Hunters and other crazy things

di Himawari__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di appuntamenti e demoni fastidiosi (Magnus/Alec) ***
Capitolo 2: *** Brillantina (Jace/Clary) ***
Capitolo 3: *** What Simon Wants (Simon/Isabelle) ***
Capitolo 4: *** Halloween in Nero (Magnus/Alec) ***
Capitolo 5: *** In nome del padre (Sebastian/Jace) ***
Capitolo 6: *** Bonds (Jace/Alec - accennato) ***
Capitolo 7: *** “Vuoi scommettere?” (Clary/Isabelle) ***



Capitolo 1
*** Di appuntamenti e demoni fastidiosi (Magnus/Alec) ***


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Di appuntamenti e demoni fastidiosi


Alec guardò prima Magnus, poi la strada davanti a loro, poi ancora Magnus, con un'espressione a metà fra speranza e qualcosa di non ben definito, ma che si avvicinava molto ai toni del “ho voglia di cacciare e non mi impedirai mai di farlo, quindi userò la versione perfezionata dei miei occhioni dolci per farti cedere più in fretta”.

Lo stregone la conosceva fin troppo bene; era un mix di tenerezza, tristezza e desiderio di rivalsa che gli ricordava un cucciolo di labrador abbandonato in autostrada dal più cattivo dei padroni dopo una serie di bastonate. Ma si riteneva anche ben addestrato a fronteggiare simili evenienze: non solo era più vec– ahem, più maturo, e quindi più saggio, ma erano ufficialmente fidanzati da un paio d'anni, dopotutto, e aveva sviluppato un paio di tecniche difensive più o meno efficaci per quasi ogni genere di situazione.

Non per quella, comunque, perché ancora, in effetti, non era riuscito a opporvisi veramente.

« No. » Affermò quindi con decisione, indietreggiando di un passo e allontanando la mano da quella fredda del fidanzato « Oggi è il mio – nostro giorno libero, e non lo trascorrerò prendendo a calci in culo un mio consaguigneo-ma-non-troppo-grazie-a-Dio. »

Davanti a loro, il demone non sembrava aver notato il piccolo battibecco. Continuava a fissare senza posa una ragazza di non più di 18 anni, la bava che scorreva lungo la bocca, formando una piccola pozzanghera sulla strada (che schifo) e gli occhietti piccoli e inespressivi.

Disgustoso.

« È il mio lavoro. » Aggiunse Alec. La sua mano fremeva attorno al fianco, dove – lo sapeva, perché lo conosceva fin troppo bene – aveva nascosto dentro il cappotto una spada angelica. Gli Shadowhunter erano paranoici di natura, quindi non lo trovava troppo strano; che fossero anche degli stacanovisti, però, era del tutto nuovo.

Magnus si portò entrambe le mani all'altezza della fronte, massaggiandosi in cerchi concentrici le tempie.

Sapeva che era una battaglia persa – quando Alec si metteva in testa qualcosa era davvero difficile dissuaderlo – ma tentò comunque di farlo ragionare. Era un suo dovere, dopotutto. « Esatto, amore. Lavoro. Oggi è il tuo giorno libero, e mi hai promesso cucina cinese e notte di sesso selvaggio. Senza specificare l'ordine, aggiungerei. »

« Il crimine non va mai in vacanza. »

Magnus si stava pentendo amaramente di aver fatto vedere ad Alec quegli orribili film polizieschi anni '70.

« Esatto, per questo che quando tu e il biondino e Isabelle non fate le vostre ronde, ci sono altri Shadowhunter che vi coprono. » Ritentò, la voce oramai visibilmente incrinata sotto il peso dell'esasperazione.

« Non capisci. È una questione di principio. Quel coso mangerà la mondana che sta seguendo da mezz'ora, se noi non – »

Magnus lo guardò, truce. « Come fai a sapere che sta seguendo la mondana da mezz'ora? Alexander? »

Alec guardò il pavimento, giocherellando con la manica sgualcita della felpa scura, il rossore che si stava diramando rapidamente dalle guance fino al collo. Se non fosse stato così infastidito, avrebbe perfino potuto trovarlo carino. « Potrei aver casualmente scelto il ristorante in questa zona, perché il demone che sto cercando da settimane con Jace è stato avvistato l'ultima volta nelle vicinanze – eh eh eh. Le coincidenze. »

Sbuffando vistosamente, Magnus si portò le mani attorno alla vita. Discutere, come volevasi dimostrare, era a dir poco inutile. « Oh, e va bene! » Esclamò, e il volto del ragazzo si accese di luce nuova. « Però la cena la offri tu, biscottino. »

« Affare fatto. » Il volto di Alec si illuminò. Con uno slancio che Magnus aveva previsto-ma-non-troppo, gli gettò le braccia al collo e posò un bacio leggero sulle sue labbra. Il tocco gli fece quasi, ma non proprio, dimenticare tutta la frustrazione accumulata.

« E andiamo da Harper's! » Esclamò, seguendo Alec verso il demone.

« Oh, no. »
 

*


Scritta per la community "We are out of prompt", prompt: Magnus/Alec, di appuntamenti e demoni fastidiosi.
Oramai la gente mi odia, visto che le mie one-shot sbucano tipo ovunque. Ho quindi deciso, per comodità mia e dei lettori, di raccoglierle in un unica storia. A breve cancellerò le altre; mi dispiace un pochino per le recensioni che andranno perdute, ma le salverò tutte quante.
Grazie a chiunque commenterà/recensirà/altro.
:3

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Capitolo 2
*** Brillantina (Jace/Clary) ***


- 2 -
Brillantina


A volte, in amore, alcuni compromessi sono necessari. Dopo la festa a scuola Clary gli aveva chiaramente fatto capire che non sopportava più il suo stile di vita sconsiderato e arrogante, e, se ciò lo avesse aiutato a tenere con sé la sua donn- fidanzata, beh, allora avrebbe provato a cambiare, a migliorare un po'.

Era una situazione difficile, la loro. I trascorsi di Jace erano burrascosi, e ogni scusa era buona, per lui, per menare le mani o rasentare l'illegalità; solitamente, quando non c'era Alec ad aiutarlo, nessuna delle sue imprese finiva mai bene. Al contrario, Clary era la tipica ragazza di buona famiglia: solo dopo settimane di frequentazione aveva capito che dietro la ragazzina maldestra, timida e secchiona si nascondeva una vera e propria leonessa.

Com'era prevedibile, Jace si era innamorato perdutamente.

Si guardò a lungo allo specchio, passandosi una mano fra i capelli chiari. I pantaloni scuri erano rigidi e scomodi lungo le cosce; la camicia era di un colore chiaro, fresca e morbida sulla sua pelle, e le spalle erano coperte dal cardigan azzurro.

Faceva quasi fatica a riconoscersi, e, Dio, sembrava pronto ad andare a giocare a golf in uno di quei odiosissimi club privati che frequentava Robert.

Per un attimo, nel riflesso vide un altro ragazzo: una persona più seria, più adulta, più responsabile.

Cambiare era difficile, e sicuramente non sarebbe stato un vestito da fighetta a renderlo un uomo migliore, ma doveva dimostrare a Clary di essere serio nei suoi confronti.

"Per Clary," disse ad alta voce "solo per Clary."

Cazzo, avrebbe fatto follie pur di stare con lei.

Quando Alec lo vide scendere dalle scale, scoppiò a ridere fragorosamente, e gli disse che sembrava un pinguino cresciuto male; Jace gli mollò una gomitata su un fianco, rise dei suoi di vestiti, controllò che i capelli fossero sistemati bene (Dio, senza brillantina si sentiva così nudo) e uscì di casa.

Si sentiva scomodo e inadeguato in quegli abiti, come se fosse un attore mediocre in scena nel ruolo di protagonista a Broadway.

Amo Clary, continuò a ripetere fra sé e sé, lo faccio per lei. Lo faccio solo per lei.

Si erano dati appuntamento in un piccolo luna park che era stato aperto per la stagione primaverile. L'aria di aprile, frizzante e piacevole, gli scombinò i capelli, e Jace maledisse se stesso per l'ennesima volta per aver rinunciato alla brillantina. Parcheggiò la bicicletta (niente più moto) all'ingresso del parco, ansioso e nervoso, e aspettò.

Come avrebbe reagito Clary? Sarebbe stata contenta? Arrabbiata? Soddisfatta? Avrebbe capito che le sue intenzioni non si limitavano al mero cambio d'abito?

Quando Clary arrivò, tuttavia, fu il suo turno di trattenere il fiato.

Era tutto un fottuto incubo, oppure un sogno fantastico, dipende dal punto di vista.

Clary aveva i lunghi capelli rossi, solitamente tenuti legati stretti, sciolti, morbidi sulle spalle; i leggings di pelle le fasciavano delicatamente le gambe snelle, sensuali ma non volgari, e tutta la sua figura era slanciata da un meraviglioso paio di tacchi a spillo. L'opera, strana ma sensuale, era completata da un velo di trucco, ben definito ma piacevole allo sguardo.

Se questo è un sogno, non svegliatemi mai.

"Ehy-" esclamò lei, una mano sulla bocca; i suoi occhi verdi tradivano una profonda emozione "ma che hai fatto, Jace?"

Jace le si avvicinò, senza allontanare lo sguardo da lei, e le accarezzò un fianco con delicatezza "Sembra che abbiamo avuto la stessa idea."

"Sei--"

"Bellissimo? Affascinante? Il tuo sugar daddy?"

Clary gli diede una pacca giocosa dietro la nuca. "Sei veramente incredibile, Jonathan Lightwood. Non avrei mai creduto che-"

"Che cosa? Che potessi essere così sensuale, raffinato, elegante--"

Clary lo zittì con un bacio a fior di labbra.

"... che potessi fare tanto per me. Grazie."

Jace le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé, baciandole una tempia. "Grazie a te, piccola." 


 

*



Scritta per la community "We are out of prompt", prompt: Grease!AU.
Una flashfic che avevo pubblicato tempo fa, e scritto per la community di "We are out of Prompt". Ho tolto la storia originale e l'ho inserita in questa raccolta, per maggiore chiarezza.
Se vi è piaciuta, lasciate una recensione. :)
A presto.

 

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Capitolo 3
*** What Simon Wants (Simon/Isabelle) ***


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What Simon Wants

Frequentare Isabelle era una continua catena di emozioni, un susseguirsi di salite e discese e curve ripidissime, in un'avventura straordinariamente spaventosa a bordo delle montagne russe più pericolose del mondo. Ancora non riusciva a comprendere la natura o l'intensità del loro rapporto – Simon odiava non capire – ma lo sentiva dentro di sé, ed era una sensazione di completezza totale e totalizzante, come se il suo posto al mondo fosse lì, accanto a lei, attento a ogni espressione del suo bellissimo viso, ogni reazione che poteva indicargli cosa esattamente nascondevano quegli occhi scuri e meravigliosi.

In poche parole, quando si trattava di Isabelle Lightwood sentiva.

E la cosa lo spaventava parecchio, perché, veramente, non credeva di meritarsi una simile donna al suo fianco, non quando i suoi ricordi, o la mancanza di essi, lo tenevano saldamente ancorato a una vita normale e noisa, con amici normalissimi, in un liceo normalissimo, in cui demoni, vampiri e stregoni non erano che personaggi dei giochi di ruolo che tanto adorava.

Eppure eccola lì, davanti a lui, che lo guardava ancora con quell'espressione, calma e paziente, colma di affetto – amore? - e velata malinconia.

« Ti aspetterò, lo sai. » Esordì Isabelle all'improvviso, intuendo i suoi dubbi e le sue incertezze senza neanche lasciarlo parlare – i Nephilim avevano il dono della telepatia, oppure il loro legame era davvero così profondo? « Sei quasi morto, mesi fa. La cosa non mi entusiasma, sia chiaro, ma ehy, capisco-- le tue scelte, il tuo coraggio, la tua stupidità-- » Gli prese le mani fra le sue, accarezzandone la superficie coi polpastrelli; a dispetto delle unghie curatissime e perfette, le dita erano dure e callose sulla sua pelle. « Rispetto tutto questo, e in virtù di questo rispetto ti aspetterò. » Concluse con voce bassa, triste, ma decisa.

Simon avrebbe voluto afferrarle le spalle e baciarla sulle labbra piene, accarezzarle la schiena, dirle che dentro di lui, da qualche parte, c'erano amore e desiderio e affetto sincero. Avrebbe desiderato stringerla a sé, in un contatto sicuro ma non possessivo, sentire il suo seno contro il petto, i loro cuori battere all'unisono.

Avrebbe voluto tante cose, ma si limitò a stringerle le mani, le labbra socchiuse in un sorriso intimo e spontaneo.

Non si trattava di cosa avrebbe voluto, ma di cosa fosse giusto, e non voleva rendere tutto più difficile. Con le mani di Isabelle sulle sue gambe e la sua presenza calda e rassicurante accanto, Simon ne fu incredibilmente certo: in un modo o nell'altro, avrebbe sistemato tutto.


*
 

Seconda one-shot ripubblicata all'interno di questo archivio. Non ho apportato alcuna modifica se non a livello grafico, per renderla il più simile possibile alle altre one-shot della raccolta.

Commenti/critiche sono i benvenuti, ovviamente.

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Capitolo 4
*** Halloween in Nero (Magnus/Alec) ***


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Halloween in nero


Alec si guardò un'ultima volta allo specchio, insicuro. Il riflesso rimandava se stesso avvolto in uno di quei costumi che tanto detestava che gli aveva gentilmente prestato Simon. Non era niente di speciale o troppo vistoso: un pantalone nero, una camicia bianca e un lungo mantello nero e rosso lo coprivano interamente, nascondendo i marchi senza essere eccessivamente pacchiano. Come tocco personale, aveva aggiunto un cravattino rosso sangue rubato dalla riserva personale di Jace.

Trasse un respiro profondo, tentando di pettinarsi all'indietro i capelli con della cera. Stranamente, forse per la grande quantità che si era messo fra le mani, i capelli rimasero al loro posto senza troppe cerimonie.

Dentro quegli abiti ridicoli si sentiva decisamente stupido, ma per Magnus aveva fatto decisamente di peggio… andare a una festa di Halloween non doveva essere poi così complicato, no?

« Si tratta solo di una sera, » borbottò al suo riflesso « e ci tiene tanto. Non fare il codardo, Lightwood. »

Il costume non aveva niente di spaventoso: era un costume da vampiro proveniente direttamente della tradizione mondana. Gli sembrava vagamente ironico che proprio Simon fra tutti ne possedesse uno, ma non si sentiva così cattivo da farglielo notare.

Un giorno, forse.

Tuttavia, non era ancora convincente. Si spalmò addosso un po' del cerone che gli aveva lasciato Isabelle, cercando, come gli aveva insegnato lei, di scavare col trucco il più possibile le guance, esaltando gli zigomi. Disegnò con calma un paio di vistose occhiaie, e indossò con cura le lenti rosso sangue e i denti finti.

Guardandosi di nuovo allo specchio, si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.

Ecco, adesso andava un po' meglio.

-

Se c'era una cosa che Magnus Bane detestava, era aspettare.

Il party fin'ora era un successo; temeva che escludendo i vampiri del clan di Camille sarebbe venuta a mancare l'anima della festa, ma Jace-zombie, particolarmente ubriaco e ben truccato, si stava dimostrando l'anima della festa, rimanendo all'altezza delle aspettative del padrone di casa.

Si stavano tutti divertendo, e di questo ne era felice; solo, mancava Alec Lightwood all'appello. Il suo ragazzo era stato cristallino: « Affrontiamo questa merda ogni giorno, e i Mondani la celebrano pure! Disgustoso. » aveva commentato così la sua proposta di festa, e non se la sentiva di contraddirlo, dopotutto.

Sperare, tuttavia, non faceva mai male, specie quando spendi 300 $, fra abito, lancia ed elmo spartano, nella speranza di farti chiamare Leonida dal tuo ragazzo mentre gli fai un pompino.

Mentre beveva il terzo bicchiere di vino della serata, suonò il campanello. Sotto le note di “This is Halloween” Magnus scese al piano terra ad aprire di persona, nella speranza che si trattasse di Alec. Quando aprì il portone, tuttavia, davanti a lui non c'era nient'altro che l'aria fredda di Novembre. Si guardò attorno con attenzione, poi, pensando di essersi sbagliato, fece per rientrare in casa, quando un'ombra capitolò su di lui dall'alto, cogliendolo di sorpresa e atterrandolo con sospetta abilità.

Magnus provò a liberarsi, ma l'ombra lo teneva saldamente ancorato al terreno con le cosce muscolose; preso da un vago senso di eccitazione misto a istinto di sopravvivenza, incominciò a incanalare una luminosa palla di energia; quando riconobbe nel suo aggressore la figura eccessivamente pallida di Alec, tuttavia, si rilassò e ritirò l'incantesimo.

Si era aspettato qualcosa di sexy, di provocante, non il figlio del Dracula di Bram Stoker.

Era… inquietante a dir poco.

« Non pensavo saresti venuto. » Esordì. « Stai bene. »

« Non pensavo che ti avrei spaventato con così poco. » Ribatté prontamente Alec, avvicinando di più il volto al suo. C'era una certa cura nel trucco, e gli occhi rosso sangue sotto la luce dei lampioni brillavano di divertimento.

Magnus lo guardò male. « Non mi hai… spaventato. Mi hai preso solo di sorpresa. »

« Certo, certo. » Alec scoppiò a ridere « Vallo a raccontare a qualcun altro. »

Magnus fece per allungarsi per baciarlo, quando Alec lo bloccò con una mano.

« No. Ci ho messo un'eternità a truccarmi, e non ti permetterò di rovinare il mio lavoro. »

« Anche io ci ho messo un'eternità, eppure eccomi qui! »

Alec lo guardò con un sopracciglio inarcato « E' diverso. » Commentò dopo un attimo di silenzio.

« Dai, andiamo dentro. Inizia a far freddo. »

Alec si alzò da lui, scrollando con un gesto spiccio i pantaloni gessati. Tese una mano pallida a Magnus, che la afferrò e si alzò in piedi.

« Secondo me riesci a spaventare il biondino. »

La bocca di Alec si schiuse in un sorriso, rivelando i canini appuntiti. « Non vedo l'ora. »  

 

*
 


Scritta per la community "We are out of prompt", prompt:  Magnus organizza una festa di Halloween e spera che Alec si presenti, nonostante lui gli abbia più volte detto che odia travestirsi (taaaaaanto fluff, per favore c:)

Un'altra corta ficlet sui Malec, chiaramente a tema Halloween. :3

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Capitolo 5
*** In nome del padre (Sebastian/Jace) ***


Avvertimenti : light bondage, light blood play, incest. con questa bimba mi sono assicurata un girone caldo e confortevole all'Inferno.
Note : Scritta per l'evento della community We are out for prompt, col seguente prompt:
Jace/Seb. Crescere in una famiglia di assassini non è facile, soprattutto quando ti viene ordinato di far fuori la persona che consideri più di un fratello. (E se provi piacere a fargli del male, beh, questa è un'altra storia)
 
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In nome del padre

Sebastian iniziò a controllare i nodi che legavano Jace all’ampio letto matrimoniale, partendo dalle caviglie. Ne testò la solidità uno per uno con uno strattone, passò le estremità fra le dita pallide, tastandone la superficie come se stesse reggendo lembi di finissima seta. Disegnando una lunga linea con l’indice, risalì dalle caviglie nude all’interno coscia. La pelle sotto i polpastrelli era nuda, fredda, ma non vi era un accenno di tremore in lui, e questo rendeva le cose molto più interessanti. Lo accarezzò di sfuggita in mezzo alle gambe e – oh, quello proprio non se lo aspettava. Avrebbe voluto dedicare alla sua erezione tutto il tempo e le attenzioni che meritava, ma aveva degli ordini da eseguire, Sebastian aveva le sue priorità, e, come diceva il Padre, ‘prima il dovere, poi il divertimento’, sempre.
 
L’attesa prolunga il piacere, dopotutto, e il suo fratellino preferito meritava esclusivamente il meglio.
 
Avrebbe sorpreso molti il fatto che Jace, in tutto ciò, non si muovesse, né gli ringhiasse frasi rabbiose, ma Sebastian lo conosceva come i versi del ‘Paradise Lost’, e sapeva con certezza che dietro la sua espressione sardonica e sprezzante si nascondeva una fiducia in tanto irrazionale quanto malriposta. Si lasciò sfuggire un gemito fioco sotto il tocco di suo fratello, ma per il resto rimase immobile, e sarebbe parso in tutto e per tutto un ragazzino ingenuamente fiducioso, se non fosse stato per il ghigno che gli macchiava il bel viso.
 
Così, Sebastian risalì lungo la sua pelle, in un viaggio lento e appena accennato. Quando la sua mano giunse a controllare i nodi ai polsi, Jace piegò la testa a un lato, scoprendo il collo niveo in un gesto dal sapore di sfida e fiducia.
 
“Sai che se fosse per me non lo farei, ma…” iniziò Sebastian, sprezzante. Strinse maggiormente le corde, e Jace questa volta tremò lievemente sotto il suo tocco, i polsi bagnati da piccole gocce di sangue. Sebastian chinò il viso, e appoggiò le labbra su di esse; ne bevve come un sommelier assaggia un vino pregiato, con delicatezza, concedendosi il lusso di annusare l’odore ferroso appena accennato “nostro Padre lo vuole.” Con la bocca ancora umida, posò un leggero bacio sulla spalla di Jace, laddove il muscolo era in tensione per via della posizione scomoda.
 
Questa volta, ottenne da suo fratello una reazione più soddisfacente; il ragazzo si dimenò un poco, più per avvicinarsi al suo tocco che per scostarsene. Il pensiero di quanto stava accadendo avrebbe dovuto suscitare orrore in Sebastian, ma ebbe il potere di eccitarlo maggiormente.
 
“Nostro padre vuole tante cose, e non sempre esse sono realizzabili.” Mormorò Jace in risposta, lo sguardo dorato colmo di sfida.
 
“Vero.” Sebastian annuì, allontanandosi da lui di malavoglia. Prese dal tavolino poco distante un coltello, uno di quelli dal manico in ebano finemente decorato col blasone di famiglia, e si passò la lama sul pollice, verificandone l’affilatura. Con il pollice macchiato di sangue, ritornò da Jace, il quale non aveva smesso di seguire i suoi movimenti neppure per un secondo.
 
“Mi aveva addestrato… per ucciderti. Non ha mai voluto tu ne venissi a conoscenza, ma -- ”
 
“Shh.” Sebastian si chinò su di lui, prendendogli il volto fra le mani. Sfiorò le sue labbra con le proprie, senza dare a nessuno dei due la soddisfazione di un bacio vero e proprio. “Anche a me, infatti eccomi qua, che completo ciò che tu sei stato troppo debole per portare a termine.”
 
Passò il coltello sul suo petto, con gesti deliberatamente ampi e lenti. Jace trattenne il respiro, mordendosi il labbro inferiore, e Sebastian pensò di non averlo mai visto più bello di così, col torace sfregiato, il volto arrossato e i boxer gonfi come non mai.
 
“O forse sei tu il debole. Io ho avuto il coraggio di ribellarmi laddove tu hai continuato a comportarti da soldatino.” Rispose Jace con voce roca. La maschera di rilassatezza che indossava era caduta completamente, lasciando posto ad un’espressione confusa ed eccitata al tempo stesso, come se non riuscisse a comprendere la portata di quel momento fra loro, e Sebastian, anche se in modo forse più razionale, comprendeva fin troppo bene il suo stato d’animo. “Ho forse ragione?”
 
“Forse. Forse no.” Concluse Sebastian, puntando la lama all’altezza del cuore del fratello.

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Capitolo 6
*** Bonds (Jace/Alec - accennato) ***


Note : Scritta per l'evento di maggio della community We are out for prompt, per il seguente prompt:
Jace/Alec: L'incontro di Alec e Jace appena dopo il rito per la runa Parabatai.

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Bonds

Dopo il rituale, Jace scappa. Non sa bene dove andare, i complimenti del caso quasi lo spaventano, e, correndo fra corridoi e ampie vetrate, l’Istituto di New York gli sembra più grande di quanto non lo sia di solito.

Non si guarda indietro mentre corre, semplicemente perché non gli interessa se lo stiano inseguendo o meno, e l’unica persona di cui gli importa qualcosa è legata da poco a lui da un filo sottile ma pesante quanto un’incudine. Cerca rifugio in un sottoscala, proprio come quando era appena arrivato in America e si sentiva piccolo e solo e inutile.

Quelle sensazioni opprimenti tornano ad assalirlo voracemente, ed è con uno scatto che si appallottola su se stesso, poggiando il mento sulle ginocchia e portandosi le mani alle orecchie. Non capisce da dove derivi la sua reazione, anche perché ha sempre tentato di mantenere, almeno in pubblico, un comportamento razionale: forse è la pressione del momento, o forse – probabilmente, sicuramente, certamente - il suo gesto sconsiderato e maleducato è stato dettato da ben altri impulsi.
Si conoscono da poco più di un paio d’anni, eppure Alec, il suo unico vero amico, ha accettato senza storie di diventare suo Parabatai, neanche fosse stato Jace a fargli un favore chiedendoglielo. Dovrebbe essere contento che il rituale si sia concluso nel migliore dei modi, eppure tutto ciò che prova è solo una orribile stretta allo stomaco. Si tocca istintivamente la nuova runa sul petto, ora coperta dalla camicia scura; gli brucia ancora la carne, sfrigola in modo poco piacevole, ma sente Alec per la prima volta nella sua vita, ed è la cosa più incredibile che abbia mai provato.

E anche la più terribile.

Percepisce il suo battito cardiaco, vago ma regolare e , pulsante come non mai; ne carpisce lontane eco di emozioni, e sa con assoluta certezza che Alec è vivo, e sta bene; può quasi percepirne i passi, leggerissimi ma sicuri come quando è distante dagli adulti. Se da un lato questo collegamento lo rende felice, la parte più istintiva di lui ne è a dir poco terrorizzata.

Dentro di sé, è consapevole del motivo per cui sta scappando; quell’intima, orribile consapevolezza lo logora dentro da giorni, da quando l’idea della cerimonia è diventata solida e reale, dolendo in un modo che neanche la runa è capace di fare. Ricorda le parole di suo padre prima, e di Hodge dopo. I loro metodi d’insegnamento sono indubbiamente diversi, ma il principio è lo stesso: ‘Amare il tuo Parabatai è il peggiore dei tabù’.

Jace non sa cosa sia l’amore, ne è stato privato troppo presto per comprenderlo appieno, ma ciò che prova verso Alec è qualcosa di bello, puro, e non vuole distruggere quel poco di buono che la vita, nella sua infinita misericordia, gli ha concesso.

Amare vuol dire distruggere, e non vuole fare del male al suo Tutto.

Alec lo trova, ovviamente. Complice il legame appena instaurato, oppure il fatto che, più semplicemente, lo conosce meglio di chiunque altro, riesce a individuare la sua presenza nel sottoscala con una facilità impressionante. Jace si concede un attimo per alzare il volto dalle ginocchia nodose e guardarlo, ora che sono entrambi da soli: i suoi capelli avrebbero bisogno di un taglio urgente, e l’espressione perennemente imbronciata non rende giustizia al suo viso, ma i suoi occhi sono illuminati da emozioni nuove e antiche al tempo stesso, e a Jace non è mai parso più bello di adesso.

Il suo Parabatai quando lo trova non proferisce niente. Forse può sentire il tumulto interiore di Jace, forse no, ma comunque prima che Parabatai sono amici e fratelli, e questo è un legame che scorrerà sempre nelle loro vene, e di cui, a differenza delle rune, nessuno potrà mai privarli.

Alec si siede accanto a lui e, gamba contro gamba, gli prende la mano, stringendola contro il suo petto. Basta quel gesto a far spuntare sul volto di Jace l’ombra di un sorriso, e ogni preoccupazione, per il momento, svanisce come polvere al vento.

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Capitolo 7
*** “Vuoi scommettere?” (Clary/Isabelle) ***


Note : Primissima fanfiction femslash, abbiate pietà. Scritta per l'evento di maggio della community We are out for prompt, per il seguente prompt:

Clary/Isabelle: "Vuoi scommettere?"
 

- 07 -
“Vuoi scommettere?”

“Vuoi scommettere?” Clary aveva le braccia incrociate al petto e l’espressione testarda, e Isabelle non l’aveva mai trovata più bella di così. C’era qualcosa di magico nel suo volto a forma di cuore, nei suoi lineamenti gentili, nella sua espressione caparbia; forse era la stessa magia che legava suo fratello a Magnus, o forse no, ma la forza magnetica che emanava Clary era luminosa come il sole e semplicemente irresistibile, e per quanto si sforzasse, non riusciva a negarle proprio nulla, neanche una banalissima sfida a Mario Kart.

Incrociò a sua volta le braccia, facendo l’occhiolino all’amica. “Non avrebbe senso scommetterci su.” Fu il suo laconico commento “È ovvio chi vincerà: io.” Sottolineò l’ultima parola con un sorriso di sfida, che Clary ricambiò con un’espressione molto simile, ma che sul suo volto lentigginoso sembrava quasi divertente.
Dopo la brutta faccenda coi vampiri, Simon si era stabilito all’Istituto con loro, portando con sé una valanga di cianfrusaglie più o meno interessanti. Fra esse, la Nintendo Wii aveva attirato l’attenzione di Isabelle, che si era fatta insegnare ora da lui ora (sorprendentemente) da Magnus le basi di alcuni giochi. Per quanto avesse trovato alcuni videogames veramente ridicoli, aveva instaurato una sorta di rapporto amore-odio con Mario Kart: le piaceva il tipo di gioco, e battere Simon era sempre un piacere tutto particolare, ma detestava l’idea di essersi affezionata così tanto a un gioco così… così nerd, ecco.

Clary aveva insistito di essere più brava di Simon, Simon l’aveva smentita, e Isabelle si era intromessa nel battibecco, perché, provando a usurpare la rossa del suo titolo di Unica Campionessa dell’Istituto, avrebbe potuto unire l’utile al dilettevole, ottenendo magari qualcosa per sé. Se aveva interpretato correttamente i segnali impliciti che le aveva lasciato Clary, e di solito il suo gay-radar non sbagliava, avrebbe potuto…

Scrollò il capo, cercando di rimandare quei pensieri a un luogo e un momento più appropriati, e prese posizione sul divano, con Simon ad un lato (“Avete bisogno di un arbitro, perché se non fai attenzione Clary usa i trucchi.” Aveva commentato la sua presenza con un occhiolino. In realtà, se Isabelle aveva imparato qualcosa su di lui, era che provava un piacere quasi perverso nel vedere Clary sconfitta a qualsiasi videogioco) e Clary ad un altro.

La sfida fu, ovviamente, a senso unico. Per quanto Isabelle si sforzasse, Clary conosceva chiaramente meglio di lei il gioco, sfruttando al meglio passaggi segreti e tutto il resto, e le venne quasi il dubbio che, durante quelle settimane, Simon l’avesse fatta vincere apposta, perché aveva immaginato che avrebbe perso, sì, ma non certo con un divario così ampio.

Quando finirono, Clary lanciò il joypad in aria e si esibì in una piccola danza della vittoria; Isabelle, che non era abituata a perdere ma, davvero, avrebbe dovuto iniziare a farci l’abitudine, si portò le mani sui fianchi. “D’accordo, tesoro, hai vinto. Cosa vuoi in cambio?” Domandò con leggero un sorriso.

Clary si fermò immediatamente, guardandola a occhi spalancati. “Cosa?”

“Abbiamo fatto una scommessa. Tu hai vinto, io ho perso. Ti devo qualcosa.” Isabelle si alzò dal divano e si avvicinò a Clary con passo felpato, posandole una mano su un fianco. Simon, che faceva scorrere lo sguardo dall’una all’altra come se fosse la vittima ignara di un brutto scherzo, rimase in silenzio.

“Uh, niente, io–”

Isabelle protese una mano verso i suoi lunghi capelli rossi, portandole una ciocca dietro l’orecchio. “Insisto.” Aggiunse a bassa voce, senza distogliere lo sguardo da quello verde dell’amica.

“U-un bacio.” Mormorò Clary in risposta, con un tono abbastanza basso da non farsi sentire da Simon – ma nella confusione si era dimenticata, chiaramente, che aveva i sensi molto più sviluppati dei loro. Isabelle ridacchiò piano, trovando la sua ingenuità estremamente tenera, ma non glielo fece notare; per quanto possibile, le sarebbe piaciuto allungare quello spettacolo ancora per un po’.

 “Cosa?” Fingere sorpresa era una mossa poco onorevole, forse, ma aveva notato il modo in cui Clary la guardava ultimamente, e metterla un po’ in difficoltà non le dispiaceva affatto.

“Hai capito, Izzy. Un bacio.”

“Un bacio come? Dove?”

“Un bacio serio, Isabelle Lightwood!” Questa volta, parlò a voce un po’ più alta e stridula, visibilmente in imbarazzo; stanca di fingersi ingenua, Isabelle si protese verso Clary e posò le labbra sulle sue. Non approfondì il contatto – ci sarebbero stati momenti migliori, e il povero Simon aveva avuto abbastanza shock per quella sera – ma accarezzò il labbro inferiore con la punta della lingua prima di allontanarsi da lei.

“Era abbastanza serio? O la prossima volta devo indossare giacca e cravatta?” Le domandò, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.

Clary scoppiò a ridere a sua volta, e la abbracciò.

 

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