Shadows of Nigth

di CLA_SOFI
(/viewuser.php?uid=893812)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Sole. Sole accecante che abbaglia gli occhi. Sento dei passi, mi volto, non vedo nessuno. Continuo a camminare, sono senza fiato ma proseguo. So che se mi fermo sono spacciata. Non mi possono raggiungere, non mi devono raggiungere. Sento un rumore assordante, sembra un esplosione, ma non posso voltarmi. Il cielo per un istante diventa rosso fuoco, poi tutto buio. Un ombra si impadronisce della città, potrebbe sembrare un temporale improvviso, ma io so che non è così.

Manca poco, sono quasi arrivata alla casa abbandonata, per tutti noi è “Il Covo”.

Busso, da dentro sento un rumore sordo, qualcosa è caduto a terra. Una voce roca mi chide la parola d’ordine, esito un attimo poi dico: “Felis”. Il tempo si ferma, sento il chiavistello girare lentamente, come a rallentatore, mi volto verso il canale, l’ansia inizia a salire, la sento entrare dalla punta dei piedi fino ai capelli. Solo ora mi rendo conto che potrebbe essere una trappola, ma ormai non è più tempo di ripensamenti, la porta si apre, con passo sicuro varco la soglia, sono consapevole del rischio che sto correndo ma questo è l'unico modo per sapere chi sono veramente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Capitolo 1


L’aria mi sferza sul viso, corro controvento per lasciarmi alle spalle tutto ciò che è successo oggi. I roller filano veloci sull’asfalto, all’incrocio svolto a destra per poi proseguire verso la campagna. La notte è alle porte ma non voglio tornare a casa, non voglio incrociare di nuovo lo sguardo dei miei genitori. I lampioni si accendono, emanano una tenue luce rossa che assomiglia a quella  delle lanterne di fine estate. Qualche anno fa andavamo in cima alla collina per ammirare lo spettacolo ma adesso, neanche quello mi potrebbe tirare su di morale. Una strada completamente diritta si pone davanti a me, accelero un po’, salto il canale di scolo e mi preparo alla salita del ponticello. In cima mi fermo un attimo, sotto di me lo scrosciare dell’acqua creata da una cascatella rompe il silenzio della notte. Scendo dal ponte premendo sui freni dei pattini, vorrei che questa giornata finisse, vorrei che questo mese finisse e cominciasse l’estate. L’edificio che ospita le piscine si staglia davanti a me, la rete da pallavolo, i tavolini del bar, tutto deserto. Vedere la città di notte mi fa uno strano effetto, nonostante non ci sia nessuno ho sempre la sensazione di essere osservata.

Dei fari  mi accecano, un auto prosegue a passo d’uomo lungo la strada. All’interno due uomini mi scrutano, rallentano fino quasi a fermarsi, poi proseguono parlando sottovoce.

Raggiungo una piccola casa a schiera, il cancello è aperto, mi infilo nel piccolo giardino dominato da un’imponente albero, troppo grande per lo spazio che ha a disposizione. Mi avvicino alla portafinestra e busso quattro volte. Mi piace il numero quattro, quattro segni cardinali, quattro stelle nella Croce del Sud, quattro elementi naturali. In giapponese quattro si pronuncia come il nome “Morte”, pensano che porti sfortuna ma io non vivo in Giappone quindi non mi pongo il problema. Non faccio in tempo a perdermi nei miei pensieri che una figura scura emerge dall’ombra, Helen apre la porta ed esce senza far rumore.

Tutto fila liscio come al solito, ormai è un po’ che lo facciamo, usciamo di notte e poi rientriamo prima che i nostri genitori se ne accorgano. Ci avviamo lentamente verso la piazza. Lungo il tragitto non ci diciamo una parola, a volte il silenzio spiega molte più cose e ormai noi ci capiamo con uno sguardo. Da dietro le case sbucano le torri del castello, spesso immagino di abitarci, chissà come dev’essere vivere in un posto così pieno di misteri come un’antica fortezza medioevale. La cinta muraria si staglia davanti a noi, ci giriamo attorno fino a che non giungiamo presso la porta di accesso alla città vecchia. Non una luce, non un lampione acceso, tutto è immerso nell’ombra. Nonostante il buio vedo lo stesso il profilo dell’antico castello, ci avviciniamo all’ingresso, ad un certo punto ci guardiamo negli occhi, la luna si riflette nelle pupille marroni di Helen che diventano più chiare, quasi gialle, di notte i suoi occhi si accendono come le stelle nel cielo. Ci basta uno sguardo per capire che siamo un po’ nervose ma senza parlare, prendo la chiave che tengo al collo e la inserisco nella serratura del portone. Un click metallico annuncia che la porta è aperta. Ci infiliamo nell’uscio e ci richiudiamo la porta alle spalle. Il cortile del castello è avvolto nella penombra, sul fondo del pozzo posso scorgere il riflesso della luna, oggi è particolarmente luminosa ma nè io nè Helen abbiamo bisogno della sua luce visto che al buio vediamo benissimo. Una figura scura si stacca da una colonna, è Gabriel, con in testa il suo solito cappellino da baseball. Si avvia verso di noi a passo lento, si ferma a circa tre metri da Helen e sul suo viso compare un ghigno. Ci sta di nuovo prendendo in giro perchè non l'avevamo visto, d'altra parte siamo tutti e tre  creature della notte, e sappiamo come nasconderci. Andiamo verso la camminata di ronda, con un balzo raggiungo la terrazza e da lì salgo sul tetto spiovente. Adoro la notte, la notte fa emergere l'animale che c'è in me. Sono un gatto, un gatto nerissimo, cammino sulle tegole rovinate dal tempo, le sento sotto i cuscinetti delle zampe ruvide come carta vetrata. Sono quasi in cima, Helen e Gabriel mi stanno aspettando osservando la collina protetta dalle mura. Anche loro sono animali, Helen è grosso gufo dagli occhi gialli, quando vola è velocissima e maestosa, quando la guardo mi vengono in mente i gufi di Hogwarts, il castello dove viveva Harry Potter. Da piccola ho letto e riletto quella saga almeno una decina di volte e ancora adesso a volte, immagino di essere una piccola streghetta. Finchè sono assorta dalla mia immaginazione Gabriel mi si avvicina. Non lo sento arrivare fino a che non mi si struscia addosso. Anche lui come me è un grosso gatto, però è rosso fuoco come i suoi capelli, nonostante questo riesce a intrufolarsi ovunque e nessuno riesce mai a beccarlo. Non sappiamo perchè possiamo diventare animali, non sappiamo se lo possono fare i nostri genitori, non sappiamo se anche altre persone possono farlo. Da ormai cinque anni siamo costantemente assillati da queste domande, a cui per ora non riusciamo a dare una risposta. Guardo i miei amici e so che stiamo pensando tutti e tre alla stessa cosa, guardo all'orizzonte e vedo che l'alba si sta avvicinando così con un cenno li saluto e mia avvio verso casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2


La sveglia irrompe nei miei sogni. È ora di alzarsi. Salto giù dal letto a castello e vado in bagno. Mi sciacquo la faccia e rimango qualche minuto ad osservare il mio riflesso nello specchio. Ogni volta che mi guardo non mi riconosco, mi trovo ogni giorno diversa. Ripenso a quand'ero piccola, a quando avevo cinque/sei anni, a quando giocavo a nascondino con le amiche, a quando facevamo le gare di corsa nel cortile delle elementari dopo la mensa. Penso al primo giorno delle medie, quando nell'aula magna ci hanno chiamati uno ad uno per suddividere le classi. Mi sembra impossibile che siano passati quasi cinque anni da allora... Sento chiamare il mio nome e ritorno alla realtà, sono già le 7.00 e devo ancora preparare lo zaino e fare colazione. Appena finisco di mangiare mi precipito fuori casa per corre a prendere l'autobus. Arrivo appena in tempo e mi butto nei primi due sedili vuoti. È incredibile la velocità con cui mi estranio dal mondo, il mio corpo è in un posto mentre la mia testa è da tutt'altra parte. È come sognare solo che... è molto più bello. Appena sento il rombo del motore avviarsi mi infilo le cuffiette, e non sento più niente del mondo esterno. Le parole di una canzone mi travolgono come un'onda di un mare in tempesta:

 

“Today is gonna be the day

That they're gonna throw it back to you

By now you should've somehow

Realized what you gotta do

I don't believe that anybody

Feels the way I do about you now”


Credo che veramente oggi sia la mia seconda occasione, la mia seconda possibilità, l'unica possibilità per riscattarmi... Vorrei poter pensare che sia la mia seconda possibilità per battere il male, per compiere un atto eroico e salvare il mondo, ma purtroppo nessuno ha bisogno di me, e l'unica cosa che devo riscattare è il brutto voto in latino, la materia che odio di più al mondo, anzi la materia che insegna la prof che odio di più al mondo. La prof Valli, una donna sui cinquant'anni con un corpo tanto minuto che le si potrebbe vedere attraverso. La scuola per lei è un lavoro e basta, un modo come un altro per guadagnare lo stipendio, e il suo metodo di insegnamento lo dimostra. Solo che lei non ci rimette niente mentre noi se ci va bene , ci passiamo un'estate a studiare, se ci va male, perdiamo un anno di scuola, quindi oggi, il giorno del grande quiz sarà questione di vita o di morte, sarà il giorno che decreterà la mia sopravvivenza alla scuola superiore, o peggio, la sopravvivenza ai miei genitori che mi uccideranno se non passo il test. Ancora una volta mi sono persa a fantasticare, non mi sono neanche accorta che qualcuno si è seduto di fianco a me, non gli presto particolare attenzione anche se quando scendo mi accorgo che qualcosa di lui mi è familiare. Ha dei folti ricci neri ma gli occhi sono di un azzurro brillante, azzurro come il cielo d'estate, azzurro come le granite all'anice che si bevono d'estate, azzurro come gli occhi di mia madre, azzurro come i miei occhi. So per certo che non lo conosco ma qualcosa di lui mi colpisce. Sto aspettando che il semaforo diventi verde per poter andare dai miei compagni e noto che anche lui è sceso dal bus, ma non sembra molto a suo agio. Si guarda nervosamente intorno, e spesso si gira come per controllare che non abbia nessuno alle spalle, anche se con tutti questi studenti è davvero difficile. Ecco il verde, tutti i ragazzi si avviano dall'altra parte della strada e così anch'io. Sto per raggiungere i miei amici quando sento qualcosa che mi sfiora il braccio e provo un brivido, il mio corpo si irrigidisce. Non avevo mai provato niente di simile, è stato come se una forte scossa partendo dal braccio si fosse irradiata in tutto il mio corpo. Per una attimo vedo tutto nero e mi accuccio per terra. Istintivamente mi guardo il braccio ma non noto niente di strano. Alzo lo sguardo e vedo la sua figura che si staglia dinanzi a me. Mi fa cenno di seguirlo così mi alzo e cercando di rimanere disinvolta cammino dietro di lui. Ha un passo svelto, cambia spesso strada e cerca di passare inosservato. Dopo cinque minuti ci fermiamo sotto ad un grande albero nei giardini pubblici. Ho il fiatone. Ci metto qualche istante a riprendermi e devo tirare fuori tutto il coraggio che ho per guardarlo di nuovo negli occhi. Ha uno sguardo profondo ma allo stesso tempo pensieroso. Le fronde degli alberi creano strane ombre sul suo volto. Un lieve venticello muove le foglie quasi a ritmo di musica, il loro frusciare riesce quasi a coprire il rombo dei motori della statale al di là della siepe. Mi siedo appoggiando la schiena contro il tronco di una salice piangente, le fronde ci avvolgono, creano uno scudo intorno a noi ma non so ancora se sia una cosa positiva. Una voce rompe il ghiaccio <>, lo guardo e penso... 'Allora che?', continua <>, vorrei rispondergli ma non riesco a parlare. Vorrei sapere un sacco di cose, come si chiama, perchè siamo qui, ma soprattutto perchè ha un'aria familiare. Così mi esce un debole <>, è quasi impercettibile, in realtà non so neanche se l'ho detto davvero o se è solo un altro scherzo della mia testa, ma lui deve averlo colto e mi risponde. <> con  questo se ne andò. Per un attimo rimasi in piedi impietrita, poi guardai l'orologio e mi accorsi che avevo tre minuti per farmi trovare in classe, così iniziai a correre verso la scuola a più non posso. Nathan... chissà cosa voleva dire con “Siamo in pericolo”, e per siamo chi intendeva? È con queste domande che passai le cinque ore di lezione successive. Mi sentivo un animale in gabbia, braccato nel mio territorio. La scuola che pensavo essere il luogo più sicuro per un adolescente diventa all'improvviso la mia trappola. Ma in fondo come posso esserne sicura, come posso sapere che Nathan mi abbia detto la verità? Alla fine è solo uno sconosciuto per me eppure... in lui c'è qualcosa di diverso. Sono le 13.10, la campanella finalmente si fa udire. Ripongo i libri nello zaino e mia avvio verso i cancelli. In questo breve tratto osservo i volti degli studenti, come possono essere una minaccia, un pericolo. Imbocco una stretta via e sbuco in una strada trafficata, il semaforo come sempre è rosso. Finchè attendo il verde un compagno di classe mi si affianca in bicicletta accennando un saluto, gli rispondo senza badarlo, sono troppo presa a ripensare al discorso di Nathan che non mi accorgo del semaforo, ha fatto in tempo a diventare verde ed a tornare rosso, così aspetto ancora impazientemente. Arrivo alla fermata del pullman in tempo per salire anche se di posti a sedere non c'è più neanche l'ombra, così faccio l'intero tragitto fino a casa in piedi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3298228