Le due facce della medaglia

di Lady_purosangue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Preparativi ***
Capitolo 2: *** 2- Libertà ***
Capitolo 3: *** 3- Racconti ***
Capitolo 4: *** Missione Biblioteca ***



Capitolo 1
*** 1- Preparativi ***




Preparativi




Walter Wright pigiò sull'acceleratore, sfrecciando con la jeep attraverso la periferia della città. Da qualche giorno viaggiava con il suo nuovo superiore Harry Ettlinger, ed era contento sia per la compagnia sia perché aveva a disposizione la sua grande esperienza.
Ad Aquisgrana, Walter aveva fatto una passeggiata; in un isolato aveva visto un ristorante aperto e delle persone sul marciapiede con la busta della spesa in mano. Girato l'angolo, però, la scena era cambiata radicalmente: davanti a lui era apparsa una città morta, un cimitero di cavi spezzati, metallo arrugginito e cumuli di macerie.
Guardando certe strade, aveva pensato che mai nessun abitante sarebbe tornato ad abitare lì; forse erano tutti morti. In quel momento aveva creduto che quello fosse il peggio che potesse capitare a una città. Poi aveva visto Colonia.
Gli alleati avevano deciso di radere sistematicamente al suolo i centri abitati tedeschi, fino alla resa incondizionata della Germania.
Walter lo sapeva, lo aveva sentito ripetere diverse volte, ma prima non aveva mai capito esattamente che cosa significasse "BOMBARDAMENTO A TAPPETO". Colonia era stata colpita da una serie di missioni aeree e il suo centro abitato era stato cancellato. Non danneggiato; ma sparito; raso al suolo e poi colpito ancora e ancora, fino a ridurlo in polvere.
L'entità della distruzione e la brutalità della campagna alleata per spezzare la volontà dei tedeschi erano dolorose da contemplare. Era quasi come se ci fosse un messaggio in quella follia: avremmo potuto risparmiare qualsiasi edificio, ma abbiamo scelto di salvare solo questo.
Gli alleati erano inferociti. Non c'era altra spiegazione: erano infuriati con la Germania e tutto ciò che la riguardava. Era un'ira che covava da mesi, forse fin dalla Normandia, ma senza dubbio si era inasprita durante l'ultimo, terribile inverno.
Walter però non comprendeva tutto questo odio; infondo, cosa centravano donne e bambini in tutto questo?
Dovevano pagare per le colpe dei mariti e dei padri?
E poi per cosa? Aggiungere solo nuovi nomi ai caduti e spaventare gli ultimi insorti; come se i grandi gerarchi se ne freghino delle persone comuni!
La grande ombra del Grand Hotel si stagliò sull'orizzonte, alcuni soldati alleati schiamazzavano per la piazza in compagnia di donne crucche. Gli edifici non erano stati danneggiati pesantemente, ma nell'intonaco bianco si potevano distinguere i buchi dei proiettili, che assomigliavano tanto a quelli del formaggio Svizzero.
I due militari scesero dal mezzo e si avviarono sulla scalinata in marmo, ai lati giacevano abbandonate due mitragliatrici tedesche, ormai inutilizzabili.
Percorsero velocemente i saloni in marmi policromi e si fermarono davanti ad una porta in mogano.
Il Capitano Ettlinger alzò la mano e bussò; una voce rocca li fece entrare.

"Ci ha chiamato signore?" chiese tutto impostato.

"Si Capitano. Pronto per la partenza?" rispose il vecchio militare senza alzare gli occhi dalle carte.

"è stato tutto prediposto. Partiremo domani all'alba e arriveremo in città verso il primo pomeriggio" aggiunse.

"Va bene. Potete andare" li congedò. I due fecero il saluto militare e ripeterono il percorso in precedenza fatto.




Nella città di Koblenz (Coblenza) l'aria che si respirava era tesa. Le voci delle città attaccate dagli americani erano giunte fin qui; e gli abitanti non sapevano se il peggio fossero le persecuzioni Naziste o gli attacchi alleati.
Prima Aquisgrana, poi Colonia, alcuni giorni dopo Bonn; loro erano i prossimi.
Nel grande salone del municipio l'aria piena di fumo era come un macigno che ti preme sul petto.
Anche se non lo davano a vedere la paura riempiva le anime di quelle sette persone. A nulla serviva la musica leggera del pianoforte suonata dal giovane Capitano Hans e nemmeno la dolce voce di Edith, la figlia del Generale Miller riusciva a distrarre le menti di quei corpi. Una sola parola ronzava nella loro testa "...morte...morte...morte...".

Un giovane in uniforme entrò agitato nella stanza e la musica cessò: "Gli americani stanno arrivando dieci minuti e saranno in città"

"Scheiße!"[1] Imprecò il generale dagli occhi di ghiaccio.

"Hans prendi il comando della città! Resisti il più possibile" a quelle parole il giovane si alzò di scatto e uscì dalla stanza.

"Moriremo! Ci uccideranno! Tortureranno!" Singhiozzava la grassa moglie del sindaco mentre stringeva nelle sue braccia paffute il figlioletto di sette anni.

La giovane figlia del Generale se ne stava ferma immobile, i lunghi capelli biondi erano sciolti in boccoli composti e gli ricadevano sulla divisa della Bund Deutscher Mädel.[2]
La paura e la felicità si risvegliarono in lei.
Non voleva morire, era troppo giovane per quello; ma nello stesso modo non voleva vedere la sua città cadere prigioniera.

Edith si avvicinò al padre e puntando i sui grandi occhi di ghiaccio fuori dalla finestra gli chiese: "Vater.[3]Cosa facciamo?"

"Contate i colpi che avete nelle pistole" ordinò l'uomo guardando la figlia.

Il sindaco, il generale e la ragazza estrassero le loro pistole.

"Drei"[4] disse con vece tremante il sindaco.

"Ne ho solo uno padre" aggiunse allarmata la bionda.

"Io ne ho due...Scheiße! In tutto sono sei! Però ho il cianuro" aggiunse sollevato.

"Io non mi avveleno!" Protestò la moglie del Generale.

"Nemmeno io!" L' appoggiò la donna grassa.

Il volto del Generale si rivolse verso la figlia: "uccidi Hans prima che lo prendano i bastardi americani..." prese dal taschino una boccetta "...poi bevilo. Capito?"

"Sicher Vater" [5] rispose seria la ragazza.

E così mentre gli americani entravano e colpi di spari giungevano alle loro orecchie; i rappresentanti dello stato tedesco della città si toglievano la vita.


[1] Merda
[2] è il nome in tedesco che viene attribuito alla fascia di età tra i 14 e 18 anni delle ragazze della gioventù Hitleriana
[3] Padre
[4] Due
[5] Certo padre


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Capitolo 2
*** 2- Libertà ***



Libertà




Una nuvola nera e densa si stagliava nell'aria; la coltre di fumo era talmente spessa che il sole di marzo appariva pallido e debole.
I rumori metallici dei cingolati che avanzavano sulle strade deserte della città erano affiancati ai sibilli dei proiettili alleati e non.
Walter Wright era schiacciato contro la parete di un'edificio e attendeva con ansia il via del suo superiore. I lisci capelli corvini erano appiccicati alla fronte e della polvere nera era attaccata sulla pelle abbronzata.
Il suo cuore batteva all'impazzata, non era la sua prima missione, ma nonostante le sue sedici settimane passate in campo nemico non era ancora sicuro di sé. Ogni volta che entrava in battaglia la paura della morte prendeva possesso del suo corpo e comprendeva come era breve la vita.
 
"Via!" Gridò Henry Ettlinger pochi passi davanti a lui. "Muoversi! Muoversi!" Continuò muovendo la mano destra e indicando con due dita alzate la direzione da seguire.
 
Walter si destò dal suo torpore e si mosse velocemente verso la direzione indicata. Il fumo gli penetrava prepotentemente nei polmoni e gli oscurava la vista.
Ma girato l'angolo una grande piazza gli apparve come un oasi in un deserto.
Gli edifici di quattro piani che li  circondavano erano ben tenuti e non avevano niente a cui spartire con le catapecchie infestate dai ratti della periferia. Al centro, sul selciato scuro si stagliava una grande fontana di pietra in cui un tempo scorreva l'acqua limpida e brillante; ma, che a causa della gurra era scomparsa.
Dei nuovi spari rimbombarono nelle teste dei soldati e Walter fece appena in tempo a gettarsi a terra per non essere colpito. Sentì il sibillo di un proiettile vicino all'orecchio e il sangue gli si gelò nelle vene.
Ormai quella piazza era diventata un campo di guerra. Alcuni corpi giacevano senza vita sulla strada e altri soldati feriti tentavano di raggiungere i porticati opposti alla banca in cui erano rifugiati i Nazisti.
A Walter sembrava che fosse passata un ora quando finalmente degli uomini riuscirono a neutralizzare le due mitragliatrici anti carro, che erano posizionate ai lati del tetto.
Nessun proiettile fendeva l'aria e il silenzio era talmente teso che poteva essere tagliato con un coltello.
Passarono alcuni minuti: poi, una figura comparve sulla soglia della banca. Un bambino di circa dieci anni avanzava titubante sotto il mirino americano, in mano sventola un fazzoletto bianco.
 
Alcuni soldati uscirono dai loro ripari per comprendere le parole del piccolo: "Wir ergeben uns! Wir ergeben uns!" [1]
 
"Coprimi" ordinò il capitano Ettlinger a Walter avviandosi verso la banca.
 
"Allora di a quegli stronzi bastardi, di uscire disarmati e con le mani in alto" urlò imperioso in Tedesco il capitano.
 
Il piccolo rivolse al soldato uno sguardo terrorizzato; Walter non vi aveva fatto caso ma il ragazzo stava tremando come una foglia.
Il bambino abbandonò il fazzoletto e rientrò nell'edificio senza mai voltare le spalle ai soldati, non si fidava di loro.
Chissà cosa gli avevano raccontato riguardo agli americani?!
Sicuramente nulla di buono.
A un cenno del Capitano i soldati si disposero a semicerchio circondando l'entrata della banca con un'ammasso di ferraglie mortali. 
Delle piccole ombre cominciarono ad uscire dall'edificio, ma una cosa colpì Walter, quelle figure erano troppo piccole per appartenere a degli adulti. I piccoli soldati si disposero in fila con le mani alzate, gli occhi imploranti e impauriti. Solo alla fine cominciarono ad apparire degli uomini in divisa da SS. Walter li contò undici bambini e tre soldati; possibile che delle creature così piccole e all'apparenza indifese avessero ucciso così tante vite?
Si guardò intorno, corpi di soldati giacevano sul selciato, le membra abbandonate e immerse nel loro stesso sangue. Alcuni erano stati tagliati in due o più parti dai proiettili e di loro ormai non restava altro che qualche pezzo di carne  e il ricordo.
 
"Contro il muro!" Gridò imperioso e autoritario Henry Ettlinger.
 
Le figure esili si appiccicarono al muro martoriato e alcuni soldati si avvicinarono per perquisirli.
 
"Walter prendi il crucco e portalo qui" gli ordinò indicando l'ultimo uomo in uniforme.
 
Prese il giovane e immobilizzandogli le braccia dietro la schiena lo fece avanzare fino a raggiungere il suo superiore. Doveva avere su per giù la sua stessa età e vedendolo fin da lontano si potevano comprendere le sue origini tedesche. I capelli biondo platino erano nascosti sotto un capello grigio e due occhi verde smeraldo guardavano con odio. 
 
"Fai sgomberare quell' edificio ci servirà un posto dove poterlo interrogare." Disse Henry indicando un palazzo accanto al municipio.
 
 
Edith correva velocemente verso l'ultimo piano del municipio, le mente ancora scossa dai corpi privi di vita della sua famiglia. Degli spari provenivano dalla piazza e le orecchie quasi fischiavano dal dolore. Queste cose le fecero tornare in mente suo fratello Adam, morto troppo presto, in una guerra che non voleva e per difendere ideali non suoi. Vedeva il suo corpo martoriato tra la neve della siberia, magro e smunto, con gli occhi fuori dalle orbite e le budella congelate. Non avevano mai potuto vedere il suo corpo l'unica cosa che restava di lui era la sua collana che ora Edith sentiva premere contro il petto, era grazie ad essa se avevano capito che era ormai morto.
La giovane la strinse nella mano destra e trattenendo le lacrime varcò una porta e spostò un pannello per chiuderlo alle sue spalle e comparire nelle stanze della servitù.
Quando spiò dalla finestra si ritrovò davanti un paesaggio di morte: corpi crivellati erano stesi a terra, e il loro sangue era schizzato ovunque. Sel selciato, nelle pareti, era come se tutto fosse diventato rosso.
Si allontanò velocemente e sentì un conato di vomito bruciargli la gola.
Chiuse gli occhi e incominciò a respirare più lentamente, ma invece di rassicurarsi si agitava sempre di più; nuove immagini di corpi dilaniati gli infestavano la mente. 
Quando li riaprì guardò con diffidenza verso il vetro, ma invece di avvicinarsi si allontanò e incominciò a scendere le scale fino ad arrivare in camera sua.
Non incontrò nessun servo, probabilmente erano tutti rintanati nella umida cantina dove suo padre invecchiava i suoi adorati vini.
Quando Edith entrò nella stanza, il calore emanato dal caminetto acceso la colpì in pieno. Si chiuse la porta alle spalle e si buttò a peso morto sul letto, premendo il cuscino sulle orecchie per attutire il rumore degli spari.
Rimase sdraiata immobile per quella che le parve un’eternità, poi conclusi gli spari si alzò di scatto.
Prese il cappotto beje della sua divisa e coprì la svastica sul braccio destro con la fascia da crocerossina. Se i soldati non l'avessero perquisita non si sarebbero mai accorti della pistola posizionata sulla sua cintura.
Diede uno sguardo fuori dalla finestra e vide dei bambini con il volto rivolto verso il muro, poi riconobbe Hans; le braccia dietro la schiena e lo sguardo fiero.
Scese velocemente al piano terra e si accorse che dalle sue spalle stavano arrivando dei rumori, si nascose dietro una colonna e pochi minuti dopo la servitù aveva affollato il piccolo atrio, per poi riversarsi in piazza ed essere allontanati dei soldati.
Edith aprofittò della confusione e sgattaiolò sotto i portici fino al livello in cui si trovava Hans, ma era ancora troppo lontana per avere una mira sicura.
Poi si ricordò della croce rossa che aveva sul braccio e si avicinò titubante a un soldato ferito.
La gamba era stata completamente amputata e giaceva qualche metro distante dal corpo. Gli occhi neri del soldato alla vista della ragazza si illuminarono e tendendo le braccia verso di lei gli parlava in una lingua a lei sconosciuta. Quell'uomo le faceva pena, si accovacciò al suo fianco, il sangue gli usciva violentemente dalla gamba e il viso stava diventando sempre più chiaro. Doveva fermare l'emorragia o sarebbe morto dissanguato. Si tolse le scarpe da marcia e sfilò la calza in lana, il freddo pungente aggredì la sua giovane pelle, ma non vi fece caso. Annodò la calza il più stretto possibile nella coscia del soldato e  il sangue diminuì il suo flusso.
Quando Edith si alzò si accorse di essersi macchiata mani e gambe con il sangue del soldato; poi diede uno sguardo di sottecchi ad Hans: era abbastanza vicina.
Avvicinò lentamente la mano alla cintura e poi estrasse la pistola. Puntò, premette sul grilletto e un proiettile uscì dalla canna colpendo il tedesco in testa. Il suo giovane corpo si acasciò a terra con un grande tonfo.
Gli occhi di tutti i soldati si posarono su Edith.
La ragazza infilò la mano in tasca e estrasse la boccetta di cianuro, l ' avvicinò alle labbra, ma un soldato l'afferrò da dietro e il liquido si rovesciò a terra.
 
"ruhiges Mädchen" [2] disse Harry Ettlinger avvicinandosi alla giovane che si dimenava.
 
"Wie heißt du?" [3] Chiese ancora.
 
La ragazza alzò gli occhi e vide l'uomo che parlava, doveva avere circa quarant'anni e alcuni capelli grigi facevano capolino dal ciuffo castano.
 
"Edith. Edith Miller." Rispose la giovane puntando i suoi occhi di ghiaccio in quelli cioccolato dell'americano.
 
 
[1] Ci arrendiamo! Ci arrendiamo!
[2] tranquilla ragazza
[3] come ti chiami?
~

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Capitolo 3
*** 3- Racconti ***


Racconti




Gli schiamazzi dei soldati Americani vennero scuarciati da un suono metallico e forte. In quel momento le immagini dei corpi mutilati dei soldati e delle iridi vuote del padre le tornarono in mente. Edith Impiegò tutte le sue forze per allontanare da se quei ricordi, ancora troppo vividi e taglienti.
Fece qualche respiro profondo per tornare in sé e si diresse verso il bagno collegato alla sua stanza. Nella vasca, l’acqua calda, che una cameriera doveva averle preparato, conoscendo le sue abitudini, lasciava salire verso l’alto volute di vapore che avevano già appannato lo specchio dalla spessa cornice d’oro, mentre la vasca bianca dai piedini dorati per poco non strabordava di bollicine.

Edith odiava tutto in quella stanza. A dire il vero, odiava tutto in quella casa. Suo padre, che ormai l'aveva abbandonata; sua madre, che morta prematuramente non vi aveva mai messo piede; le cameriere, troppo servizievoli; il giardiniere, troppo invadente; i letti troppo alti, le stanze troppo grandi, i materassi troppo duri, i colori o troppo scuri o troppo chiari, li odiava tutti. C’erano dei giorni in cui voleva rompere tutto per poi scappare via. Voleva tornare a vedere i boschi austriaci, dove, da piccola, era andata qualche volta a passare le estati con i nonni. Voleva tornare a Berlino per correre nella neve bianca, indovinando quanti soldati stanno marciando sul manto scricchiolante. Voleva scomparire, affondare nel pavimento per non riemergerne mai più. Voleva immergersi completamente in quella vasca e lasciarsi morire lì dentro.
Ma non lo fece.
Uscì dalla vasca solo quando qualcuno bussò leggermente alla sua porta. Si avvolse un asciugamano bianco intorno al corpo e aprì alla cameriera, che svuotò velocemente la vasca, pulendola.

"Vi serve qualcos’altro, signorina? I soldati sono di sotto... stanno aspettando lei" chiese alla ragazza, tenendo il capo basso.

"No, grazie, Kathrin" le sorrise e si affrettò a richiudere la porta alle sue spalle. Prese un respiro profondo, appoggiandosi con la schiena alla porta di legno e lasciandosi scivolare verso il basso. Rimase immobile qualche istante prima di alzarsi di nuovo.
In un paio di minuti aveva finito di asciugarsi e aveva già indossato un vestito nero che faceva apparire la sua pelle ancora più candida. Si sedette davanti al tavolino da toeletta e iniziò a spazzolarsi i lunghi capelli bagnati.
 
Due colpi sulla porta la bloccarono.

"Sì?" chiese, girandosi verso la porta scura, le dita che intrecciavano i fili oro.

"Ich bin der Soldat Walter Wright. (1) Il mio superiore la vuole" rispose una voce in un tedesco titubante.

"Arrivo" e sistemò velocemente i capelli. Si rassettò i vestiti e lentamente aprì la porta.
 
Un giovane soldato in uniforme gli comparve d ' innanzi,  era lo stesso uomo che minacciava Hans. Agli inizi Edith provò una sensazione di odio nei suoi confronti, ma quando i suoi occhi di ghiaccio incontrarono quelli nocciola del ragazzo tutto sembrò scomparire.
I due si guardarono per qualche secondo poi, Edith si mosse in direzione delle scale.
 
 
 
Walter si scosse all'improvviso, la giovane ragazza si era mossa dalla porta. La figura esile avanzava sensuale verso la balaustra e i lunghi capelli biondi gli omdeggiavano nella treccia.
Il soldato si maledì mentalmente. Quella ragazza era molto bella, ma doveva dimenticarsela, lui era americano e lei tedesca. E poi, l'aveva vista uccidere un ufficiale delle SS a sangue freddo, doveva essere per forza pericolosa, ma la sua mente faticava a credere che una ragazza così piccola e innocente potesse essere una minaccia.
 
"Ich bin Edith Miller." (2) Dichiarò la ragazza ormai a metà scale.
 
"Walter, Walter Wright." Rispose il ragazzo voltando lo sguardo verso Edith, che continuava a scendere le scale guardando dritto davanti a sé.
 
 
Solo nell’atrio Edith voltò il viso verso il giovane, dirigendosi verso la sala da pranzo. Un uomo era seduto al posto di suo padre, attorno all’enorme tavolo di ciliegio e fumava tranquillamente, mentre un altro soldato scrutava il cielo dalla finestra.

"Guten Morgen" (3) la salutò Henry Ettlinger, alzandosi in piedi non appena Edith comparve sulla porta.

La ragazza rispose al saluto e prese posto davanti al giovane soldato dai mossi capelli scuiri che, come aveva scoperto, si chiamava Walter.

I tre soldati parlavano placidamente tra di loro, come se fossero in un ricco club NewYorkese.
Per Edith quelle parole risultavano ignote e confusa. Niente non era più uguale alla sera precedente, suo padre era morto e con quello non si mangiava più in silenzio.
 
Nella stanza risuonavano solo i tintinnii delle posate sui piatti. Secondo suo padre, non bisognava mai mischiare famiglia e lavoro e, essendo il lavoro tutto per lui, spesso non si parlava affatto. Edith  aveva presto imparato a tenere la bocca chiusa. Tante volte taceva tutto: i voti di scuola, le nuove amicizie che aveva fatto e persino i problemi che aveva, per i quali, però, non c’era mai tempo. Solo quando il padre si sedeva sulla poltrona del salotto a leggere il giornale, le chiedeva dei voti, sperando sempre che fossero ottimi, come effettivamente poi erano.
Edith si sentiva sola, si era sempre sentita così. Solo quando stava con suo fratello Albert o con i suoi tre bracchi, i cani che suo padre portava con sé quando andava a caccia, si sentiva in qualche modo viva.
 
Ma in quel momento tutto era differente, quei tre uomini parlavano tranquillamente e quasi le fecero dimenticare il luogo dove si trovava. 
"Ci avete risparmiato del lavoro uccidendo quel soldato, noi la ringraziamo per questo" dichiarò Henry quando ebbe finito di mangiare.
 
Edith alzò molto lentamente gli occhi di ghiaccio verso l'uomo e senza volerlo portò la mano sulle due piastre della collana del fratello.
 
I due si fissarono per alcuni secondi, dopo di che la giovane ordinò imperiosa: "entfernen Sie die Speisen zubereitet, und das Wohnzimmer"
 
Due serve incominciarono a eseguire gli ordini, mentre i tre soldati le aiutavano porgendogli i piatti vuoti.
 
"Era di vostro padre?" Chiese con fare dolce Henry.
 
"keine" (4) rispose rattristata la giovane "era di mio fratello"
 
"Anche io ho perso un fratello, è difficile accettarlo" aggiunse il moro con la sua lingua tutubante.
 
"Mi dispiace" aggiunse il più vecchio.
 
Edith si alzò e avvicinandosi alla finestra iniziò a parlare dando le spalle ai soldati, per non far notare gli occhi lucidi: "Era l'unica persona che mi capiva, l'unica che mi spalleggiava. E se n'è andato. Per seguire gli ideali di nostro padre; che per lo più lui odiava. Ricordo ancora il giorno della sua partenza. Era il 1941 la neve si era sciolta da poco e i primi fiori avevano incominciato a sbocciare. Aveva diciassette anni e una vita davanti... ma mio padre non ha fatto nulla per aiutarlo!" Solo in quel momento su accorse che aveva assunto un tono accusatorio e stava stingendo i poni intorno al pendente talmente forte da rendere le nocche bianche.
 
Si rassettò i vestiti : "Il seguente natale ricevetti una sua lettera... si trovava un Russia e diceva che li era tutto più difficile. Pochi giorni dopo lui e la sua divisione furono colpiti da l'armata rossa... di lui non mi è restato niente oltre questa." Continuò lasciando ricadere la catenina sul suo petto.
 
Poi senza dire ninte si diresse come nulla fosse verso la porta in mogano e uscì dirigendosi in biblioteca. Sicuramente respirare l'odore dei libri l'avrebbe resa molto più tranquilla e avrebbe fatto scomparire quel' ala di inquietudine che si era stretta su di sé.
 
 
 
(1) Io sono il soldato Walter Wright
(2) Io sono Edith Miller
(3) Buon giorno
(4) No
~

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Capitolo 4
*** Missione Biblioteca ***


Missione Biblioteca



"Cosa ne faremo della ragazza?" chiese il terzo uomo appena la figura della giovane scomparve dietro la porta.
Harry iniziò a grattarsi la testa, come faceva ogni qualvolta aveva strano pensiero gli passava per la mente.
"non penso sia pericolosa" sentenziò dopo qualche minuto di silenzio.
"Ma Signore..." si intromise ancora l'altro soldato "...avete visto anche voi, con che facilità ha ucciso quel crucco... potrebbe farlo anche con noi"
Walter che fino a quel momento aveva partecipato poco alle conversazioni si intromise dicendo: "L' ha fatto per odio glielo si leggeva negli occhi"
"Tu stai zitto pivello! Non ne sai niente di guerra!" lo ammonì il terzo soldato.
Il giovane non rispose alle offese ricevute, per il semplice motivo che non poteva mettersi nei guai davanti al suo superiore; che fino ad allora lo aveva considerato come un ragazzo incline alle regole.
"io la penso come lui" aggiunse serio e con sguardo ammonitore il più vecchio, alzandosi andando verso i fuoco scoppiettante: "...ma non ci possiamo fidare al cento per cento...ci serve qualcuno che indaghi con discrezione"
"se mi permette signore..." si intromise l'altro soldato alzandosi a sua volta "proporrei il soldato Walter Wright per questo compito...insomma, è giovane e bello... e lei una ragazza giovane, che puo' cadere ai suoi piedi"
Sul volto del vecchio Harry si tinse un espressione dubbiosa, ma poi ammise: "non sarà così semplice. Non tutte le crucche si vendono per un po' di cioccolata, e lei non è una di quelle. Ma si puo' tentare... cosa ne pensi Walter?"
"Nessun problema Signore" dichiarò immediatamente alzandosi in piedi di scatto.
"Allora cosa aspetti? Vai da lei! Non voglio vederla da sola nemmeno un secondo" continuò imperioso, mentre Walter usciva dalla porta.
Il giovane era molto più che felice. Passare il suo tempo con la giovane Edith suonava inverosimile nella sua mente, e un lato di lui sperava che sarebbe riuscito a farla innamorare; mentre l'altro, quello più razionale gli ricordava della dura missione da compiere.

Edith se ne stava tranquilla nella fredda biblioteca di famiglia. Quel posto, pieno di libri ingialliti la estraniava dal mondo e le portava alla mente suo fratello; infatti era propio qui che i due si incontravano e fantasticavano sulla loro vita futura. In quel periodo la guerra era solo un rumore lontano riportato da voci alla radio, a lei non sembrava vero della brutta piega che aveva ormai preso la sua vita.
Gli occhi di ghiaccio fissavano la piazza brulicante di soldati in mimetica verde e le sembrava strano di non udire i loro passi sul selciato scuro, come succedeva con i militari tedeschi. Il suo corpo giaceva composto nella poltrona di pelle marrone e sulle gambe aveva un libro, fermo su quelle stesse pagine da molto tempo, mentre la mente vagava per sentieri sconnessi.

BERLINO, 1934

"Elga, dici che tornerà?" chiese Edith alla sua balia.
Aveva sei anni e se ne stava seduta sotto il gazebo del giardino, al riparo dal caldo sole estivo.
"Ma certo, piccolina" le aveva sorriso Elga accarezzandole la treccia di capelli chiarissimi per poi riempirle il bicchiere di limonata fresca. "Non ti preoccupare". Le aveva sorriso di nuovo e aveva ripreso a leggere il suo libro.
Elga Krause era una donna sulla trentina, con lunghi capelli biondo scuro – spesso raccolti in una crocchia – e con un paio di occhi marrone cioccolato. Era stata assunta dalla famiglia Miller sei anni prima, quando era nata Edith, perché la signora Miller non avrebbe sopportato il fatto di crescere un altra creatura urlante come il suo primo figlio, Adam. Elga era anche l’unico membro della servitù che potesse rivolgersi ad Edith come avrebbe potuto fare con sua figlia e questo era un enorme privilegio agli occhi dei suoi colleghi, che non potevano permettersi di interagire con Edith come faceva lei. E per Edith era l’unica persona con la quale potesse parlare liberamente di qualsiasi cosa le passasse per la testa, era l’unica vera madre che avesse mai conosciuto.
Ma, mentre Elga proseguiva nella sua lettura ad alta voce, cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione e coinvolgerla, i pensieri di Edith non erano lì con lei.
Pensava a Thor, il pastore tedesco che due anni prima aveva chiamato come uno degli dei della mitologia nordica.
Ricordava ancora come, il giorno del suo quarto compleanno, suo padre fosse tornato a casa con un fagottino tra le braccia, glielo avesse porso e, con sua grande sorpresa, le avesse fatto gli auguri. Già a quattro anni Edith non avrebbe mai immaginato che quell’uomo distaccato e sempre concentrato sul suo amato esercito fosse in grado di cantarle Zum Geburtstag viel Glück[1] con un sorriso dipinto sulle labbra.
Quando aveva scostato un lembo della coperta marrone – presa in prestito da quelle dell’esercito, come aveva sospettato la bambina – per vedere cosa nascondesse, si era lasciata sfuggire un urletto eccitato vedendo il musino di un cucciolo di pastore tedesco che le annusava la mano.
Era saltata in piedi di scatto, con il cucciolo ancora tra le braccia, e si era fiondata in cucina per far vedere il suo nuovo amico ad Elga.
Ricordava che la donna le aveva sorriso e le aveva chiesto, inginocchiandosi davanti a lei: "Come si chiama, Edith?".
La bambina ci aveva pensato su qualche secondo quando ricordò i miti nordici che le raccontava suo fratello Adam e il nome del dio che le piaceva di più.
"Thor!" ed era corsa in giardino a giocare con il cane nell’aria tiepida della primavera.
Ma ora Thor mancava da casa quasi da un mese, durante il quale non era passato giorno senza che Edith non avesse fatto altro che piangere tra le braccia della balia.
Ad un tratto Thomas, un ragazzo sui diciott’anni figlio del giardiniere, aveva girato intorno alla casa e aveva iniziato a camminare nella direzione di Edith ed Elga con Thor legato al guinzaglio.
Appena lo vide, la bambina gli corse in contro urlando di gioia, si era inginocchiata e aveva buttato le braccia attorno al collo peloso del cane per abbracciarlo.
"Allontanati da lui" l’ordine secco di suo padre la fece sobbalzare sul posto, facendo sciogliere l’abbraccio della bambina. "Si è allontanato una volta, non possiamo più fidarci di lui, Edith".
Quando si girò, suo padre teneva la pistola in una mano, il braccio teso, e la puntava dritta nella sua direzione.
Edith si allontanò di qualche passo dal cane per paura di essere colpita.
"Padre..." voleva supplicarlo, ma era troppo tardi.
Non sentì il rumore dello sparo, forse la sua mente non voleva registrarlo. Sentì invece un uggiolio di dolore e, quando si girò per guardare, Thor giaceva sull’erba tre passi di fianco a lei, un buco sanguinante campeggiava sulla sua fronte, sporcandogli il pelo del muso di sangue.
Si avvicinò al cane come in sogno, reggendosi sulle gambe tremolanti.
Ricordava che si era lasciata cadere sulle ginocchia, aveva abbracciato Thor, sporcandosi il vestitino bianco con il suo sangue, ed era scoppiata a piangere disperata.
Era rimasta in quella posizione fino a quando Elga non si era riscossa dallo shock ed era corsa a separare i due amici.


La bionda tedesca quasi cadde dalla poltrona per lo spavento, quando la figura di Walter comparve dinnanzi a lei. Era talmente immersa nei suoi pensieri, che non aveva fatto caso al giovane soldato.
"Posso farvi compagnia?" Chiese cortesemente.
Edith non ci pensò due volte e dichiarò: "einer [2]"
Il ragazzo si sedette nella poltrona di fronte a lei e puntando i suoi occhi nocciola sulle pagine del libro chiese: "che libro è?"
"Psychologie und die Analyse der Selbst [3]" rispose tranquilla chiudendo le copertine.
Sul volto del giovane si dipinse lo stupore e incuriosito aggiunse: "Pensavo che Freud fosse ebreo!?"
"Lo è" dichiarò Edith puntando i suoi occhi grigi in quelli del soldato. "I suoi libri sono stati banditi... questa è una delle ultime copie in Germania... sono riuscita a salvarla da mio padre solamente perché lui non metteva mai piede qui"
"Non credevo che vi potessero interessare certi argomenti" rispose pacato.
Edith portò le mani alla bocca per scaldarle e mentre le strusciva l'una contro l'altra aggiunse: "la medicina e la psicologia mi hanno sempre afascinato; ma essendo donna, il massimo che ho potuto fare è stato diventare infermiera"
"Io prima di finire in guerra mi stavo specializando nell'ospedale della mia città" dichiarò sorridente Walter "...e ora mi ritrovo tra questi barbari analfabeti"
L'appellativo con cui il giovane aveva chiamato i suoi compagni face sorridere Edith che cambiando discorso disse: "da quale città venite?"
"Si chiama Chicago... è molto fredda, come la germania" rispose guardando fuori dalla finestra.
"Non l'ho mai sentita..." parlò in un sussurro la giovane.
"Scusatemi." Aggiunse nuovamente alzandosi "ma credo che mi ritirerò... la mia mente sta pensando a troppe cose"
"A domani, Edith" rispose sorridendo il soldato, guardando la figura della giovane fuggire via.





[1] La canzone di buon compleanno.
[2] si
[3] La psicologia delle folle e analisi dell'io un libro dello psicanalista Austriaco di origine Ebrea Sigmund Freud
SPAZIO AUTRICE:
Mi scuso per il grande ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo, ma nemmeno l'estate è riuscita a eliminare lo scrittore tormentato che vive in me.
Spero vi sia piaciuto.
Baci.~

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