Sempre sulla soglia, forse oltre

di Naki94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PARTE 1 ***
Capitolo 2: *** PARTE 2 ***
Capitolo 3: *** PARTE 3 ***
Capitolo 4: *** PARTE 4 ***
Capitolo 5: *** PARTE 5 ***



Capitolo 1
*** PARTE 1 ***


In verità non so affatto da dove partire per raccontarvi cosa è accaduto in quei giorni di indagine sul sovrannaturale. E' chiaro che Nelson Bruni mi avesse chiamato in maniera così urgente per qualche valido motivo, Si trattava di un messaggio in segreteria. La voce di Nelson era torbida e lontana. Non lo vedevo da parecchi anni, da quell'escursione al cimitero di Macerata. Dopo quel singolare episodio nessuno dei due era stato in grado di ricordare quanto successo. Un contadino ci trovò privi di conoscenza e con strani lividi sul torace e sulla fronte. Questo dettaglio ci fu raccontato in seguito al nostro risveglio presso l'ospedale della città. Tentai, come era mia natura fin da quando ero bambino, di esplorare il mondo del sogno in cerca di qualche ricordo. Una notte misi in atto un bizzarro rituale che ero riuscito a decifrare da un antichissimo libro proveniente dalla Turchia. Il professore di storia dell'università di Ferrara mi aiutò con la traduzione. Il fatto che il rituale non andò a buon fine lo devo al fatto che l'ultima parte del libro non mi fu inviata tradotta completamente. Il professore a cui avevo commissionato l'arduo compito sparì nel nulla nei pressi di un cimitero all'interno di un vetusto castello in pericolo di crollo. Le ricerche andarono avanti per giorni, ma il corpo non fu mai trovato. Temevo che quel libro avrebbe portato alla tomba anche me. Insomma, dopo il rituale descritto in parte sul libro mi addormentai sul tappeto indiano che rivestiva il pavimento del soggiorno. L'ultima cosa che avvertii fu l'odore forte e penetrante dello stoppino della candela che si smorzava. Forse un colpo di vento proveniente dalla finestra aperta aveva spento il lume. Sognai di nuovo di trovarmi a piedi nudi sull'alta terrazza che dominava quella incantevole città. Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con i suoi templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini profumati. Le statue d'avorio incorniciavano le strade colorate di boccioli. Un lunga serie di tetti d'argento si espandeva verso Nord e antichi merli incoronavano le mura, mentre strette viuzze e stradine erbose coperte di ciottoli si contorcevano in tutta quella bella composizione di edifici e opere architettoniche. Di questo sogno raccontai alcuni dettagli anche a Nelson per corrispondenza qualche mese dopo l'accaduto. Ma non ricevetti mai alcuna risposta. Gli raccontai di quando appoggiato al parapetto adorno di fregi guardavo estasiato quella città carica di bellezza e il tramonto dei due Soli col desiderio di scendere quella scalinata che dall'alta terrazza portava in città. Il desiderio era tanto forte quanto il timore di quello che avrei potuto trovare in quel mondo di strade e viuzze immerse nel tramonto e cariche di sortilegi di ogni tipo. Ricordo che la caduta dei due Soli fu particolarmente breve. Sparirono dietro gli sconosciuti monti oltre il gelido deserto in cui nessun uomo osa avventurarsi. Fu subito notte. E un rumore d'ali iniziò a graffiare l'aria sopra di me nel vuoto assoluto del cielo. I settanta gradini che mi separavano dalla città splendente divennero neri e presero a sbriciolarsi sommersi dal buio di tenebra. Rimasi solo in quel volteggiare di immense ali. Mi sentii afferrare da quegli essere oscuri ed estremamente magri. Sentivo i grossi artigli delle zampe posteriori premere contro la pelle. I piedi nudi si levarono dal pavimento di marmo finché, sollevato verso grande altezze da una di quelle innominabili creature, non mi ritrovai nel vuoto nulla dell'universo buio e freddo. Da quell'altezza potevo vedere uno sola cosa che prima sulla terrazza non avevo minimamente notato: i settanta gradini non conducevano verso la bramata città dorata, ma all'interno di una caverna in fiamme le cui lame di luce erano appena percettibili in quel buio. Lì si nascondevano i barbuti sacerdoti di Nasht e Kaman-Thah. Mi risveglia sul mio tappeto indiano al centro del soggiorno. Capii così che non mi era permesso ricordare ciò che era accaduto né tanto meno esplorare quel mondo di sogno e dunque scendere tutti i settanta scalini. Ci misi un po' a trovare il paese nel quale era previsto il mio incontro con Nelson. Si trattava di una piccola cittadina rurale a cui si ha accesso tramite un contorta stradina che serpeggiava nei tratti di campagna e di boscaglia. Non fu semplice ma quando arrivai fui estasiato nel notare in tutto quell'assemblaggio di colori ed edifici una calma innaturale. Imparai successivamente che il clima in quella zona non mutava mai. Un cielo parzialmente coperto dalle nuvole lasciava fuggire qualche caldo raggio di sole. Nei momenti in cui il sole era completamente assente o coperto calava un rigido e straziante freddo che penetrava nelle ossa. Passeggiando in cerca dell'abitazione di questo vecchio amico notai la presenza di uno oggetto in possesso ad ogni persona che casualmente incontravo nel mio percorso. Ognuno portava con sé un ombrello e camminava tenendolo aperto pure col sole! Solo in seguito mi accorsi che, osservando attentamente attraverso l'aria, si potevano chiaramente notare leggerissime gocce di pioggia che tagliavano lo sfondo. Arrivai a destinazione completamente fradicio senza accorgermene e Nelson, estremamente invecchiato dall'ultimo mio ricordo, si fece scappare un bonario sorriso. Una casa molto larga e spaziosa se solo non fosse stata ricoperta ogni dove di libri e scaffali. Sembrava essersi dato da fare negli ultimi anni. Aveva sempre avuto l'abitudine di mantenersi al buio perciò quando entrai non fui sorpreso di trovare le tapparelle completamente abbassate e solo qualche lampadina accesa qua e là oltre che una serie di candele. Chiuse subito la porta alle mie spalle non appena varcai la soglia. La luce lo infastidiva parecchio. In quel buio potevo vedergli luccicare gli occhi grigi come quelli di un felino. Mi fece sedere su la sua poltrona, mentre lui preferì sistemarsi su un treppiede di legno e vera pelle che acquistò da uno sciamano Masai nel territorio Sudest dell'Africa. Aveva viaggiato molto in Africa. Conobbi Nelson in aeroporto di ritorno da uno dei suoi magnifici viaggi. Non ricordo esattamente da quale paese io stessi tornando, ma notai subito quel giovane ragazzo che giocherellava tenendo tra le dita uno stranissimo oggetto all'apparenza d'ebano. Dato il mio carattere esploratore e curioso non passò molto prima che gli domandassi l'origine. Mi raccontò di aver scalato gran parte del Kilimangiaro per trovarlo. Lassù, ad una certa altezza, era stata posta una parte della tribù indigena che aveva il villaggio ai piedi del monte. Erano guerrieri scelti, Masai preparati ad ogni evenienza. Il loro compito era quello di sorvegliare la soglia di una cavità oscura affinché nessuno potesse metterci piede. Alcuni di loro erano morti solo a starle accanto. Si diceva che quella grotta respirasse e che il fiato gelido che ne usciva era velenoso. Altri dicevano che non erano solo i Masai a sorvegliarla, ma che gli dèi Antichi avessero posto piccoli insetti di nome Pinzy che, se destati durante il loro vigile sonno, producevano un suono così orribile e acuto da portare chiunque alla follia. Il ragazzo che conobbi in aeroporto non mi raccontò mai del tutto la storia né come arrivò ad ottenere quell'artiglio nero che teneva tra le mani. Mi disse però il suo nome e divenni suo amico e compagno indagatore dell'incubo e del sovrannaturale.

 

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Capitolo 2
*** PARTE 2 ***


In verità non so affatto il motivo per cui ricordai di aver già visto la casa ritratta nella fotografia che Nelson aveva appeso alla parete. Era la foto recuperata da un giornale locale ed ero certo di averla già vista quella abitazione. Dalla poltrona su cui ero seduto la osservavo intuendo che doveva avere una certa influenza su di me. Nelson stava avvitando la moca del caffè quando gli domandai «quella casa bruciata in fotografia mi sembra di averla già vista. L'incendio è avvenuto da queste parti o altrove?». Nelson non si voltò affatto, ma rispose continuando la preparazione al rito del caffè «Sì. E' successo parecchi anni fa in questa città». Nessuno disse più nulla finché il caffè non cominciò a bollire producendo quel perfetto gorgoglio. Il vapore appannò le piastrelle intorno la parete del cucinotto e il profumo di caffè divenne forte e pregnante nella stanza. «Ora ti racconterò il motivo della mia urgente chiamata. Perdonami per aver insistito così tanto, ma sapevo di ritrovare in te l'unico uomo su cui poter contare per ciò che potrà accadere nel tempo avvenire». Parole strane a volte intervallate da pause indecifrabili. Quel tono cupo aveva riportato il mio sguardo sulla sua figura esile avvolta da una mantella grigia e brevemente illuminata dalla fioca luce di una lampadina lontana. Stavo osservando i titoli presenti sugli scaffali della libreria. Ero al corrente degli studi bizzarri di Nelson Bruni e, in una certa misura, vi presi parte anch'io per cinque lunghi anni prima di quella tragedia al cimitero terminata con l'amnesia di entrambi. Tuttavia non potevo certo immaginare a che punto fosse arrivata la sua fissazione per certi argomenti proibiti. Nella sua immensa collezione di libri strani e rari avevo letto titoli che già conoscevo dalle nostre precedenti esperienze sull'occulto, molti di loro erano scritti in arabo, tuttavia i miei occhi s'erano soffermati su rilegature ancora più antiche su cui vi erano scritte e simboli di lingue completamente a me sconosciute e indecifrabili. Lo lasciai sedere di nuovo sul treppiede di legno e vera pelle. Mi consegnò la tazza di caffè bollente. Il vapore mi appannò gli occhiali che fui costretto a levare. Intanto Nelson riprese a parlare. «Si tratta di qualcosa di molto importante. Cercherò di essere il più chiaro possibile. Anche se le vicende che sarò costretto a narrarti vanno oltre ogni tipo di immaginazione». Gli diedi il mio consenso a procedere. Mi accorsi, nella scarsa luminosità dell'ambiente, che il mio amico aveva estratto qualcosa dalla tasca, forse un pezzo di carta. Per tutto il tempo del racconto non fece altro che roteare quell'oggetto tra le dita ormai sudaticce. Dalla distanza in cui mi trovavo e con quella luce soffusa non riuscivo bene a distinguere che razza di oggetto fosse. Mi concentrai sulle sue parole e sul quel timbro di voce indescrivibile. Nel mezzo del racconto Nelson accese la sua pipa. L'aria si riempì dell'odore di tabacco e grossi banchi di fumo vi aleggiarono attraverso per un bel pezzo. Vedevo Nelson ad intermittenza provando a volte la bizzarra sensazione di stare ascoltando un fantasma. «Forse non conosci il Circolo dei Pittori di questa città. Io entrai a farne parte circa due anni fa. Sai bene il mio amore per l'arte, ma ancor di più per il macabro e per l'orrido. Non passò molto tempo prima che venni a conoscenza di un pittore alla cui mostra non si presentò nessuno. Dagli abitanti del quartiere nemmeno il minimo interesse. Il presidente stesso del Circolo dei Pittori gli vietò categoricamente di mostrare i suoi quadri in pubblico. Questo uomo non poteva che essere notato da me. Lo sai bene, io non mi scandalizzo davanti al macabro, ma quando un artista ha la genialità di Argento, reputo una fortuna conoscerlo, qualunque direzione prenda la sua opera. A mio parere non c'è mai stato un pittore più grande di Riccardo Argento. Lo sostenni allora e lo ripeto ancora e la versione del suo Demone che divora i cadaveri è qualcosa che va oltre ogni soglia del macabro onirico. Solo un artista come lui può immortalare sulla tela un soggetto davvero terrificante e dipingerlo con un tale realismo». Si interruppe per fumare la sua pipa. Intanto le fiamme delle candele alle sue spalle ondeggiarono come se fosse passato qualcuno al loro fianco. L'aria era mutata terribilmente assumendo la forma di un pesante macigno e tutto quel buio mi stava causando un forte male alla testa. Forse colpa anche della pioggerellina che mi aveva lentamente inzuppato. L'asciugamani che mi passò Nelson non bastò affatto. «Domandai più volte ad Argento come facesse a dipingere quelle mostruosità in modo così realistico. Tuttavia non mi fornì mai un'autentica e chiara risposta. Molto probabilmente non riponeva in me autentica fiducia. Intanto egli venne espulso da Circolo per quella mostra realizzata contro gli ordini del presidente. Si parlò molto di Argento nei mesi successivi. Sopratutto del suo recarsi, in genere nelle ore notturne, presso un'abitazione diroccata posta poco oltre il confine tra la città e l'aperta campagna. Si diceva addirittura che avesse preso in affitto quel rudere. Alcuni cittadini spiavano, più che incuriositi intimoriti, dalle proprie finestre in direzione di quella casa giurando di aver visto le luci fioche di una lanterna solo nei pressi della cantina interrata. Un signore avvezzo alla pesca afferma che in quella particolare zona, da quando Argento aveva preso ad andare alla villa diroccata, non v'è alcun segno di animale, dal canto dei grilli a quello degli uccelli. Addirittura conferma, un po' imbronciato, di essere stato costretto a spostarsi più nord per la pesca, perché in quel tratto di fiume non vivono neppure più i pesci. Sembra tutto assurdo, no?». Nelson riaccese la pipa usando un fiammifero. La fiamma gli illuminò gli occhi creando sulla pupilla una macabra tonalità di rosso. Tossì e poi riprese a raccontare. «Arrivò il giorno in cui decise che ero pronto abbastanza perché venissi a conoscenza dei suoi dipinti più interessanti a patto che mantenessi il silenzio e che mi fossi comportato da vero indagatore dell'incubo. Accettai senza indugio. Una notte mi portò tra le mura ammuffite e in rovina di quella casa. Nel mentre mi parlava di stretti cunicoli e gallerie che si stendono nel sottosuolo per tutta la città. Gallerie scavate da creature innominabili di cui tutti ignorano l'esistenza. Mi raccontò che la galleria più grande era quella che giungeva da quella casa al cimitero. Solo in seguito mi avrebbe spiegato il motivo. Vedi, posso ritenermi quello che vine definito comunemente un tipo “navigato”, ma ti confesso che quello che vidi sulle pareti di quella casa mi fece sussultare. Erano i suoi dipinti migliori, se così possiamo definirli. Quei dipinti che non poteva esporre a nessuna mostra perché, se solo esposti alla fragile coscienza umana, avrebbero avuto l'effetto di una paralizzante angoscia e sconforto. Nessun essere umano sarebbe sopravvissuto a quell'orrore. Tuttavia lui mi assicurò che il pezzo migliore era ancora in produzione e stava nella cantina. Non cercherò di spiegarti a cosa assomigliassero quei soggetti raffigurati così abilmente, poiché erano sconvolgenti, ma posso dirti che raffiguravano il più empio terrore. Sono passati mesi dall'accaduto, ma quelle immagini mi torturano ancora la fantasia! Signore Iddio, quale opera aveva dipinto quell'uomo in quell'angusto scantinato!». 

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Capitolo 3
*** PARTE 3 ***


«Perdona il cambio improvviso d'argomento, ma devo domandarti qualcosa». Voltai allora di scatto la testa verso quello sguardo acceso di porpora. Mi ero distratto senza accorgermene nella direzione di quegli scaffali colmi di libri antichi e rari. Avevo avvertito da prima una angosciante sensazione, come di qualcuno che mi stesse osservando alle spalle. In un secondo momento fui addirittura convinto di aver avvertito un tocco leggero sulla spalla destra, come di una mano bambina. Fu allora che mi distrassi completamente voltandomi in quella direzione. «Vorrei domandarti cosa i tuoi occhi vedono tra quegli scaffali laggiù». Gli risposi un po' perplesso e frastornato «Una serie indescrivibile di orribili sensazioni, ma per scendere nel dettaglio direi che quel libro, proprio quel volume laggiù ha attirato il mio sguardo». Il mio amico Nelson allora rispose. «A dir la verità sono assai contento di tutto ciò. Significa per me che posso ancora contare sul tuo aiuto. Tu possiedi ancora quei poteri speciali di cui noi siamo a conoscenza. Tu sei ancora indagatore dell'incubo». Se prima il mio sguardo poteva sembrare disorientato, ora vacillava in un oblio confuso e incerto. Al che gli chiesi cosa volesse dire tutto questo ed gli rispose «Quel libro non esiste. Lo si vede solamente attraverso un vetro o uno specchio al lume di candela. Tuttavia anche a queste speciali condizioni non tutti gli uomini hanno gli occhi per vederlo». Non credevo affatto a ciò che mi stava raccontando, così mi alzai per andarlo a prendere. E per l'amor del cielo, era vero! Ciò che mi trovai davanti era un piccolo specchio lucidissimo che, al bagliore incerto di una minuta candela, creava un effetto bizzarro e inquietante. Sembrava riprodurre la forma tridimensionale di un antichissimo volume. Allorché gli chiesi se fosse dunque un illusione. La sua risposta non mi stupì affatto «Tu meglio di me sai. E' forse il mondo di Sogno meno reale perché assume forme illusorie? Credi veramente che quel libro sia pura magia e finzione?». Rimasi in silenzio a contemplare il libro finché non domandai dove l'avesse raccattato «non mi dirai di averlo trovato in un semplice mercatino dell'usato...» accennai con un sorriso. Nelson scosse violentemente il capo «no, no» rispose agitando ancora tra le dita quel pezzo di carta ignoto «quel volume, o meglio quello specchio contenente il volume, era in possesso di Argento, il pittore scomparso. Lo portava sempre appresso fino a quella notte quando mi condusse allo scantinato di quella sua casa in rovina. Quando fummo arrivati alla fine di quella scala tutta inzaccherata, Argento illuminò con la torcia un punto preciso dell'ambiente spazioso in cui ci trovavamo, e la luce rivelò una buia apertura posta tra il muso di mattoni e il pavimento. Solo quando mi avvicinai con cautela mi accorsi della presenza di una discesa di pietra da cui trasudava un orrido liquame sotterraneo. Da quell'apertura traspirava un puzzo caldo e orribile. Arrivato al bordo di quella discesa infernale distesi i nervi alla notizia dell'esistenza di una pesante botola di legno che separava me da quell'abisso nero. In quella stanza angusta c'era un piccolo tavolo da lavoro su cui era appoggiata una macchina fotografica. Mi spiegò che gli serviva per fotografare gli sfondi che avrebbe usato per i suoi dipinti. Oltre il tavolo, più avanti, notai delle tele incompiute. Quegli schizzi e quelle mostruosità appena abbozzate mi scrutavano in sordina da ogni lato mettendomi una certa inquietudine addosso. Ma...ma quando Argento puntò la luce della torcia su un enorme tela appoggiata in un angolo buio dello studio, non fui capace di trattenere un urlo. Questo rimbombò contro i muri tenebrosi, umidi e mefitici della cantina. Ti posso giurare che ciò che vidi era un'oscenità innominabile e gigantesca, con due occhi rossi e biechi, che stringeva tra le zampe nodose una cosa che un tempo doveva essere un uomo. Da uscire di senno in quell'istante!».

«Non mi avevi affatto accennato che il pittore era scomparso». Obbiettai.

«Ecco ciò che accadde: rimasi incupito nell'anima. Era come se una parte dell'inferno mi si fosse rivelata d'improvviso. Era così realistica quella tela! Entrambi laggiù sentimmo dei rumori provenire dai muri e dal sottosuolo. Pensai subito a dei comunissimi ratti, dunque il mio pensiero andò a finire su un oggetto, appuntato in un angolo vuoto della tela, una sorta di rotolino di carta. Forse era una fotografia, che Argento aveva messo là per ritrarre uno sfondo spaventoso adatto a quel mostro. Allungai la mano, tolsi la puntina e stirai il rotolino. Dopodiché accadde tutto così velocemente che, senza accorgermene, mi ritrovai nella più completa oscurità. Argento sparì d'improvviso alle mie spalle in seguito a un fortissimo colpo. Il rumore somigliava a mucchio di assi spezzate. Come dei tonfi. Il suono mi ricordò quello di una botte caduta su una pietra o su un mattone. Dalle tenebre profonde di quello scantinato Argento lanciò un grido strozzato. Mi voltai contro il nulla-vuoto-nero che mi si era stanziato davanti e che sembrava aver risucchiato Argento. Probabilmente la torcia si spezzò contro un trave. Rimanendo dapprima completamente paralizzato non feci altro che ascoltare i frenetici battiti del mio cuore che si accavallavano orrendamente a indescrivibili stridii di unghie, o artigli o denti contro una superficie porosa. Superata la paralisi iniziale colsi l'attimo per fuggire con tutte le mie forze verso l'uscita. Ci tornai in seguito più e più volte solamente di giorno, ma di Argento non vi trovai nemmeno l'ombra». A quel punto Nelson mi passò quel foglio di carta che aveva tenuto tra le mani fin dall'inizio del nostro colloquio. «Questa» disse mentre afferravo il pezzo di carta gelido «fu ciò che mi ritrovai in tasca subito dopo essere uscito da quella casa. Sai, quel rotolino appuntato su quell'osceno dipinto che vidi in cantina; quella che credevo una fotografia di uno scenario. Non immaginavo che mi aspettava un nuovo orrore dopo quello a cui ero appena sopravvissuto: ed esso mi si palesò quando ebbi stirato per bene la fotografia che, mettendola in tasca, avevo spiegazzato. Quell'artista aveva superato i limiti dell'arte e giurerei che non fosse nemmeno più del tutto umano a causa di quella sua malsana vita notturna in quella cantina. Tutti in città sapevano bene quale potente espressività avessero i quadri di Argento. Tutti al Circolo, anche quello che odiavano il pittore, riconoscevano in lui una abilità eccezionale nel dipingere in maniera così dettagliata e realistica. Tutti noi ci chiedevamo spesso da dove diavolo quel genio prendesse ispirazione. Ebbene quella non era affatto la fotografia di un paesaggio. Era il primo piano di quell'orrenda creatura che Argento stava dipingendo su quella tela disgustosa!» Aprii il rotolino di carta leggermente spiegazzato e sudaticcio. Il Cielo mi aiuti! La fotografia che ritraeva quell'essere innominabile era stata scatta dal vero!

 

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Capitolo 4
*** PARTE 4 ***


«Credo sia giunta l'ora. Racconta il vero motivo della tua urgente chiamata». Una candela si spense in fondo al corridoio che portava alle camere da letto. Nelson mi guardò allora con occhi grandi e sgranati, mi dava l'impressione che fosse fuori di sé dall'eccitazione. Così rispose «dobbiamo andare in quella casa, in quello scantinato». «Credo di aver capito, da ciò che mi hai raccontato, che ci sei già stato laggiù e più di una volta». Nelson indietreggiò con la nuca stringendo gli occhi infossati. La sua voce divenne improvvisamente molto bassa e profonda «sì, questo è esatto. Ma mai mi sono avventurato laggiù di notte. E mai ho tentato di scendere in un quel pozzo nero». Tentai invano di dissuaderlo dal solo pensare a una cosa del genere e per un po' fui infuriato con lui per avermi costretto, in nome della nostra amicizia, a seguirlo in quell'abisso di tenebra. Ricordo ancora le mie proteste a proposito. «Non temere» diceva «sarò io a scendere, tu rimarrai in superficie». Mi consentì di pensarci sopra fino al tramonto. Dopodiché avrei dovuto prendere una decisione poiché egli era intenzionato ad andarci quella stessa notte! Desideravo andarmene da quella casa buia e impestata dell'odore nauseante delle candele, così gli risposi che sarei uscito per poi tornare con la risposta a quell'importante impegno. «E' una scelta importante, c'è da rischiare la vita laggiù in quell'abisso e io ho bisogno di te» disse Nelson indicandomi di prendere l'ombrello appena sulla soglia della porta di casa. Lo afferrai e annuii. Sentì la porta chiudersi violentemente, sapevo quanto tutta quella luce gli recasse fastidio. Lasciai la sua abitazione alle mie spalle e dopo circa cento metri fui invaso da visioni bizzarre. Vagai per tutto il giorno senza meta tra le strade inesplorate del paese. Giunsi fino ad uno spiazzo dal quale potevo vedere l'aperta campagna. Da quel lato, accanto ad una fila di stranissimi alberi, contemplai l'orizzonte. Sul grigiore nuvolo di quello sfondo si intravedeva la pioggerellina finissima che scendeva dal cielo, mentre una sagoma scura,stagliata sul verde paesaggio, sembrava prendere la forma di quella casa bruciata che avevo visto in fotografia sulla parete di Nelson. Per qualche bizzarro motivo potevo sentire nelle narici l'odore del legno in fiamme che si mischiava a quello secco e pesante del fumo e della cenere. Ricordo che non ci misi molto a scegliere cosa avrei fatto successivamente. Quella città mi aveva assorbito e la gente alle volte mi guardava come se mi conoscesse o avesse ricordo di un mio antenato. Non attribuii molto peso alla faccenda. Nel vagare arrivai ad una bottega sul lato nord del paese. Era posta nell'angolo in cui si incrociano due viottoli. Ebbi la forte sensazione di essere già stato in quel posto. Non saprei per quale motivo, ma mi voltai di scatto cercando disperatamente qualcuno alle mie spalle. Non c'era nessuno che cercassi. Ma lo stesso guardai con precisione da ogni lato. Ero in preda a un delirio d'identità e la città era improvvisamente mutata in qualcosa di molto diverso e distante, non mi pareva d'essere più di fronte alla bottega. Mi percepivo seduto su un muretto freddo e ricco di licheni. Un cielo plumbeo e tremolante annunciava qualcosa. Un vento delicato giungeva da est. Fu una allucinazione? Dovuta a cosa? Cosa stavo ricordando esattamente? Forse era solo un sogno durante la veglia...Non saprei. Decisi comunque di tornare da Nelson con l'intento di chiedergli perdono. Un tempo non avrei mai esitato a un simile invito. Non avrei, per nessuna ragione, rinunciato a un'indagine sull'occulto e sul paranormale. Ma erano passati molti anni, l'età adulta mi aveva certamente bloccato nel mondo diurno, rendendomi di conseguenza meno sensibile a quei mondi posti dall'altra parte, a quei luoghi nel mezzo del tempo perduto. La visione era spesso quella del trono di opale di Ilek-Vad. Devo ammettere che da quando ero giunto in quella città erano riapparse dal nulla certe immagini a proposito della venuta di un nuovo re nella leggendaria Città dei Minareti eretta sulle rocce di cristallo che dominano il Mare del Crepuscolo. Vedevo, tra le forme bizzarre di quei passanti con l'ombrello, le sagome oblunghe degli Gnorri, esseri dalla lunga chioma muniti di pinne. Tuttavia avvertivo un contorto senso di angoscia e di terrore. Accadeva che, nello sguardo vuoto e nero della visione, apparissero gli occhi indescrivibili e ultraterreni di quell'essere strisciante che dimora nell'immensità che trascende il mondo. Lui sorveglia l'ingresso di quei nebulosi abissi! Ad attendere la mia identità unica c'era 'Umr At-Tawil, o il prolungamento della vita, o il guardiano del cancello. Lui era il custode protettore della Prima Soglia. Quelle visioni terminarono con l'accensione automatica di un lampione, segno che stavano calando le tenebre. Trovai Nelson sulla soglia di casa, intento a riempire l'ultima borsa con un bizzarro oggetto. Sembravano piccoli tubi catodici collegati a qualcosa di più grande, forse un alimentatore di corrente elettrica. «Ero certo della tua scelta, ma forse avresti dovuto riposare. Ti vedo sbattuto!» fu il suo commento. Non aggiunse altro e io lo seguii per le silenziose strade secondarie che serpeggiavano invisibili lungo il paese. Un tetra umidità crollò su di noi non appena varcammo la campagna. Costeggiamo il fiume ridotto a ruscello finché non fummo costretti a voltare in prossimità di un bivio. La casa del pittore s'ergeva proprio oltre un fila di canneti. Solitaria, cupa e diroccata si stagliava con la sua ombra sul cielo illuminato da una sobria luna calante. Nel seguire l'amico notai in lui un tipo di atteggiamento opposto al consueto. Forse era sola la mia rinnovata agitazione dell'ignoto, tuttavia ero certo di stare avvertendo il battito forte di un antichissimo Segno demoniaco. Pensai per la prima volta che Nelson fosse diventato del tutto pazzo! Che avesse compiuto su di sé qualche sortilegio? Era forse a conoscenza di ciò che avremmo dovuto affrontare? La porta scricchiolò fortemente interrompendo d'improvviso il silenzio della notte. Rimaneva comunque tutto nero e sfuocato, nonostante le lame di luce provenienti dallo spazio trafiggessero i vetri delle finestre impolverate. A quel punto la torcia elettrica che si era portato con sé Nelson si dimostrò un valido aiuto. Il mio amico aveva coperto con dei cenci e delle lenzuola ogni dipinto affisso alle pareti del corridoio. «non voglio che tu veda quelle orrende mostruosità. Non è necessario, credimi. Già quella fotografia che ti ho mostrato è stata sufficientemente dannosa». Allo scantinato la temperatura diminuì di qualche grado. Mi prese alle mani e al respiro un tremore incontrollato, solo alla vista di quel gigantesco dipinto posto sul treppiede quasi di fronte a me. Era coperto da un telo sporco...non mi azzardavo sollevarlo. Mi limitai a puntare l'attenzione in direzione del pozzo scavato sul pavimento. «Perché non ci accada nulla prima del tempo è d'uopo giacere nel più completo silenzio. Quell'essere innominabile ode il minimo rumore se anche solo giace dormiente in qualche galleria nelle vicinanze». Afferrai il concetto e lo aiutai a preparare tutta l'attrezzatura per discendere in quell'abisso dalle cui pareti, ricoperte di muschio e salnitro, trasudava un'aria avvizzita e dal puzzo incredibile. Ci munimmo di un walkie-talkie e di una fune piuttosto resistente, ma sopratutto molto molto lunga. «Mi dispiace doverti chiedere di rimanere in superficie», disse Nelson sottovoce, «ma sarebbe un crimine permettere che una persona come te venga divorata da...non puoi immaginare, neppure dopo quello che ti ho detto, ciò che sarò costretto a vedere! Ma ti prometto di tenerti informato tramite walkie-talkie di ogni mio movimento». Ricordo ancora quelle parole dette con così tanta freddezza, e ricordo ancora di più le mie proteste. Ero disperatamente ansioso di accompagnare il mio amico in quelle profondità, ma lui si dimostrò irremovibile. Ad un certo punto minacciò di abbandonare la spedizione se avessi continuato ad insistere. Solo dopo aver ottenuto la mia riluttante assicurazione che non l'avrei seguito, Nelson afferrò il rotolo di cavo pronto a gettarsi ed essere risucchiato dalla gelida oscurità di quella grotta sotterranea. Per un istante continuai a vedere il chiarore della lampada elettrica, e sentii il filo che si srotolava dietro di lui, ma il chiarore scomparve di colpo, come se la discesa avesse fatto un gomito. Mi ritrovai da solo, eppure legato a quegli abissi sconosciuti da quei magici fili isolati che rilucevano verdastri sotto gli incerti raggi della luna calante.



 

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Capitolo 5
*** PARTE 5 ***


Ciò che accadde in seguito è difficile da definire. Fu qualcosa di gigantesco e abominevole che respirò attraverso quelle gallerie. Fissavo il buio all'interno del pozzo. Il latrato di alcuni cani vibrò dalla superficie dell'aperta campagna fino allo scantinato. Risuonò nelle pareti assieme al gemere dei ratti nel muro. Il buio mi avvolgeva. Quello, posso assicurare, fu ciò che meno mi sconvolse. Era quel respiro lento e regolare, ma sopratutto la voce di Nelson al walkie-talkie che mi paralizzava. Andò proprio in questo modo: io reggevo la fune a cui si era legato Nelson prima di scendere in quell'abisso. L'altra mano teneva ben saldo il walkie-talkie dal quale la voce del mio amico vibrava torbida e oscura e talvolta ad intermittenza. Nel cupo silenzio di quell'antico e deserto sotterraneo, andavo elaborando nella mente le più macabre fantasie, e ai miei occhi quei dipinti non finiti, che mi circondavo coperti dai cenci, parevano assumere una sorta di vita sensibile, un'orrenda personalità. Ombre informi erano in agguato negli angoli più bui della vecchia casa, e sfilavano, in una sorta di danza rituale, lungo le pareti sgretolate dall'umidità e i mattoni crepati dal freddo invernale. Ombre – mi dissi – stranamente cupe per essere prodotte da una falce di luna così sottile. Guardavo continuamente l'orologio alla luce della lampada elettrica che avevo posizionato sopra un trave caduto. E ascoltavo con ansia febbrile qualsiasi suono provenisse dal ricevitore del walkie-talkie ma, per almeno dieci minuti, non riuscii a sentire nulla. Poi dall'apparecchio venne un debole suono acuto. Con tutte le mie ansie, non ero comunque preparato alle parole che salirono da quella serie di cunicoli minacciosi. Un tono di voce allarmato e tremante che non avevo mai sentito prima da Nelson Bruni. Mi chiamava attraverso l'apparecchio con un sussurro soffocato più raccapricciante di un urlo lanciato a squarciagola nella notte. «Chiudi! Scappa! Non...per l'amore di Dio! Chiudi il pozzo e scappa!». Non riuscii a rispondere.

Poi arrivarono altre parole concitate «E' spaventoso...mostruoso...incredibile!». Sentendo il tono di voce allarmato e sotto sforzo questa volta la voce prese forma. Così, terrorizzato, continuavo a fare domande su ciò che stava accadendo. Cercavo perlopiù di spronarlo a risalire in fretta. Ma Nelson sembrava essere stato rapito dalla follia poiché continuava a ripetere «è qualcosa di innominabile...impossibile definirlo...ho paura..mi ha visto...ti ho detto di andartene! Presto! E' sveglio!». Seguirono dei suoni gracchianti e storpi. Poi di nuovo il silenzio. Ricominciare a chiamare il suo nome nell'infinito buio del nulla assoluto. Quindi udii di nuovo la voce di Nelson, stravolta dall'orrore «Scappa! Scappa! Scappa!». Altri rumori uscirono dal ricevitore e, dopo una breve pausa, vi fu l'ultimo e straziante grido implorante di Nelson a cui risposi «vengo giù! Ti raggiungo!» avvertii alcuni sibili poi una serie di parole prive di senso, incomprensibili. Dopo fu il silenzio. Non so quanti milioni di anni rimasi lì, in piedi e sconvolto a fissare quel buio nel senza forma. Sussurravo, mormoravo, chiamavo Nelson attraverso il walkie-talkie. Poi giunse su di me l'orrore supremo, una cosa incredibile e inconcepibile. Sentii altri rumori attraverso l'apparecchio così tentai nuovamente «Nelson? Sei lì?» in risposta udii ciò che mi ha ottenebrato il cervello. Una voce profonda, tenebrosa, gelatinosa, lontana, ultraterrena, certamente inumana quella che attraversò l'aria dall'apparecchio fino alle mie orecchie. L'ho sentita distintamente provenire dalle più lontane profondità di quel botro maledetto. Per l'amor del Cielo! L'ho sentita! Ho udito la voce di quell'essere mentre un aria pesante e putrida fuoriusciva da quel pozzo portandosi con sé un lontano sapore di sangue. E questo è quello che disse: «idiota! Nelson è morto!».

Di istinto allora cercai di capire, dalla corda che tenevo salda in mano, se vi era attaccato un peso. Niente. La corda risalì da quel pozzo come se non vi era mai stato legato nessuno. Così mollai tutto per afferrare la lampada elettrica. Mi infilai nel cunicolo stretto di quel quel pozzo in discesa. Ciò che trovai alla fine di quelle gallerie è qualcosa di incredibilmente prezioso. Erano tunnel che serpeggiavano infiniti nel sottosuolo di tutto il paese. Intorno alla grande galleria principale si dividevano centinaia di altri cunicoli. Le radici degli alberi affioravano come braccia dalla terra umida e pungente. Il freddo era indescrivibile. Cercai di seguire quei pochi gettiti d'aria che di tanto in tanto avvertivo giungere da un tunnel piuttosto che un altro. Sicuramente alcune di quelli conducevano all'aperto. Ma di Nelson niente. Nemmeno i suoi oggetti sul percorso. Considerando i metri di fune che avevo riavvolto non sembrava che avesse fatto parecchia strada. Tuttavia non riuscivo a individuare di lui nemmeno la più misera traccia. Un'ombra contorta e sfuggevole camminava alle mie spalle, riuscivo a percepirla chiaramente. Tentai di non pensarci e di non voltarmi. La torcia elettrica illuminava fievolmente il contorcersi oblungo della galleria di terra e pietra. Un graffio! Avevo udito echeggiare tra tutte quelle stanze il suono acuto di artigli sul muro. Una creatura strisciante mi era vicina. Capii in definitiva di non essere solo! Allora decisi di abbandonare quella missione di salvataggio. A quel punto fui consapevole che non avrei mai più rivisto il mio amico Nelson Bruni. La priorità dunque divenne quella di uscire il più presto possibile da quel luogo infernale e di mettermi in salvo. Simili posti sulla terra non dovrebbero esistere! E' indescrivibile quello che avvertii in seguito. Lo stridere di artigli proveniva da più cunicoli, alcuni suoni parevano ancora lontani, altri invece credevo di avergli proprio accanto! Che ci fossero più di uno di quegli essere immondi? Non oso pensarci, solo l'idea mi fece impazzire a tal punto che, in preda a un fortissimo attacco d'ansia e terrore, cominciai a correre verso un'unica direzione. Altro intorno a me aveva preso a muoversi più velocemente. Lo percepivo. E di tanto in tanto, durante la corsa, la lampada elettrica illuminava di scorcio e molto brevemente alcune pupille argentate incassate nel buio. Sono certo di averle viste!

A dire la verità non saprei affatto ricordare come in tutto quel panico riuscii a rimanere lucido tentando razionalmente di seguire quegli sbuffi d'aria che provenivano da taluni corridoi. Correndo mi ritrovai davanti ai miei occhi una luce diurna. Era passato tutto quel tempo? La luce proveniva da un ingresso roccioso nel quale mi infilai a fatica. Era una fessura di pochi centimetri. Mi sentii subito più al sicuro oltre quella lastra di pietra che mi separava dalle immonde creature. L'incubo alle mie spalle si agitava mentre, guardandomi intorno, cercavo di mettere a fuoco il luogo in cui ero sopraggiunto. Era tutto avvolto da una foschia ghiacciata. Stalattiti e stalagmiti mi davano l'idea d'essere all'interno di una grotta. C'era da sperare che questa fosse disabitata e di non essere incappato in un incubo ancora peggiore di quello lasciato alle spalle. Ero in un tremendo stato di delirio e alterazione, dunque non mi stupii affatto della notevole percezione che anche quel lungo non mi fosse del tutto nuovo e inesplorato. Avevo la folle sensazione d'esserci già stato in quella grotta. Ne diede conferma il fatto che sapevo muovermi tra quei nuovi cunicoli con semplicità e orientamento. Ma era una cosa impossibile! Finché non mi trovai davanti una cosa spaventosa e immensa. Fui davanti a un muro, ricavato nella nuda roccia, che pareva un pilone mostruoso sagomato di proposito. Di fronte a quel muro umido e gocciolante, rimasi in silenzio, impaurito. La protuberanza sulla chiave di volta dell'arco immaginario, era veramente la scultura di una mano gigantesca? Seguii con lo sguardo l'immensità di quel portale fino a terra. Un oggetto candido si era fermato su una pozza d'acqua stagnante lì accanto. Era un tessuto inzuppato d'acqua. Lo raccolsi strizzandolo come si fa con uno straccio. Spiegazzato e fradicio mi accorsi di tenere tra le mani un fazzoletto. Sul bordo c'era una scritta cucita a mano, per essere più precisi un nome: Radolfo Carti. Per Dio! C'era il mio nome su quel fazzoletto! 

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