Black heart - Figlia della Luna

di Piuma_di_cigno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Scarlett ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Nebbia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Trasformazione ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Lupo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Benvenuta ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Nuovo ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Primi giorni ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Daniel ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Alexa ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Lupetta ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Promessa ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Verità ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Lago ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Permesso ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Accettazione ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Aggressione ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Vero vampiro ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Attesa ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Ufficiale ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Ellie ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Sorelle ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Nuovo membro ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Spezzato ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Fuori ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Consiglio ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Scarlett ***


Quella era una mattina normale.

O, almeno, era la definizione che io davo a una mattinata normale: suonò la sveglia, la buttai giù dal comodino, mi alzai, scesi a fare colazione, mia madre mi augurò una buona giornata … Per fortuna, niente a che fare con la scuola, ormai.

Era da meno di una settimana che avevo finito il liceo, fino all'ultimo esame. Cominciava la vita vera, pensai mentre uscivo con la borsa stretta al petto, diretta al lavoro part-time nella libreria poco distante.

Presi la macchina di mia madre per andarci anche se sarebbe stato meglio andarci a piedi, tanto per darmi una svegliata e scacciare la pigrizia sonnolenta che mi intorpidiva le braccia e le gambe.

Era una mattinata grigia, come poche in estate, e, nonostante il freddo, avevo addosso solo una canottiera nera, con un paio di jeans e delle comode scarpe, il più possibile, visto che starsene tutta la mattina alla cassa o a catalogare continuamente libri richiedeva l'assenza di tacchi.

Quando entrai in negozio, la mia collega Katie sgranò gli occhi.

“Scarlett, non hai freddo?”

Katie era … Freddolosa. Molto freddolosa.

Mi vennero i brividi a vedere che indossava una felpa invernale larga, un paio di jeans dall'aria pesante e un paio di stivaletti. Fosse stato un po' di tempo prima, probabilmente l'avrei fissata esterrefatta per un paio di minuti – come avevo effettivamente fatto quando ci eravamo conosciute-, ma in quel momento mi limitai a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo.

“Mi pare che sia tu quella che ha freddo, qui.”

Sorrise e scrollò le spalle.

Era minuta, con la carnagione bianca come la carta e sembrava che al minimo tocco potesse rompersi. Non di rado, doveva starsene a casa con la febbre. Aveva capelli e occhi neri, e la cosa faceva risaltare non poco il suo pallore.

“Com'è andata ieri sera?” chiesi, appoggiando la borsa dietro il bancone e cominciando a catalogare i libri nuovi.

Katie sorrise di nuovo.

“E' stato carino.” rispose, incerta. Ecco, carino era il codice di Katie per dire che era stato davvero terribile. Lei era una di quelle persone talmente buone da far sentire gli altri cattivi, anche se non lo erano.

“Non ne dubito. Quale bambino ha pianto tutto il tempo, allora?”

Katie sospirò. La sera prima era la serata dedicata alla lettura, e lei aveva accettato l'incarico, lasciando a me quello della catalogazione di nuovi volumi. Ogni volta, almeno un bambino strillava per tutto il tempo, o faceva disastri nella libreria, o cercava di arrampicarsi sulla mia collega. Lei lo trovava terribilmente stancante, ovviamente, ma non lo ammetteva, perché continuava a sperare che in fondo tutti i bambini fossero davvero carini.

“Carl.” rispose infine, prendendo qualcosa da dietro la cassa. “Non fraintendermi, io gli voglio bene, ma … Ecco ...”

Per un attimo, pensai di dirle quello che le dicevo sempre, ovvero che potevamo scambiarci i compiti, ogni tanto, ma poi una scintilla di rabbia, imprevedibile, dal nulla, esplose nel mio petto.

“Ma insomma, Katie! Devi smetterla! È ora che tu reagisca! Tu fai così solo … Solo ...”
Sentivo la rabbia arrivarmi a ondate, soffocandomi, impedendomi di parlare e di trovare le parole. Per un attimo, rimasi esterrefatta, tremante, ad occhi sgranati. Poi, la rabbia sparì.

Il mio cuore rallentò e le mie guance tornarono pallide e il mio cervello funzionò abbastanza per capire che avevo fatto piangere Katie.

“Katie, davvero … Io non … Non so ...” cercai di avvicinarmi, ma lei si scostò.

“Non ...” disse soltanto, prima di sparire nel retro del negozio, lasciandomi sola. Ancora tremavo. Non sapevo davvero come fosse potuto succedere. Io non ero una persona irascibile. Mi ritrovai a corto di fiato, quando una cliente entrò in negozio.

Feci del mio meglio per sorriderle e per dissipare quella strana nebbia che mi si era formata in testa.

 

Katie non mi parlò per tutta la giornata. Non era arrabbiata con me, ne ero sicura, ma preferiva tenersi a distanza, come per paura di darmi fastidio.

Non cercai nemmeno di avvicinarmi, la gola serrata dal senso di colpa per quello che le avevo detto. Era come se una nebbia mi si fosse insinuata in testa, una nebbia malefica, e mi avesse fatto dire quelle parole. Ne rimasi spaventata per tutto il giorno.

Ero sulle spine, terrorizzata, in attesa che quella sensazione tornasse di nuovo. Era come se avessi centinaia di piccoli aghi che mi pungevano sulla pelle. Ero sensibile a qualunque movimento intorno a me e persino una mosca sulla mano mi faceva saltare dallo spavento.

Quando, infine, la giornata si concluse, ero esausta e fuori diluviava.

Non avevo l'ombrello, ma non mi importava, perché un po' d'acqua fredda mi avrebbe decisamente fatto bene. E poi, non avevo mai preso un raffreddore o un'influenza quell'anno, nemmeno quando ero caduta nel lago dietro la scuola, mesi prima.

Non faceva freddo.

Guardai Katie allontanarsi con l'impermeabile e l'ombrello e mi chiesi se ci fosse qualcosa di sbagliato in me, visto che gironzolavo in canottiera e jeans. Quando passai davanti alla casa dei vicini e notai che il termometro sul muro segnava dieci gradi, cominciai a pensare di avere la febbre.

Rientrai e corsi a farmi una doccia calda, liberandomi dei vestiti fradici e indossando un paio di pantaloncini e una maglietta. Eppure, continuavo a non sentire il freddo.

Alla fine, mi arresi e misurai la febbre, di nascosto, per non far preoccupare mia madre. Ma niente. Non avevo niente.

Riposi il termometro dandomi della sciocca e andai in cucina per la cena.

Eravamo solo io, mamma e mia sorella. Papà e mamma si erano lasciati molti anni prima, poco dopo la mia nascita, e da allora eravamo cresciute solo con mamma.

Era una persona forte, ma una delle sue peggiori paure erano le malattie, perciò evitavamo accuratamente di parlarne, per non finire all'ospedale. Ostentai indifferenza persino quando mi accorsi che il bicchier d'acqua, gelato, che presi in mano risultò solo vagamente freddo, come se lo stessi toccando coi guanti.

Mia sorella era più grande di me di cinque anni. Si chiamava Ellie; rimaneva con noi ancora una settimana, prima di tornare al college in cui studiava. Da piccole ci detestavamo, ma con gli anni le cose erano migliorate e, anche se non eravamo esattamente amiche, stavamo bene insieme e avevamo tanti ricordi ed esperienze da condividere. Lei era il tipo di persona che non mi avrebbe mai giudicata, che non avrebbe mai giudicato nessuno, nonostante sapesse essere aggressiva con chi la trattava male.

Con una stretta al cuore, mi impedii di ripensare a Katie.

“Tesoro, mi passi il sale?” mamma mi tese la mano, dall'altro lato della tavola. Presi il barattolino del sale, ma si frantumò tra le mie dita prima che potessi dire anche una sola parola.

Senza fiato, sentii la rabbia arrivarmi di nuovo addosso, a ondate e sentii la mia mano, come non fosse mia, stringersi a pugno, fino a conficcarsi i vetri del contenitore nei palmi. Ero furiosa.

Mi alzai da tavola, con il desiderio cocente di urlare, di piangere, di rompere tutto quello che era in cucina.

Ellie si alzò, studiandomi.

“Sky, cos'hai?” ma io non ci vedevo più.

Era tutto rosso di rabbia, quello che vedevo, non riuscivo a controllarmi. E, prima che potessi impedirmelo, vidi la mia mano stretta a pugno saettare verso il muro, lasciandone l'impronta, e facendone crollare dei frammenti sul pavimento.

Mia madre e mia sorella si immobilizzarono, in piedi accanto al tavolo, mentre l'onda di rabbia passava e crollavo in ginocchio, la testa fra le mani, travolta dai tremiti.

Spazio autrice: ciao a tutti! Questa storia è dedicata a tutti coloro che amano il lato più dolce dei licantropi; i licantropi che si trasformano di loro volontà e che non sono succubi della luna piena. Detto questo, il racconto è dedicato ovviamente alla mia amica Lisa, che mi ha chiesto di scriverlo.
Spero lascerete molte recensioni!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Nebbia ***


 Capitolo 2 - Nebbia
 

E' l'incertezza che affascina. La nebbia rende le cose meravigliose.
(Oscar Wilde)

In camera, dopo essere fuggita da mia madre, da mia sorella e dalla cucina, mi ritrovai a fissare il soffitto, perfettamente insonne.

Avevo preso delle pastiglie per dormire, molto forti. Erano praticamente sonniferi, ma su di me non avevano sortito nessun effetto. Era come se non potessi più assumere medicinali.

Non mi sentivo calma e pronta a dormire, sentivo il cuore battermi all'impazzata, in un tumulto spaventoso che mi sconquassava il petto. Mamma ed Ellie erano giù e le sentivo parlare piano; sapevo che mia madre stava provando a convincere mia sorella a mandarmi da uno psicologo o a portarmi da un medico, e sapevo che mia sorella provava a convincere mamma a discuterne con me.

E non lo sapevo perché le conoscevo.

Lo sapevo perché riuscivo a sentire fino al piano inferiore.

Potevo aguzzare un po' l'udito e prestare attenzione, e le loro voci divenivano nitide come fossero nella stanza con me.

Mi ero infilata sotto le coperte, ma cavolo, cavolo, cavolo quanto faceva caldo! Stavo letteralmente bollendo, lì sotto, e il sudore mi correva a fiumi per tutto il corpo.

Mi scoprii e sentii l'aria fresca sopra di me.

Il fatto che il cuore mi battesse nel petto come un martello pneumatico, non aiutava di certo, pensai mentre mi tiravo a sedere nel vano tentativo di calmarmi. Doveva essere un attacco di panico, mi dissi.

Ma allora perché il tranquillante non aveva avuto alcun effetto?

Guardai con aria assente il cielo fuori dalla finestra tingersi di rosa e poi di azzurro, e sentii le voci di mia madre e mia sorella spegnersi un po' alla volta. Avevano deciso di lasciarmi sola, intuii.

Mi alzai e indossai un paio di jeans, neri, leggeri e attillati. Con quelli, non potevo far paura a nessuno, mi dissi. Misi un paio di scarpe da ginnastica e una canottiera e, per un attimo, presi davvero in considerazione l'idea di scendere le scale e affrontare mia madre e mia sorella.

La mia mente era confusa. Mi sembrava tutto annebbiato, come se mi servissero sei o sette secondi in più del solito per capire le cose, e come se questo mi facesse sentire incredibilmente lenta.

Anche la vista mi giocava strani scherzi; era come lo zoom impazzito di una macchina fotografica. Un istante prima vedevo bene, un istante dopo mi sembrava di avere la faccia appiccicata allo specchio e di vedere ogni dettaglio sul vetro, ogni ammaccatura, ogni crepa, ogni goccia, ogni macchia, ogni granello di polvere … Un istante dopo ero lontana e vedevo nei minimi dettagli le cime degli alberi della riserva naturale, a chilometri da casa.

Mi voltai e raggiunsi la finestra, incespicando.

Sul vetro c'erano trentatré granelli di polvere, sette macchie, di cui due erano di olio, cinque erano ditate. C'erano venti gocce di pioggia sopra il vetro, un pelo di cane, che non sapevo proprio da dove fosse arrivato, e cinque fili di ragnatela.

La luce del sole mi illuminò debolmente il viso, ricordandomi quanto facesse disperatamente caldo. Era tutto troppo caldo.

Il mio cuore batteva furiosamente, mentre aprivo la finestra e guardavo giù, scorgendo le gocce di rugiada sull'erba, le formiche, gli insetti, qualche zanzara … Riuscivo a vedere tutto.

La mia mente era terribilmente annebbiata. Non capii cosa stessi facendo, neanche quando fui in volo e atterrai senza un rumore in giardino, con un salto dal secondo piano della casa. Nessuno mi sentì e cominciai a camminare verso il bosco.

Non avevo la più pallida idea di cosa stessi facendo.

Quello che vedevo era chiaro, nitido, ma la mia mente era offuscata e non riuscivo a capire quello che vedevo. Non riuscivo a darvi abbastanza importanza, non riuscivo a concentrarmi, a capire perché quelle cose erano state importanti.

Mi ritrovai a camminare attraverso le strade della città con una meta precisa, ma senza sapere dove fossi diretta.

Mia madre e mia sorella dormivano.

Nella casa accanto alla nostra, la vicina era sveglia. Anche la signora con il gatto era sveglia. Aveva la televisione accesa e stava guardando un programma di cucina.

Le coperte nel letto della vicina frusciarono mentre si svegliava. Era stanca, inquieta.

Nell'altra casa c'erano tre bambini. Due erano svegli e ridevano, ma i genitori e l'altro fratellino non se n'erano accorti e dormivano ancora.

Sentii il rumore delle uova mentre le rompevano, e una padella spostata. Poi, le zampe di un cane ticchettare sulle piastrelle.

Lo scricchiolio leggero di una foglia che cadeva.

Il battito d'ali di un corvo, metri più in là.

Quasi senza volere, annusai l'aria.

Davanti a me c'era il bosco; avvertii il profumo degli alberi e della terra dopo la pioggia, il movimento leggero delle zampe di un daino, l'uggiolio di un lupo, persino il fruscio dei ragni che tessevano le loro tele, il ronzio degli insetti.

Mi abbandonai completamente alla sensazione di quegli odori, cullata dai leggeri suoni del mattino, e da quello di centinaia di famiglie che si risvegliavano lentamente, in preda ad emozioni diverse.

Poi, cominciai a correre.

Non era come quando ero di fretta, o come quando facevo jogging e correvo.

Questo era come volare.

I miei piedi erano leggeri, non facevano rumore, i muscoli e i polmoni non facevano male e il cuore batteva già talmente in fretta che era come se mi fossi riscaldata e preparata tutta la notte per quel momento.

Le mie orecchie coglievano ogni suono, i miei occhi ogni movimento, il mio sesto senso coglieva ogni occhio indiscreto che posasse il suo sguardo su di me.

Pensai che fosse la libertà.

Mi ritrovai a sfrecciare per le strade e, anche quando si trasformarono in salita, non rallentai, come in sogno. I capelli erano sciolti al vento, vento che a malapena sentivo sul viso. Era solo una sensazione, non era freddo.

Non potevo più provare il freddo.

Mi accorsi che le scarpe da ginnastica che indossavo prima non c'erano più e che i miei piedi correvano nudi sulla terra coperta dalle foglie. Ogni tanto, qualche rametto rischiava di conficcarmisi nel piede, ma non ci riusciva.

La mia pelle era più forte, come avessi indossato una corazza invisibile, e niente riusciva più a penetrarvi.

Continuai a correre, inghiottendo infinite boccate d'aria, di odori, e sentendo i suoni del bosco come se ne facessi parte.

Chiusi gli occhi e qualcosa scattò dentro di me.

Senza nessun controllo, senza vista, senza nulla, il mio corpo sapeva già cosa fare. Sapeva quali alberi evitare, sapeva quando abbassarsi per non colpire un ramo, sapeva quando alzare una mano per scostarne un altro.

Quando riaprii gli occhi, colsi l'azzurro del cielo e capii che doveva essere giorno inoltrato, ormai.

Mi fermai di botto, anche se sapevo che il mio cuore avrebbe continuato a battere furiosamente come se stessi ancora correndo.

Mi chiesi di quanto mi fossi allontanata. Per un attimo, mi parve di riprendere consapevolezza di chi fossi, di cosa stessi facendo e del fatto che dovevo tornare a casa.

Esterrefatta, presi un bel respiro, per capire se fosse tutto vero.

Come … Come diamine avevo fatto ad arrivare fin lì?

Ricordai la nebbia che mi aveva oscurato la mente fino a quel momento, impedendomi di pensare, e pensai che forse il sonnifero della sera precedente aveva sortito il suo effetto in ritardo.

Mi arrampicai, completamente senza fiato, su un albero e vidi che, per fortuna, la città non era troppo lontana.

Scesi e mi rimisi in cammino, assicurandomi di non ricominciare a correre, terrorizzata all'idea che la nebbia mi ghermisse di nuovo e mi impedisse di tornare a casa da mia madre e da mia sorella. Dovevano essere preoccupatissime: dopo la scenata della sera precedente ero completamente scomparsa. E, probabilmente, se n'erano già accorte.

Velocizzai l'andatura e arrivai in fretta nel cuore della città, prendendo la strada verso casa mia praticamente di corsa.

Prima di chiedermi perché intendessi rientrare come una ladra, mi arrampicai sul muro della casa e rientrai in camera mia dalla finestra. Come sapevo che era vuota? Meglio non chiedermelo, o sarei impazzita completamente.

Cercai di non notare che ero scalza e che i miei piedi erano incrostati di foglie e fango e corsi in bagno a darmi una sistemata, sicura che in corridoio non avrei trovato nessuno.

Ero peggio di quello che pensavo.

Il mio viso era pieno di graffi, anche se superficiali, i miei capelli erano un disastroso groviglio straordinariamente simile al nido di un merlo, e i miei vestiti sporchi, praticamente laceri.

Mi spogliai in fretta e mi infilai sotto la doccia. Cercai di fare in fretta, per rassicurare mamma ed Ellie, ma nonostante i miei sforzi mi ci volle molto più di pochi minuti per togliere tutto il fango incrostato addosso.

Quando, infine, uscii dalla doccia, dovetti indossare l'accappatoio e nascondere alla rinfusa i vestiti sotto il letto, nella speranza che nessuno li trovasse.

Ancora non capivo perché cercassi di nascondere tutto questo.

Non era un crimine andare a correre! Anche se andarci senza avvertire nessuno, dopo aver avuto una crisi isterica e tornare in stato confusionale con svariate lesioni lo era, molto probabilmente.

Mi lanciai un'ultima occhiata allo specchio in camera mia, per assicurarmi di non avere un'aria da pazza.

Finsi di non notare che tutti i tagli e i graffi erano spariti dal mio viso.

Spazio autrice: ciao a tutti! Secondo capitolo pubblicato in fretta ... Premetto che scrivo questa storia solo per divertimento e come regalo a un'amica.:) Le storie sui licantropi sono tra le mie preferite, visto e considerato che ho un'inguaribile fissazione per i lupi.
L'estate per fortuna è ancora lunga e mi concederà - per grazia divina - di finire i compiti per le vacanze, scrivere, leggere e andare a fare qualche tuffo tutto insieme.
Spero che continuerete a leggere e che lascerete qualche recensione!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Trasformazione ***


 Capitolo 3 - Trasformazione

Sei lupi adulti ricambiarono il suo sguardo, gli occhi dorati placidi e soddisfatti, persino divertiti. I corpi allungati e lucidi riflettevano la luce della mezzaluna. Avevano le code alzate, e le muovevano.
(Frostbite - L'alba del licantropo, David Wellington)

Mamma ed Ellie erano sconvolte, ma cercarono in tutti i modi di non darlo a vedere. Percepii in loro una strana compassione per me, come … Come succedeva con una pazza. Una pazza furiosa per cui c'era ormai ben poca possibilità di ritorno.

Cercai in tutti i modi di comportarmi da persona normale. Quel giorno non dovevo lavorare, così quello che tentai di fare fu l'impossibile: ignorare la mia vista traballante, toccare tutto con estrema delicatezza e nascondere alla mamma che avevo rotto la maniglia della porta del bagno.

Sapevo che non potevo farlo per sempre, ma almeno ci speravo.

La mia forza e la mia agilità aumentavano di minuto in minuto e i battiti del mio cuore erano a dir poco frenetici. Mi sconquassavano il petto, come se qualcuno vi battesse con un martello. Avevo paura che il cuore mi rompesse le costole, un giorno o l'altro.

Ero sicura che fosse una malattia terribile … Che sarebbe inevitabilmente finita con la mia stessa fine. Mi avrebbe uccisa, pensai quel giorno mentre notavo che solo tenendo un piatto tra pollice ed indice vi stavo formando una crepa.

Ero iperattiva; il mio cuore mi costringeva. Era una malattia cardiaca. Era evidente.

Non potevo assolutamente dire nulla alla mamma e ad Ellie. Non avrei sopportato di entrare in un ospedale e, come se non bastasse, ogni volta che ci pensavo la nebbia invadeva la mia mente fino ad appannarmi la vista e a farmi rompere qualcosa.

Non erano più sopraggiunti attacchi di rabbia, ma non sapevo fino a che punto la nebbia fosse meglio o peggio. Mi controllava. Appariva quando voleva che non facessi qualcosa, e non riuscivo a fare quello che volevo quando c'era lei di mezzo.

A volte, mi faceva fare quello che volevo, come la corsa in mezzo ai boschi.

Cercai di non pensarci, mentre salivo in camera mia, preda di uno strano torpore. Quella notte non avevo dormito, eppure non mi sentivo stanca.

Era come se all'improvviso fossi diventata di più. Qualcosa di più forte, qualcosa di più incredibile.

Aprii la porta e attraversai la stanza, per sedermi alla scrivania.

Aprii piano uno dei cassetti in legno dove tenevo l'unica carta da lettere che avevo; era color avorio, con un'elegante fantasia dorata e delle buste in tinta.

Presi la penna più robusta che riuscii a trovare. Si incrinò comunque quando la strinsi delicatamente per cominciare a scrivere.

Care mamma ed Ellie,

penso di aver capito subito che non c'era cura. Il mio cuore batte troppo forte, mi impedisce di respirare normalmente e non credo che reggerò ancora a lungo. I polmoni mi bruciano, il mio corpo freme di continua energia.

Non so quanto andrò avanti, perciò scrivo ora questa lettera, perché temo che presto non sarò più in grado di pensare.

C'è una nebbia che avvolge continuamente la mia mente; mi fa fare cose che non vorrei e mi impedisce di fare quelle che vorrei. Spero che non mi ostacolerà nel consegnarvi questa lettera, in caso di una mia … Scomparsa.

Più di tutto desidero che sappiate che quelli con voi sono stati gli anni più felici e migliori che potessi desiderare: mamma, sei la persona più forte che io abbia mai conosciuto. Sei l'unico esempio che voglio prendere per la mia vita futura, se per me ancora ne esiste una.

Ellie, sei stata una brava sorella. Ci siamo detestate per gran parte dell'infanzia, ma so, di tutto cuore, assolutamente ed inconfutabilmente che se qualcuno avesse fatto del male all'altra ci saremmo sempre difese.

Ed è così che vi ho sempre viste, vi vedo e voglio vedervi e ricordarvi per sempre: due persone forti e gentili che hanno occupato i posto migliori del mio cuore.

Non so cosa ci sia dopo, ma lascerò in ogni caso parte del mio cuore con voi.

Per sempre. Letteralmente.

Baci,

Scarlett.

Finii di scrivere la lettera con un sospiro e dopo averla chiusa nella busta e avervi scritto le destinatarie, la infilai nel cassetto con delicatezza, cercando di non rompere più niente dopo la penna.

Poi, ci ripensai e tirai di nuovo cuori la busta.

La aprii e tolsi la collana che portavo sempre: un cuore d'oro, a medaglione, con dentro le foto di Ellie e della mamma. La infilai nella busta assieme alla lettera e poi la chiusi definitivamente, riponendola nel cassetto.

Non mi scomposi per quello che avevo appena fatto. Non riuscivo ad accettare, né tanto meno a capire di avere una malattia, e non potevo averne paura.

Meglio così, in fondo. A volte era davvero meglio non realizzare quello che stava per succedere.

Io ero fatta così; non capivo la gravità delle cose fino all'ultimo, quando era troppo tardi. Forse il mio cervello aveva qualcosa di sbagliato.

Mi alzai e osservai la mia camera: il letto sfatto, la finestra che dava sul giardino e sulla strada, la scrivania di legno, l'armadio.

Mi misi a rifare il letto, e poi a riporre i vestiti nell'armadio. Riordinai il comodino e la scrivania, tolsi la polvere dai mobili e mi cambiai.

Indossai un paio di scarpe nere, senza lacci, e un paio di pantaloni neri che non mettevo mai, perché erano strappati sulle gambe. Misi l'ennesima canottiera nera che tenevo nell'armadio e pettinai i capelli con le dita.

Infilai un coltellino nella tasca posteriore dei pantaloni.

Perché lo stavo facendo? Non capivo più niente. Mi stavo vestendo in attesa di diventare un fantasma? In attesa che il mio cuore esalasse il suo ultimo respiro dopo aver battuto così freneticamente per giorni?

Non lo sapevo.

L'unica cosa che sapevo era quella che il mio istinto mi dettava, mentre la nebbia invadeva di nuovo la mia testa.

Presi la lettera dal cassetto e la appoggiai sulla scrivania, poco prima di gettarmi nella notte fuori dalla finestra. Per un istante, capii la gravità di quello che stava succedendo: non sarei tornata.

Mi misi a correre.

 

La corsa mi portò di nuovo ai margini silenziosi e bui del bosco.

Ma non avevo paura; i miei sensi e i miei pensieri erano troppo intorpiditi perché potessi anche solo permettermi di pensare alla paura.

Le uniche cose su cui mi concentravo erano quelle che di tanto in tanto riuscivo a percepire: odori, suoni.

Odore della cena che le persone stavano preparando nelle loro case, odore dello shampoo che stavano usando, persino del sapone con cui si stavano lavando le mani e del detersivo con cui stavano lavando i piatti.

Rumori: i passi nelle case, le risate, le voci della televisione, le conversazioni, le discussioni, i pianti, le richieste dei bambini ai genitori, il fruscio dei loro pennarelli sulla carta, mentre disegnavano … Ero sopraffatta da tutto quello che sentivo.

Seppure stordita, mi avviai di nuovo verso il bosco.

Quando le cime degli alberi si chiusero su di me, un nuovo mondo mi affiorò dentro: il frinire dei grilli, i movimenti degli animali notturni, lo scricchiolio delle zampette dei topolini nel sottosuolo, il verso di un gufo … E odori. Odori della natura, di terra smossa, di foglie scompigliate dalla brezza, di piume di uccelli predatori, il pelo di qualche piccolo animale che dormiva …

Mi girava la testa per la meraviglia di quelle nuove sensazioni.

Ma poi, mentre ancora camminavo, il dolore al petto mi stordì con la sua forza e il cuore accelerò ancora. Come era possibile?

Come poteva essere ancora più veloce?

In preda a uno spasmo, mi accasciai contro un albero, respirando violentemente e boccheggiando a tratti, come se i miei polmoni non funzionassero più.

Le mie ossa erano intorpidite e la pelle tirava, come se qualcuno mi avesse afferrata per le dita delle mani, tirate sopra la testa, e qualcun altro per quelle dei piedi e stesse tirando, tirando, tirando sempre di più.

Emisi un gemito soffocato di dolore.

Vedevo le stelle dietro le palpebre chiuse.

Sentii una voce, e mi sforzai di aprire gli occhi. Il viso di un ragazzo straordinariamente pallido, con i capelli castani, mi comparve davanti. Sembrava quasi che galleggiasse in mezzo alla nebbia. Non capivo nulla di quello che vedevo.

Mi giunse uno stralcio della sua voce, in mezzo al dolore.

“...me ti chiami?”

“Scarlett.” sussurrai appena, a denti stretti per impedirmi di urlare. Era la fine. Non avevo nemmeno dato un ultimo abbraccio a mamma e ad Ellie. Pensavo di avere più tempo.

Sentii una lacrima di dolore scivolarmi lungo la guancia, e un altro gemito strozzato mi proruppe dalla gola, quando quella sensazione atroce aumentò.

“... Daniel.” sentii appena.

Avvertii il tocco delicato e gelido come una scossa elettrica sul mio viso.

“Andrà tutto bene.” la sua voce era delicata e vibrante come una corda di violino, il suo fiato sul mio collo era freddo.

Mi costrinsi a trovare la voce per rispondere.

“Ho … Ho … Paura.” dissi in un sussurro strozzato, cercando i suoi occhi. Erano rossi, opachi, con sfumature violacee e nere, orlati da ciglia lunghe e scure.

Daniel sorrise.

“Lo so.” riuscivo a sentirlo in mezzo alle ondate di dolore. Per un attimo, sperai che mi avrebbe salvata.

“Ma finirà. Finisce sempre.”

Non riuscii ad impedire a un grido di prorompermi dalla gola. Ero terrorizzata.

Non sarebbe finita, mai. Avrebbe fatto sempre più male.

Il mio busto si sollevò da terra, come se qualcuno lo tirasse, e i miei pugni si strinsero attorno a foglie secche e ciarpame, nel disperato tentativo di mettere fine a quella sofferenza.

Ero nel panico più totale, la gola chiusa dalle urla di dolore, il viso che bruciava sotto il tocco di Daniel, gli occhi chiusi e le ossa … Non avevo mai provato un dolore simile, un dolore tanto atroce.

Se qualcuno avesse anche solo spostato una delle mie dita, avrei urlato ancora di più e mi avrebbero spezzata in due.

Poi, di colpo, la vidi.

La luna.

Non sapevo quando avessi aperto gli occhi, ma un attimo prima gridavo e un attimo dopo la sua luce argentea mi inondava, placando il dolore come aria fredda scaccia l'afa, come l'acqua in una giornata troppo calda.

Sentii la sua luce invadermi gli occhi e un calore, un piacere indescrivibile invadermi il petto, calmando il mio cuore e infondendomi sollievo ovunque.

Guardai incantata le mie mani brillare alla luce della luna, e vidi Daniel, inginocchiato poco distante da me.

Sorrise.

“Buona fortuna, lupetta.” disse soltanto, e sparì come in volo, saltando sul ramo di un albero. Dopo un attimo, non c'era più e io fissavo di nuovo la luna, con la testa inclinata.

Guardai i miei capelli neri brillare in morbide onde di luce, e poi di nuovo le mie mani.

Mi alzai in piedi, perché la luna mi vedesse e la sua luce mi colpisse su tutto il corpo.

Chiusi gli occhi, felice, quasi tendendo le braccia verso di lei, mentre calde lacrime di gioia scendevano sulle mie guance.

Un attimo prima ero una ragazza in preda al dolore.

Un attimo dopo le mie mani e i miei piedi diventavano zampe, il mio viso un grosso muso e mi spuntava la coda: un attimo dopo ero un lupo.

Spazio autrice: finalmente la nostra Scarlett si è trasformata! Ma che ne sarà ora di lei? Ora che si è ufficialmente aggregata ai licantropi con la sua prima trasformazione, chi si prenderà cura di lei? Come farà con sua madre e sua sorella? Tornerà da loro?
O troverà un nuovo posto nel mondo? Un posto per quelli ... Come lei?
Nella speranza di ricevere vostre recensioni,
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Lupo ***


 Capitolo 4 – Lupo
 

Pensavo di essere un lupo, ma il verso dei gufi mi ha messo paura durante la notte.
(Il mio caro vecchio lupo, Parisini Marcus)

Mi alzai, stordita, e mi resi conto di poggiare su quattro zampe invece di due.

Mi mossi con cautela. Non mi sentivo intorpidita, per niente. Mi sentivo come se mi fossi svegliata da un sogno … Un lungo, lunghissimo sogno in cui ero una ragazza umana.

Poi, mi resi conto che il sogno doveva essere questo.

La realtà era la mia umanità, il sogno la mia natura di lupa.

O erano entrambe realtà?

Meravigliata, mi guardai in giro, tendendo per un riflesso naturale le orecchie.

I grilli frinivano e la mia vista era ancora più acuta di quello che era stata nei miei ultimi giorni umani. Potevo vedere nei minimi dettagli un ragno tessere la sua tela luccicante, ed era notte.

Non era una notte buia, però.

La luna illuminò i riflessi argentei sul mio pelo, riscaldandomi. Era come se fosse diventata il mio sole; i suoi raggi mi procuravano sollievo, illuminavano il mio cammino ed erano caldi sul mio muso.

Avanzai di qualche passo, titubante.

Non ero sicura di sapere come fare, ma ben presto capii che andare su quattro zampe era la cosa più naturale del mondo.

Annusai un po' l'aria, e sentii l'odore del bosco, della città distante, dei raggi caldi della luna e di qualcosa di più grosso e strano dietro di me.

Mi voltai di scatto, saltando più in alto di quanto in realtà desiderassi. Sentivo una forza nuova scorrermi lungo le zampe, come se avessi bevuto litri di caffè. Inclinai le zampe e la testa, snudai le zanne e tesi le orecchie, pronta a difendermi e ad attaccare.

Non si vedeva nulla, lì in giro, ma sapevo che era lì dietro. Lo percepivo.

Aveva un odore diverso da quello umano e anche da quello di lupo. Sentii odore di bosco, di raggi di luna, di latte e, lontano lontano, di essere umano. Ma era molto vago.

La figura nascosta tra gli alberi era indubbiamente diversa da tutto quello che avrei mai potuto conoscere.

Udii un fruscio leggero, che in forma umana non avrei sentito, mentre la creatura si voltava e si preparava ad uscire allo scoperto. I miei muscoli si tesero al massimo, come tutti i miei sensi. Non avrei mai attaccato un essere umano, ma se fosse stato lui a farlo, non avrei esitato a difendermi.

“Ehi.”

Mi alzai di colpo, sorpresa.

Era un ragazzo.

Lo studiai, perplessa. Aveva i capelli castani, che gli ricadevano sul viso e sugli occhi, che erano di un colore incredibile. Erano dorati, ma … Luminosi. Non trovavo nessun'altra parola per descriverli: luminosi. Scintillavano nella notte come gli occhi di un gatto.

Era alto e muscoloso. Vedevo la maglietta tendersi sulle spalle.

Indossava una maglietta e un paio di pantaloncini, nient'altro. Era scalzo e sembrava vagamente a disagio, sotto il mio esame, come davanti a un animale selvatico.

Be', in effetti ero un animale selvatico.

Nel momento in cui me ne resi conto, mi distrassi e pensai: quanto senso aveva quello che stava succedendo? Ricordavo vagamente Daniel, il ragazzo pallido che mi stava vicino durante la trasformazione.

Lupetta, così mi aveva chiamata. Dunque, sapeva cosa sarei diventata, e probabilmente se n'era andato per paura di me. Eppure, non sembrava spaventato …

“Io sono Will.” si presentò d'un tratto il ragazzo, distogliendomi dai miei pensieri e costringendomi a focalizzare di nuovo l'attenzione su di lui.

Oddio.

Ero un lupo.

Ero un lupo!

Cercai di urlare, ma dalla mia bocca proruppe sono uno strano guaito desolato, simile a un ululato.

Sentii Will ridacchiare sommessamente, mentre giravo su me stessa per vedere la coda, muovevo le orecchie, mi fissavo le zampe e cercavo di alzarmi in piedi.

Ellie e mamma! Come avrebbero fatto a capire che ero io!? E, soprattutto, come poteva essere tutto vero!? Oddio, mi avevano uccisa!

Daniel era un killer! Lo sapevo! Portava le lenti a contatto rosse per spaventare le sue vittime! In quale girone dell'Inferno ero finita? Un momento. Magari quella di Scarlett era la mia vita precedente e io ero rinata sotto forma di lupa.

Ma ero stata uccisa? Perché non me lo ricordavo?

“Dai, lupetta, ora basta.”

Il mio sguardo si focalizzò di nuovo su Will, che adesso rideva. Sulle guance gli si erano formate delle fossette e una fila di denti bianchi e dritti era comparsa sul suo viso; i canini erano stranamente appuntiti, leggermente simili a zanne di lupo.

“So cosa stai pensando.” mi anticipò. “Cos'è successo? Dove sono? Cosa sono? Perché lo sono? Perché parli con me? Come fai a sapere che sono umana?”

Mi sedetti e lo fulminai con un'occhiata.

Complimenti, mister genio, pensai.

Will ridacchiò di nuovo.

“Ti sei trasformata, ti trovi in un bosco, sei uno splendido licantropo, perché la luna l'ha deciso, perché anch'io sono come te. Ah, dimenticavo.” mi rivolse un ghigno. “Benvenuta nel branco.”

Rimasi a fissarlo per una frazione di secondo.

Lui era un licantropo? Io ero un licantropo? Oddio. Se non mi fossi ritrovata trasformata in un lupo, probabilmente … Be', l'avrei preso per un metodo un po' strano per attaccare bottone.

Questo tipo era fuori di testa!

“Come ti chiami?”

Lo fissai, in attesa che capisse.

“Oh, giusto.” Will mi lanciò un sorrisetto sarcastico; mi stava prendendo in giro. E, a giudicare dalla sua espressione, si stava anche divertendo un mondo.

“Trasformati.”

Quasi mi cascò la mascella dalla sorpresa. Potevo … Potevo tornare umana? Non mi avevano uccisa?

“Desideralo.” spiegò Will come se fosse del tutto naturale. “Succederà.”

Per un attimo, mi concentrai solo su quello, perlomeno finché il ragazzo non borbottò:”Aspetta … Meglio se vai dietro quegli alberi. Mmm … E tieni questi.”

Mi lanciò dei vestiti.

Da come ghignava soddisfatto, probabilmente era meglio fare come diceva lui, per evitare di dargli un altro motivo per prendermi in giro. Afferrai cautamente i vestiti, che avevano il suo stesso odore, e mi nascosi tra gli alberi.

Desideravo molto tornare come prima, perciò mi limitai a focalizzarmi sul desiderio e nient'altro.

Avvertii una strana sensazione di vuoto allo stomaco e la pelle che tirava un po', mentre tornavo umana. Era così … Semplice, pensai. Mi sentii improvvisamente triste, come se tornare Scarlett mi avesse prosciugato tutte le energie e la voglia di vivere.

Guardai la luna, alta nel cielo, e la sua luce, tanto vivida da sembrare quasi un cuore pulsante nella notte. Provai una profonda nostalgia, che mi attanagliò le viscere. Pareva che mi avessero strappato qualcosa di essenziale dal petto … Volevo il mio contatto con la luna, di nuovo.

Per un istante, fui tentata di ritrasformarmi.

Poi, però, pensai alla mamma e ad Ellie e a Will, fermo in mezzo agli alberi e mi decisi a trovare la volontà di tornare indietro.

Mi bloccai di colpo, quando vidi i miei piedi nudi … Come il mio corpo.

Soffocai un gemito disperato. Che ne era stato dei miei vestiti!?
Presi quelli di Will con un certo ribrezzo, misto a uno strano senso di disperazione. Erano pantaloncini e una maglietta.

Li indossai e pensai che fossero suoi: la maglietta mi arrivava quasi alle ginocchia, e i pantaloncini erano piuttosto larghi per me. Niente scarpe, come immaginavo.

Uscii allo scoperto e trovai il sorriso di Will ad attendermi.

Mi soppesò come io avevo fatto con lui prima, in forma da lupo, e il suo sorriso si allargò, mentre i suoi occhi si ingrandivano leggermente.

“Sei molto carina.” mi fece cenno di seguirlo, mentre si infilava tra gli alberi. Poco lontano, notai i brandelli dei miei vestiti. Che diamine avevo combinato?

Will seguì il mio sguardo.

“Ah, sì.” mi indirizzò un sorrisetto malizioso. “Ogni volta che ti trasformi, i tuoi vestiti fanno quella fine. Da lupa occupi molto più spazio che da umana.”

Mi passai una mano sul viso, senza rispondere.

Infine, gli lanciai un'occhiata.

“E' tutto reale?”

Will rise.

“Come ti chiami?” chiese di nuovo.

“Scarlett.” risposi. Forse avrei dovuto dargli un nome falso; in fondo, niente mi impediva di credere che fosse un killer o un pazzo … Ma non ne trovai le forze. Ero completamente sfinita.

“Mh. Bel nome, Scarlett.” commentò Will.

Rimase un istante in silenzio, come soppesandolo.

“Sai cos'è un licantropo, Scarlett?”

“Mi pare di averlo capito più che a sufficienza.”

Sogghignò.

“Bene, perché lo sei. Tutti noi lo siamo.”

“Tutti noi?” gemetti, terrorizzata. “Ma in che razza di posto sono vissuta!?”

Will rise di nuovo.

“Davvero, Scarlett, sarà un piacere averti nel nostro branco. Hai un pelo splendido da lupa, lo sai? Nero, con rare sfumature argentee … Non ne avevo mai visti come te.”

Non risposi, di nuovo assorta tra i miei pensieri.

“Potrò tornare a casa?”

“Ci penseremo.”

“Come sarebbe a dire?”

“Tutto a suo tempo, Scarlett.”

Rimasi zitta per un altro istante.

“Sei … Il capobranco, tu?”

Will sogghignò e i suoi canini, come zanne bianche, luccicarono.

“L'Alfa, per la precisione.”

“Come facevi a sapere dov'ero?”

“Lo sentivo … E ti seguivo da un pezzo.”

Trasalii, suscitando un'altra risata.

“Sapevi quello che mi sarebbe successo?”

Annuì.

“Ti ho vista in libreria. Ho seguito i tuoi attacchi di rabbia, badando che nessuno si facesse troppo male. Per fortuna, sembri avere una discreta capacità di controllo.”

Pensai che fosse completamente pazzo. Io, capacità di controllo? Avevo distrutto il muro della cucina!

“Non è vero.” obiettai. “Ho rotto un bicchiere, litigato con la mia collega e rovinato il muro della cucina.”

Will sorrise di nuovo.

“Qualche membro del mio branco ha ammazzato delle persone, durante quegli attacchi di rabbia, lo sai?”

Rabbrividii e non dissi più nulla, mentre attraversavamo il bosco. Sentivo il richiamo della luna, i suoni, vedevo tutto, vedevo tutto quello che potevo vedere nel buio … E non era poco. Potevo scorgere i minimi dettagli del terreno, fino a contare i granelli di terra di cui era composto.

Quando parlò di nuovo, per la prima volta, Will mi sembrò serio.

“Imparerai, Scarlett, e le cose andranno meglio.”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Benvenuta ***


 Capitolo 5 – Benvenuta

 

Seguii Will per un tempo che non avrei saputo definire; le mie emozioni instabili mi impedivano di pensare a quello che stava succedendo. Si alternavano tra panico, paura, incredulità, meraviglia e … Felicità.

Era strano, stranissimo, eppure era come se, all'improvviso, fossi completa. Era come se avessi trovato il pezzo mancante della vita, quello che rendeva le persone felici sempre, senza un motivo, in pace.

Sapevo di avere molto lavoro, dal punto di vista dell'autocontrollo, ma non ne ero spaventata. Per la prima volta, mi sentivo viva.

Le cose che vedevo erano sorprendentemente nitide, come i suoni che udivo … Non smettevo di meravigliarmene. Era tutto così nuovo, così diverso, così bello!

Will mi studiava mentre lanciavo occhiate in giro, mentre annusavo senza nemmeno rendermene conto, mentre sfioravo i rami e la corteccia degli alberi con le dita e cercavo di imprimermi dentro ogni sensazione, come fosse tutto un sogno.

Sentii l'odore del branco molto prima di vederlo, e mi irrigidii leggermente.

Will mi lanciò un'occhiata comprensiva.

“Sei una di noi, adesso. Ti accoglieranno e saranno felicissimi di farlo.” mi rassicurò. Senza farmi notare, cercai di lisciare la sua maglietta sgualcita e di pettinare con le dita i capelli, ma con scarsi risultati.

Sentii l'odore della pietra e quello vago del legno e del cemento.

Capii che eravamo vicini a un edificio, molto probabilmente sconosciuto a gran parte degli abitanti della mia città.

Cercai di non pensare a mamma e ad Ellie che la mattina successiva avrebbero trovato la mia lettera e avrebbero pianto la mia scomparsa. Mi chiesi come avrei reagito io, se fosse successo qualcosa di simile a mia sorella …

Ma smisi di pensarci, quando mi ritrovai davanti una struttura, simile a un piccolo castello, fiancheggiata da una torre.

Era tutto in pietra e, dalle tante finestre che c'erano, supposi che vi fossero molte stanze all'interno.

Sentii delle voci provenire da dentro, e anche delle risate. I miei nuovi sensi da lupo captarono tutti i dettagli, persino le sporgenze sul terreno.

Will avanzò verso una porta in legno e la aprì, facendomi cenno si seguirlo. Mi affrettai dietro di lui, sforzandomi di ignorare tutti gli sguardi che avvertivo fissi su di me.

Appena entrai, mi ritrovai in una grande sala di pietra, con ampie finestre che davano sul bosco, a volte circondate e chiuse da tralci di edera. Sembrava di essere finiti in un'altra epoca!

Il pavimento era liscio, e le pareti tappezzate di scaffali pieni di libri.

C'erano diverse porte, quasi tutte aperte. Si intravedevano dei corridoi, al di là di esse, e supposi che più o meno tutte le strade, lì dentro, portassero a quella sala.

Due ragazzi si alzarono appena videro me e Will e ci vennero incontro. Poco dopo, arrivò anche una ragazza minuta, comparsa da uno dei corridoi.

Sorrisero tutti e tre.

“Lei è Scarlett.” mi presentò Will. “E loro sono Connor, Blake e Alexa, membri del branco.”

I due ragazzi mi rivolsero un cenno del capo, mentre Alexa passò in mezzo ai due e mi strinse le sue esili braccia attorno al collo.

Ricambiai goffamente, imbarazzata.

“Benvenuta, Sky.” rise Alexa. “Sono contenta che finalmente la mia compagna di stanza sia arrivata.”

Lanciai un'occhiata confusa a Will.

“Compagna di stanza? Io non posso rimanere qui ...”

“Devi.” rispose lui, serio. “Devi imparare a gestire questa cosa, Scarlett. Non posso lasciare novellini come te a zonzo in giro per la città a seminare terrore, mi spiace.”

Scrollò le spalle, come se nulla fosse.

“Alexa ti dirà tutto quello che ti serve sapere.”

E si allontanò in corridoio, fiancheggiato da Connor e Blake. Mi chiesi quanta gente vivesse, lì dentro.

Non mi rimase altro che rivolgere i miei occhi su Alexa, che sorrise. Era davvero carina; aveva i capelli biondi e corti, che incorniciavano un viso pallido, coperto di lentiggini.

I suoi occhi erano grandi, verdi come smeraldo. Anche nei suoi, notai gli stessi colori accesi che tanto mi avevano colpita in Will. Era davvero esile. Le sue dita sottili si strinsero attorno al mio polso, quando mi tirò delicatamente verso un corridoio a sinistra.

“Vieni, Sky.”

Il soprannome suonava un po' strano alle mie orecchie. Mia madre e mia sorella usavano sempre il nome completo.

Seguii Alexa, rassegnata.

“Allora, da quanto ti sei trasformata?” chiese, come fosse la cosa più normale del mondo. Ci volle un istante perché mi riprendessi dalla sorpresa di una domanda tanto inusuale, e perché mi rendessi conto che non sapevo quanto tempo fosse passato da quando Will mi aveva trovata.

“Uhm … Qualche ora, credo.” risposi infine.

“Wow!” commentò Alexa. “Sei molto tranquilla, per essere appena rinata.” constatò, lanciandomi un'occhiata da sopra la spalla. “Io sono una lupa da un anno.”

In cuor mio, dubitai che sotto quella corporatura si nascondesse un lupo.

Scrollò le spalle.

“Io non ho avuto neanche un attacco di rabbia. Will mi ha trovata appena in tempo.” spiegò. “Ero andata a fare una passeggiata con degli amici, ma poi … Sai come succede, no? Mi sono staccata dal gruppo, anche se non volevo farlo.” sorrise. “Ed eccomi qui!” trillò, con la sua voce dolce. “E tu?”

Le raccontai dei miei ultimi giorni da umana, mentre percorrevamo un intricato labirinto di corridoi e scale, tutti costellati da porte di legno. Quel posto sembrava quasi un albergo.

Alexa sospirò, quando finii il mio racconto.

“Deve essere stato proprio terribile.” si fermò davanti a una porta. “Eccoci qui. Teoricamente potresti avere una stanza tua,” spiegò, “ma per i novellini è meglio avere una compagna con un po' di esperienza.”

Alexa aprì la porta, rivelando una stanza semplice con due letti dall'aria comoda, una grande finestra e un'altra porta che doveva portare al bagno. Su entrambi i comodini accanto ai letti c'era un telefono e, davanti a noi, un cassettone.

Chissà perché, mi ero convinta che in quel posto non ci fossero né telefoni né bagni.

Mi sembrava un po' strano vedere le pareti di pietra, ma il pavimento era tutto di legno, e mi ricordava vagamente camera mia, a casa.

Con lo sguardo, indugiai sopra il telefono. Avrei potuto chiamarle, pensai.

Certo, avrei potuto chiamarle nel cuore della notte per dire loro di no leggere la lettera in camera mia, che ero viva, che ero diventata un licantropo e che non sarei tornata per un po'.

Sospirai, e mi sedetti sul letto.

Alexa si avvicinò al cassettone e si mise a frugare tra quelli che dovevano essere i suoi vestiti. La camera era spoglia, non vedevo molto di suo; sul comodino c'era una sua foto con un'altra persona, forse un'amica o la sorella, e c'era un paio di ciabatte lì vicino. Oltre a una pila di libri dall'aria antica e polverosa, nient'altro testimoniava che la stanza era abitata.

“Ecco, Sky, prova a indossare questi.”

Alla mia occhiata perplessa, si giustificò:”Non mi sembri molto a tuo agio con quei vestiti.”

Le sorrisi, grata, e presi quelli che mi porgeva.

Mi infilai in bagno con un sospiro.

Guardai la mia immagine allo specchio, gli occhi luccicanti, di un colore completamente disumano che rivelava quello che ero diventata. Persino i miei capelli erano più luminosi, la mia pelle più bianca, e vedevo un accenno di muscoli sulle braccia, anche se ero sicura di non averne mai avuti in vita mia.

Mi spogliai, togliendomi di dosso i vestiti di Will, e indossai quelli di Alexa, che, oltre all'odore di umano e di lupo, profumavano vagamente di rose.

Mi aveva dato un paio di pantaloni neri elasticizzati con una canottiera nera, semplice. Non chiedevo di meglio.

Quando uscii, la trovai seduta sul letto, che mi sorrideva.

“Ti stanno bene.” disse. Poi, lanciò un'occhiata alla finestra. “Spero non ti dispiaccia dormire vicino alla finestra. Mi dà molto fastidio la luce, di notte, e preferisco stare da questa parte.”

Abbozzai un sorriso.

“Per me non c'è problema ...” Alexa si accorse della mia aria incerta, e mi sentii in colpa. “Scusami, davvero … Tu sei gentilissima, ma qui … Non capisco più niente.”

Sorrise.

“In effetti, hai l'aria un po' confusa.”

“Lo so.”

“Passerà, vedrai. Anzi, perché non provi a dormire un po'? Devi essere esausta. Domani mattina, penserai a cosa fare e io ti spiegherò le regole della Casa e alcune dell'essere licantropi, d'accordo?”

Annuii, consapevole di non avere altra scelta.

Mi distesi sopra le coperte; non avevo affatto freddo. Nel momento in cui appoggiai la testa sul cuscino, mi accorsi di quanto sonno avessi e feci appena in tempo a biascicare un buonanotte ad Alexa, che caddi in un sonno senza sogni.

 

Quando mi svegliai, dalla finestra entrava molta luce e Alexa, con addosso i miei stessi vestiti, canticchiava mentre si pettinava con cura i capelli corti.

“Buongiorno Sky!”

“Buongiorno ...” risposi, sorpresa. La fissai. “E' … E' successo davvero?”

Inclinò la testa di lato, come se non capisse.

“Ti riferisci al fatto che sei un licantropo?”

Feci una smorfia.

“Sì, è successo davvero.” mi risposi da sola, incredula.

Ero un licantropo.

Ero un licantropo.

Provai a ripetermelo più volte della mente, cercando di dare un significato a questa frase assurda.

“Bene.” disse Alexa, sedendosi a gambe incrociate sul letto davanti al mio, “Innanzitutto, benvenuta alla Casa. Qui, vivono tutti i licantropi dei dintorni che non vengono più accettati dalla loro famiglia e non riescono a godere di autonomia propria, i novellini come te e i licantropi minorenni che non vengono accolti dalla loro famiglia umana o che non ne hanno una.”

Mi concentrai per credere che fosse tutto vero.

“Ci sono alcune regole da rispettare. Ci sono razioni di cibo definite per ognuno; è vietato appropriarsi del cibo altrui senza averlo richiesto. Inoltre, è vietato fare zuffe o lotte con gli altri abitanti della Casa. È vietato cercare di mangiare gli altri abitanti e, per ovvie ragioni, è vietato gironzolare nudi fuori dalla propria stanza.”

Alla mia occhiata scettica, Alexa scrollò le spalle.

“Che vuoi che ti dica, qui c'è gente di tutti i tipi.” poi, proseguì. “Non ci si trasforma all'interno della Casa, se non per incidenti di vario genere. I novellini sono giustificati fino a due mesi dopo la trasformazione, ma poi devono imparare a controllarsi.”

Magari ero finita in un reality show. Controllai gli angoli della stanza, in cerca delle telecamere. Niente.

“Vietato fare scommesse, o tendere trappole e imboscate a membri della Casa.” continuò. “Poi … Uhm … Vediamo … Ah, sì. Vietato ululare al chiaro di luna.”

Sentii un sorriso affiorarmi sul viso.

Alexa ridacchiò.

“Ripeto, c'è ogni genere di gente qui.” ci pensò un attimo. “Vietato introdurre armi o veleni nella Casa. Per veleni s'intendono anche sonniferi particolarmente forti, diuretici, erbe che causano prurito oppure orticaria … Vietato portare le prede catturate in forma animale nella Casa.” arricciò il naso. “So che più sembrarti strano, ma a volte ci si lascia prendere dall'entusiasmo, e finisce che qualcuno arriva qui con un grosso cervo insanguinato tra le fauci, in forma di lupo.”

Un lampo divertito le attraversò lo sguardo.

“E infine,” disse, “niente contatti coi vampiri.”

Quasi caddi dal letto.

Ora basta.

Vampiri?

Vampiri!?

Vampiri!?

Alexa dovette notare la mia espressione scioccata, perché annuì e confermò:”Vampiri.”

Visto che non facevo domande, spiegò:”Si riconoscono dal pallore, dagli occhi rossi e, a volte, dai canini. Sono tipi piuttosto schivi, per niente interessati a noi, ed è meglio se ricambiamo il disinteresse. Il nostro equilibrio si basa su un odio molto cordiale e su un patto stretto almeno mille anni fa … Sarebbe seccante se fosse una novellina a romperlo.”

Scrollò le spalle minute.

“Mi pare di averti detto tutto sulle regole del branco.” concluse. “Ora,” sentii la tensione invadermi il corpo, “parliamo della tua nuova condizione di licantropo.”

Cercai di nuovo le telecamere nascoste.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Nuovo ***


 Capitolo 6 – Nuovo

 

“In qualità di licantropo, sei invincibile.” qualcosa, in quella parola, mi fece venire le farfalle nello stomaco.

Tutta quella storia era incredibile e assurda, e coinvolgeva anche mamma ed Ellie, perché le faceva soffrire, ma … Invincibile? Nessuno mi aveva mai definita così, né mi aveva detto che avrei mai potuto esserlo.

Minuscole scariche elettriche, scariche di impazienza, si propagarono nel mio corpo, facendomi rabbrividire.

Alexa sorrise.

“Lo so. Fa un certo effetto, eh?”

Annuii, e per la prima volta le sorrisi davvero.

“E sai perché?” mi fissò intensamente. “Perché è vero. Nemmeno l'età può sconfiggerti.”

Sentii il mio cuore accelerare.

“Come sarebbe a dire?”

“Sarebbe a dire questo, Sky.” rispose Alexa, seria. “Crescerai fino ad avere venticinque anni al massimo, ma poi ti fermerai lì. Vivrai per sempre.”

Cercai di prenderla con filosofia. Tutti volevano vivere per sempre! Eppure … Sentii un sospiro sfuggire dalle mie labbra.

L'eternità non era spaventosa, almeno finché era solo un sogno irrealizzabile. Mi sembrò una cosa troppo grossa. Vivere per sempre. Non per modo di dire, ma per sempre. Davvero. Letteralmente. Senza mai fine.

Sentii un nodo serrarmi la gola, e cercai di non pensarci.

“Non è facile gestire le trasformazioni.” continuò Alexa, “Dovrai stare molto attenta quando sarai arrabbiata o spaventata: il mondo si tingerà di rosso all'improvviso, e più resisterai, più ti sembrerà di esplodere.”

Si morse il labbro con fare pensieroso.

“Puzzerai di cane per un po' e forse perderai più capelli in estate … Credo sia perché perdi più pelo per il caldo, ma di preciso non lo so.” ci pensò su ancora un attimo. “Mmm … Attenta alle docce: puzzi di cane bagnato, qualunque shampoo tu usi. Dopo un po', andrà meglio.”

Quella conversazione mi risultava sempre più strana.

“La luna piena potrebbe essere … Be', potrebbe influire sulle tue decisioni quotidiane. Fa fare cose piuttosto folli ai licantropi, tra cui …” arrossì leggermente. “Senti, mettiamola così: se torni alla Casa euforica dopo aver baciato un vampiro, significa che c'è la luna piena.”

Annuii.

“Per il resto, non dovresti avere problemi. Non metterti a fare diete; mangerai molto più del solito, ma è praticamente impossibile che ingrassi, perché ora hai due creature da sfamare: te stessa, e il tuo lupo.”

Annuii di nuovo. Almeno, quella era una buona notizia.

“Bene.” Alexa sorrise. “C'è qualcosa che vorresti chiedermi?”

Esitai.

“Mmm … Tu … Cioè io … Dovrei essere felice di questa nuova condizione? Tu ne eri felice?”

Scrollò le spalle.

“Varia da persona a persona. Secondo me, ne dovresti essere felice, visto che comunque dovrete condividere l'eternità. È più facile se sei felice, non credi?”

Sospirai di nuovo, ma non dissi nulla.

Eternità.

Mamma ed Ellie sarebbero cresciute, cambiate, invecchiate.

Io no.

Io sarei rimasta indietro, avrei dovuto guardarle, e poi lasciarle andare, e rimanere qui a subire il dolore della loro perdita.

Loro, e di tutte le persone umane che conoscevo e che avrei conosciuto.

“Se uno di noi … Dice il suo … Segreto a un essere umano, che succede?”

Alexa scosse la testa.

“Niente. Non glielo dice e basta.” scrollò le spalle. “Vale solo se lo scoprono o se sono in grave, gravissimo pericolo e non puoi fare altrimenti, ma in quel caso devi avere delle prove, e dimostrare che non c'era alternativa.”

“A chi lo devo dimostrare?”

“All'Alfa in carica. Will, in questo caso.”

Mi sentii arrossire ripensando a Will … Mi aveva quasi vista nuda.

“Come si uccide un licantropo?”

“Niente argento, se è questo che intendi. Siamo molto difficili da uccidere … Nel corpo a corpo siamo praticamente imbattibili, e nessuna delle nostre ferite è incurabile. Guariamo almeno venti volte più in fretta degli umani.” fissò il soffitto, come in cerca di qualche informazione che non le veniva in mente. “Se prendi il cuore, puoi anche sperare di uccidere un licantropo. Altrimenti, l'unico modo è il veleno.”

“Okay. E … Niente trasformazioni forzate con la luna piena?”

Scosse la testa.

“Ci trasformiamo quando vogliamo, la luna non c'entra molto.”

“Prendiamo l'influenza?”

“No.”

“Sentiamo il freddo?”

“Poco.”

“Ah, questo spiega un po' di cose ...”

Alexa ridacchiò.

“Io mi sono trasformata in inverno. Dovevi vedere la faccia dei miei nonni, quando mi hanno trovata in costume distesa in mezzo alla neve!”

Risi con lei. Per fortuna non avevo fatto niente di simile, o mia madre mi avrebbe ricoverata in ospedale. O portata dallo psichiatra.

“Cosa succede se baci un umano o un vampiro?”

Alexa rise ancora.

“Che razza di domanda!” esclamò. “Niente direi. Un vampiro, probabilmente, ti avrebbe conficcato i denti in gola molto prima, e un umano … In genere hanno paura di noi, perciò temo che sia impossibile.”

“Perché non possiamo avere contatti con i vampiri?”

Scrollò le spalle.

“Quando sono stati stipulati i patti che ci tengono separati, licantropi e vampiri combattevano giorno e notte. I capi hanno stabilito che era meglio che ci fosse per sempre una linea invisibile tra noi, o avremmo finito con l'estinguerci a vicenda. E così è stato … Per più di mille anni.”

Ripensai a Daniel, vicino a me nel momento della trasformazione. Doveva essere senz'altro un vampiro, ricordavo bene i suoi occhi rossi e il suo pallore.

Non mi era sembrato così cattivo, dopotutto.

Cosa ci faceva mai nel bosco? E perché proprio vicino a me? Se sapeva quello che stavo diventando … Probabilmente aveva persino infranto le regole.

“Ah, dimenticavo.” Alexa riportò la mia attenzione su di lei. “La Casa non ha orari. Puoi andare e venire quando vuoi, anche se sei una novellina, a patto di non avere contatti con gli umani per i primi due mesi, né contatti con i vampiri per … Be', quelli per sempre.” le scintillarono gli occhi. “Letteralmente.”

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena.

Sono un licantropo e vivrò per sempre. Provai a crederci.

“E se … Se volessimo far diventare qualcuno come noi? Trasformare un umano?”

Alexa mi lanciò uno sguardo indifferente.

“Basta mischiare un po' del tuo sangue con il suo. Niente morsi dilanianti come nei film.” sorrise. “Poi, però, devi ricordare che sei il suo tutore per due mesi: se combina guai, la punizione è di entrambi.”

“Guai?”

“Oh, sai,” disse con indifferenza, “se ammazza qualche umano durante la luna piena.”

Un altro brivido mi corse lungo la schiena.

Alexa si alzò e scese dal letto.

“Sarà meglio che vada, ora. Devo andare a lavorare.” annunciò. Scesi anch'io dal mio letto, chiedendomi cos'avrei fatto della mia giornata.

“Un'altra cosa.” aggiunse Alexa, fermandosi davanti alla porta. “Non mettere niente di troppo elegante …” mi indicò. “E, se puoi, niente di mio senza chiedermi il permesso. Sarebbe un po' avvilente se facessi a pezzi qualche mio vestito.”

E uscì, lasciandomi lì, esterrefatta.

 

La mia giornata fu un susseguirsi di pensieri turbolenti e di docce. Non sapevo più che altro fare per rilassarmi.

Era tutto così … Nuovo, strano, diverso.

Il peggio era che mi piaceva.

Mi piaceva essere forte, invincibile, mi piaceva l'idea di vivere molto a lungo (al per sempre dovevo ancora abituarmi), mi piaceva l'idea di potermi difendere e andare in giro senza avere paura di niente e di nessuno.

Niente poteva sconfiggermi.

Uscii per la quinta volta dalla doccia con un senso di euforia addosso, che non svanì nemmeno quando mi resi conto che Alexa aveva ragione: puzzavo davvero come un cane bagnato.

Sentii bussare e feci appena in tempo a vestirmi, che Will entrò, un panino in una mano e una lattina di aranciata nell'altra.

Mi indirizzò un sorrisetto sghembo appena mi vide.

“'Giorno, Sky!” esclamò. Anche lui con quel soprannome, accidenti!

“Ciao, Will.” risposi, con un sorriso timido.

Mi ha quasi vista nuda.

“Come stai?”

Mi ha detto che sono carina.

“Bene, tu?”

E' il mio Alfa.

“Ho avuto momenti migliori … Un po' confusa, per il momento.”

Will alzò le sopracciglia.

“Ma felice, vero?”

Annuii, incerta, afferrando il panino che mi porgeva, insieme alla lattina. Lo invitai a sedersi sul letto di fronte al mio.

“Non sentirti in colpa, Sky.” si sedette. “E' normale che tu sia felice di tutto questo, ed è anche bello che tu lo sia.”

Sorrisi appena.

“Coraggio! Ora nessuno può ferirti, nemmeno gli anni che passano! Niente può nuocerti e hai delle capacità straordinarie, rispetto agli umani.” quando vide la mia espressione scettica, ridacchiò. “Non sei un mostro, Sky. Non vedere tutti noi come mostri … Sei una brava persona, è questo che conta.”

Aggrottai le sopracciglia, addentando il panino.

“Come lo sai?”

“Diciamo che mi piace tenere d'occhio i miei lupacchiotti novellini, per sapere con chi avrò a che fare. Sono almeno tre settimane che ti pedino ...”

Quasi mi strozzai.

“Davvero?”

Annuì solennemente.

“Davvero. A proposito, Katie non è proprio l'amica per te.” vedendo la mia espressione, aggiunse:”Senza offesa, eh.”

Scrollai le spalle. Se davvero Will era il mio Alfa, dovevo provare a portargli rispetto e a farmelo amico … Anche se il commento su Katie mi aveva provocato una stretta al cuore: non ero ancora riuscita a scusarmi per il mio comportamento ignobile.

Come se mi avesse letta nel pensiero, Will inclinò le labbra in un ghigno.

“Non preoccuparti, tra un po' sarà nell'Aldilà, e non dovrai più preoccuparti di nulla. Se vuoi anticipare, puoi ucciderla tu.”

Sentii il panino tornarmi dallo stomaco in gola.

“Scherzi!?”

“Ovviamente. Se ammazzassi un essere umano, ci andrei di mezzo io e … Davvero, biscottino, mi stai simpatica, senza rancori, ma se, per colpa tua, avrò guai con il Clan dei Lupi sarò costretto ad ammazzarti. Mi spiego?”

Ingoiai un sorso di aranciata, sperando che scacciasse l'acido che avevo in bocca.

“Ti spieghi.”

“Cerca di non rintracciare tua madre e tua sorella. Per i primi tempi, è meglio che tu stia tranquilla.”

Mi chiesi come avrebbe fatto a scoprire se le avessi chiamate.

“Lo verrei a sapere.” mi anticipò Will. “Ho i miei informatori.” concluse con noncuranza, alzandosi dal letto.

Mi alzai anch'io, e lui sorrise.

“Non sentirti in colpa: ora sei una dea. La luna ti ha scelta.”

Spazio autrice: eccomi qui! Nuovo capitolo, un po' più lungo :) Nel prossimo ci sarano nuovi sviluppi, soprattutto tra Scarlett e Will ... Presto ricomparirà anche Daniel, ovviamente, ma non voglio anticipare troppo.
Aggiorno all'una e tredici minuti, perciò perdonate la mia scarsa voglia di scrivere molto ... Buonanotte a tutti!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Primi giorni ***


Capitolo 7 – Primi giorni

 

Will mi fece visitare parte della Casa e mi disse che potevo andare e venire quando e dove volevo, a patto che non andassi in luoghi troppo affollati in cui potevo perdere il controllo.

Come lavori in posti con più di tre persone.

Per almeno un anno, avrei dovuto stare alla larga da qualsiasi luogo con tanta gente … Dovevo assolutamente rimanere calma. Assolutamente.

In forma animale, spiegò, avevo controllo di me, ma non ero comunque umana e, se qualche collega o amica avesse anche solo provato a toccarmi, probabilmente sarebbe scattato l'istinto di difesa e avrei finito col farle del male.

La Casa era un intricato labirinto di corridoi di tutti i generi, sempre in pietra, costellata da numerose porte, finestre e licantropi, che gironzolavano tranquillamente. Notai che gran parte dei ragazzi era a torso nudo, probabilmente per praticità, e quasi tutte le ragazze indossavano solo semplici vestiti neri o pantaloncini e canottiera.

La maggior parte erano scalzi.

“Ah, poi c'è la questione del tatuaggio.” disse Will, come se nulla fosse. “E' più una formalità, ma devi farlo. Deve essere chiaro che sei una di noi.”

Solo in quel momento notai la grossa zampa di lupo tatuata sulla sua spalla destra. Logico.

“Anzi, vieni con me. Te lo faccio subito.”

Rabbrividii. Nella mia vita, avevo avuto anch'io il periodo della fissazione per i tatuaggi, più o meno intorno ai sedici anni, ma la mamma era stata talmente categorica nel suo no, che non avevo mai preso davvero in considerazione l'idea di farlo.

E ora, eccomi lì, pronta per essere infilzata da un ago.

“Non ti farà male.” mi rassicurò Will. Io gli lanciai un'occhiata scettica, e lui sogghignò.

“I licantropi hanno la pelle dura. Praticamente impossibile farci del male.”

“E se un umano cercasse di prendermi a pugni?”

“Sarebbe come scagliarsi contro un blocco di cemento. Se ci mette un po' di forza, probabilmente si sloga anche la spalla.”

“Quindi deduco che se io decidessi di dare un pugno a un umano ...”

“Non puntare alla testa.” finì Will con un sorrisetto.

Wow. Proprio wow. Ero invincibile. Ero forte.

Ero sempre stata io quella gracile, quella magrolina, quella più piccola degli altri bambini e poi delle altre ragazze … Ero sempre io quella che non riusciva ad aprire bottiglie e barattoli o a sollevare le cose pesanti.

E adesso, adesso avrei potuto far scoppiare una bottiglia con il solo utilizzo di pollice ed indice.

“Vieni.”

Will entrò in una stanza con uno scaffale pieno di libri, una scrivania in legno, un'enorme finestra e due poltroncine nere.

Si diresse alla scrivania, disseminata di innumerevoli fogli e con un unico telefono.

Aprì due cassetti e ci frugò dentro, borbottando tra sé. Al terzo, finalmente, trovò quello che cercava: la macchinetta per i tatuaggi.

Sentii la terra mancarmi sotto i piedi.

“Biscottino, non sbiancare in quel modo. Non c'è mica la luna piena, oggi.”

“Non sto sbiancando.”

“Sì, invece.” si avvicinò e attaccò la macchinetta a una presa della corrente che non avevo visto. “E adesso, seduta.” ordinò, indicando la poltroncina.

Mi accigliai.

“Non sono mica un cane!”

“Be', tecnicamente ...”

Mi sedetti.

“Ora, cerca di stare ferma, altrimenti farò un disastro come alla tua amica Alexa.”

Fui felice di non aver visto il tatuaggio di Alexa.

“E dimmi, quante sorelle hai?”

“Pensavo lo sapessi. Non hai detto di avermi pedinata?”

“Era solo per fare conversazione.”

“Oh.” con la coda dell'occhio, vidi Will sorridere. “Ho una sorella, Ellie.”

“E tuo padre? Non l'ho mai visto, da quando ho iniziato a seguirti. Via per lavoro?”

“No.” mi stupii di quanto la mia voce suonasse calma. “Ha lasciato mamma anni fa per un'altra donna.”

“Un classico.”

“Un classico orribile.” replicai.

“Vero.” Will aggrottò le sopracciglia. “E' un bene che tu non abbia dei gatti.”

“Perché?”

“Non saresti la prima novellina che ammazza il gatto di casa, nei giorni prima della trasformazione. Abby adorava il suo gatto, e l'ha quasi chiuso nel forno.”

“Quasi?”

“Sono intervenuto subito dopo.” spiegò Will, come nulla fosse. “Invece, Andrew l'ha chiuso in lavatrice. Ho dovuto stordire Andrew, per andare a salvare quella povera bestia.”

“Ti piacciono i gatti anche se sei un licantropo?”

Quella parola suonò strana nella mia bocca.

Will annuì.

“Si fanno gli affari loro.” rispose, come se questo spiegasse tutto. Mi chiesi quanti anni avesse Will in realtà e se avesse una famiglia.

Rimanemmo in silenzio, con il ronzio della macchinetta tutt'intorno.

“Come si diventa licantropi?” chiesi infine.

Will non disse nulla per un attimo.

“A volte, lo si è da sempre, come te.” rispose, con un po' di esitazione. “Altre volte, si viene trasformati.”

“Non si può … Nascere già così?”

Strinse le labbra, come se stesse per darmi una brutta notizia.

“Le donne … Come noi … Non … Non possono fare figli.” disse infine.

Non avevo mai pensato di avere figli, un giorno o l'altro, ma fu comunque un pugno allo stomaco. Una delle possibilità che tutte le donne avevano … Mi era preclusa per sempre.

“E' il prezzo da pagare.” mormorò Will. “Questa condizione è qualcosa di unico, raro e prezioso, ma tutti dobbiamo pagare qualcosa.”

“Per i maschi, allora, qual è il prezzo?” chiesi, tesa.

“Stare sempre in branco. Isola un licantropo maschio e diventerà pazzo.”

“Oh.” fu tutto quello che riuscii a dire.

Will sorrise, questa volta, per la prima volta, gentilmente.

“Non è la fine del mondo, biscottino. Se tra centotrentacinque anni dovessi sentirti sola, potresti sempre trasformare qualcuno. Un bambino che ha perso entrambi i genitori, magari.”

Non risposi, perché mi parve comunque una cosa ingiusta. Non volevo condannare qualcun altro ad essere un licantropo, non se non era una sua scelta.

Non eravamo mostri, ma eravamo comunque diversi, e più pericolosi degli esseri umani normali. Tra gli umani, ci saremmo sempre sentiti esclusi, e gli umani erano sicuramente più di noi … Come potevo pensare di condannare un'altra persona a una vita come questa, senza che fosse lei stessa a sceglierlo?

“Ecco, ho finito.” interruppe i miei pensieri Will. Il ronzio della macchinetta cessò, lasciandomi esterrefatta.

Battei le palpebre e lo fissai, stupita.

“Finito cosa?”

“Il tatuaggio.”

Un sorriso beffardo comparve sul suo volto.

“Tu non mi hai fatto un tatuaggio.” sentenziai. “Non ho sentito ...” ma poi abbassai lo sguardo sulla mia spalla sinistra, e vidi la grossa zampa di lupo, circondata da un cerchio, simile alla luna.

Will rise vedendo la mia espressione esterrefatta.

“Ti avevo detto che non avresti sentito niente!”

Mi porse una mano.

“Dai, alzati.” presi la sua mano senza pensarci e lasciai che mi aiutasse ad alzarmi, anche se, vista la forza che sentivo scorrermi nelle vene, avrei potuto farlo tranquillamente da sola. Mi ritrovai stranamente vicina al viso di Will e vidi le screziature dei suoi occhi dorati.

Sorrisi, imbarazzata, e mi staccai, lasciando la sua mano; aveva una stretta forte e decisa. Le sue mani erano calde, sicure.

Sembrava sorpreso e per un attimo pensai che stesse per dirmi qualcosa, ma poi scosse la testa, e il sorriso beffardo tornò sul suo viso.

“Vieni, ti accompagno in camera.”

Camminavamo fianco a fianco in corridoio.

“Cosa fanno i licantropi, durante il giorno?”

Will scrollò le spalle.

“Quello che fanno gli umani, più o meno. Alcuni vanno anche a caccia.”

“E io, cosa dovrei fare, visto che devo rimanere chiusa qui per i prossimi mesi?”

Alzò gli occhi al cielo.

“Biscottino, non sei prigioniera. Puoi uscire quando ti pare, basta che non ti trasformi davanti a un essere umano.”

Non risposi.

Arrivammo in fretta davanti alla porta della mia stanza, e fu strano, perché non mi ero nemmeno resa conto che la strada fosse così breve. Avrei dovuto imparare bene come uscire ed entrare dalla Casa, o sarebbero stati guai.

“Passa una buona giornata, Sky.”

“Anche tu.”

Will si allontanò, sparendo nel corridoio affollato di licantropi.

Alcuni mi lanciarono degli sguardi incuriositi, e io sentii il mio cuore accelerare un po', e la mia pelle tirare come se fossi sul punto di trasformarmi.

Rientrai in fretta.

 

I primi giorni alla Casa furono … Strani. Mi ritrovai trasformata nei momenti più assurdi: non riuscivo proprio a controllarmi.

Mi svegliavo in forma di lupo, acciambellata sul pavimento.

Quando imparai a raggiungere la cucina, mi trasformai appena vidi una bistecca, suscitando le risate di Alexa ed Abby, che avevo conosciuto poco tempo dopo il mio arrivo.

Il peggio, non era la trasformazione in una lupa gigante, quanto il tornare umana: dovevo avere sempre con me dei vestiti, per non rischiare di farmi vedere nuda dall'intera Casa. Era molto imbarazzante.

Per la prima volta, capivo cosa intendevano tutti con questa storia del controllo; la minima emozione, causava la trasformazione.

Suonava il telefono in camera e, in un lampo di luce rossa, mi ritrovavo in forma animale col telefono in bocca. Alexa bussava, svegliandomi, e dovevo aprire a suon di zanne. Era incredibile.

E, cosa ancora più terribile, era completamente involontario, perciò controllarmi diventava molto difficile.

Alexa mi disse che era solo questione di inesperienza, e che dovevo darmi tempo: sarebbe diventato più facile.

La sera della mia quinta giornata alla Casa, mentre la mia compagna di stanza dormiva, decisi che era ora che, per una volta, mi trasformassi di mia volontà.

Non era mai successo in tutto quel tempo, e adesso volevo dimostrare a me stessa di avere almeno un minimo di controllo su quella storia.

Aprii la finestra e mi buttai sul prato al di sotto di essa.

Avevo visto molti licantropi farlo; non era difficile, bastava solo atterrare in ginocchio.

Mi avviai verso il bosco che circondava la Casa. L'edificio sorgeva in una radura in mezzo all'intricata foresta che si trovava tutt'intorno, e la zona era disseminata di licantropi, anche di notte. A molti piaceva uscire, per il puro gusto di farlo, e andare a farsi una corsa.

Non capivo cosa ci trovassero di tanto bello, ma decisi che era il momento di scoprirlo.

Appena al di là degli alberi, tolsi il vestito nero che indossavo e lo legai con cura a un piede; sarebbe stato un po' stropicciato, ma sempre meglio che portarlo in bocca.

Una volta nuda, lasciai che il desiderio di diventare lupa mi travolgesse e fu … Splendido. Un lampo rosso di felicità, come se mi fossi lasciata cadere giù da un precipizio, ma sapessi che in qualche modo mi sarebbero spuntate le ali e sarei riuscita a volare.

Appena mi sentii salda sulle quattro zampe, cominciai a correre.

Non c'era paragone.

Niente di tutto quello che avevo fatto, provato o pensato fino a quel momento poteva eguagliare quella sensazione di libertà, di felicità, di vuoto tutto insieme. Le mie zampe poggiavano sul terreno forti e solide e niente poteva scalfirle.

Avvertii qualche ramo sfiorarmi la schiena, ma niente, niente poteva fermarmi.

Avrei potuto correre all'infinito, assieme alla foresta, nella notte stellata.

Sentivo ogni suono, ogni fruscio, ogni creatura, ogni odore, persino le loro emozioni … Avvertivo la loro paura di me o la loro indifferenza. Si ritiravano al mio passaggio, aprendosi come ali davanti a me.

Niente poteva ostacolarmi.

Mai, fino a quel momento, mi era stato tanto chiaro il significato di invincibile.

Sentivo ogni muscolo tendersi in avanti, contrarsi, lavorare, bruciare, mentre correvo senza sosta, zigzagando nella foresta, perdendo la cognizione del tempo, a volte ad occhi chiusi, con il mondo che, come in sogno, mi scorreva accanto …

Mi fermai solo quando sentii l'odore della neve.

Dovevo essere andata troppo in alto lungo la montagna, notai, sbalordita. Erano incredibili le distanze che riuscivo a coprire in forma di lupa.

La neve aveva un odore indefinito, ovviamente molto simile a quello dell'acqua. Mi ritrovai a chiedermi che odore avessi io.

Alexa profumava di rose, Will di muschio, Abby di arancia.

E la creatura che si avvicinava non aveva nessuno di questi odori.

Tesi le orecchie, e sentii il mio corpo preparasi alla difesa, mentre ascoltavo con cautela i passi della creatura. Cercai di stabilire cosa fosse.

Il suo odore era molto simile a quello della neve; era freddo come lei, ma era più pungente e mi faceva bruciare un po' il naso.

Il suono dei suoi passi era umano, eppure ero confusa, perché non sentivo il battito del suo cuore. Era come se una statua stesse camminando nella neve, e si stesse avvicinando a me.

Il suo odore era strano, ma continuava a farmi pensare a una sola cosa: mare e scogli. Qualcosa di infinito che ti si propaga davanti, e l'odore dell'aria salmastra, con uno strano profumo di erba e foglie secche …

Lo sconosciuto mi comparve davanti, e lo riconobbi all'istante: Daniel.

Sorpresa, abbandonai la posizione difensiva e lo fissai, incuriosita. Dunque, era un vampiro.

Anche la sua espressione era stupita, e i suoi occhi rossi brillavano nella notte come stelle. Era vestito completamente di nero, come se volesse fondersi con l'oscurità, e aveva le mani nelle tasche.

Sembrava essere un po' più grande di me, notai, ed era anche lui piuttosto muscoloso, ma in modo diverso da Will: era più delicato, più elegante e alto.

“Lupetta.” mormorò, sorpreso.

Annuii appena, continuando a fissarlo.

Non sembrava che volesse uccidermi.

“Come stai?”

Se avessi avuto le labbra, avrei sorriso. Tesi le orecchie in avanti e gli lanciai un'occhiata espressiva, mentre mi voltavo e mi nascondevo dietro un grosso albero.

La trasformazione fu veloce; indossai il vestito nero e uscii di nuovo.

Sapevo di essere spettinata, come succedeva sempre dopo la trasformazione, e sapevo anche di avere la pelle bianca e pallida, quasi al pari della sua.

I miei occhi guardarono i suoi.

“Bene, credo. Tu?”

Spazio autrice: cari lettori, purtroppo sono di fretta anche oggi. Sto andando a fare una nuotata ... Con questo caldo è proprio quello che serve! Per chi, invece, rimane a casa e ha bisogno di distrarsi, spero che leggerete la mia storia!
Attendo con ansia le vostre recensioni!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Daniel ***


Capitolo 8 – Daniel

 

Daniel scrollò le spalle, continuando a fissarmi con gli occhi spaventosamente rossi. Non volli chiedermi di cosa … O di chi si fosse nutrito.

“Considerando che il mio cuore non batte più da un pezzo, piuttosto bene direi.”

I suoi occhi guizzarono all'oscurità alle mie spalle.

“Passeggiata notturna?”

Annuii.

“Lo stesso per te, vedo.”

Daniel fissò di nuovo il suo sguardo su di me.

“Il tuo cuore batte molto forte.” disse, come se fosse una cosa perfettamente normale da dire.

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena.

“Ehm … Hai intenzione di mangiarmi, per caso?”

Con mia sorpresa, Daniel rise. Un suono basso, di gola, che fece drizzare le orecchie al lupo che era in me. Persino la sua risata era quasi un sussurro, come se non sapesse gridare, né potesse farlo.

“No. Sarebbe troppo crudele.”

Mi accigliai.

“E perché?”

“Be',” il sorriso di Daniel svanì, per lasciare il posto a un'espressione cauta. “Io e te siamo legati, dopotutto.”

Inclinai leggermente la testa di lato, confusa.

“Dicono che la prima persona che un licantropo vede alla sua rinascita,” rispose alla mia muta domanda, “è quella a cui il suo cuore sarà legato.”

Seppure sorpresa da un'affermazione tanto profonda, scrollai le spalle.

“Non credo sia il nostro caso. Da quanto ho capito, io non dovrei nemmeno parlarti.”

Daniel arricciò le labbra in quello che parve disappunto.

“E poi,” continuai, “si può sapere che cosa ci facevi lì, quella notte?”

Per un istante, parve quasi spiazzato da quella domanda, ma si ricompose subito.

“In realtà,” iniziò, esitante, “ero … Ho sentito il tuo odore, non avevo capito che cosa fossi. Eri ancora nella fase di rinascita, perciò sembravi un misto molto strano tra un animale e un essere umano. Ero confuso, così sono venuto a vedere.”

“Quello che non mi è chiaro è perché sei rimasto.” dissi, corrugando la fronte.

“Pensavo fossi ferita.” la sua risposta fu secca, e decisi di lasciar perdere, anche se continuavo a pensare che mentisse.

L'odore dei vampiri era facile da distinguere e sicuramente lo era anche quello dei licantropi; se io avessi visto un vampiro in fase di rinascita, me la sarei data a gambe, se non altro per non avere guai con la legge.

O forse, i vampiri non avevano legge?

Lanciai un'ultima occhiata a Daniel, e vidi che mi stava osservando, ma non riuscii a capire a cosa pensasse.

“E' stato bello rivederti, Daniel.” ero già pronta per trasformarmi, e stavo arretrando piano.

Mi fissò sbigottito.

“Ti … Ti ricordi il mio nome?”

Mi sentii confusa; non eravamo certo amici di vecchia data, ma era vicino a me mentre diventavo un licantropo! Non si dimentica il nome di una persona del genere … Soprattutto se è il primo vampiro che conosci.

“Sì.” sentii un sorriso divertito affiorarmi sul viso. “Tu ricordi il mio?”

“Scarlett.” rispose senza esitare e, dopo un attimo, sorrise anche lui. Era un sorriso un po' distante, notai. Chissà a cosa stava pensando …

“Chi ti ha trasformata?” mi chiese d'un tratto, sorprendendomi. Mi bloccai.

“Nessuno. Sono così … Credo che fosse destino.”

Il suo sguardo era triste, quasi remoto.

“E sei felice di quello che sei diventata?”

Annuii.

“E' un po' strano, ma sì.” mi avvicinai, piano, e cercai i suoi occhi. “Tu no?”

Un altro sorriso, amaro adesso, si fece strada sul suo viso.

“No.”

“Perché?” chiesi, d'impulso, rendendomi subito dopo conto che non avrei dovuto, perché effettivamente non erano affari miei.

Daniel alzò le spalle, e mi sembrò un po' a disagio.

“Non vorrei essere diverso, amavo la mia vita.”

Lanciai un'occhiata a lui, e poi al bosco dietro di me. In quel momento, mi sembrò di dover prendere una decisione; qualcosa che mi avrebbe cambiato per sempre la vita …

Qualunque cosa fosse, non vi diedi importanza.

E mi avvicinai a Daniel, affondando i piedi nella neve, allontanandomi dal bosco.

“Cosa amavi della tua vita?” cominciai a camminare, scalza, meravigliandomi di quella sensazione farinosa tra le dita. Sembrava sabbia, e non era per niente fredda.

Esitò, e io mi voltai a guardarlo.

I suoi occhi sembravano essersi un po' scuriti, ed erano leggermente violacei. Mi fissavano come se stessero cercando di capire, se stessero cercando di leggermi dentro.

Alla fine, batté le palpebre e mise le mani in tasca.

Mi seguì.

“Tutto, credo.” rispose. Mi accorsi che, seppure con gli occhi fissi sul terreno, cominciava a sorridere, preda di qualche ricordo. “Il sole sulla pelle, gli amici, la famiglia, il calore del fuoco, il gelo dell'inverno … Le cose più semplici.”

Non mi ero trasformata da tanto, perciò non capivo molto bene cosa intendesse. E poi, una volta imparato a controllarmi, probabilmente la mia vita avrebbe potuto tornare alla normalità.

“Allora è vero che i vampiri non possono stare alla luce del sole.”

Daniel sorrise, divertito.

“Solo in parte. Non è che non possiamo proprio starci, è che tende a pizzicare un po' la pelle. Solo mezzogiorno è pericoloso.”

“Se a mezzogiorno qualcuno ti scaraventa fuori, bruci subito?”

“Più o meno.” mi lanciò un'occhiata. “E tu? È vera la leggenda dell'argento?”

“No.” gli mostrai il sottile braccialetto d'argento che portavo sempre al polso. “Non mi fa niente.”

Rimanemmo in silenzio per un attimo, continuando a camminare.

“Come sei stato trasformato?” chiesi infine.

Daniel corrugò la fronte marmorea. La notte era limpida e stellata e, grazie ai miei occhi da lupa, notai che era davvero bello; aveva gli zigomi alti, la pelle bianca come la neve, gli occhi come rubini e i capelli più neri della notte.

“Io ...” sospirò. “Non credo sia ...”

“Oh.” risposi, con una punta di delusione. “Davvero Daniel, non importa ...”
Per un attimo, parve stupefatto di sentirsi chiamare col suo nome.

“No, non è che non voglia ...” sembrava che stesse avvenendo una lotta dentro di lui. “E' che … I vampiri non dovrebbero dirlo ai licantropi. In teoria. Ma io ho visto nascere te, mi sembra giusto che io ...”

Sorrisi.

“Daniel, non importa assolutamente ...”

“Oh, al diavolo.” rimasi in silenzio, mentre lui cominciava a raccontare. “Avevo vent'anni.” disse. “Mio fratello ne aveva sedici. Ero ancora abbastanza giovane da ricordare … Lo sai … Il delirio adolescenziale, perciò non ero poi così preoccupato quando mio fratello cominciò a frequentare cattive compagnie, e ad avere comportamenti strani.”

Fissai il mio sguardo su di lui, e incontrai i suoi occhi rossi. Si erano incupiti, notai.

“Come si chiamava?” lo chiesi in un sussurro, che ovviamente Daniel sentì.

“Danny.” rispose, con la voce remota. “Mamma e papà erano preoccupati e lo era anche mia sorella, Emma. Loro due erano molto legati, ma di colpo lui aveva cominciato a respingerla. Io avevo appena trovato un buon lavoro, e iniziato l'università; gli impegni erano tanti, e non ci facevo molto caso.” esitò. “Ma poi, cominciai a vederlo anch'io.”

Rimanevo in silenzio, in ascolto, e intanto immaginavo un Daniel in miniatura, con la pelle rosea e gli occhi verdi.

“Era pallido,” continuò, “e la sua forza e la sua agilità mi stupivano ogni minuto di più. Non sembrava avere bisogno di dormire e non mangiava quasi mai a casa. Anzi, semplicemente non mangiava. Un giorno, ero andato a lezione e lui era un bambino che mi chiedeva di prestargli la bicicletta,” si rabbuiò, “il giorno dopo era un giovane adulto pallido e magro, con amici assurdi e una forza spaventosa.”

Mi guardò di sottecchi, e distolse lo sguardo subito dopo.

“Pensai si trattasse di droga, così cercai di parlargliene, anche se era completamente inutile: se era con le droghe che avevamo a che fare, allora sarebbe stato difficile farlo ragionare. Fui davvero sorpreso quando entrai nella sua camera.” un sorrisetto gli si dipinse sul viso. “Era in perfetto ordine, e lui non aveva gli occhi rossi di un drogato. Perlomeno,” si affrettò a correggersi, “non rossi nella maniera umana. Portava le lenti a contatto, perciò non notai nulla.”

“E poi?” chiesi, ansiosa di sapere cosa avesse a che fare questo con lui.

“Parlammo un po', e lui era perfettamente lucido, anche se molto freddo, controllato, distante. Cercai di capire … Cosa non andasse, ma era come sbattere la testa contro un muro. Lui non poteva dirmelo, io non riuscivo a scoprirlo. Almeno una cosa, però, l'avevo capita: non era stato lui a volerlo, e il rapporto con Emma gli mancava.”

Un'ombra di trionfo gli comparve sul viso, come se ancora gioisse di quel piccolo risultato.

“Pensavo che le cose sarebbero andate meglio, invece, peggiorarono. Anche mia sorella cominciò a comportarsi come Danny; riconquistarono la loro vicinanza, ma non mi erano mai sembrati tanto simili: avevano entrambi la pelle pallida, entrambi le lenti a contatto, i loro capelli si erano scuriti, non li sentivi mai arrivare, la loro agilità era spaventosa … Non potevano nemmeno toccare il telecomando della televisione senza romperlo in due!” era talmente preso dal racconto … Aveva mai detto quelle cose a qualcuno? Ebbi la dolorosa sensazione che fossi io la prima, e che lo fossi soltanto perché non ci saremmo più rivisti dopo quella sera.

“Ero frustrato.” proseguì. “I miei genitori stavano impazzendo, alla ricerca di uno psicologo. Avevano divorziato anni prima, ma si dimostravano uniti nell'affrontare questa storia.” deglutì. “Un giorno, trovai il coraggio di frugare in camera di Danny. Trovai sangue, sangue in bottiglia.”

Trattenni un'espressione disgustata.

“Non lo dissi ai nostri genitori: sarebbe stato troppo, ma la sera attesi Emma e Danny nella sua camera e, appena arrivarono, mostrai loro le bottiglie. Improvvisamente, per quanto insensato, c'era un collegamento, una soluzione. Mi spiegarono cos'erano diventati.”

“Per quanto hai mantenuto il segreto?”

“Non per molto. Ora che l'avevo scoperto, le alternative erano la mia istantanea fine o la mia trasformazione, e per loro fu facile immobilizzarmi e mordermi. La mia nuova vita cominciò in breve, ma fece impazzire i miei genitori: non anch'io, non potevo esserci entrato anch'io.

Eravamo a un punto fermo: noi non volevamo rivelarlo a mamma e papà per non condannarli alla stessa sorte non scelta e desiderata, e loro non volevano demordere.

Quando, un anno dopo, mamma si ammalò di cancro, aspettammo più che potemmo, sperando di lasciarle la sua umanità, ma quando capimmo che non ce l'avrebbe fatta, spettò a me trasformarla per salvarla.” il suo viso era contorto in una smorfia di disgusto. “E lo feci. Mia madre ce ne fu grata … Fu lei a rendere nostro padre parte della nuova vita.”

Rimasi in silenzio per un attimo.

“Immagino tocchi a me, adesso.”

Daniel incontrò il mio sguardo, sorpreso.

“Non sei obbligata.”

“Mi sembra di essere agli Alcolisti anonimi.” gli lanciai un'occhiataccia, e lui ridacchiò.

“Piacere, io sono Daniel e ho un serio problema di dipendenza dal sangue.”

Risi.

“Piacere, io sono Scarlett e non riesco a smettere di trasformarmi in un lupo gigante.” feci una smorfia. “Ogni minima emozione, e mi ritrovo a quattro zampe. Temo che non bacerò un ragazzo per un bel po' di tempo.”

“Non pensi che anch'io potrei avere qualche problema? Chiamato canini?”

Prima di potermelo impedire, fissai gli occhi sulla sua bocca, rosso rubino almeno quanto gli occhi.

“Non vedo canini.”

Daniel scrollò le spalle.
“Canini retrattili.”

Non avrei mai immaginato di finire, da licantropo, a parlare con un vampiro dei suoi canini retrattili.

“Allora, la tua storia?”

Scrollai le spalle.

“Ho una mamma e una sorella, Ellie. Papà ci ha lasciate anni fa.” presi un bel respiro. “E' iniziato tutto con una sfuriata in negozio, davanti alla mia amica Katie. Poi, le cose sono precipitate: mi sono trovata a diventare sempre più forte, e agile, fino alla trasformazione.” rabbrividii. “Ho lasciato sulla scrivania di camera mia … Una lettera … In cui … Dichiaro che una malattia mi ha uccisa. Ero convinta di essere malata.”

Incontrai gli occhi di Daniel. Fino a quel momento, non avevo mai capito cosa intendessero nei libri, quando leggevo che la protagonista leggeva un'emozione negli occhi di un'altra persona. Ma in quel momento, per la prima volta, vidi qualcosa nei suoi occhi: comprensione.

“Non sentirti in colpa.” mormorò, certo che potessi sentirlo. “Io ho trasformato mia madre in un mostro, e ho permesso che succedesse anche a mia sorella. Questo è essere un mostro.”

“Non è vero.” lo precedetti di qualche passo e camminai all'indietro, davanti a lui, per poterlo guardare negli occhi. “Hai salvato tua madre, e non hai potuto fare niente per tua sorella. È diverso.”

Daniel corrugò le sopracciglia, ma il suo sguardo tornò imperscrutabile.

“Avrei potuto fare qualcosa, se avessi capito prima.”

“Mettiamola così, allora.” mi fermai, e lui con me. “Se avessi capito prima, avresti aiutato tua sorella?”

Chiaramente confuso, annuì.

“Ecco. Questo dimostra che non sei un mostro. Forse era destino che andasse così.”

Vidi una strana luce balenare nei suoi occhi, e un sorriso illuminarglieli.

Mi voltai e riprendemmo a camminare fianco a fianco nell'oscurità. Ormai anche la neve era scomparsa; stavamo scendendo dolcemente lungo il pendio. In lontananza, sentivo l'odore della Casa e la scia del percorso che avevo fatto prima.

Nella neve avevamo fatto perdere le nostre tracce.

“Come ti sei sentita quando ti sei trasformata?” chiese Daniel.

Nascosi un sorriso.

“All'inizio era solo … Dilaniante. Ma poi, è stato un sollievo. Un mix incredibile tra il bere il tè caldo più buono del mondo e il dire ti amo per la prima volta. Mi ha scaldato il cuore.” vidi che sorrideva. “E tu?”

“Ci credi se ti dico che è stata la stessa cosa? Solo che io camminavo ancora su due … Zampe.”

Ridacchiai.

“Suppongo ci sia una bella differenza. Quando l'Alfa mi ha trovata, ho dovuto nascondermi dietro un albero ...” un lampo divertito gli attraversò gli occhi.

“Deve essere una seccatura ritrovarsi nudi ogni volta dopo la trasformazione.”

Non potei che concordare. Era molto imbarazzante … Soprattutto quando era del tutto imprevisto, come nei primi tempi.

“Tu non hai ...” ero incerta. Stavo davvero per chiedere una cosa simile a un vampiro? “Non ti ha fatto … Non ti sei sentito ...”

Daniel sollevò un sopracciglio, mentre io cercavo il modo più educato per domandarglielo.

“Bah.” mi arresi infine. “Lascia perdere.”

Un sorrisetto beffardo, che mi ricordò un po' Will, si formò sulle labbra di Daniel.

“Dimmelo.”

“Non vorrei che ti arrabbiassi.” mi difesi subito. “Ti è … Sai, i primi giorni … Ti è per caso venuta voglia di bere il sangue di tutti gli umani che ti passavano vicino?”

Strabuzzò gli occhi e poi, sorprendendomi, scoppiò a ridere.

“In effetti ...” rispose, quando le risate si calmarono, “Era strano. Ad un certo punto, sentivo letteralmente lo scroscio leggero del sangue che scorreva nelle vene della gente intorno a me. Era inquietante. Sentivo addirittura il loro cuore pulsare … Ma, francamente, mi disgusta l'idea di nutrirmi di un umano, per quanta fame … Ehm … Sete, io possa avere.”

“Oh. Illuminante.” fu tutto quello che riuscii a dire, sconvolta all'idea che forse Daniel sentiva il mio cuore battere, proprio in quel momento. Anch'io potevo sentire il cuore delle persone … Ma era diverso. Non mi faceva venire fame. Era un suono liquido, pulsante, che non mi piaceva proprio per niente.

“Ora non dirmi che i licantropi non sventrano le persone.”

“Spiacente ...” che razza di credenze aveva la gente? “Credo sarebbe disgustoso.”

Daniel tornò serio.

“Com'è trasformarsi in lupo? Continui a pensare come da umana?”

“Sì. Non è come nelle leggende … Non mi risveglio da qualche parte senza ricordarmi quello che ho fatto, e non disprezzo nemmeno la natura umana mentre sono lupa.” ci pensai un attimo. “Anzi, la mia natura umana rimane costantemente preoccupata, anche in forma animale, per mamma ed Ellie.”

“Non l'hai fatto di proposito.” disse Daniel sommessamente. “Hai lasciato loro quella lettera … Ma pensavi davvero di essere malata! Credi che preferirebbero non avere nemmeno una vaga idea di dove tu sia?”

Abbassai lo sguardo.

“No, ma forse preferirebbero avere la speranza che io sia viva.”

Vidi che lo sguardo di Daniel era pieno di comprensione. Capiva perfettamente quello che stavo passando … Anche se in versione inversa. Lui aveva sopportato dalla parte del fratello all'oscuro, invece io facevo la parte della sorella che aveva il problema, che sapeva e che teneva l'altra all'oscuro.

Stavano forse pensando di fare qualche … Cerimonia per la mia scomparsa? Avevano avvertito la polizia? Avevano chiamato i parenti?

Con la coda dell'occhio, intravidi delle luci, in fondo alla valle davanti a noi.

Io e Daniel ci fermammo; si sedette sul ramo basso di un albero, e io feci lo stesso su quello a fianco a lui.

La Casa illuminata era laggiù, a quelli che sembravano giorni di cammino, e noi eravamo in alto, sul crinale della montagna. Ancora più lontana, si intravedeva la vaga luce della città.

Alzai lo sguardo, e mi ritrovai ad osservare nei dettagli il viso di Daniel, che fissava il cielo come se volesse contarne tutte le stelle.

I suoi occhi riflettevano il blu del cielo, e sembravano blu anche loro.

Poi, abbassò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei.

Per un solo istante, quel silenzio tra noi divenne leggero, normale e perfetto.

Solo silenzio … Un silenzio tutto nostro, come se ci avessero calato attorno una cupola. Non sentivo nemmeno il frinire dei grilli, i rumori della foresta, i suoi leggeri fruscii, provocati dalla brezza … Nessuno dei due disse niente.

Poi, la nostra bolla scoppiò, interrotta dalle vicine ali di un gufo.

Distogliemmo entrambi lo sguardo, e sentii le mie guance imporporarsi. Anche se ero molto più pallida del solito, nelle mie vene il sangue scorreva ancora, e affluì tutto al viso proprio in quel momento.

Daniel si alzò.

“Penso che sia il caso di andare.”

La cosa mi sembrò ironica. Avevamo tutta l'eternità davanti … Ma capivo cosa intendeva.

Io licantropo, lui vampiro.

“Lo so.” risposi in un sussurro. Mi alzai anch'io, e ci ritrovammo uno di fronte all'altra.

“Pensi che ci rivedremo, lupetta?”

Sorrisi sentendo quel soprannome. Era il primo che mi ero sentita dare alla rinascita; era una cosa affettuosa, in un modo o nell'altro.

“Non credo.” risposi.

Ricambiò il sorriso, poi mi voltai e ripresi la mia corsa nella foresta.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Alexa ***


 Capitolo 9 – Alexa

 

Il mattino seguente mi svegliai, completamente intontita, con la testa nella doccia … Ed ero nuda. Ovviamente, pensai tra me e me, mentre mi alzavo e afferravo un asciugamano a caso. Poco distante, il mio vestito nero giaceva a brandelli.

Uscii dal bagno e la musica mi colpì come uno schiaffo in pieno viso; riuscii a malapena a controllarmi, e ad evitare a me stessa un'ulteriore trasformazione.

Alexa, in top nero e pantaloncini, sorrise quando mi vide e abbassò la musica.

“Buongiorno, Sky! Ho visto che dormivi in forma animale nella doccia, e non ho voluto disturbarti!” esclamò. Alzai gli occhi al cielo. Quando sarebbe mai passata questa storia?

“Vieni a fare colazione?”

Annuii, mentre aprivo un cassetto e mi infilavo dei vestiti a caso; tanto, erano tutti neri.

“Ieri sera sei rientrata tardissimo.” disse Alexa, chiudendosi la porta di camera nostra alle spalle.

“Sì, sono stata … A fare un giro.” risposi. Il che, in fin dei conti, era vero. Ometteva solo la parte più importante: la presenza di un vampiro nel mio giretto notturno.

Chissà se anche Daniel aveva pensato a me, appena sveglio. Scossi la testa. Basta sogni ad occhi aperti! Io e lui non ci saremmo rivisti.

“Com'è andata?” chiese Alexa.

“Oh, io … Sì, bene. È stato bello.”

Mi lanciò un'occhiata sospettosa, ma non disse nulla.

Se ci fosse stata Ellie, pensai con rammarico, avrebbe capito. Avrebbe sicuramente capito che c'era di mezzo un ragazzo, che era successo qualcosa e forse, pur essendo umana, sarebbe stata comprensiva riguardo a come mi sentivo.

Mia sorella avrebbe capito tutto, e mi avrebbe aiutata a spiegare le cose anche alla mamma.

“Cos'hai? Sei silenziosa stamattina.” eravamo arrivate in cucina, che a quell'ora era deserta. Era davvero molto presto, notai. L'orizzonte stava a malapena cominciando a dipingersi di rosa, non doveva essere più tardi delle sei.

“Mmm … Niente.”

Alexa aprì un armadietto, e tirò fuori pane, burro e marmellata. Poi, partì alla ricerca del coltello.

“Sei sicura?”

La cucina della Casa era molto semplice e funzionale. Gran parte dei licantropi non rimaneva lì per la notte e, a volte, non tornava nemmeno per mangiare; in tutta l'eternità si riusciva a procurarsi molti soldi, che di solito bastavano per fare i pasti principali fuori.

La Casa era più un faro, un punto sicuro e solido, che una casa vera e propria.

“Sì, sono sicura.” risposi soprappensiero ad Alexa, ignorando l'occhiata che mi lanciò di sottecchi. Daniel e i suoi vivevano tra gli umani? O anche i vampiri avevano una Casa?

“Ne sono contenta.” disse intanto la mia compagna di stanza, sedendosi. “Sarà meglio che tu vada a farti una doccia di corsa, appena possibile.”

Alzai lo sguardo, sorpresa.

“Puzzo?” chiesi, esterrefatta. Alexa sorrise bonariamente.

“No, Sky, solo che …” scosse la testa, “L'odore di vampiro che hai addosso si sente fin dal corridoio.”

Sussultai.

“Davvero?”

“Sì.”

Guardai in giro, nervosa, anche se non c'era nessuno.

“Si sente così tanto?”

Alexa annuì con un sorrisetto.

“Eh, sì.”

Sospirai; i suoi occhi si accesero di curiosità.

“Allora, che avete fatto voi due?”

“Ehm … Parlato.”

“Non ci credo!” esclamò, quasi squittendo. “Sky … Questo … Questa …” ridacchiò come una scolaretta. “Tu ...” scoppiò a ridere. “Stai per caso flirtando con un vampiro?”

Le mie guance divennero rosse all'istante, e spalancai gli occhi dalla sorpresa.

“Co … Cosa!? No! No! Assolutamente no! Cioè … Io … Oddio, no!”

Vedendo la mia reazione, Alexa rise ancora più forte e dovette mettersi una mano sulla bocca. Si alzò, ancora ridendo, e chiuse la porta della cucina.

“Ascolta,” disse, con gli occhi che brillavano, “non so come funzioni quella parte dei rapporti tra licantropi e vampiri, ma credo sia meglio che usiate comunque le dovute precauzioni.”

Sentii il rossore salire ancora, diffondendosi fino alla radice dei capelli.

“Alexa!” esclamai, scandalizzata. “Non siamo arrivati a quello!”

Scrollò le spalle, ridacchiando.

“Era tanto per precisare.”

“No! Abbiamo solo parlato ...”

Alzò un sopracciglio, con aria scettica.

“Avete parlato per più di tre ore?”

“Che c'è di male?”

“Niente, niente.” il sorrisetto sul viso di Alexa spuntò di nuovo. “Se arrivate a quel punto, me lo dici, vero?”

Arrossii di nuovo.

“No, perché non ci arriveremo. Gli ho detto che non ci saremmo rivisti mai più.”

Spalancò gli occhi; il suo viso da elfo divenne quasi comico, con quegli occhi di un verde sgargiante accesi come lampadine.

“E si può sapere perché l'hai fatto?”

In quel momento, sentii la porta della cucina scricchiolare, aprendosi.

“Ehi ...” la testa bionda di Abby spuntò da dietro la porta. “C'è nessuno?”

Quando ci vide, sorrise ed entrò, chiudendo di nuovo la porta. Si allungò per prendere una tazza e un po' di latte, ma si bloccò quando vide l'espressione sul viso di Alexa e il rossore sul mio.

Un lampo di malizia passò sui suoi occhi.

“Ali, mi sono persa qualcosa?”

Alexa quasi saltava come un petardo dalla felicità.
“Sky ha flirtato con un vampiro!” esclamò. Io appoggiai la testa sul tavolo, tra le braccia incrociate, e mugolai qualcosa tra me e me.

La reazione di Abby fu diversa: sgranò gli occhi, e si sedette di fronte a me.

“In che senso?”

“In nessun senso!” risposi io, esasperata. “Non ho flirtato col vampiro, ci ho solo parlato!”

“Potreste aver flirtato attraverso le parole.” ci fece notare Alexa, come fosse la cosa più normale del mondo.

Alzai gli occhi al cielo.

“Ma no!”

“E allora di che avete parlato per tre ore di fila, soli nei boschi?”

Abby mi fissò, incredula.

“Avete parlato per tre ore di fila soli nei boschi? Allora mi sa che Ali ha ragione!”

“Abbiamo parlato delle nostre condizioni … Gli ho chiesto come è stato trasformato in vampiro, e lui ha chiesto a me la stessa cosa.” evitai di dire che avevamo parlato anche delle difficoltà nel baciare un potenziale fidanzato o fidanzata.

“Hai tastato il terreno, quindi.” disse Alexa, ingoiando una fetta di pane con sopra almeno mezzo vasetto di marmellata di fragole.

Abby corrugò le sopracciglia.

“Ali, tu sai che è proibito, non è vero?”

Ali scrollò le spalle.

“E allora? È il gusto del proibito, no?” alle nostre occhiate scettiche, emise un sospiro esasperato. “Sentite, non è giusto. Mille anni fa tra licantropi e vampiri c'era la guerra, e hanno stipulato i patti, ma adesso c'è la pace, quindi perché non ricominciare a stare insieme?”

“Perché ci faremmo di nuovo la guerra, forse?”

“Naaa. E poi, Sky è innamorata di un vampiro, quindi dovremmo sostenere una petizione a favore del crollo dei patti con lei.”

“Io non sono innamorata!” strillai.

Abby mi lanciò un'occhiata eloquente.

“Lasciala perdere.” disse, “Sarebbe da pazzi. Se avete solo parlato, va tutto bene. Non dovete vedervi più, però. Ai novellini perdonano tutto … Suppongo che non fosse premeditato, no?”

Scossi la testa.

“Ecco. Tutto a posto, allora.”

Ma Alexa non era proprio d'accordo.

“Tu non capisci!” strillò, lanciando quasi in aria la fetta di pane imburrato. “E' amore a prima vista! Non potete separarli, distruggerai tutto il suo mondo!”

Io e Abby ci scambiammo un'occhiata esterrefatta.

“Ali, ti senti bene?”

Alexa rimase immobile per un attimo, le braccia alzate in aria, una che impugnava il panino, l'altra il coltello. Poi, scoppiò a ridere e abbassò le braccia.

Io e Abby la fissammo per un istante, ma la sua risata era contagiosa e in poco tempo sghignazzavamo tutte tre come delle sciocche.

“Mi sa che ho esagerato.” rise Alexa. “Comunque, se dovessi baciarlo, dimmi com'è. Non ho mai sentito di licantropi che hanno baciato vampiri.”

Abby mi fissò, improvvisamente seria.

“Ma Sky non lo rivedrà più, non è vero Sky?”

Annuii con decisione.

“Non voglio avere guai. Non so se vampiri e licantropi tornerebbero a farsi la guerra, senza i patti, ma non voglio essere io a farlo scoprire ad entrambi.”

Alexa fece un sospiro deluso.

“Almeno, dicci come si chiama.”

“Daniel.”

“Ah ...” guardò il soffitto con aria sognante. “Persino il suo nome è fantastico!”

Abby scosse la testa con rassegnazione.

“Ali, non mi sorprenderei se mi confessassi di aver perso qualche rotella stanotte ...”

Lei batté le palpebre, stupita.

“Perché?”

Proibito. Lo capisci?”

“Ma ogni regola ha un'eccezione! Magari Sky e Daniel sono l'eccezione alla regola non parlare con i vampiri!”

Quelle due erano fuori. Non volevo proprio avere guai di quel genere, pensai tra me e me. E poi, non ero innamorata di Daniel! Non aveva senso che volessi rivederlo.

Era carino e tutto il resto, fosse stato un ragazzo ci avrei pensato, ma, vista la situazione, non era proprio il caso.

Mi alzai.

“Io vado a farmi una doccia … Qualcuno mi ha detto che puzzo di vampiro.”

Alexa distolse lo sguardo con aria innocente, e Abby le lanciò un'occhiataccia. Sorridendo, uscii dalla cucina e raggiunsi in fretta la mia stanza, seguendo l'odore di rose di Alexa.

Fu un sollievo infilarsi sotto la doccia.

Mentre l'acqua calda scorreva su di me, mi resi conto che ero alla Casa da una settimana, ormai. Una settimana senza rivedere mamma ed Ellie … Chissà quanto erano preoccupate. Avevano pianto? Erano tristi? Molto probabilmente sì.

Dovevo trovare il modo di contattarle. Non era giusto che stessero male per me. Se ci avessi provato, però, avrebbero capito che ero viva e sarebbero iniziate le ricerche. Sapevo che non sarebbero riuscite a rintracciarmi comunque, ma non volevo farlo.

Appena sarei stata pronta, sarei andata da loro e … Forse non sarebbe nemmeno stato necessario rivelare la mia nuova natura. Avrei detto che ero stata rapita, che mi ero persa o che ero scappata con un ragazzo. Mi sarei inventata una scusa plausibile per allora, e la nostra vita sarebbe andata avanti come sempre per un'altra decina d'anni.

Poi, si sarebbero accorte che io non cambiavo, che il mio aspetto rimaneva immutato, e allora le avrei lasciate di nuovo.

Sentii una stretta al cuore. Non volevo farlo. Era giusto che sapessero.

Ma le avrei trasformate? Se glielo avessi rivelato, avrei dovuto trasformarle e renderle come me. Sbuffai.

Non potevo farlo. La licantropia era … Incredibile, bellissima, un dono, per come la vedevo io, ma era troppo per la mente razionale di Ellie e di mamma. Avrei dovuto andarci molto piano.

Uscii dalla doccia solo dopo essermi strofinata bene ovunque con il sapone alla fragola, anche quello di Alexa. Dovevo assolutamente procurarmi dei vestiti e riavere le mie cose; mi servivano perlomeno uno spazzolino e uno shampoo.

Misi un vestito nero, semplice, e tornai in camera.

Alexa era seduta a gambe incrociate sul letto, con un libro aperto sulle gambe.

Sorrise.

“Che progetti hai per la giornata?”

Scrollai le spalle.

“Niente di niente. Se potessi andare in un negozio ...”

Alexa ridacchiò.

“Ma tu ci puoi andare.”

Rimasi in silenzio un attimo, sorpresa. Poi, la fissai.

“Davvero?”

Annuì solennemente.

“E indovina? Io posso accompagnartici.” disse, in tono cospiratorio.

“Bene.” risposi. “Allora il mio nuovo piano per la giornata è andare in un negozio con te, alla ricerca di vestiti, shampoo e spazzolino.”

“Oh!” esclamò Alexa scendendo dal letto. “Nessuno mi aveva mai chiesto di andare a fare shopping per trovare uno spazzolino!”

Risi.

“Esiste una prima volta per ogni cosa.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Lupetta ***


 Capitolo 10 - Lupetta

 

Io e Alexa raggiungemmo il limitare del bosco come lupi; la Casa era troppo lontana dalla città perché potessimo sperare di coprire la distanza in forma umana.

Per la prima volta, mi resi conto di quanto il massiccio edificio in pietra fosse nascosto dal resto del mondo, di quanto fosse fuori dai sentieri, inaccessibile a qualsiasi essere umano. E per buone ragioni.

Nessun umano poteva arrivare da Nord, perché le montagne si stagliavano proprio laggiù, impedendo la presenza di abitanti e anche di eventuali scalatori. A Est, c'era un fiume, con tanto di rapide e cascata. A Ovest, il bosco continuava per talmente tanti chilometri che nemmeno in elicottero si riuscivano a scorgere città in lontananza, e a Sud c'era un precipizio, che impediva qualsiasi contatto – perlomeno a piedi – con la vicina città.

Il precipizio era abbastanza largo perché nessun umano riuscisse a superarlo, ma abbastanza stretto perché io e Alexa potessimo saltarlo con grande facilità in forma animale.

Al limitare del bosco, indossammo i vestiti che avevamo portato con noi, insieme a un paio di scarpe.

Erano inutili per noi, ma se avessimo incontrato degli umani saremmo passate inosservate.

“Gli umani … Percepiscono, in qualche modo, che siamo diverse?” chiesi ad Alexa, mentre sentivo il morbido terreno del bosco cedere il posto alla strada.

Lei annuì.

“Vedrai. Ti stanno più a distanza, come se sapessero che sei pericolosa. Non se ne accorgono nemmeno, in realtà. E poi, non dirmi che credi ancora di sembrare umana.”

Le lanciai un'occhiata confusa.

“Abbiamo gli occhi fluorescenti, un sacco di muscoli per essere ragazze, e a te spuntano anche le zanne di tanto in tanto. Cosa credi che dovrebbe pensare la gente?”

“Oddio!” esclamai, coprendomi la bocca. “Davvero mi si vedono le zanne?”

Alexa rise.

“Hai i canini un po' appuntiti ...”

Mugugnai qualcosa tra me e me, ma non dissi più nulla, finché lei non annunciò con orgoglio:”Eccoci qua!”

Guardai inespressiva un enorme stabilimento grigio, davanti a noi; sembrava essere una fabbrica, ormai caduta in disuso, lasciata lì a marcire. C'era una gru, poco distante, che ondeggiava al vento emettendo un suono particolarmente tetro.

“Mmm … Mi sembra un gran bel posto.”

Alexa scoppiò a ridere.

“Non si dicono le bugie, Sky!” mi voltai e la fissai, confusa. Sapevo che era un po' fuori di testa, ma credere che quel posto fosse un negozio …

In ogni caso, non ebbi il tempo di farglielo notare, perché mi afferrò il braccio e mi trascinò verso una porta arrugginita. Ci si catapultò letteralmente dentro, con la porta che faceva un terribile cigolio.

Esterrefatta, entrai dietro di lei.

Dovetti strizzare gli occhi per abituarmi a tutta quella luce: era un supermercato.

Non potevo crederci.

Lì dentro, perfettamente camuffato, c'era un supermercato che pullulava di persone, il più delle volte scalze, con vestiti neri e il tatuaggio sulla spalla destra.

Licantropi.

“Supermercato per licantropi!” cantilenò Alexa, vicino a me. “Ce n'è anche uno per vampiri, a qualche isolato da qui.”

Ridacchiò vedendo la mia espressione, poi ricominciò a tirarmi per il braccio.

“Dai, andiamo! Non ti serviva del dentifricio?”

Ovviamente, i licantropi e i vampiri non potevano fare la spesa nei negozi normali; i vampiri compravano il sangue, e i licantropi prendevano cose che nei supermercati umani, ovviamente, non c'erano.

Spazzole per il pelo e i capelli, per esempio, o shampoo che giovassero ad entrambi, o addirittura braccialetti che davano la scossa, per imparare a controllarsi nei primi tempi durante le trasformazioni.

C'erano bombolette di profumo per evitare la puzza di cane bagnato dopo la doccia, creme rigeneranti per il pelo, prodotti per sbiancare le zanne … Ero sbigottita.

Alexa mi rifilò subito un dentifricio, che in teoria doveva servire sia a denti, sia a zanne. Poi, mi portò al reparto dedicato ai vestiti.

“Hai bisogno di una marea di vestiti.” disse. “Ora sei alle prese con le trasformazioni, ne rovinerai più di quanto creda.”

Arrossi quando mi mise in mano un completino di biancheria intima in pizzo.

“Ehm … Alexa, questa mi sembra un po' troppo … Fragile.” dissi, restituendogliela. Lei rise.

“Non te l'ho data per quello! A tutti capitano certe occasioni in cui queste cose possono essere utili, eh.”

“Io ...” mi lanciò una tale occhiataccia che ripresi il completino, nascondendolo sotto un vestito nero. Mi fece comprare una quantità esorbitante di pantaloncini di cotone neri, leggins, e persino una gonna nera.

Comprai un paio di scarpe, anche quelle nere, pratiche e senza lacci per andare in città, se mai avessi dovuto farlo.

Normalmente, avrei comprato anche dei trucchi, ma non ne avevo proprio bisogno: dal mio viso era sparita completamente ogni imperfezione. Niente nei, né brufoli.

Mi limitai a un lucidalabbra.

Alexa mi porse uno shampoo per ridurre la puzza di cane bagnato, una spazzola, un collutorio e uno strano palloncino antistress, che mi lasciò alquanto perplessa. Quando arrivammo nella sezione dei libri, avevamo dovuto infilare tutta quella montagna di roba in un carrello.

Servivano molte cose per ricominciare una nuova vita …

“Tieni.” disse Alexa, mettendo tra le mie mani un diario e una penna.

“Ma ...”

“Niente storie! Aiuta a scaricare la tensione.”

Dopo almeno due ore di perlustrazione nel negozio, Alexa guardò soddisfatta il carrello.

“Penso che per oggi possa bastare.” disse, prendendo anche una grossa borsa. “Questa servirà per portare le tue cose alla Casa.”

Annuii, prendendo i miei risparmi dal portafoglio. Quella era probabilmente l'unica cosa buona che la nebbia mi aveva fatto fare prima della trasformazione: mi aveva imposto di mettere il taccuino con tutti i miei soldi nella tasca dei pantaloni.

Dopo aver pagato tutti i nostri acquisti e averli infilati nella borsa, io e Alexa tornammo verso il bosco. Mi tolsi le scarpe e le infilai con le sue nella borsa, prima di trasformarci e avviarci verso la Casa.

Il viaggio di ritorno fu piacevole e non fui affatto rallentata dal peso delle cose che portavo con me, anche se probabilmente un umano non sarebbe nemmeno riuscito a sollevare quella borsa. La cosa mi fece sentire ancora più forte.

Io e Alexa ingaggiammo una gara di corso sulla via del ritorno, e vinsi io.

Dopo pranzo, riordinai tutte le mie nuove cose, incluso il diario che la mia compagna di stanza aveva voluto che comprassi.

Non mi erano mai piaciuti molto i diari, ma forse era ora che ne avessi uno. A scuola, le mie compagne scrivevano sul diario … Anche se non avevo mai capito perché.

Passai il pomeriggio a dormire. Essere un licantropo mi rendeva immensamente stanca. Alexa ed Abby mi avevano detto che passava, col tempo, ma per il momento ero esausta e mi addormentai appena appoggiai la testa sul cuscino.

 

Al mio risveglio era notte fonda, e fuori i grilli frinivano. Alexa non era nel suo letto, ma in realtà cominciavo seriamente a dubitare che i licantropi dormissero di notte.

Mangiai tutta la tavoletta di cioccolato che avevo sul comodino, affamata com'ero dopo quella dormita, e pensai a cosa fare.

Ormai ero completamente sveglia; sentivo l'energia schizzarmi su e giù per le vene come fuoco. Mi sembrava di aver bevuto litri di caffè. Di sicuro, tornare a dormire era fuori discussione.

Mi alzai e mi affacciai alla finestra. Di sotto non c'era nessuno …

Entro dieci minuti, già correvo a perdifiato nella foresta buia, respirando a pieni polmoni e meravigliandomi della favolosa sensazione che mi dava sentire tutti i muscoli tendersi e contrarsi in quel modo.

Il mio corpo era in perfetta armonia.

Correvo con il vento, perciò non sentivo gli odori del bosco davanti a me. In poche parole, procedevo alla cieca, anche se il mio udito era un valido sostituto dell'olfatto: senza fatica, riuscivo a sentire ogni suono degli animali sul mio percorso.

Il volo di un gufo, i passettini leggeri di un topo, un serpente che strisciava poco lontano …
Ma non avevo sentito la cosa più importante.

Fu come andare a sbattere contro una parete di granito.

Non capivo cosa fosse; sembrava che fosse una specie di statua dall'odore pungente. Sentivo i suoi vestiti lacerarsi sotto i miei artigli e sotto le zampe, mentre tentavo di morderlo e graffiarlo.

Poi, di colpo, sentii delle mani sul petto.

Mi spinse via con una risata rauca.

“Lupetta, non si aggredisce la gente.”

Mi ritrassi di scatto, sbigottita, e fissai Daniel, che rideva con la camicia completamente a brandelli. Emettei un ringhio basso di fastidio e mi nascosi dietro un albero, per trasformarmi.

Appena fui umana e più o meno vestita, uscii di nuovo e lo fissai, esterrefatta.

“Si può sapere com'è possibile che io ti trovi ovunque?”

“Destino?”

Arricciai il naso.

“Trova una scusa migliore.”

“Ehi, sei tu che mi sei piombata addosso.”

Sbuffai, ma non dissi nulla. Rimanemmo entrambi in silenzio per un attimo, io con lo sguardo fisso a terra e le guance rosse, lui che mi scrutava con i suoi occhi rossi.

“Come va?” chiese, infine.

Alzai la testa.

“Bene, credo. Tu?”

Scrollò le spalle.

“Bene.” mi sorrise. “Come va con le trasformazioni?”

Risposi al suo sorriso.

“Un pochino meglio … Mi chiedo quanto tempo passerà prima che io riesca a controllarmi abbastanza da stare con mamma ed Ellie.”

“Pensi di dire loro la verità?”

“Che intendi dire?”

Daniel accennò qualche passo verso Nord. Ebbi un attimo di esitazione, ma poi lo seguii.

“Abbiamo sempre una scelta, lo sai.” rispose. “Pensi di non dire loro quello che sei diventata?”

Tentennai un attimo, e annuii.

“Ci sto pensando.”

Lessi un lampo di tristezza attraversare i suoi occhi. Scosse la testa.

“Non farlo, Scarlett.” trasalii quando pronunciò il mio nome. Era strano, detto da lui. Mi corse un brivido lungo la schiena.

“Perché?”

Daniel sospirò.

“Ascolta, so che ti sembrerà strano, ma per quanto sia brutto sapere una cosa, è sempre meglio saperla.” rimase un istante in silenzio, poi continuò. “Quando ho scoperto cos'era diventato mio fratello, mi è sembrato di impazzire. Il mio intero universo è stato stravolto … Ma era meglio di prima, di non sapere e vagare nel dubbio, cercando di capire.”

I suoi occhi incontrarono i miei, e vidi una supplica aleggiare nei suoi.

“Non far passare lo stesso inferno a tua madre e a tua sorella.”

Quasi contro la mia volontà, mi ritrovai ad annuire.

“D'accordo Daniel.”

“Promesso?”

“Promesso.” confermai, con un nodo in gola.

Continuammo a camminare fianco a fianco attraverso il bosco, sfiorandoci di tanto in tanto per evitare qualche albero.

“Come dovrei spiegare quello che sono diventata?”

“Vai per gradi.” rispose. “Meglio se sono loro a chiedertelo; almeno, saranno pronte. Mostra piccole cose con disinvoltura … La tua forza, la tua agilità, la tua velocità nel guarire, le zanne, il tatuaggio, gli occhi … Potrebbero addirittura capirlo da sole e saperlo già, quando te ne chiederanno conferma.”

Mi sentii un po' più sollevata. Almeno, avevo un piano, ed era anche un ottimo piano, dovevo ammettere.

“Farò come dici tu.” risposi. Con la coda dell'occhio, vidi Daniel sorridere.

“Tu come l'hai detto a tua mamma?”

Il suo sguardo incontrò il mio, e vi vidi emozioni diverse: tristezza, rimpianto, dolore, felicità, sollievo, panico.

“Era distesa nel letto dell'ospedale.” raccontò. “Io e i miei fratelli siamo entrati, e io le ho detto che dovevamo portarla via da lì. All'inizio, ovviamente, non era d'accordo.” corrugò le sopracciglia. “Era già rassegnata all'idea di andarsene.”

Vidi i suoi occhi indurirsi.

“Poi, però, le abbiamo spiegato, e mostrato.” sorrise. “Le ho mostrato i canini e lei ha spalancato gli occhi. Noi eravamo preoccupati che non ci credesse, o che iniziasse a urlare, ma è andato tutto diversamente. Ci ha fissati per un attimo, poi ci ha chiesto soltanto:”Fa male?” e ci ha allungato la sua mano, con il polso rivolto verso l'alto.” ridacchiò. “Vedendo le nostre facce, ci ha chiesto:”Preferite farlo sul collo? Credo che papà preferirà il polso, però.””

Sorrisi. Mi piaceva sentirlo raccontare; sceglieva le parole giuste, e le emozioni che provava gli scorrevano sul viso, permettendomi di rivivere la storia con i suoi occhi. Avrei voluto fare anch'io lo stesso per lui, e preferii non pensare che ero di nuovo lì con lui, anche se avevo giurato che non l'avrei rivisto mai più.

“A volte non conosciamo così bene le persone. Per questo ti dico di tentare sempre con la verità … Per quanto possa essere rischioso.”

La sua mano sfiorò la mia quando mi venne più vicino per non sbattere contro un albero. Sentii una scossa elettrica partire dalle dita fino alla spalla, facendomi arrossire un po'.

“Hai ragione.” ammisi. Esitai un attimo, prima di proseguire, ma alla fine decisi di farlo. Non c'era nulla di male, io e lui non ci saremmo rivisti. Non mi importava davvero di cosa pensava. “Il fatto è che … So che è sbagliato.” lo anticipai, “Ma … Non riesco a fare a meno di essere felice per quello che mi è successo, anche se sta facendo soffrire delle persone.”

Lo pensavo da giorni, ma ammetterlo era tutt'altra cosa; mi salirono le lacrime agli occhi, e sull'ultima parola la mia voce tremolò leggermente. Sentii lo sguardo di Daniel su di me.

“Ti senti in colpa.” non era una domanda.

Annuii.

“Sì.” ammisi. “Non è giusto che io sia felice per ciò che fa soffrire mia madre e mia sorella.” mi fermai, cercando le parole giuste. “E' che ...”

“E' così bello sentirsi invincibili.” finì lui per me, guardandomi negli occhi. “Sentirsi al sicuro, per una volta. Nessuno può minacciarti, niente può nuocerti.”

Sentii un formicolio dentro di me: aveva capito perfettamente. Sapeva esattamente cosa intendevo, come mi sentivo. Aveva trovato le parole che cercavo, e per un istante non riuscii a fare altro che non fosse fissarlo sorpresa, rimanendo indietro.

Solo quando Daniel si voltò verso di me, mi riscossi e mi affrettai a raggiungerlo.

“E' esattamente così. Pensi ...” cercai i suoi occhi, “Pensi che sia così sbagliato?”

Un sorriso triste comparve sul suo viso. Il suo sguardo era dolce quando incontrò il mio.

“No, non lo penso affatto, lupetta.” il soprannome mi sembrò quasi strano in un momento come quello. “Ora ti farò una domanda: se potessi tornare indietro, faresti le cose in modo diverso? Cercheresti di fare in modo che Ellie e tua mamma adesso non siano tristi?”

“Certo!” esclamai, colta alla sprovvista.

Il sorriso di Daniel parve illuminare tutta la foresta buia attorno a noi.

“Questo significa che non sei una cattiva persona.”

In quel momento, capii che erano le stesse parole che gli avevo detto io la sera precedente, e scoppiai a ridere, sorprendendo me per prima.

Anche Daniel rise con me.

“Grazie.” dissi, tornando seria. “Sono contenta che tu l'abbia detto.”

Arrivammo in una radura rischiarata dalla luna. C'erano alcune rocce che sporgevano dal terreno e che sembravano brillare alla fioca luce argentea dell'unica falce di luna che occupava il cielo quella notte.

Mi sedetti su una roccia e Daniel su quella accanto alla mia.

Vidi che fissava le mie mani; quando capì che me n'ero accorta, distolse lo sguardo e mi sembrò imbarazzato.

“Credi … Potrei provare a toccarti?” chiese tutto d'un fiato, come se fosse una richiesta assurda. Un sorriso del tutto involontario affiorò sulle mie labbra. “Non ho mai toccato un licantropo.” disse Daniel, confessandolo come se fosse una colpa.

Ridacchiai, sentendomi stranamente onorata di essere la prima.

“Non c'è problema.” risposi mentre allungavo la mano verso la sua. Tornai seria mentre lo facevo, guardando la mia pelle bianca come il latte illuminata dalla luce della luna. Quella di Daniel sembrava fatta di carta: era bianca, di un bianco sconcertante, identico in tutto e per tutto alla pagina vuota del mio diario.

Sfiorò appena le mie dita, facendomi correre un brivido lungo la schiena. I suoi occhi incontrarono i miei, mentre toccava con delicatezza la mia mano col dorso della sua.

Era gelido. Sussultai quando me ne accorsi, perché era la prima volta dopo giorni che sentivo il freddo. Ero rassegnata a non sentirlo mai più.

Anche per lui la mia temperatura corporea doveva essere strana; trasalì e alzò lo sguardo, stupefatto, ad incontrare il mio.

“Erano almeno dieci anni che non sentivo il caldo senza bruciarmi col fuoco o col sole.” disse, gli occhi che brillavano di felicità, come se gli avessi fatto un regalo. Con cautela, intrecciò le mie dita con le sue, e nonostante la sua pelle fosse più fredda del ghiaccio stesso, sentii un brivido caldo danzare dove mi toccava.

Daniel fissava le nostre mani intrecciate, entrambe all'apparenza uguali, quasi dello stesso colore, ma in realtà profondamente opposte.

Ne approfittai per osservare il suo viso, il modo in cui la luce della luna lo colpiva, come i suoi occhi rossi brillavano, le labbra come rubini, la pelle come carta, i capelli neri come l'inchiostro.

“Quanti anni hai?” chiesi. Poi aggiunsi:”Davvero?”

Daniel alzò lo sguardo, ma non staccò la mano dalla mia, e nemmeno io lo feci.

“Adesso dovrei avere più o meno … Trentacinque anni, se fossi rimasto umano.” Dimostrava solo i venti che aveva, ovviamente, però era strano immaginare che fosse di così tanti anni più grande di me.

“Tu quanti ne hai?”

“Diciotto.” risposi con un sorrisetto. Se fossimo stati umani, sarebbe stato praticamente perfetto. Avremmo potuto persino frequentarci.

Dall'espressione di Daniel capii che anche lui ci stava pensando.

“Sei felice di vivere per l'eternità?” chiese, con uno sguardo strano, che sembrava voler scavare nella mia anima. Ne rimasi rapita per un istante.

“Non lo so … Mi sembra tanto tempo. Tu hai avuto tanti anni per pensarci: cosa intendi fare per tutta l'eternità?”

Daniel fece un sorriso amaro, guardando la luna davanti a noi.

“All'inizio, mi è piaciuta l'idea e ho pensato che avrei studiato tutto quello che potevo studiare, che avrei letto tutti i libri del mondo. C'era tanto tempo … Ora, però, mi sono laureato in medicina e in lettere antiche, e ho capito che non posso continuare a farlo per sempre.” mi guardò di sottecchi, ma io finsi di non notarlo. “Per ora, voglio trovare l'anima gemella. Ho intenzione di stare semplicemente qui, ad aspettarla per tutto il tempo che servirà. Poi, quando l'avrò trovata, decideremo insieme cosa fare della nostra eternità.”

Mi voltai e gli sorrisi.

“E' un bel progetto. Forse farò anch'io così.” dissi. “Intanto, voglio scoprire e imparare tutto quello che posso sulla mia nuova natura e quando ne sarò padrona e avrò di nuovo la mia famiglia, mi metterò anch'io ad aspettare l'anima gemella.”

Le dita di Daniel si strinsero attorno alle mie.

“Andrà tutto bene, lupetta.”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Promessa ***


Capitolo 11 - Promessa

 

“Oh, no. L'hai fatto di nuovo.”

A colazione, Alexa mi fissava come se mi fosse spuntata una seconda testa.

Sobbalzai sentendo le sue parole, e strinsi più forte il manico del coltello, ritrovandomi ad arrossire furiosamente in attesa di una lavata di capo.

“Sky, quello è il terzo coltello che rompi da quando siamo qui. Un altro e Will te li farà ripagare tutti.”

Stupefatta, mi accorsi che l'avevo spezzato premendolo troppo forte contro la fetta di pane che avevo davanti.

“Oh. Ah. Sì. Quello.” fu tutto quello che riuscii a balbettare. Il rossore si dissipò lentamente dalle mie guance, sotto gli occhi incuriositi e perplessi di Alexa.

Anche quella mattina eravamo in piedi abbastanza presto, ma mi ero fatta una doccia prima che la mia compagna di stanza sentisse l'odore di vampiro che avevo addosso. Avevo strofinato trentacinque volte di fila la mano con cui avevo toccato Daniel.

Abby entrò.

“Buongiorno!” esclamò prendendo una tazza e aprendo il frigorifero alla ricerca del latte freddo. Era raro che qualcuno di noi bevesse cose calde, visto che per noi era come bere acqua a temperatura ambiente. Era troppo strano.

“Tutto bene?” chiese vedendo la mia faccia paonazza.

Annuii a malapena.

L'avrebbe scoperto, l'avrebbe scoperto, l'avrebbe capito, cantilenava il senso di colpa nella mia testa. Avevo promesso che non avrei mai più rivisto Daniel. In fondo, però, non era stato premeditato, giusto? Giusto. Ma il tocco delle nostre mani lo era e lui mi aveva addirittura chiesto il permesso!

Non c'era niente di male, certo. Insomma, chissà quanti vampiri e licantropi si erano toccati almeno una volta o due, per sbaglio.

Non dovevo rifarlo mai più, questo era l'importante. Non dovevo rivedere Daniel mai più, ecco tutto. Se non l'avessi rivisto mai più, le cose sarebbero tornate a posto.

“Mi sembra un po' strana, in effetti.” Abby e Alexa parlavano di me, capii tornando alla realtà. Alzai lo sguardo proprio mentre Alexa mi sventolava la mano davanti alla faccia.

“Pronto?”

“Sì, sì, ci sono.” risposi, il rossore che mi saliva alle guance. Non me le sentivo quasi più, da tante volte che ero arrossita in quelle poche ore.

Alexa ed Abby si scambiarono un'occhiata.

“Ti senti bene?”

Annuii.

“Ma certo!” esclamai con un tono vagamente isterico e un sorriso che non convinse nessuna delle tre.

Rimasero in silenzio per un istante.

“Ah!” strillò Alexa facendomi sobbalzare. “Lo sapevo! Lo sapevo lo sapevo lo sapevo!” trillò battendo le mani.

Abby la guardo sorpresa; io abbassai lo sguardo, avvampando per l'imbarazzo.

“Sky ha rivisto il vampiro!”

Ci fu un attimo di silenzio esterrefatto.

“Be', com'è andata?” chiese Alexa con gli occhi che luccicavano. La fissai per un attimo, incerta se essere sorpresa, o disperata.

“Bene ...” risposi infine “Ma non voglio che vada avanti.”

“Menomale!” esclamò Abby, tirando un sospiro di sollievo. “Credevo che avessi davvero voglia di rivederlo!”

“No, no!” la rassicurai. “E' stato solo un caso.”

“Di nuovo!?” Alexa mi fissava ancora come se mi fosse spuntata una seconda testa. “Sky, questo non è caso, è destino!”

“Tu leggi troppi romanzi.” disse Abby, esasperata. “Questa è la realtà, non è una drammatica storia d'amore.”

“Ma quale storia d'amore!” borbottai io.

“Hai ragione, Sky.” concordò Abby. “Devi solo fare finta che non sia successo nulla, ecco tutto.” Mi scrutò. “Perché non è successo nulla, vero?”

Annuii, scacciando il ricordo delle nostre mani intrecciate.

“Ecco. Stasera te ne starai tranquilla in camera e domani potrai uscire di nuovo a fare una corsa la notte, d'accordo? È meglio così.”

Fui d'accordo con la mente razionale di Abby, ma mi sentii un po' triste all'idea di non rivedere mai più Daniel. In quelle due sere, quasi senza volerlo, era riuscito a dirmi esattamente quello che avevo bisogno di sentire, era stato gentile con me e avevamo condiviso parte delle nostre vite prima della trasformazione.

Quei dialoghi mi sembravano quasi un'esperienza più intima di un bacio; avevamo condiviso quelle cose che si dicono soltanto agli sconosciuti, perché non possono giudicarti e non ti importa troppo di quello che pensano. Tanto, non li rivedrai mai più.

“Ma state scherzando!?”

Alexa ci fissava con gli occhi sgranati.

“Sky, ti prego, non puoi dire sul serio!”

Mi morsi il labbro.

“Invece sì. Andrò a fare una corsa tra poco. Durante il giorno non lo incontrerò di sicuro, e quando tornerò sarò abbastanza stanca da dormire senza rimpianti per tutta la notte.”

“Non è giusto ...” mugugnò Alexa.

“Invece sì.” replicò Abby. “Il sangue di licantropo … Lo sapete, no?”

Ali distolse lo sguardo, ma io la fissai, confusa.

“Che significa?”

“Il sangue di licantropo”, spiegò Abby, “è una delle cose più pregiate per i vampiri. È per questo che è scoppiata la rivolta, secoli fa: i vampiri uccidevano milioni dei nostri per bere il sangue dei licantropi.”

“Cosa lo rende tanto pregiato?” un brivido mi corse lungo la schiena. E se Daniel ci avesse pensato, nel tempo che avevamo passato insieme? Io ero molto più inesperta di lui, avrebbe potuto trarmi in inganno con facilità e nessuno avrebbe trovato il mio corpo.

Aveva avuto milioni di occasioni per farlo. Perché non ci aveva provato?

“Il sangue di licantropo è molto più potente di quello umano.” spiegò Abby. “Il vampiro che ne beve una quantità sufficiente può tornare in vita.”

“In vita!?” sentii il cuore balzarmi in gola. “Vita vita?”

“Sì. Tornerebbe umano, all'età in cui è stato trasformato. Per questo c'è stata la guerra: i vampiri ci uccidevano per quello e la cosa più terribile è che a volte non riuscivano a portare a termine la trasformazione, anche se non so perché. Lasciavano i nostri antenati lì, dissanguati.”

Mi rattristai, ma non potei fare a meno di pensare alle parole di Daniel e alla nostalgia che leggevo nei suoi occhi. Forse, dopo qualche anno non era ancora disposto a farlo, ma cosa succedeva dopo secoli? Dopo millenni di vita? Quanto poteva essere grande la nostalgia, a quel punto? Forse, si impazziva e solo allora si era disposti a tutto.

“Per fortuna,” continuò Abby, “non sono attratti dal nostro sangue come da quello umano. Il nostro ha un odore gradevole, ma non è molto buono nonostante le proprietà.”

Almeno in parte, ne fui sollevata. Non mi sarebbe piaciuto pensare che Daniel avesse immaginato di conficcarmi i canini in gola.

“Ora capisci, Sky?” Abby mi fissava, preoccupata. “Hai corso un immenso pericolo. Non correrlo ancora.”

Alexa gettò il coltello sul tavolo, indignata.

“Ma se avesse voluto farlo, ne avrebbe avuto fin troppe occasioni! Non è giusto che giudichiate così!”

Abby abbassò lo sguardo con un'espressione triste.

“Molto probabilmente hai ragione, Ali, ma qui alla Casa ci sono licantropi che hanno visto uccidere genitori, fratelli e nonni, secoli fa, dai vampiri. Cosa pensi che farebbero, se scoprissero che Sky è entrata in contatto con uno di loro?”

Alexa alzò le spalle.

“La punirebbero in qualche modo.” rispose con noncuranza.

Un altro brivido mi corse lungo la schiena.

“No.” rispose Abby con voce sommessa. “La ucciderebbero. Se dovesse sopravvivere dopo che un vampiro ha bevuto il suo sangue, nessuno sa cosa potrebbe succedere, e niente garantisce che dopo un contatto con Daniel questo non sia successo.”

La fissai, inorridita, ma lei abbassò lo sguardo senza incontrare i miei occhi.

“E' successo a mia cugina, anni fa. Si era innamorata di un vampiro e qualcuno ha fatto la spia al Clan dei Lupi. Non avevano fatto niente … Ma la uccisero lo stesso.”

Quando una lacrima scese sulla sua guancia, Alexa si alzò e la abbracciò stretta.

“Non posso permettere che succeda lo stesso a un'altra persona, non se posso impedirlo.” disse con gli occhi che luccicavano, fissandomi intensamente.

“Sky, promettimi che non lo rivedrai.”

Il suo tono non ammetteva repliche.

“Promesso.”

 

Mettermi a correre fu un sollievo. Avevo la mente invasa di pensieri e di immagini, dove vedevo una ragazzina simile ad Abby che veniva decapitata da un grosso lupo, su un altare.

Non aveva fatto niente, non aveva fatto niente.

Vedevo gli occhi rossi di Daniel dentro di me, che scavavano nella mia anima. Mi aveva raggirata? Il cuore mi batteva a velocità impensabile, mentre attraversavo la foresta a una velocità che mai avrei ritenuto possibile.

L'unica cosa che volevo era spingermi al limite e anche oltre, solo per strapparmi dalla mente le parole di Abby e i discorsi con Daniel e la sensazione di avere trovato una persona che mi capiva. Volevo disperatamente dimenticare tutto e tornare indietro, quando le cose erano più semplici, quando il massimo che dovevo fare era trovarmi un lavoro e scegliere cosa mettere la mattina.

Corsi finché non ebbi più fiato, scalando l'intera montagna, e poi mettendomi a correre ancora dall'altra parte, sulla parete scoscesa.

Non vedevo più niente, non ero padrona del mio corpo.

La furia mi faceva ribollire il sangue nelle vene, stordendomi e dandomi alla testa, facendomi vedere tutto il mondo tinto di rosso.

Era … Tutto … Troppo … Caldo.

Un enorme lago gelido, davanti a me, mi accolse quando mi tuffai immergendomi completamente. Ne riemersi in forma umana, piangendo, le lacrime che si mescolavano all'acqua.

Mi odiavo per essere stata tanto stupida e ingenua e mi odiavo anche perché sapevo che mamma ed Ellie stavano soffrendo e perché mi mancavano. Volevo solo tornare da loro, farmi abbracciare da mia madre e parlare con mia sorella.

Ero sempre stata certa che avrebbero capito, ma la mia sicurezza vacillò in quel momento. Una cosa era parlare della mia natura con Daniel, invece con loro … Mi immersi di nuovo, cercando la pace da quei pensieri.

Non volevo più sentire, né pensare il suo nome. Non volevo vederlo mai più, o gli avrei staccato il collo solo per avermi vista in un momento tanto vulnerabile come la trasformazione, per avermi ingannata e per avermi fatto rivelare cose riguardo alla mia vita e ai miei sentimenti che nemmeno Ellie avrebbe probabilmente mai saputo.

L'unica speranza a cui mi aggrappavo per non impazzire era che non l'aveva ancora fatto, pur avendone motivo e occasione. Non ci aveva nemmeno provato e non aveva approfittato della mia inesperienza.

Non sapevo quanto valesse, né quanto ci fosse di vero, ma una cosa era certa: non sarei rimasta nel dubbio.

Mentre risalivo verso l'alto, capii che avrei infranto la promessa.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Verità ***


Capitolo 12 – Verità

 

Non rientrai. Rimasi fuori ad aspettare l'arrivo della notte e a guardare le prime stelle spuntare in cielo, seduta sul punto più alto del crinale della montagna.

Il mio pelo si era asciugato dopo al nuotata al lago e anche il mio cuore si era calmato, ma era una calma provvisoria, come quando, prima di una tempesta, tutto era immobile e sembrava tranquillo.

La leggera brezza della notte mi scompigliò i capelli e mi alzai, annusando l'aria.

Scoiattoli, alberi, terra appena smossa, città, frittelle, un barbagianni … Niente di niente. Non c'era ancora.

Mi sedetti di nuovo.

Non importava per quanto e non importava quanto fosse stupido. L'avrei aspettato per tutto il tempo necessario e quando mi avrebbe detto che era vero, che non gliene importava niente di me e che voleva solo il mio sangue, mi sarei vendicata.

Ero forte, invincibile ormai.

Le zampe fremevano dalla voglia di correre e dalla tensione che sentivo.

Annusai di nuovo l'aria e, finalmente, eccolo.

Il suo odore di bosco e di mare aperto mi colpì al petto con una stilettata di dolore e furia.

Mi misi a correre, più veloce della luce, e appena fui abbastanza vicina mi trasformai in umana e indossai il vestito – fradicio – che mi portavo dietro.

Poi, uscii da dietro gli alberi e gli saltai alla gola.

 

Vidi nello sguardo di Daniel la sorpresa; ero arrivata controvento e non era riuscito a percepire il mio odore mentre mi avvicinavo.

I muscoli delle braccia si tesero quando lo sbattei contro un abete, le dita sempre premute sulla sua gola. Neanche sapevo quello che stavo facendo, tanto ero furiosa, tanto odiavo quegli occhi rossi davanti ai miei, sorpresi e persino un po' tristi.

“Mi hai mentito.” sputai fuori e fui sorpresa di sentire la mia voce così roca e disperata. Odiavo come mi aveva fatta sentire nelle sere precedenti, come mi ero sentita al sicuro, protetta, capita e felice. Lo odiavo per questo.

Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Daniel, rimpiazzato dal dolore quando avvertii la pelle della sua gola frantumarsi sotto la stretta delle mie dita.

Solo allora mi afferrò per i polsi e mi scostò dal suo collo, che cominciò subito a guarire. Feci resistenza mentre mi spingeva all'indietro e gli rifilai un calcio nello stomaco. Ignorando il dolore al ginocchio, mi divincolai fino a liberarmi e lo attaccai di nuovo.

“Non è vero.” lo udii dire schivando un pugno. Non attaccava, notai. Si difendeva soltanto, e la cosa mi fece infuriare ancora di più.

“Pensavo che te l'avessero detto, Scarlett.”

Per quanto la sua voce risuonasse sincera, mi imposi di non crederci e il mio pugno questa volta andrò dritto a segno sul suo viso. Daniel barcollò e per un attimo parve confuso.

Sospettavo di essermi rotta tre dita solo colpendolo in quel modo.

“Non potevi saperlo.” ringhiai. “E' per questo che eri con me alla mia rinascita, non è vero?”

“No!” parve spiazzato da una simile insinuazione. “No, Scarlett, aspetta ...”

La mia mano era guarita, e gli tirai un pugno nello stomaco che lo fece finire dritto contro un albero. Si rialzò subito e il suo movimento fu talmente repentino che non riuscii a vederlo né a percepirlo.

Erano anni di esperienza contro un po' di forza grezza. Come speravo di vincere?

Mi ritrovai incollata al tronco della quercia di prima, con le sue mani che premevano forte sulle mie spalle e il viso a pochi centimetri dal mio.

“Non volevo ingannarti.” disse, la voce roca a causa della rabbia che leggevo anche nei suoi occhi. “Credevo davvero che tu sapessi quali erano i rischi. Credi che avrei perso tutte quelle ore ad abbindolarti con discorsi sulla mia vita, quando avrei potuto ucciderti e prendermi il tuo sangue pochi secondi dopo la tua rinascita!?”

Le sue parole erano dure come il suo sguardo, ma capii che erano vere.

“Potrei farlo anche adesso.” proseguì, spostando per un istante lo sguardo sulla mia gola. “Mi basterebbe allungare un po' il collo. Non sentiresti niente, in poco tempo saresti troppo debole per reagire. Potrei nascondere senza fatica il tuo corpo e nessuno ti troverebbe mai. Nessuno saprebbe.”

I suoi occhi si addolcirono un po'. “Ma non lo sto facendo e non ne ho nessuna intenzione.”

Rimasi in silenzio per un istante, a osservare le sfumature rosse dei suoi occhi. Scarlatte verso l'esterno, poi violacee man mano che si procedeva verso l'interno, fino a diventare nere.

“Perché?” mormorai infine, con la voce roca come la sua.

Daniel sorrise, un sorriso dolce.

“Ho molti buoni motivi.” rispose. “Non voglio avere guai con i licantropi, prima di tutto. E poi, non ci riuscirei.”

Pensavo che ne avesse tranquillamente le capacità. Leggendo la confusione nei miei occhi, sbuffò.

“Non dico che fisicamente non ci riuscirei. Dico che ti ho vista rinascere come licantropo e ho passato due notti a parlare con te come non facevo da secoli con nessuno … Sarebbe un omicidio.”

Mi imposi di non credergli, ma le mie difese si sbriciolarono in un istante quando vidi la sincerità dipinta nei suoi occhi, limpida come acqua.

E come acqua scivolarono via anche le parole di Abby e la mia rabbia nei confronti di Daniel.

Sapevo che era orrendamente stupido, ma decisi che non me ne importava.

“Mi dispiace di averti aggredito.” dissi infine.

Ridacchiò.

“Hai un potenziale futuro da guerriera, complimenti.” mi lasciò le spalle, anche se non si scostò più di tanto e mi rimase vicino.

“Ero convinto che lo sapessi …” mi guardò di sottecchi. “Mi piaceva stare con te.”

Lo fissai con la stessa espressione di un pesce: bocca aperta e occhi sgranati.

Infine, risposi:”Davvero?”

Annuì.

“Davvero. Era bello stare con qualcuno che non mi credeva un mostro, che non aveva paura di me … Eri la prima persona dopo sette anni che mi guardava come un essere umano.” confessò. I suoi occhi erano tristi e mi guardava appena.

Rimasi immobile, in silenzio, combattuta tra la paura di cacciarmi nei guai e il desiderio di sorridergli e dirgli che per me non era un mostro.

Daniel prese un bel respiro.

“Be', lupetta … Non credo che ci rivedremo più. Faremo finta di non esserci mai incontrati, d'accordo?”

Si voltò e cominciò ad allontanarsi. In quel momento, qualcosa scattò dentro di me.

Non pensai.

Non ci pensai proprio per niente, sapevo solo che dovevo farlo.

In un unico grande passo, lo raggiunsi e chiusi le dita attorno al suo polso, trattenendolo.

Daniel sussultò e si voltò verso di me, il viso che tradiva l'incredulità che provava.

“Anche a me piaceva stare con te.” mi imposi di non pensare a che razza di stupidaggine stessi facendo. “Tu capivi … Tutto. Non sei un mostro.” trasalì e i suoi occhi incontrarono i miei. “Ero arrabbiata perché mi avevi ingannata, ma nemmeno allora ti ho considerato un mostro.” cercai quanto più coraggio potevo. “Non ho paura di te.” dissi infine, gli occhi fissi nei suoi e la voce ferma. Volevo che capisse che ero sincera.

Daniel, voltato solo a metà verso di me, si girò completamente e si avvicinò.

Sorrideva. Il suo sorriso contagiò anche lo sguardo, rendendolo luminoso.

“Davvero … Davvero non hai paura di me? Neanche un po'?”

Guardò la mano che ancora stringeva il suo polso.

Scossi la testa.

“Sono spiacente.” risposi, e il suo sorriso si allargò. Si divincolò con delicatezza dalla mia stretta e intrecciò le dita con le mie.

“Chi è stata la prima persona che ti ha guardato come un umano, sette anni fa?”

Daniel ridacchiò.

“Una bambina. Quando ho trovato il coraggio di andare a fare una passeggiata in un parco, per la prima volta dopo anni, l'ho aiutata a ritrovare la strada di casa. Si era persa e io … Non ho potuto lasciarla lì. È stata la prima a guardarmi come un essere umano.”

“Sei ancora umano.” replicai. “Avrai anche la forza e i desideri di un vampiro, ma rimani sempre lo stesso.”

“Grazie, Scarlett.”

Cominciammo a camminare fianco a fianco, ma in qualche modo era diverso dal solito. Le sue dita stringevano le mie e non eravamo più due sconosciuti … Non si poteva tornare indietro.

 

Rientrai di soppiatto il mattino successivo, dopo aver passato tutta la notte con Daniel. Sorridevo, mentre attraversavo i corridoi deserti della Casa.

Con nessuno avevo mai parlato tanto di me e ascoltato tanto; mi aveva raccontato di suo fratello, della sua famiglia, aneddoti di quanto erano piccoli … In cambio, io avevo fatto lo stesso con me, mamma ed Ellie.

Era la prima volta che raccontavo proprio tutto della mia famiglia a una persona che conoscevo da un tempo così breve. Eppure, mi ero sentita a mio agio per tutto il tempo.

Avevamo parlato di scuola, anche. Di tutte le cose normali e umane di cui, probabilmente, avrebbero parlato due umani. Per un attimo, mi ero dimenticata di essere un licantropo, mi ero dimenticata della nostalgia per mamma ed Ellie, persino della storia raccontata da Abby.

Aprii piano la porta della camera e quando fui certa che Alexa non c'era, entrai di soppiatto.

In quel momento, un cuscino mi arrivò dritto in faccia.

“Ah! Beccata! Lo sapevo.”

“Ali!” strillai, sorpresa, vedendo che compariva da dietro il mio letto.

Lei rise.

“Dai, raccontami tutto!”

Mi prese per un braccio e mi costrinse a sedermi.

“Com'è andata? Di cos'avete parlato? Com'è lui? Hai deciso di continuare a vederlo nonostante tutto?”

Il suo entusiasmo mi contagiò; scoppiai a ridere, le guance ancora rosse per la corsa.

“Non so … Non so se ci rivedremo ancora.”

Alexa mi mollò uno schiaffetto sul braccio.

“E smettila! La foresta si estende per migliaia di chilometri quadrati e ogni volta voi vi scontrate per caso.”

Ridacchiai.

“Non questa volta. Oggi sono andata io a cercarlo.”

Alexa ammutolì.

“Davvero? Perché?”

Le raccontai tutto quello che era successo e osservai tutte le sue reazioni: spalancò gli occhi, maledisse me, Abby, Daniel, rise, batté le mani entusiasta, mi abbracciò … Alla fine quasi piangeva.

“Oh, Sky!” sospirò, “Dimmi che lo rivedrai, ti prego!”

“Io … Non so ...”

“Oh, sì che lo sai, invece.” mi fissò, imbronciata. “Che ci vuole ad ammetterlo?”

Sbuffai.

“Ascolta,” dissi, “stasera andrò a correre. Se ci troveremo anche questa volta … Ti darò ragione.” deglutii. “Ogni ragione. Significherà che è proprio destino.”

Alexa emise quello che mi parve uno squittio e mi abbracciò, stringendo forte.

Proprio in quel momento, la testa di Abby fece capolino da dietro la porta. Il suo sguardo incuriosito si tramutò in sospetto quando vide l'entusiasmo di Ali.

“Avete intenzione di provare a volare buttandovi giù dal tetto? Perché è da allora che non vedo Alexa così contenta.”

Lei rise.

“No, figuriamoci.” continuava a ridere, completamente ed irrimediabilmente entusiasta. “Sky ha rivisto Daniel!” esclamò abbracciandomi ancora. Avevo le braccia rosse da quanto stringeva.

Abby sgranò gli occhi e un'espressione allarmata comparve sul suo viso.

“Perché l'hai fatto, Sky?” chiese preoccupata, sedendosi sul letto di fronte al nostro. Scrollai le spalle.

“Dovevo sapere se mi aveva ingannata.” risposi con lo sguardo basso. Abby rimase in silenzio per un attimo con gli occhi rivolti al pavimento e le mani giunte in grembo. Alexa la fissava come se dal suo giudizio dipendesse la vita dell'intero pianeta.

Alla fine, alzò lo sguardo.

“Ti ha ingannata?”

“No.”

Prese un bel respiro.

“Non so come andrà a finire, ma se c'è una cosa che ho imparato grazie a mia cugina è che non ci sarà mai modo di impedirti di vederlo.” si morse il labbro, poi continuò. “Ma se vi caccerete nei guai, voglio essere in grado di aiutare almeno voi.”

Alexa saltò fino al soffitto dalla gioia.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Lago ***


 Capitolo 13 - Lago

 

Pur avendo dormito tutto il giorno, la sera ero tutt'altro che tranquilla e riposata: ero un fascio di nervi. Se l'avessi incontrato anche quella sera, sarebbe stato destino.

Niente più scuse.

Alexa mi abbracciò mentre guardavo giù e mi preparavo a saltare dalla finestra.

“Digli che lo ami, mi raccomando!”

“Io non lo amo.”

“Dirglielo lo stesso.”

Per un istante vidi un barlume di consapevolezza nei suoi occhi, come se sapesse quello che diceva, ma quando cercai di guardare meglio era scomparso.

Quella storia mi stava proprio facendo impazzire, pensai.

“Buona fortuna.” sussurrò lei. Mi buttai giù dalla finestra e corsi verso il bosco, già in forma animale. Stavo imparando a controllare le trasformazioni e, ultimamente, mi svegliavo ancora umana.

Il momento di andare da mamma ed Ellie si avvicinava; presto, avrei chiesto il permesso a Will e sarei andata da loro. Temevo la loro reazione più di qualsiasi altra cosa, ma la nostalgia superava la paura e non potevo farci proprio niente.

Era già buio quando arrivai vicino alla cima della montagna.

Il mio cuore batteva forte e i miei occhi saettavano in giro, alla ricerca di Daniel. Con una punta di delusione pensai che forse proprio quella sera non l'avrei rivisto.

Dopo tutte le illusioni che si era fatta Alexa!

Decisi di andare fino al lago, così finii di scalare la montagna e cominciai la discesa nella ripida parete, saltando sulle rocce sporgenti e poi ricominciando a correre.

Non mi sarei mai abituata alla sensazione della corsa, non mi sarei mai abituata alla sua bellezza. Era la stessa cosa che succedeva con un fidanzato, pensai. I suoi baci non diventavano mai noiosi ed erano sempre belli come il primo.

Chissà se era vero!

Assaporai l'odore pulito della foresta e quello del lago, che pullulava di pesci. Mi venne l'acquolina in bocca: a cena avevo mangiato poco, nervosa com'ero.

Scuotendo la testa, scacciai la folle idea di mettermi a cacciare trote e mangiarle crude. Va bene che ero un licantropo, ma quello era davvero troppo.

Presi la rincorsa verso le rocce e mi trasformai in volo, tuffandomi.

L'acqua fresca mi accolse nel suo abbraccio. Infilai il mio vestito, tanto era già bagnato fradicio, e mi misi a nuotare.

Sentivo i pesci dileguarsi mentre passavo in mezzo a loro, aprendosi in due ali che mi lasciavano libero il passaggio. Mi immersi nel buio del lago e mi ritrovai a chiedermi di nuovo se avrei visto Daniel, quella sera.

Non avevo sentito il suo odore venendo lì.

Nonostante il lago fosse buio, vedevo come se fosse giorno, solo con colori diversi e tendenti al violetto. Vedevo in modo abbastanza nitido anche sott'acqua; i riflessi dei pesci erano magnifici.

Nuotai fino al fondale a una velocità molto superiore a quella umana, grazie alla nuova forza che mi scorreva nelle vene, e arrivai a toccare le rocce sul fondo.

Risalii e riemersi, grondante d'acqua, ritrovandomi a fissare un cielo stellato.

Poi, di colpo, una mano si strinse attorno alla mia caviglia e mi tirò sott'acqua, dandomi a malapena il tempo di prendere un respiro.

Appena sotto la superficie, la mano lasciò al mia caviglia e intrecciò le dita con le sue.

Sorrisi e vidi Daniel davanti a me, senza maglietta e scalzo, ovviamente, con addosso solo un paio di jeans. I suoi capelli neri rilucevano come il pelo di un gatto al sole, persino nell'acqua buia, e il suo pallore era persino peggiore del solito, lì sotto.

Rideva e per la prima volta notai che aveva un sorriso perfetto: i denti erano bianchi come perle, i canini assolutamente normali.

Nuotai verso di lui, la mano sempre nella sua, e in qualche modo ci misi troppa forza e finii contro di lui. Anche se eravamo sott'acqua, arrossii quando finii contro il suo petto, duro come il granito.

Sentii Daniel sussultare e la sua mano, quella libera, salire fino alla mia spalla, come se avesse voluto stringermi, ma poi mi allontanò con delicatezza e la sua espressione si fece divertita. Nei suoi occhi, però, lessi una strana scintilla, diversa da quella che gli avevo visto fino a quel momento.

Sorrisi e mi staccai, cercando di togliere la mano dalla sua, ma Daniel la strinse forte come se non volesse che la lasciassi.

Rinunciai e nuotai con lui verso la superficie.

“Ciao lupetta.” mi salutò.

“Ciao.” dunque era venuto. L'avevo trovato. Era destino.

Sentii le mie guance diventare rosse e avvertii il suo sguardo incuriosito su di me.

“Come stai?” incontrai i suoi occhi, a pochi centimetri dai miei.

“Bene. Tu?”

“Bene.”

Andammo verso la riva, dove uscimmo insieme e ci sedemmo con i piedi ancora immersi nell'acqua. Di tanto in tanto sentivo i pesci sfiorarmeli.

Daniel mi sfiorò la mano.

“Guarda.”

E io guardai. Soffocai un grido di meraviglia: davanti a noi il lago era illuminato. Un migliaio di lucciole danzavano, sospese davanti a noi e posate sull'erba, e persino sugli alberi.

“Wow!” esclamai senza fiato.

“Già.”

Il tono di Daniel mi parve strano e mi voltai verso di lui; arrossii quando capii che stava guardando me e non le lucciole intorno a noi. Tutte quelle minuscole lucine si riflettevano nei suoi occhi, mescolandosi al loro consueto rosso.

Sembravano dorati.

Pensai che avrebbe detto qualcosa e quando capii che non l'avrebbe fatto cercai io qualcosa da dire, ma non mi venne in mente niente; per questo, rimanemmo in silenzio. Fu un silenzio strano, che non mi era mai capitato di provare: in un solo istante, come se qualcuno avesse tagliato una corda tesa, non sentii più i rumori della foresta.

Tutto azzerato, tutto dimenticato.

I problemi, i pensieri, mamma ed Ellie, le trasformazioni, lui vampiro, io licantropo … Tutto fu completamente dimenticato in quell'unico, fragile momento.

Era come una bolla che chiunque poteva far scoppiare, ma finché c'era era una cosa meravigliosa, una protezione; esistevamo solo io e lui, e d'un tratto al mano nella sua mi sembrò persino più calda del solito, praticamente bollente.

Ricordai che era successo anche la seconda volta che ci eravamo incontrati, quando eravamo stati interrotti da un barbagianni. Mi chiesi che cosa significasse un silenzio simile.

Prima che potessi fare qualcosa, vidi lo sguardo di Daniel cambiare e i suoi occhi smisero di fissare i miei e ripresero a guardare il lago davanti a noi.

Non aveva tolto la mano dalla mia, però.

“Vieni spesso qui?” chiesi per rompere quel silenzio, che d'improvviso era diventato pesante e teso.

Annuì.

“Poco dopo essermi trasformato, ho cominciato a perlustrare tutta la zona e questo lago è sempre stato uno dei miei posti preferiti, anche se … Non ci avevo mai portato né incontrato nessuno, soprattutto di notte.”

Arrossii.

“Ero venuta qui ieri, anche se non l'ho fatto consciamente. Correvo a perdifiato nella foresta e mi sono ritrovata qui.”

“E' strano che in qualche modo sappiamo sempre dove trovarci.”

Cercai di capire cosa provasse dal suo tono di voce, ma non ci riuscii. Vidi uno strano contrasto di emozioni nei suoi occhi, un alternarsi di felicità e turbamento.

Sospirai, improvvisamente stanca nonostante avessi dormito quasi tutto il giorno, e mi distesi sull'erba soffice dietro di noi. Intuii la sorpresa nello sguardo di Daniel, seguita da qualcos'altro che rese i suoi occhi più cupi quando scesero lungo la mia figura distesa.

Mi sentivo stranamente nuda, sebbene indossassi un vestito nero che arrivava a quasi metà coscia.

Quando il suo sguardo risalì sul mio viso si era addolcito. Si distese anche lui accanto a me.

Eravamo spalla contro spalla, le nostre braccia e le nostre gambe si toccavano.

Deglutii.

“Da piccola contavo sempre le stelle, d'estate.” dissi. “Mi stendevo nel giardino dietro casa e provavo a contarle senza perdere il conto.”

“A quanto eri arrivata?”

“Al cento mi addormentavo sempre.”

Daniel ridacchiò e la sua risata passò da lui a me, attraverso le braccia che si toccavano.

“Io passavo le mie serate a rincorrere i gatti dei vicini, cercando di riportarli a casa. L'effetto era più o meno lo stesso, perché dopo crollavo sempre esausto sul letto.”

“Avevi un gatto?”

“No, ero allergico da umano e da vampiro … Li terrorizzo.”

Mio malgrado, risi.

“Non ci trovo niente da ridere.” sbuffò Daniel, ma dal suo tono capii che era divertito anche lui.

“Tu? Niente gatti?”

“No, mia madre li detesta.” sorrisi. “Adesso temo proprio di spaventarli anch'io, quindi siamo sulla stessa barca. Dovrei provare con un cane e tu con un tricheco.”

“Un tricheco!?”

“Avreste in comune le zanne.” sogghignai. “Vi aiuterebbe nella comunicazione.”

Daniel riuscì a trattenersi solo un secondo, prima di scoppiare a ridere forte, con i denti che brillavano nell'oscurità e il petto scosso dalle risate.

Finii per avere la stessa reazione e quando riuscimmo a smettere sorridevamo entrambi.

“Avrei di più in comune con una zanzara.” scherzò. Io storsi la bocca.

“Probabilmente io dovrei provare a parlare con un lupo normale.” constatai. “Chissà, magari funziona e scopro qualcosa di incredibile sul mondo animale.”

Lui sospirò.

“A cosa pensi?” chiesi, voltandomi verso di lui. Gli occhi di Daniel brillavano a tre centimetri dai miei, non di più.

“Ai vecchi tempi.” rispose soltanto, e fu chiaro ad entrambi che pensava ai suoi tempi da umano, perso nei ricordi come forse lo sarei stata io diversi anni dopo. Tutto dipendeva da come l'avrebbero presa mamma ed Ellie.

“Penso che se riuscissi ad amare una persona, sarebbe tutto più facile.”

“E se fosse umana?”

“La trasformerei, se lei fosse d'accordo.”

Però, era con me che stava intrecciando le dita in quel momento. Non osai andare oltre.

“Tu trasformeresti una persona in licantropo, se scoprissi di provare qualcosa per lei?”

Scrollai le spalle.

“Chiederei il suo consenso, ovviamente. Penso … Penso di sì. Ma dovrei amarlo davvero molto.” feci una smorfia. “In un certo senso, sarebbe come chiedergli di rimanere con me per l'eternità e prima di farlo vorrei esserne sicura.”

“Credo che in queste situazioni nessuno sia mai sicuro di quello che fa.”

“Hai ragione.”

Pensai a mamma e a papà, a quanto fossero probabilmente sicuri di quello che facevano, il giorno del loro matrimonio, e mi chiesi come fosse stato capire, anni dopo, che le cose non avrebbero mai più funzionato.

“Ti sei mai innamorato di qualcuno?” chiesi a bruciapelo, senza nemmeno volerlo sapere sul serio. Lo sguardo di Daniel ebbe un guizzo malizioso e un sorrisetto gli comparve sul viso, ma rispose alla mia domanda senza fare commenti.

“Sì. Una volta, molti anni fa. Per fortuna non è andata avanti molto, perché poi sono stato trasformato e … Ho tentato di dirglielo, ma lei si è dimostrata troppo spaventata.” scrollò le spalle. “In ogni caso, dubito molto che avrebbe funzionato.”

“Anche il matrimonio dei miei genitori non ha funzionato.” mormorai. Non gliel'avevo detto il giorno prima, anche se non sapevo perché.

Daniel aggrottò le sopracciglia.

“Si sono lasciati?”

Annuii.

“Molti anni fa, quando sono nata io. Papà aveva trovato un'altra.”

Trasalii quando cominciò ad accarezzarmi il dorso della mano con il pollice.

“Mi dispiace tanto.”

Scossi la testa.

“Non serve. Ero appena nata; non posso sentire la mancanza di una persona che non ho mai conosciuto.”

“Invece sì.” replicò Daniel, lo sguardo triste. “Non te ne accorgi perché non capisci la differenza, ma sicuramente da qualche parte, dentro di te, c'è il vuoto che dovrebbe occupare lui nella tua vita.”

Purtroppo, aveva ragione e lo sapeva.

Abbassai lo sguardo alle nostre mani intrecciate. Uno sconosciuto riusciva a dirmi esattamente quello che doveva dire, quello che né mamma né Ellie né le mie amiche erano mai riuscite a dirmi.

Possibile?

Strinsi di più la sua mano, per fargli capire senza parole quanto gli ero grata.

“I vampiri dormono?” chiesi infine, lo sguardo a terra e la voce poco più di un sussurro.

“Sì, ma meno degli umani.” rispose. “Ogni tanto, sogno ancora.”

“Qual è il sogno più bello che tu abbia mai fatto?”

“Volare.” alzai lo sguardo e vidi che mi fissava. “Volare di notte.”

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Permesso ***


Capitolo 14 - Permesso

 

Quando tornai in camera, ormai sveglia come un grillo, Alexa ed Abby mi aspettavano sedute sul letto, parlando a bassa voce. Appena mi videro entrare dalla finestra sussultarono e mi fissarono.

Non ebbero bisogno di conferme per capire che io e lui ci eravamo rivisti: i miei occhi, notai poco dopo allo specchio, brillavano come fari in mezzo alla notte.

Sembravano fluorescenti, a dir poco, neanche avessi avuto delle lampadine dietro le pupille.

Alexa era felicissima e mi abbracciò diverse volte, piroettando su se stessa, saltando e ridendo; mi chiesi se reagisse sempre così a ogni più piccolo evento nell'arco di una giornata. Probabilmente sì.

Anche Abby ne fu contenta. Il suo sorriso non era così espansivo, ma mi bastò.

“Allora, dai racconta!”

Alexa mi trascinò fino al letto e mi fece sedere vicino a loro.

“Com'è stato?” mi indirizzò un sorrisetto complice. “Vi siete baciati?”

“No, no!” Per Abby fu una rassicurazione, almeno quanto per Alexa fu una terribile delusione.

“E allora che avete fatto per tutto questo tempo?”

Raccontai loro della serata, di che cosa avevamo parlato, e feci sospirare Ali quando le dissi che per tutto il tempo, lui non aveva mai smesso di tenermi per mano. Dissi loro anche del silenzio strano che ci aveva avvolti.

“Cioè? Silenzio in che senso?”

“Nel senso di … Silenzio.”

“Bello o brutto?”

“Bello.”

“Lo dici senza entusiasmo.” protestò Alexa. “Ma era un silenzio tra voi due, nel senso che non parlavate, o …?”

“No … Come se il mondo …”

“Fosse scomparso?” indovinò Abby che, seduta alla mia destra a gambe incrociate, abbracciava un cuscino.

“Sì.”

“Aaah! Lo sapevo.” trillò Alexa. “E' amore.”

“Eh? No!”

“Certo che sì! Il silenzio dell'amore ...” si abbandonò a un sospiro trasognato, fissando il soffitto. “Come vorrei provarlo anch'io!”

“Non … Non credo che sia quello. Conosco Daniel da troppo poco.”

Alexa scrollò le spalle.

“Non vuol dire niente.”

Non replicai.

Mi alzai e mi diressi verso il bagno, ben intenzionata a fare una doccia per togliermi di dosso il solito odore di vampiro. L'odore di Daniel non mi dava per niente fastidio, ma non volevo che alla Casa qualcuno lo sentisse e si insospettisse.

Oltretutto, quel giorno avrei dovuto andare da Will a chiedergli il permesso di andare da mamma ed Ellie a breve. Ormai, avevo le trasformazioni sotto controllo e mi svegliavo ancora umana, con tutti i vestiti addosso.

Il getto di acqua calda della doccia rilassò i miei muscoli e lavò via la terra che avevo accumulato sotto mani, piedi e unghie mentre correvo come lupa; io e Daniel avevamo nuotato per tutta notte tra i riflessi argentei del lago, scontrandoci sott'acqua, immersi nel buio senza tempo, ed eravamo rimasti lì fino a quando l'alba aveva colorato di rosa l'orizzonte.

Solo allora mi aveva afferrato la mano ed eravamo risaliti, entrambi consapevoli di dover tornare a casa, anche se in realtà non sapevo dove fosse la sua casa … Né se ne avesse una. Lui non ne aveva mai parlato, ma io non glielo avevo nemmeno mai chiesto.

Il mio cuore accelerò quando pensai a quanto ci eravamo detti di noi, a quanto ero stata sincera con Daniel e a quanto lui era stato perfetto; persino la sua stretta era perfetta: solida, della giusta misura, e non mi importava che fosse fredda, perché i brividi caldi che mi risalivano il braccio quando stringeva la mia mano aggiustavano le cose.

Trovai delle alghe tra i miei capelli. Chissà se Daniel le aveva viste …

Quando uscii, indossai l'unico vestito nero un po' più elegante degli altri: aveva le spalline, era stretto sotto il seno e scendeva delicatamente fino alle ginocchia. Da quando mi ero trasformata ero dimagrita di almeno quattro chili in una settimana e tutti i miei muscoli risaltavano, tesi sulla pelle.

Avevo persino gli addominali, notai guardandomi allo specchio.

Era strano per me, visto che non avevo mai fatto ginnastica in vita mia.

Uscii dal bagno e vidi che Alexa ed Abby se n'erano andate, probabilmente a fare colazione, così ne approfittai per andare da Will.

Anche questa volta, i corridoi erano deserti; nessun licantropo era troppo mattiniero, visto e considerato che passavano quasi tutta la notte fuori. Avevo notato che, quando il sole era alto, la mia vista era più opaca del solito come se ai miei occhi desse fastidio il sole.

Mi chiesi se fosse così anche per Daniel. Essere un vampiro doveva essere terribile; non riuscivo neanche a immaginare di dover bere del sangue per nutrirmi … Forse a loro veniva naturale, ma non potevo proprio pensare a quanto fosse disgustoso.

I miei pensieri furono interrotti dalla comparsa della porta dell'ufficio di Will davanti a me.

Bussai trattenendo il respiro.

“Avanti!” la sua voce mi fece trasalire, nonostante fosse cortese.

Entrai e lo vidi seduto alla scrivania, sepolto da una marea di scartoffie. Vedendo il mio sguardo, sorrise.

“Gestire un branco di licantropi ha … I suoi problemi.” mi fissò. “Come mai sei qui?”

Feci del mio meglio per sorridere.

“Io … Credo di gestire abbastanza bene le trasformazioni, e mi chiedevo se potessi … Andare da mia madre e mia sorella.” gli esposi la questione lentamente, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un attimo.

Will increspò le labbra e ci pensò un attimo.

“Uhm … Prima ti faccio fare il test.” disse in tono spiccio. “Se lo superi, puoi andare un po' dove ti pare.”

Si alzò e girò attorno alla scrivania, venendo verso di me.

“In che cosa consiste il test?”

“Non posso dirtelo.” rispose mettendosi davanti a a me. “Deve essere inaspettato, perché gli eventi improvvisi sono quelli in cui è più difficile gestire la trasformazione.”

Deglutii.

“Farà male? Vuoi prendermi a pugni?”

Will sogghignò.

“No, non ti farà male.”

Sentivo la gola secca; era immobile davanti a me, vicinissimo, con gli occhi fissi nei miei. Il mio stomaco si strinse, anche se non capivo a cosa fosse dovuta quella sensazione di panico.

Forse perché avevo capito che tutto quello che faceva sogghignare Will, il più delle volte, non era molto divertente per gli altri.

Cominciai ad allarmarmi quando mi mise le mani sulle spalle.

Erano più calde delle mie e praticavano una leggera pressione, che aumentò quando, troppo veloce perché potessi fermarlo, mi attirò a sé e mi baciò.

Rimasi immobile per un istante, completamente spiazzata, mentre cercavo di rendermi conto del fatto che le labbra di Will premevano contro le mie e che le sue mani, ancora ferme sulle spalle, mi tenevano contro di lui.

Avevo baciato dei ragazzi, una o due volte, ma non erano mai stati baci degni di nota … Né tanto inaspettati. Quell'istante si dilatò all'infinito; mi resi conto di quanto fosse caldo il corpo di Will e mi accorsi che mi baciava delicatamente.

Spinta dalla sorpresa, socchiusi le labbra, e il mio Alfa – il mio Alfa! - ne approfittò e approfondì il bacio, le mani che scivolavano dalle spalle alla mia gola, facendomi venire i brividi. I licantropi sapevano benissimo che il collo era uno dei punti più vulnerabili del nostro corpo, l'unico, probabilmente, in cui potevamo davvero essere uccisi e quel gesto, seppure casuale, mi fece fremere dentro.

Will fece scivolare le mani dalle spalle alla schiena, stringendomi ancora più forte. Ero troppo confusa per capire davvero quello che stavo facendo, quando mi accorsi che stavo ricambiando il bacio e che quello – quell'idiota – era praticamente uno sconosciuto.

Mi staccai di scatto e gli mollai uno schiaffo in faccia, abbastanza forte da fargli girare il viso di lato. Approfittando della sua confusione, lo colpii con un pugno sotto la mandibola, facendolo barcollare all'indietro.

Sentii i canini pungere un po', ma li ricacciai indietro, insieme all'impulso di ringhiare e di snudare gli artigli.

Will scoppiò a ridere, facendomi infuriare ancora di più e assumere d'istinto una posizione di attacco.

“Complimenti, Scarlett, passato il test.” annunciò con un ghigno stampato in faccia.

Lo fissai stralunata, le mani ancora strette a pugno. Ansimavo.

“Idiota.” sputai fuori.

“Sì, sì, lo so.” rise ancora. “E' l'unico modo per capire se i novellini sono pronti.”

Scrollò le spalle, allontanandosi.

“Il più delle volte, se non sono pronti, reagiscono trasformandosi.” spiegò con la massima calma. “Tu sei pronta. Puoi andare dove ti pare, anche da tua madre e tua sorella.”

Mi raddrizzai, stupita.

“Davvero?”

“Sì, davvero.” per un attimo, il sorriso beffardo sparì dal suo viso. “Stai attenta.”

Annuii, ma non lo ringraziai. Nonostante tutta la situazione … Avrei davvero voluto tirargli un altro pugno.

Mi avviai verso la porta, quando l'Alfa mi chiamò di nuovo.

Mi voltai.

“Sì?”

“Scarlett ...” oh, no. Sorrideva di nuovo in quel modo. “Giusto perché tu lo sappia, è stato … Un gran bel bacio.”

Dovetti uscire prima di ammazzarlo.

 

Tornai in camera solo per prendere le scarpe. Alexa ed Abby non erano rientrate, così uscii subito, diretta a casa mia per la prima volta da giorni.

Mi portai dietro una borsa dove mettere il vestito, per evitare che si stropicciasse, un pettine e un paio di salviette umide per le mani. Non volevo sembrare quello che ero, davanti a mamma e ad Ellie.

Non subito, perlomeno.

Volevo dire loro la verità. Glielo dovevo per tutto quello che potevano aver sofferto nei giorni in cui mancavo da casa.

Mi svestii e mi trasformai e, dopo aver infilato il vestito nella borsa, cominciò la mia corsa nella foresta.

 

Quando arrivai al limitare del bosco e mi trasformai in umana, avevo il cuore a mille e la gola secca. Le mie mani tremavano mentre tiravo fuori il vestito nero dalla borsa e lo indossavo, tirando un sospiro di sollievo quando vidi che la manica copriva il tatuaggio della zampa di lupo; non ci avevo pensato, uscendo, ma per fortuna sporgeva solo il bordo sottile del cerchio e poteva essere qualsiasi cosa, anche un filo non tagliato.

Mi pettinai in fretta i capelli e pulii le mani e i piedi pieni di terra. Avevo messo uno smalto blu. Si era rovinato durante la corsa, ma almeno nascondeva un po' lo sporco sotto le unghie.

Con un brivido mi resi conto che avrei dovuto farci l'abitudine.

Presi le scarpe e le indossai, seppure con un leggero moto di fastidio, perché ricordai che era quasi ottobre e … Sì, io stavo andando da mamma ed Ellie in maniche corte e con i sandali. Non ci avevo proprio pensato.

Per un attimo pensai di tornare indietro a cambiarmi, ma mi resi conto che se l'avessi fatto la mia indecisione avrebbe avuto il sopravvento e non sarei più riuscita ad andare da loro.

Presi un gran respiro e chiusi la borsa.

Mi incamminai verso casa attraversando il centro della cittadina. Era molto presto e in pochi erano già svegli, e quei pochi erano svegli per lavorare o per aprire un negozio, perciò non badarono molto a me e passai inosservata anche se ero in maniche corte, avevo gli occhi fluorescenti e i canini si trasformavano in zanne.

Mi imposi di darmi una calmata, ma quando arrivai nella via di casa mia dovetti bloccarmi per far rallentare il mio cuore e impormi un minimo di razionalità.

Guardai le mie mani e vidi che le unghie stavano diventando artigli; Will aveva detto che ero pronta. Sì, ero pronta. Ma per cosa? Per non fare del male agli altri, o per comportarmi con sufficiente disinvoltura da fare in modo che mia madre e mia sorella – le persone che mi conoscevano meglio – non si accorgessero che ero un licantropo?

Volevo tornare alla Casa con tutte le mie forze. Ero spaccata in due: metà di me voleva solo buttarsi nell'ignoto, andare da mamma ed Ellie e confessare tutto. L'altra metà, voleva tornare al sicuro.

E aveva un sacco di buoni motivi, pensai mentre mi avviavo verso quella che, un tempo, era stata casa mia.

Arrivai davanti alla porta trattenendo il fiato.

Dovevo bussare? Suonare il campanello? Entrare e basta?

Alla fine, suonai.

Era presto, ma Ellie aveva il sonno molto leggero e avrebbe sentito il campanello.

Rimasi in attesa, trepidante, con il cuore che batteva furiosamente nel petto, le labbra strette e i pugni serrati.

Coraggio mi dissi. Non era una banda armata, non volevano uccidermi. Era solo … Una prova. Se avessero reagito bene … Preferii non pensarci.

Mi costrinsi a rilassarmi e ad aprire le mani chiuse a pugno, lasciandole libere lungo i fianchi.

Dopo quelle che parvero ore, il mio udito di lupo captò la voce di Ellie che, al piano superiore, rotolava giù dal letto e si avviava verso le scale.

Il mio cuore accelerò di nuovo.

Sentii la sua speranza raggiungermi come una folata di brezza estiva: ci sperava. Sperava … Probabilmente che fossi io.

Dunque non credeva che io non sarei tornata mai più.

Contai i tredici passi che fece per scendere le scale e poi i dieci per attraversare l'entrata e raggiungere la porta.

Il tempo rallentò mentre Ellie girava le chiavi, la serratura scattava e la mano si appoggiava alla maniglia.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Accettazione ***


Capitolo 15 - Accettazione

 

La porta si aprì, rivelando mia sorella, più magra e smunta di quanto la ricordassi, gli occhi circondati da ombre bluastre.

Mi fissò con sguardo assente per un lungo, lunghissimo istante.

Poi, sgranò gli occhi, sbiancò di colpo e svenne senza dire una parola.

Cacciai uno strillo e mi inginocchiai accanto a lei.

“Ellie! Ellie!” gridai scuotendola piano per le spalle … Piano per me, perlomeno. “Ellie!”

Udii uno scricchiolio di sopra e il fruscio della vestaglia di mamma. Non osavo immaginare la faccia che avrebbe fatto trovandomi lì, inginocchiata su mia sorella che, con gli occhi semichiusi, diceva cose insensate una dietro l'altra.

“Chi è, tesoro?”

La voce di mamma, per un attimo, riuscì a distogliere la mia attenzione da Ellie: sembrava invecchiata di almeno dieci anni.

Poi, la vidi, in piedi sulla rampa di scale.

Ti prego, non svenire anche tu supplicai tra me e me, prima di tutto perché sarebbe stato devastante e sarei scoppiata in lacrime, poi perché non sarei mai riuscita a soccorrere anche lei. Avrei dovuto chiamare un medico e magari avrebbe chiesto il motivo … Piacere, mia madre e mia sorella sono svenute quando mi hanno vista, perché mi credevano un fantasma …

Mamma diventò biancastra in viso e sgranò anche lei gli occhi, ma rimase in piedi, salda sulle sue gambe, con una mano appoggiata al corrimano e una stretta sul cuore.

Ci fissammo per un attimo.

Lei immobile, io pure.

Ellie continuava a fare quello che sembrava l'elenco della spesa.

Alla fine, mamma si animò all'improvviso e corse giù dalle scale tanto veloce da inciampare sull'ultimo gradino; i miei riflessi da lupo scattarono e la presi al volo appena prima che toccasse terra. Lei mi si avvinghiò addosso e mi abbracciò forte, piangendo disperata.

La strinsi anch'io a me, cercando di non farmi troppe illusioni: la felicità di vedermi dopo che per una settimana aveva creduto che una malattia mi avesse uccisa, doveva essere impareggiabile … Ma sarebbe rimasta quando le avrei detto perché la malattia non aveva avuto il sopravvento su di me?

Mi scostai delicatamente dall'abbraccio di mamma e incontrai gli occhi verdi di Ellie che, seduta sul pavimento con un pigiama con i cuoricini, ci aveva appena messe a fuoco e sembrava sul punto di gridare, piangere, scappare e prendermi a pugni tutto insieme.

Mamma proruppe in un altro singhiozzo.

“Sarà meglio … Che andiamo a berci un tè.” singhiozzò dirigendosi verso la cucina. Tipico di mamma. Era convinta che il tè fosse la bevanda migliore del mondo, e perciò passava le sue giornate decantandocene le lodi … E facendocene bere a litri.

La seguii in cucina, tenendo d'occhio anche Ellie dietro di me, grazie ai sensi da lupo.

Ci sedemmo tutte e due al solito tavolo, mentre mamma armeggiava ai fornelli per mettere a bollire l'acqua per il tè.

Appena ebbe finito, le sue spalle si irrigidirono. Si voltò con cautela, quasi temesse quello che avrebbe visto, e sussultò quando mi vide lì.

Si appoggiò al bancone, rifiutando stoicamente di sedersi.

Alla fine, il suo lato pratico ebbe la meglio.

“Allora,” la voce era tremula, “sei viva.”

Annuii, incapace di proferire una sola parola. Dunque era così che diventavano le famiglie, quando veniva a mancare una persona? Ellie era magra e sembrava avere un gran bisogno di una dormita e la mamma aveva le rughe intorno agli occhi e alla bocca, i capelli più grigi del solito.

Era così che ci si riduceva?

“Cosa ti è successo?”

Ecco. Qui veniva il bello. Non è che non mi aspettassi una domanda tanto diretta … Ma speravo che non sarebbe arrivata. Sì, lo speravo davvero.
“Anzi … Anzi, no.”

“Eh?” trasalii quando sentii le parole della mamma. Questa proprio …

“Ho detto di no.”

Ellie fissò la mamma con quello che mi parve rimprovero.

“Non voglio saperlo.” fece un sorriso forzato. “Non adesso. Sono solo … Contenta che tu sia viva. Non mi serve altro.”

Come io avevo notato i cambiamenti in loro, anche loro dovevano averli notati in me: i muscoli tirati sulla pelle, il viso pallido, i capelli più scuri del solito, gli occhi come lampeggianti e i canini leggermente appuntiti … Collegai i sintomi in quello che poteva costituire una causa probabile e plausibile agli occhi di mamma e per un pelo non caddi dalla sedia, sensi di lupo o meno.

Non voleva saperlo perché …

“Pensi che sia entrata in una setta!?” esclamai sgranando gli occhi, sul punto di scoppiare a ridere dall'isteria. Cavoli, era proprio tipico di mamma.

I suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime.

“Ti aiuteremo, tesoro.” cercò di rassicurarmi con voce tremula. “Andremo da uno specialista che saprà come tirarti fuori. Io … Oddio ...” proruppe in un singhiozzo soffocato. “Non oso nemmeno immaginare! So che cosa fanno in quei gruppi satanici … Chissà che diavolo ti avranno costretta a bere, o peggio, a fare ...” mi fissò, gli occhi ridotti a due fessure. “Hai ucciso qualcuno? Dimmi la verità, tesoro. Davvero, se … Se così fosse ...”, deglutì, “Un mio amico … E' avvocato … E …”

Improvvisamente, contro ogni logica possibile, scoppiai a ridere.

Ellie si raddrizzò di colpo sulla sedia e i suoi occhi, prima diffidenti e sospettosi, si addolcirono un po'. Capii che persino lei si tratteneva dal ridere.

Mamma la prese come una conferma, una sorta di risata malvagia, e prese a piangere più forte con il viso sepolto in un fazzoletto comparso da chissà dove.

“Mamma!” esclamai appena mi ripresi. “Non sono in nessuna setta satanica!”

Parve spiazzata.

“E allora mi devi un bel po' di spiegazioni, signorina.” il suo tono era quello delle ramanzine. Non ci potevo credere: ero un licantropo ed ero seduta, immobile ed inerme, davanti a mia madre che si apprestava a farmi una ramanzina. Ed ero un licantropo maggiorenne, oltretutto! Quasi mi venne di nuovo da ridere.

“Ci sono droghe di mezzo?”

“No.”

“Hai preso qualche medicina strana? Quelle cose miracolose, che sostengono di essere elisir di lunga vita o dimagranti prodigiosi ...”

“No.”

“Sei stata punta da qualche insetto?”

“No.”

“Hai mangiato qualcosa che ...”

“No.”

“Hai tentato il suicidio?”

“No!”

Mamma aveva esaurito tutte le carte nella sezione delle tre p: possibile, probabile, plausibile. La sezione delle tre i era l'unica cosa che le rimaneva: incredibile, irrazionale, inspiegabile.

Era così che lei suddivideva la vita; nella prima sezione c'erano lei, le sue figlie, il mondo intero, nella seconda sezione c'erano libri e film.

Basta.

Sconvolgere la sua mente rivelandoglielo di colpo poteva farla uscire di testa.

Ellie, che fino a quel momento non aveva mai parlato, disse soltanto:”So cosa ti è successo.”

Spostai lo sguardo su di lei e vidi che sorrideva, il viso appoggiato sulle mani intrecciate.

“Mamma non l'ha mai voluto sapere, però.”

Cominciai a capire che quelle occhiaie avevano un significato diverso, come la magrezza e il pallore. Quella era l'esasperazione per avere cercato di far ragionare la mamma e per il dubbio che la corrodeva dentro, il dubbio di non sapere se aveva ragione.

“E così, hai collegato tutti i sintomi.”

Annuì.

“Come i puzzle che facevamo da bambine. Ricordi? Mi ha aiutata a capire pensare a quello coi lupi.”

Sì, mia sorella aveva proprio capito.

“Quindi sei davvero malata!” esclamò la mamma, gettando di lato il fazzoletto e fissandomi con occhi truci. “Sei una malata terminale? Cancro?”

“No!”

Dovevo procedere per gradi con lei e mostrarle lentamente quello di cui ero capace. Piano piano, doveva abituarsi all'idea di quello che ero diventata, senza farsi venire un attacco di cuore.

Mi alzai e presi il bollitore, che fischiava già da diversi minuti, e versai il tè nelle tre tazze che mamma aveva disposto sul bancone. La vidi trasalire quando notò che non usai niente per proteggere le mie mani dal calore del bollitore.

Strinsi i denti.

Sarebbe stata davvero dura.

Porsi una tazza ad Ellie, l'altra alla mamma, ma nessuna delle due me prese un solo sorso. Provai a bere e storsi il naso, infastidita. La bevanda avrebbe dovuto essere bollente, invece era spiacevolmente tiepida.

Mamma si allungò piano verso di me. Feci finta di non notare il movimento, per non metterla a disagio.

Mi sfiorò un braccio con la mano, ma si ritrasse subito trasalendo.

“Sei bollente! Hai la febbre?”

“No. Questa è la mia … Nuova temperatura corporea.”

La guardai di sottecchi per capire come reagiva. Batté le palpebre più volte e guardò mia sorella, ma non disse niente e nessun altro gesto o movimento tradì la sua sorpresa.

Mi allungai verso il ripiano più alto per prendere lo zucchero, sperando che quel tè diventasse perlomeno bevibile, ma mentre afferravo il pacchetto sentii un paio di respiri trattenuti. Abbassai lo sguardo e vidi il tatuaggio: la manica del vestito si era sollevata e l'aveva lasciato scoperto.

“Ti … Ti sei fatta un tatuaggio!” squittì la mamma. Sapevo cosa pensava, di nuovo. Avevo mentito e in realtà ero in una setta.

Sbuffai.

“Sì, mamma.” non era una setta, era un branco, accidenti! Forse, però, per lei non c'era molta differenza.

Con cura, tirò su la manica del mio vestito e guardò l'impronta del lupo.

A quella vicinanza potei vedere senza difficoltà ogni poro della sua pelle, aguzzando semplicemente un po' la vista. La cucina era sempre la stessa, eppure mi sembrava di non esserci mai stata; adesso vedevo i granelli di polvere danzare nell'aria, vedevo i buchi nel tessuto delle tende, vedevo gli insetti fuori dalla finestra, le lievi screziature del legno degli armadietti, le sfumature e le imperfezioni del pavimento, che non avevo mai notato prima.

“Lupo.” constatò mia madre tastando il tatuaggio e distogliendomi dai miei pensieri.

Ridacchiai.

“Sì, lupo.”

Continuò a tastare.

“Hai sviluppato una marea di muscoli … E sei così calda, ma rimani pallida! Hai scurito i capelli?”

“No, questo è il loro nuovo colore naturale. Si sono scuriti da soli.”

“Ho sentito che succede quanto si cresce ...”

No mamma, succede quando ti trasformano in un licantropo, accidenti!

“Fumi, per caso?”

“No.”

Non mi accorsi neanche quando passò con le mani alla mia pancia e prese a tastare gli addominali, lanciando ad Ellie un'occhiata stupefatta. Ellie si limitò a scrollare le spalle e a bere il suo tè.

Io ero completamente presa dai vicini. Sentivo ogni loro movimento. Li sentivo camminare, svegliarsi, parlare, discutere, spalmare il burro sul pane … Sentivo tutto.

Mi misi in ascolto dei vicini più prossimi, che litigavano per il gatto.

“Johnny è allergico al gatto, devi smetterla di farlo entrare in casa!”
“Non sono stato io! E poi, non ha fatto il test, non è detto che sia allergico a Edmund! Potrebbe essere un'allergia alla polvere!”

“Ma per favore! È sempre così, con te. Non ti fidi di me, ecco perché. Non ci credi … Vuoi più bene a quello stupido gatto che a me!”

“Tesoro ...”

“Non chiamarmi tesoro! O butti fuori il gatto, o me ne vado io e porto con me anche Johnny!”

“Questa è una follia! Non puoi portare via mio figlio perché non credo che sia allergico a Edmund!”

“Sì che posso! Il giudice sarà d'accordo! Stai nuocendo a un minore, facendogli del male con il gatto!”

Sogghignai e cercai l'odore di Johnny. Era allergico al tarassaco … In cui il gatto si rotolava continuamente. Non era allergico al gatto.

Chissà che risate, quando avrebbero fatto il test …

“Dovrei andare a dirglielo.” borbottai tra me e me.

Incontrai lo sguardo preoccupato di mamma ed Ellie.

“Dire cosa a chi?” mamma era già sospettosa.

Sorrisi.

“Johnny … Li sento litigare.”

Quando vidi che non capivano, specificai:”I vicini. I vicini stanno litigando … Quelli col gatto. Clare è convinta che il figlio sia allergico al gatto, ma in realtà è allergico al tarassaco in cui il gatto si è rotolato. Il marito non vuole sbattere fuori Edmund.”

Mamma ed Ellie si scambiarono un'occhiata.

“Gary e Clare vivono in fondo alla strada.” disse mamma, desolata.

“Lo so.” risposi con una scrollata di spalle. “Ma se ti interessa, cerco di capire cosa fa la signora Smith, qui vicino. Per inciso, non è vero che non russa.”

Mamma prese a fissarmi più intensamente e mi parve quasi di vedere gli ingranaggi del suo cervello lavorare alla velocità della luce, collegando finalmente tutti i punti.

E il disegno finale era un licantropo.

“Tesoro ...”

“Sì?”

Il cuore di Ellie batteva forte, infastidendomi. Ora capivo perché molti licantropi vivevano alla Casa; era terribile dover sentire tutto il tempo ogni singola cosa che facevano tutti. Le pareti della Casa erano in pietra, troppo forti e spesse perché il suono passasse da una stanza all'altra.

Finalmente ne capivo il motivo.

“Cerca soltanto di non ululare dalla finestra quando c'è la luna piena e di non mangiare Edmund. Sarebbe imbarazzante spiegare il tutto ai vicini.”

Se la faccia di Ellie era impareggiabile, la mia lo era ancora di più.

Mamma scrollò le spalle vedendo le nostre espressioni e finì di bere il suo tè. Poi, mise la tazza nel lavello.

“Io torno a dormire.” annunciò.

Se ne andò dalla cucina come se nulla fosse.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Aggressione ***


 Capitolo 16 - Aggressione

 

“Com'è essere un licantropo?” chiese Ellie con gli occhi che brillavano. Eravamo sedute una davanti all'altra al tavolo della cucina, con il tè fra le mani e pane e burro davanti, come facevamo da piccole.

Sorrisi.

“Meraviglioso.”

“Sei nata così, allora?”

Annuii.

“E ti sei trasformata.”

Annuii di nuovo.

Ingoiai la settima fetta di pane imburrato e cercai di ignorare la smorfia disgustata di mia sorella. Per gli umani doveva essere terribile vedere qualcuno mangiare così tanto senza mai ingrassare; sentivo i muscoli che bruciavano istantaneamente tutto, senza che mi muovessi.

“Perché non mi hai semplicemente detto tutto?” chiese Ellie, con voce esasperata. “Almeno, avremmo saputo che eri viva!”

Mi leccai le labbra e adocchiai il vasetto della marmellata.

“Perché non sapevo che stavo diventando un licantropo. Pensavo di avere una malattia cardiaca.”

Scrollai le spalle. “Poi, sono scappata e puf! Licantropo.”

Ellie mi fissò.

“Ti sei accorta di avere gli occhi fluorescenti?”

“Sì.”

“E i capelli?”

“Si sono scuriti da soli.”

Mi sporsi per prendere il vasetto di marmellata e lo aprii, scheggiandone il bordo; scaglie di vetro tintinnarono sul tavolo sotto gli occhi esterrefatti di Ellie.

Provai a prendere la marmellata col coltello, ma mi resi conto che il risultato non era granché. Presi il vasetto e cominciai a versarla sul pane, cosparso da burro in quantità. Per un istante, meditai di metterci anche un po' di zucchero sopra.

“Dove sei stata per tutti questi giorni?”

“Alla Casa. È situata dentro il bosco, a chilometri dalla città, irraggiungibile per un essere umano. Ci vivono almeno un centinaio di licantropi.”

Oh, quanto era buona la marmellata.

Presi un'altra fetta di pane.

“E' un posto abbastanza carino … Mmm … Il mio Alfa si chiama Will.”

“Alfa?” ripeté mia sorella, confusa.

“Oh, sì. Una sorta di capobranco. Mi ha fatto lui il tatuaggio.”

Diedi un morso al nono panino con la marmellata, ma dopo averlo finito decisi che la cosa era insoddisfacente e cercai con lo sguardo la Nutella.

“E' carino?”

Tipica domanda di mia sorella, pensai mentre meditavo sull'apertura del vasetto della Nutella.

“Sì. Bellissimo, se è questo che intendi. Un idiota, comunque.” aprii il vasetto con due dita, toccandolo appena, e la cosa funzionò: esultai quando non si ruppe. “Pensa che mi ha persino baciata.”

Sentii un rumore assordante di qualcosa che si schiantava sul pavimento e mi alzai di scatto, lasciando perdere il panino. Guardai in giro, tutti i muscoli contratti e le orecchie tese, finché non individuai la fonte del rumore: il coltello era caduto di mano a mia sorella, con la bocca aperta per lo stupore.

Avevo udito il suono amplificato, per quello mi ero spaventata tanto. Con uno sbuffo irritato mi sedetti di nuovo e ripresi a trafficare col panino.

Ellie non si disturbò a raccogliere il coltello.

“Come sarebbe a dire ti ha baciata!?”

“Bah, sai com'è ...” chissà se da qualche parte c'era del miele … “Sono andata nel suo ufficio per chiedergli di vedervi e lui mi ha detto che dovevo fare un test per dimostrare di essere in grado di controllare le mie trasformazioni. Così, mi ha baciata per vedere come reagivo. Tutto qui.”

“Tutto qui!?”

Per la prima volta, alzai lo sguardo e fissai mia sorella. La sua espressione era quella di chi stava per gridare e fare qualche follia in mezzo alla strada.

“Ehm ...”

“Capisco perché non mi hai detto di essere un licantropo, ma potevi almeno dirmi che avevi baciato un ragazzo!?”

All'improvviso, capii. Ellie credeva che fossi innamorata!

“Ah!” esclamai. “No! Non credo che tu abbia capito. Will è un idiota senza speranza, il bacio era solo un test di autocontrollo. Lo fa con tutti … E, per la cronaca, appena mi sono resa conto di quello che stava facendo gli ho mollato uno schiaffo in faccia.”

Ellie non sembrò convinta, ma non osai dire di più; dopotutto avevo omesso una parte della vicenda: avevo ricambiato il bacio.

Per un attimo, forse, ma questo sarebbe bastato a far strillare mia sorella e a farle credere che mi trovassi nel bel mezzo di una tormentata storia d'amore, perciò zittii la mia boccaccia col famoso panino alla Nutella. Che, per inciso, aveva un sapore divino.

In effetti, non avrei nemmeno dovuto essere lì. Per fortuna, mamma ed Ellie avevano capito come stavano le cose scoprendolo da sole, perché se avessi dovuto rivelarglielo … Be', sarebbero stati disastri.

Fui anche contenta di aver inserito un registratore dentro la borsa; mi avrebbe fornito le prove da dare a Will in caso di problemi. Se un umano scopriva la vera natura di un licantropo bisognava fornire delle prove in cui era chiaro che l'avevano scoperto.

Una registrazione mi sembrava una prova più che valida.

Mia sorella scosse la testa, rassegnata.

“Comunque,” disse, “rimarrai qui adesso o tornerai alla Casa?”

Scrollai le spalle.

“Sono maggiorenne. Mi trovo meglio alla Casa, ho ancora molto da imparare sui licantropi, ma tornerò a trovarvi spesso.” la guardai di sottecchi. “Sempre se vi fa piacere.”

Ellie sgranò gli occhi.

“Certo che sì! Perché non dovrebbe?”

Mi morsi il labbro, a disagio.

“Sono … Ecco … Diventata un mostro. Nel vero senso della parola. Non è che io sia esattamente ...”

“Scarlett, piantala di dire stupidaggini!” mi intimò mia sorella. “Potrai tornare a trovarci sempre e rimanere a vivere qui per sempre, se è questo che vuoi.”

Deglutii.

“Ah, dimenticavo. Sai, c'è un'altra cosa che non ti ho detto della mia nuova condizione ...”

Ellie prese un biscotto.

“Dimmi.”

“I per sempre sono letterali, nel mio caso.”

Mia sorella corrugò le sopracciglia con un sorrisetto.

“Questa cosa mi piace.”

 

Tornai alla Casa prima di pranzo, e Abby mi aspettava in camera. Mi abbracciò appena arrivai e mi chiese come fosse andata; le raccontai tutto per filo e per segno e quanto il racconto terminò avevamo ormai finito di pranzare.

Fu molto contenta per me, anche se mi parve di vedere un certo rammarico nel suo sguardo. Forse, nella stessa situazione, la sua famiglia non l'aveva accettata? Non glielo chiesi.

Il nostro pomeriggio fu un susseguirsi di chiacchiere, merende infinite e libri, ma non riuscii a concentrarmi su nessuna di queste cose, perché ora che il pasticcio con la mia famiglia era stato risolto, la mia testa aveva molto più spazio per arrovellarsi su qualcos'altro: Daniel.

Le serate passate con lui erano state … Indimenticabili.

Non c'era paragone con nessun altro ragazzo che avessi mai conosciuto nella mia esistenza, e mi ritrovai a chiedermi come sarebbe stato baciare lui anziché Will. Sicuramente, strano come tenergli la mano … Eppure arrossii pensandoci.

“Oh, ragazza mia, tu stai pensando a qualcosa.”

Alexa entrò in camera e mi trovò seduta a gambe incrociate sul letto con lo sguardo fisso sul muro e la faccia rossa come un peperone.

“Non è … Non sto ...”

“Sì, sì.” liquidò le mie deboli scuse con un gesto della mano. “Avanti Sky, vi siete baciati? Dimmi la verità.”

“No, no!”

“Però ci stavi pensando ...”

“No!”

Alexa sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

“Ti innamorerai di lui, Sky.” si morse il labbro e mi guardò come se volesse dirmi qualcos'altro, ma poi rinunciò e cambiò discorso.

“Sai, è davvero esasperante.” disse d'un tratto.

“Cosa?”
“Violett. O meglio, Will.”

Alla mia occhiata interrogativa, rispose:”Will ci ha provato di nuovo con Violett.”

“Ah.” una strana delusione mi colpì dritta allo stomaco. Non ero certo gelosa di Will, ma una parte di me ci rimase male … Quando un ragazzo ti bacia, ti piace pensare che si crei una sorta di connessione tra voi, anche se non c'è una vera e propria intesa.

Will era il mio Alfa, la seconda persona che avevo visto alla rinascita e il primo licantropo e mi aveva baciata. Non potevo negare che tra noi ci fosse una specie di legame, sebbene non sapessi dove collocarlo.

Alexa parve notare la mia delusione e alzò le sopracciglia.

“Sky! Non ti sarai mica innamorata di Will!?”

“No!” esclamai. “No! È solo che … E' strano … Sai, per il test …”

Alexa si bloccò.

“Quale test?”

“Quello che fa a tutti per capire se sanno controllarsi ...” risposi in tono stanco. “Non che io abbia ricambiato, anzi, gli ho tirato uno schiaffo subito dopo, però … Non lo so, è strano.”

La mia compagna di stanza rimase interdetta per un istante.

“Vuoi dire che ha tirato un coltello anche a te?”

“No!” la fissai, stupita. “Certo che no! Mi ha baciata.”

Gli occhi di Alexa divennero talmente grandi che temetti le sarebbero usciti dalle orbite, e il pacchetto di patatine che teneva in mano cadde sul pavimento. Un gemito strozzato di sorpresa le uscì dalla bocca.

“E tu … Tu non mi hai detto niente!?”

“No! Oh, insomma, che avete tu e mia sorella oggi? Will ha detto che lo fa con tutti!”

“No che non lo fa con tutti! A me ha tirato un coltello e ha provato a strozzare Abby. Ha detto su di tutto a Connor – cose orribili – e a Violett ha spruzzato del profumo negli occhi … Tutti eventi improvvisi, ma niente baci!”

Fu come se mi avesse spalancato le porte davanti a un altro mondo.

Oh.”

“Già, Sky, oh.”

“Perché mi ha baciata?” la mia voce atona stupì persino me. Una specie di legame fra noi c'era sicuramente, ma di lì a darmi un bacio … Eppure sembrava non averla presa troppo sul personale quando l'avevo schiaffeggiato. Cavoli, gli avevo anche tirato un pugno e lui era scoppiato a ridere. Una persona non si comportava così se l'altra gli piaceva.

“E' evidente che gli piaci.” disse Alexa. Il suo tono era stranamente spento, la voce quasi un borbottio. La cosa mi incuriosì un po', ma decisi di non indagare.

“Come no. Voleva solo provare qualcosa di nuovo, forse. L'ho schiaffeggiato e non ha fatto una piega, anzi, è scoppiato a ridere.”

Alexa parve sollevata.

“Bene, menomale!”

“Perché?”

“Ecco … Will non è un ragazzo particolarmente gentile. Ti avrebbe fatta soffrire molto.”

Si sedette sul letto di fronte al mio e, dopo aver raccolto il pacchetto, lo aprì.

“E Daniel non lo farà?” chiesi, ironica. Daniel, un vampiro, non mi avrebbe mai fatta soffrire. Certo, come no.

Non fosse stato per il divieto di vederci, toccarci, parlarci e perché in ogni momento lui avrebbe potuto affondare i canini nel mio collo per riavere indietro la sua vita … No, sicuramente non mi avrebbe fatta soffrire.

“Sai, pensavo che potremmo uscire, una volta o due. Con Abby, magari.”

Mi accorsi a malapena del repentino cambio di argomento e cominciai a pensare a cosa avremmo fatto quella sera. Da quant'era che ci vedevamo? Ormai avevamo parlato praticamente di tutto. E se quella notte non ci fosse stato?

Lanciai un'occhiata fuori dalla finestra; il sole stava tramontando. Sentivo il cuore in subbuglio, improvvisamente agitata. Cosa sarebbe successo? Oh, cavoli, sarebbe successo qualcosa? Era da più di tre sere che ci vedevamo? La maledizione del terzo appuntamento …

Era un appuntamento? Tecnicamente no, visto che …

“Sky!” esclamò Alexa indignata, strappandomi dai miei pensieri. Alzai la testa, sbigottita.

“Che? Cosa? Ho fatto …?”

La mia compagna di stanza mi lanciò un'occhiata di profonda disapprovazione.

“Non mi stavi ascoltando.”

“No, no, ho sentito tutto ...”

“Sky ti ho detto che Daniel somiglia a un panino al prosciutto e tu mi hai detto Mmh tutta convinta.”

 

La cena passò in fretta, visto che non cenai. Conobbi Violett, che continuava a fare riferimenti tutt'altro che casuali sulla grandezza e la bellezza del nostro Alfa.

Nella mia pancia stava avvenendo un bombardamento opera di forze occulte e niente riusciva a farmi mandare giù un boccone. Spostai la carne in tutti i punti del piatto, dopo averla tagliata a pezzettini, e bevvi almeno tre litri d'acqua, tanto avevo la gola secca.

I discorsi di Violett non aiutavano di certo; era tutto un blateramento di appuntamenti e smancerie e sogni ad occhi aperti. In circostanze normali l'avrei trovato ridicolo, ma quella sera non mi sentii in condizione di giudicare visto e considerato che ero nella stessa situazione.

Violett non era molto alta e aveva lunghi capelli neri, dritti e lisci, a differenza dei miei, un curioso misto tra ricci e ondulati. Pettinarmi e fare code per me era un'impresa. In ogni caso sembravo sempre una appena scesa dal letto.

Era più piccola di noi; aveva compiuto diciassette anni da poco, ma Abby ed Alexa sembravano conoscerla molto bene e trovarla simpatica. Aveva gli occhi azzurri come ghiaccio e sicuramente sarebbe diventata bellissima da grande, anche se per il momento il suo viso era ancora quello di una bambina.

Non aveva muscoli, né curve da donna; mi rattristò vederla. Nonostante sembrasse a suo agio alla Casa e nella la condizione di licantropo, era ancora troppo piccola per affrontare quella situazione. Faticava moltissimo a controllarsi. Ruppe un bicchiere solo stringendolo e dovette respirare a fondo molte volte, mentre il suo corpo veniva scosso dai tremiti e gli occhi cambiavano colore, dal marrone del lupo, all'azzurro umano.

Alla fine riuscì a tranquillizzarsi, ma ci vollero diversi minuti e fu molto faticoso per lei.

La mia fatica consisteva nello smettere di guardare fuori dalla finestra e nel cercare di mandare giù la cena, ignorando i sorrisetti di Alexa ed Abby.

A quanto avevo capito, in giro per la Casa c'erano diverse cucine. Quella era di almeno dodici persone, nonostante fossimo soltanto in quattro. La gente andava e veniva.

“Sky ...” cantilenò Alexa. Abby ridacchiò e Violett mi guardò, incuriosita.

Le lanciai un'occhiataccia e mi alzai.

“Io … Vado.”

Uscii di corsa prima che mi dicessero qualcosa di ambiguo o addirittura provocante e mi rifugiai in camera mia, cercando disperatamente di calmarmi. Perché era così difficile?

Ora basta.

Non avrei aspettato un minuto di più.

Presi la rincorsa e mi tuffai fuori dalla finestra, trasformandomi in volo e atterrando sulle quattro zampe.

Cominciai a correre e mi infilai nel bosco, gustandomi quella sensazione di libertà. Corsi per chilometri, raggiungendo le vette delle montagne, poi superandole e scendendo tanto veloce che mi sembrava di volare, superando il lago e correndo, correndo, correndo ancora.

Non avevo ormai più fiato quando mi bloccai davanti a un fiume.

Dovevo essere arrivata quasi fino al confine, pensai. Ricordavo che da quelle parti c'era un fiume, anche se non ero sicura che fosse proprio quello.

Respirai a fondo l'odore di bosco e mi accorsi del silenzio incredibile che mi circondava.

Insetti a parte, non c'era niente che facesse rumore.

Dovevo essere lontanissima dalla civiltà, ormai, centinaia di chilometri, come minimo. Non avevo mai pensato a quanto fosse vasto il bosco e mi resi conto che, non fosse stato per la scia del mio odore dietro di me, mi sarei sicuramente persa.

Perciò, quando sentii uno scricchiolio dietro di me e non sentii l'odore di nessun animale, non esitai a trasformarmi in umana e ad indossare il solito vestito nero. Mi voltai, pronta a salutare Daniel … E invece non c'era nessuno.

Sorpresa, scrutai l'oscurità intorno a me.

Eppure non mi ero sbagliata; i miei sensi da lupo fremevano e i miei muscoli erano contratti praticamente contro la mia volontà. Sapevo che c'era qualcuno, lì in mezzo.

Annusai bene, con cautela, poi capii.

L'odore era quasi lo stesso, perché bruciava il naso e sapeva di infinito … Ma non di mare. Quello era un vampiro, ma sicuramente non era Daniel.

Mi piegai in avanti, pronta a scattare per difendermi, mentre i passi davanti a me facevano scricchiolare di nuovo le foglie secche sul terreno.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Vero vampiro ***


 Capitolo 17 – Vero vampiro

 

Davanti a me comparve un ragazzo. O almeno, quello era ciò che sembrava all'apparenza, ma sapevamo entrambi cos'era veramente.

La sua distanza dalla città, gli occhi rossi e i canini tradivano la sua vera identità.

Si fermò davanti a me, a qualche metro di distanza, e mi fissò, calmo e freddo. I miei muscoli erano tesi e il cuore mi sconquassava il petto battendo furiosamente.

Nonostante la sua freddezza, ne leggevo le intenzioni nello sguardo famelico: voleva me, voleva bere il mio sangue per tornare umano.

Ero terrorizzata. Anche se avevo combattuto con Daniel per un breve momento, non avevo nemmeno la minima esperienza in questo genere di situazione. Come se non bastasse, Daniel si era anche trattenuto quella volta e si era semplicemente difeso; non osavo immaginare di che cosa fosse capace un vampiro quando aveva intenzione di attaccare, spinto dalla disperazione.

Camminò lentamente verso di me e in quella calma percepii tutta la sua forza e la sua sicurezza. Deglutii a vuoto.

Avevo la gola secca. Quella sensazione … La paura, per me era strana ormai, sul piano fisico. Mi ero abituata all'idea di essere invincibile, ma in quel momento ero talmente vulnerabile …

Il vampiro scattò, diretto verso la gola. Mi spostai di lato più veloce che potei, reprimendo l'impulso di trasformarmi in lupa.

“Aspetta!” gridai. Non mi ascoltò e in men che non si dica mi si stava di nuovo gettando contro. Mi scansai ancora, ma riuscì a colpirmi sulla spalla. Sentii una stilettata di dolore e le ossa che scricchiolavano.

Mi venne da vomitare.

“Chi sei?” chiesi, ricacciando giù la bile che minacciava di salirmi lungo la gola.

Il vampiro sibilò.

“Non opporre resistenza. Renderà l'agonia più lunga.”

La sua voce era roca, fredda, disperata e mi diede i brividi.

Si lanciò verso di me e io scattai, spostandomi di lato, ma il vampiro usò l'albero vicino a me come appoggio e mi piombò addosso in un istante. In meno di un secondo il mio corpo esplose e mi ritrovai trasformata in lupa con le zanne snudate e brandelli del mio vestito nero che mi volavano intorno.

“Non ci proverei.” sibilò il vampiro.

In tutta risposta, ringhiai e mi scagliai contro di lui. Non sapevo come ucciderlo, ma di certo sapevo come metterlo fuori combattimento abbastanza a lungo da tornare fino alla Casa, dove sarei stata al sicuro.

Mirai alla gola.

Il vampiro aprì le braccia e invece di spostarsi fece resistenza, abbracciandomi la gola. Mi dimenai e lo graffiai, cercando di morderlo, ma la sua presa era troppo salda.

“Devo bere il tuo sangue da viva.” mi sussurrò all'orecchio. “Non ho intenzione di ucciderti così.”

In tutta risposta feci leva sulle zampe posteriori e gli tirai un calcio nello stomaco talmente forte da fargli mollare la presa e gettarlo contro un albero, che si spezzò.

Mi scansai per evitare l'albero e poi mi gettai verso di lui, approfittando della distrazione.

La mia mente si era spenta: ora ero una lupa in tutto e per tutto. Una debole parte di me diceva di avere pietà di lui, ma il lupo era troppo forte.

Mi scagliai contro il vampiro e gli atterrai sulla schiena, sbattendolo a terra. Mi afferrò per le zampe e mi fece fare un volo di almeno due metri; atterrai distesa sul fianco.

Mi rialzai immediatamente, ignorando il dolore. Dovevo essermi rotta qualche costola, constatai spostandomi per evitare l'assalto del vampiro.

La spalla era già a posto.

D'un tratto un movimento veloce e repentino mi confuse e vidi un albero che mi crollava addosso; mi spostai di corsa, finendo dritta tra le sue braccia.

Questa volta, strinse sotto le attaccature delle zampe e sentii altre ossa spezzarsi, anche se non sapevo bene quali. Poi, il dolore, come di una puntura, alla base del collo. Sentii il sangue smettere dolorosamente di scorrere nel verso giusto, per dirigersi verso il vampiro, i cui denti ormai succhiavano nel mio collo.

In preda al panico mi agitai come un pesce preso all'amo, ma senza alcun risultato. Le mie zampe gli graffiavano furiosamente la schiena e l'addome, e tuttavia questo sembrava essere del tutto irrilevante per lui che continuava a succhiare, attaccato alla mia gola come una sanguisuga.

Ero disgustata e cercavo disperatamente di morderlo.

Ululavo e uggiolavo, una forma animale del grido che avrei cacciato da umana. Cercai di trasformarmi di nuovo, sperando che il cambio di mole l'avrebbe confuso e mi avrebbe lasciata, ma non ci riuscii. Improvvisamente non trovavo più il desiderio dentro di me.

Mi stava svuotando, i miei colpi erano più deboli.

In preda al dolore e alla debolezza, sentii il desiderio disperato di piangere e mi accasciai contro la sua spalla, mentre lui continuava a succhiare via il mio sangue e la mia vita, disperatamente attaccato alla mia gola … Poi, all'improvviso, qualcuno lo strappò via da me.

Crollai esausta sul terreno.

Sentii dei colpi e un urlo, ma ero troppo debole per alzare anche solo lo sguardo. Mi vennero dei conati; secchi, rauchi. Per fortuna non avevo mangiato niente a cena.

Quello che mi era successo mi riempì di disgusto e cominciai a strofinarmi ossessivamente la gola con una zampa, perché non avevo la forza di trasformarmi in umana.

Era come se mi avessero violata.

Mi venne di nuovo da vomitare e mi raggomitolai su me stessa, finché non sentii uno schiocco secco e poi qualcuno che chiamava il mio nome.

Non riuscii a rispondere, come se non potessi costringere le labbra a muoversi per rispondere; il corpo non era più mio.

Mi raggomitolai ancora su me stessa, nel disperato tentativo di proteggermi, e sentii un debole formicolio provenire dal mio cuore: ero tornata umana. L'aria fredda della notte mi lambì la pelle nuda.

Sentii un fruscio e il calore di una maglia che mi veniva infilata con la massima delicatezza, coprendomi quasi fino alle ginocchia. Poi, qualcuno mi prese in braccio e cominciò a camminare lentamente.

Dopo un po', sentii il tocco freddo delle sue mani sulla mia pelle e riuscii ad aprire piano gli occhi. Un attimo dopo, scoppiai a piangere. Deboli singhiozzi che continuavano a scuotermi dalla testa ai piedi; tremavo come se fossi stata sul punto di trasformarmi.

Mi resi conto che era Daniel a portarmi in braccio; si fermò e mi adagiò sull'erba, sotto i grandi rami di un pino. Si sedette accanto a me e mi strinse forte con un braccio, mentre con la mano prendeva la mia.

Quel gesto fu la cosa più rassicurante che potesse fare.

Quasi inconsapevolmente mi rannicchiai contro di lui, appoggiando la testa sul suo petto, e alla fine mi accorsi che ero in braccio a lui, seduta sulle sue gambe e sepolta tra le sue braccia.

Non parlò finché non fui io a farlo, quando ebbi smesso di piangere.

“Dov'è?” chiesi, la voce ancora tremula.

“L'ho ucciso.” mormorò Daniel, stringendomi più forte. “Mi dispiace Sky, mi dispiace tantissimo.”

Mi sollevai un po' per guardarlo negli occhi.

“Perché? Daniel, mi hai salvata ...”

Scosse la testa e vidi che aveva lo sguardo pervaso da una tristezza tale che fu come una pugnalata.

“Non posso descriverti … Il disgusto … Che avrei provato … Potrei farti la stessa cosa ...” le frasi uscirono a fatica, ma stranamente non ebbero nessun effetto su di me, nonostante quello che era successo.

“Daniel!” mi scostai ancora di più e appoggiai una mano sulla sua spalla. “Non l'hai fatto! Anzi, mi hai salvata!”

Chiuse gli occhi e lo sentii mormorare qualcosa riguardo al controllo.

“Tu hai il controllo sul tuo corpo e sulla tua natura!”

“Non posso scegliere quello che sono.”

“Ma puoi scegliere cosa fare. C'è sempre una scelta.”

Daniel aprì gli occhi e li puntò nei miei. Vidi la sua disperazione dissiparsi un po'.

“E so che tu hai scelto di non farlo.” continuai, supplicandolo di credermi con lo sguardo. “Hai scelto di difendermi.” feci una pausa e pensai a quello che aveva appena fatto per me, prima di pronunciare quelle parole. “Io mi fido di te.”

Daniel sgranò gli occhi, che si riempirono di sorpresa, di felicità e di paura al tempo stesso.

“Sky, io non sono ...”

“Lo sei.” mormorai. “Non ci sono parole per ringraziarti per quello che hai fatto.”

Le sue mani, entrambe sui miei fianchi, strinsero la presa e in un attimo mi ritrovai in piedi, premuta contro il suo petto con le sue braccia che mi circondavano e mi attiravano a lui. Aveva il viso sepolto nella mia spalla.

Dopo un istante di indecisione, allungai anch'io le braccia verso di lui e intrecciai le mani fra i suoi capelli. Il suo corpo era freddo in qualsiasi punto lo toccassi, ma i brividi caldi che sentivo scacciavano ogni genere di sensazione.

Fino a quel momento ci eravamo solo tenuti per mano, ma questo … Questo era come trovare l'unico e il solo pezzo che mi completava. Ogni punto dei nostri corpi combaciava in modo perfetto e rimasi senza fiato per quella sensazione … La sensazione di essere semplicemente al posto giusto al momento giusto.

Quando ci staccammo, vidi nei suoi occhi una luce diversa da quella che gli avevo visto negli ultimi tempi. Era una luce colma di desiderio; il suo sguardo si spostò dai miei occhi alle mie labbra.

Deglutii a vuoto.

Fui sul punto di assecondare quel desiderio, ogni singola cellula del mio corpo bruciava dalla voglia di sporgermi verso di lui e colmare la distanza che ci separava, ma poi capii che se l'avessi fatto sarebbe diventato tutto vero.

Ufficiale.

Reale.

E noi saremmo stati veramente, ufficialmente, realmente nei guai. Così, mi staccai. Fu come tagliarmi qualche arto dal corpo, ma mi staccai lo stesso reprimendo le lacrime che minacciavano di scendere di nuovo.

Daniel capì e non disse nulla, limitandosi ad abbassare lo sguardo … Sul suo petto nudo. Con un sussulto mi accorsi che non portava la maglietta.

Per carità, non che la cosa mi dispiacesse visto che aveva proprio un bel fisico, ma era un po' strano. Vide che l'avevo notato e dalla sua espressione intuii che, se fosse stato umano, sarebbe arrossito. Seguii il suo sguardo e … O cavoli.

Indossavo io la sua maglietta.

Questo significava che …

“Mi hai vista nuda!?” chiesi sconcertata. Daniel, suo malgrado, si lasciò sfuggire una risatina.

“Più o meno … Ti ho infilato la maglietta il più in fretta possibile, ma …” vedendo la mia espressione, si affrettò ad aggiungere:”Non ho visto niente.”

Mi inumidii le labbra.

“Ti credo … Sarebbe il minimo, ho appena detto di fidarmi di te.”

Daniel ridacchiò.

“Insomma, qualcosa ho visto ...” dichiarò con un lampo di malizia negli occhi. Nonostante l'imbarazzo, non riuscii a reprimere un sorriso.

“Taci.” ordinai. “Non voglio proprio sapere cosa tu abbia visto ...”

Proprio in quel momento, iniziò a gocciolare. Entro pochi secondi ci trovavamo sotto un acquazzone di proporzioni epiche, bagnati come pulcini.

Vidi che la maglia mi aderiva al corpo e mi sentii arrossire vedendo il seno sporgere dal tessuto attillato. Inaspettatamente, anche Daniel sorrise, gli occhi accesi di nuovo di malizia.

Si sporse verso di me e mi prese la mano.

“C'è una grotta, poco distante da qui. Vieni.”

Mi tirò con sé attraverso il bosco gocciolante, ora zittito dalla pioggia; nessun animale si muoveva nell'ombra e per un attimo mi sembrò che fossimo rimasti solo noi al mondo.

Solo noi, di nuovo immersi nella nostra cupola di silenzio.

Dopo dieci minuti di corsa, Daniel cambiò direzione e individuai la grotta a cui mirava. Era abbastanza grande da starci comodamente in piedi, inserita nella roccia. Qualcuno avrebbe tranquillamente potuto passarci sopra e non si sarebbe accorto di niente, tanto era coperta da muschio ed erba.

Entrammo di corsa, ridendo.

“Avevo pensato a un sacco di cose prima di vederti … Ma questa poi! Salvarti da un omicidio e trascinarti in una grotta …”

Si sedette con la schiena contro la parete e trascinò anche me con lui.

“Quindi ci hai pensato anche tu?” chiesi, incredula. Daniel si voltò e mi accorsi che il suo viso era a non più di cinque centimetri dal mio; ricordando quello che avevo desiderato prima, arrossii e il mio cuore accelerò.

“A cosa?”

“A quando … Quando ci saremmo visti. Ero così agitata ...”

Sorrise. Ci fu un lampo di tenerezza nei suoi occhi.

“Ci ho pensato anch'io.”

Di colpo realizzai che ero bagnata fradicia e che i capelli, zuppi, mi ricadevano ai lati del viso, mentre la maglietta aderiva sempre di più al mio corpo.

Daniel invece era … Bellissimo.

I suoi capelli e il suo viso erano impermeabili all'acqua, che si era imperlata tra i suoi capelli, sul suo viso e sulle sue spalle nude e quelle gocce si erano trasformate in piccole perle, scintillanti persino al buio.

Aveva le pupille dilatate quando allungò la mano e mi sistemò i capelli dietro l'orecchio, lasciando una scia infuocata sulla guancia che aveva sfiorato appena.

Mi morsi il labbro, disperata, il cuore che accelerava inesorabile.

Volevo staccarmi, ma ero premuta contro una rientranza nella roccia che bloccava tutti i miei movimenti … Tranne quelli verso di lui.

La mia gola era serrata dal panico, dall'emozione e dall'indecisione che mi attanagliava, facendomi venire voglia di correre via e di sporgermi verso di lui al tempo stesso.

Daniel continuava a fissarmi, anche lui in preda delle stesse sensazioni, a quanto vedevo dal suo sguardo. Poi, di colpo, quando pensavo che non ci fosse più niente che potesse impedirci di metterci definitivamente nei guai, parlò.

“La prima volta che ti ho vista,” la sua voce era roca, “non mi sono avvicinato perché eri un licantropo o perché non sapevo che cosa fossi, ma perché avevo sentito qualcosa per te … Non so spiegarmelo ...”

“Cosa avevi sentito?” sussurrai. Anche la mia voce era roca.

“Che dovevo essere lì con te, perché tu eri l'unica in grado di farmi vivere di nuovo.” la sua mano si spostò e rimase immobile sul collo, a coprire il punto in cui il vampiro mi aveva conficcato i canini. “La prima persona dopo anni e anni a dirmi che non ero un mostro e a crederci davvero.” sorrise tracciando i contorni del mio viso con la punta delle dita. “Quando ci siamo rivisti e non sei scappata … E' stato come sentir cantare con coro di angeli. E poi, eri un licantropo e … Sapevi. Dovevi sapere. Non avevi motivo per restare e invece eri rimasta.”

Un senso di rammarico mi attraversò.

“Non sapevo niente ...”

Gli occhi di Daniel brillarono e avrei quasi giurato di aver sentito il suo cuore battere.

“Ma sai adesso. E sei rimasta.”

Vidi una profonda gratitudine nel suo sguardo, poi sostituita da un altro tipo di luce e da una dolcezza che mi fece correre brividi caldi lungo la schiena e fino al cuore.

Non mi resi neanche conto che l'indecisione se n'era andata e che all'improvviso nei miei pensieri c'era solo lui; non c'era nient'altro … Non riuscivo a ricordare il motivo che mi aveva spinta a resistere.

Esitavamo entrambi ed era come se elettricità statica si stesse accumulando tra noi ad ogni secondo che passava. Inspirai lentamente e intrecciai le dita con le sue; fu l'ultima goccia.

Vidi le pupille di Daniel dilatarsi ancora e due minuscoli riflessi di me comparire nei suoi occhi, prima che si sporgesse di scatto verso di me e mi baciasse.

Non fu per niente come baciare Will.

Sentii un fuoco accendermisi dentro e farmi ribollire il sangue nelle vene mentre intrecciavo le dita tra i suoi capelli. Non era il calore disperato della trasformazione … Era qualcosa di profondamente diverso.

Le mie labbra si socchiusero d'istinto a quelle di Daniel e lo sentii gemere quando gli appoggiai le mani sul petto e tracciai con le dita il profilo dei suoi muscoli, che guizzarono al mio tocco. Mi prese per i fianchi e mi sollevò come fossi una piuma, facendomi sedere sulle sue gambe.

Il tessuto della maglietta era sottilissimo, quasi inesistente; i nostri corpi aderivano perfettamente, stretti l'uno all'altra tanto da lasciarci a malapena lo spazio per respirare.

Le mani di Daniel correvano libere sulla mia schiena, a volte tracciandovi disegni e carezze, altre volte stringendomi più forte, o sfiorandomi i capelli.

Durò per quella che mi parve un'eternità: il tempo si dilatò all'infinito solo per noi. Tolse le mani dalla mia schiena solo per appoggiarla contro la parete della grotta. Ormai libere, scesero ad accarezzarmi piano la pancia, facendomi venire i brividi.

Si staccò piano dalle mie labbra, ma tenni gli occhi chiusi e sentii che mi baciava il collo, proprio dove l'altro vampiro aveva cercato di togliermi la vita. Baciò quel punto infinite volte e poi tornò alle mie labbra; mi baciò dolcemente e con tanta tenerezza da farmi sciogliere.

Come in un discorso senza parole, mi disse in ogni modo possibile quello che pensava: sentii in lui la gratitudine per quello che gli avevo detto, sentii l'impazienza di rivedermi, ogni sera, la sorpresa che non sapessi, la felicità per tutto … E sentii che mi amava.

Continuammo, lasciando che il tempo ci scorresse addosso come la pioggia poco prima e anche quando smettemmo, Daniel mi tenne stretta e continuò ad abbracciarmi, baciandomi di tanto in tanto sulla fronte e accarezzandomi viso e spalle …

Ero assolutamente maledettamente inconfutabilmente rovinata.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Attesa ***


  Capitolo 18 - Attesa

 

Quando mi svegliai aveva smesso di piovere, ma c'erano ancora molte nuvole in cielo e sembrava che stesse per ricominciare da un momento all'altro.

Ero più o meno distesa su Daniel, che mi stava scostando piano i capelli dalla fronte. Quando capì che ero sveglia, mi strinse più forte e io alzai lo sguardo.

Il suo era imperscrutabile.

Sospirai, consapevole di quello che stava passando.

“Cosa facciamo adesso?”

Osservai ansiosa la sua espressione, chiedendomi cosa avrebbe risposto, o meglio, se avesse una risposta; Daniel si limitò ad accarezzarmi la guancia con la punta delle dita.

Vidi tristezza nei suoi occhi.

“Penso …” ma parve rinunciarci, e disse:”Non lo so. Sappiamo entrambi quale sia la cosa giusta.”

Incontrai il suo sguardo e mi si strinse il cuore a vedere quanto era triste all'idea; sapevo di avere la stessa espressione.

Non dissi nulla e cominciai a pensarci seriamente. Forse avremmo potuto provarci … Sarebbe stato meno rischioso per entrambi, certo. In fondo, però, cosa stavamo facendo di male? Non stavamo cercando di ammazzarci, lui non aveva cercato di bersi il mio sangue, io mi fidavo di lui e finché nessuno di troppo importante fosse venuto a saperlo … Insomma, se lo sapeva l'intero popolo dei licantropi e dei vampiri, allora era un guaio, ma fino a quando le uniche fossero state Abby e Alexa e finché le cose fossero state abbastanza contenute … Perché no?

Alzai lo sguardo.

“Per chi sarebbe la cosa giusta?”

Daniel parve confuso.

“Per i vampiri … I licantropi ...”

“Sì, per tutti i vampiri, per tutti i licantropi. Finché tutti loro non scoprono questa cosa, che male c'è?” esitai, incerta sulla sua reazione. “Potremmo continuare così. A vederci nel bosco … Sono giorni che va avanti e non mi sembra che i nostri popoli si stiano ammazzando a vicenda per questo.”

Si accigliò un attimo; vidi tutti i pensieri passare attraverso i suoi occhi, tutte le conseguenze possibili bilanciate contro quello che era successo ieri sera, contro un semplice bacio. E vidi il semplice bacio vincere.

“Penso che tu abbia ragione.” disse infine. Cercai di mantenermi impassibile, ma il mio cuore sussultò di gioia quando gli sentii pronunciare quelle parole e sentii una sensazione calda diffondermisi ovunque.

Una parte di me era spaventata da quello che poteva succedere, anche se sapevo che era un terrore irrazionale. Tra tutti, dovevano scoprire proprio noi ed essere furiosi proprio con noi? Non stavamo lavorando a un metodo per ammazzare i nostri popoli; c'era gente ben peggiore in giro, come avevo constatato la sera precedente.

Mi sporsi d'impulso verso Daniel e lo abbracciai; lui ricambiò, stringendo forte, e si staccò un istante dopo per posare con delicatezza le labbra sulle mie.

Fu un bacio dolce, tenero e caldo, capace di farmi sciogliere il cuore. Ci staccammo dopo quelle che mi parvero ore.

“Penso di dover andare.” mormorai mentre cercavo disperatamente dentro di me la forza di alzarmi e obbligare le mie gambe a dirigersi verso l'ingresso della grotta.

Sentendo il mio tono di voce, Daniel ridacchiò e la sua risata si riversò come una vibrazione nel mio corpo, dandomi i brividi.

“Lo penso anch'io.”

Alla fine ci alzammo e uscimmo dalla grotta, mano nella mano.

L'aria era fredda, o almeno, avrebbe dovuto esserlo per un umano; mi scompigliò i capelli, portandomi gli odori del bosco, della Casa e facendomi venire voglia di correre. Per un attimo, mi sentii completamente felice: le cose andavano bene, in fondo. Ero in pace con la mia nuova natura, mamma ed Ellie mi avevano ormai accettata per quello che ero e non avevo dovuto trasformarle, avevo una casa, delle amiche e adesso anche … Be', non sapevo esattamente se io e Daniel fossimo una coppia, ma avevamo entrambi bisogno di tempo per capire quello che c'era tra noi. La mia unica certezza era che rivederlo era una necessità.

Mi voltai verso di lui.

“Ci vediamo stasera?”

“Appena farà buio.” confermò. Poi, sorrise e parve quasi imbarazzato, anche se vedevo un lampo di malizia nei suoi occhi. “Ehm … Scarlett, non so cosa ti abbiano detto riguardo all'odore di vampiro, ma è meglio che tu mi ridia quella maglietta.”

“Ma ora avrà il mio di odore.” feci notare io, pensando tra me e me a quanto fosse assurda quella situazione: ero in un bosco, a centinaia di chilometri da un centro abitato, a discutere con un vampiro riguardo al mio e al suo odore. Non era esattamente normale, ecco.

Daniel ridacchiò.

“Meglio che la disintegri con la trasformazione.”

“Giusto.” concordai io. Ci guardammo.

“Stasera, allora?”

“Stasera.”

Si chinò su di me e mi sfiorò appena le labbra, facendomi rabbrividire.

Con riluttanza, ci voltammo e ce ne andammo in direzioni opposte.

 

Una delle questioni più terribili della natura di licantropo era la nudità e arrivare alla Casa completamente nuda non era esattamente quello che progettavo di fare; per fortuna, era abbastanza presto e nessuno era in corridoio a dimostrare che stavo trasgredendo le regole, gironzolando in forma animale nella Casa.

Arrivai in camera trafelata, finalmente su due gambe, con la testa che girava come una trottola e mi infilai immediatamente nella doccia per togliere l'odore di vampiro. Cominciava a darmi fastidio quella storia, perché Daniel aveva un buon profumo, molto rassicurante. Mi faceva sentire a casa.

Alexa dormiva sepolta sotto almeno trenta coperte e si svegliò solo quando sentì lo scatto del cassetto dei vestiti che si chiudeva. Si tirò a sedere di scatto, con gli occhi spalancati, come se non aspettasse altri che me.

Rimasi immobile, pensando che non poteva accorgersene. Ero un libro aperto per lei, ma non così aperto! No, non avrebbe capito quello che avevo fatto.

No, no, no.

E invece …

Non ci posso credere!” uscì dal letto come una furia, mi saltò addosso e mi abbracciò stretta, strillando. “Cavolo, cavolo, cavolo!”

“Oddio ...” piagnucolai in tono sofferente. “Si vede così tanto?”

Scrollò le spalle.

“Solo per me, credo.”

“Andiamo bene ...”

“Vi rivedrete?”

“Sì.”

“Oooooh, Sky! Che meraviglia! Siete così carini insieme!”

“Ma se non l'hai mai visto!”

“Dettagli, dettagli.” mi lanciò un'occhiata complice. “Allora, com'è stato? Dove l'avete fatto? Ti ha portata a casa sua?”

Oh, per favore, no.

“Alexa!”, strepitai, “Non siamo arrivati a quello! Ci siamo solo baciati!”

Ero paonazza dall'imbarazzo. Il fatto che avessi baciato Daniel, non rendeva per me più facile affrontare quel genere di argomento: un bacio era stato un'esperienza incredibile, oltre che terribilmente pericolosa per noi. Ora, figuriamoci arrivare a quel punto.

“Oh.” fece Alexa, perplessa. “E allora che avete fatto per tutta la notte?”

“Ecco … Noi ...”

“Sicura che non l'avete fatto?”

“Sono sicura!” strillai. Era incredibile: la mia compagna di stanza aveva l'altezza e il corpo di un folletto, eppure sembrava essere stata a letto con la metà dei licantropi della Casa, perlomeno da come parlava. E dire che mi pareva una bambina!

“Abbiamo solo dormito insieme.” precisai.

Alexa parve davvero confusa.

“Aspetta. Vuoi dire che avete solo dormito insieme dopo esservi baciati, bloccati chissà dove sotto la pioggia e con te mezza nuda!?”

“Come fai a sapere che ero mezza nuda?”

“Ti ho sentita entrare in forma di lupo.”

“Ah.”

La fissai come in attesa di una sentenza. Continuò a fissarmi con occhi grandi per quella che parve un'eternità.

Alla fine, disse:”Senza offesa Sky, ma questo mi sembra proprio uno spreco.”

Non potei trattenermi, e scoppiai a ridere.

“Dacci un po' di tempo, Ali!” scherzai. Alexa ne fu palesemente sollevata.

“Comincio a mettere in discussione alcune relazioni avute in passato ...” disse. Mi ritrovai a chiedermi quanti anni avesse; non mi ero mai posta la domanda, ma in quel momento notai che non poteva assolutamente avere venticinque anni, eppure sembrava che vivesse lì da anni, secoli forse.

Questo, però, poteva succedere solo se aveva già raggiunto l'età massima dei licantropi, cioè venticinque anni. Forse era solo una mia impressione, mi dissi, o magari in realtà era possibile e io ero soltanto poco informata.

Preferii vederla così.

“Andiamo a fare colazione, devi essere affamata. Ti preparo le crepes, vuoi?”

Scossi la testa, incredula.

“Sai cucinare?”

“Le crepes sono l'unica cosa che so fare.” aprì la porta. “Chiedimi qualcosa di più difficile e sono un disastro.”

La seguii in corridoio. La Casa era sempre deserta a quelle ore assurde, si popolava di gente solo nel pomeriggio; i licantropi erano dei gran dormiglioni e avevano la straordinaria capacità di addormentarsi ovunque nel giro di pochissimo tempo.

Una volta, avevo visto persino qualcuno dormire sul tetto della Casa.

“Abby invece è bravissima in cucina. Ha vinto un sacco di concorsi, tempo fa.”

“Tempo fa?”

Alexa scrollò le spalle.

“Ormai deve avere almeno centotrentasette anni, anno più anno meno.”

Cercai di non lasciar trapelare la sorpresa e pensai, stupita, al visetto giovane di Abby che, mi resi conto, non solo aveva già venticinque anni, ma esisteva da ormai tantissimo tempo. Chissà com'era vedere le persone che si amava scomparire una ad una, sapendo di non poter fare altro che condannarle ad essere come noi o lasciarle invecchiare e finire per sempre la loro vita, perdendo la loro compagnia, i loro consigli e tutto ciò che di loro amavamo …

“E tu, quanti anni hai?” chiesi ad Alexa. Lei si rabbuiò.

“Tanti.” rispose soltanto, evasiva, ed entrò in cucina prima che potessi aggiungere altro. Quando aprii la porta, la trovai ai fornelli con una padella in una mano e una frusta nell'altra, e sembrava la solita allegra Alexa, perciò mi convinsi di essermi immaginata la sua reazione.

Mi misi accanto a lei, appoggiata al bancone della cucina, e guardando nell'alluminio del frigorifero mi accorsi di un piccolo segno rosso sul collo, dove il vampiro mi aveva morsa.

Non avevo avuto il coraggio di raccontare alla mia compagna di stanza quello che mi era successo e sospettavo che non l'avrei mai avuto; forse era il caso di comprarmi uno di quei collarini elasticizzati che metteva spesso mia sorella, anni prima.

“Ehi!” salutò Abby dalla porta. “Ho sentito odore di crepes!”

Alexa rise, sventolandole davanti un mestolo grondante di un impasto color crema.

“E' il mago della cucina che parla! Inchinati davanti a lui, se vuoi delle crepes!”

“Oh, signor mago!” Abby si profuse in un profondo inchino, davanti a un'Alexa molto soddisfatta e ai miei occhi stupiti: aveva centotrentasette anni e ancora scherzava così? Chissà perché, mi aspettavo che a quell'età le persone fossero dei saggi zen fissati con la meditazione, o rinchiusi in biblioteca.

In quel momento, arrivarono anche Violett e un'altra ragazza, di qualche anno più grande di lei. Aveva i capelli dorati, lunghi fino alla vita e un'aria birichina.

“Ciao!” salutarono. “Abbiamo sentito il profumino ...” si giustificarono. Alexa finse di essere seccata.

“Be', menomale che ho preparato impasto sufficiente per un esercito!” lanciò un'occhiata a Violett. “A proposito, sei viva? Avevi un appuntamento con Will, se non sbaglio.”

Lei alzò gli occhi al cielo.

“Per favore! E io che mi ero illusa così tanto!” sospirò in maniera drammatica, accasciandosi sulla sedia. “E' un vero idiota. Ad un certo punto mi ha persino chiesto se suonavo il violino … Sai, per via del nome.”

Abby e l'altra ragazza sghignazzarono.

“Altro che battute squallide!”

“Ah, io l'ho detestato dal giorno del test.” disse la ragazza con un'alzata di spalle. “Non puoi tirarmi una secchiata d'acqua gelida per vedere se mi trasformo e ti uccido. È evidente che lo farò.”

“Potevi anche farlo, per quanto mi riguarda.” borbottò Violett.

“E io che dovrei dire?” protestò Abby. “Ha provato a strozzarmi!”

Alexa scoppiò a ridere, attirando l'attenzione di tutte le altre.

“Non avete saputo l'ultima!” io capii cosa stava per dire e cominciai a perlustrare la stanza alla ricerca di una via di fuga. “Per il test, Will ha baciato Sky!”

Mi fissarono tutte.

Abby parve sorpresa, poi confusa, sollevata e infine di nuovo sorpresa. Le altre due rimasero come maschere stupite a fissarmi per un'eternità.

Infine, scoppiarono in esclamazioni di vario genere.

“Oddio!”
“Non ci posso credere!”

“Com'è stato?”

“Cosa ti ha detto?”

“Tu che hai fatto?”

Mi sentii arrossire.

“Io … Ecco … Gli ho tirato uno schiaffo.”

“E un pugno.” mi ricordò Alexa.

“Sì.” confermai, imbarazzata. Ci furono reazioni diverse da ogni parte della cucina: da una parte, Abby esclamò che ero fuori di testa, dall'altra Violett e la sua amica si profusero in infinite lodi e assicurarono che avrebbero fatto lo stesso, se ne avessero avuta la possibilità.

Alla fine, scoppiammo tutte a ridere mentre Alexa sfornava le prime crepes e le appoggiava sul tavolo. L'alimentazione dei licantropi non seguiva diete e Violett si affrettò a spalmare almeno mezzo vasetto di Nutella sulla sua, mentre la sua amica partiva alla ricerca della marmellata di more.

Optai anch'io per la Nutella.

Alexa si sedette tra me ed Abby e masticò pensosamente la sua crepes.

“Io penso che Sky piaccia a Will.” disse con aria meditabonda. Violett scosse la testa, rassegnata.

“Non accettare appuntamenti. Inventati una scusa.”

“E quale scusa?” chiese la sua amica, tornando a sedersi con la marmellata di more. “Siamo licantropi, niente cose del tipo sto male, ho l'influenza, ho il ciclo o che ne so io. Al massimo puoi inventarti di avere la sindrome della mucca pazza.”

“E' vero.” concordò Violett, “Ma puoi dire che hai un impegno.”

“Sì, come no. Nessuno rifiuterebbe un appuntamento con l'Alfa per un altro impegno, nemmeno se l'impegno ci fosse davvero. E poi, lui ti inviterebbe di nuovo.”

Violett allora sbuffò, esasperata.

“Non so proprio cosa dire! Sky, buttati da un dirupo prima dell'appuntamento: ci vorrà almeno un giorno per guarire dalle ferite.”

Ridacchiai.

“Non credo che Will mi chiederebbe di uscire. Non ci conosciamo neanche!”

“E poi tu non accetteresti, vero Sky?” Alexa mi indirizzò un sorrisetto ebete, di cui conoscevamo entrambe il significato.

“Oh, non lo so.” risposi, improvvisamente confusa, neanche me l'avesse chiesto davvero. “Non credo che io debba pormi il problema, visto che non me lo chiederà.”

Abby sospirò, quasi ne fosse delusa, e attribuii la cosa al fatto che era contraria alla mia relazione con un vampiro. Alexa, invece, aveva difficoltà a stare ferma sulla sedia, tanto era felice.

“Dai, è quasi un rito d'iniziazione.” disse l'amica di Violett. “Sappiamo tutte che Will è uscito con tutti i licantropi femmina della Casa e forse ci ha provato persino con qualche maschio.”

“Per favore, Jenny! Non possiamo dire che sia uscito con tutte ...” brontolò Violett. “Con la maggior parte, direi che è entrato in camera sua.”

Non riuscii a soffocare una risatina.

“Io e lui siamo stati insieme anni fa.” disse Alexa con noncuranza. Le altre la fissarono per un istante, a bocca aperta, e io mi chiesi se davvero volessi assistere a quella conversazione. Ecco, Will sembrava un tipo interessante, ma non mi sentivo pronta a conoscere i … Dettagli.

“E com'è stato?”

Scollò le spalle.

“Interessante.”

“Io non ci sono stata, con Will, e sono un licantropo femmina.” constatò Abby ridendo.

“Con me ci ha provato anni fa.” disse Jenny “Ma non è successo niente, non ne volevo sapere. E' stato molto imbarazzante.”

“Perché?” volle sapere Violett.

Jenny si sistemò i lunghi capelli dorati dietro l'orecchio, arrossendo.

“Non sapevo controllarmi bene e quando mi ha messo la mano sulla coscia mi sono trasformata in lupa.”

Scoppiammo tutte a ridere.

Alexa si sporse in avanti sul tavolo.

“Quali sono state le vostre trasformazioni fuori programma più imbarazzanti?”

“Per ora, nessuna.” risposi.

Violett arrossì.

“Un sacco di volte. La prima volta è stata la peggiore … Mi sono trasformata davanti a mio nonno.”

“O cavolo, e lui che ha detto?”

“Ha sgranato gli occhi e ha fatto una faccia tutta strana, poi ha detto:Ma guarda, finalmente una femmina!”

Ridemmo di nuovo.

“A quanto pare,” spiegò Violett, “erano anni che mio nonno sperava che io o uno dei miei fratelli si trasformasse; avevamo i geni del nostro bisnonno.”

“Anche per me è stata la prima volta.” concordò Alexa. “Non tanto il fatto di diventare lupa, quando il dopo.” ridacchiò. “Non avevo capito quello che era successo, ed è stato Connor a trovarmi. Io ero distesa in mezzo al bosco, completamente nuda, e mi sono svegliata con la sua faccia davanti. Quando ho visto la situazione … Ho pensato di aver fatto qualcosa con lui, quella notte, anche se avevo solo quindici anni.”

Jenny era piegata in due dalle risate.

“E così,” continuò Alexa, “mi sono messa a dire cose come: Cavoli, scusami, non so chi tu sia, mi dispiace tanto di essere venuta a letto con te, non so perché l'ho fatto, credo di essermi drogata, perché non mi ricordo niente … Ti conosco?”

Passò tutta la mattina e continuammo a ridere e a chiacchierare. Solo all'una, Violett e Jenny se ne andarono, dirette a un corso di yoga, e a quel punto Alexa raccontò tutti i dettagli su me e Daniel ad Abby.

Mi ripeté di stare attenta, ma quando arrivarono le due il mio sguardo si posò sull'orizzonte alla ricerca del tramonto, in attesa.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Ufficiale ***


 Capitolo 19 – Ufficiale

 

Per un attimo, pensai che quella sera sarebbe stata diversa: per la prima volta, io e Daniel ci eravamo dati un appuntamento ufficiale. Insomma, le altre volte ci eravamo trovati in giro per il bosco, ma poi non ci eravamo mai dati la garanzia che ci saremmo rivisti.

Mentre correvo, sapevo che l'avrei trovato e la cosa mi fece battere il cuore più forte e accelerare la corsa.

Ancora non riuscivo a credere a quello che era successo la notte precedente e mi si attorcigliava lo stomaco ogni volta che ci pensavo, perché non sapevo quello che dovevo dire o fare con lui. Dovevo baciarlo? Salutarlo soltanto? Non mi ero mai trovata in una situazione simile, perciò non sapevo proprio come comportarmi.

Arrivai nei pressi del lago e mi trasformai in umana, infilando subito il solito vestito nero.

Feci a malapena qualche passo, quando mi sentii abbracciare da dietro e sentii un calore piacevole avvolgermi.

Daniel mi baciò sulla guancia.

“Ciao lupetta.”

“Ciao.”

Mi fece voltare e mi baciò sulle labbra, facendomi capire quanto era felice di vedermi, e mi strinse forte a sé, una mano sulla mia schiena e l'altra tra i miei capelli.

Andammo avanti per quelle che mi parvero ore, fino a quando mi ritrovai a sorridere sulle sue labbra.

“Come stai?”

“Che domanda piacevolmente normale ...” commentò Daniel con un sorrisetto, prendendo la mia mano. Cominciammo a camminare insieme nel bosco. “Mai stato meglio, a dire il vero. Tu?”

Risi.

“Mai stata meglio.”

Sfilò la mano dalla mia per metterla sulla mia schiena; cominciò ad accarezzarmi piano il fianco, attraverso i sottili strati di stoffa del mio vestito.

“Com'è andata con Ellie e tua madre?”

“Avevi ragione.” confessai, scuotendo la testa. “Non si possono mai prevedere le reazioni delle persone.”

 

Era ormai pomeriggio quando rientrai alla Casa, sotto lo sguardo stupefatto di Abby e Alexa. Dopo una doccia, scendemmo in cucina per pranzare.

Alexa preparò il pollo, cantando a squarciagola come se avesse intenzione di svegliare tutti i licantropi che ancora dormivano; sembrava proprio felicissima e, questa volta, anche Abby si lasciò contagiare dal suo entusiasmo.

Forse, stava cominciando a vederla come me e pensava che non era poi una catastrofe frequentare un vampiro, almeno finché tutti ne rimanevano all'oscuro.

In quella cucina, mangiando pollo e chiacchierando con loro, pensai che forse avrei potuto davvero continuare a vivere alla Casa per altri lunghi secoli e guardando Alexa ed Abby, parlando con loro, presi la decisione che non sapevo di dover prendere: sarei rimasta lì.

Che mi piacesse o meno, in quel posto c'erano le uniche persone con cui avrei potuto legare, le uniche persone che non avrei dovuto essere obbligata a perdere. E sarei rimasta.

Ormai, era quella la mia casa e quella era la mia vita; avrei potuto trovarmi un lavoro, ma era lì che sarei tornata la sera.

Sarebbe stato quello il mio faro.

Dopo pranzo, mi alzai e salutai Alexa ed Abby per andare a trovare mamma ed Ellie. Corsi attraverso il bosco più veloce del vento e individuai una strada che arrivava abbastanza vicina a casa loro, ma lasciandomi la protezione degli alberi.

Diventai umana e indossai un paio di pantaloncini e una maglietta.

“Ciao Ellie!” salutai mia sorella quando aprì la porta. “Come stai?”

Sorrise.

“Bene, bene. E tu?” mi squadrò da capo a piedi. “Mi sembri felice! Fin troppo ...” mi fissò, perplessa. “Hai qualcosa di diverso, lo sai?”

“Ma di che stai parlando?” chiesi entrando in casa. Ellie chiuse la porta e mi seguì in cucina, dove io mi sedetti, mentre lei rimase in piedi, appoggiata allo stipite della porta.

“Non lo so, hai gli occhi più … Luminosi.”

Aprii la bocca per ribattere, ma mia sorella mi anticipò:”Non in quel senso. Sono luminosi … Dentro.”

Mi fissò, gli occhi ridotti a fessure, per interminabili minuti e infine sentenziò:”Ah!”

E subito le comparve in faccia un sorriso come quello dello Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, e cominciò a ridere e ad esultare, guardandomi con espressione gongolante. Quando si riprese, riuscì finalmente a dire:”Lo sapeeevo!!!”

Esterrefatta, chiesi:”Sapevi cosa?”

“Che ti sei innamorata! Chi è?”

Gli occhi di mia sorella brillavano più dei miei, quando si sedette davanti a me e mi fissò con occhi sognanti. Lei e Alexa sarebbero andate molto d'accordo.

“Mmm ...” dovevo dirle che era un vampiro.

Ellie sgranò gli occhi.

“Sarebbe meglio che tu mi chiedessi prima cos'è.”

“Non è un licantropo?”

“No.”
“E' un vampiro, allora?”

Annuii lentamente. Mia sorella scoppiò a ridere.

“Non ci posso credere! Ti sei innamorata di un vampiro? Come si chiama?”

“Daniel!”

“Oooh!” sospirò con un sorrisetto malizioso. “Come vi siete conosciuti?”

“Era presente al momento della trasformazione e poi … Bah, ci siamo scontrati più o meno due o tre volte nel bosco.”

Dalla faccia di mia sorella dedussi che era il caso di raccontarle tutto. E lo feci, omettendo le conversazioni riguardanti segreti di vampiri e licantropi ed evitando di raccontarle del vampiro che mi aveva aggredita.

Ellie ascoltò attenta ogni parola e quando le dichiarai che ci eravamo baciati ne fu entusiasta e propose un brindisi a base di tè. Uno dei difetti dei licantropi era che non riuscivano a reggere l'alcool; bastava un bicchiere ed eravamo già ubriachi, mi aveva detto Alexa, due bicchieri o tre al massimo e ci ritrovavamo praticamente in coma etilico.

Non dissi ad Ellie che era proibito frequentarsi, tra vampiri e licantropi; lasciai che fosse felice per me e fui felice anch'io con lei, perché in fondo avrei davvero potuto esserlo. Cercai di non pensare al futuro tra me e Daniel.

Non potevamo nasconderci per sempre nel bosco. Prima o poi, avremmo dovuto uscire allo scoperto, lo sapevo. Ma cercai di non pensarci.

Mamma arrivò ore più tardi e mi chiese di fermarmi a cena, ma dovetti rifiutare: il sole era ormai tramontato. Avrei comprato un panino per strada – un panino bello grosso – e poi sarei andata da Daniel.

Mamma mi baciò su entrambe le guance prima che me ne andassi e mi abbracciò stretta; con rammarico, notai nuove rughe sul suo viso, e gli occhi un po' più spenti, e quasi senza volere mi ritrovai a chiedermi se sarebbe sempre stato così.

Se avrei visto anche Ellie, negli anni, fare la sua stessa fine. Arrivarci dolorosamente piano, ogni giorno più vicina ed evidente, e infine lasciarmi.

 

I giorni cominciarono a scorrere più veloci e a delineare il profilo di quella che ormai era la mia nuova vita: ogni giorno stavo tutta la mattina con Abby e Alexa e a volte anche con Violett e Jenny; imparai ad orientarmi all'interno della Casa, conobbi gran parte dei licantropi e imparai a riconoscere quelli più giovani, quelli con più esperienza e i nuovi arrivati.

Al pomeriggio, invece, a volte andavo da mamma ed Ellie, mentre altre volte andavo con Abby, Connor, Blake e Alexa alla palestra di arrampicata: cercavo gradualmente di abituarmi a stare tra gli umani senza dare nell'occhio … Anche se noi quattro davamo decisamente nell'occhio.

Grazie alla nostra nuova natura, ci arrampicavamo con immensa naturalezza, a velocità incredibili persino per gli scalatori esperti e praticamente senza bisogno di imbragature.

Poi, il sole tramontava ed era allora che la mia giornata si colorava come un arcobaleno: Daniel era là, nel bosco, ad aspettarmi. Insieme camminavamo, mi mostrava le meraviglie del bosco, a volte gli insegnavo a riconoscere le piante, che avevo sempre adorato, e lui in cambio mi raccontava miti e leggende su creature fantastiche di ogni genere.

Altre volte, nuotavamo insieme nel lago.

Le cose andarono avanti così fino all'arrivo dell'inverno e alla prima nevicata, accolta con gioia dai licantropi della casa. Su di noi la neve aveva un effetto … Incredibile. Era come essere investiti da una scarica di adrenalina, come quando c'era la luna.

C'era chi correva, chi da lupo, chi da umano, chi si tuffava nella neve … Dovemmo adattarci alle usanze umane, però, e per andare a trovare mamma ed Ellie mi toccò indossare guanti, sciarpa e berretto.

Ellie era entusiasta di vedermi e mi chiedeva sempre di Daniel; la sua vita ora era cambiata molto e stava finendo l'università. Mi disse che aveva già qualche contatto con alcune case editrici e che sperava di trovarci lavoro, anche se aveva sempre ambito al giornalismo.

Non potevo fare altro che essere contenta per lei e guardarla crescere con rassegnazione, anche se ogni giorno il pensiero mi tormentava sempre di più, perché vedevo le rughe aumentare sul viso di mamma. Era come una clessidra: anche se l'avessi girata dall'altra parte, la sabbia avrebbe continuato a scorrere e niente avrebbe fermato il tempo che minacciava di portare via la mia sorellina e la mia mamma.

Ne avevo parlato con Daniel, e lui si era limitato a stringermi più forte e ad accarezzarmi piano la schiena; sapevamo entrambi che non potevo farci proprio niente.

Il giorno in cui tutto cominciò ad andare a rotoli arrivò … Presto.

“Scarlett, posso parlarti un attimo?” quando Will mi bloccò in mezzo al corridoio con quell'aria così seria, capii subito che qualcosa non andava e non protestai. Mi trascinò nel suo ufficio e chiuse la porta.

“Mi è arrivato un avviso dal Clan dei Lupi.” disse senza preamboli. “Mi dicono che hai rivelato a due umani la tua natura.”

Scrollai le spalle.

“L'hanno scoperto da sole. Sono mia madre e mia sorella.” non ero preoccupata di questo: sapevo di avere la registrazione della loro scoperta chiusa al sicuro nel comodino di camera mia.

Will mi scrutò.

“Hai le prove?”

Annuii.

Il mio Alfa tirò un grosso sospiro di sollievo e mi sorrise.

“Menomale!” sogghignò. “Non volevo proprio ammazzare qualche tuo parente.”

Ridacchiai.

“Grazie, Will, ma non ce ne sarà bisogno.”

“Devi darmi le prove, però. Devo verificare e poi mandarle al Clan.”

Annuii.

“Ho una registrazione in camera.”

Ci avviammo verso camera mia attraverso il corridoio affollato; era pomeriggio e gran parte dei licantropi era alla Casa. Vidi Connor poco più avanti di noi e Blake ci fece un cenno di saluto, raggiungendolo.

Entrammo nella mia stanza sotto gli occhi sorpresi di Abby. Fissò un istante Will, poi fece un sorrisetto.

“Alexa … Sì, Alexa è andata a prendere … Cibo, ecco. Cibo. E io vado con lei.” uscì di corsa, con l'aria di chi si trattiene dallo scoppiare a ridere.

Evitai di guardare l'espressione soddisfatta di Will, che evidentemente attribuiva quella reazione a una cotta di qualche genere. Si appoggiò allo stipite della porta con aria compiaciuta, mentre io prendevo la registrazione dal comodino.

“Tieni.”

L'Alfa mi indirizzò un sorrisetto e se ne andò solo dopo avermi squadrata dall'alto in basso senza ritegno, con evidenti pensieri. Era convinto che prima o poi sarei caduta ai suoi piedi, pensai alzando gli occhi al cielo.

Decisi di raggiungere Abby e Alexa in cucina; in genere cibo significava merenda.

Mentre uscivo, però, vidi Will arrivare di nuovo, questa volta con l'espressione ancora più seria. Mi afferrò la mano e mi tirò ancora nella mia stanza.

“Scarlett, la registrazione è valida solo per tua madre.”

Sentii il mondo intero scricchiolare sotto i miei piedi.

“Come … Come sarebbe a dire?”

“C'è stata un'interferenza e … Non so, devi aver spostato la borsa o qualcosa del genere. Nella registrazione c'è un buco e tutta la conversazione con tua sorella è cancellata.”

Mi sentii sbiancare e questa volta il mondo mi crollò addosso.

Impedendomi di svenire, Will mi mise le mani sulle spalle e mi addossò al muro.

“Sky, ascoltami.” ordinò in tono fermo. Fissò i suoi occhi nei miei, come se con questo potesse impedire che il mio corpo si spezzasse in due. “La legge in questo caso mi impone di fare due cose: uccidere tua sorella e punire te … O farti trasformare tua sorella. Se in seguito alla rivelazione avviene la trasformazione, sei scagionata.”

Sentii l'impulso di gridare e il mio viso diventare sempre più pallido. Will strinse più forte la presa sulle mie spalle e si avvicinò ancora, sostenendomi con il suo corpo, supplicandomi con lo sguardo di non cadere in pezzi.

“Ho una settimana di tempo per dare una risposta al Clan; se la risposta non arriverà, verranno loro stessi a vedere.”

“Mia … Mia sorella ...” gemetti in un singhiozzo strozzato, chinando la testa. Will mi attirò a sé e mi abbracciò, lasciando che seppellissi il viso nel suo petto. Doveva averne viste tantissime di situazioni simili e in quel momento sapeva esattamente cosa fare, mentre mi teneva stretta e soffocava le grida che minacciavano di uscire dalla mia gola.

E non avrei gridato perché dovevo trasformare mia sorella.

Ma perché dovevo strapparla dalla mamma.

Perché dovevo darle nuovo dolore.

E perché Ellie non avrebbe mai e poi mai accettato.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Ellie ***


 Capitolo 20 – Ellie

 

Will mi rimase vicino finché il dolore non si placò un po' e finché non fui in grado di stare in piedi da sola.

Poi, prima di uscire, mi abbracciò stretta, avvolgendomi tra le sue braccia calde e sicure e mi sussurrò che sarebbe andato tutto bene. Disse infinite volte che gli dispiaceva, che non sapeva cosa fare. Non poteva falsificare un rapporto al Clan, o sarebbero stati guai per l'intero branco, ma capii che se la questione non avesse riguardato gli altri, solo noi due, l'avrebbe fatto.

Gliene fui grata.

Appena se ne andò, uscii dalla finestra e raggiunsi Daniel di corsa, scoppiando di nuovo a piangere tra le sue braccia. Stare con lui, però, fu diverso.

Mi portò nella grotta in cui ci eravamo baciati e mi fece sedere su di lui, intrecciando le dita con le mie, e cominciò ad accarezzarmi piano la schiena e la testa.

“Si risolverà tutto.” sussurrò. “Ti ricordi cosa ti ho detto, lupetta?”

Scossi piano la testa.

“Non possiamo prevedere la reazione delle persone e non possiamo prevedere nemmeno quelle del destino. Una settimana è lunga; datti tempo per decidere e per agire.” si chinò su di me e mi baciò prima sulla fronte e poi sulle labbra umide di lacrime. “Anche mia sorella ha esitato, quando Danny le ha chiesto se poteva trasformarla; sapeva che significava lasciare i nostri genitori e me, ma non voleva che Danny fosse in pericolo per averle rivelato il segreto. Così, l'ha salvato.”

Deglutii.

“Sì. È che … Credo che Ellie non vorrà che la trasformi. Ha già la sua vita, il suo lavoro, i suoi amici ...”

“E continuerà ad averli.”

Daniel sorrise.

“Non perderà la sua vita per questo. Potrà riprenderla in mano più avanti, in caso.” mi accarezzò la guancia. “Abbiamo tutto il tempo del mondo.”

 

Il ritorno alla Casa e il racconto ad Abby e Alexa fu immerso in un oblio sfocato, che terminò con un sonno pieno di incubi da cui mi svegliai madida di sudore e con la mano già sul telefono.

Dovevo dirglielo.

No, non potevo.

Mi alzai sperando che la stanza smettesse di girare. Alexa dormiva ancora, così mi infilai subito sotto la doccia; magari, l'acqua calda avrebbe schiarito un po' i miei pensieri.

Ma non successe. Dovevo comunque condannare anche mia sorella all'unico destino che non avrebbe mai voluto. Sapevo che era affascinata dalla mia nuova natura, come lo sarebbe stato qualunque umano, ma ricordavo bene come faceva smorfie quando parlavo di eternità: lei non voleva vivere per sempre.

Me l'aveva detto più volte, in discorsi di cui a malapena avevo memoria, e ora dubitavo che la sua opinione fosse cambiata. Per lei, la vita aveva una durata e una durata soltanto. Poi, sarebbe finita e lei sarebbe andata ovunque si andasse; non avrebbe mai accettato di diventare un licantropo.

Uscii dalla doccia e mi vestii. Il mio riflesso allo specchio era praticamente irriconoscibile: i miei occhi brillavano per la tensione, il mio viso era pallido, i capelli scuri, le braccia muscolose. Ero davvero io quella? O la trasformazione mi aveva cambiata?

No, mi dissi. Ero ancora Scarlett.

Uscii dalla Casa e mi trasformai, diretta a casa mia. Avevo il cuore a mille, ma non potevo farci niente. Non potevo tenere nascosta una cosa del genere proprio a loro: dovevo dirglielo, assicurarmi che mi ascoltassero e provare a convincere mia sorella a diventare come me.

Avevamo una settimana di tempo, non di più.

Aveva una settimana per accettarlo e lasciarmelo fare.

In forma umana e già vestita, bussai alla loro porta ed entrai senza aspettare che qualcuno aprisse; mi ritrovai davanti Ellie, in pigiama.

“Ciao Scarlett.” salutò con uno sbadiglio. “Fai colazione con me?”

Abbozzai un sorriso.

“Più o meno.”

Vedendo la mia espressione, mia sorella si bloccò.
“C'è qualcosa che non va?”

“Ecco ...”

Le spiegai tutto. Le spiegai le nostre regole e le raccontai della registrazione, di come non aveva ripreso il pezzo che testimoniava la sua scoperta e del Clan dei Lupi … E della trasformazione.

A fine racconto, Ellie aveva dovuto sedersi e anche così era bianca come un fantasma.

“No.” disse infine. Era come avevo previsto, ma fu lo stesso come se mi avessero tirato un pugno nello stomaco, perché in fondo speravo che l'avrebbe presa bene e con entusiasmo mi avrebbe detto: d'accordo, facciamolo.

“Ellie ...”

“Preferisco che mi uccidano.”

Altro pugno allo stomaco.

“Non è un disastro diventare licantropo. Riavrai la tua vita appena saprai controllarti un po' e se lo vorrai potrai anche far finta di non esserlo: sembrerai umana a tutti gli effetti.”

“Ma non lo sarò.” replicò Ellie con amarezza. “No, Scarlett. Non voglio. L'eternità è … Una maledizione. Come si può anche solo immaginare di convivere con se stessi per un tempo così infinito? Non posso. Non ce la faccio.”

Sentii di essere sul punto di impazzire.

“Ellie, ti prego. È la tua ultima speranza … Non posso permettere che ti uccidano.”

“E invece dovrai permetterlo, perché io non voglio diventare un licantropo.” dichiarò con fermezza. “Che venga questo Clan dei Lupi, io sarò pronta. È una mia scelta.”

Era una sua scelta. Mi si strinse il cuore, perché sapevo che era vero e sapevo che non era giusto interferire con le sue scelte. Eppure non ce la facevo.

“Non posso stare a guardare mentre ti uccidono. Cosa diremo alla mamma?”

“La verità.”

“Vorrà che io ti trasformi e vorrà salvarti a ogni costo.” obiettai. Ellie strinse le labbra.

“Rispetterà la mia decisione. Non posso farlo. Non posso.”

Scossi la testa, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime.

“Pensaci, Ellie, ti prego.”

Sospirò.

“Lo farò, ma non credo che la mia decisione cambierà.”

Non potei fare altro che annuire e uscire da quella casa prima di scoppiare in lacrime. Mi trasformai in lupa e mi misi a correre; correre era la mia unica via di salvezza, il mio unico modo per scappare quando il mondo prendeva a girare troppo veloce.

E così corsi, corsi, corsi con disperazione, sempre più lontano, attraversando il bosco a una velocità che non avevo mai raggiunto prima, saltando interi fiumi, aggirando laghi, volando nelle valli.

Esistevamo solo io e il vento.

 

Mamma telefonò quella sera, sconvolta, alla ricerca di conferme. Conferme che, purtroppo, fui costretta a darle. Era esterrefatta, furiosa e sentivo la sua voce incrinarsi continuamente.

Promise di convincere mia sorella, ma non ero così sicura che avrebbe funzionato.

Anzi, non ci contavo proprio.

Dopo aver messo giù la cornetta rimasi con lo sguardo perso nel vuoto, seduta sul letto a gambe incrociate.

Sentii lo sguardo di Alexa su di me.

“Cambierà idea, Sky.” cercò di rassicurarmi. Annuii appena, mentre le lacrime ricominciavano a scorrere sul mio viso.

Non era possibile. Mia sorella non poteva essere così maledettamente stupida. Mi resi conto che non era solo tristezza quella che stavo provando, ma anche rabbia contro Ellie, che si dimostrava tanto egoista da far soffrire le persone che le stavano accanto.

Poi, però, capii che era un pensiero idiota, perché lei era l'ultima a volere che noi stessimo male e perché aveva ragione: fare i conti con l'eternità poteva essere difficile per una persona e oltretutto non avrebbe più potuto legare con nessun essere umano. O meglio, avrebbe anche potuto farlo, ma un giorno o l'altro sarebbe finita male.

Mi presi la testa tra le mani. Cosa potevo fare? Cosa? Obbligare mia sorella alla trasformazione forzata, sperando che tra trecentoventidue anni mi avrebbe ringraziata? Lasciare che la uccidessero, strappandola dalla vita, dalla mamma e da me?

La scelta non era mia.

Maledizione, la scelta non era mia. Perché non poteva essere mia? Non potevo permettere che la uccidessero. Non potevo. E non potevo nemmeno tornare a casa e sentire la repulsione di mia sorella per la natura di licantropo e la disperazione di mamma arrivarmi come zaffate.

Forse, se avessi avuto più tempo … Magari avrei potuto abituare gradualmente mia sorella all'idea.

Mi alzai e presi a camminare avanti e indietro per la stanza, in preda al nervosismo e alla tristezza, e non mi resi conto di aver smesso finché non fui in corridoio e la mia meta mi si parò davanti: l'ufficio di Will.

Aprii la porta e lo fissai con occhi spenti.

L'Alfa si alzò subito e, dopo aver chiuso la porta, mi prese per mano e mi fece entrare.

“Com'è andata?” scorsi la preoccupazione nel suo sguardo; mi fece sedere su una poltroncina nera e si mise davanti a me, i gomiti sulle ginocchia.

“Male.”

Gli raccontai delle conversazioni con mamma ed Ellie e lui chiuse gli occhi, seppellendo il viso tra le mani.

“Come temevo.” mormorò. “E' la reazione di molti umani. Ascolta Sky,”, incontrò il mio sguardo, “se può servire, potrei … Andare io a parlare con tua sorella. Magari con un estraneo potrebbe … Ragionarci, ecco.”

Scrollai le spalle.

“Farei qualsiasi tentativo pur di convincerla, Will.”

Will appoggiò la mano sulla mia e la strinse.

“Sono qui per aiutarti.” sentii il calore della sua mano diffondermisi lungo il braccio, ma fu una sensazione diversa da quella che provavo con Daniel: con lui erano brividi caldi, minuscole scariche elettriche, mentre con l'Alfa era una semplice sensazione di sicurezza e tranquillità.

Riuscii a sorridere per la prima volta dall'inizio della giornata.

Will si alzò e mi strinse piano la spalla.

“Andiamo.”

“Adesso?”

“Adesso.”

Mi alzai anch'io e seguii l'Alfa fuori dalla porta. Era sera, perciò pochi licantropi popolavano i corridoi della Casa e anche quelli si preparavano per uscire; la nostra era una vita notturna.

Io e Will uscimmo all'aria della sera, pesante e carica di pioggia.

Appena raggiungemmo il riparo degli alberi, ci voltammo e dandoci le spalle ci spogliammo e ci trasformammo. Normalmente avrei notato quanto fosse imbarazzante il fatto di ritrovarmi nuda, così vicina a un ragazzo, nudo anche lui, ma in quel momento non me ne importava proprio.

Cominciammo subito a correre come frecce scagliate da un arco, attraverso la foresta, e raggiungemmo casa di Ellie e mamma molto in fretta.

Tornammo umani e ci vestimmo di nuovo, prima di bussare alla loro porta.

Will aveva un aspetto stranamente ordinato, nonostante la corsa e la trasformazione. Era perfettamente spettinato, come chi era appena sceso dal letto, anche se su di lui la cosa aveva un effetto davvero splendido.

Fu mia madre ad aprire. Rimase sorpresa alla vista di Will, ma non disse niente e si scostò per lasciarci passare, lanciandomi solo un'occhiata supplicante che mi fece capire che le cose non erano cambiate.

Entrammo in salotto, dove mamma ci lasciò soli, molto probabilmente diretta alla cucina con lo scopo di bersi quella che doveva essere l'ennesima tazza di tè. Mia sorella era seduta sul divano, con le ginocchia strette al petto.

I suoi occhi, già grandi sul viso pallido, si spalancarono quando vide Will.

“Sei qui per convincermi a diventare un … Lupo?”

Dovetti mordermi il labbro per impedire alle lacrime di scendere: non riusciva neanche a pronunciarlo. Non riusciva neanche a dire la parola licantropo. Come potevo anche solo sperare che un giorno si sarebbe lasciata trasformare?

“Will, andiamocene. È tutto inutile.” mormorai ad occhi bassi, mettendo una mano sul suo braccio.

Ma lui non si mosse.

“Lasciaci soli.” sussurrò in modo che solo io sentissi. “Andrà bene.”

Sospirai e lasciai il suo braccio. Lanciai un'occhiata veloce a mia sorella, poi mi diressi in cucina e raggiunsi la mamma.

Sentii la porta del salotto chiudersi con uno scatto leggero e poi la voce di Ellie.

“Allora, sei qui per convincermi?”

“No.”

Mamma e io ci scambiammo un'occhiata: sapeva che riuscivo lo stesso a sentire, grazie all'udito da lupa. Mi sedetti in silenzio e rimasi in ascolto, gli occhi di mamma puntati addosso a captare ogni mia emozione.

“Allora perché sei qui?”

“Per sapere le tue motivazioni. Preferisci che ti uccidano, piuttosto che diventare come me e tua sorella. Perché?”

“Sei venuto fin qui solo per chiedermi questo?” il tono di Ellie era scettico, ma Will sembrava molto tranquillo.

“Sì. Sono venuto fin qui solo per chiederti questo. E sappi che sono molto interessato alla risposta.”

Seguì un attimo di silenzio.

“Non voglio diventare immortale. Non potrei più frequentare una scuola o andare al lavoro … Dovrei lasciarlo dopo qualche anno, o si accorgerebbero che non posso crescere. Non potrei più legare con nessun essere umano … Dovrei guardarli tutti mentre invecchiano, cambiano e poi … Se ne vanno per sempre.” la voce ora le tremava. “Non posso.”

Sentii un fruscio leggero; Will si era seduto sul divano. Sentii un altro rumore e capii che era il braccio dell'Alfa, che aveva abbracciato mia sorella e la stava tenendo stretta.

Chissà quante volte aveva già dovuto fare qualcosa di simile.

“E' sempre così.” disse piano. “Cerchiamo di crescere quelli come noi alla Casa, di solito, consapevoli di quello che diventeranno, per evitare ai loro amici e parenti il supplizio della scelta e del segreto …”

“Perché non ci siete riusciti con Scarlett?”

“Non sempre è così evidente.” rispose Will. Non potei che essere d'accordo. “Generalmente rubiamo copie dei registri di nascita negli ospedali che ci competono e andiamo a controllare le nuove nascite. I … Quelli come noi spesso si distinguono facilmente.”

Evitava di dire la parola licantropo. Provai un moto di gratitudine verso Will, perché sapevo che quella sola parola metteva molto a disagio mia sorella.

Ellie non disse nulla, così l'Alfa proseguì.

“Abbiamo i canini un po' più appuntiti e alcuni di noi già dopo la nascita hanno qualche caratteristica: ringhiano leggermente quando si sentono minacciati e hanno una forza insolita per dei neonati umani. Non sono cose certe, perciò quando un bambino ne è sospettato lo teniamo d'occhio e ogni tre anni andiamo a dargli un'occhiata.” Pausa. “Tua sorella non ha dimostrato niente di tutto ciò, quindi non ce ne siamo accorti.”

Silenzio. Credevo quasi che non avrebbero più parlato, quando Ellie disse:”In effetti, c'era qualcosa.”

“Cosa?”

“Ogni tanto, quando si arrabbiava, era come se gli occhi le luccicassero un po'. E i denti da latte le erano caduti molto in fretta, e quelli da adulta le erano cresciuti talmente veloci che persino il dentista ne era stato sorpreso. Una volta mamma le aveva tagliato i capelli … Il giorno dopo erano cresciuti di almeno un centimetro. Prendeva qualche influenza, ma non stava mai troppo male ...”

Era come se mia sorella si stesse rendendo conto solo in quel momento di tutti quei dettagli, e anche per me era così; per la prima volta in vita mia, mi accorgevo di non essere mai stata normale.

“E sarebbe davvero terribile essere questo?” chiese Will. “Essere più forte, essere quasi invincibile, sarebbe poi tanto tremendo per te?”

Non c'era rabbia nella sua voce, solo una pacatezza che mi sorprese.

“No. Ma non voglio essere immortale.”

Sentii un altro fruscio, ma non riuscii a capire a cosa fosse dovuto.

“Perché?”

“Te l'ho detto. Non posso sopportare di stare accanto a un essere umano sapendo che devo impedirgli ad ogni costo di legarsi a me e sapendo che lui invecchierà e se ne andrà e io no.”

Silenzio.

“Okay. Qual è l'altro motivo?”

Sentii un sussulto.

“Cosa ti fa credere che ce ne sia un altro?”

“Te lo leggo negli occhi.”

Ellie trattenne il respiro.

“Non c'è un altro motivo.”

“Sì che c'è. Dimmelo.”

Altra pausa.

“Non voglio convivere per sempre con il dolore di aver perso qualcuno. Non voglio provarlo un'altra volta. E se anche lo provassi, vorrei almeno sapere che prima o poi avrà per forza fine, perché prima o poi non ci sarò più.”

Capii di colpo quanto avessi fatto soffrire mia sorella, sparendo così. Nonostante non avessi avuto scelta, sentii il senso di colpa invadere ogni mia cellula, facendomi impallidire. Mamma se ne accorse e mi strinse la mano.

Mia sorella ricordava anche papà e per lei doveva essere stato orribile non vederlo mai più. E ora, anche mamma stava invecchiando e mamma era l'ultima cosa che le rimaneva: capii che era lei che non poteva sopportare di perdere. Era lei la più vulnerabile, lei quella che la aiutava ad andare avanti, alla base di tutto il fragile castello che era la vita di Ellie.

Crollava la mamma, crollava la base, crollava il castello. Facile.

Mia sorella non era mai riuscita a trovare una persona con cui stesse bene e nessun ragazzo o amica era mai riuscita a conoscerla davvero.

Era sola, se non fosse stato per mamma e per me.

Il mio cuore era stretto in una morsa di dolore e senso di colpa. Senza volere, le avevo fatto capire quello che significava perdere una di quelle uniche due persone … E ora, non voleva provarlo di nuovo.

Non aveva nessuno a sostenerla, se fosse crollata, e non poteva affrontare una cosa simile nell'eternità.

“In tutto il tempo che trascorriamo qui,” disse piano Will, “non dimentichiamo il dolore, né quello che l'ha causato.” mi colpì molto il suo tono: era una voce tenera, dolce e sommessa. Mi sentii strana in quel momento, perché per certi versi fu come se mi fossi intromessa in una scena particolarmente intima. “Ma lo accettiamo. Perdoniamo. Andiamo avanti e impariamo, che è meglio di dimenticare o di continuare semplicemente a vivere ignorando il dolore. In una vita umana potresti non riuscirci mai … Potresti non capirlo mai. E poi, ora non ci pensi davvero, ma tra un po' ti ritroverai a farci i conti, lo sai? Come finirà, cosa ci sarà dopo la fine e se sarà doloroso. Ora non te ne capaciti, ma tra un po' di anni sarà una delle cose più spaventose nella tua mente.”

I battiti del cuore di mia sorella acceleravano.

Will sospirò.

“Sei libera di fare la tua scelta. Cerca soltanto di essere consapevole, di capire davvero cosa questo comporti per te stessa. Ricorda che l'alternativa è la fine. Non la fine di un'epoca, non la fine di un percorso, non la fine di un anno della tua vita, ma la fine di tutto.” si alzò. “Ricordatelo e cerca di capirlo.”

Sentii Will uscire e lanciai un'occhiata alla mamma, che mi scrutava preoccupata. Sorrise e annuì, come a dirmi che le avrei raccontato tutto più avanti.

Con un sospiro, mi alzai e raggiunsi l'Alfa.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Sorelle ***


 Capitolo 21 - Sorelle

 

Nei due giorni successivi, nonostante mi tormentassi costantemente e passassi tutte le giornate nella foresta, non tornai da Ellie. Mia sorella doveva avere il tempo di decidere, era giusto così.

Doveva rifletterci da sola; io le avrei soltanto fatto pressioni, anche solo con la mia presenza, ed era meglio che non ne fosse influenzata.

Era giusto, ma per niente facile.

Ero più iperattiva di una lepre chiusa in un cassetto e non facevo altro che correre da una parte all'altra della foresta, ora in forma di lupo ora in forma umana, sperando che quella tensione costante mi abbandonasse, prima o poi.

Ma non succedeva.

Correvo, saltavo, mi arrampicavo sugli alberi, a volte cadevo o mi graffiavo, ma ricominciavo, sempre, sempre, sempre, fino a sfinirmi, eppure non bastava mai, nemmeno quando erano le braccia di Daniel a bloccarmi e a stringermi contro di lui.

Mi teneva viva e lucida con la sua sola presenza. Continuava a starmi accanto, persino di giorno, e io provavo a distrarmi ammirando la sua pelle bianca come la carta alla luce del sole; era opaca, per niente lucida. Sembrava proprio un foglio da disegno bianco.

A volte mi baciava, altre volte mi diceva quello che avevo bisogno di sentire, o mi confortava semplicemente abbracciandomi e accarezzandomi piano la schiena. Tutto quello che dovevo fare era aspettare, e il modo più semplice di far andare il tempo veloce era distrarmi, perciò Daniel mi fece esplorare nuovi posti della foresta, mi portò a fare i bagno nei fiumi e nei laghi e fece a gara con me nell'arrampicata e nella corsa.

Diventammo ancora più uniti di quanto avessi immaginato e ciò che ci legò definitivamente fu qualcosa che andava molto al di là dei baci: in qualche modo, Daniel era diventato un misto tra un fidanzato e un migliore amico.

Tra noi non c'era la profonda conoscenza degli amici, ma l'intesa era tale che con lui mi sentivo sempre a mio agio. Niente era cambiato. Ogni sua carezza continuava a farmi venire brividi ovunque.

Quando, dopo quei due giorni, decisi di tornare a casa di mamma ed Ellie, mi baciò sulla fronte prima che entrassi in casa loro. Non mi seguì. Stavamo bene insieme, ma non avevamo ancora definito quello che c'era tra noi; non eravamo fidanzati né amici. A volte, lui e il mio mondo erano così separati che il tempo passato con lui mi sembrava un semplice sogno.

Ovviamente, questo implicava che nessuno dei due fosse particolarmente coinvolto nella vita dell'altro.

E così, entrai da sola in casa di mamma ed Ellie.

“C'è nessuno?”

Mamma comparve in cima alle scale.

“Tesoro! Come stai?”

Scese e mi abbracciò, la vestaglia stretta al petto. A volte dimenticavo quanto fossero strani i nostri orari per loro.

“Bene.” risposi con un sorriso forzato. “E tu?”

Scrollò le spalle.

“Vado avanti.”

“E … E Ellie?”

Mamma si morse il labbro e distolse lo sguardo.

“Le parole di quel ragazzo l'hanno turbata molto. Ha dormito quasi ininterrottamente negli ultimi due giorni, mangiando poco o niente. Temo però che la sua decisione ...”

Non finì la frase, ma avevo capito lo stesso. Sospirai, delusa, cercando di non lasciar intravedere che avevo gli occhi lucidi di lacrime.

Mamma mi strinse.

“Oh, tesoro. Mancano quattro giorni. Come faremo a convincerla?”

“Non lo so.” ammisi a testa bassa.

“Non posso veder uccidere mia figlia.” la sua voce era tremula.

“E io non posso lasciar uccidere mia sorella.”

Mamma deglutì e sospirò. Mi fece una carezza sulla guancia.

“Vuoi che vada a svegliarla? Vuoi parlare con lei?”

Scossi la testa.

“Tornerò … Presto.”

Baciai mamma sulla guancia e uscii.

 

Alla Casa era tutto come sempre. Trovavo davvero curioso notare come, nonostante il tuo mondo cadesse in pezzi, quello degli altri andasse avanti come nulla fosse, perfettamente integro.

La gente nei corridoi era sempre la stessa, nessuno mi guardava in modo strano, nessuno aveva notato niente e, tranne per le occhiate interrogative di Will, potevo quasi fare finta che non stesse succedendo niente.

Non volevo farlo, ma a volte ne avevo bisogno e l'allegria dei licantropi nella Casa aiutava: eravamo un grande branco. Avevo notato che gran parte di noi era molto empatica con gli altri e che, in compagnia, l'umore di tutti si risollevava notevolmente. Una corda invisibile legava i nostri cuori.

L'unica strana era Alexa.

Da quando le avevo raccontato quello che mi succedeva, non era più stata la stessa; la sua allegria era stata repentinamente rimpiazzata da un'aria distratta, pensierosa e un po' malinconica. Nemmeno Abby se lo spiegava.

Andava in giro a testa bassa, borbottando senza sosta e le poche parole che riuscivamo a cogliere non avevano nessun senso.

Sembrava parlasse proprio di me e mia sorella, ma il motivo mi sfuggiva. Avevo provato a chiederglielo, e tutto ciò che avevo ottenuto era stata un'occhiata distratta e distante e un “Sì, certo”, rimpiazzato subito dopo dal borbottio persistente.

La sera, si sedeva a gambe incrociate sul letto e si metteva a fissare con occhi vacui il muro davanti a sé, borbottando cose riguardo al destino. Avevo chiesto persino a Will, pensando che magari si fosse beccata qualche malattia dei licantropi o che avesse bevuto qualche veleno, ma lui mi aveva assicurato che era sempre stata un po' strana.

L'Alfa, dal canto suo, sembrava molto assorbito nella questione di mia sorella e mi chiedeva regolarmente notizie sulla sua decisione. Mi toccava deluderlo almeno tre volte al giorno.

“Hai mai perso una persona che amavi?” chiesi quella sera a Daniel, raggomitolata contro di lui tra le rocce sulla riva del lago.

“Sì.” rispose lui, gli occhi che si posavano su di me. “Mia nonna. Eravamo molto legati, la adoravo. Una malattia, la stessa di mia madre, l'ha portata via da me.”

Mi intristii e Daniel se ne accorse. Mi fece alzare il viso con delicatezza e incontrai i suoi occhi, che brillavano nella notte.

“Se tua sorella … Dovesse scegliere la fine, piuttosto che la trasformazione, compra un calendario.”

Attesi il seguito, perplessa.

“Una volta ho letto che bisogna lasciar passare un anno, un anno soltanto prima che un cuore spezzato ricominci a sperare. Da quel giorno in poi, conta quanti ne passano e abbi fiducia: trascorsi quelli, il dolore se ne sarà andato, almeno un po'.”

Non ci credevo, ma la fiducia e la dolcezza che vidi nei suoi occhi e che sentii nella sua voce mi impedirono di ribattere. Forse era proprio la fiducia che faceva la differenza: la fiducia che il dolore, prima o poi, se ne sarebbe andato. Credendoci, magari alla fine succedeva.

Daniel si chinò su di me e posò le labbra sulle mie; fu un bacio dolce e tenero, esattamente quello di cui avevo bisogno. Passò le mani tra i miei capelli e mi accarezzò delicatamente le guance, stringendomi piano contro di sé.

“Abbi fiducia anche in lei, non solo nel tempo.” mormorò contro le mie labbra.

Sospirai, ma non ribattei.

Ormai mancavano tre giorni e, da quanto sentivo al telefono con mamma, Ellie era caduta in una sorta di letargo e non faceva altro che dormire. Mia madre sarebbe stata disposta a farsi trasformare più di mia sorella, che era completamente disgustata dalla natura di licantropo; si sforzava di non farmelo notare, ma sentivo la sua repulsione arrivarmi a zaffate.

Quando si trattava di me era riuscita ad accettarlo, perché in ogni caso era sempre meglio di una malattia o della mia definitiva scomparsa, ma su di lei … Sentivo tristezza e disgusto come un sapore acre incastrato in gola. Non poteva superarlo, nonostante questo ci facesse soffrire tutti. Era per questo che non riuscivo ad odiarla: avvertivo quello che provava, lo capivo e sapevo che era troppo per lei.

Potevo solo accettarlo.

La mano di Daniel nella mia mi distrasse dai miei pensieri. Mi voltai verso di lui e lo trovai col capo chino, concentrato sulle mie dita. Ne tracciava il contorno con delicatezza, con le sue dita pallide.

“Un giorno, quando … Avrai risolto le cose con tua sorella, dovremmo scappare insieme.”

“Scappare?” ripetei, sorpresa.

“Sì.” sorrise, un lampo di malizia nei suoi occhi. “Una fuga di uno o due giorni fino all'oceano. Non dobbiamo rendere conto a nessuno; io non vivo più dai miei e nemmeno tu. Basterà dire che starai fuori per un po'.”

Aveva ragione: alla Casa nessuno si sarebbe accorto della mia assenza, tranne Alexa ed Abby.

Mi ritrovai ad immaginare me e Daniel insieme, in un luogo lontano dalle comunità di licantropi e vampiri. Forse avremmo persino potuto … Tornare umani. Non in senso letterale, ovviamente, ma comportarci come tali. Mi ritrovai ad immaginarci in un normale negozio, in un ristorante o al cinema.

“E' un'idea splendida.” risposi con il sogno di quei giorni già stampato negli occhi.

Quando tornai alla Casa Alexa era ancora seduta sul letto, come l'avevo lasciata, e parlava sottovoce, muovendo appena le labbra. Normalmente mi sarei spaventata, ma ormai erano già tre giorni che rientravo e la trovavo così e non provai nemmeno ad ottenere la sua attenzione, tanto sapevo che era inutile.

Andai sotto la doccia e mi lavai in fretta. Appena fui certa che l'odore di vampiro non c'era più, uscii e mi cambiai.

Alexa era ancora seduta sul letto, in preda al suo delirio. Mi chiesi quanto sarebbe andata avanti; avevo imparato a volere bene alla mia compagna di stanza e la sua allegria era contagiosa.

Mi mancava.

Afferrai il telefono, come facevo ogni mattina, e composi il numero del cellulare di mamma.

Rispose al primo squillo, visto che evidentemente aspettava la chiamata: sempre alla stessa ora, ogni giorno, ero io a contattarla.

“Ciao, tesoro.” disse infatti.

“Ciao mamma.” trattenendo il respiro, attesi che proseguisse.

“Ellie ha avuto un'idea.”

Era l'ultima cosa che mi aspettavo.

Esterrefatta, drizzai la schiena e spalancai gli occhi, anche se sapevo che mamma non poteva vedermi. Questa sì che era una sorpresa.

“Che idea?”

“Vorrebbe … Ecco … Io non credo che servirà. Comunque sia, vorrebbe scappare. Dice che se prendesse un treno o un aereo ...”

Quasi scoppiai a ridere per l'assurdità di quell'idea.

“Mamma! È … Assurdo! I licantropi potrebbero seguire l'odore di Ellie fino in capo al mondo e poi cosa credi? Credi che non conoscano i computer? Che non sappiano rintracciare un cellulare o un documento? È impossibile! Riusciamo persino a sentire le emozioni degli umani, figuriamoci!”

Mamma rimase in silenzio per un istante, poi sospirò.

“Lo sapevo. Ma cosa vuoi farci? Tutto è meglio di diventare … Come te.”

“Pensi che sarebbe così contraria anche a una trasformazione in vampiro?” chiesi, colta da un'improvvisa ispirazione. “I vampiri possono conoscere il segreto dei licantropi senza problemi.”

Mamma si zittì di nuovo.

“Aspetta un attimo.”

La sentii allontanarsi di qualche passo e poi esprimere la sua proposta a mia sorella. Udii un urlo stridulo provenire dalla bocca di Ellie e poi:”Stai scherzando, vero!? Dovrei bere sangue!?”

Mamma tornò al telefono.

“Immagino tu abbia sentito.”

“Sì.” risposi con un sospiro. “Tutti, prima della trasformazione, hanno paura di perdere se stessi e di diventare dei mostri … Lei, ha paura di vivere per sempre. Sembra impossibile.”

“Lo so.” si limitò a dire mamma.

“Se … Se cambia qualcosa ...”
“Ti avverto, lo so.”

“Grazie.”

Riattaccai con un senso di vuoto alla bocca dello stomaco. Lanciai un'occhiata ad Alexa, ma vidi che probabilmente non aveva nemmeno sentito la telefonata e continuava a borbottare.

Uscii dalla camera, chiedendomi se fosse per colpa mia che si comportava così. Sembrava un disco rotto.

“Come sta Alexa?” chiese una voce davanti a me. Alzai lo sguardo e mi accorsi di essere arrivata in cucina e di avere Abby davanti, che mi fissava in attesa di una risposta.

Per un attimo, incontrai il suo sguardo e la guardai con occhi vacui per lunghi istanti. Alla fine, mi riscossi di colpo e cercai una risposta da dare.

“Come sempre.”

In codice, significava che Alexa continuava a borbottare senza prestare attenzione a nessuno, senza mangiare e alzandosi dal letto molto raramente. Non capivo cosa avesse provocato quella sorta di blocco. Non era certo il più grande dei miei problemi, ma era decisamente un problema.

Abby disse qualcosa che non ascoltai e cominciò a preparare il caffè.

“Credi che si riprenderà?”

“Non lo so.” risposi sinceramente. “Non la conosco da molto … Si è mai comportata così?”

Prese marmellata, miele, Nutella, pane e biscotti e mise tutto sul tavolo, con due tazza di caffè. Ci pensò su un attimo.

“In realtà, sì.”

“Quando?”

“Anni fa, ma non ho mai capito perché o cosa avesse scatenato la crisi e nemmeno cosa l'abbia riportata alla realtà, alla fine.”

“Quanto ci ha messo?”

Abby scrollò le spalle.

“Una o due settimane, mi pare. Ricordo solo che quando si è, diciamo, svegliata, ha mangiato due tacchini ripieni e cinque torte alla panna.”

“Wow.” commentai sorseggiando il mio caffè. Guardai con diffidenza i panini davanti a me e il mio stomaco brontolò. Incredibile come, nonostante tutto, il mio stomaco riuscisse ancora a reclamare cibo e io riuscissi a non vomitarlo.

Mi arresi e ne afferrai uno.

“Quanti anni ha Alexa?”

Abby scrollò le spalle.

“Non lo so. Era già qui quando mi sono trasformata e sono arrivata alla casa. Deve avere più di centotrentasette anni. Secondo me ne ha almeno trecento.”

La fissai ad occhi sgranati. La prima volta che io e Alexa ci eravamo incontrate mi aveva detto di essersi trasformata un anno prima, ma evidentemente aveva mentito. Del resto, l'avevo sempre sentito dentro di me: sembrava tanto giovane e nonostante questo qualcosa in lei mi faceva pensare a un'anima più antica di quanto immaginassi. Non ero troppo sorpresa, anche se trecento anni … Cavoli, erano una marea!

Chissà com'era vivere per tutti quegli anni.

Feci colazione con Abby, ma la salutai subito dopo, diretta in camera mia con l'obbiettivo di trovare qualcosa che potesse dare un senso alla mia giornata. Forse, sarei andata a fare arrampicata. Mi serviva qualcosa che, a livello fisico, mi distraesse finalmente dal pensiero di mia sorella.

E dai due giorni che ormai mancavano.

Due giorni. Due giorni. Due giorni.

Mi venne da piangere e il desiderio di farlo si intensificò quando trovai Alexa sempre nello stesso posto, a dire sempre le stesse cose. Per un istante, fui tentata di picchiarla, ma per fortuna qualcuno bussò alla porta e mi distrasse dalle mie idee omicide.

Era Abby.

Entrò e lanciò un'occhiata ad Alexa.

“Sai, pensavo … Forse tua sorella potrebbe scappare davvero.”

Aggrottai le sopracciglia. Era venuta fin lì solo per dirmi questo?

Ma Abby sembrava molto convinta.

“Sì. Due giorni sono tanti, se ci pensi. Potrebbe falsificare i documenti e coprire l'odore strofinandosi in qualcosa e ...”

Scossi la testa.

“Sentiamo le emozioni degli umani, Abby! È come essere … Un coniglietto in mezzo a un'immensa foresta strapiena di cacciatori!”

Il paragone fece sorridere Abby per un istante.

“Be', ci sono altri coniglietti a confondere i cacciatori ...”

“I cacciatori sono troppo esperti.” replicai. Mi sentivo sull'orlo di una crisi di nervi. Mi ritrovai a fissare Abby come se potesse portare la luna giù dal cielo.

“Cosa posso fare? Non si lascerà mai trasformare. Non ce la faremo.”

“Non puoi fare niente. Se vuoi, puoi provare ad ammazzare gli inviati del Clan dei Lupi, durante l'esecuzione, ma più di questo ...”

Ci avevo pensato, ma accidenti!, ero un licantropo da meno di due mesi e non avevo nessun addestramento, non ero allenata ed ero più debole di molti della mia specie. Non avevo speranze contro dei membri del Clan dei Lupi, non se erano forti almeno la metà di Will e quello lo erano sicuramente.

“Sai che non ...”

Uno strillo acuto proruppe dal letto di Alexa, facendoci sobbalzare entrambe.

La mia compagna di stanza scattò in piedi ad occhi sgranati.

“Ho capito!”

Io e Abby ci scambiammo un'occhiata perplessa.

“Cosa …?”

Alexa scoppiò a ridere, improvvisamente euforica.

“Devi portarmi da tua sorella!”

 

Un'ora più tardi, Alexa mi stava praticamente trascinando a forza verso la casa di mamma ed Ellie mentre io, sempre più stupita, cercavo di capire perché diamine volesse andare lì a tutti i costi.

Dopo giorni e giorni di letargo e borbottamenti insensati, se ne usciva con questa pretesa.

C'era da preoccuparsi.

“Muoviti, Sky! Dobbiamo andare a trasformare Ellie!”

“Come … Come sarebbe a dire!?” la mia voce era strozzata; la mano di Alexa era serrata sul mio polso e lei mi stava letteralmente trascinando nella foresta, facendomi persino inciampare sulle radici che sporgevano dal terreno.

Fossi stata umana, a quel punto avrei avuto la caviglia slogata.

“Sarebbe a dire che dobbiamo andare a trasformare tua sorella! Spero non ti dispiaccia usare il tuo sangue.”

“Che!?”

“Devo ripeterlo ancora!?”

Ero esterrefatta. Non riuscivo a riprendermi dalla sorpresa e continuavo a permetterle di trascinarmi. Era un sogno? Forse ero finita in una specie di dimensione parallela …

“Sky, vuoi camminare sulle tue gambe!?” ruggì Alexa strattonandomi il braccio. Con un sospiro, mi arresi e cominciai a correre dietro di lei.

Era meglio che non sapessi quello che aveva in mente. Decisamente, o sarei tornata alla Casa a gambe levate; non mi piaceva la luce inquietante nei suoi occhi.

Dopo svariate proteste e domande senza risposta, arrivammo finalmente davanti a casa di mamma ed Ellie e Alexa entrò senza bussare, con disinvoltura e sotto il mio sguardo incredulo.

“Ehilà!” cantilenò, allegra come un fringuello. La fissavo senza capacitarmene. O era il massimo dell'arroganza … O sapeva quello che stava facendo.

Mia sorella uscì dal salotto e i suoi occhi indugiarono un istante su di me per poi fermarsi su di lei.

Prima che Ellie potesse dire una parola, Alexa attraversò l'ingresso e le afferrò la mano, scuotendola con forza.

“Piacere, finalmente ti conosco! Tu sei la sorella di Sky, giusto?”

“S-Sky?” balbettò mia sorella confusa, guardandomi. Scrollai le spalle.

“Sì, Sky. È la mia compagna di stanza. Io sono Alexa! Diventeremo grandissime amiche.”

Ellie sgranò gli occhi. Quell'affermazione sorprese entrambe: sembrava talmente sicura, talmente certa … Sembrava che per lei fosse assolutamente normale che sarebbe andata a finire così. Logico.

“Oh, e piantala di guardarmi così.” rise Alexa. “Tra una cinquantina d'anni ti aiuterò a scegliere l'abito per il matrimonio, quindi finiscila. Mi ringrazierai anche!”

Fissai la mia compagna di stanza come se la vedessi per la prima volta in vita mia: ma chi diavolo era questa qui? Aveva più di trecento anni e non ne dimostrava nemmeno i venticinque che erano d'obbligo, e ora mi accorgevo che sembrava … No, non era possibile. Stava farneticando.

Alexa parve non accorgersi della nostra perplessità e continuò imperterrita.

“Ovviamente,” proseguì come fosse del tutto normale, “il tuo futuro marito, io e tua sorella dipendiamo tutte dalla tua scelta: decidi per il meglio e cambierai il nostro destino.” era come ritrovarsi davanti a una specie di veggente. “So che ora pensi che io sia pazza e che stia dicendo scemenze, ma devi assolutamente fidarti di me. Ci ho riflettuto a lungo e questa è la cosa più giusta. È un'alterazione del destino più che lecita, dopotutto io non sto infrangendo le regole. Sempre ammesso che ce ne siano.”

Mia sorella, che aveva fissato Alexa ad occhi sgranati per tutto quel tempo, finalmente riuscì a dire qualcosa.

“Qual è la scelta giusta?”

“E ancora te lo chiedi!?”

Era un sogno? Ero impazzita. Ma sì, effetto del dolore. Ero impazzita …

“Cecilia, devi piantarla con questi dubbi! Io so che ...”

“Aspetta, aspetta! Cecilia? Chi cavolo è Cecilia?”

“Oh, scusa, scusa.” Alexa scosse la testa con rassegnazione. “Sapevo che sarebbe successo. Sei identica alla tua bisnonna.” sospirò. “Chissà come sta quella! Eravamo in contatto via lettera, ma poi abbiamo interrotto la corrispondenza: credo che ora sia più o meno in Alaska. Non ho mai capito questa sua mania per ...”

“Bisnonna!?” gemetti io. Oddio, aveva davvero trecento anni! “Tu hai conosciuto la nostra bisnonna!?”

Alexa parve stupita. Sembrava che per lei quella domanda fosse proprio inutile per la sua ovvietà.

“Ma certo!” esclamò. “Cecilia diventò un licantropo a meno di quindici anni. Fui io ad aiutarla e fummo grandi amiche per moltissimi anni. È lei che ti ha passato il gene della licantropia. Poi, è dovuta sparire e ha dovuto ovviamente inscenare la sua fine all'età giusta … Non ha mai trovato il coraggio di dirlo al vostro bisnonno.” scosse di nuovo la testa. “Ah, Franz non avrebbe mai capito ...”

Il mio cuore accelerò.

“La nostra bisnonna!?” ripetei. “Tu eri sua amica!?”

“Sì, sì.” confermò con noncuranza. “Ma non siamo qui per questo. È il destino di tutti noi che dobbiamo cambiare adesso.” fissò Ellie con una grande fiducia negli occhi. “Quando sei pronta, sarà tua sorella a farlo.”

“Pronta!?” trasalì Ellie. “Io non voglio trasformarmi!”

Alexa sgranò gli occhi.

“Uccideresti tua sorella!?”

“Come sarebbe!?!”

Mi sentii sbiancare, come se non fossi abbastanza pallida.

La mia compagna di stanza ci fissava come se ci fossimo trasformate entrambe in babbuini.

“Non ditemi che non l'avete capito!”

“Capito cosa!?” ululò mia sorella, esasperata.

“Il Clan dei Lupi la ucciderà subito dopo di te.” disse Alexa in tutta risposta. “Non potrà evitare di avere l'odore di vampiro addosso e loro la uccideranno. Poi sarà la volta di Daniel.”

Sentii il mio stomaco rivoltarsi.

“In che senso? E tu come lo sai?”

Scollò le spalle.

“Nel senso che ti ho detto. Lo so e basta. Se tua sorella sceglie di non trasformarsi, è destino. Uccideranno anche vostra madre, anche se non capisco il motivo.”

Lanciai un'occhiata a mia sorella, che si era appoggiata alla parete.

“E allora questo cos'è, se non è destino?”

“E' una scelta.” rispose Alexa. “Coraggio Cec … Ehm, Ellie. Andrà benissimo.”

Mia sorella la fissava ad occhi sgranati.

“Sei pazza!”

Non parve prenderla troppo sul personale.

“Non pazza, diciamo piuttosto esperta. Tra circa centodue anni mi ringrazierai pure per questa scelta.”

Tese la mano ad Ellie.

“Mi serve solo una mano. Una mano soltanto e il destino di tutti andrà come deve.”

Mi veniva da vomitare e, a giudicare dal colore verdastro del viso di mia sorella, anche per lei era lo stesso. Proprio mentre apriva la bocca per rispondere, la porta si aprì di scatto e Will comparve sulla soglia.

Dovetti reprimere uno strillo di spavento.

“Che cavolo ci fai qui anche tu!?” strepitai, al limite della sopportazione. “Sei venuto qui per blaterare di destino come lei!?” chiesi, indicando Alexa.

Will ci fissò per un istante, poi rispose:”In effetti sì. Ecco, il vostro destino, qualunque esso sia, potrebbe essere repentinamente modificato: il Clan dei Lupi arriverà domani. Erano da queste parti per alcune questioni e hanno deciso di venire qui di persona.”

Will mi lanciò un'occhiata preoccupata, vedendo il mio pallore aumentare. Dovetti appoggiarmi anch'io alla parete.

“Dai, Sky, Ellie, qui senza fare storie!” disse Alexa uscendo dalla cucina con un coltello in mano. “Vi farò io da testimone, voi dovete solo … Be', incidere. Sapete già come funziona, no?”

Volevo ucciderla. Ma che diamine stava succedendo!?

Mia sorella gridò.

“State zitti! Tutti!” urlò. Chiudemmo tutti la bocca.

Spostò il suo sguardo su Alexa.

“Cosa ti fa credere che io abbia cambiato idea e che improvvisamente voglia ...”

La mia compagna di stanza sorrise.

“Non hai cambiato idea. Lo farai, però. Te l'ho detto, tra centodue anni mi ringrazierai. Saremo migliori amiche, vedrai!”

Sembrava davvero elettrizzata all'idea. Quella era pazza! O almeno questo era quello che pensavo io; mia sorella, invece, sembrò pensarci, per la prima volta da quando le avevo fatto la proposta.

Si bloccò, gli occhi grandi, le labbra socchiuse e la fronte aggrottata, prenda di qualche pensiero.

“Chi sei?” sussurrò.

“Alexa.” rispose l'altra.

Ellie la fissava come a studiarne i lineamenti. Lanciai un'occhiata perplessa a Will.

“Io … Ti ho già vista. Tu eri in una delle lettere.”

Alexa parve interessata.

“Davvero?”

“Sì! Avevi spedito una lettera alla mia bisnonna con un ritratto di voi due insieme!”

Mi ritrovai a studiare anch'io i tratti di Alexa.

“Oh, cavoli, è vero!” esclamai, ricordando il ritratto che io ed Ellie avevamo trovato in soffitta anni prima. “Sei tu! Tutte quelle lettere ...”

Lei scoppiò a ridere.

“Tutto vero, mi avete beccata!”

“E quella ...”

Io ed Ellie ci scambiammo un'occhiata.

“Ce n'era una in cui parlava delle sue trasformazioni! E noi che pensavamo fosse uno scherzo ...”

“Ah! Nonna licantropo. Nessuno l'ha mai saputo, nemmeno sua figlia.”

Nostra madre in effetti ne era proprio all'oscuro. Avremmo dovuto dirglielo, una volta concluso questo pasticcio.

Ellie continuava a fissare Alexa come se fosse un miraggio.

Era come se la stesse … Riconoscendo. I suoi occhi erano vacui, in preda alla sorpresa, e percorrevano tutti i suoi tratti infinite volte, come in cerca di una conferma.

Sapevo che mia sorella aveva sempre desiderato conoscere la nostra bisnonna: conosceva a memoria le sue lettere e le leggeva sempre quando era giù di morale. Le aveva tutte in uno scrigno in camera sua. Ce n'erano molte anche di Alexa e ricordavo benissimo come Ellie rideva leggendo le sue parole; diceva che le sarebbe tanto piaciuto scriverle. Era l'amica perfetta e sospettavo che, anche se non l'aveva mai incontrata, ogni sua amica da quel momento in poi fosse stata comparata con la Alexa delle lettere e nessuna avesse mai avuto tanto in comune con lei, tanta simpatia e tanta comprensione e nessuna l'avesse mai fatta ridere tanto con una semplice lettera.

E ora ce l'aveva davanti agli occhi.

Will e io assistevamo impotenti a due anime gemelle, due anime sorelle, forse persino più di me ed Ellie stesse, incontrarsi dopo essere state separate nel corso dei secoli.

Incontrarsi, riconoscersi e ritrovarsi.

Per la prima volta notai che il colore dei loro occhi era uguale, come le loro anime. Uguali, perfette insieme.

Mi accorsi di avere gli occhi umidi di lacrime, quando Ellie si staccò dalla parete senza un ultimo istante di esitazione e porse la mano ad Alexa.

“Voglio che sia tu a farlo. Mi fido di te.”

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Nuovo membro ***


 Capitolo 22 – Nuovo membro

 

Alexa trasformò Ellie quello stesso giorno, nell'atrio di casa, davanti a me, Will e mamma che era appena rientrata.

Si tagliò sul palmo della mano e fece lo stesso con mia sorella, poi se le strinsero in modo che i tagli combaciassero. Ellie arricciò il naso, ma la sua espressione cambiò nel giro di un attimo e vidi un sorriso beato invaderle il viso; sapevo cosa stava provando. La sensazione era quella di qualcuno che le scaldava il cuore dall'interno e che irradiava quel calore in ogni parte del suo corpo, fino alla punta delle dita.

Vidi i suoi occhi illuminarsi di colpo, sgranati, le guance impallidire, i capelli scurirsi. In quel momento, mi accorsi del braccio di Will attorno alla vita e mi accorsi anche che le gambe reggevano decisamente poco il mio peso. Avrei voluto dirgli di spostarsi, ma non potevo certo dirgli che era perché ero innamorata di un vampiro.

Così, lo lasciai fare.

Ellie gemette quando Alexa le lasciò la mano e crollò contro il muro. Un istante dopo, al suo posto c'era una lupa grigia che ci fissava con grandi occhi verdi, sorpresi e confusi.

“Qualcuno vada a prendere dei vestiti.” ridacchiò Will.

Mamma fissava con curiosa innocenza mia sorella.

“Anche tu diventi così, tesoro?”

Sentii la risata di Will riverberare in me e arrossii.

“No, lei diventa tutta nera con sfumature argentee. È una lupa splendida.”

Mi sentivo il viso in fiamme. Non volevo scostarmi da lui per non sembrare troppo maleducata, ma mi stava decisamente mettendo a disagio.

Alexa scese le scale con uno dei vestiti di mia sorella e, dopo averla guidata in cucina, chiuse la porta. Uscì subito dopo.

“Ellie dice che quelli in fondo alla strada hanno saputo della vera allergia del figlio e che terranno Edmund.”

 

Nei giorni seguenti, capii cosa intendessero tutti per trasformazioni incontrollate: mia sorella alla Casa era praticamente ingestibile. Il suo autocontrollo era una cosa a dir poco disastrosa. La mattina si trasformava senza preavviso, in cucina.

Guai se non sapeva qualcosa o se non riusciva a fare qualcosa o se le veniva proibito. Sembrava che le sue emozioni fossero state amplificate e passava il tempo ad infuriarsi più o meno con tutti. Solo Alexa era salva, perciò mi limitavo a lasciarla fare il suo compito e a stare lontana da Ellie nei momenti critici.

Ora dividevo la stanza con Abby e mia sorella era in camera con Alexa. Mi mancava un po' la sua vivacità, per quanto fossi perplessa dalla piega che avevano preso le cose; non volevo nemmeno sapere perché la mia amica sembrasse essere in grado di prevedere il futuro. Non glielo chiesi e lei non me ne parlò e la cosa mi stava bene, perché non ero proprio pronta per saperlo.

Daniel fu felice per me e mi baciò almeno cento volte quella sera, quando gli raccontai quello che era successo. Will inviò una lettera al Clan dei Lupi: sarebbero venuti da quelle parti a conoscere Ellie, ma solo per pura formalità.

Il fatto che le cose con mia sorella si fossero risolte, lasciava un certo spazio alla proposta di Daniel di andare fino all'oceano e di rimanere via per un paio di giorni. Ellie era sotto la custodia di Alexa e Abby era sempre fuori. Per mamma avevo il cellulare con me, perciò non c'era niente a trattenermi.

Quella sera, presi un po' di soldi, dei vestiti e il telefono e raggiunsi Daniel nel bosco.

“Pronta?”

Annuii, inspiegabilmente nervosa. Stare con lui mi faceva sentire bene, mi tranquillizzava ed eliminava ogni mio pensiero, ma mi rendevo conto che quei due giorni sarebbero stati decisivi e che da lì avremmo capito se le cose potessero davvero andare avanti tra noi.

Daniel mi prese per mano, facendo esplodere scintille lungo il mio braccio.

Ci mettemmo a correre; potevamo arrivarci benissimo così. Rimasi in forma umana, riuscivo ad andare lo stesso abbastanza veloce e senza stancarmi.

Proseguimmo in silenzio, i passi sincronizzati. Quasi non li sentivo, non toccavamo praticamente terra. Udivo solo il mio cuore, che batteva lento e regolare nel mio petto. Superammo le montagne e entro la mezzanotte avevamo già attraversato tre valli e le luci di una città splendevano davanti a noi.

Città era un po' troppo, in realtà. Era un posto molto piccolo, non doveva abitarci molta gente, ma era prefetta per noi. Non volevamo di certo dare nell'occhio …

Daniel e io ci fermammo ai margini.

“Potremmo … Potremmo … Sai, affittare una camera. Come degli umani normali.” suggerì. Notai un certo imbarazzo nel farmi quella proposta. Sorrisi.

“Certo.”

L'unico hotel della zona non fu ovviamente difficile da trovare. Sembrava abbastanza accogliente, una cosa semplice e accessibile. Non mi ero portata dietro tantissimi soldi, ma sicuramente bastavano per un posto simile.

La hall era illuminata da una luce calda e una signora dietro al banco delle informazioni ci sorrise. Davanti a noi c'era un'ampia scalinata, da cui si diramavano poi due corridoi. Non doveva avere molti piani, non vedevo ascensori.

“Buona sera, vorremmo affittare una camera.” dissi. La signora ci sorrise; era bionda, aveva un paio di occhiali dalla montatura nera appollaiato sul naso e non più di una quarantina d'anni. Notai che aveva le occhiaie e mi sembrò di colpo molto stanca, nonostante l'espressione cortese.

Per fortuna, si limitò a dirci il prezzo e a darci la chiave, non ci chiese se volessimo una camera matrimoniale o due separate. Il cuore mi martellava nel petto con la forza di un martello pneumatico ed ero sicura che lo sentisse anche Daniel.

Non sapevo cosa volesse fare di preciso, ma il fatto che avesse proposto di prenderci una camera era un chiaro indizio. Ero improvvisamente nervosa. Non sapevo se fossi davvero pronta a fare una cosa simile con lui … Sentivo di non conoscerlo abbastanza, non a un livello così profondo da fidarmi completamente.

Quando arrivammo nella stanza, ero un fascio di nervi. Appoggiai la borsa accanto al letto e lanciai un'occhiata a Daniel.

Ero incerta su cosa dire. Non avevo bisogno di una doccia, visto che la corsa era stata abbastanza regolare e che avevo un paio di stivali ai piedi, perciò l'unica alternativa era … Dormire.

Daniel si avvicinò e sorrise.

“Sei nervosa, lupetta? Sentirei il tuo cuore a miglia di distanza, così.”
“E' che non so ...” cominciai sperando di trovare le parole giuste. Ma lui si limitò ad appoggiare un dito sulle mie labbra socchiuse.

“Ti ho chiesto di affittare una camera solo per … Per fare quello che una ragazza e un ragazzo normale farebbero, e l'unica cosa che voglio è dormire e svegliarmi con te. Solo questo.”

Sentii il cuore scaldarmisi a quelle parole e, quasi involontariamente, mi allungai verso di lui e lo baciai. Daniel ricambiò, appoggiando le mani sui miei fianchi e stringendomi.

Non volevo neanche osare pensare che potessi amarlo davvero, perché sapevo che appartenevamo a due mondi diversi, eppure in quel momento mi ritrovai a cercare di dirglielo col solo stampo delle labbra. Dolce come il miele, il bacio si protrasse fino a quando non fui senza fiato e Daniel mi tirò piano verso il letto.

Tolsi gli stivali e il vestito e indossai una maglietta semplice che avevo portato con me. Quando mi voltai, mi accorsi che era disteso sul letto con i boxer e una maglietta bianca addosso e mi sentii arrossire.

Salii con cautela su letto e mi distesi accanto a lui, senza toccarlo, non sapendo bene cosa fare.

Avevo di nuovo il cuore a mille.

Mi infilai sotto le coperte e chiusi gli occhi.

Neanche un istante dopo sentii un fruscio dietro di me e trattenni il fiato quando il braccio di Daniel mi circondò la vita e mi tirò contro di lui.

“Buonanotte, lupetta.”

Sorrisi e mi accoccolai contro di lui.

“Buonanotte.” sussurrai.

 

Il mattino seguente fu la luce a svegliarmi. Avevo la testa appoggiata al petto di Daniel e lui mi carezzava piano la testa, passando le dita tra i miei capelli.

Alzai lo sguardo e incontrai il suo.

“Ehi.” sussurrò con un sorriso. “Dormito bene?”

Mi stiracchiai e sentii le ossa scricchiolare. Daniel ridacchiò.

“Mai dormito meglio.” risposi con occhi languidi; cominciavo a capire come doveva sentirsi un gatto quando, dopo il pisolino, si svegliava alla luce del sole, su una terrazza.

Lo guardai negli occhi, luminosi e dolci, di una tenue tonalità di viola con la pupilla e il contorno cerchiati di nero e mi sporsi verso di lui.

Ci baciammo. Sospettavo fosse questo che facevano le coppie normali, in quelle situazioni. Chiaramente era ancora da definirsi se fossimo una coppia, ma …

Daniel scese con la mano fino alla mia nuca e mi tirò verso di lui, mentre il bacio diventava sempre più profondo e al contempo sempre più dolce. Era come se con le sole labbra mi dicesse che mi amava.

Ci ritrovammo petto contro petto, la sua mano premeva sulla mia schiena, dandomi i brividi. Infilai una mano tra i suoi capelli e con l'altra cominciai a tracciare il profilo degli zigomi, poi della gola, della spalla e della clavicola. Nonostante non fosse robusto quanto un licantropo, sentivo i suoi muscoli guizzare al mio tocco.

Mi ritrovai a pensare che fosse strano e meraviglioso al tempo stesso; la nostra forza era perfettamente calibrata, la forza dell'uno con quella dell'altro, in qualche modo completi insieme. Sentivo le sue dita stringere sulla schiena e se fossi stata ancora umana … Non osavo immaginare cosa sarebbe successo, ma in quel momento era assolutamente perfetto.

Il nostro primo bacio era stato assolutamente inaspettato, ed era stato quasi … Disperato. Adesso invece c'era più tempo, c'era più dolcezza e più desiderio di conoscersi meglio. Il suo abbraccio si plasmava per accogliermi.

Saremmo andati avanti per chissà quanto tempo, se non fosse stato per Daniel, che si staccò da me ridacchiando.

“Abbiamo un po' di tempo da passare insieme, se continuiamo così ...”

Risi anch'io.

“Allora sarà meglio che io mi alzi.”

Per un istante, mi parve di vedere una strana scintilla di rimpianto nei suoi occhi, ma quando guardai meglio era ormai svanita. Mi costrinsi a spostarmi e a scendere dal letto.

Attraversai la stanza e mi avvicinai alla borsa, consapevole di avere gli occhi di Daniel addosso, a seguire ogni mio movimento.

“Cosa facciamo oggi?” chiesi per cercare di smettere di arrossire sentendo il suo sguardo su di me. Avevo le farfalle nello stomaco e il desiderio di tornare da lui, misto a una strana voglia di starmene lì immobile. Ero persino nervosa.

“Mmm … Intanto potremmo fare quello per cui siamo venuti, che ne dici? Andare sulla riva dell'oceano.”

Annuii e gli sorrisi. Nel frattempo, meditavo su cosa mettere quel giorno. Per la prima volta da quando ero rinata, volevo essere carina. Volevo qualcosa di diverso e volevo che a Daniel piacesse.

Cosa mi avrebbe fatto mettere Alexa? Ovvio. Vestito più corto possibile, meglio se una maglietta, bello attillato e magari di colore rosso o nero.

Okay.

Cosa mi avrebbe fatto mettere Ellie? Stesso di Alexa. Ovvio anche quello.

Cosa mi avrebbe fatto mettere Abby? Niente di troppo elegante, sostenendo che dovevo vestire come sempre e che a lui dovevo piacere comunque.

Rimasi con le mani ferme nella borsa per tre lunghi secondi, poi afferrai l'unica cosa non nera che ci avevo messo e mi infilai in bagno il più in fretta possibile. Tolsi la maglietta che avevo tenuto per la notte e indossai il vestito; non sapevo cosa mi fosse passato per la testa quando l'avevo messo nella borsa. Era scollato e attillato. Troppo scollato e attillato.

Diventai rossa come un pomodoro quando vidi come la mia nuova natura aveva modificato le mie forme da umana, rendendole decisamente più visibili. Il vestito tirava sul davanti e le maniche lunghe non riuscivano a nascondere i muscoli delle braccia.

La stoffa era leggera, visto che non avevo freddo, ma il modello era invernale. Sotto la gonna svasata indossai un paio di calze, seguite dai morbidi stivali che avevo indossato anche durante il viaggio.

Cercai di non guardare la scollatura del vestito e districai, per quanto possibile, quella matassa ingarbugliata che erano ormai i miei capelli.

Passeggiai su e giù per il bagno due o tre volte, per darmi un'inutile calmata, certa che Daniel nell'altra stanza sentisse il battito incontrollato del mio cuore e si chiedesse cosa diavolo avessi.

Alla fine, mi costrinsi ad appoggiare la mano sulla maniglia e ad abbassarla.

Infine, uscii.

Daniel era in piedi, i pantaloni già infilati, come le scarpe. Lo stesso non si poteva dire della maglietta: era a petto nudo.

Arrossii di nuovo. Poi, alzai lo sguardo e incontrai il suo e il mio viso divampò letteralmente tra le fiamme. Aveva gli occhi sgranati, ora di uno scarlatto più tinto che mai, e intrisi di una luce che mi fece pensare a tante cose, tutte tranne uscire.

Percorse due volte la mia figura con gli occhi, prima di incontrare finalmente il mio sguardo.

Deglutì.

“Penso sia meglio andare.” disse infilandosi la maglietta.

Con le guance ancora rosse, annuii.

“Lo penso anch'io.”

Presi la borsa e raggiunsi Daniel alla porta. Avevamo già pagato per la stanza, così uscimmo subito alla luce del sole.

A giudicare dall'angolazione, dovevano essere più o meno le dieci del mattino.

La strada davanti a noi non era affollata, anzi, era quasi deserta, proprio come la sera precedente. Notai che il nostro era l'unico hotel nei dintorni; le altre erano case, la maggior parte ben poco moderne. Davanti a noi, dall'altro lato della strada, c'era probabilmente l'unico negozio della cittadina.

“Eri mai stato qui?”

Daniel annuì.

“Sì. Questo posto è … Un rifugio. Non ci sono persone da cui nascondersi, non molte perlomeno, e c'è tutto quello che serve. Questi sono i posti in cui è più facile trovare qualcuno come te e come me.” spiegò con un sorriso. Mi parve più triste del solito nel dire quelle cose.

Gli presi la mano.

“D'ora in poi, se mai scapperò saprai dove trovarmi.”

In tutta risposta, Daniel mi strinse più forte la mano.

Non ci volle molto per lasciarci le poche case alle spalle e fu il bosco a prenderne il posto: gli alberi erano spogli, vista la stagione, ma l'atmosfera aveva lo stesso qualcosa di magico grazie ai resti di una recente nevicata qua e là.

Sentivo piccoli animali muoversi nell'erba, per il resto era tutto straordinariamente silenzioso. Dopo diversi minuti di camminata, cominciai a sentire qualcosa: per primo, lo sciabordio dell'oceano e il fragore di onde immense che si schiantavano contro le scogliere.

Poi, voci. Tante voci, umane. Erano tutte allegre, alte, gridavano, strillavano. Sentivo i loro passi e anche quelli dei bambini …

Uscimmo dal bosco e lo spettacolo che mi ritrovai davanti era assurdo. Quel posto era celato talmente bene che dovevi sapere dove trovarlo e, soprattutto, sapere che esisteva, ed ero certa che tutte quelle persone lo conoscessero benissimo.

Davanti a noi, sotto i raggi splendidi del sole del mattino, si estendeva quella che sembrava una grande piazza, con una fontana al centro, disseminata di bancarelle e di persone. Un mercato nascosto al resto del mondo.

Gli odori mi invasero subito e tutti insieme: quello del pesce, quello di cose antiche, delle conchiglie, dei vestiti e dei gioielli. E poi, le voci.
“Il miglior pesce sulla costa! Al prezzo più basso!”

“Venite, venite, non ne trovate di orate simili!”

“Ametiste, signore, pure ametiste! Mai offerte del genere, non ne troverete mai!”

“I vestiti migliori! Eleganti, sportivi, comodi! Coraggio, signore, coraggio!”

E lì in mezzo, c'erano signore che contrattavano con i venditori, bambini che strillavano in giro e che correvano intorno alla fontana e insieme il rumore di tutti i loro passi.

Daniel mi circondò la vita con un braccio e sentii la sua risata attraverso la mia schiena, premuta contro il suo petto.

“Ti presento il Mercato Introvabile. Introvabile perché non puoi trovarlo se non lo conosci e perché qui troverai tutto quello che viene considerato introvabile. A volte, trovi anche cose che hai perso.”

Fissai incredula Daniel.
“C'è di mezzo qualche magia?”

Rise di nuovo.

“Forse.” intrecciò le dita con le mie e mi tirò verso la folla. “Vieni.”

Mi lasciai guidare in quel delirio colorato di persone felici, che urlavano tra loro, si chiamavano ed erano capaci di dividere quella ressa in due se solo adocchiavano qualcosa di loro gusto.

Cercavo di vedere tutto: ogni vestito, ogni gioiello, ogni libro, ogni articolo che vendevano, e Daniel poteva davvero avere ragione. C'erano talmente tante cose che non era da escludere la sua teoria sulle cose perse.

Ammirai le conchiglie; avevano un profumo simile a quello di Daniel, notai. Molte erano enormi.

“Pescate proprio nell'oceano là sotto!” mi garantì il venditore. “Alle prime luci dell'alba!”

Sorrisi.

“Coraggio, signorina! Non vuole farsi regalare una bella collana dal suo ragazzo?” era la prima volta che qualcuno ci definiva davvero una coppia. Abbassai lo sguardo e arrossii, ma prima che potessi pensare a cosa rispondere, mi ritrovai a fissare la collana che il venditore mi porgeva: era splendida. Era una piccola conchiglia, simile a un guscio di lumaca, solo che quella brillava ed era dei colori dell'arcobaleno, come fosse madreperla. Era legata a una catenina argentata, splendente.

Sparì in meno di un istante dalla mano del venditore e al suo posto vi comparvero delle banconote.

Non riuscii nemmeno a capacitarmene che sentii le dita fredde di Daniel sfiorarmi la clavicola e qualcosa di leggero appoggiarmisi sul petto. Agganciò la catenina.

“Così ricorderai che nei momenti più bui c'è sempre un rifugio. E sempre un posto in cui ritrovare la gioia.”

Sfiorai le sue dita con le mie.

“E mi ricorderò di te sempre e comunque.”

Daniel mi baciò sulla tempia in tutta risposta. Riprendemmo a camminare attraverso il mercato e mi ritrovai a provare strani cappelli, scarpe dai tacchi vertiginosi e sciarpe di lana. E anelli, anche.

Provai un brivido quando fu lui a infilarmeli.

I libri sarebbero tanto piaciuti ad Alexa, ce n'erano in tutte le lingue. Intravidi più volte persino oggetti che ero convinta di avere o di aver avuto. Forse Daniel aveva ragione e le cose perse erano lì in giro, ad aspettarci.

Sorrisi vedendo un ciondolo con un lupo, che mi fece pensare a mia sorella. Chissà se si chiedeva dove fossi finita … Ad Ellie sarebbe venuto un colpo se avesse saputo che ero stata con un ragazzo.

Dopo quella che mi parve un'eternità e dopo lo zucchero filato più buono del mondo, io e Daniel ci allontanammo dal mercato, lasciandoci circondare di nuovo dal bosco.

Nell'istante in cui toccammo il terreno coperto di foglie e neve, i suoni delle persone dietro di noi parvero diventare lontani e indistinti. Mi girai indietro, ma gli alberi avevano già nascosto il mercato e preferii non indagare.

Il rumore dell'oceano si fece più forte.

“Il tuo cuore batte forte, lupetta.”

Sorrisi.

“A ritmo con l'oceano.”

E finalmente, uscimmo dal bosco per ritrovarci su una scogliera immensa, davanti all'oceano che si perdeva all'infinito, fondendosi con il cielo, le onde che si schiantavano contro gli scogli. L'aria salmastra invase ogni cellula del mio corpo e il vento mi scompigliò i capelli.

Chiusi gli occhi, lasciando che la libertà di quel posto mi chiamasse con sé e mi tentasse come la brezza leggera della sera, nei boschi.

Il vento urlava sull'oceano e intorno a noi.

In quel posto, ci si sentiva meno invincibili, più umani. Ora capivo perché a Daniel quel posto piaceva tanto; per una volta, eravamo di fronte a qualcosa di più grande e più forte, di maestoso, di fronte al quale ci saremmo sempre sentiti come semplici umani, indipendentemente da quello che eravamo diventati.

Aprii gli occhi e incontrai i suoi. Erano felici, tinti di rosso con sfumature violacee, e brillavano come il suo sorriso.

Mano nella mano, lasciammo che la pace di quel luogo ci invadesse e che fossimo insieme, davvero insieme, legati l'uno all'altra, le nostre anime in sintonia col vento.

Non ci furono parole.

 

Tornammo attraverso il bosco, come prima, ma non vidi nessun mercato e mi chiesi se in realtà non avessimo fatto una strada diversa.

Quello sì che era strano.

Daniel e io non parlammo al ritorno, anche se lui continuava a tenermi stretta la mano. Sentivo come un dolore silenzioso aleggiargli intorno. Speravo che fosse solo una mia impressione.

Ci riavviammo verso la Casa sempre in silenzio, appesantito dalla sensazione che fosse in qualche modo … Triste. Non riuscivo a fare a meno di pensarci.

Forse la visita all'oceano l'aveva sconvolto?

Cominciammo a correre, come avevamo fatto all'andata. In realtà, non c'era niente che mi costringesse a tornare alla Casa, ma non avevo replicato quando l'aveva detto: persino la sua voce si era fatta più dura.

Mi sentii stringere lo stomaco. Avevo forse fatto qualcosa di sbagliato?

Ma la risposta non arrivava.

Daniel era perso in un silenzio cupo, che si protrasse per quasi tutto il viaggio di ritorno.

Nonostante questo, non riuscii a fare a meno di provare sollievo nel correre attraverso i boschi, nel sentirne la brezza notturna, nell'ascoltarne i suoni confortanti.

Mi concentrai su quelli per distrarmi, anche se non erano molti. Gli animali erano quasi tutti in letargo, così l'unica cosa che le mie orecchie captavano era il loro respiro nelle tane e il gorgoglio di qualche fiume poco lontano. Poi, sparì pure quello e il silenzio si fece pesante.

Lanciai un'occhiata a Daniel, ma il suo viso era privo di espressione. Solo le sopracciglia aggrottate tradivano quella facciata perfetta e mi fecero intuire che qualcosa non andava.

Il mio cuore ormai era a mille quando riconobbi le strade più conosciute, vicine al lago. Invece di accompagnarmi nei pressi della Casa, Daniel si fermò.

Un brivido mi percorse fin nelle ossa, soprattutto quando lasciò la mia mano e si allontanò di qualche passo.

Avevo la gola secca.

“Scarlett, devo dirti una cosa.”

Il mio cuore balbettò quando mi chiamò Scarlett. Non usava mai il mio nome così, duro, intero e pronunciato in quel modo freddo.

Daniel respirò a fondo.

“Ti prego … Ti prego, non ...”

Chinò la testa, ma non si voltò.

Mi avvicinai piano, il cuore stretto in una morsa.

“Che succede?”

Scosse la testa e vidi che le sue mani erano strette a pugno.

“Io … Mi dispiace. No, mi dispiace è dire poco. Non posso ...” s'interruppe, le spalle tese, gli occhi serrati. Feci un altro passo verso di lui e appoggiai la mia mano sulla sua.

“Daniel, cosa succede?”

Un brivido percorse il suo corpo, prima che si voltasse di scatto e, prendendo il mio viso tra le mani, mi baciò. Fu completamente diverso dal solito: mi baciò con una disperazione a malapena controllata, come se stesse per dissolversi davanti ai miei occhi da un momento all'altro. Si aggrappò a me, le mani tra i miei capelli.

La sorpresa sparì immediatamente. Il mio corpo reagiva in modo inaspettato al suo; scossa dai brividi, ricambiai il bacio con tutta me stessa ed era come se in quel discorso in cui lui mi comunicava la sua disperazione, io non facessi altro che chiedergliene il motivo. Ma poi smisi e l'unica cosa che riuscii a fare fu cercare in tutti i modi di lenire il suo dolore con quel bacio, mettendoci tutta la dolcezza che riuscivo a trovare dentro di me.

Daniel sospirò contro le mie labbra. Le sue mani scivolarono dai miei capelli alle mie guance e … Si staccò, facendo un passo indietro.

Lo fissai ad occhi sgranati, sorpresa.

Il tormento che lessi nei suoi occhi fu come una pugnalata al cuore.

“Scarlett, io ...” chinò la testa. “Tra i vampiri è … Usanza che … Il più delle volte ...” deglutì di nuovo. “Matrimonio combinato.” sputò fuori infine. “Io … Mi … Me l'hanno detto qualche giorno fa. Tra meno di un mese io ...”

Non finì la frase, ma non ce n'era bisogno.

Sentii una ferita squarciarmi il petto e sanguinare. Il mio cervello elaborò a velocità sorprendente tutti quei momenti passati insieme, gli ultimi due giorni, i baci e tutte quelle parole, il salvataggio dal vampiro … Non mi accorsi di piangere finché non alzai lo sguardo e la mia vista si rivelò annebbiata.

Lo sguardo di Daniel era … Come quello di qualcuno a cui veniva strappato il destino giusto e rifilato un surrogato. Sapevo di avere la stessa espressione.

Me ne stavo immobile, in silenzio, con le braccia lungo i fianchi.

“Scarlett … Ti prego, ti prego, dimmi qualcosa.”

Fin dal primo momento, capii che non riuscivo ad odiarlo. Quel tono entrò nel mio cuore come una freccia.

“Non so cosa dire.” risposi infine con voce strozzata. “Gli ultimi due giorni … Perché?”

“Volevo … Per dirti addio.”

Le lacrime mi serrarono la gola e alzare lo sguardo mi procurò una stilettata di dolore laddove la ferita si era aperta. Anche le guance di Daniel erano rigate di lacrime, rosse come il sangue.

“Addio allora.” sussurrai.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Spezzato ***


Capitolo 23 – Spezzato

 

Tornai alla Casa come in trance, con la vista appannata dalle lacrime e ogni pensiero annebbiato e bloccato.

Confusamente, pensai che la mia mente era come le onde dell'oceano: continuavano ad andare a sbattere contro la scogliera, frantumandosi, e senza mai arrivare in cima e superare il dolore.

Un passo alla volta, mi costrinsi ad entrare nella Casa, ad attraversare i corridoi deserti e ad arrivare fino alla mia camera. Non sapevo nemmeno che ora fosse.

Dovevo avere un aspetto davvero terribile, perché quando Abby mi vide sussultò e sgranò gli occhi.

“Sky!” esclamò allarmata. “Che cos'è successo? Ti ha fatto del male?”

Scossi la testa. Un nodo serrava la mia gola e se solo avessi provato a parlare sarei scoppiata di nuovo a piangere, così rimasi ferma sulla porta, in silenzio, gli occhi bassi e i pugni stretti, scossa dai tremiti.

Abby afferrò un cellulare sul comodino, mentre io mi raggomitolavo sul letto.

“Alexa vieni qui subito.”

Non appoggiò nemmeno il telefono che Alexa spalancò la porta della stanza e la fissò ad occhi sgranati. Poi, mi vide.

“Sky!” esclamò anche lei, raggiungendomi. Vidi anche mia sorella dietro di lei.

“Cos'hai?”
Scossi la testa e chiusi gli occhi, incapace di parlare. Volevo solo starmene lì e non pensare, non pensare finché il dolore non fosse passato. Poi, mi sarei rialzata e avrei fatto come se nulla fosse, e sarei andata avanti.

Non c'era altro modo.

Alexa e le altre si scambiarono occhiate allarmate. Mia sorella si sedette vicino a me sul letto.

“Cos'è successo?”

Boccheggiai, cercando di prendere un respiro profondo. Non capivo neanche in che stato d'animo fossi; mi sentivo delusa, tradita, ma non arrabbiata. Ero solo preda di una tristezza infinita che stringeva il mio corpo in una morsa.

Ed era anche sbagliato, perché Daniel non era mio. Non era il mio ragazzo, non eravamo una coppia, non eravamo niente l'uno per l'altra. Non avevo il diritto di avere il cuore spezzato. Avevamo sempre saputo che prima o poi le cose sarebbero cambiate.

Alexa ed Ellie mi esortarono e mi pungolarono con domande di ogni genere fino a quando non mi misi seduta e raccontai tutto. Mi sentivo stranamente distante mentre lo facevo. Era come se fosse capitato a qualcun altro.

Una strana apatia mi avvolse come oblio e mi ritrovai improvvisamente a fissare il muro senza espressione, con occhi vuoti, senza pensare a niente.

 

Dormii per tre giorni di fila. Era stupido che fossi così scioccata per quello che era successo, mi ripetevo. Io e Daniel non avevamo mai ammesso che c'era davvero qualcosa fra noi, qualcosa che andava oltre la semplice e perfetta sintonia l'uno dell'altro.

Continuavo a sentire la sua mano intrecciarsi alla mia e le sue labbra baciarmi dolcemente, come se accarezzassero piano la mia anima. Ma poi il mio cuore si spezzava di nuovo, per la milionesima volta in una giornata, quando ricordavo come stavano le cose.

Il mio stomaco era stretto in una morsa e non mettevo piede in cucina da giorni.

La sera mi veniva quasi spontaneo alzarmi e pensare di trasformarmi e andare da lui, e come sempre un istante dopo ricordavo che non potevo farlo. Allora tornavo a letto e a volte ricominciavo a piangere.

Era la suprema ironia del destino: in quella situazione, sarei andata proprio da lui, sapendo che mi avrebbe capita, che avrebbe trovato le parole giuste per confortarmi e che il suo abbraccio avrebbe scacciato ogni paura.

E invece ero sola. Alexa, Ellie e persino Abby, che mi aveva avvertita, mi stavano vicine, ma non era la stessa cosa.

Era come se una spirale mi avesse stretto l'intero corpo in una morsa. Non facevo altro che piangere o sprofondare nella più totale apatia, a volte sostituita dal sonno.

Un matrimonio combinato. Un matrimonio! E non mi aveva detto niente. Ormai erano quasi due mesi che continuavamo a vederci, due mesi dalla mia trasformazione, due mesi da tutto, dalla mia nuova vita, dalla Casa … E lui aveva fatto finta di niente. Era anche probabile che avessero confermato tutto pochi giorni prima, ma che Daniel l'avesse sempre saputo.

Non volevo tornare mai più nel bosco, non volevo vederlo più nonostante lo desiderassi così tanto. Avevo paura di essere ferita di nuovo in quel modo.

Non potevo credere di sentirmi così solo per quello, non mi era mai successo. Non avevamo ammesso niente l'uno per l'altra, non c'erano stati ti amo, eppure forse … Forse l'avevamo detto senza parole? Pensai alla sensazione delle sole nostre dita intrecciate, di come mi facesse sentire a metri da terra con le farfalle nello stomaco.

Amare era una parola grossa, ma se fossimo andati avanti forse sarebbe stata della giusta misura per definire quello che ci sarebbe stato fra noi, e che ormai non avremmo più avuto. Mi maledivo per essere stata lì, immobile, per avergli semplicemente detto addio. Avrei dovuto urlare, avrei dovuto chiedere spiegazioni, avrei dovuto … Non sarebbe servito. Le cose stavano così, a cosa sarebbe servito conoscere i dettagli? A cosa sarebbe servito, se non a soffrire ancora di più?

Il quarto giorno, finalmente, capii: mi davo la colpa per non averlo fermato e aver chiesto spiegazioni, mi sentivo distrutta per come mi aveva lasciata, mi sentivo vuota e … Ed era colpa sua.

C'era solo Abby nella stanza quando la furia prese il sopravvento sul dolore, talmente forte e veloce da non lasciarmi nemmeno il tempo di riflettere, e l'urlo represso nel mio petto esplose, trasformato poi in un'ululato quando presi forma di lupo, facendo letteralmente a pezzi i miei vestiti.

Avevo le zanne snudate e ringhiavo, accovacciata sul letto.

Era tutta colpa sua. E non mi importava quello che cercavo di ripetermi, Alexa aveva ragione: lui era il vampiro che mi aveva vista nascere, che non aveva provato a prendersi il mio sangue pur sapendo quanto valesse e quanto fosse facile, che mi aveva confortata quando Ellie non voleva trasformarsi, che aveva capito come mi sentivo, che mi aveva fatta sentire forte e al tempo stesso di nuovo vulnerabile davanti all'oceano … E nonostante sapesse che mi avrebbe strappato tutto questo, aveva continuato a donarmelo, magari sperando che poi dicendolo in fretta avrebbe fatto meno male, come quando si toglie un cerotto.

Prima che potessi anche solo capacitarmene avevo fatto a pezzi il letto e avevo le zanne insanguinate, come le unghie, a forza di distruggere il legno e poi graffiare il muro.

Stavo puntando all'armadio quando Will irruppe nella stanza, probabilmente chiamato da Abby, che mi ero oltretutto dimenticata fosse presente.

Dentro di me, sogghignai. Per la prima volta da quando ero rinata, sentii la parte animale prendere il sopravvento su di me. Mi accovacciai con il pelo ritto e le zanne snudate, pronta ad attaccare.

Non sapevo perché lo stessi facendo, sapevo solo che ne avevo bisogno. Qualcosa si stava letteralmente rompendo dentro di me e il lupo si faceva strada a unghiate nella mia anima, prendendone il sopravvento.

Will non provò a calmarmi. Mise semplicemente le mani in vista ed entrò nella stanza lentamente, chiudendo la porta.

Ma non ero in vena.

Prima che potessi anche solo rendermi conto di cosa stessi facendo, gli saltai addosso, puntando alla gola.

Will non si trasformò, si limitò a tenermi lontano premendomi le mani sul petto, appena sotto la gola, ma la cosa mi fece infuriare ancora di più e un ringhio gutturale fece vibrare ogni cellula del mio corpo.

Indietreggiai per un istante, e attaccai di nuovo. Will mi bloccò ancora. Si difendeva e basta e la rabbia cresceva, cresceva, cresceva. Volevo solo farlo infuriare, volevo che combattesse contro di me.

Mi staccai di nuovo e feci una finta in avanti. Mentre l'Alfa stendeva le braccia per difendersi, io lo attaccai sul fianco cogliendolo completamente alla sprovvista. Non era come un attacco frontale, ma gustai ogni singolo istante in cui i miei artigli affondarono nella sua pelle mentre lo gettavo a terra.

Sentii lo scricchiolio delle ossa della spalla che si rompevano per l'urto e lo strillo di Abby, che parlava di nuovo al cellulare, questa volta con Alexa.

Ma io non ci badavo.

Approfittai del dolore di Will, che l'aveva distratto, per voltarlo e finalmente gli appoggiai le zampe sul petto. Consapevole di avere la situazione in pugno, spostai lentamente lo sguardo sulla sua gola.

Fu allora che l'Alfa premette con forza i piedi sul mio ventre e, facendo forza con le gambe, riuscì a sbalzarmi via e a liberarsi. Di nuovo in piedi, leggermente piegato in avanti, mi fissava concentrato.

Ghignai e mi scagliai ancora contro di lui.

Ancora, ancora e ancora.

Decine e decine di volte mi scontrai con Will, sperando in ogni istante di farlo innervosire. Gli artigli affondavano in lui e ormai aveva le braccia ricoperte di graffi sanguinanti. Manteneva una calma che mi faceva innervosire e continuare fino allo sfinimento.

Alexa ed Ellie erano arrivate, sconvolte e guardavano la scena sedute sul letto di Abby; avevano già provato a intervenire, ma Will le aveva fermate.

Niente in contrario.

Mi abbassai davanti a lui, le zanne sempre scoperte. L'Alfa mi fissò con circospezione mentre giravo piano intorno a lui … Poi diedi letteralmente una testata alle sue gambe.

Sorpreso, Will vacillò e ne approfittai per scagliarmi sulla sua schiena e farlo cadere di nuovo a terra, ma si voltò di scatto mentre cadeva e si spostò. Le mie zampe, già sollevate, ricaddero a terra con un tonfo.

L'Alfa, per la prima volta, cercò di colpirmi. Fu come se mi avessero acceso un fuoco d'artificio dentro: la mia rabbia che veniva alimentata.

Meno di due secondi dopo eravamo un groviglio di zanne, pelo, gambe e braccia che cercavano reciprocamente di colpirsi. Persino in forma umana era, per certi versi, più forte di me e due volte mi scagliò contro la parete, rompendomi forse qualche costola.

Ma non sentivo niente.

Ellie ci fissava esterrefatta, senza dire una parola, mentre Abby trasaliva ogni volta che sentiva le ossa scricchiolare.

Mi gettai su Will e lo sbattei contro il muro di pietra. Gli occhi dell'Alfa si accesero quando mi respinse e si avventò sul mio fianco. Finalmente, capii cosa stava succedendo: stava perdendo il controllo.

Mi voltai di scatto e sfuggii alla sua presa, di nuovo contro di lui. Saltò sul cassettone, ma io ero abbastanza grande da raggiungerlo con facilità.

Solo a quel punto, quando lo presi da dietro e la situazione si fece davvero critica, solo in quel momento Will esplose e davanti a me comparve un lupo nero come la pece, a dir poco enorme. Un'altra volta, in un groviglio di zampe, zanne e pelo, rotolammo sul pavimento, uno contro l'altro, mirando alla gola. Ci gettavamo l'uno sull'altro con la forza di due uragani e sapevo che in corridoio gli altri licantropi si fermavano davanti alla porta, curiosi.

Ci ritrovammo in piedi, a sferrarci morsi su morsi, le mie zampe contro di lui, le sue contro di me.

Oh, sì. Questo era esattamente quello di cui avevo bisogno. Disperato bisogno.

Alexa ed Abby si alzarono facendo un cenno all'Alfa, ma quello ringhiò loro contro un chiaro avvertimento: a distanza. Dovettero obbedire.

Mi sentivo sempre più stremata. Parare i colpi di Will era difficilissimo e colpirlo lo era ancora di più. Era veloce, agile, forte. L'Alfa scattava per evitare i colpi letali e a volte cercava di mettermi fuori combattimento, ma senza risultato.

La vista cominciava ad annebbiarmisi e guardando fuori capii che dovevano essere ore che combattevamo senza sosta. Mi bloccai di colpo. Era il tramonto. Rimasi immobile a guardare il sole che tramontava dietro le montagne, ricordando il viso di Daniel in quella luce, davanti al lago … Will mi colpì forte, gettandomi di nuovo contro il muro.

 

Quando mi ripresi ero distesa sul letto di Abby, fortunatamente vestita, con tutto il corpo dolorante. Capii che indossavo solo un top nero, mentre la pancia era ricoperta da solide bende bianche. Nemmeno un licantropo poteva guarire tanto in fretta da diverse costole rotte. Anche la spalla e il braccio erano bendati.

Sentivo un sapore strano in bocca e la testa mi girava un po', quando Ellie e Alexa entrarono nel mio campo visivo.

Sorrisero.

“Will, si è svegliata!” esclamò Alexa. Poi si chinò su di me. “Come ti senti?”

Feci una smorfia e cercai di mettermi a sedere.

“Ho avuto giorni migliori.”

“Impossibile!” decretò Alexa. “Oggi hai tenuto testa all'Alfa. Che giorni migliori puoi mai aver avuto?”

“Tenuto testa all'Alfa?” ripetei, confusa. Abby comparve davanti a me con un asciugamano in mano.

“Sì.” rispose con un sorrisetto. “Be', almeno finché non ti sei distratta e lui è finalmente riuscito a sbatterti contro il muro.”

“Altro che forza!” esclamò Alexa. “Tu sei un drago! Forse è stata l'adrenalina però. Vi siete quasi ammazzati.”

I ricordi confusi del lupo che prendeva il sopravvento e poi di quello che avevo fatto affiorarono lentamente nella mia mente. Mi misi seduta e mi presi la testa tra le mani.

“O cavolo.” dissi con voce roca. “Come sta Will?”

Alzai la testa e le fissai tutte e tre in attesa di una risposta. Parvero piuttosto … Divertite. Neanche un istante dopo, Will in persona, privo di bende, uscì dal bagno a petto nudo con un paio di jeans addosso.

L'Alfa e io ci guardammo esterrefatti per un attimo e mi chiesi se fosse lui che avevo attaccato; l'avevo visto come … Un nemico o una sorta di capro espiatorio, ma in quel momento era tutto il contrario. Anzi, riuscivo persino a considerarlo un bel ragazzo.

Anche Will mi fissava, solo che nel suo sguardo c'erano curiosità e ammirazione e sembrava addirittura compiaciuto. Prima che potessi dire qualcosa, scoppiò a ridere.

“La lupacchiotta si è svegliata!” esclamò ridendo. “Come stai?”

Si avvicinò al letto.

“Bene credo. Tu?”

Scrollò le spalle con disinvoltura.

“Ho più anni di te e guarisco in fretta, ma ti garantisco che qualche osso me l'hai rotto.”

Mi sentii arrossire.

“Will mi dispiace tantissimo, io non ...”

Mi zittì con un cenno della mano, mentre si sedeva sul letto vicino a me.

“Doveva succedere. Tutti i licantropi hanno la loro perdita di controllo dopo la rinascita. Probabilmente non ti ho istigata abbastanza baciandoti.” mi fece l'occhiolino. “Deve esserti piaciuto proprio tanto.”

Avvampai.

“Ti ricordo che poi ti ho … Ehm … Schiaffeggiato … E ti ho anche tirato un pugno.” avevo il cuore a mille per l'imbarazzo.

Will sogghignò.

“Ho un debole per le licantrope aggressive.”

A quel punto, Abby si schiarì la voce.

“Beeene, visto che qui è tutto sotto controllo, noi andiamo … Uhm, in cucina, vero ragazze? Vi lasciamo soli a … Ehm … Insomma, Will dovrà ...”

Si stavano già dirigendo verso la porta.

“Non importa! Vi troverete benissimo, cioè … Farete qualcosa di interessante … Ah, no che dico! Sky, se hai bisogno di noi ...”

E chiuse la porta dietro di sé, lasciandoci definitivamente soli. Guardai Will, seduto di fronte a me.

Sorrise.

“Davvero, Sky, non sentirti in colpa. Doveva succedere. Anzi, menomale che è successo con me e non con qualcun altro … Hai la forza di cinque licantropi.”

Scossi la testa, stringendomi le ginocchia al petto.

“Mi dispiace lo stesso Will. Per quanto abbia trovato un po' strano che tu mi abbia baciata nel tuo ufficio … Be', non voglio mica ucciderti.”

Rise di nuovo.

“Mi fa piacere!” esclamò. “Ma, se posso chiedere, qual è stata la causa scatenante?”

Lo fissai senza capire.

“Perché eri così arrabbiata?” la domanda mi sorprese e non potei fare altro che guardarlo in silenzio per un po'. Cercai nei suoi occhi qualche secondo fine, chiedendomi se per caso sapesse qualcosa di Daniel, ma trovai solo una sincera curiosità.

Comunque, meglio non dargli indizi.

Scrollai le spalle con noncuranza.

“Niente di importante. Non preoccuparti.”

Will si avvicinò e si sporse verso di me. Ebbi un flash in cui ricordai il nostro bacio.

“Non so cosa o quanto tu sappia di me, Sky, ma so riconoscere il rumore di un cuore spezzato quando lo sento.”

Le mie difese, già precarie a causa di quello che era successo, crollarono miseramente con un sospiro cupo.

“Hai ragione.” mormorai appoggiando il viso sulle ginocchia. “Non … Ha funzionato.”

Will non parve turbato.

“Succede. Quelli come noi ci si devono abituare. L'eternità è lunga e a volta capita di innamorarsi di qualche essere umano che non siamo disposti a trasformare o che si rifiuta. In quel caso bisogna solo … Accettarlo.”

Annuii appena, rattristata. Ora che la rabbia se n'era andata, mi sentivo di nuovo vuota e prossima all'apatia e al sonno.

E alle lacrime.

“Ti è mai successo?”

“No.” sorrise, abbassando lo sguardo. “Ma ogni tanto vorrei quasi che mi succedesse. Deve essere meraviglioso, trovare una persona tanto bella, tanto perfetta. Anche se andasse a finire male, non credo che mi pentirei di averla incontrata, nemmeno di fronte al dolore.”

Sbuffai.

“Vorresti che anch'io la vedessi così? Non è solo … Non è solo questione di finire male. C'è anche come finisce male. Lui non mi ha lasciata. Sono stata io a lasciarlo e sai perché? Era promesso sposo di un'altra. Promesso sposo! Ti rendi conto?”

Will fischiò.

“Senza offesa, ma questo tizio mi sembra vagamente deficiente.”

“E probabilmente hai ragione.” borbottai distogliendo lo sguardo. “Un matrimonio combinato, a quanto pare. Gli dispiaceva di non poter più stare con me, ma in ogni caso ha scelto lei.”

Lui scosse la testa.

“No, ha scelto la sua famiglia. È la sua famiglia ad avergli imposto il matrimonio, se è combinato come dici tu.”

Feci un sospiro tremante e mi imposi di non scoppiare di nuovo a piangere. Non davanti a Will.

“Ascolta, io non so quanto possa essere d'aiuto, ma davvero, da quanto tempo è che non esci come un essere umano normale e vai a divertirti un po'?”

“Bella domanda.” scrollai le spalle con noncuranza. “Dev'essere dalla rinascita, ormai.”

“Dalla rinascita!?” Will parve scandalizzato. “Scusa, ma sono passati due mesi!”

“Lo so.” replicai lanciandogli un'occhiataccia.

L'Alfa alzò gli occhi al cielo.

“Benissimo. Fine del letargo. Stasera esci con me.”

Ripensai vagamente alla conversazione in cucina, con Violett e le altre, e pensai anche che uscire con lui sarebbe stato come tradire Daniel, ma Daniel aveva tradito me, così …

“E' un ordine? O un appuntamento?”

“Questione di punti di vista.” ribatté Will con disinvoltura. “Io la vedo come prendermi cura di uno dei membri del mio branco.” si alzò. “Puoi vederla come vuoi, basta che stasera tu sia pronta alle sette o sfonderò la porta e ti porterò fuori anche in mutande.”

Arrossii un po', ma sorrisi.

“Allora non ho scelta.”

Il sorriso, già presente sul viso di Will, si allargò.

“Ci vediamo alle sette.” annunciò uscendo. Peccato che, spalancando la porta, avesse quasi fatto cadere Alexa, che ci era letteralmente appoggiata contro. Era evidente che la nostra conversazione non era stata molto privata.

L'Alfa parve davvero compiaciuto e quasi vidi il suo ego crescere sotto i miei occhi; fu ancora peggio quando notai che dietro Alexa c'erano anche Ellie e una Abby rossa fino alla radice dei capelli.

“Buonasera, signore!” salutò lui allontanandosi in corridoio.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Fuori ***


Capitolo 24 – Fuori

 

“Devi mettere una camicetta, più scollata è, meglio è.” sentenziò Abby con una camicetta degna di una porno star, in piedi davanti al mio armadio. La mia espressione sofferente le diede la risposta.

“Non è un appuntamento. Non voglio nemmeno pensare che lo sia.”

Non ora che alcune delle onde dell'oceano erano riuscite a superare quella scogliera di dolore. Non volevo tornare al punto di partenza.

Ero sicura che Will non avesse intenzione di farmi stare male come aveva fatto Daniel, ma il mio sistema di difesa automatico era già attivo.

Stranamente, Alexa si era dimostrata del tutto priva di entusiasmo per quella storia, a differenza di Ellie ed Abby. Quest'ultima era chiaramente sollevata grazie al fatto che finalmente stavo lasciando perdere il vampiro e stavo per uscire con qualcuno di perfetto, un fantastico licantropo, e un licantropo alfa, oltretutto. Sembrava una mamma orgogliosa.

Alexa era indignata e non mi guardava nemmeno.

“Stai tradendo Daniel!” esclamava. “Tu non capisci! Non dico che ti si ritorcerà contro, Sky, ma … Non puoi capire! E non fare quella faccia!”

Effettivamente aveva ragione: non potevo proprio capire. Non ci arrivavo e ogni volta che cercavo di arrivarci, Alexa dava praticamente di matto e riprendeva a strillare riguardo ai tradimenti. Ellie ed Abby avevano cercato di farla ragionare, ma non c'era stato verso.

Mancava meno di un'ora all'uscita con Will; mi aveva invitata più o meno alle cinque per le sette e mi ci era voluta una vita per farmi una doccia decente e togliermi di dosso tutte quelle bende. Il mio corpo aveva reagito bene ed ero già guarita. Solo la spalla faceva ancora male e scricchiolava quando la muovevo, il che era un po' inquietante.

Alexa era seduta da sola sul davanzale, senza degnarmi di un'occhiata, mentre io ero seduta sul letto con mia sorella. Abby frugava nel cassettone e nell'armadio alla ricerca di qualche vestito decente.

“Davvero … La volete smettere? Will è un ragazzo diretto. Se questo fosse stato un appuntamento, non si sarebbe preso il disturbo di fare giri di parole.”

“Ma ha lasciato posto alle ipotesi. Ha detto che potevi vederla come volevi e secondo me dovresti vederla come un appuntamento.”

Alexa fremette, ma non disse niente.

Ellie mi circondò le spalle con un braccio.

“Ha ragione. E secondo me l'ha anche fatto apposta. Sarà anche un ragazzo diretto, ma gode di una buona dose di malizia.”

“E arroganza.” bofonchiò Alexa.

Guardai la mia amica, con i capelli biondi che brillavano alla luce della luna già sorta. Sembrava profondamente afflitta; era raggomitolata sul davanzale, con le braccia che circondavano le ginocchia e il viso appoggiato sopra.

Pensai di andare a parlarle, ma lasciai perdere: tutti gli altri tentativi erano stati vani. Nonostante le cose procedessero bene e ci stessimo divertendo, sentivo lo stesso un vuoto da qualche parte dentro di me. Mi sforzavo di ignorarlo, eppure lui era sempre lì e quando una di loro pronunciava il nome di Daniel, sentivo mille spine trafiggermi.

Catturata dal morso pungente della gelosia, a volte mi chiedevo come fosse lei, se fosse più bella di me, se fosse diversa, se si conoscessero, se lui l'avesse portata al lago e poi all'oceano, come aveva fatto con me … Allora, di solito, i miei pensieri degeneravano dalla rabbia alla tristezza e ricominciavo a piangere.

Cercai di ignorare tutto questo e di concentrarmi su Abby ed Ellie, che progettavano di farmi indossare qualcosa di aderente e corto.

“E' inverno.” ricordai loro. “E andremo tra gli umani. Non credete che sia meglio qualcosa di carino, comodo e caldo?”

“Niente felpe!” esclamò Abby, seccata. Ellie ridacchiò.

“E se devo trasformarmi!? Scusate, ma come pensate che andremo in città, a piedi?”

“Vedrai che Will sarà premuroso e non ti farà trasformare in lupa.”

Alzai gli occhi al cielo, ma non replicai. Will premuroso era … Be', come un alieno sulla Terra.

Alla fine, riuscimmo a metterci tutte d'accordo: un paio di jeans neri, attillati, con un paio di comodi stivali dello stesso colore e una maglietta nera, a maniche lunghe e leggera con scollo a V. Niente di troppo appariscente, ma secondo Abby quella maglietta risaltava le mie forme piuttosto bene; era un po' stretta, però il tessuto era elasticizzato e sul davanti tirava fin troppo.

Il mio sospiro nervoso si udì per tutta la stanza. Ero … Spaventata. Continuavo a pensare che quello che stava succedendo fosse un tradimento ai danni di Daniel, anche se era evidente che non lo era e se lo era se lo meritava proprio. La nostra storia era finita ancora prima di cominciare, cosa pretendeva? O forse era già cominciata. Si soffriva così tanto, se così non era?

Guardai fuori dalla finestra e vidi le cime degli alberi rischiarate dalla luna. Quello per me era il segnale: era ora di andare da lui. E invece quella sera non l'avrei fatto, come tutte le altre sere. Non l'avrei fatto mai più. Daniel voleva un'altra, si era promesso a lei. Per conto della famiglia, forse, ma rimaneva il fatto che era a lei che era destinato.

Non avrei mai più vissuto quel silenzio complice che si creava tra noi e che chiudeva fuori l'intera foresta. Ero furiosa con me stessa, perché non avevo trovato il coraggio di fermarlo, né di strappare quella conchiglia dal mio collo nonostante lo volessi disperatamente.

Quando Will bussò alla porta, mi sentivo prossima a un crollo di nervi.

Non attese risposta e aprì subito.

“Pronta, Sky?” chiese con un sorrisetto. Chissà se in fondo ci aveva sperato, di portarmi fuori in mutande? Preferii non pensarci e abbozzai un sorriso.

“Sì.”

“Andiamo allora.”

Prima che potessi fare alcunché mi aveva già afferrato la mano e aveva chiuso la porta dietro di noi. Mi sentivo straordinariamente nervosa e in colpa, come se stessi davvero tradendo Daniel. Il fatto che vedessi di continuo nella mia mente l'immagine di Alexa che mi fissava torva, non aiutava affatto.

Per distrarmi, osservai Will, domandandomi se anche lui avesse passato le due ore precedenti in preda a un dubbio dilaniante riguardo a cosa mettersi; apparentemente no, visto che indossava il solito paio di jeans e una maglietta nera.

Il corridoio pullulava di licantropi, tutti diretti fuori, verso la foresta e verso la città. Era inspiegabile, eppure in qualche modo il buio rendeva gli umani più fiduciosi, a volte più tranquilli, e li rendeva perciò inclini ad accettare o a non notare la nostra vera natura. Passavamo inosservati, insomma, cosa rara per noi.

“Se non ti dispiace, facciamo la strada a piedi.”

Ecco. Will si stava comportando da gentiluomo, pensai. Questo avrebbe fatto saltare di gioia Abby, sorridere Ellie e grugnire Alexa. Proprio non capivo perché ce l'avesse tanto con il nostro Alfa.

“Non mi dispiace affatto.” risposi, sollevata. Spogliarmi davanti a lui e trasformarmi mi metteva un po' a disagio.

Dopo aver attraversato un labirinto di corridoi, uscimmo finalmente nell'aria fresca della sera e i nostri piedi toccarono il terreno morbido del bosco, che ci circondò nel suo abbraccio dopo pochi passi.

In breve, anche le luci e i suoni della Casa divennero remoti e distanti.

“Allora, Sky, qual era il posto in cui andavi da umana, quando eri depressa?”

Ci riflettei su un istante.

“La gelateria, credo. Sì, la gelateria. Poi veniva la libreria.” arricciai il naso. “Se ero in vena di stupidaggini, però, non si poteva mai sapere. Una volta mi sono quasi fatta un piercing in uno di quei momenti e ti garantisco che sono contenta di averne fatto a meno.”

Will ridacchiò e osservai il suo viso, delineato dalla luce della luna. Era un bel ragazzo, aveva tratti gentili, anche se induriti un po' dalla licantropia; i suoi muscoli avrebbero spaventato qualunque umano con un minimo di buonsenso.

“Allora in programma c'è sicuramente una gelateria.” rise Will. Ne fui piacevolmente sorpresa.

“Quando hai detto che volevi portarmi a divertirmi ...”

“Credevi che intendessi discoteche, fumo, alcool o derivati?” finì lui per me. “No. Cioè, per alcuni è divertente, ma ognuno ha il suo tipo di divertimento e non credo che questo sia il tuo.” mi guardò sollevando un sopracciglio. “Sbaglio?”

Scossi la testa, stupefatta.

“No, non sbagli proprio. E il tuo di divertimento, qual è?”

Lanciai un'occhiata alla foresta intorno a noi e il fantasma della mano di Daniel intrecciata alla mia comparve nella mia mente, facendomi sussultare.

Concentrati su Will, concentrati, concentrati, concentrati.

“In realtà,” rispose lui con fare pensieroso, “non ho molto tempo per divertirmi. Diciamo che essere l'Alfa di un branco di licantropi è già abbastanza divertente, ma se potessi scegliere … Forse farei semplicemente la stessa giornata che facevo da umano e tornerei addirittura a scuola. Solo così, per provare.”

Annuii a labbra strette. Dovevo smettere di pensare a Daniel. Cercai di ignorare il cuore che accelerava nel mio petto e gli occhi che pungevano per le lacrime; volevo impedirmi a tutti i costi di continuare a scrutare il bosco in cerca di un bagliore rosso, ma non ci riuscivo.

“Sky, hai il cuore che batte come un martello pneumatico. Cos'hai?”

Sussultai alla domanda di Will. Mi voltai di scatto e incontrai il suo sguardo curioso, molto vicino al mio. Il mio cuore accelerò ancora.

“Niente.” mentii. “Sono solo … Agitata, credo.”

Mi scrutò un istante soltanto, poi scoppiò di nuovo a ridere.

“Mi credi un lettore di persone così inesperto?” chiese, palesemente divertito. “Si vede lontano un miglio che ti senti in ansia perché pensi che uscire con me sia un tradimento nei suoi confronti.”

Abbassai lo sguardo e sospirai, sentendomi svuotata e sconfitta, come se fosse riuscito a vedere una parte della mia anima, ma invece di arrabbiarmi con lui riuscissi solo ad arrendermi all'evidenza.

“Hai ragione.” ammisi. Non avevo proprio la forza di discutere. “Mi fa piacere uscire con te e so che lui mi ha tradita per primo, ma ...”

“Ma è difficile.” la dolcezza nella voce di Will mi sorprese. “Lo so.”

Gli sorrisi, grata che capisse. In quel momento, volevo solo due cose: tornare indietro nel tempo e cadere in letargo finché il dolore non fosse passato. Non mi pentivo di aver conosciuto Daniel, solo … Solo non lo sapevo nemmeno io. Solo volevo che non avesse dovuto sposare un'altra. Solo volevo che avessimo avuto più tempo, che avessimo provato ad andare avanti.

Per un istante, smisi di respirare, il cuore di nuovo stretto in quella morsa che mi assediava da giorni. Non avevo mai sentito così tanto la mancanza di qualcuno. Mai. Volevo disperatamente che ci fosse lui al posto di Will, che mi abbracciasse, che intrecciasse le dita con le mie.

Mi accorsi di avere gli occhi umidi di lacrime e le ricacciai indietro.

“Hai mai provato a parlare con un lupo vero?” chiesi a Will per distrarmi. L'Alfa parve spiazzato dalla domanda.

Parlato? Cioè … Se ho avuto una conversazione con un lupo?” era decisamente sorpreso e mi sentii un po' sciocca per avergli posto una domanda tanto stupida, ma era stato il mio inconscio a farmi parlare, quell'inconscio che voleva che smettessi di vedere Daniel ovunque.

“Sì.” rispose infine Will con disinvoltura, recuperando il controllo di sé. “La mia trasformazione è stata completamente priva di assistenza.” raccontò, “Io sono rinato molti secoli fa, circa settecentocinque, a occhio e croce.” non faticai a non far trapelare la mia sorpresa: ormai, ne avevo sentite di tutti i colori, in quei giorni. “E non c'erano di certo le Case e il Clan dei Lupi era molto giovane, non riusciva a rintracciarci con facilità. Così, per un po' di tempo ho vissuto nei boschi, visto che i licantropi erano demonizzati in quel periodo, e ho conosciuto i lupi; ho pensato di stare con loro, dato che ormai eravamo parenti.”

La curiosità riuscì a distrarmi per un attimo dall'ossessiva ricerca di Daniel, e mi voltai verso Will.

“Davvero? E capivi sempre quello che dicevano? Riuscivi a farti capire?”

L'Alfa annuì.

“Più o meno. I lupi non parlano come gli umani, ma si scambiano informazioni e stati d'animo. Per esempio, se c'era un grizzly nelle vicinanze, nessuno diceva c'è un orso, ma pericolo. Poi stava agli altri annusare e capire quale fosse il pericolo, anche se di solito l'Alfa comunicava ordini anche prima e noi obbedivamo.”

Osservai il profilo del viso di Will e vidi che sulle sue labbra si era formato un vago sorriso.

“Una volta un cacciatore mi ha sparato.” disse, ma non riuscii a decifrare il tono della sua voce. Amareggiato, forse? O divertito? “E ne ho serbato il ricordo.”

Mentre mi chiedevo cosa intendesse, lo vidi infilare una mano nel colletto della maglietta ed estrarne una corda nera che reggeva una pallottola, modellata a mo' di ciondolo. La fissai sorpresa: riluceva alla luce della luna come fosse un gioiello.

“Mi ha beccato sul fianco, tra le costole.” disse Will, rimettendola sotto la maglietta.

“Ti ha fatto male?”

“Solo un po'.” mi sorrise. “Tutti noi corriamo questo rischio, anche se a così tanti chilometri dalla città è improbabile che un umano ci trovi.”

Arrivammo nei pressi del precipizio che ci separava dalla città e saltammo con agilità, un balzo che sarebbe stato un suicidio per un essere umano. Quando atterrammo dall'altra parte, colsi una sfumatura di ammirazione nello sguardo di Will, ma quando guardai meglio era sparita e io mi convinsi di essermela immaginata.

Il bosco, da lì in poi, cominciò a diradarsi e il profilo delle case comparve davanti a noi. La luna conferiva una luce spettrale a tutto, il mondo si tingeva d'argento. Solo in quei momenti, al buio, mi rendevo conto di quanto fossi stata cieca da umana e di quanta bellezza mi stessi perdendo: i tetti delle case sembravano risplendere di fronte a noi e l'erba era leggermente umida di pioggia, le sue gocce ancora brillavano come perle.

Sentii lo sguardo di Will su di me e mi voltai. Sorrise.

“Andiamo, Sky. Qui vicino c'è una bella gelateria.”

Ci inoltrammo nelle vie deserte di quella cittadina. Non c'era proprio nessuno. Sembrava una di quelle tipiche zone in cui si nascondevano i malviventi e gli spacciatori di droga e forse anni prima avrei avuto i nervi a fior di pelle, ma in quel momento riuscii solo ad inebriarmi della sensazione di libertà che mi dava il fatto di non esserne spaventata. Era come se mi avessero tagliato delle catene che mi avevano legata per tutta la vita, senza che me ne rendessi conto.

“E' incredibile quante cose si imparino nell'eternità.” disse a un tratto Will. “Quali sono le gelaterie migliori, trovare le caramelle più buone, i libri più belli ...”

Sorrisi.

“Quali sono le caramelle più buone?”

“Ah, senz'altro quelle che vendono al confine del lato est del bosco. C'è un solo negozio che le vende e sono di una bontà micidiale. Un concentrato di zucchero e fragole ...” parve quasi che Will fosse sul punto di leccarsi i baffi.

“E' strano pensare di vivere per sempre.” dissi, soprappensiero.

“Naah.” replicò Will. “E' strana solo l'idea. In realtà, tutto viene da sé e il tempo passa senza che tu te ne accorga. Poi, un bel giorno, ti guardi indietro e ti rendi conto che hai quasi settecentocinque anni e che non esiste una torta abbastanza grande per tutte quelle candeline.”

Mio malgrado, sorrisi di nuovo. Era un pensiero straordinariamente normale, quello della torta con le candeline. A quel punto, festeggiare il mio compleanno era l'ultima cosa che pensavo di fare. Mi resi conto di essermene effettivamente dimenticata quando vidi un albero di Natale nel giardino di una casa davanti a noi. E poi un altro, un altro e un altro ancora, insieme alle lucine e a tutte le decorazioni.

Mi bloccai di colpo.

Will sentì i miei passi fermarsi e si voltò con la curiosità che trapelava dai suoi occhi.

“Cosa c'è, Sky?”

“Oh. Oh!

Aggrottò le sopracciglia.

“Cos'è, un imitazione di Babbo Natale?”

“No!” esclamai, stupita. “O cavoli.” ero davvero esterrefatta. “E' Natale!?”

Le sopracciglia di Will schizzarono in alto.

“Con questo vuoi dire che non sai nemmeno che giorno siamo!?”

“Io … Voglio dire … No.” ammisi infine. L'Alfa mi fissò stralunato per un istante e quasi pensai che stesse per mettersi a ridere.

Invece, disse:”No, non è ancora Natale. Siamo il ventitré.”

“Ventitré dicembre!?”

Annuì.

“O cavolo, ho dimenticato il mio compleanno!”

Will scoppiò a ridere e, voltandosi, ricominciò a camminare con le mani in tasca, le spalle ancora scosse dalle risate. Non riuscii a trattenere un sorriso. Alexa mi avrebbe uccisa se glielo avessi detto.

Il mio compleanno era il 28 novembre … Me n'ero proprio dimenticata. Ma supponevo che non fosse importante sapere quanti anni avessi; sarei cambiata e cresciuta più o meno fino a vent'anni, poi sarei rimasta congelata nell'attimo.

Mi limitai a seguire Will, ancora sorpresa di aver perso la cognizione del tempo in quel modo. In fondo, alla Casa non c'erano calendari, cosa pretendevano tutti?

Alzai gli occhi verso il cielo e vidi che stava cominciando a nevicare. Non mi ero accorta di quanto facesse freddo. Nemmeno Will, del resto, visto che era in maniche corte.

Mi affrettai a raggiungerlo e insieme attraversammo i viali pieni di luci della cittadina, diretti alla misteriosa gelateria.

Ci arrivammo dopo diversi minuti; era abbastanza piccola, con grandi vetrate che davano sulla strada, decorate da lucine e addobbi. All'interno vedevo dei tavolini bianchi con poltroncine imbottite, poi un bancone con una marea di gusti di gelato diversi. Solo che non c'era nessuno dietro.

Perplessa, guardai l'orario sulla porta.

“Will, aspetta!” esclamai quando vidi che stava per entrare. “E' chiuso!”

Un ghigno furbo gli comparve sulle labbra, e mi chiesi se stessimo per diventare ladri di gelato.

“Vedi l'orario del mattino? Dalle nove alle undici?”

Annuii.

“Ecco. Molte gelaterie della zona e anche diversi ristoranti affiggono il cartello chiuso, ma tengono le luci accese; significa che il locale è aperto per vampiri e licantropi alle stesse ore del mattino.”

“Wow.” fu tutto quello che riuscii a dire. Ero davvero esterrefatta. Non ci avevo proprio mai pensato.

Will esibì un sorrisetto compiaciuto ed entrò. Mi guardai in giro nella strada deserta e vidi le cime degli alberi in lontananza.

Daniel.

Minuscoli aghi mi trafissero quando pensai al suo nome. Ricacciai indietro le lacrime ed entrai in gelateria.

La temperatura, ovviamente più alta di quella esterna, mi avvolse come una coperta insieme al profumo di tutti i gusti di gelato e a quelli dei coni e dei biscotti, dei frullati, del cioccolato, della panna e del caramello. E all'odore di un licantropo, comparso dal nulla dietro al bancone.

“Quali gusti volete? Abbiamo anche quelli alla carne e al sangue, nuovi ritrovati.”
Rabbrividii.

“Niente del genere, Wallie.”

Will comparve dal lato sinistro del bancone con un sorrisetto, probabilmente dovuto alla vista della mia espressione disgustata. Gelato al sangue … Quello sì che sarebbe stato terribile.

“Ma guarda chi si vede!” esclamò Wallie con un sorriso. Aveva il viso pieno di lentiggini e due fossette ai lati. “L'Alfa degli alfa! Da quanto tempo non passavi di qui!”

“Eh, già, ho avuto un po' da fare.”

“Ti sei trovato la ragazza, vedo.” constatò il gelataio, facendomi l'occhiolino.

Will mi si avvicinò.

“No, no. Fa parte del mio branco e per colpa della rinascita e di un fidanzato idiota si è dimenticata del suo compleanno. E io l'ho invitata fuori.”

Detta così, sembrava proprio che non fossi la sua ragazza, ma che ci stesse decisamente provando. Mi ritrovai ad arrossire, più per l'imbarazzo che per altro. Detestavo arrossire.

Wallie ridacchiò.

“Bene bene, diventerete la coppia dell'anno. Ai licantropi piacciono i pettegolezzi.” mi fece l'occhiolino. “Cosa vi preparo?”

Cominciai a scorrere i gusti davanti a noi, ma Will mi anticipò.

“Prepara due coppe con gelato al cioccolato, al fior di latte, Nutella e stracciatella, con panna, caramello, ciliegie e i tuoi migliori biscotti. Pago io, devo un regalo a Sky.” mi lanciò uno di quei sorrisi irresistibili per cui qualunque ragazza avrebbe fatto qualunque cosa.

“Sei davvero gentile Will, ma ti assicuro che non è necessario. Non è mica colpa tua.”

Si limitò a scrollare le spalle.

“E' sempre una questione di punti di vista. Io questo lo vedo come instaurare un rapporto di fiducia con un membro del mio branco.” sogghignò, “E tu ne sei onorata e non vuoi togliermi questo immenso onore, vero?”

Sospirai.

“E' vero.”

Decisi di andare a sedermi senza discutere; ecco, intavolare una discussione con Will era come farlo con un avvocato … O con un muro. Non c'era speranza di vincere. L'avvocato avrebbe raggirato le parole fino a ritorcerle contro al malcapitato, mentre il muro … Be', mettiamola così: potevi dirgli tutto quello che volevi, tanto non si sarebbe certo spostato, né avrebbe dato segni di vita.

Mi sedetti sulla poltroncina che avevo visto da fuori e, appoggiato il viso sul palmo della mano, guardai i primi fiocchi di neve scendere placidi, trasportati dal vento. Chissà se io e Daniel, un giorno, saremmo andati in una gelateria come me e Will. Lui avrebbe preso sicuramente il gelato al sangue, ma non ci avrei nemmeno fatto caso.

Probabilmente ci andava con lei. Erano quasi marito e moglie, ormai. Erano passati quasi cinque giorni, il che significava che al loro matrimonio mancavano tre settimane, forse meno.

Si amavano? O era stato solo per …

“Ecco qua!” esclamò Will facendomi sobbalzare. Una coppa di gelato gigante comparve davanti a me.

Per un attimo, fui spiazzata dalle sue proporzioni epiche, procurandomi un altro dei sorrisetti di Will. Poi però il mio stomaco brontolò e ricordai che non avevo cenato, anzi, che erano giorni che non mangiavo, e mi avventai sul gelato.

Oltre ai gusti scelti da Will, c'erano anche scaglie e interi pezzi di cioccolato, delizioso caramello e tantissima panna. Adoravo la panna.

Insieme, c'erano anche i waffles, impregnati di gelato. Mai mangiato niente di più buono.

Quando ebbi finito di spazzolare la mia coppa, notai che Will era ancora a metà e mi fissava esterrefatto, con un'espressione tra il divertito e il sorpreso.

“Sapevo che alcune ragazze non mangiano molto quando il ragazzo le lascia, ma non pensavo che ti fossi letteralmente ridotta alla fame ...”

Vidi la sua espressione e quasi risi. Lo stavo davvero sorprendendo.

“Tanto per precisare, l'ho lasciato io.” gli ricordai con una smorfia. Will non aggiunse altro, probabilmente perché l'argomento era delicato e non voleva andare troppo oltre.

Quando finì il gelato uscimmo. La neve era aumentata e ormai ne cadeva tanta, portata dal vento freddo. I miei capelli volarono per aria appena fuori dalla gelateria, e tanti saluti a Abby che me li aveva pettinati con tanta cura. O meglio, perfettamente spettinati, per come la vedeva lei.

Io e Will ridemmo, correndo sotto la tormenta, anche se in realtà era solo … Piacevole. Era bellissimo sentire il vento accarezzarmi la pelle. Non era gelido, né troppo forte. Era una carezza gentile e la neve non non faceva altro che bagnare i miei vestiti, ma quasi non la sentivo.

Ci mettemmo a correre lungo le strade deserte, case piene di luci e di alberi di Natale che ci scorrevano accanto. Ormai era tardi, e nelle case si sentiva solo il respiro della gente che dormiva, eppure per noi sembrava che il giorno fosse appena iniziato.

Will e io finimmo per sfidarci in una corsa pazza lungo la strada; vinse lui. Mi fece sentire più leggera, correre così, ma in realtà sapevo che il vuoto era lì ad aspettarmi e che mi avrebbe accolta a braccia aperte appena la serata fosse finita.

Io e Will camminammo a lungo, insieme, fianco a fianco, fino ad arrivare alla città vera. Le luci divennero più intense e finalmente cominciai a vedere qualcuno in giro, ma non erano le persone che vedevo da umana: solo uno su dieci era umano. Il resto era costituito da licantropi e da vampiri con gli occhi a volte abilmente mascherati da lenti a contatto.

Arrivammo a una pista ghiacciata, con una o due coppie che ancora pattinavano nonostante l'ora.

Will mi guardò.

“Sei capace?”

“Mmm … Diciamo che me la cavo abbastanza.”

Sorrise, quel suo ghigno che non prometteva niente di buono.

“Allora andiamo.”

Non ero molto contenta; io e mia sorella pattinavamo spesso sul ghiaccio, da piccole, ma probabilmente non avevo afferrato qualcosa di fondamentale, perché scivolavo sempre.

Prima che potessi ribattere, comunque, Will mi aveva già afferrata per i fianchi e issata sulla sua spalla, dirigendosi risoluto verso la pista.

“Lasciami!” strillai battendo i pugni sulla sua schiena. Sentii la sua risata vibrare dentro di me.

“Sei proprio un tipetto violento, Sky.”

Mi mise giù davanti a una commessa.

“Due biglietti.” disse sogghignando. Non avevo più scampo, pensai.

Will pagò in fretta e dovette letteralmente spingermi per portarmi a prendere i pattini e convincerli a indossarli. Alla fine, dopo mezz'ora di proteste, ero in piedi sulla pista, con quei cosi infernali ai piedi, praticamente abbarbicata su Will.

“Se avessi saputo prima che portandoti qui mi saresti stata così vicina, mi sa che l'avrei fatto prima.” commentò lui con un sorrisetto malizioso. Mi staccai di scatto, finendo quasi a faccia a terra. Per fortuna avevo sviluppato dei riflessi decenti e riuscii ad atterrare in ginocchio.

Will mi porse una mano e in quella mano rividi il fantasma di quella di Daniel. Un fremito mi scosse dalla testa ai piedi.

Concentrati, concentrati, concentrati.

Afferrai la sua mano e con sollievo mi accorsi che era calda come la mia, non fredda. Il mio cuore rallentò un po' e il fantasma fu di nuovo relegato in un angolo della mia mente.

Mi rialzai.

“Be', allora cominciamo dalle basi.” disse Will. “Primo: cerca di non cadere troppe volte o dovrò fare il gentiluomo e aiutarti troppe volte e mi farò un'idea sbagliata, pensando che tu voglia usarmi.” sogghignò vedendo la mia espressione. “Secondo: non usare il trucco di cadermi addosso, o davvero sarò costretto a pensare che tu voglia qualcosa di più di questa serata da me.”

Arrossii fino alla punta delle orecchie e mi staccai vacillando.

“Will, io non so come diavolo ti vengano in mente certe cose, ma non ho nessuna intenzione di chiederti qualcosa di più. Semmai è il contrario.”

“Come!?” si finse profondamente offeso. “Io sto solo facendo il gentiluomo!” esclamò.

“Come no, come no.” risposi divertita, tentando qualche passo in avanti con i pattini. Will decise che quello era il momento migliore di dimostrare le sue abilità come pattinatore. Mi sfilò davanti pattinando all'indietro con disinvoltura e poi mi girò attorno palesemente compiaciuto.

Lo fissai per un istante a bocca aperta e lui ridacchiò.

“Ti ho già parlato di tutte quelle cose che si imparano nell'eternità? Ecco, un po' di anni fa vivevo in Alaska, credo, e c'era una bella pista di pattinaggio ...”

Scossi la testa con rassegnazione, cercando di andare verso di lui. Era davvero bravo.

Dopo la mia ennesima caduta e trecento delle sue odiose piroette, Will decise che era ora di aiutarmi e pattinò deciso verso di me, afferrandomi le mani. Al contatto, rabbrividii ripensando a Daniel, ma cercai di non darlo a vedere e quando alzai lo sguardo gli sorrisi.

Will si avvicinò a me.

“Adesso,” sussurrò a due centimetri dal mio viso, “devi promettermi che non cadrai.”

Annuii.

“Guardami negli occhi.” riluttante, alzai lo sguardo e incontrai i suoi inconfondibili occhi dorati e luccicanti. Feci un mezzo sorriso.

“Dovrei dirti che hai dei begli occhi?”

“No.” rispose Will con un sorrisetto, “Ma ti aiuterà guardare un punto fisso e non i tuoi piedi, e con i miei occhi è più facile.” alla mia occhiata sospettosa, ridacchiò. “Ehi, me l'hai detto tu che sono belli.”

Sbuffai, a metà tra il divertito e l'esasperato, ma fissai gli occhi nei suoi.

“Bene, e adesso piede destro avanti.” ordinò andando indietro e tirando me in avanti. Per un istante temetti di andargli a sbattere contro se avessi fatto come diceva, e provai ad abbassare lo sguardo sui miei piedi, ma Will mi strinse forte le mani.

“Ah-ah, stai barando.”

“Okay.” sospirai. Cominciammo a pattinare piano, aumentando la velocità ad ogni giro, con Will che mi stringeva le mani quando stavo per cadere o abbassavo lo sguardo. Dopo un po', non me le strinse più e non sapevo nemmeno che ora fosse quando finalmente potei lasciare le sue mani e pattinare da sola.

Al primo giro della pista che feci senza cadere, mi presentai davanti a lui.

“Allora maestro,” chiesi allargando le braccia, “qual è il suo voto?”

Will inclinò la testa di lato.

“Direi un sette per il modo di pattinare, ma un nove più per l'impegno.”

Aggrottai le sopracciglia.

“Perché il più?”

“Be', è sempre interessante quando una ragazza mi casca addosso in modo così spontaneo ...”

Borbottai qualcosa e mi diressi verso l'ingresso della pista, per togliermi i pattini. Dopo un attimo, Will mi seguì.

Uscimmo dalla pista in silenzio e mi chiesi se fossimo diretti verso la Casa o se lui avesse in mente qualcos'altro. Apparentemente, no, ma con lui non si poteva mai sapere.

“Allora, Sky, tornerai a pattinare?” chiese un istante dopo.

Sorrisi e scossi la testa.

“Non credo proprio.”

“Neanche se io ti invitassi di nuovo?”

“Credo di no.”

“Credi, eh?”

Alzai gli occhi al cielo.

“Sei a dir poco esasperante.”

“Di solito mi definiscono affascinante, ma va bene anche così, sono sempre propenso ai cambiamenti.”

Scossi la testa: era proprio idiota.

“Posso chiederti una cosa?” il tono serio mi colpì.

“Dimmi.”

“Il tuo … Insomma, lo sai. Il tuo ex ragazzo … Hai intenzione di rivederlo?”

Alzai un sopracciglio, stupita.

“Stai per farmi una dichiarazione?”

Will scoppiò a ridere.

“Non molli proprio mai! No, niente dichiarazione, spiacente. Quella si fa al terzo appuntamento.” ammiccò. “No, ero solo curioso.”

Scrollai le spalle.

“No, non ho nessuna intenzione di rivederlo.”

“Non vuoi chiarire?”

Quasi fui io a ridere.

“Chiarire che cosa? I dettagli della relazione con la sua futura moglie? Soffrirei solo di più. Non ha alcun senso.”

Will esitò prima di rispondere, ma poi disse lentamente:”Forse soffri di più stando nel dubbio. Ti tormenti con cose che magari immagini soltanto.” vedendo che le mie spalle si irrigidivano, aggiunse:”Avanti Sky! Te la devi essere immaginata, una volta o due. Lo farebbe chiunque! Magari hai anche pensato che la ami davvero.”

Strinsi le labbra, il cuore di nuovo stretto in una morsa.

“Non è vero.”

“Sì che è vero.” ribatté Will. “Non sarebbe meglio parlargliene? Magari scopri che non l'ha mai amata ...”

“Non cambierebbe le cose.”

“Sì invece. Staresti meglio. Sarebbe più ingiusto, ma staresti meglio.”

Serrai le labbra fino a farle diventare bianche.

“Non ce la faccio. E non è detto che mi ami. Magari parlargli confermerebbe solo i miei sospetti.”

“E' sempre meglio che stare nel dubbio.”

“Per te, forse.”

Ero vicina alle lacrime e la mia voce tremò al forse. Avevo paura di cedere davanti a lui e scoppiare a piangere. In realtà, mi aveva già vista così: mi aveva vista cedere alla furia, ma non era la stessa cosa.

“Devi affrontarlo. Per quanto ancora pensi di poter andare avanti ignorando il dolore? Tornerà a tormentarti.”

Sapevo che aveva ragione, ma non volevo ammetterlo. Avevo un terrore folle di ammetterlo. Non volevo, non ci riuscivo, non potevo.

Chiusi gli occhi un istante, sperando di ritrovare la lucidità, e li riaprii solo dopo aver preso un bel respiro. Udivo il cuore calmo di Will accanto a me.

“Davvero, sto bene.” gli garantii. La voce non sembrò credibile neppure a me. “Sto bene.” ripetei. “E se anche non stessi bene adesso, io … Passerà.” deglutii. “Passerà.”

Will rimase in silenzio un attimo e poi annuì.

Il tragitto verso la Casa, attraverso il bosco, fu silenzioso, ma non era quel tipo di silenzio che c'era tra me e Daniel, era imbarazzante. I nostri passi a malapena si udivano sul terreno, anche se con l'udito che mi ritrovavo riuscivo a notare che quelli di Will erano un po' più forti rispetto ai miei, forse a causa del peso.

Non c'era un alito di vento, e ora la neve cadeva copiosa. Alcuni fiocchi si imperlavano tra i miei capelli o nella maglietta, ma ovviamente non avevo freddo.

Quando arrivammo davanti alla Casa, Will si voltò verso di me.

Sorrisi.

“Grazie Will, è stata una serata divertente.”

Sorrise anche lui.

“Quello che speravo. Il gelato mi è sembrato un ottimo regalo di compleanno.”

Gliene fui grata. Vidi che i suoi occhi brillavano leggermente più del solito.

“Se ti andasse di rifarlo ...”

“So dove trovarti.” finii con un sorriso. Nel suo sguardo ci fu un lampo di malizia.

“Non vale, rubarmi le battute.” ma si capiva che ne era divertito. Era surreale: noi sotto le porte della Casa, lui in maniche corte con la neve sullo sfondo e tra i capelli.

Will si chinò su di me e mi baciò sull'angolo destro della bocca, con delicatezza. Arrossii.

“A presto, Sky.”

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Consiglio ***


 Capitolo 25 - Consiglio

 

Quando raccontai alle altre della serata, poco ci mancò che Alexa mi picchiasse. Era furiosa con me e con Abby ed Ellie, ma nessuna di noi capiva il motivo del suo tormento.

Sembrava dilaniata da un dubbio a dir poco inesplicabile e camminava su e giù per la stanza come un animale in gabbia, lanciandoci di tanto in tanto occhiate assassine.

Abby sopportava con curiosa pazienza.

“Fa sempre così.”, disse, “Anni dopo, o a volte addirittura secoli, scopri che avresti dovuto ascoltarla.”

Corrugai le sopracciglia.

“Questo significa che dovrei andare da Daniel?”

No!” strepitò Alexa, balzando in piedi dal davanzale, gli occhi luminosi come lampadine e spalancati, grandi come biglie verdi. “Non pensarci nemmeno!” gridò puntandomi un dito contro. “A costo di sbatterti nell'ufficio di Will!”

“Ma che …?” eravamo tutte stupite dal suo comportamento, nonostante le rassicurazioni di Abby. Il punto era che Alexa non sembrava pazza, sembrava piuttosto tormentata, esasperata, come chi ha un dubbio o deve assolutamente dire qualcosa, ma non può.

“Fidatevi.” garantì Abby “Due secoli fa non voleva che andassi nel bosco, io non l'ho ascoltata e sono quasi stata uccisa da un cacciatore. Si tormenta, ma dovete fare quello che dice solo quando lo dice. Una volta … Quand'era? Mi pare sessant'anni fa … Comunque, non voleva che andassi in una discoteca per licantropi. Io ci sono andata e ho conosciuto un licantropo con cui mi sono fidanzata. Anni dopo ci siamo lasciati e ho sofferto tantissimo, ma nonostante lei mi avesse avvertita ho dovuto andarci o mi ci avrebbe trascinata in catene.”

“Come scusa?” chiesi cercando di capire. Ma Abby mi liquidò con un gesto della mano.

“Sta' tranquilla e fidati: se dice che non devi andare da Daniel, non devi andarci.”

Mugugnai qualcosa tra me e me.

“No!” esclamò Alexa tirandosi su di scatto. “Deve! Lei dovrà andarci.”

“Eh!?” feci io.

“Come sarebbe!?” fece Abby.

“Non ora che ha Will!” esclamò mia sorella.

“Io non ho Will.” brontolai io. Alexa si voltò di scatto, le spalle rigide.

“Niente, non importa. Niente. Niente. Niente. Davvero. Ora … Io devo andare!” scappò letteralmente fuori dalla stanza di corsa, paonazza, e si gettò in corridoio sbattendosi la porta alle spalle.

Cominciavo proprio a preoccuparmi.

Ellie la seguì con lo sguardo, con aria affranta, e un attimo dopo ci lanciò un'occhiata di scuse mentre si alzava e la seguiva. Sapevo che erano praticamente sorelle, in qualche modo a noi del tutto incomprensibile, perciò mi limitai a sorriderle e a scuotere la testa: non aveva importanza.

Rimaste sole, io e Abby ci guardammo.

“Ti va di mangiare qualcosa, ora che hai ricominciato a farlo?”

Scrollai le spalle.

“Mangerò qualcosa.”

Il corridoio era deserto: era la seconda nevicata dell'anno e gran parte dei licantropi era uscito a godersi la neve. La cucina era inondata dalla fredda luce invernale e dal riverbero della neve, depositata sul davanzale. Era un sollievo non avere più freddo, ma dovevo ammettere che era ancora strano vedere i ghiaccioli pendere lì fuori e non sentire nemmeno in brivido.

L'unico modo che avevo per sentirlo era Daniel, pensai con una stretta al cuore.

La mia fame si dileguò istantaneamente e Abby, che evidentemente lo vide dalla mia faccia, cominciò a preparare una cioccolata calda con un sospiro.

“Non passerà.” disse voltandomi le spalle e armeggiando con le tazze. “Se continui così, il dolore non passerà. So come ci si sente a perdere una persona che si ama … Ed è terribile. Ci vuole tempo.”

Avrei voluto spiegarle che io non amavo Daniel, anche se forse provavo qualcosa che ci si avvicinava terribilmente, ma quello che dissi fu diverso:”Non c'è un trucco per far passare il dolore più in fretta?”

Sentii Abby sorridere e poi il suono morbido e delicato del latte versato nel pentolino. Mi lasciai distrarre e cullare dal leggero fruscio della neve che cadeva, poi dal rumore un ghiacciolo che gocciolava un po', e poi dalle voci che provenivano da fuori.

“No.” rispose lei, interrompendo i miei pensieri. “Ti direi che chiodo scaccia chiodo e quindi normalmente ti direi di uscire con Will, ma … Mi sembrerebbe crudele.”

Sorpresa, alzai la testa.

“Perché?”

Abby si voltò, lasciando che la cioccolata cuocesse e preparando le due tazze in cui l'avrebbe versata poco dopo.

“Tu ami Daniel. Sarebbe come dire che hai due figli e, quando ne perdi uno, hai sempre l'altro da amare.” scrollò le spalle. “Come amica, volevo che amassi Will o che ti dimostrassi interessata, almeno, ma non è così. Non riesci a far uscire Daniel dalla tua testa, non è vero?”

Annuii lentamente.

“E' così. Ma io non lo amo. Non eravamo … Niente. Era solo ...” ma non riuscii a trovare un modo coerente di finire la frase. Eravamo solo cosa? Cos'eravamo, in fin dei conti? Amici, forse? Amici che si baciavano, che si capivano meglio di chiunque altro … Come no.

“E allora, Sky, se non lo ami, vuoi dirmi perché è così doloroso? Andiamo. È passata una settimana. Non mi sembri affatto migliorata.” inclinò la testa e sorrise un po'. “Senza offesa, naturalmente.”

Non potei trattenere un sorriso rassegnato.

“Hai ragione, ma non … Non so. Non mi sembrava che fossimo innamorati.”

Abby versò la cioccolata nelle due tazze e me ne porse una. Si sedette davanti a me.

“L'amore è una cosa che cresce pian piano, come la fiducia e la stima l'uno nell'altra. Se tutto questo fosse successo più avanti, avrebbe fatto ancora più male.”

“Più male di così?” chiesi incredula, ad occhi sgranati. Non riuscivo ad immaginare che facesse ancora più male, che stritolasse il cuore ancora di più, che chiudesse ancora più spesso la mia gola con le lacrime impedendomi di mangiare. Non riuscivo neanche ad immaginare un vuoto simile.

“Sì. Può essere più doloroso.” rispose Abby con gli occhi socchiusi e l'espressione triste. Non incrociò il mio sguardo, ma capii lo stesso dalla postura rigida delle spalle che doveva aver preso qualche decisione difficile.

“Sky, ora voglio darti un consiglio da amica. Decidi tu se seguirlo o meno. Ascolta, io penso che sia meglio mettere fine a certe cose. Vedi, quando … Scrivi un libro e devi decidere se e come mettere il punto finale, nell'ultima pagina, non puoi metterlo se non hai scritto tutto quello che dovevi scrivere e risolto gran parte dei drammi tra i personaggi. Ecco perché penso che dovresti tornare da Daniel e … Parlargli. Dovresti risolvere quanto più possibile e mettere il punto. Solo poi riuscirai ad andare avanti.”

 

Le parole di Abby mi tormentarono per tutto il giorno e non accennavano a smettere con l'arrivo della sera. Provai a bere una camomilla, ma mi sentivo più iperattiva di prima. La luce della neve rendeva la stanza più luminosa e non riuscivo a dormire.

Mi giravo e mi rigiravo nel letto, spostando continuamente le coperte. La camicia da notte mi si era appiccicata al corpo ed ero tutta sudata.

Il pensiero di Daniel continuava a tormentarmi, stringendo stomaco e cuore in una morsa. Chiudevo gli occhi e rivedevo lui, li aprivo e trovavo il buio, mi addormentavo e c'era lui anche nei miei sogni … Avevo un enorme, doloroso, orrendo vuoto dentro.

Ogni cellula del mio corpo spasimava per il bosco innevato, dove sapevo che l'avrei trovato. Era l'unica cosa che volevo: porre fine alla mia sofferenza. Solo rivedendolo avrei potuto sperare di placare quel fuoco che infuriava dentro di me e che mi impediva di mangiare, di dormire, che mi stritolava.

Mi ritrovai in piedi, fuori dal letto. Di sfuggita, vidi il mio riflesso allo specchio: i capelli erano tutti scarmigliati, il viso pallido come non mai, gli occhi spalancati e rossi, le guance solcate di lacrime.

Non sapevo da quanto tempo fossi lì … Ormai doveva essere l'una di notte.

Senza accendere la luce, perché ormai non faceva più differenza, tolsi la camicia da notte e indossai un vestito nero, provando subito un gran sollievo. Significava che non dovevo più dormire, in qualche modo. Significava che ci avevo definitivamente rinunciato e la cosa, malgrado tutto, non fece altro che provocarmi un grande sollievo.

Con la mente finalmente sgombra, capii che, Daniel o non Daniel, avevo disperato bisogno di una corsa, una lunga corsa nei boschi.

Una debole ventata di felicità mi attraversò le vene quando aprii la finestra di camera mia e il gelo pungente dell'inverno mi scompigliò i capelli. Io ero fatta per questo. In assoluto.

Senza pensarci due volte, presi la rincorsa e mi tuffai letteralmente nel vento. Nell'istante stesso in cui i miei piedi piombarono a terra, cominciai a correre. E non era la corsa che avevo fatto di solito: questa era una corsa per sopravvivere. La velocità era quasi quella da lupa.

Mi ritrovai a sfrecciare attraverso il bosco, in forma umana, i piedi che volavano sul terreno gelato, i capelli scompigliati dal vento … Tutto intorno a me non era altro che una macchia indistinta, anche se nella mia mente c'era sempre Daniel, Daniel, Daniel.

Daniel, quando aveva riso con me.

Daniel, quando mi aveva preso la mano.

Daniel, quando mi aveva baciata.

Corsi, corsi e corsi, ancora, ancora, ancora e ancora, disperatamente, ricacciando indietro le lacrime, non fermandomi nemmeno quando cominciai a sentire le gambe doloranti, continuando finché tutti i miei sensi e i miei pensieri furono annullati e rimanemmo solo io, i miei piedi che affondavano nel terreno e il vento.

La sera era limpida, c'era la luna. Il bosco cantava, il vento fischiava … Quel mondo era lì per abbracciarmi. O per soffocarmi. Per soffocare i miei pensieri. Afferrai un ramo basso, quasi senza capire quello che facevo, e mi scagliai letteralmente in aria, fino a volare verso la luna. Il vento fischiò più forte mentre atterravo bruscamente a terra, i piedi di nuovo nella neve, e ricominciavo. Un altro ramo, un altro albero e in poco tempo non stavo più correndo, stavo volando. Volavo tra gli alberi, saltavo, tutt'uno con loro, nel disperato tentativo di non pensare.

E avrei continuato. Avrei continuato, forse per sempre, finché il mio cuore non avesse battuto troppo forte, se non fosse stato per le voci.

Mi fermai di botto, inginocchiata sul ramo di un grosso abete.

“Coraggio, tanto al matrimonio lo dovremo fare comunque. È meglio fare esercizio. Dopotutto, l'hai detto tu che era meglio così.”

Sentii un sospiro seguire quella voce brillante e argentina, come il gorgoglio di un ruscello. Mi chinai silenziosamente attraverso le foglie per guardare meglio. Non ero contro vento, non avrebbero sentito il mio odore, e nonostante ciò il cuore mi batteva all'impazzata, perché sapevo già chi c'era lì, davanti al lago.

Daniel, pallido come sempre, le mani in tasca, l'espressione indecifrabile, era fermo, di profilo, davanti a quella che, sapevo per certo, era una vampira. Era castana, ma i suoi capelli erano attraversati da incantevoli sfumature dorate. Aveva il viso pallidissimo, candido come la neve, grandi occhi viola, orlati da lunghe e folte ciglia nere. Il suo corpo era sinuoso. Non aveva traccia di muscoli … Mi sentii trafiggere il petto da una fitta. Dunque era per lei che mi aveva lasciata? Era tutto l'opposto di me. Indossava un minuscolo abitino argentato, attillato. Certo, lei non aveva il terrore di romperlo con la trasformazione.

“Coraggio, Daniel!” lo rimproverò lei.

“Isabelle ...”

“Hai acconsentito tu a tutto questo, lo sai, vero?”

Daniel abbassò lo sguardo e sospirò. Con il corpo completamente paralizzato dalla sorpresa, dal dolore e da quel vuoto sempre più grande in me, vidi Isabelle avvicinarsi a lui sempre di più, e le sue labbra scarlatte brillare alla luce della luna mentre chiudeva gli occhi.

Daniel esitò solo un istante, prima di chiudere anche lui gli occhi e di racchiuderle il viso in una mano, chinandosi verso di lei.

Quando vidi le loro labbra sfiorarsi, non riuscii più a trattenere l'impulso irrefrenabile di scappare. Non sapevo dove o come, ma dovevo andarmene.

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