Little Talks

di Mayo Samurai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 53. Sorpresa ***
Capitolo 2: *** 15. Fumo ***
Capitolo 3: *** 75. Rosso ***
Capitolo 4: *** 83. Rischio ***
Capitolo 5: *** 13. Crimine ***
Capitolo 6: *** 24. Casa ***
Capitolo 7: *** 52. Mani ***
Capitolo 8: *** 66. Segreto ***
Capitolo 9: *** 09. Povero ***
Capitolo 10: *** 10. Ricco ***
Capitolo 11: *** 62. Maturo ***
Capitolo 12: *** 42. Suono ***
Capitolo 13: *** 88. Lucciole ***
Capitolo 14: *** 02. Curare ***
Capitolo 15: *** 74. Disastro ***



Capitolo 1
*** 53. Sorpresa ***


Voi non avete idea.
 
 
Della fatica che ho fatto per trovare il titolo.
 
 
Odio i titoli, di solito manco li leggo quando trovo le fic, e puntualmente le perdo e non mi ricordo più dove le ho lette.
 
 
Anche se alla fine ho scelto una piccola parte di una canzone bellissima, praticamente la theme song della long fic che sto cercando di buttare giù-
Un’altra, non quella a cui ho accennato-
 
 
Comunque: tornando a cose più serie.
 
 
Più o meno serie.
 
 
Siccome mi annoiavo, ho deciso di affrontare una “100 word challenge”, che per chi non sapesse che cos’è, è una lunga lista di parole da cui tu devi ricavare un qualcosa.
Di solito ci si limita a delle frasi o delle situazioni, io, che voglio complicarmi la vita, ci scrivo delle intere one-shot.
Alcune saranno lunghe, altre brevi, dipende da come mi gira.
E tipo, aggiornerò quando me lo ricorderò e saranno tutte in disordine, perché se mi metto a scriverle in ordine non finirò più.
Il cammino è lungo prima di arrivare a cento…
 
 
IN OGNI CASO-
 
Spero vi piacciano, perché sto per rovinare il fandom italiano affogandolo nella mia OTP, mia ossessione corrente.
 
I MIEI PATATI-
 
 
Erh-ehm-
 
Comunque…
 
Buona lettura, spero vi piaccia ciò che vi proporrò!
 
 
 
 
 
 
INIZIAMO CON LA PRIMA ONE SHOT CHE HO SCRITTO, POI SI VEDRA’-
 
 
 
 
 

CHE POI IO PARLO COME SE AVESSI STUOLI DI LETTORI E MANDRIE DI FAN AH-
 
 
 
Sorpresa
 
 
 
 
 
“Ciao ragazzi.”
“Notte notte.”
“Ciao, ma… mi viene un dubbio, ci sono compiti per domani?”
“Domani è domenica, Jakob.”
“Ah, vero anche quello.”
“Genio.”
“As, com’è andata col danese bravo solo a camperare?”
“Uhm, stasera lo distruggo.”
“Non passare la notte in bianco.”
“Si mamma. Comunque, tempo cinque minuti, che distruggerà la tastiera.”
“Seeee, come no.”
“Uhm. Ora vado, sapete che-“
“Che ho bisogno del mio sonno da principessa altrimenti i miei capelli diventando crespi!”
“Ah Ahr, molto divertente. Io vado.”
“Ciao!”
“Ciao, notte.”
“Notte.”
Kitty, Jakob e Queezle si voltano e iniziano a ciondolare verso casa, sistemandosi i cappotti e le sciarpe; Asmina aspetta di veder scomparire il trio composto da Tolomeo, Bartimeus e Nathaniel prima di chiudere la porta di casa, girare le chiavi e mettere l’allarme, andando poi a regolare i conti con chi si trova a solo qualche ora da lì.
 
 
 
“Uff- Credo di aver bevuto troppa coca cola.”
“In effetti ti sei scolato… cosa? Due bottiglie?”
“Casa di Asmina è soffocante, ho sempre sete e caldo. Però è deliziosa.”
“Ha ragione.”
“Sarà che mangi troppe schifezze.”
“Non posso fare a meno, mi tentano e io sono debole.”
“Non sei l’unico.”
“Pft- Deboli.”
 
 
 
“Uhm… Tol, io accompagno Nathaniel a casa, sai, non mi fido a lasciarlo da solo, una folata di vento troppo forte potrebbe portarlo via, oppure lo investono.”
Tolomeo agita una mano nella sua direzione, strofinandosi la pancia lesa.
“Non serve che mi accompagni, abito qui vicino.” Un borbottio dalla sciarpa bianca lì accanto.
“Secondo me tempo di svoltare l’angolo che ti hanno già messo un sacchetto in testa e soffocato.”
“Come sei allegro.”
“Fate ciò che volete, io entro, sto morendo di sonno.”
“Buonanotte.”
“Buonanotte.”
“-Notte.”
Tolomeo sparisce aldilà della soglia.
Click.
“E siamo solo noi due.” Bartimeus esibisce un sorriso a trentadue denti.
“Imbecille.”
 
 
 
Nathaniel tenta di infilare le chiavi nella toppa al buio.
“Ma andiamo…”
“Nat?”
“Sì?”
Si gira appena, e sbircia oltre la spalla, le chiavi ciondolano dalla mano.
“Che c’è?”
Bartimeus prende un gran respiro, scuote la testa, borbotta qualcosa e batte imbarazzato la punta delle scarpe a terra.
Poi guarda Nathaniel, rosso sulla pelle scura.
“In giliath togr i nîn padan an raetha cen, a mi dû morn, ae in giliath nin gweriar, aphadan i calad sa telrin, a hirn i nîn pâd.”
Le chiavi cadono a terra.
“Tu…”
“Non sono un nerd come te e Tolomeo…” Mani scure si agitano nel vuoto: ”Quindi non ci provare a rispondere in elfico o chicchessia, non capirei nulla.” Nasconde il viso nella sciarpa, stringendosi nelle spalle.
“… L’ho imparato a memoria, non saprei dire nient’altro… Stai piangendo?!”
“No stupido idiota, è il vento, mica piango… io.” Si strofina gli occhi, tira su col naso e guarda la strada nera.
Pochi passi.
Nathaniel è molto più vicino ora, e la porta più lontana.
“Rispondimi in una lingua che comprendo, grazie.”
La mano trova la speculare, e si stringe a essa, timidamente, ma saldamente.
“Hai sbagliato un paio di pronunce.”
“Impossibile, ho imparato tutto a memoria, Tolomeo non faceva altro che correggermi, mi ci sono voluti mesi.”
“Mesi?”
“Mesi.”
Un rossore s’espande sul viso pallido: sembra che Nathaniel si sia scottato con qualcosa.
Silenzio.
“E’ strano sai?”
“Cosa?”
“Siamo in silenzio.”
“Eravamo.”
“Eravamo, giusto.”
“Dirai altro prima di baciarmi?”
Bartimeus alza lo sguardo e sorride: gli occhi di Nathaniel sono molto più belli da vicino, brillano come stelle.
Poi scuote la testa e si issa sulle punte, perché per quanto vicino Nat possa essere, poco ci può fare con la sua altezza esagerata.
 
 
 
Aspetta di aver girato l’angolo prima di iniziare a saltare e menare le mani per aria, trattenendo a stento urla, risa e altri rumori che risulterebbero molesti all’una di notte passata.
 
 
 
Si getta sul letto ancora vestito, e affonda il viso nel morbido cuscino.
Agita i piedi come una ragazzina e rosso, strofina il naso sulla fodera, ridendo silenziosamente.
Sbircia la finestra, e può giurare di aver sentito una potente risata riecheggiare per le strade deserte.
Non può far a meno di imitarlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
AH.
 
 
Vado a morire lentamente.
 
 
In un angolo scuro.
 
 
Adieu.
 
 
 
 
 
 
No dai, spiegazioni.
 
 
 
Voglio che la gang sia felice e basta.
 
 
 
Tutti assieme, tutti vivi e tutti felici.
 
 
 
E’ TANTO DA CHIEDERE SIGNOR STROUD!?
 
 
Giusto così, una piccola nota, prima di chiamarsi “Sorpresa”, il file si chiamava “SONO SOLO SPAZZATURA E MI AMO”.
 
 
In ogni caso, la traduzione, perché il sindaril non lo sa nessuno, a memoria.
Tranne Colbert, Nathaniel e Tolomeo, perché sono dei nerd.
E IO CI HO MESSO EONI SOLO PER CAPIRNE LA GRAMATICA, GRAZIE STRONZI POMPOSI CHE MI HAN RESO LA VITA DIFFICILE-
Soprattutto perché i dizionari inglesi sono “più completi”.
Pffffft-
La traduzione, come io l’ho scritta in principio:
 
Le stelle guidino il mio cammino per giungere a te, e anche nella notte più scura, se le stelle mi tradiranno, seguirò la luce che emani, e troverò la mia strada.”
 
Anche Bartimeus è un nerd.
Stupido nerd.
 
La traduzione cambia leggermente da “e anche nella notte più scura” in “e nella notte nera”, per mancanza di termini quali “anche” e “più”.
In ogni caso la traduzione non è letterale (e scommetto piena di errori) perché molte parole, come emanare, giungere e guidare, ho dovuto cambiarle in cose più arcaiche tipo, venire, provenire e portare, o cose simili.
 
 
 
 
 
 
DIO BO’-
Cosa non si fa per la propria OTP.
 
 
 
 
E si, è molto smielata per due simpaticoni come Nathaniel e Bartimeus.
Ma mi piace pensare che ogni tanto sappiano comportarsi da persone civili.
 

Prometto che sarà l’ultima così.
 
 
 
Forse.

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Capitolo 2
*** 15. Fumo ***


Piccola precisazione: io sono ossessionata da Nathaniel coi capelli lunghi.
Avete presente quelle bellissime zazzere ricce/boccolose che stanno così bene a certi ragazzi?
Stessa cosa.
Per me Nathaniel, a meno che di precisazioni, è più o meno riccio coi capelli lunghetti, tipo metà collo.
 
 
 
Fumo.
 
 
 
“Essere un jinn è figo.
Sei forte, sei intelligente e se sei fortunato, pure bello.
Non è nemmeno così difficile mascherarsi agli umani, sono molto disattenti, e la vita procede tranquilla.
Questo avviene se non hai alle calcagna qualcuno come Nathaniel, pronto a rovinarti la vita.
Poi dipende molto dalla tua visione del mondo, alcuni preferiscono Toma, a Roma.”
 
 
 
 
 
 
“Mi scusi, ha da accendere- Oh.”
Uno sguardo veloce, sembrava sorpreso.
Un attimo di silenzio, poi il ragazzo si tastò le tasche come l’ultima volta: ”Non con me, non fumo.”
Davvero?
“Però non ho ancora chiuso il negozio, dentro dovrei avere un accendino.”
“Grazie.”
Lo seguì, il negozio appariva tetro senza le solite luci allegre che lo illuminavano, e i tavoli erano tutti ammassati in una figura scura, in un angolo della panetteria.
Il ragazzo superò il bancone, e armeggiò con qualcosa.
Poi emerse.
“Ecco qui.”
Ed eccolo di nuovo.
Era sicuro, non erano le paste, non era il pane, in quel momento il locale era vuoto.
Era lui.
 
 
 
Dapprima Nathaniel non era così sicuro della cosa.
Forse se l’era solo immaginato, dopotutto era in una panetteria, un po’ di odore c’era.
Così le prime volte non ci aveva dato molto peso, scambiandolo per una cosa ordinaria.
Però l’odore era rimasto.
Di sottofondo, qualcosa che non riusciva a centrare.
Aveva annusato il pacchetto (no, non potevano essere i suoi amatissimi biscotti), e non era quello; con più discrezione s’era annusato prima i polsi, che profumavano pungenti, poi i capelli, e quando oramai solo, anche le ascelle.
Eh no.
Non era lui.
Non poteva mettersi ad odorare ogni cliente, così s’era messo a pensare.
Quello poteva permetterselo.
 
 
 
La sua indagine agiva a rilento: non poteva indugiare troppo al bancone, perché aveva i minuti contati prima dell’inizio della lezione e nessuno si presentava con briciole di biscotto ai lati della bocca, che maleducazione.
Un breve pensiero quando l’odore tornava, e giù di nuovo nei cassetti mentre trotterellava per la strada, avvicinandosi alla fermata del bus più vicino.
 
 
 
Gli ci vollero tre settimane prima che potesse capire che cosa fosse.
Niente lezioni quel giorno, i professori si davano malati, e altri erano a conferenze o altre lezioni.
Un attimo di pace, finalmente.
Anche se la ruotine scolastica venne spezzata, di certo Nathaniel non si sarebbe perso per nulla al mondo la ronda alla panetteria sotto casa.
I soldi contati se ne stavano sul fondo della tasca, tintinnando ad ogni passo.
La panetteria profumava di buono come sempre, e con tranquillità, Nathaniel si mise a controllare con occhio esperto, e in un modo assolutamente ridicolo, la vetrinetta.
Orrore!
L’unica cosa rimasta della sua ancora di salvezza erano poche e parche briciole sconsolatissime, abbandonate sull’enorme e di solito pieno vassoio.
“Mi dispiace, una scolaresca ha fatto piazza pulita.”
La voce dell’impiegato che lo serviva sempre.
Nathaniel alzò la testa come un re sconfitto, ritrovandosi a fissare l’espressione mal nascosta di divertimento dell’altro.
“Se aspetti dieci minuti però, ne arriva una teglia calda, appena sfornata.”
Il buonumore tornò, e fatto posto a un paio di signore che s’affrettavano a prendere brioche e dolcetti, Nathaniel s’appoggiò blandamente al bancone, girovagando un po’ su facebook.
Notifica di qua, stupidi messaggi di là- Oh, anche domani le lezioni erano sospese: un’indisposizione burocratica degli insegnanti, detta anche:” Non ciò la sbatta di lavorare”, liberava la giornata di molti studenti, compreso Nathaniel.
“Andrò a far la spesa, oppure in spiaggia…” come a schernirlo, la pelle pallida rifletté malata la luce della vetrina.
“O forse no.”
I minuti passarono, ma non dieci, forse cinque, prima che l’impiegato si chinasse sul bancone e lo fissasse con quei grandi occhi scuri.
“Arriverai in ritardo a scuola, perché non prendi altro?”
Alzò lo sguardo:” Niente lezioni oggi.”
“Sciopero?”
“Indisposizione degli insegnanti.”
“Non ciò la sbatta di lavorare.”
Un mezzo sorriso si fece strada sulla bocca sempre tesa di Nathaniel.
“Più o meno. Ma come fai a sapere che sono uno studente?”
L’altro alzò le spalle:” Più di una volta sei entrato con libri in mano oppure progetti che stavi ricontrollando. Studi… lingue?”
Nathaniel annuì lentamente.
L’impiegato sorrise, e si scostò.
Ed eccolo.
Quasi, il mondo si fermò, e timidamente per non sembrare uno stramboide, Nathaniel annusò l’aria.
Eccolo.
L’odore, lo sentiva!
Si voltò verso le cucine, e l’unica persona che c’era era il panettiere, che ora controllava pigramente qualche scontrino.
Inspirò più a fondo.
Si, si!
Era l’odore!
Ma non riusciva a capire quale.
L’aveva già sentito, ma dove?
Finalmente i suoi biscotti furono pronti e, caldi e fragranti come non mai, furono infilati in un bel sacchetto marrone e poi consegnati.
Guardò rapito i rivoletti di vapore alzarsi dalla pasta, e l’intuizione lo colpì come uno schiaffone.
Fumo!
Era odore di fumo!
Si guardò attorno allarmato, ma nulla faceva pensare a un incendio (perché diciamocelo, quello era odore di fumo di legno, non di sigaretta, la differenza è molto grande).
“Ecco a te, spero che non debba ricordarti quanto costano, vieni qui ogni giorno.”
Pagò, accorgendosi del modo particolarmente penetrante con cui l’impiegato lo fissava.
Mha, pensò uscendo, forse s’era solo sbagliato.
 
 
 
C’erano stati parecchi incendi negli ultimi due mesi.
Certo, era estate e faceva un gran caldo, e certo, la madre degli imbecilli è sempre incinta, ma l’allarme incendio e l’allerta piromante erano scattati dopo il sesto incendio.
Tutte cose piccoline, nulla di che, tutti domati dagli stessi proprietari della casa in cui erano scoppiati.
Solo che il panico dilagava in ogni caso.
E fu questo a mettere la pulce nell’orecchio a Nathaniel.
Non ne era sicurissimo, gli incendi dilagavano per tutta Londra, senza uno schema preciso, e visto che non aveva ancora infranto la legge infiltrandosi negli archivi della polizia come in certi film, Nathaniel aveva le mani legate con la testa che correva veloce.
 
 
 
Finalmente l’università chiuse i battenti, e agli studenti non rimase che aspettare l’esito degli esami.
Era stato un mese duro, e Nathaniel aveva mancato il solito giro d’ispezione in panetteria più di una volta.
Con l’umore baldanzoso di chi s’aspetta molto, Nathaniel scese le scale del proprio appartamento, trotterellò fino alla panetteria, e s’accorse della saracinesca abbassata.
Controllò l’orologio e sbuffò contrariato: a quanto pare era stato fin troppo mattiniero.
Si sedette sul muretto, giochicchiando con le cinghie della borsa: aveva ogni intenzione di appropriarsi di un posticino in panetteria, magari l’angolino più fresco, e di rimanere lì a leggere, divorando biscotti come un morto di fame.
Dopo forse una decina di minuti, il panettiere fece la sua comparsa.
Nathaniel rimase colpito vedendolo senza il solito grembiule e targhetta, ma solo con una maglietta bianca e pantaloni corti; era come quella volta che vide il suo professore di letteratura al supermercato: un disagio incredibile.
Quella volta non fu disagio, ma solo sorpresa.
“Mattinieri, eh? Messo la sveglia troppo presto?” Lo schernì il proprietario, aprendo la saracinesca.
Nathaniel alzò le spalle:” Credevo fosse già aperto.”
“Mi sono preso la libertà di ritardare, il negozio compie due anni, oggi.”
Due anni?
Erano già due anni che entrava lì dentro?
“Oh.”
“Mi offendi, sei un mio cliente abituale e non lo sapevi?” gli fece un gran sorriso, com’erano bianchi i suoi denti…
Arrossì un poco, scrollando le spalle:” Non ci ho dato molto peso.”
L’altro ridacchiò, finendo di armeggiare con la porta ingresso.
Entrò: aprì le finestre, diede una pulita al pavimento, sistemò i tavoli, accese le luci e ordinò a Nathaniel di aiutarlo, visto che s’era presentato così presto e ci voleva un po’ prima che i biscotti fossero pronti.
“Non hai mai pensato di lavorare qui?”
Alzò la testa, il ragazzo dalla pelle scura lo fissava assorto da dietro al bancone.
Nathaniel si strinse nelle spalle: “Uhm… no, gli studi mangiano tanto del mio tempo, ne rimane poco anche per me.”
L’altro annuì.
“Forse dopo l’anno prossimo…” borbottò a se stesso, sicuro che l’altro non lo avesse sentito.
Nathaniel attese il suo ordine seduto distrattamente a un tavolo, mentre fissava la vetrina e le persone passare affrettate.
Non entrò nessuno, anche se erano già le sette passate.
Si mise a cercare il suo libro, e le dita incontrarono il pacchetto di sigarette che non fumava mai.
Capitava di rado: quando lo studio lo stancava così tanto da mandarlo in esaurimento nervoso, invece che gettarsi sul frigo, s’accendeva una sigaretta, la fumava fino a scottarsi le dita e ricominciava più tranquillo.
Una, ogni tanto.
Il pacchetto era praticamente pieno.
“Ecco a te, dodici biscotti di numero appena sfornati.”
Alzò lo sguardo sul panettiere, e prima che potesse fermarsi chiese:” Hai da accendere?”
La sigaretta era già comparsa tra le sue labbra, con l’intuizione che aspettava di esser accesa come la paglia.
L’altro sembrò sorpreso.
Si tastò le tasche e scosse la testa:” No, non fumo.”
Ah.
“Non importa.”
Prese il sacchetto, pagò, e se ne andò.
 
 
 
Gli incendi continuarono, e il piromane, perché non poteva che essere un pazzo e non incidenti singolari, non era ancora stato consegnato alla giustizia.
Ognuno si guardava le spalle anche in casa, e si mormorava che anche ai piani superiori, più ardui da raggiungere, avessero iniziato a prendere fuoco.
Nessuno capiva come, non c’erano segni di effrazione, e nessun rimasuglio di accendi-fuochi.
Nulla.
 
 
 
Teneva la sigaretta con due dita, guardandola assorto: rovinarsi i polmoni solo un poco di più per smascherare un criminale era un prezzo più che giusto da pagare.
Poi era solo una, non fumava mai.
La saracinesca scricchiolò, e silenziosamente Nat le diede la schiena.
Fece finta di cercare qualcosa nelle tasche e borbottò qualche imprecazione.
Poi, teatralmente, si voltò, come se si fosse appena accorto della presenza alle sue spalle.
“Mi scusi, ha da accendere- Oh.”
Uno sguardo veloce, sembrava sorpreso.
Un attimo di silenzio, poi il ragazzo si tastò le tasche come l’ultima volta: ”Non con me, non fumo.”
Davvero?
“Però non ho ancora chiuso il negozio, dentro dovrei avere un accendino.”
“Grazie.”
Lo seguì, il negozio appariva tetro senza le solite luci allegre che lo illuminavano, e i tavoli erano tutti ammassati in una figura scura, in un angolo della panetteria.
Il ragazzo superò il bancone, e armeggiò con qualcosa.
Poi emerse.
“Ecco qui.”
Ed eccolo di nuovo.
Era sicuro, non erano le paste, non era il pane, in quel momento il locale era vuoto.
Era lui.
 
 
 
Nathaniel uscì di casa di tutta fretta, rimestando nella borsa come un forsennato: non aveva molto tempo, o avrebbe perso il bus.
Stramaledetta sveglia che aveva deciso di non collaborare scaricando le batterie proprio quella mattina!
Si catapultò giù per le scale saltando i gradini e si lanciò in strada, dandosi pochissimi secondi per decidere se fermarsi oppure no.
La vista del bus che si fermava e la fila al bancone fece gemere di disperazione Nathaniel, che superò di gran carriera la panetteria.
 
 
 
La sera era alle porte, e l’aria iniziava a farsi più fresca.
Con le guance congestionate e il passo leggero Nathaniel scese dal bus come in trance, guardando di fronte a sé con un’espressione sognante.
Salì le scale canticchiando e tirò fuori le chiavi di casa, emettendo tanti tintinnii che risuonarono per tutta la tromba.
Poi si fermò.
Qualcosa dentro di lui gli gridò di fermarsi, e così fece, rimanendo a contemplare la serratura dell’ingresso.
Poi alzò le spalle e avvicinò le chiavi alla toppa.
Una mano scura calò sul suo polso, facendolo sobbalzare: le chiavi caddero.
“Se fossi in te non lo farei.”
“Cosa?”
Sentì del movimento sopra di loro e il ragazzo dalla pelle scura alzò lo sguardo: oh, era il panettiere.
“Merda.”
Lo riguardò, dritto negli occhi:” Ti consiglio di uscire, non voltarti indietro.”
Con un leggero sorriso, si voltò, sprintando su per le scale.
Dopo un attimo di completo blackout celebrale, Nathaniel lo seguì.
 
 
 
Salì fino al tetto, col fiato corto e i capelli appiccicati alla fronte.
I rumori che l’avevan accompagnato per tutto il tragitto ora erano più forti: petardi? No, aspetta, rocce che si spaccano- questo era un grido?
Fece gli ultimi gradini accelerando, gettandosi contro il muro per poter sbirciare aldilà della porta di ferro del tetto.
Un lampo di luce s’infranse a terra, lasciando segni neri sul pavimento, un’imprecazione, una risatina divertita e poi di nuovo botti.
Che diamine stava succedendo?
Uscì allo scoperto baldanzoso come non sapeva di essere, ritrovandosi ad osservare esterrefatto una scena da libro o da fumetto.
Due figure, una più slanciata e l’altra massiccia, volteggiavano, e qui Nathaniel si diede un pizzicotto, agili nell’aria serale, dandosele di santa ragione.
Un secondo lampo squarciò l’aria rendendola calda e crepitante, e Nathaniel si coprì il viso, indietreggiando un poco.
Un’ombra nera macchiava il muro accanto a sé, e alzando lo sguardo, vide gli altri due occupanti del tetto stretti in una furiosa lotta corpo a corpo, dove non mancavano di volare calci, pugni e morsi piuttosto scorretti.
La figura più magra mollò un calcio ben assestato nella pancia dell’altra, mandandola a ruzzolare oltre delle prese d’aria.
Nathaniel si ricordò in quel momento di esistere, e la figura si voltò verso di lui.
“Ma non ti avevo detto di uscire!?”
Boccheggiò una risposta, guardandosi attorno: i chiari segni di una lotta si raffreddarono velocemente, e qualche borbottio contrariato si levò oltre le prese d’aria.
“Io…”
“Io cosa!? E’ una fortuna che la Deflagrazione di Jabor non ti abbia preso! Non ha mai avuto una mira eccelsa, ma se ti piglia ti assicuro che di te non rimarrebbe nemmeno la cenere.”
Ora che s’avvicinava, riuscì a distinguerne meglio i contorni: era un gargoyle.
Più o meno della sua stessa altezza, aveva ampie ma aggraziate ali di pietra, ed a ogni passo unghioni e piedi scioccavano secchi, risuonando per il tetto.
Il muso aquilino lo scrutò pensieroso:” Mha, si, ci basterebbe davvero poco per eliminarti.”
Nathaniel iniziò a sudare freddo: che significava “per eliminarti”? La creatura intendeva ucciderlo?
E in che senso gli aveva già detto di uscire?
Si leccò le labbra secche, lanciando un’occhiata veloce alle spalle del gargoyle.
“Tranquillo che per ora non si rialza, l’ho sistemato per bene.”
Sobbalzò, strisciando le scarpe sul cemento, arretrando.
“E non fare quella faccia, non ho intenzione di ucciderti, se tu non hai intenzione di parlare!”
Nathaniel scosse violentemente la testa.
Il gargoyle annuì.
“Bene, bravo.” Poi si fermò a pensare:” Anche se… c’è qualcosa che mi sfugge…”
In quel momento, un’esplosione ai piani inferiori fece tremare il palazzo, spaventando i due.
S’affacciarono al parapetto, e le speranze che Nathaniel nutriva dopo aver udito il botto, morirono, cascando giù dal palazzo.
Non c’erano molti calcoli da fare, quello che era appena esploso in una miriade di vetri e mattoni era il suo appartamento.
Lentamente, s’accasciò a terra, portandosi le gambe al petto e nascondendo il viso.
Il gargoyle si grattò la nuca e fece schioccare il becco:” Erm… mi dispiace… per quello non ti ho fatto entrare, ho sorpreso Jabor usare… il tuo divano, si, come falò.
Credo anche altro, ma… ma non sono sicuro.”
Le sirene dei pompieri riempirono l’aria e in poco furono evacuati i condomini.
“Se vuoi ti posso far scendere illeso, le scale devono essere un inferno.”
I vigili del fuoco non avevano visto Nathaniel e il panettiere (era tornato umano nel momento in cui sentì le sirene), e tenendo il capo chino per non farsi vedere ed evitare molte domande scomode, i due strisciarono dall’altra parte del tetto, scoprendo che il fantomatico Jabor se l’era battuta.
“Tsk, forse era messo così male da non voler creare altro panico, strano, da parte sua.”
Nathaniel non rispose e se ne tornò nella stessa posizione di prima.
“Possiamo scendere da qui, non c’è nessuno qui sotto.”
Il ragazzo dalla pelle scura alzò la testa, aggrottando le sopracciglia in segno di disapprovazione alla vista di Nathaniel.
“Non è la fine del mondo, sarai assicurato, no? E in più sei vivo, puoi sempre rifare tutto da capo. Certo, sarà una sbatta immane, ma di certo ne uscirai vittorioso.”
Nathaniel non trovò il benché minimo conforto in quelle parole, tantè che nemmeno il panettiere sembrava convinto di ciò che aveva appena detto.
“Senti… cos’è’ che stai ancora tenendo in mano?”
Il moro alzò il braccio senza levare il volto dalle ginocchia, e il panettiere prese in mano il fascicoletto, sfogliandolo.
“Facoltà di lingue… Laureato summa con laude?” il tono sorpreso dell'altro riuscì a dare un po’ di buon umore a Nathaniel.
Il panettiere fece un fischio ammirato:” Bhè, con questa in tasca puoi anche mandare a quel paese il tuo appartamento, è una fortuna che ce l’avessi con te. Che è, te la porti in giro tutti i giorni?”
“L’ho ritirata questo pomeriggio.”
“Davvero?”
“Sì.” Nathaniel alzò la testa, togliendosi i capelli dal volto accaldato.
Fece un gran sospiro e si rialzò, armeggiando con la borsa.
Si mise la sigaretta tra le labbra e scoccò un’occhiata al ragazzo accanto a sé.
“Hai da accendere?”
 
 
 
Nathaniel sbucò tra i pompieri come se avesse visto il palazzo prendere fuoco solo da lontano.
Sudato e affannoso, s’era fatto spazio come un disperato, chiedendo spiegazioni e dandone, dicendo che pensava di aver perso le chiavi di casa sul bus, invece di accorgersi che gli erano cadute sul pianerottolo quando era uscito di casa nel pomeriggio.
Nessuno pensò che fosse lui l’artefice di ciò o che dietro agli incendi colposi che divulgavano a Londra si nascondesse una creatura sovrannaturale.
Anche se poco dopo, gli incendi cessarono.
Nathaniel non era una persona che teneva i soldi sotto al cuscino, e ritirato molti risparmi dalla banca, s’era riaccasato in un altro quartiere di Londra.
All’inizio la laurea non aveva fruttato molto, ma s’era trovato bene come bibliotecario in attesa che i suoi studi attecchissero.
Seme che non tardò a germogliare, permettendogli di diventare un traduttore di tutto rispetto e di leggere quanti libri volesse, anche nelle lingue più disparate.
Col tempo, riuscì a farsi spiegare sotto velatissime minacce mescolate a qualche implorazione, che diamine fossero il panettiere e quel Jabor.
Senza mezzi termini e altrettanti avvertimenti sulla brutta fine che poteva fare, Bartimeus, così si chiamava, gli spiegò di essere un jinn.
“Uno squisito jinn di amabile fattura.”
Nathaniel gli aveva risposto con uno sguardo scettico e un’occhiata da capo a piedi.
Bartimeus lo ignorò e attaccò raccontandogli che erano millenni che si trovava sulla terra, come ogni altra dannatissima creatura sovrannaturale, solo che gli umani erano troppo stupidi per accorgersi di loro.
Passava il proprio tempo a bighellonare, ad affrontare viaggi infiniti e ogni tanto, giusto perché si annoiava, trovava un lavoro che gli garbava, se ne stava lì il tempo necessario per non dare sospetti sul suo mancato avanzamento d’età, e poi ripartiva, leggero come il vento.
“In questi ultimi mesi stavo tenendo d’occhio Jabor. E’ uno a cui piace rompere e spaccare e non fare domande.
Per quanto siate inutili, farsi scoprire da voi per colpa di un deficiente che sbandiera ai quattro venti i propri poteri, sarebbe alquanto imbarazzate.”
“Io ho assistito al vostro combattimento.”
“Ripeto, imbarazzante.”
Nathaniel sbuffò, e gli chiese perché avesse scelto proprio il panettiere.
“Per mascherare ciò che ti ha messo sulle mie tracce.”
“Il tuo odore?”
“Forse la laurea te la sei meritata per davvero.
Comunque sì, in panetteria si nascondeva abbastanza bene, finchè non arrivò Lassie che iniziò ad annusare in giro come un bracco sulle tracce di un coniglio.”
Nathaniel arrossì:” L’ho fatto perché girava un piromane, e tu odori di fumo, chiunque avrebbe pensato la stessa cosa!”
In ogni caso, disse Bartimeus, non gli interessava più fare il panettiere, troppo monotono, troppe signore anziane e troppi studenti ficcanaso.
Nathaniel gli mollò un calcio.
“E ora che pensi di fare?”
“Viaggiare ancora?”
Nathaniel non replicò, limitandosi a spostare lo sguardo sulla città.
 
 
 
Il suo lavoro di traduttore gli lasciava un sacco di tempo libero, che riempiva con la sua oramai sedentaria occupazione di bibliotecario, trovandolo il lavoro più affascinante al mondo.
Si crogiola nei variopinti e numerosi viaggi che lo ficcavano negli angoli più disparati del mondo, staccandolo dalla quotidiana ruotine, a cui tornava come un marinaio torna nella sua amata terra d’origine.
Era felice, e ogni tanto, ripensava a quel giorno in cui il suo vecchio appartamento era scoppiato come un petardo, costringendolo a ricomprare ogni cosa, ripartire da zero.
“Come una fenice.”
E al pensiero della fenice, si concedeva una sigaretta, di pacchetti sempre pieni e sempre più vecchi.
Si portava la paglia alle labbra, sospirava e se la rimetteva tra due dita.
“Hai da accendere?”
Allora, prima che la riportasse alla bocca, una fiammella compariva sotto la cicca e ne accendeva la punta, seguita da borbottii vari e commenti di quanto fosse clichè e ripetitivo.
Allora Nathaniel sorrideva e ringraziava, perché doveva concedergli che come accendino, purchè millenario e con una parlantina irritante, faceva un lavoro magnifico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRRRRRRRRRrrrrr-
 
 
Vero che i jinn nell’ambientazione originale non hanno odore o comunque emettono quello che preferiscono.
Ma visto che si tratta di ambientazioni sempre diverse, spero che abbiate gradito in ogni caso-
 
 
Fumo è una delle one shot più lunghe che ho scritto fin ora, ne ho pronte altre, un paio anche da finire, spero di riuscire a farmi venire in mente qualcos’altro e non arrendermi subito-
 
 
Bhè, spero vi sia piaciuta e bho, ho mille idee per delle long fic e dovrei smetterla perché mi sto rovinando la vita.
 
 
Ah una cosa, anche se non rispondete pazienza, ma tutti quelli che leggono ste fic sono fan della saga o è gente a caso che capita per di qua?
Cioè, sto dubbio mi assale la notte, chi diamine è che legge la mia roba? XD
A parte una persona che conosco di persona, eh-

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Capitolo 3
*** 75. Rosso ***


Eeeeeee andiamo con “Rosso”
 
 
Rosso
 
 
 
 
 
Mela.
Rabbia.
Guance.
Anguria.
Sangue.
Melagrana.
Pesche.
Carne.
Rosa.
Pomodori.
Lingua.
Ciliegie.
Fragole.
Bocca.
Passione.
Lava.
Pappagalli Ara.
“Erm…”
Semaforo.
“Uhm...”
“Certo che comprare un semaforo è un po’ difficile.”
“Eh?” Riccioli neri dondolano verso destra.
“Non è la lista della spesa?
Mela, rabbia, questa ne hai da vendere, perché comprarla? Guance, quelle di mucca spero, anguria, sangue… pesche, carne, rosa, intendi il fiore? Pomodori e… Bocca?”
“Non è la lista della spesa, idiota, è un elenco-”
“Non ci sarei mai arrivato! Grazie!”
“-per un progetto d’arte! Il professore vuole che scegliamo un colore, formiamo una figura con oggetti di quel colore, e sto elencando le cose rosse, avendo scelto il rosso.”
Uno svolazzo di mano pallida, un appunto: Fuoco.
 “Aaah… Ok?
Ma come la disegni la passione?”
“Ce la metto.”
Cuore.
“Uhm. E che disegnerai?”
“Non lo so.”
“Uhm.
Buona fortuna, intanto.”
“Sì…”
“Uhm.”
“La vuoi piantare di dire “uhm”? Mi stai disturbando.”
“Uhm.”
“Cristo-“
“Ok, ok, vado, vado.”
Amore.
 
 
 
 
 
“E questo cos’è?”
“Il mio progetto.”
“L’hai finito?”
“Sì.”
“Posso?”
“Sì.”
“… L’hai fatto in classe?”
“Sì.”
Un attimo di pausa.
“In quanto?”
“Tre giorni.”
“… Tre?”
“Sì, sono veloce con queste cose, lo sai.”
“Uhm…”
“Che c’è?”
Un’unghia picchietta sulla tela: “Guance come mele mature e bocca di rosa… La chiamavano Bocca di Rosa…”
“Metteva l’amore, metteva l’amore…”
“La chiamavano Bocca di Rosa, metteva l’amore sopra ogni cosa. Mha. Dai, levati, fammi posto, sciò!” Una piccola lotta, il divano scricchiola.
“Ma c’ero io lì-“
“E ora ci sono io.”
“Peggio dei gatti.”
“Avevi già scaldato il posto, sai che non posso sopportare il freddo.”
“Mi chiedo come io sopporti te.”
“Ah, dovrei dirlo io.”
“Pff- Che vuoi guardare? Non c’è nulla alla tv stasera.”
“Film? Qualcosa di stupido e volgare, ne ho bisogno.” Il braccio trova il solito spazio dove infilarsi.
“Ah sì? Come mai così sbarazzino stasera?”
“Colpa del tuo quadro.”
“… Non ti è piaciuto?”
“… Non è quello…”
“E allora cosa?”
“…”
“Se non ti piace lo lascio al professore, diceva che lo avrebbe appeso, a lui è piaciuto.”
“No.”
“Cosa?”
“Lascialo.”
La tv non è ancora stata accesa.
“… Sicuro?”
“Sì.”
“Allora perché ti fa strano, se ti piace?”
“Perché… che fai?”
“Uhm, sì, ho fatto bene a scrivere guance, dovrò dirglielo domani.”
“… Sei pregato di smetterla, scommetto che riusciresti a infilarmi un dito in un occhio.”
“Dimmi che c’è che non va nel quadro.”
“Nulla. E’ perfetto.”
“… Davvero?”
“Sì.”
“E allora…”
“E allora nulla.” Il rossore s’espande assieme al sorriso dell’altro.
“E’ perfetto, come guardarsi allo specchio.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Probabilmente non si è capito un cazzo di quello che ho scritto.
 
Ma va bene così, lascio all’interpretazione (???)
 
 
No, scherzi a parte, nella one-shot precedente Nathaniel era uno studente di lingue, in questo caso, d’arte, specializzato nella pittura.
Perché si, oltre che esser convinta che sia riccio, uno studioso di lingue, un mangia biscotti a tradimento, Nat è anche un pittore fotonico, bravissimo e super veloce.
In contrasto, non sa suonare nemmeno il campanello di casa.
E odia il teatro, sia parteciparvi sia assistere agli spettacoli.
Scrive in modo ok, normale, fin troppo formale e si vergogna un bel po’ a scrivere cose romantiche.
Poi bho, ho mille headcanon su Nathaniel che se sto qui a spiegarvele il mondo finisce prima.
 
 
 
Ah, all’inizio volevo scrivere una fic solo coi dialoghi, nessuna descrizione.
Poi mi sono accorta che sarebbe stato ancora più confusionale e quindi ho aggiunto qualche piccola frase per enfatizzare.
 
Bho, spero che vi sia piaciuta-
 
 
 
BARBONI COMMENTATE-
Che poi non voglio i commenti solo per dire “ahahah! Guarda quanta gente commenta!” no, vorrei conoscere le persone che leggono le mie schifezze, soprattutto riguardanti la Trilogia di Bartimeus, perché siamo un fandom grosso come una noce, e la cosa mi fa piangere il cuore.
 
 
E comunque, se tra quelli che leggono ci sono anche scrittori/scrittrici di sto fandom, sappiate che ho letto le vostre cose, mi sono piaciute da morire ma non sono in grado di commentare perché sono mongospastica e non so mai che cosa dire se non “wdjhfsuyhdijkefjhsiuuoij”-
Capitemi.
 
 
 
 
VI VOGLIO BENE IN OGNI CASO
 

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Capitolo 4
*** 83. Rischio ***


Rischio
 
 
 
 
“E tu che hai combinato?”
Nathaniel staccò la testa dal muro e guardò il ragazzo accanto a sé.
Aveva un occhio pesto che tendeva al nero, del sangue rappreso sotto il naso, e una guancia gonfia.
Tralasciando poi il disordine generale dei vestiti e dei capelli, compresi segni vari sulle braccia.
“Scusa?”
“Che hai combinato? Perché sei dal preside?”
La conversazione fatta poco prima gli picchiettò nel cranio.
“Affari miei.”
“Come sei simpatico…”
“E a te che è successo? Hai cercato di farti il tosaerba del giardiniere?” sbottò, lanciandogli un’occhiata in tralice.
“Ah arh. No. Una rissa.”
“Non l’avrei mai detto.”
“Come sei perspicace.”
“Con chi?”
Il ragazzo alzò le spalle, tirando su col naso:” Un simpaticone del terzo anno.”
“Uno del primo anno che va a cercarsi grane con uno di terza…”
“Carino, guarda che sono del terzo pure io.”
“Cosa? Non prendermi in giro.”
“Mica sto a raccontarti palle, sono del terzo anno. E tu invece?”
“Anch’io del terzo…”
“Uhm.
Ora che ci penso credo di averti già visto…” Si arrampicò sulla sedia in una posizione più eretta, poi il viso gli si illuminò:” Aspetta, tu sei Underwood! Lo studente più brillante della scuola! Sbaglio o frequenti il corso di lingue?”
Nathaniel arrossì, alzando le spalle:” Sì, più o meno.”
Il moro accanto a lui scoppiò a ridere:” Non ci credo! Underwood dal preside! Un giorno memorabile! Che cosa hai combinato? Ha consegnato un compito in bianco? Oppure non hai alzato la mano?”
“Smettila-“
“Dai, dimmelo!”
“Se la smetti- Rispondi prima a questo, perché non sei in infermeria? Diventerà giallo, dopo che avrà somigliato a una melanzana.” Agitò una mano in direzione dell’occhio leso.
“Cosa? Il mio occhio? Anche a metterci il ghiaccio diventerebbe giallo.
No, lo faccio per il mio pubblico.”
“…Qui?”
I due si guadarono attorno nell’ufficio vuoto, non c’era nemmeno la segretaria o qualche assistente.
“Mentre venivo qui c’era un sacco di gente.”
“Credici.”
“Sì ti dico. Comunque, ho risposto ben due volte alle tue domande, dimmi perché sei qui e ti lascerò in pace.”
Nathaniel sospirò, portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio:” Ho insultato un professore.”
Il ragazzo scoppiò a ridere una seconda volta, più genuinamente, con la testa all’indietro.
“Chi, chi?”
“Lovelace.
Si crede chissà chi e non e’ in grado di capacitarsi che gli studenti possono saperne di più oppure aver ragione!” scoppiò, agitando rabbiosamente una mano di fronte a sé.
“Arrivare agli insulti, e che gli hai detto?” Soffiò l’altro tra le risate, tenendosi la guancia dolorante pur sorridendo come un beota.
Nathaniel si schiarì la gola, rosso di felicità per potersi sfogare con qualcuno:” Penso che lei sia solo uno stronzo pomposo e che non sappia assolutamente insegnare, oltre ad essere un perfetto ignorante in materia. E la smetta di toccarsi i capelli di continuo, credo che ogni suo collega o studente abbia schifo a stringerle la mano, se mai si abbassassero a tanto.”
Silenzio.
Il ragazzo iniziò a battere le mani, scuotendo la testa e sbattendo le palpebre ammirato:” Complimenti. Davvero complimenti. Che e’ successo poi, è esploso?”
“Più o meno.
E’ diventato color malva e mi ha praticamente preso a calci mentre mi portava qui. L’intera classe era uno stadio.”
Una mano si tese verso di lui.
“Devo stringertela, è un po’ sporca di sangue, ma i denti di Jabor non ci sono più, li ho tolti mentre venivo qui.”
Poi si toccò la tasca della felpa, che tintinnò:” Tutti qui.”
Nathaniel fece un mezzo sorriso, stringendogli la mano con gentilezza, sentendola salda nonostante tutti i graffi ed ematomi.
“Nathaniel Und-.”
“Lo so, damerino, tutti sanno chi sei.”
Nathaniel sbuffò: “E tu, guerriero così sagace e assolutamente inopportuno, come ti chiami?”
Il ragazzo sorrise, aveva denti bianchissimi: “Bartimeus.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
AHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHA-coffcoff-argh-AHG-
 
 
 
No, nulla, non ho nulla da aggiungere e dire su questa fic, tanto si sa che le AU scolastiche solo le migliori e con più spunti, soprattutto perché è un intero mondo a parte.


Eeeeeh si.
 
 
Ah, no, qualcosa da dire c’è, le AU, a meno che non lo dica in modo esplicito, sono tutte OVVIAMENTE scollegate tra di loro.
 
 
AU, che magnifica invenzione.
 
 
Bha, torno a fare a maglia, cià cari, cià.
 
 
 
 
 
 
 
A SI GIUSTO, NATHANIEL PREDICA BENE MA RAZZOLA MALE PERCHE’ I CAPELLI SE LI STOCCACCIA IN CONTINUAZIONE PURE LUI-
BRUTTA MERDA-
 
 

Però gli voglio un mondo di bene lo stesso.

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Capitolo 5
*** 13. Crimine ***


Crimine
 
 
 
“Secondo me finisce male.”
“Secondo me finisci nel canale, se non la pianti.”
“Secondo me finisce con i vostri sederi pieni di sale, se non abbassate la voce!”
Le due piccole figure borbottarono qualcosa, ma si zittirono.
Una leggera brezza iniziò a tirare, facendo ondeggiare l’erba alta e le chiome rigogliose sopra di loro.
Cheti e acquattati nell’erba come tigri, sette bambini tramavano all’ombra di grandi alberi frondosi.
“Secondo me non se n’è ancora andato.”
“Sì, sì, l’ho visto scendere.”
“E il campo è libero?”
“Aspetta che guardo.”
Il più minuto di tutti alzò la testa, mentre gli altri trattennero il respiro.
Poi si mise in piedi, allarmando il resto della comitiva.
“Via libera.” Disse con un sorriso.
Tirarono tutti un enorme sospiro di sollievo.
 
 
 
“Vedetta, avvisti la bandiera nemica?”
Asmina fece dondolare una gamba verso il vuoto, portandosi una mano al viso per schermarsi gli occhi.
“Nulla mio capitano!”
Kitty annuì seria:” Cambusiere! A quanto ammontano le nostre provviste?”
“Più o meno dovrebbero durare per il viaggio di ritorno, ma dico più o meno perché il pirata semplice Tolomeo riesce a mangiarne cinque in un colpo solo!”
“Tu sei qui per scroccare! E poi non esiste il pirata semplice, sei solo un pirata, poi c’è il nostromo, il capitano, il vice-capitano…” e si infilò due ciliegie in bocca, borbottando altri ruoli e nomi.
“E il cambusiere! Che però non deve mangiarsi tutte le provviste!” protestò Bartimeus, togliendo di mano il sacchetto che Tolomeo portava in grembo.
“Capitano, quest’albero ci offrirà ben poco se lo spogliamo in questo modo, e in più il nostro nemico capirà che lo stiamo alleggerendo del carico!”
Kitty annuì di nuovo:” Il nostromo Nathaniel ha ragione, Asmina, controlla ancora un po’ e poi scendi, se il cambusiere non ha divorato la tua ricompensa, ne avrai una!”
La ragazzina scrutò l’orizzonte ancora un poco, poi scese con la grazia di un gatto.
“Il vice capitano e il nocchiere dove sono?”
“Li ho mandati in avanscoperta alla ricerca di un albero migliore.”
“L’hanno trovato?”
“Dicono che hanno scoperto qualcosa in fondo al campo.”
“Saremo scoperti lì, però, diamo sugli altri campi!” Nathaniel guardò apprensivo l’orizzonte:” Non sarebbe meglio rimanere più interni?”
“Quegli alberi hanno qualche trappola, le ho viste io.” Borbottò Bartimeus, appendendo momentaneamente il sacchetto ad un ramo, fuori dalla portata di Tolomeo.
“Trappole? Tipo quelle per orsi?”
“Bhè, ne sarebbe capace, però no, sono solo sonore, fanno un gran rumore se ci passi sopra. Le ha nascoste bene e non saprei disattivarle.”
Kitty soppesò la cosa, rimuginando.
Tutta la banda aspettò le direttive del capitano.
In lontananza giunsero le figure di Jakob e Quezlee, che arrancavano nelle sterpaglie e nei fili di ferro.
“Tutto a posto laggiù, vice?”
I due ragazzini fecero un buffo saluto militare, tirando grandi sospiri:” Tutto pulito! Le case vicine sembrano vuote per ora!” Rispose Jakob, allungando la mano verso le ciliegie.
“Rischiamo lo stesso…”
“Un po’ di rischio non ci ha mai fatto male.”
“Parla per te, io mi sono graffiato tutte le gambe l’ultima volta, e mi si sono rotti i pantaloni, la mamma era furiosa.”
Tutti rabbrividirono, la signora Hyrnek era tanto buona quando si trattava di ospiti, quanto severa in fatto di punizioni.
Si zittirono, dondolandosi sui piedi e valutando la cosa.
Kitty sapeva che l’avrebbero seguita, ma non voleva che gli altri finissero nei guai per colpa sua.
Il padre adottivo di Nathaniel era terribile.
“Credo che l’unica cosa da f-“
“Nemico in vista, ritirata, ritirata!”
Lo strillo di Asmina destò i presenti, che dopo essersi guardati attorno freneticamente si precipitarono lungo il campo, correndo nella direzione in cui Jakob e Quezlee erano appena giunti.
Non rimasero a chiedersi se Asmina si fosse sbagliata, oltre ad essere una cosa poco probabile vista la sua vista da aquila, l’ultima volta che s’erano attardati Bartimeus ci aveva rimesso un polpaccio.
Lui mostrava le cicatrici tondeggianti con orgoglio, e se glielo chiedevi, te le lasciava anche toccare, ma la ramanzina e i castighi della madre preferì gettarli nel dimenticatoio.
“Dividiamoci! Solita formazione, avanti!”
Kitty e Jakob schizzarono sulla destra, e quando il campo si aprì in un nuovo filare, Quezlee e Tolomeo ci si infilarono, lasciando Nathaniel, Bartimeus e Asmina a sprintare giù per la collinetta, gettarsi a capofitto in un terzo filare, parallelo agli altri, incespicando nei rami secchi di anni prima e terra smossa.
Sentirono delle imprecazioni adulte alle loro spalle e accelerarono, frustandosi con i rami dei ciliegi e l’erba alta.
“Almeno Jakob non verrà strigliato!”
“Toccherà a noi se non ci spicciamo, correte!”
Tolomeo correva agitando le magre braccia in modo circolare, quasi saltellando: ”Elendil! Elendil!” strillò ridendo.
Nathaniel scoppiò a ridere, quasi inciampando nei suoi stessi piedi:” Cavalcate! Cavalcate! Cavalcate verso Gondor!”
Bartimeus lanciò un grido esasperato:” Non mettetevi a citare il Signore degli Anelli adesso! E’ il Signore degli Anelli vero? Stupidi fanatici!”
Fuggite sciocchi!” urlarono i due in risposta, ridendo come campanelli al vento.
Anche Asmina si mise a ridere, galoppando veloce nei campi.
“Se non la piantate giuro che non vi mollerò una ciliegia che una!”
“Tu pensa a non farle cadere, polveriere!” Urlò Kitty da qualche filare più in là, saltando agilmente i rami più grossi.
“E’ difficile correre con un sacchetto pieno in braccio!” protestò il ragazzino, stringendosi un poco al petto la busta di plastica che ancora portava.
Urlanti e veloci come lampi, la mandria di ragazzini si dileguò nel campo, lasciandosi alle spalle un grande nemico, che forse un giorno avrebbero trovato il coraggio di affrontare a viso aperto.
Asmina affiancò Bartimeus quando il terreno si fece più sgombro, e lo aiutò a portare il sacchetto, afferrandolo per una maniglia.
Gli altri avanzavano veloci per i filari, e Bartimeus diede un’occhiata in giro, per controllare come stessero gli altri.
Intravedeva Tolomeo e Quezlee due filari più in là, e sentiva le voci di Kitty e Jakob.
Nathaniel correva alla sua sinistra, coi capelli sciolti al vento e la bocca spalancata, ridente.
Il vento tra i capelli, il viso solitamente teso e pallido, finalmente illuminato da un sorriso genuino e dal rossore dello sforzo, le lunghe gambe che saettavano veloci nell’erba alta… l’adrenalina, il rischio incombente.
Vedendolo, Bartimeus fece un gran sorriso, sentendosi rinvigorito, scoppiante di energia e felicità.
Calzava tutto a pennello.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bho, non è nemmeno così BartNat.
 
 
 
Però avevo voglia di scrivere di bambini che fanno cose che facevo io.
Eh si, sono anche fuggita a gambe levate dal contadino, non dico che ci avesse visto, ma di certo non sono stata lì a scoprirlo.
E non dico che i contadini avessero i fucili a sale, ma come prima, non sono rimasta lì a scoprirlo.
E le trappole sonore esistono per davvero.
 
 
 
W I BAMBINI CHE SONO TUTTI BELLI-
 
 
Mi piacciono i bambini-
 
 
 
Prrrrr-




E RIBADISCO CHE NATHANIEL E TOLOMEO SONO DUE NERD-
 
 
E per Dest, io ho letto il Signore degli Anelli giusto quest’estate, dopo anni in cui mi ero detta “e’ noioso e pesante”, e bho, l’ho preso convincendomi di almeno riprovare e mi è piaciuto tanto.
Però ti capisco, quindi pat pat e continua per la tua strada, vecio.
 
 
 
 

E tutti si dimenticano di Jakob, a cui io voglio un mondo di bene-

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Capitolo 6
*** 24. Casa ***


CASA




“Well I woke to the sound of silence the cries 
Were cutting like knives in a fist fight
And I found you with a bottle of wine
Your head in the curtains and heart like the fourth of July”

Nathaniel sta cantando.
Nathaniel non sa cantare.
“Sei stonato come le campane, perché mi torturi così?” Mi viene voglia di chiedergli vedendolo trotterellare a pochi passi da me.
Trotterellare, sì, perché quello non può essere definito camminare né tantomeno saltellare.
E’ più un singulto, qualcosa di molto patetico.
Vorrei filmarlo, così da fargli provare le pene che sto affondando io.
Nathaniel non alza molto il gomito, ma quando lo fa gli effetti sono disastrosi.
Contro ogni evidenza riesce a reggere un paio di bicchieri, anche se mi chiedo che fine faccia l’alcool in un corpo così magro, ma ci vuole poco perché superi la linea e si ubriachi.
Almeno non è molesto.
Anzi, sì, lo è, ma più allegro, e quindi quasi sopportabile.
Il freddo mi morde le mani, anche se sono nascoste nelle tasche, e accelero il passo per mettermi accanto a lui prima che poggi un piede in fallo e si spacchi il naso sul selciato.
Canticchia a mezza voce, con le palpebre semichiuse e un timido sorriso da ebete stampato sul volto.
Per non parlare del rossore del viso, ma diamogli atto, è una serata molto fredda.
E’ completamente fuori dal mondo, andato.
Ma e’ una cosa positiva.
Sta dimenticando gli attacchi di panico, le chiamate notturne e le giornate che durano anni.
Mi chiedo se si rende conto che ci sono anch’io, qui fuori.



Batte i piedi a terra come se fossero le bacchette su un tamburo, iniziando ad allungare il passo.
E’ difficile stargli dietro, ho le gambe corte, mentre Nathaniel sembra fatto di rami lunghissimi.
Aspetta, adesso ha alzato la voce, mi ha quasi spaventato, che diamine sta cantando?

”-But I like to think
I can cheat it all
To make up for the times, I've been cheated on!”

Lo raggiungo di nuovo e alzo lo sguardo, lanciandogli un’occhiata veloce: sta camminando col collo completamente scoperto e il naso all’insù, cantando.

“And it's nice to know
When I was left for dead
I was found and now I don't roam these streets
I am not the ghost you want of me!”

Oh.
Con mezzo salto si volta verso di me, sorridendo in un modo così infantile che per un attimo mi saltano tutti i nervi.
No, no, smettila stupido idiota, smettila.
Senza perdere il ritmo mi afferra le mani, strattonandole dalle tasche finchè non cedo e lo seguo in una breve serie di giravolte scoordinate e goffe.

“Woah my head is on fire!
But my legs are fine
After all they are mine.
Lay your clothes down on the floor
Close the door
Hold the phone
Show me how 
No one's ever gonna stop us now!”

Alza le braccia al cielo, poi le getta attorno al mio collo, affondando il viso nell’incavo della spalla.
Lo sento scivolare lentamente, in qualcosa di molto cartonesco, e intanto si stringe a me, coi piedi che strisciando sull’asfalto finchè non è in bilico, con le gambe tese.
Per fortuna non pesa molto.
Strofina il naso contro il mio collo, lo sento anche se ho la sciarpa ben avvolta, e ricomincia a borbottare qualcosa, dondolandosi leggermente.

“-We are shining stars
We are invincible
We are who we are
On our darkest day
When we're miles away
So we'll come, we will find our way home”

Sbuffo spazientito, e tenendogli il viso con entrambe le mani gli alzo la testa, ritrovandomi a guardarlo dritto negli occhi.
Mi guarda per pochi attimi, e sorridendo felice libero da ogni vincolo, inizia a baciarmi ovunque: sulle labbra, sulle guance, sulla fronte e sul mento, mormorando il ritornello di quella stupida canzone.
E’ in quel momento che gli cingo la vita con entrambe le braccia, anziché limitarmi ad aggrapparmi a lui.
Stupido idiota ubriaco.
Sono baci scialbi, la maggiorparte sono le labbra di Nathaniel che mi bagnano le guancie.
Sospiro quando si ferma con la fronte poggiata contro la mia e gli occhi chiusi: ha smesso di borbottare, e per ora compie grandi respiri.
Poi si stacca un attimo e mi fissa dritto negli occhi.
Sono chiari, senza nuvole e limpidi come l’aria.
Le mie mani tornano ai lati del suo viso, e gli carezzo gli zigomi, premendo con forza i pollici sulla pelle.
Stupido stupido stupido.
Non chiude gli occhi, rimane ad osservarmi assorto, come un bambino concentrato.
E vedo Nathaniel.
“Solo stasera.” Dico.
Lo bacio di nuovo, come si deve, e mi allontano solo quando mi serve aria.
“Solo stasera, ti riporto a casa, ok?”
Mi viene in mente la strofa adatta, e mentre Nathaniel mi mostra un timido sorriso e annuisce, torna sui suoi piedi malfermi pronto a camminare di nuovo.
Di solito le sue mani sono fredde, ma quando stringo la sinistra, la sento calda e sospiro di nuovo, avvertendo le spalle di Nathaniel toccare le mie ad ogni passo.

“So if by the time the bar closes
and you fell like falling down
I’ll carry you home tonight.”












PERCHE’ LE CANZONI DEI FUN SONO BELLE-



Bho.



Vi voglio bene.


E comunque “Carry On” è la theme song di Nathaniel, o comunque quella canzone di cui avrebbe grandissimo bisogno.

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Capitolo 7
*** 52. Mani ***


Mani
 
 
 
Che cosa si fa quando si vede un ragno?
Alcuni lo schiacciano, altri scappano terrorizzati altri ancora lo catturano e lo portano fuori.
Bartimeus optò per la prima opzione.
Certo, avere sei anni e vedersi una cosa bianca che s’avvicina al tuo braccio non aiuta, ma la rispondere:” Pensavo fosse un ragno enorme!” fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Dall’altro canto, Nathaniel se la prese a morte quando senza alcuna spiegazione se non, “pensavo fosse un ragno enorme!”, Bartimeus gli colpì con forza la mano, e non ci pensò due volte a chiedere il supporto della maestra.
E anche se entrambi erano ancora alle elementari e dotati quindi di un’empatia alquanto scarsa, non ci volle di certo un genio per capire che Bartimeus non si sentiva minimamente in colpa.
 
 
 
 
“Sei un imbecille!”
Tutta la classe alzò la testa, constatò che fossero ancora Bartimeus e Nathaniel e tornarono tutti a farsi gli affaracci propri, tranne Kitty e Tolomeo.
“Non l’ho fatto apposta!”
“Però ci sei riuscito lo stesso!”
Nathaniel si controllò per l’ennesima volta il dorso della mano, ora rosso.
“Cretino.”
Bartimeus sbuffò sonoramente, mentre Kitty s’avvicinava e afferrava con gentilezza la mano destra di Nathaniel.
“Fa vedere…”
Davanti all’espressione preoccupata di Kitty, Bartimeus roteò gli occhi e scosse la testa: che colpa ne aveva lui?
Quando qualcuno ti afferra per un braccio all’improvviso e con forza, l’unica cosa che ti viene in mente di fare è di far perdere la presa, no?
Di che si lamentava Nathaniel? Era lui quello traumatizzato, aveva sentito una presa sul braccio e aveva visto questo enorme ragno albino, che cosa poteva saperne lui che fosse la sua mano?
Stupido Nathaniel e le sue mani scheletriche.
 
 
 
 
Quando andava in fibrillazione, Nathaniel muoveva le mani tantissimo.
Cioè, tamburellava le dita ovunque e le intrecciava tra di loro, se le passava nei capelli e tornava a tamburellare il tavolo.
Era alquanto snervante.
Forse era la pubertà.
Più di una volta Bartimeus s’era immaginato di usare le mani di Nathaniel come le talpe del gioco “acchiappa la talpa”, e misurare i suoi riflessi e quelli dell’altro.
Ovviamente la volta che ci provò, non si ritrovò solamente Nathaniel a dirgliele dietro, ma anche Kitty e Tolomeo, sconcertati dalla sua mancanza di tatto.
Per tutta risposta, Bartimeus se ne uscì con un “Mancanza di tatto? Ma se l’ho preso in pieno!”
Non fu l’unico a colpire il bersaglio, e a memoria d’uomo, per la prima volta, Nathaniel gli centrò la faccia con uno schiaffone.
Incredibilmente, non riuscì a trovare nulla con cui controbattere.
 
 
 
 
Quando Nathaniel si ruppe il medio destro, aveva diciassette anni e la capacità innata di istigare la gente a colpirlo.
Nessuno riusciva a capire come fosse possibile, e anche Kitty confessò che ogni tanto lo stimolo a dargli qualcosa da tenere fosse molto forte.
Non che Nathaniel corresse a testa bassa nei guai, però era bravissimo a irritare le persone.
Spesso e volentieri più forti di lui.
E grossi.
Cioè, a nessuno verrebbe in mente di ribeccare di fronte a tutti il quarterback della squadra, soprattutto con epiteti come “demente cerebroleso”, seguiti anche dal dito medio.
Mettendo da parte il fatto che Nathaniel era sicuro che l’altro l’insulto non lo avesse capito nemmeno per sbaglio, l’interpellato non ci pensò due volte ad afferrare il dito incriminato e piegarlo oltre i limiti.
L’unica cosa positiva di ciò, fu che lo fece di fronte a tutti, e che in men che non si dica si ritrovò a terra col naso accartocciato come una pallina di carta, e con un Bartimeus alquanto irritato a cavalcioni su di lui.
Asmira e Kitty riuscirono a trascinare via Bartimeus, qualche ragazzo soccorse il giocatore di rugby e Tolomeo accompagnò Nathaniel in infermeria.
La seconda cosa positiva di quel giorno fu che Bartimeus e Nathaniel passarono la notte assieme, in ospedale, uno con dito medio spezzato, l’altro con fratture multiple alle nocche, trovando il tempo e il coraggio di ringraziarsi a vicenda e di farsi i complimenti.
 
 
 
 
Anche dopo tre anni il dito di Nathaniel non tornò mai più come prima.
Riprese a dipingere non appena gli steccarono il dito, per non perdere la mano, e quando tolse il gesso scoprì sollevato che la frattura non aveva intaccato le sue capacità.
Rimase leggermente storto verso destra, e si poteva intuire il punto in cui era stato spezzato.
Bartimeus si divertiva a scorgere il punto corretto, con una sola occhiata, ed osservare le strane angolature che assumeva quando Nathaniel stringeva la matita o il pennello.
Doveva ammettere che stonava con le altre dita: tutte belle e diritte e poi tak! Il medio leggermente storto sulla destra.
Questo però lo si notava solo quando Nathaniel poggiava la mano aperta sul piano, ad esempio quando si tendeva sulla tela o teneva ferma la squadra sul foglio.
Oppure quando prendeva le misure per un nuovo quadro.
Quindi raramente e solo se rimanevi lì a guardare, ovvio.
Più di una volta si chiese se faceva qualche effetto strano stringere una mano con un dito spezzato oppure mancante.
Ogni volta che immaginava di afferrare la mano di Nathaniel, ricordava a sé stesso che in realtà le mani di Nathaniel erano dei ragni, e che nessuno voleva stringere un ragno.
E in più Nathaniel aveva una cotta per Kitty, quindi cosa gliene fregava a lui?
 
 
 
 
“Ma perché le tue mani sono sempre così fredde?”
Nathaniel abbassò lo sguardo sulla mano sinistra, rigirandola:” Ho una circolazione più lenta, almeno, è quello che mi ha detto il medico.” Borbottò sfregando assieme entrambe le mani:” Quindi le mie mani e piedi sono più freddi del solito.”
“Mani fredde cuore caldo, tsè, come no.” Borbottò Bartimeus facendo un cenno con la testa.
Rigirò i pugni nella giacca: faceva troppo freddo per i suoi gusti, non capiva come Nathaniel facesse a non congelare con solo la giacca e una sciarpa leggera.
Non mancava molto a casa, ma ogni passo era una tortura, faceva troppo freddo.
“Una domanda, non rischi di congelare con la pressione così bassa?”
“Non è pressione bassa, è circolazione lenta, e no, non congelo, non ho freddo.
Tu stai congelando.”
Non era una domanda, e Bartimeus rabbrividì come se gli avessero cacciato una pallina di neve giù per il collo.
“Io non ho freddo, di solito, non mi accorgo della temperatura più bassa, però il medico dice che avrei bisogno di qualcosa che mi tenga caldo, di continuo, soprattutto d’inverno, perché da solo non me ne accorgo.”
Tenendo le mani nelle tasche, Bartimeus evitava gli imbarazzanti contatti casuali che capitavano invece d’estate, ma la mano sinistra di Nathaniel dondolava con nonchalance ad ogni passo, senza nessun guanto che la proteggesse.
“Hai una faccia di bronzo schifosa.”
Nathaniel non disse nulla, nemmeno quando si sentì tirare per la sinistra e quando Bartimeus si ficcò in tasca le loro mani intrecciate.
Gli lanciò una breve occhiata, e stoico come una statua Nathaniel continuava a fissare dritto di fronte a sé.
Sbuffò, e s’avvicinò quanto bastava per sfregare assieme le loro spalle, o più che altro il braccio di Nathaniel e la sua spalla, visto che mancavano venti centimetri buoni tra di loro.
Quasi quasi era l’altezza giusta per poggiare la testa.
Sfregò gentilmente il pollice contro il dorso della mano di Nathaniel, e sbirciandolo per un attimo si permise un sorriso beffardo.
“Davvero, hai una faccia di bronzo pessima.”
La sciarpa tirata fin sopra al naso non copriva molto, constatò felicemente Bartimeus.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se avete notato, ho cambiato il nome della raccolta in Little Talks.
 
C’è un motivo dietro ciò, oltre che essere un titolo migliore, Little Talks è una delle canzoni che associo a sti due scemi.
 
Mi è venuto in mente tipo due settimane fa di cambiare il titolo, e lo faccio solo ora perché io mi dimentico ogni cosa.
 
Little Talks è dei Of Monster and Man, ed è tipo bellissima e mi riempie di feels  
 
 
Premettendo che visto che anche Dest conferma che le mani di Nathaniel sono in realtà dei ragni, possiamo andiamo avanti più tranquilli (???)
 
La circolazione più lenta di Nathaniel non è assolutamente citata nei libri, ed è più tipo una piccola soddisfazione che mi sono presa.
Per la differenza d’altezza… E’ una debolezza mia, e non riesco a farci nulla- Poi pensare a Bartimeus come un concentrato di cattiveria alta uno e uno sputo è bellissimo.
 
Poi bho, mani mi è tipo venuta in mente quest’estate e non ho mai buttato giù nulla se non una settimana fa.
 
Me ne vado, adieu-
 
 
 
 
 
Dimenticavo: NATHANIEL HA DELLE MANI BELLISSIME-

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Capitolo 8
*** 66. Segreto ***


Segreto
 
 
 
 
 
 
“Da quanto tempo lo sapevi!?”
Tolomeo alzò la testa, spaventato.
Kitty s’era appena seduta di fronte a lui, sbattendo il vassoio del pranzo di fronte a sé.
“Sì, sputa il rospo, da quanto va avanti questa storia?”
Asmira prese posto alla sinistra di Kitty, imitandola e facendo un gran rumore mentre si sedeva.
Jakob e Quezlee ebbero l’accortezza di limitarsi a sedersi e fissarlo truci, particolarmente offesi.
Tolomeo li guardò tutti quanti piuttosto spaesato, col libro aperto sulle ginocchia e il panino tra le mani.
“Che?”
“Come che!?” Esplose Asmira, facendosi avanti e picchiando il pungo sul tavolo:” Nathaniel e Bartimeus! Da quanto va avanti?”
Tolomeo si prese qualche attimo per fare due più due, poi sbattendo le palpebre li guardò ancora più confuso.
“Cosa centrano loro? Hanno litigato di nuovo?”
Quezlee sbuffò spazientita:” Se lo aggrediamo così non capirà nulla, ti spiego io, guarda.” Si sistemò sulla sedia, avvicinandosi al tavolo, mentre gli sguardi di tutti i presenti si voltarono verso di lei.
“Ieri sera siamo usciti tutti quanti, tranne te perché non ti sentivi bene.“
“Esatto...”
“Uhm, siamo usciti per andare a bere qualcosa e… bhè, Nathaniel e Bartimeus si sono baciati di fronte a tutti.”
Per qualche secondo calò il silenzio, e tutti quanti si voltarono a fissare Tolomeo, ancora bloccato.
Poi scoppiò a ridere.
Riuscendo a non far cadere il suo pranzo e il libro a terra li sistemò sul tavolo prima di rispondere, godendosi le espressioni sbalordite degli altri.
“Davvero?” Domandò divertito, gongolando.
Kitty annuì lentamente:” Questo prova solo che qualcosa lo sapevi già.”
Tolomeo annuì soddisfatto, sollevando un polverone si proteste da tutti i commensali.
“Ma perché non ci hai mai detto nulla!?”
“Credevo fossi nostro amico!”
“Ci fidavamo di te!”
“Traditore!”
Il ragazzo alzò entrambe le mani a mò di difesa, con un sorrisetto impertinente sul volto:” Piano, piano, io stavo rispettando il patto che ho fatto con Bart-“
“Allora è colpa sua!”
“Loro, centra anche Nathaniel-“
“Bastardi!”
“Ma perché non han detto nulla? Nathaniel di solito mi dice di tutto!” Protestò Kitty scuotendo la testa.
“Questo doveva essere un segreto, che a quanto pare non avevano intenzione di mantenere ancora a lungo.” Rimuginò Tolomeo riprendendo a mangiare.
“Doppiogiochisti.”
“Non arrabbiatevi con loro, dai, a tutti quanti è concesso avere dei segreti, no?”
“Sì, ma che senso ha avere un segreto se gli altri non sanno che hai un segreto?”
“Questa logica non sta né in cielo né in terra-“
“Quezlee ha ragione, ma potete farmi un piacere?”
“Cosa?”
“Mi raccontereste che è successo ieri?”
Asmira alzò le spalle:” Loro lo sanno meglio di me, ieri non sono riuscita ad uscire perché gli allenamenti mi avevan distrutto, mi sono persa lo spettacolo.”
“E allora come fai a sapere del bacio?”
“Mi hanno tempestato di messaggi e stamattina mi hanno spiegato tutto, a grandi linee perché erano troppo arrabbiati con te, e gli altri due.”
Jakob prese la parola, grattandosi la guancia:” E’ partito tutto da una discussione, ti risparmio il discorso perché non lo stavo seguendo un granchè, ti basta sapere che Nathaniel si stava cacciando nei guai come al solito.”
Quezlee fece una breve risata nasale: “Si è messo a discutere con un gruppetto di persone su… Che cos’era?”
“Non me lo ricordo, credo che fossero fatti storici, ma ho avuto un blackout mentale dopo lo spettacolo e ho perso dei dati.” S’intromise Kitty, mescolando pigramente l’insalata nel suo piatto.
“Continuando, la discussione sembra farsi animata, ma seguendo il consiglio di Quezlee di lasciarli stare perché, e qui cito le sue testuali parole, “alle mani non arriveranno mai perchè son tutte fighette”, li abbiamo lasciati fare.
Solo Bartimeus sembrava interessato alla faida, si stava divertendo molto ad ascoltarli e sembrava seguirla- Potremmo chiedere a lui di che stavano parlando, dov’è?”
Tolomeo alzò le spalle:” Non lo so, stamattina in stanza non c’era e in classe non si è presentato.”
I commensali, tranne Tolomeo, si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi Kitty riprese a parlare.
“Comunque sì, il gruppo discute, Bartimeus segue e noi gli ignoriamo.
A un certo punto Nathaniel perde le staffe e gli risponde in malo modo, urlando qualcosa…”
“No, non ha neanche urlato o alzato la voce, ma comunque mi sono persa quella parte perché non stavo ascoltando.”
“Pazienza, perché la parte interessante arriva ora.” La ragazza si schiarì la gola, e il gruppetto si fece più vicino.
“A questo punto Nathaniel si alza per uscire di scena come il grande attore che è, e ci ritroviamo a fissarlo mentre se ne va. L’occhio però mi cade su Bartimeus, che sta fissando Nathaniel come se avesse visto la Madonna.”
“Abbiamo da sospettare che Nathaniel abbia risposto per le rime a quei tizi, con qualcosa di devastante, e che Bartimeus ne fosse rimasto folgorato, perché dopo esser rimasto imbambolato qualche secondo ha preso la giacca, si è alzato e si è voltato brevemente verso di noi, e indicando Nathaniel che se ne andava ci ha detto… Cos’era?”
Quezlee si portò una ciocca dietro l’orecchio:” Ci penso io.” Si schiarì la gola: “No, scusate, ma devo andare, si è guadagnato così tanti punti sesso che se non ne uso alcuni adesso potrei esplodere”.”
Tolomeo scoppiò a ridere una seconda volta, tenendosi una mano alla bocca e una alla pancia.
“O mio dio.” Asmira fissò il vuoto imbambolata.
“E’ stato… Magico?”
“Direi… Comunque, dopo quest’uscita Bartimeus ha percorso il parcheggio del bar, ha raggiunto Nathaniel prima che se la battesse, e lo ha baciato di fronte a tutti.”
“Dire “baciato” è sminuente, gli stava mangiando la faccia.”
“Si stavano mangiavano la faccia, non che Nathaniel non ci abbia messo del suo.”
“Io mi aspettavo che gli mollasse un pungo, o qualcosa da tenere, e invece no.”
“Dopo averci traumatizzato ed esser rimasti incollati per- diciamo che non mi aspettavo quella resistenza di polmoni, Bartimeus ha salutato tutti quanti agitando la mano e senza dire nulla si è trascinato via Nathaniel, sparendo nella notte.”
Tolomeo dal canto suo stava tentando di non soffocare e di cadere dalla panca: alzò la testa, con gli occhi lucidi e il viso arrossato:” Davvero? Non avete fatto un video?”
Quezlee scosse la testa sbuffando:” No, hai presente quei momenti in cui l’unica cosa che riesci a fare è rimanere bloccato? Imbambolato in balia degli eventi? Stessa cosa.”
Tolomeo si passò il palmo della mano sugli occhi asciugandosi le lacrime, ridacchiando:” Magnifico, è un peccato che non fossi presente ed è un peccato che non possa più ricattarli, oramai lo sapete tutti.”
“Sì tutti… A proposito, da quanto va avanti? Non sviare il discorso!”
“Intendi la loro relazione non più segreta?”
“Sì!”
“Uhm… Fai circa un anno.”
“CHE COSA!?”
Fulminea, Kitty estratte il cellulare dallo zaino:” Nathaniel non risponde al cellulare da stamattina, ma giuro che lo distruggo non appena lo vedo, ma come si permette!?”
Asmira fissò orripilata Tolomeo:” E tu non ci hai detto nulla? Lo sapevi da un anno e non ci hai detto nulla?”
Lui alzò le spalle:” Ve l’ho detto, i segreti sono segreti perché non vengono detti, ho promesso a Bartimeus e Nathaniel che non ve lo avrei detto finchè non se la sentivano loro.”
“Ma tu come hai fatto a scoprirlo? Te lo hanno detto?”
“No. E’ successa una cosa simile a questa.”
“Cosa cosa?”
“O mio dio ma perché non me le dite prima queste cose!”
Tolomeo roteò gli occhi e si prese un altro morso del panino:” Allora, l’ho scoperto quest’inverno, durante le vacanze natalizie. Sapete che io e Bart siamo tornati in Egitto a visitare parenti e amici, no?”
Tutti annuirono.
“Ecco, vi ricordate anche chi ci è venuto a prendere all’aeroporto visto che siamo tornati prima dei nostri genitori?”
Ci fu un attimo di silenzio al tavolo, poi, timidamente, Kitty mormorò:” Nathaniel.”
“Già. Comunque, quando atterriamo c’è Nathaniel che ci aspetta, non ci ha visto subito, ma quando ci ha individuato tra la folla…”
Gli altri si fecero più vicini, tendendosi sul tavolo.
“… quando ci ha visti si è avvicinato, fino a correrci incontro. Ero felice di rivederlo ed ero piacevolmente sorpreso dal fatto che fosse così ansioso di rivederci… Bhè, diciamo che anche se ero più avanti di Bartimeus di un paio di metri, Nathaniel mi ha superato come se non esistessi e si è lanciato addosso a Bartimeus, baciandolo passionalmente.”
Jakob si strozzò con l’acqua, e Kitty, senza staccare gli occhi da Tolomeo iniziò a colpirlo sulla schiena.
“Che cosa!?”
“Sì, mi sono girato sconvolto come voi ora, e bhe, sì, si stavano baciando.”
“Oh mio dio.”
Quezlee si portò le mani al viso, strofinandosi gli occhi e poi le tempie:” Bartimeus mi deve un casino di spiegazioni.”
“Lasciateli in pace poverini, i segreti dovrebbero rimanere segreti.”
“Sì, però se ti baci davanti a tutti non è colpa nostra!”
“Non ho detto quello, cercate di essere comprensivi.”
“Posso provare…”
“Io non prometto nulla.”
“Un anno… Aspetta, ma siamo quasi alla fine della scuola, com’è possibile che va avanti da un anno?”
“Perché quando mi han dato dimostrazione per l’affetto reciproco che provano, era già qualche mese che stavano assieme.”
“Quanto, quanto!?”
“Uhm… Se siamo a maggio, le vacanze erano in dicembre gennaio… Ah, sì, a luglio, quando ci hai invitato a dormire nella tua casa in montagna, As.”
Asmira sbattè le palpebre lentamente, e Quezlee le diede un paio di pacche sulla spalla:” Poveretta, troppi sconvolgimenti. Non dovresti dire queste cose alla leggera!”
“A luglio… Ma come? Intendo, quando qualcuno ti piace è ovvio- Cioè, quando Nathaniel correva dietro a Jane, si poteva vedere lontano un miglio che gli piaceva!
Lui e Bartimeus non fanno altro che bisticciare…”
“In realtà parlano anche un sacco, di certo non di fronte a tutti.”
“Davvero!?”
“Sì.
Mentre eravamo dai nonni Nathaniel e io ci sentivamo spesso su skype, ma Bartimeus non ha mai chiesto di parlarci se non per qualche saluto, e quando siamo tornati… Bhè, visto che non dovevano più nascondersi, mi han dimostrato più di una volta di essere persone civili.”
“Questa è la parte a cui credo di meno.”
Tolomeo alzò gli occhi al cielo, ma con un sorriso stampato sul volto:” E’ vero, chiacchierano molto, e, tenetevi forte…”
Tutti quanti si schiacciarono sul tavolo, per farsi più vicini.
“… Si accoccolano vicini e dormono assieme-“
“O MIO DIO!”
Quezlee scoppiò in una risata potente, gettando indietro la testa, Kitty e Asmira si scambiarono un’occhiata abilita e Jakob rimase a fissare Tolomeo scetticamente.
“Stai mentendo.”
“Ma è la verità!”
“Hai detto di non poterli più ricattare? Sei matto? Ho appena trovato il modo di convincere Bartimeus a fare tutto ciò che voglio!” esclamò gioviale Quezlee, estraendo il cellulare dalla borsa:” Inizio subito con le richieste, se non acconsente so già come trattarlo.”
Asmira intanto si stava sfregando gli occhi, con la stessa faccia di chi ha mangiato un limone, mentre Kitty si limitò a tornare al suo pranzo.
“Si spera che dopo di ciò la smettano di litigare come due gatti isterici.”
Tolomeo alzò le spalle, prese in mano il suo panino e osservò i quattro di fronte a sé, ognuno con un espressione diversa.
“Non prometto nulla.
In compenso anche loro saranno più rilassati.” Disse con un sorrisetto soddisfatto sul volto: ”Non devono più mantenere nessun stupido segreto.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
MALVAGITA’-
 
 
Coff-
 
Comunque: ho questa headcanon dove né Bartimeus né Nathaniel divulgano o dimostrano l’affetto reciproco in pubblico.
Non è perché si vergognano o altro, solo che bho, non se la sentono.
Però tra di loro sono teneri e carini-
 
 
 
C’era una battuta che volevo scrivere ma me la sono dimenticata-
 
 
E vvb-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
SPOILER (???)
Tranquilli che scriverò anche la parte della baita in montagna di Asmina ;)
 
 
 

CI SI VEDEH

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Capitolo 9
*** 09. Povero ***


Povero
 
 
 
“Che? Mi state chiedendo di descrivervi Nathaniel?
Bhè, partiamo dal fatto che somiglia fin troppo a- Non l’aspetto fisico ma il carattere?
Cari miei, pensate davvero che lo avrei risparmiato?
Già il poveretto non è una bellezza, volete proprio farmi tirare fuori il peggio, eh?
Ok, allora divertiamoci visto che a quanto pare ho un pubblico!
Vediamo un po’… Allora, Nathaniel manca completamente di… Buon senso.
Uhm, avete presente quella vocina interiore che vi dice di non fare una cosa? Sia per motivi morali sia perché state per fare una grandissima stupidata?
Nathaniel deve esser nato senza.
Quando era giovane era più saggio.
Ho tentato di ricordarglielo, ma non ha funzionato come speravo.
Nathaniel è… Non che faccia ragionamenti senza senso, ma passare il tempo con altri maghi, soprattutto capi di un impero quasi al declino, non gli ha giovato molto.
Stare da solo non gli ha giovato per nulla.
Dico davvero.
 
Due: l’agilità.
Nathaniel è agile come un ciocco di legno.
Un sasso sarebbe più aggraziato.
Finchè cammina se la cava, ma quando si tratta di correre, soprattutto per evitare ostacoli, è un macello.
No, forse un macello no, però è assolutamente sgraziato.
Tutti sanno delle gambe di merlo di Nathaniel, e sembra che abbia l’abilità di poggiarle a terra con strani angoli.
E’ piuttosto imbarazzante.
Non parliamo poi della danza.
UGH-
 
Tre, empatia: è come uno straccio per i pavimenti.
Se gli scoppiaste a piangere in faccia la cosa più probabile che farà sarà provar  disagio e tentare di lasciare la scena il prima possibile.
C’è da dire che nemmeno io sono un maestro nel consolare, ma stiamo elencando i difetti di Nathaniel, e poi la compassione è una cosa completamente diversa dall’empatia.
 
Quattro, l’umiltà: quando qualcuno lo mette di fronte agli sbagli, Nathaniel perde le staffe, e anche se ha torto, troverà il modo di aver ragione.
Probabilmente sei tu che non hai capito bene quello che intendeva.
Anche se ogni tanto si ricorda che orribile persona è, gli vengono in mente tutte le parche qualità che possiede e si arrangia con quelle, riuscendo incredibilmente a mettere su una persona quasi decente.
Dico quasi, perché non avete mai conosciuto Nathaniel fino in fondo.
 
Sei, no aspetta, cinque, onestà: sarà che è cresciuto in un ambiente ostile e pieno di persone pronte a colpirlo alla schiena, e che non si sia mai fidato completamente di nessuno tranne che del sottoscritto (con moltissime clausole ed eccezioni), ma Nathaniel non è una persona molto onesta.
E’ bravo a mentire.
Lo fa spesso.
Anche quando non vuole.
 
Rullino i tamburi, suonino le trombe e venghino tutti i presenti!
Incredibile signore e signori, Nathaniel manca di autostima!
So che può sembrare strano, ma il ragazzo non ha molta stima di sè, soprattutto quando gli si fa notare i suoi errori.
Non ha una grande considerazione del suo modo di essere, del suo comportamento, e credo che ogni tanto si renda conto di cosa ha fatto o di cosa è diventato.
Sono momenti rarissimi e durano pochissimo, poi le nuvole tornato e gli occhi diventando di nuovo scuri.
Triste.
 
Sette: pazienza.
Davvero, credo di non aver mai visto una persona meno paziente!
Si getta a capofitto nelle cose, badate, rimuginandoci sopra come un gufo offeso, e non è in grado di lasciar fare agli altri.
Che sia perché ci stiano mettendo troppo, o perché non lo stanno facendo giusto, Nathaniel deve sempre intervenire.
Sempre.
 
La Simpatia! Avete presente quando vi ritrovate della sabbia nelle mutande?
Stesso effetto.
Nathaniel è simpatico come un lavaggio con la ghiaia, non so se mi spiego.
Tra lui che non sembra in grado di fare battute o di accettarle, e il fatto che le sue rispose siano sempre glaciali, mi chiedo come faccia il suo cuore a battere.
Probabilmente tra tutte quelle stalagmiti e stalattiti di ghiaccio risuona lo stesso cuoricino del Grinch.
 
Il rispetto: i giovani d’oggi, non c’è più rispetto!
Anche a costo di somigliare a un anziano scorbutico- no, dimenticate quello che ho detto prima, che vergogna-
Comunque, Nathaniel è irrispettoso verso i superiori, e ogni volta che apre la bocca si caccia sempre nei guai.
Avete presente il casino che ha combinato con Lovelace? E perché mai?
Perché non è in grado di stare zitto!
Non che non apprezzi una lingua biforcuta se usata bene, ma quando è irrispettoso anche nei miei confronti, non gliela faccio di certo passare liscia.
Come si permette? Ho cinquemila anni, non sono nato ieri!
 
Comunque, ricapitolando, Nathaniel è assolutamente e indiscutibilmente insensato, goffo, insensibile, orgoglioso oltre ogni limite, impaziente, antipatico e schifosamente irrispettoso.
Una persona magnifica, un esempio da seguire, bambini, mi raccomando, prendete appunti, non vorrete perdervi la lezione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Povero” è strana.
Lo so, brevissima e strana.
 
 
 
Vedremo se ciò che ho in mente ci starà.


Pubblicare è stato un parto, internet che va lentissimissimo è il miglior amico del giramento facile di coglioni.
 
 
 
*sparge cuoricini e bombe incendiarie
 
 
 
E bho, mi sa che mi metterò a scrivere qualcosa di angst, giusto per ravvivare il fuoco.
 
 
 
 
Forse.

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Capitolo 10
*** 10. Ricco ***


Ricco
 
 
 
 
 
“E ne volete ancora?
Siete insaziabili ragazzi, davvero, ma per fortuna ho io quello che vi serve!
Dov’eravamo rimasti l’ultima volta, allora…

Cosa?
S-siete sicuri?
Davvero?

Oh.
Ok?
Uhm, mi ci vorrà più del previsto però…
Davvero non volete sentire altro su-
No, eh?
Ok, ok, vediamo…
I pregi di Nathan-
No- no, non ci riesco, sto già piangendo dal ridere!
Ahahahah…
Ah…
Ah.
Ok.
Allora.
Nathaniel possiede certe “qualità”… certe capacità… certe… Oh, va bene, la smetto, la smetto!
Diamine quanto siete irritanti!
Come stavo dicendo prima di essere così maleducatamente interrotto, Nathaniel ha certe qualità che lo rendono una persona più o meno decente.
Un essere, più o meno decente, le persone non sono decenti.
Comunque!
Da dove posso partire?
Ah, si, dalla più ovvia!
 
Nathaniel è molto intelligente.
Forse anche troppo! Dopotutto se sei stupido rimani al tuo posto, se sei mediamente intelligente capisci che la cosa migliore è rimanere al proprio posto e se sei un genio comprendi che forse l’unico modo per fare qualcosa è muoversi e ti vengono pure delle belle idee.
Nathaniel ha ben deciso di muovere le chiappe e fare qualcosa contro l’adulto, contro l’ostacolo, contro… lo sbaglio, e la tirannia.
Quindi… si, Nathaniel è un genio.
Un genio nel cacciarsi nei guai, ma… ma in grado di uscirne, in qualche modo…
Continuiamo!
 
Nathaniel è ordinato.

Mi sembra di aver già raggiunto il fondo del barile ed averlo sfondato, che patetico…
Mi limiterò a questo, per ora.
Quindi, Nathaniel possiede… erm… possiede… delle belle scarpe?
Ho capito, ho capito, piantatela di minacciarmi, ho capito!
Uffa.
 
Nathaniel è coraggioso.
Vedete, il coraggio non è solo buttarsi a testa bassa nelle cose, contro un golem ad esempio, oppure uno spirito oltre alla portata di chiunque, ma è più che altro una sensazione di voglia di fare, di… superare sé stessi e di compiere quel passo più lungo della gamba, pronto a prenderti tutte le conseguenze del tuo gesto.
Da quel punto di vista Nathaniel è sempre stato molto coraggioso.
Pronto a… ad affrontare chiunque.
A dodici anni sfidò un mago adulto e la sua folle idea, bandì uno spirito che nemmeno se fosse stato imbavagliato e legato come un salame mi sarei mai sognato di affrontare e… e si, perse tutto.
Ma andò avanti e arrivò ai vertici, esattamente dove voleva arrivare.
E poi ha tenuto duro per anni lavorando nel governo, e c’è da dire che ci vuole del fegato per rimanere in quella gabbia di matti.
E tutti sanno quello che è accaduto durante la rivolta a Londra, no?
La storia del codardo vivo e dell’eroe morto.
Quindi… quindi non c’è motivo per annoiarvi con le mie stupide chiacchiere.
 
Nathaniel è tenace.
Testardo e mordace, magro come un chiodo ma diamine… L’ultima volta che l’ho visto era un disastro, ma ancora in piedi, quindi…
Tenacia.
E costanza.
Nathaniel ha sempre lavorato duramente, e si è sempre impegnato in tutto, è ammirevole.
Ammirevole.
Ma di certo non abbastanza.

 
Nathaniel è…
No, nulla.
 
Nathaniel è un gran bastardo.
Non sto qui a prendervi in giro, non sono qui per elencarvi solo i pregi, ma le cose in cui eccede.
C’è da dire che per certi versi è proprio uno stronzo.
Ogni tanto mi chiedo cosa sarebbe accaduto se fosse meno glaciale, più accomodante.
Probabilmente sarebbe già morto.
Cioè, anche prima di-
Lasciate stare.
 
Nathaniel è…
No, ho finito coi pregi, ve l’ho detto, no? Non c’è molto da dire su di lui, potrei passare anni a sparlare alle sue spalle, dopotutto ho millenni di tempo davanti a me, ma i pregi? Nossiggnore, mi bastano cinque minuti per elencarli, e sono anche difficile da ricordare, dopotutto sono affogati e ricoperti da tutto quello schifo che… che è difficile trovarli.
Quindi che volete ancora da me? Non avete già assillato abbastanza? Sciò!
Vi ho già detto tutto, Nathaniel è intelligente, tenace, ordinato, un gran bastardo e-e… e coraggioso.
Andatevene.
Andatevene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EEEEEEEh si.
 

Assieme a “Povero” c’era anche “Ricco”.
La mia prima idea era quella di una Human!Au dove venivano descritti/raccontati Nathaniel e Bartimeus appartenenti a due classi sociali ben differenti.
Poi mi sembrava troppo ovvia e quindi l’ho scartata.
Soprattutto perché c’è già una long fic in corso con quel prompt, quindi-
 
 
Poi queste fic non erano partite per elencare le caratteristiche di Nathaniel, ma come scrivo più su, per elencare le cose in cui manca completamente e le cose in cui eccede, per questo “Povero” e “Ricco”.
Non sono in chiave negativa e positiva, ma neutrali.
Forse non avete capito un cazzo di quello che ho dettomaandiamoavanti-
 
 
Mi dispiace vedere che non è piaciuta come le altre, ma pazienza, non posso esser perfetta, mi rifarò con altre fic!
 
 
Ho voluto comunque scrivere “Ricco” perché la combo era già iniziata, e mi sembrava idiota mollare tutto e poi ripresentare il prompt più avanti o non scrivere per nulla.
Pensavo anche di pubblicarle assieme, ma poi ho cambiato idea.
 
 
E fare Bartimeus in chiave triste è così bello ma ho il terrore di cadere nello smeilato e quindi bho-
Ci lavorerò su, l’angst fa sempre bene!
Magari partendo a scrivere un po’ prima della serata prima dell’aggiornamento-
 
 
 
 
 
P.S.

Devo aggiungerlo:
 
Un mio amico, dopo aver letto “Povero” se ne esce con un:” La scena che richiama è quella di Bartimeus che parla agli altri djinn/efreet/etc... di Nathaniel, e Bartimeus che parla da solo me lo immagino in una scena molto più triste. Lui che litiga con Nat in un continuo botta e risposta e alla fine resta solo lui, davanti ad uno specchio, dopo aver continuato a cambiar forma per fingere di poter litigare ancora con Nathaniel.”
 
 
Che cosa meravigliosamente devastante *sparge cuoricini*

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Capitolo 11
*** 62. Maturo ***


Maturo
 
 
 
 
“Hey, Bartimeus, fermati!”
A metà passo arrestò la propria avanzata, voltandosi lentamente.
Se ne stavano entrambi con le spalle poggiate a una di quelle stupide sculture della facoltà d’arte.
Alzò un sopracciglio, inclinando appena la testa.
“Non fare quelle smorfie, è tutto il giorno che ti cerchiamo.”
“Non mi sembravate particolarmente affannati, pausa pranzo?”
Jabor strinse i denti e sembrò ringhiare.
“Anche, il professore voleva consegnarti il compito, ma eri già fuggito a tutta birra.”
Il ragazzone allungò il braccio nella sua direzione, tenendo in mano una mezza dozzina di fogli.
“Sei stato bravo, un ottimo voto.”
Con sguardo indagatore Bartimeus ritirò il proprio lavoro:” Anche un bambino scemo capirebbe che questo è un pretesto per parlare. Che vuoi Faquarl?” domandò, alzando lo sguardo su di lui.
L’altro scrollò le spalle.
“Nulla, volevo darti un consiglio da amico.”
Alla parola “amico” Bartimeus aggrottò le sopracciglia, sbuffando: ”Come no, che vuoi?”
“Tentare di farti rinsavire.”
“Eh?”
“Che faccia da beota che assumi quando sei sorpreso, comunque.” Disse ignorando l’occhiataccia che Bartimeus gli rifilò:” Dovresti cambiare un po’ la compagnia di cui godi, o sopporti, far entrare un po’ di aria fresca.
Non so se mi spiego.”
Ancora più confuso Bartimeus sbattè le palpebre, stringendo appena gli occhi:” Che?”
Faquarl sbuffò spazientito:” Ti stai proprio rincretinendo!
Non sto parlando di mollare tuo fratello o le ragazze, loro sembrano a posto, ma quell’Underwood.”
Qualcosa gli si ghiacciò nelle viscere e il cuore battè più lento, rimbombandogli nelle orecchie.
“Hai qualche problema che stiam-“ Sputò velenoso.
“Mica mi turba che siate gay, guarda me e Jabor!” Lo ribeccò, portandosi le mani ai grassi fianchi, squadrando il ragazzo molto più magro di fronte a lui.
“Girano brutte storie su quello lì.” Guaì Jabor: parlava sempre con la bocca larga, come a mostrare i denti cupamente grandi:” Hai presente l’incendio di tre anni fa? Dicono che sia stato lui. E per cosa poi? Soldi dell’assicurazione?” e scoppiò a ridere, somigliando molto a una iena.
Faquarl alzò gli occhi al cielo, e poi li posò su Bartimeus:” Questo tipo di storie. Che poi siano vere o meno, poco me ne frega, ma tutti sanno del caratteraccio di Underwood e l’ingente somma di soldi che gira nelle sue tasche. Come pensi che stia ancora studiando pur vivendo da solo?”
“La rettrice Whitwell.” Cantilenò in un sussurro Jabor, armato di un ghigno crudele.
Faquar tacque, ponderando accuratamente i pensieri.
“In ogni caso” ricominciò: ”Che tu ci stia per davvero o meno, ti dico queste cose perché devo ammettere che mi dispiacerebbe vederti finire male. E’ un lavoro che vorrei compiere io.”
Si portò le mani nelle tasche, osservando Bartimeus.
Jabor iniziò a passarsi la lingua sui denti, facendo schioccare ogni tanto le labbra.
Bartimeus sbattè le palpebre.
“Siete due coglioni.”
E se ne andò.
 
 
 
A passo di marcia attraversò mezzo campus, mandando gambe all’aria un paio di persone e rischiando di far cadere anche dei professori.
Alle persone che riconosceva nella sua furia cieca concedeva poche parole, chiedendogli con voce ringhiosa dove fosse Underwood.
In molti gli risposero per le rime, altri si limitarono a borbottare che non lo sapevano, oppure che doveva essere dove stava di solito.
Fu Asmira, che per poco non investì, a dirgli che l’aveva visto uscire con Tolomeo, forse per leggere in pace all’ombra di qualche albero.
La ragazza lo lasciò andare senza fargli nessuna domanda, e scuotendo lentamente la testa, sperò che Nathaniel non avesse adirato nuovamente Bartimeus, o l’opposto, e che non stesse per scoppiare una lite.
Già una volta era successo, e le scintille, per quanto metaforiche, lei le aveva viste davvero.
 
 
 
Lo intravide già da molto lontano, straiato sull’erba all’ombra di un grosso faggio, accanto a Tolomeo, invece steso su un fianco.
Stavano leggendo entrambi e non s’accorsero di Bartimeus finchè si intromise tra di loro sedendosi a terra con un gran tonfo e sollevarsi d’erba, lasciando cadere la testa sulla pancia di Nathaniel a peso morto.
Ahia! Imbecille, mi hai fatto male!” per tutta risposta, Nathaniel gli mollò uno scappellotto piuttosto forte col libro, borbottando altri insulti mentre tornava a leggere.
Tolomeo aveva alzato lo sguardo non appena qualcuno gli aveva riempito la faccia di steli e terra, e piuttosto innervosito s’era rizzato seduto, pronto a scaricare la propria irritazione sul maleducato.
Ma non disse nulla.
Bartimeus era nella sua tipica posizione da ”Non-parlarmi-sono-di-pessimo-umore”, consistente nel raggomitolarsi e ficcare le braccia intrecciate tra le gambe, stringendosi le caviglie, procedendo poi a ignorare tutto e tutti.
Tolomeo rimase in silenzio per un po’, studiando il fratello: era ovvio che qualcosa non andava, e anche Nathaniel, che immusonito fingeva di leggere, lo aveva notato.
Lo osservava con brevi occhiate, ma con le sopracciglia aggrottate e le labbra tese.
Conoscendolo, di certo in quel momento non si sarebbe premurato delle condizioni di Bartimeus.
Tolomeo sospirò e tornò lungo disteso, pensando che la cosa migliore fosse aspettare che entrambi si dessero una calmata, e risolvessero qualsiasi problema incombesse su di loro da soli.
 
 
 
Quando la sera bussò alle porte, il trio si rialzò: Nathaniel e Bartimeus non si scambiarono nemmeno un’occhiata, e dopo essersi lamentati dell’umidità e datesi una bella scossa ai pantaloni, i due si divisero, ognuno per la propria strada.
Tolomeo, rimasto lì come un fesso, li guardò sempre più esasperato.
Possibile che fossero così infantili?
 
 
 
Passare all’azione era una delle cose che Bartimeus preferiva.
Anziché starsene con le mani in mano, anche uno scambio di battute, che poi sarebbe degenerato probabilmente in una rissa epocale, andava bene per chetare il suo fuoco interiore che crepitava come fulmine.
Ma non quella sera.
Per quella notte decise che, a discapito del basso ringhio che gli ronzava nella testa e del groppo in gola, se ne sarebbe rimasto tranquillo in stanza, si sarebbe fatto una doccia e sarebbe andato a dormire.
Punto.
Si sarebbe limitato ad augurare la buonanotte a Tolomeo e basta, non avrebbe più proferito parola fino a nuovo ordine.
Tolomeo dal canto suo lo fissava come un gufo osserva dal ramo il lupo sotto di sé vagare irrequieto col pelo ritto.
Poi pensò che paragonare Bartimeus a un lupo, in casi come quelli, fosse un’offesa alla maestosa bestia, e che per ora somigliasse di più a un chihuaua offeso.
Il che è facile, quei topi se la prendevano per qualsiasi cosa.
Provò a sospirare molte volte, sempre più forte, oppure a intavolare una conversazione che si tramutò in uno scambio di grugniti, fino a diventare un assolo di borbottii e altri sospiri tutti del gemello minore.
Così, Tolomeo decise di agire al posto del fratello.
Sbuffò, si mise in piedi e iniziò a raccogliere le sue cose, ficcando tutto in una borsa scelta per l’occasione.
Non disse nulla a Bartimeus, chiuso in bagno e sotto la doccia.
Mentre usciva dalla stanza, pensò che ogni tanto i bambini avessero bisogno di una spintarella o di qualche incentivo.
E se l’incentivo fosse chiuderli nella stessa stanza, Tolomeo non si sarebbe tirato indietro.
 
 
 
Quando uscì dal bagno, con indosso i pantaloni del pigiama e una grossa salvietta sulla testa, non fece molto caso alla persona seduta alla scrivania.
Dall’altra parte, l’ospite non gradiva essere ignorato, perciò si schiarì la gola rumorosamente.
Credendo fosse un altro tentativo di Tolomeo per farlo parlare, con uno sbuffo da record si voltò, convintissimo di non proferire verbo.
E secondo le sue previsioni rimase muto come un pesce.
Ma non perché non volesse parlare, ma perché non gi riuscì di spiaccicare parola.
“Che c’è? Battuto la testa nella doccia?”
Tempo una battuta di ciglia che Bartimeus indossò di nuovo il viso arcigno e annoiato e si voltò, deciso a ignorarlo.
“Forse stamattina sei caduto dal letto, è tutto il pomeriggio che ti comporti come un idiota.”
Ci fu una pausa grave e silenziosa come una tomba.
“Ok, mettiamo da parte qualsiasi incidente di percorso, anche quelli infantili, e dimmi che diamine hai.”
Questo suonava più come un ordine, cosa che gli rizzò i capelli della nuca.
Iniziò a strofinarsi la salvietta tra i capelli con energia, passandosi la stoffa anche sulle orecchie, onde evitare di starlo a sentire.
Però non poteva continuare all’infinito, e quando si sentì le orecchie scottare abbassò le braccia indolenzite, scoccando un’occhiataccia al ragazzo.
Nathaniel se ne stava con le braccia incrociate, in piedi, fissandolo come una vecchia strega arcigna.
“Finito?”
Bartimeus gli lanciò la salvietta addosso, cercando la maglietta del pigiama.
Il panno tornò al proprietario, schiaffeggiandolo sulla pelle nuda.
“Che credi di fare?” Ringhiò levandosi di dosso la salvietta.
Nathaniel ricambiò con uno sguardo furente:” Che credo di fare?
Pensa un po’ a te! Stamattina ti ho visto felice e contento, e questo pomeriggio per poco non investi Asmira e ti comporti come uno stronzo.”
S’era avvicinato con pochi passi, guadagnando terreno, mentre Bartimeus era rimasto accanto al letto, rigido come una statua.
Mentre manteneva la propria posizione con la stessa testardaggine di un mulo, Bartimeus pensò amareggiato che di solito era il contrario, che era Nathaniel quello irragionevole e lamentoso, che costruiva ville e castelli in aria, non lui.
E ancora più rattristato, si rese conto che come ogni volta che litigavano, era per stupidate, case di carta e sabbia.
Nathaniel lo fissava dritto negli occhi, torreggiando su di lui come non aveva mai fatto, con pugni stretti oltre l’impossibile.
Rimase a lungo a fissarlo, nel più completo silenzio.
Probabilmente stava cercando qualcosa di cattivo da dire, da sputargli addosso: erano così bravi a dirsi cattiverie, a stuzzicarsi, che oramai venivano naturali, ed ogni pausa presa stava significare qualcosa di nuovo.
Si sentì subito lo stomaco rivoltarsi, schizzare nel subbuglio mentre la mente correva veloce alla ricerca di qualcosa di altrettanto tagliente.
Ma, contro ogni previdenza, dopo che lo sguardo di Nathaniel ebbe vagato febbrile nei suoi occhi per un poco, il viso affilato s’addolcì, diventando malinconico.
“Che è successo?” Mormorò.
Bartimeus accolse il cambiamento con una piccola smorfia, come una secchiata di acqua gelida sui piedi o una puntura d’insetto.
Rimase a bocconi a fissare Nathaniel come un pesce fuor d’acqua, quando s’accorse dell’ambiente circostante, della situazione, di dove erano arrivati.
Nathaniel, di fronte a lui, con jeans, stupide scarpe da ginnastica e una banalissima maglietta a maniche lunghe.
Probabilmente non si era nemmeno pettinato i capelli, perché alcuni schizzavano ribelli verso l’alto, e non si era nemmeno dato una sistemata, come se fosse uscito di tutta fretta.
Mentre lui, solo coi pantaloni del pigiama, i capelli ancora umidi e la maglietta stretta tra le mani.
La salvietta abbandonata a terra, i piedi scalzi.
Si sentì avvampare fino alla punta dei capelli, sentendosi nudo, sopraffatto dall’intimità del momento.
Quando s’erano fermati a guardarsi negli occhi?
Quando s’erano ritrovati a parlare, non a urlare, a discutere, a litigare?
Quando Nathaniel l’aveva fissato così intensamente?
Deglutì: certo, certo che vi erano attimi così, umidi e intensi, ma in quel momento ogni cosa era piatta, stravolta, ovattata di calma intimità.
Si sentì il responsabile di quello sguardo infelice e lo stomaco cadde, si perse da qualche parte: gli venne da vomitare.
Non si sentiva così in colpa dal quel vecchio litigio, quando s’erano urlati addosso di ogni, arrivando a non parlarsi per tre settimane intere.
S’accorse che non era la propria nudità, o la vicinanza di Nathaniel, a fargli pizzicare la pelle, a sentirsi le ossa come se fatte di elettricità pura.
Ma la tranquillità, la pacatezza dell’attesa di Nathaniel, di come tenesse le spalle basse mentre aspettava una risposta, di come si fosse fatto strada nel suo stesso soffocante ego per tirar fuori la compassione e la volontà di abbassarsi al suo livello, di raggiungerlo nel suo inferno personale.
Gli fu infinitamente grado e dopo pochissimi attimi, in cui Bartimeus si smarrì nel viso rattristato di Nathaniel, anche i suoi occhi persero il fuoco iracondo, tornando limpidi, umidi di malinconia.
“Nulla.”
Nathaniel sospirò, e le sue spalle caddero un po’ più in basso.
“Non è vero, si vede subito quando qualcosa ti turba.”
Bartimeus alzò le spalle, fissando il proprio letto e rigirandosi tra le mani la maglietta.
Le dita di Nathaniel gli sfiorarono il polso, e con un balzo spaventato, Bartimeus si ritrasse.
Gli erano sembrati ragni…
Nathaniel rimase lì lì, imbambolato, sorpreso, ma prima che potesse replicare o reputarsi offeso, Bartimeus gli afferrò la mano con forza, stringendola.
Era calda, morbida e liscia, bella come sempre.
“Nulla, davvero, non è successo nulla.”
Rimase così un poco, poi gli lasciò andare la mano, iniziando a vestirsi.
Nathaniel rimase in silenzio, osservandolo.
Quando la testa di Bartimeus sbucò dal collo della maglia, Nathaniel era ancora lì a studiarlo.
Sospirò pesantemente, chiudendo brevemente gli occhi per scacciare il suo viso triste:” Non è nulla, smettila di fissarmi in quel modo.”
Nathaniel non gli rispose e con uno sbuffò più spazientito Bartimeus roteò gli occhi, scuotendo leggermente la testa, tornando a fissare il letto.
“Non ti hanno insultato.”
Alzò la testa, allarmato.
Nathaniel stava ragionando, una piccola ruga gli si creava al centro della fronte, quando aggrottava le sopracciglia, e gli occhi si facevano scuri, come cielo tempestoso.
“Mi hanno insultato.” Realizzò a mezza voce, distendendo il viso corrucciato, sorpreso di tale idea.
Bartimeus alzò le spalle, con la noncuranza di chi non vuole essere scoperto.
“No-“
“E invece sì!” Nathaniel lo accusò puntandogli il dito contro, picchiandoglielo sul petto.
“Sì, perché mi ricordo alla perfezione quanto te l’eri presa quando avevano insultato Tolomeo e m-“
Si zittì tutto d’un tratto, arrossendo violentemente.
Anche Bartimeus arrossì, e per la centesima volta alzò le spalle:” No, cioè, quasi…” Borbottò.
Rimasero in un imbarazzante silenzio per un poco, poi Nathaniel rialzò lo sguardo che aveva piazzato sui piedi scuri di Bartimeus e sospirò.
“In ogni caso.” Disse portandosi le mani ai fianchi:” Fregatene altamente di quello che dicono, non mi interessa nulla.”
La testa di Bartimeus schizzò verso l’alto alla velocità della luce: cosa? Nathaniel che non dava peso a ciò che le persone dicevano e tramavano alle sue spalle?
“Non guardarmi come se avessi detto che faccio falò coi libri.” Lo sgridò: ” Non mi interessa quello che dicono, continueranno a ripeterlo, so che non è vero, e che me ne frega?”
Scrollò le spalle scuotendo la testa come una vecchia capra:” No, no, non ho più voglia di starci dietro, che mi spacco la testa a fare? Continueranno, anzi, probabilmente peggioreranno se mi mostro offeso.”
Sospirò, osservando il volto incredulo di Bartimeus.
“Chiudi la bocca che ci entrano le mosche.”
Seguì il consiglio, sbattendo le palpebre.
Si meravigliò di come Nathaniel apparisse ai suoi occhi: teneva la testa leggermente china, fissando, perso nei propri pensieri, il pavimento.
Con le mani ancora ai fianchi e le gambe morbide, appariva… Adulto, saggio, maturo.
Il nuvolone ronzante di pensieri che solitamente gli rabbuiava gli occhi era sparito, e ora brillavano limpidi, come acqua dolce sotto il sole.
Nathaniel alzò la testa lentamente, fissandolo assorto.
“Bhè? Che c’è?”
Bartimeus scosse la testa, e finalmente, anche i suoi i fulmini e i tuoni che ringhiavano e strillavano nel suo petto si chetarono.
Prese un lungo respiro, sorridendo per la prima volta dopo quell’inutile pomeriggio.
“Nulla.”
 
 
Accennò appena alla cosa, e con uno sbuffo che doveva esser spazientito ma risultò soltanto sollevato, Nathaniel gli rubò la solita maglietta, la più grande che avesse, e i pantaloni più lunghi, rimanendo comunque con buona parte delle caviglie nude.
“Se mi sveglio con crampi da parto è tutta colpa tua.” Lo aveva minacciato tempo prima, adocchiandosi i piedi fin troppo nudi e scoccandogli un’occhiata d’intesa per fargli capire che le conseguenze sarebbero state amarissime.
S’accoccolò com’era solito fare, lasciando che Bartimeus gli strofinasse il naso sul collo e gli circondasse la vita con le braccia, sfiorandogli i piedi con i propri.
“Finito?”
“No.”
Come ogni volta che dormivano assieme, Bartimeus si rigirò e si sistemò, sprimacciò il cuscino e s’appoggiò a Nathaniel.
Sospirò, provò una posizione poi la cambiò ancora.
Solitamente, solo quando Nathaniel era sul punto di scoppiare, trovava la posizione giusta e chiudeva gli occhi con un sorriso beato.
“Buonanotte!”
“-Notte.”
Silenzio.
“Però…”
“Però cosa?”
“… Mi pare di aver dimenticato qualcosa.”
“Bho, pensaci domani, ho sonno.”
Bartimeus alzò le spalle, soffiò sul collo di Nathaniel per infastidirlo un’ultima volta e poi chiuse nuovamente gli occhi.
 
 
 
 
“Avevi programmato tutto?”
“Bhe, sì.”
“Anche di rimanere chiuso fuori?”
Tolomeo sventolò per aria il suo pigiama, e Kitty tornò a leggere.
“Come sei previdente.”
L’altro alzò le spalle allo stesso modo del fratello e si sdraiò sul letto.
“Comunque grazie per l’ospitalità, non intendo entrare in stanza quando… Bhè, quando sono impegnati.”
“E tu che ne sai? Magari si sono uccisi a vicenda, tipo come in quei gialli scarsi e poco interessanti. Come due coniugi il cui matrimonio è minato dal giardiniere straniero, che filtra con lei, mentre lui passa il tempo al bar e giocare d’azzardo.”
Tolomeo scoppiò a ridere:” No, per loro sarebbe più alla Mr. e Mrs. Smith.”
“Pestarsi a sangue e poi riscoprire la passione?”
Annuì:” Per loro è più o meno così ogni giorno.” Disse divertito.
Poi tacque.
“In ogni caso.” Iniziò con un sospiro, fissando il soffitto con le mani intrecciate sul petto: ”Di certo qualcosa deve essere successo, intendo, ho spinto io Nathaniel a muoversi e gli ho costretti a parlarsi, e anche dopo ciò si sono completamente dimenticati di me.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avete presente quando siete incazzati e quindi anche il resto del mondo deve essere incazzato con voi altrimenti il cosmo non gira?
Stessa cosa in sta fic.
 
Essendo un’esperta in incazzature superflue, ho pensato che anche Bartimeus potesse essere una persona del genere, ma con l’abilità di tenere il broncio un po’ di più, riuscendo ad irritare chiunque gli stia attorno, anche se non centra.
 
 
 
Non ho molto da dire, è al solita Au dove tutti stanno bene e sono felici vivi e vegeti, quindi si, vi mollo subitissimo.
 
 
ADDIOH-

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Capitolo 12
*** 42. Suono ***


Suono
 
 
 
 
 
“Mi dispiace disturbarla ma è pregato di andarsene.”
L’archetto inciampa sulle corde emettendo striduli fischi: ma che cazzo-
Quando si volta, alle sue spalle è comparso un ragazzo: alto, moro e con una faccia irritata.
Si guarda attorno, ma non c’è nessun altro.
“Perché?”
Il sopracciglio destro dell’altro trema, solo per una frazione di secondo, poi si ferma.
“Perché sta disturbando.”
“Chi? Non c’è nessuno.”
“In ufficio.”
Alza lo sguardo, e in effetti al secondo piano delle finestre sono aperte, ma non credeva che qualcuno ci lavorasse.
“Impossibile.”
“Come scusi?”
“Impossibile, sto suonando perfettamente, l’acustica è fantastica, come posso disturbare?”
L’altro sembra volerlo strozzare, ma non ci dà molto peso.
“Se ne vada, sta comunque su suolo privato.”
“La galleria d’arte è privata?”
“Si.”
Bartimeus non può far altro che sospirare pesantemente:” Io non sto suonando nella galleria ma-“
“Ma nell’atrio antecedente all’entrata. Senta, non mi faccia perdere altro tempo, mi è stato chiesto di mandarla via e io sto facendo quello che mi han ordinato.”
Storce il naso: non gli va di darla vinta a questo damerino, ma per ora proverà ad accontentarlo.
Probabilmente tornerà, non si molla un posto del genere per così poco.
 
 
 
Di fatti, tre giorni dopo è di nuovo lì.
Questa volta ci prova in un orario diverso, qualche ora prima, durante il pranzo.
In effetti per qualche ora non scende nessuno, ma quando scoccano le tre, il ragazzo di qualche giorno prima fa nuovamente la sua comparsa.
“Di nuovo tu?”
“Dovrei dire la stessa cosa.”
Se gli sguardi uccidessero.
“Gliel’ho già detto una volta, non può stare qui a suonare!”
“Non c’è nessun cartello che lo vieta, e non tirare fuori la storia del privato, perché ho controllato e anche se la galleria è privata fa parte del suolo pubblico, e io sto suonando su suolo pubblico!”
L’altro rimane in silenzio, e così ne approfitta: con una scrollata di spalle si sistema il violino e riprende a suonare da dove era stato interrotto.
Per esser fermato di nuovo.
L’idiota ha allungato la mano verso l’archetto, riuscendo pure a tagliarsi.
Lo vede portarsi il dito alla bocca, alquanto scocciato.
“Tagliarsi con la crina, geniale.”
Gli lancia uno sguardo furente:” Non cambia le cose. Stai disturbando e sei già stato avvertito una volta, non farmi chiamare la polizia.”
Bartimeus rotea gli occhi:” Ho suonato praticamente ovunque, e so perfettamente come comportarmi con le forze dell’ordine, non sei di certo il primo che va a lamentarsi per un po’ di musica.”
L’altro sembra parecchio in difficoltà: che gli frega che lui venga arrestato? Non si schioderà mai di lì, il posto è perfetto e gli serve, e anche se facesse schifo, sarebbe rimasto lì a suonar per pura ripicca visto tutto l’impegno che ci stan mettendo per cacciarlo.
“Non ti interessa finire in prigione?”
“Come se mi sbattono dentro per questo.”
“Quanti anni hai?”
“Non si chiede l’età al primo appuntamento, oh, aspetta, in effetti è il secondo, allora posso dirtelo, nel ho 23.”
Il moro sembra arrossire quando menziona l’appuntamento, però non batte ciglio, e continua.
“Sembri più giovane.”
“Grazie, anche tu non sembri dimostrare i tuoi novant’anni mentali.”
L’altro sospira e si porta una mano sugli occhi, strofinandoli.
“Non sono io quello che vuole mandarti via.”
“Però lo stai facendo. Perché non protesti?”
“Perché non mi interessa nulla della tua musica, ok? Potresti essere Beethoven tornato in vita e non mi interesserebbe! Ma una parola sbagliata e mi cacciano dalla galleria, quindi, sul piatto, la mia carriera è molto più importante dei tuoi stupidi esercizi!”
Bartimeus lo guarda intensamente per un attimo, poi alza le spalle:” E allora a me non ne frega nulla della tua carriera ma dei miei esercizi si, come se tu fossi l’unico che ha cose importanti da fare!”
Per qualche minuto l’altro non risponde, e lui può suonare in santa pace.
Non appena l’arco torna a scivolare sulle corde, il suono s’espande come dentro un’enorme chiesa, riempiendo i vicoli e gli angoli lì attorno.
Ama suonare il violino, certo, è uno strumento delicato e molta gente pensa che non gli si addica, ma sa perfettamente cosa si può fare con un violino, e il ventaglio di musica che si può creare è ampio.
Potrebbe suonare il requiem più triste oppure una ballata allegra, basta solo saperlo fare.
Per ora si limita a qualcosa di semplice, non completa nemmeno le canzoni, e le lascia in sospeso per prenderne altre e provarle.
Non gli interessa cos’hanno da dire quelli della galleria, ha trovato il posto perfetto per registrare e non se lo lascerà scappare tanto facilmente.
“Le hai scritte tu?”
Si ferma, e si volta.
Il ragazzo sembra combattuto: tiene le braccia incrociate al petto, e mastica l’aria, da quanto è irritato.
“Alcune, molte sono cover, o sonate scritte apposta per il violino.”
Lo vede sospirare pesantemente, lanciare un’occhiata al secondo piano dove le finestre sono aperte e poi tornare con lo sguardo su di lui.
“… Sei bravo, ma a loro non interessa.”
“Loro chi?”
“I miei capi, i gestori della galleria.”
“E che cos’ha la mia musica che non va?”
L’altro scrolla le spalle, in difficoltà:” Non lo so- Senti… non c’è un altro posto dove puoi andare? Proprio qui? Ti piacciono i guai?”
Sorride, quasi ride, e annuisce:” Amo i guai, e questo posto è perfetto, te l’ho già detto, ha un’acustica fantastica, i miei professori dicono che mi rovino l’orecchio a suonare in posti simili, ma hai sentito, no? Come s’espande, come risuona? E’ come suonare in una cattedrale.”
Lo guarda titubante, è ovvio che sta pensando alle sue parole.
“… Studi?”
“E’ il mio esame.”
“Oh.”
“Eh si.”
“E… perché qui? Non hai appena detto che ti rovini l’orecchio?”
“Devo comporre qualcosa per l’esame che duri almeno quindici minuti, e visto che voglio dimostrare a quei bacucchi cosa so fare, registrare qui mi farà passare l’esame in men che non si dica. E poi mi piace stuzzicarti.”
L’altro arrossisce e gli rifila un’occhiataccia.
“Come farai a registrare? Non dovresti esibirti di fronte alla commissione?”
“Casse, ho un amico a cui chiedere, però prima devo comporre, e scegliere cosa suonare e come suonarlo. Mi piacerebbe fare qui l’esame, però mi limito a registrare per fargli sentire che posto magnifico si stanno facendo scappare.”
“E… Devi fare un miscuglio?”
“Esatto.”
Oramai il ragazzo è completamente rapito, e anche Bartimeus ha messo da parte lo screzio, non sta suonando, ma adora spiegare il proprio lavoro, mettersi in mostra e far vedere quanto sia bravo.
E poi l’altro lo sta ad ascoltare come se dalla sua bocca stesse uscendo oro.
“UNDERWOOD!”
Entrambi sobbalzano e si voltano verso le finestre del secondo piano, dove un uomo dall’aspetto collerico e… Giallo? Sta sbraitando sporgendosi dalla finestra.
“Non ti pago per bighellonare! Torna al lavoro e vedi di scacciare quello zingaro!” strepita chiudendo le finestre con uno schiocco secco.
Underwood sospira pesantemente, mormorando un qualcosa che somiglia molto a “spero che un giorno cada da quella stupida finestra“.
Poi si volta verso Bartimeus, con uno sguardo imbarazzatissimo:” Senti, scusami per quello che ha detto-“
“Tranquillo, è stata una scena incredibile, pensavo di vederla solo nei film scarsi con ragazzini americani come protagonisti.”
“La fantasia non fa parte del repertorio del signor Tallow.” Ammette il ragazzo, molto più rilassato.
Condividono una breve risata, ma subito l’altro si ferma, schiarendosi la gola.
“Puoi… puoi venire qui a suonare nell’ora di pranzo, dall’una fino alle tre non c’è nessuno, a parte me, quindi… quindi non disturbi nessuno.”
Bartimeus gli regala un sorriso riconoscente, e tende la mano verso di lui”: Bartimeus.”
L’altro sembra confuso, poi allunga la mano e gliela stringe:” Nathaniel. Underwood, da quanto hai sentito.”
Gli sorride e dopo un breve cenno rientra nella galleria trotterellando veloce, sparendo oltre le porte di vetro, su per le scale.
 
 
 
Non perde nessun giorno, suona sempre nell’ora di pranzo.
Per i primi tre giorni Nathaniel non compare, ma al quarto lo vede seduto su una delle panchine di marmo fuori dalla galleria, immerso nella lettura di un libro.
Quando lo raggiunge il ragazzo balza in piedi sorpreso, preso alla sprovvista, e mentre ripone il libro Bartimeus riesce a intravedere il titolo “Il violino nella storia”.
Gli viene da ridere, ma è toccato da quel gesto, anche se non è sicuro che la curiosità di Nathaniel sia rivolta a lui oppure allo strumento in generale.
Mentre suona Nathaniel rimane in religioso silenzio, e solo dopo qualche giorno si ferma per tutta l’esecuzione.
Ogni tanto lo vede scarabocchiare qualcosa con la coda dell’occhio, ma non riesce a capire cosa.
L’esame è ancora lontano, ma Bartimeus vuole far faville, e prova finché ne ha la possibilità.
E in più è stranamente piacevole passare il tempo con Nathaniel, anche se i loro discorsi si basano sul saluto reciproco e sporadiche domande sul nome delle canzoni.
Però è bello: le giornate s’allungano e inizia a soffiare vento più caldo, e la terrazza è fresca e ampia.
Se non dovesse provare, probabilmente si farebbe un pisolino lì sotto, sdraiato come un gatto sul marmo, a godersi l’atmosfera tranquilla della galleria d’arte, il vento sul viso e l’ovattato grattare della matita di Nathaniel sulla carta.
Dopo una settimana Nathaniel si presenta con un pranzo fin troppo abbondante per una persona, e le prove possono aspettare, tanto Bartimeus è già bravo.
Dopo due settimane, s’accorge che Nathaniel è sempre nervoso, e che gioca parecchio con le cinghie della sua borsa, di un bel taglio e in pelle, ampia e curatissima.
Anche lui si sente nervoso, ma forse sono i sudori freddi dopo la breve corsetta sotto il sole dalla fermata del bus fino alla frescura dell’ombra del portico.
Ovvio.
Dopo un mese, ancora prima di iniziare le prove, domanda a Nathaniel quali siano gli orari della galleria, anche se li ha già controllati su internet e sono stampati a lettere d’oro sull’ingresso, e gli chiede anche se gli capita di fare da cicerone.
Nathaniel gli risponde di si, e aggiunge che siccome non c’è mai nessuno a pranzo può anche farlo entrare gratis, a patto che rimanga in silenzio e non lo interrompa.
“Non sembrerà che parli da solo?”
Tira fuori un piccolo registratore:” Spesso passeggio per la galleria e prendo appunti così, è comodo.”
Intelligente.
Non si mettono nemmeno d’accordo, perché Nathaniel si alza e lo guida all’interno della galleria.
Bartimeus lo segue senza una parola.
Non ci è mai entrato, e quando mette piede oltre l’ingresso gli sembra di navigare nell’oro e nel turchese.
Le ampie volte del soffitto sono decorate con lampadari tirati a lucido e gocce d’oro che minacciano di cadere sulle teste dei visitatori, ferme nel tempo come lacrime di una statua.
I muri sono ricoperti da quadri e drappi, e ogni pannello sembra un vestito diverso, come se si trattasse di una sfilata di spose.
E’ luminosa e raffinata, e i loro passi risuonano per i corridoi di marmo, rimbalzando sulle colonne candide.
Col naso per aria, ora che guarda una statua ora che si gira verso un quadro, Bartimeus non può far a meno che rimanere affascinato da tale sfarzo.
E non solo le sale, i muri o soffitti attirano la sua attenzione.
Nathaniel cammina accanto a lui raccontando a voce bassa la storia dietro a quel quadro, oppure che cosa ne pensasse lo scultore della politica del tempo, oppure quali fossero i soggetti preferiti di tal pittore.
Sembra che ad ogni parola, ad ogni passo diventi sempre più entusiasta più luminoso.
Gli indica i particolari e si perde a raccontare le tecniche usate con lo stesso tono di voce di un padre orgoglioso del proprio figlio.
La sua voce cambia, e si scioglie diventando calma e calda.
Nathaniel non riesce a fargli fare il giro completo, perciò spezzano le visite lungo la settimana.
Dopotutto lui è li per suonare, non per visitare la galleria.
La settimana dopo i quadri sono cambiati, e a Bartimeus sorge spontaneo un quesito: “Tu non esponi nulla?”
La domanda sembra far perdere la magia, e Nathaniel torna pallido, scontroso come quando l’aveva incontrato per la prima volta.
“No.”
“Sbaglio o sei uno studente d’arte? La tua valigiona non può contenere che disegni e progetti, di certo non cotechini.”
La battuta gli strappa un sorriso sincero, ma scuote la testa immediatamente.
“Non sono abbastanza bravo per loro. Prima o poi riuscirò ad esporre.”
Riprende il giro, ma c’è una nota triste: Bartimeus se ne intende di note e toni.
Dopo quel giorno Nathaniel non lo accompagna più per la galleria, afferma che non c’è più nulla da vedere, e perciò Bartimeus può riprendere con le sue prove senza interruzioni.
Anche se, Nathaniel inizia a portare con sé molti fogli dove scarabocchia furiosamente, intento a disegnare qualcosa che sembra non soddisfarlo, come se cambiasse continuamente idea.
Molti sono i fogli che ricoprono le gambe di Nathaniel prima che torni al lavoro, e li raccoglie anche prima che Bartimeus possa sbirciarli.
 
 
 
Arriva il giorno dell’esame, e anche se l’idea di invitare Nathaniel gli sia passata per la testa, non gli ha detto nulla, probabilmente lavora, lo avrebbe disturbato e basta.
Perciò non dice nulla ed affronta l’esame, ritrovandosi il pomeriggio libero dopo mesi di preparazione.
Che fare?
 
 
 
Il sole è alto e cocente quando arriva alla galleria.
Sente la maglietta appiccicata alla schiena per il sudore, ed è bellissimo nascondersi nell’ombra delle volte, poggiarsi alle colonne e sentire il freddo marmo sulla pelle accaldata.
Sospira pesantemente, scivolando stancamente su una panchina, lasciandosi cadete lungo disteso.
Oh, è piacevole come se lo era immaginato.
E’ semplice addormentarsi in un posto del genere, e Bartimeus non ha bisogno di farsi convincere.
 
 
 
Quando si sveglia la prima cosa che sente è il grattare di un qualcosa molto vicino.
Nel dormiveglia si ricorda di essersi appisolato fuori dalla galleria d’arte, e che ha anche fame.
Lentamente si sveglia, stirandosi come un leone sotto il sole.
“Ah, sei sveglio.”
Un veloce rimestare di carta attira la sua attenzione, e vede Nathaniel, accanto a sé che mette via dei fogli di tutta fretta, chiudendoli nella sua cartella.
“Non mi ero nemmeno accorto di essermi addormentato.”
Si mette seduto, concedendosi un enorme sbadiglio.
“Oggi eri qui prima.”
“Si, ho.. bhè, ho fatto l’esame che ti dicevo, quello di violino.”
“Davvero? Com’è andata?”
Bartimeus si concede un sorriso sbuffone:” Oh, dimmelo tu…” Rimesta velocemente nella cartella, estraendo un foglio e porgendoglielo.
“Ventinove!? Complimenti!”
Sente il cuore perdere un colpo e ingrandirsi di qualche taglia, ma forse è solo un’impressione.
“Si. All’inizio sembrava che non volessero darmi così tanto, gli aveva dato fastidio che avessi registrato in un posto simile. Ma alla fine han ceduto. E te? Come sta andando il lavoro?”
Il sorriso di Nathaniel si spegne, e Bartimeus s’annota mentalmente di non toccare mai più l’argomento.
“Male. Cioè, bene, ma non mi lasciano ancora esporre, e il bello che espongono tutto! Ma continuano a insistere che ciò che disegno non corrisponde al periodo e stile adatto! Non chiedo un’intera ala, anche se mi piacerebbe, ma anche solo un quadro!”
Sbuffa frustrato, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Rimangono in silenzio per poco.
“… Ho portato il pranzo” riprende Nathaniel: ”Fame?”
“Oh si, moltissima.”
Ed è ancora prima di iniziare a mangiare che Bartimeus alza la testa e dà un colpetto leggero al ginocchio di Nathaniel col proprio.
“Cos’è che disegni? Che stile? Spero non le schifezze che abbiamo visto nella stanza color senape, che tra parentesi, è un colore rivoltante per dei muri.”
Nathaniel lo osserva sorpreso per qualche attimo, prima di sciogliersi in un sorriso affettuoso e pieno di riconoscimento, partendo a raccontargli la storia, descrivendo fin nei minimi particolari la sua nascita e sviluppo, riportando esempi sui fogli di fronte a loro, mostrandogli molti dei disegni che aveva con sé.
Il suo ginocchio continua a battere contro quello di Bartimeus, ma va bene.
Se deve essere sincero, non ci capisce nulla d’arte, e non gli interessa più di tanto la storia delle tecniche, ma non importa, perchè l’unica cosa che vuole fare per ora, è stare in silenzio ad ascoltare la musica nella voce di Nathaniel.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Voglio solo far notare quanto sono tattica a non menzionare MAI il cognome di Bartimeus.
 
Sono un genio.
 
 
 
 
No, a parte quello volevo scrivere qualcosa su Bartimeus alle prese con gli strumenti musicali.
Nel libro Bart si offre per suonare l’arpa e cantare, e perciò il mio cervellino è partito in quarta e ora sono più che convinta che oltre che cantare come un usignolo, Bartimeus suona molto bene arpa, violino e pianoforte.
Ci sono diversi motivi per cui ho scelto sti tre strumenti, e prima o poi lo spiegherò.
Oppure no e chissenefrega, cioè, a meno che a voi non interessi-
 
 
 
 
Comunque immaginatevi un Bartimeus umano che non riesce a suonare l’arpa perché ha le braccia corte.
 
 
 
Me ne vado prima che arrivi una deflagrazione volante da qualche parte-
 
 
 
 
E “storia del violino” è un libro che esiste per davvero-

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Capitolo 13
*** 88. Lucciole ***


SIETE PRONTI PER IL MIELE!?
Vado ad eclissarmi-
 
 
 
 
 
Lucciole
 
 
 
 
 
 
 
Le storie della buonanotte sono le migliori.
Hanno tutto, parlano della notte e del giorno, di avventure incredibili e di viaggi tra i cieli, tutti a bordo di un letto caldo e accogliente.
Ti cullano finchè non dormi oppure ti tengono sveglio a fantasticare, a seguire con le dita ombre e luci sul soffitto.
C’è una storia, quasi dimenticata, la preferita di bambini e bambine, molto amata anche dai grandi e dai più anziani.
Le bambine dicono che è una storia romantica perché racconta della luna e delle lucciole, mentre i bambini affermano che è una storia di avventure, perché c’è un addestratore e strambe magie.
E anche se non gliel’ho mai detto perché mi piace vederli fantasticare e crescere con idee loro e ben diverse, è tutto vero, perché la storia che sto per raccontarvi, parla di un addestratore di lucciole, e di una magica, stramba luna.
 
 
 
Una volta, tanto, tantissimo tempo fa, quando il vento e il mare erano ancora giovani, c’era un ragazzo che amava le lucciole.
Le addestrava e le insegnava a ballare e cantare, e le piccoline ubbidivano, poiché l’addestratore era gentile con loro, e anche molto bello.
Andava a raccoglierle e chiamarle quando le notti erano calde e accoglienti, e se c’era vento o faceva freddo, le faceva nascondere sotto la giacca, tra i suoi capelli e anche tra barattoli profumanti di salvia e rose.
L’addestratore ballava e cantava con loro, ed era solo per poterlo sentire ancora una volta che le lucciole davano il loro meglio, illuminando i campi e guidando le persone che cercavano la via di casa.
Le persone dei villaggi lo conoscevano, ma non andavano mai a disturbarlo, e ogni volta che vedevano una lucciola, la pregavano di salutarlo e di ringraziarlo.
Molte ragazze sospiravano al suo pensiero, e sarebbe piaciuto loro potergli preparare qualcosa di dolce, oppure regalargli qualcosa, come un abito o una ciocca dei loro capelli.
Ma l’Addestratore di Lucciole non cercava l’amore tra l’erba alta e gli alberi, lui guardava Luna e sospirava.
Luna l’osservava a sua volta, rammaricandosi di non poterlo raggiungere: gli sarebbe piaciuto poter scendere e parlare con lui, ma non sapeva fare molte cose, se non brillare di luce che non gli apparteneva e rimanere fisso lì, nel cielo.
 
 
 
L’Addestratore di Lucciole si scervellava ogni notte per trovare una soluzione, e quando ne parlava, alcuni dicevano che era impossibile, mentre i bambini affermavano che se avesse costruito una scala abbastanza lunga, sarebbe arrivato fin lassù.
Oppure che avrebbe dovuto salire sull’albero più alto al mondo e fare un piccolo balzo.
Oppure imparare a volare.
Erano tutte idee molto belle, e in molti si prodigarono per aiutarlo, ma senza alcun successo.
La scala era troppo sottile e più salivi più ondeggiavi, l’albero più alto al mondo si rivelò un bonsai posto sulla cima del monte più alto, e anche se provò a volare, non imparò mai.
L’Addestratore non sembrava mai arrendersi, anche se quando le bambine vedevano i suoi occhi tristi, scoppiavano a piangere per lui.
Alcune volte diventava scettico, e s’arrabbiava con Luna, gridandogli di venire giù, di sforzarsi un po’ anche lui, ma Luna non rispondeva mai.
Perché non si era innamorato di Sole? Forte, bello e caldo?
Perché cascare per Luna? Così freddo e orgoglioso, che quando brillava della luce rubata, oscurava presuntuoso le stelle, sovrastando la loro scena come un attore altero.
E come se non bastasse, si nascondeva l’infingardo! Come una vecchia signora s’ammantava di buio e notte e spariva dalla scena stoicamente, lasciando che tutti l’osservassero e si rammaricassero della sua partenza.
E con altrettanta teatralità riappariva, lasciandosi cantare serenate e lodi, permettendo che gli uomini tessessero le sue qualità come una sarta lavora a un tappeto pregiato.
Amava volare alto, oppure essere così vicino che pareva di poterlo sfiorare con la punta delle dita.
E a questi pensieri l’Addestratore perdeva la pazienza, e non parlava più nemmeno con le sue lucciole.
Le piccine, ovviamente non volevano vederlo così triste, e perciò s’impegnavano a renderlo nuovamente felice.
Una notte particolarmente buia, in cui Luna non fece la sua comparsa, le lucciole decise di rapirlo, e di portarlo all’Addestratore.
Ovviamente erano gelossissime, ma amavano così tanto l’Addestratore che misero da parte la loro gelosia e lo aiutarono.
Perché si sa, le lucciole sono insettini ben educati e gentili, così piccini da non avere spazio per i brutti sentimenti.
Volarono fino a Luna, e con le loro stesse luci lo illuminarono, trovandolo tutto rannicchiato in un angolino di spazio, coperto fin sopra i capelli dalla notte.
Ora non sto qui a spiegarvi cosa si dissero, perché Luna era molto saccente e curioso, e voleva sapere cento cose e mille fatti, costringendo le lucciole a rispondere velocissime come un vento arrabbiato.
Ma le lucciole erano pazienti, e parlarono a lungo, finchè non gli dissero di scendere, che poteva lasciare il cielo un attimino e venire giù.
Luna era molto ligio al dovere, gli piaceva il suo lavoro, e nascose la sua curiosità e voglia di esplorare così bene, che le lucciole quasi piansero!
Ma tutti lo sanno che le lucciole sono anche furbe, e capirono al volo i veri sentimenti di Luna.
Lo pregarono e quando si dimostrò anche solo un po’ dubbioso, lo sollevarono con le loro piccole zampine e l’accompagnarono nel buio.
Dovete sapere che Luna pesa come una piuma! I più grandi dicono che sia fatto di formaggio e miele, e che quindi pesi davvero tanto, ma Luna in realtà è fatto di polvere di stelle e sogni, pensate che pesa esattamente come 1345 pensieri positivi!
E’ leggerissimo!
Le lucciole l’accompagnarono tra stelle e comete, tra asteroidi e satelliti, facendolo scivolare lungo la via Lattea e saltellare nel vento.
 
 
 
Quando l’Addestratore di Lucciole vide Luna per la prima volta, rimase senza parole.
Non brillava come le sue piccoline, ma i regali abiti e la pelle pallida riflettevano la loro luce gentile come uno specchio, facendolo splendere d’argento.
Era così strano!
Portava buffi abiti da re, blu neri e argento, lunghissimi, e un mantello intrecciato con le più notti nordiche più belle.
I capelli erano spruzzati di stelle comete, come se qualcuno avesse soffiato dello zucchero nella notte.
L’Addestratore rimase in silenzio per un po’: aveva sempre cercato di immaginarsi Luna da vicino, ma ora che l’aveva davanti, era così diverso!
Iniziarono a parlare e a camminare, a raccontarsi storie, senza mai aver bisogno di tenersi per mano o sfiorarsi, perché entrambi sapevano che non ce n’era bisogno.
Parlarono a lungo, tutta la notte, e quella successiva, e quella dopo ancora, narrando di leggende e di sussurri che avevano udito.
Alcune volte bisticciavano e le lucciole li osservavano un po’ intimorite, perché Luna diventava tutto scuro quando s’arrabbiava, e faceva un po’ paura.
Però alla fine facevano pace, e le lucciole tornavano a giocare coi capelli dell’Addestratore, sbucando timide dalle ciocche.
Nessuno se lo aspettava, ma Luna sapeva un sacco di cose! Anche se appariva solo di notte, sentiva moltissime storie e gli piaceva da morire stare coi piedi a penzoloni oltre il cielo ad ascoltare le leggende degli uomini, i loro racconti e i loro studi.
Anche l’Addestratore di Lucciole sapeva un sacco di cose, viaggiando in lungo e in largo aveva conosciuto tantissime persone, e aveva imparato di tutto.
Così, entrambi avevano tantissime di cose da dirsi, e passò molto tempo senza che smettessero di parlare.
 
 
 
Le lucciole all’inizio non ci fecero molto caso, erano felici per il loro Addestratore e per Luna, ma quando una notte in cui avevano accompagnato a casa una bambina, sentirono gli uomini parlottare spaventati.
Stavano dicendo che Luna era scomparso!
Non riappariva nel cielo da troppo tempo, e anche nelle notti più limpide non metteva fuori nemmeno un piede!
“Han rapito Luna!” dicevano molti.
“Chi potrebbe essere così malvagio?” Chiedevano i bambini.
Gli adulti non sapevano rispondere e i bambini piangevano, perché quando Luna illuminava le loro stanze, i mostri non uscivano, ma se non c’era più lui, come avrebbero fatto?
La tristezza e la paura prese i villaggi degli uomini, lasciandoli soli nella notte.
Le stelle consolavano poco, anche loro sentivano la mancanza di Luna.
Le lucciole si sentirono in colpa: per far felice una persona amata, ne avevano intristite molte altre!
Luna serviva a tutti, non potevano tenerlo nascosto ancora.
Volarono tutte trafelate dall’Addestratore e Luna, per avvertirli.
Se ne stavano accanto a un ruscello, a raccontarsi storie sull’acqua e sulle pietre quando le lucciole li assalirono, riempiendo i capelli di entrambi con le loro lucette e gentili frullii d’ali.
Gli spiegarono veloci come lampi che Luna non poteva rimanere lì a lungo, che gli uomini avevano bisogno di lui.
Che disastro!
Stare sulla terra a parlare con l’Addestratore aveva distratto Luna dal suo compito!
Che problema!
Coi capelli tutti in disordine e le guancie rosse dall’imbarazzo Luna tentò di tornare al proprio posto, ma si rese conto di non riuscire a raggiungere il cielo, dopotutto ora era sulla terra, e non s’era mai accorto di quanto fosse distante!
Le lucciole si offrirono di riaccompagnarlo, dopotutto era colpa loro se gli uomini erano rimasti senza Luna, anche se si sentivano in colpa per portarlo via all’Addestratore, che lo guardava con occhi feriti.
Disse che non c’era problema, dopotutto Luna serviva a tutti quanti, e non poteva di certo costringerlo a stare lì, che c’era d’interessante sulla terra quando te ne potevi stare in cielo in compagna di comete e stelle?
Gli disse di sbrigarsi, perché le ombre e i mostri stavano già sbucando da sotto i letti, e i bambini avevano bisogno di lui.
Fu col cuore spezzato che l’Addestratore e Luna si salutarono.
 
 
 
L’addestratore rimase molto tempo da solo.
Le città crollavano e venivano ricostruite sotto i suoi occhi e quelli di Luna, ancora bloccato sulla volta celeste.
Alcune volte, quando passeggiava per i campi, sbirciava la volta celeste timidamente, come se gli avesse fatto un torto, e quando Luna spariva nella notte, forse nascondendosi sotto il suo mantello, l’Addestratore non desiderava altro che sapere che fosse ancora lì, che stesse bene e che non fosse scappato per la vergogna o la tristezza.
Le lucciole che accompagnarono Luna non fecero più ritorno, ma sapeva che erano rimaste con lui, e che gli raccontavano delle avventure vissute con l’Addestratore, di tutti i posti che avevano visitato assieme e di tutte le persone che avevano conosciuto.
Sapevano che eran diventate delle stelle.
Era contento che ci fosse qualcuno che tenesse compagnia a Luna, che gli raccontasse delle fiabe della buonanotte di quando lui era bambino.
Gli anni passavano accanto all’Addestratore senza sfiorarlo, correndo al suo fianco come bambini allegri, e non passava notte in cui sperava che Luna non comparisse nel cielo, ma seduto accanto a lui, magari in mezzo all’erba alta dove potevano parlare senza che nessuno li vedesse.
E una notte, in cui il cielo rimase nero decorato solo con le stelle, l’Addestratore di Lucciole rimase senza parole per la seconda volta.
Era certo che Luna fosse nel cielo, nascosto da qualche parte, ma ora era lì, che gli sorrideva e gli raccontava che fosse successo, di quanto avesse parlato e discusso con Sole, per concedergli anche solo una notte da trascorrere sulla terra!
Era pochissimo, ma avrebbe potuto scendere ogni volta che finiva il suo lavoro, quegli attimi in cui il cosmo si distraeva e lui si riposava un attimo prima di riprendere da capo la sua danza.
Questa volta l’Addestratore non si fece nessuna domanda e gli gettò le braccia al collo, trascinandolo nell’erba alta, circondati dalle lucciole ritornate, ora ancora più luminose delle loro sorelle terrestri.
E mentre l’Addestratore e Luna si raccontavano ciò che avevan visto e ciò in cui credevano, le lucciole li osservavano allegre, accoccolandosi tra i loro capelli e vestiti, sembrando tante stelle luminose.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sono venute le carie a scrivere-
E bho, se da una parte mi piace da morire perché è una fiaba dolcissima, e adoro le Au fiabose, dall’altra sono combattuta perché è troppo dolce per due come Bartimeus e Nathaniel-

Che poi scommetto che sanno essere dolci pure loro, però bho-
 
 
 
Che brutta la vita di una fangirl con idee idiote.
 
 
 
E la storia delle lucciole che diventanto stelle ero tipo: “WOOOOO- Figata! Che bell’idea-
Aspetta-
C’è la Principessa e Il Ranocchio che tratta di-
Oh.
Ok.
Vabbè.”
 
 
 
 
:C

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Capitolo 14
*** 02. Curare ***


02. Curare
 
 
 
 
 
Un fruscio.
Qualcuno si stava alzando.
Dei piedi toccarono terra e si allontanano di tutta fretta, scalpicciando nudi sul legno.
Ok, grandioso, esser svegliati da qualcuno che andava in bagno era esattamente quello che desiderava.
Dannato sonno leggero.
Oh-
Oh.
Ok, forse non era stato solo lo scalpiccio o il cigolare del letto a svegliarlo, ma qualcosa che lo aveva messo in allarme.
Aprì gli occhi, ritrovandosi a nuotare nell’oscurità.
Pian piano la stanza si definì, la luce che filtrava dalle finestre illuminava solo un rettangolo del pavimento, ma poteva bastargli.
Una rapita occhiata e s’accorse che il letto di Nathaniel era vuoto.
Tolomeo dormiva nel letto sotto al proprio, mentre Jakob nell’angolo destro della stanza.
Doveva aver sentito male, che cosa idiota alzarsi per controllare di essersi sbagliato, il letto era caldo, anche se era estate fuori faceva freddo e lasciavano pure le finestre aperte santo cielo!
Si maledì per tutto il tragitto: che idiozia!
Si liberò dalle coperte con un paio di calci irritati e scese dal letto a castello nel più completo silenzio.
Attraversò la stanza e il corridoio in punta di piedi, sbirciando nella camera delle ragazze: dormivano tutte della grossa, e con la finestra aperta per giunta!
Pazze.
Imprecando silenziosamente scese le scale di legno, ringraziando però la madre di Asmira per aver messo tappeti ovunque.
Si ritrovò nel salotto più piccolo, quello che dava sul giardino posteriore.
La porta finestra era aperta, e le tende oscillavano pigre nell’aria della notte.
Alzò lo sguardo sull’orologio della stanza: le 3:23.
Oh, eccolo di nuovo.
Il rumore quasi lo spaventò, ma confermò i suoi dubbi.
Sospirò piano, e s’avvicinò alla porta finestra.
Nathaniel era seduto sui pochi gradini di legno che conducevano al giardino, tenendo la testa tra le ginocchia e le mani nei capelli.
Le spalle saltavano irregolari e il ragazzo dondolava un poco, avanti e indietro.
Bartimeus s’avvicinò con cautela, appesantendo di proposito il passo per farsi sentire e non prenderlo di sorpresa: gli sembrava già abbastanza sconvolto.
Il rumore sembrò allarmarlo, e Nathaniel alzò di scatto la testa, voltandosi verso di lui.
Non vi erano molti segni di lacrime, ma lo sguardo disperato e la devastazione sul suo volto erano marchiati a fuoco.
Si guardarono per pochi attimi, poi Nathaniel si voltò di nuovo, strofinandosi gli occhi con veemenza.
“Erm… Ho sentito qualcuno che s’alzava e… E sono venuto a controllare.”
Non gli rispose.
S’avvicinò titubante, chiedendosi di che avesse paura, o meglio, di che gli importasse.
Ora Nathaniel non dondolava più, né singhiozzava, ma aveva nascosto nuovamente il volto nelle ginocchia, abbracciandosi le gambe.
Bartimeus gli si sedette accanto, desiderando che Kitty e Tolomeo fossero suo posto.
Loro si che erano bravi a consolare le persone! Sopratutto Nathaniel in uno dei suoi attacchi di panico.
Non erano frequenti, e grazie al cielo duravano poco, ma ogni volta che vi assisteva si sentiva sopraffatto dalla consapevolezza di star osservando la caduta di una persona, del suo lento sgretolamento, come se fosse un ospite di un’opera tragica.
Battè le dita sulle ginocchia alquanto imbarazzato, cercando una scusa, un qualcosa per rompere il ghiaccio.
Tentò più volte di intavolare una conversazione, fallendo miseramente.
Sentiva Nathaniel tentare di trattenere quanti più singulti possibile, con scarsi successi, e quando alzò la testa e s’asciugò gli occhi, Bartimeus distolse lo sguardo, come se fosse estremamente offensivo guardarlo.
“Che c’è? Sono troppo patetico?”
Si volse lentamente verso di lui: aveva poggiato il mento sulle braccia incrociate, e fissava corrucciato il giardino.
Qualche lacrima s’era impigliata nelle ciglia e gli occhi umidi e rossi brillavano come se riempiti di stelle.
Nonostante il viso congestionato e la tristezza aggrappata al suo volto come artigli, Bartimeus non potè far altro che pensare che fosse bellissimo.
Una bellezza devastata.
Nathaniel si voltò verso di lui, osservandolo.
“No. Non… Non sei patetico.”
“Non più del solito.”
Bartimeus sospirò incapace di ribattere.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Abbracciarlo, dirgli che andava tutto bene?
Trovava quelle opzioni così stupide e insignificanti che si meravigliava ogni volta che Kitty e Tolomeo le ripetevano come una mantra.
Si ricordò dell’irritazione che provava quando li vedeva, quando sentiva tutte quelle moine inutili e superflue, come se una persona sarebbe stata meglio con qualche pacca sulla schiena e qualcuno che ti cantilenava nelle orecchie!
Quante stronzate!
Sentì la rabbia salirgli alla gola con la consapevolezza di non essere in grado di fare nulla fuorché arrabbiarsi.
E con chi?
Con Nathaniel?
Con Kitty o Tolomeo?
O con sé stesso per essersi reso conto di che persona di merda fosse? Nemmeno in grado di sputare qualche parola di conforto per un amico.
Ah, si, “amico”.
Fu Nathaniel a distogliere lo sguardo per primo, e il ruggito nel suo petto si calmò.
Si strofinò gli occhi di nuovo, tirando su col naso un paio di volte.
Anche Bartimeus tornò a guardare il giardino, in silenzio.
Passarono vari minuti senza che nessuno dei due parlasse, e la brezza delle montagne Jabal an-Nabi Shu'aib raggiunse le loro caviglie, facendo rabbrividire Bartimeus.
“Di solito…”
Alzò la testa di scatto: Nathaniel si stava stropicciando di nuovo un occhio, alquanto frustrato:” Di solito non durano così tanto, smettono quasi subito” Mormorò con voce piena di lacrime.
“E non piango nemmeno.”
Tirò su col naso, poggiando la fronte contro il pungo.
“Non capisco che mi prenda...” In poco la maschera che così faticosamente aveva indossato si screpolò, lasciandolo in balia di bassi singulti e gemiti, finchè non si coprì il volto con le braccia, stringendo convulsamente i propri capelli tra le dita.
Era come guardarlo morire lentamente.
Nuovamente la furia cieca lo assalì, graffiandogli la gola, strillando per poter uscire.
Gli gettò un braccio oltre le spalle, affondando il viso tra i boccoli di Nathaniel ringhiando come una bestia: non riusciva a trovare una scusa per sfogarsi e si sentiva soffocare.
Gli tremavano le mani dalla rabbia e gli artigliò la maglietta, sentendolo singhiozzare contro il suo collo come un animale braccato.
Avrebbe voluto urlargli di smetterla, di mollare tutta quella disperazione e di rialzarsi, perché non poteva essere così difficile, bastava poco liberarsi, uno strattone e via!
No?
No!?
Non poteva essere così difficile!
Che fine aveva fatto Nathaniel? Chi era quel relitto umano che si nascondeva contro la sua spalla?
Dov’era Nathaniel?
Lasciò la presa sulla maglietta, afferrandolo per le spalle, costringendolo ad alzare la testa, a guardarlo.
Il ragazzo teneva la testa china, scuotendola ogni volta che Bartimeus tentava di fargliela alzare.
“Nathaniel dannazione!”
S’aggrappò alle sue spalle, battendo la propria fronte contro quella dell’altro, sentendo il dolore sordo risuonare per tutta la testa, come una campana.
Sospirò esasperato, stringendo le spalle di Nathaniel come se ne valesse la propria vita, tentando di tenerle ferme.
Aspettò che la bestia smise di graffiargli il petto, che ritirasse gli artigli e s’accoccolasse in qualche angolo scuro.
“Dov’è Nathaniel?”
Non ricevette nulla in risposta, se non deboli singhiozzi.
Sospirò di nuovo, portando le mani al collo dell’altro, strofinando delicatamente la mascella col pollice.
“Nathaniel non mollerebbe per così poco. E’ testardo, sai? Davvero un gran rompipalle, ma sempre impegnato, sempre… pronto. Che fine ha fatto Nathaniel?”
Continuò a ripetere la stessa domanda, con la voce bassa, ridotta a un sussurro.
Nathaniel tentò qualche pigolio, scuotendo piano la testa.
“Nathaniel… Nathaniel non ce la fa più…” sussurrò:” Nathaniel ha deciso di gettare la spugna.”
“Quante stronzate.”
L’unica risposta che ricevette furono dei singhiozzi strozzati.
Gli tremavano le mani: sarebbe stato davvero soddisfacente stringere la giugulare finchè non avrebbero smesso entrambi di tremare, sarebbe stato un sollievo.
Ma le cose non si prendono alla leggera, e Bartimeus, per fortuna, lo sa.
Poteva sentire il cuore di Nathaniel pulsare sotto le sue dita, risuonare come un tamburo nel suo collo, e si chiese cosa intendesse per aver gettato la spugna.
Come si può mollare tutto?
Perché abbandonare ogni cosa?
Osservò le mani di Nathaniel: le teneva in grembo, con le dita intrecciate in modo disordinato.
Tremavano appena, afferrando e mollando la maglia del pigiama, come se indecise sul da farsi.
Si rese conto di trovare la visione dolorosa, alquanto… Sconvolgente.
Di solito erano ferme, decise, tracciavano linee immaginarie sulla carta e stringevano salde matite e pennelli.
Creavano.
Ora voleva solo coprirle, metterle via come si fa con un quadro particolarmente brutto.
O almeno tentare di fermarle, di bloccarle dal farsi altro male, di smettere di graffiarsi le dita.
Staccò lentamente le mani dal collo, e le poggiò su quelle di Nathaniel: ah, molto meglio.
Nathaniel sobbalzò come se lo avesse spaventato, e si zittì, con le labbra che tremavano e gli occhi bassi.
Bartimeus prese invece un gran respiro, contando nella sua testa fino a dieci.
“Trovo che tutto quello che fanno Kitty e Tolomeo sia una stupidata pazzesca. Capisco perché lo fanno, davvero, non voglio…. Si, in realtà sto giudicando il loro modo di fare, ma di solito funziona. Io però non sono né Kitty né Tolomeo. E sinceramente credo che questa sia una situazione completamente differente.”
Si prese qualche attimo per riorganizzare i pensieri, allargando pian piano le mani per poter nascondere, no, meglio, per poter stringere quelle di Nathaniel, senza azzardarsi a farlo per davvero, solo… solo tentare, provare.
Nathaniel aveva i palmi più piccoli del suoi, ma le dita lunghe, affusolate; Gli piacque da morire il contrasto della pelle pallida contro la sua.
“Lo sai che sono bravo con le parole ma questo… Oh, questa è una brutta gatta da pelare.”
Sperò che Nathaniel si lasciasse un po’ andare, anche solo un sorriso sarebbe andato bene, ma il ragazzo teneva la bocca serrata e lo sguardo chino di un cane bastonato.
Ah.
Lui poteva anche tentare di raggiungerlo ovunque si fosse andato a cacciare, si sarebbe impegnato e in quel preciso instante stava dando il tutto per tutto, ma voleva almeno un minimo di partecipazione, un pizzico di iniziativa!
Come si poteva pretendere che facesse tutto lui il lavoro!?
Sentì la fiera ruggire irritata, battere e farsi strada nel suo petto fino alla gola.
Stava per scoppiare.
“Muovi un po’ il culo!” Ringhiò stringendogli le mani con forza: “Pensi che io mi stia divertendo a stare qui a sparare cazzate e farmi un esame di coscienza!? Che cosa vuoi di più!? Dovrei immolarmi in qualche modo? Un sacrificio umano ti farebbe stare meglio!? Mi stai facendo dire un sacco di cazzate, dannazione, tu non hai idea di come tu mi sconvolga alcune volte, non-non so che fare con te, alcune volte sei così complesso che mi dai l’emicrania! Pensi che io legga in quella tua testolina confusa? No! Dannazione no!”
Gli afferrò il volto all’improvviso, premendo i palmi contro le guancie finchè non somigliò a un pesce, un pesce alquanto scandalizzato.
Voleva così tanto affondare le unghie nella sua carne, fargli del male.
Lo osservò con una smorfia irritata e poi storse il naso: “No, sei troppo ridicolo così.” Allentò la presa, limitandosi a tenergli il viso, sentendo le mani tremare:”molto meglio.”
Mosse le mani, dandogli un piccolo scossone:” Che cosa vuoi di più? Io sono un genio con le parole, ma con te è come parlare al muro!”
Dal canto suo Nathaniel fece ballare febbrilmente lo sguardo su tutto il volto di Bartimeus, alla ricerca di una scappatoia.
Scosse la testa, stringendo le labbra: ”N-non... Non so…” vagò con lo sguardo, confuso, perso.
“Come sarebbe a dire non lo so!?” sibilò Bartimeus esasperato, guardandolo dritto negli occhi.
Nathaniel era sul punto di crollare di nuovo: guance infiammate, occhi rossi e labbra tremanti, non avrebbe retto per molto, e tutta la fatica per tranquillizzarlo sarebbe andata persa.
Tentennò un poco, riprendendo a tremare, a muovere disordinatamente le mani, continuando a mormorare “non lo so”.
Bartimeus sospirò stanco, poggiando nuovamente la fronte contro quella di Nathaniel.
Sentì deboli singhiozzi spezzare la voce dell’altro, e sospirò di nuovo, alzando la testa.
Davvero, il violento impulso di ferirlo sbattè con forza contro il suo petto, come per infrangerlo, e finalmente uscire.
Si sentiva così arrabbiato, così frustrato! Perché non riusciva a farlo stare meglio? Perché era così difficile parlargli sinceramente?
Quale cazzo di problema avevano!?
“Dio come sei egoista.”
Nathaniel alzò lo sguardo, incontrando il suo.
“Ma io non sono da meno. Alcune volte di odio.”
Vide il suo sguardo ferito, con le lacrime che scivolavano lungo il viso arrossato, gocciolando dal mento.
“Mi fai arrabbiare come nessun altro, sappilo! Cosa diamine dovrei fare con te? Mi irriti così tanto che faccio fatica a pensare! Tutta colpa tua dannazione, tutta colpa tua!”
S’allungò verso di lui all’improvviso, schiacciando le labbra contro le sue.
Nathaniel s’irrigidì, e Bartimeus si staccò subito, fissandolo irritato.
Non gli lasciò il tempo di formulare una risposta, perché lo bacio di nuovo.
E ancora, e di nuovo ancora.
Lo baciò di tutta fretta, con sciocchi baci secchi e febbrili, aggrappandosi alle sue spalle per evitare che s’allontanasse.
Continuò finchè Nathaniel non gli premette le mani sul petto, spingendolo via: entrambi col fiatone s’osservarono a vicenda, confusi, forse irritati e certamente spaventati.
Bartimeus mosse le labbra ma non ne uscì nessun suono: forse avrebbe dovuto spiegarsi, almeno scusarsi, ma non trovava il modo giusto, le parole da dire erano tante e la maggiorparte sicuramente sbagliate.
Buffo ritrovarsi senza parole quando di solito si sa sempre cosa dire.
Nathaniel lo fissava in silenzio, con gli occhi sgranati e le labbra schiuse, in evidente stato di shock.
“Ho fatto una cosa imbecille.”
Ah, ecco cosa doveva dire.
“Se vuoi puoi mollarmi un pugno perché sinceramente credo che sia la cos-“
Un pugno non avrebbe potuto zittirlo meglio.
Nathaniel s’era chinato verso di lui, baciandolo con slancio, quasi facendogli perdere l’equilibrio e di certo l’uso della parola.
Oh.
Non si fece ripetere l’invito, anche se ricambiò con una certa titubanza, spazzata via come cenere quando Nathaniel mosse le labbra a sua volta.
Non s’accorse di aver gli lasciato andare le spalle finchè non sentì le dita di Nathaniel sfiorare timidamente le proprie, finchè non le mosse a sua volta intrecciandole gentilmente, solo per un pezzettino, per non disturbare.
Si staccarono lentamente dopo un lungo e flemme bacio, rimanendo a distanza di naso, a respirarsi sul volto a vicenda con la labbra schiuse e le guance in fiamme.
Bartimeus deglutì, poggiando la fronte contro quella di Nathaniel.
“Ti ringrazio per non avermi preso a pugni.”
Nathaniel sbattè le palpebre un paio di volte, e all’unisono, scoppiarono a ridere, zittendosi a vicenda o cercando di smorzare le risate per non svegliare gli altri.
Nathaniel affondò il viso nella spalla di Bartimeus, ridendo fino alle lacrime, sentendo il petto finalmente più leggero, e il cuore libero e scalpitante.
Bartimeus sentiva le orecchie fredde premere contro le sue guance accaldate, e mosse piano il volto, sfiorando col naso il collo pulsante di Nathaniel.
Anche lui si sentiva meglio, decisamente meglio.
Rimasero a ridacchiare come due ragazzine ancora per un po’, aspettando che le lacrime s’asciugassero del tutto e che la brezza di montagna rinfrescasse i loro visi congestionati.
“E’ incredibile come riesci a cavartela in ogni situazione.” Mormorò Nathaniel, osservandolo con una mano a sostenere il volto e uno sguardo divertito.
Bartimeus alzò le spalle: “Che dire? Sono un uomo di mondo.”
Nathaniel fece una breve risata, poi prese un gran respiro e tornò a guardare il giardino e le montagne con un piccolo sorriso impigliato sulle labbra.
Bartimeus invece iniziò a spiarlo, ad osservare il volto ormai disteso, finalmente tranquillo.
Sorrise a sua volta, dandogli una debole spallata.
“Credo sia meglio rientrare, non mi sento più i piedi.” Borbottò muovendo le dita infreddolite.
S’alzarono entrambi, e Bartimeus si chiese se il rumore del battito del suo cuore avrebbe rimbombato per tutta la casa.
Attraversarono l’abitazione immersa nel buio fino a tornare in camera, fermandosi quasi al centro della stanza; Nathaniel gli lanciò un breve sguardo e un sorriso sincero, prima di coricarsi e nascondersi sotto le coperte.
Aspettò che anche Bartimeus tornasse nel suo letto, e con un ultimo sorriso affettuoso, sillabò “buonanotte”, girandosi verso il muro, dandogli le spalle.
Bartimeus rimase sveglio ad osservare la schiena muoversi lentamente finchè non cambiò ritmo, e i respiri di Nathaniel si fecero più profondi.
Che cosa curiosa.
Sentì gli angoli della bocca tirarsi in un sorriso e il cuore battere così forte che pareva stesse per scoppiare come un palloncino gonfiato troppo.
Osservò le ombre nella stanza e ascoltò i vari rumori del mondo finchè il sonno non lo vinse, lasciando il buio a prendersi cura del suo cuore felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Oooooohh eeeeh, bho.
 
Voglio solo abbracciare Nathaniel e dirgli che andrà tutto bene.
 
Prrrrr-
 
 
CHE LA PRIMA VOLTA CHE HO PENSATO A STA FIC LE SCENE ERAN DIVERSE MA ME LE SONO DIMENTICARE E ORA MI SEMBRANO CHE FACCIAN CAGARE DANNAZIONE-
 
GGGGGGGGGGGGNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNHHHH-
 
 
 
 
No, comunque, cose serie ora: siccome mi ritrovo continuamente a finire/scrivere le one shot il lunedì o martedì stesso, e mi sento in colpa a spezzare il mio solito ritmo, ho pensato di mettere in pausa Little Talks e di mettermi a scrivere altro.
Non perché non abbia le idee, mi sono presa mille appunti e vorrei che fossero già tutte pronte, il problema è che non ho l’ispirazione, e scrivere di tutta fretta solo per poter pubblicare in tempo mi schifa alla grande, perché mi sembra tutto tirato al massimo e scritto male.
Avevo “Curare” in ballo da un paio di settimane e l’ho conclusa poco fa, non mi piace così, mi sembra troppo superficiale come metodo.
Quindi, prendo una piccola pausa, ne scrivo altre o mi scrivo altro e poi ricomincio a pubblicare quando sono un po’ più tranquilla e libera.
Dopotutto le vacanze natalizie sono alle porte, e quindi non ci vorrà molto prima che ricominci.
 
 
Poi io sono pigra e non sentire parlare di me mai più-
 
 
Vabbè-
 
Visto che questa è l’ultima volta che ci sentiamo, auguro a tutti i miei lettori un buona natale e un felice anno nuovo.
Forse ci sentiremo anche prima, ma lasciatemi comunque augurarvi buone feste e che ogni cosa vada per il verso giusto!
 
 
 
 
 
Probabilmente ho dimenticato di dire qualcosa ma vabbè-
 

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Capitolo 15
*** 74. Disastro ***


★Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Halloween Party – La Grande Zucca” a cura di Fanwriter.it! 
★Numero Parole: 1713
★Prompt/Traccia: “Londra, epoca vittoriana. La nebbia è fitta, le figure non si distinguono. Le strade sembrano piene di bisbigli inconsistenti, ogni tanto qualcosa si muove e si nasconde. A ha i brividi e spera che B arrivi presto.”
 
 
 
 
Disastro
 
Bartimeus si strinse la sciarpa al collo, accoccolandosi nella giacca troppo grande per lui.
Nathaniel gli aveva chiesto di aspettarlo lì con una vocina flebile flebile, quasi sull’orlo dello spezzarsi, nascosto dal cespuglio di astri dai boccioli chiusi.
Anche dopo un anno, non era riuscito a dirgli di no.
Era abituato a fare quello che voleva, ed ottenere più o meno tutto ciò che desiderava, ma Nathaniel rimaneva sempre una sorpresa, un’incognita.
Forse perché dopo tutto quel tempo, udire la sua voce fu come tornare a casa.
Faceva freddo e Londra non era una città dolce ed accogliente: il gelo della notte uccideva e il tanfo stordiva gli sventurati, lasciandoli barcollanti per le strade buie.
Londra faceva proprio schifo.
Con un sospiro che si mescolò con la fitta nebbia, Bartimeus calciò un sassolino in mezzo alla strada, in attesa.
Per la prima volta si sarebbero visti fuori dal giardino di Nathaniel.
Sarebbero stati alla mercè della città, delle vie, degli occhi indiscreti nascosti ovunque.
Bartimeus si sentì la testa girare, come se dopo anni potesse nuovamente affondare i denti nei biscotti che sua nonna gli preparava, tanto dolci da attirare vespe e insetti e convincere dei bambini a lottare tra di loro pur di averne uno.
Il ricordo gli scaldò il petto, ma fu la vista di una carrozza scura tagliare in mezzo alla foschia a fargli balzare il cuore in gola.
Il carro si fermò di fronte a lui e il cocchiere non lo degnò di uno sguardo, stringendosi nel mantello.
Timidamente la porticina si aprì con uno scricchiolio, e la testa di Nathaniel fece la sua comparsa dietro il legno scuro.
A Bartimeus mancò il fiato, ma non avrebbe mai ammesso quanto gli fosse mancato, di come fosse ancora in grado di farlo sentire leggero.
Nathaniel rimase imbambolato per qualche secondo, poi sbattè le palpebre e scese, rimanendo a pochi passi dall’altro ragazzo.
Non era cambiato di una virgola, gli stessi capelli neri e mossi, gli stessi occhi freddi e attenti, e lo stesso viso affilato che un anno prima lo aveva intrigato.
Il cocchiere si schiarì la gola e Nathaniel trasalì, avvicinandosi per pagarlo e dargli ulteriori informazioni.
Quando la carrozza voltò l’angolo, si voltò verso Bartimeus, rimasto in silenzio ad osservarlo.
“… Ciao.”
L’egiziano sbattè le palpebre e storse il naso:” Ciao?” Sputò:” Tutto qui? Ciao? Non ti fai vivo per un anno intero e mi dici ciao?”
Nathaniel sussultò e fece un passo indietro, la colpa disegnata sul suo volto come delle macchie di fuliggine.
Si guardò attorno, ma riuscì solo a chinare il capo, mortificato.
“Io… Non so che dire, io…”
“Chiedi scusa per prima cosa.”
Alzò la testa e deglutì, con la stessa faccia di chi aveva inghiottito una lumaca.
“… Scusa.”
Bartimeus sbuffò:” Lascia stare, se questo è tutto quello che sai fare all-“ si voltò per andarsene: non che volesse veramente farlo, ma non sapeva che fare, e rimane a fissarsi come dei cretini ascoltando scuse fasulle mentre gli gelavano le chiappe non era di certo  nei suoi programmi.
Nathaniel scattò in avanti e Bartimeus trasalì quando lo afferrò per un braccio, non aspettandosi di averlo addosso in modo così fulmineo.
“Ma-“
“Mi dispiace.” Sbottò Nathaniel guardandolo negli occhi.
Erano grigio fumo ora, quasi neri, cerchiati da delle leggere occhiaie e oscurati dai ciuffi più lunghi.
Bartimeus tentò di liberarsi dalla presa ma la mano dell’altro rimase salda.
Non si ricordava fosse così forte.
“Mi dispiace.” Ripetè con un sussurro il moro, facendosi più vicino:” P-puoi… Potrai mai perdonarmi?”
L’egiziano lo guardò negli occhi, cercando di leggerli come faceva tempo prima, cercando di capire cosa gli passasse veramente per la testa.
Ma non riuscì a leggervi nulla se non una profonda tristezza.
Sbattè le palpebre, e sospirò.
 
 
 
Camminavano vicini per schermarsi dal freddo, tenendosi nelle zone d’ombra e lontani da occhi indiscreti.
Londra era affogata nella nebbia e piccoli rumori e scricchiolii li seguivano incessanti, come tanti ratti affamati.
All’inizio fu strano, e imbarazzante, nessuno dei due riusciva a pronunciar parola e si ritrovarono a girovagare in silenzio e senza una meta precisa.
Nathaniel fu il primo a spezzare il silenzio, schiarendosi la gola e sbirciando Bartimeus con la coda dell’occhio.
“Dopo che… Che non ti ho più risposto, cosa hai fatto?” Domandò in un sussurro, accoccolandosi nella giacca.
Bartimeus prese il suo tempo prima di rispondere, aggrottando appena le sopraciglia.
“Sono andato in Turchia. Dei miei amici avevano bisogno di aiuto con qualche affare e sono partito per aiutarli.”
“Oh… Non erano affari illegali, vero?”
L’egiziano grugnì una risata:” Credevo ti piacessero i ragazzi cattivi.”
Nathaniel sbattè le palpebre e distolse lo sguardo, affondando il mento nella giacca.
“Non dire stupidate.” Borbottò stringendosi nelle spalle.
Bartimeus ridacchiò.
“E tu invece? Che hai fatto per un anno intero?”
L’inglese sembrò bloccarsi: un piccolo sospiro di sorpresa rimase impigliato tra le sue labbra, e con lo sguardo fisso di una statua rimase in silenzio, immobile tra le ombre delle case.
Bartimeus si voltò verso di lui, più avanti di pochi passi.
“Nathaniel?”
Il ragazzo sembrò uscire dalla sua stasi, con un’espressione indecifrabile sul volto:” Nulla. Ho studiato, come al solito.”
L’altro annuì lentamente, e l’osservò mentre s’avvicinava con la mascella rigida e gli occhi offuscati di chi è perso nel propri pensieri.
“Nathaniel.”
“Uhm?”
“… Perché non mi hai più risposto?” Mormorò.
Il ragazzo trasalì, fermandosi una seconda volta.
Si voltò lentamente verso Bartimeus, osservando le nuvole di fumo fuoriuscire dalla sua bocca schiusa come il soffio di un drago (il Drago ti verrà a prendere), facendo scorrere lo sguardo sul suo naso storto fino ai suoi occhi neri, luminosi come stelle anche in mezzo alla nebbia (la nebbia ha occhi e orecchie, mio sciocco fratello).
Nathaniel cacciò giù nel profondo la verità, schiacciandola in un angolino della sua anima per tenerla al sicuro, chiusa e invisibile a chiunque non la condividesse.
Non poteva dirglielo, non poteva mostrarglielo, non poteva fargli una cosa del genere.
Un mugolio afflitto scappò dalle sue labbra, e la curiosità di Bartimeus venne sostituita da una leggere preoccupazione.
“Nathaniel?”
Il ragazzo scosse la testa, fissando a terra: sentiva la bilancia scricchiolare e cigolare impazzita, le schegge scure affondargli tra le mani, nel viso, ricoprendo qualsiasi cosa di sangue viscoso ma freddo come melma.
Non poteva dirglielo, non poteva fargli questo –mordi- non poteva impazzire la bestia avrebbe preso ciò che voleva e –mordi- avrebbe lasciato solamente mo-
Mordi, mordi, mordi!
“Nathaniel!”
Alzò di scatto la testa, ricordandosi di respirare: Bartimeus gli stava stringendo la mano, l’altra poggiata sull’altro braccio.
“Nathaniel…?” Ripetè.
Il ragazzo deglutì a vuoto, trovando la calma negli occhi di Bartimeus, nelle pagliuzze d’oro che amava così tanto.
“Tutto a posto?”
Nathaniel annuì, leccandosi le labbra.
“Scusami. Ogni tanto… Ogni tanto mi succede, scusami.” Mormorò con voce flebile, chinando il capo.
Bartimeus aprì la bocca per rispondere, ma il suono di passi per la via lo interruppe.
Un signore avvolto in un pesante cappotto fece la sua comparsa all’inizio della strada, e con passo svelto li superò, senza degnare i due di uno sguardo.
Rimasero mano nella mano ancora per pochi attimi, e quando Bartimeus si rimise in tasca i pugni, si rese conto di quanto fredde fossero le mani di Nathaniel.
“Vuoi continuare a passeggiare?” Domandò piano, sfregando le punte delle dita tra di loro, sentendo l’enorme vuoto che le mani dell’altro avevano lasciato.
Nathaniel scrollò le spalle ed estrasse il suo cipollotto, guardando l’ora.
“Abbiamo ancora poco prima che passi la tua carrozza. Andiamo.”
Bartimeus lo guardò sorpreso ma non chiese nulla, affiancandolo quando riprese a camminare.
Non parlarono più, ma il silenzio non era fastidioso come prima, e la nebbia sembrava meno fitta.
 
 
 
Camminarono ancora per un po’, tornando sulla strada principale, dove un paio di ubriachi erano riusciti a trascinarsi.
Si fermarono ad un angolo male illuminato, il lampione sopra le loro teste difettoso.
Si tennero più vicini di quello che fosse necessario, o socialmente accettabile, continuando a sfregare tra di loro i gomiti e le braccia, entrambi alla ricerca di calore.
Quando la carrozza fece la sua comparsa in fondo alla via Bartimeus fece un passo indietro, con un unico pensiero nella testa.
“Sei sicuro di voler rimanere da solo?” Chiese invece, cercando gli occhi di Nathaniel.
L’altro annuì senza rispondere, spostando il peso da un piede all’altro nervosamente.
La carrozza si fermò e Nathaniel gli aprì lo sportello, ma Bartimeus non si mosse, aggrottando le sopracciglia.
“Nathaniel, vieni anche tu, non vorrai mica tornare a casa a piedi.”
Il moro sbuffò e Bartimeus dovette reprimere un sorriso, ricordandosi di quanto infantile diventasse l’altro quando irritato.
“Non torno a casa a piedi, c’è una carrozza che mi aspetta tra cinque minuti, Sali e torna a casa, per favore.”
Il tono era affrettato, urgente, e l’egiziano sbattè le palpebre sorpreso, quasi spaventato dal comportamento dell’altro.
Salì, ma non permise a Nathaniel di chiudere lo sportello, premendocisi contro e chinandosi verso di lui.
“Nat.”
Quando l’altro alzò lo sguardo e lo guardò negli occhi, qualcosa nel profondo di Bartimeus si spezzò, rendendosi conto di quanto gli era mancato poterlo chiamare in quel modo.
Voleva tornare indietro, quando non c’erano problemi e poteva accoccolarsi contro Nathaniel quando faceva freddo, discutendo di qualsiasi cosa gli passasse per la testa, trascorrendo la notte ad osservare la luna e la sua luce, persi nel loro piccolo mondo tranquillo e silenzioso.
Poteva leggere negli occhi di Nathaniel quanto stesse soffrendo, quel semplice soprannome aveva portato con sé molto più che un semplice ricordo.
Deglutì, trovando la forza di scostarsi, di allontanarsi da quel viso affilato e tanto triste.
Si schiarì la gola e s’esibì in un piccolo sorriso strafottente, com’era abituato a fare.
“Buonanotte, vedi di non farti rapire o trascinare in qualche vicolo buio.”
Gli fece l’occhiolino e Nathaniel roteò gli occhi, scuotendo la testa.
“Buonanotte Bartimeus.”
Il ragazzo chiuse lo sportello e l’egiziano gli regalò un ultimo saluto, agitando appena la mano.
La carrozza partì con uno schiocco secco, ma nonostante i divani fossero comodi e l’abitacolo caldo, Bartimeus non riuscì a rilassarsi, e sbirciando la figura di Nathaniel non potè far a meno di pensare d’averlo abbandonato nella sua ultima ora, il terrore di averlo visto per l’ultima volta un amaro, pesante groppo in gola mentre la nebbia e il buio inghiottivano il ragazzo fermo all’angolo.
 
 
 
 
 
 
 
 
ARH ARH ARH
 
 
SONO TORNATA?
 
Forse.
Per questo capitolo sì.

Devo ringraziare Sidra per aver creato il contest di scrittura di halloween altrimenti non avrei scritto su sti due ancora per molto.
Il contest lo trovate qui, è già iniziato ma avete tempo, scade il 31 ottobre, svelti svelti!!
 
 
 

E gli astri sono questi fiori bellissimissimi <3
 
 
 
 
 
 
Giuro che riprendo a scrivere.
 
 
 
Promesso-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Echissàcos’èNathanielahahahahanonloscopriretemai(???)

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