Ciò che l'animo nasconde

di MCR_24_9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                        CAPITOLO 1


 
 



Guardava dalla finestra l'ennesimo bambino che se ne andava. Era felice per lui, ma allo stesso tempo triste. Desiderava tanto una famiglia,  l'aveva sempre desiderata. Ma sapeva che non l'avrebbe mai avuta. Agli occhi di tutti, lui era solo un mostro. Aveva quasi undici anni e ormai ci aveva perso le speranze. Tutte le coppie che venivano volevano i bambini più piccoli. Solo una volta una coppia lo aveva scelto. Era così felice, ma durò pochi minuti. Una delle suore se n'era accorta e aveva mostrato loro la sua vera natura. Quella sera stessa gliela fecero pagare. Avevano pensato che lui avesse fatto loro un qualche tipo di maledizione così da poter uscire dal controllo dell'orfanotrofio e poter fare del male a chiunque. Lo punirono frustandolo sulle mani e poi lo costrinsero a procurarsi dei tagli sul braccio con una lama affilata. Aveva ancora le cicatrici, segni indelebili sulla sua pelle. Da quel giorno, le suore non lo facevano più avvicinare alle coppie. Ma il desiderio di avere una famiglia era grande in lui.....

Guardava dalla finestra, vedendo la felicità di tutti. Gli altri bambini che salutavano gioiosi e le suore che benedicevano la coppia con parole di buon auspicio e piccole preghiere. Ma nessuno vedeva quello che vedeva lui. Era triste anche per quel povero bambino. Nessuno sapeva del demone che si trovava dentro l'uomo e che cresceva ogni minuto di più.  Era completamente viola, ricoperto da enormi fauci con denti aguzzi ed enormi artigli affilati. Uno dei tanti demoni della violenza fisica. Presto, molto presto avrebbe preso il controllo del suo corpo, facendo a tutti del male.
Smise di guardare, gli facevano male gli occhi. Ogni volta lo odiava. Si stropicciò gli occhi finché non tornarono normali. Odiava usare i suoi poteri, ma alle volte non ne poteva fare a meno. I suoi occhi cambiavano colore quando vedeva un demone. Non ne poteva fare a meno, non lo poteva controllare. E ogni volta faceva male. Si toccò la testa, le corna erano ancora piccole. Ne fu sollevato. Se scoprivano che usava i suoi poteri, lo avrebbero punito ancora e lui non voleva. Già la sua vita era dura così. Trasalì quando si sentì chiamare. "DAIMONAS!!!!". Era suor Brunilde, se lo trovava erano guai. Si mise il cappello coprendo le corna e uscì di corsa da lì.  Doveva tornare nella sua camera, o come la chiamava lui, la sua cella. Una piccola stanza con solo un letto, una finestra, una cassapancia con dentro le poche cose del bambino e il bagno. Andò nella stanza affianco e si buttò dalla finestra aggrappandosi al tubo della grondaia e si lasciò scivolare fino ad arrivare alla sua finestra, un piano più basso. Fece un balzo e rientrò appena in tempo. Chiuse la finestra a chiave e nascose la chiave sotto il cuscino. La suora aprì la porta.  "Stupido demonio, perché non rispondi?!" ringhiò. Il bambino rimase in silenzio guardando a terra. Lo punivano per ogni minima cosa,  anche quando incrociava il loro sguardo.  "Ti ho detto mille volte che devi rispondere quando ti chiamo!" ringhiò ancora la suora dandogli uno schiaffo. "Adesso esci, prima che cambi idea. Hai un'ora libera, ma non devi avvicinarti ai bambini. Sei solo un lurido demone, anzi siamo troppo generosi con te. Adesso vai e stai lontano da tutti, se no sai cosa ti succederà!". Il bambino uscì guardando il pavimento.  Era così ogni giorno da quando ne aveva memoria.  Veniva insultato, deriso e picchiato. Lo chiamavano lurido demonio, mostro e in altri modi. Perfino il suo nome era un insulto, Daimonas. Glielo avevano dato le suore stesse per disprezzarlo, lo sapeva. Ma ormai ci era abituato. Lo aveva accettato. Non conosceva il suo vero nome, forse neanche lo aveva. Non sapeva nulla di sua madre, lo aveva dato via appena nato. Ma di una cosa era certo. Era figlio di un demone, ormai lo sapeva. Ma cercava in ogni modo di nascondere quel suo lato che tanto odiava. Ma non ci riusciva. E ogni giorno era sempre peggio.



Bene ragazzi, ecco qui l'inizio della storia. Vi presento il mio personaggio,  Daimonas. Come avete capito, è figlio di un demone e uno dei suoi poteri è quello di riuscire a vedere i demoni che la gente ha dentro di sé. Non vi dico altro, il resto lo scoprirete la prossima volta. Kisskiss MCR_24_9

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



                                  Capitolo 2





Corse per le scale, non c'era nessuno e lui non voleva perdere minuti preziosi. Le suore gli davano solo un'ora al giorno di libertà,  dove Daimonas poteva stare all'aperto, dove poteva stare col suo unico vero amico. Per il resto delle giornate, lo rinchiudevano in quella cella, da solo e spesso anche al buio. Quelle poche ore erano preziose. Scese i gradini a due a due percorrendo tre rampe di scale. Alla fine spinse la porta e uscì fuori. Attorno all'orfanotrofio c'era un grande giardino interamente coperto da verde erba costantemente curata, un grande spazio dove poter giocare. Il giardino era poi delimitato da una cinta di mura alta tre metri e da un grande e pesante cancello che veniva aperto solo all'arrivo di ospiti, di viveri o in poche sporadiche occasioni. Per il resto, rimaneva chiuso.
Daimonas corse fuori, ma non andò verso gli altri bambini. Le suore glielo proibivano e poi tutti avevano paura di lui. In molti lo prendevano in giro, altri gli lanciavano le pietre o cercavano di prenderlo per  picchiarlo. E quel giorno non era da meno. Alcuni bambini lo videro uscire e gli corsero dietro, mentre alcune bambine ridevano urlandogli contro, altre prendevano pietre, ramoscelli, tutto quello che potevano lanciargli. Daimonas corse più veloce che poteva. Non doveva farsi prendere. Se lo picchiavano lui non poteva reagire, nemmeno per difendersi e se si difendeva, le suore lo punivano duramente. E poi c'era un altro fattore: i suoi poteri. Quando si arrabbiava, quando perdeva il controllo, le sue corna mostravano la loro vera lunghezza e i suoi poteri si manifestavano. Fasci di luce bruciante che gli ricoprivano il corpo. E lui non voleva che accadesse. Corse ancora, evitando gli oggetti lanciatigli contro. Una qualità del bambino era la sua velocità, non comune alle persone normali. Evitò di cadere e girò verso il lato destro del giardino. Lì c'era un casolare, fatto di legno e mattoni. Aprì la porta ed entrò, era lì che abitava il custode, l'unico con cui passava quelle ore. "Albert,  sei qui?" urlò il bambino guardando in ogni direzione. Il casolare era formato da tre stanze: una cucina, una sala da pranzo e una stanza da letto, in più vi era anche un piccolo bagno. Il tetto e le pareti erano piene di crepe. Un mese prima c'era stato un violento temporale che aveva spazzato via gran parte del tetto. Trovò l'uomo in cucina che cercava di chiudere un grosso buco nel muro. Era su una scala e teneva in bocca alcuni chiodi. "Vuoi una mano? Ti posso aiutare?" chiese il bambino, ma l'uomo fece no con la testa. Non era molto vecchio, una cinquantina di anni al massimo. Ad invecchiarlo erano i capelli diventati ormai grigi, la barba quasi bianca e la pancia un po' prominente. Albert si tolse un chiodo dalla bocca e armeggiò con una tavola di legno. "Non stare qui vicino, è pericoloso" gli disse sbiascicando le parole. Ad un tratto, la scala tremò e si scaccò un po' dalla parete. Il bambino fu fulminio a prenderla e tenerla ferma. Dopo qualche minuto, Albert scese, posò gli attrezzi e abbracciò il bambino. "Grazie" gli disse. Albert preparò due tazze di tè e si mise a sedere difronte a Daimonas dandogliene una. "Allora, ti viene facile usare la chiave?" gli chiese e il bambino fece si energicamente con la testa. Era stato lui a dargli la chiave per aprire la finestra, era uno dei tanti aiuti che il custode gli dava. A lui non piaceva come trattavano Daimonas, non lo aveva mai sopportato. Per questo lo aiutava. Per Albert, Daimonas era speciale e non il mostro che tutti pensavano. Lo aiutava anche se sapeva che così facendo rischiava il posto di lavoro. Le suore erano dure con lui, non capivano perché Albert facesse tutto ciò. E Daimonas cercava in ogni modo di proteggerlo. Non voleva perdere il suo unico vero amico, l'unico a cui importasse veramente di lui.   Era stato Albert ad insegnargli a camminare, a parlare, a leggere e anche a scrivere. Gli aveva insegnato tutto quello che sapeva. Era tutto quello che aveva...

"Si, la finestra si apre facilmente e io posso uscire.  Grazie" disse Daimonas sorridendo.
"Non mi ringraziare,  l'ho fatto volentieri. Ma devi stare attento a non farti scoprire".
"Si lo so, non voglio metterti nei guai."
Bevvero entrambi il tè, rimanendo in silenzio. Poi Albert si alzò e lavò le tazze. "Allora, cosa vuoi fare?" chiese al bambino.
"Mi racconti ancora la storia di come mi hai trovato?". Glielo chiedeva spesso. Gli piaceva sentire quella storia e allo stesso tempo gli metteva tristezza. Un vuoto nel cuore che non riusciva a colmare.
"Va bene, allora te la racconterò di nuovo."

"Era una mattina piovosa e grigia. Io stavo pulendo quando ho visto una donna correre disperata inciampando e cadendo. Teneva in mano uno strano fagotto completamente chiuso. Io corsi aprendo il cancello e la sorressi prima che cadesse. Ansimava ed era terrorizzata. 'Aiutatemi!' urlava. E io le offrì il mio aiuto. L'unica cosa che fece e darmi il fagotto, prima di staccarsi da me. 'Vi prego, uccidetelo! È un mostro! Lui è solo il male! Non voglio morire!' mi disse cadendo in ginocchio e scoppiando a piangere.  Io aprii il fagotto fatto con una tovaglia e quello che mi colpii furono gli occhi azzurri. Era un bellissimo bambino. Glielo dissi e lei reagì male. Si alzò in piedi e indietreggava, quasi come se avesse visto qualcosa di pericoloso. 'Lui è il male, è solo il male! Uccidetelo o vi ucciderà!'. Si allontanò prima che potessi dire qualcosa. Così ti portai dentro. Le suore ti videro e fu quando una di esse cadde a terra svenuta che mi accorsi delle corna. La madre superiora voleva gettarti per strada o farti morire di fame e le sorelle erano d'accordo con lei. Tutte dicevano la stessa cosa, che tu eri il male. Ma non per me, così dissi la mia, che tu eri pur sempre una creatura di Dio e come tale tu dovevi vivere. Ti lasciarono vivere e io mi presi cura di te. Non ho mai pensato quelle cose, mai".

Daimonas ascoltò e molte delle parole gli fecero male. "Perfino mia madre pensava a me come un mostro...." disse tristemente. Di colpo si alzò e urlò: "Ed è vero! Io non sono altro che un mostro! Tutti mi odiano, tutti mi fanno soffrire! Non sono altro che un mostro!". Albert lo abbracciò in un istante, non voleva che lo dicesse. "Lo so che è dura, ma tu sei forte, ce la farai. Tu sei speciale e vedrai, le cose miglioreranno. E poi non sei solo, io sono qui con te e ti aiuterò sempre". Il bambino si staccò dall'abbraccio, il viso nascosto dalla visiera del capello che non riusciva a coprire le lacrime. "Anche il mio nome è un insulto. Io odio me stesso e odio i miei poteri! Sono come dicono loro, un demonio".
"Invece devi essere fiero del tuo nome, dei tuoi poteri, di te stesso. Sei diverso da tutti gli altri, Dio ti ha dato un dono e tu lo devi usare solo per il bene" disse Albert prendendolo per le spalle.
Daimonas scosse la testa. "Non li so controllare, non ci riesco. Compaiono dal nulla. Mi fa male usarli. Non ci riesco".
"Imparerai, ne sono sicuro. Con impegno ed esercizio ci riuscirai. Io sono con te e ti aiuterò". Il custode lo abbracciò di nuovo, e questa volta anche il bambino ricambiò l'abbraccio. Rimasero così,  in silenzio,  mentre nella mente del bambino tanti pensieri affioravano. 'Ci proverò, voglio controllare i miei poteri. Ma li userò per punire i chi se lo meriterà e per salvare i buoni'.



Bene ragazzi, ecco qui il secondo capitolo. Spero che vi piaccia. Kisskiss MCR_24_9

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


                                        Capitolo 3



 
Buio, ecco cosa gli dava compagnia. Solo il buio e una piccola luce trovenire dalla finestra. Daimonas era rimasto rinchiuso li per due giorni. L'unica cosa che poteva fare era girare per la piccola cella. Era stato punito per qualcosa che non aveva fatto. Marcus,  uno dei bambini, aveva detto alle suore di essere stato picchiato da lui e tanti altri bambini lo avevano incolpato. Le suore credettero a loro e rinchiusero Daimonas, senza cibo nè acqua. E lui purtroppo non si è nemmeno potuto difendere. Nemmeno Albert poté fare molto, convinse le suore ad alleggerire un po' la punizione. Se non fosse stato per lui, Daimonas sarebbe rimasto lì per più di una settimana, alla mercé del buio, patendo la fame e la sete. Ma ciò che attanagliava il bambino non erano i morsi della fame, c'era abituato a quelli. Era la solitudine,  odiava rimanere da solo nel buio. Solo, con i suoi sentimenti, i poteri e i pensieri che lo tormentavano. Attimo dopo attimo sentiva l'odio e la rabbia crescere, ma non voleva che si manifestavano. Non sopportava quel dolore lancinante, come se bruciasse dall'interno e poi le corna, le odiava. Quando erano piccole, lui riusciva a nasconderle sotto il cappello,  ma quando cambiavano era impossibile. Lunghe e appuntite, affilate come due rasoi, le odiava. Voleva tanto poter uscire e affrontarle, quelle maledette suore! Ecco cosa voleva. Inculcavano odio negli altri bambini e non il bene del loro Dio che tanto pregavano. Dio.... probabilmente neanche esisteva. Tutti a pregarlo, tutti a credere in sciocchezze, in false parole scritte da mani corrotte. 'Non c'è niente di buono in esse, solo pregiudizi infondati!' pensava. Era l'unica cosa che poteva fare, che ancora non gli era stato tolto: pensare con la propria testa. Nessuno poteva sentirlo, nessuno poteva punirlo per ciò in cui credeva. Con Albert aveva imparato la storia, sopratutto della Chiesa e di quello che tutti chiamavano Dio. C'era sempre stato del marcio in tutto quello e nella gente che professava quelle parole. Ma nessuno riusciva a vedere ciò che l'animo nasconde. 'Solo io posso'. Ma non era facile e oltretutto era doloroso. Scosse la testa e si alzò dal letto andando verso la finestra. Guardò fuori cercando di calmarsi un po'. Non doveva farsi sopraffare dal dolore, dall'odio e dalla solitudine. Lui non era solo, c'era Albert. Lui lo avrebbe aiutato.  Ma in quel momento si sentiva in trappola. Non poteva neanche usare la chiave per uscire dalla finestra. Le suore la tenevano d'occhio. Suor Brunilde era al piano di sopra che girava per i corridoi vuoti, la poteva sentire camminare. Suor Agatha era in cortile con i bambini. Daimonas la poteva vedere, si era messa in un punto dove poteva controllare la sua finestra. E poi c'era suor Ada, massiccia come suor Brunilde. Si aggirava anche lei nei corridoi. L'unica che non c'era era suor Cecilia, l'aveva vista andarsene qualche ora fa. Daimonas non poteva fare nulla. Doveva aspettare che loro se ne andassero per poter uscire. Così decise di guardare dalla finestra attendendo il momento giusto.

Non dovette aspettare al lungo. Qualche ora dopo, il cancello si aprì e una macchina si fermò vicino. Da lì scesero suor Cecilia e una bambina. Aveva i capelli scuri, tenuti insieme da un fermaglio. Aveva un vestito turchese a spalline. Ai piedi due piccole scarpe malconcie. Ma la cosa che colpi Daimonas fu il suo sguardo così triste. Di colpo senti un'energia risvegliarsi e pervaderlo. Non si oppose, anche se faceva male. I suoi occhi divennero completamente blu. E alla fine lo vide. Era un demone di un blu scuro, era attaccato al suo cuore e, come un parassita, ne succhiava la linfa vitale. Era uno dei demoni del dolore, uno dei più tenaci a non lasciare il suo ospite. Per un attimo la bambina alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono. Daimonas si nascose alla sua vista. Non per imbarazzo, ma perché non riusciva a guardarli. Quegli occhi, erano lo specchio della solitudine e della tristezza.  Chiedevano disperatamente aiuto. Daimonas si calmò e i suoi occhi ritornarono normali. Si avvicinò di nuovo alla finestra, adesso la bambina era ferma, lo sguardo rivolto verso il basso. Le suore erano tutte in giardino. Era arrivato anche il solito prete con due chirichetti e c'era anche la Madre Superiora. Parlarono per un po' poi si avviarono nella piccola cappella, per celebrare messa. Era il momento. Daimonas uscì la chiave e aprì la finestra. Se la mise in tasca, si aggrappò alla grondaia e si fece scivolare verso il basso senza farsi vedere. Molti dei bambini erano andati con le suore, in giro per il giardino c'erano solo lui due bambini muti e la bambina nuova. Daimonas voleva andare da Albert per dirgli quello che aveva visto, ma invece andò dalla bambina. Era in un angolo, con la schiena appoggiata al muro. Daimonas si avvicinò e si sedette vicino a lei.
"Ciao, come ti chiami?" le chiese. La bambina alzò lo sguardo e lui le sorrise. "Mi chiamo Sara. Sara Milton" rispose sorridendo debolmente.  "Tu come ti chiami?".
"Sono Daimonas,  solo Daimonas" disse sorridendo.  "Rimarrai qui con noi?". La bambina abbassò lo sguardo annuendo più volte.
"Sai, io abito qui da quando ero in fasce..." le disse.
"Come mai eri lì sopra?" chiese Sara indicando la finestra rimasta aperta. Daimonas non sapeva se dirle il vero, così lasciò che le parole scorressero da sole. "Quella è la mia stanza, sto lì dentro quasi sempre. Mi lasciano uscire poco".
"Quindi sei rinchiuso in trappola, proprio come me". Sara abbassò di nuovo lo sguardo, tornando di nuovo triste. Daimonas si alzò e le fece alzare lo sguardo. Sorrise mentre parlava: "So io come risollevarti il morale". Cominciò a fare capriole, salti e altre acrobazie.  Fingeva di cadere per poi rialzarsi di nuovo. Sara si mise a ridere, una risata dolce e scoppiettante. Daimonas si mise a testa in giù,  camminando sulle mani avanti e indietro. Ad un tratto il cappello gli cadde a terra mostrando a Sara le corna. La bambina smise di ridere, ma rimase a guardarlo.  Il bambino perse l'equilibrio e cadde. Riuscì a riprendere il cappello e così coprire le corna, ma ormai il danno era fatto. 'Le ha viste, adesso avrà paura di me e mi odierà'. Si mise a sedere tenendo lo sguardo sull'erba. "M-mi dispiace" cercò di dire. Sara si avvicinò, lo fece alzare e gli tolse il cappello. "Ti prego, no. Non le guardare" le disse, ma la bambina continuava a fissarle. Daimonas si costrinse a guardarla, notò che nel auo sguardo non c'era paura e nemmeno odio. Era un misto di sorpresa e curiosità.  'Non le faccio paura?' si chiese incredulo. 'Tutti hanno paura di me, perché lei no?'. Sara avvicinò un dito sfiorandole. "Sono vere?" chiese. A quel tocco, Daimonas si ritrasse, indietreggiando di qualche passo. "Io..." cercò di dire qualcosa, ma il suono delle campane lo allarmò. Doveva tornare nella sua cella, e in fretta. Fece per andarsene, ma la bambina gli prese il braccio, vedendo le lunghe cicatrici. Il bambino si girò e le afferrò le mani. "Ti prego, non glielo dire" la implorò. "Non dire loro che io ero qui". Non aspettò risposta. La lasciò e si mise a correre verso il muro. Si arrampicò sul tubo e come un gatto rientrò dalla finestra chiudendola dietro di lui. Nascose la chiave e si sedette sul letto. Si prese la testa tra le mani e pianse. Lacrime silenziose e calde gli rigarono il viso. 'Non voglio che lei mi odi' si ripeteva. 'Non voglio che anche lei mi odi. Non voglio più tutto questo odio. Basta! Non voglio essere più solo!'. Così si lasciò andare alle lacrime, aspettando che venissero per infliggergli altro dolore.


Kisskiss MCR_24_9

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


                                        Capitolo 4







Daimonas aprì gli occhi e quello che vide era solo il buio. Era ancora notte inoltrata e la luna era alta nel cielo. Si stropicciò gli occhi, gli facevano male. Aveva pianto per molto tempo,  addormentandosi per la stanchezza. Non poteva sopportarlo. Non riusciva a sopportare che anche lei lo avrebbe odiato.  E non capiva nemmeno perché.  Di solito non gli importava di chi lo odiava. Ma allora perché era diverso? Perche gli importava? Forse era per via del demone che le succhiava l'energia. O forse era per i suoi occhi che chiedevano disperatamente aiuto. Non lo sapeva. Sapeva solo che gli faceva male. Non sapeva cosa fare. Non voleva più uscire, non poteva sopportare altri occhi pieni di odio. Voleva lasciarsi andare. 'Non voglio più uscire' pensò. 'Voglio che questa cella diventi la mia tomba'. Eppure non poteva. Si alzò dal letto e andò verso la finestra,  guardando la luna. Era stata strana la reazione di Sara. Non sembrava impaurita,  ma incuriosita. E poi quel tocco, quel lieve tocco. Nessuno aveva mai fatto un gesto del genere. Anzi, tutti provavano disgusto quando le vedevano. Per questo le nascondeva. Ma lei no, era diverso. Daimonas voleva tanto aiutarla, ma non sapeva come. 'Sono inutile' pensò tristemente. Scosse la testa e strinse i pugni. Non doveva arrendersi! 'Non abbatterti!' si disse. 'Ce la farai!'. Avrebbe aiutata ad ogni costo, ma doveva sapere. Così si decise. Ormai la sua punizione era finita, le suore lo avrebbero fatto uscire e lui sarebbe andato subito da lei. Del resto non gli importava. Non gli importava della fame, della sete e nemmeno degli altri bambini. 'Se anche lei mi odierà, me ne farò una ragione'. Si staccò dalla finestra e si sdraiò sul letto girandosi verso il muro. Cercò di dormire un po', ma non ci riusciva. Così passò tutta la notte a guardare il muro, con la mente piena di pensieri.

Finalmente era pomeriggio e Daimonas non vedeva l'ora di uscire. Era strano che le suore non gli avessero portato da mangiare,  ma non gli importava, voleva solo uscire. Dopo una mezz'ora buona, la porta si aprì e spuntò suor Brunilde col suo solito sguardo arrabbiato e disgustato. Daimonas fece per andarsene, ma la suora gli prese il braccio. "Dove credi di andare, mostro che non sei altro!" ringhiò stringendo di più la presa. Il bambino la guardò stupita. 'Perché non mi lascia andare?!' pensò incredulo. Di colpò la suora tirò il braccio con forza facendolo cadere sul letto in malomodo.
"Non so che maledizione tu abbia fatto a quel povero uomo, ma con noi non funzionano. Non meriti niente! Sei solo un lurido demonio!".
La suora indietreggiò di qualche passo. "Sei vivo solo perché siamo donne caritatevoli, ma tu meritavi di morire!".
Chiuse la porta sbattendola. Daimonas corse cercando di aprirla, ma ormai era troppo tardi. La suora lo aveva rinchiuso di nuovo. Il bambino prese a pugni la porta, ma senza risultato. Poi qualcosa attirò la sua attenzione.  Erano delle urla. Andò verso la finestra e guardò fuori. La rabbia divampò sempre di più. Era stata Sara ad urlare. Stava fuggendo, ma riuscirono comunque a raggiungerla. Le bambine le tiravano i capelli e i bambini la colpivano. Tutti urlavano la stessa cosa.
"È solo una bastarda! Nessuno la vuole!".
"È figlia di una prostituta che ha fatto la fine che meritava!".
"E lei merita lo stesso!".
"Era meglio che non nasceva!".
Non ci pensò due volte! Aprì la finestra e si calò subito, saltando a un metro da terra e si fiondò su di loro, facendo da scudo a Sara. "Lasciatela stare!" urlò. "Dovete passare prima sul mio corpo! Non vi permetterò di dirle o farle altre cattiverie!". In molti si allontanarono, sopratutto le bambine. Davanti a lui erano rimasti solo una decina di bambini, che si fecero sotto. La rabbia era tanta in Daimonas, sentiva l'energia come se fosse un fiume in piena. Parò tutti i colpi velocemente muovendosi a destra e a sinistra. Uno lo atterrò, tenendolo fermo. Sentiva che i suoi poteri si risvegliavano insieme ad oscuri pensieri. Le corna cominciavano ad allungarsi, dritte e appuntite. Voleva farlo, ma si fermò. Il bambino sotto di lui singhiozzava, terrorizzato. Tutti attorno a lui erano fermi, come di pietra. Di colpo la rabbia svanì, insieme ai suoi poteri. Si staccò dal bambino e tornò al suo posto. Non aveva il coraggio di girarsi per vedere la faccia di Sara, ma voleva ancora proteggerla. I bambini si guardarono tra loro, poi gli andarono tutti addosso contemporaneamente,  buttandolo a terra. Lo presero a calci e a pugni colpendolo al viso e all'addome. Daimonas non emise nemmeno un lamento, lasciando che loro lo colpissero. Guardò Sara e un sorriso gli sfuggì. Nei suoi occhi non c'era odio, nè paura, nè rabbia nei suoi confronti. C'era solo preoccupazione. Ne fu sollevato, il resto non gli importava. Poi Sara si alzò e cominciò ad urlare. "Basta! Smettetela! Lasciatelo stare!". A quelle grida, Albert accorse, prendendo due bambini e sollevandoli. Gli altri si fermarono immediatamente.  Daimonas cercò di alzarsi, ma non ci riusciva. Albert lo aiutò ad alzarsi. "Che cosa volevate fare?! Vi rendete conro delle parole che avete detto?!" urlò. "Vi dovete solo che vergognare.  E guai a voi se parlate di Daimonas alle suore, o io racconterò loro delle parole che sono uscite dalle vostre bocche". I bambini guardarono a terra, senza proferire parola. Albert prese Daimonas in braccio e si avviò verso il casolare, seguito da Sara. Dentro, Albert disinfettò le ferite mettendoci alcuni cerotti. "Che ti è saltato in mente? Hai rischiato tanto" lo rimproverò.
"Non è stata colpa sua, lui mi ha difeso da loro" disse Sara, "Mi volevano fare del male".
"Le suore, mi volevano rinchiudere ancora" disse Daimonas, aveva un ematoma sulla guancia e il labbro spaccato.

"Con loro ci parlerò io, non possono trattarti così". Albert era infuriato, sapeva cosa loro facevano, ma molto spesso non riusciva a fare niente. Poi si accorse di una cosa. "Ma almeno ti hanno dato da mangiare?" gli chiese e il bambino scosse la testa. Albert scomparve nella cucina, lasciando i bambini da soli. Daimonas cercò di sorridere. "Stai bene?" le chiese. La bambina non rispose, si avvicinò e lo abbracciò. Daimonas rimase stupito. Non c'era abituato.  Le parole gli uscirono da sole: "Allora non mi odi? Anche se sono un mostro? Anche quando hai visto le mie corna?".
"Non m'importa cosa dicono gli altri. Tu per me non sei un mostro, anzi. Tu per me sei un eroe. Il mio eroe!". Lo strinse ancora e in quel momento, anche Daimonas ricambiò l'abbraccio e la strinse a sè. Era felicissimo. L'avrebbe protetta sempre da tutto e da tutti. Era il suo eroe!


Salve ragazzi e scusate il ritardo. Lo dovevo pubblicare prima, ma non mi è stato possibile. In realtà doveva essere molto più lungo, ma ho preferito dividerlo in due capitoli. Il quinto lo avrete dopo ferragosto. Quindi vi auguro buone vacanze e a presto! Kisskiss MCR_24_9

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


                                  Capitolo 5







Albert li spiò dalla cucina. Adesso i bambini stavano ridendo e scherzando, ne era felice. Era la prima volta che vedeva Daimonas sorridere in quel modo. Era davvero felice.  'Finalmente ha trovato un'amica, qualcuno che non lo odia' pensò. Ma era preoccupato. Conosceva quelle suore, accecate dalla paura e dall'ignoranza,  non si accorgevano della bontà del bambino.  Non era un mostro.  Era solo speciale. Doveva farle smettere e portare via i bambini da lì. 'Probabilmente li divideranno' pensò. 'Le devo fermare, e portarli via da qui'.

Daimonas rideva insieme a Sara. Si sentiva bene, nonostante i lividi. Era felice di sapere che lei non lo odiava. Anzi, erano diventati amici. Ridevano e scherzavano, raccontandosi aneddoti divertenti. Come quando Daimonas aveva fatto cadere suor Brunilde su una pozzanghera di fango.  Oppure quando aveva fatto prendere uno spavento a suor Cecilia. "Dovevi vedere la sua faccia" disse ridendo. "Era diventata bianca come un lenzuolo!". Sara rideva divertita. Fu in quel momento che arrivò Albert con due scodelle piene fino all'orlo di minestra e due pezzi di pane. Le diede a tutti e due. "Ecco qui, mangiate" disse. "Ne ho fatto anche per te, Sara". Poi si avvicinò alla porta e la aprì. "Io devo andare a fare delle commissioni, voi potete stare quando volete" disse prima di chiudere la porta.

Daimonas divorò il pane in un sol boccone e beve la minestra tutta in un unico grosso sorso. Sara invece aveva mangiato solo due o tre cucchiaiate. "Caspita, sembra che non mangi da tempo" commentò la bambina.  "Infatti, non mangiavo da tre giorni. Le suore non me lo permettevano" rispose il bambino tenendo gli occhi fissi sul piatto vuoto. "Ti rinchiudono in quella stanza?". "Si, ogni giorno per tutto il giorno". Sara guardò la sua minestra, non aveva molto appetito. "Vorrei raccontarti la mia storia. Non è molto bella, anzi. È piena di intrighi, di sangue e di denaro.  Tu poi mi racconterai la tua?". Daimonas ci pensò su, non voleva costringerla. Ma per aiutarla era l'unico modo. "Va bene allora, racconta".

"Mia madre era una delle domestiche della famiglia Milton, una famiglia molto ricca. Mia madre non aveva niente di speciale.  Lavorava tutto il giorno e non si lamentava mai.  Anzi, alle volte faceva pure il lavoro degli altri. Non era la più bella, né la più colta. Era solo una umile domestica. La casa era molto grande, con mo, te stanze. Tutte arredate con mobili antichi e di grande valore. La cosa che la rendeva così bella era una grande scalinata di duecento gradini, interamente di marmo, coperta da un tappeto di velluto rosso. Un giorno però l'unigenito della famiglia, William, la portò nella sua stanza con la scusa delle pulizie e la violentò. Poi, lei rimase incinta, ma non voleva che si sapesse. Non voleva essere licenziata e perdere così l'unico guadagno. Lavorava sodo ogni giorno e si metteva vestiti sempre più larghi. Ma alla fine,  non riuscì più a nasconderlo. Quando nacqui io, a mia madre fu chiesto se io avessi un padre e lei indicò William. I signori Milton rimasero allibiti,  era uno scandalo.  Ma non riuscivano a sopportare che una bambina così piccola dovesse morire. Non sapevano cosa fare. Ma non riuscirono più a pensarci. Fecero un incidente con la loro macchina e morirono sul colpo. Il patrimonio doveva essere solo di William, ma il signor Milton aveva cambiato il testamento qualche giorno prima dell'incidente, facendomi avere una parte del denaro. Mi ricordo solo che William mi portò in una stanza e mi picchiò. Pugni, calci, con una cintura e perfino con un piccolo tubo di ferro. Ero terrorizzata da lui. Ogni giorno picchiava me e picchiava anche mia madre. Un giorno finimmo all'ospedale,  io con due costole rotte che mi comprimevano i polmoni, e mia madre con un braccio rotto in più punti. Fu allora che lei ebbe la totale custodia su di me. Dovevamo andarcene da lì e in fretta. Ma William non ce lo permise. Mi rinchiuse in una stanza chiudendola a chiave, portata via da mia madre. Non so cosa le abbia fatto, non lo voglio sapere. Riuscì a fuggire grazie agli altri domestici, dovevo trovarla e andarcene. Sentivo lei litigare con William, così mi nascosi, vedendo tutto. Voleva i soldi, solo di quello gli importava. E per averli io dovevo diventare sua figlia legittima e dopo aver avuto i soldi mi avrebbe ucciso.... Mia madre si oppose con tutte le sue forze, mi voleva portare via da lui. Poi accadde.... William la bloccò dicendole che per lui, lei era inutile e che lo faceva solo per il denaro. La spinse facendola cadere dalla rampa di scale di duecento gradini. Quella che ogni giorno lei puliva con costanza. La stessa rampa di scale che dava vanto alla casa, in quel momento si macchiò col sangue dell'unica persona che mi voleva bene. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da tutto quel sangue e da lei, esanime. I suoi occhi fissavano il vuoto, privi di vita. Scoppiai a piangere,  avevo paura. Ero sola, e lui era lì che mi cercava. Io singhiozzavo, non riuscivo a fermare le lacrime, fu questo a tradirmi. Lui mi trovò, aveva un grosso macete in mano e la follia negli occhi. Sono scappata correndo più velocemente possibile,  piangevo per la paura.  Riuscì a salvarmi uscendo da quella maledetta casa, andandomi a rifugiare da un vicino. Raccontai loro tutto e loro andarono dalla polizia. William si difese dicendo che era stato un incidente e che io ero troppo sconvolta per ragionare. La polizia gli credette, tuttavia mi lasciò vivere per qualche mese con i vicini. Quando scoprirono che mia madre aveva la custodia totale su di me, mi mandarono qui. William si oppose e adesso ci sono vari processi dove lui sta cercando di avere la mia custodia".

Daimonas ascoltava il triste racconto,  senza proferire parola. 'Ora capisco perché ha un demone dentro' pensò.  'La salverò!'. Sara smise di parlare, guardava il piatto mandando giù qualche cucchiaiata. Daimonas si alzò dalla sua sedia e si mise davanti a lei. "Adesso ti racconterò io la mia storia, ma promettimi che non avrai paura di me". Sara lo guardò e fece un piccolo sorriso. "Non avrò mai paura di te". Daimonas cominciò a raccontare. Raccontò di sua madre che lo aveva abbandonato appena nato, delle suore che ebbero paura di lui e che cercarono di ucciderlo,  di Albert che lo salvò e che si prese cura di lui. Raccontò di cosa ha dovuto sopportare in quei undici anni di esistenza. "Io sono figlio di un demone, da lui ho ereditato i miei poteri, te li farò vedere". Si tolse il cappello mostrando le corna e si concentrò su di lei. Le corna gli si allungarono, sottili e aguzze e gli occhi gli divennero completamente blu. Lo vedeva di nuovo, quel demone. Era diventato più grosso, succhiava avido dal cuore della bambina. "Riesco a vedere i demoni che si nascondono nell'animo della gente. Tu ne hai uno. È blu, è un demone del dolore e ti sta prosciugando l'energia vitale.  Probabilmente è per colpa delle percosse e della morte di tua madre che adesso ce l'hai. Io ho altri poteri, forse sono in grado di uccidere il demone senza infliggerti ferite". Gli occhi gli tornarono normali, insieme alle corna. Ignorava il dolore, guardando la bambina. Di colpo, il viso di Sara si illuminò. "Allora tu puoi aiutarmi! Ti prego aiutami, liberami da questo dolore, non voglio più soffrire. Salvami da quell'uomo. Non voglio più tornare in quella casa". Le lacrime cominciarono a scendere dal suo viso, non ne poteva fare a meno. Daimonas la abbracciò, tenendola stretta. "Ti prego, lui mi ucciderà e io non voglio morire. Non lasciare che mi uccida! Salvami da lui!". Pianse sulla sua spalla, un pianto liberatorio di chi si tiene sempre tutto dentro. Daimonas le accarezzò la testa. Non proferì parola, lasciando che lei si sfogasse. 'Te lo prometto,  ti salverò da tutto. Non soffrirai mai più'. Ma sapeva che non sarebbe stato facile.  Non controllava i propri poteri e non conosceva a pieno le sue abilità. Doveva imparare, allenarsi se era necessario.  Adesso, la sua priorità era lei.

Albert si incamminò tra i corridoi dell'edificio, era diretto alla stanza dove la Madre Superiora aveva il suo ufficio. Non tollerava che rinchiudessero ancora Daimonas nella sua stanza, voleva far smettere quella follia, a tutri i costi.



Salve ragazzi, scusate il ritardo, ma eccovi qui il quinto capitolo. Buona lettura. Kisskiss MCR_24_9

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


                                    Capitoli 6
 
 
 
 
 
 
Albert camminò tra i corridoi, i suoi passi rimbombavano nel silenzio assoluto. Aveva percorso quattro rampe di scale senza incontrare nessuno, ma sapeva che lei era lì. La Madre Superiora, suor Ilda. Era intenzionato a parlarle, e sapeva benissimo dove stava. La suora passava le sue giornate nel suo ufficio, a sbrigare chissà quali diavolerie. La conosceva dai primi giorni in cui fu aperto l'orfanotrofio, una ventina di anni prima. Quando ad Albert gli venne portato via l'amore della sua vita e l'unico figlio che egli abbia mai avuto. Albert ricordava ancora quel giorno, quando si chiuse la porta della dimora che lui chiamava casa alle spalle. Troppi ricordi, troppo dolore, troppa colpa per non essere riuscito a salvarli. Voleva rifarsi una vita e rendere utile la sua esistenza. Così aveva deciso di lavorare come custode dell'orfanotrofio. In quel momento pensava che le quelle suore erano le più buone, si prendevano cura dei bambini e pensavano solo a pregare. Ma con Daimonas non fu così. Erano undici anni che lo trattavano come un mostro. 'Quante ne ha dovute passare' pensò amareggiato. Veniva picchiato praticamente ogni giorno da quando aveva iniziato a camminare e parlare, riducendolo sempre in uno stato pietoso. Non gli davqno quasi mai da mangiare, ci pensava lui a quello. Lo lasciavano in quella piccola stanza, come se fosse un criminale. Lo insultavano e insegnavano perfino agli altri bambini di schernirlo, di odiarlo e di picchiarlo. E Albert non riusciva mai ad aiutarlo. Gli aveva dato la chiave, lo difendeva sempre, cercava di consolarlo. Ma non aveva mai fatto niente di così concreto. Non voleva che lui facesse la fine di suo figlio, impiccatosi ad una trave del soffitto. Con lui non era riuscito a fare niente. Dopo la morte della madre si era chiuso in sé, dando la colpa di tutto al padre, e poi... quell'estremo gesto. 'Non deve più succedere!' pensò l'uomo, scrollandosi di dosso quei ricordi. Adesso, quello che gli importava era di Daimonas.
 
Passò diverse stanze, quando trovò quella giusta. Bussò prima di entrare. La stanza era davvero grande, la osservò tutta. Nella parete a sinistra vi erano appesi dei quadri con tanti paesaggi diversi, una libreria stracolma di libri, quasi tutti trattati su Dio, bibbie di diverse edizioni e libri di genere religioso come le 'Confessioni' di Sant'Agostino. Vi era anche una pianta in un angolo, le foglie ormai secche. Davanti a lui c'era una immensa finestra, grande quanto tutta la parete, con un grosso rosone in alto. Alla sua destra c'erano due sedie imbottite, di pelle nera, una scrivania in mogano finemente tagliata e laccata di nero. Dietro di essa c'era la suora, ormai invecchiata, su una poltrona nera e imbottita. Dietro di lei un crocifisso un po' arruginito. Albert si mise a sedere su una delle sedie, aspettando che lei alzasse gli occhi. La scrivania era piena di scartoffie varie, isieme a tante penne stilografiche nere con dettagli in oro. Dopo qualche minuto, la suora smise di scrivere e lo guardò con aria quasi scocciata. "Cosa c'è sta volta" disse semplicemente. 
"Non potete tenere Daimonas chiuso ancora lì". Quando la suora sentì pronunciare quelle parole, ritornò alle sue scartoffie. Albert si sentì ribollire di rabbia. Si alzò in piedi e battè con forza le mani sulla scrivania facendola trasalire. "Come potete essere così indifferente! Come potete tollerare ciò che fanno a quel bambino!". "A me importa della salvaguardia dei bambini di questo edificio e anche di quella cosa. Se è stato fatto a lui del male senza mio ordine, allora non è mia responsabilità. Avevo detto a suor Brunilde di lasciarlo andare, mi ha disobbedito ed è stata punita. Al momento è nella cappella a pregare. Manderò suor Ada a controllarlo più tardi. Dovresti staccarti da quella cosa, non vedi cosa ti fa fare? Accusare delle umili suore di maltrattamento. Noi lo trattiamo bene, gli diamo solo quello he si merita". Albert era esterrefatto da quelle parole. Levò le mani dalla scrivania e si diresse verso la porta. "Non mi arrenderò mai. Starò sempre dalla parte di Daimonas, che Dio vi possa perdonare". Chiuse la porta, senza aspettare che la suora parlasse. Era arrabbiato, ma doveva pensare a lui.
 
Daimonas guardò Sara, finalmente si era calmata. Aveva paura per lei, paura che le suore potessero farle del male. Voleva aiutarla e salvarla. Tutto qui. Ad un tratto la porta si aprì, era Albert, un po' affannato. "Devi tornare nella tua stanza e in fretta. Suor Ada verrà a momenti!". Daimonas prese il cappello e lo seguì fuori. Sara li guardò prima di uscire anche lei, guardò il bambino salire veloce il tubo della grondaia ed entrare nella finestra aperta.
 
Daimonas fece in fretta. Chiuse la finestra e nascose la chiave. Si mise la coperta addosso in modo tale da nascondere i lividi sulle braccia e sulle gambe. La porta si aprì in quell'istante. "Sei qui vedo, molto bene. Sai che ti succede se non ti troviamo" disse la suora, poi scoppiò a ridere. "Noto con piacere che le hai prese da Brunilde, almeno ha avuto la sua soddisfazione. Io non posso, anche se te lo meriteresti, sai che per colpa tua Brunilde è stata punita? Povera cara". "Mai quanto voi punite me" disse il bambino quasi sottovoce. "Cos' hai detto? Mostro che non sei altro!". Daimonas rimase zitto, guardando il pavimento. "Come ti permetti!". La suora lo buttò a terra e cominciò a prenderlo a calci. "Non parli più vero?! Stupido mostro! Suor Brunilde non meritava una punizione per uno come te! Anzi è troppo buona, la dovresti ringraziare!". Continuò a colpirlo, ancora, ancora e ancora. "Ringraziala! Ringraziala!". Daimonas spuntò rivoli di sangue, non poteva reagire, non aveva più forze per reagire. Non poteva parlare, la bocca era impastata di sangue che colava sul pavimento. Non poteva alzarsi, la suora glielo impediva. Con una mano afferrò la sua caviglia. La suora si irrigidì e smise di colpirlo, fece alcuni passi indietro, inorridita. "Guarda, guarda cosa mi hai fatto fare, sei solo un mostro. Mi-mi hai maledetto! Tu sei il diavolo!". Uscì di corsa da lì, lasciando la porta aperta. Daimonas era messo male, sputava ancora sangue, incapace anche di respirare. Non c'era nessuno che lo poteva aiutare. Alla fine svenne, ma non era solo.
 
Si svegliò, sentendo delle mani su di sé. Era suor Cecilia, lo stava curando, senza dire niente. Daimonas cercò di alzarsi e la suora si fermò. Vide che non aveva più la maglia e che aveva tanti tagli, alcuni piccoli, altri lunghi. La guardò mentre si rimetteva sdraiato. "Perché mi aiuti?" le chiese senza ricevere risposta. "Perché mi stai curando?". La suora continuò a disinfettare tutte le ferite. "I danni non sono gravi, fortunatamente" disse quando ebbe finito. "Saremmo finiti tutti nei guai. Ada era solo un po' furiosa, non voleva farti questo". Daimonas si rimise la maglietta, che era stata adagiata ai suoi piedi e si girò verso il muro. "Per favore esci" le chiese, aspettando di sentire il tonfo della porta che si chiudeva. 'Non voleva realmente aiutarmi', pensò. 'Voleva solo aiutare la sua consorella. Nessuno vuole realmente aiutarmi'.
 
Qualcuno aprì di nuovo la porta. Daimonas era sotto la coperta, era giorno inoltrato, ma voleva rimanere là. Sentiva ancora dolore, ma era quasi del tutto passato. Non si mosse. "Daimonas, puoi uscire". Riconobbe la voce, era colei che lo aveva curato. Non disse niente, rimase ancora immobile. "Mi dispiace per ieri, ti ho portato una persona che vuole vederti". Daimonas scostò un po', le coperte, vedendo la faccia preoccupata di Sara, scese dal letto, cupo in viso. La prese per mano e uscì da lì senza guardare la suora. Camminò per il corridoio, fino a che Sara non si fermò. "Dove stai andando?" chiese. "Voglio mostrarti un posto, ma devi seguirmi senza dire una parola". Sara annuì, seguendolo. Percorsero i corridoi e le rampe di scale senza farsi vedere fino a raggiungere il corridoio dell'ultimo piano. Sara era confusa, lì non c'era niente! Poi vide Daimonas fare qualcosa di strano. Il bambino cominciò a saltare, raggiungendo un piccolo anello di metallo, lo tirò aprendo una piccola botola che fece scendere una scala ripieghevole di legno. "Qui non viene mai nessuno, le stanze sono tutte libere e le suore non vengono quasi mai" spiegò il bambino, cominciando a salire. "Coraggio seguimi". Alla fine della scala c'era un'altra botola, la aprì ed uscì aiutando Sara a salire. Era una piccola terrazza, completamente spoglia. A fianco c'era il tetto, un po' più sopra le loro teste. A delineare la terrazza era un piccolo cornicione di poco più di trenta centimetri. Lì, c'erano solo due pali, uno da una parte e uno dall'altra, e una piccola targa di metallo. Daimonas si sedette proprio lì. Sara fece lo stesso, guardando la targa. Era ben lucidata e brillava alla luce. C'era solo una scritta: 'Serena'. "Questa targa è in onore di una persona. Era una suora, una novizia per la precisione. Io avevo poco più di un mese, tutto quello che so su di lei me lo raccontò Albert" cominciò a raccontare il bambino. "All'epoca, le suore non sapevano cosa farne di me. Non volevano che io rimanessi, ma non potevano abbandonarmi per non infangare il nome dell'orfanotrofio. Decisero di uccidermi. Ma per morire di fame ci voleva tempo, e troppi lamenti avrebbero insospettito Albert. E non potevano sporcarsi le mani di sangue. Così decisero di uccidermi soffocandomi con un cuscino, spacciandolo poi per morte naturale. A fare tutto il lavoro sarebbe stata lei, Serena. Era una novizia, e doveva dare segno della sua fede. Ma lei si rifiutò, non voleva diventare suora uccidendo un bambino, lei voleva fare del bene, non del male. Ma la madre superiore la obbligò, o l'avrebbe cacciata in malomodo. Era disperata, non voleva uccidermi. La sera prima a quella decisa per la mia morte, venne qui sopra e si buttò di sotto. La trovarono la mattina dopo, ormai morta ed io fui risparmiato. Albert pensa che non mi uccisero per non rendere vana la morte della ragazza, o forse per volere di Dio. Io invece penso che non lo abbiano fatto per paura. Pensarono che io l'avessi maledetta e costretta ad uccidersi. È questo che pensano di me, pensano che sia io a farle diventare aggressive. Come ieri....". "Ieri? Cos'è successo ieri?" chiese Sara, ma Daimonas rimase zitto. Dopo un po' fu Sara a parlare. "Cosa pensi?". "Penso che dovevo morire. Se fossi morto, lei sarebbe ancora viva e le altre suore non sarebbero così". "Secondo me invece sbagli. Serena voleva che tu vivessi, magari per diventare un eroe e salvare tutte le persone in pericolo". "Non credo, ma un motivo lo aveva e io non renderò mai vano il suo sacrificio. Non mi importa quanto mi picchieranno, io resisterò a tutto!". Sara lo guardò, il suo sguardo era un misto tra tristezza e rabbia. "Perché mi hai portata qui?" chiese la bambina. Daimonas la guardò, lo sguardo freddo come il ghiaccio. "Posso sopportare che mi prendano a calci fino a farmi sanguinare, ma non sopporterei se facessero del male a te. E lo faranno se scopriranno che la nostra amicizia, e io non voglio. Per questo ci vedremo qui, dove non ci troveranno". Daimonas continuò a guardare la targa senza dire altro. Sara si alzò, appoggiandosi al cornicione. Guardò stupefatta. "Wow, qui si vede tutto il giardino, e tutti i bambini" disse. "Sono tutti orfani?". Daimonas la raggiunse. "Molti si, ma alcuni sono qui perché i genitori non li potevano mantenere, o semplicemente non li volevano. Ma alcuni hanno delle storie. Molti bambini hanno perso i genitori in diversi incidenti: stradali, casalighi ecc..., altri invece li hanno uccisi". Indicò tre bambini che stavano in disparte, disgnando con dei legnetti. "Loro tre sono fratelli. Il più grande si chiama Leonard, la sorella è Sandy, mentre il più piccolo si chiama Nicolas. Erano a casa quando un assassino li sorprese. Uccise i loro genitori, poi si accorse che loro erano svegli e li mutilò. Non hanno più la lingua". Sara si mise le mani a coprire la bocca, come se avesse paura che qualcuno gliela potesse staccare. "Quando li trovarono, erano in uno stato pietoso. Piangevano e sputavano sangue facendo dei tremendi mugolii. In mano tenevano le loro lingue, totalmente recise. I genitori li ritrovarono nella stanza da letto, tinta di rosso. Erano stati fatti a pezzi, le teste messe sui cuscini, senza più gli occhi. Il resto dei corpi era sparso sul pavimento. I busti erano stati aperti e gli organi sparsi dappertutto. Nessuno sa il perché di tutta quella ferocia. Hanno chiesto a loro di disegnare ciò che hanno visto, ma non facevano altro che disegnare lingue mozzate e orbite vuote. Così li considerarono inutili sotto ogni punto di vista e li mandarono qui, a soffrire. A volte le ferite si riaprono e cominciano a sputare sangue, per loro è un'agonia silenziosa e senza fine". Sara non disse nulla, era ancora spaventata. E Daimonas si mise a ridere. "Tranquilla, ci sono io. E nessuno ti farà del male". Sara annuì e si mise a ballare, facendo girare la gonna del vestitino. "Verremo qui tutti i giorni e tu potrai allenarti e controllare i tuoi poteri, non è grandioso?". Daimonas rimase zitto, strinse i pugni. Non sapeva come fare, ma ce l'avrebbe fatta. "Si, mi allenerò e diventerò più forte".

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


                                   Capitolo 7






Daimonas guardava la bambina che non smetteva di volteggiare. Sembrava felice, ma lui sapeva che era una felicità apparente. Poteva sentirlo, quel maledetto demone. Lo sentiva succhiare energia e linfa vitale, come una sanguisuga attaccata ad una vena importante. Succhiava avidamente, non si sarebbe fermato fino a che a Sara non fosse rimasta neanche una goccia. Prosciugarla fino a portarla alla morte, al suicidio. 'Lo devo evitare' pensò stringendo ancora di più i pugni. Si avvicinò un po' ad uno dei pali della terrazza. Voleva provarci. Mise in avanti il braccio destro, concentrandosi.... Niente, non successe niente. Si concentrò ancora di più,  e alla fine lo sentì. Era doloroso, tanto doloroso. Bruciava, bruciava tremendamente. Sentiva le corna allungarsi piano piano, faceva male. Era troppo da sopportare. Era come se lo bruciassero vivo, sia da dentro, sia da fuori. Sentiva la carne, che bruciava dall'interno. 'Non ce la faccio più,  fa male'. Perse la concentrazione e cadde a terra, perdendo l'equilibrio. Si guardò la mano, esaminandola. Niente. Nessun segno, non era successo niente. Era la prima volta che provava spontaneamente ad evocare i suoi poteri. Di solito uscivano quando era arrabbiato, quando reagiva, solo quando perdeva il controllo diventando.... un mostro. Si perse nei suoi pensieri, non si accorse di Sara. La bambina era dietro di lui, preoccupata. "Stai bene?" gli chiese, riportandolo alla realtà. "Si, sto bene" disse alzandosi. Sentiva ancora quel bruciore, che ormai stava sparendo nell'oscurità del suo cuore. "È meglio che andiamo" le disse. "Torneremo qui domani". Sara annuì, scendendo per prima le scale. Camminarono per i corridoi in silenzioso, immersi nei propri pensieri. Ad attenderli c'era Suor Cecilia, Daimonas entrò nella sua cella senza rivolgerle nemmeno uno sguardo. Si sdraiò sul letto, guardandosi ancora la mano. Si sentiva strano, non voleva diventare un mostro. Eppure, era la prima volta che era felice. 'Mancava poco, ne sono siciro. Proverò ancora fin quando non ci riuscirò'.

Passò così una settimana, spendeva la sua unica ora libera cercando di evocare i suoi poteri. Era difficile resistere a quel bruciore. Era come se una parte di sé stesso non volesse che ci riuscisse. Ci andava sempre vicino, ma ogni volta arrivava al limite. E ogni volta, era sempre più stanco. Ma non si voleva arrendere, ogni volta che cadeva si rialzava e provava ancora e ancora fino a che non era esausto. Ogni sera rifletteva su quello che stava facendo. Era veramente quello ciò che voleva? Diventare il mostro che lui ha sempre odiato, che ha sempre negato. Quella natura che suo padre gli aveva dato. Ma non poteva tirarsi indietro, era ad un passo, lo sapeva. Ogni volta sentiva l'energia che si avvicinava sempre di più alla sua mano. Non poteva arrendersi.
Era passata una settimana dal suo primo tentativo, ed era ancora lì, in quella terrazza a riprovare. Sara era sempre lì, che lo guardava, anche lei speranzosa. Daimonas si mise in posizione, come faceva ogni volta, allungando il braccio verso il palo. Si concentrò,  più determinato. 'Devo resistere!'. Il bruciore non si fece attendere, ma questa volta era più intenso. Si fece strada tra le carni, come il fuoco che divora il legno. Le corna si erano allungate, sentiva l'energia arrivargli alla mano. Si concentrò maggiormente. Faceva male, molto male, ma lui restiteva. Stava per riuscirci, mancava poco. Ad un tratto, qualcosa lo bloccò. Fu in un attimo. Un pensiero gli balenò in mente. 'Fermo! Vuoi davvero diventare il mostro che tutti odiano? Vuoi davvero peggiorare le cose?'. Perse la concentrazione e ci fu come uno scoppio. Daimonas fu scaraventato a terra con violenza, dalla mano usciva un po' di fumo. Era affannato e confuso. Sara gli si avvicinò. "Che è successo?" gli chiese. "Stai bene?". Daimonas annuì con la testa, cercando di calmarsi. Cos'era quella voce? Quella che lo aveva fermato, che lo aveva sempre fermato. Era forse paura? Erano forse i sensi di colpa? Scosse la testa, non poteva fermarsi. 'La devo ignorare'. Si alzò da terra, con la determinazione negli occhi. 'Questa è la volta buona'. Si mise di nuovo in posizione.  'Questa volta nessuno mi fermerà!'. Questa volta non ci fu bisogno di chiudere gli occhi. L'energia fluiva molto più velocemente,  arrivando alla mano in poco tempo. D'istinto, rilasciò l'energia. Dalle dita uscì un piccolo e flebile raggio violaceo. Non potè trattenere il sorriso, dietro di lui anche Sara esultava. Ma i sorrisi svanirono. Fu in un secondo: la botola si aprì e spuntò la testa di Suor Agatha, la sua espressione cambiò drasticamente.  Da stupore a puro terrore. Emise un lungo acuto urlo quando il raggio colpì di striscio il palo lasciando un piccolo alone nero. La suora scese le scale, urlando in preda al panico. Daimonas prese Sara per mano e si precipitò giù per le scale e per i corridoi. "Veloce, dobbiamo correre veloce!" urlò il bambino accelerando il passo. "Non ci devono prendere!". Correvano a perdifiato, ma qualcosa lo fece fermare bruscamente. Sara urlava, Ada l'aveva presa. Stava cercando di separarla da Daimonas. "Ferma! Stai buona, ormai è tutto finito". Daimonas cercò di aiutarla, ma un pugno violento lo atterrò facendogli perdere la presa. Si ritrovò a terra, bloccato dalle mani di Suor Brunilde. "Porta la mocciosa lontano da lui e chiudila a chiave" disse rivolgendosi ad Ada. "Dobbiamo toglierla dalla sua influenza". Dopo quelle parole, Ada scomparve tenendo saldamente la bambina. Daimonas cercò di reagire, ma altri pugni lo stesero a terra. "Sei solo un lurido, schifoso mostro. Meriteresti ben altro di quello che ti accadrà,  dovresti ringraziare la nostra bontà". Lo prese per un braccio e lo scaraventò a terra con violenza facendolo atterrare di schiena. A Daimonas mancò il respiro. Annaspò tossendo violentemente. Brunilde lo prese per i capelli, stando attenta a non toccare le piccole corna e lo trascinò. Daimonas cercò di divincolarsi, davanti a sé c'era il suo amato cappello. Cercò di prenderlo, ma la suora strinse ancora di più la presa, trascinandolo più velocemente. Alla fine, il bambino si rassegnò. Guardò ancora davanti a sé. C'era una bambina, teneva in mano il suo capello, gli sorrise salutandolo con la mano. Daimonas la riconobbe subito: era Sandy, la bambina muta. Non capiva il senso di quei gesti, ma una cosa era certa: ciò che lo attendeva lo terrorizzava.

Fu trascinato per i capelli lungo tutto il percorso, comprese le scale, fino ad arrivare alla cantina. Suor Brunilde aprì la grossa porta di legno e ferro facendola cigolare. Lo trascinò ancora per un lungo corridoio che conduceva ad un'altra porta massiccia, aprì anche quella. Daimonas conosceva bene quell'oscura stanza. Nella parete difronte c'era un grosso crocifisso di legno marcio, come se in quella stanza Dio non ci fosse. Alle pareti delle fiaccole accese, unica fonte di luce. Al centro vi erano un grosso tavolo e una sedia di ferro dove molto spesso lo legavano. Nella stanza c'era la Madre superiora, con una lunga frusta attorcigliata tra le mani, lo guardava con odio. Insieme a lei c'erano anche Suor Cecilia, che stringeva in un abbraccio Suor Agatha,  confusa e in lacrime. Farfugliava strane parole, sembrava impazzita. Brunilde lo appoggiò al tavolo,  legandogli le mani. Daimonas aveva paura, ma rimase calmo, non doveva cedere al loro volere. La madre superiora si mise dietro di lui, srotolando la frusta. "Sono stufa di te!" urlò dandogli una prima frustata. Il dolore era molto forte, ma lui non emise nessun lamento. Strinse i denti. "Cos'hai fatto a quella povera bambina! Rispondi, mostro!". Arrivò un'altra frustata, seguita da un'altra e un'altra ancora. Era terribile. Il dolore era acuto, la schiena era come in fiamme, ma lui non disse niente. Gli unici rumori che si sentivano erano la frusta e i lamenti di Agatha che si facevano sempre più forti. "Basta!" urlò all'improvviso staccandosi in malomodo da Cecilia. Prese la frusta dalle mani della madre superiora e gliela strinse al collo guardandolo negli occhi. Il suo sguardo era come quello di un folle che aveva perso il lume della ragione,  tra il panico e la pazzia. "Basta! Smettila di parlare nella mia testa! Sei il male! Sei il demonio! Sei Satana! Smettila di parlare nella mia testa! Smettila!". A ogni parola, stringeva di più la frusta. Daimonas non respirava più. Cercò di liberarsi, ma le mani erano strettamente legate. Si guardò attorno chiedendo aiuto con lo sguardo. Brunilde rideva vedendolo agonizzante. La madre superiora lo guardava severa, con l'odio negli occhi. Suor Cecilia non lo guardava nemmeno. 'È la fine?' pensò senza più ossigeno.  La vista divenne sempre più nera, stava perdendo i sensi. In quel momento, la porta  cigolò e si spalancò. Davanti a loro c'erano due bambini, erano Leonard e Nicolas. Al loro arrivo tutto si congelò, sembrava che passassero minuti, invece erano solo pochi secondi. I bambini spalancarono la bocca mostrando quel poco di lingua che gli era rimasto. Emisero delle urla forti e gutturali. Facevano ghiacciare il sangue. Di colpo, le suore si mossero tutte andando verso i due bambini. Loro scapparono facendosi inseguire. Cecilia prese con sé Suor Agatha,  che allentò la presa. Daimonas cadde a terra, tossendo e respirando affannosamente. Era rimasto solo, ma era troppo debole per muoversi. Sentì dei passi venire verso di lui, mani che lo aiutavano ad alzarsi ed infine qualcosa che gli copriva la testa. Era Sandy, lo stava aiutando.  Gli mise un braccio attorno al collo e lo aiutò per camminare. Percorsero i corridoi, ma Daimonas non capiva dove stessero andando. "Dove mi stai portando?" chiese. Sandy cercò di farsi capire a gesti, ma era difficile. Così Daimonas ebbe un'idea. Si fece aiutare per arrivare nella sua cella, una volta arrivato aprì il suo baule prendendo una decina di album da disegno e tante matite. Glieli regalava Albert ogni anno, ma lui non li aveva mai usati. "Sai scrivere?". La bambina fece si con la testa. "Allora scrivi qui le risposte". Sandy prese un foglio e una matita e cominciò a scrivere, quando ebbe finito glielo mostrò. -È meglio che non rimani qui, ti porto nella nostra stanza. Lì sarai al sicuro-. Daimonas annuì e si fece condurre. La stanza era nell'ultima porta a destra del corridoio del terzo piano. Era una normale stanza: tre letti, tre picoli comodini e tre bauli. Sandy lo fece sedere su uno dei letti e cominciò a scrivere.
-Stai bene?-. "Si, tranquilla. Adesso mi sento bene".
-Sono felice che siamo arrivati in tempo. Volevamo tanto aiutarti-. "Perché? Pensavo che anche voi mi odiavate".
-No al contrario. Noi ti stimiamo molto, volevamo aiutarti in diverse altre occasioni, ma non ci siamo riusciti.  Adesso si e ne sono felice-. Daimonas la osservò, aveva i capelli neri e lunghi e gli occhi azzurri. "Grazie" le disse e lei sorrise. In quel momento, la porta si aprì ed entrarono gli altri due fratelli. Sandy diede l'uno un album ed una matita.
-Ci siamo fatti rincorrere per tutto l'edificio, le abbiamo seminate- scrisse Leonard.
-Adesso sei fuori pericolo- aggiunse Nicolas. "Grazie ragazzi, vorrei tanto potervi aiutare ed uccidere il maledetto che vi ha mutilati". I tre si guardarono, a scrivere fu Sandy.
-Non fa niente, a noi ci va bene così.  Le suore ci lasciano in pace, ci reputano dei buoni a nulla, dei dementi che non hanno futuro. Possiamo andare dove ci pare. Abbiamo le chiavi di ogni stanza, tranne la tua purtroppo-. "Perché non avete detto niente riguardo all'assassino? Lo conoscevate?"
-Era il nostro fratellastro. Soffriva di una qualche malattia psicologica. Era paranoico e violento- rispose Leonard, guardando a terra.
-Pensava che mamma e papà fossero spie delle strane entità che vedeva solo lui. Pensava che lo volessero uccidere- scrisse ancora Sandy.  Nicolas fissava la matita, era quasi sul punto di piangere, scrisse solo tre parole: -Li ha uccisi-. "Mi dispiace, ma non capisco. Perché non lo avete fatto sapere alla polizia".
-Lui ha promesso che ci avrebbe ucciso, noi non vogliamo morire. Vogliamo solo vivere in pace-. A scrivere fu Sandy.
-Abbiamo paura, capisci? Paura di ciò che ci potrebbe fare. Abbiamo solo paura- aggiunse Leonard. Daimonas li guardò,  provò una tremenda tristezza per loro. Voleva aiutarli. "Grazie per avermi aiutato, ma è meglio he io vada da loro". I tre lo guardavano mentre lui si avvicinava alla porta. "Se volete la pace, allora loro non devono scoprire che mi avete aiutato. Grazie, adesso tocca a me. Vorrei solo chiedervi un favore. Sono preoccupato per Sara, potete vedere dove si trova e come sta?". I tre fecero si con la testa all'unisono. Daimonas sorrise e uscì.  Si fece trovare dalle suore, Brunilde fu pronta a prenderlo a calci prima di sollevarlo e trasfinarlo via. Questa volta, Cecilia e Agatha non parteciparono. I tre si misero vicino alla porta. Sentivano lo schioccare della frusta,  le urla di rimprovero della Madre Superiora e le risate di Brunilde e Ada. Daimonas non emetteva neanche un lamento. Ogni tanto diceva qualche parola, ma niente di più. Contarono le frustate. 1.... 5.... 10... 20...40... ad ogni frustata loro trasalivano, ma non potevano fare niente. Si allontanarono da lì, con la preoccupazione nel cuore.

Daimonas fu trascinato di nuovo per i corridoi e lanciato da Brunilde nella sua cella. Non riusciva a muoversi. Strisciò verso il letto e ci salì aiutandosi con i gomiti. Gli era impossibile usare le mani. A ogni minimo movimento,  provava un dolore lancinante. Erano ancora ricoperte di tagli e sangue. Cinquanta frustate, gli avevano dato cinquanta frustate nelle mani. Volevano continuare, ma capirono che era tempo perso, Daimonas non avrebbe mai parlato. Apriva la bocca solo per dire la stesaa identica frase: "Potete insultarmi, picchiarmi, fustigarmi, torturarmi in ogni maniera. Ma non riuscirete a torcere un singolo capello a chi sarà sotto la mia protezione, a chi mi sta a cuore". Daimonas era stanco. Ormai era notte inoltrata. Era preoccupato per Sara e per i tre fratelli, ma almeno era più rincuorato.'Ho pagato il prezzo anche per loro'. Cercò di tirarsi la coperta verso di sé,  usando il meno possibile le mani. Alla fine si addormentò, stremato.

Daimonas guardò fuori dalla finestra. Era notte e la luna era piena. Ma lui guardava oltre. Guardava le luci della città. Ormai si era ripreso dalla punizione del giorno prima. La mattina si era svegliato vedendo Suor Cecilia che gli curava le mani. Grazie a lei, adesso non sentiva più dolore e riusciva a muoverle. Non la capiva, non capiva perché lo curasse. Ma non gli importava più di tanto. Aveva anche avuto notizie di Sara. Era stata chiusa a chiave nella sua stanza, era spaventata, ma stava bene. Secondo Sandy, l'avrebbero fatta uscire fra un paio di giorni. Daimonas ne fu felice, e adesso era lì a contemplare le luci della città.  Si chiedeva come fosse camminare per quelle vie, tra tutte quelle persone. Forse lì fuori era un mondo migliore di come quello in cui viveva. Era curioso di saperlo, dopotutto cosa aveva da perdere?  Nessuno lo avrebbe mai saputo.  Era la sua unica opportunità di uscire fuori da quell'inferno. Aprì la finestra e si calò dalla grondaia andando verso il muretto di cinta. Lo scavalcò, per lui non era così difficile. Quando fu veramente fuori dalla proprietà dell'orfanotrofio, fece un lungo respiro, si calò la visiera del cappello il più possibile in modo tale da nascondere di più il viso e si mise a camminare verso un altro mondo da scoprire.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


                                     CAPITOLO 8





Gli ci volle un po' per arrivare in città e adesso Daimonas camminava tra la folla che riempiva le strade. Si sentiva sollevato, non era più dentro quella spirale di odio e dolore, non era più in quel maledetto posto. 'Qui nessuno mi farà del male'.
La gente lo ignorava mentre il bambino si guardava attorno, stupito. C'erano edifici molto alti e pieni di luci, le strade erano illuminate da tanti lampioni. Ma ciò che colpì il bambino erano degli strani edifici con grandi vetrate. Dietro di esse c'erano giocattoli, vestiti e in alcuni anche del cibo. Daimonas vedeva la gente che entrava e usciva. Vedeva genitori che prendevano giochi e peluche ai loro figli. Tutt'intorno a lui c'erano famiglie felici. Padri che tenevano la mano alle figlie, madri che tenevano in braccio i più piccoli. Daimonas li guardava, dentro di lui sentiva un vuoto. 'Non avrò mai una famiglia....'. Camminava a testa bassa, con le mani nelle tasche dei pantaloncini. Alcune persone lo guardavano e ridevano, ma a lui non importava. Si sentiva solo, nonostante la moltitudine di gente, era come se fosse ancora intrappolato in quella cella buia. All'improvviso si sentì cadere a terra, spinto da qualcosa. Alzò lo sguardo e vide che si era scontrato con un bambino. Si tastò la testa e fu sollevato nel sapere che il cappello non era caduto. Il bambino lo guardò. "Hey! Stai attento a dove cammini, perdente!". "Scusa" rispose Daimonas aiutandolo a rialzarsi. In quel momento arrivò quella che sembrava essere la madre del bambino. Allontanò in malomodo la mano di Daimonas e fece alzare il figlio. "Quante volte devo dirti di non avvicinarti ai pezzenti? Lo sai che portano solo malattie. Andiamo dritti a casa, così mentre che ti lavi ti butto via quei vestiti". La madre si allontanò col figlio, mentre alcuni passanti mormoravano parole incomprensibili. 'Pezzente? Non capisco'. Continuò a camminare, mentre la gente quasi lo evitava. Poi vide che vicino ad uno di quei edifici c'era una piccola scatola con dentro dei giocattoli un po' rovinati. Daimonas era curioso e si avvicinò. Un uomo se ne stava davanti alla porta con fare minaccioso. Il bambino prese coraggio e ci parlò. "M-mi scusi. Perché ha lasciato fuori questi giocattoli?". L'uomo guardò il bambino, cercando di sorridergli. "Li butto via. Ormai nel mio negozio, nessuno li comprerebbe più". 'Negozio? Si chiamano così questi?'. Guardò dentro la scatola. C'erano macchinine, strani pupazzi e giocattoli che non aveva mai visto. Poi vide un orsetto di peluche un po' rovinato. Indossava un abitino rosa e aveva un fiocco tra le orecchie, anch'esso rosa. Vedendolo, pensò a Sara. 'Non ha più una madre, e nemmeno un padre che la rende felice'. Prese l'orsetto e si rivolse all'uomo. "P-potrei prendere questo per favore?". L'uomo fece spallucce. "Fa pure, tienitelo. A me non serve" disse poi scrutò il bambino. "Normalmente non faccio carità,  ma probabilmente questo sarà il tuo primo e ultimo bene. E adesso vattene, non voglio che muori davanti al negozio!".
Daimonas si allontanò stringendo il peluche. 'A Sara piacerà? Forse devo chiedere ad Albert di sistemarlo un po'. Lui è bravo ad aggiustare le cose'. Guardava le vetrine piene di dolci e cibo. Aveva tanta fame, era da un po' che non mangiava. Ma c'era abitiato. Per lui la fame non era una priorità. La folla si era fatta più fitta e Daimonas fece fatica a passare. Ad un tratto, una donna urlò. "Aiuto!  Mi hanno rubato il portafogli! Al ladro! Al ladro!". Alcune persone fissarono Daimonas, mentre un agente cercava di far calmare la signora. "Che cosa è successo?" le chiese. "Oh agente. Stavo camminando e qualcuno mi ha spintonato facendomi cadere la borsa. Quando l'ho presa, mi mancava il portafogli. C'erano tutti i miei soldi". Daimonas continuò a camminare, non capiva cosa stessero dicendo. Vedendolo andare via, la gente iniziò ad indicarlo. "È stato lui! Quel pezzente! È lui il ladro!" esclamò un uomo col consenso di tutti. "Si è vero!". L'agente si avvicinò al bambino. "È tuo questo cappello?" Gli chiese. "Di sicuro lo ha rubato!" disse una donna. "Persone come lui non dovrebbero esistere!". L'agente cerca di togliergli il cappello. 'Oh no. No'. Daimonas si allontana a piccoli passi, poi si mise a correre. "Hey! Hey! Fermati! Dannazione! Fermati!". Sentiva l'agente che gli correva dietro, urlando e cercando di raggiungerlo. Alcuni cercarono di fermarlo in ogni modo, ma Daimonas era agile e veloce. Riusciva a scansarli tutti. 'Perché. Perché io? Che ho fatto di male? Non voglio che scoprano chi io sia in realtà'. Corse veloce, senza neanche vedere dove andasse. I passi erano lontani, ma lui non voleva smettere. 'Perché per tutti sono io il cattivo!'. Scivolò cadendo rovinosamente a terra, sbattendo la faccia. L'orsacchiotto era finito un po' lontano da lui. Daimonas si alzò e si asciugò le lacrime che stavano per scendere dai suoi occhi. 'No, non devo piangere. È inutile piangere'. Prese l'orsacchiotto da terra e lo scotolò, poi si guardò attorno. 'Dove sono finito?'. Era in una stradina, buia e silenziosa. Le luci delle case erano spente e non c'era neanche un lampione. 'Cavolo, mi sono perso. Adesso dove devo andare? Forse dovrei cercare qualcuno'. Vide una luce fioca alla fine di quel vicolo. Andò in quella direzione, riusciva a sentire due persone che parlavano. Si nascose, la schiena attaccata al muro e la testa girata a guardare. Sotto la luce di un lampione vi erano una ragazza e un ragazzo. Lui indossava una felpa e un paio di pantaloni lunghi, portava in spalla uno zaino che sembrava essere pesante. La ragazza aveva i capelli raccolti in una coda e indossava un vestito viola. "Jessica, ti prego. Torniamo insieme. Io ti amo, non posso stare con te. Ti prometto che non succederà più" supplicò il ragazzo. "È inutile che fai così. È la terza volta che succede, adesso basta". "Non ti picchierò più. Lo sai che quando mi arrabbio non ragiono piu, devi solo non farmi arrabbiare e andrà tutto bene". "No, basta! Mi hai rotto il braccio tre mesi fa solo perché avevo sporcato per sbaglio una maglietta". "Sapevi quanto ci tenevo a quella maglietta. Solo una schifosa ingrata lo farebbe". Il ragazzo si avvicinò a lei, afferrandole un polso. "Ti ho dato una casa, un lavoro, soldi per quel ubriacone di tuo padre e per quella drogata di tua madre!" il suo sguardo era cambiato. "E tu cosa fai? Vai via di casa, non mi dici con chi esci e dove vai, stai sempre al telefono,  non ti occupi mai della casa e non cucini mai la cena nell'orario giusto! Secondo te non dovrei arrabbiarmi? Dovresti già essere a casa a prepararmi la cena invece di essere qua vestita da prostituta!". "Lasciami! Mi fai male!". Il ragazzo la bloccò al muro. "Tu sei mia!" le disse. Daimonas guardava la scena, pieno di rabbia. Fu in quel momento che lo vide. I suoi occhi cambiarono colore diventando viola. Quello che vide era un demone della violenza, ma era strano. Era di un viola molto intenso, molto scuro. Tendente al rosso. Fece cadere il peluche a terra, era deciso ad uscire allo scoperto. Ma qualcosa lo bloccò. 'No! Non lo fare!'. Era la voce che lo bloccava ogni volta. 'Non sono affari tuoi, e poi lei se la caverà. Vuoi essere odiato ancora?'. Non riuscì a fare neanche un passo. Rimase a guardare, con la rabbia che cresceva sempre di più.
La ragazza diede un calcio al ragazzo che la lasciò andare. "Non sono più di tua proprietà. Ormai ho chiuso con te, mi sto facendo una nuova vita. Ho degli amici che mi vogliono bene e mi sto conoscendo con un altro ragazzo. Sono andata avanti, dovresti farlo anche tu". Lo sguardo del ragazzo divenne pieno di rabbia. "Se non ti posso avere io...." dallo zaino prese un grosso coltello, puntandolo contro la ragazza. "Non ti avrà nessun altro!". Fu in quel momento che il demone dentro il ragazzo passò da viola a rosso. 'Un demone della pazzia? Devo intervenire!'. Ma il suo corpo era ancora bloccato. Sentiva che i suoi occhi erano cambiati. Il ragazzo la spinse di nuovo contro la parete, puntandole il coltello alla gola. "Sei solo una cagna ingrata, avevo pietà per te. Ma adesso meriti solo la morte! Ma prima mi divertirò con te!". Passa la lama sul viso della ragazza, ferendole la guancia sinistra. Dal taglio cominciarono a uscire gocce di sangue rosso vivo. "A nessuno piacerebbe un visino sfigurato, non trovi?". La ragazza era in lacrime. "Ti prego lasciami andare". "E perché mai dovrei farlo? Senza di me tu non sei niente. Senza di me tu non meriti niente, nemmeno di vivere!".
A quelle parole, Daimonas si sentì come un vulcano pronto ad esplodere. 'Basta, non posso stare qui senza far nulla! Devo tappargli la bocca! Lo devo uccidere!'. Accolse l'energia e la sprigionò. Si tolse il cappello, adagiandolo sul peluche. Le corna si trasformarono all'istante. 'È ora che abbia una lezione!'. Scattò in avanti mettendosi in mezzo ai due. Spinse via il ragazzo, coprendo la ragazza come uno scudo. Il ragazzo si alzò, era sbalordito nel vederlo. Il braccio destro del bambino era ricoperto di energia pura dalla spalla fino al polso. Nella mano stringeva un gladio che brillava di energia. Sopra l'elsa vi era un teschio e sulla lama vi era il simbolo di una stella rovesciata. Dal braccio sinistro uscivano piccole fiammelle di energia dalle cicatrici sul polso a forma di croce rovesciata. Le corna lunghe e appuntite, gli occhi completamente di un rosso acceso e infine un sorriso che faceva raggelare il sangue. "Se vuoi prendertela con qualcuno, allora fatti sotto". "Carnevale ormai è finito da un bel pezzo. Perché non vai dalla tua mammina? Sarà in pensiero per te" disse il ragazzo ridacchiando. Daimonas cominciò a ridere di gusto, una risata tutt'altro che piacevole. "Finalmente posso sfogarmi. Finalmente posso divertirmi! Finalmente sono libero! E mi divertirò a farti a pezzi! Fatti sotto se ne hai il coraggio!". Il ragazzo cercò di colpirlo con un pugno, ma Daimonas evitò il colpo senza fare alcuna fatica. "Troppo lento!". Il bambino gli ricambiò il colpo dandogli un violento pugno in faccia.  Il ragazzo si riprese quasi subito, cercò di afferrarlo per poi ferirlo con coltello, ma Daimonas lo anticipò recidendo la mano dal polso con un colpo netto e preciso. Il ragazzo urlò dal dolore, mentre il sangue zampillava dal moncherino. "Oh, che peccato. Ma non ti preoccupare, non ti serviva". Si avvicina al ragazzo, con fare minaccioso. "Che noia! Fammi divertire un po'!". Il ragazzo cadde a terra, cercò di allontanarsi da lui. "Ti prego..... non le farò più nulla...." lo supplicò, ma Daimonas fece roteare il gladio e lo pugnalò sopra il ginocchio, facendo trapassare la lama fino a conficcarla nell'asfalto. Sentì l'osso rompersi sotto la forza del corpo. Il ragazzo urlò dal dolore. Il bambino fece uscire la lama per poi pugnalare ancora. Gli piaceva quel suono, le ossa che si frantumavano, i muscosi che venivano strappati, il sangue cremisi che zampillava. Alla fine, gli tagliò la gamba in due per poi fare lo stesso con l'altra. Per il ragazzo era una lenta agonia. Daimonas lo guardò in faccia, sorrideva. "Facciamo così,  ti faccio una domanda, rispondi bene, intesi? Hai paura del demonio? Hai paura di me?". Il ragazzo lo guardò terrorizzato, mentre il bambino rideva di gusto. "Hai paura del demonio? Hai paura di me?". "Ti... prego.... non voglio morire.....". L'espressione di Daimonas cambiò, divenne cupa e gravosa. Seccata e inquietante allo stesso tempo. "Sono stufo delle tue continue lagne e dei tuoi lamenti! È ora che ti chiuda la bocca". Gli salta addosso, impugnando il gladio con tutte e due le mani e lo pugnalò infilando la lama in bocca al ragazzo fino a trapassargli il collo toccando l'asfalto con la punta. Sentiva i denti e le ossa che si spezzavano, il sangue che zampillava sporcandogli le vesti e la faccia. Alla fine, il ragazzo morì tra atroci sofferenze, soffocato dal suo stesso sangue. Ma Daimonas continuò ancora, ancora e ancora. Si fermò solo quando vide qualcosa uscire dai moncherini ancora sanguinanti. Vide artigli lunghi e rossi, due occhi gialli e una grossa bocca. Il demone uscì dal corpo ormai esanime del ragazzo ed emise un urlo acutissimo. Fece cadere il gladio che si dissolse e si coprì le orecchie che gli dolevano molto. Era insopportabile.  Poi il demone smise e si dissolse in cenere. Daimonas tornò normale, ritrovando se stesso. Si voltò e vide la ragazza,  rannicchiata con la schiena attaccata al muro. Tremava come una foglia. Negli occhi il terrore puro e il panico più indescrivibile.  Daimonas si avvicinò a lei. Negli occhi c'era terrore puro e il panico più indescrivibile. Il bambino si avvicinò a lei, ma la ragazza emise un forte urlo, cercando di allontanarsi. "Stai lontano da me! Lo hai ucciso, LO HAI UCCISO! Sei solo un mostro!". La ragazza si alzò a fatica e scappò urlando e chiedendo aiuto. Daimonas si guardo le mani, erano sporce di sangue, girò la testa e vide il corpo mutilato. Cadde a terra, incredulo. 'S-sono stato io? No, non può essere!'. Poi ricordò tutto, tutti gli orrori. E la cosa che lo spaventò fu la consapevolezza che gli era piaciuto. *'Ti è piaciuto cosa abbiamo fatto?'*. Sentì quella voce, ma non veniva dalla sua mente, ma dentro di sè. Era una voce cupa e gravosa. *'Complimenti, moccioso, sei diventato un mostro'*. Sentì quelle risate ed ebbe un fremito, si rannicchiò su se stesso, ancora incredulo. 'S-sono stato io.... sono un mostro!'.
 

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