I sette guardiani

di Veronica_Rosazza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova melodia ***
Capitolo 2: *** Un fiato di libertà ***



Capitolo 1
*** Una nuova melodia ***


Camminando lungo le strada di Torino, Ikuto non voleva prestare attenzione a nulla. Il vuoto, ecco cosa voleva. A lungo aveva cercato la libertà e ora che pensava di averla finalmente trovata, si era reso conto che era stata solo una crudele illusione.
Vetrine, vetrine, vetrine; persone, auto e strade affollate; solo tre ore prima di tornare a teatro. Violino in spalla, una felpa stropicciata raccolta a caso dal borsone e la compagnia silenziosa di Yoru al suo fianco.
Cresci in fretta” aveva detto ad Amu. Cresci in fretta, ma per andare dove? Lei, Utau e persino Tadase. Tutti in Giappone, a un intero continente di distanza; facciamo anche due. ‘Cresci in fretta, e intanto io non sarò lì a vederti diventare grande’.
«Ikuto!» prese ad urlare Yoru. «Ikuto aspetta!»
Non si sarebbe fermato, non aveva intenzione di farlo. Il motivo per cui lo stava chiamando poteva essere per aver visto un gioiello carino, un simpatico gatto randagio o qualcosa da mangiare, come l’ultima volta, la settimana prima a Roma.
Ma Yoru non aveva intenzione di demordere e si impuntò con le braccine tese proprio davanti a lui, come se con quei suoi cinque centimetri avessee potuto fermarlo.
«Che c’è?»
«Ikuto, guarda!» disse, indicando freneticamente qualche metro più in là. «Quello shugo chara ha bisogno di aiuto!»
Impiegò qualche istante a capire di cosa stesse parlando, a seguire la direzione della zampina e a scrutare tra la folla. Ma l’allarme di Yoru sembrava giustificato: passava vicino a loro, appena sopra le teste della gente, un minuscolo shugo chara; un lungo abito bianco, due piccole ciliegie appuntate ai capelli chiarissimi, lo sguardo triste e il mondo attraverso. Stava scomparendo.
Le insistenze del suo piccolo amico non cessavano ma cosa avrebbe potuto fare, lui? Fino ad allora, tutto ciò che aveva fatto era stato creare a distruggere uova X; la parte dei buoni non era per lui, ma per Amu e i guardiani della Seyo. Eppure…
Corse, spintonò gente, sbatté contro un palo e la raggiunse.
«Fermati!» le urlò, mettendosi davanti. Per tutta risposta, il piccolo shugo chara alzo leggermente lo sguardo, fissando Ikuto con due trasparenti occhi gialli, per poi voltarsi e proseguire a svolazzare nella direzione da cui era venuta. Fu poi Yoru a intervenire, andandole addosso. «Ehy fermati! Vogliamo aiutarti!»
La piccolina provo di nuovo a ignorarlo e ad andarsene, ma le dita di Ikuto si erano chiuse sulla sua bella gonna bianca e non avevano intenzione di lasciarla andare. Yoru fece in tempo solo a vedere la sua espressione arrabbiata prima che un’onda d’energia lo colpisse, lanciandolo lontano con forza.
«Ma che fai? Sei stata tu?» chiese il ragazzo dolcemente. «Non sai parlare, eh? Va bene, vediamo cosa fare con te. Magari troviamo il tuo padrone» disse, mentre apriva il borsellino a tracolla. Fece scattare il lucchetto di una scatola e la spinse dentro, con delicatezza.
 
 

«Tukiooooooooo!»
«Tukio! Dammi il tempo di trovarti e io…!»
«Ma certo, se dici così certamente correrà a braccia aperte. Eddai, Tukio… Vieni fuori!»
Poggiato sul ramo di un albero, Yoru guardava il mondo capovolto, osservava questa strana scena a testa in giù. «Ahia…»
Lo shugo chara che aveva parlato per ultimo, il più vicino a lui, si voltò e gli corse incontro per aiutarlo. «Ti sei fatto male? Come sei finito così?»
«Non lo so nemmeno io…» disse Yoru lamentoso.
«Piuttosto» intervenne l’altro esserino svolazzante, «per caso hai visto uno shugo chara da queste parti?»
Mettendo a fuoco la scena, dopo aver smaltito la botta, Yoru riuscì a capire con chi stava parlando. A fianco a lui si trovavano due shugo chara femmine: la prima con una lunga coda verde, gli occhi rosa e i calzoncini corti; la seconda, indossava un inquietantissimo abito viola strappato sul fondo e lo osservava con esigenti occhi scuri.
«Io…» Yoru si guardò intorno, fino a raggiungere il punto in cui aveva lasciato Ikuto. «Cosa??? Non posso credere che mi abbia lasciato qui~nya!»
«Di che stai parlando?» grugnì lo shugo chara viola.
«Hai perso il tuo portatore?» disse l’altra.  
«Senti, non abbiamo tempo da perdere. Ti saluto!»
La shugo chara viola non poté rendersi conto, allontanandosi, delle facce allibite e perplesse che si lasciò alle spalle, mentre riprendeva senza sosta i suoi richiami minacciosi verso quel nome misterioso.
«Senti, lo ritroveremo, d’accordo? Per ora puoi venire con noi. Io sono Eta! E quell’antipatica che se ne sta andando si chiama Sora»
«Piacere, io mi chiamo Yoru… Chi state cercando?»
«La nostra amica Tukio. È scomparsa… di nuovo… »
I due raggiunsero e superarono l’arrabbiatissima Sora, la cui espressione non lasciava spazio a fraintendimenti: ‘Questa volta, me la paga’. Svolazzando dentro il parco immerso nel verde dell’estate, si allontanarono sempre più dalla folla e, con più calma e tranquillità, Eta percepì qualcosa.
«La sento. È qua vicina!»
«Dove?» prese a chiedere Sora mentre si avvicinava.
«Ehy! Per di qua!» urlò ancora Eta, a non si sa chi, non si sa dove. Pochi secondi dopo, però, oltre a Sora, altri shugo chara si avvicinarono, lasciando Yoru sbigottito e un po’ spaventato. Possibile che tutti loro stessero cercando quello shugo chara in procinto di scomparire che avevano soccorso prima?
Piccoli e flebili sospiri di stupore segnalarono che ora tutti percepivano distintamente la presenza di Tukio ma ancora la ricerca non ripartì.
«Eta, ti dispiacerebbe andare tu a chiamare Monica?» disse in un soffio sorridente e garbato una di loro, con indosso un vestitino plissettato rosa ed un grembiulino con pettorina azzurro. I piccoli occhi semichiusi su un vere splendente e simpatici riccioli biondi raccolti in un’immensa treccia. Eta fece cenno di sì con la testa, e pochi secondi dopo già era sparita dalla vista degli altri, verso la via dei negozi.
Tutti insieme, i cinque esserini si fiondarono verso gli alberi che si trovavano avanti a loro; l’incredibile energia che poco prima aveva allontanato Yoru ora li stava attirando verso di sé e, ben presto, anche la presenza di Ikuto si fece più nitida.


Note:
Questo è solo un piccolo assaggio: mi piace scrivere capitoli brevi, in modo da non stancare nessuno.
La trama è completamente inventata da me e così anche molti dei personaggi, che non si trovano nella storia orginale.

 

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Capitolo 2
*** Un fiato di libertà ***


Appostati dietro un ramo, guardavano in silenzio la scena. Un ragazzo alto, sui diciotto anni, capelli scuri e occhi del colore della notte se ne stava seduto con la schiena poggiata ad un albero; fissava il cielo cercando di schermare il sole con le palpebre socchiuse; ma di Tukio nessuna traccia.
Eppure doveva essere lì, lo sapevano e sentivano tutti.
«Deve trovarsi dentro la borsa di quel ragazzo, ne sono sicura» disse una di loro: portava gli occhiali e i capelli raccolti in due piccoli odango ai lati della testa.
«Cavolo, sei molto perspicace, Kiagi…» fu il commento non velatamente ironico di Sora.
Nel frattempo Yoru, nascosto lì con loro, non aveva idea di cosa fare. Il suo Ikuto era lì, davanti a lui, ma raggiungerlo avrebbe voluto dire far capire agli altri che conosceva chi stavano cercando. ‘Che potrebbero mai fare? In fondo sono innocui, certamente…’
Stava per allontanarsi il più veloce possibile da lì per tornare dal suo portatore, quando venne interrotto dal compagno che gli stava affianco. Camicia aderente scura e lucida, pantaloni anch’essi scuri, cappellino e vistosissimi occhiali da sole: «E questo chi è?»
«Chi sei tu~nya?!»
«Fate silenzio o ci scoprirà!» disse la piccoletta con gli occhiali. «Sono sicura che può vederci: non può averla presa per errore»
«Non dire così, Kiagi…» intervenne quella vestita di rosa; «Sono certa si tratti di un malinteso, non mi sembra un ragazzo cattivo»
La faccia disgustata di presa in giro di Sora fece capire a Yoru che quegli shugo chara non andavano molto d’accordo, e subito si ricordò di Kiseki. «Pssss… Che fate qui?»
Uno strano shugo chara dall’aria bizzarra fece capolino dall’alto, come se fosse caduto. Assomigliava decisamente a un clown, con il volto dipinto e un paio di croci al posto degli occhi, un completino rosso ed un cappellino a bombetta da cui spuntava un fiore arancione come i suoi capelli.
«Taci» disse Sora.
«Fai silenzio, per cortesia, Pop. Non possiamo essere scoperti» fece sapere quella in rosa, portando il minuscolo indice sulle labbra.
«Dov’è Monica?» chiese quello con gli occhiali.
«Arriva… credo! L’ho lasciata indietro: correre deve essere faticoso!». Fece giusto in tempo a finire la frase che un piccolo ma vigoroso pugno gli piombò proprio sulla punta del cappello, facendoglielo cadere a terra. «Certo che è faticoso! Avresti dovuto aspettarci!»
Eta era arrivata, portandosi appresso, poco più indietro, una ragazza che dimostrava diciassette anni al massimo, con i capelli scuri e gli occhi chiari, vestita di una semplicissima camicia e un banale paio di jeans. Quando li raggiunse era senza fiato, ma non poteva certo sperare di non essere vista come gli altri: cinque centimetri, anche se per sette shugo chara, passano molto più inosservati di una sola persona, alta un metro e sessanta.
«È qui? Ce l’ha lui?» disse con la voce rotta. Mentre tutti insieme i presenti facevano di sì con le testoline; il ragazzo seduto a terra si voltò verso di lei.
«RIDAMMELA!» urlò con tutto il fiato che ancora le restava.
Lui la guardava con occhi indifferenti, come se si fosse aspettato di vederla spuntare fuori da un momento all’altro, da qualche parte; come se la stesse aspettando. «Non so di cosa stai parlando» disse poi, tirandosi in piedi. Risposta che spiazzò visibilmente la ragazza: si girò di poco, giusto per incrociare lo sguardo determinato di Eta, che non lasciava spazio a dubbi.
«Lo sai» fece allora. «Ridammela e basta!». Tutti gli shugo chara protetti dal ramo dell’albero si rivelarono; anche Yoru, che guardava Ikuto con aria del tutto persa.
«Rivuoi il tuo shugo chara? Perché dovrei ridartelo?»
«Ma che diavolo stai dicendo?! Non è tuo! Non te ne fai niente!» imprecò Sora, seguita da un esorbitante squittio acuto nato dalle voci concitate di tutti i presenti.
«Beh, potete urlare quanto volete: non ve la ridò»
Aveva appena terminato la frase che la ragazza gli saltò addosso. ‘È nella borsa’, le aveva detto Eta. Ed era alla borsa che puntava. Ikuto però non aveva intenzione di farsi atterrare e, opponendo resistenza, entrambi ottennero il risultato opposto rispetto quanto desiderato.
Ci fu una grande botta e quando la ragazza riaprì gli occhi si ritrovò a fissare da vicino quelli del ragazzo, che le era finito addosso nella caduta.
«Perché me l’hai presa?» urlò quasi tra le lacrime. «A cosa ti serve? Ridammela! E togliti!»
«A me non serve a nulla ma se tu la volessi così tanto io non l’avrei mai presa! E poi… non è colpa mia se siamo finiti così: sei tu che mi sei venuta addosso». E si spostò.
Messasi seduta, la ragazza continuò a fissare Ikuto in piedi, mentre tentava di ripulire i pantaloni dalle macchie d’erba sulle ginocchia. «Non te la ridò», disse. «E poi anche tu hai qualcosa che mi appartiene. Siamo pari»
La sua aria di totale indifferenza lasciò la ragazza senza fiato. Non voleva immaginare di restare senza Tukio, la piccola silenziosa parte di sé che da anni le viaggiava a fianco. La sentiva anche lei, ora; chiusa in quella minuscola prigione, emanava una sconvolgente quantità d’energia, che la raggiungeva e le trafiggeva il cuore, riempiendolo di quella tristezza e malinconia con cui aveva imparato a convinvere.
Gli shugo chara che stavano intorno a loro non parlavano: Yoru cercava di non dare nell’occhio, mentre gli altri erano solo preoccupati per Monica.
«No!». Eta aveva interrotto il pesante silenzio con un urlo che aveva riportato tutti al presente. «Monica devi combattere! Lei ci sta chiamando, la senti anche tu, vero? Combatti!»
‘È proprio da lei’, pensò; ‘Cercare di migliorarmi, di spronarmi. Ma non posso farcela…’
L’energia di Tukio si faceva sempre più forte, tanto che perfino Ikuto avvertiva una gelida sensazione premere sulla gamba.
«Monica, per favore»
«Fallo per noi!»
Le voci di sempre più shugo chara si unirono a quella di Eta, fino a che tutti quanti non impiegarono le loro forze e le loro energie in esaurimento per aiutare. Tutto inutile. Tukio era troppo forte, nel suo grido disperato. L’impotenza, la tristezza, l’angoscia. E quel ragazzo dallo sguardo impietoso. Quello sguardo che non si era distaccato un attimo da lei; si distrasse solo quando una piccola meteora finì al suolo, a fianco del cappello rimasto incolto di Pop.
«Yoru!»
Quel gattino blu sembrava svenuto e sfinito, come se avesse lottato fino allo strenuo delle forze, e quando Ikuto lo raccolse un senso di smisurata paura si impadronì anche di lui.
Le vocine degli altri shugo chara avevano lasciato il posto ai rumori del bosco e del parco vicino; solo allora, Monica rispose.
«È Tukio. È colpa sua. Lasciamela». Sembrava una richiesta d’aiuto, un lamento carezzevole di pietà.
Guardandosi attorno, Ikuto vide i volti pietrificati dei presenti e quello infinitamente triste della ragazza ancora a terra, rigato di lacrime chiare. Quello non era uno shugo chara normale.
«Perché la rivuoi?» chiese freddo. «Sta scomparendo»
Queste due semplici parole ridestarono tutti, ma soprattutto spinsero Monica a reagire con forza. «Non può essere vero!» urlò. «Come puoi dirlo?»
Rabbia e angoscia si stavano mescolando e il suo lacrimare si trasformò in pianto e grida. I pugni stretti, le ginocchia piegate, gli occhi a due fessure e la consapevolezza di una forza nuova, di un’energia particolare e bella, un’energia luminosa, un senso di calore che spazzò via il gelo che proveniva dalla borsa del ragazzo.
Fu un attimo. Pochi confusi secondi pervasi di gioia e amore. L’aria, la brezza, il vento la supportavano, la spingevano in alto. E un pezzetto di cuore che torna al suo posto.
Da sotto, tutto apparve ancora meno nitido, più sfuocato; la luce abbagliava i presenti e Yoru si ridestò all’istante.

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