Le sette Lune d’Ombra

di Cat in a box
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I – La prima Luna – L’iniziazione tra la Vita e la Morte ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - La seconda Luna - Preludio d'Amore ***
Capitolo 3: *** Capitolo III – La terza Luna – “Ti verrò a prendere!” ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV – La quarta Luna – L’inganno ***
Capitolo 5: *** Capitolo V – La quinta Luna – Usque ad inferos ***



Capitolo 1
*** Capitolo I – La prima Luna – L’iniziazione tra la Vita e la Morte ***


Vi chiedo clemenza, poiché questa è la prima volta per me, che pubblico una delle mie storie su internet. Una mia amica mi ha parlato molto bene di questo sito, e della possibilità che ho di poter migliorare con i vostri consigli, per questo ho deciso di iscrivermi^^. Premetto da ora che mi sono ispirata a questa storia, da un videogioco (Baldur’s Gate: The Dark Alliance II)  e anche dalle mie più grandi passioni (l’Horror, la necromanzia, il decadentismo, il macabro Medioevo ai tempi della Peste, i romanzi Gotici e così via discorrendo). L’ho etichettato come ‘Dark Fantasy’, tuttavia contiene molte sfumature horror e ‘gotico-romantiche’. Questo capitolo è molto riassuntivo e poco descrittivo. Mi sono soffermata poco alla descrizione fisica dei personaggi, poiché volevo dar l’opportunità al lettore di potersi addentrare in un mondo mistico, permettendogli di sfogare la propria immaginazione. Però nel capitolo successivo saranno descritti dettagliatamente, in quanto sarà necessario anche per farvi comprendere il legame che c’è tra certi personaggi e il loro carattere. I Nobili chiamati Lord e Lady, sono sposati. Non hanno un nome (durante il matrimonio si rinuncia al proprio appellativo), ma hanno solo il cognome che indica la stirpe a cui appartengono. Le streghe sono chiamate ‘Madri’, i Maghi invece restano tali. Mentre le chieriche sono chiamate ‘Matrone’, e ve ne sono una in ogni cattedrale di una città importante. Nei prossimi capitoli, vedrò di fare una premessa man mano che subentreranno nuovi personaggi. Buona lettura!

 

 

Le sette Lune d’Ombra

Capitolo I – La prima Luna – L’iniziazione tra la Vita e la Morte

 

L’alba si stava avvicinando rapidamente. La luce del sole aveva ormai raggiunto le oscure colline all’orizzonte. Il cielo sembrava avvolto dalle fiamme, il rosso carminio, il viola e lo smeraldo si erano fusi armoniosamente insieme in ricche sfumature e linee sinuose, mai si era visto un simile dipinto della natura fino ad allora. Ma Yluna, la Bianca Madre, era a conoscenza del cattivo auspicio che significava quel cielo. Gli Dei avrebbero messo a dura prova la creatura che ora stringeva a sé tra le braccia. Sarebbe rimasto ucciso dagli orchi, se non le fosse stato affidato in tempo. Si sarebbe chiamato Luthien, ultimogenito della stirpe degli Elassar, elfi necromanti. Da anni una nuova minaccia stava spingendo sull’orlo della distruzione il popolo degli Elfi necromanti, conosciuti anche come Dominatori della Morte. Poiché questo popolo veniva temuto, pochi osavano commerciare con loro, e presto…molto presto si conquistarono l’odio e l’invidia delle più grandi e nobili casate, tra cui quella dei Darsial, i Manipolatori di Vita. Questi erano maghi, la cui unica fede in cui riponevano la loro convinzione, era la Scienza. Disonorarono gli Antichi Dei, proclamandosi tali. Inoltre, persuasi che esistesse una scienza per creare e dare la vita alle creature non-morte, assemblando membra umane e animali, sacrificarono vittime innocenti per i loro esperimenti. Inizialmente le vittime erano prigionieri, schiavi, ladri, traditori…poi la pazzia gli portò a sacrificare persino i propri sudditi, in nome del futuro della Scienza. Questa follia perseverò per anni, e presto nel giro di un decennio, la popolazione fu dimezzata. I pochi sopravvissuti fuggirono, ma pochi riuscirono a salvarsi. I Darsial non potevano permettersi che i Supremi lo venissero a scoprire, per questo avevano stretto un’alleanza con gli orchi, promettendogli in cambio oro e ricchezze, perché le voci venissero messe a tacere…con la morte.

***

 

I sopravvissuti giunsero fino a Oldrid, una vivida città al di là delle montagne, ‘ove la popolazione era costituita dalle più svariate creature viventi. La voce si sparse, e giunse oltre ai confini delle Tempre d’Ombra, fino alla città di Akatandra, la città degli Elfi necromanti. La voce giunse tramite la bocca di un vecchio mercante, che recandosi alla corte degli Elassar, nella speranza di vendere qualche pezzo costoso della sua mercanzia, non riuscì a tenere a freno la lingua, e riferì quanto si vociferava nelle lontane Terre del Crepuscolo. Lord e Lady Elassar, alle tali parole proferite dal mercante, inviarono immediatamente i loro più valorosi e fedeli cavalieri, perché andassero ad indagare sulla veridicità delle voci. Passarono le settimane e i mesi, e ancora non giunse alcuna notizia. Le stagioni si susseguirono rapidamente e nel frattempo, Lady Elassar diede alla luce un bellissimo bambino, l’unico figlio della sua stirpe. Pochi giorni dopo la sua nascita, giunse alla corte uno dei cavalieri che erano stati inviati oltre le Tempre d’Ombra, l’unico sopravissuto. Era giunto terrorizzato, la sua espressione era vitrea così quanto il suo sguardo. Li erano stati mozzati ambi due gli arti inferiori, e amputato un orecchio. Non parlò con nessuno, finché non venne ricevuto da Lord Elassar. Il cavaliere prese a parlare:“Terribili cose accadono nelle terre del Crepuscolo! La gente muore per mano degli orchi, ma non ci sono cadaveri…tutti vengono portati via. La gente è confusa, non sa e non vuol credere a quello che accade. I Darsial hanno stretto un patto con gli orchi, stanno trucidando i loro sudditi e la popolazione delle terre del Crepuscolo, per usarne le membra per creare un esercito di creature non-morte! Hanno oltraggiato gli Dei! Loro pensano di poter creare la vita, ma…ancora non sono riusciti a dare vita ai loro morti. Non si fermeranno…”. Il cavaliere stava mancando di fiato, Lord Elassar gli versò del vino in un calice e glielo porse. “Ti prego, vai avanti. Dimmi che fine hanno fatto i tuoi compagni.”. Il cavaliere bevve avidamente dal calice, e poi riprese:“Sono stati smembrati da alcune creature innominabili, che non fanno parte di questo mondo. Creature orribili si trovano là. Non periscono né il fuoco né l’acciaio. Sono invulnerabili al veleno. La loro pelle è più dura della corazza di un drago! Hanno la forza di trenta uomini, e si nutrono di carne. Non sono mai sazie quelle belve…Lord! Siamo tutti in grave pericolo! La minaccia è ancora più colossale di quanto ci aspettavamo. Quei folli scienziati stermineranno ogni razza di questo mondo! Si impadroniranno delle Arti Oscure e della Necromanzia…vanno fermati!”. Lord Elassar lo scrutò con attenzione, e poi prese parola:“Prima hai detto che non sono ancora riusciti a dare vita ai loro morti, com’è possibile allora che queste loro creature siano vive?”. Il cavaliere riprese:“Mio Signore, queste creature erano già vive quando gli sono stati sostituiti gli arti con membra umane e animali. Loro stanno creando un esercito di creature non-morte, ma per darle la vita hanno bisogno della Necromanzia. Vogliono impadronirsi dei segreti degli Antichi segreti dell’Ombra per risvegliare i cadaveri, e vogliono usarli come esercito per dominare su tutte le razze! Stanno venendo qui mio Signore! E’ solo questione di tempo perché raggiungano le mura di questa splendente città e la saccheggino! Dobbiamo andare via e subito…”. Il respiro del cavaliere si stava affannando sempre più, la vita in lui si stava spegnendo. Lord Elassar li si avvicinò e li porse una mano in fronte, per sostenere il suo capo così debole e quasi privo di vita. “Sei stato fedele cavaliere, ora puoi riposare in pace.”. Il cavaliere chiuse gli occhi e il suo respiro debole si fermò.

***

 

L’espressione di Lord Elassar divenne cupa e fredda, quasi come se il sangue si fosse congelato nelle vene. Non si aspettava una simile minaccia, e il suo solo esercito non avrebbe mai potuto farcela da solo, contro quelle creature. L’unica soluzione era quella di chiedere un’alleanza con gli altri popoli. Immediatamente vennero spediti sette messaggeri verso i Regni più vicini, ognuno di questi portava la richiesta di un’alleanza per fermare la minaccia dei Darsial. Il tempo stringeva, e c’era poco da aspettare. Presto cominciarono ad arrivare folle di persone dei popoli più vicini, che chiedevano cibo e acqua per proseguire oltre, la minaccia aveva già divorato la vita nei popoli più vicini. Era solo questione di giorni perché arrivassero anche ad Akatandra. Lord Elassar decise che ormai non c’era più tempo per aspettare l’arrivo dei messaggeri. Raggiunse le stanze della sua Amata, e la trovò seduta su una poltrona mentre stava allattando il bambino, la sua premura di Madre era unica ed esemplare. Lord Elassar le si inginocchiò davanti e la guardò con occhi lucidi. “Mia Amata, non c’è più tempo, devi prendere nostro figlio e fuggire via con gli altri. La minaccia ormai ha raggiunto le nostre terre, e tra qualche giorno questa città sarà rasa al suolo. Non abbiamo ancora ricevuto notizie dai Regni circostanti, sono passate quasi due settimane e ancora nessuna risposta. Devi andartene!”. Lord Elassar chinò il capo sul bambino, e lo accarezzò delicatamente, con l’attenzione solita di un padre, che teme di poter danneggiare una creatura così piccola e delicata. La mano dell’Amata gli sfiorò il suo candido volto rigato dalle lacrime, e per un momento si guardarono negli occhi. “Ho giurato il giorno del nostro matrimonio che sarei morta accanto a te. Lascerò che la Bianca Madre porti in salvo nostro figlio, io resterò al tuo fianco a far fronte a questa minaccia. Se evocassimo insieme gli incantesimi d’Ombra, saremo in grado di fronteggiare la loro armata per un po’, cosicché gli altri guadagnino più tempo per mettersi in salvo nelle terre lontane.”. Lord Elassar la guardò con rabbia. “Fa come ti dico! La vita di Luthien è più importante di me! Desidero che tu vada con gli altri all’istante, e non permetterò che tu trasgredisca a questa richiesta. Tu sei una madre, e ora i tuoi compiti sono cambiati, devi occuparti di lui.”. Lady Elassar conosceva il suo Amato, e sapeva che non ci sarebbe stato verso di farli cambiare idea, così fece come le era stato detto. Prese tutte le cose utili che sarebbero servite al bambino, fece sellare il cavallo più veloce della scuderia e chiamò a sé la Bianca Madre. “Ti accompagnerò oltre a quelle montagne, nella città di Oldrid e ti lascerò in custodia mio figlio. Una volta arrivate lassù, berrò la pozione del richiamo e tornerò ad Akatandra, per fronteggiare il nemico, affianco al mio Amato. Se non dovessi ritornare, ti chiedo di proteggere Luthien e di insegnarli tutto ciò che è stato insegnato a noi sulla Necromanzia, ma fino al compimento del suo 17’esimo anno d’età, non dovrai mai svelarli nulla sulle sue origini. Adesso andiamo.”. Venne dato un altro cavallo per la Bianca Madre, e insieme partirono in fretta verso le montagne.

***

 

All’alba del terzo giorno, dalla partenza di Lady Elassar dalla città, delle nuvole nere coprirono il cielo. In lontananza una grande macchia scura stava avanzando. Orchi, goblin, troll, avanzavano a passo veloce affiancati da strane creature, le cui membra erano sia umane che animali.  Lord Elassar scrutava, l’armata che avanzava, dalla torre superiore del palazzo. Inarcò le braccia al cielo e cominciò a recitare una formula in lingua antica, presto comparve uno stemma verde smeraldo che squarciava le nuvole. Lo stemma era rappresentato da sei cerchi alchemici concentrici, che formavano una stella a sei punte, con al centro il vessillo di una croce. Il cerchio cominciò ad espandersi nel cielo e a diventare sempre più vasto, arrivò fino a sovrastare le teste dei soldati dell’armata nemica, a quel punto…silenzio. I nemici esitarono un momento, stando immobili ad osservare lo stemma che si ingrandiva sempre più sulle loro teste. Inconsciamente avevano il presentimento che sarebbero andati presto incontro alla morte, ma restavano affascinati da quel fuoco verde che ardeva nel cielo, misterioso e affascinante, come se nulla di così pericolosamente bello avessero mai visto. Lord Elassar osservò compiaciuto lo spettacolo, stava andando esattamente tutto come previsto. Calò lentamente le braccia, e terminò la formula con le ultime parole “…andate all’Inferno!”. Il cerchio improvvisamente si abbassò sull’armata nemica, circondandoli completamente. Le fiamme color smeraldo iniziarono a farsi sempre più alte e intense, e allora…si scatenò il panico. Il cerchio cominciò a restringersi, prima lentamente, poi sempre più rapidamente. Ogni creatura al suo interno venne tranciata a metà da quel fuoco freddo, più affilato di una lama. Il cerchio scomparve, lasciando solo una sterminata distesa di cadaveri.

***

 

In quel momento, Lady Elassar era giunta alla città di Oldrid, insieme alla Bianca Madre e al piccolo Luthien. Lo stava tenendo tra le braccia, e lo cullava dolcemente guardando il suo piccolo viso procinto a farle delle smorfiette. Aveva i suoi stessi occhi verdi, e i capelli neri del padre. La pelle era nivea, ma leggermente rosea in prossimità delle guance, il che significava che il bambino era ancora sano. Lady Elassar lo strinse a sé, e con il volto rigato dalle lacrime, lo porse delicatamente tra le braccia della Bianca Madre. “E’ giunta per me l’ora di partire, devo raggiungere il mio Amato, prima che sia troppo tardi. Yluna…”. Lady Elassar estrasse dalla tasca del suo vestito un amuleto d’argento incastonato di smeraldi, ametiste e onice. Lo posò nella culla del bambino, e proseguì. “…questo sarebbe stato il dono del suo 17’esimo compleanno. Desidero che lo abbia indosso per quella occasione, quando sarà adulto. Che gli Dei vi proteggano!”. Lady Elassar estrasse una pozione di color vermiglio, da una bisaccia che era indosso al cavallo, e la bevve. Delle fiamme argentee la avvolsero e scomparì nel vuoto. Yluna aveva il presentimento che quella, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe rivisto Lady Elassar. Il sacrificio dei genitori di Luthien non sarebbe stato vano. In cuor suo, avrebbe fatto di tutto per proteggerlo e allevarlo al meglio. Rimise il piccolo nella culla, afferrò la briglia dei cavalli e gli accompagnò nella stalla di un maniero. A Oldrid, abitava un Mago, che era imparentato con la Bianca Madre, lui era un mezz’elfo. Era diventato proprietario di un ricco maniero, in quanto aveva prestato fedelmente i suoi servigi al Re dei Nani. Yluna bussò al portone finché una voce cavernosa non rispose. “Entrate! Vi aspettavo.” era la voce di Minuial. A passo lento entrò in quel maniero. C’era un lungo corridoio dalle pareti in marmo bianco e il pavimento in onice. C’erano pochi mobili, qualche comodino in legno pregiato e dei quadri di nature morte appesi al muro. Lo scalpicciò dei passi echeggiava lungo le pareti in pietra, pareva quasi interminabile. In fondo al corridoio, a sinistra, vi era una porta aperta, che lasciava intravedere un piccolo lume di candela rimasto acceso. Yluna si avvicinò alla porta socchiusa, e bussò ancora. “Prego entra! Sono nel mio studio.”. Disse ancora la stessa voce. Entrò e chiuse la porta dietro di sé. La luce nella stanza si irradiò improvvisamente. Era una stanza a forma ottagonale, col soffitto a cupola. Ogni parete era coperta da un’altissima libreria stracolma di libri. C’era anche un enorme camino acceso, decorato in marmo verde. Al centro della stanza, si trovava un’enorme scrivania rettangolare in legno pregiato, piena di scartoffie, libri e macchie di inchiostro nero. Yluna dovette girovagare un po’ per la camera, prima di accorgersi che Minuial, si trovava in un angolino della stanza, seduto su una comoda sedia con lo schienale imbottito, mentre stava scrutando una sfera di cristallo. “Minuial!”. Replicò Yluna. “Finalmente mi hai trovato! Stavolta hai impiegato meno tempo del solito.”. Sorrise Minuial guardandola in viso. “E così questa è la creatura che hai portato in salvo, Luthien, esatto?”. Si alzò dalla sedia e osservò il piccino, che per fortuna si era addormentato ancora prima, cullato tra le braccia di Yluna. “Sì, è l’unico figlio ed erede maschio della stirpe degli Elassar.”. Rispose Yluna, mentre Minuial prendeva delicatamente tra le braccia il piccolo. “Vedo che è in perfette condizioni fisiche. Trovo che sia più saggio cambiare il suo nome, almeno finché non avrà 17’anni e non sarà in grado di difendersi da solo. Fino ad allora, lo chiameremo Ysuran, e lo alleveremo come figlio nostro.”. Il piccolo aprì gli occhi, e scoppiò a piangere, qualcosa di nefasto stava accadendo altrove.

***

 

Lady Elassar era giunta nel giardino del palazzo, come previsto, grazie alla pozione del richiamo. Non era arrivata affatto troppo tardi, forse era giunta appena in tempo per la battaglia. Dalle feritoie della torre, vi erano gli arcieri pronti a scoccare le frecce acide contro l’armata nemica. Schiere di soldati erano pronti alla battaglia, e attendevano l’ordine di Lord Elassar. Il cielo si ero illuminato di una luce innaturale, quasi spettrale, di color rosso carminio. Il significato di quel cielo non le era chiaro, ma era certa che la battaglia era solo appena cominciata. L’aria si era appesantita di un odore di morte, che aleggiava tra quelle nubi. Un soldato le si avvicinò:“Lady Elassar! Voi non dovreste essere qui, mia Signora.”. Il sodato le si inginocchiò dinanzi. “Risparmiate il fiato, e ditemi dove si trova Lord Elassar.”. Disse in tono cinico. “Si trova nella torre superiore del palazzo, mia Signora.”. Lady Elassar si precipitò di corsa verso la torre superiore, mentre tutti i soldati e gli arcieri la guardarono sorpresi della sua presenza al palazzo. Raggiunse a breve la torre superiore, Lord Elassar era girato di spalle, e osservava lo spettacolo dall’alto, mentre stava preparando altri incantesimi. “Mio Amato…”. Sussurrò. In quel momento Lord Elassar si sentì trafiggere il cuore, e si voltò. “Che cosa fai qui? Dov’è Luthien? Perché non sei con lui?”. La sua voce cercò di essere più adirata possibile, ma alla visione della sua Amata, non poté che addolcirla. “Luthien si trova a Oldrid con la Bianca Madre e Minuial, è al sicuro. Sono venuta a difendere le mura di questa città, a costo della vita!”. Lord Elassar la guardò con occhi freddi. “Tu Madre sciagurata, che hai preferito seguire il lamento del tuo cuore solo per la follia! Non posso accettare né che tu rimanga ferita né che tu resta uccisa. Ora vattene!”. Nonostante le crude parole, Lady Elassar lo abbracciò. “Non me ne andrò, e tu lo sai.”. Gli occhi verdi guardarono i neri, e per un’ultima volta, si scambiarono un bacio. Un lamento disumano spezzò il silenzio che aveva regnato fino a quel momento. Le creature che erano state tranciate dall’incantesimo di Lord Elassar, ripresero vita e le loro membra si riunirono, formando un’unica possente creatura. Lord Elassar si affacciò alla torre, e vide l’orrenda creatura, che continuava a ringhiare e a lanciare strazianti gemiti. “Tirate le frecce acide!”. Ordinò immediatamente agli arcieri. Il corpo della bestia venne trafitto da più di mille frecce. L’ atroce creatura si dimenò dal dolore, e nel tentativo di liberarsi dalle frecce. A poco a poco queste fuoriuscirono dalla sua carne, lentamente, e caddero a terra. “Quale creatura sarebbe mai capace di una cosa simile?”. Domandò Lady Elassar. “Questa non è un creatura di questo mondo, è una creatura infernale. Plasmata dall’odio e dalla vendetta. Non perisce le nostre lame, il fuoco e il veleno.”. Lady Elassar rivolse lo sguardo al cielo. “Useremo i tuoni e i fulmini per abbatterla.”. “Ci serve tempo per poter invocarne uno abbastanza intenso per annientare quella bestia.”. “Basta creare un diversivo. Ordina agli arcieri di lanciare altre frecce acide contro la bestia! Nel frattempo, noi invocheremo la morsa folgorante.”. “E così sarà fatto.”. Lord Elassar ordinò agli uomini di continuare a lanciare frecce, senza cessare mai, finché loro non fossero riusciti ad invocare una morsa di fulmini abbastanza intensa, da poter annientare la bestia. Gli arcieri cominciarono a tirare le frecce, nel frattempo Lord e Lady Elassar invocarono la morsa, recitando una formula nello stesso linguaggio antico, in cui Lord Elassar aveva richiamato il precedente incantesimo. Presto il cielo si oscurò, divaricando le nuvole in una specie di ellisse, al cui centro una piccola sfera di energia elettrica si stava alimentando, diventando di volta in volta sempre più grande.

***

 

La bestia continuava a dimenarsi, lanciando gemiti spaventosi, e tentando di evitare le frecce acide. Ad un tratto si accasciò a terra, lanciando un ultimo lamento di dolore. Gli arcieri in quel momento esitarono a lanciare altre frecce, la bestia pareva definitivamente abbattuta. Lord Elassar se ne accorse, interruppe un momento l’incantesimo, per ordinare agli arcieri di continuare a lanciare frecce. In quel istante la bestia si rialzò velocemente, e balzò sulle zampe dirigendosi rapidamente verso le mura della città. Cominciò ad urtare le mura, provocando una scossa che fece tremare la terra più volte. Lord Elassar si precipitò verso il baluardo più basso della torre, dove gli arcieri tiravano dalle feritoie. “Perché avete smesso? Vi avevo detto di continuare a tirare finché l’incantesimo non fosse stato completato!”. Uno degli arcieri rispose con tono di mortificazione. “Pensavamo di averla abbattuta mio Signore!”. “Continuate a tirare le frecce, prima che sfondi le mura! Non possiamo permetterle di entrare.”. Lord Elassar si diresse verso il terrapieno, dove la fanteria attendeva l’ordine di attaccare. “E’ giunto il vostro turno! Aggirate la bestia, e attaccatela di spalle. Non perisce né il fuoco né il veleno, ma le frecce acide degli arcieri la indeboliscono! Usate le vostre lame, e tenetela a bada!”. Tra le pietre si aprì un varco, e i soldati vi passarono rapidamente, finché non fu passato l’ultimo di questi, e il varco venne richiuso. Lord Elassar rivolse lo sguardo al cielo. La sfera elettrica aveva assunto pressoché le dimensioni di un pugno di troll, ma era ancora troppo piccola perché potesse essere scagliata contro la bestia.

***

 

Lord Elassar si diresse in fretta e furia verso la torre superiore, quando arrivò, Lady Elassar si trovava accasciata a terra. Lord Elassar si precipitò verso di lei, e la prese tra le sue braccia. Un rivolo di sangue le uscì dalla bocca, pareva aver perso i sensi, il battito del suo cuore stava cominciando a indebolirsi. “Mia Amata!”. Lady Elassar riaprì gli occhi, lentamente. La vita stava abbandonando il suo corpo. “Lei…”. Replicò. “…è stata lei a farmi questo.”. Lord Elassar la baciò sulla fronte. “Risparmia il fiato mia Amata, non permetterò che ti venga strappata così la vita…non morirai adesso…no, no…non devi morire…non lasciarmi…”. La voce di lui si fece tremante. “Ti amo.”. Fu l’ultima parola che lei disse, prima che il gelido tocco della Morte congelasse la sua voce in gola. Lord Elassar si fece tremante dalla rabbia. Prese tra le braccia il corpo dell’Amata e lo strinse a sé. Rivolse lo sguardo al cielo, e lanciò un grido straziato dal dolore. “DEI! PERCHÉ AVETE PERMESSO CHE CIÒ ACCADESSE! CHE SIATE TUTTI MALEDETTI! BRUCIATE!!! RINNEGO IL MIO CREDO, E LA FIDUCIA CHE HO RIPOSTO IN VOI FINO ADESSO! DANNATI…”. La voce si affievolì, e precipitò in lacrime, sul corpo della sua defunta sposa. Il dolore era immenso. Tale era la sua disperazione, che non si accorse che qualcuno stava osservando compiaciuto la scena, dapprima che lui arrivasse. Un inatteso battito di mani interruppe il suo pianto, e un leggero rumore di passi si fece sempre più vicino. “Non è degno di un Principe prostrarsi a terra dinanzi al nemico. Dov’è finito il vostro orgoglio?”. Esordì una voce femminile e cinica. Lo sguardo di Lord Elassar si alzò, e si posò su una Dama vestita in verde scuro, con una maschera che copriva solamente gli occhi. “Voi? Lady Darsial…”. La Dama lo interruppe. “Non più ora, chiamatemi semplicemente Ophelia, ha-ha!”. Disse con un certo tono di sarcasmo, e poi riprese. “Lord Darsial è il mio attuale defunto marito, come vedi, abbiamo una cosa in comune…”. Sorrise incurante, indicando l’esile corpo senza vita della sua Amata. “Non vi affliggete mio caro, vedrete che dopo qualche giorno, lei non esisterà più nei vostri pensieri.”. Lord Elassar si sollevò in piedi, e la guardò con orrore, mentre lei si avvicinava sempre più al suo cospetto. “Sono qui per Voi, e ho da proporvi una risoluzione a questa guerra. Vi lascio l’opportunità di poter salvare il vostro popolo…”. Lei sorrise crudelmente. “Se mi accetterete in sposa, e vi alleerete al mio esercito, io prometto che cesserò questa sanguinosa guerra nei confronti del vostro popolo.”. “E così potrete sterminarne degli altri! Mi rifiuto di prendere in sposa una creatura immonda come voi! Nemmeno un troll avrebbe il coraggio di chiedere la vostra mano.”. Replicò Lord Elassar, che pareva avere già la risposta pronta. “Bene, questa sarà la vostra ultima parola!”. Urlò lei adirata, e si allontanò morbosamente da lui. Estrasse da una delle tasche del vestito, una pozione del richiamo, la bevve avidamente e svanì, prima ancora che Lord Elassar potesse ferirla. Non c’era altro da fare, se non terminare ciò che Lady Elassar aveva cominciato prima della sua Morte. La Bestia andava annientata. Rivolse le braccia al cielo, e continuò a ripetere le parole dell’incantesimo, facendo sì che la morsa folgorante si alimentasse sempre più, concentrandosi nella sfera. Ormai aveva raggiunto il diametro della cupola di un maniero, e non restava altro da fare che scaraventarla sulla bestia. Le conseguenze sarebbero state aggravanti, poiché una sfera di quelle dimensioni era in grado di radere al suolo una città intera, e qualsiasi altra creatura o Elfo sarebbe stato spazzato via. Compreso sé stesso. Ma meglio spazzati via…piuttosto che le proprie membra, utilizzate per creare nuove creature orripilanti, che avrebbero solo seminato distruzione. Lord Elassar fissò il cielo che nel frattempo era diventato purpureo. “DEI…NON ABBANDONATE LUTHIEN. AIUTATELO A SCONFIGGERE QUESTA MINACCIA! IO VI PREGO.”. Dopo queste parole, una forte luce invase il cielo e la terra. E poi il nulla.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - La seconda Luna - Preludio d'Amore ***


Eccomi con un nuovo capitolo^^! Vi ringrazio per i precedenti commenti, questo mi ha dato in qualche modo una spinta per andare avanti, e scrivere qualcosa di meglio per me e per Voi. In questo capitolo subentreranno molti personaggi nuovi. Mi sono data molto da fare per decidere i nomi, e ho deciso di realizzare una piccola legenda in fondo alla pagina, che illustra il significato dei nomi elfici che ho scelto. Tutte le parole contrassegnate con un ( * ), sono in fondo a questa pagina. Potrete notare, che ogni nome è stato scelto con cura. Non a caso, mi sono affidata ai nomi Elfici, secondo il mistico J.R.R. Tolkien! Altri invece, sono di mia invenzione^^. Come promesso, i personaggi saranno descritti in maniera molto più dettagliata. Questa capitolo lo ritengo fondamentale, poiché spiega molti avvicendamenti che coinvolgeranno il resto della storia. Vi auguro buona lettura!

 

Capitolo II – La seconda Luna – Preludio d’Amore

 

Il vento stava soffiando impetuoso contro la porta del vecchio maniero di Minuial. Le nuvole avevano cominciato ad ammassarsi in cielo, mentre il bagliore dei lampi illuminava le vecchie case dei contadini. Era ormai notte fonda, e nessuno girava per le strade della città a quella ora. Le luci delle taverne e delle case erano spente. Silenzio e ombra serpeggiavano per i vicoli della città. La timida Luna di plenilunio che si nascondeva tra le nuvole, pareva uno specchio d’acqua argentea, che si rifletteva sulle grigie pietre della cattedrale di Oldrid. Una possente sagoma nera  si stava dirigendo verso la cattedrale. Si avvicinava lentamente, a passo silenzioso, come se cercasse di non dare nell’occhio. Tra le braccia portava qualcosa, avvolto in un mantello scuro. Giunse all’uscio e bussò più volte, finché una donna bassa e tozza non gli venne ad aprire. Questa indossava una vestaglia da notte, di color crema. I capelli erano legati in due lunghe trecce castane che scendevano lungo le spalle. I lineamenti del viso parevano irrigiditi. Il mento e il naso erano pronunciati. La mascella era squadrata, come quella di un uomo. Non era una bella donna. “Chi siete straniero? Parlate, cosa volete?”. Replicò per prima la donna. La sagoma nera dinanzi a lei, si tolse il cappuccio del mantello, che ricadeva dalle spalle larghe sul resto del corpo fino alle caviglie. Una liscia chioma bionda cadde lungo i fianchi. La donna con sorpresa lo riconobbe. Era un Elfo Elementare, e poiché portava sotto l’occhio sinistro il tatuaggio del *Drago di Valdah, era anche un membro di una delle dieci nobili casate degli Elfi. “Misericordia siete giunto *Calimon! A tarda ora, ma immagino che debba essere stato tortuoso il viaggio. Desiderate restare per la notte e ristorarvi?”. Chiese la donna, facendo gentilmente strada con la lanterna che teneva in mano.

***

 

“E’ meglio per me andarmene al più presto. Non ho tempo per restare, sono qui per affidarvi la vita di *Eledhwen, mia Sorella.”. Lei si voltò improvvisamente, e con occhi spalancati notò quel fagotto che teneva con delicatezza tra le braccia. Con premura scoprì il volto di quella piccola creatura, e lo porse tra le forti braccia di quella donna. “Oh è meravigliosa! Non avevo mai visto una creatura più bella di questa. Perché me la volete affidare, buon Elfo?”. Chiese, mentre accarezzava dolcemente la fronte della pargoletta che era ancora addormentata. “Sono stato richiamato insieme a mio Padre, a proteggere la famiglia Reale, a costo della mia stessa vita. Il destino per me è giunto, e questo impedisce alla mia spada di proteggere la vita di mia Sorella. Desidero affidarla a voi, Matrona di Oldrid, affinché possiate crescerla e allevarla come se fosse figlia vostra. Tornerò a riprenderla, non appena sarà abbastanza grande per venire con me.”. La donna incrociò gli occhi del colore dell’ametista, di quel Elfo. Erano *profondamente viola, parevano quasi due violette, di quelle che crescono in primavera nei boschi ombrosi. Mai aveva visto occhi similmente belli, che entravano in perfetto contrasto con il lieve candore della pelle e il biondo chiaro dei capelli. Senz’altro era la creatura più magnifica che avesse mai potuto vedere. “Nobile Calimon, vi prometto che mi prenderò cura di questa piccina, come meglio potrò. La proteggerò e la alleverò come fosse da sempre stata mia figlia. Le insegnerò le nobili arti dell’Alchimia e i segreti delle erbe medicinali. Diventerà degna persino di sposare un membro della famiglia Reale!”. Disse con grande soddisfazione la donna, senza accorgersi che il volto di Calimon si era per un attimo irrigidito. “Lei non è destinata alla famiglia Reale…”. Disse in tono cinico, voltando le spalle. “Eledhwen è stata destinata a sposare me, poiché siamo gli ultimi superstiti della nostra nobile stirpe, è stato deciso questo per volontà di nostro Padre.”. L’Elfo si tirò il cappuccio in avanti, e si coprì il volto. “Tornerò tra più di una decina d’anni, per portarla via.”. Aggiunse, e si avviò verso il suo cammino. La Matrona restò a fissarlo per qualche minuto, mentre la sua sagoma nera si dileguava tra le ombre della notte e della Luna, come un’evanescenza spettrale.

***

 

Da quella notte, passarono i giorni, i mesi e le stagioni. Eledhwen era cresciuta, ed aveva già poco più di dodici anni e mezzo. Nonostante passasse la maggior parte del suo tempo rinchiusa nella sua camera, a giocare con le bambole in pezza che la Matrona le regalava, era conosciuta da buona parte dei contadini che vivevano nei dintorni della città. Era diventata una bella bambina, ormai una signorina, che spesso le contadine invidiavano alla Matrona. I suoi capelli biondo chiaro erano quasi sempre sciolti sulle spalle, lunghi appena da arrivare fino alla schiena. Erano ondulati o ricci, ma comunque una caratteristica abbastanza rara negli Elfi. I suoi occhi ricordavano quelli del Fratello. Erano due viole selvatiche, ma brillanti quanto l’ametista al riflesso della Luna. La pelle era nivea, ma rosea in prossimità delle guance. Tuttavia il suo corpicino era esile, forse anche più di quello delle altre ragazzine della città. Spesso la Matrona la affidava alle sue serve, poiché avendo altri da fari che le occupavano la giornata, non poteva sempre prestarle occhio. Accadde in una soleggiata giornata di fine primavera, che Eledhwen si allontanò più del dovuto, dal cortile della cattedrale. La serva che la badava, non l’aveva notata, dal momento che era impegnata a stendere i panni del bucato. Cosicché ella si allontanò parecchio, fino a giungere alla stalla di un vecchio maniero.

***

 

Dalla stalla si potevano udire dei leggeri nitriti di cavalli, il che attirò molto la sua attenzione. Purtroppo lei era poco più alta di un metro e un spanna, e lo steccato era troppo alto perché lei potesse vedere i cavalli. Si aggrappò con le mani allo steccato, cercando di sollevarsi con le braccia,  fino a che non riuscisse a vederli; ma in quel momento, uno stridulo grido la spaventò. “Che stai facendo!?”. Eledhwen si sbilanciò, e cadde a terra, sbucciandosi rovinosamente le ginocchia. Si guardò intorno, e vide un ragazzino, più o meno della sua età, che le stava davanti a distanza di pochi metri. Era poco più alto di lei. Aveva dei lunghi capelli nero corvino, che scendevano lungo le spalle, e splendevano alla luce del sole. Labbra sottili e rosee, e occhi color dello smeraldo. Pelle bianca come il marmo, e lineamenti tipicamente elfici. Fino ad ora non aveva mai visto un ragazzo del genere, probabilmente, perché non aveva ancora incontrato i suoi simili. “Ti sei fatta male?”. Chiese, mentre si avvicinava di corsa verso di lei. “Mi fa un po’ male, ma non è niente.”. Rispose con tono orgoglioso, alzandosi cercando di sopportare il bruciore delle ferite che sanguinavano. “Non volevo spaventarti, mi dispiace.”. Chiese, con la stessa espressione in viso, di chi avesse fatto chissà quale torto. In quel momento arrivò Yluna, che aveva osservato metà della scena da lontano. “Tutto bene piccina?”. Esordì con la sua voce melodiosa. Eledhwen rimase stupita per qualche minuto, non aveva mai visto altra creatura degna della sua bellezza. I lineamenti del suo viso erano morbidi e delicati, la pelle era di un colore ambrato, e i capelli bianchi si trovavano in perfetto contrasto. La figura longilinea di quella donna, era simile alla rappresentazione della Venere Protettrice della cattedrale, che da sempre aveva visto con ammirazione. “Come ti chiami?”. Aggiunse ancora quella misteriosa donna. “Eledhwen.”. Rispose con un filo di voce. “Io sono Yluna, lascia che ti medichi le ferite, non vorrei farti tornare a casa in questo brutto stato.”. In qualche modo si sentì rapire dalla sua voce. Non aveva mai udito voce più carezzevole di quella. Era piacevole, quanto il canto di un usignolo. Non era come le voci che aveva sempre udito dalle serve che la sorvegliavano, e tanto meno somigliava a quella rauca voce da cornacchia della Matrona! Sapeva che sarebbe stato meglio tornare alla cattedrale, prima che la serva si rendesse conto della sua assenza, ma qualcosa la tratteneva e avrebbe preferito restare lì per ancora un po’ di tempo.

***

 

“Io mi chiamo Ysuran, mi dispiace ancora.”. Disse ad un tratto il ragazzino, con voce timida, mentre stava appresso alla Bianca Madre. Pareva abbastanza timido, ma dimostrava parecchio riguardo nei confronti di Eledhwen. All’interno del maniero, giunsero in una stanza abbastanza illuminata. Le candide pareti bianche erano decorate da alcuni affreschi. Nature morte, Veneri e vicende di epiche imprese, erano dipinte sulle pareti. Era poco arredata, nonostante non fosse molto grande, rispetto alle altre stanze del palazzo. C’erano forse due o tre mobili in legno scuro, due poltrone e qualche cuscinetto da genuflessione. Vi era una grande finestra, che si affacciava proprio sul centro della città. E da lì era anche possibile vedere la cattedrale. Yluna la fece accomodare su una delle poltrone, posandole sotto le gambe un cuscino da genuflessione, in modo che potesse stendere le gambe. “Vado a prendere le erbe, Ysuran tienile compagnia e comportati bene.”. Esordì, prima di scomparire dietro alla porta. “Che cosa sei?”. Chiese incuriosita. “In che senso?”. Ribatté lui. “Non sei come gli altri, hai qualcosa di diverso da loro…”. Disse lei indicandoli le orecchie a punta. “Sono figlio di un Elfo, e come tale rimango. Anche tu lo sei, a quanto sembra.”. Disse indicando le sue orecchie a punta, che nascondeva dietro alla folta chioma di boccoli biondi. “Io non sono un Elfo! Non posso essere come te…mia madre è la Matrona di Oldrid.”. “Come vuoi, ma il colore innaturale dei tuoi occhi, come lo spieghi?”. In quel momento Yluna entrò, e i due tacquero. “Ho portato delle erbe medicinali che ti faranno passare il bruciore, e ti dovrebbero anche togliere il rossore. Mi auguro che non sia stata colpa di Ysuran…”. Disse lanciando un’occhiataccia verso di lui, mentre si nascondeva dietro la spalliera della poltrona. “Non è stata colpa sua, mi sono distratta.”. Rispose velocemente Eledhwen, per difenderlo. “Grazie.”. Sussurrò Ysuran al suo orecchio, mentre si scambiarono un occhiolino. Le ferite furono subito pulite e medicate, con grande cura. Nel frattempo il sole stava calando dietro alle montagne, e poiché si stava velocemente facendo tardi, Yluna chiese dove abitava in modo che potesse riaccompagnarla a casa.

***

 

In tanto qualcuno stava già bussando insistentemente al portone, tanto che Minuial andò ad aprire. Una donna vestita in nero e bianco, ovvero con la divisa delle serve della Matrona, era giunta fin lì per cercare Eledhwen. “Saggio Minuial! Oh Saggio Minuial! La figlia della Matrona è scomparsa, per caso l’avete vista!? Vi prego, ditemi dove si trova o la Matrona mi fustigherà!”. Con occhi sorpresi, vide quella povera donna accasciarsi a terra, tra le lacrime e i singhiozzi. “Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto, la Bianca Madre l’ha accompagnata in una delle stanze per ripulirle delle ferite.”. La serva lo guardò con occhi speranzosi. “Sta bene.”. Aggiunse, per non farla preoccupare più del dovuto. Fece accomodare la serva, e Eledhwen fu presto accompagnata da Ysuran nei piani terreni. “Ti chiedo scusa per essermi allontanata troppo.”. Disse, non appena vide la serva ormai col viso consumato dalle lacrime. “Non lo farò mai più.”. La serva corse ad abbracciarla. “Oh finalmente ti ho trovata! Adesso torniamo alla cattedrale, la Matrona era molto in pena per te.”. Disse, mentre si stava alzando in piedi. L’afferrò per un braccio con una certa forza. “Mi fai male!”. Gridò la ragazza. “Forza, dobbiamo andare.”. Aggiunse, con un tono più severo di quello di prima. Ysuran le corse dietro, non voleva che se ne andasse. “Eledhwen quando tornerai la prossima volta?”. Lei si voltò, con il volto rigato dalle lacrime. “Non lo so! Ma spero presto.”. La serva la trascinò via, quasi con violenza, e se ne uscirono così dalla porta d’ingresso. Ysuran avrebbe voluto che rimanesse ancora per un po’, dopotutto era l’unica che era riuscita ad avvicinarsi a lui. Non aveva amici e non aveva persone con cui giocare, poiché i figli degli Elfi erano discriminati dai figli degli Uomini. E ora che aveva trovato una compagna di giochi, non voleva perderla.

***

 

La Matrona fu severa, e decise di chiudere a chiave nella stanza Eledhwen. Mentre la serva fu sottoposta ad una pesante punizione. Venne fustigata dalla Matrona stessa, per più di mezz’ora. Nonostante non volesse che Eledhwen assistesse alla punizione, le urla e i gemiti della povera serva, si sentirono fino alla sua stanza. La piccola pianse quasi per tutta la notte, sentendosi tremendamente in colpa per la sua fuga. Non sarebbe mai più tornata da Ysuran. Il mattino dopo Ysuran uscì presto, prima che il sole sorgesse. Il cielo purpureo all’orizzonte, era ancora assai lontano, e la coltre della Notte copriva ogni ombra che si aggirava a Oldrid. Giunse sino alla cattedrale, ma la porta era chiusa e non poteva entrare. Ad un tratto osservò che un piccolo lume era rimasto acceso, in una delle finestre. Raccolse una manciata di sassolini, e iniziò a lanciarsi verso la finestra, cercando di farsi aprire. Ad un tratto la finestra si spalancò, e proprio colei che desiderava vedere, si affacciò. “Eledhwen! Sono tornato, puoi uscire?”. Chiese Ysuran, entusiasta di esser riuscito a trovare subito la sua finestra. “Come hai fatto a sapere che questa era la mia finestra?”. “Sono andato per intuito, sentivo che era quella.”. Rispose sorridendo. “Non posso uscire, mi hanno chiusa a chiave…”. Al ripetere queste amare parole, si sentì risalire le lacrime. Ysuran la guardò con dispiacere, poiché anche lui sapeva bene che non ci sarebbe stata soluzione per farla uscire. “A questa ora non c’è mai nessuno, vero?”. Chiese, dopo qualche secondo di silenzio. “No, perché?”. “Allora ti verrò a trovare tutti i giorni a questa ora. Promettimi di non mancare!”. A queste parole Eledhwen si sentì stracolma di felicità, anche se non sarebbe potuta uscire, almeno avrebbe potuto godere della sua compagnia. E per lei, questo in qualche modo era già tanto.

***

 

I giorni passarono, e Ysuran la andava a trovare tutte le mattine, come promesso. Nonostante il sole avesse cominciato a sorgere prima, lui era sempre lì, prima dell’alba. Restavano a parlare per qualche ora, e si confidavano ogni momento della giornata che passavano. Ormai erano diventati buoni amici, e non c’era verso di separarli. Certo, proprio quando tutto sembrava andar bene…una mattina, una delle serve che faceva le pulizie attorno alla porta di Eledhwen, si accorse dei suoi strani colloqui, con una voce che non le pareva affatto familiare. La serva lo andò a riferire alla Matrona, che furibonda decise di spostare immediatamente Eledhwen in un’altra stanza. La Matrona era consapevole del fatto che Eledhwen, non avrebbe potuto innamorasi di altra persona al di fuori di Calimon, per questo cercava a tutti i costi di allontanare chiunque da lei. Tuttavia, quella povera ragazzina innocente, che era ancora all’oscuro di tutto sulle sue origini, non sarebbe potuta perdurare ancora a lungo. Tanto che la Matrona stessa si decise a raccontarle la verità. Quel giorno stesso venne accompagnata dalle serve, nelle stanze della Matrona, dove la stava aspettando. Eledhwen tremava ed era a dir poco tesa, temeva di aver fatto chissà quale terribile sbaglio, per meritarsi una punizione. Pensava costantemente a Ysuran, pregava tra i denti che domani non venisse a trovarla, o pensava ad escogitare un modo per avvisarlo. Ma tutto sembrava vano. Erano giunte dinanzi alla porta, e le due serve che la tenevano per mano la lasciarono entrare, chiudendo la porta dietro di lei. Il suo cuore batteva all’impazzata dalla paura, che cosa le sarebbe aspettato? La Matrona era proprio dinanzi a lei, seduta su una sedia imbottita e tappezzata di stoffe pregiate, con lo schienale alto. Si trovava dietro ad una scrivania, e stava scrutando un mucchio di scartoffie. Ad un tratto ripose tutti i fogli in un angolo del tavolo, e volse il suo sguardo di ghiaccio, verso di lei.

***

 

 “Vieni avanti cara, puoi metterti a sedere se desideri.”. Eledhwen avanzò solo di pochi passi, e stette in piedi, ritta e immobile, come se cercasse di non farsi schiodare dal pavimento. “Mia cara, c’è una cosa importante di cui io ti avrei dovuto parlare già molto tempo fa…”. Prese una pausa per organizzarsi il discorso, e poi proseguì. “A dir la verità, avrei preferito aspettare che tu avessi l’età giusta, ma viste le circostanze…non mi lasci altra scelta. Mia cara, in tutti questi anni sei stata il mio orgoglio. Mi chiamavi ‘mamma’, nonostante io non lo fossi realmente. Mi hai portato gioia e piacere, ma io ho dovuto ricambiarti con la menzogna. Mia cara, tu mi sei stata affidata dal Nobile Calimon, tuo Fratello e futuro Sposo, che mi ha chiesto di proteggerti e di allevarti come meglio potevo. Tu sei l’ultima discendente della quarta nobile casata dei *Mìriel, Elfi Elementari. Sei stata portata qui, dalle lontane Terre del Crepuscolo, in modo che potessi crescere in tranquillità. Calimon ha giurato che sarebbe tornato per riprenderti tra una decina d’anni, a suo fianco, come sua sposa. Il tuo destino è deciso, e non posso permettere che tu ti innamori di qualcun altro, capisci cara? Meglio prevenire che curare, no? E penso che faresti anche bene a smettere di incontrare quel tuo amico alla finestra…”. Eledhwen si sentì profondamente disgustata alle tali parole. Trattenne una smorfia di spregio, e corse via in lacrime uscendo dalla stanza. Non poteva credere che la Matrona avesse potuto mentire proprio a lei! Non avrebbe mai voluto come sposo un essere tanto crudele, da averla abbandonata nelle mani di una chierica, tanto insensibile da non permetterle di avere degli amici. Le aveva rovinato l’infanzia! Voleva solo scappare per non tornare più. L’unica cosa che desiderava in quel momento, era di andare da Ysuran, a raccontargli tutto. Non le importava il resto, non si sarebbe mai innamorata di nessuno, pensò. Tra le lacrime e i singhiozzi, uscì di corsa nel cortile della cattedrale e scappò via, verso il centro della città.

***

 

Raggiunse di corsa il maniero di Minuial, e bussò insistentemente al portone. La Bianca Madre venne ad aprirle. Quando la trovò, aveva i vestiti per la maggior parte bagnati dalle lacrime. “Sei ancora tu, cosa ci fai qui?”. Chiese, facendola entrare. “Volevo parlare con Ysuran.”. Yluna la osservò sorpresa, ma poiché aveva fatto tanta strada e sembrava di fretta, decise di accontentarla. La accompagnò fino ai piani superiori, dove Ysuran stava studiando un *Necronomicon, seduto su una poltrona. “Prosegui pure, io ho altro da fare per ora.”. Disse la donna sorridendole. “Ysuran!”. Gridò entusiasta Eledhwen. “Come hai fatto a scappare?”. Chiese lui sorpreso, mentre chiuse con incuranza il libro poggiandolo sul tavolino affianco. Lei non riuscì più a trattenersi dall’emozione, e corse ad abbracciarlo. “Presto mi troveranno, sono venuta a parlarti di una cosa importante!”. Disse velocemente scostandosi da lui. “Racconta pure.”. Purtroppo la sua mente era ancora confusa dalle lacrime, e raccontò tutto alla rinfusa, tanto che per quel poco che era riuscito a capire lui, intese solo che non sarebbero più riusciti a vedersi per un bel po’ di tempo. “Non ti preoccupare Eledhwen, ci rivedremo un giorno! E sarò io a portarti via con me. Te lo prometto!”. Furono le sue ultime parole, le parole che Eledhwen non avrebbe mai scordato. Ysuran si tolse il pendente che portava al collo, e lo mise e lei. “Questa è *Miriam, mi era stata affidata da Minuial come amuleto porta-fortuna. Ma non ne avrò bisogno, puoi tenerla tu finché non ci rincontreremo.”. I due si abbracciarono per un’ultima volta, prima che i loro destini venissero separati. Eledhwen tornò da sola, di sua spontanea volontà, alla cattedrale. Era sicura che Ysuran non avrebbe mancato alla sua promessa, e non vedeva l’ora che quel giorno arrivasse.

 

 

*Drago di Valdah, inventato di mia spontanea fantasia. Mi sono ispirata al fatto che le famiglie nobili degli Elfi, fossero rigorosamente separate in dieci casate, di cui ognuna di esse, aveva dei legami di parentela con la famiglia Reale (i Supremi, citati nel primo capitolo). Questo tatuaggio tribale è rappresentato da un drago purpureo, con le ali spiegate, mentre tra le zampe sostiene una rosa nera (che rappresenta la famiglia Reale). Coloro che portano questo marchio, sono destinati a proteggere a costo della vita la famiglia Reale. Non si possono sottrarre alle guerre, e possono sposare solo fanciulle appartenenti alla propria casata, perché devono mantenere la tradizione del purosangue.

*Calimon in elfico significa Splendente, un nome degno di un Principe. Ma la mia scelta, è stata molto condizionata anche dal fatto, che il nome alludesse in qualche modo a Lucifero (uno dei miei Paladini!).

*Eledhwen, che in elfico significa Splendore degli Elfi. Unica figlia della quarta nobile casata degli Elfi Elementari, sorella di Calimon. L’unica superstite al massacro nelle terre del Crepuscolo.

*Profondamente viola, piccola allusione ai Deep Purple! Uno dei miei gruppi preferiti^^. Da lì mi è partita l’idea degli occhi viola.

*Mìriel, significa gioiello. Nonostante il significato non sia abbastanza azzeccato, mi suonava assai troppo bene come nome per una nobile casata di Elfi, di cui anche diretti discendenti della famiglia Reale! In qualche modo, mi dà l’idea di qualcosa di ‘Nobile’.

*Necronomicon, chi di voi non ne ha ancora sentito parlare!? Il libro dei Morti, per eccellenza. Nato dalla fantasia del celebre Howard Phillips Lovecraft, e ripreso in uno dei miei film Horror preferiti degli anni ’80 “La Casa” di Sam Raimi. 

*Miriam, goccia di mare. Un nome bellissimo a mio parere. Ho deciso di chiamare così, il ciondolo con una pietra di acquamarina, che Ysuran regala a Eledhwen come pegno d’Amore. Ops! Non devo dirlo…comunque si era capito che lui si innamora di lei, anche se Eledhwen è ancora troppo giovane per comprendere i suoi sentimenti. Si scoprirà più avanti^^.

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Capitolo 3
*** Capitolo III – La terza Luna – “Ti verrò a prendere!” ***


Finalmente il mio terzo capitolo! Non mi sarei mai aspettata che sarebbe stato il capitolo più difficile della storia^^. In effetti mi sono dovuta impegnare abbastanza, anche per recuperare quello che avevo tralasciato nel capitolo precedente. Inizialmente mi ero pentita a malamente di ciò che avevo postato, poiché mi sembrava abbastanza tirato via, per considerarsi un capitolo fondamentale. Eppure, in qualche modo mi sono accorta che non era stato poi un grande errore, anzi, direi che mi ha portata ad una importante svolta nella storia. Leggendo le recensioni precedenti e ascoltando vari consigli di amici, ho capito come migliorarmi^^. Spero che questo capitolo possa essere di Vostro gradimento. Buona lettura!

 

Capitolo III – La terza Luna – “Ti verrò a prendere!”

 

 

Un pallido sole si stava alzando all’orizzonte. Il vento gelido soffiava ancora impetuoso, e col suo tocco trascinava con sé, le ultime foglie morte dai secchi rami impoveriti della loro vitalità. Il cielo brillava della *rossa aurora, che aveva incendiato il cielo per tutta la notte. Il paesaggio era desolato, vi erano solo grandi alberi spogli, dalla corteccia nera e rami che parevano artigli. Non c’era l’erba, ma solo un’infinita distesa di teschi e scheletri che concimavano il terreno. Urla e grida, di gioia e di terrore, echeggiavano nell’aria. Odore di putrefazione appesantiva il respiro. Mentre spettri e ombre danzavano dentro *cerchi di fuoco blu. Utopia, decadentismo e follia…quello era senz’altro l’Inferno. Una solitaria sagoma bianca, camminava a piedi scalzi, su quelle sudice ossa. Pareva non destare alcun interesse per quello che le stava intorno. Il candore di quella figura spettrale, si fece via via sempre più nitido, finché non lasciò intravedere la regale figura di una Dama. Abbassò il cappuccio del suo mantello bianco, lasciando intravedere un volto apparentemente innocente. Delicati lineamenti componevano i morbidi tratti del viso. La rossa chioma ondulata scendeva lungo i suoi fianchi sinuosi. Labbra scarlatte e penetranti occhi verde foglia. Quella bellissima creatura, che ogni cuore avrebbe bramato di avere, non era altri che la *Dama degli Inferi…precedentemente conosciuta come Lady Darsial, e ora solo come *Ophelia. Ella si fermò, e prima di proseguire oltre in direzione di un maestoso albero dalle foglie vermiglie, si sistemò i lunghi capelli dietro alle spalle. Fissava il cielo, compiaciuta del suo operato. Morte e distruzione erano disseminate ovunque, nelle lontane terre del Crepuscolo. Anche se i *Supremi erano giunti a conoscenza delle voci sui sanguinosi e terribili massacri, ormai non rappresentavano più una grande minaccia per Ophelia, dal momento che il suo esercito era di gran lunga più forte e temibile di quello avversario. Era riuscita a dar vita a creature che potevano rimarginare le proprie ferite, nutrendosi di tessuto umano o animale. Se venivano smembrate, le loro carni erano in grado di riunirsi, formando un’unica creatura invincibile. Presto il suo dominio si sarebbe sparso e avrebbe rovesciato il trono dei Supremi, per sedersi al loro posto e regnare indisturbata come Regina indiscussa. Ma prima, doveva trovare l’ultimo superstite della stirpe degli Elassar. Le era giunta voce che Lord e Lady Elassar, prima del suo attacco, erano riusciti a concepire una prole. Avrebbero dato luce ad un unico erede maschio, di nome *Luthien, secondo quel che si diceva. Avrebbe potuto pensare che fosse morto con loro, ma sospettava che fosse stato portato in salvo da qualcuno. Non rappresentava una grande minaccia per lei, ma poiché l’ira degli Dei avrebbe favorito la vincita del giovane Principe sopravvissuto, avrebbe fatto di tutto pur di trovarlo e di farne un suo alleato. La Necromanzia da secoli, scorreva nel sangue degli Elassar, per questo si era interessata a quella stirpe. Se si fosse fatta svelare il segreto delle nobili arti dell’ombra, sarebbe riuscita a creare l’esercito di creature non morte, più vasto del Mondo. Nonostante il suo esercito fosse già più che sufficiente, per sbarazzarsi dei Supremi, ella ambiva a conquistare ogni popolo e ogni terra di questo Mondo. L’avidità la spinse così a voler persuadere lo stesso Lord Elassar, senza successo. Poiché l’ultimo Elfo necromante, era appunto Luthien, avrebbe fatto di tutto pur di farlo diventare suo. Assorta nei pensieri, Ophelia non si rese conto che un ombra la stava aspettando già da molto tempo, affianco all’antico albero verso cui si dirigeva. Una tetra voce irruppe nei suoi pensieri. “Finalmente siete giunta, mia Signora.”. Ella rivolse il suo sguardo verso quella nera figura. “Siete giunto prima del previsto *Mythral. Che notizie portate da *Akatandra? Ci sono stati degli avvistamenti del Principe?”. “No mia Signora, stiamo cercando nei dintorni, e abbiamo setacciato città e città intere senza trovare nulla…”. Il *drow si fermò un momento, e riprese in seguito ad una pausa. “Abbiamo il presentimento che il Principe sia rimasto ucciso in quella battaglia, mia Signora.”. “E’ impossibile! Non avete cercato bene!! Incapaci…non sapreste fare nulla senza di me!”. Si rivolse in tono minaccioso verso il drow. “Mia Signora, sono ormai passati anni, e non abbiamo ancora trovato nulla!”. “Perché siete degli incapaci!!! TROVATELO!”. Ophelia fece spallucce. “Mia Regina…”. Proferì il drow con un filo di voce, Ophelia si voltò lentamente. “Come mi avete chiamata?”. Chiese, mentre Mythral si inginocchiava dinanzi a lei. “Mia Regina.”. Chinò il capo verso il basso, come un fedele servitore che rende umilmente omaggio al proprio padrone. La Dama avvolse tra le sue gelide mani il caldo e umido viso del drow, e dolcemente lo sollevò al suo sguardo. “Voi mi siete sempre stato fedele Mythral, non smentite la mia parola, proprio ora. Solo voi avete idea di quanto sia importante per me il Principe, dovete trovarlo e al più presto…prima che la vendetta degli Dei si compia.”. Mythral si rialzò fieramente, la guardò per un’ultima volta in viso, prima di partire. E scomparve nelle tenebre. La Dama volse il suo sguardo alla pallida mezza Luna, che si era scoperta dalle ingombranti nuvole nere che ora le vorticavano intorno. “Luthien, ti troverò! Fosse l’ultima cosa che farò…tu sarai mio.”. Sussurrò tra sé e sé.

***

 

Nel frattempo in una rigogliosa città, a Nord delle Lande del Ghiaccio oltre le montagne, di nome Fànon; qualcuno si stava già muovendo contro la minaccia prossima ad incombere. Un noto personaggio, che avevamo già conosciuto, stava percorrendo i corridoi del palazzo imperiale dei Supremi, per giungere nella sala reale del trono. *Re Herimeldië lo stava aspettando ansiosamente, sapeva bene quel che doveva dire. Era un uomo tozzo e basso, ma di astuto ingegno. Era poco più sulla settantina d’anni, nonostante la vecchiaia, aveva ancora abbastanza forza per governare il regno, che poi avrebbe ceduto alla sua unica figlia erede *Atanvarnië. Le porte della sala del trono si aprirono lentamente, e un servitore di corte annunciò l’arrivo di colui che aveva mandato a chiamare. Re Herimeldië annuì, in segno di consenso per farlo entrare. Il servitore aprì completamente le porte, e una bianca figura incappucciata si avvicinò a cospetto del Re. “Calimon, i tuoi servigi a Sud delle Lande del Ghiaccio si sono rivelati utili. Mi sono giunte voci che tu sia riuscito a sterminare da solo un esercito di cinquemila goblin! Le tue gesta diventeranno leggenda qui a corte! Grazie a te, Fànon è ancora una città sicura e un buon rifugio per i popoli circostanti, senza di te questa terra sarebbe caduta in mano agli orchi! Che tu possa assaporare la mia ricompensa…”. A quel punto l’Elfo lo fermò sulla frase, intromettendosi nel discorso. “Ricompensa!? Quale ricompensa potrebbe mai essere più allettante, che di congedarmi per qualche giorno dal palazzo, per riprendere la mia amata Sorella!?”. L’Elfo abbassò il cappuccio, e fece intravedere un espressione di rabbia dipinta nei fini lineamenti del suo viso. “Desidero ora che mi diate la mia vera ricompensa, e che mi lasciate tornare a Oldrid!”. Il Re scosse con la testa. “Mio nobile Calimon, mi rincresce non potervi concedere ancora questa ricompensa, ma voi servite qui al palazzo. Se voi ve ne andaste, anche solo per qualche giorno, questa città potrebbe cadere in mano alle armate di orchi che stanno cercando di rovesciare il trono!”. Il Re prese una pausa, bevendo vino da un calice dorato e ornato di pietre preziose. “Se non fosse stato per volere di mio padre, potreste star certo che non sarei qui a servire i vostri vili bisogni! Avete un esercito di diecimila uomini, e non lo avete ancora utilizzato…preferite mandare me contro quelle insulse fecce depravate! Voi state approfittando della mia pazienza.”. Rispose Calimon in tono seccato. “Come osate proferire una cosa simile al vostro Re!? L’esercito non è ancora pronto per la guerra. Sono giovani, poco più di vent’anni, sotto ancora addestramento per imparare a maneggiare una spada o un arco! Se li mandassi in guerra, morirebbero tutti di sicuro!”. L’Elfo alzò ancora di più il tono di voce. “Quelli della mia gente hanno imparato ad armeggiare solo facendo la guerra…non vi erano addestramenti, e ognuno doveva fare da sé. Chi voleva sopravvivere, doveva imparare ad ammazzare, altrimenti restava ucciso. Voi state solo cercando di tenere all’oscuro la vostra gente dell’imminente guerra che incomberà su questa città!”. Proferite queste parole, il Re si stava accingendo ad enunciare un altro ‘come osi’, ma l’Elfo si voltò verso la porta per andarsene via. “Calimon! Vi ordino di fermarvi all’istante!”. L’Elfo si fermò, ancora più seccato di prima. “Desiderate?”. Chiese. “Nobile Calimon, io presto me ne andrò e a quel punto, dopo la mia morte subentrerà al trono, mia figlia Atanvarnië. Desidero solo il suo bene, e l’esercito che sto preparando è per lei. Desidero che sia protetta a costo della vita, poiché mi è preziosa. Non fraintendete i gesti di un padre, che desidera solo il bene per la propria figliuola…”. L’Elfo si voltò verso il Re. Nei suoi occhi grigi, poteva leggere chiaramente che l’unico suo interesse, era rivolto alla vita e al destino di sua figlia. “Io vi comprendo mio Sire, ma anch’io ho qualcuno da proteggere…e questa è mia sorella Eledhwen.”. Il Re lo fissò un momento, assorto nei suoi pensieri, e dopo un po’ prese a parlare. “Mandate una delle truppe imperiali a Oldrid. Scegliete una decina dei vostri migliori uomini, e mandateli a riprendere vostra Sorella. Questo è il massimo che vi posso concedere, Mastro Elfo.”. Calimon sapeva che non sarebbe stato facile giungere fino a Oldrid con soli dieci uomini, ma se quella sarebbe stata l’unica soluzione per portare al sicuro Eledhwen, allora avrebbe fatto come il Re aveva proposto. “Lo farò. Partiranno oggi stesso.”. Calimon si inchinò dinanzi, e si ritirò nelle sue stanze pensieroso. Mentre si stava avviando per il lunghi corridoi, l’unico pensiero che dominava nella sua testa, era per la sua amata Sorella. Avrebbe desiderato essere lui stesso a tornare da lei, così come aveva promesso alla Matrona. Ormai erano passati 17’anni da quando aveva visto per l’ultima volta sua Sorella, tra le braccia di quella donna tozza e rude. Il suo cuore bramava solo di poterla stringere tra le braccia e di portarla con sé, non desiderava altro. Perché attendere? Perché non disubbidire? Perché non partire subito per Oldrid? Vi erano nove giorni di cammino da Fànon a Oldrid, ma era certo che sarebbe anche giunto prima a cavallo, e che nel frattempo non sarebbe accaduto nulla alla città che doveva proteggere. Era sommerso dai dubbi, che affioravano sempre più fitti nella sua mente, quando una voce lo richiamò nel mondo reale. “Calimon!”. Era una voce possente e autoritaria, si voltò e vide suo padre alle spalle. “Calimon, ho bisogno di parlarti. Vieni con me.”. Era Lord Mìriel, ora noto solo come Nobile *Curunìr. Non era molto diverso dal figlio, a parte per gli occhi grigi e la spaziosa fronte. Anch’egli possedeva il simbolo del Drago di Valdah sotto l’occhio sinistro. Curunìr fece strada nelle sue stanze al figlio, e una volta giunti chiuse la porta dietro di loro, controllando che non ci fosse nessuno. “Ho sentito del tuo discorso acceso con Herimeldië, al riguardo di Eledhwen…posso comprendere il fatto che tu desideri tornare a riprenderla, nonostante il volere del Re, per questo ti voglio aiutare, figlio mio.”. Curunìr estrasse dal cassetto di un mobile, un ciondolo. “Questa è *Elanor, indossata per secoli dalle Dame della nostra stirpe, è un amuleto del Fuoco. Desidero che tu lo porti a Eledhwen…”. Calimon sollevò lo sguardo, che fino ad ora era rimasto perso. “Vuoi che vada a Oldrid?”. Chiese sorpreso. “Sì, figlio mio. Desidero che tu porti tua Sorella in queste terre sicure. Non temere per il Re, mi assumerò la responsabilità di proteggere le mura di questa città, a costo della mia stessa vita.”. Calimon parve un po’ restio a questa decisione affrettata, ma poiché il tempo stringeva e non vi erano altre soluzioni, decise di obbedire al volere di suo padre. “Lo farò padre, cercherò di fare il più presto possibile.”. Curunìr sorrise soddisfatto, e lasciò tra le mani di Calimon, il ciondolo che avrebbe dovuto dare a Eledhwen. “Prima che tu te ne vada, desidero che tu prenda una di queste.”. Curunìr afferrò una delle fiale vermiglie, che teneva custodite in un piccolo scrigno in legno con lucchetto. Gliela lanciò, e prontamente Calimon l’agguantò. “Che cos’è?”. Chiese, esaminando la fiala. “E’ un elisir noto come pozione del richiamo, ne avrai già sentito parlare…”. Calimon rivolse uno sguardo di intesa, e annuì. “Ci rivedremo quando tornerò con Eledhwen.”. Rispose con un sorriso, e uscì dalla stanza.

Quella stessa notte un gruppo di dieci abili cavalieri, scelti dallo stesso Calimon, uscirono dalle mura della città a cavallo. Si aprirono una breccia nell’oscurità della notte, e veloci come il vento si diressero verso le montagne a Sud-Ovest. Tra quei cavalieri vi era ovviamente anche Calimon, il quale presto sarebbe giunto per Eledhwen.

***

 

Una leggera pioggia stava cadendo su Oldrid. L’autunno era appena cominciato, e il vento spazzava ogni strada della città, soffiando contro ogni porta e finestra. Ogni mattina diventava via via sempre più fredda, e le piogge si facevano sempre più frequenti. Gli ultimi frutti del raccolto, stavano cominciando a maturare, e ormai i contadini erano pronti per l’inverno. Eledhwen osservava il paesaggio solitario che circondava Oldrid. Boschi verdi le ricordavano i profondi occhi di Ysuran, che mai avrebbe dimenticato. Mentre la coltre della notte, senza stelle, i suoi capelli corvini. Ormai il tempo era passato, e lei era già diventata una donna. Non era più la ragazzina di qualche anno fa, che passava le ore nella sua stanza, a giocare con bambole in pezza. Gli anni erano passati, e lei era cambiata. I suoi lunghi capelli biondi le arrivavano ormai fin oltre i fianchi, e si formavano in una cascata di boccoli. I morbidi e fini lineamenti elfici la distinguevano bene dai rudi lineamenti del viso delle altre donne del paese. La sua esile figura, che si stingeva intorno alla vita, era diventata un’invidia per qualsiasi altra donna. Era davvero bella, degna di appartenere alla nobile stirpe da cui discendeva. Osservava sempre il ciondolo di acquamarina che Ysuran le aveva regalato, l’ultima volta che si erano visti. Glielo aveva promesso, sarebbe giunto per lei, solo per lei. Non pensava ormai ad altro, il tempo che aveva trascorso con la Matrona, ormai era finito. Presto avrebbe passato i suoi giorni affianco a Ysuran, che l’avrebbe portata lontano. Ma in cuor suo, si ricordava anche di ciò che le aveva detto la Matrona stessa, anni prima per allontanarla da lui. Quando pensava a Calimon lo raffigurava come una persona crudele, storpia e di brutto aspetto. Doveva essere stato davvero crudele, ad averla abbandonata con una simil donna, per così tanto tempo. Aveva pregato così tanto gli Dei, perché proteggessero Ysuran e gli permettessero un giorno di tornare da lei. Avrebbe voluto maledire Calimon, ma non poteva chiedere questo agli Dei. Non per una persona che non conosceva nemmeno. Presto, presto sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe scappata.

***

 

In quel momento, un’altra persona assorta negli stessi pensieri, invece stava bramando Eledhwen. Ysuran fissava la pioggia che scivolava sulle grigie pietre della cattedrale. Il cielo era scuro, e pareva dovesse arrivare la notte da un momento all’altro. La ricordava ancora quando l’aveva vista l’ultima volta, che era venuta da lui piangendo, tremava con il volto rigato dalle lacrime, che lo pregava di portarla via da quella perfida donna. I suoi occhi viola e la sua folta chioma bionda, le ricordava ancora così distintamente. Così come il tepore della sua pelle bianca, e il suo volto innocente da Elfa. Come avrebbe potuto dimenticarsene? I suoi sentimenti non erano cambiati affatto, in quei cinque anni. Era ancora innamorato di lei, nonostante Eledhwen ne fosse tuttora all’oscuro. Aveva una promessa da mantenere, e l’avrebbe fatto. Quella sera stessa l’avrebbe portata via con sé. Si chiedeva spesso quanto lei fosse cambiata, e se ancora si ricordava di lui, nonostante non fosse passato così tanto tempo. E qualche volta faceva dell’ironia pensando se l’avrebbe riconosciuto. In effetti era cambiato parecchio, da quando era ancora un ragazzino. I suoi capelli neri lucenti erano cresciuti fin oltre metà schiena, mentre i lineamenti del suo viso si erano formati nei tipici lineamenti elfici, fini e morbidi come avrebbero dovuto essere. Aveva però mantenuto il pallore della pelle, e le sottili labbra rosee, che conferivano innocenza a quel suo candido volto. Il petto e le spalle si erano allargate, tuttavia la sua figura era nel complesso slanciata e perfetta. Era stato anche merito dei severi addestramenti di Yluna, che gli aveva insegnato a combattere con spade, asce, mazze ferrate, alabarde e scimitarre. Era diventato un abile tiratore con l’arco, in quanto la sua vista da elfo gli consentiva anche di osservare da lontano i bersagli. Minuial era stato più un maestro di teoria, ma non si era di certo limitato ad insegnarli solo a leggere e a scrivere. In quanto mago, da lui era riuscito ad apprendere alcuni incantesimi e sortilegi di Alchimia e Necromanzia. Dagli otto ai dodici anni, le uniche storie che poteva sentire da quel mago, erano quelle scritte nei suoi libri di stregoneria o dai numerosi Necronomicon che custodiva nelle sue librerie. Ancora non comprendeva il motivo di tutti quei addestramenti, pareva quasi lo stessero preparando a qualcosa. Ysuran estrasse una gemma di *pozzolana rossa da un sacchetto che teneva legato alla cintura in vita, era una specie di piccola statua raffigurante un uccello dalle lunghe piume dorate. “*Carnil, ora ti invoco…vieni amica mia.”. Una fiamma purpurea di fuoco freddo, si dipartì da quella pietra, e comparve una fenice. Le piume rosse che ricoprivano tutto il corpo dell’animale, terminavano nella lunga coda, con sfumature argentee e dorate. Era un esemplare piuttosto giovane, dal momento che aveva poco più le dimensioni di un pavone. Tuttavia riusciva qualche volta a stare appollaiata sulle spalle di Ysuran, delle volte con l’intenzione di stuzzicarlo amorevolmente beccando i suoi capelli. Era un esemplare abbastanza vivace, tuttavia obbediente. Era stato un regalo di compleanno da parte di Minuial, di qualche anno fa. Carnil parve abbastanza agitata in quel momento, e sbatteva di continuo le ali. “Lo so che non sopporti l’umidità, ma ho un favore da chiederti.”. La fenice si calmò, e Ysuran avvicinò l’avambraccio in modo che l’animale vi si potesse appollaiare. “Carnil, c’è una persona che devo trovare…dirigiti alla cattedrale di Oldrid, e cerca un’Elfa dai capelli biondi e gli occhi viola. Il suo nome è Eledhwen.”. Le sussurrò vicino Ysuran. Carnil parve comprendere, e annuì col becco in segno di assenso. “Ho bisogno che le porti questo messaggio, ti prego.”. Legò alla zampa dell’animale un foglietto arrotolato in pergamena, avvicinò Carnil alla finestra e con una spinta le fece prendere il volo. Carnil essendo un uccello del fuoco, odiava la pioggia, ma avrebbe fatto di tutto pur di accontentare il proprio padrone. Ysuran la guardò volteggiare alta nel cielo, mentre cantava melodie misteriose, con il sibilo del vento che le faceva da tenore di sottofondo. Ysuran restò ancora per qualche istante dinanzi alla finestra, finché la sua rossa creatura non scomparve tra le nuvole. Le toccava volare alto, sopra le nuvole, per non bagnarsi. Tuttavia sarebbe riuscita a giungere prima del buio dalla sua amata. In quel momento una voce spezzò il silenzio dei suoi fitti pensieri. “Ysuran.”. Egli si voltò, e vide la Bianca Madre che attendeva sulla soglia. Pareva piuttosto nervosa, come se avesse chissà quale terribile cosa da nascondere. “Minuial desidera parlarti, raggiungilo nel suo studio.”. Disse con un’insolita voce tremante. Ysuran cercò di mostrarsi indifferente, e rispose con un fiero ‘Sì’. Yluna si avviò prima di lui e Ysuran non tardò a seguirla.

***

 

In quel preciso istante, Eledhwen si trovava nella sua stanza, come al solito con la porta chiusa a chiave senza poter uscire. Ultimamente la Matrona aveva ridotto le sue uscite, e la voleva il più spesso alla cattedrale. Aveva quasi smesso di farle persino fare dei lavori. Questo improvviso cambiamento poteva significare qualsiasi cosa, ma lei aveva il vago sospetto che la Matrona era consapevole del fatto che presto qualcuno sarebbe arrivato per lei. Ogni giorno pregava nel silenzio che Calimon non riuscisse mai a giungere ad Oldrid, ma a sua insaputa, suo Fratello si faceva di giorno in giorno sempre più vicino. E in quel momento, si trovava a mezza giornata da lì. Il sole stava tramontando tra le fosche colline all’orizzonte, e il cielo si stava a poco a poco oscurando del nero della notte. La fanciulla fissava di continuo fuori dalla finestra, ansiosa, come se dovesse giungere qualcuno per lei a momenti. Continuava a mantenere viva la speranza che Ysuran tornasse per lei, neanche una volta soltanto si era lasciata prendere dallo sconforto. “Ysuran, torna ti prego…”. Sussurrò al termine della preghiera. Dopodiché si allontano dalla finestra e si stese sul letto a pensare, a quanto tempo avrebbe dovuto ancora aspettare. Una misteriosa melodia entrò nella sua mente, qualcosa di misterioso e quasi nostalgico, la portò a quei offuscati ricordi di quando lei era ancora ragazzina. La melodia si fece sempre più vicina, finché alla finestra non comparve una luce innaturale, di un rosso carminio. Eledhwen si avvicinò alla finestra, scrutando con attenzione e sbigottimento. Non era per nulla intimorita. “Chi sei?”. Chiese, aspettandosi stranamente una risposta. Dopo qualche istante sentì qualcosa che batteva insistentemente contro il vetro appannato della finestra. Eledhwen aprì, con un po’ di esitazione. “Una fenice?”. Si guardò intorno, nella speranza che nessuno avesse visto. Allungo l’avambraccio verso l’animale, che vi si appollaiò sopra, senza indugio. “Sei stata mandata da Ysuran?”. Sussurrò alla fenice, che immediatamente annuì col becco. Notò il foglietto che era avvinghiato alla zampa dell’animale, e lo tolse con delicatezza. Srotolò il foglio di pergamena, e lesse il messaggio. Era la prima volta che vedeva la calligrafia di Ysuran. Alcune lacrime di emozione scesero lungo il viso. “Alla mezzanotte, quando le luci della città saranno addormentate, volgi lo sguardo a Est. Io verrò a prenderti, come promesso da allora.”. Così diceva il messaggio, era troppo chiaro e tondo per fraintendere. Scrisse sul retro del foglietto la sua risposta, lo legò alla zampa dell’animale e lo fece volare via. Era così felice, finalmente quella stessa notte se ne sarebbe andata! Via, lontano dalle grigie mura di quella cattedrale.

***

 

Era giunto alla porta dello studio di Minuial, che era rimasta socchiusa. Riusciva ad intravedere il pallido lume arancio delle braci, che ardevano ancora qualche ciocco di legno nel camino. Lo studio pareva vuoto, ed era piuttosto buio. Bussò qualche colpo, e fece -permesso- ma nessuna voce rispose. Entrò ugualmente e si fece avanti, scrutando intorno, ma non vide nessuno. “Saggio Minuial? Desideravate vedermi?”. Chiese, ma ancora nessuna risposta. Ysuran si mise a viaggiare per la stanza semibuia. Sulla scrivania come al solito vi erano un mucchio di scartoffie e libri di qualsiasi tipo. Pareva che stesse prendendo appunti o trascrivendo qualcosa, a quanto pare non aveva ancora finito. Proseguì oltre, attraversando la stanza, e intravide una pallida luce verdognola che proveniva da sotto ad un drappo, che copriva la sfera di cristallo di Minuial. Non aveva mai provato ad osservare dalla sfera, secondo Minuial non era portato per la divinazione, nonostante fosse tremendamente attratto dalla conoscenza del suo destino. Si guardò cautamente in giro, ma non vi era anima viva, così tolse il panno che copriva la sfera e la esaminò. Stava brillando di una luce misteriosa, quasi familiare. Aveva visto numerose volte Minuial leggere da quella pietra veggente, posandovi semplicemente sopra la mano e chiudendo gli occhi. Pareva tentato nel farlo, dopotutto chi mai lo avrebbe scoperto? Posò la mano sulla sfera e chiuse gli occhi, in quel momento la sua mente fu travolta da un’ondata di ricordi confusionari e misteriosi. Non riusciva a togliere la mano, percepiva quasi una grande forza che lo tratteneva su di essa. I ricordi si fecero sempre più veloci e distorti, come immagini veloci e sfocate. A malapena riusciva a riconoscere qualche volto familiare. Ad un tratto si fecero sempre più lenti, finché non si soffermarono in un immaginario chiaro e nitido. Si trovava disteso sull’erba fresca e rigogliosa. Il cielo era buio, tanto da far sembrare che fosse notte, ma era dipinto di colori magnifici e maestosi. Mai aveva visto un cielo simile, con simili colori uniti insieme, carminio-smeraldo-viola. Che potevano significare, lui non lo sapeva, ma lo trovò bellissimo. Notò in quel momento di non esser solo, difatti davanti a lui, seduta sull’erba vi era una donna vestita di bianco, accovacciata in avanti come se stesse sorreggendo qualcosa tra le braccia. Le si avvicinò, ma quando le arrivò dinanzi vide uno scheletro incappucciato di bianco, non una donna, che teneva tra le braccia scheletriche un bambino. Quella piccola creatura si agitava e piangeva, ma pareva non essersi resa conto della sua presenza. “Che cosa significa questo?”. Chiese tra sé e sé terrorizzato. Un’altra ondata di ricordi lo travolse, e quel immaginario si dissolse come polvere trasportata dal vento. Ora si trovava sul bastione di una torre, una guerra era in atto. Goblin, troll e immonde creature mai viste, si stavano unendo per attaccare le mura. Gli arcieri stavano lanciando le loro frecce, da lontano, mentre la fanteria si preparava ad attaccare l’avversario. Si voltò, e vide due misteriose figure. Erano elfi, nonostante non li conoscesse parevano così familiari. L’elfa si trovava accasciata a terra, con un rivolo di sangue che le usciva dalla bocca. I suoi lunghi capelli biondi le ricordavano con nostalgia la sua amata Eledhwen. Colui che invece stringeva tra le braccia il suo corpo senza vita, era così simile a lui. Se non fosse stato per il colore degli occhi, avrebbe potuto essere una specie di gemello. Chi erano quelle persone? E perché stavano soffrendo? Perché lui gli assomigliava così tanto? Ad un tratto vide la donna sollevare debolmente il capo, e sussurrare un ‘Ti amo’ con l’ultimo fil di voce che le era rimasto, mentre lui la sorreggeva fissandola in viso. Tutto all’improvviso svanì dalla mente, e si ritrovò nel buio totale.

***

 

Si sentì afferrare la mano, e chiamare da una voce familiare. “Ysuran, Ysuran…”. Aprì gli occhi di scatto, e incrociò gli occhi marroni di Minuial. “Tutto bene figliuolo?”. Chiese poggiando l’altra mano sulla spalla. Ysuran annuì, e si lasciò cadere su una poltrona. “Le prime volte è sempre così spossante, ma basta poco per riprendersi. Vuoi bere qualcosa?”. Domandò mentre versava del vino in un calice. “No, grazie…”. Rispose con voce debole e tremante. “Allora che cos’hai visto?”. Chiese Minuial, adagiandosi comodamente su una sedia imbottita con lo schienale alto. “L’hai fatto apposta, non è vero?”. Ysuran pareva adirato, ma quando la sua espressione in viso cambiò, Minuial finalmente prese a parlare. “Ebbene sì, l’ho fatto apposta perché tu guardassi nel tuo passato…Luthien.”. Ysuran lo fissò con occhi sospettosi, e pieni di sgomento. “Questo è il tuo vero nome, Luthien. Per tutto questo tempo, sei stato sotto la nostra protezione, perché non eri ancora pronto per affrontare la verità.”. Minuial avvicinò alle sua aride labbra il calice, sorseggiando il vino che vi aveva versato. “Tu sei figlio di Lord e Lady Elassar, nobile stirpe di Elfi necromanti, da tempo immemorabile. Erano anche conosciuti come Dominatori della Morte, tuttavia avevano molti rivali in giro. Erano i signori indiscussi nelle terre delle Tempre d’Ombra. Ma una minaccia gli ha spinti alla distruzione, tuo padre stesso ha cercato di salvare il vostro popolo, ma ha fallito. Tu sei l’ultimo sopravvissuto, l’unico a possedere nel sangue la capacità di invocare forze oscure e ombre! Non ti eri mai chiesto come mai, solo tu, riuscissi a padroneggiare così bene l’*Ars Goetia!?.”. In quel momento subentrò la presenza di Yluna, la quale stava tenendo qualcosa di scintillante tra le mani, ma Ysuran non riuscì a scorgere di cosa si trattasse. Tornò a fissare Minuial, ancora incredulo e confuso. “Voi...avete nascosto il mio destino per così tanto tempo!? Perché tutto questo!? Nonostante voi foste così differenti da me, ho sempre creduto che voi foste i miei genitori…”. Yluna lo interruppe. “Era per proteggerti. Facendo pensare alla gente che tu fossi nostro figlio, siamo riusciti a proteggerti fino adesso!”. Ysuran parve ancora più confuso, si alzò in piedi quasi adirato. “Perché solo ora me lo dite? Avreste potuto lasciarmi in una landa desolata anche a dieci anni!”. Yluna gli posò una mano sul braccio, in segno di calmarsi. Ysuran sprofondò ancora sulla poltrona. “Mi dispiace Luthien, mi dispiace non averti potuto dire nulla per tutto questo tempo. E’ stato per volere di tua madre, Lady Elassar.”. Minuial e Yluna si fissarono per un momento, e poi il mago riprese. “Yluna era la Bianca Madre, che viveva presso la corte dei tuoi genitori. Lord e Lady Elassar, la stirpe più potente che governava nelle terre delle Tempre d’Ombra. Erano una nobile stirpe, rispettata e temuta, dalla maggior parte dei popoli circostanti. I tuoi genitori, erano elfi necromanti, e poiché di nobile stirpe possedevano certi poteri che altri non potevano avere. Così come te, Luthien.”. Disse indicandolo in quel momento, e poi continuò il discorso. “La tua stirpe era nota sotto il nome di Dominatori della Morte, avrai già sentito parlare di questo nome…”. Ysuran parve comprendere, e con un’espressione di intesa, annuì. “Purtroppo, come molti altri popoli, anche i tuoi genitori ebbero i loro nemici…in particolare uno. I Darsial erano una potente casata che viveva a Sud delle Terre del Crepuscolo, erano conosciuti una volta come Guaritori di Vita. Con grande perizia, riuscivano a guarire con l’aiuto dell’Alchimia e della Suprema Scienza, le persone. Un tempo erano amati, ma…come tutte le famiglie anche lì ci fu una pecora nera. Ophelia, precedentemente conosciuta come Lady Darsial, nella sua ascesa al potere nella casata. Aveva da poco cominciato a sperimentare una nuova forma di Scienza. Le sue intenzioni erano finalizzate allo scopo di dare origine a creature da guerra, destinate a non perire sotto i normali attacchi degli Elfi e degli Uomini. Costei portò al massacro di più della metà della popolazione. Utilizzando membra umane e animali, riuscì a dar vita a nuove creature, forti e invincibili…si diceva che non perissero né il fuoco né il veleno, e tanto meno le micidiali lame elfiche. L’unica cosa che non riuscì mai a completare, fu la sua opera più grande, il suo scopo principale…dare vita ai morti, per usarli come esercito contro le terre circostanti. ”. Ysuran lo interruppe. “Questa donna…che cos’ha in comune con i miei genitori?”. “Non correre troppo…costei fu la responsabile della morte di tua Madre, e successivamente spinse sull’orlo della distruzione l’intera dinastia, e così facendo per proteggerti, tuo Padre andò incontro alla morte. Ophelia, aveva già da tempo preparato l’attacco contro gli Elassar, e l’aveva oltretutto pianificato bene. Solo non si aspettava che tuo Padre non si sarebbe inginocchiato dinanzi a lei. Da quanto sono venuto a sapere, guardando nel tuo futuro, so che sei l’unico in grado di sconfiggere Ophelia. Hai la benedizione degli Dei e l’appoggio dei Demoni, saranno pronti ad aiutarti in qualsiasi difficoltà.”. Yluna si avvicinò a lui. “Luthien…diciassette anni fa, tua Madre era qui con me…in questa città. Voleva che tu fossi al sicuro, con me e Minuial. Mi lasciò questo amuleto, e mi chiese di custodirlo fino al compimento del tuo diciassettesimo anno…ora è tuo e ti spetta di diritto.”. Yluna lasciò tra le mani un amuleto d’argento, incastonato di pietre d’onice, ametiste e smeraldi. Ysuran lo fissò, esaminandone ogni parte. “Io me ne vado…voglio trovare questa donna, e vendicare i miei genitori.”. Minual lo guardò sbigottito, non era la risposta che si aspettava. “Mio caro, non vorrai di certo già partire così di punto in bianco!?”. Ysuran si alzò in piedi. “In un modo o nell’altro, me ne sarei andato comunque questa notte stessa…”. Con quelle misteriose parole lasciò un’espressione di sgomento sui volti di Minuial e Yluna, che rimasero a fissarlo finché non scomparve dietro alla porta. Ysuran tornò nei piani superiori del maniero, fin nella sua camera, ‘ove Carnil lo stava aspettando già da tempo. La fenice sbatté con le ali e si mise a cantare. “Non ora Carnil, non ho tempo per giocare…”. Rispose indifferente. L’animale con un piccolo balzo si appollaiò sulla sponda del letto a baldacchino, e cominciò a cantare più forte. Ysuran la guardò, e solo in quel momento notò che avvinghiato alla zampa aveva un biglietto. Ysuran accarezzò la fenice. “Brava Carnil.”. Aggiunse, mentre le sfilava il foglietto dalla zampa. Lo srotolò e vi lesse il messaggio che Eledhwen aveva scritto sul retro. Era proprio lei. “Non tardare, ti prego!”. Diceva il biglietto. Mancava poco più di una manciata di minuti alla mezzanotte. Nonostante tutto quello che era successo…sarebbe dovuto partire per mantenere la promessa di Eledhwen, ma in cuor suo…sapeva che quella fuga sarebbe stata pericolosa, giacché aveva finalmente svelato parte il suo destino.

 

 

*La rossa aurora, conosciuta anche in altri racconti Fantasy, è un presagio di morte e di spargimento di sangue. Ne’ Il Signore degli Anelli – Le Due Torri, Legolas affermava che era stato sparso del sangue, se il mattino dopo sorgeva un sole rosso.

*Cerchi di fuoco blu, secondo leggende inglesi e irlandesi, le Fate danzavano in cerchi magici con ombre e spiriti. Ma in questo contesto, le Fate non ci sono, e il fuoco blu indica il trapasso di un’anima vivente nell’al di là. Coloro che danzano dentro il fuoco blu, assorbono l’energia spirituale dei morti, rinforzando il proprio spirito. Questi spiriti maligni sono riconosciuti anche come Ghoul.

*Dama degli Inferi, piccola allusione a Lilith. Colei che rifiutò di stare a fianco di Adamo nell’Eden, e si portò dietro l’immortalità e le ali, andando di sua spontanea volontà all’Inferno. Lilith diventò la concubina del Diavolo, mentre Dio creò un’altra donna per Adamo, appunto Eva. La descrizione dell’aspetto di Ophelia è ispirato proprio a Lilith, di cui secondo le leggende popolari aveva lunghi capelli rossi ed era una donna bellissima (è un’antica storia di origine ebraica).

*Ophelia, deriva da Ofelia. Ispirandomi ad Amleto di Shakespeare, ho preso il nome della giovane fanciulla, figlia di Polonio e fidanzata di Amleto. La sua morte triste e malinconica, mi ha fatta fantasticare molto al riguardo all’innocente figura di una giovane dama vestita di bianco, morta prematuramente. Il candore della morte che viene rappresentato da quei fanciulleschi fiori che le contornano il viso…anche se spietata, la Morte può essere vista attraverso una luce diversa, così come la perfida Ophelia viene vista come una donna di grande grazia e bellezza.

*Supremi, citati anche del primo capitolo. Sono la famiglia Reale per eccellenza, coloro che regnano su tutte le terre. Nonostante vi siano due territori, le Terre del Crepuscolo e le Tempre d’Ombra, sono territori uniti sotto un unico stendardo. Nobili governano città, o tal volta anche intere regioni, ma non sono loro a regnare come sovrani. I Supremi, in caso di guerra, possono godere della protezione da parte delle dieci nobili casate degli Elfi Elementari.

*Luthien, nel mondo elfico è conosciuto come nome da femmina, e significa Incantatrice. La scelta di questo nome mi ispirava, e nonostante fosse da femmina, a mio parere si addiceva abbastanza anche come nome per un Elfo necromante di nobile stirpe.

*Akatandra, la città degli Elfi necromanti. Ho inventato questo appellativo, scambiando e modificando le lettere del mio stesso nome, ed è venuto fuori questo: Aleksandra Akatandra. Ingegnoso, neh? XD

*Mythral, trovare il nome per un Elfo scuro è veramente un’impresa! Il nome viene dalla storpiatura di Mydra, che significa ‘massa di ferro rovente’, un nome di origine greca (trovato su internet). 

*Drow, non molti lo sanno, sono Elfi scuri. Hanno pelle nera come l’ebano e capelli bianchi. Vivono nelle profonde viscere della terra e sono creature pericolose, ma allo stesso tempo affascinanti e bellissime…ho deciso di introdurre i drow in questa storia, in quanto ultimamente sto subendo l’influenza dei racconti di R.A. Salvatore sul mistico Drizzt Do’Urden *.*

*Re Herimeldië, il nome è in elfico, anche se un umano gli si addiceva bene. Ignoro il suo significato, poiché mi è stato suggerito da una persona di fiducia.

*Atanvarnië, secondo un sito internet di nomi elfici, sarebbe la traduzione del mio nome, Alessandra. Anche se non ne sono del tutto convinta (come dire…mai fidarsi troppo di internet!), mi suonava bene come nome per una principessa umana, e l’ho scelto^^. (Avete già notato di come cerco di comparire nella storia XD?)

*Curunìr, in elfico significa ‘quello dagli abili stratagemmi’. Ho deciso di chiamare così il padre di Calimon, poiché dimostrerà veramente di essere un Elfo scaltro e brillante. In questo capitolo, grazie alla sua astuzia, riuscirà a raggirare il Re per mandare Calimon a riprendere sua Sorella.

*Elanor, significa Stella-Sole. Nel mondo di Tolkien è il nome di un fiore dorato di forma stellata. Ideale anche come nome per un ciondolo rappresentante la casata dei Mìriel, non trovate^^?

*La pozzolana rossa è una pietra vulcanica, con granulometria variabile dal limo alla sabbia. Oltre al rosso, è conosciuta anche in altri tipi di colore: nera, bianca e grigia. Ho scelto questa pietra, come oggetto magico di cui Ysuran si serve per invocare la sua Fenice. Cosa c’è di meglio di una pietra vulcanica di antiche origini paleolitiche?

*Carnil, significa Stella Rossa. Nome ideale per una fenice, neh^^?

*Ars Goetia, è una pratica magica che consente di evocare e invocare demoni. Di antichissime origini e praticata solo dai Dominatori della Morte, ovviamente di nobile stirpe.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV – La quarta Luna – L’inganno ***


Ecco a voi il seguito…beh, non ho avuto particolari problemi a scrivere questo capitolo^^. E’ stato abbastanza facile e ‘veloce’, poiché mi ero lasciata trasportare molto dalla trama della storia. Mettendomi un po’ nei panni di tutti i personaggi, devo dire che mi sono lasciata prendere con entusiasmo^^. Comincio ad affezionarmi molto alla trama di questa storia, anche se ammetto che non ho ancora pensato ad un finale…senz’altro ci saranno altrettanti capitoli da scrivere e da leggere! In questo capitolo, per la prima volta, ho introdotto i Demoni. La parte, forse, più complessa è stata proprio quella di cercare dei nomi adatti. Vi aspetterete delle sorprese, ma per ora…mantengo il mistero e vi auguro ancora una volta una buona lettura!

 

Capitolo IV – La quarta Luna – L’inganno

 

 

I cavalli respiravano ormai con molto affanno. Erano stanchi, per via dei giorni interi trascorsi a galoppare per le lande sterminate, attraversando i difficoltosi sentieri delle montagne e i passi innevati. Persino i cavalieri erano abbastanza esausti, ma ancora non demordevano. Avevano dormito poche ore la notte, e passato parecchi giorni a correre più veloci del vento, senza sapere quale sarebbe stato l’oggetto della loro missione. Calimon era stato misterioso al riguardo, aveva solo espresso con chiarezza che sarebbero dovuti giungere, il più presto possibile, in una città tra le montagne di nome Oldrid. Pareva che vi fosse una Matrona molto importante, ma più di questo non sapevano. Più volte avevano scortato l’Elfo in vari incarichi, che lo stesso Re Herimeldië gli affidava. Era senza ombra di dubbio un ottimo condottiero, e inoltre uno dei migliori che il Re potesse mai avere. A corte erano sempre soddisfatti delle sue grandi imprese, difatti era più stimato di ogni altra persona, e non si poteva negare che la stessa Atanvarnië lo guardava di nascosto con ammirazione. Tuttavia, si era sempre dimostrato disinteressato nei confronti delle bellissime Dame, che dimoravano presso la corte. Faceva parte ormai delle fantasie più ardite di qualsiasi donna l’avesse visto. Si vociferava che persino la Principessa avesse dei riguardi sulla sua piacevole presenza alla corte. Non di meno, per suo capriccio, era persino diventato la sua guardia personale. Un incarico che durò poco, poiché Re Herimeldië bandiva severamente l’unione tra Elfi e Uomini, aveva cominciato a destare sospetti. Riteneva tale unione, impura. Non che a Calimon fosse dispiaciuta questa improvvisa decisione, anzi, proprio il giorno in cui venne assolto dall’incarico di guardia personale della Principessa, tirò persino un sospiro di sollievo! Ma a parte i pettegolezzi di corte, ora aveva ben altro a cui pensare. Il suo spirito era determinato come non mai, a giungere a destinazione al più presto, e sarebbe riuscito a portare Eledhwen in salvo a Fànon, prima che Re Herimeldië si accorgesse della sua assenza al palazzo. Ora stavano oltrepassando il sentiero in mezzo ad una boscaglia di alberi sempreverdi, che facilmente davano l’inganno che l’autunno fosse volato d’altra parte. Era quasi buio pesto, ma i sassi bianchi sul terreno battuto dal vento, riflettevano la luce della Luna ormai piena, che pareva volesse aiutarli a trovare il giusto cammino. Ad un tratto quel paesaggio gli parve molto familiare. Si volse indietro e urlò ai suoi uomini. “Ci siamo! Manca poco…”. Si girò di nuovo in avanti e proseguì la frase. “Eledhwen, sono qui.”.

***

 

L’Elfo inarcò le braccia dietro alla schiena, e fissò per un’ultima volta la Luna. Quella sera non era del tutto piena, poiché mancavano ancora due o tre notti prima del Plenilunio, e non avrebbe potuto evocare efficaci incantesimi d’Ombra. Si fece via via sempre più pensieroso, mentre il tempo scorreva come sabbia tra le mani, e l’ora si attardava sempre più. In tanto Carnil si era addormentata appollaiata sulla sponda del letto a baldacchino. La testa era rivolta verso il basso, mentre il collo stava arcuato in modo da non sbilanciare la Fenice.  Ysuran la fissò per qualche attimo. “Almeno tu puoi avere sogni sereni…”. Disse quasi in un sussurro, ma l’animale non lo destò del suo interesse. Stava ancora pensando a ciò che Minuial aveva detto. In qualche modo, quelle parole lo avevano bloccato e gli avevano confuso le idee. Se avesse seguito il suo cuore, avrebbe fatto ciò che desiderava da tempo, ma avrebbe condotto su una via pericolosa Eledhwen. Tuttavia aveva una promessa da mantenere, e non aveva intenzione di mancare al giuramento che aveva prestato a Eledhwen. Non avrebbe permesso a suo Fratello di portarsela via. Se avesse preso una decisione, ora sarebbe stato consapevole, che ne sarebbero derivate delle conseguenze. E di certo non si sarebbe più potuto voltare indietro. Non poteva esitare a lungo, ma quale decisione avrebbe potuto prendere? Minuial, a sua insaputa, era entrato da poco nella stanza e rimase a fissarlo per un istante, prima di proferire qualcosa. “E così te ne vuoi andare?”. Chiese. Ysuran si sentì scivolare dalle nuvole, ma prese in mano la situazione e controbatté con una risposta secca. “Sarei partito comunque, avevo detto.”. Minuial lo guardò con disappunto, senza che egli se ne accorgesse o ricambiasse lo sguardo. “Per quale altro motivo te ne saresti andato?”. Ysuran sospirò, allorché il Saggio Minuial intuitivamente capì di cosa si stava trattando. “Penso di aver inteso per quale motivo il tuo cuore è tanto tormentato...”. Minuial si avvicinò dietro a lui, e si sedette su una sponda del letto, accarezzando il capo di Carnil, ancora addormentata. “Sei confuso ragazzo mio, e vedi la tua vita come un bivio. E’ difficile accettare il proprio destino, quando si è scoraggiati e indecisi…ma il tuo destino può cambiare la vita di numerose persone, e la tua scelta sarà decisiva.”. Ysuran si voltò verso il Mago, e prese a parlare. “Sarei un codardo se mi tirassi indietro e non voglio farlo, altrimenti i vostri sforzi di predispormi a diventare quello che devo essere, sarebbero stati vani. Anche se, io vorrei solo una cosa…”. Prese una pausa. “… vorrei che Eledhwen fosse felice.”. Minuial si alzò in piedi, portandosi Carnil ciondolante sull’avambraccio, che pareva ancora un poco assonnata. “Se vuoi renderla felice e proteggerla, sarebbe il caso di non portarla con te nel tuo pericoloso viaggio.”. L’Elfo si voltò con un’espressione corrucciata in viso. “No! E’ l’unico modo…lei non ha vie d’uscita…come me…”. Minuial lo bloccò sulla frase. “Non credo che tu abbia inteso precisamente la tua situazione. Tu hai un destino Luthien, che non potrà essere mutato, e dovrai accettarlo nel bene e nel male…ma non ti chiedi se anche la tua Amata sia pronta per accettarlo allo stesso modo? Il destino di Eledhwen è ben diverso dal tuo, e lei può scegliere un’altra strada, sicuramente più sicura. Sei tu, quello a non avere vie d’uscita, sei stato predestinato dagli Dei a sconfiggere il male, e così dovrai fare. Non avrai scelta, se non quella di lasciare l’opportunità alle persone più care di seguirti, ma ciò a cui vanno incontro…è un pericolo mortale.”. Ysuran serrò le braccia e appoggiò la schiena ad una parete, mantenendo costante il suo sguardo rivolto verso la Luna. “Forse non ti sarei di alcun aiuto, ormai…quello che ti ho insegnato era tutto ciò che sapevo, e sei diventato un Necromante di nobile ingenio…non posso fare altro che dirti di sfruttare le tue capacità per ottenere ciò che desideri. Ma pur sempre, usando il lume della ragione, e non la follia…Luthien.”. Minuial terminò il discorso, mentre il Principe Elfo fissava costantemente il buio della notte, che si addentrava sempre più del paesaggio. Il Mago uscì dalla stanza, portando con sé la Fenice, e lasciando nel bel mezzo di pensieri tormentati, Ysuran. Fu inghiottito da un’ondata di pensieri, nefasti e grigi, avvolti da una trama amara. Le oscure colline si confondevano nel vellutato cielo blu che si stava oscurando. I freddi campi, le boscaglie, le case dei contadini e le taverne…erano solo blocchi di figure inanimate. Spostò il suo sguardo verso Est, in direzione della radura sterminata che si trovava poco distante dalla cattedrale. Qualcosa si stava muovendo nel buio, furtivamente e con velocità. Distinse le prime quattro figure in testa, e poi i successivi gruppi da tre. Erano cavalieri, a quanto pare diretti verso la cattedrale. Quelle figure non li piacquero per niente. Era tempo di prendere una decisione, e subito.

***

Le luci della cattedrale erano quasi tutte spente, eccetto per la luce fioca di una candela, che si trovava proprio sul davanzale della finestra di Eledhwen. Aveva preparato una piccola bricolla da portare con sé durante il viaggio. Dentro vi aveva messo quel poco denaro che aveva, forse qualche ricambio e qualcosa per sopportare il freddo della notte, delle fiale di erbe medicinali e qualche cosa per il medicamento. Aveva indosso un mantello nero pregiato, con il cappuccio a punta, e ornato di ricchi motivi floreali. Indossava un semplice vestito color blu notte, con una scollatura a barca e ornato anch’esso di vari ricami di fili d’argento. I lunghi capelli biondi erano nascosti sotto il mantello, ma alcune ciocche scomposte le erano andate a finire di fianco alle gote del viso. Volgeva di continuo il suo sguardo a Est, ma ancora non vi era l’ombra di Ysuran. Oramai era mezzanotte passata, e cominciava a chiedersi se mai fosse arrivato per lei. Si allontanò dalla finestra, per mettersi a sedere sul suo letto a contemplare una bambola in pezza, che ora teneva tra le mani, ripensando alla sua solitaria infanzia. Sospirò. Quella donna non le aveva permesso di vedere nessuno, né prima né dopo, il suo incontro con Ysuran. Aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a studiare libri di teurgia e Alchimia, sotto la guida e l’insegnamento della Matrona stessa. Era diventata il suo orgoglio, poiché nessuno prima d’ora, era riuscito ad esercitare incantesimi con una tale perizia. Tuttavia era una dote comune nella casata dei Mìriel, per cui la Matrona non ne fu molto sorpresa, ma rimase soddisfatta, poiché ciò che lei voleva, lo stava a poco a poco realizzando. Obbediente, laboriosa ed educata. Poteva Eledhwen permettere alla Matrona di illudersi di averla sottomessa? –Certamente no- pensò tra sé e sé. Per quello sarebbe fuggita, e non sarebbe mai più tornata.  Il nitrito di un cavallo spezzò l’armonia dei suoi pensieri, e si affacciò alla finestra ansiosa. Dalla lontana radura scorse le figure di quattro cavalieri a cavallo, seguiti da altri. Erano dieci in tutto. Pareva si stessero dirigendo proprio verso la cattedrale. Non potevano essere dei banditi, erano troppo vestiti bene per esserlo. Il primo cavaliere, su un cavallo bianco, era in particolare quello che mostrava di avere più fretta degli altri. Era avvolto da un mantello scuro, ed era incappucciato, per cui il viso non era ben visibile. Riuscì però a scorgere il luccichio di un paio di occhi color dell’ametista, il che non le prometteva nulla di buono. “Calimon?”. Soggiunse con voce strozzata. Perché aveva pensato proprio a quel nome? Quegli occhi le erano così familiari, non poteva che esser lui, ne era quasi certa. Si inginocchiò stravolta di fianco alla sponda del letto, e tra i singhiozzi e le lacrime, pianse in silenzio.

***

Uno strano sigillo era tracciato sul pavimento con un carboncino nero. Era delimitato da una cerchio e tre triangoli concentrici, che formavano una specie di stella a nove punte. All’interno vi erano tracciate per ogni lato delle lettere in lingua elfica seguite da numeri arabi. Una figura nera si avvicinò al cerchio, e iniziò a recitare una formula, prima in elfico e poi in lingua comune. “SA-MA-EL…SA-MA-EL…SA-MA-EL! Demone della battaglia, diretto da *Adramelch! Porgo una mano sulle tue ceneri, e ti ordino di risvegliarti…il tuo tempo è giunto! Ti chiedo aiuto…”. Il sigillo magico si illuminò di una luce argentea evanescente, e cominciò ad emanare piccole lingue di fuoco, che zampillavano al suo interno. Un forte vento sinistro iniziò a levarsi in alto, tanto era forte che le finestre si spalancarono da sole, e alcuni oggetti nella stanza caddero a terra rompendosi. La luce del cerchio si fece via via sempre più luminescente ed intensa, mentre le lingue di fuoco si innalzarono talmente alte, che diventò difficile intravedere quel che accadeva all’interno del cerchio. Ad un tratto un forte ruggito fece tremare l’aria. “*Samael!”. Le lingue di fuoco si abbassarono improvvisamente, mentre la luce si faceva sempre più debole, tanto da diventare quasi evanescente come prima. All’interno del cerchio vi era una figura nera e alata, tutto fuorché umana. Si trovava ancora accasciata a terra, e alzava e abbassava il busto ad ogni respiro, mentre batteva a piccoli colpi le grandi ali da pipistrello. L’oscura figura si avvicinò al demone. “*Mae govannen Samael.”. Soggiunse ancora la stessa voce di prima. Il demone si alzò in ginocchio, sollevando il capo sommerso da una folta chioma rossa. Il volto pareva quasi umano, fatta eccezione per i fini lineamenti e le lunghe orecchie puntute. Gli occhi erano più neri del nero, e sembravano due profondi pozzi infernali, dalla quale non vi era ritorno. Le labbra erano leggermente pronunciate, nere come se fossero state già macchiate dal sangue di orco. Il resto del corpo era perfetto, facilmente confondibile con quello di un umano. Il demone si alzò in piedi, e batté le ali, come per scollarsi qualcosa di dosso. “E’ fastidioso dover rinascere dalle ceneri ogni volta!”. Proferì il demone, con tono quasi amichevole. La nera figura avanzò di qualche passo, lasciandosi illuminare il viso dalla raggiante Luna. “Peggio ancora se ti avessi dovuto far rinascere dal tuo cadavere in putrefazione, non trovi?”. Soggiunse l’Elfo, il demone allora annuì divertito. “Ma ora dimmi, per quale motivo mi hai evocato, Ysuran figlio di Minuial?”. L’Elfo scosse con il capo. “No…ora non più Samael…”. Fece per prendersi un pausa, e poi proseguì. “Sono Luthien, figlio di Lord Elassar, Nobile stirpe di Elfi necromanti.”. Il demone lo guardò con disappunto. “Sembra molto lungo come appellativo…come posso chiamarvi ‘Vostra Altezza’?”. Ironizzò contraendo la faccia in una smorfia divertita. “Chiamami Luthien.”. Rispose impassibile, il demone colse il suo sguardo vitreo e si fece serio anche lui. “Che è successo nell’*Assiah durante la mia assenza?”. Chiese. “Il mondo dei vivi è intimorito dalla Morte. Una minaccia incomberà molto presto su queste terre, si dice che temibili creature siano state create grazie alla Suprema Scienza, e che non esiste modo di fermarle…”. Il demone cominciò a sventolare le ali, compiaciuto di quello che stava sentendo. “Secondo il futuro che ha previsto Minuial, il mondo sarebbe destinato a cessare con un massacro, e ogni cosa che precedente era in vita…sarà morta, e dopodiché…saranno i Ghoul a pensare al resto….”. Samael lo interruppe sulla frase. “I Ghoul!? Quegli sporchi odiosi esseri succhia-anime! Se Adramelch udisse queste parole, non esiterebbe un secondo, e sarebbe qui pronto a massacrare quei luridi…”. Luthien lo fermò. “Ed è per questo che ti ho chiamato! Voi Demoni di Nobile stirpe avete da sempre odiato i Ghoul, poiché vi rubavano le anime dimoranti all’Inferno, e per questo gli avete esiliati nel mondo dei vivi…’ove non gli era possibile divorare anime, dal momento che i morti riposano in terreni consacrati, e non gli è consentito l’accesso. Ma se il mondo cadrà sotto questo massacro, i terreni macchiati dal sangue non saranno più protetti, e a quel punto le anime vagheranno sulla terra, in preda ai Ghoul, anziché seguire il cammino dell’Al di là.”. Il demone fece una espressione dubbiosa e pensierosa. “Non ci sarebbe più gusto senza più anime da torturare all’Inferno…qual è il piano?”. Ysuran parve divertito nell’udire quella domanda. “Raggiungi il consiglio supremo negli Inferi, e convoca i diciotto Re infernali, e chiedi loro di arruolare un esercito di Demoni. Dì loro che Luthien figlio di Lord Elassar, ti manda da loro.”. Il demone annuì. “Non c’è niente che possa fare nel frattempo?”. Domandò Samael. “No, questo è tutto. Ti prego di non prendere iniziative, e segui ciò che ti ho detto alla lettera. Confido su di te…amico.”. Il demone lo fissò per qualche attimo. “Lo farò, ritornerò tra tre giorni. Quando la Luna sarà piena, e mi sarà possibile tornare senza che tu mi evochi dalle ceneri.”. A quel punto il demone fece un cenno di saluto con la mano, e scomparve in mezzo al cerchio tra lingue di fuoco rosso. Luthien restò a fissare il sigillo demoniaco, che a poco a poco scompariva sul pavimento di pietra grigia. “Ho fatto quello che mi hai detto tu Saggio…Eledhwen…perdonami per quello che sto per fare.”. Bisbigliò, chinando il capo.

***

Calimon giunse dinanzi alla cattedrale. Scese prontamente dal suo destriero, e senza far caso ai suoi uomini, si avvicinò alla porta e prese a bussare. Non passò molto tempo quando una serva venne ad aprire. “Chi siete straniero?”. Domandò questa. Pareva a dir poco spaventata dalla possente figura che le stava davanti, tanto che dallo sgomento le scappò un breve sussulto. A Calimon questo non sfuggì. “Desidero vedere la Matrona, fatela chiamare.”. La serva non esitò neanche alla richiesta dell’Elfo, tanto era misteriosa la sua figura, che le incuteva timore. Non aveva intenzione di fermasi a conversare ancora a lungo con lui. Gli fece strada, con un candelabro, e lo fece sedere su una panca di legno all’interno della cappella. Lui accavallò le gambe, e a braccia conserte iniziò a dondolare energicamente la gamba destra. Era piuttosto spazientito e non aveva ormai altro a cui pensare ora, se non di tornare con Eledhwen al più presto al palazzo Reale, per prenderla in sposa. Ma a sua insaputa, in un’altra stanza della cattedrale, Eledhwen era scossa dai singhiozzi e dalle lacrime. “Non voglio…non voglio che finisca così…non era così che doveva andare!”. Erano parole così soffocate, che l’Elfa proferiva quasi con rabbia mista a sofferenza, mentre con il capo chino stava accovacciata a piangere su un cuscino. Le sembrava tutto così strano, poiché non avrebbe mai pensato per tutto quel tempo, che sarebbe andata a finire così. Ormai era quasi l’una, e Ysuran non si era ancora presentato, ma Calimon non mancava…e già poteva udire i passi che echeggiavano per i lunghi corridoi in pietra, che presto si sarebbero avvicinati alla sua stanza. Era quasi in preda allo sconforto. Il vento iniziò a levarsi forte, e sentiva provenire da fuori i fruscii delle foglie, che venivano trascinate e sbattute via per le strade e i campi. Aveva cominciato a farsi più freddo, e un brivido le percorse la spina dorsale. I lunghi capelli sciolti, che le ricadevano come una matassa di fili dorati lungo le schiena, erano leggermente mossi dal vento. Il suo corpo era percosso in continuazione da brividi, tanto che cominciò a tremare. Si sentì accarezzare i capelli, da qualcosa di molto freddo, quasi come se fossero delle mani a toccarla. Sollevò il capo e si voltò. Il buio. La candela che aveva lasciato alla finestra si era spenta, e nella stanza ora regnavano solo le ombre. “Ysuran sei tu?”. Domandò speranzosa in una risposta. Ma nulla. Sospirò, come per ricordarsi del fatto che ormai non sarebbe più venuto a prenderla. Si scostò dalla sponda del letto, e si mise a fissare quel incompleto specchio argenteo, che brillava alto nel cielo stellato. Si asciugò con la manica del vestito il volto inumidito dalle lacrime. Era sola e infelice. Ad un tratto un improvviso rumore la fece sobbalzare. Proveniva dall’interno della sua stanza. Aveva sentito qualcosa strisciare sul pavimento di pietra. Si guardò intorno, ma nel buio non riuscì a vedere nulla. Forse era solo la sua immaginazione, forse erano solo paranoie…forse era solo disorientata. Si alzò, per dirigersi alla finestra, ma una scura figura vi si materializzò dinanzi. Eledhwen cadde indietro dallo spavento, ma per fortuna atterrò sul letto. Stropicciò gli occhi, ma la vista non l’aveva affatto tradita, una scura figura alata le si trovava di fronte a poca distanza da lei. –Non avere paura di me Eledhwen, sono qui per aiutarti…- La ragazza rimase impietrita per qualche attimo, come se le parole le si fossero congelate in fondo alla gola. La creatura si fece sempre più vicina alla sponda del letto, dove Eledhwen si trovava accovacciata. Pareva quasi che quella sinistra figura fluttuasse nell’aria. “Non ti avvicinare Demone!”. Urlò disperatamente. Quella specie di spettro svanì improvvisamente. Si guardò intorno sbigottita, ma non vide nulla…era scomparso. Che cos’era stato? Era veramente un Demone? Oh bel momento per lasciarsi prendere dal panico. Ad un tratto un alito di vento gelido le sbuffò appena dietro alle orecchie. –Eledhwen, non avere paura…ora verrai via con me…- Quella voce la terrorizzò, ma soprattutto perché sta volta, la sentì proprio dietro di sé. Si sentì avvolgere da un paio di scure ali piumate, e si abbandonò al loro morbido tocco. “Ysuran…”. Fu l’ultima parola che proferì dalle sue labbra, prima che sprofondasse nel sonno profondo.

***

 

In quel momento, la Matrona giunse nella cappella dove si trovava seduto impaziente su una panchina, un Elfo a dir poco innervosito. “Nobile Calimon, gli Dei hanno benedetto la vostra grazia con l’immortalità! La vostra regale figura è degna di venir riconosciuta quanto quella di un vero Principe!”. Disse fieramente la donna, inginocchiandosi dinanzi a lui. “Risparmiatemi le adulazioni, sono di nuovo di fretta, e vengo qui solo per mia Sorella.”. Lei si rialzò, in una maniera a dir poco impacciata, e sorrise all’Elfo che non ricambiò il suo sguardo. “Ma certo! Si trova nella sua stanza in questo momento, starà riposando, ha avuto una giornata stancante.”. Rispose la donna, facendo cenno di seguirla. Vennero scortati da due serve della Matrona, che illuminavano le scale e i corridoi con delle lanterne, nel loro cammino. Quando giunsero davanti alla porta di Eledhwen, la Matrona tirò fuori un mazzo di chiavi. “Scusate il tempo che vi faccio perdere, ma di solito la chiudiamo a chiave…”. Calimon inarcò un ciglio. “Per quale losco motivo dovreste chiuderla a chiave?”. La Matrona non seppe cosa rispondere, si sentì solo profondamente imbarazzata dinanzi a lui. “Beh…per la sua sicurezza! Non volevano che qualcuno potesse entrare nelle sue stanze…”. Bofonchiò la donna, ma l’Elfo capì perfettamente che si trattava solo di una scusa. La verità era un’altra. “Oh ecco! Ho trovato la chiave, questa è quella giusta.”. Riprese a parlare con la stessa euforia di prima. Provò a spingere la porta, ma non si aprì. “Ma che cosa…!?...”. Non terminò la frase che cominciò a spingere la porta con tutta la forza che aveva. “Forse ha sbagliato chiave.”. Osservò Calimon, del tutto spazientito. “No, no. Vi posso giurare che la chiave era questa, e per giunta è l’unica che possiedo! Non riesco a capire come mai la porta sia bloccata.”. Rispose continuando a spingere. “Eledhwen!? Eledhwen cara, potresti aprire la porta?”. Ma non rispose nessuno. “Eledhwen? Non fare questi giochetti nel pieno della notte…ho una persona da presentarti!”. Disse ancora la donna. Ma i suoi tentativi si rivelarono vani. “Fatevi da parte, ci penserò io.”. Disse l’Elfo scostando la donna. Tirò fuori una spada e prese a colpire più volte la serratura, finché non sfondò nel legno. Provò ancora a spingerla, ma non si mosse. “Qui deve trattarsi di un incantesimo…”. Soggiunse l’Elfo, posando una mano sopra al legno della porta. “…e per giunta demoniaco!”. La Matrona rimase sconvolta, al punto che impallidì come un lenzuolo e cadde all’indietro svenuta. Le serve la soccorsero immediatamente, cercando di sollevarla per portarla nei piani inferiori. “Portatela nella cappella! E richiamate i miei uomini!”. Disse. Le serve eseguirono i suoi ordini, e quando se ne andarono, la porta si spalancò da sola. Calimon vi entrò a passo felpato. “Fatti avanti Demone!”. Nella stanza aleggiava un forte odore metallico, intriso dall’odore della terra. “Mostrati a me Dannato! Temi un Elfo di nobile casata?”. Avanzò di qualche passo, e vide sdraiata sul letto una fanciulla dai lunghi capelli biondi. “Eledhwen?”. L’Elfo lasciò cadere distrattamente la spada a terra. Una possente figura si materializzò dinanzi a lui. Era una nera figura alata. Lo poteva vedere chiaramente, nei minimi particolari. Aveva grandi ali grigie, lunghi capelli argentati, profondi occhi rossi che parevano due pozze insanguinate, e labbra nere quanto un cielo senza stelle. “Ave a te Elfo di nobile casata!”. Rispose sarcasticamente il Demone, con un ghigno che prometteva poco di buono. “Io sono *Ehumiel, Demone del Sangue e del Fuoco, appartengo alla Nobile Casata dei *Galb. Non c’è nulla per te Elfo, se non la Morte. Ti lascio l’opportunità di scappare!”. Rispose il Galb in tutta sicurezza. Calimon non batté ciglio, e rimase a fissarlo per un poco, finché non prese a parlare. “Chi ti manda?”. “Non sono affari tuoi. Se fossi in te non esiterei a starmene lì impalato dinanzi ad un Demone spietato come me.”. “Non mi conosci bene Demone…”. Calimon sfoderò la daga e scagliò un potente fendente nel ventre della creatura alata. “Non sei così spietato come dicevi di essere, Ehumiel!”. Soggiunse l’Elfo, estraendo la daga e osservandone la lama intrisa dal sangue. “Sono spietato…solo quando mi fanno alterare…”. Rispose questi dopo un po’, senza il minimo affanno. La profonda ferita si rimarginò in breve tempo, e scomparve la macchia di sangue persino dalla suo lungo abito nero, come se non fosse mai stato trafitto. La lama dell’Elfo si polverizzò immediatamente. “C-come?”. Calimon rimase stupito, con il manico ancora in mano. “Ho promesso di non fare del male a nessuno, ma devo dire che tu sai essere incredibilmente fastidioso…mi hai rovinato l’abito, hai visto?”. Soggiunse adirato Ehumiel, scrutando il tessuto lacerato del suo abito. “Ti taglierei la gola volentieri, ma dal momento che non mi è possibile, ringrazia gli Dei per quello che ti concedo!”. Il Demone lo avvolse tra le sue ali, e in breve tempo Calimon cadde a terra in un tonfo.

***

 

Le prime luci dell’alba erano ancora assai lontane, nonostante la coltre della notte stava cominciando a schiarirsi, in sfumature verdognole e azzurrine. Le secche strade battute dal gelido vento autunnale, erano silenziose e vuote, mentre il paesaggio circostante sembrava morto. Una folta nebbia cominciò ad addensarsi su Oldrid, nascondendo le case e persino i grandi edifici. Un’ombra veloce viaggiava immersa in quella foschia, non poteva che essere lui, Luthien. Aveva atteso questo momento, per ingannare tutti, e fuggire verso l’ignoto. Ma prima doveva portare a termine una promessa. Giunse col suo nero destriero dinanzi alla cattedrale, una densa aura a lui familiare, avvolgeva l’intero edificio. Con un salto scese da cavallo, e accompagnò la bestia di fronte al portone, lasciandola brucare i ciuffetti d’erba che crescevano in mezzo alle mattonelle. Il portone era socchiuso, vi entrò senza temere nulla e a passò veloce percorse l’intera cappella, facendo attenzione a non calpestare i corpi accasciati a terra delle serve e dei cavalieri. Si avviò per una rampa di scale, che lo portò dritto per i piani superiori, e si ritrovo in uno stretto corridoio in pietra. Accese una torcia, e si fece strada, seguendo l’aura demoniaca che si faceva via via sempre più intensa, finché non giunse ad una stanza con la serratura della porta sfondata. Scorse per prima la creatura alata, che era voltata di schiena mentre scuoteva ad ogni poco le ali, nel frattempo che era rivolta a contemplare il paesaggio al di fuori della finestra. “Credevo che non avresti usato la violenza.”. Soggiunse il Principe-Elfo con sarcasmo, il Galb si voltò. “Sapevo che me l’avresti detto! Ma devo darti una delusione, è stata tutta colpa di quel maledetto belloccio-biondo che voleva mostrarsi tanto cavaliere!”. Disse indicando il corpo di Calimon, che giaceva a pochi passi dalla porta. “Non avrei mai pensato che il Fratello di Eledhwen fosse tanto schiocco da abbassare la guarda con un Demone…”. Ehumiel lo interruppe. “Ehi! Non sono un insulso Demone! Sono uno dei più grandi Angeli Caduti ed è stato tanto per me, essermi trattenuto dal tagliarli la gola! Se avessi voluto, l’avrei ridotto ad un ammasso di carne ed ossa in poltiglia! Altroché se l’avrei fatto…”. Rispose con un ghigno. Luthien trattenne una risata con sorriso, e si avvicinò al corpo dell’Amata. Il suoi fini lineamenti si erano composti in un’armoniosa espressione, era ancora più bella di quando l’aveva vista l’ultima volta. Era cambiata certamente, ma senz’altro aveva mantenuto quella innocenza che la ricordava ancora quando lei era ragazzina. Gli si inginocchiò di fianco e prese ad accarezzarle le morbide guance rosate, scostando alcune ciocche di capelli, che le coprivano i contorni del viso. “Eledhwen…sei bellissima.”. Bisbigliò. Il Demone fece finta di non sentire, in un primo momento, ma pensando che la cosa sarebbe andata per le lunghe, soggiunse. “La devo risvegliare?”. Chiese in tono cinico. “Vorrei che si risvegliasse domani, tra le mie braccia, alle prime luci dell’alba quando saremo abbastanza lontani da questo posto…”. Il Demone scrutò fuori dalla finestra, e disse. “Beh, allora sarebbe bene che partissi! Mancano meno di quattro ore all’alba!”. Luthien prese tra le braccia Eledhwen, e fece un cenno di riconoscimento al Demone. “Ci rivedremo presto Ehumiel, insieme agli altri…”. Si voltò in avanti, e senza guardasi tanto indietro, si incamminò con la sua Amata tra le braccia. Presto avrebbe rivisto i suoi ipnotizzanti occhi viola, avrebbe risentito la sua candida voce…e avrebbe potuto riaverla tra le braccia, ma questa volta non per asciugarle le lacrime, ma per condividere la sua felicità con lei.

***

 

 

*Adramelch, c’è anche un gruppo Heavy Metal italiano che si chiama così…ma non ho preso da qui il riferimento >.< E’ un grande demone cancelliere degli Inferi, capo dell’alto consiglio dei Diavoli ed è l’ottavo dei dieci Arcidiavoli. Governa i Samael, demoni battaglieri.

*Samael, è uno dei 72 demoni citati nel libro di demonologia del ‘600: ‘La Piccola Chiave di Salomone’ detto anche ‘Lemegeton Clavicula Salomonis’. Samael è un demone minore, secondo gli ebrei era spesso raffigurato come Angelo della Morte, poiché era un accusatore del genere umano. Tuttavia il suo allineamento è neutrale, leggermente tendente al male (essendo pur sempre un demone).

*Mae govannen, secondo un sito di frasi elfiche, dovrebbe essere la traduzione di ‘Ben trovato’. L’iniziativa di usare qualche parola in elfico, mi è venuta in mente dal fatto che stavo cominciando ad abituarmi troppo a scrivere ‘…e disse in elfico’ ecc…sembrava troppo monotono! >.<

*Assiah, è uno dei quattro mondi ‘materiali’ secondo la Qabbalah, e corrisponde al Mondo dei Vivi. L’ho appreso da un manga che mi passa una mia amica (Angel Sanctuary). I miei ringraziamenti alla Vale *.*

*Ehumiel, appartiene alla seconda categoria di Angeli Caduti, raggruppati secondo i Cabalisti.

*Galb, sono i demoni incendiari. Spiriti di collera diretti da Asmodeo e Samaele nero. Appartengono principalmente al culto della religione ebraica, e secondo le gerarchie demoniache, sono subordinati alla V categoria.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V – La quinta Luna – Usque ad inferos ***


Eccomi ancora, con un nuovo capitolo per la mia storia^^. Ancora una volta sono subentrati nuovi personaggi e nuovi scenari, spero che possa essere di vostro gradimento, come lo è stato per me. Ho aggiunto varie curiosità nei nomi tracciati con un (*) in fondo alla pagina, vi consiglierei di leggerli, non solo per comprendere più a fondo la storia, ma anche per scoprire qualcosa di nuovo e arcano che possa destare del vostro interesse. A proposito: i miei più sentiti ringraziamenti alla mia fedele lettrice Kirarachan, che ogni volta lascia sempre dei commenti ad ogni capitolo^^. E un grazie, anche a tutti i lettori che hanno seguito la mia storia fino adesso^^. Buona Lettura!

 

Capitolo V – La quinta Luna – Usque ad inferos

 

Le rocce erano annerite dalle lunghe lingue di fuoco, che si dipartivano dal bastione più basso, alla torre più alta delle mura. L’illusione del cielo era dato dai numerosi vapori velenosi, sprigionati dalle rocce vulcaniche, che formavano la maggior parte dell’ambiente circostante. Il finto cielo si colorava di sfumature che viaggiavano dal nero al vermiglio, e dal rosso del sangue al giallo. Il paesaggio era brullo e selvaggio. La terra era concimata di scheletri, precedentemente erano cadaveri abbastanza in carne, prima di essere divorati dai vermi. Possenti mura avvolte dal fuoco circondavano una maestosa fortificazione, nota come *Pandemonium, la città di *Gehenna. Era la città in cui dimoravano e si riunivano i più importanti Arcidiavoli del consiglio di Gehenna, per interloquire sulle questioni di massima priorità, che di solito riguardavano l’Assiah (il Mondo dei Vivi). Un’appariscente figura dalla rossa chioma e dalle maestose ali nere da pipistrello, si stava alzando in volo tra le nubi velenose di gas. Era intento a scorgere le lontane figure che si stagliavano dall’orizzonte, e si facevano a poco a poco sempre più vicine, alle mura della città. Il Demone fece un veloce dietro-front e volò dritto sulla cima di una torre, ‘ove una giovane donna, quasi umana, attendeva il suo arrivo. “Quali novità, Samael?”. Chiese. “Gli Arcidiavoli si stanno radunando, ho visto persino i *vessilli del Re dell’Inferno!”. “E così hanno deciso di riunire tutti i grandi *Re Infernali? Per quale questione sono stati convocati?”. “Nulla ti riguarda, non posso farne parola a nessuno…per ora.”. Rispose, agitando avanti e indietro nervosamente le ali, e fissando di continuo l’orizzonte. “Neanche ad una sorella del tuo stesso sangue?”. Insistette la donna, ma notando il fratello disinteressato nei suoi confronti, fece spallucce e se ne andò via, scendendo per una rampa di ripidi scalini in pietra. Questa non era una creatura alata, pur essendo un demone a tutti gli effetti e possedendo l’immortalità. La sua storia di antiche origini, inizia ai tempi dell’arrivo dei primi Angeli caduti nell’Inferno, quando in quel periodo coloro che aiutavano gli Angeli, venivano puniti severamente con il taglio delle ali. Poiché non si era ancora bene a conoscenza dell’entità di tali maestose creature del cielo, cadute all’Inferno in mezzo ai Demoni, si presero così dei provvedimenti spartani per coloro che violavano il codice demoniaco. Infatti lei fu punita per aver aiutato colei che sulla terra disseminò così tanto caos, da divenire Re dell’Inferno, costei era *Belial, uno degli Angeli caduti più potenti che l’Inferno potesse mai ospitare. Nonostante il suo aiuto nei confronti di Belial, non le era stato dato nulla in cambio, se non il taglio delle ali. Aveva sofferto tanto e si era pentita, ma l’unico modo per recuperare le sue ali perdute, era quello di prestar un fedele servizio ai Re Infernali. Solo così Adramelch avrebbe potuto ridarle le ali. Era una dei demoni femminili più belli, nonostante per le ali. Aveva una folta chioma bruna che le scendeva fin sotto ai gomiti, occhi amaranti come due fiamme accese, tipiche labbra nere poco pronunciate, pelle olivastra e perfetta in un fisico esile e slanciato. Il suo nome era *Blaenil, sorella di Samael. Erano ambi due discendenti di Nobile stirpe, una delle più note e amate nel Pandemonium, da secoli purosangue. Ella si fermò e volse lo sguardo alle nubi giallastre che si ammassavano sopra la città, e sprigionavano continue scariche elettriche. Ad un tratto un lampo vermiglio spezzò il cielo in due parti, e un suono rintronante echeggiò nell’aria, facendo tremare persino la terra. “E’ meraviglioso, non trovi?”. Soggiunse una voce, facendole distogliere lo sguardo dal cielo. Era Samael. “Già…non succedeva da secoli…dall’ultimo raduno dei Re Infernali.”. Rispose affievolendo la voce e facendosi fredda. “Ti stai rabbuiando ancora per i tuoi pensieri tormentati sorella?”. Blaenil non lo prese in considerazione, non aveva intenzione di riascoltare le prediche del fratello, per l’ennesima volta. Quindi fece spallucce e fece per andarsene. “Va bene! Non ne parlerò più…però non te ne andare!”. Blaenil esitò per qualche istante, poi prese voce. “Per quale motivo dovrei restare? Ancora una volta per contemplare le tue omelie? Non ti sopporto…”. Al demone mancò la risposta per qualche secondo, si limitò ad osservare per un po’ il suo cinico sguardo. “Adramelch mi ha chiesto di stare con te, e devo mantenere questa parola.”. La ragazza lo derise in una smorfia. “Il tuo orgoglio è nauseante quanto l’aria che si respira nei *Bassi Inferi!”. Il demone alato si limitò ad una risata, e accompagnò Blaenil ancora sulla torre più alta, ma questa volta per scrutare più da vicino il cielo.

***

 

L’alba era pronta a sorgere al di là delle montagne, e dei lontani paesaggi innevati, ancora avvolti dalla chiara foschia mattutina. Un folto manto si estendeva fino alle radici delle montagne, e si dipingeva di sgargianti colori che variavano dal rosso scarlatto, all’arancio dei peschi al giallo dei cedri. Il cielo pareva coperto da un lungo drappo di velluto, con smagliature azzurrine e violacee. L’Elfo raccolse tra le sue braccia il corpo dell’Amata, ancora dormiente. Era caduta in un sonno profondo e innaturale, che fece per un momento dubitare a Luthien, del suo risveglio entro il primo albore. Continuava a fissarla, sperando di cogliere un segno del suo risveglio ormai prossimo. Il volto era pallido quanto la luna, e i lunghi capelli biondi parevano piccoli fili di cristallo, che riflettevano ogni raggio lunare. Era un delicato fiore notturno, immacolato e bello quanto le ali di una farfalla. Era splendida. Nel fissarla si accorse che qualcosa pendeva dal suo collo, uno strano luccichio ceruleo attirò il suo sguardo, verso un ciondolo di acquamarina. Sollevò il piccolo oggetto tra le mani, e lo esaminò. “Miriam…ce l’hai ancora…”. Le sussurrò molto vicino. Non si rese subito conto, che in quel momento Eledhwen si stava svegliando. Lei cominciò a spalancare gli occhi, le prime immagini furono molto sfocate, il che la lasciò un po’ esitare. Quando aprì del tutto gli occhi, vide un volto. Un Elfo, dai lunghi capelli corvini, che scendevano lungo le spalle, marmorea pelle e occhi color dello smeraldo. Quei nostalgici occhi verdi, le ricordavano così tanto un tempo non molto lontano. Non stette a fissarlo neanche per un minuto di più, che le ultime parole che le si erano congelate in gola prima di addormentarsi, furono le prime a ritornarle. “Ysuran!!?”. Disse lei sicura, avvolgendolo tra le sue leggere braccia, e posando il capo su una sua spalla, con così tanta sicurezza che lui se ne stupì particolarmente. “Non credevo che mi avresti riconosciuto, Eledhwen.”. Rispose abbracciandola a sua volta. “I tuoi occhi…”. Rispose lei, sciogliendosi dalle sue braccia. “…sono come me li ricordavo l’ultima volta…”. Egli esitò per un attimo, fissando il suo sguardo raggiante e aggraziato. “Anche i tuoi sono come me li ricordavo…ma sapevo ugualmente che eri tu.”. Eledhwen si scostò leggermente da lui, e si mise a fissarlo. “Cosa c’è che non va?”. Domandò lui, mentre Eledhwen gli accarezzava il volto con la sua tiepida mano. “Dimmi solo che questo non è un sogno…”. L’Elfo le raccolse dolcemente la mano, e la accarezzò. “No, non lo è…”. La sua voce si affievolì e si fece pensieroso, ma per sua fortuna Eledhwen non se ne rese conto, e sprofondò un’altra volta tra le sue braccia, felice che quel momento tanto atteso fosse finalmente arrivato. Ma in cuor suo, sapeva fin troppo bene, che quella condizione non sarebbe durata a lungo. Eledhwen era ancora all’oscuro di ciò che lui era realmente, non aveva neanche idea di quale fosse il suo vero nome…era ignara delle sue intenzioni e dei sentimenti nei suoi confronti, ella non sapeva nulla. Per quanto ancora avrebbe potuto perdurare? Questo di certo non lo sapeva. Era diretto ai confini della regione, verso una città di cui Minuial aveva tanto parlato, a tre giorni di distanza da lì sarebbe giunto a destinazione. Forse avrebbe deciso di lasciare Eledhwen al sicuro, in quella città, e lui avrebbe proseguito oltre alla ricerca di Ophelia. Era troppo rischioso per la vita della sua Amata seguirlo nelle insidiose Terre del Crepuscolo. Tuttavia, i suoi pensieri erano annebbiati dal forte sentimento, che ora era più certo che mai di provare per lei, avrebbe voluto portarla con sé. D’un tratto lei si scostò nuovamente da lui, e si tolse il pendente di acquamarina che aveva da sempre portato al collo. “Questa è tua…”. Disse lei, porgendo il piccolo oggetto tra le sue mani. “Me la offristi in prestito il giorno in cui ci separammo, e mi dicesti che avrei potuto tenerla fino a quando ci saremo rivisti, il giorno in cui saresti venuto a portarmi via…”. “No…puoi tenerla, te la regalo.”. Rispose con sicurezza. “Sta meglio indosso a te.” Fece lui, rimettendole il ciondolo al collo. Dopo quelle parole, stettero in silenzio per un po’, l’uno vicino all’altra, osservando i primi raggi di luce all’orizzonte. L’Alba era arrivata.

***

 

Il rumore dei passi rimbombava per il lungo corridoio di granito e alabastro. Una scura sagoma incappucciata si stava dirigendo verso la stanza centrale del palazzo. Il suo arrivo era del tutto inaspettato. Due serve, in un bizzarro uniforme rosso e bianco, lo fermarono in prossimità della porta, dove vi si accedeva alle stanze di Ophelia. “La Signora al momento non è presentabile.”. Disse una di queste. “Presentabile o no, ho una questione importante da riferirle.”. Proferì costui con arroganza. “La Signora non vuole essere disturbata.”. Aggiunse l’altra, affiancando la compagna, che si era posta dinanzi alla porta. “Non ho tempo per subdoli colloqui con le sue sguattere!”. Rispose con tono, e le tolse di mezzo scaraventandole via in una randellata. Spalancò le porte ed entrò. Si ritrovò in una stanza, quasi completamente vermiglia. Le ampie finestre erano coperte da lunghissimi tendaggi che tendevano dall’amaranto ad un rosa molto intenso. La luce che filtrava dalla stoffa, produceva una luminescenza scarlatta, che dipingeva le pareti. Vi erano tappeti e drappeggi in velluto rosso sparsi un po’ ovunque, e petali di rose bianche e rosse che giacevano sul pavimento. La stanza pareva vuota. “Mythral! Per quale motivo sei giunto fin qui, irrompendo persino nelle mie stanze? Mi auguro che il motivo sia valido.”. Domandò una lontana voce femminile. Il drow abbassò il cappuccio, lasciando scorrere una liscia chioma bianca sulle spalle. “Mia Regina, porto notizie riguardo a Luthien…ci sono state delle attività a Oldrid.”. Proferì inginocchiandosi. “Oldrid? E chi l’avrebbe mai immaginato!? Ma certo…è una città pressoché popolata da contadini, chierici e nani…oltretutto la sua postazione, al di là delle montagne, è molto sicura dalle minacce. Che tipo di attività, mio fedele suddito, hanno udito le tue orecchie?”. “Strane luminescenze nel cielo, presenze demoniache, e un intero convento di chieriche è stato ritrovato in uno stato di morte apparente a mezzo dì. La Matrona ha avvertito degli spiriti infernali nella cattedrale, si dice che persino una giovane fanciulla sia stata rapita, era la prediletta della Matrona stessa…”. “Interessante, questo potrebbe essere un segno. Mi chiedo che cos’abbia in mente il Principe con questo rapimento…che abbia intenzione di sacrificare la sua giovane vittima ai Demoni? -Ahahahaha- sublime…”. La voce si fece sempre più vicina, finché dalla stanza accanto non comparve la regale figura di una donna. L’Elfo abbassò lo sguardo, non appena si accorse delle nudità della sua Regina, che si accingeva ad avvicinarsi tranquillamente, senza prestare molte attenzioni a quello che non aveva indosso. “Tuttavia, hai scoperto dove si è diretto?”. Domandò, non appena fu a breve distanza da lui. “E’ probabile che si stia dirigendo verso *Heryaite, appena fuori dal confine della regione, credo sia diretto verso il cuore delle Terre del Crepuscolo.”. Rispose cercando di non scomporsi. “Che cosa lo può portare nelle Terre del Crepuscolo? Mmmmh...la sua balia gli avrà probabilmente raccontato qualcosa sul suo conto, e ora sta tornando al suo Regno per vendicarsi della Morte dei suoi cari…la cosa si preannuncia più eccitante che mai!”. Rise di gusto, e poi riprese seriamente. “Tuttavia non dovremo abbassare la guardia. Raduna i tuoi uomini, e cerca di scoprire per dove è diretto e che intenzioni ha con quella ragazza. Non appena saprai qualcosa, torna subito qui.”. Disse lei sogghignando. Si avvicinò ancora di più, e prese tra le sue mani il volto del drow, e lo sollevò al suo sguardo. “Cerca di fare presto.”. Soggiunse, e posò le sue labbra scarlatte sulla fronte di lui. “Ora puoi andare.”. L’Elfo si avviò lestamente alla porta, tenendo basso lo sguardo e cercando di tenere a freno di suoi istinti. Ma non si rese conto del drappo che vi era per terra, e vi inciampò sopra. –autch!- Si guardò intorno, per fortuna Ophelia non aveva visto la sua imbarazzante caduta, ma sulla soglia della porta venne fermato dalla sua voce. “A proposito Mythral, prima che tu te ne vada…”. Lui si voltò indietro. “La prossima volta ti conviene ascoltare le mie serve, per evitare di imbarazzarti quando mi sto accingendo per il bagno.”. Dette queste parole, si fece travolgere da un’ondata di imbarazzo, che uscì subito fuori dalla stanza. Si chiuse la porta dietro, e vi si appoggiò con la schiena. “Stupido, stupido, stupido…”. Bisbigliò tra sé e sé, mentre le due serve di prima lo guardavano con disappunto.

***

 

Una pallida mano, evidenziata dai solchi delle rughe e decorsa dalle vene nettamente ingrossate per la vecchiaia, poggiava sulla liscia superficie di una sfera di cristallo. Minuial era adagiato comodamente su una sedia, e aveva lo sguardo rivolto verso la finestra. La lunga barba cenerina, era legata in un fiocco nero, e la lunga veste plumbea si confondeva perfettamente con medesima. I suoi occhi stanchi guardavano fuori, e fissavano la pioggia che cadeva incessante sul paesaggio. Pareva che stesse aspettando qualcuno. I suoi pensieri erano annebbiati. Aveva appena guardato nel futuro di Luthien, e non vi aveva visto ciò che sperava di vedere. Un presagio di morte. Stava ancora riflettendo, sostenendo il capo con il palmo della mano. Chiuse di nuovo gli occhi. Ancora quel dolce profumo di biancospino permeava nella sue narici, mentre un veloce susseguirsi di immagini scorrevano nella mente come un carro imbizzarrito. Ad un tratto tutto si fermò su uno scenario. Una fanciulla, giovane e bella, dai lunghi capelli biondi era distesa su un sepolcro. Il vestito immacolato era intriso dell’odore del biancospino, e il candore della sua pelle sfumava sul rosa chiaro. I lineamenti del viso erano distesi in un’armoniosa espressione di quiete, e pareva quasi che ella stesse dormendo beatamente in quel lugubre camposanto. A pochi passi di distanza da lei, vi era Luthien, piangente che batteva i pugni rabbioso sul terreno. I suoi occhi piangevano lacrime insanguinate, e il viso era rigato da rivoli rossastri, mentre alcune ciocche scure si erano incollate sulle gote del viso e lungo il collo. “CHE GLI DEI SIANO DANNATI!”. Bestemmiò, portandosi le mani fra i capelli, e accasciandosi chinando il capo, quasi fino a far toccare la fronte a terra. Ovunque egli si voltasse, vi erano corvi appollaiati su ogni possibile angolo del cimitero. Erano i *Testimoni. In realtà erano demoni, che sulla terra assumevano le sembianze di un corvo, nell’Inferno erano conosciuti come gli *Harab Seraphel. Parevano tutti ipnotizzati dalla mesta scena, e restavamo immobili come piccole statue, a guardare. Il Mago si avvicinò alla ragazza, notando il rivolo di sangue che si dipartiva dall’angolo della bocca fin sotto al collo, formando una piccola pozza di sangue secco. Il busto era squarciato in una profonda ferita. Tuttavia non era morta, la sua anima stava tuttora lottando per la vita invano. Notò che appeso al collo teneva un ciondolo di acquamarina, proprio lo stesso che aveva regalato a Luthien, anni prima. Lo raccolse tra le mani, e l’oggetto cominciò a brillare, finché una luce cerulea non lo avvolse. Riaprì gli occhi. Era nel suo studio, con il volto rivolto ancora verso la finestra. Ma questa volta vi scorse diverse sagome scure che si stavano dirigendo verso la porta. Chi potevano essere?

***

 

Un’immensa sala era stata preparata per accogliere il consiglio degli Arcidiavoli. Un enorme candelabro pendeva dal soffitto, emanando una tetra luce, sufficiente per illuminare la stanza. Candele viola e rosse erano sparse un po’ ovunque, sul lungo tavolo di pietra nera, che vi si trovava al centro. Pregiate sedie, tappezzate e foderate con velluto nero, erano appostate ai bordi del tavolo. Era tutto pronto, e il consiglio presto avrebbe avuto inizio. Tre nere figure si facevano largo per il lungo corridoio in pietra, che terminava nella sala. Si avvicinarono lestamente e si appostarono in un ordine a loro già ben noto. Calarono il lungo cappuccio della loro nera veste, e lasciarono intravedere i loro volti mefistofelici. “Quando arriverà il *Risplendente, Belial?”. Chiese uno di questi, al demone femminile che si era seduto alla destra del capotavola. “Non osare mai più chiamarmi per nome, con così tanta confidenza…*Asmodeo.”. Rispose in tono cinico e altezzoso. “Perdonalo, non conosce le buone maniere.”. Soggiunse l’altro demone, prima che costei potesse rispondere in qualche altra maniera sconsiderata. “Hai ragione Adramelech, quale comportamento rispettoso si potrebbe pretendere dai demoni dell’*Alto Inferno? Per giunta, è anche il capo del Galb…che vergogna.”. Disse questa in tono di sprezzo. “Non osare ingiuriare il nostro orgoglio, odiosa succube!”. Soggiunse Asmodeo, infuriato come non mai. Dalla sua schiena sprizzavano scintille rossastre e piccole lingue di fuoco, che contrastavano la liscia chioma argentea che ricadeva fino alle natiche. “Rammenta che sono stati proprio i demoni dell’Alto Inferno ad averti aiutata, quando venisti nel Mondo Infernale come Angelo caduto! Sei stata protetta, nonostante il tuo destino fosse stato ben diverso, per il codice demoniaco!”. Ella si limitò ad un ghigno divertito, fissando Andramelech nel profondo dei suoi neri occhi. “Ora basta voi due! Non siamo qui per parlare del passato, ci sono problemi ben più gravi sulla quale dovremo discutere oggi.”. Terminò il discorso lanciando un’occhiataccia a tutti e due. Ben presto si aggiunsero altri Re Infernali e Arcidiavoli, tuttavia all’appello ne mancava ancora uno. Si decisero a non aspettare più il ritardatario, poiché ormai tutti si erano convinti che non sarebbe più venuto, per il fatto che la riteneva una questione di scarso interesse personale. Adramelech prese la parola e cominciò il discorso facendo tacere tutti. “Demoni dell’Alto e del Basso Inferno, ci siamo riuniti ancora dopo ben sette secoli, per interloquire su una nuova questione che riguarda l’Assiah.”. Prese una breve pausa, scrutando le facce attonite dei suoi confratelli, eccetto per quella di Belial che pareva in qualche modo divertita. “A distanza di una settimana da quest’oggi, Samael è stato evocato sulla terra dall’ultimogenito degli Elassar…”. Non fece in tempo a finire la frase, che nella sala iniziarono ad aleggiare commenti e bisbigli. -Gli Elassar? Non dovevano essere morti?-. -Potremo chiederlo all’unico Elassar che giace nel profondo inferno!- . –Lui non vorrà parlare! Ha rinnegato gli Dei, poco prima della sua morte..:- . Adramelech riprese la parola. “Adesso basta!”. Tutti si azzittirono. “Non è degli Elassar che conoscevamo tutti noi, che sto parlando. Luthien Elassar è l’ultimogenito della stirpe, l’unico in grado di evocare Demoni sulla terra…e l’unico in grado di fronteggiare la minaccia che incombe nell’Assiah. Lord Elassar, suo unico padre, rinnegando gli Dei e così andando all’Inferno, ha in qualche modo fatto scendere una benedizione sul figlio, e gli Dei sono dalla sua parte…”. “Allora per quale motivo siamo stati convocati!? Se già gli Dei lo aiutano, per quale motivo dovremmo appoggiarlo? Quel maledetto beniamino…”. Rispose uno dei demoni maggiori seduti in fondo al tavolo, scatenando commenti di ogni genere in sala. “Per il fatto che gli Dei lo aiuteranno solo fino ad un certo punto, *Moloch signore dei *Thamiel.” Soggiunse, rinnovando il silenzio tra tutti. “E’ la prima volta che uno degli Elassar riceve una benedizione dagli Dei. Per secoli hanno vissuto come eretici, e adorato noi Demoni. Di certo non possiamo incolpare il giovane Luthien di questa benedizione, per questo dovremo aiutarlo ad ogni modo.”. “E come faremo ad assicurarci che lui non tradisca noi?”. Soggiunse Belial, stavolta con sguardo serio. “Gli Elassar non ci hanno mai voltato le spalle, per secoli la nostra alleanza è perdurata fino a questo momento…egli non ci tradirà!”. “Veniamo al dunque, sono stanco di questi preliminari…qual è il problema nell’Assiah!?”. Disse ad un certo punto uno degli Arcidiavoli che sedeva in mezzo. “*Belphegor, la tua fretta non ha limiti, vero? Tuttavia hai ragione. Non è più questione di fidarsi o meno, il problema è ben più grave di quanto ci aspettassimo…”. Ricominciò Adramelech. “I Darsial, una delle casate più influenti dell’Ovest, ha radunato uno dei più potenti eserciti che riuscirebbero a sconfiggere persino l’armata dei Supremi. Semineranno morte ovunque, dando in pasto i cadaveri e le anime, ai Ghoul. Quando non ci saranno più anime all’Inferno, l’equilibrio tra l’*Hades e l’Assiah verrà spezzato, e noi torneremo nell’oblio più profondo. Perderemo l’immortalità, i nostri poteri, e il nostro Regno…che cosa avete intenzione di fare?”. Un silenzio pervase la sala. Nessuno osò aprir bocca.

***

 

Passarono diversi giorni. Ormai si erano allontanati abbastanza da Oldrid. Il cielo e il paesaggio erano così diversi, da quelli nelle vicinanze della loro città natale. Erano lontani, e ogni giorno che passavano insieme, Eledhwen era sempre più felice di stare accanto a lui. Anche Luthien dimostrava lo stesso nei suoi confronti, anche se qualche volta l’aveva visto giù di corda e irrequieto, forse era solo un po’ nostalgico di casa. Dopotutto poteva comprenderlo. Era cresciuto in uno sfarzoso maniero, con dei veri genitori che lo amavano, e oltretutto non gli era mai mancato nulla. Verso sera giunsero ad una vivida città di pianura, che si trovava appena dopo il confine della regione, era Heryaite. Egli pareva conoscerla bene, probabilmente l’aveva studiato nei numerosi libri di geografia, che Minuial gli dava da leggere quando era piccolo. “Ci fermeremo qui per la notte.”. Disse ad un certo punto ad Eledhwen, poco dopo che varcarono la soglia della porta cittadina. Heryaite era una città fortificata da possenti mura in pietra, e questo in qualche modo le offriva sicurezza. Non era ancora capitato, che durante il loro cammino venissero attaccati dai goblin delle terre selvagge, ma la prudenza non era mai troppa per lei. Era cresciuta tra i continui ammonimenti ed esortazioni della Matrona, al riguardo dei pericoli che incombevano fuori da Oldrid. Scesero da cavallo. Luthien l’aiutò, poiché spesso la trovava ancora in difficoltà a scendere dal suo destriero. Protese le braccia verso di lei, ma Eledhwen appoggiò male il piede sulla staffa e cascò sopra di lui, facendolo cadere indietro. “Mi dispiace…”. Chiese lei, senza accorgersi della bizzarra posizione in cui era finita. -Bravi ragazzi! Dateci dentro!- Fu il commento di un contadino che aveva osservato tutta la scena, compiaciuto. Lei arrossì e si tolse da sopra di lui. “Non fa niente…”. Rispose Luthien, sorridendo anche lui divertito. “…l’importante è che non ti sia fatta male.”. Afferrò il cavallo per la briglia, e lo accompagnò nella stalla di una taverna. Fece cenno ad Eledhwen di seguirlo e vi entrarono. Sembrava un posto tranquillo, se non fosse per i nani ubriachi che sedevano attorno ad un tavolo circolare, sollevando boccali di birra, e canzonando strane storie su città sconosciute e imprese di paladini ormai dimenticati. Oltretutto vi erano diversi uomini e cavalieri che sedevano intorno al bancone, sorseggiando birra e ruttando tra una frase e l’altra, parlando di argomenti sconci. Eledhwen abbassò lo sguardo, e fece finta di non sentire, mentre seguiva Luthien alle sue spalle. “Vorremo una stanza per la notte.”. Disse lui, all’ostiere che l’aveva già notato da lontano. “Ma certo! Ho giusto rimasto una stanza con il letto matrimoniale. Per te e tua moglie dovrebbe andar bene!”. “Non sono sua moglie…”. Bofonchiò da dietro Eledhwen, ancora più imbarazzata di prima. –Ho-ho-ho! Potresti lasciarcela a noi allora! La facciamo divertire…ahahahaha!- . Si sentirono dire da un gruppo di spilorci ubriachi in fondo alla sala. “E’ mia sorella.”. Disse Luthien, per riparare l’equivoco. “Mi dispiace lo stesso, ma è l’unica camera per due persone che ho rimasto.”. Rispose l’uomo in tono gentile. “Allora la prendiamo.”. Assentì, pagando l’affitto della camera per quella notte. Dopo aver consumato la cena, si diressero verso la camera, che si trovava a uno dei piani superiori della locanda. Non era poi così male come se l’aspettavano. L’arredamento era povero, e vi erano giusto l’essenziale. Un letto matrimoniale, come aveva detto l’ostiere, un comodino e una vecchia poltrona scucita. “Non voglio imbarazzarti, io posso anche dormire sulla poltrona.”. Disse ad un tratto Luthien, fissandola. “Non ti scomodare, tu hai più bisogno di riposarti…”. Non finì la frase in tempo. “Facciamo come ho detto, va bene?”. Eledhwen non seppe più cosa rispondere, ma alla fine annuì. Dopo che si furono adagiati, uno sulla poltrona e l’altra sul letto, Eledhwen non poté più resistere. “Ysuran!?”. Chiese lei ad un certo punto. “Sì, Eledhwen?”. Rispose lui, ricambiando il suo sguardo. “C’è qualcosa che non va?”. Chiese, senza ricevere alcuna risposta per un momento. “Che cosa intendi?”. “E’ da quando siamo partiti che mi sembri molto irrequieto, hai persino quasi smesso di dormire la notte…mi spieghi che cos’hai?”. L’Elfo chinò il capo verso il basso, mentre si trovava seduto sulla poltrona. “Niente, non ti impensierire…”. Prese a dire, dopo un po’. “E’ solo che sono preoccupato per te, e non voglio che ti succeda niente, cerco solo di proteggerti…”. Disse, cercando di rendersi più convincente possibile. “E’ solo per questo che rinunci persino a dormire? Ti prego, vedrai che stanotte non succederà niente.”. “Cercherò di dormire allora, però non prima di te.”. Dette quelle parole, Eledhwen li credette invano, e si adagiò su una sponda del letto, sulla quale poco dopo vi si addormentò. “Per fortuna il tuo destino non è così crudele con te…mia Amata…”. Disse avvicinandosi a lei, e accarezzandola lievemente in viso. “Per fortuna tu non dovrai soffrire…”.

***

 

 

*Pandemonium, nota città dell’Inferno. Secondo alcuni miti antichi, dovrebbe corrispondere proprio alla città di Dite, citata nel canto X de’ L’Inferno Dantesco. Spesso usiamo frasi come “Quel posto è il Pandemonio!”. Per indicare una cosa in senso dispregiativo, come qualcosa di caotico e maligno…ma in realtà, nel contesto di questa storia, non lo sarà per nulla. Lo scoprirete più avanti! ;)

*Gehenna, questo termine si rifà alle antiche origini della religione cristiana, alla bensì più antica antenata di questa, la religione ebraica. Gehenna, si traduce letteralmente in ‘Inferno’, il luogo in cui dimorano solo i Demoni e gli Angeli Caduti (le anime si trovano in un’altra sezione dell’Inferno).

*Vessilli del Re dell’Inferno, ma non vi ricorda vagamente questa frase ‘vexilla regis prodeunt inferni’? La famosa frase che apre il XXXIV canto de’ L’Inferno Dantesco! Oh quanto lo adoro…tuttavia, è un’allusione che porta a pensare al sommo e spietato Re Lucifero *-*

*Re Infernali, vi sono diciotto Re che dimorano e comandano vari eserciti e zone nell’Inferno. I demoni più potenti sono coloro che comandano e dimorano nelle profondità dell’Inferno, tra questi vi è anche Lucifero. Sono suddivisi in una gerarchia, in base al quale i demoni maggiori hanno più ali dei demoni minori. Difatti i demoni comuni posso avere al massimo due ali, gli Arcidiavoli ne hanno tre, i Re Infernali o i Demoni Maggiori sei, e il Re degli Inferni ne ha ben dodici. Tuttavia, questo verrà spiegato meglio più avanti.

*Belial, è un demone dell’antico testamento, fu cacciata dal Paradiso insieme a Lucifero, per aver persuaso gli uomini e le donne a trasgredire al codice divino, facendoli peccare nella lussuria. Dio si infuriò, e incendiò le città in cui aveva disseminato il male, tuttora queste città sono conosciute sotto il mito di Sodoma e Gomorra.

*Blaenil, pronunciato ‘Blenil’ perché è di origine latina. E’ un antico nome demoniaco andato perduto da ormai più di sette secoli, trae le sue radici dagli antichi latini e dalle divinità romane locali, l’ho riscoperto leggendo un Grimorio.

*Bassi Inferi, ovviamente l’inferno ha una struttura a imbuto (non solo secondo Dante), ed è diviso in varie sezioni. Secondo la suddivisione del Gehenna, vi sono ben sei sezioni, dall’alto verso il basso: Tana, Stomaco, Silenzio, Porta della Morte, Porta dell’Ombra e Distruzione (noto anche come Utero dell’Inferno). Mano a mano che si procede verso il fondo dell’Inferno, le condizioni di sopravvivenza scarseggiano, cosicché solo i Demoni e gli Angeli Caduti più potenti, vi riescono a sopravvivere.

*Heryaite, città dal nome glaciale, poiché non trasmette alcuna sensazione, fuorché freddezza. L’ho trovato su uno dei tanti siti di nomi Elfici del web.

*Testimoni, se non altro saranno i miei demoni preferiti! Sono coloro che ascoltano, comprendono e giudicano le anime. Gli unici, tra tutti i Demoni, ad avere forse un cuore più simile a quello umano. Sono gli Harab Seraphel.

*Harab Seraphel, detti anche Corvi della Morte. Sono demoni muta-forma, difatti nella loro forma terrestre sono dei grandi corvi completamente neri, dagli occhi gialli. Spesso sono creature solitarie, e non viaggiano mai in gruppo, sarebbe davvero un caso raro e fortuito trovarne uno stormo. Vigilano sui morti, e cercano di evitare che i Ghoul ne divorino l’anima, destinata ad andare nell’al di là.

*Risplendente, un chiaro riferimento a Lucifero! Il soprannome l’ho senz’altro tirato fuori da una conversazione con la Vale. Scusa se ti ho rubato il nomignolo per la fic >.< ! Spero mi perdonerai, visto che non te l’ho chiesto *-*

*Asmodeo, è un demone dimorante nello Stomaco dell’Inferno. Guida i Galb, i demoni incendiari (tra cui Ehumiel, che avevamo visto nel capitolo precedente!). Asmodeo è sorprendentemente somigliante a Ehumiel, per il semplice fatto che tra tutti i Galb c’è un certo grado di parentela, che gli lega l’uno all’altro. Asmodeo è l’unico a possedere le tre ali di fuoco. Vi ricordate quando si era adirato con Belial per l’offesa ricevuta, e dalla sua schiena zampillavano piccole lingue di fuoco^^?

*Alto Inferno, usato in certi contesti potrebbe anche essere presa come un’offesa, per certi demoni. Spesso coloro che dimoravano nell’Alto Inferno (Tana, Stomaco e Silenzio), erano demoni deboli e vili, quasi quanto gli uomini.

*Moloch, signore degli spiriti di rivolta contro gli Dei. E’ uno dei demoni più rispettati. Nonostante possegga solamente due ali, è uno dei grandi Re Infernali e anche Arcidiavolo. Dimora in una delle zone più basse dell’Inferno, e proviene dalla Porta dell’Ombra.

*Thamiel, conosciuti anche come bicefali (mostri con due teste). Rispondono all’ordine di Moloch, e sono grandi battaglieri e demoni di rivolta. Sono angeli caduti, probabilmente cherubini che tradendo gli Dei, avevano perso la loro vera natura angelica. I cherubini hanno quattro facce, di cui una è umana, una di cherubino, una di leone e una di aquila. Le prime due sono state private dagli Dei, prima di spedirli all’Inferno, e ora si ritrovano con una testa felina e l’altra di un volatile.

*Belphegor, è il signore degli spiriti che hanno il compito di seminare discordia. E’ uno dei Re Infernali più avvenenti (altro che Johnny Depp…XD). Possiede ben tre ali nere piumate, di cui quella centrale è seminatrice di discordia. Dimora nella Porta della Morte.  

*Hades, è il contrario dell’Assiah, esattamente corrisponde al Mondo dei Morti. E’ il luogo in cui vi si recano le anime dannate.

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