Turn Back The Earldom; di Memi J (/viewuser.php?uid=63911)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Unattainable ***
Capitolo 2: *** Indelible ***
Capitolo 3: *** Love at first sight [Secret] ***
Capitolo 4: *** Dance with me [Perilous] ***
Capitolo 5: *** Resentful Ultimatum ***
Capitolo 6: *** It will end tonight ***
Capitolo 7: *** Black and White, Dead or Alive ***
Capitolo 1 *** 1. Unattainable ***
Turn
Back The Earldom
Un'epoca
passata, non si sa quanto lontana, prosperava di principi, contesse,
cavalieri , fanciulle ed imperatori. Una sconfinata contea, chiamata
Karakura, si estendeva tutt'attorno ad un castello, la reggia della
famiglia del barone regnante, dove alloggiava la nobiltà. La
nobile casata era rappresentata dall'aristocratico clan Kuchiki, tra
i cui membri era di grande rilievo il barone Byakuya Kuchiki, spesso
freddo, ma generoso e di buon cuore. Egli era stato sposo della
nobile contessa Hisana Kuchiki – amata da tutti all'interno
della contea – venuta purtroppo a mancare un anno addietro, a
causa di una malattia che l'aveva consumata sino ai suoi ultimi
istanti. Da allora, il barone non si è risposato –
e
giurò che non l'avrebbe mai fatto – promettendo
quindi
il trono della contea all'unica erede: sua sorella minore Rukia
Kuchiki, appena diciannovenne.
Quella
sera era in corso una festa a Karakura, presso Villa Kuchiki. Ricca
di luci, musiche e voci, ma avvolta da una sorta di impenetrabile
mistero che rendeva l'atteggiamento dei presenti leggermente ostile
ed invidioso nei confronti dei detentori di quella reggia
così
incantevole. Quella celebrazione era in onore del compleanno del
barone Kuchiki, pertanto era stata invitata ai festeggiamenti
l'intera contea: dai principi alle contesse, ai cavalieri, ai
contadini, agli stallieri...
L'atmosfera
che vi regnava, attiva e brillante, era così contagiosa da
giungere in ogni angolo del feudo, tanto che si festeggiava anche
all'interno delle locande. Nessuno in particolare avrebbe mai potuto
dire di provare avversione o
rancore
verso il
padrone della tenuta: egli infatti era un individuo affabile,
responsabile e volenteroso, che faceva di tutto pur di affievolire ed
eliminare il malcontento tra il suo popolo, e portare invece benefici
in tutta la campagna. Ma colei che aveva conquistato i cuori della
gente con la sua estrema dolcezza, altri non era che la principessa
Rukia Kuchiki, amata quanto lo era stata la nobile contessa Hisana:
ella era infatti più che mai vicina alla gente, trascorrendo
il suo tempo libero in mezzo agli abitanti, con le damigelle di corte
e con gli stallieri che si occupavano quotidianamente delle cure del
suo cavallo, guadagnandosi di conseguenza le simpatiche strigliate
della signorina Nanao Ise, sua educatrice ed amica, forse
apparentemente severa a causa dei suoi occhiali da vista che le
donavano una particolare aria autoritaria. Quello che era il suo
tempo libero, però, consisteva solo in brevi pause dallo
studio e dai compiti di una contessa a pieno titolo, che svolgeva con
l'ausilio e la guida del suo maestro Juushiro Ukitake. Stimabile uomo
dai lunghi capelli argentei, forse un po' cagionevole di salute, era
caratterizzato da una personalità saggia e colta; era un
grande amico di Byakuya, nonché suo primo insegnante alla
sua
giovane età.
Anch'egli, così come
Nanao, era presente alla festa, sfoggiando abiti sfarzosi e degni di
essere indossati da una persona di così alto rilievo.
Tra le voci dei coetanei e le
note accennate dai musicisti di corte, due cavalieri discutevano su
un loro duello passato, appartati in un angolo di quell'interminabile
sala da ballo colma di nobili principesse che danzavano incollate ai
loro accompagnatori o corteggiatori. Uno di loro aveva capelli scuri
ed un paio di occhiali poggiati sul naso, un'aria assolutistica e da
studioso. L'altro sembrava l'opposto: svogliato, appoggiato scomposto
ad un pilastro che pareva sorreggerlo a malapena; aveva capelli di un
bizzarro colore arancione, tendente al biondo, e occhi ambrati. La
divisa da combattente lasciava quasi intravedere la sua muscolatura
ed il suo fisico, i pantaloni bianchi terminavano fissandosi
all'interno di stivali scuri: un perfetto cavaliere, seppur
giovanissimo. Il suo nome era Ichigo Kurosaki, ed era un grandissimo
amico di un nobile che alloggiava a Villa Kuchiki: si trattava del
giovane conte Renji Abarai. Era stato proprio quest'ultimo ad
invitare Ichigo alla reggia, sfruttando l'occasione del compleanno
del barone Kuchiki come pretesto per chiedergli di raggiungere e
rimanere a Karakura.
Tra
la folla, lo sguardo di Ichigo si soffermò accidentalmente
su
una bellissima fanciulla che, isolata dal resto della gente, sembrava
scrutare il cielo stellato all'esterno del castello, attraverso le
immense vetrate delle smisurate finestre che costellavano la stanza.
I capelli neri erano raccolti sul suo capo tramite aurei fermagli,
lasciando scoperte le rosee spalle messe in mostra da uno sfarzoso ed
elegantissimo abito sanguigno senza maniche, ornato con decorazioni
dorate. I ciuffi corvini le incorniciavano il viso che, pallido, era
volto al cielo completamente disinteressato nei confronti di tutto
ciò che la circondava. I suoi occhi marini risaltavano sul
contrastante trucco che le colorava le palpebre, leggero ma visibile.
Una fanciulla perfettamente bella, tanto
da lasciare il giovane cavaliere totalmente incantato. Nell'osservare
la ragazza, ad Ichigo pareva quasi che tutto intorno a lui si
mescolasse: i colori, le voci, le note della musica di sottofondo
convogliavano in una mistura che andava dissolvendosi
nel silenzio, fino a svanire nel nulla; e così, rimaneva
solo
lui, di fronte a lei, in quell'infinita stanza vuota. Una forte voce
entusiasta ebbe la capacità di risvegliarlo, sciogliendo i
nodi delle corde che lo legavano alla realtà che si era
costruito; era quella di Renji, che lo salutava avvicinandosi a
grande velocità.
«Ehi
Ichigo! Ne è passato di tempo, eh? Come stai?».
Questo suo quesito parve
raggiungere il destinatario un secolo dopo.
«A-Ah...
bene, Renji, grazie».
Disse incerto, senza guardarlo: i suoi occhi erano fermi su un'altra
persona.
L'amico mostrò
un'espressione interamente scettica, e prese a squadrare il giovane
cavaliere.
«Tutto
qui? Non ci vediamo da anni e questo è tutto quello che hai
da
dire?!».
Ichigo distolse lo sguardo dalla
fanciulla ed inquadrò Renji, riconoscendo quanto fosse
cambiato: i capelli rossi, raccolti in una coda di cavallo, erano
ulteriormente cresciuti, era diventato molto più alto e
muscoloso, ma in quanto a lineamenti e carattere era rimasto il Renji
Abarai che aveva conosciuto. Non appena si rese conto appieno della
situazione, di aver rivisto il migliore amico dopo chissà
quanti anni, scattò improvvisamente.
«Oh,
Renji, quanto tempo!»
esclamò, abbracciando il conte e colpendolo buffamente sulla
spalla. Il cavaliere al suo fianco guardò Renji
impressionato,
ed Ichigo parve accorgersene.
«Che
c'è, Ishida?».
Uryuu Ishida, compagno di duello
del giovane Kurosaki, si sistemò accuratamente gli occhiali
da
vista con l'indice della mano destra, avvolta da un guanto bianco
come la neve.
«Niente,
Kurosaki. Lascia perdere».
Si abbandonò alla colonna retrostante appoggiandovi la
schiena. Ichigo puntò nuovamente il suo sguardo verso quella
direzione a cui si era incatenato poco prima dell'arrivo di Abarai,
delimitando una figura minuta che ancora aveva gli occhi persi nel
vuoto di quel cielo notturno nel quale sembrava sentirsi affogare.
Renji
si avvicinò ulteriormente al cavaliere dai capelli
arancioni,
e cercò di comprendere – seguendo la rotta delle
sue
iridi castane – cosa l'amico stesse fissando. Si corresse
immediatamente: chi stesse
fissando.
«Oh
oh. Sei appena arrivato e hai già localizzato il tuo
bersaglio?».
Ichigo parve recepire solo
qualche parola rivoltagli dal rosso.
«Renji.
Chi è quella ragazza?»
domandò ambiguo, indicandogli l'obiettivo con un cenno del
viso.
«Come
sarebbe a dire “chi è”? Mi prendi in
giro?!».
Abarai lo guardò sconcertato, con occhi puramente
sbigottiti,
ma lo stupore di Ichigo non era da meno.
«Quella
è Rukia, Rukia Kuchiki! Non puoi non conoscerla!».
«Scusatemi
tanto se sono un forestiero che non ha mai messo piede in questa
contea nell'arco della sua intera vita, nobile conte Renji Abarai»
disse, con una notevole punta di sarcasmo.
«Ora
mi vorreste dare delle spiegazioni, per cortesia?».
La percettibile ironia aveva raggiunto i suoi estremi.
«Rukia
Kuchiki... – proruppe Ishida – è la
contessa di
Karakura, nonché sorella minore del barone Byakuya Kuchiki,
tutt'ora sovrano della contea».
Ichigo
sgranò gli occhi, rendendosi conto di quanto quella
fanciulla
fosse – ora più che mai – irraggiungibile.
Renji gli mise una mano sulla
spalla, scuotendolo buffamente.
«Ti
sei innamorato della persona sbagliata».
Angolino
dell'autrice *3*:
SalveeeH, è
passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho postato qualcosa XD.
In questi giorni
avevo pochi compiti
per la scuola (veramente molto molto strano O.o) così, per
ammazzare il tempo,
un giorno ho disegnato
Rukia con un vestito da noble (magari la prossima volta lo posto XD) e
mi
si è accesa
la lampadina: perchè non provare a costruire qualcosa
ambientando i nostri protagonisti
in un'epoca come
(più o meno) il Settecento? Ed ecco la nascita di questo
schifo °3°.
Questo è il
primo capitolo, ma, dato che per il momento manco di idee,
chissà quando posterò il prossimo
XD. Magari per il
prossimo mese ce la posso fare XDDD. Spero vi sia piaciuto il capitolo
<3.
Alla prossima! Bacio,
Kyù.
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Capitolo 2 *** Indelible ***
L'odore
aspro e pungente del fieno gli si era ormai insediato nelle narici,
mentre, mormorando parole incomprensibili tra sé –
sicuro di
essere solo – rimuginava sugli avvenimenti della sera
precedente, a
Villa Kuchiki. I flash insistenti che gli facevano memoria di quel
pallido viso cinto di capelli corvini si accavallavano nella sua
mente l'uno sopra l'altro senza tregua, accumulandosi ed impedendogli
di pensare lucidamente. Ciò nonostante, era cosciente del
fatto che
avrebbe dovuto estorcersi quell'immagine dalla testa: innamorarsi di
una contessa? Inconcepibile. Inesorabilmente meditò sulle
parole
sussurrategli da Renji.
“Ti
sei innamorato della
persona sbagliata”.
“Non me ne sono
innamorato”.
Aveva risposto lui,
voltandosi e promettendosi di non rigirarsi a contemplare la bellezza
di quella figura.
“Non ne sono
innamorato”.
Aveva ribadito, mentre faceva ritorno a quella che era divenuta la
sua casa, ora trasferitosi a Karakura. Mentre si cambiava, nel
momento in cui si infilava sotto le coperte, quando quella mattina
fece colazione in compagnia di altri cavalieri – alle cui
parole
non prestava la minima attenzione – alla locanda, e durante
il
tragitto mediante il quale raggiunse le scuderie.
«Non
ne sono innamorato» concluse
nuovamente, accarezzando il cortissimo pelo del suo cavallo morello.
Rifletté poi a quanto sarebbe stato assurdo ed
inimmaginabile solo
poterle parlare. No, persino rivolgerle la parola
sarebbe
stato impossibile per lui. Inammissibile.
«Non
è innamorato di chi?».
Ichigo
sobbalzò vistosamente,
al sentire quella voce femminile assolutamente sconosciuta. Non vi
era di che meravigliarsi: dopotutto era appena giunto a Karakura,
sarebbe stato normale per lui non saper ricollegare un timbro di voce
a qualcuno; una ragazza, poi. Uscì quindi dal box del
cavallo con
fare non curante, mai più immaginando che la proprietaria di
una
così soave voce fosse la persona che in seguito si
ritrovò di
fronte: non avrebbe mai creduto di poterla rivedere in una tale
situazione. Si pietrificò all'istante, riconoscendo quegli
sfarzosi
abiti permissibili esclusivamente alla nobiltà. I lucidi
capelli,
questa volta, le ricadevano sciolti sulle spalle, incorniciate da un
vestito delle tonalità del blu che richiamava il colore
delle sue
iridi. Nessun fermaglio dorato, nessun gioiello, né
qualunque cosa
di prezioso; malgrado tutto, sarebbe stato impensabile scambiarla per
una fanciulla qualsiasi: forse per qualcosa di criptico ma al
contempo perfettamente visibile che celava dietro la sua
personalità
autoritaria. Rimase immobile a guardarla, senza neppure rendersene
conto.
«C...Contessa?»
farfugliò, scuotendo il capo impercettibilmente. Stava
sognando?
Eppure era sicuro di essersi alzato dal letto, aver fatto colazione
alla locanda ed essersi diretto lì in scuderia per occuparsi
del suo
cavallo. Ma la visione di Rukia Kuchiki ebbe la capacità di
smentire
queste sue credenze.
Allo
stesso modo, Rukia parve
esaminare il giovane: i bizzarri capelli arancioni gli donavano
un'aria stravagante. Certamente, era sicura di non aver mai visto
quel ragazzo in vita sua: uno così non sarebbe stato affatto
difficile notarlo, se ne sarebbe di sicuro ricordata. Ciò
nonostante
non poté fare a meno di pensare a quanto fosse un bel
cavaliere;
nulla da togliere né al suo fisico né al suo
viso, sebbene
quest'ultimo presentasse una fronte notevolmente aggrottata. Non
conoscendolo minimamente, si chiese se quell'espressione accigliata
derivasse in qualche modo dalla sua presenza o se il giovane innanzi a
sé stante fosse perennemente corrucciato di suo.
Cercò in ogni caso
di non scomporsi, mantenendo il suo solito portamento dignitoso.
«Buongiorno,
cavaliere».
Lei
si avvicinò ulteriormente,
soffermandosi al primo box e prestandosi ad accarezzare il crine di
un cavallo bianco. Fissava assorta il ragazzo, sorridendogli
–
forse in attesa di una risposta al saluto rivoltogli. Ichigo
abbassò
il capo e prese a guardare i propri stivali.
«Evidentemente
sto ancora dormendo» mormorò,
schiaffeggiandosi la fronte; questo suo gesto attivò una
risata
angelica da parte della contessa. Era ovvio, per Kurosaki, che tutto
quello non fosse altro che un sogno: d'altro canto, che cosa diavolo
ci faceva una nobile principessa in una sporca scuderia popolana? A
parlare con un cavaliere del re, tra l'altro.
«Dormendo?»
fece lei, riducendo gli occhi cristallini a due fessure.
«A
me sembrate sveglio, cavaliere».
Tutta
quella formalità, in un
certo senso, lo rabbrividiva. Pensare che tutte quelle parole
estremamente educate – fino alla nausea – e rivolte
con estremo
rigore non facevano altro che alimentare le distanze tra due persone,
lo pungeva in qualche modo.
«M...Ma
cosa ci fate qui, Maestà?» le
chiese, petto in fuori e mani giunte dietro la schiena.
Grazie
a tale domanda, Rukia
ebbe la possibilità di confermare le sue ipotesi: un giovane
mai
visto prima, che non sapeva le abitudini della ragazza di recarsi
tutte le mattine alla scuderia per porgere un saluto al proprio
cavallo, proveniva senza ombra di dubbio da un'altra contea.
«Siete
un forestiero, non è vero?»
azzardò.
Ichigo
trasalì, quasi timoroso
di rispondere.
«S-Sì,
contessa. Sono un cavaliere del re, giunto qui su richiesta del
nobile conte Renji Abarai».
«Renji
vi ha chiesto di raggiungerlo qui?»
chiese lei, incredula.
«Siamo
amici di infanzia» chiarì lui.
«Ah,
capisco».
Interminabili
secondi
trascorsero opprimenti dopo le ultime parole della fanciulla, la
quale poco dopo cercò di interloquire nuovamente.
«Il
vostro nome?».
Ichigo
deglutì. Non si era
neppure presentato, di fronte a quella che evidentemente era la sua
sovrana?! Immediatamente si inchinò, quasi inginocchiandosi
a terra,
scusandosi per la sua mancanza di rispetto.
«Perdonatemi,
Maestà. È Kurosaki Ichigo».
La
contessa poggiò una mano
sulla spalla del ragazzo, intimandogli con considerevole gentilezza
di alzarsi e porre fine a quella rigida formalità.
«Suvvia,
cavaliere. Non siate così forbito».
Ichigo
si sollevò lentamente.
Qualcosa gli disse che la contessa, così giovane e bella,
non
sopportava quei modi così formali. Si guardarono l'un
l'altra per
circa un minuto, prima di sentire una stridula voce richiamare
l'attenzione della Kuchiki e mandare in frantumi quel momento
così
delicato. Rukia si guardò intorno, con un'espressione quasi
spaventata.
«Questa
è Nanao. Il dovere mi chiama, purtroppo».
Senza
fornire ulteriori
informazioni, la nobile si protese verso il portone, dal quale
apparve – una volta aperto – uno spiraglio di luce
solare che
ravvivò l'ombra della scuderia.
«Arrivederci,
cavaliere».
«Ichigo»
buttò lì il giovane, ansimante. «Chiamatemi
Ichigo».
Rilassò
i muscoli nel vederla
sorridere compiaciuta, accennando un lieve inchino.
«Allora
arrivederci, Ichigo».
Il
portone si chiuse cigolando
alle sue spalle, prima che lui potesse ribattere. Guardandola
scomparire dietro quelle porte dalle catene sciolte, Ichigo si
abbandonò su una sedia stante a pochi passi da lui. Per un
attimo
temette ancora di trovarsi nel mondo delle favole. In fondo, non
sarebbe stato così difficile per lui rendersi conto di aver
sognato
tutto, dal primo singolo istante in cui si era accorto della presenza
della nobile Kuchiki, infiltratasi nella scuderia cogliendolo di
sorpresa. Insomma, per lui – un semplice cavaliere
– sarebbe
stato inaudito anche solo incontrare in modo così diretto
una
principessa appartenente alla casata dei sovrani della contea: o
almeno sino a quella mattina.
«Insomma,
Rukia, cosa stavi facendo nelle scuderie?»
la apostrofò Nanao Ise, mentre passeggiavano tra i sentieri
ciottolati all'interno dello sconfinato giardino della reggia,
circondate da ogni parte da una rigogliosa vegetazione smeralda. La
contessa alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente.
«Ma
niente, Nanao, niente. Non è permesso, forse, salutare il
proprio
cavallo?».
«Non
è questo che intendo, signorina»
replicò l'educatrice con fare assolutistico, ottenendo la
limpida
risatina della contessa. Dopo qualche secondo, Rukia si decise a
proferir parola riguardo a ciò che tormentava
insistentemente la sua
ragione.
«Ho
conosciuto un ragazzo, stamane. Un cavaliere del re».
«Del
re? È forse un forestiero?».
«Già,
penso che arrivi da molto lontano. Mi ha detto che è stato
convocato
da Renji».
«Il
conte Abarai? Per quale motivo?»
chiese tentennante la donna.
«Sono
amici di infanzia. Mi ha accennato solo questo».
La
loro discussione venne
troncata dallo strepito provocato da una ragazza, che si sbracciava
in lontananza per farsi notare dalle due destinatarie del suo saluto
così vivace. Era anch'ella una donna molto bella, dai lunghi
capelli
fulvi che si piegavano in morbide onde che splendevano alla luce del
sole radioso che illuminava il giardino, costellato di ciliegi in
fiore. La visiera di un grande cappello le ombreggiava gli occhi
vitrei, ed il pesante trucco contribuiva a conferirle una bellezza
sfolgorante. Il seno smisurato era incorniciato da un bellissimo
abito dai motivi floreali che metteva in risalto le candide spalle;
l'enorme gonna sontuosa le nascondeva i piedi, i quali calzavano
delle scarpette decisamente lussuose ed appariscenti.
«Signorina
Rangiku?» la riconobbe Nanao,
salutandola.
Rangiku
Matsumoto, marchesa
invidiabile al suo sposo, alloggiava a Karakura da ormai due anni,
come tanti altri nobili che occupavano – chi per
più tempo, chi
per meno – le stanze di Villa Kuchiki. Aveva lontane origini
tedesche, era una marchesa di gran lusso, e si era trasferita nella
contea dopo aver sposato il giovane Gin Ichimaru, il quale chiese la
sua mano dopo averla incontrata durante una cerimonia. Da un incontro
casuale ad un amore casuale, destinato a durare forse in eterno.
Un
minuto più tardi, il trio
ciondolava allegramente tra il verde del cortile, all'ombra delle
floride chiome degli alberi, assaporando il piacevole profumo
dolciastro dei ciliegi e le tiepide fragranze dei fiori appena
sbocciati. Rukia non partecipò molto alla discussione, ricca
di
dicerie e pettegolezzi – alla marchesa Rangiku faceva sempre
e solo
piacere chiacchierare del più e del meno, in mezzo a quella
verde
distesa quale era il lussureggiante giardino di Villa Kuchiki
–
preferendo probabilmente rimanere saldamente ancorata ai pensieri che
infestavano la sua mente, e che la riportavano agli avvenimenti di
quella mattina che le erano rimasti impressi – come una
macchia
indelebile – nella sua memoria. E che sarebbero perdurati,
incancellabili. Il sole le ricordava il colore
insolito e
grottesco dei suoi capelli, le tonalità dei fiori che
attiravano la
sua attenzione la ricollegavano a quelli della sua divisa. Tutto,
lì
attorno, sembrava sfumare sulla sua immagine, sul suo profilo; e
l'unica voce che riusciva a distinguere, sovrastante gli schiamazzi
di Nanao e Rangiku, era quella del giovane cavaliere di cui aveva
appena fatto la conoscenza.
Author's
corner
Bah,
diversamente da quanto mi aspettavo, sono riuscita ad aggiornare
velocissimamente XD.
Pensavo che ce l'avrei
fatta in un mese, invece, dopo solo qualche giorno, voilà il
secondo
capitolo. Niente di
che, chiariamoci. Ad essere sincera, ha un non so che di strano, anche
se vi giuro che non
saprei dire cosa XD. Che aggiungere, spero vi piaccia <3. Sto
cercando di
mettercela tutta
perchè piaccia a tutti i fan IchiRuki *3*. Ah, e come vi avevo detto, ecco qua il link che vi porta al disegno che avevo fatto su Rukia vestita da contessa *O*.
http://i217.photobucket.com/albums/cc242/kyuubi-94-/NobleRukia2.png?t=1235684818
Sto provando a colorarlo con Photoshop XD. Al prossimo
capitolo, bye <3.
KyùCChan.
|
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Capitolo 3 *** Love at first sight [Secret] ***
Turn
back the earldom, Part Three.
Love at first sight
[Secret].
Un
pallido spiraglio di luce
solare penetrò nella grande stanza, facendosi strada tra le
fessure
lasciate dalle tende spiegate, che oscillavano quasi ritmicamente
ogniqualvolta un minimo soffio d'aria riuscisse ad infiltrarsi sotto
le giunture delle finestre. Quel flebile filo di luce bastò
per
destarla dal suo sonno, sbilanciando ulteriormente il suo
già
accennato bilico tra sogno e realtà. Rukia cercò
di sollevare le
palpebre, ancora leggermente intorpidite; non appena si convinse di
essere sveglia, la contessa si mise supina sul letto, sbadigliando
profondamente. Socchiuse nuovamente gli occhi, appesantiti dalla
stanchezza, e si sfiorò delicatamente la fronte con la punta
delle
dita, fredde: si sforzò di ricordare le ultime immagini
dipinte nei
quadri della sua mente. In un impeto attimo, tra i meandri del suo
cervello scorsero fiumi di immagini, di voci, di colori, di parole,
di suoni. Diversi, ma ricollegabili ad un'unica figura, che Rukia
ritagliò in un lampo: capelli arancioni, sguardo fermo
eppure
timido, fisico virile e perfetto, sopracciglia costantemente
aggrottate, ed un unico nome: Ichigo Kurosaki. E rimbombava,
rimbombava, rimbombava nella sua testa. Il ricordo del loro incontro,
avvenuto il giorno precedente nelle scuderie, le pareva così
vivo da
sembrare reale, tangibile. Nonostante fosse pienamente cosciente del
fatto che avrebbe dovuto toglierseli dalla testa, Rukia non poteva
fare a meno di ammettere quanto fossero inebrianti quei pensieri.
Un
rumore cupo ed indistinto
riecheggiò nella stanza. Rukia sussultò, prima di
riconoscere,
riascoltando più volte quel suono insistente, che qualcuno
stava
bussando alla porta.
«Contessa?
Siete sveglia? Vi ho portato la colazione».
Al
consenso della Kuchiki, che
svogliatamente confermò di esser desta, la porta si
aprì in un
cigolio sommesso, lasciando intravedere l'ombra di una figura
aggraziata, ed agghindata in un vestito ampio e dal colore pallido.
Un grembiulino circondato da pizzi e merletti di ogni genere le
nascondeva la parte anteriore dell'enorme gonna, mentre un vassoio
colmo di biscotti e vivande – buoni da leccarsi i baffi
– era
sorretto da entrambe le mani guantate. Il profumo che immediatamente
le si insediò nelle narici ebbe la capacità di
scuotere Rukia dal
suo stato di dormiveglia, e per qualche minuto si dichiarò
incapace
di distogliere lo sguardo da quel ben di Dio: la bramosia di divorare
tutto ciò che il vassoio le ponesse davanti agli occhi non
lasciò
spazio ad alcuna razionalità. Complice di quel profumo
delizioso,
forte e delicato allo stesso tempo, era l'aspetto gustoso quanto
invitante dei biscotti che, nella loro disposizione, tracciavano il
contorno del vassoio argentato, circondando il resto delle vivande.
«Hai
preparato tutto tu?» chiese
incredula la contessa, senza scollare le iridi cerulee – che
per un
momento parvero scintillare – dalla sua colazione.
«Diciamo
che mi hanno aiutata. Ieri sera ti ho vista un po' giù,
così ho
pensato di prepararti qualcosa di speciale nell'intento di tirarti su
di morale».
Rukia
emise un sospiro mozzato.
In quel momento si sentì come un libro aperto, le cui pagine
si
macchiavano d'inchiostro: Kyone, sua serva ma cara amica, era stata
capace di leggerle i pensieri anche solo guardandola. D'altro canto
era sempre stato così: Rukia non era mai stata in grado di
nascondere i suoi sentimenti, ciò che provava nell'animo.
«Grazie,
Kyone» esalò infine.
«Non
preoccuparti. Piuttosto, cos'è che ti turba tanto?».
Il
petto della contessa cercò
di rimanere indolente al battito martellante del cuore. Non avrebbe
voluto parlarne, forse non ne aveva sufficiente coraggio: con quale
forza sarebbe stata capace di ammettere di provare una voglia
irrefrenabile di vedere quello che realmente era solo un cavaliere?
Eppure la voce della sua coscienza le urlava di fregarsene di
ciò
che diceva la gente, di ascoltare solamente quello che il cuore le
suggeriva. Si bloccò.
Calma:
dove voleva arrivare,
convincendosi di questo? Stava forse insinuando a se stessa di
provare qualcosa verso Ichigo Kurosaki? Strano da parte sua, era la
prima a non credere nell'amore a prima vista; i – come si
suol dire
– colpi di fulmine. Tuttavia anche
quest'ultima sicurezza
pareva a poco a poco trasformarsi in un'incertezza capace di
contraddire la sua determinazione.
Rukia
si fidava ciecamente di
Kyone. Per lei, rappresentava una sorta di sorella, con la quale
avrebbe certamente potuto confidarsi senza preamboli: sapeva di poter
contare su di lei, in qualsiasi momento, in qualsiasi situazione.
Aveva accennato qualcosa a Nanao, nel giardino di Villa Kuchiki;
perché avrebbe dovuto tenere lei, invece, all'oscuro di
tutto?
Kyone
era ancora in attesa di
una risposta, paziente quasi fino alla nausea, seduta sul ciglio del
letto sul quale ancora Rukia si sfregava gli occhi. La contessa
allungò una mano verso il vassoio, recuperò un
biscotto
dall'aspetto appetitoso e ne addentò un angolo; sorrise
candidamente.
«Sai
mantenere un segreto?».
***
Il
ticchettio provocato dal
tacco di uno stivale inquieto causava un progressivo aumento del suo
nervosismo, già eccessivo. La noia e l'impazienza iniziarono
ad
assalirlo: detestava aspettare. Renji gli aveva promesso un giro per
la reggia di Karakura, eppure era già una mezz'ora che
attendeva, ma
del conte non si era vista neppure l'ombra. Non che gliene importasse
molto, di addentrarsi nel mondo di Villa Kuchiki. Tuttavia, c'era
qualcosa – o meglio, qualcuno – che lo teneva, in
un certo senso,
incatenato a Karakura. Dopotutto, non era così male la vita
in
quella contea: era giunto lì ormai da tre giorni,
sufficienti
comunque a farvi l'abitudine. Nonostante prima alloggiasse tra le
stanze del sontuoso palazzo del re, non si trovava poi in una
così
brutta situazione neppure lì, in quell'ambiente tutto nuovo
per lui,
caratterizzato da una quotidianità parecchio differente, ma
che
richiamava spesso aspetti di quella che era stata la sua vita al
cospetto del re. Certo, sarebbe stato impensabile anche solo un
paragone. Mentre rimuginava sulla sua vita precedente, udì
distintamente una voce chiamarlo a distanza.
«Ehilà,
Ichigo!». Il destinatario lo
guardò astiosamente.
Renji.
Il ritardatario di
sempre. In tutti quegli anni, non era cambiato di una virgola, ed il
cavaliere ebbe modo di constatarlo di nuovo.
«E'
più di mezz'ora che ti aspetto qui. Sentiti in colpa».
Il tono accusatorio di Ichigo non si addolcì nemmeno per un
istante.
«Scusami,
mentre venivo qui alle scuderie ho trovato una signora anziana
che...».
«Certo,
come no» lo interruppe Kurosaki.
«Sei
sempre il solito, Renji. Tu e la puntualità non andrete mai
d'accordo».
L'amico
fece spallucce. «Che
ci vuoi fare».
Ichigo
lo guardò storto, ma non
seppe ribattere: conosceva talmente bene il conte da poter confermare
per certo che mai, in tutta la sua vita, sarebbe stato capace di
arrivare puntuale ad un appuntamento. In tal caso, preferì
abbandonare l'idea di rimproverare Renji, risparmiandosi
così una
predica inutile. Malgrado tutto, ci pensò qualcun altro ad
interrompere il silenzio instauratosi tra i due: una voce lontana ma
radiosa, infatti, parve chiamare insistentemente il nome di Renji,
che scattò d'improvviso. La stessa espressione
storpiò i lineamenti
prima rilassati di Ichigo, che si tesero – insieme ai suoi
muscoli
– riconoscendo quel timbro di voce. Pochi secondi
più tardi, il
portone della scuderia si aprì faticosamente, lasciando
penetrare ad
uno spicchio di luce che si dissolse nell'ombra di un'esile figura.
«Renji!
Mi hanno detto che... eri qui...».
Le
ultime sillabe sfumarono,
fino a spegnersi totalmente: gli occhi dell'interessata avevano
appena gioito nell'incontrare quelli del misterioso cavaliere che
portava il nome di Ichigo Kurosaki. Quest'ultimo, invece, rimase
pietrificato – o forse incantato – nel vedere
nuovamente quella
fanciulla, come se fosse il loro primo incontro. Rukia Kuchiki era
uscita dalla reggia per cercare Renji, eppure parve dimenticarsene
per un momento. Il conte, dal canto suo, fissava entrambi: prima
l'uno, poi l'altra; solo, non c'era pressoché alcuna
differenza tra
le espressioni che caratterizzavano i loro visi: sembravano ambedue
imbambolati.
«Sei
sicura che stessi cercando me, Rukia?».
La voce del conte Abarai riecheggiò all'interno della
stanza,
scuotendo Rukia dal suo stato di catalessi. «Non
è che cercavi...».
«Te»
si affrettò a precisare lei, interrompendolo. «Cercavo
te».
Renji
sollevò un sopracciglio,
nell'attesa di un seguito.
«Volevo
solo chiederti se ci saresti stato questa sera a palazzo».
«Che
succederà stasera?». Il conte
la guardò sbigottito, pensando di essersi perso qualcosa.
«Un
banchetto. Organizzato da Kyone»
puntualizzò Rukia.
«Quando
si tratta di una festa, c'è sempre quella in mezzo»
borbottò Renji, incrociando le braccia.
La
contessa sorrise
angelicamente, prendendo la lamentela dell'amico come una risposta
affermativa all'invito. Ichigo, invece, era rimasto in silenzio per
tutta la durata della conversazione. Da quando la Kuchiki aveva fatto
la sua comparsa, non aveva aperto bocca. Dopotutto, lui non aveva
nulla a che fare con la nobiltà. Per questo
rabbrividì quando vide
Rukia rivolgergli un sorriso.
«E
tu ci sarai, vero, Ichigo?». Il
viso del diretto interessato divenne immediatamente rubicondo: in un
certo senso, faceva pan-dan con la divisa che indossava.
«Ehi
ehi, cos'è tutta questa confidenza?»
proruppe Abarai, insediatosi tra i due nel giro di qualche secondo.
Rukia gli lanciò un'occhiataccia fulminea.
«Zitto»
sibilò. Si rivolse poi ad Ichigo, modificando totalmente la
sua
espressione. «Allora,
cavaliere?».
Il
biondo si era bloccato:
fermo, immobile; pareva quasi incapace di respirare. Lo sguardo
attonito di Renji si contrapponeva a quello speranzoso della nobile
accanto, intorno alla quale aleggiava un'aria persuasiva da mettere i
brividi. Ichigo, nel suo essere perspicace, aveva chiaramente notato
il carisma con il quale Rukia gli aveva rivolto l'ultima domanda.
Pensò per un attimo che sarebbe stato impensabile rifiutare
l'invito.
«S-sì,
ci sarò» asserì infine.
Soddisfatta,
la Kuchiki accennò
un inchino e salutò i due ragazzi, avviandosi verso il
portone,
ancora aperto. Renji si avvicinò al viso di Ichigo, senza
distogliere lo sguardo dall'amica che si allontanava sempre di
più.
«In
questo momento mi piacerebbe essere Cupido»
gli sussurrò. «Magari potrei
darti una mano».
Qualche
secondo più tardi,
Rukia si voltò lievemente verso di loro, mostrando una mano
che
accompagnava un sorriso a metà tra il candido ed il
malizioso.
Notando con estrema certezza che quel saluto fosse rivolto a nessun
altro se non Ichigo, il rosso si morse il labbro.
«No,
credo che non ce ne sia alcun bisogno».
Yo! *3*.
Salve, genteH <3. E' passato un po' di
tempo dall'ultima volta che ho aggiornato,
me ne rendo conto. Il fatto è che ultimamente sono molto
impegnata, e non ho
molto tempo da dedicare alla scrittura. Che altro aggiungere? Spero che
questo
nuovo capitolo sia di vostro gradimento <3. Ho già in
mente praticamente tutta la
storia, devo solo preoccuparmi della stesura +______+. E non per farvi
delle
anticipazioni, ma non sarà tutto così rose e
fiori, non preoccupatevi XD.
Grazie infinite a tutti quelli che stanno seguendo la storia e che commentano!
Ve ne sono davvero grata <3. Beh, non ho più nulla da riferirvi XD.
Spero di aggiornare presto. Ora vi saluto, Bye! Kyù.
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Capitolo 4 *** Dance with me [Perilous] ***
Turn
back the earldom, Part Four.
Dance
with me [Perilous].
Il delizioso profumo che
confondeva i suoi sensi lo distrasse dalle sue preoccupazioni, e lo
convinse ad appressarsi ad uno di quei tavoli colmi di cibi e bevande
di ogni genere: il tutto pareva un fiume le cui acque, troppo
abbondanti, seguono il filo del loro destino e finiscono per
distruggerne gli argini, trascinando via tutto ciò che
ostacoli il
proprio percorso. Addentò un dolce dall'aspetto invitante, e
ne
assaporò la bontà sentendolo sciogliere sul
palato: il Gusto,
egoista, per un momento impedì ai restanti quattro sensi di
giocare
il proprio ruolo. Nel momento in cui deglutì, gli occhi
ripresero
conoscenza, riportandolo con veemenza laddove era sprofondato in uno
stato di leggera apatia. Non avrebbe mai immaginato che dei dolci
–
per quanto gradevoli – causassero un tale effetto di
disorientamento per una manciata di secondi. Smosse lo sguardo lungo
i profili opposti del tavolo, e poco più in là
notò la presenza di
Renji, impegnato a raccogliere su di un vassoio argenteo tutto
ciò
che avesse un aspetto appetitoso. Sbuffò, cercando di
trattenere una
risatina sommessa, e fece per avvicinarglisi; fu malgrado preceduto
da una ragazza, la quale scosse il conte rimproverandolo per la sua
irrefrenabile gola. Ammise di non averla mai vista prima: riconobbe
immediatamente, dagli abiti che portava con grazia, che non dovesse
appartenere ad una famiglia nobile. Si fissò ad osservare
Renji
mentre, accigliato ed insaziabile, si rimpinzava lo stomaco
congratulandosi con quella fanciulla per l'ottimo lavoro svolto.
Senza rendersene conto, il cavaliere distolse lo sguardo dai due e
prese a fissare i suoi stivali: per un attimo credette di essere
intrappolato in un sogno. Insomma, cosa ci faceva a quel banchetto ?
Si maledisse per aver accettato il docile invito della contessa
Kuchiki.
Scosse la testa con vigore, ed
una scintilla gli attraversò il cervello; scattò
improvvisamente
dallo stato di catalessi in cui era nuovamente crollato.
Scrutò ogni
angolo del giardino della tenuta, ma la lieve oscurità gli
impediva
di riconoscere ogni singolo volto gli si impartisse innanzi agli
occhi. Poco oltre il lungo tavolo circondato da un'ondata di nobili,
vide il barone Kuchiki partecipe di un'animata discussione con un
uomo dai lunghi capelli bianchi che ricadevano sulle sue spalle;
entrambi sembravano compiaciuti, forse per l'eccellente banchetto. In
qualche modo era sicuro che, lì attorno, sarebbe riuscito ad
incrociare lo sguardo di Rukia: eppure, accanto al sovrano,
trovò
soltanto una moltitudine di donne elegantissime in attesa di
scambiare anche solo una parola con Byakuya Kuchiki. Vederle
starnazzare come oche gli sollecitò un senso di nausea alla
bocca
dello stomaco, tale da causargli una sensazione di lieve bruciore.
Non la trovò, tra quel gruppo di corteggiatrici. Le sue
iridi
ambrate si mossero in ogni direzione, ma continuava a rivedere volti
già visti. Perché lei non c'era, dannazione?
Eppure era stata lei
stessa a porgergli quell'invito. Una voce familiare lo
trascinò via
dal mondo della sua mente. Quasi rabbrividì nello scorgere
un ciuffo
di capelli rossi spuntare ad un centimetro dal suo naso.
«Ehi,
Ichigo! Ti ho chiamato più volte, ma non rispondevi. Che hai?».
«A-Ah,
sei tu, Renji. Niente, sto bene».
L'aria del cavaliere non sembrò molto convincente.
«Non
avete una bella cera, signor Kurosaki».
Quella ragazza che poco prima era in compagnia del conte Abarai fece
capolino tra i due, con un sorriso largo quanto il suo viso. Sembrava
si divertisse.
«Ci
conosciamo?» domandò poi
Ichigo, rendendosi conto di essere stato appellato con il suo
cognome. Eppure era fermamente sicuro di non averla mai vista prima.
Accortasi di aver parlato a sproposito, la ragazza si tappò
la
bocca, serrando le labbra con le dita. Non poteva assolutamente
permettersi di lasciarsi sfuggire nulla di più.
«Ehm...
ma no, è stato il conte Abarai a rivelarmi il vostro nome».
Pregò silenziosamente che Renji stesse al gioco.
Sfortunatamente il
suo desiderio non fu esaudito: il rosso, infatti, assunse
un'espressione confusa, e non capì cosa c'entrasse lui in
quella
situazione.
«Ma
cosa stai dic-...» una gomitata
lo costrinse ad ammutolirsi, mentre sul volto della ragazza
sfumò il
sorriso candido che prima increspava le sue labbra.
«Comunque,
io sono Kyone Kotetsu, la serva personale della contessa Rukia».
Allo sguardo cordiale della
fanciulla si contrappose quello totalmente attonito di Kurosaki.
«Piacere
di conoscervi».
«P...Piacere
mio...». Ichigo cercò di
rilassare i muscoli: aveva di fronte forse la persona più
vicina
alla contessa, santi numi. Ed al cavaliere avrebbe fatto piacere
conoscere meglio Kyone; sì, ma in un'altra occasione. In
quelle
circostanze, proprio non era interessato ad allargare il suo
repertorio di amici, malgrado fosse appena giunto in un mondo tutto
nuovo, rappresentato dalla contea di Karakura. I suoi pensieri erano
concentrati su tutt'altre preoccupazioni, al momento. E Kyone se ne
accorse. Se ne accorse, e ne rimase compiaciuta; nelle sue iridi
castane brillava la tacita soddisfazione di un piano perfettamente
riuscito. Sì, perché era certa che la persona di
cui gli occhi del
cavaliere erano in cerca fosse proprio Rukia Kuchiki. Da quanto aveva
avuto modo di sentire dalla sua sovrana, questo Ichigo Kurosaki
doveva essere una persona piuttosto introversa e titubante (o almeno
lo era nei confronti della contessa); tale sua caratteristica doveva
fondare le sue radici sul fatto che il giovane si fosse recentemente
trasferito e conoscesse un numero molto ristretto di volti. Il
compito di Kyone sarebbe dovuto consistere nell'osservare il
cavaliere da una distanza tale da poter far luce con chiarezza sugli
interessi di Ichigo verso la contessa Kuchiki; in altre parole,
parlargli e chiedergli qualcosa a riguardo sarebbe stata la cosa
più
diretta ed efficace. Forse, però, sarebbe stata anche la
più
schietta ed insensibile. Eppure la malizia della ragazza la indusse
ad agire in modo leggermente diverso da quanto avessero pianificato.
In un certo senso, voleva mettersi alla prova: fino a che punto
sarebbe stata capace di stuzzicare Ichigo?
«State
cercando la contessa Rukia, non è vero?».
Colpo di cannone. Boom,
spiazzato. Colpito e affondato, se solo si trattasse di una semplice
battaglia navale. E Renji era sconcertato quasi quanto lui. Il rosso
notò infatti con assidua certezza il disorientamento
dell'amico, che
era rimasto statico con un nodo alla gola. Una brusca gomitata lo
sollecitò ad assemblare poche sillabe e formulare una frase,
sebbene
questa risultasse poi tartagliata e del tutto poco convincente.
«M...
ma no, che dite...».
Santo cielo, era davvero
imbranato a nascondere la verità. Kyone rimase invece
delusa: ci
aveva impiegato troppo poco a crollare, dannazione. Non avrebbe mai
pensato fosse così cotto di lei.
Ichigo auspicò con tutto il
cuore che accadesse qualcosa avente la proprietà di stornare
la loro
conversazione su tutt'altro argomento; o non sarebbe resistito un
minuto di più. Per sua fortuna – forse –
venne presto
accontentato: le luci variopinte, che facevano risplendere il
giardino nel paesaggio notturno di quella sera, si spensero
improvvisamente. Fu il caos. Tutti gemettero nel panico, il buio
negava loro l'uso della vista; i musicisti smisero di percuotere le
corde dei loro strumenti, le voci dei presenti, prima temperate ed
amichevoli, assunsero progressivamente toni più sgomenti.
Mentre
anche Ichigo e Renji cercavano una risposta a ciò che stava
succedendo, Kyone parve perfettamente a suo agio e tranquilla, in
quel gran trambusto.
«Bene,
ci siamo» sussurrò a se stessa.
Si diresse in silenzio, perdendosi tra la folla, verso la scalinata
del palazzo, dove accese una fila di candele disposte decorosamente
una ad una su ciascun gradino. Batté le mani più
d'una volta per
attirare l'attenzione su di sé.
«Prego
i gentili ospiti di non cedere al panico. Non temete, tutto
ciò è
solo frutto di una programmazione. Non vi è alcun motivo di
preoccuparsi».
Dal prato si sollevò un
tiepido
brusio, nel quale tutti esprimevano al vicino le proprie opinioni. Le
fanciulle sospirarono sollevate, il barone Kuchiki
tranquillizzò
Ukitake, accanto a sé, mentre Ichigo e Renji stentarono a
chiedere
ai propri sensi.
«Era
tutto programmato?» fece Ichigo,
in preda allo scetticismo. L'amico fece spallucce, segnalando di non
essere al corrente di nulla.
«Signore
e signori» riprese Kyone,
dall'alto della gradinata, «...è
giunto il momento che la nostra tanto attesa sovrana faccia la sua
entrata in scena». Gli occhi di
Kurosaki, più di quelli di qualunque altro partecipe al
banchetto,
si spalancarono considerevolmente, mentre il suo cuore prese a
scalpitare.
«Ecco
a voi Rukia Kuchiki!».
Il portone alle sue spalle si
aprì grazie alla spinta interna di due uomini, ed il rumore
cupo
provocato venne surclassato dal caloroso applauso che accolse la
contessa. Ichigo fu probabilmente l'unico a non batter ciglio: e non
per disinteressamento o mancanza di rispetto. Semplicemente, non fu
capace di muovere un muscolo; anche quando Renji tentò
inutilmente
di smuoverlo e farlo reagire con una leggera gomitata, il cavaliere
non distolse lo sguardo dalle porte grige dell'entrata di Villa
Kuchiki.
Su quello che pareva essere
diventato ormai un palcoscenico, Kyone si inchinò
nell'attesa
dell'arrivo della nobile contessa, mentre un'ombra cominciava a
delimitare la sua figura. L'effetto provocato dalle candele era a dir
poco sorprendente: creavano la giusta atmosfera calda, sicura e
rilassante per un'entrata in scena così ammirevole. Infine,
dopo
qualche secondo, eccola: incantevole, come al solito. Questa volta
era un abito dorato a rivestire il suo esile corpo: un corpetto
assolutamente raffinato, una gonna ampia e ricca di decorazioni, un
velo pallido che le cingeva le spalle, un prezioso fermaglio che le
raccoglieva i capelli in un'acconciatura che permetteva a due ciuffi
neri di incorniciarle il viso lievemente arrossato dal trucco, un
gioiello che le sfiorava la nivea pelle del collo che tanti bramavano
assaggiare. Nulla era fuori posto: perfetta, come aveva sempre avuto
modo di vederla. Avanzava, accompagnata dalla mano leggera di Kyone,
con le palpebre socchiuse, in attesa di poterle finalmente sollevare
per incrociare gli occhi di Ichigo Kurosaki. Questi però
distolse
immediatamente lo sguardo dalla contessa, rivolgendole il suo
profilo: ebbe la vaga impressione che non sarebbe riuscito a
sostenere i suoi occhi.
Vederla lo metteva in ansia, e
gli procurava un profondo disagio. Desiderarla. Desiderarla, e non
poterla avere. Questo era il pensiero che più lo costringeva
al
dolore. Le differenze sociali costituivano una delle cose che
maggiormente lo infastidivano, forse solamente per il fatto di essere
nato in una famiglia benestante, ma non appartenente alla
nobiltà.
Maledisse la sua famiglia per non essere nobile, maledisse Renji per
averlo invitato a Karakura, maledisse Ishida per essersi reso
disponibile ad accompagnarlo e quindi per averlo persuaso a
trasferirsi, maledisse sé stesso per aver accettato; e
maledisse
Rukia per essere così maledettamente seducente.
Nel pieno delle sue riflessioni,
sentì la mano di Renji posarglisi sulla spalla.
«Ti
sta guardando, Ichigo».
«Figurati.
Starà guardando quello dietro».
«E
invece sta guardando te».
Ichigo avrebbe voluto cercarne
conferma personalmente, eppure qualcosa, come uno spettro
intrascurabile, lo bloccava impedendogli di voltarsi.
«La
contessa non può guardare me, Renji. A prescindere».
«Sta
guardando te, ti dico»
insistette il conte.
Il cavaliere cercò di
sciogliere la tensione che gli procurava un leggero tremolio alle
gambe. Nel frattempo Rukia aveva sceso lentamente ogni gradino della
scalinata della villa, sotto lo sguardo invidioso di tutte le donne
e, abbandonata la mano della conducente Kyone, mosse passi incerti
attraverso il prato e dirigendosi verso colui che, al di là
del
fallace aspetto, era teso come uno dei tanti fili d'erba che
ricoprivano in un manto verde quello splendido cortile.
«Sta
arrivando, Ichigo». Renji aveva
appena pronunciato una frase che il biondo non avrebbe mai voluto
sentire. La tranquillità dei suoi muscoli era andata ormai a
farsi
benedire; ed aveva l'elusivo presentimento che anche il suo cervello
si sarebbe spento, prima o poi.
Rabbrividì quando Rukia gli
si
fece pericolosamente vicina, sotto gli occhi increduli dei nobili
invitati. Kyone gesticolò dall'emozione; Renji invece
cercò di
frenare l'istinto di ridere alla reazione dell'amico: sarebbe
palesemente suonata come una derisione. Ichigo lo guardò
accusatorio, minacciandolo con quelle pupille lievemente dilatate a
causa dell'oscurità: la sua intransigenza si dissolse non
appena si
sentì sfiorare da Rukia, che prese in ostaggio il suo
braccio per
trainarlo al centro del giardino. Kurosaki, oltre ad avvertire un
senso di affanno assalirlo ed una sensazione di tremendo calore
inondargli le guance, era perplesso: la contessa non aveva detto una
parola dal momento in cui era comparsa dall'ombra del portone,
limitandosi solamente ad avvicinarglisi, ad aggrapparsi al suo
braccio ed a trascinarlo lì.
In un punto imprecisato del
prato, Byakuya Kuchiki fissava turbato la coppia, più
corrucciato
che impressionato.
«Byakuya,
chi è quello?» domandò
Ukitake, con una mano poggiata sul suo mento pronunciato.
«Vorrei
saperlo anche io».
Il barone posò il calice di
cristallo che teneva tra le dita sul lungo tavolo, indirizzando i
suoi passi verso il conte Abarai, certo che fosse una sua conoscenza.
Rukia, al centro del giardino,
si allontanò di un passo dal suo cavaliere, che rimase a
guardarla
esterrefatto.
«Allora,
cavaliere, non mi invitate a ballare?».
Perfetto, ci mancava solo
questa. Ichigo era già ad un passo dal mutare consistenza e
trasformarsi in pietra, ed ora avrebbe dovuto ballare con la
contessa. Era certo che nel giro di qualche secondo l'unico neurone
rimastogli in attività lo avrebbe abbandonato; il cuore
avrebbe
sfondato la cassa toracica a furia di scalpitare; la sua
sanità
mentale sarebbe stata in serio pericolo.
Bel quadro della situazione.
Oltretutto, la vista di una
Rukia che attendeva spazientita lo turbò ulteriormente. Ma
c'era ben
poco da fare.
«Ecco...
allora...» si inchinò,
allungandole la mano. «...Gradireste
un ballo?».
Oh, ce l'aveva fatta. Era parso
più un insieme indistinto di sillabe farfugliate che un
invito a
ballare, ma era pur sempre qualcosa. E lei gli aveva sorriso
caldamente, come una bambina che avesse appena ricevuto un dono che
da un tempo infinitamente lungo aveva atteso trepidamente. Le
bastò
uno schiocco di dita per ordinare ai musicisti di riprendere a far
vibrare le corde ed a suonare le loro note. Contrariamente alle sue
aspettative, Ichigo si ritrovò a seguire i passi tracciati
dal
valzer senza incespicare, ma accompagnando quelli della contessa, che
si stupì notevolmente nell'osservare la perfezione nella
danza del
cavaliere.
«Non
mi aspettavo ballassi così bene, Ichigo».
Le sue parole destarono di nuovo
il rossore sulle gote del biondo.
«M...
Ma no, non sono così bravo. A dire la verità,
sono piuttosto
arrugginito».
«Davvero?».
Ichigo le rispose con un cenno del viso, senza scollare gli occhi dai
suoi piedi; un po' per celare la timidezza, un po' per evitare di
inciampare sui suoi passi.
«Hai
ballato con molte donne in passato?»
chiese la fanciulla, fingendosi poco interessata.
«Soprattutto
con mia madre. A volte anche con la regina».
Rukia strabuzzò gli occhi.
«Hai
danzato con Sua Maestà la Regina?!».
Lui abbozzò un mezzo sorriso,
sentendosi per un miserabile istante una persona invidiabile.
«Sì,
qualche volta. Ma solo perché mio padre è il
cavaliere fidato del
re, quindi siamo in buoni rapporti con la famiglia reale».
«Oh.
Mi sento invidiosa».
«Non
dovete, contessa. Uno come me non ha nulla da invidiare».
«Ah
ma non ne vuoi sapere di cancellare quella formalità, eh?».
Ichigo si arrestò per un
attimo. Come se avesse potuto, parlare in tono colloquiale. Ovvio che
non sarebbe mai stato in grado di evitare di rivolgersi a lei
formalmente.
«Non
potrei mai, contessa. Non mi è concesso e non me lo concedo».
Rukia appoggiò il capo al
petto
del giovane, facendolo andare in fiamme.
«Allora
te lo ordino».
Ichigo rimase spiazzato da
quelle parole: sia per il loro significato, sia per il tono
allettante con il quale erano fuoriuscite dalle sue labbra.
«Cosa...».
«Chiamami
Rukia» lo interruppe, sollevando
la testa e fissando gli occhi nei suoi. Kurosaki esitò.
«Ma...
non-»
«Chiamami
Rukia» ripeté lei una seconda
volta, in un sussurro più persuasivo del precedente.
«D...D'accordo...
allora... Rukia».
La contessa sorrise
sinceramente, appoggiandosi nuovamente al petto di Ichigo, che si
irrigidì dopo essere stato assalito da una vampata di
calore.
Inaspettatamente fu capace di rilassarsi, dopo pochi istanti.
«Grazie»
sussurrò lei, mentre oscillavano come piume al vento sulle
note
della musica.
«Renji»
chiamò una voce ferma e decisa.
Il destinatario dell'appello si
voltò quasi immediatamente, dopo aver distolto lo sguardo
dall'amica
che ballava approcciata al biondo, che dal suo punto di vista pareva
decisamente impacciato. Il sorriso che piegava i suoi lineamenti
sfumò alla vista di Byakuya Kuchiki.
«Oh,
barone. Posso esservi utile?»
recitò il conte.
Il sovrano gli si fece accanto,
così da non essere udito da nessun altro all'infuori di
Abarai.
«Chi
è quel giovane? Non sembra un nobile»
asserì, indicandogli Ichigo con un movimento del viso.
Renji deglutì.
«Infatti
non lo è. Si tratta di Ichigo Kurosaki, un cavaliere del re».
«Lo
conosci?».
«Sì,
ed anche molto bene. È un mio carissimo amico d'infanzia;
è il
figlio primogenito del cavaliere più fidato di Sua
Maestà il Re,
Isshin Kurosaki».
Byakuya perseverò
nell'osservare la sorella danzare con quello sconosciuto,
completamente inflessibile al racconto. Gli si fece ulteriormente
più
vicino.
«È
pericoloso?» sussurrò in
tono piatto. I lineamenti di Renji si piegarono in un'espressione
quasi sconvolta.
«Pericoloso?!
Ma che state dicendo?».
«Per
Rukia».
La contessa Kuchiki era la
migliore amica di Abarai. Lui la conosceva bene, tanto da poter
affermare con certezza che fosse una persona assolutamente cosciente
e responsabile. E conosceva bene anche Ichigo. Tanto da poter dire
che non avrebbe mai fatto del male a nessuno, tanto meno se la
persona in questione fosse Rukia Kuchiki.
«Rukia
sa quello che fa. E state tranquillo, conosco Ichigo: è un
bravo
ragazzo». Si fermò un istante.
«Gentile,
educato, responsabile e...».
«Non
hai capito» lo interruppe
Byakuya, «Non mi interessano le
sue qualità. Io intendevo dire che potrebbe rivelarsi
rovinoso nei
confronti della nostra nobile famiglia. Non accetto che Rukia si
innamori di un cavaliere. Sposerà un uomo degno di lei».
Se ne avesse avuto
l'opportunità, Renji gli avrebbe volentieri frantumato il
setto
nasale. Strinse i pugni, cercando di trattenere l'impulso e
comportarsi in modo razionale. Byakuya era il classico aristocratico
interessato quasi unicamente ai beni ed ai profitti della sua
famiglia. Specialmente se si trattasse della sorella: una contessa
sposa di un semplice cavaliere? Non sia mai, ai suoi occhi.
Nonostante questo fosse il suo modo freddo di volerle bene.
Renji sorprese Byakuya
rivolgere
uno sguardo torvo e sinistro verso Ichigo, al quale Rukia si teneva
stretta; per un attimo ebbe sentore che la vita dell'amico fosse in
pericolo.
About
the Chapter
Bah, eccoci nuovamente
qui, eh. Inutile ripetere per l'ennesima volta che il capitolo
non è di
mio gradimento XDDD. No va beh, scherzi a parte... comportiamoci da
persone serie
ù___ù. Dunque, c'è da dire che
quest'incontro non mi è poi così
dispiaciuto, ed
è servito soprattutto per far sì che Ichigo si
sciogliesse un po' di più
e soprattutto
chiamasse Rukia per nome senza alcuna formalità. Poi, le
anticipazioni.
Come avrete notato,
Byakuya si sta già muovendo al fine di togliere di mezzo
Kurosaki,
perchè
potrebbe rivelarsi pericoloso. Ma non accenno nulla di più.
Solo, nel prossimo o
nel sesto capitolo
succederà qualcosa per la quale sarò costretta ad
alzare il raiting.
Questo dice tutto XD. Mi scuso poi per la lunghezza del capitolo ç_ç.
Colgo infine
l'occasione per ringraziare di cuore tutti coloro che stanno seguendo
e commentando questa
fan fiction! Grazie infinite, davvero <3.
Vi saluto, bye bye!
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Capitolo 5 *** Resentful Ultimatum ***
Turn
back the earldom, Part Five.
Resentful
Ultimatum.
Il
23 Maggio 1709 era un giorno
di pioggia, a Karakura. In Villa Kuchiki troneggiava un silenzio
quasi inquietante, forse perché insolito: probabilmente
l'animo dei
nobili era triste per via del temporale, iniziato quella notte ma che
non accennava a cessare. Fuori, nelle strade sterrate, le pozzanghere
infangavano le poche e piccole depressioni, e venivano spesso
squarciate dal passaggio delle grandi ruote delle carrozze piuttosto
che calpestate dagli zoccoli dei cavalli o da qualche passante
maldestro. Erano ore che le gocce di pioggia si schiantavano al
suolo, ormai. L'unica a godere di tutta quell'acqua era probabilmente
la rigogliosa vegetazione del giardino della villa, il cui prato
desiderava prendersi una pausa dal venir calpestato di continuo.
Nonostante
fosse albeggiato da
poco, Byakuya Kuchiki si era già sistemato alla sua
scrivania,
accomodato sulla sua poltrona personale che, in tutti quegli anni,
aveva assistito a chissà quanti e quali affari. Malgrado il
tempo
trascorso dalla sua forgiatura, quella poltrona non era per nulla
usurata: anzi, il suo colore era ben lontano dal sembrare opaco e
consunto.
Il
barone era impegnato ormai da
minuti a firmare qualche solito documento, mentre sorseggiava una
tazza di tè fumante. Ogni tanto si ritrovava a specchiarsi
nel
ritratto di sua moglie Hisana, che se ne stava lì, appeso
alla
parete di fronte alla scrivania, grande quanto la finestra che
costituiva l'unica apertura di quella stanza verso l'esterno della
villa. Ogni volta posasse gli occhi su quel dipinto, notando la
fortissima e tangibile somiglianza fisica che legava sua moglie a
Rukia, pensava alla sorella, e quindi ai ricordi della sera
precedente. Allora si ritrovava a riflettere sul come la contessa di
Karakura potesse provare qualcosa verso un semplice cavaliere: poi si
sfregava la fronte, e pensava che in fondo, un ballo non significasse
nulla di non superfluo. Eppure, in un certo senso, riscontrava in
sé
una strana insicurezza; e se quel cavaliere stesse solo avvicinando
Rukia per poi trarre vantaggio dal matrimonio con una nobile? Se
fosse interessato solo ai profitti che potrebbe ricavarne? Anche se
Renji aveva cercato di rassicurarlo, Byakuya era fermamente convinto
che tutto ciò fosse inaccettabile.
«Cara
Hisana...». Si sollevò dalla
sedia, avvicinandosi al ritratto.
«Rukia
sta crescendo... ormai è una donna stimabile, sai. Eppure...
c'è
qualcosa in lei che mi turba, e che mi rende insicuro. E poi... poi
c'è quel Ichigo Kurosaki».
Sfiorò il quadro con la punta delle dita in corrispondenza
del viso,
sentendo l'olio della pittura inumidirgli la pelle.
«Hisana...
cosa devo fare? Non voglio che mi portino via anche lei...».
L'espressione
lieta e sorridente
di Hisana Kuchiki seppe strappare un sorriso anche al freddo barone,
che si sentiva rassicurato ogni volta ammirasse quei lineamenti tanto
amati.
«Ho
deciso» asserì infine. «Ichigo
Kurosaki, io... farò in modo che sparisca».
***
La
flebile luce del sole
sorgente sollecitò le sue palpebre ad aprirsi; quando Rukia
realizzò
che fosse già mattina, avvertì un leggero disagio
nel riconoscere
che ormai una notte l'avesse separata da quel banchetto, durante il
quale aveva ballato con Ichigo: ancora distesa sul letto,
abbracciò
il lembo della coperta e la strinse forte al suo petto, cercando di
ricordare le sensazioni che aveva provato. Ma immediatamente
capì
che no, le sarebbe stato impossibile esprimere a parole quei
sentimenti, che sentiva ancora vicini e che sperava trepidamente non
l'abbandonassero mai. Sapeva solo, con certezza, di essere stata
bene, lì, piacevolmente immersa nel calore che il corpo di
Ichigo,
così vicino, le trasmetteva. Forse non si era mai sentita
così
serena; e doveva tutto a Kyone. Era stata quest'ultima, infatti, ad
organizzare la serata: il banchetto, la messa in scena, i suoi abiti
ed il suo trucco. Era stata lei a renderla perfetta agli occhi del
bel cavaliere che, secondo il suo racconto entusiasta, doveva essere
davvero cotto, per quanto si ostinasse a nasconderlo. Anche se Rukia,
di questo, non era per nulla convinta.
Scese
dal letto in punta di
piedi, dirigendosi verso la porta della stanza. Non aveva alcuna
voglia di vestirsi ed indossare quei soliti abiti che lei stessa
reputava scomodi e poco elastici. Percorse un largo corridoio, prima
di cominciare a scendere gli alti gradini di una scalinata che
portava al piano sottostante, dove incrociò Kyone.
«Oh,
contessa Rukia, buongiorno!».
«Buongiorno
a te, Kyone».
La
nobile si sentì squadrare da
capo ai piedi.
«Ma
cosa ci fai ancora in camicia da notte?»
brontolò la serva.
Fine
della fuga di libertà
senza vestiti imprigionanti.
Rukia
si sentì afferrare il
polso, e venne trascinata via nel suo punto di partenza, dal quale si
era furtivamente mossa con tanta cautela.
«Vieni,
vieni! Il barone Kuchiki vuole parlarti, non puoi presentarti nel suo
ufficio conciata così!».
La
Kuchiki deglutì. «Mio
fratello vuole parlarmi?».
Statica
davanti alla porta
dell'ufficio, Rukia sapeva già tutto: sapeva di cosa suo
fratello
l'avrebbe rimproverata, conosceva il motivo della sua convocazione.
Sapeva cosa l'avrebbe aspettata, sapeva le conseguenze delle sue
azioni; lo sapeva sin dall'inizio. Ciò che non sapeva era
cosa
avrebbe dovuto dire, cosa avrebbe dovuto fare. A quel punto si chiese
solo se sarebbe stata capace di reggere le parole di Byakuya.
Abbassò
la maniglia della
porta, senza prestare troppa attenzione al tremolio delle sue mani e
al palpitare del cuore. Nel peggiore dei casi sarebbe stata
ripudiata, ma immediatamente ricacciò indietro quel
pensiero: per
quanto acido potesse essere, sapeva che suo fratello non sarebbe
stato capace di fare una cosa del genere.
Spinse,
ansimante, quindi entrò.
«Buongiorno,
nobile fratello. Desideravate parlare con me?».
L'espressione
di Byakuya non si
alterò minimamente, né mutò il suo
sguardo quasi insensibile.
«Sì.
Prego, siediti pure».
Brutto
segno. Quando Byakuya
invitava qualcuno a sedersi, stava a significare per certo che si
trattasse di una cosa irrisolvibile in pochi minuti. Nonostante ne
fosse a conoscenza, Rukia accolse questa sua esortazione e si
accomodò su una sedia di fronte alla scrivania. Byakuya
sospirò
profondamente, iniziando il suo discorso soltanto qualche secondo
dopo, tempo durante il quale il silenzio era rotto solo dai loro
respiri.
«Rukia...
posso farti una domanda?»
chiese, con un tono inaspettatamente modesto e gentile.
«Certamente,
fratello».
«Ieri
sera...» proseguì, in tono
piatto. «Con chi stavi ballando,
ieri sera?».
Eccola,
la tanto fatidica
domanda che Rukia si aspettava, alla quale però non avrebbe
saputo
rispondere. Non aveva scuse, no, non ne aveva. Dopotutto era stata
una sua decisione ballare con Ichigo. Perché lei aveva
desiderato
farlo. E allora? Dov'era il problema? Chi non è nobile non
è un
animale. Cosa contava, la classe sociale di appartenenza? Cosa,
comparata ai sentimenti? Nulla. Semplicemente non contava niente,
poiché se due persone vogliono stare insieme, stanno
insieme, al
diavolo le classi sociali. Questo pensava Rukia, ed era forse l'unica
cosa della quale era fermamente convinta. Avrebbe volentieri
rinunciato alla sua posizione, se questo avrebbe voluto dire
inseguire i propri ideali. Per questo, non ebbe paura di rispondere;
inoltre, era certa che suo fratello fosse già risalito
all'identità
del misterioso cavaliere: impossibile che non avesse già
provveduto
a rovistare tra i meandri della sua vita privata, per indagare su
ogni suo singolo movimento. Nonostante sapesse che Byakuya Kuchiki,
in fondo, le volesse bene, vivere accanto a lui era una prigionia.
«Ichigo
Kurosaki, un cavaliere del re. Ma dubito che voi non lo sapeste
già».
Rukia
deglutì, nel vedere gli
occhi del nobile fissarsi nei suoi. Tentennò un istante.
«Da
dove viene questa tua convinzione? Cosa ti fa pensare che io lo
sapessi già? Se l'avessi saputo, non te lo avrei chiesto.
Non ti
sembra?». Stranamente – molto
stranamente – il suo timbro di voce si era addolcito.
«È
il vostro modo di fare, fratello. Sono certa che voi sapete
già
tutto. Mi sbaglio, forse?».
Rukia
assottigliò gli occhi
cristallini, in uno sguardo che Byakuya interpretò come un
gesto di
sfida.
Sapeva
che la sorella non era
abile nel desistere, e che non avrebbe rinunciato a credere nelle sue
sicurezze; probabilmente non avrebbe ceduto alle sue menzogne. Il
barone sospirò, sconfitto, attorcigliando le dita tra loro.
«E
va bene. Lo sapevo». La contessa
scosse la testa e sorrise, acidamente ironica. Sapeva che la loro
conversazione si sarebbe trasformata in una discussione, per poi
sfociare in un litigio. Sarebbe stato scontato.
«Ci
avrei scommesso», affermò con
una punta di ostilità.
«Rukia...
non pensare che io mi stia facendo gli affari tuoi».
«Ah,
non dovrei?». Si alzò in piedi,
scostando la poltroncina dietro di sé spingendola via con le
gambe.
«Io
mi sto preoccupando per te... Sto cercando di proteggerti».
Il volume della voce iniziava progressivamente ad alzarsi, e
quest'ultima frase fuoriuscita dalle labbra di Byakuya bastò
per
fare esplodere Rukia.
«Proteggermi?!
È questo il tuo modo di proteggermi?».
Mantenere un linguaggio educato e formale era già stato
cancellato
dalla “lista delle cose più importanti da fare in
presenza di
Byakuya Kuchiki” della contessa.
«Spiandomi
ed indagando su tutto ciò che faccio? Sarebbe questo, il tuo
modo di
prenderti cura di me?!».
Byakuya,
ascoltandola, cercava
di giustificarsi, ma l'irascibilità della sorella permetteva
lui
solo di sollevare le mani e gesticolare, tentando di re-instaurare la
calma.
«Rukia...
Rukia, lasciami spiegare...».
«Non
c'è nulla da spiegare! Ne ho abbastanza della tua prigionia,
ho
diciannove anni, so badare a me stessa!».
Byakuya
si levò in piedi,
troneggiando sulla sorella, che però malgrado le sue
aspettative non
accennò ad abbassarsi, mutando il suo linguaggio e
comportamento.
«Talmente
bene da incollarti ad un cavaliere!»
la rimproverò il barone, acre e pungente. Lei ridusse gli
occhi a
due fessure. «Già, perché per
te chi non è nobile è spazzatura».
Ci mise tutto il veleno di cui era capace, tanto che le lacrime
iniziarono ad accumularlesi agli angoli degli occhi, dove rimasero
paralizzate.
Byakuya
frenò l'istinto di
schiaffeggiarla per la sua mancanza di rispetto, poiché
infondo,
riflettendo, le parole della sorella non erano state poi
così
assurde e false. Ma, sebbene si sforzasse, non riusciva a tollerare
l'immagine della sua cara Rukia accanto ad Ichigo Kurosaki.
Sospirò
profondamente.
«Ora
basta. Se vuoi continuare a vederlo, quella è la porta».
Rukia
accolse volentieri
quell'ultimatum, rivolgendogli un ultimo sguardo
torvo e
astioso. Non sopportava più quella
situazione, né quella
perenne sensazione di disagio che l'aveva stritolata per tutta
l'intera durata della conversazione. Aveva perforato l'orgoglio di
suo fratello, ma, nonostante in quel momento lo odiasse, non
riuscì
a trarre sollievo e conforto da quel suo gesto; anzi, il fatto di
aver offeso Byakuya le procurò una certa sofferenza.
Si
morse la lingua e, distolto
lo sguardo dal viso supplichevole del nobile, si diresse con foga
verso la porta, che fu aperta e velocemente richiusa con veemenza,
lasciando quella stanza affogare nel silenzio. Il barone si
risedette, appoggiò i gomiti sulla superficie lucida della
scrivania
e si afferrò la testa tra le mani, stringendola con forza.
«Non
volevo finisse così...»
mormorò, ma Rukia era già lontana.
La
contessa scese le scale con
ardore, senza badare alle serve che le chiedevano cosa fosse
successo; un ciuffo di capelli le nascondeva il viso, ormai rigato da
quelle lacrime che fino a poco prima non avevano trovato il coraggio – la forza – di
solcarle le guance. Avanzava veloce sostenendo la gonna dell'abito
per evitare di inciampare sui suoi passi, sentendo distintamente le
gocce di pioggia inumidirle i capelli e impregnarle i vestiti. Sapeva
dove stava dirigendosi. Sapeva che, come suo solito, lo avrebbe
trovato lì. Da solo, lui, lui e nessun altro.
Come
d'abitudine, Ichigo
Kurosaki si accingeva a prendersi cura del suo bellissimo cavallo,
pensando immancabilmente all'insieme di sensazioni provate la sera
prima, quando aveva accompagnato la danza della contessa di Karakura
sulle note di un valzer. Pensò a quanto tutto, nel giro di
non molto
tempo, era sfumato, diventando solo un ricordo. Un ricordo che andava
scemando, ma che riusciva a rimanere nitido e vivo nella sua mente.
Non sapeva neppure lui cosa, di preciso, avesse provato; ricordava
perfettamente che, quando Rukia gli si era poggiata al petto, il suo
stomaco si era raggomitolato in una morsa tale da impedirgli di
respirare per un attimo, e la situazione creatasi era poco diversa da
quella che lui si era esageratamente creato. Fortunatamente, non si
era trasformato in pietra, il suo unico neurone attivo era rimasto
dov'era senza andare in giro a prendersi un drink abbandonandolo al
suo destino, la sua cassa toracica era ancora intatta e la sua
sanità
mentale, malgrado il rischio corso, ne era uscita illesa. In quel
groviglio dei ricordi, si chiese se Rukia Kuchiki si stesse prendendo
gioco di lui: l'invito alla festa, il ballo, l'annullamento delle
formalità, i fuggenti sguardi maliziosi. Una favola al
centro della
quale giocano il proprio ruolo i due protagonisti: una rispettabile
contessa ed un cavaliere idiota di infimo livello. Una favola,
appunto. Prima o poi quel gioco sarebbe terminato, lasciandolo in
preda alle sue dannate illusioni che lo avevano tradito.
“Non
mi sembra una persona
tanto stronza...” pensò, accarezzando il crine
ispido del cavallo.
Un rumore sordo lo distrasse, e si rese vagamente conto che qualcuno
doveva aver bussato; scosse la testa nel tentativo di scrollarsi
tutte quelle riflessioni di dosso, e si avvicinò velocemente
al
portone grigio. Quando lo aprì, il tintinnio delle catene
riecheggiò
rimbalzando tra le pareti della scuderia; prima che potesse
rendersene conto, però, gli si catapultò sul
petto un esile peso,
che riconobbe all'istante.
«Cont...»
si irrigidì, ricordandosi dell'ordine datogli. «Rukia...?».
La
sentì singhiozzare, e vide
le sue spalle sollevarsi ritmicamente. Le strinse le braccia,
allontanando il suo corpo minuto di una distanza tale da poter
intravedere il suo volto. Si intirizzì, sgranando gli occhi:
stava
piangendo.
Tentò,
impacciato, di
asciugarle le lacrime, sfiorandole il viso con il pollice della mano,
cercando di essere delicato; in quel momento Rukia gli sembrava
così
fragile da potersi incrinare da un momento all'altro.
«Rukia...
cos'è successo?».
Lei
non rispose, limitandosi ad
aggrapparsi sempre di più al corpo di Ichigo, come se quel
contatto
non le bastasse mai. «Fammi
restare qui, ti prego...».
Il
cavaliere non seppe chiederle
altro. Sentendosi stringere con energia, le cinse le spalle con
ambedue le braccia, ricambiando, lievemente imbarazzato, quella sorta
di abbraccio, nel tentativo di farla sentire al sicuro.
Sentì
improvvisamente un suono
leggero, che Rukia, nel suo rimanere così tranquilla, non
doveva
aver sentito: fu certo si trattasse dei passi di qualcuno che si
stava allontanando. Prese a fissare lo spicchio di prato visibile
dalla fessura lasciata dalla porta semi aperta, notando dei
movimenti. Qualcuno, forse, li stava spiando.
***
«Allora?
Dov'è andata?».
«Avevate
ragione, nobile barone Kuchiki. Ho visto vostra sorella abbracciata a
quel tale Ichigo Kurosaki»
ammise un soldato, composto e serio dinnanzi a Byakuya; quest'ultimo
raccolse dalla sua scrivania una lettera, e la porse all'uomo,
insieme a del denaro.
«Questo
è quel che ti meriti. Ora porta questa lettera al duca Aizen»
ordinò, mentre l'altro scrutava all'interno di quel
sacchettino di
velluto, valutando il totale delle monete preziose che vi
trovò.
«È
molto importante, perciò cerca di impiegare poco tempo. Si
tratta di
un affare urgente».
Byakuya
si voltò verso la
finestra, ammirando il panorama all'esterno della villa.
«Certo.
Grazie infinite, Maestà».
«Ora
va'» gli impose il barone, gli
occhi socchiusi, sentendo un leggerissimo fruscio di abiti
determinato dall'inchino del cavaliere, il quale uscì
dall'ufficio
con passo svelto. Quando percepì la porta chiudersi, Byakuya
sospirò. «Spero tu accetterai
la mia proposta, Aizen».
YaH
<3.
Salve a tuttiH. Non penso di essere in ritardo,
stavolta, dai ù__ù.
Cooomunque, ormai è chiaro che il nostro
Byakuya si stia muovendo.
Quale sarà, il contenuto della lettera?
Lo scopriremo nella prossima puntata ù___ù.
XDDDD Scherzi a parte, mi è piaciuto il
loro litigio. Una discussione abbastanza
accesa, direi. Ma ci voleva, finalmente Rukia si
è sfogata. Ci vorrà un bel
po' prima che i due si riappacifichino. Ma questo
lo vedrete in seguito <3.
La data l'ho messa a casaccio, a parte l'anno XD.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio
moltissimo coloro che
leggono e che recensiscono, come al solito
<3.
Arrivederci alla Part Six!
Kyù <3.
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Capitolo 6 *** It will end tonight ***
Turn
back the earldom, Part Six.
It
will end
tonight.
Le
nuvole che minacciose si accavallavano l'una sull'altra oscurando il
cielo grigio sembravano far trasparire il presagio di una tumultuosa
giornata di pioggia, forse ancor più tempestosa della
precedente. Le
gocce d'acqua cadevano cospicue, lente, l'una dopo l'altra, quasi
come se fossero stanche di precipitare al suolo; poi, non appena le
nuvole si fossero riposate, sarebbe caduta altra pioggia. E poi
ancora, ancora; fino a quando le nubi si sarebbero stancate di
piangere lacrime amare. Di tanto in tanto qualche fulmine squarciava
il cielo ed illuminava la facciata anteriore di Villa Kuchiki,
accompagnato da un rumore sordo, come se tra quelle nubi si stesse
aprendo una faglia, una spaccatura, profonda ed irreparabile; allora
poteva essere intravista la figura di un uomo, in piedi dinnanzi al
portone grigio dell'entrata, rivolto verso la strada ciottolata che
circondava l'enorme fontana del giardino anteriore della dimora.
Byakuya
Kuchiki, dunque, rimirava quel lussureggiante giardino paragonabile
ad un paradiso trasformarsi in un inferno, infangato da quella
pioggia che, ormai, perdurava da due giorni. Erano minuti che, con
un'espressione assente, fissava i suoi occhi scuri su ogni carrozza
che passasse di lì, come se attendesse, spazientito, che una
di esse
si fermasse. Il via vai che si presentava al suo sguardo lo rendeva
ancor più nervoso di quanto già fosse.
Era
quasi mezzogiorno, nonostante l'inquietante buio che vi regnasse; e
Rukia non si era ancora fatta viva. Non c'era nella sua stanza,
né
in giardino, né in cucina, neppure alle scuderie. Vi era
solo un
luogo dove potesse essere andata. Se solo avesse saputo dove fosse
situata la dimora di Ichigo Kurosaki.
Non
era stata sua intenzione allontanarla, e non lo aveva fatto: secondo
la sua interpretazione dei fatti, la sorella aveva adempiuto la sua
scelta, incondizionatamente. La porta del suo ufficio, in quella
situazione, aveva rappresentato il confine tra il mondo di quel
cavaliere che non la meritava ed il suo mondo; lei, semplicemente,
aveva oltrepassato quell'orizzonte dalla parte sbagliata.
E,
seguendo il corso dei suoi pensieri, presto Rukia avrebbe incespicato
sui suoi stessi passi, e sarebbe precipitata in un baratro solitario
del quale non sarebbe più riuscita a risalire le pareti.
Sentì un
brivido percorrergli la schiena, dall'alto verso il basso, lungo la
spina dorsale; quel brivido che poi finì per scontrarsi ed
esaurirsi
laddove le sue mani si legavano, incrociate tra loro, costituendo un
ostacolo insormontabile: si era mosso uno spiraglio d'aria.
E
quello stesso soffio di vento aveva trascinato con sé
ciò che
Byakuya stava attendendo: in quel momento, infatti, una carrozza fece
capolino davanti ai suoi occhi, sulla strada di ciottoli, calpestata
dagli zoccoli pesanti di un duo di cavalli; grande ed imponente,
decisamente più vistosa rispetto a tutte quelle che aveva
avuto modo
di vedere quel giorno. Un cavaliere si catapultò
immediatamente,
fermati i cavalli, accanto alla porticina dalla quale si
affacciò
con grazia un uomo dall'aria nobile e degna di portare il proprio
titolo, un paio di occhiali nascondeva i suoi occhi ed un cappotto
copriva le sue spalle larghe. Egli si avvicinò, cercando di
ripararsi dalla pioggia che si faceva sempre più fitta, al
barone
Kuchiki, il quale lo accolse con un inchino raffinato ed elegante.
«Benvenuto
a Villa Kuchiki, duca Aizen».
«Vi
ringrazio» rispose l'uomo, senza
scomporsi né alterare la sua espressione.
«Avete
fatto buon viaggio?».
«Sì,
non ho avuto nessun problema. Sono partito appena ho ricevuto la
vostra lettera e, come vedete, penso di essere giunto qui in
anticipo. Vogliate perdonarmi, ma la vostra richiesta mi ha molto
incuriosito».
Sul
volto di Byakuya si evidenziò gradualmente un sorriso,
seppur falso
e recitato; quindi, condusse il nobile invitato all'interno della
villa.
«Gin
si trova qui, non è vero?»
domandò Aizen, guardandosi attorno e riconoscendo che quel
posto era
rimasto tale e quale a quello impresso nei suoi ricordi. Sousuke
Aizen era un virtuoso duca meritevole di rispetto che, per un certo
periodo di tempo appartenente al passato, aveva alloggiato presso
Villa Kuchiki: tutti erano a conoscenza della sua persona, tutti lo
conoscevano come colui che porta a termine qualsiasi tipo di affare;
solo pochi informati, tuttavia, sapevano che questo Aizen era
raccomandabile soprattutto per affrontare richieste di un genere ben
preciso.
«Se
vi riferite al marchese Ichimaru, risiede qui con la moglie da ormai
due anni».
«Benissimo.
Andrò senz'altro a fargli visita».
«Come
desiderate» recitò il barone,
aprendo l'uscio del suo ufficio e facendovi accomodare Aizen.
Quest'ultimo accolse cordialmente il suo invito, collocandosi su
quella poltrona sulla quale si era già seduto più
volte.
«Allora»
iniziò il duca, in tono placido «...parliamo
di affari?».
***
Di
fronte alla scalinata di Villa Kuchiki, Rukia sostava pensierosa,
riflettendo su quei due giorni durante i quali si erano succeduti
senza tregua una serie di fatti che sembrava non avesse mai fine,
troppo sconvolgente per essere oltrepassata e dimenticata
semplicemente con un sì o con un no. Le cose erano ben
più
complesse di una scelta elementare: sì, avrebbe desiderato
continuare a vedere Ichigo; no, non avrebbe voluto rinunciare
all'affetto del fratello e alla nobiltà. Probabilmente,
Byakuya si
sarebbe adirato, vedendola. Sì, dopo aver lasciato Villa
Kuchiki ed
essersi recata da Ichigo alle scuderie, non era più tornata
indietro. Il cavaliere l'aveva accolta nella sua casa su richiesta
personale della contessa, e lei aveva passato lì la notte.
Ancora le
rimbombava nella testa ciò che si erano detti la sera prima;
dure
parole difficili da cancellare, e che faticosamente avrebbe represso.
Perché
non vuoi tornare a Villa Kuchiki?
Lei
era rimasta in silenzio, senza dire nulla. Poi però,
incontrando il
suo sguardo volenteroso di sapere, conoscere le ragioni, le risposte
che stava cercando, aveva chinato il capo e aveva ceduto, vedendo le
dita di lui intrecciate con le sue.
Non
voglio vedere mio fratello.
Banale
risposta da bambina capricciosa, era stata la sua. Poi, Ichigo aveva
allentato la presa con la quale stringeva le mani della nobile
ragazza. Allora aveva capito che qualcosa si era incrinato.
È
a causa mia, vero?
La
sua voce era decisamente mutata, in un tono incline all'inespressivo.
Rukia,
per il tuo bene... dimenticami.
E
lei era rimasta paralizzata da quelle parole, perché no, non
poteva
credere che le avesse davvero pronunciate lui.
Quel
“dimenticami” era stato capace di colpirla come una
palla di
cannone, di stritolare il suo stomaco in una morsa che non voleva
saperne di sciogliersi. Sarebbe stato normale, per Ichigo, sentirsi
in colpa per ciò che era successo, ma Rukia sapeva
perfettamente che
lui non c'entrasse nulla; l'unico a giudicarlo colpevole sputando
sentenze al vento senza approfondire la sua conoscenza altri non era
che Byakuya Kuchiki. Per questo, la contessa giurò al
cavaliere che
non lo avrebbe mai dimenticato dando ascolto alle sue parole, e che
avrebbe preferito molto di più obliare la sua posizione a
Karakura,
piuttosto che quel loro rapporto che si era da poco plasmato. Ichigo
ci era rimasto di sasso, pur cercando di convincersi che, forse,
Rukia non sapesse quello che stava cercando di fronteggiare. E la
mattina seguente, la ragazza se ne era andata, affermando di tornare
a Villa Kuchiki.
Ora
infatti, Rukia si trovava lì, a metà di quella
lunga gradinata,
indecisa se continuare a salire o scendere; comportarsi da codarda
non era però scritto nel copione delle sue intenzioni: per
questo
decise di proseguire verso l'alto e di non abbassarsi per nessun
motivo. Si accorse che aveva smesso di piovere. Il prato del giardino
era ancora umido, il cielo ancora tinto di grigio: probabilmente
quella sera avrebbe tempestato nuovamente.
Mentre,
con passi incerti, si avvicinava progressivamente al portone,
quest'ultimo si aprì cigolando, lasciando spazio ad un'ombra
che fu
presto sostituita all'immagine di un uomo, che Rukia riconobbe quasi
istantaneamente. Ne rimase incredula, spiazzata, e non poté
fare a
meno di pensare cosa vi facesse il nobile Aizen nella sua dimora.
Dopo solo qualche secondo, alle spalle del duca comparve la figura
del fratello, che parve ignorarla completamente, nel momento in cui
scese le scale per accompagnare Aizen tra il verde umido di pioggia
del giardino di Villa Kuchiki. Non la aveva neppure guardata negli
occhi, non le aveva rivolto una parola, un cenno del viso, un gesto.
Nulla. Semplicemente, le era passato accanto con le palpebre
socchiuse, come se lei non contasse niente, come se lei non fosse
neanche lì. Accortasi di essere rimasta immobile su un
gradino,
riattivò il passo e marciò verso il portone,
rientrando nella villa
per raggiungere la sua stanza.
«Come
mai non avete neppure degnato vostra sorella di uno sguardo?»
domandò, sempre con quel suo mite sorriso, il duca Aizen. «Se
è per la storia che mi avete raccontato, non avete alcun
motivo di
cui preoccuparvi. Ciò che vi infastidisce e vi rende
irrequieto
sparirà presto, ponendo finalmente la parola fine»
continuò, serenamente.
Byakuya
si rivolse al compagno di affari in tono estremamente piatto, quasi
disinteressato. «Quanto
presto?».
«Finirà
stasera».
***
Come
aveva previsto quel pomeriggio, quando si era fermata sui gradini di
Villa Kuchiki, aveva ricominciato a piovere. Il maltempo,
però, non
l'avrebbe fermata: aveva deciso di incontrarsi con Ichigo a casa del
suddetto cavaliere, quella sera. Proprio non ce la faceva a rimanere
chiusa all'interno di quelle mura. Si sentiva soffocare, sotto
perenne osservazione, come se fosse incarcerata per un qualche
crimine che non aveva commesso. Inoltre, con Sousuke Aizen nei
paraggi non si sentiva pienamente a suo agio, nonostante quella fosse
casa sua; non voleva lasciare Ichigo da solo: degli strani
presentimenti gli ronzavano nella testa, presentimenti che voleva
scacciare via, ma che continuavano a ricollegarsi al volto del duca
appena arrivato. Si chiedeva e si richiedeva per quale assurdo motivo
Aizen si trovasse a Villa Kuchiki, per quale assurdo motivo suo
fratello gli avesse garantito ospitalità presso la sua casa,
e per
quale altro assurdo motivo proprio in quei giorni, quando tra lei e
Byakuya regnava un'atmosfera pesante e tesa come un filo di una
macchina da cucire. Tentò di scollarsi il peso di quei
pensieri,
recuperando un ombrellino per ripararsi dalla pioggia battente e
precipitandosi fuori dalla sua stanza, giù per le scale, e
raggiungere l'uscita della tenuta. Cercò di concentrarsi
solo e
soltanto sul suo appuntamento, senza badare a nient'altro che
reputasse insignificante.
Ma
dalla fretta che le causava l'ilarità, non si accorse che il
marchese Gin Ichimaru la stava scrutando da dietro un buio angolo,
con il suo solito ghigno dipinto sul volto.
Rukia
si affrettò a raggiungere la porta d'entrata della dimora di
Ichigo.
Tutto lì attorno pareva estremamente silenzioso, le luci
erano
spente, non era percepibile alcun rumore. Bussò, ed attese
freneticamente, nascosta sotto quell'ombrellino che non la riparava
molto dalla tempesta. Non ottenendo nessuna risposta, bussò
di
nuovo, ma la accolse solo il silenzio. Quindi provò ad
aprirla, ma
si rese conto che fosse chiusa.
«Strano...
non è ancora tornato. Ora che ci penso, questa sera doveva
andare a
cenare alla locanda; probabilmente starà ancora tornando
indietro...».
Decise quindi di andargli incontro, dirigendosi a quella locanda
dalla quale Ichigo stava già facendo ritorno.
Privo
di qualsiasi modo discreto per ripararsi dalla pioggia insistente di
quella sera, Ichigo si affrettava a tornare a casa, conscio del fatto
di dover incontrare Rukia. Quel pomeriggio non aveva fatto altro che
pensare a lei, alle sue parole, alla sua disponibilità.
Ciò che più
di lei lo aveva colpito – e affascinato – era la
sua
determinazione, il suo coraggio nell'affrontare il mondo a testa
alta.
Io
non sono una pedina nelle mani di mio fratello. Pertanto, ho
già
preso la mia decisione ed intrapreso la mia strada. E
continuerò a
percorrerla, fino alla fine.
Che
cosa avesse voluto dirgli con quella frase, prima di scomparire
dietro la porta, non lo aveva ancora compreso pienamente. Ma grazie a
questo aveva visto in lei accendersi la fiamma della tenacia e della
grinta, che solo una donna orgogliosa come Rukia Kuchiki avrebbe
potuto possedere. Forse, che la loro relazione fosse ancora in piedi
era solo per merito della volontà e della fermezza di quella
ragazza, che già in quel momento sentiva di adorare.
Anche
se, sinceramente, quella stessa ragazza gli aveva rimescolato tutto
dentro.
Ichigo
si affrettò a tornare a casa. Inspiegabilmente,
però, le sue gambe
cedettero all'improvviso, seguite a rotazione da tutto il resto del
corpo, e si ritrovò sdraiato – o, sarebbe meglio
dire, accasciato
– su quella distesa di prato che, in quel momento, gli
sembrò
infinita. Solamente qualche secondo dopo avvertì una fitta
lancinante al petto, che gli sembrò così dolorosa
da essere
palpabile. Acuta, lacerante, pungente; di un'intensità che
gli fece
strizzare gli occhi. Artigliò la sua divisa da cavaliere
all'altezza
della fitta, quando le sue mani si immersero in una vernice rossa che
continuava a sgorgare dal suo torace. Vernice che però non
era
vernice. Inchiostrava di rosso i suoi vestiti, dipingeva la sua
veste, macchiava l'erba sotto di lui; ma non era vernice. Era sangue.
Qualcuno gli aveva sparato, ma non riusciva né a pensare,
né a
vedere, né a sentire lucidamente. Tutti i suoi sensi si
concentravano su quella ferita, su quel proiettile che lo aveva
trapassato da parte a parte, immobilizzandolo al suolo agonizzante.
Il respiro iniziava ad affannarsi, il sangue aveva già
intaccato le
vie respiratorie, era giunto alla bocca, dove lo travolse un sapore
che reputò orrendo. Strinse la ferita e vomitò
sangue, arrancò di
qualche passo.
Incontrò
una scarpa, e riuscì di poco a sollevare lo sguardo per
vedere il
volto del suo assassino.
«Oh?
Non sei ancora morto, ragazzo?». La sua
espressione era stranamente
placida. Ichigo si accorse che non aveva in mano una pistola. Ma
allora chi aveva premuto il grilletto, se non l'uomo che aveva di
fronte? Si accorse della presenza di qualcuno alle sue spalle, ma
rigurgitò altro sangue e non riuscì a voltarsi. I
muscoli non
rispondevano ai suoi comandi, continuava a tossire e gli si era
già
annebbiata la vista.
«Che
faccio, gli do il colpo di grazia?» chiese
ghignante e speranzosa
la figura misteriosa dietro di lui.
«Lascia
stare, Gin. Tra qualche minuto i suoi polmoni si riempiranno di
sangue, e sarà la fine. Lasciamo che soffra ancora un po'.
Così
magari si pentirà e potrà varcare la soglia del
Paradiso».
L'assassino
sbuffò ironicamente, ed il lieve suono che Ichigo
percepì gli fece
capire che l'uomo avesse riposto l'arma con il quale aveva sparato
quel proiettile che lo stava uccidendo. Sentì dei passi
dietro di
lui allontanarsi, e scomparire. Ora, l'unico suono percepibile era il
ticchettio della pioggia che cadeva insistentemente, che gli aveva
bagnato i capelli e i vestiti. Quella stessa pioggia che aveva ormai
lavato via il sangue che aveva infangato i fili d'erba, i quali
accarezzavano il suo viso affondato nel prato che avrebbe costituito
la sua tomba.
Non
riusciva a parlare, non riusciva a riflettere, non riusciva a
sentire. Capì solo che sarebbe morto lì.
In
quel momento, Rukia fece capolino tra gli alberi del piccolo
boschetto antecedente il prato. Camminava allegramente, sostenendo
quell'ombrellino che le scivolò via dalle mani non appena
vide il
corpo di Ichigo disteso sull'erba in un bagno di sangue.
Urlò il suo
nome, senza sapere che lui non l'avrebbe sentita, non avrebbe
recepito la sua voce, poiché già i suoi sensi lo
avevano
abbandonato. Giunse immediatamente al suo capezzale, lo prese fra le
braccia, ripeté e ripeté il suo nome, sempre
più tremolante,
sempre più nel panico.
«Ichigo,
Ichigo! Rispondimi, Ichigo!». Lo
scosse, agitò il suo corpo, fino
a quando riuscì a vedere i suoi occhi aprirsi leggermente.
«R...uki...».
Vaneggiava, sembrava stesse mescolando sillabe a caso, ma il suo nome
fuoriuscire dalle sue labbra bagnate dalla pioggia, Rukia, riusciva a
sentirlo.
«Va
tutto bene, sono qui...»
gli disse lei, accarezzandogli il viso, ma
sapeva che in fondo, niente andasse per il verso giusto. Piangeva,
urlava aiuto, ma nessuno l'avrebbe sentita. Per qualche secondo, i
sensi di Ichigo ripresero a funzionare, ma sentire urlare la contessa
lo abbatteva ancor più, causandogli un senso di angoscia e
dolore
sempre più forte e percuotente. Finché i suoi
sensi tornarono
nuovamente ad annebbiarsi, lasciandogli sentire solo il grido di
Rukia per un'ultima volta, prima di abbandonarlo. Ancora
quell'ultimo, straziante urlo.
Yo, genteH.
Salve ragazzi, quanto tempo <3. Sì lo
so, io aggiorno sempre in ritardo, ma che ci volete fare. Io mi sto
impegnando molto per portare avanti questa storia, giuro XD. E anche se
scrivo male, la continuerò lo stesso
ù___ù. Il problema è che ultimamente
manco di ispirazione. Voglio dire, la storia l'ho già in
mente molto bene, ma come vi ho già detto, realizzarla
è un altro conto. Per scrivere questo capitolo ci ho messo
un secolo, figurarci il prossimo, in cui non so proprio cosa far
accadere. Cioè, come già detto, a grandi linee lo
saprei già, ma buttare giù le idee diventa
complicato. Comunque, non voglio soffermarmi troppo su questo; cito la
frase detta da Aizen, "Finirà stasera", e ammetto di averla
presa da Matrix Revolution ù____ù.
Sarà passato un anno o forse di più dall'ultima
volta che ho rivisto la trilogia di Matrix, e non so per quale motivo
mi è tornata in mente mentre scrivevo il capitolo XD.
Così l'ho usata (perdonami, Neo ùwù'')
e trovo che ci suoni molto bene <3. Anche se Aizen non c'entra
un cappero con Neo XD. Comunque, spero che il capitolo sia piaciuto,
nonostante la drammaticità degli avvenimenti. Si
può dire che da questo capitolo parta la vera storia. Come
vi avevo detto nel secondo o nel terzo capitolo, non sarebbe stato
tutto rose e fiori ancora per molto. Ora dovreste averne ben capito il
motivo XDDD. Okay, ammetto che questo capitolo è capitato
giusto giusto (ma che coincidenza! XD) proprio nel periodo in cui sto
odiando Ichigo. Sì, perchè è un
raccomandato del cavolo, quello stronzo. Far fuori Ulquiorra
così ed uscirne indenne... meglio che io non prosegua, o
inizierà a ribollirmi il sangue.
Bene, ho commentato anche troppo per i miei gusti XD. Quindi vi saluto!
Bye Bye, ci si vede al prossimo capitolo, la Part Seven.
Kyù.
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Capitolo 7 *** Black and White, Dead or Alive ***
Turn
back the earldom, Part Seven.
Black
and White,
Dead or Alive.
Bianco.
Nessuna sensazione che stimolasse la sua mente, nessun pensiero che
mettesse in moto il suo cervello, nessuna emozione che facesse
riprendere al cuore la sua solita attività di pulsare il
sangue.
Nulla. Vuoto. Morto.
Sarebbe
davvero morto? Forse, lo era già da tempo.
Di
colpo, divenne tutto nero. Oscurità che venne quasi
immediatamente
trafitta da un raggio di luce, scemando sempre di più,
brillando di
bagliori intermittenti. E di nuovo bianco. Dannazione, ne aveva
abbastanza, di tutto quello. Non vedeva altro che bianco e nero
alternarsi; due colori che non significano nulla, ma che possono
voler dire tutto. Il contrasto, la differenza, la tonalità
più
chiara e quella più scura; luce e tenebre. Vita e
morte.
Calma.
Il fatto che vedesse almeno qualcosa, significava che era vivo,
giusto?
O
forse, più probabilmente, ciò che scorgeva in
lontananza non era
altro che l'orizzonte del Paradiso.
Sentì
il sangue pulsare freneticamente in un punto impreciso del torace,
senza tuttavia riuscire a localizzarne perfettamente la posizione;
pareva che quella vernice rossa volesse sfondare lo strato cutaneo
che la separava dal mondo esterno e zampillare fuori, ma qualcosa le
impediva di perforare la pelle che ostruiva il suo passaggio.
Ancora
un'altra singolare fitta all'addome, ancora altro dolore.
Dannazione,
percepiva, percepiva quegli attimi di spasimo. Era davvero
sopravvissuto?
Qualcosa
di pungente e fastidioso provenne dalla sua sinistra, probabilmente
dal braccio. Sentiva poco alla volta ogni suo arto riacquistare
sensibilità. Era vivo, grazie al cielo.
Ora
bastava solo vedere in quale mondo.
Fu
in grado, in quel buio, ad individuare i suoi occhi. Tuttavia, almeno
in un primo momento, non riuscì a dischiudere le palpebre,
che gli
sembravano incollate alla pelle delle guance accaldate;
sentì invece
dei suoni offuscati, indecifrabili. Nient'altro che mormorii
sottomessi, che piano piano divenivano sempre più nitidi e
comprensibili.
«...ndo...
sta... ene? ...utto... osto...».
Per
la prima volta in vita sua desiderava un apparecchio per l'udito.
Non
potendo contare sulla percezione del suono, tentò di aprire
gli
occhi: nello spicchio opaco che gli si pose di fronte non v'era nulla
di distinguibile; macchie più o meno colorate si muovevano
disordinate, rendendo la caotica immagine che intravedeva ancora
più
confusa.
«Si
sta svegliando», riuscì
finalmente a comprendere.
«Grazie
al cielo...» subito dopo.
L'odore
dell'umidità gli inondò immediatamente le narici,
un sapore amaro
gli si accese in bocca, un tiepido calore già provato gli
invase la
mano, un raggio di luce accecante gli attraversò la pupilla,
che
ridusse drasticamente il suo diametro. Dio, era vivo. I suoi sensi
funzionavano.
Il
bagliore luminoso si spense quasi istantaneamente, le sue iridi si
rilassarono: capì qualche secondo più tardi che
qualcuno dovesse
averlo visitato. Era finito in un ospedale? Forse no.
«Ichigo,
stai bene?». Si sentì stringere
la mano destra. Rukia. Riconobbe istintivamente la sua voce, la sua
delicatezza, il suo tepore. Provò a parlare, ma gli
sembrò che la
voce gli fosse morta in gola e che le sue corde vocali si fossero
cristallizzate.
«Non
sforzatevi, signor Kurosaki. Limitatevi ad un cenno con il capo,
piuttosto».
Una
voce che il suo udito, per quanto fine potesse essere in quelle
condizioni disastrose, non riconobbe.
Calcolò
che dovesse trattarsi di un medico, o comunque di un qualche esperto
giunto in suo soccorso. Sicuramente un angelo capace di compiere
miracoli, per essere riuscito a salvarlo da quel proiettile letale.
Non
seppe momentaneamente se accogliere o meno il consiglio di quello
sconosciuto, che ancora la sua mente non riusciva a distinguere e
delineare perfettamente: temeva quasi che, se solo avesse tentato un
movimento, gli si sarebbe spezzata la cervicale. E non ci teneva
particolarmente.
Mosse
le iridi in direzione della contessa, la quale lo guardò
speranzosa,
affondando le dita tra i suoi capelli arancioni. Ichigo dischiuse le
labbra, ma non emise alcun suono; niente da fare, gli sembrava che
gli avessero estrapolato le corde vocali e ci avessero fatto una
treccia.
Non
riusciva a parlare, non riusciva a muoversi, non riusciva ad
esprimersi. Rifletté su quanto quella situazione fosse un
inferno.
Mai in vita sua aveva desiderato così ardentemente di
addormentarsi
per sempre. E poi risvegliarsi, magari tra le braccia di Rukia, in un
universo bianco come la neve, dove il corpo è leggero e
insofferente; quello sì che sarebbe stato il Paradiso. Anche
se in
realtà gli sarebbe bastata anche la sola presenza della
Kuchiki
accanto a sé. E invece stava andando tutto storto, tutto
stava
girando al contrario, ogni cosa stava prendendo la direzione
sbagliata. Chiuse gli occhi, i quali non sopportavano più il
peso
delle palpebre. Piombò nell'ombra dei suoi sogni,
inestimabile
vittima del sonno, sperando di risvegliarsi altrove, in uno stato
migliore.
«Ichigo».
Fu l'ultimo richiamo che sentì; l'ultimo pensiero prima di
crollare
addormentato, cullato dal calore delle coperte e dal ticchettio della
pioggia.
***
L'uomo
che il cavaliere aveva intravisto nella nebbia della sua vista poco
nitida era Kisuke Urahara, un amico di famiglia. Non si trattava
né
di un medico né di uno specialista, ma se la cavava
ottimamente nel
campo dei farmaci e delle medicazioni. Stava facendo ritorno dalla
foresta – ove era stato tutto il pomeriggio a raccogliere
qualche
erba medica – quando sentì le urla di Rukia che
implorava aiuto:
allora si era precipitato in suo soccorso, portando il corpo di
Ichigo in un capanno abbandonato lì nelle vicinanze. Era
stato lui a
rimuovere il proiettile dal petto di Kurosaki, ora completamente
avvolto da candide bende macchiate di sangue.
Kisuke
Urahara era un uomo tremendamente strano: nonostante fosse di
famiglia benestante indossava sempre vestiti molto larghi e dai
colori spenti, un cappello bianco a strisce verdi e degli zoccoli che
gli donavano un'aria del tutto stravagante; era un poco avvolto nel
mistero, e questo suo aspetto contribuiva a renderlo un tipo quasi
solitario. Viveva infatti con due trovatelli di circa nove o dieci
anni, il suo maggiordomo – un uomo maledettamente enorme
– e la
sua compagna, Yoruichi, famosa a Karakura per l'abilità in
combattimento e la dimestichezza nell'uso delle armi ninja. Una
famiglia piuttosto inusuale.
Ichigo
riprese conoscenza un paio di giorni più tardi, tempo
durante il
quale Rukia gli era rimasta accanto senza nemmeno fare ritorno a
Villa Kuchiki; si era presa cura di lui come se egli fosse stato un
bambino. Spesso restava a guardarlo per ore, al suo capezzale, sul
cipiglio del letto. Le bastava osservarlo dormire, sentire il suo
respiro, ascoltare il ritmo regolare del battito del cuore, per
ritrovare la pace e la serenità dentro di sé,
prima sconvolte
dall'accaduto. Le era capitato solo una volta di meditare su cosa
fosse effettivamente successo: la verità era che qualcuno
aveva
sparato ad Ichigo. Ma chi? Chi avrebbe potuto fare una cosa del
genere? Dopotutto Ichigo era appena arrivato a Karakura, chi avrebbe
già potuto odiarlo al punto di ucciderlo? Non aveva fatto
niente a
nessuno, non aveva mai...
Fu
come se un fulmine le passasse attraverso il cervello. Il rimprovero
da parte di suo fratello di stare alla larga dal cavaliere, l'arrivo
rapido e improvviso e inspiegato di Aizen, il tentato omicidio di
Ichigo... era tutto collegato.
Il
tossire di Ichigo la destò bruscamente. Le venne quasi
spontaneo
preoccuparsi.
«Si
riprenderà?» non poté fare a
meno di chiedere, con gli occhi lucidi e le dita intrecciate con
quelle della mano fredda di Ichigo.
«Certamente,
contessa. State tranquilla. Dovrebbe svegliarsi presto; l'effetto del
sonnifero dovrebbe terminare a momenti».
Si fissò ad osservare il volto del paziente, disteso e
completamente
rilassato. «Purtroppo per lui
non sarà un dolce risveglio».
«Cosa
intendete dire?». Un lieve
timore si insinuò nelle iridi cristalline della ragazza.
«Mi
riferisco al suo corpo. Spero che riuscirà a reggere. Al
momento non
dispongo di potenti antidolorifici. Non so dire quanto possa far
male».
Bastarono
pochi minuti di estenuante attesa per poter vedere le palpebre del
cavaliere muoversi impercettibilmente. Rukia lo guardò con
due iridi
cerulee che brillavano notevolmente di una speranza da sempre
cercata: le sembrava che Ichigo stesse sforzandosi di venire
visibilmente a contatto con la realtà di quel mondo da cui
si era
sentito più volte minacciato; sembrava non soffrisse di
alcuna
paura, ma che, al contrario, avesse una voglia di vivere estremamente
dinamica. O almeno, al momento la pensava in questo modo. Pensava
così mentre sentiva le dita di Ichigo stringere piano le
sue, come
se cercasse del calore che gli avvolgesse la pelle. Finché,
finalmente, Kurosaki aprì gli occhi, causando
l'ilarità della
contessa, che guardò entusiasta Urahara.
«Rukia...».
Ichigo si impressionò di se stesso: era riuscito a parlare,
finalmente. «Sono...».
Notò di non saper ricollegare quel soffitto a nessun altro
luogo mai
visto prima. «...dove sono?».
Cercò di rialzarsi supino appoggiandosi al cuscino, ma fu
immobilizzato da una lancinante fitta all'addome, nel punto in cui il
proiettile aveva forato la carne: in quell'istante i nervi
cominciarono a pulsare vigorosamente, i muscoli in tutto il resto del
corpo cedettero al peso e al dolore, e si ritrovò nuovamente
sdraiato.
«Piano,
signor Kurosaki! È pericoloso... ci vorrà del
tempo affinché voi
vi riprendiate completamente».
Il
paziente guardò Rukia perplesso.
«Ha
ragione, Ichigo». Nonostante,
quelle pronunciate dalla Kuchiki, potessero sembrare insignificanti,
quelle parole ebbero il potere di persuaderlo a stare tranquillo e a
non fare movimenti bruschi. Rukia, nel vederlo però
impaziente, lo
aiutò a sollevarsi almeno un po', seguita poi da Urahara
che, dopo
una sottile smorfia, acconsentì permettendo al giovane di
muoversi.
«...Rukia,
chi è lui?» chiese, una volta
sistematosi comodamente, il ragazzo, con una punta di
ostilità nei
confronti dello sconosciuto. La contessa Kuchiki comprese, comunque,
la diffidenza di Ichigo: in quei giorni gli si era rivoltato tutto
contro, e sembrava che tutti lo desiderassero sotto terra.
«Non
preoccupatevi» proruppe l'uomo
con il cappello, «potete
tranquillamente fidarvi di me!».
Estrasse un ventaglio dalla grande giacca scura che portava sulle
spalle, allargando vivacemente le labbra in un sorriso a trentadue
denti; era stato capace di ribaltare l'atmosfera ostile creatasi,
tanto che Ichigo e Rukia ne rimasero spiazzati. La Kuchiki si
lasciò
sfuggire una mezza risata, rassicurando Ichigo, che rilassò
i
muscoli. Il sorriso della fanciulla gli bastò per ritrovare
quell'equilibrio di serenità che era stato spezzato. I due
si
guardarono negli occhi per interminabili secondi, scorgendo l'uno
nell'altra un pizzico di fastidioso imbarazzo nel sentire le proprie
dita intrecciarsi e farsi sempre più vicine. Urahara, forse
sentendosi a disagio, mise disordinatamente nella sua borsa di pelle
tutto ciò che aveva lasciato in giro, dalle pinze ai
farmaci, dal
cotone ad attrezzi di ogni genere.
«Zoccoli
e cappello, che stai facendo?».
Ci mise un po' per comprendere pienamente che Ichigo si stesse
riferendo proprio a lui, con quel bizzarro appellativo.
«Zoccoli...
e cappello?» ripeté allora
Kisuke, voltandosi impressionato verso il paziente.
«...Ricordare
i nomi non è una mia particolare dote»
disse, sorridendo. Posò un rapido sguardo su Rukia, che vide
abbozzare un sorriso. «...In
questo stato i miei neuroni lavorano la metà, sapete».
Urahara
chiuse la cerniera della sua borsa personale .
«È
Kisuke Urahara, comunque. In ogni caso, qui il mio lavoro è
finito».
Gli occhi dell'uomo si fermarono istintivamente sulle mani saldamente
incrociate dei due giovani. «...Quindi
torno a casa». Afferrò la borsa
– aveva tutta l'aria di essere piuttosto pesante –
e si diresse
verso l'uscita.
«Nel
caso aveste bisogno di me, sarò a vostra disposizione!»
avvertì infine, richiudendo la porta del capanno ed
allontanandosi
verso il bosco. Ichigo e Rukia rimasero in silenzio per qualche
secondo, rotto poi dalla risata cristallina di lui.
«Che
hai da ridere?» chiese la
contessa, sorridendo a sua volta.
«Simpatico,
il tipo con i sandali». Lei
accennò una smorfia delicata, la quale poi sfumò
in un impeto
quando Ichigo gemette al dolore che la ferita gli procurava: anche
ridere troppo aveva i suoi effetti collaterali. Il cavaliere
cercò
di sollevarsi ancora un poco di più, sforzandosi di trovare
la
posizione più comoda nella quale la lesione gli provocasse
minor
fastidio. Stentava a muoversi, ma con il lesto aiuto di Rukia gli fu
tutto più semplice. Il profumo che avvertì nel
sentirla così
vicina gli sollecitò tempestivamente una domanda, che ammise
di non
essersi proposto prima di quel momento. Il problema era chiedersi
veramente se volesse imbattersi o meno nella risposta. I fatti di
quegli ultimi giorni, la tempesta che aveva sconvolto la sua vita, la
figura della Kuchiki che si era insinuata nel suo cuore in un
lampo... ma soprattutto, l'atteggiamento di Rukia nei suoi confronti
gli sollevava quel quesito, che in quel momento era più vivo
che
mai. Vivo come una forte luce accecante che, in un modo o nell'altro,
deve essere placata e arrestata.
Rukia
aiutò Ichigo a muoversi lentamente, prestando notevole
attenzione;
quando il cavaliere si assestò, comodo e rilassato, si
allontanò
dal letto.
«Vado
a prenderti dell'acqua» mormorò,
muovendo qualche passo. Non poté, comunque, allontanarsi
tanto,
poiché la voce di Ichigo la paralizzò.
«Perché...?».
Rukia non capì sinceramente ciò che il cavaliere
intendesse dire.
«Perché
mi... stai aiutando?». Ichigo si
accorse di quanto avesse bisogno di sapere. Trovare
e ottenere
delle risposte. Ne necessitava, ora più che mai. Eppure il
silenzio
della Kuchiki lo sconfortava terribilmente.
«Perché
stai facendo tanto per me?».
E
Rukia cosa avrebbe dovuto rispondere? Era evidente, che a quella
domanda non sapeva fornire una risposta concreta. C'era davvero un
motivo? Un motivo che la persuadeva ad aiutarlo? Un motivo per il
quale era spinta a stargli vicino? Era forse necessario per Ichigo? O
forse per se stessa?
«Che
vuoi dire?» ribatté poi,
sforzandosi di sorridere. Un sorriso che svanì quasi
immediatamente.
«Rukia...
da quando sono arrivato io, la tua vita è stata stravolta.
Lo so».
La
contessa deglutì, fissandosi le mani strette un grembo.
Probabilmente il giovane non aveva tutti i torti. Ma non poteva
incolparsi, no. Lui non c'entrava niente in quella storia, era solo
un forestiero recentemente trasferitosi. Che c'è di male
nello
spostarsi da una contea all'altra, infondo. Era stata lei, a
trascinarlo in quella storia. Era stata lei a metterlo nei guai. Non
avrebbe semplicemente dovuto invitarlo al ballo, non avrebbe dovuto
trascorrere tanto tempo insieme a lui, non avrebbe dovuto
affezionarcisi. Non avrebbe dovuto innamorarsi.
«Forse
sarebbe stato meglio marcire in quel prato».
«Hai
un buon senso della vita, tu».
Si
rimangiò istantaneamente tutto ciò che aveva
detto sulla voglia di
vivere di Ichigo. Come poteva desiderare così tanto andare
incontro
alla morte? Solo per lei? Solo per il suo bene? Oppure per scappare
da tutto ciò che quel groviglio insolubile di avvenimenti
aveva
portato con sé? Entrambi i casi non avrebbero rappresentato
una
valida scusa per gettare via la vita in quel modo. La classica
“vita
indegna di essere vissuta” non aveva nulla a che vedere con
quella
di Ichigo.
«Senso
della vita? Guardami. Sono un morto che cammina».
Rukia
gli si fece più vicina, sedendosi sul letto, accanto a lui.
Lo fissò
dritto negli occhi, senza badare al tremolio ed al leggero
disorientamento che le pozze ambrate di lui le causavano, come se gli
volesse indottrinare un concetto fondamentale che mai nella vita
avrebbe dovuto dimenticare o accantonare.
«Non
lo sei» disse, con sguardo
fermo, sicuro, e decisamente carismatico.
«Se
non lo sono...» esordì Ichigo,
nell'insicurezza che la vicinanza del viso della ragazza gli
strappava.
«...è
solamente perché ci sei tu».
Per
non pochi secondi, Rukia rimase immobile, spiazzata; azzittita dalle
parole appena fuoriuscite dalla labbra del biondo. Labbra che non
avrebbe rifiutato di baciare, ma che, anzi, desiderava come sue.
Senza sapere che, in realtà, sarebbe stata la prima ad avere
l'opportunità – o forse, si potrebbe dire l'onore
– di
assaggiarle. Gli ormoni di lui fremevano, l'attrazione dei corpi non
era debole. Un'attrazione paragonabile a quella di due corpi
magnetici, incapaci di stare lontani quando sono troppo vicini. Fu
proprio così che, inarrestabili, le labbra dell'uno
catturarono
quelle dell'altra, che ricambiò quel bacio con
un'intensità e
bramosia passionale, come se desiderato da tempi incalcolabili. Il
polo negativo e quello positivo, due magneti, due soggetti sottoposti
ad un'irresistibile forza di attrazione che non può essere
né
controllata né smentita. Quel bacio li catapultò
lontano da ogni
pensiero, da ogni sofferenza, da ogni insicurezza cui erano
sottoposti in ogni momento della vita quotidiana; un semplice tocco.
Due bocche che si cercano, due lingue che si incontrano, due mani che
si intrecciano. Due calamite che non possono fare a meno l'una
dell'altra per completarsi; labbra che si sfiorano, corpi che
scivolano. Un contatto che entrambi cercavano. Un contatto che ebbe
la facoltà di riaccendere in Ichigo la voglia di vivere.
Sono
maledettamente in ritardo, lo so.
Non
ditemelo non ditemelo non ditemelo >____<. Sono
consapevole di essere tremendamente in ritardo, e mi scuso moltissimo,
per questo. Mi vedo costretta a dare la colpa alla scuola, che mi sta
uccidendo. Ma ammetto che, più di ogni altro, ho fatto
davvero una grandissima fatica a scrivere questo capitolo, non sto
scherzando. La prima parte (breve <___<'') mi
è venuta quasi spontanea, anche perchè si basava
solamente su ciò che provava Ichigo nel trovarsi tra la vita
e la morte. Miscugli di sensazioni e roba così, insomma.
Quella l'ho scritta piuttosto velocemente... Ma la parte che segue,
addio. Non avevo spunti, non avevo idee, non avevo niente. So
già come scrivere i prossimi capitoli, ma non riuscivo
proprio a scrivere questo. Poi una mia cara amicaH (grazie Sara
<3) con i suoi eccessivi complimenti mi ha invogliata a
scrivere, perciò sono riuscita a concludere il capitolo. Ma
la mia mente ha dato dei frutti piuttosto insoddisfacenti
<___<''. Cioè, piuttosto, trovatemi un
capitolo di cui io sia soddisfatta XD. Diciamo che non è
male, tutto qui.
Piuttosto,
lasciatemelo dire: era ora che questi due si baciassero, checcavolo! XD
insomma, il primo bacio al settimo capitolo
ù____ù. Presto? Tardi? Lo lascio decidere a voi
XD. Sinceramente non ho molto altro da aggiungere. Voi che dite,
soddisfatti o rimborsati? XD.
Ringrazio moltissimo
chi segue la fiction e chi recensisce. Grazie davvero di cuore
çwç.
Recensite, eh *O*.
Ci si vede al prossimo
capitolo <3. Bye!
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