Rivali

di Shainareth
(/viewuser.php?uid=405)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





RIVALI - CAPITOLO PRIMO




«Che cavolo stai combinando, qui?!» Colta in flagrante, Ambra sussultò e lanciò un urlo strozzato, voltandosi di scatto nella mia direzione.
   Ero arrivata presto, quella mattina, perché sapevo che alla prima ora, purtroppo, avremmo avuto ginnastica. Non amavo quella materia perché, come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, io e tutto ciò che concerne la sincronia del corpo e dei movimenti siamo in perfetta antitesi – senza contare la mia atavica pigrizia. Proprio per questo, cercando almeno di sforzarmi a fare le cose per bene, mi ero presentata a scuola prima del solito, cosicché avrei potuto passare più tempo nello spogliatoio, facendo opera di convincimento su me stessa che, ehi!, la ginnastica fa bene al corpo e allo spirito!
   Era stato mentre mi stavo trascinando svogliatamente verso la palestra che avevo scorto in lontananza la figura di Ambra, che si aggirava sola e in sordina nei pressi degli spogliatoi. La prima cosa che mi era venuta in mente, vedendola, era stata che di certo aveva qualcosa che le frullava per la testa, una qualche idea malsana che si sarebbe ripercossa su qualcuno che non le andava a genio – quasi sicuramente io. Guardinga, avevo ritrovato in un attimo tutta la vitalità della mia adolescenza e l’avevo pedinata cercando di non farmi scoprire, senza però immaginare che quella disgraziata si fosse introdotta proprio dove non avrebbe dovuto: lo spogliatoio maschile.
   Essendo una gran bacchettona, mai mi sarebbe saltato in testa di fare una cosa del genere. A tutt’oggi, in effetti, mi chiedo cosa diamine avessi bevuto quella volta in cui mi ero nascosta lì dentro per sbirciare Lysandre e vedere finalmente il tatuaggio che aveva sulla schiena; che poi questo non era accaduto perché avevo beccato invece Nathaniel è un altro paio di maniche sulle quali preferirei non soffermarmi oltre.
   Dicevo, Ambra si era intrufolata nello spogliatoio dei ragazzi e subito l’avevo seguita per partito preso: guai a lei se avesse tentato di fare qualche scherzo di dubbio gusto a qualcuno dei miei amici. Peggio ancora sarebbe stato se avesse osato nascondersi lì per spiare uno di loro, magari proprio Kentin, visto che sapevo non esserle del tutto indifferente – anzi. Se solo ci avesse provato, penso che le avrei strappato a unghiate i bulbi oculari dalle orbite, come minimo.
   Si voltò a guardarmi con gli occhi chiari sgranati, la bocca socchiusa e il viso pallido. Solo quando si rese conto che ero soltanto io, la sua espressione mutò e la linea delle sue labbra si piegò verso il basso, mentre le sue sopracciglia bionde si corrucciavano con fastidio. «Pensa agli affari tuoi!» ribatté, senza scomporsi troppo.
   Mossi un passo oltre la soglia dello spogliatoio ancora deserto e lei, per nulla intimorita, mi voltò le spalle, riprendendo a guardarsi attorno. Mi fermai ad un paio di metri di distanza e tornai a chiedere: «Perché sei qui?»
   «Non lo immagini?» mi rispose con noncuranza, aggirandosi con fare interessato fra panche e armadietti. Onestamente no, proprio non riuscivo a capire cosa le passasse per la testa. I suoi occhi tornarono su di me e lei mi rivolse un lieve sorriso di scherno. «Non credere di essere l’unica ragazza intraprendente, qui…» Stavo ancora cercando di capire cosa volesse intendere con intraprendente, che continuò da sola: «Ora smamma, ho da fare e non mi va che tu veda Castiel mentre si cambia.»
   Dunque era andata lì per spiare Castiel? Ma davvero? Cercai di contenermi, benché una breve risatina fosse sul punto di sfuggire al mio controllo. Ambra mi guardò di nuovo con fastidio. «Se vuoi vederlo nudo, affar tuo», la rassicurai, scrollando le spalle. «Ma non posso lasciare che tu rimanga qui a spiare anche gli altri», m’impuntai, incrociando le braccia al petto.
   «Degli altri non mi importa», rispose lei con aria di sufficienza, agitando svogliatamente una mano a mezz’aria. «Lo sai che miro solo a Castiel.»
   «Mh», mugugnai, stizzita da tanta ipocrisia. «Allora perché baci ragazzi a caso e poi gli chiedi anche di mettersi con te?» Di nuovo il collo di Ambra scattò di lato e lei si girò a guardarmi con espressione sorpresa e indignata a un tempo: forse era davvero lì soltanto per Castiel, ma non avrei lasciato che anche Kentin e gli altri ci andassero di mezzo.
   Aprii la bocca per aggiungere altro, ma un brusio lontano mi costrinse a tacere. Ambra ed io ci guardammo spaurite per qualche istante, prima di realizzare la verità: i ragazzi si stavano avvicinando allo spogliatoio e, se ci avessero beccate lì, non avremmo saputo come giustificare la nostra presenza. O meglio, io forse sì, se avessi dato la colpa a quella poco di buono della nostra compagna di classe; rimaneva però il fatto che sia Nathaniel che Kentin sapevano di quella mia vecchia sortita in quello stesso posto e… beh… mi avrebbero creduta innocente una seconda volta?
   «Svignamocela!» sussurrai ad Ambra.
   «Te lo scordi!» rimbeccò lei a bassa voce. «Sono ad un passo dal mio obiettivo, perciò non mi farò sabotare da te!»
   «Col cavolo che ti lascio qui a fare i tuoi porci comodi!» m’incaponii, avanzando verso di lei a grandi e decise falcate e afferrandola per un braccio.
   «Lasciami!»
   «No! Vieni via, prima che ci scoprano!»
   «Vattene, mi stai ostacolando!»
   Quel botta e risposta si protrasse ancora per qualche secondo, durante il quale la situazione degenerò al punto che quasi ci prendemmo per capelli. Quando però le voci dei ragazzi si fecero troppo vicine, fummo assalite dal panico e alla fine prendemmo d’istinto l’unica decisione possibile. No, non è vero, non era l’unica, ma di sicuro fu la più codarda del mondo: ci nascondemmo insieme in uno degli armadietti aperti e non usati da nessuno, stringendoci come sardine. La cosa più sconvolgente di tutte, comunque, fu che, a causa delle tette che Ambra mi spiaccicò suo malgrado addosso, mi venne quasi da ridere: se Castiel ci avesse viste in quel momento, avrebbe persino potuto cambiare idea su noi due pur di proporci una cosa a tre.
   «Chi ha lasciato la porta aperta?» La voce di Alexy risuonò chiara e forte all’interno dello spogliatoio, costringendoci quasi a trattenere il respiro per paura che potesse udirci.
   «Qualcuno che ieri andava di fretta, forse», scherzò suo fratello.
   Nell’oscurità in cui ci trovavamo io e Ambra, per non parlare della posizione, non ci era concesso di vedere nulla; per cui mi stupii un po’ nel sentire Nathaniel intervenire nel loro discorso appena iniziato. Era arrivato lì con i gemelli oppure si erano ritrovati davanti alla palestra soltanto per caso? «No», cominciò, «sono certo che ieri fosse chiusa. È più probabile che qualcuno sia venuto qui stamattina, prima di noi.»
   Sentii il respiro di Ambra nell’orecchio e poi le seguenti parole, appena sussurrate: «Non azzardarti a guardare mio fratello.» Sospirai pesantemente, ma non risposi, trovando inutile correre il rischio di farci scoprire. Oltretutto, se proprio avrei dovuto essere onesta, avevo già visto Nathaniel a torso nudo in due occasioni e, in una di queste, lo avevo persino sorpreso con i soli boxer addosso. Sarei una bugiarda a dire che non fosse appetibile, anzi, ma quando me lo ero ritrovato davanti avevo pensato a tutto meno che a sbirciargli sotto la cintola – con tutta quella faccenda delle percosse che subiva da suo padre, di certo ero più concentrata sui suoi lividi.
   «Ehm… Alexy?» tornò a parlare proprio lui. «Potresti smetterla di guardarmi in quel modo?»
   «In quale modo?» s’interessò di sapere l’altro, con quel tono scanzonato tipico di chi sa perfettamente di cosa stai parlando, ma finge di non capire.
   «Mi metti a disagio», replicò Nathaniel, cercando di essere diplomatico. Mi morsi il labbro inferiore per non ridere; per lo meno, potevo riconoscere ad Alexy di avere bei gusti.
   La porta tornò a ruotare sui cardini, a testimonianza che doveva essere stata precedentemente chiusa da uno dei tre ragazzi appena arrivati e ora raggiunti da Kentin, la cui voce allegra augurò il buongiorno a tutti. Afferrai istintivamente Ambra per i capelli, strappandole un guaito di dolore che per fortuna venne coperto dalle chiacchiere degli altri, e la costrinsi a tenere il volto contro la mia spalla: se solo avesse osato respirare in direzione delle fessure dell’armadietto in cui ci eravamo rifugiate, avrei minacciato di spezzarle l’osso del collo.
   «Vederti nell’ora di ginnastica è sempre una gioia per gli occhi», esclamò Alexy di punto in bianco. Immaginai senza troppa fatica che si stesse riferendo proprio a Kentin ed io ruotai le pupille verso l’alto, invidiando non poco la sua fortuna.
   «Oh, piantala», borbottò l’oggetto del nostro desiderio, mentre Armin sghignazzava e Nathaniel tirava un sonoro sospiro di sollievo.
   «Meno male che sei arrivato», gli scappò detto.
   «E dire che ero venuto a scuola presto proprio per evitare che accadesse questo», ribatté Kentin, contrariato. «Fossi rimasto a letto più a lungo…»
   «Che uomo crudele!» protestò Alexy, fingendo indignazione.
   «Guarda che lo sapevi già che lo avrebbe fatto», lo smentì subito suo fratello, con un sonoro sbadiglio. «Ecco perché stamattina mi hai costretto alla levataccia, accidenti a te…» svelò, mentre l’altro iniziava a ridacchiare divertito e Kentin, di riflesso, lo mandava poco gentilmente al diavolo.
   Passarono alcuni minuti, che a me e ad Ambra sembrarono un’eternità per via dell’aria viziata e del caldo, ed i ragazzi continuarono a scherzare e a parlare di frivolezze varie, ma anche di scuola e di compiti – argomento introdotto da Nathaniel, che però venne accantonato in fretta da Armin.
   «Vado», disse il primo, evidentemente ormai pronto per l’ora di ginnastica.
   Quasi non finì di dirlo che la porta si aprì ancora e per un breve attimo scese un silenzio talmente denso che fui assalita dalla sensazione che, se avessi allungato il braccio oltre l’anta che mi separava dai ragazzi, avrei potuto toccarlo con mano.
   Fu Alexy a romperlo, col suo solito modo di fare spigliato e socievole. «Tutti mattinieri, oggi?»
   «A quanto pare, sì», rispose cordialmente la voce di Lysandre. «È la prima volta che ci ritroviamo a cambiarci tutti insieme, vero?»
   «Non preoccupatevi, sto andando via», lo contraddisse Nathaniel con apparente gentilezza, benché nel tono da lui usato si avvertisse un lieve fastidio.
   Me ne domandai il motivo, ma tutto divenne chiaro non appena fu Castiel a parlare. «Di già?» esordì con fare canzonatorio. «Cos’è? Temi confronti?»
   Strinsi le labbra, mal sopportando tanta arroganza. Quanto ad Ambra, invece, dopo essere stata stranamente zitta e buona per tutto il tempo, tornò a dare segni di vita, cercando di alzare il capo e di sbirciare oltre le fessure dell’anta. Le tirai di nuovo i capelli e lei cominciò a pizzicarmi per farmi mollare la presa, invano.
   Distratta com’ero, non riuscii a carpire la risposta di Nathaniel, ma mi parve di intuire che fosse rimasto nello spogliatoio. Sentii Armin e Castiel parlare fra loro e anche Kentin e Lysandre si scambiarono alcune chiacchiere, che però andarono a sovrapporsi a quelle degli altri, così che non fui capace di ascoltare alcunché. Almeno fino a che Alexy non si lasciò andare ad un’esclamazione ammirata che, se a me fece quasi scoppiare a ridere, ridusse nuovamente gli altri al silenzio e riuscì nell’impresa di far star buona Ambra – forse per via dello shock causato dalle parole appena udite.
   Castiel cercò di mantenere il sangue freddo, nonostante tutto. «Se tu fossi stata una ragazza, saresti stata fin troppo diretta.»
   «E sarebbe stato un male?» s’interessò di sapere Alexy.
   «Dipende», tergiversò l’altro.
   «Da cosa?»
   «Anzitutto dalla misura del tuo reggipetto.»
   Nathaniel e Kentin sbuffarono, Armin si lasciò andare ad una risatina divertita. «No, seriamente», riprese Alexy. «Qual è il tuo ideale di ragazza? Mi era parso di capire che quella vecchia compagna di classe di Kentin e Aishilinn stuzzicasse la tua fantasia. Ti piacciono quelle così?»
   Lo avevo notato anch’io, sinceramente, ma la cosa non mi aveva sorpresa più di tanto, visti i discorsi sulle donne che Castiel mi aveva fatto di tanto in tanto, in passato. Al contrario, mi ero permessa di stupirmi vagamente per l’interesse mostrato anche da Armin nei confronti di Laeti.
   «Chi è questa battona?!» mi sentii chiedere con foga sussurrata da Ambra. Come darle torto?
   «Non mi ricordo di questa tipa di cui parli», stava rispondendo frattanto Castiel.
   Fu Kentin a venirgli stranamente incontro. «Mora, frivola ed invadente.»
   «Ce ne sono a migliaia, di ragazze così», gli fece notare l’altro.
   «Ha decine di fermagli fra i capelli e, se ti reputa passabile, ti adula fino a che non le concedi i tuoi favori», fu più preciso il mio migliore amico, non curandosi di nascondere un certo disgusto nel tono della voce. «Venne qui il giorno della recita.»
   «Tettona?» fu la domanda definitiva di Castiel. Kentin rispose con un verso svogliato e lui rise. «Okay, comincio a ricordare. Con piacere, anche.»
   «È davvero riprovevole badare soltanto alle apparenze», lo rimbrottò Nathaniel, mostrando tutta la propria contrarietà al riguardo.
   «Non è certo un requisito fondamentale», si difese prontamente Castiel, con fare spensierato, «però se porta una quarta, tanto meglio.»
   «E allora perché non dài una chance alla reginetta del liceo?» lo prese in giro Armin, inducendo Kentin a fingere un conato. Ambra trattenne il respiro e, forse per empatia, lo feci anch’io.
   «Non sono così masochista, grazie», fu la risposta decisa che seguì quella domanda. Avvertii la presa della mia compagna di classe farsi più serrata attorno al mio braccio.
   «Ammetti però che è una bella ragazza», s’intromise Alexy.
   «Anche Aishilinn ha un bel culo, ma non per questo vorrei farmela.» Tirai un sospiro di sollievo, cercando di non far caso alle proteste che seguirono da parte di Kentin e di Nathaniel. Era adorabile che volessero prendere le mie difese, però anche Castiel fu del mio stesso avviso. «Oh, calma! Ho detto che non mi interessa e mi assalite così? E se fosse stato il contrario, allora?»
   «Se fossi meno esplicito nell’esternare i tuoi pensieri, forse gli altri la prenderebbero più alla leggera», si permise di intervenire pacatamente Lysandre, placando all’istante ogni istinto bellicoso all’interno della stanza.
   «In ogni caso, non mi pare di aver detto nulla di male.»
   «Vado, è meglio», disse a quel punto Nathaniel, tornando forse ad imboccare l’uscita dello spogliatoio.
   Quando sparì oltre la soglia, Castiel si lasciò andare ad uno sbuffo. «Quell’idiota ha i prosciutti sugli occhi, quando si tratta di sua sorella. E dire che un tempo neanche lui era tanto dolce di sale, nei suoi riguardi.»
   «Davvero?» fece Alexy, curioso come sempre.
   «E visto quel che è diventata, avrebbe fatto bene a continuare a tormentarla», continuò l’altro, incurante di esprimere il proprio pensiero ad alta voce, come gli aveva invece sconsigliato di fare il suo migliore amico. Dopotutto, perché avrebbe dovuto trattenersi? Castiel non aveva mai avuto peli sulla lingua e, di più, era cosciente del fatto che fossero davvero poche le persone al liceo che riuscivano a sopportare la presenza di Ambra – figurarsi ad essere sue amiche.
   «Non esagerare, adesso», tentò di nuovo di rabbonirlo Lysandre.
   «Non farmi la morale, visto che anche tu sei del mio stesso avviso.»
   «Ho solo detto che non approvo che dalla sua bocca escano soltanto cattiverie e che il suo modo di comportarsi nei confronti degli altri sia piuttosto infantile.»
   «È troppo viziata.»
   «Ed è arrogante, meschina e prepotente», convenne Kentin, prendendo parola e appoggiando eccezionalmente, ma giustificabilmente, Castiel.
   «Insopportabile», borbottò con scarso entusiasmo Armin, unendosi al coro. «Non avete idea di che incubo sia stare accanto a lei durante l’ora di scienze.»
   Quelle parole, che pure non furono rivolte a me, pesarono come macigni. Ne avvertii tutta la gravità, soprattutto perché, anche se non fiatava, Ambra aveva iniziato ad affondare le unghie della mano nel mio braccio. Non mi curai del dolore, non perché fossi particolarmente temeraria, quanto perché, sentendo tutto ciò che i ragazzi avevano da dire contro di lei, fui assalita di nuovo da quella stessa pena che avevo provato nei suoi confronti quando la sua famiglia si era sfasciata. Oltretutto, potevo solo immaginare quanto dovesse essere frustrante, per lei, dover rimanere ferma e zitta accanto a me, senza avere neanche la libertà di potersene andare o protestare per quanto stava accadendo. Di più, era umiliante sentirsi respinta in quel modo proprio dal ragazzo di cui era innamorata – e anche da quello per cui aveva una vaga infatuazione.
   Non vorrei apparire ipocrita, dicendo ciò. Ero consapevole che Ambra meritasse tutti quegli insulti, e forse anche qualcuno di più, visto il modo poco amabile in cui era solita comportarsi con gli altri – ed io per prima ne sapevo qualcosa. Tuttavia, non potevo non immedesimarmi in lei e non provare la sua sofferenza: anch’io ero innamorata, e se Kentin avesse avuto per me le stesse parole che ora stava pronunciando contro Ambra… beh, probabilmente mi sarei sentita morire.
   Ciò nonostante, ammirai la forza d’animo di lei e la compostezza con cui rimase in silenzio e immobile nell’armadietto insieme a me. Non si mosse neanche dopo che il discorso dei ragazzi iniziò a vertere su altro, mentre io ormai cominciavo a risentire della posizione scomoda e temevo che di lì a poco mi sarebbe venuto un crampo da qualche parte. Infine, i nostri quattro compagni di classe decisero che era ora di uscire e raggiungere la palestra, per cui mi concessi di tornare a respirare a pieni polmoni nonostante l’aria chiusa.
   Quando la porta dello spogliatoio si richiuse per l’ultima volta e tutt’intorno calò un silenzio definitivo, Ambra ed io attendemmo qualche istante prima di prenderci il lusso di venir fuori dal nostro nascondiglio. Lei quasi sfondò l’anta dell’armadietto, desiderosa com’era di recuperare la libertà perduta, e nella fretta per poco non perse l’equilibrio. L’afferrai per un braccio prima che crollasse sul pavimento e non appena si fu assicurata di avere le gambe salde a terra, si divincolò con un gesto brusco dalla mia presa. Mi fissò con espressione infuriata e serrò la mascella, senza però spiccicare parola.
   Non potei farne a meno: le rivolsi uno sguardo dispiaciuto. Questo contribuì ad alimentare la sua rabbia, tant’è che mi assestò uno schiaffo sul viso. «Non ho bisogno della tua compassione!» mi gridò contro con gli occhi lucidi, prima di correre fuori dalla stanza e lasciarmi lì, incapace di dire o fare alcunché.












Non era in programma. Semplicemente, era da un po' di giorni che mi ero ritrovata a parlare con altre utenti di Dolce Flirt di Ambra e di come, con tutta probabilità, dietro la sua maschera d'arroganza si nasconda in realtà una persona molto fragile - senza contare tutti i problemi che ha. Oltretutto non credo debba essere bello sentirsi continuamente respinte dalla persona che si ama, perciò non ho potuto fare a meno di dedicarle questa storia.
Ad essere onesta, avrebbe dovuto essere soltanto una shot e avrebbe dovuto concludersi qui. Poi, però, grazie soprattutto a Yutsu Tsuki, la cosa si è ingigantita ed ora eccomi qua alle prese con la mia prima long su questo fandom. Beh, long seria, intendo, ché l'altra non sarebbe neanche da considerarsi tale, vista la follia che mi prese nello scriverla, lol. XD Inoltre, a differenza di Riunione di classe, questa volta la storia è già pianificata a grandi linee e so perfettamente dove voglio andare a parare. L'unica cosa che vi chiedo è di portare pazienza perché, anche se sono piuttosto veloce a scrivere, ho pur sempre parecchi impegni (lavorativi e personali), quindi aggiornerò quando potrò (in ogni caso, non dovrete aspettare tempi biblici, vi rassicuro almeno su questo).
E questo è quanto, suppongo. Prima di concludere, però, vorrei ringraziare anche Marina Swift perché, senza rendersene conto, è stata la prima a darmi l'ispirazione necessaria per dedicare più attenzione al personaggio di Ambra.
Grazie a chiunque vorrà dedicare un po' del suo tempo a questa lettura. ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





RIVALI - CAPITOLO SECONDO




Ambra non si presentò all’ora di ginnastica.
   Non me ne stupii, in realtà, tuttavia avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. Vidi Nathaniel guardarsi attorno con aria perplessa, poiché con tutta probabilità non sapeva spiegarsi la sparizione di sua sorella. Mi venne spontaneo domandarmi se fossero venuti a scuola insieme anche se ormai, per forza di causa maggiore, vivevano vite separate. Di riflesso, oltre che per Ambra, adesso cominciò a stringermisi il cuore anche per lui.
   Nathaniel amava sua sorella. Penso che all’epoca fosse davvero il solo, in tutta la scuola, a nutrire per lei un affetto sincero e disinteressato. Certo era consapevole dei difetti di Ambra, ciò nonostante il loro legame di sangue risultava più forte e spesso accadeva che, come aveva detto Castiel, Nathaniel fosse troppo indulgente nei suoi confronti. Non avevo certo dimenticato il primo periodo passato al liceo, quando io e Kentin eravamo stati presi di mira da Ambra e Nathaniel quasi non credeva a ciò che gli raccontavo al riguardo. Col tempo aveva imparato ad aprire gli occhi ed era arrivato persino a difendermi con decisione, ma restava il fatto che si trattava di sua sorella minore – sia pure di pochi minuti – ed era evidente che avesse un debole per lei e che le avrebbe perdonato qualunque capriccio o mossa falsa. Come l’avrebbe presa, ora, se fosse venuto a conoscenza del fatto che nessuno riusciva a sopportarla? A meno che non ne fosse già consapevole e, peggio ancora, fingesse di non accorgersi dell’evidenza dei fatti.
   Alla fine dell’ora, sperai di trovare Ambra nello spogliatoio femminile, ma lei deluse ancora una volta le mie aspettative. D’altra parte ero una sciocca a pensare che potesse passarle subito e che lei tornasse a far finta di nulla; ero stata testimone di qualcosa di troppo grande e l’orgoglio ferito doveva bruciarle il doppio proprio per questo.
   Gettai un’occhiata alle sue amiche: mentre si cambiava, Capucine canticchiava fra sé un motivetto allegro; Li e Charlotte, invece, se ne stavano come sempre per conto loro. La prima parlottava a bassa voce, smanettando con il cellulare con fare nervoso, mentre la seconda rimaneva ad ascoltarla con espressione apparentemente impassibile, annuendo di tanto in tanto o dando qualche sporadica, telegrafica risposta. Dal punto in cui mi trovavo non mi era possibile udire ciò che stavano dicendo, ma non era improbabile che anche loro si stessero domandando che fine avesse fatto Ambra.
   Avrei voluto attendere che lo spogliatoio si svuotasse almeno in parte, tuttavia Charlotte fu proprio una delle prime ad imboccare l’uscita. La intercettai appena in tempo, ponendomi fra lei e la porta, nonostante fossi vestita soltanto per metà. Mi squadrò da capo a piedi con la fronte corrucciata e l’aria vagamente stupita. «Che vuoi?»
   Mi ero spesso chiesta quanto potesse essere forte e leale l’amicizia che univa lei e Li ad Ambra, e forse quella sarebbe stata una buona occasione per scoprirlo. Soprattutto, si trattava di un rapporto alla pari oppure, come troppe volte appariva, quelle due erano soltanto delle seguaci, incapaci di pensare con la propria testa e, perciò, dipendenti dalla brillante personalità di quella che Armin aveva sarcasticamente definito la reginetta del liceo?
   «Hai idea di dove sia Ambra?»
   Le sopracciglia di Charlotte si aggrottarono più di prima, ma almeno finalmente si prese il disturbo di guardarmi negli occhi. «Che ti importa?»
   «Mi stavo solo chiedendo perché non si è presentata a lezione, visto che sono certa di averla vista a scuola, stamattina presto.» Giocare sporco non era il mio forte, ma avevo bisogno di indagare senza dover scoprire le carte. Non tanto perché temevo di essere mal giudicata per l’essermi nascosta nello spogliatoio maschile – per la seconda volta! – quanto soprattutto perché non potevo e non volevo creare ulteriore imbarazzo alla povera Ambra.
   «Perché mai dovrei dirtelo?» La diffidenza di Charlotte era senza dubbio pari soltanto alla sua adorabile voglia di socializzare. A parte questo, non me la sentii di darle torto, visto il rapporto tutt’altro che idilliaco che c’era sempre stato fra noi – e non certo per colpa mia. «Ora levati di mezzo.» Dicendolo, mi scostò bruscamente di lato e passò oltre, lasciandomi con un palmo di naso.
   Non demorsi. Certo non potevo inseguirla fuori dallo spogliatoio, in mutande com’ero, perciò afferrai al volo i jeans e mi diressi invece verso Li, con la remota speranza che con lei sarei stata più fortunata. Con la scusa di dover infilare i pantaloni, le sedetti accanto sulla panca e subito la vidi alzare di scatto la testa nella mia direzione. Attraverso i sottili capelli neri che le ricadevano davanti al viso, scorsi una certa sorpresa.
   «Sai mica dov’è finita Ambra?» le domandai di getto, senza preamboli di sorta.
   «Sto provando a contattarla da un pezzo», mi rispose d’istinto, tornando a prestare attenzione al cellulare che aveva in mano, «ma il suo telefono risulta spento. Ho provato anche a mandarle dei messaggi, ma…»
   Li lasciò cadere la frase nel vuoto. Non che servissero ulteriori parole per farmi intuire quanto Ambra dovesse star male, in quel momento. «Semmai dovessi avere sue notizie, me lo faresti sapere, per favore?»
   Gli occhi a mandorla dell’altra tornarono a puntarsi su di me, fissandomi questa volta con sospetto. «Perché ti interessa?»
   Mi strinsi nelle spalle. «Ho qualcosa da chiederle», mentii senza vergogna. Beh, in effetti avrei avuto per davvero parecchie cose da domandarle, iniziando dalla ragione per cui si incaponiva a comportarsi in modo scontroso e prepotente con tutti. A ben pensarci, Castiel aveva un bel fegato a dire che non la sopportava: era un po’ la sua copia al femminile, solo più maligna.
   Li continuò a fissarmi con sospetto, ma non mi importò. Mi rimisi in piedi e mi tirai su i jeans, rivestendomi in fretta per uscire dallo spogliatoio. Quando fui pronta, mi precipitai fuori da lì e, senza poterlo evitare, andai a sbattere contro qualcuno che stava percorrendo il corridoio per l’ingresso della palestra.
   «Muori così tanto dalla voglia di abbracciarmi?»
   Rimasi sorpresa più dalla frase da lui pronunciata che dallo scontro accidentale di per sé. «Ovviamente», sospirai, ruotando gli occhi al soffitto. Alexy rise divertito e mi diede una schicchera sulla punta del naso. Mugolai una protesta e mi strofinai la parte lesa con un vago senso di fastidio, mentre gli altri ragazzi che avevano finito di cambiarsi ci raggiungevano. Lanciai uno sguardo a Nathaniel e mi parve alquanto distratto. Stava pensando a sua sorella e alla sua assenza ingiustificata?
   «Hai la zip dei jeans aperta», m’informò Alexy con disinvoltura, proprio quando anche Rosalya usciva dallo spogliatoio.
   Non trattenni un’imprecazione e subito diedi le spalle a tutti per sistemarmi. «Non che non avessimo già visto le tue mutandine, comunque...» fu il divertito, ma poco delicato, commento di Armin.
   «Non ricordarmelo!» berciai in risposta, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno per non morire di vergogna.
   Ci pensò Rosalya a mettermi a mio agio. «Oh, ma è molto migliorata da questo punto di vista. Adesso, per esempio, indos...!» S'interruppe unicamente per lo schiaffetto che le diedi sul braccio. «Ahia!» si lagnò, guardandomi male.
   La ignorai e tornai a voltarmi verso i gemelli che intanto continuavano a riderci su, mentre Kentin e Nathaniel, palesemente imbarazzati, non sapevano dove posare gli occhi. Non dovevo lasciarmi distrarre da quella situazione, perciò accantonai il pudore e mi diressi spedita verso Nathaniel. «Tu!» esordii con tono forse troppo perentorio, visto il modo in cui quel poveretto sobbalzò. «Ho bisogno di parlarti.»
   «Delle tue mutandine?»
   «Alexy, hai cinque secondi per sparire dalla mia vista. Scaduto il termine, ti getterò una scarpa appresso.»
   Quel disgraziato scrollò le spalle con noncuranza, riprendendo a ridere divertito. «Fai pure, tanto hai una mira che fa schifo.»
   Finsi di essergli superiore e di non sentirlo, preferendo concentrarmi su cose più importanti. Afferrai Nathaniel per un braccio e, senza neanche lasciargli il tempo di capire cosa stesse accadendo, lo trascinai via dalla palestra sotto lo sguardo attonito e curioso degli altri – e quello infastidito di Kentin, immagino.
   «Ehi, ma che succede?» mi sentii domandare quando fummo ormai nei pressi dell’edificio scolastico centrale.
   «Posso chiederti una cosa?» cominciai, rallentando il passo e lasciando finalmente andare il povero Nathaniel. Ci fermammo non distanti dall’ingresso e quando lui mi diede il suo bene placito, mi feci coraggio. «Sei venuto a scuola da solo, oggi?»
   Lo vidi prima impallidire, poi evitare il mio sguardo e, infine, arrossire. Aggrottai la fronte, cercando di capire cosa ci fosse di così indiscreto nella mia curiosità, ma fu solo quando lui iniziò a tartagliare che compresi. «No, beh… Ci siamo solo incontrati in cartoleria e allora abbiamo fatto un tratto di strada insieme, fin qui…»
   «Tu e Ambra?»
   Nathaniel tornò a fissarmi, questa volta con aria inebetita. «Che c’entra, Ambra?» Non stava parlando di lei? Comico. Ed io che lo credevo preoccupato per sua sorella…
   «E allora di chi parlavi?»
   «Di Melody.» Inarcai le sopracciglia con stupore, ma non commentai, preferendo lasciare a lui l’ultima parola. «È stato un incontro fortuito, davvero», aggiunse poi, a mo’ di giustificazione. Che avesse interpretato la mia domanda come un’accusa indiretta dovuta alla gelosia? Prima o poi avrei dovuto chiarire questa faccenda con lui una volta per tutte, assicurandogli che, per quanto potesse piacermi, non mi importava se andava e veniva con Melody o con altre dieci ragazze differenti per volta.
   Non era quello il momento, comunque.
   «Mi riferivo ad Ambra, in realtà», presi a spiegare lentamente, dandogli tutto il tempo per calmarsi. «L’hai vista, stamattina?»
   «A dire il vero no», rispose, inalberando un cipiglio corrucciato. «Forse non sta bene e non è venuta a scuola. Ammetto di essere in pensiero. Più tardi proverò a chiamarla.»
   Mi morsi il labbro, indecisa se parlare o meno. Nathaniel al momento non pareva davvero allarmato come credevo – e dopotutto perché mai avrebbe dovuto esserlo, visto che ero l’unica a sapere cosa fosse successo? – però era anche il fratello di Ambra e forse era il solo a potermi aiutare. Per di più, ritenevo che avesse il diritto di sapere che sua sorella era sparita.
   Aprii la bocca per parlare, ma prima che riuscissi ad imbastire un discorso, udimmo il vociare dei nostri compagni di classe giungere dalla direzione della palestra. Decisi di lasciar cadere il discorso, per il momento. Forse Ambra si sarebbe fatta viva durante le ore successive e, in tal caso, non avrebbe avuto senso allarmare inutilmente suo fratello. Rivolsi un vago sorriso a Nathaniel e non appena gli altri ci raggiunsero, ci avviammo tutti insieme verso l’aula accompagnati dal suono della campanella che annunciava l’inizio della prossima lezione.
   Mi sbagliai ancora una volta. Ambra non tornò. Fu allora che iniziai seriamente a preoccuparmi, al punto che, con il cuore sanguinante, alla fine della giornata fui costretta a dar buca a Kentin che mi aveva chiesto di tornare a casa insieme. Ci rimase male ed io più di lui, ma avevo urgenza di parlare con Nathaniel e se glielo avessi detto di sicuro si sarebbe immaginato chissà cosa, andando su tutte le furie. Tacqui, perciò, promettendogli tuttavia che, se il tempo si fosse mantenuto al bello, durante il fine settimana avremmo potuto andare da qualche parte insieme; suonava un po’ come un appuntamento, certo, ma tanto meglio così perché bastò questo per fargli tornare il buon umore.
   Quello che feci successivamente a Nathaniel, appostandomi dietro la porta della sala delegati in attesa che lui finisse di svolgere i propri doveri, avrebbe potuto benissimo passare come un agguato in piena regola, ma non mi importò. Quando mi vide, sgranò gli occhi e mi fissò con aria sorpresa.
   «Che ci fai ancora qui?» mi domandò di riflesso.
   «Ti aspettavo.» Non fu la risposta più geniale del mondo, tuttavia fu senz’altro la più ovvia. Mi resi conto di quanto potesse essere fraintendibile quella situazione dal modo in cui Nathaniel mi sorrise, pertanto mi affrettai a recuperare. «C’è qualcosa di cui dovrei parlarti seriamente.» Avrei senza dubbio dovuto mordermi la lingua per il mio scarso acume.
   Feci per parlare ancora, ma dalla porta ancora aperta della sala delegati spuntò Melody, graziosa e sorridente come al solito. «Ehi, ciao!» mi salutò con voce allegra. «Come mai ancora qui?»
   Le cose si complicavano. Se avessi ripetuto a lei ciò che avevo appena detto a Nathaniel, con tutta probabilità Melody sarebbe tornata a sospettare di me e del mio ormai sepolto interesse per lui. Esitai, perciò fu proprio Nathaniel ad anticipare la mia risposta. «Aishilinn mi stava dicendo che c’è la probabilità che nei prossimi giorni debba mancare da scuola per motivi personali, perciò voleva informarsi sul numero delle assenze già fatte, affinché non abbia problemi.» Avrei dovuto imparare da lui cosa significassero mantenere la presenza di spirito e la capacità di mentire.
   Melody si lasciò sfuggire una risatina divertita. «Ma va’!» esordì, rivolgendosi ancora a me. «Non mi pare che tu ne abbia fatte così tante, di assenze, perciò non hai nulla di cui preoccuparti», mi rassicurò. «In ogni caso, mi fa piacere sapere che sei così scrupolosa, soprattutto se teniamo conto di certi soggetti...»
   «Castiel non è neanche da prendere in considerazione come termine di paragone», le fece notare Nathaniel. «Ad ogni modo», riprese poi, tornando a guardarmi, «se può farti stare più tranquilla, possiamo lo stesso dare uno sguardo alle tue assenze. Non ci metteremo molto.»
   «Oh, sì, per favore», balbettai, cercando di essere convincente. Non so come fece a bersela, ma Melody credette alla storia inventata da Nathaniel, per cui ci salutò cordialmente e ci demmo appuntamento per l’indomani mattina, lì a scuola.
   Quando lei fu abbastanza lontana, l’altro domandò: «È da prima che ti comporti in modo strano. Cos’è successo?»
   Stesi le labbra in una linea pensosa, ringraziando il cielo che lui non avesse davvero frainteso il mio approccio di prima. «Si tratta di tua sorella», dissi infine. «Credo di sapere perché non è venuta a scuola, oggi.»
   Nathaniel corrucciò le sopracciglia bionde. «Cos’è successo?» ripeté. «Che ha fatto, stavolta?»
   «Lei niente», la giustificai, benché non fosse del tutto vero. Assurdo che la pena che provavo per lei fosse arrivata a tal punto... «Il fatto è che stamattina, prima dell’ora di ginnastica, abbiamo sentito gli altri ragazzi che parlavano fra loro del più e del meno e, non chiedermi come, il discorso s’è poi spostato su Ambra e...» Tentennai, cercando il modo più adatto per indorargli la pillola, ma con scarsi risultati. «Nessuno di loro ha avuto parole delicate nei suoi riguardi», soffiai, arrendendomi ad essere onesta. «Soprattutto Castiel. Credo che il suo giudizio, per lei, sia stato quello più duro. Ma è comprensibile che ci sia rimasta male, lo sai che a lei piace molto...»
   Nathaniel rimase in silenzio per qualche istante. Poi, spostò lo sguardo altrove e trasse un profondo respiro. «Quindi, secondo te, Ambra ha saltato le lezioni di proposito perché è rimasta ferita da ciò che ha sentito?» Si lasciò andare ad uno sbuffo pensieroso, allargando le braccia ai lati del corpo e lasciandole poi ricadere con impotenza. «Non mi meraviglia, in effetti.» Si riferiva anche al fatto che era ovvio che Castiel non avesse una bella considerazione di lei? «Hai idea di dove possa essersi ficcata?»
   Scossi il capo e mi strinsi nelle spalle. «Sono venuta a parlarne con te apposta. Non volevo che la cosa fosse di dominio pubblico, perciò sei l’unico a sapere quello che è successo.»
   «Ti ringrazio», riprese allora lui, tornando a guardarmi. I suoi occhi si soffermarono nei miei per qualche attimo di troppo ed io mi sentii vagamente a disagio. «Va bene», sospirò poi, alleviandomi da quell’imbarazzo e preferendo concentrarsi sulla ricerca del cellulare nella tasca dei pantaloni. «Proviamo anzitutto a contattarla.»
   «Ho sentito dire a Li che ha il telefonino spento.»
   «Tentar non nuoce, comunque.»
   Rimasi con lui. Dopotutto, come potevo lavarmene le mani dopo avergli detto ogni cosa? In più, la mia coscienza mi avrebbe impedito di non accertarmi che Ambra stesse bene.
   «È acceso», m’informò Nathaniel, alzando di nuovo lo sguardo su di me. Attese una manciata di squilli, poi chiuse la chiamata. «Non risponde. Ci provo di nuovo.» Dicendolo, si spostò lungo il corridoio, ma in direzione opposta all’uscita della scuola. Lo seguii d’istinto e lo vidi riagganciare e riprovare ancora. Al terzo tentativo, non fu Ambra a dare segni di vita, ma la lontana, ovattata melodia del suo cellulare, udibile grazie al silenzio dell’edificio ormai deserto. Nathaniel mi lanciò un’occhiata speranzosa e affrettò il passo: sua sorella era ancora al liceo, ma dove?
   Seguimmo il suono fino a che, giunti in prossimità delle scale, non si fece più forte. Fu a quel punto che ci rendemmo conto che Ambra doveva essersi rifugiata nel posto più solitario e deprimente della scuola: il seminterrato. Nathaniel appoggiò il palmo della mano contro la superficie della porta, il cellulare ancora all’orecchio. «È qui», confermò, chiudendo la chiamata per l’ultima volta e mettendo via il telefonino. Si volse verso di me e domandò: «Ti spiacerebbe rimanere fuori?»
   «Ma certo che no», gli assicurai, stupita persino dalla sua richiesta. Era ovvio che, se mi avesse vista, Ambra si sarebbe sentita di nuovo mortificata. Oltretutto, chi ero io per intromettermi in un momento tanto intimo tra fratello e sorella? «Mi sono rivolta a te di proposito.»
   Nathaniel mi sorrise con riconoscenza e, dopo aver recuperato la copia delle chiavi del seminterrato che portava con sé in qualità di delegato, schiuse l’uscio. «Ambra?» chiamò cautamente, avanzando giù per le scale.
   A rispondergli, da qualche parte nella penombra della stanza, ci pensò dapprima un singhiozzo capace di spezzarmi il cuore, poi la voce affranta di Ambra. «Nath...?»
   Mi resi conto che non potevo rimanere lì, sulla soglia, ad origliare ciò che si sarebbero detti; pertanto, socchiusi l’uscio per consentire loro tutta la privacy di cui avrebbero avuto bisogno e, silenziosamente, tornai sui miei passi. Percorrendo la strada a ritroso, mi domandai se Ambra avesse scelto di nascondersi lì di proposito: quello era il luogo in cui di solito Castiel e Lysandre si isolavano in cerca dell’ispirazione perduta. Eppure non mi convinceva. Al posto di lei, sarei stata troppo delusa e arrabbiata per rifugiarmi proprio lì dove il ragazzo che mi aveva ferita in quel modo sarebbe stato capace di trovarmi nel giro di poco. Forse, più semplicemente, Ambra aveva ritenuto che quello fosse il posto più sicuro in cui rimanere fino a che il liceo fosse stato pieno di gente, senza pensare al resto. Mi venne spontaneo chiedermi anche perché avesse deciso di accendere il cellulare sul finire della giornata, quando ormai la scuola si era svuotata. Voleva che qualcuno la trovasse proprio come aveva fatto Nathaniel? Voleva che fosse proprio lui, a venire a cercarla, o avrebbe preferito avere accanto le sue amiche? No, mi dissi, nessuno può contare più di un fratello. Di questo ne ero convinta, forse anche per via del fatto che, essendo figlia unica, non avevo mai potuto avere la gioia di provare quel genere di affetto per qualcuno.
   Lo scorgere in lontananza una figura imponente venirmi incontro mi riscosse dai miei pensieri e non appena riconobbi di chi si trattava, arrestai di colpo il passo, allarmata. Con il suo incedere sicuro e vigoroso, Castiel avanzava nella mia direzione in solitario. Non avrei avuto bisogno della sfera di cristallo per indovinare dove stesse andando: dopotutto, che altro avrebbe potuto farci, lì a scuola, quando le lezioni erano ormai finite da un po’?
   «Ehi», fu il suo modo di salutarmi, quando fu abbastanza vicino. «Che ci fai ancora qui? Ne stai combinando qualcuna delle tue?» scherzò, intrecciando le braccia al petto e regalandomi uno dei suoi soliti sorrisi spavaldi.
   «Hai davvero questo genere di considerazione di me?» mi venne spontaneo chiedergli. Non che me ne importasse più di tanto, ma un po’ ce l’avevo con lui per le cose cattive che aveva detto su Ambra. E poco importava che anche gli altri non erano stati più gentili, specie Kentin; a differenza loro, suo malgrado, Castiel aveva avuto la colpa di averla fatta innamorare. Ovviamente ero consapevole del fatto che Ambra non fosse la persona più meritevole di elogi, ma, insomma, come potevo rimanere indifferente a tutto quello?
   Castiel inarcò un sopracciglio con fare ironico. «Da quando ti curi di ciò che penso?»
   Sbuffai e agitai le mani a mezz’aria con lieve esasperazione. «Lascia perdere», dissi. «Piuttosto, dove stai andando?»
   «Ho finito le sigarette e giù nel sottoscala dovrei aver lasciato un pacchetto di riserva.»
   Cercai di mantenere il sangue freddo, seguendo l’esempio di Nathaniel, ma tutto ciò che riuscii a fare fu di mostrarmi una perfetta cretina. «Accompagnami a casa e te ne comprerò un altro strada facendo.» Lo sguardo attonito di Castiel fu forse più allarmante di quello deluso che Kentin mi aveva rivolto alla fine delle lezioni, dopo il mio rifiuto a tornare da scuola con lui. «O... Ovviamente non c’è alcun secondo fine, in tutto questo.»
   Scoppiò a ridermi in faccia, senza preoccuparsi minimamente di ferire i miei eventuali sentimenti romantici. No, sul serio, Ambra: cosa ci trovi in un tipo del genere?! Fu questo che mi chiesi, stringendo i pugni e vincendo a stento la tentazione di piazzarne uno sul naso di quel gorilla dai capelli tinti.
   «Ammetto di non aver mai conosciuto una ragazza più divertente di te», mi sentii rispondere poi, tra una risata e l’altra.
   «E dunque?» volli sapere, iniziando a spazientirmi.
   «Accetto», mi accontentò inaspettatamente. «Sono troppo curioso di sapere cosa ti passa per quella testolina stramba.»












Confesso che non mi aspettavo tutte queste recensioni e, ancor meno, tutto questo entusiasmo. Non avete idea di quanto mi abbiate resa felice! ♥ Sono talmente gongolante che non ho parole per esprimere la mia gratitudine. So solo che non mi sento degna di tutti i vostri complimenti, però li accetto con gioia e vi ringrazio dal più profondo del cuore.
Non credevo che avrei aggiornato così in fretta, ma ogni volta che mi viene l'ispirazione, per fortuna, la storia si scrive da sola (e i personaggi prendono vita propria), quindi mi compiaccio almeno della velocità con cui procedo. Spero di mantenere un ritmo di un capitolo a settimana, perché ho talmente tante cose da raccontare che preferirei non tenerle troppo a lungo solo per me. Magari alla fine risulteranno idee stupide, banali o scandalose (lol, vorrete la mia testa, prima della fine della long), ma voglio comunque provare ad andare avanti e a concludere questa vicenda.
Ovviamente non so quanti capitoli verranno fuori, ma credo che non saranno più di dieci o, esagerando parecchio, quindici. C'è da dire che dipende anche dal modo in cui si svolgeranno gli eventi principali che ho in testa e che, mettendoli nero su bianco, potrebbero portarsi appresso un po' di eventi e dettagli secondari che avranno comunque bisogno dei loro spazi. Vedremo.
Per il momento concludo qui, tornando a ringraziare tutti i lettori, i recensori e coloro che hanno già inserito la presente fanfiction fra le storie preferite/ricordate/seguite. ♥
Un abbraccio e buona settimana a tutti!
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





RIVALI - CAPITOLO TERZO




Essere in compagnia di Castiel al di fuori delle mura scolastiche faceva uno strano effetto. Il mio rapporto con lui non era mai stato propriamente idilliaco: ogni qual volta avevo provato a socializzare, le sue rispostacce o le sue battute tutt’altro che gentili mi avevano puntualmente tagliato le gambe. Per molto tempo non ero riuscita a capire cosa diamine ci fosse di sbagliato, nei miei modi di fare, da infastidirlo a tal punto; di conseguenza, anch’io mi inalberavo e avevo iniziato a non sopportarlo prima ancora di aver avuto il piacere di conoscerlo per davvero.
   Ammetto che il mio arrivo al nuovo liceo non era stato dei migliori. Tra il suo grugno perennemente offeso e le cattiverie gratuite di Ambra, avevo ringraziato il cielo che almeno non fossi sola in quella mia avventura. Certo anche Kentin era stato bersagliato, ma ci consolavamo col detto mal comune, mezzo gaudio. E quando poi, poco tempo dopo, lui era dovuto partire per la scuola militare e mi ero ritrovata da sola in mezzo a compagni ancora semisconosciuti e bulletti spocchiosi e permalosi, l’unica cosa che mi era rimasta da fare era stata rimboccarmi le maniche ed iniziare a difendermi almeno a parole. In questo, per fortuna, mi ero scoperta brava.
   Non so quante volte, alla fine di una giornata scolastica, mi ero sorpresa ad imprecare contro Castiel e Ambra, sia pure per motivi differenti. Il primo di certo non era cattivo; ciò non toglieva, però, che con i suoi modi scostanti e le sue parole taglienti era capace di fartele crescere e vorticare peggio delle lame boomerang di Daltanius. L’altra, invece, con la sua amorevole gentilezza e la sua adorabile disponibilità, aveva più volte solleticato in me l’idea di farmi crescere le unghie delle mani proprio come le sue; non per imitarne lo stile fashion, quanto perché mi dicevo che in questo modo mi sarebbe stato più facile conficcarle le dita in un occhio. E poco mi importava se qualcuno, vedendomi durante il periodo immediatamente successivo al mio arrivo al liceo, senza neanche più il mio migliore amico a sostenermi, avesse pensato che ero perennemente sotto ciclo.
   E adesso, invece, il mondo sembrava essersi quasi capovolto. Avevo passato quella nuova giornata scolastica – e a dire il vero non era stata la prima – a dispiacermi per Ambra e a sentirmi impotente dinanzi alla sua sofferenza. Non paga, ora ero in compagnia di Castiel, col quale stranamente negli ultimi mesi le cose sembravano essere migliorate; tanto che non litigavamo più come prima e, anzi, riuscivamo persino a ridere insieme. Buffa, la vita, vero?
   Alla mia ennesima occhiata furtiva, Castiel mi fissò accigliato, fermandosi a bordo strada poco prima che potessimo attraversare. «Se hai qualcosa da dirmi, parla chiaro, anziché guardarmi in quel modo. Mi dà i nervi.»
   Non gli diedi torto, per cui, arrestando il passo a mia volta, andai dritta al punto. «Posso chiederti cosa ne pensi davvero di Ambra?»
   Lo vidi inarcare un sopracciglio con aria perplessa. «Cos’è, un modo indiretto per sapere se me la intendo con qualcuna?»
   «Grazie al cielo non sono così masochista.» Eccola lì, la piccola, acida Aishilinn che era venuta a galla proprio per merito suo – e di Ambra. Era un lato di me che non avevo ancora scoperto e loro erano stati così premurosi da tirarlo fuori con gioia.
   Castiel atteggiò le labbra in un ghigno divertito. «Neanche se io fossi l’ultimo uomo rimasto sulla faccia del pianeta?»
   Rimasi in silenzio per qualche istante, facendomi un sano esame di coscienza. «Forse in quel caso potrei darti una possibilità», gli concessi, pur con un sospiro sofferto. Non che Castiel fosse da buttare, tutt’altro; solo… avrei gradito avere un compagno di vita con cui andare d’accordo almeno riguardo alle basi fondamentali di un rapporto di coppia, cosa che, nel mio caso, non era neanche lontanamente pensabile con uno come lui.
   «Ma sentila…» ridacchiò fra sé, riprendendo a camminare per giungere dall’altro lato della strada.
   «Invece di pensare a queste idiozie», tornai alla carica, tallonandolo da vicino, «risponderesti alla mia domanda?»
   «Mi pareva fosse chiaro che non è certo la mia donna ideale», brontolò, infastidito dalla mia insistenza e, con tutta probabilità, da quella mia curiosità che andava a toccare la sua sfera personale.
   Non volli sentir ragioni. «E se fosse più… amabile?» Ormai giunto sul marciapiede opposto, Castiel rallentò nuovamente l’andatura e mi scoccò un’occhiata scettica. «Beh», continuai io, approfittando del suo silenzio, «non puoi negare che sia molto bella, perciò magari se tu le dessi una possibilità…»
   Si fermò di colpo e incrociò le braccia al petto, piantando nei miei due occhi severi. Ecco, pensai, sicuramente adesso mi abbaierà contro. Invece mi smentì, prendendomi in contropiede. «Dici che se glielo do, potrebbe finalmente darsi una calmata?» Strabuzzai gli occhi e quel disgraziato, incurante del rossore diffuso sulle mie guance, aggiunse con fare pensoso: «In effetti, sono parecchie le donne acide che hanno solo bisogno di una sana…»
   «N-No…» lo fermai in tempo, cercando di contenere l’imbarazzo. Perché quel mandrillone sembrava avere un chiodo fisso nella testa?! «Non intendevo questo.»
   «Spiegati, allora.»
   Presi fiato. «Mi chiedevo solo se, vedendosi trattata in modo meno sgradevole, magari di riflesso anche lei potrebbe mostrarsi più disponibile nei confronti degli altri.»
   «Quante volte ci hai già provato, da quando sei arrivata a scuola?» mi ritorse immediatamente. «Non mi pare abbia mai funzionato.»
   Aveva ragione lui. In passato avevo già cercato di approcciarmi in modo più gentile verso Ambra; sfortunatamente, lei non aveva mai avuto la medesima disponibilità nei miei riguardi. Mi ero chiesta e richiesta per quale dannato motivo ce l’avesse tanto con me, perché si divertisse a tormentarmi con le sue cattiverie, ma non ero riuscita mai a giungere ad una conclusione sensata.
   Cercai una scappatoia. «Però io non sono un ragazzone fico e gagliardo.»
   «Credi che ti basti adularmi, per farmi cambiare idea?»
   «Ammetti però che, quand’era piccola, Ambra era adorabile.»
   «Cosa ne sai, tu?»
   Domanda legittima. Diverso tempo prima, Nathaniel mi aveva raccontato che, quand’erano bambini, lui, Ambra e Castiel erano soliti trascorrere il tempo nello stesso parco giochi. Era stato lì che si erano conosciuti ed era stato sempre lì che Castiel aveva inavvertitamente fatto breccia nel cuore di Ambra. Avevo promesso a Nathaniel di non farne parola con nessuno perché sua sorella si vergognava di quella vecchia storia – che invece io trovavo piuttosto tenera – e così l’avevo tenuta solo per me; ora però era saltata di nuovo fuori e poiché stavo parlando con Castiel, che l’aveva vissuta in prima persona, non mi feci scrupoli a dirgli ogni cosa.
   «Nath mi ha raccontato di quando lui e Ambra erano piccoli», spiegai con calma, «e mi ha anche detto che in un’occasione aiutasti lei ad aggiustare la bambola che lui le aveva rotto per farle un dispetto. Fu molto carino, da parte tua.»
   Castiel fece una smorfia. «Mi sentii obbligato a farlo», si difese, spostando lo sguardo altrove. «Mi fece pena. Soprattutto, non hai idea di quanto frignasse… Era una mocciosa piagnucolosa.»
   «Ma di sicuro era anche dolce», gli feci notare. «Forse di base lo è davvero.»
   «Come in realtà, sotto sotto, suo fratello è un teppista che si nasconde sotto le mentite spoglie di alunno modello?» fu la sua più che giustificabile osservazione.
   Non riuscii a ribattere come avrei voluto, perciò fui costretta a dargli parzialmente ragione. «Qualcosa del genere…» balbettai. Non che Nathaniel fosse davvero il teppista di cui lui parlava, ma in alcune occasioni avevo assistito in prima persona a degli atteggiamenti che non mi sarei mai aspettata dal serioso delegato degli studenti che avevo conosciuto al mio ingresso al liceo.
   «Quindi si ritorna alla mia supposizione di prima», riprese Castiel. «Se per farla calmare, da bambina bisognava darle una bambola, ora sicuramente vorrà cambiare tipo di giocattolo.» Apprezzavo la sua mancanza di ipocrisia, sul serio; eppure, in tutta onestà, avrei gradito che fosse meno diretto nell’esporre i propri pensieri riguardo certi argomenti. Di colpo, la sua voce si fece più dura. «E se mi hai chiesto di riaccompagnarti a casa con la scusa delle sigarette, quando invece il tuo unico proposito è quello di spezzare una lancia in favore di quell’arpia… beh, credo tu abbia preso un abbaglio colossale: non sono io quello che può aiutarti.»
   Abbassai lo sguardo, sentendomi un’idiota. Era ovvio che sarebbe andata finire così. Di che mi illudevo? Che Castiel cambiasse opinione su qualcuno nel giro di poche ore? Sarebbe stato più semplice chiedere ad Armin di uscire a fare una lunga passeggiata nel parco o a Lysandre di ricordarsi quale fosse la password del suo profilo di uno qualsiasi dei social network a cui era iscritto – ammesso che lo fosse per davvero.
   «Perché tutto d’un tratto ti metti a difenderla?»
   Fu più che logica, come curiosità. Sarebbe apparso strano a chiunque, dopo tutto quello che era successo fra me e Ambra, vedermi schierata al suo fianco. Si era già sollevato un bel polverone, a scuola, quando si era saputo che avevo dormito a casa sua, ma almeno con Kentin e Castiel avevo chiarito la faccenda, spiegando sinceramente le mie ragioni. Adesso, tuttavia, quali motivazioni avrei potuto fornire a chi mi avesse rivolto la stessa domanda di Castiel? Di certo non che mi ero nascosta con Ambra nello spogliatoio dei ragazzi.
   «L’ho vista piangere», confessai comunque, continuando a tenere gli occhi bassi.
   «Qualcuno finalmente gliel’ha fatta pagare?» chiese il mio compagno di classe, in tono vagamente divertito.
   «No, ma…» Esitai. Infine, vuotai il sacco. «Stamattina presto, mentre ci cambiavamo nello spogliatoio, nel silenzio della stanza deserta, abbiamo sentito le vostre voci dall’altra parte della parete.» Una realtà modificata, certo, ma comunque rispondente al vero almeno nel succo del discorso. «Non siete stati molto gentili nei suoi riguardi.»
   Castiel tacque per una manciata di attimi, durante i quali mi convinsi che non mi avrebbe esposto i propri pensieri in proposito. Tornai perciò ad alzare gli occhi nella sua direzione: l’espressione del suo volto era dura, ma non mi sembrava davvero arrabbiato. «Sei un’imbecille», mi disse anzitutto. Risentita, sollevai il capo con fare orgoglioso. Prima ancora che potessi ribattere, però, lui aggiunse: «Il fatto che lei ti abbia fatto pena, non giustifica il suo pessimo comportamento.» Richiusi con uno scatto secco la mascella che avevo aperto per parlare e mi resi subito conto che non aveva torto. «Se lei è un’oca con manie di grandezza, non è un problema tuo. Così come non lo sono le sue lacrime di coccodrillo», volle chiarire, nel caso non mi fosse stato chiaro. «E ora, siccome ne ho abbastanza di tutta questa faccenda, sbrighiamoci a comprare quelle dannate sigarette e torniamo a casa.»
   Senza osare replicare, chinai nuovamente lo sguardo e lo seguii, lasciando che mi precedesse lungo la strada di un paio di passi. Castiel era stato brusco come al solito, nell’esporre il proprio punto di vista, ma la cosa che mi seccava di più era che avesse dannatamente ragione. Se avessi dovuto dare retta alla logica, le parole di lui sarebbero dovute divenire il mio nuovo vangelo. E allora perché sentivo ancora il cuore pesante come un macigno?
   Ora c’è Nathaniel, con lei, mi dissi, cercando di tornare in me. Sicuramente lui saprà cosa dire e cosa fare per consolarla.
   Fu armandomi di questa convinzione che affrontai il resto della giornata e cominciai quella successiva, benché di tanto in tanto alla mia coscienza tornasse a bussare il ricordo degli occhi lucidi di Ambra e della sua voce rotta dai singhiozzi.
   Riposai male, quella notte. Mi svegliai più volte, inquieta, con la vaga sensazione di aver mancato in qualcosa. Il che era illogico, dal momento che, anzi, avevo fatto più del necessario, dando a Nathaniel notizie di sua sorella e cercando di persuadere Castiel, sia pure invano, ad essere meno duro nei confronti di Ambra.
   Ogni dubbio o intontimento al riguardo, comunque, venne spazzato via da un fulmine a ciel sereno.
   «Degna amica di Ambra.» Fu con questo borbottio infastidito che Kentin mi diede il buongiorno davanti all’ingresso della scuola. Al mio sguardo interrogativo, decise di spiegarmi. «Poco fa Capucine è venuta da me per malignare sul tuo conto.»
   «Cos…?» annaspai, cadendo dalle nuvole. Mi ripresi subito e sospirai, varcando con lui il portone e proseguendo lungo il corridoio. «Mi chiedo perché debba essere sempre così gentile nei miei confronti.»
   «L’ho mandata a quel paese anche da parte tua, non preoccuparti», mi rassicurò lui, strappandomi un sorriso. «Anche se stavolta l’ha sparata proprio grossa.»
   Mi venne da ridere. «Perché? Che t’ha detto? Che in realtà sono un alieno bitorzoluto venuto dallo spazio siderale?»
   «Magari», mi stupì Kentin, accigliandosi. «Ha avuto il fegato di insinuare che tu sia uscita con Castiel, ieri, dopo la scuola.» Arrestai il passo così di colpo che lui avanzò di un paio di metri prima di accorgersene e voltarsi con sorpresa nella mia direzione. «Te l’avevo detto che l’ha sparata grossa», sottolineò poi, tornando indietro e fermandosi davanti a me.
   Capucine, dunque, doveva avermi vista con Castiel, il pomeriggio addietro. Quando, esattamente? E dove? A scuola no, perché ero quasi del tutto sicura che, quando avevamo lasciato il liceo, non ci avesse notati nessuno, dal momento che era già tardi. Forse ci aveva scorti da lontano mentre andavamo a comprare le sigarette o, peggio ancora, quando eravamo a due passi da casa mia, magari mentre attraversavamo il parco. La domanda successiva fu: perché andare subito a raccontarlo a Kentin? Era ovvio: Capucine aveva origliato una vecchia conversazione fra me, Alexy e Rosalya, e sapeva perciò che, a volte, uscivo con lui. Era quindi corsa a spifferarlo a Peggy, che per fortuna non si era interessata alla faccenda, reputando la mia vita personale un affare di poco conto per essere pubblicata sul giornale della scuola, e perciò la voce non si era diffusa più del necessario. E adesso quell’intrigante di Capucine, fatta tesoro dell’informazione che fra me e Kentin ci fosse una complicità particolare, non aveva perso tempo a mettermi in cattiva luce con lui, insinuando che mi vedessi anche con qualcun altro. Con Castiel, oltretutto.
   Kentin era stato un tesoro a non credere a quel pettegolezzo, dimostrando nei miei confronti una fiducia che mi fece sciogliere il cuore; tuttavia, la coscienza tornò a rimordermi. Non volevo mentirgli, ma se gli avessi detto che questa volta Capucine aveva ragione…
   «Che hai?»
   Ritornai con i piedi per terra e mi resi conto che Kentin mi stava fissando con occhi preoccupati. Oh, i suoi bellissimi occhi verdi, così pieni di tenerezza e d’amore… Sarebbero diventati tempestosi non appena avessi aperto bocca, ne ero consapevole, ma tant’è…
   «Giurami che non ti arrabbierai», esordii con voce strozzata.
   Come previsto, lo sguardo di lui cominciò a rabbuiarsi. «Con questa allarmante premessa, non credo di riuscire a mantenere alcun giuramento», puntualizzò deciso, forse iniziando a dubitare della verità nascosta dietro al pallore del mio viso. Esitai, cercando di trovare le parole adatte per cominciare il mio discorso, ma lui mi precedette, arrivando subito al dunque. «Sei davvero uscita con lui?!»
   Arrossii di colpo, pregandolo di fare silenzio. «Abbassa la voce, ti prego!»
   Kentin mi fissò allibito. La cosa che mi fece più male, però, fu scorgere la delusione nei suoi occhi. «Ieri mi hai davvero dato buca per… Castiel?!»
   «No!» esclamai stizzita, sperando che tanto bastasse per farlo calmare. E poiché avevamo già attirato l’attenzione di diversi studenti, lo afferrai per un braccio e me lo trascinai dietro, fino in fondo al corridoio, in prossimità delle scale dove, forse, avremmo potuto parlare senza dare troppo nell’occhio.
   Mi seguì in silenzio, ma sapevo che dentro di sé doveva essere un vulcano in piena eruzione. Benché avesse di base un’indole calma e pacifica, Kentin aveva sempre avuto problemi nel controllare le proprie emozioni, esternandole più del dovuto. Era il classico tipo spontaneo e sanguigno e, nonostante tutto, lo adoravo anche per questo. Pertanto, ciò che avrei dovuto fare, prima ancora di raccontargli la verità, era farlo calmare e dirgli a chiare lettere che di Castiel non me ne importava un fico secco – di certo, non in quel senso.
   «Non ti darei buca per nessuno al mondo», fui ulteriormente chiara, quando ormai ci eravamo rintanati nei pressi del sottoscala. «Ti pare che poi ti avrei chiesto di uscire questo fine settimana, altrimenti?» gli ricordai ancora, cercando di ignorare il calore che sentivo salirmi alle guance. «Non sono capace di dire bugie, figurati di fare il doppio gioco…» borbottai poi, abbassando il capo con aria imbronciata e imbarazzata insieme. Stavo indirettamente ammettendo i miei sentimenti per lui, ma giunti a quel punto che senso aveva tacerli ancora? Tanto più che ormai dovevano essergli piuttosto chiari: non ero mai uscita con nessun ragazzo per un appuntamento vero e proprio, a parte lui, e Kentin ne era consapevole – anche e soprattutto perché se questo fosse accaduto, ero certa che qualcuno ci avesse spettegolato su per farmi dispetto, proprio come avevano fatto con noi due e, adesso, anche con me e Castiel.
   «Fammi indovinare», iniziò Kentin dopo diversi attimi, scrutando nei miei occhi in cerca della verità. «Sta per arrivare una di quelle tue storie assurde che sono capitate per puro caso?»
   Corrucciai la fronte, indignata. «Quando mai ti avrei raccontat…»
   La mia protesta fu interrotta sul nascere. «Non me la sono certo inventata, quella faccenda di te che, chiusa nel nostro spogliatoio per vedere il tatuaggio di Lysandre, alla fine ti sei invece ritrovata a sbirciare i lividi sulla schiena di Nathaniel.»
   Mi costrinsi a tacere, abbassando ulteriormente lo sguardo con aria colpevole. «Ecco…» pigolai mortificata. E ora come diavolo gli avrei spiegato che era successo una seconda volta, sia pure non per colpa mia?
   Di nuovo il mio tentennamento mi fu fatale, perché qualcuno piombò fra noi come un fulmine. Il secondo di quella mattinata, che si prospettava tutt’altro che migliore della precedente. «Lo sapevo!» tuonò la voce di Ambra, che caracollò giù dalle scale con espressione inferocita. Per lo meno, mi sarei consolata successivamente, non piangeva più. In quel momento, però, l’unica cosa che fui in grado di fare fu sobbalzare e indietreggiare di un passo, andando quasi a scontrarmi contro Kentin che, d’istinto, mi sorresse con una mano, posandola dietro la mia schiena. «Hai una gran bella faccia tosta!» strillò ancora Ambra, fermandosi a pochi gradini dal pian terreno e serrando la balaustra di cemento fra le mani. Mi divorava con occhi accesi per la collera e dal modo in cui stringeva le labbra, facendole quasi diventare livide, compresi che doveva essere furibonda perché anche a lei era giunta la voce della mia presunta uscita con Castiel. Spostai lo sguardo verso l’alto e, difatti, scorsi Capucine che, alle spalle dell’amica, sorrideva malignamente.
   «Perché non dici niente?!»
   «Cosa dovrei dire?» pretesi di sapere, cercando di recuperare la lucidità necessaria per risponderle a tono. Ed io che mi ero persino preoccupata per lei! «Non so neanche di cosa sono accusata.»
   «Bugiarda», ringhiò Ambra, sporgendosi oltre la ringhiera. «Ieri ti hanno vista in giro in compagnia di Castiel. Negalo, se hai il coraggio.»
   «Non ho alcuna intenzione di farlo», ammisi con freddezza. Avvertii la presa della mano di Kentin farsi più salda dietro la mia schiena, ma non demorsi. Dovevo la verità anche a lui e gliel’avrei data, sbattendola però in faccia alla mia nemesi senza troppi riguardi. «Ma non si trattava di un appuntamento o qualcosa del genere.» Ambra socchiuse le palpebre in due fessure, attraverso le quali i suoi occhi chiari mandavano scintille. «Semplicemente, l’ho incrociato nel corridoio, mentre si stava dirigendo verso il seminterrato; e siccome sapevo che quel posto era già occupato, ho creduto di fare cosa gradita allontanandolo da lì.» Quelle parole andarono a segno, perché lei tornò a rizzare il busto e l’espressione del suo volto si rilassò di colpo, dando l’impressione che lei stesse quasi per impallidire. «Non credere che sia stato facile sopportare la sua compagnia per un tempo sufficientemente lungo da sviarlo dai suoi propositi», aggiunsi infine, tanto per rimarcare forse per la milionesima volta il concetto che, a me, Castiel non piaceva. «E ora, se non ti spiace, stavo parlando con Kentin», conclusi con voce più dura di quanto non avessi voluto.
   Lo sguardo di Ambra vagò smarrito verso la figura del ragazzo accanto a me, come se lei si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza. Quindi, arrossendo violentemente, ci voltò le spalle e corse di nuovo su per le scale, travolgendo quasi Capucine al suo passaggio. Quest’ultima rimase per un secondo spaesata, ma poi riacquistò la compostezza e, lanciando un’occhiata in tralice a Kentin, disse con voce trionfante: «Te l’avevo detto.»
   «Sparisci, prima che ti prenda a calci!» ribatté lui, inducendola a seguire la scia di Ambra, sia pure con un sorriso dispettoso ancora dipinto sulle labbra. Avvertii il tocco sulla schiena farsi più leggero; infine, Kentin tornò a lasciar cadere la mano lungo il fianco, occhieggiando nella mia direzione con espressione indefinita. «Cosa c’era, nel sottoscala, che Castiel non doveva vedere?» mi chiese dopo qualche istante.
   Lo fissai da sotto in su, implorando con lo sguardo il suo perdono. «Giurami che non ti arrabbierai», ripetei in un guaito disperato.
   Si passò una mano fra i capelli, sospirando rassegnato. «Perché vuoi costringermi per forza a diventare uno spergiuro?» mi domandò con fare retorico. «Forza, sputa il rospo.»












Alla faccia del "non so quando potrò aggiornare"! :'D Seriamente, non so se sentirmi orgogliosa di me stessa per la rapidità o se, piuttosto, mortificata per avervi dato delle indicazioni sbagliate. D: Comunque sia, ecco qua: questo l'ho scritto di getto ieri, nei ritagli di tempo. Spero di riuscire a fare la medesima cosa domani con il quarto capitolo, ché dovrei avere pure il pomeriggio quasi libero.
Mi domando seriamente in quante avete odiato la protagonista di questa storia quando, a inizio capitolo, ha cercato di mettere una buona parola per Ambra con il vostro adorato Castiel. Gli insulti sono tollerati, ma andateci piano perché sono sensibile, grazie. ♥
Quanto al resto, chiedo scusa se non ho risposto a messaggi e recensioni prima di mettere online questo capitolo, ma lo avevo tutto in testa e mi premeva scriverlo il prima possibile. Adesso che è pronto e che sto elaborando l'input del prossimo, mi dedicherò invece a rispondere a chi ha avuto la gentilezza di contattarmi pubblicamente e/o in privato.
Un abbraccio e buona giornata a tutti! E, soprattutto, grazie per aver letto anche questo capitolo! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***





RIVALI - CAPITOLO QUARTO




«Un giuramento ora potrei anche farlo, in effetti», esordì Kentin quando conclusi il mio racconto. Gli volevo troppo bene per mentirgli e perciò, a differenza di quanto avevo fatto con Castiel, con lui ero stata sincera fino al midollo, senza tralasciare nulla. «D’ora in poi giuro di controllare ogni anfratto dello spogliatoio prima di iniziare a cambiarmi.»
   Sentii il sangue affluire sulle guance e cercai di mantenere ferma la voce. «Non abbiamo visto niente…»
   «Il tuo problema è che sei troppo buona», disse lui d’un tratto, ignorando la mia debole protesta e tornando serio. Per lo meno, mi consolava sapere che non mi considerasse un’imbecille come mi aveva chiamata invece Castiel. «Commuoverti in questo modo per una persona che non merita nulla, soprattutto da parte tua…» Kentin sbuffò, rivolgendo lo sguardo verso il punto in cui erano sparite Ambra e Capucine. Anche lui, dunque, riteneva che fossi una sciocca per via del mio comportamento. Capivo il suo punto di vista, dal momento che avevamo condiviso le angherie di Ambra, e a conti fatti, dopo la sfuriata che lei mi aveva appena fatta in luogo pubblico senza neanche curarsi di eventuali terze persone, non potevo dargli torto.
   I suoi occhi verdi tornarono a posarsi su di me, fissandomi con un’intensità tale che il cuore mi balzò in petto. «Ambra non cambierà dall’oggi al domani solo perché s’è resa finalmente conto che è insopportabile. Né saranno due lacrimucce a farmi cambiare opinione su di lei. Non sono tipo da perdonare facilmente certi comportamenti immotivati, mi spiace. Non sono gentile quanto te.»
   Forse avrei dovuto sentirmi lusingata da quelle parole, tuttavia l’unico sentimento che riuscii a provare in quell’istante fu la mortificazione. Castiel aveva ragione a dire che ero un’imbecille e Kentin aveva ribadito il concetto, sia pure con maggior delicatezza.
   Notando il mio avvilimento, allungò una mano nella mia direzione, sfiorandomi uno zigomo con il dorso delle dita, con tenerezza. La pelle del mio viso divenne rovente e quel tocco gentile mi fece sciogliere il cuore. «Beh, vediamola così», riprese, un sorriso ad increspargli le labbra. «Ripensando a te rinchiusa nell’armadietto e schiacciata come una sardina, avremo un aneddoto divertente da raccontare ai nostri figli.»
   Tutto intorno a noi parve fermarsi di colpo. Calò un silenzio assordante, durante il quale i nostri occhi rimasero a fissarsi per un tempo indefinibile.
   Infine, mentre io cominciavo a mordermi le labbra per non ridere, Kentin ritirò di scatto la mano con cui mi stava accarezzando, avvampando fino alla punta delle orecchie. «Non i nostri figli intesi come nostri…» iniziò a tartagliare, cercando di recuperare la situazione in extremis. «Cioè… Voglio dire…»
   Sia chiaro, anch’io ero arrossita da capo a piedi, ma come potevo rimanere impassibile davanti a quella sua adorabile goffaggine? «Kentin…» cercai di fermarlo, prima che fosse troppo tardi. «Ken, lascia perdere o ti incarterai come per la faccenda del matrimonio.»
   «Oh», balbettò ancora, rifuggendo il mio sguardo e posando il proprio su un punto imprecisato del pavimento, senza neanche far caso al fatto che lo avessi chiamato col vecchio diminutivo con cui mi ero rivolta a lui per anni, sin dai tempi delle medie. «Quella.»
   Cominciai a ridere sommessamente, divorandolo con gli occhi e provando per lui un sentimento così forte che, d’istinto, al suono della campanella della prima ora gli sfiorai la mano e, preso coraggio, intrecciai le dita alle sue. «Torniamo a casa insieme, più tardi?» gli domandai con voce spensierata, mentre me lo trascinavo di nuovo dietro, questa volta su per le scale.
   Kentin parve finalmente riprendersi. «Volentieri!» esclamò, affrettandosi ad affiancarsi a me e a ricambiare il gesto affettuoso. «A patto che non arrivi Castiel a rivendicare il diritto di accompagnarti fin sotto al portone di casa.»
   «Veramente sono stata io a chiedergli di farlo, ieri», precisai, tanto per rispondere alla sua frecciata divertita.
   Mi lanciò uno sguardo imbronciato. «Che donna dissoluta…» borbottò, facendomi ridere di nuovo. «E che bella sfiga avere Scienze alla prima ora», aggiunse dopo un attimo, manifestando con una smorfia tutta la propria insofferenza.
   «In effetti, avere a che fare con la Delanay di prima mattina…»
   «Non è tanto quello», mi corresse lui, guardandomi in tralice. «Quanto per il fatto che dovrò stare per tutto il tempo gomito a gomito col tuo nuovo spasimante.»
   Ruotai le pupille al soffitto, ostentando sopportazione. In realtà, gli ero grata per avermi aperto gli occhi meglio di quanto fosse riuscito a fare il giorno addietro Castiel, pur con i suoi modi bruschi e diretti. Forse avevo solo bisogno di sentirmi rassicurata da un’anima affine, da qualcuno con cui riuscissi a parlare la stessa lingua. E Kentin, da questo punto di vista, era forse il solo a riuscirci meglio di chiunque altro.
   La prima ora di lezione passò, lenta e terribile, con tutti noi tesi e silenziosi come ogni volta che la Dalanay posava il suo sguardo severo su qualcuno della classe. Nonostante tutto, durante la sua spiegazione, di tanto in tanto non potei fare a meno di occhieggiare in direzione di Ambra che, appollaiata sul suo sgabello accanto ad Armin, sembrava più pallida del solito. Benché capissi la sua sfuriata, non potevo giustificarla in alcun modo, poiché il suo timore che volessi portarle via Castiel era del tutto ingiustificato per tante buone ragioni – anzitutto per il fatto che lui non era neanche il suo ragazzo. Quasi mi pentii di aver messo una buona parola per lei al riguardo, ma ormai quel che era fatto era fatto e di certo non mi sarei scomodata oltre solo per rassicurarla e consolarla, visto il modo in cui mi aveva appena trattata per l’ennesima volta. A coccolarla ci avrebbe pensato di sicuro Nathaniel, come già doveva aver fatto abbondantemente quando l’aveva sorpresa da sola, a piangere nel sottoscala. Potevo perciò benissimo riprendere la mia vita senza più preoccuparmi per lei.
   Il resto della mattinata, invece, parve volare, grazie al cielo, ma fui comunque sollevata quando arrivò la pausa pranzo. Convinta di potermi finalmente rilassare in mensa, ecco che qualcun altro decise di cogliermi alla sprovvista.
   «È vero che ieri sei uscita con Castiel?»
   Fu con questa domanda che, senza preavviso, mentre stavamo ancora poggiando i vassoi sul tavolo, Nathaniel ci raggiunse e, con un movimento deciso, recuperò una sedia da un altro posto e venne ad accomodarsi accanto a me, spingendo Kentin di lato in modo da frapporsi fra noi.
   «Ehi!» protestò lui, innervosendosi all’istante. E come dargli torto? Forse in condizioni normali gli avrei dato man forte in qualche modo, ma la domanda a bruciapelo di Nathaniel mi indusse ad aggrottare le sopracciglia: chi diavolo aveva diffuso la voce?
   «Sei davvero uscita con Castiel?» s’incuriosì Armin, non nascondendo la propria perplessità al riguardo.
   Meno delicato fu Alexy, che subito mise il broncio. «Se è vero, non è stato molto serio, da parte tua», borbottò, lanciando uno sguardo a Kentin con aria contrariata.
   «È stato solo un tentativo di sviare la sua attenzione da qualcosa di potenzialmente pericoloso», mi difesi subito, cercando di mantenere la calma e la compostezza. Tre paia di occhi mi fissarono dubbiosi, fino a che non pronunciai: «Sottoscala.»
   E mentre le espressioni dei gemelli si facevano più confuse di prima e Kentin continuava a guardare in cagnesco Nathaniel, quest’ultimo rilassò l’espressione del volto. «Oh», commentò laconico. «Hai fatto bene, allora.»
   «Ma di che parlate?» s’intromise Alexy, curioso come sempre.
   L’altro inarcò le labbra in un sorriso sornione. «È un piccolo segreto fra me e Aishilinn», dichiarò senza vergogna.
   Alle sue spalle, Kentin impugnò con foga la forchetta, sollevandola di quel tanto che bastava per dare l’impressione di volerlo infilzare a tradimento. Ridendo, Armin gli bloccò il polso e lo costrinse a posare di nuovo l’arma improvvisata sul vassoio. «Buono, o stavolta tuo padre ti manderà dritto al riformatorio», lo prese affettuosamente in giro.
   Attirato da quella battuta, Nathaniel si voltò verso di loro, dando finalmente l’impressione di essersi accorto di Kentin. «Sei nervoso per via della ricerca?» gli domandò.
   Alla fine dell’ora, in effetti, la Delanay aveva avuto la simpatica idea di affidarci un compito speciale per l’inizio della settimana successiva, la cui difficoltà ci aveva tristemente lasciato intuire che avremmo dovuto studiare duro persino nel weekend. Ciò stava anche a significare un’altra cosa, purtroppo: io e Kentin avremmo dovuto rinviare il nostro appuntamento perché secondo la professoressa non eravamo un binomio complementare, e pertanto non ci era neanche possibile sfruttare la scusa della ricerca per studiare insieme e passare comunque del tempo in compagnia l’uno dell’altra.
   «Non ricordarmela», borbottò lui, iniziando a torturare il contenuto del proprio piatto con i rebbi della forchetta, l’altra mano chiusa a pugno e affondata su una guancia, il gomito sul tavolo. «So già che sarò costretto a sgobbare il doppio, visto che quel disgraziato di Castiel non vorrà certo darmi una mano. Anzi, mi ha già cortesemente avvisato che con tutta probabilità si darà malato proprio per il giorno di consegna.»
   «In effetti non ti invidio per niente», si mostrò solidale Nathaniel, concordando con lui circa l’incostanza e l’inaffidabilità del suo compagno di banco. «Almeno Li fa quello che deve, quando serve.»
   «Io e Aishilinn, invece, siamo stati fortunati a capitare con Iris e Rosa», disse Alexy, contento della nostra situazione. A ben guardare, fare la ricerca con loro sarebbe stata di gran lunga una passeggiata, sebbene Iris non brillasse negli studi; ci saremmo persino divertiti, anche se mi ero già ripromessa di proporre a Rosalya un territorio neutro per i nostri incontri: la biblioteca. In questo modo non avrebbe potuto tornare a curiosare nel mio armadio né mi avrebbe costretta ad un tour de force per ammirare tutti i nuovi vestiti che Leigh aveva cucito appositamente per lei.
   «Io invece so già che mi prenderò una bella strigliata dalla prof», considerò Armin, stringendosi nelle spalle con aria rassegnata. «Figuriamoci se Ambra vorrà mettersi a studiare davvero per la ricerca. Già non ne ho voglia per conto mio…»
   «Potresti fare un piccolo sforzo», lo incoraggiò suo fratello.
   «E a che servirebbe? Tanto siamo due capre.»
   Nathaniel strinse le labbra in un’espressione pensosa. «Potremmo studiare insieme», gli propose poi. Armin lo fissò con aria stupita. «Dico sul serio. Visto che con la Delanay non si scherza, sicuramente Ambra verrà a chiedermi aiuto, quindi tanto vale fare un gruppo di lavoro, così anche lei si sentirà più a suo agio se c’è una sua amica.»
   «E anche tu ti sentirai meno impacciato per la presenza di Li?» chiese con fare retorico ed un’espressione divertita in volto. «Ci sto. Almeno non sarò costretto a sopportare tua sorella da solo.» Nathaniel s’irrigidì all’istante e Armin si rese conto solo in quel momento di ciò che aveva detto. Si umettò le labbra con la punta della lingua e si affrettò ad aggiungere: «Con tutto il rispetto, ma sai… non c’è tanto feeling, fra me e lei.»
   L’altro abbozzò un sorriso stentato. «Sì, lo avevo intuito, non preoccuparti.»
   «A questo punto, perché non facciamo un enorme gruppo di lavoro?» saltò su Alexy, trovando quell’idea geniale.
   Gli scoccai un’occhiata piuttosto eloquente. «Pensa solo che cosa potrebbe succedere a mettere me e Ambra nella stessa stanza senza la supervisione di un docente.»
   «O me e Castiel», mi appoggiò Nathaniel, pur fissandomi con fare indagatore. Parve sul punto di dirmi qualcosa, ma si astenne dal farlo. Lo inibiva la presenza degli altri? Se sì, allora forse aveva a che fare con quanto era successo con Ambra il giorno prima? Mi tenni la curiosità, anche perché Alexy tornò a parlare.
   «Kentuccio, studiamo insieme?»
   «Azzardati a chiamarmi ancora così, e ti arriverà una patata in un occhio», fu la rispostaccia che ricevette all’istante.
   «Che noia, che sei…» si lagnò, facendogli la linguaccia con una smorfia infantile. «Se davvero Castiel non vorrà collaborare per la vostra ricerca, potresti unirti a me ed Iris. E, se vogliono, Aishilinn e Rosa. Sarà divertente!»
   Io invece ebbi la visione di un’enorme catastrofe, ma mi guardai bene dal dirlo: anche se sicuramente Alexy e Rosalya si sarebbero distratti a vicenda a suon di frivolezze, Iris avrebbe combinato qualche grossolano errore di pura distrazione e Kentin si sarebbe innervosito perché non avrebbe avuto uno straccio d’aiuto, almeno io mi sarei salvata dal dovermi sorbire da sola qualcuna delle strambe idee della mia compagna di banco.
   «Ora che ci penso», riprese Nathaniel, fissando la propria bottiglietta d’acqua con aria assorta, «credo che Castiel non potrà rifiutarsi di mettersi a studiare seriamente, questa volta. Non che i suoi voti siano pessimi, tocca ammetterlo; ma rimane il solito problema delle assenze.» Un sorriso tutt’altro che rassicurante sfuggì alle sue labbra schiuse. «Quasi quasi glielo faccio presente, così almeno non dovrai fare tutto da solo», aggiunse infine, tornando a rivolgersi a Kentin.
   Il quale lo guardò costernato. «Preferisco di no, grazie. Non ho voglia di doverci passare insieme uno o due interi pomeriggi al di fuori dell’orario scolastico.»
   «Non fatela tanto tragica, voi due», si permise di contraddirli Armin. «Castiel non è affatto male come dite.» Quell’affermazione gli procurò due occhiatacce torve e lui si concesse un verso divertito. «Se non mi credete, chiedetelo alla vostra bella.»
   Solo quando gli sguardi di tutti tornarono a posarsi su di me compresi che la bella dovevo essere io. «Non potremmo cambiare argomento?» li implorai. «Almeno mentre mangiamo, cerchiamo di rilassarci.»
   Grazie al cielo, la mia richiesta fu accolta all’unanimità e rimandammo lo spauracchio della ricerca, con tutti i problemi che ne sarebbero derivati, ad un secondo, masochistico momento. Questo si presentò esattamente la mattina dopo quando, poco prima dell’inizio dell’ora di Storia, Ambra si palesò nella zona degli armadietti, proprio dove io, Kentin e i gemelli stavamo discutendo di ben altro. Si arrestò davanti ad Armin e, senza dire una sola parola, gli porse un quaderno.
   Lui inarcò un sopracciglio. «Cos’è?» volle giustamente sapere, mentre lo prendeva con cautela.
   «Ho chiesto a mio fratello qualche delucidazione riguardo all’argomento della nostra ricerca», spiegò Ambra, con voce bassa e non troppo sicura, un tono che non era solita usare in nostra presenza e che poco le si addiceva, «perciò ho preso qualche appunto.»
   Armin inarcò anche l’altro sopracciglio, stupito quanto noialtri per quell’assurda novità. «Oh…» balbettò, confuso. Sbirciò nella nostra direzione, trovandoci però allibiti allo stesso modo, e tornò a focalizzare la propria attenzione sulla sua compagna del corso di Scienze. «Ehm… grazie?»
   Un lieve rossore si diffuse sugli zigomi di lei, che subito distolse lo sguardo, infilando entrambe le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Nath mi ha detto che più tardi ci farà sapere quando e dove vederci per studiare insieme.» Detto ciò, alzò di sfuggita gli occhi chiari verso di me e poi li spostò su Kentin. Infine, senza aggiungere altro, s’affrettò a raggiungere l’aula in cui di lì a poco sarebbe iniziata la lezione del professor Faraize.
   Per diversi istanti, dopo che se ne fu andata, fra noi rimase un silenzio surreale, durante il quale ci scambiammo delle occhiate incredule. Avevamo avuto un’allucinazione collettiva oppure Ambra era venuta sul serio da Armin, con tutta l’intenzione di voler collaborare attivamente al compito che ci aveva assegnato la Delanay? Se il quaderno che lui ora stringeva fra le mani, unica testimonianza tangibile di quanto appena accaduto, era davvero pieno di appunti, significava soltanto una cosa.
   «È impazzita», mormorò Armin, sfogliando rapidamente le pagine e trovandoci davvero tutta una serie di annotazioni scritte con un’energica calligrafia, femminile e un po’ confusionaria. «Non può esserci altra spiegazione.»
   «Forse Nathaniel aveva ragione a dire che sua sorella ha paura della prof», ipotizzò Alexy, facendo per prendere il quaderno e osservarlo da vicino.
   Il suo gemello fece uno scatto all’indietro, stringendo l’oggetto al petto con fare protettivo. «Fermo, incosciente!» esclamò, strabuzzando gli occhi azzurri e mostrandogli il palmo della mano libera in segno di attesa. «Potrebbe essere contaminato!»
   «Oh, ma piantala!» ridacchiò Alexy, cercando di sottrargli lo stesso il quaderno ed iniziando con lui una scherzosa battaglia per il possesso degli appunti di Ambra. Un cimelio piuttosto raro, in effetti, bisognava riconoscerlo. «Se è contaminato, ormai anche tu sarai infetto!»
   «Ti sbagli», insistette Armin. «A furia di dividere il banco con lei, ho sviluppato degli anticorpi grossi come pantegane!»
   In un altro momento avrei condiviso la loro allegria, ridendo anch’io per quelle battute alle spalle di Ambra; eppure quel gesto da parte sua mi aveva spiazzata. Le ipotesi potevano essere soltanto due: o aveva capito che si sarebbe dovuta rimboccare le maniche per evitare una nuova punizione dalla Delanay, oppure si era finalmente resa conto che avrebbe dovuto iniziare a mettere da parte l’orgoglio e trattarci in maniera quantomeno rispettosa. Non che fossi del tutto convinta di questa seconda teoria, ma lo sguardo che aveva lanciato a me e a Kentin, prima di scomparire, mi aveva lasciata piena di interrogativi ai quali non avrei saputo rispondere altrimenti. Mi persuasi, però, che qualunque cosa le frullasse per la testa, di sicuro Nathaniel doveva averci messo lo zampino.
   Scoprimmo in seguito che non si era limitato a farlo solo con sua sorella, perché non appena raggiungemmo l’aula per la lezione di Storia, Castiel si fiondò verso di noi, masticando un’imprecazione. «Quel figlio di buona donna!» sbottò, piazzandosi davanti a Kentin con le braccia conserte e lo sguardo accigliato. «A quanto pare, secondo il nostro caro delegato, non potrò assentarmi, la settimana prossima.»
   L’altro aprì la bocca con espressione fortemente contrariata e subito lanciò un’occhiata assassina verso Nathaniel che, in piedi vicino alla cattedra, era immerso in chissà quale conversazione con Melody. «Io lo strozzo.»
   «Mettiti in fila», ribatté Castiel. «C’ero prima io. E da un pezzo, anche.»
   Kentin sbuffò. «Ci scommetto che l’ha fatto per evitare di lasciarci studiare insieme», borbottò, rivolgendosi a me.
   «Non dire assurdità», tentai di rabbonirlo, anche se in effetti, dopo quella sua osservazione, il dubbio venne anche a me.
   «Senti un po’, ragazzino», riprese Castiel, interrompendo quel nostro breve scambio di battute. «Siccome non sono bravo in queste cose, ti avverto che dovrai fare quasi tutto da solo.»
   «E poi come illustrerai la tua ricerca alla professoressa?» mi permisi di fargli notare, mettendola sulla logica – ma di fatto prendendo come sempre le difese del mio migliore amico. Gli occhi grigi di Castiel mi fulminarono ed io scossi le spalle. «Contento tu…»
   «Lysandre», mormorò allora, cercando di ragionare e trovare una soluzione. «Faremo un gruppo di ricerca con lui e quell’altra.»
   «Capucine?»
   «Quella», assentì deciso.
   «È proprio necessario?» domandò Kentin in tono supplice.
   «Lysandre è l’unico che riesco a sopportare.»
   «Su questo siamo d’accordo», convenne poi, rassegnandosi all’idea che fosse davvero lui il solo del loro gruppo di studio su cui poter fare affidamento. Avrebbe di certo dovuto guardarsi da quella pettegola maligna di Capucine, ma mi fidavo della sua intelligenza e sapevo che sarebbe stato prudente.
   «Non preoccuparti, Kentin», m’intromisi, tanto per smorzare la tensione che era calata. «Castiel abbaia ma non morde.»
   Questi ghignò. «Avvicinati, poi vedremo se non ti attacco la rabbia.»
   «Non azzardarti!» lo avvisò Kentin, prendendo come al solito fin troppo seriamente i suoi scherzi.
   «Puoi dire al tuo fidanzatino che non ci sono davvero secondi fini, in quel che dico?» sbuffò Castiel, rivolgendomi uno sguardo annoiato.
   Non ebbi quasi tempo di arrossire, poiché la voce di Alexy, alle nostre spalle, risuonò forte e chiara. «E dammelo!» Ci voltammo e lo sorprendemmo ancora impegnato a giocare con suo fratello per il possesso del quaderno di Ambra.
   «No!» replicò l’altro, ridendo e cercando di sfuggirgli. «È una reliquia sacra!»
   Il cipiglio corrucciato di Castiel mi fece intuire che gli serviva qualche spiegazione al riguardo. «Ambra ha deciso di collaborare alla ricerca che farà con Armin», dissi allora.
   Lo vidi distendere la fronte sotto la frangia rossa, assumendo così un’espressione stupita. «Quel vigliacco di Nath ha ricattato anche lei?»
   Che a volte Nathaniel ricorresse ad alcuni giri di parole per intortare la gente era ormai risaputo; tuttavia non potevo credere che fosse riuscito ad avere la meglio anche su una persona tanto orgogliosa e testarda quanto Castiel. Un conto era Ambra, che, pur essendo fatta della stessa risma di quest'ultimo, era sua sorella; ben altro conto era il suo peggior nemico – benché, in tutta onestà, non riuscissi a vedere tutto questo odio, fra i due. Quindi perché mai Castiel aveva ceduto alla richiesta di Nathaniel, accettando di mettersi a studiare seriamente?
   Un’idea mi balenò alla mente, perciò schioccai la lingua sotto al palato con fare trionfante. «La Delanay fa prendere la strizza a tutti», dichiarai risoluta. Anche ai prodi Castiel e alle sprezzanti Ambra.»
   Castiel si voltò di scatto a guardarmi e fece per aprire bocca, ma proprio in quel momento sopraggiunse il professore ed io fuggii verso il mio banco, ridacchiando fra me e me per l’essere riuscita ad avere finalmente l’ultima parola con quel rockettaro dai capelli tinti.












Dal momento che vorrei procedere con calma, nella narrazione degli eventi, stamattina mi sono fatta un paio di calcoli e sono giunta alla conclusione che probabilmente il numero dei capitolo di questa storia più che di 10-15 sarà di 15-20. Non voglio scrivere in modo frettoloso e superficiale, ma anzi vorrei analizzare bene i personaggi, la loro psicologia e i rapporti che intercorrono fra loro. Ci tengo davvero tanto, anche e soprattutto perché finalmente mi sono impelagata in una fanfiction dai toni più seri e profondi che, appunto, me ne concede la possibilità.
Anche se sono finalmente riuscita a rispondere ad ogni recensione ricevuta finora, mi scuso con tutti coloro che ancora aspettano una risposta ai messaggi privati, ma purtroppo questa settimana è stata abbastanza impegnativa dal punto di vista lavorativo, per cui ho avuto a malapena il tempo di respirare. Spero solo che il presente capitolo, scritto di nuovo nei ritagli di tempo, non sia eccessivamente da buttare. ç_ç
A proposito, per quanto lo abbia letto e riletto, potrei chiedervi la cortesia di segnalarmi gli eventuali errori/sviste che potreste incontrare durante la lettura? Almeno potrò correggere ciò che non va e che, a causa della mancanza di tempo (e soprattutto della stanchezza), non riesco proprio a notare. Perdonate l'incomodo. D:
Concludo ringraziando chiunque sia arrivato a leggere fin qui, nonché tutti quegli utenti che hanno già commentato e/o hanno inserito la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buon fine settimana! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***





RIVALI - CAPITOLO QUINTO




«Penso che tu sia la sola che possa aiutare Ambra.»
   Guardai Nathaniel come se avesse parlato in una lingua aliena.
   «Sul serio», insistette. «Credo che tu sia davvero l’unica persona in grado di scuoterla.»
   Ci eravamo incrociati all’uscita dell’aula, dopo la lezione di Francese, e mi era venuto spontaneo fargli sapere che il giorno addietro avevo avuto l’impressione che in mensa volesse dirmi qualcosa. Difatti così era. Mi spiegò che aveva avuto una lunga discussione con sua sorella, durante la quale l’aveva ascoltata e consolata, consigliandole di cambiare atteggiamento verso gli altri, se le faceva così male che continuassero ad avere una cattiva opinione di lei. Stranamente, Ambra non aveva ribattuto ed era rimasta in silenzio, immagazzinando le sue parole e riflettendoci su; al punto che, a quanto pareva, aveva deciso di dargli ascolto, cominciando a collaborare almeno sul piano scolastico.
   «Se sei stato tu a darle quel consiglio», cominciai a protestare, perplessa riguardo ciò che mi aveva appena detto, «io cosa c’entro? E sono stati gli altri a parlar male di lei, io mi sono limitata a dispiacermi per quello che era successo.»
   Nathaniel accennò un sorriso. «È proprio questo, il punto.» Mi permisi di inalberare un’espressione ancora più dubbiosa. «Non so per quale ragione, ma Ambra sembra considerarti sua degna rivale.»
   Mi scappò di bocca una risata isterica. «L’ultima cosa che vorrei è entrare in competizione con qualcuno, te l’assicuro.»
   «Oh, lo so», assentì lui. «Ormai ti conosco da tempo e ho capito che tipo sei. Certe provocazioni ti scivolano addosso come se nulla fosse.»
   «Appunto», confermai. «Senza contare che non c’è assolutamente nulla per cui io e tua sorella dovremmo entrare in competizione. Rivali in cosa? Di certo non per chi fra noi sia la più fashion», scherzai, dando uno sguardo alla maglietta e ai jeans dal taglio semplice e alle sneakers un po’ consumate che indossavo quel giorno. «Figurarsi per un ragazzo. Per quanto a volte io possa apprezzare Castiel, di certo non sono interessata a lui in quel senso.» E non era neanche da prendere in considerazione l’ipotesi che l’oggetto del contenzioso fosse Kentin, dal momento che Ambra aveva iniziato a prendermi di mira sin dal primo giorno di scuola, quando lui era ancora piccolo e gracilino e portava sul naso due occhiali grossi e spessi che gli nascondevano in gran parte il viso. All’epoca, anzi, anche Kentin subiva le angherie di Ambra, che lo considerava un buono a niente e uno sfigato al pari di me – a testimonianza di come lei badasse soprattutto all’aspetto esteriore delle cose e delle persone, senza soffermarsi minimamente a guardarne la sostanza.
   «Forse è perché riesci a piacere più di lei», ipotizzò Nathaniel con una scrollata di spalle, facendomi aggrottare la fronte. «A differenza sua, sei riuscita ad integrarti quasi subito nella classe, se si escludono pochi elementi. E mi pare di aver capito che di recente tu vada più d’accordo anche con Castiel», aggiunse, pronunciando quasi a forza l’ultima frase. «Anche con Peggy le cose sono migliorate, no?»
   «Sì, è vero», ammisi. Tanto più che lei aveva mantenuto il silenzio riguardo al mio primo appuntamento con Kentin, che andava soltanto a confermare un altro episodio di cui lei stessa era stata testimone, avendoci sorpresi insieme mentre cercavamo un posto appartato – per chiamare i servizi sociali per aiutare Nathaniel, non per pomiciare. Era stata una situazione assai fraintendibile, che né io né Kentin ci eravamo curati di smentire per non dover dare spiegazioni più gravi, eppure anche in quell’occasione Peggy aveva mantenuto il segreto. «In ogni caso», ripresi dopo un attimo, «non è certo merito mio. Non ho fatto nulla per conquistarmi le simpatie degli altri. Se tua sorella fosse un po’ meno acida e prepotente, forse anche lei risulterebbe più amabile.»
   Mi resi conto solo dopo che il tono da me usato, soprattutto per l’ultima osservazione, era stato forse un po’ duro, ma per quanto mi dispiacesse per Nathaniel, a cui ero legata da una bella amicizia, non riuscii a pentirmene. Avevamo ormai appurato che non ero l’unica a non sopportare Ambra, senza contare che sapevamo tutti e due che adesso lei stava solo raccogliendo ciò che aveva a lungo seminato. Da quanto tempo mi ero lamentata del suo comportamento con suo fratello? Lo avevo fatto così tante volte, nel primo periodo, che alla fine avevo persino rinunciato a comunicargli tutto ciò che era accaduto in seguito. A che sarebbe servito farlo, se Nathaniel non era in grado di farla ragionare? Più ci pensavo, più mi rendevo conto che Castiel e Kentin avevano ragione: non era un problema mio, se Ambra piangeva per qualcosa di cui lei stessa era responsabile. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
   «Immagino che tu abbia ragione», si costrinse a concedermi Nathaniel, stringendo le labbra in un’espressione seriosa. «Credo che però la colpa maggiore ce l’abbiano i nostri genitori. L’hanno viziata troppo, dandogliela sempre vinta e cedendo ad ogni suo capriccio. È normale che non si sia mai resa conto delle conseguenze delle proprie azioni se non quando ormai era troppo tardi.»
   Almeno potevo riconoscergli di essere obiettivo, soprattutto per quel che riguardava la pessima educazione che sua madre e suo padre avevano impartito a lui e Ambra. Ora che Nathaniel aveva aperto gli occhi al riguardo, decidendo di prendere in mano la propria vita e di sfuggire così alle violenze e alle imposizioni paterne, era in grado di ragionare con maggior lucidità e di vedere con maggior chiarezza come stavano le cose che a chiunque altro sarebbero apparse palesi sin da subito.
   «Dopo tutto quello che è successo nella nostra famiglia», continuò dopo un attimo, «il bel mondo rosa di Ambra è crollato su se stesso. Credo che abbia avuto bisogno di tempo per assimilare ogni cosa e che quest’ultimo episodio le sia servito come sprone per tirare le somme di tutto.»
   «È per questo che ha deciso di aiutare Armin nella ricerca?»
   «Davvero?» si stupì lui, dando prova di non essere a conoscenza della cosa, come invece mi era parso di capire. «Non ne avevo idea, non le ho ancora parlato del gruppo di studio. Se le cose stanno così, allora direi che è sulla buona strada per migliorare se stessa, non trovi?» mi domandò con fare retorico, sorridendo con entusiasmo.
   Dunque Ambra aveva scelto da sola di mettersi seriamente sui libri, senza che nessuno le suggerisse nulla. Dovetti riconoscere con me stessa una certa ammirazione al riguardo, perché forse Nathaniel aveva ragione: sua sorella aveva deciso di sforzarsi per cambiare la situazione in cui si era cacciata e della quale si era resa conto in modo piuttosto brusco. Però quel piccolo trauma stava dando i suoi frutti, a testimonianza che, come dice il detto, non tutto il male vien per nuocere.
   L’unica cosa di cui però non riuscivo a persuadermi era che io fossi inconsapevolmente una sorta di stimolo per lei. Per quale motivo? Tutto ciò che mi veniva in mente era che, avendo provato pena nei suoi confronti, l’orgoglio di Ambra doveva averne risentito più di quanto avrebbe fatto se non fossi stata presente anch’io quando i ragazzi l’avevano umiliata con i loro spietati giudizi. Ciò nonostante, ancora non riuscivo a spiegarmi per quale dannata ragione Ambra ce l’avesse tanto con me. A dirla tutta, non mi sarebbe neanche importato più di tanto, se solo lei e le sue amiche mi avessero lasciata in pace.
   Durante l’intervallo, comunque, fui avvicinata da Melody che, tutta sorridente, mi informò che aveva sentito da Alexy che stavamo organizzando dei gruppi di studio per la ricerca che ci aveva assegnato la Delanay. «Io e Kim ne abbiamo parlato e ci piacerebbe unirci a voi, se fosse possibile.»
   «Anche a me piacerebbe molto», le assicurai, mostrando l’entusiasmo che in effetti sentivo di provare. Ero sul serio contenta che fra me e Melody ormai le cose andassero bene come prima; anzi, sembravano persino migliorate da quando le avevo detto a chiare lettere che non ero interessata a Nathaniel. Avevo trovato ingiusto il suo atteggiamento scostante nei miei confronti, quand’era convinta che avessi delle mire su di lui, però col senno di poi mi ero detta che il suo era stato un comportamento più che comprensibile. Pertanto avevo evitato di prenderla troppo a male e, non appena me ne aveva lasciata l’occasione, avevo chiarito la mia posizione al riguardo e noi due eravamo tornate amiche.
   «Alexy mi ha detto anche che avevate una mezza idea di cominciare oggi pomeriggio in biblioteca», m’informò Melody, dal momento che invece io non ne sapevo ancora nulla.
   «Suppongo vada bene», risposi lo stesso, dato che non avevo impegni di sorta. Avrei soltanto dovuto avvisare i miei genitori che sarei rimasta a studiare con le mie amiche – amici, se si includeva anche Alexy.
   «Ci pensi?» ricominciò Melody, tutta contenta. «Sarà un po’ come quel giorno al parco.»
   Mi unii alla sua allegria, sorridendo di cuore. «Con la differenza che stavolta non potremo darci battaglia o ci butteranno fuori dalla biblioteca.»
   La vidi soffocare una risatina dietro al palmo della mano, con un gesto talmente delizioso che mi stupii per l’ennesima volta del fatto che Nathaniel si ostinasse a non prenderla in considerazione sotto a un punto di vista amoroso. A me aveva detto che Melody non era il suo tipo, eppure, se fossi stato un ragazzo, credo che a me sarebbe piaciuta molto – e non solo perché era assai graziosa.
   «Prima ti ho vista parlare a lungo con Nath», mi disse poi, tutto d’un tratto, senza però oscurarsi in viso come avrebbe fatto in passato. «Non ci saranno mica problemi con le tue assenze, vero?»
   Si riferiva ovviamente a ciò che era accaduto due giorni prima, e cioè quando le avevamo fatto credere che avevo bisogno di informazioni al riguardo. «Oh, no, non preoccuparti», la tranquillizzai. E poiché sapevo che teneva a Nathaniel anche più di me, non mi feci scrupoli ad informarla dell’oggetto del nostro discorso. «In realtà stavamo parlando di Ambra.» Melody aggrottò leggermente la fronte. «Sembra che ultimamente abbia deciso di impegnarsi di più, a scuola.»
   «Sul serio?» si stupì lei. «Mi fa piacere! Scommetto che è stato Nath a farle capire che lo studio è importante.»
   Scrollai le spalle. «Lui dice di no, ma chi può saperlo? Lo sai che è piuttosto modesto e che diventa particolarmente cieco quando si tratta di sua sorella.»
   Melody storse la bocca. «Sì, è vero», concordò a malincuore. «Spero solo che non debba rimanere deluso da lei ancora una volta.»
   «Tutto ciò che potremmo fare, in quel caso, è stargli vicino come al solito.»
   «In fondo, gli amici servono soprattutto per questo, no?»
   Fu così che, nel corso della giornata, riuscimmo ad accordarci per passare un paio d’ore in biblioteca per studiare insieme e raccogliere i primi appunti per la ricerca di Scienze. Si sarebbe prospettato un pomeriggio perfetto, se non fosse stato che, borbottando contro la sfortuna, Kentin mi avvisò che non sarebbe stato dei nostri perché ormai aveva dovuto impegnarsi con Castiel, Lysandre e Capucine per quello stesso giorno. Il tono e l’espressione con cui mi informò della cosa lasciavano capire esattamente quanto gli pesasse; di certo non soltanto perché non ci saremmo potuti vedere, ma anche e soprattutto perché l’unica persona con la quale riusciva ad andare d’accordo, nel suo gruppo di studio, era Lysandre – con il quale, purtroppo, non doveva fare la ricerca in coppia.
   Alla fine delle lezioni, mi avviai con i miei amici verso la biblioteca della scuola di cui, in verità, avevo per lo più sentito parlare da Nathaniel. In qualità di delegato degli studenti, lui ci andava spesso anche solo per puro svago, mentre a noi comuni mortali quel posto era accessibile soltanto se, come in quel caso, avremmo dovuto svolgere un compito particolare. Un po’ mi rodeva, visto quanto mi piacciono i libri, ma avevo dovuto farmene una ragione e consolarmi con la biblioteca comunale, anche se la mia più grande passione rimaneva quella di frugare fra i negozietti di libri usati per recuperare a poco romanzi che altrove avrei pagato un occhio della testa o che ormai difficilmente si potevano reperire in una semplice libreria perché usciti fuori commercio. Ma sto divagando.
   Mentre attraversavamo l’interno dell’edificio per raggiungere uno dei tavoli liberi, mi guardai attorno e mi resi tristemente conto di quanto fosse vuota. A parte noi, l’unica altra anima presente era il bibliotecario, che al nostro ingresso ci aveva fermati per informarsi su cosa ci facessimo lì. Gli avevamo spiegato della ricerca e già pareva convinto a lasciarci andare; ma fu solo quando si avvide di Melody che l’uomo ci concesse anche un sorriso, dando segno di averla riconosciuta quale assistente del delegato degli studenti del liceo. Ad ogni modo, la biblioteca era piuttosto grande e ben fornita e mi domandai per quale dannata ragione dovessero riservarla soltanto ai progetti di ricerca. Lo trovavo un vero peccato, soprattutto perché, se avessero lasciato libero accesso a tutti gli studenti della scuola, forse avrebbero invogliato molti più ragazzi alla lettura.
   Non avevamo ancora raggiunto il tavolo, che qualcun altro fece il suo ingresso all’interno della grande stanza stipata di scaffali, e quando mi volsi per curiosare sull’identità del nuovo arrivato, mi stupii nel vedere ben quattro nostri compagni di classe. Mi si illuminò lo sguardo non appena i miei occhi si posarono sulla figura di Kentin che si era avvicinato svogliatamente al bibliotecario insieme a Castiel e Capucine. Fu Lysandre a parlare con l’uomo che subito annuì e fece cenno col capo nella nostra direzione. A quel punto anche loro si volsero a guardarci e con uno scambio di saluti con la mano e di sorrisi, finimmo tutti per occupare la stessa zona dell’edificio, sia pure accomodandoci a due tavoli differenti, dal momento che Castiel ci giurò che gli sarebbe venuta l’orticaria se si fosse seduto insieme a noialtri.
   Prima di metterci a studiare, comunque, scambiammo due chiacchiere con loro e venimmo a sapere che in realtà il gruppo appena arrivato, sotto suggerimento di Lysandre, avrebbe dovuto ritrovarsi da Castiel, visto che, vivendo da solo, lì avrebbero avuto tutto lo spazio e la tranquillità di cui avevano bisogno. Con grande sollievo di tutti, di Castiel e Kentin per primi, Capucine si era impuntata di non voler mettere piede a casa di un uomo, da sola, in compagnia di ben tre ragazzi.
   «Senza contare che miei genitori non approverebbero», affermò risoluta. «Non sono quel genere di donnaccia, io.»
   «Come se fossimo abbastanza disperati da volerle saltare addosso», commentò pigramente Castiel, scuotendo le spalle con noncuranza e regalando a qualcuno di noi un sorriso divertito.
   Dal fondo della sala giunse il suono secco della gola che il bibliotecario decise di schiarirsi in quel momento, scrutandoci dietro le lenti degli occhiali a mezzaluna. Fummo perciò costretti a chiuderci nel silenzio e ognuno di noi, col proprio binomio, si mise a caccia del materiale di cui aveva bisogno per l’argomento della ricerca che gli era stato assegnato dalla professoressa.
   Lavorare con Rosalya risultò fruttuoso e piacevole, grazie al cielo, anche perché di tanto in tanto la monotonia dello studio veniva puntualmente interrotta da una delle nostre stupide battutine che mi ricordarono la ragione per cui, nonostante fossimo molto diverse, io e lei andassimo così d’accordo. Avrei voluto evitarlo, eppure più di una volta il mio sguardo scivolò via dai libri e dagli appunti per andare alla ricerca della figura di Kentin, seduto all’altro tavolo insieme agli altri del suo gruppo. A dispetto delle nefaste previsioni, sembrava che le cose non andassero poi troppo male, benché il grugno con cui Castiel esprimeva la propria insofferenza a quel genere di cose parlasse chiaro. D’un tratto anche gli occhi di Kentin si sollevarono dal proprio quaderno per posarsi sui miei e mi sorpresero a fissarlo. Arrossii e distolsi lo sguardo, tornando a prestare attenzione a ciò che stavo ricopiando. O meglio, tornando a fingere di prestare attenzione a ciò che avrei dovuto ricopiare. Ci misi diversi minuti prima di riuscire a calmare il batticuore e quando finalmente mi parve di essere tornata lucida, qualcosa rimbalzò sulle pagine del mio quaderno, facendomi sobbalzare: una pallina di carta.
   Aveva tutta l’aria di essere un bigliettino scritto di straforo, di quelli che ci si lancia di solito in classe durante le lezioni per non essere sorpresi a chiacchierare. D’istinto, lo afferrai nel pugno e quando fui certa che nessuno, nemmeno Rosalya che mi sedeva accanto, si fosse accorto della cosa, lo aprii e lessi: Anche se non possiamo più uscire nel weekend, dopo ti va di tornare a casa insieme?
   Di nuovo il cuore mi sobbalzò in petto e i miei occhi saettarono verso Kentin che mi stava ancora guardando con una certa apprensione. Abbozzai un timido sorriso d’assenso e lui comprese al volo il mio messaggio, perché mi rispose con un sorriso molto più entusiasta che gli costò una gomitata dal suo binomio. Li vidi borbottare su qualcosa e solo quando le severe iridi grigie di Castiel si piantarono su di me, fui costretta ad abbassare definitivamente il capo per rimettermi a studiare con serietà.
   Chiudemmo i libri che ormai era l’imbrunire e la biblioteca sul punto di chiudere. Una volta fuori, ci stiracchiammo a dovere all’aria aperta e la prima cosa che fece Castiel, per la gioia di tutti, fu accendersi una sigaretta. Gli imprecai contro e mi allontanai il più possibile da lui, che ben presto si ritrovò quasi isolato dal resto del gruppo. Ci soffermammo ancora qualche minuto a parlare davanti all’ingresso della scuola, ma poiché ormai si stava facendo tardi, fummo costretti a salutarci e a darci appuntamento l’indomani mattina a lezione.
   Kentin mi si affiancò subito ed insieme riprendemmo la strada del ritorno, fingendo di non accorgerci degli sguardi indagatori di Rosalya e Alexy che, con un sorrisetto malizioso e fare infantile, agitarono la mano in segno di saluto. Durante la nostra passeggiata verso casa, raccontai a Kentin della mia chiacchierata con Nathaniel di quella mattina e anche lui mostrò una vaga perplessità riguardo alla competizione che Ambra sembrava avere nei miei confronti. Su una cosa, però, non potevamo non essere d’accordo con il nostro amico: di sicuro la causa primaria dei problemi di lei e dei suoi capricciosi, prepotenti ed egoistici comportamenti era senza dubbio da ricercare nell’educazione discutibile che le era stata impartita dai suoi genitori.
   «L’ho già detto che non rimpiango affatto il pugno di ferro di mio padre?» scherzò Kentin, quando ormai eravamo in prossimità di casa mia. «Nonostante la sua severità, non mi ha mai picchiato e ha sempre cercato di inculcarmi il senso di responsabilità.» Dal modo in cui parlava spesso di lui, si capiva che gli volesse molto bene e che lo ammirasse. A volte mi chiedevo come sarebbero state le cose se suo padre non fosse stato costretto ad allontanarsi da casa per lunghi periodi per via del lavoro, lasciandolo da solo con sua madre che per molto tempo si era occupata della sua educazione contando quasi unicamente sulle proprie forze. Di sicuro, per quanti errori lei potesse aver commesso per troppo affetto, era comunque riuscita a trasmettergli molti di quei valori importanti che ci avevano permesso di diventare amici e dei quali col tempo avevo finito inconsciamente con l’innamorarmi.
   Qualcuno ci chiamò e fu solo quando alzammo lo sguardo che ci rendemmo conto di essere giunti sotto casa proprio quando anche i miei genitori stavano rientrando. A giudicare dalle buste della spesa che portavano con loro, dovevano essere appena stati al supermercato. Ci fu uno scambio di saluti piuttosto rigido da parte di mio padre e Kentin, che si offrì di aiutarli con i sacchetti, ma mamma lo rassicurò che non ve ne fosse bisogno e, come al solito, si prodigò in sorrisi e gentilezze che contribuirono a mettere parzialmente il mio amico a suo agio. Almeno fino a che papà, studiandoci con aria accigliata, non domandò: «Ma non eri uscita con le tue amiche?»
   «C’era anche un ragazzo», precisai per dovere di cronaca. E anche per rendere giustizia al povero Alexy, che si trovava spesso in minoranza. «Eravamo andati in biblioteca a studiare per una ricerca di Scienze, e lì abbiamo incontrato altri nostri compagni. Alla fine, visto che si era fatto tardi, Kentin si è offerto di riaccompagnarmi.»
   Papà lo scrutò ancora per qualche istante, ma poi ci meravigliò con la seguente affermazione: «Ha fatto bene.» Sia io che Kentin c’irrigidimmo sul posto, cercando di capire se non fosse impazzito. «Almeno lui non puzza di fumo», borbottò ancora mio padre, prima di incamminarsi verso il portone e lasciarci con un saluto formale.
   Ancora attonita, lo seguii con lo sguardo fino a che la voce di mamma non mi riportò alla realtà. «Due giorni fa ti abbiamo vista rientrare con quell’altro tuo compagno di classe… Sai, quello con i capelli rossi.»
   «Ah», balbettai, non sapendo cosa pensare. Pregai solo che non avessero frainteso la faccenda, magari pensando che fra me e Castiel ci fosse qualcosa.
   «E dopo che sei salita in casa, lui ci è passato accanto borbottando, senza neanche accorgersi di noi», continuò mia madre, in tutta tranquillità.
   «Spero di cuore che non vi siate fatti idee sbagliate al riguardo», commentai, già pronta a darle battaglia se avesse osato insinuare chissà cosa – per di più davanti a Kentin.
   La sua risata mi sorprese. «Oh, no, no tranquilla», mi rassicurò lanciando uno sguardo complice al mio amico. «Direi che il modo per nulla carino in cui si sono salutati fosse abbastanza eloquente.» Avvertii nitidamente il sospiro di sollievo che Kentin tirò ed io non potei fare a meno di lasciarmi andare ad un risolino divertito e isterico a un tempo. «Kentin», riprese mamma con allegria, «è stato un piacere rivederti.»
   «Oh, lo è stato anche per me, signora», rispose subito lui, scattando quasi sull’attenti come un bravo soldatino, un sorriso fiducioso sulle labbra. Sapeva di piacerle e questo non poteva che renderlo orgoglioso di se stesso e fiducioso per l’avvenire. Ammetto che anch’io provavo le sue stesse emozioni, in quei frangenti.
   «Beh, io salgo», disse mamma, tornando a rivolgersi a me. «Vi lascio liberi di salutarvi affettuosamente», trillò infine, avviandosi sulle orme di papà prima ancora che avessi modo di ringhiarle contro tutta la mia vergogna.
   Calò un silenzio imbarazzante, durante il quale io rimasi immobile senza avere il coraggio di alzare lo sguardo su Kentin e lui spostò nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro. Infine, una lieve risata raggiunse le mie orecchie e i miei occhi cercarono il suo viso. Sembrava decisamente di buon umore.
   «Forse dovrei ringraziare Castiel per avermi inconsapevolmente spianato la strada con tuo padre», mi spiegò allora. Gli diedi un colpetto sul braccio, non riuscendo tuttavia a soffocare il divertimento causato da quelle parole, a dispetto del rossore del mio viso. Infine, senza perderci troppo in chiacchiere visto che era già tardi, Kentin si limitò a salutarmi a parole – anche e soprattutto perché i miei potevano benissimo tenerci d’occhio dalla finestra – e si avviò frettolosamente verso casa.












Credevo che fosse passato molto più tempo dall'ultima volta che avevo aggiornato e invece sono solo cinque giorni. Meglio così.
La storia procede. A rilento, ma procede. Non ricordo se l'ho già detto (sarà l'età, abbiate pazienza), però non ho fretta di raccontare ciò che accadrà, voglio prendermela comoda per non dimenticare dei pezzi per strada e non rendere inverosimili determinate situazioni. Ho bisogno di tempo per lavorare sul personaggio di Ambra (e non solo sul suo, ve lo anticipo), quindi ho deciso di non fare più previsioni sul numero di capitoli di questa long, ché tanto sono sicura che non lo azzeccherei.
Come sempre, ringrazio chiunque legga e recensisca, ma anche chi ha aggiunto questa storia fra le preferite/ricordate/seguite - e siete già in molti, non me lo aspettavo, grazie!
Buona giornata a tutti,
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***





RIVALI - CAPITOLO SESTO




Quando rientrai, non mi stupì troppo di essere accolta dallo sguardo severo di mio padre. A dispetto della mia apprensione, però, ciò che mi disse mi spiazzò. «Per un attimo ho temuto che fossi impazzita del tutto.»
   Fu buffo che, anziché preoccuparmi di chiedere spiegazioni, mi interessai di sapere: «Quindi ritieni che io sia pazza almeno in parte?»
   Mamma ci raggiunse ridendo. «Cerca di capirlo», tentò di rabbonirci col suo solito buon umore. «Per lui è già difficile vederti con un ragazzo, figurarsi con due.»
   Mi immusonii, seriamente offesa per quell’osservazione. Quindi non era vero che non avevano frainteso il vedermi con Castiel. «Non c’è pericolo», puntualizzai decisa, alzando il mento con orgoglio. «Per fortuna, Castiel è soltanto un compagno di classe.»
   «E Kentin no?» fu l’ovvia domanda con cui mi punzecchiò ancora mia madre, prendendomi del tutto in contropiede.
   Non fui abbastanza rapida nell’inventarmi una balla e, sempre a causa della mia mancanza di sangue freddo, l’unica cosa che fui in grado di fare fu darmela a gambe. «Vado a farmi una doccia!» esclamai, fuggendo verso la mia camera per raccattare la biancheria pulita e, soprattutto, starmene per qualche minuto sola con me stessa a rimuginare sulla mia stupidità. Ad accompagnare la mia uscita dal salotto ci pensarono i borbottii di papà e le risate di mamma. Per fortuna, me la scappottai per il resto della serata, senza più domande indiscrete o grugniti vari.
   La prima persona in cui mi imbattei a scuola, la mattina seguente, fu Lysandre. Ne fui felice, perché era da un pezzo che non mi capitava di parlare un po’ con lui, cosa che, ad essere onesta, mi metteva addosso sempre tanta tranquillità. Lysandre era forse la persona più riflessiva che io conoscessi, sempre molto attento ed empatico nei riguardi di coloro che gli erano intorno. Mi trovavo bene con lui, e anche se non potevamo definirci davvero amici, mi piaceva avere l’opportunità di scambiare due chiacchiere insieme, di tanto in tanto.
   «Come credi che sia andata, ieri?» mi venne spontaneo domandargli, mentre percorrevamo insieme il corridoio per raggiungere l’aula in cui si sarebbe tenuta la prima lezione della giornata.
   Lysandre mi lanciò uno sguardo curioso. «Credevo che te ne avesse già parlato Kentin, visto che siete andati via insieme.»
   Mi strinsi nelle spalle, cercando di non far caso all’imbarazzo che mi provocò quell’osservazione. Insomma, se volevo davvero instaurare una relazione di tipo amoroso con il mio migliore amico, o con un qualsiasi ragazzo in generale, avrei dovuto farmi passare certi pudori, dannazione. «Sai, temo che lui non sappia essere troppo obiettivo, riguardo al vostro gruppo di studio. Capucine non rientra nelle sue simpatie e con Castiel… beh… non riesce davvero a legare.»
   Lysandre sorrise con aria divertita. «Sì, ho notato», ammise, tornando a prestare attenzione davanti a sé.
   «Per questo chiedo a te, che sei l’unico che riesce ad andare d’accordo con tutti», spiegai ancora. «Inoltre, penso che tu sia anche il più obiettivo dei quattro.»
   Mi lanciò un nuovo sguardo, questa volta vagamente sorpreso. «Davvero?»
   «Puoi giurarci», gli garantii con risolutezza. «Capucine non è affidabile, mentre gli altri due… sono parecchio testardi. Due muli sarebbero molto più facili da ammansire.» Se ci fosse stato Nathaniel al posto di Kentin sarebbe stato anche peggio, a ben pensarci, ma anche così la situazione non sembrava delle più semplici.
   Il suono basso ed elegante della risata di Lysandre mi sfiorò le orecchie con gentilezza. «Beh, ti ringrazio», cominciò a dire poi. «Posso però tranquillizzarti, in proposito: sembra che quei due si siano messi a collaborare seriamente, questa volta. Pur con qualche rimostranza da parte di Castiel, bisogna riconoscerlo.»
   «Com’è che la cosa non mi stupisce?» commentai rassegnata, ruotando gli occhi al soffitto. «Ma sono contenta di sapere che le cose non vadano poi troppo male.» Quasi mi interruppi quando vidi Lysandre prendere una direzione diversa dalla mia. «Dove vai?»
   Lui si fermò e si volse a fissarmi con aria stupita. «Nell’aula di Scienze, no?»
   «A far cosa?»
   Fu a quel punto che gli sorse un dubbio. «Non abbiamo Scienze alla prima ora, giusto?» domandò con fare retorico. Scossi il capo, sforzandomi di non ridere apertamente della sua memoria ballerina, e Lysandre si portò una mano sul volto, stropicciandosi un occhio con un certo imbarazzo. «E allora ti seguo, perché non ho la più pallida idea di che lezione abbiamo, adesso.»
   Non finì di dirlo che fummo raggiunti dai gemelli. Alexy rideva per qualcosa, mentre Armin sembrava essere stato vittima di chissà quale sadico atto punitivo per il suo povero intelletto. Quando si accorsero di noi, proprio lui si affrettò ad arpionarmi per le spalle con entrambe le mani e a ruggirmi in faccia: «Che hai combinato?!»
   Presa alla sprovvista, e spaventata da quella reazione che per nulla si confaceva all’indole del mio amico, cercai di indietreggiare senza molto successo, vista la presa ferrea con cui lui mi teneva ferma. «Che…?» balbettai, non capendo di cosa stesse parlando.
   «Ti rendi conto di cosa ho dovuto subire, ieri?!» sbottò ancora Armin, lasciandomi finalmente andare e portandosi i pugni sugli occhi, come se cercasse di rifuggire un’orrida visione, forse un ricordo troppo crudele per la sua povera mente.
   Sia io che Lysandre lanciammo uno sguardo interrogativo ad Alexy che continuava a sghignazzare alle spalle di suo fratello. Infine, fu abbastanza magnanimo da spiegarci: «Sembra che ieri, a casa di Nathaniel, lo abbiano costretto a stare per due ore filate sui libri, senza neanche la minima distrazione.»
   Mi morsi le labbra per non ridere e cercai di mantenere un cipiglio serio. «Armin, mi dispiace…» D’accordo, non ero propriamente brava nel consolare la gente, soprattutto quando, come in quel mentre, la mia voce era rotta dal divertimento.
   Lui mi scoccò uno sguardo irritato, portandosi le dita fra i capelli neri per stringerli con energia. «Nathaniel è un pazzo», cominciò imperterrito. «Appena siamo arrivati, lui e Charlotte ci hanno subito messi davanti ai libri.»
   Inarcai le sopracciglia con aria sorpresa. «C’era anche lei?»
   «Sì, beh, pare che Li e Ambra non volessero rimanere senza la loro amichetta, e allora anche Peggy e Violette, che sono in gruppo con lei, si sono unite alla combriccola», rispose frettolosamente. «Ma non è questo, il punto», aggiunse poi, liquidando via la questione con evidente fastidio. «Quei due sono dei secchioni da guinness dei primati!» gracchiò, strabuzzando gli occhi con espressione atterrita.
   «Che tortura…» lo prese in giro Alexy, continuando a ghignare e dando il gomito a Lysandre per contagiarlo con la propria ilarità. In effetti, a quel punto anche lui si concesse un sorriso più largo di quello che già gli aleggiava sulle labbra per via di tutta quella storia.
   Armin scoccò loro un’occhiataccia. «Oh, sì! Ridete, ridete pure delle disgrazie altrui!» Risi anch’io, difatti, e i suoi occhi azzurri mi fulminarono di nuovo, costringendomi a soffocare il divertimento. «La cosa peggiore fra tutte è stata che, non appena loro due si sono messi a spalancare libri e quaderni, manco fossero stati dei professori, le altre si sono subito lasciate contagiare dalla loro serietà!»
  «Guarda che anche noi abbiamo studiato seriamente, ieri», gli feci sapere, non riuscendo davvero a trovare così terribile il suo racconto.
   «Persino Ambra!» alitò lui con sguardo spiritato, come se quella fosse la prova provata che gli UFO esistono davvero. Avremmo forse dovuto aprire un fascicolo negli X-Files?
   «Si è messa a studiare senza lagnanze?» s’incuriosì inaspettatamente Lysandre. E al cenno d’assenso di Armin, non nascose il proprio stupore. «In tal caso, pare che in questo abbia battuto persino Castiel.»
   «Sì, va beh», dissi, non capendo dove si volesse andare a parare con quella faccenda. «Io cosa c’entro, in tutto questo?»
   «Mi è giunta voce che tu e Ambra abbiate litigato», m’informò Armin, facendosi inaspettatamente serio.
   «E dove sarebbe, la novità?» domandai con un sorriso sghembo. «Senza contare che, a voler essere pignoli, è stata lei a litigare con me.»
   Lui annuì, dandomi apparentemente ragione. «Beh, sei uscita col ragazzo che le piace, non le si può dare certo torto.» Strinsi il pugno e glielo mostrai. Armin indietreggiò di un passo, ridendo e mettendo letteralmente le mani avanti. «Ehi, calma, calma! Lo so che non c’era alcuna malizia nel tuo gesto, anche se non ho ben capito cos’è successo, ma…» Si strinse nelle spalle. «Non credi che Ambra possa averlo interpretato come un segno di sfida?»
   Aggrottai la fronte, trovandolo ridicolo. «Sa perfettamente che io e Castiel non andiamo d’accordo», precisai anzitutto. «E comunque le ho già spiegato che è stata una necessità, e non certo un piacere, dover rimanere con lui ben oltre la fine delle lezioni.» Dicendolo, intrecciai le braccia al petto per enfatizzare la mia convinzione al riguardo.
   «In ogni caso, devi comunque averla sconvolta, perché adesso sembra decisa a mettere la testa a posto almeno nello studio», continuò lui, stringendo le labbra con aria meditabonda. «Dopo averci passato ben due ore insieme, ieri, mi sono reso conto che, quando l’altro giorno mi ha portato il suo quaderno con gli appunti, non stava bluffando… E io che speravo di contare almeno sulla sua pigrizia per avere un’arma di difesa contro Nathaniel e Charlotte!»
   «Davvero ti ha dato il suo quaderno?» chiese Lysandre, che era ancora all’oscuro della faccenda.
   «Ne fai di domande, oggi, per essere uno che ama farsi gli affari propri…» lo canzonò bonariamente Alexy, facendolo sorridere con aria imbarazzata.
   «Devi ammettere che è curioso, trattandosi di Ambra», si giustificò lui, trovandoci pienamente d’accordo al riguardo. «Magari, tutti i problemi che ha avuto di recente in famiglia l’hanno aiutata a riflettere e maturare», ipotizzò poi, dando prova di essere giunto alla medesima conclusione di Nathaniel nonostante non fosse al corrente di ciò che l’aveva ridotta in lacrime solo pochi giorni prima.
   Tutto ciò che potevamo fare era aspettare e vedere con i nostri occhi come si sarebbero evolute le cose nei giorni successivi. Era incoraggiante, però, che già dalla mattina del nostro ultimo battibecco Ambra non avesse più ostentato troppo la propria presenza con nessuno e si fosse persino fatta più silenziosa del solito. Non ci eravamo avvezzi, a dirla tutta, e la cosa, se devo essere sincera, iniziò quasi ad impensierirmi.
   Le sorprese per quella giornata, comunque, non erano finite. Subito dopo la pausa pranzo, prima di riprendere le lezioni pomeridiane, mi ritrovai faccia a faccia proprio con Ambra sulla soglia del bagno delle ragazze. Colte impreparate da quell’incontro inaspettato, rimanemmo a fissarci negli occhi per una manciata di secondi; infine, lei distolse lo sguardo e mi scartò di lato, facendo ben attenzione a non colpirmi prima di andare a chiudersi dentro ad uno dei cubicoli. Rimasi imbambolata sul posto, incapace di credere al fatto che, per una volta, Ambra non mi avesse spintonata di proposito con una spallata prima di lasciarmi dov’ero con un insulto o due. Ciò che era accaduto nello spogliatoio maschile l’aveva toccata davvero così tanto nel profondo?
   Uscii dal bagno continuando a rimuginare su quella situazione e mandando perciò al diavolo tutti i miei buoni propositi sull’infischiarmene dell’intera faccenda. Era tutto troppo anomalo, non ci ero abituata e, nel caso quella di Ambra non fosse risultata solo una fase di passaggio, chissà se lo avrei mai fatto. Mi ritrovai persino a pensare all’eventualità che un giorno io e lei saremmo potute persino diventare amiche e quello scenario mi parve talmente assurdo che fui costretta a battere più volte le palpebre e a strizzarle per scacciare dalla mente quell’idea.
   A causa di ciò, d’un tratto qualcosa sembrò venirmi addosso e me ne accorsi solo quando ormai ci avevo sbattuto contro. Lanciai un versetto idiota e due mani forti e decise mi afferrarono per le braccia nel caso che, indietreggiando, avessi perso l’equilibrio. Alzai lo sguardo ed incrociai quello accigliato di Castiel. «Ragazzina», cominciò in tono infastidito, «non è la prima volta che mi travolgi nel tuo vagare con la testa fra le nuvole.» In effetti sembrava il classico cliché da shoujo manga.
   «Scusa», balbettai arrossendo per la figuraccia appena fatta, «è solo che ho incontrato Ambra e…» Lo vidi inarcare un sopracciglio, come se non capisse il nesso fra le due cose. Difatti pareva non esserci, perciò gli spiegai: «Ci credi che poco fa l’ho incrociata e, anziché darmi fastidio come al solito, mi ha ignorata?»
   Le mani di Castiel mi lasciarono finalmente andare e lui incrociò le braccia al petto. «E la cosa è davvero così grave da toglierti la lucidità mentale?» mi domandò con un sorrisetto di scherno.
   «Ma no, è solo che non me l’aspettavo…» borbottai, risentita per quello sfottò.
   «E con questo?» ribatté lui, tornando serio. «Nemmeno io mi aspettavo che il tuo amichetto impazzisse del tutto, ma tant’è…»
   Mi venne spontaneo corrucciare la fronte con aria confusa. «Il mio amichetto?» ripetei scioccamente. «Intendi Kentin?»
   Castiel infilò una mano nella tasca dei pantaloni, ne tirò fuori un pacchetto di sigarette e me lo mostrò, mettendomelo quasi sotto al naso. «Stamattina s’è presentato con questo regalo per me», affermò. «Ci crederesti? Ha avuto la tua stessa trovata.»
   Fissai il pacchetto per qualche attimo con occhi vacui. Infine, realizzando ciò che era accaduto, scoppiai a ridere di cuore, facendo aggrottare pericolosamente le sopracciglia scure di Castiel. Mi portai subito una mano davanti alla bocca, cercando di trattenere l’ilarità, benché mi risultasse piuttosto difficile in quel momento. E come potevo rimanere seria, visto che Kentin, fatta tesoro dell’informazione che mio padre non approvasse che mi ronzassero attorno ragazzi che fumavano, aveva deliberatamente cercato di sabotare Castiel più di quanto quest’ultimo non facesse già da solo? Sempre ammesso che ci fosse stato il pericolo che lui mi ronzasse attorno, ovviamente – e per fortuna non c’era.
   Mi sforzai di ricompormi e mi schiarii la gola. «Forse è un modo per ringraziarti per esserti messo d’impegno a studiare, ieri…» buttai lì, scrollando le spalle.
   Castiel mi fissò con sospetto, ma finse di bersela. «Non parlarmene», borbottò, tornando ad infilarsi le sigarette in tasca. «Oggi ci toccherà la stessa tortura.»
   «Anche a noi», lo informai. «Domani è sabato e la scuola sarà chiusa, perciò è bene raccogliere tutto il materiale di ricerca entro stasera o lunedì, a lezione, saranno guai.»
   Mi rivolse un sorrisetto divertito. «Quindi sarò costretto di nuovo a sopportare la tua visione per tutto il pomeriggio?»
   «Oh, per me puoi anche infilarti le dita nelle orbite per evitare che accada», replicai in un cinguettio che mi costò una lieve, scherzosa spinta sulla spalla da parte sua.
   «Cerca solo di non distrarre troppo il mio binomio, stavolta», mi avvertì distrattamente, prima di superarmi e procedere oltre lungo il corridoio.
   Lo seguii con lo sguardo fino a che la mia attenzione non fu attirata da qualcun altro che, in disparte, mi stava fissando con le mascelle contratte e gli occhi che sembravano dardeggiare di rabbia: Ambra. Dal modo in cui serrava i pugni e dalla postura rigida e minacciosa che era tornato ad assumere il suo corpo, proprio come ero stata abituata a vederla solitamente, ne dedussi che doveva aver assistito alla scena fra me e Castiel. Ciò però non giustificava quel suo astio nei miei confronti: dopotutto, cos’avevo fatto di male? Adesso mi era anche vietato parlare con un compagno di classe solo perché piaceva a lei? Ma per favore. Già una volta si era azzardata a chiedermi di non rivolgermi più a Castiel ed io ero stata abbastanza chiara al riguardo: poteva scordarselo. Non perché lui mi interessasse in chissà quale senso; più semplicemente, trovavo assurdo che qualcuno mi imponesse una cosa del genere. Ero libera di decidere per conto mio con chi parlare e con chi non parlare.
   Fui sul punto di voltarle le spalle, preferendo così evitare di incorrere in chissà quale scenata insensata, che Ambra si mosse prima di me, avanzando con veloci ed ampie falcate nella mia direzione. Mi preparai all’impatto, ma lei si limitò di nuovo a passarmi accanto senza sfiorarmi, fulminandomi un’ultima volta con lo sguardo e ruggendo fra i denti: «Ora ti faccio vedere io.»
   Un campanello d’allarme mi risuonò nella testa e non appena realizzai che si stava dirigendo verso l’aula in cui avremmo dovuto fare lezione, e dentro la quale doveva esserci già la maggior parte degli altri nostri compagni di classe, mi si contorse lo stomaco. Scattai alle sue calcagna, ma non fui abbastanza lesta da acciuffarla prima che potesse oltrepassare la soglia. Con orrore, mi resi conto che il mio sospetto era fondato e non appena lei gli fu abbastanza vicina per allungare una mano e agguantarlo per la manica della camicia, la sola cosa che riuscii a fare, d’istinto, fu di gridare a gran voce il suo nome, sperando che tanto bastasse a metterlo in guardia.
   Non essendosi accorto di nulla perché impegnato a parlare con Alexy, le spalle alla porta dell’aula, Kentin sobbalzò. Se per il tocco di Ambra o se per il mio richiamo non saprei dirlo, ma non appena si voltò nella nostra direzione e si ritrovò lei pericolosamente vicina e sul punto di slanciarsi ulteriormente su di lui, sgranò gli occhi e se la strattonò di dosso con un gesto impulsivo, spintonandola al contempo lontana da sé. «Ma che diavolo ti salta in mente?!» esclamò, fissandola contrariato e finendo con l’attirare il resto dell’attenzione della classe. Ambra non rispose, né io riuscii a vederne il viso dall’angolazione in cui mi trovavo, anche a causa dei boccoli biondi che le erano ricaduti davanti agli occhi in seguito al brusco movimento con cui Kentin se l’era scrollata di dosso. «Mi pareva di essere stato chiaro, quando ti dissi che devi stare alla larga da me!» ribadì ancora una volta lui, dal momento che la cosa sembrava non volerle entrare in testa. Quella era già la terza volta che Ambra provava ad approcciarsi a lui, nonostante giurasse di amare Castiel; ma era anche la prima che lo faceva unicamente per ripicca nei miei riguardi – in pubblico, per di più. Se solo avessi avuto più prontezza di riflessi, e se non fossi stata certa che Kentin era in grado di rimetterla al suo posto senza bisogno di aiuto, di sicuro non mi sarei fatta scrupoli a raggiungerla e a schiaffeggiarla con forza.
   «Ma che succede?» La voce di Nathaniel risuonò ferma e chiara tra le mura dell’aula, dov’era calato un silenzio improvviso a causa di ciò che era appena accaduto. Alzai lo sguardo, accorgendomi che anche lui era fermo sulla soglia come me, gli occhi puntati su sua sorella e su Kentin nella vaga speranza di capire cosa stesse succedendo.
   «Di’ a questa scalmanata di non avvicinarsi più a me o giuro che la prossima volta la prenderò a ceffoni», chiarì il mio migliore amico, senza girarci attorno né farsi scrupoli di sorta.
   Il cipiglio di Nathaniel s’incupì ulteriormente e i suoi occhi vagarono da lui a lei e, infine, si posarono su di me. Abbassai il capo, senza osare intromettermi, nemmeno per fargli sapere che sì, quello di Ambra era stato solo un tentativo di vendetta trasversale; per un torto che neanche avevo commesso, per di più.
   La campanella suonò, annunciando l’inizio dell’ora, ma sulle prime nessuno si azzardò a muoversi. Poi, ispirando a fondo, Nathaniel avanzò di qualche passo per raggiungere sua sorella e non appena la sfiorò, lei scattò, divincolandosi dalla sua presa e fuggendo verso la porta. Questa volta non si curò di evitarmi, colpendomi con un’energica spallata che mi mandò a sbattere contro lo stipite. Nathaniel le fu subito dietro, rincorrendola lungo il corridoio, e al contempo Kentin si accorse finalmente di me. Sussultò e mi fissò allarmato. Sentendo un groppo in gola, rifuggii il suo sguardo per timore che potessi scoppiare in lacrime come una stupida. In fondo, che motivo avrei avuto di piangere? Kentin aveva mostrato ancora una volta di non essere interessato ad Ambra, riuscendo anche ad evitare che lei gli si avvicinasse più del dovuto. Per fare cosa? Baciarlo di nuovo? Davanti a tutta la classe, oltretutto? Il solo pensarci contribuiva ad annodarmi lo stomaco e prima ancora che potessi impedirlo, avvertii gli occhi inumidirsi per il pianto.
   «Ragazzi, per favore, andate ai vostri posti.» Fu con questa frase che la professoressa ci sorprese, aspettando che le facessi spazio per poter entrare in aula.
   Fummo tutti obbligati ad obbedire e a rimandare ogni eventuale chiarimento alla fine dell’ora. Solo dopo essermi seduta accanto ad Iris, trovai il coraggio di alzare lo sguardo su Kentin che mi stava ancora fissando con una certa apprensione, forse in attesa che io gli dessi un segno qualsiasi. Ma che tipo di rassicurazione potevo dargli? Anche se uscivamo insieme, non eravamo ancora una coppia nel vero senso della parola, pertanto non potevo certo accampare delle pretese su di lui. Senza contare che Kentin non aveva alcuna colpa per quanto appena accaduto – inoltre il pericolo era persino stato scampato per tempo.
   Al solo ripensare alle probabili intenzioni di Ambra, le lacrime tornarono a bagnarmi le ciglia, ma mi costrinsi ad ingoiarle per non dare preoccupazioni inutili a Kentin. In fondo, lui non c’entrava nulla. Oltretutto, mi rendevo conto che il mio pianto non aveva ragione d’esistere, eppure non riuscivo a sentirmi avvilita e mortificata. Non me la sentivo neanche di avercela davvero con Ambra perché, dannazione, sapevo che non stava passando un bel periodo. Ciò nonostante, il suo comportamento era ingiustificabile e sperai con tutta me stessa di non dover più assistere ad episodi del genere: se lei si fosse presa altre libertà con Kentin, coppia o non coppia, non me ne sarei più stata al mio posto a lasciarla fare.
   La porta dell’aula si riaprì, distogliendomi da tutti quei pensieri e lasciando entrare Castiel, che quasi dimenticò di scusarsi con la professoressa per il ritardo. Avanzò di alcuni passi con incedere sicuro, ma poi esitò quando i suoi occhi grigi si posarono sul posto vuoto di Nathaniel. Quella era forse la prima volta che il nostro delegato saltava le lezioni senza alcuna giustificazione e la cosa non poteva che stranire persino chi sosteneva di non sopportarlo. Ma ormai non ci credevo più, a quella vecchia storia: Castiel e Nathaniel non si odiavano davvero, altrimenti non si sarebbero mai dati una mano a vicenda quando in passato ce n’era stato bisogno.
   Osservando l’ultimo arrivato accomodarsi accanto a Lysandre, mi domandai per quale dannata ragione non potesse essere così anche per Ambra e me.












E rieccoci qui! Francamente temo che il finale di questo capitolo sia un po' confuso... sappiatemi dire!
Che Ambra possa cambiare sotto certi aspetti non credo che sia affatto improbabile. Che possa cambiare sotto altri... beh, beh... Magari le ci vorrà più tempo. Non credo alle conversioni lampo e lei stessa mi ha dato ragione qui, visto che ha fatto quasi tutto da sola (giuro, i personaggi mi sfuggono di mano). Di sicuro non ho scelto un personaggio facile da sviluppare... e... no, va beh, non vi anticipo nulla.
Piccola parentesi: ho iniziato questa long come una what if? sia riguardo al gioco (nella mia testa sarebbe ambientata dopo l'episodio 26, ma senza tener conto della novità che arriverà nel successivo), sia riguardo a tutte le mie precedenti fanfiction (shot, long e semilong, lol). Ho perciò tutta l'intenzione di prendermi ogni libertà e licenza possibile, purché mi aiuti a sviluppare trama e personaggi e a trascinarli verso il mio obiettivo finale. Sperando che proprio i personaggi collaborino (soprattutto due, dannati loro!), altrimenti sarà un fallimento su tutta la linea, lol! XD
Ringrazio tutti i lettori, i recensori e chiunque abbia inserito la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite. Ne approfitto anche per scusarmi con chi attende ancora una mia risposta alle recensioni: provvederò a farvene avere una entro oggi, giurin giurella!
A presto e buon inizio di settimana a tutti! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***





RIVALI - CAPITOLO SETTIMO




Le ultime ore di lezione di quel venerdì pomeriggio sembrarono lente e insopportabili. Nessuno, per delicatezza, commentò ciò che era accaduto in classe, ma il cipiglio corrucciato di Alexy e quello disgustato di Rosalya e Kim parlavano chiaro. Anche Melody aveva in viso un’espressione preoccupata e, conoscendola, immaginai che, oltre a non approvare il comportamento di Ambra, fosse anche in pensiero per Nathaniel che era tornato a lezione soltanto all’ora successiva, con il volto scuro, portandosi appresso sua sorella quasi a forza.
   Per quanto bene potessi volere a Nathaniel, questa volta non mi sarei lasciata abbindolare dalle sue chiacchiere: Ambra poteva avere tutte le attenuanti di questo mondo, ma non era obiettiva e, soprattutto, era stupidamente vendicativa – e in questo, ahimè, lei e Kentin si assomigliavano. Se perciò suo fratello fosse tornato a chiedere il mio aiuto, gli avrei detto un secco no: anche se riuscivo sul serio a scuotere Ambra, sia pure in maniera del tutto involontaria, di certo non lo facevo nel modo giusto, ormai doveva essere chiaro anche a lui.
   In ogni caso, non ci fu tempo per chiarimenti di sorta, perché alla fine delle lezioni fui reclutata di nuovo dal mio gruppo di studio e, benché non fossi dell’umore, mi adattai a seguire i miei amici in biblioteca. Stavolta anche gli altri si unirono a noi sin da subito, e fu proprio durante il breve tratto di strada fra un edificio e l’altro che Kentin mi si affiancò per indagare infine sul mio stato d’animo.
   «Tutto bene?»
   No, ma potevo davvero rispondergli in quel modo? Mi limitai a sollevare le spalle e a fare una lieve smorfia, senza però riuscire ancora a guardarlo negli occhi. «Potrebbe andare meglio», furono le diplomatiche parole che pronunciai.
   Lui rimase in silenzio per una manciata di attimi, ma poi domandò con fare retorico: «È di nuovo per via di Ambra?»
   Mi sfuggì un sorriso a mezza bocca che di allegro aveva ben poco. «Diciamo che i suoi capricci non aiutano», dissi asciutta.
   «Avete litigato di nuovo?»
   «No», gli assicurai. «Mi ha solo vista scherzare con Castiel e… beh, le conseguenze le hai vissute sulla tua stessa pelle.»
   Di nuovo Kentin tacque e quando infine trovai il coraggio di sbirciare nella sua direzione, mi accorsi del suo sguardo fortemente corrucciato e del modo nervoso in cui contraeva la mandibola. «Lo avevo intuito», sbottò d’un tratto, con evidente irritazione. «Era così ovvio che lo avesse fatto per dispetto nei tuoi confronti…»
   Come lo aveva fatto anche la prima volta che si era avvicinata a lui, dopo il suo ritorno dalla scuola militare: lo aveva baciato, senza riconoscerlo, perché temeva che potessi accaparrarmi per prima un così bel ragazzo. Su questo tipo di comportamento infantile, quindi, avrei anche potuto convenire con Kentin, ma Ambra gli aveva anche chiesto di mettersi con lei parecchio tempo dopo quell’episodio, e di certo non lo aveva fatto con l’intenzione di farmi uno sgarbo. A lei Kentin piaceva sul serio e mi venne spontaneo domandarmi fino a che punto.
   Fino al punto da essere disposta ad accantonare il proprio amore per Castiel, fu la prima risposta che mi diedi. Non so come ragionasse il suo cervello, ma di certo a me non sarebbe mai saltato in testa di provarci con Nathaniel o con chicchessia pur essendo innamorata di Kentin. Dal mio punto di vista, era una cosa a dir poco stupida per tante buone ragioni: anzitutto, per rispetto nei confronti dell’altra persona, alla quale non avrei mai potuto dare l’amore che invece sentivo di provare per un altro; in secondo luogo, perché mai mi sarei dovuta svilire con una relazione di poco conto? Non era nella mia indole fare quel genere di cose, proprio no. Se fossi stata quel genere di ragazza, avrei dato una chance a Dake, anziché mandarlo al diavolo come avevo fatto a più riprese, e magari mi sarei persino approfittata delle debolezze di Nathaniel, che sapevo avere una simpatia fin troppo evidente per me.
   Ripensando alle parole di quest’ultimo, però, l’unica spiegazione che riuscivo a dare al comportamento di Ambra nei confronti di Kentin era che, vedendosi respinta in modo deciso da Castiel, avesse cercato di ripiegare su qualcuno caratterialmente opposto a lui, capace di dimostrare senza riserve il proprio affetto. E lei, di affetto, ne aveva davvero bisogno, in quel periodo.
   Merda, la sto giustificando di nuovo… Mi sentii un’idiota colossale, ma a darmi conforto ci pensò la presa ferma e decisa della mano di Kentin, che strinse la mia con tenerezza. «Non c’è pericolo che io possa cambiare idea, comunque», mi rassicurò, facendomi dono di un sorriso e di uno sguardo capaci di sciogliermi il cuore.
   «Pomiciate ora, se dovete, ché poi mi serve l’innamorato cronico per la ricerca», c’interruppe con poco tatto Castiel, facendo scoppiare a ridere qualcuno degli altri.
   «Ah... ehm... Castiel?» Iris gli si avvicinò con discrezione, lo afferrò per un braccio e lo attirò verso di sé per sussurrargli qualcosa nell’orecchio. Non mi ci volle molta immaginazione per capire di che si trattasse, soprattutto perché, mentre lei parlava, l’espressione di Castiel mutò da accigliata a perplessa, da perplessa a vagamente stupita.
   Infine, quando Iris tacque, rimase in attesa di una sua reazione, che non tardò ad arrivare. «Ragazzino», cominciò lui, rivolgendosi direttamente a Kentin con un sorriso sornione, «mi sa che devo ringraziarti per avermi tolto di torno una colossale seccatura.»
   «Castiel!» lo rimbrottò Iris, non del tutto convinta di riuscire ad alzare la voce con lui fino in fondo.
   «Quella colossale seccatura, come la chiami tu», intervenne Rosalya, indignata per l’insensibilità del nostro compagno di classe, «ha quasi fatto piangere Aishilinn.»
   Dire che divenni rossa in volto è un eufemismo. «No... Non ho pianto...» balbettai, sentendo di colpo la presa sulla mia mano divenire rovente. D’istinto, Kentin la strinse ancora ed io mi feci ulteriormente più piccola al suo fianco.
   «Anziché piagnucolare, avrebbe dovuto prenderla a calci per difendere il proprio territorio», ribatté Castiel, convinto di ciò che diceva.
   «So difendermi da solo, grazie», prese finalmente parola il mio territorio in persona.
   «Per un attimo ho temuto volesse baciarti», gli fece sapere Alexy, contrariato per tutta quella faccenda quasi quanto me. Lo ringraziai mentalmente per non aver aggiunto un di nuovo alla fine della frase, perché dubito che in quel momento avrei avuto la lucidità per sopportarlo. «Davanti a tutta la classe, poi... Che cavolo le è saltato in mente?»
   «Ha visto me e Castiel scherzare in corridoio», trovai il coraggio di ammettere, pur con voce malferma. Il resto si sarebbe spiegato da solo, tant’è che, difatti, gli altri rimasero in silenzio per alcuni istanti.
   Poi, Kim esplose in uno sbuffo di disapprovazione. «A maggior ragione meriterebbe un cazzotto sul naso, quella battona.»
   «Anziché ricorrere alla violenza, forse si potrebbero chiarire le cose pacificamente», suggerì Melody, con tutta probabilità la più diplomatica del gruppo insieme a Lysandre – che invece preferì non mettere becco nella questione.
   «Pensi davvero che non ci abbia già provato a farle capire che non mi interessa Castiel?» le feci notare, questa volta in tono decisamente più infastidito. «Ciò nonostante, una volta ha persino avanzato la pretesa che io le giurassi di non rivolgergli più la parola.»
   «Sul serio?» non se ne capacitò Alexy, appoggiando inconsapevolmente il mio giudizio al riguardo.
   «Sì, ma pare che Aishilinn non riesca a stare senza di me», scherzò Castiel, a cui avevo già raccontato quella faccenda tempo addietro. La rispostaccia di Kentin non tardò ad arrivare, anticipando addirittura la mia, ben più colorita. L’altro rise, ma non ci fu tempo per altre provocazioni o chiacchiere di sorta, poiché proprio in quel momento varcammo l’ingresso della biblioteca.
   Da tutto quello scambio di opinioni ne dedussi due cose: la prima, che tutti disapprovavano il comportamento di Ambra, ad eccezione forse di Capucine, che era rimasta zitta per tutto il tempo; la seconda, che ormai era di dominio pubblico che fra me e Kentin ci fosse qualcosa che andava ben oltre l’amicizia. Quest’ultima consapevolezza mi imbarazzava, ma apprezzavo non poco il fatto che tutti sapevano e nessuno si azzardasse ad immischiarsi più del dovuto. Non persi neanche tempo a domandarmi chi avesse sparso la voce, perché, dovendomi fare un esame di coscienza, dovevo riconoscere che né io né Kentin avessimo fatto molto per nascondere la faccenda. Parlarne così apertamente faceva uno strano effetto, tuttavia al contempo era quasi una liberazione, tanto che mi parve di sentirmi meglio e riuscii a porre più attenzione allo studio di quanto avessi creduto di poter fare inizialmente.
   «Mi è venuta un’idea», esordì Rosalya quando, al termine di quel nostro secondo incontro di studio, ci ritrovammo tutti fuori dalla biblioteca. «Visto che domani è sabato e che la scuola sarà chiusa, perché non ci riuniamo comunque tutti da qualche altra parte?»
   «A che pro?» volle sapere Castiel, la cui espressione parlava chiaro circa l’idea della nostra amica. «Mi viene la febbre solo a pensare di dovermi sorbire ancora uno o due pomeriggi di studio con il mio binomio, grazie.»
   Kentin s’irrigidì all’istante. «Questo dovrei dirlo io», ribatté con fastidio. In effetti, ora che avevamo raccolto tutto il materiale che ci serviva per la ricerca, non ci restava altro da fare che riordinarlo, trascriverlo e studiarlo per la lezione di lunedì mattina, e questo potevamo benissimo farlo in coppie e non necessariamente in gruppo.
   «Figurarsi sopportarvi tutti insieme», continuò Castiel, imperterrito.
   «Ma sarà più divertente se ci ritrovassimo tutti come abbiamo fatto in questi giorni, no?» approvò invece Alexy, sempre disposto a far casotto non appena se ne presentasse l’opportunità.
   «Anche a me piacerebbe!» s’aggregò Iris, alla quale fecero eco anche Melody e Kim.
   «E dove troviamo un posto abbastanza grande e tranquillo per studiare tutti insieme?» mi venne spontaneo chiedere, benché l’idea di Rosalya non mi dispiacesse per nulla. Se nel weekend non potevo uscire con Kentin com’era inizialmente nelle mie intenzioni, tanto valeva provare almeno a passare del tempo insieme a lui, seppur in compagnia di tutti gli altri. Almeno lo avrei visto.
   A rispondermi fu la più improbabile delle voci: quella di Lysandre. «Potremmo riciclare la proposta iniziale di studiare a casa di Castiel», suggerì con nonchalance, inducendo il suo migliore amico a voltare di scatto il capo nella sua direzione.
   «Sei ammattito, per caso?!» fu l’ovvia protesta che seguì quell’affermazione.
   Lysandre sorrise appena. «Tanto tu e Kentin vi vedreste comunque lì, no?»
   Per un attimo provai ad immaginare l’ingresso di Castiel a casa del mio migliore amico, con i suoi capelli lunghi e tinti, il giubbotto di pelle e l’odore penetrante del fumo ad impregnargli gli abiti, e quasi mi venne da ridere per la possibile reazione del signor Giles, il padre di Kentin. Se poi avesse saputo che Castiel era pure un musicista rock, probabilmente lo avrebbe cacciato di casa a pedate dopo neanche due minuti dal suo arrivo.
   «Merda», scappò detto a Kentin, che si portò una mano sul volto con aria sconsolata. Anche lui aveva forse avuto la mia stessa, tragicomica visione?
   «Potremmo anche vederci a casa sua, no?»
   A quell’ipotesi di Castiel, difatti, lui alzò di colpo il capo e lo fissò con occhi spauriti. «No, no, per l’amor del cielo! Facciamo da te!» esclamò di getto, con voce forse troppo acuta. L’altro si accigliò e mise il grugno, ma parve cedere a quella richiesta poiché non contestò.
   «Allora è deciso!» affermò Rosalya, tutta pimpante. «Domani ci vedremo tutti da Castiel!»
   «Non se ne parla!» abbaiò lui, irritato. «Passi questo qui», e dicendolo additò Kentin col pollice della mano, «ma voialtri che diavolo c’entrate?!»
   «Ormai siamo un così bel gruppo!» cercò di allettarlo Alexy, guadagnandosi invece un’occhiataccia capace di far ammutolire chiunque avesse avuto un po’ di amor proprio.
   «Andiamo, Castiel!» ci si mise anche Iris, forse la sola, a parte Lysandre, a sapere esattamente come prenderlo. «Sarà una buona occasione per stare tutti insieme, senza contare che in questo modo, tra una chiacchiera e l’altra, lo studio peserà di meno.»
   Lui la fissò in tralice. «Non che me ne freghi molto, di stare insieme a tutti voi...» chiarì anzitutto, tanto per sottolineare quanto amasse socializzare con il resto della classe. Mi aspettavo che aggiungesse qualche altra protesta e invece esitò, lasciando a Lysandre il tempo di intervenire ancora.
   «Sai bene che sono il primo a non amare troppo questo genere di cose», disse, riferendosi probabilmente alla cagnara che ne sarebbe seguita, «ma bisogna riconoscere che ci sembrerà meno dura studiare in gruppo, proprio com’è già successo in questi ultimi giorni.»
   Castiel grugnì, cercando freneticamente qualcosa nella tasca dei pantaloni. «Tutto per una maledettissima ricerca di Scienze... Pretendo come minimo il massimo dei voti, alla fine di tutta questa dannata faccenda», ringhiò fra sé, cacciandosi una sigaretta in bocca e smaniando per accenderla.
   «È un sì?» volle sapere Alexy, tutto eccitato all’idea che lui avesse implicitamente dato il proprio benestare.
   L’altro fece una smorfia. «A patto che non sporchiate e non mettiate le mani dove non dovete», ci avvisò, agitando minacciosamente l’indice di una mano sotto al suo naso a mo’ di avvertimento. I più allegri del gruppo manifestarono il proprio entusiasmo al riguardo, giurando di fare i bravi e promettendo persino di portare la merenda. «Non la voglio, la vostra stramaledetta merenda!»
   «Capucine, i tuoi ti lasceranno venire?» s’informò Melody, l’unica tra noi, credo, a sopportare la sua presenza.
   Lei ci pensò un attimo su, ma poi annuì. «Credo si possa fare. Dopotutto, non sarò più l’unica ragazza del gruppo.»
   «Sapete cosa sarebbe ancora più fico?» saltò su Alexy, abbastanza temerario da sfidare ancora la pazienza di Castiel. «Passare insieme non soltanto il pomeriggio, ma anche la notte e la mattina seguente!» Quelle parole ebbero il potere di ammutolire tutti. Sentendosi osservato, Alexy scosse le spalle. «Così ci toglieremo subito i compiti di torno e domenica pomeriggio saremo liberi di fare quello che più ci pare e piace, no?»
   Quella prospettiva era dannatamente allettante, ma rimanevano due scogli non indifferenti da superare. Il primo, convincere i genitori di noi ragazze a passare la notte a casa di un nostro compagno di classe, per di più insieme ad altri maschi.
   «Basterà omettere la presenza degli uomini, fingendo che sia un semplice pigiama party fra amiche», sarebbe stata la rapida soluzione al problema che avrebbe trovato Rosalya di lì a poco.
   Il secondo scoglio, manco a dirlo, era Castiel.
   «Per quale dannatissima ragione dovrei lasciarvi dormire in casa mia?!» fu difatti il ruggito che seguì la proposta di Alexy.
   «Perché grazie a noi prenderai il massimo dei voti in Scienze, senza il minimo sforzo», gli fece presente lui, dando prova di non temere affatto la collera del nostro compagno di classe. «Vedrai che ci divertiremo!»
   «Potremo cucinare tutti insieme per la cena!» saltò su Melody, portandosi subito dopo una mano davanti alla bocca come se si fosse stupita lei stessa per la propria audacia. A onor del vero, non avrei mai creduto possibile che lei potesse entusiasmarsi all’idea di andare a casa del presunto peggior nemico di Nathaniel. Visto però quanto già in passato aveva mostrato di tenere a passare del tempo con noialtri, immaginai che nella sua mente si stesse formando una fantasia simile a quella del picnic che avevamo fatto non molto tempo prima tutti insieme, con la differenza che stavolta saremmo stati tutti al chiuso.
   «Ai fornelli sono un disastro», ammise Kim, sghignazzando, «ma se c’è da far casino, mi unisco più che volentieri.»
   «Casino un corno!» abbaiò ancora Castiel, mostrando una volta di più la propria contrarietà al riguardo. «Non vi ho mica detto che potete venire!»
   «Oh, ti prego!» iniziò ad allisciarselo Iris, con quella sua solita aria allegra che cozzava spaventosamente con il grugno del suo amico. «Mi piacerebbe un sacco se, dopo cena, ci facessi ascoltare un brano con la chitarra!»
   «Concerto karaoke!» saltò su Alexy, ormai partito in quarta con questa storia del pigiama party gigante. «Lysandre, dovrai votare il più bravo fra noi e dare delle dritte ai più stonati!»
   Lui rise, sinceramente divertito da tanto entusiasmo. «Se vi fa piacere…»
   «Tu quoque!» esalò Castiel, sconvolto da quel secondo tradimento da parte del suo migliore amico al punto da mettersi a parlare latino. E da farsi cadere la sigaretta di bocca.
   «Perché no?» rispose Lysandre, scrollando le spalle, mentre l’altro imprecava e si scrollava la cenere che gli era caduta sulla maglietta. «Per il picnic di classe avevo già preso un impegno, purtroppo, perciò pensavo che sarebbe carino provare a passare un po’ di tempo tutti insieme.»
   «Allora è deciso», stabilì Rosalya per tutti, tirando fuori dalla borsa un quaderno e una penna per annotare tutto ciò che avremmo potuto comprare per il mega-raduno-di-studio-nonché-pigiama party-canterino.
   Non che la cosa mi convincesse appieno, ma come avrei potuto smorzare tutto quell’entusiasmo, se persino Castiel si stava arrendendo alla massa? Alzai lo sguardo verso Kentin che, a sua volta, poco dopo spostò il proprio su di me; ci scambiammo un sorriso stordito, ma divertito: giunti a quel punto, tanto valeva approfittarne. Oltretutto non potevo negare a me stessa che quella folle improvvisata mi aveva risollevato non poco il morale, tanto che quando tornai a casa non pensai quasi più a ciò che era successo a scuola. La prospettiva di poter passare due giorni e mezzo senza vedere Ambra, ora più che mai, era un sollievo non da poco.
   Quella sera stessa, comunque, dal momento che con le bugie ero una frana non da poco, Rosalya mise in atto il suo piano criminale, chiamando a casa mia. Lasciai che a rispondere fosse mia madre, alla quale lei piaceva molto. Si misero persino a chiacchierare del più e del meno, e dalle risposte date da mamma intuii che la mia amica stava facendo un buon lavoro di depistaggio. Tanto che, quando udii le parole Ma certo che non ho nulla in contrario se domani viene da te!, compresi che ormai il dado era stato tratto e che non ci sarebbero stati ostacoli di sorta alla mia nottata fuori casa in compagnia di un manipolo di adorabili esaltati. Quando mamma mi passò infine la telefonata, sentendo la voce di Rosalya mi resi conto di una cosa: ero entusiasta anch’io di quell’assurda situazione. Non certo perché non vedessi l’ora di andare a dormire a casa di Castiel, quanto perché mi stuzzicava l’idea di dover passare quasi ventiquattr’ore in compagnia dei miei amici – e di qualche altro elemento che, con mio grande scorno, mi ritrovavo per puro caso nello stesso gruppo.
   Inoltre, se dovevo essere onesta fino in fondo, il mio cuore palpitava anche per un’altra ragione ben intuibile: avrei passato la notte sotto lo stesso tetto di Kentin. Certo non avremmo avuto alcuna privacy, ma il mio animo di fanciulla innamorata sospirava al solo pensarci. Era in momenti come questi che mi rendevo conto di quanto, nonostante tutto, fossi sciocca proprio come tutte le mie coetanee. Al punto che prima di andare a letto rovistai nell’armadio alla ricerca di un pigiama decente, non troppo infantile né troppo vecchio, e di un abitino grazioso da indossare il giorno dopo. Anche se non me lo aveva detto esplicitamente, avevo ormai intuito che a Kentin piacessero le ragazze piuttosto femminili e, sebbene ancora non mi capacitassi del perché avesse scelto proprio me che vestivo quasi sempre in jeans e non mi curavo poi troppo del mio aspetto esteriore, per lui avrei messo da parte la pigrizia come ogni volta che ci capitava di uscire insieme al di fuori del contesto scolastico.
   Sembrava prospettarsi un bel weekend, insomma. L’unica preoccupazione che mi sfiorò la mente, quella sera, fu che con tutta probabilità prima o poi Ambra sarebbe venuta a sapere di quella riunione a casa di Castiel. Sperai solo che non avesse nulla da recriminare al riguardo, ma la presenza di Capucine sarebbe stata davvero una spina nel fianco non indifferente.












Facciamo un pronostico su quante parolacce sarà costretto a dire Castiel prima che possa finire questa benedetta ricerca? ♥
Oggi sarò di poche parole, ma vi anticipo che tutta questa macroparentesi del lavoro di gruppo ha un suo perché. Forse anche più di uno, però preferisco volare basso e non fare troppi pronostici.
Ringrazio come sempre tutti voi lettori, chi recensisce e chi ha aggiunto questa storia fra quelle preferite/ricordate/seguite.
Buon inizio di settimana a tutti!
Shainareth
P.S. Dimenticavo: penso che d'ora in poi aggiornerò ogni lunedì, tanto per dare una cadenza regolare ai capitoli.





Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***





RIVALI - CAPITOLO OTTAVO




«Come diavolo t’è saltato in testa di portartelo dietro?!»
   Fu con queste pacatissime parole che Castiel ci diede il benvenuto in casa sua. Onestamente non me la sentii di dargli torto, dal momento che Kentin si era presentato lì con Cookie al guinzaglio che ci aveva trotterellato fra i piedi ad ogni passo durante tutto il tragitto.
   «Non potevo certo lasciare l’incomodo ai miei…» si giustificò il mio amico, dando prova di aver preso fin troppo seriamente l’impegno di prendersi cura di un animale domestico. Suo padre avrebbe di certo apprezzato il suo senso di responsabilità. «E poi hai un cane anche tu, no?»
   «Se si mette a scacazzare in giro per casa, giuro che ti faccio raccogliere tutto con la lingua», lo avvertì Castiel, comprendendo che non c’era modo di farlo tornare indietro per lasciare il cucciolo a casa.
   Kentin alzò il mento con aria stizzita. «Cookie è ben educato, sai?» gli fece sapere, mentre l’oggetto del diverbio saltellava impunemente da una parte all’altra dell’ingresso, scodinzolando come un matto nel tentativo di fare le feste anche a Castiel, pur non avendolo mai visto in vita sua. Il suo entusiasmo fu tale che, nel manifestarlo, finì per fare pipì un po’ ovunque, ma principalmente sulle scarpe del padrone di casa. Che imprecò a gran voce, lanciando a Kentin uno sguardo assassino. Questi arrossì e si fece minuscolo. «Sì… beh…» tartagliò imbarazzato. «È piccolo e ha ancora qualche problemino a livello emotivo…»
   «Come il suo padrone, direi», commentò Alexy ridendo e spuntando dall’interno dell’appartamento insieme ad Iris, Melody, Kim e Capucine. Non appena videro il cucciolo, le altre ragazze cominciarono a lanciare gridolini entusiastici, raggiungendo ultrasuoni che contribuirono a stuzzicare i nervi del povero Castiel.
   Kentin sottrasse Cookie alle sdolcinate attenzioni delle nostre compagne di classe ed iniziò a far la voce grossa, sgridandolo per fargli capire che no, la pipì in casa non si fa. Mortificato, il cagnolino mise le orecchie all’indietro e la codina fra le gambe, fissando il padroncino dal basso verso l’alto in un modo talmente adorabile che il tono severo di lui si smorzò sempre più, fino a che non ammutolimmo tutti davanti a quella deliziosa palla di pelo.
   Persino Castiel si lasciò andare ad una breve risata e, scacciando la questione con un rapido gesto della mano, rassicurò il proprio compagno di ricerca. A modo suo. «Va beh, ho capito. Entrate», sospirò, togliendosi le scarpe sporche e rimanendo scalzo in attesa di recuperare almeno un paio di ciabatte. «Ma non mi assumo responsabilità nel qual caso Demon lo mangiasse in un boccone», ghignò poi, facendoci strada all’interno dell’appartamento. Spaventato da quello che era palesemente uno scherzo, Kentin si chinò all’istante e agguantò Cookie, tenendoselo stretto al petto.
   Fu a quel punto che finalmente Castiel parve accorgersi anche di me. Avrei tanto voluto che anche Ambra si rendesse conto di quanto poco contassi per lui, ma poiché il destino era un grandissimo infame, le capitava sempre di sorprenderci in quei rari momenti di complicità che avevamo di tanto in tanto. «Però…» esordì Castiel con uno sguardo strano ed un tono ancor più curioso. «È la prima volta che ti vedo vestita così», osservò, notando il mio abbigliamento diverso dal solito – vale a dire un abitino il cui orlo arrivava poco sopra al ginocchio.
   Voleva essere un complimento? Ne dubitai fortemente, pertanto partii prevenuta. «E…?» pronunciai, incitandolo a continuare.
   «Sembri una bambina dell’asilo», fu il lapidario commento con cui distrusse la mia autostima.
   «Lasciati dire che non capisci niente di donne», mi difese prontamente Kentin, arrendendosi a lasciare Cookie nelle grinfie delle altre che ormai erano diventate succubi di tanta tenerezza.
   «Lasciati dire che le donne vere hanno le tette», ribatté Castiel, senza scomporsi. Se solo avessi saputo sputare…!
   Fortuna che il mio cavalier servente non abbassava mai la guardia. «Quando la smetterai di insultarla?!»
   Il suono del campanello interruppe la discussione sul nascere e quel buzzurro del padrone di casa si allontanò borbottando contro i ritardatari. Mi guardai attorno e mi resi conto che all’appello mancavano soltanto Rosalya e Lysandre. A parte ciò, l’appartamento sembrava ordinato e ben tenuto, come se qualcuno se ne prendesse cura regolarmente. Immaginai che, abituato a vivere da solo, Castiel stesso provvedesse alle pulizie di casa. Quel pensiero me ne portò alla mente un altro e perciò immaginai anche Castiel armato di piumino e battipanni, con indosso un grembiulino rosa tutto fronzoli e merletti. Avrei pagato per poter ammirare un simile spettacolo.
   Purtroppo le mie fervide fantasie furono presto interrotte da Melody che mi picchiettò discretamente su un gomito con un sorrisetto strano. «Vieni a dare un’occhiata», mi disse in confidenza, portandomi in un angolo del salotto in cui, su un mobile, spiccavano diverse foto incorniciate. Erano vecchi ritratti di famiglia. Riconobbi subito il padre e la madre di Castiel, più giovani, e infine il mio sguardo si imbatté nel visetto di un bimbo di sei o sette anni coi capelli neri e il cipiglio corrucciato proprio come quello che si poteva scorgere ancora sul suo volto adesso che aveva diversi anni in più. Per quanto mi pesasse ammetterlo, ora Castiel era un bel ragazzo, alto e forte; non era perciò strano dover riconoscere con me stessa che anche da piccolo era stato grazioso da morire.
   «Oddio, che carin…» Mi bloccai di colpo quando Melody mi mise sotto al naso una foto che sulle prime mi era sfuggita. «Oddio!» esclamai, strabuzzando gli occhi, senza riuscire a controllare il tono della voce. Agguantai la cornice fra le mani e analizzai a dovere ciò che stavo guardando: c’era un gruppo di bambini in un parco giochi e Castiel era fra loro. Non era stato questo, chiaramente, a sconvolgermi, quanto la presenza di due ragazzini biondi che mi sembravano tremendamente familiari.
   Alzai di scatto la testa verso Melody che, ridacchiando, annuì. «Non è buffo che abbia in bella mostra proprio una foto in cui compaiono anche Nathaniel e Ambra da piccoli?»
   Senza perdere un solo istante, mi armai di cellulare e scattai la foto, mentre alle nostre spalle Kentin e Alexy si avvicinavano per capire cosa stessimo combinando. Non riuscimmo a scambiarci una sola parola, però, perché Castiel fu di ritorno insieme a Lysandre e Rosalya; non appena mi vide con la cornice in mano, subito scattò nella mia direzione. «Posala subito dove l’hai trovata!»
   Obbedii senza questionare. «Eri carino, da piccolo», mi limitai a dire, evitando di stuzzicarlo sulla ragione per cui tenesse proprio quella foto in salotto.
   «Smettila di allisciarmi con le tue moine e, soprattutto, non curiosare in giro», ribatté lui, preferendo lasciar cadere l’argomento. «La cosa vale per tutti», chiarì un attimo dopo, puntellando i pugni sulle anche e squadrando ognuno dei presenti. «E tu», disse poi, rivolto a Kentin, «di là c’è lo sgabuzzino, dove potrai trovare secchio e straccio.»
   «Per far cosa?» volle sapere l’altro, aggrottando appena la fronte.
   «Per pulire l’ingresso», fu l’ovvia risposta che ricevette. «Lysandre ha messo il piede sulla pipì della tua piccola palla di pelo, quindi sbrigati a lustrare tutto o qualcun altro finirà con lo scivolarci sopra.»
   Il mio sguardo cercò in automatico Lysandre che, scalzo anche lui e vagamente a disagio per essere al centro dell’attenzione, abbozzò un sorriso e contrasse le dita dei piedi. «Non l’avevo vista…» si giustificò con voce flebile. Mi fece tenerezza, lo confesso, anche perché non mi era mai capitato di vederlo in una situazione tanto quotidiana e imbarazzante. Insomma, lui era il mio Dorian Gray! Magari meno maledetto, sì, ma nella mia fervida immaginazione di lettrice accanita e di sognatrice d’altri tempi, Lysandre appariva davvero come il personaggio di un libro, magari spuntato fuori proprio dalle pagine di un romanzo d’epoca vittoriana – e dopotutto il suo abbigliamento non aiutava a far appassire le mie fantasie. Suppongo che, se lui avesse saputo di queste assurdità, si sarebbe alquanto indignato. Soprattutto, mi avrebbe reputata matta.
   Mentre Castiel addestrava Kentin su come ripulire la pipì di Cookie e quest’ultimo si godeva le coccole delle nostre compagne di classe, Rosalya compresa, Melody tornò a richiamare la mia attenzione con fare timido. Mi volsi a guardarla e notai un rossore diffuso sulle sue guance e gli occhi che le brillavano di luce nuova. «Mi… Mi manderesti quella foto?» pigolò in tono vergognoso.
   Mi venne quasi da squittire per quant’era tenera. Sorrisi e subito le inviai un messaggio istantaneo sul cellulare con la fotografia appena fatta. Al suo posto, anch’io avrei voluto avere la possibilità di rimirare il visetto di Nathaniel da piccolo. Quello di Kentin lo conoscevo, lo avevo avuto sotto gli occhi durante gli anni delle medie, benché già all’epoca non potessimo più considerarci troppo bambini. Melody mi ringraziò di cuore e, tutta contenta, tornò dagli altri con passo quasi saltellato, il cellulare stretto al petto come il più prezioso dei tesori.
   Quando anch’io mi aggregai ai nostri compagni di classe, Cookie si distrasse e venne da me, pretendendo una buona dose di carezze; ormai mi conosceva abbastanza per sapere che gliene avrei fatte molte e anche a lungo. «E Demon?» domandai a tutti e nessuno.
   Fu Iris a rispondermi. «Castiel ha dovuto chiuderlo in camera sua», spiegò con un vago sorriso imbarazzato sul viso. «Ha iniziato a ringhiare a Capucine, e così…»
   Oh, a Capucine avrei ringhiato anch’io, quindi non vidi nulla di strano nel comportamento di quel cagnolone alto quanto un cavallo. Certo c’era da ammettere che Demon, per stazza e aspetto, riusciva a trasmettere ben altri sentimenti rispetto a quelli più dolci che suscitava invece Cookie, però trovai crudele il fatto che fosse costretto in una stanza, per di più tutto da solo.
   «Quel cagnaccio è spaventoso!» affermò Capucine, risoluta. «Mi domando come faccia Castiel a non aver paura di lui.»
   «Te l’ho già detto», replicò Iris con pazienza. «Se lo sai prendere, Demon è davvero pacifico.»
   «Non è a te che ha ringhiato», borbottò l’altra, mettendo il broncio con fare infantile.
   «Se Demon è lì dentro», prese a ragionare Rosalya, portandosi una mano sotto al mento, «sarà difficile riuscire a fare irruzione nella camera di Castiel.»
   Aggrottai la fronte. «Perché dovresti andare in camera sua?» mi venne spontaneo chiedere.
   Lei mi rivolse un sorriso furbetto. «Ma per curiosare nel suo armadio, no?»
   «Mostrerai a tutti anche i suoi boxer?» volle sapere Alexy, ridendo e scoccandomi uno sguardo divertito. Gli feci una pernacchia che lo indusse a ridere più forte, ma ebbe la decenza di non aggiungere altro.
   «No», ebbe la faccia tosta di rispondergli Rosalya, sia pur con espressione allegra. «Ma potremmo trovare qualcosa di interessante nei suoi cassetti.»
   «Tipo?»
   «Biancheria femminile», fu l’ovvia risposta che ne seguì.
   Persino Lysandre si lasciò scappare un breve risolino. «Vi auguro di cuore che Castiel non vi abbia sentiti», commentò soltanto, rendendosi nostro complice una volta di più.
   «Quindi ci coprirai quando andremo in esplorazione?» s’interessò di informarsi Rosalya.
   «Rosa…» sospirò lui, sorridendo e scuotendo il capo. D’altra parte, era assurdo pensare che Lysandre ci avrebbe davvero aiutati ad invadere la privacy del suo migliore amico.
   Migliore amico che tornò poco dopo insieme al mio, iniziando a rimetterci tutti in riga e intimandoci di non perdere tempo: prima ci fossimo messi sui libri, prima avremmo chiuso quel dannato pomeriggio di studio. Sembrava quasi che Castiel cercasse di non far caso a tutti gli zaini e le borse di noi ospiti, intenzionati più che mai a pernottare lì per l’intera nottata. Mi domandai come ci saremmo arrangiati per dormire, dal momento che, per quel poco che ero riuscita a vedere, l’appartamento pareva contare soltanto due camere da letto.
   Le nostre ricerche, comunque, sembravano procedere a gonfie vele. Quel pomeriggio, divisi in coppie di binomi, riordinammo tutti gli appunti che eravamo riusciti a raccogliere nella biblioteca della scuola, senza intralciarci a vicenda e, soprattutto, concedendoci persino una pausa di mezz’ora con la tanto agognata merenda di cui avevano parlato gli altri il giorno addietro. Il padrone di casa sopportò molto più stoicamente di quanto avessi creduto inizialmente e, anzi, ad un certo punto si lasciò persino andare ad una risata sincera quando, dopo una battuta infelice di Alexy, Kim commentò in modo talmente sarcastico che Iris non comprese e Rosalya fu costretta a spiegarglielo per metafore, che però sfuggirono al suo controllo e finimmo per impelagarci tutti in un botta e risposta senza senso – o con fin troppi sensi.
   All’imbrunire, mentre Melody iniziava a rimboccarsi le maniche per mettersi ai fornelli senza incontrare grande entusiasmo da parte di noi ragazze, Castiel annunciò che doveva portare fuori Demon. Capucine scattò in cucina, offrendosi volontaria per aiutare la nostra amica, e così finalmente il povero cagnolone di casa fu liberato dalla sua prigionia forzata. Non appena gli fu aperta la porta della camera di Castiel, subito saltò addosso a quest’ultimo, alzandosi sulle zampe posteriori e poggiando quelle anteriori sulle sue spalle. Il suo padrone rise e lo coccolò, grattandogli la pelliccia sotto la mandibola, ai lati del capo, e lo spronò a scendere con lui per una passeggiata. Pur con circospezione, Kentin fu costretto ad accodarsi a lui per consentire anche al piccolo Cookie di liberare la vescica. Le due bestie si annusarono a vicenda per qualche istante in cui più o meno tutti trattenemmo il fiato; poi, però, Demon decise che il cucciolo di pastore tedesco, pur avendo invaso momentaneamente il suo territorio, non costituisse alcun pericolo per la propria egemonia, e pertanto Kentin si sentì più sollevato, allentando la stretta sorveglianza che aveva posto sul proprio cagnolino. A far due passi con loro scesero anche Kim, Iris e Lysandre, mentre io rimasi in casa insieme agli altri. E me ne pentii.
   Non appena vidi Rosalya e Alexy scomparire in direzione della camera di Castiel, mi dileguai per non avere rogne. Raggiunsi Melody e Capucine in cucina, preferendo di gran lunga rendermi utile lì piuttosto che incorrere nelle ire del padrone di casa nel qual caso fosse tornato prima che la sortita nel suo armadio fosse terminata.
   «Sono venuta ad aiutarvi», esordii, facendo il mio ingresso nella stanza.
   Ancora china su una delle borse della spesa che avevano portato con loro, e alla quale avevamo contribuito tutti noi ospiti con una colletta, Melody si volse nella mia direzione con un gran sorriso. «Oh, grazie!»
   «Allora io me ne vado», annunciò invece Capucine, sfilandosi dal collo il grembiule che era stata sul punto di annodarsi in vita e passandomelo con malagrazia.  «Non vedo perché dovrei preparare la cena, visto che sono un’ospite.»
   Bell’egoismo, pensai. «Castiel sta mettendo a disposizione casa sua anche per te, sai?» le feci presente, cercando di moderare il tono, che purtroppo suonò comunque infastidito.
   «Non gliel’ho mica chiesto io», rispose quella, imboccando l’uscita della cucina senza aggiungere altro.
   Non potei fare a meno di voltarmi verso Melody e chiederle con voce cavernosa: «Sinceramente, come fate ad essere amiche?»
   Lei abbozzò un sorriso incerto e si rialzò sulle gambe, riavviandosi graziosamente una ciocca di capelli castani dietro all’orecchio. «È vero che a volte ha dei momenti no…»
   Inarcai un sopracciglio con aria scettica. «A volte
   «…ma ti assicuro che sa essere davvero simpatica.»
   Sì, e Ambra mi ama alla follia, ponderai, tanto per ribadire almeno con me stessa quanto mi sembrassero impossibili le convinzioni della mia amica. Sospirai, preferendo lasciar perdere. «Cosa dovremmo preparare?» domandai, avvicinandomi a lei per sbirciare gli ingredienti che stava posando su uno dei ripiani della cucina.
   Melody corrucciò lievemente la fronte. «Perché usi il condizionale?»
   «Non sono molto pratica, in cucina…» fui costretta ad ammettere.
   «Neanch’io so fare molto», cercò di consolarmi lei, «ma ho deciso di mettermici d’impegno. Può tornare utile.»
   «Quello senz’altro.»
   «E poi…» La sua voce ebbe un’incertezza ed io la guardai in evidente attesa che completasse la frase. Arrossì vistosamente, abbassò lo sguardo e si umettò le labbra con la punta della lingua. «Mi piacerebbe imparare a preparare qualche piatto della cucina italiana», mi confidò infine.
   «Perché proprio quella?» mi venne spontaneo chiederle, non riuscendo a capire come mai fosse così agitata.
   Melody sbirciò nella mia direzione e, fissandomi da sotto in su, pigolò: «Piace a Nath.»
   Oh. Avrei voluto mangiarla di baci. Purtroppo, temendo che potesse essere un gesto fraintendibile, me ne rimasi buona al mio posto ed iniziai ad armeggiare con il grembiule, pronta ad indossarlo, finalmente. «Non lo sapevo, ma…» Mi guardai attorno per accertarmi che gli altri tre rimasti in casa fossero fuori dalla portata delle nostre voci e, abbassando il tono, ricambiai la sua confidenza. «Anche a me piacerebbe imparare a cucinare…» presi a farfugliare, andandole vicino. «Sai… dopo il nostro picnic…» Mi accorsi del sangue che mi stava salendo al viso e cercai di ignorarlo, benché mi risultasse piuttosto difficile. «…ne ho fatto uno da sola con Kentin e…»
   Gli occhi azzurri di Melody si sgranarono di colpo e lei, tutta eccitata, mi rivolse un sorriso enorme che mi indusse al silenzio. «È stato allora che vi siete messi insieme?»
   Quella domanda, fatta così a bruciapelo, ebbe il potere di farmi avvampare più di prima a causa dell’imbarazzo. Davamo davvero l’impressione di essere una coppia? Beh, sì, ne ero consapevole. Soprattutto dopo la scenata fatta da Ambra in classe appena il giorno prima. «N-No…» fui costretta a negare, benché mi costasse essere tanto sincera. «Non stiamo insieme.»
   «Oh», balbettò lei, con espressione confusa. «Scusa… A me pareva di sì…»
   Strusciai la suola della scarpa sul pavimento, avvertendo un senso di disagio dovuto alla vergogna e alla gioia di sembrare la ragazza di Kentin ad occhi esterni. «Beh… Comunque sia», ripresi, tentando di recuperare un minimo di autocontrollo, «anch’io vorrei imparare a cucinare. Quel giorno sono stata capace di portare soltanto della frutta, al picnic…»
   Il sorriso di Melody mi incoraggiò. «La frutta è buona e fa bene alla salute!»
   «Non sai quanto…» sospirai, perdendomi nei piacevoli ricordi che mi aveva regalato quel romantico pomeriggio a due. Ancora oggi, dopo tanto tempo, sto qui a chiedermi cosa sarebbe successo se non fossimo stati interrotti da Iris e da suo fratello, ma all’epoca per non farmi il fegato amaro, dato che tra fragole e coccole sull’erba le cose sembravano promettere più che bene, mi ero imposta di pensarci il meno possibile.
   «Senti…» La voce della mia amica mi catapultò di nuovo al presente, giusto in tempo per liberarmi dal caldo improvviso che cominciai a provare a furia di rivivere con la mente i ricordi di quel meraviglioso pomeriggio. «Posso chiederti una cosa?»
   La sua espressione, perplessa e imbarazzata a un tempo, mi lasciò spiazzata per alcuni attimi. «Certo.»
   «Perché Ambra si è avvicinata così a Kentin?» mi domandò dopo una breve esitazione. «Voglio dire… Possibile che lo abbia fatto solo per vendetta nei tuoi confronti? Più ci penso, meno me ne capacito…» D’istinto corrucciai la fronte e Melody si affrettò ad aggiungere: «Scusa, non vorrei sembrarti indiscreta, ma… cosa ci avrebbe guadagnato da un gesto del genere? A parer mio, solo una pessima figura e persino una nomea non proprio rispettabile. Insomma, sappiamo tutti che a lei piace Castiel, quindi perché provarci apertamente con un altro?»
   Era una curiosità legittima, soprattutto perché Melody ignorava quanto era già successo fra Ambra e Kentin. Abbassai lo sguardo e mi morsi lievemente il labbro inferiore, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio per trovare una risposta convincente. «Io credo che, sotto sotto, Kentin le piaccia almeno un po’», iniziai allora. Mi resi conto, però, che non era giusto che io le raccontassi del bacio o della lettera con cui Rosalya e Alexy si erano presi gioco di Ambra, perciò sorvolai e ripresi: «Non posso darlo per certo, ma anche se tutti e due… Kentin e Castiel, intendo… non hanno molta simpatia per lei, Ambra dev’essersi resa conto che Kentin sa essere molto più gentile e meno scostante di Castiel. Più affettuoso, soprattutto, se solo gli si dà la possibilità di dimostrarlo… e se, ovviamente, chi si approccia a lui se lo merita.»
   Melody rimase in silenzio per un po’, continuando ad armeggiare con la cena che avevamo iniziato a preparare fra una chiacchiera e l’altra. «Quindi pensi che Ambra voglia attirare le attenzioni degli altri solo perché in realtà ha bisogno di affetto?»
   Non l’avrei messa propriamente in questo modo, ma il ragionamento filava anche senza dover mettere per forza di mezzo questo o quel ragazzo. Ambra era sempre stata trattata da principessa, in famiglia, viziata fino all’inverosimile; ma poteva davvero vantare di ricevere anche amore? Da suo fratello senza dubbio, ma dai loro genitori?
   «Temo sia davvero così come dici», dissi, pur controvoglia. Questo non mi portava forse ad avere ancora una volta compassione per lei? Non era bello, me ne rendevo conto, però non riuscivo a farne a meno. Sospirai. «Vorrei solo che la smettesse di commettere sciocchezze, perché alla fine le si ritorcono puntualmente contro.»
   «Nell’ultimo periodo Nathaniel le sta più vicino del solito», mi spiegò Melody, dando prova una volta di più di non lasciarsi sfuggire ogni movimento del suo amato delegato. «Forse lui riuscirà a farla ragionare, ora che sono diventati più uniti. Mi pare di aver capito che Ambra tenda a dargli più ascolto di prima.»
   Mi permisi di piegare la bocca in una linea poco convinta. Già troppe volte, in passato, Nathaniel aveva fallito nel suo tentativo di inculcare un po’ di giudizio nella zucca di sua sorella; perché mai questa volta sarebbe dovuta andare diversamente?
   «Vorrei che fosse vero», sospirai, scettica.
   «Ieri Nathaniel mi è sembrato davvero preoccupato per lei…» riprese Melody, guardandomi da sotto in su con espressione angosciata. Quando metteva su quel musino infantile, mi chiedevo ancor più insistentemente come diamine facesse, Nathaniel, a resisterle. Melody era una delle ragazze più carine del liceo – di sicuro lo era della nostra classe – e i suoi modi e il suo portamento erano assai graziosi e femminili. Nathaniel mi aveva detto in confidenza che lei non era il suo tipo: dovevo forse credere che gli piacessero gli oranghi? Era per questo che era infatuato di me? Perché, a differenza di Melody, non avevo uno straccio di sex appeal?
   «Anche a me darebbe preoccupazione avere una sorella del genere», risposi, tornando a prestare attenzione alla nostra conversazione. «Piuttosto, posso chiederti perché ti sei unita al nostro gruppo anziché al suo?»
   La vidi arrossire e abbassare lo sguardo, ma sulle prime non parlò. Poi, facendosi coraggio, confessò: «È che con Ambra non mi sento troppo a mio agio…»
   Come tutti noi, del resto. Al di là di questo, comunque, in quel momento tutto ciò che mi venne spontaneo domandarle fu: «E con Castiel sì?»
   Melody rise della mia reazione, e credo anche dell’espressione che feci. «No», ammise, «ma in gruppo con voi mi diverto di più.» Quella confessione mi indusse a sorridere con lei e a commentare scherzosamente, così che, fra una risata e l’altra, riuscimmo a portare avanti la preparazione nostra cena.
   I ragazzi tornarono alcuni minuti più tardi e ce ne accorgemmo soltanto quando sentimmo Castiel imprecare come un ossesso. Ci affacciammo sull’uscio della cucina giusto in tempo per vedere lui e gli altri rientrare in casa con i cani, fra risate e schiamazzi. A quanto pareva, fuori stava iniziando a piovere ed erano stati costretti a fare una corsa per non buscarsi troppa acqua.
   Vedendo Capucine, Demon si alzò sulle zampe posteriori, diventando spaventosamente alto. Lei urlò per la paura e andò a rifugiarsi dietro Alexy. «Tieni quel cavallo lontano da me!»
   Castiel, trattenendo il cane per il guinzaglio, si concesse volentieri un sorriso a mezza bocca. «Il mio Demon è un toro, non un cavallo.»
   «Tale e quale al padrone», approvò Alexy, stuzzicandolo nell’orgoglio maschile.
   L’altro perse l’espressione divertita e corrucciò le sopracciglia. «Non è da te che voglio sentirmelo dire, soprattutto se ci toccherà dormire insieme», borbottò, facendo ridere alcuni fra noi.
   Stavo per tornare in cucina con Melody quando vidi Kentin munirsi di un panno per asciugare Cookie. «Piove così tanto?»
   Alla mia domanda, lui alzò il capo con aria stupita, ma poi ridacchiò. «No, no, ha appena iniziato», mi tranquillizzò. «È solo che lui e Demon hanno giocato insieme e, vista la differenza di mole, il cane di Castiel lo ha praticamente innaffiato di saliva.» Arricciai il naso con disgusto e lui rise di più. «Almeno loro vanno d’accordo», aggiunse poi, stringendosi nelle spalle. «Probabilmente Demon capisce che Cookie è solo un cucciolo. Capita spesso che alcuni animali siano molto più intelligenti dei loro padroni.»
   «Vale anche per te, suppongo», lo punzecchiò Castiel, inducendolo a schioccare la lingua sotto al palato con ostentata stizza, visto che la linea della bocca di Kentin continuava a testimoniare il suo divertimento. Inarcai un sopracciglio: che quei due stessero iniziando a fare amicizia? «Piuttosto, che avete combinato mentre eravamo via?»
   «Melody ed io stiamo finendo di preparare la cena», risposi subito, benché fosse ovvio dai grembiuli da noi indossati. «Gli altri non ne ho idea, ma fossi in te chiuderei la tua camera a chiave: Rosalya è parecchio curiosa.»
   Castiel sgranò gli occhi, voltandosi verso la mia amica che scrollò le spalle con indolenza. «Troppo tardi», commentò con un sorrisetto da schiaffi. «Avresti dovuto pensarci prima.»
   L’altro non fece in tempo a chiedere spiegazioni, che subito Alexy s’intromise per domandargli: «Con tutte le giacche di pelle che hai, immagino che sarà con una di quelle che ti presenterai al tuo matrimonio.»
   La faccia di Castiel fu piuttosto comica. «Primo: guai a voi se vi permettete di nuovo di mettere il naso nelle mie cose!» riuscì a sbottare poi, trascinando Demon nella sua camera e chiudendolo di nuovo lì dentro, suo malgrado. «Secondo: non ho alcuna intenzione di sposarmi.»
   Stupita, Iris gli chiese: «Perché no?»
   «Troppe rogne», fu la spiccia risposta che diede lui.
   «Non sei per nulla romantico», fu invece il contrariato commento di Rosalya, che si beccò un’occhiata alquanto sorniona da Castiel. «Io invece ho già deciso come sarà l’abito che indosserò quando io e Leigh ci sposeremo», aggiunse poi, intrecciando le mani all’altezza del petto e fissando nel vuoto lo sguardo sognante. «Ho deciso anche come sarà quello che indosserà lui.»
   Lysandre si schiarì la gola e si passò una mano dietro la nuca, forse provando pietà per il proprio fratello. «Piuttosto, cosa state cucinando di buono?» domandò, sviando così l’attenzione generale su qualcosa che interessava un po’ a tutti: mettere qualcosa nello stomaco.
   «Lo saprete quando sarà pronto», gli feci sapere, incrociando le braccia sotto ai seni con aria soddisfatta. Lo ero per davvero, dal momento che la cenetta preparata da me e Melody aveva un aspetto delizioso. Non eravamo altrettanto sicure del sapore, in effetti, ma confidavamo nella fame da lupi dei nostri compagni di classe.
   «Dal profumo sembra buono», fu l’ottimistica previsione di Kim, che si spaparanzò sul divano con fare per nulla femminile.
   Castiel finse di annusare l’aria circostante, poi mi scoccò uno sguardo indecifrabile. «Fra te e l’amichetta di Nath, non è che ci avete aggiunto del cianuro per liberarvi di me?»
   Strinsi le labbra con fare meditabondo. «Ottimo suggerimento», concordai. «Peccato che al supermercato non ne vendano.»
   «Dilettanti», disse lui, scuotendo il capo e allontanandosi per togliersi finalmente la giacca. «Avreste benissimo potuto ricorrere al veleno per topi.»
   «Invece di perdere tempo in sciocchezze», intervenne Melody, tornando a far capolino in salotto con un sorriso che mi tranquillizzò ulteriormente sulla buona riuscita della cena, «iniziate a preparare la tavola: è quasi pronto.»












Come avrete notato, il presente capitolo è più lungo dei precedenti e lo stesso sarà per quello seguente. Questo per due motivi: anzitutto perché avevo un sacco di idiozie da scrivere (e con tanti personaggi da gestire è inevitabile), poi perché non volevo rendere infinita questa parentesi a casa di Castiel.
In ogni caso, dal decimo capitolo si tornerà al liceo e riprenderò a trattare anche di Ambra, che qui invece è stata solo indagata da ulteriori occhi esterni (quelli di Melody).
E per il momento credo sia tutto, perciò vi saluto e vi auguro un buon inizio di settimana!
Grazie per essere giunti fin qui! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nono ***





RIVALI - CAPITOLO NONO




Fu un sollievo non da poco vederci riuniti tutti e dieci in tavola, seppur stretti per la mancanza di spazio, a ridere e scherzare per ogni minima cosa. Nemmeno la dispettosa Capucine o le rispostacce secche di Castiel riuscirono a turbare quel momento di adorabile caos, durante il quale consumammo una cena forse non luculliana, ma di sicuro buona, veloce e capace di saziare tutti nonostante la sua semplicità.
   Proprio durante il pasto venni a sapere cos’avevano architettato quei cinque disgraziati che erano usciti per portare a spasso i cani: avremmo passato la serata a guardare un film horror. Non sono mai stata un cuor di leone, pertanto cercai in ogni modo di sabotare i loro malefici piani, cominciando dalla più ovvia delle scuse. «Non avevamo deciso di suonare e cantare tutti insieme?» buttai lì con nonchalance, benché fossi cosciente che sarebbe stato persino peggio di un film horror, dal momento che non ero molto intonata – e chissà se lo erano almeno gli altri, Lysandre escluso.
   «Così che i vicini vengano a rompere le scatole perché facciamo chiasso?» mi fece notare con ovvietà Castiel. «Sii seria.»
   «Sì, ma perché dovremmo vedere proprio un film del genere?» non mi trattenni dal domandare ancora, tentando di mantenere inutilmente la calma.
   «Dobbiamo dedurne che ti fanno paura i film horror?» mi chiese Kim, con un sorrisetto divertito sulle labbra. Avevo sempre avuto un bel rapporto con lei, mi piaceva e le volevo bene, nonostante fossimo tanto diverse, ma… in quel momento avrei voluto azzannarle un polpaccio.
   Divenni rossa in volto, sentii persino la punta delle orecchie surriscaldarsi per l’imbarazzo di avere addosso l’attenzione di tutti i presenti. Cercai le parole per ribattere in modo convincente, ma ormai avevano iniziato a sghignazzarmi in faccia, persino Melody che però ebbe il buon cuore di ammettere, sia pur con un filo di voce: «Sei in buona compagnia, fanno paura anche a me.»
   «Quanto siete carine!» esclamò Alexy, intenerito dalle nostre debolezze. «Vi proteggerò io durante le scene più spaventose!» si propose subito, battendosi un pugno sul petto con fare virile.
   Kim rise di nuovo. «Dubito che vogliano essere protette proprio da te…»
   «Oh, ma per me va bene!» la smentì Melody, dimostrando di saper stare agli scherzi. Di certo le andava davvero bene contare su Alexy, in mancanza di Nathaniel, ma io non riuscii a parlare e i miei occhi cercarono spasmodicamente la figura di Kentin, che mi stava fissando con tenerezza. Abbassai lo sguardo, vergognandomi di essere tanto infantile.
   E mentre lui, Alexy e Lysandre si offrivano di sparecchiare la tavola, e Kim e Iris di lavare i piatti, Rosalya mi colse alla sprovvista: non appena mi alzai dal posto in cui ero stata seduta fino a quel momento, mi afferrò per un braccio e mi trascinò in salotto per poi fermarsi di colpo e farsi un selfie insieme a me. Odiai l’espressione con cui uscii, così di sorpresa, ma quella furbetta fu sorda alle mie proteste e mi inviò la foto. «Mandala a tua madre», mi spiegò con un sorriso rassicurante. «Almeno la tranquillizzerai sul fatto che siamo insieme per davvero e che quella di stasera non era solo una scusa per dormire sotto allo stesso tetto del tuo grande amore», aggiunse poi, facendomi l’occhietto con fare complice.
   Come al solito, non seppi se ringraziarla per tanta premura o se mandarla a quel paese per la sua frecciata riguardo al mio rapporto con Kentin; nel dubbio mi limitai ad arrossire più di prima e a fare come mi aveva detto, scrivendo due righe d’accompagnamento al messaggio istantaneo con cui inviai la foto a mamma – che mi rispose poco dopo, prendendomi allegramente in giro per la faccia da beota con cui ero stata immortalata. Mi dispiaceva averle mentito, però ci tenevo davvero tanto a quella riunione insieme ai miei amici e compagni di classe. Tanto più che, in effetti, come aveva insinuato Rosalya, quella era forse l’unica occasione che mi si sarebbe presentata per poter passare la notte sotto allo stesso tetto di Kentin. Non che mi facessi chissà quali fantasie, figurarsi; però mi entusiasmava la cosa, foss’anche solo perché il poter passare la serata con lui mi dava l’idea di renderci comunque più complici di quanto già non fossimo.
   Il rombo lontano di un tuono distolse la mia attenzione dal cellulare e vidi Cookie guaire e andare a rifugiarsi sotto al divano. Ridendo, mi inginocchiai per recuperarlo e stringerlo al petto con fare protettivo: a quanto pareva, i fifoni presenti in quella casa salivano a tre. Almeno, pensai, Cookie era ancora un cucciolo, perciò lo si poteva giustificare senza troppe storie; io e Melody, invece, eravamo ormai piuttosto grandicelle, pertanto ci saremmo dovute rassegnare alle prese in giro dei nostri compagni di classe durante la visione del film. Mi domandai come diamine avrei fatto a prendere sonno, quella notte, dopo essermi sorbita chissà quale orribile visione piena di sangue e maciullamenti. Peggio ancora sarebbe stato se la scelta fosse ricaduta su una storia di spiriti o roba simile: ne avevo letteralmente il terrore, e l’atmosfera creata dal temporale fuori da quelle mura non aiutava di certo a rilassarmi. Fosse almeno stato ancora giorno, col sole alto in cielo e i passerotti a cinguettare allegri tutt’intorno…
   Infine, venne il momento tanto temuto: Castiel si palesò davanti a noi con un DVD di contrabbando in una mano ed un sorriso per nulla incoraggiante stampato in volto. «E ora ci divertiamo», annunciò con estrema soddisfazione, mentre un altro tuono faceva eco alla sua nefasta sentenza.
   Alexy corrucciò le sopracciglia. «Sicuro che non sia un porno?» Calò il silenzio e allo sguardo interrogativo di noi tutti, lui scosse le spalle e spiegò: «Di solito non sono i porno, ad essere masterizzati in modo illegale?»
   «Nah», liquidò la questione Castiel, dando comunque uno sguardo al titolo scritto a penna sul disco per sicurezza. «Quelli li tengo da un’altra parte», ci rassicurò, iniziando ad armeggiare con TV e lettore DVD.
   Tesa come una corda di violino, mi accomodai su uno dei divani del salotto e mi aggrappai istintivamente al braccio di Rosalya, che però richiamò l’attenzione di Kentin e gli cedette il posto. Sì, più passava il tempo e più mi rendevo conto che, a dispetto di tutte le sue idee balzane, Rosa era una buona amica. Lui non si lasciò pregare e, senza che io avessi quasi modo di evitarlo, mi passò un braccio attorno alle spalle per incoraggiarmi che, dopotutto, non era la fine del mondo dover assistere alla visione di un film horror.
   Proprio quando Castiel si sedette insieme a noi per poter dare il via allo spettacolo, ecco che capitò il primo imprevisto della serata – il secondo, se si considerava il temporale. Un fulmine cadde vicinissimo e la luce saltò. Il buio improvviso, annunciato dal fragore appena udito, mi indussero a lanciare un verso ridicolo e ad affondare istintivamente le unghie di una mano nella gamba di Kentin, che subito cercò di farmi forza. «È solo andata via la luce…» balbettò con voce provata. Fantastico, mi dissi cercando di vedere il lato ironico della situazione. I fifoni in casa salgono a quattro.
   Qualcuno iniziò a ridere per quella coincidenza, qualcun altro – presumibilmente il padrone di casa – iniziò ad imprecare. Nell’oscurità della stanza non si vedeva nulla, ma poi con un guizzo venne in nostro soccorso una piccola lingua di fiamma: l’accendino di Castiel. «‘Fanculo al temporale», fu la poetica espressione con cui commentò definitivamente l’accaduto.
   La lucina si spostò cautamente all’interno della stanza, a testimonianza che il suo proprietario si stava muovendo in cerca di qualcosa, che si rivelò essere una torcia elettrica non appena venne accesa ad illuminare l’ambiente circostante. «Ho solo questa e mi serve per vedere se il contatore è a posto. Statevene buoni, mentre vado a controllare», annunciò, mentre riprendeva a muoversi con più decisione verso l’uscita. Mentre si allontanava, però, ci tenne ad aggiungere in tono divertito: «Ragazzi, approfittatene per allungare le mani con la scusa del buio.» Rosalya e Capucine gli diedero una rispostaccia, ma ormai lui era già andato via, per cui non ci rimase che aspettare.
   «Mi è venuta un’idea», cominciò improvvisamente Alexy, facendomi temere il peggio: le sue trovate non sempre riuscivano ad incontrare la mia approvazione, per cui non potei fare a meno di preoccuparmi. «Visto che non possiamo vedere il film, perché non cogliamo la palla al balzo per raccontarci delle storie di fantasmi?»
   «No!» fu il mio secco e deciso commento, che fece ridere qualcuno dei presenti, compreso Kentin che, accanto a me, prese quasi in parola Castiel, stringendomi per le spalle e posando un bacio fra i miei capelli. Non mi opposi, ma ringraziai il buio perché sicuramente ero di nuovo arrossita e non volevo che gli altri mi prendessero ulteriormente in giro. «Non potremmo trovare un passatempo meno spaventoso?» chiesi, non appena mi tornò la voce, intenzionata a battermi fino alla fine per i miei sacrosanti diritti di codarda.
   Ovviamente mi ignorarono in massa, tant’è che non appena Castiel tornò da noi, con una caterva di imprecazioni e l’annuncio che la visione del film doveva essere necessariamente rimandata finché non avessero riparato il guasto alle linee elettriche causato dal fulmine, fu messo a parte del malefico piano di Alexy. Piano che, ahimè, incontrò la sua piena approvazione.
  «Non lasciarmi», pigolai disperata in direzione di Kentin che, anziché ridere, questa volta fu più cavaliere, promettendo di rimanere al mio fianco e di tenermi la mano per tutto il tempo, se necessario. Di sicuro, quella notte non avrei chiuso occhio.
   Non mi azzardai a muovermi dal posto in cui ero e, in più, tirai le gambe sul divano, appollaiandomi del tutto contro il mio protettore, che si guardò bene dal protestare. Frattanto, gli altri iniziarono a ridacchiare e a ipotizzare quali storie raccontare, dandosi persino battaglia su chi dovesse essere il primo a parlare. Manco a dirlo, vinse la prepotenza di Rosalya.
   Resistetti stoicamente a tutto il repertorio, dal classico autostoppista fantasma che scompare nel momento topico allo spettro del signore di questo o quel castello; si fece cenno finanche a spiriti illustri, come quello della Regina Maria Antonietta e di altri abitanti di Versailles avvistati da due donne inglesi nel Petit Trianon all’inizio del Novecento. Mi dissi che, semmai si fosse organizzata una gita scolastica lì, non ci sarei andata neanche morta.
   Il narratore più suggestivo di tutti, comunque, si dimostrò Lysandre, tant’è che dopo il suo racconto, quando ormai credevo di non riuscire a sopportare oltre quelle storie, e quando, temo, il batticuore che per la fifa e per l’abbraccio di Kentin rischiava di farmi venire un infarto, ecco che Dio ascoltò le mie mute preghiere: con grande scorno di quei fanatici di storie dell’orrore, la luce tornò. Non me ne accorsi subito, perché in quel momento avevo il capo piegato ed il viso nascosto contro il collo del mio migliore amico, che non osava né muoversi né fiatare – se anche lui per la paura o se piuttosto per la mia vicinanza, non avrei saputo dirlo. Mi resi conto che il peggio era passato quando la voce di Iris, che aveva appena iniziato il proprio racconto, scemò di colpo, fino ad arrestarsi, e gli altri cominciarono a parlare tutti insieme.
   Alexy scoppiò a ridere non appena mi vide, e subito finse di protestare: «A quanto pare c’è chi ha approfittato davvero del momento per darsi impunemente alla pazza gioia!»
   Ne seguì una serie di sfottò che mi risparmierò di trascrivere per evitarmi ulteriore imbarazzo. Basti dire che, quando ci si accorse che ormai si era fatto troppo tardi per mettere su un film o per fare chissà cos’altro e si propose di andare piuttosto a dormire per recuperare le energie spese nello studio, ecco che i più maligni – Castiel e Rosalya – avanzarono l’ipotesi di concedere a me e Kentin la privacy di cui, a loro dire, avremmo avuto bisogno: ci avrebbero ceduto volentieri la camera da letto dei padroni di casa. Col cavolo. Cioè, non mi avrebbe di certo fatto schifo, figurarsi; ma come avrei potuto accettare una simile proposta se eravamo circondati da tante altre persone, alcune delle quali totalmente inaffidabili e invadenti?!
   Declinai poco gentilmente l’invito e mi diressi con passo nervoso verso l’angolo in cui erano ammucchiati gli zaini e le borse di noi ospiti. Individuare la mia tracolla non fu semplice, soprattutto perché ricordavo di averla lasciata in un punto diverso da quello in cui la trovai. Non mi posi domande, comunque, anche perché alle mie spalle stavano decidendo i turni per usare il bagno: dopotutto eravamo in dieci e in quell’appartamento c’era una sola toilette. Fu perciò stabilito che noi ragazze l’avremmo usata due alla volta e Rosalya mi pretese in coppia con lei, mentre i ragazzi, nonostante il gigioneggiare di Alexy che voleva convincere Kentin a cambiarsi con lui, preferirono preservare ognuno la propria privacy.
   E mentre loro si perdevano in questo tipo di chiacchiere, rovistando nella mia borsa in cerca del pigiama, le mie dita toccarono anzitutto una stoffa che non mi era affatto familiare. Corrucciai lo sguardo e, stupita dal colore scuro di quel capo, lo tirai verso di me. Quando mi resi conto di cosa fosse, lo appallottolai fra le mani e non seppi se andare in escandescenza subito o aspettare prima di sapere chi fosse il responsabile di quello scherzo idiota per poi mettergli – o metterle – le mani attorno al collo. Cercai anzitutto di fare mente locale e l’unica cosa che realizzai fu che le borse erano rimaste incustodite solo quando gli altri erano a spasso con i cani.
   Nonostante la rabbia, decisi di agire con discrezione. Chiamai Kentin, che finalmente si schiodò dal divano, lasciando che il piccolo Cookie, che nonostante iniziasse a pesare era rimasto accucciato sulle nostre gambe per tutto il tempo del blackout, potesse infine sgranchirsi le zampine. «Che c’è?» esordì quando mi fu accanto.
   Lo afferrai per una delle bretelle dei suoi pantaloni militari e lo tirai giù, costringendolo ad accucciarsi accanto a me. Gli passai l’indumento e gli chiesi senza mezzi termini: «Sono tuoi?»
   La sua espressione aggrottata, mentre spiegava i boxer, fu la prova che lui non c’entrava nulla con quella faccenda. Non che lo ritenessi capace di uno scherzo tanto idiota, ma volevo perlomeno accertarmi che qualcuno non avesse trafugato le sue mutande dallo zaino. «No, ma… dove diavolo li hai presi?» non si trattenne dal domandarmi, giustamente.
   «Qualcuno li ha infilati nella mia borsa», spiegai tra i denti, cercando di vincere l’imbarazzo della situazione. «Non vorrei sollevare un polverone davanti a tutti, perciò ho chiesto prima a te per sicurezza.»
   «Sospettavi di me?» pretese di sapere, guardandomi con una vaga delusione in viso.
   «No», gli garantii, fissandolo dritto negli occhi. «Volevo solo capire se qualcuno non avesse giocato un tiro anche a te.»
   «Che avete da confabulare, voi due?» si intromise Alexy, trotterellando nella nostra direzione insieme a Cookie, che subito infilò il musetto curioso nella mia borsa. Kentin fu lesto ad afferrarlo prima che potesse metterci dentro anche le zampine, ma non lo fu abbastanza da nascondere anche i boxer, che mi caddero in grembo balzando all’occhio del nostro amico. «Ma quelle non sono le mutande di Castiel?» fu la spontanea osservazione che gli salì alle labbra.
   So che forse avrei dovuto anzitutto scandalizzarmi per aver avuto fra le mani la biancheria di un ragazzo, e so anche che avrei persino dovuto arrabbiarmi con Alexy per la sua totale mancanza di delicatezza, ma… l’unica cosa che mi venne da domandargli istintivamente fu: «Come fai a sapere che sono le sue?!» Mente deviata, la mia, me ne rendo conto, ma forse quel morboso interesse fu dettato soprattutto dall’inconscia speranza che le attenzioni romantiche del mio amico si allontanassero da Kentin per soffermarsi su qualche altro uomo – e poco importava che Castiel non avesse mai dato l’impressione di essere dell’altra sponda.
   «Ricordi che prima io e Rosa abbiamo curiosato nel suo armadio?» mi rispose con fare ovvio lui, continuando a non curarsi di abbassare il tono della voce. «Non credevo l’avessi fatto anche tu… e con questi risultati, poi», mi prese in giro, ridendo per la situazione paradossale.
   «Non dire idiozie!» protestai subito, troppo imbarazzata per far caso al fatto che alle nostre spalle era calato improvvisamente il silenzio. «Che interesse potrei avere per le mutande di quello là?!» pretesi di sapere, sventolando l’oggetto incriminato a mezz’aria.
   Mi fu strappato di mano con fare brusco un attimo dopo e quando alzai il capo, dopo aver sobbalzato per lo spavento, mi ritrovai a fissare il volto scuro di Castiel. «Di’ un po’», cominciò con voce severa, «a che gioco stai giocando?»
   Risentita da quell’implicita accusa, mi ersi in tutta la mia statura – ridicola, se messa a paragone con la sua – ed alzando il mento con orgoglio, dichiarai la mia assoluta innocenza. «Qualcuno ha messo quella roba nella mia borsa!»
   «Sul serio?» domandò Alexy, per nulla intimorito dall’atteggiamento del nostro compagno. «Eppure, a parte me e Rosa, nessun altro è entrato in camera sua», rifletté a mezza voce, lanciando uno sguardo alla nostra amica che si avvicinò e confermò.
   «È vero. E poi, mentre voi eravate via, Aishilinn e Melody sono rimaste per tutto il tempo in cucina. O sbaglio?»
   «Certo che sì!» affermai con decisione. «Potete chiederlo anche a Melody.»
   «È in bagno con Capucine», ci fece notare Kim, che stava osservando la scena con aria accigliata e le braccia incrociate al petto.
   Fu sentendo quel nome che un brivido mi percorse lungo la schiena. Capucine era andata via dalla cucina subito dopo che ci ero entrata io, e se non si era unita a Rosalya e Alexy nell’ispezione del guardaroba di Castiel, poteva significare soltanto una cosa: quella maledetta aveva avuto il tempo di agire indisturbata, magari trafugando i boxer senza che quei due avessero modo di accorgersene e poi nascondendoli senza fretta nella mia borsa. Ma a che pro? Ovviamente solo per darmi fastidio, visto che le riusciva tanto bene. Comportamento inspiegabile, il suo, certo, ma sono così tanti i misteri della psiche umana che davvero non mi preoccupai di trovare una logica in tutto ciò.
   Quasi fosse stata richiamata dai miei pensieri, Capucine comparve di nuovo in salotto insieme a Melody, entrambe già in pigiama. Non appena la vidi varcare la soglia, partii in quarta: «Sei stata tu?!»
   Lei inarcò le sopracciglia. «A far cosa?»
   Scippai con malagrazia le mutande di mano a Castiel e le sventolai a mo’ di bandiera sotto gli occhi di tutti. «A mettere queste nella mia borsa!»
   Corrucciando la fronte, Capucine s’indispettì. «Come ti permetti di accusarmi senza alcuna prova?!»
   «Veramente le prove sono tutte contro di te», le fece notare pigramente Alexy.
   «Vi siete messi d’accordo per farmi apparire come l’antipatica della situazione, non è vero?» ribatté ancora lei, mentre alle sue spalle Melody fissava la scena con espressione confusa, incapace forse di afferrare la situazione.
   «Credimi, non è che tu abbia bisogno della nostra collaborazione per risultare tale», fu l’accalorato intervento con cui mi difese Kentin, probabilmente innervosito dal fatto di vedermi con le mutande di Castiel in mano.
   «Sono stufa delle vostre accuse ingiuste!» replicò infine Capucine, girando i tacchi per lasciare il salotto e dirigersi verso la camera dei padroni di casa – assenti come sempre per lavoro. «Me ne vado a letto!»
   Non appena lei se ne andò, Castiel tornò a riprendersi i boxer con un gesto stizzito e infilarseli nella tasca posteriore dei pantaloni. «Suppongo che lì ci sia un letto abbastanza grande per tre di voi», dichiarò di malavoglia, facendo cenno nella direzione di noi ragazze e spezzando così la tensione che era calata sull’intero gruppo.
   Ancora troppo infastidita nei confronti di Capucine, m’impuntai con fare puerile: «Con quella non ci dormo, cedo volentieri il posto a qualcun’altra.»
   Le mie compagne di classe si scambiarono diverse occhiate prima che Melody avesse il coraggio di farsi avanti, con fare timido e mortificato a un tempo. «Allora, magari io ne approfitterei volentieri…» balbettò. Voleva forse interrogare Capucine per capire cosa fosse successo durante la loro assenza? Figurarsi se quella lì avrebbe confessato il misfatto.
   Mentre Melody si allontanava sulla scia dell’amica, anche Castiel si mosse verso la propria camera con l’intento di liberare finalmente il povero Demon, che subito si fece una scorrazzata tutt’intorno, fino a che non scovò Cookie in braccio a Kentin e quasi saltò addosso a quest’ultimo, che fu costretto a lasciare il cucciolo a terra per farli giocare insieme.
   «Loro due dovremmo portarli fuori per l’ultimo bisognino della giornata», ponderò Castiel, dando uno sguardo non troppo convinto alla pioggia che continuava a cadere fitta al di là dei vetri delle finestre. «Nel frattempo, voialtri organizzatevi», riprese dopo un attimo, facendo cenno verso l’interno della sua camera. «Un altro paio di voi può dormire di qua.»
   Osservando lui e Kentin prendere le giacche, gli ombrelli e i guinzagli, Rosalya commentò divertita: «Cedi davvero il tuo letto a qualcun altro?»
   «Ne farei volentieri a meno, credimi», le assicurò Castiel con una smorfia. «Ma mentre eravamo fuori, prima di cena, il tuo caro amico Lysandre non ha fatto altro che stordirmi tutto il tempo con le sue chiacchiere sulla cavalleria e altre stronzate varie.» E con questa aulica affermazione, i due uscirono di casa.
   Kim si volse verso me, Iris e Rosalya. «Dormirò io sul divano, quindi se qualcuna di voi preferisce il letto…»
   «Non dormirei nel letto di Castiel neanche morta», ci tenni a far sapere a tutti gli altri, inducendo qualcuno a ridere per quel mio orgoglio infantile.
   «Sicura?» mi domandò per conferma Kim.
   «Certo che sì!»
   Scrollò le spalle. «E allora non mi pongo più problemi e ti soffio il posto.»
   Con una mano chiusa a pugno sul fianco formoso, Rosalya si portò il dito indice dell’altra sulla bocca con aria pensosa. «Allora io prendo il lettone della camera grande, così magari riesco ad estorcere una bella confessione a quella furbetta di Capucine.»
   «Iris», chiamò Kim. «Se sei disposta a stringerti un po’, ti faccio spazio accanto a me.»
   «Oh, volentieri!» rispose quella, andando a recuperare allegramente il proprio zaino per trasferirsi nell’altra stanza insieme a lei.
   Rimasta sola con Rosa, che ancora non si muoveva, e con Lysandre e Alexy, quest’ultimo se la rise sotto i baffi. «Però…» cominciò con uno sguardo sornione alla sottoscritta. «Non ti facevo così intraprendente.»
   «Dici a me?» non mi trattenni dal chiedere, tanto per conferma.
   «A te», annuì lui, serio in volto. «Passerai la notte con quattro ragazzi, non ci hai pensato?»
   Rosalya rise apertamente, mentre Lysandre cercò di nascondere un sorriso dietro a una mano con fare signorile. Quanto a me, rimasi senza parole per qualche attimo, cercando di fare mente locale ed immagazzinare a dovere quel risvolto della situazione che mi era sfuggito. Infine, quando anche Alexy si decise a sghignazzarmi in faccia, fui assalita dall’ennesimo imbarazzo della serata e sbottai: «Uno dei divani è mio, vi avverto!»
   Non tutto, però, sarebbe andato come avrei voluto.
   Diversi minuti dopo, quando Castiel e Kentin tornarono con i cani, si ritrovarono davanti ad una scena curiosa: Lysandre che, ancora vestito di tutto punto, sedeva accanto a me sul divano, tentando vanamente di consolarmi.
   «Che è successo?» domandò Kentin, passando rapidamente un panno sulla pelliccia del proprio cucciolo e pulendogli le zampine dal fango dovuto alla pioggia, prima di rimetterlo a terra.
   Accorgendosi di loro solo in quel momento, Alexy scattò in piedi dal punto in cui stava ancora cercando di scusarsi, sia pure ridacchiando, e con fare teatrale annunciò: «Ebbene, lor signori: Aishilinn ha davvero le tette!»
   Gli lanciai contro uno dei cuscini del divano, colpendolo di striscio ad un braccio e facendolo ridere più di prima. «Sta’ zitto!» proruppi, infischiandomene del fatto che le altre ragazze si fossero già chiuse in camera per la notte.
   Lasciando libero Demon, Castiel inarcò un sopracciglio, mentre Kentin, allarmato da quella dichiarazione, sembrava non sapere dove posare prima lo sguardo – se su di me, su Alexy o su Lysandre, che al momento mi stava trattenendo a fatica per le spalle.
   «Kentuccio, perdonami», tornò a parlare Alexy, piuttosto buffo nel suo pigiama sgargiante e fin troppo largo.
   «Sembri uscito da un circo», fu il laconico commento di Castiel, palesemente poco interessato al resto.
   «So che ci tenevi ad essere il primo», stava continuando l’altro, ignorando quella critica al proprio abbigliamento notturno, «ma questa sfacciatella non aveva chiuso a chiave la porta del bagno e…»
   «È tutta colpa di Rosalya!» giurai, sentendomi di nuovo morire di vergogna e nascondendo il viso in fiamme contro le ginocchia che avevo tirato su al petto.
   Kentin tacque, fissandoci con occhi vacui e tentando, forse, di capire cosa fosse realmente successo. Castiel ci arrivò prima di lui e, sfilandosi la giacca di pelle, rise. «Sei entrato in bagno mentre lei e Rosalya si stavano cambiando?»
   Alexy annuì. «Fuochino», rispose senza troppi preamboli. «Il fatto è che Rosa era uscita per andare a prendere qualcosa che aveva dimenticato nella borsa, per cui credevo che avessero finito», spiegò allegro. «Invece, a dispetto della porta socchiusa, Aishilinn era ancora lì e…»
   Non fece in tempo a concludere la frase che Kentin si avventò su di lui, agguantandolo per il bavero della casacca del pigiama. «Tu…! Dannato!»
   «Oh! Non l’ho mica fatto apposta!» protestò il suo amico, perdendo finalmente il sorriso. «E poi lo sai che su di me certe visioni non fanno alcun effetto…»
   «Dubito che le sue costole farebbero effetto su qualcuno», si sentì in diritto di infierire Castiel, ghignando malignamente.
   «In realtà è davvero carina», mi difese Alexy, riuscendo al contempo a liberarsi dalla presa di Kentin, che ora era passato a fissarmi con un’espressione indecifrabile in volto. «E anche se sotto gli abiti non si notano molto, ti assicuro che ci sono», proseguì, muovendo le mani all’altezza del petto per mimare un paio di seni di modeste dimensioni.
   Avrei voluto sprofondare, farmi inghiottire da un buco nero e disperdermi nel tempo e nello spazio. Invece tutto ciò che, purtroppo, potei fare in quel momento, fu rimanere ferma dov’ero, appiattendomi il più possibile contro lo schienale del divano ed evitando di guardare gli altri. Almeno fino a che, col suo solito tatto, Castiel non mi domandò: «Piuttosto, donna dalle tette retrattili… cosa ci fai ancora qui?»
   Stavolta fu Lysandre a prendere parola e a spiegare la situazione. «Nelle altre camere non c’è posto per tutte, perciò Aishilinn ha deciso di dormire qui in salotto con noi.»
   L’altro tornò a sghignazzare. «Allora è vero che sei sfacciata…»
   Alzai la testa di scatto per abbaiargli contro, ma fui preceduta da Alexy che, con aria spensierata, si rivolse a Kentin. «Stanotte dormiremo vicini, non è fantastico?»
   Quello si riscosse e, aggrottando la fronte con aria disgustata, gli garantì: «Piuttosto dormo nella vasca da bagno!»
   «E lasceresti da sola Aishilinn con noialtri?» fu l’ovvia osservazione che ne seguì.
   Pur essendo già pronto a ribattere ad un’eventuale insistenza, davanti a quella prospettiva, invece, Kentin chiuse la bocca con uno scatto secco e si volse di nuovo nella mia direzione. Mi sentii indifesa sotto quello sguardo insondabile e mi chiesi se non avesse iniziato di colpo a cambiare opinione sul mio conto a causa di quell’increscioso incidente. Dopotutto, fra quello e le mie due incursioni nello spogliatoio maschile della scuola, non è che ci facessi davvero una bella figura… per non parlare delle mutande di Castiel nella mia borsa.
   A quel punto Lysandre si rimise in piedi. «Vado a cambiarmi», ci avvisò, afferrando il proprio zaino e dirigendosi verso il bagno, dal momento che lui, il suo migliore amico e Kentin erano ancora gli unici in abiti da giorno.
   In quel mentre mi sovvenne del suo tatuaggio e quasi mi dispiacque che avesse avuto il pudore di non cambiarsi lì davanti a noi. Quel pensiero mi fece rendere conto di quanto, effettivamente, a volte riuscissi ad essere davvero sfacciata come aveva detto Castiel. Ma poi, su cosa si basava, questa sua supposizione? Kentin avrebbe potuto affermarlo più o meno con certezza – senza sapere ancora che avevo visto Nathaniel in boxer – ma lui proprio no.
   «Dal modo in cui i tuoi occhi hanno appena scansionato la schiena di Lysandre», cominciò quel disgraziato del padrone di casa, riportandomi con i piedi per terra, «mi domando se non hai strane mire anche su di lui.»
   Indispettita, mi ersi in tutta la mia piccola statura e ribattei, decisa: «Mi stavo solo chiedendo come fosse il suo tatuaggio, tutto qui.»
   «Ancora con questa storia?» borbottò Kentin, continuando tuttavia a scrutarmi con fare strano.
   «Cos’è, ti piacciono i tatuaggi?» mi domandò retoricamente Castiel. Non feci in tempo a rispondere che subito aggiunse con un ghigno provocatorio: «Dovresti vedere quello che ho qua sotto.»
   Il suo binomio girò di scatto il capo nella sua direzione, credo per strepitargli contro, ma ancora una volta Alexy fu più lesto di parola. «A me interessa», gli fece sapere, prendendolo palesemente in giro pur di difendermi.
   Kentin bloccò sul nascere l’imprecazione che aveva avuto per Castiel sulla punta della lingua, mentre quest’ultimo fu visibilmente scosso da un brivido freddo fin nel midollo. «Tu stanotte dormi con i cani!» abbaiò contro Alexy, che scoppiò a ridergli in faccia e si andò a preparare il giaciglio sull’altro divano.
   «Invece mi piazzo qui e non mi muovo fino a domattina», ci garantì, tutto convinto.
   «Ehi, smamma!» reclamò il padrone di casa. «Se non posso dormire nel mio letto, lasciatemi almeno il posto più comodo!»
   «Possiamo sempre dividercelo», continuò a provocarlo l’altro con un’espressione talmente angelica che costrinse me e Kentin a morderci le labbra per non ridere.
   Castiel fu sul punto di scoppiare, ma poi prese fiato e alzò gli occhi al soffitto, contando silenziosamente fino a dieci sulla punta delle dita. Quando finì, riuscì a mantenere la calma con fare ammirevole. Tant’è che commentò solo: «Muori.» Dopo di che, fece per andare nella sua stanza e si fermò poco prima di allungare una mano sulla maniglia. «Merda», bofonchiò. Tornò a voltarsi nella verso di noi e, dopo un attimo di esitazione, confessò: «Ho lasciato la mia roba in camera.»
   «Quindi dormirai nudo?»
   Alexy schivò a stento una scarpa, ma ciò non ci impedì di ridere tutti e tre in faccia al povero Castiel. Che alla fine dovette arrendersi a dire: «In mutande mi hai già visto nello spogliatoio della scuola e tanto deve bastarti anche per stasera.»
   «Ehi!» fu l’ovvia protesta che seguì da parte mia. «Ti sei dimenticato di me?»
   Immagino tutt’ora di sì, perché solo in quel momento parve ricordarsi della mia presenza. Non si lasciò cogliere impreparato, però, perché subito disse: «Eh, beh, e allora sei fortunata. Molte donne pagherebbero per lo spettacolo a cui assisterai.»
   Non ne dubitavo, ma di una cosa ero ancora più sicura: se Ambra avesse saputo che avrei dormito nella stessa stanza con Castiel, per di più con lui in mutande… In soldoni, con la fortuna che avevo, potevo già andare a prenotarmi un loculo al camposanto.
   «Non azzardarti a farlo!» intervenne Kentin, con chiari intenti bellicosi. Di certo voleva proteggere la mia innocenza – ragion per cui non credevo fosse quello il momento più opportuno per parlargli di quella faccenda di Nathaniel – ma non faticai a convincermi che fosse mosso anche e soprattutto da qualcosa di molto, molto più potente: la gelosia.
   «Ha ragione lui, non ti conviene», gli diede man forte Alexy, iniziando a stendersi sul divano con aria sorniona, le braccia intrecciate dietro la nuca. «Non sai cosa potrebbe capitarti, nottetempo.»
   Con uno scatto secco che avrebbe potuto decapitargli il tatuaggio, Castiel tirò su la zip dei pantaloni che aveva iniziato a sbottonarsi e, borbottando cose irripetibili, si diresse verso l’unica poltrona della stanza, che portò lontana dal punto in cui si trovava Alexy. Dopo quell’ennesima trovata del nostro amico, Kentin tornò a calmarsi e a rivolgersi a me. Aprì bocca per parlare, ma poi esitò. Ci riprovò e stavolta, facendosi più vicino, mormorò in modo che sentissi solo io: «Ti spiace se dormo accanto a te?» Rimasi spiazzata e, pallida e con gli occhi sgranati, rimasi in silenzio. A quel punto, lui realizzò di aver commesso una delle sue solite gaffe. «I-Intendevo per terra!» si affrettò ad aggiungere, cominciando ad andare nel panico. «Nel sacco a pelo… Non mi sarei mai azzardato a…»
   Lasciò la frase in sospeso, ma io compresi comunque e annuii forse con troppa decisione. «Non mi darebbe alcun fastidio», gli assicurai. «Anzi… mi sentirei più tranquilla…» pigolai poi, lanciando uno sguardo timoroso in direzione di Castiel, che si stava preparando la tana notturna sulla poltrona. Non che non mi fidassi di lui, visto che ero ben consapevole di non fargli alcun effetto sotto quel punto di vista, ma le sue ultime battutacce mi avevano lo stesso infastidita.
   «E io pure», mi garantì Kentin, tornando padrone di sé. «Te l’ho chiesto proprio per questo, difatti.»
   Di lì a poco Lysandre tornò da noi e mi lasciò spaesata, come tutte le volte che non lo vedevo indossare abiti vittoriani. Al momento, in effetti, sfoggiava una semplice T-shirt su un altrettanto anonimo paio di pantaloni di cotone. Mentre lui e Castiel scambiavano alcune parole, Kentin si allontanò per cambiarsi, ma non appena tornò, io e Alexy trattenemmo rumorosamente il fiato a causa della maglietta smanicata con cui si ripresentò. Sapevo che la scuola militare aveva fatto dei miracoli sul suo corpo, però… diamine, quella era la prima volta che riuscivo a vedere più di quanto mi fosse consentito abitualmente.
   «La pubertà ti ha fatto bene», se ne uscì d’un tratto Castiel, evidentemente colpito quanto noi, solo in maniera differente per ovvie ragioni. Kentin grugnì, decidendo di non cogliere l’ennesima frecciata del giorno. Dal modo in cui si muoveva cautamente nella stanza, strizzando gli occhi, dedussi che doveva aver tolto le lenti a contatto e pertanto doveva essere troppo concentrato sul non darlo a vedere per permettersi il lusso di rispondere per le rime al proprio binomio. «Ora dovresti mettere solo qualche altro centimetro in altezza», aggiunse Castiel, poiché in verità il mio migliore amico non era propriamente quello che si potrebbe definire uno spilungone.
   Fui io a difenderlo, questa volta. «Kentin non è affatto basso», dichiarai con convinzione.
   «…disse il tappetto della classe», mi derise pigramente Castiel. Era ingiusto. Sapevo di non essere alta, ma non ero neanche tanto bassa da essere definita in quel modo. «I vostri figli non saranno certo dei giganti.»
   Semmai avessi avuto la facoltà di andare in autocombustione, quella sarebbe stata l’occasione adatta per sperimentarla.
   Ci pensò Lysandre, con la sua adorabile flemma, a riportare la calma sul gruppo più scalmanato della serata. «Posso spegnere la luce?» domandò atono, aspettando però che io e Kentin ci fossimo sistemati sui nostri letti improvvisati, prima di far scattare l’interruttore.
   Il buio calò su di noi quasi in contemporanea al silenzio. Sembrò assurdo, dopo tutto il chiasso di quel pomeriggio, tanto che non riuscii a chiudere subito gli occhi. Mi sollevai sul gomito per poter stropicciare meglio il cuscino e quando tornai a stendermi, le storie dei fantasmi udite quella sera tornarono crudelmente a popolare le mie fantasie, atterrendomi non poco. Ripensai all’autostoppista che svaniva nel nulla, alla Regina Maria Antonietta che dipingeva nel Petit Trianon con la testa ancora attaccata al collo, alla Dama Bianca ovvero lo spettro di questa o quella nobildonna che con le sue apparizioni annunciava la morte di qualche illustre aristocratico, alla Dama Nera che si aggirava per un parco nelle sere nebbiose e seduceva i passanti fino a condurli alla pazzia…
   Immersa in quei tetri pensieri che mi avevano fatta rannicchiare sempre più su me stessa, sobbalzai e lanciai un grido strozzato quando qualcosa mi sfiorò il dorso di una mano.
   «Calma, sono io!» s’affrettò a tranquillizzarmi Kentin, ignaro di avermi quasi fatto venire un infarto. E, a proposito della Regina Maria Antonietta, per un attimo temetti che anche a me fossero venuti di colpo i capelli bianchi per lo spavento.
   «Ma che cazz…?!» La voce irritata di Castiel giunse dal fondo della stanza, ancora immersa nel buio.
   Anche Alexy provò a capire la situazione. «Ehi, tutto bene? Che state combinando, voi due?» domandò. Se pure ci fosse stata una vaga allusione, in quel momento non ero abbastanza lucida per coglierla.
   «Le ho solo toccato la mano, giuro…» tentò di giustificarsi Kentin, mentre io cercavo di trattenere le lacrime e, soprattutto, il cuore nel petto, dato che mi batteva così forte che temevo sarebbe balzato via da un momento all’altro.
   «Toccale quello che vuoi, basta che mi fate dormire!»
   Lo spavento cominciò a scemare e, grazie alle parole volutamente equivoche di Castiel, cominciai persino a ridacchiare sommessamente con fare quasi isterico. «Scusa…» sentii farfugliare accanto a me.
   Nell’oscurità scorsi vagamente la sagoma di Kentin che, mortificato, si era inginocchiato al mio capezzale. Allungai una mano per accarezzargli il viso in segno di perdono, e lui non si lasciò scappare l’occasione per afferrarla nella propria per baciarne il palmo. In un attimo ogni ombra di paura svanì dal mio animo e la mia mente si vuotò di ogni macabra fantasia.
   Prima ancora che avessi modo di fare o dire qualcosa, Kentin tornò a stendersi sul pavimento accanto al mio divano, trattenendo però le mie dita fra le sue. E così ci appisolammo, come bambini.












Lo so che avevo scritto che avrei aggiornato lunedì 24, però non so se potrò farlo (troppi impegni imprevisti, quel giorno). Pertanto, dal momento che in queste settimane sono andata parecchio avanti (giusto due giorni fa... o era ieri? Boh, comunque ho finito il tredicesimo capitolo), non mi sembrava il caso tergiversare oltre.
Prima di proseguire mi sembra doveroso sottolineare una citazione voluta all'interno di questo capitolo: è il punto in cui, in risposta a una battuta di Alexy che invita Kentin a dormire con lui, l'altro afferma che, piuttosto, avrebbe dormito nella vasca da bagno. Ecco, anche se non gliel'ho detto, questa cosa mi è venuta in mente grazie a Yutsu Tsuki e alla sua Narcisismo al cioccolato (anche se qui al posto di Kentin c'era Nathaniel... e Alexy non si limitava alle parole, lol), che è finalmente in dirittura di arrivo.
Tornando a noi, avrete di certo notato che questo capitolo è piuttosto frivolo e senza apparente importanza, ma fidatevi se vi dico che mi serviva per due ragioni ben precise: la prima è quella di far sì che Castiel iniziasse ad aprirsi un po' anche verso gli altri (sperando di non averlo mandato OOC); la seconda è... ve la dico alla fine del prossimo capitolo, lol. XD
A proposito, dal decimo in poi le cose si faranno serie per davvero e non ci saranno più questo genere di "perdite di tempo", anche perché ho tanto da raccontare e poca voglia di prolungare la long per un'infinità di capitoli. La mia utopica speranza è quella di concluderla entro il ventesimo, quindi dovremmo essere già a circa metà della storia, soprattutto contando che con il tredicesimo capitolo sono già a buon punto con la narrazione degli eventi (proprio per quel che dicevo prima: si va dritti al punto senza girarci troppo intorno).
Mi auguro solo di non deludere le aspettative di nessuno e che questa storia continui almeno ad interessare la metà dei tanti lettori che la stanno seguendo al momento.
Ringraziandovi per l'attenzione, le recensioni (alle ultimissime devo ancora rispondere, lo farò subito!) e le preferenze da parte di tutti voi, vi do appuntamento a... ehm... non so esattamente quando, ma dubito che passerà più di una settimana per il prossimo aggiornamento.
Buon weekend! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***





RIVALI - CAPITOLO DECIMO




Non starò lì a fare un resoconto di ciò che accadde durante la notte, anche perché dormii quasi per tutto il tempo, fingendo di non udire né il leggero russare di alcuni dei miei compagni di stanza, né alcuni rumori molesti dei quali preferii non indagare la provenienza.
   Ci svegliammo più o meno tutti di buon’ora e soprattutto di buon umore, anche se difficilmente avrei potuto dimenticare nel giro di poco ciò che videro i miei poveri occhi innocenti quando i ragazzi iniziarono ad alzarsi – e per pudore, eviterò di descriverne le condizioni. Anche su questo, visto un comprensibile imbarazzo da parte loro, mi finsi scema per non mettere ulteriormente a disagio tutti; una cosa però ormai mi era chiara: non ero ancora psicologicamente pronta per dividere il letto con un maschio – in qualunque senso.
   Nonostante la baraonda che seguì risveglio e colazione, riuscimmo infine a portare a termine le nostre ricerche con successo, persino prima di quanto avessimo sperato. Fu per questo che, per salvaguardare i nervi del povero Castiel, giunti ormai al limite, togliemmo tutti il disturbo prima dell’ora di pranzo; solo dopo avergli rimesso in ordine l’appartamento da cima a fondo, si intende. Infine, non so gli altri, ma una volta a casa passai il resto della giornata quasi in panciolle, dedicandomi pigramente soltanto ai compiti per il giorno successivo.
   Quel lunedì mattina, comunque, accadde l’ennesimo fatto inaspettato.
   La prima persona in cui mi imbattei fu Castiel. Cosa strana, visto che non sempre era mattiniero. Cosa ancor più strana, mi diede il buongiorno con un mezzo sorriso. Mi inquietò, ma ricambiai il suo saluto cogliendo la palla al balzo: dopo aver passato quasi ventiquattr’ore forzate insieme ai suoi compagni di classe, si era finalmente ammorbidito un po’ nei confronti di noi miseri mortali? O forse mostrava in modo bizzarro il proprio nervosismo per la ricerca di Scienze che avremmo dovuto esporre alla Delanay di lì a poco?
   Non fu questo, però, il fatto inaspettato di cui parlavo poc’anzi. Mi riferivo piuttosto ad Ambra che, spuntando fuori dall’aula in cui avremmo dovuto fare lezione, arrestò il passo vedendomi insieme a Castiel. Dietro di lei, fece capolino Capucine che, ridacchiando maliziosa, scappò di filato in classe. Aveva forse raccontato alla sua amica che avevo dormito a casa di Castiel, per di più nella sua stessa stanza, e magari anche dei suoi boxer nella mia borsa? Conoscendola, era assai probabile che lo avesse fatto. Ambra ci scrutò per qualche attimo con in viso un’espressione che non seppi decifrare, e già mi preparai psicologicamente all’ennesima sfuriata. Quindi, il suo sguardo passò oltre le nostre spalle e lei, prendendo un grosso respiro, tornò a muoversi nella nostra direzione. Non ci salutò, quando ci fu davanti, ma ci sorpassò ignorandoci a bella posta. Istintivamente, sia io che Castiel ci fermammo nello stesso istante e ci voltammo a guardarla per capire a cosa fosse dovuto quell’insolito atteggiamento. Fu solo quando scorsi Kentin poco più indietro che compresi davvero.
   Strinsi i denti e fui sul punto di marciare nella loro direzione prima che Ambra potesse di nuovo avvicinarsi a lui, ma Kentin stesso mi anticipò: quando lei rallentò per rivolgergli la parola, lui la scartò di lato e proseguì verso di noi, come se non l’avesse neanche vista.
   «Aspetta, per favore!»
   Rimanemmo spiazzati in tre: Ambra che chiedeva gentilmente qualcosa a qualcuno non si era mai vista. Tanta fu la sorpresa, che Kentin si fermò per davvero, fissandola come se lei avesse avuto una testa di troppo sul collo. La vedemmo umettarsi le labbra con fare nervoso e, pur esitando, tornò a parlare.
   «Volevo… chiederti scusa.»
   A quel punto, Kentin si sentì legittimato a domandarle: «Hai bevuto?»
   Il volto di lei si fece paonazzo e il suo sguardo si accese per la stizza: ecco la Ambra che conoscevamo tutti. «Sono seria!» sbraitò. Si rese conto di aver alzato la voce e cercò di dominarsi. «Mi… dispiace», tornò a dire, abbassando le ciglia sul viso con un certo pudore. «Non sono stata particolarmente amabile, in passato, me ne rendo conto, ma…»
   «Di’ pure che sei stata odiosa», non si curò di correggerla l’altro.
   Colpita forse al cuore per quell’ennesimo insulto da parte di qualcuno, Ambra tentennò di nuovo. «Non… potremmo ricominciare?» si azzardò a chiedere poi.
   Kentin inarcò un sopracciglio. «Per quale motivo?»
   «Vorrei… solo dare un colpo di spugna al passato.»
   Gli sfuggì dalle labbra un verso sdegnato e divertito a un tempo. «Troppo facile.» Lei lo fissò con aria stupita e Kentin si sentì autorizzato a continuare. «Per te è facile parlare. Credi davvero che certe cose si possano dimenticare?» Ambra fece per ribattere, ma lui l’anticipò. «Hai una vaga idea di quanto faccia male sentirsi una nullità, soprattutto quando sai perfettamente di non riuscire ad esprimere al meglio ciò che sei e ciò che hai dentro?» fu lo sfogo animato che seguì un attimo dopo. «Per anni è stato così, per me, ma finché avevo al mio fianco anche solo una persona amica, potevo fingere di non pensarci, che tutto andasse bene.» Immaginai che quella persona fossi io, forse la sola che sin dalle medie si era curata di essergli amica e di prestargli le dovute attenzioni. Ascoltando ora quelle parole, non mi meravigliò più il fatto che Kentin si fosse invaghito di me sin da allora: ero stata l’unica a dargli l’affetto che sperava di trovare al di fuori della ristretta cerchia familiare. «Poi sei arrivata tu», stava proseguendo, fissando Ambra dritta negli occhi in un modo che non seppi ben definire, «e hai messo sottosopra il mio mondo con la tua arroganza e la tua prepotenza. Da un lato forse dovrei ringraziarti per avermi costretto a reagire, ma non credere che possa comunque dimenticare così in fretta tutto ciò che ho subito a causa tua.»
   Cadde il silenzio e, mentre Ambra rimaneva ammutolita e con gli occhi lucidi per via di quelle parole tutt’altro che amichevoli, Kentin smise di preoccuparsi di lei e tornò a dirigersi verso l’aula. Troppo nervoso per quanto appena accaduto, ci passò accanto senza neanche notarci proprio mentre l’altra scappava in direzione dei bagni.
   Quanto a me e Castiel, invece, rimanemmo fermi e zitti per una manciata di attimi. Poi lo sentii borbottare: «Che stregoneria è mai questa?»
   Nonostante l’intontimento, mi venne spontaneo rispondere: «Non rubare le battute ad Armin.»
   Mi ignorò. «Quei due hanno forse un conto in sospeso? Da quel che ho capito, non è la prima volta che hanno a che fare l’uno con l’altra.»
   Fui percorsa da un brivido interno, che risalì fino alla bocca dello stomaco, annodandomelo in un modo che, temetti, mi avrebbe rovinato l’intera giornata. «Che ti importa?» volli sapere, in tono infastidito.
   «Nulla», fu ciò che ribatté Castiel, incrociando le braccia al petto e dandomi l’impressione di essersi stupito lui stesso per quel genere di curiosità che non gli era propria.
   Occhieggiai nella sua direzione con aria scettica. «Se è così, allora non hai motivo di farmi domande.» Detto ciò, marciai con passo nervoso sulle orme di Kentin.
   Non avevo idea di quello che passasse per la testa di Ambra, e sapevo che in realtà avrei dovuto sentirmi sollevata dal fatto che finalmente avesse deciso di darsi una regolata e magari cercare di riparare agli errori commessi fino a circa una settimana prima. Il problema, però, era che nessuno più era disposto a darle credito. Mi domandai seriamente cosa l’avesse spinta a provare a ricominciare da zero partendo proprio da Kentin e non fui capace di darmi una risposta che non fosse maligna; avevo troppi pregiudizi sul suo conto, nessuno dei quali, purtroppo, poteva considerarsi infondato.
   Un’altra cosa che mi aveva lasciata molto perplessa era stata l’indifferenza mostrata nei confronti di Castiel: possibile che non le importasse più di lui, così dall’oggi al domani? Mi domandai se non fosse accaduto qualcosa durante il fine settimana e mi ripromisi di indagare per mezzo di Armin, che era stato costretto a passare del tempo con lei per via della ricerca di Scienze. Speravo, o forse mi illudevo, di riuscire a scoprire qualcosa di più.
   Fui obbligata a mettere da parte ogni riflessione al riguardo quando mi accomodai accanto a Rosalya, in attesa dell’arrivo della professoressa. La mia compagna di banco parve non fare troppo caso al buongiorno stentato che le rivolsi: da quello che potevamo notare, tutti erano tesi per il risultato della ricerca. La Delanay arrivò in perfetto orario, anticipando persino di pochi attimi il suono della campanella che annunciava l’inizio delle lezioni.
   Nonostante la sua severa e autoritaria presenza, capace di renderci inquieti anche senza apparente motivo, la mia attenzione si focalizzò dapprima sulle figure di Kentin e Castiel che, l’uno accanto all’altro, non si disturbarono neanche a scambiarsi uno sguardo; poi, su quella di Ambra, che se ne stava seduta, rigida e immobile, sul bordo del proprio sgabello, le mani in grembo strette a pugno e gli occhi fissi sulla professoressa.
   Quest’ultima snocciolò i nostri nomi uno alla volta, in un appello che mi riportò alla mente la lista di una serie di condannati a morte, e infine cominciò a chiamarci a coppie per verificare che tutti avessimo svolto il nostro dovere. Fu con una certa soddisfazione che constatammo che i gruppi di studio in cui ci eravamo divisi avevano dato i loro frutti: nessuna insufficienza. Ciò che mi stupì in positivo fu che, al termine della loro esposizione, la Delanay non lesinò un voto più che onorevole alla ricerca di Castiel e Kentin; i quali, finalmente, si scambiarono un vago sorriso e si batterono persino il pugno con fare complice. Mi sentii inaspettatamente orgogliosa per quella visione e fu allora che mi resi conto che sfacchinare tanto, nel fine settimana, era servito sul serio a qualcosa.
   Non soltanto a noi, comunque, perché di lì ad alcuni minuti scoprii addirittura che anche Armin e Ambra riuscirono a strappare più della sufficienza con il loro lavoro, stupendo non poco parecchi di noi. Dunque lei si era messa seriamente d'impegno? Aveva davvero deciso di cambiare, di mostrare quanto valeva, senza ostentare una superiorità che non possedeva affatto? In verità mi ero sempre detta che, se solo non fosse stata così maledettamente spocchiosa e non si fosse ostinata a comportarsi in maniera platealmente odiosa, Ambra avrebbe potuto attirare lo stesso numero di sguardi che si era guadagnata in tutto quel tempo; con la differenza, però, che sarebbero stati sguardi pieni di ammirazione, amicizia e, magari, persino d’amore.
   Facendola breve, per la prima volta dal suo arrivo, alla fine della lezione salutammo la Delanay col sorriso stampato in volto. Dopo di che, ormai fuori dal laboratorio di Scienze, tirammo tutti un più che comprensibile sospiro di sollievo e ci lasciammo andare ad allegre esclamazioni di compiacimento, congratulandoci gli uni con gli altri per i risultati ottenuti.
   «Non avrei mai pensato di poterlo dire», cominciò Armin più tardi, quando ci accomodammo insieme in mensa, «ma, quando vuole, Ambra sa essere simpatica.»
   Quell’affermazione, buttata lì con nonchalance, fu capace di: far cadere la forchetta di mano a Kentin, far rovesciare l’acqua ad Alexy, farmi mancare clamorosamente la sedia su cui mi stavo accomodando, finendo col fondoschiena a terra e attirando su di me una marea di sguardi per via del frastuono prodotto. Mi tirarono su in due e il terzo si assicurò che questa volta mi sedessi senza creare ulteriore imbarazzo per nessuno. Quindi, quando riuscimmo a tornare ad una parziale calma, i nostri occhi si puntarono insistentemente su Armin che, stringendosi nelle spalle, spiegò: «Durante il fine settimana è stata tranquilla e ha studiato seriamente, lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche battuta divertente, per spezzare la monotonia della ricerca e cercare di far respirare l’intero gruppo, visto che Nathaniel e Charlotte sembrano essere degli instancabili studiofili
   Alexy scostò subito la sedia per farsi più lontano da lui. «Ti disconosco come fratello.»
   «L’hai detto pure ieri, quando ti ho raccontato cos’è successo a casa di Nathaniel», ribatté l’altro, infastidito. «In realtà il vostro intento è farmi credere che vi siete divertiti più di noi!»
   «Beh, io ho visto le tette di Aishilinn.»
   «Alexy, ti ammazzo!» esclamammo in coro io e Kentin, mentre Armin sgranava gli occhi azzurri e spalancava la bocca in segno di sbigottimento.
   Suo fratello rise. «Si è trattato di un incidente», gli spiegò allora, tanto per preservare la nostra reputazione. «Però non capisco come tu possa trovare Ambra... simpatica. Questo, se permetti, è molto più assurdo di me che guardo una donna nuda.»
   «Non ero completamente nuda...» borbottai infastidita e imbarazzata a un tempo, senza che però quei due mi degnassero di attenzione. Il solo Kentin mi lanciò lo stesso sguardo strano di quella sera e questo mi fece arrossire più di prima.
   «Beh, ti assicuro che, quando non si dà le arie che si dà di solito, la sua compagnia risulta persino piacevole», ribadì Armin, con un’espressione perplessa, quasi come stentasse a crederci lui stesso. «Non so se fosse dovuto all’influenza di Nathaniel o... che so, semplicemente alla sua presenza. Però siamo stati bene, ecco.»
   «Non voglio ritrovarmela come cognata!» protestò Alexy, che evidentemente era già giunto a conclusioni tutte proprie, che ebbero il potere di far scoppiare a ridere me e Kentin e di indignare non poco il suo gemello.
   «Non ho alcuna intenzione di mettermi a farle la corte!»
   «Lo spero! Se tu lo facessi, sì che ti disconoscerei come fratello!»
   Quel battibecco continuò a fare da sottofondo alle nostre chiacchiere per quasi tutta la durata del pranzo, alternandosi sporadicamente ad altre battute di vario genere e al racconto dei boxer vagabondi di Castiel. Alla fine Rosalya non era stata in grado di torcere di bocca una sola parola a Capucine, ma tutti eravamo comunque convinti che fosse stata lei l’artefice di quello stupido scherzo infantile.
   Finito il pranzo, mentre uscivamo dalla sala mensa, Kentin mi prese gentilmente per un polso, inducendomi a voltarmi nella sua direzione e a rallentare il passo. «Che c’è?» domandai, notando la sua espressione quasi intimidita.
   «Posso... parlarti un momento?»
   Acconsentii senza farmelo ripetere e, dando appuntamento ai nostri amici a più tardi, mi condusse verso le scale, continuando a tenermi per il polso come se volesse assicurarsi che lo seguissi. Per tutto il tragitto mi domandai cosa volesse dirmi, e per un tremendo attimo temetti si trattasse di Ambra: anche lui aveva intenzione di rivalutarla come aveva iniziato a fare Armin? Il solo pensiero mi contorse le budella. Ci fermammo solo quando fummo in cima all’ultima rampa, proprio davanti alla porta che sapevamo portare al terrazzo dell’edificio scolastico, inaccessibile a noi studenti. Fu allora che la mano di Kentin scivolò dal mio polso fino alle mie dita, che lui strinse con calore.
   «Tutto bene?» chiesi con una certa insicurezza. Dovevo davvero aspettarmi il peggio?
   Gli occhi verdi di lui si soffermarono sui miei, dissolvendo in un istante ogni mia inquietudine. «Volevo chiederti scusa per stamattina», mi sorprese poi. E davanti alla mia aria confusa, aggiunse: «Prima dell’ora di Scienze, ti sono passato accanto senza neanche salutarti. Scusami.»
   Quasi mi venne da ridere. «Sul serio mi hai portato fin qui per questa sciocchezza?» gli domandai con fare retorico, non riuscendo a nascondere il sollievo. Gli carezzai il dorso della mano con il polpastrello del pollice. «Eri nervoso, è comprensibile.»
   Schiuse la bocca per dire qualcosa, ma alla fine ci ripensò e, vincendo ogni remora, seguì l’istinto che lo indusse a chinarsi su di me e a baciarmi. Fu un gesto tenero e spontaneo, al quale non mi sottrassi neanche quando avvertii l’altro suo braccio circondarmi la vita per stringermi con fare protettivo. Non durò che una manciata di secondi e non fu altro che un semplice contatto di labbra umidicce, ma fu anche la cosa più bella che mi fosse mai capitata fino a quel momento.
   Quando allentò la presa, lasciandomi parzialmente andare, ci guardammo intontiti per qualche istante. Poi, continuando a fissarmi negli occhi, la fronte contro la mia, spiegò: «Stamattina mi sono reso conto una volta di più di quanto tu sia importante per me, di quanto tu lo sia stata anche in passato. Non mi hai mai lasciato solo e...»
   Il cigolio della porta del terrazzo troncò a metà il suo discorso, costringendoci ad allontanarci di scatto l’uno dall’altra e a voltarci giusto in tempo per vedere comparire sulla soglia la sagoma di qualcuno che si stagliava contro la luce proveniente dall’esterno. L’odore intenso e fastidioso del fumo ci penetrò nelle narici e fu allora che compresi di chi doveva trattarsi: avendone rubate le chiavi tempo addietro, Castiel era il solo a poter accedere indisturbato al terrazzo della scuola.
   «Interrompo qualcosa?» domandò, fra il serio ed il faceto. Nessuno di noi due lo degnò di una risposta, tanto che lui corrucciò lievemente la fronte prima di afferrare la situazione. «Cazzo…» Alzò subito una mano in segno di scuse. «Mi tolgo dai piedi», disse soltanto, richiudendo la porta alle proprie spalle e facendo per muoversi verso le scale.
   In quel mentre, tuttavia, la campanella suonò per la ripresa delle lezioni. Castiel s’affrettò ulteriormente ai piani inferiori, mentre io e Kentin fingemmo di non averla udita. Sbirciai nella sua direzione e lui stirò le labbra in un’espressione tesa, indeciso forse se correre il rischio di arrivare in ritardo all’ora di Matematica o se rimandare a dopo il discorso che aveva iniziato poco prima. Decisi di venirgli incontro, anche e soprattutto perché non era una cosa da risolvere in breve. Inoltre, l’atmosfera che si era venuta a creare ormai era già stata ampiamente rovinata.
   «Ne riparliamo mentre torniamo a casa?» gli proposi, avvertendo una strana, inaspettata serenità nel tono della mia stessa voce. Erano gli effetti del suo bacio? Effetto placebo istantaneo. Una meraviglia. Dovevo tenerlo a mente per il futuro.
   Lo vidi passarsi pigramente una mano sul volto e infine sbuffò con un mezzo sorriso isterico. «Ma sì... Tanto, ormai...»
   Mi concessi un risolino divertito e fui io, stavolta, ad aggrapparmi a lui per condurlo giù per le scale. Non facemmo che pochi passi, però, che Kentin mi tirò indietro per baciarmi di nuovo. Al diavolo la lezione, pensai, sciogliendomi come burro sotto al suo tocco. E, dopotutto, che diamine avremmo dovuto dirci, ancora? Bastava quello per chiarire ogni cosa lasciata in sospeso fra noi.
   Arrivammo in aula con circa cinque minuti di ritardo, scusandoci con l’insegnante che, sospirando con pazienza, decise di chiudere un occhio. Quando mi sedetti di nuovo accanto a Rosalya, mi resi conto di essere accaldata e che il cuore mi batteva a mille, che le gambe mi tremavano e che qualcosa di meravigliosamente piacevole si agitava in me. Non credevo granché alla faccenda delle farfalle nello stomaco – anche perché la trovavo alquanto disgustosa, come immagine – ma avevo come l’impressione che gli occhi mi brillassero per la gioia. Di più, mi riscoprii incapace di stare ferma e di seguire la lezione come avrei dovuto perché avvertivo ancora la bruciante sensazione delle labbra di Kentin sulle mie; forse, non aspettandomelo, non ero stata in grado di godermi appieno il nostro primo bacio, ma il secondo aveva superato ogni mia più rosea immaginazione, facendomi perdere ogni contatto con la realtà. Mi domandai se lui se ne fosse accorto e realizzai che non me ne importava nulla, anzi; a ben guardare, speravo che lo avesse fatto, che si fosse reso conto dell’effetto che aveva su di me.
   L’unica ragione che ci aveva costretti a scollarci l’uno dall’altra, in realtà, non era stata la lezione, quanto l’assenza che avremmo dovuto giustificare poi a Nathaniel, il quale, in qualità di delegato degli studenti, avrebbe ovviamente preteso di sapere che fine avessimo fatto e perché mai, pur trovandoci a scuola, non ci fossimo fatti vivi durante l’ora di Matematica. Visti i precedenti, oltretutto, temevo che il suo interrogatorio non sarebbe stato senza un ulteriore secondo fine... Mi azzardai a sbirciare nella sua direzione e lo vidi fare la stessa cosa con me, benché in viso avesse un’espressione mortalmente seria. Distolsi lo sguardo, sentendomi vagamente in colpa, benché sapessi che fosse stupido. Non era la prima volta, quella, che io e Kentin finivamo per fare tardi ad una lezione – era già successo con la Delanay non molto tempo prima, ma per colpa di uno stupido scherzo di Ambra – perciò mi venne spontaneo chiedermi se Nathaniel non avesse iniziato a sospettare qualcosa. Alla mente mi tornò il modo in cui mi aveva guardata pochi giorni prima, quando sua sorella aveva provato ad approcciarsi a Kentin davanti a tutta la classe per farmi dispetto, e mi convinsi di sì: come tutti gli altri, anche Nathaniel doveva aver intuito che il mio interesse amoroso si era irrimediabilmente allontanato da lui qualche tempo dopo che il mio migliore amico – ragazzo? – era inaspettatamente tornato al liceo. Non poteva farmene di certo una colpa, poiché aveva sempre saputo che ero legata a Kentin da un affetto molto profondo, che col passare del tempo mi aveva spiazzata, fino a trasformarsi in qualcos’altro, ugualmente forte, ma comunque diverso.
   La campanella suonò di nuovo, riportandomi infine al presente. Abbassai lo sguardo sul mio quaderno e mi accorsi che non avevo scritto una sola parola o un solo numero. Mi volsi in direzione di Rosalya e domandai: «Mi presteresti i tuoi appunti? Te li riporterò domani.»
   Lei mi sorrise con aria sorniona. «La tua distrazione ha a che fare con il ritardo con cui tu e Kentin vi siete presentati a lezione?» Arrossii, ma non risposi, incapace come sempre di mentire a dovere. Rosalya sghignazzò e mi passò il proprio quaderno. «Lo sai che ti costringerò a farmi un resoconto dettagliato?»
   «Lo sai che non ti racconterò un bel niente?» ribattei stizzita, scippandole gli appunti di mano prima che potesse riprenderseli per ripicca, magari usandoli come forma di ricatto.
   «Lo sai che hai appena confermato i miei sospetti?» ritorse lei, con fare canzonatorio, facendomi sentire ancora più stupida. Imprecai fra i denti e lei rise. «Sei così tenera che a volte mi verrebbe voglia di mangiarti. Credo che lo pensi anche Kentin.»
   Infilai ogni cosa nella borsa dei libri e, ignorandola, mi diressi verso la porta dell’aula. Fui intercettata da Nathaniel, purtroppo, che subito mi domandò: «Ci sono problemi? È raro vederti fare tardi a lezione.» Non ci parlavamo da alcuni giorni, da prima ancora che sua sorella facesse quella magra figura davanti a tutta la classe con l’unico scopo di farmi dispetto – che aveva invece fatto a se stessa. Mi chiesi se Nathaniel avesse chiarito le cose con lei, in proposito, e se Ambra avesse avuto il coraggio di parlargli di quella che, in qualche modo, poteva definirsi una sorta di infatuazione che lei, sotto sotto, aveva per Kentin.
   «Oh, non preoccuparti», cominciai, cauta. «Va tutto bene.»
   «Sicura?»
   «Kentin aveva bisogno di parlarmi. Tutto qui.» Non era propriamente una bugia, dal momento che la cosa era partita in questo modo.
   Nathaniel parve rabbuiarsi. «Capisco», commentò, laconico.
   «Piuttosto, i nostri gruppi di studio hanno dato i loro frutti», ripresi, cercando di distrarlo. «È stata una soddisfazione non da poco.»
   Mi rivolse un sorriso a mezza bocca, mentre insieme iniziavamo infine a dirigerci verso l’aula della lezione successiva. «Armin mi ha detto che vi siete riuniti tutti a casa di Castiel.» Non fu abbastanza bravo da contenere la lieve irritazione che incrinava il tono della sua voce. Ecco un altro a cui avrei dovuto imprimere a fuoco sulla fronte la mia totale indifferenza nei riguardi del nostro compagno di classe dai capelli rossi. O forse a dargli fastidio era il pensiero che avessi passato la notte sotto lo stesso tetto di Kentin?
   «Spero che la cosa non sia arrivata a tua sorella…» fu l’unica preoccupazione che mi permisi di esprimere ad alta voce.
   «Tranquilla, non le abbiamo detto nulla», mi garantì Nathaniel, lo sguardo fisso davanti a sé. Era infastidito e non riusciva a nasconderlo, pertanto, se lo conoscevo bene, la cosa doveva renderlo ancora più contrariato.
   «Non è di voi che non mi fido…» mormorai, mentre il mio pensiero andava a Capucine e alla sua lingua lunga e tagliente. Che il malumore di Nathaniel fosse dovuto anche ai suoi pettegolezzi?
   «Se anche fosse», continuò lui quasi all’improvviso, «pensi davvero che Ambra possa ritorcersi ancora contro di te? So bene che ne ha fatte tante, di sciocchezze, in passato; ma credo che ormai abbia imparato la lezione.»
   Avrei voluto concedergli il beneficio del dubbio, eppure non mi riusciva di non sospettare ancora una volta delle azioni di sua sorella. «Stamattina ha fermato Kentin per il corridoio per chiedergli scusa per tutto ciò che gli ha fatto subito dopo il nostro arrivo qui al liceo», sparai d’un fiato, sperando che, parlandone con lui, forse mi sarebbe stato più semplice comprendere la situazione. Ambra si stava davvero ravvedendo, come sembravano testimoniare le lacrime che erano salite a bagnarle le ciglia dopo la rispostaccia che le aveva dato Kentin, oppure era l’ennesimo raggiro finalizzato a chissà quale machiavellica vendetta ai miei danni?
   A riprova del fatto che non ne sapesse nulla, Nathaniel corrucciò le sopracciglia bionde con aria confusa e rallentò il passo, inducendomi a fare lo stesso. «Davvero? Non mi risulta che fosse accaduto niente, all’epoca…»
   Strinsi le labbra con stizza. «Io invece ricordo perfettamente di averti detto che tua sorella lo vessava con insulti, prepotenze e umiliazioni», rimbeccai, in preda all’ira. Perché doveva diventare così orbo, quando si trattava di lei?! «Gli ha anche rubato i soldi in più di un’occasione.»
   Nathaniel si fermò in mezzo al corridoio, fissandomi stranito e rimanendo in silenzio per qualche istante. «Non che non voglia crederti», iniziò poi, «ma… continuo a chiedermi perché lui non abbia mai detto nulla al riguardo.»
   «Te lo dissi già all’epoca», insistetti io, visto che lui sembrava avere la memoria corta. «Kentin non è tipo da lamentarsi dei propri problemi. Tutt’altro.»
   Forse per reazione alla mia irritazione o forse innervosito dal modo in cui difendevo a spada tratta quello che sapeva essere il mio migliore amico, per di più a discapito della già discutibile reputazione di sua sorella, il tono della voce di Nathaniel s’indurì nuovamente. «In tal caso, avrebbe dovuto tirare fuori un po’ di spina dorsale.»
   «Non è il solo che avrebbe dovuto farlo», mi scappò detto, prima che potessi rendermi conto della gravità della mia affermazione. Rimase comprensibilmente spiazzato e anch’io mi ridussi al silenzio, conscia di aver esagerato. Tuttavia, che diritto aveva di sputare sentenze su Kentin, quando lui per primo non era stato in grado di fronteggiare da solo le proprie debolezze e di chiarire il burrascoso rapporto che aveva con suo padre? Kentin lo aveva fatto per colpa di Ambra; Nathaniel lo aveva fatto per via della mia chiamata ai servizi sociali – suggeritami peraltro proprio da Kentin.
   Troppi pensieri iniziarono ad affastellarsi nella mia mente, troppe sorprese per quella mattina: dovevo darci un taglio o sarei ammattita. Di più, non avevo alcuna intenzione di litigare con Nathaniel. Per cosa, poi? Una vaga, malcelata scenata di gelosia che non aveva neanche ragione di esistere? Non gli dovevo alcuna spiegazione.
   Sospirai, cercando di recuperare parzialmente la calma. «Scusa», balbettai, in parte mortificata per aver stuzzicato una vecchia ferita. «Avevi bisogno di dirmi qualcos’altro?» Lui non parlò, ma riprese a camminare, chiudendosi in se stesso. Lo seguii, pentita solo a metà di avergli risposto male. «Nath?» lo chiamai, tirandogli la manica all’altezza del gomito.
   Sospirando anche lui, quasi con uno sbuffo, mi lanciò uno sguardo non proprio allegro. «In realtà volevo solo chiederti se più tardi ti andava di venire in libreria con me.»
   «Oh…» farfugliai, lasciandolo andare e sentendomi sempre più in balia degli eventi. «Ho già preso un impegno, mi spiace.» Non potevo dar buca a Kentin, non quel giorno. Avevamo bisogno di chiarire anche noi qualcosa, ed era altrettanto delicato, seppur assai diverso.
   Nathaniel tornò a fissare gli occhi avanti a sé, mentre varcava l’ingresso dell’aula. «Non fatico a immaginare con chi…» borbottò a mezza voce.
   Ero sinceramente dispiaciuta per la piega che aveva preso la nostra conversazione. Gli volevo bene e non sopportavo l’idea che ce l’avesse con me. «Potremmo andarci domani, se ti va.»
   Mi lanciò un nuovo sguardo e, dopo un attimo, accennò finalmente un sorriso che poteva dirsi tale, sia pure un po’ sbiadito dal recente malumore. «D’accordo.»
   Conscia di essermi appena data la zappa sui piedi, mi diressi al mio posto e mi guardai attorno alla ricerca di Kentin. Lo vidi intento a scherzare con Armin, mentre fra le mani reggeva una confezione di biscotti al cioccolato. Mi venne spontaneo inarcare le labbra verso l’alto, benché fossi consapevole che di lì a poco si sarebbe arrabbiato con me.












Aggiorno oggi perché nel fine settimana non ne avrò assolutamente il tempo e non mi andava di aspettare fino a lunedì.
Come avevo già anticipato, le cose tornano a farsi serie. Metto le mani avanti riguardo alla relazione appena nata fra Kentin e la Dolcetta perché mi servano che stiano insieme. Abbiate pazienza, capirete tutto a suo tempo. :3
Quanto al resto, scrivendo questo capitolo (circa un mese fa, ormai) mi si sono aperte altre parentesi, quali Nathaniel con i suoi vari rapporti interpersonali (ha seri problemi anche lui, tocca dirlo) e... beh, la tempra forte di Armin: sopportare Ambra come compagna di banco e di studio non dev'essere facile.
Nel corso dei prossimi capitoli ho intenzione di approfondire parecchi aspetti anche sugli altri personaggi, ma penso che sì, venti capitoli dovrebbero bastarmi (le ultime parole famose).
Il prossimo capitolo, insieme al primo che avete già letto e al dodicesimo che leggerete fra un paio di settimane, è senza dubbio uno dei miei preferiti. Almeno fra quelli scritti fino ad ora. Ed è anche forse la chiave di volta dell'intera storia. ♥
E mi fermo qui, se no faccio tardi al lavoro, lol. :'D
Ringrazio come sempre tutti i lettori e i recensori, ai quali, giurin giurella, risponderò domani pomeriggio (o alla peggio domenica pomeriggio).
Augurandovi un buon weekend, vi do appuntamento al più presto! ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***





RIVALI - CAPITOLO UNDICESIMO




«Hai davvero chiesto un appuntamento a Nathaniel?!»
   Il tono usato da Kentin era comprensibilmente irritato. Per non parlare del modo in cui ora mi stava fissando, quasi volesse trapassarmi da parte a parte con l’involucro cilindrico nuovo di zecca dei suoi adorati Prince De LU, che stringeva nel pugno.
   «Non è un appuntamento», ribadii infastidita. «Perché devi sempre pensare male?»
   La linea della sua bocca si piegò in una smorfia quasi beffarda. «Forse perché ti ha messo gli occhi addosso», mi fece notare, come se non lo avessi già capito da sola.
   «Anche Alexy ti ha messo gli occhi addosso, eppure continui ad uscirci insieme», gli rinfacciai, pur con voce calma. Anzi, a dirla tutta, era rassegnata. Anche se ci eravamo dichiarati i nostri reciproci sentimenti a suon di baci soltanto quel giorno, ero ormai avvezza da un po’ alle scenate di gelosia di Kentin. Non era facile averci a che fare, quando si sentiva messo da parte per colpa di un altro ragazzo, forse perché, per quanto ora apparisse deciso e sicuro di sé, su alcune questioni aveva ancora bisogno di quelle certezze necessarie a calmare i suoi bollenti spiriti.
   Batté le palpebre con aria confusa, ma poi si riebbe. «Non c’entra nulla», ribatté più infervorato di prima. «Ti pare che Alexy possa davvero interessarmi?!» volle sapere, sentendosi ferito nell’orgoglio.
   «E a me non interessa Nathaniel», gli garantii, sperando di farlo ragionare una buona volta. «Ciò però non mi impedisce di essere sua amica, giusto?» Resosi conto di non potermi dare torto, abbassò lo sguardo con espressione infantile. Non seppi se intenerirmi o, piuttosto, dargli una scrollata. «Nel primo pomeriggio abbiamo avuto una discussione, per questo vorrei provare a ristabilire una certa armonia fra noi, capisci?» provai a farlo ragionare ulteriormente.
   Mi scoccò un’occhiata accigliata, segno che non l’avrei spuntata con facilità. «Pure io ho litigato con Ambra, stamattina, ma non le ho chiesto di uscire con me.»
   Touché, dovetti riconoscere. «Però fra voi non c’è mai stata amicizia», insistetti io, scacciando dalla mente l’unico ricordo di loro in cui sembravano andare d’amore e d’accordo – nonché l’unico capace di contorcermi le budella.
   Proseguimmo in direzione del parco in silenzio per diversi istanti; poi, con voce più pacata, Kentin disse: «Se dovesse provarci, rimettilo al suo posto.»
   Mi venne spontaneo ridere e lui mi fissò di nuovo con espressione contrariata. «Non lo ha mai fatto in tutto questo tempo, perché dovrebbe farlo proprio adesso?» gli domandai con fare retorico, serrando la presa che avevo sulla sua mano libera. «Tanto più che credo abbia ormai capito come stanno le cose.»
   «Glielo hai detto apertamente?»
   «Beh, no», ammisi, «ma a sentire gli altri, sembriamo un libro aperto, per cui…»
   «…per cui lo sospetta e basta», precisò Kentin, impensierito. «E quale modo migliore, per averne la certezza, se non provarci spudoratamente?»
   Fui sul punto di dirgli che Nathaniel non era un tipo sfacciato quanto potevano esserlo lui o Castiel – diamine, davvero iniziavo a trovare tutte queste somiglianze fra quei due?! – però poi mi ricordai del modo in cui mi aveva risposto una volta, cioè con un sorriso sornione e una battuta dai molteplici significati che mi aveva raggelata sul posto.
   Cominciai a temere di aver commesso un errore, ma poiché non volevo darla vinta ai cattivi pensieri, provai ad essere positiva. «Se dovesse farlo, allora seguirò il tuo consiglio», stabilii con cipiglio risoluto.
   «Un calcio ben piazzato dovrebbe bastare», mi appoggiò Kentin, sciogliendo l’intreccio delle nostre dita soltanto per passarmi il braccio attorno alle spalle e attirarmi a sé per stamparmi un bacio sul viso. «Facciamo la pace?» mi propose, raddolcendosi di colpo.
   «Perché, abbiamo litigato?» mi sentii legittimata a chiedergli, tornando a ridere.
   «Non ti ho ancora ringraziato per il regalo», disse lui, senza rispondere a quella domanda inutile.
   Cascai dalle nuvole. «Quale regalo?» Mi mise sotto al naso il pacco di biscotti e, ormai giunti a una panchina, ci sedemmo lì. «Credevo te li fossi portati da casa», confessai, troppo onesta per potermi prendere un merito che non avevo.
   Kentin fissò l’involucro con aria perplessa. «Beh, no… Li ho trovati nel ripiano di sotto del banco e credevo fossero da parte tua…»
   «Qualcuno comunque deve averceli messi», riflettei a mezza voce. «Qualcuno che conosce i tuoi gusti. Tipo Alexy.»
   «Impossibile», mi smentì subito lui. «Di solito se vuole dirmi qualcosa lo fa in modo diretto, anche a costo di sentirsi dare una rispostaccia.»
   E questo era vero. Alexy non aveva mai avuto peli sulla lingua né aveva mai fatto mistero delle sue preferenze sessuali o della sua spudorata preferenza per il nostro comune migliore amico. «Allora chi pensi che sia stato?»
   Si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea», ammise. «Forse ho un’ammiratrice segreta», scherzò poi, lanciandomi uno sguardo dispettoso.
   Socchiusi le palpebre in due fessure minacciose. «Se le cose stanno davvero così, giuro ch…» Non mi lasciò finire di sentenziare la mia condanna, poiché mozzò le mie parole con un bacio. Da gran paraculo.
   Troppe emozioni, quel giorno. Davvero troppe. Così tante che non riuscii a dormire granché, quella notte, non fosse altro perché per la prima volta in vita mia avevo raggiunto due traguardi non da poco: baciare un ragazzo e mettermici insieme. Ciliegina sulla torta, quel ragazzo era proprio lo stesso di cui ero innamorata ormai da tempo. Con la testa piena di ricordi e dolcissime sensazioni, mi rotolai scioccamente nel letto fino a notte tarda, gli occhi spalancati e un sorriso idiota stampato in volto che con tutta probabilità avrebbe fatto cambiare idea a Kentin circa il nostro nuovo status di fidanzatini, come ci avrebbe definiti mia madre se solo avesse saputo ciò che era successo quel giorno. In realtà sospettavo che lei ci reputasse tali già da un po’, ma si guardava bene dal dirlo forse per non stuzzicare troppo i nervi di papà.
   Il giorno dopo, sebbene Kentin fosse venuto a prendermi sotto casa per darmi il buongiorno con un bacio – iniziavamo seriamente a prenderci gusto, bisogna confessarlo –, per una sorta di scaramanzia personale, a scuola fummo costretti a far finta che non fosse cambiato nulla, fra noi, e… ad essere onesta, risultò meno difficile di quanto avessi inizialmente supposto. Il punto era che, a conti fatti, già da parecchio avevamo iniziato a comportarci quasi come una coppia, per cui non risentii affatto di quella costrizione a tacere l’evoluzione del nostro rapporto.
   Accadde però un altro fatto inspiegabile: anche quel giorno Kentin trovò una confezione di Prince De LU sotto al suo banco. Troppo curioso per tralasciare la provenienza di quella manna caduta dal cielo, prese a domandare ai nostri compagni se qualcuno ne sapesse niente, ma non ricavò altro che sguardi sorpresi e alzate di spalle. Oh, e una risatina divertita da parte di quei disgraziati dei nostri amici più stretti – Armin, Alexy e Rosalya – che ovviamente pensarono subito che fosse opera mia, magari un primitivo, malcelato tentativo di seduzione degno di una mocciosa dell’asilo.
   Non riuscii a persuaderli di essere innocente neanche giurando e stragiurando, perciò fu con i nervi a fior di pelle che mi incontrai con Nathaniel alla fine delle lezioni. C’è da specificare che non ero infastidita solo per via del comportamento infantile di quei tre, ma anche per ben altre due ragioni: la prima era che temevo sul serio che qualcuna avesse iniziato a fare il filo a Kentin; la seconda era che, dopo il nostro battibecco del giorno addietro, mi sentivo più rigida del solito accanto al povero Nathaniel – soprattutto per colpa delle insinuazioni e delle fisime di Kentin.
   Ciò nonostante, non appena mettemmo piede in libreria mi rilassai così tanto che mi dimenticai ogni preoccupazione. Succedeva spesso che, pur andandoci insieme, davanti a tutti quegli scaffali stipati di libri, io e Nathaniel finissimo per prendere strade differenti, quasi come se non ci conoscessimo affatto. Solo di tanto in tanto uno di noi saettava nella direzione dell’altro per mostrargli una scoperta potenzialmente interessante, per chiedere consiglio o, più semplicemente, per curiosare su un eventuale acquisto. Erano, questi, i momenti in cui io e Nathaniel ci mostravamo più affiatati, ed erano anche quelli in cui prendevo coscienza di quanto mi facesse piacere la sua compagnia.
   Anche quel pomeriggio la nostra gita in libreria, pur mostrandosi non troppo fruttuosa, ci mise di buon umore; al punto che il nostro battibecco del giorno addietro sembrò ormai dimenticato. Quando uscimmo dal negozio, mi arrivò un sms: era di Kentin e portava un orario anteriore a quello in cui lo avevo ricevuto. Con tutta probabilità, all’interno della libreria non c’era campo per il cellulare, ma non era neanche da escludere che fosse colpa delle nuvole che si erano ammassate in cielo già da prima della fine delle lezioni. Una volta aperto il messaggio non seppi se scoppiare a ridere o meno, poiché recitava: Ricorda, un calcio di punta proprio lì dove fa più male.
   Non gli risposi, sarebbe stato maleducato nei confronti del mio povero amico. Rimisi il telefonino in tasca e, lanciando uno sguardo al cielo cupo, mi domandai se non fosse il caso di tornare subito a casa. Nathaniel non fu della stessa opinione. «Ti va se andiamo a bere qualcosa in quel bar laggiù?» mi propose con uno dei suoi soliti sorrisi cordiali. «Ti offro quello che vuoi.»
   Non fui capace di dirgli di no. La cosa peggiore era che, pur non facendo nulla di male, mi sentivo come in colpa nei confronti di Kentin. Ma, dannazione, anche con lui ero andata a bere qualcosa fuori quando eravamo ancora soltanto amici, giusto? Quindi andava bene così. Mi imposi di pensare a Nathaniel come ad una ragazza, così magari mi sarebbe stato più facile rilassarmi. Beh, non proprio, dato che, non appena dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia, lui si premurò di passarmi un braccio attorno alle spalle per incitarmi a camminare più in fretta verso il bar dentro cui trovammo riparo. Quel tocco risultò più pesante di quanto mi fossi aspettata. Non in senso letterale, bensì in senso figurato: non riuscii a non avvertire, in quel gesto, un segnale. I contatti fisici fra uomo e donna, per quanto sciocchi possano sembrare in apparenza, alle volte nascondono molto più di quanto si possa immaginare. Nel tempo avevo imparato la lezione con lo stesso Kentin, verso il quale mi ero sentita – e ovviamente mi sentivo ancora – attratta come una calamita e sul quale anelavo mettere sempre più spesso le mani. Era un pensiero di cui spesso mi vergognavo, ma che potevo farci?
   Nathaniel ebbe il buon cuore di lasciar ricadere il braccio lungo il fianco non appena fummo entrati nel locale, lasciandomi finalmente libera di tirare il fiato e di sentirmi meno in trappola. Mentre ci accomodavamo ad un tavolo, sperai con tutta me stessa che fosse finita lì, altrimenti avrei dovuto essere chiara con lui una volta per tutte, benché mi sarebbe dispiaciuto non poco dover pronunciare parole che probabilmente lo avrebbero ferito. Che altro potevo fare? Purtroppo alle volte non c’è un modo per rendere meno dolorose certe notizie.
   «Non ti ho più chiesto com’è andato il vostro weekend di studio», buttai lì, cercando un argomento che mi aiutasse a distrarmi da quei pensieri.
   «Piuttosto bene, direi», mi sentii rispondere con voce pacata. «Gli altri sono venuti da me sia sabato pomeriggio che domenica.»
   «Vi siete divertiti?»
   Fu una domanda piuttosto sciocca, dal momento che nel loro gruppo era presente il Trio delle Celebrità – formato da Ambra, Li e Charlotte – e che nessuno degli altri, a parte forse Nathaniel, lo sopportava granché. Mi sorrise a mezza bocca, evitando il mio sguardo. «Diciamo che come inizio non è stato male», disse, mettendo mano al menù lasciato in un angolo del tavolo per scegliere cosa ordinare. «Perlomeno non ci sono stati dissapori e questo credo che sia già qualcosa, soprattutto se consideri che solitamente Ambra va d’accordo solo con le sue amiche.»
   «Armin mi ha assicurato di essersi trovato bene», gli feci sapere, nel tentativo di tranquillizzarlo. I suoi occhi ambrati si sollevarono per incrociare i miei ed io gli rivolsi un’espressione incoraggiante. «Non si è lamentato di niente, ieri a mensa, a parte del troppo studio.»
   Lo vidi ridere. «Non ha fatto mistero di questa sua insofferenza neanche durante i nostri incontri», confessò, passandosi una mano sulla nuca. «È un tipo divertente.»
   «Molto», confermai, dal momento che era uno dei nostri compagni a cui ero maggiormente legata. «In più, tieniti forte, ha ammesso di aver trovato tua sorella simpatica, durante i suoi momenti migliori.»
   Il sorriso di Nathaniel si congelò all’istante sulle sue labbra e lui tornò a fissarmi, questa volta con aria seriamente stupita. «Sul serio?»
   «Così ha detto lui, e di certo non avrebbe avuto ragione di mentire, no?» gli feci notare, intenzionata a spronarlo nell’instaurare almeno un vago rapporto di amicizia con qualcuno. Che io sapessi, quel ragazzo aveva soltanto due amiche: Melody e me. Una volta era uscito con Kentin e i gemelli, per andare con loro al negozio di animali, ma poi nessuno aveva più parlato di altri incontri simili. Avevo la netta sensazione che, nonostante il suo carattere cordiale, gentile ed educato, Nathaniel facesse fatica nell’approfondire le relazioni con il prossimo. Non sarebbe stato bello, invece, se avesse iniziato a fare amicizia almeno con gli altri ragazzi della classe? A parte Castiel, si intende. Dopotutto, sapevo che lui e Lysandre andavano piuttosto d’accordo e, quando non c’ero io di mezzo, anche con Kentin pareva piuttosto in sintonia.
   Quando il cameriere venne a prendere le nostre ordinazioni, Nathaniel occhieggiò nella mia direzione con fare incerto. Poi, dopo l’ennesima esitazione, parlò. «Ieri non ti ho chiesto cos’ha risposto Kentin ad Ambra…»
   Corrucciai lievemente la fronte, ma poi ricordai a cosa si riferiva: gli avevo raccontato che sua sorella si era scusata con Kentin per tutto quello che gli aveva fatto prima della sua partenza per la scuola militare, e siccome da lì era nata quella discussione che ci aveva messi entrambi di malumore, non avevamo approfondito ulteriormente la faccenda.
   Mi riavviai una ciocca di capelli dietro l’orecchio con fare nervoso, non sapendo bene da dove cominciare né che parole usare. «Sai, come ti dicevo, Kentin non è uno che si lamenta molto, però… di certo è uno che non dimentica facilmente», fui costretta a fargli sapere, in tutta onestà.
   Nathaniel recepì il messaggio e annuì più volte, lo sguardo di nuovo altrove. «Posso chiederti perché, venerdì, quei due hanno discusso?» domandò poco dopo, continuando a prestare attenzione ai movimenti delle altre persone piuttosto che a me. «Ambra non ha voluto dirmelo.»
   Non mi stupì, quella notizia. Sarebbe stato piuttosto umiliante, per lei, dover raccontare a suo fratello di aver baciato un ragazzo di cui neanche sapeva – o meglio, credeva di non sapere – il nome, di essere poi stata respinta da lui in modo assai brusco, di avergli in seguito chiesto di mettersi con lei e di essere stata nuovamente respinta con una risata tutt’altro che delicata ed un paio di insulti per nulla gratuiti infilati qua e là ad infarcire il discorso. Di più, avrebbe dovuto confessare anche di aver agito per ripicca, venerdì, solo perché mi aveva vista scherzare con Castiel.
   «Sinceramente», cominciai, cercando di essere il più diplomatica possibile, «non sono mai riuscita a capire cosa passa per la testa di tua sorella. A parte che è convinta che io voglia portarle via il ragazzo di cui è innamorata.»
   Nathaniel mosse di scatto il capo, tornando finalmente a guardarmi con due occhi straniti. «Castiel?» volle sapere, come se non fosse già abbastanza ovvio.
   «Folle, vero?» fu la spiccia risposta che gli diedi, scrollando le spalle. «Peggio ancora è che sa perfettamente che non mi interessa. Eppure insiste nel volermi fare inutili dispetti non appena crede che io mi prenda troppa confidenza con lui.»
   «E dunque s’è avvicinata a Kentin per farti un torto», concluse Nathaniel per me. Mi morsi la lingua e, con tutta probabilità, impallidii per l’essere stata colta di sorpresa dall’acume di quel dannato amante di romanzi gialli, noir o che so io.
   «Dovresti fare il detective», borbottai risentita, mentre ormai, superato il momento, avvertivo il sangue affluire al volto. Adesso ero io che non riuscivo più a guardarlo negli occhi e mi sentivo più in trappola di prima: si trattava di ammettere anche con lui i miei sentimenti verso qualcun altro. «E comunque», cercai di riprendermi, schiarendomi la gola nel tentativo di darmi un tono e fingendo indifferenza riguardo alla sua deduzione più che corretta, «credo che ad Ambra lui piaccia, nonostante Castiel.»
   D’un tratto, come se qualcuno mi avesse appena dato uno schiaffo improvviso, mi tornò alla mente la questione dei biscotti, quelli che Kentin aveva trovato per due giorni di fila nel ripiano inferiore del suo banco. Che Ambra avesse un’infatuazione per lui era ormai chiaro, ma – cercai di ragionare, mentre avvertivo il cuore battere come una furia in petto – era poco probabile che fosse lei l’autrice di quei regali, anche perché Kentin l’aveva mandata al diavolo giusto la mattina in cui era comparso il primo pacco di Prince De LU. Un tipo vendicativo come lei, mi dissi, difficilmente avrebbe lasciato correre e si sarebbe addirittura messa a fargli regali. Anche se…
   Anche se pure dopo la faccenda della lettera, anziché ribattere ai suoi insulti, Ambra se n’è andata via con la coda fra le gambe, rossa per l’imbarazzo…
   Decisi che, semmai avessi scoperto che quei biscotti erano davvero un suo regalo, avrei ficcato due dita in gola a Kentin per farglieli rigurgitare tutti. E, nella mia folle gelosia del momento, poco importava che probabilmente li avesse già digeriti e assimilati: glieli avrei fatti vomitare dal primo all’ultimo, a costo di infilargli l’intero braccio giù per l’esofago.
   «Ehi?» La voce di Nathaniel mi riportò bruscamente con i piedi per terra ed io lo guardai con fare instupidito. Una mano si mosse davanti a me, mettendomi sotto al naso una tazza vuota ed una teiera dal cui beccuccio usciva il vapore del tè al caramello che avevo ordinato. «La cosa ti turba a tal punto?» mi sentii chiedere, mentre il cameriere si allontanava in direzione di un altro tavolo.
   Il modo in cui ora mi stava fissando Nathaniel era compassato e deciso. Aveva davvero capito ogni cosa, dunque. Me ne vergognai, non solo perché era riuscito a vedere chiaramente i miei sentimenti, ma anche perché non ero stata in grado di evitargli quella, per lui sgradevole, consapevolezza.
   «È che non capisco come si possa affermare di amare qualcuno e poi lasciarsi distrarre da un altro», fu la sincera risposta che diedi. In fin dei conti, per me quel comportamento rimaneva ancora un mistero. Forse ero solo ingenua a non tener conto di cose parecchio destabilizzanti come l’attrazione fisica, che non sempre si accompagna all’amore; per me andavano di pari passo, quindi non potevo minimamente concepire di poter anche solo pensare di baciare un ragazzo che non amavo o verso il quale non provavo almeno un affetto profondo.
   «Posso farti una domanda personale?» Scattai sull’attenti, irrigidendomi fino alle dita dei piedi. «Non… sei obbligata a rispondere…» balbettò Nathaniel, accortosi della mia reazione istintiva. «È solo che, dal tuo discorso, mi viene da chiedermi se hai mai avuto un ragazzo.»
   Era solo questo, quello che voleva sapere? Sentendomi vagamente sollevata, mi umettai le labbra con la punta della lingua. Poi mi ricordai di un particolare non del tutto trascurabile: adesso un ragazzo ce lo avevo davvero. Chiusi la bocca che avevo aperto e Nathaniel batté le palpebre con aria confusa. «Più o meno…» mi obbligai a dire poi, inducendolo ad inarcare un sopracciglio con fare sempre più perplesso. «Cioè… sì», mi affrettai a correggermi, benché la mia esperienza in tal senso fosse ancora ridicola, visto che stavo con Kentin da poco più di ventiquattr’ore. E siccome non sapevo come diavolo districarmi da quella risposta zoppicante, ritorsi: «Perché me lo chiedi?»
   Dando l’impressione che si stesse rilassando, la fronte di Nathaniel tornò a stendersi, mentre lui iniziava a girare il cucchiaino nel caffè – azione inutile, dal momento che dentro non ci aveva messo lo zucchero. «Se tu non fossi mai stata con nessuno, sarebbe stato più comprensibile il tuo punto di vista», mi fece sapere con voce calma. «Quando non si ha alcuna esperienza in amore, si tende ad idealizzarlo e perciò difficilmente si riescono a comprendere certi meccanismi inconsci, come appunto l’innamoramento o la semplice infatuazione.» Rise goffamente di se stesso. «Non che io possa certo definirmi un esperto, in materia…» aggiunse con fare nervoso, afferrando la tazzina e buttando giù un generoso sorso di caffè che gli scottò la lingua e lo costrinse a portarsi di corsa il tovagliolo davanti alla bocca.
   Gli allungai uno dei bicchieri d’acqua che il cameriere ci aveva portato insieme alle ordinazioni, mi ringraziò con voce soffocata e bevve. «C’è un’altra cosa che non capisco», mi venne spontaneo dire, prendendo per buona la sua spiegazione e versandomi il tè nella tazza. «Perché tua sorella deve mirare solo a ragazzi che non hanno una grande considerazione di lei?»
   Nathaniel parve rimanere senza parole. Prese fiato come se volesse rispondermi, però poi lo ributtò fuori con uno sbuffo divertito. «Non ne ho idea», si arrese a dire, scrollando le spalle con aria impotente. «Non è semplice averci a che fare…»
   «Me ne sono accorta», gli rammentai, con un sorriso non troppo allegro sulle labbra.
   «Le dirò della simpatia di Armin, così magari cambierà obiettivo», propose lui, facendomi ridere davvero, stavolta.
   «Penso che poi dovrai scavarti la fossa da solo», gli assicurai, dal momento che in ogni caso Armin era ben lungi dal provare qualsivoglia attrazione nei confronti di Ambra.
   Da lì in poi, iniziammo a scherzare come ai vecchi tempi, dimenticandoci del precario equilibrio in cui si trovava la nostra amicizia a causa dei sentimenti non corrisposti di Nathaniel. E, dopotutto, cosa potevamo farci? Lui stesso era rimasto in ottimi rapporti con Melody, pur avendola già rifiutata, in passato; dunque sarebbe stato assai incoerente, da parte sua, tenermi il muso troppo a lungo.
   Tutto sommato, insomma, fu un pomeriggio piacevole, e quando ne feci il resoconto a Kentin, quella sera al telefono, si mostrò soddisfatto e ammirato: poiché non si era azzardato a provarci sul serio e per di più aveva compreso la situazione senza che io gliela spiegassi, si poteva concludere che Nathaniel era davvero un bravo ragazzo. Per questa ragione Kentin mi diede il suo permesso di continuare a frequentarlo e ciò gli costò una pernacchia da parte mia che lo fece ridere fin quasi alle lacrime – anche perché subito dopo gli raccontai dell’idea di Nathaniel, quella di far accoppiare sua sorella con Armin.
   Quest’ultimo, tuttavia, si sarebbe dimostrato tutt’altro che d’accordo.
   «Io ti ammazzo!» fu così che, difatti, mi assalì dopo le lezioni del dì successivo, arpionandomi per le spalle proprio come aveva fatto alcuni giorni prima, nel bel mezzo del corridoio. Anche adesso eravamo lì, ma verso la zona degli armadietti, dove c’erano ancora altri studenti, oltre me.
   «L’ho già visto, questo film…» ponderò Lysandre a mezza voce, forse non riuscendo a ricordarsi esattamente dove.
   Io invece lo rammentavo perfettamente, per cui la cosa mi turbò alquanto: cosa poteva esserci di peggio che passare tutto il pomeriggio insieme ad Ambra e a due dei peggiori secchioni della scuola?
   «Che c’è, ora?!» mi sentii perciò legittimata a chiedere, mentre Kentin già si stava mobilitando in mio soccorso.
   «Nathaniel mi ha detto del vostro malefico piano per incastrarmi con Ambra!» Cominciai a ridere e lo stesso fece il mio ragazzo, mentre Lysandre inarcava le sopracciglia con aria a dir poco stupefatta. «Non c’è nulla di divertente!» gracchiò il povero Armin fulminandoci tutti con due occhi a dir poco furibondi.
   «Stava scherzando!» esclamai, cercando di trattenere inutilmente l’ilarità.
   «Nathaniel che scherza?!» fu lo scetticismo con cui ribatté il mio amico.
   «Sembra impossibile, lo so, ma a volte lo fa anche lui», gli assicurai, aprendogli un mondo nuovo che lo indusse ad allentare la presa su di me e a lasciarmi andare grazie anche all’intercessione di Kentin, che pure quel giorno si era ritrovato con un pacco di biscotti omaggio fra la sua roba. Stavano cominciando a snervarmi, quelle miracolose apparizioni, lo confesso.
   «A proposito di Ambra», cominciò Lysandre con fare pensieroso. «Sono già tre giorni che la vedo aggirarsi furtiva fra i banchi. Ho pensato che volesse giocare qualche brutto tiro a qualcuno, ma siccome non mi è arrivata alcuna voce al riguardo, non so davvero cosa pensare…»
   Ci fu un breve attimo di silenzio, durante il quale non ci misi molto a fare due più due. Quindi, ormai preda della gelosia, subito vidi rosso. «È una donna morta!» sbottai in un ringhio talmente cavernoso che feci sussultare gli altri tre. Prima ancora che uno di loro potesse anche solo pensare di impedirmelo, partii spedita verso il vicino bagno delle ragazze, dentro il quale avevo visto sparire proprio Ambra appena pochi minuti prima. La trovai davanti ad uno dei lavandini, intenta a specchiarsi e a rifarsi il trucco. Si voltò a guardarmi solo perché attirata dal rumore della porta che si apriva, ma poi tornò a concentrarsi sulla propria immagine riflessa. «Si può sapere che ti sei messa in testa?!»
   «Di che parli?» mi domandò con fare distratto, come se preferisse ignorarmi piuttosto che affrontarmi direttamente.
   «Non prendermi per un’idiota.»
   «Mi adeguo soltanto a ciò che sei», rispose, atteggiando le labbra ben curate in un sorriso vezzoso. Sembrava proprio che non si stancasse mai di assumere quel genere di atteggiamento nei miei confronti, ma stavolta non avrei piegato la testa e mi sarei fatta valere, combattendo con le unghie e con i denti.
   Finsi perciò di non averla udita e mi piazzai davanti al lavandino vicino, pronta a prenderla a sberle. «Spiegami perché, tutt’a un tratto, ti sei messa a gironzolare insistentemente intorno a Kentin. Che significano quegli stupidi regali?!»
   Anziché mostrarsi indignata per quell’accusa che avrebbe davvero potuto risultare infondata, Ambra parve quasi divertita, confermando così i miei sospetti. «Hai forse paura che possa finalmente aprire gli occhi e rendersi conto che l’amore della sua vita, come ti chiamava tempo fa, non vale nulla, in confronto ad una donna vera?» volle sapere, impettendosi quel tanto che le permettesse di umiliarmi per via dell’abissale differenza fra la circonferenza dei suoi seni e quella dei miei.
   Non mi sarei certo lasciata demolire da una sciocchezza del genere. «Abbassa la cresta, ragazzina», cominciai a dire fra i denti. «Kentin non è così superficiale da badare a certe cose.»
   A quel punto, fu lei ad infervorarsi, come se avessi toccato un tasto particolarmente doloroso. «Credi che non lo abbia capito?!» esclamò, voltandosi infine nella mia direzione, l’eyeliner stretto nel pugno quasi come fosse un’arma affilata e pronta a colpire.
   Ci fissammo negli occhi per diversi istanti; poi mi parve di scorgere qualcosa in fondo al suo sguardo, lucido per dei sentimenti che non riuscivo a decifrare fino in fondo. «Mi stai dicendo che sei tornata alla carica con lui per questo motivo e non per ripicca nei miei confronti?» Non sarebbe stato strano, a conti fatti. Kentin era forse il ragazzo più dolce che io avessi mai conosciuto, e Ambra doveva aver notato questo lato del suo carattere; così come doveva aver notato anche la tenerezza e la premura che aveva sempre avuto per me, proprio come mi aveva rinfacciato poc’anzi, citando delle parole che lui stesso le aveva detto poco dopo il nostro arrivo in quella scuola. Sperava che, mostrandosi docile e altrettanto generosa, Kentin avrebbe dimenticato tutti i torti subiti in passato? Illusa. Avrebbe anche potuto essere il ragazzo più adorabile del mondo, ma ciò non toglieva che sapesse essere tremendamente ostinato e vendicativo.
    Ambra non si degnò di rispondermi e tornò a specchiarsi e a truccarsi, benché mi paresse che le sue dita si muovessero quasi a vuoto. Cercai di calmarmi, nella speranza di far chiarezza sulla questione una volta per tutte. «Non eri innamorata di Castiel?» le domandai a bruciapelo.
   Serrò le labbra e le mani le tremarono. «Mi sono resa conto che non è il ragazzo adatto a me», confessò dopo un po’, con voce quasi sommessa, come se cercasse a stento di contenere delle emozioni troppo forti.
   Sorrisi di sdegno. «Oh, credimi, lo è», la smentii subito. «Sarebbe l’unico capace di raddrizzarti a suon di ceffoni.» Sapevo che era una bugia, perché probabilmente anche Kentin si sarebbe comportato allo stesso modo, con una come lei.
   Spazientita, Ambra tornò a trafiggermi con i suoi bellissimi occhi, lucenti e truccati solo per metà. «Parla chiaro: si può sapere cosa vuoi da me?!»
   L’accontentai. «Non azzardarti a dar fastidio a Kentin o, giuro su Dio, te la faccio pagare.»
   Quella minaccia, pronunciata con una voce estranea persino alle mie stesse orecchie, rimbombò nel silenzio del bagno per alcuni istanti. Poi, quella che ormai era davvero da considerarsi la mia rivale mi domandò in tono provocatorio: «Sei innamorata di lui?»
   «Sì», affermai, senza esitare.
   Non aspettandosi una risposta tanto onesta e diretta, Ambra rimase spiazzata. Tacque di nuovo e il suo sguardo si fece quasi spaurito. «State… insieme?»
   «Non ti riguarda», ribattei decisa. «Ma sta’ lontana da lui.» Fu la mia ultima parola. Dopo di che, girai sui tacchi ed uscii dal bagno con lo stesso passo fermo e risoluto con cui ero entrata.
   Subito fuori da lì trovai non solo i ragazzi che avevo lasciato pochi minuti prima, ma anche Castiel, intento a parlare con Lysandre. Mi chiesi se non avessero udito ciò che ci eravamo dette, ma non mi importò poi più di tanto. Quando mi videro e si accorsero del mio umore nero, si azzittirono tutti e quattro e seguirono con lo sguardo le mie azioni, mentre tornavo al mio armadietto per sistemare le ultime cose lasciate a metà e chiuderlo a chiave.
   Fu Armin il primo ad azzardarsi ad aprire bocca, portandosi una mano a schermarsi la vista e fissando un punto lontano. «Sorge un sole rosso. Stanotte è stato versato del sangue», recitò con voce impostata, facendo aggrottare le sopracciglia di Kentin.
   «Nessun orco è stato ammazzato, Legolas», gli assicurai, pur con voce nervosa.
   «Neanche una goccia di sangue?»
   «Neanche una», confermai, sentendo lentamente i muscoli del corpo rilassarsi grazie anche all’idiozia del mio amico. Lanciai uno sguardo a Kentin, che mi fissava con aria preoccupata, ma non feci in tempo a rassicurarlo che Castiel ci distrasse.
   «L’hai strangolata direttamente a mani nude?» s’informò con un sorrisetto divertito sulle labbra.
   Sapeva di cosa stavamo parlando? Se sì, avrei divorato le viscere di chiunque lo avesse messo al corrente della situazione; se no, avrei divorato le sue, per aver osato intromettersi in una questione che non lo riguardava affatto. Anzi, a ben pensarci, lo riguardava eccome: se solo fosse stato più carino con quella carogna di Ambra, non mi sarei ritrovata a doverla minacciare per l’essersi messa in testa di portarmi via il ragazzo.
   Strinsi le labbra con irritazione, pronta a ribattere, ma lui mi anticipò di nuovo. «Fidati, niente è meglio di un cazzotto ben piazzato», cominciò a dire, serrando il pugno e portandoselo sotto la mascella per farmi vedere il punto in cui avrei dovuto colpire la mia rivale. «Con forza, però, altrimenti non serve a nulla», aggiunse poi, portando di scatto il braccio all’indietro con l’intenzione di mimare il colpo.
   Non poté farlo, tuttavia, perché quel movimento brusco andò inaspettatamente a segno e il suo gomito batté contro qualcosa. No, contro qualcuno. Ambra, per la precisione, appena uscita anche lei dal bagno.
   Lanciò un urlo proprio quando Castiel, spaventato da ciò che aveva inavvertitamente combinato, si voltava nella sua direzione per scorgere, come noi, soltanto una massa di boccoli biondi sparpagliarsi a mezz’aria prima di ricadere attorno all’ovale del viso della proprietaria, che andò a cozzare contro lo stipite della porta e rimase in piedi per puro miracolo. Con una mano sul viso e l’altra stretta attorno all’appoggio più vicino, Ambra rimase zitta e immobile, proprio come noialtri, incapaci di credere a quanto era appena accaduto.
   Una, due, tre gocce scarlatte andarono a macchiare il pavimento. Il sangue fu versato davvero, quel pomeriggio, ma non per opera mia.












Anzitutto vi porgo le mie più sentite scuse per il ritardo con cui aggiorno, ma anche e soprattutto per non aver risposto alle ultime recensioni che avete avuto la gentilezza di lasciarmi. Non si tratta, da parte mia, di disinteresse o altro, quanto soprattutto di semplice mancanza di tempo: mi hanno aumentato il carico lavorativo, per cui, appunto, mi manca il tempo materiale per fare determinate cose (senza contare che la stanchezza mi annebbia il cervello e pertanto ogni cosa mi sembra faticosa il doppio).
Come già detto precedentemente, la storia è pronta fino al capitolo tredicesimo (compreso), il che significa che quello che leggerete fino a quel punto è stato scritto prima dell'uscita dell'episodio 27. Ergo, non ero al corrente delle eventuali relazioni precedenti della Dolcetta, né di quanto sapesse essere meschina; di questo ho già ampiamente parlato sul forum di Dolce Flirt, esprimendo tutta la mia delusione riguardo a questo episodio: non per la nuova arrivata (anzi, poveretta, mi pare un tipo a posto), ma proprio per via della Dolcetta che mi ha seriamente disgustata, facendomi perdere parecchio interesse verso il gioco e, di conseguenza verso tutto ciò che lo riguarda, compresa l'ispirazione per le fanfiction su questo fandom.
Ho comunque deciso di proseguire per la mia strada, reputando una fortuna l'aver stabilito a priori di tenere in conto solo gli eventi di cui si parla fino all'episodio 26 (escludendo il personaggio di Priya) e di ignorare tutto il resto. Solo, visto quanto ho storto il naso per quanto accaduto successivamente (basti dire che per giocare l'intero episodio ci ho messo una settimana... e non per mancanza di PA, quanto per noia, delusione e rabbia), vi chiedo di avere pazienza per i prossimi aggiornamenti, anche e soprattutto a seguito degli impegni lavorativi e personali. Quanto alle recensioni, invece, provvederò senza dubbio fra oggi e domani a rispondere a quelle arretrate.
Scusandomi ancora una volta con tutti voi, vi auguro una buona giornata.
Shainareth
P.S. Va da sé che è proprio per via della mancanza di tempo che al momento non sono riuscita a leggere e recensire le vostre storie: farò anche quello non appena mi sarà possibile, lasciando un commento per ogni capitolo in arretrato (ci tengo a farlo).





Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***





RIVALI - CAPITOLO DODICESIMO




Ambra scostò la mano dal viso, che rimase in ombra a causa dei capelli che le ricadevano scompostamente attorno al capo. Alla vista delle dita macchiate di sangue, trattenne il fiato. Fu Castiel il primo a muoversi, avventandosi su di lei per agguantarla per le braccia. Ambra si dimenò, cercando di sottrarsi alla sua presa, ma lui le bloccò il polso e le sollevò il capo di prepotenza, rivelando a tutti noi l’amara verità: dall’arcata sopraccigliare destra di lei, grondava un abbondante rivolo di sangue, che le accecava l’occhio e ricadeva sulla guancia come le lacrime di una bambola gotica, i cui riccioli d’oro erano bagnati di macabre stille color rubino.
   «Merda!» sibilò Castiel fra i denti. Sordo alle sue proteste, l’afferrò per le spalle, premette la propria mano sulla ferita, cercando di tamponarne il flusso, e iniziò a trascinarla via con sé. Dovendosi arrendere alla sua forza, Ambra smise di opporre resistenza e, piccola e fragile fra le sue braccia, si aggrappò al suo giubbino di pelle senza più emettere fiato.
   Lysandre fu subito dietro di loro, sfilandosi dal collo l’ampia cravatta e passandola a Castiel per aiutarlo a fermare momentaneamente l’emorragia. Quanto a noialtri, rimanemmo impietriti ai nostri posti. Infine, mentre fissavo le macchie di sangue rimaste in terra senza vederle realmente, scattai in una corsa verso la sala delegati.
   Entrai senza bussare, quasi di prepotenza, tanto che sia Melody che Nathaniel, chini sulle loro pratiche quotidiane, sobbalzarono per lo spavento. «Aishilinn, che diav…»
   Non lo lasciai finire di parlare. «Ambra è ferita», dissi soltanto, la voce strozzata.
   Nathaniel mi guardò inebetito per qualche attimo; quindi saltò in piedi, rovesciando la sedia alle proprie spalle e si precipitò fuori dalla stanza, dimenticandosi di tutto il resto. Lo seguii a passo di carica, spiegandogli a grandi linee ciò che era accaduto. «Quel bastardo!» fu la prima cosa che commentò con un ruggito.
   «È stato un incidente!» ripetei con enfasi, dal momento che non sembrava avermi udita la prima volta. «Ci sono altri testimoni», gli garantii, affinché non si mettesse in testa che volessi prendere le difese di Castiel pur di andare contro sua sorella.
   «Dove sono, ora?»
   «Castiel la stava portando in infermeria, credo.» Perlomeno, quella era la direzione in cui era scomparso insieme ad Ambra e Lysandre.
   Arrivammo a destinazione in un minuto o due, suppongo, ma a me sembrò che fosse passato molto più tempo. Davanti alla porta dell’infermeria c’erano Kentin, Armin e Lysandre, che sollevarono lo sguardo al nostro arrivo, ma non furono capaci di dirci molto. «Castiel è dentro con lei», fu tutto ciò che riuscimmo a sapere.
   Senza aspettare un secondo di più, Nathaniel aprì con decisione la porta, fermandosi sull’uscio alla vista dell’infermiera intenta a medicare il volto di sua sorella. Quanto a Castiel, se ne stava ritto e immobile in un angolo, gli occhi fissi su Ambra e la cravatta di Lysandre inzuppata di sangue in una mano. Non si accorse dell’arrivo di Nathaniel se non quando l’infermiera glielo fece notare. «Sei suo fratello, vero?»
   «Nath!» esclamò Ambra con voce tremolante, allungando un braccio nella sua direzione.
   Lui le andò vicino e le prese la mano fra le proprie, stringendogliela con forza. «Come sta?» volle sapere dall’infermiera, pur continuando a fissare sua sorella.
   «È meno grave di quanto sembri, non occorreranno neanche punti di sutura», li tranquillizzò la donna, continuando nel proprio operato. «Tutt’al più, potrebbe rimanerle una piccola cicatrice sul sopracciglio. Nulla di serio, in ogni caso.»
   «Meglio così», commentò Nathaniel in tono laconico, passando le dita fra i capelli di Ambra per scostarglieli ulteriormente dal viso. La tenerezza con cui la fissava, mi spiazzò il cuore, facendomi rendere conto una volta di più di quanto dovesse amarla.
   «Mi hanno detto che si è trattato di un incidente», disse ancora l’infermiera, lanciando uno sguardo a Castiel che s’irrigidì all’istante, senza però osare aprir bocca.
   «L’ho saputo», annuì Nathaniel, ostinandosi tuttavia a non volgere la propria attenzione in direzione del nostro compagno, reo di aver colpito accidentalmente Ambra. Ormai lo conoscevo abbastanza da intuire che, dal modo in cui aveva indurito i tratti del viso e le spalle, doveva essere a dir poco furioso. «Posso rimanere con lei?»
   «Certo», rispose l’altra. «Purché non ci sia troppa folla, intorno.»
   Il messaggio era chiaro. Castiel finalmente si mosse e, continuando a rimanere in silenzio, uscì dall’infermeria, richiudendo la porta alle proprie spalle. Nessuno fiatò. Poi, lui stesso sollevò la cravatta di Lysandre, mostrandola a quest’ultimo. «Te ne comprerò una nuova», gli fece sapere, atono.
   «Non occorre, è una sciocchezza», gli assicurò l’altro.
   «Te la comprerò comunque», insistette Castiel, accigliandosi, gli occhi grigi fissi sul sangue che macchiava la stoffa chiara. Strinse le labbra e contrasse le mascelle. «‘Fanculo», sibilò fra sé, serrando la presa attorno alla cravatta. L’appallottolò fra le mani e andò a gettarla con rabbia nel primo cestino dei rifiuti che trovò nelle vicinanze. Ormai a diversi passi di distanza da noi, l’osservammo rimanere fermo lì dov’era, cercando di capire cosa gli passasse per la testa. Infine, con uno scatto nervoso, iniziò a prendere a calci la pattumiera di metallo, ammaccandola da un lato. Lysandre lo raggiunse all’istante e provò a fermarlo, ma Castiel si divincolò in malo modo e si avviò da solo lungo il corridoio, sparendo in breve dalla nostra vista.
   Non potevo certo capire cosa provasse, però potevo almeno immaginarlo: per quanto Ambra fosse insopportabile, nessuno le avrebbe mai augurato di farsi male sul serio. Peggio ancora, Castiel doveva sentirsi profondamente in colpa per quanto aveva combinato, sia pure senza averne la minima intenzione. Per quanto si atteggiasse a grand’uomo, attirandosi involontariamente la nomea di bulletto della scuola, sapevo bene che quella testa calda non avrebbe mai davvero fatto male ad anima viva senza una valida ragione; figurarsi colpire impunemente una ragazza, anche se fastidiosa quanto solo Ambra sapeva esserlo. Probabilmente, se l’avesse soltanto spinta senza alcuna conseguenza, lui stesso si sarebbe fatto una sana risata; ma la vista del sangue doveva averlo spaventato non poco.
   Quanto a noialtri, comprendendo il suo bisogno di rimanere da solo, aspettammo fuori dall’infermeria fino a che la porta non venne riaperta ed apparvero i gemelli, ancora intenti a ringraziare per la medicazione appena portata a termine con successo. Ambra portava sul sopracciglio un vistoso cerotto, coperto in parte dalla frangia bionda, e quando ci vide sussultò, arrestando il passo. Infine, arrossendo considerevolmente, distolse lo sguardo e s’affrettò lungo il corridoio.
   Al contrario, Nathaniel si prese il disturbo di fermarsi a scambiare due parole con noi, rassicurandoci che andava tutto bene e che l’avrebbe accompagnata a casa lui stesso. Prima di seguirla, si soffermò a guardarmi e mi sorrise a mezza bocca. «Grazie per essere corsa a chiamarmi.»
   «Era il minimo», balbettai, stupita per quelle parole, visto che ero – e sono tuttora – fermamente convinta che fosse una cosa ovvia, avvisarlo della faccenda. Fece per avviarsi dietro sua sorella, ma lo richiamai indietro. «Sul serio, Castiel non lo ha fatto di proposito», ribadii ancora una volta, ond’evitare che l’attrito fra loro potesse acuirsi ancora.
   Lui non rispose, perciò anche gli altri si sentirono in diritto di difendere il nostro compagno. «Ambra è spuntata fuori all’improvviso, alle sue spalle, e lui non ha fatto in tempo a vederla», disse Armin, inducendolo ad annuire come se avesse immagazzinato quell’informazione, benché gliel’avessi già data precedentemente io. Forse adesso, a sangue freddo e una volta resosi conto che si trattava di una sciocchezza, Nathaniel riusciva a ragionare meglio.
   «E, se può consolarti», intervenne Lysandre, «credo che al momento Castiel si stia già colpevolizzando a sufficienza.»
   L’altro assottigliò la linea della bocca in un’espressione grave, lo sguardo fisso davanti a sé. Non disse nulla, però, e, alzando una mano in segno di saluto, raggiunse sua sorella, che nel frattempo si era fermata diversi metri più avanti, in attesa che lui finisse di parlare con noi.
   «Castiel è uno che affronta le situazioni di petto», pronunciò Lysandre, senza scomporsi troppo. Ci lanciò uno sguardo quasi ammiccante, come se volesse tranquillizzarci per ciò che sarebbe successo di lì a poco. «Dubito che sia tornato a casa senza aspettare di vedere con i propri occhi che Ambra sta bene.»
   Furono parole profetiche, poiché, quando tutti e quattro ci incamminammo verso l’uscita della scuola, in cortile scorgemmo da lontano Castiel che, appoggiato al muro di cinta del liceo, sembrava in attesa di qualcuno. Capimmo di chi quando, poco dopo, Nathaniel e Ambra ci passarono accanto e ci superarono per tornare a casa. Immaginai che nel frattempo avessero recuperato ciò che avevano lasciato in qualche aula o semplicemente nell’armadietto; inoltre, conoscendo Nathaniel, era assai improbabile che non fosse tornato a chiarire la situazione con Melody, chiedendole magari anche il favore di occuparsi delle proprie scartoffie, per quel giorno.
   Non appena furono abbastanza vicini, Castiel si scollò dal muro e andò loro incontro. Si fermarono tutti e tre e parlarono per alcuni istanti. Da quella distanza era impossibile udire ciò che si dicevano, e noi rallentammo di proposito il passo per non disturbarli; almeno fino a che non si avviarono insieme verso l’uscita e, varcato il cancello d’ingresso, presero direzioni differenti.
   «È incredibile», rifletté Armin a mezza voce, riprendendo a camminare normalmente per seguire il loro esempio e tornarsene finalmente a casa. «Credevo che Nathaniel lo avrebbe preso a pugni.»
   «A me sembra più incredibile che Ambra abbia tenuto la testa bassa per tutto il tempo», osservò invece Lysandre, affiancandosi a noi ancora una volta. «Onestamente non la facevo tipo da arrabbiarsi con Castiel per un incidente. Capisco lo spavento, ma…»
   Alla mente mi tornarono le parole che Ambra stessa mi aveva detto prima che accadesse tutto quel putiferio: aveva deciso di rinunciare a Castiel perché non era il ragazzo adatto a lei. Mi venne quasi da sorridere con sdegno: se si era innamora di lui perché le aveva aggiustato una bambola a cui teneva tanto, come avrebbe potuto rimanere impassibile ora che l’aveva stretta a sé e l’aveva soccorsa, infischiandosene di macchiarsi le mani e persino parte degli abiti con il suo sangue? Da qualunque parte lo si guardasse, Castiel non era affatto il cuore di pietra che poteva apparire a causa del suo atteggiamento scostante e menefreghista.
   Passarono i giorni, ma nessuno in classe, a parte Alexy, fu messo a conoscenza della verità che si celava dietro alla ferita di Ambra. Lei stessa, a quanto pareva, aveva raccontato alle sue amiche che si era fatta male da sola, scivolando e battendo la testa chissà dove. Neanche da parte della preside o dei docenti arrivò alcun provvedimento, a testimonianza che l’infermiera non aveva segnalato loro la faccenda – e, se lo aveva fatto, doveva aver dato la nostra versione dei fatti, ritenendo inutile indagare al riguardo, dal momento che la stessa Ambra aveva assicurato l’innocenza di Castiel.
   Quanto a Nathaniel, invece, non accennò mai una volta all’accaduto né si mostrò particolarmente socievole, in quei giorni. Amava sua sorella al punto da tenere il muso a tutti noi per aver preso le difese di chi l’aveva colpita senza alcuna cattiveria? Oppure era semplicemente l’intera situazione a preoccuparlo? Ambra non stava passando un bel periodo, dopotutto, e questa forse doveva essere stata la classica ciliegina sulla torta.
   Per il primo periodo Kentin non ricevette più alcun pacco di biscotti omaggio e ciò confermò una volta di più l’identità della sua ammiratrice segreta. Credemmo di poter tirare un sospiro di sollievo, se non che, dopo un po’ di tempo, i doni ricominciarono ad apparire magicamente sotto al suo banco. Ripresasi dallo spavento di quel pomeriggio, spavento che doveva averle confuso non poco le idee e i sentimenti, Ambra aveva dunque deciso di sfidarmi ancora, senza tuttavia osare farlo apertamente. La cosa, manco a dirlo, mi innervosì alquanto.
   Al punto che un giorno fui costretta a giocare sporco non appena mi se ne presentò l’occasione.
   «Di’, ce l’ha forse con me?» volle sapere Castiel, tendendomi un agguato non appena varcai il cortile della scuola, a inizio giornata.
   «Ehm… Buongiorno…» balbettai, fissandolo stranita. Qualcuno lo aveva buttato giù dal letto o era semplicemente in pensiero per qualcosa? Negli ultimi tempi, in effetti, anche lui mi era sembrato più taciturno e cupo del solito. E poiché già in situazioni normali non era facile averci a che fare, in quei giorni mi ero guardata bene dal rivolgergli la parola, se non per mera educazione e solo quando ne ero stata costretta.
   «Rispondi», tagliò corto, sorvolando i convenevoli.
   «Di chi parli?»
   «Di Ambra!» abbaiò con collera, come se avessi potuto leggergli nella mente.
   Non riuscii a trattenere una smorfia infastidita: perché dovevo sempre trovarmela tra i piedi anche quando se ne stava lontana da me? «Non che io sappia…» sbuffai, riprendendo a camminare verso l’ingresso dell’edificio scolastico centrale.
   Castiel mi fu subito appresso. «Non ti ha detto nulla?»
   Quasi mi venne da ridere. Istericamente. «Ti pare che io sia la sua confidente? Chiedilo a lei, piuttosto.» Lo sentii borbottare fra i denti. «Cosa?»
   Dapprima tacque, ma poi confessò: «È da un po’ che mi evita.»
   Di questo non me ne ero accorta, forse per il semplice fatto che ero più concentrata a guardarmi le spalle e a fare attenzione che quella maledetta non si avvicinasse troppo al mio ragazzo. «E la cosa ti turba?»
   «Sì, dannazione!» proruppe lui in un impeto di rabbia, arrestando di nuovo il passo in mezzo al cortile. «Mi sento in colpa per averle fatto male!»
   «Oh, per quello…» balbettai stupidamente, fermandomi a mia volta e scrutandolo da sotto in su con un sentimento che non sapevo ben decifrare. Dunque era questo che lo aveva reso di malumore in tutti quei giorni? Anche se la ferita di Ambra era ormai bella che guarita e lei non sfoggiava più alcun cerotto sulla fronte? Per la prima volta da che lo conoscevo, lo trovai tenero. «Non credo che c’entri», provai a tranquillizzarlo, senza nemmeno aver bisogno di mentire. «Beh, lei stessa ti ha difeso con Nathaniel, no?»
   «Anche con l’infermiera, sì, ma… allora perché ha smesso di guardarmi in faccia?» domandò ancora Castiel, non riuscendo a capacitarsi per quel comportamento fuori dalla norma.
   Mi strinsi nelle spalle, non sapendo se dirgli la verità o meno. «Non le parlo da poco prima dell’incidente, quindi non saprei…»
   «E in quell’occasione non ti ha detto nulla?»
   Esitai. «Beh…»
   «Cosa?» mi intimò lui con voce imperiosa.
   «Ha deciso di rinunciare a te.»
   «Ah», fu tutto ciò che commentò in un primo momento.
   Mi schiarii la gola, non riuscendo ad interpretare la sua reazione. «Pensa che uno come Kentin sia molto più affidabile», aggiunsi quasi con fare timido, benché sapessi che a lui non interessava affatto cosa facesse Ambra, soprattutto in ambito amoroso. Pur nascoste in parte dalla frangia rossa, vidi le sue sopracciglia scure corrucciarsi di colpo, manifestando apertamente il suo enorme disappunto. La cosa mi stizzì. «Perdonami, ma non le si può certo dare torto», non mi trattenni dal fargli sapere.
   «Preferisce davvero quel ragazzino a uno come me?» Il tono che usò mi indusse a fissarlo con stupore. «Non è possibile», concluse, intrecciando le braccia al petto e abbozzando un sorrisetto scettico.
   «Di che ti meravigli, scusa? Non l’hai forse sempre snobbata e insultata?»
   «Perché», ribatté prontamente, «il tuo amichetto cosa fa, di solito?»
   Mi parve che volesse rigirare il coltello nella piaga, perciò fui altrettanto scorretta. «A maggior ragione questo dovrebbe farti capire che, nonostante tutto, ormai sei passato in secondo piano, per lei.» Si chiuse in un silenzio teso e carico di significato, perciò ne dedussi che dovevo averlo colpito lì dove faceva più male: nell’orgoglio. «Dovresti sentirti sollevato, no?» infierii. Grugnì. Ci fu un lungo scambio di sguardi, quasi ci stessimo sfidando a continuare quella battaglia. Infine, faticai a trattenere un sorriso maligno. «Brucia molto?»
   «Vaffanculo.»
   Con questa poesia, mi lasciò lì, avviandosi con passo nervoso verso la scuola. Fu a quel punto che mi venne l’idea.
   «Castiel, aspetta!» lo chiamai, tallonandolo da vicino.
   «Che vuoi?» sbottò, ancora visibilmente stizzito per il nostro ultimo scambio di battute. Oltretutto non capitava spesso che fossi io a spuntarla, perciò doveva esserci rimasto male il doppio.
   «Ho bisogno di chiederti un favore.»
   Lo sentii ridere in modo lugubre, con un suono spettrale che gli raschiò la gola. «E per quale dannato motivo dovrei fartelo?»
   «Perché riguarda Ambra», fu l’ovvia risposta che seguì quella domanda. Rallentò di nuovo il passo, voltandosi a guardarmi perplesso in attesa che io continuassi a parlare. Perlomeno ero riuscita ad attirare la sua attenzione. «A dire il vero, questa situazione non piace neanche a me», gli feci sapere, dando prova di schierarmi dalla sua parte.
   «Per via del tuo fidanzatino?»
   Arrossii di riflesso, per tutta una serie di ragioni. Anzitutto, perché trovavo quella definizione assai infantile; poi, perché teoricamente ancora nessuno sapeva che io e Kentin avevamo deciso di fare il salto di qualità. «Non chiamarlo così…»
   «È quello che è, quindi arriva al sodo.»
   Possibile che fossimo così trasparenti? Pur seccata da questa consapevolezza, mi arresi a continuare. «A te non dà fastidio essere stato messo in secondo piano rispetto a qualcuno che non reputi alla tua altezza?»
   «Nessuno è alla mia altezza», precisò Castiel a labbra strette, come a voler puntualizzare una verità assoluta quale poteva essere quella che l’acqua è bagnata.
   «E chi vuole contraddirti?» lo assecondai, sgranando gli occhi con fare esagerato. Produsse un verso strano e stizzito, poiché sicuramente si era accorto che il mio era solo un disperato, quanto sfacciato, tentativo per arruffianarmelo. «Mi stavo chiedendo se a questo punto tu non fossi disposto a fare qualcosa per Ambra, riconquistando così tutta la sua attenzione.»
   Stavolta fu lui a fissarmi con gli occhi quasi fuori dalle orbite. «Sei pazza?!»
   «Non vuoi farti perdonare per quello che è successo?»
   «Lei stessa sa che si è trattato di un incidente!»
   «Eppure ti secca che non ti guardi più in faccia proprio perché temi che ce l’abbia con te per via di quella storia, no?»
   Castiel si fermò di nuovo, questa volta in mezzo al corridoio, e il nostro gioco di sguardi ricominciò. Quindi, dopo diversi, lunghi e snervanti istanti, proferì fra i denti: «Ti odio cordialmente.» Gli sorrisi a trentadue denti. «Ma non sperare che ti aiuti a liberarti di lei», disse poi, ricominciando a marciare verso il proprio armadietto. «Quello è un problema tuo.»
   «Se unissimo le forze, potremmo ottenere due piccioni con una fava!»
   «Scordatelo!»
   Visto il tono perentorio con cui mi negò quel piacere, dovetti rinunciare e rallentai il passo, lasciando che mi seminasse una volta per tutte.
   Il mio nervosismo perdurò e addirittura crebbe nei giorni immediatamente successivi, fino a che, dopo l’ennesimo pacco di biscotti trovato sotto al banco di Kentin, non persi del tutto la pazienza e iniziai a sbraitare e a borbottare come una scimmia idrofoba, tanto che quel povero sciagurato del mio innamorato non seppe davvero più come prendermi.
   «Più di restituirglieli tutte le volte, che cosa vuoi che faccia?» mi domandò a un certo punto, cercando di minimizzare la cosa mentre ci recavamo insieme verso la serra, dove di lì a poco avremmo iniziato le attività del club di giardinaggio.
   «Tu non glieli restituisci», precisai, perché certe cose non possono certo essere tralasciate. «Glieli lasci sul banco alla fine delle lezioni, quando lei non ti vede, e il giorno dopo la storia ricomincia. Dovresti gettarglieli appresso, farglieli ingoiare o infilarglieli su per il…»
   «Oh-oh!» mi censurò lui, ridendo. Avevo come la sensazione che lo divertisse vedermi divorata dalla gelosia e la cosa ovviamente mi infastidiva ancora di più. «Se vuoi che l’affronti di nuovo di petto, lo farò», disse poi, tornando serio. «Ma sarà un altro duro colpo per la sua autostima», aggiunse. «A me non frega nulla. Però, conoscendoti, poi comincerai a dispiacerti per lei e per il pessimo periodo che sta passando, per il fatto che ha solo bisogno di affetto e tutto il resto.» Arrossii e lui mi lanciò uno sguardo sarcastico. «Avrei dovuto scegliermi una ragazza meno complicata.»
   Non feci in tempo a sillabare il primo insulto che Kentin mi afferrò per un braccio e mi fece cenno di guardare alle mie spalle. Mi voltai, pur di malavoglia, e solo dopo, fra gli studenti intenti a lasciare la scuola perché liberi dalle attività dei loro club, scorsi tre figure non troppo distanti: Ambra, Li e Charlotte. Stavano parlando fra loro come al solito, anche se in quel momento mi sovvenne un particolare su cui non mi ero soffermata più di tanto: di recente avevo visto quelle tre passare insieme meno tempo del solito. Ora che ci riflettevo su, cercando di non farmi condizionare dai miei sentimenti di gelosia, adesso Ambra passava spesso la pausa pranzo da sola con suo fratello.
   Una volta avevo provato ad avvicinare lui nel vago tentativo di scuoterlo un po’, ma il risultato era stato pessimo. Dovendo recarmi in sala delegati per ordine della preside e avendoci trovato Nathaniel da solo, avevo colto la palla al balzo per fargli sapere: «Tua sorella è impazzita.»
   Lui non si era scomposto, rimanendo in piedi davanti ad uno degli archivi a sfogliare non so che dossier. «Dimmi qualcosa di nuovo», aveva commentato, atono.
   «Sta snobbando Castiel», avevo insistito, poiché mi era sembrato assurdo che lui mi ignorasse così tanto. Non lo aveva fatto neanche quando, dopo l’ultima volta che eravamo usciti insieme, mi aveva dato a intendere che avesse capito che il mio rapporto con Kentin aveva subito una bella evoluzione.
   Lo avevo visto inarcare le sopracciglia e sorridere a mezza bocca, gli occhi ambrati ancora intenti a scorrere le pagine del dossier. «E allora direi che piuttosto è rinsavita.»
   «Sii serio!» avevo sbuffato, pronta a battere un piede in terra con fare infantile, pur di attirare la sua attenzione.
   «Lo sono», mi aveva smentita lui, rimettendo il dossier nell’archivio.
   Avevo iniziato a perdere la pazienza e, con essa, anche la prudenza. «Si è messa a gironzolare intorno a Kentin. Non puoi dirle qualcosa?»
   A quel punto, Nathaniel aveva chiuso il cassetto con uno scatto secco e si era finalmente voltato a guardarmi con aria stizzita. «Me lo stai chiedendo davvero?» Mi ero morsa il labbro inferiore e avevo abbassato lo sguardo, sentendomi un verme per ciò che ero stata in grado di pretendere da lui. Nonostante ciò, si era dimostrato molto più maturo di me. «Non le ho mai detto nulla riguardo a Castiel, vuoi che lo faccia ora che ha deciso di mettere la testa a posto, preferendogli un bravo ragazzo?» Se avevo potuto sentirmi sollevata per qualcosa, in quel frangente, era stato soltanto sentirgli ammettere che Kentin era un tipo a posto. Evitai di stuzzicare ulteriormente i suoi nervi, sottolineando che anche Castiel, in realtà, era una brava persona. «In ogni caso», aveva ripreso poi, «sono affari loro, non capisco perché noi due dovremmo immischiarci.» E poiché avevo continuato a tacere nella mia vergogna, si era sentito in diritto di ritorcermi: «A meno che, si intende, tu non mi abbia nascosto qualcosa.» Il silenzio che era seguito era valso più di mille parole, per cui Nathaniel aveva sospirato pesantemente e si era portato una mano alla fronte, come volesse contenere inutilmente un’emicrania incipiente. «Abbi pazienza», aveva mormorato, «non puoi pretendere che io faccia finta di nulla.» Era stata la prima volta, quella, in cui aveva ammesso implicitamente i suoi sentimenti per me.
   Sempre più mortificata, avevo pigolato con voce quasi tremula: «Mi dispiace…»
   Aveva taciuto anche lui per una manciata di secondi; infine, mentre tornava a cercare qualcosa nell’archivio, aveva biascicato soltanto: «Suppongo che lui sappia sbrigarsela da solo. Servirà a tutti per maturare.»
   Immaginavo che Nathaniel avesse ragione e, forse, quella che si stava presentando adesso poteva davvero essere l’occasione adatta per mettere le cose in chiaro una volta per tutte. «Vuoi che vada a parlarle ora?» mi domandò Kentin, che si stava piegando alla mia volontà pur di non darmi ulteriori dispiaceri.
   Mi sentivo una colossale egoista, perché, obiettivamente parlando, non ero nessuno per poter impartire ordini a chicchessia. Inoltre, sapevo che Kentin non mi avrebbe mai voltato le spalle e che avrebbe senza dubbio fatto la cosa più giusta, almeno dal suo punto di vista, perciò mi limitai a rispondergli, sia pure a fatica: «Non ti imporrò nulla. Agisci pure come meglio credi.»
   Non se lo fece ripetere due volte e, passandomi sfacciatamente un braccio attorno alla nuca, mi attirò a sé per baciarmi in mezzo al cortile e dichiarare così finito il tempo dei giochi: non ci saremmo dunque più nascosti agli occhi di nessuno?
   «Torno subito», mi disse, lasciandomi con un sorriso incoraggiante e avviandosi verso il punto in cui si trovavano Ambra e le sue amiche. Rimasi ad osservarlo da lontano, ma quando Li e Charlotte, pur con riluttanza, si allontanarono verso l’uscita della scuola continuando a voltarsi indietro quasi avessero paura che lui potesse mangiare Ambra, fui divorata dalla curiosità di sapere cosa si sarebbero detti ora che erano rimasti da soli. Di Kentin mi fidavo, di Ambra no. Chi avrebbe mai potuto biasimarmi per quella prudenza?
   Purtroppo, nel tentativo di avvicinarmi senza dare troppo nell’occhio, persi l’inizio della loro conversazione, e anche dal punto in cui mi accucciai per spiarli – vale a dire dietro alla fila di siepi che costeggiava l’aiuola più vicina – non riuscii a vedere molto. Potevo scorgere soltanto la schiena di Kentin e le mani di Ambra, che reggevano il pacco di biscotti che anche quel giorno aveva lasciato in regalo al mio ragazzo e che lui doveva appena averle restituito.
   «Non dovresti mentire a te stessa», le stava dicendo.
   «Di che parli?» La voce di Ambra era tesa come la corda di un violino, segno che non si era aspettata un avvicinamento così repentino da parte di Kentin. O forse sì, ma non sapeva bene come comportarsi, vista la situazione anomala? Dopotutto, non troppo tempo prima lui le aveva rinfacciato tutto il male subito proprio a causa sua, dichiarando senza giri di parole che non l’avrebbe mai perdonata per ciò che gli aveva fatto.
   «Sei ancora innamorata di Castiel, vero?» Le mani di Ambra serrarono la presa attorno alla confezione di biscotti, ma lei non disse nulla. «Ci sono passato anch’io e so cosa vuol dire», continuò Kentin, cercando di essere diplomatico, nonostante sapessi bene quanto gli pesasse quel confronto. «Per quanto tu possa sforzarti di dimenticare, è impossibile. I tuoi pensieri vanno sempre alla stessa persona e non c’è verso di cambiare le cose.» Oh. Improvvisamente mi resi conto che quella conversazione stava prendendo una piega che non mi sarei mai aspettata e la mia attenzione si focalizzò soprattutto su questo, dimenticandomi presto di tutta la mia malsana gelosia. «Quando tornai dalla scuola militare mi dissi che dovevo voltare pagina, che non c’era ragione per cui io continuassi a perseverare sui miei errori passati, che avrei dovuto concedere ad Aishilinn il giusto spazio, il tempo di respirare, ma… anche se mi ero convinto di essere un uomo nuovo, mi sono lentamente reso conto che sotto certi aspetti non ero cambiato di una virgola. Nel giro di poco, ci sono cascato di nuovo con tutti e due i piedi, e…» Kentin si strinse nelle spalle ed io mi accorsi di essere sull’orlo di piangere a causa delle emozioni che avevano suscitato in me quelle parole. Come potevo rimanere indifferente davanti a tanta dedizione? Mi sentii un essere infimo e per nulla degno del suo amore: per quanto gli volessi bene, e nonostante conoscessi da lungo tempo i suoi sentimenti, in passato li avevo presi fin troppo sottogamba. Ero stata imperdonabile.
   Non fui la sola a commuovermi, comunque, poiché udii Ambra tirare su col naso e, dopo diversi attimi, chiedere con voce flebile: «Cosa dovrei fare, secondo te?»
   Kentin non si fece cogliere impreparato. «Essere onesta, anzitutto», dichiarò immediatamente. «E smetterla, una buona volta, di sfogare la tua rabbia repressa sugli altri. Finirai soltanto per ferire ulteriormente te stessa, attirandoti il disprezzo di tutti.»
   Di nuovo scese un breve attimo di silenzio. Quindi Ambra tornò a parlare. «Castiel… Lui non ricambierà mai i miei sentimenti, anche se dovessi diventare una santa come Aishilinn…»
   La risata di Kentin spezzò la tensione scesa fra loro. «Aishilinn è tutt’altro che una santa… Dovresti vederla quando s’arrabbia.»
   Straordinariamente, Ambra rise con lui, portandosi una mano al viso, che ora riuscivo a vedere in parte, per stropicciandosi un occhio nel vano tentativo di scacciare le lacrime. «Lo so, fidati. Quando le ho detto che volevo provare a conquistarti, mi ha minacciata seriamente.»
   Lui spostò il peso del corpo da un piede all’altro, come se fosse stato colto alla sprovvista da quella rivelazione. «Ah, sì?» balbettò, sorpreso.
   «Non puoi pretendere che io possa diventare davvero sua amica, dopo ciò che mi ha detto», mise in chiaro Ambra, tornando seria e fissando con aria accigliata il pacco di biscotti che aveva fra le mani.
   «Non puoi pretendere che lei possa diventare davvero tua amica, dopo ciò che le hai fatto», ribatté l’altro, mettendo definitivamente da parte ogni parvenza di scherzi. Ambra sbuffò, scrollando le spalle e voltando il capo dall’altra parte. Kentin non si lasciò scoraggiare. «Castiel si sente in colpa per quello che è successo», aggiunse infatti, benché non avessimo mai accennato, fra noi, alla questione.
   «È stato un incidente», ribadì ancora una volta lei.
   «Lo sappiamo tutti, ma non può fare a meno di prendersene la responsabilità.» La vidi mordersi il labbro, mentre gli occhi tornavano a luccicarle per le emozioni taciute. «Smettila di evitarlo, tanto non servirà a farti star meglio.» Anche stavolta Kentin stava parlando per esperienza? Aveva davvero provato ad evitarmi, in passato? «Era tutto quello che volevo dirti», dichiarò, facendo per avviarsi e tornare indietro. «Anzi, no», si ricordò poi. «C’è un’ultima cosa: se vuoi che gli altri ti apprezzino per ciò che sei realmente, impara a volerti bene sul serio. Senza finzioni di alcun tipo. Anche questo l’ho imparato sulla mia pelle e ti assicuro che funziona.»
   Non vi fu risposta a quell’ultimo consiglio. Infine, mentre Ambra si ostinava a tenere il viso rivolto altrove, Kentin s’incamminò per davvero verso il giardino. Rimasi ad osservare lei ancora per qualche istante, almeno fino a che non la vidi scoppiare in lacrime e affrettarsi verso il cancello della scuola.












Dovrei fare un copia/incolla di buona parte di ciò che scrissi in calce al capitolo precedente, ormai quasi due mesi fa... sigh. Vi chiedo perdono, sul serio, ma tra il lavoro, gli impegni personali e un blocco creativo riguardo al fandom dovuto alla delusione dell'ultimo episodio uscito... gne. Mi vergogno profondamente anche di non aver risposto alle ultimissime recensioni. Domani sera cercherò di rimettermi in pari con quelle.
Quanto al presente capitolo, credo che sia il migliore o comunque uno dei migliori dell'intera storia. Almeno di quelli scritti fino ad ora e, ovviamente, secondo il mio punto di vista. Perlomeno, è uno di quelli che mi ha soddisfatta appieno.
Non so quanto sia riuscita a caratterizzare bene i vari personaggi (mi sono concentrata molto soprattutto su Castiel, Ambra e Nathaniel, che ritengo un trio interessantissimo da esplorare), però credo/spero di essere riuscita a renderli vagamente credibili.
Detto ciò, mi dileguo e vi do appuntamento a non so esattamente quando. L'idiosincrasia per il fandom, comunque, sta passando (sperando che il prossimo episodio non mi tagli definitivamente le gambe, lol) e pertanto non è detto che io non riesca a riprendere in mano la storia (anche se non con lo stesso ritmo di prima).
Chiedendo ancora una volta scusa a tutti, ringrazio di cuore chiunque si sia preso il disturbo di tornare a leggere questa fanfiction.
Buona serata. ♥
Shainareth





Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3176589