò il pubblico,gli attori,lo staff e tutti i collaboratori,

“Forza Eva ora devi alzarti e andare...avanti coniglio un po di coraggio”.

 

E senza pensarci su le sue gambe la misero in piedi e senza che se ne accorgesse i suoi piedi la condussero sugli scalini per salire sul palco,gli spettatori la guardavano chiedendosi cosa stesse facendo

“Respira,ricordati di respirare”.

 

Si presentò al regista cercando di farsi uscire la voce dalla bocca e assumendo l'aspetto più cordiale ma al tempo stesso distaccato che era possibile,non erano le domande al regista che la preoccupavano,no di certo. Ma alla fine non si può rimandare l'inevitabile.

 

Si avvicinò a quell'alta figura che aveva un sorriso raggiante a stento trattenuto,Richard era euforico,lo spettacolo era andato benissimo,avevano fatto il tutto esaurito e lei lo aveva visto recitare,non poteva chiedere di più.

 

Eva gli si avvicinò con calma,tenendo il registratore nella mano destra e assunse un aspetto cordiale ma professionale.

“Buona sera Signor Armitage (che strano dare del lei al proprio fidanzato),volevo farle alcune domande riguardo il suo personaggio,che oltre ad essere quello principale è anche quello più oscuro,contraddittorio e a volte non si capisce se sia un personaggio positivo o negativo,lei come si è trovato ad immedesimarsi in esso e quanto la rispecchia?”. Eva si fece i complimenti da sola per quella domanda detta con tanta sicurezza,nessun eccessivo trasporto emotivo,solamente sicurezza mista a cordialità “Vai così tigre”.

 

Ma non fece in tempo a finire di adularsi da sola che avvenne la cosa che mai avrebbe immaginato,Richard l'attirò a sé con tanta forza e velocità che la ragazza si accorse solamente mentre si stava svolgendo l'azione cosa stava accadendo. Infatti su quel palco,davanti non solo al pubblico ma a tutti gli attori e al regista,lui la stava baciando con intensità,con una mano stretta intorno alla vita e l'altra che le accarezzava il viso. Quando il bacio si concluse tutti intorno a loro erano rimasti ammutoliti,nessuno se lo immaginava mentre Richard rideva soddisfatto e felice come se avesse fatto la cosa più naturale del mondo.

 

“Mi fido perfettamente della tua critica. Ci vediamo più tardi” e con un occhiolino un po malandrino e un sorriso sghembo si dileguò,lasciando una povera Eva rossa dall'imbarazzo e un po impacciata mentre scendeva le scale ma felice per quel gesto.

 

Ma infondo lui non aveva fatto nulla di strano,aveva fatto veramente la cosa più normale del mondo,baciare la ragazza di cui era innamorato.

 

 

 

 

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE

Io non so come chiedere perdono,se camminando in ginocchio sui ceci o ballare sulle braci bollenti ma SCUSATEMI per l'eccessivo ritardo. Non inventerò cavolate,avevo le idee ma non l'ispirazione per scriverle,poi però stamattina proprio mentre studiavo TADANNNNN,eccola che è arrivata e così ho accantonato tutti i libri (ma si tanto sono solo gli ultimi esami prima della laurea che sarà mai) e mi sono messa a scrivere.

 

Allora cosa ne pensate? Ho voluto descrivere un po il quotidiano di una coppia normale ma non voglio che la mia protagonista sia piatta,non voglio che sia una paladina della giustizia e per questo vi insinuo un dubbio,perchè ha mentito al padre e fatto credere a Richard che in famiglia tutti sapessero di lui? Non vi verrebbe voglia,vista da questa angolazione,di prenderla a picconate? A me si ahahahha

 

comunque non ho altro da aggiungere,fatemi sapere cosa ne pensate,RECENSITE RECENSITE E RECENSITE e per qualsiasi dubbio o perplessità sono a vostra disposizione.

 

Un grazie particolare a chi lascia i suoi commenti e chi legge,vi adoro :)

a presto (prometto)

Izayoi.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Merry Christmas ***


 “Ti accorgi che gli anni passano quando a

Natale non desideri più regali,ma persone”

-Cit-

 

 

Ormai era vicino,lo sentiva nell'aria che la circondava,nei suoni intorno a lei,la televisione non faceva che mandare le stesse pubblicità a ripetizione e ormai era il pane quotidiano nel chiacchiericcio delle persone nella metro e per la strada,le stesse vie della città ne erano state contagiate e con un sospiro di forte amarezza e di sopportazione pari allo zero Eva guardava la via di Oxford Street agghindata a festa,il Natale stava arrivando e lo spirito felice di quel determinato periodo dell'anno aveva contagiato tutti indistintamente,tutti tranne lei che se avesse potuto lo avrebbe cancellato dal calendario,oppure più semplicemente si sarebbe trasferita nel più remoto dei paesi,su quel famoso cucuzzolo della montagna,dove nessuno sapeva cosa fosse stato il Natale e chi era quell'obeso vestito di rosso che si rimpinzava di biscotti e latte (vatti a fare le analisi,poi voglio vedere come ridi). Camminava per la strada con lo sguardo cupo,cercando di non guardare le vetrine addobbate e le persone che uscivano dai negozi con enormi buste regalo. Lo odiava,era più forte di lei,quando si avvicinava quel periodo il suo umore era nero e diventava estremamente taciturna,praticamente una gioia averla affianco. Non voleva ancora affrontare il “problema Natale” con sua madre,non aveva la più pallida idea se fosse tornata giù in Italia o se lo avesse trascorso con Miriam,c'era ancora un po di tempo per pensarci,fortunatamente.

 

Quelle prime settimane di inizio Dicembre ad Eva volarono,il giornale la cominciava ad assorbire sempre di più e con l'arrivo delle feste molti turisti si erano riversati nella capitale britannica per passarvi il Natale,così il locale era perennemente pieno e lei non ebbe molto tempo per pensare a come avrebbe trascorso quei giorni,cercava di barcamenarsi tra un impegno e l'altro. Ma fu proprio una sera,di ritorno dal lavoro che varcando la soglia di casa ebbe un'amara sorpresa.

 

Quando aprì la porta rimase a bocca aperta e le ci volle un po prima di riuscire a togliere le chiavi dalla serratura tanto la sorpresa. Il contagio era arrivato anche lì. Infatti Miriam salterellava per casa posando di lì e di là pupazzi di Babbo Natale e di omini di neve,canterellando felice.

 

Chinò la testa e si massaggiò le tempie,frenando l'istinto di scaraventare la sua coinquilina giù dalla finestra.

 

“Che diavolo stai facendo?”,non c'era riuscita troppo a trattenere il tono di voce. Al suono di quelle parole la chioma blu scuro saltò di soprassalto per la sorpresa,era troppo presa dalle decorazioni che non aveva sentito Eva tornare.

 

“Come che faccio?abbellisco casa” sorrise nella maniera più innocente e disarmante dell'universo ma la nuova arrivata non le rispose nemmeno e con troppa forza chiuse la porta di casa e lamentandosi a mezza bocca su quanto ciarpame stesse mettendo Miriam per la casa si diresse in camera sua.

 

Miriam alzò gli occhi al cielo divertita e rise sghignazzando,

“Si lamenta degli addobbi e allora quando vedrà l'albero cosa farà?”.

Per un attimo si immaginò la scena della sua amica che incendiava il povero alberello verde e per quanto ci provò non riuscì a trattenere una forte risata.

 

Si ritrovarono sedute al tavolo della cucina a cenare in silenzio,Eva era praticamente ingestibile in quel periodo e per quanto la conosceva nemmeno Miriam ne sapeva il motivo.

 

“Non vedo l'ora di rivedere mamma e papà”,cercò di rompere il ghiaccio così e lo sguardo dell'amica,perso in chissà quale pensiero,tornò sulla terra.

“Che intendi?”

“Beh intendo dire che per le feste tornerò in Italia”. Eva non seppe se era dispiaciuta o sollevata,forse più sollevata,per quella notizia e mandando giù il boccone annuì semplicemente.

“Ma perché tu non torni a casa?”.

Bella domanda,lei ancora non ci aveva pensato bene ma dato che ci si trovava decise di non perdere altro tempo e prendere una decisione. I sorrisi forzati,il cercare di non essere nervosa e il seguire la madre per negozi alla ricerca di nuove decorazioni...mh tutto quello non l'allettava.

“NO,credo proprio che rimarrò qui”. Si gongolava già al pensiero di avere casa tutta per sé.

“Lo passi con Richard?”.

Eva cominciò a tossire al suono di quella domanda.

“Ma vuoi uccidermi? No non lo passerò con lui,starà dalla sua famiglia a quanto ne so,e secondo te andrei a passare il periodo più brutto dell'anno immersa tra parenti festosi e ansiosi di conoscermi? Mi vuoi proprio male Mir”. Ma per la verità ora che ci pensava bene,Richard non le aveva detto nulla su come avrebbe passato le feste e questo un po le dispiacque ma cercò di non darlo a vedere.

 

 

Sbruffò,camminò a lungo ma senza soluzioni,Eva odiava il Natale glielo aveva detto lei stessa ma non gli aveva dato una spiegazione e lui ne voleva una,la pretendeva per poterla aiutare e poterle stare vicino. Arrivato davanti la sua porta di casa assunse l'aria più seria e severa che riusciva ad avere con lei,risoluto a non accettare un no come risposta.

 

Era tesa,questo Richard lo notava ma ogni volta che erano insieme lei si faceva chiudere tra le sue braccia e la vedeva sorridere quasi sollevata e questo gli faceva sempre sciogliere il cuore. Stettero così per diverso tempo,a gustarsi quei momenti insieme. Rimandava minuto per minuto quella domanda ma un peso dentro al petto cominciò a farsi più pesante,tanto che persino quell'abbraccio cominciava a sembrargli falso.

 

“Allora come passerai il Natale,tornerai in Italia?”,il tono della voce era roco,basso,sembrava come il suono di chi non parla da molto tempo o da chi tiene nascosta quella domanda con troppa forza.

Quelle parole erano improvvise ma Eva si ritrovò ad essere così rilassata che non riusciva a trovare il suo solito malumore che la proteggeva da quella domanda.

 

Richard non voleva dirglielo ma saperla lontana da lui per due settimane,in un altro paese,lo atterriva letteralmente.

 

“No assolutamente,non tornerò a casa per queste feste”,e finalmente dopo diverse settimane il suo tono di voce non era più freddo e distaccato.

 

Richard corrugò la fronte un po disorientato

“E allora cosa farai qui? Da quanto mi pare di aver capito anche Miriam lo passerà in famiglia”. Eva si alzò dalle sue gambe e si avvicinò alla finestra,stare a guardare fuori dal vetro le dava sempre molta pace,sospirò e si sentì come leggera.

“Si è così,Mir torna in Italia ma io ho deciso di passare il Natale più bello del mondo”,la voce era entusiasta per quell'idea che le era appena balenata per la testa.

 

Si era perso,un momento prima è nervosa e quello dopo entusiasta,Richard non la stava capendo. Eva lo capì al volo il suo sguardo interrogativo e con il sorriso agli angoli della bocca gli spiegò il suo programma:

“Fai finta che io sia un misto tra Mr Scrooge ma senza tutte quelle rughe e il Grinch ma senza tutto quel pelo verde. Al diavolo i parenti,quei piatti di cui,sta sicuro,a me non me ne piacerà nessuno,perciò dovrò rimanere digiuna e sentire la voce della zia che dice, “che c'è non gli piace quello che ho cucinato io?” e puntualmente mi dovrei inventare qualche scusa;al diavolo i vestiti eleganti,il trucco e i capelli in ordine. Quest'anno dico no a tutto questo e,invece,dico SI al pigiama con gli animali dello zoo,i capelli disordinati,la coperta,il divano,svariati DVD e un vasto assortimento di patatine alla cipolla,bacon,paprika,insieme a fiumi di sanissima Coco Cola. Ecco come io passerò il Natale perfetto”.

Eva era trionfante,il suo tono era felice e scherzoso e quasi non vedeva l'ora che fosse Natale per gustarsi quel paradiso.

 

Richard rimase deluso da quella risposta,vedeva Eva felice ma lui non lo era molto e l'unica cosa che riuscì a dire fu un si accompagnato da un tono di voce piatto e un po insoddisfatto non guardandola negli occhi,era rimasto a fissarsi le mani. La ragazza notò questo comportamento insolito da parte del fidanzato ma non riuscì a capirlo,ma nonostante volesse rivedere il suo sorriso dolce di nuovo sulle sue labbra,qualcosa dentro di lei la bloccò.

 

Si salutarono poco dopo,entrambi si dovevano svegliare presto l'indomani, non era mai accaduto in quei mesi che una sveglia presto li riuscisse a separare ma non c'era stato nulla da fare,non era riuscita a trattenerlo,tanto che Eva passò la serata a chiedersi del perché di quel comportamento e l'inquietudine cominciò a muoversi dentro.

 

Dall'altra parte Richard era sollevato che la ragazza non partisse,non riusciva a sopportarla lontano da lui ma dall'alta parte il pensiero di lei sola a casa il giorno di Natale,mentre lui avrebbe festeggiato con la sua famiglia lo disturbava e non gli faceva trovare pace,lui voleva passarlo con lei...possibile,invece,che questo lei non lo volesse?

 

Erano le 3,43 di notte,il silenzio nella casa era rilassante ed Eva dormiva placidamente nel suo letto,quando si era messa sotto le coperte il pensiero di Richard la martellava ma la tensione provata in quei giorni cominciò ad allentarsi ed era scivolata in un sonno profondo. Le sembrò di essersi appena addormentata,aprì gli occhi di soprassalto,il respiro un po affannato,come spaventata e la causa di tutto era la suoneria della chiamata del suo cellulare. Ormai era sveglia del tutto e quando lesse il nome del fidanzato le si gelò il sangue e subito la sua mente volò alle ipotesi peggiori,tenendo anche in considerazione lo strano comportamento di lui quel giorni,era forse una chiamata d'addio?

“Richard tutto bene,stai male,vengo da te?”le mani le tremavano violentemente tanto la paura che quel pensiero si avverasse.

“Sto bene non preoccuparti” ancora quello strano tono di voce che l'allarmò e quel silenzio da parte di lui era insostenibile.

“Senti Eva,ho capito quale è il prototipo del tuo Natale ideale e a me va bene anche se non ti metti un bel vestito,sei senza trucco,con i capelli in disordine e anche se indossi il pigiama e cammini per casa scalza,mi va bene lo stesso e se non ti piacerà quello che mia madre avrà preparato ti potrà cucinare quello che vuoi,o altrimenti puoi mangiare le patatine..però quello che sto cercando di dirti è..” sospirò come chi si prepara a fare un grande balzo “passa il Natale con me.”

 

Eva rimase con il cellulare incollato all'orecchio,con gli occhi sbarrati,aspettando che il suo cervello le mandasse qualche segnale di vita. Il cuore ricominciò a pomparle e il sangue a scorrerle nelle vene,la paura che aveva provato in quel momento non riusciva a spiegarla e quando finalmente riuscì ad elaborare quelle parole,inconsciamente i suoi muscoli si rilassarono. Era poco tempo che si frequentavano,si la loro relazione era stata fin dal primo sguardo dentro Starbacks molto intensa però non immaginava una cosa del genere e data l'esperienza con la sua precedente relazione si era ripromessa di mantenere un po le distanze dalla famiglia del suo attuale fidanzato,per proteggersi e non rifare lo sbaglio precedente. Non era assolutamente convinta di quella proposta,assolutamente,non aveva nessun desiderio di accettare ma ciò che l'aveva colpita era stato il tono di voce di lui. Mai in vita sua qualcuno aveva avuto un tono di voce così sentito nel chiederle di stare insieme.

 

“Richard non ne sono sicura,è la tua famiglia,veramente te la senti di farmeli conoscere e stare lì con voi per le feste? Pensaci,infondo sono pochi mesi che ci frequentiamo”.

“Si,io preferisco presentarti alla mia famiglia,perchè tanto già sanno di te,perché non vedo il motivo di tenerti nascosta. Perciò o prima o dopo li dovrai incontrare e preferisco adesso piuttosto che stare distante da te,è un magone che non mi va giù”.

 

Eva rimase senza parole da tanta intensità,aveva già passato il Natale con il proprio fidanzato in passato e con la sua famiglia ma mai aveva sentito parole dette con tale necessità e urgenza come ora,invece,stava facendo Richard.

 

Era terrorizzata all'idea di conoscere i genitori di lui,molte ragazze in quelle circostanze erano spigliate e divertenti,lei invece perdeva ogni tipo di carisma e di loquacità. Perciò aveva il terrore che quell'incontro si potesse rovinare a causa di ciò e non lo desiderava,dato che teneva a Richard più di ogni altra cosa.

 

Ma,in fondo a sé,una piccola parte di sé (che avrebbe negato di avere) desiderava non staccarsi da lui in quei giorni.

 

Era sul punto di dirgli di no ma improvvisamente si immaginò l'espressione di lui al suono di quella risposta,si immaginò la sua fronte corrugata,gli occhi bassi e il tono di voce che,nonostante la delusione per quella risposta,avrebbe cercato di non farglielo pesare. Non voleva fargli questo,chiuse forte gli occhi e si diede forza.

 

“Ok va bene,se è ciò che desideri va bene”.

Al suono di quel consenso Richard schizzò dalla gioia

“Si si è ciò che più voglio ma solo se per te non è una forzatura,perché se così fosse io potrei anche rimanere qui e passare le feste noi due insieme”.

Eva sorrise dolcemente a quelle parole che le fecero capire a quanto l'uomo fosse disposto a tutto pur di stare con lei e anche se quella proposta l'allettava molto preferì scartarla,non voleva dividerlo dalla sua famiglia.

“Grazie per questo bellissimo regalo,buona notte”.

Ma una volta attaccato il telefono Eva guardò il display ancora illuminato e un sorriso sereno nacque sulle sue labbra,era felice “Grazie a te,perché è quello che in verità volevo anche io”.

 

Inutile dire che nessuno dei due chiuse gli occhi quella notte,chi per la gioia e chi per la paura.

 

Eva trascorse il tempo libero di quei giorni alla spasmodica ricerca di qualcosa da indossare,voleva assolutamente fare una bella figura. Così tra i mille negozi che girò trovò due vestiti,ideali per quella ricorrenza,uno era rosso con e con un colletto bianco,a mezze maniche ed era uno di quei modelli un po larghi ma che arrivavano a metà della coscia,era semplice ma carino,niente di troppo serio e lo avrebbe accompagnato con delle calze doppie nere e con delle ballerine lucide scure. Il secondo abito era più elegante,adatto al pranzo del 25,rosa cipria,in pizzo e aderente,da abbinare a dei tacchi vertiginosi. Almeno il vestiario era sistemato e ciò la tranquillizzò.

 

I preparativi erano pronti,Moira era stata abbindolata dal desiderio della figlia di rimanere a Londra e passare un Natale per conto suo,Eva si odiò per quella bugia ma preferì non dirle la verità e Miriam fu istruita che,nel caso Moira o Ettore le avessero chiesto qualcosa lei avrebbe dovuto confermare la sua versione sul Natale e non avrebbe dovuto mai dire nulla su di Richard,lo avrebbe fatto lei prima o poi.

Alla fine arrivò il tanto atteso e temuto 24 Dicembre e alle 17.00 i due fidanzati si misero in viaggio per raggiungere la casa paterna,dato che Mr e Mrs Armitage non vivevano a Londra. Eva amava guardare Richard guidare,era così sicuro e virile nella sua berlina nera che le faceva mancare i battiti e ancora di più lo adorava quando le posava la mano sul ginocchio,con quel fare protettivo misto al possesso.

 

Ad Eva sembrò che il viaggio fosse durato solo pochi minuti,non aveva aperto bocca,guardava solo il panorama notturno illuminato da quelle luci rosse e quella familiare malinconia fece la sua comparsa. Stava cercando di reprimere quella sensazione quando si accorse che la macchina stava parcheggiando davanti a una villetta bianca dal giardino ben curato. Guardò i movimenti sicuri di Richard mentre completava il parcheggio con occhi pietrificati,sentì il cuore galoppare all'impazzata e come sempre,in quei momenti,la sua mente non le dava accenni di vita. L'uomo guardò la casa dei genitori con occhi brillanti,si vedeva che gli era mancato quel luogo.

“Sei pronta?”,sorrideva radiosamente,così bello nel suo cappotto blu scuro,così elegante. Eva carezzò con un gesto lento la guancia di lui,che accolse quel gesto dandole un bacio sul palmo bianco e freddo.

“Sei sicuro? Forse non ci abbiamo pensato bene,forse è troppo presto”. La verità era che Eva temeva che i genitori di Richard non avrebbero visto di buon occhio la loro differenza d'età e non voleva che la ostacolassero in nessun modo ma questo lei preferì non dirglielo.

“Quando i miei genitori vedranno come sono felice con te ti adoreranno,credimi”. Le sollevò il mento,cercò gli occhi di lei e le diede un dolce e casto bacio sulle labbra carnose. Il rumore di una porta aperta lo fece voltare e con un sorriso smagliante si voltò verso la fidanzata,

“Pronta?stiamo per scendere?”.

Come nei migliori film di famigliole felici,i genitori di Richard,vista la macchina del figlio arrivare erano corsi davanti la porta ad aspettarlo felici e curiosi di conoscere la famosa Eva che aveva fatto girare la testa al loro ragazzone.

 

Successe tutto molto velocemente,senza preavviso Richard uscì dalla macchina facendo un occhiolino di sfida alla terrorizzata fidanzata che pur non trovando la forza lo seguì e per non farsi vedere si nascose dietro quel colosso che la precedeva. A tratti la ragazza riusciva a vedere il volto sorridente dei genitori di lui e notò come la madre somigliasse incredibilmente al figlio. La loro espressione però mutò quando Richard,capendo la tattica di Eva nel rimanere nascosta la prese e la mise affianco a sé. Eva notò subito lo sguardo di preoccupazione che i due coniugi si rivolsero,quello a cui sapeva non poteva scappare e per quanto i due signori cercarono di apparire distesi i loro sorrisi si irrigidirono. Richard presentò Eva ai genitori e al fratello con la moglie e il figlio e altri parenti. Lei si presentò a molte persone e mai come in quel momento si sentì più impacciata che mai.

 

Dopo le presentazioni Eva si andò a sistemare un po in camera,aveva bisogno di stare un po sola,lontana dai riflettori,dagli occhi curiosi e dalle solite domande di rito. Si sbottonò i primi due bottoni della camicia,le mancava l'aria e si sedette sul letto e improvvisamente,come venuta dal nulla,le mancò sua madre e si pentì di aver tenuto il punto in maniera così dura nonostante il tono della donna era quasi sul punto di rottura. Trascorse qualche altro minuto così poi decise di non fare la maleducata e di andare dal resto degli ospiti. Era proprio mentre scendeva le scale che,non volendo,si trovò ad origliare una conversazione tra il fidanzato e i suoi genitori che parlavano fitto fitto. Si avvicinò il più possibile alla porta,si assicurò che nessuno stesse arrivando e che non la vedessero ed infine aprì bene le orecchie a quelle parole.

 

“Richard,la ragazza è molto giovane,forse anche troppo,quanti anni ha?”

“23”,Eva rimase colpita dalla pacatezza del tono di voce di lui. Mrs Armitage non disse una parola ma sembrò come fare un singhiozzo di sorpresa.

“Capisco che siate stupiti perché ci portiamo molti anni di differenza ma né per me e né per lei è stato un impedimento,in verità non ne abbiamo mai parlato perché non ci è mai interessato il fatto che io abbia 39 anni e lei 23. stiamo bene insieme è questo l'importante,conoscetela,fidatevi di me,è una ragazza meravigliosa”

“Oh ma Richard si vede che è un'ottima ragazza,sono solo preoccupata per te”,solo una madre poteva dire quella frase con tale dolcezza,che le mancò ancora di più la sua.

“Non voglio vederti soffrire perché un giorno lei potrebbe accorgersi che la troppa differenza d'età le pesa”.

“Non preoccuparti,so che non accadrà mai”.

Il discorso sembrava finito,la ragazza,al suono dei passi verso la porta del fidanzato si stava allontanando di lì ma la voce secca e più severa del padre si fece largo nella stanza,

“Pensaci,tu sei un uomo,lei una ragazzina che sta conoscendo adesso il mondo,mentre tu lo hai cominciato a fare molto tempo fa. Avverrà,arriverà il giorno che tu ti sveglierai che vorrai di più,mentre lei vorrà fare ciò che anche tu hai fatto alla sua età,pensare a se stessi,fare ciò che si vuole,quando si vuole,partire e vedere luoghi lontani”. Silenzio,in quella lunga pausa nessuno disse nulla,nemmeno Richard.

“Non voglio scoraggiarti con queste mie parole ma farti aprire gli occhi,sei troppo innamorato per essere obiettivo,segui le mie parole io”. L'uomo però non riuscì a completare la frase

“Non seguirò le tue parole,perchè tu non sei me-il tono era incredibilmente serio-ed è vero,tengo a lei in maniera disarmante ma dopo trentanove anni di vita io mi sento vivo,nuovo e tutto perché c'è lei con me. Perciò non parlarmi di separarmene,il solo parlarne è bestemmia”. Sentì come un movimento veloce di un corpo che si girava e passi pesanti e affrettati,la ragazza ebbe giusto lo scatto per rinfilarsi il più in alto nella rampa delle scale per vedere il fidanzato che usciva dalla stanza infastidito.

 

Dopo aver sentito quello spezzone di discorso Eva se ne tornò silenziosamente in camera a riflettere,loro non avevano mai dato peso alla loro età e fino a quel momento non aveva pensato a ciò che gli altri avrebbero potuto dire riguardo ciò,e invece si dovette accorgere che chi la circondava la notava molto e la giudicava. E tra un pensiero e l'altro si chiese come i suoi genitori avessero potuto reagire e se avessero accettato. Questo lei non poteva saperlo ma una volta finiti quei giorni di vacanza avrebbe affrontato l'argomento con loro.

 

Si trovavano tutti nella grande sala,Richard ed Eva erano inseparabili,anzi lui dopo quel discorso con il padre era ancora più protettivo verso di lei e le attenzioni di tutti i parenti erano su di loro ma entrambi non si sentivano in difficoltà,anzi erano quasi felici di raccontare le loro peripezie per ritrovarsi dopo il loro primo incontro. Era proprio in questo clima di sorrisi che il cellulare di Eva squillò,la ragazza si irrigidì e quasi con fretta si congedò,andando al piano superiore per stare in silenzio.

 

“Ehi mamma,come va?”

“Mi manchi,che strano non averti qui quest'anno”. Dire che si sentì in colpa fu niente

“Dai non fare così,un anno passa in fretta e prima che te ne accorgi starò lì”. Le ci volle un po prima che Moira tornasse in sé,e passò molto tempo al telefono.

E quasi dimenticandosi dove fosse alla voce del fidanzato che la stava cercando scattò terrorizzata. Richard la trovò che era al cellulare ma non capiva cosa stesse dicendo.

“Mamma scusa hanno bussato,saranno i vicini che vogliono convincermi a stare da loro,sono una coppia molto dolce. Devo andare,ti chiamo domani,baci.” Non aveva nemmeno aspettato il saluto materno che aveva già riattaccato.

“Tutto bene? Sei sparita”

odiava quando si ritrovava a stare al cellulare con i genitori e nelle vicinanze c'era Richard,aveva il terrore che lui si facesse sentire e lei aveva quasi l'impressione che a volte lo facesse quasi apposta.

“Si,era mia madre che mi stava raccontando la sua giornata. Dai scendiamo”,si era già incamminata verso la porta ma lui rimase a guardarla sospettoso,

“Eva tua madre sa di me vero?sa che lo passerai con me il Natale,è così?”,

non ci aveva nemmeno riflettuto,aveva risposto d'istinto,la sua lingua aveva avuto la meglio sul pensier.

“Certo che mia madre sa di noi,è stata la prima a cui l'ho detto e ti fa molti auguri e ti ringrazia per l'ospitalità della tua famiglia”. Ok,questa storia delle bugie le stava scivolando di mano e stava decisamente esagerando. Richard si tranquillizzò per quelle parole e si scusò persino per quel piccolo sospetto.

 

Le ci volle un po prima di reprimere i sensi di colpa ma più si trovava in mezzo a quella nuova famiglia e più si sentiva felice,era una così bella novità che mai come in quel momento i suoi sorrisi erano i più radiosi e un calore che non provava da moltissimi anni cominciò ad affiorare dentro di lei. Si girò e guardò Richard parlare con suo fratello,lo fissò in quella nuova luce,in quell'atmosfera familiare e si ritrovò a notare di quanto fosse ancora più bello e speciale quel giorno. Lui la guardò e le sorrise un po imbarazzato,come faceva sempre quando lei lo fissava e non la piccola mano delicata Eva gli accarezzo la guancia dolcemente,come per ringraziarlo per quel momento e nonostante fossero sotto gli occhi curiosi dei familiari,ai due innamorati sembrò di stare soli al centro di una stanza.

 

Quelle giornate volarono,Eva si sentiva a casa,Margaret era una donna semplice e molto dolce e nonostante il padre avesse messo in guardia il figlio con parole severe,lei aveva capito che lo aveva fatto solo per amore e di questo lo ringraziava. Le sue guancie erano sempre rosse,la sua risata risuonava limpida e non si stancava mai di stare con quelle persone.

 

Richard si ritrovò a guardare la fidanzata parlare con suo fratello,era così tenera,si sentiva così a suo agio lì che lui finalmente,nel vederla così,riuscì a rilassarsi finalmente,preoccupato come era in quei giorni che a lei non potesse stare bene il trovarsi in quella situazione.

 

Arrivò l'ultima notte di quelle feste,era notte fonda e vicino a lei il fidanzato dormiva profondamente con il viso rilassato,mentre lei accarezzava dolcemente il bracciale che aveva al polso. Richard le aveva regalato un Pandora con i ciondoli che rappresentavano la loro storia,la tazzina del caffè,il loro primo incontro;un tremo,la metro di quando lui l'aveva ritrovata;il Big Ben,la loro prima uscita e un cuore,il loro. Guardò la camera intorno a sé,quel luogo in pochi giorni le era diventato così familiare,così caro che le sarebbe mancato una volta andati via. Aspettò un altro pochino ma alla fine,spinta da un desiderio irrefrenabile sveglio Richard,l'uomo mosse la testa disturbato da quella sveglia ma quando la voce di lei lo raggiunse egli si svegliò del tutto.

“Non ti senti bene?”

lei sorrise dolcemente per quella costante premura che lui aveva.

“Sto bene..volevo dirti del perché odio tanto il Natale”.

Lui la guardò sbalordito e curioso per quella confessione,mentre lei abbassò gli occhi e cominciò a raccontare.

“I miei genitori si lasciarono quando io avevo otto anni e mio padre decise di andarsene di casa dieci giorni prima di Natale,ti lascio immaginare quale potesse essere il clima in casa mia quel periodo. Io ero solo una bambina,tenuta all'oscuro dei loro problemi ma che litigavano me lo ricordo benissimo ma la naturalezza con la quale lui uscì da quella casa senza voltarmi mi aveva colpito. La mia bolla si era infranta e tutti i problemi,tutte le cattiverie successe e che fino a quel momento mi erano state tenute nascoste mi giungevano alle orecchie ma senza capire. Alla fine arrivò il giorno di Natale e quel giorno eravamo solamente io,mia madre e i miei nonni materni,mio padre non mi aveva chiamato nemmeno per gli auguri e la famiglia di mio padre,con la quale avevamo sempre passato le feste ora era volatilizzata. Durante il pasto nessuno parlava molto e quelle poche parole erano di circostanza,di sicuro per nascondere ciò che se avrebbe tanto voluto dire in realtà. Alla fine arrivò l'ora di scartare i regali ma io non ne avevo desiderio,mi sentivo svuotata ma i loro occhi aspettavano solo quello,aspettavano che almeno io fossi felice in quel momento. Mai come quell'anno ricevette tanti regali,non la finivo più di scartare e scartare e a ogni sorriso forzato di gioia mi veniva la nausea. Alla fine,finalmente,mi lasciarono sola sotto quell'albero,circondata di regali e carta regalo scartata,con le luci rosse dell'albero che mi illuminavano..qualsiasi altro bambino avrebbe voluto quello che avevo io in quel momento ma io avrei tanto voluto ciò che per loro era tanto scontato ma che io non avrei mai più avuto,una famiglia unita o almeno due genitori insieme e fu lì,sotto le odiose luci di quell'albero che una forte rabbia nacque dentro di me-strinse forte le lenzuola tra le mani-avrei sempre odiato il Natale,perchè mi avrebbe sempre ricordato quel dolore e quella malinconia che mi attanagliava”.

Di tutto ciò che Richard poteva pensare non avrebbe mai immaginato quello,la guardava desolato,si sentiva in colpa per averla spinta a trovarsi lì.

“Ma poi arrivi tu,che mi fissi nei locali,mi cerchi per la città,mi trovi e poi mi fai anche cambiare idea su questa festa...comincio a pensare che i miracoli di Natale esistano veramente e che tu ne sia l'artefice”.

 

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE

Buonasera amici lettori,rieccomi qui con un nuovo capitolo,voi direte,stiamo andando incontro all'estate e tu ci parli di Natale? Eh si,perchè io sono come le puntate di Beautiful sul Natale in pieno Agosto, ahahahahahha non azzecco i tempi nemmeno se mi ci impegno.

 

Che dire,Eva ha i suoi lati “oscuri” e le sue paure sono da ricondurre ad errori che ha fatto in passato e che teme di rifare ma nessuno ha detto a questa ragazza che le bugie hanno le gambe corte? Ahia Eva,smettila finché sei in tempo.

 

Voi cosa ne pensate? Fatemi sapere con le vostre recensioni,quindi mi raccomando RECENSITE RECENSITE E RECENSITE!!! Grazie mille a chi lo fa e chi legge,vi ringrazio,alla prossima.

Izayoi

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Capitolo 8
*** E poi? ***


Eva si sentiva immersa in una bolla di pura felicità,dopo le vacanze natalizie passate insieme tutto era diventato più concreto nel suo rapporto con Richard.

 

Avevano lasciato da pochi minuti la casa di Mr e Mrs Armitage,tanto poco che se la ragazza voltava la testa dietro di sé poteva ancora intravederne il tetto. Lo guardava guidare in silenzio,amava farlo,era così rilassato,se ne accorse dal colore limpido dei suoi occhi,infatti con il tempo Eva aveva cominciato a capire maggiormente lo stato d'animo del fidanzato non solo dalle sue frasi dette con una tonalità di voce troppo squillante per il suo consueto tono,oppure dalle sue movenze ma dal colore che assumevano i suoi occhi. Quando Richard era inquieto quel celeste così limpido che lei accomunava a quello dei ghiacci profondi,diventava quasi un blu scuro intorno alla pupilla e quando succedeva questo,nonostante lui non ne facesse parola,lei se ne accorgeva e per quelle rare volte che accadeva era Eva a prendersi cura di lui,come il fidanzato faceva ogni volta con lei. Lo guardava guidare,i suoi movimenti erano sicuri,la mano di lui incatenata al ginocchio di lei,quel profumo così intenso le stava dando alla testa tanto da farle sentire caldo e un sentimento nuovo cominciò a muoversi dentro di lei,un sentimento viscerale,lontano dalla ragione ma fatto di puro istinto.

“Ferma la macchina”,Eva pronunciò quelle parole con urgenza e non appena Richard accostò l'auto al ciglio della strada,dandogli appena il tempo di voltarsi,lei gli si gettò sulle labbra con passione. Le mani della ragazza si attorcigliarono intorno ai capelli di lui e Richard afferrò Eva per la vita sottile e l'attirò a sé con forza. I respiri di entrambi divennero pesanti,il livello di elettricità tra quei due corpi era altissimo,l'uomo mugolò gutturalmente facendo tremare dentro ancora di più la ragazza. Il bacio ormai era tanto lungo quanto passionale,così intenso da stare diventando un tormento e quando i due amanti di staccarono,arsi dal desiderio e senza fiato,si accorsero che i vetri della macchina aveva cominciato ad appannarsi per il calore dei loro respiri fusi insieme. Poggiarono ognuno la fronte su quella dell'altro e si strinsero forte la mano per cercare di sedare quel sentimento.

“Perchè non lo hai fatto ieri sera?” il tono di voce di Richard era basso e roco e i suoi occhi si erano fatti più scuri. Eva aspettò un attimo per rispondere,cercando di frenare un brivido che le percosse la schiena.

“E tu perché non lo hai fatto?”

“Perchè sono un idiota”

“Allora siamo in due”.

Richard al suono di quella frase le strinse la mano con più forza cercando di calmarsi,chiuse per un attimo gli occhi e respirò profondamente. Quando li riaprì erano completamente blu,così intensi da spiegare quella situazione meglio di mille parole.

“Meglio andare prima che succeda altro”,era esplicito il senso di quella frase.

Ma per Eva mai viaggio fu più lungo,i due non potevano nemmeno sfiorarsi che quell'elettricità li colpiva. La ragazza si torturò le mani per tutto il viaggio e il respiro dell'uomo era inquieto e impaziente. Quando in lontananza la città cominciava ad assumere le sue forme per Eva fu un sollievo,aveva bisogno di aria fresca per ossigenare il cervello che ormai era andato in pappa,anche se era dispiaciuta di vederlo andare via,amava addormentarsi con lui al suo fianco,non erano quei piccoli riposini che si concedevano insieme stanchi dopo il lavoro sul divano con indosso ancora i jeans e maglione,era qualcosa di più intimo,stare insieme sotto le coperte a parlare,mentre Eva poggiava la testa sulla spalla di Richard e lui le sfiorava con le labbra la fronte,parlare fino a che uno dei due non si limitava ad annuire con gli occhi ormai vinti dal sonno e sentire il bacio dell'altro sulle proprie labbra. Quella piccolo quotidianità,quei gesti semplici,che Eva amava e che le erano entrati fin sotto la pelle per potersene liberare. Preferì,però,non dire nulla a Richard,magari lui,invece,aveva bisogno dei suoi spazi dopo quei giorni e preferì non forzarlo.

 

“Questa sera cosa farai?” Eva fu riscossa da quelle parole ma a destarla maggiormente fu il tono con cui furono pronunciate,sembrava nervoso e non felice. La ragazza alzò le spalle un po insoddisfatta e disse la prima cosa che le capitò per la testa,

“Pensò che disferò la borsa,metterò i vestiti in lavatrice e guarderò la tv”,fece un sorriso che,però,non arrivò agli occhi per rassicurarlo. Lui non la guardò nemmeno,continuava ad essere nervoso.

“No” fu l'unica cosa che disse,e che fece alzare un sopracciglio ad Eva per la curiosità.

“Cosa no?”.

Lui continuava a non guardarla,il suo sguardo era fisso sulla strada e le mani stringevano con troppa forza il volante. Eva odiava aspettare quando la risposta era così importante. Arrivarono ad un semaforo e la ragazza ringraziò che fosse appena scattato il rosso. Si girò verso di lui e gli prese tra le mani il viso e si guardarono con dolcezza,

“Cosa no?” ripetè.

Richard abbassò gli occhi che erano tornati chiari ed Eva sorrise con tenerezza a quella reazione timida del fidanzato,lei gli carezzò ancora un po il viso per incoraggiarlo a parlare. Il semaforo divenne verde e la macchina ricominciò la sua marcia,la ragazza sospiro silenziosamente.

“Non voglio riportarti a casa,non mi va di lasciarti in quell'appartamento senza di me,non voglio tornare a casa senza di te,non voglio dormire se tu non ci sei e non voglio svegliarmi non sentendo le tue braccia strette attorno a me”.

Eva rimase ammutolita per l'intensità di quelle parole dette con tale necessità,perché era così il loro amore,necessario ad entrambi.

“Avevi paura di dirmelo?”,Richard divenne un po rosso in viso e annuì.

Eva gli carezzò i capelli e ringraziò ogni divinità presente sulla terra per averlo incontrato.

“Nemmeno io volevo lasciarti andare via per la verità ma ho pensato che magari volessi un po i tuoi spazi”. Lui non disse nulla,le fece solo uno di quei sorrisi che la lasciavano senza parole.

 

La casa di Richard era ordinata,come il suo proprietario e su due livelli,ben illuminata e anche se l'arredamento era basato sulla necessità e non sulla bellezza del mobile,come è di consueto trovare nella casa di un uomo che vive da solo,ad Eva piaceva. Nonostante ci fosse già stata altre volte lì,in quel momento si sentiva un po impacciata anche nel muoversi,era come se quella richiesta di Richard fattele in macchina non si limitasse solamente a quel giorno ma che implicitamente le chiedesse di rimanere a stare lì per tutto il resto dei giorni insieme. Il desiderio di chiederglielo era tanto ma preferì non forzare troppo la mano e vivere le cose “sul momento”.

 

Anche Richard era impacciato,non era la prima volta che i due rimanevano soli in casa ma dopo le feste,il bacio dato in macchina e quella frase di lui la storia stava cominciando a prendere una piega nettamente migliore di quanto osasse sperare. Lui se ne stava a guardarla girovagare per casa con le mani nelle tasche e le guance leggermente rosse,lei ogni tanto lo guardava sorridendo dolcemente e lui sorrideva imbarazzato. Alla fine Eva gli si avvicinò sorridendo leggermente,con quell'aria un po pronta alla beffa,

“Pensi di rimanere per molto fermo così oppure vogliamo inaugurare questo invito con un bacio?”,il tono di voce della ragazza era divertito ma era ciò di cui Richard aveva bisogno per sbloccarsi dall'imbarazzo. Si ritrovarono così,in piedi nell'ingresso,uno davanti all'altro sorridenti e raggianti,lei così piccina nel suo metro e sessanta e lui così grande paragonatole. Come ogni volta lei si alzò sulle punte per raggiungere le labbra del suo gigante buono e lui si abbassò ma questa volta la gioia era troppa e lo slancio del momento irrefrenabile ed Eva si ritrovò sollevata da terra,presa sotto le gambe e la schiena dal fidanzato,così che si ritrovarono a pochi centimetri di distanza. Le loro labbra sorridenti si sfioravano e non smettevano di brillare di gioia ma quello sfiorarsi cominciò a non bastare pian piano,di nuovo quell'elettricità riprese vita in loro,quel contatto si fece sempre più prolungato e il respiro ad essere accelerato. Si staccarono per un breve attimo e guardandosi per una frazione di secondi si dissero tutto ciò che in quel momento gli si animava dentro e che volevano.

 

“La spogliava con i pensieri...scorreva ogni curva del suo corpo...baciava ogni lembo di pelle. La possedeva senza sfiorarla...era dentro di lei...le apriva l'anima e vi affondava tutto il suo essere a respirarne l'odore. Poi i pensieri si fecero mani e labbra...sudore e gemiti...respiri e carne. Nulla più esisteva. Solo il desiderio,la voglia di aversi,di respirare quei pensieri che bruciavano,di consumare quella voglia che li teneva svegli,la notte...” -Cit-

 

Eva riaprì gli occhi al ricordo di quella prima volta che fece l'amore con Richard e quasi desiderò di poter tornare indietro per rivivere le emozioni di quel momento. Era trascorso già un mese da quando abitavano sotto lo stesso tetto ed entrambi non riuscivano a stancarsi di quello stare insieme. C'erano mattine che Eva si chiedeva quale opera buona avesse compiuto nella sua vita precedente da farle conoscere un uomo come Richard. Altre,invece,se lo ritrovava davanti lo specchio dell'armadio ad annodarsi il nodo della cravatta,bello nei suoi capelli ancora umidi per la doccia e nella sua camicia bianca che gli aderiva perfettamente alle spalle ben formate,e nonostante la ragazza si trovasse ancora in mezzo alle coperte,con gli occhi ancora insonnoliti,non poteva che sorridere beata da quella visione. Persino il mandarsi un sms e chiedersi “sei a casa?” adesso aveva tutt'altro sapore,stava ad indicare che una volta aperta quella porta si sarebbero ritrovati insieme,nel loro nido.

 

Quel giorno,però,Eva si trovava in casa di Miriam,Richard quel giorno aveva un provino importante che gli avrebbe impegnato tutta la giornata e sul quale aleggiava il massimo riserbo,persino lei non ne sapeva molto,l'unica cosa che sapeva era che quell'ingaggio per il fidanzato era molto importante,dato che passava le sue intere giornate a provare e riprovare in teatro,dove poteva starsene più tranquillo e così quei giorni non si vedevano poi molto,dato che Eva alcune sere lavorava ancora al locale. Perciò nonostante fossero appena le 10 del mattino la ragazza aveva già fatto un'infinità di commissioni affidatele dalla sua amica fotografa,impegnata anche lei in un lavoro e non appena ebbe sistemato le buste della spesa nei pensili si fiondò sul divano esausta,sospirando e togliendosi con i piedi le scarpe e facendole cadere sul pavimento scompostamente. Anche se con ritmi differenti il suo lavoro la impegnava parecchio,la mattina aveva gli articoli del giornale,che fortunatamente delle volte le concedeva anche di lavorare in casa e quando più Carl ne aveva bisogno veniva chiamata per lavorare la sera al locale;infatti, la sera prima aveva lavorato fino a tarda notte e adesso quella giornata di lavoro,sommata alle poche ore di sonno cominciarono a farsi sentire.

 

Chiuse gli occhi e vi poggiò un braccio sopra per coprirsi dalla luce che proveniva da fuori,sorrise stancamente ripensando alla sera precedente:

 

Era stata una giornata frenetica,come sempre,quella mattina era uscita molto presto di casa,tanto presto che Richard ancora dormiva e si era precipitata al giornale per fare degli articoli,per poi correre ad intervistare alcuni cittadini per alcuni disservizi e tutto il lavoro di informazioni più accurate che vi era dietro per fare al meglio il suo lavoro. Aveva passato così quasi l'intera giornata a correre da un posto all'altro di Londra e davanti ad un computer per scrivere i suoi pezzi. Aveva avuto giusto il tempo di un caffè verso l'ora di pranzo ma preferì non chiamare il fidanzato per non disturbarlo. Proprio mentre stava per tirare un sospirò di sollievo pensando alla fine di quella giornata lavorativa,ecco che puntuale come uno svizzero Carl la chiamò per farla lavorare al pub.

 

Quando Eva entrò in casa era tutto buio,Richard ancora non era rientrato e lei doveva cambiarsi alla svelta,così prima di uscire di casa gli lasciò un post-it sul frigorifero avvertendolo di dove si trovasse e si scusava se quella sera non l'avrebbero passata un po insieme,veramente il dispiacere era molto ma il lavoro era il lavoro.

 

Il pub quella sera era strapieno,turisti e persone che avevano appena staccato dal lavoro si accalcavano alla ricerca di un tavolo o al bancone per chiedere una birra. Eva non aveva fatto altro che correre a destra e sinistra con le varie ordinazioni e piatti per tutta la serata. Nei pochi secondi che riprendeva respiro tra una corsa e l'altra pensava che quel giorno non aveva sentito per niente Richard. Il locale ormai era affollato da parecchie ore,i piedi,nonostante le scarpe comode le facevano male,così anche la schiena e gli occhi cominciarono un po a bruciarle a causa della mancanza di sonno e la stanchezza. Le 23.00 erano passate da diversi minuti quando Carl le diede una piccola pausa per riposarsi un attimo e quando Eva prese il cellulare trovò un sms di Richard:

“Questa sera staremo insieme,fossero anche solo 10 minuti”.

Era semplice,coinciso,nessun giro di parole e improvvisamente il malumore sparì e la stanchezza che aveva provato sembrò non esserci mai stata.

 

Ricominciò il turno con un sorriso che le contagiava anche gli occhi,Richard voleva stare con lei e lei era felice.

 

Stava servendo un tavolo di giovani e allegri studenti che brindavano per la fine di un esame,la mezzanotte era passata già da molto tempo ed Eva non vedeva l'ora che il locale si svuotasse per andar via e temeva di dover declinare l'invito di Richard perché si sarebbe fatto troppo tardi. Proprio mentre guardava l'orario sconsolata,però,nemmeno lei sapeva il perché,si voltò verso l'ingresso e lui era lì. Il suo sguardo l'aveva chiamata silenziosamente e il sorriso che aveva le fece sparire ogni pena e improvvisamente,quasi come una folgorazione,le venne in mente una frase di Tolstoj dal romanzo di Anna Karenina,

 

“Scese,evitando di guardarla a lungo,come si fa col sole,ma vedeva lei,come si vede il sole,anche senza guardare.”

 

Ripensando alla gioia che le aveva procurato quella sorpresa il sorriso si fece più ampio e la troppa felicità le impedì persino di riposare. Così prese il computer e mossa da quell'euforia irrefrenabile videochiamò la sua migliore amica Luce;compagna di giochi alle elementari,cavia per le prime prove di trucco alle medie,confidente di primi amori al liceo e alleata nelle lunghe ore di studio all'università,insomma non c'era cosa,bella o brutta,che lei e Luce non facessero insieme,aiutandosi,sostenendosi a vicenda e ridendo insieme vergognandosi di quelle vecchie foto del periodo delle medie,constatando che quel trucco “perfetto” era in realtà terribile.

“Come avrò fatto a riuscire a non dirle nulla su Richard per tutto questo tempo?mi ucciderà per averglielo tenuto nascosto.”

 

Ci vollero svariati squilli e diversi tentativi prima che l'amica rispose. Quando la chiamata si aprì la testa di Luce era ricoperta di cartine di alluminio e indossava i suoi giganteschi occhiali da vista che utilizzava per casa.

“Cambi colore Lù?”,

l'amica si tirò su gli occhiali con l'indice facendo venire da ridere ad Eva per quel gesto goffo.

“Buonasera anche a te,ebbene si,torno alle origini,al mio castano chiaro.”

Parlarono e scherzarono del più e del meno,la ragazza non poteva buttarle dal nulla un argomento così importante anche se l'impazienza cominciò ad essere troppo forte.

“Senti senti devo dirti una cosa”,la interruppe Eva gesticolando convulsamente. Luce alzò un sopracciglio un po insospettita da quel tono di voce così squillante.

“Sentiamo”,Luce nel dire quella parola imitò la voce di un loro vecchio professore di chimica del liceo e questo gesto così confidenziale tra loro la fece un po rilassare. Eva fece un respiro ma non sapeva nemmeno lei il perché di tanta agitazione.

“Beh allora?”,la incalzò l'amica

“Ho conosciuto una persona..”.

Eva si ritrovò a guardarsi le mani,rossa in volto per l'improvviso e inspiegabile imbarazzo.

“Very well,chi è,come vi siete conosciuti?” il tono di voce di Luce era sinceramente curioso e se non ci fosse stato quello schermo a dividerle e qualche ora d'aereo a separarle le si sarebbe fatta vicina vicina per informarsi meglio.

“Si chiama Richard e fa l'attore di teatro. L'ho conosciuto..beh diciamo per una serie di “equivoci”,di fortunati “equivoci””. Eva si ritrovò a sorridere dolcemente ripensando al loro “cercarsi” ma preferì evitare di dirlo all'amica,la quale era eccessivamente iperprotettiva,diffidente e ansiosa per ogni cosa che la circondava.

“Richard”,Luce ripetè quel nome quasi saggiandolo sulle labbra.

“Mi piace,veramente molto british. Come è?alto basso? Non dirmi che ha i capelli rossi ti prego e comunque è veramente affascinante il fatto che lavori in un teatro”. Luce era entusiasta da quella notizia e ciò incoraggiò Eva a raccontarle ancora di più.

“Alto,molto molto alto,vicino a lui quasi sparisco. Moro,con due occhi così azzurri da rimanerne incantata,il loro colore è intenso,come quello dei ghiacci e la sua voce,se la sentissi Lù lo capiresti,così baritonale,profonda e a tratti roca da farti accapponare la pelle”.

La ragazza rimase in silenzio ripensando all'immagine di Richard che aveva fissa nella mente.

“Ti piace veramente molto,hai un sorriso che non ti ho mai visto fare prima per nessuno,ne sono felice”. Le due amiche si sorrisero dolcemente per la gioia che provava Eva.

“Mi fa felice Luce,veramente tanto. Non sono venuta a Londra con il desiderio di innamorarmi,questo lo sai ma è proprio quando non cerchi e non vuoi nulla che avvengono le cose più belle”.

Luce sorrise sinceramente felice per la gioia che vedeva negli occhi dell'amica,era da molto tempo che non la vedeva così tranquilla e soddisfatta;negli ultimi periodi che si trovava in Italia Eva era sempre irrequieta,anche se non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa,la fine del suo fidanzamento con Cesare le aveva lasciato l'amaro in bocca e si riteneva responsabile per la fine del loro rapporto,rimproverandosi dell'amore che non provava più per lui. Ma ora rivedere ancora l'eccitazione in lei la fece tranquillizzare e Luce pensò che ne era valsa veramente la pena quel viaggio.

“Quanti anni ha?”,quella domanda folgorò Eva,che le sembrò di aver appena fatto una doccia gelata e a fatica mandò giù quelle parole,vagliando nella mente cosa risponderle. Sospirò,si morse il labbro,strinse forte le mani ma alla fine la verità era la cosa più giusta da dire e cercò di risultare il più naturale possibile.

“39”,serrò la mascella e disse il numero in un soffio,guardando fisso Luce negli occhi. L'amica dall'altro capo dello schermo non rispose subito,la risposta che aveva ricevuto l'aveva lasciata spiazzata.

“39?...Eva stai scherzando spero. Ti rendi conto che avete 16 anni di differenza?”. Il tono di Luce era secco,quasi di rimprovero ed Eva si ritrovò a sentirsi come una scolaretta rimproverata dalla maestra per non avere svolto i compiti.

“Lo so”,disse quelle due parole con il capo chino e la voce a mala pena udibile,solo questo riuscì a dire,non le veniva altro in quel momento,nulla per proteggere il suo amore.

“Eva li vedo tutti i giorni nel mio lavoro,donne molto più giovani dei loro mariti che sono costrette a cambiare pannoloni,a non dormire la notte per controllarlo costantemente. Ti faccio un esempio,c'è una coppia che si porta 15 anni di differenza,sai quando si è ammalato gravemente lui quanti anni aveva la moglie?44. Eva pensaci,è così che vuoi ritrovarti tra diversi anni? A fare da badante a un uomo molto più grande di te guardandoti allo specchio sfiorire giorno dopo giorno? No,non è questa la Eva che conosco io,quella con la quale sono cresciuta vuole viaggiare per il mondo,fare un lavoro che la porti a prendere il primo aereo che la porti lontano di casa,intraprendente e che vuole fare carriera nella maniera più spietata possibile,non vuole stare a casa a cucinare,accompagnare i bambini a scuola e rassettare in attesa del marito,perchè è questo quello che ti aspetta se continui questa pazzia con un uomo di quell'età”. Eva per un attimo si ritrovò senza respiro,si portò una mano alla bocca e senza successo cercò di trattenere le lacrime. Il silenzio calò tra le due,Luce aveva ragione ed Eva quella ragione non voleva nemmeno sentirla. In lei era presente quella parte che la voleva portare fuori ad esplorare il mondo,fare un lavoro che la facesse viaggiare e non la rinchiudesse dietro la scrivania e aveva sempre respinto l'idea di vedersi una felice moglie e madre,non faceva per lei,lei si vedeva più con una valigia in mano,tacchi alti e riunioni lunghissime...ma ora stava rivalutando un po ciò che aveva sempre respinto ma due realtà così distanti tra loro come potevano coesistere,quale avrebbe avuto la meglio e soprattutto quale era la parte che sarebbe sopravvissuta?

“Lascialo Eva e trovatene un altro,segui il mio consiglio,ciao”.

Lo schermo del computer si fece nero,la chiamata era terminata bruscamente e ancora più bruscamente era sparito il sorriso sulle labbra della ragazza.

 

Erano passati 4 giorni dalla discussione tra le due amiche,da quel giorno non si erano più sentite ma Eva non faceva che pensare e ripensare alle parole dell'amica. Il suo cambiamento d'umore non sfuggì a nessuno,primo tra tutti Richard che non sapeva più come chiederle cosa avesse ma lei si rifugiava nei suoi sorrisi malinconici dicendogli che non aveva nulla,persino Miriam,che era stata chiamata da lui,non riusciva a sapere niente.

 

Una sera stanco di vedere la fidanzata lavorare fino a tarda notte al computer Richard organizzò un incontro dopo cena tra amici in un locale a bere qualcosa. L'uomo,cercando di non farsi notare,teneva sotto controllo l'umore di Eva,era molto protettivo e fin troppo apprensivo con lei,ne era consapevole ma voleva solo che nulla la rendesse triste. Fortunatamente riuscì a notare che la ragazza si era leggermente rilassata,tornando a parlare un po di più rispetto ai giorni passati e non lo guardava più con gli occhi velati di tristezza. Stavano tutti vedendo delle foto scattate da Miriam quando il cellulare di Eva squillò,lei aggrottò la fronte leggendo il nome sul display,a quell'ora poi e Richard la guardò chiedendole chi fosse,la ragazza alzò le spalle con fare leggero e le sussurrò all'orecchio che era suo padre e si diresse fuori per parlargli meglio. Nel vederla camminare verso la porta l'uomo rimase sbalordito dalla bellezza della ragazza,quella sera era estremamente sexy in quei suoi tacchi vertiginosi,il vestito scuro e aderente che le lasciava scoperte le braccia,nei suoi capelli lunghi neri e mossi e in quel rossetto rosso che lo ipnotizzava,fu riportato alla realtà dai suoi amici,i quali si accorsero tutti quali potessero essere i pensieri di apprezzamento dell'uomo sulla fidanzata.

 

“Ciao papà”,Eva si maledì per non aver portato il giubbotto di pelle con se.

“Tu devi essere impazzita”.

Il cuore nel petto le si fermò.

“Eva chi è questo tizio? Avete quasi 20 anni di differenza,stupida che non sei altro. Ti dico solo una cosa o lo lasci immediatamente,oppure ti verrò a prendere io per i capelli e ti riporterò a casa”.

Ettore non stava parlando,urlava come non aveva mai fatto prima. Luce,era stata lei a dire tutto al padre,era l'unica a saperlo.

“Luce?” sossurrò

“Si,Luce,mi ha chiamato preoccupata e ha ragione. Evito di avvisare tua madre perché non voglio darle una preoccupazione e un dispiacere ma fa ciò che ti ho detto,altrimenti è la fine Eva”.

Le sue spalle tremavano come se fosse stata improvvisamente investita dal gelo. La giovane guardò con la coda dell'occhio il tavolo dei suoi amici e vide che Richard la guardava leggermente preoccupato ma tornò a dare le spalle al locale. Si sentì improvvisamente stanca,non aveva le forze per contrastarlo,proprio non le trovava ma voleva forse tornare ad essere il burattino senza fili dei suoi genitori?

“Di cosa sarebbe la fine Ettore? Io credo che tu sia l'ultima persona che può permettersi di farmi questa predica. Ricordami,ti prego,quanti anni ti porti con la tua compagna? Ah si giusto,18 anni e mi sembra di ricordare che quando vi siete conosciuti lei era persino più giovane di me di due anni rispetto ad ora”.

Le parole le uscivano come un fiume in piena,erano dette con tanta di quella rabbia accumulata negli anni che Eva si ritrovò quasi a digrignare i denti tanto l'ira che provava e la sua voce si era alzata di qualche grado. L'uomo dall'altro capo del telefono rimase spiazzato dalla veemenza di quelle parole che facevano così male.

“Perciò papà,le tue minacce tienile per te e non provare più a dirmi cosa fare della MIA VITA. Ah giusto per ricordartelo,a differenza della tua compagna Richard non ha distrutto nessun matrimonio”.

Attaccò il cellulare con l'adrenalina che le scorreva veloce nelle vene,il cuore le batteva velocemente e il telefono stretto nella mano che cercava di trattenere l'istinto di scaraventarlo addosso al muro tanto era la rabbia.

 

Catarsi,questo era il termine per indicare ciò che Eva aveva appena fatto. Aveva appena mandato all'aria 14 anni di falsi sorrisi e di bocconi amari mandati giù in nome della pace,per dire veramente al padre cosa pensava di ciò che aveva fatto e quella liberazione la fece sentire meglio,almeno in parte...ora doveva solo sbranare la sua EX migliore amica.

 

Non poteva tornare nel locale,non riusciva a far finta di nulla,la rabbia e l'adrenalina erano ancora in circolo e cominciava a farsi strada nella sua mente la preoccupazione per cosa avrebbe fatto adesso Ettore contro di lei e soprattutto contro Richard. Voleva stare sola,voltò l'angolo e s'incamminò verso una panchina e vi si mise seduta,improvvisamente stanca e svuotata,la gloria di qualche minuto prima era bruciata troppo velocemente.

 

Richard aveva capito che qualcosa non andava,per tutta la telefonata Eva non lo aveva nemmeno guardato,il suo pugno tenuto stretto e il suo continuo spostarsi i capelli da una parte all'altra nervosamente lo avevano messo in allarme. Lui e Miriam si erano lanciati diversi sguardi preoccupati e più di qualche volta la ragazza dovette trattenerlo dall'uscire fuori da lei. Ma non appena Eva si era allontanata dal locale lui era corso fuori da lei e pretendeva una chiara spiegazione,basta i sussurrati “nulla”.

 

Si incamminò velocemente ma i suoi passi furono interrotti dopo poco,la trovò su di una panchina ,la fronte poggiata sulle ginocchia,le braccia strette intorno al petto,mentre i lunghi capelli scendevano scompostamente ricoprendo le gambe e il corpo tremante dal freddo,oppure dal pianto?

Richard si bloccò di colpo nel vederla così e mai come in quel momento gli sembrò così indifesa.

 

Si avvicinò a lei silenziosamente,si inginocchiò davanti la ragazza e le accarezzò i capelli. A quel tocco Eva si rannicchiò ancora di più nel suo rifugio,il corpo della giovane era gelato,dato che era uscita in strada senza giubbotto e Richard la coprì con la sua giacca rimanendo in maniche di camicia.

 

Il profumo di lui sulle spalle e quel gesto così premuroso le fecero alzare il viso che rivelò due occhi rossi di lacrime. L'uomo le carezzò la guancia e poggiò la sua fronte su quella di lei,

“Cosa succede amore?”.

Quella parola finale la fece sciogliere dentro e abbassando la testa ricominciò a piangere singhiozzando,cercò di calmarsi e a tentoni riuscì a pronunciare un “Niente” mal riuscito.

Lui le prese il viso tra le mani e glielo fece alzare,

“Una cosa ho imparato su di te,che il tuo niente racchiude un mondo”.

Eva sorrise mestamente,era vero,lui riusciva sempre a capirla.

“Non ti ho mai vista così e non ti ci voglio nemmeno più vedere ma devi dirmi cosa succede,io lo devo sapere,per aiutarti o rischio di impazzire se rimango ancora nel dubbio”.

Lunghi minuti di silenzio.

“Ti ho mentito”,abbasso lo sguardo sentendosi una traditrice vedendo gli occhi confusi di lui.

“La mia famiglia,mia madre e mio padre...loro non sanno nulla di te,veramente non sanno nemmeno della tua esistenza,non gliel'ho mai detto,ti ho mentito quando ti dicevo il contrario”.

Lo guardò mentre abbassava le spalle senza forze e sul viso gli comparve un'espressione di puro dolore.

“Quindi tutte le volte che ti chiedevo di salutarli,tu non lo facevi e quindi...non sanno nemmeno che abbiamo passato il Natale insieme e che ora...conviviamo..”.

Eva avrebbe preferito mille coltellate,piuttosto che vederlo così ma si ritrovò solo ad annuire a quelle parole.

“Poi qualche giorno fa chiamai una mia amica in Italia,convinta che sarebbe stata felice per quella notizia ma non è stato così e ha riferito tutto a mio padre,il quale mi ha minacciato di troncare la nostra storia..oppure mi verrà a riprendere”.

A quelle parole lo vide sbiancare e cercare di fare respiri profondi,mentre si scompigliava i capelli per il nervoso.

“Domani lo chiamerò e mi presenterò,porgendogli le mie scuse per questo equivoco”.

“No,tu non conosci Ettore,ormai è una questione di principio,l'ho offeso e non si ricrederà su di te pur di non darmela vinta. Lascerò passare qualche giorno che si calmi e situazione”.

“E poi?”,lo disse secco a braccia conserte.

“E poi nulla,farò finta di niente”.

Al suono di quelle parole sbarrò gli occhi e divenne nero in volto,

“Cosa vuoi dire con questo? Per caso vuoi dargli ad intendere che così hai messo fine alla nostra relazione?” Eva rimase scioccata,non lo aveva mai sentito urlare.

“è l'unico modo per vivere la nostra storia in tranquillità”,il tono di voce di lei era sincero per quell'idea.

“NO,L'UNICO VERO MODO ERA DIRLO APERTAMENTE AI TUOI GENITORI,COSì D'AFFRONTARE LE LORO REAZIONI INSIEME E NON COME TOPI CHE DI NASCONDONO. VERAMENTE è CON QUESTA SUPERFICIALITà CHE CONSIDERI LA NOSTRA STORIA?COME UNA SCAPPATELLA DA TENERE NASCOSTA E CHE DEVE FINIRE DA UN MOMENTO ALL'ALTRO SENZA IMPORTANZA?”. Riprese fiato dopo aver detto tutto ciò che pensava ad alta voce,facendo girare i passanti e intimorire la ragazza.

“Complimenti Eva,mi congratulo”. La voce era fredda,distaccata,la peggiore cosa che lei potesse udire da lui.

“Sembra che ogni cosa che io faccia o dica non vada mai bene a nessuno..andate al diavolo tutti. Sono venuta qui perché non volevo alcun tipo di problema o questione,TU non eri nei MIEI piani e ora ti permetti anche di alzare la voce?”.

Le parole che aveva detto erano dure,non voleva dargli ad intendere che lo vedeva come un errore e si sentì una carogna per il male che gli stava facendo. Quelle parole lo avevano colpito,si vedeva da come aveva spalancato gli occhi nell'udirle. Erano rimasti a fissarsi in silenzio,entrambi tremavano ma non sapevano se per il freddo o per l'insensibilità di quella frase.

“tu non eri nei miei piani”,Richard ripetè la frase di Eva con un espressione mista al dolore e al disgusto e con sguardo freddo la guardò,quasi compatendola.

“Sei solamente una ragazzina immatura ed egoista”,disse quelle parole con tono calmo ma risentito,la fissò per qualche secondo scuotendo il viso incredulo che quella frase fosse uscita proprio da quelle labbra che lui amava tanto. Serrò le bocca e se ne andò via,non voltandosi più.

Eva rimase lì impietrita,la sua giacca ancora indosso e un improvviso vento gelido si alzò,

“Cosa ho fatto?”

 

 

 

ANGOLETTO DELL'AUTORE

Si Eva,cosa cavolo hai fatto?????

comunque salve miei cari,eccomi di nuovo qui con un nuovo aggiornamento.

Come ho detto la volta scorsa,le bugie hanno le gambe corte e la nostra protagonista si è messa in questo pasticcio da sola...

chi ce lo faceva il nostro gigante buono capace di arrabbiarsi così tanto ma quando veniamo feriti dalle persone che amiamo di più e di cui ci fidiamo ci sentiamo come feriti mortalmente e l'amaro in bocca che proviamo dura per molto molto tempo.

Peccato stava andando così ben uff

 

beh voi fatemi sapere cosa ne pensate,ditemi come ammazzereste Eva se volete ahahahhaah

comunque ci vediamo al prossimo aggiornamento,ringrazio chi legge e commenta,continuate vi adoro e perché,ammetto,mi date forza =)

baci

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Capitolo 9
*** Secondi atti nascosti ***


~~“Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo
che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza.
 Farsi primavera, significa accettare il rischio
dell'inverno. Farsi presenza ,significa accettare il rischio
dell'assenza.”
Cit. Il piccolo principe

 


Aprì gli occhi, le bruciavano, la stanza era buia, eccezion fatta per la spia rossa della televisione. Non sapeva che ora fosse, non sapeva se fosse mattina, pomeriggio o sera. Era sotto il piumone in posizione fetale, rannicchiata su se stessa, come a volersi nascondere. Le girava la testa e si era svegliata perché i crampi della fame erano tornati a farsi sentire, sempre più forti, portando quel fastidioso senso di nausea dato dallo stare troppo tempo digiuna. Ma lei non aveva le forze, le aveva perse, non le aveva nemmeno per parlare e pensare le faceva battere forte le tempie. Chiuse gli occhi, combattendo un altro giramento di testa. Non sapeva bene quando, Miriam era andata a svegliarla per vedere le sue condizioni ma lei era troppo stanca ,i suoi occhi si erano socchiusi solo per una frazione di secondo, lasciando l'immagine dell'amica in quel limbo tra il sogno e la realtà, sentendo il suono della sua voce ovattato, distante; l'aveva realmente vista, oppure se l'era solamente immaginata? Non lo sapeva, tutto era così confuso ora, tutto girava così velocemente. Aveva sonno, tanto sonno, il suo corpo stanco le chiedeva di dormire, ma poi perché era in quelle condizioni, cosa era accaduto? Per un momento non riuscì a capirlo, frugò nella mente ma era vuota ma poi l'immagine di un uomo alto e in maniche di camicia che si allontanava le venne davanti agli occhi, Richard. Solamente pensare quel nome fece ripiombare Eva in quel Tartaro che la tormentava. Solo quel nome la fece sentire ancora più stanca, se avesse potuto avrebbe persino smesso di respirare. Sfregò fiaccamente il viso sul cuscino e senza accorgersene ripiombò in un  sonno senza sogni, che non le dava riposo, anzi le toglieva sempre più le forze.

Guardava la porta chiusa dal divano, nessun rumore proveniva dal suo interno, nessun suono o sussurro, lei se ne sarebbe accorta, sarebbe subito corsa. Ma Miriam non sentiva niente, erano trascorsi tre giorni da quando Eva era chiusa li dentro e per quanto lei avesse cercato di svegliarla, parlarle, gli occhi dell'amica si chiudevano come fossero stati quelli di una bambola e il suo corpo sembrava quello di un burattino senza fili. Ripensò un momento a quel corpo così abbandonato a se stesso, come privo di ossa e rabbrividì. Per non parlare poi del colorito insane del suo viso e delle mani, pallido e quasi livido intorno agli occhi. L'aveva trovata così quando tre giorni prima la chiamarono dalla redazione, era svenuta improvvisamente, senza nessun sintomo. I suoi colleghi se l'erano vista crollare davanti, mentre stavano parlando durante la pausa caffè. Il motivo sapeva benissimo quale fosse, la lite e la menzogna detta a Richard erano state gravi e la situazione era sfuggita di mano all'amica che non aveva pensato bene a tutte le probabilità che le si potevano prospettare con il continuo e la crescita della relazione. Lo aveva chiamato, tante e tante volte, per dirgli dello stato di salute di Eva ma mai in quei giorni lui le aveva risposto.

Guardò il cellulare infastidito, facendo una smorfia quasi venata di rabbia. Il display era illuminato e il cellulare vibrava con forza sul tavolo dell'ingresso.  “Miriam”, era così patetica da chiamare dal telefono dell'amica, pensò mentre chiuse l'apparecchio in un cassetto per non vederlo. Era furente, ogni pensiero per Eva era di rabbia ma non solo nei riguardi della ragazza ma anche nei suoi, era stato un idiota a essere così cieco, a fidarsi in quella maniera.
“Sei innamorato”, disse una piccola vocina nella sua mente ma non appena lo pensò chiuse con forza la porta dietro di sé e maledisse il giorno che s'incontrarono. Camminava  velocemente, doveva  sfogarsi ma nulla riusciva a farlo scaricare, LEI, sempre lei era nella sua testa e l'odiava, l'odiava così tanto da lasciarlo spiazzato.
“La odi così tanto da sfiorare il limite dell'amore”. Ancora quella maledetta voce era a parlare. Allungò ancora di più il passo, sperava di stancarsi ma in quei giorni trascorsi non c'era stata notte che  era riuscito a dormire, l'adrenalina gli scorreva troppo velocemente nelle vene e il suono della voce di lei gli risuonava nelle orecchie senza sosta.

Era vaga ma improvvisamente la sua camera era illuminata, si era forse fatta mattina? Poi qualcuno le tolse il piumone da dosso, gli occhi le fecero male, non erano abituati a tutta quella luce, li serrò forte per ripararsi. Suoni, voci, ecco cosa sentiva ma non capiva, era tutto così confuso che non riusciva a distingue cosa si dicessero e chi fossero. Qualcuno la stava toccando, avrebbe voluto spostarsi ma non ci riusciva, non riusciva a muoversi, il suo cervello non ce la faceva a mandare il comando necessario al braccio per farlo muovere. Poi la sentì, Miriam, non capiva cosa dicesse ma riconobbe il suo timbrò di voce leggermente squillante, il tono che aveva solo quando era in ansia. Improvvisamente la luce l'accecò, una mano le aveva aperto prima l'occhio destro, poi era passato a quello sinistro, erano mani forti, sicure di ciò che stavano facendo.
“Mi sento sollevare, cosa sta accadendo, dove sono? Piano-penso-mi fa male tutto. Scrosciare, sento il rumore dell'acqua e poi profumo di bagnoschiuma, come è buono, voglio respirare  questo profumo ancora un pò, mi fa sentire meglio. Delle mani delicate mi stanno togliendo i vestiti, non sono le stesse di prima.”

Miriam si ritrovò improvvisamente senza forze, il cuore le batteva veloce e le guance le andavano a fuoco. Aveva chiamato un medico ,era preoccupata e doveva aiutare la sua amica. Ciò di cui si era raccomandato il dottore era non perderla mai d'occhio e farla mangiare, anche  per forza ma doveva riempire lo stomaco. Così Miriam si era trovata a fare da sorella maggiore a quella sua amica che ora, seduta vicino la finestra intenta a guardare fuori, le sembrava veramente un piccolo cucchiaino indifeso. Aveva perso molto peso, il viso era segnato e intorno alla bocca si erano formate due linee che davano l'idea di un viso smunto e  sofferente.

Non usciva di casa da quindici giorni, il traffico, i suoni, le persone che camminavano veloce con il loro parlottare le facevano girare la testa, la confondevano e le facevano sentire la testa vuota. Ma doveva, sapeva che quella era una violenza su se stessa ma doveva farla ,doveva riabituarsi alla vita reale, doveva combattere la perenne stanchezza che la pervadeva e il sonno che le faceva sentire le palpebre pesanti. Sarebbe tornata a lavoro di li a due giorni e doveva riprendere a tutti i costi i contatti con la realtà. Una pioggerella leggera e improvvisa aveva cominciato a scendere ma non la disturbò, anzi le fece quasi piacere. Così in quelle condizioni e con le mani fredde e bagnate si trovava su quel ponte sotto il Big Ben a guardare le luci blu della London Eye. Scosse la testa biasimando se stessa, la colpa era sua e di nessun altro, lei lo aveva ingannato e per quanto volesse prendersela con suo padre per ciò che era accaduto, non riusciva ad odiarlo come sperava ,non riusciva a scaricare quell'errore sulle spalle di Ettore. Perché se lei avesse riposto la sua fiducia completamente nelle mani di Richard adesso non si troverebbe con l'anima rotta e gli occhi gonfi di pianto.
“E tu Richard, cosa starai facendo ora?”
pose quella domanda al vento, sperando forse che qualcuno le sussurrasse nell'orecchio “Sta pensando a te”. Quella sciocca speranza le fece chiudere gli occhi e sorridere amaramente. Guardò il cellulare per l'ennesima volta ma ancora nessun contatto da parte dell'uomo,
“mi ha già dimenticata?”.
Quel pensiero le fece chiudere lo stomaco, sentire il cuore batterle all'impazzata e  contemporaneamente fermarsi bruscamente. Avrebbe voluto rannicchiarsi su se stessa e piangere, le sentiva quelle canaglie agli angoli degli occhi ma combattè con tutta se stessa per rimandarle dentro e ergersi in tutta la sua minuta statura.

In quei giorni passati il suo cellulare aveva squillato regolarmente,  squillava al suono della suoneria preimpostata del suo iphone, mostrando sul display il nome di Lei, oppure di Miriam e questo in qualche modo gli dava forza, la forza di fare l’arrabbiato e anche l’orgoglioso ma erano passati tre giorni e il suo cellulare, se non per le chiamate di lavoro o di amici e parenti, era muto, Lei era sparita. Quei tre giorni senza aver nemmeno un minimo contatto da parte sua e del suo mondo gli erano sembrati interminabili, teneva il cellulare sempre attaccato a sé e puntualmente ogni due minuti controllava se Lei lo avesse cercato. Improvvisamente tutta quell’adrenalina che lo animava e quella rabbia lo rendeva così energico si erano esaurite con troppa velocità, consumandosi in fretta nel suo corpo. Richard si ritrovava in quella casa che mai come in quel momento gli sembrava vuota e triste, si era portata via tutto e quel non avere nemmeno una piccola traccia di Eva gli faceva venire un nodo in gola. Si mise seduto al centro del divano di palle nero e mosse la testa cercando di capire come poteva ritrovarsi senza di lei. Nei giorni passati, preso dal fuoco e dall’orgoglio, aveva persino gettato quei piccoli post_it che lei gli lasciava per la casa. Un angolo del labro si incurvò al ricordo di quando li trovava sfusi sui mobili e si maledì per averli gettati. Prese il telefono andando sulla rubrica, sfiorò il suo nome sperando che il suo pollice premesse per “errore” il tasto della chiamata ma non riuscì ad essere così maldestro. Non aveva più dormito nel “loro” letto, per quanto avesse voluto fare il forte non ci era riuscito, temeva quel suo profumo. Eppure quella giornata era stata interminabile e aveva bisogno di sentirla in qualche modo “vicina”, anche se vicina non era. Con estrema delicatezza, come non volesse far male a nessuno con il suo corpo si infilò sotto le coperte e rimase a fissare quella parte destra del letto dove fino a poco tempo prima dormiva rannicchiata una piccola testolina dai lunghi capelli neri e dalle labbra carnose, quel corpo che lui amava tanto stringere, con il quale amava fare l’amore e vedere l’eccitazione di quel momento riflessa nei suoi occhi scuri. Accarezzò quel cuscino vuoto e cercò d’immaginarsi il suono della sua voce al mattino, un po’ roco, sorrise teneramente ai gesti che la fidanzata faceva appena aperti gli occhi, quel suo modo un po’ infantili che aveva di stropicciarli, a quel suo modo di rannicchiarsi al centro del loro letto e lo guardava mentre lui si preparava. Sospirò rumorosamente e dovette allentare con i ricordi, qualcosa agli angoli degli occhi minacciava di uscire. Scosse la testa e cacciò  via quel viso ma tra il sonno e l’incoscienza il suo volto si spostò inconsapevolmente sul guanciale di lei e nel sonno il profumo di lei lo fece rilassare.

Nonostante le aspettative tornare a lavoro aiutò molto Eva e le premure dei suoi colleghi la lasciarono piacevolmente sorpresa, facendole fare un sorriso sincero dopo tanto tempo. Si gettò a precipizio su interviste e articoli, facendo più attenzione del solito a ciò che scriveva e rimanendo davanti la scrivania anche oltre l’orario di chiusura della redazione. L’aiutava, la rilassava scrivere al computer, stare in mezzo ad altre persone che non la guardavano in continuazione preoccupate, nessuno che sapesse di ciò che era accaduto fuori quel locale tra lei e Richard, nessuno che sapesse il casino che lei aveva combinato e di che bugiarda patentata fosse. Non poteva negarlo, anche se si dedicava anima e corpo nel suo lavoro il pensiero di Lui era sempre dietro l’angolo, le capitava di scrivere al computer e dal nulla quel sorriso timido faceva capolino nella sua mente, così quando accadeva era più forte di lei, entrava in quel suo mondo, si estraniava dalla realtà, lasciando ciò che stava facendo e richiamando alla memoria quell’espressione e quei gesti che lui faceva e che aveva sempre osservato, non perdendosene mai uno. Chiuse gli occhi e se lo ritrovò già lì ad attenderla, indossava jeans scuri, un maglione di lana fina e un giubbotto di pelle nera, le era sempre piaciuto come gli stava quell’indumento. E poi lo vide, osservò con estrema attenzione quel sorrisetto timido nascergli sulle labbra, mentre gli occhi si precipitavano a guardare le punte delle scarpe, aveva sempre amato quel suo sorriso fin dal primo giorno, senza smettere mai. Tornare alla realtà ed uscire da quella bolle era ogni volta un trauma, dentro si sentiva il desiderio di urlare, di rannicchiarsi su se stessa impaurita, poi arrivava il senso di vuoto e alla fine la rassegnazione.

Come da copione, Eva rimase più a lungo in ufficio e quando uscì in strada i lampioni erano accesi già da molto tempo. Febbraio era arrivato e il freddo di quella sera la fece stringere ancora di più nel suo cappotto. La strada era quasi del tutto deserta e solo in lontananza sentì il passare di un auto e l’abbaiare di un cane.
“Lui si sarebbe preoccupato nel sapermi sola in strada a quest’ora”. Sorrise un po’ tristemente a quel pensiero che fino a poco tempo prima sapeva essere certo ma che in quel momento, dopo gli eventi accaduti,  non sapeva più se fosse ancora vero o meno.

Si trovava nella metro ad aspettare l’arrivo del treno, la stanchezza accumulata cominciò a farsi sentire ed Eva si mise seduta su di una panchina guardando il binario pazientemente. Si trovava così, completamente catapultata nella realtà, con i sensi in allerta nel sentire l’arrivo del vagone, del vociare intorno a lei. Non seppe nemmeno lei da dove ma un profumo che conosceva benissimo, un profumo peculiare, fatto di dopobarba e pelle le arrivò alle narici, un odore così forte ma che non nauseava. Si guardò intorno, cercando il colpevole di quel furto di profumo, volendogli quasi urlare che quella fragranza era di Richard, a lui spettava, a lui stava bene, a lui e nessun altro. Girò la testa a destra e sinistra, annusò con insistenza l’aria ma con la stessa velocità con cui era arrivato quel profumo, con altrettanto era sparita. Una frase si fece largo nella sua memoria,
“Se senti il profumo di qualcuno che non ti è vicino, allora quel profumo è nell’anima”.
Una strana determinazione prese forma in lei, una strana frenesia che la ritrovò a maledire la lentezza di quel mezzo pubblico.

Era da pazzi, lei questo lo sapeva ma doveva farlo. Era uscita dal vagone quasi spintonando la gente, ricevendo qualche sano e non poco velato insulto ma con le gambe che correvano veloci, la ventiquattro ore stretta in mano, il respiro che cominciava ad essere affannato e un sorriso d’eccitazione si stava dirigendo a casa di Richard e in quel momento poco le interessava se non sapeva cosa dirgli o come lui avrebbe reagito, al diavolo la sua convinzione che sia nel giusto o nello sbagliato doveva essere l’uomo a fare il primo passo,
 “abbiamo voluto la parità dei sessi- pensò- e quindi è bene cominciare a cancellare la vecchia cavalleria da film in bianco e nero e  indossare i pantaloni”.  Il quartiere, quelle case che lo componevano e che l’avevano vista passare lì giornate bellissime, cominciò a prendere corpo ad ogni suo passo, le gambe andarono più veloci individuando la porta di nero lucida sopra i tre scalini in marmo bianchi. Varcò la soglia di quel vialetto con un sorriso che faceva paura, quasi saltò a piedi pari quelle scale e senza pensarci su, forse con un po’ troppa forza, bussò alla porta. Il cuore le batteva forte nelle orecchie, cercava di controllare il respiro affannato ma con pessimi risultati e ringraziò tutte le divinità del mondo perché la sua mente non era stata presa dal panico del “e adesso cosa gli dico”, perché era proprio quella paura subdola che rovinava tutti i migliori discorsi improvvisati.
Gli attimi passavano, le guance rosse per la corsa cominciarono pian piano a freddarsi e quel sorriso euforico a perdere i suoi battiti. Alzò di nuovo la mano verso la porta ma questa si fermò a mezz’aria, “forse mi ha vista e non vuole aprirmi”. Aspettò come un cane infreddolito lì davanti ma nulla, nessun rumore proveniva dalla casa, lui non c’era. Eva abbassò gli occhi dandosi della stupida da sola e sentendosi abbattuta, la sua mente aveva cominciato a galoppare a briglia sciolte e già si immaginava il fidanzato tra le spire di altre donne. Si mise seduta sullo scalino più alto cercando di elaborare quell’opzione. Ormai il calore di quello sforzo fisico era scomparso e il freddo si vece sentire più forte, lei si sentiva stanca e avrebbe pagato pur di riavere la speranza di poco prima. Nonostante, però, il freddo e la cocente delusione, nonostante la paura che aveva che lui l’avesse già rimossa dalla sua vita, Eva aspettò che tornasse a casa.

Anche quella sera si trovava in un pub, con il solito boccale di birra che non avrebbe finito, circondato dai suoi colleghi di teatro che parlavano animatamente. Lui quelle sere accettava sempre ogni loro invito ad uscire dopo le prove, non gli importava quale potesse essere il programma della serata, lui accettava e basta, non riusciva a rimanere in quella casa. Ma anche se accettava di uscire, anche se si sedeva su quelle poltrone di pelle rosse con loro, la sua mente era del tutto distante, non ascoltava ciò che i suoi amici dicevano, non gli andava di parlare e non gli interessava fare la parte dell’asociale, per lui in quel momento iniziava una sorta di limbo, si trovava diviso tra il malessere nel trovarsi lì e la paura di varcare la soglia di quella casa. Perciò era salito a patti con se stesso e aveva deciso di rimanere in quel locale, con stoica pazienza, fino a che i suoi amici e colleghi avrebbero voluto, che non si dicesse che non fosse di compagnia.

Lei aspettava e aspettava ancora, il freddo era pungente e più di qualche volta l’idea di andarsene l’aveva sfiorata. Aveva mentito a Miriam, le aveva detto di trovarsi a cena con delle amiche del giornale, precisamente non sapeva nemmeno lei il perché lo avesse fatto, o forse si, non voleva sentire quella voce sospirante preoccupata che le elargiva le sue perle di saggezza, sapeva che l’amica lo faceva a fin di bene ma di quel bene lei, proprio in quel momento, non sapeva cosa farsene.

Certamente il momento più emozionante della serata era stata una semplice frase,
 “Sarà meglio andare”, un concetto semplice, coinciso, per nulla elaborato e che non ammetteva obiezioni. Quelle tre parole lo avevano riportato  alla realtà all’istante, come se dall’inizio della serata non avesse fatto altro che aspettare quel momento. Li aveva salutati frettolosamente, sentendo la necessità di uscire da quel locale troppo caldo e chiassoso, desideroso di non sentire più tutti i commenti e le battutine “maschie” che i suoi compagni di bevuta elargivano ad ogni indifesa e ignara passante. E finalmente quel momento era arrivato, quel momento che sei da solo, mentre cammini a sera inoltrata per tornare a casa. Il freddo per le strade si stava rivelando un tocca sana per il suo malumore e lo sgranchirsi le gambe dopo tante ore seduto lo fece rilassare per un attimo. Nonostante fossero appena le 23,00 di sera i locali si stavano già svuotando, colpevole il giorno infrasettimanale e il lavoro del giorno successivo che avrebbe richiamato tutti all’ordine. Respirava aria fredda con avidità e guardava intorno a sé i pochi passanti per le strade, i vetri delle finestre della  maggior parte delle case erano bui, solo da alcuni proveniva una tenue luce di qualche televisione lasciata accesa. Si infilò le mani nelle tasche ed accarezzò il cellulare, sperando quasi di sentirlo prendere vita magicamente grazie al suo tocco ma anche per quella sera aveva taciuto. Non riusciva a pensare a nulla, sapeva che quel senso di vuoto era dato dall’assenza di lei, ma erano ormai giorni che la sua mente era vuota, priva di ogni idea, pensiero, sentimento, si aggirava per la casa e per le vie della città quasi fosse un’anima in pena, non trovando pace da nessuna parte, con quel malessere come unica testimonianza del fatto che lei c’era stata e che l’aveva perduta, come unica testimonianza che l’aveva veramente vissuta quella vita con lei. Arricciò il naso, nauseato quasi da quegli stessi identici pensieri che ogni volta gli salivano alla mente, si riproponevano seguendo sempre lo stesso ordine, come fosse un copione già scritto. Serrò gli occhi mentre scrollava la testa nel tentativo di scacciare ciò che gli albergava dentro, serrò le mani a pugno nelle tasche provando un sentimento di puro e autentico fastidio per se stesso e facendosi compassione, ma intanto, mentre queste semplici azioni si svolgevano nell’arco di pochi secondi, i suoi piedi avevano appena varcato la soglia del vialetto bianco.

Inutile fingere che uno dei due vide l’altro per primo, si erano fissati contemporaneamente. Nello stesso preciso istante gli occhi di uno si erano alzati dal pavimento e quelli dell’altro si erano aperti cercando di non badare al fastidio che provava. Così si ritrovarono, inermi e paralizzati, guardandosi con gli occhi spalancati, spalancati per la sorpresa, spalancati per l’ansia ma soprattutto per la paura di quell’incontro che da quasi un mese rimandavano, per quelle cose non dette che da quasi un mese non volevano sentirsi dire, preferendo, si, rimanere nell’incertezza, piuttosto che incassare la notizia della fine definitiva della loro storia.

Entrambi si ritrovarono immensamente stanchi, quasi facevano profondi respiri per riacquistare forze. I minuti passavano e loro rimanevano lì.

“Ti ho mentito e hai ragione ad avercela con me- fu Eva a parlare per prima, mentre i suoi occhi vagavano sulla strada- ma devi credermi quando ti dico che l’ho fatto per noi”. Mandò giù un boccone amaro cercando di reprimere il capogiro dato dall’eccessiva tensione che provava in quel momento. “Capisco che tu sia deluso e amareggiato ma non ti ho TRADITO, ho solo pensato a tutelare la nostra storia dagli attacchi gratuiti e ingiusti dei miei familiari”. Nel dire ciò Eva si era alzata in piedi, la veridicità di ciò che diceva le aveva fatto tornare le forze e nel vederla muoversi Richard aveva finalmente sbattuto le palpebre, come se avesse finalmente elaborato l’idea di trovarsela davanti.

“TU non eri nei Miei piani, mi hai detto questo- il significato di quella frase si ripercosse in lui facendogli male- tu dici di non avermi tradito,  allora come posso definire il tuo comportamento? Tu mi hai pugnalato alle spalle, mi hai trattato come un idiota da usare e gettare come se niente fosse, hai mai pensato alle conseguenze, a come io avessi potuto sentirmi? No, certo, credevi di essere così furba da riuscire a nascondere tutto, oppure, forse nella tua mente contorta ti eri fatta l’idea che io ci avrei riso sopra come fossi un ragazzino. C’ERA UNA CONVIVENZA EVA COME PENSAVI CHE IO CI AVREI POTUTO RIDERE SU CON TANTA SUPERFICIALITà?”, urlava come nemmeno quella sera fuori al pub aveva fatto. Urlava perché finalmente si stava sfogando, perché finalmente stava buttando fuori tutta quella rabbia che provava, urlava perché forse anche lui voleva farle un po’ male, un poco, come lei aveva fatto a lui.

Eva si passò le mani tra i capelli, si tappò le orecchie e cercò di respingere tutte quelle parole, non  voleva sentirle. Quando si era diretta a casa sua non aveva nemmeno lontanamente immaginato in quella reazione, forse la sua mente era ancora un po’ troppo inesperta, forse in quel momento la loro differenza d’età si stava facendo sentire. Se lei si fosse trovata al posto di Richard sarebbe stata furiosa si, ma non sarebbe mai riuscita a respingerlo così, lui, invece, stava tenendo il punto, quasi volesse dirle, “è così che si comportano le persone adulte, rimanendo sui propri passi, non facendosi smuovere dai sentimenti”.

Ma Eva non era adulta, lei era una ragazza, fresca di laurea, d’età e spinta da quell’ingenuità e, chissà, anche dalla disperazione. Spinta, forse, da quel mix letale di emozioni si ritrovò pericolosamente vicino a lui, le sue gambe l’avevano guidata ancora prima che la sua mente se ne accorgesse. Si ritrovò con la fronte poggiata sul petto di lui, le lacrime, che non sapeva nemmeno lei quando avevano cominciato ad uscirle, le rigavano calde il viso e finalmente sentiva di averlo vicino a sé, sentiva quel profumo così forte avvolgerla, così buono che quello sentito in metro non poteva minimamente paragonarglisi.

Abbassò le spalle che fino a un attimo prima erano mosse dalla rabbia, quel piccolo corpicino ora era vicino a lui. Alzò il viso verso il cielo, sentendo dentro di sé il combattimento tra il desiderio almeno solo di sfiorarla e quello di non credere alle sue parole.

Ma una cosa sentirono entrambi, un sentimento che copriva sia la rabbia che il dolore, un qualcosa che da quasi un mese non provavano, pace.

Chiunque fosse passato li davanti avrebbe visto davanti a sé un uomo e una donna, l’uno di fronte all’altro immobili, forse sembrando strani, oppure banali, ma nessuno avrebbe potuto sapere che quella era la più autentica forma d’amore. Si, quando ci si fa così tanto male insieme è per l’eccesso d’amore che si prova.

Eva calmò i suoi singhiozzi e con mani tremanti accarezzò quel petto, cercando di sistemare un’invisibile piega sul maglione di lui, facendo serrare gli occhi  a Richard.
“Il mio problema è che tu sei la soluzione- pausa, rimanendo stupita di quella grande realtà che stava dicendo- la cosa che più mi atterrisce è che per ogni mia incazzatura, per ogni mia delusione o amarezza, TU e solo TU, sei la cura a tutto. Ho sbagliato a non essere sincera fin da subito, sono stata cattiva ad urlarti quella frase, è vero non mi aspettavo di conoscerti, non lo avevo pensato questo ma di tutte le cose più inaspettate sei quella migliore”.

Non poteva negarlo, le credeva e sentire quelle parole così vere lo stava facendo sentire bene ma c’era un problema, le credeva fino al 99%, quel semplice 1%, però, lo stava già minando, stava già incendiando il fuoco del dubbio e del sospetto di non potersi fidare,
“Chi agisce così una volta può rifarlo, forse in maniera diversa, anche nascondendo altri uomini. Chi si sente così furbo penserà sempre di poter fregare il prossimo”. 

La giovane aveva il corpo rilassato, in posizione di riposo, sentendosi sicura.

Richard li sentì, i suoi muscoli stavano tornando in tensione, quell’espressione di rabbia mista a delusione tornò sul suo volto. La spinse, spinse via da se con forza, vedendole sugli occhi un’espressione di sorpresa e smarrimento. A grandi falcate si diresse verso la porta, senza girarsi.
“Credo che non ci sia altro da dirci, è stato un piacere averti conosciuto ma ora non vorrei più essere disturbato da te”, la sua voce era ferma, fredda, distaccata, nel pronunciare quelle parole non si era curato minimamente delle macerie che si sarebbero portate dietro e con tutta la calma del mondo aprì la porta di casa per poi sparirvi dietro. Fece i soliti gesti che faceva appena rientrato, accese la luce nel corridoio, posò le chiavi sul tavolo dell’ingresso, appese il pesante cappotto all’appendiabiti, si diresse in soggiorno accendendo la televisione e mettendosi comodamente sul divano. In quei minuti il suo cervello aveva rimosso la presenza che fino a poco fa si trovava in quel cortile, si girò con lentezza, non sapendo se augurarsi di trovarla ancora lì o meno.

Non riusciva a respirare, da dentro la casa sentiva il vociare di un programma alla televisione .
“Respira, respira, va tutto bene”. La sua coscienza era corsa prontamente a soccorrerla come una madre preoccupata. Fece quello che le diceva, respirò, respirò a fondo, dando sempre le spalle a quella casa.
“Hai fatto quello che ti sentivi di fare Eva, sei stata brava ma ora basta. Ha preso una decisione, devi lasciarlo andare”.

“Esci, prendila di peso e riportala qui, non fare l’idiota Richard, non fare l’orgoglioso, la ragazza era sincera”. Il suo grillo parlante quasi si stava strappando i capelli nel tentativo di buttare giù quel muro d’orgoglio, pensando al vero bene per l’uomo. Sentiva, sentiva che voleva farlo, che voleva correre da lei, inginocchiarsi davanti quel piccolo corpicino, stringerle le braccia intorno alla vita e poggiarle il viso all’altezza del ventre, stringendola con avidità, pregandola di perdonarlo per tutta quella cattiveria eccessiva e sperando di sentire su quelle labbra che tanto amava, l’ombra di un sorriso un po’ misto alla stanchezza, alla rilassatezza e alla gioia. Si immaginò persino quelle manine ben curate tra i suoi capelli, mentre cercavano di cullarlo. Lo immaginò, lo immaginò nitidamente, chiudendo gli occhi per gustarla meglio. Il grillo parlante stava quasi per fare le capriole per la gioia, forse qualche mattone di quel muro stava crollando ma aveva esultato con troppa facilità. Richard era immobile, non riusciva a muovere un solo corpo, come se una forza invisibile lo tenesse paralizzato, trovandosi a guardare quella scena, che lo vedeva il protagonista principale, come se invece fosse uno spettatore pagante.

Anche quella mattina l’aria era fredda e il cielo era nero, avrebbe piovuto si vedeva e nell’aria quell’odore di terra umida era già forte. Eva si trovava sul vagone della metro diretta a lavoro, gli occhi un po’ annoiati all’idea di dover affrontare una nuova giornata frenetica e sospirò rassegnandosi alle sue incombenze e sperando, come ormai era solita fare negli ultimi giorni, che quelle ore passassero alla svelta. Il vagone a mano a mano che si fermava nelle varie stazioni si svuotava sempre di più e ciò le permise di potersi sedere. Guardava fuori dal vetro le persone che con passo frenetico salivano le scale per non fare tardi, mentre lei si trovava immersa in un limbo che da tre giorni prima l’aveva assalita. Non si ricordava troppo bene le emozioni che provò quando andò via da casa di Richard, sapeva solo che la mattina seguente si era svegliata da un sonno privo di sogni e che quel senso di “nulla” era già sbocciato in lei. Non sapeva bene come poter definire quel “nulla” ma improvvisamente tutto le scivolava addosso, tutto non le interessava più, non la coinvolgeva, se ne stava nel suo angolo ad aspettare placidamente che il tempo scorresse. Non provava più nulla, nemmeno quel grande dolore e quei sensi di colpa che da un mese l’avevano assalita, nulla. Si comportava come un’operosa formichina, si alzava la mattina, si presentava a lavoro puntuale e alla fine della giornata tornava a casa, non trattenendosi oltre l’orario d’ufficio.

Era rimasto a casa quel giorno, non riusciva a concentrarsi né sulle battute, né su altro. L’unica mimica espressiva del suo volto erano le labbra che avevano preso una piega che andava verso il basso, gli occhi gli pizzicavano per la mancanza di sonno e braccia e gambe erano dei tronchi che non sapeva come utilizzare, perciò aveva deciso di inventarsi la scusa di un malanno ed evitare l’ennesima vergogna per non riuscire a fare il suo lavoro. Guardò ancora una volta quel vialetto che ora era vuoto, cercando di cancellare dalla sua memoria quell’ultimo sguardo che lei gli aveva concesso. Il suo gioco era durato troppo, la sua intenzione di fare il bambino offeso e desideroso d’attenzioni gli si era ritorta contro, perché era come se lei in quello sguardo gli avesse urlato che in quel momento era lui che stava gettando tutto alle ortiche.
“Essere adulti non vuol dire solo tenere il punto ma anche capire quando smetterla e cambiare la situazione”.
Ancora quella voce che ormai da giorni lo accompagnava ma aveva ragione, tutti avevano ragione tranne lui, si era comportato come un isterico punto sull’orgoglio.
“Gradirei non essere più disturbato”, la spinta data in malo modo per allontanarla da lui, quelle immagini gli si accavallavano davanti agli occhi facendolo rannicchiare su se stesso. Lui voleva ripagarla con la stessa moneta ma aveva era in debito di molte e molte cattive frasi sferzate gratuitamente.

La camera era buia, l’unica luce proveniva dal suo iphone che aveva appena iniziato una chiamata. Richard se ne stava disteso immobile al centro del letto con il cellulare incollato all’orecchio, ogni suo senso era rivolto a quel telefono che squillava libero.

Qualcosa di fastidioso l’aveva svegliata, Eva ci impiegò qualche secondo ad aprire gli occhi e capire cosa stesse accadendo. Erano le 2,40 della notte e il suo cellulare squillava febbrilmente. Mugugnò lamentosamente e con gesti goffi allungò la sua mano verso l’apparecchio. Rimase immobile nel vedere quel nome sul display, la stava chiamando. Il cellulare squillò e squillò ancora per poi tacere. Poi, però, ricominciò e ricominciò a strillare, perché quel suono proprio in quel momento non lo sopportava. Eppure guardava quel nome rimanendo ferma, solo per un attimo il desiderio di sentire quella voce l’aveva sfiorata ma il “nulla” era arrivato con spade e bastoni e lo aveva cacciato prontamente. Il telefono smise di suonare e prima che avesse potuto ricominciare lo spense. Lo spense senza troppe cerimonie, senza troppe preoccupazioni, lasciando l’oggetto scivolare sul comodino e sprofondando il viso sul cuscino, improvvisamente stanca.

Il locale di sabato sera era stracolmo di gente, Eva schizzava per i tavoli e il bancone come una scheggia. Il lavoro al giornale era buono e lo stipendio le bastava ma aveva deciso di tenersi quel lavoro solo part-time e non per la paga ma per l’aria divertente che si respirava lì insieme ai suoi colleghi e anche un po’ perché era lì che Richard l’aveva accompagnata la prima volta usciti dalla metro, così premuroso e li era stato teatro di altri bei ricordi.

La serata terminò a notte fonda, ma Eva a causa del troppo lavoro non aveva minimamente dato uno sguardo all’orologio. Mentre asciugava e sistemava i boccali di birra però il sonno e la stanchezza cominciarono a farsi sentire e l’idea di doversi fare il tragitto con i mezzi le face alzare gli occhi al cielo. Le piaceva l’atmosfera che si creava in quel luogo dopo che le persone se ne erano andate via, dopo tanta frenesia e tanto chiasso finalmente la tranquillità. In sottofondo la voce inconfondibile di Freddie Mercury intonava le note della sua Scandal, ed Eva si fece un po’ cullare da quelle note, a completare quel quadro perfetto il c’era il calore piacevole dei riscaldamenti ormai spente e le luci soffuse che si mischiavano con il marrone scuro delle pareti e del bancone.

Era rimasto fuori come un ladro, spiava, aspettava e poi ad ogni porta aperta si ritirava. Aveva cercato tante volte di entrare ma ogni qual volta qualcuno entrava o usciva dalla locanda lui si ritirava, evitando di farsi persino vedere. La vedeva muoversi veloce, portando vassoi che erano più grandi di lei e sorridendo cordialmente ai clienti e, doveva ammetterlo, per ogni sorriso cordiale era geloso, a maggior ragione perché poteva solamente immaginare i commenti che potevano fare su di lei, la SUA fidanzata e questo lo faceva ribollire. Alla fine aveva deciso di mettersi in piedi, sotto un lampione, a braccia conserte ad aspettare che uscisse. Nulla, nemmeno il freddo pungente, la noia, le ore che passavano o gli sguardi perplessi dei passanti.

“Bene ragazzi, ci vediamo domani “. Richard drizzò le orecchie come un cane che con pazienza aspetta il padrone. L’aveva sentita dire quella frase mentre si trovava sulla porta e poi la vide uscire. Il suo muoversi sotto la luce fioca del lampione la misero per un attimo in allarme ma quando lo riconobbe indietreggiò di qualche passo e leggermente una parte dell’angolo della sua bocca si alzò, come fosse infastidito.

Il silenzio, la pausa e la sorpresa erano durati poco, Eva aveva elaborato velocemente quella presenza, si era stretta di più nel suo cappotto e abbassando la testa aveva puntato avanti. L’aveva cacciata in malo modo pochi giorni prima, trattata come se si fosse macchiata del peggiore dei reati, umiliata e lasciata fuori quella caso senza alcuna preoccupazione alcuna.

La vedeva camminare veloce allontanandosi sempre più velocemente.
“Eva aspetta, non andare via, non andare sola è pericoloso. Aspetta che ti accompagni, almeno potremmo parlare”.
Lì sentì i denti dentro la bocca digrignare e lo stomaco attorcigliarsi dentro per il fastidio e l’ipocrisia di quella parole. Tentò, tentò di ignorarlo, di non rispondergli rimanendo a testa bassa ma tutta quella falsità non riusciva a mandarla giù.
“è pericoloso? So benissimo che potrebbe essere pericoloso ma non mi sembra che nell’ultimo mese tu ti sia preoccupata per questi pericoli, non mi sembra che l’altra sera dopo che mi hai chiuso la porta in faccia, dopo avermi vista disperata e chissà forse pronta a qualsiasi gesto (menzogna), tu ti sia preoccupato”. Si era girata verso l’uomo come fosse stato un orso appena uscito dal letargo, era così minacciosa che Richard aveva fatto qualche passo indietro. Ma non gli aveva nemmeno dato il tempo di elaborare una frase di senso compiuta che sempre a testa bassa la ragazza aveva ripreso a camminare.
“Ah fa male, fa male sentirsi trattati così, fa male sentirsi dire quelle parole? Bene, almeno capirai cosa ho provato io”.
“Non tentare di rigirare la storia, io ho sbagliato ma l’ho fatto per tutelare la nostra storia, tu hai avuto il tatto di un carrarmato con me per il semplice gusto di ripagarmi con la mia stessa moneta ma ti dirò una differenza, la tua cattiveria è stata intenzionale”.
Aveva detto quelle parole come un treno in corsa, a perdifiato e ora respirava velocemente per riprenderlo.
Si guardavano, l’uno difronte all’altro a qualche passo di distanza.
“Si, è stato intenzionale, volevo farti provare ciò che provavo io”.
“Perché l’espressione che mi hai visto sul viso tre giorni fa era di pura gioia, è questo che hai capito?”.
Richard si guardò la punta delle scarpe capendo quanto fosse stato immaturo quel suo atteggiamento ma doveva farle capire ciò che anche lei gli aveva fatto.
Assunse un’espressione seria, non più colpevole da cane bastonato, le sue spalle erano dritte e la sua posizione eretta, quella calma sorprese Eva.
“Entrambi abbiamo le nostre colpe, tu mi hai mentito dicendomi che la tua famiglia sapeva del nostro fidanzamento e della nostra convivenza- serrò forte il pugno cercando di mitigare il fastidio dato da quel pensiero- e io ho sbagliato nel cacciarti senza nemmeno sentire e cercare di capire il perché di quel comportamento. Io dovrei capire te, hai ragione ma tu hai capito me?”.
La domanda lasciò spiazzata Eva che, nonostante le mille domande e idee di quella non si era molto curata. Abbassò gli occhi, non sentendosi più tanto sicura come un attimo prima.
“Tutto ciò che dicevi per me era oro colato, verità pura che non avrei mai messo in discussione. Ti ho difeso dai dubbi dei miei genitori, perché anche loro ne avevano- sentire questo ad Eva fece male, sentirsi dire quella grande verità, ossia come si sarebbe dovuta comportare, le fece male- mi sono gettato in questa storia anima e corpo, non pensando a nulla che non fosse il tuo bene principalmente. Me ne sono fregato dell’età, del fatto che forse era troppo presto per presentarti alla mia famiglia o, ancor più presto, una convivenza, eppure da quando ti ho conosciuta non riesco a fare più le cose come gli altri si aspettano che vengano fatte, penso a te ed è fatto bene. Perciò, ci pensi che tradimento è stato per me sapere che tu non riponevi quella stessa fiducia che io avevo in te? Che dolore è stato pensare che con tutte queste menzogne la storia difficilmente sarebbe potuta andare avanti?”
Eva si sentì punta sul vivo, quell’ultima frase, specialmente, le aveva fatto abbassare gli occhi un pò imbronciata.
Richard attese, attese qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse ma preferiva attendere qualche attimo. Senza rendersene conto nel parlare i loro corpi si erano avvicinati ma non abbastanza, l’uomo fece un solo passo avanti, un unico, quel tanto che bastava affinché lei potesse prendere la sua mano tesa.
Prese fiato, stava per dirle la cosa più importante e decisiva per la loro storia, cercando di mettere a tacere, anche se non era affatto semplice, quel piccolo senso di sospetto che, nonostante tutto ciò che provava, lo martellava.
“Dimentica le tue paure, dimentica tua madre e tuo padre, dimentica la tua vita in Italia e vieni via con me”.
Alle orecchie colpevoli di Eva quella splendida frase suonava come un rimprovero, come se volesse dirle: “So che c’è altro che mi nascondi ma per adesso non voglio pensarci, voglio fare finta di nulla”.
Eva guardava quella mano tesa, pensando a quel secondo atto del suo soggiorno londinese che stava tenendo nascosto, chiedendosi se avesse dovuto afferrare o meno quella mano.

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE
Salve miei cari, lo so, lo so, sono in ritardissimo, chiedo perdono ma ho avuto veramente molte cose da fare:
-Salvare l’universo
-Combattere la Morte Nera al fianco di Ian Solo
-Usare i miei super poteri alla scuola per giovani dotati di Xavier
-Cavalcare insieme a Frodo e io resto della compagnia dell’Anello
-Comprare un bastone per non vedenti ad Arya Stark
-Vincere la Coppa del Mondo al torneo Tre Maghi
Ehh come vedete sono stata molto impegnata ahahahah. Parlando seriamente, la nostra storia si sta evolvendo, i nostri protagonisti sono esseri umani ed ovviamente sono mossi anche loro da gioia, dolore, delusione ecc..quindi avranno quei pro e quei contro che in ogni coppia che attraversa una forte lite potremmo incontrare, non pensiamoli privi di difetti e pieni di virtù. Si amano, questo ve lo posso giurare ma quando veniamo traditi dalle persone a noi più care tendiamo ad essere sempre un po più cattivucci di quanto saremmo con altri. Eva nasconde qualcosa e Richard, vuoi che ora è più in allarme o perché inconsciamente ha percepito qualcosa, cambierà un po’ il suo solito atteggiamento.
Ringrazio infinitamente chi ha letto e chi è passato a lasciare un commento, spero continui perché lo adoro 
Ringrazio di cuore FollediScrittura, ergo la mia gemini perché con pazienza ascolta tutte le mie idee e con ancora più pazienza le asseconda, thank’s baby (immaginatela detta alla Fassbender…addio mondo ahaahahahha)
Al prossimo capitolo,
baci.

~~“Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo
che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza.
 Farsi primavera, significa accettare il rischio
dell'inverno. Farsi presenza ,significa accettare il rischio
dell'assenza.”
Cit. Il piccolo principe

 


Aprì gli occhi, le bruciavano, la stanza era buia, eccezion fatta per la spia rossa della televisione. Non sapeva che ora fosse, non sapeva se fosse mattina, pomeriggio o sera. Era sotto il piumone in posizione fetale, rannicchiata su se stessa, come a volersi nascondere. Le girava la testa e si era svegliata perché i crampi della fame erano tornati a farsi sentire, sempre più forti, portando quel fastidioso senso di nausea dato dallo stare troppo tempo digiuna. Ma lei non aveva le forze, le aveva perse, non le aveva nemmeno per parlare e pensare le faceva battere forte le tempie. Chiuse gli occhi, combattendo un altro giramento di testa. Non sapeva bene quando, Miriam era andata a svegliarla per vedere le sue condizioni ma lei era troppo stanca ,i suoi occhi si erano socchiusi solo per una frazione di secondo, lasciando l'immagine dell'amica in quel limbo tra il sogno e la realtà, sentendo il suono della sua voce ovattato, distante; l'aveva realmente vista, oppure se l'era solamente immaginata? Non lo sapeva, tutto era così confuso ora, tutto girava così velocemente. Aveva sonno, tanto sonno, il suo corpo stanco le chiedeva di dormire, ma poi perché era in quelle condizioni, cosa era accaduto? Per un momento non riuscì a capirlo, frugò nella mente ma era vuota ma poi l'immagine di un uomo alto e in maniche di camicia che si allontanava le venne davanti agli occhi, Richard. Solamente pensare quel nome fece ripiombare Eva in quel Tartaro che la tormentava. Solo quel nome la fece sentire ancora più stanca, se avesse potuto avrebbe persino smesso di respirare. Sfregò fiaccamente il viso sul cuscino e senza accorgersene ripiombò in un  sonno senza sogni, che non le dava riposo, anzi le toglieva sempre più le forze.

Guardava la porta chiusa dal divano, nessun rumore proveniva dal suo interno, nessun suono o sussurro, lei se ne sarebbe accorta, sarebbe subito corsa. Ma Miriam non sentiva niente, erano trascorsi tre giorni da quando Eva era chiusa li dentro e per quanto lei avesse cercato di svegliarla, parlarle, gli occhi dell'amica si chiudevano come fossero stati quelli di una bambola e il suo corpo sembrava quello di un burattino senza fili. Ripensò un momento a quel corpo così abbandonato a se stesso, come privo di ossa e rabbrividì. Per non parlare poi del colorito insane del suo viso e delle mani, pallido e quasi livido intorno agli occhi. L'aveva trovata così quando tre giorni prima la chiamarono dalla redazione, era svenuta improvvisamente, senza nessun sintomo. I suoi colleghi se l'erano vista crollare davanti, mentre stavano parlando durante la pausa caffè. Il motivo sapeva benissimo quale fosse, la lite e la menzogna detta a Richard erano state gravi e la situazione era sfuggita di mano all'amica che non aveva pensato bene a tutte le probabilità che le si potevano prospettare con il continuo e la crescita della relazione. Lo aveva chiamato, tante e tante volte, per dirgli dello stato di salute di Eva ma mai in quei giorni lui le aveva risposto.

Guardò il cellulare infastidito, facendo una smorfia quasi venata di rabbia. Il display era illuminato e il cellulare vibrava con forza sul tavolo dell'ingresso.  “Miriam”, era così patetica da chiamare dal telefono dell'amica, pensò mentre chiuse l'apparecchio in un cassetto per non vederlo. Era furente, ogni pensiero per Eva era di rabbia ma non solo nei riguardi della ragazza ma anche nei suoi, era stato un idiota a essere così cieco, a fidarsi in quella maniera.
“Sei innamorato”, disse una piccola vocina nella sua mente ma non appena lo pensò chiuse con forza la porta dietro di sé e maledisse il giorno che s'incontrarono. Camminava  velocemente, doveva  sfogarsi ma nulla riusciva a farlo scaricare, LEI, sempre lei era nella sua testa e l'odiava, l'odiava così tanto da lasciarlo spiazzato.
“La odi così tanto da sfiorare il limite dell'amore”. Ancora quella maledetta voce era a parlare. Allungò ancora di più il passo, sperava di stancarsi ma in quei giorni trascorsi non c'era stata notte che  era riuscito a dormire, l'adrenalina gli scorreva troppo velocemente nelle vene e il suono della voce di lei gli risuonava nelle orecchie senza sosta.

Era vaga ma improvvisamente la sua camera era illuminata, si era forse fatta mattina? Poi qualcuno le tolse il piumone da dosso, gli occhi le fecero male, non erano abituati a tutta quella luce, li serrò forte per ripararsi. Suoni, voci, ecco cosa sentiva ma non capiva, era tutto così confuso che non riusciva a distingue cosa si dicessero e chi fossero. Qualcuno la stava toccando, avrebbe voluto spostarsi ma non ci riusciva, non riusciva a muoversi, il suo cervello non ce la faceva a mandare il comando necessario al braccio per farlo muovere. Poi la sentì, Miriam, non capiva cosa dicesse ma riconobbe il suo timbrò di voce leggermente squillante, il tono che aveva solo quando era in ansia. Improvvisamente la luce l'accecò, una mano le aveva aperto prima l'occhio destro, poi era passato a quello sinistro, erano mani forti, sicure di ciò che stavano facendo.
“Mi sento sollevare, cosa sta accadendo, dove sono? Piano-penso-mi fa male tutto. Scrosciare, sento il rumore dell'acqua e poi profumo di bagnoschiuma, come è buono, voglio respirare  questo profumo ancora un pò, mi fa sentire meglio. Delle mani delicate mi stanno togliendo i vestiti, non sono le stesse di prima.”

Miriam si ritrovò improvvisamente senza forze, il cuore le batteva veloce e le guance le andavano a fuoco. Aveva chiamato un medico ,era preoccupata e doveva aiutare la sua amica. Ciò di cui si era raccomandato il dottore era non perderla mai d'occhio e farla mangiare, anche  per forza ma doveva riempire lo stomaco. Così Miriam si era trovata a fare da sorella maggiore a quella sua amica che ora, seduta vicino la finestra intenta a guardare fuori, le sembrava veramente un piccolo cucchiaino indifeso. Aveva perso molto peso, il viso era segnato e intorno alla bocca si erano formate due linee che davano l'idea di un viso smunto e  sofferente.

Non usciva di casa da quindici giorni, il traffico, i suoni, le persone che camminavano veloce con il loro parlottare le facevano girare la testa, la confondevano e le facevano sentire la testa vuota. Ma doveva, sapeva che quella era una violenza su se stessa ma doveva farla ,doveva riabituarsi alla vita reale, doveva combattere la perenne stanchezza che la pervadeva e il sonno che le faceva sentire le palpebre pesanti. Sarebbe tornata a lavoro di li a due giorni e doveva riprendere a tutti i costi i contatti con la realtà. Una pioggerella leggera e improvvisa aveva cominciato a scendere ma non la disturbò, anzi le fece quasi piacere. Così in quelle condizioni e con le mani fredde e bagnate si trovava su quel ponte sotto il Big Ben a guardare le luci blu della London Eye. Scosse la testa biasimando se stessa, la colpa era sua e di nessun altro, lei lo aveva ingannato e per quanto volesse prendersela con suo padre per ciò che era accaduto, non riusciva ad odiarlo come sperava ,non riusciva a scaricare quell'errore sulle spalle di Ettore. Perché se lei avesse riposto la sua fiducia completamente nelle mani di Richard adesso non si troverebbe con l'anima rotta e gli occhi gonfi di pianto.
“E tu Richard, cosa starai facendo ora?”
pose quella domanda al vento, sperando forse che qualcuno le sussurrasse nell'orecchio “Sta pensando a te”. Quella sciocca speranza le fece chiudere gli occhi e sorridere amaramente. Guardò il cellulare per l'ennesima volta ma ancora nessun contatto da parte dell'uomo,
“mi ha già dimenticata?”.
Quel pensiero le fece chiudere lo stomaco, sentire il cuore batterle all'impazzata e  contemporaneamente fermarsi bruscamente. Avrebbe voluto rannicchiarsi su se stessa e piangere, le sentiva quelle canaglie agli angoli degli occhi ma combattè con tutta se stessa per rimandarle dentro e ergersi in tutta la sua minuta statura.

In quei giorni passati il suo cellulare aveva squillato regolarmente,  squillava al suono della suoneria preimpostata del suo iphone, mostrando sul display il nome di Lei, oppure di Miriam e questo in qualche modo gli dava forza, la forza di fare l’arrabbiato e anche l’orgoglioso ma erano passati tre giorni e il suo cellulare, se non per le chiamate di lavoro o di amici e parenti, era muto, Lei era sparita. Quei tre giorni senza aver nemmeno un minimo contatto da parte sua e del suo mondo gli erano sembrati interminabili, teneva il cellulare sempre attaccato a sé e puntualmente ogni due minuti controllava se Lei lo avesse cercato. Improvvisamente tutta quell’adrenalina che lo animava e quella rabbia lo rendeva così energico si erano esaurite con troppa velocità, consumandosi in fretta nel suo corpo. Richard si ritrovava in quella casa che mai come in quel momento gli sembrava vuota e triste, si era portata via tutto e quel non avere nemmeno una piccola traccia di Eva gli faceva venire un nodo in gola. Si mise seduto al centro del divano di palle nero e mosse la testa cercando di capire come poteva ritrovarsi senza di lei. Nei giorni passati, preso dal fuoco e dall’orgoglio, aveva persino gettato quei piccoli post_it che lei gli lasciava per la casa. Un angolo del labro si incurvò al ricordo di quando li trovava sfusi sui mobili e si maledì per averli gettati. Prese il telefono andando sulla rubrica, sfiorò il suo nome sperando che il suo pollice premesse per “errore” il tasto della chiamata ma non riuscì ad essere così maldestro. Non aveva più dormito nel “loro” letto, per quanto avesse voluto fare il forte non ci era riuscito, temeva quel suo profumo. Eppure quella giornata era stata interminabile e aveva bisogno di sentirla in qualche modo “vicina”, anche se vicina non era. Con estrema delicatezza, come non volesse far male a nessuno con il suo corpo si infilò sotto le coperte e rimase a fissare quella parte destra del letto dove fino a poco tempo prima dormiva rannicchiata una piccola testolina dai lunghi capelli neri e dalle labbra carnose, quel corpo che lui amava tanto stringere, con il quale amava fare l’amore e vedere l’eccitazione di quel momento riflessa nei suoi occhi scuri. Accarezzò quel cuscino vuoto e cercò d’immaginarsi il suono della sua voce al mattino, un po’ roco, sorrise teneramente ai gesti che la fidanzata faceva appena aperti gli occhi, quel suo modo un po’ infantili che aveva di stropicciarli, a quel suo modo di rannicchiarsi al centro del loro letto e lo guardava mentre lui si preparava. Sospirò rumorosamente e dovette allentare con i ricordi, qualcosa agli angoli degli occhi minacciava di uscire. Scosse la testa e cacciò  via quel viso ma tra il sonno e l’incoscienza il suo volto si spostò inconsapevolmente sul guanciale di lei e nel sonno il profumo di lei lo fece rilassare.

Nonostante le aspettative tornare a lavoro aiutò molto Eva e le premure dei suoi colleghi la lasciarono piacevolmente sorpresa, facendole fare un sorriso sincero dopo tanto tempo. Si gettò a precipizio su interviste e articoli, facendo più attenzione del solito a ciò che scriveva e rimanendo davanti la scrivania anche oltre l’orario di chiusura della redazione. L’aiutava, la rilassava scrivere al computer, stare in mezzo ad altre persone che non la guardavano in continuazione preoccupate, nessuno che sapesse di ciò che era accaduto fuori quel locale tra lei e Richard, nessuno che sapesse il casino che lei aveva combinato e di che bugiarda patentata fosse. Non poteva negarlo, anche se si dedicava anima e corpo nel suo lavoro il pensiero di Lui era sempre dietro l’angolo, le capitava di scrivere al computer e dal nulla quel sorriso timido faceva capolino nella sua mente, così quando accadeva era più forte di lei, entrava in quel suo mondo, si estraniava dalla realtà, lasciando ciò che stava facendo e richiamando alla memoria quell’espressione e quei gesti che lui faceva e che aveva sempre osservato, non perdendosene mai uno. Chiuse gli occhi e se lo ritrovò già lì ad attenderla, indossava jeans scuri, un maglione di lana fina e un giubbotto di pelle nera, le era sempre piaciuto come gli stava quell’indumento. E poi lo vide, osservò con estrema attenzione quel sorrisetto timido nascergli sulle labbra, mentre gli occhi si precipitavano a guardare le punte delle scarpe, aveva sempre amato quel suo sorriso fin dal primo giorno, senza smettere mai. Tornare alla realtà ed uscire da quella bolle era ogni volta un trauma, dentro si sentiva il desiderio di urlare, di rannicchiarsi su se stessa impaurita, poi arrivava il senso di vuoto e alla fine la rassegnazione.

Come da copione, Eva rimase più a lungo in ufficio e quando uscì in strada i lampioni erano accesi già da molto tempo. Febbraio era arrivato e il freddo di quella sera la fece stringere ancora di più nel suo cappotto. La strada era quasi del tutto deserta e solo in lontananza sentì il passare di un auto e l’abbaiare di un cane.
“Lui si sarebbe preoccupato nel sapermi sola in strada a quest’ora”. Sorrise un po’ tristemente a quel pensiero che fino a poco tempo prima sapeva essere certo ma che in quel momento, dopo gli eventi accaduti,  non sapeva più se fosse ancora vero o meno.

Si trovava nella metro ad aspettare l’arrivo del treno, la stanchezza accumulata cominciò a farsi sentire ed Eva si mise seduta su di una panchina guardando il binario pazientemente. Si trovava così, completamente catapultata nella realtà, con i sensi in allerta nel sentire l’arrivo del vagone, del vociare intorno a lei. Non seppe nemmeno lei da dove ma un profumo che conosceva benissimo, un profumo peculiare, fatto di dopobarba e pelle le arrivò alle narici, un odore così forte ma che non nauseava. Si guardò intorno, cercando il colpevole di quel furto di profumo, volendogli quasi urlare che quella fragranza era di Richard, a lui spettava, a lui stava bene, a lui e nessun altro. Girò la testa a destra e sinistra, annusò con insistenza l’aria ma con la stessa velocità con cui era arrivato quel profumo, con altrettanto era sparita. Una frase si fece largo nella sua memoria,
“Se senti il profumo di qualcuno che non ti è vicino, allora quel profumo è nell’anima”.
Una strana determinazione prese forma in lei, una strana frenesia che la ritrovò a maledire la lentezza di quel mezzo pubblico.

Era da pazzi, lei questo lo sapeva ma doveva farlo. Era uscita dal vagone quasi spintonando la gente, ricevendo qualche sano e non poco velato insulto ma con le gambe che correvano veloci, la ventiquattro ore stretta in mano, il respiro che cominciava ad essere affannato e un sorriso d’eccitazione si stava dirigendo a casa di Richard e in quel momento poco le interessava se non sapeva cosa dirgli o come lui avrebbe reagito, al diavolo la sua convinzione che sia nel giusto o nello sbagliato doveva essere l’uomo a fare il primo passo,
 “abbiamo voluto la parità dei sessi- pensò- e quindi è bene cominciare a cancellare la vecchia cavalleria da film in bianco e nero e  indossare i pantaloni”.  Il quartiere, quelle case che lo componevano e che l’avevano vista passare lì giornate bellissime, cominciò a prendere corpo ad ogni suo passo, le gambe andarono più veloci individuando la porta di nero lucida sopra i tre scalini in marmo bianchi. Varcò la soglia di quel vialetto con un sorriso che faceva paura, quasi saltò a piedi pari quelle scale e senza pensarci su, forse con un po’ troppa forza, bussò alla porta. Il cuore le batteva forte nelle orecchie, cercava di controllare il respiro affannato ma con pessimi risultati e ringraziò tutte le divinità del mondo perché la sua mente non era stata presa dal panico del “e adesso cosa gli dico”, perché era proprio quella paura subdola che rovinava tutti i migliori discorsi improvvisati.
Gli attimi passavano, le guance rosse per la corsa cominciarono pian piano a freddarsi e quel sorriso euforico a perdere i suoi battiti. Alzò di nuovo la mano verso la porta ma questa si fermò a mezz’aria, “forse mi ha vista e non vuole aprirmi”. Aspettò come un cane infreddolito lì davanti ma nulla, nessun rumore proveniva dalla casa, lui non c’era. Eva abbassò gli occhi dandosi della stupida da sola e sentendosi abbattuta, la sua mente aveva cominciato a galoppare a briglia sciolte e già si immaginava il fidanzato tra le spire di altre donne. Si mise seduta sullo scalino più alto cercando di elaborare quell’opzione. Ormai il calore di quello sforzo fisico era scomparso e il freddo si vece sentire più forte, lei si sentiva stanca e avrebbe pagato pur di riavere la speranza di poco prima. Nonostante, però, il freddo e la cocente delusione, nonostante la paura che aveva che lui l’avesse già rimossa dalla sua vita, Eva aspettò che tornasse a casa.

Anche quella sera si trovava in un pub, con il solito boccale di birra che non avrebbe finito, circondato dai suoi colleghi di teatro che parlavano animatamente. Lui quelle sere accettava sempre ogni loro invito ad uscire dopo le prove, non gli importava quale potesse essere il programma della serata, lui accettava e basta, non riusciva a rimanere in quella casa. Ma anche se accettava di uscire, anche se si sedeva su quelle poltrone di pelle rosse con loro, la sua mente era del tutto distante, non ascoltava ciò che i suoi amici dicevano, non gli andava di parlare e non gli interessava fare la parte dell’asociale, per lui in quel momento iniziava una sorta di limbo, si trovava diviso tra il malessere nel trovarsi lì e la paura di varcare la soglia di quella casa. Perciò era salito a patti con se stesso e aveva deciso di rimanere in quel locale, con stoica pazienza, fino a che i suoi amici e colleghi avrebbero voluto, che non si dicesse che non fosse di compagnia.

Lei aspettava e aspettava ancora, il freddo era pungente e più di qualche volta l’idea di andarsene l’aveva sfiorata. Aveva mentito a Miriam, le aveva detto di trovarsi a cena con delle amiche del giornale, precisamente non sapeva nemmeno lei il perché lo avesse fatto, o forse si, non voleva sentire quella voce sospirante preoccupata che le elargiva le sue perle di saggezza, sapeva che l’amica lo faceva a fin di bene ma di quel bene lei, proprio in quel momento, non sapeva cosa farsene.

Certamente il momento più emozionante della serata era stata una semplice frase,
 “Sarà meglio andare”, un concetto semplice, coinciso, per nulla elaborato e che non ammetteva obiezioni. Quelle tre parole lo avevano riportato  alla realtà all’istante, come se dall’inizio della serata non avesse fatto altro che aspettare quel momento. Li aveva salutati frettolosamente, sentendo la necessità di uscire da quel locale troppo caldo e chiassoso, desideroso di non sentire più tutti i commenti e le battutine “maschie” che i suoi compagni di bevuta elargivano ad ogni indifesa e ignara passante. E finalmente quel momento era arrivato, quel momento che sei da solo, mentre cammini a sera inoltrata per tornare a casa. Il freddo per le strade si stava rivelando un tocca sana per il suo malumore e lo sgranchirsi le gambe dopo tante ore seduto lo fece rilassare per un attimo. Nonostante fossero appena le 23,00 di sera i locali si stavano già svuotando, colpevole il giorno infrasettimanale e il lavoro del giorno successivo che avrebbe richiamato tutti all’ordine. Respirava aria fredda con avidità e guardava intorno a sé i pochi passanti per le strade, i vetri delle finestre della  maggior parte delle case erano bui, solo da alcuni proveniva una tenue luce di qualche televisione lasciata accesa. Si infilò le mani nelle tasche ed accarezzò il cellulare, sperando quasi di sentirlo prendere vita magicamente grazie al suo tocco ma anche per quella sera aveva taciuto. Non riusciva a pensare a nulla, sapeva che quel senso di vuoto era dato dall’assenza di lei, ma erano ormai giorni che la sua mente era vuota, priva di ogni idea, pensiero, sentimento, si aggirava per la casa e per le vie della città quasi fosse un’anima in pena, non trovando pace da nessuna parte, con quel malessere come unica testimonianza del fatto che lei c’era stata e che l’aveva perduta, come unica testimonianza che l’aveva veramente vissuta quella vita con lei. Arricciò il naso, nauseato quasi da quegli stessi identici pensieri che ogni volta gli salivano alla mente, si riproponevano seguendo sempre lo stesso ordine, come fosse un copione già scritto. Serrò gli occhi mentre scrollava la testa nel tentativo di scacciare ciò che gli albergava dentro, serrò le mani a pugno nelle tasche provando un sentimento di puro e autentico fastidio per se stesso e facendosi compassione, ma intanto, mentre queste semplici azioni si svolgevano nell’arco di pochi secondi, i suoi piedi avevano appena varcato la soglia del vialetto bianco.

Inutile fingere che uno dei due vide l’altro per primo, si erano fissati contemporaneamente. Nello stesso preciso istante gli occhi di uno si erano alzati dal pavimento e quelli dell’altro si erano aperti cercando di non badare al fastidio che provava. Così si ritrovarono, inermi e paralizzati, guardandosi con gli occhi spalancati, spalancati per la sorpresa, spalancati per l’ansia ma soprattutto per la paura di quell’incontro che da quasi un mese rimandavano, per quelle cose non dette che da quasi un mese non volevano sentirsi dire, preferendo, si, rimanere nell’incertezza, piuttosto che incassare la notizia della fine definitiva della loro storia.

Entrambi si ritrovarono immensamente stanchi, quasi facevano profondi respiri per riacquistare forze. I minuti passavano e loro rimanevano lì.

“Ti ho mentito e hai ragione ad avercela con me- fu Eva a parlare per prima, mentre i suoi occhi vagavano sulla strada- ma devi credermi quando ti dico che l’ho fatto per noi”. Mandò giù un boccone amaro cercando di reprimere il capogiro dato dall’eccessiva tensione che provava in quel momento. “Capisco che tu sia deluso e amareggiato ma non ti ho TRADITO, ho solo pensato a tutelare la nostra storia dagli attacchi gratuiti e ingiusti dei miei familiari”. Nel dire ciò Eva si era alzata in piedi, la veridicità di ciò che diceva le aveva fatto tornare le forze e nel vederla muoversi Richard aveva finalmente sbattuto le palpebre, come se avesse finalmente elaborato l’idea di trovarsela davanti.

“TU non eri nei Miei piani, mi hai detto questo- il significato di quella frase si ripercosse in lui facendogli male- tu dici di non avermi tradito,  allora come posso definire il tuo comportamento? Tu mi hai pugnalato alle spalle, mi hai trattato come un idiota da usare e gettare come se niente fosse, hai mai pensato alle conseguenze, a come io avessi potuto sentirmi? No, certo, credevi di essere così furba da riuscire a nascondere tutto, oppure, forse nella tua mente contorta ti eri fatta l’idea che io ci avrei riso sopra come fossi un ragazzino. C’ERA UNA CONVIVENZA EVA COME PENSAVI CHE IO CI AVREI POTUTO RIDERE SU CON TANTA SUPERFICIALITà?”, urlava come nemmeno quella sera fuori al pub aveva fatto. Urlava perché finalmente si stava sfogando, perché finalmente stava buttando fuori tutta quella rabbia che provava, urlava perché forse anche lui voleva farle un po’ male, un poco, come lei aveva fatto a lui.

Eva si passò le mani tra i capelli, si tappò le orecchie e cercò di respingere tutte quelle parole, non  voleva sentirle. Quando si era diretta a casa sua non aveva nemmeno lontanamente immaginato in quella reazione, forse la sua mente era ancora un po’ troppo inesperta, forse in quel momento la loro differenza d’età si stava facendo sentire. Se lei si fosse trovata al posto di Richard sarebbe stata furiosa si, ma non sarebbe mai riuscita a respingerlo così, lui, invece, stava tenendo il punto, quasi volesse dirle, “è così che si comportano le persone adulte, rimanendo sui propri passi, non facendosi smuovere dai sentimenti”.

Ma Eva non era adulta, lei era una ragazza, fresca di laurea, d’età e spinta da quell’ingenuità e, chissà, anche dalla disperazione. Spinta, forse, da quel mix letale di emozioni si ritrovò pericolosamente vicino a lui, le sue gambe l’avevano guidata ancora prima che la sua mente se ne accorgesse. Si ritrovò con la fronte poggiata sul petto di lui, le lacrime, che non sapeva nemmeno lei quando avevano cominciato ad uscirle, le rigavano calde il viso e finalmente sentiva di averlo vicino a sé, sentiva quel profumo così forte avvolgerla, così buono che quello sentito in metro non poteva minimamente paragonarglisi.

Abbassò le spalle che fino a un attimo prima erano mosse dalla rabbia, quel piccolo corpicino ora era vicino a lui. Alzò il viso verso il cielo, sentendo dentro di sé il combattimento tra il desiderio almeno solo di sfiorarla e quello di non credere alle sue parole.

Ma una cosa sentirono entrambi, un sentimento che copriva sia la rabbia che il dolore, un qualcosa che da quasi un mese non provavano, pace.

Chiunque fosse passato li davanti avrebbe visto davanti a sé un uomo e una donna, l’uno di fronte all’altro immobili, forse sembrando strani, oppure banali, ma nessuno avrebbe potuto sapere che quella era la più autentica forma d’amore. Si, quando ci si fa così tanto male insieme è per l’eccesso d’amore che si prova.

Eva calmò i suoi singhiozzi e con mani tremanti accarezzò quel petto, cercando di sistemare un’invisibile piega sul maglione di lui, facendo serrare gli occhi  a Richard.
“Il mio problema è che tu sei la soluzione- pausa, rimanendo stupita di quella grande realtà che stava dicendo- la cosa che più mi atterrisce è che per ogni mia incazzatura, per ogni mia delusione o amarezza, TU e solo TU, sei la cura a tutto. Ho sbagliato a non essere sincera fin da subito, sono stata cattiva ad urlarti quella frase, è vero non mi aspettavo di conoscerti, non lo avevo pensato questo ma di tutte le cose più inaspettate sei quella migliore”.

Non poteva negarlo, le credeva e sentire quelle parole così vere lo stava facendo sentire bene ma c’era un problema, le credeva fino al 99%, quel semplice 1%, però, lo stava già minando, stava già incendiando il fuoco del dubbio e del sospetto di non potersi fidare,
“Chi agisce così una volta può rifarlo, forse in maniera diversa, anche nascondendo altri uomini. Chi si sente così furbo penserà sempre di poter fregare il prossimo”. 

La giovane aveva il corpo rilassato, in posizione di riposo, sentendosi sicura.

Richard li sentì, i suoi muscoli stavano tornando in tensione, quell’espressione di rabbia mista a delusione tornò sul suo volto. La spinse, spinse via da se con forza, vedendole sugli occhi un’espressione di sorpresa e smarrimento. A grandi falcate si diresse verso la porta, senza girarsi.
“Credo che non ci sia altro da dirci, è stato un piacere averti conosciuto ma ora non vorrei più essere disturbato da te”, la sua voce era ferma, fredda, distaccata, nel pronunciare quelle parole non si era curato minimamente delle macerie che si sarebbero portate dietro e con tutta la calma del mondo aprì la porta di casa per poi sparirvi dietro. Fece i soliti gesti che faceva appena rientrato, accese la luce nel corridoio, posò le chiavi sul tavolo dell’ingresso, appese il pesante cappotto all’appendiabiti, si diresse in soggiorno accendendo la televisione e mettendosi comodamente sul divano. In quei minuti il suo cervello aveva rimosso la presenza che fino a poco fa si trovava in quel cortile, si girò con lentezza, non sapendo se augurarsi di trovarla ancora lì o meno.

Non riusciva a respirare, da dentro la casa sentiva il vociare di un programma alla televisione .
“Respira, respira, va tutto bene”. La sua coscienza era corsa prontamente a soccorrerla come una madre preoccupata. Fece quello che le diceva, respirò, respirò a fondo, dando sempre le spalle a quella casa.
“Hai fatto quello che ti sentivi di fare Eva, sei stata brava ma ora basta. Ha preso una decisione, devi lasciarlo andare”.

“Esci, prendila di peso e riportala qui, non fare l’idiota Richard, non fare l’orgoglioso, la ragazza era sincera”. Il suo grillo parlante quasi si stava strappando i capelli nel tentativo di buttare giù quel muro d’orgoglio, pensando al vero bene per l’uomo. Sentiva, sentiva che voleva farlo, che voleva correre da lei, inginocchiarsi davanti quel piccolo corpicino, stringerle le braccia intorno alla vita e poggiarle il viso all’altezza del ventre, stringendola con avidità, pregandola di perdonarlo per tutta quella cattiveria eccessiva e sperando di sentire su quelle labbra che tanto amava, l’ombra di un sorriso un po’ misto alla stanchezza, alla rilassatezza e alla gioia. Si immaginò persino quelle manine ben curate tra i suoi capelli, mentre cercavano di cullarlo. Lo immaginò, lo immaginò nitidamente, chiudendo gli occhi per gustarla meglio. Il grillo parlante stava quasi per fare le capriole per la gioia, forse qualche mattone di quel muro stava crollando ma aveva esultato con troppa facilità. Richard era immobile, non riusciva a muovere un solo corpo, come se una forza invisibile lo tenesse paralizzato, trovandosi a guardare quella scena, che lo vedeva il protagonista principale, come se invece fosse uno spettatore pagante.

Anche quella mattina l’aria era fredda e il cielo era nero, avrebbe piovuto si vedeva e nell’aria quell’odore di terra umida era già forte. Eva si trovava sul vagone della metro diretta a lavoro, gli occhi un po’ annoiati all’idea di dover affrontare una nuova giornata frenetica e sospirò rassegnandosi alle sue incombenze e sperando, come ormai era solita fare negli ultimi giorni, che quelle ore passassero alla svelta. Il vagone a mano a mano che si fermava nelle varie stazioni si svuotava sempre di più e ciò le permise di potersi sedere. Guardava fuori dal vetro le persone che con passo frenetico salivano le scale per non fare tardi, mentre lei si trovava immersa in un limbo che da tre giorni prima l’aveva assalita. Non si ricordava troppo bene le emozioni che provò quando andò via da casa di Richard, sapeva solo che la mattina seguente si era svegliata da un sonno privo di sogni e che quel senso di “nulla” era già sbocciato in lei. Non sapeva bene come poter definire quel “nulla” ma improvvisamente tutto le scivolava addosso, tutto non le interessava più, non la coinvolgeva, se ne stava nel suo angolo ad aspettare placidamente che il tempo scorresse. Non provava più nulla, nemmeno quel grande dolore e quei sensi di colpa che da un mese l’avevano assalita, nulla. Si comportava come un’operosa formichina, si alzava la mattina, si presentava a lavoro puntuale e alla fine della giornata tornava a casa, non trattenendosi oltre l’orario d’ufficio.

Era rimasto a casa quel giorno, non riusciva a concentrarsi né sulle battute, né su altro. L’unica mimica espressiva del suo volto erano le labbra che avevano preso una piega che andava verso il basso, gli occhi gli pizzicavano per la mancanza di sonno e braccia e gambe erano dei tronchi che non sapeva come utilizzare, perciò aveva deciso di inventarsi la scusa di un malanno ed evitare l’ennesima vergogna per non riuscire a fare il suo lavoro. Guardò ancora una volta quel vialetto che ora era vuoto, cercando di cancellare dalla sua memoria quell’ultimo sguardo che lei gli aveva concesso. Il suo gioco era durato troppo, la sua intenzione di fare il bambino offeso e desideroso d’attenzioni gli si era ritorta contro, perché era come se lei in quello sguardo gli avesse urlato che in quel momento era lui che stava gettando tutto alle ortiche.
“Essere adulti non vuol dire solo tenere il punto ma anche capire quando smetterla e cambiare la situazione”.
Ancora quella voce che ormai da giorni lo accompagnava ma aveva ragione, tutti avevano ragione tranne lui, si era comportato come un isterico punto sull’orgoglio.
“Gradirei non essere più disturbato”, la spinta data in malo modo per allontanarla da lui, quelle immagini gli si accavallavano davanti agli occhi facendolo rannicchiare su se stesso. Lui voleva ripagarla con la stessa moneta ma aveva era in debito di molte e molte cattive frasi sferzate gratuitamente.

La camera era buia, l’unica luce proveniva dal suo iphone che aveva appena iniziato una chiamata. Richard se ne stava disteso immobile al centro del letto con il cellulare incollato all’orecchio, ogni suo senso era rivolto a quel telefono che squillava libero.

Qualcosa di fastidioso l’aveva svegliata, Eva ci impiegò qualche secondo ad aprire gli occhi e capire cosa stesse accadendo. Erano le 2,40 della notte e il suo cellulare squillava febbrilmente. Mugugnò lamentosamente e con gesti goffi allungò la sua mano verso l’apparecchio. Rimase immobile nel vedere quel nome sul display, la stava chiamando. Il cellulare squillò e squillò ancora per poi tacere. Poi, però, ricominciò e ricominciò a strillare, perché quel suono proprio in quel momento non lo sopportava. Eppure guardava quel nome rimanendo ferma, solo per un attimo il desiderio di sentire quella voce l’aveva sfiorata ma il “nulla” era arrivato con spade e bastoni e lo aveva cacciato prontamente. Il telefono smise di suonare e prima che avesse potuto ricominciare lo spense. Lo spense senza troppe cerimonie, senza troppe preoccupazioni, lasciando l’oggetto scivolare sul comodino e sprofondando il viso sul cuscino, improvvisamente stanca.

Il locale di sabato sera era stracolmo di gente, Eva schizzava per i tavoli e il bancone come una scheggia. Il lavoro al giornale era buono e lo stipendio le bastava ma aveva deciso di tenersi quel lavoro solo part-time e non per la paga ma per l’aria divertente che si respirava lì insieme ai suoi colleghi e anche un po’ perché era lì che Richard l’aveva accompagnata la prima volta usciti dalla metro, così premuroso e li era stato teatro di altri bei ricordi.

La serata terminò a notte fonda, ma Eva a causa del troppo lavoro non aveva minimamente dato uno sguardo all’orologio. Mentre asciugava e sistemava i boccali di birra però il sonno e la stanchezza cominciarono a farsi sentire e l’idea di doversi fare il tragitto con i mezzi le face alzare gli occhi al cielo. Le piaceva l’atmosfera che si creava in quel luogo dopo che le persone se ne erano andate via, dopo tanta frenesia e tanto chiasso finalmente la tranquillità. In sottofondo la voce inconfondibile di Freddie Mercury intonava le note della sua Scandal, ed Eva si fece un po’ cullare da quelle note, a completare quel quadro perfetto il c’era il calore piacevole dei riscaldamenti ormai spente e le luci soffuse che si mischiavano con il marrone scuro delle pareti e del bancone.

Era rimasto fuori come un ladro, spiava, aspettava e poi ad ogni porta aperta si ritirava. Aveva cercato tante volte di entrare ma ogni qual volta qualcuno entrava o usciva dalla locanda lui si ritirava, evitando di farsi persino vedere. La vedeva muoversi veloce, portando vassoi che erano più grandi di lei e sorridendo cordialmente ai clienti e, doveva ammetterlo, per ogni sorriso cordiale era geloso, a maggior ragione perché poteva solamente immaginare i commenti che potevano fare su di lei, la SUA fidanzata e questo lo faceva ribollire. Alla fine aveva deciso di mettersi in piedi, sotto un lampione, a braccia conserte ad aspettare che uscisse. Nulla, nemmeno il freddo pungente, la noia, le ore che passavano o gli sguardi perplessi dei passanti.

“Bene ragazzi, ci vediamo domani “. Richard drizzò le orecchie come un cane che con pazienza aspetta il padrone. L’aveva sentita dire quella frase mentre si trovava sulla porta e poi la vide uscire. Il suo muoversi sotto la luce fioca del lampione la misero per un attimo in allarme ma quando lo riconobbe indietreggiò di qualche passo e leggermente una parte dell’angolo della sua bocca si alzò, come fosse infastidito.

Il silenzio, la pausa e la sorpresa erano durati poco, Eva aveva elaborato velocemente quella presenza, si era stretta di più nel suo cappotto e abbassando la testa aveva puntato avanti. L’aveva cacciata in malo modo pochi giorni prima, trattata come se si fosse macchiata del peggiore dei reati, umiliata e lasciata fuori quella caso senza alcuna preoccupazione alcuna.

La vedeva camminare veloce allontanandosi sempre più velocemente.
“Eva aspetta, non andare via, non andare sola è pericoloso. Aspetta che ti accompagni, almeno potremmo parlare”.
Lì sentì i denti dentro la bocca digrignare e lo stomaco attorcigliarsi dentro per il fastidio e l’ipocrisia di quella parole. Tentò, tentò di ignorarlo, di non rispondergli rimanendo a testa bassa ma tutta quella falsità non riusciva a mandarla giù.
“è pericoloso? So benissimo che potrebbe essere pericoloso ma non mi sembra che nell’ultimo mese tu ti sia preoccupata per questi pericoli, non mi sembra che l’altra sera dopo che mi hai chiuso la porta in faccia, dopo avermi vista disperata e chissà forse pronta a qualsiasi gesto (menzogna), tu ti sia preoccupato”. Si era girata verso l’uomo come fosse stato un orso appena uscito dal letargo, era così minacciosa che Richard aveva fatto qualche passo indietro. Ma non gli aveva nemmeno dato il tempo di elaborare una frase di senso compiuta che sempre a testa bassa la ragazza aveva ripreso a camminare.
“Ah fa male, fa male sentirsi trattati così, fa male sentirsi dire quelle parole? Bene, almeno capirai cosa ho provato io”.
“Non tentare di rigirare la storia, io ho sbagliato ma l’ho fatto per tutelare la nostra storia, tu hai avuto il tatto di un carrarmato con me per il semplice gusto di ripagarmi con la mia stessa moneta ma ti dirò una differenza, la tua cattiveria è stata intenzionale”.
Aveva detto quelle parole come un treno in corsa, a perdifiato e ora respirava velocemente per riprenderlo.
Si guardavano, l’uno difronte all’altro a qualche passo di distanza.
“Si, è stato intenzionale, volevo farti provare ciò che provavo io”.
“Perché l’espressione che mi hai visto sul viso tre giorni fa era di pura gioia, è questo che hai capito?”.
Richard si guardò la punta delle scarpe capendo quanto fosse stato immaturo quel suo atteggiamento ma doveva farle capire ciò che anche lei gli aveva fatto.
Assunse un’espressione seria, non più colpevole da cane bastonato, le sue spalle erano dritte e la sua posizione eretta, quella calma sorprese Eva.
“Entrambi abbiamo le nostre colpe, tu mi hai mentito dicendomi che la tua famiglia sapeva del nostro fidanzamento e della nostra convivenza- serrò forte il pugno cercando di mitigare il fastidio dato da quel pensiero- e io ho sbagliato nel cacciarti senza nemmeno sentire e cercare di capire il perché di quel comportamento. Io dovrei capire te, hai ragione ma tu hai capito me?”.
La domanda lasciò spiazzata Eva che, nonostante le mille domande e idee di quella non si era molto curata. Abbassò gli occhi, non sentendosi più tanto sicura come un attimo prima.
“Tutto ciò che dicevi per me era oro colato, verità pura che non avrei mai messo in discussione. Ti ho difeso dai dubbi dei miei genitori, perché anche loro ne avevano- sentire questo ad Eva fece male, sentirsi dire quella grande verità, ossia come si sarebbe dovuta comportare, le fece male- mi sono gettato in questa storia anima e corpo, non pensando a nulla che non fosse il tuo bene principalmente. Me ne sono fregato dell’età, del fatto che forse era troppo presto per presentarti alla mia famiglia o, ancor più presto, una convivenza, eppure da quando ti ho conosciuta non riesco a fare più le cose come gli altri si aspettano che vengano fatte, penso a te ed è fatto bene. Perciò, ci pensi che tradimento è stato per me sapere che tu non riponevi quella stessa fiducia che io avevo in te? Che dolore è stato pensare che con tutte queste menzogne la storia difficilmente sarebbe potuta andare avanti?”
Eva si sentì punta sul vivo, quell’ultima frase, specialmente, le aveva fatto abbassare gli occhi un pò imbronciata.
Richard attese, attese qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse ma preferiva attendere qualche attimo. Senza rendersene conto nel parlare i loro corpi si erano avvicinati ma non abbastanza, l’uomo fece un solo passo avanti, un unico, quel tanto che bastava affinché lei potesse prendere la sua mano tesa.
Prese fiato, stava per dirle la cosa più importante e decisiva per la loro storia, cercando di mettere a tacere, anche se non era affatto semplice, quel piccolo senso di sospetto che, nonostante tutto ciò che provava, lo martellava.
“Dimentica le tue paure, dimentica tua madre e tuo padre, dimentica la tua vita in Italia e vieni via con me”.
Alle orecchie colpevoli di Eva quella splendida frase suonava come un rimprovero, come se volesse dirle: “So che c’è altro che mi nascondi ma per adesso non voglio pensarci, voglio fare finta di nulla”.
Eva guardava quella mano tesa, pensando a quel secondo atto del suo soggiorno londinese che stava tenendo nascosto, chiedendosi se avesse dovuto afferrare o meno quella mano.

 

ANGOLETTO DELLO SCRITTORE
Salve miei cari, lo so, lo so, sono in ritardissimo, chiedo perdono ma ho avuto veramente molte cose da fare:
-Salvare l’universo
-Combattere la Morte Nera al fianco di Ian Solo
-Usare i miei super poteri alla scuola per giovani dotati di Xavier
-Cavalcare insieme a Frodo e io resto della compagnia dell’Anello
-Comprare un bastone per non vedenti ad Arya Stark
-Vincere la Coppa del Mondo al torneo Tre Maghi
Ehh come vedete sono stata molto impegnata ahahahah. Parlando seriamente, la nostra storia si sta evolvendo, i nostri protagonisti sono esseri umani ed ovviamente sono mossi anche loro da gioia, dolore, delusione ecc..quindi avranno quei pro e quei contro che in ogni coppia che attraversa una forte lite potremmo incontrare, non pensiamoli privi di difetti e pieni di virtù. Si amano, questo ve lo posso giurare ma quando veniamo traditi dalle persone a noi più care tendiamo ad essere sempre un po più cattivucci di quanto saremmo con altri. Eva nasconde qualcosa e Richard, vuoi che ora è più in allarme o perché inconsciamente ha percepito qualcosa, cambierà un po’ il suo solito atteggiamento.
Ringrazio infinitamente chi ha letto e chi è passato a lasciare un commento, spero continui perché lo adoro 
Ringrazio di cuore FollediScrittura, ergo la mia gemini perché con pazienza ascolta tutte le mie idee e con ancora più pazienza le asseconda, thank’s baby (immaginatela detta alla Fassbender…addio mondo ahaahahahha)
Al prossimo capitolo,
baci.

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Capitolo 10
*** Cambiamenti ***


"M'accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto.                                                                                                                                                                   
Non mi parlò, ma mi ammazzò con un'occhiata,quase volesse dirmi
"Tu mi hai ridotta così"."
Ugo Foscolo

Non poteva negarlo dai pessimi eventi accaduti, alle due settimane che seguirono si respirava un’aria totalmente differente. Eva aprì gli occhi ancora pesanti dal sonno, ci mise un po’ per realizzare dove si trovasse, come le accadeva tutti i giorni del resto. La stanza bianca, l’armadio con le ante specchiate ai piedi del letto, il grande comò di legno sotto la finestra e quella luce che tenuamente illuminava la stanza da letto filtrando attraverso la lunga tenda color crema. Ora ricordava, nonostante fossero trascorsi quattordici giorni dal rientro in quella casa, che credeva di non rivedere più, la sua testa ancora non incamerava l’accaduto. Si girò lentamente, trattenendo quasi il respiro, e girato di spalle, quasi vicino al margine del letto, Richard dormiva. Nel vederlo così la ragazza lasciò quel respiro che aveva trattenuto e tirò gli angoli della bocca con dispiacere, non dormivano più abbracciati dal suo ritorno, lui non la sfiorava più, nemmeno per sbaglio e non avevano più fatto l’amore. Eva scivolò fuori dal letto con delicatezza, rimase per un attimo in mobile a guardare quel corpo addormentato e silenziosamente uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle. Scese in cucina con tutta l’intenzione di togliersi dalla mente quei stessi pensieri che negli ultimi giorni l’accompagnavano per tutte le giornate, dopo aver deciso di tornare insieme la giovane aveva tutta l’intensione di ricominciare da zero, cominciando a percorrere le classiche tappe che una nuova coppia fa normalmente, quindi l’idea di tornare a vivere a casa di Miriam le sembrava la scelta migliore, avevano bisogno di tempo per elaborare tutti gli eventi, per perdonare completamente i rispettivi comportamenti e per tornare loro stessi in ogni momento della loro relazione. Eppure qualcosa era scappato alla sua previsione, infatti, se inizialmente Richard non aveva obiettato minimamente, anzi, non aveva espresso nessun giudizio, un giovedì pomeriggio, all’uscita dalla redazione se lo ritrovò lì davanti. Ripensava ancora alla gioia di quell’improvvisata, a come in quel momento si sentisse la donna più importante del mondo e non poteva ignorare la bellezza di lui, eppure in quel momento che stava ripensando, doveva capire che qualcosa era cambiato, non doveva fermarsi all’apparenza. L’espressione del suo Richard era diversa, seria e troppo composta, l’azzurro dei suoi occhi era diventato blu intenso e la mascella era tesa. Le era andato incontro non appena aveva messo piede fuori dall’ingresso, mentre era insieme ai suoi colleghi, mentre si scambiavano le ultime chiacchiere della giornata. Le era andato incontro con passo fermo, rigido e mai un sorriso accompagnò il suo avvicinarsi –da lì avrebbe dovuto capirlo- il suo Richard sarebbe stato radioso nel vederlo, tutto di lui sarebbe stato diverso. Non aspettò nemmeno che terminasse di salutare i suoi colleghi che le si era avvicinato con fare prepotente, non lasciando nemmeno pochi centimetri di distanza tra i due corpi e facendo una cosa che il suo Richard non avrebbe mai fatto con tanta sicurezza davanti ad altre persone, le prese il  mento tra il pollice e l’indice e la baciò, fu tutto molto veloce, Eva non se lo aspettava, stava salutando Jane quando il nome della donna era rimasto a mezz’aria, interrotto da quel bacio così diverso. Il fischio della teiera interruppe i suoi pensieri, riempì la tazza di acqua bollente e lasciò la bustina in infusione. Si stiracchiò ancora un po’ intorpidita e nel mentre che aspettava accese il cellulare, beandosi della calma del sabato mattina. Decise di non ripensare troppo a ciò che avvenne dopo quel bacio ma alcune scene di quella giornata le apparirono comunque prepotentemente davanti agli occhi, le urla di lui nel non voler sentire nessuna ragione, sarebbero tornati a vivere insieme, lei aveva cercato di convincerlo, parlando con calma, urlando, pregandolo, piangendo ma tutto era inutile, il suo Richard era cambiato e lei si riteneva responsabile di ciò. Il rumore di passi che scendevano le scale la fecero tornare alla realtà e quasi con il timore che lui potesse leggere i suoi pensieri solo guardandola, Eva tornò ad occuparsi della colazione. Si trovavano entrambi seduti intorno al tavolo, lei immersa nella sua tazza di thè e lui impegnato a studiare un copione, se non fosse stato per la televisione accesa, che parlava da sola, nessun suono sarebbe circolato. Si trovavano così quando il cellulare di lei, a solo le 10,23 del mattino cominciò a suonare ripetutamente sotto i messaggi di una frenetica Miriam che dava il buongiorno  alle sue amiche del gruppo tutto al femminile creato su whatsApp  e con fare energico proponeva un sabato sera riservato al gentil sesso. Un sorriso si aprì sulle labbra di Eva, aveva voglia di uscire un po’ e le chiacchiere tra ragazze erano la miglior cura per un cuore pesante.
“Sono le 10.25 e il tuo cellulare già è in movimento, chi è?”, il tono di Richard era severo e leggermente arrabbiato. Attese un istante, valutando nella frazione di un secondo se la risposta gli avrebbe potuto dar fastidio o meno e senza mai alzare gli occhi dallo scherzo, sentendo un po’ l’ansia di dover aprire bocca, parlò di getto. “è Miriam e le ragazze, è stata organizzata una serata al femminile questa sera..”, deglutì con forza, “Quelle serate dove diventate improvvisamente tutte single e vi aprite in grandi sorrisi quando il cameriere vi porta il vostro drink?”, il tono era eccessivamente velenoso. “Richard sei ingiusto, sai che nessuna di noi si comporta così, è solo una serata per spettegolare, parlare di vestiti ed altro”.  Intanto il cellulare continuava a suonare mentre si proponevano locali e si ipotizzavano orari, Eva mise il silenzioso capendo dallo sguardo fisso del fidanzato che si stava arrabbiando. Sembrava come che nel suo fissarla la studiasse, come fanno i predatori nascosti con le proprie prede. “è inutile che tu metta il silenzioso per cercare di farmi perdere l’attenzione su questa tua serata- il tono volutamente calcato- siamo sicuri che sia veramente Miriam? Dammi il cellulare”. Non era una domanda. “Richard smettila di fare così, non sto facendo nulla di male, certo che è lei, non ho motivo di mentirti”, “Eva dammi-il-cellulare, non te lo ripeto” scandì bene la frase. La ragazza strinse tra le sottili dita tremanti ancora più forte l’apparecchio che non smetteva di vibrare e trattenne un singhiozzo, “Sei il mio fidanzato, non la mia guardia e io”. Troppo tardi, non riuscì nemmeno a completare la frase che l’uomo con la sua mole di trenta centimetri in più della ragazza la sovrastò e tenendole termo il braccio e dopo qualche tentativo, riuscì a prendere il cellulare. Non c’era riuscita, anche se silenziosamente le lacrime calde avevano cominciato a scorrerle sulla guance, cercava in tutti i modi di interromperle ma più lo faceva e più otteneva il risultato opposto, così lasciò che lui guardasse il risultato dei suoi comportamenti. Lesse ogni messaggio della conversazione, esaminò tutti i nomi che rispondevano, sembrando quasi un professore che doveva bocciare o promuovere uno studente e il suo era l’ultimo esame prima della laurea. “Non ci andrai”, il tono era calmo e il suo corpo era tornato a rilassarsi. Sapeva che avrebbe dovuto controbattere, la lei di qualche settimana fa lo avrebbe fatto, ne era certa ma in quel momento era stanca, si sentiva come se tutte le fatiche del mondo fossero sulle sue spalle e lei inerme non sapeva come reagire.
Il discorso della serata al femminile non era più uscito fuori, Richard si era chiuso nello studio subito dopo il pranzo per studiare il copione e l’aveva lasciata sola. Eva si aggirava davanti quella porta chiusa come fosse un gatto, un attimo prima pronta a bussare e quello subito dopo con la mano a mezz’aria bloccata dal timore ma alla fine, dopo svariati tentativi, aveva trovato finalmente trovato il coraggio. “Non aspetti nemmeno che dica permesso?”, Richard non aveva nemmeno alzato gli occhi. La ragazza fu mortificata da quella frase e per un attimo il suo passo si bloccò ma cercò di non perdersi d’animo. “Amore il tempo è abbastanza mite e non sta piovendo, perché non usciamo un po’?- il non essere stata interrotta e il non aver visto sul suo volto espressioni contrariate la spinse ad avvicinarsi a lui come ormai non faceva da un po’ e con mano delicata gli carezzò la guancia che era fredda come il marmo. Richard seguì quel gesto chiudendo gli occhi e assaporando avidamente quel contatto. Si girò verso Eva che mai come in quel momento gli sembrava bellissima e delicata, “Perché non torniamo nel nostro Starbucks- la voce della giovane era un sussurro e lui sembrava come ipnotizzato- è così tanto che non andiamo”, avrebbe voluto dire altro ma quella frase fu galeotta, come i racconti di Lancillotto e Ginevra lo furono per Paolo e Francesca e dopo mesi, che sembravano anni, le loro labbra si sfiorarono in un modo che fece subito nascere quella familiare elettricità tra i loro corpi. Eva trattenne il respirò e inconsapevolmente il suo corpo si protrasse verso quello di Richard, il quale la teneva bloccata a sé in mezzo alle sue gambe e la mani fisse sui fianchi di lei. I baci da cauti e delicati quali erano divennero pian piano più lunghi, più prepotenti, forti. Sulla pelle delicata del collo Eva sentiva la rudezza della barba del suo fidanzato che con frenesia le passava la lingua dietro l’orecchio. Erano finalmente loro, e quelle lacrime e quelle liti sembravano appartenere ad un’altra vita e finalmente Eva era felice. Ma, improvvisamente, di scatto Richard si allontanò da lei e il suo sguardò piano piano tornò scuro e le occhiaie intorno agli occhi ripresero quel colorito mal sano degli ultimi giorni. “Richard, che succede?”, l’uomo si staccò dalla fidanzata come se fosse stata incandescente, “Vattene, sono impegnato, esci dallo studio e la prossima volta aspetta che ti dia il permesso d’entrare. Eva rimase sbalordita per quel repentino cambio d’umore e lo ammise, anche spaventata. “Richard, per favore torna in te, lo vedevo che eri felice mentre mi baciavi, eri rilassato, per favore vieni sul divano con me, stiamo un po’ insieme, ti va?”, “Eva esci fuori, mi stai stancando”, disse quell’ultima frase con il tono di voce basso e roco, quasi graffiato. “Io non ce la faccio più”, ma la poverina non poté terminare la frase che si ritrovò presa di peso e messa fuori dalla porta che fu chiusa a chiave. Una porta che divideva due stanze ma che rappresentava la stessa situazione, Eva in lacrime e Richard sconvolto dalla rabbia che provava.
Lo studio rimase chiuso fino all’orario di cena, nella casa regnava il buio, interrotto solo dalla luce dei lampioni che entrava dalle finestre e il silenzio. Richard si trovava nella sala d’ingresso, intento a sistemare dei fogli, mentre Eva scese gli ultimi scalini diretta a prendere il giubbotto di pelle e la borsa. L’uomo ci mise qualche secondo nel collegare l’abbigliamento della fidanzata ai messaggi di Miriam arrivati quella mattina. Eva non lo degnava di uno sguardo come se non esistesse, ma dio se fosse bella, il vestito blu lungo e i tacchi alti non la facevano passare inosservata e i suoi capelli mossi erano ancora più lunghi di quanto li ricordasse. “Ma dove credi di andare? Ti ho detto che rimarrai a casa, non uscirai a fare la stupida come le altre, vatti a cambiare”. Ma non ricevette risposta, anzi nemmeno lo guardò, la giovane si stava finendo di preparare come se nulla fosse. La rabbia gli montò dentro tutta insieme, “Mi stai sentendo quando ti parlo- l’aveva fatta girare verso di sé con forza- non uscirai da questa casa”, eppure questa volta fu lui che non riuscì a finire la frase. Eva se lo scrollò di dosso con rabbia, “Ma chi sei te, io non ti conosco, non sei il mio Richard, sei solo un secondino che mi tiene incatenata a se con la forza. Io sto per uscire e non tornerò.” Eva si girò sicura di sé, incamminandosi verso i pochi passi che la dividevano dalla porta. L’uomo, però, la prese con forza per le braccia e la strattonò facendole dolere la pelle per quei movimenti bruschi, “Io ti odio per tutto il dolore che mi hai fatto provare, guarda in cosa mi hai ridotto, in qualcosa che trema al solo pensiero di un tuo passo lontano da me e che ti tiene legata con la forza, perché solo l’amore non ti basta”. Le stava facendo male, tanto da farle sentire le braccia diventare più fredde per la scarsa circolazione data dalla stretta. “L’ho fatto per proteggerci, quante volte vuoi che te lo dica? In quanti modi vuoi che mi umili per farmi credere? Tu sei tutto ciò che di migliore poteva capitarmi, ho avuto paura alla minaccia di mio padre è vero ma mai una volta ho voluto pugnalarti alle spalle”. Stavano urlando, come forse serviva ad entrambi per sfogarsi, per lanciarsi quelle parole che non si erano detti. “è questo il Richard che ti meriti, è questo quello che sono diventato quel periodo che ti sono stato lontano. Vedi cosa mi hai fatto?- continuava a farle male- tu sei MIA- pausa, poggiò la sua fronte madida di sudore freddo sulla tempia di Eva- mia..- ripeté di nuovo, il tono più calmo, di chi si è appena liberato di un demone interno che non gli faceva trovare pace. Quelle settimane lui le aveva fatto più male che bene, era vero e in quel momento si erano urlato tutto quel risentimento accumulato e, soprattutto la delusione di molte aspettative disattese. Ma, infondo, non è dagli atti di risentimento più puro che si capisce di quanto amori in realtà si provi?               Rimasero in mobili in quella posizione per un lungo minuto, il respiro di lui era tornato regolare, forse un po affannato ma di sicuro più calmo, mentre Eva era ancora tirata. Richard si staccò da quella posizione e nonostante ognuno dei due fosse immerso nei propri pensieri con gli occhi distanti anni luce, i loro sguardi si incontrarono contemporaneamente, come fossero stati chiamati. Ma era uno sguardo diverso da quello del semplice amore innocente, e che non aveva alcuna somiglianza con gli sguardi di rabbia  ma strillava qualcosa che somigliava al bisogno, bisogno di riaversi, di rimpossessarsi ognuno dell’altro in modo istintivo, carnale. Di ritornare a sentire quei corpi caldi muoversi insieme, il desiderio di sentire quel torace duro sopra i seni sensibili di lei, di avere il respiro mozzato dal desiderio, di sentirsi scorrere dentro quell’eccitazione nata da una semplice spinta e di godere per ogni gemito provocato da quel piacere. Non erano riusciti ad arrivare alla camera da letto, si accontentarono in quel caso del divano, non sentirono minimamente il cellulare di Eva squillare e se ne fregarono dei passanti che dalla finestra avrebbero potuti vederli, erano troppo impegnati a dar retta a quella corrente elettrica.

ANGOLTTO DELLO SCRITTORE
Un Richard prepotente, sicuro di sé e a volte un pizzico cattivo, cosa ne pensate?
Grazie a chi legge e commenta, spero vi piaccia 

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Capitolo 11
*** Aria di Primavera ***


~“Qualunque cosa ci avesse riservato il destino, mi immaginavo
 sdraiato a letto al suo fianco alla fine della giornata”.
Nicholas Sparks
La fine dell’inverno portò via con sé quella spiacevole parentesi che troppo a lungo e troppo pesantemente aveva accompagnato la vita di Eva e Richard. Ma il cambiamento verso il miglioramento, il ritorno al loro Eden di pace non fu una cosa lenta, qualcosa a cui servì del tempo per riaggiustarsi. Era accaduto che dopo l’ultima furiosa lite che era finita per ritrovarli a fare l’amore sul divano, tutto era cambiato, fu quella la valvola di sfogo, il punto a capo che serviva ad entrambi. Infatti, magicamente, appena avevano aperto gli occhi da quel sonno così profondo e stancante (un sonno che sembrava come averli curati da quelle ferite), i due innamorati erano tornati a stringersi, prima di poter scendere dal letto ci impiegavano anni, perché fermati sempre dai baci dell’uno e dell’altro, e persino il loro colorito, che in quel periodo era stato pallido, quasi grigio, era tornato roseo e salubre. E si sa, dopo aver rischiato di perdere le cose a noi più care, ci si gusta ogni attimo in più, ogni seconda possibilità che ci è stata data.
Eva si trovava in redazione come sempre, tamburellando le dita sulla scrivania e non perdendo mai di vista l’orologio, voleva uscire, correre da lui, si sentiva come una bambina al primo innamoramento ma se quello significava essere perennemente felici e con il sorriso radioso, allora si, era un’adolescente di quattordici anni innamorata del ragazzo più grande di lei con la giacca di pelle e una copia di Cime Tempestose nascosta nello zaino.
“Coraggio Eva ancora tre minuti e poi schizzi fuori dall’ufficio”.
Alzò gli occhi al cielo per l’esasperazione e per ingannare quei centottanta secondi che la dividevano dalla libertà sistemò qualche foglio ribelle che sbucava dai fascicoli sulla sua scrivania.
Aperta la porta dell’uscita respirò l’aria aperta a pieni polmoni, il freddo, l’umidità e quell’odore di pioggia in lontananza in quel giorno le erano veramente mancati e con passo deciso si incamminò alla fermata della metro salutando i suoi colleghi.
Aspettava la metro con pazienza, mentre quasi saltellava sul posto dall’impazienza ma cercava comunque di non farsi prendere per matta dalle persone che le stavano intorno.
“è felice signorina?”, la domanda le arrivò alle orecchie inaspettatamente e la fece voltare automaticamente verso l’uomo che l’aveva pronunciata.

Adorava quando faceva quell’espressione un po’ persa, in quei momenti perdeva l’aria da ragazza matura e risoluta e sembrava una bambina. L’aveva guardata da lontano dal momento che era arrivata nella metro, non perdendola mai d’occhio e i suoi sorrisi, le sue movenze, gli avevano impedito di stare con la bocca chiusa e alla fine gliela aveva dovuto chiedere. L’espressione smarrita durò la frazione di un attimo, giusto il tempo di individuare la fonte dalla quale proveniva la voce e poi arrivò uno di quei suoi sorrisi per la quale vale la pena attendere. Quei sorrisi spontanei, che mettono in bella mostra tutti i denti e fanno alzare gli zigomi per la loro ampiezza.
Era lui, l’uomo che aveva conosciuto e che ora aveva ritrovato. Bello nei suoi pantaloni aderenti, elegante nel suo cappotto, che lo sapeva, il colletto sarebbe stato impregnato di quell’odore che lei si sentiva sempre addosso, sui capelli, tra le mani, negli angoli più disparati dei vestiti e per la casa.
“Sei qui, mi hai trovata”.
Eva non seppe nemmeno quando il cervello avesse dato il segnale alle sue gambe di muoversi, eppure si ritrovò tra quelle braccia, a guardare quell’uomo dalla barba ben curata e a trenta centimetri di differenza.
“Avevi forse qualche dubbio? Non lo hai ancora capito che ti troverei sempre?”.
Richard le carezzo la guancia fredda e rimase per un lungo momento a guardarla in silenzio, senza smettere di sorridere.
“E comunque, signorina, lei non mi ha ancora risposto. È felice?”.
Eva rise sotto i baffi stando al gioco degli estranei.
“Vorrei risponderle signore ma io non la conosco e non do confidenza agli sconosciuti, in più il mio fidanzato è molto geloso”.
“Una bella ragazza come lei fidanzata? Che spreco, potrebbe avere chiunque voglia. Ci pensi bene.”.
“Beh obiettivamente, ora che mi ci fa pensare non ha torto, potrei conoscere altre persone, frequentarle, uscirci. Credo che seguirò il suo consiglio”.
Mai fu più difficile per Eva trattenere il sorriso, mentre lei si atteggiava a seria e disincantata, Richard sbarrava gli occhi dall’ansia e maledicendosi per l’idea che le aveva messo in testa.
“Non pensarci nemmeno a farti venire questa idea furfante, vuoi che ti chiuda in casa e che io mi ritiri dal lavoro per sorvegliarti?”.
Era troppo forte di lei, la risata uscì forte e cristallina, mentre si perdeva tra le braccia di lui che cercava di cacciare quell’immagine dalla sua testa. Eva gli prese il viso tra le mani e lo fissò seria.
“Richard Armitage, tutti gli uomini del mondo non fanno nemmeno la metà di te. Abbiamo avuto il nostro periodo buio ma penso che ci abbia aiutato a far maturare la storia, a renderla meno imperfetta e più reale, con i nostri giorni si e quelli no, con le nostre paure e gelosie, anche questo mi piace…e in più amo quando sei geloso di me”.
Si baciarono lì davanti a quel vagone che era già partito da un po’, ma infondo cosa importava, erano già nel posto in cui volevano stare.

Richard passava molto tempo immerso tra copioni e prove, del provino che aveva fatto, l’audizione che gli avrebbe potuto cambiare la vita, non si sapeva ancora nulla, il progetto era importante e i tempi per esaminare al meglio tutti gli attori che si erano proposti erano lunghi. Ad Eva non ne aveva fatto parola, voleva farle una sorpresa e non poteva negarlo, lo faceva anche per lei, per poterla strappare da quell’ufficio e portarla in giro per il mondo con lui, darle tutto ciò che lei desiderava. Si trovava ad Oxford Street, ingannando l’ora di pausa al teatro e passeggiare per quelle vie in Primavera gli era sempre piaciuto, i turisti, le ragazze allegre con enormi buste degli acquisti, quella leggerezza che faceva bene all’animo, lontana dai pensieri. Camminava distrattamente, non prestando reale attenzione alle vetrine che lo circondavano ma una l’attirò particolarmente. Richard rimase per lunghi minuti ad osservare quel singolo oggetto che lo aveva attirato, tra la tentazione di entrare o rimanere fuori la porta.
“Lo faccio, oppure lascio stare?”.

Aprile era arrivato di volata, cacciando prepotentemente Marzo e spingendo la natura a riprendere il suo posto. Eva si trovava immersa tra le coperte, la sera prima lei e Richard avevano fatto tardi insieme a degli amici e ringraziò ogni divinità presente sulla terra per la creazione del weekend. Si trovava in quella fase dove si ha un minimo di veglia ma che se si viene un po’ cullati ci si riaddormenta all’istante. Il profumo di Richard era presente in ogni angolo della stanza, accompagnato però da un leggero odore di birra, versata sul pantalone di lui a causa della sua sbadataggine patentata. Ripensò sorridendo leggermente alla serata passata, ai baci dati davanti gli amici di lui, alle carezze, al braccio intorno le spalle, tutto, anche una battuta o uno sguardo, per indicare che lei era sua. Così Eva ripiombò tra le braccia di Morfeo che fu più che lieto di accoglierla.
Richard preparava tutto con mani tremanti e movimenti silenziosi, era uscito di casa molto presto sperando che la fidanzata non si svegliasse. Nonostante fosse un uomo grande e grosso, l’equilibrio non era la sua dote migliore e ci impiegò molto tempo, molte attenzioni ma ci guadagnò un infarto scampato, per salire una rampa di scale. Aveva lasciato tatticamente la porta socchiusa, così da non dover fare rumore e incappare in spiacevoli risvegli e spiegazioni. Filò tutto liscio e quando aprì la porta il minuto corpo della giovane si muoveva tranquillamente. Richard sospirò profondamente.
Eva si svegliò, qualcosa l’aveva disturbata, un movimento l’aveva mossa e le aveva fatto aprire gli occhi. Richard le apparve seduto al margine del letto, con un sorriso pacato e un po’ tirato sulle labbra e vestito di tutto punto. Eva si mise seduta stropicciandosi gli occhi e cercando di capire il perché lui era vestito e non l’aveva svegliata.
Nel vederla stropicciarsi gli occhi si rilassò, amava quel suo lato da bambina che veniva fuori nei gesti più semplici.
Osservando bene il letto, Eva notò un vassoio tra i due.
“Thè alla menta, succo d’arancio, marmellata, cosa devi farti perdonare Armitage?”.
Improvvisamente la ragazza si ritrovò affamata e l’unico suo desiderio era aprire la delicata scatolina di carta rosa che confezionava i suoi muffin preferiti.
“Diciamo che ho molto da farmi perdonare ma non lo sto facendo per questo, lo sto facendo per dirti grazie, per dirti quanto tu sia fondamentale per me e di come io faccia tutto non per me ma in funzione tua”.
La voce dell’uomo era seria, bassa e roca e i suoi occhi erano fissi su un punto non preciso della stanza, perso in chissà quale pensiero che non le stava rivelando ma che riguardava lei.
Eva sorrise, improvvisamente imbarazzata e improvvisamente priva di parole, come le capitava sempre in quelle situazioni. Così per dimostrargli la sua gratitudine prese la scatolina contenente il muffin e si concentrò sulla sua apertura.
Il cuore di Richard batteva forte, tanto forte da fargli male, tanto forte da temere che gli uscisse dal petto.
Eva armeggiò con quell’aperura che aveva sempre odiato, pregustando già il sapore agre del limone del dolce sulla lingua, di certo quella era la sorpresa più bella della sua vita. Ma quando aprì la scatola qualcosa le fece spalancare gli occhi e ritirare la mano, qualcosa le fece sparire ogni pensiero dalla mente e lasciarla allibita. Le ci volle un lungo momento per riacquistare un minimo di battito cardiaco e con mani tremanti prendere il dolcetto tra le mani, facendo attenzione a non farlo cadere. Lo guardò e lo riguardò, sentendo le lacrime scenderle calde e rigarle le guance. Infatti, incastonato tra la pasta del muffin spuntava un elegante anello d’oro bianco con un diamante centrale. Eva si toccò gli occhi bagnati e tra le lacrime vide Richard per aspettava impaziente un suo cenno.
“Riuscirai mai a non farmi piangere?”.
Eva rise tra il pianto, un po’ impacciata. L’uomo tolse il gioiello dal dolce e con delicatezza le prese la mano, gliela guardò un momento e infine le mise l’anello all’anulare della mano sinistra, le baciò delicatamente la mano e le asciugò le lacrime.
“Se sono lacrime di gioia, beh, allora voglio vedertele ogni mattina”.


ANGOLETTO DELL’AUTRICE
Strano ma vero sono riuscita ad aggiornare così presto ma volevo spiegare un po’ di cose. Richard ha attraversato un momento difficile dopo la verità nascosta di Eva, si sentiva tradito dalla persona a lui più cara e nonostante la volesse a tutti i costi con lui voleva fargliela pagare un pochino, ripagarla con la stessa moneta, diciamo. Mentre Eva aveva questo atteggiamento remissivo perché sapeva che la colpa di tutta quella situazione era stata lei, anche se non lo aveva fatto di proposito.
Adesso i nostri cari protagonisti si stanno riappropriando della loro storia insieme e stanno anche acquisendo maggiore confidenza, quindi la lite ha avuto un piccolo risvolto positivo, farli uscire da quella fase di timidezza presente in tutte le storie e li ha messi sui binari della realtà.
Spero che vi sia piaciuto e grazie molte a chi legge e chi commenta.

 

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