I LOVE YOU YES I LOVE YOU NOT: tutti gli amori di Edith Norton di NiNieL82 (/viewuser.php?uid=6229)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Captolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Una
bellissima porta nera giaietto, con tanto di battente a forma di
leone in ottone lucido, era bagnata dalla calda luce del sole di
primavera. Chiusa da tanto di quel tempo che un vicino un po'
apprensivo avrebbe anche potuto chiamare la polizia per assicurarsi
che non fosse successo all'interno della casa in uno dei bellissimi
quartieri di Londra.
Ma
nessuno sembrava poi così preoccupato e la vita continuava
tranquilla per le strade di Mayfair. Un cab passò silenzioso,
un signore passeggiava con il suo cane che si fermò ad
annusare i primi tre gradini dell'abitazione chiusa e una nanny
passeggiava con i bambini troppo piccoli per andare all'asilo. Una
cosa stonata era un gruppo ben defintio di uomini che stazionava
sotto l'ombra di un grosso albero, dall'altra parte della strada,
guardando fissa la casa suddetta senza muovere il minimo muscolo,
quasi fossero leoni che cercavano di cacciare una preda nell'immensa
savana africana. Ma essendo Londra molto differente dalla savana, il
gruppo molto folto occupava una gran fetta di suolo pubblico,
lasciando che chi passeggiava in quella direzione fosse costretto a
scendere dal marciapiedi e camminare per qualche secondo sull'asfalto
variopinto, o cambiando marciapiedi e continuando indisturbati la
passeggiata dall'altro lato della strada.
Gli
uomini in attesa erano dei paparazzi. Alcuni freelance, altri mandati
da alcune riviste, in silenzio, più o meno stanchi,
aspettavano che la star in questione uscisse di casa al fine di
fotografarla e sbatterla in prima pagina guadagnando un bel po' di
soldi dopo aver venduto la foto migliore al SUN, o ad HELLO o a
qualsiasi altra rivista capace di pagare abbastanza per qualche buon
scatto. Questo bastava per affrontare una temperatura semi tropicale
armati solo di acqua talmente calda da poterci cuocere la pasta e una
sola fotocamera digitale, vera amica in quel gruppo disparato di
nazionalità, odori personali inclusi. Tutti in silenzio
aspettando che quella porta si aprisse.
E
lo fece.
Da
dietro apparve una donna molto bella, con dei lunghi capelli castano
chiaro e qualche ciocca bionda qua e là. Occhiali a goccia e
un giacchino in finto daino, di colore chiaro, intonato agli stivali
dal tacco alto che arrivavano al ginocchio. Jeans scuri e una t-shirt
che si intravedeva da sotto il giubbino, bianca e con sopra un
disegno. Per mano teneva una bambina, sua figlia; in braccio l'altro
figlio. La più grande sembrò quasi pietrificata quando
vide tutto quel gruppo di persone così vasto e vario correrle
incontro, scattando foto all'impazzata e gridando:
“Eccola!”
“Non
fatevela scappare!”
La
mamma dei bambini, rendendosi conto che la situazione stava
degenerando, aumentò il passo e fece sedere la più
grande nel sedile anteriore, dal lato passeggero, sistemando nel
seggiolino dietro il più piccolo, mentre attorno, come le luci
di un albero di Natale, i flash si accendevano e spegnevano, mentre
dietro le gridavano:
“Un
sorriso, su!”
“Dai!
Sei stata dei nostri per tanto te, facci un sorriso! Lo sai quanto ci
pagano una foto!”
La
ragazza si rimise in piedi e sollevando un sopracciglio rispose:
“Il
giorno che sorriderò ad uno di voi per farvi fare soldi potete
stare certi che l'inferno ghiaccerà!” e avvicinandosi al
posto di guida entrò nell'abitacolo aiutando la figlia a
sistemare la cintura di sicurezza. Stava per mettere in moto,
ignorando i fotografi che stavano continuando a fotografare, quando
sentì bussare al finestrino. Lo stesso dove era seduta sua
figlia.
Reagì
nella frazione di un attimo. Slacciò la cintura, scese dalla
macchina, prese il tipo per la collottola, gli rubò la
macchina fotografica e la scagliò per terra e puntandogli il
dito contro lo minacciò dicendo:
“E
sappi che la prossima volta farò lo stesso alla tua faccia,
stronzo. Lascia in pace miei figli!”e lo spinse facendolo
inciampare a cadere. Senza nemmeno curarsi che si fosse fatto male, a
passo di marcia si avvicinò alla macchina, sbatté forte
la portiera e rimise la cintura, partendo e fregandosene dei
paparazzi, mentre quello che aveva aggredito, zoppicando si chinò
sulla sua macchina fotografica ormai in pezzi e disse:
“Vecchia
puttana! Mi hai distrutto la macchina fotografica Norton. Aspetta
notizie dal mio avvocato!”
I
love you yes I love you not
(Tutti
gli amori di Edith Norton)
Capitolo
1: Non è colpa mia.
Rachel
lasciò cadere il giornale sulle gambe e con un sorriso
sornione disse:
“Non
sapevo che a Kendal avessi preso lezioni private da Van Damme.
Complimenti!”
Edith
la guardò con rimprovero e chiese allungando il collo:
“Perché
che hanno scritto?”
“Lesioni
gravi! Una macchina fotografica ultima generazione distrutta...”
cominciò ad elencare con leggerezza Rachel.
Edith
sbuffò infastidita e replicò con un telegrafico 'BALLE'
al quale Rachel ribatté:
“Dovresti
evitare questi casini. Lo sai che la stampa non aspetta altro che un
tuo crollo!”
stavolta
Edith si voltò di scatto e rispose:
“Prova
tu a cercare di andare da qualsiasi parte e trovarti un'orda di
fotografi che ti inseguono e non solo scattano foto a te, ma anche a
tuoi figli!”
“Nala!
Datti una calmata. Sono mamma anche io!” rispose sarcastica
Rachel tornando a guardare il giornale mentre Edith rispose,
incrociando le braccia al petto:
“Sì!
Ma nessuno si mette a battere sul finestrino per richiamare
l'attenzione di tua figlia e fotografarla senza pietà!”
Rachel
si voltò di scatto e realmente stupita, esclamò:
“No!”
Edith
annuì e aggiunse stanca, lasciandosi andare contro la
spalliera dell'enorme divano dell'amica:
“Ormai
è tutti i giorni che va così!”
“E
tu non hai chiamato la polizia e chiesto di fare qualche cosa?”
domandò Rachel girandosi verso l'amica, passando dolcemente la
mano sul pancione di sette mesi.
Edith
annuì e rispose:
“Una
volta hanno mandato una pattuglia e si sono dispersi. Ma c'è
crisi e il governo sta tagliando un po' dappertutto e non possono
lasciarmi una volante fissa davanti casa”
“E
quindi?” chiese Rachel aggrottando la fronte.
“Quindi...”
rispose Edith allungando le gambe e poggiandosi di nuovo alla
spalliera del divano: “Mi hanno detto che se voglio essere
protetta devo chiamare un'agenzia di guardie del corpo. Ed io non
voglio dei gorilla a casa. Comprometterebbero ancora di più la
ormai inesistente tranquillità dei miei figli” e
passando una mano sul viso concluse: “E penso che questa storia
dovrà pur finire!”
Rachel
fece una piccola smorfia, quasi impercettibile e poggiandosi anche
lei alla spalliera del divano, disse:
“Da
Natale i paparazzi aspettano un segnale. È naturale che con
quello che è successo ti stiano tutti addosso!”
Edith
si voltò e arresa, guardando l'amica disse:
“Sì!
Ma stavolta non è colpa mia!”
E
in effetti era vero.
Edith
Norton era ormai una ex giornalista, l'ex direttrice di Vanity Fair
UK e US e si era affermata in tutto il mondo come una scrittrice tra
le più famose non solo per le sue doti eccellenti nella
scrittura, ma anche per la sua turbolenta vita privata.
Era
salita agli onori della cronaca come la fidanzata di Brian
Stephensons, figlio di un nobile, grande magnate e padrone di
moltissime cose in giro per il Regno Unito. Dopo aver rotto con lui
era diventata la fidanzata di Orlando Bloom, attore conosciuto per la
sua interpretazione nella trilogia de Il Signore Degli Anelli e
Pirati dei Caraibi. Da lui aveva avuto una figlia ma dopo un
tradimento lo aveva lasciato e aveva cominciato subito una relazione
con Jude Law, amico del suo ex. Dopo vari tiri e molla degni della
peggior soap opera di serie c con tanto di doppiaggio scadente, il
triangolo divenne un quadrato grazie all'introduzione di Miranda
Kerr, modella australiana, che senza volerlo prese parte a quel gioco
al massacro. Fu proprio in quel periodo, quando Orlando conobbe
Miranda, che Edith decise di sposare Jude. All'inizio poteva sembrare
che tutto stesse andando finalmente per il verso giusto, fino a
quando Edith stessa ebbe un incidente quasi mortale e si scoprì
che il suo secondo figlio non era di suo marito Jude, ma bensì
del suo ex Orlando, ormai padre di Flynn Bloom avuto dalla moglie
Miranda. Distrutta da quelle vicende che le avevano succhiato via
anche l'ultimo briciolo di spirito, si richiuse a Kendal dove scrisse
il nuovo libro, Il segreto di Iris, da cui venne tratto un
film in cui Orlando e Jude ebbero le parti da protagonisti. E fu
grazie a quel film che Edith non solo riuscì a far pace con
Orlando e Jude e con se stessa, ma riuscì anche a mettere in
chiaro che non voleva decidere, di non essere pronta a fare questo
passo. Ma da allora, dopo averli visti a braccetto alla premiere del
film, tutti i giornali patinati avevano cercato la notizia che
avrebbe fatto vendere giornali a palate, come non si faceva da quando
il triangolo Diana-Carlo-Camilla teneva tutti incollati alle pagine a
spremere quella situazione morbosamente fino all'ultima goccia.
L'occasione
si era presentata qualche settimana prima quando una giornalista
neozelandese chiese ad Orlando cosa ne pensasse della famiglia. Lui
nominò i figli e quella subito partì per la diretta
buttando i problemi di Orlando riguardo il suo matrimonio con
Miranda. E porgendogli un foglio gli fece leggere un'ansa nella qual
Miranda Kerr annunciava il divorzio da Orlando.
Orlando,
stupito, lesse il foglio con tanto d'occhi, esterrefatto e schifato
mano a mano che andava avanti.
A
quanto pareva, Miranda, aveva scoperto un tradimento del marito
avvenuto ai tempi in cui lui aveva girato 'I Tre Moschettieri'
e aveva atteso che lui partisse in Nuova Zelanda per girare 'Lo
Hobbit' per andarsene di casa e tornare dalla madre in Australia.
Dopo questo, aveva contattato il suo avvocato e aveva chiesto il
divorzio con quella lettera che era finita chissà come nelle
mani della stampa, prima ancora che arrivasse a quelle
dell'interessato. Orlando lesse tutto il contenuto in cui gli si dava
tutto il carico dei problemi di coppia e della fine del matrimonio,
poi, dopo un lunghissimo silenzio, con gli occhi ridotti a fessure,
schiarendo la voce rispose:
“Le
cose tra me e Miranda non andavano bene da molto tempo, ormai. Non
posso darle torto, in effetti. Ho sempre tenuto nascosto, piuttosto
difficilmente, il mio amore per Edith Norton e questo l'ha sempre
fatta soffrire...”
Quella
fu la scintilla che fece scoppiare il putiferio.
Tutti
i giornali cominciarono a cercare Edith accusata più o meno
velatamente di essere l'artefice di quel travagliato addio.
Alcune
sue vicine cominciarono a toglierle il saluto e a parlottare a bassa
voce ogni volta che la vedevano passare. Aveva cominciato persino a
detestare i posti pieni di persone per evitare di essere al centro
degli sguardi tutti e di conseguenza delle loro chiacchiere. Per un
attimo fugace pensò di tornare a Kendal, ma non ebbe cuore di
farlo. Ella aveva cominciato le scuole elementari e subire un altro
cambiamento l'avrebbe distrutta, specialmente perché non era
la prima volta in quell'anno che era costretta a cambiare classe e
compagni. E poi non voleva nascondersi di nuovo come aveva fatto dopo
l'incidente, anche se alle volte ne sentiva il disperato bisogno.
Così,
quando la pressione diventava troppa, andava a casa di Rachel, ormai
incinta di sette mesi e gli raccontava tutti i suoi patemi, proprio
come in quel momento.
“La
cosa bella è che non si fanno mancare nulla. Stanno
cominciando a parlare anche di Jude e del suo ruolo in questa
situazione. E per aggiungere carne sul fuoco, in questo articolo,
hanno fatto notare con tanto di neretto che lui, legalmente, è
ancora tuo marito!” disse Rachel continuando a sfogliare
interessata il giornale che l'amica le aveva portato.
“Che
devo fare?” sospirò affranta Edith alzandosi e
cominciando a misurare a lunghi passi il salotto della casa
dell'amica.
Rachel
chiuse il giornale e rilassata rispose:
“Trovati
un altro e dai un calcio nel sedere agli altri due. Da quando li
conosci è tanto che tu non sia finita in qualche clinica
psichiatrica. Nemmeno Brooke Logan riuscirebbe a sopportare questo
carico di emozioni, sappilo. E lei è una che ha sposato tutti
i Forrester disponibili, suoi figli inclusi!”
Edith
sorrise, ma scuotendo la testa tornò seria. Rachel stava
scherzando, ma di certo lei non aveva bisogno di un altro uomo da
aggiungere a quel quadro abbastanza grottesco.
E
ad alta voce replicò:
“Non
penso che un altro uomo sarebbe la soluzione migliore, non con tutti
questi casini che stanno affiorando come funghi...”
Rachel,
dopo quell'affermazione, sollevò un sopracciglio e rispose:
“Stavo
scherzando, Norton. Capisco i tuoi problemi, ma non penso che mettere
da parte il senso dell'umorismo sia una delle scelte migliori che
puoi fare!”
Edith
si bloccò e sollevando a sua volta un sopracciglio aggiunse:
“Vorrei
solo che la gente cominciasse a capire che non sono una rovina
famiglie. Non sapevo nulla del divorzio di Orlando e Miranda e sono
una vittima molto più di quanto gli altri possano immaginare!”
Rachel
annuì e disse:
“Su
questo hai tutto il mio appoggio. Anche se devo ammettere che avere
un figlio da Orlando e non dirgli nulla non è stata una delle
tue mosse più azzeccate” e sentenziando questo bevve un
lunghissimo sorso di succo freddo.
Edith
lasciò che l'amica finisse di bere, poi rimettendosi a sedere
al bordo del divano, disse con aria avvilita:
“Non
so davvero cosa fare. Se chiamo Orlando sarò cattiva perché
mi metterò in mezzo ad un dramma famigliare; se chiamo Jude
sarò cattiva perché sembra quasi che lo tenga legato ad
un filo...”
“E
da fuori è proprio quello che sembra!” esclamò
Rachel poggiando il bicchiere sul tavolo e senza dare il tempo di
replicare all'amica aggiunse: “Devi decidere Edith. Per quanto
tu tenda a rimandare è arrivato il momento che tu prenda una
decisione e capisca una volta per tutte che qualsiasi cosa tu farai
sarai sempre la cattiva di turno!”
Ed
era quello il problema principale. Edith lo aveva sempre saputo. Se
sceglieva Orlando avrebbe fatto soffrire Jude e Miranda. Ma se avesse
fatto il contrario cosa sarebbe successo? Il matrimonio di Miranda e
di Orlando era finito e di certo non per colpa sua. Nonostante questo
si rendeva conto che era arrivata a quel punto di non ritorno che
aveva scansato a Natale con quel colpo di genio e di marketing che
era stato il suo film. Aveva pensato davvero di poter rimandare quel
momento per sempre, forse, cullandosi nell'illusione che Orlando e
Jude non le avrebbero chiesto chi e quando avrebbe scelto. Aveva
girato la testa quando aveva visto i primi problemi di coppia tra
Orlando e Miranda. Ed ora si trovava nella spiacevole situazione di
dover scegliere senza ancora aver deciso chi dei due uomini che
avevano monopolizzato la sua vita fosse quello che doveva starle
vicino forse per sempre.
“John
ha parlato con Orlando, qualche giorno fa. A quanto pare Orlando non
solo non sapeva nulla della decisione di Miranda di divorziare, ma
gli ha detto che molto probabilmente Robin ha dato la lettera alla
giornalista senza dirgli nulla al fine di fare lo scoop e non fargli
fare la figura dello sciupafemmine bastardo che tradisce la moglie,
ma quella del ragazzo ferito e deluso dalla compagna di vita!”
“Scherzi?”
disse Edith con tanto d'occhi.
Rachel
scosse la testa e rispose:
“Edith...
La loro relazione, il loro matrimonio, tutto quello che li riguarda,
anche il figlio, sono stati sbattuti in prima pagina da Robin sin dal
primo momento. Proprio come stava cercando di fare con te quando hai
avuto Ella... Solo che a quanto pare Miranda non aveva le palle e non
ha mai detto nulla in contrario. E ora anche la fine della loro
relazione è su tutti i giornali...”
Edith
scosse la testa. Stava cominciando a provare pena per Orlando,
nonostante il casino in cui l'avesse ficcata. Sospirò e guardò
fuori dalla finestra.
“Ha
detto che vuole parlare con te quando torna dalla Nuova Zelanda”
concluse Rachel quasi in un soffio.
Edith
trattenne un brivido. Passo dopo passo si stava avvicinando al
momento cruciale sentendosi sempre più indifesa.
Amico
dei mesi passati, un attacco di panico cominciò a farle
tremare le mani, a mozzarle il respiro. Si sollevò di scatto
dal divano e facendo un grosso respiro disse:
“Devo
uscire...”
“Che
ti prende?” chiese Rachel guardandola preoccupata.
Edith
scosse la testa e prendendo la giacca che aveva abbandonato su di un
bracciolo del divano, la indossò e afferrando la borsetta
abbandonata poco lontano si chinò a baciare il volto
dell'amica e rispose:
“Nulla.
Ho solo bisogno di prendere la macchina e guidare per un po'” e
senza aggiungere altro uscì di corsa lasciando Rachel sorpresa
e perplessa sul sofà, con il suo succo e con le sue riviste di
cronaca rosa a farle compagnia.
Orlando
scese dalla sua roulotte e bevve un lungo sorso di succo di frutta.
Finalmente era finita un'altra giornata di riprese. Aveva tolto le
orecchie a punta e aveva smesso le lenti colorate e ora si guardava
intorno confuso.
Tornare
su quel set per lui era stato davvero come tornare a casa. Solo che
le cose erano cambiate. Non c'era più la Compagnia a rompergli
le scatole se succedeva qualcosa. Non c'era Dom con il suo fare da
giullare rompipalle, Billy che gli faceva da spalla, Sean ed Elijah
che assieme agli altri due lo prendevano in giro. Non c'era Viggo e
quello, ad essere onesti, era la cose che gli mancava di più.
Quindi,
dopo la notizia della decisione di Miranda di chiedere il divorzio,
Orlando cominciava a sentirsi solo anche su quel set che doveva
essere familiare per lui.
Sospirò
e si mise a sedere sui gradini in metallo della sua roulotte. Si
guardò intorno e cercò qualche cosa che lo potesse
distrarre e non fargli pensare a quello che lo aspettava una volta
tornato in Gran Bretagna, perché se lo faceva si sarebbe
volentieri preso a schiaffi da solo. Ancora adesso, mentre il sole
tramontava mesto dietro le colline neozelandesi, Orlando si chiedeva
cosa lo avesse spinto a mettere in mezzo Edith in quella faccenda.
'Conoscendola
mi metterà le palle su un tagliere, me le taglierà e
poi le cucinerà in umido...' pensò l'attore.
E
a ragione. Conosceva Edith e conosceva il suo carattere vendicativo e
poteva solo immaginare il ciclone che si era scatenato nella vita
della sua ex quando lui aveva deciso di far mettere nero su bianco
che l'amava ancora.
Che
poi, ad essere sinceri, lui era davvero innamorato ancora di Edith.
Del resto come si faceva a dimenticare tutto quello che c'era stato
tra di loro? Come poteva cancellare dalla sua vita la prima donna che
lo aveva reso padre, che lo aveva costretto a crescere e ad essere
una persona migliore, almeno quando stavano assieme.
Non
aveva mai smesso di maledire la sua stupidità che lo aveva
portato a calarsi i pantaloni davanti a quella troietta che lavorava
con lui e di cui nemmeno ricordava il nome. Se non avrebbe tradito
Edith, lei non sarebbe caduta tra le braccia di Jude, si sarebbero
sposati e probabilmente lei sarebbe stata con lui, in quel preciso
istante, a decidere in quale ristorante di Wellington andare a
mangiare. E lui non si sarebbe sentito così solo.
Scosse
la testa ricacciando quei pensieri in un angolo della sua vita. Si
era chiesto mille volte se le cose sarebbero state differenti se
avessero seguito quel percorso e ogni volta si era risposto che Jude
avrebbe giocato tutte le sue carte comunque e forse Edith lo avrebbe
tradito comunque o lui stesso lo avrebbe fatto dal momento che da
quando era nata Ella avevano un sacco di problemi.
Si
guardò intorno e vide avvicinarsi Darla, una ragazza di
vent'anni circa, che faceva l'aiuto costumista. Tutti l'avevano
notata sul set per delle doti che con il suo lavoro poco avevano a
che fare. E ora che lo sovrastava sorridendogli, Orlando le vedeva
più che bene quelle due grandi doti.
“Che
ci fai qua da solo?”
Orlando
sorrise e rispose avvilito:
“Darla...
Non fare la stupida. Lo sanno tutti che vado evitato come la peste in
questi giorni...”
La
ragazza annuì e mettendosi a sedere vicino a lui replicò:
“Quindi
stai ancora male per quella che ti ha mollato per mezzo comunicato
stampa?”
Orlando
si voltò con un sopracciglio sollevato e la guardò per
un secondo. Tutto le si poteva dire, ma di una cosa Orlando era
certo: Darla Malowe era una bomba sexy, consapevole di esserlo.
“Sì!
Sto male per lei!” rispose unendo le mani e notando la vera
d'oro che metteva per abitudine.
Bastò
quello per farlo sentire peggio.
Darla
rimase a guardarlo in silenzio e poi, prendendogli una mano e
tenendola stretta tra le sue, con un sospiro più sensuale che
comprensivo, mormorò:
“Ti
capisco, sai? Da quando sono entrata a lavorare qua il mio ragazzo mi
ha mollata su due piedi...”
Orlando
le lanciò uno sguardo sarcastico che la ragazza non notò
e aiutata dal silenzio dell'attore continuò:
“So
cosa sia la solitudine quando sei lontano da casa e so cosa vuol dire
sentirsi un pesce fuor d'acqua e volevo solo dirti che...”
“Volevo
solo dirti che si è fatto tardi Darla e non mi sembra il caso
che tu stia ancora in giro. Anche se hai una macchina non penso che
sia il caso che una ragazza giri da sola per Wellington”
Era
stata una terza persona a parlare. I due si voltarono e videro Peter
Jackson ricambiare loro uno sguardo interessato, ma non divertito
come suo solito.
Darla
arrossì fino alla radice dei capelli e alzandosi come se fosse
stata seduta su di una brace ardente, mormorò qualche cosa e
corse via. Orlando la guardò allontanarsi e per qualche
secondo lasciò che il regista gli rimanesse vicino, in
silenzio a sua volta.
Peter,
senza che Orlando glielo chiedesse, si mise a sedere vicino a lui.
Ecco un'altra cosa che gli sembrava strana: Peter aveva perso
tantissimo peso ed era completamente dall'omone che lo aveva
assoldato per girare la trilogia qualche anno prima. Sospirò
guardando l'orizzonte e stava per parlare quando Peter disse:
“L'ultima
cosa che ti consiglio di fare è quella di metterti ancora di
più nei casini!”
“Se
parli di Darla sapevo come tenerla a bada...” replicò
Orlando sempre perso a guardare l'orizzonte.
“Darla
è una che si sa calare bene nelle pene d'amore altrui. E una
casinara ed è l'ultima cosa di cui hai bisogno!” lo
interruppe Peter.
Orlando
lo guardò e rispose:
“Non
voglio casini Pete! Voglio solo che tutto quello che è
successo in questi ultimi giorni si potesse cancellare in qualche
modo e che tutto tornasse come prima...”
Peter
sospirò e mettendosi a guardare davanti a sé disse
serio:
“Lo
sai che nulla sarà come prima. L'unica cosa che ti posso dire
è che devi farti forza. E che se hai bisogno di qualche giorno
per sistemare le cose con Miranda o con Edith... Basta chiedere e ti
sarà dato. La famiglia è più importante di
qualsiasi film!” e alzandosi dando una pacca all'attore
aggiunse: “Vai a casa e fatti una dormita e domani fammi sapere
che cosa vuoi fare!” e senza aspettare risposta si alzò
e lasciò Orlando da solo a guardare le mani terribilmente
bianche davanti alla luce del crepuscolo nel quale spiccava brillante
la fede nuziale, ultimo segno di quel matrimonio fallito ancor prima
di essere celebrato.
“Mmmmh!”
La
voce di una donna mormorò qualche cosa di incomprensibile.
Su
di un letto due corpi stavano stretti, avvolti in un lenzuolo. Si
muovevano lenti, assecondando i movimenti l'uno dell'altro. Stavano
facendo sesso.
“Sei
fantastico. Non ricordavo il sesso con te così... Oddio!”
disse la donna cominciando a sollevare la voce.
L'uomo
cominciò a dare colpi di bacino sempre più veloci,
facendo aumentare di qualche tono i sospiri e i gemiti della donna
che cercava un appiglio sul letto quasi il mondo avesse cominciato a
vorticare velocemente.
Fu
lei a raggiungere l'orgasmo per prima. Lui la raggiunse poco dopo,
silenzioso e si lasciò cadere di fianco e sfilò il
preservativo, lasciandolo cadere sulla moquette linda dell'hotel e
sospirando passò una mano sui capelli.
La
bionda si avvicinò a lui e si poggiò sul suo petto,
soddisfatta.
“Devo
dire che scopare con te è davvero appagante Jude!”
L'uomo
sorrise e rispose:
“Sempre
pronto ad esaudire ogni suo desiderio, signorina Diaz!”
I
due sorrisero e rimasero in silenzio a guardare il soffitto. Fu lei a
dire:
“Ora
la stampa andrà a nozze con questa storia...”
“E
forse riusciremo a distogliere l'attenzione dalla mia storia con
Edith...”
La
Diaz sospirò e si lasciò andare dall'altro lato del
letto. Scostò con un gesto stizzito il lenzuolo e nuda cercò
la biancheria che aveva fatto cadere da qualche parte per la stanza.
Jude la guarda aggrottando la fronte e stava per chiederle cosa fosse
successo quando la stessa attrice americana sbottò dicendo:
“Posso
accettare che tu porti ancora la fede. Ci passo sopra, va bene! Non
siamo una coppia e ci scopiamo quando ci pare. Non devo niente io a
te, tanto meno tu devi qualcosa a me. Accetto che alle volte senta
Edith al posto di Cameron. Ma essere quella che ti scopi per lasciare
in pace la tipa che ti ha fatto il cuore a coriandoli... Beh non lo
accetto. È già tutto troppo avvilente così, ma
dopo questo posso dire che sta diventando davvero grottesco e
stupido! E non capisco perché mi ostino ad uscire con te se
poi finisce sempre che mi sento uno straccio”
“Cameron
tu sapevi che io ero ancora innamorato di mia moglie quando abbiamo
cominciato ad uscire assieme!” rispose laconico Jude.
L'attrice,
che aveva indossato il suo vestito Liù Jo si voltò di
scatto e guardandolo con rimprovero, senza la minima traccia di
risentimento nella voce, disse:
“Non
sto dicendo che mi aspettavo che tra di noi scoppiasse l'amore. Non
ci siamo riusciti una volta e non penso che adesso le cose sarebbero
differenti. E non voglio ripeterti che non mi aspetto nulla da quello
che abbiamo appena cominciato. Ti sto solo dicendo che sono un essere
umano e finché ci si diverte assieme questa... cosa, può
anche continuare. Ma se mi usi come schermo per difendere la tua ex,
allora non mi va bene!”
Jude
passò una mano sulla faccia e rispose:
“Non
capisco, Cam... Davvero!”
La
bionda scosse la testa e rispose:
“Non
pensavo che saresti riuscito a farlo. Spero solo che questa donna
decida una volta per tutte se stare con te o con Orlando e non vi
tenga ancora sulle spine. Perché è davvero da stupidi
continuare ad elemosinare amore da chi non ce ne vuole dare...”
e prendendo la giacca bianca uscì sbattendo la porta.
Jude
guardò l'uscio per qualche secondo, poi con un sospiro cercò
i vestiti.
Ci
mancava solo il cazzettone da Cameron. Possibile che fosse caduto
così in basso.
Seduto
sulla sponda del letto passò una mano tra i capelli e notò
di nuovo la fede brillare. Lentamente avvicinò l'anulare alla
mano destra al fine di sfilare l'anello. Stava per farlo quando la
rimise al suo posto. E scuotendo la testa, riprendendosi a vestire
disse tra sé e sé:
“Cam
ha ragione. Devo fare un po' d'ordine nella mia vita o qua finisco
con le pacche nell'acqua!” e dopo essersi rivestito lasciò
la camera sconvolta dalla passaggio di quell'ora d'amore tra lui e
Cameron Diaz.
Quando
si chiuse la porta alle spalle avrebbe volentieri lasciato ogni
briciolo di dignità e si sarebbe lasciata scivolare contro la
porta e avrebbe pianto a singhiozzi come quando era un bambina e
tutto il quartiere sapeva che stava piangendo.
Mantenne
la calma e sospirando passò una mano tra i capelli. Si
avvicinò al tavolo della sala e prese a smistare la posta. Fu
allora che vide una lettera dall'aspetto ufficiale.
Con
la fronte aggrottata l'aprì velocemente e ne lesse il
contenuto.
Più
andava avanti meno ci credeva. Non poteva essere vero.
Cercò
il cellulare nella borsetta e quando lo trovò compose veloce
il numero di Rachel. Attese la risposta e quando arrivò disse:
“Rach...
Mi ha contattato la direzione generale del Guardian... Vogliono che
prenda il posto di Tom!”
Ecco
il primo capitolo della seconda parte di Almost Famous. Spero che vi
piaccia. Fatemi sapere.
Naturalmente
i nomi degli attori qua utilizzati non mi appartengono e li ho citati
con l'unico scopo di divertire chi sta leggendo. Un bacio.
Niniel82.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2: Tempo di scelte.
Ella
sbadigliò senza mettere la mano davanti alla bocca. Edith,
accanto a lei, le lanciò un'occhiataccia da far gelare
l'equatore e la bambina, imbarazzata, mormorò:
“Scusa
mamma!”
La
giornalista annuì e voltandosi verso Emma, sua sorella,
continuò il discorso che aveva lasciato per un attimo sospeso:
“Il
problema non è che lui abbia detto quella cosa a tutti i
giornali. Conosco Orlando abbastanza da capire che non solo è
egocentrico, ma che detesta essere preso in giro. In tutti i modi in
cui una persona può essere presa in giro!” e pulendo il
muso di David aggiunse: “La cosa che mi fa imbestialire è
che mi ha messo in mezzo a questo casino... E ora sono continuamente
assediata dai paparazzi!”
Emma
annuì e sistemando la coperta nel passeggino della figlia,
disse:
“Ti
capisco. Ma il problema in questo momento, secondo me, è un
altro e tu lo stai sviando. Vuoi diventare la nuova direttrice del
Guardian?”
Edith
sospirò. In un attimo sentì il peso di quella
responsabilità calarle sulle spalle e pesare in maniera
terribile, al punto che pensò di poter rimanere schiacciata
perfino in quel momento. Il Guardian era quello che ogni giornalista
inglese desiderava. Scrivere per uno dei giornali più
importanti del Regno Unito era giù una vittoria. Dirigerlo a
soli trentatré anni era quasi utopico.
Sospirando
prese il bicchiere dal tavolo del tavolino bagnato dalla luce del
sole primaverile e guardò le persone che giravano per
Kensington senza nemmeno vederla e senza segno della minima emozione
rispose:
“Dovrei
essere incazzata, lo so. A quanto pare Tom ha espressamente chiesto
che prendessi il suo posto in quanto mi riteneva l'unica davvero
capace di dirigere quel giornale senza anteporre i miei bisogni
personali. Loro hanno ignorato la sua richiesta e hanno messo un
fantoccio che amava leccare il sedere del Primo Ministro facendo
perdere un po' di lettori, specialmente quando andava a lodare delle
scelte politiche piuttosto opinabili!”
“Ma
lo hanno licenziato e adesso ti hanno chiamata!” rimbeccò
Emma con entusiasmo.
Edith
annuì, non celando il suo fastidio per quella chiamata. Come
sempre nella sua vita era arrivata in un momento completamente
sbagliato: stava uscendo dalla depressione e andava ancora da una
psicologa; aveva due figli a cui badare ed era una mamma single; il
suo matrimonio era naufragato miseramente e ancora non si era decisa
a chiedere il divorzio; il suo ex, nonché padre dei suoi
figli, aveva deciso di mandare al diavolo la sua attuale moglie
mettendo in mezzo lei che nemmeno sapeva che i due avessero dei
problemi.
Aggiungendo
che per la produzione del suo quarto libro, di cui non si era ancora
girato il film, doveva partire per due mesi ad Edimburgo in veste di
sceneggiatrice, la situazione si faceva più complicata.
“Lo
so che stai pensando che devi andare a lavorare in Scozia. Ma non
pensi che scappare di nuovo, in questo momento, sia la cosa
sbagliata?” mormorò Emma seria.
Edith
sospirò. Sua sorella aveva capito le sue vere intenzioni, cosa
che la sua psicologa non aveva ancora fatto, al punto che la
giornalista aveva cominciato a pensare che stesse fingendo per avere
notizie di prima mano direttamente dalla fonte. Chinò la testa
e giocherellò con il bordo della tovaglia di carta, poi,
sospirando per l'ennesima volta, guardando la sorella negli occhi,
rispose:
“Il
viaggio in Scozia era programmato da prima che Orlando decidesse di
fare quella terribile uscita su quel giornale neozelandese. E penso
che comunque, se mi vogliono davvero, quelli del Guardian non si
metteranno certo problemi se per qualche mese dirigerò la
redazione via Skype. È che stavo pensando ad un altra cosa...
E riguarda il fatto che se accetto questo lavoro dovrò mettere
radici a Londra. Non avrò tempo per miei figli, per i miei
libri...” scosse la testa e aggiunse afflitta: “se fosse
arrivato prima, forse, avrei accettato senza nemmeno pensarci. Ora,
però, sembra tutto così difficile!”
“Mettere
radici ti spaventa?” domandò fingendo stupore Emma. “Ora
che hai due figli, trovare una casa dove stare per sempre e crescerli
ti spaventa?”
“Non
ho detto questo!” cercò di sviare Edith, ma Emma pronta
ad una simile risposta ribatté:
“Lo
hai detto! È stata la prima cosa che hai detto. Tutti mettono
radici nella vita, in un modo o nell'altro. Pensi che la tua vita
cambierà se dovessi accettare un nuovo impiego. Quello che ti
dico io, invece, è che tu hai solo paura di doverti fermare e
di dover crescere. L'ha fatto Paul, lo sto facendo io. E sai quanto
mi è costato. Nonostante questo ho lottato e ora con Clay sto
costruendo quella famiglia di cui avevo bisogno. La base dove mettere
radici e vivere una vita tranquilla, finalmente. Mi spiace Edith, ma
devi crescere...”
Edith
sospirò. Quello che aveva detto Emma era vero. C'era stato un
periodo in cui tutti si stavano sposando tranne lei, in cui tutti
vivevano felici tranne lei, e in quel periodo aveva deciso di sposare
Jude. Lo aveva fatto con leggerezza, sapendo che nella sua vita c'era
troppa carne sul fuoco, troppe cose che ancora non aveva concluso. Si
era sempre detta di non amare Jude, ma aveva scoperto che non era
così. Con lui aveva creato quella stessa dolcezza, quella
stessa tranquillità che a lei e ad Orlando era stata negata
troppo presto, che si erano giocati per orgoglio, per non ammettere
nemmeno tra di loro che avevano dei problemi e che andavano risolti.
Dopo
tutto quel tempo si trovava sola, spaventata dal fatto che i due
uomini che sapeva di amare -anche se non riusciva a capire chi più
dell'altro- bussassero alla sua porta e le chiedessero di scegliere.
Il
tempo dei giochi era finito. Quello che stava vivendo era un tempo di
scelte, che doveva fare, che le piacesse oppure no.
Le
porte dell'ascensore si chiusero davanti a lei con un lieve
scampanellio. Conosceva quel luogo come se fosse casa. Ogni piccolo
angolo le era famigliare e le faceva venire il mal di stomaco.
Entrare
nella sede del Guardian sapendo che Tom non avrebbe mai più
occupato il suo posto la faceva stare malissimo.
Aveva
sofferto parecchio per la morte del suo mentore e anche in quel
momento, dentro di sé, Edith aveva la certezza che a distanza
di quasi un anno non aveva ancora elaborato il lutto e ancora
difficilmente parlava tranquillamente di Tom senza scoppiare a
piangere.
Trattenendo
a stento le lacrime guardò l'indicatore dei piani salire
lento, tralasciando qualche piano perché la lampadina che lo
illuminava si era miseramente bruciata.
Strinse
forte i pugni cercando di cacciare dentro di lei ricordi e dolore,
quando sentì il din che annunciava il suo piano e le porte si
aprirono mostrandole un lungo corridoio lungo, arredato con eleganza
e con tanti quadri appesi alle pareti.
Per
quanto Edith ci provasse, non poté non ricordare con quanto
orgoglio Tom parlava del fatto che il giornale non avesse padroni e
fosse fuori da ogni gioco politico. E in effetti era proprio vero:
alle pareti non c'erano mai state foto dei vecchi direttori e/o di
proprietari come era successo nelle altre redazioni in cui Edith
aveva lavorato (The Bite a parte).
Uscì
dall'ascensore facendo un respiro profondo e con una lunga falcata si
tirò fuori dall'ampio abitacolo e sentì il cupo
rintoccare dei suoi passi sul parquet di legno scuro. Da dietro una
porta apparve una donna che dall'aspetto non dimostrava più di
cinquant'anni; le sorrise e incrociando le mani le disse:
“Immagino
che lei sia la signorina Norton, giusto?”
Edith
annuì e non ebbe il tempo di dire una sola parola che la donna
ricominciò:
“Mi
chiamo Bettie. Dirigo questo piano. I signori la stanno aspettando
nella sala riunioni infondo al corridoio!”
Sollevando
le sopracciglia, incapace di controbattere alla ossequiosa diligenza
di Bettie, la dirigente del piano, Edith si lasciò guidare in
silenzio lungo il corridoio, con il solo rumore del suo respiro e dei
suoi passi che riempivano quel silenzio irreale. Che la facevano
sentire a disagio in un luogo che per lei, qualche anno prima, era
uno dei pochi posti che poteva chiamare casa.
Orlando
sbarrò gli occhi nell'oscurità. Il dolore che sentiva
alla schiena era troppo forte e insopportabile per ignorarlo ancora.
Si
mise a sedere nel letto e si guardò intorno allungando subito
un braccio per prendere i boxer e indossarli. Passò una mano
sui ricci scuri e cercò di tenere dritta la schiena senza però
far nulla per mascherare un lamento roco.
Qualcuno,
accanto all'attore si mise a muoversi lentamente nel letto mentre
l'attore di Canterbury accendeva la lampada del suo comodino.
“Orly
che succede?” chiese una voce femminile da sotto le lenzuola.
Orlando
indossò i pantaloni della tuta sospirando infastidito e
seccato rispose:
“Non
sopporto che mi si chiami Orly, ok?”
La
ragazza mise un buffo broncio e rispose con un sorriso civettuolo:
“Mi
piace quando fai il difficile!”
Orlando
sollevò un sopracciglio ed entrò in bagno, accendendo
la luce del bagnetto e si mise a trafficare dentro cercando qualche
cosa. Da fuori Darla sbadigliò piuttosto rumorosamente, mentre
Orlando prendeva il nuovo flaconcino di pillole che dopo il suo
brutto incidente era diventato uno dei suoi migliori amici. Ingoiò
qualche pillola e riempì un bicchiere d'acqua dal lavandino
per buttarle giù. Chiuse gli occhi sentendo il medicinale
scendere lungo la faringe e poggiò le mani sul lavandino
tenendo la testa china.
In
quel momento una girandola ininterrotta di pensieri cominciò a
vorticare velocemente: il comunicato stampa dove Miranda annunciava
al mondo, prima di dirlo a lui stesso, di volerlo lasciare; Edith che
era stata tirata in mezzo in quella storia e ancora non aveva detto
nulla; John che gli aveva detto di mettere la testa a posto una volta
per tutta e smetterla di fare il bambino. E forse a trentacinque anni
doveva davvero cominciare a pensarci.
Sentì
due mani passare sulla schiena e scendere lentamente fino all'orlo
dei boxer dove due dita si insinuarono birichine dentro l'elastico.
Orlando sospirò. Poteva, se davvero lo avesse voluto, lasciare
di nuovo fuori tutti i suoi pensieri e concedersi di nuovo a quella
passione che aveva consumato velocemente poche ore prima. Ma sapeva
che si sarebbe sentito vuoto subito dopo l'orgasmo, terribilmente
triste non appena avrebbe tolto il preservativo e si sarebbe
rovesciato di fianco. Sollevò la testa di scatto e bloccò
le mani di Darla.
“Ahi!”
fece lei cercando di togliere le dita dalla morsa dell'attore.
Orlando
si voltò e lasciando la mano della giovane le disse:
“Puoi
andartene? Voglio restare da solo!”
“Ma...?”
cercò di ribattere lei ma lui la bloccò e rispose:
“Non
voglio nessuno tra i piedi. Se ci sono dei problemi il telefono e in
soggiorno. Puoi chiamare un taxi. Te lo pago io!”
Darla,
nuda e ferita si drizzò sulla schiena e socchiudendo gli occhi
disse:
“Vai
a fare in culo, stronzo!” e senza aspettare risposta uscì
dal bagno e andò in camera per vestirsi mentre Orlando,
chinando la testa, sussurrò:
“Grazie!
Anche a te!”
Edith
sospirò una volta arrivata davanti alla porta di quercia a
doppia anta. Dietro c'era il suo destino, qualche cosa a cui nemmeno
lei era sicura di voler andare incontro.
Bettie,
vicino a lei sorrise rassicurante -infondo non era lei quella che
doveva sostenere il più importante colloquio della sua vita- e
le disse:
“I
signori l'aspettano dentro. Le auguro buona fortuna!”
Edith
fece un profondo respiro e varcò la soglia. Si trovò
dentro una stanza rivestita di pareti di legno scuro, proprio come il
corridoio. Al centro c'era una lunga tavola di legno anch'essa,
lucido, con tante sedie attorno, ognuna occupata da una persona. La
ragazza lasciò che lo sgaurdo spaziasse lungo la tavolata e si
fermò su ogni viso che in maniera amichevole a volte,
impertinente altre, ricambiavano lo sguardo con altrettanto
interesse, ma non con lo stesso nervosismo.
In
quella stanza sembrava essere la più giovane, di sicuro, a
parte un uomo che non poteva dimostrare più di quarantacinque
anni: alto, slanciato, con folti capelli neri e ricci, sorrise e si
mise in piedi, dal suo posto di capotavola e allargando le braccia
disse:
“Miss
Edith Norton? O preferisce che la chiami ancora Miss Law?”
Edith
sorrise e scuotendo la testa rispose:
“No!
Miss Norton andrà benissimo, grazie!”
L'uomo
sorrise e fece un cenno con la testa per lasciar intendere di aver
capito e sempre con la stessa aria gioviale disse:
“La
stavamo aspettando! Ma la prego, si sieda pure!”
Edith
prese posto e poggiando le mani nel grembo, con il cuore che le
usciva dal petto per il terrore, disse:
“Pensavo
che il colloquio fosse alle dieci e mezzo. Sono solo le dieci meno
dieci!”
L'uomo
sorrise ancora e unendo le mani, rimanendo ancora in piedi, quasi che
quello bastasse per intimorire Edith -come se quella stanza antica,
con quei volti antichi non fosse già abbastanza per le sue
coronarie!- , rispose:
“Ed
è così. E siamo davvero felici che lei ci abbia
deliziato con la sua inaspettata puntualità!”
Edith
sollevò un sopracciglio. Quello era tutto meno che un
complimento. Non era una novellina nonostante avesse appena trentatré
anni e il suo curriculum parlava chiaro. Aveva gestito una delle più
grandi riviste al mondo, Vanity Fair, e lo aveva fatto in Gran
Bretagna e negli Stati Uniti. Cosa pensavano, di trovarsi davanti ad
una sprovveduta che non sa nemmeno come comportarsi ad un colloquio?
Edith
cercò di mettere a tacere il suo innato sarcasmo e schiarendo
la voce, facendo un sorriso tutt'altro che sincero, replicò:
“Mi
spiace solo averlo saputo così presto. Avrei fatto sicuramente
prima!”
L'uomo
sorrise ancora, anche se quel modo di sorridere, ad Edith, non
piaceva affatto. Era come se fosse pieno di ogni cordialità ma
celasse, al contrario, una recondita cattiveria, una calcolata cura
nello studiarla. Ebbe la straordinaria sensazione che quell'uomo la
stesse spogliano con gli occhi, ma la fede all'anulare sinistro e
quella che a prima vista poteva sembrava una certa recidività
in queste situazioni, fece distogliere Edith da quel pensiero.
Cercò
di rispondere al sorriso, sentendo la sua determinazione venire
sempre meno. Tenne la schiena dritta e le mani sempre più
affondate nel grembo, mentre l'uomo, senza lasciare la sua
inquietante espressione,continuò:
“Signorina
Norton, lasci che mi presenti. Sono Gregory Jefferson e sono il
presidente del consiglio qua riunito. Siamo tutti qua perché
dopo la nostra terribile esperienza con Douglas Taylor, il giornale
di cui noi siamo diretti finanziatori è crollato
verticalmente. Le vendite sono diminuite e gli articoli dei giornali
sono diventati molto più frivoli e per nulla adatti ai canoni
della nostra testata. Abbiamo quindi preso in considerazione di
prendere atto del testamento morale di Tom Carlyle, dove il nostro
compianto direttore la indicava come sua unica e degna erede...”
“Tom
è morto quasi un anno fa” intervenne Edith. “Voglio
capire che cosa vi ha trattenuto dal farlo prima!”
Gregory
Jefferson si schiarì la voce e chinando la testa e vacillando
per la prima volta, disse:
“Alcuni
membri della nostra commissione volevano che lei prendesse il posto
di Tom subito dopo la sua morte, ma diciamo che ci sono state delle
discordanze in merito ad alcuni argomenti...”
“Di
che tipo?” chiese Edith sollevando un sopracciglio, anche se
cominciava a capire dove stava andando a parare l'uomo dal sorriso
inquietante.
L'uomo
schiarì per l'ennesima volta la voce e cercando di piazzare di
nuovo il suo sorriso rispose:
“Tutti
conoscono la sua vita privata. E tutti sanno che ha avuto qualche
problema in questi ultimi mesi...”
“Non
riesco a capire come i miei problemi sentimentali possano in qualche
modo interferire con una mia possibile carica?” chiese Edith
che stava cominciando a infastidirsi e stava cominciando a non
nascondere il suo fastidio né nel corpo e né nel tono
della voce.
“Diciamo
che una donna giovane, con i suoi trascorsi sulla stampa rosa, per
molto di noi non era un buon biglietto da visita!” replicò
imbarazzato Jefferson.
Edith
sospirò e replicò:
“E
cosa vi ha fatto cambiare idea?”
Jefferson
sorrise, di nuovo con quel suo modo terribile di sorridere e rispose:
“Il
suo successo come scrittrice e soprattutto come direttrice di Vanity
Uk e Us!”
Edith
sorrise e scosse la testa. Lo fece in maniera impercettibile e
nessuno, forse se ne rese conto davvero. Jefferson di sicuro non lo
fece e continuò:
“Vogliamo
che sia lei a prendere le redini di questo giornale. Il suo
stacanovismo è cosa nota a tutti. E lo è anche il fatto
che Carlyle aveva una grande stima di lei. E vogliamo anche noi
rimettere in lei la stessa fiducia. Vuole prendere le redini del
nostro giornale?”
Tutto
qui? Si aspettava domande e domande sul suo passato lavorativo,
richieste di numeri di telefono per avere delle referenze sul suo
conto. Niente di tutto ciò. Quel Jefferson aveva fatto qualche
battuta sul suo passato salvo poi chiederle di diventare direttore di
una delle più importanti testate della Gran Bretagna.
Edith,
ritrovando una nuova fiducia in se stessa, incrociò le braccia
al petto e sorrise trionfante.
La
volevano. E lei, ora, aveva il coltello dalla parte del manico.
Certo! Era molto meglio non tirare troppo la corda e perdere
quell'occasione che avrebbe reso ghiotto ogni uomo e lei non voleva
sciuparla.
E
dopo aver sospirato, rispose:
“Immagino
che il fatto che io sia una scrittrice a tempo pieno e che debba
partire per sei settimane in Scozia per voi non sia un problema”
e sorridendo guardò uno per uno quei vecchi seduti al tavolo
che le ricambiavano uno sguardo, stavolta, perplesso e un po'
preoccupato.
Londra.
1998.
Orlando
si asciugò il sudore dalla faccia passandoci sopra la sua
maglietta che aveva deciso di togliere non appena il sole era
diventato quasi incandescente.
“John!
Qua ci si può cucinare un uovo, lo sai vero?” si lamentò
il ragazzo mettendo di nuovo la maglietta dentro l'elastico dei
pantaloni della tuta.
John
sollevò gli occhi al cielo e sospirando rispose:
“Bloom,
sei un cagacazzo, te lo ha mai detto nessuno?”
“E
tu sei uno sfruttatore!” rispose Orlando facendosi passare un
attrezzo da Rob, un altro loro amico che aveva deciso di seguirli e
di aggiustare il tetto della casa di John in quella calda mattina di
fine maggio.
“Una
birra?” disse John porgendo un peroncino ghiacciato e ignorando
volutamente l'ultima affermazione dell'amico.
“Grazie!”
disse Rob prendendo la birra e trangugiandone un lungo sorso.
Orlando
guardò il peroncino con aria avida e John schioccò la
lingua contro il palato e disse:
“Scordatelo,
OB! A malapena reggi l'odore di una Guinness. Non ti darei una birra
nemmeno se non ci fosse un solo goccio d'acqua sulla terra!”
“Cavolo,
John! Vedo che stare con la spagnola ti sta rendendo meno umano di
Torquemada. Ed è tutto dire!” rispose Orlando che
stavolta passò un braccio sul viso che grondava sudore.
John
sorrise e si avvicinò alla borsa frigo rigida e sbuffando
disse:
“Merda!”
“Che
succede?” chiese Rob.
“Non
c'è più acqua e nemmeno una coca cola. Mi tocca
scendere da questo tetto e fare di nuovo rifornimento!” rispose
John.
“Vado
io!” si propose Rob.
John
lo guardò scettico e domandò:
“Sei
sicuro?”
Rob
annuì e prendendo la scala scese dal tetto senza aggiungere
altro.
John
si mise a sedere e prese una bottiglia dal frigo e ne trangugiò
un lungo sorso. Poi, facendo schioccare le labbra, disse:
“Non
voglio che nessuno parli di Rocio con nessuno!”
“Ehi,
John! Stavo scherzando...” cercò di scusarsi Orlando ma
John lo bloccò e disse:
“Non
me ne frega un cazzo delle tue scuse. Rocio non è una con cui
scopo e basta. E non voglio che tu parli di lei con un cazzone come
Rob che non sa tenere un segreto nemmeno se a chiederglielo è
la regina in persona!”
“John
io...” replicò Orlando davvero imbarazzato.
“OB!
Chiuso qua!” rispose John infastidito.
“Ehy!”
gridò qualcuno dal piano di sotto.
Orlando
imbarazzato si alzò dal suo posto, ma lo fece troppo in
fretta. Sentì la testa girare veloce e indietreggiò un
po'. John socchiuse gli occhi e si alzò dicendo:
“OB!
Che cazzo hai?”
Orlando
non rispose. Il caldo e la mancanza di zuccheri fece il resto. Cadde
all'indietro, di schiena.
Gli
occhi di Orlando si aprirono di nuovo nell'oscurità. Era solo
un sogno. Era nel suo letto.
Sogno
poi? Quello non era un sogno. Era il ricordo nitido del suo
incidente, quello che gli aveva spezzato la schiena quando aveva
appena ventuno anni.
Incubo
che riempiva le sue notti da troppo tempo ormai. Si voltò e
guardò verso la finestra. Il sole cominciava a sorgere dietro
le tapparelle. Si mise a sedere sul letto e portò le mani tra
i capelli. La schiena gli faceva ancora dannatamente male e le lastre
sembravano quasi stessero lacerando tutti i muscoli e consumando le
ossa che gli stavano attorno.
Quando
stava male ed era ancora fidanzato con Edith, lei si metteva a sedere
con lui, lo abbracciava e cominciava a parlare di cose stupide, senza
senso. Quello era un modo come un altro per fargli capire che non
doveva avere paura. Che lei era lì e lo avrebbe ascoltato e
curato. Poi tutto era finito e Miranda non si era dimostrata
altrettanto comprensiva nei suoi confronti.
Lei
si lamentava del fatto che Orlando si svegliasse di notte e che non
riusciva più a prendere sonno. Non si dimostrava mai
comprensiva nei suoi confronti.
La
sveglia cominciò a trillare forte. Colto di sorpresa, Orlando
sollevò di scatto la testa e subito una smorfia di dolore gli
fece storcere il viso.
Cercando
di ignorare il dolore, Orlando si alzò, accese la luce del
comodino e compose un numero dal telefono fisso dell'albergo.
“Pronto?”
disse una voce gioviale dall'altra parte.
“Pronto
Pete. Sono io, OB. Ti volevo dire che hai ragione, la famiglia è
davvero più importante di ogni cosa sulla faccia della terra!”
“Gli
hai detto davvero così!”
Edith
rise di gusto parlando al cellulare con Rachel. Era appena stata a
casa di sua madre ed Ella e David erano rimasti dai nonni, per la
gioia di Patrick, il nonno, un po' meno di Eloise, la nonna.
“Ti
ho detto di sì. Ed è tanto che non abbia reagito
d'istinto e l'abbia mandato al diavolo quel deficiente. Ma chi si
credono di essere. Non è detto che una che ha una vita privata
-resa pubblica tra l'altro contro ogni sua richiesta- non sia idonea
a dirigere un giornale come il The Guardian. Non stiamo parlando di
Jordan o chissà chi altro!” rispose Edith riaccendendosi
di nuovo. Il fatto che il colloquio fosse andato bene e che tutti
avessero accettato la sua offerta di poter dirigere da subito il
giornale anche a costo di utilizzare Skype, non aveva riscontrato
nessun problema. Greg 'Viscidone' Jefferson ne era subito
parso entusiasta.
“Come
sei indietro. Lo sai che non si fa più chiamare così.
Ora si fa chiamare di nuovo Katie Price!” replicò Rachel
fingendo delusione.
“Il
fatto che tu sappia che una modella con dubbi gusti nel vestire e
nello scegliere i suoi compagni abbia ripreso il proprio nome di
battesimo non ti fa onore, sai?” ribatté Edith
divertita, avvicinando la sciarpa al mento con una mano. Era ancora
in macchina, ma la temperatura era scesa di qualche grado; inoltre,
finalmente dopo un mese di straordinaria assenza, il cielo si stava
coprendo di nuvole minacciose, che avrebbero scaricato sulla capitale
inglese litri e litri di acqua.
“Guarda
che sono una giornalista in maternità e non posso far altro
che stare dietro a tre bambini assatanati, di cui una che sta
cominciando a prendere coscienza del fatto di star diventando grande,
e ho anche un marito che arriva a casa e sembra Atlante e che abbia
il peso del mondo sulle sue spalle!” e dopo un attimo di
silenzio, aggiunse: “E a me Peter Andre piaceva!”
Edith
scoppiò a ridere ancora più forte e Rachel con lei. La
sua migliore amica era felice che avesse deciso di prendere il posto
al The Guardian. Significava che aveva smesso di fuggire e che forse
avrebbe cominciato a mettere la testa a posto. O almeno rimetterla.
“Ci
sono paparazzi fuori casa tua?” chiese Rachel tornando seria.
Edith
scosse la testa e rispose:
“No!
Serata tranquilla...” e guardando il suo orologio Bulgari con
il piccolo quadrante rettangolare, disse: “Anzi! Penso che
adesso vado a casa e mi faccio un bel bagno caldo!”
Rachel
fece un verso di assenso e ribatté:
“Riposati
che domani ti attende una giornata piena, tra valigie tue e dei
bambini da preparare!”
Edith
sorrise e poggiando le mani sul volante disse:
“Hai
proprio ragione. Penso che me ne andrò a letto presto!”
e dolcemente salutò l'amica raccomandandosi con lei di dare
attenzione al bambino e di non compiere sforzi.
Chiuse
la chiamata e guardò lo sfondo del suo IPhone che ritraeva
Ella e David che sorridevano all'obbiettivo.
Tre
mesi lontana da loro sarebbero stati duri, ma sapeva che con i suoi
genitori i bambini non avrebbero avuto problemi di sorta. Sospirò,
prese la borsetta dal lato del passeggero e scese dall'abitacolo. La
strada era silenziosa e a questo, dopo la reazione di Orlando alla
separazione con Miranda, per Edith era un piacevole ritorno alla
normalità.
Stava
ticchettando per la strada pulita e tranquilla vicino casa sua,
quando sentì qualcuno dire: “Era da un po' che ti
stavo aspettando. Pensavo che stasera non saresti tornata”
Edith
ebbe un tuffo al cuore. Si voltò di scatto e vide davanti a sé
gli occhi azzurri di Jude. Era da un po' che non lo vedeva e come
sempre quando gli stava vicino si sentiva come dentro una lavatrice:
centrifugata, strizzata e sballottolata a destra e a sinistra.
“Jude!
Che ci fai qui?” chiese realmente sorpresa.
L'uomo
sorrise e affondando le mani nelle tasche dei jeans, rispose:
“Avevo
voglia di vederti, ma soprattutto di parlarti a quattrocchi!”
Edith
rimase per un attimo con la bocca spalancata, cercando dentro di sé
un motivo vagamente valido per declinare quell'invito. E ne aveva
parecchi se ben ci pensava: il giorno dopo sarebbe dovuta partire per
la Scozia e quindi doveva non solo riposare, ma doveva anche
preparare le valigie per lei e per i figli; doveva scrivere un
capitolo importante del suo nuovo libro; doveva stare lontana da Jude
e Orlando, specialmente.
Ma
ogni scusa sembrava quasi un castello di carte pronto a crollare al
minimo soffio di vento, quindi sorrise e indicando dietro di lei
disse:
“Abito
qualche metro più avanti. Se mi vuoi seguire...”
Jude
non rispose, ma fece come ordinato. Camminarono fianco a fianco in
silenzio. Sembrava quasi che tutto quello che c'era stato tra di loro
si fosse dissolto e fosse rimasto spazio solo per l'imbarazzo e il
tragitto fino a casa sembrò molto più lungo di quei
pochi metri poco prima auspicati da Edith.
Una
volta davanti alla casa Jude sollevò lo sguardo, guardando la
facciata di mattoni rossi e sorridendo disse:
“Immagino
che l'avrai pagata un botto!”
Edith
scosse la testa, salendo assieme i pochi gradini che la separavano
dall'ingresso e rispose:
“Non
molto se consideriamo che ho speso tutti i soldi che mi hai dato dopo
aver venduto...” e mordendosi il labbro si bloccò.
Dopo
il suo incidente e la sua partenza per Kendal, Jude aveva cercato in
tutti i modi di mettersi in contatto con lei, ma la depressione e la
paura di poter di nuovo finire in mezzo a quel vortice che era
diventato quel triangolo, l'aveva fatta desistere da prendere una
qualsiasi decisione sul suo futuro sentimentale e aveva lasciato che
suo marito -quasi ex- decidesse per lei. E dopo pochi mesi, Jude
aveva messo in vendita la loro casa e aveva consegnato nelle mani di
uno sconosciuto tutti i bei ricordi racchiusi in quelle quattro mura.
Jude,
rendendosi conto che Edith, in evidente imbarazzo, non aveva finito
la frase, continuò per lei e concluse, sorridendo amaro:
“...
dopo aver venduto la casa dove abitavamo...” e tranquillo
aggiunse: “Edith è successo. Non devi aver paura di dire
le cose. Non è quello che mi ferisce, ma ben altro!”
Edith
chinò di nuovo la testa, disarmata da quella situazione e
cercando le chiavi dentro la borsa cercò in tutti i modi di
temporeggiare. Ci mise qualche secondo, cercando dove sapeva di non
averle messe e poi, aprendo la piccola cerniera di una tasca interna
della borsa, fingendo di non saperlo, disse:
“Le
avevo messe qui!” ed evitò lo sguardo di Jude dandogli
le spalle e macchinando con la serratura.
Quando
questa schioccò e la porta si aprì, e con un gesto
veloce Edith accese la luce.
Jude
guardò la casa. Il parquet era scuro e i mobili moderni e di
una tonalità chiare. Le pareti grige e vicino alla porta c'era
una poltrona davanti ad una finestra a bovindo, con accanto un
bellissimo tavolino e una lampada da lettura.
Davanti
ad un bellissimo divano bianco ad elle, stava un cammino con sopra le
foto di Edith e dei bambini. Non c'era traccia né di lui, né
di Orlando.
Guardò
le scale dello stesso materiale del parquet e lasciò che lo
sguardo spaziasse per tutto l'open space molto ampio, dal quale si
vedeva una bellissima cucina con tanto di penisola.
“Vedo
che ti sei sistemata bene” sorrise Jude.
Edith
tolse la sciarpe e appese il cappotto all'attaccapanni e sorridendo
disse:
“Ho
fatto del mio meglio!” poi indicando il divano aggiunse:”Prego!
Accomodati!”
Jude
fece come ordinato e non ebbe il tempo di dire una sola parola che
Edith gli domandò subito:
“Vuoi
qualcosa da bere? Un tè, un caffè?”
“Hai
qualche cosa di forte?” domandò Jude.
Edith
annuì e avvicinandosi ad un armadietto chiuso a chiave disse:
“Ho
del bourbon, del gin, qualche brandy. Un whisky doppio malto... Cosa
vuoi?”
“Un
po' di brandy va più che bene!” sorrise Jude.
Edith
trafficò dentro il piccolo mobile bar, ma stavolta non lo fece
in silenzio:
“Cosa
ti porta qua, Jude?”
L'uomo
sospirò e passando una mano sui jeans invecchiati ad arte,
rispose:
“Lo
sai. Non penso che te lo debba dire io!”
Edith
sospirò e voltandosi, con un passo lento, quasi stesse andando
al patibolo e non stesse offrendo da bere ad uno dei due uomini che
credeva di amare, rispose:
“Se
sei qua per quella storia di Orlando, sappi che ancora non l'ho
sentito. Per quello che ne so è ancora in Nuova Zelanda a
girare Lo Hobbit. Io domani devo anche partire per la Scozia e dopo
comincerò a lavorare per il Guardian...”
“Edith!
Io voglio sapere cosa ne sarà di noi?” la bloccò
Jude.
Edith
lo guardò per un attimo stupita. E scuotendo la testa domandò:
“In
che senso?”
“In
che senso?” ripeté Jude fingendo stupore. “Nel
senso che voglio capire se è arrivato il momento anche per noi
per parlare di quello che siamo... O meglio, non siamo!”
Edith
sospirò e passò una mano tra i capelli. Non aveva
voglia di affrontare quel discorso. Non aveva voglia di affrontare
Orlando, o Jude, o chi per loro.
“Non
ho voglia di parlare del nostro matrimonio, Jude...”
“Un
matrimonio prevede che due persone vivano nella stessa casa. Che
condividano le cose, la vita. Noi non stiamo facendo niente di tutto
questo... Il nostro non è più un matrimonio, Edith. Non
lo è più da quando hai avuto quell'incidente e te ne
sei scappata nella Regione dei Laghi perché non volevi
affrontare il padre dei tuoi figli e me!” la interruppe Jude
punto sul vivo.
“Lo
sai che per me non è così!” rispose Edith che
cominciava a sentire la stessa angoscia di quando era depressa salire
lenta, viscida e quasi dolorosa, spaventandola e facendole sudare le
mani e la schiena.
Jude
scosse la testa e bevve un lungo sorso di brandy e poggiando il
bicchiere quasi del tutto vuoto sul tavolino di vetro, rispose:
“Edith,
se non è così, allora perché non torniamo
assieme?”
Il
cuore di Edith fece una capriola. Non ebbe la forza di rispondere e
guardò Jude stordita.
Jude
si mise in piedi e si avvicinò alla ragazza e guardandola
negli occhi, aggiunse:
“Ti
amo, Edith. E lo sai. Non voglio perderti e non l'ho mai davvero
voluto. Voglio solo che tu ti renda conto del fatto che io ho fatto
di tutto per fartelo capire. Ho detto anche ad Orlando che David non
era mio e non ho fatto nulla per costringerti a tornare... Voglio
solo che tutto torni com'era prima di quella dannata mattina. Voglio
davvero che tu torni ad essere mia moglie. Ma non posso volerlo solo
io...”
Edith
guardò Jude. Sentiva la mano calda, che lui aveva poggiato sul
suo viso che sembrava quasi pulsare e faceva più male di uno
schiaffo.
Scostò
il viso e disse:
“Voglio
del tempo. Non posso decidere così!”
Jude
rimase un attimo in silenzio. Poi scuotendo la testa disse:
“Non
aspetterò per sempre Edith. Questa situazione è
ridicola. E io non voglio fare la parte del pagliaccio!” e
senza aggiungere altro si avvicinò alla porta e uscì,
sbattendola.
Edith
non sapeva come aveva fatto ad arrivare sino a Caithness. Sapeva solo
che se quella notte era rimasta sveglia nel suo letto di Londra, ora,
mentre scendeva dalla sua macchina dopo aver percorso tutta Wick e
aveva scoperto di dover arrivare al McNeil's Bed and Breakfast.
Una
volta fuori l'aria salmastra la schiaffeggiò quasi, ma la
rinvigorì. Si voltò e guardò il bel caseggiato
dove l'edera si arrampicava silenziosa sulle pareti. Non era una
casa, ma le metteva la stessa tranquillità. Stava per
avvicinarsi al cancello quando sentì qualcuno fischiare.
Stupita,
confusa e per niente divertita, Edith si voltò e guardò
in direzione del rumore. Vide un uomo molto alto, molto prestante,
con la barba lunga e gli occhi azzurri. I capelli corti portati in
avanti erano castani e sembrava quasi stesse ridendo mentre la
guardava.
“Scusa!”
disse lui avvicinandosi. “Non volevo spaventarti!”
“Ci
sei riuscito!” rispose Edith glaciale.
Il
ragazzo si bloccò e sorridendo un po' meno calorosamente di
quanto aveva fatto subito dopo il suo gesto un po' infantile, disse:
“Come
ho detto non volevo spaventarti...!” e indicando con un gesto
della testa il cancello domandò: “Anche tu lavori per il
film?”
Edith,
con le braccia conserte e il sopracciglio destro sollevato, rispose:
“Sono
la scrittrice. Edith Norton!”
“Ah!”
fece il ragazzo divertito. “Edith Norton! Immaginavo una
vecchietta con i capelli bianchi, non una... una...”
“Ragazza?
O stavi pensando a qualcos'altro di meno carino?” chiese
stavolta Edith senza lasciare il suo tono per niente amichevole.
“Volevo
dire una donna così giovane!” replicò l'uomo che
cominciava ad innervosirsi.
Edith
annuì e allungando la mano, disse:
“Bene.
Devo andare. Mi stanno aspettando!” e senza aspettare risposta
entrò nel cancello e non lo tenne nemmeno aperto per il
ragazzotto che stava dietro di lei e che dopo alcune falcate,
nonostante si tenesse ad una debita distanza, la stava seguendo.
Edith si voltò senza dire nulla, lanciando uno sguardo dei
suoi all'uomo che divertito, con le mani nelle tasche dei pantaloni
militari, la stava seguendo.
Indispettita
e un po' spaventata, Edith aumentò il passo mentre l'uomo,
fischiettando, senza il minimo sforzo continuava a starle dietro
anche mentre lei, ferma al bancone della reception si stava
registrando. Era un po' come giocare al gatto e al topo, per Edith,
che non sopportava di fare la parte del topo. Riprese a camminare
mentre l'uomo, sempre più divertito, continuando a
fischiettare quella che cominciava ad assomigliare ad una canzoncina
sconcia, continuava a seguirla.
Cercò
di lasciarlo perdere e una volta arrivata nella sala ristorante dove
l'addetto della reception le aveva detto che stavano i produttori e
il regista.
Entrò
e vide qualcuno alzarsi. Sorrise riconoscendo il regista ma il
sorriso le morì sulle labbra quando gli sentì dire:
“Gerard
Butler che ci fai qui? Non dirmi che vuoi di nuovo fare colazione?”
Colgo
subito l'occasione per ringraziare
chiaretta78
e Scarl_Bloom94
per
le recensioni che mi hanno lasciato.
Grazie!
Grazie davvero!
Per
chiunque è interessanto e vuole essere aggiornato di
ogni
capitolo postato
può
mettere un mi piace alla mia pagina FB
che
trovate al nome
NINIEL82.
Ci
sono solo io ^_^.
Comunque,
ringrazio anche i lettori silenti e
quelli
che hanno messo la mia
storia
tra le preferite, seguite o ricordate.
I
lettori silenti e tutto il resto.
Spero
che il capitolo vi piaccia.
Fatemelo
sapere.
Un
bacio!!!!
Niniel82.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3: Problemi
.
Edith
guardò il mare che si estendeva immenso davanti ai suoi piedi.
Sapeva in quel momento che se anche, per sbaglio o per voglia stessa
di Nessie, questa si fosse presentata davanti a lei, beh!, di sicuro
non sarebbe rimasta poi così colpita come lo era in quel
momento, mentre ascoltava il padre parlare dall'altro capo della
cornetta.
"Edith!
Ti dico che non sto impazzendo. È così. Tua madre non
solo è cambiata, ma penso che mi stia tradendo con qualche
altro uomo!" ricalò Patrick per l'ennesima volta, stanco
di ripetere alla figlia la stessa cosa per quella che sembrava essere
la milionesima volta.
Ok!
questa era una notizia impossibile da gestire perfino per lei che
aveva tenuto le redini di due redazioni importanti.
Camminando
avanti e indietro sulla riva ghiaiosa del fiume Edith si chiedeva
come era possibile che avesse semplicemente deciso di chiamare a casa
per sapere come stavano i bambini e i genitori e, inaspettatamente,
dall'alto era piovuta quella che Ella avrebbe chiamato una mera di
pupù. E non solo! Stava anche facendo da terapista di coppia a
suo padre, cercando di tranquillizzarlo proprio come faceva con i
suoi due figli. Senza successo però.
Ma
che voleva il creatore da lei? Possibile che si divertisse a farle
vedere i sorci verdi ogni istante della sua esistenza?
Sospirò
e cercò di rimanere calma. Si fermò, portò una
mano alla fronte e replicò:
“Papà!
Stiamo parlando della mamma. La stessa donna che non vuole pulire un
pollo perché ha paura di fargli del male...”
“Tua
madre è cambiata” la interruppe Patrick. “Me ne
accorgo dai suoi atteggiamenti. Sono diversi. E te lo posso giurare.
Siamo sposati da più di trent'anni, Edith!”
“Papà!
È naturale che sia cambiata. Anche lei ha subito un fortissimo
stress l'anno scorso, dopo il tuo infarto. Ha persino cominciato a
tenersi sotto controllo! Proprio lei che odia gli aghi. E poi ti è
stata vicino ogni giorno. E sai che caratteraccio hai, alle volte.
Come puoi pensare che ti possa tradire dopo tutto questo?”
Effettivamente
come poteva, Patrick Norton, anche solo pensare che sua moglie Eloise
lo tradisse? Edith conosceva sua madre e sapeva che tipo di donna
era: una donna buona, mite, del tutto incapace di fare una cosa
simile. Lei che non aveva mai lasciato suo marito nonostante tutti
gli errori più o meno mastodontici che aveva commesso -e ne
aveva fatti talmente tanti che Edith aveva anche perso il conto-;
aveva sempre cercato di rimettere insieme i cocci della sua famiglia,
senza scappare mai anzi, con la tenacia di una moderna Penelope,
aveva tessuto una fitta trama di rapporti, cercando di mettere una
pezza anche quando lo strappo era troppo grande. Ecco perché
Edith non poteva immaginare che sua madre, proprio nel momento in cui
tutto andava bene, volesse distruggere tutto, spontaneamente, proprio
come una bambina capricciosa che distrugge un giocattolo solo perché
i genitori non le vogliono comprare quello più bello che fanno
vedere alla tv.
Era
assurdo. Anche solo pensarlo.
“Edith...
Diciamocela tutta. Se tua madre mi vuole lasciare ha tutte le
ragioni. Che razza di marito sono stato, eh? Per tutta la nostra vita
insieme non ho fatto altro che causarle guai, vi ho allontanati, te
specialmente. Lei ha retto... Ma ora...”
Patrick
parlava con voce rotta e questo strinse il cuore ad Edith che
cercando di sdrammatizzare, disse:
“Ma
che dici papà? Lo sai che non è vero!”
“Edith!”
replicò stanco Patrick. “Guardiamo in faccia la realtà.
Sono un rottame. Tua madre è ancora una donna bella che deve
vivere. Solo ora che ci penso non l'ho mai portata a ballare in tutti
questi anni, nemmeno ad una cena fuori. Non sono solo un pessimo
marito, sono anche una palla al piede...”
Edith
sospirò e sorrise bonaria e usando lo stesso tono di voce
dolce che usava con i figli quando facevano un brutto sogno,
tranquillizzò il padre, dicendo:
“Papà!
Tra due settimane devo tornare a casa per sistemare delle cose in
redazione. Passo quattro giorni a Londra. Ti prometto che appena sarò
lì farò di tutto per capire cosa sta succedendo, ok?”
Il
padre rimase per qualche secondo in silenzio. Edith quasi poteva
immaginarlo seduto nella sua grande poltrona, al centro del salotto,
con la fronte corrugata e l'espressione preoccupata, magari che si
grattava il mento. Quasi poteva sentire il cervello del padre
ponderare, macchinare, lavorare velocemente. Sorrise dolcemente
immaginando suo padre e in silenzio attese la risposta. Che non tardò
ad arrivare.
“Ok!
Ma voglio che tu mi prometta che qualunque cosa tu dovessi venire a
scoprire, me la dirai subito, ok? Anche se ho avuto un infarto questo
non significa che non preferisca un bel pugno in faccia che
continuare ad essere preso in giro”
Edith
annuì e sollevò la testa. Fu allora che vide davanti a
sé Gerard che la guardava con un sopracciglio sollevato.
Repentinamente
l'espressione dolce lasciò spazio ad una capace di gelare
l'equatore e sciogliere i ghiacciai molto più in fretta di
quanto ci stava riuscendo l'effetto serra. In quella settimana che
aveva passato a Wick era riuscita a stringere amicizia con tutti.
Tutti tranne lui.
C'era
in quell'uomo qualche cosa che la faceva imbestialire a tal punto che
Edith, nel profondo, ogni volta che se lo trovava di fronte, aveva la
straordinaria voglia di piantarle le unghie dentro le orbite e fargli
male. Tralasciando il fatto che solo la vista del sangue l'avrebbe
fatta stare male e che aveva due figli da crescere, la giovane
giornalista sapeva che ogni volta che pensava a questa opportunità
l'odio viscerale che sentiva per quell'energumeno andava via scemando
e la faceva calmare, anche se sapeva fin troppo bene che non sarebbe
mai riuscita a mettere in atto il suo piano omicida.
Eppure
c'era qualche cosa in quell'uomo che la faceva montare su tutte le
furie. A parte che era un attore -e lei, con la categoria, aveva dei
precedenti piuttosto clamorosi-, ma Edith sapeva che non era per
quello. Forse era perché si era presentato a lei in quel modo
volgare, forse perché l'aveva presa platealmente in giro
davanti a tutti il suo primo giorno nel bed and breakfast...
Quello
che Edith sapeva era che, in quel momento, guardandolo sorridere
beffardo le faceva ribollire il sangue, soprattutto perché la
giornalista non poteva sapere quanto quell'essere becero aveva
sentito di lei, dei problemi dei suoi e della sua vita privata.
Sospirò
e cercando di sembrare il più tranquilla possibile per non
mettere in ansia il padre, disse:
"Papà,
ora ti devo lasciare. Prometto che ci sentiamo appena mi libero!"
Patrick
ebbe appena il tempo di salutarla che Edith chiuse la chiamata e mise
il suo Iphone in tasca e si guardò intorno, cercando un modo
elegante per andarsene senza attaccare ingiustamente -ingiustamente?-
Gerard per essere rimasto a pochi metri da dove lei stava
telefonando. Cercando quindi di essere una donna matura e non una
zitella isterica, Edith si mise a camminare con passo spedito, quando
lo stesso Gerard disse, guardando verso il mare:
“Non
volevo sentire e tanto meno spiarti. Me ne stavo qui tranquillo a
riflettere quando tu hai cominciato a parlare talmente a voce alta
che, anche se non volevo, non ho potuto fare a meno di sentire tutto
quello che dicevi!”
Bastarono
quelle parole affinché ogni singola parte del suo corpo si
irrigidisse talmente tanto da farla sembrare una statua di cera.
Aveva
sentito tutto. L'aveva deliberatamente spiata. Che le importava se
lui era da lì prima di lei. Doveva alzarsi e andarsene da
qualche altra parte a fare l'uomo di mare e non stare ad ascoltare
quello che aveva da dire lei a suo padre.
Sospirò
facendo training autogeno.
Breathe
in. Breathe out.
Semplice
no?
In
un attimo le si palesò la faccia dell'attore davanti.
Si
voltò e lo guardò con un sorriso tiratissimo.
Le
sue unghie che affondavano dentro gli occhi azzurri dell'uomo.
Stava
cercando la frase giusta da dire senza sembrare maleducata, ma rimase
immobile a guardarlo.
Schizzi
di sangue ovunque.
Ma da quando aveva cominciato ad avere delle allucinazioni degne di
Freddy Krueger?
“Se
pensi anche solo per un minuto che ti possa prendere per il culo su
di una cosa simile, ti sbagli di grosso!” intervenne Gerard in
quei turpi pensieri.
Edith
lo guardò stupita, sentendo i muscoli sciogliersi lentamente.
Non sembrava prenderla in giro. Anzi, era molto serio. Lo guardò
prendere un sasso, sollevarsi dal posto in cui era seduto e lanciarlo
verso il mare. Non riusciva a dire una sola parola. Fu di nuovo
l'attore a parlare e disse:
“Può
sembrarti strano, ma ti capisco!”
Edith
sollevò un sopracciglio e incrociando le braccia al petto,
domandò:
“Anche
i tuoi si sono separati, per caso?”
Gerard
annuì' e rispose:
“Quando
avevo due anni, circa. Non ricordo molto di quando si sono lasciati,
so solo che dopo è stato molto difficile per me!”
Edith
lo ascoltava, ma era come se la sua mente non riuscisse altro che a
pensare che quell'uomo aveva sentito tutto e nonostante la
rassicurazione che gli aveva fatto, sentiva che si stava prendendo
ancora gioco di lei e che doveva in qualche modo difendersi. Magari
cercando per la prima volta da quando era arrivata una lite con
quell'uomo insopportabile. E senza ragionare disse:
“Immagino
quanto sia stato difficile. Doppio regalo a Natale, compagni della
mamma e del papà che fanno a gara per conquistarti. E lasciami
indovinare? Sei figlio unico, vero? Straviziato e stracoccolato
per...” ma non finì la frase.
Edith
si bloccò a guardare Gerard che teneva i pugni talmente
stretti che le nocche erano bianche come i ciottoli che stavano per
terra. Se fosse stata un uomo si sarebbe aspettata un bel gancio. A
dire il vero se lo aspettava comunque.
Chiuse
gli occhi aspettando il colpo, quando invece sentì la voce di
Gerard, pregna di veleno, ben lontana dal tono gioviale che gli aveva
sempre sentito quando parlava con la crew.
Con
un sibilo che sole Edith poté udire disse:
“Tu
non sai un cazzo di me, Norton. Pensi che tutti abbiano avuto la tua
fottutissima vita pian di Natali stupefacenti, con alberi di Natale
comprati tutti insieme al mercato e l'amore di una mamma e di un
papà? Ti sbagli. Non tutti hanno avuto la tua stessa fortuna,
Norton!”
“Se
pensi che la mia vita sia stata perfetta, beh!, allora ti sbagli di
grosso, Butler!” replicò Edith sentendosi punta sul
vivo.
Che
ne sapeva quello della sua vita? Che ne sapeva di tutte le sue
vigilie di Natale da sola o a feste noiose organizzate da Brian,
quando l'unica cosa che voleva era stara e a casa dei suoi ad aprire
regali? Cosa ne sapeva del suo litigio con Patrick quello stronzetto
pieno di sé?
Gli
occhi azzurri dell'attore indugiarono per un attimo sul viso di
Edith. Poi, ridendo, quasi fosse divertito da quella situazione che
si era andata a creare, replicò:
“Tu
pensi davvero che a me interessi qualche cosa della tua dannatissima
vita? Basta quello che fai per renderla pubblica e far capire a
tutti che razza di persona sei. Non sono io che finisco sui giornali
anche se il mio cane starnutisce!”
La
mano di Edith si sollevò, pronta a schiaffeggiare Gerard. Le
avrebbe insegnato lei a stare al suo posto a quello lì.
Ma
l'attore fu più veloce e bloccandole la mano aggiunse:
“Non
giudicare se non ti piace essere giudicata” e lasciando andare
la mano di Edith, lasciò la giornalista da sola, sulla
spiaggia, davanti al mare.
Era
confusa e spaventata. Nessuno prima di allora si era comportato così
nei suoi confronti. Nessuno era arrivato a tanto.
Mai.
Orlando
scese dal taxi e guardò la casa della madre. Canterbury era
l'unico posto in quel momento che poteva dargli la forza per andare
avanti, per scacciare tutti gli spettri del suo passato.
Che
poi doveva ancora capire se quegli spettri voleva scacciarli oppure
pranzarci assieme, dal momento che Edith era uno di quelli più
grandi.
Il
taxi ripartì subito dopo che ebbe scaricato i bagagli e aver
ricevuto una lauta ricompensa. Orlando ebbe il tempo di guardare
ancora una volta la facciata che la porta di casa si aprì e
sull'uscio apparve Sonia, la madre di Orlando che aprendo le braccia
corse incontro al figlio. Di una cosa Orlando era più che
certo: l'unica ad essere felice per quella separazione era sua madre.
Certo! Pe ogni mamma è sempre difficile vedere il proprio
figlio spiccare il volo, prendere moglie e amare una donna differente
da lei ma, e il giovane attore lo sapeva bene, Miranda a Sonia non
era mai andata giù. Come non aveva mai visto di buon occhio la
relazione del ragazzo con Edith, nonostante amasse i suoi due
nipotini come se stessa.
Ad
onor del vero Orlando era certo che Sonia avesse accettato solo ed
esclusivamente la sua relazione con Kate, ma non perché le
andasse a genio come ragazza -al contrario dal momento che la
chiamava stupida yankee appena poteva- ma nutriva per la giovane uno
strano rispetto che, Orlando sospettava, era dovuto all'ingombrante
blasone della giovane. Sonia sognava già una vita da
aristocratica, ma dovette lasciare i suoi sogni quando Orlando lasciò
l'attrice -o meglio venne lasciato- dopo una relazione fatta di
silenzi e di cose dette a mezza voce.
Sorridendo,
una volta che Sonia lo ebbe raggiunto, Orlando lasciò che la
madre lo abbracciasse e indicando la casa con un piccolo cenno della
testa, le chiese:
“I
bambini sono da te?”
Sonia
annuì. Era radiosa mentre guardava il figlio. Non aveva mai
nascosto tutta la sua stima e il suo orgoglio per il figlio. Aveva
sempre incoraggiato sia Samantha che Orlando a coltivare le loro doti
artistiche, ma quello che davvero aveva sfondato e che aveva
addirittura una pagina su Wikipedia era Orlando, non la figlia
maggiore. E per quanto sia lui che Sam si volessero bene, Orlando
doveva ammettere a malincuore che alle volte, per la sua sorellina
maggiore, il suo successo diventava un'ingombrante spina nel fianco.
In
silenzio, si incamminarono verso la casa e subito apparve una bambina
coi capelli ricci e dello stesso identico colore di Orlando: Ella.
Orlando
si stava rendendo dolorosamente conto di quanto la sua prima figlia
stesse crescendo in fretta e di quanto la trovasse ogni volta diversa
quando tornava a casa dopo un lungo periodo lontano. Lasciò il
trolley e il borsone e accucciandosi accolse l'abbraccio della figlia
che gli cinse il collo con le piccole braccia magre.
In
un attimo il dolore di quei giorni, la notizia della fine del suo
matrimonio ricevuta da un comunicato stampa e non da Miranda, il
lavoro che non stava andando bene perché non riusciva a
concentrarsi nemmeno sul pranzo, tutti i sentimenti repressi verso
Edith riaffiorarono velocemente ed esplosero in una ridda di emozioni
indistinte che Orlando riuscì a malapena a mantenere nascoste
e strinse forte la figlia che disse:
“Papà
mi stai stritolando!”
Fu
la vocina della figlia a farlo tornare in sé, a lasciare
dietro le spalle dei problemi che sapeva dover affrontare ma non in
quel momento. Sospirò, sistemò i capelli della bambina
e sorridendo, guardandola negli occhi, disse:
“Scusa!
È che sono così felice di rivederti. Non hai idea di
quanto mi sia mancata!”
Proprio
in quel momento uscì Samantha con in braccio il piccolo David
che sorrise e si nascose dietro la spalla della zia vedendo il padre
davanti a lui.
Orlando
quasi non ci credeva, ogni volta che guardava David. Se pensava che
aveva davvero sperato che Edith lo perdesse quando aveva saputo che
era rimasta incinta, quasi provava vergogna. Certo! Aveva la
scusante, dalla sua, di non sapere che il bambino che la sua ex
aspettava era il suo, ma nonostante questo quella vergogna bruciava
ancora. Baciò quindi la guancia di Ella e prese in braccio il
piccolo David che lo abbracciò e lo baciò a sua volta.
Per quanto Ella era uguale a lui, David era identico ad Edith. Lo
stesso colore degli occhi, gli stessi capelli lisci ma scuri. Orlando
abbracciò anche l'altro figlio e guardò la sorella che
incrociando le braccia gli chiese:
“E
allora? Che sta succedendo?”
Orlando
sospirò e posò un baciò tra i capelli del figlio
e poi, mettendolo giù, prendendo il trolley e il borsone che
aveva con sé, serio disse:
“Penso
che sia meglio andare dentro. È una storia troppo lunga da
raccontare”
Edith
stava facendo la fila alla mensa. Amava quando venivano girati dei
film. Le piaceva stare in mezzo alla crew e parlare con loro,
mangiare con loro. La faceva ritornare con i piedi per terra. Non che
lei si fosse mai montata la testa, ma quella tranquillità che
poteva vivere solo nel set, quasi la faceva tornare ai tempi della
scuola, quando era solo una ragazza con tanti sogni e niente più.
Stava
cercando di scegliere cosa fosse meglio tra un invitante piatto di
costine di maiale e un salmone affumicato quando sentì
qualcuno dire:
“Un
penny per i tuoi pensieri!”
Si
voltò e vide Ronda, la sua assistente. A differenza di Laura,
Ronda aveva saputo tener testa ad Edith sin dal primo momento e si
era messa allo stesso livello della sua superiore, creando in quei
pochi giorni un buon legame di tipo lavorativo. Per quello personale,
Edith lo sapeva, forse non ci sarebbe stato il tempo.
La
giornalista sorrise e scegliendo le costine fumanti rispose:
“Niente...”
Ronda
schioccò la lingua contro il palato e replicò:
“Non
ci credo nemmeno se lo vedo, Norton! È da questa mattina che
sei strana!”
Edith
sospirò e pensò che in effetti era vero. Non mancavano
solo i problemi con Orlando e Jude, ci si stava mettendo pure suo
padre che sospettava di essere tradito e poi quel buzzurro di Gerard.
Scegliendo
tra i problemi quello meno personale, Edith guardò Ronda e
rispose:
“Ho
litigato con Butler!”
Ronda
si fece servire il salmone e aggrottando le sopracciglia, rispose:
“Effettivamente
era un po' nervoso anche lui...” e guardando la giornalista le
chiese: “Posso essere maleducata e chiederti cosa sia
successo?”
Edith
si morse la lingua. In un modo o nell'altro Ronda sarebbe venuta a
sapere il motivo per cui aveva litigato con Gerard. Poteva essere una
grande collega ma era davvero una pettegola. Prese un po' di verdura
cotta per temporeggiare e poi, prendendo il vassoio rispose:
“Gerard
ha sentito una mia chiamata personale riguardo a dei problemi tra i
miei genitori...”
“Ah!
Capisco!” la interruppe saccente Ronda.
Edith
la guardò sollevando un sopracciglio e Ronda continuò:
“I
genitori di Gerard si sono separati quando lui era molto piccolo. Per
quello che ha detto so che non ha saputo niente del padre sino a che
non ha compiuto sedici anni. Poi è andato a cercarlo e per un
po' è stato con lui...” e indicando un tavolo si misero
a sedere e Ronda aggiunse: “Non sono rimasti molto assieme
perché il padre di Gerard è morto quasi subito e per
questo lui ne ha sofferto molto...”
A
sentire le parole di Ronda lo stomaco di Edith si chiuse. Si sentiva
una perfetta idiota. Aveva dato a Gerard del ragazzino viziato senza
davvero conoscere la sua storia. Si sentiva un verme. Ronda cambiò
presto discorso e la giornalista fece finta di ascoltarla. Ma di
tanto in tanto si voltava verso l'attore e lo guardava. Anche lui era
cupo e non era l'animo della mensa come suo solito. E questo fece
sentire Edith, se possibile, ancora più in colpa. Lasciò
parlare un'entusiasta Ronda pensa che, una volta finita la giornata
lavorativa, avrebbe preso il coraggio a quattro mani e avrebbe
chiesto scusa a Gerard. In un modo o in un altro.
“E
non dire che non te l'avevo detto. Quella è un'australiana. Ha
sangue di galeotto nelle vene!” disse Sonia alzando il tono
della voce.
“Mamma!”
intervenne scandalizzata Samantha.
Sonia
rizzò la schiena e replicò:
“Lo
sai che non mi è mai piaciuta. Una del genere voleva i soldi
di mio figlio e basta...”
“Mamma...
Lo dicevi anche di Edith!” replicò Orlando scuotendo la
testa stanco.
Sonia
lo guardò con rimprovero e rispose:
“Non
puoi negare che quando hai portato Edith a casa era appena rimasta
incinta di Ella e avevo tutti i diritti di pensare male...”
“Mamma!
Tu pensi male di ogni donna che entra nel mio letto!”
intervenne Orlando ormai stanco di quella discussione. Voleva parlare
con Edith e continuare una lunga e inconcludente discussione con sua
madre riguardo Miranda e il loro matrimonio segreto o delle mire
della modella sul patrimonio di Orlando non era quello di cui aveva
bisogno.
“Io
non penso male di tutte le donne...” stava per dire Sonia, ma
venne bloccata da Orlando che disse a Samantha:
“Devo
parlare con Edith!”
Gli
occhi della sorella dell'attore si illuminarono e un sorriso sincero
si aprì lentamente sul viso della giovane donna. Sonia,
invece, boccheggiò. Voleva dire qualche cosa ma fu Samantha a
parlare per prima e a dire speranzosa:
“Allora
vuoi provare a stare di nuovo con lei?”
Orlando
si grattò la testa e sorridendo imbarazzato ammise:
“Non
penso di aver mai smesso di volerlo...”
Si
sentiva male solo ad ammetterlo. Aveva capito in un solo secondo che,
sì, poteva voler bene a Miranda, ma non provava per lei lo
stesso amore, lo stesso trasporto che provava invece per Edith.
Per
lui la storia con Edith non era mai finita, semmai era rimasta in
stasi, in sospeso ed entrambi aveva ancora troppe cose da dirsi.
Era
tornato in Inghilterra per lei e per nessun altro. Esclusi suoi
figli. Voleva riprendere da dove avevano lasciato, da quel matrimonio
a Canterbury che entrambi volevano fosse maestoso, da fare invidia ai
reali. Voleva un altro figlio da Edith e voleva esserci in sala parto
con lei, al momento della nascita, visto che sia per Ella che per
David non aveva avuto questa fortuna.
Voleva
mettere fine al suo matrimonio con Miranda il prima possibile e
tornare dalla donna che amava da ormai quasi dieci anni. Dalla sua
migliore amica. Dalla sua peggior antagonista.
“Non
ti permetto di riallacciare alcunché con quella sgualdrinella,
sai?”
Le
parole di Sonia ruppero quel momento magico. Se non fosse stata sua
madre, Orlando era certo, l'avrebbe pesantemente insultata.
Trattenne quindi tutta la rabbia che aveva dentro -e per come stava
in quel periodo era davvero un grandissimo sforzo- e guardando
Samantha, le chiese:
“Cosa
ti ha detto quando ti ha portato i bambini?”
Samantha
si guardò un attimo intorno, spaurita da quella domanda tanto
inattesa eppure così normale. Orlando si rese conto che
qualche cosa non andava e domandò ancora:
“Devi
dirmi qualcosa?”
Samantha
non rispose, ma fu Sonia a farlo, dura e fredda come una pietra:
“Edith
non ci ha portato i bambini. Li ha portati il fratello perché
lei è in Scozia per lavoro!”
Orlando
portò una mano davanti agli occhi. Problemi solo problemi.
Ecco cosa era costretto ad affrontare.
Si
guardò intorno e serio disse:
“Quanto
ci metto se parto adesso?”
“Ma
sei appena arrivato!” si lamentò Sonia.
Orlando
sorrise e toccando la mano della madre la tranquillizzò
dicendole:
“Mamma...
Devo parlare con Edith. Mai come in questo momento ho capito cosa
voglio veramente. Tornerò appena possibile. Anche io ho
bisogno di stare con voi e con miei figli, più di quanto tu
possa immaginare!”
Sonia
sospirò e Samantha, mettendosi in piedi si avvicinò
all'ingresso. Orlando la seguì e guardò con attenzione
cosa stesse facendo la sorella. Quando finalmente si voltò
verso di lui la vide che stringeva tra le dita un foglietto con
qualche cosa scarabocchiato sopra. Riconobbe subito quella
calligrafia: era quella di Edith. Ebbe un piccolo tuffo al cuore. Era
la cosa più vicino a lei che avesse visto negli ultimi mesi,
se escludeva i bambini.
“Prima
di partire mi ha lasciato questo foglietto con sopra il nome del suo
bed&breakfast dove sta per tutto il periodo delle riprese...”
disse lei con un sorriso.
Orlando
notò che la sorella quasi si sentiva in colpa. Edith aveva
creato da subito un bellissimo rapporto con Samantha e nonostante la
fine della loro storia tra le due aveva continuato a scorrere buon
sangue; Orlando immaginava quindi che la sorella si sentisse in
qualche modo colpevole e dentro di sé si stesse scatenando una
piccola guerra tra quello che era giusto fare e quello che non
avrebbe fatto arrabbiare Edith.
Orlando
prese quindi il biglietto e lesse il numero e il nome della pensione
dove stava Edith e senza sollevare lo sguardo chiese:
“Dove
si trova?”
“Wick.
Caithness. Scozia. Altro non so dirti!” rispose Samantha
pronta.
Orlando
mise il bigliettino nella tasca e baciando la sorella su di una
guancia disse:
“Non
smetterò mai di ringraziarti!” e correndo verso la porta
prese delle chiavi e aggiunse: “Prendo la tua macchina!”
e si richiuse l'uscio alle spalle senza che Samantha avesse la
possibilità di obiettare.
La
sera stava cominciando a calare. I profumi dell'estate invadevano la
costa e nonostante il clima tutt'altro che mite della Scozia, qualche
coraggioso grillo friniva allegro tra le fronde.
Edith,
con una mug di tè fumante in mano, guardava incantata
l'orizzonte.
La
sua testa era in fermento. Negli ultimi giorni aveva ricominciato ad
affrontare problemi su problemi e questo la spaventava dal momento
che l'ultima volta che era successo si era volontariamente esiliata a
Kendal. Sapeva che quella che stava vivendo era solo la quiete prima
della tempesta e quello che Jude le aveva detto la sera prima che lei
partisse ne era la prova.
Non
poteva più tirare avanti quella situazione: o si sarebbe
decisa e scegliere uno dei due, o avrebbe dovuto lasciarli andare
via, entrambi, e ricostruirsi una nuova vita.
Poi
c'erano anche i suoi genitori da mettere in conto. Edith non si era
resa conto di nulla, troppo impegnata nella stesura del suo nuovo
romanzo, ma Emma e Paul sì e le avevano detto che la mamma,
effettivamente, in quell'ultimo periodo era cambiata. Sembrava quasi
più fredda, più distaccata non solo nei confronti del
padre, ma anche in quelle dei figli e dei nipoti.
Sospirando
Edith socchiuse gli occhi e cercò di liberare il cervello,
rimandando i pensieri alla settimana in cui sarebbe scesa a Londra,
ma proprio in quel momento sentì il cancello dell'ostello
aprirsi.
Si
rizzò e guardò la figura che si stava allontanando. Era
Gerard.
Rimase
qualche secondo indecisa sul da farsi, poi prese il coraggio a
quattro mani e lasciando la mug quasi piena sul tavolino, seguì
l'attore.
Attese
qualche secondo prima di chiamarlo, quel tanto che bastava per
metterla a riparo da orecchie indiscrete. Poi, alzando la voce,
disse:
“Butler!”
Gerard
continuò a camminare, in silenzio.
Edith
sollevò un sopracciglio, indignata: non era abituata a
chiamare qualcuno o dare ordini e non essere ascoltata.
A
passo più veloce seguì l'uomo e di nuovo disse:
“Ehi!
Butler? Guarda che ti sto chiamando!”
Ancora
niente. Edith provò di nuovo, alcune volte, senza ottenere mai
il successo sperato. Stanca non solo di stare dietro a qualcuno che
non l'ascoltava ma che aveva una falcata molto più lunga della
sua, si bloccò e mettendo due dita in bocca fischiò con
forza.
Gerard,
forse non aspettandosi una reazione simile da Edith, si voltò
sorpreso e guardandola perplesso disse:
“Che
diavolo vuoi, Norton?”
Edith
si bloccò, con il fiatone, ma nonostante tutto non perse la
calma e l'eleganza e incrociò le braccia al petto, sorridendo.
Poi, come se non avesse corso per qualche miglio, si avvicinò
con nonchalance a Gerard e guardando il cielo commentò:
“Bella
serata, non è vero? Si vede che sta per arrivare l'estate!”
Gerard
la guardò in silenzio, in un misto tra il divertito e
l'interdetto. Poi facendo un gesto come per mandarla via, disse:
“Norton,
ho bisogno di stare da solo!” e stava per riprendere a
camminare quando Edith disse:
“Ti
seguirò comunque, Butler!”
Gerard
sollevò la testa al cielo e sbuffò infastidito; poi,
voltandosi verso Edith domandò:
“Ma
a te hanno mai insegnato che importunare la gente non solo è
maleducazione ma è anche un reato?”
Edith
sorrise e avvicinandosi di nuovo porse la mano all'attore.
Sorrideva
serena e il gesto lasciò per un attimo interdetto Gerard che
guardò prima la mano e poi Edith nel seguente ordine, per
qualche secondo. Poi, per niente convinto, chiese:
“Che
significa?”
Edith
quasi sorrise del tono diffidente dell'attore e rispose, cercando di
sembrare il più seria possibile:
“Sono
venuta qua per un'offerta di pace”
Gerard
la guardò ancora negli occhi, incrociando anche lui le braccia
e sorridendo quasi divertito. Bastò quella mossa per far
mandare alle ortiche tutti i buoni propositi di Edith, ma cercò
in qualche modo di trattenersi e disse:
“Non
esiste persona che non abbia ricevuto le mie personali scuse ogni
volta che mi sono resa conto di aver sbagliato. E so che con te,
stamattina, l'ho fatto...”
Gerard
rimase in silenzio ed Edith pensò che quello fosse un
incentivo per continuare. E lo fece:
“Sono
stata una persona molto maleducata e indisponente nei tuoi confronti.
E ora me ne pento. Però penso che chiederti scusa sia il modo
migliore per ricominciare da zero e cercare di conoscerci meglio,
magari senza litigare come abbiamo fatto dall'inizio...”
Gerard
sollevò il mento e stavolta lasciò spiazzata Edith che
si aspettava una qualsiasi reazione dall'uomo. Ma non ottenne altro
che quel silenzio prolungato. Sospirò e lasciando cadere la
mano, disse:
“Se
sei arrabbiato con me lo capisco, ma cerca di capirmi. Quella che hai
sentito stamattina era una telefonata privata e quando ho scoperto
che avevi sentito tutto, sono andata su tutte le furie. E se ti ho
risposto male è perché tra di noi, sin dall'inizio, ci
sono state delle incomprensioni che ci hanno un po' allontanati...”
“Proprio
non ci riesci, vero?” domandò Gerard divertito.
Edith
sollevò la testa e replicò:
“A
cosa?”
Gerard
lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e rispose:
“A
dire mi dispiace. È possibile che per te sia una parola così
ostica?”
Edith
drizzò la schiena, quasi cercando di torreggiare sull'uomo,
senza riuscirci dal momento che era di qualche spanna più alto
di lei. E seria disse:
“Ti
ho detto scusa. All'inizio!”
Gerard
scosse la testa e avvicinandosi pericolosamente, ribatté:
“No.
Mi hai teso una mano e mi hai detto che venivi qua con un'offerta di
pace, ma non mi hai detto scusa...”
Edith
lo guardò socchiudendo gli occhi. Si stava cominciando a
innervosire e la rabbia che aveva provato quella mattina stava
montando di nuovo tutta, amplificata dal fatto che si era resa
ridicola davanti a quell'idiota.
“Io
sono venuta qua per scusarmi. Se sei così ottuso da non
capire, allora vai al diavolo” e lasciando la diplomazia alle
spalle, girò i tacchi e si incamminò verso il
bed&breakfast. O almeno ci provò. Infatti quasi subito, un
fischio più forte del suo riecheggiò nei seni e nelle
valli di quel posto di pace e sembrò zittire i grilli che fino
a quel momento avevano quasi gridato.
Si
voltò e guardò Gerard aggrottando la fronte e disse:
“Ma
sei pazzo?”
Gerard
si avvicinò e tendendole la mano ribatté:
“Offerta
di scusa accettata!”
Edith
spalancò gli occhi, incredula. Quell'uomo la faceva diventare
scema se continuava a stargli dietro. Però, qualcosa dentro di
lei, fece sollevare la mano di Edith e sorridendo sigillarono una
silenziosa tregua tra i due.
Fu
Gerard a dire:
“Lo
so che ti ho chiesto di lasciarmi da solo, ma mi farebbe davvero
piacere se tu venissi con me!”
Edith
annuì e senza dire altro si incamminò con Gerard verso
la spiaggia.
Orlando
parcheggiò la macchina e prese i fiori dal sedile posteriore.
Entrò dentro l'ostello e si diresse alla reception dove una
donna, prima sorridente, poi stupita lo guardò da capo a
piedi.
Abituato
a quelle scene, Orlando sorrise e disse:
“Scusi
se la disturbo, ma volevo parlare con Edith Norton. So che sta qua da
voi!”
La
donna annuì e si mise al telefono, senza dire una parola.
Orlando
pensò che la stesse chiamando in camera. Una fitta allo
stomaco dovuta all'emozione, lo fece tremare da capo a piedi. Si
guardò intorno e sospirò, aspettando di vedere Edith
spuntare da un momento all'altro, ma la ragazza della reception
stroncò i suoi sogni quando gli comunicò:
“La
signora Norton non è in stanza. Se si vuole accomodare le
faccio portare qualcosa!”
Orlando
annuì e guardò una cameriera che sistemava un tavolino
prendendo una mug e pulendolo con un panno umido.
“Cosa
le porto?”
“Un
caffè nero, bollente” e indicando fuori aggiunse: “Posso
sedermi fuori ad aspettare?”
La
receptionist sorrise e lasciò Orlando al suo destino.
L'attore
di Canterbury si mise seduto nella poltrona del tavolino appena
pulito. Strisciate umide luccicavano al riverbero del sole al
tramonto, mentre Orlando guardava l'orizzonte.
Arrivò
il caffè, ne trangugiò lentamente quasi il contenuto e
poi vide due persone risalire la collina, a piedi. Vicine.
Si
abbracciarono, sorrisero e ripresero a camminare.
Orlando
deglutì a vuoto. La tensione divenne un doloroso senso di
vuoto. Guardò la coppia avvicinarsi e solo quando la vide,
bella e serena come sempre la ricordava, ebbe il tempo di dire:
“Ciao
Edith!” prima che lei entrasse dentro il bed&breakfast
senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Chiedo
immensamente scusa per il mio ritardo.
È
stato un momento molto difficile e non riuscivo
nemmeno
a scrivere la lista della
spesa.
Spero
quindi che qualcuno di voi sia ancora qua
a
leggere la mia storia.
Spero
che via sia piaciuto questo capitolo che, devo
essere
onesta
sembra
di passaggio, ma non lo è.
Chiunque
vuole mettersi in contatto con me
può
farlo ora anche su FB. Esiste la
mia
pagina, Niniel82. Penso di
esserci
sempre e solo io con quel nickname.
Grazie
ancora se siete arrivati/e fino a qui.
Grazie
a
chiaretta78,
LaNonnina, jodie_always e _Nina_
che
mi hanno sempre chiesto e incoraggiato
per
scrivere ancora.
Un
bacio ai lettori silenti.
Alla
prossima.
Niniel.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4: Si
riparte da zero
.
“Ciao
Edith!”
Sentendo
quella voce, la schiena di Edith si drizzò come se qualcuno le
avesse lanciato addosso una secchiata di acqua ghiacciata.
Uscì
dalla porta che aveva appena valicato quando aveva sentito la voce in
questione e si voltò nella sua direzione. Venne travolta dagli
occhi marroni di Orlando che la guardavano seri, quasi con
rimprovero. Rimprovero che tra l'altro Edith non riusciva a tollerare
dal momento che, come sempre quando si trattava di scelte fatte dal
suo ex, Orlando le si era presentato davanti senza nemmeno avvisarla
del suo arrivo.
“Ma
lui non è...” disse Gerard sottovoce.
Edith
annuì e sospirando, senza riuscire mai di smettere di guardare
Orlando, rispose:
“Mi
sa che dovremo rimandare...” e sorridendo, aggiunse, voltandosi
verso Gerard: “Ci vediamo domani!”
Gerard
annuì comprensivo e poggiando una mano sulla spalla di Edith
si allontanò, dirigendosi verso la mensa.
Edith
sospirò e mettendosi davanti ad Orlando, con le braccia
incrociate, gli disse:
“Mi
fa piacere che tu abbia deciso di venire a trovarmi senza nemmeno
avvisarmi!”
“Era
una sorpresa!” borbottò Orlando senza lasciare la sua
espressione ferita e per niente felice.
Edith
sollevò gli occhi al cielo e lasciando cadere le braccia sui
fianchi, sorridendo sarcastica, rispose:
“Una
sorpresa! Ma come ho potuto essere così stupida. Certo che è
una sorpresa, Ob, dato che so che in questo momento stai lavorando in
Nuova Zelanda e invece ti trovo nell'ostello poco lontano dal punto
in cui lavoro io!”
Orlando
aggrottò la fronte e spalancò la bocca in una perfetta
O di sorpresa, non sapendo cosa rispondere ad Edith che, non vedendo
alcuna reazione da parte dell'attore, aggiunse:
“E
cosa sei venuto a fare in questo posto dimenticato da Dio, Ob? Sei
venuto a dirmi per quale assurdo motivo hai avuto la folgorante idea
di dire quello che hai detto ai giornalisti facendomi vivere da
assediata in casa?”
“Assediata
in casa?” chiese Orlando che non riusciva a capire quale nesso
poteva esserci con il discorso che avevano appena iniziato.
“Sì!
Caro il mio Orlando Bloom. Io e tuoi figli siamo stati costretti a
dover sopportare ogni santo giorno, ogni sacrosanta volta che
mettevano il naso fuori di casa, l'assalto incontrollato di orde di
paparazzi che hanno fatto di tutto per avere una nostra foto, persino
molestare tua figlia!”
Gli
occhi di Orlando si sbarrarono. Quello era davvero troppo. Si sollevò
di scatto e si guardò intorno. Stranamente, nel salottino
d'attesa all'interno del piccolo albergo, si era formata una piccola
folla che, fingendosi disinvoltura, ascoltava di nascosto lui ed
Edith parlare.
Senza
pensarci prese le rose e prendendo Edith per un gomito, la spinse
dentro e tra i denti, disse:
“Adesso
noi due parliamo. Una volta per tutte!” e sparì dentro
il piccolo ascensore che salì sferragliando verso l'ultimo
piano.
Edith
aprì la porta e Orlando, che la seguiva nero come il mare in
tempesta, entrando la chiuse sbattendola con fragore.
La
giornalista sobbalzò stupita dallo scatto d'ira del ragazzo e
voltandosi, riducendo gli occhi a due piccole fessure, disse:
“No!
Fai pure come se fossi a casa tua?”
“Cosa
c'è con Butler?” chiese Orlando sempre più fuori
di sé.
Edith
sollevò entrambe le sopracciglia e ridendo divertita, replicò:
“Scusa?
Non ho capito bene la tua domanda!”
Orlando
sospirò frustrato e avvicinandosi pericolosamente domandò
ancora:
“Cosa
c'è tra te e Butler!”
Forse
fu la vicinanza o gli ormoni che rimbalzavano per tutta la stanza, o
meglio la lunga astinenza sessuale, Edith trattenne il respiro
intimorita, eccitata e attratta dalla vicinanza di Orlando e dalla
sua aggressività come mai era stata in quegli ultimi mesi.
Chiuse gli occhi cercando di riprendere la calma e allontanandosi,
mettendo una mano sulla fronte, rispose:
“Tu
pensi che io sia così stupida da mettere in mezzo a questo
triangolo un altro uomo?”
Orlando
la guardò sollevando un sopracciglio, rispondendo
silenziosamente alla domanda della donna. Edith di tutta risposta,
lasciando il turbinio di emozioni che l'aveva stravolta e guardando
Orlando fisso negli occhi, ferita disse:
“Tu
pensi che io, dopo aver avuto due bambini da te e aver sposato Jude
possa davvero trascinare un altro uomo in questa terribile
situazione? Ma sai cosa significa per me sapere che un giorno dovrò
scegliere tra te e Jude? Sai cosa significa avervi sul collo che non
fate altro che ricordarmelo? Per non parlare delle vostre fidanzate,
scopamiche ed ex mogli o presunte tali, che non fanno altro che
rincarare la dose...” e allontanandosi un po' da Orlando più
per mettere a tacere quel turbinio di emozioni che provava
guardandolo che altro, si avvicinò alla finestra, fissando il
panorama che selvaggio si stendeva di fronte a lei. E pensare che
fino a pochi minuti prima era con Gerard a parlare, dopo essersi
scusata, di quello che piaceva ad entrambi e e su quello che volevano
fare una volta finito il progetto in Scozia.
Orlando
sospirò. Edith non poteva vederlo ma riusciva ad immaginare i
suoi movimenti: si guardava intorno cercando un appiglio, quasi che i
mobili potessero consigliargli cosa dire, poi con passo lento si
metteva a sedere sul letto -e il cigolio delle molle ne fu la prova
più evidente- e si prendeva la testa tra le mani, cercando di
capire cosa avesse sbagliato.
Lo
conosceva così bene che sapeva era completamente impossibile
sbagliare ogni singola mossa che lui faceva. Sorrise dolcemente e
senza smettere di guardare fuori dalla finestra disse:
“Non
c'è niente tra me e Gerard. E ti dico di più... Fino a
questa mattina non facevamo altro che litigare...”
Orlando
sollevò la testa di scatto e ammise:
“Scusa
ma sentirti dire questo non mi tranquillizza affatto. Anche quando
hai conosciuto me non facevamo altro che litigare!”
Edith
si voltò velocemente e guardando Orlando con tanto d'occhi,
disse:
“Dici
sul serio?”
“Si!
Ti devo forse ricordare dell'intervista che mi hai fatto all'Hard
Rock qualche anno fa? E di tutti gli schiaffi che ne sono seguiti
dopo, prima che io e te capissimo di amarci?” replicò
Orlando punto.
Edith
scosse la testa, confusa dalla dichiarazione di Orlando. Amare
Butler? Era assurdo anche solo pensarlo. Certo poco prima si erano
chiariti e avevano fatto una bella chiacchierata, ma per lei non era
successo altro. Come poteva pensare l'uomo che aveva condiviso con
lei il letto per tanto tempo che potesse innamorarsi del primo
arrivato solo perché non ci andava d'accordo?
“Non
è questo il punto!” sbottò forse un po' troppo
risentita. “Come puoi pensare che possa anche solo finire tra
le braccia di un altro solo ed esclusivamente perché mi
comporto come mi sono comportata con te? È ridicolo!”
Orlando
si mise in piedi e allargando le braccia rispose:
“E
perché non dovrei? Non sono stato io quello che ha cominciato
una storia con un altro mentre stavamo ancora insieme!”
In
un attimo tutte le sensazioni che aveva provato Edith evaporarono e
lasciarono posto solo alla rabbia. Sapeva che con Orlando era così,
che avrebbe litigato con lui ogni qualvolta che lui pensava di essere
nel giusto, ma quella volta aveva esagerato. Darle la colpa della
fine della loro relazione era davvero meschino. E avvicinandosi a lui
a passo di marcia, disse:
“Io
ho fatto finire la nostra relazione? IO? Devo forse ricordarti che
quello che si è calato per primo le brache per assenza di
attenzioni sei stato tu, OB e non io? Devo forse ricordarti che
venivi a letto con me ogni qualvolta non andava bene con Miranda e
poi tornavi da lei come un cagnolino bastonato quando ti rendevi
conto che quello che avevamo fatto era sbagliato?” e
avvicinandosi ancora di più, troppo furibonda per pensare ad
altro che alla sua rabbia, aggiunse: “Non sono stata solo io la
causa della fine della nostra storia, Orlando. E tu lo sai! Come sai
che se solo avessi avuto un po' più di palle e avessi lasciato
da prima Miranda, forse -e dico forse perché i tuoi
comportamenti alle volte mi hanno solo mostrato il contrario- quella
mattina che sei venuto a casa mia non avrei sposato Jude...”
Lasciò
quella frase in sospeso. Sapeva che se solo fosse andata un po' più
avanti avrebbe preso una strada a senso unico e non sarebbe potuta
tornare indietro nemmeno volendo. Eppure era vero: se quella mattina
Orlando avesse detto che non gli importava nulla di Miranda, Edith
avrebbe tolto il vestito da sposa e lo avrebbe seguito fino in capo
al mondo. E non sarebbero stati lì a gridarsi contro, uno per
rabbia, l'altro per gelosia.
Invece
Orlando aveva lasciato che fosse lei a decidere, come aveva sempre
fatto dopo che la loro relazione era finita, senza rendersi conto, in
quel momento, che lei lo amava ancora e lo faceva in quella maniera
follemente devota che si regala ad un poster, ad un amore che
riconosciamo come impossibile sin dal primo giorno. Aveva lasciato
che lei decidesse di sposare Jude e che quel sentimento di tenerezza
che provava per l'uomo si trasformasse in uno più forte,
diventando a sua volta amore.
E
ora mentre lo guardava, con il fiato corto per aver parlato senza
fermarsi mai una volta, sentiva tutta la rabbia di quegli ultimi mesi
montare lenta dentro di lei. Se era arrivata a quella situazione la
colpa non era solo sua, anche se lei per prima riconosceva di averne
tanta. Se erano arrivati fin lì la colpa era anche di Orlando
e continuava ad essere colpa sua se si trovava assediata dai
paparazzi e se suoi figli avevano una vita stravolta dalle scelte
sbagliate dei genitori.
Si
allontanò di nuovo. I pensieri concupiscenti erano spariti:
sopra la lunga astinenza sessuale si era messa su una rabbia cieca,
piena di tutte le cose che non si erano detti e del nervosismo delle
settimane successive alla geniale affermazione di Orlando via stampa
su quello che provava per lei e sulla fine della relazione con
Miranda. Si avvicinò alla finestra e cercando di respirare a
fondo per tranquillizzarsi, mormorò:
“Perché
sei qui?”
“Cosa?”
chiese Orlando che non si aspettava quella risposta.
Edith
si voltò e rimanendo vicino alla finestra, domandò
ancora, con voce dura:
“Perché
sei qui, Orlando? Piombi sul posto in cui lavoro, sbraitando e
facendomi fare la figura della stupida davanti a tutta la troupe,
portandomi fiori e accusandomi di avere una tresca con uno degli
attori del film. Per non parlare di quello che hai fatto prima
facendomi diventare una reclusa dentro casa mia...”
“Io
non volevo...” la interruppe imbarazzato Orlando, ma Edith
continuò, sorridendo sarcastica:
“Non
volevi, vero? In fondo a te tutto è permesso, non è
così? Tu sei il grande attore, quello che si può
permettere di essere lasciato tramite conferenza stampa da sua
moglie, quello che per pura vendetta nei confronti di questa, mi
mette in mezzo senza pensare cosa possa dire questo per la mia vita.
Era questo che non volevi? Dimmelo perché sto cominciando a
non capirci più nulla Orlando. E dimmi per favore, il motivo
per cui sei qui!”
Orlando
sbarrò gli occhi e si rimise a sedere nel letto prendendo di
nuovo la testa tra le mani. La scosse lentamente e poi, guardando
Edith, con lo stesso sguardo perso di un bambino spaventato disse:
“Io
non volevo. Davvero! Scusami per tutto. Scusami se sono troppo
impulsivo, se ho reso la vita tua e dei nostri figli un inferno in
questi ultimi mesi. Ma quello che ho detto è vero. Il rapporto
tra me e Miranda era finito ancora prima che nascesse Flynn. Lei
nemmeno lo voleva. Lei è una modella e con il suo corpo ci
lavora. L'ho sposata di nascosto perché Robin ha voluto così
e non sai nemmeno quello che è significato per me dover dire
ai miei che aveva fatto tutto senza nemmeno il loro consenso, la loro
presenza. Ho vissuto per un po' in questa parvenza di felicità:
uniti davanti alle telecamere, facendoci a pezzi quando si chiudeva
la porta di casa. Io tradivo lei, lei tradiva me...”
“Uhm...”
intervenne Edith scuotendo la testa e con sarcasmo aggiunse: “Anime
gemelle!”
Orlando
sollevò lo sguardo e la guardò contrito. Edith gli fece
cenno di continuare e l'attore lo fece:
“Io
volevo di nuovo quella felicità che avevo con te. Volevo
progettare con mia moglie un secondo figlio, ma con un angelo di
Victoria Secrets è impossibile. E poi lei faceva cose stupide,
che mi facevano dare di matto: ha posato nuda con il pancione, senza
chiedermi nulla, ha fatto un servizio fotografico con il bambino
senza di me, senza avvisarmi nemmeno quella volta. Ogni giorno era
una lotta con lei. Alle volte pensavo che, beh, dovevo essere
abituato dopo aver avuto te al mio fianco come amica e come compagna.
Ma con te era differente. Tu non hai mai fatto nulla per ferirmi,
almeno non di proposito. Lei invece lo faceva. E alle volte pensavo
che lo facesse con cattiveria, che cercasse di ferirmi di proposito.
Ho accettato tutto in silenzio, per il bene almeno di questo figlio
che stava nascendo, per dare a lui quello che ho sempre voluto dare
ad un famiglia, il giorno che ne avrei avuto una: la serenità.
Con te, per colpa mia, per colpa dei nostri caratteri, non ci sono
riuscito. Ma quella volta non volevo sbagliare, non volevo fallire.
Poi c'è stato l''incidente. E ho scoperto che Dave non era il
figlio di Jude, ma era figlio mio. L'ho detto anche a Miranda e tutto
è crollato. Era come se avessi fatto un castello di sabbia e
mentre ammiravo la mia opera un bambino capriccioso ci fosse passato
sopra e lo avesse buttato giù. Miranda è diventata
gelosa e diffidente. Non facevamo nemmeno l'amore...”
“L'hai
tradita?” chiese Edith che sapeva come sarebbe andata a finire
quella storia perché era tale e quale a quella che lei aveva
vissuto quando era nata Ella.
Orlando
annuì. E tornando a guardare il pavimento, rispose:
“Non
c'era più nulla tra noi. E il tuo incidente le ha fatto capire
che ti amavo ancora. Per lei è stato doloroso, ma lo è
stato anche per me, specialmente perché ho capito che avevo
fallito di nuovo e forse ti stavo per perdere per davvero, per
sempre. Non ti facevi più vedere, non ti facevi più
sentire. Né con me, né con Jude. Vivevo una storia che
si sfaldava giorno per giorno, cercando di capire che cosa avevo
perso lasciandoti andare, che cosa sarebbe potuto essere se fossi
stato al tuo fianco. Poi dopo il film che hai fatto girare a me e a
Jude, il lavoro è di nuovo decollato, ho ricevuto nuove
offerte, stavo tornando ad essere il sex symbol di sempre...”
“Perché
ti ha lasciato?” domandò Edith che con passo lento si
avvicinò al letto, con le braccia incrociate al petto e lo
sguardo contrito.
Orlando
scosse la testa e mentre Edith si metteva a sedere accanto a lui,
disse:
“Non
lo so. Non facevamo davvero più niente per nascondere i
reciproci tradimenti. Forse lei ha trovato qualcuno che le piaceva
davvero, forse si era solo stancata di tenere in piedi un rapporto
solo di facciata. La cosa che mi da fastidio è che abbia
deciso di lasciarmi per comunicato stampa. Poteva farlo faccia a
faccia, sarebbe stato molto meno umiliante. Così ho cercato di
farle ancora più del male e ho detto quello che pensavo. Che
non l'amavo più e che per me la vera famiglia era il posto
dove stavate tu e i miei tre figli...”
“E
perché sei venuto qua?” chiese Edith con un sospiro.
Orlando
la guardò con occhi smarriti. Edith sorrise quasi intenerita
da quello sguardo che conosceva bene, come tutto in quel ragazzino
troppo cresciuto e passandogli una mano sui ricci domandò
ancora:
“Perché
sei qui, Orlando?”
Orlando
sospirò e chinando la testa, guardando le mani giunte che
stavano sul suo grembo, disse:
“Perché
voglio riprovarci, Edith. Lo voglio davvero!”
Il
cuore di Edith perse un battito. Sapeva che quel discorso sarebbe
andato a parare lì da quando era cominciato, eppure sentir
dire quelle parole la terrorizzava. Erano le stesse parole che aveva
detto Jude: ripartire da zero, lasciare alle spalle quello che era
stato e scegliere di ricominciare una vita o con lui o con Orlando.
Come
se fosse seduta su dei carboni ardenti si alzò di scatto da
letto e si mise a camminare avanti e indietro per la stanza. Come
tutte le volte che doveva scegliere si sentiva braccata, le mancava
il respiro. Scosse la testa e disse:
“Hai
un posto dove stare stanotte?”
Orlando
aggrottò la fronte e replicò:
“Ma
Edith...”
“Hai
un posto dove stare per stanotte?” ripeté Edith che
cominciava a perdere la pazienza.
“Sì!”
disse Orlando. “Qua vicino c'è un altro bed and
breakfast, ho preso una camera lì prima di venire da te...”
Edith
annuì e passando una mano sul viso disse:
“Scusa.
Ma ho bisogno di stare da sola...”
Orlando
aggrottò la fronte e stava per ribattere ma Edith riuscì
a parlare per prima:
“Tu
non capisci cosa significa per me vederti qua, che parli di relazioni
che vanno a monte, di quello che può esserci ora tra di noi.
Ho bisogno davvero di stare un po' da sola e cercare di metabolizzare
questo discorso, di capire cosa succederà adesso, di
analizzare se sono pronta a ripartire da zero. Perché mi
spiace che tu abbia sofferto per la fine della tua storia con
Miranda, davvero, non sono parole fatte... Ma io non sono stata
meglio dopo il mio incidente. Forse tu e Jude tendete a dimenticarlo,
ma purtroppo ho avuto una brutta depressione che non mi permetteva
nemmeno di prendermi cura di me stessa. E prima di prendere una
qualsiasi decisione devo pensare a dove questa mi può portare.
E non lo dico solo perché questo potrebbe causare danni a me,
ma perché non voglio che nostri figli finiscano in mezzo ai
nostri casini ora che stanno cominciando a crescere e a capire. Non
voglio che un giorno mi incolpino di qualche cosa che non volevo fare
e che ho lasciate che accedesse solo per accontentare o te, o
Jude...”
“Mi
stai mandando via?” chiese stupito e un po' arrabbiato Orlando.
Edith
scosse la testa e replicò:
“No!
Ti sto solo chiedendo del tempo. Per pensare e per capire. Domani
parleremo, all'ora di pranzo. In città c'è un
bellissimo locale, potremmo mangiare lì, se ti va!”
Orlando
sospirò e annuì, arreso. E alzandosi biascicò
appena:
“Allora
a domani!” e senza dire altro uscì come era entrato.
Sbattendo la porta dietro di sé.
Edith
stava seduta dentro il piccolo hotel, guardando le fronde sbattute
dal vento contro le imposte in pvc. Tutti erano rientrati e
nell'albergo vicino al mare c'era solo il silenzio.
Dietro
il bancone la receptionist stava navigando su internet, sorridendo di
tanto in tanto per quello che leggeva sullo schermo e che Edith non
poteva vedere.
In
quell'unico momento di intimità con se stessa, lontana dalla
camera e dal suo soffocante silenzio, Edith si stava godendo un sorso
ristoratore di bourbon, cercando di trovare un bandolo in quella
matassa intrecciata che era la sua esistenza.
Problemi
e solo problemi. E qualche cosa le diceva che sarebbe esplosa se non
avesse trovato una soluzione: Jude e il divorzio; la relazione dei
suoi genitori che stava andando alla deriva e non si capiva il
motivo; Orlando che si stava separando e che voleva rimettere in
piedi la loro relazione con uno schiocco di dita, senza pensare alle
conseguenze.
Socchiuse
gli occhi e lasciò che il fischio del vento la allontanasse da
quei pensieri. Ci stava riuscendo quando sentì:
“Posso
sedermi?”
Edith
trasalì e vide, aprendo i suoi, due occhi azzurri che
ricambiavano uno sguardo divertito al suo terrorizzato.
“Non
volevo spaventarti, scusa!” si scusò Gerard che
stringeva tra le mani un bicchiere di quello che sembrava whisky.
Edith
si mise a sedere meglio e Gerard, prendendo la sedia, domandò:
“Posso
allora?”
Edith
annuì senza parlare, guardandolo sospettosa. Pace o no, c'era
sempre qualche cosa in quel quell'uomo che la metteva sul chi va là.
Forse era per via della sua aria sorniona, che voleva -o almeno così
sembrava- nascondere la vera personalità dello scozzese.
Gerard
si mise a sedere e guardando Edith con un sorriso bevve un lungo
sorso del liquido ambrato che stava nel suo bicchiere di vetro
spesso.
Dopo
aver bevuto fece schioccare le labbra e guardandola con malcelato
divertimento, disse:
“Ho
saputo che la lite con il tuo ammiratore segreto è stata
sentita da tutto l'albergo... Bel modo per tenere la propria vita
privata fuori dal lavoro, complimenti!”
Edith
piegò la testa di lato, per niente divertita da quello che
aveva detto l'attore e tornando a guardare fuori dalla finestra,
disse:
“Lui
non è il mio ammiratore segreto. È Orlando, il padre
dei miei due figli!”
“Ah!
Quello da cui stai aspettando il divorzio?” chiese Gerard
fingendo interesse.
“No!”
rispose secca Edith. “Quello che si sta divorziando da un'altra
donna...”
Gerard
bevve un altro lungo sorso e lasciò tintinnare il ghiaccio
all'interno del bicchiere mentre lo poggiava sul tavolo di vetro
davanti a lui.
“Scusa
ma non riesco a raccapezzarmi in mezzo a tutti questi matrimoni,
figli e divorzi!” e guardando verso il banco della reception
ammise: “Non sono abituato ad avere un pubblico non pagante!”
e voltandosi verso Edith propose a bassa voce, dopo averle fatto
cenno di avvicinarsi: “Che ne dici se andiamo nella veranda al
coperto qua dietro. Alle volte ci faccio colazione e non ci viene
quasi mai nessuno!”
Edith
annuì e lasciò che Gerard, che si era alzato prima di
lei dalla sedia, la guidasse.
Rimase
in silenzio seguendolo, guardandolo mentre camminava per un lungo
corridoio fiocamente illuminato, fischiettando sommessamente.
Durante
quel tragitto la frase che Gerard le aveva detto sedendosi di fronte
a lei rimbombò sinistra nella sua testa, quasi come se
seguissero una melodia sinistra, come il suo delle campane a morto:
Ho
saputo che la lite con il tuo ammiratore segreto è stata
sentita da tutto l'albergo... Bel modo per tenere la propria vita
privata fuori dal lavoro, complimenti!
Scosse
la testa cercando di non pensare a quello che avrebbe fatto o detto
il giorno dopo a lavoro. Ronda sarebbe stata di sicuro avida di
informazioni ed Edith sapeva che avrebbe dovuto ricorrere a tutta la
sua diplomazia per non mandarla al diavolo. E in quel momento non
sapeva nemmeno se voleva non mandarcela visto quanto poteva essere
esasperante alle volte.
Per
non parlare di tutte le chiacchiere che avrebbero fatto tutti alle
sue spalle. Eppure avrebbe dovuto essere abituata a queste cose dal
momento che ci combatteva quotidianamente da quando si era messa
assieme a Brian.
Stava
pensando a tutti i suoi problemi che non si accorse che Gerard si era
bloccato e ci andò a sbattere contro rovinosamente; l'attore
si voltò e la guardò con entrambe le sopracciglia
sollevate e indicando una porta in vetro disse:
“Siamo
arrivati!”
Edith
si guardò attorno in silenzio. Stava in quel bed and breakfast
da ormai una settimana e non aveva mai visto quella piccola veranda.
In realtà era un pezzo di giardino, con i pavimenti e alcune
panchine in pietra con bellissime piante; parte di questo era stato
recintato con una veranda in legno a cui erano state aggiunte dei
tavoli di ferro battuto e vetro e sedie anch'esse di ferro battuto
con morbidi cuscini nella seduta.
Fuori,
sbattuto dal vento, cigolava minaccioso un dondolo che era stato
posizionato sotto un bellissimo salice piangente vicino al muro di
cinta, anch'esso di pietra grigia e spessa sul quale, silenziosamente
si arrampicava l'edera. Dei piccoli faretti illuminavano il viale e
regalavano un'aura magica al punto che la giornalista pensava di
vedere apparire da un momento all'altro qualche fata che rideva
birichina, giocando con il vento e le foglie.
“Quando
sono un po' giù vengo qua!” sorrise Gerard guardando la
faccia meravigliata di Edith che ammirava quel piccolo angolo di
paradiso in silenzio.
La
ragazza si voltò e sorrise:
“Non
lo avevo mai visto. È bellissimo!”
Gerard
annuì contento e si avvicinò ad un tavolo, scostò
una sedia e con un gesto galante invitò Edith a sedersi. Lei
sorrise e prendendo la mano che l'attore le stava porgendo, con
grazia si mise a sedere, continuando ad ammirare il panorama appena
illuminato dalle luci fioche dei lampioni.
Gerard
si mise a sedere a sua volta e mettendo le braccia conserte domandò:
“Non
voglio essere invadente e visto il tuo caratteraccio e meglio che
metta le mani avanti...” e dicendo questo ignorò lo
sguardo di fuoco che Edith le lanciò e che avrebbe incenerito
all'istante un grattacielo di New York e aggiunse: “Stasera ho
colto una parte di te che mi ha fatto capire che non sei la vipera
che vuoi far credere e mi spiace vederti che stai male... Quindi...
Qualsiasi cosa tu voglia dire... Spara. Io ti ascolto!”
Edith
guardò in silenzio Gerard. In effetti la chiacchierata di
quella sera era stata davvero illuminante anche per lei. Aveva
rivalutato l'attore scoprendo che non era per nulla superficiale e
parlando del padre che aveva perso quando aveva appena sedici anni.
Avevano parlato dei rispettivi studi ed Edith aveva scoperto che
Gerard si era laureato prima di diventare un attore e che aveva
davvero fatto tanta gavetta prima di arrivare al successo. Avevano
riso quando Edith aveva ammesso di non aver visto nemmeno uno dei
suoi film e Gerard aveva ammesso di aver visto con interesse 'Il
segreto di Iris' ed era per quel motivo che aveva accettato di far
parte del cast di quel film non appena aveva sentito che la
sceneggiatura era tratta da un suo libro.
Avrebbero
continuato a parlare se Orlando non avesse fatto quella sorpresa.
Ora, lontana da occhi e orecchie indiscrete, in quel piccolo angolo
di pace e bellezza, Edith guardava in silenzio Gerard, chiedendosi
quanto ancora si potesse fidare di una persona che non conosceva
abbastanza. Dentro di lei qualche cosa la spingeva a dirgli di farsi
i fatti suoi, ma una buona parte del suo buonsenso le suggerì
di confidarsi e con un sospiro, ammise:
“Orlando
è tornato dalla Nuova Zelanda per me. Vuole che torniamo a
stare assieme!”
“Orlando
è il padre dei tuoi figli, giusto?” chiese Gerard con
una punta di sarcasmo.
Edith
trattenne a stento un sorriso e rispose:
“La
vuoi piantare? È la prima volta che parlo con qualcuno che non
sia una delle mie migliore amiche o della mia famiglia della mia
situazione sentimentale...”
“Una?
Significa che sono il primo uomo con cui ne parli?” domandò
Gerard cercando di fare il serio.
Edith
sollevò gli occhi al cielo e rispose:
“A
parte mio fratello, nemmeno mio padre sa tutto. Quindi sì. Sei
uno dei primi uomini che non sono coinvolti in questo triangolo a
sapere qualche cosa...”
Gerard
annuì e guardò fuori in silenzio. Edith lo osservò
anche lei senza dire una sola parola, con un sopracciglio sollevato,
indispettita dal fatto che l'attore non avesse nient'altro da dire e
cominciando ad avere qualche riserva sulla sua idea di confidarsi con
lo scozzese.
Rimase
a guardarlo in silenzio per qualche istante poi il fastidio fu
talmente tanto che non poté non dire:
“Ehi!
Guarda che sei stato tu a dirmi di confidarmi con te! Se volevi solo
sapere i fatti come stavano bastava aspettare domattina e avresti
saputo tutto da qualcuno della crew, senza fare tutta sta manfrina
portandomi qua...”
Gerard
la guardò arreso e sospirando replico:
“Ecco
la vipera che sta cominciando ad uscire fuori. Stavo cercando di
riepilogare la situazione nella mia mente... Come ti ho già
detto, la tua vita sentimentale è più intricata di
quella di una telenovela... E ti giuro, mia mamma è una fan di
telenovela e posso dirti di essere ferrato in materia...”
Edith
sbuffò fingendo fastidio e Gerard continuò:
“Comunque...
Il padre di tuoi figli si è separato con la sua attuale
moglie. Bene. Stava lavorando in Nuova Zelanda ed è tornato in
Inghilterra solo per parlarti e chiederti di stare di nuovo assieme a
lui. E il tuo attuale marito? Perché se non sbaglio tu sei
legalmente sposata con un altro!”
Edith
annuì e rispose:
“Il
mio attuale marito è venuto a casa mia poco prima che partissi
per chiedermi di decidere una volta per tutte con chi dei due voglia
stare...”
Gerard
annuì e incrociando le braccia sul tavolo, avvicinandosi un
po' di più ad Edith le disse:
“Da
uomo ti sto per dare un consiglio spassionato... non è detto
che tu lo debba seguire, ma se ci vuoi pensare...”
Edith
copiò i movimenti di Gerard e divertita disse:
“Spara!”
Gerard
non sorrise stavolta e disse:
“Lasciali
andare tutti e due e comincia una nuova vita!”
Edith
drizzò la schiena e guardò Gerard per qualche secondo,
persa nei suoi pensieri, pensieri che tra l'altro nemmeno lei
riusciva a decifrare. Poi, sorridendo, pensando che Gerard stesse
scherzando, disse:
“E
magari dovrei mettermi con te, vero?”
Gerard
rise. E lo fece in un modo terribilmente chiassoso, che mise in
imbarazzo Edith, non tanto per la risata in sé, ma per quello
che aveva appena detto. Chinò la testa senza capire se fosse
più arrabbiata o risentita, quando Gerard, serio disse:
“Non
voglio insultarti, ma sai con chi sto?”
Edith
scosse la testa e Gerard aggiunse:
“Si
chiama Madalina e fa la modella. E ti giuro, per quanto tu possa
essere bella e possa far girare la testa a tutto lo star-system...
Sono davvero innamorato di lei e non la lascerei nemmeno se ti
presentassi nuda davanti a me!”
Impreparata
a quel rifiuto, Edith sollevò entrambe le sopracciglia e si
pentì subito del suo gesto perché Gerard, con voce
suadente, mettendosi sempre più vicino le disse:
“Per
caso ti spiace che io non sia caduto nella tua rete, missis Norton?”
Edith
sorrise tirata e rispose:
“Ti
sarebbe piaciuto Butler!”
Gerard
rise divertito e replicò, lasciandosi andare contro lo
schienale:
“Mi
fai ridere, Norton. Tra di noi nascerà una bellissima
amicizia!”
La
mattina dopo Edith faticava a tenere gli occhi aperti. Dopo quella
chiacchierata Gerard l'aveva portata al bar e l'aveva fatta bere
talmente tanto che perfino per lei che reggeva l'alcool la quantità
che aveva immesso nel suo corpo era davvero eccessiva.
Senza
nemmeno ricordarsi come fosse arrivata alla camera, Edith si era
lanciata sul letto e aveva dormito vestita, talmente profondamente
che fu solo la seconda sveglia -quella in camera- a farla svegliare.
Ed era già in ritardo mostruoso.
Si
lavò in fretta e altrettanto in fretta scese le scale e
optando per saltare la colazione, si trovò nell'ingresso dove
Gerard, fresco come una rosa, quasi non avesse bevuto un'intera
bottiglia di gin la notte prima, parlava con il regista dell'ordine
del giorno.
“Oh!
Missis Law!” disse il regista salutandola.
Per
quanto quello fosse ancora il suo cognome da sposata e nonostante lei
non vivesse con Jude era comunque legalmente sua moglie, Edith odiava
quando la chiamavano con il cognome dell'ex marito. Non perché
lo odiasse. A dire il vero il suo stomaco faceva una buffa capriola
ogni volta che lo sentiva solo pronunciare, ma sapeva, dentro di sé,
che chiunque la chiamava così lo faceva per divertirsi in
qualche stupido modo. Ed Edith lo sapeva, anche il regista la stava
prendendo in giro.
Gerard
si voltò e un guizzo malizioso balenò negli occhi
azzurri dell'attore che sorridendo, disse:
“La
vedo un po' stanca, miss Norton! Per caso ha fatto le ore piccole?”
-Fottiti!-
pensò Edith sorridendo di circostanza e guardando il regista
disse:
“Il
tempo di prendere un caffè e sono dei vostri!”
“Va
bene, Edith. Ti aspettiamo al parcheggio...”
Edith
annuì e guardò Gerard e gli altri della troupe lasciare
chiassosamente il bed and breakfast. Si voltò per correre
verso il bar quando sentì la receptionist chiamarla:
“Missis
Norton? Missis Norton?”
Edith
si bloccò e sollevò gli occhi al cielo maledicendo
tutta la categoria degli alberghieri rompiballe e voltandosi
lentamente, cercando di sorridere dolcemente, disse:
“Prego?”
La
ragazza bionda alla reception sorrise mostrando una dentatura piccola
e fitta e avvicinandosi a lei le porse un biglietto.
“Il
signor Bloom è passato stamattina presto. Ha detto che
l'aspetta al bar...”
Il
cuore di Edith perse un colpo. Orlando! Come aveva fatto a
dimenticarsene?
Esasperata
dalla piega che stava prendendo quella giornata, Edith sollevò
per l'ennesima volta lo sguardo al cielo pregando stavolta Dio che
arrivasse a metà mattinata senza aver commesso un omicidio. E
cercando di prendere il controllo della situazione, disse:
“Potrebbe
farmi un favore. Può dire al signor Bloom che non posso
fermarmi per colazione? Anzi... Ha una penna?”
La
receptionist, solerte, prese una penna dal taschino e la porse ad
Edith che veloce scrisse nel retro del biglietto e porgendolo alla
ragazza con il sorriso da pesce disse:
“Lo
consegni al signor Bloom e gli spieghi che non posso restare con lui
a colazione. E che è spiegato tutto nel bigliettino...”
e senza aggiungere altro corse fuori, con una pazzesca voglia di
caffè ma con la certezza che se fosse andata al bar la sua
giornata non avrebbe fatto altro che peggiorare.
'Ci
vediamo a pranzo. Scusa ma non potevo davvero fermarmi! Con affetto
Edith!'
Orlando
guardò il foglio in silenzio. Quella mattina avrebbe
volentieri spaccato un po' di cristalleria e la faccia di quella
receptionist che lo guardava con un sorrisetto indecifrabile. Poi
aveva optato per una colazione schifosa offerta dal bed and breakfast
e aveva deciso di farsi un giro. Aveva scoperto che le vicinanze non
erano poi così male e aveva fatto delle foto, passeggiato per
la spiaggia ciottolosa e lì si era seduto a pensare, in
silenzio.
Era
arrivata l'ora di pranzo, aveva atteso di nuovo l'arrivo di Edith. Ma
anche quella volta dovette pranzare da solo, nella sala da pranzo del
bed and breakfast. Arrivò il pomeriggio, tornò in
città. Prese un caffè in un bar molto caratteristico,
leggendo il giornale.
Passò
un po' di tempo dandosi mentalmente dello stupido perché
aspettava una donna che forse non lo voleva nemmeno più, per
una donna che lo teneva appeso ad un filo e che non voleva lasciare
il suo attuale marito e riprendere una vita assieme.
Si
chiese cosa lo tenesse ancora in quel posto sperduto in culo al
mondo, poi ricordò con un sorriso tutti i bei momenti che
aveva passato assieme ad Edith e capì che era per quello che
restava: perché amava Edith, nonostante tutto.
E
forse era quello l'unico motivo che lo teneva ancorato ancora lì
in un attesa infinita che arrivò, lentamente e inesorabilmente
all'ora di cena.
Edith
sentiva la testa esplodere. Durante le riprese aveva dovuto sistemare
la sceneggiatura mille volte, aveva dovuto rileggere i passi
successivi della scenografia e aveva passato tutta la giornata al
computer, per non parlare di Gerard che non aveva fatto altro che
renderle la vita impossibile per tutta la mattina.
Stava
entrando nel bed and breakfast, cercando di evitare Gerard che la
prendeva in giro, quando vide qualcuno seduto nelle poltrone
all'entrata.
E
si bloccò appena in tempo per non fare l'ennesima brutta
figura davanti al padre dei suoi figli.
Orlando
guardava Edith corrucciato.
“OB!
Ti giuro! Non l'ho fatto apposta. Oggi ho lavorato come un somaro
tutto il santo giorno...”
“Ti
hanno insegnato che esistono i cellulari?” replicò
Orlando sempre più arrabbiato.
Edith
sospirò e si passò una mano sul viso. In quel momento
arrivò quello che avevano ordinato: arbroath smokies per
Orlando e il black pudding per Edith.
Orlando
giocherellò con il cibo mentre Edith rimase in silenzio a
guardarlo.
Quel
silenzio, disturbato solo dal continuo acciottolio dei piatti e delle
posate all'interno del piccolo ristorante, venne rotto da Orlando che
ferito disse:
“Io
non sono venuto fin qui per essere preso in giro, Edith. Io sono
venuto fin qui perché ho bisogno di parlare con la madre dei
miei figli, perché voglio capire che cosa sarà della
nostra vita ora che la mia è ad una svolta...”
“OB...
Io non...” cercò di intervenire Edith ma Orlando non le
diede il tempo di controbattere e continuò:
“Tu
non cosa, Edith? Io sono qua tutto il giorno cercando di parlarti e
tu non hai fatto altro che prendermi in giro!”
“Io
non ti ho preso in giro!” sbottò Edith arrabbiata. E
incrociando le braccia la petto aggiunse: “La tua vita sarà
pure ad una svolta e spero che sia positiva, ma non penso che facendo
il solito ragazzino egocentrico che non fa altro che pensare a se
stesso le cose tra me e te cambieranno. Sono anni che cerco di capire
che cosa voglio veramente e né tu, né Jude avete
rispettato i miei tempi. E mi sto cominciando a stufare. Avete sempre
voluto sapere, capire, che cosa provavo per voi, ma non vi siete mai
chiesti che cosa volesse dire per me estorcermi quelle informazioni
senza il minimo tatto, reclamandole come vostri diritti? Ma sai che
ti dico? Puoi essere arrivato anche dal punto più lontano
dello spazio per parlarmi, ma questo non giustifica il tuo modo di
fare infantile ed egoista, specialmente se io sono qua non per
divertirmi ma per dare a tuoi figli una vita perfetta, lavorando come
un mulo non solo sistemando le bozze della sceneggiatura come è
successo oggi, ma visionando anche le bozze del giornale che dirigo
tramite e-mail. Mi state assillando, tu e Jude, senza pensare altro
che ai vostri io voglio, io ti amo. Sono stanca. Capito? E questo non
vi da il permesso di venire a sindacare sulla mia vita anche in cose
in cui voi non c'entrate proprio...” e senza aver toccato cibo
si alzò e andò fuori.
Orlando
sospirò imbarazzato, guardando la gente che osservava
sbigottita verso il loro tavolo; poi riponendo il tovagliolo, si alzò
e seguì Edith. La cercò in lungo e in largo,
chiedendosi come potesse sparire una persona in un bed and breakfast.
Poi, per puro caso, imboccò un corridoio e seguendolo a passo
svelto si trovò nella veranda coperta che si affacciava sul
giardino di pietra. E seduta su una delle sedie in ferro battuto vide
Edith che piangeva in silenzio.
Sentì
il cuore sprofondare e si diede mentalmente dello stupido per averla
trattata male. Lentamente si avvicinò a lei e schiarendo la
voce disse, insicuro:
“Edith!”
La
giornalista non si voltò e tenendo una mano vicino alla bocca,
scossa dai singhiozzi, domandò:
“Sei
venuto per continuare a torturarmi? Perché se è così,
puoi anche andartene, ci sei riuscito benissimo!”
Orlando
storse la bocca, imbarazzato e grattando la testa rispose:
“Non
sono venuto qua per continuare a fare l'egoista e l'egocentrico.
Volevo chiederti scusa se ho dato di matto e per farti capire che se
mi sono arrabbiato così tanto è perché a te ci
tengo davvero e vorrei davvero capire se per te è lo stesso,
Edith!”
La
giornalista si voltò e guardò Orlando con gli occhi
sbarrati. E muovendosi a disagio sulla sedia rispose:
“Lo
sai che per me sei uno degli uomini più importanti della mia
vita...”
Uno
dei più importanti. Non il più importante, pensò
Orlando rassegnato, unendo le mani e guardandole come se fossero un
oggetto di grande interesse. Sapeva che avrebbe dovuto lottare
ripartire da zero se voleva conquistare di nuovo il cuore di Edith. E
sapeva che avrebbe dovuto fare ammenda e cercare di cancellare tutti
i suoi errori passati, cancellare le brutture di quegli ultimi anni e
ricominciare. Sembrava impossibile, ma Orlando sapeva di potercela
fare.
Sollevò
lo sguardo e trovò gli occhi di Edith che lo fissavano: dietro
quell'espressione c'era una domanda tacita a cui Orlando non trovava
risposta e c'era anche dolore e paura e lui lo poteva vedere.
Guardare
Edith negli occhi era come spogliarla di ogni sua difesa, come
azzerare le distanze e prendere il controllo, sapendo di andare a
cavalcare un cavallo imbizzarrito.
Sollevò
meccanicamente una mano e la passò sul viso della donna,
ancora umido dalle lacrime. Le piegò la testa in direzione
della mano e sospirò dolcemente, quasi cercando quel contatto,
sfregando la guancia contro la mano di Orlando.
Poi
i loro occhi si incrociarono di nuovo e una scossa elettrica riempì
l'aria silenziosa intorno a loro. Erano vicini, straordinariamente
vicini, forse come non lo erano mai stati negli ultimi mesi.
Quell'elettricità,
la stessa che Edith aveva sentito in camera il giorno prima scosse il
silenzio della veranda.
Erano
vicini, quel tanto che bastava perché le loro fronti si
sfiorassero. Entrambi tremavano.
Il
respiro di Edith si spezzò e il cuore di Orlando cominciò
a battere veloce, come quando da ragazzino aveva baciato per la prima
volta la sua prima fidanzata.
Chiusero
entrambi gli occhi per baciarsi e...
Il
cellulare di Edith squillò.
Spaventati
e stupiti, i due si staccarono ed Edith rispose alla chiamata,
alzandosi dalla sedia.
“Ciao
papà!” disse cominciando a camminare in tondo. “Che
è successo?”
Edith
rimase in silenzio, mentre Orlando la guardava chiedendosi cosa
sarebbe successo se solo si fossero baciati. Sospirò
scacciando i soliti pensieri concupiscenti dalla testa e non ascoltò
il resto della conversazione di Edith.
Fu
solo quando lei chiuse il telefono che si rese conto che la ragazza
era bianca in viso. Alzandosi si avvicinò e le chiese:
“Che
succede?”
Edith
guardò Orlando e con le lacrime agli occhi rispose:
“I
miei hanno litigato e mia madre è uscita questa mattina...”
“E
allora?” domandò Orlando.
Edith
sospirò e poggiando una mano su cuore disse:
“Non
è più tornata a casa e il suo cellulare è
spento... Mia madre è sparita!”
Bene
bene bene.
Ed
eccoci al nuovo capitolo.
Un
po' di passaggio anche questo, non c'è che dire,
ma
state tranquille/i...
Il
meglio deve ancora venire
(Luciano
Ligabue docet).
Passiamo
ai ringraziamenti:
ringrazio:
jodie_always
e
_Nina_
Ma
in special modo voglio ringraziare Chiaretta78
la
mia amica
augurandole
un buon compleanno.
Spero
che il capitolo ti sia gradito
e
sia un bel regalo.
Naturalmente
spero che piaccia a tutte voi
e
che non mi vogliate lanciare
i
coltelli o altri arnesi appuntiti o
contiundenti.
Grazie
ancora per seguirmi.
A
tutte/i.
Con
affetto.
Niniel.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5: Rivelazioni
.
Edith
camminava avanti e indietro per la stanza, con il cuore in gola. Per
tutta la notte non era riuscita a chiudere occhio e anche Orlando,
suo malgrado, era stato vittima del suo stato di nervosismo
trovandosi fuori dalla stanza della giornalista dopo averla cercata
di calmare.
Edith
sapeva che Orlando non aveva colpa e che era, soprattutto, in buona
fede, ma l'ultima cosa di cui aveva bisogno, sicuramente, era che
qualcuno la riempisse di frasi fatte, di vuote rassicurazioni, parole
inutili e asciutte e solo piene di retorica.
Sembrava
quasi che quella strana scossa elettrica che aveva attraversato
l'aria della veranda fosse sparita non appena il telefono aveva
cominciato a squillare e dopo era solo rimasto il distacco di lei
dettato dalla paura e quella risposta asciutta quando Orlando si era
proposto che accompagnarla a Londra.
“Ok!
Se vuoi!” poi, dopo averlo salutato freddamente gli chiuse la
porta in faccia, cominciando la sua maratona attorno al perimetro
della stanza.
Per
tutta la notte non sentì il minimo bisogno di dormire. I
pensieri le invadevano la testa come l'acqua del mare fa su di una
spiaggia quando c'è l'alta marea. Edith ricordava troppo bene
la chiamata che aveva ricevuto da suo padre qualche giorno prima e
non riusciva a non pensare che sua madre, presa da chissà
quale tipo di sconforto o peggio avesse deciso di lasciare la casa
dove abitava e di fare qualche follia. Anche se solo provava a
pensare ad altro, immagini di sua madre stesa, sporca di terra e
fango sotto un cavalcavia la torturavano e lei, per tenersi almeno
fisicamente occupata riprendeva a camminare avanti e indietro per la
stanza, contando le ore, i minuti, i secondi.
Quando
i primi raggi di sole bagnarono caldi il copriletto bianco, Edith
fece un sospiro di sollievo. Prese uno zaino dall'armadio, lo svuotò
delle cose che aveva lasciato quando era arrivata e lo riempì
con qualche cambio. La sua mente lavorava febbrilmente, elencando
luoghi a Londra nel quale sua madre potesse trovarsi in quel momento;
poi, prendendo il cellulare, compose veloce un numero e attese
qualche secondo che la persona rispondesse. Il telefono squillò
tre volte e poi la chiamata venne agganciata:
“Pronto!”
disse Orlando sbadigliando.
“OB!
Sono Edith. Io sono già pronta... Ti aspetto tra mezzora qua
al bed and breakfast. Se non ti trovo prendo la mia macchina e parto
comunque...”
Sentì
Orlando sospirare dall'altra parte: Edith sapeva che lui non amava
ricevere ordini e che un tempo le avrebbe detto di non trattarlo come
uno dei suoi dipendenti alla redazione. Ma quella mattina l'attore di
Canterbury non disse nulla e sospirando, dopo qualche secondo di
silenzio, rispose:
“Lasciami
mangiare qualche cosa e sono da te!”
Edith
annuì e aggiunse:
“Il
tempo di avvisare il regista e sono fuori dall'ostello!” e dopo
un attimo di silenzio, concluse: “Orlando. Se non sarai qua,
davvero! Parto da sola!”
Orlando
sorrise e replicò:
“Tranquilla.
Il tempo di mettere qualche cosa sotto i denti e sono da te!” e
chiuse la chiamata.
La
giornalista ripose il cellulare nella borsetta, badando bene che la
suoneria fosse al massimo, si voltò e si guardò intorno
cercando di fare mente locale e ricordare se avesse dimenticato
qualche cosa, poi prese la chiave e uscì dalla stanza avendo
cura di chiudere la porta a doppia mandata.
Corse
per i corridoi silenziosi. Nonostante fosse in un bed and breakfast,
la maggior parte delle stanze, se non tutte, erano occupate da quelli
della troupe e prima delle sette e mezzo nessuno avrebbe tolto il
naso fuori dalla propria camera. Arrivò quindi indisturbata
alla camera di Gordon, il regista e bussò delicatamente. Non
ottenne risposta. Bussò di nuovo. Ancora niente. Replicò
picchiando l'uscio con più vigore e ogni volta che nessuno le
dava risposta aumentava di intensità, sentendo la disperazione
crescere.
Fu
quando cominciò a battere forte il palmo sulla porta bianca
che una porta si aprì. Ma non quella che stava tempestando di
pugni da qualche minuto, ormai: si aprì quella affianco. E
venne fuori Gerard, stropicciato e spettinato con ancora il segno del
cuscino sul viso e lo sguardo di uno che potrebbe uccidere chi aveva
deciso di disturbare il suo giusto sonno alle cinque del mattino.
“Norton!
Ma che cazzo ti prende? È l'alba!” si lamentò
giustamente l'attore scozzese.
Edith
portò una mano alla fronte e con orrore si rese conto che
tremava come una foglia. Voleva partire subito e aveva persino
redarguito Orlando perché non tardasse e alla fine lei era
bloccata come una stupida davanti alla porta della stanza,
presumibilmente vuota, del suo regista.
“Dov'è
Gordon?” chiese senza nemmeno scusarsi.
Gerard
aggrottò la fronte e rispose:
“Tutte
le mattine si alza all'alba e va a correre. Poi, dopo essersi fatto
una doccia riguarda gli storyboard e i copioni per l'ordine del
giorno!” rispose Gerard che confuso domandò a sua volta
la donna: “Ma perché diavolo lo stai cercando? E perché
sei così sconvolta?”
Edith
scosse la testa e poggiando una mano sul braccio di Gerard, replicò
concitata:
“Non
ho tempo per le spiegazioni. E non ho tempo per aspettare Gordon. Mi
serve che tu gli dica, appena lo vedi, che sono dovuta tornare a
Londra prima del previsto e che appena sarò lì lo
chiamo e gli spiegherò tutto!”
Gerard
aggrottò ancora di più la fronte, se possibile, e serio
domandò:
“Non
è che per caso è colpa del damerino inglese di ieri?”
Edith
scosse la testa e disse:
“No!
È successo un mezzo casino a casa!”
“Tuoi
figli stanno bene?” domandò stavolta preoccupato Gerard.
Edith
sorrise grata vedendo che lo scozzese era davvero preoccupato per
lei, però allo stesso tempo si sentì come inchiodata a
quel corridoio e la paura, l'ansia le stavano togliendo il respiro.
Doveva uscire da quel dannato bed and breakfast una volta per tutte.
Scosse
la testa e ribadì:
“Non
ho davvero tempo, Gerard. Promettimi che avviserai Gordon e gli dirai
che sono venuta fin qui per parlargli?”
Gerard
annuì e allontanandosi di corsa, Edith lo salutò
assaporando la gioia di partire, quando lui la bloccò di nuovo
e le chiese:
“Ma
tornerai?”
Edith
si bloccò e sentì l'impulso di correre ad abbracciare
l'attore, impulso che non represse. E dopo aver stupito Gerard
stringendolo forte, disse:
“Tornerò!”
Gerard
annuì e poi le fece cenno di aspettare. Riemerse con un pezzo
di carta e una penna su cui aveva scarabocchiato sopra qualche cosa:
“Questo
è il mio numero!” disse lui sorridendo. “Per
qualsiasi cosa chiamami. Anche per sfogarti se a casa ti è
finito lo zucchero!”
Edith
guardò il figlio con gli occhi lucidi e cercando di sorridere
e non cedere al dolore che sentiva crescere dalla sera precedente
sussurrò un grazie e salutando l'attore lasciò il
corridoio voltandosi di tanto in tanto per sorridere a quell'uomo
pieno di sorprese.
In
macchina Edith non riusciva a distrarsi. Il panorama prima brullo e
poi via via più ordinato mano a mano a che si avvicinavano a
Londra non riusciva a tenere la mente di Edith occupata. E Orlando,
per quanto ci provasse, non riusciva ad essere una buona compagnia.
Edith sapeva che la colpa non era dell'attore, ma soltanto sua che
non sopportava nulla, nemmeno che Orlando cercasse un canale di
musica decente sull'autoradio.
Voleva
solo stare lì, ferma e zitta, cercando di agganciare il
cellulare ad una qualsiasi connessione visto che prima di arrivare a
Londra, di zone d'ombra sembravano essercene parecchie e questo
rendeva Edith, se possibile ancora più nervosa.
“Hai
già pensato ad un posto dove potresti trovarla?” chiese
Orlando quando ormai i cartelli stradali indicavano le varie parti di
Londra che si potevano raggiungere imboccando questa o quella strada.
Edith
scosse la testa e portando una mano sulla fronte rispose:
“Non
lo so, OB! So solo che voglio andare a parlare con papà, prima
di mettermi a cercarla e provare a capire che cosa le sia passato per
la testa e perché abbia deciso di lasciare casa...”
Orlando
annuì e serio disse:
“Io,
a dire il vero, avevo pensato che volessi andare al bar dove ti
incontravi sempre con lei prima di fare pace con tuo padre...”
Edith
si voltò di scatto e guardò Orlando per un po'.
L'attore si rese conto dello sguardo della giornalista e cercò
di nascondere la testa dentro le spalle per evitare la fitta tagliola
che Edith gli stava preparando. Ma con sua grande sorpresa Edith
sospirò e disse:
“Come
ho fatto a non pensarci prima!” e abbracciando l'attore, che
dovette mantenere tutta la calma per non sbandare, aggiunse: “Ti
da fastidio se andiamo direttamente lì?”
Edith
si guardò intorno. Il pub non era cambiato in quegli anni,
nonostante lei e sua madre non lo avessero più frequentato. I
tavoli erano sempre gli stessi e così anche il resto
dell'arredamento. E come quando si incontravano anni prima, Eloise
stava seduta al tavolo vicino alla vetrina, in silenzio, bevendo una
tazza di quello che Edith sapeva con certezza fosse del buonissimo
earl grey. Orlando era rimasto un po' dietro di lei e quando vide la
donna non disse nulla. Si mise a sedere ad un altro tavolo e visto
che erano appena le dieci e lui era riuscito solo a mettere qualche
cosa da poco sotto i denti, ordinò la sua seconda colazione.
Edith
invece si avvicinò alla madre che seduta al tavolo guardava di
sottecchi i movimenti dei due da quando erano entranti. Spostò
lentamente la sedia e si mise a sedere e con delicatezza allungò
le mani per prendere quelle della madre. La donna non oppose
resistenza, anzi sollevò lo sguardo e sorridendo mormorò:
“Sapevo
che mi avresti trovata...”
Edith
riuscì a stento a trattenere le lacrime. In realtà, se
doveva essere sincera, sapeva che non era stata lei a trovarla ma
Orlando, ma non era a quello che stava pensando. Edith era arrabbiata
con sua madre. Non poteva fare quello che aveva fatto e pensare che
tutto sarebbe andato bene appena si sarebbero viste.
Guardandola,
però, si rese conto che qualcosa davvero non andava. E non
parlava solo del suo aspetto che era logoro e un po' trasandato -e
questo per Edith che conosceva bene sua madre era già un segno
di pericolo- ma anche dello sguardo perso che la donna aveva. Eloise
era sempre stata una donna forte, anche se nessuno se ne rendeva
veramente conto. Eppure in quegli ultimi tempi sembrava quasi che il
mondo le fosse crollato addosso ed Edith, per questo, si sentiva
terribilmente in colpa. In parte si sentiva responsabile di quello
che stava succedendo non solo alla sua, ma anche alla vita dei suoi
genitori. L'infarto a suo padre era venuto perché gli aveva
detto che David non era figlio di Jude ma di Orlando. Poi l'incidente
e tutto il resto che aveva reso la sua vita un romanzo degno di
Rosamunde Pilcher, o qualche cosa di più grottesco.
Guardando
quindi sua madre e i solchi che anzi tempo avevano cominciato ad
attraversare il suo volto, Edith sentiva che ogni ruga era una via
che le lacrime avevano scavato nel volto bellissimo della madre e che
molte, le più profonde, le aveva causate suo malgrado. Quindi,
le bastava solo quel motivo per non avercela con lei.
Strinse
più la mano della madre e cercando davvero di trattenere le
lacrime con uno sforzo più che stoico, con voce rotta le
chiese:
“Mamma?
Perché te ne sei andata?”
Eloise
strinse le spalle e prendendo di nuovo la tazza tra due mani, disse:
“Voglio
tornare a casa adesso!” e sorrise guardando fuori.
Edith
aggrottò la fronte e guardò le dita con la manicure
rovinata e il sorriso spento che la madre rivolgeva alla strada che
cominciava ad affollarsi. E questo le fece male. Una lacrima rotolò
veloce giù sulla guancia della giornalista che cercando di
sembrare tranquilla, senza riuscirci disse:
“Se
vuoi andare a casa ti accompagniamo noi...”
“Noi?”
chiese Eloise senza capire.
Edith
annuì e voltandosi verso un tavolo poco lontano dal loro,
cercando di asciugare il fretta gli occhi per nascondere le lacrime,
rispose:
“Orlando.
È seduto a quel tavolo là!” e indicando l'attore
sorrise e lo salutò con una mano.
Eloise
lo guardò confusa e per un attimo rimase con la bocca
socchiusa in quella che doveva essere un'espressione di sorpresa.
Poi, poggiando la tazza sospirò e si mise a piangere, in
silenzio. Edith la guardò interdetta e prendendole una mano di
nuovo, sorrise e le disse:
“Mamma!
Perché piangi?”
Eloise
si voltò e guardò Orlando e con imbarazzo rispose:
“Sono
stata così cattiva con quel ragazzo. Non penso di meritarmi
nulla da lui!”
Edith
rise di gusto, con gli occhi ancora umidi e fece cenno ad Orlando di
avvicinarsi. L'attore fece come ordinato e sorridendo si avvicinò
al tavolo dove con la sua galanteria ormai brevettata, si mise a
sedere vicino ad Eloise e le disse:
“Missis
Norton è un piacere rivederla. E la trovo davvero bene!”
Eloise
asciugò le lacrime di nascosto, proprio come aveva fatto la
figlia pochi istanti prima e cercando di sorridere ad Orlando,
sistemando i capelli con le mani replicò:
“Sono
terribile. Sono così in disordine!”
Orlando
fece un sorriso sornione e replicò:
“Missis
Norton lei è sempre bellissima!”
Eloise
arrossì imbarazzata e mormorò appena:
“Sei
un gran figlio di buona donna Bloom. So che non mi sopporti dopo che
ti ho cacciato dall'ospedale quando mio marito stava male...”
Orlando
scosse la testa e serio disse:
“Non
si preoccupi. So che io ed Edith abbiamo avuto qualche problema e che
lei ha fatto di tutto per proteggere sua figlia. Avrei fatto lo
stesso per Ella, Flynn e David, missis Norton. La capisco benissimo!”
Eloise
guardò Orlando con gli occhi colmi di lacrime e stupendo
persino la figlia, saltò al collo di Orlando e commossa disse:
“Grazie!
Sei un bravissimo ragazzo Orlando!”
Orlando
rispose impacciato all'abbraccio e con dolcezza rispose:
“Grazie
a lei missis Norton per avermi perdonato!”
Edith
guardò i due abbracciati e si commosse. Orlando poteva avere
tanti difetti, ma se ci si metteva era davvero un ragazzo dal cuore
d'oro.
La
famiglia Norton stava seduta nel salottino. Orlando in mezzo a loro
si sentiva un po' di troppo visto che anche se aveva fatto parte di
quella famiglia per un lungo periodo -e suo malgrado ne faceva ancora
parte-, quasi sentiva che in quel preciso momento lui non c'entrasse
proprio nulla. E forse era davvero così.
Si
mise in un angolino e a braccia conserte lasciò che i Norton
si chiarissero tra di loro.
Eloise
stava seduta nella poltrona preferita di Patrick che, in piedi, con
le braccia abbandonate lungo i fianchi, guardava la moglie in
religioso silenzio, con l'espressione di un bambino spaventato. Gli
altri figli, intorno con le loro famiglie, stavano a guardare la
madre con sospetto, paura. In tutti quegli anni Eloise non si era mai
comportata così, nemmeno quando Patrick aveva mandato via la
figlia, Edith, di casa o quando si era scoperto che Emma non solo
aveva fatto sesso con il fidanzato della sorella, ma era
un'anoressica tossicodipendente. Perché doveva cominciare
adesso a dare segni di squilibrio? Cosa si era rotto? Cosa avrebbe
dovuto affrontare, stavolta, la famiglia Norton?
Edith
si avvicinò con una tazza di tè e latte, poi si mise a
sedere sul bracciolo della poltrona, vicino alla madre. Rimasero
tutti qualche secondo in silenzio, poi fu Patrick a prendere parola e
dire:
“Perché
te ne sei andata?”
Eloise
sospirò e trangugiò un lungo sorso di tè e si
guardò intorno con un'espressione vacua, come quella di
qualcuno che non sapeva come fosse capitata in quel posto. Tornò
a bere il suo tè e poi, poggiando la mug nel tavolino, disse:
“Patrick...
Ieri ho pensato tanto. Davvero tanto. E sono arrivata ad una
conclusione...”
Tutti
la guardarono in silenzio. Era come se dentro la casa il silenzio
avesse preso la stessa consistenza del piombo e gravasse con il suo
peso sulle testa di tutti, persino di quella di Orlando, che era solo
un membro aggiunto a quel nucleo.
Per
quello che sembrò un periodo lunghissimo tutti trattennero il
fiato e solo dopo qualche secondo, Eloise concluse:
“Voglio
il divorzio!”
Edith
sbarrò gli occhi per la sorpresa: non era più una
quattordicenne, non le importava che i suoi genitori si separassero
oppure no, anche se onestamente, alla loro età, trovava la
cosa ridicola. Quello che la stupì era che sua madre, senza un
vero motivo, avesse deciso di mettere fine al suo matrimonio
nonostante nella vita avesse superato prove ben peggiori di quella
che stavano passando.
“C-cosa?”
balbettò terreo Patrick.
Eloise
si sistemò nella poltrona e tenendo una posizione eretta
ripeté:
“Voglio
il divorzio, Patrick!”
“Ma...
Ma perché?” domandò Patrick sull'orlo di una
crisi di nervi.
“Perché
non ti amo più!” rispose candidamente Eloise.
Il
silenzio che prima era pesante come il piombo divenne gelido come un
ghiacciaio del polo.
Nessuno
era pronto a quell'esternazione da parte della donna, Patrick per
primo.
Infatti,
cercando di avvicinarsi alla moglie, l'uomo sorrise bonario e
provando ad allungare la mano per prendere quella di Eloise, disse:
“Se
è successo qualcosa, dimmelo. Sappi che ti perdono. Comunque
vada... Se non mi ami più farò di tutto per
riconquistarti... Può bastare anche il mio amore per tutti e
due se solo tu lo vuoi davvero... Non distruggere il nostro
matrimonio... Ti conosco da una vita, ti amo da prima... Non posso
perderti. Non adesso che tutto sembrava andare così bene...”
Eloise
scansò la mano del marito e mettendosi a braccia conserte
rispose:
“Patrick...
Ormai è troppo tardi. Non posso più fingere che tutto
vada bene quando so che non è così!”
Paul,
con la fronte aggrottata, guardava la scena in silenzio. Sembrava sul
punto di dover dire qualcosa, ma non ci riusciva; Emma era troppo
scioccata per riuscire a proferire la benché minima parola;
Edith ancora non riusciva a capire cosa fosse successo. Guardava la
donna seduta accanto a lei come un'estranea, chiedendosi se quella
che aveva vicino fosse solo una copia della madre mandata dagli
alieni per studiare lei e la sua famiglia. Chissà se su Marte
leggevano le riviste scandalistiche?
Patrick,
invece, stava di fronte alla compagna di una vita in silenzio, senza
riuscire a dire niente, solo guardarla con lo stesso sguardo che
avrebbe rivolto a qualcuno che lo aveva preso a schiaffi.
Eloise
sembrava, invece, imperturbabile. Sorrise guardandosi intorno e
concluse:
“Credo
che comincerò ad impacchettare le mie cose non appena
possibile. Mi ospita Maggie, mia sorella, per un po'. Da quando è
morto Peter casa sua è vuota e non se la sente di stare da
sola...” e alzandosi dalla poltrona salì al piano
superiore, dove stava la camera da letto, senza aggiungere altro.
Tutti
si guardarono perplessi, nessuno escluso. Patrick fece qualche passo
verso la sua poltrona e si lasciò cadere sopra, sfinito come
se avesse corso per chilometri e chilometri.
“Tutto
apposto papà?” chiese Edith preoccupata, guardando il
padre con uno sguardo simile a quelli che rivolgeva ai figli quando
cominciavano ad avere qualche lineetta di febbre.
Patrick
la guardò con gli occhi vitrei e portando una mano al cuore
rispose:
“Il
pacemaker sta andando. È quello che è rimasto di umano
nel mio povero cuore che è andato in pezzi!” e
nascondendo la faccia tra le mani pianse in silenzio.
Edith
non fece nulla per farlo calmare. Abbracciò il padre e lasciò
che in silenzio si sfogasse.
Orlando
guidava silenzioso.
Pensava
poco alla strada, ma a quello che aveva detto Patrick, il padre di
Edith, alla moglie.
'Se
è successo qualcosa, dimmelo. Sappi che ti perdono. Comunque
vada... Se non mi ami più farò di tutto per
riconquistarti... Può bastare anche il mio amore per tutti e
due se solo tu lo vuoi davvero... Non distruggere il nostro
matrimonio... Ti conosco da una vita, ti amo da prima... Non posso
perderti. Non adesso che tutto sembrava andare così bene...'
Inevitabilmente
si chiese se anche lui era disposto ad amare Edith o Miranda in quel
modo. Era disposto ad amare talmente tanto una persona da colmare le
lacune che distruggevano un rapporto?
Buttò
un occhio verso Edith. Era seduta accanto a lui, con i capelli
stretti in una coda alta, il ciuffo che copriva l'occhio sinistro e
una mano a coprire le labbra, piegate da quando erano usciti dalla
casa dei genitori di lei in un broncio triste.
Lasciò
la leva del cambio e poggiò la mano su quella che Edith aveva
lasciato sulle gambe. La giornalista si voltò e lo guardò
per un attimo, nello stesso istante in cui Orlando staccò
appena gli occhi per guardarla a sua volta.
Gli
occhi di lei erano due pozze grige, profonde, piene del dolore e
della sorpresa di tutte le rivelazioni di quella sera. Orlando
conosceva quello sguardo, lo aveva visto altre volte dipinto nel viso
di Edith e tutte quelle volte non era riuscito a fare nulla per farla
sorridere.
“Ti
vedo scossa!” mormorò appena, sapendo di aver detto una
cosa stupida ma cercando una scusa per rompere il ghiaccio.
Edith
fece un verso di disappunto e voltandosi verso Orlando replicò:
“Beh!
A trentacinque anni tutti sognano di vedere i propri genitori che si
lasciano senza un vero e proprio motivo. E che sia tua madre, quella
che ha fatto di tutto per tenere la famiglia unita quando non lo era,
a mettere fine all'idillio. E ti devo dire che in questo preciso
momento della mia vita... Questa è l'ultima cosa di cui avevo
bisogno!”
Orlando
la guardò di sfuggita e prendendo una svolta differente dalla
strada che stava seguendo cercò un parcheggio. E quando lo
ebbe trovato, fermò la macchina e dopo aver tolto le chiavi
dal quadrante e averle messe in tasca, disse:
“Bene!
Così dovresti stare buona almeno per un po'!” e
mettendosi in modo da poter guardare Edith negli occhi continuò:
“So quello che stai provando, anche se può sembrarti
assurdo. In primis per quello che è successo alla mia famiglia
e penso che tu conosca la storia dei miei genitori. E poi c'è
il piccolo dettaglio per cui sono venuto in Scozia a cercarti. Sai?
Il divorzio con una certa modella!”
Edith
sbuffò infastidita, ma Orlando fece finta di nulla e continuò
a parlare:
“Edith!
Io ti amo. Non posso negarlo e non posso nasconderlo. Sto più
a pezzi per via della nostra storia che non va che per la fine del
mio matrimonio. Ma se c'è una cosa che ho capito è che
non devo metterti fretta. È solo che alle volte mi faccio
prendere la mano, come ho fatto ieri, e faccio delle cazzate” e
sospirando, passando una mano sugli occhi, aggiunse: “So che
ora sei ancora più confusa e quello che sta succedendo nella
tua vita passa in secondo piano. Però ti prometto che
qualsiasi cosa... Io sono qua. Anche solo per piangere. Anche se mi
vuoi picchiare!” sorrise Orlando all'ultima sua affermazione.
Edith
riuscì a stento a trattenere un sorriso e si voltò e
guardare il ragazzo.
Il
tempo aveva cominciato a passare anche sul volto di Orlando e del
ragazzino sempre sorridente rimaneva davvero poco.
Sentì
lacrime pungerle gli occhi e passandogli una mano sul viso riuscì
solo a dire:
“Sei
una delle persone migliori che abbia mai conosciuto, babe. Cazzate
che fai di continuo a parte!”
Orlando
sorrise e passò la guancia sulla mano di lei, baciandola
subito dopo.
Fu
allora che, con grande sorpresa dell'attore, Edith si allungò
appena e lo baciò sulle labbra. Fu un bacio passionale,
nonostante la sorpresa di Orlando all'inizio. Un baci carico di tutte
quelle cose che non riuscivano a dirsi, di tutte quelle cose che
avrebbero dovuto succedere quando stavano assieme, quando non c'era
stata nessuna Violet, nessun Jude.
Fu
Edith a bloccarsi e poggiando la fronte su quella di Orlando,
sospirando e chiudendo gli occhi, mormorò affranta:
“Cazzo!
Non dovevo farlo!”
Orlando
sorrise e schioccando un altro tenero bacio sulle labbra di Edith
replicò a bassa voce:
“Allora
sono contento che tu lo abbia fatto...” e baciò di nuovo
la ragazza che per qualche secondo lo lasciò fare, poi
staccandosi disse agitata:
“OB!
So che posso sembrare una pazza -e forse lo sono- ma non voglio
mettere altra carne sul fuoco. Oggi ho tante di quelle emozioni
dentro che non riesco nemmeno io a districarle. E quello che potrei
dire oggi, con il trasporto di tutte le emozioni che ho vissuto nelle
ultime ventiquattro ore, potrebbe ritorcermisi contro e sono certa
che ogni parola che proferirei oggi servirebbe solo ed esclusivamente
a farmi pentire amaramente domattina...” e chinando la testa
imbarazzata, concluse: “Ti prego. Abbi pazienza. Ho bisogno di
pensare a noi e so che non posso più nascondermi dietro un
dito e che non puoi essere solo tu quello che si mette in gioco più
o meno positivamente. Oggi non sai quanto sei stato importante per
me. Davvero. Ma non posso, OB! Non posso e non voglio dire qualche
cosa che sono sicura di sentire e poi pentirmene il giorno dopo!”
Orlando
annuì guardando avanti, poggiando una mano sul volante.
Dovette fare forza su tutta la sua volontà per non mettersi a
ridere e gridare come un pazzo. Edith aveva detto di amarlo, aveva
ammesso che avrebbe potuto dire qualche cosa di cui si sarebbe potuta
pentire subito dopo. Sospirò a fondo e cercando di essere
serio e di non fare sempre la parte di quello che mette il carro
davanti ai buoi, disse:
“Ok!
Come ti ho detto... Non voglio nient'altro che stare con te. Davvero.
E lo voglio con tutto il cuore. Se hai bisogno di tempo te ne darò...
Ma sappi che non ho nessuna intenzione di lasciarti andare con Jude o
con qualcun altro. Stavolta lotterò contro tutti pur di averti
accanto. Prometto!” e sorrise vedendo Edith sorridergli a sua
volta.
Edith
annuì e guardando la strada disse:
“Ci
vuole poco prima di arrivare a casa. Che ne dici se torno a piedi?”
Orlando
scosse la testa e mettendosi a sedere meglio rispose:
“Non
ci pensare nemmeno, donna! Ti riaccompagno a casa, a costo di
chiuderti a chiave dentro la macchina!” e lanciandole uno
sguardo malizioso prese le chiavi dalla tasca e rimise in moto.
Edith
sorrise sentendo una strana scossa nella zona del basso ventre.
Conosceva quella sensazione di languore e sapeva che cosa voleva
dire. Cercò di mettere a tacere i suoi ormoni e si mise a
guardare la strada, sapendo che dopo il bacio che aveva dato ad
Orlando, quella era di sicuro la scelta migliore che potesse fare.
“Allora?
Le hai parlato?”
Gerard
era serio e nonostante fosse dall'altro capo non solo della cornetta
ma anche dell'isola britannica, Edith lo riusciva quasi ad
immaginare. E questo era davvero strano visto che si conoscevano,
giorno in più giorno in meno, almeno un mese.
“Ieri,
come ti ho detto non ho avuto tempo. Dopo che ha detto che volevo
divorziare con papà è andata in camera sua e non si è
più fatta vedere, nemmeno quando ce ne siamo andati via tutti,
o quasi... Penso che ci andrò stasera. Immagino che sia già
a casa della zia Maggie”
Stava
preparando la colazione. Aveva appena messo una bella tazza di caffè
nero sul tavolo, quando sentì il campanello suonare.
Aggrottando
la fronte disse:
“Hanno
suonato al campanello. Ti devo lasciare Gerard!”
L'attore
fece un verso d'assenso e domandò:
“E
quando pensi di tornare? Qua mi annoio senza nessuno a cui rompere le
scatole!”
Edith
rise e rispose:
“Sistemo
questa storia con mia madre e domani passo in ufficio e dopodomani
sono di nuovo da voi!” e dolcemente concluse: “Ti devo
lasciare. Ci sentiamo presto!” e dopo essersi salutati, chiuse
la conversazione e aprì la porta.
Ebbe
appena il tempo di vedere chi fosse che una foto sua e di Orlando
teneramente abbracciati davanti alla soglia di casa sua le venne
piantata davanti.
“E
questo che significa!” chiese Jude arrabbiato come forse Edith
non lo aveva mai visto.
Allora!
Eccomi qua.
Stavolta
non vi ho fatte aspettare per mesi.
Sono
stata brava.
Ringrazio
prima di tutto
Scarlett,
chiaretta e jodie
per
le recensioni.
Spero
che in questo capitolo io e Orlando
abbiamo
un po' recuperato ai vostri occhi.
Ed
ora?
Che
succederà?
Chi
lo sa. O per lo meno io lo so
ma
non ve lo dico.
Cattivaaaa!!!
Ringrazio
anche i lettori silenzi e tutti
quelli
che mi hanno aggiunto in
una
delle liste tra le
preferite,
ricordate,
seguite.
Spero
di leggervi ancora.
Un
bacio e alla prossima...
Niniel.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6: Quello
che meno ti aspetti.
“E
questo che significa!” chiese Jude arrabbiato come forse Edith
non lo aveva mai visto.
Gli
occhi della ragazza indugiarono sulla rivista e poi scrutarono la
strada dove, a parte qualche passante distratto, sembrava non esserci
nessuno. Aveva stupidamente pensato che dopo qualche tempo i
paparazzi avessero smesso di stare appostati davanti a casa sua, si
fossero stancati di darle la caccia, ma a quanto pareva si era
sbagliata. E la foto su quel dannatissimo giornale ne erano la prova.
Quegli sciacalli erano ancora lì, nascosti chissà dove
e il giorno prima avevano ripreso il suo abbraccio -almeno quello era
stato innocuo- con Orlando e dopo aver venduto le foto, quelli del
giornale ci avevano cucito e ricamato, quanto bastava, una storia su.
“Dovresti
sapere che i giornalisti sono degli avvoltoi e che si inventano un
sacco di cose...” Jude scosse la testa e stringendo il
giornale fortissimo sibilò:
“Quella
su questa foto sei tu. Non penso che nessuno possa inventarsi una
foto, non trovi!”
Edith
guardò di nuovo la strada. Sapeva che se continuavano quella
discussione sulla porta il rischio di venire fotografati e trovarsi
davanti Orlando furioso -come stava succedendo proprio in quel
momento con Jude, tra l'altro- era davvero alto. Quindi, prendendo in
mano la situazione -e il suo cipiglio da direttore di giornale-,
Edith guardò con disappunto Jude e glaciale replicò:
“Ti
devo forse ricordare che hai quarantuno anni e non mi sembra il caso
che ti comporti come un bambino isterico fuori dalla porta di casa
mia?”
Jude
rimase talmente interdetto che mollò una po' la presa del
giornale che stringeva tra le mani lasciandolo un po' stropicciato.
Edith
fece finta di niente e aggiunse:
“Se
la vuoi smettere di sbraitare, puoi farmi il grandissimo piacere di
entrare in casa e di continuare la discussione nel mio salotto,
lontani da orecchie e, soprattutto, occhi indiscreti?” e senza
dire altro fece spazio all'attore per dargli la possibilità di
entrare in casa. Poi, dando un'ultima occhiata al marciapiede, chiuse
l'uscio dietro di sé.
Edith
stava seduta sulla sua poltrona vicina alla finestra quella dove
normalmente, quando Ella e David dormivano, sprofondava nella lettura
e nel lavoro.
C'erano
dei lati positivi nell'essere una mamma single e i momenti di pace
erano di questi. Quegli istanti quando i bambini esausti crollavano e
dormivano nei loro lettini e lei aveva la casa tutta per sé.
Rachel diceva inoltre che aveva anche la possibilità di
depilarsi come lei non riusciva più a fare da tanto tempo,
visto che il numero dei suoi figli cresceva e John sembrava non
volersi dare una calmata.
Scherzi
a parte, Edith alle volte era davvero felice del suo eremo, ma quando
i bambini andavano dai nonni o da Orlando, allora sentiva il cuore
spezzarsi e la solitudine la sopraffaceva e sentiva il bisogno di
avere qualcuno che dormisse accanto a lei, qualcuno con cui parlare
quando la luce si spegneva, con cui fare colazione la mattina.
Poi
succedevano cose quelle che erano successe con Orlando in Scozia, o
in quel momento con Jude e la voglia di avere qualcuno vicino
evaporava come l'acqua dentro una pentola in ebollizione.
Jude
stava seduto di fronte a lei, con la testa tra le mani, ancora troppo
arrabbiato per parlare o bere anche un solo sorso del tè che
Edith gli aveva preparato. Edith invece, con le gambe rannicchiate
sotto di lei, guardava Jude con un sopracciglio sollevato, convinta
di non dover cedere un solo passo all'attore. Il silenzio teso parve
protrarsi fino all'infinito, ed Edith dovette far ricorso a tutto il
suo autocontrollo per non iniziare lei a sbraitare contro Jude e
contro i suoi modi irruenti.
Fu,
appunto, dopo quella che parve un'eternità, che Jude sollevò
la testa e guardando Edith negli occhi disse:
“Tu
hai già scelto, è così?”
Edith
sollevò gli occhi al cielo, sospirando infastidita, cosa che
fece ribollire il sangue a Jude che fuori di sé disse:
“Cosa
credi che sia uno stupido? Orlando viene dalla Nuova Zelanda solo per
parlarti e io devo pensare, dopo questa foto, che tra di voi non ci
sia stato nulla?”
Edith
lo guardò sollevando tutte e due le sopracciglia e seria
disse:
“A
parte che quello che pensi non mi riguarda. E poi... Hai sbagliato
Jude. Hai sbagliato di grosso! Sai perché sono qua? Sai perché
ho abbracciato Orlando? Ti è così semplice credere che
sia andata a letto con lui, invece di pensare che possa essere
successo qualcos'altro?”
Jude
punto sul vivo, alzandosi dal divano e mettendosi in piedi gridò:
“Cristo,
Edith! Ci hai fatto due figli con lui, uno dei quali lo hai concepito
mentre stavi con me!”
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scattando in piedi Edith
schiaffeggiò Jude che la guardò stupito, quasi
inorridito. Non si aspettava quella reazione e soprattutto non si
aspettava che gli occhi di Edith si riempissero di lacrime.
“Sai
perché sono tornata, Law?” disse Edith con la voce
rotta: “Non per scoparmi Orlando, come credi tu, ma perché
mia madre sta dando di matto ed è scappata di casa senza un
motivo e nessuno dei miei riusciva a trovarla... Orlando è
tornato dalla Nuova Zelanda per me, è vero, ma quando ha
saputo quello che è successo, fregandosene perfino del jet
lag, mi ha accompagnato a Londra e mi ha aiutato a ritrovare mia
madre. Quell'abbraccio è perché lo stavo ringraziando.
Non c'è stato altro!”
Jude
la guardò disorientato e sospirò. I suoi nervi stavano
cedendo. Lo sentiva. Era come camminare su di un pavimento fatto di
ossa che scricchiolavano sinistre ad ogni suo passo. O peggio di
vetri che bastava solo un passo perché lo ferissero
profondamente.
Era
piombato in casa di Edith come una furia basandosi su quello che
c'era scritto su di un giornale, mettendo la sua gelosia prima di
tutto. Per cosa poi? Per sentirsi dire che Orlando, sì, era
arrivato in Scozia per parlare con Edith del suo divorzio con
Miranda, ma si era trovato immischiato in tutt'altra faccenda e aveva
aiutato Edith. E lui? Lui che aveva fatto?
Si
lasciò cadere nel divano e portò la testa alle mani. E
in un attimo tutto gli fu chiaro.
Aveva
perso il contatto con la realtà, non si riconosceva nemmeno
lui. Stava cercando di trovare un solo appiglio che lo tenesse ancora
ancorato a quella situazione, ma non riusciva a trovarlo. Aveva
giocato troppo a quel gioco e ne stava uscendo perdente.
E
guardando il pavimento disse piano:
“Sei
libera!”
Edith
aggrottò la fronte, incrociando le braccia al petto. Non
riuscì a dire nulla perché Jude subito aggiunse:
“Ti
concedo il divorzio. E ti lascio libera!”
“C-che
vuoi dire?” balbettò Edith mettendosi a sedere vicino a
lui sentendo il cuore perdere più di un battito.
Jude
sollevò lo sguardo e sorridendo nonostante il suo volto
esprimesse dolore, disse:
“Se
non la prendo io questa decisione, tu non la prenderai mai. Non
voglio che questa storia si protragga all'infinito. Sono un uomo
adulto e so quando è ora di farsi da parte. E penso che sia
arrivato il mio momento, Edith. Tu non mi ami, ammettilo...”
“Non
è vero!” disse Edith con le lacrime agli occhi,
scuotendo la testa per dare vigore a quello che diceva.
Jude
le poggiò una mano su di una guancia e annuendo, invece,
replicò:
“Tu
ami Orlando. Lo hai sempre amato, anche quando stavi con me. È
inutile che continuiamo entrambi a nascondere la testa sotto la
sabbia, Edith. Io mi sono messo in mezzo perché ti amavo. Non
dovevo. Pensavo che il mio amore, all'inizio, sarebbe bastato a
cancellare il tuo per Orlando, ma non è stato così. Lo
sappiamo entrambi. Hai persino avuto un figlio di Orlando mentre
stavi con me... E hai finto che fosse mio solo per non ferirmi, non
per amore. Tu non mi ami. Mi vuoi bene. Di un bene diverso da quello
che si può volere ad un amico, ad un fratello. Ma non lo
stesso che si può volere ad un marito, ad un fidanzato!”
Edith
non riusciva a tenere a freno le lacrime. Gli occhi verde giallo di
lei si specchiavano in quelli azzurri di lui. E le parole erano
bloccate tra lo stomaco e la gola e non volevano uscire.
E
Jude continuò:
“Ti
ho detto che non volevo fare la parte del pagliaccio, ma mi sto
rendendo conto che lo sono sempre stato. Sto tenendo in piedi un
matrimonio che, come ti ho detto, non si basa su di una convivenza,
uno scambio di esperienze, ma sta vivendo nell'assurda speranza che
tu apra gli occhi e capisca che l'uomo che ami sono io... Ma non lo
farai mai. Perché lo sai meglio di me, non sono io l'uomo che
ami. E forse, per non ammetterlo nemmeno a te stessa, per difenderti,
per paura di provare di nuovo lo stesso dolore che hai provato quando
hai lasciato Orlando, fingerai di amare qualcun altro. E, ad essere
onesto, non lo invidio affatto...” e alzandosi disse: “Ti
farò avere le carte per il divorzio non appena sarà
possibile, prometto!” e chinandosi appena, baciò
dolcemente le labbra della donna.
Poi
si alzò e senza dire niente uscì di casa.
Dopo
che la porta si chiuse, Edith sentì un silenzio assordante.
Era come se Jude avesse parlato attraverso un megafono davanti ad un
microfono collegato a delle casse potentissime. E lei era lì
davanti. Sentiva le orecchie ronzare come dopo un concerto e la testa
esplodere.
Però,
nonostante il cuore le fosse andato in pezzi, si sentiva sollevata.
Certo, si vergognava di questa sensazione, ma era così. Jude
se ne era andato perché lo aveva deciso lui, non perché
lo aveva mandato via lei.
Dentro
sapeva che sarebbe stato lo stesso se lo avesse fatto Orlando. Forse.
Ma in quel momento non riusciva a non pensare che era stato Jude a
dire quelle cose. Aveva deciso lui di mettere la parola fine, non
lei. Era lui che aveva deciso che era meglio soffrire che stare una
vita ad aspettare qualcosa che un tempo c'era parso perfetto e forse,
invece, non lo era mai stato.
Si
guardò intorno spersa, come quando si è sollevati da un
grande onere, da una parte si è un po' più tranquilli,
ma si ha comunque il bisogno di parlare con qualcuno.
Si
sollevò e si avvicinò alla borsetta e prese il
cellulare.
Solo
una persona avrebbe davvero capito cosa stava succedendo. Solo una
persona l'avrebbe consigliata nel bene o nel male.
Scorse
velocemente la rubrica e poi passò il dito sul nome che aveva
scelto.
Attese
qualche minuto poi una voce chiara e allegra, dall'altra parte
rispose:
“Norton!
Ti pare che torni a Londra e non avverti la tua migliore amica!”
Edith
sorrise, voleva rispondere con qualcosa di allegro a sua volta, ma
con voce rotta disse:
“Rach!
Sono a casa. Jude è appena stato qua. Mi ha detto che è
finita!”
“Finita
in che senso?” chiese Rachel che non aveva capito.
Edith
sospirò a fondo e replicò:
“Finita,
terminata, conclusa. Qualche altro sinonimo?”
Rachel
rimase un attimo in silenzio e domandò ancora:
“Ma
è stato lui a decidere o tu?”
Edith
passò una mano sugli occhi e affranta rispose:
“Lui,
Rachel, era troppo stanco per continuare questa storia...”
Il
silenzio di Rachel si bissò di nuovo e solo dopo qualche
istante, che per Edith sembrò un eternità, la donna
rispose:
“Ci
vediamo a pranzo, ti va?”
Era
stata una mattinata carica di impegni. Laura, che era stata assunta
da Edith non appena aveva ottenuto la scrivania di direttore, aveva
tenuto per bene le redini in mano, ma l'assenza di Edith, in alcune
cose si stava cominciando a far sentire.
Nonostante
questo, con la promessa di ritornare comunque due settimane dopo,
come prefissato, Edith lasciò la redazione e corse a
Bishopsgate, dove da Spianata&Co l'attendeva una sempre più
incinta Rachel.
Quando
la mora la vide arrivare si alzò dal tavolo e seria, come
forse mai era stata, si avvicinò all'amica e le baciò
una guancia dicendole sottovoce:
“Come
stai?”
Come
stava?
Nemmeno
Edith lo sapeva. Per tutta la mattinata si era sentita triste, sì,
ma dentro di lei c'era una parte felice che fosse stato Jude a
decidere. Forse quello che aveva detto l'attore era vero: lei non
avrebbe mai avuto il coraggio di scegliere lui o Orlando e quindi era
meglio che fosse uno dei due interessati a farlo.
“Edith?”
chiese Rachel preoccupata distogliendola dai suoi pensieri.
Edith
guardò l'amica e disse:
“Mi
fa male, ma non come pensavo. Ci sono momenti in cui non mi importa.
Momenti in cui mi rendo conto che quello che ha detto Jude, io, l'ho
sempre saputo. E, ad essere onesta, è questo che mi fa male!”
Rachel
sollevò un sopracciglio e facendo cenno di sedere ad Edith,
rispose:
“Edith...
Non vorrei dirlo, ma penso che Jude abbia fatto la cosa giusta. E non
solo perché non ho mai visto di buon occhio la vostra
relazione, ma perché secondo me, tu sei innamorata di Orlando,
anche se non lo vuoi ammettere perché sei più cocciuta
di un mulo. E so che non riesci ancora a perdonarlo per tutte le
immense cazzate che ha fatto...”
Edith,
che si era messa seduta, guardava il tavolo in silenzio, ascoltando a
tratti quello che diceva l'amica. Rachel parlò ancora, dicendo
che Edith doveva pensare ai suoi due figli, che doveva pensare che
Orlando adesso era libero e per quello che aveva detto John non
aspettava altro che una risposta da lei.
Nel
frattempo arrivò il cameriere, ordinò qualcosa
meccanicamente e lasciò che Rachel continuasse il suo monologo
senza dire nulla.
Si
sentiva vuota. E la cosa che la spaventava era che non si era sentita
vuota per quello che era successo con Jude, che era stato suo marito
almeno fino a quella mattina; la cosa che la spaventava era che non
riusciva a provare dolore, proprio come quando era depressa e passava
le sue giornate nel grande letto nella sua stanza di Kendal.
Le
parole di Rachel arrivavano attutite, come se le stesse ascoltando
tenendo le mani premute sulle orecchie, ma non era così. Il
mondo viveva, correva, rideva. Ma lei era lì, incapace di
provare altro che sollievo per una cosa che invece l'avrebbe dovuta
far soffrire e provando un terribile dolore ogni qualvolta soppesava
questa sua tendenza ad elaborare quello che doveva essere un lutto
grave della sua vita.
Era
ancora persa nelle sue elucubrazioni, quando il cellulare squillò.
Squillò
tre volte prima che Rachel -se possibile più preoccupata di
quando Edith era arrivata- disse:
“Edith!
Vuoi rispondere? Ti stanno chiamando!”
Edith
prese il cellulare dalla borsetta e con sua sorpresa lesse il nome di
sua zia Maggie sul display.
“Pronto?”
rispose Edith titubante.
“Edith,
sono la zia. So che sei impegnata e che domani dovresti tornare in
Scozia. Ma vorrei che venissi ora a casa e non più tardi.
Penso che tu ed Eloise dobbiate parlare!”
Edith,
da dentro il taxi, guardava la casa con i mattoni rossi che si
avvicinava passo passo.
Quando
era piccola, ogni volta che svoltavano la strada e da dietro la Ford
di suo padre se ne rendeva contro sentiva il cuore in gola per la
felicità. Edith amava la casa di sua zia Maggie. Amava il
calore che sentiva ogni volta che entrava in quella casa con un piano
rialzato, il viso felicissimo di sua zia che non riusciva a staccarsi
da suo marito Peter. Sognava quella vita. Per Edith Norton, quando
era una bambina, la felicità era una casa con i mattoncini
rossi e una sala con un caminetto dove passare le serate d'inverno,
stretta all'uomo che amava.
Quando
il cab si fermò davanti alla casa, Edith pagò e salutò
velocemente l'autista e scendendo chiuse la portiera e tornò a
guardare la facciata della casa della zia.
Conosceva
la storia di quella casa. Era stata comprata da sua zia dopo che, per
quindici anni era stata sposata ad un uomo che non amava, che passava
le sue giornate e bere e lavorare e a lamentarsi che di sua moglie.
Un uomo che le aveva dato tre figli e che pensava che lei non avesse
nessuna aspirazione, che preferiva vederla uscire per andare a fare
la spesa piuttosto che portarla fuori a vedere un film, a mangiare
qualcosa.
Maggie
resistette per quindici anni, appunto, prima di lasciare quella che
per lei, ormai, era una prigione. Partì di nascosto una
mattina di fine autunno, quando le vetrine del centro di Londra
cominciavano a riempirsi di luci e di addobbi di Natale. Trovò
un lavoro come segretaria in uno studio di medici associati e comperò
la casa dai mattoni rossi accendendo un mutuo che sapeva non le
sarebbe bastata una vita per estinguerlo. Dovette superare il fatto
che i figli non vollero più sapere nulla di lei, feriti dal
fatto che le madre li avesse abbandonati senza un motivo apparente,
almeno per loro.
Da
quell'inverno di trentasei anni prima, Maggie imparò a
lottare, a raggiungere la meta con le unghie e con i denti e per la
prima volta in vita sua poté dire di essere diventata una
donna matura, con i graffi nel cuore, ma comunque adulta.
L'amore
con Peter arrivò quasi subito, mentre le pratiche per il
divorzio con James, il primo marito, erano state affidate ad un
tribunale. Lo conobbe nello studio, mentre portava scartoffie ad uno
dei medici. Peter era un avvocato rampante, di successo, con una
terribile ulcera dovuta al troppo lavoro. Fu un colpo di fulmine.
Cominciarono ad uscire quasi subito e altrettanto in fretta Peter
arrivò sull'uscio della casa di Maggie con tutte le sue cose e
un architetto pronto a sistemare la casa e le carte in cui si
prendeva l'onere di pagare il mutuo precedentemente acceso da Maggie.
In
meno di un anno la casa con i mattoni rossi, che Maggie aveva
comperato dopo la morte della vecchia proprietaria, piena di ricordi
che l'avevano persino usurata, divenne una casa dal mobilio classico,
calda e accogliente. Una casa che si riempì d'amore. Solo una
cosa Maggie non volle cambiare: il portoncino scuro dell'ingresso. Lo
stesso che Edith picchiò lievemente.
Jude
stava seduto nel divano della casa del suo migliore amico, Ewan.
Era
arrivato lì senza nemmeno sapere come, dato che dopo che aveva
lasciato la casa di Edith aveva cominciato a girare con la macchina
senza una meta precisa. Si era trovato davanti alla casa di Ewan per
puro caso e aveva deciso di bussare per confidarsi, per parlare ad un
amico di una decisione che non sapeva ancora se fosse quella giusta o
quella sbagliata.
Ewan
si avvicinò con una tazza di tè caldo fumante e
mettendosi a sedere di fronte a lui, serio gli disse:
“Che
hai dude?
Sembri sconvolto!”
“Lo
sono!” rispose Jude facendo girare la tazza tra le mani, senza
guardare Ewan negli occhi.
Ewan
corrugò la fronte e poggiando la schiena alla poltrona, disse:
“C'entra
Edith, non è così!”
Sentire
il nome della giornalista, per Jude, fu come ricevere un pugno allo
stomaco. Un pugno di una violenza inusitata che lo stava facendo
contorcere dal dolore. Sentiva solo una voglia pazzesca di piangere,
ma per quanto volesse bene al suo migliore amico, non pensava proprio
che lo avrebbe fatto. E continuando a fissare con interesse la sua
tazza di tè, replicò:
“Sì”
Ewan
si sistemò nella poltrona, sospirando e passando una mano
sulla faccia, con voce stanca chiese:
“Di
grazia! Che cosa è successo stavolta?”
Jude
sorrise e sollevando gli occhi su quelli dell'amico, con la voce che
si stava pericolosamente incrinando, rispose:
“L'ho
lasciata andare, Ewan. Le ho detto che se non avesse deciso lei
questa storia si sarebbe protratta per tutta la vita e io non
voglio...”
Ewan
sollevò un sopracciglio e confuso, visto che non si aspettava
quell'esternazione, disse:
“Mi
stai dicendo che l'hai lasciata andare? Che hai preso tu la decisione
per tutti e due?”
Jude
non rispose, ma si limitò ad annuire con la testa. Per qualche
secondo i due rimasero in silenzio poi Ewan, alzandosi dalla
poltrona, si mise a sedere vicino all'amico e passandogli un braccio
attorno alle spalle, scuotendolo, con un sorriso e un tono di voce
dolce, disse:
“Hai
fatto la cosa giusta!”
Jude
sollevò gli occhi sull'amico e lo guardò sorpreso. Ewan
se ne accorse e rispose:
“Jude...
Lo sai cosa penso. Tu non ti dovevi mettere in mezzo dall'inizio. Te
l'ho detto mille volte, quando tutto è cominciato, che non
sarebbe successo niente di buono. Dovevi lasciar perdere e lasciare
che quei due se la sbrigassero da soli. Ma Edith è Edith. È...
Beh! È una bomba sexy e nessun uomo può rimanerle
indifferente. E in quello non potevo darti torto. Ma visto che era
andata male una volta... perché perseverare? Ma tu sei stato
più duro del marmo. E hai cercato di riconquistarla. E ci sei
riuscito. Te la sei sposato perfino. Poi... Tutto è crollato.
So che le hai perdonato quella storia gravissima del bambino, ma non
penso che sia stata la cosa giusta da fare. Dovevi lasciarla andare
già da allora, Jude. Quando è uscita dal coma, dopo
l'incidente, dovevi fare i bagagli e lasciarla andare. Quella che hai
preso oggi è la decisione che avresti dovuto prendere tanto
tempo fa. Tu con Edith non c'entri nulla. Lei era di un altro da
prima che tu entrassi nella sua vita...”
“Io
la amo!” disse Jude con un filo di voce.
Ewan
si mise a sedere meglio e lasciando scivolare il braccio, tendendosi
in avanti e unendo le mani come se stesse pregando, disse:
“Lo
so. E penso che se anche lei ti ama davvero tornerà. Ma per il
momento lasciala andare. Hai fatto la scelta giusta. Se il destino
vorrà davvero che tra voi due ci sia di nuovo qualcosa...
Accadrà, puoi stare tranquillo. Ma per il momento guardati
intorno, Jude. Cerca di dimenticarla. È la cosa migliore da
fare. Credimi amico!”
Jude
sospirò e con un sorriso amaro tornò a guardare la
tazza. Edith era volata via, l'aveva fatta volare lui. E come diceva
Ewan, forse, un giorno l'avrebbe vista tornare da lui. Forse. Ma non
era sicuro, dopo tutto quello che era successo, che sarebbe rimasto
lì ad aspettarla. Anche se all'inizio avrebbe sofferto come un
cane, da quel momento la vita di Jude prendeva una nuova piega. Un
nuovo inizio.
Maggie
aprì la porta subito dopo che Edith aveva bussato.
La
ragazza guardò la donna che aveva di fronte: sua zia non era
poi tanto differente da sua madre, solo che il tempo era passato su
di lei con più velocità, specialmente dopo la morte del
secondo marito. Nonostante questo il sorriso non l'aveva abbandonata.
Al contrario. Nonostante l'unico uomo che aveva davvero amato
l'avesse lasciata per sempre, lei diceva che quello era solo una
parte del viaggio che lei doveva percorrere in solitaria prima di
ricongiungersi con Peter.
Edith
sorrise e abbracciò la donna con sincero affetto. Maggie era
la sua zia preferita e trovarsi in quella casa in quel periodo della
sua vita così delicato per lei significava davvero tanto. Era
come un tonico per la sua anima in tempesta.
“Mi
sono liberata non appena mi hai detto di venire!” sussurrò
Edith.
Maggie,
che la teneva ancora stretta, annuì e con dolcezza disse:
“Voglio
che tu parli con Eloise. E non perché non voglio che lei
rimanga qua, ma perché vorrei davvero che tu e tutti gli altri
possiate sapere il vero motivo per cui ha messo su questa scena”
ed entrando in casa, prendendo la giacca della nipote, aggiunse: “Vai
in cucina. È là che ti aspetta!”
Edith
entrò in cucina, passando il salotto dove il camino sembrava
vuoto senza il fuoco che scoppiettava allegro dentro. Ma Edith non
pensava a quello. Guardava la finestra sul lavabo che inondava di
luce la cucina con il cuore in gola. Sapeva che se avrebbe varcato
quella soglia avrebbe sentito qualche cosa che non le sarebbe
piaciuto. Era una brutta sensazione che si propagava dallo stomaco
alla schiena. Sentiva quasi la tensione gravarle sulle spalle come
forse mai le era successo.
Varcò
la soglia della cucina e sorridendo guardò sua madre, seduta
sulla panca, con la schiena poggiata contro il muro.
“Mamma!”
disse con un filo di voce.
Gli
occhi di Eloise, così simili a quelli di Edith, indugiarono
per un attimo, terrorizzati, salvo poi illuminarsi una volta che
incontrarono quelli della figlia maggiore. La donna non disse nulla,
ma fece un cenno alla figlia di sedersi davanti a lei stringendo
forte tra le mani una tazza di tè quasi fosse il suo unico
appiglio, proprio come era successo la sera prima in quella che ormai
era la sua vecchia casa.
Edith
fece come ordinato, a sua volta in silenzio, guardando sua madre con
uno sguardo ansioso.
Eloise
giocherellò invece con la tazza e rimase per molto tempo in
silenzio.
Poi,
sollevando lo sguardo e cercando quello di Edith, trovandolo
puntualmente, disse:
“C'è
un motivo se un paio di notti fa sono scappata senza dire dove
andavo. E c'è un motivo se le cose tra me e tuo padre da un
po' di tempo non vanno bene. Ed è per questo motivo che ho
deciso di lasciarlo...”
Edith
incrociò le braccia sopra il tavolo e non disse niente,
lasciando che la madre potesse continuare a parlare. E la donna lo
fece.
“Quando
tuo padre è stato male ho cominciato a controllarmi anche io.
Io che avevo paura perfino di andare da un dottore per curarmi un
raffreddore. Ho fatto dei controlli completi e da quelli è
risultato che c'era qualche cosa che non andava. Ho cominciato a
girare per vari ospedali, ho richiesto vari pareri. E tutti mi
dicevano che dovevo fare altri controlli, altre analisi. Poi, un paio
di settimane fa, il mio medico ha richiesto una TAC. L'ho fatta senza
dire nulla a tuo padre, per non farlo preoccupare, ma quello che è
stato il risultato ha preoccupato anche me...” e facendo una
piccola pausa per prendere un po' di respiro concluse con la voce che
le tremava: “Mi hanno diagnosticato un tumore maligno al
cervello!”
“S-sei...
Sei sicura?” domandò Edith con la voce più alta
di qualche tono.
Eloise
annuì ed Edith, prendendole una mano come aveva fatto al bar
quando l'aveva trovata la mattina precedente, disse:
“Tranquilla.
Andremo dai migliori dottori del Regno Unito. Farai la chemio, la
radio, tutto quello che serve. Ci sono cure che riescono a bloccare
il tumore e distruggerlo completamente...”
“Edith!
Edith... No! È inutile. Ho già parlato con il dottore.
Ci sono delle metastasi a livello polmonare e a livello del
fegato...”
Gli
occhi di Edith si dilatarono per la sorpresa, sentì il cuore
spezzarsi. Dentro di sé, dall'inizio, aveva capito che se sua
madre si stava comportando in quel modo un vero motivo c'era. Ma non
avrebbe mai pensato che fosse quello. Senza sapere come le lacrime
cominciarono a scendere copiose, proprio come quando era una bambina
e succedeva qualche cosa che lei riteneva troppo brutto o troppo
grave per poterlo sistemare da sola. Ed era così che si
sentiva: una bambina spaventata, messa all'angolo.
Pianse,
senza vergogna, ed Eloise, sorridendo dolce, le accarezzo una
guancia, cercando di calmarla, ma senza riuscirci.
“Deve
esserci un modo!” disse Edith con la voce spezzata dai
singhiozzi.
Eloise
scosse la testa e seria disse:
“Sto
lasciando tuo padre perché non voglio che mi veda spegnermi
lentamente. Non voglio diventare un peso per lui. Sono venuta qua da
Maggie perché dopo aver lavorato per anni in uno studio medico
mi può mettere in contatto con persone che possono aiutarmi a
superare questo brutto momento e arrivare alla fine senza
soffrire...”
“No”
disse Edith cercando di scacciare quelle ultime parole.
Eloise
annuì e prendendo entrambe le mani della figlia aggiunse:
“Edith...
Purtroppo è così. Non possiamo farci niente. Ho voluto
che tu lo sapessi per prima perché sai che il rapporto che ci
ha sempre legate è sempre stato un rapporto esclusivo. E
perché so che tu sei la più forte dei tuoi fratelli e
potrai aiutarli a superare questo momento... Ma non voglio che tu lo
dica a tuo padre. So che farebbe di tutto per tornare da me e non
voglio che mi veda distrutta, piegata dalla malattia. Voglio che mi
ricordi come la donna che ha sposato e non come lo spettro che sto
diventando...”
“Questa
è la cosa più egoista che abbia mai sentito dire!”
protestò Edith indignata, nonostante le lacrime.
Eloise
annuì con sguardo addolorato, ma con dolcezza, disse:
“Lo
so. Ma so anche che tu ami qualcuno in questo momento e la penseresti
come me se fossi al mio posto. Ti prego Edith. Promettimelo.
Promettimi che farai di tutto per non far sapere niente a tuo
padre...”
Edith
la guardò negli occhi e si stupì di trovarli asciutti.
In un attimo si rese conto di essere lei quella spaventata, quella
terrorizzata dall'idea di perdere la madre.
Chinò
la testa e trattenendo le lacrime disse:
“Lo
prometto!”
“STAZIONE
DI WICK. RIPETO. STAZIONE DI WICK!”
Edith
scese dal treno e lasciò che l'aria più frizzante della
cittadina scozzese le accarezzasse il viso. Si guardò intorno
e alla piattaforma vide un viso conosciuto.
Era
Gerard.
Quando
le aveva detto che avrebbe fatto di tutto per venirla a prendere
quasi aveva riso divertita, ma quando lo vide lì dovette far
ricorso a tutta la sua forza di volontà per non scoppiare a
piangere.
Si
avvicinò all'attore e sorridendo, per quanto le ultime
emozioni glielo permettessero, Edith disse:
“Allora
sei venuto?”
Gerard
annuì e rispose:
“Sono
qua tutto per te” e indicando l'uscita della piccola stazione
aggiunse: “La macchina ci aspetta qua fuori!”
Edith
stava per prendere meglio la sua sacca, ma Gerard fu più
veloce di lei e sfilandogliela dalla spalla e prendendola lui, disse:
“Sono
un gentiluomo, nonostante i miei avi abbiano mostrato le chiappe ai
tuoi!”
Edith
sorrise tirata e seguì l'attore senza aggiungere altro.
Gerard
se ne accorse, ma attese di arrivare alla macchina, prima di chiedere
qualche cosa.
E
una volta dentro l'abitacolo, dopo aver percorso qualche chilometro,
domandò:
“Che
è successo a Londra?”
Edith
sospirò e subito tutto quello che era successo le precipitò
addosso. Il bacio con Orlando, l'addio di Jude, la malattia di sua
madre.
Scoppiò
in lacrime senza riuscire nemmeno ad imporsi di non farlo,
vergognandosi di farlo comunque davanti ad una persona che conosceva
da poco.
Gerard
fermò la macchina e subito la strinse.
“Sssh!
Piangi piccola. Deve essere successo un bel casino se ti ha distrutta
così!”
Edith
affondò la testa nel petto dell'attore scozzese e pianse.
Pianse
forte, come forse non aveva mai fatto davanti a qualcuno. Pianse
tutto il dolore, tutta la rabbia, tutta la paura che aveva provato in
quei giorni.
E
quando sembrò che le lacrime non dovessero più scendere
rimase abbracciata a Gerard che sembrava quasi uno scoglio dove
ripararsi dal mare in tempesta. Spigoloso, forse poco sicuro, ma un
posto a cui aggrapparsi.
Ed
eccolo finito.
E
adesso voglio proprio vedere la vostra reazione.
Curiosona
io.
Comunque,
ringrazio:
spacobotilia,
Scarlett,
Chiaretta
e
Jodie.
Grazie
davvero e spero di non avervi deluse.
Ringrazio
inoltre chiunque
legge
la mia storia e basta,
a
chi l'ha inserita tra le preferite,
le
ricordate,
le
seguite.
Nel
frattempo, per domande
e
tutte quelle cose che non si possono fare
tramite
recensione per non andare in OT
potete
contattarmi presso la pagina Facebook
Niniel82.
Ci
sono solo io.
Un
bacio.
Niniel.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7: La
verità viene sempre a galla.
Edith
tornò sul set il giorno dopo con il cuore infranto e la stesa
piena: piena di tutto il dolore per la malattia della madre e di
tutte le cose che avrebbe dovuto dire ai suoi fratelli per indorare
loro la pillola e convincerli a tenere il segreto con il padre, anche
se sapeva che era una battaglia persa in partenza; piena di tutte le
cose che avrebbe voluto dire a Jude e che non era riuscita a dire e
di quel senso di colpa che sentiva quando si rendeva conto di essere
stata sollevata da una decisione troppo grande, da una scelta davvero
spinosa; piena delle parole di Orlando che continuavano a frullare
nella testa come se qualcuno avesse acceso un frullatore a tutta
velocità.
Gli
ultimi tre giorni, per lei, erano stati davvero snervanti al punto
tale che quasi dubitava del fatto di voler tornare a casa qualche
settimana dopo.
Cercò
un modo per non pensare e lo trovò buttandosi nel lavoro e
uscendo ogni sera con quelli della troupe, incluso Gerard,
ubriacandosi quasi fino a svenire e svegliandosi la mattina con un
mal di testa colossale che, però, non le permetteva di non
lavorare. Anzi! Dopo tre caffè e una dose doppia di
analgesico, tornava la stacanovista di sempre e la solita
rompiscatole.
Per
tutti era sempre la stessa, forse solo un po' più casinara,
forse un po' più sciolta rispetto a
MissCortinaDiFerroEdithNorton, ma solo una persona si rese davvero
conto che qualcosa non andava: e questa persona era Gerard. E per
quanto l'attore scozzese non la conoscesse da una vita, lui sapeva
che se la giornalista stava male era perché a Londra era
successo qualche cosa ed Edith non aveva la voglia, o meglio la
forza, di raccontare a qualcuno.
C'è
qualcosa di snervante nei rulli trasportatori degli aeroporti.
A
dire il vero, Orlando pensava che ci fosse qualche cosa di snervante
negli aeroporti e punto.
Doveva
essersi ormai abituato a prendere l'aereo, a stare con il sedere per
aria più di una volta al mese. Ed in effetti il callo lo aveva
fatto, però...
Quando
viaggiava solo si trovava alle volte per ore a dover affrontare se
stesso. A dover affrontare i suoi fantasmi e i suoi tanti, troppi
errori.
E
quella volta, nel tragitto Londra-Wellington, ad ogni decollo, ad
ogni atterraggio e ad ogni scalo aveva pregato Dio di resettare per
un giorno la sua testa e lasciarlo in pace. Ma probabilmente
l'Altissimo aveva ben altro da fare perché non lo aveva
esaudito.
E
dopo quasi ventiquattro ore di volo, diversi jet lag e la testa che
sembrava centrifugata, Orlando aspettava il suo bagaglio con lo
sguardo fisso sul macchinario che andava avanti e indietro, portando
fuori valigie di sconosciuti che racchiudevano effetti personali e
chissà che altro e aspettando la sua che sembrava non arrivare
mai.
Rimase
impalato come uno stoccafisso per qualche minuto, quando il cellulare
squillò.
Era
Miranda.
Sollevò
gli occhi al cielo visto che non era per niente pronto ad affrontare
anche quella chiamata, ma toccò con il pollice il tasto verde
sullo schermo digitale del suo I-phone e rispose:
“Dimmi!”
Un
tempo avrebbe usato qualche vezzeggiativo, qualche parolina dolce.
L'avrebbe fatta sentire importante solo con il tono della voce, ma in
quel momento c'era solo rabbia. Aveva parlato con dei loro amici in
comune e da quello che aveva scoperto Miranda, la dolce e cara
mogliettina affranta che non sopportava l'idea di essere stata
tradita da Orlando ripetutamente, non solo aveva incominciato una
relazione con un altro uomo cagionando la fine del loro matrimonio,
ma aveva mandato a monte anche quello di un'altra coppia, loro amica.
A quanto pareva, infatti, aveva cominciato a frequentare un certo
James Packer, multimiliardario proprietario di mega yacht e di
moltissimi casinò in quel di Las Vegas. E a dirla tutta anche
un po' bruttino. E per uno narcisista come Orlando quello era un
colpo basso. Avrebbe accettato di essere lasciato per Robert
Pattinson, per Brad Pitt, anche per il suo amico Leonardo Di Caprio,
ma non per un grassone con la faccia da deficiente, quello non lo
poteva proprio sopportare.
Miranda
sospirò e disse:
“So
che stai tornando in Nuova Zelanda...”
Orlando
annuì con un 'm-mh' sommesso e continuò a guardare il
nastro trasportatore che faceva girare le valigie. La sua non era
stata ancora scaricata.
“Volevo
dirti che io e James vorremmo fare un piccolo viaggio solo io e lui
per una settimana ai Caraibi. Puoi tenermi Flynn?”
Il
solo pensiero di vedere il figlio riempì di gioia il cuore
dell'attore che sorridendo entusiasta rispose:
“Non
devi darmi spiegazioni se riguarda tenere nostro figlio. Lo sai che
lo adoro e che l'unica cosa che voglio è passare un po' di
tempo con lui!”
Miranda
rise sarcastica e rispose:
“Il
problema non è il bambino ma la donna da cui lo hai avuto,
vero?”
Orlando
sollevò gli occhi al cielo. Negli ultimi tempi si era sentito
fare quella domanda tante di quelle volte che ormai si sentiva
stanco. Era stato cacciato dentro quella storia finita ancora prima
che dicessero sì dalla sua manager e aveva anche fatto di
tutto per tenerla in piedi perdendo Edith quasi per sempre. Ora che
il matrimonio era finito e che lei si era mostrata per quello che era
-una a caccia di soldi e di notorietà- non aveva intenzione di
fargli nessuno sconto.
“Almeno
Edith non mi ha cercato per apparire su qualche copertina in più!”
Miranda
accusò il colpo. Anni di silenzi e di litigi si sentivano
gravare ogni volta che si vedevano, ogni volta che Orlando lasciava
che tutta la sua rabbia e la sua frustrazione inesplosa prendesse il
passo. E sibilando tra i denti rispose all'ex marito:
“Sei
uno stronzo se pensi questo della madre dei tuoi figli!”
Orlando
rise divertito e guardandosi intorno, senza davvero vedere niente,
disse:
“Non
sono io quello che si scopa un multimiliardario mentre mio marito
lavora...”
“Facile
dare adesso tutte le colpe a me, Bloom, vero? Però quando te
le portavi tu a letto le sgualdrinelle che ti giravano attorno andava
tutto bene, vero?” esplose Miranda con la voce pericolosamente
incrinata.
Orlando
chiuse gli occhi, percorso da tante di quelle emozioni che le mani
gli cominciarono a tremare. Aveva lasciato Kate, che era stato il suo
primo grande amore; aveva lasciato Edith che era la madre di sua
figlia e la donna che lo aveva messo in gioco. Ora, con questa
ragazzina australiana, si trovava a dover combattere silenziosamente,
a rinfacciarsi tutto quello che non si erano detti o urlati contro
quando erano sposati. E a sentire Robin da quella storia si potevano
cavare dei bei soldoni. Basta solo dire alla stampa che i rapporti
tra lui e Miranda erano buoni per il bambino e che entrambi si
stavano comportando da persone adulte, facendo passare lui per il
cavaliere senza macchia e senza paura come Robin cercato di plasmare
Orlando all'inizio della carriera.
Adulte
un corno, visto che c'era molto più buonsenso in due
adolescenti.
“Non
sono stato un gentiluomo, lo ammetto. Ma non puoi darmi le colpe di
tutto ogni volta che ti metto davanti alle tue responsabilità!”
“Responsabilità?
Tu mi parli di responsabilità, Orlando? Che ipocrita! Proprio
tu che non hai fatto che portarti a letto la tua ex alle mie spalle.
Perché non ci hai pensato da allora? Perché non sei
tornato da lei prima di mettermi incinta e di sposarmi? Ah! Vero? Lei
ha preferito il tuo amico a te!” e senza aggiungere altro
chiuse la chiamata lasciando Orlando appeso.
-Molto
matura e controllata- pensò sarcastico Orlando guardando il
cellulare con aria afflitta: -Angelo? Tu non sei un angelo Miranda.
Non lo sei mai stata e mai lo sarai! A parte quando ti metti in
mutande per quelle assurde sfilate da feticisti- e stringendo con
forza il cellulare per metterlo in tasca si riavvicinò al
nastro trasportatore. E con orrore si accorse che tra le ultime
valigie rimaste la sua non c'era.
“Voglio
che stasera stessa, su Skipe, tu, io e Richard ci mettiamo in
conferenza e parliamo della crisi mediorientale. E non mi importa se
sei stanca e ti devi sposare tra meno di un mese Laura. Io quando mi
sono sposata ho lavorato fino al giorno prima. Ed ero incinta!”
Il
ricordo del giorno del matrimonio l'assalì come mai aveva
fatto in quei giorni. E una fitta allo stomaco le fece piegare le
gambe. Inaspettatamente il dolore per quello che era successo solo
qualche giorno prima, quando Jude aveva deciso di lasciarla, sembrò
piombarle addosso e le fece cedere i nervi. D'un tratto sentì
l'aria mancarle e la terribile sensazione di avere le braccia
pesanti, quasi le fosse impossibile muoverle.
Eccolo
di nuovo, dopo qualche tempo, un attacco di panico.
“Edith?
Tutto ok?” chiese Laura con voce preoccupata dall'altro capo
del telefono.
Edith
socchiuse gli occhi e sospirando a fondo, rispose:
“Laura
scusa. Non posso stare ancora al telefono, mi stanno chiamando. Ci
sentiamo più tardi e ti dico l'ora in cui ci possiamo
connettere!” e senza aggiungere altro chiuse la comunicazione.
Spaventata
e con il cuore che sembrava quasi volesse uscirle dal petto talmente
batteva forte, Edith si mise a sedere su di una panchina e si guardò
la punta dei piedi cercando di visualizzare un punto focale che la
distraesse dal suo attacco di panico. Ma per quanto ci provasse la
tachicardia aumentava e la testa, tra l'altro, aveva cominciato a
girare pericolosamente.
Valutando
se chiedere o no aiuto a qualcuno, Edith cominciò a respirare
come le avevano consigliato al corso pre-parto: aveva speso duemila
sterline per farsi insegnare da un guru come espirare ed inspirare,
ma non le era servito poi al molto visto che di Ella le era stato
praticato il taglio cesareo mentre di David, che aveva avuto
naturalmente nonostante i dottori le avessero consigliato di stare
attenta per via del primo cesareo, aveva pensato ad urlare e
bestemmiare ma non a respirare. In compenso, però, dopo essere
caduta in depressione, durante un attacco di panico, aveva scoperto
che quello era un modo perfetto per far calmare le crisi d'ansia.
Quindi le cose erano due: o quando si partorisce si è prese da
continui attacchi di panico o il suo corpo funzionava in modo strano.
E da sempre, Edith, propendeva per la seconda.
Ma
in quel momento, per quanto si sforzasse ad espirare ed inspirare, il
peso dell'ultima settimana le piombò addosso e la lasciò
intontita e spaventata. Almeno fino a quando qualcuno, senza la
minima discrezione, si mise davanti a lei oscurando il suo punto
focale con un paio di Nike ultimissimo modello.
Solo
una persona poteva portarle. E con voce infastidita senza nemmeno
guardarlo Edith disse:
“Gerard...
Lasciami in pace!”
L'attore
si mosse appena, ma non se ne andò e facendo schioccare la
lingua contro il palato domandò:
“Che
hai?”
“Gerard...
Davvero... Non ho voglia di stare...” rispose Edith continuando
a guardare la punta dei suoi piedi per non cedere all'attacco di
panico, ma l'attore scozzese la bloccò e disse:
“No!
Non attacca. Torni da Londra in lacrime. Non ti ho chiesto niente
allora perché pensavo che avessi bisogno di qualche giorno per
mettere ordine nella tua testa. È passata quasi una settimana
e ti vedo distrutta, a malapena mangi, parli con gli altri. Dimmi
cosa ti è successo a Londra di così grave da farti
stare così male!”
Non
era una richiesta, era un'imposizione bella e buona, fatta tra
l'altro con lo stesso tono severo che usava Patrick quando lei era
una bambina e non voleva fare qualche cosa.
Sollevò
gli occhi verso il viso di Gerard che la guardava risoluto. Voleva
dirgliene quattro, ma per quanto ci provasse non ci riusciva: stava
soccombendo all'attacco di panico.
Sospirò
a fondo e tornando a guardare la punta dei piedi, quasi che vedendoli
lì fermi, piantati per terra e saldi nonostante tutto fosse
il suo unico appiglio al mondo, con un filo di voce disse:
“Mio
marito mi ha lasciata!”
Gerard
si mosse appena sul posto e schiarendosi la voce domandò:
“Il
padre dei bambini?”
Edith
sorrise e sollevando la testa, nonostante il capogiro, rispose:
“Mi
conosci un mese, Butler, e ancora non hai capito che il mio ormai ex
marito non è lo stesso uomo da cui ho avuto due figli?”
“Senti,
Norton! Mi spiace, ma non sono uno che si appassiona di soap, non
riesco a tenere il conto delle puntate precedenti!” replicò
punto Gerard, incrociando le braccia al petto.
Edith
chinò di nuovo la testa, stavolta per nascondere un sorriso.
Poi con la punta del piede giocherellò con un sassolino che
stava di fronte a lei e sottovoce disse:
“Ricordi
che è venuto un ragazzo, il giorno prima che io partissi per
Londra?”
Gerard
non rispose, ma si mise a sedere accanto alla giornalista che senza
alzare lo sguardo da terra continuò:
“Quello
è Orlando, il padre dei miei figli. È venuto fino in
Scozia per dirmi che ormai il suo matrimonio è finito e che
vuole riallacciare una relazione con me. Per quello che hai capito
-almeno spero- la mia vita sentimentale è stata un po'
travagliata in questi ultimi anni e io non ho sposato Orlando, bensì
Jude. Comunque... La sera prima che partissi, Orlando ed io eravamo
in camera a parlare quando è squillato il mio cellulare.
Ricordi che proprio il giorno prima avevo ricevuto una telefonata da
mio padre?”
“Certo
che me la ricordo. Mi hai gridato contro tutto il tempo dopo!”
s'intromise divertito Gerard.
Edith
non sorrise stavolta ma continuò a parlare. Per lei fu come se
solo quello bastasse a togliere un po' del veleno che aveva dentro. E
come un fiume in piena raccontò ancora:
“La
sera che stavo cercando di chiarire con il padre dei miei figli ho
ricevuto una chiamata di nuovo da mio padre. Era sconvolto. Mi ha
raccontato che lui e la mamma avevano litigato quella mattina e
subito dopo lei era uscita e da allora nessuno sapeva dov'era. Il
giorno dopo, come hai visto, sono partita per cercarla. Avevo il
cuore in gola. Sono arrivata a Londra senza nemmeno sapere da dove
cominciare a cercare mia madre. È stato Orlando ad aiutarmi.
Io e lui ci conosciamo dal 2005, all'incirca, e siamo stati assieme
per un po'. È diventato parte della mia vita in maniera
prepotente e mi conosce: conosce la mia storia, conosce i miei
difetti, le mie paure. E sapeva che, quando i rapporti con mio padre
non era poi così idilliaci, mia madre ed io andavamo in un pub
al centro dove bevevamo il nostro tè sedute al tavolino
davanti alla vetrata. È stato lui a consigliarmi di andare a
cercarla lì. E l'ho trovata. L'ho riportata a casa e una volta
che ci siamo tutti riuniti ci ha detto che aveva intenzione di
lasciare mio padre...”
“E
questo cosa c'entra con il tuo matrimonio?” chiese giustamente
Gerard.
“Beh!”
rispose Edith con un sospiro. “ Dopo la scoperta Orlando mi ha
accompagnato a casa e per ringraziarlo l'ho abbracciato. C'era un
paparazzo appostato e ci ha fotografato. Il giorno dopo la notizia
era su tutti i giornali. In copertina tra l'altro. Hanno messo su un
articolo dicendo che io ed Orlando ci stavamo baciando e che tra di
noi era sbocciato di nuovo l'amore. E hanno condito il tutto
aggiungendo tutto il resoconto della nostra storia, di quando ci
siamo lasciati e di quando nelle nostre vite sono entrati i nostri
rispettivi compagni! Il mio ex marito, arrivato allo stremo, ha
creduto a quello che dicevano e me lo sono trovata davanti a casa,
arrabbiatissimo. L'ho fatto entrare e gli ho spiegato tutto, ma a
quanto pare non è servito. Giunto allo sfinimento ha detto che
mi lasciava libera e mi concedeva il divorzio. E se n'è andato
senza dire una parola. Ma non è finita qui!”
“Perché?
C'è dell'altro?” chiese ironico Gerard.
“La
sera, mia zia Maggie, che sta ospitando mia madre, mi ha chiamata
dicendomi di andare il prima possibile a casa sua. Ho fatto come mi
ha detto e mi sono trovata davanti a mia madre, che mi ha spiegato il
motivo per cui ha deciso di lasciare mio padre...”
In
un attimo tutte le emozioni piombarono addosso ad Edith che prima
sentì gli occhi diventare lucidi e poi calde lacrime
cominciarono a scendere copiose. E come irrefrenabili le parole
uscirono dalla bocca di Edith, come se si fosse rotta una diga
invisibile e non ci fosse nulla che potesse bloccarle, nemmeno il
buon senso.
“Mia
madre mi ha detto di avere un cancro incurabile e mi sono trovata a
dover affrontare anche questo oltre il fatto che la separazione con
Jude mi sta lasciando così svuotata che non riesco nemmeno a
provare emozioni...”
“Se
non ti fa effetto, cara, non hai pensato che forse non ti interessava
più?”
Edith
scosse la testa e continuando a piangere disse:
“No.
Mi interessa e sono sicura che dentro di me, anche se oscurato dal
dolore per quello che sta succedendo a mia madre, c'è una
parte di me completamente distrutta da quello che è successo
con Jude. Solo che ho paura che le emozioni degli ultimi tempi mi
stiano piombando addosso e che mi stia arrendendo alla depressione,
una volta per tutte, di nuovo!”
Gerard
annuì e rispose:
“So
cosa vuol dire sentire che uno dei tuoi genitori sta male. Mio padre
è morto che avevo appena sedici anni. Credimi, so che cosa
significa e non ti giudicherò! Ma per quello che riguarda il
tuo ex marito... Non voglio essere petulante e ripetitivo, ma se sei
arrivata al punto che ti ha svuotato così tanto, non pensi che
sia meglio che tutto sia finito? Volevi arrivare al punto che ti
saresti puntata una pistola in testa perché non sapevi più
come uscirne?”
Edith
lo guardò con gli occhi sbarrati e Gerard aggiunse:
“Mettiamola
così: tu hai sposato un uomo per pura ripicca, per quello che
mi hai raccontato...”
“Non
è vero!” intervenne indignata Edith.
“Non
è vero?” domandò scettico e ironico allo stesso
tempo Gerard. “Allora diciamo che tu non eri ancora innamorata
del padre dei tuoi figli quando lo hai sposato e che il matrimonio è
finito per abitudine dopo un anno, ok?”
Edith
sbuffò infastidita e Gerard scuotendo la testa continuò:
“Edith!
Quando diamine toglierai la testa da sotto la sabbia? Quando
deciderai di crescere? Hai trentaquattro anni. L'anno prossimo sarai
una trentacinquenne che ancora non ha deciso se vuole essere felice
oppure no. Pensa che quello che ti ha fatto il tuo ex, che ho il
sentore anche di conoscere, sia l'ultimo regalo. Libera. Libera di
scegliere senza nessuna imposizione, senza nessun vincolo. E se lo
ami... Beh! Se è davvero amore, allora, nonostante lui ti
abbia mandato via, tornerai e lo troverai. Ma adesso non è il
vostro momento. Devi solo fare un po' di ordine nella tua vita e
capire che è non propriamente terapeutico per una nel tuo
stato attuale avere uomini che ti vengono a fare scenate di gelosia
all'altro capo del mondo e mariti che ti chiedono di tornare assieme
a loro quando non sai nemmeno tu dove vuoi stare... E lascia che ti
dia un ultimo consiglio... Poi fai come vuoi. Vivi quello che ti è
concesso con tua madre. Non fare nulla perché lei ti
allontani. Stalle vicino. Anche se farà male! E quando sarà
l'ora di dirle addio, ricordala per le belle cose e non per quelle
brutte. Non ricordarla sofferente. Ricordala quando eri una bambina.
So che è sarà difficile, ma ti aiuterà ad andare
avanti quando il dolore sarà troppo forte. Lasciatelo dire da
uno che c'è passato quando aveva appena sedici anni!”
Edith
lo guardò per un attimo, poi senza nemmeno spiegarsi come,
rifece lo stesso gesto che aveva fatto quando era tornata da Londra:
abbracciò Gerard e pianse, liberando quel veleno che le
ostruiva la gola e il cervello e che le impediva di respirare.
Respingendo l'attacco di panico.
Guardando
il mare in tempesta sopra quello scoglio spigoloso di nome Gerard.
Era
sfinito. Non pensava che quel dannatissimo viaggio lo mettesse ko.
In
più le riprese, visto che erano indietro con la tabella di
marcia, erano diventate ancora più pesantie frenetiche. Doveva
essere abituato, visto che anche per la trilogia de Il Signore
degli Anelli era stato lo stesso, ma a quanto pareva del
ragazzino entusiasta dei primi periodi era rimasto davvero poco.
Orlando Bloom, diventato abbastanza famoso, si ritrovava ad essere un
uomo stanco, che aveva già avuto una parabola discendente
nella sua carriera, che aveva perso la donna che amava e che era
stato tradito dalla moglie tante di quelle volte che quasi pensava di
avere più corna che capelli in testa. Certo! Lui non era stato
un santo, ma il tradimento di Miranda bruciava troppo, specialmente
perché sembravano spuntare amanti da ogni parte, come funghi.
Stava
uscendo dalla sua roulotte, quando sentì il cellulare
squillare.
Frugò
nelle tasche cercando il telefono e quando lo vide sorrise leggendo
il nome che appariva sul display.
“David!
Ciao!”
Era
da un po' che si concedeva quella libertà di salutare come se
fossero vecchi amici anche persone appena conosciute più o
meno importanti e nel caso di David Leveaux era lo stesso. Lo
conosceva, sì, ma non così tanto da comportarsi come se
stesse parlando di un vecchio amico.
“Orlando.
Sono felice di sentirti. Robin la tua manager mi ha dato il tuo
numero. E appena l'ho avuto ho deciso di contattarti!”
Orlando
non rispose ma ascoltò attentamente quello che il suo
interlocutore aveva da dire.
“So
che sei in Nuova Zelanda. E so che tornerai a casa tra un paio di
settimane. Ma volevo sapere se eri interessato per una serie di
spettacoli a Broadway...”
Il
teatro. Quando era nata Ella si era dedicato al teatro a Londra e gli
era piaciuto da matti, perché era un po' come tornare ai tempi
della scuola di recitazione. Era come riscoprirsi dopo anni e anni in
cui non aveva fatto altro che recitare battute davanti ad una
telecamera, dove se sbagliava poteva ripetere come e quando voleva la
battuta. In teatro, invece, era differente. Era una sfida continua.
“E
di cosa si tratta?” domandò sentendo l'adrenalina
scorrere.
Leveaux
sorrise e disse:
“Mi
hanno detto che è un copione in cui sei molto ferrato. Si
tratta di Romeo e Giulietta. E vorrei che tu fossi Romeo!”
Non
si diede il tempo nemmeno per pensare. La bocca si aprì da
sola e pronuncio quella sillaba senza che il cervello avesse mandato
nessun impulso:
“Sì!”
Leveaux
sembrò spiazzato dal subitaneo assenso e domandò cauto:
“Sei
sicuro Orlando...?” ma l'attore lo interruppe e rispose:
“Non
sono mai stato più sicuro. Voglio farlo! Appena finisco a
Wellington parto per New York e ne parliamo per bene! Ci stai?”
Leveaux
non ci poteva credere. Aveva chiamato Orlando perché, dopo Lo
Hobbit, migliaia di ragazzine avevano ricominciato a sbavargli
dietro e questo avrebbe attirato un pubblico non solo vario, ma anche
numeroso al teatro se lui avesse accettato. E non solo aveva detto
sì, ma sembrava anche entusiasta, al punto che il regista
quasi non credeva a tanta fortuna:
“Per
me va bene Orlando. Ci vediamo allora appena torni...” e dopo
essersi salutati chiusero la comunicazione.
Orlando,
euforico per la piega che stava prendendo quel periodo che dal lato
emotivo sembrava andare a rotoli, mise il cellulare in tasca con un
sorriso ebete stampato sulla faccia.
Non
aveva percorso nemmeno dieci metri che il cellulare squillò di
nuovo. Stavolta era Samantha, sua sorella.
Sollevando
gli occhi al cielo e cominciando a chiedersi quando avrebbe avuto la
possibilità di tornare a casa rispose al cellulare:
“Pronto
Sammy. Che succede?”
Samantha
rimase qualche minuto in silenzio e rispose:
“Edith
e Jude si sono lasciati!”
Orlando
sollevò entrambe le sopracciglia e sorridendo, con velato
sarcasmo replicò:
“All'incirca
da un anno per quello che mi ricordo. Non mi stai dicendo niente di
nuovo!”
“No!”
insistette Samantha. “Ho letto su di un giornale che Jude ha
chiesto il divorzio ad Edith. Ormai non sono più marito e
moglie...”
Orlando
sentì come se un pugno di ferro gli stesse stritolando le
budella.
Se
un giornale aveva ottenuto quella notizia le cose erano due: o Jude o
Edith si erano decisi di parlare; o qualcuno aveva fatto la spia. E
per l'ultima opzione significava che la notizia non era poi così
fresca, ma cominciava a puzzare come il pesce.
“Sono
stati loro a parlarne, Sam?” domandò Orlando che quasi
aveva paura di sentire la risposta.
Samantha
sospirò e dopo quella che sembrò un'eternità
rispose:
“Una
talpa vicina alla coppia!”
Orlando
rimase qualche secondo in silenzio. Era tornato a Wellington quattro
giorni prima. E una settimana prima era con Edith. Questo significava
che la sua ex aveva parlato con Jude nello stesso periodo in cui
aveva visto anche lui.
In
breve si trovò come oppresso dalle sue emozioni: sapeva che
doveva essere felice perché, se Edith aveva davvero chiesto il
divorzio, significava che forse si cominciava ad aprire uno spiraglio
per la loro storia, ma c'era qualche cosa che guastava la sua
felicità ed era il fatto che Edith non gli aveva detto nulla.
Eppure lo aveva baciato. Eppure l'aveva sentita più vicina di
quanto non l'avesse sentita negli ultimi mesi dentro quella dannata
auto a Londra.
“Lo
posso trovare anche on-line?” chiese Orlando ormai troppo
curioso e abbastanza arrabbiato da volerne sapere di più.
Samantha
annuì con un verso e rispose:
“Controlla
su Hallo!”
“Ok!”
disse Orlando e prima di chiudere aggiunse con una certa urgenza
nella voce: “Sam?”
“Dimmi!”
ribatté la sorella.
Orlando
rimase zitto per qualche secondo. Non sapeva nemmeno come fare quella
domanda. Gli faceva troppa paura.
“OB?”
domandò preoccupata Samantha.
Orlando
si riscosse e con voce tremante chiese:
“Devo
prepararmi al peggio?”
Samantha
sorrise e rispose:
“Orlando.
Non c'è niente di peggio della morte. Quello che c'è
scritto su quel giornale può anche ferirti, ma tu devi essere
forte. Per Ella, David e Flynn”
Orlando
annuì e senza dire altro, salutò la sorella e chiuse la
chiamata.
Salì
in macchina, schivando chi gli chiedeva di andare a bere qualche cosa
al bar lì vicino, guidò come un folle verso la casa
dove stava nei mesi in cui doveva girare il film in Nuova Zelanda e
dopo aver parcheggiato, aprì la porta e si piombò nella
camera da letto dove pieno di polvere stava un notebook ultimo
modello.
Per
quanto fosse ancora un tecnofobo e fosse terrorizzato dall'idea di
avere un pc, aveva dovuto soccombere e comperarne uno. Nonostante non
riuscisse ad usarlo -e non per paura, ma perché le sue mani si
rifiutavano di correre veloci sui tasto come quelle di tutte le
persone sulla terra all'alba del Ventunesimo secolo (oltre al fatto
che sembrava che il computer prendesse vita propria quando c'era lui
davanti)- Orlando aveva imparato a gestirlo il tempo necessario per
gli usi che doveva fare, tipo navigare o semplicemente chiamare su
Skype Miranda e vedere il piccolo Flynn quando lei lo portava in giro
per il mondo.
Attese
qualche secondo che la schermata della Windows mostrasse tutti
programmi del omonimo sistema operativo, scelse la visualizzazione
classica cliccando dove gli aveva detto mille volte Samantha e
cominciò a navigare.
In
breve trovò l'articolo.
A
caratteri cubitali diceva:
EDITH
NORTON È STATA LASCIATA DA JUDE LAW.
Il
titolo capeggiava a lettere cubitali sopra le foto di Jude ed Edith
che camminavano in quella che sembrava a prima vista la stessa
strada, ma che non lo era, dandosi rispettivamente le spalle. Il
tutto condito con il segno di uno strappo aggiunto graficamente
proprio al centro della foto.
Sotto
l'articolo diceva:
“Londra.
A
quanto pare Jude ha deciso di lasciare Edith. Nonostante c'è
chi dica che lei si sia buttata sul lavoro a capofitto, una fonte
sicura dice che Jude è invece distrutto e non trova
consolazione per la fine di questa storia. Anche se, la stessa gola
profonda ammette che è stato Jude stesso a lasciare Edith,
troppo scosso dal nuovo riavvicinamento della giornalista con
l'attore Orlando Bloom, che dopo la separazione con la moglie e
modella Miranda Kerr, è volato subito sino nel Regno Unito per
parlare con Edith.
Edith
che tra l'altro sta trovando la giusta consolazione tra le braccia di
un suo nuovo amico. A quanto pare, infatti, la giornalista sta
stringendo una tenera amicizia con l'attore scozzese, protagonista
del film in uscita a breve nelle sale e ispirato da uno dei libri
della Norton e che, quindi, da più di un mese sta a stretto
contatto con la giornalista. C'è chi giura che già
siano inseparabili. Ma anche se i due smentiscono il tutto ci sono
prove fotografiche che dimostrano che Gerard ed Edith, in Scozia,
fanno coppia fissa...”
Orlando
spostò lo sguardo sotto dove in due piccoli riquadri si
vedevano le foto piuttosto sfuocate di Edith abbracciata a Gerard.
Socchiudendo
gli occhi e cercando di controllare la rabbia, Orlando si maledì
per non sapere come e cosa doveva toccare per far vedere un po' più
grande quella foto. Smanettò talmente tanto che alla fine il
computer quasi impazzì e fu costretto a spegnerlo forzatamente
per non creare ulteriori danni.
Pensando
che il giorno dopo lo avrebbe fatto vedere a qualcuno un po' più
esperto, scorato si mise a letto e guardò il soffitto. Una
parte di lui voleva prendere la macchina ed uscire, bere fino a stare
male e dimenticare almeno per quella notte quello che aveva letto.
Un'altra voleva solo stare al buio, a smaltire la rabbia che provava.
Perché
sì! In quel momento era davvero arrabbiatissimo. Come aveva
potuto Edith tenerle nascosto il fatto che avesse lasciato -o meglio
l'avesse lasciata- Jude? A cosa era servito volare per due giorni di
fila se poi finiva sempre per essere lui quello che andava con le
pacche nell'acqua?
Contò
sulle dita i giorni che mancavano per finire le riprese. Ne aveva
parlato con Peter e per quello che sapeva non sarebbero stati più
di quindici giorni. Ancora due settimane e poi sarebbe andato a casa.
Avrebbe visto anche Ella e David, che aveva potuto godersi per poco
tempo quando era in Inghilterra visto che dopo era partito quasi
subito. E magari, se Miranda voleva e se la prendeva nel verso
giusto, avrebbe portato anche Flynn per farlo stare un po' con i
fratelli. Ma soprattutto avrebbe chiesto spiegazioni. Spiegazioni ad
Edith. Una volta per tutte voleva capire che cosa frullasse nella
testa di quella donna. E voleva sapere che cosa voleva fare della
loro storia.
Stava
guardando il soffitto serio quando si ricordò di una cosa che
dopo la rabbia di quel momento aveva come cancellato. E portando una
mano sul viso tra i denti imprecò:
“Merda!
Leveaux!”
In
mezzo a bagagli persi, articoli bomba ed ex mogli acide, Orlando si
era dimenticato della proposta di lavoro più importante che
avesse ricevuto negli ultimi tempi. E che faceva slittare tutto
quello che aveva in testa di almeno qualche giorno.
Ma
la domanda era: allora avrebbe ancora trovato Edith? E provando a
dormire nonostante fosse ancora vestito di tutto punto, cercò
di non pensare che l'ultima volta che Edith aveva stretto amicizia
con un uomo c'era finita a letto e poi se l'aveva sposato.
Hola!
Come va? Sono mancata qualche giorno proprio perché non sapevo
come uscire da questo capitolo. Spero di aver spiegato un po' le
emozioni di Edith.
Comunque...
Ringrazio prima di tutto
scarlett,
chiaretta,
jodie
e
blackrose
per
le loro recensioni. Mi fa davvero piacere sapere il vostro punto di
vista ragazze e vedo che ognuna dice la sua avvicinandosi un po' di
più o un po' di meno alla realtà.
Ringrazio
anche i lettori silenti che hanno messo la storia nelle liste dei
preferiti, scelti e ricordati. E quelli che leggono e basta.
E
ringrazio Margherita,
la mia amica, che si è bevuta ALMOST FAMOUS e ora mi sta
praticamente obbligando a scrivere questa fanfiction. Ti volgio bene
anche io Marghe...
Scherzi
a parte, grazie ancora. Spero di rileggervi.
Baci.
Niniel.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo
8: Voglia di casa.
“Me
ne vado…”
Edith
sospirò guardando Gordon. Teneva in mano un giornale con un
articolo nel quale era raffigurata una di quelle immagini da
giornaletto dozzinale con tanto di strappo in mezzo a lei e Jude e
annunciava a lettere cubitali che il loro matrimonio era finito.
“Te
ne vai per questo?” disse lui indicando con un cenno del capo
il giornale che Edith aveva tra le mani.
La
giornalista annuì e sospirò di nuovo. Vedere quella
rivista l’aveva sconvolta e lo aveva fatto profondamente dal
momento che si era sentita quasi violentata da quello che era
successo. Qualcuno si era intrufolato nella sua vita e aveva scattato
delle foto a lei e Gerard cogliendo uno dei momenti più duri
della sua vita, pari –forse- solo al momento in cui il padre
aveva avuto un infarto.
“Non
posso accettare che la mia vita venga messa così in piazza per
rendere meno opprimente la vita di una casalinga oppressa e
insoddisfatta. Non posso accettarlo, Gordon. Non posso chiederti di
aumentare la sorveglianza. Non posso chiederti di aumentare il numero
di guardie al controllo del perimetro in cui viviamo perché so
che sono momenti difficili e che anche il cinema sta risentendo di
questa dannatissima crisi… Ma mettiti nei miei panni. Ho due
figli a casa. Una dei due sa persino leggere e scrivere. Non
sopporterei che venga a conoscenza di notizie, per di più
fasulle, attraverso un giornale… Ecco perché me ne vado
Gordon. Non avertene a male… Ma proprio non posso rimanere!”
“Capisco!”
disse Gordon annuendo. E sospirando guardando Edith dritto negli
occhi le chiese:
“E
come farai per il lavoro. Non puoi lasciarci in alto mare… Non
nel bel mezzo delle riprese!”
Edith
annuì e rispose:
“Ho
già pensato a tutto. Lavorerò come ho fatto qua
seguendo la redazione via Skype. Possiamo tenerci in contatto ogni
momento. O al computer o per cellulare se vuoi. Compatibilmente ai
miei impegni di lavoro. La vita di un direttore di giornale non è
semplice come si pensa. Non scriviamo solo editoriali…”
Gordon
sorrise tirato più per circostanza che perché si fosse
divertito alla battuta di Edith.
Era
preoccupato, la giornalista lo poteva vedere, e stava pensando ai
suoi interessi e a quello che avrebbe significato non avere Edith lì
con loro. E ritardi nella lavorazione era il primo allarme
rosso che stava lampeggiando nella consolle dentro la sua testa.
“Farò
in modo che tutto vada bene. Non voglio che le cose precipitino e che
possa passare per una diva antipatica, poco seria, inaffidabile e
capricciosa senza sapere i veri motivi per cui ho detto addio…”
Gordon
la guardò poco convinto ed Edith quasi si sentì in
obbligo di precisare:
“Se
servirà verrò anche qui… stai tranquillo! Ma
adesso devo andare. Sono una madre, anche, e questa lontananza da
miei figli mi sta uccidendo!”
Gordon
annuì e abbracciando Edith disse:
“Mi
spiace che sia successo tutto questo casino, Norton! Davvero!”
Edith
annuì e con gli occhi lucidi si staccò dal regista e si
congedò con una scusa un po’ stiracchiata. Si allontanò
pensando se fare o no le valigie, quando il cellulare prese a
squillare.
Lo
prese dalla tasca e lesse il display.
Era
Orlando.
“Che
diavolo significa tutto questo?” esordì l'attore di
Canterbury.
Orlando
si sentiva il cuore battere nelle orecchie. Aveva fatto i conti e
aveva messo la sveglia per poter chiamare Edith e parlare con lei. E
quando sentì la voce della ragazza il cuore gli salì un
attimo in gola e la rabbia esplose come una diga distrutta dalla
potenza dell’acqua.
Si
sentiva preso in giro, di nuovo. E non lo poteva sopportare.
Dall’altra
parte Edith sospirò. Orlando sapeva e capiva il perché
di quel sospiro. Capiva perché e per un attimo si sentì
perfino in colpa, ma era davvero troppo infuriato. Si era trovato in
quella situazione altre volte e non aveva saputo gestirla. Ora non
avrebbe fatto la parte del pagliaccio. Avrebbe agito e avrebbe
riparato agli errori che aveva commesso in precedenza. Il suo
matrimonio con Miranda era naufragato anche per quello: lo spettro di
Edith e della sua relazione con Orlando era stato talmente presente
che aveva rovinato tutto già dal primo momento il rapporto con
Miranda. La modella si era da subito dimostrata gelosa di Edith. E
Orlando doveva ammettere che Miranda aveva sempre avuto ragione. I
continui tira e molla di Edith con Jude c’erano stati anche a
causa dell'attore di Canterbury. Non era mai riuscito a mascherare il
fastidio che provava quando vedeva una qualsiasi foto di Edith e Jude
assieme e appena poteva faceva di tutto per mettersi in mezzo, senza
mai però riuscire ad evitare l’inevitabile. Aveva
cercato di bloccare le nozze tra i due andando a casa di Edith il
giorno del matrimonio, chiedendole espressamente di lasciare Jude e
di tornare con lui, ma tutto era stato inutile. L’aveva vista
sposarsi con un altro uomo che aveva cresciuto suo figlio come se
fosse suo.
Ora
che quell’uomo se n’era andato non poteva accettare che
un altro si mettesse in mezzo. Anche se Edith sosteneva che era solo
un amico, Orlando non voleva rischiare di nuovo.
“Che
cosa, OB?” domandò stanca Edith.
La
domanda della ragazza non aiutò Orlando che esplose di nuovo e
gridò:
“Cazzo
Edith! Mi prendi in giro? Non dirmi che non hai visto quel giornale?”
Il
peso del tradimento, l’ennesimo, anche se non fisico, gravava
su Orlando e sul suo orgoglio talmente grande da riempire un palazzo
ma ferito troppe volte da non sopportare di essere messo di nuovo
alla berlina dal primo giornaletto scandalistico.
“Non
ti sta prendendo nessuno in giro, Orlando. Lo sai… Come sai
che se non ti ho detto che mi sono separata è solo perché
quando l’ho saputo eri già partito. E con quello che mi
è successo, penso, qualsiasi essere umano sarebbe incappato
nell’errore di dimenticare di avvisare il proprio o la propria
ex di aver messo fine al proprio matrimonio…”
Ecco.
Ora si sentiva uno stupido. Edith ci riusciva sempre con due parole
lo faceva sembrare un bambino capriccioso, incapace di vedere oltre
il proprio naso. Proprio come in quel momento. Mettendola in
quell’ottica, Orlando, non sapeva se fosse poi così
intelligente fare la parte del ragazzo ferito quando i problemi di
Edith erano mille volte i suoi.
“E
perché ti hanno ripresa stretta a quell’energumeno?”
domandò con un tono di voce più basso, ma comunque
piccato.
Edith
rimase un attimo zitta poi sorrise divertita e domandò a sua
volta:
“Non
sarai mica geloso di Gerard?”
Quella
domanda portò il sangue di Orlando a livelli di ebollizione
che ancora non aveva toccato. Certo che era geloso. Cosa pensava? Che
avrebbe fatto passare in cavalleria il fatto che un altro uomo si
stava mettendo di nuovo in mezzo tra lei e lui?
“Non
farò la parte dello spettatore per l’ennesima volta,
Norton. Con Jude ho lasciato correre per troppo tempo. Ed è
finita come è finita. Stavolta farò di tutto perché
le cose vadano come voglio io e non come vuole l’ultimo
arrivato. Non farò di nuovo gli stessi errori!”
Edith
rimase in silenzio e questo bastò per aumentare il senso di
potere dell’attore che attaccò di nuovo, come una belva
inferocita, nonostante tenesse un tono di voce molto basso.
“Adesso
basta Edith! Sono stufo. Stufo di aspettare di stare appeso come un
cretino a cercare di capire cosa provi per me. È arrivato il
momento in cui tu prenda una volta per tutte una decisione perché
voglio capire dove andrà a finire la nostra storia! Voglio
sapere se per me e per te c’è di nuovo un futuro. Non
posso seguire per sempre una donna che non fa altro che illudermi. Ho
lasciato Miranda per te…”
“Senti
bello!” lo interruppe Edith con tono tutt’altro che
conciliante. “Tu lo sai benissimo che non è colpa mia se
tu e quella squinzia vi siete lasciati. Non sono io che m’infilavo
nelle mutande di tutte le ragazzine con pretese da grandi dive del
cinema. E non sono nemmeno io che facevo scene plateali con chiunque
si calasse le brache davanti a tua moglie. Tu e Miranda avete
sbagliato a mettervi insieme, punto e basta. Che tu lo voglia capire
o no! Ma non mi dare la colpa per qualcosa che, una volta ogni tanto,
non ho voluto io… puoi darmi le colpe di tante cose, ma non di
questo. Per quello avete fatto benissimo da soli!”
Orlando
rimase un attimo in silenzio. Edith aveva colpito e affondato.
“Ho
altri problemi per il momento, ben più gravi. E non penso che
dirti se ti amo o no sia una delle mie più grandi priorità,
almeno al momento. O ti devo ricordare quello per cui sono andata a
Londra?”
“Lo
so il motivo per cui se andata a Londra qualche giorno fa, visto che
c'ero anche io con te!” replicò Orlando piccato.
“Bene!
Ma forse non sai tutto dal momento che dopo che tu mi hai baciata,
dopo che Jude mi ha lasciata, ho scoperto direttamente da mia madre
che è malata di cancro. Di un cancro incurabile e non lo vuole
dire a mio padre. E sono l'unica dei tre fratelli Norton a conoscenza
di questo segreto!”
Orlando
dall'altra parte si sentì definitivamente uno stupido. Non
sapeva -non poteva sapere, in effetti- quello che era successo, ma
egoisticamente aveva anteposto il suo ego ferito e non aveva chiesto
niente, aveva aperto la bocca e sputato veleno contro Edith incapace
di pensare, anche solo per un momento, che forse le cose fossero
andate diversamente da come potevano apparire nelle foto.
“Io...
Io non sapevo... Non potevo sapere!” balbettò Orlando
come scusa.
“Appunto!
Non potevi sapere. E non ti faccio una colpa di questo. Voglio solo
che tu possa capire che in questo momento non ho voglia di pensare a
nient'altro che a mia madre e alla mia famiglia. Non ho il tempo e la
voglia di pensare a come rimettere insieme i cocci di una storia
finita, immagina se ho le forze di pensare a stare con un altro
uomo... Non voglio essere cattiva, Orlando, ma ho bisogno dei miei
spazi, in questo momento più che mai!”
Orlando
boccheggiò. Non gli aveva chiesto mai una cosa del genere.
Aveva messo fine alla loro storia direttamente, senza mezze misure,
senza pause di riflessione, oppure era scappata, lontano, senza farsi
vedere né sentire per tanto tempo.
“Questo
significa che non vuoi più stare con me?” domandò
intimorito Orlando.
Edith
sospirò e rispose, con lo stesso tono che usava con i bambini
per tranquillizzarli e che Orlando cominciava a sentire spesso
rivolto nei suoi confronti-:
“OB!
Non ti ho detto che non voglio stare più con te. Ti ho solo
detto che non ho la forza mentale di pensare a nient'altro... Puoi
capire? Puoi aspettare che le cose si mettano al proprio posto?”
Orlando
non rispose ed Edith prese quel silenzio come una risposta
affermativa e continuò:
“Comunque
sto tornando a Londra. Se vuoi possiamo parlarne quando ci vediamo.
Tu mi hai detto che stavi finendo le riprese in Nuova Zelanda...”
“Devo
partire a New York per fare una tournée con David Leveaux. Mi
prenderà molto tempo e penso che mi trasferirò lì
per un po'!” bisbigliò Orlando a mò di scusa.
“Che
bello!” esclamò Edith e Orlando non poté non
notare che il tono della giornalista parecchio sollevato da quella
notizia. E questo infastidì l'attore che cercò in tutti
modi di far finta di non aver sentito e sorridendo rispose:
“Si! È una buona
opportunità di lavoro. Mi aiuterà a mettermi di nuovo
in luce!”
Edith
fece un piccolo verso di approvazione e disse:
“Allora
ne riparliamo appena uno dei due potrà raggiungere l'altro. Te
lo prometto!”
Orlando
sospirò e disse:
“Ok!”
“Ora
devo andare!” replicò Edith.
Orlando
la salutò mestamente e mentre Edith stava per chiudere disse:
“Edith!”
“Sì?”
Orlando
esitò qualche secondo e poi rispose:
“Tra
te e Butler non c'è niente, vero?”
Edith
sorrise, stavolta divertita, come quando litigavano e lo prendeva in
giro e dolcemente rispose:
“Gerard
è solo un amico. Puoi stare tranquillo!” e salutandolo
di nuovo chiuse la chiamata.
Orlando
rimase con il cellulare attaccato all'orecchio per qualche secondo,
poi sospirando, si guardò intorno. Edith aveva la capacità
di svuotarlo da ogni pretesa, di mettersi in vantaggio in ogni
discussione. Aveva la capacità di farlo sentire un bambino
stupido ogni volta che litigavano.
E
anche in quel momento si sentì uno stupido, mentre qualcuno
per strada passava con lo stereo a palla ascoltando 'With or
without you' degli U2.
“Allora
è vero!”
“Sì!
L'ho sentito dire da Mark, il primo assistente di Gordon. Edith se ne
va. Penso che sia per colpa di quelle foto che sono state pubblicate
su Hallo qualche giorno fa!”
“Le
ho viste! Allora è vero che ha una relazione con Gerard
Butler?”
“Non
lo so. Mark di quello non mi ha detto niente. Quello che so è
che Edith non ce la fa più a reggere il peso di tutta questa
attenzione sulla sua vita. Ha detto a Gordon che ha dei figli e che
non vuole che sappiano quello che le capita attraverso un giornale
scandalistico!”
“Certo!
Come se fosse colpa degli altri e non la sua. Che faccia tosta che
hanno questi vip. Prima vanno a letto con chiunque, fanno figli con
altri e poi danno la colpa ai giornali... Mi fanno solo ridere!”
Gerard
era dietro alle due costumiste e dovette schiarire la voce per
palesare la sua presenza e per far smettere quelle oche di sparlare
di lui e di Edith come se niente fosse. Le due si voltarono e fecero
un'espressione talmente buffa che l'attore si sarebbe messo
volentieri a ridere se la situazione fosse stata differente. Invece
guardò le due allontanarsi con la faccia che stava prendendo
una leggera sfumatura color pulce e si guardò intorno.
Edith!
La cercò con lo sguardo. Voleva sentire direttamente da lei se
quello che avevano appena detto quelle due cretine fosse vero.
Si
aggirò come un fantasma per il set, cercando la giovane, senza
però trovarla. Andò in camera di lei. Non la trovò
nemmeno lì. Solo alla fine ebbe un lampo di genio e andò
al mare, dove per la prima volta avevano parlato, o meglio si erano
urlati contro di tutto e di più.
E
la trovò lì, con lo sguardo vuoto, le gambe strette
vicino al petto e i capelli mossi dal vento.
“Norton?”
Edith
si voltò e lo guardò. Il suo era uno sguardo pieno di
dolore e gli occhi erano carichi di lacrime. Gerard si avvicinò
e mettendosi a sedere vicino a lei, chiese con voce seria:
“È
successo qualche cosa a tua madre?”
Edith
lo guardò sedersi accanto a lei e quando l'attore formulò
la domanda scosse la testa in risposta. Gerard la guardò di
nuovo e a voce bassa, disse:
“Ho
sentito dire che te ne vai. È vero?”
Edith
sospirò e avvicinò le gambe al petto, stringendole
ancora più forte. Annuì e disse:
“Ho
voglia di casa in questo momento. Ho bisogno del mio salotto dove mi
posso chiudere e riflettere senza essere disturbata da nessuno. Ho
bisogno dei miei due figli. E ho bisogno di stare vicino a mia madre.
E qua non ci riesco. Non posso proprio. Ecco perché ho chiesto
a Gordon se potevo seguire il lavoro da Londra. Non ce la faccio più
Gerard. Sono stanca... Voglio solo tornare a casa!” e dicendo
quelle ultime parole scoppiò in un pianto dirotto, poggiando
la testa sulla spalla dell'attore.
Gerard
l'abbracciò e sospirò accarezzandole i capelli e
poggiando la sua testa contro quella della giornalista. Si sentì
come svuotato. Per quanto si beccassero sempre, Edith era stata per
lui una guida, un appoggio in quei giorni in cui la lontananza da
Madalina si faceva sentire. Era stata l'unica con cui si era
confidato e la cosa era stata vicendevole. Aveva stretto una
bellissima amicizia con Edith e sapere che non sarebbero stati a
stretto contatto lo avviliva parecchio. Ma capiva che in quel momento
quella era la scelta migliore che Edith potesse fare. C'era passato
con suo padre quando si era ammalato e sapeva cosa voleva dire vivere
senza avere la minima certezza del domani, il dover vivere ogni
minuto come se fosse l'ultimo. Abbracciò Edith più
forte e baciandole la fronte disse:
“Qualsiasi
cosa tu abbia bisogno, anche solo stare al telefono senza parlare, a
qualsiasi ora della notte e del giorno... Sappi che con me lo puoi
fare. Davvero. Per qualsiasi cosa, a costo di mettermi in viaggio e
raggiungerti a Londra, chiama. Io sarò lì per te.
Promesso”
Edith
annuì e si tranquillizzò, affondando un po' la testa
nel golf di Gerard. E si perse nei pensieri e nel profumo dell'attore
scozzese senza rendersi conto che in quel momento si stava cacciando
in una ragnatela fitta come le trame di quel caldo indumento.
Jude
stava trangugiando l'ennesimo sorso del suo drink, quando sentì
qualcuno avvicinarsi e dire:
“Per
oggi può bastare dude. Alza il tuo culo floscio da questa
dannatissima sedia e smettila di fare la vedova inconsolabile!”
Jude
si voltò e vide l'ultima persona che si aspettava di vedere:
la sua ex moglie Sadie Frost che lo guardava con rimprovero.
“E
tu come facevi a sapere che ero qua?”
Sadie
sorrise e mettendosi a sedere disse:
“Ubriacarsi
in un pub di Mayfair non aiuta, caro Jude. Specialmente con una ex
moglie che qualche tempo fa ha avuto qualche problemino con
l'alcool.”
Jude
scosse la testa e rispose serio:
“Non
è divertente!”
“Non
lo è? Invece penso proprio di sì. A parte il fatto che
mi fa ridere che una ormai ex alcolista sia in uno dei suoi pub
preferiti. E la cosa che mi diverte di più è che è
stato proprio Jeff, il titolare a chiamarmi dopo che ti sei scolato
la quarta Guinness senza battere ciglio. Mi fa anche ridere il fatto
che intuisco il motivo per cui tu sia qua a bere come una spugna e
che proprio io sia venuta a consolarti. Cosa non trovi ancora
divertente?” replicò Sadie con sarcasmo, poggiando i
gomiti sul tavolo mentre elencava le sue motivazioni.
“Piantala
Sadie!” replicò punto Jude.
La
donna lo guardò sollevando un sopracciglio e disse:
“Sei
uno straccio Jude. E per quello che ha detto Ewan sei stato tu quello
che se n'è andato sbattendo la porta, non lei...”
“Lei
se n'è andata sbattendo la porta dopo l'incidente. Dopo che ho
detto ad Orlando che Dave era suo figlio e non il mio!”
“Su
quello conoscevi la mia posizione già allora. La colpa è
solo la tua mister Law. Dovevi andartene quando potevi. A quest'ora
non saresti in mezzo ad un divorzio ma ad una storia di sesso con
qualche modella o attrice di dubbio gusto dieci/quindici anni più
giovane di te!”
“Quella
delle storie di sesso sei tu. Non sono io che andavo a letto con Kate
Moss qualche anno fa!”
“Certo!
E a te rode ancora che non ti abbiamo invitato nella nostra camera
d'albergo quando lo hai espressamente richiesto...”
Jude
sorrise per l'ultima affermazione della moglie e Sadie stessa rimase
colpita dicendo:
“Sbaglio
o sono riuscita a fare una cosa che in tutti gli anni che siamo stati
sposati non mi è mai riuscita? Stai sorridendo!”
“Mi
hai fatto ridere spesso, Sadie!”
Sadie
schiocco la lingua e rispose sincera:
“Ero
io quella che si tagliava i polsi con le forbici a tempo perso, Jude.
O te ne sei dimenticato?”
“Sei
sempre stata così diretta o lo sei diventata con la rehab?”
I
due sorrisero e Sadie facendosi seria disse:
“Andiamo
Jude. Non puoi buttarti giù per una donna. Non tu che ti
scopavi la nanny dei nostri figli mentre stavi con la donna che ha
messo fine al nostro matrimonio!”
Jude
scosse la testa e stava per ribattere quando Sadie disse:
“Sì!
Te lo rinfaccerò per sempre!” e sorridendo aggiunse:
“Andiamo a casa che ti offro un bel caffè nero doppio!”
e senza aspettare lasciò Jude al bancone che non poté
far altro che pagare il suo conto e seguire la scia di profumo che la
sua ex moglie lasciava dietro di sé.
Edith
caricò la valigia in macchina e si voltò verso Gerard
che la guardava serio con le braccia incrociate al petto.
“Chiama
quando arrivi!” disse lui abbracciandola non appena le fu
vicino.
Edith
annuì e dovette far leva su tutta la sua forza di volontà
per non sciogliersi per l'ennesima volta in lacrime davanti
all'amico.
“E
chiama quando stai facendo la lavatrice e la centrifuga è
troppo lunga” sorrise baciandole la fronte.
Edith
rise e si strinse più forte a Gerard. Si sentiva strana.
Voleva tornare a casa, aveva voglia di stare con Ella e Dave, ma non
capiva perché gli costasse tanta fatica dover salutare Gerard.
Si
strinse ancora un po', aspirando forte il suo profumo, quando
l'autista del taxi domandò:
“Signora?
Dobbiamo andare?”
Edith
si voltò con l'impulso di schiaffeggiare quell'uomo invadente,
ma la ragione la fece trattenere. Sorrise a Gerard e passando una
mano sul viso disse:
“Io
parto Butler. Mi raccomando! Non importunare tutte le donne che ti
capitano a tiro fischiettando canzoncine sconce”
I
due risero e Gerard baciando la testa di Edith ammise sottovoce:
“Mi
mancherai Norton!”
“Anche
tu Butler!” rispose Edith mentre un nodo saliva alla gola. Si
staccò e sospirando disse: “Le Highlands mi
mancheranno!”
Gerard
annuì e disse:
“In
bocca al lupo Norton. Almeno per il momento...”
“E
poi?” domandò con una punta di malizia Edith.
“Poi
ci sarò anche io. E per allora non ci sarà bisogno che
nessuno ti porti in salvo!” spiegò serio Gerard.
Edith
sorrise. Il nodo diventò sempre più difficile da
buttare giù. Si doveva staccare da Gerard o non avrebbe
trovato il coraggio di partire.
Lo
fece suo malgrado ed entrando in macchina salutò con una mano
l'attore che rispose sollevando il braccio sorridendole.
Le
lacrime pungevano gli occhi e il dolore lasciò piano piano il
posto ad un altro sentimento. La paura.
Paura
di quello che poteva succedere una volta tornata a Londra. Paura di
affrontare Orlando o la trafila giudiziaria e mediatica che avrebbe
seguito inevitabilmente il suo divorzio con Jude. E stranamente la
paura di stare lontana da Gerard. Per la prima volta si rese conto
che Gerard era una presenza a cui non poteva rinunciare, quello che
lei per prima aveva definito uno scoglio -seppur spigoloso- a cui
aggrapparsi in quel mare in tempesta che era la sua vita. E ora che
si stava staccando da lui, aveva quella strana sensazione di paura
che l'attanagliava. E, se possibile, la spaventava ancora di più
perché la metteva davanti ad un vaso di Pandora che se avesse
malauguratamente aperto sarebbe inevitabilmente esploso rendendo la
sua situazione attuale più difficile di quello che pensava.
E
mentre guardava le colline verdi scorrere davanti a lei capì
che quella tranquillità che stava lasciando un giorno
l'avrebbe rimpianta.
Ed
eccomi qua.
Lo
so che sono mancata per tantissimo tempo e sono davvero
imperdonabile.
È
stato un momento molto difficile e
aggiungiamo
che la tecnologia non mi ha aiutata ha fatto sì
che
fossi latitante per più di un anno.
Ringrazio
chiunque mi ha mando un messaggio privato chiedendomi di
continuare
la mia storia.
Chi
mi ha semplicemente messo mi piace sulla pagina FB
di
Niniel82.
Spero
che ci sia ancora qualcuno che segue la mia storia.
Prometto
che da ora in poi cercherò di postare un po' di più.
Nel
frattempo …
Alla
prossima,
che
prometto non sarà tra un anno.
Baci.
Niniel.
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo
9: Il seme del dubbio
Quando
la porta di casa si chiuse alle sue spalle, Edith lasciò
andare la borsa sul pavimento e sospirò affranta. Era come se
in quelle ultime settimane fosse invecchiata di mille anni e che
tutto quello che le era successo fosse passato su di lei come un tir
lanciato a folle velocità lasciandola con tutte le ossa rotte.
Per
quel motivo aveva deciso di non andare subito a casa di suo padre a
prendere Ella e David. Aveva bisogno di qualche ora per capire, per
digerire un po' tutto, per cercare di fare ordine nelle sue cose e
specialmente nella sua vita.
Si
guardò intorno e una fitta le attanagliò lo stomaco.
Era disagio più che dolore, mentre ricordava quello che Jude
le aveva detto proprio in quel salotto qualche giorno prima.
“Ti
lascio libera!”
Da
cosa Edith non lo aveva ancora capito.
Sapeva
dentro di sé che non sarebbe mai stata libera, che non sarebbe
mai riuscita a mettere un po' d'ordine nella sua vita. Aveva fatto
volontariamente e no troppi casini per poterci riuscire. In tutto
questo, anche se sapeva di non poter raggiungere il Nirvana, voleva
almeno provare a raggiungere una parvenza di felicità. Ma
sempre dentro di lei una vocina maligna le suggeriva all'orecchio che
non sarebbe stato poi così facile. Sapeva che qualche cosa
stava cambiando, che era impossibile che la rottura definitiva con
Jude non avesse avuto notevoli strascichi, che solo il pensiero di
mettere le cose al proprio posto con Orlando le faceva venire un
attacco di panico da manuale. E sentiva che l'unica persona che
riusciva a capirla era Gerard. E questo la spaventava, perché
era anche l'unica che le mancava davvero.
-Edith!
Non ci pensare nemmeno a incasinarti la vita. Non un'altra volta-
pensò tra sé e sé.
Eppure
dentro di lei lo sapeva che lo stava già facendo. Per tutto il
viaggio non aveva pensato una sola volta a tutto quello che
l'aspettava una volta a Londra, ma alla persona che stava lasciando a
Wick.
-Non
posso crederci. Non posso essere così stupida!- pensò
lasciandosi cadere sulla poltrona e guardando le sue décolleté
a punta, lucide.
Nel
silenzio della sua casa cercò di capire, di pensare a cosa le
stesse succedendo. Il peso delle sue emozioni gravò sul suo
cuore già dal primo minuto, schiacciandolo. Ma doveva farlo.
Doveva capire perché non aveva fatto altro che cercare Gerard,
che pensare a Gerard quando succedeva qualcosa di brutto.
-E
pensare che lo odiavi all'inizio. Proprio come Orlando!-
Ecco!
Appunto. Lo aveva odiato come Orlando. Come per il suo grande amore
c'era stato uno scontro niente male all'inizio ed Edith aveva pensato
più di una volta di prendere a calci quell'insolente di uno
scozzese. Poi, come per Orlando, aveva capito che di Gerard si poteva
fidare. Erano diventati l'uno la spalla dell'altra.
In
un silenzio attonito, Edith cercò di non pensare che troppe
cose somigliavano alla sua storia con Orlando. E in quel silenzio
cercò di scacciare i ricordi di chi, anni prima, ogni volta
che litigava con Orlando, ogni volta che succedeva qualche cosa che
palesemente andava ben oltre l'amicizia, diceva loro che erano andati
troppo avanti, che non potevano essere più definiti amici.
Prese
il cellulare, spaventata e scorse la rubrica. Tra le ultime chiamate
c'era Rachel. Guardò il contatto con il pollice sospeso, quasi
pronto a chiamare. Non lo fece. Mise il blocca schermo e andò
verso il bagno. Si spogliò come faceva nella sua vecchia casa
di Piccadilly, lasciando un capo per terra ad ogni passo che faceva e
dopo aver aperto i rubinetti e aver fatto scorrere l'acqua calda,
sciolse i capelli e si gettò sotto il getto ristoratore,
cercando -invano- di cacciare via i pensieri, ma senza riuscirci. Si
sentiva combattuta, spaventata, confusa. Specialmente confusa.
Eseguì
i riti della doccia senza dare la cura necessaria che metteva ogni
volta. Asciugò i capelli e li piegò in una coda alta.
Non si truccò e si vestii senza guardare realmente quello che
stava indossando. Poi chiamò il padre.
Era
pronta per tornare ad essere mamma a tempo pieno.
Quando
Edith aprì la porta di casa diede un lungo e profondo respiro.
Negli anni in cui lei e suo padre avevano litigato, quando le cose
non le andavano bene aveva sempre sentito il bisogno di quella casa,
di quello che per lei era stato un rifugio sicuro.
Per
anni aveva lottato contro se stessa e il suo orgoglio per non tornare
indietro, per non essere lei la prima a chiedere scusa, ma questo
l'aveva usurata e solo quando grazie ad Orlando era riuscita a far
pace con il padre, un po' di quella ruggine che si era depositata sul
cuore era andata via come per magia. Da allora, sempre, quando
succedeva qualcosa di grave, si rifugiava dai suoi genitori: era
successo quando aveva lasciato Orlando, quando aveva cercato una casa
per andarsene da Londra e rifugiarsi in un posto sicuro, lontano da
Jude e Orlando.
Ora
però, per quanto un po' di tranquillità l'avesse
magicamente pervasa, Edith sentiva che c'era qualcosa di sbagliato,
che qualcosa era irrimediabilmente cambiato. Ed Edith sapeva che
cos'era.
Sua
madre non era lì, per la casa non si spandeva il profumo dei
suoi buonissimi manicaretti o del suo profumo. Sembrava quasi che
perfino la luce fosse diminuita nel grande salotto stipato di mobili
semplici e con le pareti che nonostante fossero state ridipinte più
e più volte non si erano mai allontanati dal color avorio.
“Mamma!”
gridò una vocina dalla cucina e subito seguita dallo
scalpiccio di piccoli passi.
Edith
sorrise e chinandosi allargò le braccia accogliendo prima Ella
e la sua cascata di riccioli neri e David, che sì, aveva dei
tratti che appartenevano ad Edith e alla sua famiglia, ma come per
Ella, stava cominciando ad essere la copia sputata del padre.
“Mamma!
Sei tornata!” strillò Ella piena di gioia.
Edith
annuì con gli occhi lucidi e David tese le braccia e con il
suo inglese stentato, come quello di tutti i bambini di appena tre
anni, disse:
“Mamma.
Mamma pappa!”
Edith
rise e strinse tutti e due, sorridendo commossa, e sottovoce disse:
“Dio
mio! Come mi siete mancati!”
Stava
ancora stringendo i figli quando vide un'ombra oscurare l'uscio.
Sollevò lo sguardo verso quella direzione e vide il padre. O
meglio lo spettro di quello che era suo padre.
Di
Patrick Norton non era rimasto nulla. Dopo la separazione da Eloise,
il dolore aveva lasciato segni probabilmente indelebili su di lui che
aveva perso in pochissimo tempo molti chili e dava l'impressione di
aver reso la sciatteria una sua prerogativa. Vederlo così rese
Edith ancora più preoccupata: sapere che suo padre non stava
bene la spaventava parecchio dal momento che ancora non riusciva a
rendersi conto a pieno del fatto che stava irrimediabilmente perdendo
sua madre.
Si
avvicinò al padre e gli baciò la guancia, sospirando
grata di trovare qualcuno in carne e in ossa piuttosto che un
fantasma.
“Come
stai?” gli chiese con un filo di voce.
Patrick
sospirò e gli occhi gli si fecero di nuovo lucidi. Guardo la
casa, quasi questo gli bastasse per trovare Eloise come se non se ne
fosse andata via ma si fosse nascosta dietro un mobile, pur sapendo
che non era possibile.
“Vado
avanti. I bambini mi hanno aiutato parecchio in queste settimane... E
anche Paul ed Emma... Mi sono stati vicini...”
Edith
annuì e sistemando il colletto della camicia del padre, disse:
“Tranquillo
papà. Ci sono anche io con te adesso... Non ti lascio solo!”
Il
padre la guardò negli occhi. Fisso, in silenzio. Edith
conosceva lo sguardo di suo padre, sapeva che poteva sondare dentro
la sua anima e vedere i suoi segreti più profondi. Era stato
lui a rendersi conto anni prima, che Edith non amava esibirsi in
pubblico e che il piano non era la sua strada. Ma allora aveva fatto
finta di niente e aveva aspettato che fosse la figlia a fare la prima
mossa, quella che li mise l'uno contro l'altro per tanto tempo.
In
quel momento, invece, gli occhi di Patrick si puntarono su dentro
quelli di Edith e sollevando il viso della figlia con una mano, le
chiese serio:
“Sai
qualcosa che io non so Edith?”
Edith
si maledì mentalmente. La sua sensazione di essere nuda
davanti all'uomo che le aveva dato la vita non era poi così
sbagliata. Suo padre la conosceva come se fosse un libro aperto.
“Perchè?”
chiese fingendo stupore.
Patrick
la guardò e disse:
“Hai
la stessa espressione di quando i tuoi fratelli combinavano qualcosa
e tu nascondevi le loro malefatte!”
Edith
sorrise e cercando di nascondere tutto con un sorriso, disse:
“Non
so niente papà. Sono solo mille problemi. Mille. Orlando che
non mi da tregua, Jude che se n'è andato via...”
Patrick
annuì e poggiandole una mano sulla spalla, scusandosi le
disse:
“Scusami
Edith! Scusami! È che da quando tua madre è andata via
mi sento come se qualcosa non quadrasse, come se qualcosa mi venisse
nascosto!”
“Papà!
Nessuno ti sta nascondendo niente. Davvero!” e baciandogli di
nuovo la guancia aggiunse: “Mi hanno detto Emma e Paul che
dovrebbero venire a pranzo. Che hai preparato?”
Patrick
la guardò con terrore e la ragazza, ridendo, replicò:
“Ok!
Chiamiamo un'agenzia di catering. Almeno siamo sicuri che mangiamo
qualcosa di buono!” e avvicinandosi al telefono cominciò
a sfogliare l'agenda telefonica cercando il numero di qualche
ristorante per ordinare qualcosa take away.
L'atmosfera
in casa Norton era gioviale come non lo era da anni, ormai.
Non
erano mai stati una famiglia dal passato semplice. Liti e distacchi
dolorosi avevano reso la storia passata dei Norton un'epopea che
avrebbe fatto un baffo perfino ai sovrani di Gran Bretagna. Con tutto
il rispetto per la Regina, naturalmente.
Nonostante
questo c'era qualcosa che stonava. Edith se ne rendeva conto. Per
quanto ridessero, per quanto i bambini corressero da una parte
all'altra animando la casa con le loro voci cristalline, Edith sapeva
che ogni adulto portava un peso segnato indelebilmente dalla partenza
di Eloise. E lei, Edith, che sapeva il vero motivo, si sentiva in
colpa. Terribilmente in colpa. Sapeva, dentro di sé, che
tenere nascosto a suo padre il vero motivo per cui la moglie se
n'era andata era sbagliato, anche se capiva il desiderio di sua madre
di non voler far vedere a suo marito il suo corpo straziato dal
dolore, dai medicinali e, inevitabilmente dalla malattia e dalla
morte. Nonostante questo si sentiva colpevole guardando Patrick. In
quegli ultimi giorni gli aveva negato di passare con la moglie quelli
che diventavano gli ultimi giorni per lei e quel tempo perso non
glielo avrebbe dato nessuno indietro. Si guardò intorno e
cercò i visi dei fratelli. Anche loro erano all'oscuro di
tutto, ma stavolta un altro pensiero la opprimeva. Eloise le aveva
dato il compito di dire loro che la loro madre stava morendo e che
quello era il vero motivo per cui aveva messo fine al matrimonio.
In
quel preciso momento sentì una furia cieca ma silenziosa
montare dentro di lei. Come aveva potuto, sua madre, essere così
egoista? Come aveva potuto chiederle di nascondere a suo padre una
verità così ingombrante e al contempo chiederle di dire
tutto ai suoi fratelli, senza pensare a quello che avrebbe voluto
dire per lei, in quel preciso momento della sua vita, avere un peso
del genere sulle spalle?
“Tutto
bene?”
Edith
si voltò e guardò Emma, sua sorella. In lei qualcosa
era cambiato: era sempre bellissima e sensuale come quando calcava le
passerelle, ma nei suoi occhi c'era solo un'immensa tranquillità.
Da quando Clay era entrato nella sua vita tutto era cambiato, lei era
cambiata. Lo spettro dell'anoressia era diventato un lontano ricordo,
aveva persino smesso di andare da uno psicologo. Aveva cominciato ad
aver davvero fiducia in se stessa e non a mostrare una faccia diversa
a seconda della collezione con cui sfilare. Di quella piccola figura
esile che guardava Edith con arroganza su di una poltrona in un
centro di recupero a New York era rimasto davvero poco. Davanti a lei
c'era una donna e questo rendeva la giovane giornalista orgogliosa
dei progressi e dei cambiamenti che aveva fatto sua sorella nella sua
vita.
Posò
una mano su quella di Emma e disse:
“Mi
dai una mano?”
Emma
corrugò la fronte e senza domandare niente seguì la
sorella, prendendo alcuni piatti vuoti dalla tavola. Edith fece lo
stesso e si eclissarono in cucina.
Una
volta poggiato tutto sul tavolo di legno al centro della cucina e
aver socchiuso la porta, Edith si poggiò al muro e passando
una mano sulla faccia, disse:
“Non
voglio fare troppi giri di parole. So perché la mamma se n'è
andata dalla zia Mag!”
Emma
corrugò la fronte proprio come aveva fatto a tavola qualche
secondo prima. Aveva capito che qualche cosa non andava e sapeva che
quella che stava seguendo era una confessione, o almeno l'inizio di
quella che doveva essere una confessione.
“Ho
promesso alla mamma che vi avrei detto il vero motivo. Però
non posso farlo adesso!”
“Perchè?”
La
voce di Emma nascondeva una nota di rimprovero: Edith sapeva che la
sorella aveva capito e che era contraria.
“La
mamma non vuole che il papà sappia la verità!”
Dopo
quell'affermazione Emma incrociò le braccia e sollevò
un sopracciglio che annunciava tempesta. Mettendo quindi le mani
avanti, Edith disse:
“Emma...
Lo so che ti può sembrare strano. E ho visto come sta papà.
Davvero. So che la mamma sta sbagliando e sono davvero d'accordo con
te sul fatto che anche papà debba sapere la verità...”
“Che
si scopa un altro?” domandò sputando veleno Emma.
“NO!”
esclamò Edith scioccata da quella domanda. Non si era mai resa
conto che vista dal lato di chi non era a conoscenza della verità,
quello era il primo pensiero che poteva venire in mente.
“E
allora cosa? Si è innamorata di qualcun altro?” continuò
furibonda Emma.
“La
mamma sta morendo!” disse Edith in un soffio, senza nemmeno
pensare a quello che stava dicendo.
Emma
barcollò appena, sentendo quella frase. Le braccia caddero
lunghe sui fianchi e l'aria di sfida che aveva preso quando la
sorella maggiore le aveva confidato di essere a conoscenza del motivo
per cui la madre aveva deciso di lasciare il padre aveva lasciato
posto a quella di doloroso stupore che ora aleggiava per tutta la
cucina.
Con
orrore di Edith gli occhi di Emma si riempirono di lacrime.
“Em!
La mamma non vuole che papà lo sappia! Ti prego!”
Emma
annuì e cercando di riprendere contegno riuscì solo a
farfugliare:
“Come?
Quando te lo ha detto?”
Edith
sospirò e si mise a sedere. E poggiando i gomiti sul tavolo
disse, tenendo la testa tra le mani:
“Il
giorno dopo che io e Orlando l'abbiamo trovata, zia Maggie mi ha
chiamata e mi ha detto di andare da lei, perché la mamma mi
voleva parlare. Ho preso un taxi e mi sono catapultata, perché
come te e Paul volevo delle spiegazioni, volevo capire il perché
di quella decisione. Quando sono arrivata a casa della zia ho trovato
la mamma in cucina. Mi ha detto che ha un tumore al cervello. Che ci
sono già delle metastasi...”
“Com'è
possibile che non ci siamo accorti di niente!” intervenne
disperata Emma.
Edith
scosse la testa sentendo le lacrime pronte a scendere. Dovette far
leva su tutta la sua forza di volontà per evitare di piangere
dal momento che non solo non voleva farlo, ma sapeva che se avesse
cominciato a piangere anche Emma avrebbe ceduto e sarebbe stato
difficile tenere nascosto a Patrick il vero motivo di tutto quel
dolore.
“Non
lo so. È stata davvero brava. Mi ha solo detto che ha
cominciato a fare degli esami subito dopo che papà ha avuto
l'infarto. Per precauzione. Pensava che non ci fosse niente ed invece
le hanno fatto fare altri esami. E da lì si sono resi conto
che aveva un tumore al cervello e che ormai c'erano delle metastasi
in tutto il corpo!”
“E
perché non vuole che papà lo sappia?”
Edith
sospirò. Era difficile capire e spiegare una richiesta del
genere, dal momento che anche lei aveva ancora tante obiezioni
sull'argomento.
“Perchè
vuole che se la ricordi sana, indipendente e non distrutta dalla
malattia!” rispose con un'immensa tristezza nella voce.
Emma
la guardò sconcertata. Stava per attaccare quando la porta
della cucina si aprì. Per un attimo Edith ebbe paura di vedere
Patrick entrare, ma per uno strano scherzo del destino vide Paul, che
curioso chiese:
“Che
cosa state complottando voi due?” poi guardando le facce delle
due sorelle, aggiunse serio: “Ok! Non mi sembra che sia il
momento adatto per scherzare!”
Emma
fece uno strano verso, un misto tra una risata e uno sbuffo e disse:
“Certo
che fai bene a non scherzare, dal momento che tua sorella sapeva
perché nostra madre ha lasciato casa Norton e non ci ha detto
niente!”
Paul
guardò Edith sconcertato da quell'affermazione ed Edith riuscì
solo ad annuire.
“La
mamma mi ha chiesto di riunirvi appena possibile. Ecco perché
sono tornata a Londra”
“Per
caso è successo qualche cosa di grave?”
La
voce di Paul era piena di paura, la stessa che Edith leggeva negli
occhi di Emma.
“Sì!”
rispose Emma con voce rotta.
Paul
tornò a guardare Edith che per la seconda volta, con la voce
pari ad un soffio, disse:
“La
mamma ha un tumore al cervello. Sta morendo!”
Paul
reagì peggio di Emma. Lui, il piccolo di casa, quello
vezzeggiato, difeso da Eloise si stava trovando davanti ad
un'ineluttabile verità: sua madre non era eterna e per di più
la vita gliela stava portando via molto prima di quanto potesse
immaginare, di quanto avesse programmato.
“State
scherzando, vero?”
Edith
scosse la testa ed Emma chinò la sua incapace di reggere a
lungo le lacrime. Lacrime che apparvero anche negli occhi di Paul.
“E
ha lasciato per questo papà?”
“Non
vuole che la veda soffrire!” rispose Edith che sentiva il peso
di tutto quello che aveva significato anche per lei la malattia della
madre.
Paul
stava per rispondere quando la porta di cucina si aprì di
nuovo, lentamente. Stavolta il destino non aveva aiutato Edith come
aveva fatto prima lasciando che entrasse nella stessa stanza in cui
si stava parlando del segreto della madre l'unica persona rimasta a
cui davvero interessasse la verità. Stavolta dietro c'era
Patrick, con gli occhi sgranati, che guardava scioccato i tre figli.
Edith
sentì il cuore in gola e subito scattò in piedi.
“Io
lo sapevo. Lo sapevo che se mi stava lasciando un motivo doveva
esserci!” mormorò Patrick con voce rotta mentre dietro
di lui, nella sala da pranzo era ormai calato un silenzio irreale.
Tutti erano in silenzio, ascoltando quello che stava succedendo.
“Papà!”
esclamò Emma preoccupata. “Siediti!”
Patrick
scosse la testa e guardando Edith disse:
“Io
avevo capito che tu sapevi. Lo vedevo nei tuoi occhi. La stessa
espressione di quando succedeva qualcosa e cercavi di nascondercelo a
me e a tua madre...”
“Papà!
Non mi far preoccupare. Siediti, bevi un bicchiere d'acqua!”
rincarò Edith, sollevandosi dalla sedia e guardando il padre
preoccupata.
Patrick
scosse la testa e stringendo i pugni chiese:
“Come
ha potuto? Come può volermi tenere fuori dalla sua vita
proprio ora?”
“Perché
ti ama!” esclamò Edith con voce rotta. “E non
vuole che tu possa soffrire per lei!”
Patrick
guardò la figlia maggiore senza vederla davvero. Sorrise e per
un folle attimo Edith pensò che fosse impazzito, poi si rese
conto che una lacrima stava lentamente rigandogli una guancia e il
cuore della giovane giornalista si spaccò. In quel preciso
istante ebbe la certezza che suo padre non solo aveva capito che sua
moglie lo amava come mai aveva amato qualcuno nella sua vita
nonostante le sue continue mancanze, ma che per uno strano scherzo
del destino, proprio quando capiva di essere la cosa più
importante per Eloise, la vita gliela stava togliendo e lei nel gesto
d'amore più grande che Patrick avesse mai visto, si era
allontanata da lui per non farlo soffrire, per non renderlo partecipe
del suo dolore.
“Portami
da lei!” disse guardando Paul.
“Papà...
La mamma non vuole che tu...” stava per dire Edith ma Patrick
allungò la mano e disse:
“Quando
capirai e capirete tutti voi quello che ho capito io, allora
ascolterò i vostri consigli. Per anni ho lasciato che mia
moglie mi sopportasse, senza mai supportarla. Per anni ho dato per
scontata la sua presenza, la sua devozione. Devo ammettere di aver
anche pensato che, in cuor suo, vostra madre avesse smesso di amarmi
per colpa di tutti i miei errori con voi. Ma non è stato così.
Oggi ho capito che anche ora che aveva bisogno del mio supporto non
l'ha cercato e non perché avesse paura di un mio rifiuto,
perché sapeva che per una cosa del genere sarei stato accanto
a lei, avrei combattuto accanto a lei... Eloise mi ha tenuto fuori
dalla sua malattia per non farmi soffrire, come gesto estremo
d'amore. E sapete perché?” e domandando questo guardò
ognuno dei figli negli occhi, mentre i suoi colmi di lacrime
cominciavano ad arrossarsi. “Lo ha fatto perché quando
stavo male, subito dopo l'infarto, le ho detto che senza di lei non
potevo vivere, che solo l'idea di perderla mi avrebbe ucciso... E lei
mi ha tenuto nascosta la sua malattia per questo!”
Nella
cucina e nel resto della casa regnava il silenzio. Persino i bambini
non ridevano e giocavano più. Tutti erano davanti alla porta
della cucina. In un angolo Emma piangeva, schiacciata da tutti quegli
avvenimenti come Edith e Paul. Gli altri stavano in un silenzio
attonito. Lo stesso silenzio di chi sa di essere davanti a qualcosa
di definitivo, di troppo grande per essere digerito in fretta e da
cui inevitabilmente verrà travolto.
“Portatemi
da lei, vi prego. Non voglio litigare, rispetterò qualsiasi
sua decisione. Voglio solo che capisca che ci sono. Anche se non
vorrà tornare qua. Io voglio davvero che starle vicino fino
alla fine. E farò di tutto per riuscirci!”
Paul
annuì e disse:
“Ho
la macchina in garage. La prendo e sono da te!”
Patrick
stava per rispondere quando Edith disse:
“Vengo
anche io... Devo spiegarle che non è stata una cosa voluta!”
“Allora
vengo anche io!” protestò Emma.
Paul
annuì e disse:
“Penso
che dobbiamo andare tutti noi. La famiglia Norton stasera deve
parlare di qualcosa d'importante!” e dopo aver detto una cosa a
Jessy, sua moglie, mentre usciva, s'incamminò verso
l'ingresso.
Da
quel momento in poi tutto fu molto frammentario per Edith,
frastornata da quello che era successo. Sapeva solo che un attimo
prima stava consolando David che piangeva disperato vedendola sulla
porta, spaventato dall'idea che la madre potesse partire di nuovo, e
poi era nel sedile posteriore, accanto ad Emma che singhiozzava
silenziosamente, mentre la macchina scorreva silenziosa per le strade
di Londra.
Arrivò
a casa di sua zia Maggie che erano le otto di sera. Dalla finestra a
bovindo del soggiorno si vedeva il televisore che trasmetteva un
varietà trasmetto su ITV1.
Si
avvicinarono alla porta in silenzio e fu Patrick a suonare. Per due
volte pigiò il tasto del campanello che riecheggiò per
la casa con il suo suono gentile.
Fu
Margareth ad aprire. E quando vide Patrick, superato lo stupore,
sorrise e disse:
“Sono
contento che tu sia qua!” e facendo spazio lasciò che i
nipoti e il cognato entrassero nel salotto della sua casa dove,
seduta sul divano Eloise guardava la tv.
Forse
fu per il fatto che non la vedeva da una settimana e perché
sapeva che sua madre era malata, ma Edith notò il viso più
scavato della donna, le mani che stringevano con forza la sua tazza,
quasi che quell'unico appiglio le potesse confermare il suo esserci,
il suo essere ancora viva.
Patrick
la guardò in silenzio, per qualche secondo. Come per Edith
essere a conoscenza del fatto che la moglie fosse malata gliela fece
vedere sotto occhi differenti: sembrava infatti cullarla con lo
sguardo, implorandola silenziosamente di permettergli di avvicinarsi
a lui.
“Che
ci fate qua tutti quanti?” chiese Eloise con voce roca.
Edith
sospirò e rispose:
“Mamma...
Ti ricordi quella cosa che mi avevi chiesto? Beh! Le cose non sono
andate come il previsto!”
Eloise
rizzò la schiena risentita e disse:
“Edith
Isabel Norton sono davvero delusa dal tuo comportamento. Mi sembra di
essere stata abbastanza chiara quando ti ho chiesto...”
“Mamma
è stata colpa mia!” ammise Emma. “L'ho costretta a
dirmi la verità ed è stato un rapido susseguirsi di
eventi...”
“Voi
non dovevate...” stava per dire Eloise ma Patrick si intromise
e replicò:
“Volevi
davvero che non sapessi una cosa del genere? Pensavi che sarei stato
così cieco da non rendermi conto di una cosa simile? Mi volevi
nascondere la tua malattia fino alla fine? E cosa mi avrebbero
raccontato tuoi figli una volta morta?”
Eloise
strinse le labbra e rispose:
“Ci
avrei pensato quando sarebbe stato il momento!”
Patrick
sorrise e disse:
“Non
sono arrabbiato con te, Eloise. Anzi, forse per la prima volta da
quando siamo sposati mi rendo conto di che razza di marito io sia
stato e di quanto sia disinteressata questa tua richiesta. Oggi ho
scoperto che nonostante la persona terribile che sono stato, tu mi
hai davvero amato e questa tua decisione ne è la prova. Hai
pensato a me prima che al tuo dolore, al fatto che avevi palesemente
bisogno di aiuto. E di questo non posso che esserti grato. Ma voglio,
davvero, che tu affronti questa prova con me. So che non sarà
semplice. E so che soffriremo entrambi, ma non ho paura di questo. O
meglio, ho paura. Una paura fottuta. Ma se questo è il nostro
destino, l'unica cosa che ti chiedo è di non chiudermi fuori.
Non voglio. Non posso accettarlo. Io voglio starti vicino. Come ci
siamo detti, nella buona e nella cattiva sorte. E affronteremo anche
questa. E la sconfiggeremo!”
Eloise
sorrise triste e replicò:
“Tua
figlia non ti ha detto che sto morendo!”
“Sì!
Me lo ha detto! Anche se non direttamente! Ma non è detto che
non si possa porre rimedio a questa cosa...” disse Patrick
avvicinandosi e prendendole le mani.
“Ecco
perché non volevo che lo sapessi...” rispose Eloise
scuotendo la testa con un sorriso ormai rassegnato nel volto.
“Se
tu vuoi lottare, ce la faremo!” continuò Patrick.
“NO!
NON POSSO. STO MORENDO. NON C'È PIÙ NIENTE DA FARE
PATRICK. È INUTILE!” disse Eloise togliendo le mani da
quelle del marito. E con gli occhi lucidi disse: “Non volevo
dirtelo perché non volevo che mi vedessi morire, ma non volevo
vedere nemmeno la paura nei tuoi occhi. E non volevo nemmeno dirlo a
nostri figli, proprio per questo motivo. La vostra paura per me è
un veleno. E ogni volta che la vedrò nei vostri occhi un pezzo
di me comincerà a morire. Lentamente, ma lo farà... E
non voglio, non voglio che vediate ogni istante e lo viviate come una
lenta agonia. Non volevo un lungo addio. Non lo voglio ancora!”
Patrick
guardò la moglie in silenzio: sembrava che con quelle parole
l'avessero travolto, come se Eloise l'avesse preso a schiaffi.
Edith
ed Emma dietro di lui piangevano in silenzio, Paul a malapena
tratteneva le lacrime.
Maggie,
da una parte, ascoltava tutto a braccia conserte: conosceva il dolore
della perdita e sapeva cosa stava provando ogni singolo membro della
famiglia Norton, nonostante questo non disse una parola. Sapeva che
in egual modo il suo essere cosciente di quel dolore l'avrebbe resa
una maestrina esasperante e quella era l'ultima cosa che voleva.
Ci
fu un attimo di silenzio, rotto dai singhiozzi delle due sorelle
Norton, poi fu Patrick a parlare e dire:
“Sarò
più forte. Cercherò di accompagnarti in questo cammino,
anche se saprò che sarà l'ultimo e lo farò con
un sorriso. Ma ti prego. Torna da me. Non voglio perderti ora. Perché
se ti perdo adesso non potrò far nulla, niente per rimediare
al tempo perduto!”
Eloise
lo guardò e sospirando disse:
“No!
Ho preso la mia decisione! Non voglio tornare a casa...” e
mettendosi a sedere diede le spalle ai figli e al marito.
Patrick
accusò il colpo stringendosi nelle spalle.
Chinò
la testa e stringendo i pugni, disse:
“Rispetto
la tua scelta di non tornare a casa. Ma non mi puoi tenere fuori
dalla tua vita. Ora più che mai. Che tu lo voglia o no farò
io ne farò parte!” e senza dire altro uscì dalla
casa.
Emma
guardò il padre e la madre con sguardo perso, quasi sembrava
comica la sua espressione ed Edith avrebbe riso in un altro caso, ma
non allora. Era troppo scossa e anche arrabbiata con sua madre per
rimanere a casa della zia. Si avvicinò alla sorella, le cinse
le spalle sussurrandole 'Andiamo' e uscì salutando con
un cenno Maggie, lasciando che Paul, in silenzio, la seguisse.
In
quel momento c'era solo dolore dentro ogni fibra di Edith. Un dolore
sordo che andava oltre la malattia della madre.
C'era
delusione dentro di lei.
C'era
l'impossibilità di capire un gesto d'amore così grande.
E
la paura di vedere crollare suo padre solo per una scelta che aveva
sempre ritenuto folle.
Si
lasciò cadere con un sospiro sulla poltrona vicino alla
finestra guardando il suo salotto in silenzio. I bambini dormivano
nelle loro camere. Era stato difficile metterli a letto, ma una volta
poggiata la testa sul cuscino erano crollati quasi subito.
Nel
silenzio della sua casa Edith lasciò che tutto quello che era
successo le piombasse addosso e in silenzio, con una mano premuta
sulla bocca, pianse, a lungo, fino a che la testa non cominciò
a farle male, fino a che non ebbe più lacrime da piangere.
Poi,
stringendo le braccia al petto guardò l'ora. Erano appena le
nove e mezza. Non aveva voglia di guardare la tv. Aveva voglia di
sentire l'unica persona che sapeva l'avrebbe capita e prendendo il
cellulare selezionò un numero dalla rubrica. Attese qualche
minuto e poi quando dall'altro capo venne agganciata la chiamata
disse:
“Gerard!
Ho bisogno di te...” e correggendo il tiro aggiunse: “Di
parlare con te che sembri conoscermi come nessuno ha fatto mai!”
Bon!!!!
Altro capitolo finito.
Sono
stata abbastanza veloce stavolta.
Ringrazio
la mia unica lettrice superstite
Chiaretta78
che
recensisce
anche dopo
la
mia lunghissima latitanza.
E
la mia lettrice silente, Margherita, che mi ha minacciata di morte
quando
sono stata troppo tempo senza
aggiornare.
Ringrazio
i lettori silenti e quelli che hanno aggiunto
la
storia nella lista delle
preferite,
ricordate
e
seguite.
Grazie!
Grazie davvero!!!
Per
il momento vi lascio. Alla prossima.
E
lasciate un vostro giudizio.
Positivo
o negativo sarà sempre ben accetto.
Con
affetto. Niniel82.
|
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Capitolo 10 *** Captolo 10 ***
Capitolo
10: Tornare alla vita di tutti i giorni.
Se
c'era una cosa di cui Edith aveva davvero paura era tornare a lavoro.
Da
quando era entrata a lavorare al 'The Guardian' aveva capito che ogni
suo passo sarebbe stato seguito con molta più attenzione di
quello di ogni altro direttore che aveva preso posto dietro quella
scrivania. Ed era una donna, oltretutto una donna alla guida di uno
dei giornali più potenti di tutto il Regno Unito. E
soprattutto era Edith Norton, la stessa che aveva invaso le copertine
patinate di mezzo mondo fino al giorno prima.
Da
una parte, Edith stessa capiva questo accanimento verso il suo lavoro
dal momento che lei per prima sarebbe stata diffidente nei confronti
di un direttore non tanto per il suo sesso o per le persone con cui
era andato a letto prima di lavorare nella sua stessa redazione, ma
per il fatto che le sarebbe risultato difficile, se non impossibile,
avere fiducia in qualcuno che aveva così poca esperienza ed
era comunque arrivato in alto.
Inoltre
la sua fedele spalla, Laura, che la seguiva dai tempi di Vanity Fair,
l'aveva tenuta aggiornata sulle chiacchiere di corridoio che
circolavano nei suoi confronti: da chi aveva giurato di averla vista
avere scambi di liquidi corporei con attori di vario tipo e genere -e
persino età!- ad altri che giuravano che tra lei e il vecchio
Tom Carlyle ci fosse del tenero e che per questo motivo, l'ormai
compianto direttore, l'avesse scelta come sua erede alla guida della
testata.
Per
quanto avesse raggiunto un livello di maturazione ben diverso da
quello della ragazza che sbraitava contro tutti senza paura solo
perché il suo capo le aveva chiesto di intervistare Orlando
Bloom e non uno dei politici più in voga di quel momento,
avvalendosi inoltre del fatto che nel frattempo avesse messo su un
paio di spalle da fare invidia anche ad un giocatore di football,
Edith si sentiva comunque pungere da quelle cattiverie.
Era
stanca di avere il dito di tutti puntato contro. Era stanca di essere
sempre su di un banco di prova.
Era
stanca, punto. E nessuno faceva niente per aiutarla.
Nessuno
a parte Gerard che la sera prima era riuscito persino a farla ridere.
Stava
ripensando alla chiamata con l'attore scozzese con un sorriso beota
dipinto sul viso, quando sentì lo scampanellio delle porte
dell'ascensore ed uscì sul grande atrio che altro non era che
l'ingresso della redazione.
Sentì
da subito gli sguardi di tutti puntati addosso e i saluti untuosi che
qualcuno le faceva di tanto in tanto e a cui rispondeva con un
piccolo cenno del capo.
Arrivò
alla porta del suo ufficio dopo quella che le parve un'eternità
e mettendosi a sedere dietro la scrivania, mentre riordinava le
carte, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti!”
ordinò perentoria.
Doveva
far capire da subito chi comandava lì dentro.
Entrò
Laura.
Anche
lei aveva subito una trasformazione. Prima era una ragazza intimidita
da Edith, che sopportava in silenzio le angherie di Edith e le sue
bizze. Poi, dopo che Edith stessa aveva deciso di assumerla come
assistente quando prese la direzione di Vanity Uk, Laura era
cambiata. Era diventata più sicura, più cazzuta come
diceva Jude scherzosamente quando parlavano di lei. E di questo Edith
era davvero fiera. Sapeva infatti che una gran parte del cambiamento
avvenuto nella ragazza era dovuto anche a lei e vedere che i suoi
insegnamenti non erano andati perduti la rendeva orgogliosa.
“Edith!
Nessuna nuova sul fronte occidentale. Solo qualche notizia di qualche
possibile protesta in Turchia contro Erdogan...” disse Laura
porgendole dei fogli.
Edith
li prese e leggendoli con attenzione li poggiò sulla scrivania
e disse:
“Mettimi
in contatto con il nostro corrispondente in Turchia. Voglio essere la
prima a sapere se ci saranno degli scontri com'è successo in
Egitto, Siria e Libia”
“Pensi
ci sarà una nuova primavera araba?” domandò Laura
prendendo nota.
Edith
fece spallucce continuando a scrivere sulla sua agenda e rispose:
“Non
so. Però penso che la situazione turca sia da tenere sotto
controllo. Potrebbe succedere di tutto e non voglio che qualcuno
possa dire che il Guardian non sia stato all'altezza!”
Laura
annuì e disse:
“Ci
sono delle voci che dicono che alla redazione americana abbiano tra
le mani un pezzo bomba sulla storia della sicurezza e sul fatto che
siamo spiati!”
Edith
sollevò la testa. Dopo l'11 settembre tutti avevano cominciato
ad aver paura per la propria privacy, tutti avevano cominciato a
pretendere di essere più liberi. La possibilità che il
Guardian US stesse cavalcando quell'onda per vendere qualche copia in
più era più che probabile.
“Aspettiamo
ancora qualche giorno e fammi sapere se hai qualche nuova notizia. Se
quello che dicono è vero ci sarà qualcuno che ha
parlato. E quel qualcuno deve essere immischiato come minimo nella
sicurezza nazionale o in cose simili. E non credo che rischierebbero
uno scoop -o la vita di chi sta facendo far loro uno scoop- per
mettere in giro delle voci!”
Laura
annuì e prese nota. Poi, da sotto l'agenda tolse un piccolo
plico di lettere e porgendole ad Edith disse:
“La
tua posta giornaliera!”
Edith
la prese e senza nemmeno salutarla lasciò che Laura uscisse
dalla stanza. Sapeva che avrebbe di nuovo varcato la soglia
dell'ufficio prima dell'ora di pranzo.
Cominciò
a smistare la posta con poco interesse. La maggior parte erano
lettere di complimenti per la carica da lei raggiunta, una delle
quali scritta anche dal suo ex direttore di Vanity Uk. Di lui Edith
sapeva poco. Dopo essere stato licenziato da Vanity era praticamente
finito in disgrazia: a quanto pareva nel mondo della carta stampata
non piacevano le persone servili e senza palle come era stato Ronson
quando aveva diretto Vanity Uk.
Cestinò
la lettera dell'ex capo senza nemmeno aprirla quando tra le sue mani
capitò una lettera che non immaginava mai avrebbe ricevuto e
quindi letto.
Sopra
la carta da lettere c'era un nome, scritto a mano, che diceva: Brian
Stephensons.
Edith
rigirò la lettera alcune volte tra le mani, cercando di capire
se fosse vera, ma bastava guardare la grafia per non avere dubbi. Era
stata con Brian due anni e conosceva la sua grafia più che
bene, anche dopo tutto quel tempo.
Rigirò
la lettera tra le mani soppesando l'idea che per vendetta l'ormai ex
rampollo di casa Stephensons le avesse inviato una missiva
contaminata da antrace, ma allontanando quel pensiero, prese il
tagliacarte davanti a lei e aprì la busta tagliandola in tutta
la sua lunghezza.
Estrasse
la lettera e aprendola la lesse con attenzione, curiosa più di
sapere che cosa ci fosse scritto, che per la vera e propria necessità
di farlo.
“Ciao
Edith.
Ho
letto che sei diventata direttrice del Guardian.
Non
sono stupito. Non posso esserlo di qualche cosa che sapevo si sarebbe
avverata in qualche modo. Sei sempre stata una bravissima giornalista
e ho sempre creduto in te... So che ora starai pensando che sia un
ipocrita e che ho fatto di tutto per tarparti le ali. E me ne
vergogno, perché so che è vero. Ti ho costretta
all'esilio perché non accettavo che tu potessi mettermi
davanti all'uomo meschino che ero diventato. E soprattutto che non mi
amassi quanto ti amavo io.
So
che sarà inappropriato, dopo tutto questo tempo, chiederti di
vederci, specialmente perché ho saputo che sei diventata mamma
di due bellissimi bambini e immagino che unire la carriera e la
famiglia sia una cosa molto difficile. Però devo farlo.
Non
è una richiesta egoistica, ma quella di un uomo che sta
cercando con difficoltà di rinascere. Dopo la morte di mio
padre le cose per me non sono state poi così semplici. Ho
perso tutto, mia madre a malapena mi parlava. E il vizio della
cocaina è diventato una dipendenza. Sono caduto in una spirale
autodistruttiva che mi ha spinto ancora più in basso.
Ho
capito che dovevo cercare di risalire in qualsiasi modo quando
Vanessa mi ha proibito di vedere nostro figlio. In quel momento ho
capito che cosa ero diventato. E ho cominciato un lunghissimo
percorso che mi ha portato a disintossicarmi e a ricominciare.
Ed
è stato durante la mia rehab che ho capito i miei errori e che
il mio terapeuta mi ha consigliato di chiederti scusa per il male che
ti ho fatto. Me lo ha consigliato perché una nuova vita non
può ripartire senza il perdono. Ed io voglio davvero vederti e
scusarmi di tutto.
Chi
lo avrebbe detto, eh?
In
ogni caso... Capirò comunque se non vorrai parlarmi. Sono
stato davvero meschino nei tuoi confronti e se vuoi chiudere così
con me... Lo capirò.
Nel
frattempo aspetto una tua risposta. Quando vorrai chiamami. Il mio
numero è nel biglietto da visita che ho lasciato nella busta.
Spero
in una tua risposta positiva.
Con
affetto e con tutta la mia stima...
Brian.”
Edith
guardò la lettera scioccata.
In
tutti quegli anni il pensiero di Brian non era stato un pensiero
lieto.
Era
vero quello che aveva scritto: lui aveva cercato di metterle i
bastoni tra le ruote e se non fosse stato per il suo essere un
impenitente dongiovanni, molto probabilmente non sarebbe ancora
potuta ritornare in Gran Bretagna e non sarebbe stata alla guida del
Guardian.
E
dicendola tutta, Edith pensava davvero che Brian fosse un ipocrita. E
con la 'i' maiuscola tra l'altro. Ipocrita e anche egoista per essere
completi.
Però
qualche cosa la spingeva a chiamare. Qualcosa di atavico che non era
collegato con la ragazza che si era innamorata di Brian, no; era
qualcosa di meno nobile, molto più vicino al rancore che
all'affetto provato un tempo. E analizzandosi Edith capì con
suo sommo orrore che quello che provava era un semplice sentimento di
rivalsa. Incontrare Brian le avrebbe dato la possibilità di
guardare negli occhi l'uomo che l'aveva costretta a scappare e
magari divertirsi della sua disgrazia.
Guardò
il biglietto da visita e lo rigirò tra le dita.
Poi,
prendendo il telefono, compose un codice e dopo aver aspettato
qualche secondo compose il numero di Brian.
Non
attese più di tre squilli. Al terzo infatti Brian agganciò
la chiamata e incerto chiese:
“Pronto!”
“Brian?”
rispose Edith con distacco.
In
quel momento si sentì quasi in colpa. Come poteva essere così
fredda con un uomo che con lei aveva anche condiviso momenti
meravigliosi? Come poteva non sentire nulla verso l'uomo che le aveva
veramente insegnato cos'era l'amore fisico, che le aveva fatto
scoprire il suo corpo e la sua bellezza anche nella loro intimità?
Come poteva aver dimenticato le fughe d'amore che Brian organizzava
almeno una volta al mese a Parigi?
Cercò
dentro di sé un po' di affetto verso quella voce che aveva
sentito dall'altra parte del ricevitore, ma non la trovò.
“E-Edith!”
balbettò lui incerto, con la voce un po' rotta dell'emozione.
Edith
non rimase colpita nemmeno da questo e seria, quasi pratica, disse:
“Ho
ricevuto la tua lettera solo oggi...”
“Sapevo
che avresti risposto, sai?” intervenne lui.
La
sua voce non era più incerta, ma suonò sicura in quel
frangente. La stessa spavalda sicurezza che lo aveva portato più
volte a mentirle e a prenderla in giro, mentre si portava a letto
Emma e la faceva cadere in una spirale autodistruttiva dalla quale
Edith e tutta la sua famiglia, con l'aiuto di Orlando, erano riusciti
a farla uscire con difficoltà.
Socchiudendo
gli occhi e trattenendo l'impulso di sbattergli il telefono in
faccia, Edith prese un lungo respiro e disse:
“Hai
scritto una lettera dove mi chiedevi perdono per come ti sei
comportato al fine di cominciare una nuova vita... Non potevo negarti
questo. Non ad una persona che per me è stata importante,
nonostante tutto quello che ha fatto!”
Brian
trattenne il respiro. Edith sorrise. Quella era una sua piccola
vittoria alla faccia di quel bellimbusto.
“Lo
so quello che ho fatto. Ed è per questo motivo che sapevo che
mi avresti chiamato. Non sei una persona cattiva. Alle volte sei un
po' stronza, quello sì, ma non cattiva!” ammise mesto
Brian.
Edith
sospirò e chiese:
“Basta
questa chiamata o dobbiamo per forza incontrarci?”
Lo
disse in modo sprezzante, quasi -o meglio perché- le costasse
davvero tanto fare solo quella chiamata e l'idea di vederlo le
facesse venire l'orticaria.
“Vorrei
vederti!” pigolò Brian.
Edith
chiuse gli occhi e soppesò la richiesta.
Ricordava
troppo bene l'ultima volta che aveva parlato con Brian. Ricordava lo
schiaffo che lui le aveva dato quando lei aveva cominciato a
sputargli contro tutto il veleno che aveva dentro dopo aver scoperto
che era stato lui stesso a macchinare tutto con Ralph Felton. E
ricominciarono di nuovo a ritornare, dopo pochi secondi che l'avevano
abbandonata, i ricordi di quello che era costato a lei rompere
definitivamente con Brian.
Aveva
mille ragioni per dire di no. Aveva altre mille ragioni per chiudere
il telefono in faccia a quel cretino senza nemmeno dargli una
spiegazione.
Poi
ricordò Emma seduta in una poltrona che sembrava quasi
ingoiarla talmente era piccola e magra, la lettera che le aveva
scritto durante la riabilitazione a New York qualche anno prima e
tutto l'odio che le aveva sputato contro per le sue mancanze da
sorella maggiore. Scosse la testa pensando che non aveva abbandonato
Emma nonostante anche lei le avesse fatto del male. E per quanto
nessuno ci credesse, riallacciando il loro rapporto, era riuscita a
salvarla ed ora, dopo anni, era diventata una stilista affermata,
aveva sposato un uomo fantastico e aveva una bambina meravigliosa.
Perché
non poteva fare lo stesso con Brian?
Sospirò
di nuovo e domandò:
“Sei
a Londra?”
“Sì!”
rispose Brian con una certa urgenza nella voce. In quel momento Edith
pensò che forse nemmeno lui osasse sperare in così
tanto.
“A
pranzo ho un buco. Puoi avvicinarti nei pressi della redazione del
Guardian?” propose Edith con un tono di voce che in ogni
sillaba evidenziava quanto veramente le costasse dover vedere di
nuovo Brian.
“Certo!”
rispose entusiasta.
“Allora
alle 12 davanti alla Biblioteca Saint Pancras. C'è qualche
ristorante lì, potremo parlare di fronte ad un bel piatto
fumante di spaghetti alla bolognese!” concluse pratica Edith
con lo stesso tono che usava con i suoi dipendenti.
Brian
non parve notarlo e sorridendo replicò:
“Grazie
Edith. Grazie davvero!”
“Niente
Brian!” bisbigliò infastidita Edith e chiuse la chiamata
con uno sterile a dopo.
Poi,
lasciandosi andare con la schiena contro lo schienale della sua
poltrona, sospirò portando una mano sugli occhi.
Doveva
smetterla di essere così disponibile. Nel minore dei mali le
davano della puttana; nel peggiore doveva affrontare tutti i demoni
del suo passato come in quel momento.
Orlando
spense la sua sigaretta in uno dei cestini con annessi portacenere in
mezzo a Central Park. Aveva davvero bisogno di una boccata d'aria. O
meglio di scaricare tutta la tensione di quegli ultimi giorni con una
sigaretta.
Riflettendo
riguardo la sua ultima chiamata con Edith aveva capito che aveva solo
sbagliato con lei: si era dimostrato troppo frettoloso, quasi un
bambino viziato.
Che
fine aveva fatto il ragazzo che si era innamorato di quella ragazzina
con pretese da gran donna che era Edith?
Sorrise
pensando a come si erano conosciuti. A come si erano odiati.
Possibile
che non potesse tornare quel periodo? Possibile che tutto quello che
era stato tra di loro si fosse cancellato in un solo attimo?
Un
attimo? Una notte di sesso con una troietta in cerca di notorietà!
Orlando
ascoltò con disappunto la vocina che parlava dentro di lui.
Era vero. Lui aveva fatto mille problemi, mille storie quando Edith
aveva partorito: la mancanza del sesso, i litigi per colpa di Robin,
la ricerca di privacy che lui non poteva rispettare. Tutto era
culminato con l'intromissione di Violet che aveva persino detto di
aspettare un bambino da lui, cosa per niente vera tra l'altro, ma che
gli era costata la sua relazione con Edith e una fortuna da pagare
alla wedding planner quando i due avevano disdetto le loro nozze da
favola a Canterbury.
Certo!
Anche Edith ci aveva messo del suo.
Lei
era stata a letto con Jude proprio quando loro due erano in crisi.
Scosse
la testa cacciando quel ricordo: per quanto avesse fatto pace con il
suo vecchio amico, quella ferita bruciava ancora. Ricordava fin
troppo bene quando Edith, poco prima di Natale lo aveva lasciato
perché aveva bisogno dei suoi spazi e subito dopo aveva
cominciato la sua relazione con Jude.
Era
da lì che erano cominciati i problemi, da lì che lui
aveva cominciato a dare di matto, a comportarsi come una bambino, a
piangere quando non riusciva a convincere Edith. Era arrivato persino
a seguire come un'automa quello che gli diceva Robin e a rendere
quella che doveva essere una relazione per riempire i buchi, quella
con Miranda, una storia d'amore travagliata che fruttava scatti non
proprio rubati ai due in quelli che sembravano attimi di intimità
e che Orlando usava per far ingelosire Edith. Ma non era servito a
nulla.
Ogni
volta che sembrava che lei si stesse avvicinando di nuovo, qualcosa,
qualcuno la portava di nuovo via da lui: Jude, Miranda, il loro
reciproco orgoglio.
Sam,
sua sorella, scherzosamente gli aveva detto di andare in terapia, che
gli sarebbe stato utile per capire meglio quello che voleva. Orlando
ci aveva scherzato su, ma quando era solo quel pensiero gli frullava
per la testa. Aveva un ottimo psicoterapeuta, il suo diario, ma
quello non poteva dirgli niente, se non accogliere i suoi ricordi e
custodirli gelosamente finché qualcuno non li avrebbe buttati
nel fuoco o dentro il cestino della carta usata.
Uno
psicologo, invece, avrebbe in qualche modo sviscerato la situazione,
lo avrebbe messo a nudo e avrebbe magari messo fine a quella lunga
agonia, trovando il modo per uscire da quella situazione di impasse
riprendendosi Edith o lasciandola andare via per sempre.
Lo
sai che è impossibile che tu la lasci andare via per sempre.
Hai due figli con lei.
Quella
fastidiosa vocina dentro Orlando lo stava facendo uscire di testa.
Come se non avesse provato a rendere più semplici le cose con
Miranda per lasciarsi alle spalle Edith. Come se non avesse fatto di
tutto per riprendersela anche quando era a Kendall.
Ma
per quanto avesse provato in tutti i modi a riprendersela, per gli
altri era sempre lui quello che sbagliava. Tutti notavano i suoi
errori e alle volte lui per primo si dava del cretino -per essere
gentili- come quando aveva detto di amare ancora Edith nel momento in
cui una giornalista le aveva dato la notizia che Miranda aveva deciso
di lasciarlo. Per questo e per altri motivi tutti puntavano il dito
contro di lui ma non si rendevano conto che Edith aveva sposato un
altro uomo aspettando suo figlio, fingendo che quello stesso bambino
non fosse di Orlando bensì di Jude. E se non fosse stato per
Jude, Orlando si era chiesto mille volte, a che punto sarebbe
arrivata quella dannatissima farsa?
Edith
aveva sbagliato, solo che riusciva a coglierlo in fallo mille e una
volta e far sembrare lui quello che sbagliava.
Nervoso
accese un'altra sigaretta. Se lo avesse visto sua madre avrebbe
cominciato a fargli una ramanzina sul fatto che non era giusto fumare
in quel modo, che aveva tre figli e che doveva pensare alla sua
salute per preservare a loro un buon futuro.
Aspirò
la prima boccata quando sentì il cellulare vibrare nelle
tasca.
Era
John.
Per
quanto lo dicesse scherzando, Orlando pensava che nemmeno quando era
stato con Kate aveva avuto qualcuno di così appiccicoso.
John
lo chiamava almeno due volte al giorno, solo per chiedergli se tutto
fosse a posto, finendo poi con raccomandazioni materne sul mangiare
almeno a pranzo e a cena e di fare sesso protetto ogni volta finiva
nel letto di qualche ragazza compiacente.
Sputò
una grossa nube di fumo e sorridendo, rispondendo al cellulare,
Orlando disse:
“Johnny
boy! Che succede? Ti mancavo già?”
“Brutto
stronzetto, sappi che non ti chiamo più!” si lamentò
scherzosamente John dall'altro capo della cornetta e del mondo.
“Sarebbe
una benedizione divina, Johnny boy, lo sai?” continuò a
prenderlo in giro Orlando.
“Senti
Bloom, non mi rompere tanto i coglioni. Mi basta mia moglie alle
ultime settimane di gravidanza per quello!” replicò
John.
“Ancora
non ha scodellato l'erede?” domandò sorpreso Orlando.
“Che
poeta!” puntualizzò con sarcasmo John. “Davvero un
poeta. Da quando in qua le donne 'scodellano' eredi? Lo hanno fatto
anche Edith e Miranda per caso?”
“No.
Loro hanno messo al mondo la perfezione!” scherzò
Orlando.
Prendere
in giro John, il suo migliore amico, nonché confidente fidato
e unico capace di dargli notizie fresche su Edith era l'unico modo
per tornare ad essere il ragazzo spensierato che era stato un tempo.
“Se!
Comunque ti stavo chiamando per chiederti...” stava per dire
John quando Orlando lo interruppe e disse:
“Ho
mangiato Johnny boy. E ho anche bevuto due litri d'acqua ieri. E non
mi sto ubriacando. Per quanto riguarda il sesso, invece, non mi sto
dando così da fare. Con le prove teatrali è davvero
tanto se riesco ad arrivare a casa e mettermi a letto!”
John
rimase qualche secondo in silenzio e poi replicò:
“Non
era quello che ti stavo per dire ma sono davvero contento che tu mi
tenga informato sulla tua vita, compresa la ginnastica da camera che
mi fa pensare che tu sia ancora un membro dell'associazione no profit
F.I.G.A., ma quello che volevo dirti era altro. E riguarda una certa
giornalista che conosciamo entrambi!”
Orlando
drizzò la schiena e guardò davanti a sé, serio.
“Cosa
ha fatto Edith?” domandò subito.
John
prese qualche secondo e poi disse:
“Chi
ha detto niente di Edith?”
Orlando
sollevò gli occhi al cielo esasperato. Alle volte parlare con
John era davvero una tortura, specialmente quando cominciava a fare
il deficiente come in quel momento.
“Mi
parli di Rachel e delle sue voglie ogni sacrosanta volta che mi
chiami. Non penso che se mi devi parlare di una certa giornalista che
conosciamo sia riferito ad Edith e non a tua moglie!”
John
ridacchio divertito e Orlando prese mentalmente nota che la prossima
volta che lo avrebbe avuto tra le mani lo avrebbe sicuramente
conciato per le feste.
“Smettila
di fare il coglione e dimmi quello che sai!” continuò
Orlando che ormai era troppo sulle spine per continuare a scherzare
con il suo amico.
John,
capita l'antifona, prese un grosso respiro e disse:
“Edith
è tornata a Londra. Rachel l'ha sentita stamattina mentre
stava uscendo per andare a lavoro. Era un po' nervosa. A quanto ho
capito ieri sera, mentre era a pranzo con i suoi è successo un
mezzo casino per la storia della madre. Per quello che ha raccontato
Rach il vecchio Patrick sa tutto della malattia di Eloise”
Orlando
passò una mano sugli occhi: sapeva che quello doveva essere
stato un durissimo colpo per Edith, almeno per quello che aveva detto
al telefono qualche giorno prima.
“E
come l'ha presa lei?” chiese Orlando spegnendo l'ennesima
sigaretta.
“Come
vuoi che l'abbia presa? Non bene. Dice che era solo questa la
ciliegina sulla torta che mancava!”
Orlando
si sentì stranamente impotente. Al diavolo le prove teatrali.
Avrebbe preso il primo volo per Londra e avrebbe aiutato Edith, gli
sarebbe stato vicino.
“A
quanto pare però c'è dell'altro!”
In
un attimo il cuore di Orlando perse un battito.
“Cosa?”
chiese quasi avendo paura della risposta.
“A
quanto pare Edith ha ammesso di aver parlato con un suo nuovo amico,
qualcuno che sembra capirla come forse solo tu hai fatto al tempo in
cui lei si stava lasciando con Brian!” replicò John
serio.
A
quella frase il cuore di Orlando non perse un battito ma si bloccò
e si spezzò in tanti piccoli pezzi. E quasi avendo paura di
quello che stava dicendo, domandò:
“Per
caso si chiama Gerard questo suo amico?”
“Bravo!”
ammise John. “Rachel non mi ha detto altro, però -per
quello che ho capito- vuole parlare con Edith. Dice che ci manca solo
che si incasini di più la vita in questo preciso momento!”
Sentire
che Rachel non approvava questa amicizia rendeva Orlando un po' più
tranquillo, ma al contempo lo innervosiva ancora di più: se
anche Rachel pensava che ci fosse qualche cosa di più con quel
Butler le cose non andavano per niente bene. Infondo non era Rachel
quella che non aveva mai visto di buon occhio l'amicizia tra Edith e
Jude quando era cominciata?
John
notando che l'amico non le rispondeva, aggiunse:
“Ob.
Lo so che la tua storia con Edith è un'epopea che nemmeno Via
col Vento. E ti giuro, hai palle se vuoi ancora portarla avanti visto
che io avrei fatto di tutto per mettere fine a questo supplizio e
mettere più chilometri possibili tra me e lei. Ma se vuoi un
consiglio... Non fiatarle sul collo. Per quanto può sembrare
strano... Più metti da parte una donna, più quella ti
viene dietro. E non lo dico solo io. Lo dice qualsiasi uomo...”
“Cosa
vorresti dirmi?” domandò Orlando per niente convinto dal
fatto che Edith fosse una simile a tutte le altre e che bastassero
questi mezzucci perché lei tornasse a stare con lui.
John
prese un lungo respiro e disse:
“Quello
che ti sto dicendo. Prendi in mano la tua vita e smettila di fare la
vedova inconsolabile. Sembri un cretino. Sei l'unico VIP che conosco
che ha lasciato la moglie e non si è dato a del sano e
rigenerante sesso. Anche Jude Law, per quello che ne so, da quando ha
concesso il divorzio ad Edith non è stato propriamente un
santo, anzi, per quello che so sta saltando da un letto ad un altro
come una cavalletta affamata!”
“Mi
stai dicendo di darmi alla più sfrenata lussuria per far sì
che la donna che mi ha lasciato proprio perché l'ho tradita
torni da me?” replicò non proprio convinto Orlando.
“Non
ti ho detto di fare il mandrillo in calore!” spiegò
John. “Quello che voglio dirti è che forse sarebbe ora
che cominciassi a flirtare con qualcuna, far credere che ci stai
assieme. Anche per finta. Sbaglio o la tua agente era quella che ti
mandava i fotografi in bagno quando andavi di corpo dopo un lungo
periodo di stitichezza? Puoi benissimo mettere in scena una relazione
tra te e una presunta attricetta, modella, starlette del cinema che
non solo ci guadagnerebbe sull'immagine, ma potrebbe persino andare a
dire in giro che è venuta a letto con te...” e prendendo
fiato concluse: “Basta che non fai come l'ultima volta che per
fare un dispetto ad Edith hai messo incinta Miranda e te la sei
dovuta sposare!”
Orlando
soppesò quella possibilità. In effetti era vero. Le
cose tra lui ed Edith, prima che si mettessero assieme, erano
cambiate quando lei lo aveva visto a letto con una di cui non
ricordava nemmeno il nome. Certo, lei era andata a letto con Jude Law
prima, ma questo dettaglio era trascurabile dal momento che Orlando
si stava rendendo conto solo in quel momento che era bastato
quell'unico episodio per scatenare la gelosia di Edith.
“Tu
pensi davvero che se mi mettessi a fare il cretino con un'altra...
Edith tornerebbe da me strisciando?”
John
fece un verso d'assenso e Orlando guardò intorno con un
sorriso.
In
effetti che gli interessava a lui di Gerard Butler. Quello non poteva
competere con lui. O almeno con la sua storia con Edith.
Edith
stava seduta su di una panchina davanti alla biblioteca St. Pancras
quando vide una sagoma a lei conosciuta avvicinarsi lentamente.
Non
ci volle molto per capire chi fosse. Edith si sollevò e
aspettò che l'uomo si avvicinasse e quando lo fece quello che
vide non le piacque per niente.
Di
Brian, o almeno del Brian che lei conosceva, era rimasto davvero
poco: i capelli biondi erano diventati radi e gli occhi azzurri
sembravano quasi spenti, privi del lampo malizioso che Edith aveva
colto la prima volta che lo aveva visto. Il cappotto era un vecchio
modello che cadeva male sulle spalle magre e completamente sformato,
probabilmente risalente ai giorni di fasto della Stephensons Inc.,
quando Brian e suo padre fatturavano miliardi comprando e vendendo
aziende. La mascella un tempo volitiva era nascosta da una sparuta
barba che presentava qualche ciuffo bianco e la pelle aveva un
colorito malato, molto più simile al giallo che al colore
roseo che Edith ricordava.
Ogni
singolo aspetto del nuovo Brian fece stringere appena il cuore di
Edith. Una parte di lei provò pena per quel ragazzotto che
camminava con la testa un po' china e gli occhi spenti; ma la parte
più razionale di lei mantenne il controllo e il giusto
distacco dall'uomo che aveva cercato di rovinarla irrimediabilmente.
“Norton!
È un piacere vederti!” e si avvicinò baciando la
guancia di Edith che al solo contatto provò una scossa
percorrerle la schiena.
Non
era gioia o emozione. No. Era fastidio e disgusto.
La
giornalista lo guardò e cercando di sorridere chiese, cercando
di rompere il ghiaccio visto che non trovava niente di sensato da
dire:
“Sei
venuto a piedi?”
Brian
annuì e rispose:
“Chi
lo avrebbe mai detto che Brian Stephensons un giorno avrebbe preso la
metro. E che avrebbe saputo la differenza tra linea gialla e linea
verde...”
“Probabilmente
non ne conoscevi nemmeno l'esistenza!” ironizzò Edith
non riuscendo a trasmettere la stessa allegria alla voce.
“Dove
andiamo di bello?” domandò Brian guardandosi intorno.
Edith
indicò un ristorante poco lontano e rispose:
“Qua
vicino c'è un ristorante molto carino, che dici se andiamo
lì?”
Brian
si strinse nelle spalle e con un sorriso un po' preoccupato,
guardandosi intorno, disse:
“Se
proprio vuoi...” e seguì Edith che non disse niente fino
a che non raggiunsero l'ingresso del ristorante da lei scelto.
Mangiarono
l'auspicato piatto di spaghetti alla bolognese e quando finirono
Edith guardò il suo Bulgari con impazienza. Mancava un'ora al
suo prossimo appuntamento, poi avrebbe sistemato alcune cose e
sarebbe finalmente tornata a casa dove l'attendevano Ella, David e
Gordon -lui in video chiamata per sistemare alcune cose del copione
di cui avevano parlato per email quella mattina- e Posh che
cominciava a risentire degli anni che passavano.
“Hai
ancora quel Bulgari?” domandò stupito Brian.
Edith
rigirò il braccio, guardando l'orologio: in effetti era vero,
non aveva mai cambiato quell'orologio. Lo aveva comperato con il suo
primo stipendio e lo aveva pagato una fortuna e da quel momento lo
aveva tenuto con la stessa cura con cui aveva tenuto i suoi due
figli.
“Le
cose care, normalmente, si tengono vicine e con cura” rispose
lei.
Aveva
scelto quella frase con l'intento di ferire Brian. Non trovava niente
di produttivo in quell'incontro, anzi, sentiva che aveva sprecato
un'ora della sua vita al tavolo con una persona che per lei era
sterile come un terreno in mezzo al deserto, lontano da ogni oasi e
sul quale non pioveva da chissà quanto tempo.
Brian
colse la cattiveria in quelle parole e sospirando, disse:
“Lo
so che ce l'hai con me, Norton...”
“Non
dovrei? Hai quasi portato alla morte Emma, dopo averci divise per
anni; hai cercato di mettermi i bastoni tra le ruote e hai fatto in
modo che non potessi lavorare per nessun giornale inglese
costringendomi ad un esilio forzato...”
“Ma
grazie a me hai conosciuto ed amato Orlando...”
Quella
frase di Brian aveva bloccato l'elenco altrimenti lunghissimo delle
mancanze dell'uomo e aveva spiazzato Edith che puntò gli occhi
quel giorno verdi verso il suo ex senza dire altro. E Brian
incoraggiato da quel silenzio disse:
“Ammettilo
Edith... Hai amato Orlando dal primo momento che lo hai visto. L'ho
capito alla festa in tuo onore e a cui anche lui e Kate furono
invitati. Lui ti guardava già in quel modo... E tu eri così
tagliente con lui. Apertamente lo detestavi perché sapevi che
dentro di te qualche cosa stava cambiando, che quel ragazzo di
campagna stava smuovendo i tuoi sentimenti!”
Edith
deglutì. Al ricordo di quei giorni il cuore le salì in
gola. Quel periodo era stato difficile per lei, ma indubbiamente
aveva preceduto uno dei momenti più belli della sua vita. E
Brian non aveva tutti i torti quando diceva che se aveva cominciato
una storia con Orlando era anche merito di lui.
“Quando
stavo con te, io ed Orlando eravamo solo amici!” rispose secca
Edith poggiando la schiena contro lo schienale della sedia.
“Non
lo metto in dubbio. La Edith che ho conosciuto era una donna leale e
penso che tu non abbia avuto nessun rapporto con Orlando fino a che
non ci siamo lasciati. Ma quello che mi ha portato a comportarmi come
mi sono comportato è da ricollegare alla mia folle gelosia.
Non mi rendevo conto che ti stavo perdendo da prima che tu conoscessi
Orlando e che lui era solo una scusa per nascondere le mie mancanze.
Preferì vedere il marcio nella vostra relazione e distruggevi,
o almeno distruggere lui che sapevo ti stava lentamente portando via
da me... Ma le cose sono andate diversamente, come ben sai...”
“Karma!”
replicò Edith con una punta di cattiveria, per niente
intenerita dall'espressione mesta di Brian mentre spiegava le sue
ragioni.
“Brian,
si chiama karma e colpisce chi fa del male. E tu ne hai fatto. Non
solo a me, ma anche ad Orlando, a Kate, a mia sorella... Lo hai fatto
per tuo tornaconto, senza pensare alle conseguenze, solo per
vendetta...” continuò Edith, ma Brian la interruppe e
disse:
“Sono
una persona differente adesso, davvero. Voglio solo riprendere a
lavorare, vivere con dignità e poter stare con mio figlio. Ed
è per questo che sono qui. Voglio cominciare una nuova vita
chiedendo scusa a te per prima. Solo se mi perdonerai potrò
cominciare il mio lungo cammino...”
Edith
lo guardò corrugando la fronte e incuriosita domandò:
“Sia
chiaro che la mia è solo una constatazione, niente di più,
ma puoi spiegarmi perché vuoi chiedere scusa solo a me e non
lo fai anche con tutte le persone che hai ferito... E sono tante, lo
sai, vero?”
Brian
deglutì e giocherellando con il bordo del tovagliolo ammise:
“Ho
deciso di chiederti scusa perché solo ora, ora che ho passato
l'inferno, ora che sono meno di un impiegato fallito in una banca e
poco più di un barbone, ho capito che tu sei stata l'unica
donna davvero importante per me. Sei stata l'unica a cui ho chiesto
di sposarmi e sei stata l'unica che ha avuto le palle di
fronteggiarmi, in un modo o in un altro...”
Edith
trattenne il respiro. Brian non era un tipo da smancerie dirette. Era
uno a cui piaceva stupire, che si compiaceva ogni qualvolta la vedeva
sorpresa e felice come una bambina. Ma mai aveva esternato così
apertamente i suoi sentimenti.
La
giornalista chinò la testa e deglutendo disse:
“Mi
spiace che tu sia stato male. Ma quello che hai fatto è stato
tremendo... Per quanto mi fosse sembrato facile al telefono, giuro,
solo ora mi rendo conto di quanto invece sia difficile averti qui e
convincermi che perdonarti sia la scelta migliore...”
“Che
significa?” chiese Brian serio.
Edith
sospirò e disse:
“Penso
che il mio perdono non ti serva. Che la forza tu la possa trovare
dentro di te, senza che io ti perdoni o no. Un tempo forse avrei
detto, ok!, lo posso perdonare. Ma non ora, no! Non ci riuscirei e se
lo facessi non riuscirei a guardarmi allo specchio. È vero che
la nostra separazione è coincisa con uno dei miei momenti
personali più belli, visto che prima ho vissuto la storia
d'amore più bella e coinvolgente della mia vita e quasi subito
dopo sono diventata mamma di Ella, ma non penso, davvero, che dopo
tutto quello che mi hai fatto io possa perdonarti... Mi spiace
Brian!”
L'uomo
sbiancò e chinò la testa. Edith sapeva che era troppo
orgoglioso per piangere e non si stupì quando, rialzando lo
sguardo verso di lei, gli occhi dell'uomo erano del tutto asciutti.
“Immaginavo
che lo avresti detto. Ero pronto anche a questo...”
“Mi
spiace Brian... Ma penso che sia anche ora di mettere fine al nostro
incontro!” ammise con amarezza Edith.
Brian
annuì e serio disse:
“Lo
penso anche io!” e alzando il braccio chiamò un
cameriere che solerte si avvicinò e obbedì all'ordine
di portare il conto.
Quando
arrivò il conto e Brian aprì il libricino nel quale era
contenuto, leggendolo deglutì qualche volta e frugò
nella tasca. Mise la carta all'interno e la porse al giovane. Edith
attese qualche secondo poi vide tornare il giovane che con aria
dispiaciuta disse:
“Mi
spiace signor Stephensons. Ma la sua carta è stata rifiutata!”
Edith
emise un lungo respiro. Se era davvero il karma che stava agendo,
allora si stava comportando da vero bastardo e forse stava anche
esagerando.
“Com'è
possibile...” brontolò Brian e porgendo un'altra carta
disse: “Provi con questa!”
Il
ragazzo si allontanò e dopo qualche secondo con la stessa aria
contrita, disse:
“Mi
spiace ma anche questa carta è stata rifiutata!”
Gli
occhi di Brian si dilatarono. Forse per la prima volta dall'inizio di
quell'incontro si gonfiarono di lacrime. Edith aprì la borsa e
disse:
“Tranquillo.
Pago io” e porgendo la carta al cameriere sorrise senza
guardare Brian.
Mai
avrebbe immaginato che avrebbe umiliato la sua nemesi in quel modo.
Mai avrebbe immaginato che per lui avrebbe provato tutta quella pena.
Il
cameriere tornò con il conto pagato ed Edith sistemò la
carta all'interno del portafoglio a non guardare Brian. Cominciava a
sentirsi davvero in imbarazzo a stare seduta allo stesso tavolo di
quell'uomo.
Salutarono
i camerieri e uscirono in silenzio.
Fu
quando si trovarono in mezzo alla strada che l'urgenza di non
lasciare per sempre Brian con un semplice ciao, portò Edith a
dire:
“Non
è vero che c'è stato solo del male. Non potrò
perdonarti, questo è vero. Ma penso che se quello che hai
detto è vero, se davvero mi hai amata così tanto, ti
basterà il ricordo di tutti i momenti belli per poterti
rimboccare le maniche e ricominciare da zero. E magari costruire un
amore più sano con una donna che ti amerà per la
persona che diventerai!” e sollevandosi sulla punta dei piedi,
baciandogli una guancia, riuscì solo a mormorare: “Buona
fortuna!” prima di allontanarsi appena.
Attese
di aver svoltato l'angolo prima di girarsi e spiare Brian da quella
posizione nascosta. E guardando quell'uomo che non era altro che
l'ombra del ragazzo arrogante e senza scrupoli che aveva amato e
odiato, pensò che non riusciva a provare altro che pena per
Brian e che questo la riempiva ancora più di tristezza dal
momento che se si è davvero amato qualcuno non bisognerebbe
mai pensare una cosa simile. E mentre a passo svelto metteva una
certa distanza da Brian, sentiva il cuore alleggerirsi, come quando
si è scampato un grosso pericolo. Ad ogni passo che
l'allontanava da quel ristorante, da quella strada e dall'uomo che
per lei era solo una zavorra da buttare giù per volare più
in alto, Edith sorrideva un po' di più, conscia del fatto di
aver fatto la scelta giusta.
“Mamma!”
La
voce di David riempì l'ingresso e subito venne travolta dal
piccolo che allargando le braccine saltò al collo di Edith e
le baciò una guancia.
La
ragazza mise a posto i capelli che con il tempo si erano scuriti
ancora di più e scrutò gli occhioni del suo colore ma
della forma inequivocabile di quella di Orlando.
“Piccolo!
Lo sai che mi sei mancato!” sorrise Edith baciando il figlio di
nuovo sulla guancia.
Il
piccolo la strinse e tutto il gelo provato quel giorno cominciò
a sciogliersi. Era vero quando Rachel diceva che la maternità
l'aveva ammorbidita e lei non era poi la vecchia stronza che aveva
finto di essere per anni.
June,
la baby sitter sorrise e avvicinandosi ad Edith fece il resoconto
della giornata e attese che Edith le desse il permesso per andarsene.
Permesso che le venne accordato dopo che la giornalista informò
la giovane del fatto che l'avrebbe pagata ad ogni fine mese e che
poteva scegliere se farlo tramite bonifico o per assegno.
Finita
anche quell'incombenza, lasciò che tutti e due i suoi figli le
saltassero al collo e giocò con loro fino all'ora di cena
quando scongelò qualche manicaretto al microonde e li fece
cenare.
Era
stata una giornata faticosa e per quello, nonostante le proteste dei
bambini, decise di mandarli a letto presto, troppo stanca per sentire
litigi o storie assurde di litigate con compagni ingrati.
Si
mise a sedere nella poltrona e accese il computer. Si collegò
via Skype e chiamò Gordon per sistemare alcune cose del
copione come accordato quella mattina, nonostante la testa le stesse
scoppiando.
Fu
un'altra rogna per Edith che davvero faticò a tenere gli occhi
aperti per tutta la durata della video chiamata. Poi, quando finì,
guardò il tavolino e il plico della posta privata che
l'attendeva.
E
nonostante una parte di lei protestasse perché voleva che
andasse a letto e si mettesse a dormire, Edith allungò la mano
e prese le buste.
La
maggior parte erano offerte pubblicitarie. Solo una attirò
davvero la sua attenzione. Era una busta dall'aspetto formale e
portava il nome e il simbolo delle Corte Inglese.
L'aprì
con le dita che tremavano e quando lesse il contenuto una lacrima
solcò veloce il viso.
Il
testo diceva:
'All'attenzione
della Signora Edith Isabel Law, nata Norton.
Con
la presente la informiamo che il giorno giovedì 20 Giugno 2013
alle ore 10,30 dovrà presentarsi presso il Tribunale Civile
sito ad Aldgate per formalizzare la sentenza di divorzio richiesta da
David Jude Law.
La
preghiamo di presentarsi con un suo legale...'
Il
resto della lettera Edith non lo lesse.
Era
sconvolta, per quanto se lo aspettasse. Jude aveva detto che
l'avrebbe lasciata libera però Edith non aveva immaginato che
sarebbe successo tutto così in fretta.
Guardò
la lettera e un pensiero la fece raggelare: non voleva che un giorno,
incontrando Jude o Orlando per strada potesse succedere quello che
era successo con Brian.
Perché,
anche se la sua vita si era incasinata da quando li aveva conosciuti,
aveva amato troppo entrambi per finire a parlare con loro come se
fossero dei perfetti sconosciuti, come se fossero un obbligo
fastidioso da espletare prima di finire la giornata.
E
guardando la lettera compose veloce un numero.
Stavolta
non fu Gerard a rispondere ma Rachel.
E
non sembrava affatto tranquilla. Al contrario ansimava.
Edith
in un attimo dimenticò la lettera. Sapeva che cosa stava
succedendo e ne ebbe conferma quando Rachel, trattenendo a stento un
grido di dolore disse:
“Stavo
proprio per chiamarti io, Norton!” e cercando di essere
disinvolta per quanto le contrazioni glielo permettessero aggiunse:
“Non è che potresti tenermi i bambini... Sai... Sto per
partorire!”
Ringrazio
di cuore chiaretta e scarl che mi hanno recensita.
E
Margherita, la mia amica extra EFP che
legge
la storia e mi sprona a scrivere.
Se
avete dei nuovi capitoli lo dovete a lei.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Un
po' di passaggio. Prometto che al prossimo ci
saranno
dei colpi di scena.
Con
affetto a tutti quelli che
mi
recensiscono o
mi
introducono in una delle tre liste
seguiti,
preferiti
e
ricordati...
Nella
speranza di non deludervi e annoiarvi.
Alla
prossima.
Niniel82.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo
11: Benvenuti.
Qualche
giorno prima...
Orlando
stava ridendo assieme a Condola Rashad, sua coprotagonista
nell'adattamento di Romeo e Giulietta a cui Orlando aveva deciso di
prendere parte.
Con
lui aveva deciso di portare anche Cheryl, la modella che Robin gli
aveva presentato non senza qualche remora. Infatti la sua manager non
capiva come Orlando, prima vedovo inconsolabile, abbandonato da tutte
le donne che amava, volesse conoscere altre ragazze. L'attore di
Canterbury si era giustificato dicendo che voleva cambiare un po' i
suoi orizzonti e che voleva dare un po' di brio alla sua immagine.
Incuriosita, Robin accettò e portò ad Orlando la
giovane e di belle speranze Cheryl, molto più simile a Kate e
a molti dei suoi primi flirt che ad Edith o Miranda, donne che
avevano in qualche modo manipolato la vita dell'attore negli ultimi
anni.
Nonostante
Orlando, sin dall'inizio, avesse detto a Cheryl che tra loro due non
voleva ci fosse niente, la ragazza aveva cominciato a diventare
insistente, a volere qualche cosa di più: fingere di essere
la fidanzata di Orlando Bloom era un ottima pubblicità, sì,
ma perché non prendere anche i benefici di questa condizione
approfondendo la sua relazione con uno degli uomini più
sensuali dello star system?
“Ma
cosa ci fai con quella, OB?” chiese Condola bevendo un sorso
del suo margarita e indicando con lo sguardo Cheryl che rideva,
evidentemente brilla, assieme ad un altro degli attori della crew.
Orlando
guardò la modella e sospirando si rese conto che per quanto
fosse desiderabile -e quella comparsa, effettivamente, se la stava
mangiando con gli occhi- lui non aveva mai provato il ben che minimo
impulso verso Cheryl. Sapeva che la stava usando e che anche lei lo
stava facendo con lui. Stop!
“Quando
avrai una manager come la mia alle costole allora capirai Condola!”
rispose Orlando bevendo un lungo sorso dal suo bicchiere che
conteneva un liquido ambrato.
Condola
lo guardò sollevando un sopracciglio e domandò:
“E
tu vai a letto con quelle che ti presenta la tua manager solo per
farla contenta?”
C'era
un po' di disprezzo nella voce della giovane attrice di colore, che
guardava Orlando come se fosse un alieno, incapace di capire il vero
significato di quello che aveva detto.
Orlando
passò la lingua sulle labbra e sorridendo dolcemente disse:
“Non
è proprio così...”
“E
allora com'è?” chiese mostrando un sarcastico interesse
Condola, mentre sgranocchiava noccioline.
L'attore
di Canterbury cominciava a sentirsi spalle al muro: quella non era
una chiacchierata, quello era un interrogatorio.
“Condola...
Quando si diventa famosi si deve scendere a compromessi...”
tentò di spiegare Orlando ma la giovane lo bloccò e
disse:
“E
scendere a compromessi significa scambiarsi liquidi corporei con
ragazze che non ami?”
Orlando
sorrise malizioso e cercando di sviare la discussione, più
perché lo stava davvero imbarazzando che per altro, domandò
con voce suadente:
“Non
è che ti piaccio, Condola?”
L'attrice
sollevò gli occhi al cielo e scuotendo la testa rispose,
bevendo un lunghissimo sorso dal suo bicchiere:
“Orlando...
Ora ti dirò una grande verità che ti cambierà
per sempre la vita: noi donne non corriamo dietro ogni pene che
vediamo. E ti dirò di più: ci da fastidio chi ci usa
più o meno palesemente o lo fa con qualcuna che è donna
come noi... Anche se si parla di Cheryl che nel cervello ha la stessa
probabilità di trovare qualche forma di vita che c'è su
Marte!”
“Stavo
scherzando!” pigolò Orlando.
“OB!
Scherza quanto vuoi! A me non importa!” sorrise dolcemente
Condola. “Quello che ti voglio dire è che sono
un'attrice anche io e non permetterei a nessuno, né a mia
madre e men che meno alla mia agente di decidere con chi devo stare.
Se tu, che sei un attore affermato devi vivere così, allora
preferisco non diventare famosa. Capisco accettare alcune cose, ma
non posso scendere a patti con nessuno, almeno non per quello che
riguarda la mia vita privata!” e alzandosi dallo sgabello
concluse: “Non te la prendere Orlando... Ma non penso che stare
con qualcuno che non ami sia una buona scelta!” e si allontanò
con il bicchiere in mano avvicinandosi a qualcuno di non meglio
identificato che la stava chiamando.
Orlando
rimase fermo qualche secondo. Guardò il contenuto ambrato del
suo bicchiere, rigirandolo tra le mani e fissando senza vederli
davvero i riflessi sul bancone.
Aveva
seguito il consiglio di John, aveva cercato qualcuna che potesse
sembrare la sua ragazza, e solo ora si rendeva conto che forse non
era la cosa giusta da fare.
Si
guardò intorno e sospirò cercando Cheryl.
Non
fu difficile trovarla. Stava parlando con una ragazza che sembrava
per niente convinta da quello che stava dicendo la modella.
Sollevando
gli occhi al cielo chiamò il barista e tolse qualche dollaro
da tasca per pagare le consumazioni sue e della modella e
avvicinandosi, toccandole una spalla, le sussurrò:
“Oggi
mettiamo fine a questa messa in scena!” e prendendola per mano
la portò fuori dal locale.
Sapeva
che cosa stava facendo: c'erano paparazzi là fuori puntati
come avvoltoi su di una preda e uscire per mano con Cheryl
significava farsi fotografare in sua compagnia.
Ma
dopo quello che aveva detto Condola si sentiva quasi sporco, come se
quello che stava facendo gli stesse in qualche modo contaminando
l'anima.
Uscì
dal locale. Il cielo terso dell'estate newyorkese permetteva di
vedere la luce del sole anche alle sette di sera. Con una morsa al
cuore Orlando ricordò una sera, a Canterbury, d'estate, quando
Edith incinta e stretta a lui, rideva, mentre il sole, nonostante
fossero ancora le nove, si rifletteva con riflessi magenta, rossi e
oro nel cielo sereno.
“Orlando!
Orlando!” chiamò qualcuno.
“Amo
l'estate!” risuonò in un angolo della sua memoria la
voce di Edith.
“La
tua nuova fidanzata?” chiese qualcuno lì vicino.
“Amo
stare nei posti dove sei cresciuto. Mi fa capire che ragazzo eri
prima di incontrarmi, prima di diventare lo stronzetto famoso che sei
diventato!” e il sorriso divertito di Edith riecheggiò
nella testa di Orlando spezzandogli il cuore.
“Ciao!”
trillò la voce di Cheryl accanto ad Orlando.
In
quel momento in cui passato e presente si fondevano nella testa di
Orlando, in cui i colori di un tramonto nella campagna inglese si
confondevano con quelli dell'estate newyorkese, Orlando si avvicinò
ad un taxi e, come era successo su di un dondolo che cigolava placido
sotto il peso suo e di Edith, le labbra di Orlando si incollarono su
quelle di una donna. Solo che il bacio con Edith rimase solo un
ricordo. Quello con Cheryl era una trista realtà condita
dall'incessante scattare delle macchine fotografiche che stavano
attorno.
E
in quel momento Orlando ebbe solo una certezza, triste, ma comunque
una certezza: avrebbe scaricato Cheryl.
Infondo
aveva ottenuto quello che voleva.
Per
quanto stesse crollando dal sonno, quella notte Edith non chiuse
occhio. Charlotte, Kevin ed Elizabeth erano tutti a casa sua, stipati
alla bene e meglio tra la camera degli ospiti e quella di Ella e
David, in attesa di notizie della madre e del nuovo fratellino.
Notizie
che non arrivarono fino alle sei del mattino, quando John, distrutto
ma felice annunciò che Mark Gary Withman era nato alle 5:45,
aveva pesato due chili e novecento grammi ed era lungo cinquanta
centimetri.
Edith
accolse la notizia con gli occhi pieni di lacrime e attese la prima
foto di Rachel con il piccolo Mark che John le avrebbe spedito via
Whatsapp.
Dopo
la chiamata preparò il caffè e si mise ad armeggiare
con fruste e il preparato dei pancake per preparare la colazione per
i ragazzi. Decise di esagerare con le porzioni, in quanto -da quando
aveva cominciato ad abitare in quella casa- non c'erano mai state
così tante persone a sedere alla tavola di casa di Edith.
Ed
effettivamente, un'ora dopo, mentre nella sala da pranzo di casa
Norton si scatenava una guerra, Edith si maledì mentalmente
mentre cucinava altri pancake che si andarono ad aggiungere alla
lunghissima fila di quelli che aveva già preparato e che si
stavano cominciando a raffreddare.
Nonostante
questo la presenza di tutti quei bambini -anche se Charlotte
cominciasse ad avviarsi inesorabilmente verso l'adolescenza- diede la
possibilità ad Edith di non pensare. Non le fece ricordare che
aveva un sacco di problemi da sistemare, dalla sua relazione con
Orlando alla separazione con Jude. E alla sua amicizia con Gerard.
Stava
impilando l'ennesimo pancake sulla lunga fila di quelli già
cotti e soppesando l'idea di riutilizzarli per la cena di quella
notte quando Charlotte, mettendosi a sedere sul top di granito scuro
della cucina, prendendo uno dei dolci appena fatti e addentandolo,
disse:
“Stamattina,
mentre ti guardavo fare i pancake mi sono ricordata di quando venivo
a casa tua e dello zio Orlando a dormire, quando mamma e papà
me lo permettevano”
Edith
si bloccò un attimo e sorrise appena.
Anche
lei ebbe un lampo, un ricordo legato al settimo compleanno di
Charlie, quando Rachel lasciò la figlia a casa Bloom per
preparare al meglio la festa che aveva organizzato.
Era
una mattina fredda di metà dicembre. Edith era incinta di
cinque mesi e con Orlando aveva deciso di passare le vacanze di
Natale a Londra, vicini ai parenti.
Rachel,
impegnata con i preparativi del matrimonio e oberata dal lavoro si
sentiva in colpa verso Charlotte che cominciava a sentirsi messa da
parte. Con John aveva quindi deciso di preparare per lei una
bellissima festa di compleanno al quale avrebbe invitato tutti i suoi
amici. Nel frattempo tutti dovevano comportarsi normalmente, magari
fingendo che quella sera sarebbero andati a casa della nonna di John,
che Charlotte detestava, per mangiare una fetta di torta al limone
preparata dalla mamma di Rachel.
Edith
era ai fornelli e leggeva attentamente le istruzioni su come
preparare la miscela per i pancake, mentre Orlando, divertito, la
guardava seduto al tavolo.
“Unire
un bicchiere di latte al resto dell'impasto e cominciare a lavorarlo
con le fruste...” lesse Edith assorta.
“Ti
serve una mano?” domandò Orlando, anche se conosceva già
la risposta.
Edith
si voltò e guardandolo con sguardo di sfida disse:
“Senti,
Bloom... Ho intervistato il Dalai Lama. Non sarà certo il
preparato dei pancake a spaventarmi, non trovi?”
Orlando
strinse le labbra per non ridere e facendo cenno alla giornalista di
continuare, disse:
“Siamo
nelle tue mani!”
Edith
annuì e prendendo un bicchiere dalla credenza aggiunse il
latte e prendendo le fruste le accese prima di infilarle dentro
l'impasto.
Orlando
sbarrò gli occhi e si sollevò dicendo:
“No!
Edith non ora!” ma fu comunque troppo tardi.
L'impasto
cominciò a schizzare ovunque e sia Edith che Orlando si
trovarono con i capelli e i vestiti pieni di preparato per i pancake
e latte scremato.
Si
guardarono negli occhi e cominciarono a ridere come dei bambini,
mentre Orlando, togliendo un po' di sporco da un ciuffo di Edith,
divertito disse:
“Non
mi spaventa niente a me, ho intervistato anche il Dalai Lama io...
Sarai anche una bravissima giornalista amore... Ma come cuoca sei
pessima!” e le baciò dolcemente le labbra.
Edith
rispose al bacio sorridendo sulle labbra dell'attore di Canterbury e
senza staccarsi da lui, in sua difesa, disse:
“Io
ho sempre detto che non sono brava a fare nemmeno un uovo
strapazzato!”
Orlando
troppo impegnato a baciarle le labbra non rispose alla provocazione
ma continuò a baciarla sussurrando solo a fior di labbra con
voce roca:
“Da
quando sei incinta hai un profumo meraviglioso!”
Edith
sorrise di nuovo e staccandosi appena replicò:
“Non
è la gravidanza è questo preparato che tra l'altro ha
la stessa consistenza del cemento a presa rapida dopo di un po'!”
Orlando
non rispose di nuovo e prendendo Edith per i fianchi la mise a sedere
sul top e le baciò il collo, con passione.
“Ob!”
cerò di protestare senza essere troppo convincente Edith. “La
cucina e un disastro!”
Ma
Orlando non sembrava interessarsi a questo. Stava ancora titillando
la pelle di Edith con baci, carezze e piccoli e delicati morsi quando
si sentì:
“Zia
Edith! Zio Orlando! Ma cos'è questo disastro?”
I
due si guardarono in faccia per un attimo ed Edith riuscì solo
a dire:
“Mettimi
giù!”
Orlando
fece come ordinato e sistemandosi alla bene e meglio i due sorrisero
a Charlie che con le mani nei fianchi disse:
“Questo
significa che non c'è niente per colazione?”
Edith
guardò Orlando con imbarazzo e poi rivolgendo lo stesso
sguardo alla bambina, annuì.
Charlotte
sollevò gli occhi al cielo e stava per replicare quando
Orlando disse, avvicinandosi e prendendola in braccio:
“Buon
compleanno, piccola. Io e la zia Edith volevamo farti una sorpresa,
ma lo sai che la zia in cucina è una frana... Quindi adesso ci
andiamo tutti a lavare a andiamo a Dunkin' Donuts a Strand e ci
mangiamo un casino di ciambelle. Che ne dici?”
Gli
occhi di Charlotte si illuminarono e abbracciando forte Orlando,
entusiasta disse:
“Zio!
Promettimi che se non ti sposi la zia Edith, quando sono grande,
sposi me!”
Orlando
rise e baciando la guancia della bambina rispose:
“Vediamo!”
e rivolgendo ad Edith un sorriso sarcastico aggiunse: “Sette
anni in Tibet... Io e Charlie stiamo andando a prepararci. Che ne
dici di mettere a posto questo casino e di raggiungerci appena puoi?”
Edith
strabuzzò gli occhi e con le mani sui fianchi guardò
Orlando allontanarsi senza dire niente. In quel momento riusciva solo
a pensare a due cose: che Orlando sarebbe stato il padre migliore del
mondo; e che aveva davvero voglia di un paio di ciambelle da Dunkin'
Donuts.
Edith
sorrise a quel preciso ricordo.
E
guardando Charlotte disse:
“Ricordo
anche io!”
Charlotte
prese l'ennesimo pancake e addentandolo disse:
“Io
invece vedo che mancano due cose...”
Edith
si voltò a guardarla e Charlotte continuò:
“Primo
lo zio... Da quando lo hai lasciato non sei più la stessa. Con
lui era diversa. Ti sorridevano gli occhi, eri meno acida... Lo dice
anche la mamma...” e guardando il pancake aggiunse: “E lo
sciroppo d'acero, zia. Manca lo sciroppo d'acero!” e scendendo
dal top guardò il cellulare che aveva annunciato l'arrivo di
un nuovo messaggio e mentre lo apriva, senza guardare Edith negli
occhi concluse:
“E
ricorda zia Edith. Se non lo sposi tu lo zio Orlando, lo sposo io. E
ci mancano solo cinque anni perché diventi maggiorenne!”
e togliendo la lingua fuori fece un sorriso e strizzò l'occhio
ad Edith che la guardò allontanarsi perplessa.
Da
quando Charlotte era diventata così intraprendente?
E
da quando ricordare un evento con Orlando la faceva stare così
male?
Quella
mattina volò veloce al lavoro ed Edith, giocando d'anticipo e
mettendo tutti gli appuntamenti prima di mezzogiorno, si trovò
con il pomeriggio libero.
Dopo
un pasto veloce andò immediatamente all'ospedale dove Rachel
era ricoverata.
Le
cose erano andate bene e sia che il bambino che la mamma stavano
bene, nonostante questo e le regole degli ospedali inglesi che
permettevano ad una puerpera di lasciare la struttura anche ad una
manciata di ore dal parto, Rachel e il piccolo Mark vennero
trattenuti fino alla mattina, per scongiurare eventuali problemi.
Quando
Edith entrò nella stanza la sua migliore amica dormiva.
John,
che non aveva dormito tutta la notte, aveva approfittato dell'ora di
pranzo per tornare a casa al fine di farsi una doccia, mangiare un
boccone e magari riposare un po'.
Sull'uscio,
la giornalista, picchiò leggermente la porta con le dita,
sorridendo. Rachel, a fatica, aprì gli occhi e quando vide
l'amica disse:
“Norton.
Menomale che sei qui!”
Edith
entrò sorridendo e mettendosi a sedere nella poltrona vicina
al letto di Rachel, disse:
“E
perché?”
“John
non capisce le mie lamentele sul fatto che, nonostante questo sia il
quarto figlio per me, non trovo normale che per ricucirmi abbiano
dovuto quasi praticarmi un'infibulazione!” si lamentò
Rachel cercando di mettersi di fianco per parlare meglio con l'amica.
“Quanti
punti ti hanno messo?” chiese Edith aiutandola, con una smorfia
di sincero dolore dipinta sul volto.
“I
dottori hanno detto dieci. E li ho sentiti tutti. Ecco perché
posso giurare che sono molti di più!” replicò
Rachel con una smorfia di dolore vero, stavolta, che difficilmente
riusciva a celare.
Edith
sorrise sistemandole le coperte e indicando dietro di lei, verso la
culla, chiese:
“Posso?”
“Certo!”
esclamò Rachel, che sarcastica aggiunse: “E visto quanto
piange volevo anche proporti di adottarlo! E non solo per quello...”
Edith
sorrise e avvicinandosi al piccolo Mark rispose:
“E
John è d'accordo?”
Le
bastò affacciarsi alla culla per vedere il visino del piccolo.
Per quanto non fosse il primo bambino che vedeva ne rimase alquanto
delusa: Mark era piccolo e quasi sembrava rachitico; i capelli erano
tutti dritti, soffici e neri e il viso corrucciato sembrava quello di
Gollum. E lei che era stata la compagna di Orlando Bloom era davvero
ferrata in materia.
“Lo
so cosa stai pensando, Norton!” disse Rachel senza voltarsi.
“Mark è orribile, vero?”
Edith
spalancò la bocca cercando qualcosa di carino da dire, ma non
la trovò e il silenzio prolungato dell'amica indusse Rachel a
pensare che anche Edith pensava la stessa cosa che lei aveva capito
quando aveva visto il piccolo poggiato sul suo petto, appena nato.
“Non
è così male! È simpatico!” replicò
Edith cercando di convincere anche se stessa. “Diciamo che è
un tipo!” concluse.
“Un
tipo alieno, Edith!” rispose Rachel afflitta. “Non ho mai
partorito un essere così immondo!”
“Rachel!
È tuo figlio!” rispose scandalizzata Edith tornando a
sedersi nella poltrona per poter guardare Rachel in viso.
L'amica
sollevò un sopracciglio e rispose:
“Sappi
che chiederò l'esame del DNA, perché non sono sicura
che questo bambino sia mio...”
“Ha
i capelli del tuo stesso colore” notò Edith con
attenzione.
“Quel
bambino non mi somiglia nemmeno un po'. Lo sai a chi somiglia invece?
Alla nonna di John. A quella vecchia megera. Ha i suoi stessi capelli
dritti e indomabili. Solo che quelli di Mark sono neri, lei nemmeno
li tinge più per non correre il rischio di ossigenare troppo
il cervello!”
Alla
battuta di Rachel, Edith dovette davvero far leva su tutto il suo
autocontrollo per non scoppiare in una fragorosa risata si piegò
in avanti e rise a lungo in silenzio, mentre l'amica stesa supina la
guardava con un sopracciglio sollevato, divertita a sua volta.
Dopo
qualche secondo Edith riuscì a riprendere il controllo e
guardando Rachel la rassicurò:
“Tranquilla.
Molti bambini appena nati sono orribili e poi crescendo diventano
bellissimi!”
Rachel
mosse la testa in un segno d'assenso per niente convinto e poi,
guardando seria Edith le disse:
“Ieri
mattina, molto prima che le doglie mi cogliessero, mi hai parlato di
un certo Gerard... Non è che per caso ti stavi riferendo a
Gerard Butler, vero?”
Edith
guardò l'amica con aria di sfida e incrociando le braccia e
accavallando le gambe, con la schiena poggiata sullo schienale,
reclinando appena la testa a sinistra disse:
“Perché
me lo chiedi Brown? Non penso che sia importante, ora che sei
diventata mamma, sapere se la persona con il quale mi confido sia o
no un attore famoso...”
Rachel
si sistemò nel letto e rispose:
“Lo
diventa dal momento che in questo caso specifico gli attori famosi
diventerebbero tre o ti sei dimenticata di Orlando e di Jude?”
e puntellandosi su di un gomito, senza nascondere una smorfia di
dolore, l'ennesima, aggiunse: “E non mi è per niente
piaciuto il tono con cui ne parlavi!”
Edith
aggrottò le sopracciglia e sorridendo, incuriosita, disse:
“E
cosa ci sarebbe di così strano nel mio tono di voce quando
parlo di Gerard, scusa?”
Rachel
la guardò seria e con lo stesso tono replicò:
“Si
vede e si sente lontano un miglio che ti piace!”
Edith
boccheggiò a quell'affermazione. Ma infondo aveva di fronte
Rachel. Da quanto si conoscevano? Quasi vent'anni? Come poteva la sua
migliore amica, che in tutti quegli anni aveva visto passare l'amore
per Brian, Orlando e Jude dando solo consigli più o meno
saggi, non rendersi conto che Edith si stava innamorando di qualcun
altro.
“Quando
ti ho detto che magari ti serviva un terzo uomo non ero seria. Non
sono mai seria quando dico cazzate simili!” continuò
Rachel con un tono che non ammetteva repliche.
Edith
sospirò e disse:
“Gerard
mi capisce. Ecco tutto. Sa quello che voglio senza che io parli. Mi è
stato vicino più lui in queste settimane che Orlando e Jude da
quando sono finita sotto quella macchina!”
“Edith...
Ma ti rendi conto che Orlando da quando l'hai lasciato è
completamente uscito di testa. Sembra regredito mille anni perché
non sa come comportarsi, peggio di un adolescente alle prime armi. E
Jude... Per quanto mi costi ammetterlo... Stavolta ha fatto la scelta
giusta. Tu e lui non vi dovevate sposare. Punto. Tu amavi e ami
Orlando e mettere un altro in mezzo, per l'ennesima volta tra di voi,
mi sembra meschino e sadico!”
Edith
guardò Rachel con tanto d'occhi e disse:
“Tu
non capisci. Quando l'ho conosciuto l'ho odiato con tutto il cuore.
Era irriverente, spocchioso, alle volte perfino cafone. Abbiamo
litigato e quando poi ho cominciato a capire che persona era il
nostro rapporto è cambiato... Siamo diventati molto più
amici... Ed io... Io non lo so cosa mi sta prendendo, ma credo che
dopo tutto il livore che ho provato nei suoi confronti... Mi sto
innamorando di lui!”
Rachel
sollevò gli occhi al cielo e disse:
“Ti
rendi conto che quella che mi hai appena descritto e paro paro la tua
storia con Orlando. Odio senza frontiere all'inizio, attrazione
fatale poi e per finire amore senza fine... Edith tu non ami Gerard.
Tu ami il fatto che Gerard ti ricorda Orlando. E questo significa
solo una cosa. Tu ami il padre dei tuoi figli!”
“Rachel...
Non sto scherzando...” stava per dire Edith ma l'amica la
bloccò e disse:
“Nemmeno
io! Non sono mai stata più seria in tutta la mia vita. E te lo
dico perché sono stufa di vederti raccogliere te e la tua
anima a cucchiaini ogni volta che una storia finisce. Sono stanca del
fatto che tu non capisca che hai lasciato Orlando solo per ferirlo
come lui aveva ferito te e che quando potevate rimettervi assieme,
sempre per orgoglio hai sposato Jude, nonostante aspettassi un figlio
di Orlando!”
“Jude
per me è stato un uomo importante!” si giustificò
Edith.
“Talmente
importante che non hai provato niente quando ti ha lasciato?”
notò con una punta di cattiveria Rachel.
“Sto
passando uno dei momenti più duri della mia vita!”
replicò Edith stupita che la sua amica usasse quella scusa per
giustificare le sue idee.
“Non
dire stronzate, Norton!” disse Rachel divertita, con un tono
pregno di sarcasmo: “Se John mi lasciasse e nello stesso
giorno scoprissi che mia madre è malata, beh! Sappi che cadrei
a pezzi. In mille piccoli pezzi pieni del dolore per la perdita
futura di mia madre e per quella immediata di mio marito!”
“Tu
non sai cosa vuol dire perdere un genitore!” bisbigliò
Edith.
“Nemmeno
tu fino a prova contraria!” fece notare all'amica, Rachel. “E
questo non vuol dire che tu debba usare la scusa della malattia di
Eloise, la tua debolezza passeggera per mettere quel poveretto in
mezzo!”
“E
se lui mi ricambiasse?” replicò Edith con rabbia.
Rachel
la guardò sollevando un sopracciglio e divertita disse:
“Se
è lo stesso Gerard Butler quello di cui stiamo parlando,
allora penso che sia fidanzatissimo con una che, scusa la sincerità,
ma è cento volte più bella di te. Madalina Ghenea è
una bellissima donna. O sbaglio?”
Edith
accusò il colpo stoicamente: Gerard gli aveva fatto vedere una
foto di Madalina ed lei non aveva potuto far altro che constatare che
fosse davvero bellissima.
“Sarà
un'arrampicatrice sociale. Tutte le modelle lo sono...” replicò
Edith con fare disinvolto.
“Fino
a poco fa avevi tu addosso quell'etichetta e non penso che ti facesse
piacere sentirtelo dire, visto come reagivi ogni volta!” disse
Rachel con semplicità.
Effettivamente
Edith ricordava i momenti in cui tutti l'additavano come
un'arrampicatrice sociale solo perché era la fidanzata di
Brian Stephensons e ricordava anche che si era giurata mille volte
che non avrebbe mai detto a qualcuno la stessa cosa.
Chinò
la testa e sospirò e disse:
“A
me lui piace...”
Lo
disse con un tono di voce simile a quello di una bambina ferita e
Rachel, con un sorriso dolce le spiegò:
“A
te non piace. Tu non lo vuoi. Stai solo copiando l'immagine di
Orlando su di lui perché non vuoi ammettere con nessuno che
sei ancora innamorata di lui!” e sistemandosi, reprimendo una
smorfia di dolore, aggiunse: “Quanto ti ci vuole ad ammetterlo,
Edith? Tu sei innamorata di Orlando e tutto quello che hai fatto dopo
che vi siete lasciati lo hai fatto solo per fargli male, per fargli
un dispetto. Se io non amo un uomo non aspetto che mi scopi contro un
muro mentre sto per sposare il mio mito!”
“Io
ho sposato...” stava per dire Edith ma venne interrotta da
Rachel:
“...
Jude per amore!” e dopo aver concluso la frase per lei, disse:
“Sai quante volte me l'hai detta questa cosa, Edith? Mille.
Sono anche stanca di sentire queste cazzate! Tu ami Orlando. Lo hai
amato da quando avete fatto quella stupida intervista nel 2005 e in
questi, quasi, dieci anni non avete altro che strapparci le palle
prima con il vostro 'ma siamo solo amici' e poi, dopo che vi siete
lasciati con il 'sono troppo orgogliosa-barra-orgoglioso per
perdonarlo-barra-perdonarla! Per il bene dei nervi miei, di John, di
Fred e Jen e per quelli di tutto l'emisfero boreale... Vi prego...
Mettetevi d'accordo e smettetela di romperci le scatole, una volta
per tutte!”
Edith
sentì l'improvviso impulso di scoppiare a ridere. E infatti
rise di gusto e non si trattenne, svegliando anche il piccolo Mark e
costringendo Rachel ad alzarsi dal letto e cercare di calmare il
bambino. Ma non gli importava.
In
quel momento, ridere, l'aiutava a togliere il peso di tutto quello
che stava succedendo.
In
quel momento, ridere, era l'unica cosa che le permetteva di non
pensare a tutto quello che stava succedendo in quel momento delicato
delle sua vita.
Dopo
giorni dalla nascita di Mark, Edith, seduta nella penisola della sua
cucina, stava ancora mangiando i pancake che aveva preparato in
quantità industriale la mattina che i figli di Rachel avevano
fatto colazione da lei.
E
lo stava facendo di sera mentre lavorava alla ristesura di una parte
del copione che Gordon le aveva mandato per email. Stava pulendo la
tastiera del pc, poggiato affianco a lei, dalle briciole, quando il
suo cellulare squillò.
Aggrottò
la fronte e prendendo il cellulare guardò il display che si
era illuminato e annunciava che qualcuno la stava chiamando. E quando
lo vide il cuore perse un battito. Era sua zia Marge.
Trattenendo
il respiro Edith rispose:
“Pronto!”
La
zia dall'altra parte replicò con voce allarmata. E questo
spaventò di più Edith che mai, da quando la conosceva,
aveva sentito sua zia in quelle condizioni.
“Edith!
Ti prego. Corri al Royal London Hospital a Whitechapel... Tua madre è
stata male e l'hanno portata lì!”
La
voce concitata di sua zia fece venire la pelle d'oca ad Edith: in un
attimo la malattia di sua madre le crollò addosso come non era
mai successo fino a quel momento. Tutta la sua essenza si era tesa
fino a quel momento, fino al giorno in cui tutto sarebbe diventato
inevitabile: il lento degenerare della malattia di sua madre.
Si
mise d'accordo con la zia, chiedendole indicazioni accurate sul piano
in cui era ricoverata e poi, come un'automa, cominciò ad
organizzarsi: svegliò suo figli, che piagnucolarono spaventati
e lasciarono che la madre li vestisse e li sistemasse sul divano dove
ad intervalli alterni ricaddero in un sonno profondo, poi chiamò
Rachel chiedendole se poteva ricambiare il favore che aveva fatto il
giorno che era nato Mark e di tenere Ella e David.
Rachel
non chiese spiegazioni, ma accettò senza protestare. E di
questo Edith le fu grata dal momento che qualsiasi domanda le avrebbe
causato una crisi di pianto.
Dopo
aver chiuso la comunicazione con l'amica scorse veloce la rubrica e
chiamò Emma e Paul e poi suo padre. Fatto questo si vestì
in fretta.
Si
rese conto in quel momento di quanto, in momenti concitati o
difficili, le cose più importanti tendessero a sparire. E le
chiavi della sua macchina erano un esempio. Nervosa cominciò
ad inveire contro tutti soprattutto contro se stessa, mentre i figli
la guardavano spaventati. Quando le trovò, riguardando per
quella che le sembrava la milionesima volta dentro al borsa, prese in
braccio David e per mano Ella e li caricò sulla macchina.
Guidò
come una matta.
Arrivò
a casa di Rachel in metà del tempo che ci avrebbe messo
normalmente e poi corse all'ospedale. Lì trovò i suoi
fratelli, suo padre e sua zia che parlavano fitti, con aria
preoccupata.
“Come
sta la mamma?” chiese entrando, lasciando che Emma
l'abbracciasse.
Marge
sospirò e rispose:
“Abbiamo
parlato con il dottore... E non ci ha dato buone notizie. Ha detto
che il tumore sta avanzando. Ci sono metastasi in tutto il corpo...
Ha parlato di stadio quattro...”
“E
che significa?” domandò Edith che era completamente
scevra in medicina e si sentiva come quando una professoressa la
interrogava su di una materia che non aveva studiato.
Paul
sospirò e disse:
“Lo
stadio finale, Edith... Ci hanno detto di prepararci perché da
un momento all'altro la mamma ci può lasciare”
A
quelle parole le gambe di Edith cedettero. Emma l'aiutò a
sedersi e la giornalista rimase con lo sguardo perso nel vuoto.
Metastasi.
Stadio finale della malattia. Tenersi pronti a tutto.
“E
non possono far niente per bloccarlo, per regalarle qualche mese in
più?” domandò sentendosi stupida.
Sapeva
dentro di sé che era inutile anche pensarlo. Tom era morto di
tumore e non si era potuto fare nulla quando la malattia aveva
cominciato ad avanzare lenta e inesorabile.
Sua
madre stava cominciando ad andarsene. E lei non poteva far niente per
trattenerla.
Si
prese la testa tra le mani e cominciò a piangere.
In
silenzio.
Ringrazio
prima di tutto chiaretta
che
ha recensito e
Margherita
che
ha
riletto due volte il capitolo in
attesa
di un aggiornamento.
E
ringrazio i lettori silenti.
Ricordandovi
che ho una pagina facebook
che
si chiama
Niniel82
-vedi
tu l'originalità-
mi
auguro che il capitolo vi sia piaciuto
e
spero che lascerete un vostro commento
per
farmi sapere
se
la storia vi piace.
Ripeto.
Qualunque
critica costruttiva
è
ben accetta.
Alla
prossima.
Niniel82.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo
12: Bentornati.
C'è
qualche cosa di tranquillizzante nell'alba. Forse il silenzio che
segue la notte, lo stiracchiarsi sonnacchioso di ogni finestra che si
sveglia per vivere un nuovo giorno.
Quell'alba,
per Edith, segnava l'inizio di una nuova giornata, difficile, ma
comunque un nuovo giorno ancora da vivere con sua madre.
Camminando
per le strade silenziose, Edith, teneva il bavero della giacca,
mentre una silenziosa Liverpool Street cominciava a riempirsi di
pendolari, uomini d'affari e gente di ogni tipo che si apprestava ad
iniziare una nuova giornata lavorativa. Entrò in uno dei tanti
coffee shop che stavano aprendo e prese un caffè nero
bollente. Si mise a sedere su di un tavolo e si guardò intorno
con aria persa, pensando a tutto e non pensando realmente a niente.
Quella
notte era stata lunghissima. Sua madre era stata molto male e i
dottori erano stati altrettanto realistici: non le rimaneva molto da
vivere. Alternandosi al suo capezzale, tutti e tre figli e il marito
avevano vegliato su di lei, che ignara dormiva beata. E nei momenti
di silenzio, quando Edith rimase a guardare la madre, sciupata,
coperta dal lenzuolo bianco sentì dentro di sé aprirsi
un baratro che la stava separando dal resto del mondo e che aveva
creato un muro invisibile che la divideva anche da quelle persone che
consumavano allegre la loro colazione in quel momento che era lontana
dal reparto di oncologia dove sua madre era ricoverata.
Si
stava guardando attorno, chiedendosi se fosse il caso di chiamare o
no Rachel quando la sua attenzione venne attirata da una rivista
patinata, con sopra una foto di Orlando che stava stretto ad una
ragazza slavata, che sembrava una piccola Barbie Malibù. Ci
volle qualche secondo perché riuscisse a capire quello che gli
occhi le stavano proponendo. La sua testa cercò di formulare
pensieri riguardanti il fatto che fossero appena le sette del
mattino, che lei non avesse dormito abbastanza, che la stanchezza le
stesse giocando brutti scherzi, prima che la rabbia prendesse il
sopravvento, ma fu inutile: l'immagine rimase dov'era e la rabbia
stava cominciando a salire lentamente, strisciante come una serpe.
Guardò,
cercando di non essere troppo invadente, il giornale dell'avventore
sconosciuto e dovette arrendersi all'evidenza: Orlando stava con
un'altra. Un'altra molto alta, molto bella e molto simile a Kate, tra
l'altro, molto più di quanto lo erano state lei e Miranda.
Sentì
l'aria mancarle, la testa girare e le mani tremare.
Cosa
le stava succedendo?
Boccheggiando
si sollevò in piedi, di scatto -facendo voltare alcuni
avventori che le riservarono uno sguardo risentito- e uscì dal
locale a passo svelto, tenendo tra le mani il suo caffè che
inerte non poteva far altro che sciaguattare contro le pareti della
tazza di plastica ad ogni passo della sua incauta padrona.
Non
sapeva cosa fare. Sapeva che i suoi piedi la stavano guidando contro
la sua volontà e la sua testa stava frullando pensieri non
proprio carini su Orlando e sulla sua nuova compagna. Si sentiva
tradita, senza capire perché.
Si
sentiva ferita. E questo la spaventava.
Entrò
nel primo off licence disponibile senza nemmeno sapere come ci fosse
arrivata e si tuffò tra i giornali, cercando la conferma di
quello che aveva visto solo qualche istante prima. Ci volle poco
perché si rendesse conto, con suo grande stupore, che un po'
tutti avevano in prima pagina quella dannatissima foto.
Ne
agguantò un paio e si mise a sfogliarli con forza, cercando
gli articoli. Voleva sapere il nome di quella donna. Voleva sapere
come e perché Orlando si fosse dimenticato di avvisarla di
questo piccolo dettaglio.
Stava
cercando su di un articolo il nome della bionda quando una zaffata di
curry e di chissà Dio cos'altro la investì e chiudendo
gli occhi disgustata si voltò e guardò un uomo che
divertito la guardava masticando solo lui sapeva cosa.
“Tu
legge, tu compra!”
Edith
sollevò un sopracciglio e l'uomo, pensando che non l'avesse
capita, ripeté più lentamente:
“Tu
legge mie giornali. Tu compra mie giornali!”
Edith
si trattenne dal gridare a quel perfetto sconosciuto quanto fosse
idiota e prendendo un grosso respiro disse, porgendole i giornali:
“Li
prendo tutti” e dirigendosi alla cassa prese il borsellino e
pagò l'importo chiedendo una busta dove infilare tutte quelle
riviste.
Quando
uscì dall'off licence, Edith si sentì un'idiota.
Erano
anni, secoli che non comprava una rivista patinata. L'ultima l'aveva
comperata per vedere la faccia di Joanna Kelly, la ragazza di Mark
Owen dei Take That. E dopo aver notato che non era butterata e che
non presentava niente di terribile ed al contrario era bella e
sembrava pure simpatica, Edith buttò sconsolata nella
spazzatura la rivista assieme al suo sogno di diventare la signora
Owen.
Comperare
quindi una di quelle riviste e cercare la foto dell'uomo che non solo
aveva condiviso con lei il letto, la casa e la vita per tanto tempo,
ma era anche il padre dei suoi figli la faceva sentire una perfetta
deficiente, oltre che una pazza stalker senza speranze che spiava il
suo idolo tra una pagina e l'altra di qualche rotocalco.
Camminò
a passo spedito verso l'ospedale. Entrò e prese quasi subito
l'ascensore. Il caffè dentro la sua tazza di plastica si era
ormai raffreddato, ma ad Edith non importava. Voleva solo ed
esclusivamente vedere quelle dannatissime foto.
Lasciò
che le porte si aprissero davanti a lei. Saltò fuori
dall'ascensore senza nemmeno guardare chi della sua famiglia,
preoccupato nel vederla in quelle condizioni, si era avvicinato a lei
chiedendole perché fosse così sconvolta, Edith si mise
a sedere in un angolo e lesse l'articolo della prima rivista che le
era capitata tra le mani.
ORLANDO
BLOOM E LA SUA NUOVA FIDANZATA NELLA BELLISSIMA ESTATE NEWYORKESE.
NEW
YORK: A quanto pare Orlando
ci ha messo davvero poco a mettere in archivio il suo divorzio con
Miranda Kerr e i continui rifiuti della sua ex Edith Norton. E lo fa
alla luce del sole di una calda estate newyorkese.
L'attore,
che sta lavorando nella Grande Mela alla preparazione dello
spettacolo di Broadway che lo vede vestire i panni di Romeo
nell'adattamento teatrale della celebre opera di Shakespeare, a
quanto pare non ha perso tempo per mettersi il cuore in pace. E lo ha
fatto con una ragazza di cui ancora non si conosce il nome.
Il
tutto alla luce del sole e di molti riflettori.
“Orlando
ha sofferto molto. Prima la separazione con Edith. Poi quella con
Miranda. Penso che abbia davvero bisogno di un po' di tranquillità!”
dice una persona molto vicina all'attore di Canterbury.
“Con
lei Orlando sta trovando la pace che merita. Spero davvero che questa
sia la donna giusta!”
A
quanto pare Orlando pensa lo stesso visto che ha deciso di non
nascondersi più...
Edith
sbuffò infastidita. Era una giornalista e sapeva quando un
articolo era montato ad arte su delle foto compromettenti. Non era
successo lo stesso quando Brian e Felton avevano messo su un teatrino
mica male inventandosi chissà quale storia di tradimenti e di
sesso quando lei e Orlando erano usciti assieme solo come amici?
Sentendosi
ancora di più una stupida, Edith prese un'altra rivista e non
notò alcuna differenza con la precedente, a parte qualche
riquadro dove era ritrattata lei che camminava da sola e sotto
qualche didascalia di cattivo gusto che la dava triste ed affranta
per la nuova relazione di Orlando.
Ma
il peggio lo si toccò con l'ultima rivista che oltre quella
incriminata aveva deciso di mettere in campo un po' tutte le foto che
avevano costellato gli ultimi mesi di vita di Edith e di Orlando,
annessi e concessi tutti gli altri protagonisti consapevoli e no di
quel rondò.
I
LOVE YOU YES. I LOVE YOU NOT. TUTTI GLI AMORI DI EDITH NORTON.
LONDRA:
La giornalista stroncacarriere, Edith Norton, ora direttrice del
Guardian UK, non se la passa affatto bene. A quanto pare Orlando
Bloom (foto 1,4,6), ex della Norton, nonostante abbia divorziato da
pochissimo con Miranda Kerr (foto 6 e 9), rivale della bionda ed
eterea giornalista, non ha esitato a rimpiazzare la giovane
giornalista con una donna più giovane e decisamente più
hot.
“Orlando
ama molto Cheryl. Si sono conosciuti quando lui è arrivato a
New York qualche tempo fa e d'allora fanno coppia fissa!” dice
una persona molto amica della coppia.
Ma
le cose per la Norton sembrano peggiorare sempre più. Jude Law
(foto 2,5,7) ha chiesto il divorzio dalla giornalista e non sembra
averla presa poi tanto male. Al contrario si sta dando alla bella
vita: esce ogni sera e frequenta una donna differente almeno ogni
settimana. Chi lo conosce dice di non averlo mai visto più
felice e tranquillo in vita sua.
“Edith
ha ferito parecchio Jude. È stata molto meschina nei suoi
confronti. E il motivo lo sapete tutti!” dice un grande amico
dell'attore.
Il
motivo di sicuro è da ricongiungere alla nascita di David
Bloom (foto 10, assieme alla sorella Ella Bloom, anche lei figlia
dell'attore Orlando Bloom), già Law, che l'attore aveva
riconosciuto come suo nonostante fosse figlio del suo rivale Orlando.
Una
storia degna da romanzo di appendice visto che a complicare le cose
si è messo il terzo incomodo: Gerard Butler (foto 3,8).
Gerard, che ha lavorato con Edith prima che lei decidesse di tornare
a Londra per seguire meglio la redazione del Guardian, a detta di
molti è diventato un grandissimo amico di Edith. Talmente
tanto che si pensa siano diventati qualcosa di più che
semplici amici.
Ma
a quanto pare, anche l'amore con Butler sembra destinato a risolversi
in un nulla di fatto. Infatti, la gelosissima e bellissima fidanzata
dell'attore scozzese, Madalina Ghenea, ha deciso di raggiungere il
bel Gerard sul set e come attestano le foto del prossimo articolo,
sono innamorati più che mai.
C'è
chi parla addirittura di matrimonio imminente!
Stanca
di leggere altro, Edith chiuse il giornale e poggiò la testa
al muro, sospirando e chiudendo gli occhi. Si sentiva stanca e
frustrata: non bastava quello che stava succedendo a sua madre, ci
voleva anche quella dannatissima foto.
Orlando,
Jude e Gerard avevano tutto il diritto di vivere la loro vita come e
con chi volevano, ma i giornali non potevano stravolgere la sua.
Bastava quello che faceva lei da autodidatta a renderla più
dura di quello che doveva essere.
Sentì
qualcuno sedersi vicino a lei e aprendo gli occhi vide suo padre.
Era
stanco e sotto gli occhi aveva due profonde occhiaie scure. Edith non
lo aveva mai visto così.
“Sei
entrata come una furia poco fa, che è successo?”
Edith
sospirò e indicò con lo sguardo le riviste che stavano
sulle sue gambe. Il padre ne prese una e osservandola con attenzione,
disse:
“Ti
ho sempre detto che non dovevi lasciare Jude. Quello è un
bravo ragazzo!”
Edith
sorrise sarcastica e sistemandosi nella sedia, disse:
“Credi?
Apri a pagina 4!”
Il
padre fece come ordinato e guardò in silenzio le foto. E
ridando il giornale alla figlia disse:
“Ma
per quale motivo non ti sei sposata con Martin McFly?”
Edith
si voltò verso il padre e sollevando un sopracciglio rispose:
“A
parte che il suo nome mi ricordava il protagonista di 'Ritorno al
Futuro'...”
“Ma
tu lo adoravi!” intervenne il padre.
“Il
film, indubbiamente!” precisò Edith. “Ma non amavo
la faccia del tuo prediletto. Sembrava un quadro di Picasso, papà!”
I
due risero. E Patrick, sistemandosi nella sedia, guardò la
figlia e le domandò:
“Cosa
ti ha ferita?”
Edith
sollevò le sopracciglia ripetendosi mentalmente quella stessa
domanda.
Cosa
l'aveva ferita?
Le
foto di Jude che viveva la sua vita come se lei e la loro storia non
fossero mai esistite?
No.
Le
foto di Gerard che abbracciava Madalina mostrando al mondo il suo
amore?
No.
Le
foto di Orlando che aveva trovato un'altra donna?
Uno
strano fastidio alla bocca dello stomaco fece salire alla bocca una
strana sensazione di amaro e improvvisamente gli occhi cominciarono a
prudere pericolosamente ai lati.
Sì!
Le dava fastidio quello.
“Se
ami Orlando... O Jude... O qualcun altro... Ti do un consiglio. Poi
vedi tu se seguirlo o no. Ok?” disse Patrick bloccando il
flusso di pensieri della giornalista.
Edith
non disse niente e Patrick continuò:
“Se
ami qualcuno diglielo. Non aspettare. Non fare il mio stesso errore
che mi trovo fuori da una stanza di ospedale aspettando che tua madre
mi dica di entrare. Aspettando che quel poco che le rimane da vivere
lei lo voglia vivere con me... Se ami un uomo faglielo capire.
Bacialo quando meno se lo aspetta. Fagli capire che per te è
la cosa più importante!”
“E
se quella persona mi dovesse respingere?” domandò Edith
seria.
“Se
ti ama davvero non lo farà. Chi ti respinge non ti ama o non
prova il tuo stesso sentimento! Quando succederà saprai che è
arrivato il momento di andare avanti!”rispose Patrick con
dolcezza.
Edith
sospirò e pensò a tutto quello che era successo. Aveva
voglia di chiudersi in casa e piangere. Tanto. Abbandonata nel divano
buttare fuori tutto quel dolore, quel disprezzo, quella rabbia che
sentiva contro il mondo, contro Orlando, contro Jude e contro se
stessa.
“Se
poi la persona che ti respinge lo fa per altri motivi... Lotta. Come
sto lottando io con tua madre!”
Edith
sorrise e abbracciò il padre.
Aveva
gli occhi pericolosamente lucidi, ma in quel momento sapeva che
l'unica cosa che davvero voleva era stare tra le braccia dell'unico
uomo che per tutta la sua infanzia l'aveva protetta. E anche se alle
volte non si erano capiti, si erano gridati contro, alla fine si
erano sempre ritrovati e suo padre era tornato ad essere l'unico
capace di capirla come mai nessuno era riuscito a fare.
E
dentro quell'abbraccio, per la prima volta da tanto tempo, Edith si
sentì finalmente protetta.
A
casa.
Robin
sbuffò infastidita guardando Orlando torva.
“Quando
volevi dirmi che tu e questa gallina senza cervello state assieme?”
Orlando
sbuffò passando una mano tra i capelli e rispose, stringendosi
nelle spalle:
“Non
ti ho detto niente perché io e quella gallina senza cervello
non stiamo assieme, ecco tutto!”
Robin
annuì e mostrando il giornale che aveva tra le mani, disse:
“E
questo? Cos'è?”
Orlando
guardò la foto che c'era sul giornale e disse:
“Ti
farai venire un'emorragia nasale se continui così!”
Gli
occhi di Robin si dilatarono e sollevando il giornale per mostrare
meglio la foto, disse:
“Tu
lo sai che non mi frega un cazzo di chi usi o chi non usi per
svuotarti le palle, Orlando. Quello che io devo fare è
proteggere la tua immagine e se fai cazzate simili io non posso far
altro che prenderne atto e dirti che se lo rifai il nostro rapporto
lavorativo si conclude così!”
Orlando
la guardò e lo fece con uno sguardo speranzoso. Sapeva che se
Robin non ci fosse stata nella sua vita molti dei casini che si erano
venuti a creare non si sarebbero presentati. Robin aveva la capacità
di mettere in discussione ogni sua decisione e di scombinare ogni suo
lavoro. Era stata lei quella che aveva architettato tutto quel
teatrino sul matrimonio ai Caraibi, segreto e senza foto. Perfino
John, il suo migliore amico, si era davvero arrabbiato quando aveva
scoperto quello che aveva fatto.
Ma
si trattenne perché lavorare ad Hollywood senza un agente era
davvero una pazzia.
“Robin...
Non dire cazzate!” replicò fingendosi risentito Orlando.
“Allora
fammi il grosso piacere di non farne tu di stronzate, OB! Sono stanca
di correre da una parte all'altra mettendo a posto i casini che
combini!” sentenziò Robin seria.
Orlando
guardò da un'altra parte. Se si voleva parlare di casini,
Orlando stava cercando disperatamente di mettere a posto quelli che
aveva fatto lei.
“OB!
Io capisco che stai passando un brutto periodo!” continuò
Robin con fare materno, anche se Orlando non poteva pensare che fosse
sempre più simile ad un rapace: “Io voglio davvero che
tu sia felice, ma non puoi esserlo se continui a comportarti così!”
Orlando
la guardò sollevando entrambe le sopracciglia e Robin
continuò:
“So
cosa è stato per te la separazione con Miranda. E so cosa vuol
dire per te avere tre figli e non poterne crescere nemmeno uno. Ma
sai quanto potresti guadagnarci da questa storia?”
“Robin
ti ho detto mille volte di tenere fuori miei figli dai tuoi piani!”
replicò Orlando con la voce talmente bassa e minacciosa che
lui stesso si chiese come Robin non stesse scappando a gambe levate.
“Invece
servirebbe. Un bel serivizio fotografico con Ella, Flynn e David,
mettendo in risalto la storia del secondo figlio che hai avuto con la
Norton. Sai come ne guadagnerebbe la tua immagine? Tradito dalle
donne che ami! Con un figlio che ancora fatichi a sentire tuo...”
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso. Orlando puntò un
dito contro Robin e alzando la voce, facendosi pericolosamente
vicino, disse:
“Non
ti permetterai mai, mai e ripeto, mai, di mettere mio figlio David o
gli altri due su di una copertina di un giornale per farmi e farti
pubblicità. Loro non c'entrano niente e non voglio, davvero
che tu li metta in mezzo. Ho già problemi a guardarmi allo
specchio la mattina per quello che mi hai costretto a fare, non penso
che ci voglia anche questa a peggiorare la situazione!”
Robin
guardò Orlando stupita. Ma lo stupore durò solo qualche
secondo. Sorrise spostando i capelli dietro l'orecchio e seria disse:
“Cerco
di toglierti dalle scatole quella gallinella bionda!” e
allontanandosi aggiunse: “E mi raccomando. Cerca di non fare
casini mentre io non ci sono!” e lasciò Orlando che
ancora tremava di rabbia guardandola allontanarsi.
Edith
stava seduta nella corsia dell'ospedale.
Si
era fatto molto tardi e Paul, Emma e suo padre erano andati a casa:
chi per passare un po' di tempo con i propri figli, chi perché
troppo stanco.
Da
quello che avevano detto i dottori, Eloise doveva stare sotto
osservazione ancora per tutta la notte e poi l'avrebbero rimandata a
casa il giorno dopo.
Si
sentiva stanca.
Dentro
di sé qualche cosa si era irrimediabilmente spezzato e la
malattia della madre era la causa principale di quella rottura.
Da
quella mattina le foto di Orlando che si baciava con un'altra si
erano come ridimensionate e la rabbia era diventata un fastidio
persistente piazzato come una spina nel cuore, ma non doloroso come
vedere sua madre sdraiata su di un letto, inerme, piccola e bianca,
più magra e sciupata di quanto la ricordava.
In
quel momento si rese conto che sua madre era la cosa più
importante in quel momento. Lei e il tempo da vivere con lei.
Seduta
su di una sedia nel corridoio, con la testa poggiata contro il muro,
Edith stava guardando una luce a neon che lampeggiava con un leggero
ronzio, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si
voltò e vide sua zia Maggie che la guardava con un sorriso
dolce.
“Sei
distrutta!” le disse piano.
Edith
annuì passò una mano sul viso e Maggie le chiese:
“Non
pensi che sia ora di andare a casa?”
“Volevo
stare ancora un po' con la mamma!” replicò Edith con un
sospiro.
Maggie
annuì e disse:
“Lo
so che adesso il tuo corpo è pronto ad affrontare qualsiasi
cosa e immagino che tu voglia passare con tua madre tutto il tempo
che puoi. Ma ti devo dare un consiglio. Non esagerare. Perché
quando sarà il momento in cui la tua presenza sarà
essenziale dovrai davvero essere in forma. E se vuoi esserlo non devi
fiaccarti già da adesso!”
Edith
guardò la zia e sentì un moto di gratitudine nei
confronti della donna. L'abbracciò grata e prima di alzarsi,
sistemando la borsetta, disse:
“Mi
chiamerai se ci sarà bisogno?”
“Certo!”
disse Maggie con un sorriso dolce.
Edith
annuì.
Solo
in quel momento si rese conto che aveva davvero bisogno di casa sua,
di una doccia, di qualcosa di caldo e forte e del suo letto. E in
quell'ordine. E aveva un disperato bisogno di piangere e liberarsi
dal peso di quella giornata.
“Grazie!”
sussurrò prima di andare.
Maggie
sorrise e indicando la camera replicò:
“Vai
a salutare tua madre, corri!”
C'è
un silenzio raccolto in alcune corsie.
In
silenzio che sembra quasi il preambolo di quello che deve accadere.
Edith
sentiva piombarle addosso troppe cose in quella corsia d'ospedale:
l'odore della malattia che si mischiava ai medicinali e quel silenzio
che le faceva ronzare le orecchie, le faceva scoppiare il cuore.
Entrò
nella stanza di sua madre in un silenzio raccolto, socchiudendo
appena la porta e intrufolandosi come un ospite che inatteso arriva
all'ultimo momento e cerca di non far rumore per non disturbare.
Eloise,
che sveglia guardava fuori dalla finestra si voltò e puntò
gli occhi dentro quelli della figlia. Lo stesso colore contro lo
stesso colore. La stessa forma contro la stessa forma.
Edith
sentì il cuore perdere un battito guardando la madre stesa sul
letto.
Quello
che era successo le era caduto addosso con la pesantezza di un
macigno già ore prima. Ormai si stava lentamente arrendendo
all'inevitabile ma nonostante questo la consapevolezza non era meno
dolorosa. Dentro di lei qualche meccanismo si era rotto e perdeva
riempendole il cuore di una tristezza che non aveva mai provato: una
tristezza fatta di rassegnazione e di incapacità, quella di
reagire. Sapeva che stava perdendo sua madre, sapeva di non poter far
niente, che doveva rassegnarsi in qualche modo a quello che stava
succedendo, prepararsi al peggio insomma, proprio come aveva detto
sua zia Maggie, ma non ci riusciva. Quella tristezza, come il cancro
che aveva colpito Eloise, si stava diffondendo silenziosamente e non
lasciava una sola fibra del suo corpo libera.
“Ciao”
sussurrò Eloise con un sorriso tirato.
Edith
trattenne a stento le lacrime e sorridendo con voce rotta rispose:
“Ciao
guerriera!”
Eloise
sorrise ancora. Edith sapeva che anche quello per lei era un sforzo
immane e voleva gridarle di non farlo, ma sapeva che se lo avesse
detto Eloise avrebbe cominciato a spegnersi lentamente e nello stesso
modo se ne sarebbe andata via, con il solo dolore come compagno.
Eloise
sospirò e scuotendo la testa, con quel debole stiracchiato
sorriso stampato sulle labbra, disse:
“Edith
Isabel Norton... Ti conosco da quando sei nata e so che stai cercando
di fare la donna forte. Lo hai sempre fatto...” e battendo la
mano sul letto con la voce ridotta ad un soffio aggiunse: “Vieni
qua. Vicino alla mamma” e fece un po' di spazio.
Edith
fece come ordinato e si mise nel letto con lei.
Le
due si abbracciarono. E in un attimo la mente di Edith volò e
mille ricordi la pervasero: quante volte aveva fatto lo stesso nel
grande letto king size di casa Norton? Quante volte la mamma l'aveva
rassicurata quando il buio sembrava solo un covo pieno di mostri
assassini?
Lente
e silenziose le lacrime cominciarono a scendere uno dopo l'altra,
scivolando come biglie senza l'anima colorata sul viso di Edith,
andando a morire sul cuscino bianco e privo di consistenza
dell'ospedale.
Eloise
allungò la mano dove avevano messo l'ago cannula e accarezzò
i capelli della figlia. Sospirò appena e disse:
“Ti
ricordi quando eri piccola e mi chiamavi in camera tua perché
avevi fatto un brutto sogno?”
Edith
tirò su col naso e annuì senza aggiungere altro ed
Eloise continuò:
“Ricordi
che mi chiedevi sempre di cantarti la tua ninna nanna!”
Edith
annuì trattenendo un grido di dolore che si era piantato tra
lo sterno e la gola.
Eloise
fece finta di non rendersi conto delle lacrime di Edith che
scendevano più veloci. Cercò di non pensare alla paura,
al dolore e sospirando di nuovo, dolcemente intonò:
“Twinkle,
twinkle, little star
twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Edith
sentì il cuore spezzarsi sotto il peso di quelle parole.
Poteva la stessa ninna nanna che cantava ai suoi due figli farle così
male?
“Up
above the world so high,
like
a diamond in the sky.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Eppure
era ferma lì, le membra come la pietra che non riuscivano a
muoversi, la gola chiusa, serrata da quel grido di dolore, le mani
che tremavano impercettibilmente. E la voce roca di sua madre, ma
così dolorosamente dolce, che continuava a canticchiare.
“When
the blazing sun is gone,
when
he nothing shines upon,
then
you show your little light,
twinkle,
twinkle, all the night.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Gli
occhi di Edith si riempirono di lacrime e senza sapere perché
cantò il resto della canzone con la madre, stringendola forte:
“Then
the traveler in the dark
thanks
you for your tiny spark;
he
could not see which way to go,
if
you did not twinkle so.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!
In
the dark blue sky you keep,
and
often through my curtains peep,
for
you never shut your eye
till
the sun is in the sky.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!
As
your bright and tiny spark
lights
the traveler in the dark,
though
I know not what you are,
twinkle,
twinkle, little star.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
In
quel momento tutto divenne doloroso, come quando dopo la pioggia si
apre il cielo dietro le nuvole e uno spicchio di sole invade le
strade, riscalda le piante che ancora gocciolano fradice e fa male
agli occhi, così quel dolore la lasciò attonita e
stringendosi forte alla madre, come quando era bambina e succedeva
qualche cosa che la faceva soffrire, Edith pianse forte, ripetendo in
quello che prima era un sussurro e poi divenne una grido soffocato:
“Mamma!”
Eloise
strinse forte la figlia. Non versò una lacrima, lasciò
che la figlia si sfogasse e quando i singhiozzi cominciarono ad
attenuarsi, con un sospiro disse:
“Non
lottare se non vuoi. Metti le armi a posto e aspetta di rimetterti in
sesto prima di scendere di nuovo in campo. Anche la vita ci da delle
tregue. E tu approfittane quando lo fa!” e sollevando il mento
della figlia, asciugandole gli occhi aggiunse:
“Non
aver paura di essere quella che sei. Sei così cambiata da
quando sei diventata mamma, Edith! Tu non lo vedi ma il tuo carattere
si è così ammorbidito che persino io che conosco ogni
tua sfumatura ne sono rimasta piacevolmente colpita...” e
spostandole i capelli, baciandole la fronte concluse: “Non
voglio che quando me ne andrò via, per colpa del dolore, tu
rimetta su quella scorza dura e inespugnabile. Voglio che tu reagisca
e che faccia la cosa che tu sai fare meglio di tutte. E non sto
parlando del tuo lavoro o di suonare il piano. Sto parlando di essere
mamma! Voglio che tu renda il dolore gioia. Voglio che tu possa
superare questo momento con i tuoi due figli. Perché non c'è
niente di meglio del sorriso di un bambino quando qualcuno che ami se
ne va via per sempre...”
Edith
guardò la madre negli occhi e si domandò
silenziosamente come poteva chiederle una cosa simile. Come poteva
pensare che avrebbe fatto finta di nulla quando sarebbe stato il
momento? Come non poteva capire che solo l'idea di perderla la stava
distruggendo già in quel momento?
“E
quando succederà... Voglio che tu vada nel nostro bar, nel
nostro posto e con Ella continui a a fare quello che facevamo noi
due, assieme. E parla con lei, tienila vicino fino a che potrai, fino
a quando non sarà troppo grande per stare dentro il nido, fino
a quando non deciderà di volare da sola nel cielo!”
Edith
si strinse alla mamma e piangendo sussurrò tra le lacrime
quella che era una preghiera, una richiesta che lei per prima sapeva
essere stupida ma che in quel momento era l'unica cosa sensata che
riusciva a dire:
“Non
te ne andare. Resta con me!”
Eloise
sorrise e passando una mano sui capelli della figlia disse:
“Non
me ne sto ancora andando, piccola. Sono ancora qui con te. A guardare
il tuo cammino fino a che potrò!” e baciandole la testa
ancora una volta lasciò che Edith sfogasse quel dolore
stringendola in un silente abbraccio.
John
guardò l'orario mentre il cellulare squillava.
La
tempestività della stampa aveva voluto che proprio quel giorno
venisse pubblicato l'articolo di Orlando che seguiva il consiglio che
lui stesso gli aveva dato e che ora gli sembrava solo una grande
cavolata.
“OB!”
disse prendendo il giornale.
“Ho
fatto come mi hai detto. Da voi è già uscito qualche
cosa?!” domandò Orlando dall'altro capo.
John
si schiarì la voce e disse:
“Non
si parla d'altro”
Orlando
rimase qualche secondo in silenzio e poi, incerto chiese:
“Come
mai questa voce da funerale? È successo qualche cosa che devo
sapere?”
John
guardò Rachel che allattava il piccolo Mark. Una morsa allo
stomaco lo attanagliò un attimo sapendo la bomba che stava per
sganciare.
“Sì.
In effetti tuo figli sono a casa nostra da ieri notte. Eloise sta
morendo!”
Ci
fu l'ennesimo secondo di silenzio. John attese la risposta che non
tardò ad arrivare.
Edith
aveva chiesto a Rachel il favore di tenere Ella e David ancora per
quella notte. Le fu davvero grata di non aver fatto un solo
riferimento a quello che era uscito nei giornali quel giorno e per
averle chiesto solo come stava sua madre.
Era
salita in macchina e aveva guidato. Le strade di Londra cominciavano
a svuotarsi lentamente. Solo gli autobus coloravano le strade vicino
a casa sua, qualcuno pronto ad andare in deposito, qualcuno invece,
facendo l'ennesima fermata prima che la lunga notte finisse.
Nella
testa risuonava come un monito quella ninna nanna che prima Eloise
aveva intonato e ogni volta che un nuovo verso, una nuova strofa si
aggiungeva nel mare dei ricordi Edith sentiva il cuore fare un'altra
crepa, spezzarsi ancora un po' di più.
Parcheggiò
la macchina vicino casa e chiuse mettendo l'antifurto che scattò
facendo illuminare i fari e producendo quel simpatico suono metallico
che fanno tutte le macchine quando le si chiude con la chiusura
centralizzata.
Nel
silenzio della sua strada bene Edith si guardò intorno
aspettandosi qualche paparazzo spuntare dal nulla, dopo l'articolo di
quella mattina. Ma a quanto pareva anche per la stampa era mezzanotte
e nessuno l'attendeva come l'ultima volta, quando Orlando aveva
lasciato Miranda e aveva detto di essere ancora innamorato di lei.
Prese
le chiavi dalla borsetta, sentendo solo il rumore dei suoi tacchi
rimbombare per la strada, come unico compagno.
Quella
era la prima volta che aveva davvero bisogno di qualcuno.
Avrebbe
voluto chiudersi in casa, sedersi su di una poltrona, aspettare che
qualcuno di sdraiasse accanto a lei e la stringesse, senza dire
niente.
Arrivò
all'ingresso di casa sua, salì i tre gradini e dopo aver fatto
scattare la serratura, scivolò dentro il suo appartamento,
accendendo la lampada vicino alla finestra e guardandosi intorno.
Quando
qualcuno che ami si ammala, ed Edith questo lo aveva capito in quel
momento, non vuoi il silenzio.
In
un attimo si pentì di non aver lasciato l'ospedale prima e di
non aver preso con sé Ella e David. Sapeva dentro di sé
che se ci fossero stati loro in quel momento con lei avrebbe
affrontato diversamente quel momento. E forse quel nodo alla gola che
difficilmente voleva andare giù si sarebbe sciolto.
Invece,
nel silenzio della casa, si lasciò cadere sulla poltrona e
invece di avere qualcuno che stringesse lei, Edith si accucciò
portando su le gambe e stringendo al petto il cuscino in tinta che le
era costato un occhio delle testa dal tappezziere e che adesso stava
inondando di lacrime.
Stava
piangendo con tutta la forza che le rimaneva dopo quella giornata
sfibrante quando il campanello suonò facendola trasalire.
Orlando
sentì il terreno mancarle sotto i piedi.
Quando
era morto suo padre putativo era troppo piccolo e davvero ricordava
poco di quello che era successo. Ricordava solo un dolore sordo che
grazie a Dio non aveva più provato.
Poteva
solo immaginare, quindi, cosa potesse passare in quel momento Edith.
E si sentì terribilmente in colpa per non essere lì con
lei.
“John!
Dimmi che stai scherzando ti prego!” disse Orlando serio.
John
schiarì di nuovo la voce e disse:
“Non
sto scherzando! È stata male ieri notte. E quei dannatissimi
giornali sono usciti oggi...”
Per
l'ennesima volta da quando aveva chiamato l'amico, Orlando sentì
la terra mancargli da sotto i piedi. Solo in quel momento si rese
conto dell'immensa cazzata che aveva fatto dando retta a John.
“Lo
so cosa stai pensando!” disse John quasi fosse riuscito a
leggergli nella mente: “Lo so OB! È tutta colpa mia e se
vuoi venire a Londra solo per prendermi a pugni, sappi che ti darei
ragione io per primo!”
Orlando
scosse la testa e serio disse:
“Scusa
Johnny boy ma questa è l'ultima cosa che sto pensando. Voglio
tornare a Londra. Domani parlo con la produzione e chiedo qualche
giorno. E non lo faccio per mettere a tacere la coscienza. Lo faccio
per miei figli e per Edith. Hanno più bisogno di me a Londra
che qui a New York dove non posso fare niente!”
Edith
si voltò e guardò l'ora nel grande orologio appeso alla
parete.
Era
mezzanotte meno cinque.
Chi
diavolo suonava a quell'ora.
Con
il cuore in gola, pensando subito al peggio corse ad aprire la porta
senza nemmeno chiedere chi fosse.
E
quando vide chi c'era dall'altra parte sentì il cuore farsi
leggero come una piuma.
Se
ami un uomo faglielo capire. Bacialo quando meno se lo aspetta. Fagli
capire che per te è la cosa più importante!
E
senza pensarci saltò al collo del nuovo venuto senza nemmeno
dirgli 'Bentornato'.
Lo
abbracciò e infilando le dita tra i capelli, spingendolo
dentro, chiuse la porta con un calcio e lo baciò. E lo fece
con passione.
Perché
lo voleva.
Perché
in quel momento sentì che era la cosa e la persona giusta con
cui farlo.
Perché
da quando l'aveva conosciuto era l'unica cosa che aveva davvero
desiderato.
Baciare
il suo migliore amico.
Baciare
Gerard Butler.
Ringrazio
chiaretta, nonnina e Scarlett per le recensioni e per le persone che
silenziosamente hanno letto la mia storia e non hanno lasciato un
segno. La critica costruttiva è il modo per migliorarsi che
tutti noi abbiamo.
Alla
prossima. Un bacio.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo
13:Cambiamenti di rotta.
Niente.
Per
quanto avesse atteso quel momento non sentiva niente.
Né
un brivido, né una scossa.
Niente.
Le
farfalle avevano appena solleticato le pareti dello stomaco e poi
erano morte soffocate dai succhi gastrici.
Aveva
atteso quel bacio. Aveva vissuto in funzione di quel momento e adesso
che stava succedendo quel senso di apatia la stava facendo quasi
imbestialire.
Forse
era per quello che stava passando. Forse era tutto il dolore che
aveva provato nelle ultime ventiquattro ore, tutti i tumulti che
aveva dovuto affrontare che la facevano stare ferma immobile sulla
porta che dal purgatorio l'avrebbe portata al paradiso. Ferma senza
la volontà di fare un solo passo avanti.
Lo
baciò per quella che sembrò un'eternità, pur
sapendo che erano pochi secondi, stretta in quella lotta silenziosa
tra la sua e la lingua di Gerard.
Si
stava chiedendo a cosa avrebbe portato quel bacio quando le mani di
lui si poggiarono sui suoi fianchi e la scostarono.
Gli
occhi di Gerard la guardarono stupiti.
In
quel momento Edith capì di aver sbagliato.
Lo
vedeva dallo sguardo stupito e -possibile che lo stesse solo
immaginando?- risentito di Gerard. Che le aveva detto la testa?
Perché lo aveva baciato?
“Edith!
Che ti prende?”
Edith
guardò qualche secondo negli occhi l'amico e poi, chinando la
testa riuscì solo a mormorare:
“Scusami.
Non volevo!”
Gerard
annuì e rimase a fissarla per qualche secondo. Edith non seppe
mai se lo avesse fatto con rimprovero o con comprensione perché
rimase per quell'interminabile frazione di tempo con la testa china,
troppo interessata a guardare la punta delle sue scarpe per puntare
gli occhi su quelli dell'amico.
“Posso
rimanere senza rischiare di essere violentato?”
Edith
sollevò lo sguardo. C'era una nota divertita nella voce di
Gerard. Non era arrabbiato. E questo bastò per far tornare un
po' di buon umore alla giovane giornalista che abbracciando Gerard
disse:
“Non
so come scusarmi!”
Gerard
la strinse forte e disse:
“So
quello che è successo. E so come ci si sente. Quando le cose
non vanno come dovrebbero avere una reazione come la tua è il
minimo, credimi!”
Edith
annuì e indicando la casa disse:
“Se
vuoi sederti? Posso offrirti qualche cosa da bere?”
Gerard
si mise a sedere sul divano e guardandosi intorno disse:
“Dimmi
che hai dello scotch e giuro che stavolta sarò io a baciarti!”
Edith
rise e si rese conto che se lo avesse detto prima che avesse
l'avventata idea di baciare Gerard, molto probabilmente si sarebbe
sentita svenire per l'eccitazione.
“Ho
dello scotch...” e indicando la cucina chiese: “Con
ghiaccio o senza?”
Gerard
parve pensarci qualche secondo e rispose:
“Con
ghiaccio, grazie!”
Edith
si allontanò un attimo in cucina. Le serviva mettere qualche
metro tra lei e Gerard. Anche se lui aveva riso di quello che era
successo sapeva che quella sera stessa o, al più tardi, il
mattino dopo avrebbero dovuto parlarne.
Sistemò
i capelli con una mano e attivò il display mettendo un piccolo
contenitore sotto il dispenser ad incastro del frigo ultra moderno.
Il rumore del ghiaccio che sbatteva contro la plastica le fece
pensare che quello che stava succedendo era davvero strano.
Si
può desiderare così tanto una cosa e poi rendersi conto
di non volerla affatto?
A
te non piace. Tu non lo vuoi. Stai solo copiando l'immagine di
Orlando su di lui perché non vuoi ammettere con nessuno che
sei ancora innamorata di lui!
Le
parole di Rachel risuonarono come un monito nella testa di Edith.
L'amica glielo aveva detto chiaramente il giorno dopo che Mark era
nato: lei non amava Gerard, amava il fatto che tutto era cominciato
in maniera analoga alla sua storia con Orlando. Amava quello che le
faceva provare Gerard mettendola in discussione, proprio come faceva
Orlando all'inizio, quando le sputava in faccia quello che pensava di
lei, del suo essere terribilmente antipatica, del suo essere
terribilmente saccente.
-Tu
non ami Gerard. Tu ami Orlando.-
La
vocina dentro di lei tornò cattiva e sferzante, mentre cercava
una pinza per prendere il ghiaccio dentro un cassetto nella grande e
attrezzata cucina ultramoderna.
Che
non amasse Gerard lo aveva appurato qualche secondo prima con quella
che molto probabilmente era la peggior figura di tutta la sua vita.
Ma
Orlando? Che cos'era Orlando per lei?
Scosse
la testa e prendendo il secchiello tra le mani mise a tacere la
vocina dentro di lei prima che rispondesse a quelle domande senza che
nessuno glielo avesse chiesto, pensando che di lì a poco
avrebbe dovuto affrontare argomenti ancora più spinosi.
Tipo
sapere cosa avrebbe detto Gerard una volta che avrebbe cominciato a
sorseggiare il suo scotch.
Quando
uscì nel soggiorno Gerard era piegato in avanti e per quello
che Edith poteva vedere era profondamente concentrato a guardare la
punta delle sue dita.
La
giornalista sapeva che avrebbe dovuto affrontare quello che era
successo. Che non avrebbe potuto far cadere il tutto con un nulla di
fatto. Preferì decidere lei come e quando parlarne. E lo fece
porgendo lo scotch a Gerard che ricambiando con uno sguardo
interrogativo a quello determinato di Edith domandò:
“Per
caso è successo qualche cosa?”
Edith
sospirò e mettendosi a sedere vicino a lui sollevò un
sopracciglio quasi per dire: fai tu!
Gerard
sospirò e ridendo, scuotendo la testa replicò:
“No.
Non starai ancora pensando a quel bacio, spero?”
Edith
sbarrò gli occhi stupita da quell'affermazione e rispose:
“Certo
che ci sto pensando!” e abbassando la voce aggiunse:
“Mi
sento una stupida. Non dovevo baciarti. E non voglio perdere la tua
amicizia per quello che ho fatto. È che questo è un
momentaccio per me. Mia mamma sta peggiorando e poi quel dannatissimo
articolo...”
“Ho
visto qualche cosa quando ero in stazione!” disse Gerard serio.
Edith
annuì e rispose:
“Sono
a terra e quando ti ho visto mi è venuto spontaneo baciarti.
Non lo so nemmeno io. L'ho fatto rispondendo ad un impulso. E ho
sbagliato... Perché non ho sentito niente e solo adesso mi
rendo conto di quanto io possa essere stata ridicola...”
Gerard
poggiò il bicchiere e strinse Edith, con un sospiro sollevato.
“Tu
non sai quanto mi rende felice sapere che per te questo bacio non ha
significato nulla. Se fosse stato il contrario, giuro, avrei avuto
qualche problema!”
Edith
sospirò a sua volta. Sapere che Gerard non era arrabbiato con
lei la faceva sentire più sollevata. Sapeva di aver sbagliato
da quando aveva poggiato le labbra su quelle dell'amico e che aveva
messo a repentaglio molto più di quello che pensava con un
gesto così comune.
Gerard
la guardò fisso negli occhi e le domandò:
“A
che stai pensando?”
Edith
lo guardò e disse:
“Mi
vergogno talmente tanto!”
Gerard
sorrise malizioso e disse:
“Non
dovresti! Non baci poi così male!”
Edith
ci mise qualche secondo per registrare la risposta; poi sbarrò
gli occhi e prendendo un cuscino, cominciò a tirarlo contro il
suo amico che cercando di ripararsi come meglio poteva, disse, tra
una cuscinata e l'altra:
“Guarda
che era un complimento! Ahi! Piantala Norton! Peso quasi un quintale
e sono alto il doppio di te... Piantala Ahi!!”
Orlando
prese la valigia -tirando mentalmente un sospiro di sollievo- e
lasciò la sala del ritiro bagagli per tuffarsi in mezzo alla
ressa.
Non
lo riconobbero in molti, solo qualcuno lo chiamò e lo salutò
con la mano e una ragazzina con aria impaurita gli chiese di fare una
foto assieme.
Stava
per uscire dall'aeroporto quando il cellulare squillò:
“Va
bene che sei una superstar, ma non mi sembra il caso che non ti renda
conto che tua sorella è venuta all'aeroporto a prenderti!”
Orlando
sbarrò gli occhi e si voltò. Vide sua sorella
sorridergli. I lunghi capelli neri avevano qualche piccola striatura
di bianco ma era sempre la sua bella sorella maggiore.
“Sam!”
disse Orlando correndo verso la sorella e abbracciandola forte.
Samantha
l'abbracciò a sua volta sorridendo dolcemente.
“Dov'è
quella peste di Flynn?”
“Miranda
me lo porta la prossima settimana. Non vedo l'ora di vederlo!”
rispose Orlando cingendole le spalle con un braccio.
“Ed
Ella e David? Quando ce li porti a casa, a Canterbury?”
Orlando
sospirò e rispose:
“Penso
che per i giorni che starò qua saremo anche stufi di vederli!”
“Perché?”
domandò confusa Samantha.
“Non
ti ho detto perché sono tornato a Londra perché
riguarda una cosa molto privata della vita di Edith!” replicò
Orlando serio.
“Per
caso è successo qualche cosa di grave?” chiese ancora
Samantha, ormai preoccupata.
Orlando
annuì e abbassando la voce disse:
“Ricordi
Eloise Norton, la madre di Edith?”
Samantha
annuì e Orlando continuò:
“Sta
molto male!”
“Che
le è successo?” disse Samantha guardandolo preoccupata.
“Ha
il cancro. E sta molto male. A quanto pare le rimane molto poco da
vivere!”
Samantha
portò una mano alla bocca. Quel gesto bastò ad Orlando
per fargli sentire ancora di più il peso di quella situazione.
Da quando aveva saputo come stavano le cose non c'era stato un solo
momento in cui non si era sentito in colpa: dover stare a New York
per il primo vero lavoro dopo mesi gli costava molto di più di
quello che aveva pensato, specialmente ora che sapeva quanto Edith
avesse bisogno di lui a casa.
Anche
se non tutti la pensavano così.
Leveaux
era stato comprensivo e aveva accettato subito che Orlando partisse
per l'Inghilterra anche perché in quel momento stavano solo
provando e non ci sarebbero stati chissà quale danni.
Ricordava,
invece, come aveva reagito Robin quando gli aveva detto che avrebbe
dovuto lasciare per un po' le prove. Aveva gridato come una pazza,
chiedendogli cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
Provò
disgusto per Robin, con la quale i rapporti si stavano talmente
lacerando in quel periodo che ancora si chiedeva quando avrebbe
deciso una volta per tutte di mettere fine al loro rapporto
lavorativo.
Samantha
parve leggere nei suoi pensieri e gli domandò:
“L'hai
sentita?”
“No!”
rispose onesto. “Ho fatto tutto in fretta e adesso penso che
andrò al Guardian per vedere se è lì!”
Samantha
lo guardo perplessa. Mentre camminavano avevano raggiunto il posto
doveva aveva parcheggiato la sua macchina. Aprì il bagagliaio
e aiutando il fratello a sistemare la valigia disse, prima di entrare
nel lato destro, al posto di guida:
“Lo
sai che quando hai fatto delle sorprese ad Edith non è mai
finita bene, vero?”
Orlando
non poté non pensare che la sorella avesse ragione.
Ogni
volta che aveva provato a fare qualche sorpresa ad Edith era finita
sempre male. L'esempio più eclatante non era forse quando
avevano fatto il viaggio ai Caraibi e Violet aveva detto di aspettare
un figlio da lui. Era finita che avevano mandato a monte il loro
matrimonio e dopo poco si erano lasciati.
“Appena
arriviamo a casa la chiamo!” disse Orlando salendo in macchina.
Samantha
si mise al posto di guida e allacciando la cintura, mettendo le
chiavi nel quadro, disse:
“Dovevi
chiamare prima di partire da New York, OB, ma non sei mai stato
ferrato in materia...”
Orlando
fece finta di non aver sentito.
In
quel momento non aveva voglia di beccarsi con sua sorella. Sentiva,
invece, uno strano fastidio alla bocca dello stomaco e stava
cominciando a pensare che sua sorella non avesse sbagliato a fargli
notare questo piccolo dettaglio.
Edith
aveva lasciato Gerard davanti ad un hotel super lusso vicino casa
sua.
Si
erano messi d'accordo che quella sera si sarebbero visti avrebbero
cenato con i bambini a casa di Edith. Da quando lo aveva conosciuto,
Edith aveva davvero desiderato presentarlo ad Ella e David.
Specialmente ora che sapeva che lui sarebbe stato una presenza fissa,
lontana da ogni altro coinvolgimento come invece era stato per Jude.
E se proprio doveva essere sincera, Edith sapeva che Ella più
di David aveva sofferto per la loro separazione.
Stava
sistemando delle carte e delle bozze da correggere, quando il
telefono prese a squillare.
Prendendo
la cornetta, con il suo solito tono pratico, disse:
“Che
succede di tanto importante per rompermi le scatole mentre sto
lavorando al numero di domani?”
Laura
sghignazzò dall'altra parte e rispose:
“Non
ti avrei disturbata se non mi avesse chiamato il tuo avvocato!”
Edith
aggrottò la fronte e domandò:
“Come
scusa?”
“Il
tuo avvocato, Norton!” rispose Laura divertita.
Edith
rimase qualche secondo in silenzio. Poi tornando al suo tono deciso,
disse:
“Passamelo.
Non ho tempo da perdere!”
Laura
non disse nulla e lasciò che Edith se la sbrigasse con il suo
avvocato.
Ed
Edith, nei pochi secondi di attesa in cui la chiamata venisse
agganciata alla sua linea, si chiese mentalmente il motivo per cui
il suo avvocato la stesse chiamando.
Non
ebbe il tempo di cercare la risposta che dall'altro capo qualcuno
rispose:
“Pronto,
signora Norton! Sono Jason Donald. La stavo chiamando perché
tra un paio di giorni ci sarà la sua sentenza di divorzio e
noi non abbiamo ancora deciso la nostra linea difensiva. E visto la
fine burrascosa del suo matrimonio non vorrei che ci trovassero
impreparati!”
In
un attimo Edith ebbe chiaro il motivo per cui il suo avvocato aveva
deciso di chiamare. E una strana morsa allo stomaco la fece sentire a
disagio.
Doveva
andare in tribunale e rivedere suo marito. O meglio, quello che si
apprestava a diventare tale.
“Penso
che non ci sia bisogno di nessuna tattica giudiziaria. Jude non mi
farebbe mai una cosa simile... Lo conosco!” replicò
Edith seccata.
“Mi
permetta di dissentire, Miss Norton. Tutti conoscono la sua storia e
io conosco l'avvocato di suo marito e so che potrebbe usare questa
storia contro di lei per guadagnarci qualche cosa!”
Edith
si morse il labbro. Non aveva mai pensato che Jude potesse usare il
loro passato per farle del male. Aveva sempre creduto ciecamente nel
fatto che lui l'amasse troppo per poter anche solo pensare di farle
del male. Ma per come la stava mettendo il suo avvocato il quadro era
davvero molto chiaro. Jude era un uomo che era stato ferito. E lo
aveva ferito lei.
E
quando qualcuno è ferito tramuta il suo amore in odio.
Nonostante
questo Edith non voleva a priori darla vinta al suo avvocato e
rispose:
“Penso
che potremo usare il fatto che sia stato lui a lasciarmi e non io, ma
solo nel caso in cui usi i nostri trascorsi per, come dice lei,
guadagnarci qualche soldo!”
L'avvocato
dall'altro capo rimase zitto. Edith sapeva che non era contento del
fatto che Edith non stesse correndo ai ripari, ma non poté far
altro che prendere atto di quello che la sua cliente le aveva detto e
con voce impostata e con un tono untuoso rispose:
“Va
bene signora Law!” e il modo in cui disse il suo cognome da
sposata fece sollevare gli occhi al cielo alla giornalista che non lo
interruppe mentre senza lasciare il suo tono l'avvocato aggiunse,
concludendo: “Ci vediamo il venti in aula, allora!” e
salutando chiuse la comunicazione.
Edith
si lasciò andare nella poltrona. Era stanca. Quel periodo la
stava logorando lentamente. Rifare l'elenco di quello che le stava
succedendo le poteva solo fare del male e per di più, ogni
volta che lo faceva, sembrava quasi che il destino, il fato, il karma
o chi per lui aggiungesse qualche cosa alla lunga lista delle cose
che andavano male.
Guardò
fuori dalla finestra. Sospirò pensando che qualche anno prima
dentro quello stesso ufficio, quando ancora alla poltrona che lei
occupava insieme a tutti i suoi problemi, c'era Tom, era svenuta
davanti all'ineluttabile verità: non avrebbe potuto più
lavorare in Inghilterra finché Brian non avrebbe deciso il
contrario.
A
quel tempo, quando nessuna redazione avrebbe aperto nemmeno la porta
di uno stanzino per lei, le cose non erano così difficili.
Tutto si stava sgretolando, in quel momento. E tutto sembrava
impossibile, anche mettere due uova a friggere nello stesso tegamino.
Si
allungò verso il ricevitore e prendendolo attese che Laura
rispondesse:
“Laura.
Io sto uscendo un attimo. Se qualcuno ti chiede di me, almeno che non
stia scoppiando la Terza Guerra Mondiale, dì che sono occupata
nella correzione delle bozze per il prossimo numero!”
Laura
non rispose e lasciò che Edith chiudesse la comunicazione
senza aggiungere altro.
Edith
si alzò dalla sedia e sistemando la giacca del suo completo
uscì dall'ufficio con un plico di fianco. Stava davvero
correggendo le bozze ma aveva bisogno di farlo fuori da
quell'ufficio. Aveva bisogno che ci fosse qualche cosa più
alto della volta bianca del suo ufficio. Aveva bisogno del cielo,
quel giorno di un bel celeste, e dell'aria fresca che tirava leggera.
Aveva bisogno di sentirsi libera e di lasciare un po' della sua
zavorra sopra quella sedia.
Orlando
prese il cellulare e compose il numero di Edith.
Ricordava
che quando lavorava a Vanity, Edith all'ora di pranzo lasciava
l'ufficio e si concedeva un po' di tranquillità e pranzava da
sola in qualche parco o in qualche coffee shop.
Sperando
che avesse tenuto queste abitudini, attese che il telefono squillasse
e che Edith gli rispondesse.
Alla
fine aveva ceduto. Aveva seguito il consiglio di sua sorella e aveva
optato per chiamare Edith prima di andare a casa sua. Di una cosa era
certo: se qualche cosa doveva andare male ci sarebbe stata una
cornetta di mezzo.
Attese
qualche secondo e il telefono cominciò a squillare: una volta,
due volte, tre volte...
Fino
a che il fischio che annunciava la fine della chiamata non mise fine
all'attesa, Orlando non chiuse la comunicazione, lasciò che
fosse il telefono a farlo automaticamente.
Poi
guardò il suo Iphone con sguardo triste.
Tutto
immaginava meno che Edith non rispondesse. Era troppo abituato a
sentire la sua voce dall'altro capo ogni volta che la chiamava che il
solo fatto che non lo avesse fatto, lo faceva entrare in paranoia.
Era
successo qualche cosa?
Che
quelle foto l'avessero talmente sconvolta da non volergli nemmeno
rispondere?
Guardò
in silenzio il cellulare dove ancora si vedeva la finestra con su
scritto il nome e il numero di Edith. Voleva richiamare ma qualche
cosa lo bloccava. Non sapeva nemmeno lui che cosa. Ma sentiva che se
lo avesse fatto la situazione non sarebbe cambiata e lui sarebbe
stato ancora con il patema. Sospirò e rimise il cellulare in
tasca. Si guardò intorno e cercò di pensare a che cosa
potesse fare. E vedendo la macchina nel vialetto agì
d'impulso, come solo lui sapeva fare.
Salì
sul veicolo e prima che Samantha potesse uscire fuori di casa e
cercare di fermarlo, Orlando era già partito alla volta di
Londra.
Anche
se aveva paura e avrebbe davvero preferito affrontare la madre dei
suoi figli prima per telefono, visto che piega stavano prendendo le
cose, l'avrebbe raggiunta. E avrebbe cercato di sbrogliare quella
situazione in cui si era trovato.
Edith
dalla cucina stava preparando la cena, canticchiando una canzoncina
per bambini, divertita come non era più da tanto tempo.
Gerard, contro ogni aspettativa aveva deciso di farle una sorpresa e
si era presentato alla redazione del Guardian e l'aveva portata via,
dicendo che aveva anche lavorato abbastanza e che doveva
assolutamente riposare un po' con i suoi due figli.
Edith
aveva accettato che l'amico si mettesse alla guida della sua
macchina, che facesse amicizia con i suoi figli e che una volta
arrivati a casa mettesse a soqquadro il soggiorno di casa sua
giocando con Ella e David.
“Gerry!
Gerry!” gridò David che non riuscendo a dire bene Gerard
aveva deciso di chiamare l'attore con quel nomignolo.
Edith
sorrise sentendo Gerard fare un verso sfinito. Sapeva quanto energici
potessero suoi figli e quanto potessero sfinirti solo parlando.
“Dimmi
piccolo!” disse Gerard.
“Mi
fai volare di nuovo?” domandò il più piccolo
senza riuscire a nascondere l'eccitazione nella voce.
“Anche
a me! Anche a me!” gridò Ella.
“Prima
a me!” disse David con la vocina delusa.
Sentendo
inevitabilmente la tragedia avvicinarsi e una sfuriata da parte dei
due figli, Edith uscì fuori, portando un piatto con qualche
cosa da mangiare mentre Gerard cercava di spiegare che non poteva
prendere tutti e due assieme.
“Basta
ora!” disse con tono perentorio.
Sentendo
la voce della mamma i due bambini si bloccarono e con il broncio
dissero assieme:
“Sì
mamma!”
“Mettetevi
a sedere che mangiamo! E state attenti a non sporcarvi!”
continuò con tono severo Edith poggiando sul tavolino il
piatto da portata pieno di sandwich.
I
bambini fecero come ordinato e attesero che la madre porgesse loro un
panino, poi cominciarono a mangiare di gusto.
Gerard
guardò divertito e quando Edith si voltò verso di lui
scattò sull'attenti facendo ridere di gusto i due bambini.
“Mi
dica capitano!” fece con lo stesso tono di un militare che
aspetta un ordine.
Edith
scosse la testa e ridendo disse:
“Come
sei scemo!”
“Giusto
signor capitano!” continuò la sua pantomima Gerard.
Dietro
Ella e David ridevano come due matti. Gerard, con il mento in alto,
si tratteneva dal ridere a sua volta, mentre Edith, addentando un
sandwich disse:
“Hai
smesso di fare il cretino?”
Gerard
sorrise e abbassando il mento disse:
“Se
dai un sandwich anche a me la smetto con piacere!”
Edith
scosse al testa e diede il panino all'amico che addentandolo fece un
verso di piacere e mostrando il panino disse:
“Una
cena sana!” e si mise a sedere sul divano.
“Taci
Butler!” protestò Edith con un boccone ancora in bocca.
“Non sono brava a cucinare! Se vuoi mangiare meglio c'è
un ristorante qualche isolato più avanti!”
Gerard
scosse la testa e rispose:
“Non
mi sto lamentando. Stavo solo notando che sei una mamma atipica!”
Ella
annuì e rispose:
“Certo!
La mamma migliore del mondo!”
Edith
sorrise e stava per rispondere quando qualcuno suonò il
campanello. La giornalista e l'attore si guardarono aggrottando la
fronte. Poi, veloce, Edith si alzò e andò alla porta.
E
quando aprì vide Orlando, sorridente, che la guardava
sorridendo dolcemente.
Rimasero
in silenzio a guardarsi in silenzio. E lo fecero sicuramente a lungo
perché Gerard dal salotto disse:
“Edith?
Tutto apposto?”
Bastò
quella parola e il sorriso di Orlando si spense.
“Ho
provato a chiamarti! Ma non hai risposto!” cercò di dire
Orlando con voce insicura.
Edith
socchiuse gli occhi e si morse il labbro. Il cellulare lo aveva
lasciato in ufficio e quando era arrivata non aveva avuto nemmeno il
tempo di guardare chi l'avesse cercata che Gerard era piombato in
ufficio e l'aveva portata via.
“OB!
Posso spiegarti tutto!”
Gli
occhi di Orlando la fissarono con durezza. E in quel momento, Edith,
sentì il cuore spezzarsi. In quel momento capì cosa
aveva provato Orlando, tante volte, quando stava nella sua stessa
condizione.
E
non le piaceva per niente.
Prima
di tutto, anche se in ritardo, auguri di Buon Natale.
E
grazie a chiunque legge la mia storia. E soprattutto a chiaretta che
continua a recensirmi.
Mi
raccomando, fatemi sapere che ne pensate. Una recensione costa poco.
Un
bacio e alla prossima. Che spero sia molto prima. Un bacio a tutti.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo
14:Ultimatum.
Correva.
Con
il cuore in gola correva per la strada deserta.
Se
non fosse stata così allenata avrebbe sicuramente risentito di
quella corsa. Ma Orlando era comunque un uomo. Più alto e più
grosso di lei. E allenato a sua volta.
Decise
quindi di fare l'unica cosa giusta. E prendendo fiato, sentendo una
fitta al fianco, gridò con tutte le forze che le rimanevano:
“Orlando!
Fermati!”
Lo
fece con disperazione, quasi fosse la sua ultima spiaggia. E quella
disperazione arrivò all'attore di Canterbury che lentamente si
fermò e come aveva fatto prima di scappare via dalla soglia di
casa sua, troppo sconvolto anche per salutare i figli, si voltò
e la guardò.
Era
ferito.
Ed
Edith si rese conto solo in quel momento che troppe volte aveva visto
quello sguardo negli occhi scuri di Orlando. E viceversa, lui lo
aveva visto nei suoi.
Sapeva
che tra di loro le cose non potevano essere più le stesse.
Avevano distrutto la loro amicizia. Lo avevano fatto perché si
erano amati davvero. E per quanto provassero a negarlo, sia lei che
lui, si ferivano così perché tra di loro c'era qualche
cosa di più forte, qualcosa che andava ben oltre i rapporti
civili tra adulti che hanno condiviso l'amore, la vita e la casa e
hanno avuto dei figli assieme.
Solo
in quel momento, Edith si rese conto che non erano stati loro a
decidere di lasciarsi. Erano stati altri a mettersi in mezzo tra
loro, con menzogne, confondendoli. E loro avevano lasciato che gli
altri e il destino decidessero per loro, assistendo alla fine di una
relazione -che solo in quel momento Edith si rese davvero conto- non
era mai finita.
Con
il fiato corto raggiunse Orlando.
Lo
guardò negli occhi e notò lo sguardo ferito del
ragazzo. E senza ragionare gli domandò:
“Perché
sei scappato? Ella e David non meritano questo!”
Orlando
curvo la schiena e mise le mani nelle tasche: c'era caldo e la fronte
era imperlata di sudore. Anche Edith sentiva l'aria calda bruciarle
la pelle.
Intorno
a loro il silenzio. E quella dolorosa sensazione che li attorniava.
Qualche cosa stava inevitabilmente cambiando. E loro, stavolta,
dovevano essere i protagonisti attivi di quel cambiamento. Dovevano
prendere una decisione. E per quanto potesse sembrare strano, era
tutto meno che scontata.
“Non
immaginavo di trovarti in dolce compagnia. Ecco tutto!” rispose
Orlando con voce ferita. “Ho reagito d'impulso come sempre. Ma
non volevo ferire nostri figli!”
“Se
non li vuoi ferire, come dici tu, allora torna indietro e vai da
loro. È già straziante di suo questa situazione, senza
che ci mettiamo in mezzo i nostri problemi di coppia!” replicò
Edith.
Orlando
sollevò lo sguardo.
Edith
sentì l'aria calda diventare elettrica. Quello era il primo
segno che la loro era una storia che non aveva avuto una conclusione
vera e propria. Ed era la prima volta in vita sua che le succedeva:
aveva lasciato ed era stata lasciata e mai, rivedendo un suo ex,
aveva sentito le stesse sensazioni rivedendolo. E la prova l'aveva
avuta dopo aver incontrato Brian qualche giorno prima. Gli occhi di
Orlando avevano su di lei un potere che mai nessuno aveva avuto
prima.
Orlando
la poteva far infuriare. La poteva far impazzire e anche far sentire
in colpa proprio come in quel momento. E ogni volta, davanti a quegli
occhi avrebbe sentito il cuore sciogliersi come stava succedendo.
“Io
e Gerard siamo solo amici Orlando!” disse lei a voce bassa.
“Come
eravate solo amici tu e Jude?” domandò con una punta di
irriverente sarcasmo Orlando.
Colpita
e affondata. Infondo Orlando aveva ragione: non era forse quando era
incinta di Ella che aveva cominciato a frequentare Jude e aveva detto
ad Orlando la stessa identica cosa? Come dar torto al suo ex se ora
non le credeva?
Ma
in quel caso, in quel preciso momento, Edith sapeva con certezza che
tra lei e Gerard non poteva esserci altro. Lei era troppo incasinata
e lui troppo innamorato della sua attuale fidanzata per poter anche
solo pensare che potesse esserci qualche cosa di più.
E
poi, il bacio che gli aveva dato il giorno prima era stata la prova
del nove che aveva fatto capire sia a lei che a lui che non poteva
esserci niente tra di loro.
“Stavolta
è diverso!” disse Edith chinando la testa.
Bastò
quel gesto per scoprirsi. Si conoscevano da quasi dieci anni e ogni
gesto era una dichiarazione scritta, sia per lui che per lei.
“Ti
si legge in faccia che qualche cosa è successo! L'ho capito da
quando hai aperto la porta di casa, da come mi hai guardato. E adesso
ne ho la conferma! Ci sei stata a letto, vero?”
Stavolta
lo sguardo di Orlando divenne duro e questo riuscì a far
ribollire il sangue ad Edith. Proprio lui parlava? Proprio lui che
aveva baciato una perfetta Barbie Malibù a New York qualche
giorno prima?
E
diventando dura a sua volta, rispose:
“Tu
mi chiedi cosa è successo tra me e Gerard? E cosa è
successo tra te e quella sciacquetta con cui ti hanno ritratto tutti
i giornali qualche giorno fa?”
“Non
cambiare discorso, Norton!” ribatté Orlando facendosi
pericolosamente vicino.
“Oh!
Lo cambio eccome!” replicò Edith puntandogli e
sbattendogli l'indice contro il petto.
“Quella
l'ho baciata solo una volta. L'ho usata per farti ingelosire perché
me lo ha detto John!” disse tutto di un fiato Orlando, con il
respiro affannato e l'aria sempre più ferita.
Edith
strabuzzò gli occhi stupita da quella dichiarazione e Orlando
continuò:
“Mi
ha detto che quando eravamo solo amici eri andata su tutte le furie
quando ho fatto sesso con Nikki. Ed in effetti è successo
davvero...”
“Solo
perché lo avete fatto davanti a me, porca miseria!”
replicò stizzita Edith. “A quei tempi non stavamo
nemmeno assieme! Che diritti potevo rivendicare su di te!”
puntualizzò.
Orlando
colse la palla al balzo e replicò:
“Non
è vero! Tu mi amavi già. E anche io. Siamo nella stessa
identica situazione!”
“Come
possiamo essere nella stessa situazione? Dopo tutto quello che è
successo!” ribatté ferita Edith. “Ed io non mi
porto a letto la gente per farti dispetto!”
“Non
ci sono andato, Cristo Santo!” buttò con tutta la rabbia
che aveva in corpo Orlando.
“E
nemmeno io con Gerard! L'ho baciato ma ho capito che non provo niente
per lui!” sbottò Edith alzando la voce.
“Oh!
E cosa te lo ha fatto capire? Ti ha respinta?” attaccò
Orlando che aveva il cuore in gola, rendendosi conto solo in quel
momento di quello che aveva appena detto.
Edith
sentì le mani formicolare. Lo voleva schiaffeggiare ma non lo
fece e con voce bassa e rotta, rispose:
“Perché
non ho provato quello che ho sentito quando ho baciato te!”
Orlando
si bloccò e guardò Edith a bocca aperta. Poi sorridendo
scosse la testa e disse:
“Tu
non puoi dirmi questo!”
“Lo
sai che è la verità!” rispose Edith imbarazzata
che mai prima di allora aveva detto a nessuno una cosa simile.
“Lo
so. Ed infatti tu non puoi dirmi questo senza pensare che io non ti
baci!”
Edith
sbarrò gli occhi vedendo Orlando farsi sempre più
vicino. Pericolosamente vicino.
In
un attimo Edith sentì il cuore rimbombare nelle orecchie. Le
farfalle nello stomaco cominciarono a sbattere forte contro le pareti
dello stomaco e il cervello si spense.
Tutto
intorno a lei sparì. La strada. Le luci delle macchine che
passavano veloci. C'erano solo Orlando e i suoi occhi.
E
quando le loro labbra si poggiarono una contro l'altra, Edith si
strinse al ragazzo, perché se non lo avesse fatto sarebbe
caduta.
Si
baciarono. A lungo. E tutte le emozioni che non aveva provato il
giorno prima baciando Gerard le provò in quel momento.
E
capì.
Capì
che non poteva scappare da se stessa, dai suoi sentimenti, da quello
che era un passato aperto sul futuro suo e dei suoi figli.
Lasciò
che il tempo si fermasse, che Orlando decidesse per loro. E fu beato
oblio.
E
quando si staccarono Edith non riuscì a distogliere lo sguardo
da Orlando, fissando gli occhi scuri di lui. Aveva visto quello
sguardo e ringraziava Dio che fossero in mezzo ad una strada e che a
casa sua ci fosse Gerard, perché avrebbe potuto fare qualche
cosa che avrebbe solo ed esclusivamente complicato la situazione.
“Io
sono stanco di aspettare. Adesso dobbiamo mettere la parola fine una
volta per tutte a questa situazione...”
“OB!
Tu non sai quello che sto passando in questo momento...” lo
interruppe Edith, ma l'attore, intromettendosi a sua volta, disse:
“Sono
qua proprio perché so quello che sta succedendo. So di tua
madre e so che non stai passando un bel momento! E solo ora mi rendo
conto della cazzata enorme che ho fatto baciando quella ragazza. Ma
se l'ho fatto è perché non posso aspettare in eterno.
Volevo che tu capissi, volevo smuovere qualche cosa. E se ti ho
ferito ti chiedo scusa. Sono solo un cretino! Un cretino che non ce
la fa più ad aspettare però...”
Edith
deglutì mentre Orlando le prendeva le mani e le baciava con
dolcezza.
“Aspetterò
che questa burrasca passi. E per quello che potrò ti starò
vicino. Ma non voglio fare la figura del pagliaccio. Voglio che tu
prenda una decisione. E voglio anche che tu sappia che lotterò
per averti vicino e che se vorrai chiedermi qualche cosa, qualsiasi
cosa, lo potrai fare. Ma alla fine... Dovrai fare una scelta. Perché
non possiamo, Edith, stare ancora un anno così. E non voglio
che ci siano altri uomini, altre donne che si mettano tra noi due per
una stupida ripicca, per orgoglio. Abbiamo già rovinato la
vita di Miranda e Jude, non voglio rovinare quella di qualcun altro
solo perché non abbiamo il coraggio di ammettere quello che
proviamo!” e schioccandole un tenero bacio sulla bocca,
sospirando e poggiando la fronte contro quella di Edith ammise: “Ho
voglia di fare l'amore con te. Tanto...”
Edith
trattenne il respiro e sentì i lombi contrarsi con violenza.
Da quanto non faceva l'amore con un uomo? Sapeva che era passato
anche troppo tempo, ma la cosa che la spaventava era che sapeva di
non poter dir di no a quello che gli stava di fronte visto che ogni
cellula del suo corpo gridava la stessa identica voglia.
“Ma
non lo farò Edith. Non voglio incasinarti di più. E non
voglio che domattina tu mi possa odiare per quello che ho fatto!”
e stringendola, sospirando disse: “Voglio che tu possa decidere
serenamente, senza che mi ci metta anche io a complicare di più
le cose... Ma stavolta, pretendo che tu prenda una decisione Edith.
Positiva o negativa, sono stanco di rimanere appeso!” e
stringendola la baciò di nuovo.
Edith
lo lasciò fare.
E
si rese conto che Orlando aveva ragione. Doveva decidere. Doveva
capire cosa era giusto per lei e per suoi figli. E anche se in quel
momento la sua scelta persino per lei sembrava scontata, voleva
aspettare che tutta quella burrasca si placasse e capire cosa voleva
fare davvero.
E
mentre pensava a questo, Orlando smise di baciarla e sorrise. E
prendendole la mano, disse:
“Devo
rimediare al mio comportamento immaturo!” e indicando con un
cenno del capo verso casa di Edith aggiunse: “Dobbiamo andare a
casa da nostri figli!”e sorridendo, mano nella mano camminò
con Edith in silenzio, in una strada deserta dell'elegante quartiere
di Mayfair a Londra.
Edith
il giorno dopo aveva due profonde occhiaie scure che nemmeno il suo
correttore della Mac era riuscito a nascondere.
'Con
tutto quello che l'ho pagato, almeno il suo lavoro potrebbe farlo
bene! Accidenti!' pensò Edith specchiandosi nel grande
specchio dell'ascensore.
Era
stata una notte difficile quella appena passata. Il bacio con
Orlando; la tensione di vederlo vicino a Gerard; parlare con Orlando
dei problemi di sua madre e scoprire che John gli aveva raccontato
tutto e provare un moto di gratitudine nei confronti del marito della
sua migliore amica. Il non dover spiegare di nuovo la situazione
rivivendo ancora una volta il dolore e l'angoscia di quelle ultime
settimane le era stato d'aiuto e per questo era davvero grata a John.
Poi,
quando sia Gerard che Orlando se n'erano andati ed Ella e David erano
andati a dormire, Edith si era trovata al buio, a fissare il soffitto
in silenzio. E come succedeva sempre, i pensieri cominciarono ad
accavallarsi l'uno con l'altro. Nel buio corsero veloci l'immagini
degli ultimi tempi tenendola sveglia e con un nodo che difficilmente
riuscì a buttare giù.
La
mattina quando si svegliò aveva un cerchio bestiale alla testa
e molto, troppo sonno.
Le
campanelle dell'ascensore squillarono annunciando l'ingresso al
piano.
Laura
appena vide Edith sorrise e porgendole il solito plico e gli appunti
sulle mail che aveva ricevuto le disse:
“Buongiorno
capo. Caffè doppio stamattina?”
Edith
annuì prendendo il plico e guardandolo con poco interesse e
Laura aggiunse:
“In
ufficio c'è una persona che ti aspetta”
“Di
già?” domandò Edith stupita.
Laura
annuì e rispose:
“L'ho
trovato appena sono arrivata. Credevo avesse dormito qua stanotte”
sorrise con dolcezza.
Edith
aggrottò la fronte e con passo svelto si avvicinò al
suo ufficio. Aprì la porta e di spalle vide suo padre che
guardava alla finestra oltre la scrivania.
“Papà?”
L'uomo
si voltò e sorrise. La spiacevole sensazione che suo padre
stese anzitempo invecchiando pervase Edith che con uno scatto, corse
verso l'uomo e l'abbracciò:
“Potevi
chiamarmi!” disse Edith affondando la testa nella spalla del
padre.
“Volevo
vederti di persona. Quello che ti devo dire è molto
importante!”
Edith
si staccò e lo guardò preoccupata e con un filo di voce
chiese:
“Per
caso è successo qualche cosa alla mamma?”
L'uomo
scosse la testa sorridendo e rispose:
“No!
Almeno non che io sappia. Ma c'entra lei!”
Edith
aggrottò la fronte e indicando la sedia al padre, disse:
“Siediti
e raccontami tutto!”
Patrick
Norton fece come le aveva detto la figlia. Attese che la figlia si
sistemasse dietro la scrivania e quando lo fece, sedendosi meglio,
disse:
“Ho
cominciato a pensarci quando tua madre è stata madre. Mi sono
tanto lamentato di non essere stato un marito attento e che questo
era il vero motivo per cui tua madre aveva deciso di lasciarmi. Poi
quando ho capito il vero motivo per cui tua madre aveva deciso di
lasciarmi ho deciso che se volevo riprendermela dovevo fare qualche
cosa che la stupisse. Ed ho pensato ad una cosa...”
Edith
ascoltò con interesse il padre che vedendo che la figlia non
lo bloccava, continuò:
“Ho
pensato di chiedere a tua madre di sposarmi!”
Edith
aggrottò la fronte e Patrick spiegò:
“Hai
capito bene. Voglio sposare tua madre. E voglio rendere ogni suo
giorno felice. Perché non sopporto di doverla lasciare andare
senza rendere ogni suo giorno con noi un giorno migliore su questa
terra. E voglio ricominciare portandola di nuovo all'altare”
Edith
ascoltò il padre con gli occhi lucidi. Non aveva mai visto una
prova d'amore così grande. E questo le scaldava il cuore.
Allungò
la mano sulla scrivania e prese quella del padre. E con i lucciconi
agli occhi domandò:
“Che
devo fare?”
Patrick
sorrise e rispose:
“Sapevo
che potevo contare su di te!”
Rachel
mise a dormire Mark e tornò in salotto dove Orlando stava
parlando con John.
“Quel
Butler non mi piace!” disse Orlando guardando John che stava
seduto davanti a lui.
L'amico
si sistemò nel divano e sorridendo domandò:
“E
forse tu non stai simpatico a lui!”
“Beh!
Penso di avergli rotto le uova nel paniere ieri notte!” replicò
seccato Orlando e Rachel, mettendosi a sedere, disse:
“Sei
sicuro che Edith e Gerard stessero facendo qualche cosa di diverso
dal cenare con Ella e David?”
Orlando
la guardò e rispose:
“Tu
credi che un uomo, etero, conosciuto per essere un gran puttaniere,
davanti ad una donna come Edith stia solo a mangiare un cazzo di
sandwich!”
“Non
essere volgare!” replicò John divertito.
“Non
sono volgare. Sono realista! Edith Norton è una bella donna.
Lo sappiamo tutti. E sappiamo che molti uomini giocherebbero carte
false pur di entrargli nelle mutande!” esclamò Orlando.
“Gerard
è fidanzato con una donna che è ancora più bella
di Edith!” fece notare Rachel sistemandosi nel divano e
poggiando la testa sulla spalla del marito. “Può anche
essere che siano solo amici!”
“E
tu credi davvero che un uomo e una donna adulti possano essere solo
amici?” domandò sarcastico Orlando.
John
sollevò le sopracciglia e Rachel, mettendosi dritta, rispose
seccata:
“Edith
è stata amica di molti uomini nella sua vita...”
Orlando
la guardò con aria di uno che la sa lunga e rispose:
“Beh!
In effetti è vero! Infatti anche io e lei eravamo amici. E
anche con Jude era solo un'amicizia innocua! Quanto tempo c'è
voluto perché me la soffiasse da sotto il naso?”
Rachel
stavolta si mosse sul divano in imbarazzo. In effetti, quando Edith e
Orlando avevano appena avuto Ella e l'attore di Canterbury andava a
casa loro lamentandosi dell'amicizia di Edith con Jude Law, spesso
sia lei che John lo aveva calmato dicendo che quella era una semplice
amicizia tra due persone che hanno condiviso un brevissimo tratto di
strada assieme ed ora cercavano di conoscersi meglio.
Inoltre,
per quello che Edith aveva detto, Rachel non poteva certo dire ad
Orlando che aveva torto. Anzi! Sapeva fin troppo bene che quando
l'amica si metteva qualche cosa in testa era difficile distoglierla
dal suo fine. Sapere quindi che quella sera era a casa, da sola, con
Gerard, di certo le apriva degli scenari tutt'altro che casti.
Trattenendosi
dal dire tutto quello che aveva confidato ad Orlando, Rachel lasciò
che il marito parlasse:
“Mi
hai detto che ti ha confidato di aver baciato Gerard!” disse
John mettendo un braccio dietro Rachel che lo guardò stupita
da quella rivelazione.
Orlando
annuì e rispose:
“Credo
che sia successo la sera prima del mio arrivo. Non aveva avuto
nemmeno il tempo di assimilare bene la cosa. Mi ha detto che ha
capito di non provare niente per Gerard dopo quel bacio, ma non penso
che questo mi debba far star tranquillo!”
“Se
Edith dice una cosa difficilmente è diversa da quella che
farà!” rispose John serio.
Rachel
annuì, fissando Orlando con il suo peggior sguardo assassino.
Orlando
parve non notarlo e continuò:
“Ti
devo ripetere il nome di Jude?”
“Jude
lo ha sposato perché tu non ti decidevi a lasciare Miranda!”
sbottò Rachel.
Orlando
strabuzzò gli occhi e Rachel, ricordando un periodo che anche
per lei era stato tutto meno che lieto, aggiunse:
“Sì!
È venuta a letto con te mentre stava già con lui,
questo non ti basta? Ti ha lasciato per ferirti, solo che -forse per
affetto, forse per riconoscenza o, peggio, per abitudine- Edith si è
abituata a Jude ed ha accettato di sposarlo. E tu non hai fatto
altro, per tutto quel periodo, che buttarla sempre più tra le
sua braccia!”
Orlando
guardò Rachel con tanto d'occhi e anche John. In effetti, da
quando stavano assieme, quella era la prima volta che la donna
parlava così apertamente di Edith. E soprattutto davanti ad
Orlando.
Come
una diga Rachel guardò fisso Orlando e aggiunse:
“Voi
uomini siete proprio dei cretini. Non vi rendete conto che se ci
comportiamo in un determinato modo alle volte lo facciamo solo per
attirare la vostra attenzione. Ed Edith lo ha fatto con te dal giorno
in cui ti ha lasciato. Voleva metterti alla prova. E te lo dico
perché la conosco e so che nemmeno lei si è veramente
resa conto di quello che ha fatto!”
“Dici?”
domandò sarcastico Orlando.
“Conosco
Edith Norton da molto prima di te. Pensi che non mi renda conto di
quando fa o no una cosa con cognizione di causa? Tu l'hai tradita.
Hai fatto una delle cose che più le hanno fatto male quando
stava con Brian. E non l'hai fatto per divertirti, ma perché
non le hai detto chiaramente che avevi dei problemi con lei. Hai
tenuto le tue paure e le tue ansie per te e sei andato a letto con la
prima venuta... E quando Jude le ha teso la mano lei l'ha presa, ma
non perché lo volesse veramente fare, ma solo perché
voleva darti lo stesso dolore, lo stesso dispiacere. Fino a che tutto
non le è scappato di mano!”
“E
per scappato di mano intendi quando ha cominciato ad andarci a letto
nell'orario di lavoro?” precisò Orlando con una punta di
risentimento malcelata.
“Appunto!”
replicò Rachel che aggiunse: “Lo stesso motivo per cui
ha acconsentito a sposarlo quando ti ha visto con Miranda, quando non
facevi altro che piangere disperato e quando andavi a New York per
farle una sfuriata un giorno sì e l'altro pure...” e
allungandosi, prendendo la mano dell'attore, disse: “OB! Lei ti
ama. E tu la ami. Stiamo ripetendovi la stessa cosa da anni, ormai. E
da anni non facciamo altro che spiegarvi che dovete smettere di
mettere in mezzo altri. Non si scherza con i sentimenti. Non è
giusto e vi fa finire nei casini!”
Orlando
sospirò e guardò la mano di Rachel, in silenzio.
Quello
che aveva detto era vero. Per anni lui ed Edith si erano rincorsi e
non si erano mai presi. Si erano scontrati, avevano persino procreato
un figlio insieme e avevano messo in atto un gioco allo sfinimento,
uno stillicidio che non aveva previsto ma aveva comunque messo in
atto il coinvolgimento di Miranda e Jude, vittime di quella lotta
infinita.
“Quando
torni a New York?” gli chiese Rachel intromettendosi nei suoi
pensieri.
Orlando
sollevò lo sguardo sugli occhi nocciola della donna e rispose:
“Tra
due giorni ho l'aereo. Perché?”
Rachel
sospirò e poggiandosi sullo schienale rispose:
“Perché
meglio che tu non faccia stupidaggini, Ob. Di nessun genere. Fai
vedere che ti fidi di lei. Non mettere in mezzo donne che non ami”
e mentre lo diceva lanciò un'occhiataccia a John che si
sistemò sul divano nervoso e tornando a guardare Orlando,
concluse: “E sappi che se ti ha detto che non prova niente per
Gerard... Allora è vero. Non aver paura. Quello che le hai
detto, anche se sono contraria agli ultimatum, l'aiuterà a
riflettere e a prendere una volta per tutte una decisione. E ne avete
bisogno non solo voi, ma anche vostri figli!”
Orlando
annuì.
Edith
aveva bisogno di tempo. Glielo avrebbe concesso.
Ma
non avrebbe aspettato che qualcun altro si prendesse di nuovo il suo
posto.
Edith
sorrise sistemando la giacca a Gerard che chinò la testa
imbarazzato da quel gesto.
La
giornalista se ne rese conto e ritraendo le mani disse:
“Non
volevo metterti a disagio. Scusa!”
Gerard
scosse la testa e rispose:
“Non
sono in imbarazzo per il tuo gesto. Non preoccuparti... Solo che non
sono abituato a questo tipo di tenerezze da mamma diciamo!”
Edith
sorrise e rispose:
“Diciamo
che da quando ho avuto i miei due figli sono parecchio cambiata e non
mi rendo conto che alle volte faccio la mamma con tutti!”
Gerard
sorrise e abbracciandola, tenendola stretta, disse:
“Grazie
per questi giorni assieme. Sono stati 'intensi' diciamo, ma
molto istruttivi!”
Edith
sorrise e con gli occhi lucidi, scherzando rispose:
“Ogni
riferimento a baci o altro è puramente casuale!”
I
due risero e Gerard concluse:
“Io
stasera prendo un treno, ma questo non significa che se hai un
qualsiasi problema non devi esitare a chiamarmi...”
“Lo
farò!” promise Edith sorridente.
“Specialmente
se qualche bellimbusto del Sud ti rompe le scatole?”
puntualizzò Gerard.
“Ti
riferisci ad Orlando?” domandò divertita Edith.
Gerard
annuì e rispose:
“Non
voglio che tu abbia più casini di quelli che già hai!”
e abbracciandola di nuovo aggiunse: “E ricordati. Quando sarà
il momento... Spero il più tardi possibile... Io sono qua!
Capito?”
Edith
ebbe un tuffo al cuore e annuì con gli occhi pericolosamente
lucidi.
“Grazie
a te di tutto Gerard. Non sapevo di aver bisogno di un amico in
questo preciso momento della mia vita!”
Gerard
sorrise e abbracciandola e baciandole la fronte, mentre una voce
metallica annunciava la partenza del suo treno, disse:
“Io
sono contento di aver incontrato te...” e salendo sul treno che
cominciava a fischiare scaldando i motori, salutandola disse: “Sappi
che non ti libererai di me tanto facilmente!”
“E
tu non ci provare a farlo!” sorrise Edith salutandolo a sua
volta.
Il
treno cominciò a muoversi ed Edith guardò Gerard
prendere posto e salutarla dal suo vagone.
Per
lei quella partenza fu un piccolo lutto. Ma sapere di avere un amico
pronto a tutto pur di aiutarla, in quel preciso momento della sua
vita, la tranquillizzava.
Eloise
stava seduta nella poltrona guardando in silenzio la tv. Di una cosa
era contenta. L'essere arrivata troppo tardi non richiedeva che
dovesse fare chemioterapia e se ne sarebbe andata con tutti i suoi
capelli e non con una parrucca da appuntare meglio una volta che il
suo corpo sarebbe rimasto dentro una bara.
Sorrise
di quella tetra soddisfazione immaginando la faccia di suo figlio se
avesse esternato quel pensiero ad alta voce, quando il campanello
squillò.
Sua
sorella Maggie andò ad aprire e sistemandosi, Eloise continuò
a guardare l'episodio di Downtown Abbey che stavano trasmettendo.
“Ellie!”
disse Maggie con voce dolce avvicinandosi alla porta. “Ci sono
Edith ed Emma qua per te!”
Eloise
si voltò e vide i visi sorridenti di sue figlie che sulla
porta la guardavano.
Eloise
non potevano notare che tenevano tra le mani una grossa busta e che
in un'altra, più piccola, avevano quelli che potevano sembrare
dei trucchi.
Aggrottò
la fronte e guardando ognuna delle sue due figlie, domandò
loro:
“Conosco
quelle espressioni. Che avete in mente?”
Edith
entrò e baciando la guancia della madre, disse:
“Niente
di che. Volevamo solo fare una bella cenetta con nostra madre!”
“E
abbiamo pensato che, visto che non puoi uscire, possiamo metterti un
bel vestito e truccarti un po' e fare tutto qua!” aggiunse Emma
salutando anche lei la madre con un bacio.
Eloise
le guardò in silenzio, soppesando la loro decisione. Sapeva di
essere troppo debole e che non poteva lasciare casa di sua sorella
per un'uscita mondana. Nonostante questo sentiva che dietro la
proposta delle figlie c'era qualche cos'altro sotto.
“E
dove mangeremo?”
“In
salotto!” rispose pronta Maggie, dietro di lei.
Eloise
socchiuse gli occhi ancora di più e seria disse:
“Se
ne state pensando una delle vostre sappiate che sono sempre vostra
madre e posso darvele ancora. E tante!”
Edith
ed Emma risero e aiutando la mamma ad alzarsi dalla poltrona dissero
in coro:
“Piantala!”
ed Emma aggiunse: “Vogliamo solo che questa sia una bella
serata. E vogliamo che tutto vada per il verso giusto!” e
accompagnarono assieme la madre verso la sua camera da letto.
Ci
misero un'ora per sistemarla. E quando la misero davanti allo
specchio Eloise Norton trattene a stento le lacrime. Erano anni che
non si vedeva così bella. Sembrava quasi che la malattia non
stesse minando il suo corpo in quell'elegantissimo abito champagne
che indossava.
Si
voltò verso le figlie e abbracciandole disse:
“Grazie!”
Sia
Edith che Emma sorrisero commosse e prendendo la mano della madre la
condussero fuori dalla camera.
“E
voi?” chiese Eloise guardando le figlie ancora vestite casual.
Edith
trattenne una risatina divertita e rispose:
“C'è
un cavaliere che ti sta aspettando giù!”
Scesero
le scale e il cuore di Eloise fece una capriola.
Patrick
Norton l'aspettava in piedi, sorridendo, con le mani giunte e lo
sguardo fiero.
“Patrick?”
balbettò Eloise.
L'uomo
si avvicinò all'ultimo gradino e tese il braccio verso la
moglie e sorridendo le mormorò:
“Sei
bellissima!”
Eloise
guardò Patrick negli occhi e sorrise commossa e l'uomo disse:
“Posso
invitarti a cena?”
Eloise
lasciò che il marito la guidasse verso il tavolo e lasciò
che l'aiutasse a sedere.
Fu
allora che Emma ed Edith con Maggie si chiusero in cucina e
lasciarono da soli Patrick ed Eloise.
Quella
era una sera piena di speranze.
Ed
Edith ci credeva davvero.
Era
stata una serata tranquilla, pensò Edith guidando verso casa,
con gli occhi ancora gonfi.
Era
da tanto che non le succedeva di emozionarsi così tanto.
Ricordava
ancora bene, suo padre e sua madre che si tenevano per mano e che
annunciavano che avrebbero rinnovato le loro promesse appena
avrebbero trovato un pastore che avesse accettato di farlo in tempi
ragionevoli.
E
ricordava gli occhi di Patrick quando Eloise accettò di
tornare a stare da lui una volta che la cerimonia fosse avvenuta.
Parcheggiò
con il cuore leggero e vide la luce del soggiorno ancora accesa.
Temendo
di trovare la casa distrutta -memore più che altro dei
racconti di Ella e David quando tornavano da un week end con il
padre- Edith aprì la porta con delicatezza.
Dalla
televisione arrivava un brusio indistinto da un programma per
bambini, probabile replica di quelli della mattina mandata in onda
prima che i programmi venissero interrotti per la notte.
Nel
divano, uno vicino all'altro stavano Orlando, Ella e David, con un
contenitore di plastica pieno di patatine.
Sorrise
guardandoli con dolcezza, allungandosi per sistemare la coperta su
tutte e tre, quando Orlando si svegliò. I capelli ricci e
corti erano scomposti. Probabilmente aveva giocato tutta la sera con
i figlie e nonostante il gel -che come Edith ben sapeva Orlando
consumava in quantità industriali- non era servito a molto.
Con
sguardo sorpreso osservò per qualche secondo la giornalista e
poi sorrise.
“Sei
a casa? Ti stavamo aspettando ma penso che al decimo episodio di
Peppa Pig sia miseramente crollato!” e mettendosi a sedere
guardò i bambini che continuavano a dormire.
Edith
sorrise e comprensiva replicò:
“Alle
volte Peppa fa quell'effetto anche a me!”
I
due risero sommessamente e Orlando, guardando i figli, domandò:
“Ti
do una mano?”
Edith
annuì e rispose:
“Sì!
Grazie!” e prendendo David con delicatezza, guardando Orlando
sorridendo divertita, aggiunse: “Io prendo lui perché so
che tu sei più forte e non hai problemi a sollevare Ella!”
Orlando
la guardò sollevando un sopracciglio e scuotendo la testa
prese la figlia di sette anni in braccio e seguì Edith.
In
silenzio la giornalista salì le scale, mentre dietro, Orlando,
baciava la testa della figlia più grande.
Molto
spesso si era trovata a chiedersi quanto fosse profondo il rapporto
tra i due. Non perché fosse sua figlia, ma tra Ella e Orlando
c'era sempre stato un rapporto di complicità che l'attore non
aveva instaurato con gli altri suoi due figli. Lei era innamorata di
lui. Lui era protettivo oltre ogni limite con lei. E terribilmente
geloso.
Si
voltò quando arrivò sul pianerottolo e indicando la
stanza di Ella disse:
“Lei
dorme qui!”
Orlando
entrò. Da quando aveva preso casa a Londra quella era la prima
volta che l'attore metteva piede in camera della figlia e questo la
fece sentire terribilmente in colpa. Si rese conto che tutti e tre
stavano perdendo tanto, troppo della vita dell'altro e capì
che questo avrebbe in qualche modo segnato la loro vita.
Osservò
l'attore spostare le lenzuola e mettere la figlia a letto e poi, dopo
averle accarezzato la testa e baciato la fronte -augurandole
sottovoce la buonanotte- guardò Edith e mettendosi in piedi la
seguì.
Edith
aprì la porta della camera vicino e si avvicinò alla
culla di David. Lo sistemò e guardò Orlando seguire
ogni sua mossa con i gomiti poggiati sulla traversa della culla.
Per
quello che riguardava il figlio il rapporto tra lui ed Orlando era
strano. Edith sapeva che era colpa sua, principalmente, ma si stava
rendendo conto che tra di loro le cose stavano cambiando. David,
emulando la sorella, aveva cominciato ad adorare il padre e Orlando,
nonostante fosse abituato ad essere al centro dell'attenzione,
rimaneva piacevolmente colpito da quell'affetto incondizionato e
spesso, quando vedeva David, nonostante avesse un rapporto intenso e
profondo con Ella, abbracciava prima il figlio e parlava con lui a
lungo.
Coprendo
il piccolo, che come la sorella maggiore era diventato la fotocopia
del padre, disse:
“Ti
va di stare qua stanotte?”
Orlando
la guardò sbarrando gli occhi e poco convinto, grattandosi la
testa ammise:
“Edith...
Tu lo sai quello che provo. E sai quanto è difficile per
me...”
“Se
vuoi puoi dormire nella stanza degli ospiti. Ma voglio che domani,
visto che è l'ultimo giorno che starai con loro, tu sia qui
quando si sveglieranno. Ne sarebbero davvero felici!”
Orlando
guardò Edith. Come poteva non accettare? Era così bella
che solo guardarla gli faceva male.
Sospirò
ed Edith aggiunse subito:
“Ob!
Ti prego!”
Gli
occhi di Edith guardarono imploranti Orlando. E l'attore sospirando
rispose:
“Va
bene!” e prendendole la mano propose: “Che ne dici se
andiamo giù e ci beviamo qualche cosa di caldo prima di andare
a letto?”
Edith
annuì e stringendo di più la mano dell'attore lo seguì
giù per e scale.
In
quel momento quel contatto la tranquillizzò. Sapere che con
lei, quella sera, c'era Orlando, la faceva sentire più
tranquilla. Si lasciò guidare e si mise a sedere, lasciando
che Orlando mettesse l'acqua a bollire e preparasse un earl grey
canticchiando sommessamente.
Edith
attese che Orlando tornasse in salotto con le due tazze di tè
e quando lo fece, si spostò appena per fargli posto accanto a
lei.
Cominciarono
a sorseggiare la bevanda calda in silenzio, con calma.
Quel
momento di tranquillità riscaldò ad entrambi il cuore
ed Edith, senza nemmeno sapere come e quando avesse deciso di farlo
disse:
“Sono
felice che tu sia qui Orlando. E sono felice che tu non stia con
quella bionda!”
Orlando
la guardò stupito da quell'affermazione. Poi, guardando la
tazza di tè annuì ad un pensiero indefinito che gli
passava per la testa e lentamente l'appoggiò al tavolino. Si
voltò e prendendo quella di Edith fece lo stesso e voltandosi
a guardarla le passò una mano sulla guancia. E sorridendo,
avvicinandosi lentamente le sussurrò:
“Sono
anni che te lo dico. Che io per te ci sono. Che attraverserei
l'oceano a nuoto se tu avessi bisogno di me...” e continuando
ad accarezzarle una guancia con il pollice aggiunse: “Io voglio
far parte della tua vita Norton. E tu?”
Edith
guardò le labbra di Orlando e poggiando una mano su quella che
lui aveva antecedentemente posato sul suo viso, disse:
“Io
voglio che tu faccia parte della mia!” e lo guardò
intensamente, protendendosi verso di l'attore di Canterbury, in
attesa di un bacio.
Ma
con un profondo respiro Orlando si staccò e disse:
“Penso
che sia molto meglio che vada a dormire...”
Edith
annuì e senza dire niente lasciò che Orlando liberasse
tutto e baciandola sulla testa si congedasse con un tenero
buonanotte.
Una
settimana dopo.
Edith
camminava velocemente verso la stanza del giudice Morgan, dove si
sarebbe tenuta la sua causa di divorzio.
Il
primo passo per arrivare al divorzio vero e proprio era che le due
parti si incontrassero e cominciassero a fare le loro richieste. Se
tutto fosse andato secondo le regole, allora con un'udienza di
convalida sarebbe avvenuta la separazione definitiva. Altrimenti si
sarebbe andato a combattere in aula.
Quando
arrivò davanti alla porta trovò il suo avvocato e poco
lontano, vicino ad un uomo alto e distinto che teneva una valigetta
in mano, vide Jude. Aveva una barba incolta e i capelli sistemati con
un po' di gelatina.
Quando
la vide sorrise e il cuore di Edith perse un battito.
Sentì
il bisogno di avvicinarsi e di abbracciare l'uomo con cui aveva
condiviso il suo cammino per un periodo rilevante della sua vita,
l'unico che aveva avuto il coraggio di sposare. Ma il suo legale la
tenne per un braccio e disse:
“Il
signor Law e il suo avvocato parlano fitto da un paio di minuti. So
che lei non vuole mettere in atto nessuna rappresaglia, ma devo
chiederle di fare una controproposta nel caso il suo ex marito
facesse qualche richiesta pericolosa”
Edith
guardò Jude. Non la stava più guardando e al contrario
di quello che pensava il suo avvocato stava discutendo animatamente
con il suo legale, per niente tranquillo.
Stava
per rispondere quando arrivò il giudice, un uomo sulla
sessantina, che teneva in mano una cartella piena di fogli.
Sorrise
salutando tutti con un cenno di mano ed entrò nella stanza.
Per
galateo fu Edith ad entrare per prima, gli altri al seguirono in
silenzio.
Ebbero
il tempo di sistemarsi che già Edith sentiva il cuore in gola.
Morgan
guardò il foglio e disse, leggendo ad alta voce:
“Causa
di divorzio 1982. Law contro Law” e togliendosi gli occhiali
disse: “Bene! Penso che cominciare dalla parte che ha richiesto
la separazione sia il minimo, anche se a malincuore devo dare la
parola ad un uomo prima di una donna!”
Tutti
sorrisero tranne il legale di Jude che, mettendosi meglio sulla
sedia, rispose:
“Il
mio assistito non ha richieste da fare. Vuole solo che la situazione
si risolva nel miglior modo possibile!”
Edith
si voltò di scatto e guardò Jude che non ricambiò
il suo sguardo ma lo tenne fisso sul giudice che, guardando il legale
della giornalista disse:
“E
voi?”
Il
legale guardò Edith che gli fece un cenno con il capo e con
voce risentita, tanto quanto quella del suo collega disse:
“Anche
la mia assistita concorda con la linea presa dal suo ex marito!”
Morgan
annuì e rimettendo gli occhiali, con un sorriso rispose:
“Bene!
Fossero tutti così facili i divorzi!” e prendendo
un'agenda, concluse: “La causa di divorzio è fissata tra
un mese esatto, stessa ora, in questo stesso tribunale” e
porgendo la mano a tutto, partendo prima da Edith disse: “Spero
di trovare lo stesso clima tra un mese!” e sorrise rimettendo
apposto i suoi fogli e accompagnando alla porta Jude, Edith e i loro
due avvocati.
Per
quanto il suo legale le parlasse, lamentandosi di quello che aveva
appena fatto, la giornalista non riusciva a togliere gli occhi di
dosso a Jude. E con un tuffo al cuore si rese conto che anche lui
aveva fatto lo stesso.
Voltò
lo sguardo annuendo all'ennesima lamentela del suo legale, quando il
cellulare l'avvisò di una notifica WhatsApp.
Prese
il cellulare e lesse il messaggio.
Era
di Jude.
“Quando
questi due succhiasoldi a tradimento ci avranno lasciato in pace, che
ne dici se ci vediamo nel bar qua vicino?”
Edith
guardò Jude e sorrise. Lui annuì. Era bastato quel
gesto per capirsi.
Seduta
ad un Costa, poco lontano dal tribunale, Edith attendeva Jude con
ansia. E assieme all'ansia si sentiva terribilmente in colpa.
Qualche
giorno prima Orlando l'aveva salutata, sulla porta di casa sua,
promettendo di aspettarla e chiedendole di andare a New York non
appena le sarebbe stato possibile. Lei aveva accettato e lo aveva
baciato dolcemente sulle labbra.
In
quel momento era forte della sua decisione, consapevole che i suoi
sentimenti verso Orlando erano immutati e che lei stava solo
aspettando che le acque si calmassero un po' prima di lasciare che
tutto tornasse ad essere come prima.
Ora,
invece, sentiva una strana agitazione, quasi come quella di una
ragazzina al suo primo appuntamento, che in ogni modo cerca di non
farsi scoprire dai suoi genitori.
Attese
in silenzio che Jude entrasse nel locale e quando lo vide, sentì
il cuore perdere di nuovo un battito e lo stomaco fare una piccola
capriola, proprio come succedeva ad Harry Potter nel terzo libro
guardando Cho Chang.
Si
sollevò e lasciò che l'attore posasse una mano sul suo
braccio e le baciasse teneramente una guancia.
Cercò
di celare le sue emozioni più nascoste e sorrise rimettendosi
a sedere.
L'attore
prese posto davanti a lei e ordinarono qualche cosa di veloce da
mangiare.
In
un attimo Edith si rese conto che non era servito a niente non
vedersi per tanto tempo: le cose tra di loro erano sempre uguali.
Parlavano e ridevano come quando stavano assieme e si ritagliavano
uno dei loro momenti di intimità andando a mangiare fuori
senza i bambini.
Parlarono
di Rafferty, Iris e Rudy. Ed Edith domandò persino di Sophia
all'attore che ammise con una punta di rammarico di non vederla
quanto voleva.
Edith
raccontò degli ultimi avvenimenti che l'avevano coinvolta:
della malattia di sua madre e del fatto che la donna aveva
acconsentito a rinnovare con il marito le loro promesse di matrimonio
e ritornare ad essere una coppia felice proprio come i primi periodi
che si erano sposati.
Jude
ascoltò attento e subito disse che sarebbe stato vicino alla
ragazza in ogni modo.
Parlarono
di tutto, tranne che di Orlando o di qualsiasi altra storia avesse in
qualche modo coinvolto lei o lui in quelle settimane che non si erano
visti.
Poi,
quando i piatti si svuotarono e non ebbero altri motivi per rimanere
seduti a quel tavolo senza attirare l'attenzione di occhi indiscreti,
Jude poggiò le mani sul tavolo e disse:
“Bene!
Penso che sia ora di pagare il conto!” e stava per prendere la
sua carta di credito quando Edith lo bloccò dicendo:
“Facciamo
a metà!”
Jude
scosse la testa e rispose:
“Non
ci provare Norton! Lo sai che non sopporto che una donna paghi il
conto quando esce con me, anche se vuole fare a metà!” e
non ammettendo repliche chiamò un cameriere e gli porse la
carta.
Edith
lo guardò pagare in silenzio e quando si alzò lui
l'aiutò a mettere la giacca poggiando le mani sulle sue
spalle. Quel piccolo contatto bastò per farle sentire una
scossa elettrica che l'attraversava da capo a piedi. Sospirò e
chiudendo gli occhi si voltò verso Jude che disse:
“Non
dirmi niente. Non voglio sapere se quello che dicono i giornali su te
e Gerard Butler è vero. E non voglio nemmeno sapere se tu ed
Orlando, ora che il nostro matrimonio è giunto al capolinea
state coronando il vostro sogno d'amore!” e sorridendo
sollevandole il viso poggiandole due dita sotto il mento disse:
“Lascia solo che mi goda questo momento!” e baciandole la
fronte sussurrò: “Per me è sempre un piacere
passare il mio tempo con te Edith!” e stava per uscire quando
la giornalista lo raggiunse e disse:
“Grazie!
So che avresti potuto rovinarmi oggi... Ma non l'hai fatto. Te ne
sono grata davvero!”
Jude
sorrise e rispose, poggiandole una mano sulla guancia:
“Ti
amo troppo per volerti rovinare!” e baciandole dolcemente le
labbra sussurrò: “A presto, Norton!” e senza
aggiungere altro lasciò Edith, da sola, dentro il Costa, a
guardarlo allontanarsi, confusa e con mille domande che le correvano
per la testa.
Bene!
Ho postato molto prima di quello che credevo, complici le vacanze di
Natale.
Comunque.
Voglio ringraziare chiaretta e la nonnina che mi recensiscono. E
Margherita che con pazienza aspetta ogni capitolo.
E
chiunque legge in silenzio questa storia. Fatemi sapere anche voi
cosa ne pensate, ci tengo davvero.
Auguri
di buon anno. Spero di riuscire a scrivere qualche altro capitolo
prima dell'Epifania.
A
rileggerci. Niniel82.
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