Drunks always tell the truth, you know?

di itsuselessbitch_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** αλoνε. ***
Capitolo 2: *** λιαρ. ***
Capitolo 3: *** Ρεαλιτυ. ***
Capitolo 4: *** μιστακε. ***
Capitolo 5: *** ι ωαντ τo βε σελφιση. ***
Capitolo 6: *** ι λικε υoΥ. ***
Capitolo 7: *** χoνφεσσιoν. ***
Capitolo 8: *** διννερ. ***
Capitolo 9: *** εξπεριενχε. ***



Capitolo 1
*** αλoνε. ***


αλoνε.
(solo)




«E con questo, spero di aver risposto a tutte le vostre domande riguardo ai corsi di recupero programmati per gennaio. Grazie a tutti, potete tornare a scuola, o se avete il permesso, potete rincasare.»


Il rumore degli alunni che si alzano dalle sedie chiacchierando riempie la grande sala conferenze in cui si era tenuta un'altra assemblea scolastica, diretta da Louis Tomlinson, rappresentante d'istituto. Frequenta la quarta superiore, ed è uno dei ragazzi più studiosi e rispettati del liceo. Per questo è stato eletto rappresentante, e non ha mai deluso nessuno. La nostra scuola ha innumerevoli problemi, ma lui, da quando è in carica, sta cercando di risolverli. Tutte le ragazze gli corrono dietro, tutti i ragazzi sono gelosi perché è un rubacuori e non c'è più territorio da marcare per loro. Il suo non è nemmeno un personaggio: è proprio come si presenta nelle assemblee. Gentile, educato, premuroso, sempre con la risposta pronta, disponibile ad aiutare chiunque. C'è una piccola parte della scuola che non lo sopporta, ma questo succede sempre, quando sei famoso. Lui non sembra fregarsene, in ogni caso, perché i suoi sostenitori sono molti di più.

Pare un'entità al di sopra di tutti, un imperatore perfetto. Odio queste persone, venerate da chiunque, messe su un piedistallo. Non sbagliano mai, sanno sempre cosa fare, come risolvere i problemi, e se osi andargli contro i loro mille “fans” ti sbranano. Di solito li disprezzo sempre. Qualcosa dev'essere andato storto, stavolta, perché non so cosa mi stia passando per la mente, ma mentre lo osservo parlare con il suo vice, lo trovo affascinante. Occhi azzurri, labbra sottili, corpo magro, capelli castani arruffati… è davvero il fidanzato che vorrebbero tutte. Non posso fare altro che guardarlo da lontano, purtroppo. Perché sono le donne che devono innamorarsi di lui, non io.

Non Harry Styles.

In realtà, non conosco nemmeno io i miei veri sentimenti, perché nella mia vita non ho mai provato nulla per le altre persone che mi circondavano, vivevano la loro vita, facevano esperienze, si divertivano. Io non so nemmeno cosa voglia dire. Quindi come faccio a definire quello che sento per Louis Tomlinson? Ammirazione, rispetto, infatuazione, cotta? L’ultima sembra una cosa da dodicenne con gli ormoni a palla. Ovviamente penso sia uno dei migliori rappresentanti degli ultimi tre anni, e a quanto detto dai più grandi, anche degli ultimi cinque, e per questo ci vuole davvero un’immensa capacità, quindi è quasi scontato che si rispetti una persona del genere, nonostante magari soggettivamente risulti antipatico. D’altronde i grandi leader non hanno il compito di fare battute esilaranti ai propri elettori, ma quello di far funzionare un’organizzazione. E ripeto, lui ci riesce in modo impeccabile. Eppure questo non risolve il groviglio di pensieri che ho in testa, perché se fosse solo questo sarei uguale ai suoi altri mille sostenitori. Se avessi qualcuno con cui confrontarmi lo chiederei a lui/lei, ma non sono uno che conversa molto né prende confidenza con i compagni di classe. Può essere a mio svantaggio, soprattutto adesso che avrei bisogno di supporto, ma sono sicuro che posso mettere a posto da solo questa faccenda. In effetti, però, qualcuno con cui ho parlato di altro oltre ai compiti e alle verifiche, esiste. Il problema è che questa persona è proprio Louis Tomlinson. Chiedergli come fare a capire i miei sentimenti... Per lui? Pare la trama di un film comico, ma forse se omettessi il soggetto non sarebbe un grosso problema. Come sempre, però, sono quasi certo che non farò nulla, e lascerò scorrere il tempo senza muovere un dito, perché guardandolo, capisco che non ci sarà mai possibilità per me, anche solo immaginandolo in un universo alternativo. Lo capisco da come sorride timidamente alle ragazze che gli fanno complimenti, da come le abbraccia; non c'è posto per nessun altro. Non so neanche cosa mi ha fatto pensare per un attimo che potessi avere un briciolo di speranza.

Forse punto ad una svolta in una vita noiosa e monotona, dove ogni giorno sembra il deja vu del precedente.

Nella mia testa il mondo va avanti come voglio io: in una situazione dove i miei compagni si riuniscono in cerchio per parlare delle gite, anche io ne prendo parte, mi siedo su un banco e faccio battute; quando ad una ragazza cadono i libri, io la aiuto e ne approfitto per flirtare con lei. Durante la ricreazione, sono sempre quello che va in giro e viene salutato da chiunque. Nella realtà, invece, sono solo uno spettatore silenzioso, che assiste senza aprire bocca. Sono quello che all'intervallo rimane da solo in classe, seduto a leggere. Quello che quando vede passare qualcuno, abbassa lo sguardo e fa finta di non esistere. Non credo di avere paura del parere delle persone, né di essere depresso; semplicemente, vivo da sempre in questo modo, e ormai è diventata un'abitudine. Penso che se fosse stato davvero un problema, qualcuno avrebbe cercato di cambiarmi, o almeno darmi dei consigli per essere più estroverso. Se nemmeno i miei genitori ci hanno provato, vuol dire che probabilmente non sono così importante da essere spronato a fare del mio meglio. Potrei provarci io stesso, ma in quanti noterebbero il mio cambiamento? E soprattutto, in quanti lo incoraggerebbero, aiutandomi? Immagino nessuno, ed è questo che mi ferma senza neanche essere partito. Sono pessimista? Molto probabilmente sì, ma è meglio essere realisti che rimanerci male in seguito per aver tentato qualcosa di impossibile.

Nonostante abbia sempre avuto questa mentalità, sento che c'è qualcosa di diverso in me. Il cuore mi sta battendo così forte che penso di avere un infarto. I piedi si muovono da soli dalla parte opposta rispetto all'uscita. Mi accorgo in ritardo che sono vicino al palco delle conferenze. Il solito Harry non si avvicinerebbe mai a Louis Tomlinson con la mano alzata e un sorriso sicuro. Eppure, me lo trovo davanti, e i suoi occhi azzurri mi folgorano. Appena mi vede, mi saluta con un sorriso che disintegra completamente il mio; abbasso la mano, e in quel preciso istante la mente si svuota. Cosa diamine sto facendo? Un secondo prima lo stavo fissando da venti metri di distanza, impegnato in un soliloquio, e adesso riesco benissimo a sentire la sua voce acuta e incredibilmente dolce.

«Ehi, ciao… mi ricordo di te, ma mi sfugge il tuo nome, potresti ripetermelo?» esordisce, girandosi a salutare l'altro ragazzo con cui stava parlando. Vorrei prenderlo a schiaffi. Tomlinson, smettila di essere così gentile con tutti. Potrebbe esserlo perfino con un demone. Sembra fin troppo ingenuo.

«Sono… Harry Styles.» ringrazio il cielo di non aver dimenticato il mio nome.

Louis si dà una pacca sulla fronte. «Scusa, che idiota… Harry! Abbiamo anche parlato da poco, giusto? Spero di non averti offeso, ma con tutti gli studenti di questa scuola, è difficile ricordarsi i nomi....» unisce le mani come se mi stesse pregando. Io scuoto la testa senza aggiungere nient'altro, perché scommetto che entrambi ci stiamo chiedendo perché diavolo mi sono avvicinato.

Accorgendosi del fatto che sono completamente imbambolato a fissarlo, cerca di spronarmi a parlare: «Allora, c'è qualcosa di cui vuoi discutere con me? Qualche problema?» e dicendo questo, mi appoggia una mano sulla spalla. Cerco di non sussultare al suo tocco. Ho bisogno di un lungo respiro per prendere coraggio. Mi si è presentata un'occasione – creata dalla distrazione – e non posso sprecarla stando in silenzio davanti a lui. «Sì, cioè… in realtà, volevo solo farti i complimenti per il tuo, come sempre, brillante discorso.» ci aggiungo un sorriso, ma mi rendo subito conto che mi è uscita un'orribile smorfia. Sento la faccia paralizzata e fuori dal mio controllo. Lui ridacchia e si passa una mano tra i capelli.

«No, niente di che, figurati. Comunque grazie mille, sei gentile. Devi tornare in classe, o puoi andare direttamente a casa?» chiede guardandosi intorno. Probabilmente sta controllando se ci sono dei miei compagni. Guardo l'orologio e tiro un sospiro di sollievo. Anche oggi l'inferno è finito.

«Se abbiamo il permesso possiamo uscire. Ah, se devi andare via, ti lascio… scusa se ti sto trattenendo» esclamo preso dall'agitazione. L'ultima cosa che voglio è risultare fastidioso o trattenerlo contro il suo volere. Louis mi ferma con un cenno della mano e sorride. «Non ti preoccupare. Anzi, sono da solo, ti va se facciamo insieme la strada verso scuola?».

Sento il cuore che si ferma. Io e lui? Da soli? Lo fisso con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Tento di balbettare un consenso, ma mi escono solo delle sillabe a caso mentre cerco di formulare una frase intelligente nella mia testa. Non ci riesco, il mio cervello si è fuso dopo aver sentito il suo invito. Finalmente riesco a farfugliare un “sì” tremolante, e lui mi rivolge un sorrisone. Questo ragazzo riesce a riempire il vuoto lasciato dalla mia inespressività, è incredibile quanto sia vivace.

Ci avviamo verso l'uscita, mentre lui cerca di attaccare bottone parlando delle attività scolastiche. Io annuisco con un sorrisetto impacciato, mentre lo guardo, e mi rendo conto di quanto sia da ammirare. Più lo penso, però, più sono confuso. Non ho ancora capito i miei sentimenti. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie, e a momenti riesco a sentire i miei pensieri. Quando sento il suo silenzio, capisco che forse sta sperando di sentire la mia opinione sul suo discorso. Alzo lo sguardo e la prima cosa che mi viene in mente è forse la più stupida.

«Ho notato che hai molto successo con le ragazze» mentre pronuncio queste parole, mentalmente maledico la mia incapacità di sostenere una conversazione. Louis fa spallucce e pare quasi infastidito dall'argomento. Abbassa lo sguardo e ci mette un po' prima di rispondere. Wow, Harry, sei proprio un genio.

«Dici? Non so, sinceramente è l'ultimo dei miei pensieri. E poi, le ragazze che mi corrono dietro sembrano tutte così superficiali e interessate solo al Louis che, due volte al mese, fa un discorso che si è preparato in precedenza. Ho paura che si siano fatte l'idea sbagliata su di me, e mi credano un dio onnipotente.» sospira malinconico. Rimango incredulo a fissarlo, è stato come ricevere un pugno in piena faccia. Non l'avevo mai pensata così riguardo alla sua vita, e mai avrei immaginato che ci potessero essere lati negativi nell'essere… Louis. Forse anche io faccio parte di quelle “ragazze superficiali”, ma mi limito ad annuire e far finta di capire perfettamente come si sente. «Anche tu sei uno di quelli gelosi del fatto che tutte le ragazze ci provino costantemente con me?» chiede subito dopo, e mi guarda dritto negli occhi. Riesco a reggere poco il suo sguardo, e lo distolgo subito rivolgendo la mia attenzione al cemento sotto ai miei piedi. Nonostante lui si stia confidando in modo così personale, ho paura di rivelargli qualcosa che potrebbe non piacergli affatto. In fondo, non so che cosa ne pensa di questi argomenti delicati.

«Affatto… non mi sono mai sentito geloso di te. O almeno, non per questo motivo.» azzardo, stando sul vago. Non vorrei che arrivasse da solo ad una conclusione. Sto diventando davvero paranoico. Lo sento sbuffare divertito.

«Non sei il primo che me lo dice…»

Continuo a dire cose che gli dicono tutti. Non sono interessante, lo so. Sono uguale a tutti gli altri, ma nella mia testa ero convinto che sarei riuscito a differenziarmi dalla massa. Essere pessimista mi ha sempre difeso da questo tipo di situazione, e appena ho abbassato la guardia, mi è stata data una punizione. Ho osato troppo: dovevo fermarmi dal momento in cui ho alzato la mano per salutarlo. Avrei dovuto… mi rivolgo casualmente verso di lui, e lo vedo che mi sta guardando. Capisco che mi ha chiesto qualcosa, ma ero così assorto nei miei pensieri che non l'ho nemmeno sentito. «Non era per dire che sei noioso, scusa se sono stato così diretto.» esclama agitando le mani. Mi viene spontaneo sorridergli. Come fa ad averlo capito solo vedendomi meditabondo? Riesce ad essere molto empatico, probabilmente. Io non so neanche cosa voglia dire.

«Beh – alziamo entrambi la testa per guardare la facciata principale della scuola – è stato un piacere, Harry. Devi prendere il treno per tornare a casa?» chiede lui.

Annuisco, vorrei aggiungere qualcosa di simpatico, ma riesco solo ad indicare la strada che porta alla stazione. Louis mi dà una pacca sulla spalla e geme affranto. «Purtroppo per me non è ancora finita… devo lasciare un resoconto dell'assemblea di oggi. Mi raccomando, se ci incontriamo per i corridoi, non esitare a fermarmi per fare quattro chiacchiere, ok? Ciao, ci vediamo!» e dicendo così, si avvia verso l'entrata, sparendo in poco tempo. Rimango là finché non lo vedo in cima alle scale.

Riesco a fatica a distogliere lo sguardo e raggiungere la stazione dei treni. C'è qualcosa che mi attrae ancora alla scuola, solitamente impensabile; mentre cammino, rifletto sulla nostra conversazione, e come per ogni circostanza, nella mia testa si materializza un Harry sicuro di sé, sagace, divertente e mai noioso, che riesce a mantenere viva la chiacchierata fino all'ultimo secondo, grazie al suo umorismo e alla sua spontaneità.

Ovviamente non raggiungerò mai quel traguardo. Dubito anche che riuscirò a fermarlo per parlare, come se ci conoscessimo da tanti anni. Alzo il capo per un attimo, sono circondato da altri studenti divisi in vari gruppetti che ridono e schiamazzano. Riabbasso la testa, ed è come se quelle persone sparissero.

Giorno dopo giorno, ognuno di noi vive una grande bugia: amici, parenti, sconosciuti intorno a noi ci fanno credere di essere parte integrante del mondo, di poterlo cambiare, di poter fare la differenza, di esistere per seguire il destino scelto da noi stessi; parliamo, ridiamo, scherziamo insieme perché abbiamo paura di scoprire la verità. Purtroppo però, è inevitabile scontrarsi con essa. Appena smettiamo di interagire uno con l'altro, ci rendiamo conto di essere solo un minuscolo tassello di un Universo troppo ampio. E scopriamo la verità.

Siamo soli.

αλoνε


Sono passati cinque giorni da quando io e Louis abbiamo passeggiato insieme. Non riesco a togliermelo dalla testa, neanche mentre cerco di prestare attenzione all'insegnante che spiega filosofia. Le parole vorticano nella mia mente, si mescolano insieme, ricominciano da capo, le lettere si scambiano, ma la conversazione rimane identica. Non riesco a migliorarla in nessun modo, perché non avrei saputo dire niente di diverso da quello che effettivamente ho detto. Anche se mi preparassi un discorso immaginando le sue risposte, riuscirei ad essere prevedibile e uguale a tutti quelli che lo fermano per fargli i complimenti.

«Scusi il disturbo, professoressa».

La Collins si blocca di colpo e gira di scatto la testa verso la porta dell'aula. E' già pronta a sgridare chi l'ha interrotta, con il dito alzato e la voce rauca, ma nel momento in cui riconosce il disturbatore, la voglia di fare la ramanzina sparisce, rimpiazzata da un sorriso compiaciuto. «Oh, caro Louis! Dimmi pure.»

Non l'avevo mai sentita usare un tono così dolce con uno dei suoi studenti. Un attimo, faccio ripartire la sua voce nella mia testa. Cos'ha detto? Louis? Alzo subito la testa e lo trovo appoggiato all'uscio della classe. Ridacchia e si passa una mano tra i capelli, poi si avvicina all'insegnante per comunicarle qualcosa che non arriva al mio orecchio a causa del brusio che si è creato. Alcune ragazze stanno commentando la sua bellezza, e i ragazzi sbuffano stizziti. Louis ha finito di parlare, la Collins annuisce e si schiarisce la gola prima di parlare.

«Dopo l'assemblea di ieri, alcune classi hanno richiesto un confronto diretto con Louis per parlare delle varie problematiche. Perciò c'è bisogno che uno di voi vada con lui a rappresentare la vostra classe. So che qui dovete ancora eleggerlo, quindi, chi vuole andarci?» annuncia spostando lo sguardo da uno studente all'altro. Venti mani si alzano contemporaneamente, qualcuno esclama anche “Io!” per attirare l'attenzione, e agita il braccio. Tutti i presenti nell'aula sanno perfettamente le vere intenzioni di quelle venti persone, cioè saltare la lezione. La Collins sembra spazientita mentre cerca qualcuno di affidabile. I suoi occhi si fermano pericolosamente su di me. Non io, non io, non io. Preferisco sorbirmi due ore di filosofia, piuttosto che andare a “rappresentare” - stando in silenzio - la mia classe.

«Styles, perché non ci vai tu?» mi sorride, e per un attimo vedo della malizia nel suo viso. Boccheggio, non posso rifiutare, so bene che la sua domanda è retorica, e non ha intenzione di negoziare con me. Mi alzo con la testa china e raggiungo Louis che mi saluta a bassa voce. Rivolgo un ultimo sguardo verso i miei compagni, che in questo momento mi stanno disprezzando più del solito.

«Torniamo a noi!» dichiara la professoressa, mentre chiudo la porta dietro di me.

Prendo un grande respiro, e tento di stare calmo. Dopo cinque giorni, siamo di nuovo vicini, soli, e pronti a camminare insieme. Non ho un discorso pronto, ma potrebbe andare peggio, quindi non sono così poco fiducioso. «Non parliamo da un po', eh? Come va?» inizia subito Louis, guardando davanti a sé.

Scendiamo le scale per raggiungere l'aula magna della scuola, dove di solito si tengono le assemblee meno affollate. Quelle d'istituto, invece, si tengono nella palestra esterna della scuola. Io cerco di essere disinvolto, accenno una risatina che però esce come un colpo di tosse. Iniziamo proprio bene, penso, ma lui sembra non essersi accorto di nulla. «Tutto bene, grazie. Tu sei sopravvissuto al massacro di ieri, a quanto vedo… ma ti aspetta anche oggi, con le varie classi.» affermo, e mi sorprendo della lunghezza della mia frase. Credo sia un evento da segnare sul calendario; pare stupito anche lui, infatti prima di parlare mi guarda con un'espressione meravigliata. Mi viene quasi da ridere, ma mi trattengo.

«Già, ma è sopportabile. In fondo, ho deciso di candidarmi io, e ho voglia di fare un lavoro eccellente. Comunque sono contento che l'insegnante abbia scelto te. Non che io non gradisca i tuoi compagni, ma… ti trovo molto più simpatico. Acqua in bocca, però!» esclama facendo l'occhiolino. Sento il respiro che mi si blocca in gola. Spero di non essere diventato rosso in viso, perché sento improvvisamente caldo. Distolgo lo sguardo facendo finta di niente, ma dentro di me sto scoppiando. Sento una strana sensazione nel petto, un misto tra felicità, confusione e ansia.

«Beh, grazie… anche se non faccio nulla per esserlo… non credo nemmeno sia così, ma ti ringrazio davvero. Sei il primo che me lo dice.» mormoro senza guardarlo. Sono più concentrato nel fissare i gradini. Ci troviamo di fronte alla porta dell'aula magna, e io inizio a tremare dal nervosismo. Avverto già gli occhi di tutti rivolti verso di me. Poi neanche me ne accorgo, perché sento una mano che mi si poggia sulla spalla. Mi giro verso Louis che, prima di aprire la porta, si avvicina al mio orecchio e sussurra: «Andrà bene, tranquillo. Non ti mangiano.» e sorride.

Rimango immobile sull'uscio mentre lui mi supera salutando gli studenti seduti. In tutto sono circa dieci, ognuno che rappresenta una classe. A quanto pare, manco solo io, in questo momento non solo fisicamente, ma anche mentalmente, perché mi si è spento il cervello. E' come se avessi ancora il suo viso vicino, le sua labbra quasi appoggiate all'orecchio. Sono davvero sicuro di essere diventato rosso, stavolta, ma era inevitabile.

«Harry, stiamo per iniziare, ti dispiace sederti?».

Mi risveglio al suono della voce di Louis. Annuisco bruscamente e raggiungo un posto in ultima fila, con la testa bassa. Lo sento ridacchiare, poi inizia. Fa un breve discorso dove riassume la discussione del giorno prima, poi chiede interventi da parte dei rappresentanti. Non c'è posto nella mia testa per i problemi della 3B. Non c'è posto per nient'altro che lui. Spero di non fissarlo per tutto il tempo, ma non credo di farcela a trattenermi. Sarà solo per questa volta, giuro a me stesso.


λετ ιτ γo


SPAZIO AUTRICE
Salve a tutti!
Sono itsuselessbitch_, l'autrice di questa nuova storia larry, che spero vi sia piaciuta per adesso!
Lasciatemi qualche recensione se vi va, per farmi sapere cosa ne pensate :)
Grazie mille per aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo che cercherò di pubblicare appena possibile.
Bye bye~


 

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Capitolo 2
*** λιαρ. ***


λιαρ.
(bugiardo)







Senza che me ne sia accorto, è passata una settimana esatta. Forse per me il tempo non è andato avanti, perché è come se fossi costantemente in trance, per colpa di… Louis Tomlinson, e non so nemmeno con quale coraggio riesco ad affibbiargli questo errore. Per tutta la settimana, dopo quella riunione con le classi, ogni volta che ci incontriamo per i corridoi chiacchieriamo anche per più di cinque minuti. Di solito veniamo interrotti dai suoi compagni di classe, o dai professori che hanno bisogno di qualcuno che sbrighi le faccende al posto loro. Quello che mi stupisce è che ormai non c'è nemmeno un secondo di silenzio, non smettiamo mai di parlare. Mi spiego meglio, non mi sorprende lui, che so quanto sia bravo a intrattenere, ma… io? Fino ad un mese fa non guardavo nemmeno in faccia le persone. Poi, per una coincidenza, avevo parlato per la prima volta con Louis. Da quel momento, anche se di fretta, quando mi incontra per le scale o all'uscita di scuola, mi saluta con un grande sorriso che mi rapisce completamente. Poi pare successo tutto così rapidamente: la fine dell'assemblea, la passeggiata fino a scuola, l'incontro con i rappresentanti. Sento un forte groppo in gola solo a ripensare a quei momenti.

In realtà, nessuno si emozionerebbe per quello che è avvenuto in seguito. Abbiamo semplicemente chiacchierato di tutti gli argomenti possibili, riso dei professori che impazziscono per colpa degli altri studenti e discusso sui problemi della scuola. Ciò che mi rimane impresso nella mente è il suo sorriso mentre mi parla, il modo in cui mi guarda, la sua mano che mi dà una pacca amichevole sulla spalla. Per lui sono sicuramente cose banali che fa con tutti i suoi amici, ma per me non è affatto così.

Parli del diavolo, e spuntano le corna. Louis va così velocemente che rischia quasi di investirmi. Fa in tempo a schivarmi, si gira e mi saluta affannato. «Oh, ciao Harry… scusa, per poco non ti uccidevo, ma sono in ritardo!» sventola la mano, noto che sta sudando davvero molto. Deve aver fatto le cinque rampe di scale tutte d'un fiato.

«Non ti preoccupare, vai!» gli rispondo con un sorriso, lui mi fa l'occhiolino e poi scappa di nuovo correndo. Non mi accorgo di aver trattenuto il respiro fino a quando non tiro un sospiro di sollievo. Guardo l'orologio, sono in ritardo anche io per la prossima lezione. Varco la porta dietro di me e percorro il corridoio verso la mia classe. In un attimo perdo l'equilibrio e cado per terra. Quando riapro gli occhi, mi ritrovo davanti Louis che si scusa più volte con me. Stavolta non è riuscito ad evitarmi, mi è arrivato contro e nemmeno l'ho visto. Allunga una mano per aiutarmi. «Sono veramente un imbranato, perdonami. Dovevo consegnare un modulo importante al professor Dannis, solo che con tutti gli impegni che avevo ho dimenticato che la scadenza era oggi alle dieci… ero in ritardo di due ore. Sto iniziando a perdere colpi...» si spiega subito, e mentre lo fa mi passa le mani sulla giacca per pulirmela. Mi viene da ridere, perché il suo tocco è quasi paterno.

«Ah, comunque, ti avrei cercato più tardi. - sussulto. Avrebbe cercato… me? - Non so se ne sei al corrente, ma il giorno prima delle vacanze di ottobre, ci sarà la Festa d'Autunno. Perché non vieni anche tu? E' garantito un drink gratis, e questo secondo me ti ha già convinto.» ridacchia. Tento di essere spontaneo, ma sono rimasto paralizzato. Mi sta praticamente invitando ad una festa, personalmente, voleva cercarmi per dirmelo. In effetti non sapevo nulla, perché di solito queste cose non mi interessano, e la voce si sparge tra gli studenti che… insomma, parlano tra di loro. Quindi, io sono già escluso da questo circolo. Ora che Louis mi ha chiesto di andarci, però, mi pento di non essermi informato prima. Visto che sono ancora in tempo, accetto senza pensarci due volte. «Mi avevi già convinto a “Festa”.» dico ridendo. Lui si illumina quando gli confermo la mia partecipazione, poi sorride e mi saluta. Vorrei quasi gridare dalla felicità, ma mi limito a raggiungere l'aula, dove mi aspetta un professore dall'aria arrabbiata.

Mentre mi fa la ramanzina, tuttavia, non sento nemmeno le sue parole. Sono troppo occupato a pensare alla Festa d'Autunno. Mancano solo tre giorni.

 

oκτoβερ



23 Ottobre.

Chiudo la camicia fino al penultimo bottone, mentre mi guardo allo specchio. E' l'unica che ho nell'armadio, è leggermente attillata perché la comprai quando avevo quindici anni. Forse i pantaloni sono un po' stretti, ma ho solo questi che possano essere considerati eleganti. Guardando i miei vestiti, si capisce che non sono abituato a cose speciali come queste. Ho solo camicie a quadri, jeans, t-shirt e maglioni. Mi sistemo i capelli per quanto sia possibile: non posso neanche spazzolarli, o diventerebbero peggio di un nido di uccelli. Nessuno è tanto pazzo da pettinarsi avendo i capelli ricci... li dovrò tenere arruffati. Non li taglio da un po', infatti mi arrivano quasi alle spalle. Mi siedo sul letto per potermi infilare le scarpe, anch'esse le uniche indossabili ad una festa importante, le Oxford nere. Mia madre entra in camera, mi guarda per un attimo. «Dov'è che devi andare?» chiede.

Prendo la giacca nera e la indosso. Sembro quasi raffinato. Ho cercato di rispettare il tema, “Gala d'Autunno”. «Ad una festa organizzata dalla scuola.»

«E da quando ti interessano queste cose?» sentenzia lei, accigliandosi. Sbuffo infastidito, si diverte a stuzzicarmi, ma ignoro la sua provocazione.

«C'è sempre una prima volta, mamma. Vado, ciao.» prendo il giubbotto ed esco, facendo sbattere la porta. Mi tremano le mani dalla rabbia. E' stata menefreghista fin da quando ero piccolo, ma quando si tratta di sottovalutarmi è sempre presente. Riflettendoci, non ha mai provato a cambiarmi o migliorarmi, semplicemente perché non era di suo interesse: so bene che non mi odia, perché sono suo figlio, ma quello che le è sempre importato sono i soldi. Per questo, appena mio padre non ne ha più avuti, ha chiesto il divorzio. Non è una madre cattiva o violenta, è solo indifferente. In fondo non è un mio problema, finché non mi rivolge la parola, cosa che fa molto raramente. Solo che a volte penso: perché tutti hanno genitori che fanno qualsiasi cosa per loro, che darebbero la vita per i figli, e io non ho questo privilegio? Non soffro di mancanza di affetto, non pretendo attenzioni da un momento all'altro, ma è ingiusto. Suppongo che la realtà sia questa, bisogna accettarla e basta. Mi faccio passare il nervoso perché non è un gran modo di iniziare la mia serata, che spero vada bene. E' la prima volta che partecipo ad un evento del genere, non so neanche cosa si faccia precisamente, ma non voglio essere pessimista. Salgo in macchina – mi stupisce il fatto che mia madre mi abbia permesso di usarla – e prima di girare la chiave, prendo un grande respiro, stringendo il volante. Deve essere tutto perfetto.

Faccio partire l'auto.


Arrivo alla location, che è una discoteca molto famosa; da fuori è un edificio basso e largo, con le pareti bianche, a cui sono appoggiati alcuni studenti che fumano, e un portone nero in mezzo. Davanti a quest'ultimo c'è un ragazzo di quinta, con una cartellina in mano, che controlla chi entra. Bisogna avere un bracciale al polso per poter partecipare. Alzo la manica del giubbotto per mostrarlo, lui mi fa cenno di passare. Per adesso è andata bene, ma inizio già a tremare per l'ansia. Varco la porta e una musica assordante mi riempie le orecchie. E' una di quelle tipiche canzoni “minimal”, sound ripetitivo e – se li hanno, ma succede raramente – testi monotoni e senza alcun significato. Perfette per ballare come pazzi, e per non sentire quello che si dice l'uno all'altro. Le luci sono psichedeliche, di vari colori accesi come blu, rosso, giallo e verde, e attaccata al soffitto c'è una sfera specchiata che gira dando ancora più confusione alla sala. Di tanto in tanto, due macchine del fumo sparano vapore colorato, producendo uno sbuffo simile a quello di una locomotiva. Alla mia destra c'è un bancone nero con degli sgabelli davanti e dei camerieri che servono i drink. Alle loro spalle ci sono scaffali di vetro con sopra le bottiglie di alcool delle più svariate marche. Dall'altra parte ci sono delle poltroncine su cui sono seduti studenti che non hanno voglia di scatenarsi in pista. A vederla così dall'entrata, pare una normale festa, quelle che si vedono nei film. Il problema è che per me non è così consueto come lo è per tutti. Dovrò adattarmi.

Riconosco alcuni miei compagni, li saluto con un cenno della testa, poi vedo Louis. Ha lo smoking nero, i capelli tirati indietro che gli mettono in risalto il viso appuntito e gli occhi azzurri, nonostante la sala sia buia. Appena mi vede, si avvicina salutando con la mano. E' ancora più bello. Penso che abbia proprio azzeccato il tema della Festa, perché è davvero elegante. Gli sorrido, e mi preparo ad urlare per chiacchierare con lui. «Ehi, i drink aspettano solo te! Ti accompagno a prenderne uno!» esclama subito lui. Pare che tenga molto a bere, non pensavo fosse il tipo che alza il gomito spesso, ma accetto e raggiungiamo il bancone. Scelgo un alcolico alla menta, e lo bevo mentre Louis mi parla di un gruppo di suoi amici che si sono già ubriacati e stanno facendo casino sui divanetti. Lancio uno sguardo e noto dei ragazzi che saltano e ridono, completamente persi. Lui ridacchia e beve.

«Come ti sembra? L'ho organizzato anche io, in parte.» chiede mentre una luce speranzosa nei suoi occhi si accende. Sembra quasi in trepidante attesa di sentire il mio verdetto sull'allestimento del party. Arrossisco, e ringrazio che non possa vedermi bene.

«E' fantastico. Avete fatto un ottimo lavoro» commento poi. Lui mi rivolge un grande sorriso, poi si gira perché uno di quei gorilla sulle poltroncine lo ha chiamato. Mi fa segno di andare con lui, lo seguo finché non arriviamo da Jake, o almeno credo sia lui. Inizia a sghignazzare e non si riesce a capire ciò che sta cercando di comunicarci, fino a quando non smette di balbettare, guarda fisso un punto del pavimento e all'improvviso urla: «TI AMO, CAROLINE!». La ragazza che dovrebbe chiamarsi Caroline sussulta imbarazzata mentre le sue amiche si coprono la bocca con la mano guardandola con gli occhi spalancati. Jake fa un giro su se stesso e riprende a ridere come se non fosse successo nulla. Louis mi mette un braccio intorno alle spalle. «Ha una cotta per lei da anni. Gli ubriachi dicono sempre la verità, sai?» mormora con un ghigno. Annuisco. Ben presto comincia a presentarmi ai suoi amici, e tutti mi riconoscono come il ragazzo riccio che non apre mai bocca. Mi sento completamente a disagio, ma più parliamo, più inizio ad abituarmi a quell'atmosfera calorosa. Ridiamo tutti insieme, alcune ragazze di quarta mi fanno i complimenti dicendomi che sono molto carino. Non voglio darmi false speranze, ma sento come se fossero già miei amici. Guardo Louis mentre racconta cos'è successo prima della festa, sorride e ha delle fossette intorno alle labbra. Ai lati degli occhi, quando ride, gli vengono delle piccole rughe. Per lui è una cosa assolutamente normale, essere circondato da persone a cui vuole bene.

Ti sei mai chiesto se la tua realtà è uguale a quella degli altri, Louis?

Hai mai pensato di esistere solo dentro la testa di qualcuno?

Ovviamente no. Tu sei perfetto. La tua vita è perfetta. Provo quasi rabbia a pensarlo. Quel suo bel viso, vorrei prenderlo a pugni. Vorrei poterlo odiare, ma non ci riesco. Perché vorrei che quella perfezione la condividesse con me.

Un bicchiere tira l'altro, Louis ha bevuto tantissimo. Lo vedo strano, barcolla e ride senza motivo. Credo proprio che sia ubriaco, ma non pensavo fosse così irresponsabile da prendersi una sbornia. Si lancia sulla pista e balla in modo scomposto, sembra fuori di testa. I suoi amici con una scusa si allontanano per andare al bancone dei drink, ma non tornano più. Siamo solo io e lui.

Ti sei mai chiesto se stai vivendo una falsa esistenza?

Hai mai pensato che che i tuoi amici fossero dei bugiardi?

No, lo so. Conosci bene chi ti sta intorno, non ti lascerebbero mai da solo. Cade per terra, ma si rialza subito circondandomi le spalle con un braccio, per tenersi in piedi. Ha gli occhi vitrei, nessuna espressione, trema e suda, respira a fatica. Si sta sentendo male, perciò lo porto in bagno a vomitare. Non credevo mi sarei mai trovato in questa situazione. «Harry...» sussurra. Chiudo la porta dietro di me, e finalmente le mie orecchie possono riposarsi da quel chiasso insopportabile. Sento solo il picchiettio di una goccia d'acqua che esce dal rubinetto, e i lamenti di Louis, accasciato vicino al water. Mi inginocchio per cercare di tenergli ferma la testa, ma lui pare aver perso tutte le forze.

In un attimo, la perfezione di Louis si disintegra.

Quel manichino incapace di sbagliare appare finalmente come un umano.

Avevo lasciato stare quel giorno in cui aveva dimenticato la consegna del modulo, perché non era un errore importante, considerata la sua infallibilità. Non so cosa fare, sono pietrificato dal terrore e dallo shock. Ho gli occhi sbarrati, perché non posso davvero credere alla scena che ho davanti: Louis Tomlinson sta piangendo.

Singhiozza, piange, trema. Pare un bambino indifeso.

Lo scuoto per farlo riprendere, ma lui è così debole che può solo stare appoggiato al water. «Harry… vieni qua, vieni qua.» cantilena, e con la mano mi prende una guancia per farmi avvicinare. Accosta la bocca al mio orecchio. «Voglio morire.»

Scandisce le parole, come se avesse paura che non le capissi. E invece io le ho capite benissimo, anche troppo. Vorrei non averle sentite. Rimango in silenzio.

Mi fissa per alcuni minuti, poi in mezzo alle lacrime, vedo un sorriso disperato, che mi fa quasi male al cuore. Ride con una tale infelicità che sento gli occhi bruciare. Il suo pianto si trasforma in un urlo, un forte ululato, mille emozioni che si scontrano una contro l'altra. Non so come riesca a provarle tutte contemporaneamente senza scoppiare. Tento di calmarlo ma lui mi spinge via.

«Tu non puoi capire, stupido. Siete tutti uguali, vi lamentate di qualsiasi cosa… pensi che la mia vita sia bella, vero? Non sai un cazzo, non sai un cazzo di me.» mi grida addosso, mi batte il dito contro il petto. Adesso vedo solo rabbia e disprezzo. Si alza di scatto ma crolla subito dopo, arrivandomi addosso. Mi ritrovo il suo viso a pochi centimetri, il respiro ansante sa di alcool. «Louis, non...» farfuglio.

Si mette un dito sulla bocca per zittirmi. «Sei bellissimo». I pochi centimetri che ci dividevano spariscono. Il suo viso è così vicino che i nostri nasi si toccano. Non so che diamine stia succedendo, non riesco neanche a muovermi perché il suo corpo mi blocca completamente. Non è quello che sto pensando io, giusto?

Le sue labbra si appoggiano sulle mie, un tocco leggero e delicato. Ha la bocca umida. Avverto un sapore lievemente salato, a causa delle sue lacrime. Accosta le mani sulle mie guance che immagino siano completamente rosse; mi accarezza con le dita mentre approfondisce il bacio. Dirige lui il tutto, perché io non so bene cosa fare. Forse la mia mente non si è ancora resa conto che Louis Tomlinson mi sta baciando in questo momento. Sento che si sta allontanando, e spero quasi che cambi idea e rimanga così per sempre, perché ho paura che finisca tutto come è iniziato. Rimane sopra di me, poi finalmente pare essersi calmato, anche se continua a piangere.

«Scusa… è che tutto mi sta crollando addosso. Sento la pressione che mi schiaccia, chiunque si aspetta qualcosa da me, non solo gli studenti e i professori, ma anche… i miei amici, la mia famiglia. Non posso sbagliare, perché non è nella mia natura, per loro… e poi, pensavo di aver superato la scomparsa di mio padre, ma è come se fosse morta una parte di me, mia madre beve ed è ubriaca ogni notte, abbiamo anche litigato e siamo arrivati a picchiarci… non ce la faccio più… non mi piacciono nemmeno le ragazze, sono un fallimento continuo, chi lo vuole un figlio gay? Sono circondato da persone, e allora perché mi sento così solo? Harry… voglio morire.»

Lo rivela tutto d'un fiato, interrotto solo da qualche singhiozzo. Lo ascolto senza credere a quello che sto effettivamente sentendo.

Bugiardo.

Quella tua vivacità.

Bugiardo.

Il tuo continuo umorismo.

Bugiardo.

La tua positività contagiosa.

E' solo una maschera che si è creato, è l'eroe di cui si leggono le avventure solo nei libri, è solo un fantoccio senza anima all'interno. Lo prendo per le spalle e lo faccio alzare, poi mi metto in piedi e mi accorgo che sto tremando… dalla rabbia. Stringo le mani a pugno. «Smettila. Smettila, razza di cretino. Non vedi quanto sei patetico? Ti stai piangendo addosso, cosa sei, un bamboccio? Dov'è finito quel Louis che tanto ammiro? Hai mentito a tutte le persone che ti vogliono bene, e cos'hai intenzione di fare, allora? Morire? E a cosa serve? Ti ricorderanno come il falso che non ha avuto il coraggio di cambiare le cose. E' questo che vuoi? Alzati, e ringrazia che non ti sto prendendo a pugni, perché vorrei tanto farlo.»

Chi sta parlando?

Io? Harry Styles? Non credo proprio. Forse l'Harry del mondo parallelo sta gridando così forte che posso sentirlo quasi come se fossimo nella stessa stanza. Il vero me non avrebbe la forza di dire queste parole a qualcuno, è impossibile. Eppure l'eco che sento è così reale.

Louis mi fissa esterrefatto. Lo capisco, nemmeno io saprei cosa dire al suo posto. Si alza lentamente, con la testa china, ma lo vedo ancora instabile, perciò lo sorreggo. Non dice una parola, e per un momento credo di aver esagerato. Poi però lo sento farfugliare. «Scusami» questo riesco a capirlo perfettamente.

Credo non sarà in grado di guidare fino a casa sua, perciò lo accompagno alla mia auto, lo aiuto a sedersi e poi chiudo lo sportello. Mi faccio dare le indicazioni per casa sua, per poi far partire la macchina. Fortunatamente lui vive qui, perciò il viaggio non è lungo quanto quello che devo affrontare io.

Quando arriviamo, mi giro verso di lui. Sembra così debole, non ha parlato per tutto il tempo. Si slaccia la cintura di sicurezza e rimane fermo a guardare il cruscotto. «Grazie, Harry.» mormora. Ormai le lacrime si sono seccate sulle sue guance, ha gli occhi rossi e gonfi, e la voce rauca per quanto ha urlato. Scuoto la testa.

«Sei sicuro che puoi tornare a casa ridotto così?» chiedo, per cercare di cambiare argomento. Preferisco non aggiungere altro, perché sono troppo confuso; credo di avere usato tutta l'energia che avevo nel momento in cui gli ho urlato contro quelle cattiverie. Louis apre lo sportello e sospira.

«Per questa sera, mia madre non sarà l'unica a tornare a casa ubriaca.»

λιαρ

SPAZIO AUTRICE

Ok, forse ho aggiornato un po' troppo presto, ma non ho potuto resistere çç
Volevo assolutamente continuare, perché sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate ahaha
Grazie mille per le 115 visualizzazioni, che speriamo aumentino, e grazie anche per le prime recensioni!
Se vi sta piacendo, per favore, fatemelo sapere in una recensione, così da darmi anche idee e consigli :)
Bye byee

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Capitolo 3
*** Ρεαλιτυ. ***


Ρεαλιτυ.
(realtà)




 



Dimenticarsi di qualcosa è impossibile. Anche se cerchiamo di allontanare un fatto dalla nostra testa, esso ormai è già registrato nel cervello. A volte si nasconde per darci sollievo, poi ricompare e ci tormenta. Questo avviene per qualsiasi circostanza, dalla meno importante alla più rilevante. E quello che è successo alla festa, è ormai marchiato nella mia mente, come un tatuaggio. Sono passati giorni, non so quanti di preciso, perché non sto più guardando il calendario, l'orologio, la televisione né il telefono. Trascorro le mie giornate sdraiato sul letto a tentare di distrarmi leggendo, studiando, fissando il soffitto… non funziona nulla. Mi vorticano solo tre parole nella mente.

Bacio.

Gay.

Louis.

Si ripetono in modi diversi, rimbombano, altre volte sembrano più lontane, le sento urlate, sussurrate, cantilenate, ma il significato è sempre lo stesso. Sul mio petto ho dei fogli stropicciati e sporchi di inchiostro: li ho usati per scrivere ogni singolo particolare che mi venisse in mente di quella sera, per non scordarmela, anche se mi pare impossibile farlo. L'ho analizzata, ho cercato di trovare un indizio, forse scherzava, era una presa in giro? Aveva davvero bevuto ed era ubriaco o aveva fatto finta? Tutto combacia, niente si contraddice. Non avrei mai immaginato la sua situazione familiare, il suo stato d'animo, il suo stress accumulato. E' un bravissimo attore, allora. Quello che però mi ha colpito di più, è il suo coming out. Ha detto apertamente di essere gay e beh, si era capito anche dal fatto che mi ha baciato. Prima di farlo, ricordo le sue parole. “Sei bellissimo”. Rabbrividisco pensando alla sua voce calda che lo dice, per poi avvicinarsi alle mie labbra. Ho sempre creduto di poter solo immaginare quel momento, e ancora adesso mi chiedo se sto sognando tutto, e prima o poi dovrò svegliarmi e tornare alla realtà.

Ho mille domande che vorrei porgli.

Da quanto lo sai? Come hai fatto a capirlo?

Perché mi hai baciato?

Ti piaccio?

In ogni caso, non credo che gliele farò, perché sono molto personali. Tuttavia, la curiosità mi sta logorando, ho sete di verità da quando sono tornato a casa alle due di notte. Ho spento la macchina, sono rimasto seduto per più di dieci minuti, fissando il volante. Poi ho chiuso gli occhi e ho ripensato a lui. Sono entrato in casa trovando mia mamma addormentata sul divano con ancora la televisione accesa, sono andato in camera e ho passato la notte in bianco a riflettere. E ancora, le mie domande non hanno ricevuto una risposta. Non quelle per Louis, ma quelle che faccio a me stesso.

Cosa è stato per me quel bacio?

Mi piace Louis?

Ho scritto varie versioni, tutte diverse l'una dall'altra. Alcune le ho cancellate, altre le ho cerchiate considerandole più veritiere, altre ancora hanno un punto interrogativo vicino. “Sì, mi piace. Quel bacio è stato a causa dell'alcool.” oppure “No, sono solo confuso dal suo comportamento. Forse io gli piaccio.” ma nessuna di queste mi convince completamente, perché non voglio illudermi, né essere troppo pessimista. Non riesco a trovare una via di mezzo, non vedo il grigio tra il bianco e il nero. Eppure so che c'è una risposta definitiva, solo che senza il punto di vista di Louis, non posso ricavarla. Anche se a malincuore, ho deciso che dovrò affrontarlo. Preferirei evitare figuracce, ma se voglio risolvere il mio dilemma, devo sacrificarmi. Ormai mi sono quasi abituato a lasciarmi andare più facilmente. Non importa se cercherà di evitarmi, o mi dirà chiaro e tondo che è stato tutto uno sbaglio, io devo sapere la verità.

Forse, per lui non è nemmeno importante, forse se n'è già dimenticato.

Ciononostante, siamo creati per ricordarci qualsiasi cosa.

 

Eccomi.

Sono davanti alla scuola, attorniato da studenti che sembrano zombie: occhiaie profonde come pozzi, camminata sbilenca, colorito pallido. Nessuno è pronto a tornare sui banchi a sopportare lezioni consecutive, e di solito ne faccio parte anche io. L'angoscia che mi attagliava lo stomaco era insopportabile, pensare di dover affrontare nuovamente la mia classe mi faceva venir voglia di scappare e non tornare mai più. Stavolta, sinceramente, non vedevo l'ora che ricominciasse, perché non ho aspettato altro. Fisso il grande portone d'entrata come se dovesse risucchiarmi, poi prendo coraggio e lo varco. Ormai non si torna più indietro.

Lo cerco con lo sguardo, esamino ogni viso per essere certo di non averlo mancato. Non lo vedo da nessuna parte, però, e inizio a perdere la speranza. Poi, finalmente, scorgo il suo viso in mezzo ad altri. Inizio a correre verso di lui, è sempre più vicino… il professor Wills mi si para davanti, facendomi bloccare all'istante.

«Styles, bentornato. Dove stai andando? La campanella è suonata, si ricomincia! Forza, andiamo insieme.» esclama con felicità. E' l'unico contento di tornare a scuola, probabilmente. Gli sorrido mentre spero che mi lasci in pace, ma rispetta le sue parole fino alla fine: mi accompagna perfino al banco, come se avesse paura che riuscissi a scappare. Per stavolta dovrò aspettare, ma appena sono libero ho intenzione di raggiungerlo immediatamente.

La lezione passa come se mi stessero torturando, ogni minuto sembra triplicato. Appena sento il suono della campana di fine ora, mi alzo così di scatto che i miei compagni si girano spaventati: non sono mai stato così “vivo” prima d'ora. Sento alcuni sussurrare, una ragazza mormora perfino: “Ma sta bene?” però non ho tempo per pensare ad una risposta valida, e mi affretto ad uscire. Voglio liberarmi di questo peso al più presto… ma pare che qualcosa sia contro di me, perché quando svolto l'angolo, dei libri mi finiscono contro, seguiti da una ragazza con gli occhiali.

«Scusami, davvero, sono una stupida… ehi! Ma tu sei Harry!» dice, mentre raccoglie i libri. All'inizio non riesco a capire chi sia, poi ho un'illuminazione: è Caroline, quella della festa a cui Jake si era dichiarato. Adesso che la guardo senza luci psichedeliche, mi accorgo che è una bellissima ragazza. Capelli biondi e lunghi fino alle spalle, occhi verdi resi leggermente più piccoli dalle lenti degli occhiali, lentiggini e labbra sottili. Le sorrido con gentilezza, ma mi ricordo subito dopo che ho una missione da compiere. «Proprio io. Tu sei Caroline, giusto?» lei annuisce con vigore, poi mi ringrazia per averla aiutata coi libri e si scusa nuovamente. Prima che se ne vada, la fermo. «Per caso sai dov'è Louis?» chiedo con disinvoltura. Caroline ci riflette per un po', cerca di fare mente locale. «E' uscito dalla classe appena è finita la prima ora, ma non ho visto dove andava. Ora avremmo chimica, ma non ha raggiunto il laboratorio, perché è andato dalla parte opposta.» afferma, indicando il corridoio davanti a me. «Grazie mille» e me ne vado. Forse… no, è impossibile. Forse mi stava cercando anche lui?

Giro per la scuola, guardo nelle aule, ma non lo trovo. Sto iniziando ad arrendermi, finché non sento una mano calda che mi afferra e mi costringe a voltare il capo. Ho riconosciuto subito il tocco di Louis, le dita affusolate che non riescono a stringermi completamente il polso. Mi guarda sorridente, e io non posso fare altro che fissarlo con gli occhi sbarrati. Non pensavo che avrei reagito così, trovandomelo effettivamente davanti. Mi aspettavo uno scenario diverso, con me che fingevo di essere disinvolto e introducevo l'argomento del party in modo quasi indifferente, come se non mi riguardasse. «Ehi, non ti ho chiesto com'è andata la festa! Ti sei divertito?» comincia lui, vivace come suo solito.

Non capisco. Qualcosa non va, perché è così spontaneo, perché non pare preoccupato per quello che è successo? Allora forse è possibile scordarsi delle cose che capitano, quando non ti interessano. Mi sento un idiota per essermi afflitto così tanto inutilmente. «Abbiamo passato la serata insieme…» mormoro. Non ho neanche voglia di riflettere su cosa dire, le parole mi escono dalla bocca, come se la verità volesse assolutamente saltare fuori.

Louis alza gli occhi al cielo, incrociando le braccia. Pare perplesso, come se non gli risultasse la mia presenza insieme a lui e ai suoi amici. Poi si dà una pacca sulla fronte e ridacchia. «Scusa, è che… penso di aver esagerato con l'alcool. Per fortuna Jake mi ha aiutato a tornare a casa, o sarei morto sul pavimento del bagno.»

Un colpo in pieno viso.

Non credo di aver sentito male il nome. E' stato Jake.

Nella sua testa, è Jake quello che lo ha portato in bagno quando lo ha visto barcollante, è Jake quello che si è offerto di riaccompagnarlo a casa. Accenno un sorriso, tutte le mie speranze mi sono finite sotto ai piedi. Sono devastato, amareggiato, ma lascio perdere, forse non ne vale neanche la pena. «Tutto bene?» mi agita una mano davanti al viso, probabilmente ho una faccia preoccupante, nonostante abbia provato a rassicurarlo con un sorrisetto.

Non va tutto bene. Hai appena distrutto le mie teorie, le mie riflessioni, le mie domande. Mi tremano le mani, non sono neanche abituato ad arrabbiarmi così spesso, pare quasi che qualcuno stia sfidando la mia soglia di sopportazione. Mi volto di scatto, lo guardo negli occhi e lui sembra spaventato da quella impulsività. Lo sono un po' anche io, ma non posso accettare una tale sconfitta dopo essermi impegnato tanto per una cosa a cui tengo davvero per la prima volta nella mia vita. Non lascerò perdere così facilmente, voglio almeno provare ad imitare l'Harry sicuro di sé nella mia testa. Anzi, voglio portarlo nel mio mondo. Prenderò in prestito la sua identità.

«Louis, non c'era Jake con te. Ero io.» affermo deciso.

Mi fissa senza riuscire a collegare quello che sto dicendo a ciò che per lui è accaduto alla festa. Scuote la testa e tenta di contraddirmi, ma io lo prendo per un braccio e lo porto in un corridoio vuoto per poter parlare liberamente. Si limita a seguirmi, ma so che secondo lui non sto dicendo la verità. «Può sembrarti una cosa impossibile, ma è davvero andata così. E… nel bagno, tu hai detto delle cose. Delle cose molto particolari, ti sei confidato, per così dire.»

Louis sbuffa. «Cosa… cosa ti avrei detto?».

Inspiro più che posso. Sono ancora in tempo a dirgli che stavo scherzando, a confermargli che Jake lo ha assistito, e che mi è piaciuta molto la festa. Può ancora tornare tutto come prima, senza dovermi pentire di aver rovinato l'inizio di un'amicizia promettente. Eppure, dentro di me so che sarebbe peggio rimanere in silenzio. Sono stato zitto troppo a lungo in questi anni, e adesso che ho la possibilità di far sentire la mia voce, voglio approfittarne. Mia mamma, prima di divorziare, diceva sempre che non importa quanto fosse crudele la verità, bisognava dirla senza esitare neanche per un secondo. Era quello che faceva con mio padre. Per un attimo questo pensiero mi spaventa, perché non è la stessa situazione – noi due non stiamo insieme… - ma se la sincerità esagerata di mia madre ha allontanato i miei genitori, potrebbe succedere con me e Louis. Io, però, non sono mia madre, e mai lo sarò.

Sarà dura da digerire.

«Di voler morire, che non ce la fai più… e che… non è importante.» pronuncio a fatica queste parole, come se la determinazione di prima avesse deciso di tirarsi indietro. Balbetto e non riesco a reggere lo sguardo confuso di Louis.

I suoi occhi azzurri si spalancano appena sentono le mie parole. Indietreggia scuotendo la testa, abbozza un ghigno spavaldo, ma è terrorizzato. Lo noto dal pallore della sua pelle, dal fatto che sta sudando. Rimango serio, mentre lo vedo perdere completamente il controllo di se stesso. «Ma che stai dicendo?» esclama.

«Solo la verità. E non è tutto… - chiudo gli occhi, non riesco a guardarlo – tu… mi hai, ecco… mi hai baciato. Dopo avermi detto che sei gay.» espiro profondamente, come se così facendo potessi farmi scorrere via tutta quella situazione, pesante come un macigno. Louis agita la mano davanti a sé. E' nervoso, controlla se sta ascoltando qualcuno, ma sono tutti troppo impegnati a lamentarsi del risveglio mattutino, per prestare attenzione a noi due. E' questo il punto cruciale, il momento della rivelazione, quella che potrebbe dare pace alla mia testa piena di domande. E' tutta una bugia, o c'è davvero la possibilità che provi qualcosa per me? Attendo, e mi accorgo di star trattenendo il respiro. «Forse non ero io, Harry… sicuro di non aver bevuto un po' troppo?» aggiunge una risata, ma si interrompe appena vede che non sto facendo lo stesso. «Ero sobrio.» asserisco. Mi ripeto in testa che posso smettere anche ora, posso dire che sto scherzando in qualsiasi momento. Mi basterebbe solo… la verità, pronunciata dalle sue labbra; si scompiglia i capelli e mi guarda come se stesse provando pena per il povero pazzo che si inventa le cose. Tento di rimanere serio e risoluto, anche se è difficile non tremare.

«Harry, andiamo, ero ubriaco. Avrò detto tante cazzate, e anche questo… “bacio” di cui parli, è solo stato un errore...» improvvisa, ma noto che tieni gli occhi rivolti al soffitto, come se volesse mostrarsi spontaneo e liquidare subito la faccenda. In un attimo, non so nemmeno cosa mi sia passato per la testa, decido di agire, gli agguanto un braccio e lo costringo a guardarmi.

Il verde si scontra con l'azzurro.

«Gli ubriachi dicono sempre la verità, sai?».

Louis indietreggia, cerca di sfuggire alla mia presa, si scontra con un ragazzo che stava passando per il corridoio. Si libera dalla mia stretta con uno strattone brusco, non distoglie gli occhi dai miei. Scuote il capo, incredulo.

Senza rispondere, corre via.

 

Ρεαλιτυ


SPAZIO AUTRICE

Salvee, e bentornati alla mia storia. 
Siamo già al terzo capitolo, e beh, sono davvero contenta dei risultati.
Grazie mille, come sempre, per le visualizzazioni! Se vi è piaciuto questo capitolo, lasciatemi una recensione!
Ci vediamo al prossimo capitolo, ciao :)

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Capitolo 4
*** μιστακε. ***


μιστακε.
(sbaglio)

 







Tutta la mia vita, da quando avevo conosciuto Louis, sembrava essere tornata alla normalità. E' come se quel periodo fosse stato resettato dal momento in cui era corso via da me. Ricordo ancora la sua espressione shockata, il suo balbettare parole sconnesse, il sudore che gli scendeva dalla fronte. So che ho fatto un errore, ma la curiosità mi stava corrodendo, e non potevo aspettare un giorno di più. Ogni volta che ci incontriamo nei corridoi mi evita, non mi guarda, non mi saluta neanche con un cenno della testa, pare che io sia sparito completamente. Non cerco di parlargli, perché so che troverebbe una scusa per svignarsela senza darmi il tempo di scusarmi. Vorrei non avergli parlato, quel giorno. Potevo tenere il segreto per me stesso, come un tesoro prezioso, e saremmo rimasti amici.

Sento gli occhi bruciare, ma la bocca ha voglia di sorridere: mi sento così patetico da voler ridere, perché mi sto rendendo conto che quella luce in fondo al tunnel buio della mia quotidianità si sta lentamente spegnendo, lasciandomi solo, come lo sono sempre stato. L'unica speranza che era apparsa grazie a Louis, si stava distruggendo. Dipendere dalla luce di un'altra persona è pericoloso, lo sapevo fin dall'inizio. Non potrai mai sapere quando il tuo salvatore deciderà che non hai più bisogno di lui.

Ormai dentro di me c'è solo oscurità.

Mi fermo appena in tempo davanti alla bacheca degli avvisi, vorrei evitare figuracce davanti a tutta la scuola. Poi capisco che se anche ci fossi andato a sbattere, nessuno lo avrebbe notato, perché il protagonista del corridoio è un foglio attaccato malamente al legno della bacheca. Mi allontano per poter leggere ciò che gli alunni intorno a me stanno commentando a bassa voce, e in un attimo sento le gambe cedere. C'è una sola frase scritta a caratteri cubitali.

“LOUIS TOMLINSON E' GAY”.

Un flashback mi attraversala mente. Mentre Louis si stava sfogando in bagno, credo di aver sentito la porta che si apriva, ma non ci ho dato peso. Avrei dovuto, perché qualcuno ha sentito e ha deciso di farlo sapere a tutto l'istituto. Strizzo gli occhi e vedo che sul bordo del foglio c'è scritto altro. “Per dettagli chiedete a Paul Lisbon”. Le persone stanno impazzendo? Cosa gli passa in testa? Rimango allibito, poi il mio shock peggiora, perché ricordo altro: Paul. Non è uno qualsiasi… era uno degli amici di Louis, quelli con cui ho passato insieme la serata. E' stato il primo ad abbandonarlo quando lo ha visto ubriaco perso. Stringo i pugni, non posso crederci. Ero convinto che fosse circondato da persone meravigliose che gli volevano bene, gente che non lo avrebbe mai tradito. Louis aveva un'idea della reale identità di quell'idiota? E soprattutto, aveva già visto il foglio? In un secondo, decido di agire. Non voglio che gli rovinino la giornata più di quanto abbia già fatto io. Prendo un lembo del foglio e lo strappo bruscamente, poi lo appallottolo e lo butto nel cestino. Sento i mormorii degli studenti, ma me ne frego. Mi giudichino quanto vogliono, non mi interessa. Quando però mi volto per tornare in classe, mi rendo conto che i sussurri non erano per me, ma… per Louis. E' all'entrata del corridoio.

Per favore, fa che non lo abbia visto. Fa che sia arrivato solo dopo che ho strappato il foglio… a giudicare dalla sua espressione, lo ha letto. E' lì da tempo, perciò mi ha visto anche strapparlo. Rimane in silenzio, immobile, mentre tutti gli alunni lo guardano e si coprono la bocca per sparlare di lui. Respira lentamente, vibra, chiude e apre le mani come se avesse un tic. Non so come comportarmi davanti a quella scena, perché so che qualsiasi cosa proverei a fare, sarebbe quella sbagliata. Poi, non riesco più a capire cosa sta succedendo. Accade tutto velocemente: Louis sta guardando un punto dietro di me. Seguo la traiettoria dei suoi occhi e vedo Paul che arriva ridendo con i suoi amici. Appena si accorge degli studenti e della sua vittima che lo stanno fissando, si ferma e alza la mano in segno di saluto. Vorrei saltargli addosso e picchiarlo per quell'arroganza fastidiosa. «Louis!» lo chiama.

Guarda la bacheca e pare perplesso. «Dov'è finito il mio messaggio?» chiede, ma nessuno si fa avanti. Sono così abituato ad escludermi automaticamente dalle circostanze, che quando pone la domanda non mi rendo conto di essere io il colpevole. Lo raggiungo. «Sono stato io. L'ho buttato nel cestino». Forse la mia voce ha tremato un po', ma sono sicuro che il mio sguardo sia risoluto. Paul mi squadra dalla testa ai piedi, ridacchia coi suoi amici e poi, come se fossi una mosca, mi passa di fianco per andare da Louis, che non ha ancora aperto bocca. Non riesco davvero a credere che questo cretino abbia il coraggio di trattare così gli altri, e soprattutto, fingere di essere un amico per poi pugnalare alle spalle. «Louis, ti vedo strano… qualcosa non va?». Lui abbassa lo sguardo, sembra impotente. Avverto dolore a guardarlo, voglio fare qualcosa, ma mi sento come se non potessi salvarlo. Finirei per rovinare le cose. «Ragazzi, la verità fa male...» esclama, e si rivolge a tutti con la mano alzata, come se stesse parlando al popolo. I suoi tirapiedi sghignazzano, qualcuno si lancia occhiate incredule, altri preferiscono andarsene per non assistere al patetico teatrino di Paul. Non si accorge di essere ridicolo?

«Beh? Nessuno difende il nostro mito? Eppure, sembravate tutti così devoti al mitico rappresentante d'istituto. Adesso che avete scoperto che è frocio non lo sostenete più?» continua ad urlare, e si avvicina bruscamente ai presenti, facendoli indietreggiare. Rabbrividisco alla parola “frocio”. Fa così schifo che sento la nausea, ma se sta solo buttando parole al vento senza essere davvero ascoltato, lo lascerò farneticare finché non si stancherà. Tuttavia, ho parlato troppo presto.

«Ma sapete cosa vi dico? - indica Louis – Avete ragione a non appoggiarlo. Nessuno vuole un frocio come capo. Se avessimo voluto un succhiacazzi a comandarci, avremmo direttamente messo una ragazza.»

E' la goccia che fa traboccare il vaso. Prendo lo slancio e quasi mi sento staccato dal mio corpo, come se stessi vedendo la scena da un altro punto di vista. Non riesco a focalizzare bene quello che ho davanti, so solo che ne ho abbastanza.

Non centro bene il viso di Paul, ma riesco comunque a colpirgli la mandibola così forte da fargli sanguinare il labbro. Si tasta la pelle con le mani. Non posso credere di averlo fatto. Ho picchiato qualcuno, ed è come se l'avesse fatto un'altra persona. Nello stesso momento in cui il mio pugno ha raggiunto la sua faccia, un blackout mi ha oscurato la mente, è come se mi fossi spento momentaneamente. Ho agito d'impulso, non ho ragionato, non sono stato razionale, e la cosa non mi dispiace affatto. Volta di scatto la testa verso di me, mi fissa con gli occhi sbarrati e sento la sua ira salire pericolosamente. «Cosa… ma sei idiota?!» inveisce. Non presto attenzione alle sue parole, lancio un'occhiata a Louis dietro di lui, che mi fissa sbigottito. Ha visto a distanza ravvicinata il colpo che ho assestato a Paul, ed è ancora più pietrificato di prima. Ti capisco. Nemmeno io riesco a comprendere le mie azioni. Mi sento come se stessi guardando un film dove il protagonista fa scelte che non sostengo, perché avrei agito in modo diverso, sarei stato meno impulsivo. Eppure, non posso far altro che stare seduto e continuare a seguire la storia, perché essa è già stata scritta, non può essere cambiata. E così, anche la mia non subirà modifiche, poiché ho già deciso che prenderò la strada sbagliata.

«Ti credi forte, a prendere in giro la gente? Mi fai ribrezzo. Non diventerai l'idolo delle folle solo perché hai sparso una stupida diceria su una persona che ti credeva suo amico. Non sei nessuno.»

Tutti mi fissano come se fossi un alieno. Effettivamente, Harry Styles che prende a pugni un ragazzo più grande e parla con così tanta fiducia davanti a tutta la scuola, non si era mai visto. Non mi sarei mai immaginato di potermi trovare in quella condizione, eppure sono qui, vivo, trepidante, febbrile. Francamente sono felice, avverto l'adrenalina che aumenta ad ogni parola che pronuncio contro quell'essere. Cresce ogni volta che i miei occhi incontrano quelli di Louis, inerte dietro al mio nemico. Non riesco a dire tutto quello che ho in testa, perché Paul mi afferra per il colletto, avvicina il viso e mi ringhia contro. «Osa metterti contro di me un'altra volta, e giuro che ti farò passare l'Inferno. Te lo giuro. Sei morto.» dicendo così, mi molla in modo brusco e fa cenno di andarsene alle sue schiave scimmie. Quando passa vicino a Louis gli molla una spallata. «Non avrai sempre la tua guardia del corpo a proteggerti, ricordatelo.»

Sparisce dalla vista di tutti. C'è solo silenzio adesso. Louis mi fissa, nella stessa posizione di prima, con la medesima espressione terrorizzata. Osservo tutti gli studenti intorno a me, e appena notano il mio sguardo, si affrettano ad allontanarsi e a tornare alla loro vita. Siamo rimasti soli, io e lui. Dura per poco, perché Louis non dice nulla, fa un cenno con il capo e si congeda. Provo a chiamarlo, ma quando sente la mia voce pronunciare il suo nome, sussulta. Poi corre via di nuovo. Mi sembra di avere un deja vu. Questa volta, però, non voglio che finisca come prima.

Non lo seguo subito, per questo quando inizio a correre mi ha già seminato. Forse ha girato l'angolo, oppure è andato dritto. Spero con tutto il cuore di non incontrare un altro professore che mi riporti in classe, perché ho paura che se questa volta non riuscirò a raggiungerlo, lo avrò perso per sempre. Cerco di ascoltare i suoi passi, ma ci sono molti ragazzi che perdono tempo invece di seguire le lezioni, perciò non riesco a distinguerli. Poi finalmente, quando giro a destra verso il laboratorio d'arte, lo vedo dentro l'aula dalla finestrella della porta. La apro di scatto ed entro col fiatone. Louis mi dà le spalle, è seduto sulla cattedra con la schiena ricurva. Cammino lentamente, siamo attorniati dal silenzio. Quando lo raggiungo, aspetto prima di guardargli il viso. Ho paura di vederlo di nuovo piangere, nonostante io sappia che è così: lo sento singhiozzare a bassa voce. «Mi dispiace… - inizio, ma credo ne abbia abbastanza di parole inutili – Louis, non dare ascolto a quel cretino, va bene?» sbotto, e finalmente riesco ad alzare lo sguardo. Ha gli occhi rossi e gonfi, le labbra lucide, le guance rigate dalle lacrime asciutte. Allungo una mano per toccargli la gamba, mi blocco quando mi accorgo che mi sta fissando negli occhi. Ha smesso di singhiozzare.

«Quando andavo alle medie, avevo un compagno di classe gentile, simpatico e disponibile. Siamo diventati migliori amici, stavamo sempre insieme, uscivamo la sera, eravamo i tipici amici inseparabili… ma a me, non bastava. Così, decisi di dirgli che mi piaceva, sai perché? Perché un dodicenne neanche può immaginare quanto sia sbagliato per la società essere… diverso. Per me era normale, ma per il mondo no. Lo disse a tutta la scuola, si sparse la notizia perfino in paese. Tutti mi deridevano e mi insultavano, fino a quando i miei decisero di trasferirsi. Nessuno mi conosceva, in questa nuova città. Nessuno sapeva chi ero, potevo iniziare una vita completamente differente, potevo migliorare le cose. Decisi di dimenticare anche di essere gay, sarebbe stato facile perché dovevo solo occuparmi della scuola e della famiglia, non avevo tempo per l'amore e le relazioni. Poi, il secondo macigno mi piombò sulla testa. Mio padre è morto così improvvisamente che non ho avuto il tempo di assimilare la perdita. Era venuto a mancare il mio eroe, la mia salvezza, ma andava bene così, perché tanto erano più importanti la candidatura come rappresentante di quest'anno, la lotta quotidiana con mia madre, lo stress che si accumulava, la famiglia che continuava a chiedermi dov'era la mia ragazza. Dov'ero IO, invece, in tutto questo? Il mio obiettivo, malgrado ciò, era stato raggiunto: la scuola mi adorava, nessuno mi avrebbe mai preso in giro. La mia vita era ricominciata.»

Mentre lo ascolto, sono paralizzato. Le sue parole mi perforano, sono come coltelli che mi attraversano e affondano ad ogni parola. Si interrompe per asciugarsi le lacrime. Tento di dire qualcosa, ma boccheggio, perché non so davvero come commentare ciò che mi sta raccontando. Sto scoprendo il vero Louis. Fa un grande respiro, poi sorride tristemente. «Sai chi era il mio migliore amico?» chiede. All'inizio nego scuotendo la testa, poi ci rifletto meglio, e mi si accende una lampadina sopra il capo. Deglutisco. «…Paul, vero?». Louis annuisce, e sembra che quel nome gli provochi sofferenza, perché gli occhi gli si bagnano nuovamente di lacrime, che cerca subito di nascondere. «Poi, due mesi fa… un altro macigno, stavolta sul cuore. Tu, Harry. Tu sei stato la mia rovina.»

Inizialmente, non metabolizzo ciò che ha detto. Lo scruto per vari secondi, aspettando che vada avanti per poter poi risollevargli il morale. Quando capisco le sue parole, sbarro gli occhi e arretro. Sono… la sua rovina? Cosa vuol dire? Mi odia? Mi ha paragonato ad un macigno, quindi… gli ho praticamente devastato la vita, solo prendendo l'iniziativa. Non credevo di avere questo potere. Fa male. Abbasso lo sguardo e mi mordo il labbro, vorrei evitare di accompagnarlo nel pianto, perciò mi trattengo. «Scusami...» sussurro. Sono pronto ad essere insultato. Almeno, se si fa detestare, la lontananza da lui sarà meno difficile del previsto.

«No, Harry. Sei stato la mia rovina perché hai risvegliato quella parte di me che era rimasta in silenzio per quattro anni. - tento di interromperlo, perché non riesco a seguire il suo discorso e ho bisogno di tempo per riflettere, ma lui continua – All'inizio, quando mi hai rivolto la parola, ho pensato sinceramente che tu fossi davvero carino, ma nient'altro. Poi, andando avanti, ho compreso che saremmo diventati amici perché eri simpatico e diverso dagli altri. E' stato così, ma… stava succedendo di nuovo. Stavo rivivendo le stesse sensazioni di quando ero in terza media, e non andava affatto bene. Ho cercato di sopprimerle, di vederti come un amico e niente di più. Alla festa però, mi sono lasciato andare, ed è stato uno sbaglio. Sono io, che devo chiederti scusa, Harry. Sono un fallimento.»

Non è vero, non è vero! Scatto in avanti e lo prendo per le spalle. Louis alza la testa e mi guarda visibilmente sorpreso. Prima di riuscire a trovare quello che voglio dire davvero, farfuglio parole a caso. Devo cercare di stare calmo, ma nella posizione in cui mi trovo, è difficile non essere nervosi. Sono praticamente appoggiato alle sue gambe che penzolano dalla cattedra senza toccare terra, sto tenendo le sue spalle, e abbiamo i visi vicini. «No Louis, non è affatto così. Sei sempre stato dove io non arriverò mai, hai sempre raggiunto risultati eccellenti in ogni cosa che facevi, sei considerato il migliore studente di questa scuola. Questo lo chiami fallimento?! Tu… ecco, io… ti ho sempre stimato.» deglutisco più forte di prima. Non era esattamente quello che avevo in mente, ma non trovo il coraggio per rivelargli i miei sentimenti. Non credo che lui intenda la stessa cosa. In fondo, ha represso ciò che provava, e quando era ubriaco gli era sfuggito il controllo, ma poteva essere stato un incidente. Lui scuote la testa.

«Pensavo anche io che realizzando i miei propositi, sarei stato fiero. Tentavo di far sparire il mio segreto, volevo sotterrarlo per sempre. Eppure, mi sono reso conto che… non ho fatto niente, so solo deludere non soltanto le altre persone, ma anche me stesso. Do ragione a Paul, perché nessuno vuole un… frocio come rappresentante. Ti stupirà il fatto che non sono ubriaco ma, vorrei davvero smettere di vivere. Credo non ci sia un valido motivo per vivere se si è già morti.» afferma.

Basta, finiscila. Non devi essere tu a dire queste assurdità, dovrei essere io al tuo posto, io meriterei la tua vita. Tu ti meriteresti il meglio, meriteresti quella perfezione che pensavo riempisse le tue giornate. Dovresti avere mille validi motivi per vivere veramente, con felicità, passione, orgoglio. «Smettila!» la mia voce rimbomba nell'aula vuota. «Non me ne frega se sei ubriaco, sobrio o quello che ti pare, non devi neanche pensarle queste cazzate, lo vuoi capire? Tu sei importante per… - vorrei dire “me”, ma è meglio non rischiare – tutti. La tua famiglia, i tuoi amici, i tuoi sostenitori. Ce l'hai una ragione per vivere. Te stesso! Fallo per il tuo bene!» aggiungo subito dopo, stupendomi della rapidità con cui ho elaborato un discorso concreto. Louis mi sorride, mi prende le mani e le toglie dalle sue spalle. Scende dalla cattedra, ma rimane di fronte a me.

«Harry, quando riuscirai a comprendere che, se provo solo odio per me stesso, non potrò mai volere il mio bene?» così dicendo, fa per andarsene. Gli afferro un braccio, sento che la rabbia si sta di nuovo impossessando del mio cervello. «Sai solo insultarti? Come pensi di migliorare la tua vita se nemmeno ci provi?».

Sbuffa, aggrottando la fronte. Sembra infastidito anche lui. «Mi credi stupido? Non ci provo semplicemente perché non avrebbe senso farlo, sarebbe inutile.»

Tenta di liberarsi dalla stretta, ma questa volta non mollo la presa. «Se dici queste cose, è inevitabile che io ti creda stupido.» sentenzio, e lui perde la pazienza. Mi spinge e io gli lascio il braccio, ma non se ne va. Rimane lì, si morde un labbro, stringe i pugni. «Lasciami in pace e continua la tua bella vita senza il mio disturbo. E' solo meglio per te, credimi. Ti farà bene dimenticarmi.»

«Non voglio dimenticarti!» lo grido più forte che posso. Sento la mia voce ripetersi un paio di volte, so di avere esagerato, ma sono fuori di me. Sarei pronto a picchiare pure lui, se ce ne fosse bisogno. Louis non risponde, mi squadra e noto che ha gli occhi leggermente lucidi. Gli trema il labbro inferiore.

«Stai facendo un grandissimo errore, Harry.»

Prendo un grande respiro. Chiudo gli occhi.

«Fammi sbagliare, allora.»

Allungo le mani verso il suo viso, gliele appoggio sulle guance leggermente rosate e calde. Nella mia testa, sta avvenendo tutto lentamente, ma so che nella realtà sono anche fin troppo brusco. Non so quali saranno le conseguenze, forse nemmeno mi interessa. Mi avvicino alle sue labbra e lo bacio con così tanto impeto che lo spingo contro la cattedra. Lui attutisce il colpo appoggiandosi ad essa con le mani, ma non cerca di divincolarsi da me, anzi, sembra quasi accompagnarmi. Dapprima non reagisce, si limita a farsi baciare, ma poi avverto il tocco delle sue dita sul mio volto. Affonda le labbra nelle mie, approfondisce il mio bacio imbranato, rendendolo perfetto. Sale sulla cattedra e io mi metto in mezzo alle sue gambe. Mi attira verso il basso, appoggia la schiena sul tavolo, lo sovrasto. Siamo praticamente sdraiati, e mentre continuiamo a baciarci con fervore, mi circonda i fianchi con le gambe. Il suo respiro è profondo e lento, il mio invece pare affannato, perché sono agitato. Non ho mai fatto nulla del genere in tutta la mia vita, ma è… qualcosa di meraviglioso. Mi sento in un altro mondo, in un'altra dimensione; per questo ci metto un po' prima di accorgermi che sta suonando la campanella della ricreazione. Questo vuol dire… tutti gli studenti in giro per la scuola. Mi stacco immediatamente dalle sue labbra, sto ancora ansimando e so di essere rosso in faccia per l'imbarazzo che provo. Lui si alza lentamente dalla cattedra, non mi guarda. Rimaniamo in silenzio mentre ci sistemiamo i vestiti e i capelli leggermente disordinati. Louis si schiarisce la voce. «Beh, ci vediamo in giro, eh?» e mi sorride.

Mi accorgo che fuori stanno passando delle persone, ma appena il corridoio torna vuoto, smette di sorridere, si avvicina e mi lascia un bacio più dolce del precedente.

«Grazie, Harry.»

Passa qualcuno. «Ci vediamo in giro, Louis.»


Spazio autrice

Ho cercato di aggiornare subito per recuperare quei dieci giorni tra il secondo e il terzo capitolo!
Sto cercando di scusarmi ahahah perciò ecco a voi il capitolo quattro.
Tengo molto a questo capitolo, perciò fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie e ci vediamo al prossimo :)

 

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Capitolo 5
*** ι ωαντ τo βε σελφιση. ***


ι ωαντ τo βε σελφιση.
(voglio essere egoista)








Osa metterti contro di me un'altra volta, e giuro che ti farò passare l'Inferno.

Te lo giuro. Sei morto.

Un pugno colpisce Paul in pieno viso. La sua faccia sembra gonfiarsi al mio tocco, diventa quasi buffo, ma non ho voglia di ridere perché l'angoscia mi sta schiacciando come un'enorme pietra. Poi un altro, un altro ancora, mille pugni, così violenti che la sua figura continua a deformarsi fino a scoppiare in coriandoli di cenere che sembrano rappresentare il male che c'è in lui. Oscurità, rabbia, disprezzo… una parola si libra in aria, mi si para davanti agli occhi come se fosse predestinata a formarsi all'altezza del mio sguardo.

Paura.

Un pensiero oppressivo mi attraversa la mente, ma tento subito di scacciarlo via. E' impossibile che una persona tale sia in grado di provare sentimenti come la paura. D'altronde, è un'emozione debole, che possono avvertire solo i vigliacchi. Lui non sa di esserlo, perciò non avrebbe senso. E' solo un sogno: forse ho mangiato troppo e il cibo mi è rimasto sullo stomaco. Scaccio via quella piccola vocina che mi comunica che anche i più forti possono avere un lato nascosto.

Guardo Louis, vedo la mia mano che cerca di raggiungerlo, ma Paul si riforma in un secondo, e io devo nuovamente prenderlo a pugni. Questo processo si ripete varie volte, poi capisco che non riuscirò mai ad arrivare a Louis finché in mezzo ci sarà Paul. Perché è apparso “paura”? Quale paura dovrebbe avere un idiota come lui? Paura di essere superato da persone che, a parer suo, non meriterebbero tanto successo? Sto cercando di non focalizzarmi troppo su quella parola, ma è inevitabile. Per la quarta volta di seguito faccio esplodere Paul, e per un attimo mi fa sperare di avere la possibilità di avvicinarmi a Louis, perché non si sta più rigenerando. Poi, appena faccio un passo in avanti, incrocio il suo sguardo maligno. Perché devo ripetere la stessa sequenza fino alla nausea? Questo sogno sta forse tentando di comunicarmi qualcosa, come… finché ci sarà Paul, non potrai arrivare a Louis? E non è inteso nel sogno, penso sia riferito alla vita reale. E' impensabile, ma possibile: sto cercando di aiutare me stesso.

Un urlo mi riempie le orecchie.

Paul grida. Grida così forte che la mia visuale si appanna, come se stessi per svenire. I sensi mi abbandonano lentamente, cado per terra. Chiudo gli occhi perché so che farà male scontrarmi col pavimento, ma prima che questo accada, mi accorgo che la stanza è cambiata, e un lenzuolo soffice accoglie il mio corpo.

Sono su un letto. Guardo l'ambiente, è una stanza buia, alla mia sinistra c'è un comodino con una lampada, alla mia destra… Louis che dorme.

Non ha la maglia. Osservo il suo corpo magro e liscio mentre respira lentamente, immerso in un sonno profondo. Sto sicuramente sognando, ma preferirei non svegliarmi, perciò rimango lì, appoggiandomi ad un braccio per potermi compiacere di quella visione paradisiaca. Louis si gira e finalmente lo posso vedere in viso, un po' stanco e consumato, ma sempre meraviglioso, dolce, ammaliante. Il suo petto si muove in modo regolare, mi incanto a seguire il suo ritmo delicato.

Apre gli occhi. Il blu oceano rimane luminoso nonostante il buio della camera. Allunga un braccio e mi sfiora la pelle, sorride. «Non lasciarmi solo.» sussurra. Io scuoto la testa, non potrei mai farlo. Improvvisamente, inizia a piangere, e io non so come reagire. «Lo farai...» si siede sul letto e le lacrime cadono sul lenzuolo. Mi alzo anche io e cerco di tranquillizzarlo.

«Perché dovrei farlo, io… non potrei mai...»

Evita il contatto. «E' colpa tua se adesso tutti sanno che sono gay!» sbraita.

Sono allibito. Queste parole… in fondo me le aspettavo, anzi, ero sicuro che prima o poi avrei sentito la sua voce pronunciare quella che è la verità. Lo sappiamo entrambi. Eppure sento che c'è qualcosa di sbagliato. Sento che la voce che sto ascoltando non è quella di Louis, ma la mia. Quell'istante in cui chiudo gli occhi, basta per farlo sparire, e ritrovare al suo posto uno specchio in cui si riflette la mia immagine. Ho gli occhi lucidi, non mi rendo conto che la mia bocca continua a muoversi. «E' colpa tua.» lo ripeto, e anche se tento di farmi smettere non riesco, non ho il controllo delle mie labbra. «Sei la sua rovina...»

Colpisco più forte che posso il vetro. Si rompe al mio tocco, facendomi sanguinare le nocche. Guardo un frammento dello specchio, proprio quello che inquadra la mia bocca, che non ha smesso di parlare imperterrita, nonostante la testa la zittisca invano. «Muori, muori, muori!»

“Basta” mormora l'Harry ancora sano nella mia mente.

«MUORI!».

 

Mi alzo di scatto. Sono bagnato fradicio, sento il sudore che mi cola dalla fronte e dai riccioli scompigliati. Ansimo freneticamente, come se avessi corso per una maratona, mi sento sfinito nello stesso modo, eppure non mi sono mosso. Era solo un incubo. Tuttavia sembrava così concreto… no, quando ho visto Louis ho capito che non poteva essere la realtà. Era stato bello fino a quando non mi aveva urlato contro. Guardo l'orologio, sono le 3:05 di notte, e ormai non ho neanche voglia di riaddormentarmi. Ho in testa il viso di Paul che mi minaccia, quello di Louis che condivide il mio stesso letto, le mie labbra che gridano “muori”. Tutto l'insieme mi mette un'angoscia tale da decidere di liberarmi dal peso delle coperte e andare in bagno a sciacquarmi la faccia. Cerco di camminare lentamente per non svegliare mia madre, arrivo al bagno e accendo la luce. Davanti a me c'è uno specchio, e inizialmente ho paura di guardarmi. Sono ancora scosso da quell'incubo. Mi butto l'acqua sul viso e sento un sapore metallico, perciò decido di alzare gli occhi. Non me n'ero accorto: mi sta sanguinando il labbro, ho un taglio proprio in mezzo. Provo a toccarlo pentendomi subito dopo a causa del forte dolore. Devo essermi morso mentre dormivo, a volte quando sono stressato mi sfogo in questo modo. Mi asciugo la faccia e apro la porta per uscire, ma all'improvviso mi blocco. Non riesco a spegnere la luce, è come se avessi una patina sugli occhi che mi impedisse di raggiungere l'interruttore correttamente. Inizia a girarmi la testa, dondolo un po', non capisco cosa stia succedendo e sono spaventato. Sento il cuore che batte così forte che potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Il respiro diventa affannato, tento di inspirare profondamente, ma l'aria si blocca a metà. Mi porto una mano al cuore, credo di star per morire.

Mentre questo pensiero si impossessa della mia testa, sento le gambe cedere, e cado in ginocchio, tenendomi ancora appigliato alla maniglia della porta. Ho gli occhi sbarrati, il sudore che cola, il cuore che batte all'impazzata, tremo con violenza. Sento il respiro che mi rimbomba nelle orecchie.

Senza neanche accorgermene perdo i sensi.

 

 

Apro di scatto gli occhi e la luce di una lampada mi acceca tanto da costringermi a richiuderli. Dopo essere riuscito ad abituarmi, riapro gli occhi, questa volta più lentamente. Sono in una stanza d'ospedale: pareti bianche, nell'angolo a destra c'è un armadio di legno, alla sinistra invece un vaso con una strana pianta. Vicino a me un comodino con un bicchiere d'acqua. Quando volto la testa verso sinistra sussulto, perché c'è un'asta metallica porta-flebo, il cui tubo arriva fino al mio braccio. Dentro il sacchetto di plastica c'è un liquido trasparente che mi fa venire un brivido lungo la schiena. Mi distraggo quando sento la porta aprirsi. «Ah, Harold. Sei sveglio. Come ti senti?» mi chiede un'infermiera anziana. Ha un paio di occhiali che le scivolano spesso sulla punta del naso, sembra una di quelle vecchiette simpatiche stereotipate. Io annuisco un po' a disagio. «Mh… bene, credo. Anche se non so perché mi trovo qua.»

La signora rimane in silenzio per alcuni minuti mentre controlla la flebo, se sono abbastanza coperto e la mia temperatura corporea. Continua a sorridere, e finalmente riesco a sentirmi più tranquillo in sua presenza. Sembra che stia per parlare e rivelarmi che diamine ho, quando la porta si riapre. Nell'uscio c'è mia madre che respira a fatica, pare che abbia corso per le scale. Si sistema, appoggia la borsa su una sedia vicino al mio letto e mi dona un abbraccio leggermente goffo, ma con quel pizzico materno che mi rassicura. Non succede spesso che mi dimostri affetto, devo ritenermi fortunato. «Harry, mi hai fatta spaventare.» sussurra. Sorrido istintivamente: quindi, per ricevere amore da mia madre, devo stare male? Si allontana per sedersi sulla sedia, poi guarda l'infermiera in attesa di un chiarimento. «Harold, hai avuto un calo di pressione brusco e improvviso dovuto ad una mancanza di vitamine, zuccheri e uno stato febbrile. Quando sei arrivato, la tua temperatura arrivava quasi ai 40. Non stavi mangiando in questi giorni, vero?».

Abbasso lo sguardo senza rispondere. Non pensavo che saltare qualche pasto potesse essere così grave. Effettivamente è così: non mangiavo da quasi una settimana, a causa del nervosismo, dello stress e della distrazione. Non facevo altro che pensare a Louis e alla nostra situazione, anche prima che ci baciassimo nell'aula d'arte. All'improvviso mi torna in mente quel momento, che appare come un ricordo lontano, quando invece sono passati solo due giorni. Mi viene da sorridere ripensandoci, sento una strana felicità nel petto, un senso di pienezza che non avvertivo da tantissimo. Chi l'avrebbe mai immaginato? Lui steso sotto di me, io che potevo baciarlo liberamente perché anche lui lo desiderava. Desiderava baciarmi. Vengo riportato alla realtà dall'infermiera che mi tocca la spalla. «Harold, sai bene che non mangiare peggiora il tuo stato. Nella tua cartella clinica c'è scritto che soffri spesso di carenza di vitamine, sin da quando sei piccolo. Inoltre sei un bersaglio facile per i virus a causa della tua salute cagionevole. Non metterti in pericolo da solo, d'accordo?» afferma la signora. Annuisco imbarazzato.

Mi ha praticamente rimproverato perché non tengo al mio fisico, e me lo merito, ma come posso stare attento a me, quando quello che ne ha bisogno è Louis? Mi sarei sentito come se non lo stessi proteggendo abbastanza. L'infermiera sparisce per qualche minuto, per poi tornare con un piatto di minestra su un vassoio. Lo indica e mi interrompe subito con un cenno della mano, quando cerco di dirle che non ho fame. Suppongo che dovrò mangiare per forza.

La signora mi lascia solo con mia mamma.

«Quando ti ho visto steso sul pavimento del bagno, io… ho pensato di essere stata davvero una cattiva madre. No, anzi, lo sono. Scusa.» sussurra lei, senza guardarmi.

Sono sinceramente colpito: non pareva così preoccupata da quando a dieci anni mi ero rotto il braccio cadendo dalla bicicletta. Aveva anche pianto… chissà se stavolta lo ha fatto? Era riuscita, per la prima volta da quanto ricordo, ad insultarsi e ad ammettere di aver sbagliato. Le sorrido quando noto i suoi occhi lucidi che mi osservano timidamente. «Grazie mamma, ma stai tranquilla, sto bene. In realtà non ricordo nemmeno cos'è successo.»

Mia madre prende un grosso respiro e sembra che raccontare sia davvero dura per lei, e inizio a sudare freddo perché quell'atmosfera di angoscia non mi piace per niente. «Erano le tre di notte e io stavo dormendo, quando… ho sentito un tonfo violento, e ho pensato che qualche ladro fosse entrato in casa. Sono corsa subito a controllare, ma quando… quando sono passata per il corridoio, ho visto qualcosa per terra. Eri steso sul pavimento privo di sensi, con la testa che sanguinava. Ho pensato di morire in quel momento.»

Forse stava esagerando, anzi, era sicuro che stesse ingigantendo la questione, d'altronde l'ha sempre fatto. Da come l'ha descritta pare una scena del crimine; nonostante la sua esasperazione dei fatti, continuo a sorridere, perché finalmente mi sento amato da lei. Sento che sta iniziando a capire seriamente come mi sono sentito per tutti questi anni, a sentirla parlare male di mio padre, dell'importanza dei soldi, lamentarsi della mia nullafacenza continua, sottovalutandomi ogni volta che ne aveva l'occasione. Alza una mano e mi accarezza il viso.

«Senti, Harry… sono andata alla tua scuola.» annuncia dopo un po' di silenzio. C'è solo il ticchettio dell'orologio. Perché hanno contattato mia madre a scuola? Non credo di aver fatto così tante assenze, né ho preso voti negativi recentemente. La fisso senza capire, e il suo vacillare mi innervosisce. «No, non è nulla di allarmante! E' che mi hanno convocata perché non sei andato a scuola oggi, e da quanto ho capito, un mese fa hai fatto le veci da rappresentante della tua scuola. Stamattina ti avrebbero chiesto se potevi presentarti ad una ulteriore assemblea per riferire quello che è stato detto nella riunione con gli altri alunni riguardo la tua classe, e inoltre pensavano di nominarti ufficialmente rappresentante, ma non ti hanno trovato. Hanno chiesto ai tuoi compagni, ma nessuno di loro è in stretto rapporto con te, così mi hanno contattata.»

Tiro un sospiro di sollievo. Perché l'unico giorno in cui sono assente, tutti quanti hanno bisogno di me? Pare quasi fatto apposta, ma lascio correre e la ringrazio. Sono incredulo, ha davvero viaggiato quaranta minuti in macchina solo per raggiungere la mia scuola? Ho quasi paura di vederla tornare come prima, fredda e distaccata. Rimane immobile mentre fissa le coperte che mi avvolgono, poi si illumina all'improvviso, raddrizzandosi sulla sedia. «Ah, sì! Mi sono ricordata una cosa importante: mentre parlavo con la professoressa, un ragazzo si è avvicinato per ascoltare la conversazione. Appena ho raccontato cosa ti è successo, è sbiancato. Mi ha guardata con gli occhi sbarrati per alcuni secondi, poi afferrandomi il braccio ha esclamato “Adesso come sta?!” come se fosse questione di vita o di morte. Te lo assicuro, mi ha fatto paura perché dava l'impressione di essere posseduto!».

Non ho sentito l'ultima frase che ha detto.

Le orecchie rifiutano qualsiasi altro suono che esca dalla sua bocca.

Quel ragazzo… può essere solo lui. C'è una parte di me che tende a non farsi illudere, e insiste a ripetere che non è Louis. L'altra invece è così speranzosa che riesce a sovrastare il pessimismo, facendomi scoppiare a ridere. Sento di essere rosso in faccia, ma sono così felice che non m'importa. Anche quando non ci sono, Louis pensa alla mia salute. Me lo merito davvero? Posso accettare questa nuova realtà? Sono la persona giusta per lui?

Mia madre mi guarda perplessa, senza capire. Oh, mamma, non potrai mai comprendere la gioia che sto provando. Mi sento tremare, cerco di non muovermi troppo perché rischio di far staccare la flebo, ma proprio non riesco a trattenermi. Alla fine mia mamma mi blocca e mi fa stendere perché, a detta sua, sono impallidito. «Mi spieghi che ti prende?» sbotta lei.

«Ti ha detto come si chiamava?» la ignoro e le pongo una domanda decisiva.

Lei si allontana bruscamente perché mi sono rialzato in fretta e le ho appoggiato una mano sul braccio. Sospira e alza gli occhi al cielo, probabilmente cercando di ricordare. Quando una persona non le interessa, è solita dimenticarsi l'identità di essa, e a volte anche il viso. «Ha detto di essere un rappresentante. Forse… Lewis? Oppure Liam?».

Ridacchio. Mi sento così sollevato… per un attimo ho davvero pensato che non fosse lui, ma riflettendoci, chi altro si sarebbe interessato a me? Non conosco nessuno così bene quanto lui, perciò mi faccio coraggio e per una volta mi concedo di essere egoista. Voglio la sua attenzione.

«Mi ha chiesto dov'eri, io gli ho detto all'ospedale, e lui è impazzito! Mi ha ringraziata e ha iniziato a correre verso le scale che portano al piano terra. Non penso l'abbiano fatto uscire a quell'ora, ma probabilmente era il suo intento. Ma chi è questo tizio, eh?» aggiunge poi, quando vede che sono più calmo. Tento di frenare le mie risate, mentre ripenso al laboratorio d'arte. Alla cattedra. Alle sue labbra umide sulle mie. Le sue mani che stringono la mia felpa. Al suo corpo sotto al mio. Il suo ultimo bacio a stampo dopo avermi ringraziato. Il suo sguardo dolce. I suoi capelli scompigliati. I vestiti stropicciati. Il suo sorriso.

«E'… un mio amico.»

 

ι ωαντ τo βε σελφιση

 

Non sono rimasto così tanto in un ospedale da quando mi ero rotto il braccio. Le mie attività preferite, finora, sono: fissare il muro, contare i minuti, rotolarmi nel letto. Credo che mia madre non abbia neanche pensato a portarmi il cellulare, almeno con quello mi sarei annoiato un po' meno. Se n'è andata perché doveva lavorare, altrimenti sarebbe rimasta tutto il giorno nonostante le avessi detto che poteva tornare a casa perché stavo bene. Da quanto mi è stato detto, dovrò rimanere almeno fino a domani mattina, per reintegrare tutte le vitamine di cui ho bisogno. Questo vuol dire infinita noia.


 

Tic tac, tic tac. Sono le 14:30 e io ho appena mangiato qualcosa che sembrava minestrone di verdure, ma non ne sono certo perché aveva uno strano colore. L'ho mangiato in ogni caso perché stavo morendo di fame. L'infermiera dovrebbe tornare a momenti con la frutta, perciò non posso fare altro che aspettare. Quando la porta si apre, intravedo un vassoio, e mi preparo un sorriso abbozzato per apparire gentile. «Ah, graz… ». Smetto immediatamente di parlare. La signorina entra e appoggia il vassoio con la frutta sul mio comodino, ma io neanche lo guardo. «Harold, hai visite. Prego.» annuncia l'infermiera uscendo poi.

Forse sono svenuto di nuovo e me lo sto sognando, ma apparentemente davanti a me c'è un ragazzo di diciotto anni, occhi azzurri, capelli castani leggermente arruffati, labbra sottili, respiro affannoso. Recupera energie, deglutisce profondamente e poi mi fissa senza parlare. Nessuno dei due sa cosa dire. Io neanche mi aspettavo una sua visita, ovvio. Regge lo zaino su una spalla, il giubbotto è praticamente per terra, pare che sia appena uscito da scuola solo per raggiungermi in ospedale. Mi risveglio bruscamente dall'incredulità di averlo davanti, indico la sedia, il comodino, l'attaccapanni, senza connettere parole di cortesia come “Prego, appoggia pure la tua roba qua!”, mi limito a balbettare. Fortunatamente Louis capisce, fa un cenno col capo e va a sistemare la giacca e lo zaino per poi sedersi accanto al mio letto. Non ho il coraggio di rivolgere lo sguardo verso di lui, poiché ogni volta che poso i miei occhi sul suo viso, rivedo quelle scene del giorno prima. Sicuramente non è una brutta visione, ma è imbarazzante. «S-stai… meglio?» mormora.

Annuisco con un sorriso impacciato. Se fossi più sicuro di me, avrei già tirato fuori quell'argomento. Spero che lo faccia lui al posto mio. «Quando ho sentito tua madre stavo per sentirmi male, sai?» tenta di ridacchiare con nonchalance, ma quello che ottiene è un verso nervoso. Riesco a percepire la sua ansia, e mi sento quasi onorato di esserne io la causa. «Grazie mille, Louis.» affermo, e lui sussulta. Posso controllarlo solo pronunciando il suo nome? Interessante.

«Ascolta, Harry! Io… volevo approfittare di questo momento per, ecco… per parlare di… quello. Quello, hai presente? Quello che è successo due giorni fa. Però non sentirti obbligato se non vuoi affrontare una cosa simile, ok?!»

Penso di non averlo mai sentito dire così tante volte “quello” in una sola frase. L'ultima asserzione la traduco con “Nemmeno io vorrei farlo ma dovremmo”. Sussurro un fievole: «Ok...» e lo lascio parlare. Louis inizia ad agitare le mani, si morde il labbro inferiore, si scompiglia i capelli. Sta cercando le parole giuste, e questo mi fa cadere nel panico, perché quando qualcuno riflette così tanto, non significa mai nulla di buono. Forse vuole dirmi che quel bacio è stato un enorme errore e che non prova niente. E' una cosa che mi terrorizza.

«Ti sembrerò un idiota perché non so davvero da cosa iniziare. Voglio dirti tante cose però sarò ripetitivo… beh, grazie, innanzitutto. Grazie per le tue parole, perché mi hai davvero aiutato. E… grazie per… quella cosa successa dopo, perché non mi ero mai sentito così bene con qualcuno, e mi ha schiarito le idee, ecco… non so se pensi lo stesso, ma vorrei essere sincero con te, solo che… scusami se sono una lagna continua. Non voglio perseguitarti con i miei problemi… sono così imbranato che non riesco a riordinare nemmeno i miei pensieri.»

Si tormenta le mani. Tra una parola e l'altra inspira appieno, si schiarisce la voce con un colpo di tosse. Non posso fare altro che guardarlo, senza sapere cosa pensare. Le domande girano nella mia testa.

Merito davvero quelle parole?

Merito la sua gratitudine?

Merito una persona così meravigliosa nella mia vita?

Voglio essere egoista. Posso, per favore?

Non chiedo altro. Non pretendo amore eterno, una vita facile, felicità giornaliera. Desidero solo di poter scegliere senza pensare alle conseguenze, senza aver paura del futuro che mi aspetta dietro la porta, senza tirarmi indietro perché potrebbe attendermi un brutto destino. Esigo almeno questo.

Chiudo gli occhi e allungo una mano verso la sua. Appena la raggiungo, lo sento sobbalzare, sta tremando. I nostri occhi si scontrano nuovamente, e io sento quegli stessi sentimenti che provavo mentre lo baciavo. «Credimi, sei più capace di me nell'esprimere te stesso. Riesco solo a dirti… “Anche io”. Quanto sono incapace, eh?» mormoro. Mi viene quasi da piangere perché non riesco proprio ad aprire la porta. E' davanti a me: enorme, agghiacciante, spaventosa. Sento la sua mano che mi accarezza la pelle, è un movimento rilassante. «Allora siamo in due.»

Stiamo in silenzio per un paio di minuti, lui continua a scorrere le dita sul palmo della mia mano, mi fa il solletico ma allo stesso tempo mi rende così tranquillo che rischio quasi di addormentarmi. Dopo un po' mi accorgo di essermi appisolato, e lui è ancora lì con un sorrisetto dolce sul viso. «Harry...» mi chiama in seguito. «Sì?».

«Posso… posso baciarti di nuovo?».

Sento un fuoco d'artificio che mi esplode nel petto.

Mi manca quasi l'aria.

«Non devi neanche chiederlo...».

Louis si avvicina, appoggiandosi al bordo del letto. Esita un po' prima di raggiungere il mio viso. Chiude gli occhi e mi bacia delicatamente, come se avesse paura di farmi del male. Appena cerca di approfondire, però, m ritraggo dolorante. Mi tasto il labbro e ricordo di essermelo morso durante il sonno, provocandomi un taglio. «Diamine, proprio adesso.» commento, e Louis ridacchia imbarazzato. E' leggermente rosso in viso.

Mi guarda e sorride, i suoi occhi azzurri sembrano più chiari, adesso che li osservo meglio. Ha varie sfumature blu, celesti, turchesi. Sono così meravigliosi che non riesco a bloccarmi: gli prendo il viso tra le mani e affondo le labbra nelle sue. Lui cerca di allontanarsi esclamando: «Harry, Harry! Ti fai male!» ma non m'importa. Ho solo voglia di baciarlo all'infinito. Finalmente riesce a fermarmi, appoggiandomi le mani sulle guance. «Smettila, scemo. Peggiorerai il taglio.» ridacchia.

«Al diavolo il dolore.»

Louis rimane fermo con un'espressione incerta. Mi bacia ancora senza spingere troppo. «Harry. Dovevo dirti un'altra cosa.» Sento il suo respiro sulla mia bocca mentre parla. Annuisco con gli occhi chiusi.

«Io… ehm… Harry, tu mi...»

La porta si apre.

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Capitolo 6
*** ι λικε υoΥ. ***


ι λικε υoΥ.
(mi piaci)








E' strano, perché si sono aperte due porte.

Una, è quella contro cui stavo combattendo, quella pesante che non mi permetteva di osare. Scricchiola, la spingo con tutto me stesso mentre Louis sta per dire la frase che neanche riuscivo a comporre nella mia testa. L'altra invece, è una porta materiale, ed è quella della mia stanza. Ci giriamo di scatto entrambi, Louis cerca di ricomporsi nel miglior modo possibile. Rivolgo uno sguardo all'entrata e vedo mia mamma che saluta timidamente. Sono le 15 e ha appena finito il turno di oggi. Spero che non abbia visto nulla, perché non ho idea di cosa pensi riguardo… queste cose. Forse è meglio non parlargliene, per ora.

Appena si accorge che ho visite, punta il dito verso Louis con uno sguardo risoluto. «Tu sei il ragazzo di prima!» esclama come se avesse appena fatto la scoperta del secolo. Io annuisco ridacchiando sotto i baffi mentre lei raggiunge il mio letto e si siede vicino a Louis. Lo squadra per un po', poi lo lascia perdere. «Come stai, Harold?» domanda.

Arrossisco bruscamente. Le avrò detto mille volte di non chiamarmi così, ma lei continua imperterrita. Adesso è ancora peggio, perché ho un amico, e non uno qualsiasi. Mi schiarisco la gola e la guardo male per farle capire di piantarla di fare quello che vuole. Mi liquida con un cenno della mano ed un'espressione abbastanza scocciata. «Bene, grazie» rispondo poi, ignorando la mancanza di rispetto. Con mia madre è una battaglia persa. «Ah, comunque… questo ragazzo è Louis, l'amico di cui ti parlavo.» lo indico e mia madre gli porge la mano. Lui sembra a disagio, non la guarda nemmeno negli occhi. Lo ritenevo più sicuro di sé, ma è la prima volta che lo vedo fuori dall'ambito scolastico, quindi potrebbe essere un'altra delle sue coperture. «Sei il primo amico di mio figlio, sai? Da quanto vi conoscete?» chiede mia madre.

Non faccio neanche in tempo a riprenderla per l'ennesima volta. Quando la smetterà di mettermi in imbarazzo? Ci manca solo che si metta a raccontare di quando facevo la pipì a letto e addio pudore. Non capisco se sia una tattica per eliminarlo, o semplicemente si diverte a prendermi un po' in giro. Louis, fortunatamente, non ci dà peso e risponde brevemente. Tiro un sospiro di sollievo mentre i due cominciano a chiacchierare. «Quindi sei più grande di Harry… beh, sarai il suo Angelo Custode, allora!» commenta. Sento di essere diventato rosso. Rivolgo un'occhiata a Louis che mi sorride prima di rispondere. «Diciamo che cerco di fare del mio meglio per aiutarlo. Anche se non c'è bisogno più di tanto: è un ragazzo d'oro.»

Mia madre lo guarda stupita, con le sopracciglia alzate e gli occhi leggermente dilatati, ma ha un lieve sorriso, come se la lusingasse sentir parlare bene di suo figlio. A guardarla appare quasi come una madre orgogliosa. Devo ringraziare per la milionesima volta Louis, che continua ad intrattenerla grazie alla sua dialettica. Mia madre è incantata, e non è l'unica. Lo guardo e mi ritengo veramente fortunato ad averlo prima di tutto come amico. Mentre parla ha un sorriso meraviglioso.

«Sai, caro, se tu avessi qualche anno in più, e io qualche in meno, potrei anche invitarti a cena!» afferma mia mamma, appoggiandogli una mano sul braccio. Scoppia a ridere insieme a Louis. Sono terribilmente imbarazzato per il suo comportamento, vorrei chiuderle la bocca, ma d'altronde non ha la minima idea di quello che c'è tra me e Louis; anche se lo sapesse, non dovrebbe comunque dire certe cavolate. «Immagino però che tu abbia già la ragazza, vero?» continua in seguito. Sussulto ma non dico nulla. Louis sbuffa e abbassa gli occhi facendo spallucce. Una parte di me vorrebbe che fosse lui a svelare la verità, un'altra parte prega che non gli passi per la mente di dire qualcosa. Ho il cuore che va a mille, ma so di potermi fidare di Louis. «Purtroppo, signora Styles, devo risponderle che sì, sono già impegnato con una persona splendida.»

Sono paralizzato. Quelle parole. Non posso credere che siano rivolte a me. Per un attimo immagino una ragazza nella sua vita, associo la frase a lei, fino a quando non incontro i suoi occhi azzurri, e il suo sorriso sincero. Mi sta guardando in un modo così dolce che sento la pressione scendermi fino ai piedi. «Beh, allora se questa donzella ha delle amiche, presentale ad Harry. Sono stanca di vederlo rientrare a casa senza qualche ragazza.» e mi dà una pacca sulla spalla. Sussulto al suo tocco e le rivolgo un sorrisetto incerto. Mi fa… sentire in colpa. So bene che non vuole offendermi in alcun modo, anzi, dice così perché mi desidera felice, con una bella ragazza con cui costruire una famiglia. Mi dispiace, mamma, ma riceverai una grande delusione da parte mia… non sarà certo la prima volta. Spero solo che un giorno potrà perdonarmi.

Mentre penso questo, Louis e mia mamma parlano del fatto che lui sia così impegnato nella sua carriera scolastica in quanto rappresentante d'istituto, fino a quando non vengono interrotti da uno squillo. Mia mamma risponde subito al telefono con un tono scocciato.

«Mary, sono da mio figlio, lo s… cosa? Il mio turno però è… va bene. Sarò lì tra dieci minuti circa, prepara i documenti.» e chiude bruscamente. Si alza per prendere il cappotto e si lascia scappare un sospiro prima di girarsi verso di noi per salutare.

«Mi rendo finalmente conto di essere diventata vecchia quando mi sento pronunciare queste parole… rimpiangerete gli anni di scuola, ragazzi. Vi saluto, mi hanno chiamata fuori orario per un'improvvisa malattia di un collega. E' stato un piacere, Louis. - si rivolge a me con un sorriso stanco – e, Harold. Verrò a trovarti stasera, appena possibile. Ti voglio bene.»

Pronuncia le ultime parole così a bassa voce che penso di aver capito male. Era già strano che si fosse preoccupata in modo esagerato per il mio svenimento, figuriamoci sentirle dire “Ti voglio bene” senza darmi il tempo di rispondere. Pare quasi che si vergogni. E' forse cambiato qualcosa tra noi?

Mi accorgo del silenzio solo quando fermo momentaneamente il flusso dei miei pensieri. Louis sta fissando un punto impreciso del letto, non sa cosa dire per rompere il ghiaccio. E se non lo sa lui, io sono proprio nel pallone. Cerco di iniziare un nuovo discorso ma proprio non mi vengono idee, perché ancora non abbiamo trovato passioni che ci accomunano… nemmeno ci conosciamo così bene. Una voce dentro di me continua a rimproverarmi per la stupidaggine che sto facendo, e un po' le do la ragione, ma allo stesso tempo… voglio andarle contro. «...Harry?»

Mi giro verso di lui e capisco che mi ha fatto una domanda, ma come sempre non lo stavo ascoltando e sento l'ultima parola. Non ho proprio nessun appiglio per poter rispondere, perciò chiedo di ripetere.

«Prima di essere interrotti… stavamo parlando di una cosa.» dice lui, molto insicuro. Non mi guarda nemmeno in faccia.

Io annuisco perché voglio che sia lui a parlare. In fondo, se non avevo capito male, stava per dire una frase molto importante che mai mi sarei aspettato… soprattutto da Louis Tomlinson. Se fosse stato un sogno, avrei impedito al me dormiente di spegnere la sveglia, lasciandola suonare per l'eternità. Nessuno doveva farmi alzare.

Sta per dirlo ma si ferma e fa un lungo sospiro. «Diamine, tutto il mio coraggio è scomparso in pochi secondi… non riesco più neanche a formulare una frase. Scusa, sono una frana» e ridacchia nervosamente. Cosa si fa in questi casi, per supportare l'altra persona? Sono alle prime armi con la socializzazione. Provo ad allungare una mano per accarezzare la sua, ma vedo che mi stanno tremando le dita perché voglio sentire quelle parole ma allo stesso tempo sono spaventato da esse. Sento come se il peso di quelle tre parole fosse sopra di me, pronto a cadermi addosso e schiacciarmi senza preoccuparsi delle conseguenze. Dovrei riuscire ad essere alla sua altezza, ma io non mi sento tale.

«Ok, il tempo delle visite è quasi finito, quindi devo sbrigarmi. - deglutisce – Intanto, come dicevo prima, grazie mille per avermi difeso. Volevo dirtelo l'altra volta, ma, ecco… eravamo occupati a “fare altro”.» gli esce una piccola risatina imbarazzata e io strabuzzo gli occhi, ricordando cosa intende per “altro”. Stranamente adesso mi sento più rilassato, quasi pronto ad affrontare il suo discorso.

«Ricordi quando ho detto che si stava ripetendo la stessa storia che era successa col mio ex migliore amico, con te? Ecco, riguardo a questo… ehm… cazzo, non so cosa mi stia succedendo. Faccio conferenze di due ore davanti a 500 alunni e non riesco a dire tre parole in croce.»

Mi schiarisco la voce, impaziente. Non voglio mettere fretta ma tra poco mi sciolgo sul letto dal nervosismo. «Louis, senti, non mi è mai successa una cosa del genere, non ho proprio nessuna esperienza, perciò per favore, sii sincero e diretto. Sto per morire dall'ansia e non credo di resistere ancora per molto.» sbotto tutto d'un fiato. Quel briciolo di dignità che mi era rimasto l'ho perso in questo momento.

Louis mi guarda dritto negli occhi, sorpreso della mia irrequietezza. Il mio intervento, in fondo, non era neanche utile, dato che nemmeno lui ha molta dimestichezza in quest'ambito. Dondola sulla sedia per qualche secondo, cercando le parole giuste. «Prima ti ho detto che era la stessa cosa, ma… non è così. Vuoi la sincerità? Non è lontanamente così. E' molto peggio. Harry, non mi riconosco neanche più. Sei nella mia testa da quando ti conosco, ho provato a vederti come un amico, ma ormai sei entrato dentro il mio cervello e non posso più tornare indietro.» mi afferra la mano, che smette di tremare istantaneamente. Il suo tocco ha un effetto calmante su di me. Mi viene da piangere mentre lo ascolto pronunciare quella… dichiarazione? Posso considerarla in questo modo? Harry, puoi farlo? Togliti il guinzaglio, scappa da te stesso.

«Mi piaci da impazzire, Harry. Davvero tanto, così tanto che mi sento quasi in colpa. Mi sento come se stessi deludendo tutti quanti, ma quando ti guardo, so che l'unica opinione che conta è la tua. Per favore, voglio sapere cosa ne pensi. E chiedo pure io sincerità, quindi… non avere pietà. Non dirmi che ricambi se non ci credi neanche tu.»

La mia opinione non l'ha mai chiesta nessuno. Altro che frana, Louis, sono io quello che non potrà mai farcela nella vita. Nel mio cervello ci sono i neuroni che si prendono a spintonate per riuscire ad elaborare un qualcosa di concreto, senza riuscire nell'impresa. Dovrò quindi contare sul mio istinto, usato sporadicamente solo da quando avevo conosciuto lui.

«Non sono mai stato bravo ad esprimermi, non so come funziona l'amore, non so rapportarmi con le persone… però, però… quando sei con me, mi sento più tranquillo, ma allo stesso tempo completamente perso, mi calmi ma mi fai agitare. Ho sempre vissuto solo per me stesso, e adesso sento che lo sto facendo anche per qualcun altro. Per te.»

Louis sorride e pare avere gli occhi lucidi, mi stringe più forte la mano e in un attimo è ad un centimetro dal mio viso. «Dillo anche tu...» sussurra con voce dolce. Con l'altra mano gli raggiungo la guancia e gliela sfioro gentilmente. Ha una pelle morbida, perfetta, sembra di toccare cotone. Sorrido in modo timido, non ci credo, le parole stanno uscendo proprio dalla mia bocca. «Mi piaci, Louis.» le sue labbra paiono di velluto. Lo bacio per qualche secondo, vorrei saltargli addosso, ma dal corridoio sento i passi dell'infermiera e lo allontano appena in tempo. La signora avvisa che Louis deve andarsene. Lui si alza e mi guarda per un secondo lungo un'eternità, fino a quando mi saluta ed esce.

Fisso il punto dove prima c'era lui per alcuni minuti, senza spiccicare parola. Poi, quando sono sicuro di essere solo, senza nessuna infermiera in giro, faccio un sospiro sgraziato mentre sprofondo tra le coperte.

Ma la sveglia non è ancora suonata?

 

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Capitolo 7
*** χoνφεσσιoν. ***


χoνφεσσιoν.
(confessione)





Rimasi all'ospedale altri due giorni. Furono giorni interminabili: Louis quella settimana aveva assemblee tutti i pomeriggi e non poteva mai passare a trovarmi, non ci eravamo nemmeno scambiati il numero di telefono e non potevo contattarlo. In pratica il fatto che mia mamma si fosse ricordata di portarmi il cellulare era inutile.

Quando finalmente il medico aveva comunicato, dopo interminabili raccomandazioni e ricette per medicine, che potevo uscire, ero scattato in piedi in due secondi per prendere il giubbotto e abbandonare quella maledetta struttura. Avevo perso l'equilibrio, il mio corpo era ancora molto debole, perciò mia madre aveva dovuto prendermi un braccio e metterselo intorno alle spalle per trasportarmi fino alla macchina.

Siamo a casa da circa due ore; mamma si è già messa al lavoro per rimpinzarmi di qualsiasi pietanza perché devo “riacquistare energia”, a detta del dottore. Io sinceramente mi sento già più in forma, ma è meglio non rischiare un'altra testata al pavimento. Guardo il telefono, anche se so che tanto non mi arriverà nessun messaggio… al massimo, un avviso dal mio operatore telefonico. Vengo richiamato da mamma che mi porta un vassoio pieno di roba che non ha mai cucinato in diciassette anni della mia vita. Ho poca voglia di mangiare perché penso solo a Louis, e a quando potrò rivederlo. Sono costretto a sorseggiare il tipico brodo di pollo che si rifila ai malati, o mia madre non smette di lamentarsi. Dopo aver finito, la vedo un po' pensierosa. «Che hai?» chiedo. Lei alza lo sguardo e mi squadra. «No, niente.»

La conosco, non sa tenere la bocca chiusa per molto: è una pettegola di primo livello. Quando ero piccolo, ricordo che tutte le mamme dei miei compagni la odiavano, perché divulgava i segreti di una all'altra. Finì per non presentarsi più alle cene di classe, mandando al suo posto mio padre, fino al loro divorzio. Dopo essersi lasciati mi disse di andarci da solo, se tanto ci tenevo. In fondo non avevo amici nemmeno lì, quindi non cambiava nulla la mia presenza. Li sentivo parlare di questi ritrovi per settimane di fila, “Ti ricordi quando a Jane è uscita la Coca-Cola dal naso?! E' stato epico!” e ridevano tutti insieme, mentre io stavo in disparte a fare qualche scarabocchio sul quaderno. Immagino che fosse una scena patetica da fuori, ma a me sembrava la normalità.

Faccio spallucce e mi mostro indifferente per invogliarla a sputare il rospo, cosa che succede pochi minuti dopo. Poco dopo però, quando inizia a parlare, vorrei che lo ringoiasse.

«Senti, Harold… non ho detto nulla in questi giorni, ma… ho visto una cosa e vorrei delle spiegazioni da parte tua. - all'inizio, non capisco, cerco di parlare, ma lei mi interrompe subito – Quando sono venuta a trovarti la prima volta in ospedale, sono rimasta fuori dalla stanza per qualche minuto prima di entrare, e ho sentito… e visto, ripeto, qualcosa.»

Sono paralizzato. Sudo freddo e mi gira la testa, come se stessi di nuovo per svenire. Avverto un magone nel petto, le lacrime che mi bruciano gli occhi. Non pensavo sarebbe successo così presto, credevo di avere più tempo per poter spiegare le cose prima a me stesso che a lei. C'è ancora speranza però: posso far finta di non capire. So che non ha senso come ragionamento, ma almeno guadagno tempo per usare un'altra strategia.

«Di cosa parli?» domando, cercando di apparire confuso.

Lei scuote la testa e non risponde. Si alza e toglie il vassoio dal mio ventre, appoggiandolo sulla scrivania. Pare pentita di aver iniziato quel discorso, ma allo stesso tempo ha bisogno di continuarlo. «Lo sai...»

Faccio un cenno con il capo per negare nuovamente. Voglio che se ne vada dalla mia camera e che sparisca dalla mia vita, ma lei sembra incollata al pavimento. Si siede sul bordo del letto e tenta di avvicinarsi, ma io mi ritraggo mentre fisso il muro alla mia destra.

«Harold, per favore.»

Non riesco a guardarla negli occhi, sono terrorizzato. Riesce a prendermi il mento con la mano, mi gira il viso a forza, poi lentamente mi passa un dito sopra la cicatrice che ho sul labbro inferiore.

«Gli amici non si baciano sulle labbra, Harry… sono vecchia, ma non stupida. Ora, puoi dirmi che succede?» sussurra. Mi tolgo le coperte bruscamente e cerco di alzarmi scavalcandola, lei mi afferra per un braccio e mi trattiene. Non mi accorgo neanche di star piangendo. Lo scatto si fa sentire sul mio fisico, le gambe iniziano a tremare per poi cedere facendomi crollare sul pavimento; mamma mi regge e mi fa sedere di nuovo sul letto. «Per favore, lasciami in pace.» mormoro.

«Voglio solo capire.» risponde lei, decisa. Pare così determinata a farsi gli affari miei che non riesco più a sfuggire alla sua curiosità. Eppure sento ancora dell'astio verso di lei, che solo adesso pare ricordarsi della mia esistenza. Sbotto con rabbia verso di lei e sentenzio: «Perché dovrei raccontarti i fatti miei? Ti sei accorta adesso di avere un figlio?».

Mia madre ha l'espressione di un cane bastonato, ma la lingua di un serpente. «Pensi che non sia proprio per questo che sto cercando di interessarmi davvero a te? Sei sempre stato mio figlio, e io sono sempre stata tua madre, solo che nessuno dei due aveva capito bene il suo ruolo.» Si alza, per un attimo credo voglia andarsene, ma mi sposta di peso per farmi sdraiare per poi coprirmi di nuovo. Si sofferma ad accarezzarmi i riccioli, presa da un'improvvisa malinconia, poi continua il discorso. «Lo so, sono stata una mamma pessima per tutti questi anni, nemmeno ti ricordi i bei momenti che abbiamo passato quando eri piccolo, li hai rimossi… ma io no. E ti ho sempre voluto bene, quindi ora permettimi di essere arrabbiata per quello che hai appena detto.»

Mi copro gli occhi con le mani mentre cerco di mantenere la calma. «No, mamma! Non te lo permetto, no! Quante volte avresti potuto aiutarmi, standomi vicina, dicendomi qualcosa, anche solo “andrà tutto bene”? Hai visto cosa sono diventato?! Un guscio vuoto senza amici, problematico, sento di averti delusa perché non sono e non sarò mai normale, e mi fa così arrabbiare il fatto di sentirmi in colpa quando mi hai fatto passare degli anni orribili… sono diventato questo, per colpa TUA!» sbraito così forte che mi fa male la gola. Mia madre appare sconfitta per un attimo, però non demorde.

«Non mi lasci neanche parlare… se tu mi ascoltassi almeno per una volta, riuscir-...» inizia a dire prima di essere interrotta.

«Se IO ascoltassi TE? Tu lo hai mai fatto? Forse è perché non sono una banconota? Non lo era neanche mio padre, a quanto pare.» grido mettendomi a sedere sul letto. Lei è spiazzata, ho quasi potuto sentire il suo cuore andare in frantumi. Ho esagerato e me ne rendo conto, ma quelle parole ribollivano nel mio stomaco da troppo tempo per rimanere nascoste. Mi accorgo in quel momento che dire ciò che penso di lei mi rende più sollevato e meno arrabbiato.

«...s-scusa, non intendevo...» tento di rimediare.

«No. Hai ragione, Harry. Non so neanche perché provavo a difendermi. Puoi odiarmi quanto vuoi ma perlomeno dammi la possibilità di redimermi. Dammi la possibilità di essere realmente tua madre.» ha le lacrime agli occhi e le fa venire anche a me. Credo di non averla mai vista ridotta così, con gli occhi lucidi, le guance arrossate, le nocche bianche per quanto stringe i pugni. Allora… vuole davvero sapere cosa succede nella mia vita. Sono ancora restio all'idea di aprirmi con lei, allo stesso tempo tuttavia il pensiero di avere qualcuno all'infuori di me con cui condividere ciò che succede nella mia testa mi sprona a fidarmi.

«Magari ritorno dopo, se non ti va di raccontare ora...» mormora timorosa; la fermo con un cenno della mano e le chiedo di sedersi. Mi sento come se fossi io il genitore e lei la figlia.

«Prima vorrei che finissi il tuo discorso.» affermo con un sorriso esitante. Mamma annuisce e inizia a torturarsi le unghie, come per aiutarsi a trovare le parole adatte e a riallacciarsi a ciò che aveva detto prima.

«Quando l'ho incontrato la prima volta, sembrava così tanto affezionato a te che mi sono sentita davvero felice. Era il tuo primo amico e non potevo che andarne fiera, essendo un grande passo avanti. Quando poi sono venuta a trovarti in ospedale ho sentito da fuori le vostre voci e non volevo disturbare. Devi perdonarmi per avere origliato, ma non ho potuto resistere. Ho pensato: “chissà cosa avranno trovato in comune per poter diventare amici” e non mi pareva una grande invasione della privacy. Ti chiedo di scusarmi per questo grosso errore.» si ferma e sospira affranta, guarda in basso.

Scuoto la testa e: «No, non potevi saperlo. Stai tranquilla» asserisco.

Tentenna per qualche secondo, poi riprende: «All'inizio non capivo di cosa parlaste, c'erano lunghi silenzi e continui balbettii. Poi… Louis ti ha fatto una domanda molto esplicita. Così esplicita che il suo significato è arrivato anche a me e, non so per quale motivo, mi ha spinta a guardare dalla finestrella.» il suo senso di colpa si dirada così tanto nella stanza che riesco quasi ad assorbirlo nella pelle.

Posso baciarti di nuovo?” oh, ricordo bene quella “domanda esplicita”.

«Io vi ho visti, ma… Harry, puoi non credermi, ma ti giuro che ho distolto subito lo sguardo. Mi sentivo un'intrusa nel vostro momento speciale. Ho sentito il dovere di allontanarmi per qualche secondo, darvi spazio, e poi sono entrata. Quella sensazione di intromissione si è ampliata quando vi ho visti interagire, lanciarvi occhiatine e sorrisi, alludere ad un legame più forte dell'amicizia, sperando che io non lo capissi. Per nulla al mondo avrei voluto darvi anche solo il minimo presentimento che sospettassi qualcosa, perciò ho fatto finta di nulla e ho messo in atto una recita per la quale mi scuso nuovamente. Sai, devo proprio ammettere che quella maschera stava per crollare quando Louis ha detto che al suo fianco aveva una persona splendida… mi sono emozionata, i tuoi occhi brillavano in un modo che non avevo mai visto...» allunga una mano verso il mio viso ma la abbassa subito dopo, impaurita dalla mia possibile reazione negativa. Se avesse portato a termine quel gesto, probabilmente mi sarei messo di nuovo a piangere.

«Beh, ora è il mio turno di spiegare.»

Ovviamente non le racconto tutti i particolari – forse è meglio partire da qualcosa di soft e non direttamente dalla parte in cui ci sbattiamo sulla cattedra a vicenda. Le spiego, con molta fatica, gli avvenimenti di quel mese e che mi piace Louis da un po' – per dirlo mi ci vuole un grande sforzo, non le guardo nemmeno il viso per paura di vedere una reazione disgustata –, e che dopo vari episodi ho scoperto di essere, a quanto pare, ricambiato.

«E mamma, non sei l'unica che sente di doversi scusare.»

«Cosa intendi?»

«Questa… questa storia di Louis. Non- non è una ragazza, siamo entrambi uomini… non voglio essere una delusione, so che ti immaginavi una donna al mio fianco, un matrimonio, dei figli. Spero che tu un giorno possa accettarmi...» farfuglio cose senza né capo né coda perché fare coming out è l'ultima cosa che mi aspettavo di fare oggi, perciò non ho un discorso pronto.

Ridacchia e mi guarda dolcemente. «Tesoro, ascolta. Sono io che non ho considerato altre possibilità per te, cercando di importi solo una strada. Quello che voglio è che tu sia felice, in qualsiasi modo, che tu sia etero o gay. L'importante è che tu sia soddisfatto della tua vita.»

Sussulto a “gay”. L'ha detta, l'ha detta senza alcuna esitazione! Come ci riesce? Si è allenata? … forse sono solo io quello che si fa problemi.

Deglutisco molto lentamente e mi mordo il labbro. Sono incredulo, quell'affermazione mi ha tolto un enorme peso dallo stomaco e adesso mi sembra di poter finalmente respirare senza affanno.

«...grazie...» sussurro con la voce leggermente rauca.

Mamma mi rivolge un sorriso sereno, poi si avvicina e mi abbraccia. Non riesco neanche a ricambiarlo perché sono esterrefatto dal gesto.

«Penso che tu sia davvero fortunato ad aver trovato un ragazzo del genere. E… anche Louis è fortunato ad aver trovato te.» mi stringe più forte e le sento fare un piccolo singhiozzo, non so se per la commozione, ma lo spero tanto. Le avvolgo il busto in modo un po' incerto.

«Non posso dire di capire perché non sono nella tua testa, però… lo accetto senza esitazione, e anche se non lo accettassi dovresti andare avanti per la tua strada, fregandotene degli altri. Louis ti piace, tu piaci a Louis, qual è il problema?» aggiunge quando sciogliamo l'abbraccio.

L'umore mi scende sotto i piedi.

«Purtroppo i problemi non mancano. La sua situazione familiare è molto grave, il suo ex migliore amico ha detto a tutta la scuola che è gay dopo… - mi fermo subito perché preferisco non scendere nei particolari della festa - … alcuni specifici avvenimenti, e adesso Louis ha paura delle conseguenze. Non voglio che per colpa mia smettano di portargli rispetto, sta già male di suo.» un po' mi sento in colpa a spiattellare i suoi segreti a mia madre, però so di potermi confidare con lei. Lei pare rifletterci su, vuole darmi un consiglio che funzioni davvero.

 

«Devi essere tu la sua forza.» dice infine.

 

Devo apparire un po' dubbioso, perché prosegue: «Lo insultano? Rispondi tu se lui non ha il coraggio. Lo attaccano? Difendilo. Fai capire a loro che devono portare rispetto, e a lui che ci sarai sempre. Comportandoti così, gli trasmetterai fiducia in se stesso, e potrà cavarsela anche da solo.»

Rimango sbalordito e non so che altro fare se non ringraziarla.

Lei non aggiunge altro e si alza per andare via, per poi fermarsi.

«Il suo ex migliore amico ha detto a tutta la scuola che è gay dopo… “specifici avvenimenti”? Per caso c'entri qualcosa tu?» domanda con un'espressione maliziosa.

Io e lei siamo proprio l'uno l'opposto dell'altra: è pettegola come pochi, sembra una bambina alla scoperta del mondo. Arrossisco ed evito la domanda, lei non capitola e raggiunge di scatto il bordo del letto, pronta a sentire la succosa storia che tento di tenere per me. La rimprovero con un: «Mamma, non devi sapere proprio qualunque cosa, o almeno non adesso». Sbuffa stizzita, ma subito dopo pare aver ricevuto un'illuminazione, perché il viso le si colora di un sorrisetto maligno. Prima di andarsene esclama:

«Ah, quasi dimenticavo, Louis viene a cena stasera!»

Impiego qualche secondo prima di registrare cos'ha detto. Unisco le parole: cena, Louis, stasera. Sbarro gli occhi incredulo, non posso crederci. Louis? A casa nostra? Ma che cos'ha in testa questa donna?!

«Cosa vuol dire che viene a cena?!» sbotto fuori di me.

Mia madre ride visibilmente divertita. «Stamattina sono andata alla tua scuola per comunicare che saresti tornato tra due giorni, e l'ho incontrato nel corridoio. Mi ha chiesto come stavi, tentando di apparire disinvolto e per niente preoccupato per te – accenna una smorfia di finto disgusto – mamma mia, quanto siete smielati voi piccioncini. Comunque, gli ho detto che se vuole può venire a casa nostra a mangiare, così da poterti vedere, dato che mancherai da scuola per un altro giorno. Su, non fare quella faccia, dovresti ringraziarmi!».

Ringraziarla? Sento solo il bisogno di strozzarla, altro che. Sono pallido quanto un cadavere, ho i capelli inguardabili, non mi reggo in piedi e ho paura di vomitare se mangio qualcosa che non sia brodo, nonostante mi abbiano detto di ingurgitare l'impossibile per dare forza al mio corpo. Se mi vedesse in questo stato, si pentirebbe di quello che ha detto giorni prima. Ormai è troppo tardi per disdire, anche perché non saprei come contattarlo non avendo il suo numero di telefono.

 

Louis Tomlinson verrà a casa mia.

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Capitolo 8
*** διννερ. ***


διννερ.
(cena)

 



“No, non se ne parla! Non stai andando ad un Gala!” aveva detto mia madre quando l'avevo pregata di farmi cambiare per mettermi qualcosa di decente. Devo presentarmi in pigiama davanti a Louis, a quanto pare. Almeno mi ha permesso di alzarmi dal letto, aiutato da lei, per andare in bagno a rendermi dignitoso. Ci mancava solo che dovessi mangiare in camera mia mentre mia mamma chiedeva chissà cosa a Louis. Come minimo si sarebbe fatta scappare qualcosa della nostra conversazione, o peggio, avrebbe fatto domande imbarazzanti su noi due… dovrò monitorarla per tutta la sera, non si sa mai con quella pettegola.

Vado in bagno e per un attimo mi viene un flash di quella notte in cui sono svenuto: mi ero alzato tutto sudato dopo vari incubi uno dietro l'altro che mi avevano particolarmente scosso. Non riesco a visualizzarli bene nella mente, ma ricordo perfettamente chi riguardano. Il corpo nudo di Louis sotto le coperte mi appare in modo quasi brusco davanti agli occhi, facendomi arrossire. Non è il momento di perdersi nelle memorie, il vero Louis sta per arrivare e io sono ancora qui con delle occhiaie che mi arrivano ai piedi. Mi guardo allo specchio e frugo tra le creme anti-age di mia madre – flaconi, tubetti, campioncini rubati dalle erboristerie, di tutto e di più. Ne prendo uno a caso e me lo spalmo sulla faccia, sperando che faccia un miracolo donandomi un colorito decente. Lancio di nuovo uno sguardo al riflesso di fronte a me e il cuore comincia a battere più velocemente. Sono davvero agitato, se non ci fosse mia mamma sarebbe un appuntamento in pratica… mentre penso questo con il viso che a momenti mi va a fuoco, un rumore sgraziato mi fa sussultare. Lo associo immediatamente al suono del campanello e raggiungo il salotto dove mia mamma sta preparando la cena. Avevo provato anche a dissuaderla dicendo che io avevo già mangiato e che quindi era inutile cenare, ma lei mi aveva guardato come se fossi stato matto. “Quel brodino lo chiami cena?” e non aveva aggiunto altro. Era proprio risoluta.

Prima di aprire la porta, mia mamma si stira la maglia con le mani come se avesse dovuto incontrare il suo capo, ricevendo un'occhiataccia da parte mia. Cosa avrei dovuto fare io, col pigiama e le pantofole a forma di cane regalatemi da zia Patty tre anni fa? Pensandoci rabbrividisco, mettendomi nei panni di Louis che aspetta nel pianerottolo, ignaro di ciò che troverà davanti tra pochi attimi.

Finalmente mia mamma afferra la maniglia e tira il portone verso di sé, per poi accogliere con un grande sorriso il nostro ospite che regge in mano una torta alla frutta confezionata. Sorrido istintivamente, immaginandolo tra le corsie del supermercato a scegliere un dolce da portare per impressionare mia madre. O me.

«Benvenuto, Lou! Dammi pure il tuo giubbotto, lo appendo all'attaccapanni. Tu intanto accomodati sul divano.» esordisce mia madre, prendendogli la giacca nera. Non l'avevo mai vista così riverente, servizievole. E poi, quella confidenza? “Lou”? Avevo il brutto presentimento che quell'atteggiamento non fosse casuale, ma che mia madre avesse un piano ben preciso in testa.

Mi rendo conto, in seguito, di non aver ancora aperto bocca, ma di aver solamente osservato la scena con preoccupazione. Decido quindi di alzare lo sguardo e di salutarlo con un sorriso timido, che lui ricambia con maggiore sicurezza. Mi indica il posto vicino a lui sul divano, e io lo raggiungo traballante, come se il percorso davanti a me fosse un ponte sopra un vulcano pronto ad eruttare. Non mi ero accorto della reale agitazione che tormentava la mia testa fino a quando i suoi occhi non si erano posati su di me. Due pietre azzurre, quasi trasparenti, che mi trafiggono il petto e mi bloccano il respiro. Mi ci posso specchiare, e un po' mi vergogno di quello che vedo. Non sei abbastanza per lui. Guarda come sei conciato. L'Harry autodistruttivo che per un po' mi aveva dato pace stava risalendo dal dirupo in cui era sprofondato. Dovevo assolutamente spingerlo giù o avrei rovinato l'unica possibilità che avevo di sotterrarlo definitivamente, insieme al mio passato. Dentro di me però avverto paura. Se eliminassi la mia vita fino a questo momento, cosa rimarrebbe di me? Questo nuovo Harry mi sta stretto come una maglia XXS, mi puzza troppo di falsità. In fondo, esiste solo da qualche mese, non ha fondamenta. Può essere buttato giù con un soffio. Ho paura di quando potrebbe accadere… e soprattutto, di chi saranno le labbra a soffiare.

«Come stai?» è la prima domanda che pone Louis, riportandomi alla realtà. Sembra formale, ma in un modo forzato, come se si stesse trattenendo dal dire o fare qualcosa di più. Noto il suo continuo giocherellare con il bordo del maglione, il suo mordersi il labbro incessante. E' diverso dal solito, è… imbarazzato dalla mia vicinanza? Impossibile, Harry. Non sei la Regina d'Inghilterra, evita di montarti la testa inutilmente. Io, ironicamente, mi indico il viso bianco cadaverico – senza sottolineare il fatto che avevo provato a darmi un po' di colore con una crema che purtroppo non aveva dato risultati, riuscendo a strappargli una risata sincera.

«Sono stato meglio, ma mi sono ripreso, in fin dei conti. E tu?» chiedo.

Lui si guarda intorno come se avesse paura che mia madre possa sentirci dalla cucina, poi sussurra con un lieve rossore sulle guance: «Mi sei mancato tanto in questi giorni...»

Arrossisco bruscamente. Non mi aspettavo proprio una risposta del genere, e capisco che per lui deve essere stato difficile: abbassa lo sguardo e si tortura le pellicine delle dita con le unghie, ma ha un leggero sorriso compiaciuto. In quel momento sento una strana pressione sul petto, qualcosa che mi ferma ma contemporaneamente mi spinge. Ho voglia di… baciarlo. Non faccio in tempo a bisbigliare “Anche tu”, perché mia mamma entra nel salotto con fare teatrale, reggendo una teglia di pizza margherita appena uscita dal forno. «Forza, a tavola!» annuncia appoggiando la pirofila in mezzo al tavolo già rigorosamente apparecchiato. Vorrei sotterrarmi insieme al vecchio Harry, perché mia mamma non potrebbe essere più imbarazzante di così. Louis non pare affatto a disagio, si siede tranquillo e aspetta che io li raggiunga. Scarico tutta la tensione con un sospiro pesante mentre lui si accomoda. Il suo comportamento mi rincuora perché se per Louis va bene, va bene anche a me. Mi siedo accanto a lui e auguro buon appetito.

Mia madre ha messo una tovaglia bianca di seta, che lei chiama “delle grandi occasioni”, e dei tovaglioli bordeaux piegati a triangolo; le posate sono d'argento, quelle che i parenti le avevano regalato al matrimonio, senza pensare che sarebbe stato inutile come dono, data la qualità e la durata della convivenza degli sposi. Per fortuna – o sfortuna, nel mio caso – mamma ha trovato l'opportunità di utilizzarle, nonostante quella cura dei dettagli mi lasci perplesso: forse pensa che Louis abbia sangue nobile? E poi non è solo il modo in cui ha apparecchiato, ma addirittura la dedizione alla cena… le poche volte che ceniamo insieme, finiamo sempre per mangiare pasti precotti. Adesso invece mi trovo davanti un rinfresco completo. La teglia di pizza, – non la credevo neanche capace di accendere il forno – le patatine fritte, i salatini, e persino una bottiglia di vino per coronare il tutto. Mamma inizia a tagliare la pizza, per poi buttare una fetta nei nostri piatti come se fossimo bestie affamate.

«Non fate complimenti!» dichiara gongolando.

Ho quasi paura di mangiare qualcosa di preparato da una che non cucina da quando sono nato, ma, incredibilmente, quando do un morso al pezzo di margherita la trovo squisita. Noto la stessa reazione da parte di Louis, e un sorriso attraversa il viso stanco della mamma. Non vuole vantarsi della sua bravura, è davvero contenta che ci piaccia. Vederla così felice mi scalda il cuore, e in qualche modo mi sento più rilassato, dimentico finalmente che di fianco ho Louis Tomlinson, diciottenne, rappresentante d'istituto, estremamente bello, gentile, disponibile, ma con un brutto passato e purtroppo anche un brutto presente, irraggiungibile per Harry Styles; di fianco a me c'è semplicemente Louis, un ragazzo meraviglioso che non so per quale motivo ha deciso di interessarsi davvero a me.

E questa, è l'unica cosa che potrebbe contare adesso.

***

Non ci sono silenzi imbarazzanti, figuracce (da parte mia ovviamente), domande scomode, ma solo risate e chiacchiere. Louis ha una capacità oratoria straordinaria per qualsiasi argomento, emana carisma da tutti i pori riuscendo ad incantare anche mia mamma, che di solito ascolta solo se stessa con quella tale ammirazione. Pare completamente rapita dai racconti di Louis, e non solo lei. Non sarei mai in grado di intrattenere così tanto le persone, ha davvero un grande talento; la differenza tra noi è ancora più evidente mentre siamo seduti uno di fianco all'altro: io mi limito a prestare attenzione, ridacchiare ogni tanto, e a fare brevi commenti. Sono davvero la persona adatta a lui?

Dopo aver finito di mangiare mi sento sazio come mai in diciassette anni. Mamma fa per alzarsi, ma io la fermo con un cenno della mano, intenzionato a sparecchiare al posto suo. E' il minimo che possa fare per il suo aiuto – a quanto pare mi toccherà davvero ringraziarla. Allo stesso tempo però, anche Louis si è alzato col suo piatto in mano.

«Ti aiuto» dichiara con un sorriso gentile.

«Dolcezza, non ti azzardare! Tu sei l'ospite qui.» esclama mamma scuotendo la testa. Annuisco per darle manforte, ma lui non pare essersi arreso, perché prende anche le posate e si dirige verso la cucina.

«Mi sento in dovere di contribuire dopo il suo cortese invito e l'eccellente cena che mi ha offerto stasera, signora Styles» afferma Louis con tono pacato. Delle piccole fossette gli incorniciano il sorriso nel momento in cui mia mamma fa un lungo sospiro e: «Va bene, per stavolta… finirai per farmi innamorare con i tuoi paroloni!» risponde ridacchiando maliziosamente.

«MAMMA!» la rimprovero stizzito. Vorrei tagliarle la lingua quando se ne esce con frasi del genere, in più sapendo bene cosa c'è tra me e lui… so che lo fa proprio per mettermi in imbarazzo. Louis ride di gusto e ringrazia mentre varca la soglia della cucina con me alle spalle. Lo seguo a ruota quasi correndo per resistere alla tentazione di tappare la bocca di mia mamma con lo scotch. Prima di dire qualcosa, lo osservo in silenzio mentre appoggia i piatti e le posate nel lavandino. Le spalle non sono eccessivamente larghe, ma proporzionate al suo fisico delicato. I suoi fianchi sono delicati e non sporgenti, il fondoschiena sembra scolpito da quanto è perfetto: mi soffermo più di quanto dovrei, e quando me ne accorgo vorrei sprofondare dalla vergogna. Davvero la mia mente è così perversa? Per fortuna lui è ancora girato e non lo ha notato.

Poco dopo si volta verso di me. «Tutto bene?» chiede con un sorriso.

Annuisco fin troppo vigorosamente mentre avanzo con indecisione verso il lavabo. Louis mi segue con gli occhi, poi torna a strofinare un piatto con una spugna che non pensavo nemmeno di avere in cucina. Il silenzio ci avvolge ancora una volta, e io mi chiedo se sia mia la colpa di quel suo mutismo. Voglio dire, è sempre stato capace di intrattenere chiunque in qualsiasi circostanza, ma quando è solo con me, a malapena sa formulare una frase. E se fossi io la causa della sua insicurezza?

«Spero… spero tu sia stato bene con noi. Chiedo scusa per l'esuberanza di mia madre, ma purtroppo è fatta così.» esordisco io. Devo ancora abituarmi a questi debutti improvvisi, ma il silenzio stava iniziando a diventare alquanto spiacevole. La bocca di Louis si incurva con leggerezza, in un qualcosa che appare come un sorriso ma non mi trasmette la solita calma. Lo vedo turbato, però non voglio farmi gli affari suoi, potrebbe essere qualcosa di personale. E se l'invito fosse stato solo un impiccio per lui? E se fosse venuto solo per non dare l'impressione di essere scortese?

«Assolutamente. Non passavo una serata così bella da tantissimo tempo. Ringrazio tua mamma e ovviamente anche te per l'ospitalità che mi avete riservato, grazie infinite.»

Non voglio condannare o fare supposizioni sconsiderate, ma Louis è strano. E' gentile come sempre, ma in un modo quasi… falso. Pare che lo stia facendo solo per far piacere a me, e questo mi ferisce: il mio obiettivo era proprio quello di farlo sentire libero di potersi mostrare per ciò che è realmente, senza filtri o censure. Ci metto un po' prima di decidere se esprimermi o no, e capisco che forse anche lui ha il mio stesso desiderio.

«Louis...»

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Capitolo 9
*** εξπεριενχε. ***


εξπεριενχε.

(esperienza)







Sto per formulare la domanda quando mia mamma fa la sua entrata teatrale in cucina. Si appoggia allo stipite della porta ed esclama: «C'era troppo silenzio e ho pensato di venire qui ad animare l'atmosfera!». Da una parte la ringrazio, dall'altra la maledico poiché mi ha tolto la possibilità di mostrarmi davvero interessato ai sentimenti di Louis, ma con una sua spinta potrei riuscire comunque nel mio intento. So che ha qualcosa in mente che potrebbe farmi comodo, lo capisco dall'occhiatina che mi lancia. «Ho un'idea! Harry, che ne dici di fargli fare un tour della casa? Dovrà pur ambientarsi, visto che non credo sarà l'ultima volta che verrà a trovarci, vero?» aggiunge poi, guardando prima me e successivamente lui. Ok, non era esattamente ciò che mi aspettavo – e di certo non con quell'allusione – ma almeno potrebbe servire a rompere il ghiaccio. Gli faccio cenno di precedermi verso il salotto cercando di essere più gentiluomo possibile, anche se non è la mia specialità.

Mentre attraversiamo insieme la sala, mia madre si siede sul divano e mi saluta con la mano e un sorriso a trentadue denti.                        
Vorrei rivolgerle un’occhiataccia perché si sta prendendo troppe libertà, e invece mi trovo a sorriderle di rimando. Seppur non mi piacciano i mezzi che utilizza, riesco a vedere quanto davvero si stia impegnando per far funzionare le cose tra noi. Finalmente mi sembra di avere una madre che mi ama incondizionatamente.

«Ecco, qua c’è la camera di mia mamma…» inizio a spiegare, indicando una porta di legno scuro alla mia sinistra. Intanto dalla cucina sento la proprietaria della stanza che tira fuori la torta per servirla. Tra noi e lei ci sono il salotto e la porta del corridoio che ho appena chiuso perché mamma si lamenta sempre della corrente d’aria che passa. Ora non la sento più trafficare, e il silenzio piomba tra me e Louis. «E tuo padre? – chiede lui per rompere la tensione - …se non sono indiscreto.»

«I miei sono divorziati da quando sono piccolo. Sinceramente non so dove sia e non mi interessa neanche.» rispondo senza pensare troppo alle mie parole. Sono così abituato ad ignorarlo (e ad essere ignorato) che non ci faccio più caso. Lo sguardo di Louis si rabbuia improvvisamente.

«Tu almeno lo hai…» sussurra.

Mi pare di essere diventato un pezzo di marmo, sono totalmente paralizzato. Come ho potuto essere così senza cuore? Come ho potuto dire una cosa tanto grave proprio a Louis, sapendo bene del suo lutto? Inizio a balbettare qualcosa che dovrebbe essere una scusa, e ciò sembra riportarlo alla realtà. «Perdonami, sono un maleducato. Non è colpa tua.»

«N-no Lou-» tento di dire, ma lui mi interrompe con: «Questa che stanza è?» indicando la porta di fronte alla camera di mia madre. Mi ha… completamente liquidato cambiando argomento. Forse non voleva più parlarne e ha preferito lasciar stare. Devo accettare la sua decisione, ma questo suo comportamento inizia a spaventarmi.

Dov’è finito quel Louis per cui avevo una cotta? È forse questo il suo vero volto?

«Q-questo… è lo studio di mia madre. Viene qua quando deve sbrigare delle faccende per il lavoro.» racconto mentre abbasso la maniglia per fargli vedere l’interno. Non c’è molto da ammirare: una scrivania a muro con sopra scartoffie, cartelle e un computer, un cestino di fianco e un comodino con sopra il telefono fisso che usa per le chiamate aziendali.

Solo in quel momento noto una foto di me da piccolo incorniciata e messa in bella vista sul tavolo. Faccio un piccolo sbuffo per trattenere una risata di scherno. Era un tentativo per far commuovere Louis, o me?

Louis osserva per qualche secondo, poi domanda: «Che lavoro fa?».

«È un’impiegata in un’azienda di assicurazioni. Molto noioso, lo so.»
Lui scuote la testa sorridendo. Chiudo la porta e avanzo nel corridoio fimo a raggiungere “la scena del delitto”: il bagno.

«Qua è dove ho rischiato un trauma cranico» annuncio con un ghigno, e finalmente riesco a strappargli una risata sincera. La porta è già aperta e posso vederci riflessi nello specchio insieme a tutte le creme che avevo cercato di spalmarmi in faccia, sparse sul lavandino. Louis è più basso di me nonostante abbia un anno in più, e non è solo l’altezza: ha proprio un fisico minuto, mentre io sono più robusto. Mi rendo conto di essermi incantato a fissare i nostri gemelli nello specchio quando Louis mi appoggia una mano sulla spalla.

«Scusami! Andiamo» esclamo imbarazzato.

Non voglio ammetterlo, però… guardando noi due insieme ho ripensato al sogno di giorni fa dove eravamo stesi nel letto, nudi. Sto impazzendo, non mi era mai capitato di soffermarmi insistentemente su un ricordo tanto perverso. Toglitelo dalla testa, Harry, è già tanto che vi siete baciati. E poi dovresti vergognarti ad avere queste fantasie quando ai piedi indossi delle pantofole a forma di cane.
Arriviamo infine alla mia camera, il cuore inizia ad accelerare e non ne capisco il motivo. Questa volta non mi fermo solo sul ciglio ma lo invito ad entrare e ad accomodarsi. Ho rifatto il letto, riordinato un po' la scrivania, raccolto i fogli scarabocchiati da terra, quindi la camera è abbastanza presentabile. Louis si siede sul letto e comincia a perlustrare l'ambiente con un sorrisetto curioso, prima di commentare: «Molto carina. È proprio da te». 

Sento le guance che si scaldano per quelle parole, lo ringrazio con la voce tremolante nonostante abbia detto qualcosa che chiunque potrebbe dire. Eppure c’è differenza tra una persona qualsiasi e Louis.

«Ti va… di sederti?» chiede lui dopo aver perlustrato l'intera stanza con lo sguardo. Ha esitato leggermente, e un rosa delicato gli colora le guance. Sono sorpreso da quell'invito, ma anche compiaciuto: magari quella stranezza era stata solo una mia impressione, o era una cosa passeggera. Quando lo raggiungo Louis appoggia la mano sulla mia. Trattengo un sussulto quando sento il suo tocco inaspettato. Lo guardo aspettandomi il suo solito viso gentile che mi sorride, invece lo vedo frustrato. Ha gli occhi chiusi, serrati, e si morde il labbro. Vorrei dire qualcosa che possa avvicinarci, ma so di non esserne capace. 

Cosa dovrei fare? Dovremmo parlare in confidenza? Abbracciarci? … baciarci? E se fosse così, come glielo faccio capire? Mi giro verso di lui e gli lancio un segnale? Lo bacio alla sprovvista? E se mi puzza l'alito? No, mi sono lavato i denti. Ma…

Basta.

Penso di starmi facendo tante paranoie a causa di ciò che è successo prima. Ho paura di offenderlo nuovamente ed è proprio l'ultima cosa che vorrei fare. Forse devo solo spegnere il cervello e agire a seconda delle circostanze.

«Harry?» mi richiama Louis. Perché ogni volta che mi parla io ho la testa fra le nuvole e non capisco cosa mi ha chiesto? Probabilmente se n'è accorto perché ripete: «Volevo ribadire le mie scuse per quello che ho detto riguardo a tuo padre.»

Sto per dirgli “No, tranquillo” ma ricordo la sua espressione sofferente quando mi ha preso la mano. Sta insistendo a scusarsi… perché vuole tirare fuori un argomento che gli pesa sul petto. Vuole parlarne con me. «Che ti succede, Louis?»

Il silenzio mi si lega attorno e mi stringe fino alle viscere tanto da togliermi quasi il respiro. Ho sbagliato intuizione, ho malinteso? Mi spavento quando, con uno scatto, gira il volto verso il mio, facendoci trovare praticamente naso contro naso. Si avvicina lentamente e appoggia le labbra sulle mie lasciandomi un bacio che pare più una carezza. Ogni volta mi sento trasportato in un mondo surreale, quello che immaginavo e che mai avrei pensato di trasformare in realtà. Mi trasmette pace e tranquillità senza neanche parlare. Sto per sorridere e ricambiarlo, ma lui si stacca subito e accosta la fronte contro la mia con gli occhi chiusi. 


«Oggi… è l'anniversario della morte di mio padre.»


La sua rivelazione mi prende così alla sprovvista che faccio un salto indietro spalancando gli occhi incredulo. Proprio oggi? Vorrei dare la colpa alla mamma, ma lei non poteva saperlo… e neanche io! Mi sento un mostro: Louis è stato praticamente costretto ad accettare l'invito solo per non sembrare maleducato, e ha dovuto fingere di divertirsi. E poi… “Non me ne frega niente di mio padre”, davvero Harry?!

Louis non si è mosso di un millimetro, ha la stessa espressione inquieta di prima. «Non volevo rovinare la serata, ma il pensiero mi stava tormentando… perdona il mio egoismo.» mormora con un filo di voce. Si porta una mano al petto e si stringe la maglia come se volesse soffocare il proprio cuore. Mi ricompongo velocemente e mi avvicino di nuovo a lui, tuttavia non so come confortarlo. In fondo, in queste occasioni, niente suona abbastanza giusto. “Mi dispiace” sarebbe come provare pena, ma io sento tutt'altro: lo stimo per il suo grande coraggio. Lo stimo perché ha avuto la forza di condividere il suo dolore con qualcun altro dopo essere stato abituato a nasconderlo per anni. E' in quel momento che capisco cosa dire. 

«Tuo padre sarebbe fiero di te e del tuo coraggio.»

Louis mi guarda sbalordito. Gli occhi gli si riempiono di lacrime ma se li strofina subito per mandarle via. «Lo credi davvero?» domanda con tono speranzoso, come un bambino quando gli viene fatta una promessa. 

«Lo so per certo» rispondo sorridendo, e stavolta Louis non riesce a trattenersi. Piange, eppure continua a sorridere come se finalmente quel peso gli avesse dato un po' di pausa. Gli prendo la mano che ha ancora sul petto, e lui allenta la presa, lasciando la maglia per afferrare me. 

«So che non potrò mai liberarti da questa sofferenza, ma… spero almeno di poterla alleggerire perché non meriti di stare male. So che meriti di essere felice.» affermo con una sicurezza che mi coglie di sorpresa. Louis stringe la stretta, tenta di non piangere ancora.
«Non dovevo permettermi di parlare di tuo padre quando non conosco la storia dietro… solo che a volte provo invidia quando penso che tutti gli altri hanno un padre e io… non più.» spiega mentre si tortura il labbro inferiore. Non è la stessa situazione, ma posso capirlo in un certo senso: nemmeno io ho più un padre come si deve, non lo vedo da anni e non si fa neanche sentire, perciò posso considerarlo morto. 
«Ho sbagliato anche io, non dovevo dire quelle cose. Soprattutto in un giorno come questo… che idiota.»

Scuote la testa prendendomi la mano tra le sue. «Sono passati due anni, me ne sono fatto una ragione. E' un giorno difficile se ci rimugino troppo sopra, ma in fondo è solo una data commemorativa… non addossarti i miei rimorsi, io sto bene. Passerà anche oggi.»

Sta bene… vorrei crederci.

«Allora okay...» sussurro dubbioso, però non voglio persistere.

I nostri occhi si incontrano e lui appare incantato. «Sembri uscito da uno delle mie tante fantasie da quindicenne confuso...»

«Quale tra quelle?»

Louis ridacchia. «Segreto. Però posso dirti che mi sentivo davvero solo e abbandonato a me stesso.» mentre risponde si avvicina al mio viso. Posso osservare i suoi occhi da così vicino che mi sento come se mi stessi immergendo in un oceano. 

«E adesso?» anche io faccio un passo avanti.

Posa la mano sulla mia guancia. «… forse un po' meno.»

Quando sta per succedere qualcosa di importante avverto sempre che il tempo rallenta per me. Gli attimi durano ore, il silenzio diventa un rumore assordante e gli occhi di Louis sembrano trapassarmi il corpo. Una teoria che mi piace avere è che la mia stessa testa cerca di darmi più tempo per assimilare ciò che succederà in seguito. Io però avrei bisogno di più attimi eterni per affrontarle come vorrei. 
Louis mi agguanta il volto e mi bacia senza titubanza, ma non è prepotente, la sua foga aumenta solo quando io reagisco con lo stesso impeto. Il suo corpo spinge il mio contro il muro e ben presto i miei piedi non toccano più il pavimento. Fortunatamente, grazie a questo suo gesto, le pantofole imbarazzanti cadono lasciandomi coi calzini.

Tutto succede in fretta e non ho nemmeno il tempo di elaborare: ancora una volta mi trovo a baciare con passione Louis Tomlinson, come nel laboratorio di arte. Ancora una volta le nostre lingue si incontrano. Ancora una volta… no, questo non era mai successo prima. Louis si stacca dalle mie labbra per passare a baciarmi il collo, facendomi venire i brividi. Il respiro mi si fa più pesante e percepisco un formicolio al basso ventre che aumenta incredibilmente quando la sua mano si insinua sotto la mia maglia. Mi accarezza il petto e i fianchi; la sua pelle è calda rispetto alla mia, probabilmente perché sono ancora cagionevole, ma il suo tocco pare ridarmi vita. Non so dove andrà a finire questa passione che ci ha travolti all’improvviso poiché è successo senza che lo potessi prevedere; non so nemmeno dove posizionare le mani sul suo corpo, perché è lui che dirige tutto. Louis deve aver notato la mia incertezza: si avvicina ancora di più e mi prende la mano per appoggiarla sul suo fianco. Grazie a questo suo suggerimento capisco, o almeno spero, di dovergli cingere il busto con entrambe. Gli stringo la maglia come se avessi bisogno di reggermi per non cadere: chissà cosa mi sta rendendo così insicuro, l’ultima volta riflettevo di meno e anzi, ero praticamente io a condurre il gioco. Forse è perché stavolta tutto è più serio?

Ciò che conferma questa mia teoria è proprio Louis: il calore della sua mano si sposta gradualmente sotto al mio ombelico, scende accarezzandomi fino a raggiungere… wow. Un brivido mi percorre la schiena come una scarica elettrica e riesco a malapena a soffocare un gemito. Louis ha la mano sinistra sul cavallo dei miei pantaloni e penso sia ovvio che senta la mia erezione. È una sensazione completamente nuova e mi piace: ho sempre e solo sentito narrare questo momento dai miei eroici compagni durante gli anni di scuola, e incredibilmente mi trovo d’accordo con loro nel dire che è una sensazione… eccitante. Io però non avverto esclusivamente questo. Un nodo alla gola mi ricorda che siamo in camera mia con mamma a due stanze di distanza, che potrebbe entrare in qualsiasi momento.
Sono confuso perché da una parte c’è il panico per il fatto che potrebbe scoprirci, dall’altra non riesco a rimanere lucido a causa del tocco di Louis che si sta appesantendo. Ho il viso che va in escandescenza, rosso fuoco, cerco di mordermi le labbra per non fare rumori che potrebbero richiamare l’attenzione di mia madre, e lui appare solo compiaciuto dalla visione. Come me ha le guance arrossate e il respiro affannoso, ma sorride guardando la mia difficoltà nel trattenermi. Pare quasi fiero vedendo cosa riesce a provocarmi solo toccandomi, quanto io sia debole e bisognoso delle sue attenzioni. 

Spero che cerchi di rendere le cose più semplici, fermandosi lì – una parte di me non vuole che smetta, però – invece, notando la mia reazione, decide di giocare sporco: torna a baciarmi sulle labbra, mordendole delicatamente di tanto in tanto, mentre le sue dita iniziano ad abbassarmi i pantaloni di qualche centimetro. I boxer neri spuntano fuori e con essi anche il gonfiore del mio membro diventa assolutamente evidente. Louis infila le mani sotto l’elastico dei pantaloni e ormai riesco a sentire le sue dita separate solamente da un sottile strato di stoffa. Nonostante mi stia zittendo baciandomi, riesco comunque a farmi scappare qualche gemito quando inizia a strusciare la mano sul membro effettuando una leggera pressione. Vuole andare davvero fino in fondo…

Ok Harry, cerca di tornare cosciente. Tua madre è in cucina!

Solo un altro po'…?

No!

Ok, ok. La mia prima… Non-esperienza deve finire qui, purtroppo.

Louis sta per rimuovere l’unica barriera rimasta tra lui e la mia erezione quando io lo fermo afferrandolo per il braccio “in azione”. Mi stacco dalla sua bocca per mormorare «L-Louis, aspetta…» in modo affannoso. Louis allontana subito la mano vedendomi preoccupato. 
«Scusami Harry, non so cosa mi sia preso… avevo bisogno di distrarmi dalla tristezza, tu eri così dolce e bello che non ho potuto resistere. Dovevo prendere in considerazione la tua inesperienza e chiederti il permesso… sono un cretino» esordisce tutto d’un fiato, senza neanche darmi il tempo di interromperlo.

«No no, è che in cucina c’è mia mad-»

Un rumore alla porta.
Qualcuno che bussa.

«Ragazzi, se non vi sbrigate mangerò io tutta la torta!»

Io e Louis ci guardiamo per un paio di secondi, terrorizzati, prima di alzarci di scatto dal letto e risistemarci vestiti e capelli. Ho un déjà-vu di questa scena. Quando abbasso lo sguardo noto di essere ancora eccitato ed istintivamente mi copro per l’imbarazzo. 

«A-arriviamo!» esclamo tentando di essere disinvolto.

Louis ridacchia e mi passa una mano tra i capelli come per consolarmi.

«Colpa mia…» dice sogghignando.

Sbuffo divertito e apro la porta.

Sì, decisamente…

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