Imperfetti ma non troppo

di ilaperla
(/viewuser.php?uid=334045)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Prologo
 
Non poteva essere vero. Non credeva ai suoi occhi.
Quel cartoncino che stringeva tra le mani non poteva che essere un brutto sogno, avrebbe dovuto smettere di mangiare peperoni prima di andare a letto. Aveva già visto altre volte che non riusciva a digerirli e la notte faceva dei sogni assurdi.
Federica era sempre stata una ragazza sola. Non per volontà, diciamo più per mancanza di voglia e d’interesse.
Aveva passato quasi tutti i suoi anni da single.
I diciotto anni, la maturità, la laurea e ora stava arrivando la battaglia più grande.
Si era chiesta tantissime volte su come ci si dovevano sentire le sue amiche ad avere una persona accanto ma lei non trovava mai una motivazione per dividere la sua vita con un’altra persona, non era segno di egoismo. Semplicemente non erano arrivate le occasioni.
E non era nemmeno la così detta “donna in carriera” che non ha mai tempo per una relazione, al di fuori del sesso occasionale, poiché lavorava nella bottega di restauro dei suoi genitori “Il ferro vecchio” e di carriera non c’era proprio nulla, figurarsi il sesso.
La sua vita poteva essere riassunta in un’unica parola: noiosa.
Ora che i suoi amici iniziavano a sposarsi, sentiva quel peso di essere sola ancora più forte sulle spalle. Si domandava come fosse andare a qualche evento sociale e presentare il suo fidanzato.
Fidanzato, il solo pensare quella parola le provocava un brivido lungo la spina dorsale.
Le persone nemmeno le lasciavano l’invito del “+1” perché ormai sapevano che Federica Belli non avrebbe mai portato un ragazzo, troppo timida per averlo e troppo sognatrice per desiderarlo concretamente.
Ma il momento era arrivato. E nemmeno se lo sarebbe mai aspettato.
Alzò la testa dal biglietto intarsiato da fili d’oro e guardò la coppia davanti ai suoi occhi, dall’altra parte del tavolino in quel bar elegante e super fashion che lei non avrebbe mai potuto nemmeno guardare per quanto era costoso. Roba che nemmeno se avesse venduto tutti quei pezzi di antiquariato del suo negozio avrebbe potuto permettersi un pasticcino.
Per fortuna non avrebbe pagato lei il caffè che aveva bevuto poco fa.
-Mancano due masi- disse lei, guardando prima uno poi l’altro.
Non aveva minimamente idea di quanto tempo prima si consegnasse un invito di matrimonio, ma sembrava così presto ora. Viste le circostanze.
Guardò quel numerino, come una formula matematica, sotto a destra dell’invito. Quel “+1” brillava più delle parole in rosso del foglietto di cartoncino rigido. Allora esisteva davvero.
-E’ così poco tempo… ma c’è dell’altro che dovresti sapere-decretò la sua amica Viviana, muovendosi nervosa sulla sedia.
Federica e Viviana si conoscevano da anni e anni, la prima guardò la sua amica con gli occhi semi chiusi formando delle linee sospettose.
No! Non avrebbe mai fatto da damigella, nemmeno sotto tortura, nemmeno con tutti i coltelli della nouvelle chiusine dello chef Carlo Cracco puntati conto. Guardava troppe puntate di Master Chef, avrebbe dovuto darsi una calmata.
-Cosa hai in mente?- Chiese guardando il sorrisino del futuro marito di Viviana, Carlo che di Cracco non aveva nulla. Che fosse parente dello chef? Le cose si mettevano male.
Viviana prese un grosso respiro quanto il duomo di Milano e spiattellò in faccia la verità a Federica e quel “+1” iniziò ad avere forma e significato.
-Mi farai da testimone.
L’ultima cosa che pensò la mente lucida di Federica, oltre al ricordo che non aveva mangiato peperoni e che non si trattava di un sogno, era che fosse nella cacca di dinosauro fino al collo.
 


Buonasera lettori! 
Si, non avete sbagliato... IlaPerla è tornata alle origini e sta pensando e sviluppando una storia ORIGINALE, divertente e senza tantissimi grovigli. Torniamo, insomma, a qualcosa che ci fa spensierare e fare due risate (si spera).
Mi mancava moltisismo pubblicare qui e mi sono voluta mettere nuovamente in gioco, sperando di portare  a termine una storia come non mi succede da tanto. 
Ebbene, facciamo questa prova.
Che ne pensate? Ora tocca a voi. Fatevi sentire e ditemi se ne vale la pena. 
La storia è molto, molto carina (non dovrei essere così modesta :D) e mi farebbe piacere se le deste una possibilità.
Ditemi tutto quello che volete e apriamo un dibattito ;)

A presto.
Sempre vostra
IlaPerla

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 1 ***




Cap. 1
 
Era inizio giugno e già faceva caldo. L’umidità di Milano entrava nelle ossa fino a farle esplodere, il vero problema è che non esplodevano e continuavano la loro triste e silenziosa tortura.
Nel negozietto in fondo Via Manzoni, non c'era nessuna aria condizionata e chi ci lavorava dentro era costretto a tenere finestre e porta aperta, per far entrare almeno un po’ d’aria. Rarefatta, ma sempre aria per respirare.
Federica si asciugò la fronte con la manica della camicia a scacchi tirata fino al gomito e ammirò il cofanetto di legno scuro, costellato da disegni intagliati, appena tirato a lucido.
Amava come riportava alla luce degli oggetti che erano dati per spacciati. 
La sua camera da letto pullulava di oggettini che i proprietari, stanchi di non utilizzare più, lasciavano in negozio come se fosse una discarica. Federica ne sceglieva quelli più particolari, quelli che avevano più probabilità di essere salvati  e ne dava una nuova luce. Il pezzo di cui andava più fiera era la scrivania bianca che capeggiava la sua camera da letto, piena di tiretti con pomelli marroni. Da fare invidia al proprietario di Ikea stesso.
Chiuse il coperchio del cofanetto proprio quando sentì dei tacchetti irrompere nel negozio.
Guardò l’orologio sopra la porta che divideva il negozio e stanza del restauro e sbuffò, ricordandosi l’impegno imminente.
Senza curarsi di avere il grembiule macchiato di vernice, i guanti sporchi e i capelli tirati su da un bizzarro chignon, fece ingresso nella saletta principale.
Il negozio -una camera di sei metri per sei- era strapiena di mobili antichi, oggetti del novecento e tappeti persiani. Un’atmosfera calda e accogliente, se non fosse per i trenta gradi dell’esterno. Di caldo ce n’era già abbastanza.
Una ragazza slanciata e accuratamente vestita, era appoggiata al banco vicino alla cassa del negozio e sorrideva a Federica che si stava togliendo i guanti, evitando di non sporcarsi le mani.
-Non sei ancora pronta- esordì Dotty pescando dalla borsa Fendi il suo cellulare.
-Devo aspettare mio padre che mi dia il cambio, nel frattempo mi tolgo il camice, mi lavo le mani e sono presentabile.
Dotty, Dorotea per l’anagrafe, era una delle amiche di vecchia data di Federica. Si era offerta volontaria di andare alla ricerca di un abito e di accessori vari per il matrimonio che metteva in ansia la piccola e spaurita Federica. Non saprebbe assolutamente da dove iniziare, maggiormente se si trattava di un matrimonio che faceva invidia a Enzo Miccio e il suo programma in tv.
Quando Dotty aveva saputo che al matrimonio della loro amica lei avrebbe fatto da damigella, aveva sprizzato gioia da tutti i pori. Niente da dire per una ragazza che taglia 40 faceva di cognome.
Federica invece aveva preso la questione della testimone molto a cuore. Era un grandissimo onore per lei testimoniare al matrimonio della sua migliore amica, ma andava in panico -oltre per il vestito e fronzoli vari- quanto perché voleva che a quell’evento, accanto a lei ci fosse qualcuno che l’aiutasse nel camminare su quei trampoli che era sicura avrebbe messo per soddisfare le voglie di tutti e slanciarsi almeno un dieci centimetri in più, voleva qualcuno con cui ballare un lento e non rimanere al tavolo rotondo a trangugiare champagne alla faccia del costo esorbitante di quelle bollicine.
Voleva, una volta tanto, apparire la Federica che nessuno aveva visto e tutto ciò includeva un uomo.
Tipo di genere che ormai non conosceva da sei anni pieni, quando il suo -unico- ragazzo scappò a gambe levate all’estero in un continente ancora indefinito alla ragazza. Puff. Sparito nel niente. Che fosse stata una strega e non se ne fosse mai resa conto?
-Ci sta chiamando Viviana- Dotty alzò il cellulare, facendo vedere anche a Federica il faccino sorridente della loro amica, immortalato come immagine di contatto.
Federica alzò gli occhi al cielo e si slacciò il grembiule dietro ai fianchi.
-Dille che ho comprato un abito fuxia e falle prendere una tachicardia così stiamo apposto fino al mese prossimo.
Dotty sghignazzò e passò il dito sullo schermo, attivando la chiamata mentre Federica tornava nella stanza posteriore per prendere la borsa e sciacquarsi le mani. In sottofondo sentiva solo dei “si” e “no” di Dotty ripetuti fino all’esaurimento.
Strano, perché l’unica in prossimità di un esaurimento ci sentiva solo lei. Avrebbe dovuto cercare una soluzione al problema principale ma non le veniva in mente nulla.
-Buongiorno cara- la voce del padre la fece affrettare nella preparazione.
Si sciolse i lunghi capelli ricci ebano e li fermò con un cerchietto sulla testa per tenerli buoni.
-Buongiorno a lei, signor Belli.
-Dove andate di bello?- Chiese lui non appena Federica tornò nella stanza principale.
-Andiamo a cercare l’abito per il matrimonio, papà- disse lei, lasciando un bacio sulla guancia del suo vecchio.
-Vero, me ne avevi accennato l’altro ieri. Hai bisogno di qualcosa?
Un silenzio imbarazzante scese nel locale. Quel qualcosa era riferito al denaro e nella famiglia Belli quell’argomento era un tallone d’Achille. Non ce n’era mai abbastanza e si facevano troppi sacrifici per venirne a capo ogni mese con il costo della vita a Milano centro e i costi per mantenere una casa e un negozio.
Tanti sogni si erano sgretolati proprio per quel motivo, Federica era riuscita a laurearsi nell’unica cosa che riusciva a saper fare: architettura. Aiutata dalle borse di studio e da un piccolo gruzzolo messo da parte dai suoi genitori, ma si era fermato tutto lì. Perché per intraprendere quella carriera, con stage e viaggi oltre nazione, servivano proprio quei pezzi di carta colorati di troppo valore.
-No papà, ho tutto. Sei sicuro che possa andare? Potrei fare un’altra volta…- venne bruscamente bloccata da suo padre che con un sorrise fece un gesto della mano accantonando la conversazione.
-Divertitevi.
 
Stavano girando da due ore in varie boutique della capitale, Federica aveva toccato del raso, del taffetà, del tulle e non ricorda che altro. Tutto molto particolare, tutto molto variopinto e tutto molto molto costoso. Non appena guardava il cartoncino del prezzo una nazione del mondo crollava sulle sue spalle.
Perché ai matrimoni dovevano andare tutti impettiti e tutti agghindati? Se mai si fosse sposata lei, avrebbe imposto agli invitati di venire con le scarpe da ginnastica e jeans. Per lei non sarebbe stato importante.
-Perché ha messo questo stupido vincolo del tema dei fiori?- Chiese Federica passeggiando per il negozio e guardando qua e la i vestiti appesi agli appendiabiti in ferro.
-Per fare qualcosa di originale- rispose la voce fioca di Dotty, al di la della tenda del camerino.
Federica si sedette sul puffo nero in pelle al centro della stanza ormai dando per spacciata la sua ricerca. Non avrebbe mai e poi mani trovato un abito adatto a lei e al suo portafogli in quei negozi nel centro di Milano.
Dotty si stava provando un abito da damigella scelto da Viviana in persona che si coordinava al suo abito nuziale con tutti gli accorgimenti della stilista in quel negozio.
Sospirò a tracanno il prosecco che le avevano offerto non appena avevano specificato che venivano per nome di Viviana Longobardi. Il loro lascia passare per la felicità.
Viviana e Carlo, non Cracco, avevano deciso di sposarsi a Natale dopo anni e anni di fidanzamento, solo che non avevano detto niente a nessuno e hanno sparato sulla croce rossa solo un mese e mezzo prima del lieto evento. Per far venire un infarto a tutti quanti e tramutare la cosa in genocidio di massa.
All’evento sarebbero stati presenti più di duecento invitati, tra élite delle due famiglie e conoscenti vari.
Il peso del mondo si aggravava ancora di più sulle spalle della povera Federica.
-Come sto?- Chiese Dotty facendo un balzo fuori dal camerino.
Il vestito era rosa porpora, stretto in vita e lasciato morbido fino ai piedi. Il corpetto era drappeggiato e con uno scollo a cuore molto carino e sobrio, il pezzo forte era uno spacco, vedo non vedo, lungo tutta la gonna con un motivo floreale lungo il fianco attorcigliato allo spacco, pittato a mano.
-Wao- fu l’unica risposta plausibile di Federica che in quel momento si chiese se la scusa di una febbre improvvisa avrebbe retto l’impossibilità di presentarsi a quel maledetto matrimonio.
Dotty fece una piroetta ammirandosi nello specchio, subito assediata dalla sarta che le appuntò degli spilli all’orlo e al petto.
-Chi altro ha scelto per le damigelle?- Chiese Federica alzandosi in piedi e sgranchendosi le gambe.
-Lucrezia. credo.
Un lamento strozzato uscì dalla gola di Federica che si voltò di spalle ammirando una pelliccia a un manichino sentendo improvvisamente caldo nonostante l’aria condizionata a palla.
-Federica!- La richiamò con tono solenne Dotty.
-Ok, ok- alzò le mani guardando poi l’operato sinuoso della sarta su quello splendido vestito.
Lucrezia era la peggior nemica di Federica, nonché sorella di Viviana.
Già dalla prima elementare, seppur l’età più piccola di Lucrezia, le due si facevano continuamente dispetti. Si tiravano i capelli, toglievano le sedie da sotto al sedere quando si dovevano sedere, si coloravano le guance con i pennarelli indelebili e tutto si è andato ingigantendo sempre più. Fino a che nel gruppo delle amiche, Viviana aveva ben pensato di inserire anche la sua sorellina perfetta. E così Lucrezia rendeva la vita un inferno a Federica, togliendole i ragazzi, quei pochi che dimostravano interesse stroncati dalla bellezza di Lucrezia, le toglieva i successi scolastici e piano piano quasi del tutto la vita sociale.
Sospirò di frustrazione: le avrebbe reso difficile anche quel matrimonio.
 
-Non capisco il tuo problema- esordì Dotty assaporando la sua granita al caffè -vai al matrimonio da single in carriera e divertiti.
Federica girò con la cannuccia il suo succo all’arancia nel lungo bicchiere.
-Tu non capisci, non hai mai provato ad andare a certi eventi da sola.
-Bhè… mi sarei divertita lo stesso- si difese Dotty trangugiando la bevanda.
-Non hai mai provato Dotty, non puoi saperlo. Ho passato tutta una vita da sola, non ho provato mai la sensazione di stare con qualcuno nelle occasioni speciali, la solitudine è brutta amica mia e io lo so fin troppo bene.
Rimasero in silenzio guardando nei propri bicchieri.
-Hai provato a chiedere a qualcuno che conosci?
-Ti devo ricordare che io non conosco nessuno del genere maschile?
Dorotea rimase in silenzio, colpevole. Sapevano tutti che di certo alle spalle di Federica non c’era la fila con i numerini del supermercato, per gli uomini single e non.
Non perché lei non piacesse, era divertente, schietta, alla mano. Ma c’era qualcosa che non attraeva a primo acchito i ragazzi, troppo occupati ad ammirare le grazie delle altre e sdegnando le curve della ragazza.
Federica guardò l’orologio al polso e bevette in un colpo secco il restante succo.
-Devo andare Dotty, devo aiutare papà a chiudere il negozio. Ci sentiamo in questi giorni e ci aggiorniamo.
Si salutarono velocemente e la ragazza guardò andare via correndo Federica.
Era una persona d’oro, peccato che ancora nessuno lo aveva capito e forse nemmeno lei stessa.
 
Le 23.30 e lei stava sfiorando le mani di Morfeo che gli accarezzava il viso.
Dopo una giornata di lavoro e shopping incompiuto, si sentiva più stanca del solito. Probabilmente per il peso morale di tutta la situazione.
Dopo una cena a base di cotolette riscaldate che la mamma aveva uscito dal freezer e delle patatine cotte nel forno, non aveva la forza nemmeno di continuare il progetto a cui stava lavorando. Solitamente andava a dormire alle due inoltrate, presa da planimetrie e calcoli. Non quel giorno.
Mentre si girava su un fianco, un rumore sordo la fece sussultare e mormorare nel dormiveglia.
Quando aprì gli occhi la seconda vibrazione, del cellulare sul comodino, la fecero svegliare del tutto.
Odiò chiunque la disturbava a quell’ora. Non avevano degli orologi alle loro case?
Probabilmente erano le solite email che le arrivavano dai siti di shopping con le offerte della settimana e cavolate varie. A quell’ora però?
Afferrò il cellulare per impostare il silenzioso, quando notò una notifica proveniente da Facebook e un messaggio.
Accese il lumino e si mise e sedere appoggiata alla spalliera del letto della sua camera ordinata.
La notifica di Facebook prevedeva una richiesta d’amicizia di un utente che non aveva mai visto. Un certo Luca Morelli.
Federica scollò le spalle, no. Non le diceva nulla. Avevano alcuni amici in comune ma erano troppi per poterli controllare singolarmente.
Quando vide che il messaggio in chat era proprio di questo ragazzo, s’incuriosì e aprì la pagina.
 
Da Luca Morelli: Ciao, non mi conosci ma ho saputo che ti serve una cosa che io potrei risolvere.
 
“Oddio” pensò Federica asciugandosi la fronte “un depravato ci sta provando spudoratamente”.
Decise di non rispondere, ma una parte del messaggio la fece tentennare.
Digitò in fretta sulla tastiera.
 
Da Federica Belli: Di cosa stai parlando?
 
Quando vide che lo sconosciuto stava rispondendo, si sentì gelare il sangue e nemmeno sapeva il perché.
 
Da Luca Morelli: Un accompagnatore per il matrimonio della tua amica.
 
La bocca di Federica si spalancò all’inverosimile e iniziò a pensare chi poteva averlo mai detto a questo sconosciuto qui. Nessuno sapeva che avrebbe voluto portare un ragazzo a quell’evento, tranne… Dorotea! L’avrebbe uccisa in mille modi.
 
Da Federica Belli: Te l’ha detto Dorotea, vero? Non mentirmi per favore.
 
Da Luca Morelli: Beccato. Ma c’è una cosa che Dorotea non sa e che, qualora tu accettassi la mia compagnia, dovresti fare.
 
Da Federica Belli: E sarebbe?
 
Da Luca Morelli: Pagamento a fine serata di 1000 euro.

 

Wela, rieccomi qua!
Sisi lo so, avevo solo ieri dato il "battesimo" a questa storia ma dato che ci tengo tanto e la vedo come una sfida e una sorta di riscatto per la mia voglia assopita, ho deciso di regalarvi e regalarmi io stessa il primo capitolo. L'ho scritto mesi fa ed era lì nel pc che faceva a lotta per uscire e ora l'ho liberato.
Che ve ne pare?
Iniziate a capirci qualcosa, no? 
Spero ancora che la storia vi possa interessare, credetemi: sto facendo di tutto per farla spassosa e per farvi divertire.
Ma voi miraccomando, fatemi sapere cosa ne pensate e se siete d'accordo nel continuarla.
RIngrazio già quelle persone che hanno creduto in me e hanno messo la storia nelle "seguite", mi avete fatto fare i salti di gioia.
Lasciatemi un commentino e sarò la donna più felice del pianeta.

A presto.
Sempre vostra
IlaPerla

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap. 2 ***




Cap. 2
 
Un prostituto.
Un gigolò.
Un… un… santo cielo! Era un figo allucinante.
Federica stava controllando per la milionesima volta le foto pubbliche del profilo Facebook di quel Luca Morelli. Non aveva ancora accettato la sua richiesta di amicizia ma il tipo, un gradasso allucinante, tanto era pavone che faceva vedere a tutto il mondo quasi tutte le sue fotografie rendendole pubbliche.
Di bello era bello e anche più. Ma Federica non avrebbe mai e poi mai accettato di scendere a patti con lui solo perché non voleva essere additata come la solita "sfigatella solitaria". No!
Che poi nemmeno ce li aveva mille euro. Non se ne parlava proprio.
Appoggiò il cellulare, bloccandolo, sul piano di lavoro e si mordicchio le pellicine dell’indice, pensierosa.
Si sentiva umiliata e destabilizzata. A che punto era arrivata… a dover pagare un ragazzo per farsi vedere accompagnata almeno una volta nella sua vita. Aveva toccato proprio il fondo, non c’era un’anima viva che se la filasse, poi arrivava mister muscolo idraulico gel e le proponeva di essere il suo accompagnatore sotto pagamento.
Dall’altra parte poi, si sentiva più sfigata del solito perché per l’ennesima volta avrebbe fatto vedere a tutti che non era capace di portarsi nessuno.
Incapace.
Sbuffò esasperata sedendosi sullo sgabello in metallo nel retro bottega, guardando il tavolino che avrebbe dovuto scartavetrare, dipingere di fresco e lucidare. Un lavoro che le avrebbe occupato gran parte della giornata e non le avrebbe lasciato spazio di andare alla ricerca, da sola, di un abito a tema per il matrimonio.
Faceva caldo, c’era una cappa insopportabile e Viviana si doveva sposare tra poco più di un mese e mezzo. Iniziava a sentire l’ansia scalpitare.
Sarebbe stata più tranquilla se si fossero limitati al semplice matrimonio, si sarebbero visti lì e pace e bene. Invece c’erano le cene di famiglia, con gli invitati più intimi, c’erano i pranzi di prova alla sala ricevimenti e ci sarebbe stato l’addio al nubilato in grande stile.
Sapeva che a fine matrimonio, si sarebbe dovuta prendere una vacanza di almeno due mesi per ricarburare. Peccato che tra tutti i soldi che avrebbe dovuto sborsare, non poteva prendersi il lusso di una pausa.
-Toc-toc- esordì la voce roca del padre di Federica.
La ragazza aprì gli occhi di scatto e sorrise a quel volto che iniziava a vedere i segni di qualche ruga.
-Tutto bene qui?- Domandò, posando una mano sulla spalla di sua figlia.
-Tutto liscio come l’olio.
-Bene, bene. Hai trovato l’abito perfetto?- Le domandò sorridendo.
Federica sorrise di rimando e scese dallo sgabello andando dritta verso il tavolino da restaurare.
-Non ancora ma ho ancora abbastanza tempo.
Il padre assecondò con la testa e guardò sua figlia cercare la cartavetro e una mascherina per proteggere gli occhi.
Rimasero in silenzio ma Federica sapeva ciecamente che suo padre voleva dirle qualcosa, solo che non trovava il coraggio. Così decise di andargli in contro.
-Papà, tutto bene?
-Certo.
-Devi chiedermi qualcosa?
-In verità…
Eccolo, lo sapeva!
Gli sorrise e si risedette sullo sgabello difronte a quell’uomo che l’aveva vista crescere e maturare giorno dopo giorno, come un frutto maturo sul ramo più alto dell’albero pronto per essere colto.
-Ti vedo turbata in questo periodo- le disse prendendole le mani nelle sue.
Federica ne percepì la pelle ruvida, levigata dal tempo e dal duro lavoro che faceva da anni e anni. Mai stanco, mai che volesse fare altro. Invece lei era un punto interrogativo vivente, non sapeva fare piani, ne aveva paura. Avrebbe voluto dare una svolta alla sua vita ma non era possibile. Troppa paura di lasciare il terreno sicuro e arido della sua vita per gettarsi nell’ignoto. Diamine, aveva anche paura a cercare un ragazzo come accompagnatore. Ci mancava che mettesse un annuncio sul giornale.
-Ho qualche pensiero in testa ultimamente. Ma niente di preoccupante.
Il padre assecondò con la testa e strinse le labbra in una linea dura e severa.
-Qualsiasi cosa accada, ricordati sempre chi sei. Questa è la cosa che mai cambierà nella tua vita, il resto è solo una strada che tu dovrai percorrere.
Federica rimase in silenzio, assorbendo tutte quelle parole che le sarebbero servite in giorni difficili, che sapeva non sarebbero tardati ad arrivare.
Il padre le diede un buffetto sulla guancia, ripercuotendola.
-E ora finiamo questo tavolino, così puoi andare a cercare le tue cose.
Le strizzò un occhio e insieme si dedicarono a quel nuovo ma vecchio lavoro.
 
Era uscita prima dal lavoro, sotto la benedizione del padre e stava passeggiando per i Navigli per andare a prendere la metro più vicina.
Si era lasciata trasportare dai suoi piedi, incurante di dove portassero. Quando si rese conto di essersi spinta oltre dal suo solito giro, decise di tornare a casa.
Aveva scovato qua e là qualcosa di carino, ma non ancora quel qualcosa che le lasciasse la bocca aperta. Avrebbe dovuto continuare a girare.
Mentre attraversava un ponte, il suo cellulare prese a squillare.
Accettò la chiamata e portò all’orecchio l’apparecchio.
-Dove ti trovi?- Domandò Viviana allegra.
-Sto per tornare a casa, perché?
-Noi siamo al Koba, che ne dici di fare un salto?
Federica guardò l’orologio al polso, erano le 20.30 e volendo aveva tutto il tempo di prendere un cocktail -analcolico- con le sue amiche, non ci usciva da tantissimo tempo insieme e le mancavano quelle riunioni.
-Ok, prendo la coincidenza e arrivo.
-Ti aspettiamo.
 
Quando entrò nel locale, la gente era parecchia. Comprensibile, dopo il lavoro i milanesi erano soliti trovarsi ai tavoli di un pub per sorseggiare qualcosa e chiacchierare con gli amici.
Scovò il tavolo delle sue amiche quasi in fondo alla sala.
A passo deciso si avvicinò, sedendosi sulla sedia libera.
-Hei, bella pollastrella. Che fine hai fatto?- Le chiese Viviana abbracciandola accanto a lei.
-Tutta colpa tua, sono alle prese nella ricerca dell’abito perfetto. Nemmeno mi dovessi sposare io- disse Federica per poi lasciare l’ordinazione al cameriere che si era avvicinato.
-Oh… se avessi fatto la damigella, avresti tutto pronto- s’infilò nel discorso Dotty, posando il mento sulle mani congiunte.
-Certo, sarei stata proprio bene nell’abito da fatina.
-Ovvio che saresti stata bene ma il tuo posto è accanto a me su quella navata- decretò Viviana sorseggiando il suo martini con l’oliva.
L’ordinazione arrivò poco dopo e Federica bevve quel liquido arancione con gusto.
-Sarà un giorno indimenticabile- disse con gli occhi sognanti, Dotty.
Viviana sorrise dolcemente e Federica mescolava il liquido con la cannuccia.
-Oh!- Esclamò a un tratto Viviana come se si fosse ricordata di una cosa impellente -Hai pensato al tuo +1?
Per poco il cocktail che stava tranquillamente bevendo, non le uscì dal naso e subito dopo Federica si trovò a tossicchiare convulsamente.
-Cosa?- Chiese giusto per recuperare un po’ di tempo e mettere in ordine i pensieri. Ma tutto ciò cui pensava era quel maledetto Luca Morelli.
-Ti chiedevo se avessi pensato a qualcuno da invitare al matrimonio. Che ti facesse da accompagnatore.
-Stavo pensando di venire sola.
Federica lanciò un’occhiata a Dotty che le sorrise maliziosa.
Ovviamente, lei non sapeva il giochetto di quella specie di gigolò moderno che adescava le clienti su Facebook. Orribile.
-Non se ne parla!- Sbottò Viviana, sbattendo il suo bicchiere sul tavolino.
Federica la guardò scioccata, aspettandosi di vedere anche del fumo uscire dalle piccole e strette narici.
-Perché?- Chiese lei, stringendosi nelle spalle.
-Perché no! Per una volta dovresti essere accompagnata da qualcuno.
-Mio fratello va bene lo stesso?- Chiese Federica pensierosa.
-Tu non hai un fratello- ci pensò su Viviana. Sì, era leggermente brilla e considerando quanto riusciva a sopportare l’alcol era mezza ubriaca.
-Ma dai? Comunque ne riparliamo un altro giorno, finiamo di bere e ti riportiamo a casa… sposina.
-Perché? È già finita la serata?
Dotty e Federica si guardarono divertite, sicuramente questa situazione era data dalla mole di ansia per la giovane sposa, infatti quando Viviana richiedeva un’uscita tra loro tre era perché qualcosa non andava e si sentiva sotto pressione, voleva allentare un po’ la presa e sicuramente tutto questo era per lo stress accumulato degli ultimi eventi.
-Andate già via?
Riprese una voce alle loro spalle che fece sorridere Viviana, alzare gli occhi al cielo Federica e sghignazzare Dotty.
Lucrezia, al braccio della sua nuova conquista, si avvicinava al tavolo delle ragazze.
La prima cosa che vide Federica furono le gambe chilometriche e snelle, fasciate da un pantalone nero stretto a sigaretta, salendo il busto era inarcato e signorile, vestito da una maglietta a bretelline e ai piedi dei sandali bassi che però la slanciavano come la torre di Pisa.
Federica storse le labbra chiedendosi perché madre natura a lei le aveva dato delle gambe basse e tozze e le braccia da mister muscolo all’ultimo stadio. Quello era razzismo di bell’aspetto.
-Per tua sorella si- rispose Dotty, indicando Viviana che sorrideva come se avesse visto Gesù.
-Credevo anche per Rica- appuntò Lucrezia guardando la ragazza.
Federica sorrise ironica, mostrando la dentatura -che piacere vederti Ezy.
Rispondere a quel nomignolo che le aveva appioppato con uno che l’altra odiava, sembrava molto da ragazzine di undici anni, ma per loro era semplicemente l’abitudine. Il punzecchiarsi da una vita non poteva crollare così, da un momento all’altro.
-Oh… ciao. Tu chi sei?- Chiese sempre Federica, guardando il mal capitato al fianco della bionda. Come poteva essere che Lucrezia e Viviana, seppur così identiche nell’aspetto, fossero totalmente agli antipodi caratterialmente?
Il ragazzo fece per rispondere, quando Lucrezia lo zittì posandogli una manata, non troppo gentilmente, sul braccio nudo facendolo bloccare.
-Dicci Rica, hai trovato il tuo +1 per il grande evento? Se vuoi posso presentarti qualcuno. Dovrebbe esserci Bobby, ricordate Bobby vero? Il forungolone che si prese una cotta spropositata della nostra Rica? Forse era lui il fidanzato misterioso.
Federica ribollì dalla rabbia e se possibile ancora di più quando diede ragione alla perfida Lucrezia.
Daniele nessuno lo conosceva, il suo primo e unico ragazzo considerato serio. Scappato prima che potesse almeno presentarlo alle sue amiche. Alle volte ci pensava e arrivava alla conclusione che anche lui si vergognava di lei, tanto da mollarla e scappare via chissà dove.
Di Daniele non aveva e non voleva più sapere niente. Era un capitolo chiuso, seppur con sofferenza ma chiuso ermeticamente.
-Lucrezia, smettila- la esortò Dotty, guardando di sottocchio la reazione di Federica che rimase in silenzio e non rispose all’accusa. Tirò su un sorso dalla cannuccia del suo drink e prese a parlottare con Viviana che continuava a sorridere come un’ebete.
Lucrezia, dopo aver visto la fine di sua sorella, decise di riportarla a casa e di avvisare Carlo -sempre non Cracco- del pericolo scampato.
Mentre Dotty e Federica guardavano la macchina allontanarsi fuori il bar, Federica promise che se mai un giorno avesse deciso di prendere marito -un essere non alieno- non si sarebbe ridotta a quei ritmi atroci di preparativi, come se non ci fosse un domani.
Preferiva viversela serenamente.
 
Appena tornata a casa, Federica si buttò sul letto facendo sballottolare i suoi peluche. Erano sopra quella trapunta di patchwork da quando aveva sei anni. C’erano tutti lì. Il cane Tobi in memoria al primo cartone animato della Disney che aveva amato “Red e Tobi”, l’orsacchiotto gigante regalato per il quinto compleanno di Federica dal padre, una scimmietta e un panda. Tutti rigorosamente lavati e profumati ogni mese, se avesse avuto un animaletto domestico lo avrebbe tenuto come una reliquia.
Guardò il soffitto ammirando una macchiolina di umidità nell’angolo. Tutti la davano ormai per spacciata, tutti ormai sapevano che sarebbe stata sempre sola -se non si consideravano i peluche- e a lei faceva male il cuore a quell’idea.
No perché non le piacesse stare da sola, ma alle volte avrebbe voluto qualcuno che l’abbracciasse quando tutto il mondo le era contro. Era stanca di combattere contro i suoi sogni, contro il problema denaro, voleva qualcuno che le sussurrasse che sarebbe andato tutto bene. Nessuno aveva mai fatto tutto ciò.
E tutti lo sapevano che sarebbe stato così fino alla fine, anche lei. Ma questa soddisfazione, almeno per una volta, non voleva dargliela a quelli come Lucrezia che l’additavano come una poveraccia che non è capace nemmeno di tenersi un normale ragazzo accanto.
Decisa si rimise in piedi, accese il computer e si mise in attesa di vedere l’immagine con le sue migliori amiche su quell’oggetto preistorico.
Accedette al wifi dei vicini ed entrò su Facebbok, decisa a fare quello che doveva fare.
Aprì la cartella dei messaggi, cliccò sull’ultimo messaggio ricevuto e digitò in fretta, senza ripensamenti.
 
Da Federica Belli: Accetto. A una condizione, nessuno deve sapere nulla.
 
Rilesse il messaggio dieci volte dopo averlo mandato, Luca ci stava mettendo troppo per rispondere.
“E se ci avesse ripensato?”
“E se mi ride in faccia e lo va a dire a tutti?”
Troppe cose passarono nella mente di Federica in quei minuti, tanto che decise di andare in cucina a prepararsi la cena ma proprio quando si decise ad alzarsi, il rumore sordo della chat la fece mancare un battito.
E solo un attimo dopo il sorriso, si rese conto della grossa e immensa situazione in cui si era andata a impelagare.
 
Da Luca Morelli: Domani alle 17 al Duomo.
 
L’indomani, grazie al cielo era il suo giorno di riposo altrimenti avrebbe dovuto iniziare a trovare scuse su scuse da dire al padre, si voleva prendere a schiaffi.
Era da un quarto d’ora davanti al Duomo aspettando chissà chi e chissà che cosa. Non lo conosceva e lui non conosceva lei, come avrebbero fatto a riconoscersi?
Sentì un brivido di freddo passargli sulle braccia nude, niente a che vedere con il caldo torrido di quell’estate.
Alzò la testa e si coprì gli occhi dai raggi solari, guardando il cielo limpido di Milano a giugno.
La piazza pullulava di turisti in pantaloncini che scattavano foto anche ai mille piccioni che svolazzavano ovunque, avrebbe tanto voluto essere una di quelle persone. Ammirare quella città con occhi diversi e non con quelli che ormai sapevano esattamente cosa evitare e che posti ammirare. Voleva andare contro l’ignoto, senza pensare che l’ignoto le stesse venendo contro.
Sentì una presenza alle spalle e in quel momento si disse che ormai era fatta, lui era lì. Il suo finto fidanzato era dietro di lei.
-Tu dovresti essere Federica…- le disse la voce, leggermente dubbiosa.
La ragazza si voltò scontrando letteralmente il naso al petto del giovane. Era dannatamente vicino e dannatamente alto. Fece un passo indietro per guardarlo e la testa era completamente gettata indietro per osservarlo.
Il viso squadrato, con la mascella prominente e cosparsa di una barbetta nera, era vigoroso e affascinante. Le labbra fine e percettibili si allungavano all’insù in una smorfia dubbiosa, il naso aquilino si allungava sotto un paio di occhiali da sole totalmente neri. Il ciuffo dei capelli, vaporosi, era portato a un lato facendolo apparire morbido e setoso.
Se l’era scelto bene come fidanzato.
Il fisico era alto e nella norma, non sembrava nascondere muscoli chissà dove e non c’era nessun osso alla prima occhiata, che sporgeva da chissà dove.
L’abbigliamento era casual, con i bermuda e dei mocassini marroni ai piedi e una polo. Federica percepiva odore di soldi e la rabbia, le tornò alla testa. E certo… con tutti i solidi che si prendeva per fare “l’accompagnatore”.
-T’immaginavo più alta- la vocina le fece strabuzzare gli occhi e arricciare le labbra.
-Come scusa?- Pregò di aver sentito male.
-E anche non sorda.
Federica strinse il pugno della mano destra pronta a scattare su quella deliziosa ma dannata mascella, non che avesse mai preso a pugni nessuno prima d’ora ma c’era sempre la prima volta per tutto.
-Sono Luca- disse il ragazzo, allungando la mano.
Federica guardò sospettosa prima la mano e poi si guardò attorno come se a un tratto dovessero uscire dei cameramen con delle telecamere. Si sentiva tanto presa per i fondelli.
-So chi sei- tagliò corto lei, portandosi le bracca al petto.
-Le relazioni di solito iniziano sempre con le presentazioni.
-Non vedo nessuna relazione qui- disse lei guardando sarcasticamente attorno.
Luca sorrise divertito, mettendo in mostra i denti chiari e perfetti. Per un attimo Federica credette di vedere un lampo di luce riflettersi su quelli. Ma che diamine.
 -Permalosa- apostrofò Luca in direzione dell’espressione tattica della ragazza che rimaneva sulle sue.
-Quanti complimenti. Smettila, mi fai arrossire.
Luca scoppiò a ridere, gettò indietro la testa facendo muovere quel ciuffo adorabile che Federica quasi invidiava in confronto ai suoi ricci crespi che si ostinava a domare, inutilmente.
-Un punto per te bambina. Sei uno spasso.
-Me lo ricorderò e poi, non sono una bambina!- decretò offesa, forse per la prima volta da quando quel ragazzo le stava elencando tutti i difetti.
-Ah no? E quanti anni hai? Diciannove?
Federica si sentì bollire dalla rabbia, odiava quando la prendevano in giro implicitamente per il suo aspetto fisico, era bassina e morbida. Tutti le davano almeno qualche anno dimeno in confronto a quella che era la sua età reale. E se a certi faceva piacere, a Federica faceva imbestialire. Lo sapeva già di se che non assomigliava alle sue coetanee, era inutile girare il coltello nella piaga ogni volta che si trovava a tu per tu con una nuova persona.
-Ne ho venticinque, idiota!
Luca fece una smorfia colpito, non si aspettava di certo quell’età, visto che la ragazza non li dimostrava. Forse era un bene.
Non aveva potuto controllare sul suo profilo nel social network tutte le sue informazioni, perché Federica non lo aveva ancora aggiunto alla cerchia degli amici e non ne capiva il perché.
-Gli porti bene- sghignazzò lui, facendo alzare gli occhi al cielo della sua interlocutrice.
-Ti va di bere qualcosa? Così parliamo di lavoro- aggiunse Luca, indicando la galleria alle loro spalle.
Seppur senza voglia, Federica accettò. Era pur sempre un “lavoro” per il giovane.
 
-Allora, dove e quando ci siamo conosciuti?- Domandò Luca non appena si sedettero ad un tavolino dentro il bar all’aria fresca del condizionatore.
-Come?- Chiese a sua volta Federica, appoggiando la borsa sulla sedia accanto a loro.
Luca si tolse gli occhiali da sole e forse, per la prima volta, Federica rimase realmente senza parole.
Se avesse osservato quella scena dall’esterno, avrebbe visto la sua espressione come un pesce lesso, con la bocca aperta e gli occhi fuori dalle orbite. Un po’ come quei cartoni animati che vedeva negli anni 90.
Grigi, ma non di un grigio scialbo e insignificante. Erano grigi con striature celesti, erano per caso ipnotici? Perché lei non riusciva a staccare lo sguardo anzi… avrebbe voluto avvicinarsi e ammirarli più attentamente. Studiarli e riportarli su un foglio da disegno per non dimenticarli mai più.
Si riscosse solo quando vide le labbra di Luca muoversi e capendo che le stava dicendo qualcosa, vi portò attenzione.
-…ci saremmo dovuti conoscere pur da qualche parte- osservò lui, bloccandosi quando arrivò il cameriere.
Federica aprì la bocca per ordinare il suo ordinario e succulento thè al limone, ma fu bloccata dalla voce di Luca che a quanto pareva, aveva segnato il territorio come l’unica persona predominante in quella sorta di “relazione”.
-Due Bellini- ordinò sapiente.
-In onore al tuo cognome- le disse, strizzandole l’occhio, non appena il cameriere se ne fu andato.
-Fortuita coincidenza- puntualizzò Federica, indispettita.
-Ci siamo conosciuti due mesi fa, mi avevi portato un orologio a pendolo da far aggiustare. Ci siamo ritrovati due giorni dopo a un bar di quartiere e mi hai invitato ad uscire- disse poi, indifferente, mentre ricordava tutto il piano che si era costruita la notte scorsa mentre si girava e voltava per riuscire a prendere sonno.
Luca fece un suono gutturale, mentre si massaggiava il mento pensieroso e cercando di assorbire tutte le informazioni che quella ragazza le aveva lanciato.
-Che lavoro fai?- Le chiese, dando voce alla prima domanda che gli vorticava in testa.
-Mi sono laureata un anno fa in architettura e ora restauro oggetti antichi nel negozio di antiquariato di mio padre, è lì che tecnicamente ci siamo conosciuti.
-Perché non lavori nel campo dei tuoi studi?- Le chiese interessato lui, sporgendosi in avanti sul tavolo.
Federica iniziò a sentire l’aria rarefatta, quegli occhi la stavano studiando in modo tale da sapere quello che c’era sotto la superficie ma lei non era abituata a tutto ciò, probabilmente era quello che faceva chi aveva una relazione, sapere tutto dell’altro e in quel momento si chiese se avesse fatto bene ad aprirsi con il suo finto fidanzato.
Non ebbe il tempo di rispondere alla sua domanda interiore, perché arrivò il cameriere poggiando sul tavolo due bicchieri dal calice lungo e stretto.
Luca né afferrò uno alzandolo davanti a sé -al nostro contratto.
Federica lo guardò scettica e lui aggiunse ridacchiando -verbale e segreto.
La ragazza non poté fare altro che sospirare, prendere il suo di bicchiere e far tintinnare il vetro contro vetro.
Prese una sorsata generosa e sentì l’alcol gradevole infiammarle la gola, facendole dimenticare tutta la situazione in cui era capitata.
-Allora… dicevamo?- Riportò l’attenzione Luca su di loro, quando notò che la ragazza si leccava le labbra distrattamente.
Federica decise di aprirsi almeno un po’, far vedere uno spiraglio nella sua vita monotona non era un male, no?
-Non ho la possibilità di provvedere a degli stage, ecco per cui prima mi metto un gruzzolo da parte e poi dedicherò tempo e denaro al mio sogno.
Luca rimase in silenzio e prese a giocherellare con il liquido rimasto nel bicchiere facendolo roteare sul fondo.
-Però spendi dei soldi per questa pantomima- disse Luca, indicando lo spazio tra lei e lui.
Federica si sentì gelare il sangue e rimpianse di aver aperto proprio quella porta sui suoi difetti.
-Di quello che faccio con il mio denaro, non sono affari tuoi, come io non mi immischio nel tuo giro di abbordaggio, non farlo nemmeno tu su di me- sputò velenosa, puntando gli occhi sul marmo del tavolino per non guardare il volto del suo accompagnatore.
-Anzi…- continuò lei imperterrita incrociando le braccia al petto -se vogliamo dirla tutta, perché lo fai tu?-
Aspettò una risposta, qualsiasi ma non arrivò nulla. Se lo chiedeva da giorni ormai. Luca sembrava troppo bello e troppo facoltoso per queste pantomime.
Dopo un silenzio imbarazzante il ragazzo sospirò e si alzò in piedi.
-Hai ragione, non sono affari miei- prese il portafoglio e lasciò cinquanta euro sul tavolo -ti manderò tutti i dettagli per messaggio stasera, ricordati che non faccio sconti per nessun motivo al mondo.
Detto questo, inforcò gli occhiali da sole che aveva appoggiato sul tavolino e andò via senza un cenno e senza un saluto. 

 

Buonasera a tutti lettori.
Eccoci qui con il secondo capitolo di questa storia, ditemi tutto... vi piace? No?
Oggi conosciamo meglio i protagonisti, tra cui Luca Morelli che sarà quel belloccio che vedete in copertina. Lo avete riconosciuto? Si, è lui Mariano Di Vaio :D Ah... pensieri impuri.
Luca è uno stronzetto, no? E' la prima volta che scrivo di questo tipo di personalità. Che Zeus me la mandi bene.
Ringrazio davvero chi mi ha lasciato una sua opinione nello scorso capitolo, mi è servita molto per darmi quella carica che si necessita per continuare a scrivere. Vi rinnovo l'invito perchè sono molto molto curiosa di sapere le vostre sensazioni. Se avete un minutino lasciatemi un vostro pensiero.
Io vi saluto e vi auguro una buona serata.

A presto.
Sempre vostra
IlaPerla

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap. 3 ***




Capito 3
 
Quando sentì la suoneria inconfondibile di un messaggio, lasciò da parte tutto quanto quello che stava facendo, in verità niente di strepitoso perché quel giorno doveva stare dietro il bancone principale sostituendo il padre che era andato ad una visita medica con la madre fuori Milano, credendo fosse finalmente il ragazzo dagli occhi grigi che si faceva sentire.
Non che stesse in attesa di un suo messaggio -o si?- però era curiosa di scoprire i toni del giovane, visto il modo in cui aveva lasciato il bar e visto il silenzio stampa che aveva attuato da due giorni.
Quando il nome di Dorotea lampeggiò sullo schermo, Federica ci rimase male. Non capiva quel silenzio di Luca, ma se c’era una cosa certa è che lei non avrebbe mosso un dito.
Voleva quei soldi? Che se li venisse a prendere.
 
Da Dotty: Stasera festa al Mambo. Nessun no come risposta.
 
Era venerdì sera e Federica, come ogni venerdì sera che si rispetti, non aveva voglia di uscire. Fece sforzo mentale per ricordare l’ultima scusa detta alla sua amica per rimanere in panciolle dopo una giornata faticosissima ma in quel momento si rese conto che era ormai troppi week and che si dava per latitante.
Se voleva mantenere una vita sociale, seppur bassa, ogni tanto doveva mettere il naso fuori… oltre per il percorso casa-lavoro, lavoro-casa.
 
Da Federica: Alle 21 passo a prenderti.
 
Avrebbe preso la sua macchina, così non avrebbe dovuto aspettare gli altri per andare via se si sarebbe annoiata. Tattica testata da ogni sfigatella incallita.
 
Erano le ventidue quando misero piede nel locale che pullulava di colori, gente e musica.
La solita Dorotea aveva impiegato più del necessario a trovare il coordinato perfetto tra biancheria intima e scarpe con il tacco. Il segreto stava nel non chiedere spiegazioni, altrimenti avrebbero finito nel 3.000.
Si guardarono attorno per cercare di individuare la loro comitiva di amici, Dotty che era più in alto grazie ai tacchi, scrutava meglio il territorio. Federica si limitò solo a guardarsi attorno per capire da dove sarebbe fuggita.
A un tratto fu afferrata dal polso dalla sua amica e fu trascinata sulla sinistra, non ebbe nemmeno il tempo di protestare per la forza sovrumana, che si fermarono davanti a tutto il gruppetto che rideva e beveva allegramente.
Federica salutò Viviana e Carlo con un bacio sulla guancia e scansò volutamente il faccione di Lucrezia, dipinto a regola d’arte.
Prese posto sul divanetto appoggiato alla parete, in modo tale da guardare tutto quello che stava accadendo attorno senza alzare un dito.
Dotty prese un bicchiere di prosecco dal cestello centrale del tavolo e lo passò a Federica che lo accettò con gratitudine. Almeno l’alcol era ben accetto.
-Come sta tuo padre?- Chiese a voce alta Viviana, per farsi sentire dalla sua amica.
Federica si strinse nelle spalle.
-Non lo so, tornano domani. Per telefono non mi ha voluto dire nulla.
Viviana assecondò con la testa sorridendole gentilmente.
Che non le avesse voluto parlare significava che le notizie non erano delle migliori.
Il padre aveva sempre avuto problemi ai tendini delle braccia, probabilmente per l’eccessiva mole di lavoro negli anni e con il passare di questi, le cose si erano andate peggiorando, visto il modo di approcciarsi alla medicina del suo vecchio.
“Tutta una grande cavolata” ripeteva quando i medici gli davano delle terapie, infischiandosene delle conseguenze.
Federica bevve un sorso del prosecco fresco, che le andò a solleticare la gola facendola sentire un po’ meglio.
Si soffermò a guardare una coppia di ragazzi sulla pista da ballo. Erano belle, a loro agio e scatenate.
Se si escludeva il modo di strusciarsi tra loro, Federica ne era quasi invidiosa. Quelle lì erano il suo opposto, quello che mai lei sarebbe potuta essere. In lei c’era una sorta di catena che la tratteneva dal fare esperienze che per lei erano considerate semi mistiche.
Era un’incallita, radicale e professionale tradizionalista sfigata.
Appoggiò il bicchiere sul tavolo e cercò il telefono nella borsa, già aveva voglia di andare via. Ecco quello che succedeva quando usciva in questi posti frequentati dai suoi amici, perché aveva una comitiva che non condivideva i suoi progetti? Tipo… fare qualcosa di divertente: bowling, cinema, fast-food, ingrassare…
Quando notò un messaggio in chat di Facebook, si sentì il cuore fermarsi nel petto. Aveva la sensazione che il mittente fosse quel misterioso ragazzo e in cuor suo sperava nel profondo che non le dicesse di abbandonare quella nave. Le toccava tanto ammetterlo ma lui era la sua ultima possibilità.
Aprì con mani tremanti la finestrella, e per un attimo credette di non aver letto bene.
 
Da Luca Morelli: Smettila con quel muso e divertiti.
 
Che ne poteva sapere mai lui se avesse messo il muso. E poi… lei non aveva il muso. Vero?
 
Da Federica Belli: Di che stai parlando?
 
Da Luca Morelli: Preferisci che te lo dica di persona?
 
Un balzo al cuore come risposta andava bene?
 
Da Federica Belli: Scapperesti anche questa volta?
 
Attese la risposta per alcuni secondi, scuotendo il capo quando si rese conto che non avrebbe mai risposto a quella domanda scomoda.
Forse aveva già inquadrato che tipo di ragazzo fosse: sfuggente, lunatico, il tipo da tenere distante almeno un chilometro o due, più ce n’era di lontananza, meglio era.
Forse il piano ideato era troppo grande per lei.
Ad un tratto sentì indistintamente un colpo di tosse alle spalle e nuovamente quella sensazione di esser sicura di chi ci fosse.
Sbarrò gli occhi e guardò davanti a se il sorriso malizioso di Dotty, l’espressione interrogativa di Viviana e quella scioccata di Lucrezia.
“Ti prego Gesù, ti prego. Fai che non sia lui” pensò con tutta se stessa.
Le sopracciglia di Dorotea si unirono in una linea dura, facendo dei movimenti inquisitori che stavano a significare “girati, per la miseria”.
Federica ingoiò a vuoto e cercò una maschera per l’occasione, solo che lei non aveva nessuna maschera di circostanza nella borsetta.
Si obbligò a sorridere e si girò allarmata, sperando in un miracolo. Che purtroppo non avvenne.
-Ciao!- La salutò lui, afferrandole una mano e facendola alzare.
Federica borbottò imbarazzata ma alla fine si lasciò tirare senza poche difficoltà.
-Che ci fai qui?- Chiese lei, stridula.
-Tesoro, te l’avevo promesso che ti avrei raggiunto- rispose lui, completamente a suo agio.
Tesoro? Squittì la voce silenziosa nella testa di Federica.
-Eccomi qui!- Esclamò Lui per poi piegarsi in avanti e lasciando un bacio sulla guancia di Federica.
Fuoco. Pensò la mente ormai all’obitorio della ragazza.
Le labbra del diavolo in persona dovevano essere più fredde in confronto a quelle di Luca. O semplicemente la sua guancia si era congelata sotto tutta quell’ansia.
Sentì il sangue defluire dal corpo e dovette appoggiarsi con una mano al petto del ragazzo, che le sorrise e si avvicinò al suo orecchio.
-Sii convincente ragazzina.
Federica si ridestò e fece un passo di lato, staccandosi da quella fonte di calore infernale. Chiuse gli occhi per un istante per ordinare i pensieri e per prendersi a schiaffi mentalmente.
Si schiarì la voce e s’impose di dire qualcosa che andasse oltre al balbettio incombente.
-Eccoti qui!
Poteva andare meglio. Balbettii niente, figure di merda a propulsione invece.
Scosse la testa ma subito si rivolse al resto del tavolo che era rimasto a bocca aperta.
Per Dio, era proprio messa male se avevano quella reazione vista insieme a un ragazzo.
-Ragazzi vi presento…- si bloccò non sapendo come presentare quel… quel… quello sconosciuto.
-Lui è…- si voltò a guardare il ragazzo e rimase incantata a guardare il suo volto identico a come lo trovò il giorno prima.
La barbetta che disegnava la mascella, le labbra eleganti e gli occhi… di uno splendente grigio che s’illuminava quando la luce del locale diventava più brillante.
E in quel momento Federica capì che lui era troppo per lei, anche se era tutta una finzione. Era una finzione troppo finta.
-Sono Luca- si presentò lui, facendo un cenno della mano al resto del gruppo, non perdendo mai il sorriso sulle labbra.
“Che bravo attore” pensò la ragazza, alla fine lui ci era abituato… no?
-Ti fermi a bere qualcosa con noi Luca?- Chiese Carlo, che Federica avrebbe voluto così tanto strozzare al momento e non fargli vedere mai l’abito bianco della futura moglie.
Pregò con tutte le sue forze affinché Luca dicesse di no, avrebbe fatto un fioretto se qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere. Avrebbe completato quella cassettiera dell’800 che era così complicata che da settimane rimandava sempre. Si! Lo avrebbe fatto.
-Mi piacerebbe moltissimo ma sono con clienti di lavoro e non vorrei abbandonarli a loro stessi- rispose Luca, passandosi una mano tra i capelli.
“Grazie Gesù”.
-Oh- rispose afflitto Carlo.
-Sarà per la prossima volta- rispose la sua fidanzata.
“Cambio di piani” tornò a pensare Federica “uccido prima lei”.
-Non mancherò- accettò Luca affondando le mani nelle tasche dei jeans.
No! Non ci sarebbe stata nessuna bevuta. Ci sarebbero state solo le nozze, punto e basta. Già quella era troppa roba.
Quando calò un silenzio troppo assordante anche sotto la musica del locale, Federica alzò la testa e incontrò gli occhi brillanti del suo finto fidanzato e sussultò di… che sensazione era?
Paura? Attrazione? Entrambi l’avrebbero messa k.o.
-Allora vado- disse lui -ci sentiamo dopo.
Si chinò in avanti e stavolta il bacio che le lasciò sulla guancia durò alcuni istanti di più e sembrava più… gentile ma anche sincero.
-A dopo- si trovò a rispondere, sperando che fosse vero.
 
Due ore dopo, non ne poteva più.
Doveva uscire da quel posto. Ne andava della sua sanità mentale.
La musica era orribile, non si respirava, non ne poteva più di tutti quegli alcolici che non poteva permettersi e che di conseguenza non ne poteva nemmeno usufruire.
Guardò per la milionesima volta a destra in fondo, dove c’era il tavolo di Luca e dei suoi clienti, almeno così aveva detto lui.
Che cosa faceva nella vita? Non lo sapeva nemmeno e il pensiero che uno sconosciuto doveva starle accanto la fece rabbrividire.
Aveva visto il ragazzo non battere ciglio, mai che si fosse girato nella sua direzione a guardarla. Non un sorriso, no uno sguardo, niente di niente.
Lo vedeva parlare fitto con quei due ragazzi ben vestiti, esattamente come lo era lui e sorseggiare qualcosa di incolore nel bicchiere.
Aveva studiato tutte le sue mosse, si era passato più volte le mani nei capelli aggiustandosi poi il ciuffo, ogni tanto si prendeva il labbro inferiore tra i denti facendolo scomparire probabilmente perché era attendo alla conversazione.
-Smettila di guardarlo così, lo consumi- Dotty si era avvicinata dandole una piccola gomitata.
-Non lo sto guardando.
-Ah certo…
-Guardavo il… il bagno- rispose lei, rendendosi conto che accanto al tavolo del suo finto fidanzato ci fosse la porta del bagno.
-…si- assecondò divertita Dorotea.
-Allora- esordì ancora lei, incrociando le braccia sul tavolo.
Tutti erano in pista ad ancheggiare e loro due erano rimaste a guardare l’ambiente, ancora per poco per quanto riguardava Dotty.
-Alla fine hai trovato l’accompagnatore.
-Dotty, lo so che sei stata tu- La smascherò Federica, ridacchiando.
-Mea culpa- disse l’altra, portandosi una mano sul cuore -però devi ammettere che è un bel manzo.
Federica sorrise scuotendo la testa, guardando nuovamente quel ragazzo.
Già, era proprio bello. Era così misterioso e così affascinate, tutto quell’alone di mistero che Federica si sentì in trappola, non ne sarebbe mai uscita viva.
Che diamine stava facendo, nessuno le avrebbe mai creduto e alla fine nemmeno lei avrebbe mai creduto a tutta quella pantomima.
Come poteva solo pensare che avrebbe fatto franca alla menzogna?
Merda. Lo stava anche pagando. Quanto era scesa in basso, quanto doveva vergognarsi per il resto della sua vita?
Si rese conto che non riusciva nemmeno più a respirare regolarmente, presa da un attacco di panico imminente.
-Ti senti bene?- Le chiese Dorotea preoccupata per la reazione della sua amica.
Federica fece forza sulla propria volontà e assecondò con la testa.
-Si si, certo. Però ora devo andare via, domani lavoro- si voltò in cerca della borsa appoggiata per terra.
-Vieni con me?- Chiese a Dotty, ricordandosi che la macchina con cui erano arrivate era la sua.
-No, vai pure. Troverò un modo.
Federica fece un cenno del capo, baciò sulla guancia la sua amica e scappò all’aria aperta.
Non guardò in faccia nessuno, nemmeno quelli che la urtavano fuori dal parcheggio. Era determinata a raggiungere in più fretta possibile la sua macchina, per scappare via da quella sensazione opprimente.
Quando la scorse in lontananza, si mise a correre e quando la raggiunse, si sedette di peso sul sedile del guidatore, appoggiando la fronte sul freddo volante.
Era nei pasticci.
 
Non sapeva da quanto fosse in quella posizione, sapeva solo che la faceva sentire meglio.
Il fresco dell’auto, dovuto alla notte leggermente frizzante, la aiutava a metabolizzare la grande sensazione che le attraversava le ossa.
Luca era un grande mistero per lei, non lo avrebbe mai capito e se ne rese conto anche la prima volta che lesse il suo messaggio. Non era da lei costruire castelli in aria per dei ragazzi, specialmente per quei ragazzi come Luca.
Analizzò l’ipotesi di poterla farla in barba a tutti quanti, di poter gestire la menzogna ma a un tratto apparvero nel suo campo visivo i volti dei suoi genitori, in che guaio si stava cacciando? Lei che per delle mance faceva i salti mortali, si stava impelagando in questa pantomima in cui, non cosa meno importante, doveva sborsare mille tintinnanti euro.
Sollevò un attimo la testa e la fece sbattere contro il volante.
Patetica.
Altro colpo.
Perdente.
Altro colpo.
Stupida.
Altro colpo, ma questa volta proveniva dalla sua sinistra.
Stava diventando anche rimbambita, lo poteva mettere nel suo curriculum? Un architetto stupido.
Il colpetto ora si fece più insistente e comprese, finalmente, che non era lei a produrre quel rumore ma bensì un dito puntellato sul vetro del finestrino.
Si tirò di scatto su, facendo cadere sugli occhi i suoi capelli ricci, girò la testa e guardò alla sua sinistra.
No, probabilmente i capelli lasciavano distorcere la realtà. Probabilmente aveva colpito con troppa forza il capoccione al volante.
Luca, fuori dalla macchina, fece il segno di abbassare il finestrino e dopo un attimo di ripensamento, prendendo in considerazione l’idea di fuggire, Federica si decise a girare la manovella del finestrino. Ebbene si, era una macchina vecchiotta.
-Ti darai ancora tante altre capocciate?
Federica serrò gli occhi volendolo fulminare lì seduta stante. Ma poteva essere un essere umano così fastidioso?
-Cosa vuoi?
-Mi accompagneresti a casa?- Le chiese il ragazzo, increspando un angolo della bocca.
-COSA?- Urlò la ragazza, non credendo alle proprie orecchie.
-Si, sei sorda. Ormai l’avevo capito.
-E tu sei un cretino!
-Me lo dicono in parecchi… allora, mi puoi accompagnare?
-Non ci penso nemmeno.
-Fa freddo.
-Siamo a giugno! Non fa freddo.
-Mi hanno lasciato a terra, dai… che ti costa?
Federica sospirò per non ringhiargli contro e fece affidamento al karma, che prima o poi avrebbe ripagato la bontà della ragazza, anche se secondo Federica il karma aveva bisogno di una visita specialistica dall’oculista visto che non ci vedeva, maggiormente nella sua direzione, da anni orsono.
-Muoviti che è tardi- gli disse alla fine, facendo un cenno al lato del passeggero.
Federica, sempre con gli occhi puntati davanti a lei, non si girò nemmeno per accertarsi che fosse entrato, le bastò sentire la portiera chiudersi.
-Dove abiti?
-Sempione.
E certo, uno come lui dove poteva vivere se non a due passi dalla ricchezza? Meglio non pensarci, almeno fino a che non avesse battuto il naso su questa ricchezza ostentata.
Il viaggio proseguì in silenzio, alternato dalle indicazioni di Luca che la esortava a girare in viuzze che le avrebbero accorciato il tempo, ma cui Federica sembravano che allungassero il già lungo tempo da consumare con quel… quel ragazzo pericoloso.
-Non esiste una radio dentro questo macinino?- Chiese lui, aprendo il cruscotto.
-No! Lascia stare- l’esortò, schiaffeggiandogli la mano -a cuccia.
Luca ridacchiò, mettendosi più comodo sul sedile e guardando le luci di una Milano notturna.
-Non mi ringrazi?- Chiese a brucia pelo.
-…per?
-Non fare la finta tonta, per aver rotto il ghiaccio con i tuoi amici.
Federica inarcò le sopracciglia trattenendo una risatina.
-Quello lo chiami “aver rotto il ghiaccio”?- Gli chiese, girandosi a guardarlo -quanta sicurezza hai di te?
-Abbastanza.
-Ah bhè… mi fa piacere per il tuo ego. Comunque no, non ti ringrazio.
-Volevi ancora tenermi nascosto a loro? Quando mi avresti presentato, direttamente al matrimonio?
-Ero più propensa al mai.
Luca rimase in silenzio e dopo alcuni istanti Federica si girò a guardarlo, indecisa se bloccare la sicura della portiera del lato del ragazzo, impaurita che anche questa volta potesse darsela a gambe come al bar al loro primo incontro.
-Allora non vuoi più onorare il nostro accordo?
Federica sospirò esasperata, svoltando a destra verso il centro.
-Guarda che non abbiamo nessun tipo di contratto e poi non abbiamo deciso ancora nulla.
-Invece sì, avevamo già programmato come e quando ci fossimo visti la prima volta.
-Ma quello non era niente.
-Perché non vuoi più?- Chiese lui, cercando di capirci di più in quel mondo sommerso che era la ragazza.
-Perché…- tentennò.
-Perché?
-Oh ma insomma… Sei esasperante!
Luca ridacchiò divertito, voltandosi a guardare il profilo della ragazza illuminato dalle luci della città.
-Sarò discreto Federica ma lascia fare a me. Andrà tutto per il meglio- si offrì lui e il tono che usò, fece riflettere la ragazza.
Guardando più a fondo forse le cose sarebbero andate nel migliore dei modi. Lo avrebbero saputo solo poche persone del suo “fidanzamento” e per quanto riguardava i soldi, aveva un gruzzolo da parte per le emergenze. Bhè… era più per il suo piano di evacuazione da quella vita piatta, era il suo biglietto per la costruzione del suo sogno ma ne avrebbe fatto a meno almeno per un altro po’. Avrebbe raggruppato dell’altro denaro con il tempo.
Luca le fece cenno di fermarsi sul ciglio di una strada semi deserta, Federica si guardò attorno studiando il territorio e solo dopo si accorse che sì, la strada era semi deserta ma che alla destra c’era una salita che conduceva ad un cancello di ferro che delineava una villa mastodontica, circondata da un perimetro di cemento e sormontato da alberi.
La ragazza emise un fischio di ammirazione, sentendo la sua vena artistica che scoppiava dentro, era un paradiso.
Luca sorrise e si passò una mano nei capelli, guardando sopra la collina.
-Casa mia- disse, indicando con il pollice la struttura.
-Ma dai? Io pensavo fosse la stalla.
I due ragazzi si guardarono e sorrisero divertiti.
-Allora…- iniziò lui, guardando ancora la ragazza con insistenza -è deciso?
Federica fece una smorfia, guardando quella mano che il ragazzo le porgeva per suggellare il loro fantomatico accordo.
-Non ti darò un centesimo di più.
-Non te lo chiederò.
-Sarò io a prendere le decisioni.
Luca sollevò un sopracciglio scettico.
-Almeno quelle che riguardino la “coppia”.
-Ti aiuterò a scegliere il vestito- si offrì lui per riscattarsi.
-Cosa?
-Hai capito bene e con lui anche tutti gli accessori.
-Sono capace di scegliere da sola.
Luca la guardò scettica e Federica alzò le mani in aria in segno di resa. Di certo lui ne avrebbe capito molto di più di lei in fatto di moda.
-Va bene!- Decretò alla fine, lasciandolo vincere.
-Ottimo- Luca aprì la portiera della macchina e Federica mise in moto.
-Ah, e per favore accetta quella richiesta su Facebook, non vorrei che gli altri s’insospettissero.
-Non lo farò mai!
-Dispettosa.
-Continui ad essere rompipalle.
Luca scosse la testa sorridendo, chiuse la porta e guardò la macchina partire e andare via dalla strada.
Ancora con il sorriso sulle labbra.

 

Salve gente!
Rieccoci qui con un nuovo capitolo, che ne dite? I due avranno trovato un punto d'accordo? Si accettano scommesse su quello che accadrà. 
Vedo, seppur timidamente, che la storia vi sta stuzzicando e io non potrei che essere che contenta. 
Solo una cosa vi chiedo, di lasciare un piccolo segno del vostro passaggio affinchè io riesca a capire il vostro interesse o qualcosa da migliorare. Qualsiasi cosa voi vogliare, io sono qui. 
Detto ciò, spero che vi stiate divertendo e che vi sia nato un sorrisino sulel labbra. Significherebbe molto.

A presto.
Semore vostra
IlaPerla

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap. 4 ***




Capitolo 4
 
Era l’una di pomeriggio e Federica si accingeva a chiudere la saracinesca del locale di antiquariato per mangiare in santa pace e all’ombra del suo retro bottega un panino al tacchino e insalata più che meritato. Quel giorno aveva lavorato il doppio, i suoi genitori sarebbero arrivati a casa solo il giorno dopo e la mancanza del padre in bottega si faceva sentire molto, con il suo aiuto riusciva a lavorare nel retro alle riparazioni e non a fare avanti e indietro tra ingresso e magazzino. Un vero macello.
Con la matita tra i capelli e un grembiule macchiato di vernice, stava andando verso la porta per chiuderla e respirare un attimo di relax ma il campanello che suonava sulla porta già la fece innervosire. Non potevano continuare a entrare i clienti anche all’una! Era una regola non scritta nel codice dei consumatori.
-Siamo chiusi!- Ringhiò lei, mentre raccoglieva una chiave di ottone, caduta nel passaggio del suo fianco sul tavolino deve era appoggiata.
-Dovresti porti più gentilmente nei confronti dei clienti, lo sai ragazzina?
La voce di Luca le fece alzare di scatto la testa, andando a sbatterla sotto il tavolino incriminato, facendo muovere lume e oggetti vari al di sopra e facendo cadere inevitabilmente e nuovamente la chiave per terra.
-Haio- sussurrò la ragazza, mentre si massaggiava il punto dolente sulla testa.
Il risolino di Luca la fece ancora di più infuriare.
-Ma dico io, hai un orologio a casa tua? Sai che ore sono?
Luca si guardò il pesante ed elegante orologio di acciaio al polso sinistro e poi guardò quella piccola ragazza che risaltava in mezzo a tutti quei ricordi del passato che lei teneva in bella mostra.
-E’ l’una- osservò lui, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
-Date una medaglia a quest’uomo- scherzò beffarda lei alzando le braccia al cielo -e secondo te che si fa all’una se non pranzare.
-Infatti lo faremo insieme.
L’affermazione fece bloccare la risposta sarcastica di Federica a mezz’aria.
Come sarebbe a dire?
Solo in quel momento guardò quel ragazzo sulla porta, sentendo la saliva in bocca fare le valigie e partire per il Madagascar insieme ai pinguini cantando “I like you move move”.
Era quasi imbarazzante la sua bellezza. Oltre che ai suoi pensieri.
Quel giorno era vestito in modo sbarazzino. Dei bermuda blu, converse bianche e polo celeste. Solita barba, soliti capelli vaporosi, da far venire voglia di tuffarci le mani dentro e giocarci fino a svenire e occhiali da sole calati sugli occhi.
-Per quale assurdo motivo- Chiese lei, incrociando le braccia sul petto.
Luca fece un passo in avanti, poi un altro e poi un altro ancora, fino ad arrivare difronte alla ragazza che ora lo guardava con tutta la testa tirata indietro. Era maledettamente alto, in confronto alla sua figura che poco sfiorava il metro e sessanta.
-Perché- iniziò lui, abbassandosi lentamente ad afferrare la chiave che era rimasta sul pavimento -dobbiamo cercare un vestito.
 
-Come mai il tema del matrimonio sono i fiori?- Chiese Luca, mentre passeggiavano per Via Montenapoleone.
Federica aveva quasi il timore di sollevare la testa e guardare le vetrine che brillavano di lusso. Si sentiva già a disagio per se, camminando con quel ragazzo accanto, il tutto si accentuava se camminavano per quelle vie che Federica in venticinque anni di vita non aveva visto nemmeno col binocolo in una cartolina.
-Non ne ho idea, è estate e ha pensato bene di appiopparci i fiori al già difficile compito di questo matrimonio- sospirò lei, inforcando gli occhiali da sole, almeno così avrebbe attutito i flash lussureggianti dei negozi ai suoi lati.
-Perché ti disturba tanto questo matrimonio?- Domandò lui, fermandosi alla vetrina di Versace.
“Oh Gesù dammi la forza” pregò Federica quasi mettendosi in ginocchio.
-Non è che mi dia fastidio che Veronica e Carlo si sposino, anzi. Finalmente si sono decisi, è solo che i matrimoni non fanno per me- decretò lei, guardando il manichino (striminzito) nella vetrina, posare elegante e tenere su un vestito lungo e piatto fatto di paillette argento. Dio santo era un manichino! Come faceva ad assumere una posa elegante? Abbassò lo sguardo sul cartellino dei prezzi e per poco non crollò a terra in preda agli spasmi. Che diamine ci faceva lei in quella via super costosa se non poteva permettersi nemmeno un lustrino di quel vestito?
Luca voltò la testa soffermandosi a guardarla.
-E perché non fanno per te?
Federica si strinse nelle spalle e si girò dandogli la schiena, di certo non ne avrebbe parlato con lui di tutta l’insicurezza che le girava attorno. Non poteva aprirsi con uno sconosciuto che di lì a un mese non avrebbe più rivisto. Oppure sarebbe stata un’ottima soluzione? Non dicevano tutti che gli sconosciuti erano i migliori ascoltatori? Che cazzata.
Federica si allontanò da quella vetrina senza emettere una sola parola.
-Hei, guarda che volevo entrare in quel negozio- si lamentò Luca, camminandole alle spalle.
-Infatti puoi entrarci, io non lo farò.
-Nemmeno per comprare con me il mio vestito per il matrimonio?- Chiese lui affiancandola.
-E perché vuoi che venga anche io? Di certo non ho gusti strepitosi in fatto di moda per consigliarti in alcun modo.
-Perché, sapientona, avresti potuto guardarti in giro e vedere se scovavi un abito adatto per il matrimonio.
Federica scoppiò a ridere enormemente divertita, ma che aveva in testa quel ragazzo? Un criceto monco?
-E con cosa lo potrei pagare? Soldi del monopoli?
Luca ridacchiò scuotendo la testa.
-Come avevi immaginato il tuo vestito?- Le chiese poi.
-Oddio, mi sembri Randy in “Abito da sposa cercasi”->> si lamentò lei, alzando gli occhi al cielo.
-Non dirmi che ti vedi quelle pagliacciate.
Federica rimase in silenzio colpevole. Che gli poteva dire? Che non facevano per lei quei programmi? La verità è che ci passava metà giornata a vedere quelle cavolate e si divertita anche, se accanto a lei c’era una busta formato gigante di patatine al formaggio.
La verità, scomoda, è che le piaceva quel programma, la faceva fantasticare, la faceva sognare il suo giorno perfetto. Inutilmente e deprimente.
-Ogni tanto…- si difese lei, incassando il colpo.
-Un giorno ti farò vedere cosa significa vivere- disse borbottando lui, guardandosi attorno, con un tono così basso, che Federica credeva di non aver sentito bene.
Non ebbe nemmeno il tempo di chiedergli di ripetere che fu afferrata per la mano dal ragazzo e trascinata dall’altro lato della strada. Le dite intrecciate, formicolarono a contatto con quelle di Luca e quel solletico si propagò in tutto il braccio sempre più intenso, fino al punto in cui Federica pensò di scrollarselo via. Era una scossa e doveva ammetterlo, contro se stessa, era una sensazione piacevole.
-Ma dove andiamo?- Chiese, per evitare di pensare a quello che stava accadendo dentro il suo corpo.
-Dai, svelta- la richiamò lui, ridacchiando e trascinandosela dietro in una piccola corsetta fino a che non si bloccarono inaspettatamente, facendo scontrare il petto di Federica al braccio sodo e possente di Luca.
Quanto poteva essere duro il suo braccio?
“Duro? DURO? Seriamente, Federica?” si prese a frustrate mentalmente, che diamine di pensieri si faceva ora su quella sottospecie di gigolò tremendamente affasciante?
Dopo aver preso due respiri profondi, guardò prima il ragazzo che contemplava una vetrina davanti a se e poi seguì la traiettoria del suo sguardo.
Gucci, di male in peggio.
La vetrina era dedicata al reparto uomo e faceva mostra di un manichino seduto su un puffo rosso in una posa… seducente? Ma…? Ormai non dovrebbe più farsi domande.
Diede attenzione al modo in cui quel manichino fosse vestito e si accorse che assomigliava molto al modo di vestirsi di Luca, fatta eccezione per la coppola in testa che non aveva visto ancora indossata del ragazzo ma non escludeva l’ipotesi che potesse averla nell’armadio.
-Hai intenzione di presentarti così?- Chiese lei, indicando la mise del manichino. Bermuda a scacchi, polo verde e mocassini rossi. Una sorta di bandiera dell’Italia moderna.
-No perché, in tal caso, cerco qualcun altro- continuò lei, scuotendo la testa e facendo volteggiare i ricci nella coda che si era fatta.
-Ma sentitela, da quando ne capisci qualcosa di moda?
-Simpatico, però io lo stesso non ti ci porto.
Luca sbuffo e la tirò nel negozio con le mani ancora intrecciate, non se n’erano ancora accorti nessuno dei due.
Quando varcarono la porta, aperta da un gentilissimo e sorridentissimo valletto, furono investiti dall’aria fresca di un condizionatore e Federica decretò che poteva rimanere lì per tutto il tempo che ne avrebbe voluto il ragazzo.
Il calore però, proveniente dalla mano sinistra, ancora legata a quella di Luca fece distrarre dalla frescura Federica, che si prodigò all’istante per slacciare quel contatto. Forse con troppa veemenza, che non passò inosservata da Luca che la guardò con la coda dell’occhio.
Imbarazzata Federica abbassò lo sguardo, fingendosi impegnata nel riporre gli occhiali da sole nel foderino in borsa.
-Posso aiutarvi?- Domandò una commessa in un tubino nero e scarpe alte, venendogli incontro.
Quel look Federica poteva indossarlo per un matrimonio, non per lavorare. Quasi quasi chiedeva aiuto a quella tizia per alcuni consigli.
-Stiamo cercando un abito classico nero, con spalline morbide, revers ridotto, cimosa classica e a righe, giacca monopetto, pantalone americano, camicia classica bianca e il tutto una 48- decretò spedito Luca.
Federica lo guardò a bocca aperta, chiedendosi quando la commessa avrebbe richiesto di riformulare il tutto per appuntarlo da qualche parte, invece lei assecondò velocemente, facendoli accomodare nel reparto uomo, alla loro sinistra.
-Che lingua hai parlato, esattamente?- Le sussurrò lei, seguendolo.
Luca ridacchiò, passandosi l’indice sotto il naso per mascherare quella simpatica smorfia delle labbra.
-So quello che faccio ragazzina, ora nel frattempo che l’adorabile ragazza ci serva, diamo un’occhiata a quello che offre il negozio nel reparto donna- le disse, guidandola dalla parte opposta consigliata dalla commessa.
-Adorabile?- Chiese lei, riferendosi all’appellativo che Luca aveva dato a quella ragazza.
È così il don Giovanni qui, aveva un debole per le piatte, eleganti e gentili brune con un sedere da favola. Bhè… era logico.
Luca la guardò in modo interrogativo e Federica gli fece segno di lasciar stare. Non ne valeva la pena, però dentro di lei la cosa le diede fastidio. Il tutto si ricollegava al fatto che mai nessuno avrebbe creduto alla loro pantomima riguardo alla loro pseudo relazione.
-Allora, cosa dovrei cercare esattamente?- Chiese lei, incrociando le braccia al petto una volta che giunsero nel reparto desiderato.
-Qualcosa che ti colpisca- disse lui, fermandosi alle sue spalle.
“Più del pugno che mi hai appena dato involontariamente nell’anima?” Chiese lei a se stessa per poi cancellare l’incipit e respirare lentamente. Doveva riacquistare l’equilibrio.
-Qualcosa con i fiori?- Chiese poi, allontanandosi dal profumo del ragazzo che aveva respirato per riacquistare consapevolezza ma facendola barcollare ancora di più.
-Direi che è già qualcosa- concordò lui, seguendola.
Passarono i seguenti dieci minuti facendo il gioco dei monosillabi. Luca le indicava qualche vestito e lei rispondeva unicamente e seccamente con un “no”.
Sembrava che invece di trovare una soluzione, ricadessero ancora di più nel burrone del “non troverò mai niente da mettermi”.
Quando Luca si allontanò per andar in avanscoperta, Federica si guardò attorno e a un tratto fu richiamata da un abito posato su un tavolino, come se fosse stato scartato da qualcuno.
Si avvicinò quasi timorosa, impaurita di dover pagare anche i secondi che dedicava nel guardare un abito tanto costoso.
Passò l’indice della mano su un fiore disegnato sapientemente sulla gonna e delicatamente lo prese tra le mani, ammirandolo. Era qualcosa di… perfetto. La cosa più bella che avesse mai visto. Non ne capiva niente di moda e non aveva mai badato alle firme e a cavolate del genere. A lei bastavano un jeans e una maglietta qualsiasi, tanto non si sarebbe mai visto sotto il camice da lavoro macchiato di vernice.
Era corto avanti, un po’ più sopra dal ginocchio e man mano andava allungandosi nella parte di dietro, predominava il bianco ma in vita e al bordo dell’abito era tempestato di Swarovski e fiorellini corallo e blu. La parte di sopra era morbida e con una profonda scollatura a v che arrivava fino all’attaccatura in vita, sempre con il richiamo della fantasia floreale lungo tutto il corpino.
Se lo posò sul suo corpo e andò ad ammirarlo sognante ad uno specchio vicino al muro.
Già s’immaginò in quel vestito adorabile, facendola sentire elegante e femminile.
L’avrebbe resa una donna per un giorno, un po’ come Cenerentola che a fine ballo perde il suo potere e la carrozza si trasforma fino a rompersi.
E si sentì esattamente come quella piccola sguattera. Capelli biondi a parte.
Poi, il sogno si spezzò e lei tornò a essere una zucca, quando guardò distrattamente il prezzo sul cartellino appeso in vita. Strabuzzò gli occhi e non potette credere a quello che vedeva, un po’ come le capitò quando Viviana e Carlo le misero l’invito del matrimonio sotto il naso.
-Trovato qualcosa?
Subito si riscosse e lasciò cadere il vestito sul tavolino alla sua destra, come se niente fosse stato. Come il suo sogno non fosse mai esistito.
-No- rispose a Luca che si stava guardando attorno.
-Hai abbandonato la spugna?- Le chiese lui, guardandola.
-Eccovi qui, l’abito è pronto per la prova- la commessa che poco fa li aveva serviti, girò l’angolo trafelata. Probabilmente dopo una ricerca scrupolosa nel negozio, era finalmente riuscita a trovarli.
-Arriviamo- rispose Federica, sorpassando Luca e seguendo la gentile e piccola “adorabile” commessa.
 
-Secondo te ci va meglio il farfallino o la cravatta?- Chiese Luca da dentro il camerino, che separava l’angolo di prova dalla sala dove si trovava Federica, solo da una tenda.
-Davvero me lo stai chiedendo?- Rispose la voce imbarazzata di Federica.
-In verità non dicevo a te zuccherino, ma all’adorabile commessa.
-Oh- Federica guardò il volto imbarazzato della ragazza che era rimasta accanto a lei, pronta a ogni esigenza del cliente.
Ma non era meglio che gli uomini gestissero le ali maschili e le donne quelle femminili?
La commessa chinò il capo nascondendo il rossore, sorridendo civetta.
Federica alzò gli occhi al cielo esasperata. Era inutile, Luca Morelli era un grandissimi figlio di puttana e per giunta anche farfallone.
-Signore, secondo me il farfallino starebbe benissimo- gli rispose lei, dondolandosi sui tacchi alti, che poi… come ci si dondolava su quei trampoli, Federica non lo sapeva di certo.
-Ottimo, me lo potresti prendere, insieme a delle scarpe da abbinare all’abito?- Tornò a chiedere lui, subito dopo.
-Certo signore, arrivo subito- detto ciò, la ragazza si volatizzò e se era possibile, si poté vedere la nuvoletta di polvere dietro di se come accadeva ai cartoni animati.
Federica si allontanò guardando qua e la alcune cravatte e ferma cravatte appoggiate alle nicchie nel muro. Nemmeno guardò i cartellini dei prezzi, tanto le facevano attorcigliare lo stomaco. Era spaventoso che una persona come lei, che aveva problemi economici, si trovasse in questo posto in cui le persone buttavano all’aria stipendi mensili semplicemente per una camicia. Non lo trovava possibile.
-Federica- la voce profonda e seria di Luca, la fecero girare su se stessa e non appena guardò quel ragazzo, provò la solita fitta allo stomaco e il solito respiro mozzato.
Era… favoloso. Le costava molto dirlo, ma era così.
Il completo sembrava cucito addosso, la giacca gli faceva la vita più stretta e le spalle più squadrate di come già fossero. Le lunghe e forti gambe erano fasciate alla perfezione da quel semplice pantalone e non importava se ai piedi aveva degli orrendi calzini bianchi, in un qualche allineamento strano dei pianeti anche quelli gli stavano bene.
-Va bene per essere il tuo accompagnatore?- Le chiese in modo così serio che Federica si sentì attraversare da una corrente calda che avrebbe potuto infiammarle tutti i vestiti.
-Direi…- iniziò lei, ma trovò solamente la gola arida come il deserto e il cuore emigrato per le isole Boreali.
-Direi, di si- rispose poi, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
Si guardarono così, per alcuni secondi senza aver motivo di distaccare lo sguardo e Federica volle tanto risentire quel calore delle loro dita intrecciate, lo desiderava come non aveva mai desiderato nulla nella sua vita. E si sentì spacciata.

 

Rieccoci qui :)
Fa freddo e le mie dita sono letteralmente congelate, perciò sarò breve.
Decisamente una mattina movimentata per la nostra tranquilla e spassosa Federica che si trova a tu per tu con un... un... scegliete voi, insomma con Luca :) Che gioia scrivere di loro due insieme, adoro i loro battibechci e voi?
Perdonatemi se la settimana scorsa l'aggiornamento è saltato ma ho passato dei giorni molto movimentati. Spero che questo capitolo mi abbia riscattato.
Ricordatevi di lasciarvi una vostra impronta, ne sarei stra contenta e ringrazio tutti quelli che mi lasciano delle bellissime parole e chi aggiunge questa storiella ai vari gradimenti. 
Ci risentiamo prestissimo. 

Sempre vostra
IlaPerla

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap. 5 ***




Capitolo 5

 
-Allora, ammettilo. Sono un figurino in quel completo- ridacchiò lui, uscendo dal portafoglio la carta di credito per pagare il tutto.
Federica sbuffò, guardando le mani perfette e allenate della commessa strisciare la carta nel lettore.
-Non lo dirò per dare aria al tuo ego.
-Invece dovresti dire: Luca eri favoloso- si pavoneggiò lui, strizzando l’occhio alla giovane e appetitosa ragazza dietro il bancone.
“Poteva flirtare così spudoratamente?” Pensò Federica indispettita.
-Ti correggo: Luca sei solo fastidioso- detto ciò, girò sui tacchi e si diresse alla porta. Sorrise all’usciere e appena fu in strada inforcò i suoi occhiali da sole e guardando l’orario sul led della farmacia difronte, decretò che fosse arrivata ora di tornare al negozio e mangiare il suo panino al tacchino. Ne aveva una disperata voglia, anzi… sarebbe andato bene tutto pur di allontanarsi da quello sbruffone insopportabile.
Avanzò di alcuni passi alla sua sinistra ma il suo percorso durò poco.
-Hei, dovresti aiutarmi con queste buste- le gridò Luca dietro, mentre la raggiungeva a grandi falcate.
-Perché dovrei?
-Perché… tecnicamente dovresti essere la mia fidanzata.
Federica si ritrovò a ridere, una risata sincera, sperando che riuscisse a mascherare il brivido sulle braccia a quell’affermazione del ragazzo.
Era la prima volta che qualcuno usava quella parola in sua presenza, per definire una relazione che includesse lei ma la risata trovò presto la sua morte, perché era tutta una menzogna, una scusa orrenda e che ogni volta che ci pensava la faceva dipingere come una persona senza pudore e senza speranza.
-Non vedo gente che ci conosce in giro, non dobbiamo fingere con nessuno- disse lei, tornando seria.
-Ma dovremmo prendere l’abitudine, altrimenti saremmo sempre dei pezzi di legno come quella volta al bar- spiegò lui.
Federica bloccò di scatto la sua camminata, voltandosi a guardare quel ragazzo che la guardava interrogativo. Si era così calato nel personaggio che non riusciva a capire quando finire di prenderla per il culo?
-Senti- iniziò lei, cercando di non perdere la pazienza -non c’è bisogno di tutta questa pantomima più del necessario, limitiamoci a quel maledetto matrimonio. Faremo credere che non possiamo frequentarci con loro perché siamo pieni d’impegni, il che da parte mia è vero perché lavoro ogni santo giorno e non so nemmeno cosa tu faccia durante le ventiquattrore ma non mi importa, quel giorno ci limiteremo a sorridere a parlare con gli altri e a farci delle foto. Chiuso l’argomento.
Fermò il suo monologo, pronta a essere mangiata viva da lui, che la guardava impassibile dietro le lenti scure dei suoi occhiali alla moda. Avrebbe voluto gettarli via e vedere la sua espressione dietro quell’ostacolo. Ma sarebbe stata un’azione troppo intima per due sconosciuti che fingevano di avere una relazione stabile.
-Se è quello che vuoi, va bene- acconsentì lui, con voce seria.
Federica abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, non aspettandosi per niente quell’accondiscendenza da parte sua, avrebbe pensato che lui si sarebbe svoltato male come il loro primo incontro e in quel momento capì che era una persona altamente lunatica.
-Ora cosa facciamo?- Tornò a chiedere lui.
Ecco, lunatico probabilmente era il suo secondo nome.
-Io torno al negozio a mangiare, devo aprire tra poco.
Rimasero in silenzio, indecisi su cosa fare, fino a quando lei non gli fece un cenno con la mano e si allontanò da quella vita che non le sarebbe mai appartenuta.
 
Guardò il suo triste panino con il tacchino e insalata e sospirò in modo sconfitto.
La sua vita sembrava attraversata da una bomba nucleare e ora era alle prese nell’aggiustare il tutto, salvando il salvabile. Che cosa aveva fatto di male nelle sue vite precedenti per meritare tanto disordine e scompiglio? Non che se ne lamentasse, ma almeno lei sperava in uno scompiglio più armonioso e soprattutto… positivo.
Tirò un morso al panino, aggiustando il fazzoletto di carta sul bancone dell’ingresso per evitare briciole sconvenienti.
Il comportamento di Luca era alquanto egocentrico e insopportabile potesse sopportare, ma la verità è che lui era se stesso. Non poteva di certo annullare il suo vero “io” solo per un contratto di lavoro.
Contratto? Di lavoro? Era davvero questo? La risposta poteva essere unica e sola: si.
Mentre mangiucchiava svogliata, sentì il rumore del campanello posto sopra la porta.
Alzando gli occhi al cielo, Federica borbottò tra se e se -non ho voglia di…- ma s’interruppe non appena vide una chioma bionda e una bruna venirle incontro.
-Di cosa non hai voglia?- Chiese una raggiante Viviana.
-Di lavorare- improvvisò sul momento Federica, ingoiando a fatica il boccone secco del pane.
-Tieni duro, oggi è sabato- la illuminò Dotty, chinandosi sul bancone per appoggiare i gomiti sul legno.
-Che ci fate qui?- Domandò Federica, guardando prima una che l’altra.
-Eravamo andate a fare la prova dell’abito ed eravamo di passaggio- spiegò Viviana guardandosi attorno e tastando qua e la qualche oggetto antico.
-Capisco- cincischiò Federica aspettandosi da un momento all’altro una novità. Non erano solite venire nel suo negozio quelle lì, c’era sempre qualcosa sotto.
Quando nessuno si decideva a parlare, Federica sbottò per prima. Era sempre così, lei era sempre la più razionale.
-Che c’è?- Chiese, sedendosi sullo sgabello dietro al bancone dove si trovava.
-Non le spezzare l’entusiasmo- ridacchiò Dorotea, tirandosi su.
-Addirittura è entusiasmata?
-Non sai quanto!
-Oh insomma, smettetela voi due- si difese Veronica, passandosi le mani nella coda alta, facendo sventolare la chioma fluente. Federica aveva sempre invidiato i suoi capelli, non quelli biondi, ma il fatto che non si siano mai rovinati in tanti anni che si conoscevano. E Viviana era solita non mantenere per più di due anni la stessa tinta. Se avesse fatto lei una cosa del genere, probabilmente non avrebbe nemmeno un pelo riccioluto in testa.
-Scusami tesoro- la canzonò bonariamente Dotty, spingendola con un fianco.
-Sto morendo dalla curiosità, dai Viv- la esortò Federica, sorridendo a quel quadretto. Era vero dopotutto, amava le sorprese.
-Va bene, va bene- prese fiato Viviana, chiudendo gli occhi.
Quando gli riaprì, scintillavano di emozione ed eccitazione.
-La sala ricevimenti, dove si terrà il matrimonio, ha invitato gli sposi, che saremmo io e Carlo…- prese fiato e nel mentre Federica si chiese se non facesse riferimento a Cracco, ma si mantenne dal chiederlo per non far infuriare Viviana e non far ridacchiare Dorotea.
-…i genitori degli sposi e… mantieniti forte, i testimoni più vari ed eventuali tra cui rientra la nostra adorata Dotty.
Il sorriso di Federica si spense.
-Sono impegnata.
-Ma se non ti ho detto ancora il giorno…- si lamentò Viviana mettendo il broncio.
-Sarò occupata e poi… voglio rimanere con la sorpresa di quello che sceglierai.
-Dai Fede, non puoi darmi buca a questo evento così importante.
-Ringrazia che non ti dia buca il giorno del matrimonio- la prese in giro Dotty facendo sorridere Federica.
-Lo sai che per me queste sono solo stupidaggini e poi non ne capisco niente di cibo e fiori. Sarebbe tutto tempo sprecato- si difese Federica, armeggiando con il registratore di cassa.
-Ma sono eventi importanti per me e vorrei avervi tutte vicine.
Ecco, aveva giocato l’unica carta che Federica odiava. La pietà. Non poteva giocare a quel gioco sapendo che qualche moina e il tono di voce mellifluo facesse vacillare l’acidità della ragazza.
-E va bene! Ti odio quanto fai così.
Viviana batté le mani entusiasta, mentre Dotty assecondava con la testa alzando un pugno in aria e in quel momento anche Federica partecipò a quel quadretto ridacchiando. Alla fine, perché non godersi la compagnia delle sue amiche nei preparativi per un giorno così importante?
-Ovviamente è invitato anche Luca.
 
Quando Federica finalmente tornò a casa, si lasciò cadere a peso morto sul divano dell’ambiente unico non appena si accedeva nell’appartamento al terzo piano della palazzina dove abitava. La casa era silenziosa e vuota, era abituata al movimento di sua madre che svolazzava a destra e a sinistra sempre impegnata in qualcosa e le mancava fare il tragitto di ritorno a casa con suo padre sul sedile del passeggero che le intimava di andare piano e fermarsi a tutti gli stop e a tutti i dare precedenza che trovava.
Mancavano da due giorni in casa ma sembravano essere passati anni, l’avevano chiamata dicendole che sarebbero tornati nella serata sul tardi perché avevano trovato traffico e dentro di se Federica non vedeva l’ora di parlare con loro. Voleva togliersi quel peso che si era formato sul petto quando ignorava la gravità della situazione e suo padre le era parso molto nervoso e stressato, tutto ciò non presagiva di certo delle novità buone.
Si portò un braccio sugli occhi, oscurando la visuale già scura di se. Non le andava bene niente ultimamente nella sua vita e avrebbe preferito quasi continuare la noiosa e monotona vita di Federica Belli di alcune settimane fa.
Si tirò su di scatto quando sentì il citofono suonare, era troppo presto per i suoi genitori.
Così, leggermente impaurita andò a spiare dalla finestra alla romana del salotto in cui si trovava, scostò le tende ma non riuscì a  vedere nulla. Era troppo in alto rispetto al portone.
Quando si decise di non considerare il campanello, questo tornò a suonare ancora più insistentemente.
-Ma che diavolo?- Borbottò Federica, decidendosi finalmente a finire quella pantomima. Erano le 21.30 di un sabato sera, chi poteva essere di così stupido da rapinare proprio la loro squattrinata casa annunciandosi al citofono?
-Chi è?- Chiese quasi sussurrando.
-E finalmente, quanto ci metti a rispondere?
Non poteva essere, Federica non poteva credere alle sue orecchie.
-Ero sotto la doccia- rispose appoggiandosi al muro ridacchiando.
-Interessante, il tuo fidanzato potrebbe vedere qualcosa?
-Lo sai che questo si chiama stalking?
-Non direi, ho portato da mangiare. Scendi?
Federica soppesò la richiesta, aveva già passato metà mattinata con Luca e non avrebbe voluto continuare con questa situazione ma mancavano ancora troppe ore per il rientro dei suoi genitori e sarebbe impazzita nell’attesa, il suo cervello avrebbe galoppato verso praterie inesplorate e si sarebbe contorta nella disperazione.
-Arrivo- decretò alla fine, senza neppure pensare come il ragazzo facesse a sapere dove abitasse, afferrando la borsa che aveva posato per terra e fiondandosi giù per le scale, non prendendo minimamente in considerazione l’ascensore. Ci avrebbe messo un sacco.
Quando varcò la soglia del portone, rimase con la mano per aria e la bocca spalancata.
Indicò l’oggetto su cui era appoggiato Luca, sbattendo le ciglia per accettarsi che non fosse frutto della sua immaginazione.
-Cos’è quella cosa?- Chiese, facendo un passo in avanti.
-Una navicella.
Federica chiuse la bocca e sorrise divertita, portandosi al petto le braccia incrociate.
-E tu saresti l’alieno?
-Se gli alieni sono affascinati come me, potrei esserlo…
Federica ridacchiando e scuotendo la testa, gli si avvicinò.
-Io sopra questa cosa non ci salgo.
-Il tuo problema, cara la mia Federica, è che non affronti il pericolo, l’ignoto- disse lui, staccandosi con un colpo di bacino dalla sua Ducati Monster nera, tirata a lucido con le sospensioni in grigio metallizzato.
Federica si sentì spiazzata, senza riuscire a ribattere in modo pungente com’era suo solito.
Luca aveva ragione e il fatto preoccupante è che si conoscevano da pochissimo tempo ma lui l’aveva già inquadrata in modo veritiero. Federica desiderava la novità nella sua vita, quel pizzico che le mancava per viverla al meglio, ma la verità è che tutto quello che era nascosto ai suoi occhi le faceva paura. Preferiva rimanere nel suo mondo, piuttosto che affrontare una cosa ignota.
-Che ne dici di affrontarlo con me?- Chiese lui, allungandole una mano aperta con il palmo verso l’alto.
Federica guardò scettica prima lui e poi quella mano tesa. Non si fidava ma qualcosa in quella voce le fece desiderare di provare e mentre afferrava quella mano ruvida e grande, non pensava alla paura di cadere nel burrone di chissà quale insidia ma pensava solo a quello che si sitava perdendo.
Luca sorrise vittorioso e l’aiutò a salire dopo di lui.
Federica rimase impacciata, con i piedi ancorati in modo precario ai lati di quel bolide e immobile ad aspettare sue indicazioni.
-Prima di tutto metti quella borsa a tracolla, la prossima volta non voglio vedere oggetti svolazzanti sulla mia moto.
-Se non ci rimetto le penne prima…
Luca fece finta di non sentirla, aspettando paziente che si mettesse quella borsa rossa e bianca a tracolla.
-Ora infila questo- le disse passandole il suo casco.
Federica lo prese tra le mani costatandone la pesantezza. Era pesante ma non troppo, quello che la fece preoccupare era la grandezza. Era enorme per la sua piccola testa.
-E tu cosa metti?- Chiese intimidita.
-Io sono un professionista tesoro, l’anguilla qui sarai tu e non mi va di vederti spiattellata per terra.
Federica fece una smorfia disgustata.
-Non essere sofisticata, una caduta ogni tanto ci sta- ridacchiò Luca, guardando la sua espressione dallo specchietto.
Federica decise di non ribattere, altrimenti sarebbe corsa nuovamente nel suo appartamento, infilò il casco e lasciò che Luca stringesse la cinghietta sotto il mento. Sentire le sue lunghe dita che le sfioravano il mento, le fecero correre i brividi sulle braccia e sperò che lui non se ne accorgesse, altrimenti avrebbe incolpato il vento. Peccato che quel giorno di giugno non ci fosse un bavero di aria.
-Fossi in te, mi aggrapperei a qualcosa- la invitò lui, mettendo in moto.
-Mi stai invitando a metterti le mani addosso?- Chiese in tono alto lei, credendo che lui non la sentisse dentro a quel casco gigante.
-Guarda che ti sento- ridacchiò Luca posando un piede sul pedalino -e comunque, per farmi toccare non mi servono questi trucchetti da adolescente- detto ciò non aspettò la risposta, accelerò però solo quando si accertò che Federica fosse con tutti e due i piedi piantati sulla moto.
Il contraccolpo la fece balzare in avanti, facendole sbattere il casco sulla spalla di Luca. In un gesto involontario, abbracciò l’addome del ragazzo chiedendosi se non gli facesse freddo sfrecciare nella notte con solo una camicia di lino, lei aveva freddo sulle braccia nude e l’aria le sferzava i capelli lasciati sciolti sotto il casco.
Quando passarono a velocità sostenuta vicino a una macchina in movimento Federica strinse forte la prese del ragazzo chiudendo gli occhi. Se fosse scesa viva da questo mostro, lo avrebbe ammazzato.
Ma in quel momento decise di rischiare, aprì piano gli occhi e lasciò che le lucine della citta le passassero accanto senza pericolo alcuno.
Sentiva il vuoto d’aria nello stomaco alle curve, mentre si allontanavano dalla città e le piacque. Stare lì sopra liberava la mente, la faceva sentire più leggera, come se non ci fosse stato niente e nessuno d’inopportuno nella sua vita.
Le piacque, staccò leggermente la testa dalla spalla del ragazzo e voltò il capo dall’altra parte, verso la campagna. Stavano salendo su di una collina e le parve di essere stata solo alcuni attimi sulla moto, che subito dopo si trovò ferma sul terreno, appioppata ancora a Luca.
-Non respiro- si lamentò lui, prendendola in giro.
-Era il mio intento- gli rispose lei, aspettando che lui scendesse.
Luca l’aiutò a slacciare la cinghietta del casco, facendole sentire ancora quella corrente che pensò essere solo elettricità statica.
-Libera- le sussurrò lui, appendendo il casco sul manubrio della moto.
L’aiutò a mettere i piedi per terra e lasciò che la ragazza prendesse familiarità con l’ambiente circostante.
Era una strada provinciale, illuminata dai fari della strada. Tutto attorno a loro c’era odore di fresco e quell’odore pungente delle campagne, del grano e della terra umida.
Non lo trovò un posto brutto, anzi tutt’altro. Era naturale, semplice e senza pretese. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo così mondano conoscesse quel posto.
-Vuoi ammazzarmi per caso?- Gli chiese, girandosi a guardarlo mentre Luca tirava fuori dal piccolo bagagliaio una busta di carta marrone.
-Se ti dicessi che ho preso in serie considerazione di farlo, mi crederesti?
-Probabile, visto che anche io ho pensato lo stesso per te.
-Ma io ho una moto per scappare.
-Io ho… le gambe?
Luca scoppiò a ridere, mentre appoggiava la busta sul sellino e ne tirava fuori dal bagagliaio un asciugamano.
-Aiutami piccola killer.
Federica aiutò Luca a stendere un telo da spiaggia poco distante dalla moto, diretto verso la luna che illuminava il cielo in modo chiaro e trasparente. Era una vista spettacolare.
Lei si sedette e portò le gambe al petto guardando l’infinità del cielo, un po’ le faceva paura tutto quel cielo buio, inesplorato e accattivante. Da piccola aveva sempre ammirato i bambini che dicevano “da grande voglio fare l’astronauta”, mentre a lei era sempre piaciuto costruire le case con i mattoncini e diceva che sarebbe diventata un grande architetto, avrebbe costruito il monumento più bello che avrebbero mai visto, lo avrebbero ammirato anche dallo spazio, anche a mille anni luce.
-Hai fame?- Chiese Luca, sedendosi accanto a lei e incrociando le lunghe gambe. Solo allora Federica si rese conto che aveva abbandonato i vestiti di quella mattina, ora aveva un jeans e una camicia di lino chiaro, si sorprese di non trovare gli immancabili mocassini, ma probabilmente non erano adatti a guidare quel dinosauro della sua moto, ora aveva delle semplici scarpe da ginnastica nere. Lei bhè… non aveva avuto nemmeno il tempo di cambiarsi. Sperava di non puzzare di sudore.
Assecondò con la testa e lo guardò mentre appoggiava sul telo, tra loro, vari contenitori.
-Abbiamo: involtini primavera, ravioli a vapore e nuvole bianche. Per dessert delle fantastiche barrette kit-kat. Ma…- si bloccò lui, guardando Federica.
-Ti piace il cinese, vero?- Chiese allarmato mentre lei gli sorrideva divertita.
-Preferisco il giapponese, ma mi accontenterò- rispose scherzando, rassicurandolo.
Luca aprì le vaschette e fece cenno alla ragazza di servirsi pure.
Rimasero in silenzio mentre sgranocchiavano gli involtini e le nuvole di drago.
-Posso chiederti il perché di tutto questo?- Domandò Federica, pulendosi le dita tra le labbra e indicando tutto quello che la circondava.
Luca abbandonò il cibo e si allungò con le gambe davanti a se, appoggiando i gomiti ai lati del busto.
-Mi annoiavo e avevo voglia di tornare in questo posto, l’ho scoperto solo ieri.
-Luca Morelli che si annoia? Non ci credo- lo canzonò lei, afferrando un raviolo e gustandolo silenziosamente.
Luca la osservò mentre la ragazza chiudeva gli occhi e lasciava che il sapore di quel piccolo raviolo l’esplodesse tra le labbra. Era un gesto semplice, involontario, che però Luca non si lasciò sfuggire. Era troppo intenso per lasciarselo sfuggire.
Quando Federica riaprì gli occhi, Luca tornò a guardare il cielo, accavallando le gambe.
-Ogni tanto capita- spiegò sintetico.
-Di sabato sera?- Tornò a chiedere la ragazza, interessata.
Luca si strinse nelle spalle -di solito mangio prima e poi esco. Ero solo a casa allora ho pensato di cenare con qualcuno.
L‘affermazione fece sussultare Federica, era venuto da lei solo perché non sapeva con chi passare la cena, quando avrebbe finito si sarebbe incontrato con i suoi amici, con le persone del suo calibro che non avevano niente a che vedere con lei. Probabilmente persone che avevano l’armadio pieno di camicie sartoriali, di polo e quei dannatissimi mocassini che lei odiava. Li avrebbe fatti sparire dal mondo con molta contentezza.
Non sapeva perché se la prendeva così tanto, probabilmente perché sapeva che quel mondo non sarebbe mai stato il suo.
-Probabilmente andremo a ballare da qualche parte e devo avere per forza la pancia piena- continuò lui, non accorgendosi dell’immobilità apparente della ragazza.
-Capisco- rispose lei, deglutendo quella sensazione che le si era appena aggrappata in gola.
Luca si voltò a guardare il volto di Federica non appena notò il suo tono di voce, la trovò con gli occhi bassi mentre giocherellava con i bracciali che aveva al polso destro.
-Ti senti bene?- Le chiese allungando una mano a scostarle una ciocca di capelli che gli oscurava la vista per gli occhi della ragazza.
Quando sfiorò i capelli per portarli dietro l’orecchio, lasciando una scia bollente dietro, Federica sollevò lo sguardo ammirando la profondità degli occhi del ragazzo.
Per la prima volta si guardavano negli occhi senza sotterfugi e Federica ebbe la sensazione di essere in trappola, come se delle manette di fuoco la tenessero bloccata senza poter muovere i polsi. In quel momento capì che la sensazione di fastidio, avuta qualche attimo prima non era generalizzata, non era per il mondo di Luca, di cui non le importava nulla di fronzoli ed etichette, era nei confronti di Luca Morelli stesso.
Perché quel ragazzo le piaceva, le piaceva troppo e la verità era che per lui non contava nulla. Per Dio, era solo un contratto di lavoro, lo avrebbe pagato per starle accanto. Quella era la verità e lei non poteva avere alcun cedimento perché Luca era come un precipizio, profondo, insidioso e pericoloso. E Federica ne aveva paura.
Con gli occhi spaventati, guardò per lunghi attimi quelli grigi del ragazzo che la scrutavano indecifrabili. Luca Morelli era un mistero.
Un suono lontano la fece spezzare quel contatto visivo, riconoscendo la sigla di Teen Wolf come suoneria del suo cellulare. Voltò la testa facendo allontanare la mano calda e grande di Luca.
Federica si alzò in piedi e afferrò il cellulare dalla borsa, guardando il mittente della chiamata.
-Devo tornare a casa, i miei genitori mi stanno aspettando.
Luca assecondò con la testa e, aiutato dalla ragazza, aggiustò tutta la cena non consumata nel bagagliaio insieme al telo da spiaggia.
Il viaggio di ritorno fu più tranquillo, silenzioso ma più pesante.
Federica rimuginava sulle notizie che le avrebbero dato i genitori e sulla scoperta appena fatta su quel ragazzo che ora guidava nella sera buia.
Chiuse gli occhi sperando di svegliarsi nella sua stanza prima che tutto questo fosse successo.
Probabilmente Luca aveva guidato più veloce della norma, perché in un attimo apparente si trovarono sotto casa di Federica.
Aspettò che il ragazzo l’aiutasse a slacciare il casco e si preparò a quei brividi che non si fecero attendere più del dovuto.
-Allora…- dissero tutti e due contemporaneamente.
Luca ridacchiò e Federica gli sorrise anche se si sentiva impacciata.
Grazie della cena.
Luca fece un cenno della mano, colpendo l’aria e le sorrise. Un sorriso che fece vacillare Federica.
-Bhè… buona serata- disse lei, passandogli il casco.
-Anche a te.
Federica si voltò per andare al portone ma si ricordò solo allora di una cosa. Quando si voltò vide Luca che si stava infilando il casco e stava accendendo la moto.
-Luca!- Lo chiamò.
Il ragazzo si voltò a guardarla, alzando il vetrino del casco.
-Viviana ci ha invitati ad una festa di preparazione al matrimonio, capisco se tu non voglia venire… alla fine è solo una cosa…
-Fammi sapere quando- le rispose lui sorridendo.
Non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, che Luca era scomparso nella notte. Di lui c’era solo una lucina rossa proveniente dalla moto.

 

Buonasera lettori!
Perdonate il ritardo nel pubblicare, ma sembra che anche una pantofolaia come me non ci sia più tempo di far niente.
Argh. Probabilmente andrò a chiedere un prolungamento delle ore gionaliere.
Ma... ora parliamo della storia.
Luca, Luca, Luca. Quando sei figo su quella moto, eh? Ammiro Federica per essere sopravvissupa alla visione. 
Focalizzatevi su un passaggio particolare, la nostra piccola Federica deve fare i conti con una verità scomoda per la sua parte cinica. Chi ne uscirà vivo?
Ora tocca a voi... fatemi sapere cosa ne pensate e sancite il vostro passaggio con qualche parolina di incoraggiamento alla me medesima.
Vi auguro un buon proseguimento e a presto.

Sempre vostra
IlaPerla

T'ho. Un Luca Morelli in moto :P 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap. 6 ***




Capitolo 6
 
Era lunedì mattina e il “Ferro vecchio” era in piena attività.
Il signor Belli, aiutato dalla moglie, era in deposito a catastare gli scatoloni che la ditta d’imballaggi aveva lasciato poco fa vicino all’entrata dell’attività, bloccando il normale funzionamento lavorativo della bottega.
Federica era alle prese con firme e fogli bollati, con una mano reggeva la cartellina segnando i prodotti arrivati e con l’altra si passava il palmo sulla fronte, facendo spostare le ciocche ribelli che le andavano a bloccare la visuale.
Giugno era ormai entrato nel pieno del caldo, si potevano già contare picchi di trenta gradi e Milano in estate voleva dire la morte e per fortuna l’umidità non si era ancora fatta sentire.
Era passata una settimana dall’ultimo incontro con Luca, non si erano sentiti in nessun modo e a Federica stava bene, almeno apparentemente.
Nella sua testa vorticavano troppe cose, come la novità da parte dei suoi genitori. Il padre si sarebbe dovuto operare ai legamenti del gomito sinistro ed era un intervento molto delicato ma il peggio è che dovevano recarsi in una clinica privata e la spesa era in quantificabile, almeno per le tasche della famiglia Belli. Era una di quelle spese che mai ti saresti aspettato e che ti gravano addosso peggio di un macigno di tonnellate e tonnellate.
L’operazione non rientrava nel budget e questo significava lavorare più sodo, fare straordinari e tenere gli occhi sempre aperti.
Tutto ciò le faceva pensare a Luca e al fatto di star sprecando soldi che avrebbe potuto usare per aiutare, soldi destinati al suo sogno. Ma ora il suo desiderio non importava. Importava tenere i piedi per terra.
-Ultimo scatolone arrivato- la voce di Bartolo, il ragazzo che come sempre aveva portato la merce all’interno, risuonò nel negozio.
Il ragazzo si stava pulendo le mani sul jeans grigio e sorrideva a Federica che si era distratta e aveva perso il segno di quello che stava contando.
-Hem…- cercò di riacquistare terreno, guardandosi attorno -la vernice c’è, il lucido anche, chiodi, carta vetro…- lesse girando attorno agli imballaggi.
-Federica, dovresti conoscermi ormai. Non perdo mai un ordine- si pavoneggiò Bartolo appoggiandosi al bancone, continuando a osservarla.
Federica gli sorrise, scarabocchiò la sua firma sulla ricevuta e la porse al ragazzo.
-E’ tutto- concluse lei, quasi mettendosi sull’attenti.
Bartolo prese la fattura e la piegò in quattro per poi mettersela nella tasca posteriore dei jeans. Guardò l’orologio facendo cadere alcune ciocche dei suoi capelli ricci sulla fronte, Federica ridacchiò pensando a quanto avessero i capelli simili.
Bartolo era un ragazzo simpatico, si conoscevano da anni ma sempre per motivi lavorativi, era un ragazzo senza pretese e sempre con il sorriso sulle labbra. Niente di sconvolgente, almeno non in confronto a una conoscenza recente della ragazza.
Luca. Chissà se ricorda quella carezza accennata, chissà se diceva sul serio per la festa prenuziale.
Federica si riscosse all’istante dandosi per pazza. Aveva davvero pensato a queste romanticherie adolescenziali? Lei?
-Ti va una tazza di caffè?- Si trovò a chiedere a Bartolo che sollevò di scatto la testa, facendo smuovere i ricci scuri.
-Con molto piacere- le sorrise.
 
-Da quando lavori con tuo padre?- Le chiese Bartolo tornando verso il “Ferro vecchio” dopo aver offerto a quella piccola ragazza una bella e buona tazza di caffè.
-In verità da quando andavo a scuola, da allora non ho mai smesso. Ho sospeso solo il periodo in cui davo gli esami all’università e ora rieccomi qui- spiegò lei, stringendosi nelle spalle e calciando un sassolino sul marciapiede che costeggiava la via della bottega.
-Mi domando se ti piace davvero come lavoro- osservò lui curioso, piegando la testa nel guardarla.
Era una spanna più alto di lei, non così molto considerando la statura minuta di Federica, era facile trovare qualcuno che la superava in altezza.
L’estate ormai era nel suo pieno, il caldo iniziava a farsi sentire e Federica avrebbe tanto voluto un po’ d’ombra sotto la quale ripararsi.
-Si- rispose dopo averci pensato un po’ su. Il lavoro del padre le piaceva ma questo non le implicava che fosse il lavoro dei suoi sogni. Alla fine si era solo ritrovata a rispondere alla domanda in modo letterale, senza precisazioni.
-E a pranzo cosa fai?- Domandò tutto a un tratto Bartolo, guardando davanti a se e spostandosi i ricci dalla fronte.
-Mangio?- Chiese lei e il ragazzo scoppiò a ridere.
-Cosa?
-Panino con tacchino- rispose lei, fermandosi a un passo dalla porta aperta del negozio sbirciando dentro, nessuno in vista.
-E’ un po’ triste, non trovi?
Federica guardò quel ragazzo e sorrise, gli era simpatico. Avevano parlato molte volte durante le consegne ma sempre nell’ambito lavorativo e sempre del più e del meno. Era emozionata per quella conversazione ma si era ripromessa di mantenere i piedi per terra.
-Bhè… un po’ si…- rispose, guardando la pianta di margherite fuori dal negozio.
-Ti va se un giorno di questi pranziamo insieme?
Federica strabuzzò gli occhi e da un momento all’altro si aspettò che uscissero le telecamere da dietro la pianta rigogliosa.
Perché qualcuno mai dovrebbe invitarla a pranzo insieme?
Dov’era la fregatura?
Ma poi, possibile mai che doveva pensare sempre al negativo? Non era possibile che questo ragazzo simpatico e carino volesse passare un po’ di tempo con lei? Già… impensabile.
-Mi farebbe pia…
-Hei!- La voce possente di Luca, a cavalcioni sulla moto e con il casco sotto braccio, la chiamò alla sua sinistra.
Federica non si era minimamente accorta dell’arrivo del ragazzo, non sentendo nemmeno il rombo del motore. Era troppo presa da quelle domande così futili e senza senso. Almeno in apparenza.
Quando né sentì la voce, ebbe un piccolo sussulto. La mancanza del ragazzo per tutti quei giorni le pesò sulle spalle ricordandole la serata passata insieme su quel prato, facendola avvampare. Né percepì la mano vicina al suo viso ma quando alzò gli occhi trovò quelli castani di Bartolo che la guardavano in attesa.
-Hem…- balbettò lei sorridendogli, ma si voltò verso Luca.
-Dimmi- gli disse in maniera molto fredda, tant’è che Luca ne rimase spiazzato, non aspettandosi di certo quella reazione.
-Ti cercavo- le disse, scendendo dalla moto ma continuando a guardarla. Spezzò il contatto visivo solo per mettere il cavalletto alla possente moto.
Federica approfittò di quel momento per tornare a guardare Bartolo.
-Mi farebbe piacerebbe- rispose alla domanda rimasta in sospeso.
Bartolo sorrise mettendo in mostra i denti che però non scintillarono come nelle pubblicità dei dentifrici e Federica rispose timida a quell’espressione.
-Cosa ti farebbe piacere?- Chiese Luca, affiancandola e guardando Bartolo da capo a piedi dalla sua notevole altezza.
Federica guardò i due così diversi e totalmente l’opposto che ebbe paura di fargli stare ancora così tanto vicini. Erano agli antipodi, Luca vestito come il solito di tutto punto nei suoi jeans, polo bianca e scarpe da ginnastica per guidare la moto e Bartolo in tuta da lavoro grigia e arancione.
-Bartolo mi stava chiedendo di pranzare insieme- si trovò a spiegargli senza che ne volesse realmente. Perché non gli doveva assolutamente delle spiegazioni.
-E a te “farebbe piacere”?- Chiese ancora lui, guardandola dritta negli occhi.
-Ovviamente- ne rispose stizzita.
-Buona fortuna- concluse Luca, guardando Bartolo e facendogli un cenno del capo.
Si allontanò di alcuni passi, lasciando tempo di salutarsi mentre Federica alzava gli occhi al cielo e tornava a dedicarsi a quel ragazzo così simpatico che era Bartolo.
-Chi è?- Chiese lui, sperduto.
-Un mio… amico, un po’ maleducato- rispose scuotendo la testa.
Bartolo ridacchiò e s’infilò le mani nelle tasche.
-Allora che ne dici di… domani?
-Domani andrà benissimo- rispose lei, davvero emozionata. Non era mai uscita con nessuno che le chiedeva così facilmente di passare del tempo insieme.
Non che non avesse avuto le sue uscite, ma si erano tutte rivelate delle sciagure, incontri strani e imbarazzanti. Rabbrividì al ricordo e né scacciò il pensiero.
Salutò con la mano Bartolo che tornava al suo furgone e si preparò ad affrontare quel vichingo di Luca Morelli.
Quando si voltò il giovane era appoggiato alla moto e trafficava con il cellulare con il capo chino.
Federica gli si avvicinò di un passo e lui subito alzò la testa guardandola in modo sufficiente.
-Ti ho appena lasciato il mio numero di telefono su Facebook, visto che non ti decidi né ad aggiungermi, né a darmi il tuo numero.
-Perché?- Chiese lei, incrociando le braccia dietro la schiena.
Luca si staccò dalla moto e la fronteggiò, guardandola fisso.
-Stamattina ti cercavo e Dorotea non voleva darmi il tuo numero.
Federica pensò di ringraziare la sua amica appena possibile, aveva fatto un’azione che apprezzava molto. Almeno su quel punto si spalleggiavano a vicenda.
-E perché vuoi il mio numero?
-Perché mi è più semplice quando devo dirti delle cose ma visto che sei impegnata…- fece un cenno a dove poco fa era Bartolo.
-Stavo lavorando- si difese lei.
-Certo, vedo come lavori duramente- osservò lui con voce tagliente che diede fastidio alla ragazza.
-Luca, cosa vuoi?
-Voglio che domani pomeriggio tu venga con me.
-Dove?- Chiese allarmata.
-Non ti piacerà…
-Come fai a dirlo?
-Perché non è… nelle tue corde.
Federica lo guardò con sospetto ma decise di dargli il beneficio del dubbio, d'altronde non avrebbe mai voluto uscire con lui. No?
-Allora no, grazie. Non posso- disse girandosi e allontanandosi.
-Invece io voglio che tu venga- la voce altezzosa era sparita, dando il posto a una… lamentosa?
Federica si girò a guardarlo. Era così bello e sportivo che quasi non riusciva a guardarlo per più di qualche secondo. La sensazione di vicinanza del sabato prima le fece ballare lo stomaco e si sentì nuovamente avvampare. Odiò quel ricordo, non poteva reagire così ogni volta che ci pensava.
-Perché?- Chiese con voce incerta.
Luca le si avvicinò passo dopo passo, fermandosi finalmente a solo uno piccolo e insignificante passo di distanza.
-Ti voglio con me- e Federica sentì indistintamente il cuore scendergli nello stomaco.
-Co… come?- Balbettò volendosi prendersi a schiaffi, la vicinanza e quel tono di voce di Luca la destabilizzava, facendole asciugare la gola.
-Voglio che tu venga con me all’incontro di polo di domani.
Federica strabuzzò gli occhi e non credette alle parole del giovane.
-CHE COSA?
No, non voleva e Luca ci aveva visto bene.
 
Quando Federica si guardò allo specchio, aveva le sopracciglia aggrottate e riavvicinate tra loro. Aveva l’espressione imbronciata e poco ci mancava che battesse i piedi per terra.
Aveva cercato in tutti i modi di persuadere Luca dall’invito, dicendogli che avrebbe trovato sicuramente di meglio da invitare al suo fianco a quella maledettissima partita a polo. Invece lui aveva giocato la carta del “favore” che stava facendo lui nel suo finto ruolo di fidanzato e per questo Federica cedette. La cosa che odiava di più era il ricatto.
Si allisciò nuovamente i pantaloni a semi-sigaretta neri e si girò a guardare il sedere. Alzò gli occhi al cielo turbata e frustrata. Inutile tornare sul fatto del rapporto che intercorreva tra Federica Belli e i vestiti. Per maglia aveva trovato frugando nel cassettone della mamma, una maglia bianca con scollo a barchetta e con piccole righine nere sulla parte superiore fin sotto il seno, il resto scendeva morbido e grazie al cielo copriva la curva morbida dello stomaco. Per i fianchi non c’era molto da fare, si sarebbe aggrappata alla concezione del “nero snellisce”.
Si legò i capelli in una treccia e se la lasciò cadere a un lato della spalla, almeno contenendo i suoi ricci ribelli. Di trucco non se ne parlava! Il massimo che avrebbe fatto era passarsi un po’ di mascara sulle ciglia ma niente più. Federica era più un maschiaccio che giocava a pallone nel cortile a tredici anni, invece di mettere da parte risparmi per trucchi e profumi. Il mascara non era nemmeno suo, era gentilmente prestato dalla madre. Probabilmente risaliva anche all’età dei dinosauri.
Guardò il cellulare silenzioso e decise di avvisare Luca di porre fine a quell’attesa estenuante.
 
“Sono pronta” digitò, senza rivelare chi fosse.
 
Aveva preso il numero dalla chat di Facebook, ovviamente non l’aveva ancora aggiunto alle sue amicizie e mai l’avrebbe fatto. Già era tanto se gli lasciava il numero di cellulare.
Era proprio vecchio stampo.
 
“Acida anche per messaggi. Arrivo” era la risposta di Luca.
 
Federica si domandò se non l’avesse confusa con qualcuna delle sue amichette con cui passava le serate, peggio per lui. Se non fosse arrivato da lì a dieci minuti, si sarebbe cambiata e addio polo.
Rabbrividì al pensiero. Come ci si vestiva per una maledetta gara di polo? Che gran cavolata.
Per un attimo pensò di chiamare Veronica e farsi prestare dei vestiti più consoni, ma poi scacciò il pensiero dandosi per matta.
Guardò le uniche scarpe con il tacco che possedeva, vicino al letto, e gemette di frustrazione.
C’era un perché sul motivo che non avesse altre paia. Perché stare su quei cosi soffrendo e imprecando? Probabilmente erano stati inventati da un maschilista frustrato.
Decise di andare ad aspettare Luca giù casa, evitando di far suonare alla porta così che la mamma le imponesse di farlo salire.
Aveva chiesto al padre di assentarsi due ore prima dalla chiusura del negozio e avrebbe tanto voluto che le dicesse di no, invece il “si” era stato preceduto da un enorme sorriso e da occhi brillanti. Si sentiva così irrequieta.
Salutò la mamma frettolosamente e optò per l’ascensore per evitare di ruzzolare fino al piano terra.
Quando aprì il portone di vetro, guardò attorno ma non vide nessuno all’orizzonte. Decise di aspettare dondolando da un piede all’altro.
Erano le sette di sera ma il cielo era chiaro, quella cosa di Milano le piaceva. La notte scendeva tardi e il sole era restio a calare, come se non volesse lasciare l’oggetto dei suoi desideri.
Giocherellò con la cinta della borsa, posata sulla spalla e avrebbe tanto voluto fare marcia indietro e andare via. Alzò la testa e guardò le rondini giocare sospirando.
Proprio quando decise di darsi alla macchia una macchina bianca si fermò davanti a lei. Il finestrino scuro dal lato del passeggero scese fino a far comparire il sorriso beffardo di Luca.
Federica inclinò la testa di lato e ammirò la macchina: un Audi a5. Tipico.
-Non è che avresti una Panda da qualche parte in garage?- Chiese lei sarcastica.
-Dovrei averla nel magazzino a farle fare la polvere- le sorrise lui.
-Su avanti…- la invitò, sporgendosi ad aprire la portiera.
Sospirando, ormai non aveva più scampo, Federica salì in macchina e un odore di muschio l’investì. Non aveva ancora fatto caso al tipo di odore che avesse luca ma quel momento l’odore muschiato della macchina si andò a confondere con quello di bagnoschiuma del ragazzo, dando una fragranza che stordiva i sensi di Federica.
Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per rimanere calma in tutta quella sorta di farsa di quel giorno.
Quando si misero in cammino, il silenzio fu sormontato solo dallo stereo della macchina che passava tutto il repertorio di Bruno Mars.
-Cosa devo aspettarmi da questa situazione?- Chiese Federica in un impeto di determinazione. Via il dente, via il dolore.
-E’ una semplice partita di polo- rispose lui, stringendo con una mano il volante nero e con l’altra andava a cambiare le marce.
-Semplice…- ripetette lei, marcando il tono che aveva usato lui.
Luca ridacchiò e si aggiustò meglio sul sedile del guidatore.
-Dovrò giocare un’ora e poi sarà tutto finito.
-Tu cosa?- Squittì Federica, girandosi a guardarlo.
-Non te l’ho detto?- Chiese lui sovrappensiero.
-No!- Urlò lei, sentendo una crisi di panico prenderle lo stomaco.
Si era ripromessa di non mollare un attimo Luca durante tutta quella pantomima ma ora che lui le diceva che sarebbero stati a due capi opposti, iniziò a sentirsi soffocare. Lei non sapeva nemmeno cosa facessero in quei posti!
-Hei, non c’è bisogno di allarmarsi- la tranquillizzò lui, posandole una mano sul ginocchio e in un attimo la frustrazione di Federica sembrò evaporare. A un tratto ricordò quello che non doveva ricordare ma si sentì meglio. Che stregoneria era mai quella?
-Cosa dovrei fare esattamente?- Gli chiese, riprendendo a respirare gradualmente. Respiri piccoli e profondi, non strafare.
-Ti siederai con le altre persone, che ti presenterò, tiferai per me, sorseggerai un aperitivo e poi alla fine ci sarà un buffet e la consegna dei premi. Né più né meno- le spiegò lui tranquillo, togliendo la mano dal ginocchio per scalare una marcia in curva e poi la riportò dove era prima, sulla ragazza.
Federica fissava quella mano sul pantalone ed era in allerta per ogni sussulto che le provenisse da dentro.
-La fai facile- sbuffò guardando la strada in aperta campagna. Si stavano allontanando dal centro per giungere a un residence in un’aperta vallata.
-Non è niente di speciale.
Federica non era d’accordo ma non volle insistere. Era già tesa da sola e non ci teneva ad accentuare questo semi-stress. Però una domanda le impazziva nella testa e voleva tanto porla ma la sua timidezza e goffaggine erano da ostacolo a essere schietta e diretta.
-Qualcosa non va?- Le chiese lui, togliendole la mano dal ginocchio e afferrando il volante, mentre si girava a guardarla.
Sentì il calore sul ginocchio scomparire e ci rimase male, proprio come quel giorno in quella carezza mancata. Era così vicina ma così distante.
-Potevi scegliere qualcun’altra…- si trovò a borbottare e nell’esatto momento in cui si accorse di aver parlato, sperò che Luca non avesse sentita. Pregò con tutte le sue forze e sembra che qualcuno finalmente la ascoltasse.
-Come scusa?- Chiese lui, inclinando la testa.
-Niente, niente. Stavo solo ammirando la strada- rispose lei, voltandosi a guardare il verde che passava ai lati dell’asfalto.
Rimasero in silenzio durante il resto del viaggio, che per fortuna durò poco.
Quando Luca entrò con la sua Audi nel residence, Federica capì in quell’esatto momento che era completamente fottuta. 

 

Ciao lettori e buon anno e buona epifania :)
Innanzitutto perdonatemi il ritardo nella pubblicazione perchè ho avuto un periodaccio, ho dovuto fare un po' i conti con me stessa e con alcune questioni delicate in famiglia ma hei... Federica e Luca son tornati!
Che dire del capitolo?
Abbiamo una new entry e Bartolo ci saluta tutti. Che posizione avrà nella storia? Lo scopriremo con il tempo, tutto ciò da dire è che un ragazzo simpatico e del tutto normale. Un tipo... inoffensivo? Bho... chi lo sa.
Abbiamo una Federica elegante, un Luca figo (come sempre) una partita di polo e... un passato da scoprire.
Il prossimo capitolo sarà uno dei miei preferiti, spero di pubblicarlo presto e che vi possa piacere.
Ragazzi, mi farebbe tanto piacere leggere le vostre impressioni. Davvero tanto.

Io vi saluto e vi do appuntamento a presto.
Sempre vostra
-IlaPerla
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap. 7 ***




Cap. 7

 
Il campo da polo era un’enorme distesa di prato finemente rasato e quasi tirato a lucido se fosse stato possibile, attorno era circondato da una mezza staccionata bianca di legno che delimitava il campo da gioco con le sedute destinate al pubblico, che in quel momento era in piedi a conversare tra loro sorseggiando un liquido dorato in dei fini calici di vetro che luccicavano al sole estivo.
All’entrata Luca fece un cenno al responsabile della reception a cui consegnò le chiavi dell'Audi e guidò Federica nella zona che anticipava il lato di attesa dove si sarebbe svolta la gara.
-E’ pieno di gente- sussurrò Federica, ingoiando l’ansia.
-Il polo è lo sport preferito dei borghesi tesoro, quasi allo stesso pari del golf. Solo che il golf è noioso per gli spettatori. Il polo entusiasma e fa scommettere- spiegò lui, posandole una mano sulla schiena e conducendola nella zona dove le persone stavano chiacchierando.
Non c’era prato per terra ma una leggera ghiaia che Federica lodò per non veder affondare nel terreno i tacchi che non sapeva gestire dalla posizione eretta.
-Vuoi bere?- Le chiese Luca composto.
Federica fece un cenno affermativo e il ragazzo fermò un cameriere che si aggirava tra i tavolini con un vassoio pieno di calici mezzi pieni. Chissà come faceva a mantenersi in equilibrio, di certo era più bravo di quanto riuscisse Federica su quei trampoli.
Osservò Luca prendere due calici e se ne sbalordì di quanto era a proprio agio in quei panni di galantuomo. Tutto quello era il mondo di Luca Morelli. Da come riusciva a gestire una camicia di lino con le maniche arrotolate fino ai gomiti, per finire al portamento. Federica si sentì avvampare quando si rese conto di averlo fissato per parecchio tempo, mentre lui era rimasto con la mano allungata a porgergli il calice che lei accettò di buon cuore e ne tracannò due sorsi in fretta. Proprio una signora.
-Luca!
Il richiamo scoppiettante femminile alle loro spalle, fece girare sia il ragazzo che Federica guardando una coppia di donne che si avvicinava.
Federica notò che la donna che aveva chiamato Luca, teneva le braccia spalancate e si avvicinava troneggiando in una gonna così stretta che si chiese come facesse a respirare. Era un completo elegante e signorile, niente di assolutamente volgare. Se non fosse per quel cappellino ridicolo che aveva sulla testa, pieno di velo e due piume di medie dimensioni. Aveva i capelli rossi tendenti più sull’arancione e subito ne associò il nome di “carota”, non lo fece con cattiveria ma Federica aveva la tendenza ad associare ogni cosa che la colpiva. In quel caso il cappellino di pel di carota.
Affianco alla donna, c’era una ragazza che poteva avere l’età di Federica, era minuta e con la testa china. A differenza della signora, aveva i capelli bruni e lunghi che le ricadevano sulle spalle e Federica ne invidiò la lucentezza e la morbidezza già alla vista, non immaginò al tatto. Erano mossi e con un taglio particolare.
Sentì al suo fianco Luca irrigidirsi, ma durò solo un istante perché subito dopo sorrise e si avvicinò a quel duo perfetto.
-Sandra- la salutò posandole due baci sulle guance mentre la donna sorrideva e faceva quel rumore di scocco del bacio così sgradevole.
Luca si allontanò e sorrise imbarazzato alla ragazza che lo guardava intimidita.
-Ciao Carol- ma non si chinò ne a darle un bacio o altro. Strano.
La ragazza gli sorrise e poi staccò lo sguardo dal suo vagando nel piazzale fino a soffermarsi sulla figura di Federica che si sentì colpevole di chissà che cosa e sentì il sangue fluirle dal corpo. Si sentì a disagio e voleva rinchiudersi in un bagno per non uscirne più.
-Allora, sei pronto per la partita?- Domandò Sandra, posando una mano sul braccio di Luca che s’irrigidì notevolmente.
-Diciamo di si- rispose vago, continuando a sorridere.
-E i tuoi genitori non sono venuti?- Tornò a chiedere miss carota dell’anno.
-Hem… no. Non ce l’hanno fatta- rispose Luca a disagio, passandosi una mano tra i capelli.
-Riferirò.
Sandra continuò a sorridere sorniona guardando la ragazza al suo fianco.
-Dovreste vedervi qualche volta, che ne dici cara? Non hai più visto Luca da quando…
-Mamma, ti prego- la rimbeccò la ragazza, frustrata.
-Capisco piccola mia, ma…
-Certo, posiamo vederci per un caffè- questa volta fu Luca a bloccare la signora, sorridendo alla ragazza bruna che arrossì immediatamente.
Qualcosa cadde sulle spalle di Federica fino a sentire le gambe cedere. In quel momento ebbe la conferma che non avrebbe mai e poi mai dovuto ascoltare quella conversazione. Sapeva di non potersi fidare di se stessa, perché sapeva che qualcosa non andava da quella maledetta serata passata con Luca. Si sentì immediatamente travolta da qualcosa che odiava perché era la ragione sul perché non si legava mai con nessuno. Era diventata la ragazza che non piaceva a nessuno per un motivo, e quel motivo ora le doveva ricordare che nemmeno a lei non sarebbe piaciuto nessuno.
Fece un passo dietro l’altro e si allontanò dal trio, per non dover ascoltare la risposta della ragazza o continuare a dover vedere il sorriso di quel ragazzo che doveva essere il suo finto fidanzato. Ma d'altronde avevano una vita al di fuori del loro accordo e tutto doveva continuare con il solito ritmo.
Si trovò a camminare tra i tavoli, a ridosso della staccionata sorseggiando il suo aperitivo frizzante e fresco al punto giusto. I ricchi sapevano fare bene qualsiasi cosa.
Guardò la gente che chiacchierava e anche nel parlare sembrava elegante e composta. Se avesse avuto la sua orrenda macchina, Federica se ne sarebbe già andata via. Non doveva niente a quel ragazzo.
-Hei- a un tratto si sentì afferrare da un gomito, quasi facendole cadere il bicchiere per terra per lo spavento.
-Ma dico, sei impazzito?- Chiese irritata, allontanando il contatto con il ragazzo.
-Scusa- si affrettò a porre rimedio lui, affondando le mani nelle tasche -non ti trovavo più…
-Stavo facendo… due passi. Con questi tacchi ti stanchi più a star ferma che a camminare- gli rispose, indicandogli le scarpe alte.
-Stai bene a proposito, non te l’avevo ancora detto- disse lui, ammirando il completo di Federica che alzò gli occhi al cielo.
-Ti crederò solo quando riuscirò a camminare sui tacchi come una modella.
Luca ridacchio e si guardò attorno.
-Ti va di venire a conoscere Maximus?
-Chi?

-Lui è Maximus- esordì Luca, girando a sinistra nella stalla dove erano posti i cavalli da usare durante la partita di polo.
Federica cercò di rimanere in piedi su quelle scarpe, rimpiangendo le sue amate scarpe da ginnastica logore.
Quando seguì il braccio teso di Luca, si bloccò nel vedere un cavallo di stazza al quanto possente, totalmente nero con una criniera più scura che avesse mai visto. Sembrava essere il padrone di tutto quel posto, faceva muovere gli zoccoli su e giù e sembrò ridestarsi ulteriormente quando Luca gli accarezzò il muso.
-Maximus?- Chiese lei, avvicinandosi titubante. Non sapeva come avrebbe potuto reagire l’animale a un’estranea.
-Avvicinati pure, Max è il cavallo più docile che c’è- la rassicurò lui, sorridendole -Maximus in verità è il nome che gli ha affibbiato mio fratello non appena l’ha visto.
-Sai vero che Maximus è il nome del cavallo di Rapunzel?- Chiese lei, accarezzando il muso del cavallo che chinò la testa per farsi accarezzare meglio. Federica sorrise estasiata, l’animale l’aveva conquistata. Proprio come il suo padrone. Era stupendo nella sua imponenza.
Luca scoppiò a ridere e fece un passo indietro.
-Giorgio, mio fratello, potrebbe essere stato influenzato evidentemente- disse, guardando quella scena tra Federica e il cavallo.
-E Giorgio quanti anni ha?- Chiese lei, girandosi a guardarlo.
-Sei.
-Mi sarei sorpresa se ne avesse di più- gli sorrise.
Luca si trovò a rispondere benevolo a quel sorriso pieno e vero. Ammirando quanto il volto di Federica s’illuminasse quando sorrideva, per non parlare degli occhi attraversati da una luce brilla.
-Hei Morelli, sei pronto a essere stracciato?- Irruppe una voce altezzosa da dietro l’angolo del corridoio.
Un ragazzo alto e massiccio, più di quanto fosse Luca, si avvicinò ai ragazzi. Era vestito da fantino, con gli stivali in gomma neri che gli coprivano i polpacci e il cappellino bianco rigido nella mano destra.
Luca sogghignò, facendosi avanti.
-Ti piacerebbe, ma oggi come sempre la mia squadra ti batterà- lo apostrofò lui.
Il ragazzo sorrise beffardo e guardò Federica con occhio critico.
-Ti sei portato il tifo, interessante- disse poi, allontanandosi.
Federica imbarazzata, tornò ad accarezzare la criniera di Maximus che si faceva toccare più che volentieri.
-Devo andarmi a cambiare- spiegò Luca -la partita durerà quaranta minuti, non di più altrimenti i cavalli si affaticheranno, puoi aspettarmi nella zona ristoro se vuoi vedere la partita altrimenti…
-Farò il tifo per te- disse Federica, guardandolo in modo serio e distaccato.
Luca assecondò con un cenno del capo, indeciso se allontanarsi o meno. Alla fine con un passo dietro l’altro si allontanò lasciando Federica sola con i suoi pensieri.
 
La squadra di Luca era a pari merito con quella del ragazzo possente, trovato nelle scuderie. I due si battevano cercando di soffiare la palla a uno dei due e Maximus era davvero il cavallo migliore del maneggio. Scattante e instancabile. Facendola in barba agli avversari.
Federica era seduta a un tavolino da sola, sorseggiando la limonata che aveva chiesto al bar e godendosi il posto all’ombra sotto la copertura di legno. Il sole stava calando e l’aria era diventata piacevolmente calda, non di quel calore che soffoca. Si stava bene.
-Ciao- la ragazza bruna che prima aveva parlato con Luca, le si era seduta difronte al tavolino rotondo.
-Hem… ciao- rispose lei, appoggiando il bicchiere semi vuoto sul piano.
-Sono Carol, prima non abbiamo avuto modo di presentarci- sorrise la ragazza e Federica non ci trovò nessun doppio gioco in quel sorriso dalle labbra carnose e pittate di un rosso rubino.
-Federica- si presentò in imbarazzo. In queste situazioni, dove l’altra persona era in una fase predominante, Federica si estraniava e si sentiva non alla portata di conversazione.
-Sei un’amica di Luca?- Chiese, guardando i fantini nella radura.
-In un certo senso…- le rispose Federica, guardando Luca lanciare la pallina in groppa a Maximus e fare punto. Sorrise all’esultanza del ragazzo, che incitò il cavallo ad arretrare in difesa. Era sorprendentemente fiero e battagliero.
-Sono contenta che finalmente abbia lasciato da parte la sua vecchia compagnia- continuò Carol, accavallando le gambe e continuando a guardare la partita.
-Come?- Chiese scettica Federica, non sapendo di cosa stesse parlando l’altra.
Non conosceva così bene Luca, anzi… non lo conosceva per nulla e questo le fece male. In confronto, Carol sembrava conoscere parecchie cose della vita di quel ragazzo che per Federica continuava a essere un mistero.
Carol la guardò scettica e fece un sospiro prima di iniziare a parlare.
-Luca è sempre stato molto superficiale, il più delle volte questo era dovuto alla compagnia che aveva attorno. È proprio per questo che ci siamo lasciati…- spiegò lei.
Federica la guardò parlare ancora ma non riuscì più a capire cosa dicesse.
Luca e Carol erano stati insieme e questo non migliorava la sensazione di disagio e pesantezza che Federica sentiva addosso. Un gelo, contrastante ai gradi alti del mese di giugno, passò attraverso la pelle imperfetta di Federica.
Immaginò quando fossero perfetti insieme, quanto potessero volersi bene. Carol sembrava una ragazza che sapesse amare, era sorprendente e vulnerabile. Non era una persona altezzosa, che faceva sventolare i suoi capelli in modo quasi esasperante. Era timida, vera e bella. Dannatamente bella. Il tipo di stereotipo che i ragazzi come Luca Morelli avrebbero voluto accanto.
E si erano lasciati per la superficialità di questo. Una superficialità che andava a bombardare già il precario equilibrio di Federica, che si aggrappava alla propria volontà per scacciare quelle sensazioni che stava iniziando a provare per quel ragazzo.
Il fischio di fine partita la fece tornare con i piedi per terra, guardò Carol che aveva finito di parlare e applaudiva insieme al resto del pubblico. Federica voltò la testa e vide la squadra con la maglia celeste, quella di Luca, esultare con i bastoni per aria e formare un cerchio di grida ed esultanza.
Quando Luca si allontanò dal gruppo, sorrise in direzione di Federica, che credeva che quello sguardo e quel sorriso fossero per lei ma quando lo sguardo estasiato di Luca seguì Carol che si allontanava dal tavolo, le speranze precarie e minime di Federica vennero meno come un castello di sabbia.
Decise di alzarsi e allontanarsi anche lei da quella zona.

Mentre spiava i camerieri aggiustare gli stuzzichini su dei buffet, con la coda dell’occhio vide due ragazzi abbracciarsi in modo candido e amorevole. Mettendo bene a fuoco, notò che i due erano Carol insieme al ragazzo possente della squadra avversaria di Luca.
Carol stringeva il volto del ragazzo tra le mani, guardandolo negli occhi e a tratti posava dei baci casti sulle labbra quando lui finiva di parlare.
Sembravano così a loro agio, diversamente da come si sentiva lei in quel momento. Come se il mondo si fosse capovolto.
Si sentì una guardona e a passi lenti, si avvicinò alla radura del campo sedendosi su una sedia in vimini che accompagnava lo stesso stile dei tavolini. Era un posto più appartato in confronto a dove era prima e si sentì in po’ meglio.
Non sapeva per quanto tempo era rimasta a fissare il vuoto, ma quando la mano calda di Luca si posò sulla sua spalla, sobbalzò per il contatto.
-Non volevo spaventarti- disse lui, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Si era cambiato e i capelli erano umidi.
-Non preoccuparti- rispose lei, tornando a guardare il sole calare lasciando il posto a dei colori magnifici nel cielo.
-Vuoi qualcosa da mangiare?
-No grazie, non mi va.
Rimasero un po’ in silenzio. Un silenzio imbarazzato che Federica odiò con tutto il cuore ma in cui si sentì nuovamente a casa. Lei era così, taciturna e vagamente acida.
-Cosa vuoi fare?- Domandò lui, con voce fioca.
-Vorrei tornare a casa, se non ti dispiace- gli rispose, alzando la testa e guardandolo dal basso.
Luca la guardò a sua volta senza un velo d’ironia, erano tornati ad avere quella distanza che li separava anni luce.
-Va bene, ma se non ti chiedo troppo devo aspettare di ritirare il premio e poi possiamo tornare- spiegò lui.
Federica fece un cenno di assenso, si alzò dalla sua postazione e passò accanto a Luca senza emettere nessun fiato.
Mentre il ragazzo rimaneva lì, interrogativo e perplesso, Federica si allontanò passo dopo passo sentendo il groppone farsi più pensante e se ne preoccupò, perché quel peso proveniva proprio dal petto. Il posto che lei odiava con tutta se stessa.
 
Si era rintanata nelle scuderie insieme a Maximus che stava coccolando e accarezzando da almeno mezz’ora. Sentiva gli schiamazzi della festa in lontananza sorprendendosi che anche i ricchi facessero chiasso. Li vedeva come delle forme aliene, lontani mille anni luce da quello che era lei.
Proprio quando aveva abbracciato la consapevolezza che fosse rimasta tutta la notte in quella stalla, Luca svoltò l’angolo con il borsone a tracolla e una coppa in mano.
-Possiamo andare sorrise in direzione di Federica.
-Devo farti i complimenti allora- disse lei, indicando il trofeo.
-Io non ho fatto nulla, Max è il vero protagonista- osservò Luca, battendo il palmo delicatamente sul collo dell’animale.
-E’ magnifico.
-Già… riesce a tenere fede al suo nome- ridacchiò il ragazzo.
-Andiamo?- Domandò poi.
Federica rispose con un cenno e con un’ultima carezza al cavallo si allontanò un po’ triste per il fatto che non avrebbe più rivisto quello splendido cavallo.
-Ti sei annoiata?- Indagò Luca, mentre faceva scattare l’allarme dell’Audi.
-Credevo peggio- gli rispose Federica, sedendosi in auto.
-In confronto a stamattina, con chi ti sei divertita di più?
Federica lo guardò confusa mentre Luca azionava il motore e quando si accorse dell’espressione della ragazza si affrettò a rispondere.
-Con quel ragazzo…- credette di sentirlo sbuffare.
-Ah, Bartolo!- Rispose sorridendo lei, mettendosi comoda sul sedile e togliendosi le scarpe massaggiandosi i piedi.
-Non ti offendi mica se la campagnola qui presente si toglie le scarpe- disse in sua difesa.
Luca sorrise e scosse la testa, azionando la radio e facendo tornare a cantare Bruno Mars.
-Allora… con chi ti sei divertita di più?- Tornò a chiedere, guardando la strada e tenendo tutte e due le mani ancorate al volante come se potesse sfuggirgli via.
-Mi diverto di più con le mie amiche- rispose lei, muovendo la testa a ritmo della canzone.
-Non sono cose da dire a un uomo, ne va del suo orgoglio- la prese in giro lui.
-E il tuo orgoglio ne è risentito?- Chiese lei, voltando la testa a guardarlo.
-Sta sanguinando- dice lui teatralmente, portandosi la mano sul petto.
Federica scosse la testa ridacchiando, le piaceva quell’atmosfera di battibecchi che si creava con lui. La preferiva mille volte a come si era sentita poco fa.
Decise però di non avere segreti con lui, almeno su quello che riguardava lui stesso.
-Ho parlato con Carol prima- buttò lì, guardando la strada che stavano percorrendo.
-Cosa vi siete dette?- Domandò lui con voce ferma.
-In verità non molto…- rispose lei, rendendosi conto di non aver più ascoltato quello che la ragazza le stava dicendo e si prese per pazza -mi ha solo detto che siete stati insieme e che non è d’accordo sulla compagnia che frequenti.
Luca sbuffò e si passò una mano nei capelli che erano ormai asciutti e vaporosi però senza il solito ciuffo alzato sulla fronte.
-Non stiamo insieme da parecchi mesi e sua madre continua a volerci far incontrare.
-La mamma è Pel di carota, vero?- Domandò lei, facendo ridacchiare Luca.
-Già, ha quel colore di capelli davvero troppo vistoso.
Federica rimase in silenzio per farlo continuare nel racconto.
-A Carol non è mai piaciuta la mia compagnia di amici, è sempre stata una ragazza studiosa, ligia alle regole e non ha mai assecondato alle mie cazzate e con il senno di poi le do ragione. È stata lei a mollare la relazione dopo circa un anno perché si era stancata delle mie puttanate- spiegò lui, per la prima volta aprendosi a Federica, che ne scoprì un mondo nascosto ma che tutto sommato immaginava.
-Com’è finita?- Gli chiese con voce impaurita.
Luca incassò il capo tra le spalle e lo rilasciò subito dopo.
-Con un ultimatum. Dovevo cambiare- le rispose guardingo, sapendo che ora Federica stava mettendo tutti i pezzi del puzzle al loro posto.
-E qui ora la mia domanda, perché hai voluto che io…- ma Federica si bloccò proprio quando Luca girò la strada del quartiere della ragazza.
Ecco perché aveva voluto che andasse con lui a quella stupida partita di polo! Per far vedere alla sua perfetta ex ragazza –ma ancora non proprio ex- di quanto fosse cambiato. Lasciando le sue “puttanate” infantili e facendosi vedere a fianco della zitella, triste e incallita, Federica.
Si sentì il sangue bollire nelle vene, proprio come un vulcano che fosse stato spento per decenni e si fosse svegliato di soprassalto.
-Mi hai sfruttata per i tuoi giochetti- disse lei, con voce ferita, voltandosi a guardarlo.
-Bhè… non dovresti stupirti tanto, visto che anche tu fai lo stesso con me- si difese lui, parcheggiando sul ciglio della strada.
Quello era un colpo basso.
-Tu sapevi benissimo quali erano le mie intenzioni fin dall’inizio. Invece tu cosa hai fatto con me? Mi hai fottutamente usata!- gridò lei incredula.
Luca sbuffò, passandosi tutte e due le mani nei capelli.
-Volevi che te lo dicessi dall’inizio? Volevi che ti facessi sentire di merda fin da subito?- 
Le chiese tagliente, risentito da chissà cosa.
Federica strabuzzò gli occhi pieni di rabbia e pianto. Ma chi era quel ragazzo così stronzo e superficiale che aveva davanti? Possibile che fosse quel ragazzo che l’aveva accarezzata in quella notte e quello che l’aveva scombussolata quel pomeriggio in macchina con una mano sul ginocchio? Che le aveva fatto vedere una parte del suo mondo che lo faceva brillare, come faceva con quel meraviglioso cavallo?
Ad un tratto si sentì un’estranea, proprio come lo erano lei e Luca. Niente di più.
-Vaffanculo.
Aprì la porta e si allontanò da lì, prima che le lacrime giungessero sul suo volto.
Odiava sentirsi vulnerabile. Odiava sentirsi attratta da Luca. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap. 8 ***


Wela lettori.
No, no, non sono un miraggio. Semplicemente ho voluto riprendere in mano questa storia che, non l'ho mai nascosto, mi è sempre piaciuta. Ho voluto riprovarci dopo un grandissimo STOP che mi sono presa nel campo "scrittura". Ci sono state tante modifiche nella mia testa su questa storiella, parecchie volte ho pensato di riprenderla dal principio ma i personaggi non volevano, mi hanno proprio minacciato di non cambiare una virgola e alla fine ho dato loro ascolto.
Quello che leggerete da qui in poi sarà un nuovo inizio per me, probabilmente non sarò degna di niente ma ho voluto provarci... perciò bentornati su "Imperfetti ma non troppo", la storia che porterò a termine per forza. Ve lo prometto.
Perdonate la mancanza del banner ma non visto mentendo se vi dico che proprio non ricordo come si faccia ad inserire e non meno importante è il fatto che non ricordo dove io abbia salvato codesta immagine. Ops.
Buona lettura!

 

Capitolo 8

Era concentrata sulla planimetria del suo progetto, china sul tavolo da lavoro con la lingua tra i denti in un atto di concentrazione suprema e ogni tanto cancellava un calcolo uscito male o una linea non perfettamente dritta.
Lavorava da una vita a quel progetto, al suo sogno indiscusso, ma da un po’ di tempo aveva perso l’ispirazione. Era arrivata a un vicolo cielo e non sapeva più come far continuare quel suo sogno che si era bloccato a metà.
Da giorni invece aveva riacquistato la voglia di andare avanti, di ingrandire quella piantina e riprendere a sperare anche se sapeva che sarebbe rimasto tutto sulla carta perché le possibilità non le erano a favore ma dopo tutto, perché non continuare a sognare? Cosa, o chi,  le poteva negare almeno quello?
Quando sentì bussare alla porta, alzò lo sguardo dal progetto e si rese conto che il sole era ormai sorto da un pezzo e che la lampada accanto al grande foglio non faceva più luce di quella che entrava prepotentemente dalla finestra.
-Avanti!- Disse, alzandosi in piedi e stropicciandosi gli occhi stanchi.
-Buongiorno- la salutò suo padre, entrando ciabattando e andando a sedersi sul letto disfatto.
-A che ora ti sei svegliata?- Chiese curioso, guardandosi attorno.
La stanza di Federica era piccola, ma l’aveva cercata di arredare al meglio per sfruttarne ogni minimo angolo e buchetto lasciato vuoto.
Al centro della stanza c’era il letto con una testiera in ferro battuto, rigorosamente restaurato dal padre tanti anni fa, sotto la finestra alla romana c’era il piano da lavoro di ogni architetto che si rispetta: con la lampada a braccio e uno sgabello di metallo. Dal lato opposto accanto alla porta c’era una cassettiera con uno specchio e i muri erano dipinti di un tenue giallo pastello e al centro della stanza, sotto il letto, c’era un tappeto di pelo rosso. Era strana come stanza, ma era abitabile.
-Da poco- mentì Federica sorridendogli. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare, era far preoccupare il padre, anche se si trattava del suo progetto. Se gli avesse detto che non era riuscita a dormire si sarebbe preoccupato inutilmente.
In verità non dormiva bene da parecchie notti ma a questo evitava di pensare.
Il padre la guardò non convinto, inclinando la testa da un lato.
-Sei sicura che vada tutto bene?- Le domandò poi scettico.
Federica si voltò e aprì il cassetto della cassettiera per uscirne fuori una cambiata e prese dall’armadio degli abiti puliti per il lavoro.
-Certo papà, va tutto benone- gli disse avvicinandosi sorridendogli e dandogli un bacio sulla guancia -buongiorno. Tra cinque minuti sono pronta- detto ciò si allontanò lasciandolo solo nella stanza.
Suo padre si alzò dal letto e si avvicinò al tavolo inclinato, spegnendo la lampada e osservando la piantina su cui Federica stava lavorando.
Sua figlia si era laureata un anno prima e aveva accantonato la voglia di proseguire il suo sogno, almeno credeva, fino ad oggi. Guardare quel progetto ben fatto, quelle linee ben definite gli fecero ricordare la cerimonia di laurea. Federica aveva concluso gli studi con il punteggio massimo, era felice lì sul pulpito mentre il presidente di commissione la nominava dottoressa, era entusiasta e felice di quello che aveva fatto e lui lo era per lei. La sua unica figlia voluta e protetta, sempre. Non si era mai accorto di quanto il cuore di quella ragazza fosse stato grande, al punto di lavorare ogni giorno con lui mettendo da parte il suo sogno più grande.
Guardò ancora quel disegno con la voglia di porre rimedio a tutto ciò ma purtroppo i mezzi a loro disposizione scarseggiavano e si sentì colpevole di qualcosa che andava contro i sogni di sua figlia. Perché se avesse avuto la possibilità l’avrebbe aiutata come se fosse il suo unico obiettivo nella vita.
 
-Potrei offrirti una cena la settimana prossima- propose Bartolo, quando lui e Federica uscirono dal bar per il solito caffè mattutino.
Da quel pranzo insieme, Bartolo aveva preso l’abitudine di aspettare l’arrivo di Federica ogni mattina al “Ferro vecchio” e andare a fare colazione insieme.
Federica ne era entusiasta, mai nessuno aveva questa particolare accortezza quando si trattava di lei e paradossalmente alla sua età, era la prima volta che si trovava in questi tipi di corteggiamenti. Sempre se quello di Bartolo lo era, non l’aveva capito fino in fondo almeno fino a quando lui non le propose un’uscita serale.
Si trovò spiazzata e non seppe che rispondere. La sua parte irrazionale le disse di accettare, che non aveva mai provato niente del genere, tranne ovviamente quelle piccole e insignificanti due uscite che le erano capitate quando era un’adolescente goffa e insignificante. Non che in quel momento non lo fosse più di goffa, ma aveva abbandonato l’adolescenza da tempo.
La parte razionale però, le ricordò del suo finto fidanzamento. Più che altro non voleva farsi vedere in giro dalle sue amiche quando sapeva che nella sua vita ci doveva essere un aiutante giovanotto innamorato perdutamente di lei.
Si, come no.
-Mi piacerebbe tanto ma sono davvero piena di lavoro- si scusò lei guardando le punte delle sue scarpe sbiadite che camminavano un passo dopo l’altro.
La via era piena di persone che passavano al loro fianco di fretta, con valigette in mano, telefoni premuti all’orecchio e tacchi che battevano sul marciapiede.
Quel giorno avevano cambiato quartiere e Bartolo l’aveva portata in una zona mondana dove c’erano i più famosi bar di Milano e lei si sentì quasi di troppo in quella via.
Il ragazzo non aveva la solita tuta, complice il giorno di riposo che aveva dal lavoro ma Federica aveva i suoi ridicoli jeans comodi e una maglietta macchiata sull’orlo di vernice rossa. Si sentiva come sempre al posto sbagliato e nel momento sbagliato. Quel giorno ancora di più.
-E quando saresti libera?- Chiese Bartolo visibilmente interessato con un accenno di sorriso sulle labbra.
Federica si prese il labbro tra i denti pensando a quello che poteva dire a quel ragazzo che sembrava davvero preso dalla situazione.
Non aveva mai avuto modo di rifiutare un appuntamento. Perché mai avrebbe dovuto? Non c’erano poi così tanti ragazzi che glielo chiedessero. In verità non c’era proprio nessuno da parecchi anni.
Mentre passeggiavano tra quella via affollata, un richiamo, un lampo, ancora non lo sapeva cosa fosse stato, le fece girare la testa a destra e il cuore le si fermò all’istante.
In un bar con le vetrate che percorrevano i muri adiacenti alla strada, vicina a questa vi era un tavolino rotondo in ferro battuto, dove due ragazzi si tenevano per mano mentre parlavano fitto fitto.
Luca e Carol non si erano accorti di nulla, la ragazza aveva la mano posata su quella del suo interlocutore, mentre davanti a loro due tazze di caffè vuote facevano da silenziosi spettatori.
Federica rimase a fissare quella coppia con un misto di rabbia e delusione.
Sapeva che lui avrebbe fatto di tutto per riavere quel suo unico amore, glielo aveva fatto capire in modo esauriente il giorno in macchina dopo la loro discussione.
Si sentì una stupida per aver pensato a lui quando Bartolo le aveva chiesto di uscire.
Sembrava una disperata, più di quello che fosse realmente. E in quel momento, per la prima volta, voleva prendere a schiaffi qualcuno. Preferibilmente quel don Giovanni da quattro soldi che le stava spillando euro dopo euro, ma ancor di più le stava portando a poco a poco via il suo cuore.
Quando Luca alzò gli occhi sul marciapiede, sentendosi osservato, sgranò gli occhi stupedatto.
Federica si riscosse immediatamente e afferrò Bartolo per un braccio trascinandolo via da quel maledetto posto e via da quel cuore impazzito che stava galoppando forsennato.
Lo odiava. Odiava Luca Morelli perché inconsciamente stava giocando a fare il burattinaio con le emozioni di Federica. E anche con il suo cuore.
-Cosa è successo?- Chiese Bartolo, quando finalmente il passo accelerato di Federica si arrestò non appena arrivarono vicino alla bottega del “Ferro vecchio”.
-Quando usciamo?- Domandò lei, sorridendogli senza fiato.
 
Il telefono vibrava sul tavolo da lavoro mentre Federica era stesa sul letto con le braccia dietro la testa e fissava il soffitto.
Stava meditando che ci vedeva bene un lucernario, decorato da lei stessa, su quel soffitto bianco e immacolato. Uno di quelli di vetro smerigliato, che si mettono alle pareti per fare luce colorata nelle stanzette dei bambini. Lei non ne aveva mai avuto uno e le sarebbe piaciuto farselo da sola.
Federica era specializzata nello scoprire la parte nascosta degli oggetti che erano destinati alla pattumiera. Tante volte avevano portato nel negozio oggetti destinati ai rifiuti, come se stessero cercando una seconda possibilità. Lei scovava quelli più malridotti, quelli destinati alla raccolta indifferenziata. Ne dava una luce diversa. Era quello il lato che amava del suo lavoro: la speranza. Trasmessa da tanti anni di lavoro di suo padre, portatore di positività e di seconde possibilità.
Il rumore della vibrazione era diventato insistente e Federica staccò lo sguardo dal soffitto per guardare il piano del tavolo.
Non amava la vibrazione, non la metteva mai ma quel suono fastidioso della suoneria la stava molestando dalla mattina e ne aveva le scatole piene, così aveva preferito la fastidiosissima vibrazione declinando l’idea brutale del silenzioso ma se continuava così sarebbe passata alla terza e drastica soluzione: lo spegnimento totale.
Quando la vibrazione cessò lei tornò a guardare il soffitto chiudendo gli occhi.
Guardare il nome di Luca che lampeggiava sullo schermo del telefono, l’aveva scombussolata.
Dopo averlo visto in quel bar con Carol, qualcosa si era smosso dentro. 
Facendo i conti con se stessa aveva capito che quel ragazzo le piaceva più del dicibile e lei non era d’accordo. Non era una cosa sensata da fare, perché Luca non era una persona come lei, avevano principi diversi, con il senso del dovere diverso dal suo. Si poteva capire lontano un miglio. Perciò era venuta a patti con la sua parte ragionevole e cioè quella di dare una possibilità a chi si avvicinava al suo modo di vedere, a chi era una solida base. Aveva deciso di dare una possibilità a Bartolo e quella sera sarebbero dovuti andare al cinema a vedere “Capitan Stange” e a sperare di mettere un punto fermo alla sua situazione.
Aveva anche pensato di mandare a scatafascio quella sottospecie di contratto verbale tra lei e Luca ma Federica non voleva passare per quella che si rimangiava la parola. Poteva anche non accompagnarla ma per principio lei avrebbe pagato fino all’ultimo centesimo quel gigolò da strapazzo.
Lo avrebbe fatto sentite umiliato e così piccolo da fargli rimpiangere di averle sbattuto in faccia la sua sorta di ripicca, affinché la sua ex gli cadesse nuovamente tra le braccia.
Era proprio quello che non sopportava, sapere che Luca era un viscido, vile e maleducato.
La vibrazione tornò a farsi sentire e non ne potette più.
Si alzò di scatto e prese il cellulare sbalordendosi delle chiamate numerosissime da parte del ragazzo. L’insistenza era il suo forte.
Insieme alle chiamate vi erano due messaggi, entrambi dello stesso mittente.
 
Da Luca: Dobbiamo parlare.
 
Da Luca: Se continui con quest’atteggiamento, mi vedermi costretto a chiamare Dorotea o, ancora peggio, venire direttamente al tuo negozio. Dobbiamo parlare, mi sono comportato da stronzo e mi dispiace. Posso venire da te stasera?
 
Federica si sentì ribollire il sangue nelle vene. Come si permetteva! Che cosa erano tutti quegli ultimatum?
Che parlasse pure con Dorotea, peggio per lui. Si sarebbe fatto riconoscere per la persona schifosa che era. Arrivare a chiedere un pagamento per la sua compagnia!
Se solo ci pensava, aveva i brividi.
E cos’era quella minaccia che sarebbe andato al negozio?
Per fortuna quel giorno era di chiusura e non c’era pericolo. Per quanto riguardava la sua sorta di visita, non se ne parlava proprio. Preferiva passare del tempo con Lucrezia che stare con lui.
 
Per Luca: Hai chiuso. Non cercarmi più.
 
Mancando in scatafascio l’ultimo pensiero che si era fatta, di vendetta, inviò e si avvicinò all’armadio infilandoci dentro la testa per pescare la camicetta senza maniche che le aveva regalato la sua mamma, al compleanno passato. Le piaceva come ricadeva sul suo corpo, nascondendo la curva morbida della pancia e il colore anche le donava tanto. Quel celestino delicato si addiceva molto alla sua pelle bruna.
Sorrise a quell’indumento e l’appoggiò alla maniglia dell’armadio cercando un paio di bermuda da abbinare, faceva caldo e non aveva voglia di sudare come una bottiglia di vetro appena uscita dal frigorifero.
Appoggiò tutto sul letto e guardò l’opera d’arte con una smorfia sulle labbra, non era il massimo ma a lei non importava. Si guardò attorno in cerca delle scarpe e le sue converse sbiadite e logore le fecero un saluto ma lei non le avrebbe prese.
Sgattaiolò nel corridoio e dalla scarpiera ad angolo tirò fuori un paio di sandali estivi, privi di tacco, della madre. Si abbinavano ai bermuda chiari e per lei era il massimo.
Tornò in camera e li appoggiò vicino al letto, guardò il tutto e si complimentò da sola facendosi un finto applauso.
A un tratto si domandò se era vestita in maniera appropriata per un primo appuntamento.
Bartolo non sarebbe di certo andato con un papillon e un mazzo di fiori, no?
Federica scosse la testa esasperata per la piega dei suoi pensieri, proprio come se fosse una scolaretta alle prime armi… bhè, scolaretta non lo era più ma alle prime armi lo era eccome.
Controllò l’orario sull’orologio alla parete e decise di darsi una mossa.
Mentre andava in bagno, si chiese se Luca l’avesse ancora cercata, ma poi decise che non le interessava. Senza far caso che per l’appuntamento con Bartolo non sentiva nessuna farfalla nello stomaco, diversamente da come le sentiva con Luca.
 
-Mi sono divertita stasera- ammise Federica svoltando l’angolo del suo palazzo accompagnata da Bartolo che le sorrideva e camminava insieme con lei, con le mani nelle tasche dei pantaloni.
-Anche io, è stato un bel film.
-Già- concordò Federica fermandosi sotto il portone di casa sua, alzò lo sguardo verso le finestre della cucina ed erano già tutte spente. Comprensibile vista l’ora.
Dopo la visione del film, che si era verificata interessante e molto avvincente, Bartolo aveva proposto un panino al volo e così avevano fatto. Ovviamente Federica si era imposta di pagare la sua parte per tutte e due le volte ma Bartolo l’aveva persuasa almeno per il biglietto del cinema.
Così avevano passato una serata molto tranquilla e divertente, conoscendosi un po’ di più e parlando dei loro interessi in comune, molto simili tra loro.
E così Federica aveva appreso che Bartolo giocava a calcio nei suoi momenti liberi, andava allo stadio a vedere le partite importanti e solitamente si lasciava convincere anche per qualche concerto con i suoi amici. Una persona normale.
Federica lo aveva ascoltato, curiosa di tutto quel mondo che assomigliava al suo. Niente fuori posto, nessuna maglietta a polo, nessun mocassino, nessuna macchina super costosa nel garage, nessun palazzo nelle vie costose. Semplicemente Bartolo il lavoratore ma anche persona comune.
-Mi è piaciuto anche stare con te- aggiunse Bartolo, guardandola.
Federica riportò lo sguardo su di lui che si era messo difronte e la guardava sorridente.
Provò a sentire qualcosa, provò a cercare quelle farfalle nello stomaco o ovunque si nascondessero ma non trovò nulla.
Bartolo le piaceva, era una persona alla mano e sembrò essere perfetto per lei ma perché allora il cuore non le batteva quando lui, con un passo, le si avvicinò e le accarezzò la guancia?
Federica chiuse gli occhi, in attesa di qualcosa, di un soffio, di un battito, di un richiamo ma l’unica cosa che sentì furono le labbra del ragazzo sulle sue.
Aprì di scatto gli occhi guardando quelli di Bartolo chiusi, in attesa anche lui di qualcosa.
Rimase lì immobile, percependo quello che avrebbe potuto darle.
Un bacio semplice, labbra che si appoggiano fiduciose, labbra calde ma non quelle che si volevano.
 
Quando Federica aprì la porta un silenzio tombale, l’attraversò da parte a parte.
I suoi genitori erano a letto e questo le fece piacere, non era pronta a far vedere la sua faccia stravolta da quello che era successo.
Aprì lentamente la porta della sua camera, togliendosi i sandali e andando tentoni alla ricerca dell’interruttore della lampada sul comodino.
Quando la luce illuminò la stanza e Federica si voltò verso il comò, si lasciò cadere pesantemente sul letto alla vista di quel mazzo di rose rosse sul mobile.
Era più di quando avesse mai visto.
Una composizione ordinata ed elegante, costosa, la guardava in perfetta successione dalla più bassa alla più alta.
Trattenne il respiro mentre si alzava con poca grazia e andava a sfiorare con mani tremanti quel bigliettino bianco ripiegato tra gli steli privi di spine.
Quando aprì il biglietto sentì nuovamente il cuore martellarle nel petto, chiuse gli occhi e portò una mano a sinistra del petto. Aveva paura ma la curiosità ebbe la meglio.
Aprì gli occhi e lesse il biglietto.
 
Mi dispiace. L. 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3299270