Schegge di me - Raccolta oneshot

di Shayleene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dreaming of you ***
Capitolo 2: *** I see fire ***
Capitolo 3: *** Like a bird in a cage ***
Capitolo 4: *** Due cuori, un'anima ***
Capitolo 5: *** 5. Burning ***
Capitolo 6: *** 6. Clair de lune ***



Capitolo 1
*** Dreaming of you ***


Ed eccola qui, una oneshot un po' particolare e vaga che probabilmente ognuno di voi interpreterà in maniera diversa. Spero sia di vostro gradimento :D



DREAMING OF YOU

Era talmente ansioso che fece fatica ad addormentarsi, ma il sogno come sempre non si fece attendere.
La vide, una dolce visione dai capelli color mele che si muovevano silenziosi accarezzati dal vento che entrava dalla finestra scuotendo le tende bianche. La ragazza che ormai da più di un mese ospitava i suoi sogni si mosse attraverso la stanza dalla luce soffusa, sedendosi con grazia all'elegante pianoforte nero.
Gli sembrava tutto così familiare... il soffitto che scendeva leggermente in diagonale seguendo la linea del tetto, i muri dipinti di un arancione tenue che ricordava il mare al tramonto. Persino il profumo di alberi che si insinuava dalla finestra aperta. Doveva ammettere che come sogno era davvero realistico: se solo avesse cambiato mobili avrebbe potuto benissimo trovarsi in camera sua.
A dire la verità era tutto piuttosto spoglio, come se si fosse trasferita lì da poco. Non si vedeva nessun libro, nessun soprammobile tipico di una ragazza della sua età. Nemmeno una foto decorava la vuota scrivania accanto alla porta.
Le piccole mani nella giovane si adagiarono sui tasti, e l'istante successivo una dolce melodia quasi divina si diffuse nell'aria.
Lucas avrebbe voluto essere lì insieme a lei per osservare quel suo viso i cui occhi erano sempre pieni di un'inspiegabile tristezza. Da tempo la sognava ogni notte, ma non l'aveva mai vista sorridere. Dal modo in cui lei osservava il suo riflesso sul vetro della finestra sembrava che odiasse il suo corpo. La sua espressione di perenne sofferenza era dovuta forse a quello? Lucas ne dubitava, perché trovava quasi impossibile che lei non si rendesse conto di quanto belli fossero i suoi teneri tratti quasi infantili, quanto fosse attraente quel corpo che lei pareva disprezzare, quanto profondi e misteriosi fossero i suoi occhi neri come due abissi.
Credeva piuttosto che ciò che l'affliggeva fosse una specie di insofferenza verso il mondo. A volte passavano anche quelli che gli parevano minuti durante i quali gli occhi di lei si perdevano nel nulla, come alla ricerca di qualcosa.
Bramava sedersi accanto a lei, parlarle aprendole il proprio cuore e scoprire finalmente tutte le sofferenze che la tormentavano. Si sentiva uno stupido a provare certi sentimenti per un'effimera figura che poteva incontrare solo quando Morfeo giungeva sfiorando le sue palpebre chiuse con un mazzo di papaveri. Eppure non poteva farci nulla.
Le prime volte che aveva continuato a sognarla notte dopo notte era semplicemente incuriosito dal fatto che non ricordava di averla mai incontrata nella realtà.
In seguito, nonostante si fosse reso conto che quella piccola dea era una semplice immagine creata dalla sua mente, non aveva potuto fare a meno di affezionarsi a lei e ad attendere l'ora in cui si sarebbe addormentato per poterla rivedere. Rappresentava per lui ciò che la luce di una lampada rappresenta per una falena: qualcosa che attrae inevitabilmente ma che non può mai essere davvero raggiunto.
Sentiva che si sarebbero potuti capire a vicenda, che avrebbe potuto trovare in lei qualcuno che provava i suoi stessi sentimenti di inadeguatezza. Perché era quello ciò che si sentiva: un anticonformista non accettato da un mondo in cui la diversità era associata al pericolo.
Aveva provato in ogni modo ad interagire con lei, ma nonostante fosse il suo sogno le sue grida non risuonavano e il suo stesso corpo non gli rispondeva, costringendolo ad osservarla in silenzio.
Le note delicate si spensero, facendo cadere la stanza in un'accogliente quiete. La ragazza si alzò in piedi scostando la camicia da notte del colore della cenere e andando poi a sedersi sul piccolo letto accanto alla finestra. Si sciolse con delicatezza la lunga treccia ambrata, e dopo aver spento la lampada sul comodino si distese e chiuse gli occhi.
Lucas pensò che se mai un angelo si fosse addormentato, sarebbe somigliato a lei.
Il suono squillante della sveglia lo riportò alla triste e monotona realtà, costringendolo a risvegliarsi.

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"Le mie giornate
sono frantumate da vari universi
che non riescono a combaciare"

Da quando aveva letto quei tre versi in una raccolta di poesie che aveva trovato in un angolino nascosto della soffitta non era più riuscita a toglierseli dalla testa. Forse perché descrivevano perfettamente come si sentiva? 
Mentre si vestiva di malavoglia preparandosi per la scuola, Kathleen si rese conto che il motivo era proprio quello. C'era una parte di lei che viveva nella cupa realtà di ogni giorno, costretta a stare a stretto contatto con persone che la odiavano per il semplice fatto di essere talmente legata alla fantasia che più di una volta finiva per osservare con sguardo perso davanti a sé, mentre nella sua mente scorrevano immagini che raccontavano storie spettacolari.
Storie e orchi si alternavano ad alieni e licantropi, ninfe timide incontravano antichi druidi, cavalieri coraggiosi lottavano fianco a fianco a possenti draghi, re usurpatori sfruttavano il nobile popolo dei nani senza pietà.
Per Kathleen era un modo per sfuggire da quella stessa società che vedeva l'immaginazione come un inutile spreco di tempo e pensava solamente ai soldi. I libri? Ritenuti un ammasso di idiozie che avrebbe rischiato di plasmare in maniera errata le giovani e ingenue mente.
Si sentiva rinchiusa in una gabbia rappresentata da quel mondo grigio, formato unicamente da valori errati come il potere e l'avarizia. L'uomo stesso non era nient'altro che una mera macchina per sfornare denaro.
Eppure c'era un momento in cui si poteva davvero definire libera: quelle poche ore durante le quali la sua mente veniva raggiunta dai sogni.
E da lui.
Probabilmente alle sue compagne di classe - unicamente ragazze come aveva imposto il Governo in tutte le scuole per evitare distrazioni - sarebbe sembrato un ragazzo trasandato, poco affidabile e dall'aria ribelle. Tuttavia lei ne era attratta proprio per quel motivo.
Le strisce rosso scuro che coloravano i suoi capelli ricci neri come la pece, il tatuaggio che era riuscita ad intravedere più di una volta quand'era in t-shirt, il modo in cui le sue dita scivolavano rapide sulle corde della chitarra.
 Ma ciò che inizialmente l'aveva colpita di più era l'enorme libreria di legno chiaro stracolma di libri di ogni foggia. Le sembrava quella che c'era nella sua stanza quando si erano appena trasferiti lì, ma non poteva esserne certa perché era stato bruciato tutto non appena avevano messo piede nella casa. Si diceva che fosse appartenuta a dei ribelli, e che fosse stata assegnata alla sua famiglia perché non potevano permettersi di meglio. In un mondo come il suo in cui la posizione sociale e lavorativa erano tutto, chi non guadagnava a sufficienza era ritenuto quasi un peso che non meritava alcun tipo di agio.
Eccolo lì il ragazzo misterioso, intento ad osservare con aria pensierosa fuori dalla finestra. Chissà che cosa gli passava per la mente? Forse anche lui immaginava delle storie a cui non avrebbe mai potuto dare voce?
Un debole raggio di sole colpì per un attimo i suoi occhi verdi rendendoli simili a due pietre preziose, e fu allora che egli si ritrasse dal davanzale su cui era appoggiato dirigendosi con passo deciso verso la scrivania. Si sedette, estrasse da un cassetto un foglio del colore della pergamena e un carboncino, iniziando poi a tracciare con foga delle linee.
Kathleen avrebbe tanto voluto scrutare oltre la sua spalla e scoprire quale pezzo della sua anima stesse rivelando attraverso quel disegno. Sentiva l'impellente necessità di conoscere più cose possibili su di lui, sebbene sapesse che non era reale. Chiunque avesse osato permettersi di tenere tutti quei libri e di disegnare qualcosa che non fosse un progetto di un edificio sarebbe stato immediatamente imprigionato e processato.
Eppure le andava bene anche così, perché perlomeno nei sogni poteva evadere quella realtà che la opprimeva al punto di farle odiare la sua stessa esistenza.
-Lucas, vieni a darmi una mano!- gridò una squillante voce femminile da un punto imprecisato. Il ragazzo si alzò svogliatamente, uscendo dalla stanza e anche dal campo visivo di Kathleen, la cui attenzione era tuttavia focalizzata interamente sul disegno abbandonato sopra la scrivania.
Era stato realizzato in fretta, ma nonostante quello il soggetto era perfettamente riconoscibile. Rappresentava una ragazza in camicia da notte distesa sul letto, i lunghi capelli che ne incorniciavano delicatamente i contorni del viso.
Sebbene fosse un sogno, Kathleen trattenne il fiato.
Quella ragazza era lei. E aveva due ali da angelo dispiegate dietro di sé.

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Capitolo 2
*** I see fire ***




I see fire


"Oh, misty eye of the mountain below

Keep careful watch of my brothers' souls

And should the sky be filled with fire and smoke

Keep watching over Durin's sons."

Le ali del Sealiathan sferzavano l'aria, mentre il paesaggio scorreva rapido sotto di lui. Il fiume Klur si dipanava come un lungo filo cobalto serpeggiando tra le zone boscose e le colline impervie. Le bassi nubi scure impregnavano di goccioline d'acqua le vesti del soldato a cavalcioni della creatura che stringeva con forza e disperazione le redini.

-Forza Antheia, ancora un piccolo sforzo.- mormorò per incoraggiare l'enorme aquila che apparteneva alla razza dei Sealiathan, esseri che da millenni vivevano con il suo popolo e che erano di un'importanza vitale non solo per i trasporti, ma anche come fedeli compagni. L'animale emise uno stridio deciso, abbassandosi di quota e aumentando la velocità, le piume del colore di un cielo in tempesta che accarezzavano e sfruttavano al meglio le correnti.

Faelyn strizzò gli occhi grigi nel tentativo di individuare il monte Threyard dove tutta la sua gente si era rifugiata nel tentativo di sfuggire all'esercito del tiranno che aveva già sotto il suo dominio la quasi totalità del regno di Beluar. Il soldato sentiva il peso di un'enorme responsabilità gravare sulle sue spalle, tanto da faticare a mantenere il controllo sulle proprie azioni e i propri pensieri.

"Ti supplico, o sommo Ellisar, proteggi il tuo popolo devoto con il tuo scudo divino." pregò silenziosamente, sperando di arrivare in tempo per evitare il disastro. Ripensò con terrore agli eventi accaduti solo poche ore prima.

Si trovava nascosto nel folto della foresta di Kahlos, a distanza di sicurezza da un drappello dell'esercito nemico composto principalmente da mercenari riconoscibili dalle loro armature rovinate e tenute legate da tendini di animali. "Leakling" aveva pensato con disprezzo osservando quelle creature simili ad un'unione malriuscita di un troll con un goblin. Erano totalmente sproporzionati, con arti grossi e possenti e delle testoline molto piccole e con occhi quasi infossati. Nonostante la loro vista scadente erano però avversari temibili, capaci di spezzare le ossa del cranio con un semplice colpo di mazza e una pelle così coriacea da essere dura da scalfire persino con la spada più affilata.
Avrebbe tanto desiderato poterli spazzare via dal primo all'ultimo vendicandosi così di tutte le morti che avevano causato. Ma non era sciocco, e sapeva che sarebbe stata una missione suicida che non avrebbe portato a nulla. Era stato quasi per andarsene, quando un discorso in particolare aveva attirato la sua attenzione bloccandolo sul posto. Lo sguardo attento si era posato sulla figura più massiccia e spaventosa che si era alzata in piedi battendosi la mano artigliata sul petto, con molta probabilità il capo del drappello.
-Signori!- aveva gridato quello, mostrando le zanne ricurve che fuoriuscivano dalla bocca ghignante. -Preparatevi, perché le truppe di Galadian stanno per intrappolare gli Zaos in un'imboscata sul monte Threyard dove quei pezzenti si sono rifugiati credendo di sfuggirci. Mettiamoci in marcia, e tra un paio di giorni raggiungeremo il nostro bottino!- 

Delle feroci urla di giubilo si erano levate dai mercenari, ma Faelyn le aveva udite solo in lontananza dileguandosi tra gli alberi e correndo il più veloce possibile fino allo sperone di roccia dove la sua fedele aquila era impaziente di partire. Era salito con un elegante balzo in groppa, dando un lieve colpo di redini e stringendo le gambe ai fianchi dell'animale che stava per alzarsi in volo.

In un istante la situazione già pericolosa era diventata una lotta disperata contro il tempo.

Dopo quasi sette ore di viaggio ininterrotto Antheia mostrò evidenti segni di stanchezza, abbassandosi ulteriormente di quota e sbattendo le grandi ali molto più lentamente. Faelyn si sentiva in colpa per non averle dato nemmeno un attimo di respiro, ma la meta era ormai alle porte e non poteva permettersi di sprecare neppure un secondo. Riusciva quasi a percepire i granelli di sabbia scorrere impietosi nell'enorme clessidra del tempo.

Sentì un tuffo al cuore quando avvistò la cima biforcuta del monte Threyard. Credette quasi di avercela fatta, di non essere arrivato troppo tardi per salvare il suo popolo. Tuttavia, non appena si rese conto che la macchia scura che si alzava dalla montagna non era un ammasso di nuvole ma fumo, le sue speranze andarono in frantumi come vetro.

"If this is to end in fire

Then we should all burn together

Watch the flames climb high into the night

Calling out father, stand by and we will

Watch the flames burn auburn on the mountain side."

Un gelo assoluto serpeggiò dentro di lui, facendolo rimanere per qualche istante imbambolato a fissare l'orizzonte. Non poteva, non voleva credere a ciò che si stagliava davanti a lui. Antheia emise uno stridio gracchiante, come se percepisse l'angoscia del suo padrone, le cui mani avevano iniziato a tremare visibilmente nonostante stringesse le redini. Più si avvicinavano e più gli occhi si irritavano a causa del fumo acre che si elevava in alto disperdendosi in cielo. Acuì al massimo il suo senso dell'udito, e ciò che udì lo riscosse fino alle viscere: dal versante orientale delle grida disperate imploravano per aiuto. Faelyn incitò la cavalcatura ad aumentare ancora di più la velocità, e i due si lanciarono in picchiata mentre tutto intorno a loro diventava una macchia indistinguibile che variava dal verde scuro, all'azzurro, al rosso più intenso. 

Quando arrivarono a poca distanza dalle cime degli alberi il Sealiathan spalancò le possenti ali, volando in cerchio per qualche istante fino a quando non riuscì a trovare una radura in cui poter atterrare. Faelyn sentiva il sangue scorrergli rapido nel corpo, bollente quanto il fuoco che stava divorando tutto ciò che incontrava accanto a loro. Intravide il campo dove il suo popolo, gli Zaos, si era rifugiato sperando che il tiranno si dimenticasse di loro, e non appena mise piede a terra si lanciò come una furia in quella direzione. 

Le sue orecchie tentavano disperatamente di captare di nuovo la voce di qualche membro della sua gente, ma tutto ciò che percepiva era il crepitio delle fiamme che si stavano espandendo a macchia d'olio illuminando quella giornata grigia come se fosse piena estate. Scansò gli alberi quasi senza guardare dove stava andando, stringendo convulsamente l'arco che aveva portato in spalla fino a qualche istante prima, la spada che gli batteva contro il fianco. I rovi gli ferivano il volto e la pelle scoperta, ma non sentiva alcun tipo di dolore. Inciampò in una radice di un Theddanor, un enorme albero i cui frutti succosi avevano nutrito la sua gente per molto tempo, rialzandosi subito dopo con un'imprecazione e riprendendo la corsa.

Il fiato diventato già frenetico si fermò per un istante quando vide la foresta diradarsi davanti a lui. Fece un ultimo scatto, arrivando finalmente alla radura dove gli Zaos avevano creato un accampamento di fortuna. Lo spettacolo che si aprì dinanzi ai suoi occhi lo fece crollare in ginocchio.

"Now I see fire inside the mountain

I see fire burning the trees

And I see fire hollowing souls

I see fire blood in the breeze

And I hope that you remember me."

Un gemito strozzato fuoriuscì dalla sua gola, seguito subito dopo da lacrime di dolore e di rabbia. Nonostante tutto, nonostante il suo desiderio di salvare il suo popolo, la gente che l'aveva cresciuto da quando aveva dischiuso gli occhi in quel mondo di guerra, non era riuscito ad arrivare in tempo. Attorno a sé le fiamme bruciavano senza pietà le case in legno costruite con tanta fatica, senza risparmiare neppure i cadaveri distesi scompostamente a terra. L'odore della cenere si mescolava a quello acre della carne e quello metallico del sangue che sembrava quasi nutrire il terreno assetato.

I corpi di coloro che non erano morti soffocati dal fumo o divorati dal fuoco portavano su di sé i segni della battaglia che era imperversata in quel luogo. Non erano pochi i coraggiosi Zaos con asce rudimentali conficcate nel petto o con la testa inclinata in maniera anomala a causa di una mazzata dei Leakling.

"Perché? Che cosa abbiamo mai fatto di male per meritarci tutto questo?" pensò Faelyn stringendo angosciosamente la terra ai suoi piedi. Un rumore improvviso gli fece sollevare di scatto il capo verso sinistra.

-Maestro!- gridò, precipitandosi verso il capo degli Zaos che stava tentando di allungare la mano verso di lui. Non appena gli fu vicino, comprese però che nemmeno per lui c'era speranza. Un'enorme macchia rossa si stava allargando sulla schiena, e un rivolo di sangue denso fuoriusciva dalla bocca dell'anziano, i cui lunghi capelli bianchi sembravano coprirlo come un mantello. La gioia che aveva provato inizialmente venne spazzata via dalla visione di quell'uomo che aveva sempre rispettato e amato quanto suo padre ridotto in quelle condizioni.

-Faelyn...- mormorò lui, tossendo convulsamente.

-La prego Maestro, non si affatichi ulteriormente!- lo implorò lo Zaos stringendogli la mano scheletrica tra le sue.

L'anziano parve non ascoltarlo, continuando a parlare con uno sguardo che non conteneva alcuna traccia di paura, ma solo determinazione e un enorme sentimento di vendetta.

-Faelyn, so che hai fatto tutto ciò che potevi per salvarci.- esordì, abbozzando l'accenno di un sorriso che voleva esprimere orgoglio verso quel giovane che aveva coraggiosamente combattuto per il suo popolo in più di un'occasione. -Ma la tua missione non è ancora finita.-

-Cosa... cosa intendete dire?- sussurrò il ragazzo, sentendo che le forze del Maestro stavano scemando sempre più in fretta e che sarebbe presto rimasto completamente solo.

Gli occhi scuri e pieni di saggezza dell'anziano incrociarono i suoi. -Vivi. Ricorda. Fallo per tutti quelli che ti hanno cresciuto, per tutti coloro che ti hanno aiutato, per tutte le persone che ti hanno amato. Non lasciare che la nostra esistenza finisca nell'oblio, non permettere che il tiranno ci distrugga completamente.-

Faelyn sgranò gli occhi a quella richiesta. -Maestro, non può chiedermi questo! Non voglio essere l'unico sopravvissuto della mia specie, non sono pronto a sostenere un peso del genere!- gridò, sentendo il dolore divampare dentro di sé. Era inammissibile che gli chiedesse un sacrificio del genere, una vita in fuga da chiunque solo per custodire dei ricordi.

-Devi farlo.- si sentì ribattere. -Vattene da questo regno ora che il tiranno non sa ancora della tua esistenza. Trovati una buona moglie e tramanda i geni del nostro popolo, in modo tale che le nostre morti non siano state vane. Io confido in te, giovane Faelyn...-

Il sottile filo della sua vita venne reciso dall'ultimo colpo di tosse che gli fece sputare sangue, e i suoi occhi si chiusero quasi volesse fargli credere per un attimo che stesse solo dormendo.

"And if the night is burning

I will cover my eyes

For if the dark returns

Then my brothers will die

And as the sky is falling down

It crashed into this lonely town

And with that shadow upon the ground

I hear my people screaming out."

Il giovane si alzò in piedi tremante, alzando il capo verso il cielo scuro. Le lacrime rigavano le sue guance arrossate dalle fiamme arrossate dal fuoco. Estrasse il pugnale col manico intarsiato che aveva alla cintola, guardando come ipnotizzato le incisioni. Se solo avesse voluto avrebbe potuto mettere fine ad ogni sua sofferenza con un singolo colpo al cuore, raggiungendo così tutti i suoi cari che erano stati brutalmente uccisi da dei mostri senz'anima.

Si posò la lama del pugnale sul petto, guardando le fiamme riflettersi sul metallo lucido. Riusciva ancora ad udire distintamente le ultime urla degli Zaos levarsi dal terreno invocando un salvatore che non era giunto in tempo, percepiva il terrore che chiunque avrebbe provato d'ora d'innanzi sotto il dominio di un tiranno che non conosceva il significato della misericordia e della bontà. Un'ombra sarebbe calata sul regno di Beluar, soffocando tutti coloro che non si fossero piegati al suo volere.

La mano che stringeva l'elsa tremò leggermente. Diede un ultimo sguardo alla radura intorno a sé che era diventata cimitero per un intero popolo prima di prendere la decisione definitiva. Sollevò il pugnale e chiuse gli occhi.

Emise un lungo fischio, e dopo una decina di secondi si sentì un tonfo. 

-A quanto pare siamo ancora una volta solo io e te.- mormorò Faelyn con un sorriso amaro saltando in groppa ad Antheia, che stridette in risposta. L'animale si sollevò in aria con pochi battiti d'ala, allontanandolo da un luogo che lo Zaos non sarebbe mai riuscito a dimenticare.

"La nostra razza non morirà con me, questa è una promessa." pensò, voltando per sempre le spalle alla sua terra natia.

"I see fire (oh you know I saw a city burning out)

And I see fire (feel the heat upon my skin)

And I see fire

And I see fire burn auburn on the mountain side ." 

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Capitolo 3
*** Like a bird in a cage ***


Like a bird in a cage


Strinse a sè il fragile e delicato corpo, osservando gli occhi verdi che incrociavano i suoi trasmettergli un amore e una fedeltà talmente intensi da impedirgli di proferire parola.
-Lancillotto...- mormorò Ginevra, sollevandosi sulle punte e posando le rosee labbra carnose su quelle di lui, che sentì il corpo bruciare dal calore de sentimenti che provava verso la futura regina di Camelot.
Quel pensiero lo fece bloccare per un attimo. Il senso di colpa tornò più forte che mai a lacerargli l'anima, e il cavaliere arretrò di qualche passo. Come poteva lui, fedele servitore del re Artù, compiere un peccato tale come quello di baciare la sua promessa sposa? Si sentì improvvisamente sporco, macchiato di una colpa imperdonabile.
Ginevra capì i tormenti che lo stavano torturando, e gli posò delicatamente la mano affusolata sulla guancia. Poi prese la mano del cavaliere e se la portò al petto.
-Sentite il mio cuore, Lancillotto? E' grazie a voi se batte ancora, forte e libero come un nobile cigno. Se non mi aveste donato il vostro amore sincero sarebbe già da tempo diventato una fredda e inerme pietra.-
Non stava del tutto mentendo, e Lancillotto lo sapeva bene. Il giorno in cui era giunto al castello di Camelot e l'aveva vista per la prima volta gli era parsa come una splendida ed eterea stella morente. Sul suo viso non si dischiudeva mai un sorriso, la sua voce delicata e cristallina non allietava mai le orecchie dei presenti. Si limitava a sedere accanto al giovane re Artù con sguardo sofferente.
Ben presto Lancillotto si era guadagnato la più cieca fiducia del sovrano, che tra una battaglia e l'altra gli aveva anche affidato il compito di sorvegliare la sua futura mogie durante gli spostamenti da una città all'altra. Era stato allora che tutto era cominciato. Le prime volte la principessa si era limitata a rimanere silenziosa sulla carrozza guardando all'esterno mentre Lancillotto sedeva di fronte a lei, spada in pugno. Col passare del tempo aveva però iniziato a chiedergli incuriosita domande su ciò che avveniva durante le battaglie che combatteva. Lancillotto le descriveva animatamente gli scontri, il clangore delle armi che cozzavano e l'immancabile paura di morire.
Il giorno in cui gliel'aveva detto Ginevra gli aveva domandato sorpresa:-Com'è possibile che un cavaliere come voi abbia paura di morire?-
-Temere di essere uccisi non è un segno di debolezza- le aveva risposto, -ma dimostra che tengo alla mia vita e che farò di tutto per non perderla.-
La principessa aveva chinato lo sguardo sul libro che aveva chiuso in grembo. -Sapete, siete proprio come l'eroico cavaliere descritto in questo poema.-
Lancillotto aveva aggrottato le sopracciglia. -E come termina la storia?-
Le labbra di Ginevra si erano per la prima volta dischiuse in un sorriso radioso che era velato da un pizzico di malizia. -Sposa la principessa del regno diventando re.- era stata la sua risposta, poco prima di alzarsi in piedi, chinarsi su di lui e baciarlo con delicatezza. Il contatto era durato solo un istante, ma Lancillotto si era sentito persino più vivo del momento precedente alla battaglia, in cui il suo cuore pompava freneticamente il sangue.
A quel punto la carrozza era giunta a destinazione ed erano dovuti scendere, ma ormai la freccia di Cupido era stata scoccata. Da quel giorno avevano iniziato a lanciarsi sguardi carichi di significato quando nessuno faceva caso a loro, e dopo circa una settimana Lancillotto aveva scoperto la grotta in cui si trovavano in quell'istante, nascosti dallo sguardo del mondo.
Vi si rifugiavano ogni volta possibile, scambiandosi baci infusi di amore e di passione. Lancillotto accarezzò i fianchi della giovane custoditi dall'abito di broccato verde, e la sentì fremere al suo tocco. I due occhi smeraldini si accesero di una luce piena di aspettativa, e le braccia snelle e aggraziate di Ginevra gli circondarono il collo, attirandolo a sè. Lui sentì il petto dell'amata sollevarsi più rapidamente, e le passò una mano sulla schiena indugiando sui lacci del corpetto. Il profumo lievemente speziato dei suoi lunghi capelli scuri come l'ebano gli solleticò le narici.
-Avete detto a Briana che non sareste rientrata prima del tardo pomeriggio, vero?- le mormorò all'orecchio.
-Certo, non dovete preoccuparvi della mia serva. Nonostante sia un'impicciona è anche terribilmente ottusa.- replicò lei ridendo. Quel suono così cristallino fece infiammare il cuore di Lancillotto di passione, tanto da spingerlo a baciare la sua amata con la stessa intesità di un assetato che ha appena trovato dell'acqua.
La mano calda di Ginevra gli stava accarezzando il torace, quando dall'esterno della grotta si sentì una voce. -Da questa parte, sua maestà.- Nel giro di qualche secondo all'imboccatura del nascondiglio comparve la vecchia e bisbetica Briana insieme a dei soldati. Ma soprattutto con Artù. Quello che da suo sovrano era diventato quasi un amico e un fedele compagno la guardava come se davanti a lui ci fosse il mostro più immondo che il demonio avesse mai creato. Ginevra emise un urlo soffocato, portandosi una mano alla bocca e arretrando di un passo.
-Come vi avevo detto, vostra altezza, milady Ginevra e sir Lancillotto si incontrano qui già da parecchio tempo.- disse ossequiosa la vecchia lanciando uno sguardo maligno ai due innamorati. -E' una fortuna che l'abbia seguita, vero maestà? E' un'onta che una persona del rango della fanciulla si mischi...-
-Basta così, è sufficiente.- commentò gelido Artù congedandola con un cenno della mano, voltandosi poi verso Lancillotto. -Tu... come hai potuto?- la sua voce trasudava disprezzo e odio, ma nei suoi occhi chiari c'era l'accusa di tradimento per un uomo che aveva considerato quasi come un fratello. 
-Prendeteli.- ordinò stentoreo alle guardie, e fu solo allora che Lancillotto si riscosse, afferrando la spada appoggiata al muro della grotta e colpendo il primo soldato che si era avvicinato. Fece arretrare Ginevra, scagliandosi contro il secondo nemico. Schivò un fendente al fianco con un agile balzo, e colpì di striscio il soldato alla sua destra. Gli faceva orrore combattere contro cavalieri che conosceva, ma non poteva permettere che prendessero la sua amata.
Tuttavia lo svantaggio numerico si fece presto sentire. Nonostante l'agilità dovuta all'assenza dell'armatura accusò numerose ferite che lo rallentarono nei movimenti. Riuscì a colpire un altro soldato ferendolo alla gamba e disarmarne un secondo.
Il terrore lo invase quando capì che non ce l'avrebbe fatta. Erano troppi.
Venne circondato e costretto a gettare a terra la spada. Lancillotto volse lo sguardo verso Ginevra, che lo guardava con le lacrime agli occhi.
Artù si avvicinò a lui con la mano posata sull'elsa della spada.
"Mi ucciderà" pensò il cavaliere, pregando Dio affinché la sua anima non venisse mandata all'Inferno. Il re parve intuire i suoi pensieri, perché disse:-Sarebbe troppo semplice morire qui. Verrai condannato domani nella piazza della città. Prima sarai frustato trenta volte- fece una breve pausa nella quale parve raccogliere le forze per pronunciare le ultime parole -e infine verrai impiccato come un qualunque pezzente.-
-NO!- gridò disperata Ginevra. Artù sollevò lo sguardo, e nonostante tutto appena vide la sua promessa sposa che si puntava una spada alla gola provò un terrore cieco.
-No.- ripetè la ragazza. -Se mi uccidete allora mi toglierò anche io la vita, e insieme a me anche quella del vostro bambino che porto in grembo!-
Il re sgranò gli occhi, la mano gli tremò visibilmente. -Stai mentendo, non può essere. Sarà figlio suo, piuttosto.- replicò, indicando con disprezzo Lancillotto che aveva in volto un'espressione sperduta e sorpresa. Nemmeno lui ne sapeva nulla, ma comprese che non gliel'aveva detto per non distruggere i loro sogni già fragili. Chinò il capo, sconfitto.
-Credete che sarei davvero capace di mentirvi su qualcosa di così importante? Allora è inutile che io viva ancora!- gridò Ginevra, mentre sulla sua veste compariva una piccola macchia rossa.
-Fermati, ti supplico!- Artù tese la mano in avanti, lo sguardo pieno di paura. -Non ucciderò Lancillotto, se è quello che desideri.- le concesse, il tono di voce che racchiudeva rabbia per la sua incapacità di tenere la giovane fedele a lui. La principessa fece un sospiro di sollievo. -Ma sarà esiliato a vita dal regno di Camelot.-
All'alba del giorno dopo un drappello di soldati lasciò il castello in gran carriera in groppa a destrieri neri come la notte. Ginevra si asciugò una lacrima dal viso mentre osservava il suo amore scomparire per sempre all'orizzonte, affacciata alla finestra con le grate che era diventata la sua camera.
Artù si rivolse a lei, freddo e distaccato come sempre. -D'ora in poi rimarrai qui. I pasti ti verranno passati attraverso la fessura del portone. Dirò a tutti che sei gravemente malata e per questo non puoi uscire dalla tua stanza.-
Ginevra provò a fermarlo, ma il re era già uscito chiudendo la porta dietro di sè.
-Addio, Ginevra.-
Si udì il rumore di una chiave che scattava nella serratura. Il cigno che aveva ambito alla libertà sarebbe rimasto rinchiuso nella gabbia del suo padrone. 
Per sempre.

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Capitolo 4
*** Due cuori, un'anima ***




Due cuori, un'anima

Genere: classico, drammatico (Romeo e Giulietta)

Ricordo ai lettori che questa è una mia interpretazione di una parte della storia, quindi è normale trovare delle incongruenze con l'opera originale. Spero la gradirete comunque!

Inizialmente l'oscurità l'aveva accolta tra le sue braccia confortanti. Se fino a quel momento l'aveva temuta rifuggendola in ogni modo, dopo tutte le sofferenze che aveva dovuto patire era un sollievo potersi abbandonare all'oblio. Si sentiva così spensierata, così leggera. Come un neonato ancora privo delle preoccupazioni che il mondo gli avrebbe causato con il passare degli anni.
Poi, in quel nero nulla comparve una piccola chiazza luminosa che attirò la sua attenzione. Si ingrandì lentamente, rivelando poco alla volta delle figure sfocate fino a quando Giulietta non ne fu completamente avvolta. Attorno a sé si delinearono i contorni di un'ampia sala decorata da sontuosi arazzi raffiguranti stemmi in cui il rosso e l'argento si intrecciavano a fili d'oro. Il soffitto, composto da elaborate volte a crociera, era sostenuto da colonne che a loro volta fornivano l'appoggio per archi a tutto sesto tipici dello stile romanico, sui quali correvano eleganti fregi.
Un massiccio tavolo in legno chiaro ricoperto da numerosi fogli era collocato al centro insieme a dodici sedie. Un'imponente figura era seduta capotavola, mentre una più gracile la affiancava col capo chino. I capelli lunghi e scuri della ragazza le ricadevano in onde morbide sulle spalle magre coperte da un elaborato abito rosso.
Giulietta spostò lo sguardo sull'uomo seduto abbigliato anch'egli in maniera elegante e autoritaria, che era intento a parlare con aria piuttosto contrita.
-Inammissibile!- gridò quello, sbattendo un pugno sul tavolo e facendo sobbalzare la giovane fanciulla che poteva avere al massimo dieci anni d'età. -Quel viscido mascalzone di Montecchi ha nuovamente tentato di mettermi in difficoltà diffondendo dicerie sulla nostra famiglia e minando la nostra reputazione!- Era su tutte le furie, e il viso solitamente adornato da un espressione bonaria aveva assunto un colorito paonazzo.
-Non possiamo permettergli di acquistare ulteriore potere. E l'unico modo per farlo è combinare un matrimonio più vantaggioso di quello che organizzerà lui per quell'inetto di Romeo Montecchi, capisci figlia mia?- aveva continuato.
Giulietta rivide la sé stessa di qualche anno prima annuire con aria sottomessa al padre senza replicare. A quel tempo avrebbe fatto qualsiasi cosa per compiacerlo, ma successivamente le cose erano cambiate. Non riusciva a capire il perché di quel sanguinoso conflitto tra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi, ed ogni volta che aveva provato a chiederlo a suo padre le rispondeva sdegnato che era compito dei Capuleti governare Verona e portarla allo splendore, anche se i Montecchi volevano impedirlo. Eppure non le aveva mai dato una risposta seria, tanto che Giulietta aveva presto iniziato a dubitare delle effettive motivazioni di quella guerra.
E ne era diventata ancora più certa quando aveva conosciuto il giovane, affascinante e carismatico Romeo Montecchi ad una festa organizzata dal proprio padre. Aveva scoperto la sua identità quando ormai era troppo tardi, quando tra i loro cuori si era già formato un sottile legame che si era presto trasformato in amore puro. Un sentimento così unico e travolgente da superare ogni rivalità tra le loro famiglie. Non avrebbero certo potuto sposarsi pubblicamente, ma avrebbero fatto qualsiasi cosa per coronare il loro sogno.
Qualsiasi cosa... quel pensiero fece nascere in lei un profondo malessere di cui non ne comprendeva la ragione. Venne nuovamente avvolta dall'oscurità, tuttavia non era più consolatrice come prima, bensì minacciosa e terrificante.
Sul suo corpo percepì una fredda aria pungente che le lambiva le braccia scoperte e il viso dalle gote rosate. Dischiuse gli occhi a fatica, sollevandosi a sedere. Sgranò gli occhi quando comprese di trovarsi all'interno di una gelida e agghiacciante tomba. Il suo cuore, che aveva accelerato come quello di un uccellino in fuga da un predatore, si calmò non appena le tornò in mente che faceva tutto parte del piano per fuggire con il suo innamorato.
Aveva finto di essere morta grazie ad un veleno in modo tale da evitare il matrimonio combinato ed essere portata lì, e da un momento all'altro Romeo sarebbe dovuto giungere a portarla via... ma se non avesse ricevuto la missiva? Se gli fosse accaduto qualcosa durante il cammino? O persino peggio: se gli uomini di suo padre lo avessero riconosciuto e ucciso? Pensieri tetri angosciavano la mente della giovane fanciulla, facendola sentire più sola e infelice che mai.
Un odore metallico e dolciastro al tempo stesso le solleticò le narici. Era molto intenso, quasi la fonte provenisse ai piedi dell'altare di pietra su sui era stata posata. Quando si rese conto di cosa si trattava il suo corpo si irrigidì.
Sangue.
Stringendo forte le mani affusolate ai bordi dell'altare si sporse leggermente, il cuore in gola. Un gemito strozzato fuoriuscì dalla sua bocca rosea, e Giulietta scese a terra tremante inginocchiandosi accanto al corpo disteso. Le lacrime iniziarono a sgorgare copiose alla vista del volto cinereo dell'amato, sotto il quale una lugubre macchia di sangue scuro si stava allargando come una seconda ombra.
-No, Romeo... non potete lasciarmi da sola, non potete abbandonarmi così!- mormorò con voce soffocata, afferrando la sua mano come se quel contatto avesse potuto risvegliarlo da un sonno eterno. L'elsa di una spada, la sua spada, fuoriusciva dal petto inzuppato di sangue, il corpo adagiato su un fianco.
-Mi avevate promesso una vita insieme, avevate giurato! Sono state parole gettate al vento? Mi avete mentito per tutto questo tempo?- gridò, la voce disperata che rimbombava all'interno della cappella cimiteriale.
Chinò lo sguardo sul proprio abito che si era inzuppato del sangue di Romeo, e in quell'istante comprese che nonostante tutto avrebbero vissuto insieme per l'eternità. Anche se lui aveva rotto la promessa sarebbe stata lei a mantenerla, in nome del loro amore.
Si passò le mani sul viso per asciugarsi le lacrime, macchiandole di un rosso vivo. Con molta fatica riuscì a sollevare parzialmente il corpo di Romeo, come se fosse seduto a terra. Dalla schiena spuntava la lama della spada, che pareva brillare malignamente sbeffeggiandosi di lei.
Giulietta si inginocchiò cingendogli delicatamente il torso con le proprie braccia. Sentì la punta fredda della spada premere contro il suo petto, e strinse l'elsa della spada con mani tremanti.
-Mio amato, sto tornando da voi.- mormorò, prima di stringere in un abbraccio mortale il suo promesso sposo lasciandosi trafiggere al cuore dall'arma che aveva trapassato quello di Romeo.
Due cuori, un'unica anima.

 

 

 

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Capitolo 5
*** 5. Burning ***


Burning

Vi dico solo che ho la mente così malata da farmi venire l'ispirazione mentre accendo il fuoco nel caminetto xD Spero vi piaccia anche se è breve^^

Genere: fantasy, medievale


TITOLO: Burning

Sin da bambina il fuoco mi aveva affascinata e intimidita al tempo stesso. E' incredibile come un'entità di tale potenza nasca da una piccola scintilla, trasformandosi rapidamente in una cascata fiammeggiante che si erge verso il cielo.
Una creatura capace di donare la vita attraverso il calore nei più freddi giorni invernali, di depurare le acque inquinate e di difendere l'uomo dagli animali feroci che popolano le foreste silenziose. Ma come in ogni cosa esiste un lato oscuro, anche il fuoco possiede un'essenza distruttiva che non conosce la misericordia. Una volta che la sua ferocia viene scatenata, che le sue fiamme vengono destate dal sonno, nulla è più al sicuro.
Avanza affamato divorando tutto ciò che trova lungo il suo cammino, riducendo in polvere alberi secolari, devastando case, stringendo tra le sue spire coloro che sono tanto sventurati da frapporsi tra lui e la sua meta.
Eppure non si può negare che la sua danza ipnotica riesca ad ammaliare molti di quelli che la osservano. Sapevo per certo di non essere la sola a cui qualche volta era successo di rimanere ferma immobile davanti ad un focolare, guardando meravigliata le fiamme passare dal giallo al rosso vivo mutando continuamente forma e diffondendo un piacevole calore.
E certamente non ero nemmeno l'unica ad aver provato il dolore di una scottatura, persino una minima bruciatura che sembrava apparentemente innocua.
Fin da piccola mia madre mi aveva insegnato a rispettare tutti gli elementi della natura.
"Ricordati, Cassidy" mi aveva ripetuto mille volte, persino prima di morire, "non siamo altro che ospiti passeggeri in un mondo composto da entità molto più antiche di noi. Devo mostrare loro la stima dovuta."
Avevo sempre seguito al massimo delle mie facoltà questa sua raccomandazione credendo di fare qualcosa di buono, ma dagli sguardi accusatori che vedevo raccolti intorno a me sembrava che per tutti quegli anni io non avessi fatto altro che accumulare errori imperdonabili. Era triste vedere come persino le persone che avevo aiutato a guarire grazie alle mie erbe medicinale mi stessero fissando con un odio immenso.
In quel momento era difficile non pensare che la natura stessa nel genere umano non sia malvagia, che la terra non sia destinata a perire per colpa di un suo stesso figlio. 
"Ditemi madre, come posso avere ancora fede ora che sto per fare la vostra stessa fine? Tempo fa mi diceste di non temere il fuoco perché esso era quasi un mio fratello, ma come posso non provare un terrore cieco vedendolo divorare così rapidamente i fasci di legna ai miei piedi?"
Riuscivo già a sentirne il calore lambirmi la pelle affamato come non mai, e avrei voluto trasformarmi in un soffio di vento per sfuggire a tutta quella cattiveria che mi stava soffocando.
"Perdonatemi se non ho un cuore forte e puro come il vostro, madre, ma al contrario di voi non riesco a trattenere le grida di dolore per il mio corpo che sta per essere dilaniato. Perché, perché c'è tutto questo odio verso di noi? Perché la parola "strega" riecheggia nelle mie orecchie insieme al crepitio delle fiamme che si stanno arrampicando sulle mie membra?"
Ormai attorno a me non vedevo altro che fumo acre che mi impediva di respirare. Sollevai in alto il volto alla ricerca di un'ultima boccata d'aria prima della fine, e fu allora che la vidi: una figura eterea nel cielo notturno vestita da un abito di nebbia intrecciata e i capelli decorati da nuvole bianche e candide, che con il suo dolce sguardo mi infuse calma e sicurezza. Forse fu solo una forma di delirio causata dal dolore che pervadeva tutto il mio corpo, ma scorgendo il volto sereno di mia madre stagliarsi contro la volta celeste sotto forma di spirito sentii che, nonostante la mia vita stesse per finire così presto e così brutalmente, sarei finalmente potuta tornare tra le braccia della donna che mi aveva cresciuta ed essere protetta dalla Dea.
Il fuoco stava iniziando ad avvolgermi il viso con le sue spire, quando pronunciai le mie ultime parole:- Nyx, abbi pietà di coloro che camminano al buio, e accoglimi nel tuo grembo materno al sicuro da ogni sofferenza.-
L'istante successivo una fiamma mi avvolse completamente nascondendomi agli occhi di chi era venuto ad assistere allo spettacolo di un'innocente bruciata viva.

E poi il nulla.

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Capitolo 6
*** 6. Clair de lune ***



Genere: mistero, suspance (ispirato alla poesia di Hugo "Clair de lune")

TITOLO: Claire de lune  

 

  La lune était sereine et jouait sur les flots. -
La fenêtre enfin libre est ouverte à la brise,
La sultane regarde, et la mer qui se brise,
Là-bas, d'un flot d'argent brode les noirs îlots.  

 

La figura elegante ed eterea della regina si alzò dal letto a baldacchino sul quale era distesa, spostando le coperte rosse che coprivano il suo corpo dalle curve morbide e sensuali. La brezza della notte che proveniva dalla terrazza le accarezzò la pelle ambrata che non era protetta dalla sottile vesta di seta del colore del tramonto. Meryem lasciò vagare il suo sguardo nella camera da letto lussuosa della sua residenza, sospirando debolmente quando alla luce della luna vide che era completamente vuota.
L'aveva lasciata sola un'altra volta. Se non si fosse sentita così delusa sarebbe potuta essere una situazione persino buffa: lei, la ragazza che tutti gli uomini desideravano follemente al punto di essere disposti a compiere persino follie per lei, data in sposa al re che non la degnava della minima attenzione. I primi mesi era andato tutto per il meglio. Si comportava da marito premuroso, la portava con sé durante le battute di caccia e gli incontri diplomatici, la sera la passava insieme a lei.
Sorrise amaramente, sfiorando con delicatezza il braccialetto di pietre preziose che le aveva cerimoniosamente regalato davanti ad una folla in giubilo per la lieta novella del loro primo figlio. Peccato che se da un lato quel bambino aveva rappresentato il futuro del loro regno, allo stesso tempo aveva anche dato fine ad ogni felicità della propria madre.
Tutto ciò che desiderava il re era un erede, e una volta ottenuto quello non era diventata altro che una bella statuina da esibire ai ricevimenti più mondani e alla quale far ricevere i soliti apprezzamenti dettati dai convenevoli. Non più un gesto d'affetto, discorsi ridotti al minimo e che per lo più consistevano in ordini secchi. Meryem possedeva tutto ciò che le altre ragazze avrebbero voluto: una villa enorme in cui vivere, servi che eseguivano ogni suo minimo capriccio, abiti eleganti e gioielli sfarzosi che avrebbero fatto impallidire i nobili di mezzo regno. Tuttavia loro non erano consapevoli che ognuna di quelle meraviglie aveva un prezzo molto alto, e quel prezzo era la libertà.
Non era stata libera di scegliere con chi sposarsi, dato che il principe divenuto re aveva deciso per lei. Nonostante questo aveva provato con tutta sé stessa ad amarlo, e come risultato era stata utilizzata per meri scopi politici e poi accantonata come uno straccio vecchio. Non poteva frequentare chi voleva, costretta ad abbandonare tutti i suoi vecchi amici. Non le lasciavano neppure svolgere i passatempi che preferiva, giudicandoli poco idonei ad una regina.
Sarebbe morta così, nell'indifferenza più totale? 
I suoi piedi nudi camminarono sul tappeto soffice, e un passo dopo l'altro si avvicinò alla porta che dava sul terrazzo. Posò le mani sull'elaborato parapetto, osservando dall'alto il lago illuminato dalla luce lunare che si estendeva placido a poca distanza dalla sua residenza.
 

De ses doigts en vibrant s'échappe la guitare.

Elle écoute... Un bruit sourd frappe les sourds échos.
Est-ce un lourd vaisseau turc qui vient des eaux de Cos,
Battant l'archipel grec de sa rame tartare ?

 


In un'esistenza così infelice, vi erano poche cose che riuscivano a rasserenarla scacciando almeno per un po' di tempo quelle nuvole grigie e fosche che oscuravano perennemente il suo giovane cuore. Suo figlio era uno di questi. Non poteva vederlo quasi mai, fagocitato com'era dal mondo diplomatico che lo costringeva alla tenera età di cinque anni a seguire lezioni noiose sulla politica e la guerra, ma quelle rare volte in cui riusciva ad incrociare i suoi ridenti occhi scuri e che poteva sentire le sue manine calde che la stringevano, si sentiva finalmente completa. 
L'aveva generato lei quel piccolo miracolo, e nonostante le fosse stato tolto quasi tutto ciò che veramente c'è di prezioso nella vita di una donna, nessuno le avrebbe potuto strappare quella piccola creatura che così tanto le somigliava. I ricci capelli neri che lottavano ribelli contro il pettine, i suoi grandi occhioni neri come la pece dalle ciglia folte, persino la pelle ambrata che pareva baciata dal sole.
Ciò che aveva preso invece dal padre era il corpo che già allora era più statuario e massiccio di altri suoi coetanei e l'amore per le battaglie. Meryem ne soffriva, desiderando per suo figlio un futuro migliore nel quale non rischiasse di essere ucciso da un colpo di spada o persino avvelenato nel sonno, ma anche in quel caso il potere le aveva tolto ogni libertà.
Ma c'era un'altra cosa che riusciva a riappacificare il suo cuore sofferente, ed era proprio la vista del lago. I piccoli isolotti al centro erano solo delle macchie indistinte nel cuore della notte, ma a volte la luna ne schiariva i contorni e l'acqua che si rinfrangeva su di essi.
La regina chiuse gli occhi, accogliendo con serenità i rumori portati dall'oscurità. In lontananza un gufo pareva declamare i presagi che riusciva a vedere con i suoi grandi occhi ambrati, le lunghe foglie delle palme frusciavano tra loro mosse da un debole venticello che increspava anche le acque, il cui sciabordio giungeva ben distinto fino a lei.
Tuttavia vi era anche un altro suono che non riuscì a riconoscere immediatamente. La sua mente, che al contrario del suo corpo non poteva essere imprigionata, cominciò a lavorare. Davanti a sé, sulle acque del lago nascoste in parte dagli alberi, si immaginò un ampio vascello simile a quello che giungeva dagli Inferi per condurre con sé le anime dei morti. I lunghi remi manovrati da spiriti dannati che fendevano le onde seguendo il ritmo di un potente tamburo suonato da un guardiano feroce, il lucido ponte in legno assiepato da ombre agitate di coloro che in vita erano stati uomini e che ora non erano altro che un ammasso di ricordi ed emozioni. Le cupe vele nere si gonfiavano orgogliose anche nell'assenza più totale di vento, e l'imbarcazione svaniva silenziosa com'era arrivata, senza lasciare traccia.
 

Sont-ce des cormorans qui plongent tour à tour,

Et coupent l'eau, qui roule en perles sur leur aile ?
Est-ce un djinn qui là-haut siffle d'une voix grêle,
Et jette dans la mer les créneaux de la tour ?

 


L'idea era talmente inquietante e spaventosa che Meryem si affrettò a sostituirla con qualcosa di più gioioso. Allora la prima cosa che le venne in mente furono i maestosi gabbiani dal delicato piumaggio bianco e il becco di un arancione vivido che pareva riflettere i raggi lunari, che con le loro lunghe ali resistenti tracciavano dei solchi nell'acqua disegnando delle figure misteriose di cui nessuno avrebbe mai potuto comprendere il significato. I volatili le erano sempre piacuti. In un certo senso incarnavano quell'ideale di indipendenza e libertà che lei non possedeva e che tuttavia desiderava ardentemente.
Avrebbe voluto essere come loro, poter un giorno dispiegare le ali al vento, librarsi leggera nell'aria e volare via, da tutto e da tutti, esplorando quel mondo immenso di cui ne conosceva solo una parte infinitesimale. Scoprire veramente chi era, chi sarebbe diventata se la sua anima non fosse stata imprigionata dalle catene di spine del potere.
Allo stesso tempo c'era una parte di lei che tuttavia non voleva abbandonare quel luogo, perché desiderava proteggere suo figlio. Non avrebbe permesso che venisse trasformato in un uomo senza pietà né sentimenti come era suo padre, pronto a tutto pur di non perdere nemmeno un pizzico del suo immenso potere. No. Gli avrebbe insegnato il valore dell'amicizia che fa vincere anche le difficoltà più insormontabili, l'importanza dell'amore che dona umanità e coraggio. Persino il vero significato della paura, che non era un'emozione da codardi come tutti continuavano a ribadire, ma una compagna che bisognava riconoscere e che permetteva di vivere veramente.
Fece scivolare via anche quel pensiero, sentendo che i suoi occhi stavano minacciando di liberare le lacrime che lei fieramente cercava di nascondere.
Magari poteva essere un djinn, quei piccoli genietti che potevano assumere ogni forma che preferivano e che esaudivano i desideri di chi riusciva a trovare la conchiglia in cui si nascondevano durante il giorno per sfuggire agli umani. Poteva quasi vederlo davanti a sé, un affascinante giovane a petto nudo, con un gilet e dei pantaloni morbidi con una fascia alle caviglie che sorvolava pigramente sulla superficie liquida lanciando dei ciottoli e comunicando con le creature marine. Chissà se, vedendola appoggiata al balcone con l'aria sconfortata, si sarebbe impietosito e sarebbe giunto fino a lei permettendole di esprimere un suo desiderio. Cosa avrebbe chiesto allora? Ci pensò qualche istante rivivendo quel lungo periodo dal giorno in cui era stata scelta come futura sposa, e seppe per certo che avrebbe desiderato di tornare indietro nel tempo e che un altra fanciulla venisse designata come consorte del principe. 
Avrebbe potuto vivere serena, lontana da ogni intrigo del potere. Certo, non sarebbe stata immune da ogni tipo di sofferenza, ma sentiva che almeno avrebbe avuto al suo fianco un uomo che si sarebbe preso cura di lei.
 

Qui trouble ainsi les flots près du sérail des femmes ? -
Ni le noir cormoran, sur la vague bercé,
Ni les pierres du mur, ni le bruit cadencé
Du lourd vaisseau, rampant sur l'onde avec des rames.


La luna si innalzò nel cielo, splendendo ancor più di prima. Meryem ora riusciva a sentire perfettamente il rumore che prima pareva un semplice raschiare, ma che ora pareva quasi il suono di grossi massi lanciati nell'acqua. Il suo spirito si fece inquieto, presagendo qualche avvenimento nefausto che stava accadendo sotto i suoi occhi ma che lei non riusciva a vedere.
Il freddo la assalì di colpo, facendole stringere le braccia attorno al suo busto per ripararsi dal vento che minacciava di spazzarla via cercando di farla cadere dalla terrazza. I suoi lunghi ricci scuri ondeggiavano come alghe scosse dalle correnti marine, come raggi di un sole nero che si agitano in un miraggio. 
Lo sguardo le cadde sulla sponda sinistra del lago, e fu allora che notò delle figure che stavano trascinando a fatica dei grossi sacchi. Nonostante non fossero vicinissimi la regina riconobbe la particolare armatura dei soldati del suo esercito, e per un attimo rimase perplessa. I sacchi prima parevano inerti, ma più i soldati si avvicinarono all'acqua spumeggiante e più questi iniziarono a muoversi, riempiendosi di rigonfiamenti.
L'aria trasportò alle sue orecchie un cupo lamento che le fece venire la pelle d'oca. Sembrava l'uggiolio di un cane ferito, lo stridio di un corvo colpito da una freccia, il debole ringhio di un orso che sta per morire.
Meryem strinse le mani sul parapetto, congelata dal terrore. La sua mente lavorava frenetica per cercare di trovare una spiegazione logica a ciò che stava accadendo.
Vide i soldati assicurare una corda attorno al nodo fatto in cima ai sacchi, e legare alla corda dei pesanti massi che erano disposti sulla riva. A coppie sollevarono un sacco alla volta, immergendosi nell'acqua fino ai polpacci e lanciando ciò che avevano tra le mani nel lago, guardandolo sprofondare rapidamente per mai più riemergere.
La ragazza fece un passo indietro portando una mano davanti alla bocca, terrorizzata. Sapeva che la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi nascondeva un mistero terribile macchiato dal sangue, e non voleva credere a ciò che la sua mente razionale le stava suggerendo. 
Tuttavia, il colpo di grazia e la conferma alla sua teoria li ricevette quando uno dei sacchi si aprì poco prima di finire in acqua, mostrando chiaramente alla luce della luna una testa e un braccio che tentava disperatamente di sfuggire a quella tomba di tessuto che avrebbe custodito per sempre il suo corpo nascosto nei fondali del lago. Soffocò un grido d'orrore, iniziando ad arretrare senza staccare per un attimo gli occhi dal massacro che stava avvenendo davanti a lei.
-Mi dispiace- disse allora una voce che conosceva fin troppo bene. -Ma temo che non sia idoneo per una regina assistere a spettacoli del genere.- 
Prima di riuscire anche solo a girarsi per guardare negli occhi suo marito, quello stesso marito che aveva permesso un abominio del genere, venne colpita da qualcosa di duro alla nuca, perdendo i sensi.
Quella notte, un corpo in più del dovuto venne lasciato affondare nel lago, le cui acque ne avrebbero custodito per sempre il segreto.

 

 

Ce sont des sacs pesants, d'où partent des sanglots.
On verrait, en sondant la mer qui les promène,
Se mouvoir dans leurs flancs comme une forme humaine... -
La lune était sereine et jouait sur les flots.

 


Sì, è inquietante. Ma quella poesia mi piaceva troppissimo, dovevo assolutamente farne una oneshot!!! Come vi è sembrata? *-*  

 

 

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