Turn Back The Earldom;

di Memi J
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Unattainable ***
Capitolo 2: *** Indelible ***
Capitolo 3: *** Love at first sight [Secret] ***
Capitolo 4: *** Dance with me [Perilous] ***
Capitolo 5: *** Resentful Ultimatum ***
Capitolo 6: *** It will end tonight ***
Capitolo 7: *** Black and White, Dead or Alive ***



Capitolo 1
*** 1. Unattainable ***


Turn Back The Earldom

Un'epoca passata, non si sa quanto lontana, prosperava di principi, contesse, cavalieri , fanciulle ed imperatori. Una sconfinata contea, chiamata Karakura, si estendeva tutt'attorno ad un castello, la reggia della famiglia del barone regnante, dove alloggiava la nobiltà. La nobile casata era rappresentata dall'aristocratico clan Kuchiki, tra i cui membri era di grande rilievo il barone Byakuya Kuchiki, spesso freddo, ma generoso e di buon cuore. Egli era stato sposo della nobile contessa Hisana Kuchiki – amata da tutti all'interno della contea – venuta purtroppo a mancare un anno addietro, a causa di una malattia che l'aveva consumata sino ai suoi ultimi istanti. Da allora, il barone non si è risposato – e giurò che non l'avrebbe mai fatto – promettendo quindi il trono della contea all'unica erede: sua sorella minore Rukia Kuchiki, appena diciannovenne.

Turn back the earldom, Part One.
Unattainable.

Quella sera era in corso una festa a Karakura, presso Villa Kuchiki. Ricca di luci, musiche e voci, ma avvolta da una sorta di impenetrabile mistero che rendeva l'atteggiamento dei presenti leggermente ostile ed invidioso nei confronti dei detentori di quella reggia così incantevole. Quella celebrazione era in onore del compleanno del barone Kuchiki, pertanto era stata invitata ai festeggiamenti l'intera contea: dai principi alle contesse, ai cavalieri, ai contadini, agli stallieri...
L'atmosfera che vi regnava, attiva e brillante, era così contagiosa da giungere in ogni angolo del feudo, tanto che si festeggiava anche all'interno delle locande. Nessuno in particolare avrebbe mai potuto dire di provare avversione o rancore verso il padrone della tenuta: egli infatti era un individuo affabile, responsabile e volenteroso, che faceva di tutto pur di affievolire ed eliminare il malcontento tra il suo popolo, e portare invece benefici in tutta la campagna. Ma colei che aveva conquistato i cuori della gente con la sua estrema dolcezza, altri non era che la principessa Rukia Kuchiki, amata quanto lo era stata la nobile contessa Hisana: ella era infatti più che mai vicina alla gente, trascorrendo il suo tempo libero in mezzo agli abitanti, con le damigelle di corte e con gli stallieri che si occupavano quotidianamente delle cure del suo cavallo, guadagnandosi di conseguenza le simpatiche strigliate della signorina Nanao Ise, sua educatrice ed amica, forse apparentemente severa a causa dei suoi occhiali da vista che le donavano una particolare aria autoritaria. Quello che era il suo tempo libero, però, consisteva solo in brevi pause dallo studio e dai compiti di una contessa a pieno titolo, che svolgeva con l'ausilio e la guida del suo maestro Juushiro Ukitake. Stimabile uomo dai lunghi capelli argentei, forse un po' cagionevole di salute, era caratterizzato da una personalità saggia e colta; era un grande amico di Byakuya, nonché suo primo insegnante alla sua giovane età.

Anch'egli, così come Nanao, era presente alla festa, sfoggiando abiti sfarzosi e degni di essere indossati da una persona di così alto rilievo.
Tra le voci dei coetanei e le note accennate dai musicisti di corte, due cavalieri discutevano su un loro duello passato, appartati in un angolo di quell'interminabile sala da ballo colma di nobili principesse che danzavano incollate ai loro accompagnatori o corteggiatori. Uno di loro aveva capelli scuri ed un paio di occhiali poggiati sul naso, un'aria assolutistica e da studioso. L'altro sembrava l'opposto: svogliato, appoggiato scomposto ad un pilastro che pareva sorreggerlo a malapena; aveva capelli di un bizzarro colore arancione, tendente al biondo, e occhi ambrati. La divisa da combattente lasciava quasi intravedere la sua muscolatura ed il suo fisico, i pantaloni bianchi terminavano fissandosi all'interno di stivali scuri: un perfetto cavaliere, seppur giovanissimo. Il suo nome era Ichigo Kurosaki, ed era un grandissimo amico di un nobile che alloggiava a Villa Kuchiki: si trattava del giovane conte Renji Abarai. Era stato proprio quest'ultimo ad invitare Ichigo alla reggia, sfruttando l'occasione del compleanno del barone Kuchiki come pretesto per chiedergli di raggiungere e rimanere a Karakura.

Tra la folla, lo sguardo di Ichigo si soffermò accidentalmente su una bellissima fanciulla che, isolata dal resto della gente, sembrava scrutare il cielo stellato all'esterno del castello, attraverso le immense vetrate delle smisurate finestre che costellavano la stanza. I capelli neri erano raccolti sul suo capo tramite aurei fermagli, lasciando scoperte le rosee spalle messe in mostra da uno sfarzoso ed elegantissimo abito sanguigno senza maniche, ornato con decorazioni dorate. I ciuffi corvini le incorniciavano il viso che, pallido, era volto al cielo completamente disinteressato nei confronti di tutto ciò che la circondava. I suoi occhi marini risaltavano sul contrastante trucco che le colorava le palpebre, leggero ma visibile. Una fanciulla perfettamente bella, tanto da lasciare il giovane cavaliere totalmente incantato. Nell'osservare la ragazza, ad Ichigo pareva quasi che tutto intorno a lui si mescolasse: i colori, le voci, le note della musica di sottofondo convogliavano in una mistura che andava dissolvendosi nel silenzio, fino a svanire nel nulla; e così, rimaneva solo lui, di fronte a lei, in quell'infinita stanza vuota. Una forte voce entusiasta ebbe la capacità di risvegliarlo, sciogliendo i nodi delle corde che lo legavano alla realtà che si era costruito; era quella di Renji, che lo salutava avvicinandosi a grande velocità.
«Ehi Ichigo! Ne è passato di tempo, eh? Come stai?».
Questo suo quesito parve raggiungere il destinatario un secolo dopo.
«A-Ah... bene, Renji, grazie». Disse incerto, senza guardarlo: i suoi occhi erano fermi su un'altra persona.
L'amico mostrò un'espressione interamente scettica, e prese a squadrare il giovane cavaliere.
«Tutto qui? Non ci vediamo da anni e questo è tutto quello che hai da dire?!».
Ichigo distolse lo sguardo dalla fanciulla ed inquadrò Renji, riconoscendo quanto fosse cambiato: i capelli rossi, raccolti in una coda di cavallo, erano ulteriormente cresciuti, era diventato molto più alto e muscoloso, ma in quanto a lineamenti e carattere era rimasto il Renji Abarai che aveva conosciuto. Non appena si rese conto appieno della situazione, di aver rivisto il migliore amico dopo chissà quanti anni, scattò improvvisamente.
«Oh, Renji, quanto tempo!» esclamò, abbracciando il conte e colpendolo buffamente sulla spalla. Il cavaliere al suo fianco guardò Renji impressionato, ed Ichigo parve accorgersene.
«Che c'è, Ishida?».
Uryuu Ishida, compagno di duello del giovane Kurosaki, si sistemò accuratamente gli occhiali da vista con l'indice della mano destra, avvolta da un guanto bianco come la neve.
«Niente, Kurosaki. Lascia perdere». Si abbandonò alla colonna retrostante appoggiandovi la schiena. Ichigo puntò nuovamente il suo sguardo verso quella direzione a cui si era incatenato poco prima dell'arrivo di Abarai, delimitando una figura minuta che ancora aveva gli occhi persi nel vuoto di quel cielo notturno nel quale sembrava sentirsi affogare.
Renji si avvicinò ulteriormente al cavaliere dai capelli arancioni, e cercò di comprendere – seguendo la rotta delle sue iridi castane – cosa l'amico stesse fissando. Si corresse immediatamente: chi stesse fissando.
«Oh oh. Sei appena arrivato e hai già localizzato il tuo bersaglio?».
Ichigo parve recepire solo qualche parola rivoltagli dal rosso.
«Renji. Chi è quella ragazza?» domandò ambiguo, indicandogli l'obiettivo con un cenno del viso.
«Come sarebbe a dire “chi è”? Mi prendi in giro?!». Abarai lo guardò sconcertato, con occhi puramente sbigottiti, ma lo stupore di Ichigo non era da meno.
«Quella è Rukia, Rukia Kuchiki! Non puoi non conoscerla!».
«Scusatemi tanto se sono un forestiero che non ha mai messo piede in questa contea nell'arco della sua intera vita, nobile conte Renji Abarai» disse, con una notevole punta di sarcasmo.
«Ora mi vorreste dare delle spiegazioni, per cortesia?». La percettibile ironia aveva raggiunto i suoi estremi.
«Rukia Kuchiki... – proruppe Ishida – è la contessa di Karakura, nonché sorella minore del barone Byakuya Kuchiki, tutt'ora sovrano della contea».
Ichigo sgranò gli occhi, rendendosi conto di quanto quella fanciulla fosse – ora più che mai – irraggiungibile.
Renji gli mise una mano sulla spalla, scuotendolo buffamente.
«Ti sei innamorato della persona sbagliata».












Angolino dell'autrice *3*:
SalveeeH, è passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho postato qualcosa XD. In questi giorni
avevo pochi compiti per la scuola (veramente molto molto strano O.o) così, per ammazzare il tempo,
un giorno ho disegnato Rukia con un vestito da noble (magari la prossima volta lo posto XD) e mi
si è accesa la lampadina: perchè non provare a costruire qualcosa ambientando i nostri protagonisti
in un'epoca come (più o meno) il Settecento? Ed ecco la nascita di questo schifo °3°.
Questo è il primo capitolo, ma, dato che per il momento manco di idee, chissà quando posterò il prossimo
XD. Magari per il prossimo mese ce la posso fare XDDD. Spero vi sia piaciuto il capitolo <3.
Alla prossima! Bacio, Kyù.

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Capitolo 2
*** Indelible ***


Turn back the earldom, Part Two.
Indelible.

L'odore aspro e pungente del fieno gli si era ormai insediato nelle narici, mentre, mormorando parole incomprensibili tra sé – sicuro di essere solo – rimuginava sugli avvenimenti della sera precedente, a Villa Kuchiki. I flash insistenti che gli facevano memoria di quel pallido viso cinto di capelli corvini si accavallavano nella sua mente l'uno sopra l'altro senza tregua, accumulandosi ed impedendogli di pensare lucidamente. Ciò nonostante, era cosciente del fatto che avrebbe dovuto estorcersi quell'immagine dalla testa: innamorarsi di una contessa? Inconcepibile. Inesorabilmente meditò sulle parole sussurrategli da Renji.

Ti sei innamorato della persona sbagliata”.
Non me ne sono innamorato”.
Aveva risposto lui, voltandosi e promettendosi di non rigirarsi a contemplare la bellezza di quella figura.
Non ne sono innamorato”. Aveva ribadito, mentre faceva ritorno a quella che era divenuta la sua casa, ora trasferitosi a Karakura. Mentre si cambiava, nel momento in cui si infilava sotto le coperte, quando quella mattina fece colazione in compagnia di altri cavalieri – alle cui parole non prestava la minima attenzione – alla locanda, e durante il tragitto mediante il quale raggiunse le scuderie.


«Non ne sono innamorato» concluse nuovamente, accarezzando il cortissimo pelo del suo cavallo morello. Rifletté poi a quanto sarebbe stato assurdo ed inimmaginabile solo poterle parlare. No, persino rivolgerle la parola sarebbe stato impossibile per lui. Inammissibile.
«Non è innamorato di chi?».
Ichigo sobbalzò vistosamente, al sentire quella voce femminile assolutamente sconosciuta. Non vi era di che meravigliarsi: dopotutto era appena giunto a Karakura, sarebbe stato normale per lui non saper ricollegare un timbro di voce a qualcuno; una ragazza, poi. Uscì quindi dal box del cavallo con fare non curante, mai più immaginando che la proprietaria di una così soave voce fosse la persona che in seguito si ritrovò di fronte: non avrebbe mai creduto di poterla rivedere in una tale situazione. Si pietrificò all'istante, riconoscendo quegli sfarzosi abiti permissibili esclusivamente alla nobiltà. I lucidi capelli, questa volta, le ricadevano sciolti sulle spalle, incorniciate da un vestito delle tonalità del blu che richiamava il colore delle sue iridi. Nessun fermaglio dorato, nessun gioiello, né qualunque cosa di prezioso; malgrado tutto, sarebbe stato impensabile scambiarla per una fanciulla qualsiasi: forse per qualcosa di criptico ma al contempo perfettamente visibile che celava dietro la sua personalità autoritaria. Rimase immobile a guardarla, senza neppure rendersene conto.
«C...Contessa?» farfugliò, scuotendo il capo impercettibilmente. Stava sognando? Eppure era sicuro di essersi alzato dal letto, aver fatto colazione alla locanda ed essersi diretto lì in scuderia per occuparsi del suo cavallo. Ma la visione di Rukia Kuchiki ebbe la capacità di smentire queste sue credenze.

Allo stesso modo, Rukia parve esaminare il giovane: i bizzarri capelli arancioni gli donavano un'aria stravagante. Certamente, era sicura di non aver mai visto quel ragazzo in vita sua: uno così non sarebbe stato affatto difficile notarlo, se ne sarebbe di sicuro ricordata. Ciò nonostante non poté fare a meno di pensare a quanto fosse un bel cavaliere; nulla da togliere né al suo fisico né al suo viso, sebbene quest'ultimo presentasse una fronte notevolmente aggrottata. Non conoscendolo minimamente, si chiese se quell'espressione accigliata derivasse in qualche modo dalla sua presenza o se il giovane innanzi a sé stante fosse perennemente corrucciato di suo. Cercò in ogni caso di non scomporsi, mantenendo il suo solito portamento dignitoso.
«Buongiorno, cavaliere».
Lei si avvicinò ulteriormente, soffermandosi al primo box e prestandosi ad accarezzare il crine di un cavallo bianco. Fissava assorta il ragazzo, sorridendogli – forse in attesa di una risposta al saluto rivoltogli. Ichigo abbassò il capo e prese a guardare i propri stivali.
«Evidentemente sto ancora dormendo» mormorò, schiaffeggiandosi la fronte; questo suo gesto attivò una risata angelica da parte della contessa. Era ovvio, per Kurosaki, che tutto quello non fosse altro che un sogno: d'altro canto, che cosa diavolo ci faceva una nobile principessa in una sporca scuderia popolana? A parlare con un cavaliere del re, tra l'altro.
«Dormendo?» fece lei, riducendo gli occhi cristallini a due fessure.
«A me sembrate sveglio, cavaliere».
Tutta quella formalità, in un certo senso, lo rabbrividiva. Pensare che tutte quelle parole estremamente educate – fino alla nausea – e rivolte con estremo rigore non facevano altro che alimentare le distanze tra due persone, lo pungeva in qualche modo.
«M...Ma cosa ci fate qui, Maestà?» le chiese, petto in fuori e mani giunte dietro la schiena.
Grazie a tale domanda, Rukia ebbe la possibilità di confermare le sue ipotesi: un giovane mai visto prima, che non sapeva le abitudini della ragazza di recarsi tutte le mattine alla scuderia per porgere un saluto al proprio cavallo, proveniva senza ombra di dubbio da un'altra contea.
«Siete un forestiero, non è vero?» azzardò.
Ichigo trasalì, quasi timoroso di rispondere.
«S-Sì, contessa. Sono un cavaliere del re, giunto qui su richiesta del nobile conte Renji Abarai».
«Renji vi ha chiesto di raggiungerlo qui?» chiese lei, incredula.
«Siamo amici di infanzia» chiarì lui.
«Ah, capisco».
Interminabili secondi trascorsero opprimenti dopo le ultime parole della fanciulla, la quale poco dopo cercò di interloquire nuovamente.
«Il vostro nome?».
Ichigo deglutì. Non si era neppure presentato, di fronte a quella che evidentemente era la sua sovrana?! Immediatamente si inchinò, quasi inginocchiandosi a terra, scusandosi per la sua mancanza di rispetto.
«Perdonatemi, Maestà. È Kurosaki Ichigo».
La contessa poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, intimandogli con considerevole gentilezza di alzarsi e porre fine a quella rigida formalità.
«Suvvia, cavaliere. Non siate così forbito».
Ichigo si sollevò lentamente. Qualcosa gli disse che la contessa, così giovane e bella, non sopportava quei modi così formali. Si guardarono l'un l'altra per circa un minuto, prima di sentire una stridula voce richiamare l'attenzione della Kuchiki e mandare in frantumi quel momento così delicato. Rukia si guardò intorno, con un'espressione quasi spaventata.
«Questa è Nanao. Il dovere mi chiama, purtroppo».
Senza fornire ulteriori informazioni, la nobile si protese verso il portone, dal quale apparve – una volta aperto – uno spiraglio di luce solare che ravvivò l'ombra della scuderia.
«Arrivederci, cavaliere».
«Ichigo» buttò lì il giovane, ansimante. «Chiamatemi Ichigo».
Rilassò i muscoli nel vederla sorridere compiaciuta, accennando un lieve inchino.
«Allora arrivederci, Ichigo».
Il portone si chiuse cigolando alle sue spalle, prima che lui potesse ribattere. Guardandola scomparire dietro quelle porte dalle catene sciolte, Ichigo si abbandonò su una sedia stante a pochi passi da lui. Per un attimo temette ancora di trovarsi nel mondo delle favole. In fondo, non sarebbe stato così difficile per lui rendersi conto di aver sognato tutto, dal primo singolo istante in cui si era accorto della presenza della nobile Kuchiki, infiltratasi nella scuderia cogliendolo di sorpresa. Insomma, per lui – un semplice cavaliere – sarebbe stato inaudito anche solo incontrare in modo così diretto una principessa appartenente alla casata dei sovrani della contea: o almeno sino a quella mattina.

«Insomma, Rukia, cosa stavi facendo nelle scuderie?» la apostrofò Nanao Ise, mentre passeggiavano tra i sentieri ciottolati all'interno dello sconfinato giardino della reggia, circondate da ogni parte da una rigogliosa vegetazione smeralda. La contessa alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente.
«Ma niente, Nanao, niente. Non è permesso, forse, salutare il proprio cavallo?».
«Non è questo che intendo, signorina» replicò l'educatrice con fare assolutistico, ottenendo la limpida risatina della contessa. Dopo qualche secondo, Rukia si decise a proferir parola riguardo a ciò che tormentava insistentemente la sua ragione.
«Ho conosciuto un ragazzo, stamane. Un cavaliere del re».
«Del re? È forse un forestiero?».
«Già, penso che arrivi da molto lontano. Mi ha detto che è stato convocato da Renji».
«Il conte Abarai? Per quale motivo?» chiese tentennante la donna.
«Sono amici di infanzia. Mi ha accennato solo questo».
La loro discussione venne troncata dallo strepito provocato da una ragazza, che si sbracciava in lontananza per farsi notare dalle due destinatarie del suo saluto così vivace. Era anch'ella una donna molto bella, dai lunghi capelli fulvi che si piegavano in morbide onde che splendevano alla luce del sole radioso che illuminava il giardino, costellato di ciliegi in fiore. La visiera di un grande cappello le ombreggiava gli occhi vitrei, ed il pesante trucco contribuiva a conferirle una bellezza sfolgorante. Il seno smisurato era incorniciato da un bellissimo abito dai motivi floreali che metteva in risalto le candide spalle; l'enorme gonna sontuosa le nascondeva i piedi, i quali calzavano delle scarpette decisamente lussuose ed appariscenti.
«Signorina Rangiku?» la riconobbe Nanao, salutandola.
Rangiku Matsumoto, marchesa invidiabile al suo sposo, alloggiava a Karakura da ormai due anni, come tanti altri nobili che occupavano – chi per più tempo, chi per meno – le stanze di Villa Kuchiki. Aveva lontane origini tedesche, era una marchesa di gran lusso, e si era trasferita nella contea dopo aver sposato il giovane Gin Ichimaru, il quale chiese la sua mano dopo averla incontrata durante una cerimonia. Da un incontro casuale ad un amore casuale, destinato a durare forse in eterno.

Un minuto più tardi, il trio ciondolava allegramente tra il verde del cortile, all'ombra delle floride chiome degli alberi, assaporando il piacevole profumo dolciastro dei ciliegi e le tiepide fragranze dei fiori appena sbocciati. Rukia non partecipò molto alla discussione, ricca di dicerie e pettegolezzi – alla marchesa Rangiku faceva sempre e solo piacere chiacchierare del più e del meno, in mezzo a quella verde distesa quale era il lussureggiante giardino di Villa Kuchiki – preferendo probabilmente rimanere saldamente ancorata ai pensieri che infestavano la sua mente, e che la riportavano agli avvenimenti di quella mattina che le erano rimasti impressi – come una macchia indelebile – nella sua memoria. E che sarebbero perdurati, incancellabili. Il sole le ricordava il colore insolito e grottesco dei suoi capelli, le tonalità dei fiori che attiravano la sua attenzione la ricollegavano a quelli della sua divisa. Tutto, lì attorno, sembrava sfumare sulla sua immagine, sul suo profilo; e l'unica voce che riusciva a distinguere, sovrastante gli schiamazzi di Nanao e Rangiku, era quella del giovane cavaliere di cui aveva appena fatto la conoscenza.








Author's corner
Bah, diversamente da quanto mi aspettavo, sono riuscita ad aggiornare velocissimamente XD.
Pensavo che ce l'avrei fatta in un mese, invece, dopo solo qualche giorno, voilà il secondo
capitolo. Niente di che, chiariamoci. Ad essere sincera, ha un non so che di strano, anche
se vi giuro che non saprei dire cosa XD. Che aggiungere, spero vi piaccia <3. Sto cercando di
mettercela tutta perchè piaccia a tutti i fan IchiRuki *3*. Ah, e come vi avevo detto,
ecco qua il link che vi porta al disegno che avevo fatto su Rukia vestita da contessa *O*.
http://i217.photobucket.com/albums/cc242/kyuubi-94-/NobleRukia2.png?t=1235684818
Sto provando a colorarlo con Photoshop XD. Al prossimo capitolo, bye <3.
KyùCChan.

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Capitolo 3
*** Love at first sight [Secret] ***


Turn back the earldom, Part Three.
Love at first sight [Secret].


Un pallido spiraglio di luce solare penetrò nella grande stanza, facendosi strada tra le fessure lasciate dalle tende spiegate, che oscillavano quasi ritmicamente ogniqualvolta un minimo soffio d'aria riuscisse ad infiltrarsi sotto le giunture delle finestre. Quel flebile filo di luce bastò per destarla dal suo sonno, sbilanciando ulteriormente il suo già accennato bilico tra sogno e realtà. Rukia cercò di sollevare le palpebre, ancora leggermente intorpidite; non appena si convinse di essere sveglia, la contessa si mise supina sul letto, sbadigliando profondamente. Socchiuse nuovamente gli occhi, appesantiti dalla stanchezza, e si sfiorò delicatamente la fronte con la punta delle dita, fredde: si sforzò di ricordare le ultime immagini dipinte nei quadri della sua mente. In un impeto attimo, tra i meandri del suo cervello scorsero fiumi di immagini, di voci, di colori, di parole, di suoni. Diversi, ma ricollegabili ad un'unica figura, che Rukia ritagliò in un lampo: capelli arancioni, sguardo fermo eppure timido, fisico virile e perfetto, sopracciglia costantemente aggrottate, ed un unico nome: Ichigo Kurosaki. E rimbombava, rimbombava, rimbombava nella sua testa. Il ricordo del loro incontro, avvenuto il giorno precedente nelle scuderie, le pareva così vivo da sembrare reale, tangibile. Nonostante fosse pienamente cosciente del fatto che avrebbe dovuto toglierseli dalla testa, Rukia non poteva fare a meno di ammettere quanto fossero inebrianti quei pensieri.

Un rumore cupo ed indistinto riecheggiò nella stanza. Rukia sussultò, prima di riconoscere, riascoltando più volte quel suono insistente, che qualcuno stava bussando alla porta.
«Contessa? Siete sveglia? Vi ho portato la colazione».
Al consenso della Kuchiki, che svogliatamente confermò di esser desta, la porta si aprì in un cigolio sommesso, lasciando intravedere l'ombra di una figura aggraziata, ed agghindata in un vestito ampio e dal colore pallido. Un grembiulino circondato da pizzi e merletti di ogni genere le nascondeva la parte anteriore dell'enorme gonna, mentre un vassoio colmo di biscotti e vivande – buoni da leccarsi i baffi – era sorretto da entrambe le mani guantate. Il profumo che immediatamente le si insediò nelle narici ebbe la capacità di scuotere Rukia dal suo stato di dormiveglia, e per qualche minuto si dichiarò incapace di distogliere lo sguardo da quel ben di Dio: la bramosia di divorare tutto ciò che il vassoio le ponesse davanti agli occhi non lasciò spazio ad alcuna razionalità. Complice di quel profumo delizioso, forte e delicato allo stesso tempo, era l'aspetto gustoso quanto invitante dei biscotti che, nella loro disposizione, tracciavano il contorno del vassoio argentato, circondando il resto delle vivande.
«Hai preparato tutto tu?» chiese incredula la contessa, senza scollare le iridi cerulee – che per un momento parvero scintillare – dalla sua colazione.
«Diciamo che mi hanno aiutata. Ieri sera ti ho vista un po' giù, così ho pensato di prepararti qualcosa di speciale nell'intento di tirarti su di morale».
Rukia emise un sospiro mozzato. In quel momento si sentì come un libro aperto, le cui pagine si macchiavano d'inchiostro: Kyone, sua serva ma cara amica, era stata capace di leggerle i pensieri anche solo guardandola. D'altro canto era sempre stato così: Rukia non era mai stata in grado di nascondere i suoi sentimenti, ciò che provava nell'animo.
«Grazie, Kyone» esalò infine.
«Non preoccuparti. Piuttosto, cos'è che ti turba tanto?».
Il petto della contessa cercò di rimanere indolente al battito martellante del cuore. Non avrebbe voluto parlarne, forse non ne aveva sufficiente coraggio: con quale forza sarebbe stata capace di ammettere di provare una voglia irrefrenabile di vedere quello che realmente era solo un cavaliere? Eppure la voce della sua coscienza le urlava di fregarsene di ciò che diceva la gente, di ascoltare solamente quello che il cuore le suggeriva. Si bloccò.
Calma: dove voleva arrivare, convincendosi di questo? Stava forse insinuando a se stessa di provare qualcosa verso Ichigo Kurosaki? Strano da parte sua, era la prima a non credere nell'amore a prima vista; i – come si suol dire – colpi di fulmine. Tuttavia anche quest'ultima sicurezza pareva a poco a poco trasformarsi in un'incertezza capace di contraddire la sua determinazione.
Rukia si fidava ciecamente di Kyone. Per lei, rappresentava una sorta di sorella, con la quale avrebbe certamente potuto confidarsi senza preamboli: sapeva di poter contare su di lei, in qualsiasi momento, in qualsiasi situazione. Aveva accennato qualcosa a Nanao, nel giardino di Villa Kuchiki; perché avrebbe dovuto tenere lei, invece, all'oscuro di tutto?
Kyone era ancora in attesa di una risposta, paziente quasi fino alla nausea, seduta sul ciglio del letto sul quale ancora Rukia si sfregava gli occhi. La contessa allungò una mano verso il vassoio, recuperò un biscotto dall'aspetto appetitoso e ne addentò un angolo; sorrise candidamente.
«Sai mantenere un segreto?».

***

Il ticchettio provocato dal tacco di uno stivale inquieto causava un progressivo aumento del suo nervosismo, già eccessivo. La noia e l'impazienza iniziarono ad assalirlo: detestava aspettare. Renji gli aveva promesso un giro per la reggia di Karakura, eppure era già una mezz'ora che attendeva, ma del conte non si era vista neppure l'ombra. Non che gliene importasse molto, di addentrarsi nel mondo di Villa Kuchiki. Tuttavia, c'era qualcosa – o meglio, qualcuno – che lo teneva, in un certo senso, incatenato a Karakura. Dopotutto, non era così male la vita in quella contea: era giunto lì ormai da tre giorni, sufficienti comunque a farvi l'abitudine. Nonostante prima alloggiasse tra le stanze del sontuoso palazzo del re, non si trovava poi in una così brutta situazione neppure lì, in quell'ambiente tutto nuovo per lui, caratterizzato da una quotidianità parecchio differente, ma che richiamava spesso aspetti di quella che era stata la sua vita al cospetto del re. Certo, sarebbe stato impensabile anche solo un paragone. Mentre rimuginava sulla sua vita precedente, udì distintamente una voce chiamarlo a distanza.
«Ehilà, Ichigo!». Il destinatario lo guardò astiosamente.
Renji. Il ritardatario di sempre. In tutti quegli anni, non era cambiato di una virgola, ed il cavaliere ebbe modo di constatarlo di nuovo.
«E' più di mezz'ora che ti aspetto qui. Sentiti in colpa». Il tono accusatorio di Ichigo non si addolcì nemmeno per un istante.
«Scusami, mentre venivo qui alle scuderie ho trovato una signora anziana che...».
«Certo, come no» lo interruppe Kurosaki.
«Sei sempre il solito, Renji. Tu e la puntualità non andrete mai d'accordo».
L'amico fece spallucce. «Che ci vuoi fare».
Ichigo lo guardò storto, ma non seppe ribattere: conosceva talmente bene il conte da poter confermare per certo che mai, in tutta la sua vita, sarebbe stato capace di arrivare puntuale ad un appuntamento. In tal caso, preferì abbandonare l'idea di rimproverare Renji, risparmiandosi così una predica inutile. Malgrado tutto, ci pensò qualcun altro ad interrompere il silenzio instauratosi tra i due: una voce lontana ma radiosa, infatti, parve chiamare insistentemente il nome di Renji, che scattò d'improvviso. La stessa espressione storpiò i lineamenti prima rilassati di Ichigo, che si tesero – insieme ai suoi muscoli – riconoscendo quel timbro di voce. Pochi secondi più tardi, il portone della scuderia si aprì faticosamente, lasciando penetrare ad uno spicchio di luce che si dissolse nell'ombra di un'esile figura.
«Renji! Mi hanno detto che... eri qui...».
Le ultime sillabe sfumarono, fino a spegnersi totalmente: gli occhi dell'interessata avevano appena gioito nell'incontrare quelli del misterioso cavaliere che portava il nome di Ichigo Kurosaki. Quest'ultimo, invece, rimase pietrificato – o forse incantato – nel vedere nuovamente quella fanciulla, come se fosse il loro primo incontro. Rukia Kuchiki era uscita dalla reggia per cercare Renji, eppure parve dimenticarsene per un momento. Il conte, dal canto suo, fissava entrambi: prima l'uno, poi l'altra; solo, non c'era pressoché alcuna differenza tra le espressioni che caratterizzavano i loro visi: sembravano ambedue imbambolati.
«Sei sicura che stessi cercando me, Rukia?». La voce del conte Abarai riecheggiò all'interno della stanza, scuotendo Rukia dal suo stato di catalessi. «Non è che cercavi...».
«Te» si affrettò a precisare lei, interrompendolo. «Cercavo te».
Renji sollevò un sopracciglio, nell'attesa di un seguito.
«Volevo solo chiederti se ci saresti stato questa sera a palazzo».
«Che succederà stasera?». Il conte la guardò sbigottito, pensando di essersi perso qualcosa.
«Un banchetto. Organizzato da Kyone» puntualizzò Rukia.
«Quando si tratta di una festa, c'è sempre quella in mezzo» borbottò Renji, incrociando le braccia.
La contessa sorrise angelicamente, prendendo la lamentela dell'amico come una risposta affermativa all'invito. Ichigo, invece, era rimasto in silenzio per tutta la durata della conversazione. Da quando la Kuchiki aveva fatto la sua comparsa, non aveva aperto bocca. Dopotutto, lui non aveva nulla a che fare con la nobiltà. Per questo rabbrividì quando vide Rukia rivolgergli un sorriso.
«E tu ci sarai, vero, Ichigo?». Il viso del diretto interessato divenne immediatamente rubicondo: in un certo senso, faceva pan-dan con la divisa che indossava.
«Ehi ehi, cos'è tutta questa confidenza?» proruppe Abarai, insediatosi tra i due nel giro di qualche secondo. Rukia gli lanciò un'occhiataccia fulminea.
«Zitto» sibilò. Si rivolse poi ad Ichigo, modificando totalmente la sua espressione. «Allora, cavaliere?».
Il biondo si era bloccato: fermo, immobile; pareva quasi incapace di respirare. Lo sguardo attonito di Renji si contrapponeva a quello speranzoso della nobile accanto, intorno alla quale aleggiava un'aria persuasiva da mettere i brividi. Ichigo, nel suo essere perspicace, aveva chiaramente notato il carisma con il quale Rukia gli aveva rivolto l'ultima domanda. Pensò per un attimo che sarebbe stato impensabile rifiutare l'invito.
«S-sì, ci sarò» asserì infine.
Soddisfatta, la Kuchiki accennò un inchino e salutò i due ragazzi, avviandosi verso il portone, ancora aperto. Renji si avvicinò al viso di Ichigo, senza distogliere lo sguardo dall'amica che si allontanava sempre di più.
«In questo momento mi piacerebbe essere Cupido» gli sussurrò. «Magari potrei darti una mano».
Qualche secondo più tardi, Rukia si voltò lievemente verso di loro, mostrando una mano che accompagnava un sorriso a metà tra il candido ed il malizioso. Notando con estrema certezza che quel saluto fosse rivolto a nessun altro se non Ichigo, il rosso si morse il labbro.
«No, credo che non ce ne sia alcun bisogno».










Yo! *3*.
Salve, genteH <3. E' passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho aggiornato,
me ne rendo conto. Il fatto è che ultimamente sono molto impegnata, e non ho
molto tempo da dedicare alla scrittura. Che altro aggiungere? Spero che questo
nuovo capitolo sia di vostro gradimento <3. Ho già in mente praticamente tutta la
storia, devo solo preoccuparmi della stesura +______+. E non per farvi delle
anticipazioni, ma non sarà tutto così rose e fiori, non preoccupatevi XD.
Grazie infinite a tutti quelli che stanno seguendo la storia e che commentano!
Ve ne sono davvero grata <3. Beh, non ho più nulla da riferirvi XD.
Spero di aggiornare presto. Ora vi saluto, Bye! Kyù.

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Capitolo 4
*** Dance with me [Perilous] ***


Turn back the earldom, Part Four.
Dance with me [Perilous].

Il delizioso profumo che confondeva i suoi sensi lo distrasse dalle sue preoccupazioni, e lo convinse ad appressarsi ad uno di quei tavoli colmi di cibi e bevande di ogni genere: il tutto pareva un fiume le cui acque, troppo abbondanti, seguono il filo del loro destino e finiscono per distruggerne gli argini, trascinando via tutto ciò che ostacoli il proprio percorso. Addentò un dolce dall'aspetto invitante, e ne assaporò la bontà sentendolo sciogliere sul palato: il Gusto, egoista, per un momento impedì ai restanti quattro sensi di giocare il proprio ruolo. Nel momento in cui deglutì, gli occhi ripresero conoscenza, riportandolo con veemenza laddove era sprofondato in uno stato di leggera apatia. Non avrebbe mai immaginato che dei dolci – per quanto gradevoli – causassero un tale effetto di disorientamento per una manciata di secondi. Smosse lo sguardo lungo i profili opposti del tavolo, e poco più in là notò la presenza di Renji, impegnato a raccogliere su di un vassoio argenteo tutto ciò che avesse un aspetto appetitoso. Sbuffò, cercando di trattenere una risatina sommessa, e fece per avvicinarglisi; fu malgrado preceduto da una ragazza, la quale scosse il conte rimproverandolo per la sua irrefrenabile gola. Ammise di non averla mai vista prima: riconobbe immediatamente, dagli abiti che portava con grazia, che non dovesse appartenere ad una famiglia nobile. Si fissò ad osservare Renji mentre, accigliato ed insaziabile, si rimpinzava lo stomaco congratulandosi con quella fanciulla per l'ottimo lavoro svolto. Senza rendersene conto, il cavaliere distolse lo sguardo dai due e prese a fissare i suoi stivali: per un attimo credette di essere intrappolato in un sogno. Insomma, cosa ci faceva a quel banchetto ? Si maledisse per aver accettato il docile invito della contessa Kuchiki.
Scosse la testa con vigore, ed una scintilla gli attraversò il cervello; scattò improvvisamente dallo stato di catalessi in cui era nuovamente crollato. Scrutò ogni angolo del giardino della tenuta, ma la lieve oscurità gli impediva di riconoscere ogni singolo volto gli si impartisse innanzi agli occhi. Poco oltre il lungo tavolo circondato da un'ondata di nobili, vide il barone Kuchiki partecipe di un'animata discussione con un uomo dai lunghi capelli bianchi che ricadevano sulle sue spalle; entrambi sembravano compiaciuti, forse per l'eccellente banchetto. In qualche modo era sicuro che, lì attorno, sarebbe riuscito ad incrociare lo sguardo di Rukia: eppure, accanto al sovrano, trovò soltanto una moltitudine di donne elegantissime in attesa di scambiare anche solo una parola con Byakuya Kuchiki. Vederle starnazzare come oche gli sollecitò un senso di nausea alla bocca dello stomaco, tale da causargli una sensazione di lieve bruciore. Non la trovò, tra quel gruppo di corteggiatrici. Le sue iridi ambrate si mossero in ogni direzione, ma continuava a rivedere volti già visti. Perché lei non c'era, dannazione? Eppure era stata lei stessa a porgergli quell'invito. Una voce familiare lo trascinò via dal mondo della sua mente. Quasi rabbrividì nello scorgere un ciuffo di capelli rossi spuntare ad un centimetro dal suo naso.
«Ehi, Ichigo! Ti ho chiamato più volte, ma non rispondevi. Che hai?».
«A-Ah, sei tu, Renji. Niente, sto bene». L'aria del cavaliere non sembrò molto convincente.
«Non avete una bella cera, signor Kurosaki». Quella ragazza che poco prima era in compagnia del conte Abarai fece capolino tra i due, con un sorriso largo quanto il suo viso. Sembrava si divertisse.
«Ci conosciamo?» domandò poi Ichigo, rendendosi conto di essere stato appellato con il suo cognome. Eppure era fermamente sicuro di non averla mai vista prima. Accortasi di aver parlato a sproposito, la ragazza si tappò la bocca, serrando le labbra con le dita. Non poteva assolutamente permettersi di lasciarsi sfuggire nulla di più.
«Ehm... ma no, è stato il conte Abarai a rivelarmi il vostro nome». Pregò silenziosamente che Renji stesse al gioco. Sfortunatamente il suo desiderio non fu esaudito: il rosso, infatti, assunse un'espressione confusa, e non capì cosa c'entrasse lui in quella situazione.
«Ma cosa stai dic-...» una gomitata lo costrinse ad ammutolirsi, mentre sul volto della ragazza sfumò il sorriso candido che prima increspava le sue labbra.
«Comunque, io sono Kyone Kotetsu, la serva personale della contessa Rukia».
Allo sguardo cordiale della fanciulla si contrappose quello totalmente attonito di Kurosaki.
«Piacere di conoscervi».
«P...Piacere mio...». Ichigo cercò di rilassare i muscoli: aveva di fronte forse la persona più vicina alla contessa, santi numi. Ed al cavaliere avrebbe fatto piacere conoscere meglio Kyone; sì, ma in un'altra occasione. In quelle circostanze, proprio non era interessato ad allargare il suo repertorio di amici, malgrado fosse appena giunto in un mondo tutto nuovo, rappresentato dalla contea di Karakura. I suoi pensieri erano concentrati su tutt'altre preoccupazioni, al momento. E Kyone se ne accorse. Se ne accorse, e ne rimase compiaciuta; nelle sue iridi castane brillava la tacita soddisfazione di un piano perfettamente riuscito. Sì, perché era certa che la persona di cui gli occhi del cavaliere erano in cerca fosse proprio Rukia Kuchiki. Da quanto aveva avuto modo di sentire dalla sua sovrana, questo Ichigo Kurosaki doveva essere una persona piuttosto introversa e titubante (o almeno lo era nei confronti della contessa); tale sua caratteristica doveva fondare le sue radici sul fatto che il giovane si fosse recentemente trasferito e conoscesse un numero molto ristretto di volti. Il compito di Kyone sarebbe dovuto consistere nell'osservare il cavaliere da una distanza tale da poter far luce con chiarezza sugli interessi di Ichigo verso la contessa Kuchiki; in altre parole, parlargli e chiedergli qualcosa a riguardo sarebbe stata la cosa più diretta ed efficace. Forse, però, sarebbe stata anche la più schietta ed insensibile. Eppure la malizia della ragazza la indusse ad agire in modo leggermente diverso da quanto avessero pianificato. In un certo senso, voleva mettersi alla prova: fino a che punto sarebbe stata capace di stuzzicare Ichigo?
«State cercando la contessa Rukia, non è vero?».
Colpo di cannone. Boom, spiazzato. Colpito e affondato, se solo si trattasse di una semplice battaglia navale. E Renji era sconcertato quasi quanto lui. Il rosso notò infatti con assidua certezza il disorientamento dell'amico, che era rimasto statico con un nodo alla gola. Una brusca gomitata lo sollecitò ad assemblare poche sillabe e formulare una frase, sebbene questa risultasse poi tartagliata e del tutto poco convincente.
«M... ma no, che dite...».
Santo cielo, era davvero imbranato a nascondere la verità. Kyone rimase invece delusa: ci aveva impiegato troppo poco a crollare, dannazione. Non avrebbe mai pensato fosse così cotto di lei.
Ichigo auspicò con tutto il cuore che accadesse qualcosa avente la proprietà di stornare la loro conversazione su tutt'altro argomento; o non sarebbe resistito un minuto di più. Per sua fortuna – forse – venne presto accontentato: le luci variopinte, che facevano risplendere il giardino nel paesaggio notturno di quella sera, si spensero improvvisamente. Fu il caos. Tutti gemettero nel panico, il buio negava loro l'uso della vista; i musicisti smisero di percuotere le corde dei loro strumenti, le voci dei presenti, prima temperate ed amichevoli, assunsero progressivamente toni più sgomenti. Mentre anche Ichigo e Renji cercavano una risposta a ciò che stava succedendo, Kyone parve perfettamente a suo agio e tranquilla, in quel gran trambusto.
«Bene, ci siamo» sussurrò a se stessa. Si diresse in silenzio, perdendosi tra la folla, verso la scalinata del palazzo, dove accese una fila di candele disposte decorosamente una ad una su ciascun gradino. Batté le mani più d'una volta per attirare l'attenzione su di sé.
«Prego i gentili ospiti di non cedere al panico. Non temete, tutto ciò è solo frutto di una programmazione. Non vi è alcun motivo di preoccuparsi».
Dal prato si sollevò un tiepido brusio, nel quale tutti esprimevano al vicino le proprie opinioni. Le fanciulle sospirarono sollevate, il barone Kuchiki tranquillizzò Ukitake, accanto a sé, mentre Ichigo e Renji stentarono a chiedere ai propri sensi.
«Era tutto programmato?» fece Ichigo, in preda allo scetticismo. L'amico fece spallucce, segnalando di non essere al corrente di nulla.
«Signore e signori» riprese Kyone, dall'alto della gradinata, «...è giunto il momento che la nostra tanto attesa sovrana faccia la sua entrata in scena». Gli occhi di Kurosaki, più di quelli di qualunque altro partecipe al banchetto, si spalancarono considerevolmente, mentre il suo cuore prese a scalpitare.
«Ecco a voi Rukia Kuchiki!».
Il portone alle sue spalle si aprì grazie alla spinta interna di due uomini, ed il rumore cupo provocato venne surclassato dal caloroso applauso che accolse la contessa. Ichigo fu probabilmente l'unico a non batter ciglio: e non per disinteressamento o mancanza di rispetto. Semplicemente, non fu capace di muovere un muscolo; anche quando Renji tentò inutilmente di smuoverlo e farlo reagire con una leggera gomitata, il cavaliere non distolse lo sguardo dalle porte grige dell'entrata di Villa Kuchiki.
Su quello che pareva essere diventato ormai un palcoscenico, Kyone si inchinò nell'attesa dell'arrivo della nobile contessa, mentre un'ombra cominciava a delimitare la sua figura. L'effetto provocato dalle candele era a dir poco sorprendente: creavano la giusta atmosfera calda, sicura e rilassante per un'entrata in scena così ammirevole. Infine, dopo qualche secondo, eccola: incantevole, come al solito. Questa volta era un abito dorato a rivestire il suo esile corpo: un corpetto assolutamente raffinato, una gonna ampia e ricca di decorazioni, un velo pallido che le cingeva le spalle, un prezioso fermaglio che le raccoglieva i capelli in un'acconciatura che permetteva a due ciuffi neri di incorniciarle il viso lievemente arrossato dal trucco, un gioiello che le sfiorava la nivea pelle del collo che tanti bramavano assaggiare. Nulla era fuori posto: perfetta, come aveva sempre avuto modo di vederla. Avanzava, accompagnata dalla mano leggera di Kyone, con le palpebre socchiuse, in attesa di poterle finalmente sollevare per incrociare gli occhi di Ichigo Kurosaki. Questi però distolse immediatamente lo sguardo dalla contessa, rivolgendole il suo profilo: ebbe la vaga impressione che non sarebbe riuscito a sostenere i suoi occhi.
Vederla lo metteva in ansia, e gli procurava un profondo disagio. Desiderarla. Desiderarla, e non poterla avere. Questo era il pensiero che più lo costringeva al dolore. Le differenze sociali costituivano una delle cose che maggiormente lo infastidivano, forse solamente per il fatto di essere nato in una famiglia benestante, ma non appartenente alla nobiltà. Maledisse la sua famiglia per non essere nobile, maledisse Renji per averlo invitato a Karakura, maledisse Ishida per essersi reso disponibile ad accompagnarlo e quindi per averlo persuaso a trasferirsi, maledisse sé stesso per aver accettato; e maledisse Rukia per essere così maledettamente seducente.
Nel pieno delle sue riflessioni, sentì la mano di Renji posarglisi sulla spalla.
«Ti sta guardando, Ichigo».
«Figurati. Starà guardando quello dietro».
«E invece sta guardando te».
Ichigo avrebbe voluto cercarne conferma personalmente, eppure qualcosa, come uno spettro intrascurabile, lo bloccava impedendogli di voltarsi.
«La contessa non può guardare me, Renji. A prescindere».
«Sta guardando te, ti dico» insistette il conte.
Il cavaliere cercò di sciogliere la tensione che gli procurava un leggero tremolio alle gambe. Nel frattempo Rukia aveva sceso lentamente ogni gradino della scalinata della villa, sotto lo sguardo invidioso di tutte le donne e, abbandonata la mano della conducente Kyone, mosse passi incerti attraverso il prato e dirigendosi verso colui che, al di là del fallace aspetto, era teso come uno dei tanti fili d'erba che ricoprivano in un manto verde quello splendido cortile.
«Sta arrivando, Ichigo». Renji aveva appena pronunciato una frase che il biondo non avrebbe mai voluto sentire. La tranquillità dei suoi muscoli era andata ormai a farsi benedire; ed aveva l'elusivo presentimento che anche il suo cervello si sarebbe spento, prima o poi.
Rabbrividì quando Rukia gli si fece pericolosamente vicina, sotto gli occhi increduli dei nobili invitati. Kyone gesticolò dall'emozione; Renji invece cercò di frenare l'istinto di ridere alla reazione dell'amico: sarebbe palesemente suonata come una derisione. Ichigo lo guardò accusatorio, minacciandolo con quelle pupille lievemente dilatate a causa dell'oscurità: la sua intransigenza si dissolse non appena si sentì sfiorare da Rukia, che prese in ostaggio il suo braccio per trainarlo al centro del giardino. Kurosaki, oltre ad avvertire un senso di affanno assalirlo ed una sensazione di tremendo calore inondargli le guance, era perplesso: la contessa non aveva detto una parola dal momento in cui era comparsa dall'ombra del portone, limitandosi solamente ad avvicinarglisi, ad aggrapparsi al suo braccio ed a trascinarlo lì.
In un punto imprecisato del prato, Byakuya Kuchiki fissava turbato la coppia, più corrucciato che impressionato.
«Byakuya, chi è quello?» domandò Ukitake, con una mano poggiata sul suo mento pronunciato.
«Vorrei saperlo anche io».
Il barone posò il calice di cristallo che teneva tra le dita sul lungo tavolo, indirizzando i suoi passi verso il conte Abarai, certo che fosse una sua conoscenza.
Rukia, al centro del giardino, si allontanò di un passo dal suo cavaliere, che rimase a guardarla esterrefatto.
«Allora, cavaliere, non mi invitate a ballare?».
Perfetto, ci mancava solo questa. Ichigo era già ad un passo dal mutare consistenza e trasformarsi in pietra, ed ora avrebbe dovuto ballare con la contessa. Era certo che nel giro di qualche secondo l'unico neurone rimastogli in attività lo avrebbe abbandonato; il cuore avrebbe sfondato la cassa toracica a furia di scalpitare; la sua sanità mentale sarebbe stata in serio pericolo.
Bel quadro della situazione.
Oltretutto, la vista di una Rukia che attendeva spazientita lo turbò ulteriormente. Ma c'era ben poco da fare.
«Ecco... allora...» si inchinò, allungandole la mano. «...Gradireste un ballo?».
Oh, ce l'aveva fatta. Era parso più un insieme indistinto di sillabe farfugliate che un invito a ballare, ma era pur sempre qualcosa. E lei gli aveva sorriso caldamente, come una bambina che avesse appena ricevuto un dono che da un tempo infinitamente lungo aveva atteso trepidamente. Le bastò uno schiocco di dita per ordinare ai musicisti di riprendere a far vibrare le corde ed a suonare le loro note. Contrariamente alle sue aspettative, Ichigo si ritrovò a seguire i passi tracciati dal valzer senza incespicare, ma accompagnando quelli della contessa, che si stupì notevolmente nell'osservare la perfezione nella danza del cavaliere.
«Non mi aspettavo ballassi così bene, Ichigo».
Le sue parole destarono di nuovo il rossore sulle gote del biondo.
«M... Ma no, non sono così bravo. A dire la verità, sono piuttosto arrugginito».
«Davvero?». Ichigo le rispose con un cenno del viso, senza scollare gli occhi dai suoi piedi; un po' per celare la timidezza, un po' per evitare di inciampare sui suoi passi.
«Hai ballato con molte donne in passato?» chiese la fanciulla, fingendosi poco interessata.
«Soprattutto con mia madre. A volte anche con la regina».
Rukia strabuzzò gli occhi. «Hai danzato con Sua Maestà la Regina?!».
Lui abbozzò un mezzo sorriso, sentendosi per un miserabile istante una persona invidiabile.
«Sì, qualche volta. Ma solo perché mio padre è il cavaliere fidato del re, quindi siamo in buoni rapporti con la famiglia reale».
«Oh. Mi sento invidiosa».
«Non dovete, contessa. Uno come me non ha nulla da invidiare».
«Ah ma non ne vuoi sapere di cancellare quella formalità, eh?».
Ichigo si arrestò per un attimo. Come se avesse potuto, parlare in tono colloquiale. Ovvio che non sarebbe mai stato in grado di evitare di rivolgersi a lei formalmente.
«Non potrei mai, contessa. Non mi è concesso e non me lo concedo».
Rukia appoggiò il capo al petto del giovane, facendolo andare in fiamme.
«Allora te lo ordino».
Ichigo rimase spiazzato da quelle parole: sia per il loro significato, sia per il tono allettante con il quale erano fuoriuscite dalle sue labbra.
«Cosa...».
«Chiamami Rukia» lo interruppe, sollevando la testa e fissando gli occhi nei suoi. Kurosaki esitò.
«Ma... non-»
«Chiamami Rukia» ripeté lei una seconda volta, in un sussurro più persuasivo del precedente.
«D...D'accordo... allora... Rukia».
La contessa sorrise sinceramente, appoggiandosi nuovamente al petto di Ichigo, che si irrigidì dopo essere stato assalito da una vampata di calore. Inaspettatamente fu capace di rilassarsi, dopo pochi istanti.
«Grazie» sussurrò lei, mentre oscillavano come piume al vento sulle note della musica.

«Renji» chiamò una voce ferma e decisa.
Il destinatario dell'appello si voltò quasi immediatamente, dopo aver distolto lo sguardo dall'amica che ballava approcciata al biondo, che dal suo punto di vista pareva decisamente impacciato. Il sorriso che piegava i suoi lineamenti sfumò alla vista di Byakuya Kuchiki.
«Oh, barone. Posso esservi utile?» recitò il conte.
Il sovrano gli si fece accanto, così da non essere udito da nessun altro all'infuori di Abarai.
«Chi è quel giovane? Non sembra un nobile» asserì, indicandogli Ichigo con un movimento del viso.
Renji deglutì.
«Infatti non lo è. Si tratta di Ichigo Kurosaki, un cavaliere del re».
«Lo conosci?».
«Sì, ed anche molto bene. È un mio carissimo amico d'infanzia; è il figlio primogenito del cavaliere più fidato di Sua Maestà il Re, Isshin Kurosaki».
Byakuya perseverò nell'osservare la sorella danzare con quello sconosciuto, completamente inflessibile al racconto. Gli si fece ulteriormente più vicino.
«È pericoloso?» sussurrò in tono piatto. I lineamenti di Renji si piegarono in un'espressione quasi sconvolta.
«Pericoloso?! Ma che state dicendo?».
«Per Rukia».
La contessa Kuchiki era la migliore amica di Abarai. Lui la conosceva bene, tanto da poter affermare con certezza che fosse una persona assolutamente cosciente e responsabile. E conosceva bene anche Ichigo. Tanto da poter dire che non avrebbe mai fatto del male a nessuno, tanto meno se la persona in questione fosse Rukia Kuchiki.
«Rukia sa quello che fa. E state tranquillo, conosco Ichigo: è un bravo ragazzo». Si fermò un istante.
«Gentile, educato, responsabile e...».
«Non hai capito» lo interruppe Byakuya, «Non mi interessano le sue qualità. Io intendevo dire che potrebbe rivelarsi rovinoso nei confronti della nostra nobile famiglia. Non accetto che Rukia si innamori di un cavaliere. Sposerà un uomo degno di lei».
Se ne avesse avuto l'opportunità, Renji gli avrebbe volentieri frantumato il setto nasale. Strinse i pugni, cercando di trattenere l'impulso e comportarsi in modo razionale. Byakuya era il classico aristocratico interessato quasi unicamente ai beni ed ai profitti della sua famiglia. Specialmente se si trattasse della sorella: una contessa sposa di un semplice cavaliere? Non sia mai, ai suoi occhi. Nonostante questo fosse il suo modo freddo di volerle bene.
Renji sorprese Byakuya rivolgere uno sguardo torvo e sinistro verso Ichigo, al quale Rukia si teneva stretta; per un attimo ebbe sentore che la vita dell'amico fosse in pericolo.












About the Chapter
Bah, eccoci nuovamente qui, eh. Inutile ripetere per l'ennesima volta che il capitolo
non è di mio gradimento XDDD. No va beh, scherzi a parte... comportiamoci da
persone serie ù___ù. Dunque, c'è da dire che quest'incontro non mi è poi così
dispiaciuto, ed è servito soprattutto per far sì che Ichigo si sciogliesse un po' di più
e soprattutto chiamasse Rukia per nome senza alcuna formalità. Poi, le anticipazioni.
Come avrete notato, Byakuya si sta già muovendo al fine di togliere di mezzo Kurosaki,
perchè potrebbe rivelarsi pericoloso. Ma non accenno nulla di più. Solo, nel prossimo o
nel sesto capitolo succederà qualcosa per la quale sarò costretta ad alzare il raiting.
Questo dice tutto XD. Mi scuso poi per la lunghezza del capitolo ç_ç.

Colgo infine l'occasione per ringraziare di cuore tutti coloro che stanno seguendo
e commentando questa fan fiction! Grazie infinite, davvero <3.
Vi saluto, bye bye!

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Capitolo 5
*** Resentful Ultimatum ***


Turn back the earldom, Part Five.
Resentful Ultimatum.


Il 23 Maggio 1709 era un giorno di pioggia, a Karakura. In Villa Kuchiki troneggiava un silenzio quasi inquietante, forse perché insolito: probabilmente l'animo dei nobili era triste per via del temporale, iniziato quella notte ma che non accennava a cessare. Fuori, nelle strade sterrate, le pozzanghere infangavano le poche e piccole depressioni, e venivano spesso squarciate dal passaggio delle grandi ruote delle carrozze piuttosto che calpestate dagli zoccoli dei cavalli o da qualche passante maldestro. Erano ore che le gocce di pioggia si schiantavano al suolo, ormai. L'unica a godere di tutta quell'acqua era probabilmente la rigogliosa vegetazione del giardino della villa, il cui prato desiderava prendersi una pausa dal venir calpestato di continuo.
Nonostante fosse albeggiato da poco, Byakuya Kuchiki si era già sistemato alla sua scrivania, accomodato sulla sua poltrona personale che, in tutti quegli anni, aveva assistito a chissà quanti e quali affari. Malgrado il tempo trascorso dalla sua forgiatura, quella poltrona non era per nulla usurata: anzi, il suo colore era ben lontano dal sembrare opaco e consunto.
Il barone era impegnato ormai da minuti a firmare qualche solito documento, mentre sorseggiava una tazza di tè fumante. Ogni tanto si ritrovava a specchiarsi nel ritratto di sua moglie Hisana, che se ne stava lì, appeso alla parete di fronte alla scrivania, grande quanto la finestra che costituiva l'unica apertura di quella stanza verso l'esterno della villa. Ogni volta posasse gli occhi su quel dipinto, notando la fortissima e tangibile somiglianza fisica che legava sua moglie a Rukia, pensava alla sorella, e quindi ai ricordi della sera precedente. Allora si ritrovava a riflettere sul come la contessa di Karakura potesse provare qualcosa verso un semplice cavaliere: poi si sfregava la fronte, e pensava che in fondo, un ballo non significasse nulla di non superfluo. Eppure, in un certo senso, riscontrava in sé una strana insicurezza; e se quel cavaliere stesse solo avvicinando Rukia per poi trarre vantaggio dal matrimonio con una nobile? Se fosse interessato solo ai profitti che potrebbe ricavarne? Anche se Renji aveva cercato di rassicurarlo, Byakuya era fermamente convinto che tutto ciò fosse inaccettabile.
«Cara Hisana...». Si sollevò dalla sedia, avvicinandosi al ritratto.
«Rukia sta crescendo... ormai è una donna stimabile, sai. Eppure... c'è qualcosa in lei che mi turba, e che mi rende insicuro. E poi... poi c'è quel Ichigo Kurosaki». Sfiorò il quadro con la punta delle dita in corrispondenza del viso, sentendo l'olio della pittura inumidirgli la pelle.
«Hisana... cosa devo fare? Non voglio che mi portino via anche lei...».
L'espressione lieta e sorridente di Hisana Kuchiki seppe strappare un sorriso anche al freddo barone, che si sentiva rassicurato ogni volta ammirasse quei lineamenti tanto amati.
«Ho deciso» asserì infine. «Ichigo Kurosaki, io... farò in modo che sparisca».

***

La flebile luce del sole sorgente sollecitò le sue palpebre ad aprirsi; quando Rukia realizzò che fosse già mattina, avvertì un leggero disagio nel riconoscere che ormai una notte l'avesse separata da quel banchetto, durante il quale aveva ballato con Ichigo: ancora distesa sul letto, abbracciò il lembo della coperta e la strinse forte al suo petto, cercando di ricordare le sensazioni che aveva provato. Ma immediatamente capì che no, le sarebbe stato impossibile esprimere a parole quei sentimenti, che sentiva ancora vicini e che sperava trepidamente non l'abbandonassero mai. Sapeva solo, con certezza, di essere stata bene, lì, piacevolmente immersa nel calore che il corpo di Ichigo, così vicino, le trasmetteva. Forse non si era mai sentita così serena; e doveva tutto a Kyone. Era stata quest'ultima, infatti, ad organizzare la serata: il banchetto, la messa in scena, i suoi abiti ed il suo trucco. Era stata lei a renderla perfetta agli occhi del bel cavaliere che, secondo il suo racconto entusiasta, doveva essere davvero cotto, per quanto si ostinasse a nasconderlo. Anche se Rukia, di questo, non era per nulla convinta.
Scese dal letto in punta di piedi, dirigendosi verso la porta della stanza. Non aveva alcuna voglia di vestirsi ed indossare quei soliti abiti che lei stessa reputava scomodi e poco elastici. Percorse un largo corridoio, prima di cominciare a scendere gli alti gradini di una scalinata che portava al piano sottostante, dove incrociò Kyone.
«Oh, contessa Rukia, buongiorno!».
«Buongiorno a te, Kyone».
La nobile si sentì squadrare da capo ai piedi.
«Ma cosa ci fai ancora in camicia da notte?» brontolò la serva.
Fine della fuga di libertà senza vestiti imprigionanti.
Rukia si sentì afferrare il polso, e venne trascinata via nel suo punto di partenza, dal quale si era furtivamente mossa con tanta cautela.
«Vieni, vieni! Il barone Kuchiki vuole parlarti, non puoi presentarti nel suo ufficio conciata così!».
La Kuchiki deglutì. «Mio fratello vuole parlarmi?».

Statica davanti alla porta dell'ufficio, Rukia sapeva già tutto: sapeva di cosa suo fratello l'avrebbe rimproverata, conosceva il motivo della sua convocazione. Sapeva cosa l'avrebbe aspettata, sapeva le conseguenze delle sue azioni; lo sapeva sin dall'inizio. Ciò che non sapeva era cosa avrebbe dovuto dire, cosa avrebbe dovuto fare. A quel punto si chiese solo se sarebbe stata capace di reggere le parole di Byakuya.
Abbassò la maniglia della porta, senza prestare troppa attenzione al tremolio delle sue mani e al palpitare del cuore. Nel peggiore dei casi sarebbe stata ripudiata, ma immediatamente ricacciò indietro quel pensiero: per quanto acido potesse essere, sapeva che suo fratello non sarebbe stato capace di fare una cosa del genere.
Spinse, ansimante, quindi entrò.
«Buongiorno, nobile fratello. Desideravate parlare con me?».
L'espressione di Byakuya non si alterò minimamente, né mutò il suo sguardo quasi insensibile.
«Sì. Prego, siediti pure».
Brutto segno. Quando Byakuya invitava qualcuno a sedersi, stava a significare per certo che si trattasse di una cosa irrisolvibile in pochi minuti. Nonostante ne fosse a conoscenza, Rukia accolse questa sua esortazione e si accomodò su una sedia di fronte alla scrivania. Byakuya sospirò profondamente, iniziando il suo discorso soltanto qualche secondo dopo, tempo durante il quale il silenzio era rotto solo dai loro respiri.
«Rukia... posso farti una domanda?» chiese, con un tono inaspettatamente modesto e gentile.
«Certamente, fratello».
«Ieri sera...» proseguì, in tono piatto. «Con chi stavi ballando, ieri sera?».
Eccola, la tanto fatidica domanda che Rukia si aspettava, alla quale però non avrebbe saputo rispondere. Non aveva scuse, no, non ne aveva. Dopotutto era stata una sua decisione ballare con Ichigo. Perché lei aveva desiderato farlo. E allora? Dov'era il problema? Chi non è nobile non è un animale. Cosa contava, la classe sociale di appartenenza? Cosa, comparata ai sentimenti? Nulla. Semplicemente non contava niente, poiché se due persone vogliono stare insieme, stanno insieme, al diavolo le classi sociali. Questo pensava Rukia, ed era forse l'unica cosa della quale era fermamente convinta. Avrebbe volentieri rinunciato alla sua posizione, se questo avrebbe voluto dire inseguire i propri ideali. Per questo, non ebbe paura di rispondere; inoltre, era certa che suo fratello fosse già risalito all'identità del misterioso cavaliere: impossibile che non avesse già provveduto a rovistare tra i meandri della sua vita privata, per indagare su ogni suo singolo movimento. Nonostante sapesse che Byakuya Kuchiki, in fondo, le volesse bene, vivere accanto a lui era una prigionia.
«Ichigo Kurosaki, un cavaliere del re. Ma dubito che voi non lo sapeste già».
Rukia deglutì, nel vedere gli occhi del nobile fissarsi nei suoi. Tentennò un istante.
«Da dove viene questa tua convinzione? Cosa ti fa pensare che io lo sapessi già? Se l'avessi saputo, non te lo avrei chiesto. Non ti sembra?». Stranamente – molto stranamente – il suo timbro di voce si era addolcito.
«È il vostro modo di fare, fratello. Sono certa che voi sapete già tutto. Mi sbaglio, forse?».
Rukia assottigliò gli occhi cristallini, in uno sguardo che Byakuya interpretò come un gesto di sfida.
Sapeva che la sorella non era abile nel desistere, e che non avrebbe rinunciato a credere nelle sue sicurezze; probabilmente non avrebbe ceduto alle sue menzogne. Il barone sospirò, sconfitto, attorcigliando le dita tra loro.
«E va bene. Lo sapevo». La contessa scosse la testa e sorrise, acidamente ironica. Sapeva che la loro conversazione si sarebbe trasformata in una discussione, per poi sfociare in un litigio. Sarebbe stato scontato.
«Ci avrei scommesso», affermò con una punta di ostilità.
«Rukia... non pensare che io mi stia facendo gli affari tuoi».
«Ah, non dovrei?». Si alzò in piedi, scostando la poltroncina dietro di sé spingendola via con le gambe.
«Io mi sto preoccupando per te... Sto cercando di proteggerti». Il volume della voce iniziava progressivamente ad alzarsi, e quest'ultima frase fuoriuscita dalle labbra di Byakuya bastò per fare esplodere Rukia.
«Proteggermi?! È questo il tuo modo di proteggermi?». Mantenere un linguaggio educato e formale era già stato cancellato dalla “lista delle cose più importanti da fare in presenza di Byakuya Kuchiki” della contessa.
«Spiandomi ed indagando su tutto ciò che faccio? Sarebbe questo, il tuo modo di prenderti cura di me?!».
Byakuya, ascoltandola, cercava di giustificarsi, ma l'irascibilità della sorella permetteva lui solo di sollevare le mani e gesticolare, tentando di re-instaurare la calma.
«Rukia... Rukia, lasciami spiegare...».
«Non c'è nulla da spiegare! Ne ho abbastanza della tua prigionia, ho diciannove anni, so badare a me stessa!».
Byakuya si levò in piedi, troneggiando sulla sorella, che però malgrado le sue aspettative non accennò ad abbassarsi, mutando il suo linguaggio e comportamento.
«Talmente bene da incollarti ad un cavaliere!» la rimproverò il barone, acre e pungente. Lei ridusse gli occhi a due fessure. «Già, perché per te chi non è nobile è spazzatura». Ci mise tutto il veleno di cui era capace, tanto che le lacrime iniziarono ad accumularlesi agli angoli degli occhi, dove rimasero paralizzate.
Byakuya frenò l'istinto di schiaffeggiarla per la sua mancanza di rispetto, poiché infondo, riflettendo, le parole della sorella non erano state poi così assurde e false. Ma, sebbene si sforzasse, non riusciva a tollerare l'immagine della sua cara Rukia accanto ad Ichigo Kurosaki. Sospirò profondamente.
«Ora basta. Se vuoi continuare a vederlo, quella è la porta».
Rukia accolse volentieri quell'ultimatum, rivolgendogli un ultimo sguardo torvo e astioso. Non sopportava più quella situazione, né quella perenne sensazione di disagio che l'aveva stritolata per tutta l'intera durata della conversazione. Aveva perforato l'orgoglio di suo fratello, ma, nonostante in quel momento lo odiasse, non riuscì a trarre sollievo e conforto da quel suo gesto; anzi, il fatto di aver offeso Byakuya le procurò una certa sofferenza.
Si morse la lingua e, distolto lo sguardo dal viso supplichevole del nobile, si diresse con foga verso la porta, che fu aperta e velocemente richiusa con veemenza, lasciando quella stanza affogare nel silenzio. Il barone si risedette, appoggiò i gomiti sulla superficie lucida della scrivania e si afferrò la testa tra le mani, stringendola con forza.
«Non volevo finisse così...» mormorò, ma Rukia era già lontana.

La contessa scese le scale con ardore, senza badare alle serve che le chiedevano cosa fosse successo; un ciuffo di capelli le nascondeva il viso, ormai rigato da quelle lacrime che fino a poco prima non avevano trovato il coraggio – la forza – di solcarle le guance. Avanzava veloce sostenendo la gonna dell'abito per evitare di inciampare sui suoi passi, sentendo distintamente le gocce di pioggia inumidirle i capelli e impregnarle i vestiti. Sapeva dove stava dirigendosi. Sapeva che, come suo solito, lo avrebbe trovato lì. Da solo, lui, lui e nessun altro.

Come d'abitudine, Ichigo Kurosaki si accingeva a prendersi cura del suo bellissimo cavallo, pensando immancabilmente all'insieme di sensazioni provate la sera prima, quando aveva accompagnato la danza della contessa di Karakura sulle note di un valzer. Pensò a quanto tutto, nel giro di non molto tempo, era sfumato, diventando solo un ricordo. Un ricordo che andava scemando, ma che riusciva a rimanere nitido e vivo nella sua mente. Non sapeva neppure lui cosa, di preciso, avesse provato; ricordava perfettamente che, quando Rukia gli si era poggiata al petto, il suo stomaco si era raggomitolato in una morsa tale da impedirgli di respirare per un attimo, e la situazione creatasi era poco diversa da quella che lui si era esageratamente creato. Fortunatamente, non si era trasformato in pietra, il suo unico neurone attivo era rimasto dov'era senza andare in giro a prendersi un drink abbandonandolo al suo destino, la sua cassa toracica era ancora intatta e la sua sanità mentale, malgrado il rischio corso, ne era uscita illesa. In quel groviglio dei ricordi, si chiese se Rukia Kuchiki si stesse prendendo gioco di lui: l'invito alla festa, il ballo, l'annullamento delle formalità, i fuggenti sguardi maliziosi. Una favola al centro della quale giocano il proprio ruolo i due protagonisti: una rispettabile contessa ed un cavaliere idiota di infimo livello. Una favola, appunto. Prima o poi quel gioco sarebbe terminato, lasciandolo in preda alle sue dannate illusioni che lo avevano tradito.
Non mi sembra una persona tanto stronza...” pensò, accarezzando il crine ispido del cavallo. Un rumore sordo lo distrasse, e si rese vagamente conto che qualcuno doveva aver bussato; scosse la testa nel tentativo di scrollarsi tutte quelle riflessioni di dosso, e si avvicinò velocemente al portone grigio. Quando lo aprì, il tintinnio delle catene riecheggiò rimbalzando tra le pareti della scuderia; prima che potesse rendersene conto, però, gli si catapultò sul petto un esile peso, che riconobbe all'istante.
«Cont...» si irrigidì, ricordandosi dell'ordine datogli. «Rukia...?».
La sentì singhiozzare, e vide le sue spalle sollevarsi ritmicamente. Le strinse le braccia, allontanando il suo corpo minuto di una distanza tale da poter intravedere il suo volto. Si intirizzì, sgranando gli occhi: stava piangendo.
Tentò, impacciato, di asciugarle le lacrime, sfiorandole il viso con il pollice della mano, cercando di essere delicato; in quel momento Rukia gli sembrava così fragile da potersi incrinare da un momento all'altro.
«Rukia... cos'è successo?».
Lei non rispose, limitandosi ad aggrapparsi sempre di più al corpo di Ichigo, come se quel contatto non le bastasse mai. «Fammi restare qui, ti prego...».
Il cavaliere non seppe chiederle altro. Sentendosi stringere con energia, le cinse le spalle con ambedue le braccia, ricambiando, lievemente imbarazzato, quella sorta di abbraccio, nel tentativo di farla sentire al sicuro.
Sentì improvvisamente un suono leggero, che Rukia, nel suo rimanere così tranquilla, non doveva aver sentito: fu certo si trattasse dei passi di qualcuno che si stava allontanando. Prese a fissare lo spicchio di prato visibile dalla fessura lasciata dalla porta semi aperta, notando dei movimenti. Qualcuno, forse, li stava spiando.

***

«Allora? Dov'è andata?».
«Avevate ragione, nobile barone Kuchiki. Ho visto vostra sorella abbracciata a quel tale Ichigo Kurosaki» ammise un soldato, composto e serio dinnanzi a Byakuya; quest'ultimo raccolse dalla sua scrivania una lettera, e la porse all'uomo, insieme a del denaro.
«Questo è quel che ti meriti. Ora porta questa lettera al duca Aizen» ordinò, mentre l'altro scrutava all'interno di quel sacchettino di velluto, valutando il totale delle monete preziose che vi trovò.
«È molto importante, perciò cerca di impiegare poco tempo. Si tratta di un affare urgente».
Byakuya si voltò verso la finestra, ammirando il panorama all'esterno della villa.
«Certo. Grazie infinite, Maestà».

«Ora va'» gli impose il barone, gli occhi socchiusi, sentendo un leggerissimo fruscio di abiti determinato dall'inchino del cavaliere, il quale uscì dall'ufficio con passo svelto. Quando percepì la porta chiudersi, Byakuya sospirò. «Spero tu accetterai la mia proposta, Aizen».



















YaH <3.
Salve a tuttiH. Non penso di essere in ritardo, stavolta, dai ù__ù.
Cooomunque, ormai è chiaro che il nostro Byakuya si stia muovendo.
Quale sarà, il contenuto della lettera? Lo scopriremo nella prossima puntata ù___ù.
XDDDD Scherzi a parte, mi è piaciuto il loro litigio. Una discussione abbastanza 
accesa, direi. Ma ci voleva, finalmente Rukia si è sfogata. Ci vorrà un bel
po' prima che i due si riappacifichino. Ma questo lo vedrete in seguito <3.
La data l'ho messa a casaccio, a parte l'anno XD.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio moltissimo coloro che

leggono e che recensiscono, come al solito <3.
Arrivederci alla Part Six! Kyù <3.


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Capitolo 6
*** It will end tonight ***


Turn back the earldom, Part Six.
It will end tonight.


Le nuvole che minacciose si accavallavano l'una sull'altra oscurando il cielo grigio sembravano far trasparire il presagio di una tumultuosa giornata di pioggia, forse ancor più tempestosa della precedente. Le gocce d'acqua cadevano cospicue, lente, l'una dopo l'altra, quasi come se fossero stanche di precipitare al suolo; poi, non appena le nuvole si fossero riposate, sarebbe caduta altra pioggia. E poi ancora, ancora; fino a quando le nubi si sarebbero stancate di piangere lacrime amare. Di tanto in tanto qualche fulmine squarciava il cielo ed illuminava la facciata anteriore di Villa Kuchiki, accompagnato da un rumore sordo, come se tra quelle nubi si stesse aprendo una faglia, una spaccatura, profonda ed irreparabile; allora poteva essere intravista la figura di un uomo, in piedi dinnanzi al portone grigio dell'entrata, rivolto verso la strada ciottolata che circondava l'enorme fontana del giardino anteriore della dimora.
Byakuya Kuchiki, dunque, rimirava quel lussureggiante giardino paragonabile ad un paradiso trasformarsi in un inferno, infangato da quella pioggia che, ormai, perdurava da due giorni. Erano minuti che, con un'espressione assente, fissava i suoi occhi scuri su ogni carrozza che passasse di lì, come se attendesse, spazientito, che una di esse si fermasse. Il via vai che si presentava al suo sguardo lo rendeva ancor più nervoso di quanto già fosse.
Era quasi mezzogiorno, nonostante l'inquietante buio che vi regnasse; e Rukia non si era ancora fatta viva. Non c'era nella sua stanza, né in giardino, né in cucina, neppure alle scuderie. Vi era solo un luogo dove potesse essere andata. Se solo avesse saputo dove fosse situata la dimora di Ichigo Kurosaki.
Non era stata sua intenzione allontanarla, e non lo aveva fatto: secondo la sua interpretazione dei fatti, la sorella aveva adempiuto la sua scelta, incondizionatamente. La porta del suo ufficio, in quella situazione, aveva rappresentato il confine tra il mondo di quel cavaliere che non la meritava ed il suo mondo; lei, semplicemente, aveva oltrepassato quell'orizzonte dalla parte sbagliata.
E, seguendo il corso dei suoi pensieri, presto Rukia avrebbe incespicato sui suoi stessi passi, e sarebbe precipitata in un baratro solitario del quale non sarebbe più riuscita a risalire le pareti. Sentì un brivido percorrergli la schiena, dall'alto verso il basso, lungo la spina dorsale; quel brivido che poi finì per scontrarsi ed esaurirsi laddove le sue mani si legavano, incrociate tra loro, costituendo un ostacolo insormontabile: si era mosso uno spiraglio d'aria.
E quello stesso soffio di vento aveva trascinato con sé ciò che Byakuya stava attendendo: in quel momento, infatti, una carrozza fece capolino davanti ai suoi occhi, sulla strada di ciottoli, calpestata dagli zoccoli pesanti di un duo di cavalli; grande ed imponente, decisamente più vistosa rispetto a tutte quelle che aveva avuto modo di vedere quel giorno. Un cavaliere si catapultò immediatamente, fermati i cavalli, accanto alla porticina dalla quale si affacciò con grazia un uomo dall'aria nobile e degna di portare il proprio titolo, un paio di occhiali nascondeva i suoi occhi ed un cappotto copriva le sue spalle larghe. Egli si avvicinò, cercando di ripararsi dalla pioggia che si faceva sempre più fitta, al barone Kuchiki, il quale lo accolse con un inchino raffinato ed elegante.
«Benvenuto a Villa Kuchiki, duca Aizen».
«Vi ringrazio» rispose l'uomo, senza scomporsi né alterare la sua espressione.
«Avete fatto buon viaggio?».
«Sì, non ho avuto nessun problema. Sono partito appena ho ricevuto la vostra lettera e, come vedete, penso di essere giunto qui in anticipo. Vogliate perdonarmi, ma la vostra richiesta mi ha molto incuriosito».
Sul volto di Byakuya si evidenziò gradualmente un sorriso, seppur falso e recitato; quindi, condusse il nobile invitato all'interno della villa.
«Gin si trova qui, non è vero?» domandò Aizen, guardandosi attorno e riconoscendo che quel posto era rimasto tale e quale a quello impresso nei suoi ricordi. Sousuke Aizen era un virtuoso duca meritevole di rispetto che, per un certo periodo di tempo appartenente al passato, aveva alloggiato presso Villa Kuchiki: tutti erano a conoscenza della sua persona, tutti lo conoscevano come colui che porta a termine qualsiasi tipo di affare; solo pochi informati, tuttavia, sapevano che questo Aizen era raccomandabile soprattutto per affrontare richieste di un genere ben preciso.
«Se vi riferite al marchese Ichimaru, risiede qui con la moglie da ormai due anni».
«Benissimo. Andrò senz'altro a fargli visita».
«Come desiderate» recitò il barone, aprendo l'uscio del suo ufficio e facendovi accomodare Aizen. Quest'ultimo accolse cordialmente il suo invito, collocandosi su quella poltrona sulla quale si era già seduto più volte.
«Allora» iniziò il duca, in tono placido «...parliamo di affari?».

***

Di fronte alla scalinata di Villa Kuchiki, Rukia sostava pensierosa, riflettendo su quei due giorni durante i quali si erano succeduti senza tregua una serie di fatti che sembrava non avesse mai fine, troppo sconvolgente per essere oltrepassata e dimenticata semplicemente con un sì o con un no. Le cose erano ben più complesse di una scelta elementare: sì, avrebbe desiderato continuare a vedere Ichigo; no, non avrebbe voluto rinunciare all'affetto del fratello e alla nobiltà. Probabilmente, Byakuya si sarebbe adirato, vedendola. Sì, dopo aver lasciato Villa Kuchiki ed essersi recata da Ichigo alle scuderie, non era più tornata indietro. Il cavaliere l'aveva accolta nella sua casa su richiesta personale della contessa, e lei aveva passato lì la notte. Ancora le rimbombava nella testa ciò che si erano detti la sera prima; dure parole difficili da cancellare, e che faticosamente avrebbe represso.
Perché non vuoi tornare a Villa Kuchiki?
Lei era rimasta in silenzio, senza dire nulla. Poi però, incontrando il suo sguardo volenteroso di sapere, conoscere le ragioni, le risposte che stava cercando, aveva chinato il capo e aveva ceduto, vedendo le dita di lui intrecciate con le sue.
Non voglio vedere mio fratello.
Banale risposta da bambina capricciosa, era stata la sua. Poi, Ichigo aveva allentato la presa con la quale stringeva le mani della nobile ragazza. Allora aveva capito che qualcosa si era incrinato.
È a causa mia, vero?
La sua voce era decisamente mutata, in un tono incline all'inespressivo.
Rukia, per il tuo bene... dimenticami.
E lei era rimasta paralizzata da quelle parole, perché no, non poteva credere che le avesse davvero pronunciate lui.
Quel “dimenticami” era stato capace di colpirla come una palla di cannone, di stritolare il suo stomaco in una morsa che non voleva saperne di sciogliersi. Sarebbe stato normale, per Ichigo, sentirsi in colpa per ciò che era successo, ma Rukia sapeva perfettamente che lui non c'entrasse nulla; l'unico a giudicarlo colpevole sputando sentenze al vento senza approfondire la sua conoscenza altri non era che Byakuya Kuchiki. Per questo, la contessa giurò al cavaliere che non lo avrebbe mai dimenticato dando ascolto alle sue parole, e che avrebbe preferito molto di più obliare la sua posizione a Karakura, piuttosto che quel loro rapporto che si era da poco plasmato. Ichigo ci era rimasto di sasso, pur cercando di convincersi che, forse, Rukia non sapesse quello che stava cercando di fronteggiare. E la mattina seguente, la ragazza se ne era andata, affermando di tornare a Villa Kuchiki.
Ora infatti, Rukia si trovava lì, a metà di quella lunga gradinata, indecisa se continuare a salire o scendere; comportarsi da codarda non era però scritto nel copione delle sue intenzioni: per questo decise di proseguire verso l'alto e di non abbassarsi per nessun motivo. Si accorse che aveva smesso di piovere. Il prato del giardino era ancora umido, il cielo ancora tinto di grigio: probabilmente quella sera avrebbe tempestato nuovamente.
Mentre, con passi incerti, si avvicinava progressivamente al portone, quest'ultimo si aprì cigolando, lasciando spazio ad un'ombra che fu presto sostituita all'immagine di un uomo, che Rukia riconobbe quasi istantaneamente. Ne rimase incredula, spiazzata, e non poté fare a meno di pensare cosa vi facesse il nobile Aizen nella sua dimora. Dopo solo qualche secondo, alle spalle del duca comparve la figura del fratello, che parve ignorarla completamente, nel momento in cui scese le scale per accompagnare Aizen tra il verde umido di pioggia del giardino di Villa Kuchiki. Non la aveva neppure guardata negli occhi, non le aveva rivolto una parola, un cenno del viso, un gesto. Nulla. Semplicemente, le era passato accanto con le palpebre socchiuse, come se lei non contasse niente, come se lei non fosse neanche lì. Accortasi di essere rimasta immobile su un gradino, riattivò il passo e marciò verso il portone, rientrando nella villa per raggiungere la sua stanza.

«Come mai non avete neppure degnato vostra sorella di uno sguardo?» domandò, sempre con quel suo mite sorriso, il duca Aizen. «Se è per la storia che mi avete raccontato, non avete alcun motivo di cui preoccuparvi. Ciò che vi infastidisce e vi rende irrequieto sparirà presto, ponendo finalmente la parola fine» continuò, serenamente.
Byakuya si rivolse al compagno di affari in tono estremamente piatto, quasi disinteressato. «Quanto presto?».
«Finirà stasera».

***

Come aveva previsto quel pomeriggio, quando si era fermata sui gradini di Villa Kuchiki, aveva ricominciato a piovere. Il maltempo, però, non l'avrebbe fermata: aveva deciso di incontrarsi con Ichigo a casa del suddetto cavaliere, quella sera. Proprio non ce la faceva a rimanere chiusa all'interno di quelle mura. Si sentiva soffocare, sotto perenne osservazione, come se fosse incarcerata per un qualche crimine che non aveva commesso. Inoltre, con Sousuke Aizen nei paraggi non si sentiva pienamente a suo agio, nonostante quella fosse casa sua; non voleva lasciare Ichigo da solo: degli strani presentimenti gli ronzavano nella testa, presentimenti che voleva scacciare via, ma che continuavano a ricollegarsi al volto del duca appena arrivato. Si chiedeva e si richiedeva per quale assurdo motivo Aizen si trovasse a Villa Kuchiki, per quale assurdo motivo suo fratello gli avesse garantito ospitalità presso la sua casa, e per quale altro assurdo motivo proprio in quei giorni, quando tra lei e Byakuya regnava un'atmosfera pesante e tesa come un filo di una macchina da cucire. Tentò di scollarsi il peso di quei pensieri, recuperando un ombrellino per ripararsi dalla pioggia battente e precipitandosi fuori dalla sua stanza, giù per le scale, e raggiungere l'uscita della tenuta. Cercò di concentrarsi solo e soltanto sul suo appuntamento, senza badare a nient'altro che reputasse insignificante.
Ma dalla fretta che le causava l'ilarità, non si accorse che il marchese Gin Ichimaru la stava scrutando da dietro un buio angolo, con il suo solito ghigno dipinto sul volto.

Rukia si affrettò a raggiungere la porta d'entrata della dimora di Ichigo. Tutto lì attorno pareva estremamente silenzioso, le luci erano spente, non era percepibile alcun rumore. Bussò, ed attese freneticamente, nascosta sotto quell'ombrellino che non la riparava molto dalla tempesta. Non ottenendo nessuna risposta, bussò di nuovo, ma la accolse solo il silenzio. Quindi provò ad aprirla, ma si rese conto che fosse chiusa.
«Strano... non è ancora tornato. Ora che ci penso, questa sera doveva andare a cenare alla locanda; probabilmente starà ancora tornando indietro...». Decise quindi di andargli incontro, dirigendosi a quella locanda dalla quale Ichigo stava già facendo ritorno.

Privo di qualsiasi modo discreto per ripararsi dalla pioggia insistente di quella sera, Ichigo si affrettava a tornare a casa, conscio del fatto di dover incontrare Rukia. Quel pomeriggio non aveva fatto altro che pensare a lei, alle sue parole, alla sua disponibilità. Ciò che più di lei lo aveva colpito – e affascinato – era la sua determinazione, il suo coraggio nell'affrontare il mondo a testa alta.
Io non sono una pedina nelle mani di mio fratello. Pertanto, ho già preso la mia decisione ed intrapreso la mia strada. E continuerò a percorrerla, fino alla fine.
Che cosa avesse voluto dirgli con quella frase, prima di scomparire dietro la porta, non lo aveva ancora compreso pienamente. Ma grazie a questo aveva visto in lei accendersi la fiamma della tenacia e della grinta, che solo una donna orgogliosa come Rukia Kuchiki avrebbe potuto possedere. Forse, che la loro relazione fosse ancora in piedi era solo per merito della volontà e della fermezza di quella ragazza, che già in quel momento sentiva di adorare.
Anche se, sinceramente, quella stessa ragazza gli aveva rimescolato tutto dentro.
Ichigo si affrettò a tornare a casa. Inspiegabilmente, però, le sue gambe cedettero all'improvviso, seguite a rotazione da tutto il resto del corpo, e si ritrovò sdraiato – o, sarebbe meglio dire, accasciato – su quella distesa di prato che, in quel momento, gli sembrò infinita. Solamente qualche secondo dopo avvertì una fitta lancinante al petto, che gli sembrò così dolorosa da essere palpabile. Acuta, lacerante, pungente; di un'intensità che gli fece strizzare gli occhi. Artigliò la sua divisa da cavaliere all'altezza della fitta, quando le sue mani si immersero in una vernice rossa che continuava a sgorgare dal suo torace. Vernice che però non era vernice. Inchiostrava di rosso i suoi vestiti, dipingeva la sua veste, macchiava l'erba sotto di lui; ma non era vernice. Era sangue. Qualcuno gli aveva sparato, ma non riusciva né a pensare, né a vedere, né a sentire lucidamente. Tutti i suoi sensi si concentravano su quella ferita, su quel proiettile che lo aveva trapassato da parte a parte, immobilizzandolo al suolo agonizzante. Il respiro iniziava ad affannarsi, il sangue aveva già intaccato le vie respiratorie, era giunto alla bocca, dove lo travolse un sapore che reputò orrendo. Strinse la ferita e vomitò sangue, arrancò di qualche passo.
Incontrò una scarpa, e riuscì di poco a sollevare lo sguardo per vedere il volto del suo assassino.
«Oh? Non sei ancora morto, ragazzo?». La sua espressione era stranamente placida. Ichigo si accorse che non aveva in mano una pistola. Ma allora chi aveva premuto il grilletto, se non l'uomo che aveva di fronte? Si accorse della presenza di qualcuno alle sue spalle, ma rigurgitò altro sangue e non riuscì a voltarsi. I muscoli non rispondevano ai suoi comandi, continuava a tossire e gli si era già annebbiata la vista.
«Che faccio, gli do il colpo di grazia?» chiese ghignante e speranzosa la figura misteriosa dietro di lui.
«Lascia stare, Gin. Tra qualche minuto i suoi polmoni si riempiranno di sangue, e sarà la fine. Lasciamo che soffra ancora un po'. Così magari si pentirà e potrà varcare la soglia del Paradiso».
L'assassino sbuffò ironicamente, ed il lieve suono che Ichigo percepì gli fece capire che l'uomo avesse riposto l'arma con il quale aveva sparato quel proiettile che lo stava uccidendo. Sentì dei passi dietro di lui allontanarsi, e scomparire. Ora, l'unico suono percepibile era il ticchettio della pioggia che cadeva insistentemente, che gli aveva bagnato i capelli e i vestiti. Quella stessa pioggia che aveva ormai lavato via il sangue che aveva infangato i fili d'erba, i quali accarezzavano il suo viso affondato nel prato che avrebbe costituito la sua tomba.
Non riusciva a parlare, non riusciva a riflettere, non riusciva a sentire. Capì solo che sarebbe morto lì.

In quel momento, Rukia fece capolino tra gli alberi del piccolo boschetto antecedente il prato. Camminava allegramente, sostenendo quell'ombrellino che le scivolò via dalle mani non appena vide il corpo di Ichigo disteso sull'erba in un bagno di sangue. Urlò il suo nome, senza sapere che lui non l'avrebbe sentita, non avrebbe recepito la sua voce, poiché già i suoi sensi lo avevano abbandonato. Giunse immediatamente al suo capezzale, lo prese fra le braccia, ripeté e ripeté il suo nome, sempre più tremolante, sempre più nel panico.
«Ichigo, Ichigo! Rispondimi, Ichigo!». Lo scosse, agitò il suo corpo, fino a quando riuscì a vedere i suoi occhi aprirsi leggermente.
«R...uki...». Vaneggiava, sembrava stesse mescolando sillabe a caso, ma il suo nome fuoriuscire dalle sue labbra bagnate dalla pioggia, Rukia, riusciva a sentirlo.
«Va tutto bene, sono qui...»
gli disse lei, accarezzandogli il viso, ma sapeva che in fondo, niente andasse per il verso giusto. Piangeva, urlava aiuto, ma nessuno l'avrebbe sentita. Per qualche secondo, i sensi di Ichigo ripresero a funzionare, ma sentire urlare la contessa lo abbatteva ancor più, causandogli un senso di angoscia e dolore sempre più forte e percuotente. Finché i suoi sensi tornarono nuovamente ad annebbiarsi, lasciandogli sentire solo il grido di Rukia per un'ultima volta, prima di abbandonarlo. Ancora quell'ultimo, straziante urlo.

















Yo, genteH.
Salve ragazzi, quanto tempo <3. Sì lo so, io aggiorno sempre in ritardo, ma che ci volete fare. Io mi sto impegnando molto per portare avanti questa storia, giuro XD. E anche se scrivo male, la continuerò lo stesso ù___ù. Il problema è che ultimamente manco di ispirazione. Voglio dire, la storia l'ho già in mente molto bene, ma come vi ho già detto, realizzarla è un altro conto. Per scrivere questo capitolo ci ho messo un secolo, figurarci il prossimo, in cui non so proprio cosa far accadere. Cioè, come già detto, a grandi linee lo saprei già, ma buttare giù le idee diventa complicato. Comunque, non voglio soffermarmi troppo su questo; cito la frase detta da Aizen, "Finirà stasera", e ammetto di averla presa da Matrix Revolution ù____ù. Sarà passato un anno o forse di più dall'ultima volta che ho rivisto la trilogia di Matrix, e non so per quale motivo mi è tornata in mente mentre scrivevo il capitolo XD. Così l'ho usata (perdonami, Neo ùwù'') e trovo che ci suoni molto bene <3. Anche se Aizen non c'entra un cappero con Neo XD. Comunque, spero che il capitolo sia piaciuto, nonostante la drammaticità degli avvenimenti. Si può dire che da questo capitolo parta la vera storia. Come vi avevo detto nel secondo o nel terzo capitolo, non sarebbe stato tutto rose e fiori ancora per molto. Ora dovreste averne ben capito il motivo XDDD. Okay, ammetto che questo capitolo è capitato giusto giusto (ma che coincidenza! XD) proprio nel periodo in cui sto odiando Ichigo. Sì, perchè è un raccomandato del cavolo, quello stronzo. Far fuori Ulquiorra così ed uscirne indenne... meglio che io non prosegua, o inizierà a ribollirmi il sangue.
Bene, ho commentato anche troppo per i miei gusti XD. Quindi vi saluto! Bye Bye, ci si vede al prossimo capitolo, la Part Seven.
Kyù.

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Capitolo 7
*** Black and White, Dead or Alive ***


Turn back the earldom, Part Seven.
Black and White, Dead or Alive.


Bianco. Nessuna sensazione che stimolasse la sua mente, nessun pensiero che mettesse in moto il suo cervello, nessuna emozione che facesse riprendere al cuore la sua solita attività di pulsare il sangue. Nulla. Vuoto. Morto.
Sarebbe davvero morto? Forse, lo era già da tempo.
Di colpo, divenne tutto nero. Oscurità che venne quasi immediatamente trafitta da un raggio di luce, scemando sempre di più, brillando di bagliori intermittenti. E di nuovo bianco. Dannazione, ne aveva abbastanza, di tutto quello. Non vedeva altro che bianco e nero alternarsi; due colori che non significano nulla, ma che possono voler dire tutto. Il contrasto, la differenza, la tonalità più chiara e quella più scura; luce e tenebre. Vita e morte.
Calma. Il fatto che vedesse almeno qualcosa, significava che era vivo, giusto?
O forse, più probabilmente, ciò che scorgeva in lontananza non era altro che l'orizzonte del Paradiso.
Sentì il sangue pulsare freneticamente in un punto impreciso del torace, senza tuttavia riuscire a localizzarne perfettamente la posizione; pareva che quella vernice rossa volesse sfondare lo strato cutaneo che la separava dal mondo esterno e zampillare fuori, ma qualcosa le impediva di perforare la pelle che ostruiva il suo passaggio.
Ancora un'altra singolare fitta all'addome, ancora altro dolore.
Dannazione, percepiva, percepiva quegli attimi di spasimo. Era davvero sopravvissuto?
Qualcosa di pungente e fastidioso provenne dalla sua sinistra, probabilmente dal braccio. Sentiva poco alla volta ogni suo arto riacquistare sensibilità. Era vivo, grazie al cielo.
Ora bastava solo vedere in quale mondo.
Fu in grado, in quel buio, ad individuare i suoi occhi. Tuttavia, almeno in un primo momento, non riuscì a dischiudere le palpebre, che gli sembravano incollate alla pelle delle guance accaldate; sentì invece dei suoni offuscati, indecifrabili. Nient'altro che mormorii sottomessi, che piano piano divenivano sempre più nitidi e comprensibili.
«...ndo... sta... ene? ...utto... osto...».
Per la prima volta in vita sua desiderava un apparecchio per l'udito.
Non potendo contare sulla percezione del suono, tentò di aprire gli occhi: nello spicchio opaco che gli si pose di fronte non v'era nulla di distinguibile; macchie più o meno colorate si muovevano disordinate, rendendo la caotica immagine che intravedeva ancora più confusa.
«Si sta svegliando», riuscì finalmente a comprendere.
«Grazie al cielo...» subito dopo.
L'odore dell'umidità gli inondò immediatamente le narici, un sapore amaro gli si accese in bocca, un tiepido calore già provato gli invase la mano, un raggio di luce accecante gli attraversò la pupilla, che ridusse drasticamente il suo diametro. Dio, era vivo. I suoi sensi funzionavano.
Il bagliore luminoso si spense quasi istantaneamente, le sue iridi si rilassarono: capì qualche secondo più tardi che qualcuno dovesse averlo visitato. Era finito in un ospedale? Forse no.
«Ichigo, stai bene?». Si sentì stringere la mano destra. Rukia. Riconobbe istintivamente la sua voce, la sua delicatezza, il suo tepore. Provò a parlare, ma gli sembrò che la voce gli fosse morta in gola e che le sue corde vocali si fossero cristallizzate.
«Non sforzatevi, signor Kurosaki. Limitatevi ad un cenno con il capo, piuttosto».
Una voce che il suo udito, per quanto fine potesse essere in quelle condizioni disastrose, non riconobbe.
Calcolò che dovesse trattarsi di un medico, o comunque di un qualche esperto giunto in suo soccorso. Sicuramente un angelo capace di compiere miracoli, per essere riuscito a salvarlo da quel proiettile letale.
Non seppe momentaneamente se accogliere o meno il consiglio di quello sconosciuto, che ancora la sua mente non riusciva a distinguere e delineare perfettamente: temeva quasi che, se solo avesse tentato un movimento, gli si sarebbe spezzata la cervicale. E non ci teneva particolarmente.
Mosse le iridi in direzione della contessa, la quale lo guardò speranzosa, affondando le dita tra i suoi capelli arancioni. Ichigo dischiuse le labbra, ma non emise alcun suono; niente da fare, gli sembrava che gli avessero estrapolato le corde vocali e ci avessero fatto una treccia.
Non riusciva a parlare, non riusciva a muoversi, non riusciva ad esprimersi. Rifletté su quanto quella situazione fosse un inferno. Mai in vita sua aveva desiderato così ardentemente di addormentarsi per sempre. E poi risvegliarsi, magari tra le braccia di Rukia, in un universo bianco come la neve, dove il corpo è leggero e insofferente; quello sì che sarebbe stato il Paradiso. Anche se in realtà gli sarebbe bastata anche la sola presenza della Kuchiki accanto a sé. E invece stava andando tutto storto, tutto stava girando al contrario, ogni cosa stava prendendo la direzione sbagliata. Chiuse gli occhi, i quali non sopportavano più il peso delle palpebre. Piombò nell'ombra dei suoi sogni, inestimabile vittima del sonno, sperando di risvegliarsi altrove, in uno stato migliore.
«Ichigo». Fu l'ultimo richiamo che sentì; l'ultimo pensiero prima di crollare addormentato, cullato dal calore delle coperte e dal ticchettio della pioggia.

***

L'uomo che il cavaliere aveva intravisto nella nebbia della sua vista poco nitida era Kisuke Urahara, un amico di famiglia. Non si trattava né di un medico né di uno specialista, ma se la cavava ottimamente nel campo dei farmaci e delle medicazioni. Stava facendo ritorno dalla foresta – ove era stato tutto il pomeriggio a raccogliere qualche erba medica – quando sentì le urla di Rukia che implorava aiuto: allora si era precipitato in suo soccorso, portando il corpo di Ichigo in un capanno abbandonato lì nelle vicinanze. Era stato lui a rimuovere il proiettile dal petto di Kurosaki, ora completamente avvolto da candide bende macchiate di sangue.
Kisuke Urahara era un uomo tremendamente strano: nonostante fosse di famiglia benestante indossava sempre vestiti molto larghi e dai colori spenti, un cappello bianco a strisce verdi e degli zoccoli che gli donavano un'aria del tutto stravagante; era un poco avvolto nel mistero, e questo suo aspetto contribuiva a renderlo un tipo quasi solitario. Viveva infatti con due trovatelli di circa nove o dieci anni, il suo maggiordomo – un uomo maledettamente enorme – e la sua compagna, Yoruichi, famosa a Karakura per l'abilità in combattimento e la dimestichezza nell'uso delle armi ninja. Una famiglia piuttosto inusuale.

Ichigo riprese conoscenza un paio di giorni più tardi, tempo durante il quale Rukia gli era rimasta accanto senza nemmeno fare ritorno a Villa Kuchiki; si era presa cura di lui come se egli fosse stato un bambino. Spesso restava a guardarlo per ore, al suo capezzale, sul cipiglio del letto. Le bastava osservarlo dormire, sentire il suo respiro, ascoltare il ritmo regolare del battito del cuore, per ritrovare la pace e la serenità dentro di sé, prima sconvolte dall'accaduto. Le era capitato solo una volta di meditare su cosa fosse effettivamente successo: la verità era che qualcuno aveva sparato ad Ichigo. Ma chi? Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? Dopotutto Ichigo era appena arrivato a Karakura, chi avrebbe già potuto odiarlo al punto di ucciderlo? Non aveva fatto niente a nessuno, non aveva mai...
Fu come se un fulmine le passasse attraverso il cervello. Il rimprovero da parte di suo fratello di stare alla larga dal cavaliere, l'arrivo rapido e improvviso e inspiegato di Aizen, il tentato omicidio di Ichigo... era tutto collegato.
Il tossire di Ichigo la destò bruscamente. Le venne quasi spontaneo preoccuparsi.
«Si riprenderà?» non poté fare a meno di chiedere, con gli occhi lucidi e le dita intrecciate con quelle della mano fredda di Ichigo.
«Certamente, contessa. State tranquilla. Dovrebbe svegliarsi presto; l'effetto del sonnifero dovrebbe terminare a momenti». Si fissò ad osservare il volto del paziente, disteso e completamente rilassato. «Purtroppo per lui non sarà un dolce risveglio».
«Cosa intendete dire?». Un lieve timore si insinuò nelle iridi cristalline della ragazza.
«Mi riferisco al suo corpo. Spero che riuscirà a reggere. Al momento non dispongo di potenti antidolorifici. Non so dire quanto possa far male».
Bastarono pochi minuti di estenuante attesa per poter vedere le palpebre del cavaliere muoversi impercettibilmente. Rukia lo guardò con due iridi cerulee che brillavano notevolmente di una speranza da sempre cercata: le sembrava che Ichigo stesse sforzandosi di venire visibilmente a contatto con la realtà di quel mondo da cui si era sentito più volte minacciato; sembrava non soffrisse di alcuna paura, ma che, al contrario, avesse una voglia di vivere estremamente dinamica. O almeno, al momento la pensava in questo modo. Pensava così mentre sentiva le dita di Ichigo stringere piano le sue, come se cercasse del calore che gli avvolgesse la pelle. Finché, finalmente, Kurosaki aprì gli occhi, causando l'ilarità della contessa, che guardò entusiasta Urahara.
«Rukia...». Ichigo si impressionò di se stesso: era riuscito a parlare, finalmente. «Sono...». Notò di non saper ricollegare quel soffitto a nessun altro luogo mai visto prima. «...dove sono?». Cercò di rialzarsi supino appoggiandosi al cuscino, ma fu immobilizzato da una lancinante fitta all'addome, nel punto in cui il proiettile aveva forato la carne: in quell'istante i nervi cominciarono a pulsare vigorosamente, i muscoli in tutto il resto del corpo cedettero al peso e al dolore, e si ritrovò nuovamente sdraiato.
«Piano, signor Kurosaki! È pericoloso... ci vorrà del tempo affinché voi vi riprendiate completamente».
Il paziente guardò Rukia perplesso.
«Ha ragione, Ichigo». Nonostante, quelle pronunciate dalla Kuchiki, potessero sembrare insignificanti, quelle parole ebbero il potere di persuaderlo a stare tranquillo e a non fare movimenti bruschi. Rukia, nel vederlo però impaziente, lo aiutò a sollevarsi almeno un po', seguita poi da Urahara che, dopo una sottile smorfia, acconsentì permettendo al giovane di muoversi.
«...Rukia, chi è lui?» chiese, una volta sistematosi comodamente, il ragazzo, con una punta di ostilità nei confronti dello sconosciuto. La contessa Kuchiki comprese, comunque, la diffidenza di Ichigo: in quei giorni gli si era rivoltato tutto contro, e sembrava che tutti lo desiderassero sotto terra.
«Non preoccupatevi» proruppe l'uomo con il cappello, «potete tranquillamente fidarvi di me!». Estrasse un ventaglio dalla grande giacca scura che portava sulle spalle, allargando vivacemente le labbra in un sorriso a trentadue denti; era stato capace di ribaltare l'atmosfera ostile creatasi, tanto che Ichigo e Rukia ne rimasero spiazzati. La Kuchiki si lasciò sfuggire una mezza risata, rassicurando Ichigo, che rilassò i muscoli. Il sorriso della fanciulla gli bastò per ritrovare quell'equilibrio di serenità che era stato spezzato. I due si guardarono negli occhi per interminabili secondi, scorgendo l'uno nell'altra un pizzico di fastidioso imbarazzo nel sentire le proprie dita intrecciarsi e farsi sempre più vicine. Urahara, forse sentendosi a disagio, mise disordinatamente nella sua borsa di pelle tutto ciò che aveva lasciato in giro, dalle pinze ai farmaci, dal cotone ad attrezzi di ogni genere.
«Zoccoli e cappello, che stai facendo?». Ci mise un po' per comprendere pienamente che Ichigo si stesse riferendo proprio a lui, con quel bizzarro appellativo.
«Zoccoli... e cappello?» ripeté allora Kisuke, voltandosi impressionato verso il paziente.
«...Ricordare i nomi non è una mia particolare dote» disse, sorridendo. Posò un rapido sguardo su Rukia, che vide abbozzare un sorriso. «...In questo stato i miei neuroni lavorano la metà, sapete».
Urahara chiuse la cerniera della sua borsa personale .
«È Kisuke Urahara, comunque. In ogni caso, qui il mio lavoro è finito». Gli occhi dell'uomo si fermarono istintivamente sulle mani saldamente incrociate dei due giovani. «...Quindi torno a casa». Afferrò la borsa – aveva tutta l'aria di essere piuttosto pesante – e si diresse verso l'uscita.
«Nel caso aveste bisogno di me, sarò a vostra disposizione!» avvertì infine, richiudendo la porta del capanno ed allontanandosi verso il bosco. Ichigo e Rukia rimasero in silenzio per qualche secondo, rotto poi dalla risata cristallina di lui.
«Che hai da ridere?» chiese la contessa, sorridendo a sua volta.
«Simpatico, il tipo con i sandali». Lei accennò una smorfia delicata, la quale poi sfumò in un impeto quando Ichigo gemette al dolore che la ferita gli procurava: anche ridere troppo aveva i suoi effetti collaterali. Il cavaliere cercò di sollevarsi ancora un poco di più, sforzandosi di trovare la posizione più comoda nella quale la lesione gli provocasse minor fastidio. Stentava a muoversi, ma con il lesto aiuto di Rukia gli fu tutto più semplice. Il profumo che avvertì nel sentirla così vicina gli sollecitò tempestivamente una domanda, che ammise di non essersi proposto prima di quel momento. Il problema era chiedersi veramente se volesse imbattersi o meno nella risposta. I fatti di quegli ultimi giorni, la tempesta che aveva sconvolto la sua vita, la figura della Kuchiki che si era insinuata nel suo cuore in un lampo... ma soprattutto, l'atteggiamento di Rukia nei suoi confronti gli sollevava quel quesito, che in quel momento era più vivo che mai. Vivo come una forte luce accecante che, in un modo o nell'altro, deve essere placata e arrestata.
Rukia aiutò Ichigo a muoversi lentamente, prestando notevole attenzione; quando il cavaliere si assestò, comodo e rilassato, si allontanò dal letto.
«Vado a prenderti dell'acqua» mormorò, muovendo qualche passo. Non poté, comunque, allontanarsi tanto, poiché la voce di Ichigo la paralizzò.
«Perché...?». Rukia non capì sinceramente ciò che il cavaliere intendesse dire.
«Perché mi... stai aiutando?». Ichigo si accorse di quanto avesse bisogno di sapere. Trovare e ottenere delle risposte. Ne necessitava, ora più che mai. Eppure il silenzio della Kuchiki lo sconfortava terribilmente.
«Perché stai facendo tanto per me?».
E Rukia cosa avrebbe dovuto rispondere? Era evidente, che a quella domanda non sapeva fornire una risposta concreta. C'era davvero un motivo? Un motivo che la persuadeva ad aiutarlo? Un motivo per il quale era spinta a stargli vicino? Era forse necessario per Ichigo? O forse per se stessa?
«Che vuoi dire?» ribatté poi, sforzandosi di sorridere. Un sorriso che svanì quasi immediatamente.
«Rukia... da quando sono arrivato io, la tua vita è stata stravolta. Lo so».
La contessa deglutì, fissandosi le mani strette un grembo. Probabilmente il giovane non aveva tutti i torti. Ma non poteva incolparsi, no. Lui non c'entrava niente in quella storia, era solo un forestiero recentemente trasferitosi. Che c'è di male nello spostarsi da una contea all'altra, infondo. Era stata lei, a trascinarlo in quella storia. Era stata lei a metterlo nei guai. Non avrebbe semplicemente dovuto invitarlo al ballo, non avrebbe dovuto trascorrere tanto tempo insieme a lui, non avrebbe dovuto affezionarcisi. Non avrebbe dovuto innamorarsi.
«Forse sarebbe stato meglio marcire in quel prato».
«Hai un buon senso della vita, tu».
Si rimangiò istantaneamente tutto ciò che aveva detto sulla voglia di vivere di Ichigo. Come poteva desiderare così tanto andare incontro alla morte? Solo per lei? Solo per il suo bene? Oppure per scappare da tutto ciò che quel groviglio insolubile di avvenimenti aveva portato con sé? Entrambi i casi non avrebbero rappresentato una valida scusa per gettare via la vita in quel modo. La classica “vita indegna di essere vissuta” non aveva nulla a che vedere con quella di Ichigo.
«Senso della vita? Guardami. Sono un morto che cammina».
Rukia gli si fece più vicina, sedendosi sul letto, accanto a lui. Lo fissò dritto negli occhi, senza badare al tremolio ed al leggero disorientamento che le pozze ambrate di lui le causavano, come se gli volesse indottrinare un concetto fondamentale che mai nella vita avrebbe dovuto dimenticare o accantonare.
«Non lo sei» disse, con sguardo fermo, sicuro, e decisamente carismatico.
«Se non lo sono...» esordì Ichigo, nell'insicurezza che la vicinanza del viso della ragazza gli strappava.
«...è solamente perché ci sei tu».
Per non pochi secondi, Rukia rimase immobile, spiazzata; azzittita dalle parole appena fuoriuscite dalla labbra del biondo. Labbra che non avrebbe rifiutato di baciare, ma che, anzi, desiderava come sue. Senza sapere che, in realtà, sarebbe stata la prima ad avere l'opportunità – o forse, si potrebbe dire l'onore – di assaggiarle. Gli ormoni di lui fremevano, l'attrazione dei corpi non era debole. Un'attrazione paragonabile a quella di due corpi magnetici, incapaci di stare lontani quando sono troppo vicini. Fu proprio così che, inarrestabili, le labbra dell'uno catturarono quelle dell'altra, che ricambiò quel bacio con un'intensità e bramosia passionale, come se desiderato da tempi incalcolabili. Il polo negativo e quello positivo, due magneti, due soggetti sottoposti ad un'irresistibile forza di attrazione che non può essere né controllata né smentita. Quel bacio li catapultò lontano da ogni pensiero, da ogni sofferenza, da ogni insicurezza cui erano sottoposti in ogni momento della vita quotidiana; un semplice tocco. Due bocche che si cercano, due lingue che si incontrano, due mani che si intrecciano. Due calamite che non possono fare a meno l'una dell'altra per completarsi; labbra che si sfiorano, corpi che scivolano. Un contatto che entrambi cercavano. Un contatto che ebbe la facoltà di riaccendere in Ichigo la voglia di vivere.






















Sono maledettamente in ritardo, lo so.
Non ditemelo non ditemelo non ditemelo >____<. Sono consapevole di essere tremendamente in ritardo, e mi scuso moltissimo, per questo. Mi vedo costretta a dare la colpa alla scuola, che mi sta uccidendo. Ma ammetto che, più di ogni altro, ho fatto davvero una grandissima fatica a scrivere questo capitolo, non sto scherzando. La prima parte (breve <___<'') mi è venuta quasi spontanea, anche perchè si basava solamente su ciò che provava Ichigo nel trovarsi tra la vita e la morte. Miscugli di sensazioni e roba così, insomma. Quella l'ho scritta piuttosto velocemente... Ma la parte che segue, addio. Non avevo spunti, non avevo idee, non avevo niente. So già come scrivere i prossimi capitoli, ma non riuscivo proprio a scrivere questo. Poi una mia cara amicaH (grazie Sara <3) con i suoi eccessivi complimenti mi ha invogliata a scrivere, perciò sono riuscita a concludere il capitolo. Ma la mia mente ha dato dei frutti piuttosto insoddisfacenti <___<''. Cioè, piuttosto, trovatemi un capitolo di cui io sia soddisfatta XD. Diciamo che non è male, tutto qui.
Piuttosto, lasciatemelo dire: era ora che questi due si baciassero, checcavolo! XD insomma, il primo bacio al settimo capitolo ù____ù. Presto? Tardi? Lo lascio decidere a voi XD. Sinceramente non ho molto altro da aggiungere. Voi che dite, soddisfatti o rimborsati? XD.
Ringrazio moltissimo chi segue la fiction e chi recensisce. Grazie davvero di cuore çwç.
Recensite, eh *O*.
Ci si vede al prossimo capitolo <3. Bye!


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