La scelta

di Barbara Baumgarten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***



Capitolo 1
*** Uno ***


La pioggia bagnava incessantemente il terreno fangoso della Superficie, così che gli stivali affondavano per diversi centimetri nello strato di melma, facendola ansimare per lo sforzo. Doveva muoversi in fretta, lo sapeva, perché non le avrebbe giovato respirare quell’aria inquinata. Tuttavia, più cercava di aumentare il passo, più veniva rallentata. Maledizione! Imprecò fra sé, mentre faticava a mantenere il ritmo e l’equilibrio. Si fermò ed estrasse da una delle tasche del suo soprabito il GeoLoc. Lo accese e digitò il codice. In pochi istanti, una luce bluastra segnalò l’avvio dello strumento, mentre una voce metallica le dava il benvenuto.

“Ben tornata, Ruby” disse la voce “Come posso aiutarti?”

La ragazza fece il verso alla voce femminile proveniente dal GeoLoc: la odiava. Era proprio necessaria l’interazione vocale con i congegni? Non era possibile trattare i computer per quello che erano? Vale a dire, strumenti?

“Localizzare laboratorio Y30SE” disse freddamente, scandendo ogni lettera.

“Elaborazione in corso… Attendere, prego” rispose il GeoLoc. Trascorsero circa trenta secondi, poi la luce blu del congegno diventò rossa e lampeggiante. La ragazza cominciò, a ruotare su se stessa cercando di captare il segnale, fino a quando la luce non lampeggiò con più forza.

“Distanza obiettivo: 250 m” disse il GeoLoc, confermandole la corretta posizione. Era decisamente lontano. Rimise in tasca l’aggeggio e s’incamminò, riprendendo a maledire il clima, la Terra e se stessa. Non sarebbe dovuta andare da sola, Nick glielo aveva ripetuto più volte, ma cosa avrebbe dovuto fare? Insegnare a qualcun altro i passaggi che avrebbe dovuto seguire, una volta giunto al computer del laboratorio? No, grazie. Nessuno avrebbe potuto hackerare il sistema meglio di lei. Vide una luce a circa mezzo chilometro. Un Viper pensò. Non ci voleva. I Viper erano dei droni vigilanti, costruiti dalla BioCave con lo scopo di creare delle vere proprie pattuglie intelligenti. I Viper rispondevano agli stimoli acustici e termici, e conoscevano solo due verbi: localizzare e annientare. Dopo la grande guerra, avvenuta nel 2036, tutti i progetti della BioCave vennero rubati e i suoi congegni, utilizzati dai Clan. Sicuramente, si trattava di un Viper dei Ribelli e ciò avrebbe reso l’operazione più complicata del previsto se lei non fosse stata, per così dire, speciale. I Ribelli avevano modificato le impostazioni dei Viper configurandoli con i chip dei Clan, in questo modo avrebbero avuto obiettivi sicuri, soprattutto in caso di scontro aperto. Chiuse gli occhi e si concentrò. Attorno a lei venne a crearsi una bolla trasparente che si allargava sempre più, fino a raggiungere il drone. Una volta avuto il contatto, aprì gli occhi e continuò a marciare verso il laboratorio, sicura che il Viper non l’avrebbe raggiunta. Detestava usare la sua capacità perché non solo la stancava ma le lasciava anche una forte emicrania.

Giunse, finalmente, all’ingresso del laboratorio e cercò nella tasca il tesserino magnetico di riconoscimento, strisciandolo poi sul piccolo monitor che chiedeva l’autorizzazione. Un bip e una luce verde confermarono il successo del primo step di accesso. In seguito, avvicinò l’occhio destro al monitor che cominciò a scannerizzare la retina. Era un metodo di riconoscimento piuttosto obsoleto, ormai. Lei, come molti altri, si era fatta impiantare un occhio speciale che riusciva a bypassare il firewall del sistema di riconoscimento. Non era mai stata particolarmente entusiasta nell’alterare il suo corpo con le Componenti sintetiche, ma quello era prezzo da pagare per salvare il mondo. Altro bip e la porta si aprì.

“Benvenuto dottor Burn” disse una voce robotica. Lei passò a fianco al sistema vocale, ignorando il benvenuto elettronico. Finalmente, era all’asciutto. Le ci vollero un paio di minuti per orientarsi nel laboratorio e, sebbene avesse studiato nei minimi dettagli la pianta dell’edificio, dovette riordinare le idee. Abbassò le lenti a visione notturna e s’incamminò verso la stanza computer. Non aveva fretta, di certo non moriva dalla voglia di tornare all’aperto, sotto la pioggia, per cui fece con calma. Raggiunta la sala, ripeté la sequenza che aveva usato all’ingresso e aprì la porta. Davanti a lei, c’era il paradiso di ogni hacker: un sistema tutto da violare. Si sedette, sciolse i muscoli del collo e scroccò le dita. Ci siamo. Le sue mani presero a muoversi velocemente sulla tastiera, digitando codici su codici. Ad ogni tentativo, appariva la famigliare scritta ACCESSO NEGATO. Sorrise. Riprese con più vigore. Dopo qualche minuto, finalmente, l’accesso le venne garantito. Cercò le informazioni per le quali era andata fin lì.

digitò sulla schermata. Una serie di files comparirono a monitor. Estrasse l’hard disk dalla tasca e lo collegò al sistema. Copiò tutti i dati, poi cancellò ogni traccia della violazione, ripulendo la cronologia.

Tornò all’ingresso del laboratorio soddisfatta di sé e si rituffò nella melma da dove era venuta.

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Capitolo 2
*** Due ***


Le strade del quartiere 66 erano sporche e puzzolenti, ma Ruby sapeva che c’era di peggio. La vita sulla Terra era molto diversa da come i libri di storia ricordavano: la popolazione mondiale aveva abbandonato la Superficie, costringendosi a vivere nel sottosuolo, dopo essersi ridotta a poco più di un miliardo di individui. Le grandi città di una volta non esistevano più, fatta eccezione per gli scheletri degli edifici che s’innalzavano sopra lo strato di fango, e tutta la civiltà si era evoluta al di sotto della crosta. Non era stata una scelta facile, tuttavia necessaria. Le grande guerra, con le sue bombe intelligenti, aveva raso al suolo gran parte delle metropoli e le esplosioni avevano reso l’atmosfera insana e irrespirabile. Una coltre di nuvole perenne ricopriva il cielo della Superficie, vomitando piogge acide e oscurando il Sole. Tuttavia, queste nuvole avevano permesso al pianeta di sopravvivere, creando una barriere impenetrabile ai raggi nocivi della nostra stella.

La società era divisa in quartieri, ognuno dei quali era chiamato con il numero di fondazione. In totale, c’erano ottantanove quartieri dislocati a grande distanza gli uni dagli altri. La ragione di tanta separazione era, come al solito, la grande megalomania dell’essere umano: non appena i primi quartieri vennero creati, nacquero i Clan, delle organizzazioni che avevano come unico scopo quello di rappresentare la Legge. La verità era che non c’era più alcuna legge da rispettare, se non quella del Clan più forte e, ben presto, la vita nei quartieri venne brutalmente caratterizzata da lotte intestine. Chiunque poteva creare un Clan, il problema era, semmai, quello di farlo resistere più di qualche giorno: non appena si spargeva la voce che un nuovo gruppo era nato, immediatamente seguivano faide sanguinose per eliminare la concorrenza. Il potere non è qualcosa che si divide, da bravi fratelli, ma si conquista e si difende.

Ogni volta che le capitava di dover andare in Superficie, ripensava alla sua situazione. Lei, una giovane donna, esile nell’aspetto e, tuttavia, capo di un clan ombra. Non le erano mai piaciute le regole, non era capace di rispettarle. Amava la sua libertà, l’idea di poter scegliere il proprio destino, di poter plasmare la propria vita a piacimento. Sapeva ciò che voleva e, cosa ben più importante, sapeva come ottenerlo. Ecco perché si aggirava per le lande fangose della Superficie: doveva trovare tutte le informazioni necessarie per prendere il controllo di Icelus, la realtà virtuale, nata dal genio di Simon Babeuf, noto ai più come Morpheo.

Icelus era una copia perfetta della Terra, prima della grande guerra, nella quale avvenivano le maggiori operazioni del pianeta: contrabbando, furti di informazioni, spionaggio fra clan. Chi controllava Icelus, controllava il mondo.

 

Contenta di essere tornata nelle famigliari strade del quartiere, Ruby tolse immediatamente il soprabito bagnato dalle piogge della Superficie. Non era il caso di destare sospetti fra le persone. Le passeggiate sulla terra non erano viste di buon occhio, soprattutto perché coloro che avevano necessità di farle, di solito, non avevano buone intenzioni. La Superficie era ricca di informazioni sulla BioCave, utili nelle guerre fra Clan, e di Ribelli, cioè coloro che avevano preferito schierarsi apertamente contro Fobetore e i suoi uomini. Ruby non li biasimava ma non ne condivideva la filosofia: per lei, era inaccettabile rinunciare alla vita nei quartieri, per quanto potesse essere triste, e, cosa assai più importate, non era contemplabile agire senza avere un buon compenso. A quale pro disturbarsi a lottare, rischiando la propria vita, se alla fine della storia non c’era una soddisfazione? Il fine della loro guerra era la restaurazione dei poteri politici e della Legge universale. Insomma, ben magra consolazione: rischiavano la loro vita per togliere il potere a Fobetore e metterlo nelle mani di persone che, alla fine, sarebbero state ugualmente corrotte.

Si fermò alla fermata dell’autobus, mentre la voce sempre cordiale della MPQ, l’azienda che fabbricava i mezzi, annunciava un’attesa di otto minuti alla prossima corsa. Si prese del tempo per osservare le persone che la circondavano. Erano tutti estremamente mediocri. In particolare, si soffermò a guardare una ragazza che, pressappoco, doveva avere la sua età. Aveva dei lunghi capelli blu da un lato, rasati e verde acido dall’altra. Gli abiti erano abbastanza comuni: pantaloni in lattice nero, camicia dello stesso materiale e stivali. Nulla di ché. Tuttavia, aveva una cintura che colpì Ruby. Tutti, nel suo quartiere, portavano un accessorio come quello, ma la ragazza aveva un aggeggio niente male: il Physiox. Era uno strumento di nuova generazione, uscito in commercio da poco più di due mesi, che poteva cambiare l’aspetto della persona. Da quello che Ruby aveva capito, non poteva alterare la fisionomia, ma agiva sulla muscolatura, attraverso sollecitazioni elettriche. Così, una ragazza minuta poteva, con un solo gesto, diventare muscolosa come un uomo. L’effetto era sufficientemente duraturo da essere un ottimo deterrente per i male intenzionati. Tuttavia, come ogni cosa messa in commercio dalla BEAT, Bio Enviroment and Tecnologies, aveva un prezzo talmente alto, che ben poche ragazze avrebbero potuto godere dei suoi benefici. Ecco perché, Ruby, venne colpita dalla ragazza: era troppo giovane per permettersi un Physiox. L’autobus sopraggiunse, abbassandosi in prossimità della fermata. Le strade erano tutte sopraelevate e permettevano il transito delle persone da un capo all’altro del quartiere e da un lato all’altro dei profondi spazi vuoti fra i blocchi di edifici. Ciò che, infatti, gli uomini capirono ben presto fu che al di sotto della nota e famigliare crosta calpestabile della Terra, il suolo non era uniforme. Molte zone, che poggiavano nel vicino mantello, si resero, fin da subito, poco idonee a sopportare il peso di una costruzione e costrinse gli ingegneri a trovare soluzioni alternative. La più diffusa, fra tutti quartieri, fu la costruzione verticale verso il basso, ossia, l’edificazione in profondità lasciando i palazzi ancorati alla roccia su tre lati, due laterali e la base. Ciò creò i canyon, vere e proprie voragini fra un blocco edile e l’altro, attraversabile solo con i mezzi volanti.

Ruby salì sul mezzo immediatamente dopo la ragazza dai capelli blu e verdi. Sebbene la tecnologia fosse a livelli altissimi, i mezzi pubblici non avevano subito grandi modifiche: erano sempre affollati, caldi e maleodoranti. Fortunatamente, Ruby avrebbe dovuto sopravvivere a quella tortura per una sola fermata. Giunta al blocco G, scese. Attese che l’autobus richiudesse le porte e guardò la ragazza dai capelli blu per l’ultima volta, salutandola con il Physiox nella mano. Rubare, era una seconda natura. S’incamminò soddisfatta, verso il settore C, dove aveva il suo piccolo, ma efficiente, rifugio. Il blocco G era estremamente popolare: i palazzi avevano una novantina di piani, ognuno dei quali contava dieci unità abitative circa. Gli spazi erano quello che erano, le abitazioni spartane, servite da elettricità e acqua in misura basilare. Lei, grazie soprattutto alla sua affiliazione a Fobetore, era riuscita ad avere due unità: una come abitazione vera e propria, l’altra come centro operativo. Erano i vantaggi della criminalità.

Quando giunse all’appartamento operativo, capì, immediatamente, che qualcosa non andava: la porta era aperta con evidenti segni di effrazione. Lentamente, estrasse la pistola dalla cinta, tolse la sicura e l’alzò davanti a lei. Non era molto pratica nell’uso delle armi, le sapeva puntare, come dare l’idea di una che non si sarebbe fatta ripetere due volte di sparare se ne avesse avuto la necessità, tuttavia non aveva mai ucciso una persona.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Con la bocca da fuoco aprì cautamente il battente e gettò uno sguardo all’interno. Da quello che riusciva a scorgere, l’intero ambiente era a soqquadro e diversi cortocircuiti provocavano continue scintille. Le luci funzionavano ad intermittenza, vi erano fogli sparsi sul pavimento e svariati cassetti erano stati divelti e buttati alla rinfusa. Uno sguardo corse alla figura riversa a terra. Era Tody, il suo androide multifunzione. La testa era stata staccata dal busto e giaceva a qualche metro di distanza da lei. Cazzo! imprecò fra sé. Ruby s’inoltrò lentamente, facendo scricchiolare pezzi di vetro sotto le suole dei propri stivali. Tutto era fuori posto, i suoi computer distrutti. Una mano corse istintivamente alla tasca della cintura dove aveva riposto l’hard disk con i file rubati in Superficie, per accertarsi che fosse ancora lì. Mentre scrutava la scena, imprecando contro qualunque forma eterea vi potesse essere nell’Universo, una figura emerse dall’ombra alle sue spalle. Quando Ruby avvertì la sua presenza si voltò velocemente puntandole contro la pistola, ma la figura, con un rapido gesto della mano, fece volare l’arma a qualche metro da lei.

“Non voglio farti del male” disse l’uomo che poco prima si nascondeva nell’ombra, alzando le mani in segno di resa. Era vestito in modo bizzarro: aveva un lungo mantello con un cappuccio che gli coprivano quasi l’intero volto, facendo intravvedere soltanto una lunga barba bianca. Ruby respirava con affanno. Lo sconosciuto l’aveva appena disarmata senza nemmeno sfiorarla ed era vestito in un modo che non presagiva nulla di buono. L’uomo avanzò verso di lei, entrando in un cono di luce intermittente.

“So a cosa stai pensando” disse, cercando di usare un tono rassicurante “Non sono stato io a fare questo” e indicò con una mano la stanza. La ragazza indietreggiò fino a sbattere contro la scrivania.

“Chi sei?” gli chiese, cercando di nascondere la paura.

“Il mio nome è Gayle, Gran Maestro dell’Ordine Draeloran” disse misurando le parole e dando ad esse una certa imponenza. Ruby aveva sentito parlare dell’Ordine: si raccontava che fosse un’organizzazione di svitati, una sorta di setta, che credeva nell’Energeia, o energia universale.

“Un invasato, insomma” concluse ad alta voce Ruby, dando credito alle dicerie. L’uomo sorrise, felice che la paura della ragazza fosse scemata, anche se di poco.

“Preferisco vecchio pazzo, se proprio non vuoi chiamarmi Gayle”

Ruby si tranquillizzò, dopotutto, quell’uomo non sembrava avere l’atteggiamento di uno pronto a saltarle addosso.

“Cos’è accaduto qui?” chiese la ragazza, tornando a guardarsi in giro.

“Fobetore” disse l’uomo, facendo cadere la mascella a Ruby.

“Fobetore?!” urlò “E perché mai?”

“Hanno saputo del tuo doppio gioco” rispose laconico e diretto Gayle. Possibile? Si chiese Ruby, cercando di pensare al modo in cui la missione potesse essere trapelata al di fuori della base operativa. Gayle sembrò averle letto nel pensiero.

“Avevi una spia all’interno” precisò l’uomo. La rivelazione fece increspare leggermente la bocca della ragazza.

“Tu cosa c’entri? Cosa ci facevi qui, prima del mio arrivo?” domandò, tra il furibondo e il terrorizzato.

“Da diverso tempo stiamo… monitorando i tuoi progressi. Quando abbiamo saputo che Fobetore ti aveva scoperta e stava per mandare gli Spazzini, mi sono precipitato qui. In effetti” concluse guardandosi attorno “sono arrivato tardi”

Ruby serrò visibilmente la mascella. Fobetore aveva inviato gli Spazzini, esseri per metà umani e per l’altra metà macchine, che ripulivano i covi dei clan ribelli da tutte le informazioni, uccidendo chiunque trovassero. Ecco perché Tody era stata disattivata in quel modo truce.

“Ascolta, Ruby, dobbiamo andare via da qui. Non hanno trovato ciò che stavano cercando, ma torneranno” disse porgendole una mano.

“Vieni con me” la invitò “Abbiamo molto di cui parlare”

Sebbene riluttante, Ruby decise di seguire quell’uomo e, insieme, si trovarono a camminare per le strade del quartiere 66.

“Dobbiamo andare in Superficie” disse Gayle “Da lì sarà più facile muoversi”

Perfetto, un’altra camminata sotto la pioggia malata pensò la ragazza.

“Dove stiamo andando?” gli chiese.

“Nel quartiere 86” rispose laconico. Degli 89 quartieri, solo 67 erano controllati da una qualche forma di legge, fosse di Fobetore o dei Ribelli, mentre i restanti erano per lo più terre di confine, di nome e di fatto. Tutti i quartieri avevano, geograficamente, uno sviluppo concentrico: al centro vi era il quartiere 1, seguito dal 2 e così via. Il quartiere 86, dove erano diretti, si trovava, dunque, all’estrema periferia. Per attraversare una distanza così grande, avrebbero avuto poche opzioni: usare le Porte ed essere rintracciabili, oppure salire in Superficie e spostarsi con i Bolidi. Ruby raramente usava le Porte. Erano dei veri e propri accessi ai diversi quartieri, ma per poterle usare, bisognava ricorrere alla scansione della retina facendosi, così, schedare. Erano un mezzo sicuro per far sapere a chiunque i propri spostamenti. Le persone come Ruby, preferivano di gran lunga salire in Superficie attraverso i tunnel di aerazione: vere e proprie gallerie che permettevano il ricambio dell’aria nei quartieri e garantivano un accesso sicuro a chi, come loro, non voleva farsi rintracciare.

“Da questa parte” disse Gayle, indicando l’ingresso al tunnel di aerazione. Prima di entrare, Gayle diede un’occhiata fugace intorno, subito imitato da Ruby, per evitare di essere notati. La cosa affascinante degli esseri umani è che sembrano dare conto solo delle cose che ritengono interessanti, così che due persone intente ad entrare nei tunnel, non erano degne di attenzione.

Una volta entrati, si lasciarono il caos del quartiere alle spalle.

“Quartiere 89, giusto?” chiese Ruby, approfittando della privacy. Gayle annuì, senza tuttavia dare maggiori informazioni.

“Una volta sono stata nel 70” disse la ragazza, sperando di avviare una conversazione che le desse maggiori informazioni, ma l’uomo non collaborava.

“Fobetore mi aveva dato un incarico, dovevo convincere un tipo, un certo Norton, a collaborare con il clan”

“Collaborare” chiosò Gayle, conoscendo perfettamente le tecniche avanzate di persuasione degli affiliati di Fobetore. Ruby incassò il colpo.

“Beh, Gayle, questo è quello che sono” disse Ruby quasi amareggiata dal fatto che l’uomo non comprendesse.

“Una criminale?” chiese Gayle, non senza un certo sarcasmo.

“Definiscimi come meglio credi. Io, come tutti, devo sopravvivere e l’unico modo efficace che ho imparato è fotti il prossimo prima che lui fotta te” disse sprezzante. “Può non piacere, ma per me ha sempre funzionato così”

Gayle non rispondeva alle sue provocazioni e ciò la irritava parecchio. Detestava l’aria di sufficienza dell’uomo, perché la faceva sentire degna di commiserazione.

Giunsero alla chiusa del tunnel, dove una grande ventola lasciava uscire i caldi vapori del quartiere. Ruby fece per estrarre la chiave universale e interrompere il meccanismo, ma Gayle la precedette. L’uomo si fermò in prossimità della ventola e allungò una mano davanti a sé. Una grande bolla, simile a quella che lei stessa aveva usato contro il Viper, si sprigionò dal palmo aperto e avvolse il meccanismo, interrompendone il funzionamento. Ruby alzò entrambe le sopracciglia, stupita. Gayle sorrise divertito.

“Non penserai, davvero, di essere l’unica, per così dire, speciale?” le chiese. Ruby scosse la testa: quell’uomo si stava rivelando interessante.

Superata la ventola, si trovarono in Superficie. Lì, ad attenderli, vi era un Bolide, il mezzo mimetico, messo a punto dai laboratori della BioCave i cui progetti vennero trafugati e migliorati negli anni. Il mezzo si muoveva velocemente, a circa mezzo metro dal suolo grazie ad un sistema di bolle d’aria che creavano una sorta di cuscinetti sotto la chiglia. Il viaggio trascorse in silenzio, dopotutto, Ruby aveva di che pensare. Qualcuno l’aveva tradita e lei sapeva perfettamente chi era stato. Solo due persone erano a conoscenza del piano per rubare il progetto Beta di Icelus: lei e Nick. Quello stronzo pensò, corrugando la fronte. Perché? si chiese, ma la risposta era evidente: soldi. Maledetto bastardo. Gayle parve notare i pensieri della giovane.

“Non stare a crucciarti per il tradimento, Ruby. L’hai detto tu stessa: fotti il prossimo prima che lui fotta te” le parole dell’uomo la colpirono come uno schiaffo. Ridusse gli occhi a due fessure e fu davvero tentata ad usare il Physiox per mutare il suo aspetto e accanirsi su Gayle.

“La rabbia non ti aiuterà, Ruby” continuò l’uomo, intuendo i pensieri di lei, ancora una volta. “Non ti renderà migliore” concluse toccandosi la barba. Ruby rivolse lo sguardo altrove.

 Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fossero in viaggio, ma quando il Bolide arrestò la sua corsa, ne fu sorpresa. Il portellone si aprì, facendo entrare l’aria fetida della Superficie e mostrando l’ingresso ad un altro tunnel d’aerazione.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Giunti nel quartiere 89, la visione che Ruby ne ebbe, le fece accapponare la pelle. Tutto era fatiscente: i palazzi, le strade e le persone. La luce proveniva da sparuti lampioni, la maggior parte dei quali non funzionante. Il silenzio era interrotto dal passaggio di sprinter che sfrecciavano a grande velocità e spesso dovette ricorrere ai suoi riflessi per evitare di essere investita. Si sentiva fuori luogo. Tutto in lei le diceva di non attirare l’attenzione, più del necessario. Era il suo istinto di sopravvivenza, ciò che le aveva permesso di cavarsela in molte situazioni. Così, prese la sua lunga treccia a spiga di grano e la mise dentro la maglia, sollevando, poi il cappuccio della felpa. Non voleva che si ricordassero della ragazza dai capelli rosa e in quello squallido quartiere monocromatico, il colore dei suoi capelli spiccava come una mosca bianca. Abbassò lo sguardo giusto in tempo per evitare di calpestare un uomo in piena crisi d’astinenza da Moony: era sdraiato a terra, in preda alle convulsioni, che si rotolava fra i suoi propri umori. Uno spettacolo orrendo. Gayle lesse il disgusto sul suo viso.

“Non hai mai visto uno in crisi da Moony?” le chiese, stupito. Certo che li aveva visti! Tutti i quartieri hanno i propri drogati.

“Si, ne ho visti fin troppi” rispose quasi amaramente.

“Eppure, sembri scordartelo ogni volta che la spacci” il tono dell’uomo era decisamente accusatorio.

“Cosa vuoi che ti dica?” disse Ruby, alterata. “Che mi spiace per loro? Che mi pento delle mie azioni?” c’era astio nel tono della sua voce. “Beh, non me ne frega un cazzo. Se non sei sufficientemente forte da sopravvivere nel quartiere, allora ti offro una valida alternativa: la Moony”

Lui non la guardò in faccia, ma lei poté intuire i suoi pensieri.

“Non mi pongo questioni morali, Gayle. La suddivisione delle azioni umane fra buone e cattive le lascio alla gente come te. Per quanto mi riguarda” disse infine, facendo spallucce “sopravvivo”

“Le persone come me?” chiese l’uomo.

“Si, Gayle. Quelle che sono cresciute nella bambagia, permettendosi di poter giudicare gli altri. Quelle che sono sempre state troppo impegnate a guardarsi intorno piuttosto che alle spalle”

Questa volta, aveva fatto centro. Lui si fermò e la guardò dritta negli occhi. Ruby riuscì a vedere rabbia nelle iridi grigie dell’uomo.

“Tu credi davvero che questa possa essere un alibi per ciò che fai? La bambina orfana, cresciuta per le strade del quartiere, incapace di rispettare anche solo una regola?” era arrabbiato e Ruby si chiese se non la stesse prendendo troppo sul personale.

“Sei sempre stata una giovane in gamba, Ruby” continuò “Eppure, sei riuscita a prendere, sempre, le decisioni sbagliate”

“Che cazzo ne sai, tu?” ora era lei ad essere infuriata. Chi era quell’uomo incappucciato che tanto sapeva della sua vita?

“Ne so a sufficienza per dirti che non è mai troppo tardi per tornare indietro. Puoi ancora essere una brava ragazza, se solo lo desiderassi” Lei stava per ribattere quando lui, senza togliere lo sguardo dal suo, con la testa le indicò un portone.

“Siamo arrivati” disse. Ruby inspirò profondamene, trattenendo la rabbia. Era sempre stato il suo problema: se perdeva il controllo, e lo perdeva regolarmente, poteva finire solo in modo violento. Fin da bambina le dicevano che aveva rabbia repressa, dovuta, probabilmente, all’abbandono da parte dei suoi genitori. Lei non se l’era mai bevuta la cazzata dell’incidente. Loro l’avevano lasciata sola. Punto. Così, iniziò a colmare le lacune linguistiche con la violenza. Più volte era stata rinchiusa nella Stanza delle Punizioni: un metro quadro di buio e tanfo. Ma la riabilitazione non funzionò gran che o, almeno, non nel modo in cui le educatrici dell’orfanotrofio speravano. Lei diventò sempre più taciturna e le rare volte in cui interagiva, erano sempre con Nick o con i computer.

Gayle le fece strada dentro a quello che avrebbe dovuto essere il grande atrio del palazzo. Ma di grande aveva solo i buchi nelle pareti e i topi. Squittivano preoccupati mentre i due attraversavano la stanza a grandi falcate. Si fermarono in prossimità di una porta e Gayle bussò due volte, fece una pausa e diede un ultimo colpo al battente.

“Che tecnologia” lo canzonò la ragazza e lui sorrise.

“E’ il metodo migliore, perché nessun hacker può bypassarlo” disse, facendole l’occhiolino. Un uomo, vestito come Gayle, aprì la porta e salutò il Gran Maestro con un bacio sulle mani poi, accorgendosi della ragazza, fece un passo indietro e la squadrò.

“E’ lei?” domandò a Gayle.

“Si, io sono io” parlò Ruby, precedendo il Gran Maestro “E tu sei tu?” domandò avvicinandosi al volto dell’uomo incappucciato, in segno di sfida.

“Ruby” la voce di Gayle era calda ma decisa “Lascia stare” le disse e lei ubbidì.

 

Tutti e tre si diressero in un’altra stanza, dopo aver attraversato un lungo corridoio. L’arredamento era, se possibile, più bizzarro dell’abbigliamento dei suoi proprietari. Sembrava che tutto, lì dentro, fosse uscito da un libro di storia: la carta da parati -una cosa che non si vedeva nelle abitazioni da decenni prima della grande guerra- era floreale, sui toni caldi del rosso e del vermiglio, mentre la luce proveniva da applique in ottone. Ruby si ricordò di una volta nella quale aveva visto alcune fotografie che erano state scattate negli anni Quaranta del XX secolo e si chiese come avessero potuto trovare cose così antiquate nei quartieri.

Gayle la fece accomodare su una poltrona in velluto rosso, con grandi bottoni che ne fissavano la trama a rombi. Sembrava comoda a vista, ma non poté dire la stessa cosa una volta sedutasi sopra: i bottoni le premevano sui glutei in modo, decisamente, fastidioso facendola sobbalzare più volte, in cerca di una posizione comoda. L’altro uomo uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, così che rimasero, ancora una volta, da soli lei e Gayle.

Ruby attendeva delle risposte e l’uomo cercava le parole giuste per iniziare la conversazione.

“Gradisci qualcosa da bere?” chiese cordialmente Gayle, la ragazza fece cenno di no con la testa e l’uomo sorrise.

“Vorrei solo sapere chi sei e perché il mio covo è stato distrutto” disse freddamente Ruby. Era stanca, nervosa e non aveva la minima intenzione di perdersi in chiacchere inutili. L’uomo si prese qualche istante prima di parlare, misurando poi ogni parola.

“Bene, Ruby. Comincio col presentarmi: io sono Gayle, Gran Maestro dell’ordine Draeloran” disse e Ruby mostrò subito i primi segni di nervosismo.

“Questo me lo hai già detto, Gayle” lo rimproverò la ragazza.

“Hai ragione, perdona la mia cattiva memoria” si scusò l’uomo.

“Hai mai sentito parlare dell’ordine?” domandò Gayle e la ragazza scosse la testa.

“L’ordine Draeloran venne fondato nel XIII secolo da alcuni monaci che avevano doti particolari. L’intento era quello di creare un esercito che vegliasse sull’umanità e, soprattutto, sulle persone dotate: gli Uber. Erano anni oscuri, durante i quali molte persone vennero uccise solo per il semplice fatto di essere particolari, tuttavia l’ordine riuscì a salvaguardare molte linee di sangue” l’uomo si prese una pausa, per permettere a Ruby di capire le sue parole.

“Gli anni si susseguirono e divennero secoli. Accanto al mio ordine ne nacque un altro con scopo simile: Fobetore”. A quelle parole la ragazza ebbe un sussulto.

“Fobetore? Stai parlando dello stesso Fobetore di Icelus?” chiese, allarmata e incredula.

“Esatto, Ruby. Fobetore ha molti più anni di quelli che credi” disse sorridendo amareggiato.

“Gli Uber sono persone eccezionali, capaci di dominare le forze della natura, piegandole ai propri desideri. Se i Draeloran si posero lo scopo di proteggerli ed educarli, Fobetore volle controllarli per poi averli fra le sue file. Quando esplose il conflitto del quale la Terra porta oggi le più gravi ferite, gli Uber vennero ricercati con febbrile necessità da entrambi gli ordini. Molti di essi perirono, altri si dispersero. La ricerca delle linee di sangue divenne faticosa e sanguinaria; Fobetore riusciva a trovarli quasi sempre per primo e la proposta che faceva era sempre la medesima: con lui o contro di lui e puoi immaginare cosa significasse la seconda opzione. Così, mentre sulla superficie imperversava la guerra fra umani e Prototipi, nell’ombra si consumava una strage di Uber”

Ruby non riusciva a trovare un senso alle parole di quell’uomo, eppure sentiva dentro di sé che, ciò che stava ascoltando, era una storia reale. Tutti conoscevano la fine della Terra, la guerra con i Prototipi, il coinvolgimento della BioCave e l’inizio della colonizzazione del sottosuolo. In pochi, tuttavia, conoscevano la nascita di Fobetore.

“Okay” chiosò Ruby “Stando a ciò che mi stai raccontando, esistono delle persone con poteri che vengono contese fra i Draeloran e Fobetore. Io cosa centro?”

“Tu, Ruby, sei un Uber, discendente da una linea di sangue molto forte”

La ragazza avrebbe riso a crepapelle se non avesse saputo, in fondo al cuore, che quell’uomo aveva ragione. Lei sapeva alterare il tempo e lo spazio, ecco come riusciva a sfuggire ai Viper quando risaliva in superficie.

“Quindi ora mi proteggerai?” chiese, accorata. L’uomo sorrise.

“E’ più complicato, Ruby. Vedi, Fobetore ha tentacoli molto lunghi, è insano, profondamente sadico e ha poteri grandi. Per poterti proteggere, come tu mi stai chiedendo, devo prima liberarti da lui”. Le parole dell’uomo la colpirono come uno schiaffo. Essere liberata?

“Cosa intendi?” domandò allarmata la ragazza, irrigidendosi sulla poltrona. L’uomo cercò di essere gentile nel dire ciò doveva.

“Quando sei nata, tua madre ha deciso di lasciarti in orfanotrofio, credendo così di nasconderti ai due ordini. Inutile dirti che fu una scelta dolorosa e inutile. Fobetore fu il primo a trovarti, quando ancora non ti reggevi sulle gambe. Hai mai emicranie, Ruby?”

La ragazza ci pensò per meno di un secondo: soffriva di forti mal di testa da quando ne aveva memoria.

“Si” rispose laconicamente.

“Questi dolori non sono normali, Ruby. Partono dalla base del tuo collo e si irradiano all’intero cranio, dandoti l’impressione di perdere i sensi. In realtà, tu i sensi li perdi davvero. Hai un microchip impiantato sotto la pelle, con il quale Fobetore ti controlla e non solo. È capace di comandare il tuo corpo, la tua mente, di addestrarti e di inserire o togliere le informazione a proprio piacimento”

Ruby si toccò istintivamente la base del collo, senza trovare nulla di anomalo. Gayle vide il gesto e si accinse a spiegare.

“Non lo troverai, Ruby. È troppo piccolo”

“Ma io… non capisco quello che mi stai dicendo” Ruby era incredula. L’uomo le fece cenno di alzarsi e di seguirlo. Insieme e in silenzio, varcarono una porta nascosta da una tenda ed entrarono in una stanza buia. Gayle la fece accomodare su una sedia nera che sembrava una poltrona da dentista.

“Ruby” disse quasi a fil di voce “Ti devo chiedere di fare una scelta. Io posso farti vedere cosa hai fatto, quali azioni sono state guidate da Fobetore e darti la possibilità di diventare una persona migliore. Ma ho bisogno della tua collaborazione”

“Cosa devo fare?”

“Devi rilassarti e promettermi che arriverai fino alla fine. Se la procedura dovesse essere interrotta bruscamente, ci saranno serie probabilità di perderti” disse con tutta la drammaticità di cui era capace.

“Potrei morire?” domandò, spaventata.

“In un certo senso, si. Potrebbe morire la parte di te conosci meglio e sopravvivere quella affiliata a Fobetore”

“Perché dovrei voler interrompere la procedura?”

“Perché farà male e non solo a livello fisico. Vedrai te stessa fare cose di cui non conservi la memoria cosciente”

La ragazza si prese qualche secondo per riflettere. Aveva forse una scelta? Temeva il dolore, era ciò di cui aveva sempre avuto paura, eppure sapeva sopportarlo. Sarebbe andata fino in fondo.

“Okay. Iniziamo” disse, semplicemente, sedendosi comoda e fissando con occhi determinati la stanza buia.

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Gayle si mise dietro di lei e avvicinò sue mani alle tempie della ragazza. Cominciò a respirare in modo regolare, chiudendo gli occhi e concentrandosi.

“Chiudi gli occhi, Ruby” disse mono corda l’uomo e lei eseguì la richiesta. Inizialmente, tutto era buio, silenzioso. Solo il respiro dell’uomo le scandiva il tempo. Poi d’un tratto, qualcosa cambiò. Uno spiraglio luminoso cominciò a farsi strada nel buio, divenendo sempre più grande, sempre più avvolgente. Una fitta di dolore le premette la fronte, come se un ago incandescente le stesse perforando il cranio. Urlò per il dolore. La luce svanì, mentre lei metteva a fuoco l’ambiente che la circondava: era nel quartiere e stava camminando verso il suo covo. In mano teneva la sua pistola e i suoi muscoli erano tesi. Cosa stava facendo? Cercò di controllare i suoi movimenti ma non controllava il suo corpo. Poteva solo guardare, passivamente, ciò che accadeva. Vide se stessa entrare e distruggere Tody, prendendo a calci ogni cosa. Nick si frappose fra lei e i computer, domandandole cosa stesse facendo. Lei sorrise e premette il grilletto sulla fronte di Nick.

La visione cambiò. Ora lei camminava per le strade del quartiere, sicura e motivata. Le luci del Dark Line, il locale più affollato di tutto il quartiere, brillavano psichedeliche mentre la musica assordante rimbombava. Passò di fianco ai due omoni all’ingresso ed entrò. Sapeva cosa stava cercando o, meglio, chi. Si fece largo fra la massa di sudati che ballavano strafatti, attraversando la sala centrale diretta ai tavoli appartati. Lo vide: Hernan Occhiomoscio, un malvivente della peggior specie, che doveva il suo nome all’unico occhio sano che gli era rimasto. Lei si sedette al tavolo, anticipando i due gorilla che l’uomo aveva assoldato per difesa. Ruby non disse nulla. Lo guardò. Lui ricambiò lo sguardo, consapevole di ciò che sta per accadere. Aveva tradito Fobetore, per questo, meritava la morte. Qualche istante e Hernan si accasciò sanguinante sul tavolo: Ruby aveva esercitato pressione nei suoi organi interni, rendendo il suo corpo un semplice contenitore di poltiglia.

Le visioni si susseguivano a ritmo frenetico e per ognuna di esse Ruby perse un pezzo di anima. Aveva ucciso a sangue freddo decine di persone. Ecco perché era abituata a nascondere la sua lunga treccia rosa nel cappuccio: nessuno doveva riconoscerla per strada.

Un dolore lancinante, il più forte che avesse provato fino a quel momento, le fece inarcare la schiena.

“Resta con me” la voce di Gayle la stava implorando, ma lei non aveva controllo sul proprio corpo.

Fai qualcosa! Le disse una voce dentro di sé. Ribellati a questo! Tu sei forte, sei spietata. Alzati e ripaga questo ciarlatano con lo stesso dolore che ti ha causato!

Da dove veniva quella voce? Era la sua? Non voleva fare del male a Gayle, lui la stava aiutando.

E questo lo chiami aiuto? Guarda, Ruby! Ti sta uccidendo!

 

 

Ruby aprì gli occhi. La stanza era buia e silenziosa. Solo il respiro di Gayle scandiva il tempo. Ma non era regolare, era affannato. Ruby si alzò dalla poltrona nera e vide il corpo del Gran Maestro accasciato per terra che ansimava. Era circondato dal sangue, tanto sangue. I loro occhi si incontrarono e Gayle pronunciò il suo nome in un rantolo. Ruby sorrise. Schioccò le dita e il corpo dell’uomo implose.

Con un gesto lento, si ripulì la guancia da uno schizzo di sangue e si sistemò i capelli. I suoi occhi erano completamente neri, profondi e bui come la notte. Uscì dalla stanza e, a passo sicuro, s’incamminò lungo un corridoio. Quel giorno l’ordine Drealoran sarebbe morto e lei sorrise soddisfatta di ciò che avrebbe fatto.

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