Un nuovo inizio

di The black angel
(/viewuser.php?uid=66496)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio ***
Capitolo 2: *** Il risveglio ***



Capitolo 1
*** Addio ***


Eragon era ancora sconvolto dal repentino cambio di eventi che aveva dovuto sopportare e che stavano distruggendo l'intera regione di Alagaesia. I Varden non erano riusciti a sconfiggere Galbatorix che, anzi, stava continuando ad aumentare i propri poteri magici. Gli elfi erano tornati a Ellesmera, mentre i nani non volevano abbandonare, non tutti almeno, coloro che in guerra erano stati i loro fedeli alleati. Ma non era questo ciò che più turbava Eragon. La sua dragonessa, la prima del nuovo ordine dei Cavalieri, era stata uccisa e non l'avrebbe mai più rivista. Saphira, la sua Saphira non avrebbe mai più comunicato con lui e questo lo rendeva solo, disperato e più chiuso che mai. L'unica amica che era rimasta al suo fianco era Arya, la bellissima elfa, principessa del suo popolo e messaggera, in un tempo remoto, fra gli elfi e i Varden.

L'aria attorno a lui era calda, afosa, e tutto aveva preso il sapore del sangue. La sua armatura era stata distrutta in battaglia, proprio come quella di Saphira, leale al suo cavaliere fino all'ultimo. Infatti la dragonessa era morta per amore del suo Cavaliere, proprio di Eragon, salvandolo dalle fauci di Castigo, il drago di Murthag. Si era parata davanti alla fiamma magica che usciva dalle fauci del rosso drago, ma non era riuscita a impedire a Eragon di cadere di sella e precipitare con un tonfo sordo al suolo. Era morto, o almeno così pensava. Tutti lo pensavano. La caduta era stata terribile, un volo durato quasi due minuti che aveva ridotto Eragon allo stremo delle forze. Era svenuto per due ore e quando aveva riaperto gli occhi il sole non si notava più alto nel cielo, ma questo era tempestato di stelle e da una grossa luna piena.

Subito dopo aver notato la bellezza del firmamento era partito alla ricerca di Saphira, ma non dovette cercare molto prima di trovarla. Infatti la dragonessa era stata portata all'accampamento dei Varden, pronta per essere presentata per l'ultima volta al suo amato Cavaliere. Le sue squame erano lucide, il più bel blu che si fosse mai visto, che riflettendo i raggi lunari illuminavano gran parte delle tende vicine, rendendole chiare e affusolate. Lungo il volto di Eragon iniziarono a scendere fiumi di lacrime, che non riuscivano a esprimere tutto il dolore e la pazzia in cui l'ex Cavaliere dei Draghi si era immerso, credendo di non poter fare più ritorno al mondo reale e razionale. D'un tratto qualcosa attirò l'attenzione di Eragon: una spada era conficcata nel petto ricurvo della dragonessa. Allora le si avvicinò, pregò per lei e, come su usanza elfica, si toccò le labbra con le due dita e parlò per primo, onorandola, ma sapeva che lei non poteva più rispondere.

Riniziò a piangere lacrime amare e la sua gola si fece arida, iniziò a sputare saliva e fu colto da uno spasmo tanto violento da costringerlo ad accasciarsi a terra. Una volta che lo spasmo fu passato il corpo di Eragon smise di rabbrividire e lui potè tornare in ginocchio, ad ammirare il panorama straziante che gli si ergeva di fronte: un occhio di Saphira era ancora spalancato, poichè la palpebra destra era stata bruciata nello scontro con Castigo. Poi si ricordò della spada e tornò, con uno sforzo immane, ad esaminare con attenzione la carcassa della dragonessa. Un altro brivido lo percorse dalla testa ai piedi: la lama della spada non si era minimamente scheggiata entrando nel corpo di Saphira e la lama era rosso fuoco. La estrasse e riconobbe l'arma spietata di suo padre, poi di Brom e infine di Murthag, suo fratello: Za'roc era tornata ad uccidere i draghi, come aveva fatto molto tempo prima, quando Galbatorix non era ancora salito al potere.

Le sue nocche sbiancarono a causa della stretta della sua mano sull'elsa della spada, urlò di dolore e disperazione e, accecato dalla rabbia, usò la magia per distruggere la spada. Non perdette energia, poichè l'aveva attinta direttamente dalla spada stessa, ma quando questa finì dovette iniziare a prelevarla dagli altri animali, che morirono sul colpo. Alla fine riuscì a distruggere Za'roc e, urlando un grido di gioia amara, maledisse il re, suo padre e suo fratello. Poi si accasciò sul corpo di Saphira, esausto per il combattimento che aveva dovuto sostenere quello stesso pomeriggio, ma prima di lasciarsi coccolare dal sonno vigile tipico degli elfi, disse una parola, una soltanto, ma con una rabbia tale da costringere gli uccellini a fargli da eco. Disse: << Vendetta! >> e si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il risveglio ***


Quando

Quando Eragon si destò la luna era ancora alta nel cielo, ma all’orizzonte si iniziava ad intravedere il sole che rischiarava il firmamento. Si rese conto di non essere più accanto a Saphira, ma non capì immediatamente in quale tenda fosse finito. Allora si guardò intorno, ma non riuscì a distinguere alcuni elementi con la stessa precisione e con la stessa dettagliata vista che aveva fino alla morte della sua dragonessa. Al momento non se ne preoccupò, credendo di essere ancora stanco per il combattimento del giorno precedente, ma poi qualcosa lo fece sobbalzare.

Si ricordò che erano stati i draghi a farlo somigliare ad un elfo, a renderlo atleticamente perfetto, a dargli una forza fuori dal comune. Ma come Cavaliere dei Draghi. Cosa che ormai non era più, per colpa di Galbatorix. Quindi era tornato umano, si disse, e iniziò a pensare a tutti i momenti passati con la sua dragonessa. Lacrime di sconforto iniziarono a scendere lungo il profilo del suo viso, inesorabilmente umano, e lui si sfogò completamente prima di riuscire a controllarsi.

Si alzò, si fece un bagno freddo, indossò una delle sue tuniche elfiche ed uscì, diretto al padiglione di Nasuada, il comandante dei Varden. Le strade dell’accampamento erano ancora deserte, visto l’orario, eccezion fatta per le sentinelle in ronda. I pochi passanti che incontrò lo fecero sentire ancora più inutile, visto che abbassavano la testa al suo passaggio. Come biasimarli? Dopotutto lui e Saphira erano le uniche speranze di vittoria contro l’Impero, gli unici in grado di fermare il re crudele ed il suo fido braccio destro Murthag.

Giunse al rosso padiglione di Nasuada e notò che lei era sulla soglia, intenta a tessere un pizzetto. Lui la salutò così: << Salve Lady furia nera. Passata una buona notte? Dobbiamo parlare. >> 

<< Un momento solo, Eragon Ammazzaspettri. Lo vedi, sono impegnata. >>

Così passarono circa due ore, dopo le quali Eragon si alzò di scatto per protestare, ma prima che avesse il tempo di farlo Nasuada lo fermò esclamando: << Calma Eragon. Andiamo dentro, anche io devo comunicarti qualcosa di importante >>. E così fecero. Quando il ragazzo scostò il lembo della tenda che fungeva da porta vide che all’interno il padiglione era stato riempito di armi, armature e scudi. Eragon si chiese il perché, ma non riuscì a darsi una risposta convincente. Devo, devo dirglielo, ma come farò a trovare il coraggio per ammettere questo errore, fatale per i Varden? Non lo so, ma lei deve sapere, pensò l’ex Cavaliere. Meglio che venga a conoscenza del fatto da me, piuttosto che da Galbatorix. Anche perché l’ora è tarda, lui conosce il mio nome.

Iniziò a parlarne con Nasuada, quando un tonfo assordante rimbombò di fianco alla tenda e i Falchineri stramazzarono a terra, contorcendosi dal dolore. Troppo tardi, si disse Eragon, e si preparò alla battaglia. Quando

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=326336