~ Only you?

di ellacowgirl in Madame_Butterfly
(/viewuser.php?uid=105187)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Vi rubo solo un attimo...
Scrivo consapevole che il fandom è pressoché inesistente e questa coppia ancora meno, ma quando l'ispirazione chiama bisogna solo rispondere!
Questo è un capitolo introduttivo, diciamo così, i prossimi saranno decisamente più coinvolgenti... o almeno spero!
E nulla, non vi rubo altro tempo: buona lettura!
(E per gli appassionati sì, potrebbe diventare una arancione!)



1.
L’aveva vista allontanarsi di sfuggita, come un’ombra quella figura esile quanto sensuale si dirigeva dinnanzi alla prima uscita possibile con la più folle delle disperazioni.
Dal balconcino della sua stanza l’aveva subito notata, quel “delicato fiore del deserto”, forte e velenosa quanto il peggior cobra.
Bella quanto ribelle, non era riuscita a trattenersi dal guardarla per un lungo istante, consapevole di non esser vista.
Le guardie, le solite sentinelle, l’avevano vista tanto bene quanto lei, ma l’avevano preceduta nel raggiungere la gitana.
E mentre tentava invano di liberarsi, in difficoltà anche per colpa di una bruttissima storta che aveva dato cadendo durante lo spettacolino, i passi regali ed autoritari della moglie del Faraone giunsero in breve tempo.
Diede ordine di allontanarsi, si sarebbe occupata lei stessa di farla fustigare a dovere, quella schiava.
Ma il cammello no, quello potevano tenerselo le guardie, non avrebbe portato una bestia tanto puzzolente nei propri alloggi – anche se il soggetto in questione era legato a lei.
Zippora si era opposta, ma nemmeno così tanto: quegli occhi scuri, quel volto delicato e perennemente apatico le avevano fatto pensare – forse ingenuamente – che dietro al trucco quella regale donna possedesse qualcos’altro.
Qualcosa di diverso, di particolare. Qualcosa di più degli altri.
Ed ebbe la conferma quando, invece di portarla alle prigioni o farla veramente frustare, la condusse nel proprio alloggio, assicurandosi che non vi fosse nessun inserviente nei paraggi.
Non dovevano essere viste – non insieme e in quella situazione almeno.
Con ben poca delicatezza, la gitana si abbandonò su di un morbido divanetto, imprecando contro quella maledetta caviglia.
« L’inserviente passa ogni mattina al sorgere del sole e al tramonto, qualche attimo prima che il sole tocchi l’orizzonte. »
Dava indicazioni precise, Zippora la osservava piuttosto incuriosita mentre la Regina si premurava di chiudere le tende.
Aveva detto inserviente e non schiava.
« Le guardie fanno il giro di ronda dopo pranzo e durante la cena. Non devi farti scoprire, in nessuna occasione. » Continuò imperterrita, fredda ed autoritaria, senza nemmeno guardarla in volto.
Doveva pesare parecchio, quella maschera che continuamente portava.
« Starai qui finché la caviglia non sarà guarita. Poi potrai andartene. » Terminò.
Non le volse uno sguardo nemmeno questa volta, la lasciò lì sul divanetto, dirigendosi semplicemente alla porta d’uscita.
« Perché? » Fu tutto ciò che le disse, mentre le iridi scure dalla vaga forma orientale scrutavano la figura candida e sinuosa di Tuya.
La donna si fermò per un attimo soltanto, con la coda dell’occhio incrociò per la prima volta lo sguardo dell’altra.
Era maledettamente intenso.
« Solo una donna può comprendere il dolore di un’altra donna, non credi? »
Le rispose di rimando, non avevano nemmeno bisogno di chiarirsi, sapevano entrambe a cosa stessero facendo riferimento.
Non aveva fatto promesse nè aveva chiesto qualcosa in cambio.
Poi sparì, si chiuse la porta alle spalle e per l’intera giornata la lasciò in quella lussuosa ed ampia stanza.
Ampia eppure maledettamente vuota.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


Vi rubo solo un attimo...
Come specificato, aggiorno a "ispirazione", ma ho già scritto parecchi capitoli quindi non dovrei farvi attendere molto.
Grazie a chi ha recensito, facendomi sapere che per quanto disperso, abbandonato e quasi inesistente, questo fandom comunque qualche lettore ce l'ha.
Spero che questi componimenti (volutamente brevi) siano comunque abbastanza intensi e ben caratterizzati.
Dal prossimo il raiting salirà!
Buona lettura.



2.
«Non puoi farlo.»
Per una frazione di secondo finse di non udire quella voce, mentre controllava allo specchio che il trucco fosse impeccabile.
Come se una bellezza del genere ne avesse bisogno, per essere ulteriormente invidiabile.
«Da quando hai il permesso di rivolgerti a me in questo modo?» Fu la sola risposta che uscì dalle labbra della Regina, seduta all’ampio specchio della sua stanza.
Era pur sempre la Regina dopotutto.
Dal grande letto a baldacchino, Zippora inarcò un sopracciglio e la sua espressione ondeggiò tra l’ironico e l’offeso.
Rimase in silenzio, costringendo Tuya e volgerle un’impercettibile occhiata dal proprio riflesso: era un vero problema, non riuscire mai a capire cosa passasse per la testa di quella ebrea.
Aveva osservato milioni di volti ed espressioni, ma quella ribellione – con tanto di strafottenza non indifferente – continuava a sfuggirle.
Era un fiore che continuava a sbocciare nonostante la furia delle tempeste, nonostante la siccità, nonostante tutto gli fosse avverso.
Lui sbocciava e fioriva e del resto se ne fregava.
«Non è giusto.» Proferì di nuovo, assumendo quella che poteva sembrare un’espressione infantile.
Tuya parve non curarsene, delineò una riga nera precisa ed impeccabilmente orizzontale accanto all’occhio.
«Non ho detto che è giusto. Ho detto che è necessario che io lo faccia.» Tagliò corto, quasi volesse evitare il discorso.
Da quando si metteva anche a discutere con una selvaggia, che per di più era in palese debito con lei?
Scosse il capo, decisamente si era rabbonita più del previsto, contrariamente alla maschera di fredda compagna del Faraone che quotidianamente portava.
«E’ necessario schiavizzare altri poveracci per una stupida costruzione?» Azzardò ancora, insolente, sporgendosi in avanti col busto quasi avesse tutte le intenzioni di alzarsi dal letto nonostante la caviglia abilmente fasciata.
E se c’era una cosa che la mandava in bestia era vedere come quella Regina troppo irraggiungibile avesse una maturità ed una fermezza tali da non reagire minimamente alle sue schiette provocazioni.
Dio, quanto la innervosiva!
«Ho dei doveri.» Si limitò di nuovo a dire, il tono era però più grave rispetto a prima, meno sicuro.
In cuor proprio sapeva che non era un bene, lo sapeva benissimo nonostante fosse cresciuta proprio in quella società… eppure cos’altro poteva fare se non cercare di mitigare le scelte del Faraone con la propria presenza?
«Anche questo non è giusto!» Si inalberò ulteriormente Zippora, questa volta il suo impeto fu ancora più istintivo ed impetuoso, tanto che azzardò a lasciare il letto per alzarsi e si ritrovò di nuovo a terra, la caviglia troppo fragile perché potesse ancora reggerla.
La Regina si volse d’istinto verso di lei, per una frazione di secondo l’ebrea vide nel suo sguardo un cenno di preoccupazione, forse di apprensione.
Dunque aveva davvero un lato umano, quella freddezza fatta a persona?
Tuya non le diede modo di prolungare la scrupolosa osservazione, si alzò in piedi e le si avvicinò, aiutandola a tornare sul letto.
«E’ la sola scelta che ho.» Sembrava una giustificazione, anche se il suo era solo un voler mettere un punto a quella questione.
Le portò un braccio alla vita e l’altro sotto la spalla, aiutandola a sedersi nuovamente sul morbido letto.
Aveva il profumo del più impetuoso dei deserti e delicatezza di una nuova alba, quella ebrea.
Ma nel momento in cui la Regina fece per riallontanarsi, una presa salda le bloccò l’avambraccio, costringendola a specchiarsi in quelle iridi così scure e profonde da metterle quasi i brividi.
Da quanto non vedeva uno sguardo tanto intenso?
«E’ la sola scelta che vuoi vedere.» E fecero male, malissimo quelle parole.
Per un attimo la vide tentennare ma no, non ne gioì: per quanto fosse dispettosa per natura, Zippora aveva l’insana capacità di pungere nel momento più appropriato.
Non si dissero altro, si limitarono a quello sguardo forte e quasi insostenibile da parte di entrambe: l’ardore di una pareva morire nella sicurezza dell’altra, almeno quanto la consapevolezza annegava nella volontà più magnanima.
Come si erano ritrovate così vicine?
Quella stretta sul braccio bruciava, bruciava da morire.
Poteva zittirla, poteva insultarla, poteva farla fustigare o uccidere o semplicemente considerare le sue opinioni alla stregua di qualsiasi pezzente di turno… ma no, lei non era ipocrita, non era un’illusa.
Tuya non era come loro.
Tacque con le labbra leggermente dischiuse, sin quando la consapevolezza non riprese possesso di lei e con delicatezza si liberò dalla presa, rialzandosi e riassumendo quel portamento regale e maledettamente raffinato.
«Le erbe per la caviglia sono sul comodino.» E di nuovo le voltò le spalle in un gesto rapido, quasi avesse fretta di lasciare la stanza – la sua stanza, tra l’altro, dove era solita rifugiarsi in più occasioni.
La gitana si lasciò sfuggire uno sbuffo sconsolato, misto ad un sorriso quasi divertito.
«Fate sempre così, voi nobili? Scappate?»
La provocò ancora, determinata, coraggiosa al limite dell’autolesionismo.
Non sapeva spiegarsi perché, eppure quella situazione le piaceva, le metteva i brividi, la faceva sentire viva come non mai: possibile che l’essere ogni attimo in pericolo di morte la divertisse? La facesse sentire bene?
Perché quella donna la attirava, invece di spaventarla?
E lei, Tuya, Regina e sovrana d’Egitto, perché non la mandava semplicemente al diavolo e tornava ai propri impegni?
Lo fece, all’apparenza, uscì da quella stanza sbattendo la porta.
E sapeva che quella ebrea troppo sfacciata avesse ragione.
Maledettamente ragione.



 
-.-.-.-.-.-.-
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


3.
Si era alzata lentamente dall’ampio divanetto dove era solita dormire, il cuore aveva cominciato ad aumentare i battiti, consapevole del rischio, ma la determinazione non vacillava, tantomeno le intenzioni.
Aveva cercato di trattenersi, si era sforzata con tutta se stessa in quelle settimane, ma aveva finito per cedere.
Cedere nel compiere quei pochi passi, arrivare dinnanzi al tendaggio in lino pregiato e scostarlo appena, quanto bastava per vedere oltre.
Per vedere lei.
Non si mosse, rimase ad osservarla , lei e quel profondo sonno in cui era perduta: il volto senza trucco rifletteva una bellezza spudoratamente naturale, regale, le labbra carnose erano appena dischiuse, il profilo rilassato, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle seminude …
Distolse lo sguardo per un attimo, accorgendosi ben presto di non riuscirci, di non poterne più fare a meno.
Per quanto tempo l’aveva guardata tanto attentamente da conoscerne ogni sfumatura del volto, dell’espressione?
Persino i suoi movimenti, perennemente controllati e composti, avevano finito per ingannare la bella Regina, lasciando alla zingara l’intuizione di ciò che nel profondo pensasse.
E provasse.
Forse era diventata folle, forse passare le giornate chiusa in quelle stanze – per quanto ampie – con quella che era ormai divenuta una perenne tentazione l’aveva ammattita.
Tornò a posare le profonde iridi nere sulla figura addormentata nel grande letto a baldacchino: corpo sinuoso, forme generose, le lunghe gambe scoperte per via della veste da notte decisamente più ridotta.
Avrebbe peccato, lo sapeva.
Avrebbe infranto le sue rigide regole morali, avrebbe infranto una sorta di codice d’onore a cui lei – il suo popolo – era sottoposta.
Avrebbe peccato, ma quella che lei professava come la propria Fede, qualcosa di profondo e veritiero, aveva mai rinnegato l’affetto per qualcuno?
Perché non era solo dannatamente attratta da lei, non era solo un feeling fin troppo forte quello che sentiva intercorrere tra loro ad ogni sguardo e ad ogni silenziosa battaglia: no, era molto, molto di più.
Avanzò nella stanza della Regina, addormentata non sospettava probabilmente di nulla. Allungò lentamente una mano verso di lei, una volta giuntale accanto: le sembrava indegno, quasi impuro ciò che stava per fare, ma non poteva farne a meno.
E, lo aveva capito sin da subito, per quanto la Regina fosse Tuya, le redini della situazione le avrebbe sempre tenute in mano Zippora.
Le sfiorò la pelle della spalla, poi lentamente del braccio, seguendo quel movimento con gli occhi.
Avrebbe peccato.
Avrebbe fatto la cosa sbagliata.
Forse sarebbe morta …
Ma nemmeno la paura dell’Inferno riuscì a fermare il suo animo ribelle.
La mano scese sino al fianco, poi con un fremito sfiorò delicatamente la gamba nuda, sino a soffermarsi al lembo dell’abito.
Avrebbe potuto fermarsi, era ancora in tempo, ma non lo fece. Le dita di una carnagione quasi scura percorsero l’interno coscia, sino a cercare un punto ben più sensibile. Se sino a quel momento la Regina si era limitata a qualche sospiro, ora i suoi occhi scuri si erano quasi spalancati, la mano aveva d’istinto fermato il polso di Zippora, ritrovandosi il volto dell’altra a pochi centimetri dal proprio.
« Fermati … » bisbigliò.
In un lampo la decisione e la fermezza che la caratterizzavano vacillarono.
Non perché avesse paura, ma perché desiderava quel contatto come nient’altro ed era questo a spaventarla.
La zingara parve quasi leggerle nel pensiero, le sorrise lasciando trasparire la dentatura bianca, quasi a volerla rassicurare.
« Non è quello che vuoi chiedermi. » Le rispose suadente, avvicinando il proprio viso a quello dell’altra. Era una movimento lento, lentissimo, quasi volesse lasciarle il tempo di rifiutarla, di imprimere una maggior forza sul suo polso per allontanarle la mano dalla propria intimità, ma non lo fece.
Azzerò lei le distanze, lei – Tuya – prese il volto dell’altra tra le mani, invitandola a distendersi sopra di sé.
Fu un bacio dolce, le labbra della Regina erano di una morbidezza mai sentita prima e Zippora non esitò ad intensificare quel contatto, insinuando dentro di lei le proprie dita. La sentì gemere, ma non le lasciò sussurrare alcuna parola, alcuna richiesta.
L’aveva desiderata così tanto che le sembrava tutto dannatamente irreale.
Sentì le spalline dell’abito venire abbassate con grazia mentre quei baci non si arrestavano, poco fu il tempo necessario a trovarsi nude l’una nelle braccia dell’altra.
Nessuna delle due cercò di convincersi - chi per orgoglio e chi per credo – che non si fossero amate.
Non c’era stato desiderio carnale, non c’era stata la necessità di possedersi, di sfogare chissà quali istinti repressi.
No, la loro era una straziante necessità di comprendersi, di provarsi l’un l’altra che una speranza – anche se flebile, anche se insana, anche se proibita – esisteva ancora.
La vita le aveva rese schiave di autorità e poteri diversi, le aveva sottomesse a leggi e compiti che loro non avevano chiesto.
Tutto ciò che, in fondo al loro cuore, avevano sempre desiderato, era essere felici.
Ed amate, non importava da chi, non importava perché.
Per questo pianse, per questo – quando giaceva ancora ansante tra le braccia ben più forti di Zippora – la bella Regina lasciò che qualche calda lacrima la tradisse. Ma sorrideva, sorrideva come non faceva da molto, moltissimo tempo.
Non si dissero nulla, si addormentarono così, abbracciate, le gambe nude intrecciate, gli animi che parevano aver trovato una momentanea pace.
Le maschere erano state calate.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2639072