La Zona (Completo)

di FreddyOllow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La zona ***
Capitolo 2: *** I Bunker ***
Capitolo 3: *** Corridoi ***
Capitolo 4: *** Lo Stalker ***
Capitolo 5: *** La foresta ***
Capitolo 6: *** Le Ombre ***
Capitolo 7: *** L'accampamento ***
Capitolo 8: *** La vera natura della zona ***
Capitolo 9: *** Gap 51 ***
Capitolo 10: *** L'Ombra ***
Capitolo 11: *** Prepararsi per la Palude ***
Capitolo 12: *** Visioni ***
Capitolo 13: *** La palude ***
Capitolo 14: *** Il viaggio nella palude ***
Capitolo 15: *** Oscar L'Ombra ***
Capitolo 16: *** I due Stalker ***
Capitolo 17: *** il sentiero per la Valle Verde ***
Capitolo 18: *** Lo PsicoControllore ***
Capitolo 19: *** La parete rocciosa ***
Capitolo 20: *** La Zona si desta in Alexander ***
Capitolo 21: *** Laboratorio x16 ***
Capitolo 22: *** Nessuno torna indietro ***
Capitolo 23: *** Caos ***
Capitolo 24: *** Il Monolite ***



Capitolo 1
*** La zona ***






Non avevamo avuto nemmeno il tempo di raccogliere le nostre cose, che il nostro comandante, Varetic Hug, ci disse che era arrivata l'ora di mettersi in viaggio. Dovevano essere le cinque di mattina, faceva un freddo cane e pioveva a dirotto. Il giorno prima non avevo dormito bene, per via di quel ratto che infestava il capanno. Aveva il brutto vizio di rosicare il legno del mio letto, e credetemi se vi dico che era più furbo del Comandante. Le notti precedenti avevo escogitato moltissime trappole per prenderlo, ma quel mostriciattolo mi sfuggiva sempre e tornava a rosicare il legno del mio letto. Eppure era solo legno, mica una bella fetta di formaggio. Non ho mai capito cose ci trovasse di così gustoso in quel legno. Ma di cose strane nella zona ce ne sono parecchie, e il topo era la più normale di queste.
Prendendo lo zaino alla svelta, con gli occhi che mi lacrimavano dal sonno e sbadigliando di continuo, mi resi conto di aver dimenticato la maschera antigas sulla branda.
Joe Gors, il mio migliore amico, la prese per me e me la consegnò. << Vuoi proprio morire eh, Boris? >> Rise.
<< Forse è una buona idea. >> Risposi sbadigliando. << Odio quando mi svegliano mentre sto sognando Sofia. >> 
<< Sofia, Sofia... >> Mi canzonò << Ti sei proprio fissato con quella donna. >> 
<< E' la più bella donna che abbia mai visto. >> Risposi, immaginando il suo bellissimo viso. Ma in realtà mi ero innamorato del suo carattere indipendente, non tanto dalla bellezza.
D'un tratto si aprì la porta e il comandante Varetic entrò, fermandosi davanti all'ingresso con aria autorevole. << Siete più lenti delle lumache! Lo volete capire che ci hanno affidato una missione molto importante! >> Gridò << La nostra compagnia non può permettersi un fallimento! Se accadesse, vuol dire che voi siete un fallimento! >> 
Il comandante era conosciuto per il suo pessimismo. Pensava che i discorsi che ci rifilava potessero in qualche modo incoraggiarci, ma non faceva altro che buttare benzina sul fuoco, ma eravamo abituati.
<< Figli di puttana! Se non uscite dal capanno entro cinque secondi, giuro che vi faccio... >> Il comandante fu interrotto dall'entrata dell'uomo che tutti temevano; Il morto.
<< Smettila di urlare, dio santo! >> Disse calmo. << Sono le cinque di mattina, un po' di rispetto. >> 
Il comandante si ammutolì e indietreggiò di qualche passo, proprio verso me e Joe.
Il morto era un uomo molto alto, spalle larghe, completamente calvo e una lunga e folta barba che arrivava alla base del collo. 
Indossava un lungo cappotto nero, il suo colore preferito. Molti dicevano che odiasse i colori, ma erano solo voci.
Ma di una cosa eravamo certi, odiava qualsiasi forma di autorità. Il suo sopranome? Derivava dal suo pallore e dai suoi occhi quasi del tutto bianchi. Il fatto che fosse in un plotone militare, dove c'era una struttura gerarchica, mi aveva confuso. Non so cosa facesse lì, come non so cosa facesse prima che fossi messo al servizio nell'accampamento. Si vociferava che fosse in realtà uno Stalker, qualcuno che lavorava a stretto contatto con gli ufficiali, ma come ho già detto, so veramente pochissimo su quest'uomo.
<< Allora, cos'era questo baccano? >> Disse il morto, guardando il Comandante dritto negli occhi.
<< Huh.. dobbiamo partire, voglio dire... >> Farfugliò Varetic con voce minuta. << La m-missione, non possiamo f-fallire... >> 
Il morto sorrise per un attimo, roteò gli occhi verso il soffitto e li abbassò di nuovo. << Hai fatto tutto questo casino per una fottuta missione? Inoltre, non so un cazzo di questa missione! >> Sorrise freddamente. << L'ho sempre detto; la zona ti ha spappolato il cervello, Comandante! >> Dopo aver detto quelle parole, lasciò il capanno. Sembrava che fosse lui al comando, non Varetic. Ma tutti i soldati seguivano il Comandante per non essere incolpati di diserzioni o subordinazione, compreso me.
Il Comandante se l'era quasi fatta addosso dalla paura. Era fin troppo chiaro che Veretic non valesse niente nella nostra compagnia, ma ai soldati stava bene così. Dopo tutto, ci rompeva alla grande, credendo di intimorirci, ma ci lasciava i nostri spazi quando eravamo a riposo. Era un completo idiota che sfruttava la divisa per avere un po' di autorità.
<< Bene... >> Tossì il comandante per farsi notare << Tutti fuori! Forza, forza! >> Urlò, lanciando uno sguardo intimorito alla porta da cui era uscito il Morto.
Il nostro accampamento, perlopiù capanni abbandonati in mezzo ad un sperduta campagna sterile e desolata, era l'unico accampamento cui mancava tutto; acqua, cibo, munizioni, di tutto. Gli uomini che presidiavano la base non se la passavano male. Anzi, molti di loro avevano contatti con i trafficanti della zona, facendo affari per grosse somme di denaro o rifornimenti.
I trafficanti erano gli unici mercanti ad avere di tutto; armi, cibo, acqua, munizioni e manufatti. Rifornivano la base e non facevano mai mancare nulla. Per questo motivo il nostro plotone riusciva a sopravvivere in quella landa sperduta. I trafficanti venivano alla nostra base travestiti da ufficiali dell'esercito, accompagnati dalla famosa scorta dell'ufficiale; soldati che scortavano l'ufficiale addetto alla supervisione della base, ma quelli però, non erano soldati, ma semplici Stalker. Alle volte qualche supervisore veniva a dare un occhiata, ma molto raramente.
Forse vi starete chiedendo chi siano questi Stalker? Ma sarò breve, poiché neanche io so bene chi siano. Ma ecco quello che so; gli Stalker sono uomini entrati illegalmente nella zona di alienazione. Sono spinti "dall'avidità, dal potere, dai soldi" come direbbero i nostri ufficiali che li considerano parassiti. Ho sentito dire che alcuni sono assassini, stupratori, criminali e feccia di ogni genere. Sperano di trovare un posto tutto loro, un posto dove rigugitare tutta la brutale violenza che hanno in corpo. 
Io credo che i nostri ufficiali calcano troppo la mano, voglio dire, queste voci non sono del tutto vere. Joe mi ha raccontato di uno Stalker artista; uno Stalker che dipinge i tetri paesaggi della zona e poi li rivende al mondo esterno. Dice che ci ha parlato, che gli ha fatto vedere qualche dipinto, ma personalmente non so più a chi credere. E' tutto strano 'sto posto, come se girasse al contrario. Comunque noi soldati abbiamo l'ordine di uccidere a vista qualsiasi Stalker, che sia a centro metri dall'accampamento o da qualche altra parte, abbiamo l'ordine di sparare per uccidere.
L'ordine proviene dai piani alti, e quando dico piani alti intendo dire gente ricca, potente. Vi lascio immaginare chi siano queste persone, ma se volete un aiuto, sono quelli che in ogni nazione derubano la gente non con le pistole, ma con una penna. 
La cosidetta "zona", è una zona militare, perciò chiunque entri dentro il perimetro di alienazione, dev'essere abbattuto. "Prima spariamo e poi facciamo domande." Il Morto lo ripeteva spesso. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo un abisso. Tutte queste regole non le segue nessuno, eccetto quando si era al confine della zona, dove gli Stalker si addentrano assai raramente. Non chiedetemi il perché, ma noi soldati dovevamo ringraziare in gran parte i trafficanti e i loro stalker per i rifornimenti. Senza di loro saremmo morti di fame.
Ma da quando ero qui, nella mia testa frulla una sola domanda: cosa cercavano gli Stalker in questo posto?
Il Comandante era troppo stupido da accorgersi che quelli non erano soldati, che non esisteva nessun ufficiale. Da queste parti gli ufficiali avevano carta bianca su come eliminare gli Stalker. Molti di loro nemmeno si parlavano, poiché erano corrotti ed erano lì giusto per mettere da parte un bel gruzzoletto per la pensione. Quindi, cercavano di non pestarsi i piedi a vicenda o di venire denunciati da qualche sottoufficiale ambizioso e non al guinzaglio. E chi supervisionava l'operato degli ufficiali, veniva a sua volta corrotto. Quest'ultimi sapevano far bene il loro lavoro. Scrivevano rapporti talmente fantasiosi sull'operato degli ufficiali, da superare persino i grandi scrittori di fantascienza.
D'altronde il Comandante non faceva mai troppe domande. Pensava che chi stesse ai piani alti ci stesse supportando, ma era tutt'altro che così. Ci avevano lasciati a marcire e ogni tanto mandavano qualcuno a controllare la situazione. Gli "alti papaveri" avevano ben altro da fare che concentrare risorse sulla zona e capirne i segreti.
Mentre la pioggia scendeva giù con prepotenza e le folgori squarciavano il cielo nuvoloso, il Comandante ci ordinò di serrare i ranghi. Sedeva su una sedia in legno, coperto da un tetto in ferro arrugginito.
<< Che bella giornata! L'ideale per marciare senza il sole cocente! >> Disse Varetic con sarcasmo.
In quel preciso istante avrei voluto prendere la mia pistola e piazzargli un colpo in fronte, proprio in mezzo agli occhi. Era così idiota da non capire che anche lui avrebbe marciato sotto la pioggia. 
<< Soldati! >> Disse. << Quest'oggi la nostra meta sarà il villaggio a nord-est, dove dicono che ci siano le ombre. Personalmente non credo a queste scemenze, quel villaggio è semplicemente abbandonato. Quindi, se avete paura dei fantasmi, vi posso assicurare che non esistono. E poi, chi è così stupido da credere a queste cose? >> Sbuffò con un mezzo sorriso. << La nostra missione è semplice: dobbiamo prendere il possesso del villaggio. Lo scienziato Frank Dowson, crede che lì ci sia qualcosa da studiare e analizzare. Ci ha aiutato in passato e di conseguenza noi aiuteremo lui. >>
A tutti era chiaro che lo scienziato aveva pagato il Comandante per sgomberare l'area e fare le sue ricerche in totale tranquillità. Questo genere di missioni le chiamavo: missioni a scopo di lucro. L'intero plotone sapeva che il Comandante aveva un bel mucchio di soldi sporchi nascosti da qualche parte. Forse un migliaio o anche più. Amava spolpare gli scienziati e nel farlo, credeva di fare la cosa giusta. "Fare tante soldi, velocemente e senza sforzi". Questo sarebbe stato lo slogan ideale del Comandante se fosse finito in televisione; Breve, precisa e accattivante.
Il Comandante si alzò dalla sedia e venne verso di noi, dimenticandosi della pioggia. << Dannazione! >> Imprecò al cielo. << L'uniforme nuova! L'avevo appena stirata! >>
Tutto il plotone scoppiò a ridere, cercando invano di rimanere seri.
Persino il Morto, che era stato per tutto il tempo appoggiato al muro, smorzò una fredda rista che mi fece rabbrividire. << Comandante, >> disse <<< le sembra il momento adatto per farsi una doccia? >>
Varetic si ammutolì e poco dopo si mise a borbottare parole incomprensibili verso il cielo. Tutti ridevano di lui. 
Dopo qualche minuto il Comandante tornò di gran carriera. << Muoviamoci! Siamo già in ritardo. >> Disse con falsa espressione autorevole.
Marciammo lungo la strada sterrata che conduceva al villaggio, ma per arrivarci, prima dovevamo passare dai bunker; un luogo tetro e nebbioso, dove persino gli Stalker non osavano addentrarsi.

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Capitolo 2
*** I Bunker ***


Giunto in prossimità dei Bunker, notai che era rimasto tutto intatto. Nessuno aveva toccato nulla. Casse piene di armi, veicoli e rifornimenti erano sparsi attorno al grosso edificio di cemento. Non sapevo perché gli Stalker avevano paura di questo posto, sembrava tutto tranquillo. Una stradina cementata portava dritto all'ingresso principale del Bunker e, dopo aver scese cinque gradini, ci si ritrovava di fronte a un spessa porta di ferro. Il tutto era circondato dalla Foresta Morta, tetri alberi dalle radici contorte e rami intricati che salivano fino al cielo. Una desolazione che albergava ovunque nella Zona.
D'un tratto il mio contatore geiger emise un suono acuto, seguito da altri con maggiori insistenza. E non era il solo a farlo. Anche quelli dei miei compagni iniziarono a suonare con insistenza. 
Il Morto, che si trovava davanti a tutti, disse qualcosa al comandante e poco dopo, dirigendosi verso la porta del bunker, sparì dentro.
Mentre gli altri rimasero in silenzio, io e Joe ammirammo il paesaggio. Non che fosse bello, ma aveva qualcosa di affascinante. Qualcosa di particolare, di inspiegabile.
<< Bene, soldati! >> Disse il Comandante.  << Il Morto sarà qui a momenti. >> 
<< Sta piovendo, signore. Forse è meglio trovarci un riparo? >> Aggiunse un soldato.
Il Comandante si guardò intorno << No, aspetteremo qui! Non ci metterà molto! >> 
Passarono circa dieci minuti e il morto non tornava. Cominciavo a credere che gli fosse successo qualcosa.
<< Soldati! >> Disse il Comandante. << Chi si offre volontario per cercare il morto? >> Ci fissò dritti negli occhi.
Nessuno rispose. Come darli torto, avevano troppo paura di entrare nel Bunker, compreso me.
<< Va bene, allora. >> Disse Varetic scrutando i soldati.  << Deciderò io chi andrà la dentro! >> 
Poi, senza pensarci due volte, il Comandante indicò me e Petrov.
<< Andrete voi a controllare! >> Il Comandante puntò il dito verso il Bunker.
<< Signore, io... >> Rispose Petrov, distogliendo lo sguardo da Veretic. << Non mi sento bene... >> 
<< Trovati un'altra scusa, soldato! >> Aggiunse il comandante con tono autorevole.
L'istinto mi suggeriva di stare alla larga da quel bunker. Sentivo un angoscia insopportabile opprimere le mie gambe, ma gli ordini erano ordini. Mentre mi avvicinai cauto all'ingresso del bunker, Petrov mi stava raggiungendo col viso cupo.
<< Ti vuoi dare una mossa, soldato! >> Gli gridò il Comandante.
Scendendo i gradini, ci ritrovammo davanti alla spessa porta di ferro. Lanciai un occhiata a Petrov, che ricambiò con un vago sguardo terrorizzato. Quando feci per girare la manovella, mi accorsi che era chiusa. Trovai la cosa al quanto strana. Com'era entrato il Morto? E poi se era entrato, perché l'aveva chiusa e non socchiusa in caso di fuga?
<< Ehi, Boris. >> Balbettò Petrov. << Huh... S-stiamo attenti, ok? >> 
Era spaventato ed io non ero da meno. Facendomi aiutare da Petrov, che era due volte più grosso di me, girammo la manovella e la spessa porta di ferro si aprì.

Il lungo corridoio davanti a noi, illuminato da piccole luci sulle pareti, continuava per circa 30 metri, dopodiché si arrivava a un incrocio a T.  Il bunker era silenzioso, eccetto per i lontani ed inquietanti scricchiolii metallici, simili a una porta che si apre e si chiude in continuazione. Questo fece rabbrividire sia me, che Petrov.
I corridoi del bunker si presentavano tutte uguali; sedie e tavoli ostruivano il passaggio, come se la gente all'interno avesse tentato di fermare qualcosa. Due tavoli messi in verticale bloccavano l'entrata di una stanza. Lanciai uno sguardo dalla finestrella nella porta, ma era troppo buio per vedere qualcosa.
Vidi le insegne sbiadite sulle pareti che indicavano i vari reparti, ma non riuscivo a capire dove eravamo. Persino Petrov tentò di capirci qualcosa, finché non si arrese.
<< Boris. Sei sicuro che la strada sia quella giusta? >> Mi domandò Petrov dubbioso.
<< Non lo so, ma questo corridoio è l'unico a non essere bloccato del tutto. >> Risposi, indicando il corridoio a destra.
Petrov si guardò attorno ansioso. << Allora sbrighiamoci a trovare il Morto. Questo luogo non mi piace. >> 

Nei corridoi in cui ci inoltrammo mancava l'illuminazione, così come nelle stanze inghiottite dall'oscurità. Le luci erano state rotte e fummo costretti a camminare sui vetri, che scricchiolavano sotto i nostri stivali. Da là provenivano gli stessi scricchiolii che avevamo sentito. Ci tenemmo distanti per paura che qualche mutante potesse uscire dall'oscurità e attaccarci. In tutta la mia durata di servizio nella Zona non mi era mai capitato di incontrare un Mutante. Onestamente, non sapevo nemmeno com'erano fatti, quanti erano o quante razze o specie ci fossero nella Zona. Noi soldati avevamo solo il compito di non far entrare gli Stalker nella Zona, di ucciderli qualora fossero entrati o volessero uscirne. Quindi, a parte pisciarmi quasi addosso nei pantaloni, non sapevo che reazioni avrei avuto se mi fossi ritrovato davanti a un mostro.
Il mio cervello stava andando lentamente in pappa. Sentivo rumori dappertutto, persino a due passi da me. Ogni volta che mi voltavo, non vedevo nulla. Niente. Nessuno! 
Petrov, che era dietro di me di qualche passo, teneva stretto il fucile, come se avesse paura di perderlo. Anche se avevamo indossato la maschera antigas e non potevo guardare il viso del mio compagno, nei suoi occhi intravedevo il terrore.
D'un tratto udimmo un fortissimo tonfo, come se qualcosa o qualcuno fosse crollato sul pavimento. Il suono echeggiò nei corridoi fino a scomparire. Allarmato e faticando a respirare, Petrov si mise a puntare il fucile d'assalto in tutte le direzioni. 
Sentii il mio cuore schizzare quasi fuori dal petto. Quel tonfo scatenò nella mia testa un pandemonio. Cominciai a credere che sarei morto senza neanche accorgermene. Forse quel suono decretava la fine di tutto? Il mio corpo che cadeva a terra senza vita? Ero morto? Ero un ombra?  

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Capitolo 3
*** Corridoi ***


Un tonfo, seguito da un altro. I passi si fecero sempre più vicini e guardai in fondo al corridoio, non vedendo nulla.
<< Petrov. Forse è il morto? >> Gli chiesi speranzoso.
<< Forse... m-a ma stiamo attenti! >> Rispose Petrov impaurito.
D'un tratto le lampadine spente lungo le pareti del corridoio, esplosero. Accendemmo le torce poste ai lati dell'elmetto e il fasciò di luce squarciò l'oscurità.

Petrov fu preso dal panico. Iniziò a mirare in ogni direzione.
Cercai di calmarlo, ma fu del tutto inutile. 
<< Fanculo! Io torno indietro! >> Disse Petrov, correndo dall'altra parte del corridoio.
<< Fermati! >> Gridai.
In fondo al corridoio, nascosto nell'oscurità, una forma umanoide grigio scuro comparve dal nulla. Era alta quanto una porta, possente, poco ricurvo in avanti, con artigli affilati su mani e piedi e una leggera peluria nerastra ai lati del cranio deforme. Aveva piccoli occhi violacei e denti seghettati tutt'attorno alla bocca. Dalle sue labbra pendeva e cadeva una bava giallastra.
Correndo terrorizzato, Petrov si accorse all'ultimo momento del mutante. La creatura lo atterrò saltandogli alle spalle. I vetri sul pavimento si conficcarono nel viso e nelle mani di Petrov, che urlò a squarcia gola. I denti seghettati del mutante affondarono nel suo collo e strapparono la carne; un fiotto di sangue schizzò sui muri, riversandosi sul suolo.
Sparai una raffica verso il mutante che, con uno scattò disumano, svanì in una stanza. Quando la torcia illuminò l'interno, non c'era più nessuno. Dov'era finito? Non c'erano finestra da cui fuggire. Terrorizzato, mi avvicinai a Petrov per portarlo fuori dal Bunker, quando qualcosa mi colpii violentemente alla testa. Crollai a terra con la vista sgranata. Vidi la creatura vicino a Petrov, che allungava le pallide dita verso di me e gridava aiuto, tenendo pressata una mano sul collo insanguinato. Poi il mutante lo prese per un gamba e semplicemente svanirono nel nulla. Sobbalzi e arretrai a suon di gomitate finendo contro il muro. Cosa cazzo era successo? Dov'era finito Petrov?
Mi alzai in tutta fretta, e quando feci per correre, scivolai sull'enorme pozza di sangue e mi schiantai contro il muro. Recuperai il fucile d'assalto, mi issai di nuovo in piedi e corsi verso l'uscita del Bunker, lanciando occhiate di panico alle mie spalle. Poi mi parve di vedere Petrov. Mi fermai di colpo.
<< Petrov! >> Gridai. << Petrov! >>
<< Aiutami, Boris! >> Sentii la flebile voce di Petrov. << Non lasciarmi qui... >> Non sapevo se era un suono fantasma, o fosse davvero Petrov. Quella voce era giunta lontana, e questo mi fece salire i sensi di colpa. Non potevo abbandonarlo là sotto. Dovevo salvarlo o almeno portarlo fuori di qui, cosicché la sua famiglia potesse seppellirlo.
D'un tratto udii di nuovo quel tonfo da una stanza lì vicino. Lo stesso che avevamo udito io e Petrov. Pensai subito che fosse il mio compagno, e quando mi precipitai a indagare, iniziai a sentire
 strani scricchioli metallici. Con il fucile d'assalto puntato, mi avvicinai lentamente all'ingresso. Scorsi il Morto sul pavimento in un lago di sangue coagulato, gli occhi vitrei, spalancati. Tre vermi grigiastri enormi come ratti si contorcevano nel suo stomaco squarciato e le viscere esposte. La stessa creatura, che un attimo prima aveva preso Petrov, era ricurva verso l'uomo e fissava qualcosa. Solo dopo un po' mi resi conto che osservava i vermi. Poi scattò la testa verso di me, gli occhi violacei mi penetrarono fin dentro le ossa. Notai in quel momento che non era la stessa creatura che aveva preso il mio compagno; a questa mancava la peluria sui lati del cranio ed era più piccola, meno possente. 
Ruggendo, il mutante si scagliò contro di me. Riuscì a fare fuoco e i proiettili colpirono un braccio, una gamba e per mia fortuna, un occhio. La creatura si schiantò contro di me. Mi ritrovai sul pavimento a fissare l'unico occhio violaceo che le rimaneva, mentre dall'altro usciva del denso sangue rosso. Non so perché, ma mi aspettavo che il suo colore forse diverso dal mio. Poi l'iride violacea sbiadì lentamente in un bianco avana. Puzzava. Puzzava come una fogna. Mi levai di dosso il mutante e mi alzai, recuperando il fucile d'assalto. Quando la torcia del mio elmo illuminò casualmente il cadavere del Morto, avvistai due creature. Emisero ruggiti disumani, quasi demoniaci e spalancarono le braccia. Rabbrividii nel vedere i lunghi artigli scintillare alla luce della torcia. Si lanciarono contro di me e di colpo svanirono, mentre io feci fuoco. Rimasi incredulo quando mi accorsi che un proiettile aveva colpito qualcosa. La creatura comparve a un passo da me e fece per artigliarmi, ma riuscii a scansarmi in tempo. Quando mi voltai, vidi un altra creatura davanti a me o forse era la stessa che si era reso invisibile. Fece per saltarmi addosso, ma anche qui riuscii a deviarla in tempo.
Corsi fuori dalla stanza e poi nel corridoio. Quei mutanti potevano rendersi invisibili. Poteva esserci un esercito di quelle creature qua dentro per quanto ne sapevo. Mentre pensavo, le mie gambe mi portarono automaticamente verso l'uscita. Buttai delle occhiate alle mie spalle, ma non vidi nessuno. Poi delle macchie sul pavimento mi colpirono all'occhio. Era sangue. Forse la creatura che avevo ferito mi stava inseguendo assieme alle altre.
Arrivai di fronte alla spessa porta di ferro e la trovai chiusa. Come cazzo poteva essere? L'avevamo lasciato completamente aperta. Mentre cercai di girare la manovella, udii dei ruggiti alle mie spalle. Mi voltai terrorizzato e scorsi i tre mutanti correre a quattro zampe lungo le pareti e sul soffitto. I loro artigli raschiavano il cemento, sollevando piccoli nubi di polvere.
Aprendo la spessa porta di ferro, uscii all'esterno e la richiusi alle mie spalle con un forte tonfo. Indietreggiai un poco e rimasi lì a fissarla. Tremavo. Le mie gambe stavano quasi per cedere.
D'un tratto qualcosa si schiantò contro la porta. Le tre creature stavano cercando di abbatterla. Continuavano a sbatterci senza sosta e riuscirono persino a piegarla un po'. Infine non sentii più nulla; solo un tetro silenzio interrotto dal martellare della pioggia e dal rombo di un tuono in lontananza.

 

 

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Capitolo 4
*** Lo Stalker ***


<< Ehi, c'è l'hai fatta! >> Disse una voce rauca alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, pensando fosse un mio compagno. Invece era un uomo vestito con un lungo cappotto marrone scuro, un cappuccio che gli copriva del tutto il viso e con in mano un AK-47.
Appoggiandosi al muro, abbassò il cappuccio. La sua faccia era orribile. Aveva una grossa cicatrice sulla guancia sinistra e un altra vicino all'occhio destro che gli attraversava tutto il viso.
Non era molto giovane, forse doveva avere una quarantina d'anni. Il suo sguardo era vuoto, freddo, con un viso squadrato, le sopracciglia curvate all'insù e un naso leggermente storto a destra.
<< Quelli là fuori erano i tuoi amichetti, giusto? >> Disse l'uomo con sarcasmo.
<< Sì... Perché? >> Risposi guardando i gradini che portavano all'esterno. Era la che avevo visto per l'ultima volta il mio plotone. Il fatto di vedere un uomo davanti a me che non faceva parte dell'esercito, mi intimorii un poco.
<< Sono tutti morti! >> Tagliò corto l'uomo, guardandomi dritto negli occhi.
<< Cosa?! Impossibile! >> Risposi incredulo.
<< Controlla tu stesso. >> L'uomo accennò con il mento i gradini.
Mentre camminai confuso verso gli scalini, l'uomo continuava a fissarmi. Non volevo credere alle sue parole. I miei compagni erano stati addestrati contro i pericoli della zona, me compreso, era impossibile che erano tutti morti. Chi li aveva uccisi, poi? I mutanti? Gli Stalker? Chi?
Con lo sguardo basso, salii gli scalini e raggiunsi l'ultimo gradino, chiusi gli occhi e inspirai. Sentii la pioggia martellare incessantemente la terra e le casse, mentre un tuono rombava in lontananza. Rimasi così per un lungo momento. Poi, lentamente, riaprii gli occhi e le mie ossa si pietrificarono. Il mio corpo venne pervaso da uno strano formicolio, un misto di rabbia e frustrazione. Tutti i miei compagni giacevano a terra privi di vita. Il Comandante era seduto con le spalle al muro, la testa a pochi metri da lui, gli occhi ancora sbarrati, increduli.
Fui pervaso da una strana nausea e vomitai bile. Tutti i miei compagni erano stati fatti a pezzi. Braccia, teste e gambe erano disseminati sul terreno. Alcuni avevano persino il corpo diviso a metà e le viscere di fuori. 
Sentii un vuoto allo stomaco e caddi carponi, piangendo e singhiozzando come un bambino.
<< Forse un giorno ti ci abituerai a questo orrore. >> Disse l'uomo, appoggiando una mano sulla mia spalla per confortarmi.
<< Come... Com'è possibile? Chi è stato..? >> Risposi singhiozzando.
<< Beh, è difficile dirlo. >>
Disse l'uomo, ritirando la mano dalla mia spalla. << Mutanti, Zombie, Porger, cani selvatici, chi lo sa. >> 
<< Porger..? >> Risposi pur non sapendo chi fossero quest'ultime creature.
<< Non li conosci? >> Disse perplesso. << Eppure sei un militare. Dovresti conoscerli. >> Fece un pausa. Poi disse: << Dai, alzati! Non possiamo rimanere a lungo sotto la pioggia radioattiva! >> Mi alzò da terra con forza.
<< Pioggia radioattiva? >> Risposi confuso.
<< Dannazione! Ma dove hai vissuto fin'ora? Sulla luna? >> L'uomo scosse il capo.
Rimasi perplesso per un istante. Perché il comandante non ci aveva detto della pioggia radioattiva? Perché non ci aveva detto dei Porger, dei cani selvatici, dei mutanti, di qualsiasi altro dannato mostro che viveva nei paraggi? Perché? Sapevo che fosse stupido, ma non pensavo a questi livelli.
<< Faresti meglio a seguirmi. >> Disse l'uomo. << Non credo tu voglia finire come loro. E non credo tu sappia dei pericoli che corri qua fuori nella Zona. Girovagare da soli è spesso sinonimo di morte. >> 
Che potevo fare? Sapeva che ero un militare, e io sapevo che lui era uno Stalker. Allora perché non mi ha sparato? Perché non mi ha piazzato una pallottola in testa? Il Comandante ci aveva sempre ripetuto che gli Stalker sono dei figli di puttana ingrati, che non ci pensano due volte a uccidere qualcuno. Eppure quest'uomo non era così. Perché?
Seguii l'uomo in silenzio. Non lo conoscevo. Non sapevo nemmeno se potevo fidarmi di lui e delle sue parole, ma una cosa era certa, non mi aveva ucciso. Altri al suo posto lo avrebbero fatto anche senza motivo. La mia uniforme sarebbe stata una giustificazione sufficiente per freddarmi. Tutto questo sempre stando alle parole del Comandante Varetic Hug. 
Quelli come me nella Zona non sono ben visti, poiché gli Stalker non temono i mutanti, ma l'esercito.

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Capitolo 5
*** La foresta ***


Mentre ci addentrammo nella fitta foresta morta, l'uomo si faceva largo tagliando i rami che ostruivano il passaggio.
Perché voleva passare di qui, quando potevamo passare dalla strada sterrata? Questa intricata foresta era chiusa da ogni lato. Gli stessi alberi sembravano non voler visitatori. Persino i pochi arbusti ingrigiti sembravano non riuscire a respirare qua dentro. L'uomo continuava a tagliare i rami, come fosse una cosa che faceva da sempre. Era talmente buio che non riuscivo a vedere a più di un palmo dal mio naso. A stento riuscivo a vedere l'uomo davanti a me. Mi aveva detto di non accendere la torcia e così avevo ubbidito.
L'uomo si fermò. << Fermati! >> Sussurrò.
Mi immobilizzai all'istante e mi guardai intorno. Non vidi altro che un intricata ragnatela di rami. Tutto era così dannatamente uguale. Non sapevo nemmeno quanta strada avessimo fatto.
<< C'è qualcuno qua vicino. >> Bisbigliò preoccupato.
L'uomo impugnò l'AK-47 e si chinò.
Non sentivo nulla, a parte un leggero venticello che passava con difficoltà tra i rami. La pioggia era cessata da un bel pezzo e le folgori in lontananza era l'unica illuminazione che avevamo, ma il cielo rimaneva perennemente plumbeo.
<< Rimani qui. >> Disse lo Stalker. << Stenditi per terra. Se non torno entro 5 minuti, vai sempre dritto. Troverai un accampamento. Sono brava gente. Ti aiuteranno. >> Mi consegnò il machete. Poi controllò il caricatore dell'AK-47, lo rimise nel fucile e proseguì dritto, sparendo nell'oscurità.
Mi sdraiai e mi guardai intorno, anche se l'uomo mi aveva detto chiaramente di stendermi. Totale silenzio. L'ansia iniziò lentamente ad attanagliare la mia mente. Cominciai a sentire strani rumori e percepivo di essere osservato. Forse era soltanto la mia immaginazione che mi giocava brutti, o forse no. 
D'un tratto si mossero alcuni rami e strinsi il machete pronto a difendermi. Deglutii per la paura, sentii il mio cuore palpitare, la mie labbra seccarsi. Lentamente, il rumore si fece più intenso. Speravo fosse l'uomo di prima. Volevo che fosse lui. Doveva essere lui.
Poi un ragazzino sbucò tra i rami. << Ciao. >> Disse con gli occhi lacrimati. << Mi sono perso. Mi aiuti a trovare il mio papà? >>
Il bambino indossava un capello rosso e un giubbotto blu scuro. Non doveva avere più di cinque anni. Era pallido, con l'iride verde scuro, le mani sporche di terra e un po' di muco che gli scendeva dal naso. Se lo pulì con la manica del giubbotto, ma continuava a scendere. Forse era raffreddato.
Si avvicinò e mi prese per mano, guardandomi negli occhi. << Mi aiuti a trovare mio papà? Non voglio restare qui. >> Disse piangendo.
Non sapevo cosa fare; volevo aiutarlo, ma volevo anche restare qui e aspettare lo Stalker. Lui lo avrebbe aiutato di sicuro.
<< Ti prego, signore. >> Disse abbracciandomi il fianco. << Questo luogo mi fa paura, signore. >> 
Decisi che lo avrei aiutato. Non so perché, ma il bambino divenne la priorità assoluta. Non riuscivo a pensare ad altro. Lo presi in braccio e continuai dritto, come aveva detto lo Stalker. Una volta che avrei trovato l'accampamento degli Stalker, loro lo avrebbero aiutato di sicuro.
<< Che ci fai nella foresta? >> Gli dissi con un sorriso.
<< Ero con mio papà. >> Rispose singhiozzando. << Stavamo giocando a nascondino e mi sono perso. >> 
Ma quale padre gioca in un luogo come questo? Chi?
<< Troveremo il tuo papà. >> Lo rassicurai. << No, non piangere. Lo troveremo, vedrai. E' qui da qualche parte. Ti sta cercando anche lui. >>
<< Grazie, signore. >> Rispose il bambino, abbracciandomi con un largo sorriso.
Continuando a camminare per un po' e tagliando i vari rami intricati, giunsi davanti a un grosso albero alto sei metri e largo due. La maggior parte delle radici affondavano nel terreno sterile ed altre scomparivano dietro rami e tronchi. In passato doveva essere meraviglioso, ma ora aveva una aspetto tetro, spettrale, malinconico. Le foglie dei rami erano nere e qualcosa sembrava strisciare lentamente all'interno dell'albero. Poi un fulmine squarciò il cielo, illuminando l'interno dell'albero dilaniato. Lo intravidi per poco. Sembrava una specie di piccola sagoma nero pece o forse era un liquido melmoso?
<< Signore, mi ero nascosto proprio qui. >> Disse il bambino puntando il ditino. << Accanto a quel grosso albero. Lì c'era un coniglio, proprio vicino a quelle foglie. >> Sorrise. << Lo possiamo trovare? Ti prego, ti prego, ti prego >> Mi supplicò con le lacrime agli occhi, mentre il muco gli scendeva dal naso.
<< Va bene, ma resta qui però. >> Lo misi a terra.
Il bambino annuì gioioso e si sedette sul terreno.
Guardai ai piedi dell'albero; le foglie cadute erano ricoperte da una strana melma nero pece. Mi avvicinai ipnotizzato da quelle sostanza. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Qualcosa dentro di me mi diceva di toccarla, di assaggiarla, di cospargermi di quel liquido.
<< Fermati! >> Gridò una voce rauca alle mie spalle.
La melma mi attirava. Desideravo toccarla, essere tutt'uno con essa. Era meravigliosa, fantastica, indescrivibile.
Quando fui a un centimetro dal toccarla, una mano mi afferrò la giacca e mi strattonò all'indietro. Cadendo a terra, tornai in me. Era come se una densa nebbia si fosse diradata davanti ai miei occhi. Mi voltai e vidi lo Stalker.
 << Sei impazzito per caso? >> Disse arrabbiato. << Spero per te che non l'hai toccata! >> Mi controllò velocemente le mani.
<< Ma che... Dov'è il bambino? >> Dissi preoccupato, cercandolo con lo sguardo.
<< Quale bambino? >> L'uomo si guardò intorno confuso.
Il bambino era scomparso. Dov'era andato? Forse era fuggito spaventato? << Sono arrivato qui con un bambino. >> Dissi preoccupato. << Era qui un secondo fa! >>
Abbassando la guardia, lo Stalker si voltò e fece due passi verso di me. << Quello che hai visto non era un bambino, ma un'ombra! >> Rispose l'uomo.

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Capitolo 6
*** Le Ombre ***


L'idea di aver visto un ombra e di averla seguita, mi fece raggelare il sangue. Come avevo fatto a credere che in quei luoghi esistessero dei bambini? Dove avevo la testa? Ma ora capii che era stato il bambino a condizionare la mia mente. Si era insinuato nella mia psiche e mi aveva costretto a metterlo come priorità. Una priorità che ora come ora non capivo. Volevo aiutarlo, e forse era stato questo il mio tallone d'achille; l'ombra l'aveva notato ed era strisciata nella mia mente, facendo leva sui sensi di colpa e pietà verso il bambino. Doveva essere così. Non avevo altre spiegazioni da darmi.
E poi, in un mondo crudo e violento, dove il sangue scorre a fiumi senza sosta. Un bambino? era impossibile!
Non conoscevo queste cosiddette ombre e non l'avevo mai viste prima d'ora. Non sapevo se fossero anime dei morti o solo opera delle radiazioni.
Era da un po' di tempo che stavamo camminando nella foresta morta. Tutto il paesaggio sembrava ripetersi all'infinito. Il silenzio era interrotto solo dallo scricchiolio dei rami e delle foglie secche sotto i nostri stivali. Nuvoloni grigiastri coprivano la volta celeste e qualche tuono rombava il lontananza. Una cosa avevo capito della Zona; il tempo non mutava mai. Rimaneva sempre uguale. Forse l'intera Zona rimaneva così. Non avevo le prove, ma percepivo questo.
<< Hai molto da imparare dalla Zona, ragazzo. >> Disse lo Stalker serio, mentre camminava e tagliava i rami che ostacolavano il nostro percorso. << Da quanto sei qui? >>
<< Non da molto. Due mesi, anche meno. >> Risposi, anche perché non riuscivo a ricordare la data e il giorno esatto dell'entrata in servizio nella Zona.
<< Riguardo a prima, se stato molto fortunato. Se non ti avessi fermato o non ti avessi trovato delirante, a quest'ora saresti cibo per vermi. >>
Delirante? Che voleva dire? Stavo davvero delirando? Eppure non ricordavo che stessi gridando o altro. Ma una cosa era ormai chiara; l'uomo mi aveva salvato la vita. Poteva non farlo. Non ero una sua responsabilità, e poi sono un militare. L'acerrimo nemico degli Stalker. Quelli come lui odiano quelli come me. Era un pensiero che mi ripetevo spesso, quasi ossessivamente mentre lo seguivo. E inoltre, non trovavo risposte alle mie domande e non sapevo se l'uomo me le potesse fornire. Il mio istinto mi suggeriva che non era un semplice Stalker. C'era qualcosa in lui, qualcosa di sinistro. Lo potevo percepire nei suoi occhi freddi, apatici. Nella sua voce rauca, sofferente. Era più di uno Stalker.
<< Posso farti una domanda? >> Gli chiesi.
Lo Stalker annuì.
<< Cosa sono le ombre? E chi sono? >>
<< Una domanda che ha risposte incerte. >> Disse,  lanciandomi un occhiata interrogativa.
Forse ancora adesso non capiva perché io non sapessi niente sulla Zona. Forse pensava che lo stessi prendendo in giro, ma il suo sguardo cambiava quando incontrava i miei occhi. Sapeva che non mentivo. Sapeva che ero sincero, forse anche ingenuo. Ovviamene non avrei mai avuto il coraggio di chiedergli cosa pensasse sul mio conto. 
Poi lo Stalker disse: << Un tempo erano persone vive. Persone come noi. Poi dopo la morte è successo qualcosa... Qualcosa che le ha intrappolate nella Zona. Molti credono che sia colpa della radiazioni e onestamente concordo con loro. Una volta che muori nella Zona, c'è la probabilità che la tua anima rimanga qui per sempre. Che tu sia uno Stalker, un militare, non conta nulla. Rimani qui per sempre. E a questo punto che diventi un Ombra. Non sanno che sono morti, perciò fanno rivivere la loro morte a chi li segue. Ora non sono uno scienziato o stronzate del genere, quindi ti ho detto quello che so. >> Fece un pausa. << Non tutti credono all'esistenza delle ombra. Molti Stalker ci ridono su e spesso sono proprio questi che scompaiono nella Zona. E quando qualcuno scompare è sempre opera di un Ombra. I mutanti lasciano sempre le carcasse divorate in giro, le Ombre non lasciano nulla. Niente. Sparisci per sempre e diventi uno di loro. Questo succede. >> Abbassò lo sguardo. << Un mio caro amico ora è uno di loro. Ho rivissuto la sua morte. Ho sentito il suo dolore. Stavo quasi per morire come lui, quando mi hanno salvato. Tu stavi facendo la stessa fine del bambino. Ci scommetto 100 rubli che il bambino è morto davanti a quell'albero. Non posso dirti come, ma è morto lì. E se non ti avessi fermato, tu stavi avresti fatto la sua stessa fine. Ora mi dirai come fanno a farti fare tutto ciò? Sarò breve; si impadronisco della tua mente, poi cercano una zona d'ombra in esso e una volta trovato, ti fanno vedere ciò che vuoi vedere. Tu hai visto un bambino. Questo vuol dire che sei una persona semplice. Una persona altruista, sempre pronta ad aiutare le persone in difficoltà. Ora non voglio dire che se fossi crudele avresti visto qualcos'altro. No, non dico questo. Quello che voglio dire è che le Ombre sono dappertutto. Sono anche qui, intorno a noi. Noi non li vediamo, ma quando un ombra si mette sulla stessa frequenza di un uomo, beh ecco che ti appare l'ombra che è più simile a te a livello emotivo. Non so cosa vogliono da noi e non so perché tentano di ucciderci. Alcuni dicono che non vogliono ammazzarti, che in realtà desiderano essere trovati e seppelliti, così da lasciare la Zona, ma io non credo a questo cazzate. Le Ombre non hanno più nulla di umano. Vogliono solo divorati e trascinarti nel loro abisso. Nulla di più. >> Mi fissò negli occhi. << Come ti ho già detto, è un discorso contorto e lungo, ma il fulcro è questo. Le teste d'uovo ne sanno molto più di me. Molti studiano questo strano fenomeno. Vogliono capire se c'è vita nell'aldilà e cosa succede dopo la morte. Vogliono prove. Gli scienziati sono fatti così. >>
Le parole dello Stalker mi colpirono. Tutto mi aspettavo, fuorché che le ombre fossero un tempo persone come me. Forse lo erano anche i mutanti? O erano la progenie delle radiazioni? Forse si erano evoluti per prendere il posto degli umani? Forse erano qui per sterminarci tutti? Più ci pensavo, più il mio cervello andava in pappa.
Feci per chiedergli qualcos'altro, ma lo Stalker parlò per primo: << Togliti gli stemmi militari. Andiamo all'accampamento degli Stalker. >> Aggiunse l'uomo.
Non c'era bisogno che mi spiegasse del perché voleva che togliessi gli stemmi. Avevo ormai capito da un pezzo che se fossi entrato con la mia uniforme, ne sarei uscito con i piedi in avanti. Strappai gli stemmi dalla divisa e li gettai a terra, sperando che una volta entrati mi avrebbero accolto come un normale Stalker.
<< Perché mi stai aiutando?! >> Domandai perplesso.
<< Aiutarti? >> Rispose lo Stalker con una smorfia.  << Cerco solo di non farti morire come un coglione! >> 

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Capitolo 7
*** L'accampamento ***


In quella foresta piena di alberi e arbusti morti, mi sentivo osservato, come se qualcosa ci seguendo e osservando da tempo. Forse erano le Ombre? Dovevano essere loro. Lo Stalker lo aveva detto chiaramente che erano ovunque intorno a noi. Forse erano proprio loro che percepivo; i loro sguardi spettrali, gelidi. Una sensazione intensa, indescrivibile, che mi face sentire vulnerabile all'idea che le Ombre potessero soggiogarmi la mente, che potessero portami al delirio, alla morte. Forse era solo suggestione, o forse non lo era per niente.
Poi un altro pensiero prese il sopravvento. Un pensiero che mi apparve confuso. Perché gli Alti Papaveri ci avevano tenuto all'oscuro delle Ombre, dei Porger nei Bunker e di altre fottute bestie che ancora non avevo incontrato? Noi soldati rischiavamo di morire da un giorno all'altro per una anomalia o per qualcosa ancora a noi sconosciuta. Perché non ci dicevano nulla? Perché si limitavano a dire di uccidere gli Stalker e di tenere gli occhi aperti. Gli occhi aperti per cosa? Per le anomalie? Per i Mutanti? Non ci avevano fornito dati, prove, nulla. Ci avevano mandati qui a uccidere Stalker che per arricchirsi rischiavano la vita in questa landa desolata. Paragonato allo Stalker davanti a me, io sembravo l'ennesimo dilettante che credeva di sapere tutto sulla Zona. Un esperto di un beato cazzo! Uno dei tanti che poi finiva morto ammazzato da qualche parte e dimenticato da tutto e tutti, persino dagli Dei.
<< Da questa parte! >> Disse lo Stalker, facendomi avanzare per primo. << Attento ai rami! >> Poi dopo un lungo momento aggiunse: << Lo vedi? Quello è l'accampamento degli Stalker! >> Indicò con il machete una vecchia fabbrica abbandonata.
Da lontano non vidi quasi nulla. Sembrava che la fabbrica fosse tutt'una con l'oscurità, a parte due lunghe canne fumarie che s'innalzavano al cielo come due lance pronte a trafiggere i densi nuvoloni grigi. Ogni tanto le folgori illuminavano l'edificio per un attimo, ma era troppo poco per vedere qualcosa. Camminando per un altro po', arrivammo davanti a un enorme cancello rosso, alto cinque metri e largo tre. Uno spesso muro crepato in cemento armato circondava il complesso. Alla mia destra vidi una sezione di muro crollato; era stato rattoppato con la carcassa di un camion arrugginito e delle lastre di ferro corrose dalla ruggine. Due guardie si trovavano sul camminamento di fortuna sopra l'ingresso. Lo Stalker li fissò per un attimo, poi abbassò lo sguardo. Con uno stridio che mi fece tappare le orecchie, il cancello si aprì.
Ero sorpreso che le due guardie non ci avessero prima perquisiti. Ci fecero entrare senza fare domande. Conoscevano lo Stalker in mia compagnia? Lo temevano? Oppure faceva parte di questo accampamento? Entrare in questi accampamenti era molto difficile, se non impossibile. Dovevi conoscere qualcuno all'interno, qualcuno che poteva garantire per te. Nessuno del mio plotone ci era mai riuscito. Erano gli Stalker a venire da noi, non noi da loro. E questo mi fece pensare; perché ci uccidevano a vicenda? Perché ci odiavamo così tanto, se poi finivamo per fare affari insieme? Forse era un ragionamento contorto, ma l'uomo stesso è un essere contorto. 
<< Rimani attaccato al mio culo, >> bisbigliò lo Stalker << se non vuoi ritrovati con un buco in fronte. >> 
<< Perché non ci hanno perquisiti? >> Gli chiesi.
Lo Stalker si fermò di colpo, fissandomi dritto negli occhi. << Prima regola; non parlare se non te lo chiedo io. Seconda regola; osserva e stai in silenzio. >> Poi si guardò intorno, come se temesse che qualcuno avesse origliato le sue parole. Ma si accorse che non c'era nessuno nei paraggi del cancello e si mise a camminare.
Mentre lo seguivo, rimasi perplesso per la sua frase. Perché voleva che stessi zitto? Non che io amassi parlare. Anzi, perlopiù me ne stavo per conto mio. Forse non voleva che mi scoprissero? Che la mia linguaccia creasse problemi?
L'esterno dell'enorme fabbrica si presentava semi distrutta. In alcune zone il tetto era crollato insieme alle mura. C'erano collinette di detriti alla base del complesso. Notai quattro edifici, due medi e due grandi, malandati e con metà tetto distrutto. Molte carcasse di veicoli erano disseminati nell'arido giardinetto o lungo la strada. C'erano persino motori arrugginiti, sedili strappati e ruote sgonfie contro le pareti o ammassati vicino agli spiazzi cementati.
Conoscevo questi tipi di edifici, costruiti ai tempi dell'Unione Sovietica. Producevano autovetture in serie, ma erano solo dei camuffamenti per produrre carri armati. I Sovietici, che erano nel pieno della Guerra Fredda contro gli USA, celavano gran parte della produziona bellica usando come copertura fabbriche come queste. Non volevano trovarsi impreparati nel caso il conflitto si fosse scaldato per davvero. Adesso non so se questa fabbrica producesse carri armati o robe del genere, e non rimarrei molto sorpreso nel trovare un carro armato parcheggiato nel cortile o dentro un grosso garage.
Alla mia sinistra si trovava un edificio quasi raso al suolo. All'interno c'erano degli Stalker, che se ne stavano attorno a un barile bucherellato in cui ardeva un fuoco. Uno di loro strimpellava una chitarra e cantava una canzone triste. Parlava di un avventuriero che, partito per il centro della zona, l'aveva infine trovata. Al suo ritorno raccontò di aver trovato una montagna d'oro, e quando gli altri Stalker chiesero di mostrarlo, lui estrasse dallo zaino dei rottami radioattivi. Tutti i presenti mutarono in orribili zombie, mentre lui rideva illeso, perché adesso anche gli altri potevano finalmente vedere l'oro. La melodia era più tosto tetra, ti catturava. Ti faceva riflettere. 
D'un tratto lo Stalker cantautore smise di cantare nell'incrociare il mio sguardo. Tutti gli altri si girarono verso di me, scrutandomi da capo a piede. Non mi avevano mai visto nell'accampamento. Erano diffidenti verso le facce nuove. Non era un mistero. Gli Stalker erano così per natura. Non puoi campare a lungo nella Zona se non si è diffidenti verso ogni cosa. Lo Stalker che mi aveva salvato la vita, per me, era un eccezione. Lui era un caso a parte, e ancora non capivo perché mi avesse salvato, oltre a dirmi che l'aveva fatto per non far morire l'ennesimo coglione. Fu proprio lui ad accennarmi di aumentare il passo, in quanto mi ero ritrovato al centro dell'attenzione. Con un nodo in gola, abbassai lo sguardo e lo seguii.
Dopo esserci allontanati un po', lo Stalker cantautore ricominciò a cantare. Tutti lo ascoltavano in un maestoso silenzio. A circa cento metri vidi un insegna con scritto: Gap 51. La scritta era un po' sbiadita e notai che era stata scritta con lo spray rosso più volte, come se l'ambiente continuasse a cancellare la scritta. Capii subito che si trattava del famoso bar degli Stalker. Apparteneva a Ruslan Perivic, il primo Stalker, diventato poi il più influente, potente e ricco trafficante della Zona. Poteva persino andare in pensione per quanti soldi aveva messo da parte con il mercato nero dei manufatti, ma aveva scelto di rimanere. Non so perché; forse per avidità? Nostalgia? O qualcos'altro?
Fuori dal bar, distante poco dall'ingresso, una decina di Stalker erano seduti su due panche di legno. Avevano lo sguardo fisso in avanti, come se guardassero il nulla. Un altro era in piedi e li gridava con in mano una Makarov PMm. La sventolava ai quattro venti, accusandoli di qualcosa.
<< Fermati! >> Sussurrò lo Stalker davanti a me. << Osserva e vedrai come la Zona tratta i propri figli. >>
Come la zona tratta i propri figli? Cosa voleva dire? C'era un uomo davanti a me, non un mutante.

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Capitolo 8
*** La vera natura della zona ***


Lo Stalker seduto, si vide puntare la pistola alla fronte da un altro Stalker che gli intimò di alzarsi.
<< Qual è la prima regola di uno Stalker? >> Chiese lo Stalker con la pistola a quest'ultimo.
<< Non interferire con la zona! >> Rispose deciso.
<< La seconda regola? >>
<< Non combattere con la zona! >>
<< La terza ed ultima? >>
<< Non... N-non uccidere i figli della zona. >> Balbettò lo Stalker, abbassando lo sguardo.
<< Quali delle tre regole hai infranto, Stalker? >> L'uomo puntò la pistola alla sua fronte.
<< Nessuna! Io ho sempre... >> 
Uno sparo! Cervella e sangue schizzarono sul terreno. Lo Stalker cadde di spalle, la bocca spalancata, gli occhi aperti. Il sangue sgorgava dal buco. 
Quell'uomo gli aveva sparato a sangue freddo, senza esitazione. Perché l'ho aveva ucciso? Cosa aveva fatto esattamente? Aveva infranto una delle tre regole?
Tutti i nove Stalker seduti rimasero impassibili. Nessuna reazione. Apatia totale, come se per loro fosse normale routine.
<< Benvenuto nella zona! >> Disse lo Stalker che mi aveva accompagnato fin qui.
<< Perché gli ha sparato? >> Gli chiesi.
<< Ha infranto uno delle tre regole. >> Rispose guardando schifato il cadavere dello Stalker per terra.
<< Che vuoi dire? >>
<< Ti facevo più sveglio. L'ultima regola diceva; non uccidere i figli della zona. Beh, lui l'ha fatto! >>
<< Parli dei mutanti? >>
Lo Stalker non rispose alla mia domanda.
Mi sentii gelare le interiora. Io avevo ammazzato un mutante nei Bunker. Se lo avessero scoperto avrei fatta la stessa fine del tizio. Decisi che non avrei lontanamente rivangato quel ricordo sia con gli altri, che con me stesso. Non sapevo se con i figli della Zona intendessero tutti i mutanti o solo una parte? Oppure una creatura che non avevo mai visto? Decisi di non pormi più domande. Dovevo smetterla.
Lo Stalker si avvicinò all'uomo con la pistola, mentre io rimasi a pochi metri da lui.
<< Corad! Vecchio Stalker! >> Disse lo Stalker che mi aveva accompagnato, abbracciandolo.
Visto da vicino Corad era molto alto e imponente, con una leggera barba, la fronte larga e capelli rasati a zero. Aveva un ampie spalle e il viso squadrato, il collo taurino e uno sguardo indagatore e astuto. Indossava un elmetto nero, un giaccone grigio scuro e un pantalone militare sporco di terra. I suoi occhi erano neri, con uno strano rossore ai bordi.
<< Lazar! >> Rispose Corad abbracciandolo. << Che cazzo di fine avevi fatto? Sei sparito per due settimane. Dicevano che eri morto per colpa di una anomalia, nella... Come cazzo si chiama? Ah sì, nella zona dei Bunker. >>
<< Chi è l'idiota che ti ha detto questo? >> Sorrise.
<< Lascia stare. >> Corad si levò dall'abbraccio. << E' bello rivederti! >> Poi mi lanciò uno sguardo penetrante. << Chi è il tuo amico? >> 
<< Uno Stalker. >> Rispose Lazar. Mi guardò come a dire; stai al gioco o sei morto. << Mi ha pagato per insegnargli alcune cose sulla Zona. >> 
Corad mi si avvicinò e mi scrutò.
Non riuscivo a pensare a niente. Stavo quasi tremando. Sentivo una strana sensazione di gelo nelle mie gambe. Poi quando incrociai il suo sguardo pensai di essere morto.
<< Corad. >> Disse Lazar per distogliere l'interesse da me. << Mi avevi accennato di quel lavoro, per quel trafficante, ricordi? >> 
Corad si girò immediatamente. << Pensavo che non volessi. Mi hai detto che avevi altro da fare, che era troppo rischioso visto la paga di merda? >>
<< Sì, ricordo bene. >> Lazar mise un braccio sulla spalla di Corad. << Forse possiamo trovare un accordo migliore, magari chiedendo due manufatti in più. >> E lo allontanò un po' da me.
<< Vedremo. >> Disse Corad. << Ora devo andare. Ho da sistemare alcune cose. Ci vediamo al Gap 51. Facciamo tra mezz'ora, ok? Così parleremo meglio attorno a una bella bottiglia di Vodka! >> Lo abbracciò e andò via, seguito dai nove Stalker, che poco prima erano rimasti ad ascoltare i due in totale silenzio.
Il fatto che c'era un uomo morto ai loro piedi, mi aveva disturbato. Quelli si comportavano come se non ci fosse nessuno. Pensai per un attimo di essere tra gli psicopatici, e forse nemmeno sbagliavo a crederlo.
<< Senti, grazie per prima. >> Dissi poco dopo a Lazar. << Mi hai salvato una seconda volta. >> 
<< Non mi devi ringraziare. Adesso seguimi. >> 
Non sapevo perché mi avesse aiutato una seconda volta. Poteva dire che ero un militare, cosicché tutti loro si sarebbero divertiti a martellarmi fino alla morte di pugni e calci. Era tutto così strano, complicato. Gli stessi Stalker erano ambigui. Avevano persino le proprie regole e forse le proprie leggi, come se la Zona fosse scollegata dal mondo attuale; un'altro pianeta, un'altra dimensione. Prima di partire per la zona, gli ufficiali ci avevano spiegato che gli Stalker erano dei fanatici, dei criminali, l'aborto della società, persone di cui diffidare. Non avevano onore, orgoglio, emozioni. Dicevano che la Zona aveva fatto loro il lavaggio del cervello, come se le radiazioni avessero deformato i loro pensieri, le loro azioni, le loro ideologie, la loro umanità. Tutto.
Allora perché Lazar era così diverso dagli altri? Perché mi aveva salvato la vita due volte? Eppure nei suoi occhi intravedevo oscurità, una zona d'ombra, come se sapesse qualcosa, qualcosa riguardante la Zona e i suoi tetri misteriMa ormai non credevo più alle vili menzogne degli ufficiali, men che meno gli Alti Papaveri, che mi avevano mandato qui allo sbaraglio. Alla frontiera di un mondo prossimo al collasso per l'umanità, ma non per i Mutanti. 

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Capitolo 9
*** Gap 51 ***


Entrammo nel bar degli Stalker; il Gap 51. Scendemmo un larga scala che ci portò giù di 30 metri. Puzzava di benzina, tabacco e sudore. Il tanfo era quasi insopportabile, ma dopo un po' ci feci l'abitudine. Ci ritrovammo in una larga sala. Un piccolo ventilatore era appeso in un angolo del soffitto, e poiché faceva un caldo assurdo là sotto, non rinfrescava un bel niente. Varie lampade lungo le pareti illuminavano l'ambiente, dominato da tavoli e sedie, quadri e casse, scaffali e barili di ferro. Gli Stalker erano sparpagliati intorno ai tavoli. Alcuni giocavano a carte o a dadi. La cosa più assurda è che nessuna fumava. Forse per l'aria pregna di benzina? Un semplice accendino avrebbe fatto saltare in aria quel posto, poco ma sicuro.
Un uomo piuttosto grassoccio, sulla sessantina, con baffi neri e l'occhio sinistro sbieco era dietro il bancone. Doveva essere il famoso barista, 
Ruslan Perivic.  Appena Ruslan vide Lazar, accennò un lieve sorriso. Prese quattro bicchierini da sotto il banco e li riempì con la Vodka. << Lazar. Ma non eri morto? >> Disse, afferrando un vassoio nero.
<< Ancora questa storia. >> Sbuffò Lazar. << Poco fa ho incontrato Corad, e mi ha fatto la tua stessa domanda. >>
Ruslan non rispose. Posò i quattro bicchierini sul vassoio e si diresse verso il tavolo di alcuni di Stalker ubriachi, lasciando i bicchierini. Poi ritornò da noi e disse: << Allora, Lazar. Cosa ti porta da queste parti? >>
<< Affari! Come sempre. >> Tagliò corto Lazar.
<< Di che tipo? >> Ruslan appoggiò i gomiti sul bancone.
<< Trova questo, prendi questo, porta questo. Le solite cazzate. >> Rispose Lazar.
Ruslan si voltò, prese una bottiglia dallo scaffale vetrato e l'appoggiò sul tavolo, dopodiché afferrò tre bicchierini. << Questo lo offre la casa. >> Sorrise, versando della vodka nei bicchierini, anche se sembrava più una poltiglia fatta in casa. Roba artigianale.
<< Al tuo nuovo amico! >> Disse Ruslan fissandomi negli occhi, come se mi stesse scrutando. In realtà mi teneva d'occhio fin da quando ero entro. Lo percepivo. Ero una faccia nuova. Magari gli Stalker ubriachi qua sotto non fecero caso a me, ma non a Ruslan Perivic.
Alzammo i bicchierini e tracannammo la poltiglia. La mia gola andò in fiamme. Era estremamente alcolica. Alitai senza farmi vedere, mentre i due sembravano non accusare nessun sintomo.
<< Non male. >> Disse Lazar guardando la bottiglia. << Non sembra Vodka. E' qualcos'altro. >>
<< Non è Vodka. >> Rispose Ruslan gonfiando il petto dall'orgoglio. << Almeno non al 100%. E' una mia creazione. Liquido di estrema qualità. Si chiama; Lo Stalker rincuorato. >>
<< Beh, il nome fa schifo. >> Rise Lazar. << Potevi dargli un altro nome. >> 
Ruslan parve irritato. << La creazione è mia! Quindi la chiamo come voglio! >>
<< E dai! Non te la prendere. Stavo solo scherzando. Sei sempre il solito permaloso. >> 
D'un tratto apparve Corad alle nostre spalle. Non l'avevo neanche sentito arrivare. Era come se si fosse teletrasportato; più silenzioso di un ghepardo. 
<< Ruslan. >> Disse Corad piano. << Tieni compagnia all'amichetto di Lazar. Io e Lazar dobbiamo parlare di affari. >> Lo strattonò per un braccio e quasi cadde dalla sedia.
Nel seguirlo, Lazar mi lanciò un'ultimo sguardo. I suoi occhi volevano dirmi qualcosa, ma cosa? Non riuscivo a capire.
<< E così sei un amico di Lazar. >> Mi disse Ruslan, versando della poltiglia nei due bicchierini. << Come vi siete conosciuti? >>
<< E' una lunga storia. >> Gli risposi, cercando di apparire calmo.
Ruslan mi passò il bicchierino. << Comincia pure. >>
<< Sono qui da poco. Ho sentito che nella Zona si può far tanti soldi con i manufatti. Così eccomi qua. >> Bevvi la poltiglia tutta d'un sorso.
<< Non hai detto che è una lunga storia? >> Ruslan sorrise. Un sorriso strano, non amichevole. 
Non sapevo che pesci pigliare. Dovevo assolutamente inventarmi una storia credibile. Se non lo fosse stata, sarei stato in grossi guai. Cercando di controllare il tremolio nervoso alla mano, iniziai a giochicchiare con il bicchierino.
<< Allora? >> Insistette Ruslan, bevendo e versandomi dell'altro liquore.
<< Un trafficante mi ha fatto entrare nella Zona, prima di essere seccato dai militari. Essendo nuovo, ho cercato di trovare uno Stalker veterano. Qualcuno che mi poteva insegnare. Alla fine mi sono imbattuto in Lazar, che mi ha salvato la vita diverse volte. Se non fosse stato per lui, a quest'ora sarei cibo per Mutanti. >>
Ruslan buffò annoiato. << Beh, se questa è una storia lunga, non immagino come siano quelle brevi. Mi aspettavo qualcosa tipo: Ho ucciso dei banditi; sono andato là; ho trovato questo; mi sono imbattuto in questa anomalia, eccetera eccetera... >> Prese la bottiglia di liquore fatto in casa. << Vado a versare dell'altro carburante. >> E mi lasciò da solo. 
Tirai un sospiro di sollievo. Forse Ruslan non era così sveglio come pensavo, o forse ero io a non essere di compagnia. Per mia fortuna si era bevuto la mia storia. Se avesse cercato di pormi domande, sicuramente mi avrebbe scoperto. Afferrai il bicchierino di liquore e lo tracannai, sbattendolo sul tavolo. La vampata di bruciore alla gola mi destò dalle mie paranoie. Mi voltai, mentre facevo prendere aria alla bocca.
Ruslan era impegnato a versare liquore agli Stalker che, ubriachi, barbottavano frasi che iniziavano con "Manufatti" e finivano con "Anomalie". Qualcuno si vantava di aver trovato grossi manufatti nella palude, altri di aver ucciso dei militari. L'atmosfera non era per nulla pesante. Anzi, sembrava di stare in un posto molto tranquillo. Forse la poltiglia di Ruslan stava facendo il suo corso. Mi sentivo girare un po' la testa, ma ero ancora in me. Ero lucido. Mi ero aspettato risse, accoltellamenti; l'anarchia più assoluta, ma invece era tutto diverso. Rimasi ad osservare gli Stalker. Lazar mi aveva detto in precedenza di osservare. Forse voleva che imparassi da loro, che mi confondessi tra loro, che diventassi come loro; uno Stalker.
Ma un inquietante pensiero mi assalii: che fine aveva fatto Lazar?

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Capitolo 10
*** L'Ombra ***


Ero seduto e fissavo il bicchierino vuoto in mano. Il liquore artigianale mi aveva un po' stordito, ma non abbastanza da non capire niente. Erano già passati venti minuti da quando Lazar era uscito. Dov'era finito? Forse Corad aveva scoperto tutto e l'aveva ucciso? No, impossibile. Lazar mi sembrava fin troppo sveglio, e poi sarebbe toccato a me. Mi avrebbero preso e freddato fuori dall'accampamento, non prima di essere pestato a sangue.
<< Ehi! >> Disse qualcuno poggiando una mano sulla mia spalla.
Mi girai di scatto con la vista sfocata dal liquore. Ci misi un po' a mettere a fuoco il viso dell'uomo davanti a me.
<< Non ti ho mai visto prima. >> Biascicò l'uomo ubriaco con una bottiglia di Vodka in mano. << Sei nuovo, Stalker? >> Aveva una bandana nera in testa, una folta barba castana e un labbro spaccato, sulla trentina. Indossava un giubbotto verde scuro lungo fin sopra le ginocchia, un pantalone marrone e una maglietta nera unta di grasso e sugo.
<< Sì >> Risposi confuso. << Sono arrivato con un altro Stalker. >>
Lo Stalker ubriaco mi scrutò per intero, come se volesse trovare qualcosa di sospetto. Glielo leggevo nello sguardo. Aveva un non so che di irritante. Voleva prenderlo a pugni, ma forse era l'effetto di quella dannata poltiglia. Così cercai di rimanere calmo, di assumere un espressione impassibile.
<< No, tu non sembri uno Stalker. Stai mentendo! >> L'uomo si avvicinò a pochi centimetri dalla mia faccia con l'alito che puzzava di alcol. Poi fissò la mia divisa. << Perché hai degli strappi sul petto, eh? Ti sei tolto gli stemmi, non è vero? Credi di ingannarmi? Di prendermi per il culo, eh? >>
<< Sono uno Stalker, te lo giuro! >> Dissi, celando a mala pena la mia ansia.
<< Lascialo stare. >> Aggiunse Ruslan, allontanandolo da me. << E' arrivato con Lazar. E' a posto. >> 
Lo Stalker ubriaco mi lanciò uno sguardo grave. Poi, barcollando, si sedette poco più lontano da me.
Se Ruslan non fosse intervenuto, sicuramente l'uomo mi avrebbe scoperto. Non so come diavolo sapeva che fossi un militare. Forse dagli strappi della mia divisa come aveva detto lui? Se sapeva, vuol dire che aveva a che fare con i militari. Sentiva il nostro tanfo come un segugio ben addestrato. Riconosceva le nostre divise. Molti Stalker, strappando dapprima gli stemmi, le indossavano poiché erano ottime come mimetiche nella Zona.
<< Se intendi restare qua, ti conviene farti qualche amico. >> Disse Ruslan dietro il bancone.
<< Sembra più facile a dirsi, che a farsi >> Risposi appoggiando i gomiti sul banco.
<< Non sono tutti come lui. Ci sono Stalker che possono aiutarti. >> Accennò con il mento il bar pieno di Stalker. << Guardati in giro. A parte gli Stalker ubriachi fradici, ci sono uomini in gamba. Uomini che posso aiutarti, che possono offrirti del lavoro. Se vuoi sopravvivere in questo ambiente, ragazzo. Devi farti una reputazione. Come credi sia arrivato fin dove sono? Grazie alla mia reputazione! >> Sorrise compiaciuto. << Scommetto che sai anche chi sono, non è vero? Tutti mi conosco e tutti si fidano della mia parola. Ho garantito per te, prima, quindi vedi di sfruttare questa cosa. >> 
<< Grazie, Ruslan. >> Risposi, mentre giochicchiavo con il bicchierino che avevo ripreso in mano.
<< Visto? Conosci il mio nome, eppure non ci siamo presentati. >> Disse con voce trionfante. << Ma ti dirò una cosa; tutti gli uomini che vedi in questa stanza sono partiti dal nulla. Sono venuti qui come indifesi novellini. Hanno sgobbato tanto. Fatto molti generi di lavori. Visto la morte in faccia, eppure sono ancora qua. Cambiati in corpo e in spirito. >> Fece una pausa. << Voglio dirti una cosa; nessuno nasce imparato. La Zona è una severa insegnante e forgia solo uomini duri. Tu sarai uno di quelli? Un uomo duro. Oppure una carcassa abbandonata in un covo di Porger? >> Mi sorrise.
<< Chi vuole essere una carcassa? >> Rispose sarcastico. 
<< Oh, ci sono molti Stalker che sono diventati ciò che non volevano. >> Sorrise Ruslan freddamente. Mi fissò negli occhi per un attimo. Poi disse: << Ascolta. Ci sono vari Stalker esperti conoscitori della Zona. Uomini che raramente si fanno vedere negli accampamenti, e ancora meno nei paraggi. Sono come... >> Serrò gli occhi per spremere le meningi. << Come eremiti. Sai cos'è un eremita, giusto? Ebbene questi Stalker sono l'élite della Zona. I cosiddetti pezzi da novanta. Nulla a che vedere con Lazar, che è uno Stalker veterano, questi vanno oltre. >> Abbassò la voce, avvicinandosi a me. << Questo tale è chiamato Oscar, ma tutti lo chiamano L'Ombra. E' come un ombra elusiva. Quando prende di mira qualcuno, questo qualcuno non lo vedrà mai arrivare. Può avere anche un esercito personale in sua difesa, ma nulla fermerà L'Ombra. Può aiutarti a conoscere la Zona. >> Lanciò un occhiata in giro, come se volesse che nessuno ascoltasse ciò aveva da dire. << Si dice che abbia persino visto il centro della Zona. >> Sottolineò con gli occhi piena di stupore.
<< Per quanto ne so ora potrebbe essere dietro di me? >> Scherzai. Ma in realtà mi era scesa un inquieta paranoia nel sentire le parole di Ruslan.
Ruslan lanciò uno sguardo alle mie spalle con fare serio, facendomi gelare la nuca. Poi scoppiò a ridere. << Te la sei fatta addosso, non è vero? >> Rise con le lacrime agli occhi. Poi tornò serio. << Tornando a noi. Oscar ha istruito Lazar e Corad. Quei due sono i migliori Stalker in circolazione. Tutti i trafficanti della Zona affidano loro le missioni più disperate. >>
<< E pensi che uno del genere perderà tempo con me? >> Gli domandai fingendo disinteresse. 
<< Questo dipende da lui.>> Rispose Ruslan piano. << Dissi la stessa cosa a Lazar quando venne qui per la prima volta.  Non prende tutti sotto la sua ala protettrice, ma vale la pena provarci. Se gli andrai a genio, ti insegnerà tutto. Magari ti porterà persino con lui nella Zona. >> Accennò un lieve sorriso.
<< Capisco. >> Risposi osservando inquieto il bar. << Ma prima dovrò avvisare Lazar. Vorrà sapere della mia partenza. >>
Ruslan mi passò un pezzo di carta. << E' probabile che sia partito con Corad per affari. >> Batté un dito sulla carta. << Qui troverai Oscar. Ma stai attento, corre voce che in quella zona ci siano dei mutanti. Occhi aperti, ok? >>
Diedi un occhiata al foglietto e notai che un era pezzo di mappa strappato. In alcuni punti, cerchiati in rosso, c'era scritto; Mutanti. In altri cerchiati in nero; L'Ombra. Quest'ultimo distava due chilometri e mezzo dall'accampamento degli Stalker. C'erano anche delle chiazze d'acqua verso Nord-Est; sicuramente si trattava della spettrale e pericolosa Palude del Non Ritorno, dove molti Stalker avevano assunto tante di quelle radiazioni in corpo da diventare degli Zombie che, vagando, bisbigliavano parole incomprensibili.
In verità non volevo partire, ma restare qui sarebbe stato troppo pericoloso. Non conoscevo nessuno, a parte il barista e Lazar. E poi non sapevo neanche quando Lazar sarebbe tornato. Non avevo altra scelta. Dovevo partire.

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Capitolo 11
*** Prepararsi per la Palude ***


Uscito dal Gap 51, voltai il pezzo di carta e vidi delle strani frasi che non capivo. Forse era un codice segreto? O forse non voleva dire nulla? Prima di partire, Ruslan mi aveva detto di procurarmi armi e cibo da un commerciante del posto. Mi guardai intorno in cerca dell'edificio che mi aveva indicato. Degli Stalker sedevano in silenzio attorno a un fuoco da campo. Passai accanto con lo sguardo basso, ma questa volta mi ignorarono completamente.
Ore prima avevo tutti gli occhi puntati addosso ed ora nessuno mi guardava. Perché? Forse il fatto che Ruslan aveva garantito per me si era diffuso nell'accampamento? O era stato Lazar o Corad? No, quest'ultimo non mi conosceva. Non avrebbe mai garantito per me. Mentre pensavo, provai sollievo, ma poi il dubbio si fece largo nella mia mente. Gli Stalker avevano un aria strana. I loro visi sembravano celarsi al mio sguardo. Alcuni si voltavano persino dall'altra parte. Perché si comportavano così? Forse Corad o Lazar avevano detto loro qualcosa? Qualcosa del tipo "State alla larga da quel tipo o vi spacco la testa?" Più ci pensavo, più non ci capivo niente. 
Arrivai davanti a un edificio diroccato. Delle enormi crepe correvano lungo la parete frontale forata in più parti dai proiettili. Entrando, salii una stretta scala con i gradini mezzi distrutti e delle macchie di sangue coagulato. Al secondo piano, c'erano due appartamenti con le due porte sbarrate con assi di legno marcescente. La lampada del pianerottolo era distrutta e al mio passaggio i vetri scricchiolarono sotto i miei stivali. Al terzo piano, si trovava una scritta sul muro di coloro nero: J-43. Alla mia destra, un appartamento con la porta spalancata.
Una volta entrato, notai molte casse, un divano messo di sbieco e una poltrona dal rosso sbiadito. Nell'aria un poco gelata, sentivo un forte odore di polvere da sparo. Camminai nel corto corridoio, quando, senza nemmeno accorgermene, sbucò fuori un uomo sulla settantina o anche più, molto esile, quasi pelle ossa e con una ragnatela di rughe al viso. Aveva un lato della bocca paralizzato e il naso adunco, con due piccoli occhi che quasi faticavano a stare aperti. Indossava una grossa sciarpa di lana al collo, un maglione marrone, un pantalone grigio sporco di fango e un colbacco di lana nero.
<< Cerchi qualcosa? >> Disse con sguardo apatico. Si sedette su uno sgabello di legno, dietro a un scrivania mangiata dalle tarme.
<< Sì. >> Risposi. << Mi manda Ruslan. Ecco, mi ha detto di darti questo. >> Gli consegnai il foglietto con delle strane scritte.
L'uomo lo lesse e annuì con un mezzo sorriso. << Io sono Herm. >> Mi porse la mano.
Gliela strinsi. << Boris. >>
<< Allora, >> mi disse Herm << a quanto pare sei in missione. >>
Quale missione? Io non avevo nessuno missione. Forse Ruslan aveva scritto qualcosa per depistare Herm? Magari scrivendo di una missione difficile? O forse ero del tutto fuori strada? Così mi limitai a stare in silenzio.
<< Vedo che hai bisogno di un arsenale da viaggiatore errante. >> Disse alzandosi, non capendo cosa volesse dire con viaggiatore errante. Poi raggiunse quattro bauli e si mise a trafugare nel primo. << Un AK-47, una affidabile Makarov PMm, tre
 medikit, una mappa e infine, una bottiglia di Vodka contro le radiazioni. >> Posò il fucile d'assalto sulla scrivania con una lentezza assoluta. Era molto lento nei movimenti, forse per un problema alla schiena? O forse per altro.
Nell'attesa, diede un occhiata in giro. La casa fungeva da rifornimento per gli Stalker. C'era un bagno con il water rotto e un forte tanfo di piscio, una camera da letto vuota e l'ufficio-magazzino in cui ero adesso. In questa stanza c'era una brandina con una coperta e un cuscino. Le pareti crepate e il pavimento dissestato. Non so come diavolo facesse Herm a vivere in un luogo del genere.
Alla fine l'uomo posò tutto sul tavolo.
Notai solo in quel momento un forte odore di Whisky. Vidi la bottiglia ai piedi della sedia, ma era Herm a puzzare così. Mi allontanai verso la finestra per prendere un po' d'aria.
<< Ecco! >> Disse Herm. << Perché ti sei allontanato? >>
<< Volevo vedere il panorama. >> Mentii.
<< Mi spiace deluderti, amico mio. Ma da quassù il panorama è pessimo. >> Sorrise mostrando i denti marci.
<< Già... >>
<< Non ti ho mai visto da queste parti. >> Herm si avvicinò trasportando il tanfo dell'alcol. << Stai con un altro accampamento o sei nuovo? >>
<< Sono nuovo. >>
<< Capito. >> Borbottò, lanciando un occhiata fuori dalla finestra. Poi strascicò i piedi fin dietro la scrivania. << Se stai andando verso la Palude del Non Ritorno, tieni gli occhi aperti. Molti Stalker sono morti o scomparsi in quel luogo. >>
<< Grazie. >> Gli dissi. Come sapeva che dovevo passare da lì? Ruslan mi aveva fatto capire che il mio viaggio sarebbe stato top secret. Che fosse tutto scritto su quel pezzo di carta?
<< Che hai detto? Non ho sentito? >> Disse Herm allungando un orecchio.
<< Ti ho ringraziato. >>
<< Ah sì. Va bene, va bene. >> Si sedette sullo sgabello, curvandosi in avanti. Rimase in silenzio per un attimo, poi disse: << Quando ero giovane. Ti parlo di quarant'anni fa o anche più. Amavo esplorare il mondo. Amavo la vita. >> Sospirò sofferente. << Poi mio fratello fu ucciso in un incidente d'auto e da allora... da allora tutto è cambiato. La mia vita, i miei obiettivi, i miei interessi. Tutto è mutato. Tutto il mondo è in continuo mutamento, ma non la Zona. >> Mi guardò sofferente. << Qui le cose non mutano mai per l'uomo. Rimangono le stesse per sempre, tranne per i mutanti. Loro saranno la nostra rovina. Non importa cosa dice Corad; un giorno quei mostri ci ammazzeranno tutti. >> Abbassò lo sguardo. << Anche io sono stato uno Stalker. Non ero in gamba, ma sapevo il fatto mio. Sono sempre stato in questo accampamento. Ero la guardia del corpo del vecchio commerciante che viveva qui. E' morto quindici anni fa. Così ho preso il suo posto, anche perché non lo voleva nessuno. Ed ora sono... Non ricordo quanti anni ho passato nella Zona. Forse tanti, troppi per ricordare. Adesso una vecchia lumaca come me non sopravvivrebbe due minuti là fuori. >> Si zittì e fissò il niente. Quando feci per prendere gli oggetti dal tavolo, Herm tornò a parlare, come se si fosse destato da un sogno ad occhi aperti. << Comunque, ragazzo mio. La palude brulica di mutanti. Forse ti imbatterai in altri Stalker o forse nei loro gusci. >> Ridacchiò. << Stai attento a questi gusci. Sono degli zombie. Presi da soli non sono un granché, ma in gruppo sono letali. Non farti mai circondare. Cerca sempre una via di fuga. Un ultima cosa; questi figli di puttana sanno usare le armi. Voglio dire, non sono dei cecchini, ma sparano alla cieca. Ad ogni modo, là vicino si trova l'avamposto eretto da Corad. Segui il sentiero sterrato che va e da verso questo accampamento e sarai al sicuro. >> Girò la mappa sul tavolo e tracciò una X sull'avamposto, tratteggiando il sentiero che andava da questo accampamento, all'avamposto e dall'avamposto a un altro accampamento ad Est. Poi batté il dito sul sentiero tratteggiato. << Prosegui da questa parte e arriverai velocemente all'avamposto. Vedrai un lungo ponte crollato, che è stato sostituito da un piccole ponte di legno. Attraversalo senza timore. E' solido, anche se non sembra. Se poi vuoi complicarti la vita... >> Aggiunse Herm ridendo.
<< No, no, va bene così. >> Risposi.
<< Ah, quasi dimenticavo, che sbadato. >> Disse Herm << Non avvicinarti alla strada asfaltata. Può sembrarti sicura, ma non lo è, credimi. E' infestata da Banditi, mutanti, cani selvatici e diverse anomalie. Se entri nel campo gravitazionale di quest'ultima, beh, tanto vale sparassi un colpo in testa, prima di essere fatto a pezzi o scomparire per sempre. >> 
Fu il quel momento che capii che Herm non sapeva niente della mia missione. E pensare che mi ero scervellato per capire se Ruslan gli avesse detto qualcosa su di me. Comunque l'ultimo consiglio di Herm non mi sarebbe servito poi tanto. La zona dell'avamposto era dalla parte opposta del mio obiettivo. E poi come diavolo aveva fatto a non vedere il cerchietto nero con la scritta L'Ombra sul pezzetto di carta? Era molto evidente. O forse aveva finto di non vedere?
<< Perché stai andando lì? >> Domandò Herm incuriosito. << Le parole sul foglietto sono molto vaghe. Conosco Ruslan da anni. Non è mai vago. >>
<< Mi ha detto che nella palude potrei trovare dei manufatti rari. >> Mentii.
<< Vuoi arricchirti subito, eh? Non essere troppo avido. La zona punisce gli avidi. Basta guardare la conta dei morti per capirlo. Ma tu mi sembri abbastanza sveglio. >>
<< Grazie >> Risposi.
Herm si alzò barcollando. << Che la Zona ti sia lieve, ragazzo mio. >> E strascicò i piedi fino a sparire in una piccola stanza adiacente.
Mettendo nel mio zaino il mio nuovo equipaggio, uscii dall'edificio. Ero pronto a raggiungere Oscar.

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Capitolo 12
*** Visioni ***


Lasciai l'accampamento degli Stalker alle mie spalle e mi diressi verso Nord-Ovest. Nuvoloni grigi si stagliavano in cielo con una leggera pioggia che, a rivoli, macchiava la mia maschera anti-gas. Il vento ululava tra i rami, come tetre melodie proveniente da un abisso lontano. Ero circondato da una panorama spettrale, desolato, triste. Una distesa d'erba arida, puntellata da arbusti e alberi morti. Ma più camminavo, più gli alberi si facevano più numerosi, fitti, le cui profondità sembravano inghiottirmi avidamente. Eppure, rimasi affascinato dall'inquieto fascino della Zona.
Poco dopo arrivai davanti a un incrocio; due insegne di legno sbiadite indicavano le direzioni delle due strade sterrate. Presi la mappa e controllai a quale incrocio fossi arrivato. Scoprii con mia sorpresa che i due tragitti non esistevano sulla cartina. Perplesso, ricontrollai dall'accampamento degli Stalker da cui ero arrivato e risalii quel percorso sulla mappa. Mi fu chiaro che ero giunto all'incrocio giusto, ma non c'erano traccie di queste due strade sterrate, né di quella consigliatami da Herm. 
Che avessi sbagliato strada? Impossibile. Avevo un ottimo senso dell'orientamento. Non potevo essermi sbagliato. Certo, non conoscevo la Zona, ma sapevo orientarmi con una mappa in mano.
Mi accorsi che la strada alla mia destra continuava per qualche miglio, fino a raggiungere un luogo chiamato Lab-x21.
Sapevo che era un laboratorio segreto, finanziato dal governo. Quando il reattore 6 della centrale nucleare esplose, rilasciando enormi quantità di radiazioni, tutto il personale venne ucciso. Anni dopo, uno scienziato locale contattò il mio comandante, Varetic Hug, offrendogli una grossa somma di denaro. Voleva essere scortato fino al laboratorio per recuperare tutti i dati delle ricerche svolte dai suoi colleghi, ma il Comandante rifiutò. Tutto il plotone sapeva che inoltrasi in quel luogo era molto pericoloso, per cui non ci stupimmo quando il Comandante declinò l'offerta. Lo scienziato provò a contattare tutto l'apparato militare nei paraggi, affinché lo scortassero, ma infine dovette abbassarsi a ingaggiare un gruppo di Stalker. Quando partirono per il Lab-x21, nessuno li rivide mai più. Altri scienziati vennero dopo di lui, e capirono che erano meglio installare un laboratorio nella Zona e fare ricerche nei luoghi meno pericolosi. Gli Alti papaveri ci dissero di proteggerli, così crearono una squadra per la loro difesa. Ora se ne stavano da qualche parte in mezzo a mutanti e anomalie, compiendo ricerche sugli zombie, chissà per quale scopo. Di tanto in tanto venivano attaccati da mutanti e zombie, e alcuni scienziati sono persino scomparsi nel nulla. Oltre a quel laboratorio mobile, ne avevano eretto degli altri, tutti distrutti dalle orde di zombie che, attratti come un magnete, si riversavano senza sosta. Gli scienziati non tornarono mai più in quei luoghi, in quanto credevano che in quella parte di regione ci fosse qualcosa di tetro che spingeva gli zombie ad ammassarsi.
Alzando lo sguardo, notai che la strada sterrata alla mia sinistra era sbarrata con carcasse di auto e furgoni, lamiere di metallo, pezzi di casse rotte e blocchi di cemento armato. Un grosso camion arrugginito, nascosto dietro a numerosi rami spogli di un albero piegato a sinistra, bloccava tutta la strada. Scorsi un pezzo di insegna sbiadita; la fitta vegetazione di arbusti celavano una stretta stradina che scendeva fino agli acquitrini. Non intendevo per nulla al mondo prendere quel tragitto. Non era per niente invitante. Anzi, metteva una suggestione assurda.
Diedi un ultima occhiata alla mappa. Il mio istinto mi suggeriva di andare a sinistra. Così, dopo averci pensato su, proseguii da quella parte. Camminai per mezz'ora, mentre il paesaggio sembrava ripetersi all'infinito, interrotto solamente da avvallamenti, sporgenze o faglie rialzate. La pioggia, che cadeva con più insistenza, mi costrinse ad alzare il cappuccio della giacca. Avanzai per 200 metri, finché raggiunsi un un piccolo e stretto edificio di cemento, che era una fermata per l'autobus. Delle piante arrampicanti infestavano le mura di cemento crepate e macchiate di sangue. Sul pavimento dissestato, pieno di mozziconi, bottiglie vuote e bossoli, c'era un cadavere. Lo guardai per un momento, poi lo toccai con la punta del piede. L'aria doveva puzzare di putrefazione, ma per mia fortuna avevo addosso la maschera anti-gas. Vidi una pistola nella sua mano, e capii dal foro in testa che si era ucciso. Poco distante dal corpo, uno zaino completamente vuoto. Forse era stato svuotato da qualche Stalker prima di me, o forse non aveva nulla fin dal principio. Mi chinai verso il cadavere e lo osservai. Non avevo mai visto un cadavere in putrefazione. Il suo viso era sereno, anche se si era sparato un colpo in testa. Pensai al perché di quella scelta, ma non mi venne in mente niente. Non saprò mai la sua storia e i suoi ultimi istanti. Cosa ha provato, sentito e pensato prima di suicidarsi?
Mi alzai e uscii fuori dall'edificio. Aveva smesso di piovere, così abbassai il cappuccio. Ero piuttosto confuso dal fatto che il tempo nella Zona mutasse improvvisamente. Era una aspetto che sapevo da settimane, eppure non mi ero ancora abituato. Camminando per un lungo momento, giunsi davanti a un lungo ponte crollato a metà. Guardai giù nel burrone scosceso e notai due auto e un camion militare arrugginiti avvolti in una flebile nebbia. Chissà da quanto tempo erano lì. Proseguii sulle assi di legno che fungevano da ponte, e quando sentii lo scricchiolio sotto i miei stivali, mi colpii una fitta allo stomaco e mi affrettai a raggiungere l'altra sponda. Tirando un sospiro di sollievo, mi guardai intorno. Quattro blocchi di cemento bloccavano la strada e due furgoni militari arrugginiti erano parcheggiati orizzontalmente. Una dozzina di corpi crivellati di pallottole erano sparpagliati sull'asfalto, con un grosso albero abbattuto sopra ai resti di una guardiola di legno. Avvicinandomi, vidi numerosi bossoli e pezzetti di cranio, sangue coagulato e diversi arti strappati a morsi.
Anche se la Zona poteva sembrare un landa desolata priva di vita, queste piccole scene raccontavano una storia muta, intensa, ricca di dettagli e di domande irrisolte. Un intrigante mistero composto da ossessioni, odio, amicizie, rivalità, altruismo e strafottenza. La Zona era una madre amorevole verso il suo creato, ma crudele verso gli umani e le loro meccaniche invenzioni. Gli Stalker derubavano, distruggevano, uccidevano e sfruttavano la Zona per arricchirsi, ed essa non mostrava pietà nell'annientarli.
Nel frattempo, nuvoloni grigi si erano ammassati in cielo, finché scoppiò a piovere a dirotto. Rimisi il cappuccio, e mentre il martellare della pioggia mi acquietava l'anima, camminai a lungo evitando le pozzanghere. Poi uno straziante grugnito echeggiò nell'aria, facendomi trasalire. Mi voltai di scatto nella direzione del suono. Una sagoma quadrupede spuntò lentamente sopra a una collinetta fangosa, seguita da altre tre. Impugnai l'AK-47 che avevo a tracollo, e restai immobile a fissare quelle strane forme. Si misero a grugnire a lungo e con molta intensità. Tutto ciò mi fece gelare il sangue nelle vene. Riconoscevo quei versi; erano cinghiali mutanti. Le radiazioni li avevano mutati in creature molto pericolose e letali. Non erano molto aggressivi. Anzi, lo erano raramente. Ero a un passo dall'entrare nel loro territorio, e gli ululati mi intimavano di non avvicinarmi oltre, o sarei stato attaccato. Non potevo correre. Se lo avessi fatto, il maschio Alpha mi avrebbe dapprima inseguito, ucciso con le sue zanne affilate e infine trascinato come trofeo nella loro tana. Dotati di una grande resistenza e velocità, da solo, non avrei avuto scampo.
Allontanandomi lentamente dal ciglio della strada sterrata, mi inoltrai, accompagnato dai grugniti, negli acquitrini tappezzati da erbe palustri. Poi, quando l'acqua mi arrivò fin sopra la cintura, i versi cessarono, lasciando il posto a un perpetuo frinire. Avevo lasciato il territorio dei cinghiali mutanti, ma questo nuovo suono cos'era? Cicale? Sembravano proprio loro. Ma rammentai che in queste paludi non c'erano questi insetti. Se non erano loro, allora chi o cosa era?
Proseguii tenendo le braccia in alto per non far bagnare il fucile d'assalto. L'ultima cosa che volevo, era ritrovarmi davanti a un mutante con l'arma inceppata. Mentre proseguivo, mi guardai intorno sperando che non sbucasse qualche creatura. Messo com'ero, sarei stato un facile bersaglio.
Quando le erbe palustri cominciarono a diradarsi e l'acqua melmosa si face meno alta, toccai finalmente terra. Tirai un sospiro di sollievo, presi la mappa inzuppata di acqua dallo zaino e le diedi un occhiata. Mi resi conto di essere da qualche parte vicino al rifugio di Oscar, ma non sapevo dove di preciso. Per mia fortuna, l'acqua melmosa non aveva cancellato i cerchietti sulla cartina, così passai un dito sul tratto della strada sterrata che avevo abbandonato per via dei cinghiali mutanti e capii di essere a due miglia da un villaggio chiamato Breuyl. Non ero mai stato lì, ma avevo sentito racconti inquietanti su quel posto. Non avevo altra scelta. Dovevo andare passare di lì. Era l'unico modo di raggiungere Oscar.
Mentre camminavo, tra l'erba alta e gli sparuti alberi morti, intravidi una grande insegna verde piegata sul lato sinistro. Avevo sbagliato nel dedurre che ero a due miglia dagli acquitrini. Ero molto più vicino. Poi notai che l'insegna era perfettamente pulita. Come poteva essere? Nessun ruggine, niente di niente. Sembrava appena sfornata da un artigiano. La scritta su di esso recava il nome: Benvenuti a Breuyl - 5.000 Abitanti.
Uscendo dagli acquitrini, mi incamminai lungo la stradina accidentata e, dopo cinque minuti, arrivai all'entrata del villaggio. Le case, tutte simili e dal tetto spiovente, erano fatte di legno e pietra. C'erano al massimo tre piani e alcune non erano più lunghe di 45 metri. Erano sistemate attorno all'unica via principale, con vari diramazioni che conducevano in gran parte sull'unica brulla collina. Venni avvolto da una sensazione di sofferenza, odio, rabbia.
D'un tratto un forte tuono mi fece sussultare. Folgori lontane illuminavano la sagoma della brulla collina, dandogli una aspetto inquietante. Continuai a camminare, e guardandomi intorno, notai che le piante infestavano le case. Alcune, tagliate o bruciate, penzolavano dalle pareti o fuori dalle finestre. 
Chi l'aveva fatto? Qualche Stalker di passaggio? Per quale motivo? 
Per togliermi l'ansia di dosso, cominciai a rammentare ciò che sapevo del villaggio. Breuyl era un villaggio minerario, sorto accanto alla miniera di carbone e metallo che si trovavano sotto le profondità della brulla collina. Un imprenditore, grazie al permesso del governo, aveva edificato la miniera, costruito le case e fornito un lavoro agli uomini nei paraggi. Col tempo furono costruite altre abitazioni familiari intorno alla via principale, che era usata per trasportare le risorse. Dopo trent'anni però, l'azienda fallì e molti minatori rimasero senza lavoro. Ma il piccolo villaggio era prosperato anche in maniera diversa, grazie alle continue bonifiche del territorio paludoso, che avevano permesso le coltivazioni di patate, zucchine e cipolle e dell'allevamento di mucche, pecore e polli. Tutto questo aveva reso il villaggio indipendente dalla miniera. Così i disoccupati trovarono lavoro e il villaggio continuò la sua vita, finché fu inghiottita dalla Zona. La maggior parte degli abitanti furono uccisi dalle radiazioni e altri mutarono in zombie o in deviate creature letali. Nessuno riuscì a fuggire al disastro del reattore 6. I corpi non furono mai ritrovati, e le leggende che parlavano di strani fenomeni paranormali, come l'essere teletrasportati da una casa all'altra, l'aver visto delle Ombre, dei mutanti, delle anomali gravitazionali, aumentarono a dismisura. I pochi Stalker che si erano spinti nel villaggio, scomparvero o impazzirono. Quest'ultimi raccontavano di un entità invisibile e oscura che si nutriva delle loro energie vitali.
I tuoni si fecero più frequenti, e la pioggia non accennava a smettere. Camminai per la via principale, osservando le finestre e le porte, che nemmeno la luce era in grado di penetrare. Ma una casa mi colpii all'occhio. Non so perché, ma ne fui attratto come un ape col miele. Sul portico, un cavallino dondolava come sospinto da qualcuno. Non c'era vento, il che mi turbò non poco. Quando mi avvicinai, di colpo smise di muoversi. Trasalii e osservai l'entrata avvolta nell'oscurità, ma non osai entrarci per paura di essere teletrasportato in un altra casa o di vedere cose strane. Ma qualcosa, però, qualcosa che non sapevo spiegare, mi diceva di entrare. Anzi, me lo ordinava, come se una tetra creatura celata nelle profondità della casa mi chiamasse a sé. Sentivo la mia forza mentale venire meno, fui pervaso da una sensazione di ottenebramento, che spinsero le mie gambe ad entrare.
Impaurito e tremante, accessi la torcia che avevo sul lato dell'elmetto, e immediatamente la luce squarciò la tetra oscurità. Rimasi immobile, guardando la polvere volteggiare nell'aria. Poi gettai uno sguardo intorno a me; notai una larga scalinata che, sparsa di abiti femminili, portava al secondo piano. Al pianterreno invece, due stanze alla mia sinistra e tre alla mia destra. Decisi di dare un occhiata nella prima camera a sinistra, dove vidi un divano con il rivestimento e l'imbottitura strappata, delle sedie sparse sul pavimento polveroso, un tavolino con sopra dei fogli mangiucchiati dalle tarme e quadri alle pareti che ricordavano lontani e bellissimi paesaggi autunnali e primaverili. Doveva essere il soggiorno della casa. L'unica finestra era sbarrata con delle assi di legno putrescenti, forse per difendersi da qualcuno o qualcosa. Il pavimento, cosparso di vetri, scricchiolava al mio passaggio, echeggiando tetramente nella casa.
Raggiunsi la seconda stanza. La prima cosa che notai fu la scrivania intatta, come fosse nuova e senza un minimo di polvere. Ciò erano davvero strano. Molto strano. Due poltrone erano rivolte di schiena alla finestra, un portafiori era appoggiato sopra al tavolino e una libreria con dei libri rovinati. Sicuramente doveva essere un ufficio. Illuminai la scrivania con la torcia, e quando la sfiorai con un dito, misteriosamente la stanza prese vita.
Un uomo sedeva dietro la scrivania e batteva indaffarato su una macchina da scrivere. Aveva una faccia tonda, sui quarantanni, corti capelli neri all'indietro e sottili baffi. Indossava una camica bianca, sopra a una costosa giacca nera e un papyon bianco intorno al collo.
Indietreggiai incredulo e mi accorsi, che appoggiata vicino la porta, c'era una donna dai lunghi capelli biondi ondulati, viso ovale, bello, con occhi da cerbiatto marroni e naso aquilino. Era scalza, con indosso una lunga ed elegante gonna fin sotto le ginocchia e una camicetta a quadretti bianca e rosa.
<< Cosa vuoi per cena, amore? >> Disse la donna, tenendo lo sguardo sul pavimento.
<< Basta che cucini. >> Rispose l'uomo scorbutico.
<< Ti va del brodo di pollo? >>
<< Ok. >>
La donna rimase in silenzio per un momento. Poi disse: << Sei sicuro? >>
<< Cazzo! >> Gridò l'uomo. << Ti levi dalle palle? >> Si alzò e sferrò un pugno sul tavolo << Non vedi che sto lavorando! Cristo santo! >>
La donna si morse il labbro dalla paura e andò via.
L'uomo si sedette e si rimise a scrivere, come se non fosse successo nulla.
D'un tratto la visione scomparve e l'ambiente ritornò ad essere quel che era; una stanza cupa e tetra. Rimasi a fissare la scrivania, non capendo cosa fosse successo. Le mie mani iniziarono a tremare, e a stento impugnavo l'AK-47. Poi uscii dalla stanza e mi guardai intorno. 
Decisi di esplorare le altre camere, perché qualcosa mi spingeva a farlo. Entrai nella stanza a destra. Piatti, posate e lo sportello del frigorifero erano sul pavimento. Sul fornello, delle pentole riempite d'acqua. Era la cucina, e anche qui le finestre erano state sbarrate, compresa la porta che dava sul giardino. Improvvisamente, con un leggero mal di testa, la stanza riprese vita.
Vidi la stessa donna di prima girare il cucchiaio di legno nella pentola che bolliva sul gas. Accanto a lei, nel seggiolino, un bambino di tre anni, occhi azzurri, capelli biondi e le labbra sporche di pomodoro, si divertiva a strillare. Indossava un piccolo cappello a forma di faccia di cavallo.
<< Fai il bravo, Romanov. >> Disse la donna con un sorriso. << Mangia tutti i pomodori >> Ma lui prese la coppetta di plastica con dentro i pomodori tagliuzzati e la scaraventò a terra, ridendo e muovendo le braccia. Scuotendo il capo, la donna si allontanò dalla pentola e raccolse i pomodori da terra. Stava per sgridare suo figlio, quando il mio corpo fu attraversato da qualcosa. Era stato l'uomo che, lanciando un occhiataccia alla donna, si sedette a capo tavola.
<< Allora? Dov'è la mia cena? >> Disse l'uomo serrando i pugni dal nervoso.
<< Aspetta un attimo, amore. >> Rispose la donna dolcemente. << Romanov ha gettato per terra i pomodori. >>
Il bambino rideva e giocava con il cucchiaio che aveva in mano.
L'uomo, gli occhi ardenti di rabbia, rimase muto per qualche secondo. Poi scattò in piedi e gridò: << Aveva ragione mia madre! Non dovevo sposarti. Non sai fare un cazzo! Niente! Sei una puttana, ecco cosa sei! >>
La donna si pietrificò in lacrime, mentre il bambino, con il cucchiaio in bocca e le lacrime agli occhi, smise di giocare.
<< Dove cazzo è la mia cena? >> Urlò l'uomo. << Dove? >>
Il bambino scoppiò a piangere, allargando le braccia verso la madre.
La donna si alzò subito, e con lo sguardo rivolto a terra, mise del brodo e una coscia di pollo nel piatto e lo posò sul tavolo.
<< Cristo! Fai stare zitto quel verme. >> Disse l'uomo, sedendosi a tavola.
La donna prese il bambino e lo calmò, bisbigliandogli un dolce motivetto nell'orecchio.
L'uomo addentò la carne, la masticò e si fermò subito dopo. Poi, girandosi verso la moglie, le sputò verso la faccia. << Cosa cazzo hai cucinato? >> Gridò. Afferrò il piatto e lo scaraventò contro di lei, mancandolo per un soffio. << Vuoi avvelenarmi per caso? Vuoi uccidermi, brutta troia? >>
Tremando, la donna rimase in silenzio. Non riusciva guardarlo in faccia, mentre il bambino riprese a piangere.
L'uomo si alzò furente e si diresse verso la donna, caricando un pugno. La donna coprì istintivamente il bambino con il corpo e l'uomo, abbassando il pugno, scaraventò il tavolo per terra e lasciò la cucina.
La donna, il viso rigato dalle lacrime che gocciolavano giù dall'esile mento, rimase ricurva sul bambino, cercando inutilmente di calmarlo.
La stanza si oscurò, mentre il fascio della mia torcia illuminava il punto in cui attimi prima si trovava la donna con suo figlio. Tutto questo mi aveva lasciato una grande senso di rabbia e frustrazione. Volevo intervenire, ma non potevo. La visione non me lo permetteva. Non sapevo nemmeno se ciò che avevo visto fosse effettivamente reale o frutto della mia mente. Prima di uscire dalla cucina, diedi un ultima occhiata nel punto in cui c'erano stati mamma e figlio. Sospirai e uscii nel corridoio. Solo i miei passi facevano eco nell'abitato, interropendo per qualche secondo la spettrale tranquillità della casa.
Entrai nella terza camera, illuminando con la torcia prima il muro e poi il pavimento. Una lavatrice era in fondo alla piccola stanza e una pila di indumenti erano su un cesto per la biancheria. Una piccola pianta arrampicatrice sbucava fuori dalla piccola finestra rettangolare in alto sopra la lavatrice. I detersivi erano in ordine su uno scaffale, insieme a delle magliette da donna sporche di sangue. Pensai subito alla donna. Che fosse stata uccisa? O picchiata? Rimasi immobile sperando in una visione, ma non successe nulla. Così mi misi a toccare ogni cosa, ma non successe ugualmente nulla.
Dirigendomi verso la quarta stanza, trovai la porta socchiusa; il legno stava marcendo. Feci per spostarla con il calcio del fucile, quando, con un tonfo pesante, la parte cadde sul pavimento echeggiando nella casa. Sussultai spaventato.
Rimasi immobile e ascoltai in silenzio. Il cuore mi batteva all'impazzata, sperando di non aver risvegliato qualcosa nei meandri della casa. Ma non udii nessun suono. Per un attimo avevo pensato di aver disturbato qualche ombra o mutante nella casa, ma non per mia fortuna non fu così.
Dopo il tonfo della porta, molta polvere si era alzata nella stanza ed ora vorticava davanti al fascio di luce. Mi accorsi che la camera era piena di scatoloni, e vicino all'appendiabiti, c'era un cappotto e un cappello con su scritto polizia. Doveva essere appartenuta all'uomo. Osservai l'intera ambiente, curiosando con lo sguardo tra gli scatoloni. Poi, sperando di rivivere un altra visione, mi misi a toccare gli scatoloni, l'appendiabiti, il capotto e il cappello, ma non successe nulla.
Deluso, stavo per uscire, quando ebbi un'altro giramento di testa, seguito da una visione.
<< Dov'è il cappotto, donna? >> Gridò l'uomo nel corridoio, facendo avanti e dietro dal nervoso.
Nessuno rispose. L'uomo si stava infuriando.
<< E nel ripostiglio! >> Rispose la donna dal secondo piano.
<< Cosa? Per che cazzo l'hai messa là dentro? >>
L'uomo aprì violentemente la porta, indossò velocemente il cappotto e il cappello della polizia e corse al secondo piano. Per una manciata di secondi non si udii nulla. Poi all'improvviso si udirono le grida e i lamenti della donna, che gli implorava di fermarsi.
<< Giurò che ti affogò in quella vasca di merda, >> urlò l'uomo. << se metterai di nuovo il mio cappotto nel ripostiglio! >>
In quell'instante volevo muovermi per vedere cosa stesse succedendo di sopra, ma non ci riuscivo. C'era qualcosa che me lo impediva.
<< Non respiro! >> Gridò la donna, con voce soffocata.
<< Guai a te, puttana! >>
L'uomo scese dalla scala con gli occhi iniettati di sangue per la rabbia. Aveva le mani e le braccia inzuppate d'acqua e della schiuma sui pantaloni. Poi uscì di casa sbattendo la porta.
Mi avvolse nuovamente l'oscurità. Perché vedevo solo visioni negative? Forse perché in questa famiglia non c'era mai stato nulla di positivo?
Salii al secondo piano, mentre gli scricchiolii dei gradini risuonavano nell'ambiente. Il corridoio era inspiegabilmente più buio del pianterreno e la mia torcia faticava a farsi largo nell'oscurità. Le finestre erano tutte sbarrate, del sangue coagulato macchiava il pavimento. C'era una stanza a sinistra e due a destra.
Decisi di entrare nella camera a sinistra. La porta era stata abbattuta da qualcosa. La torcia illuminò un lettino con delle coperte con su disegnate dei supereroi. Pensai al bambino; forse era cresciuto e andava a scuola. Un tavolino era vicino alla sediolina semi distrutta. Una piccola libreria era bloccata di sbieco tra il muro e il pavimento, e sotto di essa, tanti giocattoli e peluche. La finestra era completamente aperta, le assi di legno distrutte. Mi accorsi solo in quel momento degli schizzi di sangue al centro della stanza e sul parete vicino la libreria. Mi si gelò il sangue al pensiero che il bambino fosse stato crudelmente ucciso. Sentii una fitta allo stomaco e la stanza prese vita.
La donna sedeva sul lettino. Un bambino era sotto le coperte. Lo stesso bambino che avevo visto nell'altra visione, ma era cresciuto.
La donna aveva appena smesso di leggergli una favola, quando il bambino gli pose una domanda. << Papà è un supereroe? >>
<< Sì... >> Rispose la donna col viso affranto, accarezzandogli dolcemente il viso.
<< Io posso diventare un supereroe? >>
<< Certo che sì. >>
<< Ma devo picchiare le donne per essere un supereroe? >>
La donna rimase per un attimo interdetta. Poi disse: << Assolutamente no! I supereroi salvano la gente. La proteggono dai malintenzionati. >> 
Il bambino si accigliò confuso, arricciando le labbra. << Allora papà non è un supereroe? >>
La donna lo guardò per un attimo. << Adesso mettiti a dormire. Quando sarai più grande, ti dirò tutto su come diventare un supereroe. >> 
Il bambino sorrise e chiuse gli occhi felice, mentre la donna gli rimboccò dolcemente le coperte, dandogli un bacio in fronte.
Tornai immediatamente alla realtà, e mi sentì mancare il fiato. Mi accovacciai per terra, come se qualcosa mi stesse bloccando i polmoni. Poi, lentamente, mi rialzai. Cosa diavolo mi era successo? Perché non riuscivo a respirare? Forse era quell'entità che si nutriva delle energie altrui? E quando stavo per pensarci ancora su, mi dimenticai l'ultima frase, come se fosse stata appena cancellata dalla mia mente. Questo o qualcosa, mi spinse a pensare alla donna, al fatto che nascondeva al figlio la verità sul padre. Forse lo nascondeva per il suo bene o per non destabilizzarlo.
Mi sentivo stranamente debole e a stento riuscivo camminare. Vedevo tutto sfocato, e mentre uscivo dalla stanza, per poco non inciampai sulla porta che era sul pavimento. Le visioni mi stavano indebolendo. Me lo sentivo. Qualcosa mi stava prosciugando. Qualcosa che non vedevo.
Entrai nella stanza a destra del corridoio, la porta completamente spalancata. La mia torcia faticava a illuminare l'interno. Percepivo sofferenza, rabbia, odio. Un bombardamento di emozioni che mi fecero venire un gran mal di testa. Vidi un letto matrimoniale con il lenzuolo pregno di sangue, la culla rovesciata per terra. Il tavolo era incastrato tra le assi di legno della finestra, come se qualcuno avesse provato a fuggire. Lo specchio rotto e macchiato di sangue, della biancheria intima femminile sparpagliata sul pavimento.
Venni risucchiato in un altra visione. Ero immobile nell'angolo della stanza.
La donna, il corpo avvolto con un grande asciugamano, era appena uscita dalla doccia e si stava pettinando i capelli, canticchiando un motivetto.
D'un tratto l'uomo entrò dalla porta e la chiuse violentemente alle sue spalle.
<< L'hai fatto di nuovo? >> Gridò l'uomo, puntando il dito contro la donna. << Il mio giaccone! >>
La donna indietreggiò impaurita, finché urtò con le spalle lo specchio.
<< Ti prego, io... >> Balbettò la donna.
<< Te l'avevo detto cosa sarebbe successo! >> 
L'uomo si avvicinò minaccioso verso la donna, che si rannicchiò per terra con le mani a protezione del capo. L'uomo le sferrò un potente calcio alle costole, facendola urlare dal dolore. Dopodiché, afferrandola per i capelli, la scaraventò contro lo specchio. La donna cominciò a sanguinare dal viso e dalle braccia. L'uomo la prese di nuovo per i capelli e le mise la faccia contro i vetri appuntiti dello specchio rotto, strappandole l'asciugamano dal corpo.
<< Mi dispiace, mi dispiace... >> Bisbigliò l'uomo al suo orecchio, baciandole il collo e leccandole il sangue.
La donna, urlando terrorizzata, tentò di liberarsi, ma l'uomo la pressò con forza contro lo specchio. I vetri dello specchio penetrarono nella carne, deturpandole la parte sinistra della faccia.
<< Sei una puttana come tua sorella! >> L'uomo la strinse dalle spalle come se volesse disintegrarla, mentre la baciava e le sussurrava perdono, insultandola di nuovo. Poi l'uomo si abbassò i pantaloni e le mutande.
<< Dietro no, ti prego! >> Gridò la donna dimenandosi.
L'uomo le afferrò i capelli e le sbatté la testa contro il vetro, mentre lei piangeva e gridava dal dolore.
<< Così impari a farmi incazzare, puttana! >> Sussurrò l'uomo all'orecchio della donna, schiacciandola contro il vetro con il suo peso. Quando ebbe finito di penetrarla brutalmente, l'uomo girò la donna e gli diede un pugno in faccia, facendola cadere contro lo specchio.
<< E' quello il tuo posto! >> L'uomo le sputò. << A terra come un cane! >> E uscì dalla stanza.
La donna rimase rannicchiata in una pozza di sangue. Non aveva nemmeno la forza per piangere. Tremava e singhiozzava.
Tornai alla realtà e fissai la pozza di sangue coagulato che la mia torcia stava illuminando. Provai una forte rabbia per quello che avevo visto. Volevo ammazzare quel bastardo. Ucciderlo con le mie mani. Perché la donna rimaneva con quel figlio di puttana? Perché non era andata già via o denunciato alla polizia?
La porta dell'ultima stanza era sbarrata. Ruppi con il calcio del fucile d'assalto le assi di legno, che caddero a terra risuonando nella casa silenziosa. Aprii lentamente la porta, quando uno strano alito di vento mi gelò le carni.
Il contatore geiger impazzì e la torcia iniziò a spegnersi e accendersi di continuo. Diedi piccoli e delicati colpetti alla torcia, che iniziò a funzionare di nuovo. Poi rimasi scioccato da ciò che vidi. I cadaveri dell'intera famiglia giacevano sul pavimento. Mi sentii pervadere da un inquietante tristezza, le gambe sembravano voler cedere da un momento all'altro, e per di più non riuscivo a staccare gli occhi dai loro corpi. Il neonato era messo nel lavandino con la faccia serena ma sporca di sangue, mentre il bambino era appoggiato di schiena al muro con un foro di proiettile in testa e gli occhi ancora spalancati dalla paura. La donna, fatta a pezzi e 
con il volto deturpato dal molteplici ferite da taglio, era ai piedi del marito che, appoggiato di schiena alla parete, aveva la pistola in mano e un sorriso compiaciuto sul volto. Si era sparato in bocca, visto la quantità di sangue sul mento e sulla camicia.
D'un tratto avvertii uno strano formicolio in testa. Ebbi un altra visione.
<< Lascia stare i miei figli! >> Urlò la donna spaventata, dietro la porta della camera del bambino.
<< Sono anche i miei figli, puttana! >> Gridò l'uomo infuriato dall'altra parte della soglia. << Apri questa cazzo di porta! >>
<< Vattene! Giurò che chiamo la polizia! >>
<< Sono io la polizia! >> Rise a crepapelle, mentre la donna cominciò a piangere. << Non te dirò un'altra volta. >> Bussò piano alla porta. << Apri questa fottuta porta! >>
<< Vattene! >> Rispose la donna esasperata.
Sentii l'uomo scendere frettolosamente le scale. Poi non si udii più nulla per tre minuti, finché lo sentii risalire. << Sto arrivando, troia! >>
La lama di un accetta sfondò una parte della porta. La donna, che aveva il neonato in braccio, urlò. Il bambino corse ad abbracciare il fianco della madre. L'uomo continuava a colpire, finché la porta non fu fatta a pezzi e crollò al suolo. Entrò con il manico dell'accetta poggiata sulla spalla. Fissò la donna con un sorriso glaciale e le andò incontro, sollevando l'accetta.
Fui improvvisamente avvolto dall'oscurità. Non riuscivo a vedere nulla. Cercai di muovermi, ma ero bloccato. Tutto il mio corpo non rispondeva ai miei comandi. Poi mi ritrovai a guardare l'uomo con i braccio il neonato che piangeva.
<< Sssh. Non piangere. >> Disse. << Il tuo papà ti porterà in un posto bellissimo. Adesso dormi. >>
Sentii il neonato agitarsi dentro l'acqua del lavabo, mentre l'uomo lo teneva fermo.
Persi definitivamente il controllo, ma quando feci per muovermi, crollai a terra svenuto. Mi svegliai con la faccia attaccata al pavimento. Non sapevo per quanto tempo fossi rimasto senza sensi? Secondi? Minuti? Ore? Alzandomi, presi l'AK-47, e quando accessi la torcia, il bambino comparve davanti a me con il neonato in braccio. Le loro facce pallide mi fissavano senza espressione. Erano chiaramente delle Ombre. Mi precipitai fuori dalla stanza e scesi la scala così in fretta, che quasi razzolai giù dai gradini. Poi, tremante e con il cuore il gola, uscii dalla casa e caddi carponi. Quando alzai lo sguardo, tutta la famiglia mi fissava apatica dalla finestra del secondo piano. Il padre sorrideva freddamente, mentre la donna aveva il viso sfregiato dai tagli.

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Capitolo 13
*** La palude ***


Quel posto mi lasciò addosso un errore indescrivibile. Non riuscii a pensare a nient'altro che alla povera madre con i suoi bambini. A quel mostro che aveva ammazzato i suoi figli e la sua stessa moglie. Come poteva un uomo arrivare a tanto? Come poteva mettere fine a ciò che aveva creato?
Mi allontanai dalla casa voltandomi di tanto in tanto a guardare la finestra. Mi sentivo osservato, anche se le Ombre della famiglia erano scomparse. Ora, ovunque mi girassi, sentivo addosso degli sguardi invisibili, maligni. Senza esitazione, lasciai il villaggio alle mie spalle, mentre quella sensazione opprimente e di oscurità si allentò a poco a poco.
Camminando, il terreno diventava via via più acquoso con qualche pozzanghera ai bordi della stradina fangosa. La pioggia era cessata da un po', ma i nuvoloni plumbei restavano silenti in cielo. Un cartello di legno mi avvertii che stavo per entrare nella Palude del Non Ritorno.  Percorsi all'incirca 80 metri prima di arrivare davanti a un bivio. Afferrai la mappa e ci diedi un occhiata. Alla mia sinistra la strada diventava più pianeggiante e andava nella direzione dell'avamposto degli Stalker di Corad. Mentre alla mia destra si entrava nel cuore della palude, ovvero, dove si trovava Oscar L'ombra, stando al cerchietto nero. Herm aveva pensato che dovessi andare all'avamposto, prima di farmi un giro nel limitare della palude. Per questo mi aveva fornito dei consigli che non mi erano serviti, ma potevano un giorno ritornare utili. Mi guardai intorno e notai che la palude era al quanto silenziosa. Non udivo nessuno rumore, nemmeno il vento tra l'erba palustre.
Misi la mappa nello zaino e imboccai la strada a destra, verso la Palude del Non Ritorno. Mentre camminavo, avvistai una fitta nebbia verdastra farsi largo sul margine degli acquitrini. Ne venni avvolto ancor prima di capire da dove provenisse. Seguii un percorso fatto di assi di legno marcescente, passando sopra chiazze d'acqua melmose e terreno fangoso. La fitta vegetazione mi ostruiva la visuale e più delle volte il tragitto curvava bruscamente, in quanto gli acquitrini avevano ingoiato diversi sentieri. Questi erano segnati da alcune bandierine bianche impalate su dei legnetti. Chi aveva costruito questo tragitto, doveva essere un esperto conoscitore della palude.
I pericoli poi, erano tanti. Cinghiali mutanti, cani selvatici, Stalker zombie, Porger e altre mostruose creature. Per questo camminare da soli nella palude era sconsigliato, specialmente se si seguivano le assi di legno. Se cadevi negli acquitrini profondi, le alghe si serravano attorno alle caviglie e ti trascinavano nel fondale. Una morta orrenda. Camminai per qualche minuto, finché gli arbusti scomparvero lasciando spazio ad un terreno più compatto, puntellato da contorti alberi dalle radici nodose. C'era una stradina alla mia sinistra con alcune carcasse di auto arrugginite e una sorta di muro in cemento che bloccava la strada asfaltata che conduceva fuori dalla palude. Continuai dritto, finché mi ritrovai in un punto pieno zeppo di arbusti che sbucavano fuori da grosse chiazze d'acqua marrone. Poi la stradina fangosa si interruppe, e camminai di nuovo sulle lunghe assi di legno che serpeggiavano tra gli acquitrini. Il mio contatore geiger iniziò a stridere, avvertendomi delle radiazioni attorno a me.
Era uno strumento utile, sopratutto in luoghi come questi, dove uno Stalker poteva ritrovarsi dopo un metro ad assorbire un altissima quantità di radiazioni mortali. Era uno dei misteri della Zona quella delle radiazioni che sembravano comparire e svanire senza una apparente ragione. Le chiazze d'acqua dovevano essere molto radioattive e caderci dentro equivaleva a morte certa.
L'erba palustre, che mi chiudeva ai lati, mi costrinse a rallentare per vedere dove mettevo i piedi. I mutanti potevano prendermi senza che li vedessi arrivare. Dovevo stare allerta. Tenere occhi e orecchie aperte. Proseguii lentamente per almeno cinque minuti, facendo dei percorsi intricati e alle volte tornando indietro, perché alcuni assi erano ormai nel fondale delle acqua melmose. Dopo alcuni minuti, la nebbia cominciò a diradarsi, insieme alla fitta vegetazione che stava iniziando a darmi sui nervi. Poi cominciai a sentire ululati e grugniti in lontananza. Impugnai l'AK-47 e continuai a camminare con il fucile puntato. I versi si facevano dapprima più vicini, poi più lontani. Non sapevo di chi fossero, poiché i grugniti non erano simili a quelli dei cinghiali mutanti. E mentre pensavo, toccai terra. Finalmente potevo camminare su un terreno compatto. Gli alberi e gli arbusti si fecero meno numerosi, quando arrivai davanti a un capanno di legno, in cui la cui vegetazione ne aveva fatto la propria casa. Una parte del tetto era crollato. Un cadavere putrefatto era sopra il cofano di un auto arrugginita, lasciata vicino a un grosso albero dalle foglie nere. Avvicinandomi all'abitato, mi accorsi che la porta era stata abbattuta da una scarica di pallottole. Entrai e mi guardai attorno.
L'interno del capanno era sgombro. Vidi le ceneri di un fuoco spento, e toccando il ciocco, notai che era ancora caldo. Delle pietre attorno al bivacco fungevano da sedie. Molto probabilmente alcuni Stalker avevano passato del tempo qui.
D'un tratto udii degli ululati inquietanti che mi fecero trasalire. Capii subito che si trattava di cani selvatici. Quei mutanti infestavano la palude in cerca di Stalker da divorare. Erano stati mutati dalle radiazioni in letali macchine di morte. Il loro olfatto era molto più potente di un segugio, ma in compenso avevano perso la vista. Sapevo perfettamente che avevano fiutato il mio odore, come sapevo anche che dovevo prepararmi al peggio.
Mi precipitai verso la porta che era per terra e la rimisi di nuovo in piedi, anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla. Poi trascinai un grosso armadio davanti alla porta per bloccarla. Gli ululati si facevano più vicini, finché mi resi conti che erano proprio fuori dal capanno. Spiai da una finestra sbarrata, e vidi un cane selvatico annusare le orme che avevo lasciato nel terreno fangoso. Quindi si mise a ringhiare verso la porta. Altri sei cani uscirono fra gli alberi e gli arbusti e si avvicinarono al capanno, mettendosi ad abbaiare. Indietreggiando, corsi dietro a un tavolo rettangolare steso su un lato con il fucile puntato in direzione della porta. Le mie mani tremavano e cercavo di rimanere calmo facendo profondi respiri.
D'un tratto sentii un cane zampettare verso il capanno e raschiare la porta con le unghie affilate come artigli. Continuò per qualche secondo, finché smise. Non udii più nulla per un momento. Poi sentii una gran botta sulla porta, seguita altri colpi. L'armadio ondeggiò leggermente. I cani stavano cercando di entrare. Sistemai la canna del fucile sul lato del tavolo e presi la mira. Sapevo che primo o poi sarebbero entrati. Continuarono a schiantarsi, finché non si aprì un varco all'ingresso e un cane sbucò nella stanza. Preso dal panico, sparai una raffica e centrai il cane, che si schiantò contro il muro senza vita. Attimi dopo tre cani entrarono dall'ingresso, e ringhiando, scattarono verso di me. Aprii il fuoco. Ne uccisi due e ferì il terzo, che si accasciò agonizzante a pochi passi da me. Rimasi con il fucile puntato, aspettando gli altri cani, ma quelli guairono e fuggirono via.
Si erano arresi, ma per qualche minuto, continuai incredulo a tenere il fucile in direzione del varco. Quando realizzai che non sarebbe entrato più nessuno, mi avvicinai al il cane moribondo, afferrai il coltello e lo finii. Poi spiai dalla finestra e finalmente mi calmai. Stava per calare la notte e mi resi conto che dovevo passarla in quel capanno. Portai fuori i corpi dei cani selvatici e li gettai nelle pozzanghere. Ritornato nell'abitazione, spostai nuovamente l'armadio contro la porta, mettendoci dietro delle sedie e dei cassetti. E infine, accessi un fuoco con la legna che era rimasta. La sera la temperatura poteva calare fino a 3 gradi, anche meno in certi punti della Zona. Quindi era buona cosa riscaldarsi davanti a un fuoco, anche se poteva attirare di tutto. Fissai le fiamme immerso nei miei pensieri, mentre il crepitio del legno mi faceva compagnia. Non potevo dormire, non dopo un attacco simile. 

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Capitolo 14
*** Il viaggio nella palude ***


Spiragli di luce filtravano fra le assi di legno della finestra. La notte era passata silenziosa e senza problemi. Spiai da una fessura; fuori era tutto tranquillo. Aveva piovuto. Spostai l'armadio e rimisi a terra nuovamente la porta. Un cielo nuvoloso mi diede il buongiorno e mi guardai intorno, vedendo gli alberi avvolti da una leggera nebbia. Presi la mappa dallo zaino e rifeci mentalmente il percorso della palude. Passai il dito sui vari acquitrini e zone radioattive, rilevati anche dal mio contatore geiger. Mi trovavo appena fuori della Palude del Non Ritorno, a due chilometri circa dalla posizione di Oscar, che si trovava quasi al centro di essa. Rimisi la mappa nello zaino, diedi un ultima occhiata all'ingresso del capanno di legno e camminai alla mia destra.
Il terreno si faceva acquoso, mentre mi avvicinavo agli acquitrini. La fitta vegetazione iniziò a spuntare da ogni lato, limitandomi il campo visivo. La nebbia si faceva più densa e di un colorito verdastro. Mi sentii penetrare le dita da una leggero venticello gelido, mentre miei stivali sguazzavano nel fango, rompendo il tetro silenzio della palude.
Poco dopo raggiunsi un grosso albero dalle foglie nere, simile a quello visto quando ero con il bambino ombra. Quattro uomini, impiccati e le mani legate dietro la schiena, pendevano dai robusti rami nodosi. Dovevano essere comuni Stalker, non legati a nessuna fazione.
Questo fatto mi fece capire che ero capitato per sbaglio in uno degli avamposti dei Figli del Monolite. Una fazione religiosa che idolatrava la Zona e le sue creature. Dotati di un enorme fanatismo, sceglievano in punto di morte di bere uno strano liquido arancione e diventare degli Zombie, così da essere manovrati da un oscura presenza che solo loro riuscivano a vedere e sentire. Quella oscura presenza era il Monolite che, usando un sommo sacerdote come tramite, impartiva ordini. Ma queste erano solo delle voci. Nessuno sapeva se fossero vere, poiché una volta entrati nei Figli del Monolite, non si tornava più indietro. Non perché fosse vietato, ma perché chi entrava, non voleva più uscirne. I figli del Monolite proteggevano il centro della Zona a costa della vita, e quando ti prendevano di mira, non li vedevi neanche arrivare. Per mano loro, molti Stalker erano morti o svaniti nel nulla.
In giro c'erano banditi che adottavano esecuzioni in stile Figli del Monolite. Lo facevano per spaventare gli Stalker e tenerli lontani dal loro covo. Funzionava soltanto con i pivelli, non con gli esperti. Non parliamo poi delle altre fazioni, che non si facevano problemi ad ammazzare i loro rivali, tra cui i Figli del Monolite. 
I quattro uomini impiccati avevano un chiaro significato per la religione Monolite: Morte, Dolore, Fede, Libertà.
Morte; un uomo doveva morire per il Monolite se voleva rinascere a nuova vita. Alcuni, precocemente, si trasformavano in zombie per essere liberi nello spirito. Ma questi finivano per essere abbandonati al loro destino, vagando attorno al centro della Zona, come fossero confinati da esso.
Dolore; un uomo doveva soffrire se voleva elevarsi davanti alla potenza del Monolite. Solo così sarebbe stato idoneo per poter essere adottato come figlio.
Fede; un uomo doveva credere fanaticamente al Monolite, creatore della Zona. Doveva ubbidire ai suoi comandi senza fare domande. Difenderlo dai nemici che volevano impossessarsene. Rispettare le sue leggi, le sue creature, il suo mondo.
Libertà; Un uomo che aveva raggiunto tutte è tre le tappe precedenti, poteva finalmente assaggiare la vera libertà. Solo il Monolite era in grado di rendere liberi le loro anime, che avrebbero trovato la pace eterna e tutte le risposte dell'universo.
Mi avvicinai lentamente vicino al grosso albero e osservai i cadaveri dondolare. Le foglie invece, restavano immobili, come se il vento non riuscisse a smuoverle. Gli occhi dei quattro uomini erano stati strappati via, perché non erano degni di osservare la bellezza della Zona. Solo due di loro avevano le viscere che penzolavano dallo stomaco a indicare che avevano ucciso i figli della Zona; i mutanti. Solitamente le esecuzioni avvenivano al limitare del loro territorio, come una specie di avvertimento. Non intendevo oltrepassare l'albero. Non ci tenevo a incontrarli, perciò decisi di fare il giro più lungo camminando tra la fitta vegetazione di arbusti e di erica ingrigite.
Non conoscevo perfettamente la palude, e non potevo rischiare di essere visto da un fanatico che non ci avrebbe pensato due volte a riempirmi di piombo. Camminai a sinistra, dove il terreno diventava più scosceso, intervallato da rocce e rialzi improvvisi. Seguendo il bordo di un grande acquitrino, gli alberi spogli si facevano più numerosi, attaccati l'un l'altro con le grosse radici che si contorcevano fino a formare muri impenetrabili. Capii che mi stavo avvicinando al centro della Palude del Non Ritorno, e che dovevo tenere gli occhi aperti alle radiazioni che si spostavano di continuo, come fossero esseri incorporei.
Minuti dopo, finalmente riuscii ad uscire da quella intricata rete di alberi e rami, che mi avevano fatto rallentare. E questo mi portò a proseguire sulle assi di legno attorniate da erba palustri. Cominciavo proprio a odiarle quelle fottute piante. 
Poi udii degli spari in lontananza, seguito da alcuni ululati. Provenivano alla mia destra. Sicuramente un branco di cani selvatici aveva assalito degli Stalker. Gli spari si fecero meno numerosi, finché ci fu solo silenzio, segno che qualcuno era morto o era riuscito a fuggire. Non potevo esserne sicuro, ma quasi sempre significava questo. Alla fine non diedi molto importanza, in quanto il branco era ormai occupato a sbranare gli Stlaker o a inseguirli.
Dopo aver camminato sulle assi di legno, mi ritrovai di fronte a un enorme specchio d'acqua, tappezzato da altissime erbe palustri e canne. Delle ninfe dai petali dorati coronavano l'ambiente suggestivo. La nebbia, che mi aveva avvolto tutto questo tempo, era misteriosamente svanita. Certo, se mi guardavo indietro potevo scorgerla fra la vegetazione. Rimasi affascinato dalla tetra bellezza del posto. L'acqua era molto pulita, e potevo persino specchiarmici. Questo mi confuse, in quanto uno stagno non può essere così. Mi sembrava di essere in un sogno.
D'un tratto il mio contatore geiger emise degli stridi continui. Sembrava impazzito. Afferrai una bottiglia di Vodka dallo zaino, feci tre sorsi e la rimisi al suo posto. Poi indossai la maschera antigas e proseguii sulla terra compatta, ai bordi dello stagno. Sentivo il liquore bruciarmi la bocca, la gola e le viscere. Nel sapore c'era qualcosa di strano. Qualcosa di metallico. Non sapevo con certezza cosa fosse, ma iniziai a credere che ci fosse ben più della Vodka. Herm mi aveva dato queste bottiglie dicendo che mi sarebbero servite per abbassare le radiazioni dal mio corpo. Inizialmente non avevo fatto caso alle sue parole, ma ora capivo che non era un cazzata. Avevo sentito parlare di queste miracolose bottiglie di Vodka contro le radiazioni, ma pensavo fossero solo leggende per motivare gli Stalker a spingersi nei posti più radioattivi. Ora invece, avendola assaggiata, pensai che non fossero per nulla stronzate.
Il terreno terminò contro un muro di grosse radici. Cercai di arrampicarmici, ma fu impossibile, perché le radici erano scivolose. Così mi immersi lentamente nello stagno sollevando fucile e zaino con entrambe le mani. Mentre avanzavo, l'acqua saliva fino ad arrivare al mio collo. Mi fermai, lanciando un occhiata intorno. Solo silenzio. Ero indeciso se continuare o meno, poiché non sapevo se l'acqua sarebbe continuata a salire. Ma non potevo nemmeno tornare indietro e tentare di entrare nel territorio dei Figli del Monolite. Sarai morto senza nemmeno accorgermene. Così proseguii circondato da erba palustri e altissime canne. Continuai per diversi minuti e mi resi conto che forse stavo girando in tondo. Le braccia erano a un passo dal cedere per la fatica, quando udii delle voci. 
Camminando verso la direzione del suono, mi ritrovai al limitare delle canne, scorgendo una baracca di legno e una piccola torretta di fortuna costruita con legno, lamiere e sbarre di ferro arrugginite. Due barche da pesca erano vicino a un piccolo pontile e su di esso, un uomo armato di un AKAM-74/2 si guardava attorno. 
Mi spostai leggermente verso sinistra, così da essere interamente coperto dalle canne. C'erano otto uomini armati di AK-47, pistole Kora-919, Beretta 92, e fucili Viper 5. Tutti indossavano cappotti scuri sporchi di terra, e sciarpe che coprivano la bocca. Capii all'istante che erano dei banditi, e che gli uomini impiccati erano stati messi da loro, e non dai Figli del Monolite. Forse erano qui solo per fare provviste, cercare qualche manufatto da vendere a uno dei trafficanti della Zona. A meno che non fossi finito dritto in uno dei loro covi. Al solo pensiero mi venne una fitta allo stomaco.
Camminai per un momento a sinistra. Nessuno sembrava essersi accorto della mia presenza. Mi sistemai a pochi metri dal pontile, proprio di fronte. Osservai i banditi camminare intorno alla baracca di legno, parlare, scherzare, ridere e alcuni insultarsi, finché sentii un ringhio alle mie spalle, che mi pietrificò.
Un bandito, attratto dal rumore, attraversò il lungo il pontile e si fermò a guardare nella mia direzione. Quando fece per alzare il Viper 5, forse accortosi di me, un Porger balzò da dietro le mie spalle e gli atterrò sopra, artigliandogli la gola. Il sangue schizzò sul viso deforme della Creatura, che affondò i denti aguzzi nel suo collo. Attimi dopo, il Porger venne crivellato da una pioggia di proiettili, sparati da varie direzioni, cadendo in acqua, a un passo da me. La superficie dello stagno si riempì di sangue. 
Due banditi raggiunsero il loro compagno che, agonizzante, li fissava cercando di parlare, sputando fiotti di sangue. Quelli si lanciarono un occhiata, lo afferrarono per mani e piedi e lo gettarono in acqua, ancora vivo. Lo guardarono affogare con sorrisi compiaciuti, poi si allontanarono, mentre il corpo rimase a galleggiare vicino al Porger. Rimasi schifato da quel gesto. Avevano persino sorriso mentre i loro compagno affogava. Avevo sentito delle voci sulla loro crudeltà, ma non pensavo che arrivassero a uccidersi a vicenda. 
I banditi erano odiati da tutti, e temuti dai pivelli. Gente che ti avrebbe ammazzato anche per un scatola di tonno. Erano sparpagliati in piccoli gruppi indipendenti nei luoghi meno pericolosi della Zona. I loro covi si trovavano spesso negli edifici diroccati, fra la vegetazione, sulle collinette o fabbriche abbandonate. Erano tutti comandati da un capo, solitamente il più sveglio del gruppo, che organizzava la banda. Il fatto che i gruppi fossero indipendenti l'uno dall'altro, faceva scoppiare faide all'ultimo sangue, che portava alla completa distruzione di uno dei due gruppi. Era molto facile per uno Stalker imbattersi nei loro scontri a fuoco o in un covo distrutto. La maggior parte delle carcasse umane divorate dai mutanti nella Zona, erano perlopiù di banditi ammazzati per mano di altri banditi. Vivevano di rapine, furti, omicidi su commissione, contrabbando di cibo, armi, munizioni, sigarette e ogni genere di prodotto che valeva qualcosa in questo sperduto posto. Commerciavano tra loro, e molto raramente con gli Stalker, che facevano affari quando i trafficanti venivano uccisi, divorati o sparivano nel nulla, causando il tracollo economico della Zona. I banditi, seppur numerosi, venivano facilmente spazzati via dalle altre fazioni. Temevano gli scontri a fuoco prolungati, come temevano i Figli del Monolite, che si mettevano sulle loro tracce per epurare la Zona dal male. Ma ovviamente erano voci, e nessuno sapevo la verità.
Fissai il viso deforme del Porger e pensai al perché non mi avesse attaccato. Era proprio dietro di me. Non doveva fare altro che saltarmi addosso, sgozzarmi e trascinarmi nella sua tana. Perché non lo aveva fatto? Fui pervaso da mille pensieri; uno più assurdo dell'altro. La simbiosi tra l'uomo e la Zona che, una volta instaurato un giusto legame, poteva proteggerti dai suoi figli, dalle anomalie, da tutto ciò che c'era nella Zona. Mi venne in mente l'assurda e misteriosa storia che avvolgeva i Figli del Monolite. Si diceva che parlassero con i mutanti, le piante, gli alberi e le anomalie, che fossero in grado di sapere sempre tutto, come fossero onniscienti e onnipresenti. Persino adesso, nascosto in queste fitte canne, loro potevano vedere e sentire tutto. Era una sensazione sgradevole, al limite della paranoia. E mentre ero perso nella mia mente, qualcosa galleggiava lentamente verso di me. Era un militare con il petto squarciato, e fu lì che capii perché il Porger non mi aveva attaccato; era occupato a divorarlo e stava ringhiando perché io ero a qualche metro dalla creatura. Ma allora perché aveva attacco il bandito? Forse l'aveva visto avvicinarsi? Aveva percepito la sua ostilità? Ad ogni risposta, altre domande. Decisi che il tutto fosse stato un mera coincidenza, sennò avrei finito per impazzire.
Mi spostai nuovamente verso sinistra, mentre anelli di acqua si espandevano sulla sua superficie. Ignorai il mio contatore geiger che mi diceva che stavo assorbendo radiazioni. Continuai a muovermi, finché l'acqua mi arrivo fin sotto le ginocchia. Rimisi lo zaino sulle spalle e impugnai l'AK-47, con le braccia doloranti dallo sforzo prolungato per aver tenuto le braccia alzate per più di trenta minuti. 
Arrivai accanto a un lungo tronco cavo, osservando l'intera baracca. Un bandito con la testa rasata, la barba incolta e un occhio cieco, si diresse verso un gazebo dal tetto in ferro arrugginito. Indossava un lurido cappotto grigio, rattoppato in vari punti. Dietro a delle casse aperte, vidi un altro uomo legato a una sedia, insieme a un'altro bandito dalla faccia fregiata, capelli corti e occhi scavati. Indossava un uniforme militare, tutta insanguinata. Forse l'uomo legato e il cadavere del militare in acqua erano compagni?
Preso dalla curiosità, sorpassai diversi arbusti e mi fermai accanto alla corteccia di un albero, circondato da alcuni rami e un cespuglio avvizzito. 
Il bandito rasato si fermò davanti al militare. << Dove cadranno le prossime casse di rifornimento? >> Disse, afferrandolo per il bavero.
Il militare gli sputò in faccia.
Il bandito rasato si pulì con la manica del cappotto e gli sferrò un pugno nelle costole. << Parla! >> Gli mise una mano sul volto. << Non sarò così paziente con te, come lo sono stato con il tuo amichetto! >> Indicò con il dito lo stagno.
Il militare lo fissò con un sorriso sprezzante, dicendo: << Tanto farò la sua stessa fine... >> 
Il bandito rasato gli voltò le spalle e rimase a fissare il vuoto per un momento. Poi si girò e lo massacrò di pugni. << Parla! Fottuto stronzo! >> 
Il militare perse i sensi.
Il bandito rasato sbuffò irato. << Tu! >> Disse al bandito sfregiato che si voltò al richiamo. << Portalo dentro. Vediamo se gli piaceranno i miei metodi "fai da te". >> Sorrise compiaciuto.
Il bandito sfregiato slegò il militare e se lo mise sulle spalle, trasportandolo dentro la baracca.
L'uomo rasato si accese una sigaretta lungo il pontile e osservò fiero il corpo del Porger galleggiare sull'acqua. Poi, gettando la cicca dentro lo stagno, entrò nella baracca.
Nel frattempo non mi ero a corto che stava facendo buio. Avevo a disposizione ancora un ora di sole, anche se nella Zona il sole non si vedeva mai. Non potevo passare la notte in balia della totale oscurità e nemmeno accendere un fuoco. Era troppo pericoloso, perché la notte la palude si riempiva di mutanti e di Ombre. Mi era già successo una volta, e non intendevo ripetere quella orrenda esperienza.
Pur sapendo che il militare avrebbe fatto la stessa fine del suo compagno, mi allontanai dalla baracca, passando tra gli intricati arbusti, finché, dopo una decina di minuti, vidi una strada sterrata. Questo mi fece pensare che la usassero gli Stalker o forse i banditi. Decisi di seguirla, e tenendomi a destra, mi addentrai fra le erbe palustri per non essere visto. La temperatura stava calando vertiginosamente, e iniziai ad avere difficoltà a muovere le dita infreddolite. Dovevo sbrigarmi a trovare un posto sicuro dove passare la notte.
Raggiunsi una lunga staccionata di pietra e la scavalcai, ritrovandomi su una lunga distesa di terra arida e desolata. Scorsi un abitazione di pietra in lontananza. Un tempo doveva essere stata una fattoria, con enormi campi di grano e pascoli rigogliosi. Quando mi avvicinai a un trattore arrugginito fermo accanto alla carcassa di una mucca, il mio contatore geiger cominciò a stridere impazzito. Mi allontanai subito dal quel punto radioattivo e continuai a camminare, notando sempre più cadaveri di mucche, pecore e persino galline. Non so perché una fattoria fosse stata costruita vicino alla palude, a meno che prima non ci fosse stata una verdeggiante pianura ricolma di alberi e bellissimi fiori.
Seguii una piccola strada fangosa che portava alla casa. Le teste di alcuni cinghiali mutanti e cani selvatici erano impalate sui lati. Quando arrivai davanti alla porta dell'abitazione, notai due teste umane infilzate su due sbarre di ferro arrugginite, e guardando meglio, mi accorsi che erano degli zombie. Lembi di pelle penzolavano dal viso, gli occhi bianchi, la mascella storta e le sopracciglia curvate all'insù. 
Bussai alla porta tre volte, ma nessuno rispose. Poi altre tre volte ancora, ma nulla. Mi allontanai leggermente e osservai le finestre, nel caso qualcuno o qualcosa mi stesse osservando dietro le assi di legno marcescente. Mi venne in mente l'orrenda esperienza al villaggio di Breuyl, quando l'intera famiglia di ombre mi stava fissando. Provai un brivido lungo la schiena e distolsi gli occhi dalle finestre, lanciando uno sguardo nervoso nei paraggi. Poi osservai il cielo plumbeo in modo da capire quanto mancava all'oscurità. All'orizzonte si stavano ammassando nuvoloni grigi carichi di pioggia radioattiva. Ringraziai Lazar che mi aveva fatto presente questo particolare, cosa che i miei Ufficiali avevano, forse, tenuto nascosto.
Quando feci per voltarmi verso la porta, qualcosa mi colpii alla nuca.

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Capitolo 15
*** Oscar L'Ombra ***





Mi svegliai su un materasso umido che puzzava di muffa, sentendo una fitta dolorosa alla costola sinistra. Mi alzai a fatica e mi guardai in giro. Ero dentro una casa, sicuramente la stessa che stavo guardando un attimo prima di perdere i sensi. Sulle pareti correvano delle crepe con piante arrampicanti che toccavano il soffitto. In alcuni punti le mura erano crollate, le finestre sbarrate o murate.
Un uomo mi dava le spalle, a pochi passi da me. Sedeva sui talloni e si scaldava le mani davanti a un piccolo fuoco. Indossava una tuta nera anti-radiazione e un elmetto grigio. Un Viper 5 era adagiato sul pavimento dissestato, vicino alla sua gamba.
<< Buongiorno, Stalker! >> Disse l'uomo, senza voltarsi.
Come sapeva che mi ero svegliato visto che era di spalle? Mi aveva sentito? Mi avvicinai silenzioso e mi sedetti vicino al lui con lo sguardo basso.
<< Sei muto? >> Continuò questo.
<< Sei... Sei stato tu a colpirmi? >> Bisbigliai e tossii, perché la mia voce faticava a schiarirsi.
<< Vedi qualcun'altro nella stanza? >> L'uomo accennò un sorriso.
Gli lanciai un occhiata sfuggente.
Viso squadrato, sulla quarantina, capelli rasati, occhi neri e una folta barba annodata sotto il mento. Quattro grosse cicatrici passavano di sbieco sulla guancia destra, simili a ferite di artigli.
L'uomo mi lanciò un occhiata penetrante: << Che hai da guardare? Non hai mai visto un uomo? >> 
Distolsi lo sguardo e fissai le fiamme divorare i ciocchi di legno. Rimanemmo in un lungo silenzio, interrotto solo dal crepitio della legna. Poi dissi: << Perché mi hai colpito? >>
<< Hai paura di me? >> Chiese l'uomo, allungando un braccio sulla mia spalla che non vidi arrivare. << Perché mi temi? >>
Perché deviava la mia domanda? Poi aggiunsi: << Io non ti conosco. Non mi sembri il solito Stalker. >>
<< Già. >> Levò il braccio dalla mia spalla << Sono Oscar, ma tutti mi chiamami "L'Ombra." >>
Rimasi interdetto; finalmente l'avevo incontrato. Mi limitai a fissarlo incredulo, finché il suo sguardo, mettendomi in soggezione, mi costrinse a dire: << Io sono Boris. >> Allungai una mano.
Oscar si limitò a guardarla senza stringerla, poi mi guardò negli occhi. << Non mi interessa il tuo nome. Sicuramente sarai l'ennesimo Stalker che tra un paio d'ore si ritroverà con la faccia negli acquitrini. >> Fece un pausa, guardando le fiamme. << La Palude del Non Ritorno non è un luogo ospitale, specialmente per gli Stalker. Molti vengono qui con la speranza di trovare manufatti e di arricchirsi, finché non si accorgono di essere in una fottuta trappola mortale. Sai cosa intendo, non è vero? >> Mi guardò gli indumenti sporchi di terra. << Hai attraversato lo stagno e ne sei uscito tutto intero. Sai quanti Stalker e banditi sono morti in quel punto? Tantissimi. Mutanti, banditi, anomalie. Questi tre sono la causa principale della loro morte. >> Sbuffò con un mezzo sorriso.
<< Anomalie? Io non ne ho vista nemmeno una quando sono giunto fin qui. >>
<< Sei stato fortunato. >> Rispose Oscar. << Vuol dire che la zona ti ha concesso di passare. >>
Rimanemmo di nuovo in silenzio per un lungo momento, fissando le fiamme. Cosa voleva dire con; la zona ti ha concesso di passare? Intendeva che la Zona mi stava osservando? E se sì, come lo faceva? Da dietro gli occhi dei suoi figli mutanti? Dalle radiazioni? Dalle piante? Dall'aria? Dove?
<< Toglimi una curiosità. >> Disse Oscar, voltandosi verso di me << Come sei arrivato fino a qui? Nessuno conosce questo posto a parte Ruslan Perevic. >>
<< Ruslan mi ha detto di venire qui. >> Risposi guardando il fuocherello.
Oscar mi fissò sospettoso, come se mi stesse leggendo la mente, così da mettere a nudo le mie vere intenzioni. << Che vuoi dire? >> Disse irritato. << Era con te? Gli è successo qualcosa? Parla! >>
Oscar sembrava tenerci molto a Ruslan, o perlomeno dava questa impressione. << No, no, è rimasto al Gap 51. >> Mi affrettai a dire. << Mi ha detto che potevi aiutarmi. Istruirmi sulla Zona. >>
<< Istruirti? >> Oscar scoppiò quasi a ridere. << L'intera Zona muta ogni ora. Se oggi andrà bene una pistola, domani andrà bene un coltello. Rendo l'idea? >>
Aggrottai le sopracciglia confuso.
Oscar sbuffò, scuotendo il capo. << Vedi, la Zona è come una persona. Più la osservi, più capisci che la normalità è solo apparente. Una specie di protezione, di maschera verso gli estranei. Nessuno si mostra per quello che è veramente. La Zona è così. Prendi i mutanti? Ti sembrano normali? Non lo sono. Alcuni sono talmente letali che possono distruggere un intero ecosistema al di fuori dalla zona di alienazione. Potrebbero fare lo stesso anche qui, ma non lo fanno. Sai perché? Perché qualcosa li ferma. Impedisce loro di seminare ovunque distruzione. Questo vale anche per le anomalie. Ti sei mai chiesto perché le anomalie non invadono gli accampamenti degli Stalker o qualsiasi altro luogo abitato? La risposta è semplice; perché qualcuno non vuole che lo facciano. >>
<< Chi è questo qualcuno? >> Domandai perplesso.
<< Chi lo sa. Può essere il Monolite, come sostengono i Figli del Monolite. Può essere una qualche entità invisibile, onnisciente, onnipresente, magari un Dio. Chi lo sa. Nessuno conosce le risposte. >>
<< Nemmeno gli adepti di quella fazione? >>
Oscar si limitò a sorridermi. << Pensi che quei fanatici sappiano davvero qualcosa sulla Zona? Ti assicuro che non sanno proprio un cazzo. Sono degli svitati che vanno in giro ad ammazzare la gente, che si iniettano strani liquidi per diventare zombie e stronzate del genere. Hanno visioni e sentono voci, ma non sanno che è colpa delle radiazioni. La Zona non ha interesse verso gli umani. Anzi, la Zona vuole annientarci. E lo fa un chilometro alla volta. >>
<< Vuoi dire che la Zona si sta espandendo? >> Domandai. Avevo sentito degli scienziati dire qualcosa del genere al Comandante Varetic Hug durante le missioni a scopro di lucro, ma erano solo teorie.
<< Esatto! >> Rispose Oscar. Prese un lungo bastone, smosse i ciocchi e le fiamme ripresero vigore. << Noi Stalker lo sappiamo. Almeno quelli esperti. >> Mi guardò dall'alto in basso, come se mi reputasse non all'altezza. << Più passano gli anni, più la Zona si espande. Quando sono giunto qui, la Zona aveva un diametro di 10 chilometri. Ma indovina un po'? Due anni dopo il diametro era di 30 chilometri. Di 30. E adesso sai quanti sono? 50 chilometri. Non ti pare molto? Sai quanto militari sono morti difendendo gli avamposti dagli attacchi combinati dei mutanti? Centinaia, se non migliaia. Noi Stalker sappiamo adattarci alla Zona, ma i militari no, come anche i banditi. >>
<< Hai detto combinati? >> Non ci stavo capendo nulla. Come poteva dei mutanti attaccare simultaneamente degli avamposti? E poi gli ufficiali non ci avevano mai detto che erano morti così tanti soldati.
<< Senti, sarebbe una storia lunga da raccontare. >> Disse Oscar guardando le fiamme. << Ma il succo è questo. Quando la Zona decide di scacciare qualcuno, lo fa usando tutto il potere che possiede. E questo potere è in grado di controllare tutti i mutanti, persino gli zombie. Non so perché non attacca gli avamposti degli Stalker, ma sono sicuro che per la Zona noi Stalker siamo delle preziose risorse da sfruttare. Dopotutto, ha persino dei folli che la idolatrano. E poi, pensaci un attimo. Senza gli Stalker non avrebbe le risorse giuste per far sopravvivere i suoi figli mutanti. Certo, possono ammazzarsi tra loro, ma finiranno per estinguersi con la stessa rapidità che tu usi per accenderti una sigaretta. La Zona non vuole che succeda. Rimarrebbe esposta, senza difesa. Sarebbe un facile bersaglio per le teste d'uovo gestiti dai militari. La Zona sa quanto siano letali i suoi figli, quindi li tieni al guinzaglio, anche se ogni tanto qualcuno sfugge momentaneamente al suo controllo. Dopotutto, non sono molto diversi dai comuni animali. >>
Ora tutto tornava. Avevo visto delle basi militari abbandonate quando ero di pattuglia nella Zona. Erano state distrutte o abbandonate di fretta. Alcuni del mio plotone avevano detto che appartenevano agli Stalker, che erano fuggiti perché noi militari li ammazzavamo tutti, ma invece era la Zona ad ammazzarci tutti. Gli Alti Papaveri ci pagavano profumatamente per non fare niente lungo il confine della zona di alienazione. Pensavo che la paga alta fosse dovuto ai pericoli che si annidavano all'interno, ma invece era perché morivano più soldati, che Stalker. Chi sapeva, sicuramente era stato messo a tacere per sempre. Più parlavo con gli Stalker, più capivo che gli Ufficiali ci tenevano all'oscuro di tantissimi fatti. Il nemico non erano gli Stalker, ma noi. Noi militari che volevano impossessarci della Zona per scopi personali, egoistici. 
<< Che c'è? >> Disse Oscar.
<< Niente. >> Risposi.
<< Okay. >>
<< Quindi ho fatto molta strada per nulla? >> Dissi con tono deluso.
<< No. >> Rispose Oscar << Come ti ho già detto, la Zona ti ha fatto passare. Sono sorpreso che tu non abbia incontrato nessuna anomalia e nessuno zombie. >>
<< Ma ho incontrato un Porger, vicino a un baracca piena di banditi. >> Dissi, mentre Oscar si voltò interessato. << Ero nascosto nella vegetazione, quando l'ho sentito ringhiare alle mie spalle. L'aveva sentito anche il bandito sul pontile. Così si è diretto nella mia direzione. >> Feci una pausa al ricordo. << E' stato un attimo. Davvero. Il Porger gli è saltato addosso, recidendogli la gola. Poi gli altri banditi l'hanno crivellato di pallottole. >>
Oscar ascoltava attentamente la mia storia, muovendo di tanto in tanto il ciocco per non far spegnere le fiamme.
<< Il fatto più strano è questo; il Porger non mi ha attaccato. Di solito aggrediscono alle spalle e lui si trovava proprio dietro di me. Perché non l'ha fatto? Perché ha attaccato il bandito che era più distante da me? >>
<< E' proprio una bella storia. >> Rispose Oscar, fissando le fiamme. << Ottima per il Gap 51. >> Smorzò un sorriso. << Ne hai di fantasia... >>
<< Non mi credi? >> Risposi deluso. Pensavo che mi avrebbe dato una risposta, che mi avrebbe chiarito le idee, detto il motivo.
Oscar mi fissò negli occhi. << Non ti credo. Come non credo che Ruslan ti abbia mandato qui. >>
<< Allora perché non mi hai ucciso? Perché non hai appeso la mia testa in una picca insieme agli zombie. Perché non l'hai fatto? >>
Oscar celò un sorriso e rimase in silenzio. Poi si alzò, si diresse alla finestra sbarrata dalle assi di legno marcescente e sbirciò in una fessura. << Le teste servono a spaventare gli Stalker troppo curiosi. A tenerli lontani da qui. L'uomo teme la paura. Paura di morire, paura del dolore, paura di perdere qualcuno, paura di ciò che è oscuro, di ciò che non sa. >> Fece una pausa. << Non hanno funzionato con te, vero? >> Si voltò verso di me, incrociando le mani dietro la schiena.
<< No. La mia missione supera di gran lunga tutte le mie paure. >>
Oscar si avvicinò verso di me. << E dimmi; qual è la tua missione? >>
<< L'emettitore psichico. >> Era la prima volta che lo dicevo a qualcuno. Quando presi servizio nella Zona, mi raccontarono di questo misterioso posto. E mi promisi che un giorno ci sarei andato, e non credevo che quel giorno fosse così tanto vicino.
<< Sembra che abbiamo un obiettivo comune. >> Disse Oscar, sedendosi sui talloni davanti al fuoco. << Ruslan ha visto qualcosa in te. Ti ha osservato. >>
<< Che vuoi dire? >> Chiesi confuso.
<< Devi sapere che Ruslan non manda da me cani e porci. Se ha mandato te, allora ha visto qualcosa. Qualcosa che l'ha colpito. E sinceramente non so cosa. Non so nemmeno come ci riesce, ma è un ottimo osservatore, anche se non si direbbe. Conosce le persone. Sa cosa vogliono, cosa desiderano. Riesce persino a capire chi sono veramente. >> Sorrise. << Ha fatto la stessa cosa con me. Mi ha mandato da uno Stalker esperto, che mi ha insegnato tutto sulla Zona. >> Sospirò. << Bei tempi... >>
<< Sai dove si trova l'emettitore? >> Domandai.
<< E' molto distante da qui. >> Fece una pausa, guardandomi dritto negli occhi. << E' al centro della Zona! >>
Nella stanza calò un pesante silenzio, mentre dalla palude tetri e lontani ululati giungevano smorzati solo dal crepitio della legna.

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Capitolo 16
*** I due Stalker ***


Era notte inoltrata. Fuori dalla casa il silenzio era opprimente. I lontani ululati, lo zampettare dei cani mutanti nelle pozzanghere, i grugniti dei cinghiali mutanti. Tutto era cessato.
<< Non è un buon segno... >> Disse Oscar preoccupato.
<< Che vuoi dire? >>
<< Questo posto è stato il mio rifugio per molto tempo. Non sentire più nulla attorno alla casa vuol dire solo una cosa... >> Fece una pausa, guardando le fiamme. << Un emissione! >>
D'un tratto udimmo bussare tre volte alla porta.
Oscar si voltò verso di me e mi fece cenno di stare calmo. Poi si avvicinò alla porta con il Viper 5 puntato. Tre colpi alla porta, seguiti da altri tre più forti, finché ci fu solo silenzio.
Lo fissai non capendo cosa diamine stava succedendo. Poi l'intera casa venne bombardata da un picchiare continuo, insistente. Rimbombava tutt'attorno e ci stordiva. Ci tappammo le orecchie, mentre le mie mani iniziarono a tremare. Sembrava di essere sotto un attacco aereo, e pensai di essere spacciato.
Oscar indietreggiò, guardandosi intorno e tenendo il fucile puntato.
Il suono diventava più intenso, insopportabile. D'un tratto il suono cessò. I miei timpani fischiavano. Non sentivo quasi più nulla.
Oscar mi si avvicinò, poggiando una mano sulla mia spalla. << Stai bene? >> Gli occhi fissi sulla porta.
<< Sì... Cos'è stato? >> Tappai con brevi scatti le orecchie con le punta delle dita, per tentare di far sparire il fischio insopportabile.
<< Non nè sono sicuro, >> levò la mano da sopra la mia spalla << ma credo che sia opera dell'emettitore psichico. >>
<< In che senso? >>
<< L'emettitore emana delle emissioni mortali per gli Stalker. Sono come intense tempeste di suoni che possono far impazzire un uomo fino a ucciderlo. >> Fece un pausa. << I sintomi sono soggettivi. Ad esempio, io ho creduto di sentire degli spari fuori dalla casa e qualcuno che gridava aiuto. >> Abbassò il fucile. << Le emissioni cercano di farti uscire allo scoperto. Si insinuano dentro la tua testa alla ricerca di un punto debole in cui fare breccia. Un po' come fanno le Ombre. >>
<< Io... Io ho sentito qualcuno bussare alla porta. >> Risposi. << Poi il suono è diventato sempre più forte, fino a quando l'intera casa sembrava esserne bombardata. >>
<< Per nostra fortuna eravamo in casa. >> Disse Oscar piano. << Ha attutito la maggior parte delle emissioni. Se fossimo stati là fuori... Beh, sarebbe stata la nostra fine. Nessuno sopravvive là fuori durante un emissione. Nessuno. >>
<< Non sapevo dell'esistenza di queste emissioni. >> Risposi. Infatti per me era stata la prima volta. Nessuno del mio plotone sapeva niente su questo fatto, nemmeno Varetic Hug. E gli Alti Papaveri come sempre, ci avevano tenuto all'oscuro.
<< Le emissioni partono dall'emettitore psichico e si espandono fino trenta chilometri. Più ti avvicini alla Zona, più diventano numerose e letali. >> Oscar rimase in silenzio per un momento. << Da queste parti non ci sono mai state emissioni. Questa è la prima volta. Segno che la Zona si sta espandendo. >>

Pensai ai mutanti che avevano improvvisamente smesso di ululare e ringhiare. Così domandai. << Anche i mutanti ne soffrono? >>
<< No, sono immuni alle emissioni. Anzi, diventano più feroci, più imprevedibili, perché la Zona non riesce a controllarli. Questa è una delle volte in cui la Zona non riesce a tenere sotto controllo i suoi figli. >> Mi guardò negli occhi. << Se gli Stalker non hanno trovato un rifugio entro cinque minuti, preparati a incontrare molti cadaveri, oltre a un sacco di anomalie. Queste diventano numerose dopo un emissione, ma credo che non ne troveremo poi tante nella Palude. Questo luogo, non so come, è come un repellente per questi strani fenomeni. Certo, possono apparire dal nulla, sopratutto se la Zona non vuole farti passare, ma non restano mai a lungo. >>
<< Le ombra sono originate dalle emissioni? >> Domandai.
<< Probabile. >> Rispose Oscar sollevando le spalle. << Alcuni pensano che siano le radiazioni, altri le emissioni, e altri ancora che sia la stessa Zona a intrappolare le anime per qualche suo oscuro piano. Ma in definitiva, nessuno sa la verità. Forse gli scienziati potrebbero aver sviluppato altre teorie parallele, ma quelli non conoscono per niente la Zona. Persino uno Stalker che ha passato qui un decennio della sua vita, non sara mai in grado di capire del tutto la Zona. >>
Ci sedemmo in silenzio davanti al fuoco, che Oscar aveva ravvivato con altra legna. Ululati, ringhi e grugniti iniziarono a elevarsi nella palude. Dopo l'emissione, la temperatura si era abbassato notevolmente. Sembrava di essere in pieno inverno.
Mezz'ora dopo, mi alzai, raggiunsi la stanza alla mia sinistra e mi coricai sul divano, che aveva il rivestimento mezzo strappato. Non era comodo, ma almeno non puzza di muffa come il materasso. Rimasi a fissare le piante arrampicati attorcigliate sul soffitto, finché cadi nel sonno.
L'indomani mi svegliai nel sentire Oscar parlare con qualcuno. Mi alzai assonnato e mi diressi lentamente verso la sua voce. Due Stalker tenevano in mano un bicchiere di Vodka. sedevano sul pavimento dissestato, insieme a Oscar che aveva in mano una bottiglia di Vodka.
Il più alto aveva corti capelli neri, una cicatrice sul labbro sinistro e zigomi alti. Indossava una tuta verde scuro anti-contaminazione, sporca di terra. L'altro invece, con i capelli a spazzola castani, gli occhi piccoli e il naso adunco, indossava una tuta anti-radiazione infangata dello stesso colore di quell'altro Stalker.
Rimasi dietro il muro e origliai.
<< Ora si che siamo nella merda! >> Disse l'uomo con i capelli a spazzola. << L'avamposto dei Distruttori è sommerso dai Mork, fottuti mutanti! Li hanno massacrato tutti. Ci credete? I Distruttori che vengono spazzati via dai Mork? >> Sbuffò sprezzante. << Ma che cazzo sta succedendo nella Zona? Sicuramente i bastardi costruiranno il loro covo proprio nell'edificio. >>
L'uomo con i capelli corti si mise a ridere. << Credi che i Distruttori lasceranno quel posto ai mutanti? Beh, mi dispiace deluderti, amico mio. Quell'avamposto è di vitale importanza per i loro sporchi progetti. E poi, è l'unico sentiero che porta al Bunker di Vasilah e credimi, hanno tanto da perdere se lo lasceranno in mano ai Mork. >>
<< Non è l'unico. >> Aggiunse Oscar sorridendo. << C'è un altro sentiero che conduce al Bunker. >>
<< Quel sentiero non viene più usato.>> Sbuffò l'uomo con i capelli corti. << Gli Stalker si tengono alla larga. Ci sono troppi mutanti, troppe anomalie. >>
<< Io lo uso spesso. >> Disse Oscar. << Certo, tu hai ragione. E' pericoloso rispetto al sentiero che corre parallelo alla strada asfaltata, ma è l'ideale per chi non volesse problemi con i Distruttori. >>
<< Aspetta un secondo. >> Rispose l'uomo con i capelli a spazzola. << Cosa c'entrano i Distruttori con il sentiero? >>
<< Lo sai benissimo cosa c'entrano. >> Disse Oscar. << Ultimamente i Distruttori fanno pagare un dazio agli Stalker che vogliono cercare i manufatti nei dintorni del Bunker di Vasilah. >>
<< Quel dazio serve a proteggere gli Stalker. >> Interruppe bruscamente l'uomo con i capelli a spazzola. << Una specie di protezione. Muoiono tantissimi Stalker in quel punto. Così i Distruttori si sono messi in testa di proteggerli, guadagnandoci su. >>
Oscar disse: << Allora perché non ho mai visto un solo uomo dei Distruttori scortare uno Stalker in quel luogo? >>
L'uomo con i capelli a spazzola abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio.
<< Comunque, >> aggiunse l'uomo con i capelli corti << rimane il fatto che quell'avamposto ora è pieno zeppo di fottuti Mork! >>
<< Certo che sei fissato con i Mork. >> Rise Oscar.
<< Odio quei viscidi mutanti! >>
<< L'ultima volta il tuo odio stava quasi per ammazzarti. >>
<< Solo perché erano in tre! >> Rispose l'uomo con i capelli corti. << Ma il mio vecchio fucile a canne mozze non mi ha deluso. >>
<< Sì, come no. >> Disse l'uomo con i capelli a spazzola. << Ti ho salvato io il culo da quei mutanti! >>
<< Tu sei arrivato solo quando ho ammazzato i due Mork. >>
<< Sì, credici. >> Lo canzonò l'uomo con i capelli a spazzola. << Hai perfettamente ragione. >>
I due Stalker continuarono a prendersi in giro, mentre Oscar gli ascoltava ridendo e riempiendo i loro bicchieri di Vodka.
Era arrivata l'ora di fare la mia comparsa. << Ehi, Stalker! >> Dissi quasi a bassa voce sbucando dall'angolo del muro.
<< Chi è questo? >> Rispose l'uomo con capelli a spazzola a Oscar. << Non sapevo avessi una ragazza! >>
L'uomo con i capelli corti rise.
<< Sono Boris. >> Ignorai la sua battuta.
<< Non mi sembri uno Stalker. >> Disse l'uomo con i capelli corti, squadrandomi dalla testai ai piedi. << Assomigli a quei schifosi militari che si trovano al confine della Zona. Il fatto che tu indossi una loro divisa e che hai degli strappi sul petto, non può che indicare questo. >>
<< Già, anche a me sembra così. >> Concordò l'uomo con i capelli a spazzola.
<< E' usata. >> Mentii. << Non avevo altri vestiti. E poi mi proteggono dal freddo. >>
<< Solo i banditi se ne vanno in giro con gli indumenti dei morti. >> Disse l'uomo con i capelli corti. << Sei un bandito? >> Serrò gli occhi.
<< State tranquilli. >> Disse Oscar. << E' uno Stalker. Verrà con noi all'emettitore psichico. >>
<< Con noi? >> Domandarono entrambi.
Anche io mi feci questa domanda. Non pensavo che mi avrebbe portato con sé.
<< Il ragazzo è un tipo sveglio. >> Aggiunse Oscar. << Non fatevi ingannare dall'aspetto. E' stato Ruslan ha spedirlo qui. >>
I due Stalker dapprima si guardarono tra loro, poi mi lanciarono uno sguardo d'intensa. Avevano del tutto cambiato modo di vedermi.
<< Potevi dircelo prima! >> Esclamò gagliardo l'uomo con i capelli a spazzola. << Avanti, siediti! Bevi assieme a noi! >>
Mi sedetti accanto, mentre un Oscar sorridente mi tese un bicchiere. Poi riempì i quattro bicchieri di Voka, e facendo un brindisi all'emettitore psichico come buono auspicio, tracannammo il liquore.

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Capitolo 17
*** il sentiero per la Valle Verde ***


Ci scolammo tre bottiglie di Vodka, mentre le parole dei tre Stalker mi giungevano distorte. La stanza sembrava vorticarmi attorno.
L'uomo con i capelli a spazzola, ubriaco fracido, si voltò verso di me e sollevò il bicchiere. << Fratello! Non mi sono nemmeno presentato. >> Singhiozzò. << Mi chiamo Alexander, e quella testolina di gallina davanti a me si chiama Bes. >> Ridendo, Alexander indicò l'uomo con i capelli corti.
Bes si voltò infuriato, puntandogli la pistola in fronte. << Chi è che hai chiamato testolina di gallina? >>
<< Calmatevi, Stalker! >> Tuonò Oscar. Poi con un gesto rapidissimo strappò la pistola dalla mano di Bes.
<< Ma che diavolo... >> Borbottò Alexander. << Non si può nemmeno scherzare... >>
Bes pareva piuttosto arrabbiato. << I tuoi scherzi non mi piacciono! >>
<< Siete qua per fare i novellini? >> Domandò Oscar fissandoli negli occhi. << Oppure per accompagnarmi all'emettitore psichico? >>
Bes smorzò una risata. << Questa è bella! Io un novellino? >> 
<< Conosci Alexander da una vita, >> disse Oscar. << perché diavolo ti incazzi sempre alle sue battute? >>
<< E' uno tipo permaloso. >> Aggiunse Alexander con un mezzo sorriso.
<< Lo vedi? >> Disse Bes accigliato. << Non è per niente serio! Perché dobbiamo portarlo con noi? >>
<< Quante storie per una battuta. >> Disse Alexander.
<< Arrivare all'emettitore psichico non sarà semplice, Stalker! >> Aggiunse Oscar, consegnando la pistola a Bes. << Non stiamo andando a fare una scampagnata all'aperto. Se solo uno di voi fa delle stronzate o si comporta in questo modo, siamo tutti morti! Avete capito? >> Gli occhi di Oscar erano infiammati di rabbia.
Ammetto che quello sguardo mi faceva paura.
<< Oscar. >> Disse Bes abbassando lo sguardo intimorito. << Da parte mia non avrai problemi. >>
<< Va bene, va bene. >> Aggiunse Alexander alzando le braccia in un gesto di resa, ma non pareva impaurito dall'autorità di Oscar. << Non farò più lo stronzo! >>
Poi si voltarono tutti verso di me. << Sì, io... >> Balbettai. << P-potete contare su di me. >>
Oscar ci tolse i bicchieri di mano e si diresse in cucina, o quello che ne rimaneva.
Bes era piuttosto incazzato, mentre Alexander lo guardava accigliato.
Scese uno strano silenzio nella stanza, finché Oscar ritornò con alcune carte stropicciate in mano. Aveva un aria decisa, seria. << Mi sembra chiaro >> disse << che l'unico sentiero per il Bunker di Vasilah sia solo uno. >> Si sedette vicino a noi, mostrandoci delle strane mappe disegnate a mano. Posò un dito sul punto chiamato Valle Verde. << I Distruttori dovranno per forza passare da qui, se vogliono riprendersi l'avamposto. >>
Bes scosse il capo. << La Valle Verde è piena di mutanti. E' troppo pericolosa. >>
<< No! >> Rispose Oscar. << Il sentiero è sicuro. >>
<< Aspetta un attimo! >> Disse Alexander ubriaco, cercando di non biascicare le parole. << I Distruttori sono a conoscenza di questo sentiero? >>
<< Probabile. >> Rispose Oscar. << Ma non saranno un problema, visto che sono presi a difendersi da banditi e mutanti. Comunque, queste mappe mostrano il sentiero sicuro. Qui ci sono scritti anche i nascondigli di Spettro. Uno Stalker abile nel trovare nuovi sentieri per il centro della Zona, ma questo lo sapete già. Ora, se seguiamo i suoi nascondigli, ci ritroveremo in un paio d'ore al Bunker di Vasilah, senza aver neanche sparato un colpo. >>
<< Beh, l'idea mi piace. >> Disse Bes, dando un occhiata alla mappa. << Ma quei nascondigli sono solo leggende inventate dagli Stalker. Nessuno li ha mai seguiti, come nessuno li ha mai trovati. E poi, parliamoci chiaro, Spettro non ha un identità. Voglio dire, nessuno sa chi è veramente. >> 
<< Io li ho seguiti. >> Rispose Oscar con tono serio. << Ci sono stato in quei nascondigli. Vi assicurò che il sentiero è sicuro. La Valle Verde può essere un posto insidioso, ma non il sentiero. Quello no. >>
<< Quindi per evitare i Distruttori dobbiamo seguirlo? >> Chiese Alexander.
<< E' uno dei motivi. >> Disse Oscar. << Quel luogo appartiene ai Distruttori, e tu sai meglio di me quanto siano maledettamente territoriali., quelli lì. >>
<< Scusate, se mi intrometto. >> Aggiunsi timidamente. << Ma cos'è la Valle Verde? >> Tutti mi guardarono confusi, come se non si aspettassero una domanda del genere.
Bes ridacchiò per un instante, finché tornò serio. << La Valle Verde è un luogo dove il cervello ti va in pappa. Ti fa vedere cose che non esistono. >> Fece una pausa. << E' una regione arida, desolata. Il terreno è fratturato da faglie, scosceso, pieno di macigni e avvallamenti. Ci sono solo alberi e piante morte. Tutto è morto in quel luogo. Ora inizio il bello. Quando entri nella Valle Verde, il tuo cervello va in tilt. Inizi a vedere cose che non esistono, come la terra arida, che si trasforma improvvisamente in una pianura rigogliosa, piena di alberi verdi e stronzate del genere. Ma questo succede solo nella tua mente. Solo lì. In realtà sei circondato da morte. E quando succede questo, beh, sei spacciato. Ora, puoi morire solo in due modi; trasformato in uno zombie o divorati dai mutanti. C'è anche un terzo modo di morire, ma è molto raro; morire di stenti. Ovviamente a questo punto il tuo cervello è bello che andato, quindi non saprai mai cosa ti ha ucciso. >> Fece un sorriso macabro.
<< Quando sarai lì, >> Disse Oscar << vedrai con i tuoi occhi gli effetti della Valle Verde. >>
<< Sempre se ci arriva. >> Disse Alexander dandomi una pacca sulla spalla.
<< Sempre il solito stronzo! >> Rispose Bes. << Non dargli retta. >>
Non avevo mai sentito parlare della Valle Verde. Doveva essere molto più pericolosa della Palude del Non Ritorno. Il fatto che ti riduceva il cervello a un colabrodo non mi entusiasmava molto.
<< Bene! >> Disse Oscar. << Siamo tutti d'accordo? Partiremo per la Valle Verde tra dieci minuti. >>
Alexander e Bes si alzarono e andarono a preparare l'equipaggiamento, mentre Oscar se ne stava seduto a leggere e rileggere quella mappa.
Controllai il mio equipaggiamento fatto di una maschera anti-gas, una bottiglia mezza piena di Vodka, quattro scatolette di tonno e 24 caricatori da 30 colpi per l'AK-47.
Alexander impugnava uno SPAS-12, un fucile a pompa che usavano le forze speciali lungo la zona di alienazione. Non avevano niente a che fare con noi dell'esercito, visto che entravano in azione solamente se gli Stalker si facevano audaci e attaccavano gli avamposti o accampamenti militari. Forse l'aveva strappata dalle mani morte di uno di loro, oppure l'aveva comprata. Non era facile per gli Stalker ottenere un arma simile.
Bes invece, un fucile d'assalto GP37. Un arma molto popolare tra gli Stalker veterani, che avevano abbastanza rubli da potersi comprare un armamento serio. 
Legato dietro la spalla, Oscar aveva un fucile da cecchino SVUmk-2, mentre imbracciava un mitra Viper 5. 
Infine, quando tutti avevamo finito di sistemare l'equipaggiamento, ci radunammo davanti all'ingresso del capanno.
Oscar ci guardò con fare serio. << Siete pronti? >>

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Capitolo 18
*** Lo PsicoControllore ***


Il cielo era plumbeo con qualche lampo silenzioso in lontananza. La giornata si prospettava impegnativa, forse anche fin troppo. Oscar si guardò attorno, prendendo dal suo taschino uno strano aggeggio. Era un PDA, un oggetto in grado di rilevare gli Stalker nei paraggi, di orientarsi nella zona, di ricevere e inviare dati, messaggi e chiamate. Tutti gli Stalker ne possedevano uno.
<< Ehi Boris, dov'è il tuo PDA? >> Domandò Bes.
<< Lo perso mentre fuggivo dai mutanti >> mentii.
<< Che gran sfiga, amico. Stammi accanto, così non avrai problemi di nessun tipo. >>
Oscar ci disse di avanzare in fila e lo seguimmo nel sentiero che lui stesso aveva creato per uscire velocemente dalla palude. Ci avvertì che la stradina era sterrata, stretta, meno fangosa del solito, e che la vegetazione era fitta, per cui era facile perdersi. Intorno a noi giungeva solo fruscio del vento fra le foglie.
Seguimmo la stradina per una ventina di minuti con la sensazione che stessimo girando in tondo. Oscar invece, sembrava molto deciso e sapeva cosa fare. Controllava spesso il suo PDA e mi fu chiaro in quell'instante che lo stava usando per orientarsi. Probabilmente senza di esso non sarebbe stato in grado di percorrere il suo stesso sentiero, ma non ne ero così sicuro.
Arrivammo vicino a un capanno di legno, la cui vegetazione ci cresceva dentro indisturbata. Il legno era ormai marcio, le finestre frantumate e la porta d'ingresso abbattuta. A pochi metri dall'edificio, una macchina arrugginita, probabilmente doveva essere una zhiguli Russa. Oscar ci disse di accovacciarci e di restare fermi, mentre lui controllava la zona intorno al capanno. Poco dopo, si udirono degli spari. Sobbalzai.
Alexander si alzò e si diresse verso Oscar, o meglio, verso lo sparo. 
Bes invece, rimase lì con me.<< Stai calmo. >> Mi disse, dandomi una pacca sulla spalla.
Alexander sbucò da dietro il capanno e con la mano ci accennò di avanzare. Quando io e Bes arrivammo là, vidi una creatura mai visto prima. Bassa, tarchiata con la faccia sfregiata e la testa deforme, grande rispetto al suo corpo. Aveva occhi verdi chiari uno più grande dell'altro, una bocca che a prima vista sembrava deformata e un colorito chiarissimo. Indossava una giacca nera con cappuccio, interamente sporca fango e strappata in vari punti, così come il pantalone grigio.
<< Cos'è quella cosa? >> Domandai inorridito.
<< Uno PsicoControllore. >> Rispose Oscar, chinandosi verso il mutante << Stava divorando il cadavere di uno Stalker, prima che lo facessi fuori. >> 
<< Questa sì che fortuna! >> Disse Alexander con un lieve sorriso.
<< Che ci fa uno PsicoControllore vicino alla palude? >> Chiese Bes.
Oscar fece spallucce. << Non lo so. >>
<< Io lo so. >> Rispose Alexander << Questi mutanti sono sempre alla ricerca del buio. Odiano la luce. >>
<< Hai detto ciò che sappiamo tutti! >> Interruppe Bes, scuotendo il capo.
Io non sapevo nemmeno l'esistenza di questo mutante, ma non dissi nulla per non apparire un novellino.
<< Come dicevo, >> continuò Alexander avvicinandosi verso lo PsicoControllore << queste infide creature sono notturne. Divorarono qualsiasi cadavere sui cui mettono le loro luride mani. Alcuni dicono che mangiano perfino i loro simili... >> Arricciò le labbra disgustato. << Chi lo sa, forse è vero. Usano la telecinesi per scaraventarti addosso ogni tipo di oggetto, persino cose pesanti tonnellate. Senza parlare del fatto che sono in grado di fiaccarti. Con la mente posso persino strapparti l'arma dalle mani. Sono molto pericolosi e non ci mettono niente ad ammazzarti. >>
<< Credo che tu non abbia capito un cazzo degli PsicoControllori. >> Disse Oscar. << Quello che hai detto è in gran parte vero, ma non stavamo parlando di questo. Non siamo dei novellini. Non c'è bisogno che ci dici cosa fanno e quanto siano pericolosi. Ma su una cosa ti sbagli; non sono in grado di lanciare oggetti pesanti tonnellate, ne mangiano i loro simili. >>
Alexander rimase per un instante in silenzio. Poi aggiunse. << Sì, ma sono in grado di fiaccarti. Farti perdere energie, come quando sei stanco e vuoi solo dormire. Fanno questo. >>
<< Certo, >> rispose Oscar << ma ti sei dimenticato di dire che viaggiano in coppia. >>
Calò uno tetro silenzio sulle nostre teste, fatto di sguardi preoccupati.
Bes iniziò a voltarsi in tutte le direzioni.
<< Stai dicendo che c'è un altro PsicoControllore? >> Chiese Alexander, guardandosi ansiosamente intorno.
<< Già. >> Rispose Oscar senza un minimo di paura. Sembrava piuttosto tranquillo, come se non fosse la prima volta.
<< Cosa? >> Disse senza riuscire a tenere a freno i miei pensieri. << Un'altro? >> Ebbi la strana sensazione di essere osservato. Sapevo bene che era la mia paranoia che stava prendendo il sopravvento.
<< Rimanete in posizione! >> Bisbigliò Oscar. << Sicuramente è nei paraggi. Forse ci sta persino spiando. >>
Alexander appariva molto preoccupato, i suoi occhi si erano talmente spalancati da sembrare che volessero uscire dalle orbite. Bes continuava a girarsi in tutte le direzione, aspettandosi un attacco di telecinesi. Mentre Oscar, calmo e consapevole di quello che poteva succedere, si limitava a lanciare occhiate. Io invece, me la stavo facendo addosso.
Eravamo tutti concentrati a udire ogni singolo rumore, e quando credevamo di sentire qualcosa, ci voltavamo frettolosamente nella direzione del suono, scoprendo che non c'era nulla. I nostri sguardi erano fissi sugli oggetti sul terreno, che potevano vorticare in aria e colpirci da un momento all'altro. Alexander in particolare, fissava con estrema ossessione la macchina arrugginita, come se si aspettasse che gli venisse scaraventata addosso da un mento all'altro.
Poi udimmo qualcosa calpestare un ramo.
Puntammo i fucili in direzione del suono. Una strana creatura molto bassa e goffa, sbucò fra gli alberi; era lo PsicoControllore. Se ne stava per fatti suoi annusando alcune foglie per mangiarle, dandoci le spalle, fin quando Alexander, preso dal panico, gli sparò contro un intero caricatore. Oscar gridò. << Indietro! Al riparo! >> 
Corremmo verso l'altro lato del capanno. Il mutante, mezzo ferito, fece fluttuare in aria pezzi di legno, pietre grandi e piccole e un tronco cavo e ce li lanciò addosso, senza colpire nessuno.
Alexander uscì dalla copertura e si mise a corrergli, sparando all'impazzata.
Lo PsicoControllore compì una strana manovra con le dita e gli strappò l'arma dalle mani. Poi con un altro gesto veloce, spinse a terra Alexander che non riuscì ad alzarsi. Sembrava quasi paralizzato.
<< Maledizione! >> Tuonò Oscar, crivellando di colpi lo PsicoControllore che si voltò verso di lui, disinteressandosi di Alexander << Mettiti al riparo! >> 
Il mutante incrociò le braccia sulla testa, creando uno scudo invisibile che deviava i proiettili. Alcuni ritornavano persino indietro o si fermavano a mezz'aria, cadendo al suolo. Mentre Io e Bes sparammo alla creatura, Alexander si alzò lentamente e riprese il suo fucile, barcollando dietro il capanno.
La creatura era molto più forte e resistente di quel che poteva sembrare a prima vista.
Oscar si riparò dietro un albero e ci fece cenno con la mano che voleva aggirare il mutante per arrivargli alle spalle. Io e Bes lo coprimmo, alternandoci con gli spari, mentre Oscar sparì fra gli alberi.
Alexander si sedette a terra con la schiena sulla parete di legno del capanno. Aveva lo sguardo assente, sconvolto. 
Lo PsicoControllore avanzava verso di noi con le braccia a protezione della testa. Ogni pallottola veniva deviata dallo scudo invisibile che lo attorniava. 
Poi io e Bes finimmo caricatori. Il mutante alzò le braccia, fece vorticare in aria pietre e pezzi di legno e ce li scaraventò addosso. Bes venne colpito allo stomaco e cadde a terra. Io mi riparai in tempo dietro un tronco. 
La creatura avanzò verso Bes.
Io non sapevo cosa fare. Avevo finito tutti i caricatori. L'unico modo per affrontarlo era usare i buon vecchi pugni, ma il mutante mi avrebbe fatto a pezzi in un attimo.
Lo PsicoControllore era pochi passi da Bes, facendo fluttuare pietre e pezzi di legno sopra alla sua testa. Bes si coprì la testa impotente, pronto a ricevere la morte. D'un tratto dietro la creatura apparve Oscar, che gli sparò tre colpi alla nuca, facendolo cadere di faccia a terra. Oscar gli si avvicinò e gli ficcò un altro proiettile alla testa, per essere certo che era morto.
<< Cazzo! >> Disse Bes.
<< Lascia che ti aiuti! >> Sorrise Oscar, dandogli una mano a rimettersi in piedi.
Era tutto finito. Lo PsicoControllore era morta e giaceva senza vita a due passi dal gruppo. Alexander però, non aveva sparato nemmeno un colpo. Era rimasto seduto, la schiena contro la parete, a fissare il vuoto. Qualcosa in lui era cambiato. Qualcosa che non riuscivo a scorgere.

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Capitolo 19
*** La parete rocciosa ***


<< Cos'ha Alexander? >> Domandai.
Oscar si chinò verso di lui e lo fissò. Con un dito fece avanti e indietro davanti agli occhi di Alexander che rimasero fissi, vacui.
<< Maledizione! >> Oscar scosse il capo. << Lo PsicoControllore gli ha incasinato il cervello! >>
<< Ora che facciamo? >> Chiese Bes.
<< Dobbiamo portarcelo dietro. >>  Rispose Oscar.
Bes era confuso. << Come faremo a farlo camminare? Sembra un fottuto zombie. >> Poi guardò Alexander. << Dannazione, amico. Che tu sia dannato! Dovevi fare attenzione. Perché fai sempre l'eroe del cazzo? >>
Ma Alexander non gli rispose. Forse non c'era nemmeno più. Forse era solo un guscio vuoto, animato solo dagli aspetti più primitivi del corpo.
Oscar rimase in silenzio. Poi disse. << Alzati. Seguici. Difendici! >> Alexander scattò in piedi come un robot. Gli occhi mezzi assonnati i cui bordi erano cerchiati di rosso e fissi a guardare il nulla.
<< Cosa gli hai fatto?! >> Disse Bes. Guardò spaventato gli occhi freddi di Alexander. Aveva paura del suo amico, come se avesse appena realizzato che Alexander fosse uno zombie.
<< Nulla di pericoloso. >> Affermò Oscar. << Ci seguirà durante il nostro viaggio, finché non si sarà ripreso. >>
Quindi poteva riprendersi? Non era diventato uno zombie? Allora perché Bes lo aveva guardato come se lo fosse diventato? Non avevo mai visto nulla di così strano in vita mia. Nulla.
<< No! Tu adesso mi spieghi come hai fatto! >> Aggiunse Bes, poggiando una mano sulla spalla di Oscar.
<< E' complicato... >>
<< Quanto complicato? >>
Oscar accenno un mezzo sorriso. << Ci sono cose che scindono la realtà. Anche se te lo spiegassi, non capiresti. L'unico modo per capirlo, è perderti nella Zona. Non in senso figurato, ma con la mente. Solo allora ti si apriranno porte che non avresti mai pensato che fossero lì. Porte che una volta aperte, non ti fanno più tornare indietro. >>
Sinceramente non ci avevo capito niente. Cosa voleva dire? Che si può controllare una persona con la mente? Che aveva fatto questo ad Alexander? Oppure voleva dire tutt'altro? Non ci stavo capendo più niente.
Bes lo fissò per un istante, ma non disse nulla. Poi guardò schifato i due PsicoControllori per terra. << Fottute creature! >> 
<< Vieni un attimo qui, Bes. >> Disse Oscar, mentre guardava il suo PDA << Hai anche tu problemi con il Palmare? >>
Bes prese dal taschino il suo PDA e lo accese. La schermata era bloccata sul menù, come se si fosse impallato. << Diamine! >> Disse. << Questo rottame non funziona! >>
<< Perfetto! >> Aggiunse Oscar ironico. << Ora siamo del tutto isolati. >>
Mi avvicinai a loro. << Potete provare con il PDA di Alexander. >>
Oscar mi sorrise leggermente << Buona idea, ma dubito che funzionerà. >> Poi bisbigliò qualcosa all'orecchio di Alexander, che gli diede il palmare con lo sguardo vacuo.
Oscar diede un occhiata al PDA e disse: << Nulla da fare. Non funziona nemmeno il suo PDA. >> Lo riconsegnò ad Alexander che glielo strappò di mano e se lo mise in tasca. Non era da Alexander avere atteggiamenti simili. 
<< A breve arriverà un emissione. >> Disse Oscar, guardando il cielo. << Credo sia per questo che non funzionino. >>
In effetti le nuvole si stavano gonfiando di un color rossastro e all'orizzonte fulmini squarciavano il cielo.
<< Emissione un corno! >> Rispose Bes. << Quegli aggeggi si rompono sempre. Li costruiscono appositamente per farli rompere dopo un due/tre mesi. C'è un bel giro d'affari sui PDA nella Zona. I Trafficanti fanno soldi a palati smerciando questa roba. Per non parlare delle informazioni che ci trovano all'interno. Hai presente l'Hard Disk difettato di un computer? Beh, riescono a far uscire da lì una miriade di dati. Tu pensi che non funziona più il tuo PDA, e quelli lo riparano, rubano tutte le informazioni facendo attenzione a non cancellare nulla, e te lo ridanno indietro, rivendendo i tuoi dati. Oppure se vuoi liberartene, si fregano le informazioni, lo aggiustano e lo rivendono a un altro Stalker. Prima però, ci installano malware nel GPS così da tracciarti. Poi rivendono il tutto alle fazioni che sanno sempre chi e quanti Stalker ci sono nel loro territorio. >> Guardò Oscar. << Non ti sei mai chiesto come facevano i Distruttori a tendere agguati o ammazzare così tanti banditi o gruppi di altre fazioni? Grazie a questo aggeggio. >> Sventolò il PDA.
<< Come lo sai? >> Domandai.
Bes fece un smorfia. << Ho un amico che me l'ha detto. Mi ha spiegato tutto. >>
<< Anche tu porti un PDA. >> Disse Oscar. << Quindi sei tracciato anche tu. >>
<< Il mio è pulito. Ma i vostri non saprei. >>
<< Se fosse tracciato, non avrei passato intere settimane da solo nella palude. Gli Stalker solitari sono i primi a venire derubati o uccisi da queste parti. Quindi, anche il mio è pulito. >>
Poi si girarono tutti e due verso di me. << Non so se il mio era controllato. >> Mentii. Io non avevo mai avuto un PDA. Ai militari era severamente vietato, e forse aveva appena capito perché.
<< Quello di Alexander? >> Disse Oscar. << E' controllato? >>
<< No. >> Rispose Bes. << Glielo dato io. Lo perse al Gap 51, anche se non ho mai creduto a questa storia. Seconda me chi l'ha rubato sapeva di chi era. Alexander aveva trovato due manufatti vicino a un anomali gassosa e li aveva sotterrati sotto un albero, memorizzando le coordinate sul PDA. E indovina com'è finita questa storia? >>
<< Gli hanno rubato i manufatti. >> Aggiunse Oscar.
<< Bingo. >>
Un lampo squarcio il cielo, seguito da un forte rombo, simile a uno scoppio di una granata.
<< Bene, >> disse Oscar << sarà meglio metterci in cammino. >>
<< Come faremo con Alexander? >> Domandò Bes.
<< Ci seguirà. >>
<< Ma sarà in grado di difendersi? >>
<< Forse sì, forse no. >>
<< Che vuoi dire? >>
<< Quello che ho detto. >>
<< Allora lo proteggerò io. >>
Oscar gli pose una mano sulla spalla. << Per questo ti chiedo di non fare niente di avventato imboccato il sentiero. Non voglio che succeda qualcosa di spiacevole ad Alexander in quelle condizioni >> 
<< Tranquillo, Oscar. Sai bene quanto sia protettivo verso questo figlio di puttana. >> Sorrise ad Alexander.
Ci mettemmo in marcia, seguendo il sentiero accidentato immerso fra gli ingrigiti arbusti e gli alti alberi dalla chiama spoglia. Ben presto l'area si sarebbe riempita di mutanti e i cadaveri dei PsicoControllori avrebbero attirato cani selvatici o cinghiali mutanti. Seguimmo Oscar, finché la stradina sterrata s'inoltrava attraverso una stretta e altissima parete rocciosa. Una debole nebbia iniziava da avvolgerci lentamente, risalendo dai profondi meandri di quella stradina.
Accendemmo le torce e avanzammo con cautela.
<< Tenete gli occhi aperti. >> Disse Oscar. << Questi posti sono l'habitat preferito dei Mork. >>
Mork? Cosa sono questi Mork? Tempo a dietro avevo sentito Alexander e Bes parlare vagamente di questi mutanti. Se li dovevo affrontare in questi spazi ristretti, dovevo sapere almeno com'erano fatti.
<< Bes. >> Bisbigliai, come se non volevo interrompere la quiete del corridoio roccioso. << Posso farti una domanda? >>
Bes si voltò verso di me e continuò a camminare << Dimmi pure. >>
<< Cosa sono i Mork? >> 
Bes accennò un lieve sorriso, anche se era sorpreso da quella domanda. << I Mork sono creature bastarde e pericolose. Sono simili a noi, eccetto per come camminano. Lo fanno a quattro zampe, anche se non sono zampe, ma mani e piedi. Possono saltare fino a sette metri e fidati, se ti acchiappano, sei praticamente fottuto. Ti faranno a pezzi con i loro artigli. Capisci cosa sto dicendo, vero? >>
Lo guardai sbalordito e terrorizzato. Se erano in grado di compiere balzi simili, allora voleva dire che erano anche molto agili e veloci. << Perché vivono in posti come questi? >> Domandai.
<< Non amano la luce del sole. >> Rispose Bes. << Raramente si fanno vedere di giorno. Ma tutto quello che so si ferma qui. Ne ho visto solo uno in lontananza e mi è bastato. Credo che Oscar ne sappia più di me. >>
Mi voltai verso Oscar, che camminava fingendo di non sentire. << E' vero? >>
Oscar si voltò. << Non mi sembra il posto e il momento adatto per una lezione sui Mork. >> Disse voltandosi nuovamente. << Ti basta sapere quello che ti ha detto Bes. Quando ne vedrai uno di persona, capirai di cosa sono capaci e credimi, le parole non possono descrivere ciò che sono. Serve trovarseli di persona per capire questo aspetto. >>
Aggrottai le sopracciglia, e decisi di starmene zitto. 
Bes mi diede una pacca amichevole sulla spalla e mi sorrise. 
In testa al gruppo, Alexander strascicava i piedi come uno zombie. seguito da Oscar che lo teneva d'occhio.

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Capitolo 20
*** La Zona si desta in Alexander ***


Più ci addentravamo nel passaggio roccioso, più i ringhi dei Mork si facevano più intensi, più vicini.
<< Dobbiamo essere vicino al rifugio di Spettro. >> Sussurrò Oscar al gruppo, indicando con il dito un rametto conficcato nel terreno arido con un lembo di straccio attaccato alla parte superiore.
<< E se fosse all'interno? >> Chiese Bes. << Cosa faremo? Quello prima ci sparerà e poi forse si chiederà chi eravamo. >>
Entrare in un rifugio di uno Stalker equivaleva a morte certa nella Zona, sopratutto se non si era invitati. Questo lo sapevo bene.
<< Tranquillo, Bes. >> Rispose Oscar, facendoci fermare. << Spettro è un mio vecchio amico. Non farebbe mai nulla del genere. >>
Bes aggrottò le sopracciglia contrariato. << Tu parli per te, ma se vedrà per primo uno di noi, ci ammazzerà su due piedi. >>
<< Sei troppo paranoico, Bes. Ombra è una brava persona. Non ha il grilletto facile. >>
Bes lo fissò per un momento. << E va bene. Andiamo. >>
Ci mettemmo di nuovo in marcia. L'unica cosa che riuscii a vedere oltre il fascio di luce erano solo sassi e la parete rocciosa. Mi sembrava di camminare all'infinito. Pensavo ancora ai Mork. Mi chiedevo se fossero veramente letali più dei Porger. La descrizione che mi aveva fatto Bes, non era delle migliori. Veramente erano in grado di saltare fino a sette metri? 
Rimuginavo, e questo mi creava un ansia assurda. Mi guardava alle spalle, fissavo la parate rocciosa e persino il terreno. Non sapevo da dove potevano saltare fuori se ci avessero attaccati, e per un momento mi balenava l'idea che potevano persino spuntare fuori dalla terra. Poi, senza accorgermene, lo strettissimo sentiero prese a scendere e le pareti di roccia cominciarono ad allargarsi. Il terreno diventava più accidentato e morbido. Scorsi un arbusto vicino a un grande masso. Sentivo l'odore della terra bagnata, anche se sembrava tutto asciutto. 
Camminammo per altri dieci minuti, accompagnati da lontani ululati e strilli che non avevo mai sentito prima d'ora. I ringhi dei Mork sembravano molto lontani, quasi non si sentivano più. Infine la mia torcia illuminò una specie di porta malandata dentro una parete rocciosa con accanto la testa impalata di un Porger. Una sedia con lo schienale rotto era poco distante. In questo punto, il buio sembrava perfino ingoiare il fascio di luce delle nostre torce.
<< Aspettatemi qui. >> Sussurrò Oscar. << Ombra non ama gli intrusi. >>
<< Non avevi detto che Spettro è una persona tranquilla? >> Domandò Bes.
Oscar lo guardò, ma non rispose. Poi aprì lentamente la porta che cigolò ed entrò.
<< Boris. >> Bes si voltò verso me. << Dimmi una cosa. Sei veramente uno Stalker? >> 
Era sempre stato sospettoso nei miei confronti. L'avevo notato fin dal nostro primo incontro, e aveva continuato a farlo, anche se in maniera molto più velata. Forse non si era ancora bevuto la storia che fossi un pivello. La mia divisa militare, strappata nelle parti in cui c'erano gli stemmi, l'avevo insospettito. Al Gap51 era successo la stessa cosa con un ubriaco. Sapeva che nessun pivello avrebbe mai indossato una divisa militare, anche perché erano gli Stalker esperti a rubare dai cadaveri militari le divise quando non avevano altro da indossare o da vendere. I pivelli evitavano i militari, come evitavano i mutanti. Il fatto che fossi un completo ignorante della Zona, non aveva fatto altro che insospettirlo. Certo, Oscar aveva garantito per me, ma non bastava a Bes. 
<< Ci provo. >> Risposi. << Non sono un veterano come voi tre, ma il mio obiettivo è quello. >> Balbettai e roteai gli occhi in diverse direzioni.
<< Ci provi? >> Rise Bes. << Ho incontrato molti pivelli nella Zona, ma nessuno di questi era sprovvisto di informazioni. Voglio dire, tu non sai nemmeno chi o cosa sono i Mork. Ok, posso capirlo se non ne hai mai visto uno, ma almeno dovevi sapere della loro esistenza. >> Fece un mezzo sorriso. << Prendiamo la Valle Verde. Tu non sapevi nemmeno l'esistenza di quel luogo. Ogni Stalker lo conosce. Ogni Stalker sogna di trovare grandiosi manufatti e di arricchirsi in quella landa dimenticata da Dio. Eppure non la conoscevi. Sai chi non conosce nulla della Zona, Boris? Sai chi? >>
Scossi la testa.
<< I militari. >> Rispose. << Quei dannati militari. Se i loro capi gli dicessero cosa si cela qui dentro, nessun soldato ci verrebbe. Nessun soldato si farebbe ammazzare dai mostri o da qualche anomalia. Ma supponiamo che accettino, che vengano qui. Sai cosa farebbero? Beh, diventerebbero degli Stalker. Vedrebbero delle opportunità arricchimento nella Zona. Opportunità troppo ghiotte da lasciarsi scappare. >> Fece una pausa, avvicinandosi a me. << Quello che voglio dire, è che tu non sembri uno Stalker. Non lo sei. Forse lo vuoi diventare, ma non lo sei. Riconosco la mia gente. Ho il fiuto, credimi. E tu non lo sei. No, Boris. Tu non hai quel tanfo. E... >>
D'un tratto Oscar uscì dalla porta con in mano alcune carte stropicciate. << Spettro non è qui. >> Disse. << Entrate prima che i Mork sentano il vostro odore. Sono molto vicini. I loro ringhi si fanno sempre più flebili quando sono nei paraggi. >> Prese sottobraccio Alexander e lo condusse all'interno. 
Bes mi lanciò un ultima occhiata prima di entrare. Non era malevola, ma sospettosa. Non so dove voleva andare a parare, ma avevo capito che non si fidava di me.

Il rifugio di Spettro era spazioso, arredato con mobili, sedie, tavoli e una grande cassa piena di strani documenti che Oscar stava esaminando. Non so da dove provenissero gli oggetti, ma non sembravano in cattivo stato, il che era davvero strano nella Zona. Il tetto formava una cupola e il bagliore della lampada ad olio sul tavolo, illuminava debolmente la stanza.
<< Non sembra un rifugio. >> Dissi rivolgendomi a Oscar.
Si guardò intorno con fare distratto. Poi tornò chinò sui fogli. << Non ci avevo fatto caso. >>
Bes si sedette su una sedia e posò il fucile sul tavolo, guardandosi in giro. << Questo Spettro ha qualcosa da bere? Vodka o broda fatta in casa? >>
<< Ombra non beve. >> Disse Oscar.
<< Maledizione! >> Bes sferrò un pugno a martello sul tavolo. << Ho proprio bisogno di un goccio. >>
<< Fa' silenzio! >> Oscar gli lanciò uno sguardo minaccioso. << Vuoi attirare quei dannati Mork? >>
Bes non rispose e abbassò lo sguardo, evitando i suoi occhi. << Che vadano al diavolo. >>
Sinceramente non capivo una cosa; Oscar si riferiva spesso a Spettro chiamandolo Ombra, ma da quanto sapevo Ruslan, il barista del Gap51, aveva chiamato Oscar con il sopranome di Ombra. C'era due Stalker con lo stesso sopranome?
Ci pensai un po' prima di dirgli: << Il tuo sopranome non è Ombra? Perché chiami così anche Spettro? >>
Oscar mi guardò un istante, anche Bes fece lo stesso con un mezzo sorriso. In quel momento intuii che Bes aveva ormai la certezza che non fossi uno Stalker.
<< E' il mio sopranome, >> disse Oscar << come lo è anche per Spettro. >>
Non capivo. << Avete tutti è due lo stesso sopranome? >> 
<< Quando uno Stalker riesce a entrare e poi uscire dal centro della Zona, viene chiamato Ombra. Lo si da perlopiù a Stalker solitari, quelli che non hanno legami con nessuna fazione. >>
<< E' una specie di riconoscimento? >>
<< Sì, una sorta di riconoscimento. Una medaglia d'onore, ma senza la medaglia. >>
<< Ce ne sono tanti con quel sopranome? >>
Bes scoppiò a ridere. << Ti pare che sia uno scherzo uscire dal centro della Zona? Qualsiasi idiota può entrarci, ma solo uno esperto sa come uscirne. Sai quanti idioti sono rimasti in quell'inferno? Tanti. Tantissimi! Troppi per contarli! >>
<< Ehi, Bes. >> Disse Oscar. << Non ti alterare. >>
Bes sbuffò. << Questo qui è un soldato, lo sapevi? Non fa altro che sparare domande a raffica proprio come fanno i militari. >>
Oscar mi guardò e stava per dire qualcosa, quando Alexander che sedeva in un angolo della stanza disse con voce gutturale, deforme. << Siete tutti soldati. Servite il denaro. Siete schiavi. >>
Tutti ci voltammo spaventati, puntandogli le nostre armi.
<< Alex. >> Disse Bes. << Sei tu? >>
Alexander ci guardò tutti con i suoi occhi violacei che scintillavano nella penombra. Poi chiuse le palpebre e crollò di faccia a terra. Lo alzammo e lo mettemmo di nuovo a sedere. L'iride violacea si era fatto di un nero pece e fissavano il vuoto.
<< Cosa cazzo è successo? >> Disse Bes impallidito.
<< La Zona. >> Rispose Oscar. << Si è impossessata di lui. >>
<< Cosa? Quelle erano solo storie. Stronzate inventate dai Figli del Monolite. >>
<< Beh, sembra che queste storie siano vere. >>
Rimanemmo in silenzio per un po', fissando Alexander come se ci aspettavamo che da un momento all'altro facesse qualcosa di pericoloso. Quella interruzione aveva distolto l'attenzione da me. Fortuna o coincidenza? La Zona ci ascoltava davvero? Non sapevo a cosa credere.
Poi Oscar si avvicinò ad Alexander, lo guardò dritto negli occhi. << Si mette male. >> Disse spalancandogli le palpebre per guardare meglio l'occhio che si stava facendo lentamente nero. << Credo che l'effetto stia svanendo. Dobbiamo essere sicuri che non si trasformi in uno zombie mentre è incosciente. >>
<< Zombie? >> Domandi perplesso.
<< Non sappiamo che danni celebrali gli abbia inflitto lo PsicoControllore. Dobbiamo aspettare che gli occhi tornino bianchi. >>
<< Ma sono quasi completamente neri. >> Rispose Bes.
<< E' la sua coscienza che va via. >> Disse Oscar. 
<< Che cazzo vuoi dire? >>
<< Che potrebbe diventare uno zombie, come ti ho già detto. Dobbiamo attendere che i suoi occhi ritornino alla normalità. Ora tocca a lui. Deve lottare per non farsi inabissare dagli orrori che sta vivendo nella sua mente. >>
<< Cazzo... >> Bes si accarezzò i capelli, facendo avanti e indietro per il nervoso. << Quanto ci vorrà? >> Era molto preoccupato per Alexander. Lo si leggeva in faccia. Gli era molto legato, anche se li avevo conosciuti mentre si insultavano.
<< Forse un giorno, o anche meno. Non lo so di preciso, ma potrebbe anche non tornare mai più. >>

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Capitolo 21
*** Laboratorio x16 ***


Oscar si voltò verso di me. << Cos'è questa storia? >>
<< Quale storia? >> Gli domandai.
<< Che sei un militare. >>
<< Io non... >>
<< Non te lo dirà mai, Oscar. >> Aggiunse Bes guardandomi dritto negli occhi. << Dev'essere un fottuto disertore. >>
<< E' vero? >> Chiese Oscar.
<< Non sono un militare. Sono solo... >>
<< Che ti ho detto? >> Disse Bes. << Non lo ammetterà mai. Pensa che lo uccideremo, non è vero Boris? >>
<< Vi ho detto la verità. >> Mentii.
<< Fammi il favore di non prenderci per il culo, stronzo! >> Bes si avvicinò a un palmo della mia faccia. << O giuro che ti taglio la gola. >>
<< Stai calmo, Bes. >> Aggiunse Oscar. << Sicuramente avrà le sue ragioni. >>
Bes fece un mezzo sorriso. << Ragioni? Quale ragioni? Questo è un fottuto disertore. E' talmente stupido che non ha pensato nemmeno di levarsi quello schifo che ha addosso. Dannazione, anche un Ratto mutante ci avrebbe pensato. >>
Rimanemmo in silenzio per un po'. L'aria si face pesante, mentre Oscar mi scrutava dalla testa ai piedi. Mi pareva titubante, come se non fosse sicuro che fossi un militare. Forse si chiedeva se Ruslan, il barista del Gap51, non avesse commesso un errore portandomi dritto da lui.
<< Può non essere un disertore. >> Disse Oscar. << Magari è un infiltrato. >>
Mi venne una fitta allo stomaco nel sentire quelle parole. Oscar non solo dubitava di me, ma credeva che fossi in missione per contro degli Alti Papaveri. Nulla di più falso.
<< Già. >> Rispose Bes. << Potrebbe esserlo. Perché non ciò pensato prima? Ti ricordi della squadra di Ivanov? Quello stronzo con il labbro leporino? Lo ricordi? >>
<< Vagamente. >>
<< Ebbene, quello aveva un infiltrato nella sua squadra. Un tizio delle forze speciali. Non un semplice soldato. Ma un fottuto tizio delle... >>
<< Ho capito, Bes. Dove vuoi arrivare? >>
<< Sai com'è finito, no? >>
<< E come faccio a saperlo? Sono rimasto per settimane nella Palude del Non Ritorno. >>
<< Ah, sì, giusto. Comunque Ivanov è morto. Quello stronzo gli ha fatto saltare le cervella quando hanno raggiunto l'Emettitore Psichico. >> Sorrise compiaciuto. << Ovviamente quel bastardo pensava di poter uscire da lì così com'era entrato. Beh, c'è rimasto. Quel fottuto stronzo forse ora è uno zombie. >> Ridacchiò.
Oscar mi lanciò una strana occhiata che non sappi decifrare. Poi disse a Bes. << Non è la prima volta che i militari provano a infiltrarsi tra gli Stalker. Per questo te ne ho parlato. >>
D'un tratto Bes mi puntò il fucile. << Dammi il via, e lo faccio fuori. >>
Sentii le mie viscere contorcersi. Fissavo il buco della canna del fucile d'assalto, mentre percepivo uno strano formicolio in testa. Come poteva uccidermi così su due piedi? Avevamo parlato, scherzato e persino riso insieme. Come poteva farlo? Mi guardava come fossi un mutante, qualcosa di sporco. Non gli avevo mai visto quello sguardo. Quegli occhi carichi di rabbia e risentimento. Li avevo ingannati, lo so. Lo sapevo io, come lo sapevano anche loro. Forse dovevo dire la verità. Forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse, accidenti a questi cazzo di forse.
<< Allora? >> Disse Bes.
Oscar continuava a squadrarmi.
Provai a parlare, anche se balbettavo per la paura. << Sentite, ragazzi. Io... >>
<< Io cosa? >> Bes posò la bocca della canna sulla mia fronte sudata. << Ci hai mentito! L'ho sempre saputo. Sai quanti ne ho beccati di tipi come te? Sai quanti? Tan... >>
<< Bes. >> Disse Oscar piano. << Abbassa l'arma. >>
Bes era sconvolto. << Cosa? >>
<< Ti ho detto di abbassare l'arma. >>
Bes obbedì e si allontano da me, sedendosi accanto a Alexander.
Oscar mi si avvicinò. << Come hai fatto ad entrare nell'accampamento degli Stalker? Chi è il tuo garante? >>
<< L-Lazar. >>
<< Lazar? >>
<< Sì. >>
<< E ora dov'è? >>
<< Non lo so. Mi ha lasciato al Gap51 ed è sparito insieme a Corad. >>
<< Sparito? >>
<< Corad l'ha trascinato via. Parlavano di un missione pericolosa. Qualcosa che li avrebbe resi ricchi. >>
<< Il Monolite, immagino. >>
<< Non lo so. >>
Oscar si allontano da me.
<< Ti vedo agitato, Boris. >> Sorrise Bes.
Come poteva scherzare? Fare finta che non sia successo nulla? Merda, mi aveva puntato una cazzo di arma in faccia? << Sto bene. >> Risposi.
<< Non mi pare. >> Continuò a sorridere.
<< Ti ho detto che sto bene! >> Dissi di getto, come se la mia rabbia volesse uscire fuori.
Bes mi fissò severo. Poi sorrise di colpo. << Va bene, va bene. >>
Mi sembrava uno psicopatico. Il suo volto cambiava espressioni così rapidamente da farmi domandare se il Bes che avevo conosciuto non era altro che una facciata. Una facciata che celava la sua vera indole da psicopatico.
Oscar aveva aperto un po' la porta e sbirciava fuori. << I Mork sono vicini. >> Disse. << Non parlate più, o ce li ritroveremo addosso. >>
<< Non ho intenzione di farmi spolpare le ossa da quei luridi mutanti. >>
<< Che ti ho detto, Bes? Muto! >> Chiuse la porta e si sedette davanti al tavolo.
Passammo quella notte tra i Ringhi dei Mork e gli strilli laceranti di un mutante a me sconosciuto. Più delle volte i ringhi li sentivo proprio dietro la porta. Erano deboli, quasi impercettibili, ma sapevo che erano lì dietro. Come lo sapevano anche Bes e Oscar che fissavano la porta con le armi puntate in quella direzione. Alexander invece, rimaneva calmo, gli occhi quasi del tutto neri, a parte tre puntini bianchi sull'iride. Ogni tanto Oscar gli buttava un occhiata per accertarsi che non si trasformasse in zombie, mentre Bes mi lanciava occhiatacce quando non lo vedevo, per poi sorridermi quando mi giravo nella sua direzione, anche se non gli toglieva mai gli occhi di dosso. Sapevo che se non ci fosse stato Oscar, quello mi avrebbe piantato una pallottola nel cranio. Ero ancora scosso da quello che mi era successo, ma avevo la strana sensazione che a Oscar non gli importava più di tanto che fossi un soldato, sopratutto quando gli avevo detto di Lazar. Lo percepivo. Non mi avrebbe mai fatto del male, cosa che non potevo dire di Bes. Alla fine, mentre i ringhi dei Mork si allontanavano dalla porta e faticavo a distogliere lo sguardo da Bes, crollai addormentato.
L'indomani mi svegliai con un lieve mal di testa, come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato nel sonno. Quando i miei occhi misero a fuoco, mi accorsi che Alexander era sparito. Corrugai la fronte e mi alzai, sbadigliando. Nemmeno Oscar e Bes erano nella stanza. Che Alexander si fosse trasformato in uno zombie?
Uscendo dal rifugio di Spettro, vidi Oscar seduto sui talloni e Bes in piedi con le braccia incrociate. Di Alexander nessuna traccia. Mi guardai intorno, sperando di scorgere una buca nel terreno o della terra smossa, ma non vidi nulla. Forse l'avevano seppellito da qualche parte?
Bes mi lanciò un occhiataccia, sorridendo al suo solito quando incrociavo il suo sguardo. 
Domandai a Oscar. << Dov'è Alexander? >>
Non mi rispose.
Guardai Bes, ma quello continuava a fissarmi con un mezzo ghigno.
Che l'avessero ucciso? No, non potevo crederci. Avrei sentito lo sparo, a meno che non l'avessero fatto con un coltello.
Poi qualcosa si posò sulla mia spalla. Mi voltai di scatto.
<< Dormito bene? >> Disse Alexander.
I miei occhi si spalancarono della felicità. Non sapevo perché fossi così felice. Non conoscevo bene Alexander, eppure era così contento che mi limitai a dire. << Alexander... >>
<< Ehi. >> Mi disse con un filo di voce. Era pallido, sguardo spento e palpebre violacei. 
<< Sei vivo?! >> Lo abbracciai.
<< Ahi! Fai piano. Ho dolori ovunque. >>
<< Scusa. Non volevo. >> Lo guardai per un momento. << Pensavo fossi... sai, no? >>
<< Uno zombie? >> Sorrise Alexander. Un sorriso sofferente. << Mi ci sono avvicinato. Nella mia mente ho visto cose che... >> Si zittì. << Non importa. >>
<< Cosa hai visto? >> Chiesi.
<< Non assillarlo, soldatino. >> Disse Bes. << Si è appena ripreso. >>
Gli lanciai un occhiata malevola. 
<< Alla fine l'hai scoperto? >> Domandò Alexander.
<< Che vuoi dire? >>
<< Che è un soldato. >> Mi sorrise, scuotendo la testa.
Oscar lo guardò, ma non disse nulla.
<< Se lo sapevi perché non hai detto nulla? >> Disse Bes.
<< Non ne ero sicuro. >> Rispose Alexander. << Voglio dire, gli strappi sulla divisa parlavano da soli. Solo gli Stalker esperti usano le tute militari se non hanno nulla da mettersi, perché solo loro riescono a tenere testa alle loro pattuglie, e quando li fanno fuori, gli rubano persino i vestiti. Poi non ci sono nemmeno fori di proiettili sulla divisa. Tutto troppo pulito, diciamo. >>
<< Ti sei dimenticato i disertori. >> Disse Oscar. << I disertori hanno le divise intatte, tranne gli stemmi. >>
Alexander mi disse. << Sei un disertore? >>
<< No. >> 
<< Non ti dirà mai che lo era. >> Aggiunse Bes.
Ne avevo abbastanza. Sapevo che avrebbero tirato fuori sempre questo argomento se non gli avessi detto la verità. << Ero un soldato, ok? >> Dissi irritato. << Mi sono ritrovato in questa situazione per puro caso. Tutto il mio plotone è stato eliminato da qualcosa, mentre ero nei Bunker alla ricerca di un mio commilitone. Quando sono uscito, inseguito da tre Porger, ho incontrato Lazar. Lui mi ha condotto nell'accampamento degli Stalker. Mi ha detto di togliermi gli stemmi sulla mia divisa, se non volevo guai. Poi mi ha fatto incontrato Ruslan. Sei soddisfatto, Bes? >>
<< Finalmente. >> Disse allargando le braccia. D'un tratto mi puntò il fucile d'assalto. << Ora posso farlo fuori, Oscar? >>
Puntai il fucile anche io verso Bes.
<< Che vuoi fare, soldatino? >> Aggiunse Bes. << Vuoi spararmi, eh? Non sarai mai abbastanza veloce quanto me. Vuoi vedere? >>
Alexander posò una mano sulla canna del mio fucile. << Smettetela. >> Disse cercando di alzare la voce, ma gli venne fuori solo un rantolo, seguito da colpi di tosse secca.
Oscar si alzò in piedi. << Ne ho abbastanza di questa storia. >> Disse. << Boris fa parte del gruppo. Ruslan l'ha condotto da me, e di Ruslan mi fido. >>
<< Ruslan è solo un vecchio scemo che non sa nemmeno pulirsi il culo da solo. Non si è nemmeno accorto che aveva davanti un soldato. >>
<< Dubiti delle sue capacità di osservatore? >>
<< Osservatore un cazzo, Oscar! Sai cosa penso di quel vecchio rincoglionito. >>
<< Ok, Bes. Ora abbassa quell'arma. >>
<< E va bene. >> Disse voltandosi e allontanandosi un po' da noi.
<< Vale anche per te, Boris. >>
Ubbidii.
Alexander continuava a tossire con una mano davanti alla bocca. 
<< Tutto bene? >> Gli disse Oscar.
Alexander annuì, scacciandolo con una mano.
Quando Alexander smise di tossire, mi prese da parte. << Bes non ti ucciderà. >>
<< A me sembra tutt'altro. >>
Alexander lanciò un occhiata a Bes, poi a me. << Mesi a dietro Bes e il suo gruppo erano nei paraggi della Foresta nera. Quel luogo contiene numerose anomalie da cui fuoriescono molti manufatti, ma può anche diventare sterile per molto tempo. Quindi è un territorio condiviso, motivo di conflitti sanguinosi. I soldati ci bazzicano spesso e vanno lì con l'intenzione di eliminare gli Stalker. Tu ci sei mai andato quando eri in servizio? >>
<< No. Mi limitavo a rimanere nell'accampamento. >>
<< Vedi, una di queste volte i militari ci sono andati giù pesante. Hanno letteralmente fatto una strage. Quei figli di puttana, senza offesa, erano meglio equipaggiati e addestrati. Hanno eliminato tutti e dodici gruppi di Stalker. Non si sono nemmeno fermati quando alcuni hanno tentato di filarsela, come non hanno avuto pietà per i feriti. >> Tossì per un po'. << Solitamente sparano alla cieca per spaventare o scoraggiare gli Stalker e altre volte uccidono qualcuno per far girare alla larga gli Stalker più temerari, ma non sono mai andati giù pesante. >> Fece una pausa. << Bes è sopravvissuto solo perché quando è stato ferito, era rotolato giù da un avvallamento. I militari non si sono scomodati a scendere e farlo fuori, così l'hanno creduto morto. Ma non hanno risparmiato pallottole per il resto del gruppo. Ecco perché odia i militari. Settimane dopo ha saputo che quella pattuglia era stata ingaggiata dai Distruttori per far piazza pulita e impossessarsi della Foresta Nera. Ma non ci crede. Non vuole crederci. Pensa che sia solo opera dei militari, non dei Distruttori. Quindi ora capisci perché odia i soldati? Perché è così scontroso verso di te? >>
Lasciammo il rifugio verso mezzogiorno. Spettro non si era fatto vedere. Per quello che sapevo poteva benissimo essere morto durante la notte, ma Oscar ci aveva detto di aspettare per tutta la mattinata, convinto che fosse sparito per una delle sue sortite contro i mutanti. Chi pazzo si metterebbe a cacciare dei mutanti? Solo questo mi era bastato per crederlo un folle. 
Solo i ringhi lontano dei Mork avevano convinto Oscar a muoversi e proseguire dritto verso l'unico sentiero sterrato che risaliva un pendio arido. Oscar era di avanguardia nel gruppo, io e Alexander al centro e Bes di retroguardia. Proseguimmo per mezz'ora, incontrando solo sassi, erbaccia e qualche tronco reciso. Scorsi uno zaino di uno Stalker sopra a una pozza di sangue raggrumato e una scia di sangue che finiva tra le erbacce. Il corpo era stato trascinato via dai Mork o da qualche altro mutante. Mentre camminavamo, ci giungevano da ogni direzione i ringhi dei Mork e strilli laceranti. Volevo domandare chi mutante fosse in grado di emettere un grido del genere, ma scelsi di rimanere in silenzio, visto quello che era successo ore prima. 
<< Hai sentito, Boris? >> Disse Bes con un leggero ghigno. << Forse avrai la fortuna di incontrare un Mork. Non sei contento? Magari diventerai il suo pranzo. >> Smorzò una risata.
<< Bes! >> Disse Oscar. << Non cominciare. >>
Alexander mi bisbigliò nell'orecchio. << Lascialo perdere. >>
Arrivammo a un incrocio. A sinistra una strada dal pavimento dissestato curvava dietro una piccola collina, mentre quella destra era ostruita dal tronco di una grande quercia morta. Eravamo circondati da alti arbusti marroni e ondeggianti erbacce sospinte dal vento gelido.
<< Dove andiamo? >> Domandò Bes.
<< A sinistra. >> Rispose Oscar.
<< Perché c'è un pavimento di pietra, se siamo circondati dalla vegetazione? >>
<< Tenete i fucili pronti. >> Tagliò corto Oscar.
<< Dove porta questa strada? >> Domandò Alexander.
Oscar si voltò a guardarlo. << Al Laboratorio x16 >>
Bes e Alexander si guardarono sorpresi. Poi Bes aggiunse. << Ma sei impazzito, Oscar! Il Laboratorio x16 è una trappola mortale. Non possiamo passare da lì. >>
<< Non per me, Bes. E' l'unica scorciatoia che conduce dritti all'Emettitore Psichico. >>
<< Mi dispiace, ma non ti seguirò. >>
<< Non è il momento adatto per frignare. >>
Bes pareva irritato. << Frignare? Hai idea di cosa si trova all'interno? Nessuno è mai uscito vivo da lì. >> 
<< Vuoi seguire quella strada? >> Indicò con il fucile l'albero abbattuto. << Fai pure, ma ti avverto. Quel percorso è più pericoloso di questo. >> Accennò con il mento la strada dal pavimento dissestato. << A meno che tu non voglia infilarti nel cuore di un covo di Mork. >>
<< Niente affatto! >> Aggiunse Bes. << Ma sono convinto che ci porterai dritto verso la morte. >>
<< Smettila di fartela addosso, Stalker! >> Disse Oscar.
Bes rimase immobile, reggendo lo sguardo quasi infuriato di Oscar.
<< Ora, >> disse Oscar << se non hai altre lamentele da fare, direi di muoverci. >>
Lo seguimmo lungo il sentiero pavimentato, mentre gli arbusti e l'erbaccia diminuivano, lasciando spazio a pendi e avvallamenti. Il terreno stava diventando verdognolo, come fosse afflitto da una malattia. Sbuffi di vapore acido fuoriuscivano dagli squarci nel sottosuolo e crepe serpeggiavano tra i massi. In lontananza, avvolta da una flebile nebbia, mi parve di vedere un lunghissimo ponte la cui parte centrale era crollata. Al di sotto le macerie bloccavano un fiume prosciugato. 
Dopo qualche minuto, avvistammo in lontananza un largo edificio di cemento di tre piani. Nuvoloni neri incombevano sopra il tetto parzialmente danneggiato. Numerose crepe e fessure correvano lungo le mura infestate dalle piante arrampicanti dalle foglie nere. Il pavimento di pietra dissestato ci portò davanti a una doppia porta blindata abbattuta verso l'esterno. Strane creature giacevano crivellati di pallottole. Dovevano essere i Mork, ma non ero sicuro. Indossavano maschera anti-gas dai vetri rotti e il filtro strappato, sciarpe o cappucci a coprire il viso sfregiato. Portavano luride divise militari, camici da dottori e tute anti-radiazioni. Avevano uno strano ghigno, come se sorridessero e denti appuntiti. Profonde lacerazioni correvano lungo la spina dorsale che fuoriusciva per tutta la lunghezza della schiena, come se questa fosse schizzata fuori. La pelle bruciata, sfregiata e in alcuni punti si intravedevano ossa e fibre muscolari. I tendini erano allungati e le dita scheletriche avevano unghie affilate. Sul pavimento dell'entrata ne contai cinque, insieme a sette cadaveri fatti a pezzi fra scienziati e militari, sul cui corpo in putrefazione si contorcevano vermi marroni.

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Capitolo 22
*** Nessuno torna indietro ***


Ci incamminammo lungo i corridoi del laboratorio, serpeggiando tra casse e barili sparsi sul pavimento macchiato di sangue raggrumato e fango. Verdi e deboli luci d'emergenza illuminavano intermittenti l'ambiente e le spaccature discontinue sulle pareti e sul soffitto. Piccole erbacce spuntavano fuori dal pavimento. Più camminavamo, più si facevano numerosi i resti putrefatti dei militari e degli scienziati che giacevano dietro a barriere di fortuna costruite con tavoli, sedie, mobili, schedari e scrivanie. Sbuffi di vapore fuoriuscivano dalle tubature corrose che correvano lungo la base del soffitto.
Poco dopo arrivammo di fronte a una doppia porta blindata arrugginita.
<< Che si fa adesso? >> Domandò Bes.
Oscar ispezionò la porta. Poi disse. << E' chiusa dall'altra parte. >>
<< Come dall'altra parte? Come lo sai? >>
<< Perché qualcosa blocca la porta dall'altra parte. >> Si guardò in giro. << Se la mia memoria non mi inganna, ci deve essere un altra entrata qui vicino. >>
Tornammo indietro e svoltammo a destra, arrivando davanti ai tre corridoi che si snidavano in diversi settori dell'edificio.
<< Il primo corridoio a destra conduce all'ufficio amministrativo. >> Disse Oscar. << Quella centrale al laboratorio molecolare o qualcosa del genere. Biologia d'altri tempi, insomma. L'ultima a sinistra porta a un laboratorio dove compivano esperimenti sugli esseri umani. >> Fece un pausa. << Ovviamente il laboratorio x16 non finisce qui. Ci sono altre stanze che scendono in profondità, stanze di cui non nessuno conosce lo scopo. Chiunque è sceso laggiù, non è più tornato indietro. >>
<< Chi è così folle da andarci? >> Dissi.
<< Perché non vai farti un giro là sotto, soldatino. >> Disse Bes con un ghigno. << Così farai compagnia ai tuoi amichetti militari. >>
Feci finta di non sentirlo.
<< Là sotto ci sono molto oggetti di valore. >> Mi rispose Oscar. << Gli Stalker troppo avidi non ci pensano due volte a scendere per recuperarli, per non parlare dei disperati. >>
<< E come sempre nessuno torna indietro. >> Concluse Alexander.
Oscar proseguì nel laboratorio molecolare e lo seguimmo, mentre una lucetta verde lampeggiava sopra la porta corrosa dalla ruggine. Sette scienziati e due Mork crivellati di pallottole giacevano sul pavimento imbratto di sangue raggrumato e bossoli.
Oscar si chinò e prese un fogli dalla mano di uno scienziato morto.
<< Che cosa fai, Oscar? >> Chiese Bes perplesso.
<< Cerco informazioni. >>
Oscar lesse i fogli velocemente, saltando frasi e alcuni paragrafi. Poi disse. << L'ho trovato. Ho trovato la porta! Si trova tra il settore amministrativo e il laboratorio delle cavie. >>
Tornammo indietro, e quando imboccammo il corridoio di destra, continuammo a muoverci scorgendo sedie, tavoli, fogli, penne, cilindri medici e schedari ribaltati sul pavimento. Il sangue coagulato imbrattava quasi ogni centimetro dell'ambiente, dozzine di scienziati erano riversi al suolo, contro la parete o sopra le scrivanie. Alcuni erano stati fatti a brandelli, altri avevano il busto tranciato o gli arti amputati.
<< C'è stata una strage, qui. >> Disse Alexander inorridito.
<< Seguitemi! >> Ordinò Oscar.
Ci muovemmo molto lentamente, guardandoci ossessivamente intorno. I Mork potevano apparire all'improvviso e saltarci addosso. Non potevamo farci cogliere impreparati. Superammo dei box ufficio con i pannelli di vetro antiproiettile imbrattati di sangue e arrivammo dall'altra parte della stanza, davanti a una socchiusa doppia porta blindata e arrugginita. Aveva la parte superiore curvata, come se qualcuno o qualcosa l'avesse piegata.
Oscar ci fece cenno di guardargli le spalle, mentre lui l'apriva lentamente. C'era un tetro silenzio intorno a noi, come se qualcosa di mostruoso stesse aspettando il momento giusto per saltarci alla gola. Riuscivo a sentire i battiti del mio cuore e persino il respiro dei miei compagni. Poi Oscar aprì la porta e il cigolio metallico echeggiò attorno a noi. Mi apparve di sentire dei ringhi in lontananza, ma non ero sicuro. Poi il suono metallico cessò e scendemmo una rampa di scale che finiva in profondità, illuminata da una lampeggiante lucetta verde d'emergenza.
Tutti eravamo in silenzio mentre continuavamo a scendere i gradini. Io ero immerso nei mie pensieri. Volevo fuggire dal quel spettrale posto, ma le mia mente proiettava immaginai su come poteva essere il laboratorio x16 prima del disastro. Pieno zeppo di scienziati, guardie armate e cavie umane inconsapevoli di cosa succedeva realmente all'interno di questo laboratorio segreto. Sapevo che erano perlopiù prigionieri destinati al braccio della morte che, invece di passare tutta la vita dietro le sbarre, venivano portati quaggiù e usati come giocattoli. Ma c'erano anche innocenti, persone che non arrivavano a fine mese e che si facevano iniettare di tutto nel corpo. Alcuni si facevano aprire pure la testa. Ovviamente tutti questi sparivano dopo mesi in circostanze misteriose, poiché alla lunga la gente capiva, sapeva. E alla fine ci moriva. Alterazione del DNA. Cellule e cervelli irradiati. Esportazioni di organi genitali con lo scopo di alterare gli spermatozoi e gli ovuli. Qualunque cosa facessero qui, era certamente disumano.
<< Eccoci! >> Disse Oscar, facendoci fermare. << Dietro quella porta c'è l'Emettitore Psichico. Certo, abbiamo ancora molta strada da fare, ma c'è la faremo. >>
<< L'Emettitore Psichico? >> Rispose Bes. << L'Emettitore Psichico non si trova al centro della Zona, Oscar. >>
<< Sì, invece. E' vicino al Monolite. Molti pensano che sono distanti, ma invece sono quasi accanto. >>
Alexander disse. << Non dovevamo già sentire gli effetti dell'Emettitore Psichico? Allucinazioni, voci, sussurri o strani immagini, quelle robe lì, insomma? >>
<< Siamo in una specie di Bunker. >> Aggiunse Oscar. << Le radiazioni dell'Emettitore Psichico non sono così potenti, qui. Diciamo che è come una barriera. >>
<< Ok, ma una volta che avremo raggiunto l'Emettitore Psichico, i suoi effetti ci ridurranno il cervello in pappa. Diventeremo degli zombie. >>
Alexander non aveva tutti i torti. L'Emettitore Psichico poteva farti impazzire, spappolarti il cervello, renderti un involucro senza volontà. Uno zombie. Uno zombie sotto la sua influenza. Chi osava avventurarsi per trovare l'Emettitore Psichico o soltanto addentrarsi nel centro della Zona, doveva indossare delle tute protettive che usavano solo gli scienziati o i Distruttori, al servizio delle teste d'uovo o ingaggiati dai militari. Inoltre, alle orecchie, si doveva indossare una specie di strana cuffia che attutiva gli effetti dell'Emettitore Psichico. Queste cuffie erano molto rare e costavano un occhio.
<< Senza le adeguati protezioni, >> disse Bes << non sopravviveremo tre secondi vicino all'Emettitore Psichico. >>
<< Non preoccuparti di questo. >> Rispose Oscar. << Fidati di me. >>
<< Fidarsi di te? Avere fiducia in te non ci salverà da quel fottuto coso. Ci friggerà il cervello. >>
<< Non succederà. Sai bene che è così. >> Lo guardò negli occhi. << Hai paura di continuare, Bes? Perché se è così dillo chiaramente. >> Indicò le scale. << Puoi sempre tornare indietro. Nessuno ti obbliga a restare qui. Oppure puoi venire con noi? Cosa dici? >>
Bes ci lanciò un occhiata. Poi disse. << Col cazzo che torno indietro da solo. Fammi strada. >>
Eravamo rimasti a discutere accanto alle scale, senza preoccuparci di cosa ci celasse oltre la porta. così presi da dimenticare tutti i pericoli che si annidavano in questo tetro laboratorio.
Infine, varcando la porta, ci ritrovammo in una grande sala completamente inghiottita dall'oscurità. Questo ci costrinse ad accendere le nostre torce. Uomini e donne dalla testa deforme giacevano con il petto e lo stomaco aperti sopra i tavoli da laboratori su cui erano posati forbici e bisturi. Erano in perfetto stato, come fossero morti da pochi minuti, il che mi inquietò non poco. Altre strane creature simili a neonati con la testa sproporzionata se ne stavano in posizione fetale con il cordone ombelicale staccato. Erano dentro a lunghi contenitori cilindrici immersi in uno strano liquido marroncino.
<< Cos'è questo schifo? >> Dissi inorridito.
<< Qui gli scienziati giocavano a fare Dio. >> Rispose Oscar, avvicinandosi a uno di loro. << Si dice che due cavie, un uomo e una donna, siano fuggiti da questo laboratorio e hanno dato vita ai mutanti della Zona; Porger, Mork, PsicoControllore e altri ancora. Nessuno sa se queste storie siano vere. Nemmeno gli scienziati che operano nella Zona sanno darsi una risposta. D'altronde, non mi stupirei se fosse vero. Ormai la Zona è un mondo a parte. Un mondo con il proprio habitat naturale e le proprie leggi. >> Fece un mezzo sorriso. << Qui siamo noi gli intrusi. >>
<< Quindi questo laboratorio serviva a questo? >> Chiesi.
<< Non ne so. >> Disse Oscar. << E nemmeno gli Stalker nella Zona ne sanno più di me. Forse gli scienziati potrebbero aiutarti, ma mi terrei alla larga da loro. Ma ti dirò quello che so; il laboratorio x16 venne edificato dieci o più anni fa. Venne usato per esperimenti di telecinesi, telepatia, chiaroveggenza e cose del genere. Testavano sia sui sugli uomini, che sulle donne. Con il passare degli anni le cose presero una brutta piega, in quanto le cavie morivano improvvisamente, finché crearono ciò che oggi conosciamo con il nome di PsicoControllore. >> Fissò per un istante il neonato nel contenitore cilindrico. << Non so se lo crearono loro, oppure fu una mutazione genetica che non avevano predetto, ma quella cavia fuggì insieme a una donna, lasciandosi dietro una scia di cadaveri. Fu lui ha provocare l'esplosione della centrale nucleare, che diede origine alla Zona così come la conosciamo oggi. Si vocifera che durante l'esplosione si sia fuso o fosse mutato nell'Emettitore Psichico. Altri dicono che in realtà è il Monolite, altri ancora che non è mai esito. Onestamente non credo a quest'ultima storia, ma nella Zona tutto è possibile. >>
Rimasi stupito dalle parole di Oscar. Non pensavo che un mix di mutazione e radiazioni potessero modificare in modo permanente la vita in questa landa desolata. Alexander e Bes non parvero sorpresi. Sicuramente erano già a conoscenza di questa storia, mentre io ero l'unico a non sapere quasi nulla sulla Zona, come ogni militare che si rispetti, d'altronde.
<< Dovremmo continuare a muoverci. >> Disse Bes, che pareva infastidito dai corpi delle cavie.
<< No, fermiamoci un attimo. >> Rispose Alexander. << Voglio raccattare qualcosa da vendere ai trafficanti. >>
<< Non troverai niente, qui. Solo carte e documenti che per te non hanno un cazzo di senso! >> 
<< E dai, Bes. Magari io non ci capirò niente, ma se gli vendo agli scienziati ci farò un bel gruzzoletto o magari mi daranno qualche artefatto con strani poteri. >>
<< Quello che ti daranno sarà una pallottola nel cranio. >> Sogghignò Bes. 
<< Bes ha ragione. >> Disse Oscar. << Gli scienziati non sono affidabili quando si tratta di documenti secretati. Non vogliono rischiare che qualcuno scopra gli esperimenti che combinavano qui dentro. Anche se gli giuri che non hai letto nulla, loro non ti crederanno e ti piazzeranno una pallottola nel cranio. Pagano bene è vero, ma è meglio non rischiare. >>
Alexander rimase in silenzio.
<< Allora, ci muoviamo? >> Disse Bes.
<< Aspetta. >> Rispose Oscar. << Devo vedere dove porta quella porta laggiù. Sono sicuro che porta all'Emettitore Psichico, ma voglio essere sicuro al cento per cento. Forse possiamo trovare una pianta del laboratorio tra questi fogli sparsi sui tavoli. Controllate anche le pareti. >>
Così ci mettemmo a cercare una mappa, ma trovavo solo immagini di cervelli, radiografie delle ossa e blocchi di fogli. Mentre ero impegnato nella ricerca, scorsi Alexander piegato dietro un tavolo che infilava alla rinfusa documenti e fogli nello zaino. Feci finta di nulla e non dissi niente agli altri, ma sapevo che primo o poi il mio silenzio gli sarebbe costata la vita. Ma per adesso era meglio non inimicarmi anche Alexander. Avevo già Bes che mi rompeva le palle.
<< Trovata! >> Disse Bes, alzando la piantina del laboratorio x16.
<< Ottimo lavoro, Bes! >> Rispose Oscar. 
Bes rotolò la mappa sul tavolo.
Oscar seguì con un dito le varie diramazioni del laboratorio x16, finché disse. << Questo dev'essere l'uscita di emergenza. >> Batté un dito su un punto della mappa << Dobbiamo seguire questo tratto, che ci condurrà all'Emettitore Psichico. >>
<< Avevi bisogno per forza della mappa per essere sicuro di dove stiamo andando? >> Rispose Bes.
<< Conosco questo posto, ma la strada che dovevamo prendere dal principio è stata bloccata dall'altra parte, ricordi? >>
<< Sì. >>
<< Ecco perché mi serviva la mappa, Bes. Questo tragitto che dobbiamo prendere è secondario. E' più lungo rispetto a quello principale. Volevo essere sicuro che la strada fosse quella giusta. >>
<< Capisco. >>
<< Ora muoviamoci. >>

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Capitolo 23
*** Caos ***


Seguimmo Oscar in silenzio, inoltrandoci in un luogo abitato dai Mork. Erano intorno a noi, ma non sapevamo perché non ci avessero ancora attaccato. Forse aspettavano il momento giusto? Volevano coglierci con la guardia abbassata? Beh, io non mi sarei fatto cogliere impreparato. Era l'unica cosa che tenevo in mente quasi con ossessione. 
Oscar pareva molto turbato. Era davanti a noi e perlustrava ogni centimetro del corridoio. Forse pensava alle parole di Bes? Che avessimo bisogno di tute protettive molto più resistenti di quelli che indossavamo? Ma chissà cosa pensava di me, del fatto che ero stato un militare? 
Metri più avanti ci ritrovammo a ridosso di una spessa doppia porta blu arrugginita. Un militare morto ci giaceva accanto con le spalle al muro e una pistola in mano.
<< Si è ucciso. >> Disse Alexander, illuminando il buco alla tempia.
<< Aveva altre alternative? >> Rispose Bes. << O ti uccidevano quei fottuti Mork o ti facevi saltare le cervella. >> Poi si rivolse a me. << Tu cosa avresti fatto, soldatino? Ti saresti piantato vigliaccamente una pallottola in testa o avresti affrontato questi figli di puttana? No, non mi rispondere. Mi sarebbe piaciuto vedere le tue luride cervella sparse sul muro. >> Smorzò una risata.
Non ci vidi più. << A me piacerebbe vederti crepare per mano di un Mork, stronzo! >>
Bes mi afferrò per il bavero e mi sbatté con violenza contro il muro. Cercai di divincolarmi dalla sua presa, quando Alexander e Oscar ci divisero. 
<< Basta, Bes! >> Disse Oscar fulminandolo con lo sguardo. << Mi hai rotto le palle con questa storia! >>
<< Hai sentito cosa ha detto? >> Bes si precipitò contro di me, ma venne bloccato da Alexander.
<< Non fai altro che infastidirlo. Piantala! >>
Bes mi lanciò un occhiata carica di rabbia, poi fissò Oscar negli occhi.
D'un tratto avvertimmo un suono metallico in lontananza. Ci voltammo tutti, mentre le nostre torce squarciavano l'oscurità. Non c'era nessuno. Rimanemmo immobili per un minuto.
<< Questo posto è testimone di ogni genere di atrocità. >> Disse Oscar. << Potrebbero esserci delle Ombre. >>
<< Cazzo, pure le Ombre ci si mettono adesso. >> Rispose Bes.
<< I mutanti non vivono vicino alle Ombre. >> Aggiunse Alexander. << Li percepiscono. Se ne tengono alla larga. >>
<< Lo so, >> rispose Oscar << ma possono esserci stanze infestate. >> Guardò il corpo del militare. << Se ci sono le Ombre, questo qui non si è suicidato, ma è stato indotto dalle Ombre a farlo. Ora muoviamoci. >>
<< Merda, Merda! >> Disse Bes. << Lo vedi perché avevamo bisogno di quelle fottute cuffie? Con quegli affari eravamo al sicuro da questi fantasmi del cazzo. >>
<< Non ti agitare, Bes. >> Rispose Alexander.
<< E come faccio a non farlo? Quelli possono entrarmi nella testa. Friggermi il cervello, cazzo. >>
Proseguendo lungo il corridoio disseminato di cadaveri di militari e scienziati, svoltammo a destra e scendemmo una doppia rampa di scale. Serpeggiammo nei vari corridoi pieni zeppi di corpi. Mi resi conto che molti di questi si erano sparati un colpo alla testa, oppure erano stati uccisi dagli altri. Erano tutti nei corridoi, come se si fossero messi in fila per farsi fuori a vicenda.
<< In questo piano non ci sono Mork. >> Disse Oscar.
<< E come lo sai? >> Disse Bes.
<< Niente lacerazione, niente amputazioni sui cadaveri. >> Fece una pausa. << Ci sono le Ombre. Le avverto. Sono attorno a noi. >>
Sbiancai di colpo. Alexander e Bes cominciarono a guardarsi ansiosamente intorno.
<< Non fatevi attirare della allucinazioni. >> Proseguì Oscar. << Rimanete lucidi. Concentrati. Parlate a vanvera se volete, ma non fatevi attrarre. Io ne sto già vedendo una davanti a me. Voi? >>
Io vidi solo una fitta oscurità attorno al fascio di luce della mia torcia. Quando diedi un occhiata ad Alexander, lo vidi fissare uno schizzo di sangue raggrumato sul muro. Aveva il viso sollevato, felice, come se vedesse qualcuno. 
<< Alex. >> Dissi.
Allertati dalla mia voce, Bes e Oscar si girarono verso di noi, e quest'ultimo gli diede un pugno nello stomaco. 
Alexander si chinò in avanti, portandosi le mani sul ventre. << Cazzo, Oscar! >> Disse faticando a respirare.
<< Che ti ho detto, eh? >> Rispose Oscar infuriato. Non l'avevo mai visto così arrabbiato, nemmeno quando si era scambiato occhiatacce con Bes. << Rimani concentrato? Capito? Concentrato! >>
<< Mi... Mi è sembrato di vedere mio padre. E' morto quando ero solo un bambino. >>
<< Non è lui. Non può stare in un posto del genere. Non farti sopraffare dalle emozioni. Pensa con razionalità. >>
D'un tratto sentimmo lo stesso suono metallico di prima, seguito da un vociferare continuo.
<< Dobbiamo andarcene! >> Disse Oscar. << ORA! >>
Mentre correvamo verso la fine del corridoio, i sussurri si facevano più insistenti, quasi assordanti. Li sentivamo tutti e tre.
<< Lasciami stare, papà! >> Urlò Alexander, fermandosi a guardare il nulla davanti a sé. << Non voglio venire. Non voglio, papà! >>
Bes lo strattonò per un avambraccio e lo costrinse a muoversi. Oscar si tappò le orecchie per non sentire la cacofonia di voci, urla, risate, pianti, suppliche, grida di dolore. Lo sentivamo tutti. 
Continuai a muovermi quando vidi davanti a me Sofia. Era bellissima, incantevole. I suoi occhi da cerbiatto mi bloccarono. << Vieni, Boris. >> Disse, allungandomi una mano. << Vieni con me. Staremo per sempre insieme. >> Quando feci per afferrare la sua mano, mi arrivò dritto un pugno in faccia e caddi al suolo. 
Bes troneggiava sopra di me. << Ma vedi un po' cosa sono costretto a fare. Io che salvo la vita a un lurido soldato. >> Sbuffò irato e mi tirò su.
Mi apparve di scorgere Petrov e alle sue spalle mio Comandante Varetic Hug e tutti miei commilitoni. Mi guardavano con disappunto, come se si vergognassero di me. D'un tratto i loro visi mutarono, diventarono pallidi, scarnificati, finché non furono un misto di ossa e lembi di pelle putrida penzolante. Una sagoma si mosse alle loro spalle. 
Era Joe, il mio migliore amico. << Perché ci hai abbandonato? >> Disse con voce sommessa. << Perché? Eravamo tuoi amici. Tuoi compagni d'armi. Ci hai abbandonato, Boris. Ci hai lasciati morire. Morire. Morire. Morire. Come hai potuto? Eri come un fratello, per me. >>
<< No, aspetta! >> Dissi. << Non è stata colpa mia. Ve lo giuro! Non è stata colpa mia. >>
<< Il soldatino è partito. >> Aggiunse Bes a Oscar.
<< Anche Alexander. >>
<< Dai, muoviti, stronzo! >> Mi disse Bes.
<< No, lasciami qui. >> Risposi, cercando di levarmi dalla sua presa. << Devono sapere che non è colpa mia. >>
Bes guardò Oscar. << Non mi lascia altra scelta, Oscar. >>
<< Fallo! >>
Bes mi colpì sulla fronte con il calcio del fucile e persi i sensi.
Mi svegliai con un lieve mal di testa, la vista sgranata e le orecchie che mi fischiavano. Quando mi alzai in piedi, quasi non picchiai la testa contro il sottoscala. Mi resi conto che mi trovavo in una piccola stanza, forse un ufficio. Boris e Oscar sedevano davanti a un tavolo, mentre davanti alle loro torce la polvere danzava nell'aria e l'oscurità ci avvolgeva tutt'attorno. Non vidi Alexander.
<< Il soldatino si è svegliato. >> Disse Bes schifato.
<< Come ti senti? >> Mi chiese Oscar.
<< Mi fa male la testa. >> Risposi.
<< Quante dita sono queste? >> 
<< Tre. >>
<< Bene. Non hai danni al cervello. >>
<< Dov'è Alexander? >> Chiesi.
Oscar accennò con il mento la libreria. 
Accesi la torcia attaccata al lato del mio elmetto e raggiunsi Alexander. Lo vidi disteso dietro lo scaffale. Sembrava non respirare più. Mi chinai e gli misi due dita alla base del collo. C'era il battito. Sospirai dal sollievo e mi alzai, raggiungendo Bes e Oscar.
<< Grazie per prima, Bes. >> Dissi impacciato.
Bes grugnì tra i denti.
<< E' la prima volta? >> Mi domandò Oscar.
<< Cosa? >> Risposi.
<< Le Ombre. Le hai mai viste prima? >>
<< Sì, nella Foresta Nera. Era un bambino. Mi aveva chiesto aiuto e lo stavo aiutando quando... >> Feci una pausa. << Se non fosse stato per Lazar, sarei morto sotto quell'albero. >>
<< Già, Lazar. >> Disse Oscar. << Lo conosci bene? >>
Mi sedetti affianco a loro. << No. Mi ha solo aiutato, e non so perché. Sapeva che ero un militare. Poteva uccidermi, ma non l'ha fatto. >>
<< Lazar è diverso dagli altri Stalker. Diciamo che ha un cuore tenero. E' altruista. >>
<< Fin troppo. >> Rispose Bes. << Una volta si è quasi fatto ammazzare per salvare dei banditi, che poi hanno tentato di rapinarlo. Io proprio non lo capisco. >>
<< Quelle di prima erano Ombre? >> Chiesi.
Oscar e Bes si scambiarono delle occhiate. Poi Oscar disse. << Sì e no. C'erano delle ombre al piano di sotto, ma c'erano anche delle onde psichiche emesse dall'Emettitore Psichico. >>
<< Io te l'avevo detto. >> Rispose Bes. << Te l'avevo detto. >>
<< Sono state le Ombre a metterci in difficoltà, non l'emissioni. >>
<< Sono la stessa cosa. >>
<< Non sono la stessa cosa. Le Ombre agiscano in profondità, scalfiscono i tuoi punti deboli. Le onde psichiche funzionano diversamente. >>
<< Diversamente? >> Dissi. << In che senso? >>
<< Agiscono a livello visivo, >> aggiunse Oscar << uditivo o sotto forma di odori, ma non prendono il controllo del tuo cervello. Almeno non inizialmente. >> Fece un pausa. << Quando entri nel loro raggio, puoi vedere mutanti, cadaveri e via dicendo, ma sono tutte allucinazioni. Non sono reali. Spesso i mutanti ti attaccheranno, ma non ti feriranno. Sai cosa fanno realmente? Ti tolgono energia vitale. Ti fiaccano, finché non perdi i sensi. Le onde psichiche puntano alle tue paure, vogliono terrorizzarti così che le tue emozioni prendano il sopravvento. E a questo punto... Beh, il tuo cervello va in pappa. E' così che diventi zombie. >>
<< Le ombre fanno la stessa cosa. >> Disse Bes. << Cosa cambia? Io non vedo nulla di diverso. >>
<< Sono più pericolose. >> Rispose Oscar. 
<< Io continuo a non vedere nulla di diverso. >>
<< Le onde psichiche non ti portano al suicidio. Hai visto i corpi là sotto, no? Sono state le Ombre. Se riescono a insinuarsi dentro di te, è la fine. Mentre dalle onde psichiche puoi fuggire, metterti al sicuro. Almeno da quelle leggere. >>
<< Vallo a raccontare a tutti quelli che sono entrati nel centro della Zona. >> Rispose Bes. << Lì mica ci stanno le Ombre, no? >>
<< Tu non sei mai stato al centro della Zona, Bes. >> Disse Oscar. << Non sai quanto siano potenti le onde psichiche laggiù. Ci mettono due secondi a friggerti il cervello. Te lo senti scolare dalle orecchie, dalle narici, persino in bocca ne senti il sapore. Le Ombre vogliono ammazzarti, mentre le onde psichiche renderti succube, uno zombie. Il motivo è diverso, ma l'esito è lo stesso. Morte. Solo questo. >>
Bes grugnì. << Beh, io continuo a pensarla diversamente. >>
<< Ah, dannazione. >> Disse Oscar alzando le mani. << Ci rinuncio. Pensala come vuoi. >>
D'un tratto udimmo lo stesso suono metallico proprio dietro la spessa porta di ferro arrugginita.
<< Cos'è stato? >> Dissi.
<< Non lo so. >> Rispose Oscar.
<< Sono i Mork. >> Aggiunse Bes. << I figli di puttana sanno che siamo qui dentro. Lo sanno, cazzo! >>
<< Calmati, Bes. Non sono loro. C'è qualcos'altro qua sotto. >>
<< Mutanti? >>
<< Forse, ma possono essere anche i Figli del Monolite. Quei fanatici se ne vanno in giro in luoghi come questi. >>
Bes imbracciò il fucile d'assalto. << Se mettono piede qui dentro, gli faccio saltare quelle teste del cazzo. >>
Di nuovo quel rumore metallico, seguito da una scossa elettrica e una pioggia di colpi violenti sulla porta.
<< E' una anomalia. >> Disse Oscar. << Un anomalia in movimento. >>
<< Nel senso che si muove? >> Domandai.
<< Sei sordo o cosa? >> Aggiunse Bes.
<< Sì. >> Mi disse Oscar. << Un anomalia magnetica. Devono esserci bossoli e armi là fuori. Vengono attirate dal suo campo magnetico, finché non le scaraventa dappertutto alla velocità di una pallottola. >>
Alzandoci, ci avvicinammo alla porta. Sentimmo una scossa elettrica in lontananza, seguite da altre. Ero troppo curioso. Volevo vederla. Così aprii lentamente la porta che cigolò, quando Oscar la richiusa violentemente. << Sei impazzito, Boris? >>
<< Volevo... >>
<< Ci avresti fatto ammazzare, coglione! >> Disse Bes a un palmo dalla mia faccia. << Forse era meglio lasciarti a morire là sotto. >>
<< Che succede? >> Disse Alexander alle nostre spalle, mezzo frastornato e una mano sulla fronte. << Che diavolo è successo? Dove siamo? >>
<< Al piano superiore. >> Disse Oscar. 
<< Ti sei fatto quasi ammazzare là sotto, idiota. >> Sorrise Bes abbracciandolo. << Peggio di questa checca qua affianco. >> Mi indicò con un cenno della testa.
<< L'ultima cosa che ricordo era il volto di mio padre. Mi dicevo di andare con lui. >>
<< Non era tuo padre. >> Disse Oscar. << Ora sarà meglio muoverci. Ci manca un piano e poi usciremo dritti verso l'Emettitore Psichico. >>
<< Dammi un minuto per riprendermi, almeno. >> Disse Alexander sedendosi accanto al tavolo. << Solo un minuto. >>
Quando uscimmo dalla piccola stanza, scorgemmo armi e bossoli sul pavimento cosparso di sangue raggrumato. Il muro era crivellato da dozzine di fori di pallottole. Persino la porta era stata scalfita. Però non c'erano traccia di cadaveri.
<< I Mork sono nei paraggi. >> Disse Oscar. << Vedete le scia di sangue laggiù? Hanno trascinato i corpi nel loro covo. >>
<< Non vorrai mica passare nel loro covo? >> Disse Bes.
<< Non sono così stupido. >>
<< Lo pensi tu. >> Rise Bes.
<< Queste armi devono valere un sacco di rubli? >> Aggiunse Alexander. << Forse se ne prendo qualcuna... >>
<< Fermo. >> Disse Oscar. << Possono essere radioattive. >>
<< Qui dentro non ci sono radiazioni. >> 
<< Ci sono, eccome. Solo che si muovono. Te ne sei dimenticato? >>
<< Sì, hai ragione. >>
<< Indossate le maschere antigas. I Mork vivono in luoghi fortemente radioattivi, in caso ve lo fosse scordato. >>
<< Abbiamo i rilevatori geiger. >> Dissi. 
<< Non servono. >> Mi disse Oscar con voce nasale dietro la maschera antigas. << Le radiazioni li metteranno fuori uso. Nemmeno te ne accorgerai quando succederà. >>
Una volta indossate le maschere, proseguimmo nel corridoio, finché arrivammo in una grande sala. Sentivo qualcosa muoversi freneticamente sopra la mia testa, ma la mia torcia si perdeva nell'oscurità. Un liquido violaceo tappezzava il pavimento cosparso di arti mozzati. Sacche organiche nero pece infestavano il sopra e il sotto delle scrivanie. Sedie, schedari, fogli, penne erano sparpagliati tutt'intorno a noi. Poi sentii di nuovo quel suono, e questa volta lo udirono anche gli altri.
<< Abbassatevi. >> Ci sussurrò Oscar. 
<< Cosa succede? >> Dissi.
<< Mork. >>
D'un tratto qualcosa atterrò al mio fianco. Mi voltai lentamente, solo per vedere la faccia sfregiata, gli occhi bianchi, due buchi al posto del naso e i denti appuntiti. Era un Mork. Se ne stava sui talloni, annusava l'aria, scattava la testa inclinandola su un lato. Indossava una divisa militare da combattimento e una maschera antigas con i vetri rotti gli pendeva dal collo.
Le mani iniziarono a tremarmi. Il mio udito cominciò a captare ringhi sommessi intorno a me. I miei compagni tenevano lo sguardo fisso sul Mork. Oscar lo stava fissando pronto a ficcargli una pallottola in testa, ma il mutante annusò un'ultima volta l'aria e si allontano da me, correndo con mani e piedi, come un quadrupede. Come diavolo faceva a correre così velocemente? Un tempo era stato un uomo, e nessuno si sarebbe mosso con tale velocità.
<< Sdraiatevi per terra. >> Sussurrò Oscar. << Ci trascineremo per i gomiti. La stanza è piena di Mork. Sono proprio sopra le nostre teste. >>
<< Merda! >> Disse Bes con voce sommessa. 
<< Seguitemi. >>
Ci trascinammo lungo il pavimento. Per nostra fortuna non sentimmo gli odori nauseabondi che c'erano lì dentro. Parti di gambe, braccia, uno strano liquido appiccicoso e violaceo, vermi che si contorcevano nei cadaveri dilaniati. C'era uno schifo. Saremmo morti soffocati dal tanfo, se non ci avessero ucciso per prima i Mork o le radiazioni che stavamo assorbendo.
Dopo poco uscimmo dalla sala e, facendo attenzione a non fare rumore, imboccammo un corridoio. Preso dalla curiosità, tirai fuori il mio contatore geiger. Era rotto.
<< Che ti ho detto? >> Mi disse Oscar a bassa voce. << Puoi anche gettarlo, se non ha intenzioni di aggiustarlo. Le forti radiazioni distruggono ogni oggetto, ma alcune volte non lo fanno. >>
<< Che vuoi dire? >> Domandai.
<< Hai presente l'Emettitore Psichico? Beh, quel coso doveva essere distrutto quando le radiazioni invasero al Zona. Sai, parlo dell'esplosione del reattore quattro. >>
<< Si lo so, ma non continuo a non capire. >>
<< E' semplice, soldatino. >> Aggiunse Bes irritato. << Le radiazioni dinamiche, come le chiamo io, sono influenzate dalla Zona. Come se fossero originate a comando. >>
<< Vuoi dire che la Zona fa comparire e sparire le radiazioni? >>
<< E io che ho detto? >> Rispose Bes ancora più irritato.
<< Qualcosa del genere. >> Disse Oscar. Poi si fermò di colpo. << Mork! >> Puntò il fucile verso la fine del corridoio e lo facemmo anche noi.
Sentii qualcosa strascicare nella profonda oscurità, proprio oltre il fascio di luce della mia torcia. Poi quel strascicamento divenne più inteso, concentrato, seguito da molteplici bassi ringhi. Anche se non li vedevamo, c'erano più di un Mork davanti a noi e l'avevamo capito tutti e quattro. Si avvicinano dritti nella nostra direzione.
Formammo un cerchio, schiena contro schiena. Bes di avanguardia con il fucile a pompa, io e Alexander ai lati e Oscar di retroguardia. Poi udii un grugnito eccitato, un suono che non avevo sentito mai prima.
<< Cazzo! >> Imprecò Bes. << Sanno che siamo qui. Questi figli di puttana hanno fame! >>
<< Calmati, Bes. >> Disse Oscar. << Non agitarti. >>
<< Come cazzo faccio a non agitarmi? Sono attorno a noi, merda! >>
<< Ne vedo uno! >> Aggiunse Alexander, e quando fece per sparare si accorse che era solo la maschera antigas abbandonata sul pavimento. << Maledizione. >> Abbassò l'arma e un Mork gli saltò addosso, scavandogli il petto con le unghie affilate. Era successo così velocemente, che quando ci voltammo, Alexander era già crepato sotto i nostri occhi.
<< No, Alexander! Figlio di puttana! >> Urlò Bes, facendo saltare la testa al mutante e scatenando su di noi la furia dei famelici Mork.
Due Mork correvano lungo le pareti, ma prima che ci saltassero addosso, li crivellai insieme a Oscar. 
Bes si piegò sul suo amico, il volto rigato dalle lacrime. Smosse Alexander con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto. Poi posò la testa sul suo petto squarciato e iniziò a piangere e singhiozzare come un bambino.
<< Rimettiti in piedi, Bes! >> Gridò Oscar, facendo saltare la gamba a un Mork per poi ucciderlo sparandogli nel petto.
I ringhi si fecero più forti, quasi ci assordarono del tutto. Oscar mi disse qualcosa, ma non capii. C'era troppo chiasso. Alla fine la mia torcia illuminò i volti sfregiati di una ventina di Mork che correvano verso di me. Sentii un intenso formicolio in testa, seguito da una strana sensazione di mancamento. 
<< Di là! >> Urlò a squarciagola Oscar.
Una raffica di pallottole travolsero i venti Mork, ma ne uccidemmo solo tre. Gli altri si rialzarono, alcuni senza un braccio, altri senza una gamba o entrambe. Avevano il busto squarciato dai nostri proiettili, ma si lanciarono contro me e Oscar, come se non fossero feriti. Ignorarono del tutto Bes che se ne stava a piangere sul corpo di Alexander, attorniato dall'orda di Mork che gli passavano accanto. Alcuni saltavano oltre la sua testa, come se sapessero che c'era qualcosa davanti alla loro traiettoria, ma senza soffermarsi. Ma forse ero io a farmi questo pensiero.
Oscar ed io continuammo a indietreggiare, finché Bes svanì alle spalle inghiottito di una infinità di Mork.
<< Non possiamo lasciarlo lì! >> Gridai a Oscar, ma quello non mi sentii. 
I Mork correvano lungo le pareti, sul soffitto, sul pavimento. La testa sollevata ad annusare l'aria. Arrivavano a frotte, quasi ammucchiati l'uno sull'altro. Si muovevano come ragni giganti. Continuammo a sparare, finché Oscar dovette cambiare il caricatore. Fu lì che, arrivatogli alle spalle, un Mork lo tirò giù. Sparai una raffica al mutante, mentre Oscar si rialzò in piedi. Quando mi voltai, un anomalia respingente si materializzò davanti a me. Era un cerchio azzurro, che sprigionava una potente luce, quasi accecanti. Vidi centinaia di Mork correre verso me e Oscar. I Mork fecero per saltarci sopra, quando vennero scaraventati via dall'onda d'urto a una velocità assurda. Colpirono le altre creature come una palla di cannone. Molti finirono spiaccicati sui muri, letteralmente fatti a brandelli. 
Io e Oscar facemmo per allontanarci, ma quell'onda d'urto raggiunse anche noi, lanciandoci a diversi metri. Mi schiantai contro una porta di legno dopo aver volato in aria per due secondi. Vidi l'anomalia sprigionare onde d'urto sempre più potenti, riducendo i Mork a un poltiglia di ossa e sangue. Anche la sua luce azzurra aumentava e fui costretto a chiudere gli occhi per quanto era accecante. Poi, con un fortissimo boato che fece tremare muri e pavimenti, scomparve, lasciando il posto a un intensa oscurità.
Rimasi immobile per un momento con in mano un coltello da caccia. Avevo perso il mio fucile quando ero stato sballottato via e chissà dov'era adesso, sempre se non era stato fatto a pezzi dall'onda d'urto. Quando capii che ero completamente da solo, mi alzai, mi tolsi la polvere di dosso e mi guardai intorno. La mia torcia lampeggiava intermittente e gli diedi due colpi per stabilizzare il fascio di luce. Sangue dappertutto. Un lago di sangue. Persino mura e soffitto ne erano completamente imbratti. Brandelli di carne e ossa disseminati ai piedi delle pareti. I Mork erano stati tutti maciullati, smembrati. 
Mi misi a cercare Oscar, ma non lo trovai. Così tornai indietro con la speranza di trovare Bes, ma non lo vidi, così come il corpo di Alexander. Dov'erano finiti? Erano stati schiacciati dall'onda d'urto? Impossibile. Non ci credevo. Se fosse stato così, anche io dovevo essere ridotto a pezzi, ma non lo ero. A meno che non fossi morto. Forse era un Ombra? Mi tastai il corpo come se quel gesto potesse darmi una risposta, ma ero tutto intero. Preso dal panico, mi misi a cercare il mio fucile, finché non trovai il calcio del fucile ridotto a brandelli. Poi qualcosa mi si posò sui vetri della maschera antigas. Era la polvere dell'intonaco. Stava cadendo giù da una grossa crepa nel soffitto sopra alla mia testa. Feci in tempo a tornare indietro, quando il soffitto crollò giù e una densa nuvola di polvere si innalzò e mi avvolse completamente. Il passaggio era ostruito. Non potevo più tornare indietro.

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Capitolo 24
*** Il Monolite ***


Mentre la densa nube di polvere si diradava attorno a me, mi parve di sentire dei ringhi. Rimasi fermo con le orecchie ben tese, e mi accorsi che dall'altra parte delle macerie c'erano dei Mork. Li sentivo. Dovevano essere a centinaia. Ma da dove erano usciti? Quanti ce ne erano ancora? 
Poi, prima di allontanarmi, vidi delle mani scarnificate spuntare dai detriti. Quei bastardi stavano scavando. Volevano arrivare a me.
Corsi nell'unica direzione possibile e superai la porta dove mi ero schiantato poco prima. La stanza era buia, il mio fascio di luce illuminò qualche tavolo rotto, delle sedie e due schedari che bloccavano una porta in fondo alla camera. Nessuna traccia di cadaveri, solo schizzi di sangue raggrumato sul pavimento e sulle pareti. Raggiunsi gli schedari e nel spostarli, ne feci cadere uno sul pavimento. Il tonfo echeggiò intorno a me, e sentii i ringhi dei Mork diventare più forti, più acuti. Aprii la porta e la richiusi. Fu in quel momento che li udii arrivare nella camera adiacente. Senza guardarmi intorno, mi precipitai dietro uno scaffale pieno di libri ammuffiti e sbriciolati. Spensi la torcia e rimasi in silenzio. Sentivo il mio respiro nella maschera antigas. Stringevo il coltello da caccia con tutte le mie forze, e in quel momento non mi resi conto che un coltello non sarebbe servito a nulla contro quelle creature, come l'aver spento lo torcia. I Mork erano ciechi. Così la riaccesi. 
Un attimo dopo abbatterono la porta e i Mork entrarono nella stanza. Li sentii correre sul pavimento, sui muri, sul soffitto. Non so quanti ce ne erano, ma dal cacofonia di ringhi, gemiti e grugniti dovevano essere più di una ventina. Mi rannicchiai, quando percepii un mutante sopra la mia testa. Se ne stava fermo sul soffitto, scattando la testa da un lato all'altro. Poi si lasciò cadere sul pavimento. La sua faccia si avvicinò a un palmo dalla mia, il suo alito appannò i vetri della mia maschera antigas. Avvicinai il coltello da caccia al suo ventre pronto a eviscerarlo a morte, quando tutti i Mork nella stanza iniziarono a ringhiare. Un ringhio basso, irritato. La creatura davanti a me balzò sul soffitto e vidi come un lampo sul muro, seguito da una raffica di spari. Preso dal panico, spensi nuovamente la torcia e mi chinai con le braccia a protezione della testa. I proiettili scalfirono la parete di fronte e lo scaffale dietro cui mi ero nascosto, sbriciolando i libri. Della polvere mi cadde sulla tuta, mentre i ringhi si facevano meno numerosi, finché cessarono del tutto. 
Scese un tetro silenzio nella stanza. Rimasi immobile, quando scorsi due fasci di luce roteare sulla parate crivellata di pallottole. Poi qualcosa si posò sulla mia spalla. Scattai in piedi e prima che potessi difendermi, vidi due uomini davanti a me. Mi puntavano i fucili d'assalto. La prima cosa che pensai furono i Figli dei Monolite. Oscar aveva detto che potevamo incontrarli in luoghi come questi. 
Uno di loro mi accecò con la torcia. 
<< Non sembra un Figlio del Monolite. >> Disse una voce nasale sotto la maschera antigas.
<< No. >> Disse l'altro con la stessa voce nasale. << Chi sei? >>
<< Il mio nome è Boris. >>
<< Boris? >>
<< Sì. Il vostro? >> Domandai ai due uomini.
<< Eri al Gap 51? >>
<< Sì. >>
<< Sono Lazar. >>
Spalancai gli occhi sorpreso. Come poteva essere? Era davvero Lazar? Non riuscivo a dire niente.
Mi dissero di seguirli nella stanza adiacente e una volta arrivati, ci togliemmo le maschere antigas.
<< Qui non ci sono radiazioni. >> Disse Lazar con un lieve sorriso. Aveva la faccia stanca, gli occhi incerchiati dallo stress e i capelli bagnati dal sudore. Ci stringemmo la mano, finché ci abbracciamo contenti di rivederci.
L'altro Stalker era Corad. Aveva ancora quello sguardo minaccioso e i bordi degli occhi arrossati. Si era rasato la barba e appariva ancor più possente di prima. << Che scena patetica. >>
Io e Lazar ignorammo le sue parole.
<< Come stai? >> Mi domandò Lazar, posandomi una mano sulla spalla. << Come sei arrivato fin qui? >>
<< Ero con un gruppo di Stalker. Eravamo diretti all'Emettitore Psichico quando siamo stati attaccati dai Mork. Poi è comparsa un anomalia e... Beh, ha fatto fuori tutti i mutanti, ma non so se gli altri del mio gruppo sono sopravvissuti. >>
<< Chi erano? >> Chiese Lazar.
<< Oscar, Bes e Alexander. >> Risposi.
Corad si avvicinò a me. << Dici sul serio? Con quelli là? >>
<< Sì, perché? >>
<< Che ci facevano degli Stalker veterani con un pivello come te? >> Mi toccò lo squarcio nella divisa militare dove un tempo c'erano gli stemmi. << Te li sei tolti, non è vero? Anche sotto una maschera antigas riesco a sentire il tanfo di un militare. >>
<< E' uno Stalker. >> Disse Lazar prendendo le mie difese.
<< Sì, come no. E io sono il Presidente. Non prendiamoci per il culo. So perfettamente che è un militare. Magari li ha uccisi quando è arrivato qui. Sai quanti ne ho beccati di tizi come lui? Disertori del cazzo o doppiogiochisti. Non parliamo dei fottuti infiltrati. So riconoscere questi vermi, come so riconoscere quanti sono le dite della mia mano. >>
<< Non dire stronzate, Corad. >> Rispose Lazar. << Garantisco io per lui. >>
<< Con la tua garanzia mi ci pulisco il culo. >> Corad mi fissò negli occhi. << Dove sono finiti? >>
<< Chi? Oscar e gli altri? >>
<< Sei scemo o fai la parte? >> Sbuffò Corad irritato.
<< Non lo so. Li ho persi di vista quando è comparsa l'anomalia. >>
Corad mi guardò per un attimo, poi si rivolse a Lazar. << Se scopro che li ha fatti fuori, gli sparo alle gambe e lo do in pasto ai Mork. E farò la stessa cosa con te. >>
Lazar mi lanciò un occhiata. 

Indossando le maschere antigas, lasciammo la stanza e ci inoltrammo in una serie di corridoi, che costeggiavano laboratori e box uffici. Militari e scienziati giacevano sul pavimento, sui tavoli o contro la parete, ma dei Mork nessuna traccia. Niente di niente. Mentre camminavamo, cominciai a credere che questo laboratorio x16 fosse simile al Bunker in cui ero entrato con Petrov, poiché ogni camera sembrava una duplicazione dell'altra. Mi sembrava di girare in tondo.
<< Come hai fatto a incontrare Oscar? >> Mi chiese Lazar.
<< Ruslan mi ha detto di andare da lui se volevo saperne di più sulla Zona. >> Risposi.
<< Davvero? >>
<< Sì. >>
<< Beh, se lo ha fatto, allora sapeva che Oscar ti avrebbe aiutato. >> Fece una pausa. << Sapevi che Oscar fa parte di una cerchia ristretta chiamata Ombra? >>
<< Sì, Oscar mi ha accennato qualcosa del genere. >>
<< Anche Corad ne fa parte. >>
Fui sorpreso da quella rivelazione. << Uno di loro? >>
<< Non farti ingannare dal suo temperamento. E' uno dei migliori, credimi. Se non il migliore. >>
Proseguimmo per un po' in silenzio, finché dissi. << Perché siete qui? >>
<< Ti ricordi quando ci siamo lasciati al Gap51? >> Rispose Lazar. << Beh, da quel momento in poi io e Corad ci siamo diretti qui. Ci siamo messi a cercare dei manufatti, ma non abbiamo trovato nulla. A dir la verità sono rimasto molto sorpreso quando mi hai detto che hai visto un anomalia qui dentro. Noi siamo qui da tre giorni e ancora non abbiamo perlustrato tutto il laboratorio x16. >>
<< Cosa? Vuoi dire che ci sono altre stanze? >>
<< Molte di più. Scendono tutte in profondità, ma lì le radiazioni diventano letali e non ci siamo andati. Ti ammazzano ancor prima che tu te ne renda conto. Quindi ti lascio immaginare quanto siano potenti. >>
<< Non raccontare i cazzi nostri agli estranei. >> Disse Corad. 
Lazar lo ignorò. << Vedi, qui sotto abbiamo incontrato due gruppi dei Figli del Monolite. Ovviamente erano morti da chissà quanto tempo e i Mork li avevano smembrati. Solitamente i Figli del Monolite vengono qui per cercare i manufatti da donare al sommo sacerdote del Monolite. Quelli sono pazzi, credimi. L'unica cosa che trovano qui è la morte, ma quelli hanno il cervello troppo in papa per rendersene conto. >>
<< Ma hai appena detto che eri qui per cercare dei manufatti? >>
Corad si fermò. << Che ti avevo detto, Lazar? Dovevi stare zitto. Ora mi tocca ammazzare questo stronzo. >> Mi puntò il fucile d'assalto alla testa.
<< No, fermo! >> Rispose Lazar posando una mano sulla canna del fucile. << Sarebbe inutile, Corad. Anche lui stava andando nella stessa direzione. >>
<< E con questo? >>
<< Non vorrai mica inimicarti Oscar? Succederà questo se fai fuori uno del suo gruppo. Magari sono qui da qualche parte e lo stanno cercando. >>
Corad grugnì e abbassò l'arma, continuando a camminare.
<< Quindi mi hai mentito? >> Dissi.
<< Non volevo, ma... >> Rispose Lazar. << Lasciamo stare. >>

Entrammo in un box ufficio messo a soqquadro. Non ci accorgemmo dei Mork, fin quando Corad non ne vide uno che divorava un cadavere e gli piantò una pallottola nel cranio. Fu allora che sentimmo i Mork sopra le nostre teste. Ce ne erano a decine.
<< Uscite! >> Urlò Corad, coprendoci le spalle mentre sparava alla cieca. 
I Mork ci rincorsero lungo i muri e il soffitto. Quando Lazar fece per chiudere la porta, un Mork ci si schiantò sopra, abbattendola. I mutanti si riversarono nella stanza come un fiume in piena. Corad ne fece fuori tre, mentre Lazar mi lanciò una pistola e si mise a sparare. I Mork correvano a quattro zampe e saltavano da una parte all'altro evitando le pallottole.
Io mirai a quelli più vicini ai due Stalker, ma non ne centrai nemmeno uno. Erano veloci, e ci costrinsero a indietreggiare fin quando toccammo il muro con le spalle. Fu allora che i Mork si gettarono tutti sul pavimento e si precipitarono verso di noi.
<< ORA! >> Gridò Corad.
Lazar lanciò una granata a frammentazione, che colpì la testa di un mutante. L'esplosione spazzò via i Mork. Brandelli di carne e sangue schizzarono sulle nostre tute e le maschere antigas.
<< Non muovetevi. >> Disse Corad, puntando il fucile in vari punti della stanza.
<< Non ce ne sono più. >> Rispose Lazar.
<< Meglio esserne sicuri. >> Abbassò l'arma e si rivolse a me. << La sai usare quella cazzo di arma, perché non hai fatto altro che sprecare colpi. Chissà cosa cazzo ha visto in te Oscar da farti entrare nel suo gruppo. >>
Corrugai la fronte, ma non dissi nulla.

Seguendo un corridoio dalle pareti crepate, entrammo in un grande laboratorio. Vidi di nuovo quei neonati dalla testa deformata nei grandi cilindri medici attaccati al muro. C'erano moltissimi tavoli da laboratorio con sopra agitatori magnetici, mescolatori vortex, alambicchi, essiccatori, pinze e portaprovette. Enormi schedari correvano lungo le pareti e una specie di liquido verdastro fosforescente era cosparso sul pavimento, illuminando debolmente il laboratorio. Mi accorsi solo in quel momento che fra il soffitto e il muro scolava o gocciolava quel strano liquido. 
<< Siamo vicini. >> Disse Lazar. 
<< Non cantare vittoria troppo presto. >> Rispose Corad. << Dobbiamo superare quelle pozze radioattive. >>
<< Vicini a cosa? >> Domandai a Lazar.
<< All'Emettitore Psichico e al Monolite. >>
<< Sono vicini l'un l'altro? >>
<< Una cosa del genere. Il Monolite esiste per davvero, mentre l'Emettitore Psichico non si sa. Voglio dire, alcuni dicono che siano la stessa cosa. >>
<< Non esiste alcun cazzo di Emettitore Psichico. >> Aggiunse Corad. << Non esiste. Non è mai esistito. E' il Monolite che governa la fottuta Zona. >>
Scossi la testa. << Oscar mi ha detto... >>
<< Non mi frega un cazzo di cosa ti ha detto, Oscar. >> Si avvicinò a me con fare rabbioso. << Io l'ho visto quel fottuto Monolite! L'ho visto con quei fottuti occhi! Oscar dice così perché il Monolite è circondato da enormi macchinari arrugginiti. Quindi crede che qui si trova l'Emettitore Psichico, non il Monolite. O tutte e due le cose, non mi ricordo. E comunque non mi frega un cazzo di cosa ha detto! >>
<< Calmati, Corad. >> Aggiunse Lazar. 
Corad raggiunse un contenitore cilindrico in cui giaceva sospeso un neonato dalla testa deforme. << Bastardi... >> Lo sentì dire tra i denti.
<< Ma che gli prende? >> Domandai a Lazar.
<< Fa sempre così quando passa da queste parti. Credo sia per colpa di quei piccoli mutanti nei vetri. >>
<< Che vuoi dire? >>
<< Non ti pare palese? Gli dispiace per quei cosi là dentro. La prima volta che siamo scesi qua sotto voleva persino liberarli. Credeva che fossero vivi. >> Fece una pausa. << Sapevi che gli scienziati rapivano le donne incinte e le segregavano qua sotto, finché non partorivano? Quei neonati erano umani, un tempo. Gli imbottivano di farmaci sperimentali. Credevano che se avessero iniettato quella robaccia nei loro minuscoli corpi, sarebbero cresciuti forti, resistenti e con poteri mentali. Sai, chiaroveggenza, telecinesi e quelle robe lì, insomma. >>
<< Cosa ne facevano delle donne una volta che partorivano? >>
<< Partorivano altri figli usando una specie di fecondazione assistita, una cosa del genere. Oppure se rifiutavano o non riuscivano più a sfornare bebè, un proiettile in testa. >>
Abbassai gli occhi. Come potevano fare questo a delle madri? E per giunta trattare i neonati come cavie? Ma la cosa che mi stupii era la fredda con cui Lazar ne parlava. Che si fosse distaccato da quelle atrocità? Oppure non gliene fregava niente?
<< Muoviamoci. >> Disse Corad. << Aggireremo le pozze radioattive proseguendo su quella passerella. >>
<< Non ci siamo mai andati là sopra. >> Rispose Lazar. 
<< Quindi? >>
<< Potrebbe cedere. Il ferro è troppo arrugginito. >>
<< Non cadrà. >>
Ci avvicinammo alla scala. Corad mise un piede, poi l'altro. Salì cinque gradini, afferrò i parapetti ai lati e iniziò a smuoverli con forza. L'intera passerella traballò, finché non smise di muoverli. << Visto? E' sicuro, cacasotto. >>
<< Cacasotto io? >> Disse Lazar con una smorfia. << Allora fammi andare avanti. Ti faccio vedere quanto sia cacasotto. >>
<< Sei peggio di un bambino. Stavo scherzando. >>
Lazar salì in cima e la passerella si staccò di poco dal muro. << Merda! >> Urlò mantenendosi al parapetto. << Sicuro un cazzo. >>
<< Non ti lamentare. >> Rispose raggiungendolo.
<< Con i tuoi 100 chili di muscoli ci farai cadere tutti. >> Disse Lazar con tono sarcastico.
<< Sì, certo. >> Corad si portò davanti a Lazar, mentre io salii i gradini. << Se ci teniamo rasenti al muro, questo affare non cadrà. >>
<< Davvero rassicurante. >>
Tenendoci con una mano stretta al parapetto e con le spalle al muro, strisciammo lungo la passerella. Sotto di noi le pozze radioattive fosforescenti illuminavano flebilmente vari punti del grande laboratorio. Poi il mio sguardo venne catturato da una pozza ribollente come gli altri, solo che ribolliva come magma incandescente. 
<< Corad. >> Disse Lazar. << Guarda laggiù. >>
<< Cazzo! >> Rispose. << Facciamo presto, o moriremo qui dentro. >>
<< Perché? >> Domandai a Lazar. << Che succede? >>
<< Le pozze ribollenti sprigionano un sacco di radiazioni letali. Possono arrivare anche quassù. >>
<< Ma questo qui non sa praticamente un cazzo di niente. >> Disse Corad con fare irritato. << Ma come cazzo ha fatto a sopravvivere fino ad ora? >>
Quando scendemmo dall'altra parte della passerella, ecco che quella crollò giù. 
<< Ora come torniamo indietro? >> Domandai.
<< Dalla stessa fottuta strada da cui sei venuto. >> Rispose Corad.
<< Speriamo che le pozze radioattive scompaiano al nostro ritorno, >> disse Lazar << O saremo davvero fottuti. >>

Lasciammo il laboratorio e seguimmo un corridoio, entrando in una piccola sala d'aspetto. Poltrone, divani, tavolini impolverati con su sopra delle riviste corrose dal tempo erano sistemati nella stanza. Il pavimento era rivestito di piastrelle grigio scuro, così come le pareti di cemento. Di fronte a noi c'era la reception; un bancone di legno marcescente. Accanto, una doppia porta di legno putrescente e sopra di esso, uno stemma; due teste di falchi che guardavano in direzioni opposta. 
Gettai un occhiata alle mie spalle, perché questa stanza non c'entrava nulla con ciò che avevamo visto fin ora. Mi pareva di essermi come teletrasportato, la stessa sensazione che ebbi quando entrai nella casa in Breyll, ma non era così. 
Della polvere danzava davanti alle nostre torce, quando ci avvicinammo alla reception.
<< Sei sicuro che nessuno sia stato qui? >> Domandò Corad.
<< Perché? >> Rispose Lazar.
<< Ho lasciato lo zaino di Norman qua dietro, ricordi? Beh, è sparito. >>
<< Sicuro che l'hai lasciato qui? >>
<< Non mi credi? >>
<< Certo, ma è strano. Se qualcuno fosse arrivato fin qui lo avremmo saputo dagli altri Stalker. >>
Domandai. << Forse Oscar e gli altri sono arrivati prima di noi? >>
<< Probabile. >> Disse Corad. << A meno che Norman non si sia alzato con le viscere di fuori e si sia ripreso lo zaino. >> Fece un mezzo sorriso divertito.
Corad raggiunse la doppia porta di legno e girò la maniglia. << E' chiusa. Come... >>
Un lampo abbagliante mi accecò. Non vedevo più nulla, a parte un bianco intenso.
<< Che cazzo gli succede? >> Sentii la voce di Corad giungere lontano, come se mi trovassi sott'acqua.
Percepii una mano scheletrica sul mio avambraccio, e quando cercai di divincolarmi dalla presa, altre mani mi afferrarono. << Lasciatemi! >> Mi strattonarono da una parte all'altra.
D'un tratto mi apparve davanti agli occhi il viso insanguinato di Joe. Alle sue spalle, in lontananza, centinaia di persone camminavano verso di me. Erano tutte oscurate da un nero pece. << Boris, aiutami! Boris. >> Mi supplicava Joe, senza muovere le labbra.
<< Joe! >> Gridai nel panico e crollai a terra privo di sensi.

Quando riaprii gli occhi, mi trovavano ancora nella reception. Solo che lo stemma con i due falchi era sparito. Al suo posto c'era un globo e una stella al centro. Mi alzai in piedi, e un lacerante fitta alla testa mi fece barcollare e sbattere le spalle contro il muro. Poi la stanza prese vita. Intorno a me, gli scienziati camminavano a scatti, come una successione di foto. Le loro voci giungevano distorte, parlavano dentro la mia testa, finché diventarono una cacofonia di risate, bisbigli, parole al contrario o di mezze frasi inceppate e ripetute all'infinito.
D'un tratto si spalancò la doppia porta di legno. Due scienziati trasportavano un lettino su cui era adagiata una donna incinta con la testa, le mani e i piedi bloccati. Gridava, piangeva, si dimenava. << Lasciatemi andare! Vi prego, lasciatemi andare. Non dirò niente a nessuno. Vi prego... > Un infermiere sbucò alle mie spalle con in mano una siringa dal liquido viola. Lo diede a un medico che, iniettandola nel collo della donna, cessò di muoversi con gli occhi ancora aperti. Pensai che l'avessero uccisa, ma presto mi resi conto che il suo petto si alzava e si abbassava.
Poi fui nuovamente accecato da un lampo e mi ritrovai a cadere nell'oscurità, seppure non sentivo il vento. Di colpo mi ritrovai in una pianura. Pioveva a dirotto e i fulmini squarciavano il cielo notturno. Voltandomi, vidi la testa deforme di un Porger fuoriuscire dalle acque melmose della palude. Mi fissava con i suoi penetranti occhi violacei, e quando fece per balzarmi sopra, mi ritrovai nuovamente a cadere nell'oscurità. Questa volta mi sembrava di volteggiare nello spazio.
Infine fui catapultato al Gap 51, pieno di Stalker ai tavoli. Vidi la faccia di Ruslan contorcersi in un ghigno incredulo e scioccato quando incrociò il mio sguardo, finché fui scaraventato nell'oscurità. 
Attimi dopo, caddi tra il fogliame di una quercia e mi schiantai sul terreno erboso. Il colpo mi bloccò per un attimo il respiro. Mi voltai sul fianco e lentamente mi alzai in piedi, quando vidi una strana creatura con due teste. Era una chimera. Faccia e corpo da leone, un serpente al posto della coda e una testa scheletrica di un uomo che fuoriusciva a pochi centimetri dalla schiena. Mentre la chimera ruggì, il volto scheletrico emise un strillo acuto, seguito da una frase deformata, gutturale. << Mi dispiace... Mi dispiace... >> Ripeteva. Quando la Chimera fece per caricarmi, fui nuovamente scaraventato nell'oscurità, ma questa volta vidi una luce in lontananza. Un forte bagliore che si face sempre più vicino, fin quando mi avvolse del tutto.
Crollai sul pavimento della reception, e la prima cosa che vidi fu la brutta faccia di Corad. Mi squadrava con fare rabbioso. << Che cazzo gli è successo? >> Disse a Lazar.
<< Non lo so. >> Lazar mi tastò la maschera antigas. << Non ha le cuffie protettive. >>
<< Ma che coglione! >> Si allontanò da me. << Questo batte tutti i pivelli che ho conosciuto. Nessuno si sognerebbe di venire qui senza protezione dalle onde psichiche. >>
<< Oscar lo faceva. >>
<< Ma Oscar è Oscar. Sa sempre dove e come muoversi. E poi quello ha assorbito talmente tante radiazioni in corpo, che forse ha i geni modificati. Prendi Milkovich, ad esempio. Quel bastardo si faceva il bagno nelle acqua radioattive della Palude. Non è mai morto, ma ha fatto morire molta gente che gli stava intorno. >>
<< Improbabile. >> Lazar mi passò il fascio di luce della torcia da un occhio all'altro. << Comunque sta bene. E' solo paralizzato. >>
<< La stessa cosa che è successo a Norman. >> Disse Coard. << Solo che a quello gli è uscito il cervello dal naso e dalle orecchie. Povero bastardo. >> Fece una pausa. << Controlla. Gli si è fritto il cervello? >>
Lazar sbuffò, mentre ripresi lentamente il controllo del corpo. << La mia testa... >> Dissi. Mi sembrava che la mia testa fosse bombardata da mille granate.
Lazar mi indicò il naso. << Stai sanguinando. >> 
Mi asciugai con la manica della tuta. 
Corad mi squadrava come al suo solito. << Dove sei stato? >>
<< Cosa? >> Chiesi confuso.
<< Hai sentito. Dove sei stato? >>
<< Lascialo stare. >> Rispose Lazar. << E' stanco, non lo vedi? >>
<< Perché noi non siamo stanchi? >> Aggiunse Corad irritato. << Sono due giorni che non chiudiamo occhio. Due fottuti giorni! Poi è comparso questo tizio, e i Mork ci hanno attaccato. Sono fedele alla Zona. Non uccido i figli della Zona, ma arriva questo stronzo, e agita le acque. E sono costretto a infrangere la mia promessa. >>
<< Ma questo che c'entra? >>
<< Niente. Parlavo tra me. >> Mi guardò negli occhi. << Allora? Dove sei stato? >>
<< Sono stato per un attimo al Gap 51. >> Farfugliai, impastando le parole. << Ho visto Ruslan, e lui ha visto me. Ne sono sicuro. Era sorpreso. >>
<< Dici sul serio? >> Disse Corad vivamente stupito.
<< Sì. Poi sono stato in una palude. Ho visto un Porger, e prima che mi saltasse sopra, sono finito in un altro posto dove pioveva e tuonava. Lì c'era una chimera. Non ne ho mai vista una in vita mia, e non credo che la vorrò rivedere. >>
<< Poi? Continua. >> Mi incalzò Corad interessato.
<< Mi sono ritrovato in questa stanza. Voglio dire, era uguale, solo che invece di quello stemma. >> Indicai le teste dei due falchi. << C'era un globo con al centro una stella. >>
<< Questa parte è più antica del laboratorio x16. >> Disse Lazar. << Sei tornato indietro nel tempo? >>
<< Non lo so. Ricordo solo di aver visto due medici trasportare una donna incinta che piangeva e si dimenava. L'hanno sedata. Poi sono tornato qui. Non sono sicuro che ciò che ho visto sia stato reale... E' tutto così confuso. >>
<< Questo stronzo è un viaggiatore. >> Disse Corad. << Non ci avevo mai creduto prima. Allora le radiazioni possono avere questo effetto. Le voci erano vere, Lazar. >>
<< A quanto pare sì. >> Rispose con tono dubbioso. << Però è strano che sia svanito proprio qui. >>
<< Che vuoi dire? >> 
<< Che l'Emettitore Psichico è vicino. >>
<< Il Monolite, semmai. >> Disse Corad con voce irritata. << Non esiste l'Emettitore Psichico. >>
<< Esiste, sennò come spieghi questa cosa? >>
Io non ci stavo capendo niente. Mi limitai ad ascoltare, anche perché più parlavo, più la testa mi scoppiava.
<< Per quattro volte sono venuto, qui. >> Disse Corad. << Per quattro volte ho visto il Monolite, ma mai l'Emettitore Psichico. >>
<< Hai mai pensato che l'Emettitore Psichico non siano altro che i macchinari attorno al Monolite? >> Rispose Lazar.
<< Impossibile. Sono del tutto corrosi dalla ruggine. >>
<< E con questo? Non ha bisogno di elettricità per funzionare. >> Fece una pausa. << Ma forse è il Monolite ad alimentarlo? Pensaci un attimo. Ci sono anomalie elettriche nella Zona. Queste anomalie possono fornire corrente all'Emettitore Psichico, sempre che non sia lo stesso Monolite a farlo. >>
Corad guardò Lazar per un momento. Poi sbuffò, come se avesse perso una sfida oratoria. << Può darsi, ma continuo a pensarla diversamente. >>

Mi sedetti sulla poltrona per riprendermi un po'. Spesso la mia vista diventava sgranata, e mi pareva di vedere delle persone nella stanza. Comparivano come flash, lasciandomi fitte dolorose alla testa. Cercavo di non gridare, ma spesso gemevo dal dolore.
Corad cercava di scassinare la serratura della doppia porta di legno. << Fanculo! >> Disse con un grimaldello rotto in mano. Poi ne prese un altro dalla tasca e ricominciò a lavorare.
<< Tutto bene? >> Mi disse Lazar.
<< Perché non abbattete la porta? >> Dissi.
<< Non si può. Lì c'è una sorta di barriera invisibile. Se cerchi di abbatterla a suon di fucilate o calci, beh ti torna tutto indietro. Esperienza personale. >>
<< Ma io non vedo nulla. >>
<< Allora provaci. >> Disse con un mezzo sorriso.
Rimasi zitto.
Poco dopo Lazar disse: << Non è un buon segno trovare la porta chiusa. >>
<< No? >>
<< L'ultima volta io e Corad abbiamo perso il nostro gruppo. Vedi, oltre la soglia c'è di tutto. Ora vedrai un corridoio, tra un ora una foresta e via dicendo. E' il Monolite a mutare il percorso. Non si sa con certezza cosa c'è realmente dietro quella porta. >>
<< Corad ha detto di aver visto il Monolite per ben quattro volte. >>
<< E' vero. Ma quando attraversa quella porta, non sa mai cosa lo aspetta. Sa solo che il percorso conduce al Monolite. Conduce sempre lì. >>
<< Il vostro gruppo com'è morto? >> Domandai.
<< Sono semplicemente svaniti. >> Rispose Lazar. << Un attimo prima erano con noi, quello dopo chissà dove. >>
<< Come fate a tornare indietro se il percorso cambia sempre? >>
<< No, cambia solo quando chiudi e riapri la porta. Non mentre se lì. Ad esempio, io posso entrare adesso e finire nella savana. Se tu chiudi la porta e la riapri, non vedrai né me, né la savana. Ma vedrai qualcos'altro. Mi vedrai solamente se avrò raggiunto il Monolite, perché quel luogo è reale. Mentre il tragitto non lo è. In caso contrario, non mi vedrai mai più. Capito? >>
<< Quindi è così che sono morti i tuoi compagni? >> Chiesi. << Anche se erano con te? >>
<< No, la soglia va varcata da solo. >> Mi rispose Lazar. << Non puoi andare con qualcun'altro. Se lo fai, vieni teletrasportato qui dentro. Ma se insistiti ad andare in compagnia, semplicemente svanisci. I miei compagni non hanno mai raggiunto il Monolite. Sono svaniti. >>
<< E' inquietante. >>
<< Solo la prima volta. >>
Rimanemmo in silenzio per un po', finché dissi. << Corad ha detto di aver visto quattro volte il Monolite. Mi chiedevo... Non ha mai chiesto di esaurire i suoi desideri? >>
<< Non funziona così. >> Rispose Lazar. << E' il Monolite a chiedertelo. Se lo raggiungi e lui non parla, allora i tuoi desideri non verranno mai esauditi. Puoi restare lì quanto vuoi, ma non ti rivolgerà mai la parola. Dovrai tornare indietro e raggiungerlo di nuovo. >>
<< Ma non ha senso. >>
<< Perché la Zona ha un senso? >> Sorrise Lazar.
<< Finalmente! >> Disse Corad alzandosi in piedi. << Ora possiamo entrare. >>
Mi alzai dalla poltrona e lo raggiunsi, seguito da Lazar.
Corad aprì la porta e fui stupefatto di quello che vidi oltre la soglia. Un sentiero sterrato costeggiato di robusti alberi dal folto fogliame, erba e arbusti. Fasci di luce friltravano tra i rami. Sentivo persino il canto degli uccelli.
<< Chi vuole andare per primo? >> Disse Corad.
<< A te l'onore. >> Rispose Lazar.
<< Ok. >> Diede una stretta vigorosa a Lazar, e un ultima occhiataccia a me. << Ci vediamo al Monolite. >> E superò la porta.
Lazar la chiuse e la riaprì. Questa volta oltre la soglia c'era una verdeggiante e sconfinata pianura. Il cielo era azzurro, con qualche spruzzo di nuvola qua e là. L'erba ondeggiava nel vento che arrivava persino oltre la porta. << Quando sarai dall'altra parte. Segui il sole, ma solo dopo mezzogiorno. Se è mattina non seguirlo e dirigiti dalla parta opposta. Se è notte, rimani fermo dove sei. Non preoccuparti, non incontrerai nessuno dall'altra parte. Sarai totalmente solo. Capito cosa devi fare? >>
<< Devo seguire il sole solo dopo mezzogiorno. >> Risposi. << Quindi devo andare a Ovest? >>
<< No! >> Disse Lazar con tono grave. << Qui dentro non c'è Ovest, Est e stronzate del genere. Il sole cambia spesso direzione dopo mezzogiorno. Quindi seguilo sempre. Se non lo fai rimarrai per sempre lì dentro. Comunque il sole ti condurrà a una porta. Lì vicino vedrai una persona. >>
<< Chi? >>
<< Una persona a te cara. Ti chiederà di restare con lei o lui. Ma stai attento; quella persona non è reale. E tieni sempre presente il tuo obiettivo. Guarda sempre la porta, mai gli occhi della donna o dell'uomo. Se lo fai, la tua mente comincerà a vacillare. Avrai difficoltà a capire cosa sia reale o cosa sia fasullo. Più sei consapevole di te stesso nel mondo reale, maggiore sarà la tua resistenza. Ricordalo. >>
<< Non posso entrare senza dover parlare? >>
<< Non farlo! >> Mi fissò negli occhi. << Se lo fai quella presenza ti ucciderà. Non cercare di aggredirlo, ucciderlo o persino evitarlo. Se fai queste tre cose morirai in un battito di ciglia. Mi hai capito? Non devi farlo! >>
<< Ok, Ok, ho capito. >>
<< Bene. >> Mi abbracciò con un sorriso. << Ricordati cosa ti ho detto. Ci vediamo al Monolite! Buona fortuna. >>
Chiusi la porta e rimasi a fissarla. Avevo paura di aprirla. Non sapevo cosa mi sarebbe aspettato dall'altra parte. Poi, facendomi coraggio, girai la maniglia. Oltre la soglia c'era una collina avvolta dalla neve. Non mi convinceva tutto quel bianco. Così feci per mettere una mano oltre la soglia per capire se facesse freddo, quando venni scaraventato dall'altra parte, come se qualcosa mi avesse tirato dentro. Mi voltai per tornare indietro, ma la porta non c'era più. 
Sentii una fitta allo stomaco e il sangue ghiacciarsi nelle vene. Preso dal panico, mi girai in tutte le direzione, ma della doppia porta nessuna traccia. Non dovevo mettere quella cazzo di mano là dentro. Dovevo capirlo che avrebbe avuto questo effetto, ma Lazar non mi aveva detto niente a proposito di questo.
Poi alzai la testa. Il sole se ne stava in mezzo al cielo e il mezzogiorno era già stato superato da un pezzo. Oppure no? Quando abbassai lo sguardo per togliermi la maschera antigas e lo rialzai, il sole si era spostato di poco alla mia destra. Ebbi la conferma che il mezzodì era superato. 
Seguii il sole tenendolo sott'occhio. Mi arrampicai sulla collina con qualche difficoltà. Seppur l'ambiente era avvolto dalla neve, non sentivo freddo. Era come se la neve in realtà, non fosse neve. Stessa cosa per il vento. Soffiava, eppure non sentivo nulla sul mio viso. Anche gli odori sembravano assenti. C'era un silenzio assordante intorno a me, interrotto solo dallo scricchiolio della neve sotto i miei stivali. Almeno potevo sentire i suoni, e quando feci per mettermi in bocca un po' di neve, mi accorsi di non aver messo nulla. Era sparita, il che mi turbò non poco. Gettai una rapida occhiata alle mie spalle, e vidi che persino le mie impronte erano sparite, come se in realtà non ci fossi mai passato da lì. Quando mi girai a guardare il sole, quello si era spostato di molto a sinistra. Così costeggiai la collina, finché arrivai davanti a un dirupo. Sotto una flebile nube avvolgeva quello che doveva essere un fiume. Sentivo le sue acque scorrere vigorose tra le pareti rocciose. Dall'altra parte del dirupo, brulle colline ammantate di bianco si susseguivano all'infinito.
Ero bloccato. Non poteva andare dall'altra parte. Dovevo aggirare il dirupo, e questo mi avrebbe portato a non seguire il sole. Mi voltai per vedere se c'era qualche passaggio da poter usare, ma non c'era nulla. Quando ritornai a guardare davanti a me, vidi un ponticello. Prima non c'era, o forse non l'avevo visto? Da dove si era materializzato? Sollevai lo sguardo per controllare il sole, e lo vidi centrale al ponticello. 
Mentre lo attraversavo, le assi del ponticello scricchiolavano sotto i miei piedi. Poi una si staccò al mio passaggio, e quelle alle mie spalle iniziarono a cadere giù. Mi misi a correre, ma prima di poter raggiungere l'altra parte del dirupo, le corde che sostenevano il ponticello dietro di me si ruppero. Cascai giù, ma riuscii ad afferrarmi a un corda e mi schiantai contro la parete rocciosa. La botta mi bloccò per un attimo il respiro. Poi iniziai ad arrampicarmi, finché mi misi seduto sul dirupo.
Il sole si era spostato di nuovo a destra e mancava un ora al tramonto. Mi alzai in piedi e iniziai ad alternare corsa e camminata veloce. Salivo e scendevo quelle collinette ricoperte di neve, finché ruzzolai giù. Quando mi voltai, la neve schiacciata sotto il mio peso era svanita. Mi issai in piedi e continuai imperterrito a seguire il sole. Quel dannato sole.
Mi sembrava di camminare all'infinito, e l'intera paesaggio non mutava mai, a parte quel dirupo che avevo incontrato mezz'ora prima. Poi, quando pensai di aver perso ogni speranza e di essere bloccato per l'eternità in quell'inferno bianco, scorsi una sagoma in lontananza. Mi avvicinai con calma, mentre capii che quella che mi dava le spalle era una donna. 
Capelli neri ondulati fin sopra le esile spalle, corpo snello, semplice, capii che quella era Sofia. Quando le fui vicino, si voltò verso di me. Evitai di guardarla negli occhi, ricordando le parole di Lazar. Indossava una lunga veste rosa e una cintura attorno alla vita che finiva con un fiocco. Pareva un vestito uscito dagli anni '50. Era scalza sulla neve, seppure i suoi piedi non affondavano, come fosse su terreno solido.
<< Boris. >> Mi disse con voce dolce. 
Il mio corpo fu percorso da uno strano brivido. Qualcosa mi diceva di guardarla negli occhi, ma tenevo gli occhi fissi sui suoi vestiti, finché non apparve una porta rossa al suo fianco. Mi era molto difficile non guardarla negli occhi. L'avevo amata fin dal primo momento che l'avevo vista. Poi quattro gironi dopo, ero stato spedito a pattugliare la Zona. Chissà se la vera Sofia si ricordava ancora di me? Chissà se si era fidanzata, sposata con qualcuno? Chissà se mi aspettava ancora?
<< Boris. >> Mi disse di nuovo.
<< Sì? >> Risposi.
<< Non sei felici di vedermi? >>
<< Certo. >>
<< Allora perché non mi guardi? >>
<< Non posso. >>>
<< Perché? >>
<< E' complicato. >>
Sofia si teletrasportò davanti a me e sussultai dallo spavento, ma non alzai lo sguardo. Lei mi prese dolcemente il mento per farmi alzare gli occhi, ma li roteai al cielo. << Guardami, Boris. >>
<< Vorrei, ma non posso. >>
<< Perché? >> La sua voce era aspra. << Non mi vuoi? Non vuoi più stare con me? >>
<< Certo che lo voglio. >>
<< Allora guardami! >> Gridò con voce quasi demoniaca, scatenando fulmini nel cielo improvvisamente oscurato, mentre raffiche di vento gelido mi sferzavano il viso in ogni direzioni. Ora riuscivo a percepire il freddo. Lo sentivo fin dentro le ossa. Com'era possibile? << Sofia, ti prego. Non posso farlo. >> Avevo il cuore che stava quasi per schizzare fuori dal petto.
<< Resta con me. >> Aggiunse con voce dolce, persuasiva. Per un attimo tentennai e quasi la guardai negli occhi, ma il mio sguardo arrivò all'altezza delle sue labbra e subito lo riabbassai. << Saremo per sempre felici. Potrai stare con me per sempre. Per sempre. Per sempre. >>
Quella frase echeggiava nella mia mente, mi tormentava. Per un attimo guardai la neve e non capii perché ero lì. Dove mi trovavo? Il mio sguardo salii fino al suo naso, ma prima che potessi guardarla negli occhi, mi ripresi.
Lei si allontanò da me, il vento si placò, fulmini e nuvole scomparvero, mentre il sole tramontava oltre una brulla collina, emanando bagliori rossi al cielo. Poi Sofia svanì.
Mi avvicinai alla porta rossa e l'aprii. Oltre la soglia c'era solo un bianco intenso, intimidatorio, quasi accecante. Ci entrai.

Caddi di faccia sul pavimento dissestato e impolverato. L'oscurità mi avvolse, e quando capii di essere tornato alla realtà indossai subito la maschera antigas e accesi la torcia al lato del casco. Il fascio di luce squarciò quello che era un muro divisorio di un water. Alzandomi, mi voltai e mi resi conto di essere dentro un bagno pubblico. C'erano cinque box wc e tutte avevano le porte abbattute. Lo specchio lungo la parete era intatto, ma impolverato. Dell'acqua nera ristagnava nel fondo dei doppi lavabi incassati nel muro.
Uscendo, mi ritrovai in un corto corridoio. Proseguii con la pistola in mano e mi avvicinai alla porta di legno bianco. Quando girai la maniglia, venni catapultato dentro un enorme salone, circondato da generatori, enormi macigni e piante arrampicanti che sbucavano da sotto le mattonelle dissestate fino a salire sul soffitto cementato inghiottito dall'oscurità. Poco più avanti vidi due uomini, che si voltarono verso di me. Erano Corad e Lazar. Quest'ultimo mi abbracciò, e sebbene vedessi solo i suoi occhi dietro la maschera antigas, sapevo che era felice di rivedermi.
<< Sei sopravvissuto. >> Mi disse Corad. Poi si rivolse a Lazar. << Ti devo 100 rubli. >>
<< Avete scommesso su di me? >> Risposi.
<< Che c'è di male? >> Aggiunse Corad. << L'ho sempre fatto, e questa è la prima volta che perdo. >>
Mentre Lazar disse qualcosa, vidi una bagliore argentato oltre le teste dei due Stalker. Diminuiva e aumentava, come se respirasse. Presi a camminare verso la luce, e quando raggiunsi la scalinata, sotto di me vidi un enorme monolito grigio scuro. La sua sagoma emanava intensi bagliori argentati, che mi infusero una serenità mai provata prima. Rimasi incantato da quella visione, e solo allora vidi una specie di apertura oblunga al suo centro. Era di un nero pece, proprio come il liquido che avevo visto in quell'albero quando avevo incontrato il bambino Ombra. C'era qualcosa in quella oscurità che mi attirava ancora più della luce.
Poi una mano si posò sulla mia spalle e mi fermò. Era Lazar. << Dove vuoi andare? >>
<< E' bellissimo. >> Gli risposi.
<< Già. Ma non avvicinarti. >>
<< Perché? >>
<< Spariresti nel nulla. L'ho già visto fare. >>
<< A te funziona il PDA? >> Disse Corad a Lazar.
<< No, a te? >>
<< Nemmeno. >> Rispose irritato. << Ruslan mi aveva promesso che questo aggeggio avrebbe funzionato vicino al Monolite. E' roba da teste d'uovo. Doveva funzionare. >>
<< Quelli non ci capiscono niente, lo sai. >>
<< E io che volevo fare una foto da poter rivendere fuori dalla Zona. >>
<< Beh, hai sprecato solo denaro. >>
<< Giuro che quando rivedrò Ruslan... >>
<< Vi ha parlato il Monolite? >> Chiesi.
<< No. >> Rispose Lazar. << Siamo qui da mezz'ora. >>
<< Mezz'ora? >>
<< Ti abbiamo aspettato, anche se Corad ti credeva disperso. >>
Cominciavo a odiarlo quel Corad. Poteva anche essere un Ombra, il migliore Stalker della Zona, ma il suo modo di fare cominciava a darmi sui nervi. << Quindi è inutile aspettare ancora? >> Dissi deluso.
<< No! >> Tuonò una voce profonda, calda nella stanza. 
Tutti e tre sussultammo dallo spavento.
<< Ha parlato! >> Disse Corad incredulo. Potevo scorgere le lacrime agli dietro i vetri della sua maschera antigas.
<< Avete fatto un lungo viaggio. >> Disse la voce, e capii che usciva dal Monolite, mentre i bagliori argentati roteavano attorno alla sagoma. << Ho veduto ognuno di voi. Ho percepito le vostre emozioni. Ho sentito i vostri pensieri, le vostre parole. >>
Io stavo tremando dal terrore, mentre Corad si era persino tolto la maschera antigas come se averla in faccia gli precludesse di ascoltare meglio.
<< So perché siete qui. >> Continuò la voce. << Come so quante volte siete venuti nella speranza di udire il mio verbo. >>
<< Sì. >> Sussurrò Corad con gli occhi spalancati.
<< Ma tra voi c'è un uomo che è in grado di spostarsi nel tempo e nello spazio. >> Corad e Lazar mi guardarono. << Egli non ha desideri, ma è spinto dalle circostanze. E' giunto qui da interessi altrui ed è guidato dal fato. Enigmatica è la sua mente, e pragmatico il suo cuore. >> 
Poi il bagliore si fece così intenso, da illuminare il soffitto pieno di piante arrampicanti. 
La voce disse. << Corad. Lazar. Venite avanti. Nelle vostre anime è covato un desiderio, ma attenti; ciò che desiderate ardentemente può essere la vostra dannazione. Riflettete. E infine, parlate. >>
Corad non rifletté nemmeno per un secondo e disse.<< Voglio, voglio essere immortale, imbattile. Il migliore. Sì, il migliore. >>
<< Sarà fatto, ma prima anche gli altri dovranno esprimere un desiderio. >>
<< Voglio avere il dono delle conoscenza. >> Disse Lazar. << Voglio sapere tutto. Ogni cosa. >>
<< E tu cosa vuoi, Boris? >> Mi disse la voce.
<< Io, io non lo so. >> Risposi. << Voglio dire, vorrei qualcosa, ma non so cosa. >>
<< E pur sempre un desiderio. >>
<< In che senso? >>
<< L'indecisione è un desiderio non ascoltato. Reso confuso dalla mente e dal cuore che, lottando uno contro l'altro, generano conflitto e caos nella tua anima. >>
Non capivo cosa volesse dire, e quando feci per chiedergli una spiegazione, un fascio di luce illuminò Corad. Un attimo dopo i suoi piedi iniziarono a cementificarsi. << Che mi succede? Cosa cazzo sta succedendo? >>
Io e Lazar indietreggiamo terrorizzati, mentre quello strano liquido simile al cemento gli saliva lungo le gambe, lo stomaco, il petto, le braccia. Corad urlava, ci chiedeva aiuto, finché non fu interamente avvolto da quella strana miscela di cemento che iniziò a luccicare.
<< Adesso Corad è imbattile. >> Disse la voce. << Nessuno lo potrà mai distruggere. >>
Poi dei bagliori argentati simili a tentacoli afferrarono Lazar e lo sollevarono in aria.
<< Lazar! >> Gridai.
I tentacoli diventarono violacei, e mentre Lazar urlava a squarciagola dal dolore, dalla sua bocca fuoriuscì una specie di gettito dorato, che venne subito assorbito dal Monolite. Quando il gettito si concluse, i tentacoli violacei si ritirarono e un mucchietto di ossa e vestiti caddero al suolo. Era tutto quello che era rimasto di Lazar.
<< Adesso Lazar è un saggio. >> Disse la voce. << Non c'è nulla di più saggio e sapiente del Monolite. >>
Preso dal panico, mi precipitai a salire scalinata, quando tutto intorno a me scomparve. Mi trovavo in una bianca distesa infinita. Ovunque volgevo lo sguardo, non c'era nient'altro che il nulla. 
<< Adesso sei parte del vuoto, >> disse la voce dentro la mia mente << poiché l'indeciso, è un involucro pieno di emozioni, ma vuoto agli occhi degli altri. >>
Dove mi trovavo? Dove ero finito?

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