Viva Las Vegas

di Mick_ioamoikiwi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Forgiven ***
Capitolo 3: *** Nobody's listening. ***
Capitolo 4: *** Little talks ***
Capitolo 5: *** I like the sound of that ***
Capitolo 6: *** Somewhere I belong ***
Capitolo 7: *** Lullaby ***
Capitolo 8: *** Ain't nobody loves me better ***
Capitolo 9: *** Some kinds of heaven ***
Capitolo 10: *** Every breaking wave ***
Capitolo 11: *** I lived ***
Capitolo 12: *** The little things give you away ***
Capitolo 13: *** Ready ***
Capitolo 14: *** Numb ***
Capitolo 15: *** Leave out all the rest ***
Capitolo 16: *** Search and Destroy ***
Capitolo 17: *** Hit the floor ***
Capitolo 18: *** Faint ***
Capitolo 19: *** Freedom (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Prologo.

Immaginate di essere il vostro 'io' ideale, la ragazza o il ragazzo che avete sempre sognato di essere.
Immaginate di vivere in una delle più famose città d'America, lontani da casa vostra, da chiunque vi odi.
Immaginate di ritrovarvi tra le mani la più grande occasione della vostra vita, il lavoro che avete sempre sognato di fare.
Ora buttatevi nelle strade di Las Vegas a indagare sull'omicidio di una persona giovane, incosciente. Quest’omicidio lo saprete già che vi farà star male da morire ma nonostante tutto indagherete, vi ritroverete in un punto morto e sarà lì che vi accorgerete di quanto amavate quella persona. Le vene si gonfieranno dalla rabbia, vedrete le montagne di bicchieri di caffè accumulati in casa, in ufficio, in auto; alla fine troverete anche un colpevole, penserete di aver fatto giustizia e forse sarà davvero così, ma poi penserete che tutto sia finito, che dimenticherete questa storia in uno schioccare di dita. Dopo aver chiuso il caso, starete un po' meglio, ma poco alla volta, quasi inconsciamente, ripenserete alla vittima e sentirete la nausea che si riaccende, come le fiamme sotto la cenere. Sentirete il bisogno di aria pulita, penserete di andarvene, ma ci sarà qualcuno che vi dirà 'Andrà tutto bene, rimani con me'. Non accadrà mai,
non andrà mai tutto bene, ma col passare del tempo, del vedere giorno dopo giorno la stessa situazione, ci farete l'abitudine.
E allora forse le cose miglioreranno.
 
 
 
Questa è la mia storia.
Quella che avrei immaginato in una vita parallela.
E' tutto vero?
 
Forse.

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Capitolo 2
*** Forgiven ***



Capitolo 1.

Mi sono perduta così tanto da quando sei andato via
Perché non io prima di te?
Perché il fato mi ha ingannata?
Tutto è diventato così sbagliato
Perché mi hai lasciata in silenzio?


- Within Temptation -

 
 
Las Vegas, ventisei anni dopo. 14 maggio.


Guardai l’orologio. Erano da poco passate le 15 e già sentivo terribilmente caldo ma dopotutto eravamo quasi in piena estate a Las Vegas; ero arrabbiata. Abigaille mi aveva fatto incazzare come sempre, avrebbe dovuto sposarsi una settimana prima del suo arrivo a casa mia. Ricordo ogni momento di quel giorno come se fosse ieri.

Mi piombò in casa senza preavviso, dicendo che aveva tradito Frankie e che non voleva più sposarlo. Nella sua vita non aveva mai combinato niente di buono e quella era la cosa peggiore che potesse fare. Nostro padre la cacciò da casa: non aveva più nulla a parte me. Fu così che arrivò a casa mia. La rimproverai, amaramente e lei invece di provare a capire ciò che sentivo mi urlava addosso frasi senza alcun senso, “vai a sfottere altra gente, visto che tanto non sai amare nessuno, la tua è tutta invidia!”. La mia era tutta invidia, certo. In fondo era lei la cocca di papà, lei era la sua bambina: io ero stata adottata perché mia madre era stata dichiarata sterile, ma in seguito al mio arrivo in famiglia era arrivata lei. Da quel momento la mia esistenza non contò più nella famiglia Williams.

Stavo camminando sulla strip, dovevo riordinare le idee e cercare di calmarmi. Ogni volta che uscivo a fare due passi facevo lo stesso identico percorso perché c’era solo un posto che riusciva a rilassarmi del tutto: il dipartimento di polizia scientifica della contea di Clark. Era stato il mio sogno da quando ero bambina, da quando avevo visto per la prima volta la polizia a casa mia.

A pochi minuti dal dipartimento c’era il bar del padre di un mio ex, era da tanto, anzi troppo tempo che non lo andavo a trovare e così decisi di farci un salto. Lui non era cambiato per niente, aveva sempre i suoi baffoni bianchi che gli coprivano tutto il labbro superiore. Appena mi vide notai il suo sorriso gioviale di chi ha appena incontrato una persona cara. Mi abbracciò.
“Michelle, ne è davvero passato di tempo!”
“Ciao Robert!” Mi prese le mani.
“Darling, come stai? Non ti ho più vista.” Abbassai lo sguardo, alzando l’angolo sinistri della bocca.
“Sai, ultimamente me ne sono stata alla larga dal solito giro, non credo di aver ancora superato la morte di Andy... ” neanche Bob l’aveva superata, lui era suo padre.
“Cara, lo sai che per me sei ancora una bambina e sai che ti considero ancora come una figlia. Sei giovane, hai ancora tutta la vita davanti, Andy non vorrebbe vederti così. Lui ti voleva vedere felice, quindi apri il tuo cuore alle opportunità che ti si presentano. Conosco davvero tanti bravi ragazzi che potrebbero renderti felice, se vuoi posso-“
Feci una smorfia, Robert capì subito cosa intendessi dire. Mi faceva male pensare a suo figlio, era stato un brutto colpo sia per lui sia per me.
“Sei qui solo per una visita di cortesia o vuoi qualcosa da bere?” tentò di risollevare gli animi.
“Oggi ho la giornata libera, credo di potermi fermare tranquillamente a farmi una bevuta.”
Robert mi servì una bottiglia di birra locale che gli rivendeva un suo vecchio amico. Guardai a lungo la condensa colare sul bancone, ripensavo alla morte di Andy.
“Sai, mi sento ancora in colpa per quel dannato giorno, se fossi stata con lui forse avrei potuto salvarlo...”
“Michelle, i medici me l’han detto subito... il proiettile l’ha preso in pieno petto. Non avresti potuto fare niente.”
“Non sarebbe morto da solo almeno... ti giuro che non me lo perdonerò mai.”
“Ora non pensarci, Darling. Ci starai solo male. Ti lascio un po’ da sola a riordinare le idee, il tavolo da gioco mi chiama e anche quei vecchi simpaticoni in pensione. Se hai bisogno, sono a quel tavolo là, non esitare a chiamarmi!”.
Lo guardai sorridendo. “Certamente.”
I ricordi di quel maledetto giorno erano ancora nitidi nella mia testa: la telefonata di Bobby, l’obitorio e Andy disteso su quel tavolo freddo e gelido.
 
Buttai giù il primo sorso, in fondo Robert aveva ragione, piangersi addosso non lo avrebbe di sicuro riportato in vita. Ripensai a quello che mi aveva appena detto, ‘essere di nuovo felice con qualcun altro’, ogni uomo che avevo incontrato nella mia vita si era rivelato un deficiente, Andy invece no. Lui mi amava sul serio. Trattenevo le lacrime a ogni suo sorriso che riaffiorava nei ricordi.

Sentii il suono del campanellino attaccato alla porta del locale seguito da quello della serratura che scattava. Guardai istintivamente verso Robert, il quale si alzò in piedi sorridendo, quell’uomo non faceva altro che sorridere.
Vidi che gli si avvicinò un ragazzo di circa trent’anni: lo vedevo solo di spalle, aveva i capelli biondicci e leggermente mossi, l’andatura incerta di chi è appena entrato nella polizia. Un novellino. Sgranai gli occhi quando la mia attenzione ricadde sulla scritta posta sul retro del gilet blu d’ordinanza: CSI. Un agente della scientifica.
Ero rimasta ferma a guardarlo mentre mi mordevo il labbro. Robert allargò le braccia quando lo vide, lo sentii dire “Santo Dio, Greg!”. Si chiamava Greg, probabilmente un diminutivo di Gregory. Aveva il cognome stampato sul taschino sinistro della giacca: Sanders. Greg Sanders, ripetevo quel nome nella mia testa come una filastrocca.
“Quanto sei cresciuto ragazzo mio!”, Robert lo conosceva da un pezzo, era ovvio.
“Eh già, adesso mi hanno spedito a fare il ratto da strada!”
“Mi ricordo ancora il primo giorno che sei venuto qua col camice a prendere un caffè per Grissom. Ne è passato di tempo.”
“Davvero, mi servi da bere? Oggi fa un caldo tremendo!”
“Per questo motivo mi sono fatto regalare questo magnifico aggeggio”. Indicò il condizionatore posto sopra il bancone.
“Hai fatto bene Bobby, è un ottimo investimento!”
Robert prese una bottiglia di gazzosa dal frigo, Greg non poteva bere perché era ancora in servizio. Non lo avevo perso d’occhio fino a che non era venuto a sedersi al bancone. Buttai giù un altro sorso, Robert e Greg stavano parlando di qualcosa ma non ci prestavo attenzione perché pensavo a come potevo risolvere la questione Abigaille. Fu la voce di Robert a ridestarmi. “Michelle stai bene?”
“Eh? Oh, scusatemi ero persa nei miei pensieri, non vi preoccupate!” agitai la mano destra in gesto di diniego, cercavo di nascondermi, ma senza risultati: Greg mi stava già guardando.
Gli sorrisi ampiamente per smorzare l’imbarazzo e giusto per osservare il suo viso. Si era tolto il giubbotto d’ordinanza da CSI e aveva smesso l’aria da poliziotto incazzato con un sorriso. Robert mi guardava compiaciuto, sapevo già cosa stava pensando. Greg sembrava un ragazzo a posto, e Bob mi voleva vedere con lui.
“Ragazzi miei, volete qualcos’altro da bere?”
“Io sono a posto così. Magari la signorina invece vuole altro, sembra che qualcosa la tormenti!”
Sentii le guance infiammarsi. “In realtà sono a posto così, grazie lo stesso!”
Robert prese le redini della situazione. “Greg ti posso presentare questa splendida ragazza?”
Gli gettai un’occhiataccia ma lui fece finta di non vederla. “Michelle Williams, enchantè.”
Greg mi guardò sorridendo. “Greg Sanders, enchantè mademoiselle. Ci siamo già visti per caso?”. Ci pensai su, come poteva conoscermi? Poi mi venne in mente l’articolo sul Daily Journal e sorrisi.
“Credo proprio di no, ma può darsi che tu mi abbia visto sul Daily Journal della scorsa settimana. Dovrei essere finita in qualche foto insieme a... insieme a mia sorella.”
Greg ci pensò su e arrivò alla mia stessa conclusione. “Sei la sorella di Abigaille Williams?! Sul serio?” Annuii con un sorriso ironico. “Eh già, ma non tutti sanno che io sono stata adottata, non siamo sorelle.”
“Vuoi scherzare? Certo che lo so, la tua famiglia è una delle più famose nella storia di Las Vegas, ci ho fatto un sacco di riferimenti nel mio libro, tuo nonno ha fatto molto per questa città!” Sentii un nodo alla gola, quella famiglia in fondo non mi apparteneva ed io non contavo niente per loro. Con quale diritto Greg parlava di me?
“Sì, intanto io non sono che un puntino in quella famiglia, non conto niente per loro. Ora se non ti spiace, devo andare, è stato un piacere.” Posai i soldi del conto sul bancone, salutai Robert e liquidai Greg, non mi conosceva e mai mi avrebbe conosciuta. Appena mi alzai sentii qualcosa afferrarmi la mano, Greg voleva dirmi qualcosa.
“Ehi non intendevo offenderti! Perdonami!”
“Scusami oggi non è giornata, non dovevo trattarti così, tu non puoi leggermi nel pensiero!” Sorrisi nuovamente, mentre Greg mi guardava sovrappensiero. Sentivo il cuore battermi all’impazzata dentro il petto, mi succedeva solo quando guardavo Andy, forse era un segno?
“Posso, posso chiederti di vederci di nuovo?” La domanda mi aveva spiazzata.
“Vederci? Intendi... per un caffè?”
“Certamente! Ti posso chiamare io?”
Arrossii. Guardai Robert in cerca d’aiuto e lo vidi annuire. “D’accordo!” Gli lasciai il mio biglietto da visita. “Adesso devo andare, aspetto la tua chiamata allora! Ciao Greg!”. Uscii a gran passo dal bar, era quasi ora di cena e dovevo tornare a casa, almeno per provare a ragionare con Abigaille.

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Capitolo 3
*** Nobody's listening. ***


Capitolo 2.

Ho un cuore pieno di dolore, la testa piena di stress
La mano piena di rabbia, trattenuta nel mio petto
L’ardua lotta di anni, il sangue, il sudore e le lacrime
Niente da guadagnare tutto da temere.
- Linkin Park -


 
Camminavo lentamente, con lo sguardo perso nel vuoto. Ero a pochi minuti dalla fermata dell’autobus quando sentii sopra di me il rombo di un tuono; ero a posto: senza ombrello, irritabile, in tremendo ritardo. In pochi secondi mi ritrovai fradicia. Dopo pochi passi vidi il tettuccio di plastica della fermata, feci una corsa e andai a sedermi sulla panchina, potevo dirmi di essere finalmente all’asciutto. Mi guardai intorno, ero totalmente infreddolita e passarono una decina di minuti buoni prima che l’autobus facesse capolino in fondo alla strada.
Il tragitto fu relativamente breve e scesi alla fermata di Sunset Strip. Erano da poco passate le otto di sera, andavo a passo veloce perché pioveva ed io ero senza ombrello, finalmente arrivai sotto casa. Sull’uscio c’era Abigaille che mi aspettava, scura in viso.
“Dove sei stata?” non mi aveva nemmeno salutato, che gran faccia tosta.
“Non credo sia qualcosa che ti riguarda, dopotutto questa è casa mia.”
“Avevi il telefono spento, non mi avevi detto dove andavi. Ero preoccupata!” Più che preoccupata avrei detto che era rimasta chiusa fuori.
“Se non ti vanno bene i miei orari puoi anche tornartene a casa da papà.”
Abigaille fece una smorfia contrariata, se voleva vivere con me doveva tener conto delle regole che le imponevo. Non ero sua madre, lei non era nessuno per me.
“Come pensavo. Sono tentata di sbatterti fuori, ma poi mi sentirei in colpa.” Aveva assunto un colorito paonazzo solo al pensiero di non avere un tetto sulla testa.
Aprii la porta ed entrai, Abigaille rimase titubante sul pianerottolo d’ingresso. La guardai con aria di sfida, ripensai a quante ne avevamo combinate insieme e aggrottai la fronte.
“Muoviti, vieni dentro che fuori si gela.” Il suo volto si addolcì in un sorriso timido.
 
Mi svestii, aprii il rubinetto dell’acqua calda e mi buttai sotto la doccia. Ne avevo bisogno, dicono che non ci sia modo migliore per allontanare i nervosismi. Appena uscita mi buttai addosso un asciugamano e corsi a vestirmi.
Abigaille stava preparando la cena in cucina mentre scriveva un mucchio di messaggi al telefono, mi sono sempre chiesta come facesse a fare due cose insieme. Più volte le chiesi chi fosse quel misterioso ragazzo che le scriveva da un paio di giorni ma lei ogni volta se ne usciva con frasi sbrigative per non subire l’ennesimo interrogatorio sulla sua vita.
 
Sentii il telefono vibrare, lo avevo dimenticato sul piano della cucina: Abigaille me lo portò il camera; prima di darmelo mi guardò con aria interrogativa. Ricambiai lo sguardo.
“Qualche problema?” Abigaille cominciò a ridacchiare.
“Nessun problema, ma non mi avevi detto che avevi un ragazzo!”
“Abigaille io non ho un ragazzo, né un compagno o simili.” Guardò il display e mentre stava per dire qualcosa mi venne in mente il poliziotto della scientifica.
“E chi è sto Greg Sanders? Non mi avevi detto di-” Non fece in tempo a finire la frase che le strappai il telefono dalle mani.
“È solo un amico.” Risposi vagamente, non avevo voglia di raccontare né come e né dove lo avessi conosciuto. Spinsi mia sorella fuori dalla camera e feci un respiro profondo. Che scena patetica, sembravo un’adolescente alle prese con la prima cottarella della sua vita.
Lessi e rilessi velocemente il messaggio più volte. “Ehi bambina, che fai questa sera?”
Mi aveva chiamata bambina. ‘Glielo faccio vedere io chi è una bambina.’ Ero arrogante, questo era certo, ma in fondo non mi dispiaceva come soprannome, lo trovavo molto dolce.
Risposi in tre quarti di secondo: per lui mi sarei liberata anche di tutti gli impegni più importanti. “Buongiorno anche a te, stasera sono libera.”
Passarono pochi minuti prima di ricevere una risposta. “Ti andrebbe una bevuta all’Eye Candy? Facciamo verso le 22.15, così sono libero anche dal lavoro.”
Un appuntamento, da quanto tempo non uscivo con un ragazzo? Tre anni forse.
“D’accordo, ci vediamo là. A più tardi.” Guardai istintivamente l’orologio, erano le 21 passate, dovevo ancora cenare e prepararmi ma la voce di Abigaille mi stava già chiamando dalla cucina: la cena era pronta. Mi sedetti a tavola cercando di nascondere un sorriso molto imbarazzante ma mia sorella lo aveva già notato.
“Allora, chi è questo tuo amico?” Mi guardava dal basso verso l’altro mentre stavo per imboccare la prima forchettata di spaghetti.
 “Mh, non direi che sia un mio amico. È soltanto un ragazzo che ho conosciuto oggi in un bar.”
“Ed è carino?” Immaginavo dove volesse andare a parare ma le stroncai ogni strana idea. “Sì, e questo cosa c’entra?”
“C’entra eccome, dai Michelle. Lo sappiamo entrambe che questa potrebbe essere una buona occasione per farti tornare a sorridere.”
“Sì, me lo ha detto anche Robert.” Forse quest’ultima parte non dovevo dirla.
“Robert? Robert Duncan? Sei stata davvero da lui?!”
“Calmati, sì, ho incontrato Greg laggiù.” Perché mai doveva preoccuparsi per me? Non avevo fatto niente di male. Abigaille mi guardò pensierosa. Portò il dito indice sul mento, lo faceva quando ragionava, dal canto mio avevo continuato a mangiare sperando che lasciasse perdere l’argomento.
“Quindi, correggimi se sbaglio Michelle... Greg è, vediamo, un poliziotto. Tu non riesci proprio a staccarti da loro eh?”
Stava per andarmi di traverso un pezzo di pomodoro tagliato troppo grosso. “Sì è un agente della scientifica. Ora scusami ma devo andarmi a cambiare.” Erano le 21.30, dovevo assolutamente muovermi o non sarei arrivata in tempo. Dovevo cambiarmi: l’indecisione sull’abbigliamento mi avrebbe portato via almeno venti minuti conoscendomi; in fondo l’Eye Candy era uno strip club molto in vista, dovevo vestirmi a modo senza essere appariscente. Avevo un solo vestito così optai per quello, uno dei pochi regali decenti che mi aveva fatto Marianne, mia madre o matrigna, non sapevo nemmeno come dovevo chiamarla. Si trattava di un vestito rosso a balze, non lo avevo mai neanche tirato fuori dal cellophane, odiavo mettermi in mostra. Tentai di darmi una pettinata alla bell’e meglio, presi la borsa e uscii di corsa.
Abigaille mi salutò mentre chiudevo la porta dietro di me.
 

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Capitolo 4
*** Little talks ***


Capitolo 3.

"C’è una vecchia voce nella mia testa che mi sta trattenendo indietro".
Beh dille che mi mancano i nostri piccoli discorsi,
Presto sarà tutto finito e sepolto con il nostro passato.
- Of monster and men -
 

 
L’Eye Candy Sound Lounge è uno degli strip club che si trovano sul Las Vegas Boulevard, o come è conosciuto in tutto il mondo, sulla Strip; molte volte mi fermavo a guardare l’insegna ma quella sera lì la guardai con occhi diversi: scesi dal taxi rischiando l’osso del collo, non ero affatto a mio agio a camminare con i tacchi. Nonostante l’andatura incerta entrai dentro il locale: la luce soffusa rendeva l’idea di che genere di locale fosse; le pedane erano già tutte occupate dalle ballerine, l’altoparlante annunciava l’entrata in scena della stella della serata mentre da sotto il palco uomini ricchi con una famiglia di classe alle spalle, uomini annoiati dalla loro vita monotona, affamati, vogliosi, posavano i loro occhi sul corpo di quella ragazza mentre si spogliava quasi interamente sotto i riflettori multicolore: i più generosi le allungavano banconote da cento dollari.
Tornai in me e mi ricordai il motivo per cui ero lì: cercai Greg con lo sguardo poi intravidi un braccio che si agitava convulsamente dalle parti dell’angolo bar. Lo trovai già seduto al bancone, indossava una camicia rosa sotto un completo grigio, accompagnato da una cravatta nera.
“Sembri diversa dalla ragazza che ho conosciuto oggi.” Non aveva ancora detto niente di così eclatante e già diventai rossa.
“Non so se questo sia un bene o un male.”
“Dimmelo tu, non ci conosciamo ancora e ho già potuto ammirare due lati opposti di te. Trovo sia decisamente intrigante. Non si direbbe che tu sia cresciuta nella famiglia Williams.”
Sorrisi amaramente. “Forse perché mi sono sempre sentita un’intrusa in quella casa. Possiamo non parlare di quelle persone? Ti prego.”
Greg mi guardava quasi stupito, forse pensava che fossi diversa dopotutto ero cresciuta in una delle famiglie più ricche della città ma non sembrava gli dispiacesse. Guardavo giù per non sembrare a disagio.
“Il tuo segreto è al sicuro con me, stai tranquilla.” Mi sorrise e io ricambiai. Mi fidavo di lui nonostante non lo conoscessi ancora, poi ordinammo da bere ma niente di pesante, non volevo finire la serata in un certo modo.
Parlammo di diverse cose, spaziando dalla nostra vita ai nostri interessi. Gli raccontai del mio sogno più proibito, ovvero entrare al dipartimento della polizia scientifica, ci scherzai su ma lui rimase serio. “Vuoi davvero entrare lì?”
“Sì, è sempre stato il mio sogno fin da quando ero bambina.” Mi giustificai.
“Ottimo!” Mentre lo diceva sentivo le sue rotelle macinare qualcosa nella sua testa ma non ci feci molto caso: Greg sembrava il classico ragazzo secchione, me lo immaginai facilmente seduto ad un bancone del laboratorio del dipartimento, a destreggiarsi tra provette e campioni di sangue. Mi parlò del suo lavoro e di come era riuscito ad andare a lavorare sul campo: lo guardavo con meraviglia mentre mi spiegava, sembravo una bambina che guardava suo padre leggergli una favola prima di andare a dormire; Greg aveva un senso dell’umorismo molto particolare ma non so perché riuscivo a coglierlo anche io. Amava Marilyn Manson e lo ascoltava spesso in laboratorio, tant’è che una volta il suo capo, Grissom, lo aveva scoperto mentre improvvisava un assolo di batteria sulle provette. Avevo male allo stomaco dalle risate e Greg non smetteva di raccontare, ad un certo punto lo pregai di smettere per non rischiare un attacco d’asma. Mi guardava divertito. “Non so se sono le luci soffuse o il colore rosso del tuo vestito ma sembri alquanto rossa in faccia!”
Mi coprii le guance con le mani. “Oh, è una cosa normale, mi succede spesso quando rido troppo.” Rise quando glielo dissi. “Davvero?”
“Giuro. Sono sempre stata così!” Tentavo di farmi tornare la pelle di un colore normale facendomi aria con le mani.
“È una scena molto divertente.”
Mi mostrai contrariata scuotendo la testa. “Non è affatto divertente, sembro un pomodoro!” Mentre ridevo Greg mi passò una mano sulla guancia, trattenni il fiato, con la bocca semi aperta: non me lo aspettavo. Sentivo il battito del cuore accelerare.
“In effetti sì, hai le guance bollenti.”
Lo guardavo intensamente, se prima quel ragazzo attirava solo la mia attenzione adesso ce l’aveva tutta. Provai l’istinto di baciarlo ma dall’altra parte mi dicevo che non potevo fare questo a Andy. Non sapevo cosa provare.
“Michelle?”
“Che cosa?” sentii la sua voce chiamarmi.
“Ti sei incantata come stamattina. Ti perdi spesso nei tuoi pensieri, vero?” continuava a sorridere. Ostentai qualcosa per dire di sì, poi finii il bicchiere di soda che avevo preso.
“Perdonami, ultimamente sono un po’ tra le nuvole. La settimana prossima ci sarà un anniversario molto triste e sto ripensando a troppe cose, forse.”
“Capisco, vuoi parlarne?”
Gli feci un sorriso strano. “Non penso tu voglia sentire la triste storia di una ragazza conosciuta stamattina in un bar.” Mi ordinai un’altra soda.
“No, voglio sentire la tua storia infatti.” Lo guardai stupita e alzai le mani in segno di arresa; gli raccontai di come avessi conosciuto Andy, del fatto che stavo per sposarlo, raccontai del giorno dell’incidente e di come fosse morto. Greg mi guardava raccontare, cercando di darmi conforto con lo sguardo.
“È una storia molto triste. Cerco di tenerla per me, perché so già che a raccontarla troppe volte rischierei di finire di nuovo a prendere antidepressivi.”
“Non ti chiederò mai più di raccontarla.” Appoggiò la sua mano sulla mia. “Te lo prometto.”
“Grazie Greg.” In un attimo passarono tutti i sensi di colpa, la voce di Robert mi risuonava nella testa, “Andy ti voleva vedere felice, apri il cuore alle opportunità che ti si presentano”. Il ragazzo che avevo davanti era una nuova opportunità, quella di ricominciare ad amare, di non odiare più la vita. Di costruirmi un futuro.
“E tu, sei ancora innamorata di lui?” Me lo chiese a denti stretti. Ci pensai su.
“Andy sarà sempre un pezzo della mia vita, qualcuno che non potrò mai dimenticare. Ma non posso piangerlo per tutta la vita. Non vorrebbe che io sprecassi la mia vita a piangermi addosso, lui mi voleva vedere felice. E io credo che sia ora di ricominciare ad esserlo.”
Greg alle mie parole sembrava risollevato, prese il suo bicchiere e disse “Allora che ne dici di brindare a un nuovo inizio?” 
Presi il mio bicchiere e lo imitai, “A un nuovo inizio.” Buttammo giù tutto d’un fiato ma mi sentii subito meglio. Mi ero tolta finalmente un macigno da sopra il cuore e tutto questo non mi avrebbe fatto altro che bene. Rimanemmo ancora a lungo a parlare, fino alle due passate. Eravamo entrambi stanchi, così Greg mi riportò a casa. Lungo il tragitto lo vidi sorridere timidamente, ogni tanto mi sbirciava con la coda dell’occhio. A un certo punto mi girai di scatto e cominciai ad osservarlo attentamente fino a quando non aprì bocca.
“Che cosa c’è?”
“Sai Greg, sei un ragazzo speciale. C’è qualcosa in te che mi attira ma non so che cosa.”
“Spero tu possa scoprirlo in fretta.” Mi spiazzò ma sapevo a cosa alludesse.
Arrivammo davanti a casa mia, quando stavo per salutarlo mi diede un bacio sulla guancia. Ripresi nuovamente un colore rossastro. Ormai era andato dritto al cuore.
“Credi che possiamo rivederci un’altra volta?”
Mi strinsi nelle spalle a causa del freddo. “Non vedo perché no, scrivimi tu. Il mio numero ce l’hai.” Greg fece spallucce per acconsentire.
“In effetti hai ragione.” Rise di nuovo. Mi guardò salire sulle scale che conducevano al mio pianerottolo. Mentre stavo per infilare la chiave nella serratura mi girai di nuovo per salutarlo.  “Non ti ho nemmeno ringraziato per la serata.”
“So che lo hai pensato, mi basta questo.”
Piegai la testa da un lato alzando le spalle. “Se lo dici tu Greg. Buonanotte.”
“Buonanotte bambina.”
Feci un mezzo inchino e lui mi imitò, amavo quel termine. Lo guardai ripartire in macchina ed entrai sul pianerottolo. Salii fino al mio piano, aprii la porta ed entrai. Mi buttai sul divano, Abby era in cucina a farsi un the.
“Perché non sei ancora a letto?”, “Come mai sei già a casa?” le due domande si sovrapposero senza farlo apposta.
Abigaille mi venne incontro con la sua tazza di the fumante. “Ne vuoi un po’?” Mi chiese. “Sai credo di non aver cotto bene la pasta a cena e adesso mi sento lo stomaco a pezzi.”
“Non ti preoccupare. Comunque sia sono le due e mezzo, Greg domani lavora quindi doveva andare a dormire almeno tre ore buone.”
“Ah, capisco. Non vuoi raccontarmi come è andata?” Era sempre impaziente di sapere i dettagli della mia vita. Cosa dovevo dirle? In fondo non avevamo fatto niente di che, anzi non avevamo fatto proprio niente. “È andata, abbiamo parlato a lungo.”
“Avete parlato? E dopo?” Secondo lei nella vita si poteva soltanto fare una cosa in una relazione, continuava a uscire con gente poco raccomandabile ma non mi ascoltava mai. Feci un gesto con la mano solo per evitare altre parole.
“Sono stanca Abigaille, vado a dormire. Domani ti racconterò tutto, promesso.”
Andai dritta in camera, mi svestii e mi buttai sul letto; in quel momento la radiosveglia emise un suono molto breve, erano appena scattate le due e mezzo di notte. Girai a lungo nelle lenzuola, non riuscivo a prendere sonno: fissavo il soffitto, in attesa di addormentarmi. Fuori dalla finestra si sentiva un mondo diverso; la musica dei locali e dei night davanti a casa, i motori delle auto di lusso che si fermavano nel parcheggio dei casinò della Strip o autovetture di cinquantenni perversi che si fermavano vicino ai marciapiedi a reclutare, per una notte, prostitute di 16 anni appena, le sirene delle auto della polizia, qualche sparo in lontananza, insomma, tutto nella norma.

 

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Capitolo 5
*** I like the sound of that ***


Capitolo 4.

I just wanna hear that ringtone
I like it turned up when you're blowing up my phone
I want here you say "come on over",
because when you tell me to come on over
I like the sound of that
.
- Rascal Flatts -
 

 
Può sembrare strano ma amo Las Vegas perché di giorno è una città assonnata, che ti culla e ti avvolge con il suo fare dolce mentre di notte si sveglia e ti fa dimenticare tutto ciò che di terribile c’è al mondo. Ma capita che a volte le cose brutte te le fa provare sulla tua pelle. Quello che vedevo davanti a me era un sogno che avevo fin da bambina, quando dicevo che da grande avrei chiuso i cattivi dietro ad una cella e che avrei salvato il mondo come Superman. Poi però ti rendi conto che sei cresciuta, e diventi consapevole del fatto che Superman non esiste e che non stai vivendo una favola, perché non sempre le cose vanno come vorresti. Così cominci a farti prendere dalla tristezza, ti torna in mente il passato, quando sei stata adolescente e tutti i guai che hai passato. Alla fine ti trovi di nuovo da capo. E’ difficile prendere sonno in queste situazioni... poi però la notte fa il resto.

 
“GREG NO!”
Mi svegliai di soprassalto, senza voce e con tante piccole gocce di sudore che scendendo mi accarezzavano il viso: ero praticamente senza fiato, sconvolta, agitata; la sveglia stava suonando. Mi guardai istintivamente la maglia: non avevo nessuna macchia di sangue. Per fortuna ero ancora nella mia stanza. Mi passai le mani sul viso per asciugarmi e riprendere fiato. Un raggio di sole fece capolino dalla finestra e mi colpì in mezzo agli occhi.
Sentii dei passi avanzare verso la mia camera, Abigaille entrò mezza assonnata.
“Si può sapere che hai? Perché hai gridato?”
“Oh, niente, ho soltanto... avuto un incubo.”
“Incubo o no, c’era anche lui vero? Ti ho sentita-” Sbadigliò sonoramente. “Ti ho sentita gridare il suo nome.” Fissai il vuoto. “Non è niente davvero, sto bene.”
Abigaille aveva ragione, lo avevo sognato: chiuso in una camera d’ospedale e sul punto di morire. L’immagine di Greg in quel letto era stata orribile, tremavo ancora.
Ripensai alla sera prima. Greg, non lo so che diavolo provassi per lui; mi piaceva, eccome, ma io ero troppo orgogliosa per ammetterlo.
Mi preparai per andare a lavoro; stavo tenendo un corso di recupero sulla chimica molecolare per gli studenti del primo anno all’università di Scienze. Ero stata presa sotto l’ala protettrice di uno dei miei professori poco prima della laurea: mi aveva aiutata con la tesi e adesso mi aveva permesso di insegnare ai suoi studenti che erano rimasti più indietro rispetto agli altri. La maggior parte delle mie giornate si consumavano in quell’aula così grande e vuota, l’anno accademico stava finendo e sentivo il bisogno di un cambiamento radicale nella mia vita.
 
Las Vegas, 25 giugno.

Passò poco più di un mese. Dalla prima volta che ero uscita con Greg ci eravamo visti spesso. Il 21 giugno mi chiese di andare a mangiare un boccone nella pausa pranzo con lui. Mi salutò appena mi vide entrare nel locale.
“Ehi Greg.”
“Ciao Michelle! Vieni a sederti!” Mi fece cenno con la mano.
Poco dopo essermi seduta, arrivò la cameriera per prendere gli ordini. Salutò Greg, ormai lui era un cliente fisso infatti segnò sul taccuino il suo solito menù. Io ordinai un toast doppio.
“Allora, come te la passi? È da un po’ che non ci vediamo.”
“Devi perdonarmi! Il dipartimento è a corto di personale così stiamo facendo i doppi turni, sono relegato in laboratorio con Hodges per ancora due settimane; in più Grissom mi ha assegnato due casi di omicidio: sono riuscito a risolvere solo il primo giusto ieri.”
“Siete proprio indaffarati! Come mai siete a corto di personale?”
“Semplice mancanza di domande d’assunzione. Come se non bastasse, la ragazza che avevo trovato e che avevo fatto assumere come mio rimpiazzo in laboratorio ha dato di matto ed è scappata dalla disperazione.”
“Che idiota.” Dissi sottovoce ma Greg probabilmente aveva sentito lo stesso. In quel momento arrivò la cameriera con il nostro pranzo: mi buttai a capofitto nel toast mentre Greg continuava a parlarmi.
“Avevo impiegato mesi a trovare una degna sostituta. Adesso dovrò cercare qualcun altro: io non posso stare in laboratorio mentre seguo un caso.” S’illuminò. “Tu.”
Alzai lo sguardo sorpresa, mi riuscì difficile pronunciare una frase corretta perchè avevo la bocca impastata di pane.
“Cosa?”
“Hai capito benissimo. Saresti perfetta! Hai tutte le carte in regola.” Temevo di svenire.
“Greg, io-” non mi sembrava vero. “Io sarei onorata di lavorare per il dipartimento ma temo di non poter-”
“Non voglio sentire scuse, so che vorresti lavorare là dentro tanto quanto io vorrei-” Si fermò di colpo. Lo guardai accennandogli di continuare con lo sguardo.
“Niente, lascia stare. So che vuoi, più tardi parlerò con Grissom!”
“Tutto questo mi sembra surreale, lo faresti davvero?!” Ero totalmente su di giri.
Greg mi guardava soddisfatto. Sapeva di aver risolto il suo problema e di avermi resa felice.
“Ti abbraccerei ma c’è un tavolo in mezzo che me lo impedisce!”
“Mi fa piacere vederti sorridere così di buon gusto! Sappi però che i turni sono molto duri, anche per quelli che stanno in laboratorio.”
Lo rassicurai, non mi spaventavano di certo degli orari fuori dagli schemi.  
 
Finimmo il pranzo; Greg non aveva smesso di parlare un attimo di come si svolgevano le cose nei laboratori e sul campo. Mi accennò ai suoi colleghi, al suo capo e ai pericoli che si incontrano sul lavoro.
“Io adesso devo tornare a lavoro. Ti chiamo stasera per darti notizie, d’accordo?”
Feci cenno di sì con la testa. “Starò in trepidante attesa tutto il pomeriggio!” Dissi sorridendo. Greg rise.
“Allora ci sentiamo più tardi bambina.”
“Solo se la smetti di chiamarmi così.” Mi guardò sconsolato. “Dai, stavo scherzando.”
“Perdonami, il mio senso dell’umorismo è parecchio strano.”
“Me ne sono accorta tempo fa! Adesso muoviti o farai tardi!”
Mi salutò abbracciandomi, mi diede un bacio sulla guancia e scappò via sulla sua Denali nera, parcheggiata dall’altra parte della strada mentre io tornavo all’Università per le lezioni del pomeriggio.
 
Tornai a casa poco prima di cena, Abigaille mi aveva chiamata per dirmi che stava fuori fino a tardi con alcune sue amiche e che quindi non dovevo aspettarla per cena.
Stare a casa da sola non aveva fatto altro che aumentare la mia impazienza, Greg non si era ancora fatto sentire. Mangiai cena seduta sul divano, guardando un film; poco prima delle 21.30 il telefono cominciò a vibrare: il nome sul display mi fece sorridere.
“Finalmente! È tutto il pomeriggio che muoio dalla voglia di sentirti.”
“Non per dire ma sembra una frase molto dolce, ho chiamato davvero la persona giusta?” Scherzò.
“Dai, non tenermi sulle spine!” Mi tremavano le mani.
“Ok, ma rilassati altrimenti non capirai cosa ti sto per dire!”
Feci un respiro profondo. “Sono rilassata. Adesso parlami.”
“Domani pomeriggio, passo a prenderti in Università verso le cinque quindi tieniti pronta.”
Ripetei a bassa voce quello che mi aveva appena detto, corsi in cucina a cercare qualcosa su cui scrivere.
“Ok! Ho scritto!”
“Perfetto, Grissom ha detto che dovrai anche andare dal vice sceriffo, Conrad Ecklie, ma ti accompagnerà poi lui domani così non sarà troppo duro.”
“Oddio Greg, mi sento mancare dalla felicità! Devo darmi un pizzicotto per crederci!”
“No, tranquilla! È tutto vero! Adesso devo andare, ci sentiamo poi domani allora. Buonanotte Michelle! Dormi qualche ora mi raccomando!” Rise.
“Stanne pur certo! A domani!”
Chiusi la chiamata. Non potevo crederci.

 

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Capitolo 6
*** Somewhere I belong ***


Capitolo 5.

Vorrei cancellare tutto il dolore
Voglio guarire, voglio provare sensazioni,
per sentirmi vicino a qualcosa di reale.
Voglio trovare qualcosa che ho sempre voluto, desiderato
qualche luogo a cui appartenere.
- Linkin Park  -
 
 
Abigaille era tornata a casa poco dopo le tre del mattino: me ne ero accorta semplicemente perché non riuscivo a prendere sonno.
Mi alzai molto presto, avevo bisogno di fare due passi per tranquillizzarmi e scaricare la tensione. Le preparai il caffè e uscii a piedi, l’Università dopotutto non era molto distante da casa mia.
Parlai con il mio professore della fantastica opportunità che mi era stata offerta, ne rimase entusiasta, disse che era orgoglioso di me e che aveva sempre saputo che sarei potuta andare lontano. Nonostante ciò riuscii a distrarmi parecchie volte mentre gli parlavo.  
 
Greg fu puntualissimo, alle cinque del pomeriggio era già sotto lo scalone dell’Università ad aspettarmi, appoggiato alla Denali con tanto di occhiali da sole.
“Che puntualità, agente Sanders.” Scherzai.
“In realtà sono riuscito a finire un po’ prima, altrimenti avrei trovato sicuramente qualche imprevisto lungo la strada com’è mio solito!”
“Allora sarà meglio muoverci, che ne dici?”
“Questo è lo spirito giusto! Dai sali.” Appena salita sulla vettura, Greg partì in sgommata: non voleva arrivare in ritardo da Grissom.
 
Parcheggiammo l’auto nel parcheggio sotterraneo del dipartimento. In quel momento arrivò un’altra Denali nera, dalla quale scesero un uomo e una donna: il ragazzo saluto Greg lanciandogli uno sguardo complice. La donna era al telefono con qualcuno e sembrava furiosa.
“Loro sono Nick e Catherine, due miei colleghi del campo.” Mi disse appena i due si furono allontanati.
“Ottimo, allora vorrà dire che poi mi toccherà conoscerli!”
“Ovviamente, Nick è il mio migliore amico.”
“Buono a sapersi!” Dissi sorridendo.
 
Ci dirigemmo verso l'entrata, posta in cima a una magnifica gradinata di marmo. Sul muro c’era affissa un'enorme targa laminata in oro con sopra inciso C.S.I. - Department of Las Vegas.
Greg mi aprì la porta. Sul pavimento dell’atrio c’era un enorme disegno raffigurante la stella a sette punte della polizia con la sigla C.S.I. in mezzo, mentre lungo tutto il corridoio molte persone in camice e alcuni poliziotti si spostavano con una certa fretta.
“Santo Dio, questo posto è fantastico!”
“Ormai la considero come una seconda casa, passo più tempo qua che nel mio appartamento!” Controllò l’orologio da polso. “Vieni, è ora di andare da Grissom!”
Prima di continuare, un agente ci fermò per controllare che non portassimo armi: Greg aveva il tesserino, per lui non fu un problema, invece io subii una perquisizione molto superficiale, al cui termine mi diedero un pass per visitatori; subito dopo l’agente ci lasciò andare avanti.
Camminammo fino alla fine del corridoio. Greg si fermò davanti ad una vetrata coperta da delle veneziane. Sulla porta c’era una scritta bianca: Dott. Gilbert Grissom – Supervisore.
“Se ti lascio da sola qui fuori un momento, non scapperai nel laboratorio vero?” Smorzò la tensione ridendo.
“Non sono mica una bambina!”
“Ok, allora aspettami qui un nanosecondo.” Bussò sulla porta, dall’altra parte del vetro qualcuno gli disse di entrare. Sentii l’altra voce chiedere a Greg qualcosa sul perché fosse lì.
“C’è la ragazza di cui ti ho parlato ieri sera. Posso fartela conoscere?”
Non feci più caso a quello che si erano detti nella stanza accanto, la mia attenzione venne attirata da un uomo che stava nel laboratorio davanti: stava imprecando contro uno strumento per analisi di fluidi.
In quel momento Greg uscì a chiamarmi. Mi sorrise, dandomi quel senso di calma che mi occorreva.
Entrai: alle pareti erano appese una decina di teche in plexiglas con dentro svariati insetti e animali strani. Grissom era seduto dietro alla scrivania, sommersa di fascicoli di casi ancora aperti: si alzò in piedi. Il primo a parlare fu Greg.
“Gil, ti presento la ragazza di cui ti avevo parlato.”
“Piacere di conoscerla, signor Grissom! Michelle Williams.” Ero riuscita a dire qualcosa, non mi sembrava vero.
“Piacere mio, signorina Williams. Gil Grissom, supervisore del turno di notte. Greg mi ha parlato bene di lei e mi ha detto che vorrebbe lavorare qui.”
“ Si, è un sogno che ho fin da quando ero bambina.”
Ci fece sedere davanti alla scrivania, spostò qualche fascicolo in modo da vedere bene chi si trovava di fronte, poi ricominciò a parlare e a farmi domande, scrivendo qualcosa sulla sua cartellina.
“Allora Michelle, quanti anni ha?”
“Ventotto compiuti, signore.” Sembrava di essere a un esame dell’università.
“Sei molto giovane, abbiamo bisogno di menti fresche da poter istruire... Hai un titolo di studi o esperienze di questo genere, qualche lavoro in polizia...?
“Ho passato un anno in accademia militare dopo che mi sono diplomata, poi ho conseguito la laurea in chimica molecolare, in questo momento ne sto tenendo un corso all’Università di Scienze.”  
“Da ciò che ho capito potresti essere la gemella di Hodges, ti chiedo soltanto di non diventare come lui, è snervante.” Appuntò ancora qualcosa sul taccuino. “Compila questo modulo. Domani sera alle 21.00 fatti trovare in centrale, così potrai iniziare la gavetta immediatamente. Greg ti spiegherà come funziona da noi il turno di notte.”
Si girò verso Greg. “La affido a te per il prossimo turno, domani riceverete un fascicolo con il caso che dovrete seguire, intesi?” Seguivo ogni suo movimento, ascoltando attentamente tutto ciò che mi stava dicendo.
“Ottimo, Grissom.”
“Fa sempre piacere un nuovo membro nella nostra famiglia. Questa è una copia del nostro regolamento disciplinare riguardo i casi e le modalità di raccolta prove, leggilo attentamente: la prossima settimana farai il test per entrare definitivamente nella squadra.
“Grazie davvero, mi sembra ancora così tutto surreale... arrivederci, signor Grissom.”
“Noi andiamo Gil, a domani!”
“A domani ragazzi!”
 
Uscimmo dal suo ufficio, ero totalmente scioccata: sentivo il cuore battere più del normale. Rimasi con la bocca semi aperta, immobile in mezzo al corridoio. Greg se ne stava già andando ma quando si accorse che ero ancora lì ferma, tornò indietro; mi allungò una mano e mi accompagnò in giro per il dipartimento. Il primo posto in cui mi portò fu il suo laboratorio.
“Questa è la mia tana, il posto in cui passo la maggior parte dei miei giorni... come ti sembra?”
Mi guardai attorno. Era tutto così in ordine, non sembrava nemmeno vero come laboratorio. “Non sembra neanche tuo questo posto, voglio dire... è tutto così ordinato!”
“Siamo anche spiritose oggi!” Controllò alcune apparecchiature. “In realtà credo sia passato Hodges da queste parti.”
“Quello di cui parlava Grissom prima?”
“Grissom parlava di me?”
Mi spaventai, dietro di me era apparso un uomo, lo stesso che stava imprecando contro lo strumento nell’altro laboratorio.
“Hodges! Hai toccato tu questo, vero?” Indicò un’apparecchiatura per elettroforesi.
“No, l’ho soltanto spostata Greg, intralciava il bancone.”
“Capisco, Hodges ti presento una mia amica, probabilmente passerà sul campo con me.”
Hodges mi guardò con un sorriso molto strano, a metà tra il lusinghiero e il disgusto.
“David Hodges, miglior scienziato del dipartimento di Las Vegas.”
Mentre Greg alzava gli occhi al cielo, gli strinsi la mano. “Michelle Williams.”
Una voce di donna proveniente dall’altro laboratorio lo chiamò a gran voce.
“Oddio, Catherine! Devo andare amici miei. Non vorrei essere preso per un fannullone!”
Si dileguò nella stessa maniera di com’era apparso.
“Hodges è un tipo molto strano, è il tirapiedi di Ecklie.”
“Sul serio?”
“Sì, inoltre è il lecchino di Grissom, anche se lui non lo sopporta, ma questo non dirlo a nessuno!” sussurrò. “Adesso andiamocene prima che ritorni! Ti mostro il resto del piano!”

 

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Capitolo 7
*** Lullaby ***


Capitolo 6.

Ti prego, lascia che ti porti via
da questa oscurità per portarti nella luce,
perchè io ho fiducia in te.

- Nickelback -

 
 
Arrivammo davanti all’ascensore che stava alla fine del corridoio.
“Dobbiamo scendere di sotto, qui al primo piano non c’è più niente da farti vedere!”
“Cosa c’è di sotto?” domandai.
“L’obitorio.” Deglutii, gli obitori mi avevano sempre messo un po’ soggezione ma ciò che mi faceva veramente senso era, non tanto la vista quanto l’odore dei cadaveri.
“Robbins è il nostro medico legale, ma tutti noi lo chiamiamo Doc, forse c’è anche Dave... sono tutti simpatici.”
 
Scendemmo di sotto, attraversando un lungo corridoio di piastrelle e metallo con tavoli da autopsia ai lati. Greg bussò a una porta e poi entrò: in mezzo alla sala c’era un uomo sulla sessantina, si spostava appoggiandosi a un bastone. Aveva i capelli bianchi con segni di calvizie che scendendo lungo il viso si cingevano per formare la barba, anch'essa bianca. Le mani non sembravano le sue: erano molto più pallide e raggrinzite rispetto al resto del corpo e portava una scintillante fede nuziale d'oro all'anulare sinistro. Gli occhietti azzurri e freddi si spostavano dal cadavere alle mani che trafficavano nei cassetti colmi di bisturi. Portava un paio di occhiali blu ovali, spostati sulla punta del naso; alzava lo sguardo per riuscire a mettere a fuoco ciò che teneva in mano. A mio discapito, stava eseguendo un’autopsia. Greg si avvicinò per primo.
“Ehi Doc!”
“Greg, che ci fai qui? Non era il tuo giorno libero oggi?”
“Sì ma dovevo far conoscere una persona a Grissom, il prossimo martedì farà il test per entrare nella squadra!”
Il dottore sembrava stranito. “E chi sarebbe questa persona?”
Greg mi fece passare davanti a lui, cingendomi le spalle con un braccio. “Lei è una mia amica, Michelle Williams.” Diventai rossa come un pomodoro ma ostentai un sorriso.
“È un piacere conoscerla.”
“Piacere mio, sono il dottor Al Robbins, medico legale.”
Greg guardò con interesse il cadavere disteso sul bancone. “Un nuovo caso?”
“Già, se ne stanno occupando Nick e Catherine.” Camminò verso il tavolo da obitorio, appoggiandosi al bastone e appuntandosi gli occhiali blu sul naso. “È arrivata giusto un quarto d’ora fa... la stavo esaminando.” Prese la cartellina, dove aveva segnato qualche appunto. “Donna, razza caucasica, sulla ventina... è stata trovata nei pressi di una strada fuori Las Vegas, verso le 4.30 di stamattina, un ranger stava passando in auto e ha intravisto un piede spuntare in mezzo all’erba.”
Guardai attentamente il cadavere della donna e Robbins se ne accorse.
“Trovato qualcosa di interessante? Un occhio in più è sempre gradito.”
“Stavo soltanto guardando, io non ho molta esperienza in questo campo a dire il vero.” Osservai le parti scoperte del corpo. “Posso dire che da questi lividi intorno ai polsi sembra sia stata legata, poi ci sono queste escoriazioni dietro i talloni che fanno pensare ad un trascinamento. Non penso che il deserto sia la scena del crimine iniziale, direi che ce l’hanno portata, magari in macchina.”
“Già, lo credo anche io... Nick mi ha accennato a dei segni di pneumatici sul fango.”
Greg ascoltava interessato. “Sai la causa della morte?”
“Vediamo cosa ne pensa la tua amica.” Mi guardò. “Non essere timida, qui siamo tutti di casa.”
“Ci sono delle linee sulle unghie, si chiamano linee di Mess vero?”
“Esattamente, indicano un avvelenamento da Arsenico o Tallio.” Robbins ciondolò con la cartellina in mano.
“Sei un’attenta osservatrice, farai strada in questo lavoro.” Robbins mi strizzò l’occhio. “Ora sarà meglio che mi sbrighi a finire, altrimenti sentirete le urla di Catherine fino in strada.”
“Allora noi andiamo, a domani Doc, ci vediamo.”
“Arrivederci dottor Robbins, è stato un piacere!” Ci accompagnò fino in corridoio.
Ci corse in contro la donna che avevamo visto prima nel parcheggio: sembrava alterata, infatti ci salutò molto frettolosamente.
Tornammo nell’atrio, si stava facendo tardi così pregai il mio accompagnatore di portarmi a casa, consegnai il pass per visitatori allo stesso agente di prima e uscimmo in strada.
 
Salimmo sulla Denali, Greg aveva messo un cd di Marylin Manson. Era strano ascoltarlo con lui perché non sembrava fosse un genere adatto ad un ragazzo con un faccino così innocente. Erano le sette di sera passate quando arrivammo a casa mia. Fermò l’auto davanti al marciapiede con le quattro frecce accese.
“Vuoi venire su un attimo?” Azzardai.
“Non saprei, saranno almeno un paio d’anni che non vado a casa di una ragazza.”
“Guarda che non mangio. Volevo offrirti soltanto un caffè per ringraziarti di tutto ciò che stai facendo per me! In fondo ho tolto del tempo al tuo giorno libero.”
Si lasciò convincere abbastanza velocemente. Mi chiesi se fosse davvero una buona idea, a pensarci ci conoscevamo da poco, ma a lui non sembrava dispiacesse, così non gli diedi troppo peso. Arrivammo sul pianerottolo e aprii la porta.
“Prego, entra pure!” Greg entrò, guardandosi intorno.
“Sì non c’è male... di sicuro è meglio del mio appartamento.”
“Sinceramente non m’interessava la grandezza, dopotutto qua ci sto soltanto a mangiare cena e dormire... passo troppo tempo in università.” Andai in cucina.
“Puoi sederti senza stare lì in piedi come un baccalà, non farti problemi.”
Greg alzò una mano in segno di resa. “D’accordo!”
Misi su una caffettiera da due tazze. Mi avvicinai alla porta-finestra e scostai la tenda. Pensavo a troppe cose, dovevo rilassarmi. Sorrisi amaramente, “Sono un’illusa, lui non mi guarderà mai.”
“A cosa pensi?” La voce di Greg risuonò nella mia testa come un sussurro.
“Uh? Oh, niente. È solo che...” Feci un respiro. “È solo che mi sembra di correre un po’ troppo.” Incrociai le braccia guardando fuori dalla finestra.
“In che senso?”
“Non saprei, è passato appena un mese da quando ti ho conosciuto e già mi chiamano per prendere posto al dipartimento di polizia scientifica.”
“E cosa c’è di male? Dopotutto so benissimo che è il sogno della tua vita.”
“Hai ragione, forse mi preoccupo troppo.” Mi appoggiai con le mani al davanzale, girata di schiena. Greg mi stava indicando la caffettiera che fischiava, me ne ero completamente dimenticata. “Forse è meglio spegnerla.”
Gliene servii una tazza colma.
“Come ti sembra?” Chiesi.
“Molto forte, non sono abituato!” Aggiunse due cucchiaini di zucchero agli altri due che aveva già mescolato.
“Voi americani non sapete fare il caffè, questo è quanto.”
“Voi americani? Curiosa come affermazione, detta da una che è nata in America.”
“Mia madre, non Marianne, intendo quella vera, era italiana. Almeno, così mi hanno raccontato.” Greg annuiva, gli piaceva ascoltare storie.
“Non mi hai mai raccontato nulla di te che non sia ciò che si possa trovare su internet o sui giornali. A parte il fatto che su di te si sanno davvero poche cose.”
“Non amo molto parlare di me.”
“Ho notato, ma a me puoi dirlo.” Mi sorrise e io abbassai lo sguardo.
“Marianne e Thomas non potevano avere figli così sono stata adottata quando avevo appena due anni. Tutti si aspettavano grandi cose da me, essendo la loro unica figlia. Abigaille è stato il loro miracolo, nessuno si aspettava che Marianne potesse restare incinta. Come puoi immaginare lei è diventata la cocca di papà... io sono stata accantonata ma in pubblico non potevano certo lasciarmi da sola perché non sarebbe stata una buona pubblicità. Così mi sono sempre più allontanata da loro, ho preso un’altra strada. Ho fatto tante cazzate, questo sì. Mi hanno beccato con dell’erba ma siccome ero Michelle Williams mi hanno lasciato dentro soltanto una notte, per farmi capire cosa mi aspettava se non riprendevo la strada giusta.”
“Sei stata dentro? Sul serio?”
“Sì, avevo diciassette anni. Non lo sa nessuno, non è nemmeno segnato sul mio fascicolo, sei il primo a cui lo dico.” Finii la tazza di caffè. “Poi mi sono laureata alla Las Vegas University in Chimica Molecolare, come già sai.”
“E con Abigaille come va?”
“Alti e bassi, ha dei problemi con mio padre. È stata viziata troppo... non sa nemmeno lei cosa vuole fare della sua vita.” Che ironia della sorte. “Così sto provando a rimetterla in riga.”
Greg mi guardava, o meglio mi osservava. Ogni mio minimo movimento lui riusciva a captarlo, stava cercando di capire i miei reali sentimenti.
“E comunque non sono proprio invisibile... dove c’è Abigaille, ci sono anch’io a tenerla d’occhio, non la lascio mai da sola.”
“Non lo metto in dubbio.”
Guardai le sue mani, appoggiate al tavolo. “Puoi anche non credermi Greg, ma mi sento sola.” Il suo sguardo si addolcì, i suoi occhi scuri mi stavano fissando.
“Michelle, a me non importa chi sei o cosa ti è successo da ragazza.” Fece un respiro profondo. “Tu mi piaci, davvero e forse non ho nemmeno il coraggio io di dire che ti amo. Non lo hai ancora capito?”
Lo guardavo confusa, avevo davvero capito bene?
“Greg, io-” Le sue labbra smorzarono ciò che stavo per dire, mi aveva appena baciata. Si allontanò da me di appena qualche millimetro, lo afferrai per il colletto e lo tirai di nuovo verso di me. Fu un bacio avido, rubato all’uomo che amavo.
Mi strinse tra le braccia e appoggiò il mento sulla mia testa: potevo sentire il battito accelerato del suo cuore.
“Ti prego, non lasciarmi mai.” Le parole mi uscirono dalle labbra in un sussurro.
“Te lo prometto.”

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Capitolo 8
*** Ain't nobody loves me better ***


Capitolo 7.

Ti ho aspettato così a lungo,
ma sapevo già cosa volevo
quando ho ascoltato la tua canzone:
hai riempito il mio cuore con un bacio.

- Felix Jaehn -

 
 
Avevo ancora le sue braccia strette intorno alla vita quando sentimmo la serratura della porta scattare sonoramente. Greg si staccò da me e tornò a sedere come se nulla fosse successo, mentre io mettevo le tazze sporche di caffè nel lavandino. Abigaille entrò sbuffando con le mani piene di borse e pacchetti.
“Hai bisogno di aiuto?” Greg si era girato verso Abigaille: era rimasta stupita nel vedere un uomo a casa.
“E tu saresti?”
“Greg Sanders.” Aveva sfoderato il sorriso con cui mi aveva conquistato un mese prima, poi accorsi in aiuto di mia sorella.
“Quanto hai speso per tutta questa roba?!” La montagna di pacchetti era impressionante.
“Non mi saluti nemmeno, sei davvero incorreggibile.” Mi aveva lanciato un’occhiata in segno di sfida.
“Come se tu lo facessi con me quando torno a casa dopo di te.” Portai gli acquisti nella sua camera poi tornai in cucina. “Comunque sia, lui è il ragazzo di cui ti ho parlato da un mese a questa parte.”
“Ah, sì. Michelle mi parla spesso e volentieri di te, forse troppo spesso... Comunque piacere, sono Abigaille.” Si strinsero la mano. “Poi volete dirmi che mi sono persa?”
“Non ti sei persa proprio niente.”
“Esatto, anche perché stavo andando via e Michelle mi stava per accompagnare alla porta.” Lo guardai rattristata. “Sì, esatto.”
Spinsi Greg fuori dalla porta che richiusi dietro di me. Mi stava guardando sogghignando.
“Non mi piace questo tuo sguardo.”
“A me piace il tuo modo di essere. Sei proprio un bel tipetto sai?”
Sorrisi. “Sì, ne sono consapevole.”

Scendemmo le scale e arrivammo di sotto, lo accompagnai fuori ma prima di andare via mi strappò un altro bacio. Bisognava ammetterlo, era il ragazzo più dolce che avessi mai conosciuto. Dopo averlo visto ripartire in auto, tornai su. Non feci in tempo a bussare che Abigaille mi aprì. Probabilmente era stata dietro la porta tutto il tempo ad aspettarmi.
“Allora, cosa è successo?”
“Come ho già detto prima, non è successo proprio niente.”
Abigaille indagò a lungo sul mio viso per scoprire qualcosa.
“Sarò anche stupida, ma quelle labbra arrossate non dicono ciò che affermi tu.”
Istintivamente mi coprii la bocca.
“Ho indovinato! E ti ha baciata lui?”
“Sì, è stato lui.”
“Oh, sono contenta per te! Finalmente la smetterai di essere così scontrosa!”
Storsi il naso. Odiavo essere un libro aperto, non volevo che nessuno riuscisse a capirmi.
“Adesso che lo sai, smettila di rompere. Andiamo, così ti do una mano a mettere a posto tutta quella roba che ti ho messo in camera.” Abigaille sorrise entusiasta.
Aveva davvero comprato troppa roba, per mettere tutto a posto ci impiegammo quasi un’ora, anche perché lei aveva la mania di riprovare tutto quello che le piaceva di meno per essere sicura di aver scelto bene. Continuava a chiedermi se i vestiti la facevano sembrare grassa o bassa o se il colore le donava.
“Se continuiamo così non finiamo mai più. Devi davvero provarteli tutti?”
“Certo! Voglio essere sicura di ciò che compro!” Sbuffai: era davvero senza speranze.
Poi mi imbattei in una sacchetta con sopra un biglietto pinzato: ‘per Michelle’.
“Cos’è questo?” Abigaille me lo strappò dalle mani.
“Era un regalo per te, per farmi perdonare visto che sono qui da te da un po’.”
Ero senza parole. “Ma non ce n’era bisogno.” Abigaille mi diede la sacchetta da aprire.
“Ormai te l’ho preso, quindi te lo tieni.” Dentro c’era un abito blu molto semplice, con una cintura dorata all’altezza della vita. “Spero ti piaccia.”
“È... è bellissimo. Non so come ringraziarti, non dovevi!”
Abigaille fece spallucce e tornò a fare ciò che stava facendo prima, ovvero mettere a posto nel suo armadio.
Erano le 20.13 quando sentii il cellulare squillare. Accesi il display, Greg.
“Ehi bambina, stasera ti va di fare una passeggiata sulla Strip?”
“Tu non sei mai stanco eh?”
“Fortuna o sfortuna del lavorare di notte, vedila come vuoi.”
“Dove devo farmi trovare?” Stare a discutere non aveva molto senso.
“Davanti al Castello, tra un’ora.”
“Ci sarò, a più tardi.”
“A più tardi, tesoro.”
Chiusi la chiamata con il sorriso che mi pendeva dalle labbra. Lui era un ragazzo normale. E sì, lui era importante, per me. Mi andai a preparare mentre Abby cucinava.
Accesi lo stereo a tutto volume, inserii il mio amato cd dei One Republic, (per la gioia dei miei vicini) e andai a farmi una doccia. Ripensai al suo viso, praticamente attaccato al mio. Ricominciare con Greg, era davvero quello che volevo? O era solo un pretesto perché avevo un disperato bisogno d’amore? Eppure ciò che avevo fatto lo sentivo davvero, io volevo baciarlo.

Mi vestii in fretta, avevo poco tempo, oltretutto anche Abigaille doveva uscire quella sera quindi avevamo bisogno entrambe del bagno.
Alle 21.50 eravamo ancora in casa perché la signorina non aveva ancora scelto cosa mettere. Alla fine la costrinsi a prendere il primo vestito che trovavo nell’armadio. Abigaille scese prima di me, io finii di chiudere le finestre. Diedi uno sguardo al panorama notturno e mi augurai che tutto andasse per il verso giusto. Presi la Chevrolet dal garage e feci salire anche Abigaille, poi l’accompagnai fino al Paris, il primo hotel tra il dipartimento e casa mia.
“Grazie del passaggio.”
“Se cambi idea, non esitare a chiamarmi, se vuoi sei ancora in tempo.”
“No, qui starò benissimo e poi ci saranno anche le altre, non preoccuparti. A domani Michelle!”
“A domani. E cerca di stare lontana dai guai.”
“Quella che si caccia sempre nei guai sei tu, ricorda! Tranquilla, goditi la serata con il tuo nuovo fidanzato. Salutalo da parte mia! Ti voglio bene.”
“Sarà, ti voglio bene anche io. A domani!”
Aspettai che arrivasse all’ingresso: mi salutò da in cima alle scale ed entrò. Esitai un po’ a schiacciare l’acceleratore.

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Capitolo 9
*** Some kinds of heaven ***


Capitolo 8.

So che quando siamo insieme
Il mio sole splenderà al tramonto.
Passiamo questa notte insieme
Vorrei renderti mia.

- Hurts -

 
 
Lasciai la macchina nel parcheggio dell’Excalibur Resort. Greg arrivò poco dopo di me, a bordo della sua Denali. Scesi velocemente per raggiungerlo.
“Ehi Greg!” Agitai il braccio per farmi vedere.
“Eccoti. Non hai risposto al mio messaggio!”
“Quale messaggio?”
“Ti ho scritto che sarei arrivato in ritardo. Ma non importa.” Mi porse il braccio. “Andiamo?”
Guardai il suo braccio, mi sembrava un gesto molto distante da lui, non me lo sarei aspettato da un tipo come Greg Sanders. “Andiamo.”
Camminammo sulla Strip, vista da vicino era ancora più magica del solito: con tutto quello scintillio di luci e colori, la musica che usciva dai locali, le persone che camminavano senza curarsi dei propri problemi. Allo stesso tempo però c’era un lato nascosto di quella città che mi affascinava: dopotutto si trattava di una città d’oro in mezzo al deserto del Nevada. Greg non aveva smesso di parlare della storia di Vegas, dai tempi della mafia degli anni ’30 fino alla città che era in quegli anni.
“A volte mi stupisci.”
“In che senso?”
“Quando ti ho conosciuto non avrei pensato che potessi essere così... voglio dire-”
Greg si era fermato e mi stava tenendo per le mani. “Che potessi essere così come?” Sorrideva.
“Il fatto che è non c’è un modo per descriverti. Sei tu e basta.”
“Oh Michelle Williams, sai essere così criptica a volte.”
“Me lo dicono in tanti.” Scoppiammo a ridere insieme.
Camminando, arrivammo davanti all’Eye Candy. Mi rivennero in mente i ricordi di quel giorno, quando incontrai Greg per la prima volta. Mi fu praticamente istintivo girarmi verso di lui e sorridergli.
“Cosa c’è?”
“Niente, mi fai molto ridere. Tutto qui.”
Lui era solo un ragazzo, anzi era la perfezione in persona, non avevo dubbi. Che diavolo ci trovava in una come me?
Quando mi guardava mi venivano i brividi: camminavamo fianco a fianco, anche fuori servizio camminava con la sua andatura fiera e a testa alta.
Facevo l’indifferente, cercando di pensare ad altro. Avevo davvero bisogno di essere me stessa, con l’unica persona che volevo fosse con me in quel momento.
 
Attraversato tutto il Las Vegas Boulevard decidemmo di tornare indietro, dopotutto erano le due passate: quando eravamo insieme, il tempo volava. Non ci eravamo più neanche sfiorati sotto quel certo aspetto, ma avevamo comunque passato una bella serata. Ero stanca, lui invece non sembrava affatto stanco, forse perché al contrario di me era abituato a stare sveglio intere nottate nei quartieri di Las Vegas a lavorare per la scientifica.
 
Andammo nel parcheggio dove avevamo lasciato le auto. Mi appoggiai alla portiera della mia macchina, guardandolo. Tenevo le braccia incrociate, in segno di chiusura. Greg invece stava davanti a me con le mani infilate nelle tasche dei jeans. La camicia bianca rifletteva la luce del lampione alle mie spalle.
“Greg Sanders, lo trovavo buffo come nome all’inizio. Mi sembrava una filastrocca.”
“Davvero? Non me lo aveva mai detto nessuna prima d’ora. Anche perché, a pensarci...” Arrossì in un batter d’occhio.
“Signor Sanders, è appena diventato rosso come un pomodoro. Che succede?” Lo canzonai.
“Sei la prima ragazza che ha accettato di uscire con me, da un bel po’.” Ero rimasta a bocca aperta.
“Siamo in due allora.” Risi. Greg si avvicinò a me, accarezzandomi una guancia. Chiusi gli occhi, appoggiandomi alla sua mano.
“Sei speciale, Michelle Williams.” Mi spostò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. “Sei riuscita a farmi innamorare di te in pochi secondi, quel giorno.” Mi diede un bacio sulla fronte e mi strinse a sè. “Mi hai di nuovo reso felice.” Sorrisi, anche se lui non poteva vedermi.
“Non mi lasciare questa sera, ti prego.”
“Cosa intendi?”
“Vieni con me.” Greg era spaesato. Possibile che non ci fosse arrivato?
“D’accordo. Solo se mi dai un bacio.” Non feci in tempo a rispondere perché mi ritrovai le sue labbra sulle mie. Quanto mi piaceva sentire il suo calore, mi faceva sentire a casa.
 
[...]
Lasciò la macchina nei parcheggi che stavano dall’altra parte della strada e mi venne incontro, prendendomi per mano. Infilai la serratura nella toppa e aprii. Entrata dentro andai a controllare la stanza degli ospiti, Abigaille non c’era ancora.
Greg era alle mie spalle.
“Mia sorella non è ancora arrivata.” E spero anche che stia bene, pensai.
“Non è un problema.” Aveva abbozzato un sorriso malizioso.
“Che vuoi dir-” Non feci in tempo a finire la frase che Greg mi aveva presa in braccio. “Ehi, mettimi giù!” Ridevo. “Agente Sanders. Le ricordo che sta flirtando con una sua collega. Moderi il comportamento.” Entrammo nella mia camera.
“Mi dispiace, agente Williams. Non intendevo offendere.” Mi fece scendere sul letto.
“Da questa angolatura sei diverso, sei più carino.” Alzai il pollice chiudendo l’occhio destro.
“Ah, ma sai anche fare dell’ironia.” Sorrise.
Poi si girò per andare a chiudere la porta della stanza, ma io mi alzai e lo seguii. Chiuse la porta e appena si girò io ero li. Mi morsi il labbro inferiore e, senza parlare, mi avventai su di lui. Indietreggiò e sbatté sulla porta tirando anche me. Mi spinse contro il muro, baciandomi avidamente. Indietreggiai verso il letto, Greg mi prese nuovamente in braccio e mi distese sul letto, s’inginocchiò su di me baciandomi il collo, le guance, le mani. Ogni suo bacio mi provocava un piacere immenso e non faceva altro che aumentare la mia eccitazione. Non avevo mai provato una sensazione come quella: era un misto di felicità ed eccitazione. Restammo nudi, ci eravamo svestiti poco alla volta, indumento dopo indumento, per lasciare che i nostri corpi potessero sfiorarsi. Lo desideravo con tutta me stessa, amavo quel ragazzo più di ogni altra cosa. Ero eccitata, e lo era anche lui, era ovvio. Quando l’eccitazione arrivò al culmine, un’onda di piacere ancora più forte invase il mio corpo. Il suo immerso nel mio. Mi scappò un urlo ma Greg riuscì a contenerlo baciandomi intensamente. Continuammo così fino a tarda notte. Ansimanti ci lasciammo cadere su letto: stanchi, ma soddisfatti di quella nottata. Si girò verso di me e rimase a fissarmi. Ricambiai lo sguardo e sorrisi.
“Ti amo.”
Non so come ci ero riuscita, ma era più forte di me. Dovevo dirgli tutto ciò che provavo per lui, non ce la facevo più a trattenermi. Mi guardò perplesso.
“Anch’io, non sai quanto ho aspettato questo momento.”
“Di fare l’amore?”
“No che mi rivelassi tutto quello che ti stavi tenendo dentro.”
Sorrisi, nuovamente. Si riavvicinò per darmi un altro bacio e poi appoggiò il capo sul cuscino, avvolgendomi con le braccia e si abbandonò ad un sonno profondo. I capelli biondicci gli coprivano gli occhi: glieli spostai dolcemente per guardarlo. Era incantevole.
Mi addormentai, tranquilla e stretta tra le sue braccia, sentivo ancora il suo calore avvolgere la mia pelle.
 
Per la prima volta nella mia vita ero felice, con il ragazzo che amavo.
 

 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Every breaking wave ***


Capitolo 9.

Il mare sa dove le rocce annegano nell’oceano,
sappiamo di aver paura del vento,
ed è tutto ciò che abbiamo prima di cominciare.

- U2 -

 
 
Mi svegliai alle 6.22. Greg dormiva ancora così mi alzai, cercando di ordinare le idee. La sera prima avevo fatto l’amore con il ragazzo che amavo e ancora non me ne capacitavo.
Presi dei vestiti puliti e andai a farmi una doccia gelida, in modo da riattivare il mio corpo, ancora stanco e pesante per quella nottata a dir poco fantastica.
Uscii dal bagno con l'accappatoio addosso e i capelli ancora umidi e gocciolanti che mi si appiccicavano alla faccia. Quando rientrai in camera non trovai nessuno nel letto.
“Greg?” mi guardai intorno.
Sentii il rumore di una scatola di cereali cadere sul pavimento.
Mi precipitai in cucina, in tempo per trovare Greg con solo i boxer addosso intento a raccogliere cereali e nocciole sparsi su tutto il pavimento.
“Cos’hai combinato?”
“Volevo prepararti la colazione ma ho aperto la porta in alto e mi è finito tutto addosso. La mia vita da scapolo mi ha solo permesso di imparare a riscaldare il caffè della sera prima!”
“Ah... sì bhe, lascia fare a me, ok? Vai a vestirti, che un ragazzo che gira nudo per casa mi mette l’ansia!” Scherzai.
“Ieri sera non mi sembravi così tanto ansiosa!” Lo guardai con gli occhi spalancati. Greg invece cominciò a ridere, con una fragorosa risata che riempiva l’aria.
 
Mi vestii, pronta per affrontare la giornata. All’improvviso un pensiero mi balenò nella testa:
‘Cazzo Abigaille!’ Me n’ero completamente dimenticata. Guardai in camera sua, il letto era come la sera prima: vuoto ed in perfetto ordine. Non è tornata a casa, pensai.
Cercai il cellulare tra i vestiti che avevo lasciato sul divano la sera prima. Guardai l’orologio che ticchettava rumorosamente in cucina, mancavano pochi minuti alle 8.00. ‘Forse sarà da Pamela...’. Composi il numero e aspettai che suonasse. Ce l’aveva spento, come al solito. Decisi di lasciarle un messaggio in segreteria, appena sveglia avrebbe sentito il messaggio.
“Ciao Abigaille, sono Michelle. Appena senti il messaggio chiamami, almeno per dirmi che stai bene! Sono preoccupata. Ciao.”
Greg mi arrivò da dietro, appoggiando il mento sulla mia spalla sinistra.
“Comunque buongiorno.” Mi baciò su una guancia.
“Buongiorno anche a te.” Gli mostrai un sorriso enorme, con la faccia di una qualunque bambina che ha appena ricevuto un pacco enorme di caramelle.
“Comunque sei fantastica a letto!” Ridacchiò.
“Come, prego?”
“Mi hai capito benissimo.” Avanzavo verso di lui con un bicchiere di acqua gelida in mano. “Cos’hai intenzione di fare?”
“Oh lo sai benissimo. Puoi ripetere ciò che hai detto?”
Come iniziare bene la giornata. Fece per prendermi per i fianchi.
“Ah- a non ci provare furbacchione! Non funziona con me in questo modo!
“È per questo che lo rende interessante!”
“Spiritoso.”
Facevo tutto di fretta: caffè e colazione, pulire la cucina, rifare il letto. Greg mi guardava correre su e giù per casa mentre se ne stava comodamente seduto sul divano.
“Ci sono troppe cose da fare in questa casa! Sembra che io non ci sia mai.” Sbraitavo, ma Greg mi fermò prendendomi una mano.
“Bambina rilassati! O stasera sarai esausta e le notti in piedi a Las Vegas durano molto, sai?
“Stasera? E cosa devo fare stasera?” Ero perplessa.
“Michelle, stai bene? Oggi è il tuo primo giorno, ricordi?” Ci pensai su, poi ricordai.
“Dio mio! E’ assolutamente vero!”
“Te ne eri già dimenticata?” Era decisamente deluso.
“In realtà non me ne sono ancora resa conto.” Buttai lì. “Stai tranquillo.”
 
Alle 12.30 passate, Abigaille non aveva ancora chiamato: alle 10 iniziava il turno come commessa in un centro commerciale a Paradise, uno dei quartieri di Las Vegas. Greg mi rassicurò dicendomi che probabilmente aveva la batteria scarica del telefono.


Uscimmo a pranzo verso l’una. Il sole era luminoso e a stralci nascosto da qualche nuvola passeggera. Il termometro di un ristorante segnava 107.6 °F (pressappoco 42 °C), una normale giornata estiva. Sulla porta d’ingresso era appiccicato un bel cartellone colorato con scritto in mezzo: locale ad aria condizionata. Decidemmo di pranzare lì, fuori si moriva dal caldo mentre dentro si stava benissimo. Il ristorante era gestito da marito e moglie, entrambi cinquantenni: gente simpatica e cordiale; erano amici di vecchia data dei miei nonni e mi avevano presentato come nipote più grande. Li avevo sempre chiamati zii, avevo anche lavorato come cameriera per qualche tempo nel loro ristorante, quando avevo bisogno di pagarmi gli studi.
Mi vennero incontro i proprietari che mi salutarono calorosamente. Ci indicarono un tavolo e andammo a sederci. Mentre aspettavamo il pranzo andai in bagno per chiamare Abigaille ma il telefono continuava a risultare spento. Volevo chiamare Pamela, la sua amica del cuore ma non avevo il numero, così mi rassegnai. Dovevo rilassarmi o avrei rovinato il mio primo giorno di lavoro e avrei fatto passare Greg per un idiota.
Tornai in sala, il pranzo era arrivato giusto in tempo.
 
“Queste lasagne sono buonissime.”
“Mi fa piacere che ti piacciano, sono le migliori della città.” Annabelle, la proprietaria, era venuta a chiederci se volevamo altro. Quasi non mi accorsi della sua presenza, ero assorta nei miei pensieri. Sentii in lontananza qualcuno che mi chiamava.
“Michelle ci sei?”
“Eh?”
“Se mi dessero un dollaro per ogni volta che ti incanti a fissare il vuoto a quest’ora sarei ricco.”
“Perdonami, mi ero soffermata a pensare.”
 
Rimanemmo al tavolo a parlare con Annabelle e Maurice, era da un bel po’ che non li vedevo e mi faceva sempre piacere stare con loro a parlare.
Greg mi accompagnò a casa, dovevo cambiarmi e prepararmi una borsa, poi lui sgommò verso casa sua per fare la stessa mia cosa.
Entrai in casa e chiamai Abigaille: nessuno rispose, quindi non era ancora arrivata. Guardavo l’orologio e le lancette che scendevano e risalivano: più il tempo passava e più sentivo l’agitazione salire.
16.30 Uscii dalla doccia, mi cambiai e preparai la borsa.
17.30 Mi diedi una pettinata, guardando l’orologio. “Dove diavolo sarà finita?”
18.00 “Questa volta non la passerà liscia.”
Presi la giacca e le chiavi della macchina, scesi in garage e partii in direzione del dipartimento. Mi fermai a metà strada in un fast food, per comprarmi la cena.
 
Avevo tre ore di anticipo, ma sapevo che dovevo ancora andare in magazzino a ritirare il giubbotto d’ordinanza e il kit, inoltre dovevo ancora passare da Grissom a sbrigare due faccende.
Lasciai la macchina nel parcheggio sotterraneo e andai verso l’entrata, dove incontrai Greg.
Notò subito la mia faccia preoccupata.
“Michelle stai bene? Mi sembri agitata.”
“Mia sorella non è ancora tornata e non ha nemmeno chiamato, comincio a preoccuparmi... Non mi ha mai fatto uno scherzo simile, voglio dire... avrebbe sicuramente trovato il modo per avvertirmi!”
“L’hai lasciata al Paris, giusto? Starà giocando al casinò... credimi è difficile tener conto del tempo che passi là dentro.”
“Spero.”
“Dai, vedrai che richiamerà.”


 

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Capitolo 11
*** I lived ***


Capitolo 10.

Spero che tu trascorra i tuoi giornima che tu li abbia usati bene
E che quando il sole tramonterà spero tu possa brindare
Spero di poter essere il testimone di tutta la tua gioia e il tuo dolore.

- One Republic -



 
Entrammo nel salone con il pavimento disegnato, poi svoltammo a destra per imboccare il corridoio dove si trovavano i laboratori analisi. La receptionist, Sheila mi pare, mi chiese il modulo che Grissom mi aveva lasciato il giorno prima, in modo da potermi consegnare il tesserino identificativo che mi appuntai alla cintura. Poi proseguimmo fino agli ascensori.
 
Ci fermammo davanti all’ufficio di Grissom, ma lui ci precedette uscendo dalla porta di vetro.
“Ciao Greg, Michelle.”
Mi si gelò il sangue nelle vene. Stava davanti a me con un caffè e un paio di fascicoli in mano, ne consegnò uno a Greg. “Questo è il vostro caso.” Greg annuì mentre Grissom mi guardava ostentando un sorriso amichevole. “Signorina Williams, tutto bene?”
“Mi scusi signore, ecco... sono un po’ agitata.”
“Non preoccuparti è normale, entra pure.” Greg disse che mi avrebbe aspettato lì fuori.
Grissom mi aprì la porta e quando fui in mezzo alla stanza entrò anche lui. Avanzò verso le teche di plexiglas che contenevano insetti di ogni parte del mondo e si sedette dietro la scrivania. Fece un mezzo sorriso, cosa che mi fece arrossire leggermente.
“Bene Michelle, hai compilato il modulo?”
“Certamente.” Gli porsi il foglio compilato.
“Vediamo... allora, Greg mi ha detto che prima di arrivare qui eseguivi analisi del DNA all’Università di Scienze mentre adesso stai tenendo un corso sulla Chimica Molecolare, ma sei anche specializzata in analisi di sostanze chimiche e fisiche, vero?
“Sì, signore.”
“E sei originaria di Las Vegas.”
“Sì.” Non capivo il perché del confermare quello che avevo già scritto io.
“Lo so che sei impaziente di iniziare, ma è la prassi.” Sorrise. Evidentemente quel ‘sì’ lo avevo detto in una maniera tale da fargli presente cosa pensassi.
“Nessun problema.” Risposi abbassando gli occhi. Mi vergognavo.
“Allora, dato che abbiamo già qualcuno in questo campo ti lascerò nelle sue mani, così potrà spiegarti bene dove sono le attrezzature e tutto quanto. Si chiama David Hodges, ed è il nostro tecnico per DNA e analisi chimiche. Dividerai il laboratorio con lui.”
“Oh...” Dissi con una nota di delusione. “D’accordo.”
“È una persona molto strana, cerca di assecondarlo e non parlargli mai di te, ama spifferare in giro le cose e tenta di rovinare il lavoro agli altri per apparire il migliore.” Aprì uno scatolone che stava dietro la scrivania. “Qui c’è il tuo kit con il giubbotto d’ordinanza.”
Presi il giubbotto e me lo misi addosso. ‘Mi sta a pennello.’ Pensai.
“Michelle, un’ultima cosa.” Lo guardai un po’ spaventata. Sapevo già di cosa mi voleva parlare. “Posso ammettere relazioni sul lavoro, ma cerca di trattenere i sentimenti che provi per Sanders, in questo modo non influenzeranno le tue indagini. E cerca di guardarti da Ecklie, sta cercando di screditare questo ufficio da parecchi mesi.”
“Grazie del consiglio signor Grissom, lo terrò bene a mente.” Gli strinsi la mano e presi il kit.
“Ora vai, il lavoro ti aspetta.” Sorrisi ed uscii.
Greg era in piedi in mezzo al corridoio: stava leggendo gli appunti sul fascicolo, inoltre aveva già indossato il suo giubbotto. Alzò gli occhi per guardarmi, poi mi sorrise.
“Sai una cosa? Sei ancora meglio vestita così.” Mi sussurrò.
“Agente Sanders, niente avance sul lavoro!” Greg alzò le braccia in segno di arresa.
“Mi scusi agente Williams, non intendevo. Comunque a chi ti ha destinato?”
“David Hodges mi sembra.”
“Ah bene, ti faccio i miei più sentiti auguri, ci sono passato io prima di te.”
“A me era sembrato simpatico.” Mi aggiustai il giubbotto. “Allora andiamo?”
“Per di qua, mademoiselle.”
“Merci.”
[...]
Tornammo in macchina, diretti verso il luogo del delitto. Greg aveva posato il fascicolo sul cruscotto del SUV.
“Posso?” Chiesi indicando il cartoncino giallo senape.
“Fa pure, è anche tuo il caso!” Alzai gli occhi, dovevo abituarmi all’idea di essere, ormai, un agente in prova. Era compilato con cura e nei minimi dettagli.
 
  • Vittima: Donna sconosciuta, di razza caucasica, tra i 20 e i 30 anni ritrovata sul ciglio della strada, 5 miglia a north di Las Vegas. Non sono stati ritrovati documenti o oggetti particolari sul corpo riconducibili ad un eventuale identificazione.
  • Tracce evidenti: Segni di pneumatici a diversi metri dal corpo.
  • Testimoni presenti sulla scena: Non sono presenti testimoni.
  • Ritrovamento del cadavere: pattuglia del dipartimento di Las Vegas, agenti:
    • James Fletcher; n° matricola 23692
    • Jeremy Anderson; n° matricola 65874
  • Causa della morte: foro d’entrata al centro della fronte; presenti anche dei segni  di strangolamento effettuati post-mortem. Sono presenti diverse ecchimosi su braccia e gambe, probabile stupro e rapina.
  • Medico Legale assegnato: dott. David Phillips
  • Agenti CSI incaricati del caso: Greg Sanders (Liv. III), Michelle Williams (Liv. I)
  • Supervisore del caso: Catherine Willows

Rimasi perplessa e rilessi parecchie volte la causa della morte.
“Chi mai ucciderebbe con una pistola una donna per poi strangolarla post-mortem?”
“Bambina, siamo a Las Vegas. Qui la gente fa cose strane... Comunque sia preparati, che tra circa dieci minuti saremo sulla scena.”
 
Rimasi in silenzio per tutto il resto del viaggio. Più che altro perché non sapevo cosa dire.

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Capitolo 12
*** The little things give you away ***


Capitolo 11.

Tutto ciò che hai sempre voluto
era qualcuno che ti ammirasse
e ora che sei due metri sotto terra,
io lo sto facendo.

- Linkin Park -

 

Quella sera le nuvole si erano diradate del tutto, lasciando spazio a una notte limpida. A circa due chilometri di distanza dalla scena si potevano già cominciare a vedere le luci lampeggianti rosse e blu delle auto della polizia.
Greg parcheggiò la Denali a bordo strada; prima di scendere afferrai la cassetta di ferro scintillante contenente il kit. Erano quasi le 22.00 ma c’erano ancora 32°, un vento caldo che proveniva da Est portò con sè odore di cadavere.
Ci avvicinammo ad una donna sulla quarantina con dei lunghi capelli biondo scuro raccolti in una coda. Stava visionando il lavoro del coroner.
“Ciao Catherine!” Esordì il mio collega, mi sembrava ancora strano chiamarlo così.
“Ah, ciao Greg. Finalmente siete arrivati, tu devi essere la nuova arrivata.” Mi allungò la mano destra. “Catherine Willows, vice supervisore del turno di notte, ci siamo già incontrate in corridoio ieri pomeriggio ma avevo altro per la testa, perdonami.”
“Michelle Williams, non ti preoccupare.” Gliela strinsi.
“Ci puoi aggiornare sul caso?” Chiese Greg.
“Temo che non possa dirvi più di quello che ho già scritto nel rapporto, niente documenti o patente, niente indizi che ci possano indirizzare sull’identità della vittima...”
“La pattuglia che ha trovato il corpo è ancora qui?”
“Sì certo, sono laggiù, se volete potete cominciare a interrogarli, io devo andare. Nick mi sta aspettando su un'altra scena. Ci vediamo.” 
“Ciao.” Greg si guardò intorno. “Bene, io e te andiamo?”
“D’accordo, da cosa cominciamo?”
“Io do un’occhiata in giro, se vuoi comincia dagli agenti.”
“Va bene, torno dopo per darti una mano.”
Mi diressi verso la vettura del L.V.P.D., dove un uomo grassoccio con segni di calvizie stava già interrogando gli agenti. Indugiai un po’ sul da farsi, ero nervosa. Avrei voluto nascondermi ma qualcuno mi stava chiamando.
“Signorina Williams, che piacere rivederla. Primo caso vero?”
“Buonasera capitano Brass... già, primo caso.”
“Prima si comincia meglio è... le lascio interrogare gli agenti, io nel frattempo vado a controllare Sanders. Quel ragazzo è un po’ distratto.”
Sorrisi, lo guardai dirigersi verso Greg, quando notai che lui mi stava già guardando con una strana espressione sul viso. Presi il taccuino e interrogai i due agenti.
“Allora. Come avete trovato il corpo?”
“Stavamo tornando in centrale dopo aver risposto ad una chiamata del 911. Abbiamo notato qualcosa che stava sul bordo della strada, pensavamo fosse un barbone ma poi ci siamo avvicinati e quando abbiamo capito che era morta abbiamo chiamato il capitano Brass.”
“Che ora era?”
“Direi saranno state le 21.00”
“E non avete notato nient’altro sul corpo? Bracciali, piastre di riconoscimento..?”
“No, aveva il colletto tirato su e non si vedevano i segni di corda... abbiamo sentito il polso per sentire se era morta. Poi abbiamo visto il foro d’entrata sotto la giacca e non abbiamo più toccato niente...”
Annotavo tutto sul un taccuino perché non volevo sbagliare niente. Sentivo che la calma cominciava a prendere il controllo sulla mano che ora aveva smesso di tremare.
“D’accordo, se avrò ancora bisogno di farvi qualche domanda contatterò il vostro superiore.”
“Ok, andiamo Jeremy.” I due agenti tornarono sulla loro auto e ripartirono verso il distretto.
Decisi di andare ad aiutare Greg, ma prima che potessi avvicinarmi mi mandò a prendere il calco degli pneumatici, sempre con quello sguardo preoccupato.
Andai verso est: pochi passi più avanti iniziavano a vedersi, ben marcati, i segni degli pneumatici. Per fortuna il terriccio era ancora umido. Tirai fuori dal kit i cartellini gialli segna prove e li posizionai vicino ai segni, scattai qualche foto e ispezionai l’area circostante.  Sassi, terra, erbacce, terra, erbacce, sassi... era il deserto del Nevada, che dovevo aspettarmi?
Infilai i guanti di lattice e spostai qualche sasso. Continuavo a ripetermi ‘Devi raccogliere qualsiasi cosa non ti aspetti possa trovarsi in un deserto’.
Seguii i segni degli pneumatici, fino al punto in cui erano usciti (o entrati, dipende dalla prospettiva) dal terreno umido per raggiungere l’asfalto.
Distrattamente puntai la torcia verso un cespuglio lì vicino dove qualcosa brillò. C’era una piastrina di metallo, sporca di fango secco, attaccata ad una catenella. Gli posai accanto il cartellino giallo con il numero tre e la fotografai, dopodiché procedetti imbustandola e catalogandola.
Camminai ancora per qualche metro in quella direzione: la mia attenzione venne attirata da un dischetto colorato nascosto da un po’ di polvere, ci soffiai sopra: il dischetto si rivelò una fiche da 100 dollari, ma ne trovai altre sparse per tutto il terreno circostante.
“Qualcuno stasera ha fatto una gran partita.” Gironzolai ancora per una decina di minuti, decisi poi di tornare da Greg per aiutarlo.
Il corpo era stato coperto da un lungo telo bianco con sfumature azzurre.
Greg stava parlando con Brass e con un altro ragazzo che, pensai, doveva essere il medico legale, un ragazzo con capelli scuri, bocca con labbra quasi impercettibili, occhiali rettangolari, un inizio di stempiatura, doppio mento ed enormi mani. Erano tutti e tre in piedi vicino al corpo, quando mi avvicinai Brass mi chiese di fare due passi con lui.
Guardai con timore Greg, riuscii a sentire solo qualche parola di ciò che stava dicendo all’altro ragazzo: “Mi dispiace... le avevo detto ... tutto bene... e ora lei... non avrei ...omicidio”
“Cosa c’è che non va? Greg, perché mi stai tenendo lontano dal corpo? Ci lavoro anche io su questo caso!” Andavo a passo pesante verso di lui, sbraitando. Sentii le sue parole, “Mi dispiace”, ero arrabbiata e anche spaventata.   
“Signorina Williams...”
“Michelle, mi chiami solo Michelle” Dissi a denti stretti al capitano Brass.
“Michelle, so che questo è il suo primo caso e faremo tutto il possibile per permetterle di continuare a lavorarci.”
“Ma perché? Cosa diavolo è successo?
“Sanders mi ha detto che lei conosce la vittima...”
“Che cosa? Come potrei conoscerla?”
“Secondo Sanders la persona distesa a terra è...” Indugiò un po’. “Come potrei dire...”
“Qualcuno vuole spiegarmi?!” Ero terribilmente spaventata.
“Sua sorella. Mi dispiace... non è così che avremmo voluto lo sapesse.”
“Abigaille?!  No! Non può essere lei! Ieri sera stava benissimo l’ho accompagnata al...” Non volevo crederci, no. Era un incubo, dovevo solo svegliarmi.
“Mi dispiace, Michelle. Ma temo che dovrà identificare il corpo.”
Brass appoggiò la mano sulla mia spalla e mi accompagnò davanti al lenzuolo. Disse al ragazzo di fianco a Greg, David credo, di spostare il telo. Ora non avevo più dubbi.
Era lei, senza vita ma nonostante ciò possedeva ancora la sua bellezza. Greg l’aveva solo incontrata una volta, quando era stato in casa mia due giorni prima.
Sentii le gambe cedermi, Greg e Brass che continuavano a chiedermi se stavo bene, i suoni però erano ovattati. Lontani.
“Michelle?! Michelle stai bene?!” Sentivo lo stomaco contorcersi, la bocca asciutta e priva di salivazione. Non era morta. Non poteva esserlo. Corsi lontano da loro, mi fermai dall’altra parte della strada a vomitare. Mi piegai sulle ginocchia, piangendo. Greg mi era corso dietro.
“Michelle, lo troveremo. Te lo prometto.”
“Non me ne frega un cazzo delle promesse Greg.” Dissi piangendo, perché glielo avevo detto? Lui non c’entrava niente. “Scusami, tu non c’entri.” Mi guardava con gli occhi bassi, non voleva dire qualcosa che mi facesse ancora più male.
“Se non te la senti di continuare ti accompagno a casa.”
“Voglio solo trovare il suo assassino. Ho tempo per riposarmi.”
Mi cinse le spalle con il braccio e mi riaccompagnò dal Capitano e dal Coroner.
“Qui ci sono tutte le prove che ho raccolto, immagino che debba riferirvi tutto di Abigaille...” dissi a Brass. La mia voce risuonava così lontana, sembrava che non fossi io a parlare.
“Se è d’accordo, Michelle, venga pure con me.”
Greg mi prese per mano e gli mostrai un debole sorriso.
“Ci vediamo laggiù.”
“Ti raggiungo al più presto, ok?” Annuii, senza troppe cerimonie e seguii Brass alla centrale.

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Capitolo 13
*** Ready ***


Capitolo 12.

Perché sono stato così sfortunato? Non so cosa dire.
Non l’avrei mai previsto, mai vista una cosa del genere.
Forse riuscirò a sopravvivere, qualsiasi cosa sia.

- Kodaline -
 

Appena varcata la soglia venni presa da un attacco di panico, sentivo i battiti del cuore accelerare. Corsi al bagno e piansi davanti allo specchio, alternando conati di vomito.
Brass mi aspettava fuori dal bagno, con gli occhi bassi. Il suo ufficio era di fronte a quello di Grissom. Un po’ più semplice e illuminato: il posto delle teche in plexiglas c’erano appese, con uno strato leggero di polvere sopra, le cornici dorate contenenti medaglie al valore e riconoscimenti. Una grande libreria stava sulla sinistra, affiancata da un divano di pelle marrone sul quale Brass mi fece sedere.
La sua scrivania non era inondata di fascicoli, ma a compensare c’erano molte foto di una bambina con i codini e il giubbotto rosa. Il cestino traboccava di bicchieri di caffè espresso vuoti. Ero così presa dal guardarmi attorno e a pensare a quello che mi era appena successo che all’inizio non mi accorsi neanche che lui mi stava parlando.
“...parlerò io con il procuratore, vedrò di risolvere la questione della familiarità con la vitt..mi scusi, sua sorella.”
“Noi non eravamo proprio sorelle, io sono stata adottata dalla sua famiglia. Io, non so se lei li conosce, nostro ‘padre’ per così dire è... Thomas Williams...” Brass mi guardava stupito.
“Il presidente della Williams & CO.?” Annuii. “Capisco.”
Mi asciugai la guancia. “Ma me ne sono andata via appena ho potuto. Ero stufa: avevo più discussioni con mio padre di quanti soldi avesse lui in banca.”
“Comprendo benissimo, anche mia figlia è scappata di casa... so come ci si sente.”
“Le deve mancare molto.” Indicai le foto della bambina, Brass sorrise, amareggiato.
“Sì, mi manca molto. Adesso fa la prostituta a Los Angeles, ma anche lei non è proprio mia figlia.” Prese la fotografia in mano. “Si chiama Ellie Rebecca.” Rimise a posto la cornice e mi chiese di Abigaille. Meditai un po’ su cosa dire. Da una parte volevo dirgli com’era davvero, l’altra parte me lo impediva.
“Abigaille Williams. L’ho sempre odiata, era la cocca di papà. Una voltafaccia degna di suo padre. Sembrava la più tranquilla delle due, quando invece se ne andava ai festini dei vicini a fare baldoria: sesso, alcool, poker. Ma alla fine mi ci sono affezionata.”
“Quando l’ha vista l’ultima volta?”
“Ieri sera. L’ho accompagnata al Paris, mi ha detto che avrebbe passato la notte nel casinò con le sue amiche.”
“Che ora era?”
“Circa le 22.15, avevo un appuntamento.”
“E con chi?” La domanda mi spiazzò, facendomi rimanere a bocca aperta. Lo guardai perplessa.
“Mi sembra un’informazione personale, capitano Brass. Cosa vuole dimostrare?”
“Niente, non si agiti, è solo la prassi. Allora con chi era?”
“Con Sanders.” Risposi scocciata.
Brass al sentire la mia risposta premette troppo forte la punta della biro sul taccuino, facendo un buco sulla pagina.
“Mi scusi, con chi?” Chiese con calma.
“Greg Sanders, il mio collega.” Risposi nuovamente scocciata.
“Mi faccia capire, avete una relazione?” Chiese, stavolta con qualcosa nella voce che risuonava di curioso e divertito allo stesso tempo. Ripensai alla nottata appena passata insieme. “Sì.” Risposi.
“D’accordo. Quindi siamo rimasti alle  22.15 al Paris, e dopo l’ha più sentita?”
“No. Le ho lasciato diversi messaggi in segreteria, ma non mi ha mai richiamata...”
“Che lei sappia, c’era qualcuno laggiù che la stava aspettando? Aveva anche lei un appuntamento?”
“Non ne ho idea. Voglio dire, so che doveva uscire con Pamela, la sua migliore amica, ma non ne sono sicura.”
“Quindi potrebbe aver conosciuto il suo killer laggiù. Chiederemo alla sua amica.” Sentii un suono sommesso alle mie spalle. Brass si alzò dalla sedia. “Mi aspetti qui un attimo.”
Grissom stava bussando sul vetro, probabilmente si stava chiedendo cosa ci facessi nell’ufficio di Brass invece di starmene a lavorare sul caso con Greg.
Il capitano uscì dall’ufficio, li vidi parlare animosamente. Grissom rimase sorpreso dalle parole del suo interlocutore. Non si sentiva molto, in più continuavo a vedermi il volto coperto di sangue di Abigaille starmi davanti. Dopo qualche minuto sia Grissom che Brass entrarono nell’ufficio, così mi alzai in piedi. Mi aspettavo un rimprovero di quelli che possono farti solo le madri, e invece vidi solo Grissom mostrare uno sguardo compassionevole.
“Mi dispiace molto per la sua perdita, Michelle.”
“Già, dispiace anche a me.”
“Dov’è Sanders? Pensavo fosse venuto con lei.”
“Ha detto che mi avrebbe raggiunto al più presto, stava finendo di raccogliere le prove. Dovrebbe arrivare a momenti insieme al medico legale...”
“Se vuole, l’accompagno di sotto.”
“Grazie, mi farebbe molto piacere...”
Brass mi chiese il numero dei miei genitori adottivi, in modo da comunicargli la triste notizia mentre io e Grissom ci avviammo verso l’ascensore.
“Eravate molto legate?”
“No. Eravamo diverse, appartenevamo a due mondi diversi, anche se ultimamente le cose stavano cambiando... avevo cominciato a considerarla davvero una sorella.
“Dicono che gli opposti si attraggono.”
“Io... io voglio solo trovare chi l’ha uccisa, nient’altro.”
“Faremo il possibile perché ciò accada.”
Scendemmo di sotto. Greg stava uscendo dalla sala autopsie, appena mi vide ci venne incontro.
 “Grissom. Michelle... io-”
“Non dire niente Greg, non dire niente.” Mi abbracciò.
“Robbins ha detto ci metterà ancora un po’.”
“Allora Michelle vai a farti una pausa, prenditi un the. Ne hai bisogno.”
“D’accordo.” Dissi a malincuore.
“Ti riaccompagno di sopra.” Greg mi prese per mano, cercando di sorridere. Tentai di ricambiare e mi rivolsi al mio supervisore. “Grazie, signor Grissom.”
“Solo Grissom, non signore.” mi sorrise, e per quell’istante sentii di avere finalmente qualcuno che mi facesse davvero da padre. Grissom continuò verso la sala autopsie, evidentemente seguiva un altro caso, mentre io e Greg tornammo di sopra.
“Mi dispiace per tua sorella... Lo troveremo. Te lo prometto.”
Ero lì: ferma, dietro di lui, annegata nei miei pensieri quando scoppiai. Ma la persona che avevo di fronte era l’unica con cui non volevo affatto scontrarmi.
“Oh Greg, queste cose-” Lo guardavo arrabbiata. “Non voglio sentirmi rinfacciare false speranze e quantità immani di inutili promesse!” Greg invece di arrabbiarsi mi porse la mano, continuava a guardarmi negli occhi.
“Avanti, sfogati.” Avrei voluto dire di si, ma sapevo fin troppo bene che non mi sarei più fermata. “No.” Risposi bruscamente. Mi passai la mano sul viso e feci un lungo respiro.
“Andiamo. Abbiamo del lavoro da fare.”

 

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Capitolo 14
*** Numb ***


Capitolo 13.

Mi sono stancato di essere ciò che tu desideri io sia
Non so cosa ti aspetti da me: mi tieni sotto pressione per assomigliarti, [...]
ogni passo che faccio è un altro errore per te.
Tutto ciò che desidero è essere più come me e meno come te.

- Linkin Park -
 

Salimmo di sopra. Stavo per entrare nel laboratorio DNA, dove avrei trovato un insopportabile David Hodges ad attendermi, quando una voce lontanamente familiare mi chiamò per nome.
“Michelle?” Conoscevo fin troppo bene quell’insopportabile voce acuta e falsa.
“Mamma.”
Una donna sulla cinquantina, capelli biondo tinto che coronavano un viso trasformato dal botulino con occhi verdi che gli spiccavano in mezzo, stava in piedi al fianco di Brass.
Indossava un abito rosso sgargiante ricoperto di pajettes,con scarpe dai tacchi altissimi.
Doveva essere rientrata da una festa o roba simile.  
“Oh Michelle, eravamo così in pensiero! Non ci hanno detto niente... che cosa è successo?”
Mi si buttò al collo piangendo, lasciandomi uno spazio visivo più ampio nel quale un uomo in giacca e cravatta, con capelli castani striati di bianco, parlava al cellulare. Mia madre sorrise tra le lacrime. “Dov’è tua sorella?”
Sentii un groppo alla gola, il cuore cominciò a pulsare più veloce. Non trovavo le parole, ognuna mi sembrava così priva di dolore e insensibile. “Mamma... Abigaille... io non so come sia potuto accadere...” I miei occhi vacui si velarono di lacrime. Mia madre riusciva a capirmi, anche se non lo dava a vedere.
 “Non è vero, dimmi che non è vero!” Mi tirò uno schiaffo e mi agitò per le spalle. Parecchie persone che andavano avanti su e giù per il corridoio si fermarono a guardarci, calò il silenzio: solo la voce di mia madre si espandeva acuta e falsa. Dopo qualche minuto l’amico di Greg, Nick, e un altro tizio che indossava un camice blu da laboratorio, David Hodges, uscirono in corridoio per vedere cosa stava succedendo. 
 “Avresti dovuto avere cura di lei!” Scoppiò in un lago di lacrime, fu allora che mio padre spense il cellulare e si accorse di me. Nel frattempo Brass fece circolare la folla che intasava il corridoio, dicendo che non c’era nulla da vedere.
“Marianne, cara cos’è successo?”
“Thomas, nostra figlia è...” Non riuscii a capire cosa gli avesse detto, ma dallo sguardo di mio padre capii che gli aveva detto la verità. Furioso e addolorato si diresse verso di me.
“Che cosa le hai fatto?! L’hai lasciata da sola in mezzo a quei sempliciotti del casinò!? Ho sempre pensato che fossi stata una disgrazia per noi! Ma non fino a questo punto! Non farai mai più parte di questa famiglia Michelle, mai più!”
Mi vergognai di me stessa perché ero di nuovo nessuno. Lui era riuscito a distruggere tutta quell’atmosfera che stavo lentamente costruendo.
“Vattene al diavolo, signor Williams.” Sentivo la rabbia uscire da ogni poro della mia pelle, e per come mi sentivo avrei anche potuto ucciderlo. Mi si riempirono gli occhi di lacrime ma l’orgoglio prese il sopravvento e rimasi impassibile. Gli diedi le spalle, cominciai a camminare verso uno dei laboratori ma mi prese per una spalla e mi girò di nuovo verso di lui. “Dove credi di andare signorinella?!”
“Il più lontano da voi possibile.” Dissi fermamente con le lacrime agli occhi, prima la morte di Abigaille, ora mio padre e mia madre che mi distruggevano poco per volta davanti a una folla intera.
“Oh no cara, sentirai notizie dai nostri avvocati. Sappi che ti ritengo pienamente responsabile di quanto è accaduto alla mia bambina!”
Greg si mise in mezzo. Tra le tante cose stupide che poteva fare, aveva fatto l’unica che mio padre disprezzava di più.
“Vedo che ti sei trovata uno stupido giovanotto che ti difende, così invece di controllare tua sorella ti scopavi questo sudicio ragazzo. Bene, allora buon sangue non mente Michelle..tua madre era anche così.” sogghignò.
“Tu non sai niente di mia madre!”
“Oh io conoscevo bene tua madre. Faceva la prostituta a Los Angeles, le avresti potuto rovinare la ‘carriera’, così ti affidò a me. Dovresti portarmi più rispetto signorina cara, ti ho salvato da una vita ignobile.” Non mi aveva mai parlato di mia madre, e io non glielo avevo mai chiesto.
Greg fece per parlare ma lo fermai subito. Thomas però se ne accorse. “Idiota.” Gli disse con un tono di disprezzo nella voce. Si diresse verso la moglie, non potevo più chiamarla ‘mamma’, ormai non lo era più. Appena Marianne lo ebbe afferrato per un braccio, intervenne Brass.
“Signor Williams, la prego di calmarsi, siamo ancora nel mio dipartimento e non tollero certi comportamenti.” Li vidi parlare ancora. Non sentivo più nulla, non c’era più nulla di importante per me di quella famiglia.
Greg si girò verso di me e mi sussurrò qualcosa, non riuscii a capire niente di quello che mi aveva appena detto ma annuii lo stesso. Ero troppo frastornata, arrabbiata e disperata.
Mi afferrò per un braccio e mi portò nel suo laboratorio. Un cubicolo composto da tre pareti e una vetrata, in più mille bottiglie e flaconi di plastica pieni di sostanze chimiche e reagenti se ne stavano ordinati su ogni tavolo. Le apparecchiature da laboratorio occupavano gran parte della stanza.
Mi fece sedere su una sedia girevole da ufficio e spostò tutto ciò che c’era sul tavolo davanti a me dentro un armadio. Mi diede una tazza di the e me lo appoggiò davanti.
Lui si sedette in fronte a me, le braccia incrociate sul tavolo lo facevano sembrare un qualcosa a metà fra un padre e un professore di chimica.
“Mi dispiace... non era mia intenzione farlo incazzare di più.”
“Sapevo che prima o poi sarebbe tutto finito... nessuno in quella famiglia mi ha mai considerata. È stato meglio così.”
“Vuoi che faccia qualcosa di particolare?”
“No. Ho solo bisogno di starmene tranquilla, non avrei mai pensato che avrebbe potuto essere così... cattivo.”
“Non se l’aspettava nessuno una scenata del genere, soprattutto da un uomo come Thomas Williams.” Greg vide Brass uscire dal suo ufficio. “Aspettami qui un attimo.” Prima di uscire dalla stanza mi accarezzò una guancia. Appoggiai le braccia in grembo tenendo lo sguardo ben fisso sulla tazza. Le parole di Thomas mi rimbombavano in testa: ‘non farai mai più parte di questa famiglia’.
Sentii la porta aprirsi nuovamente, pensai fosse Greg,  invece spuntò una testa rasata con un sorriso laconico e due occhi allegri. Nick.
“Bene, ora tutti conoscono la mie origini e vengono a farsi beffe di me...”
Andò a sedersi dove prima c’era Greg. “Sai, non ti devi disperare. Una madre non è chi ti ha fatto nascere ma è chi ti ha cresciuto, e credimi: non sei nè come quella bionda rifatta e nè come la tua vera madre. Rimase un attimo in silenzio, come se fosse sovrappensiero.
“Michelle, giusto?” Annuii. “Mi ricordi parecchio un altro membro della nostra squadra... una situazione come la tua. Era il migliore amico, e ci consideravamo ormai come due fratelli. Aveva dei problemi ma non ne ha mai parlato apertamente con nessuno. Purtroppo non sono stato con lui quando dovevo esserci... quando se ne è andato ho capito che non potevo chiudermi in me stesso o ne avrei sofferto ancora di più. La scenata di prima, perdonami se te lo dico così, dovrebbe essere un chiaro segno che devi chiudere col passato.” Feci un mezzo sorriso e lui ricambiò.
“Immagino che Grissom ti abbia detto che qui siamo come una grande famiglia, perciò ora fai parte della nostra. Ricaccia indietro quelle lacrime e tira fuori le palle. Non permettere a quell’idiota di metterti i piedi in testa.”
“Hai ragione.” Sorrisi. “Grazie, Nick.”
“Non c’è di che, gli amici servono a questo, no?”

 

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Capitolo 15
*** Leave out all the rest ***


Capitolo 14.

Sono forte in superficie ma non lo sono dentro di me.
Non sono mai stata perfetta ma nemmeno tu lo sei stata.

- Linkin Park -
 

Nick uscì dalla stanza per tornare a lavorare al suo caso, nel frattempo Greg era tornato senza dirmi nulla di nuovo: Thomas stava litigando nuovamente con Brass perché avevo permesso che uccidessero Abigaille, Marianne piangeva ancora la sua bambina e le voci su di me si stavano ormai diffondendo per tutto il dipartimento. Per distrarmi, mi disse che era ora di cominciare a lavorare sulle prove che avevamo raccolto: la polvere e il fango ormai avevano cancellato la metà delle impronte sulle fiche, ma si poteva fare ancora qualcosa.
Trovai quelle di Abby sulla fiche da 100 dollari, probabilmente aveva vinto un sacco di soldi al casinò ma ne trovai altre due parziali sovrapposte alla sua, unendole riuscii ad ottenere un pezzo di impronta. Apparteneva ad un certo Woody Simon: qualche arresto per truffa e rapina negli anni ’90. Nel  frattempo Greg aveva trovato a chi apparteneva la piastrina.
“Queste piastrine sono in dotazione a tutti i carcerati della contea e della California. Il principio è un po’ come quello delle piastrine che si usavano in guerra.”
“Ovvero si incide un codice sopra per l’identificazione del cadavere se ti esplode la faccia?”
“Precisamente, ho controllato in ogni carcere ed è venuto fuori che appartiene ad un ex detenuto del carcere di Los Angeles, è stato condannato a 5 anni per rapina ed è uscito circa una decina di giorni fa, ma oltre a quello la fedina penale non è immacolata, anzi, sembra molto bravo a truffare la gente.”
“Fammi indovinare, appartiene a un certo Woody Simon?”
“Come fai a saperlo?”
“C’erano le sue impronte sulle fiche che ho trovato sulla scena.”
“Questo lo rende il principale sospettato. Tra l’altro dove hai detto che hai lasciato tua sorella l’altra sera?
“Al Paris... perché?”
“Sarà meglio andare a controllare la stanza che ha preso, l’assassino potrebbe esserci stato assieme... e magari potremmo chiedere se hanno visto tua sorella con Simon. Dopo andrò da Brass a chiedere un mandato.”
“Mi pare un’ottima idea.” In quel momento sopraggiunse Catherine.
“Michelle?”
“Ciao Catherine! Immagino tu voglia sapere della scenata di cui tutti stanno parlando...” Mi sorrise. “Tranquilla, mi hanno già raccontato tutto, mi dispiace.” Mi limitai ad alzare le spalle. “Robbins mi ha detto di darti questo, sono i referti tossici. Ti sta aspettando di sotto.”
“Oh, grazie.” Aprii il fascicolo: mia sorella aveva sniffato coca. “Catherine, posso parlarti?”
Uscii dalla stanza, Catherine mi guardava stranita con la mano appoggiata al fianco. “In cosa posso aiutarti?”
“Credi sia possibile... chiedere al capitano Brass di fare qualche ricerca?”
“Vuoi trovare la tua vera madre?” Sorrise.
“Sì, voglio sapere tutto di lei. Se è sposata, se ha figli...”
“Non ci sono problemi, Jim è uno a posto. Ora devo andare, Nick mi sta aspettando, ci vediamo.” La salutai, poi andai verso gli ascensori attraversando con passo veloce il corridoio: tutti mi guardavano e poi si giravano per parlare a bassa voce, cosa che mi stava facendo andare in bestia. Un sonoro ‘din’ annunciò l’ascensore: entrai insieme a un poliziotto e una ragazza in camice.

Dopo qualche secondo la porta si aprì per lasciarmi nel corridoio piastrellato e grigio che terminava con la sala autopsie.
L’odore nauseante mi fece barcollare, ma dopo qualche minuto ci feci l’abitudine. Presi un bel respiro ed entrai: l’uomo con il bastone parlava con David, il medico legale che era nel deserto con me e Greg. Tossii per ‘annunciare’ la mia presenza. Entrambi alzarono lo sguardo su di me, David stava scattando qualche foto al corpo della ragazza sul tavolo.
“Oh, Michelle ti stavo aspettando.” Disse Robbins.
“Ho tardato con le altre analisi.” Sentii un brivido percorrermi la schiena: era colpa del volto esanime di Abigaille, nuda, sotto un riflettore con due uomini che la stavano torturando per capire cosa diavolo le era successo. Robbins mi squadrò con lo sguardo, cosa che mi costrinse ad abbassare gli occhi verso il pavimento per non far vedere che erano lucidi.
“Tutto ok?”
“Io... credo di sì.”
“Se non vuoi assistere capisco benissimo, non è affatto bello vedere la propria sorella in questo stato.”
“No, sono... insomma, è tutto a posto.” Respirai a fondo. “Allora.” Mi avvicinai al tavolo “Qual è stata la causa della morte?”
Robbins prese un oggetto metallico da una ciotola di acciaio lì vicino. “Questo proiettile di calibro 9 mm ha sfondato il cranio e si è conficcato nel lobo frontale.”
“Ha sofferto?”
“No, la morte è stata immediata.”
“Che mi dici dei segni-” Deglutii e indicai con un gesto la gola “-di strangolamento?”
“Sono pre-mortem. Credo siano parte di un gioco erotico.”
“Non... non capisco.”
Intervenne l’altro medico legale. “Pensiamo che la vittima conoscesse l’assassino, e che siano stati insieme poco prima che lei morisse. I segni sul collo mi fanno pensare a un gioco erotico, in pratica si chiudono momentaneamente le vie respiratorie per provare più piacere.”
“Mia sorella ha fatto del sadomaso poco prima di morire?” Robbins fece spallucce. “Non lo chiamerei proprio sadomaso. Si tratta di una pratica sessuale poco dolorosa, è come quando fai apnea in acqua.”
Riguardai Abigaille. “Immagino che ci siano quindi delle tracce di attività sessuale.”
“Niente che faccia pensare a uno stupro, ha sicuramente avuto rapporti poche ore prima di morire... il che avvalora l’ipotesa che ti abbiamo appena accennato.” Mi guardava interessato. “Greg mi ha raccontato molto di te quando ti ha conosciuta. Dice che sei una ragazza molto dura e fredda.”
“Greg non mi conosce ancora bene evidentemente, nonostante sia-” Mi fermai e respirai a fondo. “Nonostante sia il mio ragazzo.” Ostentai un sorriso. “Non mi conosce ancora.”
Robbins sorrise. “Tienitelo stretto quel ragazzo.” Annuii, lasciarlo era l’ultima cosa che avrei fatto in tutta la mia vita.

 

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Capitolo 16
*** Search and Destroy ***


Capitolo 15
 
Un milione di piccoli pezzi rubati da te.
Cerca e distruggi un milione di piccoli pezzi

- Thirty second to Mars -


 
Greg fu una saetta a guidare in mezzo al traffico di mezzogiorno, dal dipartimento al Paris ci avevamo messo poco più di una decina di minuti. Arrivati all’hotel parcheggiammo l’auto nel parcheggio di fianco.
Entrammo con addosso i giubbotti della scientifica. Greg lasciò il mandato al direttore, nel frattempo mostrai la foto di Abigaille alla receptionist, una bella ragazza con i capelli lunghi rossi, chiedendo se l’avevano vista o se comunque si ricordavano di lei: mi disse che mia sorella aveva preso una suite per tutta la notte insieme ad un ragazzo, mostrai la foto di Woody e la ragazza lo identificò come l’ospite misterioso. La receptionist mi diede la chiave della sua stanza guardando con interesse il biondino alla mia destra, così lo afferrai per un braccio e dissi seccamente “Tesoro, andiamo a raccogliere le prove di sopra.” Lei abbassò subito lo sguardo, confabulando qualcosa che suonava come una minaccia.
Poco dopo, parecchie cameriere mi dissero che Abigaille aveva passato quasi tutta la serata a giocare al casinò e che aveva anche vinto una bella somma.
Salimmo di sopra, la stanza numero 376 era l’ultima del corridoio a destra. Quando aprimmo la porta, ci accolse una stanza immacolata, credemmo che le cameriere avessero pulito tutto, così per fare prima ci dividemmo le stanze: lui avrebbe cercato nella camera da letto, io da pivellina avrei analizzato il bagno. Greg non trovò niente di anormale, solo quantità infinite di sperma sul materasso, una cosa particolarmente ovvia in uno dei più famosi casinò-hotel di Las Vegas.
“Direi che qui qualcuno si è dato alla pazzia gioia.”
Trovai un profilattico usato in bagno, nel cestone della biancheria. Era rimasto nascosto tra gli asciugamani usati.
“Io ho trovato questo profilattico, spero di trovarci il DNA di Abigaille o di Woody.”
Raccogliemmo altri campioni come capelli e fibre, con la speranza di ricollegare vittima e assassino a quella stanza.
 
Tornammo in centrale dopo qualche ora. Greg si diresse direttamente ai laboratori, mentre io andavo incontro a Brass: lo vidi uscire da una porta con un riquadro di vetro.
Thomas e Marianne se n’erano andati da Robbins a dire addio alla loro ‘bambina’, così entrai nel suo ufficio tranquillamente. Era sconvolto da tutto il trambusto che avevo portato con me.
“Capitano Brass?”
“Ah Michelle, è lei. Pensavo fosse la moglie di Williams... mi è venuto un accidenti per colpa di tutto quel piangere e urlare. Ma come ha fatto lei a sopportarli per tutti questi anni?”
“Non lo so nemmeno io, ma stavolta sono io a chiederle scusa: le ho combinato un bel guaio portando i miei genitori qui.”
“Non si preoccupi, ne ho viste di peggio... d’altronde sono cose che succedono. Voleva dirmi qualcosa o è qui solo per scusarsi?”
“Io e Sanders abbiamo trovato delle prove che potrebbero aver smascherato l’assassino. Si chiama Woody Simon, è un ex detenuto di Los Angeles ed è uscito circa venti giorni fa dopo aver scontato l’ennesima condanna. So che una volta frequentava mia sorella, cioè saranno usciti insieme due o tre volte, a quanto ne so. Comunque le sue impronte sono sulle fiche che ho ritrovato nel deserto e Greg ha rintracciato la piastrina identificativa, che è sempre di Simon. Non sembra abbia fatto poi così tanta attenzione.”
“Ottimo. Mi piacerebbe farci una bella chiacchierata. Andrò subito a cercare l’ultima residenza.”
“Abbiamo già controllato. È qui a Las Vegas.”
“Perfetto, manderò una pattuglia a cercarlo. Ottimo lavoro agente Williams.”
 
[...]
Brass mi venne in contro poche ore più tardi.
“Ah Michelle, abbiamo pescato Simon in un casinò sulla Strip: il direttore ci ha chiamato perché qualcuno sembrava stesse ‘barando’ e guarda chi un po’ chi è? Simon. Non ha ancora detto nulla, vuole parlare con gli agenti che lo stanno incastrando.”
“Ma... io non ho mai affrontato un interrogatorio!”
“Andrà bene, io sarò nella stanza con lei, può cercare di smuoverlo. Se avrà delle difficoltà sarò lì per aiutarla, intesi? Lo consideri come un normale colloquio.”
Annuii e mi fece entrare. Al tavolo stava seduto un uomo sulla trentina. Aveva la faccia da drogato, un braccio interamente tatuato e due occhi che assomigliavano in modo impressionante a quelli di un serpente. Sembrava molto più vecchio e trasandato di quanto mi ricordassi.
“Bene Simon, lei è l’agente Williams. E’ una dei due che sta cercando di incastrarti, come dici tu.” Woody spostò lo sguardo su di me, mi riconobbe subito.
“Michelle... Da quanto tempo non ci vediamo? Ho sentito che hanno spedito la tua adorata sorellina all’altro mondo.”
Mi sedetti al tavolo in fronte a lui “Dimmi, come si sta al fresco di questi anni?”
“Sempre meglio che starsene fuori senza niente grana da spendere... E a te non manca stare al fresco? Trovo che qui a Las Vegas si muoia dal caldo.” Si fece aria con la mano, sogghignando. Era un chiaro tentativo di provocazione.
“Sai, io ho messo la testa a posto, al contrario di te. Dov’eri due sere fa?”
“Bella, sono talmente fatto che non mi ricordo neanche cos’ho fatto oggi.”
“Non... non chiamarmi bella.” Mi stavo innervosendo. “Dimmi dov’eri l’altra sera o giuro che ti sbatto dentro.”
“Lo giuri sulla tua cara sorellina defunta?” Era la goccia che fece traboccare il vaso: mi alzai in piedi, prendendolo per il colletto della camicia. Brass intervenne allontanandomi da lui.
“Brutto bastardo! DIMMI DOV’ERI! È l’ultima possibilità che ti do!”
“Non dirò niente senza il mio avvocato, bye bye Michelle. Ci sentiamo.”
Ero di nuovo da capo. Senza niente in mano, senza speranze per dare giustizia a mia sorella.

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Capitolo 17
*** Hit the floor ***


Capitolo 16
 
Ma ho avuto troppi conti in sospeso con te
è piu o meno tanto quanto posso sopportare.
Quindi sto aspettando, fino a quando sarò io ad avere la meglio.
- Linkin Park -


 
Uscii furente dalla stanza interrogatori, seguita dal capitano Brass, decisamente in affanno.
“Michelle, maledizione! Si può sapere che le è preso?!” Aveva ragione ad arrabbiarsi.
“Speravo di gestire la situazione! Al diavolo quell’idiota e il suo avvocato!” Dissi a pugni serrati. “Adesso non ci dirà più niente! E’ tutta colpa mia!”
In quell’istante Greg ci venne incontro, soddisfatto. “Dimmi che mi ami.” Esordì.
Diventai paonazza, mentre Brass ci osservava entrambi, quasi sorridendo.
“Sanders, siete ancora agenti in questo momento, moderiamo il linguaggio.”
“Hai ragione Jim, il fatto è che ho confrontato il DNA ritrovato nella camera dell’albergo con i tamponi che hai prelevato dal corpo di tua sorella. Indovina un po’? Sono tutti pregni del DNA di Woody. Inoltre ho scoperto che ha una Escalade compatibile con i segni di pneumatici che hai fotografato sulla scena del crimine.”
“Fantastico, purtroppo non abbiamo trovato l’arma del delitto. Possiamo solo provare che hanno fatto sesso consensuale e che la sua auto era sulla scena del delitto.”
“Dimentichi che abbiamo un bossolo.” A volte mi spaventava il suo ottimismo.
“Ragazzo, non possiamo incriminarlo con queste prove, sono tutte circostanziali. Dovete trovare quella pistola.” Brass aveva perfettamente ragione, ma Greg era contrario e mostrò il sorriso di chi ha appena avuto un lampo di genio.
“Che ne dite di andare a cercare dove abita il signor Simon? Ha un appartamento al 2903 di East Warm Springs Road.”
“Muovetevi allora.” Disse Brass.

[...]
L’appartamento di Woody era un trilocale molto piccolo, traboccante di scatole di pizza, birra e vestiti sporchi. Stavolta fu Greg a rivoltare il bagno, che si rivelò un bunker di psicofarmaci, tranquillanti e anti-dolorifici: insomma una vasta gamma di droghe.
Aprii la porta della camera, non era messa peggio della cucina e questo mi confortò, almeno in parte. L’unica cosa apparentemente in disordine era una sedia colma di vestiti usati. Il letto di per sé era soltanto un misero materasso coperto da un paio di lenzuola e un plaid.
Rovistai nel mucchio sopra la sedia per tutto il tempo necessario, frugando in ogni tasca e in ogni abito; guardai sotto il materasso, sotto i cuscini e sotto le lenzuola. Ancora niente.
Svuotai gli armadi: c’era di tutto, dalle bustine di coca ai rotoli di banconote. La mia attenzione venne rivolta ad una cartellina rossa sfasciata, la aprii ed un foglietto macchiato di chissà cosa mi scivolò da sotto, finendo sul pavimento. Lo guardai per un bel po’: sembravano indicazioni stradali e movimenti, per non parlare della quantità di appartamenti e bar segnati sul retro. Guardai nella cartellina e trovai la foto di mia sorella con scritto l’indirizzo e il numero del mio appartamento.
“Maledetto bastardo! La stavi seguendo!” Pensai.
Sentii la voce esultante di Greg provenire dal bagno lì affianco, mi stava chiamando.
“Che c’è?”
“Guarda qua.” Disse gongolando, poi tirò fuori un oggetto metallico da dentro la vaschetta del water: era la 9 mm che stavamo cercando.
“Ora mi merito una promozione, ho avuto un lampo di genio a venire qua!”
“Lui conosceva ogni spostamento di Abigaille.” Dissi gelida, non badando alle sue affermazioni.
“Cosa intendi?”
“Greg, Woody sapeva, no lui sa dove abito!” Sentii il terrore scorrermi nelle vene.
“Michelle calmati adesso! Brass lo andrà subito a prendere se è stato rilasciato, e non è detto che sia fuori dal dipartimento!”
“Potrebbe essere a casa mia adesso! O peggio potrebbe essere già andato chissà dove!” Ero sull’orlo di una crisi di nervi. “Torniamo subito in centrale, lo voglio in carcere! Lo voglio vedere chiuso per tutta la vita in una fottuta cella!”
Greg disse all’agente di guardia di mettere il nastro giallo coi sigilli alla porta, poi andammo di corsa fino alla macchina. Guidai come una pazza fino alla centrale, facemmo di corsa le scale e ci catapultammo in laboratorio. Dovevamo  provare che era la pistola che aveva sparato.
Aspettai il risultato camminando nervosamente per il laboratorio, mordicchiandomi il labbro inferiore. “Ma quanto ci metti?!” Imprecai contro il gascromatografo. La stampante emise un sonoro bip nello stesso istante in cui Greg entrò nel laboratorio per avvertirmi che avevano tenuto Simon in custodia tutto il tempo.
“L’abbiamo preso!” Lo avevamo detto nello stesso istante.
“È lei Greg! È la pistola che ha ucciso Abigaille!” Dissi sventolando il foglio che avevo in mano, la corrispondenza era del 99,998%. Greg sorrise.
“Allora andiamo!”

 

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Capitolo 18
*** Faint ***


Capitolo 17

No! Stammi a sentire adesso.
Devi ascoltarmi, che ti piaccia o no.
Non girarmi le spalle: non sarò ignorato.
- Linkin Park -


 
Ci recammo da Brass, il quale ci informò dell’arrivo dell’avvocato di Simon.
“È con lui da almeno due ore, non hanno ancora smesso di parlare.”
“Poco importa. Lo inchioderemo quel bastardo.”
Spalancai con foga la porta che accedeva alla sala interrogatori, seguita da Brass e Greg. Ero determinata a sbatterlo dentro. L’avvocato smise di parlare, guardandomi con occhi iniettati di disgusto.
“Capitano Brass, adesso diamo il distintivo ai ragazzini?”
“Questi sono gli agenti Williams e Sanders. Hanno qualcosa da dire al suo cliente.” Woody non mi aveva tolto lo sguardo di dosso da quando avevo messo piede nella stanza. Aveva sempre quel suo sorriso disgustoso stampato in faccia. Posai la scatola di cartone contenente le prove sul tavolo.
“Michelle. Ma guarda un po’, stavolta ti sei portata la scorta?”
“Non sono qui per chiacchierare. Hai ucciso Abigaille... non te lo perdonerò mai.”
“Lei non può accusare il mio cliente senza prove; Woody lei non dica niente.” L’avvocato si stava innervosendo.
“Senza prove?” Greg sorrise beffardo, tirando fuori dalla scatola la 9 mm. “Tanto per cominciare abbiamo trovato l’arma del delitto a casa sua, questo la rende il principale sospettato.”
“E allora? Qualcuno potrebbe averla messa nel mio appartamento, sapete. Lascio la porta di casa mia quasi sempre aperta.” Disse ridendo di gusto.
“La riconosci questa?”
Presi il sacchetto con sopra segnato il luogo e la data del ritrovamento. Era la piastrina identificativa trovata vicino al corpo di Abigaille. La mostrai a Woody, per poi posarla davanti all’avvocato.
“No, perché?” Disse svogliato.
“Strano, perché è la piastrina che danno ai detenuti del carcere di Los Angeles, e sai una cosa? Il codice identificativo che c’è sopra è il tuo.” A quella notizia l’avvocato cominciò a sudare. “Per il suo cliente non si sta mettendo bene.” Greg era raggiante nel mostrare le prove.
“Dove l’avete trovata?” Chiese l’avvocato, asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
“A pochi metri dal cadavere della vittima, questo ti colloca sul luogo del delitto, Woody.”
“Inoltre, le impronte degli pneumatici della tua Escalade sono state rinvenute nel fango.” Io e Greg ci intendevamo perfettamente. Posai alcune foto che avevo scattato quella sera.
“Il mio cliente potrebbe aver prestato l’auto ad un suo amico.” Era una scusa bella e buona, ma solo per arrampicarsi sui vetri.
Potrebbe ma abbiamo delle testimoni che affermano che si trovava con la vittima al Paris quella sera e lo sperma in camera è tuo, Woody.” Disse Greg.
“Woody rischi venticinque anni, se non l’ergastolo e con le nuove leggi non avrai sconti. Io fossi in te confesserei.” Lo avevamo inchiodato.
“Preferirei morire invece che darti una fottuta confessione, puttana.”
“Signor Simon, moderi i termini o l’arresto per insulto a pubblico ufficiale.” Brass era rimasto in ombra ad osservarci mentre lo torchiavamo, ma se c’era una cosa che odiava era quando venivano insultati degli agenti, sia della Scientifica che del Dipartimento. L’avvocato di Simon gli disse qualcosa sottovoce, e Woody si calmò riprendendo il suo solito sorrisetto falso. “Voglio fare un accordo.”
“Woody, non funziona così. Queste prove ti inchiodano, non farai nessun accordo.”
“Il mio cliente è disposto a fornire alcune informazioni a proposito del traffico di droga che gestiscono alcuni suoi ‘amici’.” Stavo per dire di no, quando Brass ruppe il silenzio.
“Williams, Sanders... potrei parlarvi un momento?” Guardai Greg, che annuì. Sapeva già anche lui di cosa si trattava.
“Certo.” Rispondemmo all’unisono, ma prima di uscire lanciai un ultimo sguardo sfuggevole a Woody, poi seguii Greg fuori.
“Ci servono quelle informazioni sul traffico di droga.”
“Ma capitano, le prove lo inchiodano.”
“Lo so Michelle, ma è più importante salvare i nostri giovani dalle droghe importate da questi bastardi, parlerò con il giudice. Farò in modo che in sconti il più possibile, proponetegli i venticinque anni invece della pena di morte ma dovete farvi dire chi sono i trafficanti.” Ricordai improvvisamente il volto della bambina sulla sua scrivania, Ellie Rebecca, anche lei caduta nel giro di droga e prostituzione. Sospirai.
“D’accordo Jim. Avanti, torniamo dentro.”
 
Entrai dopo Greg. Sentivo la rabbia ribollirmi nelle viscere.
“Sono impressionata Woody, il capitano mi ha detto che posso concederti un accordo.”
“Vuol dire che ho fatto un buon lavoro, Michelle.”
“Venticinque anni al posto della pena di morte, in una prigione di tua scelta. In cambio fornirai al capitano Brass e al procuratore distrettuale le informazioni sul giro di droga.” L’avvocato disse qualcosa a Simon il quale sorrise beffardo.
“Accetto l’accordo.”
“Te lo ripeterò un’ultima volta... Hai ucciso tu Abigaille Williams?” Woody sorrise. Gli avrei volentieri assestato un cazzotto in mezzo agli occhi ma mi trattenni per non compromettere di più la situazione.
“Sai, è stato più facile del previsto. Non mi aveva nemmeno riconosciuto, quella troietta. Mi ha lasciato a marcire in carcere, e pensare che io l’amavo. Guarda Michelle, guarda cosa mi ha fatto, come mi ha ridotto!” Disse mostrando le cicatrici sulle braccia. “L’amavo e lei mi ha lasciato così.”
“Non meritava di morire Woody, nessuno lo merita!”
“Lo sappiamo entrambi che lei lo meritava, e sappiamo entrambi che io e te siamo uguali in fondo... me l’ha detto lei, prima di morire: le ho puntato la pistola in mezzo agli occhi e lei, poverina, si è messa a piangere. Poi però ha sorriso, e sai che ha detto? ‘Michelle avrebbe voluto farlo tante volte’, puff. Se n’è andata così, lasciandoti questa dedica! Sai Michelle, mi ha riconosciuto solo quando si è trovata la canna della mia 9 mm davanti al naso, era strafatta di coca... chiedeva pietà la poveretta, mi supplicava di non ucciderla ma è stato più forte di me, adesso so cosa vuol dire ad avere in mano la vita di una persona... è una sensazione fantastica Michelle, scommetto che ora mi vuoi uccidere, vorresti serrare le tue mani attorno al mio collo e stringere più forte che puoi, eh Michelle? Lo vuoi fare, vero?”
Qualcosa dentro di me voleva farlo, ma la voce di Abigaille me lo impediva.
“Stai zitto! Woody, lo sappiamo che io non sono come te! Non lo sarò mai! Abigaille a quel tempo si fidava di te, le hai spezzato il cuore!”
Si alzò di scatto.
“LEI LO HA SPEZZATO A ME! Mi ha testimoniato contro! Le avevo promesso una vita degna di lei, MA NO. Lei doveva fare la cosa giusta, doveva rovinarmi! Sai, è una liberazione sapere che l’ho uccisa!”
Sentii gli occhi bagnarsi di lacrime. “PORTATELO VIA DA QUI! Non lo voglio più vedere!” Urlai, sbattendo il pugno sul tavolo.
A quel punto entrò Jim, accompagnato da due agenti.
“Woody Simon, lei è in arresto per l’omicidio di Abigaille Williams, ha il diritto di rimanere in silenzio, tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale, ha diritto ad un avvocato, se non può permetterselo gliene verrà assegnato uno d’ufficio. Portatelo dietro le sbarre ragazzi, assicuratevi che non possa svignarsela.”
 
L’avvocato seguì i due agenti lungo tutto il corridoio, rimanemmo nella sala soltanto io e Greg. La testa mi stava scoppiando fino a che dovetti sedermi per non cadere.
“Lo sappiamo entrambi che io e te siamo uguali in fondo.. ‘Michelle avrebbe voluto farlo tante volte’...” Le sue parole si facevano sempre più forti, sempre più vere.
“Stai bene Michelle? Mi sembri pallida.” Mi disse preoccupato.
“Greg... credo... lui potrebbe aver ragione... io e lui siamo uguali?” Chiesi, la voce mi tremava.
“Michelle non dargli retta! L’ha detto per intimorirti, non avresti scelto di fare questo lavoro. “Si sedette vicino a me. “Siete diversi. Credimi.” Mi abbracciò.
Lui sapeva come tranquillizzarmi. Lo aveva sempre saputo, e ancora oggi mi chiedo come facesse a saperlo.


 
 

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Capitolo 19
*** Freedom (Epilogo) ***


Capitolo 18
Epilogo.

Stringiti a me e non lasciarmi andare
Che importa cosa vedono loro?
Che importa cosa sanno loro?
- Pharrel Williams -


 
 
Piansi. Piansi come non avevo mai fatto: la rabbia, la paura, la disperazione... Tutto il dolore represso di quasi ventotto anni ora stava esplodendo dentro di me come uno spettacolo pirotecnico. Dopo quasi un quarto d’ora di lacrime abbondanti, Brass entrò per congratularsi con noi del lavoro svolto.
“Siete stati molto bravi, Michelle voglio congratularmi con te per l’interrogatorio, gli hai tenuto davvero testa, ci dovrebbero essere più agenti come te in questo distretto.” Mi limitai ad annuire, Brass fece cenno a Greg con l’intento di aver fatto un ottimo lavoro.
“Ora devo andare. Woody deve dirci qualcosa a proposito del giro di droga che gestivano i suoi amici.”

Passarono diverse settimane dall’arresto, Woody raccontò tutto ciò che aveva a che fare con il giro delle bande che importavano droga dall’estero, un blitz della narcotici fermò un carico di 300 Kg di cocaina purissima proveniente dalla Bolivia, vennero arrestati cinquantasette narcotrafficanti e una ventina di spacciatori.
Qualche giorno dopo mi arrivò una convocazione in tribunale: l’accusa mi aveva citato come testimone nel processo di Woody. Fortunatamente il processo andò benissimo.
 
Las Vegas, 5 agosto.

Grissom ci convocò in sala riunioni.
“Bene squadra, voglio congratularmi con tutti per i risultati ottenuti nei processi a cui siete stati convocati, in particolar modo con M-”
In quel momento entrò una ragazza di circa 35 anni, indossava una giacca nera e un paio di jeans, aveva un paio di Ray-Ban appoggiati in testa.
“Scusate il ritardo, oggi c’è un sacco di traffico in giro.”
“Non dirmelo, ho saputo che c’è stato un incidente in Tropicana Avenue.” Disse Nick sorridendo.
“Per l’appunto, mi dispiace Gil, ho fatto il possibile.”
“Tranquilla Sara, passate bene le vacanze?”
“Divertenti, oserei dire... cosa mi sono persa?”
“Abbiamo una nuova entrata nella squadra. È fresca di esame.”
“Oh, chi è?” Grissom, rovistò alla ricerca di qualche foglio. Poi alzò lo sguardo, indicandomi.
“Sara, lei è Michelle.” Mi alzai in piedi per salutare.
“Ciao, Sara Sidle.”
“Michelle Williams.”
Catherine si girò verso di me.
“Michelle, sbaglio o sei appena tornata dal processo di Simon?”
“Si, mezz’ora fa.”  Si girarono tutti verso di me.
“Ah giusto, com’è andata?” Nick appoggiò i gomiti ai braccioli della sedia girevole.
“Direi bene, essendo il mio primo processo... Woody si è preso i venticinque anni patteggiati grazie alle sue informazioni sul giro di droga.”
“Bhe, almeno rimarrà in carcere per un po’.”
“Mi auguro solo che quando uscirà avrà capito i suoi sbagli.” Grissom sfilò dalla cartellina alcuni fogli.
“Grissom, tu sei troppo ottimista.”
“Sai Nick, ‘è meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione’.”
“No, non dirmelo. Shakespeare?”
“Albert Einstein.”
 
Concludendo con questa frase, distribuì nuovi fascicoli con nuovi casi.

 


 
 
Las Vegas, un giorno impreciso.

Bene, siete rimasti con me fino ad ora... Penso che abbiate ancora una domanda per me. “Che fine ho fatto io?”
Bhe, mi sono ambientata benissimo con tutta la squadra, ho conosciuto approfonditamente  il mio compagno di laboratorio, David Hodges. Gli altri non scherzavano affatto, è davvero insopportabile!
Sto lavorando duramente per diventare un agente provetto, ho concluso una ventina di casi fino ad ora e di certo non ho intenzione di smettere.
E poi c’è
Greg: lui è sempre rimasto al mio fianco, non si è mai lasciato scoraggiare dal mio carattere odioso. Dice di amarmi... e mi ha chiesto di sposarlo. Dopotutto lui mi ha cambiato la vita, e io di certo non voglio che la storia cambi.

 



Spazio Kiwi.

Eccomi qua!
Come ho già premesso nella descrizione, questa era una mia vecchia fanfiction che ho dovuto rimettere a posto,
mi sono resa conto che era scritta davvero male: adesso che è rimessa a nuovo spero abbia più successo!
Spero vi sia piaciuta, attendo le vostre recensioni e critiche.
Un bacio dal vostro kiwi.

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