Oro e Argento

di bacioalcatrame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angelo o demone? ***
Capitolo 2: *** Incubo. ***
Capitolo 3: *** Il mio diavolo ***
Capitolo 4: *** Pena ***
Capitolo 5: *** Vicino al cuore rovente della Terra. ***
Capitolo 6: *** Daemon Seraphideas ***



Capitolo 1
*** Angelo o demone? ***


Persino quando si è nelle grazie divine, non si è al sicuro. Questo Gabriel lo sa bene, l'ha sperimentato sulle sue ali quando gliel'hanno strappate. Mentre il sangue ancora caldo gli colava lentamente dalle scapole, i suoi stessi compagni l'avevano buttato fuori dalle Porte dei Cieli, lasciandolo precipitare inerme verso il basso.

Prima della Caduta egli apparteneva alla famiglia degli angeli custodi: l'anima che gli era stata assegnata era una giovane, Isabella, di cui silenziosamente doveva prendersi cura, dirigendo la sua strada verso il Bene e proteggendola dal Male.

Un angelo ama incondizionatamente l'Altissimo e non vede altri che lui. Tuttavia l'oggetto dell'amore di Gabriel aveva assunto le forme del viso gentile di Isabella, della quale si era perdutamente innamorato, firmando la sua condanna.

Ora Gabriel è un angelo caduto, che il Paradiso rifiuta e l'Inferno beffeggia, poiché la sua coscienza è ancora senza macchia. Per accedere agli Inferi un amore platonico non basta, occorre farsi pervadere dal peccato e quindi lasciare che avvenga ciò che gli angeli custodi insegnano ad evitare.

L'angelo caduto non ha scelta, non può vivere fra gli umani ma neanche tornare in Paradiso, gli serve un biglietto sola andata per l'Inferno e per averlo deve incontrare l'unico che può fornirglielo: Lucifero. Non può recarsi direttamente da lui poiché nei Cieli è proibito conoscere la collocazione della Casa del Diavolo, ma sa dell'esistenza della Festa della Luna. Molti uomini infatti, nonostante i custodi, proseguono sulla via sbagliata attiranti dal fascino dell'oscuro. Questi, riuniti in “sette” il cui nome non è lecito pronunciare, dedicano particolari notti all'invocazione del Maligno. È qui che Gabriel si reca, sperando di poter essere ascoltato e di avere una possibilità.

Al chiaro di luna lo cercano desiderosi e inconsapevoli del fatto che Lucifero è già tra loro. L'angelo infatti ne percepisce la presenza, si guarda intorno e infine lo scorge: è un uomo di bell'aspetto, indossa giacca e cravatta, resta in disparte rispetto agli altri. Un solo particolare lo rende riconoscibile: ai piedi non porta scarpe, ma zoccoli. La leggenda è vera, gli zoccoli da caprone sono l'unica parte del corpo che Belzebù non può camuffare.

Prima che Gabriel possa cominciare, è il suo interlocutore a prender parola.

“Gli angeli custodi qui non sono ben accetti. Se l'anima di cui ti occupi è tra queste, è già persa.” La sua voce è roca, impastata di fumo. Un fievole tanfo di alcol giunge alle narici dell'angelo.

“Sono io ad esserlo.”

“Interessante.” Risponde sorridendo, ma il suo sorriso assume le fattezze di un ghigno. Poi continua:”Che vuoi da me?”

“Voglio diventare un demone.” Mentre parla, la voce di Gabriel trema. Lucifero esplode in una fragorosa risata, senza curarsi degli sguardi altrui incuriositi dal rumore.

“Tu? Nel mio Impero non si entra con una coscienza pulita come la tua- ride ancora -Non se ne parla.” conclude ricomponendosi.

“Mi sono innamorato di un'umana! Non sono più degno dei Cieli.”Le parole dell'angelo riecheggiano come una preghiera.

“Non basta.” Il Diavolo gli si avvicina minaccioso, puntandogli addosso gli occhi scuri, per un attimo brillano di un rosso scarlatto.

“Uccidila, portami la sua anima e avrai ciò che vuoi. Hai un giorno.”

Gabriel non può lasciarsi scappare quest'occasione, la mattina seguente va a cercarla. Le emozioni lo travolgono per poi dilaniarlo dall'interno: ha tradito Dio per lei, e ora le riserva lo stesso comportamento? Lui la ama, di un'amore che lo accende ma allo stesso tempo lo rende debole. Un'oscurità sconosciuta gli attanaglia il cuore e così lascia che sia quest'ultima a decidere, perché lui non possiede più coraggio.

Sa bene dove trovare Isabella, la conosce alla perfezione poichè l'ha custodita per una vita intera. La spia dalla finestra, mentre dormendo il petto illuminato dall'alba si alza e abbassa piano, come a seguire una melodia. Aspetta che la ragazza esca, la segue con lo sguardo mentre avanza con l'inconfondibile passo un po' storto e lo sguardo distratto. Poi la ferma con una scusa allontanandola dalla strada verso un angolo appartato. Lei ingenua e attirata dal suo fascino soprannaturale, glielo lascia fare.

Gabriel pensa che Isabella sia splendida e non vuole sporcarla di sofferenza, perciò agisce rapidamente, stringendole la dita intorno al collo fino a farle esalare l'ultimo respiro. I suoi occhi dolci ora lo fissano vitrei, il cadavere del suo unico amore gli si affloscia tra le braccia.

In un attimo il bianco diventa nero, il Bene diventa Male, l'angelo diventa demone.

All'improvviso Lucifero prende forma dinanzi all'angelo caduto, si mostra divertito e compiaciuto mentre fissa il corpo senza vita della ragazza. Non aveva immaginato che il giovane ne sarebbe stato capace.

“Ben fatto.” Un commento al quale Gabriel non risponde, non va fiero di ciò che è diventato, la sua anima morirà tra le fiamme dell'Inferno.

Una porta compare alle spalle del Maligno, su di essa è incisa una frase “Lasciate ogne speranza, voi ch' intrate.”

L'uomo invita Gabriel ad aprirla, indicandogli la direzione mentre tende teatralmente un braccio. L'angelo ha qualche tentennamento, poi varca l'ingresso della sua nuova casa.

Ha ceduto al male vendendo il suo cuore.

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Capitolo 2
*** Incubo. ***



Il ragazzo le stringe le dita intorno alla gola, con una forza quasi sovrumana. Isabella non riesce ad opporsi: ancora non concepisce il fatto che lui le stia facendo qualcosa di male, ma soprattutto non ne avrebbe la forza. Si sente inerme nelle sue mani, il suo angelo è il suo aguzzino. “Mi dispiace.” Non sembra scusarsi sinceramente. Il suo volto tradisce un po' di rimorso, ma è l'indifferenza a prevalere sul suo viso angelico.
La sta uccidendo per scelta, consapevolmente.
Ha tradito la sua fiducia.

“Gabriel...” sussurra Isabella.
“Gabriel...”

Le dita stringono con più vigore, la vita le sfugge di mano mentre esala l'ultimo respiro.

Poi, lei si sveglia.

Isabella sente una mano scuoterla piano, apre gli occhi, incapace di distinguere il sogno dalla realtà. Riesce lentamente a mettere a fuoco i contorni della stanza, i poster appesi al muro, i vestiti in disordine sul pavimento. Improvvisamente sente un peso sul petto, come se qualcuno si fosse seduto sopra ti lei. Non ha più fiato, l'ossigeno non arriva ai polmoni e li sente seccarsi, ha quasi paura che si sgretolino. Un attacco d'asma. Annaspa, cerca di catturare l'aria con la bocca. Qualcuno le avvicina l'inalatore alla labbra e lei ci si scaraventa sopra a aspira con forza.
“Tesoro, tutto bene? Vuoi che resti, nel caso ti venisse un altro attacco..” Sua madre è seduta al suo fianco, la guarda preoccupata come ogni notte da qualche tempo. Allunga la mano verso la nuca della ragazza, le accarezza dolcemente i capelli. La donna è sciupata, stanca di non poter far nulla per alleviare il dolore della figlia.
“Mamma sto bene, è stato colpa di un incubo.” Uno dei tanti che ultimamente si susseguono nella mente di Isabella. Si è sempre sentita diversa dagli altri, incompresa. Chiusa al mondo, chiusa nel suo mondo. Eppure prima di allora non aveva mai sentito addosso quella sensazione di abbandono che ora non le lasciava il cuore.
Fin da bambina le capita di sognare la stessa figura: un ragazzo di una bellezza abbagliante, capelli di un biondo lucente, lunghi al punto da coprire leggermente i suoi occhi. Un tempo avevano il colore dell'argento, in tutta la sua vita non le era mai capitato di incontrare qualcuno che li avesse di un colore così inusuale. Ciò che viveva durante i suoi sogni cambiava ogni notte, eppure ognuno possedeva una nota comune agli altri: il ragazzo la proteggeva. Solo una volta le aveva confessato il suo nome: Gabriel. Non è mai stata religiosa, convinta che aggrapparsi ad un Dio ogni qualvolta la vita si complica sia da perdenti, ma le piaceva pensare che quella figura che ogni notte colorava il suo sonno fosse un angelo custode.
Poi d'un tratto è cambiato tutto.
I sogni sono diventati incubi.
L' angelo è diventato demone.
Sempre più spesso le capita di avere il sonno disturbato. Spesso urla, soprattutto quando l'incubo include la sua morte per mano di colui che considerava il suo protettore. Non la guarda più dolcemente, ma con occhi spenti il cui argento ha assunto le tonalità del grigio, sembrava avere nubi negli occhi.
Non aveva parlato a nessuno dei suoi sogni, tanto meno dei suoi incubi ed i genitori continuavano a ripeterle di frequentare uno psicologo, convinti che i suoi problemi fossero dovuto alla sua vita sociale o a qualche suo disturbo mentale. Isabella si era rifiutata. Lei non era pazza, era stata abbandonata da Gabriel.
Si infila nella doccia, lascia che l'acqua fredda le scenda sulla pelle, si concentra sui brividi da essa causati sperando di cancellare la sensazione di sconforto. Si lava piano, il profumo del sapone le riempe le narici. È troppo forte, di nuovo le manca l'aria e si butta fuori in cerca dell'inalatore. l'inalatore. Respira ossigeno ma per un attimo le sempre di respirare un po' di vita, quella che ha paura di poter perdere da un momento all'altro.
Non sente più lo sguardo di Gabriel su di se, ora è sola. Prende dall'armadio le prime cose che le capitano tra le mani, qualsiasi cosa metta sarà comunque giudicata e non si trucca, non piacerebbe comunque a nessuno. Si tira il cappuccio sulla testa, cercando di nascondersi persino da se stessa. Esce senza salutare, il suo passo è storto mentre osserva distratta il cielo: anche oggi il sole non sembra aver intenzione di farsi vedere. Per un attimo sorride, ricordando che da bambina pensava che il cielo diventasse nuvoloso quando Gabriel era triste. In autobus si siede in disparte, durante la mattina, ad ogni lezione si fissa su un angolo della lavagna ed il mondo intorno a lei si spegne. Non si accorge neanche delle palline di carta che qualcuno le sta lanciando, ma in qualsiasi caso non si girerebbe per difendersi, non ne avrebbe le forze o l'interesse. Suona la campanella dell'intervallo e Isabella torna alla realtà, per quanto le sia possibile. Corre verso il suo armadietto, prima che in classe qualcuno la possa fermare, lo apre per prendere il pranzo.
“Buon appetito, ti voglio bene.” La madre l'ha scritto su un post-it verde attaccato al coperchio. Il verde era il suo colore preferito. È troppo occupata a sentirsi in colpa per il dolore che sta passando la madre a causa sua, che non si accorge della ragazza dietro di lei. Le tira i capelli all'indietro, per poi farle sbattere la testa sul metallo freddo, gliela tiene lì per qualche minuto, così che il resto dei ragazzi nel corridoio se ne possa accorgere.
“Ops scusa Isabrutta, volevo solo aiutarti a chiudere l'armadietto.” Miriam le lascia la testa mentre ride. Probabilmente è la persona più cattiva ed allo stesso tempo più forte che Isabella conosca. E l'ha presa di mira, ogni giorno si diverte ad umiliarla in qualche modo. È vittima di bullismo a scuola, forse anche di cybergbullismo, ma non ha il coraggio di aprire un qualsiasi social networ per accertarsene. Non ha mai capito perchè se la prendessero proprio con lei, che non aveva ma spiccicato parola con nessuno.
Quando torna a casa, Isabella si osserva allo specchio: i capelli sono sfatti, ha un livido sul lato sinistro della fronte e neanche si illude di sentire la mano di Gabriel che le porta via il dolore. Si rintana in camera sua, sperando che il giorno dopo il sole non sorga, che si addormenti per non risvegliarsi.
L'indomani invece arriva, quando si sveglia la ragazza sa che sarà peggio di ieri. Fa le stesse cose: sil lava, si veste. Ma le sembra di non vivere. Non sa che è l'ultima volta per ogni cosa.

Mentre cammina verso scuola, qualcuno inaspettatamente le rivolge parola.
“Hei, scusa... sapresti dirmi il nome di questa via?” è un ragazzo biondo, alto. Poco più grande di lei. Appena i loro sguardi s'incontrano, Isabella sente i suoi muscoli bloccarsi, per un attimo il suo cuore si ferma. È Gabriel, ne è certa. Sente il bisogno del suo inalatore, eppure il suo respiro è regolare, come se la sua presenza le regalasse l'ossigeno di cui ha bisogno.

“Sai è che devo arrivare nel centro città il più in fretta possibile, il gps mi consiglia di passare di lì.” Indica un vicolo dall'altra parte della strada, Isabella è troppo sconcertata per potere rispondere.Il ragazzo la guarda perplesso.
"Tutto bene?" Le chiede, dispiaciuto.
“Scusa, mi sembra di conoscerti.” Gli dice quasi in un sussurro. Qualcosa in queste parole sempra non piacere al ragazzo che si affretta a tagliare corto:
“Impossibile, non sono di qui.”
Isabella improvvisamente entra in trance, rapita dal suono della sua voce. Quasi non si accorge di muovere i piedi in direzione del vicolo.
“Se vedi la strada, mi saprai dire se porta in città.” Le dice più volte. Se fosse consapevole di quello che sta facendo, probabilmente non si sarebbe mai fatta portare in un vicolo buio da uno sconosciuto, per quanto carino potesse essere, è la scusa peggiore del mondo per allontanare una ragazza da un luogo pubblico. Ma c'è qualcosa che l'attrae in quella persona, un'attrazione che non può controllare, la sua mente continua ad associare quel ragazzo al suo angelo. Quando lui si volta però, i suoi occhi non sono più gentili, la guardano senza vederla, con freddezza. Sono grigi, esattamente come il cielo nuvoloso degli ultimi giorni.
L'attrazione che la giovane provava nei suoi confronti sparisce, trasformandosi in terrore e consapevolezza. La paura le corrode le vene, sta per succedere. É proprio lui, davanti a lei c'è Gabriel, ma non ha intenzione di proteggerla. Improvvisamente capisce che quegli incubi non erano frutto della sua fantasia, della sua mente distorta, semplicemente la preparavano a quello che di lì a poco sarebbe avvenuto.

Il ragazzo le stringe le dita intorno alla gola, con una forza quasi sovrumana. Isabella non riesce ad opporsi: ancora non concepisce il fatto che lui le stia facendo qualcosa di male, ma soprattutto non ne avrebbe la forza. Si sente inerme nelle sue mani.
“Mi dispiace.” ma non sembra scusarsi sinceramente. Il suo sguardo tradisce un po' di rimorso, ma l'indifferenza copre il suo viso angelico. La sta uccidendo per scelta, consapevolmente.
Ha tradito la sua fiducia.
“Gabriel...” sussurra Isabella.
“Gabriel...”

Le dita stringono con più vigore, la vita le sfugge di mano mentre esala l'ultimo respiro.

Poi, lei non si sveglia.

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Capitolo 3
*** Il mio diavolo ***



L'arpia giocherella con un artiglio sulla sua pelle, tracciando disegni di sangue. Lo osserva mentre il respiro caldo gli riempie i polmoni esplodendo in scintille una volta espirato. L'aria tutt'intorno ha il sapore del fumo, come ogni parte del suo corpo: una volta assaggiato se ne diventa dipendenti.
Sarebbero state le fiamme dell'Inferno, il fumo, le ceneri ed il peccato a mantenerlo bello e dannato per tutta l'eternità.
Quando ha scelto di stringere alleanza con Lucifero, di fondere il popolo delle arpie a quello dei demoni, non si aspettava che si sarebbe perdutamente innamorata del loro re: era solo l'occasione di possedere di nuovo un luogo d'appartenenza, come non capitava dall'età degli Dei greci.
Ora però, giace lì, nuda al suo fianco, contemplando i suoi muscoli definiti, la barba curata, i capelli morbidi e neri come la pece, mentre le sofferenze che lei e le sue sorelle avevano dovuto affrontare, appaiono lontane, sfocate nei suoi ricordi.

Per lui è andata all'Inferno, letteralmente.

Sorride all'idea che persino una come lei abbia ceduto all'amore, da esso si sia fatta completamente stravolgere. Avrebbe dato qualsiasi cosa, persino la sua stessa vita, per il suo diavolo. Se lo sarebbe pure sposato, se fosse stato possibile, ma Dio non avrebbe certo dato loro la sua benedizione.
“So di essere un bello spettacolo.” Persa nei suoi pensieri non si è accorta degli occhi rossi puntati su di lei. Si sporge un poco per stampargli un bacio sulle labbra: lui in tutta risposta l'attira a se aggrappandosi ai suoi fianchi, come ci si aggrappa all'unica ragione di vita che ti resta. La bacia piano da dietro l'orecchio fino all'incavo della spalla, accarezzandole nel contempo l'interno coscia.
“Facciamo l'amore?” Glielo sussurra piano, come fanno i bambini quando ti confessano un segreto.
“È peccato!” Ironizza.
“Uno più, uno meno... Sai che perderei l'anima per te, se solo me ne fosse rimasta una.” E bacia ancora, con più foga, ovunque. Le bacia il ginocchio, il solco fra i seni, il naso. I loro corpi lentamente si uniscono, come i frammenti di qualcosa di rotto a cui è data la possibilità di incastrarsi ancora alla perfezione.
Così lei si ritrova sopra di lui con il respiro affannoso, gli conficca gli artigli nella carne. Il demone risale con le dita il profilo delle cosce dell'arpia e preme le mani sul suo fondoschiena spingendola contro il suo corpo rovente, con il desiderio di fondersi a lei perché possa non lasciarlo più, così da poter finalmente trovare pace.
“Ti amo, Zyrhel.” Le dice in un soffio di cenere, affondando le labbra nel suo collo candido.
Poggia la testa sul suo petto, abbracciandolo: “E tu sei la mia casa, Lucifero.” L'unico luogo al quale l'arpia appartiene.
Poi comincia ad osservarlo di sottecchi, con gli occhi di un dorato simile al miele.
“So cosa significa quello sguardo”- il demone sbuffa- “mi hai corrotto con un po' di sesso per ottenere qualcosa?”
“Ho imparato dal migliore.” Gli risponde, la voce acuta di un rapace.
“Touchè.” Lui ride.
“Che ti serve, mia regina?”
“Reclute.”
“Ultimamente ho comprato poche anime, non posso Zy.” Per diventare arpia un'anima deve essere appartenuta ad una donna e soprattutto, non può essere morta dannata. In altre parole occorre un'anima comprata tramite patto con il diavolo o un'anima pentita solo sul punto di morte, quindi un'anima del Purgatorio.
Lo interrompe. “Le stanno uccidendo, L. Quegli angioletti del cazzo, Dio ce li ha schierati contro! Siamo sempre più deboli...”
“Istigate gli umani all'adulterio, il che non è esattamente un Passepartout per il Paradiso. Mio padre doveva reagire, in qualche modo.”
“Ti prego, solo una. L'addestrerò personalmente! Mi vendicherò, macchierò di sangue le loro ali candide.”
“Se proprio lo desideri”-sospira, pensando che non sarà mai capace di non accontentarla- “esiste un'alternativa: rapire un'anima dal Purgatorio. Ma non è così facile come semb...”
“Per favore, per chi mi hai preso? Tentazione è il mio secondo nome. Gliela porterò via sotto il naso! Chi sarà la fortunata?” Chiede divertita.
“Ho già una mezza idea.” Lucifero soghigna compiaciuto. “Creiamo un po' di scompiglio nell'oltretomba.”

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Capitolo 4
*** Pena ***



Isabella osserva i tre scalini che conducono alla porta del Purgatorio, ognuno di un colore diverso: il primo è di marmo talmente candido che in esso è possibile specchiarsi.
“Simboleggia la consapevolezza delle colpe commesse.” La informa l'anima che l'affianca, alla quale non ha chiesto nulla ma che si ostina a renderla partecipe di tutte le sue conoscenze religiose. Dal canto suo, la ragazza non parla da quando quello che considerava il suo protettore l'ha brutalmente uccisa, non riesce a ricordare quanto tempo sia passato ma il suo ultimo pensiero è stato quello di pentirsi, ed è per questo che ora attende di varcare quella porta. Non sa cosa l'aspetta.
“Il secondo è di colore scuro ed è fatto di una pietra ruvida, spaccata nella lunghezza e nella larghezza, simboleggia la confessione orale.” Isabella sorride, non si confessa da quando aveva 12 anni, non si fidava di nessuno tanto meno di un prete.
“Il terzo è di porfido, di colore rosso vivo come sangue che esce da una vena, simboleggia la soddisfazione attraverso le opere con l'ardore di carità.”
Li percorre con lo sguardo fisso verso il basso, come le è stato ordinato di fare. Una volta giunta sulla soglia della piccola scalinata però, cede alla curiosità e solleva leggermente lo sguardo: siede su un trono di diamanti l'angelo guardiano, indossa una veste di color cenere ed è armato di spada, i lunghi capelli biondi gli cadono fino alle spalle. La osserva severo, le sue iridi sono luce.
“Non guardarmi.” Le intima e lei obbedisce immediatamente.
“Anima pentita, il peccato che grava su di te è l'accidia! Se fossi stata grata e avessi amato con più ardore il dono della vita che Nostro Signore Dio ti ha dato, non dovresti scontare la pena della IV cornice: per 17 anni terrestri, tanti quanti ne hai vissuto, dovrai assopirti. Ma il tuo sonno non sarà tranquillo! Vivrai un incubo dopo l'altro ed ogni qual volta avrai la sensazione di esserne uscita, ti ritroverai in quello successivo.
Rimpiangerai di non aver goduto della tua vita, lasciandoti andare all'angoscia , al dolore ed all'inerzia, che ora ti perseguiteranno finché non avrai espiato la tua colpa. Così è scritto, così sarà.”
Spalanca la porta e spinge la ragazza al suo interno. Isabella non riesce a stare in equilibrio e poco prima di cadere e toccare il suolo roccioso, perde conoscenza.

Isabella apre lentamente gli occhi, si strofina la faccia per convincersi che è stato tutto un brutto incubo. Non è raro che i suoi sogni non siano per niente tranquilli, tuttavia si tratta comunque di invenzioni del suo subconscio: sicuramente non è morta, ancor più certo non è entrata in Purgatorio nel quale non ha mai creduto. Fissa per un attimo lo sguardo sul quadrante della sveglia sul suo comodino: 04:05. Tira un sospiro di sollievo, le resta ancora qualche ora di riposo prima di cominciare un'altra mattinata di scuola. Si rigira e tenta di prender sonno, quando sente un sibilo. Si volta di scatto verso la finestra: è leggermente aperta. Pensa sia stato il vento, qualche gatto in strada. Prima di chiudere gli occhi getta uno ancora uno sguardo sulla sveglia: 04:05. Non è ancora passato un minuto? Si alza piano, infila i pieni dentro le pantofole e si avvia verso il bagno.
Cerca di non far rumore, il suo passo è leggero mentre si muove nel buio della casa. Giunta alla porta del bagno, tasta il muro cercando l'interruttore: poco prima che la luce illumini la stanza sente un fruscio alla sue spalle, si gira di scatto. Davanti a lei il corridoio è vuoto. Sta diventando pazza?
Si sciacqua il viso con l'acqua fredda nella speranza di poter cancellare le brutte sensazioni che non riesce a levarsi di dosso, una volta a letto non prova neanche a riaddormentarsi, consapevole che non ne sarebbe capace. Recupera il telefono dal comodino e lo accende, sulla schermata in cui inserire il PIN, in alto a destra, c'è l'orario: 04:05. Il suo cuore comincia a palpitare, tutto questo non è normale. Nello stesso istante sente un fiato caldo sul collo, e poco dopo un calore bruciante le pervade il corpo. Sente qualcosa lacerarle sempre più in profondità la carne viva della schiena. Sono artigli. Senza il coraggio di voltarsi, senza neanche la forza di farlo, urla nel buio.
Si sveglia di soprassalto, esattamente come quando si sogna di cadere nel vuoto e poi si è nel proprio letto con il sudore freddo e le dita che stringono le lenzuola. L'unica differenza è che lei sta precipitando realmente nel vuoto. Dischiude le labbra ma nessun suono fuoriesce da esse, il rumore dell'aria che si spezza mentre il suo corpo è in caduta libera, è troppo forte. Non riesce a respirare, il cuore sembra fuoriuscirle dal petto. Muove le braccia disordinatamente, tentando di aggrapparsi a qualsiasi cosa le capiti vicino, ma intorno a lei regna il vuoto. Una serie di immagini della sua vita le si presentano con forza alla mente come a dirle: “Se non ti ricordi ora di quello che hai vissuto, non potrai più farlo.” Nel momento stesso in cui è sicura di essere vicina al suolo e che tra pochi secondi le sue ossa di romperanno su di esso, smette di precipitare. È supina sul terreno, non si è schiantata, è come se fluttuando l'avesse raggiunto posandosi dolcemente. Tira un sospiro di sollievo e sorride: è ancora viva. Qualcosa di caldo le solletica i piedi: il sole la sta riscaldando? Potrebbe aprire gli occhi e controllare, ma la paura la sta ancora attanagliando e decide prima di tranquillizzarsi.
Il calore aumenta, ora lo sente nelle mani e persino sulla testa. Il Sole non riscalda a chiazze. Si osserva intorno, sta prendendo fuoco. Le fiamme prima lievi cominciano a rinforzarsi, serpeggiando lungo i suoi fianchi. La carne brucia lentamente mentre il dolore la dilania, le fiamme le divorano il viso, straziata si abbandona ad esse.

È distesa su un prato, i ciuffi d'erba le pungono dolcemente la pelle. Sono freschi, bagnati di rugiada come sono è piacevole averli a contatto con la pelle, il fuoco sembra essersene andato. Qualcuno le accarezza i capelli, sfiorando appena la parte superiore della sua fronte. Isabella riconosce un tocco familiare. Alza lo sguardo e dopo tutto il tempo passato dall'ultima volta, incrocia quello di Gabriel. Istintivamente si scansa, facendo forza sulla braccia per allontanarsi dal suo assassino. Il sorriso che gli colorava il viso ora è sparito, per lasciar spazio a un'espressione di tristezza, ma i suoi occhi sono di un argento splendente.
“Ti prego non reagire così!” Le dice, nel tono più sincero del mondo.
Isabella cerca di trattenere le lacrime, eppure quest'ultime scendono sulle sue guance fuori controllo. Stringe i pugni a terra.
“Mi hai uccisa!” Sputa le parole come un veleno.
“È stata la cosa peggiore che io abbia fatto dall'alba dei tempi. Avrei preferito strapparmi il cuore con le mie stesse mani che vederti morire tra le mie braccia.”
Le lacrime ormai sono un fiume sul viso pallido della ragazza, tante al punto da offuscarle la vista.
“Allora perché?” La sua voce è così bassa che è certa lui non abbia potuto sentire la sua domanda.
“Non capisci? Per poter stare insieme!”
Isabella finalmente ricorda dove si trova: in Purgatorio. Gli artigli, la caduta, il fuoco erano solo l'inizio della sua pena, perciò perché colui che ora si presenta a lei con la stessa bellezza dell'uomo del quale più si fidava, non potrebbe essere solo il suo prosieguo ?
“Sei solo un altro incubo!”
Si getta su di lui e comincia a buttare deboli pugni sul suo petto. “Sparisci!”
L'angelo le blocca il viso tra le mani, gli occhi argentei la fissano con tale attenzione che sembrano prenderle l'anima che le rimane, poi avvicina piano il suo viso a quello della ragazza e la bacia delicatamente. Rimangono così per qualche secondo, vicini come non lo sono stati mai. Isabella resta in mobile, indecisa tra il lasciarsi andare al sentimento che cova segretamente nel suo cuore da sempre o ragionare con lucidità e valutare la situazione. Ma a volte non si è in grado di decidere. Appena Gabriel si stacca, la ragazza affamata dell'amore sul quale aveva fantasticato notte dopo notte, con uno scatto lo attira a se ancora una volta. Lo bacia ancora e ancora finché non le manca il fiato.
“Mi credi?”Le chiede.
“Voglio farlo.” È davvero l'unica cosa che desidera.
“Il nostro amore è proibito, Isabella. In terra non poteva consumarsi e tanto meno può farlo qui, sotto gli occhi divini. Dobbiamo andarcene.” Isabella ha qualche tentennamento, può fidarsi di lui?
Sembra leggerle nella mente, poiché l'angelo continua dicendo: “Guardami negli occhi, sai che puoi fidarti di me. Ti accompagno da una vita, non ti avrei mai fatto del male se non fosse stato necessario a poterti finalmente stringere tra le braccia.”
La ragazza annuisce, ingenuamente gli crede assuefatta dall'argento del suo sguardo.
Ingenuamente, lo segue.

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Capitolo 5
*** Vicino al cuore rovente della Terra. ***



Sente male alla testa, qualcuno l'ha colpita e ha perso i sensi. Ancora una volta si è fidata, ancora una volta è stata tradita. Parlava di amore proibito, ma Gabriel aveva un secondo fine. Mentalmente, Isabella si da della stupida: ancora infatuata del suo stesso assassino, come una bambina è caduta nella sua trappola. Trattiene le lacrime, afflitta per la sua ingenuità, ma soprattutto perché l'illusione che qualcuno l'amasse, ha infranto il suo cuore già ammaccato. Isabella è sola, come è sempre stato.
Si guarda intorno trovandosi circondata da pareti rocciose, mentre il tanfo di puzzo e di morte le invade le narici. È incatenata ad una sedia di legno grezzo, i polsi e le caviglie bruciano a causa del continuo strofinio del metallo arrugginito sulla pelle. La sua veste fluttuante, tipica delle anime del Purgatorio, è macchiata di carbone.
“Finalmente ti sei svegliata!” Fa capolino nella caverna una donna formosa e sensuale. Il generoso décolleté fuoriesce dal corpetto rosso, la gonna di velluto nero lunga dietro ma corta sul davanti, lascia in mostra le gambe muscolose. La sua pelle è bianca come il latte, le mascelle sono leggermente marcate ma il viso è nel complesso armonioso. Gli occhi del color del miele stridono con il nero dei fluenti capelli e delle ciglia, lunghe e folte.
Isabella resta in silenzio.
“Probabilmente ti starai chiedendo “dove mi trovo?” oppure “chi è questa fantastica donna?”ma sei ancora troppo impaurita per proferir parola!” “Perché Gabriel mi ha portata qui?” La donna ride piano, facendo finta di nascondersi.
“Oh bambina, devo essere sincera con te! Non è stato l'ex-angioletto a rapirti, sono stata io. Con le sue sembianze, questo mi sembra semplice da capire.”
“Non è possibile.” Parla più a se stessa, che alla donna.
“Ti renderai presto conto che per una come me, sono poche le cose impossibili.“
Una come lei? Isabella continua a non capire di cosa stia parlando.
“Ma tagliamo corto! - continua la donna- Sei qui, negli inferi, per un motivo ben preciso.” La ragazza sussulta all'udire il luogo in cui si trova.
“Io mi sono pentita! Non dovrei essere all'Inferno! Riportami in Purgatorio!” “Davvero vuoi tornare in quel postaccio? Hai una delle peggiori pene che conosca! So già che prima o poi mi ringrazierai. Sto per renderti una delle creature più affascinanti e letali del mondo soprannaturale.” Sorride compiaciuta, i denti affilati brillano nella penombra.
“Bambina, tu diventerai un'arpia.”
“Tu sei pazza!” Isabella, urla in preda alla confusione più totale. Spera sia soltanto un altro incubo, era già strano sapere di trovarsi in Purgatorio, che esistessero Dio, gli angeli e tutto il resto, ma ora addirittura le creature mitologiche?!
La donna sbuffa, rattristata dall'improvvisa uscita della ragazza.
“No, il mio nome è Zyrhel. D'ora in avanti, sarò la tua regina. Se proverai a scappare, ti ucciderò con le mie stesse mani.” Stampa un bacio sulla guancia della ragazza, per poi lasciarla da sola nella sua cella.
Camminando scalza gli artigli ai suoi piedi, producono il rumore delle unghie sulla lavagna, mentre sfregano sul terreno.
“Ti lascio del tempo per assimilare ciò che ho detto. Da domani il tuo addestramento avrà inizio.” Afferma prima di essere troppo lontana.


Gabriel varca l'ingresso della stanza scavata nella roccia, davanti a lui si estende una vasta area simile alle sale operatorie che vedeva in terra, quando ancora era l'angelo custode di Isabella. Spesso curiosava negli ospedali, dando conforto a malati e parenti, ascoltando le loro preghiere, come un buon angelo si preoccupa di fare. Scaccia rapidamente quel pensiero, ora si trova vicino al cuore rovente della Terra, all'Inferno, pronto a diventare un demone a tutti gli effetti.
Si accorge di un omino intento a mettere a posto uno dei lettini, gli strumenti necessari sono pronti per prossimo intervento. Il suo.
“Forse sono in anticipo.” Esordisce.
L'omino si volta piano: ha un viso grassoccio, arrossato come dopo aver preso troppo Sole. Sclera, iride e pupilla sono iniettati di nero. Gli sorride mostrando i denti macchiati e consumati.
“Tu devi essere Gabriel. È tutto pronto, puoi cominciare a sdraiarti, la schiena rivolta verso l'alto.”
“Io sono Pikma.” Aggiunge per poi allontanarsi.
L'angelo si sfila la maglia, lasciando in mostra il fisico scolpito alla perfezione come se lui fosse stato scultura e Dio artista. Le cicatrici che prima ospitavano le sue ali, nonostante siano ormai guarite, sembrano bruciare più che mai, l'immagine delle mani dei suoi fratelli che gliele strappano senza provare alcuna compassione è impressa a fuoco nella sua memoria.
Un suono di rotelle che si muovono verso di lui riempe la stanza: Pikma spinge una specie si carriola che l'aiuta a trasportare una scatola nera fin troppo grande per lui. Gabriel capisce immediatamente cosa contiene, ma lascia che il piccolo demone glielo ricordi.
“Qui ci sono le tue nuove ali. Ora sono chiuse e possono sembrarti piccole, ma appena avrò fuso le loro ossa portanti alle tue scapole, e unito i vasi sanguigni, potrai estenderle alla loro massima apertura e saranno parte di te. Sono nere con venature piene di vero argento allo stato liquido che andrà direttamente a contatto con il tuo sangue, come hai chiesto. All'inizio farà male, ma ti ci abituerai ed inoltre le renderà più forti.”
“Da dove vengono le piume?” La cosa più strana è proprio che quest'ultime, non saranno sue. Dovrà dar vita a quelle di altri, ha la sensazione di dover avere addosso un cadavere da resuscitare.
“Corvi, per lo più. Ma ho aggiunto anche qualche piuma d'arpia, e sappi che non è stato per niente facile convincerle a strapparsene qualcuna!”
“Hanno un effetto preciso?”
“Donano rapidità ai movimenti e diciamocela tutta, rendono migliore il loro aspetto.” Detto questo afferra un bisturi e si avvicina al corpo del giovane.
“Non esiste anestesia all'Inferno.” E sembra ironicamente riferirsi al suo tormento interiore, pensa Gabriel, del tutto impreparato al dolore che lo aspetta.


Dopo un lasso di tempo che pare essere un'eternità, il sudore impregna la fronte di Gabriel, come se l'avesse immersa in un secchio pieno d'acqua, stringe i pugni fino a ferirsi il palmo di ognuna, sente il fuoco ovunque. Con la coda dell'occhio scorge qualcosa di nero alle sue spalle: le ali sono state ormai impiantate, le sente attaccate alla sua schiena, unite al suo scheletro.
Il sangue è ovunque, sul lettino, sulla sua pelle, sulle mani di Pikma.
“Sono state innestate.” Lo informa.
“Prova a muoverle.” Un leggero tremolio scuote la massa nera.
“Oh andiamo, sei un demone, mettici più forza.”
Gabriel è pervaso dal dolore ma l'adrenalina che gli scorre in corpo è tale da fargli dimenticare la sofferenza. Non è più un angelo, è un demone. Stringe i denti dando una vigorosa spinta alle sue spalle. L'energia provocata è tale da far schiudere di colpo le ali, scaraventando Pikma dall'altra parte della caverna.
Finalmente Gabriel le può contemplare: sono molto più grandi di quelle angeliche, almeno due metri ciascuna, tra le piume nere e lucide scorrono filamenti d'argento, sembra di osservare un cielo stellato.
Il piccolo demone sistema i suoi occhiali tondi sul naso. “Posso esser fiero del mio lavoro.”
Gabriel le richiama a se e lentamente si richiudono e piegano al di sotto della sua pelle, provocandogli una sofferenza quasi piacevole.
Ringrazia Pikma, e si dirige direttamente all' Ufficio di Lucifero. Si fa spazio fra i demoni che invadono la piazza principali e scansa quelli che gli ostruiscono il passaggio nei vicoli minori: l'Inferno consiste in una vera e propria città, lercia e puzzolente, scavata nella pietra.
Infine raggiunge il lungo corridoio che porta agli Uffici di Lucifero in persona “Lì discuto dei miei affari” Gli aveva detto. Sulle parenti delle lanterne di bronzo illuminano il percorso, sul pavimento è srotolato un tappeto rosso con i bordi in pizzo. Si ferma poco prima del portone inciso in tutte le sue parti, a raffigurare le più epiche battaglie tra Bene e Male. Essendo chiuso, Gabriel sa per certo che il suo nuovo capo è occupato con qualcun altro. Si poggia alla parente, nonostante la schiena sia ancora indolenzita, e fissa un punto imprecisato tra le sporgenze rocciose, domandandosi dove possa essere Isabella. Più volte avrebbe voluto chiedere al Capo di poterla incontrare, solo per chiederle perdono e provare a spiegarle le sue ragioni, ma ogni volta gli era parso inopportuno. Probabilmente lei si trovava tra le schiere nemiche e sarebbe stato impossibile.
Dopo qualche istante di attesa, vede uscire un ragazzo poco più alto di lui, che dimostra la sua stessa età terrena. Si sfiorano appena mentre gli passa a fianco, il demone lo fissa con uno sguardo torvo, ha gli occhi più inquietanti che Gabriel abbia mai visto: di un verde che schiarisce fino al giallo in prossimità delle pupille che sono lamine nere, verticalmente dividono in due l'iride.
Sono gli occhi di un serpente. Pikma ha innestato anche questi?
“Spostati.” Gli dice, mostrando appena la lingua biforca.
Lo supera con fare burbero e mentre si allontana una coda striscia sinuosa alle sue spalle, sulle cui squame dello stesso colore degli occhi, si rincorrono fantasie circolari del colore dell'oceano.
Gabriel lo fissa ancora per qualche secondo per poi varcare la porta semichiusa. Lucifero lo aspetta seduto sulla sua poltrona in pelle, gli zoccoli abbandonati sulla scrivania in ebano, giocherella con i boccoli di una donna sulle sue gambe che gli tempesta il collo di baci. Per Gabriel è inusuale ritrovarsi davanti a questo tipo di comportamenti, nei Cieli le effusioni erano severamente bandite.
“Ti presento la mia signora, Zyrhel.” La donna si porta le dita alle labbra e soffia un bacio in direzione del giovane demone, che risponde con un cenno del capo.
“Mi hai convocato qui per quale ragione?”
“Sai non puoi stare a casa mia senza combinare niente, pivellino.” Risponde il Diavolo.
“E tu sai che eseguirò ogni tuo ordine.”
“Ne sono certo, ma voglio avere una dimostrazione di quello di cui sei capace. Ho intenzione di fare di te uno dei miei più abili demoni della lussuria.” Gabriel sorride.
“Non a caso il peccato della passione, bella trovata.”
“Si, mi vengono spontanee.” La donna ride, aggiungendo: “Per questo suo senso dell'umorismo l'ho voluto tutto per me!” Allungando una mano sulle sue parti basse. Il giovane demone distoglie lo sguardo.
“Stanotte scenderai in terra a tentare qualche umano. Per te è tutto lecito: puoi prendere le loro sembianze, entrare nei loro pensieri, possederli per brevi istanti. Ma non ti anticipo troppo, voglio sorprenderti! Fammi vedere di che pasta sei fatto, la purezza è ormai una faccenda lontana.”
Gabriel si inchina, lasciando l'ufficio.
Appena il demone chiude il portone alle sue spalle, l'arpia sale a cavalcioni sul suo diavolo.
“Non vedo l'ora che si ritrovino faccia a faccia! Ci sarà da ridere!” Batte le mani divertita.
“Quel momento non è tanto lontano, sai che...” Il Diavolo lascia scorrere lo sguardo sul suo seno.
“Per l'amor di Dio, sei una spudorata! Non fai che distrarmi.” Zyrhel gli prende il viso tra gli artigli, leccandogli lentamente le labbra.
“Sono fatta per questo, e presto lo sarà anche Isabella.”

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Capitolo 6
*** Daemon Seraphideas ***



L'estremità di una coda si attorciglia alle catene che le impediscono di muoversi, rompendole con uno strappo. Isabella sgrana gli occhi, spaventata ed allo stesso tempo felice che qualcuno la stia liberando: non vede l'ora di lasciare quel postaccio e non dover più respirare quell'odore fetido. Si volta piano, pronta ad incrociare lo sguardo di colui che la vuole aiutare, ma incontra gli occhi di un serpente. Urla e di allontana il più possibile dalla creatura, attaccandosi ad una delle pareti le cui sporgenze le graffiano gambe e braccia nude. Quegli occhi verdi, inquietanti ma allo stesso tempo attraenti, sono ancora su di lei intenti a squadrarla da cima a piedi. La figura a cui appartengono è tutt'altro che un serpente: un ragazzo alto fino a sfiorare il soffitto della caverna si avvicina a lei piano, una spazzola di capelli neri e folti ondeggia insieme alla coda alle sue spalle. Se prima credeva di aver a che fare con un mostro, ora ha davanti un giovane uomo bello ed affascinate, nonostante l'aspetto inusuale. Ormai comincia ad abituarsi all'idea di poter incontrare qualsiasi tipo di demone o angelo che sia, in questo mondo soprannaturale di cui ora fa parte.
Il demone le solleva il viso per osservarla meglio, Isabella rimane scossa dal suo tocco.
“Sei una bambina.” Si allontana sbuffando, come se fosse deluso.
“Zyrhel vorrebbe fare di te un'arpia? Che barzelletta.”
“Cos'ho che non va?” Chiede piano la ragazza, forse dovrebbe essere sollevata al pensiero di non dover diventare una specie di segugio infernale. Eppure, stufa di non sentirsi all'altezza, ha cominciato a pensare che forse in un posto come l'Inferno, anche una sfigata come lei avrebbe potuto cambiare. Essere diversa: una donna forte, sicura di sé.
“Tutto, a parte la bellezza, non hai niente che possa farti diventare una di loro.” Isabella diventa rossa in volto per quel mezzo complimento, ma non perde l'occasione di controbattere.
“Dopo uno sguardo, credi di sapere tutto di me?”
“Andiamo, non riusciresti ad uccidere una mosca! Figurati se riusciresti a lottare contro un angelo.”
Per un attimo gli balena nella mente l'immagine di Gabriel, è passata dall'amore platonico che provava nei suoi confronti, all'odio profondo. E se il Zyrhel e questo demone l'avessero resa capace di rendere a Gabriel quello che per sua mano aveva subito? Se avesse così avuto l'occasione di vendicarsi, non sarebbe stato giusto coglierla?
“Non puoi saperlo.”
Il demone inarca un sopracciglio.
“Non pensavo volessi diventare un'arpia, la Regina mi ha fatto capire avrei dovuto costringerti.”
“Ci ho riflettuto, non credo di aver nulla da perdere o di doverne rendere conto a te.”
“Che caratterino”- si avvicina ed una volta faccia a faccia- “già mi piaci.”
“Il mio nome è Isabella.” Svia la ragazza.
“So più di quanto credi su di te, ragazzina.”
“Ma io non so nulla di te.”
“Mi chiamo Serafide, ti insegnerò a combattere, con questo intendo uccidere.”- Scandisce per bene le sillabe dell'ultima parola -“non ti serve sapere altro.” Quando fa per uscire dalla grotta, Isabella lo segue camminando in quelli che sembrano essere tunnel scavati interamente nella roccia. Percorrono una serie di scale, fino a ritrovarsi davanti ad una vera e propria città. Isabella capisce che fino a poco prima, si trovava nelle prigioni. Tra vicoli e piazze si ergono piccoli edifici in pietra: bordelli, sale di gioco d'azzardo, palestre di combattimenti: “Luoghi del peccato, per meglio dire.” La informa Serafide.
“E quelle?” Isabella indica le pareti dell'enorme foro che ospita l'Inferno, esse si alzano fino a perdersi nell'oscurità, mentre il resto è illuminato da fiamme vive che serpeggiano dalle spaccature dei muri e del suolo, insieme alla miriade di fiaccole e lanterne.
“Le prime cavità che vedi ospitano i nostri appartamenti privati, via via che si sale in altezza ospitano uffici e stanze di Lucifero.” Nessuno sulla terra immaginerebbe l'Inferno così simile ad un lercio sobborgo qualunque scavato al centro della Terra.
Arrivano in silenzio fino al secondo piano, si fermano davanti alla porta in ferro battuto di una caverna, è inciso in latino “Daemon Seraphideas”.
“Aspetta, sono le tue camere private?”
“Non manchi di perspicacia.”
“Pensavo di dovermi allenare, non so come funzionino le cose in questo postaccio, con il peccato della lussuria e tutto il resto ma...” Prima che possa terminare la sua imbarazzante premessa, il demone la cinge per i fianchi attirandola a sé. I loro petti raschiano, respirano vicini. “Qui dentro c'è la mia palestra personale, non solo il mio letto. Se avessi voluto farlo, ti avrei già messo le mani addosso nella tua appartata cella, ma sono il tuo insegnante, non il tuo amante.” Fa una pausa, avvicinando le labbra all'orecchio della ragazza “Anche se non mi dispiacerebbe assaggiarti, ragazzina.” Aggiunge in un sibilo.

La palestra è grande il triplo della stanza in cui Isabella dormiva da umana, ed è attrezzata di tutte le armi che conosce: lance, spade, pugnali, catene, sciabole, asce, coltelli. Isabella si guarda intorno confusa: non saprebbe impugnare neanche una forchetta, figuriamoci un'arma del genere. Si fa piccola piccola, ancora una volta si sente debole.
Nel frattempo Serafide osserva con attenzione le sue forme appena accennate intravedersi al di sotto delle veste leggera, quasi trasparente. Prende i vestiti che un'arpia le ha lasciato per casa e li lancia addosso ad Isabella.
“Non puoi lottare con quella sottospecie di vestaglia, vai a cambiarti.”

Poco dopo, Isabella si stringe le braccia al petto mentre entra imbarazzata nella palestra. I lacci verdi stringono il corpetto sul suo seno così forte da toglierle il fiato, i pantaloncini in pelle le fasciano a malapena il fondo schiena.
“Le arpie vanno sempre in giro conciate cosi?”
“Non essere pudica, ragazzina. Questo è niente in confronto a quello che dovrai imparare a fare.”
Isabella resta scettica. “E ora attaccami.” Le fa cenno di colpirlo al viso.
“Che?”
“Gancio, destro, sinistro. Colpisci, senza paura di farmi male.”
La ragazza si avvicina goffamente, tirandogli un pugno in pieno viso. Il demone non si muove di un millimetro ed inarca un sopracciglio.
“Questo è un puffetto! Non ci siamo. Piede sinistro davanti a quello destro, a formare un angolo. Ricorda le mani proteggono il viso, piega i gomiti, i fianchi devono essere allineati con i piedi. “
Isabella esegue con attenzione tutte le istruzioni.
“Ora carica il diretto , assicurati di ruotare il palmo della mano verso il basso.” La ragazza sferra un debole ma deciso diritto sinistro sulla guancia del demone che le sorride.
“Così ci siamo!”
“Come facevi a sapere fossi mancina?” Serafide la fissa per un istante. “Intuizione.”

Il tempo all' Inferno scorre senza orologi che possano misurarlo. Quando finalmente il suo insegnante propone una pausa, Isabella è lieta di acconsentire, ogni singolo muscolo sembra implorare pietà.
“Che femminuccia.” La punzecchia Serafide.
“Si da il caso io sia una femmina, è un mio diritto essere stanca. Tu invece sembri fresco come una rosa.” Sbuffa.
“I serpenti non dormono mai.”
“In realtà il detto sarebbe: 'I cattivi non dormono mai.' ” Lo corregge la ragazza.
“Più o meno la stessa cosa.” Lo guarda con la coda dell'occhio, si gode il sorriso sghembo che gli increspa le labbra. I suoi stravaganti occhi, ora rivolti verso il basso, sembrano avere una semplice ed umana iride verde. “Credo tu abbia l'aspetto da cattivo, ma non lo sia realmente.”
“Sono un demone, ragazzina. Siamo all'Inferno e sto contribuendo alla tua metamorfosi in arpia, alla fine di tutto non mi vedrai più con gli occhi innocenti di una bambina. Vedrai il mostro che sono, perché lo sarai anche tu.” Isabella non si scompone e scrolla le spalle.
“Ci faremo compagnia allora.” Serafide non crede alle sue orecchie, tanto meno ai suoi occhi. La ragazzina che si schiacciava impaurita contro il muro della sua cella qualche ora prima, ora sembra essere la donna più forte del mondo. Forse l'ha sottovalutata.
“E tu chi eri?” Gli chiede.
“Che vuoi dire?”
“Sei mai stato umano?”
“Sono un bastardo, mia madre era un'arpia, mio padre uno stupido uomo.”
“È pur sempre tuo padre.”
“Era, è morto chissà quante decine di anni fa. E comunque era un figlio di puttana, non mi ha certo insegnato ad andare in bici e a rimanere composto a tavola.”
“Tua madre?”
“Una troia, voglio dire farsi mettere incinta da un uomo qualsiasi, si è impegnata.”
“Wow che considerazione della tua famiglia.”
“DAUN! Tasto dolente all'Inferno: la famiglia. Qui non esiste, ognuno pensa per sé. Conta il tuo tornaconto, non quello degli altri. Ogni demone è solo.”
“Non occorre essere demoni per sentirsi soli, te l'assicuro.” Abbassa la sguardo ed automaticamente serra i pugni. Senza Gabriel, la sua ancora di salvezza, era annegata nell' oceano della solitudine.
“Avevo avuto la vaga impressione tu fossi una con le palle, non farmi crollare tutto.”
Le lascia un bacio a stampo sulle labbra.
“Tornatene alla tua cella.”
“Non mi accompagni?”
“Per chi mi hai preso? Per il tuo fidanzatino? Sparisci!”

Appena varca l'ingresso, si accorge che la sua non è più una cella, ma una vera e propria stanza. Zyrhel o chicchessia, l' ha arredata di tutto punto: su un tappeto nero regna un letto a baldacchino finemente decorato, come il comò. Sulla parete sinistra è stato appeso uno specchio, al di sotto del quale è stato posizione un tavolino da trucco, sulla parete sinistra un enorme armadio rosso ha le ante socchiuse. Isabella lo spalanca, è pieno zeppo di corpetti, gonne, calze a righe e jeans strappati.
“Mi ci dovrò abituare.” Dice a sé stessa.
Si infila in una delle poche magliette che trova nel guardaroba, e tenta inutilmente di dormire. Stavolta però, ha difficoltà a prender sonno non per paura che gli incubi la disturbino, ma perché è eccitata per i cambiamenti che l'attendono e sorpresa di essere nel bel mezzo dell'Inferno, pronta a diventare un'arpia. Le sembra quasi strano di essere morta per davvero e che tutto quello che la circonda non sia un gigantesco scherzo, o frutto della sua immaginazione. È inverosimile. Le serviva essere uccisa dal suo angelo custode, per uscire dal suo guscio? Doveva essere rapita e portata all'Inferno per diventare la donna forte a cui ha sempre aspirato? Ma soprattutto è davvero pronta, o sta fingendo anche davanti a sé stessa?
Non sa dare mezza risposta a nessuna delle sue domande, sa solo che gli occhi di Serafide se li sente ancora addosso. Il suo bacio è rimasto cucito sulle labbra della ragazza. Scuote la testa, che sciocca! Non susciterebbe neanche il minimo interesse in un demone, tanto meno in uno bello quanto lui. È però innegabile che esista sintonia fra loro, sembra conoscerlo da sempre, sembra che lui la conosca da sempre. Si rigira nel letto, scacciando via i pensieri che lo riguardano, ma i suoi occhi restano.

È silenzioso, nessuno in ascolto potrebbe accorgersi della sua presenza. Il buio lo copre, mentre percorre a giro il letto. Si ferma esattamente al suo fianco, come sempre, per osservarla: i lineamenti sono restati delicati, esattamente come durante l'infanzia, eppure c'è qualcosa in lei che fa pensare ad una donna, forse gli zigomi alti, il naso più appuntino, le labbra deliziosamente carnose, la determinazione che sembra pervaderla. Quanti anni sono passati? Si è forse perso i suoi momenti migliori, le sue prime esperienze? È infastidito al pensiero che qualcuno abbia potuto farla sua, aveva sempre fantasticato sul fatto che la sua verginità fosse qualcosa riservato a lui. Si perde tra i suoi boccoli castani, sparsi per tutto il cuscino. Dalle sue labbra socchiuse esce un lieve e caldo respiro, le gote sono leggermente arrossate come quelle dei bambini. Mentre si avvicina al suo viso, il profumo della sua pelle riempie tutta l'aria circostante, risvegliando in lui quei ricordi che aveva tentato si nascondere il più profondo possibile nella sua memoria. Proprio quando si era convito fossero finalmente assopiti, lei era piombata in casa sua, in carne ed ossa. Il serpente si insinua sotto il lenzuolo, arricciandosi su se stesso, il più vicino possibile ad Isabella.

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