Resta dove sei

di SandraWillock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Resta dove sei
Capitolo 1







 

Se sono posseduto da Voldemort, in questo momento gli sto dando una visione perfetta del Quartier Generale dell’Ordine della Fenice! Saprà chi fa parte dell’Ordine e dove si trova Sirius… e da quando sono qui ho sentito un mucchio di cose che non avrei dovuto sapere, tutto quello che Sirius mi ha detto la prima notte, quando sono arrivato…
C’era una sola cosa da fare: doveva andar via subito da Grimmauld Place. Avrebbe passato il Natale a Hogwarts senza gli altri, che così sarebbero stati al sicuro almeno per le vacanze…ma no, non funzionava, c’erano ancora tante persone a Hogwarts da mutilare e ferire. E se la prossima volta fosse toccato a Seamus, Dean o Neville? Non c’erano alternative: doveva ritornare a Privet Drive, separarsi completamente dagli altri maghi.
Be’, se era così non aveva senso aspettare. Cercando con tutte le forze di non pensare a come avrebbero reagito i Dursley trovandolo sulla soglia di casa sei mesi prima del previsto, andò verso il suo baule, chiuse il coperchio, poi si guardò meccanicamente intorno in cerca di Edvige prima di ricordare che era ancora a Hogwarts… be’, una cosa in meno da portare… Afferrò una maniglia del baule ed era già a metà strada verso la porta quando una voce sprezzante disse: «Ce la battiamo, eh?»
Si voltò. Phineas Nigellus era apparso sulla tela del suo ritratto e stava appoggiato alla cornice. Guardava Harry con un’espressione divertita.
«No, non me la sto battendo» tagliò corto Harry, trascinando il baule di qualche altro passo.
«Pensavo» disse Phineas Nigellus, accarezzandosi la barba a punta «che per appartenere alla Casa di Grifondoro si dovesse essere coraggiosi… A me pare che saresti stato meglio nella mia. Noi di Serpeverde siamo coraggiosi, certo, ma non stupidi. Per esempio, se possiamo, scegliamo sempre di salvarci la pelle»
«Non è la mia pelle che sto salvando» rispose gelido Harry.
«Ah, ho capito» replicò Phineas Nigellus. «questa non è la fuga di un codardo…è un gesto nobile»
Harry lo ignorò. La sua mano era già sulla maniglia quando Phineas Nigellus aggiunse pigramente: «Ho un messaggio per te da Albus Silente»
Harry si voltò.
«E che cosa dice?»
«Resta dove sei»
«Non mi sono mosso!» esclamò Harry, con la mano ancora sulla maniglia. «Qual è il messaggio?»
«Te l’ho appena detto, stupido» rispose dolcemente Phineas Nigellus,. «Silente dice: resta dove sei»
«Perché? Perché vuole che resti? Che altro ha detto?»
«Nient’altro»
La collera di Harry eruppe come una serpe che si erge dall’erba alta. Era esausto, confuso più che mai; nelle ultime dodici ore aveva provato terrore, sollievo, poi di nuovo terrore, e Silente ancora non gli parlava!
«È tutto qui, allora?» urlò. «Resta dove sei? Anche quando sono stato attaccato da quei Dissennatori, è tutto quello che sono riusciti a dirmi! Stai buono che gli adulti sistemano tutto  Harry! Non ci prendiamo il disturbo di dirti niente, perché il tuo cervellino potrebbe non sopportarlo!»
«Sai» urlò ancora più forte Phineas Nigellus, «questo è precisamente il motivo per cui insegnare mi faceva schifo! Voi giovani avete questa convinzione infernale di avere sempre ragione su tutto!»
«Bene! Dica a Silente che non ho nessuna intenzione a restarmene qui ad ascoltare le sue ciance ancora un minuto di più, gli dica che non voglio restarmene qui con le mani in mano ad aspettare che Voldemort compaia sulla porta da un momento all’altro!» Detto questo Harry abbassò la maniglia, spalancò la porta e uscì sul pianerottolo, ignorando completamente gli ammonimenti di Phineas Nigellus. «Maledetto tu e il tuo orgoglio Grifondoro, Potter!» lo sentì dire quando Harry si sbatté la porta alle spalle. Per un momento rimase in silenzio, cercando di riprendere il controllo di sé ed elaborare velocemente un piano di fuga. Gli altri erano tutti in cucina. Li sentiva parlottare a bassa voce per non recar disturbo al presunto addormentato Harry. Scese le scale in punta di piedi, evitando di poggiarsi sulle assi che scricchiolavano. Per fortuna trovò la porta della cucina chiusa e, si disse, che se avesse fatto abbastanza piano sarebbe potuto uscire senza essere scoperto. Strascinò con sé il baule che in quel momento lo teneva sollevato del tutto da terra. Era pesantissimo e le braccia gli iniziavano a dolere. Dubitava che potesse reggerlo ancora per molto. Gli venne un tuffo al cuore quando si rese conto che avrebbe dovuto superare il ritratto della madre di Sirius. Si fece coraggio e avanzò, piano. Persino respirare gli sembrava fin troppo rumoroso. Attraversò il corridoio e finalmente raggiunse la porta d’ingresso. La aprì, facendo attenzione a non farla cigolare, e un’aria fredda e umida gli penetrò nei vestiti. Rabbrividì, pentendosi di non aver indossato qualcosa di più appropriato per proteggersi da quel freddo glaciale. Camminò lungo Grimmauld Place, ammirando spaesato i fiocchi di neve che andavano a morire silenziosamente sul cemento fangoso. Regnava una quiete innaturale e a quanto pareva non c’era nessuno a quell’ora della sera. Ben presto ebbe gli orli dei pantaloni completamente zuppi e sentiva i brividi di freddo percorrergli la schiena. Harry strascinava il suo baule sul selciato scivoloso, arrancando con difficoltà. Probabilmente se non faceva in fretta avrebbero scoperto la sua fuga prima di riuscire ad andarsene da Grimmauld Place. Svoltò in un vicolo vicino. Era orrido e buio, c’era solo un lampione solitario ad illuminare la strada. Anche lì non trovò anima viva. Era il posto perfetto per sfoderare la bacchetta. Si mise al bordo del marciapiede e la sollevò con cautela.
BANG!
All’improvviso davanti a Harry comparve un lugubre bus viola a tre piani, il Nottetempo. Il motore ronzava pigramente, emettendo qualche sbuffo di tanto in tanto, come se il motore del veicolo chiedesse pietà e riposo per una buona volta. D’un tratto le porte di spalancarono e ne fuoriuscì Stan Picchetto, che balzò giù dall’autobus con la sua solita uniforme viola. «Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in diff…»
Stan Picchetto si interruppe alla vista di Harry. «Guarda, guarda chi abbiamo qui! Harry! Harry Potter!» fece entusiasta.
«Ciao, Stan, come stai?» chiese Harry, benché di malavoglia. Non aveva nessuna voglia di fare conversazione in quel momento.
«Alla grande. Piuttosto dovrei chiederlo io a te. Sei fin troppo preso di mira dalla Gazzetta del Profeta, eh?» disse, con gli occhi socchiusi.
Harry non capiva se gli si stesse rivolgendo in modo amichevole oppure no. Lo scrutò per un attimo e quando vide comparire sulle labbra di Stan un sorrisetto malizioso, sbuffò, un po’ preso alla sprovvista. «Non dirmi che tu non credi a quello che dice il Profeta su di me e Silente?»
«Io ed Ern ci siamo detti che è una pazzia quel che dicono di te e che Caramell è uno strampalato a non accettare il ritorno di Tu-Sai-Chi. Certo, nessuno lo vorrebbe…ma bisogna guardare in faccia la realtà, no? Be’, ma devo ammettere che il Ministero sta facendo un ottimo lavoro per far credere alla gente che tu sei fuori con la testa, sì…» disse Stan.
Harry era irritato. Ne aveva abbastanza di sentir parlare di Caramell e del Ministero. «Senti, possiamo muoverci? Avrei una certa fretta» propose Harry.
Il sorriso morì dalle labbra di Stan. Lo guardava con apprensione e per un momento Harry notò che lanciò qualche occhiata intorno alla via, giusto per star certi che non ci fosse nessuno di pericoloso che potesse attaccarli da un momento all’altro. «Oh! Sì, scusa… Prendo il tuo baule. Intanto sali a bordo, dai, fa’ presto» gli intimò Stan.
Harry obbedì e sul pullman c’erano parecchi letti d’ottone provvisti di coperte di una spessa lana viola. Era abbastanza riscaldato e non c’era così tanta umidità come all’esterno. Harry si voltò a guardare Stan mentre issava il suo baule sul portabagagli, facendosi sfuggire diversi gemiti e smorfie per la fatica.
«Buonasera, Ernie» fece Harry al mago alla guida, seduto su una grossa poltrona. Passò oltre e Stan gli indicò un letto vuoto vicino a una finestra chiusa con le tende. C’erano pochi passeggeri sul Nottetempo a quell’ora. Harry notò un’anziana strega che dormicchiava sotto le coperte in fondo all’autobus, mormorando parole incomprensibili nel sonno.
«Allora, dov’è che sei diretto?» chiese Ernie, guardando Harry attraverso quei suoi occhialoni dalle lenti spesse.
«Little Whinging, Surrey» rispose in fretta Harry.
«Hai sentito, Ern? Un sobborgo Babbano! Ma cosa ci va a fare, eh, Harry Potter in un posto simile?» sentì dire Stan alle sue spalle.
Harry tirò fuori qualche falce dalla tasca dei pantaloni e si affrettò a pagare il biglietto a Stan.
Stan prese posto nella poltrona accanto a quella di Ernie, sospirando un po’ esausto.
«Diamoci una mossa, Ern!» disse. Dopodiché si udì un altro terribile BANG e un attimo dopo Harry si ritrovò lungo disteso sul letto, sobbalzato all’indietro. Il ragazzo si aggrappò all’asta del letto prima che potesse scivolarci giù. Il veicolo sobbalzò pericolosamente per un attimo e procedeva a tutta velocità. Schizzò verso la strada principale e zigzagò tra le altre auto così in fretta che a Harry venne il voltastomaco. Era difficile credere che sarebbero riusciti a uscirne illesi. Harry chiuse gli occhi, tentando di non far vedere la sua paura. Si mise a sedere sul letto, sperando che la nausea e il viaggio finissero presto. Fecero poche fermate e ogni volta il Nottetempo inchiodava così bruscamente che i letti, compreso Harry, scivolavano in avanti andando a sbattere l’uno contro l’altro, producendo un rumore assordante. Poi dopo un tempo interminabile iniziò a riconoscere le strade e si disse che ormai erano quasi arrivati. Infatti poco dopo l’autobus si fermò e Harry questa volta non riuscì a non cadere giù dal letto e sbattere dolorosamente le natiche contro il pavimento. Si tirò su con difficoltà, confuso e con un forte mal di testa. Stan lo aiutò con il suo baule e lo fece scendere dal pullman. Gli rivolse un saluto dubbioso prima di risalire. «Stammi bene, Harry!» urlò un attimo prima che il Nottetempo si  dissolvesse nel nulla.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2






 

Harry afferrò il suo baule e lo strascinò avanti. Chissà che faccia avrebbero fatto i Dursley quando lo avrebbero visto sulla soglia di casa sei mesi in anticipo. Ormai era tardi e la maggior parte delle case erano tutte buie. Harry si guardò intorno, per un attimo disorientato. Era davvero strano vedere Little Whinging sotto una coltre di neve. Il cielo era ricoperto di nuvole grigiastre, un po’ minacciose. Aveva smesso di nevicare e c’era un silenzio sorprendente. L’unica cosa che udiva in quel momento erano i suoi passi che affondavano nella neve immacolata e lo strisciare del baule sulla neve. Quando fu nelle vicinanze di Privet Drive lo assalì un forte senso di panico. Forse non era stata una buona idea dopotutto venire proprio lì. Di sicuro zio Vernon non sarebbe stato molto clemente con lui e zia Petunia non lo avrebbe perdonato per averle rovinato le vacanze di Natale che avrebbe tanto desiderato passare con la sua famiglia,  senza avere suo nipote fra i piedi. Fu terribilmente tentato a voltarsi e tornare da dove fosse venuto. Avrebbe fatto meglio alloggiare al Paiolo Magico o anche in un motel Babbano, dovunque era meglio di lì.
«Bene, bene, Potter che se la squaglia»
Harry prese un colpo tremendo. Si voltò di scatto e cinque metri più in là, nascosto nell’ombra della notte, c’era Severus Piton. Sgranò gli occhi, completamente basito. Non si sarebbe mai nemmeno immaginato di poter incontrare Piton lì, a Privet Drive. Era troppo strano per i suoi gusti. Probabilmente perché era fin troppo abituato a vederlo nei suoi macabri sotterranei di Hogwarts. Con la bocca del tutto spalancata, rimase a fissarlo come un idiota.
Piton sembrava leggermente divertito da quella scena, come se la trovasse decisamente deliziosa e appagante. «Ebbene?» fece sarcastico. «Cos’hai da dire a tua discolpa?» chiese, avvicinandosi con estrema lentezza a Harry. Lo osservava con una intensità tale che Harry dovette distogliere lo sguardo, a disagio.
«Io…io…sono…dovevo…» farfugliò Harry.
Piton inarcò un sopracciglio, accigliato. «Come posso notare sei sempre a borbottare frasi senza un senso compiuto» sogghignò, malizioso. «E chiudi quella bocca, Potter, non sono qui per farti una visita odontoiatrica»
Per un attimo Harry rimase perplesso. Non immaginava che Piton conoscesse il mondo Babbano. Tuttavia dovette sopprimere questi pensieri all’istante, poiché vide Piton avvicinarsi a lui sempre di più, sentiva il pericolo incombere su di lui.
«Allora, spiegami che cosa ti ha fatto uscire nella notte con tale foga, senza avvertire nessuno per giunta e senza avere alcun permesso, prima che possa trascinarti in Grimmauld Place senza preoccuparmi di usufruire della violenza» sibilò Piton.
«Ma…che cosa ci fa lei qui?» chiese Harry, senza nemmeno ascoltarlo.
Piton lo guardò, come se stesse cercando di capire se stesse scherzando o meno. Sbuffò, irritato. «Credevo che anche una mente ottusa come la tua sarebbe riuscita ad arrivare ad una conclusione, Potter. Evidentemente mi sbagliavo. Ovviamente Phineas Nigellus non si è attardato a dire al Preside che ti sei dato alla fuga. Ah, e devo ammettere che non ti facevo così codardo» Harry strinse i pugni, riuscendo a stento a trattenersi. Piton ghignò, soffermandosi a guardare il suo turbamento per un attimo. «Tuttavia il professor Silente mi ha mandato a fermarti prima che potessi fare qualcosa di completamente sconsiderato e stupido, visto la tua innata capacità di metterti nei guai. Ah, non è molto contento in effetti che tu gli abbia disobbedito ed è un vero peccato che non ti trovi a Hogwarts. Sai, avrei un altro pretesto per toglierti punti, Potter, e me ne dispiaccio amaramente» rise Piton, arcigno. «Bene, ora ti ordino di seguirmi. Torniamo a Grimmauld Place»
«No» sbottò Harry, determinato a seguire il suo piano iniziale.
Il maestro di Pozioni schioccò la lingua, evidentemente deliziato dalla mancanza di obbedienza da parte di Harry. Un altro motivo per tormentarlo e umiliarlo, pensò Harry. Camminò verso di lui, con fare minaccioso. Harry non poté resistere alla tentazione di arretrare. Si voltò di scatto e corse via. Il rombo del motore di un’auto  sferzò l’aria e si ritrovò Piton smaterializzarsi davanti a lui. Harry non riuscì a frenare la sua corsa in tempo e andò a sbattergli contro con violenza. Tentò in qualche modo di allontanarsi il più velocemente possibile, ma Piton non se lo lasciò sfuggire. Lo afferrò saldamente per un braccio e lo trattenne, benché Harry tentasse in tutti i modi di sottrarsi dalla sua presa.
«Mi lasci andare! Mi lasci!» urlò Harry colto dal panico.
«No» rispose Piton, tranquillamente.
Harry sfoderò la sua bacchetta, ma con un semplice movimento della sua, Piton la fece scagliare lontano, affondando nella neve soffice, e Harry non la vide più.
«Ma non si rende conto che sto mettendo in pericolo tutti voi!?» gridò il ragazzo, con le lacrime agli occhi dall’umiliazione.
Piton lo fissò di rimando. «Cosa vuoi dire, Potter?»
Harry trattenne a stento un singhiozzo. Non voleva piangere proprio davanti a Piton. «Lei non capisce! È colpa mia! Ho aggredito io il signor Weasley! L’ho quasi ucciso! Devo andarmene, non voglio fare più del male a nessuno!»
«Ah, com’è commovente, Potter. Davvero. La tua nobiltà d’animo mi spezza letteralmente il cuore» scherzò in modo sarcastico l’odioso professore. «Non riesco a capire infatti la tua tendenza di addossare tutte le colpe su di te. È una caratteristica Grifondoro la tua o è solo semplice stupidità?»
Harry si rabbuiò sentendo quelle parole così colme di disprezzo. Piton non capiva un bel niente, come sempre dopotutto. «La smetta! Lei…lei non sa che cosa vuol dire!»
Piton lo strattonò con violenza e gli fece male. «Ah, che cos’è che non so?» chiese, freddamente.
«Lei…non ha idea di che cosa si prova! È tutta colpa mia…» A Harry bruciavano gli occhi dalla collera.
Piton fece quel suo solito ghigno e distolse lo sguardo da Harry, come colto da un’improvvisa rabbia. «Tu credi?» mormorò Piton. «Sei fermamente convinto che io non conosca il tuo disagio? Il tuo dolore? Il tuo continuo tormento?»
Harry rimase spiazzato dalle sue parole. Smise di agitarsi tra le braccia del suo professore e sollevò lo sguardo, posandolo diritto negli occhi scuri di Piton. A Harry sembrò che quel contatto visivo fece barcollare Piton per un istante, come confuso. Ma fu un momento così breve che poco dopo Harry credette che se lo fosse immaginato. Piton sostenne il suo sguardo e dopo parecchi attimi di un silenzio teso, quest’ultimo fece un lungo sospiro di rassegnazione. «Bene, ora andiamo» proseguì Piton. La sua voce era mite, quasi emanava una nota di tristezza amara.
«Non voglio ritornare a Grimmauld Place» insistette Harry.
Piton era irremovibile. «Non essere sciocco, Potter. Ora vieni, lo sto facendo per la tua sicurezza. Ad ogni modo sai bene che non hai altra scelta che seguirmi, quindi per evitare maggiori sconvenienti sarebbe meglio che tu mi obbedisca, una volta tanto»
Non del tutto convinto, Harry si costrinse a seguirlo, arrancando con il baule.
«Accio bacchetta» mormorò Piton e la bacchetta di Harry gli volò in mano. Harry notò che non aveva ancora l’intenzione di ridargliela. Piton camminava con passo veloce e deciso, ma a Harry era impossibile tenere il tuo passo. Quando il professore notò che Harry era parecchi passi più indietro agitò la bacchetta verso di lui. Per un attimo Harry credette che avesse l’intenzione di lanciare una fattura su di lui e strinse i denti, terrorizzato. Ma non era così. L’aveva puntata sul suo baule e lo fece scomparire con un incantesimo non verbale.
«Dove…dove lo ha mandato, signore?» chiese Harry, sollevato.
Piton alzò gli occhi al cielo, esasperato. Non si degnò di guardarlo mentre gli rispondeva, a denti stretti. «A Grimmauld Place, ovviamente» disse.
«Oh» fu l’unica risposta di Harry.
Camminavano in silenzio, affondando le scarpe nella neve. Harry aveva i vestiti completamente fradici. Piton lo scortò verso un vicolo deserto e buio e lì si fermarono. Harry attendeva il da farsi, chiedendosi che cosa stessero facendo. Piton iniziò a trafficare nella sua tasca interna del mantello nero e vi sfilò una piccola scatoletta di latta vuota. «Portus» mormorò puntando la bacchetta sulla scatola.
Harry lo osservava, curioso, e quando Piton alzò lo sguardo e vide la sua espressione accigliata, sbuffò. «Non possiamo Smaterializzarci perché tu non hai ancora fatto l’esame, quindi ritengo che una Passaporta sia il modo migliore per tornare»
«D’accordo» fece Harry, con il viso lugubre.
«Non guardarmi in quella maniera, Potter. Sembra che tu stia andando al macello» ghignò.
Harry lo ignorò e toccò con la punta delle dita la scatoletta di latta.
«Bene» sussurrò Piton. «Al mio tre. Uno…due…tre»

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3







Il vuoto li inghiottì. Vorticarono a mezz’aria e Harry intravide solo colori mischiati e confusi sotto di sé. L’unica cosa concreta era Piton accanto a lui, con lo sguardo quasi annoiato. Harry atterrò su un pavimento di pietra ghiacciato, a pancia in giù e dandosi un doloroso colpo al ginocchio destro. Piton invece se ne stava in piedi a guardarlo del tutto divertito.
«Harry, ragazzo mio» parlò una voce gentile poco distante da loro.
In quel momento Harry si accorse che non si trovavano a Grimmauld Place, ma nell’ufficio di Albus Silente. Un senso di panico lo pervase. Che cosa ci facevano lì? Si alzò frettolosamente e si guardò intorno, amareggiato.
«Cambio di programma» rispose Piton, anche se Harry non aveva proferito parola, come se gli avesse letto nella mente.
Harry si girò verso il professor Silente, che come al solito era seduto sulla sua imperiosa sedia dietro la scrivania rettangolare e stracolma di curiosi oggetti magici. Indossava una lunga veste blu notte e la sua lunga barba argentata era infilata nella cinta di stoffa dorata. Il suo sguardo fermo tradiva una certa apprensione. «Buonasera, professor Silente» borbottò, imbarazzato come non mai.
Silente continuava a fissarlo, senza dire niente. Come se si aspettasse che Harry iniziasse a parlare da sé o perlomeno che gli rivolgesse delle scuse appropriate. Così Harry pensò attentamente a cosa dire prima di rivolgersi nuovamente a lui. Teneva lo sguardo rivolto verso terra e si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto. E naturalmente per aver disobbedito in quel modo inopportuno ad un ordine di Silente. «Mi dispiace davvero, signore. Sono uno stupido per aver reagito così…»
«Questo lo sappiamo fin troppo bene, Potter, non c’è bisogno che tu ce lo ricorda» lo interruppe Piton, sprezzante.
Silente lo fulminò e Piton rispose al suo sguardo truce, come per sfidarlo. Harry borbottò qualcos’altro di incomprensibile, confuso da quell’uscita da Piton. Dopodiché si costrinse a starsene zitto e a riprendere fiato. «Professore, non volevo. Ero in collera con lei e mi sembrava come se fosse stata colpa mia... Ritenevo che fossi stato io ad aggredire il signor Weasley e in un certo senso ne sono convinto ancora. Ma, ecco, vede, ho paura che Voldemort possa possedermi di nuovo per ferire o addirittura uccidere Ron o Hermione o Ginny o la signora Weasley…insomma, tutti quelli a cui…beh, a cui voglio bene, mi capisce? Ho pensato che se fossi andato dai Dursley avei potuto salvarli... avrei potuto salvarli da me» confessò tutto d’un fiato.
Un silenzio teso riempì l’aria, palpabile. Piton se ne stava in disparte. Harry sentiva i suoi occhi senza fondo puntati su di sé. Silente invece si stava osservando attentamente le mani, come se rivolgere a Harry la sua attenzione non fosse importante. Ma Harry sapeva che lo stava ascoltando, e con grande attenzione in effetti.
«Harry, non sei stato tu ad aggredire il signor Weasley la scorsa notte. Il suo vero aggressore è Voldemort e lui soltanto»
«Ma…io…» insistette Harry.
«Non è colpa tua, fidati di me. Tu non potresti né saresti in grado di ferire una persona volontariamente»
«Non credo che abbia ragione, professore» fece Harry, vergognandosi delle sue stesse parole. «C’è stato un momento…un momento, prima di partire per Grimmauld Place un giorno fa…»
Harry si interruppe, rosso in viso dalla vergogna. Non osava dire quelle parole. Soprattutto non davanti a Piton, che certamente l’avrebbe incalzato o tormentato su quel fatto per il resto dei suoi giorni. E poi non voleva nemmeno che Silente lo ritenesse un pazzo furioso.
«Sì, Harry? Continua, per favore» disse Silente, con estrema dolcezza.
«Bè’, quando lei mi ha guardato ho sentito come…come…se la volessi aggredire. Credo che io stia diventando una persona cattiva, professore. Penso che le sarei saltato addosso e le avrei fatto del male se la Passaporta non mi avesse…» Harry non riuscì più a continuare. Si sentiva sporco, sudicio.
«Capisco, Harry» rispose Silente dopo un po’.
«Mi sta possedendo, non è vero? Sono io la tua arma, per questo l’Ordine mi segue dovunque vada» disse Harry, con la fronte corrugata dalla tristezza.
«Sì, Harry, Lord Voldemort sta cercando di possederti già da parecchio tempo» ammise Silente con voce febbrile.
«Io…io…» balbettò Harry, la vista offuscata dalle lacrime. Le sentiva bagnarli le guance senza tregua. Dovette appoggiarsi alla sedia per non crollare per terra. Non era orripilato, no. Invece sentiva una grande disperazione crescergli nel petto. «È per questo che sono scappato. Devo andarmene da Grimmauld Place per proteggere i Weasley, Sirius, Hermione e tutto l’Ordine. Voldemort potrebbe scoprire dove si trova il Quartier Generale in qualsiasi momento. Non posso continuare a stare lì e nemmeno a…a Hogwarts. Potrei fare del male agli studenti, ai professori e persino…persino a lei, professor Silente. Quindi, la prego, mi lasci tornare dai Dursley, lì non c’è nessuno a cui Voldemort dà la caccia. Non si interesserebbe a uccidere dei Babbani in questo momento, no? La prego, signore, io non voglio più stare a Hogwarts» scandì per bene le ultime parole, anche se gli provocavano un dolore feroce allo stomaco. Stava proprio dicendo quello che le sue orecchie udivano? Stava implorando il Preside di mandarlo via da Hogwarts? Dall’unica vera casa che avesse mai avuto? Per suo grande stupore, sul viso di Silente si allargò un sincero e ammirato sorriso. Harry rimase a bocca aperta, profondamente offeso dalla reazione di Silente. Non capiva se volesse prenderlo in giro o meno. Persino Piton rimase spiazzato dal comportamento del vecchio Preside e lo fissava sbigottito. «Harry, sono davvero commosso» confessò Silente, sempre sorridendo allegramente. «Vedi…è proprio questo che Voldemort non ha mai previsto nei suoi piani»
Harry non comprese le parole di Silente e per un attimo credette che fosse pazzo. Forse la Gazzetta del Profeta non aveva del tutto torto dicendo in giro che Silente fosse invecchiato e stesse perdendo qualche colpo.
«Cosa vuol dire, signore?» osò chiedere Harry, confuso.
«Non oserei mai allontanarti da questa scuola e dai tuoi amici. Sono proprio loro la tua forza, capisci cosa voglio dire?»
«Non proprio» ammise lui.
Gli occhi limpidi di Silente furono attraversati da una scintilla vivace. «L’unica cosa che Voldemort non conosce la possiedi tu»
«E che cos’è?»
«È l’arma più potente che tu avessi mai potuto desiderare» rispose Silente.
«Non capisco un’altra volta»
«Harry, mio caro ragazzo, che cosa provi per la famiglia Weasley? Per la signorina Granger? Per Sirius? Per la signorina Chang?»
Ed Harry capì. Non aveva idea di come fosse a conoscenza delle sensazioni che provava per Cho, ma non osava chiederlo. Le sue guance si infiammarono e sentiva il sangue ribollirgli per le parole di Silente.
«La capacità di amare» rispose Silente per lui, e il suo sorriso si allargò in uno ancora più ampio.
«Ma come crede che possa fermare questo, Voldemort? Potrebbe essere il mio punto debole, l’amore, non crede? Se…se…si rivoltasse contro a tutti quelli che amo e…e li uccidesse potrebbe distruggermi, no?»
Silente continuò a sorridere tutto tranquillo, senza tener conto dell’agitazione di Harry. Piton barcollò di fianco a lui, ma Harry lo ignorò. Continuava a rivolgere la sua attenzione su Silente, senza vedere veramente cosa stesse accadendo intorno a lui.
«È proprio per questo che tu continuerai a combattere. Tu lotterai in questa guerra per l’amore, Harry. Per salvare e proteggere le persone che ami. Ecco la tua vera forza, la tua arma. L’amore, l’unica cosa che a Lord Voldemort è ignota» esclamò. «Sono estremamente convinto che lui non potrà possederti, tuttavia»
Harry si stupì. «E perché no?»
«Sarà troppo doloroso stare nel tuo corpo per lui. La tua anima è troppo pura, invasa dall’amore che Voldemort non conosce. È per questo che ti proibisco di andartene. Hai bisogno di alimentare quel fuoco dentro di te, l’unico in grado di sconfiggere Voldemort» continuò Silente.
«Quindi lei rischierebbe la vita di tutti loro solo per…per farmi combattere contro di lui?»
«Non è esatto. Non tirar fuori parole che non ho detto» Non era arrabbiato o offeso, continuava ad aver stampato in faccia quel fastidioso sorrisetto compiaciuto.
«Beh! Ma a lei non importa niente di loro, no? Alimentare quel fuoco che c’è in me!? Li sta usando?»
«Harry, ti prego di calmarti»
«Non mi dica di calmarmi! Voglio tornare a Grimmauld Place, ora! Voglio andarmene da qui!» urlò. «Le prometto che non scapperò più e non ci sarà bisogno che mi mandi Piton a farmi da balia!»
I quadri degli ex Presidi di Hogwarts si svegliarono tutti e iniziarono a mormorare rimproveri a Harry. Una strega dai boccoli argentei urlò: «Ma insomma!» Harry li ignorò e fissò Silente, arcigno.
«Potter!» esclamò Piton afferrandolo per un braccio. «Chiedi scusa al Preside!»
Silente alzò la mano e fece segno a Piton di lasciarlo. Piton, pieno di rabbia, lo lasciò con malavoglia e si zittì.
«Se è a Grimmauld Place che desideri tornare posso accontentarti, ma per piacere non dimenticarti delle mie parole» fece Silente.
«D’accordo, certo» sbottò Harry, irritato.
«E ti prego di mantenere la tua parola e di non disobbedire questa volta a un mio ordine: resta a Grimmauld Place»
«Bene» sibilò, spazientito.
Silente fece un cenno a Piton. Quest’ultimo porse di nuovo a Harry la scatoletta di latta colorata. Sibilò di nuovo l’incantesimo che aveva usato a Little Whinging e quando finì rivolse a Harry uno sguardo strano, diverso da quelle solite smorfie di disgusto che gli rivolgeva ogni volta che posava gli occhi su di lui.
«Arrivederci, Harry» disse Silente. «Ti auguro di passare delle belle vacanze»
«Grazie. Arrivederci, allora» rispose, rivolto ai due professori.
Piton gli rivolse solo un cenno frettoloso e si allontanò di un passo da lui. «Pronto, Potter?»
Harry annuì e attese che Piton contasse fino a tre prima che l’ufficio del Preside scomparve. L’ultima cosa che vide fu lo sguardo compassionevole con cui lo guardò Silente all’ultimo istante. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Harry atterrò dinanzi la porta d’ingresso di Grimmauld Place. L’aria gelida di dicembre gli penetrò attraverso i vestiti e rabbrividì, stringendosi nelle spalle. Ripensò all’ufficio del Preside che, al contrario di là fuori, era torrido e gradevole. Si affrettò così a bussare alla porta, fiaccamente. Sapeva che questa volta non l’avrebbe passata liscia per ciò che aveva fatto. D’un tratto si ritrovò quasi tutti i componenti della famiglia Weasley davanti agli occhi, con gli sguardi sorpresi e allibiti. Lo fissarono in silenzio, trattenendo il respiro. Harry si sentì tremendamente a disagio e non riuscì a guardarli in faccia. Continuava a tenere lo sguardo fisso sulle sue scarpe, fradicie dalla neve.
«Harry» mormorò una voce profonda, dietro alla signora Weasley. Harry riconobbe immediatamente chi era. Sirius. Alzò appena lo sguardo per posare gli occhi nei suoi, mortificato.
«Mi dispiace…io…»
«Silente ci ha spiegato tutto» intervenne la signora Weasley. «Mentre il professor Piton era fuori a cercarti, il Preside ci ha contattati via camino e ci ha spiegato la ragione della tua fuga»
Harry annuì, non sapendo esattamente cosa dire.
«Hai idea di quanto ci hai fatti preoccupare?» chiese Sirius, accigliato. Tentava di non alzare la voce e di non adirarsi troppo, ma Harry avrebbe preferito che incominciasse ad urlargli contro piuttosto che vedere tutte quelle sfumature di rabbia repressa deformargli il volto.
«Lo so, davvero, lo so. Sono stato uno stupido»
«Esser fuggito per proteggere le persone che ami non mi sembra una cosa tanto stupida, Harry Potter» fece la signora Weasley. «Ma se pensi che noi potremmo lascartelo fare allora ti sbagli di grosso. Non potremmo mai permettere che tu combatta questa guerra senza alcun aiuto. Perché comunque vada, Harry, noi non ti lasceremo mai solo, in quanto una famiglia dev’essere sempre unita, soprattutto nei momenti più difficili»
Alla parola “famiglia” a Harry salirono le lacrime agli occhi. Non poteva crederci. Per la prima vera volta Harry sentì di avere una famiglia. Una famiglia che lo amava e che teneva a lui. Continuava a ripetere quella parola dentro di sé, cercando di assimilarla, di renderla sua in qualche modo. Fino ad allora gli era sembrata estranea. Non sentiva di conoscere il concetto che quella parola trasmetteva. Ma ora…ora poteva finalmente collegarla a qualcosa, a qualcuno. Una lacrima gli scivolò giù per la guancia e la signora Weasley, notandolo, scoppiò a piangere. Allungò le braccia verso di lui, lo afferrò con forza e dopodiché lo strinse in un forte e caloroso abbraccio. Harry si sentì sopraffare dall’emozione. Pensò che quello, probabilmente, doveva essere un abbraccio di una madre. Le permise che lo stritolasse o lo cullasse quanto volesse, perché in quell’abbraccio Harry si sentiva così bene che per un momento desiderò che non finisse mai. E invece finì troppo presto. Fu la voce di Ron a interromperli.
«Mamma, vuoi che soffochi?»
La signora Weasley si staccò bruscamente da Harry e per un breve istante si accertò che respirasse ancora. «Perdonami Harry, caro…ma non fare mai più una cosa del genere, perché sono stata così in pensiero…così in pensiero per te…» balbettò, scossa dai singhiozzi. «Per favore, entra in casa ora... H-hai i vestiti fradici…e…e sei gelato»
I Weasley si scostarono dalla soglia e lo fecero entrare. Quando posò lo sguardo su Sirius notò che si era tranquillizzato, ora sembrava commosso pure lui. Venne scortato da tutti fino in cucina, dove la signora Weasley gli porse una tazza di tè bollente. Con un colpo di bacchetta fece diventare nuovamente asciutti i suoi vestiti, tuttavia questo non impedì a Ginny di avvolgerlo in una spessa coperta di lana. Trascorsero gran parte della nottata a chiacchierare allegramente del più e del meno. Harry ascoltò volentieri le battute di Fred e George, che fecero ridere tutti così tanto che ad un certo punto Harry dovette aggrapparsi al tavolo per non cadere dalla sedia. E quando Sirius introdusse nel discorso il Quidditch ne furono tutti entusiasti –eccetto la signora Weasley- e si discusse delle probabilità che avevano i Cannoni di Chudley di vincere nella prossima stagione. Era notte fonda quando i Weasley, Sirius e Harry incominciarono a raggiungere le proprie camere, con le espressioni del tutto spossate. Sorprendentemente quella notte Harry dormì sereno. Con sua gran meraviglia il suo sonno non fu tormentato da nessun terribile incubo o visione e per la prima volta dopo settimane riuscì a risposarsi come si deve. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 Capitolo 5








Il Natale a Grimmauld Place trascorse alquanto tranquillamente. Si unì a loro anche Hermione, che aveva preferito trascorrere le feste con loro, piuttosto che andare con i suoi genitori in montagna a sciare. Vennero a far loro visita Tonks e Malocchio più volte, approfittandosi della buona cucina della signora Weasley e dell’allegra compagnia. I svariati scherzi di Fred e George di tanto intanto facevano infuriare in tal maniera la signora Weasley da far spaventare persino il padrino di Harry. Lo vedeva storcere il naso, con la fronte corrugata e uno sguardo di puro terrore mentre si soffermava ad osservare i gemelli Weasley che venivano brutalmente rimproverati da quella donna all’apparenza così innocua. Non era certo un bel vedere e quella sua voce squillante la rendeva ancor più terrificante. 
«Andiamo, Molly, non c'è bisogno di rimproverarli in questo modo, sono solo dei ragazzi» disse Sirius una sera a cena.
Ron quasi si strozzò sentendo pronunciare quella frase mentre mangiava il suo arrosto. La signora Weasley dovette alzarsi e battere qualche colpetto sulla schiena del figlio per aiutarlo a buttar giù il pezzetto di cibo che gli era rimasto incastrato in gola. Avevano tutti gli occhi puntati su di lei, mortificati. La signora Weasley non parlò per qualche minuto, se ne restò a fissare Sirius con quel suo sguardo tremendamente pericoloso. Persino i gemelli smisero di ridere e di scherzare con Tonks, prestando attenzione alla scena che avevano dinanzi.
«Sirius Black, non credo tu abbia alcun diritto di dirmi come educare i miei figli»
«Lo so, Molly, non intendevo dire questo»
«A me era parso di sì»
«Molly, davvero, non ti sto rimproverando di nulla, hai avuto sette figli e sono stati tutti tirati su al meglio, ma ti sto solo dicendo che forse potresti essere un po' più indulgente con loro. In fondo si stanno soltanto divertendo, no?»
«Esatto, Sirius, ho avuto sette figli. Tu quanti ne hai avuti?»
Sirius si zittì, non sapendo più che cosa dire. Ebbe un attimo di esitazione, poi cercò di continuare con il suo discorso con maggior cautela, considerando che la signora Weasley fosse più irritata che mai. «Il fatto è che i ragazzi hanno bisogno di più libertà e meno oppressione da parte dei genitori. Non nego che li stai educando bene, anzi, credo tu sia una madre esemplare per i tuoi figli, e devo ammettere che ti ammiro molto. Ma ti garantisco che cresceranno bene anche se non li controlli ogni minuto, Molly»
«Tu puoi pensare ciò che vuoi, ma ho i miei metodi di insegnamento. Se credi che Harry possa diventare un adulto responsabile e attento ai propri doveri senza alcuna supervisione e regola da parte tua non è un problema mio!»
Harry arrossì visibilmente quando sentì il suo nome venir incluso nella conversazione. Infatti tutti i presenti si voltarono a guardarlo, come se in pochi istanti si fosse trasformato in un fenomeno da baraccone e volessero trovare in lui qualche segno di quel "ragazzo irresponsabile" o "immaturo".
«Harry è un bravo ragazzo!»
«Non importa che sia buono o cattivo, Sirius! Qui si parla dell’educazione di Harry! Quei Dursley non hanno impartito nessun buon insegnamento a quel povero ragazzo! Come pensi che educherà i suoi figli in futuro, eh? Di certo sarà del tutto spaesato e confuso, non sapendo cosa fare!»
A Harry dava tremendamente fastidio il fatto che parlassero di lui come se non fosse presente. Sirius se ne stava a battere i pugni sul tavolo, furioso e umiliato. La signora Weasley aveva delle chiazze rossastre sul collo e sul petto e la sua espressione era di pura rabbia. Perché dovevano sempre finire a litigare quei due?
«Vuoi che finisca ad essere un ragazzo scalmanato e aggressivo?» continuò lei.
A quel punto Malocchio Moody cercò di intervenire. «Harry non è uno scalmanato e neppure aggressivo, Molly. E per quanto mi risulta sta crescendo molto bene. È un ragazzo nobile, modesto e responsabile, non credo possa degenerare nel modo in cui credi tu»
Ma le parole della signora Weasley fecero impensierire Harry. In fondo era spesso agitato e aveva un temperamento turbato. E quante volte aveva avuto quegli istinti violenti, anche quando non c'era stata ragione alcuna? Quante volte aveva sognato di maledire Dudley, Malfoy, zio Vernon e persino Severus Snape, il suo odiato professore di Pozioni? Per quanto ne potesse sapere lui, la signora Weasley non mentiva, anzi, gli sputava in faccia la pura e crudele verità.
«Harry sarà un uomo come si deve, non dubitarne!» esclamò Sirius.
«Invece ne dubito eccome! Prenditi le tue responsabilità, Sirius Black, e incomincia ad essere per Harry quel che James e Lily si aspettavano da te! Sii il padrino che Harry merita!»
«Signora Weasley» li interruppe Harry, a voce così bassa che per un momento si chiese se lo avessero udito. I volti dei due tuttavia erano girati dalla sua parte e così continuò. «Sirius sta facendo un ottimo lavoro, davvero. Lui...lui...è come un padre per me» Pronunciò quelle parole con difficoltà. Non aveva mai detto niente di simile a nessuno, nemmeno a Ron e a Hermione.
«Beh, per quanto mi risulta non si comporta per niente come un padre!»
«Cosa vuoi che faccia? Sono ricercato dal Ministero. Se faccio un passo fuori da questa casa Silente mi ammazza! Come vuoi che faccia ad essere un padre per Harry quando sono rinchiuso tra queste mura, nascosto dalla società!? Non posso nemmeno uscire a comprare un giornale!» sbraitò Sirius.
«Ringrazia il cielo che tu sia ancora vivo! Vorresti tornartene là fuori, a vivere una vita da cane, perseguitato dai Dissennatori!?»
«Meglio che starmene qui con le mani in mano! Potrei aiutare l'Ordine!»
«Ecco! Vedi? Tu non sei il padrino adatto per Harry! Vuoi sacrificare la tua vita in modo sciocco, senza pensare al fatto che lasceresti Harry senza più nessuno al mondo!»
«Non dire sciocchezze, mamma!» fece George.
«L’hai detto tu stessa qualche giorno fa fuori dalla porta, no?» intervenne Fred.
«Harry sarà sempre ben accetto nella nostra famiglia» concluse il gemello.
«Poco importa! L'hai sentito Harry poco fa, eh? Per lui rappresenti la figura di un padre! Come pensi che reagirebbe con la tua morte? Ne sarebbe devastato!»
Harry non aveva mai visto la signora Weasley così arrabbiata con Sirius. Rabbrividì, rincuorato che non fosse lui con il quale quella donna fosse arrabbiata.
«Sono duro a morire, Molly. Sono sopravvissuto ad Azkaban, credo che riuscirò a sopravvivere ad una passeggiatina al chiaro di luna di tanto intanto»
«Sei uno sciocco, Sirius Black!»
«Bene, ora basta! Questa conversazione sta degenerando!» urlò Malocchio, battendo le mani. «Finite di mangiare, voi, e filate di sopra a dormire» disse, rivolgendosi ai ragazzi.
La signora Weasley e Sirius interruppero la loro conversazione e si limitarono a finire il proprio pasto. Sirius si alzò da tavola ancor prima che tutti terminassero e salì nella sua stanza. Harry sentì la porta della sua camera sbattere violentemente. La signora Weasley sbuffò, bruscamente, alzando gli occhi al cielo.
Quando Harry e gli altri ragazzi salirono nelle proprie stanze, Ron gli diede una pacca sulla spalla, incoraggiandolo.
«Vedrai che faranno pace in un batti baleno, amico»
«Speriamo» Non aveva voglia di parlarne, ora, tuttavia chiese a Ron ciò che gli era premuto dentro per tutto il corso della serata. «Pensi davvero che Sirius non si comporti come si deve con me?»
«Scherzi? Venderei la mia bacchetta per avere un padrino così!»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



 

Il giorno seguente Harry si svegliò di malumore. Ron era già sceso e notò che era già mattino inoltrato. Si costrinse ad alzarsi e a vestirsi, il più velocemente possibile. Trovò particolarmente strano il fatto che Ron non lo avesse svegliato. Di solito la mattina di Natale, appena si destava, gli saltava addosso per aprire i regali assieme. Uscì dalla stanza e scese le scale a passo svelto. La cucina era alquanto silenziosa, il che lo trovò ancor più strano. Di certo i Weasley il giorno di Natale si azzuffavano come delle tigri per aprire i regali. Quando varcò la soglia vide Ron, la signora Weasley, Hermione e i gemelli osservare intimoriti nientemeno che l'alta e scura figura di Severus Piton. Era girato di spalle, ma a giudicare delle facce spaventate dei Weasley doveva aver assunto una di quelle sue espressioni minacciose.
«Oh, Harry caro...» disse la signora Weasley, incerta.
Piton si voltò verso la soglia e squadrò Harry malevolmente. «Potter, giusto in tempo. A quanto sembrava la signora Weasley qui voleva cacciarmi da questa casa»
Con sguardo interrogativo Harry si rivolse verso Ron, che storse le labbra, a disagio. Gli si avvicinò, cautamente, cercando di non farsi notare da Piton. La signora Weasley intanto tentò di convincere il professore di Pozioni a prendere una tazza di tè e fare colazione, ma egli rifiutò educatamente.
«Vuole parlare con te in privato. La mamma ha tentato di convincerlo del fatto che stessi male, ma Piton non se l’è bevuta. Penso che l'abbia fatto perché non vuole che ti rovini il Natale per causa sua» gli sussurrò pianissimo.
«Ma cosa vuole Piton da me?»
«Non ne ho la minima idea, ma sta in guardia, lo sai che è meglio non fidarsi»
Harry annuì.
«Potter, vieni con me» ringhiò Piton, rivolgendosi nuovamente a lui. 
«Professor Piton, non credo sia il caso...» insistette ancora la signora Weasley.
«Mi sembra che Potter sia in perfetta forma e per quanto io possa conoscere i sintomi del vaiolo di drago, signora Weasley, non credo ne sia infetto»
«Ma...!»
Piton afferrò Harry per un braccio e lo strascinò nel salotto, chiudendo la porta dietro di sé. Harry si voltò verso di lui, tenendosi a debita distanza e con la mano appostata sulla bacchetta.
«Non credo che ti servirà la bacchetta, Potter» disse lui, capendo benissimo le sue intenzioni. «Non sono qui per ucciderti» disse, maliziosamente.
Harry non ne fu per nulla rassicurato e vedendo che Harry non si rilassava, Piton sorrise divertito. «D'accordo, fa come vuoi. Sono qui per ordine di Silente. Devo informarti che con l'inizio del nuovo semestre sarai tenuto ad avere delle lezioni private di Occlumanzia»
«Occlumanzia? Non ne ho mai sentito parlare»
«Certo che no, Potter, il tuo problema è che non studi abbastanza» disse, sperando di irritarlo. Poi continuò: «È un'arte complessa e molto difficile da comprendere, ma il Preside si illude che tu possa riuscire ad impararne le basi in pochi mesi»
«Sono certo che ci riuscirò, in fondo il professor Silente è un ottimo insegnante»
«No, Potter. Non sarà il Preside a insegnarti»
«E allora chi?» chiese Harry, confuso.
Piton storse le labbra in un ghigno, osservando il suo allievo con disprezzo. Prima di rispondere fece un lungo e lento sospiro. «Io»
«Lei!?» esclamò Harry, del tutto sconvolto e preso alla sprovvista.
«Esatto. Io» Benché sembrasse che anche a Piton non andasse a genio la cosa, sembrò perfettamente deliziato dalla reazione fin troppo disperata di Harry. Lo osservò scalmanarsi e agitarsi per quella orribile notizia.
«Ma...perché lei? Non potrebbe farlo il professor Silente?» parlò poco dopo, adirato.
«Tu credi davvero che Silente abbia tempo da perdere con un ragazzo testardo e presuntuoso come te? Ha incaricato me per questo compito e non ho nessuna intenzione di non adempiere ai miei doveri. La prima lezione si terrà venerdì, alle sei del mattino nel mio ufficio. Non tardare o sarò costretto a togliere punti alla tua Casa»
«Ma non può...»
«Certo che posso, Potter» lo interruppe lui, a denti stretti. «E per quanto ti disgusti l'idea di avere ulteriori lezioni con me, voglio che durante queste ore tu sia perfettamente concentrato, mi spiego abbastanza bene? Non accetterò nessuna scusa da parte tua, men che meno da tutti quegli amici che ti porti sempre appresso»
«Come faccio ad avere le lezioni venerdì? Ci sono le vacanze di natale e la scuola è chiusa»
«Certamente, Potter. La scuola è chiusa, ma questa non è una ragione per cui tu non dovresti incominciare ad imparare fin da subito. Il Preside ha insistito invano sul fatto che incominciassimo con il prossimo semestre, ma io ritengo che sia meglio incominciare ora, considerando la tua scarsa capacità di apprendimento. E credo fermamente che ci vorrà un sacco di tempo prima che tu riesca ad imparare qualcosa. È stata una fortuna, comunque, scoprire che Dolores Umbridge non trascorrerà le vacanze a Hogwarts, così possiamo tenere queste nostre lezioni senza il timore che ci scopra. Perché naturalmente Potter, non dirai a nessuno ciò che facciamo, è chiaro? Deve essere mantenuto segreto, anche se dubito che riuscirai a tenere la bocca chiusa con i tuoi amici»
«Ron e Hermione non diranno assolutamente nulla e neppure il resto della famiglia Weasley» fece fiero Harry.
Piton lo fissò per un attimo poi strinse le labbra. «Soltanto gli idioti si fidano ciecamente delle persone, lo sai?»
«Allora se è così sono l’idiota più stupido che si sia mai visto» rispose il ragazzo, sfidando negli occhi il suo professore.
Dopo quell’affermazione a Harry sembrò che in una breve frazione di secondo fosse comparso sul volto di Piton un sorrisetto divertito. Ma fu così rapido che dopo un po’ pensò di esserselo immaginato.
«Come faccio a raggiungere Hogwarts da qui?» continuò. Si sentì stranamente più impavido ora. Sentì di poter affrontare le angherie di Piton anche ad occhi chiusi.
«Il Preside ha collegato il camino della cucina del Quartier Generale con quello del mio ufficio, così potrai raggiungere Hogwarts con maggior facilità. Ricorda, Potter, sei in punto. Non tollererò ritardi»
Harry annuì. Per un attimo volle chiedere a Piton se si poteva cambiare orario e incominciare le lezioni un po’ più tardi. Non aveva nessuna voglia alzarsi alle cinque e mezza del mattino per quelle dannate lezioni aggiuntive, perlopiù nei giorni di vacanza. Era così ingiusto. Pensò al resto dei suoi compagni, felici e spensierati a trascorrere il tempo libero come meglio credevano. Ma forse era una punizione per aver disobbedito al Preside ed esser scappato di casa. Certo, molto probabilmente se lo meritava, ma non riusciva a capacitarsi dell’idea che gli stessero accorciando le festività. Fu pronto a parlare, ma quando vide gli occhi inaciditi dell’uomo richiuse la bocca e ammutolì. No, era decisamente meglio lasciar perdere.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


 

Appena Severus Piton spalancò la porta del salotto, ruzzolarono per terra Ron, i gemelli Weasley e Ginny, i quali evidentemente stavano origliando con il capo appoggiato sulla porta per udire qualcosa. Ron si aggrappò alla gamba di Harry per rimettersi in piedi, ma il suo peso fece solo sbilanciare Harry che barcollò pericolosamente. Piton, istintivamente, lo afferrò saldamente per la vita, evitando che cadesse a terra anche lui. 
«Perdonami, Harry!» urlò Ron, agghiacciato.
Harry tentò di allontanarsi da Piton il più velocemente possibile, sottraendosi dalla sua presa. «…grazie» mormorò, senza pensarci. Si sentiva così strano, non gli piaceva l’idea che Piton lo toccasse.
«Se non stai attento a quello che fai, Weasley, la prossima volta ti ritroverai il signor Potter, qui, con la testa schiacciata sull’angolo di un mobile»
«Mi scusi, signore» fece Ron, avvampando visibilmente.
«E per quanto ne so in una società rispettabile l’origliare è considerato assai maleducato. Se ritrovo tutti voi in una medesima situazione ne passerete delle belle, ve lo garantisco»
Harry aiutò Ginny a rialzarsi e lei arrossì a malapena per quel gesto. I gemelli continuavano a ridere come fossero impazziti. La signora Weasley e Hermione invece, erano affacciate sulla soglia della cucina e osservavano la scena. Hermione era furiosa, mentre la signora Weasley pareva accigliata.
«Ve l’avevo detto che non era una buona idea!» brontolò la ragazza.
«Che succede qui?»
Era la voce di Sirius. Harry lo vide scendere le scale spossato, con la faccia di chi si è appena svegliato. Cercò di spazzolarsi i capelli arruffati con le dita e teneva ancora gli occhi socchiusi per il sonno. Appena posò lo sguardo su Piton, le sue pupille si dilatarono e una smorfia di disgusto si dilagò sul suo viso. Ora pareva più sveglio che mai e se ne stava all’erta. Anche Piton cambiò atteggiamento. Tenne la mano sulla sua bacchetta, come se temesse che Sirius potesse lanciargli qualche maledizione.
«Che ci fa lui qui?» chiese, adirato.
«Si dà il caso che questo tugurio sia il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice, Black. Ho tutto il diritto di stare qui»
«Fai parte dell’Ordine solo perché Silente l’ha espressamente voluto. Nessuno ti vuole realmente qui, Piton, e faresti meglio ad andartene subito»
Piton serrò la mascella e guardò Sirius malevolmente. Cercò di controllarsi il più possibile. «Sono qui per informare Potter che avrà delle lezioni private di Occlumanzia assieme a me a partire da venerdì»
«Occlumanzia?» chiese Sirius, confuso.
«A quanto pare nemmeno tu non ti sei applicato granché a scuola, Black. Occlumanzia, sì. La difesa magica della mente contro la penetrazione esterna» 
«E perché dovresti insegnarglielo?»
«Ordini di Silente»
«Beh, io sono il suo padrino e non ho nessuna intenzione di permettere che Harry si rovini le vacanze per delle stupide lezioni!»
«Conosci le ragioni della sua fuga, Black. Imparare l’Occlumanzia preverrà che Potter possa venir posseduto dal Signore Oscuro. Lo renderà più sicuro di sé, e spero proprio che la sua presunzione non peggiori più di tanto. Tuttavia, questo eviterà ulteriori sconvenienti da parte del tuo venerato ragazzo. Potter necessita di imparare l’Occlumanzia il più presto possibile. O vorresti lasciarlo in balia a lui, per caso?»
Sirius rimase zitto, non sapendo cosa dire. «Se usi queste lezioni per maltrattare Harry, Piton, non dubitare che ti verrò a cercare»
«Oh, non ne dubito affatto. L’unica cosa che so è che il Ministero ti catturerebbe ancor prima che tu metta piede dentro i giardini di Hogwarts»
«Posso entrare tranquillamente sotto forma di cane»
«Non essere sciocco, Black. Sai bene che da cane non puoi fare molto contro di me.»
«Ne parlerò con Silente e cercherò di fargli cambiare idea»
«No, Sirius» parlò Harry, improvvisamente. I due si girarono verso di lui e lo guardarono stupiti. «Se l’Occlumazia…»
«Occlumanzia, Potter» lo corresse Piton velocemente.
«Oh, sì…se l’Occlumanzia può fermare Voldemort dal possedermi, allora voglio seguire queste lezioni»
«Ne sei sicuro?» chiese Sirius, allarmato e persino un po’ deluso dal rassegnamento da parte del suo figlioccio.
«Sì»
«Il ragazzo è molto più saggio di te, Black» intervenne Piton, con un sorriso di scherno. «Potter vi spiegherà tutto anche senza il mio intervento, o così spero. Ora con il vostro permesso, me ne vado, sono piuttosto di fretta. Al contrario del tuo, Black, il mio tempo libero non è illimitato»
Sirius gli lanciò uno sguardo brutale. Divenne rosso in volto e Harry notò la sua mano scivolare verso la bacchetta. Piton fece per andarsene, con il nero mantello da viaggio che ondeggiava alle sue spalle.
«Ah, a proposito di cani» disse dolcemente Piton, «sapevi che Lucius Malfoy ti ha riconosciuto l'ultima volta che hai arrischiato una gita? Idea furba, Black, farti vedere in un bel posto sicuro... ti ha dato una scusa inattacabile per non uscire più dalla tana, vero?»
Sirius levò la bacchetta.
«No!» urlò Harry, e balzò al di là del tavolo frapponendosi tra i due. «Sirius, non farlo!»
«Mi stai dando del codardo?» ruggì Sirius, cercando invano di spostare Harry.
Piton lo squadrò, attentamente. Non sembrava intenzionato a tirar fuori la bacchetta per difendersi, eppure lo minacciava con quello sguardo senza fondo.
«Be', sì» disse Piton.
«Harry, stanne - fuori!» scandì Sirius, spingendolo via con la mano libera.
«Va bene, adesso basta!» urlò la signora Weasley, rossa in volto dalla rabbia. «Vi comportante come dei ragazzini! Smettetela! Tutti e due! Adesso!»
La voce minatoria della signora Weasley fece riscuotere Sirius e Piton. Sirius arrossì, a disagio, conscio di aver perso il controllo. Abbassò velocemente la bacchetta e posò lo sguardo su un Harry sconvolto e preoccupato. Chiuse gli occhi per un momento, respirando a fondo, cercando di calmare l’ira che ancora ribolliva in lui.
«Professor Piton, davvero non vuole una tazza di tè prima di andare?» chiese la signora Weasley, sentendosi in colpa per il comportamento sconsiderato di Sirius.
«Sono a posto così, grazie» disse, con un cenno. «Credo sia meglio che vada, ora. Arrivederci»
Tutti i Weasley, incluso Harry, mormorarono un fievole saluto e osservarono Severus Piton uscire dalla porta d’ingresso, con il mantello nero che gli svolazzava attorno.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


«Harry, penso che sia meglio così. Ha ragione il professor Piton a costringerti ad avere queste lezioni anche durante le vacanze. Riuscirai a concentrarti meglio senza il costante pensiero delle lezioni, dei compiti e delle materie da studiare. Sarai più rilassato e riposato…»
«Riposato? Devo svegliarmi alle cinque e mezzo del mattino, Hermione!» brontolò Harry, avvilito. «Sì, beh…dovrai andare a letto presto, ecco tutto»
«E voi ve ne starete alzati fino a notte tarda a divertirvi senza di me»
Hermione si mosse sulla sedia, in imbarazzo. Anche Ron non sembrava granché entusiasta all’idea di dover rinunciare al suo amico la sera. Si erano chiusi nella stanza di Ron e Harry subito dopo che Piton se n’era andato. Harry aveva sentito il frenetico bisogno di parlarne con loro della cosa, la quale lo deprimeva piuttosto fortemente.
«Lo so che non ti piace, ma è per il tuo bene. Tu-sai-chi è forte e tu devi imparare a contrastarlo, devi imparare a fidarti di te stesso, Harry, e credo proprio che l’Occlumanzia ti sarà di grande aiuto in tutto questo»
«Oh, andiamo, Hermione… Piton! Silente dev’essere impazzito per davvero allora!» Questa volta fu Ron a parlare. «Lo sai che odia a morte Harry e non riuscirà a insegnargli nulla oltre che qualche sarcastico insulto».
«È un bravo insegnante, dopotutto. Devi solo trattenerti, Harry. Evitare che possa arrabbiarsi con te più del necessario»
«Piton s’arrabbia con me appena mi guarda negli occhi, non l’hai ancora notato?» chiese Harry, sconsolato.
«Oh, ma forse è solo una tua impressione…»
«Impressione!? Cavolo, Hermione! È da cinque anni che lo conosciamo e sei ancora così ostinata da non vedere quanto disprezzo prova per me?»
«Beh, non gli piaci, questo è certo»
«Lui mi odia, Hermione»
«D’accordo» Chiuse gli occhi per un attimo e sospirò, cercando di calmare i nervi. «Ma questo non vuol dire che non possa insegnarti l’Occlumanzia come si deve. È alquanto ostinato e se Silente gli ha ordinato di farlo allora lo farà senza esitare»
«Prego per te che non ti metta il cappio al collo se perde la pazienza, amico»
«Grazie, Ron»
«Sono sempre qui per te»
Hermione lanciò a Ron un’occhiataccia e scosse leggermente la testa, esasperata. La conversazione su Piton terminò lì e passarono ad altro.
Quel pomeriggio fecero visita al signor Weasley al San Mungo. Lo trovarono sprizzante di gioia nel suo letto, a fischiettare un motivetto allegro mentre era impegnato ad aprire i regali che gli avevano portato. La signora Weasley controllò con occhio vigile le bende, assicurandosi che non ci fosse nulla di allarmante. Il signor Weasley esclamò entusiasta quando scartò il regalo da parte di Harry: una serie di fusibili e cacciavite. «Oh, Harry, è magnifico!»
«Guarda cosa ho ricevuto io, papà!» disse George, mostrandogli un mantello color smeraldo di seconda mano. Ma era così lucido e di un colore così intenso che sembrava nuovo di zecca. Poi fu il turno di Fred a elencare tutti i regali che aveva ricevuto per Natale, poi di Ginny, Ron, Hermione e Harry. Il signor Weasley rimase ad ascoltarli con interesse, commentando e ridendo come non mai. Era evidente che gli erano mancati gli schiamazzi, le risate e la compagnia della sua famiglia. I suoi occhi brillavano di felicità quando si posavano sui volti dei suoi cari. Chissà se durante l’attacco del serpente avesse pensato di non poterli rivedere mai più, si chiese Harry, colmandosi di un’infinita tristezza. I suoi sospetti furono fondati un’ora più tardi, quando la signora Weasley era uscita per parlare con il Guaritore e i ragazzi bighellonavano per la stanza. Il signor Weasley fece un cenno a Harry e quest’ultimo si avvicinò a lui, velocemente.
«Grazie, Harry, grazie per aver permesso che passi un altro Natale con tutti voi» gli sussurrò in un orecchio.
Commosso, Harry lo fissò e abbozzò un lieve sorriso, senza parole.
 
* * *
 
Il giovedì sera arrivò in un batti baleno. Harry tentò di dimenticare che cosa lo stesse aspettando la mattina dopo e cercò di trascorrere una bella serata con i suoi amici. Il salotto era caldo. Il fuoco che aveva acceso Sirius nel camino aveva cacciato l’umidità nell’aria. Si stava più che bene. Harry indossava il maglione di lana che gli aveva fatto la signora Weasley per Natale. Gli stringeva un po’ in vita, ma sapeva che prima o poi si sarebbe allargato. Probabilmente la signora Weasley aveva preso spunto da un modello dell’anno precedente e non aveva pensato che quest’anno fosse cresciuto più di quanto avesse immaginato. Harry era alquanto impegnato in una partita di scacchi con Ron. Sentiva di poter vincere questa volta, il che non accadeva tanto spesso, considerando che Ron era il miglior giocatore di scacchi che avesse mai incontrato. Hermione invece era nascosta in un angolo, distesa sul divano, con un libro aperto sulle ginocchia. Harry si accorse che Fred e George erano scomparsi, sicuramente si erano Smaterializzati da qualche parte nella casa senza che gli altri se ne fossero accorti. Ginny chiacchierava assieme alla madre e a Sirius. Di tanto intanto si voltava verso Ron e Harry, seguendo la partita.
«Non cantare vittoria troppo presto» fece Ron, con un ghigno. Infatti Ron riuscì a prevedere le sue mosse e riuscì a vincere. «Scacco matto»
«Non c’è gusto a giocare con te»
«Gioca con Ginny, allora»
Quando l’orologio scoccò le dieci, la signora Weasley si illuminò.
«Harry, caro, non pensi che dovresti andare a letto?» chiese.
Harry era così concentrato che nemmeno la udì. Con la torre mangiò l’alfiere di Ginny e le sorrise maliziosamente. «Tocca a te»
«Harry?» lo chiamò di nuovo la signora Weasley.
A quel punto Harry si voltò, vide l’espressione desolata della signora Weasley e comprese.
«Non ti preoccupare» fece Ginny, gentilmente. «Continueremo domani la partita, se vuoi»
«Scusa»
Lei gli sorrise dolcemente. Afferrò la scacchiera, attenta a non spostare i pezzi, e la mise a posto. «Buonanotte, Harry» disse.
Si sentì davvero un idiota ad andare a dormire alle dieci di sera, quando gli altri sarebbero rimasti alzati fin dopo la mezzanotte. Si avviò verso le scale, a passi pesanti. Raggiunse la sua camera e si infilò subito il pigiama. Quando si distese sotto le coperte si rese conto che non aveva nemmeno una briciola di sonno. Sentiva i chiacchiericci provenire dabasso e percepì una leggera gelosia accrescere in sé. Tenne lo sguardo fisso verso il soffitto, sperando che il sonno l’avrebbe colto presto. Ma non arrivò. Si girò e rigirò nel letto, tentando di addormentarsi, eppure senza successo. Quell’insonnia lo rese ancor più nervoso. Pensare che l’indomani avrebbe raggiunto l’ufficio di Piton con le occhiaie scure sotto gli occhi e del tutto spossato lo agghiacciava. Naturalmente Piton se ne sarebbe accorto all’istante e non avrebbe fatto una bella figura se il Maestro di Pozioni avesse sospettato che fosse rimasto sveglio fino a tardi, non prendendo sul serio le loro lezioni. Sospirò. Doveva darsi una calmata, altrimenti avrebbe passato la notte in bianco.
Cadde in un sogno senza nemmeno rendersene conto. Sognò la chioma nera di Piton. Lo guardava con rabbia, gli girava attorno come un avvoltoio dalle piume nere. Infatti poco dopo aver formulato questo pensiero, Piton si trasformò in un grande uccello nero, lo beccava dovunque, sentiva che gli stava strappando brandelli di pelle con quel suo becco appuntito. Puntava soprattutto sul viso, o meglio sulla fronte, dove c’era la cicatrice. Voleva strappargliela via, eliminarla. E Harry lo lasciava fare, anche se continuava ad urlare dal dolore. Ma desiderava quanto lui che quella cicatrice non fosse mai esistita. Prima che l’uccello finisse fu avvolto in una brillante luce verde. L’uccello strillò, si irrigidì e cadde a terra, frantumandosi sul pavimento come fosse di vetro.
«Uccidi l’altro!» fece la raccapricciante voce di Voldemort.
Harry si ritrovò d’un tratto nel cimitero. Non riusciva a vedere dove fosse Voldemort e Codaliscia. Vorticava intorno a se stesso, senza fermarsi. Dov’erano? Dov’erano!? Si aspettò di vedere Cedric Diggory venir ucciso, ma non fu Cedric a morire.
«Avada Kedavra!»
«Ron!» Harry urlò a squarciagola, vedendo il suo amico cadere a terra con un tonfo. Corse verso di lui, con il fiato sospeso e le lacrime agli occhi. Cadde sulle ginocchia e osservò il corpo senza vita del suo migliore amico. Aveva le orbite scavate, vuote. I suoi occhi azzurri erano spariti per sempre. Poi ci fu un rumore, come un richiamo. Harry si voltò e su un ramo di un albero notò l’uccello di prima. Nel becco teneva stretti gli occhi di Ron.
«Ridammeli!» urlò Harry all’uccello.
Ma questo lo ignorò, spalancò le enorme ali del colore della pece e volò via, nel cielo plumbeo della notte.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


«Harry, è ora di alzarsi»
Harry spalancò gli occhi di colpo. Il viso della signora Weasley era illuminato dalla fioca luce che penetrava nella stanza dal corridoio. La donna, vedendolo sveglio, gli rivolse un piccolo sorriso. «Buongiorno, dormito bene?»
Harry si mise a sedere, ancora attonito dalle immagini che continuavano a scorrere nei suoi pensieri. Rabbrividì. Gli occhi penetranti di quel uccello erano ancora impressi nella sua mente. Udì Ron lamentarsi qualche metro più in là a causa della luce. Lo sentì mugolare qualcosa, dopodiché si girò dall’altra parte e si rimise a ronfare.
«Cerca di sbrigarti a vestirti, la colazione è quasi pronta» gli disse la signora Weasley, uscendo dalla stanza.
«Grazie mille»
Appena la signora Weasley lo lasciò solo, Harry rimase qualche istante sul letto, sovrappensiero. Vedere il suo amico vivo e vegeto, russare a pochi passi da lui, lo sollevava parecchio. Osservò i capelli rossicci di Ron cosparsi sul cuscino. In quella penombra avevano assunto un colore più scuro, parevano di un castano ambrato. Respirava profondamente e di tanto intanto emetteva strani versi, come se stesse sognando qualcosa. Ripensò al corpo senza vita di Ron che aveva visto in sogno. Non poteva permettere che accadesse qualcosa del genere, non proprio al suo migliore amico. Non lo avrebbe sopportato. Preferiva mille volte morire lui, piuttosto che Ron. E quegli occhi vuoti…
Cercò di non pensarci troppo. Era solo un sogno, dopotutto. Balzò giù dal letto, si infilò una camicia appena stirata e un paio di pantaloni neri. Indossò le scarpe velocemente e cercò di pettinarsi i capelli alla bell’è meglio, afflosciandoli con le dita.
Trovò la cucina vuota, ad eccezione della signora Weasley, che trafficava con pentole e stoviglie. Aveva un’espressione stanca, i suoi movimenti erano più lenti del solito.
«La prossima volta posso benissimo alzarmi da solo e prepararmi da me la colazione» disse Harry, sentendosi un po’ in colpa per averla fatta alzare così presto.
«Sciocchezze. So bene che la tua colazione consisterebbe in una tazza di tè e basta. Avrai bisogno di molte energie, Harry, devi assolutamente mangiare qualcosa di sostanzioso»
A dire la verità Harry aveva lo stomaco chiuso. Tuttavia si sforzò a mangiare tutto quello che la signora Weasley gli offriva. Sperava solo di non incominciare a vomitare dinanzi a Snape. La signora Weasley prese posto di fronte al ragazzo e consumò la colazione assieme a lui. Per un attimo la casa piombò nel silenzio. Tutto ciò che si udiva era solo il rumore metallico delle posate.
«Sei teso?» chiese la donna, guardandolo di sottecchi.
«Un po’» ammise Harry.
«Andrà bene, vedrai. Impari molto in fretta»
«Piton è piuttosto pesante, qualche volta. Avrei preferito qualche altro insegnante»
«Il professor Piton, Harry» lo corresse lei. «Certo, lo so, ma non temere, devi solo dare il massimo e far vedere al professor Piton che ti impegni»
Dubitava che se anche si fosse impegnato Piton avrebbe smesso di prenderlo in giro. Ormai era così abituato alle malignità che gli rivolgeva che gli sarebbe parso strano se non lo facesse più. Finita la colazione, la signora Weasley lo scortò fino al caminetto del soggiorno.
«Buona fortuna» fece.
Harry entrò nel caminetto, prese un pugno di Polvere Volante e esclamò il più chiaramente possibile: «Hogwarts, ufficio di Severus Piton!» Poi gettò la sostanza scintillante ai suoi piedi e scomparve tra le fiamme verdastre.
Quando i suoi piedi toccarono il pavimento, l’atterraggio fu così violento che non riuscì a tenersi in equilibrio. Venne scaraventato per terra, sollevando un fumo nero tutt’intorno a lui. Un’ondata di fuliggine gli entrò nelle narici e incominciò a starnutire senza tregua.
«Diamine, Potter» parlò una voce fredda dall’altra parte della stanza. «Cinque anni nel mondo magico e ancora non sai usare la Metropolvere»
Harry si guardò intorno, vide Piton seduto dietro la sua scrivania, che lo guardava malevolmente. Maledisse se stesso per essere caduto come un salame proprio davanti a quel uomo. Notò di aver sporcato il pavimento di polvere davanti a sé. Uscì in fretta e furia dal camino, abbassandosi per attraversare il controcuore d’ottone. Notò quale caos aveva combinato. Impugnò la sua bacchetta il più velocemente possibile e la puntò verso il pavimento sporco.
«Tergeo» mormorò, piano, cercando di non farsi sentire da Piton.
In un lampo la polvere scomparve e il pavimento ritornò lustro come prima. Anche i suoi vestiti e la sua faccia erano completamente neri. Ripeté l’incantesimo su se stesso e quando constatò che non c’era più nulla fuori posto, rivolse infine la sua attenzione a Piton.
«Mi scusi per il pavimento» disse.
Piton non disse niente, si limitò ad alzarsi dalla sedia e a riordinare i fogli sparsi sulla scrivania. Guardò l’ora e abbozzò un sorrisetto malizioso. «Sei in ritardo di due minuti, Potter»
Impossibile. La signora Weasley si era assicurata che fossero le sei in punto prima che Harry prendesse la Polvere Volante tra le mani. Tuttavia era meglio non provocarlo.
«Mi dispiace, signore, la prossima volta vedrò di essere in orario»
«Lo spero per te» ghignò. «Sbrigati a sederti. Prima incominciamo meglio è»
«…dove?» chiese Harry, l’unica sedia che c’era in quella stanza era dietro la scrivania di Piton. E non aveva nessuna intenzione di andarsi a sedere lì. Piton agitò la bacchetta e trasfigurò un piccolo sgabello in una sedia. La posizionò nel bel mezzo dell’ufficio e con un gesto frettoloso ordinò a Harry di sedersi.
«Come prima cosa voglio specificare che queste lezioni saranno tutt’altro che una passeggiata. Non tutti riescono ad essere Occlumanti, Potter. Certe persone sono troppo deboli da riuscire nell’impresa»
«Ci riuscirò» disse Harry, più per convincere se stesso che Piton.
«Ne dubito fortemente, ma non ci resta che incominciare»
Piton sfilò la sua bacchetta e la puntò verso di lui. Harry balzò su dalla sedia, colto alla sprovvista. Ma vedendo che Piton se ne restava fermo con la bacchetta puntata sul suo petto e un’espressione di divertimento sul volto, capì che non aveva alcuna intenzione di maledirlo. «Che cosa fa?» domandò, confuso.
«Sono tenuto a forzare la tua mente, Potter. È l’unico modo perché tu possa imparare a contrastare una presenza ostile nella tua mente»
«Forzare la mia mente? Che vuol dire?» Ora incominciava ad essere spaventato. Quel termine lo fece pensare subito a qualcosa di molto spiacevole. Doveva essere persino doloroso.
«Il Signore Oscuro quando ha l’intenzione di torturare i suoi nemici invade la mente altrui. E lo fa in un modo così brutale da far provare pene inimmaginabili alla propria vittima. La Legilimanzia può essere usata anche per estorcere informazioni. Un bravo Legiliments è in grado di scoprire i segreti più profondi di una persona, se lo desidera. Tutto questo avviene a stretto contatto con la persona interessata. La prima regola della Legilimanzia è: guardare la persona negli occhi, altrimenti è del tutto inutile. A quanto pare però tu e l’Oscuro Signore siete collegati mentalmente e da poco ha scoperto che è in grado di invadere la tua mente anche se siete a miglia di distanza l’uno dall’altro. è dunque opportuno che tu impari l’Occlumanzia, per imparare a riconoscere quando un Legiliments tenta di impossessarsi di te ed imparare, ovviamente, a contrastarlo. Non userò la Legilimanzia per torturarti, Potter, né per farti del male volontariamente. Il fatto è che contrastare un Legiliments può provocare dolore, se si tratta di una forzatura mentale troppo intensa. Per le prime volte non invaderò la tua mente troppo fortemente, ma quando incomincerai a contrastarmi allora forzerò sempre di più, perché tu possa essere preparato a un eventuale attacco da parte del Signore Oscuro»
Per un attimo Piton restò in silenzio, scrutandolo attentamente. Poi gli ordinò di risedersi con un gesto della bacchetta. «Sarebbe meglio che tu ti risieda, Potter»
«Perché?»
«Potresti cadere» Non aggiunse altro.
Harry deglutì, con il cuore in gola. Obbedì al professore di pozioni e si rimise seduto sulla sedia di legno.
«Sei pronto?»
No, non lo era per niente. Piton non gli aveva detto assolutamente nulla per come fare a contrastarlo. Era assolutamente impreparato e non aveva idea di quel che gli avrebbe fatto. Ad ogni modo annuì.
Piton non attese oltre. «Legilimens!»
Fu travolto da moltissime immagini, una dietro l’altra. Era come vedere un film nella propria testa. A poco a poco si rese conto che erano i suoi ricordi, momenti del suo passato. Hermione che dava un pugno in faccia a Malfoy, zio Vernon che rideva di lui quando era uscito dal sottoscala con indosso gli enormi abiti smessi di Dudley, zia Marge trasformata in un enorme pallone e fluttuava verso il soffitto del salotto, zia Petunia che lo mandava a letto senza cena perché non aveva finito di pulire lo scantinato, le lacrime di Fanny che curavano la ferita sul suo braccio…
D’un tratto sentì qualcosa di duro colpirlo. Era il pavimento. Si ritrovò di nuovo nell’ufficio di Piton, ansimante e completamente sconvolto.
«Alzati, avanti» ordinò Piton, scorbutico. «Dobbiamo continuare»
«Lei vede tutto ciò che vedo io?» chiese Harry, con la voce roca.
«Sì»
Harry aggrottò la fronte, preoccupato. Ma non disse niente.
«Concentrati di più, Potter»
Concentrarsi? Concentrarsi su cosa? Non aveva la più pallida idea di come fare.
«Ricominciamo. Preparati» fece il maestro di pozioni, alzando nuovamente la bacchetta su di lui. «Legilimens!»
E le immagini ricominciarono. Furono ancor più vivide di prima. Vide centinaia di dissennatori volare sopra il Lago Nero, c’era la luna piena che faceva splendere di una luce argentata le acque del lago… Le figure scure di quelle creature mostruose piombavano sopra Sirius e lui. C’era lui dall’altra parte del lago… L’immagine cambiò d’improvviso. Comparve la sua mano e sul dorso apparirono delle scritte incise col suo stesso sangue: Non devo dire bugie… La Umbridge sogghignava sprezzante di fianco a lui… Il serpente dello zoo gli faceva l’occhiolino… La Ford Anglia fuori dalla finestra sbarrata della sua camera a Privet Drive… Hermione tramutata in gatto… Zia Petunia che gli dava un colpo in testa col mestolo senza motivo… Cho Chang che si avvicinava a lui…sempre di più…di più…
«No!» Sentì la sua voce urlare in lontananza. Piton ricomparve dinanzi a lui, sul suo viso il solito ghigno minaccioso. Ce l’aveva fatta? L’aveva respinto?
Piton parve cogliere quei pensieri perché gli rispose subito. «Non essere sciocco, Potter. Sono stato io a fermarmi. Non fai altro che urlare tutto il tempo. Controllati»
«Mi dispiace…non me ne sono accorto»
Piton sollevò un sopracciglio e lo squadrò, irritato. «Devi concentrarti di più, Potter. Mi lasci entrare con troppa facilità, non fai nulla per fermarmi. Mi dai accesso ai tuoi ricordi senza opporre neanche un briciolo di resistenza. Riproviamo» fece. «Ah, toglimi una curiosità. Perché c’erano le sbarre sulla finestra della tua camera?» gli chiese, solo per tormentarlo.
Harry strinse le labbra, irato. Non voleva che Piton vedesse tutte quelle cose… Sapeva che lo avrebbe solo preso in giro. In un primo momento pensò di non rispondergli ma, notando che Piton attendeva impaziente che parlasse, cedette. «Per evitare che fuggissi»
«Scappi spesso di casa, Potter?»
«No, ma ho desiderato farlo tante volte»
«Sei proprio la copia sputata di tuo padre, così arrogante e presuntuoso. Bene, ora basta. Ricominciamo»
Lo colse del tutto alla sprovvista. Aveva ricominciato troppo in fretta, stava ancora ansimando per lo sforzo di poco prima... Dopo mezz’ora si ritrovò grondante di sudore e del tutto stremato. Sentiva che le sue forze andavano diminuendo e che non avrebbe resistito ancora a lungo. Piton non gli dava un attimo di tregua, ricominciava quasi all’istante, senza permettergli nemmeno di ricomporsi o di riprendere fiato. Era spesso caduto dalla sedia, senza poterlo evitare. Sentiva che gli sarebbero venuti dei lividi sulle ginocchia e sui bracci per tutte quelle volte che aveva sbattuto sul pavimento. Il professore continuava a urlagli contro, spronandolo a respingerlo. Ma Harry non ne era in grado. Non riusciva a farlo. Quella presenza nella sua mente era troppo intensa, troppo invasiva. Non riusciva nemmeno a pensare quando quell’uomo scorbutico si intrufolava dentro la sua testa, figuriamoci a concentrarsi abbastanza da riuscire a resistergli.
«Credo che per oggi sia abbastanza» osservò Piton, scoccando un’occhiata all’orologio. Erano passati appena cinquanta minuti dal suo arrivo. Il che a Harry parve assolutamente incredibile, considerando che aveva creduto di essere là dentro da almeno tre ore. Si alzò dalla sedia, con le ginocchia cedevoli e il corpo fremente. Si passò la manica della camicia sulla fronte per asciugarsi il sudore e prese dei lunghi respiri, cercando di tranquillizzarsi. Era finita, finalmente. Piton lo lascava andare.
«Ti aspetto domani alla stessa ora, Potter»
Harry fece una smorfia. Non aveva nessuna voglia di ritornare lì, ma sapeva che era inutile obbiettare. «Arrivederci» disse, con la voce incrinata. Piton ormai aveva rivolto tutta la sua attenzione alle scartoffie sulla scrivania, quindi lo ignorò completamente. Il ragazzo raggiunse il caminetto con fare sconsolato e scomparve nelle fiamme color smeraldo. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


«Harry! Già di ritorno?» esclamò Hermione, appena Harry apparve dal caminetto. Gli corse incontro e quando vide in che stato pietoso era, assunse un’espressione sconvolta. «…oh, Harry? Ti senti bene?»
Anche Ron era lì e guardava l’amico come se avesse appena visto un fantasma. Harry strascinò i piedi verso il centro del salotto e si lasciò cadere sulla poltrona, spossato. Gli martellava la testa, i suoi muscoli erano indolenziti e si sentiva pesante come un macigno.
«Che ti ha fatto il pipistrello?» chiese Ron, stringendo i pugni.
«Non pensavo che imparare l’Occlumanzia potesse essere così difficile» disse lui, semplicemente.
«Certo, con Piton come insegnante non poteva che andare peggio! Per Merlino! Guardati! Sembra che hai appena lottato con Tu-Sai-Chi in persona!»
Harry lo ignorò. Si guardò intorno. La casa era stranamente silenziosa. «Dove sono tutti?»
«La mamma ha portato tutti al san Mungo a trovare papà. Io e Hermione abbiamo deciso di restare qui e aspettarti. Non volevamo che ritornassi a Grimmauld Place e ti ritrovassi completamente da solo» spiegò Ron.
«Beh, grazie. Ma Sirius?»
«Ieri ha bevuto un po’ troppo. Credo che resterà a letto fino a tardi»
Harry aggrottò le sopracciglia. «Che diamine avete combinato ieri notte?» chiese, divertito.
«Beh, a sera tarda è passato Lupin» Ron strinse le labbra, come per reprimere un sorriso. «Lupin ha portato un Whisky Incendiario e…beh…quei due si sono scolati l’intera bottiglia da soli. Non ho idea a che ora siano andati a dormire. Probabilmente sono rimasti svegli fino all’alba»
Harry sentì una fitta di irritazione. Per colpa di Piton non aveva visto Remus e si era perso l’intera serata che, dall’espressione di Ron, doveva essere stata esilarante.
«Harry, vuoi che ti preparo qualcosa? Un tè, magari? Sembri stremato» chiese Hermione, tesa.
«No, Hermione, ti ringrazio. Mi riprendo subito»
«A me pare di no» commentò Ron. «Sai, ti consiglierei di andartene in camera a dormire. Ne hai un disperato bisogno. Potresti crollare da un momento all’altro»
«Sto bene»
«Ah-ah» sentenziò Ron, ironico. «Ci dici che ti ha fatto, per l’amor del cielo?»
Harry sospirò e si preparò a raccontare ai suoi amici il metodo di insegnamento che aveva usato Piton. Hermione, che a quanto pareva ne sapeva qualcosa sull’argomento, annuiva positivamente alle parole di Harry, mentre Ron, scioccato, non faceva altro che interromperlo per chiedergli spiegazioni e ulteriori particolari.
«Non ci posso credere. Quell’uomo ti sta torturando» fece ad un certo punto, con gli occhi sgranati dall’indignazione. «Non te ne rendi conto? E poi non mi va giù che spii tutti i tuoi ricordi. È una cosa privata, mannaggia. Non può farlo»
«È necessario, Ron» si intromise Hermione. «Se Harry deve imparare l’Occlumanzia in fretta questo è l’unico modo per farlo. Piton sa quello che fa e non mi sembra uno che vada in giro a raccontare tutte le faccende private di Harry. Anche se vede qualche cosa che non dovrebbe non è quel genere di persona che ne fa un pettegolezzo»
«Ma Hermione…! Si tratta di Severus Piton! Un Mangiamorte! E se scoprisse qualcosa che non dovrebbe e lo andasse a riferire a Tu-Sai-Chi?»
«Non è un Mangiamorte» fece Hermione, seppur poco convinta anche lei. «Silente si fida di lui»
«Silente è vecchio»
«Che cosa vuoi che centri con questo!? Vuoi dar retta alla Gazzetta del Profeta? La vecchiaia non è sinonimo di pazzia, Ron!»
Ron arrossì leggermente, rendendosi conto della sciocchezza che aveva appena detto. Distolse lo sguardo da lei e si rivolse al suo migliore amico. «Harry, se ti senti che Piton usufruisca di queste lezioni per farti del male, ce lo riferirai immediatamente, vero?
«Sì, te lo prometto»
Hermione gli lanciò un’occhiataccia. «Ti senti più rilassato adesso?»
«Molto»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, esasperata. Harry era particolarmente divertito da quella situazione. Hermione e Ron ultimamente bisticciavano per ogni piccola cosa. Non erano litigi pesanti, anzi, anche se litigavano sembrava che quelle frecciatine che si rivolgevano l’un l’altro li avvicinassero ancor di più. Trascorsero il resto della mattinata chiacchierando del più e del meno. Ad un certo punto Hermione e Ron incominciarono a giocare a gobbiglie e Harry si assopì.
«Te l’avevo detto che sarebbe crollato» mormorò Ron a Hermione, appena vide Harry cedere al sonno.
 
Harry venne destato dai sonori chiacchiericci e dal fracasso che fece la famiglia Weasley non appena rientrò in casa. Lo schiamazzo dei gemelli fu il più assordante. Fred e George infatti entrarono in salotto tutti eccitati. «Si va in guerra, ragazzi!»
Ron, con la faccia confusa, fissò esterrefatto Fred. «…che?»
«Sta nevicando!» esclamò George. «Battaglia di neve!»
«Non ho più nove anni» Ron sembrava alquanto offeso.
«E chissene importa?» Ora fu Ginny a parlare. Sorrideva, raggiante. «Alzatevi tutti, dormiglioni! Si va fuori!»
Hermione obbedì e andò subito a recuperare il suo cappotto. Seguì a ruota Ginny, la quale corse verso la porta d’ingresso e emesse con forza un grido di battaglia.
«Sai, sto incominciando a realizzare che Fred e George hanno una cattiva influenza su mia sorella» osservò Ron.
«E l’hai notato appena ora?» scherzò Harry.
I due si affrettarono a raggiungere gli altri. La signora Weasley osservò tesa la ciurma impazzita dalla soglia della cucina. «Se vi becco ad entrare in casa completamente bagnati…!» Ma Harry non udì la fine della frase, perché era già fuori. I gemelli stavano cercando di innalzare una barricata con la neve e Hermione e Ginny avevano già incominciato a lanciare palle di neve verso i due. Le squadre si formarono automaticamente. Harry stava con Ron, Hermione con Ginny e George con il gemello.
«Vai da quella parte!» urlò Ron a Harry, mentre tentava di colpire Ginny da dietro. Subito dopo però venne assalito da Fred, che gli lanciò una raffica di palle di neve con la magia. Venne completamente sommerso di neve e per un attimo Harry pensò che sarebbe soffocato.
«No, no, niente magia! Così non vale!» urlò Hermione.
Ginny e i due gemelli scoppiarono a ridere nel vedere Ron in quello stato. Della neve gli finì in bocca e tentò di sputarla fuori.
«Ah! Ho la schiena tutta bagnata!» si lamentò, rabbrividendo. «Fred, sei una testa di zucca!»
«Scusa, fratellino, ma non ho resistito» ridacchiò.
«Ora la pagherai!» Ron cercò nella tasca del suo cappotto la bacchetta, ma Hermione lo trattenne.
«No, Ron, niente magia!» insistette di nuovo Hermione. «Diamine, siete degli sconsiderati! Vi rendete conto che siamo in una zona Babbana, no? E voi che cosa fate? Sfilate fuori le vostre dannate bacchette!» 
«Non c’è nessuno qui»
«Potrebbero vederci attraverso le finestre e quindi smettetela. Niente magia. E se tua madre scoprisse che usi la magia, Ronald Weasley, si limiterebbe ad ucciderti»
«D’accordo»
Si divertirono da matti quel giorno. Fu una battaglia all’ultimo sangue. Ginny non si dette mai per vinta e combatté fin quando i suoi fratelli non implorarono pietà. Persino Harry era del tutto meravigliato dall’impetuosità che quella ragazza possedeva. A causa sua aveva la testa completamente bagnata e il venticello fresco di certo non migliorava la situazione. Rabbrividiva spesso e sapeva che si sarebbe beccato qualcosa se non fosse rientrato immediatamente. Anche gli altri non erano messi meglio. Sembrava che Fred fosse appena uscito dalla vasca da bagno. I suoi vestiti gocciolavano acqua e continuava a ripetere che i suoi piedi si stavano annegando negli stivali. Tuttavia il gruppetto si convinse a rientrare soltanto quando la signora Weasley annunciò che i biscotti erano pronti. Allora Ginny si precipitò in casa senza esitare, seguita da tutti gli altri.
«Non osate, razza di mascalzoni! Spogliatevi all’entrata prima di metter piede in casa!» urlava la signora Weasley in corridoio.
Si tolsero le scarpe e i cappotti gocciolanti e dopodiché si fiondarono tutti in cucina, prendendo posto dietro il tavolo. I biscotti appena sfornati emanavano un profumo dolciastro nella stanza. Avevano forme natalizie e con grande sorpresa di Harry, le figure di Babbo Natale esclamavano un gran “ho, ho, ho!” e salutavano con la mano. Si affrettarono tutti a prenderne uno. Appena Ron avvicinò il biscotto alle labbra egli incominciò a urlare e a dimenarsi, terrorizzato.
«Ma che cosa…?» fece lui, confuso.
«George! Ti prego, smettila!» ordinò la signora Weasley, con le mani incrociate.
«Scusa, mamma»
Il biscotto frenò la sua lotta e Ron ebbe modo di addentarlo senza sentirsi troppo in colpa.
«Perché devo sempre arrabbiarmi con voi due? Non ne posso più»
«Ci hai fatti tu così. Dovresti soltanto prendertela con te stessa» scherzò Fred.
«Oh! Ti sembra questo il modo di parlare a tua madre?»
«Mamma, sto scherzando. Prendi tutto troppo sul serio. Dai, siediti qui e rilassati»
La signora Weasley sospirò e prese posto in mezzo a Fred e George. I due le riempirono il piatto di biscotti con un gesto delle loro bacchette e la invitarono a mangiare.
«Ti serve soltanto una buona dose di zuccheri» osservò George, sorridendo sotto i baffi. «Sono davvero ottimi questi biscotti, mamma. La tua è la cucina più buona al mondo»
La signora Weasley arrossì, compiaciuta. «Oh, andiamo, non prendetemi in giro…»
«Ma è assolutamente vero. Nemmeno la cucina di Hogwarts è paragonabile alla tua»
Fred si chinò verso Harry e gli sussurrò nell’orecchio­: «Certe volte ha un disperato bisogno di attenzioni. I complimenti la mettono di buon umore»
«Signora Wealsey, Fred e George hanno ragione. Non ho mai mangiato biscotti più buoni» parlò Harry, con un sorriso sincero stampato sul volto. Ciò che aveva detto era vero. A Hogwarts avevano l’abitudine di preparare solo biscotti allo zenzero, il quale Harry detestava. A casa Dursley venivano fatti in rare occasioni, come il compleanno di Dudley, Natale e Pasqua. Poche volte zia Petunia aveva permesso ad Harry di assaggiarli. Ella si vantava spesso della sua meravigliosa ricetta, ma a dire la verità quei biscotti non erano mai stati un granché. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Come il giorno precedente Harry venne svegliato dalla signora Weasley, che lo informava a sottovoce che la colazione era pronta. Egli non aveva nessuna voglia di alzarsi dal letto. Sentiva la stanchezza opprimerlo con forza e sapeva che le lezioni con Piton lo avrebbero del tutto stremato. Tuttavia si costrinse ad alzarsi dopo qualche minuto, non volendo far attendere la signora Weasley. Non parlarono granché. Era troppo presto per fare una piacevole chiacchierata e sembrava che la signora Weasley volesse soltanto ritornarsene a letto. Harry si affrettò a consumare la sua colazione e a prepararsi per la lezione.
«Ci vediamo dopo, Harry caro. Io me ne ritorno a letto, ti dispiace?» fece lei, con aria grave.
«Nient’affatto. A dopo, allora»
«Ricordati di prendere il cappotto, potresti aver freddo»
«Certo, grazie, signora Weasley»
Raggiunse svogliatamente il salotto e prese una manciata di Polvere Volante. Controllò l’ora. Non doveva arrivare né in anticipo né in ritardo, se no Piton si sarebbe lamentato di lui. Quando l’orologio segnò le cinque e mezza entrò velocemente nel caminetto e pronunciò la sua direzione. Il caminetto lo inghiottì e meno di un secondo dopo si ritrovò nei sotterranei di Hogwarts.
«Buongiorno, professore» disse, non appena vide Piton avvicinarsi verso di lui.
«Affrettati, non abbiamo molto tempo»
«Perché?»
«Tra un’ora esco»
«E dove va?» chiese, automaticamente. Si rese conto appena dopo della sua sfacciataggine.
Piton lo fissò, con un’espressione basita. «Non credo siano affari tuoi, Potter»
«No, certo che no…era solo per fare conversazione» Va bene, doveva smetterla. Si ripromise di pensare prima di parlare la prossima volta.
«Il fatto che io sia il tuo insegnante di Occlumanzia non vuol dire che siamo costretti a fare conversazione. E anche se fosse non ho alcun desiderio di parlare con un ragazzino presuntuoso come te, signor Potter» lo incalzò Piton, acidamente.
«Ho capito, certo…» farfugliò Harry, a disagio. «Mi scusi»
«Siediti» ordinò lui.
Harry prese posto immediatamente. La sedia era già posta nel centro dell’ufficio di Piton e così non perse tempo. Fece dei lunghi respiri, per calmare le palpitazioni furiose. Non sapeva esattamente perché, ma si sentiva molto nervoso. In quel momento si ricordò delle parole di Ron che gli diceva che non gli andava giù che Piton scoprisse tutti i suoi segreti. E se avesse visto davvero qualcosa che potrebbe essere utile a Voldemort? E se Silente si sbagliava davvero sul suo conto? In fondo…egli aveva tutte le caratteristiche per essere un Mangiamorte. Così riservato e scontroso, come se avesse timore che qualcuno scoprisse qualcosa di lui che poteva rovinarlo per sempre. Era una persona talmente ambigua che non si riusciva a collocarlo da nessuna parte. Harry era perennemente confuso sul suo conto e questo lo spaventava a morte.
«Ricorda bene, Potter: chiudi bene la mente e cerca di respingermi. Non esitare mai, perché un minimo di esitazione potrebbe ucciderti se in questo caso venissi invaso dalla presenza del Signore Oscuro»
«E come faccio a chiudere la mente? Che cosa vuol dire?»
«Devi concentrarti. Concentrati su un’unica cosa e ignora tutto il resto»
«Su che cosa mi dovrei concentrare?»
«Tutto ciò che vuoi. Basta che ti concentri e che non mi permetti di vedere cose che tu non vuoi che veda»
«Ma se non ho idea di come fare…!»
«Devi trovare il tuo metodo, Potter. È per questo che siamo qui. Alleniamo la tua mente a respingere una presenza ostile» lo interruppe Piton. E senza preavviso il maestro di Pozioni alzò la bacchetta verso di lui e pronunciò: «Legilimens!»
Un Ungaro Spinato inferocito sputava un’onda di fuoco verso di lui…Zia Marge che ordinava a uno dei suoi cani di attaccare Harry…Harry che fuggiva in giardino, urlando di dolore quando sentì che il cane gli aveva azzannato una caviglia... La risata incontrollata di zia Petunia quando vide la scena…Una luce color smeraldo, così intensa da fargli dolere gli occhi…Un grido disperato di una donna…
I suoi ricordi si fermarono d’improvviso e si ritrovò catapultato nuovamente nell’ufficio di Piton. Quest’ultimo aveva un’espressione sconvolta in viso, come se avesse appena visto la morte passargli accanto. Harry constatò che non lo aveva mai visto così scioccato. La sua espressione cambiò da sconvolta a colma di rabbia. Harry pensò immediatamente che forse aveva fatto qualche cosa di sbagliato.
«Professore…?» osò parlare.
«Cos’era?» chiese, quasi in un sussurro.
«Cosa?»
«Quella luce»
«Non lo so»
«Menti. Te lo leggo negli occhi»
Non ne voleva parlare. Perché Piton insisteva tanto? Quella luce aveva accompagnato i suoi songi da quando ne aveva memoria. Era un sogno ricorrente che oramai non ci faceva quasi più caso. Ma da quando aveva visto Voldemort uccidere Cedric Diggory l’anno scorso…aveva capito. La luce verde che si era sprigionata dalla bacchetta di Voldemort, la stessa identica luce…Ma l’aveva già vista prima, no? Eppure non voleva ammetterlo a se stesso, quella realtà era stata fin troppo dura da accettare. Da bambino quando sognava quella luce aveva sempre provato una grande angoscia, ma poi ci aveva fatto l’abitudine. Aveva ignorato quel sogno e per quanto possibile aveva tentato di dimenticarlo, di non farci caso.
«La sogno da sempre» incominciò Harry. «Da bambino specialmente. La sognavo quasi ogni notte e non riuscivo a liberarmene. Neanche oggi se è per questo…»
«Quand’è che hai capito di che cosa si tratta?» chiese Piton, teso.
«L’anno scorso. Quando ho visto Cedric morire con l’Anatema che Uccide ho subito ripensato al mio sogno. E ho immediatamente saputo che non c’era più speranza»
Piton chiuse per un momento le palpebre e rimase immobile come una statua in mezzo alla stanza. Sembrava come se volesse chiedere qualcos’altro, ma gli era difficile farlo. Quando riaprì gli occhi fissò il suo sguardo in quello di Harry con intensità.
«Perché credi di sognarlo?»
«Io…» Quella semplice domanda gli fece venire le lacrime agli occhi. Non sopportava l’idea di piangere dinanzi a Piton. Abbassò velocemente lo sguardo e guardò dall’altra parte, sperando che Piton non avesse notato niente.
«Potter» lo chiamò, quasi con gentilezza. «Riconosco che può essere difficile parlarne, ma voglio che tu mi risponda»
«Non potremmo evitare?»
Piton, d’istinto, gli si avvicinò. Harry non osò guardarlo, non quando cercava di reprimere le lacrime. Con suo grande stupore sentì Piton posargli una mano sulla spalla, leggermente. In un primo momento volle scrollarsela di dosso. Lo ripugnava l’idea di esser consolato da Severus Piton. Ma poi sentì che quel semplice tocco lo fece calmare. Lo lasciò fare, anche se la situazione lo imbarazzava non poco.
«Ho capito che molto probabilmente il mio sogno non era un semplice sogno, ma un ricordo. Un remoto ricordo di quando avevo appena un anno… Quando…quando lui…ha ucciso mia madre. Io ero presente quand’è accaduto, ero là. Ho visto mia madre morire»
E fu allora che scoppiò a piangere in un modo incontrollato.
 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


I suoi singhiozzi ruppero il silenzio dei sotterranei di Hogwarts e non seppe più come fermarsi. Le lacrime gli solcavano le guance senza sosta e seppur tentava di asciugarsele con la manica del cappotto, esse continuavano a scorrere senza volersi fermare. Sentì la mano di Piton stringergli la spalla. Non fu una stretta forte da fargli male, ma quel tanto che bastava da sentirlo vicino, presente. Da dargli un minimo di conforto. Piton lasciò che si sfogasse. Rimase in perfetto silenzio, lasciando a Harry il tempo di riprendersi. Il ragazzo continuava a pensare al danno che aveva appena fatto. Aver perso il controllo in quel modo proprio davanti a Piton gli dava un forte senso di nausea. Era strano che il professore non avesse ancora fatto un commento sarcastico al riguardo. Ma prima o poi sarebbe arrivato… E lo avrebbe fatto star male di proposito.
«Mi dispiace…» borbottò Harry, non appena riuscì a placare i singhiozzi.
«Non c’è bisogno che ti scusi, Potter. So quel che provi»
«No, non ne ha la più pallida idea»
Piton non si infuriò a quella risposta, anzi, annuì comprensivo. Si allontanò per un momento e raggiunse la dispensa dove teneva tutte le pozioni. Trovò subito quel che cercava. Afferrò una boccetta con all’interno un liquido violaceo e la porse a Harry.
«Bevi questa, è una pozione calmante»
«Non mi serve» Non voleva prendere assolutamente nulla da Piton, specialmente non una delle sue dannate pozioni.
«Oh, io credo di sì» insistette Piton. «Non possiamo continuare la lezione se ti senti in questo stato. Peggiorerebbero soltanto le cose e non possiamo perdere tempo. Bevila, forza»
Harry, seppur titubante, avvicinò alle labbra la boccetta. Aveva un odore assai pungente, ma si fece coraggio e la buttò giù. Era pastosa, piuttosto spiacevole da ingerire. I suoi effetti però furono immediati. Sentì i muscoli tesi rilassarsi e fu invaso da un senso di pace e di beatitudine. Si dimenticò presto della ragione per la quale aveva pianto poco fa. Tutto in lui divenne calma e tranquillità.
«Dovrei comprarmi una cassa piena di queste» fece Harry, guardando la boccetta mezza vuota.
Piton ghignò, divertito. «Te lo sconsiglio. Farne un eccessivo consumo potrebbe causarti una forte sonnolenza»
«Ah, beh, un po’ di sonno non ha mai ucciso nessuno»
«Certo che no, ma di sicuro svenire addormentato e battere la testa contro il muro potrebbe farlo» sentenziò, sarcastico.
Harry rise di gusto. Forse quella pozione lo aveva reso fin troppo sereno.
«Non è divertente» sbottò il professore, freddamente.
«Lo so, ma il modo in cui l’ha detto…!» disse fra le risa.
«D’accordo, ora smettila. Dobbiamo continuare con la lezione» Piton controllò l’ora e fece una smorfia irritata. «Abbiamo ancora venti minuti»  
«Meglio così»
Piton ignorò le parole del giovane Grifondoro e si accinse a riprendere la posizione di prima. Appena fu dinanzi a lui sfilò la bacchetta e la puntò sulla testa di Harry. Harry per canto suo si sentiva stranamente rilassato, come se avere un Piton arcigno che gli puntava la bacchetta contro fosse perfettamente normale. Le immagini nella sua testa ripresero a formularsi inaspettatamente. Vide il suo mantello dell’invisibilità venir scartato nel giorno di Natale…Edvige che gli lanciava un fischio per richiamare la sua attenzione…Norberto, o meglio Norberta, venir coccolata dalle grandi manone di Hagrid…
Harry si rese presto conto che le immagini questa volta avevano qualcosa di diverso. Non erano ricordi dolorosi, anzi, erano ricordi abbastanza neutri, quasi felici. Forse era a causa della pozione calmante: non gli permetteva di ricordare momenti spaventosi o irrequieti.
Fu allora che rivide il momento in cui salì per la prima volta sulla scopa. Ricordava l’eccitazione di quel momento, l’adrenalina che saliva alle stelle. Com’era stato meraviglioso quando aveva sentito i suoi piedi staccarsi dal suolo, l’aria fresca che gli sferzava il volto e il campo da Quidditch rimpicciolirsi sotto di sé. Si concentrò sulle emozioni che aveva provato. Sulla straordinaria consapevolezza di star volando. Era stato così bello! D’improvviso sentì come se qualcosa o qualcuno tentasse di strapparlo da quel ricordo, come se volesse farlo smettere. No… perché? È così bello vedere il mondo da qua su!, pensò Harry. Vide il castello farsi sempre più piccolo e a qualche miglio di distanza osservò le acque scure del lago Nero. Non era una vista mozzafiato? Ma la presenza insistette ancora. E questa volta l’irruenza fu più forte di prima. Harry sentì una fitta di dolore alla testa e per un attimo volle cedere. Faceva male!
Respingimi, Potter.
Harry si spaventò. Quella voce dentro la testa gli fece comprendere dov’era e che cosa stava facendo. Piton. Piton tentava di invadergli la mente. Non doveva dimenticarlo più. La presenza del professore di Pozioni si fece ancor più intensa. Harry per un momento non seppe che cosa fare, ma decise di continuare a concentrarsi su quel singolo ricordo. Le sue dita che si racchiudevano attorno al manico laccato, la brezza che gli scompigliava i capelli, i raggi di sole che gli riscaldavano il viso… Piton forzò la sua mente ancor di più e questa volta fu così doloroso che lanciò un urlo di sofferenza. Strinse i denti e tentò di concentrarsi nuovamente, ma fu troppo tardi. Aveva esitato troppo. Piton scavalcò quella misera barriera mentale che era riuscito a creare e altri ricordi pervasero la sua mente. Dudley che gli tirava una sberla, Petunia che gli intimava di sparecchiare, una Hermione ricoperta di peli che piangeva nel bagno delle ragazze… Poi tutto si interruppe e piombò nell’ufficio di Piton. Harry realizzò di essere grondante di sudore e aveva un leggero mal di testa.
«Sono riuscito a respingerla, signore?» chiese.
«Per poco, ma è già un miglioramento. Come ti senti?»
«Mi gira la testa» rispose sinceramente Harry.
Piton annuì. «È normale. Non è mai semplice respingere un Legiliments. Fai qualche respiro profondo»
Harry obbedì. Riuscì a calmarsi quasi subito e la testa gli fece meno male. Piton si preparò al prossimo attacco. «Pronto, Potter?»
«Professore, come ha fatto a parlarmi in quel modo?» chiese il ragazzo, incuriosito.
Piton sogghignò. «Anni di esercitazione, signor Potter»
«Riesce a farlo con tutti?»
«Più o meno. O meglio con chi mi permette di entrare nella propria mente oppure con chi è troppo debole da avere soltanto poche semplici difese, come nel tuo caso»
«Davvero è così facile leggere la mia mente?»
«Estremamente»
Harry si fece paonazzo. Quanto sapeva veramente Piton sul suo conto? Gli dava così fastidio tutto questo, come se non avesse già abbastanza preoccupazioni. Piton continuò la sua dannata lezione e si intromise nuovamente nella testa di Harry. Questa volta Harry non riuscì a concentrarsi. Le immagini scorrevano troppo veloci. I ricordi erano confusi. Anche se tentava in tutti i modi di riordinare i pensieri e concentrarsi su un unico ricordo, non ci riusciva. Le figure erano sfuggenti, quasi impossibili da catturare. Piton lo forzò ancora e Harry questa volta gli lasciò la porta del tutto spalancata. Non vi era nessuna barriera per trattenerlo. Il dolore fu intenso e così insopportabile da farlo estraniare completamente da se stesso e dai ricordi. Piombò come in un limbo oscuro, colmo di quel terribile dolore. Non aveva mai provato nulla di simile e volle smettere all’istante. Durò soltanto una frazione di secondo, perché Piton interruppe immediatamente il contatto. Harry sentiva che stava per svenire. Il suo corpo era debole e tremava con violenza. Dei brividi di freddo lo percossero e sentiva la testa pesante come un macigno. «Che cosa…?»
«È colpa mia» fece Piton, distogliendo lo sguardo da lui. «Non sono riuscito a fermarmi prima»
«Che cosa è accaduto?»
«Quello è l’ultimo stadio, Potter, la mente senza più alcuna difesa. Nuda, estremamente vulnerabile. Il Signore Oscuro cerca sempre di raggiungere questo punto quando tortura le sue vittime, perché una presenza sconosciuta che scava e s’insinua in questo luogo così privato può far danni permanenti, e ovviamente provoca un dolore inimmaginabile» spiegò Piton.
«Oh…»
«E ti chiedo di perdonarmi. Non era mia intenzione farti del male» Lo disse in un modo così sincero che Harry seppe di averlo già perdonato. In fondo si era fermato immediatamente quando aveva capito di aver commesso uno sbaglio. Era stato tutto fin troppo veloce da capire realmente il dolore che stava provando.
«Sì, certo…la perdono» rispose lui, imbarazzato. «Ma mi vuole dire che se Voldemort riesce a raggiungere questo…stadio…non c’è più speranza?»
«Un bravo Occlumante sa bene che una volta che una barriera viene scavalcata è impossibile far fare un passo indietro al Legiliments. E se questo raggiunge l’ultimo stadio senza volersi fermare…allora le speranze di uscirne indenni sono davvero poche»
«Non credo che riuscirò a respingere Voldemort…è troppo forte. Non so nemmeno perché lei si ostina tanto a darmi queste lezioni quando ben sa che è del tutto inutile. Se Voldemort vorrà attaccarmi sarò un caso perso»
«Se tuo padre di sentisse parlare in questo modo ti schianterebbe, credimi. Nessun Potter si arrende così facilmente, senza nemmeno tentare»
«Conosceva bene mio padre?»
«Era solo un conoscente, ecco tutto» rispose il professore, frettoloso, come se volesse chiudere lì il discorso.
Harry annuì, deluso del fatto che non volesse raccontargli di più. Ma in fondo che cosa poteva aspettarsi da Piton? «Va bene, allora…riproviamo»
«No, Potter, per oggi basta così. Sei alquanto distratto e non voglio rischiare di fare lo stesso sbaglio di poco fa»
«Mi impegnerò di più»
«Domani, signor Potter. E ti lascio un compito per questa sera, prima che tu vada a dormire. Cerca di liberare la mente. E prima che tu me lo chieda liberare la mente non vuol dire smettere di pensare, ma di renderla allo stesso tempo calma e ben concentrata. A giudicare da ciò che hai pensato mentre sei riuscito a respingermi, dovresti concentrarti maggiormente sui ricordi che ti rendono felice, ovvero che non siano molesti o ansiosi. Ci siamo capiti?»
«Sì, d’accordo, ci proverò»
«E Potter…lo verrò a sapere se non hai svolto il tuo compito» 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Le lezioni di Occlumanzia lo stancavano davvero molto. Ritornava a Grimmauld Place così stremato da far preoccupare a morte Sirius, che continuava a lanciare insulti e a maledire Piton. Harry sapeva che non era colpa del suo insegnante, ma del semplice fatto che apprendere l’Occlumanzia era un’impresa assai ardua. Ogni qualvolta che ritornava a Grimmauld Place si recava immediatamente in camera e si buttava sul letto senza troppi convenevoli. Trascorreva il resto delle mattinate a dormire e a riprendersi.
«Non lo sopporto» disse Sirius un pomeriggio. «Queste lezioni non ti fanno bene, Harry. Ti sfiancano completamente. Devo assolutamente parlare con Silente della cosa, non mi sta bene che passi le tue vacanze a letto, completamente sfinito»
«Non è così grave, mi serve soltanto qualche ora di riposo e poi sono come nuovo»
«Si vede benissimo che sei stanco, anche durante il resto della giornata. Non è normale, Harry. Questa storia delle lezioni deve finire»
«Sirius, davvero, va bene. Non devi preoccuparti»
«Mi preoccupo invece!»
Harry sospirò. Certe volte era così testardo! Lasciò cadere il discorso e passò ad altro. Hermione era in camera a fare i campiti assieme a Ginny, Ron invece si stava ingozzando di dolci caramellati appena sfornati. I due gemelli d’altro canto erano spariti in soffitta, nessuno sapeva esattamente che cosa stessero facendo. Decise così di unirsi a Ron in cucina. Prese posto dietro al tavolo e afferrò un dolce.
«Non pensi sia meglio unirsi a Hermione e fare i compiti?» chiese Harry, benché conoscesse già la risposta del suo amico.
«Nah» rispose Ron, torvo. «Come ti viene in mente? È troppo presto per fare i compiti. C’è tempo»
«Hermione e Ginny non hanno perso tempo, però»
«Lo sai com’è fatta Hermione, lei finisce tutto nei primi giorni di vacanza. Per quanto riguarda Ginny…credo che Hermione la obblighi»
«O forse è solo più intelligente di noi»
«Amico, tu non capisci le cose basilari. Quella di sicuro non è intelligenza… E poi che cosa cambia farli oggi o domani?»
«Il problema è che non li farai neanche domani»
«Oh, mi conosci troppo bene»
I due scoppiarono a ridere all’unisono.
«Quindi hai deciso di unirti al nullafacente, eh?» sentenziò Ron, visibilmente divertito.
«No, non era per te, ma per i dolci»
«Beh, grazie tante. Ma ti dico che posso tranquillamente sopportare l’idea di essere superato da un dolce» disse, prendendone un altro e osservandolo con fare attento. «Su, assaggia, è un qualcosa di unico»
Harry addentò il dolce che teneva in mano. Il caramello gli si sciolse in bocca e fu talmente gustoso da doverne ingoiare ancora.
«Diamine, potrei nutrirmi di questi per tutta la vita e non stufarmi mai»
«Che cosa ti ho detto?» rispose Ron, approvando. «È pura poesia»
«Non ci credo! Di nuovo qui!» urlò la signora Weasley, entrando in cucina. «Ron, ti ho detto che per te la cucina è esclusa! Ma guardatevi! Sembrate due babbuini che stanno per schiattare dalla fame!»
«Bada a come ti esprimi, madre» la incalzò Ron, ridendo sotto i baffi. «Comunque finché non trovo la porta chiusa non esiterò mai prima di entrare in cucina, tienilo a mente»
«Oh, per la barba di Merlino! Li avete finiti quasi tutti! Erano per sta sera, Ron!»
«Perché guardi me? È coinvolto anche Harry, non vedi? E poi il piatto era già mezzo vuoto quando sono arrivato»  
Harry lo squadrò in malo modo. «Mi tradisci così? Grande amico che sei!» scherzò.
«Uscite, razza di scellerati!» urlò la signora Weasley. «E non fatevi più rivedere fino a cena!»
I due amici salirono le scale e irruppero nella stanza di Ginny e Hermione. Le trovarono distese su uno dei due letti. Hermione leggeva ad alta voce mentre Ginny prendeva appunti. Appena videro i due entrare sobbalzarono dallo spavento e Ginny fece cadere la boccetta di inchiostro sul materasso.
«Mannaggia a voi! Come vi salta in mente di piombare così dentro nella stanza!» esclamò Ginny, furibonda. Balzò giù dal letto, evitando di sporcarsi d’inchiostro anche i vestiti. Hermione alzò gli occhi al cielo e si chinò a prendere la bacchetta, abbandonata sul pavimento.
«La mamma ci ha sgamati» disse Ron.
«Spero vi abbia buttati fuori dalla cucina a calci» ringhiò Ginny.
«Oh, non c’è bisogno di essere così scontrosa, sorellina»
Hermione si affrettò a puntare la bacchetta verso la macchia scura che ricopriva le lenzuola e a mormorare: «Gratta e Netta» La macchia venne risucchiata dalla bacchetta immediatamente, lasciando il materasso completamente lindo.
«Andatevene, al contrario di voi stiamo facendo i compiti»
«Al contrario di voi noi ci stiamo divertendo»
«Ron, te ne prego, prendi Harry e vai a fare baccano da qualche altra parte. Siamo impegnate» parlò Hermione, serissima.
«Oh-oh» rispose Ron, lanciando un’occhiata ad Harry. «Che ne pensi, amico?»
«Io penso che sia meglio non farle arrabbiare» rispose Harry, con un sorriso.
«Ma è la parte più divertente»
«Ron!» lo ammonì Hermione, strizzando gli occhi. «Non osare»
«E se volessimo fare i compiti con voi?»
«Saprei che state definitivamente impazzendo»
«Che cosa fate, per curiosità?» chiese Harry.
«Sto aiutando Ginny a scrivere il tema di Trasfigurazione» rispose Hermione. «E siamo ancora in alto mare, quindi vi prego di lasciarci in pace»
«Ginny, sei sicura di voler restare? Non sembra per niente allettante» Ron rivolse una smorfia buffa a Hermione.
«Sono sicurissima, ma grazie per la considerazione»
Così Harry e Ron se ne andarono, lasciandole sole. Salirono fino all’ultimo piano e quando raggiunsero il pianerottolo udirono un grande scoppio che fece tremare le pareti.
«Quei due sono completamente fuori di testa!» fece Ron, ridacchiando. Bussarono velocemente sulla porta e poi tentarono di aprirla, ma si accorsero ben presto che era chiusa a chiave. Ron, che non sopportava l’idea di essere chiuso fuori, incominciò a prendere a calci la porta.
«Chi va là?» chiese la voce di Fred, attraverso l’uscio.
«Sono vostro fratello»
«Quale dei quattro?» Ora fu George a parlare.
«Charlie, naturalmente. E con me ho portato anche un drago»
«Sarebbe davvero fico se Charlie facesse una cose del genere» commentò Fred. Girò la chiave nella serratura e socchiuse la porta. «Che cosa volete?»
«Far saltare in aria la casa assieme a voi?» rispose Ron, concitato.
«Siamo occupati. E questo non è posto per dei minorenni» sentenziò George.
«Abbiamo sentito un boato assurdo mentre salivamo. Mi dite che cosa diavolo state facendo?»
Harry cercò di dare un’occhiata all’interno nella stanza, ma George gli coprì la visuale. «Alisecco sta bene, vero?» chiese, visibilmente nervoso.
«Non l’abbiamo fatto esplodere, se è questo che intendi»
«Ci fate entrare o no?» insistette Ron.
«Chi ti credi di essere? È ovvio che non te lo permetteremo»
«Vado a dirlo alla mamma che state combinando qualcosa se non ci lasciate entrare»
«Ma perché devi sempre essere così irritante?» George fece un cenno al gemello e i due si scostarono dalla porta per lasciarli passare. Harry appena entrò sentì una gran puzza di bruciato. Fierobecco, ovvero Alisecco, se ne stava in un angolo della soffitta. Sembrava piuttosto nervoso.
«Ma dovete stare proprio qui? State spaventato Fierobe… Alisecco» disse Harry.
«Non è per niente spaventato, guardalo. E poi ormai siamo diventati amici. Ci permette di usare l’intera stanza»
Harry vide un vecchio calderone posto in mezzo alla camera. Un fuoco magico faceva bollire una stranissima sostanza verde acido. Per terra vi era una siringa per dolci, ancora perfettamente pulita. Accanto ad essa invece un piatto ripieno di dolci della signora Weasley.
«Ecco chi ha preso il resto dei dolci! La mamma ha incolpato me!» si lamentò Ron.
«Oh, allora servi a qualcosa, fratellino» sogghignò Fred, punzecchiandolo.
«Che cos’è?» chiese Harry, indicando la pozione.
«Stiamo facendo un esperimento. Non sappiamo esattamente che cosa faccia questa pozione, ma…»
«Fred, credo che sia pronta» lo chiamò George.
I due si misero immediatamente all’opera. Con un gesto della bacchetta spensero il fuoco, immersero la siringa nella pozione e dopodiché la infilarono in uno dei dolci. Quando tutto fu pronto i gemelli si guardarono negli occhi, eccitati.
«Non avete mica l’intenzione di ingoiare quella roba, vero?» fece Ron.
«Tocca a te questa volta, Fred» disse George, ignorando il fratello minore.
Fred avvicinò il dolce alle labbra. «Alla tua salute, George» Detto questo diede un morso al dolce. «Davvero buono» fece, con la bocca piena.
«Fred, ti stai avvelenando!» urlò Ron, ansiosamente.
«Zitto tu» gli intimò George, seccato. «Come ti senti, Freddie? Sta succedendo qualcosa?»
«No, per ora niente» rispose l’altro. «Forse un leggero formicolio sulla pianta dei piedi…»
George tirò fuori da una delle tasche un blocco per appunti. Incominciò a scrivere tutti i sintomi che riportava il gemello. Rimasero tutti con il fiato sospeso a fissare Fred. Quest’ultimo si guardava intorno, quasi divertito ad avere tutte quelle attenzioni. D’improvviso il suo viso si fece rosso. Davvero tanto rosso, come le pareti della Sala Comune di Grifondoro.
«Che cosa c’è?» chiese Fred, notando le espressioni basite dei tre.
«Ti fa male qualche cosa?»
«No» rispose. «Ah, no, aspetta…ora fa male»
D’un tratto sul suo viso comparvero grossi foruncoli, pieni di pus. Erano grossi come palline da golf e sembrava potessero esplodere da un momento all’altro.
«Merlino!» urlò Fred, sofferente, mentre si toccava il viso.
«No, non toccare, potrebbero…»
Ma fu troppo tardi. Uno dei foruncoli scoppiò e sporcò gli abiti di George.
«Che schifo! Non posso guardare!» urlò Ron, sconvolto. «Avete preparato un antidoto, spero!»
«No, niente antidoto. Non sapevamo nemmeno quali sarebbero stati gli effetti!» rispose George.
Fred, inaspettatamente, scoppiò a ridere di gusto. Lo guardarono tutti come se fosse impazzito. Qualche momento dopo anche George si unì a lui. Risero come se non ci fosse un domani e batterono le mani per terra, euforicamente. Harry e Ron si scambiarono un’occhiata confusa.
«Sembri la zia Tess!» esclamò George, con le lacrime agli occhi.
«Dovremmo fare una foto e mandargliela»
«Ci cancellerebbe dal suo testamento»
«Lo facciamo?»
Ron sospirò. «No, lasciate in pace la zia Tess e preoccupatevi della mamma. Si infurierà a morte vedendoti in questo stato, Fred»
«Che c’è? È solo un’acne improvvisa»
«Ah-ah, anche sotto l’effetto del Veritaserum non ti crederebbe»
Infatti appena Fred comparve in cucina per la cena, la signora Weasley sgranò gli occhi e le cadde il mestolo dalle mani. Fred si sedette tranquillamente al suo posto, ignorando lo sconvolgimento generale. Calò un silenzio tesissimo, anche se i due gemelli fecero di tutto per comportarsi normalmente. Harry vide il colorito della signora Weasley cambiare dal rosa al rosso intenso e delle rughe le si formarono attorno agli occhi.
«Non. Avrete. Osato!» gridò la signora Weasley così forte da far sobbalzare Hermione dallo spavento. «Vi avevo detto che gli esperimenti potevano essere pericolosi! E ora guardati! GUARDATI!»
«Scompariranno in pochi giorni, mamma» disse Fred, con lo sguardo abbassato.
«Non m’importa! Quel che fate può essere davvero molto dannoso per i vostri corpi! E non ho nessuna voglia di portarvi al San Mungo per tali sciocchezze! Papà sarebbe del tutto oltraggiato se fosse qui! E abbiate un po’ di rispetto per lui! Giocare con la vostra salute in questo modo quando vostro padre lotta per stare bene ogni giorno è da villani!» 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


«Zia Petunia» mormorò Harry, in un sussurro, mentre lavava i piatti sporchi del pranzo. Osservava fuori dalla finestra suo cugino Dudley. Scorrazzava per la via con la sua bici nuova di zecca che gli avevano regalato i suoi genitori per il nono compleanno. «Perché Dudley può andare a giocare mentre io no?»
Zia Petunia lo squadrò in modo alquanto cattivo. «Che domanda stupida, Harry! Al contrario di Dudley tu non combinerai mai nulla nella vita»
«No…io voglio fare il poliziotto, così posso aiutare le persone» rispose Harry, eccitato. Era da molto che pensava alla sua futura professione. Aveva cambiato spesso idea, doveva ammetterlo. Le più suggestive erano tra il pompiere, il dottore e, naturalmente, il poliziotto. A dire il vero non era ancora arrivato alla sua scelta definitiva. C’erano troppe cose che poteva fare ed era così difficile scegliere!
Petunia rise, istericamente. «Non essere sciocco! Al massimo potrai fare il lavapiatti in qualche ristorante oppure pulire le case altrui. Tanto vale incominciare ad imparare fin da subito, no? È per questo che non ti lascio uscire a giocare. Mi preoccupo per il tuo miserabile futuro, ragazzino»
Harry tirò su col naso, tremendamente deluso dalla risposta cruenta della zia. Continuò a strofinare un piatto già perfettamente pulito, sovrappensiero. «Io non voglio fare il lavapiatti» sottintese.
«Oh, allora sarai l’ennesimo disoccupato di turno. Ma in fondo che cosa posso aspettarmi? Tale padre tale figlio»
«Che cosa vuol dire disoccupato?» chiese Harry, confuso. Quella parola l’aveva già sentita, ma non aveva mai compreso bene il suo significato.
«Vuol dire essere un buono a nulla» rispose aspra la zia.
«E mio padre era un disoccupato?»
«Naturale, un completo nullafacente. Uno stupido»
«Mio padre non era stupido»
«Oh, lo era eccome! E tua madre non era da meno a sposare un tipo del genere! Sai, appena ho posato gli occhi su di lui ho pensato fin da subito che aveva un comportamento da perfetto criminale» fece zia Petunia, arcigna.
A Harry gli si inumidirono gli occhi a sentire parole simili. Non poteva essere… Suo padre non poteva essere stato un criminale. O sì? Si asciugò una lacrima silenziosa, prima che zia Petunia potesse notarla. Non doveva piangere. «Non sarò come mio padre allora» disse Harry, sicuro di sé. Gli era stato difficile pronunciare quella frase. Ma di sicuro non voleva diventare un fuorilegge. Non voleva fare del male alle persone, anzi…quello che desiderava maggiormente era aiutarle.
«I figli seguono sempre le orme dei genitori. Perché credi che ti abbiamo educato in questo modo così rigoroso? Non vogliamo rischiare che tu possa diventare come lui»
Il ricordo si fece meno vivido e dinanzi a lui, invece degli occhi irritati di zia Petunia, comparvero quelli freddi e impenetrabili di Piton. Era così strano. Mentre Piton gli invadeva la mente dimenticava del tutto che quegli eventi erano già passati. Li doveva rivivere nuovamente, dimenticandosi del tutto che ad assistere vi fosse anche il professore di Pozioni. Il cuore gli martellava in petto con violenza e sentiva un sudore freddo colargli dalla fronte. Si accorse parecchi istanti più tardi che aveva le guance bagnate di lacrime. Piton non disse nulla, sembrava pensieroso. Harry si asciugò frettolosamente il viso con il dorso della mano e tentò di riprendere il controllo del proprio corpo, visibilmente imbarazzato.
«Legiliments!» tuonò la voce di Piton e l’ufficio scomparve ancora…
Il ricordo risaliva allo stesso giorno, solo parecchie ore più tardi. Harry era chiuso nel sottoscala a notte fonda e se ne stava seduto sul letto, con la schiena poggiata sulla parete. Teneva le gambe strette al petto, raggomitolato su se stesso. Piangeva in silenzio. Non era un pianto da bambini, quello. Non si lasciava sfuggire nessun singhiozzo o lamento. Erano lacrime silenti, colme di un dolore che un bambino della sua età non dovrebbe mai provare. Lo strazio che sentiva era così intenso da averlo fatto piangere per ore intere. Quel pomeriggio aveva formulato un pensiero davvero molto brutto. Quando aveva scoperto che suo padre era stato un criminale era tutto cambiato dentro di sé. La visione di lui si era modificata senza preavviso. Non pensava più a lui come un uomo forte e gentile, ma un omaccione malfamato e violento. Sua zia gli aveva messo quest’immagine in testa e ora non poteva più scacciarla via. Che ne poteva sapere lui, in fondo? Non aveva mai conosciuto veramente i suoi genitori. Zia Petunia invece sì. Se lei diceva che erano state delle persone così irresponsabili… Allora forse è stata una fortuna che fossero morti in quell’incidente d’auto quando lui era appena un neonato. Almeno grazie alla loro morte aveva avuto un’educazione come si deve dai suoi zii… Quei pensieri così egoisti e colmi di disprezzo lo riscossero. Subito dopo aver realizzato quale pensiero gli fosse venuto in mente se ne pentì amaramente. Si era punto il palmo della mano con un coltello che stava sciacquando sotto il getto della spina per evitare di scoppiare a piangere davanti a zia Petunia. Che cosa diamine gli era passato per la testa? Non erano pensieri da fare, quelli! Erano pur sempre i suoi genitori! E per quanto ne sapeva zia Petunia poteva anche avergli detto una menzogna, benché non ne era per niente certo. Il fatto era che…non gli importava veramente che cosa o chi erano stati i suoi genitori. Ciò che desiderava realmente era sentire l’affetto di una mamma o un papà. I suoi zii l’avevano sempre allontanato, era cresciuto senza sentirsi apprezzato o amato. Aveva visto Dudley venir sbaciucchiato disgustosamente da zia Petunia, abbracciato calorosamente da zio Vernon…ma lui non aveva mai ricevuto attenzioni simili. Certe volte Harry li capiva. In fondo lui non era figlio loro. Ma dimostrargli almeno che gli volevano bene qualche volta…almeno un po’. Ma sapeva che non lo avrebbero mai fatto. A loro non importava nulla di lui. Desideravano soltanto che crescesse in fretta, diventasse maggiorenne e se ne andasse di casa per sempre.
E quella notte invece Harry desiderò che sua madre e suo padre lo venissero a prendere per portarlo via da quella casa, indipendentemente se erano persone cattive o sconsiderate. Almeno loro lo avrebbero amato per quello che era. E al diavolo l’educazione.
Poi la scena cambiò velocemente. Ci fu un altro ricordo, di quando aveva più o meno dieci anni. Harry si rese immediatamente conto di quale ricordo si trattava. Cercò di resistere, di allontanare Piton da quella memoria, inutilmente. Benché Piton avesse capito che Harry non desiderasse fargli vedere quel singolo ricordo, lui gli penetrò la mente più a fondo, insistendo di vedere.
Dudley era in giardino a giocare, mentre Harry era intento a potare le piante per ordine di zia Petunia. Il cugino tentava in qualche modo di saltare alla corda, comperata da poco da zia Marge. Era la prima volta che la usava e la sua ciccia quando saltava sballottava su e giù. Harry lo osservava di nascosto, cercando di nascondere il sorriso divertito che aveva stampato in faccia. Fu quando Dudley inciampò sulla corda e cadde come un sacco di patate per terra che Harry non riuscì più a trattenersi. Le sue risate si udirono fino in strada e lasciò cadere per terra l’annaffiatoio, sbadatamente.
«Che cos’hai da ridere, eh!?» urlò Dudley, rosso in volto dalla rabbia. Harry non si era accorto che lo aveva raggiunto. Lo prese per il colletto e lo strattonò con violenza, facendogli perdere l’equilibrio. Cadde a pancia in giù e riuscì ad allentare la caduta con le mani. Fece per rialzarsi, pronto a fuggire dall’ira di suo cugino, ma Dudley fu sorprendentemente più veloce. Gli lanciò qualche pugno e Harry urlò dal dolore. Afferrò Dudley per i capelli e tirò con tutta la forza che aveva in corpo, fin quando non sentì che si strappavano dalla nuca. Dudley incominciò a frignare per la frustrazione e il dolore, ma non demordeva la presa su di lui. Harry doveva rialzarsi, per fuggire il più lontano possibile. Ma Dudley lo aveva inchiodato per terra con tutto il suo peso e non c’era speranza di riuscire a smuoverlo. Era troppo pesante. Dudley gli lanciò l’ennesimo pugno e questa volta lo colpì direttamente in faccia per vendicarsi. Le sue nocche colpirono l’occhio sinistro di Harry. Quest’ultimo rimase paralizzato dal dolore. Ma quando si rese conto che era ancora in grado a riaprirlo, agì di rimando. Piantò a Dudley diversi calci e pugni, facendolo sussultare dalla sorpresa. Riuscì a sfuggirgli dalle mani e così Harry ebbe la possibilità di rialzarsi da terra. Continuò a colpire Dudley con tutte le sue forze e in un attimo fu sopra di lui.
«Ma che cosa fate!?» urlò zio Vernon, uscendo dalla porta laterale che dava in giardino. «Ragazzo, smettila di picchiarlo! Finiscila, ti ho detto!»
Ma Harry non ubbidì. Era colto dal terrore, dalla paura che Dudley potesse fargli davvero male. Non era stata una zuffa infantile la loro. Dudley aveva fatto sul serio e così anche lui. Continuava a colpire e a scalciare senza tregua, senza alcuna intenzione di volersi fermare.
«Basta!» ripeté zio Vernon, afferrando Harry per i fianchi e sollevandolo di slancio per allontanarlo da Dudley. Harry però non smise di dimenarsi, di difendersi. Zio Vernon lo lasciò cadere per terra e per farlo smettere gli tirò una sberla così forte da fargli girare la testa. Harry si coprì istintivamente il volto con le braccia, spaventato come non mai. Zio Vernon lo stava picchiando. Gli tirò un’altra sberla, questa volta sul braccio e fece ancor più male.
«Ah!» urlò Harry, sofferente.
«Come ti viene in mente di alzare le mani su mio figlio!» urlò, furioso.
Ed ecco arrivare un calcio…e un altro ancora.
Harry cadde dalla sedia e andò a sbattere sul pavimento dei sotterranei di Hogwarts. Rimase per terra, talmente mortificato da non volersi più rialzare. Piton aveva visto tutto…, pensò. Non osava muoversi, era come impietrito. Fissava il pavimento davanti a sé come se fosse la cosa più interessante al mondo. Era nervoso, agitato. Non voleva affrontare Piton. Né ora né mai. Però era lì, proprio a due passi da lui. E stava assimilando tutto ciò che aveva appena visto nei suoi ricordi.
«Potter, alzati» gli ordinò.
Harry non si mosse. Rimase lì, fermo, fingendosi sordo.
«Obbedisci. Ora»
Non c’erano vie di scampo. Niente di niente. Socchiuse per un attimo gli occhi, cercando di riprendere la calma. Con le ginocchia tremanti staccò le mani dal pavimento di pietra e incominciò ad alzarsi. Fu proprio in quel momento che accadde. Lo colse del tutto alla sprovvista, talmente all’improvviso da togliergli il fiato in corpo. Alzò per un attimo lo sguardo per vedere se Piton avesse alzato nuovamente la bacchetta su di lui, ma notò subito che la sua mano era abbassata. Il volto del professore era lievemente scosso, più pallido del solito si oserebbe dire. Harry aveva come l’impressione che lo stesse perforando di nuovo. Più intensamente questa volta. E la cosa peggiorò di molto. Il dolore fu così forte da fargli perdere il controllo sul corpo. I suoi muscoli cedettero e ricadde per terra. La sua fronte sbatté violentemente sulla pietra dura, senza alcun attenuamento. Non sentì dolore. La sua mente era troppo concentrata a cercare di contrastare quella presenza così invasiva. Non si trattava del maestro di Pozioni... Questa volta era differente. Riconosceva l’impronta magica di Piton e quella sicuramente non era la sua. Ne era certo. Ma allora chi…? E la risposta gli fu chiara subito dopo. Voldemort.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


La cicatrice incominciò a bruciare così forte da sembrargli che avesse un carbone ardente incollato sulla fronte. La testa incominciò a dolergli e il dolore aumentava ogni secondo di più.
«Potter?» fece Piton, per un attimo confuso.
Trovò il suo insegnante immobile a fissarlo, decisamente imperturbabile e freddo, come suo solito. Ma fu dal suo sguardo truce che capì che questa volta era in grave pericolo. Piton non lo aveva mai guardato in quel modo e dentro di sé sperava che non lo facesse mai più. Non gradiva affatto che quegli occhi neri lo scrutassero in tal modo, come se per lui non ci fosse più speranza.
Harry fu pervaso da un dolore così atroce da farlo urlare. Fu uno di quegli urli che mai si desiderava udire nella vita. Un urlo di pura sofferenza e di disperazione. Harry si lasciò andare sul pavimento, dimenticandosi completamente di ciò che lo circondava. Sentiva il suo corpo scosso dalle convulsioni e dopo qualche istante la vista gli si annebbiò. Non vide più nulla.
«Potter!» Delle braccia lo avvolsero, ma fu un tocco distante, lo sentiva a stento. Perché tutto ciò che provava in quel momento era solo il dolore alla testa. Non gli lasciava nemmeno un attimo di tregua, neanche un istante per riprendere fiato. Udiva la sua voce urlare, gorgogliare implorazioni incomprensibili, gemere e lamentarsi.
Poi udì una voce, sovrastò completamente tutti i rumori che aveva attorno, non udì più nulla tranne quel suono così glaciale. Era freddo, agghiacciante e capì subito a chi appartenesse.
Harry Potter…
Lord Voldemort stava cercando di impossessarsi di lui. E ci stava riuscendo fin troppo facilmente.
 
***
 
Severus aveva visto la faccia di Potter cambiare da un momento all’altro. Una smorfia di pura e semplice sofferenza si era fatta strada su quel giovane volto. E i suoi occhi… Quei meravigliosi occhi verdi furono annebbiati dal dolore, dalla più naturale e intensa paura. Vide il suo corpo cedere, abbandonarsi al dolore. I suoi muscoli si contrassero spaventosamente, le sue mani si agitarono nell’aria come se cercassero una via di fuga.
«Potter?» sentì dire la sua voce. La sua coscienza non voleva ammettere ciò che stava accadendo. Ma fu solo per un breve attimo, perché comprese che il giovane Grifondoro aveva bisogno di un aiuto immediato.
«Potter!» D’istinto si precipitò accanto al ragazzo. Il suo corpo stava avendo delle forti convulsioni e per evitare che si facesse male alla testa, gli sollevò la schiena da terra, stringendolo saldamente nelle sue braccia. I suoi occhi erano sbarrati, vuoti, invasi dal terrore. A quella vista Severus ebbe una forte morsa allo stomaco. Ripensò a lei… si chiese se anche lei avesse avuto uno sguardo simile quando… Scosse la testa, leggermente, cacciando via quei pensieri. Non c’era tempo, ora. Suo figlio stava soffrendo e lui doveva aiutarlo. Trasfigurò la sua scrivania in un lettino e con un incantesimo non verbale fece fluttuare Potter sulla superficie morbida. Comprese immediatamente che se il ragazzo continuava ad agitarsi in quel modo sarebbe caduto dal letto e capì di dover agire nel modo più brutale.
«Potter…perdonami se devo arrivare a questo, ma ne va del tuo bene» gli sussurrò, anche se sapeva che non riusciva a sentirlo.
Agitò la sua bacchetta contro di lui e fece apparire delle corde invisibili attorno ai polsi e alle caviglie del ragazzo, legandolo al letto. Vide il terrore comparire sul volto di Potter, che si lasciò sfuggire un sonoro lamento e per un attimo tentò di liberarsi dalle corde che lo inchiodavano al materasso. Ma fu un attimo piuttosto breve, perché ben presto si dimenticò delle corde e ritornò ad urlare a causa del dolore che il Signore Oscuro gli provocava. Severus raggiunse la sua dispensa con tutte le pozioni, ne afferrò una e la stappò. Un fumo violaceo si disperse nell’aria, emanando un profumo di ruggine. Aprì le labbra di Potter con l’altra mano e gli versò la pozione in bocca, gentilmente, cercando di tenergli ferma la testa per evitare di spandere tutto. Gli massaggiò la gola per assicurarsi che inghiottisse correttamente il liquido e dopodiché attese. Per un momento gli sembrò che funzionasse. I muscoli di Potter si rilassarono e la sua espressione si fece più tranquilla. Era una pozione contro il dolore e Severus provò un attimo di sollievo nel vedere che Potter smise di urlare in quel modo spaventoso. Durò per poco. Infatti l’effetto della pozione svanì meno di un minuto più tardi. Il ragazzo prese a scalciare, fermato però dalle corde che lo stringevano. Severus corse immediatamente verso il caminetto e infilò la testa nelle braci.
«Silente!»
Il tono preoccupato di Piton allarmò subito il Preside, che se ne stava a passeggiare su e giù per l’ufficio. Rivolse lo sguardo verso il caminetto e scrutò Piton con intensità. «Ragazzo mio, cosa c’è che non va?» chiese.
«È Potter! Il Signore Oscuro sta cercando di impossessarsi di lui!» urlò Severus.
Silente non perse tempo. Con un’agilità innaturale per i suoi anni, si precipitò nel camino e Severus si ritrasse, attendendo che il Preside comparisse nei sotterranei del castello. Quando apparve aveva il volto contratto dalla preoccupazione, che tuttavia sembrava del tutto controllata. Affiancò Potter subito dopo e lo analizzò attentamente. Continuava a dimenarsi e Severus si rese presto conto che attorno ai polsi gli si erano formati dei lividi arrossati a causa delle corde. Sospirò. Usare un incantesimo di immobilizzazione gli sembrava una cosa troppo crudele da fare. Era molto meglio per Potter esprimere il suo dolore con le grida e i movimenti. Essere forzati all’immobilità quando si provava un tale dolore era una doppia tortura, Severus lo sapeva.
«Da quanto tempo è incominciato?» chiese il Preside.
«Da cinque minuti, più o meno»
«Sta cercando di contrastarlo» osservò Silente. «Harry, intendo. Sta cercando di impedirgli di entrare nella sua mente. Tuttavia non è molto forte. Le sue barriere mentali sono cedevoli. A Voldemort non ci vorrà molto prima di abbatterle»
«Albus, lo sta uccidendo» mormorò Piton, con il cuore in gola.
Silente lo guardò, attraverso i suoi occhiali a mezzaluna. Gli occhi azzurri incontrarono quelli neri di Severus con fermezza.
«Devi respingerlo, Severus»
Il maestro di Pozioni non cambiò espressione a quell’affermazione. Non distolse nemmeno lo sguardo dal vecchio Preside. «Non posso farlo io. Per questo motivo ti ho chiamato. Il Signore Oscuro avvertirà sicuramente la presenza di un terzo mago nella testa di Potter. E se sarò io a respingerlo sono certo che sarà capace di individuarmi, di riconoscere la mia traccia magica»
Silente rimase inespressivo, quasi quanto Piton. «Severus, tu non capisci. Sai bene che l’intrusione di una persona nella mente altrui può causare un dolore inimmaginabile, come puoi vedere dal volto di Harry in questo momento. Entrare in due in una mente tanto debole e vulnerabile potrebbe causare gravi danni al cervello, lo sai. Tu sei più bravo di me in Legilimanzia. Io non so se sarei capace di respingere Voldemort e allo stesso tempo evitare che Harry subisca dei danni a causa della mia presenza in sé. Per questo ora ti chiedo di farlo tu»
«Io…non posso. Se lo faccio la mia copertura salta, non sarò più una spia, ma un traditore agli occhi del Signore Oscuro. Albus, non posso mandare in fumo in questo modo tanti anni di duro lavoro! C’è ancora molto da fare, io ti servo!» esclamò burbero Severus.
«È più importante Harry per me che il tuo ruolo di spia. Mi dispiace, Severus, ma non voglio rischiare di perderlo. Ti ricordi che cos’hai promesso a te stesso quattordici anni fa?»
Severus lanciò un’occhiata minacciosa al Preside, ma dopodiché si calmò. Come sempre Silente aveva ragione. Potter era in pericolo e lui aveva promesso di proteggerlo sempre, con tutte le sue forze. Il suo ruolo di spia era secondario, Potter veniva per primo invece. Digrignò i denti e si avvicinò al corpo instabile del ragazzo.
I due uomini si scambiarono un’occhiata fugace, piena di significato. Silente gli fece un cenno con la testa, rincuorandolo. «Mi fido di te, Severus»
Piton osservò per un attimo Potter e gli poggiò un dito sulla fronte, proprio sopra la cicatrice a forma di saetta. Era bollente, arrossata e stava per riaprirsi. Doveva respingere il Signore Oscuro. E doveva farlo bene. Non poteva permettere che Potter potesse riscontrare qualche danno celebrale per colpa sua. Non si sarebbe mai più perdonato a quel punto. Chiuse per un momento gli occhi e liberò la mente, controllando il suo respiro. Ripensò a Lily, al suo straordinario sorriso.
Aiutami.
«Legiliments!»
Silente vide Piton irrompere nella mente di Harry con una forza tale da far sobbalzare il corpo del ragazzo. Harry si contrasse, spalancò la bocca, desideroso di urlare, ma nulla fuoriuscì da quelle labbra rosee, eccetto dei singhiozzi strozzati. Teneva gli occhi spalancati verso il soffitto, offuscati dal patimento che provava. Silente si avvicinò al ragazzo e gli strinse la mano in una stretta ferrea. Vide il volto di Piton cambiare. Era contratto dallo sforzo, teneva gli occhi saldamente chiusi e, al contrario di Harry, cercava di non farsi sfuggire nessun lamento dalla bocca. Harry ebbe un altro scossone e a questo punto urlò forte, affondando le unghie nel materasso.
Piton vacillò, ma riprese immediatamente il controllo. Il sudore imperlava la sua fronte pallida e teneva le labbra strette in una morsa. Il suo corpo venne scosso da dei lievi tremiti e Silente capì che stava soffrendo anche lui. Era pienamente concentrato e cercava in tutti i modi di contrastare la presenza di Voldemort dentro al Bambino Sopravvissuto. Il Preside scoccò un’occhiata all’orologio. Sapeva che se Piton avesse prolungato ancora di qualche minuto l’irruenza che manteneva nel ragazzo sarebbe divenuto assai pericoloso per quest’ultimo. I minuti passarono, lenti. Sembrò che non finisse mai. Harry continuava a contorcersi e a gridare. Quando finiva il fiato rimaneva con la bocca spalancata, boccheggiante, dimenticandosi di respirare. Il suo volto era arrossato dallo sforzo e aveva delle macchie violacee sul collo e sul petto. Piton invece stava continuando a sbiancare.
«No…» mormorò faticosamente ad un certo punto la voce di Harry. Essa era fievole, e fu un sussurro quasi inudibile. «No…»
Dopodiché non parlò più e a Silente parve come se il dolore nella sua espressione si fosse attenuato. Fu invece Piton a preoccuparlo maggiormente. Infatti il professore incominciò a tremare con violenza e barcollò pericolosamente. Silente accorse immediatamente per sostenerlo e per evitare che cadesse a terra. Piton gemette, silenziosamente.
Poi ci fu soltanto quiete. Un silenzio di tomba. Il corpo di Harry si rilassò e incominciò a respirare normalmente, senza più agitarsi nel letto. Piton invece perse conoscenza. Il Preside riuscì ad afferrarlo con un incantesimo prima che toccasse il pavimento. Era completamente stremato. Con un altro colpo di bacchetta aprì la porta segreta che dava agli alloggi privati del professore e lo fece fluttuare fino a raggiungere la stanza da letto, dove lo depositò su di esso con estrema delicatezza. Lo stesso fece con Harry: lo liberò dalle corde che lo trattenevano e lo fece volare fino alla camera di Piton, distendendolo accanto a lui. Con la magia avvolse tutti e due con le coperte e uscì, lanciando qualche incantesimo di allarme per avvertirlo quando uno dei due si sarebbe destato. 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Piton socchiuse gli occhi, piano. Una fitta alla testa lo costrinse a richiuderli immediatamente. Riusciva a sentire una superficie morbida sotto di sé e comprese che doveva essere disteso su un letto, o magari su un divano. Fece passare alcuni minuti e dopodiché ritentò nuovamente. Si guardò attorno e si rese conto che quella era la sua camera. Con gran cautela si mise seduto e si accorse immediatamente di una presenza a pochi centimetri da lui. Sussultò nel vedere Harry Potter privo di sensi nel suo letto. Che diamine…?
Silente.
Aveva la pelle flaccida, così bianca da sembrare un cadavere. Piton avvicinò una mano al volto del ragazzo per controllare se respirasse ancora. Era vivo, grazie alla sua grande fortuna. Sospirò e si accorse di provare sollievo. Potter era sopravvissuto all’ennesimo attacco di Voldemort. Ma sulla sua sanità mentale era ancora tutto da vedere. Allungò la mano fino alla sua fronte e lo toccò, cautamente. Era fresca, niente febbre. Un’altra grande notizia.
In quel preciso momento la porta si spalancò e sulla soglia vi apparve il Preside. Piton staccò immediatamente la mano dalla fronte di Potter, sperando che l’uomo non lo avesse visto. Tuttavia a giudicare dallo sguardo brillante che Silente gli rivolse lo aveva notato eccome.
«La sua temperatura è nella norma» lo informò, cercando di spezzare quel silenzio imbarazzante.
«Ben svegliato, Severus. Come ti senti?» domandò Silente, ignorando il suo commento sbrigativo.
«Sto bene, Albus. Per quanto tempo sono rimasto incosciente?»
«Tre ore all’incirca e mi sorprende che non siano di più. Respingere Voldemort è un’impresa assai ardua, immagino»
Piton annuì, con le labbra serrate, senza trapelare nessuna emozione. «Potter come sta? Hai capito lo stato mentale del ragazzo?»
«Tutto a tempo debito, ragazzo mio. Lo si capirà appena si sveglierà»
Benché Piton non volesse dimostrarlo, Silente comprese che era ansioso. Gli rivolse un sorriso, cercando di rassicurarlo. «Non temere, sono sicuro che hai fatto un ottimo lavoro»
«Non sarei così bendisposto se fossi in te, Silente. Non sono infallibile nemmeno io»
«Certo che no, ma un po’ di ottimismo non fa mai male»
«Quando credi che si sveglierà?»
«La sua mente è stata sottoposta a un forzamento inimmaginabile, Severus. E credo proprio che per riprendersi dormirà a lungo. In fondo il sonno è ristoratore, no?» disse, ironicamente.
«Temo di aver danneggiato il ragazzo»
«Non dirlo neanche. E comunque vada sappi che…»
«No! Non voglio che tu mi perdoni, Albus! Non lo meriterei!»
«Non hai avuto scelta e tutti possiamo commettere degli sbagli, lo sai bene, ragazzo mio, tu più di qualunque altro»
Severus sbuffò, irritato. Non voleva sentire una parola di più dal Preside. Sentiva il nervosismo crescere e non lo sopportava. Si avviò verso la cucina, prese un bicchiere dalla dispensa e lo riempì di acqua fresca. Aveva la gola arida da procurargli un grande fastidio. Sorseggiò l’acqua di fretta, quasi con furia. Nella sua mente alleggiava l’immagine di un Potter stravolto dalla sofferenza, dal terrore. Non se lo sarebbe mai scordato, questo era certo.

***

Harry non riusciva a udire niente. Le sue orecchie fischiavano e si sentiva sprofondare continuamente. Gli sembrava di cadere, a lungo, in una discesa infinita, senza una fine definitiva. Cercava di capire che cosa stesse accadendo, ma niente gli fece ricordare del perché si trovasse in quello stato. Era perduto in se stesso, nel suo nulla, negli abissi più remoti della sua anima.
Poi gli sembrò di udire delle voci. Un suono lontano, sordo, come se fosse all’interno di un’ampolla colma d’acqua. Riconobbe all’istante la voce profonda del professore di Pozioni e fu allora che rammentò ogni cosa. L’invasione mentale da parte di Voldemort, la paura, il dolore che aveva provato. Quel terribile dolore che gli era sembrato non finire mai.
Era incominciato tutto velocemente. Il dolore era stato intenso, potente. Aveva predominato su tutto. Voldemort aveva cercato in ogni modo di rompere le sue barriere, di scavalcarle. Ma lui aveva resistito per un po’. Anche se sapeva che prima o poi Voldemort avrebbe vinto, non aveva voluto rendergliela troppo facile. Aveva ripensato a suo padre, James. Chissà se quando aveva visto Voldemort comparire sulla soglia di casa non avesse pensato la stessa cosa. Aveva sfilato la bacchetta e aveva duellato con Voldemort, fino alla morte, benché privo di speranza. Il pensiero di suo padre lo aveva portato a resistere ancora di più. I suoi genitori avevano lottato fino alla fine e lui avrebbe fatto lo stesso, perché era un Potter. E i Potter muoiono solo quando vengono battuti. Non si lasciano andare.
Era rimasto ad agonizzare per molto tempo, ore, o almeno così gli era sembrato. Aveva perduto completamente il controllo del proprio corpo. Aveva sentito la sua voce urlare, le sue braccia dimenarsi, la sua schiena inarcarsi spaventosamente. Voldemort era riuscito a scavalcare alcune barriere, benché avesse tentato di fermarlo in tutti i modi possibili. Quel dolore era insostenibile e aveva incominciato a cedere, a poco a poco. Gli era parso così strano vedere se stesso scivolare verso la morte, verso la sconfitta. Sapeva che se Voldemort avesse scavalcato ancora una di quelle cosiddette barriere avrebbe raggiunto quello che Piton aveva definito “ultimo stadio”. Era all’limite e non sarebbe riuscito a respingerlo ancora a lungo. Si era sentito perduto, completamente. Voldemort aveva finalmente raggiunto la vittoria e lui aveva miserabilmente perso la battaglia, la guerra. Il nemico aveva prevalso. Ma in fondo che cosa poteva aspettarsi? Come aveva solo potuto immaginare che proprio lui, un ragazzino di appena quindici anni, potesse sconfiggere il più potente mago degli ultimi decenni? Insomma, avevano paragonato Lord Voldemort a Gellert Grindelwald. Qualcuno aveva sostenuto persino che i suoi poteri erano ancora maggiori di quelli del Mago Oscuro di cinquant’anni orsono. Come aveva potuto pensare che un ragazzino stolto e incapace come lui potesse vincere su di lui? Era stato solo uno sciocco, un illuso. E lo stesso tutta la Comunità Magica. Lui era soltanto una marionetta degli eventi, un caso. Perché è ciò che era successo, no? Era sopravvissuto a Voldemort per tutto quel tempo solo per caso, per la sua grande fortuna sfacciata. Non per bravura. Se lo avesse voluto veramente Voldemort lo avrebbe ucciso in qualunque istante. Ed era questo che stava accadendo in quei momenti. Lo stava uccidendo, perché anche lui ne aveva avuto abbastanza di quella storia del Bambino Sopravvissuto, del Salvatore del Mondo Magico. Tutti quei titoli che avevano riservato a Harry erano solamente una mera illusione di un futuro migliore. Avevano riposto tutti la loro fiducia in un bambino, perché la guerra, la paura e le tante sofferenze portavano le persone ad affidarsi anche nelle più misere speranze.
Fu proprio nell’istante in cui stava per mollare che lui comparve. Lo aveva riconosciuto immediatamente. La sua penetrazione non era dolorosa, né invasiva. Per un momento si era spaventato. Che cosa diamine ci faceva anche Piton nella sua testa? Era venuto per dare una mano a Voldemort? Probabilmente per finirlo più velocemente? In fondo era questo che tutti pensavano, no? Severus Piton: Mangiamorte. E di solito le voci avevano sempre un pizzico di verità. Quante volte Ron e Hermione gli avevano ripetuto di non fidarsi? Quante volte avevano sospettato di lui? Era tremendamente facile, in fondo. Con quel suo comportamento burbero e con quel suo aspetto misterioso dava davvero l’illusione di una persona cattiva. Aveva bloccato anche lui, alla fine. Non gli permise di avanzare ancora. Bloccarlo fu un doppio dolore, perché sia Piton che Voldemort stavano cercando contemporaneamente di entrare più in profondità della sua mente.
“Potter”, era Piton, Gli stava parlando. “Posso aiutarti, ma tu devi aiutare me. Per respingere il Signore Oscuro ho bisogno che tu mi permetta di entrare. Devi accettare la mia presenza in te”. Dopo quelle parole aveva sentito Piton ritentare, ma Harry lo ostacolò nuovamente.
“No”, sentenziò, mentalmente. Perché non lo lasciava in pace? Perché non se ne andava e basta? Che cosa voleva ancora da lui?
“Oh, andiamo, Potter, lasciami entrare. Non ti farò del male, te lo prometto. Fidati di me, solo per questa volta. Fidati di me.”
Quelle parole erano sembrate così sincere e confortanti che Harry non poté che cedere. Piton ebbe libero accesso a tutta la mente di Harry, senza più alcuna barriera a respingerlo. Il ragazzo si abbandonò a lui, fidandosi, riponendo la sua stessa vita nelle mani dell’uomo che per anni aveva disprezzato. Piton aveva preso il suo posto e ora stava respingendo Voldemort con tutto se stesso, costringendolo ad arretrare. Per un attimo Harry si era sentito apprezzato, voluto. Piton lo stava aiutando per davvero. Non voleva che morisse. Non lo ostacolò in nessun modo come centinaia di volte aveva tentato. Si era reso conto che era tremendamente facile permettere a un Legiliments di entrare, molto più semplice che respingerlo. Dopo qualche istante la presenza di Voldemort era scomparsa del tutto, lasciando solamente Piton a invadere la sua mente. Ci fu un attimo di completa pace, di una palpabile tranquillità.
“È finita. Sei al sicuro, ora. Riposa, chiudi gli occhi e cerca di riposare”, gli disse Piton, gentilmente.
E così Harry aveva ubbidito. Si era lasciato andare al sonno, colto da un improvviso senso di sicurezza che gli avevano recato quelle parole.
Ed ora eccolo lì, che brancolava nell’oscurità. Tentò di aprire le palpebre, ma fu inutile. Il sonno lo colse nuovamente. Si risvegliava e si riaddormentava, come se il suo corpo si rifiutasse di riprendersi, di svegliarsi completamente. Sentiva dolore ovunque. I suoi muscoli erano indolenziti e a giudicare dal sapore di ruggine che aveva in bocca doveva essersi morso la lingua ad un certo punto, perché gli pulsava tremendamente. Era una situazione alquanto bizzarra, doveva ammetterlo. I sogni che faceva erano tremendamente reali. Sognava di destarsi e di trovarsi Piton accanto a sé, a dormire nel suo stesso letto. Poi il sognò cambiò: sentì Piton mentre poggiava una mano calda sopra la sua fronte, controllando se avesse la febbre. Quel gesto non gli fece ribrezzo, anzi, per un attimo si beò di quel contatto così gentile da parte dell’uomo.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Harry aprì gli occhi, confuso. Sentiva il suo corpo pesante, come se la gravità terrestre nel lasso di tempo in cui era rimasto incosciente fosse cambiata. Si sentiva gli arti doloranti e sul petto sembrava come se avesse un grosso masso che gli impediva di respirare correttamente. Il suo respiro infatti era corto, spezzato, probabilmente dal senso di oppressione che lo stava pian piano invadendo. Stava incominciando a rammentare ogni cosa. Il patimento che aveva provato era un ricordo doloroso e intenso. Mai aveva provato tanta disperazione in vita sua. Voldemort non aveva avuto pietà di lui, ma in fondo la pietà probabilmente non la conosceva. Non vi era anima in quel corpo dall’apparenza così serpentesco. Esso era soltanto un involucro vuoto, Harry l’aveva capito. Chissà se un tempo vi fosse stato almeno qualcosa, un barlume di speranza per salvare quell’uomo da se stesso. Harry se l’era chiesto molte volte, ma mai aveva trovato risposta. Lord Voldemort aveva seguito tutte le strade sbagliate, le più buie e devastanti che avesse potuto scegliere. E sono state proprio queste decisioni a determinare il suo essere, a renderlo incapace di amare.
«Potter»
Harry sussultò a sentire quella voce. Piton. Non si era accorto della sua presenza nella stanza. A proposito…dov’era? Quel soffitto di certo non era l’infermeria, ci era stato troppe volte per non riconoscerlo. Scostò la testa di lato e si rese conto che era in una camera da letto. Non vi erano finestre e questo significava che era ancora nei sotterranei. Ma allora… Arrossì visibilmente quando realizzò che quella era la stanza da letto di Severus Piton. Che diamine ci faceva lì? Piton lo avrebbe ammazzato, anzi stava per farlo, considerando che era a un metro da lui. Tentò in qualche modo di alzarsi, di abbandonare il più frettolosamente possibile il letto, ma una mano posatagli sul petto lo costrinse a ridistendersi.
«Che cosa credi di fare? Resta giù» ordinò il professore, arcigno.
«Cosa…?»
«Per adesso rimarrai qui, Potter, finché non riprendi le forze» rispose Piton, prima ancora che Harry terminasse la domanda.
«Perché non sono in infermeria?»
«Madama Chips non conosce la Legilimanzia e gli effetti devastanti che può causare. Il Preside ha ritenuto necessario che sia io a dover prendermi cura di te, con mio gran disappunto»
«I Weasley, Sirius e Hermione sanno che cos’è successo?»
«Pochi minuti prima che ti svegliassi il Preside si è recato a Grimmauld Place per informare tutti del spiacevole accadimento» rispose Piton, seccato di dover dare tutte quelle spiegazioni al ragazzo.
«Potrò ritornare a Grimmauld Place?»
«Per ora no. È il Preside comunque a decidere. Sarà lui a informarti della tua sistemazione appena ritornerà a scuola. Ora sta fermo, Potter, devo controllare i tuoi valori»
Piton sfilò la bacchetta dal suo mantello nero e gliela poggiò sul petto, con delicatezza. Mormorò un incantesimo a sottovoce e passò la bacchetta su tutto il corpo. La concentrò soprattutto sulla fronte e Harry sentì una strana sensazione di nausea. Cercò di scostare la bacchetta di Piton dalla testa, ma lui gli afferrò la mano e lo trattenne. Se finiva per vomitare nel suo letto non era certo colpa sua.
«So che non è piacevole, ma resisti» disse Piton, con assoluta calma. «E non vomiterai» aggiunse, con un ghigno divertito.
Lo aveva fatto di nuovo, leggeva nella sua mente con spaventosa facilità. A Harry non piaceva affatto tutta questa storia, soprattutto perché a conoscere i suoi pensieri era il misterioso pipistrello dei sotterranei, il più odiato professore di Hogwarts e ex Mangiamorte. Che cosa aveva fatto per meritarselo?
«Potter, sono sconvolto. Nemmeno con una Felix Felicis saresti potuto essere più fortunato di così. Non hai alcun danno apparente e la tua mente è illesa. Hai bisogno soltanto di una giornata di totale riposo, per acconsentire al tuo corpo di riprendersi»
Harry non aveva la più pallida idea di che cosa fosse una Felix Felicis, ma constatò che era decisamente meglio evitare di chiedere spiegazioni.
«Come si suol dire, la fortuna gira sempre dalla tua parte» continuò l’uomo. A Harry sembrò che in qualche modo vi fosse del sollievo nell’espressione di Piton. Ma non ne era del tutto sicuro. Quel volto era sempre così imperscrutabile che era difficilissimo capire che cosa passasse per la mente del maestro di Pozioni.
«Hai fame, Potter?» chiese ad un certo punto. «Penso che dovresti mangiare qualcosa»
«Ho lo stomaco chiuso»
«Dirò agli elfi di prepararti qualcosa di leggero, allora. Resta disteso, non alzarti da quel letto per nessun motivo, è abbastanza chiaro?» fece, minaccioso.
«Trasparente» rispose il ragazzo, cercando di scherzare.
Piton gli lanciò un’occhiataccia torva e uscì dalla stanza a lunghi passi.
«Aspetti! E se devo andare in bagno?» chiese Harry, prima che chiudesse la porta dietro di sé. Lo vide alzare gli occhi al cielo, esasperato. «Ti do il permesso di alzarti solo in quell’occasione, Potter. Il bagno è in fondo al corridoio a sinistra. E non disobbedirmi»
«Non lo farei mai» Ops, si era lasciato sfuggire quella frase senza rendersene conto.
«Ti avverto: non osare scherzare con me» sentenziò il professore, pericolosamente, chiudendo con forza la porta e facendo tremare le pareti.
Dopo una mezz’ora circa un elfo domestico apparve in camera. In mano teneva un vassoio con della carne al vapore, delle verdure cotte e un piatto di brodo di pollo. Consumò il pasto con calma. Non desiderava che gli comparisse nuovamente la nausea e che rischiasse di fare un macello sulle lenzuola del professore. L’elfo lo lasciò da solo e dopo un’ora ritornò per riprendersi il vassoio e le stoviglie sporche.
«Il professor Piton ha dato a Ennkley questo libro, signore. Ha detto che potete passare il tempo leggendolo» disse Ennkley, rivelando un tomo di almeno mille pagine da sotto la tunica striminzita. L’elfo gli porse il libro in malo modo, facendolo sbattere proprio sul suo stomaco. Trattenne per un attimo il fiato per il dolore. Diamine, pesava un sacco!
«Grazie»
«Buona lettura, signore»
E allora l’elfo sparì con un CRACK. Harry lanciò lo sguardo verso il titolo del libro: Malefizii et umbra, l’Occlumanzia e i meccanismi della mente umana di Liviel Jodie Eddelton Siccome non aveva niente di meglio da fare si decise ad aprire il libro. La Prefazione lo annoiò fin dalla prima riga. C’erano vari commenti di maghi e streghe illustri, che a quanto sembrava dai termini che usavano il loro lessico abbondava di parole intricate e difficili. Difatti Harry non ne capì granché, passò direttamente alla prima parte, sperando che i termini dell’autrice fossero meno pomposi. Ma le sue speranze furono assai vane. Lesse le prime tre pagine poi non ne poté più. Mise da parte il libro e ricominciò a fissare il soffitto, annoiato come non mai.
Ci fu un altro CRACK qualche decina di minuti dopo e l’elfo ricomparì con altri tre libri tra le mani minuscole. «Il professor Piton ha detto a Ennkley che se al signor Potter non piace il primo libro che Ennkley gli ha dato allora “può cimentarsi in altre più liete letture”»
Harry sospirò. Piton lo conosceva fin troppo bene da sapere che quel libro lo avrebbe tediato fin dall’inizio. Aveva una gran voglia di sbattere la testa contro il muro anche quando lesse i titoli degli altri libri: Pozioni ed altri rimedi per la cura della mente di Etta Johnley, Legilimanzia e Occlumanzia, due facce della stessa moneta? di Stanley Underal, Sapori di altri tempi, biografia del famoso pozionista Linfred of Stinchcombe di Rosalie Tayler Whitts.
A quel punto era chiaro: Piton lo voleva morto di noia.
Come aveva previsto i libri erano più che noiosi. Le pagine erano tutte riempite di parole, senza neanche un capoverso. Le frasi erano lunghe e inconcepibili e dopo che ebbe scartato i primi due, Harry si soffermò a leggere l’ultimo che Piton gli aveva consigliato, Sapori di altri tempi. Probabilmente una biografia era meno nauseante di tutti quei trattati. Fu quando lesse il nome Potter che si riscosse da quella sonnolenza che lo aveva colto mentre era intento a leggere.
 
“Linfred of Stinchcombe (noto anche come il vasaio -the Potterer in inglese-) è stato un mago del XII secolo ed un pioniere delle pozioni, citato per aver inventato diverse pozioni medicinali. E' il patriarca fondatore della famiglia Potter. Linfred nacque nel XII secolo a Stinchcombe, vicino a Gloucester, in Inghilterra…”
 
Era un suo antenato. Il primo Potter. Lesse con gran interesse la sua vita e tutte le pozioni che aveva inventato, considerate ancora oggi fondamentali per la Comunità Magica. Rimase incollato a quel libro fino a sera, quando il Preside bussò alla sua porta e Harry si vide costretto a riporre il libro.
«Buonasera, Harry»
«Buonasera, professor Silente»
«Come ti senti? Il professor Piton è stato gentile con te?» chiese, sinceramente preoccupato.
«Sto bene, grazie. E per quanto riguarda Piton non si è fatto vedere granché»
«Il professor Piton, Harry»
«Certo» rispose frettolosamente Harry. «Posso ritornare a Grimmauld Place adesso che sono completamente guarito?»
«No»
A Harry si gelò il sangue. Perché non poteva andarsene? Stava benissimo!
«Mi dispiace, ragazzo mio, so che desideri ritornare dai tuoi amici, ma non posso permettertelo»
«Perché no? Sto magnificamente, davvero! Non sto mentendo»
«Lo so che non stai mentendo, Harry. Il fatto è che l’attacco di Voldemort è stato del tutto improvviso, niente ha presagito ciò che sarebbe successo da lì a poco. È stata una gran fortuna che tu fossi in compagnia del professor Piton in quel momento. Ha saputo come agire per aiutarti a respingere Voldemort. Ti ha salvato, lo sai? Se fossi stato a Grimmauld Place ci sarebbe voluto troppo tempo… I Weasley sicuramente avrebbero cercato in primo luogo di aiutarti, ma dopo qualche minuto di completa confusione avrebbero chiesto aiuto a me. Il fatto è che non sono bravo in Legilimanzia quanto il professor Piton, Harry. Non so se sarei in grado di fare ciò che Severus ha fatto. Dunque avrei sprecato altri minuti preziosi per chiamarlo, lasciandoti in balia del Signore Oscuro per almeno una quindicina di minuti. Il che è assai pericoloso, Harry. Saresti già perduto. A Voldemort non ci vuole molto prima di abbattere tutte le tue barriere mentali. Ti avrebbe ucciso»
«Ma tutta questa storia è ormai passata, no? È finita…»
«No, Harry, non è finita. Voldemort sarà alquanto adirato per il fatto di non essere riuscito a terminare il suo compito. Si preparerà ad attaccarti di nuovo, ne sono certo. Ed è per questo che non voglio che tu ti allontani da Hogwarts. Devi restare qui e ti affiderò al professor Piton fino all’inizio del secondo semestre. È assolutamente necessario che lui ti rimanga accanto in questo momento così delicato»
Harry si sentì sprofondare. Piton? Piton!? Non poteva credere a ciò che sentiva. Non voleva crederci! Era soltanto un incubo, un maledetto incubo!

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 
 
Capitolo 18


Le cose non potevano che andare peggio. Appena Piton venne informato del nuovo piano di Silente sbraitò maledizioni e imprecazioni per gran parte dei minuti a seguire. Fu una delle poche volte che Harry lo udì perdere il controllo in quel modo. Ma doveva aspettarselo. Piton lo odiava quanto Harry odiava lui e non avrebbe dovuto essere così sorpreso della sua reazione. Severus Piton, all’apparenza così duro e irremovibile, sembrava assai malleabile quando era Silente a impartirgli ordini. Seppur con riluttanza, accettò quell’incarico datogli dal Preside -dopo parecchi tentativi di persuasione-. Tuttavia non mancò a fargli osservare il suo sgomento per tale richiesta. Detestava il ragazzo e tutta quella storia non poteva che rivelarsi un completo disastro. Ma Silente ignorò quelle osservazioni e lasciò correre.
«Non ho alcuna intenzione di fargli da balia, Silente! Fallo tu, saresti più capace!»
«Per favore, sii ragionevole…»
«Non voglio scorrazzare dietro a un quindicenne idiota! Sono in vacanza pure io se non lo hai notato! Ho già dovuto sopportare l’idea di dare a Potter le dannate lezioni di Occlumanzia. E ora questo! No, Silente! Non lo faccio!»
Dopo una mezz’ora circa di urla e fracassi, Harry ricevette la seconda visita da parte del Preside quel giorno. Si sistemò su una sedia accanto al letto e sorrise benevolmente al ragazzo.
«Non voglio restare ad Hogwarts…» mormorò Harry, cupamente. Si sentì come un bambino viziato pronunciando quelle parole.
«Non si tratta di una punizione, Harry, lo sai. Mi vedo costretto ad agire in questo modo perché non trovo alternative. Il professor Piton è la scelta più saggia. Voldemort non potrà abbattere le tue difese se ad aiutarti ci sarà lui»
Harry sapeva che c’era un filo logico in quel discorso, ma non voleva accettarlo. Si sentiva intrappolato nelle grinfie di Piton. Come diamine poteva pretendere Silente che non si sentisse in punizione? Era la cosa più brutta che gli fosse capitata in tutti quegli anni ad Hogwarts. E ne aveva viste delle belle, ammettiamolo.  
«Non potrebbe affidarmi a qualcun altro? So che è una richiesta abbastanza sfacciata da parte mia, ma…»
«Harry, Severus è l’uomo migliore che ho a disposizione in questo momento. Non conosco nessun altro con tali capacità e voglio che tu sia al sicuro. Non posso permettere che ti accada nulla, lo capisci? Dovrai sopportare il professor Piton per un po’, vedrai che non sarà così grave come pensi. Benché sembri alquanto freddo e distaccato può rivelarsi anche un ottimo amico. Spero che il vostro rapporto migliori in questi giorni»
«Non si illuda. È ormai risaputo che ci odieremo fino alla fine» commentò Harry, acidamente.
«Oh, non si sa mai. I rapporti con le persone sono così mutevoli! All’inizio crediamo di odiarle e poi finiamo per amarle o viceversa. Curioso, non trovi?»
«Molto, ma credo che questo non sia il nostro caso»
«Sarà il tempo a giudicare, ragazzo mio» disse, alzandosi. «Penso che ti sia ristabilito abbastanza. Puoi alzarti dal letto, ora. Se c’è qualche problema puoi rivolgerti al professor Piton, d’accordo? Harry, lo so che può essere difficile, ma ti assicuro che puoi fidarti di lui»
«Non posso. Non ci riesco»
Silente annuì, comprensivo e un po’ rattristato. Sembrò come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi richiuse le labbra e si diresse verso l’uscita, salutando Harry con un sorriso gentile.
«Ah, quasi dimenticavo! Ho recuperato tutte le tue cose da Grimmauld Place e le ho collocate qui. La tua bellissima civetta sembra molto contenta di rivedere queste mura»
«Professor Silente…qual è la parola d’ordine per la Sala Comune?»
«A dire il vero non ne hai bisogno. In questo momento il professor Piton sta ampliando gli alloggi per creare una stanza per te, Harry»
A sentire quelle parole Harry si sentì gelare. Non era vero. Non doveva essere vero!
«Dormire qui!? No, no, la prego! Posso tranquillamente dormire in corridoio!» sbottò, accigliato.  «Oh, non essere sciocco, ragazzo mio. Severus è un brav’uomo, sa quella che fa e non ti tormenterà notte e giorno come pensi. O almeno…se lo fa, avvertimi» scherzò il Preside. «Certo, la camera non sarà bella quanto quella della Sala Comune di Grifondoro, ma…»
«Non m’importa un bel niente della camera! Lei sa bene che io e Piton non ci sopportiamo…»
«Spero veramente che in qualche modo la convivenza riesca a calmare le acque tra di voi. Vedrai, andrà tutto per il meglio, non temere»
Dopodiché Silente se ne andò. Harry lo sentì augurare la buonanotte a Piton in soggiorno e egli gli rispose con un grugnito irritato. Era parecchio nervoso, a quanto pareva. Harry rimase solo per una decina di minuti, ma poi sbucò il maestro di Pozioni alla porta, arcigno.
«Alzati, Potter, e seguimi» borbottò.
Harry obbedì all’istante. Piton lo condusse fino in salotto e subito notò che c’era una porta in più dietro una poltrona. Piton la spalancò e gli fece segno di entrare. Harry rimase stupito nel vedere che c’era un’intera stanza lì dentro. Certo, aveva visto tante cose assurde in quegli anni trascorsi nel mondo magico, ma certe volte rimaneva ancora meravigliato per che cosa fosse in grado di fare la magia. Era una stanza assai spartana: un letto, un comodino, un armadio, un tappetto, una libreria vuota e una piccola scrivania posta nell’angolo sinistro. Le lenzuola erano grigie, così come lo era il tappetto. Era una stanza priva di colori, al contrario di quella che aveva alla torre di Grifondoro. Si andò a sedere sul letto e si guardò intorno, un po’ malinconico. Desiderava ritornare a Grimmauld Place con tutto se stesso in quel momento. Solo vedere l’espressione glaciale di Piton lo faceva desiderare di scappare il più lontano possibile da lì.
«La cena è alle sette, te la porterà un elfo domestico, se non ti dispiace»
«Va bene»
«E non pensare che questa situazione non sia spiacevole anche per me, Potter. Ma vediamo di renderla il più sopportabile possibile, d’accordo? Tu non mi risponderai in modo poco educato, non farai nulla che possa farmi arrabbiare, non ti comporterai come un Grifondoro squilibrato e testardo in mia presenza e soprattutto…tu non mi disobbedirai»
Sopportabile per te, dannato pipistrello. Tra un po’ mi proibirà anche di respirare.
«Sissignore» rispose, seccato.
«Vigeranno delle regole per te e voglio che tu le rispetta in tutto e per tutto. Se le infrangerai non posso garantirti vita facile nei miei alloggi privati, siamo intesi? Ho promesso al Preside di tenerti d’occhio e lo farò, ma non posso costringerti a startene nella tua stanza per l’intera giornata. Ti dò il permesso di andare in biblioteca per studiare e finire i tuoi compiti. Hai capito bene? Solo in biblioteca. Non scorrazzerai per il castello come ti pare, Potter. La biblioteca, la Sala Grande e i miei appartamenti saranno tutto ciò che vedrai per il resto delle vacanze. Informerò madama Pince di tenerti sotto sorveglianza durante tutto il tempo in cui rimarrai in biblioteca e se accade qualcosa arriverò il più velocemente possibile. Il pranzo e la cena li consumeremo insieme nella Sala Grande da domani in poi. E per finire voglio che tu sia nell’alloggio entro le diciannove. Se non ti presenti prima che scatti il coprifuoco ne vedrai delle belle, Potter, credi a me. Le lezioni di Occlumanzia si terranno in mattinata, alle dieci…»
«Continuerò con l’Occlumanzia?»
«Naturalmente» rispose Piton, seccato che lo avesse interrotto. «Ne hai bisogno più che mai ora»
«È colpa delle lezioni se Voldemort è riuscito ad attaccarmi. Mi rendono completamente vulnerabile, mi stancano!»
«Sono necessarie, Potter. Imparerai a usare l’Occlumanzia a tuo favore»
«Non riuscirò mai a contrastarlo! Insomma, parliamo di Voldemort!»
«Non pronunciare il suo nome! E sì, stiamo parlando del Signore Oscuro, ma come hai potuto notare non è invincibile. Io sono riuscito a cacciarlo dalla tua mente»
«Sì, ma lei è lei! Silente sostiene che è uno dei maghi più pot…» Che cosa aveva intenzione di dire? Aveva parlato troppo in fretta e ora si era fermato prima di concludere la frase. Paonazzo, fissò il suo professore che era rimasto del tutto interdetto.
«Quello doveva essere un complimento, Potter?» chiese lui, con un sopracciglio alzato.
«No…io…niente del genere…»
«Senti» fece, per interrompere quel balbettio del ragazzo. Si avvicinò a lui, con uno sguardo più intenso del solito. Harry dovette distogliere lo sguardo dai suoi occhi, a disagio. «Lo so che può sembrarti difficile e completamente inutile. Ma l’alternativa a tutto questo è la resa. Vuoi arrenderti al Signore Oscuro, Potter? Smettere di lottare? Non sarebbe per niente grifondoresco da parte tua» ghignò, serio.   
«Non voglio arrendermi»
«E allora reagisci! Sii il degno figlio dei tuoi genitori! Sono morti per te, lo capisci!?»
Appena Piton menzionò i suoi genitori Harry sentì la rabbia accrescere. «Lo so! E ogni maledetto giorno porto questo peso dentro! Lei non può capire come ci si sente! Sapere che tua madre e tuo padre si sono sacrificati per concederti una vita. Una vita che con il loro sacrificio è diventata fin troppo preziosa! E ogni volta che fallisco sento come se li deludo sempre di più! Io porto dentro l’esistenza spezzata di due meravigliose persone che per causa mia…»
«Non osare» sbottò Piton. «Non osare darti la colpa per ciò che è successo. Tua madre e tuo padre hanno fatto una scelta. Hanno deciso di morire per proteggere il proprio figlio. Il gesto più umano e nobile che avrebbero potuto fare. Degno di loro, di tutto quello che sono stati in vita. Come puoi pensare che sia colpa tua?»
Harry non rispose. Rimase immobile in mezzo alla stanza, con lo sguardo di Piton posato su di lui. Per un momento non poté crederci, ma alla fine dovette ammettere che quelle parole da parte del professore di Pozioni lo risanarono e confortarono.
«Grazie»
«Grazie cosa, Potter?»
«Per ciò che ha detto. Mi ha fatto sentire meglio»
«È stato del tutto involontario» scherzò lui.
Harry ridacchiò istintivamente, ma poi si trattenne. Era la prima volta che rideva spontaneamente grazie al sarcasmo di Piton e se ne stupì non poco. Anche l’uomo parve piuttosto sorpreso per quella confidenza che si erano rivolti.
Piton fece la sua solita smorfia e dopodiché uscì, chiudendo la porta dietro di sé, lasciandolo solo.  Harry girò per la stanza, un po’ disorientato. Si sentiva le gambe indolenzite e le ginocchia cedevoli. Probabilmente aveva i muscoli deboli a causa dell’eccessivo riposo oppure per via dell’attacco di Voldemort, il quale lo aveva fatto agitare come un forsennato. Passeggiò lungo la stanza per una decina di minuti, nella speranza che i suoi muscoli riprendessero vigore. Sistemò il suo baule e salutò Edvige, che gli faceva gli occhi dolci per quanto fosse felice di rivederlo. All’improvviso però sentì un sonoro POP.
«Dobby!» esclamò Harry, meravigliato. L’elfo era appena apparso accanto al suo letto, con un grande vassoio tra le mani.
«Harry Potter, signore!» Il volto di Dobby si allargò in un gran sorriso e i suoi occhi fissarono Harry con un luccichio di ammirazione. «Per Dobby è un vero piacere rivederla!»
«Anche per me! Come stai?»
Indossava tre paia di cappelli di lana di diversi colori sgargianti, due maglioncini troppo grandi per lui che gli scendevano fino alle caviglie e una grossa sciarpa multicolore che gli faceva da strascico.
«Ennkley ha detto a Dobby che Harry Potter è ritornato a Hogwarts. Dobby voleva chiedere a Harry Potter perché è ritornato prima della fine delle vacanze di Natale!»
«Rimarrò qui fino all’inizio del secondo semestre. Piton deve sorvegliarmi perché sono stato attaccato da Voldemort»
«Harry Potter è in pericolo?» Dobby sembrò sinceramente preoccupato. Posò il vassoio sulla scrivania e si avvicinò a Harry con gli occhioni fissi su di lui. «Dobby può aiutare»
«Adesso è tutto a posto, non temere. Ma grazie Dobby. Lo so che ti preoccupi sempre per me»
L’elfo si guardò attorno, incuriosito. «Harry Potter dormirà qui?» chiese, scettico.
«Sì, non è un granché, eh? Ma è sempre meglio della camera che ho a Privet Drive, non trovi? Almeno qui i mobili sembrano nuovi. E probabilmente lo sono»
«Dobby ha un’idea! E se la nuova stanza di Harry Potter venisse decorata?»
«No, no…meglio di no. Non so come la prenderebbe Piton»
«Oh…va bene» fece lui, deluso. «Dobby ha portato la sua cena, signore. Zuppa di piselli, carne e patate arrosto e una crostata di mele»
«Adoro la crostata di mele. Ah, e Dobby… quella sciarpa è assolutamente favolosa»
Dobby arrossì, a disagio, ma poi gli rivolse un gran bel sorriso di compiacimento. «Dobby verrà a riprendere il vassoio più tardi. Buon appetito, Harry Potter!» 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


 Capitolo 19



Piton lo stava scuotendo con forza. Per un attimo pensò di stare sognando. Insomma, che diavolo poteva essere altrimenti? Era ancora in un completo dormiveglia, ma non appena realizzò che il Piton di fianco a lui era reale, balzò a sedere sul letto con uno scatto improvviso.
«La colazione è pronta, Potter. E per Merlino, quanto ti ci vuole per svegliarti?»
«Ho un sonno profondo…» bisbigliò Harry, ancora con la mente annebbiata dal sonno.
«Oh, voi adolescenti! Il Signore Oscuro rende questa storia dell’ucciderti fin troppo difficile. Potrebbe portare un’armata intera in camera tua e tu non te ne renderesti nemmeno conto» sbottò Piton.
«Ma sono le sei del mattino!»
Harry si lasciò cadere di nuovo nel letto e si tirò su le coperte, pronto a rimettersi a dormire. Piton lo squadrò con quell’espressione micidiale che solitamente era in grado di far scoppiare a piangere la maggior parte degli studenti di Hogwarts.
«Questo lo so. Ma non voglio che tu perda tempo. Hai bisogno di mantenere la mente occupata, specialmente con i compiti delle vacanze, non trovi?»
«Renderà la mia permanenza qui un inferno, non è vero, signore?»
«Vedrò quel che posso fare. Ora alzati e vestiti, Potter, non ozierai come tuo solito stando con me»
«Sono in vacanza» si lamentò Harry, acidamente.
«Anch’io. Ma per tua sfortuna sei costretto a passare il resto di questi giorni liberi assieme a me, perciò farai quel che dico io»
«Non è giusto»
«Niente storie. Alzati adesso o finirai a pulire calderoni per il resto della mattinata»
Harry obbedì di malavoglia. Si alzò e si vestì in fretta per evitare che il nervosismo di Piton peggiori categoricamente. Si presentò nella piccola cucina un paio di minuti dopo con indosso dei comodi abiti babbani. Piton non era per niente contento della cosa, ma non sollevò obbiezioni. Harry notò che il tavolo era già pronto. Per una sola persona.
«Lei non fa colazione?» chiese.
«Ho già mangiato»
Naturale, pensò Harry. Piton non si sarebbe mai seduto al suo stesso tavolo per fare colazione con lui. E probabilmente aveva ragione, perché sarebbe stato fin troppo imbarazzante. Che cosa mai avrebbero potuto dirsi la mattina presto appena svegli?
«Ieri ha detto che le lezioni di Occlumanzia si terranno verso le dieci. Pensavo che fino a quell’ora avrei potuto dormire» continuò a lamentarsi il ragazzo, scocciato.
Piton gli rivolse un’occhiataccia e quella bastò a far zittire Harry. Quest’ultimo si sedette e incominciò a imburrare un pezzo di pane tostato. Il professore lo lasciò a se stesso, dirigendosi verso il suo ufficio. Harry non aveva idea di che cosa facesse Piton così di buonora. Ma a quanto sembrava doveva essere un tipo assai mattiniero.
Quando terminò di fare colazione il professore gli permise di usare il bagno. Sentiva un disperato bisogno di farsi una doccia. Stette particolarmente attento a non spostare nulla e quando finì di lavarsi asciugò per bene il pavimento bagnato. Non voleva dare a Piton nessuna scusa per rimproverarlo. Gli sembrò alquanto strano usare la stessa doccia che usava Piton. Se la usava. Dallo stato dei suoi capelli non sembrava affatto. A quel pensiero Harry non riuscì a trattenere una risata. Pensò a Ron, alla sua faccia se sapesse che cosa stava facendo adesso. Di sicuro ne avrebbero scherzato per ore. In quel preciso momento desiderò con tutto se stesso ritornare a Grimmauld Place. Non poteva credere che fosse costretto a rimanere lì per altre due settimane. Assieme a Piton poi! Di sicuro non poteva andare peggio di così. Aveva toccato il fondo. Quella si sarebbe rivelata la vacanza più brutta della sua vita, ne era certo. Avrebbe preferito mille volte passare le vacanze con i Dursley che con Severus Piton. In tutto questo però c’era un lato positivo: poteva usare la magia. E infatti quando tornò in camera rifece il letto e ripiegò i vestiti con un incantesimo.
La lezione di Occlumanzia procedette nei solito dei modi e cioè, Piton non aveva mancato di fargli notare quanto fosse debole, deridendolo e toccando nei punti più sensibili del suo essere. Oramai era qualcosa di assolutamente naturale per lui prenderlo in giro. I suoi commenti sprezzanti, misti con quel suo sarcasmo indelicato davano al tutto un aspetto assai sgradevole. E Harry non poté evitare di sentirsi offeso, il che non lo stupì granché, ma rimase tuttavia di cattivo umore fino a pranzo. Piton lo venne a chiamare intorno all’una, dicendogli che era ora di raggiungere la Sala Grande. Camminarono lungo i sotterranei oscurati in silenzio, udendo solo il rumore dei propri passi sulla pietra fredda. Harry non riuscì a non meravigliarsi di come apparisse diverso il castello senza i suoi studenti. Sembrava tutto così desolante e cupo, quasi come se Hogwarts fosse in attesa dei ragazzi che potessero riempire le sue aule.
Quell’anno nessun studente era rimasto ad Hogwarts per le vacanze di Natale. Avevano tutti troppa paura della Umbridge e delle sue assurde regole. Per fortuna però era stata richiamata dal Ministero all’ultimo minuto e aveva comunicato alla scuola di aver deciso di restare a Londra per le festività. Ad Hogwarts erano rimasti solo pochi professori: Piton, la McGranitt, Flitwick, Madama Chips e la bibliotecaria, Madama Pince. Silente era molto sollevato della cosa, poiché erano tutti persone fidate e poté rivelare loro la presenza di Harry nella scuola. Quando Piton e Harry varcarono la porta della Sala Grande tutti conoscevano la ragione per la quale Harry fosse lì e lo accolsero con gran calore. La McGranitt e Madama Chips si assicurarono sulla sua salute fisica e lo fecero sistemare in mezzo a loro. Harry notò che Piton si andò a sedere dall’altra estremità del tavolo, il più lontano possibile da lui.
«Dimmi, Potter, che cosa hai ricevuto per Natale quest’anno?» gli chiese gentilmente la professoressa McGranitt, con assoluta naturalezza.
Harry incominciò ad elencare tutti i regali che gli avevano fatto i Weasley, Ron e Hermione e alcuni componenti dell’Ordine. Non appena la McGranitt scoprì che Ron gli aveva regalato un nuovissimo set di manutenzione per scope si mise a spiegare, tutta emozionata, come ci si prende cura di un manico di scopa professionale.
«La lucidazione è fondamentale. Se ben lucidata può persino guadagnare velocità e per un Cercatore è molto importante…»
«Per l’amor del cielo, Minerva» grugnì Piton, fissandola in mal modo. «Sappiamo tutti che vuoi vincere anche quest’anno la Coppa, ma ti ricordo che Potter non fa più parte della squadra»
«Prima o poi quella là se ne andrà da Hogwarts e la squadra di Grifondoro riavrà il suo Cercatore» rispose secca la donna.
«Da quel che ho sentito pare che la Weasley sia piuttosto brava, Minerva» aggiunse il professor Flitwick. «La tua squadra è in buone mani. Quella ragazza è in gamba»
La tavola era colma di cibi prelibati, decorati con la massima cura. Harry non ricordò di aver mai mangiato così bene a Hogwarts. Il dolce alla crema fu sorprendentemente delizioso e ne mangiò in abbondanza. Solitamente a Privet Drive non aveva mai un pezzo di dolce. Zia Petunia non gli permetteva di assaggiare niente. Soltanto ad Hogwarts aveva incominciato a capire il perché. Erano troppo buoni per poter essere condivisi. D’un tratto vide l’espressione di rimprovero che gli rivolse Piton. A quanto sembrava non gli andava molto a genio il suo esagerato appetito. Flitwick continuò ad offrirgli ogni genere di dolciume, tra biscotti, pasticcini e creme. Fu Madama Chips a fermarlo, ad un certo punto.
«Credo che il signor Potter abbia assunto abbastanza zuccheri per quest’oggi» fece. «Potrebbe stare male»
«L’attacco di Tu-Sai-Chi lo ha indebolito, Poppy. Deve mangiarne un po’ per riprendersi» insistette lui.
«Merlino! Ne ha mangiato così tanto che potrebbe far rinvenire un drago!»
Quando Harry ritornò nella ‘sua’ stanza trovò un messaggio da parte di Sirius sulla scrivania.
 
Harry,
ho chiesto a Silente se potevamo vederci, ma lui ha insistito che rimanessi a Grimmauld Place. Non mi permette di uscire da questa dannata casa. Mi dispiace per quello che ti è successo. Siamo rimasti tutti sconvolti quando l’abbiamo saputo. Molly non riesce a smettere di piangere e Ron e Hermione sono più preoccupati che mai. Spero che tu stia bene ora. So che la tua sistemazione con Piton non deve piacerti granché. Nemmeno a me piace. È l’idea più stupida che Silente abbia mai avuto quella di affidarti al pipistrello. Ma come ben sai può diventare irremovibile quando si mette in testa qualcosa. Ho cercato di fargli cambiare idea, ma inutilmente. Scrivimi per qualunque cosa, soprattutto se Piton ti dà dei problemi. Ne parlerò io con Silente.
A presto,
Felpato
 
Harry si affrettò a scrivere una risposta, assicurando tutti che stesse bene e che fino a ora Piton si era comportato abbastanza civilmente con lui. Ebbe un attimo di esitazione quando si mise a scrivere dell’attacco di Voldemort. Evitò i particolari più cruenti per non far impensierire troppo i suoi amici e terminò la lettera con i consueti saluti. Dopodiché liberò Edvige dalla gabbia e le affidò il messaggio.
«Sai dove andare» le mormorò.
 

***

 
«Potter, se ti becco ancora una volta ad uscire dai miei appartamenti senza avvisare giuro che ti chiudo in camera tua per il resto delle settimane a venire, hai capito il concetto o non sono stato abbastanza chiaro per te?» Gli occhi di Piton lampeggiavano dall’ira. Se ne stava in piedi a una ventina di centimetri da Harry. Il giovane Grifondoro si sentiva sopraffatto da quella figura così alta e colma di disprezzo.
«Le ho detto che mi dispiace!» ripeté Harry, ancora una volta.
«Non ho bisogno delle tue scuse! Ho bisogno di accertarmi che tu non esca più da qui senza essere accompagnato!»
«Era una cosa da poco! Dovevo solo salire di un piano per raggiungere la prima finestra e liberare Edvige!»
«Dimmi, hai ascoltato qualcosa di quello che ti ho detto ieri riguardo la tua sicurezza personale o hai semplicemente evitato di starmi a sentire? Ma perché mai continuo a sorprendermi? Dopotutto sei il figlio di Potter…»
«L’ho ascoltata, certo! Ma non credevo che uscire da qui per due minuti sarebbe stato un problema per lei!» urlò Harry con un tono fin troppo acuto.
«Non alzare la voce con me!»
«Ma lei lo fa con me!»
«Sono il tuo insegnante, Potter»
«E con questo? Non ha alcun diritto di urlarmi contro!»
Piton chiuse per un attimo gli occhi e sospirò, cercando di calmarsi. «Non voglio discutere con te. Vai in camera tua e fa quel diavolo che ti pare. Soltanto non uscire da lì»
«Lei non è mio padre! Non può dirmi di andare in camera mia!»
«Potter, ti scongiuro, abbassa i toni e datti una calmata» sentenziò, rabbioso.
«È colpa sua se…»
«Taci» ordinò lui. Alzò un dito contro il ragazzo, minaccioso. «Questa convivenza è già abbastanza dura da accettare. E metterci a litigare non risolve la questione. Potter, tu sei uscito senza il mio permesso e per giunta senza un accompagnatore. Non posso permettertelo, capisci?»
«Sono costretto ad avere una balia ovunque vado, dunque? È assurdo!» si lamentò.
«Non mi serve la tua opinione a tal riguardo. Queste sono le regole e tu non hai il diritto di commentarle, tanto meno di infrangerle. Silente vuole che tu stia al sicuro e io lo accontenterò in tutto e per tutto perché mi piacciono le cose fatte bene, d’accordo? Non voglio rischiare che il Signore Oscuro ti uccida perché non ero nei paraggi»
«D’accordo! Come vuole! Mi sembra ridicolo, però! Non ho tre anni!»
«Oh, grazie per avermelo ricordato. Talvolta lo dimentico, sai?»
Harry sentì la rabbia crescere dentro di sé. Quel uomo lo avrebbe fatto impazzire!
«Hai finito di urlare, ora?» chiese Piton, evidentemente divertito dallo stato d’ira in cui Harry si trovava.
«Sì!» esclamò lui, sprezzante.
«Sì, signore» gli ricordò Piton, sollevando un sopracciglio, desideroso di scoprire come avrebbe reagito il ragazzo a quel punto.
Harry lo fissò dritto negli occhi, sfidandolo. Digrignò i denti e rispose: «Sì, signore» 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


 
Nota dell’autrice: Lo so, farmi viva dopo così tanto tempo è davvero vergognoso, ma… meglio tardi che mai, dico bene? Mi dispiace avervi fatto attendere tanto a lungo. Ho avuto un periodo un po’ strano, a dire il vero. E non riuscivo ad andare avanti con questa storia. Ma siccome non mi piace lasciare le cose in sospeso e voglio mettere la parola fine su ogni cosa che faccio, anche questa storia deve avere una conclusione appropriata. Quindi… non posso fare altro che continuare a scriverla, no? Buona lettura e ancora una volta; perdonatemi!
 
_____________________________
 
La più insopportabile delle noie incominciò a far parte della vita di Harry. Non era una di quelle noie di passaggio, assolutamente puerili e di poco conto. No. Era perennemente presente, sempre a incalzarlo e a ricordargli quanto sia diversa la vita ad Hogwarts sotto le cure del dannato pipistrello. A dire la verità non si potevano definirle “cure”, in quanto il professore non faceva altro che ignorarlo per tutto il giorno, accennando parola solo quando era strettamente necessario. Perciò quelle giornate dominate dal più muto dei silenzi divennero estenuanti per Harry. Sentiva la solitudine opprimerlo ogni istante e la nostalgia che provava per i suoi amici era pressoché palpabile. Scrisse spesso lettere a Ron e Hermione, raccontando ogni minimo particolare di quella sistemazione temporanea assieme al professore di pozioni.
 
“Passo più tempo in biblioteca di quanto vorrei ammettere. Sto diventando come Hermione e la cosa mi spaventa”
 
Disse in una lettera a Ron dopo quattro giorni di permanenza. Desiderava ardentemente ritornare dai suoi amici, soprattutto da Sirius, che in quel momento il giovane Grifondoro sentiva fortemente la sua mancanza. Si sentì quasi male quando realizzò che lo avrebbe rivisto appena d’estate. Era così ingiusto da parte di Silente avere tolto loro il tempo insieme. Un tempo prezioso che non sarebbe più tornato. Ma Harry dovette ammettere a se stesso che non era colpa di Silente, ma di Voldemort, colui che gli aveva strappato via tutto, a incominciare dei suoi genitori. In quei giorni sognò frequentemente sua madre, Lily, dall’aspetto così dolce e sereno. Gli sussurrava parole difficili da comprendere, eppure lo faceva con estrema gentilezza. Le sue labbra erano sollevate in un sorrisetto amorevole. Certe volte si immaginava come sarebbe stata la sua vita con lei e James. Si immaginava mentre si alzava la mattina e scendeva in cucina, dove avrebbe trovato i suoi genitori, ancora completamente assonnati, dietro il tavolo da pranzo. Lily gli avrebbe augurato il buongiorno e suo padre avrebbe fatto un cenno con la mano, distratto dal giornale che stava minuziosamente leggendo. Chissà se sua madre di sarebbe abbandonata ad un momento di improvvisa affettuosità e gli avrebbe stampato un bacio sulla guancia. Oppure magari suo padre si sarebbe sporto verso di lui e gli avrebbe scompigliato i capelli arruffati con una carezza. Era durante quei sogni ad occhi aperti che Harry si rendeva conto di quanto poco li conoscesse. Era difficile fantasticare e immaginarsi la scena nella sua mente quando non sapeva praticamente nulla di loro. Che cosa mangiava sua madre di mattina? Le piacevano i pancake? O preferiva mangiare cibi salati? Magari adorava il caffè. O forse era il tè? E a suo padre? Faceva colazione la mattina o la saltava? Quali erano le sue abitudini appena sveglio? Ma d’altronde c’erano tante altre cose che ignorava… il loro modo di vestire, di comportarsi, di parlare. Qual era il colore preferito di suo padre? Quali erano gli autori preferiti di sua madre? Il genere di musica che ascoltavano? E i loro desideri? I loro progetti per il futuro? Dove si erano sposati e con chi avevano festeggiato? E che cosa aveva provato sua madre quando aveva saputo di essere incinta di lui? Gli avevano mai sussurrato di volergli bene, di amarlo, benché troppo piccolo per capire?  
Non li conosceva per niente e mai lo avrebbe fatto. Erano morti. E quella loro assenza recava a Harry un vuoto nell’animo. Così profondo da lacerargli il cuore.
Una notte si ritrovò in lacrime dopo un sogno raffigurante sua madre. Non era stato un incubo. Piuttosto era stata la commozione di averla vicino a farlo piangere. Era la consapevolezza di non poterla avere accanto realmente a intristirlo. Avrebbe tanto desiderato annegare in quei sogni e non svegliarsi mai più. Si ritrovò quindi bagnato di lacrime e singhiozzante, incapace di calmarsi. Cercò immediatamente la sua bacchetta e scagliò un incantesimo per non farsi sentire da Piton. Certamente non voleva mostrarsi a lui in quello stato pietoso, del tutto stravolto e debole. Non avrebbe saputo come affrontarlo in tale occasione.
«Potter»
Una voce profonda e intensa lo fece riemergere dai ricordi. Non era più nel suo letto. No…tutto ciò era accaduto la notte scorsa. Harry si ritrovò nello studio di Piton, grondante di sudore e di lacrime non trattenute. Piton era dinanzi a lui e lo stava fissando con quell’espressione indecifrabile.
«Datti un contegno» fece l’uomo, freddo.
C’era una strana luce nei suoi occhi scuri.
«Mi scusi…» Harry si asciugò velocemente il viso con la manica della felpa e evitò lo sguardo del suo professore, mortificato. «Non è normale che accada, vero?»
«Che accada cosa, Potter?»
«Non mi rendo conto che quei ricordi siano già passato. È come se mi immergessi nuovamente in essi, come se dimenticassi che in questo momento sono qui, in questo studio, di fronte a lei»
Piton abbassò la bacchetta e lo scrutò con attenzione. «Questo perché ti abbandoni, non fai nulla per impedirmi di continuare e tutto ciò che fai in quel momento è osservare i ricordi che ti passavano davanti. Sono ricordi ancora molto intensi, molto vividi nella tua mente, perché spesso li rivivi nella tua testa o perché li hai da poco sperimentati. È per questo che non riesci a distinguere il presente dal passato. Ciò che abbiamo visto adesso è accaduto la scorsa notte. È un ricordo recente, ancora ben chiaro nella tua mente. Riesci a capire ciò che intendo?»
«Credo di sì»
«Bene. Vuoi fare una pausa?»
«Non credevo che lei facesse pause» si stupì Harry.
«Infatti. Ma questa volta voglio fare un’eccezione. Sei stravolto»
Harry rimase a bocca aperta. E da quando Piton si preoccupava del suo stato d’animo?
«Non guardarmi così, Potter» lo ammonì il professore, scorbutico. «Ti avverto che non mi serve granché per cambiare idea»
«Non ho bisogno di una pausa, signore. Possiamo continuare» si affrettò a dire il ragazzo.
Piton fece una smorfia poco convinta. «Ne sei veramente certo?»
«Sì»
«Se è così allora riprendiamo. Sei pronto?»
Harry annuì e si aggrappò sui braccioli della sedia prima che Piton scagliasse l’incantesimo. I suoi ricordi gli sfrecciarono dinanzi: gli amici di Dudley che lo minacciavano, Hermione pietrificata, Dobby nella sua stanza a Privet Drive, Hagrid che gli diceva di essere un mago…
«Sei patetico. Non fai neanche uno sforzo» lo canzonò Piton, interrompendo il contatto.  
Harry aggrottò la fronte e si accasciò sullo schienale. «Sono un caso perso, è tutto inutile»
«Non accetto lamentele da parte tua. E non ti permetterò di mollare adesso quando ho già perso ore intere per farti da insegnante»
«Ma per quanto ci provi non funziona mai e molto probabilmente per colpa…»
A quella frase Piton sollevò un sopracciglio, sarcastico. «Mia? Ma certo, Potter! E lo sai perché? Perché continui a pensare a chi hai di fronte invece di concentrarti. Ti senti a disagio perché riesco a vedere ogni tuo pensiero, ogni tuo ricordo. Cosa credi? Che con il Signore Oscuro è diverso?»
«Magari se il professor Silente accettasse di farmi da insegnante lui…»
«No. Lasciare il Preside che ti insegni sarebbe del tutto sbagliato. Ti fidi ciecamente di lui e non ti preoccuperesti minimamente su quali dei tuoi ricordi andrebbe a scavare»
«Non è così. E comunque per quanto riguarda Voldemort: sono riuscito a resistergli -e a lungo!-, se ben ricorda. Ma con lei mi sembra impossibile!»
«L’attacco del Signore Oscuro è stato violento, lo ammetto. Ma in quel momento è stata la paura stessa ad aiutarti»
«La paura?»
«Sì, Potter. La paura produce adrenalina e queste due combinate insieme garantiscono in varie occasioni la sopravvivenza. Quando il Signore Oscuro ha attaccato la tua mente eri spaventato e in qualche modo sei riuscito a contrastarlo perché l’adrenalina ha preso il sopravvento su di te e ti ha reso più forte di quanto fossi in realtà. Ora invece la situazione è diversa. Sai che non ho alcuna intenzione di recarti danno, perciò ti senti rassicurato e non provi paura verso i miei confronti. Ma tutto ciò non è un valido motivo per non impegnarsi, Potter. Il tuo è l’atteggiamento più errato che potessi assumere»
«Ma non è vero! Io ci provo!»
«Non abbastanza!»
«Se lei non mi dice come fare è naturale che non riesca a giungere ad alcun risultato, professore!» sbottò il ragazzo, irato.
«Te l’ho già detto: ognuno ha il suo metodo. Non sta me a dirti il tuo. Lo devi scoprire da solo»
«Magari non ho un metodo! Magari non sono portato per questa cosa!»
«No, Potter, tutti possono apprendere l’Occlumanzia, persino una testa di legno come la tua. Certe volte mi domando come riesci a convivere con una mente tanto testarda»
«Non sono testardo!» intervenne Harry, non volendo farsi mettere i piedi in testa dal professore. Ma si rese ben presto conto che quel commento frettoloso era simile a un commento che avrebbe fatto un bambino di cinque anni.
Piton ghignò, divertito. «Adesso basta, non perdiamo altro tempo. Mi aspetto che questa volta ci provi davvero, Potter. Contrastami così come hai fatto con il Signore Oscuro. Voglio sentirti lottare. Legilimens!»

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***



Capitolo 21

 
Harry era costantemente sfinito, benché non facesse granché durante il giorno, a parte “apprendere” l’Occluamnzia. Aveva incominciato a frequentare la biblioteca più di quanto avesse fatto in cinque anni. Riteneva quel posto il più sicuro per sfuggire alle occhiate torve di Piton.
Madama Pince teneva sempre il naso incollato ad un libro e non prestava attenzione al ragazzo, perciò quest’ultimo poteva bearsi della tranquillità e della curiosa familiarità che donava quella vasta sala. Persino Piton era rimasto accigliato dalla strana voglia da parte del ragazzo di stare in biblioteca tanto a lungo. Eppure Harry ignorava prontamente quei commenti sprezzanti e si rintanava nell’ampia aula per ore, camminando tra gli scaffali colmi di libri, leggendone i titoli e sfogliandone alcuni. Aveva casualmente trovato un libro di incantesimi piuttosto interessanti. Poiché Madama Pince si sarebbe sicuramente infuriata se avesse incominciato a sperimentare gli incantesimi in biblioteca, aveva quindi portato il manuale in camera sua. Fu dietro la piccola scrivania che incominciò ad esercitarsi, leggendo attentamente ogni passaggio e cercando di tenere a mente i suggerimenti fondamentali.
«Avis» Dalla bacchetta di Harry si sprigionarono uno stormo di uccelli che incominciarono a vorticare nella stanza, sbattendo le ali con forza e cinguettando sonoramente. Si rese presto conto che Piton avrebbe udito tutto quel fracasso, così annullò immediatamente l’incanto. Doveva fare attenzione. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe reagito Piton se sarebbe venuto a conoscenza delle sue innocenti esercitazioni. E sicuramente non lo voleva scoprire né ora né mai.  Tuttavia quando si mise a praticare un incantesimo particolarmente difficoltoso, accade un vero e proprio disastro. Infatti pronunciò l’incanto in latino piuttosto male, storpiando il suono e rendendolo del tutto errato da come avrebbe dovuto essere. Gli oggetti posti sulla scrivania si cannonarono in aria, andando a colpire con violenza il soffitto e cadendo a terra con un tonfo assordante. Il manuale di incantesimi andò a sfracellarsi sulle ante dell’armadio e rimase magicamente incollato a esse. La scrivania d’altro canto si spezzò in due, con un boato terribile. Harry si ritrovò con la bacchetta ancora sollevata tra le dita, con la bocca spalancata dallo stupore e una crisi di nervi pronta ad attanagliargli le viscere. Era nei guai.
«Potter! Hai dieci secondi per prepararti a una spiegazione adeguata!»
Harry udì gli ampi passi di Piton raggiungere la porta chiusa di camera sua e aprirla con un cigolio. Il professore si piazzò davanti a lui, imponente grazie a quella sua figura alta e minacciosa. Harry si affrettò a nascondere la bacchetta nella tasca posteriore dei suoi jeans e restò in un perfetto silenzio, sigillando le labbra per non tradirsi da solo. Piton era troppo bravo a capire quando mentiva.
«Spiegati. Adesso» fece il Maestro di Pozioni, deciso.
Ma poiché parve che il giovane non volle aprir bocca l’uomo si fece impaziente. «Incomincia a parlare o ti ritroverai in guai ancora più seri»
«Non volevo» si scusò il giovane, scrollando le spalle e abbassando lo sguardo. Era sinceramente dispiaciuto e Piton lo notò chiaramente.
«Lo spero bene, Potter, però è accaduto e voglio conoscerne la ragione»
«Sto imparando nuovi incantesimi. Ho trovato un manuale in biblioteca e mi è parso piuttosto interessante. Mi dispiace, signore, non era mia intenzione fare questo macello…»
A quel punto Piton notò il libro incollato sull’armadio e con un lieve gesto della bacchetta lo staccò. Il libro scivolò verso il pavimento, ma il professore lo afferrò al volo, evitando che cadesse per terra.
«Incantesimi per ogni occasione, prima parte: incanti ornamentali» lesse il titolo. «Bene, ora ho la conferma che ti stai decisamente annoiando»
«Alcuni di quegli incantesimi sono piuttosto utili» si difese Harry.
«Certo» rispose ironicamente Piton, sollevando gli occhi al cielo. «Magari potrei consigliarti una lettura più stimolante? Più fruttuosa?»
«Non saprei…» Lui e Piton non avevano esattamente la stessa idea di stimolante. Se lo immaginò mentre gli consegnava un manuale sui malocchi e sulle maledizioni. Anche se, doveva ammettere, non sarebbe stato poi così male.
«Ti farò avere un paio di manuali nelle prossime ore e deciderai che cosa farne. Tuttavia non voglio che fai pratica in questa stanza. È troppo piccola e, conoscendo le tue scarse abilità nell’apprendere cose nuove, potresti farti seriamente male. Perciò se hai ancora l’intenzione di continuare sarà meglio se lo fai in salotto. Non ti disturberò, né entrerò nella stanza mentre ti eserciti se la mia presenza ti reca disturbo»
Quell’improvvisa gentilezza meravigliò Harry che si limitò ad annuire e ringraziare. Piton allora si rivolse verso la scrivania spezzata in due e, con un incantesimo non verbale, riparò e mise a posto la camera da letto.
Quando se ne andò e lo lasciò a se stesso, Harry si rese conto che il professore non si era comportato come si era aspettato. Non era stato il Mangiamorte spietato, irato e per nulla indulgente, anzi… era stato comprensivo e lo aveva persino incitato a continuare.
Non si era beccato neanche una punizione per aver fatto saltare la camera in aria!
Ad ogni modo questo non fu l’unico pasticcio in cui si cacciò. In effetti fu solo uno dei primi.
Il pomeriggio seguente, dopo la fine della lezione di Occlumanzia, Piton gli consegnò i due manuali che gli aveva promesso: Incantesimi di difesa, di Martha Bones e Incantesimi: come distrarre un avversario in duello?, di Agatha Dickinson.
«Ah, la signorina Granger a quanto pare ti hanno mandato una lettera. Tieni»
Harry, sebbene incuriosito dalla lettera di Hermione, incominciò d’opprima a sfogliare uno dei due manuali. Fu una lettura così appassionante per Harry che si ritrovò immerso nelle pagine di quei libri, dimenticandosi del resto. Neanche notò Piton, che si era messo su una poltrona nell’angolo più lontano del salotto, intento a leggere la Gazzetta del Profeta, in perfetto silenzio. Dopo una ventina di minuti l’uomo ripose il giornale e il rumore dei fogli fece riscuotere Harry, intento a mormorare a bassa voce un incantesimo di protezione. Sollevò gli occhi e sobbalzò dalla sorpresa, rendendosi conto della presenza di Piton. Sorprendentemente però non gli recò alcun fastidio averlo lì e così abbassò nuovamente gli occhi sulle pagine del manuale. Ma in quel momento si accorse della lettera di Hermione ancora posta sull’estremità del tavolo, perfettamente sigillata e con una scrittura minuta a indicare il suo nome. Si affrettò ad aprirla e dalla busta scivolò un bigliettino.
 
Caro Harry,
Ron e io volevamo farti questo regalo da tempo. Spero ti rischiarisca le giornate.
Hermione
 
Quella decisamente non era la scrittura di Hermione e ci vide immediatamente lo zampino di Fred e George. Conosceva troppo bene le A perfettamente rotonde e le G lunghe e eleganti della sua amica per accorgersi che in quel biglietto non vi erano. Così stette ben attento a dove andava a mettere le mani. Fece ribaltare la busta sul tavolo, evitando di toccare qualsiasi cosa vi fosse all’interno, e sulla superficie di legno cadde uno strano aggeggio ovale. Era poco più piccolo del palmo della sua mano, dai colori sgargianti che ricordavano l’emblema di Grifondoro. Harry osservò l’oggetto con occhio critico, senza decidersi sul da farsi. Si aspettò che accadesse qualcosa, ma poiché l’oggetto in questione rimase lì dov’era, il ragazzo si spazientì. Era prudente toccarlo? Probabilmente no, ma era troppo incuriosito per lasciarlo lì dove stava. Così, senza pensarci troppo, sfiorò con i polpastrelli l’oggetto e questo, d’improvviso, divenne invisibile. Un rumore assordante di scorregge si dileguò in tutto il salotto, orripilanti e forti. Harry rimase imbambolato a fissare il vuoto per un istante, senza reagire. Piton aveva sollevato la testa verso di lui, anch’egli meravigliato. Vide la mortificazione negli occhi del ragazzo. Quando tuttavia lo spettacolo terminò –in una scorreggia acuta-, Harry cambiò atteggiamento e non riuscì più a trattenersi. Scoppiò a ridere di gusto. Rise così tanto che ebbe le lacrime agli occhi. Fu una risata isterica, che ben presto si trasformò in una riderella incontenuta. Infatti non riuscì più a fermarsi. Continuò a ridere e a battere le mani sul tavolo, esaltato. Una lacrima gli sfuggì dagli occhi e scivolò lungo la sua guancia sinistra. Persino Piton parve per un attimo abbandonare quella sua espressione arcigna e lasciarsi andare in un sorrisetto –non un vero e proprio sorriso, ma quelle labbra curve all’insù si avvicinavano molto ad esso-.
«Non è divertente, Potter» sbottò il professore di pozioni, serissimo.
«Mi scusi…» Ma Harry continuò a ridere comunque.
«Per piacere, esci da qui e ritorna quando ti sei tranquillizzato»
Il ragazzo fu costretto a uscire dall’appartamento per non disturbare ulteriormente il professore. Rimase a ridacchiare in corridoio per buoni cinque minuti. Poi rientrò.
«Ti sei calmato?» chiese distrattamente l’uomo.
Vedendo l’espressione seria di Piton a Harry fece venire ancora voglia di ridere, ma si costrinse a non farlo. «Sì, signore. Almeno credo…»
«Che diavolo era?»
«Uno scherzo di Fred e George Weasley, probabilmente di loro invenzione»
«I gemelli Weasley non hanno nient’altro da fare che sprecar tempo per creare queste assurde baggianate?»
«Sono divertenti, fanno ridere la gente»
«Io non ho riso»
«Sì che lo ha fatto. L’ho visto bene, è inutile che lo nega!» dichiarò Harry, insistentemente.
«Signor Potter, so quel che ho fatto e se dico di non aver riso non ho riso»

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22
 


Quel pomeriggio Dobby decise di far visita ad Harry mentre quest’ultimo riposava in camera. Udì il rumore della materializzazione ancor prima che lui apparisse.
«Ciao» lo salutò Harry, gentilmente.
«Harry Potter, signore»
«Come stai, Dobby?»
«Dobby sta bene! Dobby si domandava come stesse lei!»
A quella domanda il giovane Grifondoro sorrise, benevolo. «Oltre al fatto che Piton mi stia rendendo la vita un casino? Sto alla perfezione»
«Dobby pensa che Harry Potter potrebbe stare meglio se la sua camera venisse decorata. Harry Potter sarà più felice in una camera bella»
Ancora con quella storia. All’elfo proprio non andava giù che il ragazzo avesse una camera spoglia e monocolore.
«Anche a me farebbe piacere. Ma Piton non sarà dello stesso parere, capisci?»
«Ma questa è la stanza di Harry Potter, non del professor Severus Piton, non pensa, signore?»
 Harry annuì, distratto dal manuale di incantesimi di Piton che stava leggendo. Dobby a quella reazione gioì. Un ampio sorriso si allargò sulla sua bocca. «Allora Dobby ha il permesso di decorare la stanza di Harry Potter?»
«No, Dobby» si affrettò a dire Harry. Pronunciò quelle parole in modo troppo duro e vide svanire in un lampo quella felicità diffusasi sul volto dell’elfo.
«No?» Il suo fu un sussurro pietoso, colmo di tristezza e delusione.
A quella vista Harry non poté essere indifferente. Provò un’improvvisa pena per Dobby, il quale desiderava soltanto aiutarlo e dargli una permanenza più serena a Hogwarts. Harry ci pensò su per un attimo. Di sicuro Piton non avrebbe potuto negargli qualcosa di così innocuo.
«D’accordo, sì. Ma con moderazione e soprattutto discrezione, Dobby. Capito?»
«Sì! Sì! Certamente, signore! Grazie, signore!»
Fu così che l’elfo scomparve, più estasiato che mai. Subito dopo Harry si pentì di averlo fatto, ma non poteva negare di essere felice di aver accontentato Dobby e di averlo reso così gioioso.
Dobby non si fece vedere per tutto il resto del pomeriggio. Harry era piuttosto preoccupato per la cosa, ma si decise a non pensare al peggio. All’ora di cena Piton lo venne a chiamare e consumarono il pasto in cucina, in un perfetto mutismo. Era alquanto imbarazzante a dirla tutta. Harry era troppo abituato ai chiacchiericci concitati dei Weasley, al brusio della Sala Grande e, perché no, anche al continuo parlare di zia Petunia o dell’assordante rumore della televisione che spesso Dudley accendeva durante i pasti. Ma quel completo e pesante silenzio che si creava tra di loro era qualcosa a cui Harry non era pressoché abituato. Il tintinnio delle posante, il rumore inevitabile delle loro bocche che masticavano, lo scricchiolare delle sedie ad ogni loro movimento era…opprimente. E poi non poteva mancare lo sguardo penetrante del pipistrello, così poco rassicurante e analizzatore. Harry si sentiva così a disagio che non alzò mai - per tutta la durata della cena - gli occhi in quelli di lui. Si sentì molto sollevato quando finalmente terminarono di mangiare e poté alzarsi per ritornare o meglio, fuggire, in camera. Non appena spalancò la porta però trovò la stanza completamente cambiata. Arazzi grandiosi, rossi e oro, con lo stemma del leone al centro, dominavano la scena. Erano appesi per tutte le quattro pareti  della camera da letto. Ma non finiva qui: striscioni con su scritto il motto di Hogwarts “Draco Dormiens Nunquam Titillandus”, bandiere Grifondoro appese su ogni centimetro delle mura, riempendo i buchi lasciati dagli arazzi. E non poteva mancare un copriletto rosso scarlatto, con delle elegantissime cuciture d’oro. Harry fissò la stanza con il cuore in gola per quello che avrebbe potuto dire Piton se lo avesse scoperto. Corse immediatamente dentro e cercò di togliere tutto in fretta e furia. Tuttavia pochi istanti dopo, Harry venne sorpreso dalla figura scura del professore che se ne rimase sull’uscio della stanza con un’aria orripilata.
«Ti diverti a prendermi in giro, Potter?» domandò lui, furioso.
«No…»
«Lo fai per sfidarmi, per caso? Perché ti avverto, non è per niente saggio da parte tua»
«Non è colpa mia!»
«Oh, non osare! Far ricadere le colpe sugli altri è sempre stato il passatempo preferito di tuo padre. Ora posso notare che la cosa si è tramandata da padre in figlio»
«Che cosa…? Signore, le giuro che è così. Non sono stato io ad appendere queste decorazioni»
«Smettila! Se non vedo quella roba sparire dai miei alloggi entro cinque minuti ti faccio scrivere un tema di tre metri su Godric Grifondoro. E credimi, pretenderò i minimi dettagli, il che significa che dovrai passare il resto delle vacanze in biblioteca a cercare aneddoti e spezzoni di biografia»
«Lo faccio subito. Tolgo tutto»
Piton se ne andò, ancora irato. A Harry fece dolere il cuore strappare via dalla parete tutte quelle meravigliose - sebbene un po’ eccessive - decorazioni. Avrebbe tanto desiderato decorare la sua camera a Privet Drive in quel modo, ma anche lì i Dursley non volevano alcun segno della sua esistenza e doveva limitarsi ad avere una camera da letto decisamente troppo banale.
Il mattino seguente Harry ebbe una straziante voglia di uscire all’esterno. Ma sapeva che Piton non glielo avrebbe mai permesso. Non sentiva la brezza frizzante sfiorargli il viso da giorni, ormai, e ne aveva abbastanza di quella camera angusta e di quella dannatissima biblioteca. Se solo Hermione lo avesse sentito dire così lo avrebbe ammazzato, garantito. Ebbene non era facile sopportare quella vita da reietto, imprigionato negli appartamenti di Piton, quando al di fuori c’era un intero castello da esplorare. Gli sarebbe benissimo bastata la Sala Grande, dove vi veniva rappresentato l’esterno sul soffitto, ma neanche la Sala Grande gli era concessa. Piton non amava consumare i pasti là, perciò se ne restavano tutti e due negli alloggi.
La lezione di Occlumanzia procedette come al solito. Piton gli diceva di respingerlo, ma più il suo tono si faceva insistente, più Harry cedeva, colto da un’improvvisa rabbia verso quell’uomo tanto indiscreto. Infatti egli non si limitava soltanto a incitarlo a fare di meglio (quello Harry lo avrebbe certamente accettato). No…Piton si lasciava andare in insulti sprezzanti e privi di ogni riguardo verso i suoi confronti. Era una cosa che Harry proprio non sopportava e, come previsto, lo distraeva completamente dal suo compito durante le lezioni. Piton scrutava dentro i suoi ricordi, scoprendo ogni minimo particolare della sua vita. Era come rivelarsi al proprio acerrimo nemico. Ma no, il suo acerrimo nemico era Voldemort, anche se Piton gli si avvicinava parecchio. Se fosse stato Silente a insegnargli l’Occlumanzia sarebbe stato molto più dedito e concentrato. Con Piton invece stringeva i denti ogni qualvolta compariva un ricordo intimo, non gradito. Tentava di scacciarlo in tutti i modi dalla sua testa, ma inutilmente. Piton era troppo forte. 
Dopo pranzato Harry ne aveva abbastanza di starsene rinchiuso in quegli appartamenti bui e privi di finestre (eccetto quelle artificiali, ma che a Harry parevano comunque finte). Così si fece coraggio e irruppe nell’ufficio di Piton, dove quest’ultimo se ne stava dietro la sua scrivania, intento a scrivere non si sa bene cosa, poiché le lezioni erano sospese ed era periodo di vacanze.
«Posso uscire?» domandò il giovane ragazzo, andando direttamente al punto.
Piton non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo e continuò a fare quello che stava facendo. «Oggi è domenica, dubito che Madama Pince sia in biblioteca»
«Non voglio andare in biblioteca» dichiarò Harry, prontamente.
A quel punto Piton alzò gli occhi verso di lui e lo penetrarono in profondità. «E dove vorresti andare?»
«Fuori, in giardino. Sono qui da quasi una settimana e non ho ancora avuto l’occasione di salutare Hagrid»
Il professore sospirò, seccatamente. «Tutto qui? è solo questo ciò che di disturba?»
«No, non è solo questo. Non so lei, ma io non riesco a starmene rinchiuso dentro casa per giorni consecutivi. Voglio fare un giro. Mi manca l’aria aperta»
Piton scosse la testa, esasperato. «D’accordo Potter. Usciamo. Ma rimarrai accanto a me e non scorrazzerai per il giardino dove ti pare e piace, è chiaro?»
«Conosco le regole, professore» Sorrise Harry, compiaciuto.
Harry si affrettò ad andare a prendere sciarpa e cappotto e a infilarsi gli stivali di pelle per affrontare la neve. Piton era già pronto quando si avviò verso l’ingresso dell’alloggio. Indossava, come suo solito, un lungo mantello nero che gli scendeva fino alle caviglie e degli stivali lucidi dello stesso colore. Camminarono lungo il corridoio senza parlare, salendo le scale e dirigendosi verso la Sala d’Ingresso.
«Potty e Snivellus
vanno a passeggiare,
guarda quanta neve c’è,
non li posso invidiare!»
Pix si lasciò andare in un gridolino acuto e, prima che Piton ebbe il tempo di lanciargli qualsiasi maledizione, fuggì a gambe levate. L’uomo digrignò i denti e evitò lo sguardo di Harry, come se quella banale provocazione lo avesse sconvolto nel profondo.
«È solo Pix, non è niente» mormorò Harry. Poi si meravigliò di averlo fatto. Cos’erano? Parole di conforto? Per Piton?
Non appena furono all’aria aperta, Harry si dovette stringere nel cappotto. Un venticello glaciale gli penetrò fin dentro le ossa e sentì un brivido di freddo attanagliargli le viscere. Nevicava. Piton continuò ad avanzare, indifferente. Ma quando Harry lo seguì ben presto si ritrovò con le ginocchia affondate nella neve, incapace di camminare. A guardare Piton pareva come se stesse fluttuando sulla superficie della neve fresca, senza sprofondare. Doveva trattarsi di un incantesimo, era ovvio.
«Muoviti, Potter, non ho tutto il giorno» ghignò Piton, osservandolo mentre tentava di farsi strada tra quell’ammasso di neve. Ad un tratto Harry perse l’equilibrio e cadde, infossandosi quasi. Si ritrovò con i vestiti bagnati e le scarpe colme d’acqua. Forse non era stata un’idea così brillante quella di uscire. Il freddo incominciò a farsi strada in lui solo dopo pochi minuti e Piton sembrò deliziato alla visione di Harry che arrancava faticosamente. Si soffermava ad osservare la scena con un luccichio divertito negli occhi e un’espressione allietata per burlarsi di lui.
«Sbrigati» gli intimò nuovamente. «La capanna di Hagrid è ancora lontana»
Harry in quel momento lo odiò. In quei giorni di stretta convivenza il disprezzo nei confronti del professore di pozioni sembrò essere diminuito, ma in quel momento ricomparì improvvisamente. Vederlo mentre ghignava e cercava di non mostrarsi troppo divertito per quella situazione a Harry fece stringere i pugni per la rabbia. Quando però Piton ne ebbe abbastanza e il gioco lo annoiò, si affrettò a sfilar fuori dalla tasca interna del mantello la lunga bacchetta e a puntarla verso Harry.
Con il cuore in gola Harry serrò gli occhi, spaventato. Non gli piaceva mai quando Piton alzava la bacchetta su di lui. Pareva dover succedere sempre qualcosa di brutto.
«Potter?»
«Professore?» chiese Harry in un soffio impaurito.
«Vogliamo andare?»
Sembrava mortificato? Ma a Harry, dopo pochi istanti, gli parve di esserselo solo immaginato, perché l’aria dura di Piton non dimostrava alcuna emozione. Si sorprese quando si rese conte che era in grado di poggiare i piedi nella neve senza affondare. Gli sembrò come fluttuare su quella superficie morbida e bianca. Corse fino a raggiungere Piton e si mise accanto a lui, sentendosi grato per quell’aiuto da parte sua.
«Qual è l’incantesimo?» domandò, eccitato.
«La formula è “nix”. Devi puntare la bacchetta sul soggetto desiderato e fare un movimento rapido verso sinistra, così» Piton gli mostrò come fare e Harry tirò fuori la sua bacchetta dalla tasca dei pantaloni per imitare i suoi movimenti.
«E il controincantesimo?»
A quel punto Piton puntò la bacchetta dritto su di lui e pronunciò: «Mergo»
Harry si vide sprofondare nuovamente nella neve e ridacchiò, poiché preso alla sprovvista. «Ho capito…Mergo!»
«Potter!»
L’urlo di Piton sovrastò la quiete del giardino e la risata incontrollata di Harry lo seguì. L’uomo era sprofondato mezzo metro e si ritrovò a dover inerpicarsi con una smorfia rabbiosa fuori da quel pantano.
«Dovevo vendicarmi! Mi dispiace, professore!» si scusò Harry, ancora scosso dalle risate.
A quel punto Piton alzò nuovamente la bacchetta su di lui e un’ondata di neve gli finì in faccia per farlo zittire. Harry, boccheggiante e stupito, si asciugò il viso con la manica del cappotto e lo fissò, a bocca spalancata. Fu in quel preciso istante in cui Harry vide per la prima volta Severus Piton sorridere. E non era un sorriso strano, come aveva creduto che fosse, anzi, era del tutto naturale e piacevole da vedere.
«Non è giusto! Parto svantaggiato! Non conosco incantesimi per sparare palle di neve!» si lamentò Harry, chinandosi per terra per prendere un po’ di neve con le mani.
«Non è colpa mia se non presti attenzione alle lezioni di Incantesimi, Potter. E, ti avverto, smettila immediatamente di fare ciò che stai facendo»
Infatti Harry aveva già formato quattro palle di neve, pronte a essere lanciate.
«Non è colpa mia, ha incominciato lei!» Detto questo Harry prese la mira e andò a colpire la spalla destra del professore.
«I tuoi sforzi sono del tutto inutili, Potter. Stai incominciando una guerra che sai già di dover perdere»
E infatti poco dopo Harry si ritrovò schiacciato da tutte quelle palle di neve che lo andarono a colpire con insistenza. Piton se ne restò a guardare mentre il giovane cercava di schivarle e a correre via. Ma queste, grazie alla magia, lo seguivano come fossero missili.
«Okay, okay, mi arrendo!» gridò Harry, ansimante. «Ha vinto lei!»
A quel punto Piton si fermò e scrutò il ragazzo con attenzione. «La prossima volta saprai che è meglio evitare la vendetta contro di me» scherzò l’uomo, con un cenno della testa.
Harry venne scosso da un tremore violento e l’uomo lo notò visibilmente. Si avvicinò a lui, gli fu così vicino che Harry si sentì a disagio. Arretrò, ma Piton lo trattenne per un braccio.
«Sta fermo» gli intimò. La sua stretta ferrea gli impedì di indietreggiare e così si abbandonò a lui. «Non ti faccio niente» lo rassicurò il professore, tranquillamente.
Gli appoggiò la bacchetta sul petto e mormorò qualcosa a bassa voce. Harry fu asciutto in un batti baleno e un calore tiepido incominciò a emanare dai suoi vestiti, per tenerlo al caldo.
«Grazie…» sussurrò Harry, imbarazzato.
Piton lo guardò dritto negli occhi per un istante. Un luccichio curioso si fece largo in quello sguardo nero.
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23
 

I due proseguirono ed Harry si sentì stranamente sereno in compagnia del suo professore di pozioni. Camminò spedito di fianco a lui e si guardò intorno. La straordinaria bellezza che Hogwarts donava sotto la coltre di neve toglieva il fiato. Il Lago Nero, dalla superficie ghiacciata, emanava curiosi bagliori alla luce di quel sole pallido, celato da delle nuvole biancastre.
I due videro la capanna del Guardiacaccia sbucare dalla neve. Il caminetto fumante, le finestre ben sprangate per evitare che il freddo entrasse in casa. A Harry era sempre piaciuto incamminarsi fino ai confini della Foresta Proibita, poiché sapeva che in quel luogo vi viveva un uomo dal cuore buono.
Harry si apprestò a bussare alla porticina di legno, con un sorriso stampato  sulla faccia.
«Un secondo!» urlò la voce di Hagrid all’interno della capanna. I due fuori dalla porta udirono i suoi passi da gigante andare su e giù per la casa, fino a raggiungere l’entrata.
Quando la porta si spalancò un uomo dall’aspetto mostruoso comparve. Harry, con un ampio sorriso, lo guardò senza neanche un briciolo di paura. «Hagrid!»
«Harry, che piacere vederti!» fece il gigante dalla barba ispida e la chioma scura. «Vieni dentro, su, che si gela!»
Harry entrò nella capanna e subito dopo venne assalito da Thor, che gli mise le zampe anteriori sulle spalle e incominciò a leccargli le guance con foga. Harry ridacchiò e cercò di scrollarselo di dosso, invano.
«Thor, smettila! Basta, basta! Lascia stare il povero Harry…» gli ordinò Hagrid, ma a quanto pareva il cane non ne voleva sapere. La sua lunga lingua andò a leccargli persino dentro le orecchie e allora Harry incominciò a soffrire il solletico.
«Thor!» esclamò, allegramente. «Nooo!»
Quando il cane si stufò di fargli le feste andò a risistemarsi sotto una grossa panca, stiracchiandosi e osservando distrattamente i nuovi ospiti.
«Professor Piton, signore» salutò Hagrid l’uomo con il mantello nero. «Come procede la vita al castello?»
«È sopportabile» rispose Piton, arcigno. «Scusa se ti rechiamo disturbo, ma il signor Potter qui presente ha voluto farti visita»
«Nessun disturbo!» parlò Hagrid con quella vociona grossa. «Accomodatevi pure! Preparo immediatamente il tè così potete riscaldarvi!»
Naturalmente Hagrid non aveva idea che Harry e Piton fossero stati tenuti al caldo per quasi l’intero tragitto dall’incantesimo che il professore aveva lanciato su entrambi. Lo sentì ancora in azione. Era come venir immersi in un bagno bollente. Ma grazie al calore che vi era nella capanna di Hagrid l’incantesimo si affievolì pian piano.
«Brutta storia quella dell’attacco di Tu-Sai-Chi, eh, Harry?» Hagrid era intento a mettere sul fuoco il bollitore e a prendere fuori dalla dispensa un vassoio dei suoi biscotti rocciosi.
«Sì» rispose il ragazzo, annuendo.
«Meno male che c’era il professor Piton assieme a te, mmh? Pensa a che brutta fine avresti fatto se non ci fosse stato lui!»
Harry scoccò un’occhiata a Piton, un po’ titubante. Non ci aveva mai pensato, a dire la verità. Piton ricambiò il suo sguardo, fermo e distaccato. «Già. Una vera fortuna»
Piton strizzò gli occhi, non capendo se quel commento da parte del ragazzo voleva essere ironico o sincero. Ma dopo un po’ lasciò perdere e ritornò a fissare fuori dalla finestra, decisamente annoiato a starsene lì in presenza del Guardiacaccia e del ragazzino Prescelto.
«Non immagino neanche quanto potesse essere stato difficile per lei, professore!» continuò a dire Hagrid, conciso.
Piton scostò impercettibilmente il volto verso il gigante e si limitò a fare un cenno con la testa.
«Silente mi ha detto che Harry frequenta delle lezioni con lei, signore…qualcosa come…Occalu…Oculu…»
«Occlumanzia» lo corresse Piton.
«Ecco! E come sta andando?» si rivolse ad Harry.
A quella domanda il ragazzo arrossì un poco. Non sapeva che cosa rispondere in presenza del professore. Cercò il suo sguardo e quando Piton comprese che chiedeva il suo aiuto, sospirò.
«Il signor Potter dovrebbe applicarsi di più se vuole giungere a un risultato rilevante» disse il Maestro di Pozioni, seriamente.
«Sono sicuro che Harry riuscirà a imparare. È molto bravo»
Piton fece una smorfia di dissenso alla parola “bravo” e dopodiché scosse la testa, esasperato.
«Beh, Harry, come sono state le vacanze fuori da Hogwarts? Sai niente del povero Arthur?»
«È ancora al San Mungo, ma si è ripreso quasi completamente. A quanto pare presto sarà rimandato a casa»
«Oh, è un sollievo sentirtelo dire. Ero molto preoccupato, molto preoccupato…»
«Lo eravamo tutti»
«Chissà come si sarà sentita la cara Molly»
«Era distrutta. Non si meritava una tale angoscia»
«Ah» rispose Hagrid. «Nessuno se lo merita, eppure succede»
Il bollitore fischiò e Hagrid si alzò dalla sedia per andare a recuperarlo. Verso l’acqua calda in tre grosse tazze, simili a scodelle e servì la bevanda bollente ai suoi ospiti.
«Attenzione, scotta» li avvertì. «Harry, sembri malaticcio. Mangia un po’, ti farà bene»
Hagrid gli spinse dinanzi il vassoio con i biscotti e, dal momento che non sapeva come dirgli di no, afferrò il biscotto più piccolo che trovò per poi portarselo alla bocca. Quei biscotti avrebbero potuto essere la perfetta scusa per farsi i denti nuovi, poiché masticare sassi non sembrava essere molto diverso. 
Quando i biscotti vennero offerti anche a Piton egli li  rifiutò con gentilezza, immaginando bene la situazione in cui si era cacciato momentaneamente Harry. Osservò il giovane Grifondoro, crucciato. Quest’ultimo stava cercando invano di staccare una parte di biscotto per mangiarlo meglio e assumeva strane espressioni miste tra disgusto e stupore.
Bevvero il tè e chiacchierarono del più e del meno. Anzi, furono soltanto Harry e Hagrid a parlare, mentre Piton ignorò la conversazione per la maggior parte del tempo. Hagrid tentava in qualche modo di coinvolgerlo nel discorso, ma questi rispondeva a monosillabi o addirittura solamente con qualche gesto del capo. La cosa, per quanto prevedibile, terminava lì.
Dopo un’ora Harry si rese conto di quanto si sentisse inappropriato Piton in quel posto, così si affrettò a chiudere la conversazione con Hagrid e a salutarlo calorosamente, augurandogli di trascorrere una bella giornata.
«Hai un debole per le persone incomprese, Potter?» chiese d’un tratto Piton mentre si dirigevano verso il castello.
«Che cosa significa?» domandò Harry, confuso. Non gli piacque per niente quella domanda, anche se non la comprendeva a fondo.
«Ho notato che fai amicizie curiose, alquanto inusuali»
«Non ho mai cercato la perfezione in nessuno»
Piton fissò di rimando il ragazzo, sorpreso da quella semplice risposta.
Ritornati negli alloggi entrambi si misero a svolgere le proprie faccende, senza più degnarsi di ulteriori attenzioni. Harry ritornò ad esercitarsi con i manuali di incantesimi, mentre Piton sfilò dalla sua libreria un tomo pesante e dalla copertina tutta nera. Harry alzò gli occhi al cielo a quella vista. Perché diamine doveva essere tutto nero ciò che possedeva?
Dopo aver cenato volsero entrambi la propria attenzione nei loro consueti libri e ritornarono prontamente a ignorarsi. Piton, senza una ragione apparente e del tutto all’improvviso, si mise a preparare una pozione, tirando fuori mestoli, ingredienti e calderone. Harry abbassò per un attimo il manuale sulle ginocchia, osservando meravigliato il professore che si aggirava per il salotto.
«Davvero si mette a fare pozioni alle nove di sera?» domandò.
Piton gli rivolse un’occhiataccia torva e Harry si affrettò a concentrarsi nuovamente sul manuale, senza aggiungere altro.
Harry notò che l’uomo, benché sembrasse una pozione piuttosto complessa da preparare, si rilassò completamente. Non si sapeva come e soprattutto non si sapeva il perché a Severus Piton il preparare pozioni desse un effetto calmante. Era fortemente concentrato e una ruga orizzontale gli solcava la fronte, mentre assumeva quell’aria attenta.
Si fece tardi e quando il professore terminò la pozione si lasciò andare in un sospiro di soddisfazione. «Potter, fammi un favore: spegni il fuoco entro quindici minuti, io me ne vado a letto»
«D’accordo. Buonanotte, signore»


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Nota dell'autrice: Un grazie a Ely_Dan_Potter, che mi ha fatto da beta-reader.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Un dolore al petto fece destare Harry a notte fonda. Si sentiva la gola gonfia e pulsante, come se si fosse ingrossata da un momento all’altro. Dei dolori terribili gli attraversarono il fegato e sembrarono squarciargli la pancia fino ad arrivare ai reni. Il ragazzo incominciò a tremare con violenza e si costrinse ad alzarsi dal letto per poi fuggire verso il bagno.
Si guardò nello specchio, aveva i capelli smossi, un viso cadaverico e tanta voglia di vomitare. Tuttavia quell’attacco di nausea si acquietò dopo qualche minuto e si decise a ritornare in stanza. Ad ogni modo durante il tragitto la nausea ritornò e Harry vomitò su tutto il tappeto. Era una schiuma bianca quello che sputava fuori. Sentì il suo stomaco stringersi in una morsa, rivoltandosi e dandogli della fitte terribili. La tosse e il vomito non smettevano più.
Cercò di chiudere la porta velocemente, per non farsi sentire da Piton. Non aveva nessuna voglia di farsi vedere in quello stato da lui. Sarebbe stato del tutto mortificante. Una mano tuttavia afferrò con forza il pomello della porta e spinse.
«Potter, fammi entrare» ordinò Piton.
«Me la cavo da solo!»
«Potter» minacciò lui, con quel tono freddo.
Ma Harry non demorse. Spinse con forza per far chiudere la porta e cercò la sua bacchetta, brancolante nel buio, per bloccare l’uscio. Ma ci mise troppo tempo e Piton, con un semplice Alohomora, fece spalancare la porta. Egli comparve sulla soglia e accese la luce.
Il professore fissò gli occhi sul ragazzo e osservò il disastro che aveva fatto sul pavimento. Con un semplice movimento della bacchetta ripulì il tutto. Poi gli si avvicinò e lo afferrò per la vita, saldamente. Harry, sebbene si sentisse debole e esausto, con l’aiuto di Piton riuscì a raggiungere il gabinetto e si accasciò per terra per poi vomitarci dentro. Erano dei conati forti, talmente violenti che perdeva quasi il controllo di sé. Il suo corpo veniva scosso da spasmi irrequieti e non riusciva a evitarlo.
«Ti sei dimenticato di chiudere il fuoco, non è vero?» chiese il professore, accigliato.
«No, l’ho chiuso!» sbottò Harry, rivolgendosi verso di lui. Il che fu uno sbaglio poiché un'altra ondata di vomito lo invase. Affondò la testa dentro il water e ritornò a vomitare.
«Ma troppo tardi» continuò Piton, guardandolo intensamente. Oh, lo stava facendo di nuovo! Quello sguardo ormai Harry lo conosceva fin troppo bene! Stava cercando di leggergli la mente. Il giovane si rese presto conto che non sarebbe stato in grado di mentirgli a lungo.
«No»
«Vomito, ingrossamento della gola, tremori e sudorazione. Potter, riconosco i sintomi. Il fumo della pozione è tossico se è incorrettamente preparata, specialmente se la si lascia troppo tempo sul fuoco, perché va immediatamente a male» lo informò Piton.
Harry a quel punto si sentì scoperto e si limitò a dire la verità. «Oh, va bene! Forse l’ho lasciata qualche minuto di più…»
Infatti Harry era stato fin troppo immerso nella lettura quella sera per rammentarsi della pozione. Piton sospirò, stanco.
«Ma non mi è sembrato tanto grave!» urlò Harry.
«Avrei dovuto saperlo che non dovevo affidarmi a te»
Harry abbassò gli occhi verso il pavimento, terribilmente dispiaciuto. «Mi perdoni, non…»
«Dimmi» lo interruppe Piton, impaziente. «Quanto tempo in più è rimasta a bollire sul fuoco?»
«Non lo so»
«Più o meno?»
Harry si schiarì la gola, sentendola secca e dolente. «Forse…venti minuti? Non ha prodotto nessun fumo, comunque. Io non ho sentito niente. Sembrava del tutto normale e anche quando mi sono avvicinato per spegnere il fuoco la pozione non si era alterata…»
Harry venne colto da un altro attacco di vomito e dovette fermarsi di parlare.
Piton non faceva niente per aiutarlo. Se ne rimaneva lì, in mezzo al bagno, desideroso di ricevere una spiegazione a tutto quel casino.
«Il fumo è inodore, Potter. Venti minuti non sono tanti, per fortuna. Essere esposti al fumo per più di un’ora sarebbe stato un problema. Ostruisce le vie respiratorie e si può morire soffocati»
Harry si pulì la bocca con la manica del pigiama. Aveva le lacrime agli occhi per lo sforzo di rimettere. «Ah, carino. Davvero carino» disse.
Piton lo fissò in mal modo. «Non fare il sarcastico con me. La pozione…non l’hai toccata, vero?»
«No, lo giuro. Ho solo spento il fuoco e me ne sono andato a dormire»
Piton sembrò sollevato, chiuse gli occhi per un breve istante. «Bene. Sarebbe stato un guaio se ne fossi venuto a contatto»
Harry in quel momento sentì la sua schiena bagnarsi di sudore e si mise a tremare incontrollabilmente. Lo stomaco gli faceva malissimo e sentiva freddo. «Che cosa mi succede?» domandò, ansioso.
«È il veleno che hai inalato la causa del tuo malore. Lo stai espellendo»
Piton in quel momento uscì, molto probabilmente per dirigersi in salotto e disfarsi della pozione ormai divenuta letale. Quando tornò Harry era in grave condizioni.
«Lo so che è scortese chiederlo» fece debolmente Harry. «Ma non ha per caso qualche pozione per reprimere il vomito e farmi stare meglio?»
«Non posso dartela. Il tuo corpo sta espellendo il veleno attraverso il vomito e la sudorazione. Se ora assumi una pozione per fermare tutto ciò il veleno resterebbe all’interno del tuo corpo e a quel punto faresti un viaggio di sola andata al San Mungo. È necessario che tu espella tutto, Potter. Mi rincresce, ma ti aspetta una nottataccia»
Harry, abbattuto, guardò l’uomo. «Che meraviglia»
«Non fissarmi così. Sei tu quello irresponsabile, non io»
Piton si inginocchio vicinò a lui e gli toccò la fronte. Harry avrebbe tanto voluto ritrarsi da quel gesto, ma era troppo spossato per farlo. Le mani fresche di Piton sulla sua fronte gli diedero una strana sensazione. Non capiva se ne fosse rincuorato o semplicemente provasse indifferenza. Harry levò la testa per parlare, ma un groppo in gola glielo impedì. Si sporse per l’ennesima volta in avanti per vomitare. Piton andò a prendere una bacinella d’acqua e degli asciugamani puliti. Harry ebbe un fremito quando l’uomo incominciò a tamponargli la fronte con un panno umido. Aveva le vertigini e un battito cardiaco lento e faticoso.
«Sciacquati la bocca e cerca di bere un po’ d’acqua» gli consigliò Piton, porgendogli un bicchiere d’acqua fresca.
Harry ubbidì e si costrinse a bere tutto il bicchiere in pochi sorsi. «Avrebbe anche potuto dirmi che la pozione era pericolosa!» si lamentò Harry, preso da una forte rabbia.
«È stato sciocco da parte mia fidarmi di te»
Quelle parole a Harry fecero male. Più male di quanto sentisse nella pancia. Ma che gliene importava a lui della fiducia di Piton? Non doveva importargli, né ora né mai.
Il suo corpo era molto debole. Non riusciva neanche a muoversi. I muscoli gli dolevano e sentiva la testa ciondolare.

 

***

 

Severus vide la testa di Potter cadere all’indietro e gli occhi gli si chiusero. Era svenuto. Cercò di svegliarlo, prima scuotendolo e poi battendogli una mano su una guancia, ma niente sembrava a vere effetto. Sfilò dalla tasca la bacchetta e lo fece rinvenire con un incantesimo.
«Non puoi metterti a dormire adesso» lo intimò. «Devi tirar fuori tutto il veleno, che tu lo voglia o no»
Potter posò gli occhi su di lui con sguardo vacuo. Un odore nauseante saturava la stanza. Ma Severus non ci badò. Abbassò lo sguardo sul pigiama di Potter, ancora imbrattato di vomito e lo ripulì.
«Apri la bocca, Potter»
«Come?» domandò lui, con gli occhi sgranati dal nervosismo.
«Apri. La. Bocca» sibilò Severus.
«No…»
L’uomo non attese oltre. Non gli ci volle molto prima di costringere Potter a spalancare le labbra. Severus controllò la lingua e il palato di Potter, con fare concentrato.
«Non erano solo venti minuti, vero?»
A quel punto Potter arrossì e a Severus non servì neppure usufruire della Legilimanzia per scoprire la verità. «La cosa è più grave di quanto pensassi. Ti si sono formate delle bolle in bocca, ho ragione?»
Il ragazzo annuì, arreso. Non cercò più di porre resistenza. Oh, stupido ragazzo. Perché non lo stava mai a sentire? Se avesse obbedito alla sua semplice richiesta di sicuro non starebbe qui a perdere tempo con lui.
«Se incominciano a bruciare avvertimi»
«Okay…»
Severus vide il ragazzo cedere. Lo tenne fermo con una mano sulla schiena e l’altra a reggergli la fronte. Potter incominciò a tremare, in preda alle convulsioni. L’uomo assisté il ragazzo per quasi tutta la notte, tenendolo pulito e raffreddando la sua temperatura con i panni freschi. Potter era troppo debole per dire alcunché e ben presto perse la cognizione del tempo e dello spazio. In parecchie occasioni sobbalzava dallo spavento quando si rendeva conto della sua presenza, quasi come se se lo fosse scordato. Stava troppo male per mantenere la mente lucida. Severus lo coprì con due grosse coperte e cercò di fargli bere tutta l’acqua possibile.
«Devi mantenerti ben idratato» gli suggerì.
E lui obbediva. Senza esitazioni, senza riluttanze. Un po’ Severus se ne stupiva. Potter si fidava di lui come se niente fosse. E in una situazione tanto critica, per di più. Ma non volle soffermarsi troppo su quei pensieri, perché aveva cose più importanti da sbrigare. Con suo grande dispiacere non poté permettere al ragazzo di addormentarsi. Lo tenne sveglio finché non ebbe più niente da vomitare, se non della saliva. Severus trasalì quando sentì il suo corpo scosso ripetutamente da violenti spasmi senza alcun risultato.
«Calmati, Potter. Cerca di calmarti»
Severus si rese conto di avere le vesti sporche e senza dire una parola si disfò dei residui di vomito, dopodiché riportò l’attenzione su Potter. Era pallido, ma non in modo così preoccupante come prima. D’un tratto egli spalancò gli occhi, strabuzzandoli. Gli parve un bambino in quel preciso momento. Un ragazzo bisognoso delle cure di un adulto. Così innocuo e colmo d’innocenza.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25



 

Harry fu svegliato da un caldo opprimente. Gli sembrò di essere sulle braci ardenti. Si sollevò quanto bastava per togliersi di dosso alcune delle coperte che lo stavano soffocando. Quando le ebbe rimosse tutte tranne una, era ormai completamente sveglio e scontento di esserlo. Si sentiva malissimo. Una sensazione orribile. Aveva la gola riarsa e la bocca completamente asciutta, permeata da un gusto sgradevolissimo. Si sentiva male dalla testa alla punta dei piedi. Sentiva un’oppressione al torace, come se un troll gli stesse seduto sopra, gli occhi che bruciavano e la testa martellata da una forte emicrania.
Per qualche minuto giacque immobile contorcendo il viso in smorfie di malessere, poi un grugnito e un lieve movimento lo indussero a girare il capo. Fissò a lungo, con sguardo meravigliato, il professore di pozioni addormentato su una sedia accanto al suo letto. E fu allora che i ricordi ebbero il sopravvento. Si vergognò profondamente. Non aveva mai voluto che Piton lo aiutasse, eppure lo aveva fatto. Oh, Merlino! Era peggio che fargli vedere i suoi ricordi più privati durante le lezioni di Occlumanzia! Come diavolo sarebbe riuscito a sorreggere il suo sguardo, adesso? Dopo ciò che era accaduto quella notte?
Piton si svegliò con un gemito. Aveva trascorso la maggior parte della notte a crucciarsi per lui e a quanto pareva aveva avuto un sonno alquanto agitato. I loro occhi si incrociarono e Piton fu immediatamente vigile.
«Come ti senti?» domandò.
«Bene» mentì Harry.
Ma il professore non si fece ingannare. Sollevò un sopracciglio, quasi sfidandolo a continuare a mentirgli.
«Hmm…non così bene?» aggiunse Harry, sussurrando.
Piton sbuffò, divertito. «Non c’è bisogno di fare l’eroe con me, Potter. Puoi dirmi se stai male. Soprattutto quando rischi di morire avvelenato»
«Mi scusi»
«Perché hai tentato di chiudermi fuori ieri notte? Lo sapevi che volevo solamente darti una mano»
«Lo so» ammise Harry, scostando lo sguardo da un’altra parte. «Ma come ha detto lei…volevo fare l’eroe. Non voglio dimostrarmi debole»
«Soprattutto dinanzi alle persone di cui non ti fidi, non è così?»
«Io…»
«Possiamo essere franchi, Potter. Lo sappiamo tutti e due che il nostro rapporto non è per nulla basato sulla fiducia reciproca» ghignò Piton, ironico.
«Grazie» disse Harry in un soffio. «Per avermi aiutato. Non so in che stato ne sarei uscito senza il suo aiuto. È stato…»
«Sì?» Piton comprese benissimo che il ragazzo era a disagio, ma voleva farlo imbarazzare ancora di più.
«Io credo…che sia stato gentile da parte sua» terminò Harry, avvampando.
«Non l’ho fatto per te, ma per me. Pensa a come avrebbe reagito il Preside se fosse venuto a conoscenza che il sottoscritto ti ha abbandonato in un momento di difficoltà»
Harry, estremamente deluso da quella risposta, sentì gli occhi bruciare. «…ah, capisco»
Piton si alzò e andò a recuperare dalla dispensa alcune pozioni. Harry restò solo in camera sua, a fissare il vuoto davanti a sé, con una forte voglia di fuggire via. Quando Piton ritornò, teneva in mano un succo d’arancia e nell’altra una fiala di vetro con all’interno un liquido giallognolo.
«Ti suggerisco di bere prima la pozione e poi il succo, così ti toglierà il sapore amaro dell’infuso»
«Che cos’è?»
«Una pozione che ti farà sentire molto meglio, credimi»
«Non è altro veleno, vero?» chiese sospettosamente Harry.
Piton alzò gli occhi al cielo. «Ti avvelenerei con piacere se poi non dovessi incorrere alla reclusione ad Azkaban, Potter, ma siccome l’assassinio nella nostra comunità è rigorosamente illegale, è necessario che io mi astenga»
Harry abbozzò un sorrisetto. «Certe volte è esaltante sentirla parlare, lo sa?»
«Felice che il mio sarcasmo ti aggradi, Potter. Ora bevi»
Quando la sua lingua venne impastata dalla pozione di Piton Harry fece una smorfia di disgusto. Si fece forza e la ingoiò tutta, senza lasciarsi andare in futili lamenti. Afferrò velocemente il bicchiere con il succo e se lo portò alla bocca con foga. Il sapore dell’arancia tolse via il gusto terribile della pozione. Piton aveva avuto ragione. E riuscì, d’altro canto, a dissetarsi completamente.
«La pozione farà effetto tra breve. Ma benché ti sentirai sicuramente meglio, non voglio che incominci a scorrazzare per l’appartamento. Te ne resterai a riposo per il resto della giornata, d’accordo?»
«E la lezione di Occlumanzia?» chiese Harry, pregando Merlino che quel giorno non ci sarebbe stata.
«Sei troppo debole e non avrebbe senso forzarti ulteriormente. La lezione non si terrà oggi»
Harry esultò dentro di sé, gioioso come non mai. Piton scosse la testa, capendo benissimo ciò che gli passava per la mente.
«Domani tuttavia» continuò Piton. «la lezione si protrarrà per un’ora»
«Che cosa!?» esclamò Harry, inorridito. Non poteva crederci! «Non può farlo!»
«Dobbiamo recuperare le ore perdute stamani» disse Piton, sprezzante.
«Ma…»
«Non cambierò idea, Potter»
Harry, scocciato, incrociò le braccia al petto e rivolse un’occhiataccia al professore. Quest’ultimo non ci badò e uscì dalla stanza.
 
***
 
 
Caro Harry,
le cose qui a Grimmauld Place stanno decisamente peggiorando. Sirius non fa altro che parlare di te e di Piton, insultando il professore come se avesse tutta l’intenzione a lanciargli un malocchio. Ieri è rimasto tutto il giorno nella sua stanza, incapace di darsi una calmata. Ha spesso contattato Silente implorandolo di farti ritornare qui, ma è stato tutto inutile. Silente è deciso. Niente e nessuno potrà toglierti dalle grinfie del pipistrello.
Di sicuro queste si sono rivelate le più brutte vacanze di Natale che abbia mai passato. Papà che viene attaccato dal serpente, mamma che non fa altro che piagnucolare, Fred e George che non mi lasciano in pace, Sirius che dà di matto e tu che vieni attaccato da Voldemort e sei costretto a sopportarti Piton per settimane intere. Non immagino neanche come ti senti, probabilmente è terribile essere 24 su 24 in stretto contatto con quello là. Ci racconterai tutto appena io e Hermione faremo ritorno a Hogwarts, va bene? E se per caso ti sta torturano non avere paura di dircelo, ti prego. Anche se sei sotto minacce.
Comunque non ti ho ancora detto la cosa più importante! Ieri c’è stata una grande riunione dell’Ordine. Sono venuti tutti, eccetto Piton, che molto probabilmente è stato aggiornato da Silente in seguito. Tu ne sai qualcosa? Hermione dice che si sono riuniti per causa tua, Harry, e per il fatto che Tu-Sai-Chi ti abbia aggredito. Non siamo riusciti ad origliare l’incontro, sfortunatamente. Fred e George hanno cercato di modificare le Orecchie Oblunge per renderle immuni agli incantesimi che la mamma lancia dinanzi la porta della cucina, ma è stato un grandissimo fiasco. Infatti…abbiamo fatto esplodere la porta con gran spavento da parte di tutti i presenti. La mamma era così arrabbiata che si è messa a rincorrere Fred e George per tutta la casa. Non sai quanto ha riso Silente! Si è divertito un mondo! Non l’ho mai visto ridere così tanto!
Con affetto,
Ron
 
Harry rispose:
 
Caro Ron,
sono vivo.
Il pipistrello non mi ha ancora ammazzato e questo è decisamente un buon segno. A parte gli scherzi…sono felice che tu mi abbia scritto sui casini che si stanno creando a Grimmauld Place. Scriverò a Sirius per dirgli che sto bene e che non deve preoccuparsi, anche se sembra non aiutare molto. Cerca di tenerlo a bada, eh? Digli che mi sto esercitando in nuovi incantesimi e che, tutto sommato, non è così male la vita con il pipistrello. Lo so, probabilmente te ne stupirai, ma se Piton non mi ha ancora mangiato vivo vuol dire che non ha l’intenzione di farlo. Non so se dirtelo o no, ma sono stato male la scorsa notte. E lui mi ha persino aiutato. Ha detto che l’ha fatto per Silente, ma ho qualche dubbio al riguardo. Dovrei preoccuparmi? Probabilmente ha inalato troppi fumi dalle sue pozioni in questo periodo e gli hanno dato alla testa.
Per quanto riguarda la riunione non ne so nulla, mi spiace.
Salutami Hermione.
Harry
 
Quel pomeriggio venne far loro visita il Preside della scuola. A Harry non fu concesso di alzarsi dal letto e dovette restarsene in camera sua, quando aveva una voglia matta di parlare con il preside riguardo Sirius. Udì il parlottare dei due uomini in soggiorno, cercando di origliare qualcosa. Silente si assicurò sulla sua salute, insistendo a farsi dire da Piton l’intero accaduto della scorsa notte. Quando il loro colloquio terminò, Silente raggiunse Harry nella sua camera.
«Ragazzo mio» lo salutò. «Come procede la guarigione?»
«Vorrei alzarmi, ma Piton non me lo permette»
«Il professor Piton, Harry. Ad ogni modo sono sicuro che è per il tuo bene» Sorrise dolcemente Silente. «Ma cosa mi combini, mmh? In pochi giorni rischi nuovamente di morire!» scherzò.
«Lo so. Mi spiace. La prossima volta terrò conto di tutto quello che Piton mi dice di fare» disse ironicamente Harry. Voleva essere uno scherzo, ma il Preside non lo prese come tale. Gli si illuminarono gli occhi e un scintillio trapassò in quegli occhi azzurri.
«Non sapevo che la pozione fosse velenosa» dichiarò Harry. «Piton non me lo ha detto»
«Il professor Piton»
«Sì, sì, d’accordo, mi scusi»
«E le tue lezioni di Occlumanzia?»
Harry si fece paonazzo. «Non…non stanno andando come dovrebbero andare»
Silente sospirò e abbassò lo sguardo sulle sue mani, pensieroso. «So che non è facile. Ma dovresti incominciare a porre la tua fiducia anche in lui»
«Io…probabilmente lo sto già facendo. È il professor Piton il problema» ammise Harry, arrossendo dalla vergogna.
«Che cosa intendi dire, Harry?» 
Harry non volle procedere con quel discorso, perciò sviò il tutto. «Non vedo perché dovrei fidarmi di lui, però. Mi odia»
«Lui non ti odia»
«Invece sì» insisté Harry. «Mi odia dalla prima volta che mi ha visto. E non lo nasconde affatto»
«È solo il suo modo di comportarsi»
«Non è così. Con me si comporta diversamente che con gli altri»
«Sono sicuro che con il tempo riuscirà ad apprezzarti per quello che realmente sei, ragazzo mio»
«Non m’interessa di lui. Può benissimo continuare a disprezzarmi. Non me ne importa niente» sbottò Harry, arcigno.
Silente lo scrutò intensamente negli occhi. Harry capì che cercava di leggergli la mente con la Legilimanzia e abbassò immediatamente lo sguardo.
«Non lo faccia anche lei! Già con Piton è insopportabile!»
«Perdonami, Harry. Non volevo darti fastidio»
«Non fa altro che prendermi in giro, a burlarsi di me durante le lezioni. Mi spinge all’esasperazione! E il fatto che veda ogni cosa mi fa sentire impotente! Sta scoprendo cose di me che non avrei mai voluto mostrare a nessuno!»
«Harry…»
«No! Me lo lasci dire! E lei sapeva benissimo che io e Piton ci disprezziamo a vicenda! Però mi ha assegnato ugualmente a lui per insegnarmi l’Occlumanzia! Non conosco il suo piano, ma tutto ciò che so è che non mi piace affatto! E questa sistemazione forzata…»
«Harry, per favore, calmati. Hai ragione, sapevo del vostro rapporto teso, ma non pensavo ti recasse così tante sofferenze»
«E ora Sirius è infuriato con me!»
«Sirius?»
«Sì, Ron me lo ha detto che è completamente furioso!»
«Ragazzo mio, Sirius non è arrabbiato con te, ma con me. Non accetta il fatto che ti abbia cancellato le vacanze. È più testardo di quanto pensassi»
«Quindi…»
«Non ha alcuna ragione di essere arrabbiato con te. Ora cerca di riprenderti, devi riposarti per domani. Il professor Piton mi ha rivelato che avrete una doppia ora di Occlumanzia»
Harry sbuffò, irritato.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26
 

La doppia ora di Occlumanzia si rivelò  un vero e proprio disastro. Harry era ancora stanco dal giorno prima e Piton non faceva altro che inveire su di lui senza tregua.
Ci fu un ricordo in particolare su cui Piton si soffermò.
Si trattava di un ricordo di quando Harry aveva poco più di dieci anni. La scuola babbana non gli era mai piaciuta, soprattutto a causa di suo cugino Dudley, che riteneva Harry il suo passatempo preferito durante le ricreazioni. Harry non aveva mai avuto un amico in quel posto, proprio a causa sua. Nessuno voleva farsi nemico il spaventoso e grosso Dudley Dursley. D’altronde Harry non poteva biasimarli, lui stesso aveva paura del cugino, soprattutto quando gli aizzava contro anche i suoi amici. Non era per niente bello sentirsi costantemente minacciato e in pericolo. E lui era completamente inerme alle ingiurie di quei ragazzi. In fondo…erano il doppio di lui e poi…uno contro cinque: era improbabile vincere.
«Ed eccolo qui, l’orfanello» sibilò Polkiss un giorno, sorprendendolo nei bagni della scuola.
Harry cercò di sgusciare via, ma Ian, un altro dei compagni di Dudley, lo fermò. «Dove credi di andare, mocciosetto?»
«Mocciosetto!» Rise Polkiss, istericamente. «Oh, sì, piangi tutte le notti, non è vero? Ti manca la tua mamma?»
«Smettetela» ordinò Harry, molto coraggiosamente.
«Perché? Che ci fai altrimenti?» lo sfidò prontamente Ian.
«Lo dico alla Preside»
«Sempre a correre dai grandi, tu, eh? Bambinetto spione!» si lagnò Polkiss.
Ma tuttavia Ian non si fece prendere dallo spavento. Spinse Harry contro il muro e lo bloccò. «Nah, non credo che lo farai e sai perché? Perché ti insegneremo una lezione, oggi. Ti insegneremo a portarci rispetto!»
Harry pensò che molto probabilmente quei bambini non avevano idea di che cosa significasse quella parola.
«Voi il rispetto non ve lo meritate! Siete cattivi!» gridò Harry, lanciandosi contro la porta e tentando di fuggire.
I due però lo trattennero per i bracci e lo strascinarono indietro. Harry scalciò e si dimenò come un forsennato, cercando di liberarsi dalla loro presa. «Lasciatemi, lasciatemi! Lo dirò al maestro, lo dirò alla Preside!»
«No che non lo farai!»
I due ragazzini si scambiarono un’occhiata, indecisi sul da farsi. Poi il voltò di Ian si illuminò. «Mettiamogli la testa nel water!»
«Cosa…?» Polkiss era preoccupato.
«Dai, sarà divertente sentirlo urlare!»
Benché Polkiss non ne fosse del tutto convinto, assecondò l’amico e trascinò Harry fino a uno dei gabinetti. La puzza di urina era nauseante e il water era cosparso di pipì. Ian lo fece inchinare con la forza e gli mise una manona sulla nuca, spingendogli la testa verso il basso.
«No!» implorò Harry, tremendamente disgustato. «Per favore!»
«Finiscila di opporti!»
I due lo tennero ben saldo e Harry si ritrovò il viso schiacciato nel water puzzolente. Un conato di vomito gli salì in gola e per poco non vomitò. Cacciò un altro urlo e sentì le lacrime nei suoi occhi bruciare. Ma non doveva piangere. Non davanti a loro. Non doveva dimostrarsi debole. Perché altrimenti gliel’avrebbe data vinta. Se si fosse dimostrato indifferente all’umiliazione sarebbe stato lui a vincere.
«Ma guarda! Gli piace proprio l’odore della cacca!» si divertì a dire Polkiss.
«Sì, Potter, ti piace proprio, eh? Vuoi sapere il perché? Perché sei una cacca anche tu. Nessuno di vuole. Non ti hanno voluto neanche i tuoi genitori! Hanno preferito morire piuttosto che averti come figlio!»
E a quel punto Harry non si trattenne più. Scoppiò a piangere disperatamente. Si sentiva abbandonato, perduto. Nessuno gli voleva bene. Nessuno lo amava. Lily e James se ne erano andati e lui era da solo. Sempre solo.
Polkiss rise di gusto alla vista delle sue lacrime. «Oh, piagnucolone, piagnucolone! Adesso ti servirebbe proprio una mamma che ti consoli, Potter! Peccato che tu non ce l’abbia! Orfano! Orfano!» ridendo e sghignazzando i due uscirono dal bagno, terminando quella tortura.
Harry tentò in tutti i modi di smettere di piangere, ma non ci riuscì. Si sentiva troppo male. Non per l’umiliazione appena subita, ma per il fatto di essere costantemente disprezzato, odiato, lasciato a se stesso, come se non fosse importante, come se non meritasse un po’ di attenzioni. Ma probabilmente zia Petunia e zio Vernon avevano ragione. Lui era solo figlio di uno scellerato e di una stupida. Non si meritava l’amore.
Dopo che la ricreazione finì, Harry ritornò in classe. Dopo una decina di minuti i suoi compagni incominciarono ad agitarsi e a voltarsi verso la sua parte.
«Ma che puzza!» esclamò Victoria Ansley, guardandolo di sottecchi e tappandosi il naso con un gesto teatrale. «Sì è pisciato addosso!»
E fu così che l’intera classe scoppiò a ridere, puntandogli il dito contro. Il maestro marciò impettito verso di lui e lo fece alzare.
«Andiamo dalla Preside, Potter» disse, serio.
La Preside fu piuttosto gentile con lui. Anche se gli fece molte domande, Harry non le rispose mai. Chissà che cosa gli avrebbero fatto Polkis e Ian se avesse  rivelato l’accaduto. Non voleva avere altri guai da quei due. Così la donna si affrettò a chiamare zio Vernon e gli spiegò che il nipote si era bagnato i pantaloni. Da quel giorno in poi tutti seppero che Harry Potter se la faceva addosso a scuola.
Zio Vernon, tuttavia, fu furioso con lui. In primo luogo perché lo aveva costretto a interrompere una riunione nella sua ditta per venirlo a prendere. Tutto il tragitto in macchina verso casa fu un costante urlare. Lo rimproverò così a lungo che mancò quasi che gli scoppiassero le orecchie. Ma al confronto delle urla di zia Petunia quelle di zio Vernon erano nulla.
«Ci hai fatto vergognare! Ora tutti i genitori sapranno che abbiamo un nipote zozzo e sporco! Oh, non hai idea di ciò che ti spetta! Sei in punizione per due settimane!»
Zia Petunia non gli permise neanche di andarsi a lavare, perché lo richiuse immediatamente nel sottoscala, la sua stanza.
Harry cercò di fare l’indifferente. Non doveva piangere.
E a quel punto il ricordo terminò e Harry si ritrovò nell’ufficio di Piton, cinque anni dopo. Rimasero in silenzio a lungo. Troppo a lungo per i gusti di Harry. Avrebbe preferito mille volte che incominciasse a prenderlo in giro piuttosto che sentire quel silenzio. Perché non diceva niente? Perché non si burlava di lui con il suo sarcasmo?
«Hai detto mai la verità?» domandò semplicemente Piton, senza quel tono accusatorio. Era neutrale, forse un po’ innervosito.
Harry scosse la testa, piano. «No»
«Quella frase…ti è rimasta impressa, vero? L’ho sentita forte nella tua mente. Te la sei spesso ripetuta durante il corso degli anni»
«Non so a cosa si riferisca…»
«Lo sai bene, invece»
Harry dissentì con un altro cenno della testa. «No»
«”Hanno preferito morire piuttosto che averti come figlio”» ripeté Piton, guardandolo con calma. Non sembrava turbato, né gli scocciava affrontare quella conversazione con lui. Anzi, pareva si sentisse in dovere. «Tu sai che non è vero, dico bene?»
«Io…sì, certo che lo so. È stato Voldemort a ucciderli, hanno combattuto…»
«Eppure ti senti abbandonato da loro» dichiarò il professore, con un sospiro.
«Mi sembra quasi inevitabile pensarlo… Per dieci anni mi è stato ripetuto di essere un bambino indesiderato. Ho finito per crederlo anch’io»
«I tuoi zii…sono sempre così?»
«Così come?»
«Indifferenti»
«Oh, sì. A loro non può importare di meno di me»
«Ti ricordi ciò che ho visto poco prima che tu subisca l’attacco del Signore Oscuro?»
Harry abbassò la testa e annuì, tormentandosi le mani per il nervosismo.
«Tuo zio alza spesso le mani su di te?»
«Non…»
«Potter?» lo chiamò Piton, con forza. Voleva una risposta sincera.
«Qualche volta lo faceva… Ma ora non più. Da quando ho iniziato a frequentare Hogwarts hanno tutti un po’ paura di me»
Piton si toccò la fronte con una mano, accigliato. «Lo sai che quello è abuso?»
«Li ho solo fatti irritare, ecco tutto…»
«Potter…» sospirò l’uomo. «So che non ti piacerà, ma i tuoi zii ricorrono al maltrattamento domestico»
«Maltrattamento domestico?» ripeté Harry, stupito. «No, professore. Lei si sbaglia. Io non vengo maltrattato»
«Hai mai visto i signori Weasley alzare le mani sui propri figli, Potter?» domandò Piton, serissimo.
Harry non dovette neanche pensarci su per rispondere. «No»
«Hai mai sentito dire dal signor Weasley o dalla signorina Granger che i loro genitori li abbiano rinchiusi per più di due settimane in un sottoscala?»
«No…»
«Ti hanno mai detto che si sentono disprezzati dalla loro stessa famiglia?»
«N-no…» balbettò Harry, realizzando finalmente che cosa volesse intendere Piton.
«Se pensi che il comportamento dei tuoi zii sia normale ti sbagli di grosso, riesci a capirmi?»
«Non posso farci niente…»
«Che cosa sanno della tua vita a Privet Drive i tuoi amici?»
«Solo…che non mi piace»
Piton annuì, comprensivo. «Di certo la signorina Granger sarebbe corsa subito da qualcuno se avesse saputo la verità. Quella ragazza ha buon senso certe volte. Dimmi ancora una cosa: quel sottoscala è davvero la tua camera da letto?»
«No» parlò Harry.
Piton notò che il ragazzo volle aggiungere qualcos’altro. «Ma lo era?»
Harry assentì, imbarazzato della cosa.
«Non devi vergognartene. Non è certo colpa tua» disse Piton, quasi con gentilezza.
Harry si schiarì la gola e si mise a parlare. «Quando ho ricevuto la mia lettera per Hogwarts… beh, quando c’è stato tutto quel casino… I Dursley hanno pensato che qualcuno stesse sorvegliando la casa siccome sulle lettere veniva indicata persino la stanza in cui dormivo, ovvero il sottoscala. Si erano immaginati che se i maghi sapevano che dormivo in un ripostiglio avrebbero di sicuro avuto dei guai. Perciò da allora in avanti mi hanno messo nella vecchia cameretta di Dudley»
«Hai una camera vera da soli cinque anni in quella casa, Potter, renditene conto»
«Ma che cosa vuole che faccia, eh? Se i miei zii sono così non posso certo cambiarli con un colpo di bacchetta!»
«No, hai ragione, ma di sicuro non ritornerai mai più in quella casa»
Harry spalancò la bocca dallo stupore. Non credeva alle sue stesse orecchie. Che diavolo…? «Cosa? Non posso andarmene, sono minorenne. Ho bisogno di un tutore!»
«Parlerò con il Preside della cosa»
«Dirà al Preside tutto?» chiese Harry, preoccupato. «Anche dei…maltrattamenti?»
«Naturalmente, Potter. Lui deve saperlo»
«Ma…»
«Non temere, comprenderà. E comprenderà ancor meglio il fatto che tu debba essere trasferito da un’altra parte»

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27
 

Harry era preoccupato. Non si era aspettato che potesse accadere tutto così in fretta. La vita con i Dursley non era stata granché facile in tutti quegli anni, lo doveva ammettere, ma la riteneva alquanto sopportabile. In fondo, se era sopravvissuto a loro dopo tutto questo tempo, poteva benissimo continuare a farlo. Ormai si era abituato e l’abitudine era una brutta bestia.
Pensò ai Durlsey a lungo. Sua zia molto probabilmente sarebbe stata contenta di liberarsi di lui, una volta tanto. D’altronde era ciò che aveva sempre desiderato, pertanto suo marito era dello stesso parere. Chissà che cosa avrebbe detto Dudley della cosa. Il cugino era sempre stato scontroso con lui, ma certe volte tra loro si creava automaticamente una tregua e riuscivano persino a convivere in pace. Gli avrebbe sembrato strano non averlo più in casa durante le estati trascorse a Privet Drive?
Piton non attese granché prima di andare a parlare con il Preside. Per un breve e confuso attimo Harry credette che lo avrebbe lasciato nei sotterranei mentre lui andava nell’ufficio di Silente a chiedere colloquio. Un pensiero sciocco, il suo, poiché ben presto si rammentò che gli era proibito restare da solo senza la supervisione di un adulto competente.
«Muoviti, Potter» ordinò il professore, adirato.
«Non vorrà che io assista al colloquio!» Harry si vergognava.
«Non puoi restare qui»
«Ma…» Non riusciva neanche ad immaginarsi come avrebbe reagito Silente alla scoperta che i suoi parenti lo strapazzavano certe volte. Maltrattamento domestico, così lo aveva definito Piton. Eppure continuava a non esserne sicuro. Naturale, i Dursley erano piuttosto duri con lui, ma non gli era mai sembrato che usassero una brutale violenza fisica e mentale. Con che occhi lo avrebbe guardato Silente da allora in poi, quando ne sarebbe venuto a conoscenza? Era orripilato all’idea.
Piton, che comprese all’istante i pensieri di Harry, si soffermò davanti a lui per un attimo, quasi a volerlo rassicurare. «Potrai restare fuori dalla porta se non te la senti»
«Oh…okay»
E fu proprio ciò che accadde. Piton mantenne la sua parola. Non appena arrivarono all’ufficio di Silente l’uomo gli lanciò un occhiata e gli indicò con un gesto della mano di restare lì.
Harry appoggiò la schiena sulla parete e attese ansiosamente. Non udiva le voci all’interno, forse perché Piton aveva lanciato un incantesimo silenziatore. Ebbene l’attesa gli rodeva lo stomaco. Era così dannatamente nervoso! Chissà se Silente avrebbe accettato di trasferirlo da un’altra parte a quel punto. Poi si domandò chi mai avrebbe preso il posto dei suoi zii come tutori… Oh, ma certo! Sirius! Perché non ci aveva pensato prima! Era ovvio! A quel pensiero Harry si rasserenò e fu più gioioso che mai. Finalmente lui e il suo padrino avrebbero avuto la vita insieme a cui avevano da sempre aspirato. Silente avrebbe di sicuro trovato un modo per farlo restare da lui, perché non aveva altra scelta!
Quando la porta dell’ufficio del Preside si aprì, un Albus Silente molto turbato ve ne uscì. Posò il suo sguardo azzurro in quello color smeraldo di Harry, fermo. «Harry» parlò. «Potresti entrare un attimo, per favore?»
Il ragazzo obbedì, seppur impietrito dall’ansia. Quando entrò vide Piton in fondo all’ufficio, con quell’aria indecifrabile sul volto marcato.
«Prima di tutto, mio caro ragazzo, devo porgerti le mie scuse. Sono stato io a insistere di mandarti a vivere dai tuoi parenti quattordici anni fa. Ma non avrei mai potuto immaginare che…»
Silente era disperato. Per Harry era la prima volta a vederlo in quello stato: deluso, pieno di sensi di colpe e rassegnato.
«Non è colpa sua, signore. Non lo sapeva»
Albus Silente scrutò attentamente il Bambino Sopravvissuto. «No, la colpa è mia. Credevo che là saresti stato al sicuro da Voldemort, ma a quanto pare ti ho messo in altri pericoli. Ho solo peggiorato le cose»
«Non ha peggiorato nulla»
«Harry, mi rincresce. E dopo tutti questi anni non ci siamo accorti di nulla. Se solo fossi venuto a saperlo anni fa avrei agito senza indugi»
«A chi mi affiderà, ora?» domandò impaziente Harry.
«Ho alcune idee» dichiarò il Preside. «Ma non te le dico adesso, perché non voglio illuderti. Spero tu comprenda, ragazzo mio. Prima mi piacerebbe esserne sicuro»
«Certo»
«Caro, caro ragazzo. Sono davvero dispiaciuto per quello che hai dovuto passare»
Harry si fissò le mani, a disagio. «Non è stato poi tanto male»
A quel commento Piton gli lanciò una di quelle occhiate subdole e quel fatto destabilizzò Harry. Cosa doveva fare? Sentirsi una vittima? Non gli era mai piaciuto esserlo. Sfidò il professore con un’occhiataccia torva e l’uomo si spazientì, poggiando il peso da una gamba all’altra e incrociando le braccia al petto. Gli stava bene.
«Se Severus non lo avesse scoperto grazie alle lezioni di Occlumanzia saresti rimasto là fino alla maggiore età… E soltanto l’idea mi fa inorridire. Mi perdonerai mai, Harry?»
«Signore, non ho nulla di cui incolparvi»
«Oh, invece sì. Dovresti incolparmi di così tante cose…» sussurrò il Preside, mortificato.
Harry non seppe cosa rispondergli. Non si era mai sentito tradito dal Preside, né gli aveva mai fatto un torto. Non aveva la più pallida idea a che cosa si riferisse in quel momento. Restò quieto, con un sudore freddo a imperlargli la fronte.
«Quindi è vero quello che mi ha detto il professor Piton? Non tornerò più dai Dursley?»
«No. Ne puoi essere sicuro. Ora, ora, devo informare Sirius al più presto»
Al solo nominare il nome del suo padrino a Harry gli si illuminarono gli occhi. «Può essere lui il mio nuovo tutore?»
«Ne dubito, Harry»
 

***

 
«Sirius!» esclamò Harry, quando vide la testa del suo padrino comparire nel caminetto del salotto. Si accucciò accanto a lui e gli sorrise, felice.
«Il Preside mi ha rivelato ogni cosa. Ma perché non ce l’hai mai detto?»
«Io…mi dispiace»
«Merlino, Harry! Maltrattato e picchiato! Ti rendi conto?»
«Mi dispiace, Sirius, davvero, non lo sapevo»
«Non lo sapevi!? Che vuol dire che non lo sapevi? Non ti sei accorto che ti stavano mettendo le mani addosso, per caso?»
«Black» lo interruppe Piton, freddamente. Era dietro a Harry, seduto sulla poltrona di pelle nera. Guardava Sirius con disprezzo. «Un bambino cresciuto in un ambiente simile spesso non si rende conto di essere abusato. E non urlargli contro in quel modo. Non è colpa di Potter, ma di quei Dursley»
«Lo so che non è colpa del mio figlioccio, Piton!» gridò Sirius, irritato. «Volevo solo chiedere perché ha evitato di dircelo»
«Non pensavo fosse così male» dichiarò Harry.
«Ma non ti sei reso conto che Ron e Hermione non vengono trattati allo stesso modo? Non ti sei reso conto dopo tutti questi anni a Hogwarts che in una vera famiglia ci si vuole bene?»
«Lo so che ti sembra strano…» disse Harry, per poi interrompersi. Non sapeva cosa dire. Non sapeva nemmeno come spiegarlo a se stesso, figuriamoci a un altro.
Sirius sospirò, esausto. «Comunque… Silente mi ha rivelato che vorresti che fossi io il tuo nuovo tutore. Ma non posso farlo, Harry. Sono ricercato dalla legge ed è la stessa legge che pretende una firma sul documento di adozione. Ufficialmente non posso essere io tuo tutore»
Harry sentì un colpo al cuore. «Ah» disse soltanto.
«Silente ha suggerito di farti adottare dalla famiglia Weasley. Arthur e Molly sono felicissimi. E anche tu starai meglio, Harry. Con te avrai Ron e tutti i suoi fratelli. Ve la spasserete alla grande insieme»
«Va bene…anche se avrei preferito stare con te»
«Lo so, Harry. Mi dispiace. Però guarda il lato positivo. Ora che starai con i Weasley potrai farmi visita quando ti pare e piace! Avremmo tutta l’estate da trascorrere insieme!»
Harry a quel commento si risollevò l’umore. Aveva assolutamente ragione. Non vedeva l’ora che venisse l’estate. Era la prima volta che succedeva, in effetti. Solitamente odiava il giungere della primavera, poiché sapeva che si avvicinava il giorno in cui sarebbe ritornato a casa Dursley.
«Credo che Molly e Arthur ti stiano scrivendo una lettera in questo momento. Estremamente lunga. Sono assolutamente estasiati. È divertente guardarli»
«Oh, il signor Weasley è tornato dal San Mungo, quindi?»
«Sì, già da ieri pomeriggio. Sta benissimo. È pimpante come non mai»
«Dovrò ringraziarli tantissimo per tutto quello che fanno per me. È davvero gentile da parte loro»
Sirius ridacchiò. «Insomma, non aspettavano altro che averti come figlio»
Harry ricambiò il sorriso. «Che cosa ne pensa Ron? E gli altri?»
«All’inizio erano tutti molto tristi per te, per ciò che hai dovuto subire da quei tuoi zii. Seriamente, non pensavo che la sorella di Lily potesse essere così. George si è persino offerto di andare a fargliela pagare personalmente. Ma quando la tristezza è passata c’è stato un vero e proprio putiferio. Sono scoppiati tutti dalla gioia. Ron non fa altro che ripetere “Harry diventerà mio fratello! Fratello! Fratello!” in una canzoncina senza rima e gli altri Weasley se la ridono. Beh, complimenti. Hai stravolto la monotonia quotidiana di Grimmauld Place, benché a miglia di distanza»
«Quando verrà firmato il documento?»
«Oh, prima qualcuno dovrà andare a prendere le firme dai tuoi zii per dichiarare che non vogliono più averti con loro. Poi toccherà ai Weasley. Il tutto sarà mandato al Ministero per far sapere che non vivrai più a Privet Drive»
«Chi ci andrà dai Dursley?»
A quel punto Sirius guardò oltre Harry e fissò lo sguardo su Piton. Harry si paralizzò dal terrore. «Piton!?» esclamò Harry, sorpreso.
«Io e il Preside, Potter» si affrettò a rispondere seccatamente il Maestro di Pozioni.
«Non può andarci Piton, li scuoierà vivi!» si lamentò Harry verso Sirius.
Harry sentì Piton sbuffare. «Guarda che sono proprio qui dietro di te» fece. «E anche se mi piacerebbe farlo, il Preside si è offerto di accompagnarmi proprio per impedirmelo»
«E se non volessero firmare?» Harry era paonazzo a quell’idea. Probabilmente i Dursley avrebbero fatto resistenza solo per non darla vinta alla Comunità Magica.
«Li persuaderò a dovere» si limitò a dire Piton con un ghigno. Un bagliore strano si fece largo nei suoi occhi. Minaccioso, sprezzante e colmo di vendetta. 
A quel punto Harry si voltò di nuovo verso il suo padrino, scioccato. «Hai visto? Li ammazza!»
«Potter, per l’amor di Merlino…non ucciderò nessuno»
Piton pareva divertito da quella situazione e dalla paura di Harry. D’altro canto Harry era terrorizzato. I Dursley avrebbero avuto un colpo al cuore a causa sua. Figuriamoci! Già erano spaventati a morte da maghi come Arthur Weasley, Severus Piton sarebbe stato di sicuro la loro fine.
«Solo…ci vada piano con loro, d’accordo?» suggerì Harry.
«Farò il possibile» disse Piton, con una smorfia.
Cavolo. 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Il numero 4 di Privet Drive era stranamente silenzioso quella sera. Dudley aveva guardato un po’ di televisione e si era messo a giocare con i videogiochi. Era bello starsene a casa. Le vacanze di Natale andavano alla grande. Sua madre non si asteneva più in cucina, perché durante le feste natalizie la dieta di Dudley saltava. Perciò il ragazzo aveva lo stomaco sempre pieno di delizie create da sua mamma: biscotti al burro, torte al cioccolato e crostate di mele. Nulla di più buono.
Soddisfatto della sua vita, il ragazzo si sporse per afferrare un pacchetto di caramelle dal suo comodino, mentre spostava e premeva i pulsanti sul joystick. Un profumino di carne arrosto e patate bollite saliva dalla cucina fin in camera sua. La cena era quasi pronta.
«Diddy! La cena è in tavola, vieni!» urlò sua madre.
«Un attimo!»
Petunia dovette chiamare il figlio per più di dieci volte prima che si decidesse a chiudere il videogioco e scendere. Quando Dudley sbucò in cucina, con quel suo passo pesante, vide suo padre già intento a mangiare. Succhiava l’unto dell’arrosto dalle dita, compiaciuto per l’ottima cucina di sua moglie.
«Delizioso come sempre, tesoro» si complimentò.
«Grazie, Vernon» Arrossì Petunia. Arrossiva sempre quando il marito le faceva un complimento. «Dudley, sbrigati, che si raffredda!»
«Ero quasi al ventunesimo livello, mamma! Non potevi mettere la cena in tavola un po’ più tardi?»
«Mi dispiace, piccolo mio, la prossima volta avvertimi, mmh?»
Dudley sbuffò irritato. E ti pareva! L’arrosto era ghiacciato!
«Vuoi che te lo scaldi un pochino?» suggerì la madre, amorevolmente.
«Sì»
Petunia prese il suo piatto e lo rimise in pentola. Accese il fuoco e aspettò qualche minuto. Quando però fece per rimetterglielo in tavola, il campanello della porta suonò.
I coniugi Dursley si scambiarono un’occhiata scocciata e un po’ stupefatta. «Chi sarà mai a quest’ora di cena?»
«Chiunque sia non ha neanche un po’ di rispetto. Andare in casa altrui a quest’ora!» sbottò il marito. «Vai tu, Tunia?»
«Certo»
Dudley sentì la madre dirigersi in corridoio e raggiungere la porta d’ingresso. I suoi passi minuti si arrestarono davanti alla porta. «Chi è?» domandò, con una voce squillante.
«Apra, siamo qui per Harry Potter»
«Sono loro, Vernon, sono loro!» bisbigliò Petunia, agitata.
Vernon nel sentire quelle parole si protese verso Dudley e lo strinse fortemente a sé, come per proteggerlo da qualcosa di invisibile. Le mani grassocce di suo padre gli si posarono sulle spalle. Udì sua madre emettere un gridolino e fu allora che incominciò ad avere paura. Vernon Durlsey si alzò da tavola e raggiunse coraggiosamente la moglie in corridoio.
«Andate via, avete sbagliato casa! Qui non ci vive nessun Harry Potter!» urlò.
«Oh, ma davvero?» La voce era puramente ironica. «Dannati babbani…sempre a dare problemi»
«Modera il tono, Severus»
I baffi di Vernon tremarono impercettibilmente. «Non dovete avvicinarvi alla mia famiglia! Andatevene!»
«Signor Dursley, si calmi, la prego. Non abbiamo intenzione di farle del male, né a lei né alla sua famiglia. Potrebbe aprirci, così possiamo parlare di una questione molto importante?»
«Chiamo la polizia se non ve ne andate immediatamente!» li minacciò l’uomo.
«Non ce n’è bisogno. Non siamo qui per aggredirla»
«Sloggiate dalla mia proprietà! SUBITO!»
«Signor Dursley, noi…»
Ma la voce venne interrotta da quella più intensa. «Merlino, Albus. Se continui così resteremo qui fino a mattina»
«Hai assolutamente ragione, ragazzo mio. Signori Dursley, aprite, per favore. Avremmo bisogno di parlarvi»
«Non apro certo alla gente come voi a quest’ora della notte!» urlò deciso Vernon.
«Sì, ci scusi per l’ora indecente. Ma le consiglio di aprire prima che il mio amico qui si spazientisca troppo»
Vernon, allarmato, si morse il labbro e agitò le mani davanti a sé. Non sapeva che fare. Ma dopodiché constatò che la minaccia era reale e dunque si apprestò ad aprire la porta, lentamente. Due uomini alti, uno vecchio e con una barba argentea a coprirgli il volto, e l’altro in vesti nere, dal colore simile ai suoi occhi.
«Che cosa volete?» domandò Vernon, quasi ringhiando.
«Siamo qui per prenderci il moccioso definitivamente» disse la voce profonda del uomo più giovane.
«Voi non toccherete Dudley»
Il mago sbuffò, divertito. «Non ci importa un bel niente della vostra grassa prole»
«Severus!» lo ammonì il vecchio che lo accompagnava. «Suvvia, un po’ di rispetto»
L’uomo dai capelli neri lo ignorò e si rivolse nuovamente a Vernon. «Sto parlando di Potter, naturalmente» sputò, acerbo. «Oh, Petunia. Quale spiacevole sorpresa»
Petunia era rimasta a guardare dietro le spalle di suo marito, scioccata. All’inizio non si rese conto di chi fosse l’uomo dai vestiti neri, perché era troppo concentrata a fissare il Preside. Oh, sapeva bene chi era Albus Silente. Lily ne aveva sempre tanto parlato e le aveva mostrato moltissime fotografie di lui. E si ricordava benissimo il giorno in cui gli aveva mandato una lettera personalmente, implorandolo di accettarla ad Hogwarts benché Babbana. Ma quando il mago dagli occhi neri pronunciò il suo nome, la donna si meravigliò che la conoscesse. Si concentrò meglio su di lui e realizzò chi fosse grazie a quegli occhi inconfondibili.
«Piton!?» Petunia sbiancò visibilmente, tesa come non mai.
«Lo conosci?» chiese Vernon, un po’ stupito della cosa.
«Era quello sporco spilungone che ero costretta ad avere come vicino di casa da bambina»
«È davvero bello sapere che non sei cambiata, Tunia» commentò l’uomo, sprezzante.
La tensione si propagò nel corridoio e tutti la sentirono chiaramente. Silente, con un colpo di tosse, ebbe l’attenzione di tutti i presenti. «Ci rammarichiamo per l’interruzione così improvvisa, ma dobbiamo discutere di Harry»
«Che ha combinato il ragazzo?» domandò la zia di Harry, irritata. Si aspettava di sentire qualcosa di osceno.
«Nulla, nulla» rispose il Preside, bonario. «Harry è in ottima salute e non ha commesso niente di grave. Potreste invitarci ad accomodarci, così possiamo parlarne meglio? Che ne dite?»
Petunia era troppo impaurita da Silente per impedirgli di dirigersi verso il salotto. Vernon cercò di resistere, ma anch’egli capì ben presto che quel uomo doveva essere qualcuno di molto importante e potente. Così permisero ai due indesiderati ospiti di farsi strada fino ai divanetti del salotto. Silente si accomodò, mentre Piton rimase in piedi, a camminare su e giù per la stanza e ad osservare le loro cose.
«Magari ora potresti offrirci una tazza di tè, mia cara Petunia?»
Ma la donna rimase tremante dietro la schiena di Vernon, senza muoversi.
«No? Ebbene faremo a meno del tè, allora. Sedetevi pure, vi prego. Non dovrei essere io a chiedervi di accomodarvi, considerando che questa è casa vostra. Oh, un’ottima combinazione di colori, comunque! I mobili sono deliziosi»
«Albus, potresti smetterla di cincischiarti e arrivare al dunque? Non abbiamo tempo da perdere, almeno non con questa gente» si lagnò Piton.
«Giusto, giusto» continuò il più vecchio. «Siamo venuti a conoscenza di recente che non siete esattamente i tutori che ci eravamo aspettati per Harry»
«Che cosa significa?» domandò Vernon, ansiosamente.
Fu Piton a continuare il discorso. «Significa che voi non ricoprite il ruolo di tutori adatto per Potter e questo non mi stupisce affatto»
A quelle parole Vernon si illuminò, cogliendone qualcosa di buono. «Volete dire che non saremmo più costretti ad occuparci del ragazzo?» chiese, con gli occhi che gli luccicavano. «Se ne andrà per sempre?»
Silente si rabbuiò e si agitò sul divano. «Come potete parlare così? È vostro nipote, dopotutto. Non provate un minimo di risentimento?»
«La presenza del ragazzo non è mai stata pienamente accettata in casa nostra» si affrettò a dire Petunia.
«Avrei dovuto immaginarlo» disse d’improvviso Piton. «Tratti lui così come hai trattato lei, vero? Chiami anche lui “mostro”, Petunia?»
Vernon, udendo l’odio nel tono di quel uomo, si ricoprì di chiazze rossastre sul collo e sulla gola, colmo di una rabbia trattenuta. «Non parli in questo modo a mia moglie!» la difese.
«Non sei riuscita a trovarti un uomo migliore di lui? Beh, non mi sorprende poi tanto neanche questo»
«Smettila» sbraitò la donna. «Non hai il diritto…»
«A dirti cose che non ti piacciono sentire? Ma non è ciò che hai fatto in tutti questi anni con il figlio di lei, Petunia? Lo hai maltrattato, deriso, umiliato. Sei tu quella che non ha il diritto di dire niente» disse, fissando Petunia con quello sguardo senza fondo. Fu allora che la donna uscì allo scoperto. Puntò il dito contro Piton e camminò verso la sua direzione, piena d’ira. «Se te ne fosse importato veramente qualcosa non saresti qui in questo momento! Perché diavolo non l’hai preso tu in custodia allora, eh? Perché hai lasciato che venisse a vivere qui? Sapevi benissimo come sarebbe stato trattato. Sapevi che con Lily non è stato diverso. Non fare l’innocente, perché la colpa è anche tua, Severus Piton»
Piton rimase in silenzio per un istante. Lasciò che passasse qualche attimo e con il scorrere dei secondi Petunia incominciò a pentirsi di ciò che aveva detto. Si strinse nelle spalle, impietrita.
«Sì, la maggior parte della colpa ricade su di me…» osservò l’uomo, rigidamente. Era sfinito.
Silente notò quel momento di debolezza da parte di Piton e si affrettò a dargli una mano. «Siamo qui per togliervi la tutela del ragazzo. Come potete immaginare non sarà più un peso per voi. Non ritornerà mai più in questa casa, considerando il fatto che voi non lo trattate così come dovrebbe essere trattato un figlio. Vi prego di comprendere la grave situazione. Tuttavia non siamo qui per punirvi, credetemi. Vogliamo solo le vostre firme»
Detto questo il Preside sfilò la bacchetta dalla tunica viola. A quella visione Petunia si irrigidì tremendamente e squittì, pronta a lanciarsi contro Dudley per proteggerlo. Silente, con un colpo di bacchetta, fece comparire sul tavolino alcune pergamene e una piuma.
«Tutto qui?» chiese Vernon. «Una firma e via?»
Silente annuì. «Esattamente, una firma e via»

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29






Harry Potter non poté considerarsi felice della situazione in cui si trovava. Era stato costretto a trascorrere l’intera serata in compagnia della professoressa McGranitt. Non che fosse una brutta cosa, per carità! Senza alcun dubbio era molto meglio di Piton. Ma ella sapeva –e lo sapeva bene anche Piton- che il Bambino Sopravvissuto non era granché propenso allo studio. E fu proprio lo studio ciò in cui dovette cimentarsi in quelle ore di beneamata libertà dalla costante presenza del Maestro di Pozioni. E la colpa, naturalmente, ricadeva proprio su quest’ultimo, che aveva consigliato alla collega di fare in modo che il giovane Grifondoro studiasse e si concentrasse su un tomo di mille pagine tutte riguardanti l’Occlumanzia e la Legilimanzia.
Il Preside e Piton erano partiti subito dopo cena. Procedette tutto con calma, come se stessero andato a bersi una Burrobirra a Hogsmeade. Piton, all’ora stabilita, aveva accompagnato Harry fino all’ufficio della McGranitt. Ella era bendisposta verso i confronti di Harry e non era pressoché turbata all’idea di rovinarsi la serata occupandosi di lui.
«Voglio che tu arriva almeno fino al trentacinquesimo capitolo questa sera, Potter» gli ordinò Piton, severamente.
«Cosa!? È impossibile!»
L’uomo poggiò il tomo su un ripiano lì vicino e Harry sbiancò alla vista di tutte quelle pagine. Chi diamine scriveva libri così lunghi? Trentacinque capitoli. Dipendeva tutto da quante pagine ne avesse uno. Non appena controllò, il suo colorito già pallido si fece ancor più chiaro. Sperò in qualche modo che Piton scherzasse, ma dal suo tono fermo pareva proprio di no.
«Non me ne importa nulla se è impossibile, Potter, perché tu lo farai comunque e senza ulteriori obbiezioni» parlò l’uomo, assumendo una voce glaciale.
«Ma…»
«Minerva» lo interruppe Piton, rivolgendosi alla donna.
Ella, con quegli occhi vispi e severi, gli rivolse un cenno di comprensione. «Lo so, Severus. Se succede qualcosa al signor Potter ti faccio chiamare con un Patronus»
«Non staremo via a lungo»
«Non gli accadrà nulla, non ti preoccupare»
«Non mi preoccupo, infatti» rispose arcigno lui, come se la sola idea di preoccuparsi per Harry fosse una terribile bestemmia.
«Signore, non li faccia morire di spavento, eh?» Harry era sinceramente preoccupato, invece. Continuava a pensare ai Dursley, a come avrebbero reagito trovandosi davanti la tremenda figura nera di Piton e quella esuberante e stravagante del professor Silente. Era molto difficile immaginarsi i due in casa Dursley. Neanche la più fervida delle immaginazioni ci sarebbe riuscita. Pensare a Silente passeggiare su e giù per quel comune e ordinario salotto era pressoché assurdo.
Piton abbozzò un sorrisetto malizioso, ma non disse nulla. Harry deglutì a quella vista, ansiosamente.
Merlino, i Dursley erano spacciati.
«A presto, Severus» lo salutò la professoressa McGranitt.
L’uomo si limitò a farle un cenno e a squadrare Harry in mal modo. Dopodiché scomparve, diretto nell’ufficio del Preside. Harry si abbandonò su una delle sedie e incominciò a sfogliare il libro di Occlumanzia. Si rese ben presto conto che era di una noia mortale. Aveva le pagine fitte fitte, senza quasi neanche un capoverso. Sperava in qualche immagine o magari in qualche schizzo, ma niente. Era un tomo di mille pagine completamente pieno zeppo di parole. Si aspettava veramente Piton che lo leggesse tutto? Non era mica Hermione! Quale assurdità.
La professoressa McGranitt si accomodò dietro la scrivania e afferrò anche lei un libro, mettendosi a leggere tranquilla. Per un attimo Harry la osservò: occhiali obliqui sulla punta del naso, sguardo attento che guizzava sulle pagine. Come sempre aveva i capelli raccolti, strettissimi in uno chignon modesto e anonimo. Non le piaceva mettersi in mostra e farsi notare. Era una donna semplice, riservata, estremamente intelligente.
Harry si affrettò ad accingersi a leggere, altrimenti non avrebbe finito in tempo. Per un attimo ebbe l’intenzione di saltare l’introduzione, ma poi si disse che probabilmente era meglio di no.
 

Introduzione
Scritta da Theodora Attkinson

 
È controverso se la Legilimanzia e l'Occlumanzia vadano enumerate tra le Arti Oscure oppure no.
La Legilimanzia (formula: Legilimens) è una disciplina molto complessa. Se ne fa uso per leggere nella mente di un soggetto, potendone vedere, se quest'ultimo non applica uno schermo adeguato alla sua mente, i ricordi, le intenzioni, ma non i pensieri. Non c'è nessun modo di leggere i pensieri di qualcun altro, nemmeno la Legilimanzia. Tramite essa, si possono anche piantare visioni errate della realtà nella mente di qualcuno, quindi è uno strumento davvero molto delicato. Il contatto visivo aiuta molto chi pratica la Legilimanzia, ma esistono persone così dotate da potersi cimentare in questa disciplina anche a distanza. Oltretutto, alcuni individui nascono con il dono della Legilimanzia, ovvero l'arte innata di leggere chi sta loro davanti.
 
Harry si domandò se Piton fosse nato con quel genere di dono, oppure fosse stato già predisposto ad imparare la Legilimanzia. Era chiaro che gli riusciva piuttosto facile, per la maggior parte delle volte. Spesso lo faceva persino senza accorgersene.
 
Per difendersi, c'è un'arma efficace, ovvero l'Occlumanzia. Essa permette di schermare la propria mente dall'attacco della persona che cerca di leggerla o influenzarla. È fondamentale rimanere concentrati e disciplinare il proprio cervello, cercando di non cedere alle emozioni, perché si parla di scienze non esatte, ma di cicli di energia che vengono scagliati e di cicli di energia che devono rispondere in modo altrettanto, se non più forte. Chi pratica l'Occlumanzia viene detto "Occlumante". Per praticare nel modo migliore l'Occlumanzia, la mente deve essere sgombra da pensieri e sensazioni di ogni tipo, in modo che il Legilimens non possa trovare ricordi che si vogliono tenere segreti.
Nello stadio più avanzato dell'Occlumanzia, è possibile far vedere al Legilimens ciò che si vuole, tenendo per sé le memorie e le emozioni private e mostrando invece quelle senza importanza oppure convenienti per i propri scopi; in questi casi, l'Occlumanzia diventa un'arma oltre che una difesa.
 
“Quello che io non imparerò mai”, pensò Harry, accigliato. Chissà se il Maestro di Pozioni sapeva farlo. Non poteva neanche scoprirlo, poiché non aveva la più pallida idea di come si usasse la Legilimanzia. E poi Piton lo avrebbe sicuramente ucciso se ci avesse provato. Era molto meglio per lui non dare alcuna ragione a quell’uomo di torturarlo più del solito.
Passate due ore la McGranitt si appisolò sulla sedia. Harry non lo aveva mai visto succedere prima di allora. Dormì ben composta, con la testa appoggiata sullo schienale e il libro abbandonato sulle ginocchia. Dopo un paio di minuti nella stanza si diffuse un silenzioso russare. La McGranitt teneva la bocca aperta, rivelando dei denti dritti e sani. Harry trovò la situazione alquanto divertente. Avrebbe tanto voluto avere una macchina fotografica e farle una foto. Ron di sicuro ci avrebbe riso un sacco sopra.
Harry si accinse a ritornare alla lettura. Era appena al tredicesimo capitolo e si stava facendo tardi. Chissà dov’erano finiti Piton e Silente. Lasciò scorrere gli occhi sulle righe del tomo. Lo scrittore, Jude Linerton, aveva uno stile di scrittura tutto suo, così minuzioso e borioso che Harry proprio non riusciva a sopportare. Sentiva gli occhi stanchi, le palpebre pesanti. Ma doveva continuare, altrimenti avrebbe passato dei guai con Piton.
 
 

***

 
«Mio caro ragazzo, non avresti dovuto esagerare tanto quando siamo usciti…» dichiarò Silente, guardando l’uomo di sottecchi.
«Se lo meritavano» abbaiò Piton, freddamente.
«Ma di sicuro non il giovane ragazzo. Farlo scoppiare a piangere in quel modo non è stato per nulla gentile da parte tua»
«Se stai cercando di farmene pentire, sappi che non funzionerà, Albus. Quel moccioso è un dannato bullo. Da quel che ho capito nei ricordi di Potter ha persino una gang. Vanno in giro a picchiare ragazzini più piccoli di loro. Se lo meritava quanto i genitori»
Silente non rispose, rimase pensieroso. Il giardino di Hogwarts era illuminato dal bagliore argenteo della luna piena che troneggiava sopra il Lago Nero. La neve emanava una luce splendente, quasi come se riflettesse i raggi del satellite.
«Una piacevole serata, non trovi?» fece il Preside, guardandosi attorno, con quel solito fare curioso.
Piton grugnì, indifferente. Continuò ad avanzare, pensando a Potter. Se Minerva non lo aveva fatto chiamare voleva dire che non gli era accaduto nulla. Chissà se quel dannato ragazzino si era preso la briga di leggere il libro che gli aveva detto di consultare. Dal figlio di Potter non doveva certo aspettarsi granché.
«Domani porterò le firme al Ministero» continuò il Preside. «Caramel farà sicuramente resistenza per quanto riguarda i Weasley, ma cercherò di farlo ragionare»
«Perché dovrebbe fare resistenza?»
«I Weasley hanno troppi figli. Affidare Harry a loro, quando in passato il ragazzo è stato più volte abbandonato e allontanato dai suoi stessi parenti, per Caramel non sarà un’idea tanto brillante. Crederà che Molly e Arthur non siano in grado di stargli dietro, quando hanno da pensare anche al resto della famiglia. Ma sono sicuro che saranno in grado di prendersi cura di Harry come si conviene. Si sentirà certamente apprezzato e amato»
«Davvero non ne sapevi niente, Silente?» chiese ad un certo punto Piton, quasi arrabbiato.
«Così mi offendi, Severus. Non avrei mai permesso che Harry crescesse in una famiglia del genere»
Arrivati nella Sala d’Ingresso i due uomini si augurarono la buonanotte e si separarono. Piton si affrettò a salire la scalinata fino a raggiungere l’ufficio di Minerva e quando vi entrò trovò i due profondamente addormentati. Minerva se ne stava a russare sonoramente, con le labbra socchiuse e la testa rovesciata all’indietro. Potter invece teneva la testa sopra il libro di Occlumanzia, con le braccia appoggiate sul tavolo e un’espressione un po’ turbata stampata sul volto.
Doveva immaginarselo. Potter di certo non aveva letto neanche una riga. Quando si avvicinò al ragazzo notò tuttavia un fatto assai curioso. Il libro aperto sotto di lui segnava chiaramente l’inizio di un nuovo capitolo: Capitolo trentacinque.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30







«Potter» 
Harry era assonnato e per un momento non capì dove fosse. Socchiuse piano gli occhi e si rese ben presto conto che aveva un forte dolore al collo per quella posizione innaturale che aveva assunto. Si fece sfuggire un gemito e dopodiché si rese conto della presenza del professore di Pozioni.
«Potter, avanti, svegliati» abbaiò Piton.
Harry si tirò all’indietro di scatto, mettendosi dritto e guardandosi attorno, più confuso che mai. Era nell’ufficio della McGranitt. Certo, ora rammentava tutto. Vide il libro di Occlumanzia dinanzi a lui e un Piton arcigno fissarlo con astio.
«Severus! Già di ritorno?» Era la McGranitt. Anche lei si era destata grazie alla voce intensa del collega. Aveva i capelli scompigliati. Alcune ciocche le fuoriuscivano dalla ordinata pettinatura e cercò in tutti i modi di darsi un contegno, senza che i suoi ospiti lo notassero più del dovuto. La donna si schiarì la gola e si alzò dalla sedia, un po’ frastornata dal sonno.
«Spero che voi due abbiate fatto una buona dormita» fece Piton, seccamente.
La donna arrossì a malapena e si portò le mani sul volto, per non farlo vedere. Harry invece non si fece prendere di stucco. Era abituato alle frecciatine di Piton, ormai.
«Immagino che mi sia appisolata per un attimo…»
«A quanto pare “un attimo” è alquanto relativo, soprattutto per te, Minerva»
La donna non volle farsi mettere i piedi in testa, sollevò prontamente il capo e scrutò Piton con severità. Non le piaceva per niente quando le si parlava in malo modo. Piton sostenne quello sguardo e dopodiché ritornò a porre la sua attenzione sul giovane Grifondoro, ancora mezzo addormentato.
«Com’è andata con i Dursley, signore?» chiese nervosamente lui.
«Hanno firmato» Fu tutto ciò che Piton disse. Harry tentò di tirargli fuori da quella bocca altre informazioni, ma il professore lo fece ammutolire soltanto con un gesto della mano.
«Seguimi, ritorniamo nei sotterranei» ordinò l’uomo, facendo per uscire. Ma Harry rimase inchiodato sulla sedia, a guardarlo con insistenza.
«Hanno cercato di obbiettare?» domandò Harry, rigidamente.
«Muoviti, Potter»
«Il professor Silente…?»
«Potter, non mi ripeterò due volte. Alzati ed esci»
Perché mai era così nervoso? Probabilmente la stanchezza lo rendeva ancor più suscettibile del solito. Harry si affrettò ad alzarsi e augurò la buonanotte alla professoressa McGranitt. Lei lo salutò con un cenno del capo, con delle profonde occhiaie sotto gli occhi e un’espressione stanca. Harry e Piton camminarono lungo gli ampi e deserti corridoi, udendo risuonare l’eco dei propri passi. Le candele emanavano un bagliore curioso sulle pareti, facendo allungare le loro ombre e deformandole a ogni metro. Non appena giunsero negli appartamenti di Piton, Harry cercò di nuovo di sapere qualcosa di più dell’incontro con i suoi zii, ma Piton non volle abbandonarsi in chiacchiere. Borbottò qualche ordine, dicendogli di andare a dormire e Harry non poté che assecondare la sua richiesta.
«Quindi il professor Silente mi manderà dai Weasley? È definitivo?» insistette ulteriormente.
«Non ancora, Potter. Ma lo sarà l’indomani, quando il Preside porterà le firme dei tuoi zii al Ministero»
«Posso essere presente anch’io?»
«No, Potter»
«Perché no?»
«Il tuo posto per ora è ad Hogwarts. Sfortunatamente…in mia compagnia. Non ti allontanerai da qui»
«Ma…!»
«Va a dormire. Adesso»
Harry sbuffò, irritato. Quel comportamento indifferente da parte dell’uomo era assolutamente irragionevole. Si stava parlando dei suoi zii, degli unici parenti che aveva in vita! E Piton non aveva la men che minima intenzione di rivelargli la più piccola delle cose. D’accordo, all’uomo non piaceva parlare, né spettegolare, ma dargli una visione generale su ciò che era accaduto a Privet Drive era più che lecito.
Tuttavia il ragazzo comprese che quella sera non avrebbe avuto alcuna risposta da parte del professore di Pozioni, perciò accettò la resa e si diresse verso la sua camera, con la testa abbassata. Non era per niente confortante andare a letto senza essersi assicurato se i suoi zii e suo cugino fossero ancora vivi e vegeti. Ad ogni modo lasciò perdere e si spogliò, infilandosi nel pigiama. Era troppo stanco per continuare a pensarci, così si distese supino sul materasso e si lasciò abbandonare al sonno.
Quella notte rifece il sogno della porta misteriosa. Il corridoio inquietante, dalle luci tenue e pallide lo fecero rabbrividire. E la porta era lì, chiusa. Era impossibile aprirla. Harry sentiva come una morsa allo stomaco. La sua coscienza percepiva che tuttavia c’era qualcosa di peggiore in arrivo. Infatti dopo qualche spintone da parte sua, la porta si spalancò, con un cigolio forte e distinto. Lo sentì gracchiargli le orecchie. Ma non si trovò in una stanza, neppure dentro ad un edificio a dire il vero. Era buio, non riusciva a scorgere nulla eccetto le lapidi che sorpassava man mano che avanzava nel cimitero. Il suo cuore gli martellava nel petto, furioso. Harry sapeva bene che cosa sarebbe accaduto da lì a poco e non poteva evitarlo. Non poteva evitarlo mai.
Ed eccolo. Cedric Diggory, bellissimo nella sua figura alta e giovanile, con quell’aria sveglia e intelligente ed  un sorrisetto di vittoria stampato sul volto. Credeva di aver vinto il Torneo Tremaghi e i suoi occhi chiari guizzavano attorno con curiosità, pensando che quella fosse un’ultima prova prima di raggiungere il campo di Quidditch e festeggiare la vittoria assieme a Harry. Sì, perché non ci sarebbe stato un solo Campione quell’anno. Cedric e Harry avrebbero vinto insieme. Perché se lo meritavano tutti e due. Appartenevano alla stessa scuola e si erano aiutati a vicenda per arrivare fino a lì. Cedric posò lo sguardo in quello di Harry e gli sorrise raggiante prima di venir avvolto in una luminosa luce verde. I suoi occhi si spensero d’improvviso, diventando vacui e inespressivi. Morti. Perché era questo ciò che divenne Cedric in quel momento: un morto. Accadde più veloce di un lampo: il corpo esanime del Tassorosso si accasciò a terra con un tonfo sonoro e non si mosse più.
«CEDRIC
Harry urlò, fortemente. Non poteva aiutarlo, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Desiderava svegliarlo da quel sonno mortale, riportarlo al campo di Quidditch, dove tutti lo stavano aspettando per acclamarlo. Doveva ritornare a casa, da suo padre. Doveva passare i MAGO, diplomarsi e incominciare la sua vita là fuori, nel mondo. E di certo si sarebbe fatto strada, Diggory, perché era uno in gamba, Harry lo aveva sempre pensato. Chissà, magari avrebbe avuto dei bambini. Li avrebbe amati più di ogni altra cosa e man mano che loro sarebbero cresciuti lui sarebbe invecchiato, così come era giusto che fosse.
Troppo giovane.
Una vita spezzata senza riguardo, con un’indifferenza più che disgustosa. Una vita che avrebbe potuto donare molto a questo mondo infame. Una vita non vissuta.
«NO! Cedric!»
«Inchinati alla morte, Harry Potter…» La voce di Voldemort gli sibilò nelle orecchie, forte e serpentesca. «Non puoi nasconderti da me... Vieni fuori, Harry, vieni fuori a giocare…»
«Basta, no! Basta!»
Una luce color smeraldo si fece largo nelle sue iridi del medesimo colore. Non vide più nulla oltre che quel bagliore intenso, freddo e privo di speranza. Era il colore della morte.
D’improvviso sentì due mani afferrarlo per le spalle e scuoterlo con forza, senza fargli male, però. Harry si spaventò, non capì più nulla. Urlò e di dimenò, cercando di sottrarsi da quella presa, eppure i suoi gesti furono vani.
Spalancò gli occhi e si ritrovò al buio. Una presenza scura se ne stava accanto a lui. Harry aveva le mani di Piton ancora addosso.
«Mi dispiace…io…» si affrettò a dire il ragazzo.
«Di nuovo il cimitero?»
Harry era confuso, non capiva come facesse a saperlo. «Come…?»
«Scruto nella tua mente ogni giorno, Potter. Naturale che sappia quali sogni tu faccia la notte» chiarì il professore di Pozioni, scoccandoli un’occhiata ironica.
«Mi dispiace averla svegliata, signore»
Piton non disse nulla, rimase a fissarlo e basta. Con un colpo di bacchetta accese la luce e uscì un attimo dalla camera di Harry. Il ragazzo si sporse per prendere gli occhiali dal comodino e se li infilò, con le dita delle mani che tremolavano. Il giovane rimase seduto sul letto, come impietrito. Aveva la schiena madida di sudore e respirava affannosamente. Quei sogni recavano un effetto devastante al suo corpo. Si asciugò la fronte con la manica del pigiama e cercò di fare dei respiri profondi per tranquillizzarsi. Non aveva nessuna voglia a rimettersi a dormire, non quando sapeva che avrebbe rifatto quel maledetto sogno. Voldemort lo tormentava, sempre. Non si sarebbe mai liberato di lui, era certo. Con il cuore in gola al ricordo della morte di Cedric, cercò di non demoralizzarsi. Non doveva lasciarsi abbattere, non ora che Voldemort era in libertà, pronto ad ucciderlo in qualsiasi momento. Doveva sopravvivere, questa era la cosa più importante. Non doveva permettere a niente e nessuno di rovinargli la vita, di strapparlo via da quell’esistenza tanto bramata. Finalmente aveva trovato degli amici, un posto in cui era il benvenuto…anche se l’ultimo anno era stato piuttosto difficile da sopportare. La Gazzetta del Profeta faceva di tutto per far credere alla gente che fosse pazzo. Ma Ron e Hermione conoscevano la verità, e la conosceva anche Silente. E, doveva ammetterlo, persino Piton era dalla sua parte. Con tutte quelle lezioni di Occlumanzia aveva visto più volte la morte di Cedric e aveva assistito persino al risorgimento di Voldemort. Anche altre persone gli credevano, sebbene in un numero meno elevato. Ma questo gli bastava per tirare avanti.
Piton rientrò in camera, con una boccetta di vetro tra le lunghe dita affusolate. Senza dir nulla porse la pozione ad Harry e sollevò un sopracciglio, invitandolo a berla.
«Spero che ora tu non mi chieda di che cosa si tratti. Al quinto anno di Hogwarts dovresti già riconoscere questo infuso» disse Piton, analizzandolo con attenzione.
Harry deglutì. Non era proprio il momento di mettersi a pensare alle pozioni. Ma poiché Piton parve così determinato, velocemente scostò lo sguardo sulla boccetta e cercò di capire quale pozione fosse. Dov’era Hermione quando serviva?
«Mmh…è una Pozione del Sonno senza Sogni» La sua sembrò più una domanda che una risposta.
Piton ghignò, divertito. «Esatto. Più comunemente chiamata “Pozione sonnifera”, Potter»
«Oh, okay…»
«Tre sorsi basteranno per garantirti un sonno privo di quegli incubi»
«Perché mi sta aiutando?» 
«Non sto aiutando te, sto aiutando me. Venir svegliato a notte fonda dalle tue grida disperate non è per nulla gradevole»
Harry lo ignorò. Stappò la boccetta e, come aveva suggerito Piton, bevve tre sorsi della pozione. Al contrario delle altre, questa non aveva un sapore tanto orribile.
«Distenditi. Fa subito effetto» gli disse il professore.
Harry infatti sentì la mente annebbiarsi. Il suo corpo gli parve sempre più pesante e dunque si affrettò a sdraiarsi sul letto. Piton fece per andarsene, ma Harry lo trattenne.
«Comunque sia…» Parlò a fatica. Non riusciva più a ragionare granché e lottava contro il sonno che pian piano stava cercando di catturarlo nelle sue grinfie.
«Rilassati, Potter, lasciati andare» consigliò Piton, un po’ preoccupato nel vederlo mentre cercava di resistere alla pozione. Sapeva che era inutile e faceva soltanto del male a se stesso.
«…grazie» mormorò Harry, un attimo prima di cedere al sonno.
Piton se ne restò lì a guardarlo, stupito. Si abbassò su di lui e con estrema delicatezza gli sfilò gli occhiali, piegandoli e riponendoli sul comodino accanto al letto. L’espressione di Potter era molto più serena, adesso.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31



 

Quando la questione dell’adozione venne esposta al Ministero il giorno seguente, Harry non riuscì a starsene fermo neanche per un minuto. Non era fisicamente in grado di mettersi seduto e aspettare pazientemente il ritorno del Preside. Era troppo nervoso.
«Potter, per l’amor del cielo, siediti e datti un contegno prima che ti faccia ingoiare un’intera pozione calmante» borbottò Piton, seduto sulla poltrona dinanzi al caminetto. Stava sfogliando critico la Gazzetta del Profeta.
«Non ci riesco, mi dispiace» Sospirò il ragazzo. Camminava ansiosamente su e giù per il salotto, dando ai nervi al professore più che mai. Harry sentiva il disperato bisogno di uscire da lì. Aveva caldo e gli mancava l’aria in quell’appartamento sotterraneo. «Mi permetterebbe di uscire in corridoio per qualche minuto?»
«Scordatelo»
Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo e curvò le spalle, esasperato. «Grazie tante»
«Non fare il sarcastico con me, Potter» lo ammonì il mago. Ci fu un attimo di silenzio. Harry continuò a camminare, senza tregua, con la fronte corrugata dalla più accentuata delle preoccupazioni. Sentiva i muscoli delle braccia e delle gambe tesissimi, come se fosse in procinto a giocare la finale di Quidditch. Non gli era mai successo prima di essere tanto nervoso, nemmeno durante gli esami di fine anno.
«Stanno cercando ancora di screditare te e il Preside» disse Piton, riferendosi alla Gazzetta del Profeta per cercare di distrarre Harry.
«Non leggo più quella roba» sbottò il giovane, con astio. Non ne poteva più di sentire quella storia. Fece un gesto di diniego con il braccio e lanciò un’occhiataccia al giornale che Piton teneva tra le dita.
Il professore sogghignò, divertito dall’espressione torva del ragazzo. «Abbastanza comprensibile»
«Lei mi ha creduto? Fin dall’inizio?»
«La tua è una domanda idiota, Potter» grugnì l’uomo, scrutandolo con attenzione. «Conosco la verità. Sono un ex-Mangiamorte. Il richiamo del Signore Oscuro quella sera non è passato certo inosservato né a Karkaroff né a me»
Harry frenò la sua camminata inquieta per posare gli occhi in quelli del professore di Pozioni. Era stupito. Non si aspettava certo che tirasse in ballo il suo passato da Mangiamorte con tale naturalezza, o almeno non davanti a lui. In effetti persino l’uomo era un po’ titubante. Di certo quella confidenza era esagerata anche per i suoi gusti.
«Come mai non....» osò domandare Harry, ma venne prontamente interrotto da Piton.
«No, Potter» tuonò il professore. «Non mi farai quella domanda»
Harry abbassò lo sguardo, imbarazzato. Piton aveva capito che cosa volesse chiedergli ancor prima di concludere la formulazione della domanda. Padroneggiava la Legilimanzia come fosse la cosa più naturale al mondo e Harry non era riuscito ancora ad abituarcisi. «Scusi»
Chissà se i Weasley erano agitati quanto lui. Quell’attesa era insopportabilmente lunga e se continuava così Harry era dell’idea che gli sarebbe venuto un ictus. A quel pensiero cercò di trattenersi dal ridere. Parlare di disturbi e malattie babbane nel mondo magico era assurdo, la maggior parte di esse venivano curate con estrema facilità. In principio Harry ne era rimasto così meravigliato che per un po’ si era chiesto se fosse opportuno portare quelle cure anche negli ospedali babbani.
«Sono babbani, Harry» gli aveva spiegato Hermione un giorno. «Per curare le malattie babbane i Guaritori sono costretti a usare una buona dose di magia. I nostri corpi sono abituati ad essa e l’accettano. Se facessimo la stessa medesima cosa sui babbani ne morirebbero. Sono troppo deboli»
«Sul serio?» si stupì Harry.
«Non è mai cosa saggia usare la magia su di loro, in nessun caso. Qualche volta ci penso anch’io, sai? I miei genitori…farei qualsiasi cosa se accadesse loro qualcosa, eppure so che non mi è possibile, che peggiorerei solamente le cose»
«Mi dispiace, Hermione»
«Oh, ma perché stiamo parlando di questo, ora? Non mi stavi spiegando i falli del Quidditch?
Voglio conoscerli tutti, così Ron smetterà a prendermi in giro…»
«Ce ne sono circa settecento, Hermione. È impossibile ricordarseli tutti»
«E che vuoi che sia! Glielo farò vedere a Ronald Weasley!» urlò Hermione, risoluta.
Harry allora lasciò perdere, chiedendosi il perché mai quei due finivano sempre per litigare o per tentare di dimostrare qualcosa all’altro. Persino Ron si era messo a fare i compiti da solo, senza l’aiuto dell’amica, cercando di fare del suo meglio. Sperava infatti che Hermione avrebbe apprezzato lo sforzo. Il loro rapporto era mutato radicalmente subito dopo il litigio al Ballo del Ceppo. Avevano fatto pace, certo, ma adesso parevano continuamente in competizione l’uno con l’altro. Ed Harry si sentiva costantemente preoccupato. Non era tanto rassicurante vederli battibeccare per ogni piccola cosa.
Harry udì un frastuono provenire nella sua camera e raddrizzò le spalle, impaurito. Piton, capendo di che cosa si trattasse, fece un cenno con la testa ad Harry per ordinargli di andare a vedere. Ma prima che il ragazzo aprisse la porta, Dobby ve ne uscì, con una lettera in mano.
«Signore! Una lettera per voi!» esclamò con gioia l’elfo, porgendogliela.
«Grazie, Dobby…»
Harry era così ansioso che per poco non gli cedettero le ginocchia. Aveva un senso di vuoto allo stomaco che lo angosciava terribilmente, fu solo il suo spirito Grifondoro a dargli il coraggio di afferrare la busta e aprirla.
 
Carissimo Harry,
Il Preside è riuscito a convincere Caramell. Sono al Ministero. Molly e i ragazzi ancora non lo sanno. Volevo avvertire te per primo. Non immagini quanto sia contento, Harry! È un onore avere un ragazzo come te in famiglia! Parleremo più tardi, ora devo andare, scusami.
Arthur Weasley
 
Sul volto del Bambino Sopravvissuto si allargò un grande sorriso. Non poteva crederci. Da sempre aveva creduto che la situazione dai Dursley non sarebbe mai potuta cambiare. Eppure ora…ora doveva assolutamente ricredersi, perché era stato appena affidato ai Weasley. Aveva una famiglia, ora. Una vera famiglia. Si sentiva così felice che gli si riempirono di lacrime gli occhi. Aveva una casa. Una casa dove era benvoluto, una famiglia a cui volere bene. Persone che lo avrebbero amato per quello che era. Non perché era il ragazzo più conosciuto del mondo magico, non perché aveva sconfitto Lord Voldemort e non perché era destinato a fare grandi cose…no, lo avrebbero amato perché era Harry. Solo Harry. Nulla di più, nulla di meno. Era tutto quello che aveva sempre desiderato.
 I Durlsey non avevano mai provato affetto verso i suoi confronti. Il loro disprezzo verso la diversità era più grande dell’amore che avrebbero potuto dargli. Ed Harry rientrava decisamente in quella categoria dei diversi incorreggibili, impossibili da controllare. Il genere di persone che i Dursley odiavano. Zia Petunia gli aveva sempre ricordato quant’era differente anche sua madre, così lontana dall’essere normale, così distante dalla concreta realtà babbana.
«Chi te l’ha spedita, Potter?» chiese ad un certo punto Piton, impaziente, interrompendo i pensieri del giovane.
«Arthur Weasley. Dice che il Preside ce l’ha fatta. Dice che sono…sono stato adottato…»
«Bene, un’altra aggiunta alla loro infinita prole…» sibilò con un ghigno ironico l’uomo.
Harry era troppo felice per comprendere le parole sarcastiche del professore. Niente e nessuno l’avrebbe distratto da quella momentanea felicità che lo faceva fremere così forte. Era così adorabilmente bello! Così strano rendersi conto di appartenere a una famiglia che vuole prendersi cura realmente di te. Non era mai accaduto prima a Harry. Non aveva mai sentito questa straordinaria emozione di appartenenza, di sollievo e di sicurezza. Ed era così meravigliosamente eccitante.
«Dunque è questo ciò che si prova?» chiese Harry, come trasognato.
«Non lo so»
Furono quelle tre parole a riscuotere Harry. Andò a posare lo sguardo luminoso in quello scuro del professor Piton, con la fronte corrugata e una curiosità accesa a rodergli l’animo. Quel “non lo so” non poteva significare che una sola cosa, ma non osava chiedere spiegazioni. Perché tanto non le avrebbe ricevute comunque. Piton non era il tipo che si lasciava andare in chiacchiere sui tempi andati, soprattutto quando riguardavano lui.
Harry si rese conto per la prima volta che quell’uomo era un pozzo di mistero. Non si conosceva nulla di lui, oltre a quella maschera di ironia che gli piaceva indossare. Che cos’era che tanto disperatamente celava agli occhi altrui? Che cosa non voleva far vedere?
«Ora che finalmente hai ricevuto la tua risposta, potresti, per cortesia, levarti da qui? Va a fare qualcosa di produttivo, piuttosto che camminare su e giù per il salotto» ringhiò Piton.
Harry s’imbarazzò. «Sì, mi scusi. Ero molto nervoso…»
«L’ho notato. Hai fatto innervosire pure me con tutta quell’ansia repressa. Adesso faresti meglio a sparire dalla mia vista per un po’»
«Certo…vado»

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32




 

Il giorno seguente Harry ricevette quattro lettere da parte della signora Weasley, Ron, Hermione e Sirius.
Quella della signora Weasley era lunga quanto un saggio. La sua nuove tutrice descrisse accuratamente la sua contentezza –e quella del marito- di averlo in famiglia. Harry ne era rimasto così lusingato che dovette rileggere la lettera almeno per tre volte, perché non aveva mai immaginato di poter far provare tali emozioni a delle persone. Hermione, per canto suo, era felicissima che Harry non dovesse più sopportare le crudeltà dei suoi parenti e che andasse a stare assieme ai Weasley.
 
“Sono delle persone buonissime. Non avrebbero potuto scegliere di meglio per te, Harry. Credimi, sarai felice, soprattutto quando sghignazzerai e scorrazzerai in giro assieme a Ron e i suoi fratelli fin troppo scalmanati.”
 
Il suo migliore amico invece aveva simpaticamente elencato tutti gli oggetti che gli avrebbe regalato una volta alla Tana, a incominciare dal proprio letto. Harry rise di gusto mentre leggeva le sue parole, cercando di non farsi udire da Piton.
 
“Ho chiesto alla mamma di farti dormire nella mia stessa stanza. Credo proprio che accetterà! Oh, per tutte le mutande di Merlino, Harry! Penso che questo sia il giorno più bello della mia vita! Finalmente avrò un fratello con cui andrò definitivamente d’accordo! Ma tu ci credi? Non mi sembra ancora vero!”
 
Harry era più entusiasta di tutti i Weasley messi assieme. Lo stesso non si poteva dire di Sirius, che si sentiva messo da parte in tutta quella storia. Ovviamente nessuno gli aveva chiesto il suo parere, perché egli non aveva diritto di parola su Harry. Era ancora considerato un criminale, perciò non poteva fare altro che restarsene a guardare.
A Harry dispiaceva moltissimo. Certo, avere come tutore il suo padrino sarebbe stato fantastico, ma sapeva che era impossibile. Non poteva farsi illusioni, perché ne avrebbe ricavato soltanto dolore. Sirius alleggiava nella più disperata delle malinconie, rimpiangendo il passato e i tempi della scuola, dove era solito andare liberamente in giro per i corridoi assieme a James, Remus e Peter. Non gli faceva bene restare chiuso in casa. Era uno spirito libero, desideroso di starsene all’aperto e socializzare con gli altri.
Dopo pranzo il professor Silente raggiunse i sotterranei per parlare con Harry, perciò Piton lasciò il salotto e si diresse verso l’ufficio, senza dire nulla.
«Harry, come stai?» incominciò il Preside.
«Benissimo!»
«Sono felice che tu sia contento. Devo tuttavia informarti che il Ministro ha fatto delle pressioni per quanto riguarda la scelta dei Weasley»
Harry a quelle parole si spaventò e divenne più irrequieto che mai. Dovette andarsi a sedere su una delle poltrone per tentare di riprendere la calma. «Che cosa significa?»
«Tranquillo, ragazzo mio. Ormai l’affidamento è concluso. Fai ufficialmente parte della famiglia Weasley per adesso»
«”Per adesso”?»
«Il Ministro ha qualche difficoltà ad accettare i Weasley come tutori del famoso Bambino Sopravvissuto»
«Ma è assurdo! Ha accettato di affidarmi ai Dursley e ora dei Weasley non ne vuole sapere!? Che storia è questa?»
«L’affido ai tuoi parenti è stata una mia particolare richiesta. Speravo di fare la cosa giusta, una volta tanto, ma a quanto pare non è andata così. Me ne rammaricherò per il resto della vita, Harry, sappilo»
«Non deve…»
«Certo che devo» lo interruppe lui, per poi continuare. «I Weasley non sono dei maghi ben visti nella comunità magica, anche se Purosangue. Molti li considerano dei traditori del loro sangue, ma probabilmente questo lo sai già. Affidare il Bambino Sopravvissuto a una famiglia di basso rango come la loro non è certo un bel vedere per il Ministero. Caramell avrebbe sicuramente preferito dei tutori influenti, che siano sotto stretto controllo del Ministero e che sappiano il fatto loro sulla politica»
«Una famiglia come i Malfoy, ad esempio?» suggerì il ragazzo.
«Qualcosa del genere, esatto. Ma soprattutto che non abbiano troppi figli e che siano in grado di provvedere economicamente a te»
«Ho molto denaro alla Gringott! Posso provvedere a me stesso da solo! Anzi, posso unire il mio conto bancario a quello dei Weasley…»
Uno scintillio attraversò gli occhi azzurri del Preside. Lo guardò con ammirazione. «È molto generoso da parte tua, ma lo sai che non accetterebbero mai, ragazzo mio. I Weasley non vogliono il tuo denaro, né la tua fama. Vogliono te come un normale ragazzo di quindici anni, pronto a dare il meglio a scuola e ad essere sempre gentile con chi se lo merita. Non si aspettano altro da te»
«Ma se Caramell…»
«Hanno dato ai Weasley dei mesi di prova, ovvero le vacanze estive. Verranno alcuni assistenti a controllare ogni tanto»
«E se non andasse bene? Che cosa accadrà?» Harry pensava al peggio. Caramell avrebbe fatto sicuramente di tutto per impedirgli di restare dai Weasley. Si sarebbe soffermato su ogni minimo errore da parte loro.
«Allora spetterà al Ministro a decidere a quale famiglia affidarti» rispose Silente.
«Ma…io non voglio finire in una famiglia di sconosciuti. Io…non mi cambia nulla a me. Posso benissimo dormire assieme agli gnomi in giardino, purché possa restare con i Weasley! Glielo dica a Caramell che sono felice con loro!»
«Lo so, Harry, ma Caramell non cambierà idea tanto facilmente»
«La mia opinione non conta nulla? Dovrei essere io quello che decide, non lui!»
«Sei un mago ancora minorenne. Tra due anni, quando compirai diciassette anni, potrai decidere se restare in quella famiglia oppure no. Ma per adesso non puoi fare nulla. Mi dispiace, ragazzo mio, ho le mani legate»
«Non voglio che accada» mormorò Harry, con voce fievole.
«E non accadrà. Molly ed Arthur sanno come cavarsela e vedrai che gestiranno questa situazione brillantemente. Non sarai mandato via, Harry»
Il giovane tirò sul col naso e guardò Silente in un modo che non aveva mai fatto prima. Si sentiva come una marionetta sorretta da dei fili invisibili, gestiti da una parte da Caramell e dall’altra da Silente. Magari c’era anche un terzo filo? Quello di Voldemort. Perché naturalmente Tom Riddle condizionava la sua vita in un modo che neanche poteva immaginarsi.
«Davvero non posso fare nulla?» domandò Harry, avvilito.
«Per ora no, ma chi lo sa, magari le cose cambieranno»
Ci fu silenzio. I due si scambiarono un’occhiata comprensiva e Silente cambiò discorso, soffermandosi su questioni più leggere. «La cara Molly ha già spedito qualche lettera?»
«Un romanzo, piuttosto» fece Harry sarcasticamente. 
Silente ridacchiò, divertito. «Lo immaginavo. Arthur mi ha rivelato che era molto in ansia per te»
«Adesso si sentirà sicuramente più sollevata»
Harry era in imbarazzo. Era stato un problema per tutti loro in quelle settimane, soprattutto per Piton e Silente. «Mi dispiace, professore, non avevo l’intenzione di creare tutto questo scompiglio. Non volevo essere un peso per tutti voi…»
Silente ridacchiò, allietato dalle parole del giovane mago. «Umile e modesto come sempre, ragazzo mio. Non c’è ragione di preoccuparsi, non sei stato un peso per nessuno di noi»
«Eccetto per Piton…»
«Non temere, scommetto che è rimasto piuttosto sorpreso nel vedere che sei un ragazzo molto più mansueto di quel che pensava»
«Ne dubito, signore. Gli ho causato più problemi in questi giorni che in tutti gli anni precedenti messi assieme»
«Non ne sono molto sicuro…» sentenziò Silente, con un sorrisetto ironico stampato sulle labbra.
In effetti nulla poteva superare il casino che aveva combinato al terzo anno, quando lui, Ron e Hermione avevano messo k.o. Piton per sentire che cosa avessero da dire Remus e Sirius riguardo a Peter Minus.
Harry si morse il labbro inferiore e guardò dubbioso il Preside, sentendosi un po’ in colpa. Se non ci fosse stato Silente a impedirlo avrebbero sicuramente espulso tutti e tre da Hogwarts per aver osato aggredire un insegnante. Quel uomo lo aveva tirato fuori dai guai fin troppe volte ed era palesemente ovvio del perché gli altri lo ritenessero il beniamino di Silente.
«Sì, forse ha ragione lei» Sorrise, titubante. «Il terzo anno è stato alquanto movimentato»
«Così come tutti gli altri, del resto»
«L’abbiamo aggredito…strano che abbia rinunciato a vendicarsi. Scommetto che per lui è stato l’anno peggiore, anche perché doveva sopportare la presenza di Remus»
«Oppure l’anno in cui hai creduto che volessi prendere la pietra filosofale per il Signore Oscuro e hai fatto di tutto per impedirmi di “rubarla”. Come al solito la tua straordinaria mente acuta si è applicata e sei arrivato alla conclusione sbagliata, Potter»
Harry si voltò di scatto e sorprese Piton fissarlo con ironia. Non sembrava arrabbiato, né sconfortato. La sua espressione era impenetrabile come al solito. Harry arrossì violentemente, sentendo persino la punta delle orecchie brucargli dalla vergogna. Né il Preside né Harry si erano accorti della presenza del professore di Pozioni dietro di loro e il solo realizzare che Piton avesse udito la loro conversazione a Harry faceva venire i brividi.
«Severus!» esclamò il Preside, voltandosi verso di lui. «Hai bisogno di qualcosa?»
«Ho scordato la mia piuma qui»
Bugiardo. Sei venuto ad origliare, ammettilo, pensò Harry.
«Prendi tutto ciò che ti serve, tanto io e Harry abbiamo finito, o desideravi chiedermi qualcos’altro?»
Harry era ancora paonazzo per essere stato scoperto da Piton a parlare di lui. Lo osservò mentre l’uomo lo sorpassava e andava a recuperare una piuma nuova di zecca abbandonata sul tavolo da pranzo. Piton gli lanciò un’occhiata fredda e restarono a fissarsi per una breve frazione di secondo.
Alla domanda del Preside Harry ci pensò un po’ su. Aveva voluto discutere di Sirius e della sua situazione a Grimmauld Place, ma la presenza di Piton gli fece cambiare immediatamente idea.
«No, nulla» rispose Harry, in un sussurro.
«Ottimo, ottimo. Ora dunque credo sia arrivato il momento che io vi lasci»
«Se vuole posso prepararle una tazza di tè, signore. Può fermarsi ancora per qualche minuto» suggerì il ragazzo, gentilmente.
Silente sorrise, compiaciuto. «Non ce n’è bisogno, Harry, tuttavia ti ringrazio per la gentilezza. Devo proprio andare»
«Oh…va bene» Harry guardò il Preside allontanarsi verso la porta d’ingresso. «Arrivederci, allora»
Silente osservò i due attraverso gli occhiali a mezzaluna e abbozzò un sorriso. «Vi auguro una buona giornata»

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33







Quel pomeriggio Harry si fece più tranquillo. Andò a sedersi dinanzi al caminetto e si preparò a passare la giornata leggendo. Una prospettiva niente male, se fosse stato nei panni di Hermione. Per lui, d’altro canto, significava passare un pomeriggio di noia e di solitudine.
«Potter, usciamo» fece ad un certo punto Piton, comparendo in salotto con in mano il suo mantello nero.
Harry voltò lo sguardo sul professore, a bocca spalancata. «Usciamo?»
«Sei sordo per caso? Sì, usciamo»
«Per andare dove?»
«Nella Foresta Proibita»
Harry sgranò gli occhi, a disagio. Che diamine ci andavano a fare nella Foresta? «E perché?»
Piton sbuffò, irritato. Lo seccava terribilmente dargli spiegazioni e rispondere ad ogni domanda che Harry poneva. «Perché ho bisogno di alcuni ingredienti che si trovano soltanto lì»
«Che pozione sta preparando?»
«Non sono affari tuoi» rispose secco l’uomo.
«Ma…!»
«Taci. Vestiti e cerca di sbrigarti»
«Si sta facendo buio…non le sembra più opportuno aspettare l’indomani?»
«E tu saresti il vero Grifondoro di cui mi hanno tanto parlato? Hai paura, Potter? Vuoi che ti affidi di nuovo alla McGranitt?»
«No! Intendevo solo dire che…»
«Lo so quello che intendevi, ma ho bisogno di quegli ingredienti ora, altrimenti la pozione ne risentirebbe. Quindi vieni o resti?»
«Certo che vengo!» esclamò Harry, con un tono fin troppo acuto. Non aveva atteso altro che uscire da quei dannati alloggi. Avrebbe preferito mille volte passeggiare per il giardino della scuola, piuttosto che inoltrarsi nella Foresta Proibita, ma pure questa era meglio dell’ufficio della McGranitt.
Piton ghignò, divertito dal desiderio di Harry di voler imbattersi in qualche nuova avventura, o meglio, in un nuovo pericolo. Grifondoro.
Il ragazzo si affrettò a recuperare in camera sua cappotto, sciarpa e stivali e raggiunse il professore in corridoio, dove lo stava aspettando con impazienza.
Non appena Harry fu all’esterno e sentì la brezza frizzante penetrargli i vestiti, si lasciò andare in un brivido di freddo. La neve era ancora alta, perciò si accinse a lanciare su se stesso l’incantesimo che gli aveva insegnato Piton qualche giorno prima e evitò così di affondare nella neve soffice. I due s’incamminarono verso i confini della Foresta. Harry osservò la piccola capanna di Hagrid farsi sempre più vicina. Dal caminetto sbuffavano ondate di fumo biancastro e la luce proveniente dalle finestre si allungava sullo strato di neve all’esterno. Il crepuscolo era prossimo. Il sole stava calando dietro le colline innevate e la luna si faceva sempre più alta e brillante nel cielo plumbeo della sera. La Foresta Proibita era immersa nell’oscurità. Gli ultimi raggi del sole non erano in grado di farsi strada attraverso quei rami spessi, perciò la notte si era già insediata nella foresta.
A Harry quel posto recava sempre una grande inquietudine. Anche in quel momento sentiva le palpitazioni del suo cuore farsi sempre più frequenti. Era normale avere paura, si disse. In fondo quella era una delle foreste più pericolose dell’Inghilterra, no? Aveva tutto il diritto ad esserne terrorizzato quanto qualunque essere umano sano di mente.
Piton ed Harry si inoltrarono nel bosco, facendosi largo tra i cespugli e quegli alberi così alti che sembravano voler toccare il cielo. Il ragazzo si testò la tasca dei pantaloni, assicurandosi che avesse la bacchetta a portata di mano. Era meglio essere prudenti.
Piton, di fianco a lui, non pareva essere turbato. Chissà quante volte aveva fatto quel genere di scampagnata per andare a recuperare gli ingredienti necessari per le sue amatissime pozioni. Sapeva dove mettere i piedi e sembrava conoscere ogni singola radice e ogni sasso che ostacolava il passaggio sul sentiero. Dopo qualche minuto di camminata il bosco si fece ancor più fitto. La neve non era riuscita a toccare il suolo lì grazie ai folti rami degli abeti.
«Che cosa stiamo cercando, esattamente?» domandò Harry, incuriosito.
«Actaea rubra, più comunemente conosciuto come baneberry rosso. È facile da riconoscere. Può raggiungere i quaranta centimetri di altezza ed è formato da delle bacche rossastre, quasi di un rosso ruggine»
Harry si mise a cercare, senza attendere oltre. Sfilò la sua bacchetta e mormorò: «Lumos» per farla accendere. Il suolo era umido e pieno di foglie secche che emettevano un rumore scricchiolante a ogni suo passo. Uscì dal sentiero per avvicinarsi a dei cespugli, controllando se vi fosse qualcosa lì vicino.
«Non ti allontanare troppo, Potter» gli intimò Piton, burbero.
Harry lo ignorò, ma si costrinse ad ubbidire, perché ad ogni modo non aveva nessuna voglia di perdersi nella Foresta Proibita da solo. Sebbene la figura di Piton non lo rassicurasse del tutto, il sapere che c’era anche lui in quel luogo invaso da pericoli era un sollievo bell’e buono.
«Qui ce n’è una, signore!» esclamò Harry, trionfante, quando vide una pianta simile d’aspetto a come l’aveva descritta Piton. Il ragazzo si accucciò per prenderla, ma la voce profonda dell’uomo lo trattenne bruscamente.
«Ti suggerisco di non toccarlo» lo avvertì.
Harry allontanò immediatamente le mani, con sorpresa. Girò la testa verso Piton e lo osservò mentre si avvicinava a lui.
«Per tua informazione, Potter: il baneberry rosso è velenoso. Intorpidisce i tessuti muscolari e in casi peggiori si può anche rimanere paralizzati. Le bacche invece, se ingerite, provocano un arresto cardiaco immediato»
«Roba leggera, insomma» borbottò Harry, con un sorrisetto ironico. «Scommetto che sta preparando una pozione letale?»
Piton sollevò un sopracciglio, fissandolo con sarcasmo. «Che cosa te lo fa credere?»
Il giovane Grifondoro in tutta risposta gli rivolse un sorriso divertito. «Come lo prendiamo?»
«Le mani, Potter»
L’uomo sfilò dalla tasca interna del suo mantello la bacchetta, intanto che Harry -sebbene un po’ allarmato- allungava le mani verso di lui. Piton posò delicatamente la punta della bacchetta sui palmi del ragazzo e scagliò un incantesimo non verbale. Attorno alle mani di Harry si creò uno strato invisibile. Era una sensazione strana. Sembrava come indossare dei guanti di plastica incorporei.
«Non avvicinare troppo la pianta al naso, hai capito? Altrimenti finisci dritto da Madama Chips» lo avvertì.
Harry deglutì sonoramente e dopodiché annuì.
«Ho bisogno sia delle radici che delle bacche, d’accordo? Non sono difficili da strappare con le mani, ma puoi anche aiutarti con la bacchetta»
«Quante?»
«Sette»
Piton gli porse un sacchetto di pelle per infilare dentro i baneberry che trovava e dopodiché si allontanò da lui per cercarne altri.
Il giovane si mise all’opera, strappando la pianta dalla terra e tagliandone via le radici e le bacche rosse. Era un lavoro piuttosto rilassante, a dire il vero. Sarebbe stato ancor più rilassante se lui e Piton non si trovassero nella Foresta Proibita, ma dovette accontentarsi.
Harry tendeva le orecchie di tanto intanto per sentire se il professore era ancora nelle vicinanze. L’ultima cosa che voleva era perdersi. Non sapeva nemmeno se riusciva a ritrovare la via per il castello, figuriamoci.
I suoi occhi verdi guizzavano sul terreno, alla ricerca delle piante velenose. Camminava lentamente, setacciando il suolo con estrema attenzione. Il problema era che quelle piante non crescevano l’une accanto alle altre, ma erano piuttosto distanziate, preferendo la solitudine. Un po’ gli ricordavano lo stesso professor Piton: distante dalla gente, colmo di un sarcasmo velenoso e diffidente con qualunque cosa gli si presenti dinanzi.
«Diffindo» mormorò Harry per tagliuzzare le radici del terzo baneberry che aveva trovato. Si era chinato per terra, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e cercava di mantenere il più lontano possibile la pianta dalla sua faccia.
All’improvviso l’aria cambiò. Si fece più densa, più glaciale. Il terreno sotto i suoi piedi divenne duro, ghiacciato, e sul tronco del cipresso accanto a lui si formarono piccoli aghetti di ghiaccio, dando la forma della neve.
Dissennatori.
Balzò in piedi velocemente e si guardò intorno, cercando Piton. Non lo vide. Era sparito.
«Professore?» chiamò.
Tenne la bacchetta pronta, stingendola tra le dita con forza. Si incamminò verso il sentiero, sentendo l’adrenalina incominciare a scorrergli nel sangue. L’aria si fece ancor più palpabile e una sensazione strana si fece largo nell’animo del ragazzo. Infelicità, dolore, rimpianto, perdita… Non doveva abbandonarsi a quelle sensazioni tanto deprimenti, era fondamentale che non lo facesse. Eppure sarebbe stato così semplice…
«Professore!?» Questa volta Harry aveva gridato. La paura incominciava a farsi sentire. Dove diamine era finito? Scrutò attentamente tra gli alberi, ma non vide nulla muoversi. Era tutto così fermo, così immobile. Un silenzio tombale era calato sulla foresta, rendendola ancora più spaventosa di quel che era.
D’un tratto Harry udì qualcosa provenire da una radura. Si girò di scatto e incominciò a correre. Doveva essere sicuramente Piton. Raggiunse il luogo con il respiro affannoso e il corpo tremante d’ansia. Infatti Piton era lì, ma non era solo.
Due Dissennatori gli stavano addosso e l’uomo si ostinava ad evocare solamente un Patronus incorporeo. Questo, come previsto, era troppo debole per cacciare le due creature oscure. I Dissennatori erano sempre più vicini all’uomo, famelici, pronti ad attaccarlo per succhiargli via l’anima.
Cosa cavolo stava facendo Piton? Perché non scagliava loro addosso un Patronus come si deve?
Harry gli corse incontro, frettolosamente, prima che fosse troppo tardi. Cercò di riordinare i pensieri in fretta. Un pensiero felice, un pensiero felice…
«Expecto Patronum!» urlò, ma dalla sua bacchetta non uscì altro che un fumo argentato.
Uno dei due Dissennatori si accorse della presenza del ragazzo e si voltò verso la sua parte, incominciando ad avanzare verso di lui.
«Potter, vattene!» urlò Piton, rabbioso.
«Expecto Patronum!» ritentò il giovane, ignorando le parole del uomo, ma nulla accadde. «Oh, avanti!»
Sono stato adottato dai Weasley. Ho una famiglia, adesso, una vera famiglia. Harry si lasciò invadere da quell’emozione straordinaria. Il senso di sicurezza che gli donava quella frase nella sua mente era talmente piacevole che si abbandonò ad essa.
Ho una famiglia.
«EXPECTO PATRONUM!»
Un cervo argentato sfrecciò dalla punta della sua bacchetta. I suoi occhi chiari si posarono un attimo in quegli di Harry e quest’ultimo si sentì immediatamente confortato.
Piton ormai era agli estremi e indietreggiava con foga. Il Grifondoro puntò un dito verso il Dissennatore che attaccava il mago e intimò al cervo di allontanarlo. Egli obbedì all’istante: galoppò fino a raggiungere la creatura e sfiorò il Dissennatore con le corna, colpendolo con forza. Questo non poté fare altro che fuggire, lasciando la sua preda illesa, sebbene piuttosto sconvolta. Piton abbassò la bacchetta e guardò per un breve momento il Patronus di Harry, con una tristezza sconfinata nello sguardo.
Poiché il Dissennatore che si stava avvicinando ad Harry aveva visto il Patronus e il compagno battere in ritirata, decise di fare lo stesso, seguendo l’altro nelle profondità della Foresta Proibita. Erano salvi.
Un silenzio teso calò tra le due figure nascoste nell’ombra della notte. Harry osservò Piton con fare dubbioso. Aveva un’aria decisamente poco sana. «Si sente bene, signore?»
«Sì, Potter, sto bene» Ma dalla sua voce fievole non sembrava proprio.
Harry si affrettò a fare qualche passo verso la sua direzione, preoccupato. Non aveva mai visto il volto di Piton tanto sofferente.
«Perché non ha evocato il Patronus?» domandò Harry.
L’uomo strinse la mascella e rispose: «Non ci sono riuscito»
Sebbene Harry non fosse un Legiliments, riuscì a intuire che non stava dicendo la verità. Un mago potente come lui era certamente in grado di scagliare un Patronus su un Dissennatore. La realtà molto probabilmente era che si era rifiutato di farlo per qualche ragione che a Harry era ignota. Tuttavia il ragazzo non volle insistere. Vide il cervo ritornare verso di lui e allungò una mano per accarezzarlo sulla testa, istintivamente. Quel tocco gli trasmise una piacevolissima sensazione.
«Penso che sia meglio se ora…ritorniamo…» borbottò Piton.
Con grande orrore di Harry vide il professore di Pozioni stramazzare sul terreno umido. Un tonfo sordo riempì l’aria e Piton non si mosse più. 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Capitolo 34






 

«Professore!» esclamò Harry, piombando su di lui.
Aveva la pelle flaccida, più pallida del solito. Il mantello nero lo avvolgeva, dandogli l’aspetto di un cadavere pronto alla sepoltura. Harry era rimasto così scioccato che per un attimo credette che fosse davvero morto. Delle ciocche nere gli erano cadute sulla fronte e teneva le labbra semiaperte. Harry gli premette nervosamente due dita sul collo e controllò il battito cardiaco. Dopo che si assicurò che fosse ancora vivo, si diede dello sciocco. Ora che ci pensava anche a lui i Dissennatori facevano il medesimo effetto. Piton era svenuto, molto probabilmente perché quelle creature gli si erano avvicinate troppo.
Il Patronus di Harry si stava indebolendo. Il ragazzo era troppo spaventato per mantenerlo ancora attivo, ma doveva farlo, altrimenti i Dissennatori avrebbero fatto ritorno. Chiamò il cervo ed egli si accucciò di fianco a Piton per infondergli quel conforto che in quel momento tanto gli mancava.
«Signore, mi sente? Si svegli… Professor Piton?» sussurrò Harry, cautamente. Parlò con delicatezza, evitando di alzare troppo il tono della voce. Sebbene un po’ intimorito, il ragazzo gli poggiò una mano sul viso. Non gli si era mai avvicinato tanto e sentiva di fare qualcosa che a Piton non sarebbe piaciuto affatto. Per un attimo si sorprese di sentire la sua pelle calda, come se in tutti quegli anni avesse creduto nel suo inconscio che quel uomo fosse più un vampiro che un uomo. Non osò ne picchiettarlo sulla faccia, né scuoterlo con forza per farlo rinvenire. Era pur sempre Piton. Gli avrebbe strappato le dita a morsi se ci avesse provato.
Il cervo argentato posò la testa sul petto del uomo e Harry si meravigliò non poco nel vedere che nello stesso momento in cui il Patronus lo sfiorò, Piton aprì gli occhi di scatto. Posò gli occhi scuri su Harry e per un attimo parve sorpreso di ritrovarsi steso per terra con accanto il Bambino Sopravvissuto molto preoccupato. Si scrollò di dosso la mano del ragazzo bruscamente e tentò di alzarsi, con estrema difficoltà.
«Lei è troppo debole per alzarsi, signore…» lo avvertì Harry, ma Piton non lo stette a sentire.
Si mise seduto e si portò una mano sulla tempia, dolorante. Notò il cervo accanto a lui e emise una smorfia sconfortata.
«Come si sente?» insistette il giovane. «Aspetti, le dò una mano…»
«Non mi serve il tuo aiuto»
Ma Harry lo ignorò. Aiutò il professore a rimettersi in piedi, facendogli appoggiare un braccio intorno alle sue spalle e sollevandolo con forza. Piton non si lamentò, né cercò di allontanarlo.
«Da che parte?» domandò Harry. Non conosceva la strada di ritorno.
«Di là…»
La voce del Maestro di Pozioni lo impaurì a morte. Non era abituato a quel tono così fioco, così fragile. Egli non voleva dimostrarsi tanto vulnerabile dinanzi ad Harry, perciò tentò una volta o due di staccarsi da lui per camminare da solo. Ma tutto ciò che ottenne da quella testardaggine fu instabilità e debolezza. Il mago vacillò pericolosamente, non riuscendo a reggersi in piedi sulle sue stesse gambe.
«Va tutto bene, signore» gli disse Harry, con calma. Al contrario di quel che credeva Piton il Grifondoro non provava pietà per lui. Anzi, quella determinazione da parte sua era alquanto ammirevole. Harry lo comprendeva benissimo, anche perché conosceva bene gli effetti dei Dissennatori su di sé. «Si appoggi a me»
Piton, dopo un paio di tentativi, si arrese e si lasciò trascinare da Harry. Avanzava a piccoli passi e Harry non osò fermarsi neanche una volta. Dovevano uscire dalla Foresta Proibita al più presto, prima che a qualsiasi altra pericolosa creatura venisse l’idea di attaccarli nuovamente. Il suo Patronus era ancora lì e camminava accanto a loro, tranquillamente. A quel punto a Harry venne un’idea. Non l’aveva mai fatto prima e non sapeva esattamente come funzionava, tuttavia tentò.
«Ho un messaggio da recapitare ad Albus Silente» disse al cervo. Quest’ultimo lo fissò per un momento e si fermò sul posto, tendendo le orecchie. «”Siamo nella Foresta. Il professor Piton sta male – è svenuto. Causa Dissennatori. Ci stiamo avviando per il castello, adesso”»
Il Patronus sfrecciò via ad una velocità incredibile e dopo qualche minuto, quando uscirono finalmente dalla Foresta Proibita, si ritrovarono Silente e una Madama Chips molto ansiosa correre giù per i giardini di Hogwarts. Piton si era indebolito ancor di più dopo che il Patronus se ne era andato ed ora non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti. D’un tratto crollò.
Harry cercò di trattenerlo, ma era troppo pesante. Lo lasciò scivolare delicatamente sulla neve e si chinò sopra di lui.
«Va bene. Va tutto bene… Madama Chips e il professor Silente sono qui. La aiuteranno, non si preoccupi»
«N-non sono…non sono preoccupato, Potter»
Furono le ultime parole che pronunciò prima di perdere i sensi nuovamente. Madama Chips si avventò su di lui non appena gli fu abbastanza vicino. Sfilò la bacchetta dalla veste e controllò i suoi valori. Silente, quando la raggiunse, guardò con occhio critico il professore di Pozioni disteso per terra.
«Starà bene, giusto?» Harry pose quella domanda perché gli parve inevitabile farlo. Benché si trattasse del professore più temuto della scuola e di colui che lo aveva preso di mira in tutti quegli anni, si ritrovò in pensiero per lui. In fondo era normale. Per Harry infatti veniva prima la salute, il bene altrui, che l’odio o il disprezzo stesso.
Madama Chips sollevò per un momento lo sguardo sul ragazzo. «Sì, è soltanto molto debole. Portiamolo in infermeria prima che il freddo lo estenui maggiormente»
«Ogni tua parola è un ordine, mia cara Poppy» disse il Preside, puntando la bacchetta su Piton e facendolo sollevare con estrema cautela.
Harry, mentre seguiva i tre verso la scuola, osservò il mantello di Piton svolazzare lievemente alla brezza notturna. Il suo viso pareva ancor più sbiancato sotto la luce pallida della luna. Non aveva mai temuto per Piton. Ma forse perché non lo aveva mai visto in difficoltà. Era sempre parso intoccabile da ogni male esterno, sempre pronto a rispondere per bene ad ogni maldicenza, sempre sulla difensiva… Ma ora, per la prima volta, Piton aveva ceduto dinanzi a lui.
Harry si chiese per l’ennesima volta il motivo per cui non aveva usato il Patronus. Avrebbe potuto scacciare via quei Dissennatori con estrema facilità, no? Eppure…
Quando i quattro entrarono a Hogwarts e salirono fino in infermiera, Silente fece adagiare Piton su un letto, coprendolo con la magia. Madama Chips si mise immediatamente all’opera, somministrandogli pozioni e vari incantesimi curativi.
«Che cosa ci facevate nella Foresta Proibita?» domandò il Preisde, avvicinandosi al giovane.
Harry sospirò e incominciò a dare spiegazioni. «A Piton servivano dei…baneberry rossi per una pozione. Siamo andati a raccoglierli»
«Ah» annuì il vecchio. «Sì, il professor Piton è solito dirigersi nella Foresta per cercare gli ingredienti necessari. Non mi sorprende che abbia strascinato pure te»
«Non è colpa sua. Sono stato io a volerlo. Desideravo uscire fuori»
«Preoccupato, ragazzo mio?» chiese Silente, con un sorriso rassicurante.
«Stavo solo pensando…»
«A cosa, Harry?»
«Perché non ha evocato un Patronus?»
Silente si limitò a fissarlo per un momento. «Glielo hai chiesto, vero?»
Il ragazzo annuì. «Mi ha detto che non ci è riuscito, ma non gli ho creduto. Perché non l’ha fatto?»
«Non lo so»
Ma Harry notò subito il sospiro di rassegnazione da parte del mago. Sembrava esausto. Lo sapeva eccome, invece. Che cosa gli nascondeva Silente?
«Come mai sta così male? I Dissennatori gli si sono soltanto avvicinati»
«Rammenti il tuo terzo anno ad Hogwarts, Harry? Ricordi che sei svenuto anche tu più volte a causa della presenza di quelle creature?»
«Certamente»
«I Dissennatori provocano dolore. Non un dolore fisico, ma un dolore emotivo. Questo però già lo sai. Quando i Dissennatori sono vicino a noi ci fanno ricordare quanto soffriamo e quanto abbiamo sofferto in passato. Rievocano momenti oscuri, momenti in cui abbiamo sentito la speranza svanire. L’intensità di queste emozioni cambia da persona a persona. Colui che ha sofferto di più sentirà maggior dolore. E sai che cosa fa la nostra mente quando prova troppa sofferenza, Harry?»
«Cosa?»
«Si spegne. Ci fa svenire. È un istinto che hanno tutti gli esseri viventi. Ci fa addormentare per evitare di agonizzare troppo. Tu hai vissuto tanti momenti bui, ragazzo mio, così come il professor Piton»
«Ma Piton non è semplicemente svenuto. Insomma, lo guardi… non l’ho mai visto così»
«Ha sofferto, Harry. Molto. Riprovare quelle emozioni non gli ha fatto per niente bene»
A quelle parole Harry si stupì. Che cosa mai sarà accaduto a Piton per averlo fatto cadere in quelle misere condizioni? Cosa nascondeva sotto quella maschera d’acciaio? Chi o che cosa avrà provocato un tale dolore nel cuore di quel uomo?

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35







«Credo che dopodomani il professor Piton non parteciperà al banchetto di inizio semestre, Albus» informò Madama Chips, pochi minuti dopo.
Il Preside fece per risponderle, ma Harry lo interruppe. «Dopodomani?» esclamò.
«Te ne sei forse scordato, ragazzo mio? Tra due giorni i tuoi amici e il resto degli studenti torneranno ad Hogwarts per ricominciare le lezioni»
Quei giorni di trambusto gli avevano fatto perdere la cognizione del tempo. Tra il malore, l’affidamento e quei dannatissimi Dissennatori si era dimenticato che presto sarebbero ricominciate le lezioni. Per un attimo si rasserenò quando realizzò che avrebbe rivisto Ron e Hermione tra due giorni. Non vedeva l’ora di raccontare loro tutto e di sentire gli ultimi pettegolezzi provenienti da Grimmauld Place.
«Oh»
«Probabilmente è meglio se vai a risposare, signor Potter. È tardi» suggerì Madama Chips.
«No, sto bene. Non sono stanco»
La Medimaga lo guardò teneramente. «Il professor Piton si riprenderà, non temere»
Non era preoccupato per Piton. O forse sì? Magari non voleva ammetterlo a se stesso, tuttavia la sola idea di provare qualcosa che non fosse diffidenza e disprezzo per quel uomo gli era nuova. In fondo quella loro convivenza forzata non era stata poi così male. Piton, per la maggior parte del tempo –sebbene non sempre-, si era comportato alquanto civilmente verso i suoi confronti e la sua presenza si era rivelata persino sopportabile. Il che era una novità ancor più rilevante per Harry.
«Magari il ragazzo si sentirebbe più rassicurato se gli offrissi un letto qui in infermeria, Poppy»
Silente aveva capito benissimo la situazione.
Harry, alquanto imbarazzato, si affrettò a rispondergli. «No, non ce n’è bisogno, davvero. Ritorno negli alloggi…»
«Ah, te lo sconsiglio, Harry. Come ben sai potresti essere attaccato da Voldemort in qualsiasi momento. Sarei più tranquillo se rimanessi qui, alle cure di Madama Chips. Poiché al momento Severus è indisposto, sarò io a correre in tuo aiuto se Voldemort tenta nuovamente di invadere la tua mente. In tal caso Poppy mi verrà a chiamare, vero, Poppy?»
«Naturalmente» fece lei.
«Davvero devo restare qui?»
«Sì, Harry»
«Se vuoi posso darti una camicia da notte…» disse Madama Chips, con un sorriso gentile.
Il ragazzo scosse la testa. «No, no, non mi serve, grazie» Non aveva nessuna voglia di spogliarsi davanti al Preside e alla Medimaga. Harry scelse il letto più distante da quello di Piton, si tolse le scarpe, il cappotto e la felpa per poi andarsi a sistemare sul morbido materasso. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse realmente spossato. Tutte quelle emozioni lo avevano sfinito. Lanciò una breve occhiata al letto del professor Piton in fondo alla sala e ascoltò le indistinte voci di Madama Chips e di Silente che parlavano fitto e a bassa voce per non disturbarlo.
Pensò ai suoi amici e al banchetto di inizio semestre. Con suo gran sollievo la convivenza con Piton era quasi terminata. Sarebbe ritornato nel dormitorio con il resto dei suoi compagni di Casa, nel suo vero letto. Ma soprattutto non avrebbe più avuto gli occhi del pipistrello puntati costantemente addosso.

 
***

 
Severus socchiuse le palpebre. La sua vista era formata da piccole chiazze nere che gli disturbavano la visuale. C’era una candela accesa sul comodino accanto al suo letto e per un momento vide doppio.
Sentiva il suo corpo pesare come un macigno e la testa pulsargli con insistenza. Rammentò pochi istanti dopo ciò che era accaduto e non poté fare a meno di sospirare.
«Sei un uomo assai prudente, ragazzo mio» Silente si approcciò al suo letto e gli rivolse un sorriso cordiale. Severus non si era accorto di lui, ma la sua presenza non lo sorprese più di tanto.
«Farsi attaccare da dei Dissennatori anziché rivelare a Potter la forma del mio Patronus? Io piuttosto la chiamerei follia, Silente»
L’uomo se ne stette in silenzio per qualche secondo, poi parlò. Ma questa volta la sua voce era più incerta del solito. «Non avrei mai immaginato che dopo tutto questo tempo…»
«Non ne voglio parlare» lo interruppe Severus, glaciale.
«Magari ti farebbe bene sfogarti un po’»
«Non ho ragione alcuna per “sfogarmi”»
«Non posso neanche lontanamente immaginare quanto tu possa soffrire, Severus» Il Preside insisteva. Perché non lo lasciava in pace e basta?
«Non voglio la tua pietà, né quella di nessun altro»
«Talvolta la pietà bisogna accettarla così come viene. La compassione è uno dei primi elementi che ci rende umani» disse saggiamente il vecchio, osservando diligentemente Severus attraverso quei suoi occhiali a mezzaluna.
Severus non voleva continuare con quel discorso un minuto di più. «Non voglio essere compatito» sbottò.
«Questo perché non vuoi apparire debole agli occhi altrui. Ma la sai una cosa? Persino nella debolezza c’è forza»
A quel punto Severus sbuffò d’irritazione. «Risparmiami i tuoi aforismi, Albus»
Silente non parve offeso dal tono sprezzante che aveva assunto il professore. I due si scambiarono un’occhiata fugace, comprendendo al volo il pensiero dell’altro.
«Harry era preoccupato per te» rivelò dopo un attimo di quiete il Preside.
Il professore di Pozioni fece allo stesso tempo sia una smorfia che un ghigno, impendendo al Preside di capire se ne fosse divertito oppure turbato. «Sembra quasi una battuta. Potter preoccupato per me? Quale assurdità. A proposito, dov’è?»
«Proprio lì in fondo. Dorme. Era stremato, povero ragazzo. Penso che tenere attivo il Patronus tanto a lungo non sia stato semplice per lui»
«Ha chiesto qualcosa?»
«Naturale» rispose Silente, sorridendo con condiscendenza.
Severus strinse i pugni, cercando di reprimere il nervosismo. Perché mai quel ragazzo doveva sempre farsi gli affari degli altri? Sul serio credeva di avere un tale diritto? «Cosa gli hai risposto?» domandò duramente il Maestro di Pozioni.
«A proposito del tuo Patronus assolutamente nulla. Sull’effetto che ti provocano i Dissennatori un po’ di più»
«Quanto di più?»
«Abbastanza perché capisca la situazione. Non temere, Harry comprenderà benissimo. Per quanto tu stenti ad accettarlo, quel bambino ha sofferto molto nella sua breve vita. Sa che cosa vuol dire portare il peso del rimpianto e del dolore sulle spalle. Non ti giudicherà»
«Non è il suo giudizio che mi preoccupa, Albus» disse Severus, lasciandosi sfuggire un sospiro estenuato. L’uomo si tirò su a sedere e fece per alzarsi dal letto, con qualche smorfia di dolore qua e là. Si sentiva estremamente debole e l’idea che Silente potesse vedere quanto fosse vulnerabile lo irritava.
«Che cosa stai facendo?» chiese il vecchio, guardandolo.
«Mi sto alzando, è evidente»
«E dove credi di andare?»
«Ritorno nei miei alloggi»
«Oh, io non credo»
Silente sfilò la sua bacchetta da sotto la lunga tunica viola e scagliò velocemente un incantesimo su di lui. Severus venne fatto cadere all’indietro e la sua testa affondò nel cuscino sottostante. Sorpreso, guardò Silente come se fosse impazzito. Ritentò di rialzarsi, ma si rese ben presto conto che era incollato al materasso.
«Albus!» si lamentò.
«Conosco bene la tua testardaggine e non ti permetterò di fare sciocchezze»
«Albus, liberami!»
«No» rispose tranquillamente lui. «Ti consiglio di dormire, perché come vedi non puoi fare altro»
Severus, furioso, cercò la sua bacchetta. Si testò le vesti e lanciò un’occhiata verso il comodino, ma si rese ben presto conto che non ve n’era traccia.
«Dov’è la mia bacchetta? Esigo che tu me lo dica in questo istante!»
«Ti assicuro che non hai bisogno della tua bacchetta mentre ti riposi»
«Lasciami andare!»
«Certo che non capisci proprio quando il tuo corpo ha bisogno di risposo, ho ragione? Ti devi riprendere. Non vorrai certo peggiorare le cose, spero!»
Severus grugnì e ben presto apparve Poppy, allarmata da quella confusione. «Che cosa accidenti sta succedendo qui? Professor Piton, perché continui a fare tutto questo chiasso? Il signor Potter sta dormendo e…»
«Non me ne importa un accidente di quel moccioso! Albus, LIBERAMI!» urlò il professore. «SUBITO!»
Silente si rivolse alla Medimaga, evidentemente preoccupato. «Mia cara Poppy, mi dispiace davvero che tu debba avere a che fare con un paziente così ostinato. Ha tentato di alzarsi e, beh, ho ritenuto necessario usare –come si suol dire?- “le maniere forti”»
«Capisco perfettamente. Lascia che ora me ne occupi io»
La strega andò a recuperare una delle tante pozioni nella dispensa di vetro e, quando si avvicinò abbastanza perché Severus potesse riconoscere l’infuso, quest’ultimo si dimenò ancor di più. «Una Pozione Calmante? Fate sul serio?»
«Se continui ad agitarti così finirai per esaurire le poche energie che hai appena recuperato, quindi sì, professor Piton, faccio sul serio»
«Dov’è la mia bacchetta?» insistette ancora Severus.
Madama Chips sollevò gli occhi al cielo. «L’ho in custodia io, per il momento. Non temere, è al sicuro con me»
A quel punto Severus posò gli occhi sul Preside. «Albus, fa qualcosa! Dì a Poppy di restituirmi la bacchetta!»
Silente rideva sotto i baffi nel vedere l’insegnante venir trattato come un bambino capriccioso. Si allontanò di qualche passo dal letto e sollevò le spalle, impotente. «Poppy lo sta facendo per il tuo bene, ragazzo mio, e io non potrei mai ostacolarla per tal ragione»
«Suvvia, ora bevi la pozione…» suggerì la strega, assumendo il tono di una mamma premurosa che cerca di imboccare il figlio.  
«Non se ne parla. Voglio alzarmi da questo letto. Adesso»
«Rimarrai in quel letto finché te lo dico io!»
Severus socchiuse gli occhi e le lanciò un’occhiataccia sprezzante. «Lo sai, una delle ragioni per cui sei finita in Serpeverde è proprio a causa del tuo compiacimento nel manipolare le persone! Ammettilo, ti piace. Senti di avere un potere superiore sui tuoi pazienti, senti di poterli maneggiare a tuo piacimento»
La donna lo scrutò con disapprovazione. «Che dici? Non manipolo i miei pazienti!»
«Lo sai che è così»
«Oh, suvvia!» li interruppe Silente. «Non vorrete mica incominciare a litigare! Abbassate le voci, altrimenti Harry si sveglia»
«Questa donna è ingestibile!»
«Lo credo bene, ragazzo mio. Ora vorrete scusarmi, ma io me ne vado a letto. Ti lascio riposare tranquillo, Severus. Oh, e ancora una cosa. Ti sospendo dal tuo lavoro per le lezioni di lunedì»
«Cosa?» sibilò il professore, esterrefatto.
«Non prenderla così male, dopotutto è per il tuo bene»
«Non ho tempo per restarmene in infermeria ad oziare per tutto il giorno, Silente! Ho moltissime cose da fare, lezioni da preparare!»
«Se insisti tanto posso darti un congedo più lungo…»
«NO!» urlò Severus, di botto. «Non se ne parla neanche!»
«Sul serio, se non riesci a preparare le lezioni posso darti qualche giorno di vacanza in più»
«Credi forse che sia un inetto, Silente?»
Silente parve colto alla sprovvista. «No, certo che no»
«Posso lavorare, sto bene! Che cosa dovrei farci con altri giorni di vacanza, eh? »
«Te ne starai a letto a riposare e obbedirai senza obbiezioni a Poppy, siamo intesi?»
«Ho un forte desiderio di mandarti al diavolo, Albus. Ma non vorrei risultare scortese» fece sarcasticamente Severus.
«Sono pienamente d’accordo»
Il Preside sorrise e lasciò la stanza augurando la buona notte a tutti e due. Severus, ancora tremendamente scioccato dal comportamento inopportuno da parte di quei due, si girò sul fianco sinistro, dando le spalle a Madama Chips.
Me la pagherete cara, tutti e due.


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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Capitolo 36






Quando Harry si svegliò il mattino seguente trovò Piton molto seccato e decisamente fin troppo burbero a rovinargli il risveglio. In poche parole era del tutto intrattabile.
Il ragazzo scivolò giù dal letto, sentendosi rinvigorito dopo quella lunga dormita. Gli aveva fatto parecchio bene. Si stiracchiò, stropicciandosi gli occhi. Osservò Piton con curiosità e spavento, siccome aveva impressa un’espressione poco rassicurante sul viso olivastro.
Pareva voler uccidere qualcuno.
«Come si sente, signore?» domandò Harry.
«Come se potesse interessarti» sbottò lui, in un ringhio odioso.
Harry si fece insicuro. Era opportuno parlare di nuovo? Era tremendamente ovvio che Piton voleva essere lasciato in pace, ma per una ragione a Harry ignota osò aprire bocca ancora. «Ha dormito bene?»
«Finiscila, Potter»
Il giovane si zittì per un attimo. Dov’era Madama Chips? Sperava in qualche modo che la donna lo venisse a salvare dal malumore di Piton, ma quando vide che non arrivava, si alzò dal letto, diretto verso l’uscita. «Se vuole posso andarle a chiamare Madama Chips» disse Harry, che tuttavia si stava già avviando verso il suo ufficio.
Piton a quella frase si agitò nel letto. «Se solo osi chiamare quella donna ti affatturo, Potter. E non sarà piacevole»
Harry deglutì sonoramente. La minaccia di Piton gli fece fare marcia indietro e ritornò a sedersi sul letto, senza aggiungere altro. Dopo qualche minuto di silenzio e immobilità Harry non seppe che fare. A quanto pareva Piton non era dell’umore adatto per parlare e in quella stanza non c’erano altre distrazioni. Se ne restò lì, seduto, a guardare fuori dalla finestra il campo di Quidditch. Non si era mai sentito tanto in imbarazzo. Perlomeno negli appartamenti di Piton aveva una camera dove potersi rifugiare in caso di necessità, lì invece era completamente allo scoperto, privo di un posto dove nascondersi. Rimpiangeva persino il sottoscala di casa Dursley, in quel momento.
Sarebbe stato più facile con qualche libro, ora che ci pensava. Avere una scusa per non restarsene con le mani in mano sarebbe stato perfetto! Abbandonarsi alla lettura, per quanto noiosa, era una prospettiva migliore che fissare il vuoto dinanzi a sé alla presenza cinica del suo professore di Pozioni.
«Oh, bene! Siete tutti e due svegli, vedo! Come ti senti, Severus?» domandò Madama Chips, quando sbucò dall’entrata. Harry si sentì rincuorato dalla sua presenza. I suoi passi leggeri risuonarono nell’infermeria ed ella si avvicinò al letto di Piton.
Quest’ultimo la guardò in cagnesco, ma cercò tuttavia di mantenere la calma. «Sto a meraviglia. Sprizzo di felicità» rispose con assoluta ironia.
Harry rise sotto i baffi nel vedere il professore tanto adirato per quella situazione. Piton lo notò immediatamente e lo guardò in modo tale che il ragazzo si pentì di aver osato ridere di lui.
La Medimaga lo fissò, torva. «Non c’è bisogno di fare lo scorbutico» disse. Poi si rivolse ad Harry. «Signor Potter, tu stai bene?»
«Sì. Potrei andare in biblioteca?» Tutto ciò che Harry desiderava in quel momento era fuggire da lì. Ci sarebbe rimasto volentieri se Madama Chips avesse somministrato a Piton una pozione soporifera, ma a quanto pareva aveva tutta l’intenzione di lasciarlo sveglio e vigile, con tutto il suo stupendo sarcasmo.
«Il Preside te lo permette?»
A quella domanda intervenne Piton. «Sono io a decidere per lui, non Silente» le disse in modo talmente seccato da far alzare alla donna le mani in alto, in segno di resa.
«Come non detto»
Harry se ne stette lì, a guardare quei due bisticciare come fossero cane e gatto. Piton aveva lasciato cadere il discorso, intenzionato a non rispondergli. Il Grifondoro si sfregò le mani, a disagio. Non voleva apparire insistente, ma Piton non gli lasciava proprio scelta.
«Allora? Me lo permette?» chiese, titubante.
«Ad una condizione» incominciò il Maestro di Pozioni. «Cerca di non tornare qui»
Oh, Harry era felicissimo a eseguire quel compito. Non poteva chiedere di meglio. Una volta tanto avrebbe obbedito a Piton senza lamentele.
«Poppy, mi faresti la cortesia di accompagnarlo? Avverti Madama Pince»
«Certo, Severus»
 
***
 
Hermione sarebbe stata contenta nel vedere che si stava mettendo d’impegno a finire tutti i compiti delle vacanze. Aveva persino terminato di scrivere il saggio di Incantesimi, senza l’aiuto dell’amica. Chissà se Ron aveva già incominciato a scriverlo, ma ne dubitava parecchio. Se non veniva spronato da Hermione era solito lasciare tutto per l’ultimo giorno, quando era già troppo tardi.
Harry rilesse con calma il lungo saggio e corresse qualche errore qua e là. Soddisfatto di se stesso, ripose la pergamena nel libro e si prese una pausa di cinque minuti.
La biblioteca era silenziosa. Fuori aveva ricominciato a nevicare e i fiocchi di neve andavano a morire sulle grandi vetrate della sala, provocando un rumore lieve e sordo. Madama Pince, come suo solito, aveva la punta del naso incollato ad un libro e non prestava ad Harry la minima attenzione. Il ragazzo si chiese se in caso di un nuovo attacco da parte di Voldemort si sarebbe accorta di qualcosa. Era fin troppo immersa nella lettura e pareva non vedere ciò che stava accadendo intorno a lei. Harry, preso dalla noia, si alzò dalla sedia e fece un giro. Camminò tranquillamente lungo i scaffali colmi di libri, leggendone i titoli.
«Avis» pronunciò e fece sbucare dalla sua bacchetta degli uccelli incantati. Questi gli volarono attorno, cinguettando piano. Si era allontanato abbastanza da Madama Pince per non essere udito. Gli uccellini vorticavano allegramente e gli fecero compagnia. Per qualche oscura ragione quell’incantesimo lo rallegrava: si sentiva meno solo.
Harry si sedette sul pavimento freddo e sfilò un libro a casaccio fuori da uno scaffale. Lo sfogliò distrattamente, mentre osservava uno degli uccellini scendere verso di lui, fino a posarsi sulla sua spalla sinistra.
Rimase in quella posizione per qualche ora. Come aveva immaginato, Madama Pince non si era accorta della sua presunta “scomparsa”. Saltò persino il pranzo, siccome non sentiva di avere fame. In fine, per trascorrere il tempo, scrisse una lettera a Ron e Hermione, spiegando loro ciò che era accaduto il giorno precedente.
 
… Oh, e quasi dimenticavo! Ieri notte sono stato svegliato dalle urla di Piton. Silente lo ha inchiodato nel letto con la magia, perché aveva tentato di alzarsi. Avreste dovuto vedere la scena, ragazzi! Tentavo in tutti i modi di non scoppiare a ridere. Non volevo farmi beccare sveglio. Piton mi avrebbe sicuramente ammazzato a quel punto. Comunque continuava a gridare di liberarlo, ma Silente è stato assolutamente risoluto. Ho creduto che ormai la mia stima per quel uomo non potesse crescere più di così, ma mi sono dovuto ricredere. È stato assolutamente geniale!
 
Ps: un’altra buona notizia: Silente ha sospeso Piton per le lezioni di lunedì. Niente Pozioni! Ahh, questo semestre sta già incominciando alla grande, non trovate? Probabilmente non per te, Hermione, ma, ehi, sii contenta per noi.
 
Al sopraggiungere della sera, Piton in persona lo venne a recuperare. Harry era ritornato alla scrivania e continuava a dondolarsi sulla sedia, con la testa rivolta verso l’insù a fissare il soffitto. La stanchezza aveva preso il sopravvento su di lui. I suoi occhi erano fin troppo spossati per continuare a leggere e, ormai da parecchie ore, aveva finito di scrivere tutti i compiti.
«Ci stiamo divertendo a non fare nulla, a quanto vedo»
La voce di Piton dietro di lui lo fece sobbalzare terribilmente. Non si era certo aspettato di venir interrotto dai suoi pensieri con tale imprevisto! La sedia inclinata all’indietro fece un movimento brusco e le gambe posteriori scivolarono a causa del pavimento liscio. Harry tentò di aggrapparsi al tavolo, ma le sue dita sfiorarono solamente l’aria. Mentre cadeva ebbe una visione di se stesso che andava a sfracellarsi la testa sulla superficie dura delle mattonelle di pietra. Chiuse gli occhi, preparandosi a ricevere il colpo. Tuttavia questo non arrivò. La caduta si fece sempre più lenta e, ad un tratto, s’interruppe, dolcemente.
«Quante volte ancora dovrò salvarti la pelle, Potter?» domandò con tono rude il professore. Harry si ritrovò immobile, seduto ancora sulla sedia. Questa, grazie alla magia, stava ignorando ogni legge di gravità e se ne stava ferma, appoggiata soltanto sul piede destro. Harry si affrettò a scendere e, dopo che fu messo in salvo, la sedia riprese la sua normale caduta, fracassandosi per terra con un tonfo rumoroso.
A quel suono Madama Pince, finalmente, si riscosse. «Cosa diamine stai combinando, Pot…» Si accorse però della presenza di Piton e si trattenne dal sgridare il ragazzo. «Oh, professor Piton. Non l’avevo vista entrare»
«Mi dispiace, il signor Potter qui non sa proprio controllarsi. Ce ne andiamo subito, Madama Pince. Grazie per averlo tenuto d’occhio»
«Si sente meglio? Pensavo che sarebbe rimasto in infermeria fino a lunedì…»
«Ho ripreso le forze prima del previsto»
«Meno male. Eravamo tutti molto preoccupati per te, soprattutto Minerva»
Piton ghignò, quasi divertito nel sentire che la McGranitt avesse dimostrato preoccupazione per il Capocasa di Serpeverde.
«Buonanotte, Madama Pince» si affrettò a dire lui. Prese Harry per un braccio e lo strascinò verso l’uscita. Non badò nemmeno ai gemiti di Harry, che cercava di liberarsi dalla sua presa ferrea. Lo strattonava con fare brusco, quasi come se volesse fargli del male. Non appena furono in corridoio Piton lo liberò e Harry si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Essere quantomeno soltanto sfiorato da quel uomo era già una sofferenza.
«Veramente Madama Chips l’ha già dimessa?» Non poteva crederci. Persino lui aveva pensato che sia Silente che la Medimaga lo avrebbero costretto a letto fino a lunedì.
«Sì, Potter, e niente più domande»
Come no. Harry era dell’idea che avesse tormentato quella povera donna fino allo sfinimento per convincerla a dimetterlo. Chissà se Silente ne era stato informato?
Notò subito che Piton camminava con maggior fatica del solito. Non era vigoroso e agile come di consueto. La sua camminata risultava debole, priva di forze.
«Non pensa che sia meglio se si lascia curare da Madama Chips?» suggerì Harry.
«No. Me la sbrigo da solo»
Giunsero negli alloggi di Piton qualche minuto più tardi. Harry aveva rallentato la sua camminata per permettere al professore di procedere con calma. Non voleva sforzarlo a camminare più in fretta. Quando Piton pronunciò la parola d’ordine per entrare nei suoi appartamenti, Harry vi scivolò dentro, incerto. Avrebbe davvero desiderato dare una mano a Piton. Non sopportava vederlo tanto debole. Ma sapeva fin troppo bene che se ci avesse provato Piton lo avrebbe soltanto respinto. Vide il professore lasciarsi cadere su una delle poltrone e chiudere per un attimo gli occhi.
«Preparo del tè, ne vuole una tazza anche lei?»
Piton scosse la testa. Rifiutava ogni genere di aiuto o di gentilezza da parte del ragazzo. A Harry dette tremendamente fastidio. Perché diavolo non lasciava cadere quell’orgoglio di tanto intanto e accettava un appoggio? Nessuno era tanto forte da superare qualsiasi problema in solitario, nemmeno lui, e avrebbe dovuto incominciare a rendersene conto. Ma probabilmente era questa la differenza tra Grifondoro e Serpeverde. I Serpeverde volevano cavarsela da soli, mentre i Grifondoro trovavano inevitabile l’aiuto altrui.
Non appena Harry riemerse dalla cucina con due tazze fumanti in mano, Piton gli rivolse un’occhiataccia di diniego. «Ti avevo detto che non lo volevo, il tè»
«Lo so» rispose Harry e gli porse una delle due tazze, con un sorrisetto malizioso. «Avanti, lo prenda»
«Che cos’è che non ti è chiaro, Potter? Riesci a capirlo che non lo voglio o il tuo cervello poco sviluppato non è in grado di comprenderne il concetto?»
«Suvvia, lo prenda» Harry non era intenzionato a cedere e Piton lo capì perfettamente. Grazie alla Legilimanzia l’uomo era in grado di comprendere che in quel momento il ragazzo avrebbe osato persino imboccarlo per fargli ingurgitare quel intruglio.
Piton allungò una mano e afferrò la tazza, un po’ incerto su che cosa stesse esattamente facendo. Non era abituato alle gentilezze. Mentre si portò alle labbra la tazza, Harry lo trattenne.
«Stia attento, scotta» lo ammonì.
Harry non si aspettava un grazie da parte sua. Sarebbe stato persino imbarazzante, a dire la verità. Non avrebbe saputo come gestire un Piton che lo ringraziava. Era meglio così, pensò. Il ragazzo si sedette davanti al caminetto e incominciò a sorseggiare lentamente il suo tè, senza prestare particolare attenzione al professore accanto a lui. L’aria torbida che donava il fuoco lo fece scaldare e ben presto si ritrovò ad avere i muscoli più rilassati. Starsene seduto per ore sul pavimento della biblioteca non era stata un’idea tanto brillante. Si sentiva la schiena dolorante e dura.
«Vuoi cenare, Potter?» chiese ad un certo punto Piton, interrompendo il silenzio. Non era uno di quei silenzi tesi. Ormai si erano abituati tutti e due al mutismo dell’altro.
«Non ho fame»
Severus socchiuse le labbra, pronto a domandargli se avesse mangiato qualcosa per pranzo, ma dopodiché si fermò. Perché diavolo avrebbe dovuto farlo? Potter era pienamente in grado di arrangiarsi. Il ragazzo tuttavia appariva un po’ pallido e Severus dubitava che avesse avuto il modo di procurarsi qualcosa da mangiare.
«Sei sicuro?»
«Sì»
Severus attese. Avrebbe tanto desiderato alzarsi e andare in camera a distendersi, ma non osava farlo davanti a Potter. Sentiva che alzarsi da quella poltrona non sarebbe stata un’impresa tanto semplice, e di certo non voleva farsi vedere dal ragazzo in quello stato pietoso. Attese dunque che Potter annunciasse la buonanotte, ma gli ci volle almeno una mezz’ora prima di decidersi. Irritato, Severus lo vide sbadigliare per tre volte di seguito senza coprirsi la bocca con la mano, dopodiché si alzò, goffamente, e rivolse lo sguardo verso di lui.
«Vado a dormire, signore. Buonanotte» disse.
Severus, come sempre, lo ignorò completamente. Girò la testa dal lato opposto e fissò gli occhi sul caminetto acceso.
Harry era abituato a quei gesti sgarbati, perciò non poté fare altro che dirigersi fino in camera sua senza aspettarsi altro da parte di Snape. Il ragazzo tirò fuori dall’armadio il suo pigiama e incominciò ad infilarselo. Quando aveva addosso ancora scarpe e jeans, udì un tonfo provenire dal salotto e un rumore di vetro in frantumi. Con il cuore in gola, corse fuori dalla stanza, fino a raggiungere il soggiorno. Piton era per terra, stava tentando di rialzarsi, ma i suoi sforzi erano inutili. Non ci riusciva. La bacchetta a quanto sembrava era rotolata fin sotto la poltrona e Piton stava cercando in qualche modo di recuperarla.
«Avrebbe dovuto dar retta a Madama Chips. Non ha ripreso ancora abbastanza forze per essere dimesso» parlò Harry.
Il Maestro di Pozioni non si era accorto della presenza del Grifondoro, ma non dette segno di essersi spaventato da quella comparsa improvvisa. Piton, alla vista di Harry, si sforzò ancor di più per rimettersi in piedi, ma fu inutile.
«Non dirmi ciò che devo e non devo fare, Potter»
«Sissignore» rispose Harry, ironico. «Le ho soltanto dato una mia opinione»
«Non ho bisogno della tua opinione»
«Signore, lei sta male»
«Posso gestirlo da solo»
«No che non può»
Piton fece un altro tentativo, aggrappandosi alla poltrona vicina, ma le sue gambe sembravano non poter reggere il suo peso. Harry si domandò come avesse fatto a percorrere l’intero castello per venire a prenderlo in biblioteca.
«Allora» incominciò Harry, sentendo di avere per la prima volta un potere superiore a quello di Piton. A quel pensiero si maledisse. Era terribilmente disdicevole da parte sua pensare una cosa del genere. Non era un bullo come Piton. Non gli piaceva avere il controllo sugli altri. «Il suo problema è che rifiuta l’aiuto degli altri per orgoglio e ostinazione»
Se avesse avuto la bacchetta vicina sicuramente gli avrebbe lanciato qualche maledizione, perché Piton a quelle parole, lo guardò in un modo agghiacciante. I suoi occhi neri sprizzavano di rabbia. «Non osare parlarmi così»
«L’accompagno in camera sua» si affrettò a dire Harry, per troncare quel momento di tensione.
«Faccio da solo»
«Il mio cervello poco sviluppato capisce perfettamente che il suo innato orgoglio le impedisce di accettare qualunque tipo di cortesia, professore. Le assicuro che la sua reputazione di “il professore più temuto di Hogwarts” non si danneggerà se accetta un aiuto, per una volta. La prego, me lo permetta. Devo ricambiare il favore, non trova? Sono in debito con lei per tutte quelle volte che mi ha salvato la vita»
Piton non se la prese per quel tentativo di ironia da parte del ragazzo. Anzi, le sue spalle tese si rilassarono e guardò il giovane con una nota divertita nello sguardo. «Non un semplice aiuto, Potter» fece, riprendendo quel suo solito tono sarcastico. «Ma un aiuto da parte di un dannatissimo Grifondoro del quinto anno»
«Non lo dirò a nessuno, lo prometto» Sorrise Harry. Grazie al cielo Piton aveva ceduto subito.
A quel punto l’uomo fece un cenno con la testa e Harry ebbe la conferma che si sarebbe lasciato aiutare. Il ragazzo si chinò e lo afferrò con forza. Piton non era granché pesante. Riusciva a sollevarlo. Probabilmente tutti quegli allenamenti di Quidditch erano serviti a qualcosa, dopotutto. Piton si strascinò sulle sue stesse gambe e cercò di non appoggiarsi troppo sul ragazzo per non farlo sbilanciare sotto il suo peso. Harry aprì la porta con un piede e scortò il professore fino al letto. Lo aiutò a sedersi, ma da lì in poi Piton volle sbrigarsela da solo.
«Puoi andare» ordinò l’uomo, senza guardarlo negli occhi.
«Buonanotte, signore. Se ha bisogno di qualcosa mi chiami»
«Lo sai che non lo farò»
Harry ridacchiò. «Certo che lo so»

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


SECONDA PARTE 

Capitolo 37







Harry se ne stava in disparte nella Sala d’Ingresso. Osservava gli studenti di Hogwarts fare ritorno dalle vacanze natalizie. Tutti, eccetto lui, avevano dei sorrisi stampati sulla faccia. Erano felici di essere ritornati a scuola, di ritrovare gli amici di sempre dopo quei giorni di separazione. Le decorazioni natalizie erano state tolte e tutto era ritornato alla normalità. Ma c’era una cosa fondamentale che mancava in tutto questo. Dov’erano finiti Ron e Hermione? Perché non arrivavano? Era successo qualcosa? Non erano arrivati con l’Hogwarts Express e ciò preoccupava non poco il giovane ragazzo. Magari avevano perso il treno? Sperava soltanto che Ron non si presentasse a scuola con una nuova macchina volante, perché altrimenti avrebbe causato dei guai a tutti, ma soprattutto a se stesso. E Harry non voleva che venisse espulso dalla scuola per aver commesso l’ennesima idiozia. D’improvviso notò passare Cho e Harry non fu in grado di trattenersi dall’arrossire. Si ricordava bene come si erano lasciati, l’ultima volta.
La ragazza lo notò e evitò i suoi occhi, in imbarazzo. Sussurrò qualcosa a Marietta Edgecombe e quest’ultima annuì vigorosamente, ridacchiando con condiscendenza mentre guardava l’amica avvicinarsi al Bambino Sopravvissuto.
Cho rivolse un gran sorriso a Harry e i due rimasero in silenzio per un attimo, nervosi. «Ciao, Harry» disse lei.
«Come stai, Cho?»
«Tutto bene, tu?»
«Bene, grazie»
Cadde nuovamente il silenzio tra i due. Harry si guardò intorno, senza sapere che cosa dire. Era estremamente imbarazzante. La ragazza si toccò i capelli, portandosi una ciocca dietro l’orecchio sinistro, a disagio. «Hai passato bene le vacanze?» domandò.
«Non proprio. È stato piuttosto brutto, in effetti»
«Cosa ti è successo?»
«Sono stato attaccato da Voldemort. Mi ha quasi ucciso, a dire il vero»
«…che cosa
Harry realizzò in quel momento quanto fosse inopportuno ciò che aveva appena detto. Cho si era aspettata una conversazione pacata, priva di brutte notizie e ansie. Sapeva quanto fosse vulnerabile alla questione di Voldemort. Dopotutto era ancora sconvolta per la morte di Cedric.
«Lo so, è piuttosto sconvolgente. Ma sto bene, ora»
Cho era pallidissima. Era sbiancata in un attimo e pareva come se potesse svenire da un momento all’altro.
«Scusa, non avrei dovuto dirtelo in questo modo» fece Harry. «Sono…è che quando sono nervoso non riesco a…»
«Capisco…ma ora stai bene, vero, Harry?»
«Sto a meraviglia»
«Beh, dev’essere stato terribile»
«Meglio se non ne parliamo, che dici? Tu invece come hai passato le vacanze?»
«I miei hanno litigato. Sai, mio padre non riesce ad accettare il ritorno di Tu-Sai-Chi, al contrario di mia madre, che cerca sempre di convincerlo»
«Oh, mi…mi dispiace»
«Non devi. Il fatto è che mi reca molti dispiaceri con i suoi discorsi sciocchi. Non vuole ammettere che Cedric sia stato…ucciso…da lui. Vuole credere al Ministero e non si rende conto quanto possano farmi male le sue parole irriguardose verso Cedric. Lui non era stupido. Il Ministero dice che Cedric sia morto per un terribile incidente nel labirinto, ma non si rendono conto che era un abile mago. Non si sarebbe lasciato ammazzare così facilmente…»
A Cho si inumidirono gli occhi e abbassò lo sguardo per non farsi vedere da Harry.
«No…non era uno stupido, proprio no. Il Ministero sbaglia a giudicarlo tale» rispose Harry. Perché dovevano sempre finire per parlare di Cedric? Non sapeva come gestire tutti quei sentimenti inquieti che inondavano la ragazza quando pensava a lui. E vedere le sue lacrime trattenute a Harry faceva davvero male.
«Mi manca tantissimo. Certe volte penso a suo padre e…e...» Cho si interruppe, non riuscendo più a continuare. Una lacrima le scivolò sulla guancia ed ella si coprì il viso, arrossendo di vergogna. «Scusa…scusa, Harry»
Il ragazzo le si avvicinò, le posò una mano sulla spalla, cercando di consolarla. «Va tutto bene, Cho»
«No, non va per niente bene!» L’urlo era risultato più forte del previsto. Alcuni si voltarono a fissarli, sorpresi nel sentire Cho Chang perdere il controllo. «Cedric è morto! È morto e non tornerà più! E tu l’hai visto morire con i tuoi stessi occhi! Te ne rendi conto, Harry Potter!?»
Perché aveva usato il suo cognome? Che cosa voleva dire con questo?
«Forse hanno ragione a pensare che sconfiggerai Tu-Sai-Chi. Perché credo che non ti importi di nessuno, eccetto a quelli a cui vuoi bene, non è così? Finché non muoiono coloro che ami…»
A quel punto Harry perse la pazienza. «Non sai di che cosa stai parlando» sbottò, freddamente.
«E invece lo so. Lo so benissimo! Non ti importa niente di lui, vero?»
«Cho, cerca di calmarti, sei fuori di te»
«Calmarmi? Calmarmi!? Perché continuano a dirmi tutti la stessa cosa? Ma che cosa vi prende? Cedric è morto e sembra come se a nessuno interessi veramente!»
«So che cosa provi. Senti una rabbia dentro che non riesci a domare. So che cosa vuol dire»
«Non è così, nessuno lo sa!»
La ragazza fuggì, in lacrime. Non raggiunse la Sala Grande, ma scappò verso la Sala Comune di Corvonero. Alcuni dei ragazzi presenti lanciarono occhiatacce di rimprovero ad Harry per aver fatto scoppiare a piangere Cho. Harry ignorò quegli sguardi freddi e cercò di pensare ad altro.
Se tra dieci minuti Ron e Hermione non si fanno vivi vado ad informare qualcuno, pensò Harry, turbato dal fatto di non essere ancora in compagnia dei suoi migliori amici.
Strinse i pugni. Nella sua mente aleggiava l’immagine di Cho che gli urlava quelle parole contro. Si sbagliava di grosso. Lui non era indifferente. Non lo era mai stato. Perché mai se l’era presa con lui in quel modo? Era davvero così arrabbiata con il mondo da voler allontanare persino le persone che desideravano aiutarla? Preoccupato, il Bambino Sopravvissuto si piazzò davanti alla porta della Sala Grande. Questa era quasi piena e gli studenti erano pronti a ricevere la cena, eccitati. Il tavolo degli insegnanti era al completo e un brusio di voci dava alla sala un aspetto molto familiare. Piton era seduto al suo posto, con un colore cadaverico. Se ne stava a fissare il piatto vuoto davanti a sé, ignorando le chiacchiere degli altri professori attorno a lui. Aveva insistito di partecipare al banchetto di inizio semestre, senza esitazioni.
Idiota.
«Harry!»
Il ragazzo aveva riconosciuto la voce di Ron all’istante. Si voltò, di scatto, con il cuore a mille. Ed eccoli lì, quei due strampalati che non erano altro. Gli corsero incontro e Ron aprì le braccia, felicissimo di vederlo. Si scambiarono un abbraccio frettoloso e il rosso gli scompigliò i capelli, arruffandoli.
«Ed eccolo qui il grande Bambino che è Sopravvissuto per una quindicina di volte. O erano venti? Ah, ormai ho perso il conto»
«Ron, non scherzare su questo» lo rimproverò Hermione. «Ciao, Harry!»
Anche lei si affrettò a stringerlo a sé, sorridente come non mai.
«Perché non dovrei scherzarci su? Harry ha più fortuna della fortuna stessa»
Harry ridacchiò, divertito. «Mi siete mancati, ragazzi»
«Anche tu ci sei mancato tanto» gli rispose Hermione.
«In effetti, è strano» intervenne Ron, socchiudendo gli occhi mentre lo guardava.
«Strano?»
«Strano di trovarti ancora vivo! Dimmi, qual è il tuo segreto? Ti sei nascosto sotto il mantello dell’invisibilità per tutto questo tempo, vero? Ammettilo!»
«Intendi per Piton? Sì, beh, che non mi abbia ucciso ha sorpreso pure me. E comunque il mantello non ce lo avevo. L’avete preso, vero?»
Ron roteò gli occhi, esasperato. «Pensavi davvero che me lo sarei scordato a Grimmauld Place? Quel mantello ci ha salvato da morte certa fin troppe volte. Non averlo ad Hogwarts è un suicidio»
«Lo puoi dirlo forte, amico. Ma perché ci avete messo tanto ad arrivare? Non siete venuti con il treno?»
«No» fece Hermione. «Abbiamo preso il Nottetempo»
«Il Nottetempo arriva fino a Hogwarts?» chiese Harry, sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che facesse un tale lungo tragitto.
«A quanto sembra quel bus a tre piani viaggia per tutta l’Inghilterra. Si dice che vada persino in Irlanda»
«Come?»
«Beh, viaggia sott’acqua, naturalmente»
«Oh…certo»
Naturale.
«Beh? Vogliamo andare? Ho una gran fame e non voglio perdermi questo banchetto per nulla al mondo» Ron era così eccitato per il cibo che, entrando in Sala Grande, si mise a saltellare. I tre amici presero posto al tavolo dei Grifondoro e Harry notò Piton lanciargli un’occhiata di monito.
Non ti allontanare più dalla Sala Grande.
Harry si impietrì, colto alla sprovvista. Abbassò gli occhi da quelli di Piton e cercò di non fissarlo più. Era così fastidioso! Gli entrava in testa improvvisamente e Harry non era minimamente preparato a questo.
«Oh, ciao, Harry!» Fred si sedette accanto a lui, dandogli una gomitata amichevole. «Il pipistrellaccio cattivone ti ha dato dei problemi? Possiamo sacrificarci per te, se vuoi. Abbiamo preparato delle Bombe Spruzza-Aceto, pronte ad essere usate. Che ne dici se entriamo nell’ufficio di Piton –di nascosto, ovviamente-…»
Dalla parte opposta del tavolo, George incominciò a finire la frase del gemello, elettrizzato quanto lui.
«…le lanciamo all’interno»
«Richiudiamo la porta»
«E scappiamo?»
Sebbene le loro intenzioni fossero piuttosto “gentili”, Harry rabbrividì alla visione di Piton che si ritrovava l’ufficio completamente ricoperto d’aceto. Avrebbe subito sospettato dei gemelli e quei due si sarebbero ritrovati appesi per i pollici in una sala dei sotterranei mezz’ora più tardi, ne era certo.
«Oh, è un’idea assolutamente geniale, ragazzi, ma è meglio per la vostra sicurezza personale che evitiate di fare una cosa del genere a Piton. È un po’ inquieto ultimamente. Piuttosto…prendete di mira la Umbridge»
«La Umbridge!» esclamò George, con una luce colma di malizia nello sguardo. «Ma certo! È lei il nostro prossimo bersaglio, Freddie!»
«Grazie per la dritta, Ragazzo-Che-Sopravvive-Al-Cattivone»
I due gemelli si allontanarono, lanciando occhiate ambigue alla Umbridge, seduta accanto ad una McGranitt parecchio seccata. Era arrivata assieme agli studenti, con uno scialle di un viola acceso a coprirle le spalle e un cappellino rigoglioso sulla testa elaborata.
«Credete che il rospo migliorerà questo semestre?» chiese Harry, ansioso.
Hermione sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Semmai sarà ancora peggio, te lo dico io»
In quel momento la donna-rospo si alzò dal tavolo degli insegnati e batté il cucchiaio sul suo calice di vetro, pretendendo il silenzio nella Sala. Gli studenti si voltarono a guardarla, meravigliati. Solitamente non ci si aspettava nessun discorso dai professori a inizio del secondo semestre.
 La Umbridge fece quel suo ghignò insopportabile e rivolse a tutti un sorrisetto amabile. «Bentornati, ragazzi, bentornati a Hogwarts! Spero che abbiate passato bene le vacanze a casa vostra, ma ora che sono finite ci aspettiamo da voi impegno, dedizione e obbedienza per finire l’anno nei migliori dei modi, mmh-mmh? Sono sicura che con un po’ di duro lavoro riuscirete ad avere dei buoni risultati sia nella mia classe di Difesa contro le Arti Oscure che nelle altre. Ora, ora…il Ministero è del parere che una formazione adeguata sia fondamentale per il futuro di qualsiasi mago o strega che voglia entrare a far parte degli uffici ministeriali. Quindi, miei cari, sappiate che ci si aspetta da voi che diate il massimo, perché la pigrizia non è tollerata nemmeno dal Ministro stesso»
«Ma che diamine sta dicendo?» fece Ron, turbato più che mai. «Sembra voler reclutare tutti per farli lavorare al Ministero…»
«Ssh, abbassa la voce» lo rimproverò Hermione.
«Oh, e vorrei aggiungere ancora una cosa» continuò la donna-rospo. «La sicurezza dei cittadini è, naturalmente, basilare per il Ministero della Magia e vi domando di non dubitare delle sue capacità e delle sue idee, perché tutto ciò che chiediamo è soltanto il vostro supporto. La sicurezza nazionale dei maghi e delle streghe non è compromessa da nessun mago oscuro, altrimenti il Ministero lo saprebbe. Sentirsi nervosi per qualcosa che non esiste assolutamente non ha molto senso, vi pare, mmh-mmh?»
Gli studenti di Hogwarts si voltarono a guardare Harry. Il ragazzo non riuscì a sostenere tutti quegli sguardi pieni di disprezzo, perciò non poté fare altro che tenere gli occhi puntati sulle patate bollite accantonate nel suo piatto. Cercò di evitare gli occhi di tutti e ritornò a guardare la Umbridge nel fondo della Sala. Incrociò per sbaglio l’occhiata scura di Piton. Lo fissava con curiosità.
La Umbridge fece un gesto con la mano a tutti i presenti, invitandoli a continuare a mangiare, e dopodiché riprese il suo posto, senza dire altro.
«Ignorali, Harry» parlò Ron, riferendosi a tutti quelli che continuavano a lanciare occhiatacce al Bambino Sopravvissuto. «Dovremmo escogitare un modo per buttarla fuori da Hogwarts, il più presto possibile» suggerì, mangiucchiando vigorosamente una coscia di pollo. «Non può continuare a fare quello che fa»
«E come credi di fare, Ron? Ha fin troppo potere grazie al Ministero. Non possiamo gettarla fuori dalla finestra e basta»
Ron posò gli occhi su Hermione, meravigliato. «Questa, Hermione, è l’idea più sensata che tu abbia mai formulato»
La ragazza, contrariata, scosse la testa. «L’omicidio non è un’opzione»
Harry scoppiò a ridere. Oh, quanto era contento di essere ritornato alla vita di sempre! Non si era accorto di quanto gli fosse mancata la presenza di Ron e Hermione fino in quel momento. Si ritrovò finalmente rilassato e tranquillo a fare delle conversazioni “normali”.
«Certo che hai uno strano senso dell’umorismo, tu» disse Ron alla mora.
«Come se tu ne avessi uno buono»
Mentre i due bisticciavano Harry si ritrovò a guardare la tavolata dei Corvonero. Cho non era scesa a cena e forse non sarebbe scesa affatto. Interruppe quei due e spiegò loro l’accaduto tra lui e Cho, sperando che potessero chiarirgli la cosa. Hermione fu l’unica a dargli delle risposte intelligenti.
«Devi capire che Cho è molto vulnerabile. Lo so che il suo comportamento può sembrarti scortese, persino egoista, ma credimi Harry, non lo fa a posta. Il problema è che non riesce a gestire il dolore per la perdita di Cedric. E spesso non vede alternative che attaccare gli altri, perché pensa che nessuno sia in grado di aiutarla come si deve»
Ron era sorpreso dalla capacità deduttiva di Hermione. «Voi ragazze siete strane. Davvero riesci a capire tutto questo o te lo stai inventando?»
«Non me lo sto inventando, Ron» fece lei, esasperata più che mai. «Si chiama empatia»

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Capitolo 38



 

«Allora? Incominci a parlare o dobbiamo estorcerti le informazioni con la forza?» scherzò il rosso, con un sorriso.
«A parlare?» Harry era confuso. Cosa si aspettavano che dicesse?
«Piton, Harry! Non ci hai ancora detto niente!»
«Ah…Be’, non l’avrei mai creduto possibile, ma la convivenza con Piton è stata persino sopportabile. Non è che ci siamo detti molto, sapete, ma almeno non mi ha tormentato notte e giorno come avevo immaginato al principio. Hey! Non guardarmi così!»
Ron infatti era esterrefatto nell’udire quelle parole da parte del suo amico. Si riscosse, scioccato. «Non ha usato maledizioni su di te?»
«No»
«Non ti ha strappato le unghie una per una?»
«No»
«Rinchiuso in qualche stanzino dei sotterranei?»
«No…e no, Ron, non mi ha somministrato di nascosto nessuna pozione letale»
L’amico parve dubbioso. Si strofinò una mano sui capelli rossicci, mentre lo guardava con assoluta serietà. «Sei sicuro che non ti abbia lanciato qualche Confundus o che non ti abbia modificato la memoria per non ricorrere in guai seri?» chiese.
Harry non ci aveva neanche pensato. Chissà, magari Ron aveva ragione. Magari Piton era stato un idiota manipolatore per tutti quei giorni ed ora Harry lo stava persino graziando. «Se anche fosse non potrei saperlo, no?» Rabbrividì. «L’importante è che sto bene. Il mio corpo non riporta segni di torture»
«Harry! Neanche tu hai un brillante senso dell’umorismo! Ciò che hai detto è disdicevole! È pur sempre il tuo insegnante!» esclamò Hermione, indignata.
Ron ridacchiò. «L’ha influenzato Piton, non è colpa sua. E poi lasciagli un po’ di libertà, Hermione, ha bisogno di sfogarsi dopo tutti questi giorni rinchiuso nei sotterranei con il pipistrello»
«Come sono andate le lezioni di Occlumanzia, Harry?» chiese la ragazza.
«Sto migliorando, ma troppo lentamente a detta di Piton»
«Vedrai che ce la farai, prima o poi. Devi solo tener duro, okay?»
«Certo, Hermione»
«Che ne dite se andiamo a letto? Sono stanchissimo…» Ron sbadigliò, ma subito dopo si ricompose, velocemente. Puntò gli occhi su Harry e gli fece un cenno con la testa verso la direzione desiderata. Harry notò, con suo grande orrore, Piton dirigersi verso di loro. I suoi occhi neri erano fissi sul loro tavolo, duri e privi di sentimento.
«Che cosa vorrà?» domandò Ron in un bisbiglio nervoso.
«Non lo so, zitti» Harry cercò di comportarsi normalmente. Afferrò la forchetta e incominciò a giocherellare con la torta di mele nel suo piatto, senza mangiarla.
«Potter, Granger, Weasley» chiamò il professore.
Tutti e tre alzarono gli occhi su di lui. Ron e Hermione erano sorpresi che avesse nominato anche loro. Il rosso, paralizzato dalla paura, si strinse nelle spalle, come per proteggersi da quell’aura minacciosa che Piton recava a chiunque gli stesse vicino.
«Il Preside vi vuole nel suo ufficio immediatamente dopo cena. Non mancate, altrimenti vi strascino giù dalla Torre di Grifondoro senza troppi riguardi, avete capito?»
«Sì» rispose Harry, annuendo fin troppo vivacemente. «Sì, d’accordo, grazie»
Lo sguardo del Maestro di Pozioni indugiò per qualche istante sugli occhi di Harry e dopodiché se ne andò, con quel mantello svolazzante che sfiorava il pavimento di pietra.
«Silente? Cosa vuole Silente da noi?» fece Hermione. «Hai combinato qualcosa, Harry?»
«Non ho fatto niente!»
«Sicuro?»
«Lo giuro»
Ron ci pensò su per un attimo e poi parlò. «Miseriaccia, magari si tratta dell’attacco di Voldemort. Silente vorrà che teniamo d’occhio Harry»
Hermione, stupita da quella brillante deduzione da parte di Ron, sbuffò con le sopracciglia corrugate. «Stai diventando sempre più astuto, Ron»
«Sempre questo tono sorpreso»
Quando la cena terminò, i tre amici si affrettarono a raggiungere l’ufficio del Preside. Ron fece qualche battuta per risollevare il morale di Harry e Hermione mentre percorrevano i lunghi corridoi. Qualche minuto più tardi arrivarono davanti il gargoyle che li guardava, aspettandosi di ricevere una password. Questa però non arrivò.
«Hmm…» disse Harry, incerto. «Sorbetto al limone?»
Il gargoyle scosse la testa. «Password incorretta, ragazzo»
«Cioccorane?» provò Ron.
«No»
«Caramello!»
«No»
«Dannazione, Piton avrebbe anche potuto dircela, la parola d’ordine» si lamentò il rosso. «Caramelle Tutti i gusti + 1?»
«No, Ron, quelle Silente le odia» lo informò Harry.
«Oh, allora…Api Frizzole!»
«Esatto» Il gargoyle si fece da parte e li lasciò passare. Ron esultò, così felice ad aver indovinato che salì la scalinata con dei balzi vigorosi. «Sono un genio, ammettetelo!»
«Certo, Ron» Hermione sollevò gli occhi al cielo, divertita da tutto quell’entusiasmo da parte dell’amico.
Quando bussarono alla porta, la voce di Silente permise loro di entrare. Si resero ben presto conto, con grande stupore, che ad attenderli non c’era soltanto il Preside, ma anche Piton. Harry e il professore si scambiarono un’occhiata di sbieco. Il ragazzo era sconfortato. Pareva come se non riuscisse più a liberarsi di lui.
«Buonasera, professor Silente» fece Hermione, diligente.
«Buonasera, ragazzi miei. Venite avanti, su, il professor Piton non vi mangia mica» scherzò.
Piton lanciò al Preside un’occhiataccia severa. Considerando la sua reazione sembrava avere una voglia matta di schiantarlo seduta stante.
«Come sono andate le vacanze?» si dilungò Silente, con un sorriso gentile ad illuminargli il volto.
«Abbastanza bene, grazie» rispose Ron. «Ma credo che sia stato Harry ad avere la peggio, signore» A quelle parole Ron adocchiò Piton, come se gli volesse trasmettere tutto il disprezzo che provava per lui con il solo sguardo.
Silente alzò le sopracciglia in un’espressione meravigliata. «È così, Harry? È stato davvero così terribile trascorrere del tempo con il professor Piton?»
Il ragazzo avvampò. Maledetto Ron e quella sua linguaccia. «No, no…Credo che Ron si riferisse all’attacco di Voldemort, professore»
Harry non era mai stato bravo a mentire, neanche una volta. Le menzogne gli si leggevano in faccia, quasi come se avesse scritto “sto mentendo” sulla fronte. Piton storse il naso, senza guardarlo.  Nessuno dei presenti credette a una singola parola. Si maledisse per quell’incapacità, per quel suo essere fin troppo sincero. Doveva imparare al più presto l’Occlumanzia, almeno avrebbe avuto una chance di tenere le cose più private per sé.
«Ebbene» continuò Silente, passeggiando su e giù. «Siete qui perché devo discutere con voi proprio sull’attacco di Voldemort. Harry è costantemente in pericolo, più di quanto lo fosse mai stato. Molto probabilmente Voldemort vorrà attaccarlo nuovamente e questo rende la sua sicurezza personale molto vulnerabile. Ciononostante Harry può essere salvato, se viene regolarmente tenuto d’occhio da qualcuno. E poiché le lezioni sono incominciate e il professor Piton non può continuare ad avere Harry nei suoi alloggi per non insospettire Dolores Umbridge e il Ministero stesso, è necessario che ritorni nei dormitori Grifondoro. Tuttavia non privo di protezione. Signorina Granger, signor Weasley, vorrei affidarvi un compito molto importante e spero che non sia d’intralcio per voi. Dovete restare con Harry, dovunque egli vada. Non dovete lasciarlo mai solo. Voldemort può attaccarlo in qualsiasi momento e questo ci induce ad agire in questo modo. Vi ho scelti perché voi siete i suoi amici più stretti e la sua costante compagnia non vi recherà certo disturbo, o almeno spero!»
«Signore» disse Hermione. «Siamo preoccupati per Harry più di quanto vorremmo mostrare e faremmo di tutto per aiutarlo. Questo compito che ci sta affidando non è nulla»
Negli occhi di Silente ci fu un luccichio intenso. Guardò Ron e Hermione con ammirazione e giunse le mani davanti a sé. «Mi fa piacere sentire che Harry abbia trovato degli amici disposti a tutto per lui»
«Harry è leale e lo saremo anche noi» rispose Ron.
Piton sbuffò, disgustato. «Potremmo lasciar perdere per un attimo queste smancerie Grifondoro e riprendere la conversazione con serietà?»
Harry abbozzò un sorrisetto divertito. A Piton imbarazzava ogni dimostrazione di affetto, a quanto pareva.
«Grazie» sussurrò a Ron e Hermione, cercando di non farsi sentire dai due uomini. Harry era profondamente commosso. Ciò che aveva detto Hermione gli aveva fatto persino inumidire gli occhi. Ron gli tirò una gomitata amichevole e Harry ricambiò.
«Scusate il mio collega. Non sopporta le dichiarazioni d’amore» disse Silente, prendendolo in giro.
Ron incominciò a ridacchiare, ma subito dopo Piton lo fulminò e dovette trattenersi velocemente. Piton fece una smorfia seccata, ma non si prese nemmeno la briga di rispondere. Anzi, si decise a prendere in mano il discorso lui stesso.
«Granger, Weasley, non credo che riusciate a comprendere pienamente l’importanza di ciò che sta dicendo il Preside. Vi sta affidando un compito che ne va della vita del vostro leale compagno. Tenere d’occhio Potter non vuol dire perderlo di vista di tanto intanto o di staccarsi da lui per un momento perché vi siete dimenticati un libro sulla Torre o chissà quant’altro. No. Non è un lavoro semplice e ci si aspetta da voi serietà e diligenza. Avrete nelle vostre mani la vita di Potter, rendetevene conto»
Hermione s’infuriò a quelle parole di sfiducia da parte del professore di Pozioni. E sebbene in quel momento sentiva un forte desiderio di fuggire via e lasciarsi alle spalle quel barlume di disprezzo per evitare di commettere sciocchezze, non riuscì ad evitare di rispondergli. «Se permette, non siamo degli inetti, né degli stupidi, professore. Io e Ronald abbiamo compreso benissimo la gravità della situazione in cui, sfortunatamente, si ritrova Harry. E ci importa della sua sicurezza più di quanto gliene importi lei»
La ragazza sbiancò non appena si rese conto di ciò che aveva detto e chi aveva provocato. Indietreggiò, istintivamente. La sola espressione che le rivolgeva Piton la fece venire un lungo brividi di paura lungo la schiena.  
«Se ti sento parlarmi in questa maniera ancora soltanto una volta, signorina Granger, non aspettarti alcuna indulgenza da parte mia» sibilò Piton, sprezzante.
«Mi scusi!»
Ma l’uomo non la considerò più, si voltò dall’altra parte e andò a posare gli occhi neri sul Preside, impettito.
«Beh…» continuò Silente, a disagio. «Credo che abbiate capito quanto sia fondamentale il vostro compito. In effetti il professor Piton è molto persuasivo quando vuole…»
Un silenzio teso calò nella stanza e Harry si tormentò le dita delle mani, nervoso. Merlino, stava diventando una situazione ingestibile… «Professore, dovrò ancora continuare con le lezioni di Occlumanzia?» chiese, per interrompere il silenzio.
«Sì, Potter. Ma siccome sarai occupato con le altre lezioni e con lo studio ne diminuiremo l’intensità. Ti voglio alle otto in punto davanti al mio ufficio ogni venerdì sera, dopo cena, chiaro?»
Occlumanzia solo una volta la settimana? Magnifico!
Il giovane Grifondoro annuì, entusiasta. Era meglio di quanto avesse potuto sperare.

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Capitolo 39



 

Harry fu felice di ritornare nella Sala Comune di Grifondoro con i suoi amici e non avere più Piton con il fiato sospeso sul collo ventiquattro ore su ventiquattro. In breve tempo la sua vita era ritornata alla più completa delle normalità e per quanto possibile si sentiva più che contento a essere ad Hogwarts, sebbene i GUFO erano imminenti e la Umbridge non faceva altro che tormentarli ogni giorno.
Fu proprio una settimana dopo l’inizio delle lezioni che Harry ricevette l’ennesima punizione da parte di quella donna. Doveva ammettere a se stesso che non era stato molto intelligente da parte sua definirla un’inetta dinanzi all’intera classe, ma non era riuscito a trattenersi. Disprezzava quella donna più di quanto avesse mai fatto con Piton e, per una volta, l’odio verso il professore di Pozioni si era del tutto concentrato sul rospo rosa, dimenticandosi del resto.
Le lezioni di Pozioni erano diventate persino accettabili a differenza di Difesa contro le Arti Oscure. Quest’ultime lo facevano deprimere ogni volta di più, a dire il vero. L’evidente incapacità di insegnare da parte della Umbridge era una questione seria, considerando il fatto che Voldemort era lì fuori, in libertà, pronto a ucciderli tutti. E loro, ad eccezione di Harry, non sapevano nemmeno come fare ad evocare un Patronus. 
«Perché mai Silente non vuole che la Umbridge scopra che cosa mi è successo durante le vacanze? Magari se il Ministero sapesse la verità accetterebbe il ritorno di Voldemort!» si era lamentato una sera Harry con Ron e Hermione.
Fu Ron a rispondergli per primo, colto alla sprovvista dall’improvvisa rabbia del compagno. «Mi spiace, amico. Ma non hai prove. E se adesso tu andassi da Caramell a dirgli che Voldemort in persona ti è entrato in testa per tentare di ammazzarti lo sai bene che cosa penserebbe»
Il moro sbuffò, irritato. «Certo, che sono un pazzo furioso come sostengono i giornali»
«Ah-ah. E daresti loro soltanto un motivo in più per screditarti. Silente sa quello che fa»
Harry abbassò la testa sul suo libro e morsicò distrattamente la matita che teneva tra le mani. La lezione di Difesa era proseguita come se niente fosse dopo la scenata di Harry. La Umbridge tuttavia continuava a lanciargli delle occhiate severe, osservandolo più degli altri. Il ghigno acuto che di tanto intanto quella donna lanciava risultava sempre più insopportabile da sentire per gli studenti e quel suo sorriso zuccheroso non riusciva più a ingannare nessuno.
Era diventata lei l’incubo di Hogwarts. Altro che Piton.  
Harry rilesse per la sesta volta lo stesso paragrafo. Era così sovrappensiero che non era nemmeno in grado di comprendere il significato delle parole che aveva di fronte. I passi leggeri della Umbridge rompevano il silenzio e una strana sensazione di ribrezzo si impossessò di lui. Avrebbe preferito mille volte essere insultato con disprezzo da Piton piuttosto che stare un minuto di più accanto a quella donna. Non ne poteva più.
«Signor Potter» lo richiamò, quando la lezione finì e il resto degli studenti si affrettarono ad uscire. «Ricordati che sconterai la mia punizione venerdì, subito dopo cena»
A Harry prese un colpo. Merlino, e ora come avrebbe fatto a spiegarle che venerdì non poteva proprio esserci?
«Mi scusi, professoressa, ma venerdì sera non…»
«Azzittati, Potter. Non osare trovare scuse con me» lo interruppe, con gli occhi infuocati dalla rabbia. «Ora vai, vai prima che ti dia altre punizioni per la tua innata sfacciataggine»
E fu così che si ritrovò a dover passare il venerdì sera assieme alle due persone che più odiava dopo Voldemort, alla stessa ora per giunta. E non aveva la più pallida idea di come rimediare. Tuttavia non ci badò molto per il resto della settimana. Anzi, non ci badò proprio per niente, poiché aveva altre cose più importanti per la testa. E una di queste era sicuramente Cho Chang. Non gli aveva più parlato da quando l’aveva fatta piangere davanti a tutti. Gli era dispiaciuto molto per lei, considerando che sapeva benissimo come si sentiva, poiché aveva sperimentato quelle emozioni sulla sua stessa pelle. Cho l’aveva giudicato male.
Durante i pasti la ragazza era sempre rivolta di schiena e non si voltava mai verso di lui. Tutto ciò a Harry turbava così tanto che non faceva altro che pensare a lei e a quel suo comportamento innaturale. Desiderava, nel profondo, avere di nuovo le sue attenzioni, parlarle, esserle di conforto. Il suo costante evitarlo lo deprimeva fin troppo.
«Quando hai intenzione di riprendere con l’ES?» gli aveva chiesto Hermione, durante l’ora di pranzo. «Sono tutti impazienti, Harry. Non vedono l’ora di ricominciare. Ieri Hannah Abbott mi è corsa dietro fin quasi alle serre di Erbologia per sapere quando ci sarà il prossimo incontro»
«Non lo so, Hermione» rispose Harry, sfiorandosi la cicatrice distrattamente. «Non ci ho ancora pensato»
«Dovremmo organizzarci, lo sai»
«Sì, lo so. Solo che è tutto un po’ incasinato, ho le lezioni con Piton, la punizione della Umbridge…»
«Non mi sembra poi così complicato»
«Il fatto è che la Umbridge sta diventando sempre più sospettosa, capisci?»
«E da quando questo è un problema? Harry, ti conosco troppo bene per sapere che non è questo ciò che ti turba»
Harry sospirò, arreso. «Oh, d’accordo. Si tratta di Cho. Non…non vuole più parlarmi e ho paura che…che…»
«Che non vorrà più frequentare le lezioni perché ci sei tu ad insegnare? Harry…tu e Cho dovreste parlarvi. Prima di fissare una data devi assolutamente parlare con lei, perché altrimenti vi ritroverete tutti e due nel più completo degli imbarazzi»
«Ma non sembra voler avere nulla a che fare con me, Hermione»
«Ti sbagli. Secondo me non aspetta altro che le parli. Fidati»
E fu così che prese in considerazione il consiglio di Hermione e si costrinse ad andare a parlare con Cho quella sera stessa, prima che scappasse nella Sala Comune di Corvonero. Non appena la vide alzarsi dal tavolo, Harry la raggiunse, a disagio. La ragazza ebbe un fremito nervoso quando lo vide avvicinarsi a lei, cautamente.
«Ciao» le disse.
«Ciao»
Marietta li guardò, come frastornata. Rivolse ad Harry un sorriso ebete e lo salutò con un cenno della mano.
«Potresti darci un minuto, Marietta?» le chiese il ragazzo.
«Sicuro! Ci vediamo in Sala Comune, Cho!» Detto questo scomparve, guardandoli di sottecchi con un’espressione maliziosa.
«Volevo scusarmi» incominciò Harry. «Sono stato molto duro con te, l’altra volta, e so quanto è difficile accettare la morte di qualcuno che ci era caro. Non volevo essere scortese, davvero»
«Non è colpa tua» si affrettò a dire Cho. «Ti ho accusato velocemente, senza nemmeno pensare a ciò che dicevo. Me ne sono resa conto più tardi, Harry, e mi dispiace per ciò che ti ho detto. Non avevo neanche il coraggio di guardarti negli occhi in questi giorni, perché mi vergognavo. Non avrei dovuto parlarti in quel modo. Tu sei probabilmente l’unico in questa scuola a capire ciò che sto passando. Alcuni dicono che esagero…»
«No, Cho. No. Non ascoltarli. Ognuno di noi affronta il lutto in modo diverso. Ci tenevi davvero tanto a Cedric, lo so. E perderlo così in fretta ti ha devastata»
«Non sarebbe dovuto morire in quel modo»
«Certo che no. Nessuno dovrebbe morire in quel modo»
«So che nessuno di voi vorrebbe parlare di Cedric, ma la mia mente continua a proiettarmi immagini di lui, di quand’era in vita. Continuo a domandarmi come può Tu-Sai-Chi concepire solamente l’idea di uccidere un ragazzo? Una persona…io non riesco a capire…»
«Nessuno di noi ci riesce, credimi. L’idea di uccidere è inconcepibile anche per me. Voldemort ha una mente distorta, insana. Non si è mai fidato di altri oltre che a se stesso e il suo è puro e semplice egoismo. Desidera soltanto il bene per se stesso e se ne infischia di tutti gli altri»
«Eppure una volta era un ragazzo giovane come era stato Cedric. Che cos’è che l’ha fatto cambiare? Che cosa ha fatto di lui un mostro?»
Harry si ritrovò impreparato a quella domanda. Non si era mai posto alcuna questione sull’infanzia di Voldemort, ma anche se avesse voluto, non avrebbe trovato risposta da nessuno.
«Io…non lo so. Ma sono sicuro che non sia stato un adolescente normale»
«Eppure il professor Silente lo conosceva, no? Ma scommetto che da giovane non ha mai sospettato nulla del genere da parte di quel ragazzo. Non aveva capito che sarebbe diventato Tu-Sai-Chi. E ora mi chiedo… mi chiedo se in ognuno di noi si nasconde una persona così spregevole, così distorta. Se il giovane Tu-Sai-Chi è stato capace di uccidere, allora questo vuol dire che sono capace di fare lo stesso anch’io? O tu, Harry. Ci hai mai pensato?»
«Non diventerai un’assassina, Cho»
«E tu?»
Harry gelò e non rispose.
 
***
 
Dopo la breve conversazione che aveva avuto con Cho le cose erano tornate alla normalità tra di loro. Harry non ne poteva essere più felice. Persino con l’ES era riuscito a ristabilire i rapporti, organizzando un incontro il sabato sera. Fred e George avevano accettato di distrarre Gazza con dei metodi persuasivi per permettere al gruppo di entrare nella Stanza delle Necessità senza essere visti. I giorni che seguirono furono pura estasi. I membri dell’ES erano così contenti di riprendere le lezioni con Harry che non seppero mantenere celata l’elevata eccitazione. Persino la McGranitt si accorse dello strano comportamento da parte degli studenti e, durante la lezione del venerdì mattina, fu costretta ad ammonire più volte Calì Patil e Lavanda Brown a causa del loro fragoroso vociare in fondo all’aula.
«Ma che cosa vi prende a tutti quanti?» aveva chiesto, per poi proseguire la lezione.
In realtà non aspettavano altro che arrivasse l’indomani, ansiosi di imparare nuovi incantesimi di Difesa. «Invocheremo un Patronus domani, Harry?» gli aveva chiesto Colin Canon, con un sorriso a trentaquattro denti stampato sulla faccia.
Il Ragazzo Sopravvissuto era felice di provocare un tale entusiasmo nei suoi compagni, ma quel venerdì mattina proprio non riuscì a sopportare tutte quelle insistenze da parte loro. Era fin troppo preoccupato per ciò che sarebbe avvenuto quella sera stessa. Magari avrebbe dovuto informare Piton, dirgli come stavano le cose, ma sapeva nel profondo che gli mancava il coraggio. Ed era strano, più che strano. Come mai aveva abbastanza coraggio di affrontare un Basilisco con una spada, ma non appena si trattava di Piton quell’impetuosità lo abbandonava fin troppo in fretta? Quel uomo era un pozzo di ironia e disprezzo, sempre pronto a dirgli ciò che non voleva sentirsi dire. E Harry sapeva fin troppo bene che, come la Umbridge, non avrebbe accettato nessuna scusa perché non si presentasse all’appuntamento stabilito. Dannazione, che fare?
In effetti fece ciò che gli sembrò meglio: evitare il problema. Sapeva già di finire nei guai in ogni caso, dunque la prese alla leggera, molto più alla leggera di quanto avesse mai fatto prima. Si presentò alle otto davanti all’ufficio della Umrbidge, consapevole che se non avesse scontato la sua punizione lo avrebbe preso di mira ancora di più. Non era decisamente l’ideale per lui né per il Ministero.
Bussò alla porta lievemente e non appena la Umbridge lo invitò ad entrare il ragazzo si affrettò ad aprire la porta. La trovò seduta dietro la sua scrivania, intenta a sorseggiare una tazza di tè. Il ragazzo si guardò intorno. L’ufficio non era cambiato. Rammentava una parola specifica per quel tipo di arredamento. Aveva udito zia Petunia usarla per definire l’arredo pomposo ed eccessivo dei loro vicini di casa: kitsch. Quei piattini miagolanti sulle pareti, la carta da parati rosa, le tende viola appese alla finestra, la mobilia dal pessimo gusto… A Harry davano i brividi. Era troppo persino per lui.
«Buonasera, professoressa Umbridge»
La donna lo scrutò con attenzione, quasi a volerlo sfidare a commettere qualche sciocchezza. «Sai cosa devi fare. È tutto pronto»
Infatti Harry notò la lunga piuma magica posta su un banco lì vicino, pronta ad essere usata. Deglutì, ben sapendo a cosa andava incontro. Prese posto e afferrò inquieto la penna tra le dita.
«Cosa devo scrivere, questa volta?» domandò, con un sussurro.
«La frase rimane la stessa, Potter. E premi sulla pergamena un po’ più forte, voglio vedere quella mano sanguinare»
Il ragazzo strinse un pugno, mordendosi la lingua. Non provocarla. Avrai soltanto dei problemi in più se lo fai, si disse, costringendosi a restare calmo.
«Inizia pure»
E fu così che le cicatrici sulla sua mano si riaprirono nuovamente e Harry le rese ancor più profonde a ogni frase che scriveva. Ben presto il dorso della sua mano divenne completamente arrossato, molto più del solito, e la scritta “Non devo dire bugie” diventò scarlatta.
Dopo una ventina di minuti si udì bussare alla porta. La Umbridge, riscossa, si affrettò ad alzarsi dalla sedia e strappò via la piuma dalle mani di Harry, nascondendola in un cassetto.
«Prego!»
E, come aveva sospettato, Harry vide comparire Piton sulla soglia, più furioso che mai.
«Professor Piton, che cosa la porta qui questa sera?» fece la Umbridge, agitata.
«Sono sinceramente dispiaciuto di dover disturbare questo momento così appagante per lei, professoressa Umbridge, ma devo proprio chiedere a Potter una delucidazione»
Il ragazzo ebbe un fremito di paura e abbassò lo sguardo verso terra.
«Infatti aveva una punizione da scontare con me questa sera» riprese Piton.
La Umbridge ghignò. «Due punizioni nella prima settimana di lezioni, signor Potter? Non mi sorprende affatto»
«La mia domanda è» incominciò il professore di Pozioni. «Perché mai non hai informato nessuno dei due che le nostre punizioni combaciavano allo stesso orario?»
«Ho cercato di farlo, con la professoressa Umbridge»
«Non dire assurdità!» ringhiò lei, impettita. «Sta mentendo, come suo solito!»
«Come? Non ricorda? Ho cercato di avvertirla già in classe, ma lei mi ha zittito e mi ha detto di andarmene»
«Avresti potuto insistere!»
«Non volevo prendermi altre punizioni da lei»
E a quella risposta la Umbridge ebbe un sussulto e se ne restò in silenzio.
«E dimmi, perché non sei venuto da me?» disse Piton, guardandolo dritto negli occhi.
«Perché…» Ma non c’era risposta. Neanche sotto tortura sarebbe riuscito a dire la verità: era stato fin troppo occupato a pensare a Cho e all’ES. «Perché pensavo che anche da lei avrei avuto lo stesso risultato»
Gli occhi di Piton indugiarono su di lui per un attimo e dopodiché sospiro, seccato. «Così hai pensato di non dire niente a nessuno e di aspettare che la situazione si rivolvi da sola. Davvero brillante, Potter. Oserei persino dire di essermi aspettato di meglio»
«Direi che per questa sera le cose possono restare così come stanno, professor Piton. Il signor Potter ha già incominciato a scontare la sua punizione con me, non ha senso farlo terminare ora. Suggerisco di stabilire la sua punizione per un altro giorno, se permette»
Piton rivolse un’occhiataccia di diniego alla donna, restio sul da farsi. «No. Non l’avrà vinta così facilmente. La mia punizione avrà luogo questa sera e non mi interessa se faremo notte fonda, Potter. L’hai voluto tu»
«Sì, signore»
«Professoressa Umbridge. Potrebbe per cortesia assicurarsi che il signor Potter mi raggiunga nei sotterranei non appena ha finito con lei?»
«Ma certo! Lo scorterò fino al suo ufficio io stessa! So bene quanto può essere indolente questo ragazzo!»
Demoralizzato, Harry promise a se stesso di non fare mai più una sciocchezza del genere. Occlumanzia a tarda sera? Piton lo avrebbe messo al tappetto.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Capitolo 40




La punizione terminò e, senza troppi convenevoli, la Umbridge lo fece alzare.
«Oh, poveri noi, sono già le nove e mezzo! Il professor Piton sarà fuori di sé» ammiccò, con un sorriso tirato. «Spero che non se la prenda troppo con te»
Harry le lanciò un’occhiataccia, irritato. Fu tentato di risponderle come si deve, ma dopodiché si morse la lingua e tacque, con i pugni stretti dalla rabbia.
La Umbridge lo accompagnò fino ai sotterranei, camminando felicemente accanto a lui. Gli scoccava un’occhiata di tanto intanto, sicuramente per vedere quanto fosse inquieto il giovane per l’imminente incontro con il professore di Pozioni. Harry tuttavia celò i suoi sentimenti e procedette dritto, senza guardarla.
«Le punizioni del professor Piton non sono facili da affrontare, vero? Ho sentito dire che è piuttosto severo con gli studenti» domandò.
«Infatti»
«E per te prova un disprezzo particolare, non è così?» A quel punto la Umbridge si fece sfuggire un’espressione troppo compiaciuta per nascondere i suoi pensieri.
«Sì»
«E come mai?»
«Non lo so»
«Ci sarà pur una ragione» insistette.
«Le ho detto che non lo so»
«Magari perché sei un ragazzo sfacciato e presuntuoso, Potter. Dovresti pensarci su sul perché la maggior parte dei docenti ti disprezzano. Persino il Mastro Gazza mi ha rivelato opinioni non troppo dilettevoli sul tuo conto»
«Il Custode è solito odiare tutti gli studenti»
«E tu? Tu lo odi? È per questo che commetti tutte quelle crudeltà verso i suoi confronti?»
A quel punto Harry si fermò per un attimo, osservandola. Che diamine le aveva detto Gazza?
«Quali crudeltà?»
«Oh, lo sai fin troppo bene quali e non ti darò la soddisfazione di sentirmele pronunciare a voce»
«Non ho commesso nessuna crudeltà a Gazza»
«Sfacciato, presuntuoso e pure bugiardo. Quando la smetterai di mentire, Potter? Quando la smetterai di dire in giro che Tu-Sai-Chi è tornato? Sono pure e semplici baggianate infantili le tue, dette da un ragazzino viziato e desideroso di attenzioni. Ti rendi conto che in questo modo spaventi l’intera Comunità Magica?»
«Me ne rendo conto, sì. E desidero avvertire tutti sul male che sta per arrivare. La gente deve sapere la verità e prima o poi si renderanno conto dello sbaglio commesso di non credermi. Voldemort arriverà, e presto»
«NON pronunciare il suo NOME!» urlò la donna, adirata. La sua faccia si deformò in un’espressione contorta. I muscoli si tesero e le sue labbra formarono una linea orizzontale.
«Perché no?»
«Ragazzino sfrontato che non sei altro! Ti credi così potente da osare pronunciare il nome del mago più oscuro che si sia mai visto?»
«Mi dicono che Grindelwald abbia fatto di peggio» la provocò Harry.
«Smettila di rispondermi!»
«Mi scusi»
«Finirai nei guai molto presto, Potter, se continui così. Ti avverto, la tua arroganza non ti porterà da nessuna parte e prima o poi ti ritroverai ad Azkaban per ingiurie e falsa testimonianza!»
Harry non rispose. Erano arrivati davanti all’ufficio di Piton e ormai la Umbridge era costretta di farla finita con tutte quelle provocazioni. Harry le augurò la buonanotte e la donna si limitò a voltargli le spalle e ad andarsene a passo svelto. Il ragazzo sospirò, felice che se ne fosse liberato. Bussò alla porta di Piton e udì la sua voce provenire dall’interno.
«Entra, Potter»
Abbassò la serratura e fece capolino nell’ufficio scuro del professore di Pozioni. Delle candele erano state accese e davano un’aria decisamente spettrale al luogo. «Buonasera» parlò Harry.
«Dovrei darti una reale punizione per quello che hai fatto, ma non lo farò. Mi limiterò a divertirmi con la Legilimanzia questa sera»
Piton era seduto, come suo solito, dietro la scrivania, intento a scrivere chissà cosa. Non alzò lo sguardo su di lui mentre parlava. La sua lunga piuma nera volteggiava tra le sue dita affusolate, frettolosamente.
A Harry venne un groppo in gola nel sentire quella frase e sbiancò, impaurito. «Lei non può…»
E fu solo allora che gli occhi neri di Piton incontrarono i suoi, pericolosi. «Non posso cosa, Potter?»
Harry deglutì prima di rispondere. «…torturarmi!»
Il professore ghignò e posò la penna sul tavolo, lentamente. I suoi movimenti furono eleganti, e quel suo sguardo penetrante non abbandonò Harry neanche un istante. Si alzò piano dalla sedia e gli camminò incontro. Il mantello nero sfiorò delicato il pavimento di pietra, frusciando leggermente attorno a lui.
«Mi sono spinto a chiedere di te fino alla Torre di Grifondoro non vedendoti arrivare. La Granger e Weasley mi hanno riferito che avevi una punizione con Dolores Umbridge questa sera e che ti hanno accompagnato fino al suo ufficio. Pensavano erroneamente che mi avessi in qualche modo avvertito della cosa e invece non era così. Magari, Potter, non hai ancora capito l’importanza di queste lezioni? Cos’è che ti sfugge ancora?»
Harry si costrinse a non scostare lo sguardo dagli occhi severi di Piton. Non doveva cedere. «Lo so che l’Occlumanzia è importante per trattenere Voldemort fuori dalla mia testa. Ormai l’ho capito»
«Eppure a me sembra di no»
Il ragazzo si morse il labbro inferiore, adirato. «Mi dispiace, okay? Sapevo che sarei finito nei guai. Sapevo che avrei dovuto scegliere a quale porta presentarmi questa sera. E ho scelto la Umbridge per non invogliare il Ministero a tormentarmi ancora di più!»
«Siediti» disse semplicemente l’uomo.
Harry lo fissò, ambiguo. Non osava obbedire, non dopo ciò che gli aveva detto. «Non mi farò torturare da lei, professore. Mi rifiuto»
Piton alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Ed io non mi farò licenziare per colpa tua, Potter. So che se solamente ci provassi a torturarti andresti a frignare direttamente dal Preside. Siediti. Incominciamo con la lezione prima che si faccia troppo tardi»
«Non…?» Ma Piton gli rispose prima che lui avesse finito di formulare la domanda.
«No, Potter»
E così Harry si decise e prese posto sulla solita banale sedia di legno in mezzo alla stanza. Ma fu proprio in quel momento che commise un errore fatale. La manica della sua felpa si alzò involontariamente e Piton notò immediatamente ciò che il ragazzo aveva cercato di nascondere.
«Che cos’hai alla mano?» chiese, strizzando gli occhi per vedere meglio.
Harry si abbassò la manica velocemente, cercando di farlo apparire come un gesto distratto. «Nulla» disse, sollevando la mano sana e facendogliela vedere.
L’uomo si spazientì. «L’altra mano»
«Nulla, davvero. È solo un graffio…Grattastinchi, il gatto di Hermione, mi ha graffiato questo pomeriggio senza volerlo e…»
«Spero che il Signore Oscuro non ti catturi mai, Potter. Rischieresti di rivelargli tutte le informazioni dell’Ordine soltanto aprendo bocca»
Il ragazzo arrossì e abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenerlo. Si sentì tremendamente in imbarazzo.
«Mostrami la mano, avanti»
«Non posso»
«Non lo ripeterò due volte»
Ma Harry non obbedì. Se ne restò seduto lì, senza guardarlo, ad aspettare non si sa bene cosa. E a quel punto Piton non poté più sopportare la sua disobbedienza. Fece due passi in avanti, torreggiando spaventosamente su di lui. Gli afferrò la mano ferita bruscamente, senza preoccuparsi di procurargli dolore. Harry gemette istintivamente, sentendo le dita dell’uomo posarsi sul taglio aperto e ancora sanguinante.
Piton gli sollevò la manica e fissò per dei lunghi istanti la scritta rossastra che aveva sul dorso della mano. Harry, umiliato, continuava a guardare dall’altra parte, cercando di reprimere le lacrime. Perché mai sentiva il disperato bisogno di piangere, in quel momento? Di solito non si comportava così… Riuscì ad ogni modo a trattenersi, sebbene con fin troppa difficoltà.
«Da quanto ha incominciato a punirti in questo modo?» chiese Piton, interrompendo quel silenzio tesissimo che aveva invaso l’ufficio.
«…fin dall’inizio»
«Lo sa qualcun altro?»
«Hermione e Ron»
«Perché non sei andato dal Preside?»
«Il professor Silente ha già abbastanza grattacapi con il Ministero. E poi…volevo cavarmela da solo, per una volta. La prego, non glielo dica. È una cosa che riguarda soltanto la Umbridge e me»
«Anche se vederti torturato da quella donna non mi turba affatto, la Umrbidge sta oltrepassando il limite. Nessun docente ha il diritto di punire fisicamente gli studenti di Hogwarts. Informerò il Preside della cosa non appena mi sarà possibile, Potter»
«Non è necessario…»
«Se ha incominciato con te vuol dire che ben presto lo farà con altri, lo vuoi capire? Non si fermerà»
«Non voglio sembrare il ragazzino viziato che va a rifugiarsi dietro la schiena del Preside per ogni piccola cosa! Pensi a come la prenderebbero i giornali! “Harry Potter, incapace di sopportare un misero graffio”!»
«Questo non è un misero graffio, Potter! Non è un taglio superficiale! Saresti dovuto andare da Madama Chips immediatamente! Mi sa che sarà quasi impossibile evitare che ti rimanga la cicatrice, ora»
«Possiamo iniziare con la lezione, per favore?»
«Non finché non lo decido io!»
Piton lasciò andare la mano di Harry e si affrettò a raggiungere la dispensa delle innumerevoli pozioni che aveva a disposizione. Trovò quasi subito ciò che stava cercando e ritornò da lui con uno straccio bagnato, una garza e un piccolo contenitore grigio. Svitò il tappo di quest’ultimo, rivelando una sostanza verdognola all’interno. L’odore pungente di quella melma pastosa pizzicò il naso ad Harry. Era decisamente un odore troppo forte.
«Cos’è?» chiese.
«Un unguento per le ferite. Allunga la mano e tienila ferma» gli ordinò.
Harry, seppure un po’ titubante, lo fece. Piton gliela afferrò, saldamente. La tenne così stretta che Harry sapeva che se anche avesse voluto non sarebbe riuscito a sottrarsi dalla sua presa. L’uomo incominciò a tamponargli con lo straccio bagnato la ferita, cautamente, cercando di non premere troppo forte. I suoi furono movimenti così delicati che Harry se ne meravigliò. Quel uomo sarebbe stato un ottimo Guaritore, ora che ci pensava. Magari avrebbe fatto meglio accettare un lavoro al San Mungo piuttosto che starsene lì a svolgere una professione che nemmeno a lui piaceva davvero.
Non appena la ferita fu pulita dal sangue, Piton immerse due dita nella sostanza verde e la spalmò sul dorso del ragazzo. Quando l’unguento sfiorò la ferita, Harry si irrigidì di botto. Sentì la stretta di Piton farsi ancora più forte, poiché egli sapeva fin troppo bene ciò che quell’unguento provocava.
«Brucia!» urlò Harry, stringendo la mano in un pugno. Cercò di spingerla via da Piton, per non permettergli di continuare a spalmargli ulteriormente quella cosa sulla mano. Si dimenò, strattonò il suo braccio con fare violento, ma nulla servì. Piton continuò a trattenerlo, senza mollare. «No, no! Me lo tolga subito!»
«Oh, suvvia. Un po’ di contengo, Potter. Passerà presto»
Harry chiuse gli occhi e li strinse forte, cercando di non pensare al dolore. Merlino, gli sembrava come se la sua mano stesse andando a fuoco!
Il dolore scomparve così com’era arrivato, lasciandogli la mano indolenzita, ma completamente cicatrizzata. La scritta “Non devo dire bugie” non sanguinava più e quelle fitte insopportabili erano sparite completamente.
Piton gli lasciò andare la mano e Harry se la guardò, ammirato. «Grazie…»
«Vieni qui, è meglio se la fasciamo, per ora. La ferita potrebbe riaprirsi»
Piton gli fasciò la mano in silenzio, concentrato su ciò che stava facendo. Harry si sentì stranamente rincuorato da tutte quelle attenzioni che quel uomo gli stava riservando. Non ne era abituato.
Zio Vernon e zia Petunia non avevano mai dimostrato preoccupazione davanti a una sua ferita, a un livido o a qualsiasi genere di danno fisico che si procurava. Di solito era lui a occuparsi di se stesso. Si ricordò di come una volta un ragazzino a scuola lo aveva spinto per terra, sul cemento. Era ritornato a Privet Drive con le ginocchia sbucciate e i pantaloni intrisi di sangue. Si era aspettato di ricevere delle attenzioni da parte di sua zia, quel giorno. Infatti quando Dudley si faceva male zia Petunia lo riempiva di baci e di carezze, dandogli il permesso di mangiare tutte le caramelle che voleva per alleviare il dolore. Ma non successe tutto ciò. La zia, contrariamente come aveva pensato, non lo cosparse di baci e di caramelle, ma d’altro canto l’aveva pesantemente sgridato per aver conciato i vestiti in quel modo. Non le importava. Non le aveva mai importato. E Harry si era dato dello sciocco per aver pensato che in quell’occasione zia Petunia sarebbe stata più compassionevole verso i suoi confronti.
«Grazie, professore» sussurrò nuovamente Harry.
«Smettila di ringraziarmi. Ora passiamo alle cose serie... Ti sei esercitato a chiudere la mente in questi giorni, Potter?»
«Sì»
«Bugiardo. Sai, potresti anche tenere a mente ciò che hai scritto sulla mano»

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Capitolo 41



 

Dopo un’ora di un intenso sforzo mentale da parte di Harry, Piton era ancora tremendamente intenzionato a continuare con la lezione di Occlumanzia. Stremato, il ragazzo cercava ad ogni modo di non cedere. Il professore di Pozioni era alquanto adirato per quella sua incapacità di apprendere la funzionalità della Occlumanzia.
Ormai aveva imparato a contrastare una presenza ostile nella sua mente. O almeno… un po’. Continuava a concentrarsi su altro, ad impedire a Piton di vedere i suoi ricordi. Erano ricordi d’infanzia, alcuni così remoti che non sapeva neanche di avere.
«Non ti stai impegnando, Potter!» urlò ad un certo punto l’uomo, con il volto contratto dalla rabbia.
«Posso avere una pausa?»
«Non credo proprio» ghignò Piton, trafiggendolo con lo sguardo.
«Mi permetta di riprendermi»
«Farai anche al Signore Oscuro la stessa domanda? Chiederai anche a lui una tregua?»
«È diverso! Lei non è qui per rimpiazzare Voldemort, ma per insegnarmi cosa fare in sua presenza!» sbottò il ragazzo. 
«Non-pronunciare-il-suo-nome»
«Perché non dovrei? Chi me lo impedisce?»
«Io, se non la smetti di lamentarti. Alzati, Potter»
Harry lo fissò, impaurito. Quel che davvero aveva imparato in tutti quegli anni ad Hogwarts durante le ore di Pozioni era che Piton era un uomo imprevedibile. Il suo sguardo freddo e quel suo comportamento da perfetto bastardo impediva a qualsivoglia persona di comprendere le sue intenzioni. Perciò, in quel momento, Harry se ne restò lì, a pensare il perché gli stesse chiedendo di alzarsi dalla sedia. E, cosa assai più preoccupante, vide l’uomo avanzare verso di lui, avvicinandosi talmente da fargli provare un’elevata inquietudine.
«Alzati» ripeté, con un tonfo molto più severo, questa volta.
E fu così che Harry gli obbedì. Si accorse solo in quel momento che lo aveva quasi raggiunto in altezza. Negli ultimi tempi era cresciuto più di quanto si era aspettato. Rammentò come, al primo anno, gli era parso spaventoso quel uomo dalle vesti nere, così alto e austero da essere in grado di terrorizzare la maggior parte degli studenti. Merlino, gli sembrava come se fosse stato ieri. Il tempo passava inesorabile e si rese conto che si sarebbe ritrovato adulto in men che non si dica.
Gli poggiò frettolosamente le mani sulle spalle, costringendolo ad assumere una posizione più eretta. «Stai dritto» disse. «Quando un Legilimens penetra nella tua mente non devi mai scordare ciò che sta accadendo attorno a te. Tu tendi a rivivere i tuoi stessi ricordi, ma è un approccio assolutamente sbagliato. Devi tenere bene a mente che c’è qualcuno lì fuori che ti sta osservando, è chiaro? Uno dei metodi più efficaci è far ricordare la mente che si ha un corpo. Riesci ad immaginare come?»
«Se intende torturarmi scappo»
Piton sbuffò, divertito. «Brillante, Potter. Ma hai sfortunatamente ragione. Il dolore è ciò che rende la nostra mente vigile, attenta. Ed è in grado persino di farci distaccare dai ricordi»
«Mi sta chiedendo di autolesionarmi?»
«Ti sto chiedendo di restare in piedi»
«Perché?»
«Perché devi imparare ad avere coscienza del tuo corpo»
«E stare in piedi è così efficace?»
«Vedrai» Gli rivolse, come suo solito, un sorriso malizioso.
Harry strinse i pugni, rigidamente, senza riuscire a capire cos’avesse in mente Piton. L’uomo, con un colpo di bacchetta, allontanò la sedia a un paio di metri dal ragazzo, e Harry non poté fare altro che deglutire, nervoso.
Non appena Piton pronunciò la formula, Harry si ritrovò nell’ufficio di Silente. Era al secondo anno e stava chiedendo al Cappello Parlante se lo avesse collocato nella Casa giusta.
“Saresti stato benissimo tra i Serpeverde”
Quella risposta gli aveva provocato dei gravi crampi allo stomaco. No. Lui non era un Serpeverde, non lo era e basta. La sola idea di appartenere alla stessa Casa di Voldemort lo ripugnava. Si era tolto il Cappello il più velocemente possibile, quasi arrabbiato con se stesso per averlo preso. Lasciò che si…
Pavimento.
C’era un pavimento di pietra davanti a lui. E stava cadendo. Sì, decisamente. Non aveva più stabilità sulle gambe e ormai il suolo era a pochi centimetri. Era una sensazione stranissima. Da un lato continuava a essere il bambino nell’ufficio di Silente, dall’altro però era il ragazzo che stava cadendo a terra. Si portò le mani davanti il viso e riuscì ad attenuare la caduta.
Respingimi adesso, Potter.
Si ricordò di Piton, dell’Occlumanzia, di Voldemort. Quello era un ricordo, solo un ricordo. Non stava accadendo adesso. Strinse i denti e con tutto se stesso si sforzò di celare agli occhi di Piton il ricordo di Fanny che bruciava. Sentì una specie di pressione che cercava di resistergli. Era la stessa cosa che aveva provato con Voldemort, soltanto più leggera e meno aggressiva. Sapeva di poterlo contrastare. Se era riuscito a resistere a Voldemort, poteva farlo anche con lui.
E fu così che dopo qualche tentativo ritornò ad essere completamente in sé. Piton abbassò la bacchetta e gli rivolse una specie di sorriso. «Finalmente un risultato, Potter»
«Ha funzionato davvero?» chiese il ragazzo, ancora per terra, con il volto sorpreso come non mai.
«Perché dovrei prenderti in giro dopo tanto lavoro?»
«Wow» esclamò il ragazzo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Non ti entusiasmare troppo. Sei appena agli inizi per costruire una difesa mentale abbastanza solida»
«Oh, è per questo che sono riuscito a contrastare Voldemort? Perché provavo tutto quel dolore…?»
«Al Signore Oscuro piace giocare con la sofferenza altrui, ma c’è una cosa che non capisce. Spesso una persona spaventata e con una dose elevata di adrenalina nel sangue è in grado di diventare molto più forte di quanto lo è effettivamente nella realtà. Durante l’attacco aveva tutta l’intenzione di torturarti prima di arrivare all’ultimo stadio della tua mente. Voleva farti morire con dolore. È una sua specialità. Eppure proprio grazie a questa sua arroganza sei riuscito a trattenerlo abbastanza a lungo. Sapevi ciò che stava accadendo, sapevi che tutta quella sofferenza era causata dal Signore Oscuro. Scommetto che i ricordi che è riuscito a rievocare dalla tua mente tu non li hai neanche visti. Eri troppo concentrato a resistergli»
«Sul serio c’erano dei ricordi? Pensavo che il suo metodo fosse completamente diverso da quello che usa lei»
«Il metodo, Potter, è esattamente lo stesso. Ma al contrario di me lui ci aggiunge ancora il dolore»
«Dovrei apprendere l’Occlumanzia con l’aiuto della sofferenza, allora. Voldemort non si abbasserà mai a entrarmi nella mente senza farmi patire»
Piton lo fissò attentamente. «No, Potter. Tu imparerai l’Occlumanzia nel modo che voglio io»
«Ma se…»
«Devi costringere la tua mente a fare ciò che vuoi tu. Non permetterle di ingannarti, non devi lasciarti andare»
«Come posso distinguere la realtà dalla menzogna? Come posso capire che ciò che ho dinanzi è già stato?»
«Devi concentrarti ancor prima che il Legiliments ti penetri nella mente. Non devi mai dimenticare ciò che sta succedendo. Chiudi gli occhi e siediti, adesso»
Harry sospirò, seccato, ma poi si limitò ad obbedirgli.
«Concentrati. Allena la tua mente a restare concentrata per un periodo più lungo. I ricordi che tra un po’ giungeranno non saranno reali, ma sono cose già successe. La realtà è qui, ora. Tu sei con me, ad Hogwarts. Hai quindici anni. Ricordatelo, Potter, ricordatelo. Legiliments!»
Era buio, umido e scivoloso. Stava correndo con il cuore in gola lungo le tubature della scuola. Il Basilisco lo stava rincorrendo. Il suono che faceva mentre scivolava in quei tunnel privi di luce era terrificante. Riddle non c’era più, era sparito. Attendeva che il Basilisco lo uccidesse.
È già successo, è già successo, è già successo…
Un suono dietro di lui. Harry si voltò, di scatto. Teneva lo sguardo basso per non incrociare gli occhi del serpente. Ma aveva paura. Come poteva sfuggire ad un Basilisco con gli occhi praticamente serrati? Prima o poi l’avrebbe preso…e sarebbe morto.
Non è reale, è già successo. Non è reale.
E anche Ginny stava morendo. La sorella di Ron, la figlia dei signori Weasley. Quella bambina timida e indiscreta che ogni giorno lo salutava a colazione, con un sorriso timido a illuminarle il volto. Morta, morta…
Un ricordo.
Perché continuava a ripetersi quelle cose? Doveva pensare al serpente, adesso. Non aveva tempo per…
Harry si fermò. L’acqua gli arrivava fino alle ginocchia. Era fredda come il ghiaccio. Si guardò le mani. Erano piccole, diverse da quelle che era abituato vedere, ormai. Troppo piccole per appartenere al ragazzo quindicenne quale era.
È passato.
Era in un ricordo. Aveva già battuto il serpente, tre anni fa. Non si trovava lì, ma nello studio di Piton, piazzato su una sedia, costretto a rivedere cose già viste, a far riemergere dei ricordi spaventosi e ad essere nei luoghi che aveva sperato inutilmente di dimenticare. Doveva uscire da lì, nascondere a Piton tutto questo. Appartenevano soltanto a lui, quelle dannate esperienze, e a nessun altro. Piton non aveva il diritto di assistere, di possederle, perché erano soltanto sue.
Chiuse gli occhi e cercò di uscire da lì, cercò di respingere colui che lo costringeva a rivivere nuovamente quelle esperienze tanto brutte. Controlla la tua mente, concentrati. Le parole di Piton erano state chiare.
L’acqua gli stava lentamente congelando le dita dei piedi. Sentì l’ombra del serpente farsi sempre più vicina. Ma lui non si mosse. Se ne restò lì, senza paura. E quando fu certo che ormai il Basilisco lo aveva raggiunto, si voltò e puntò lo sguardo verso l’alto. Gli occhi rossi della creatura incontrarono i suoi e dopodiché tutto scomparve.
«Ottima strategia, Potter. L’Occlumante che non riesce o che non vuole respingere il Legiliments può benissimo alterare i ricordi, renderli fittizi e mutarli a proprio piacimento»
Le pulsazioni del suo cuore battevano fortissimo e si ritrovò grondante di sudore. L’umidità dell’ufficio non migliorava certo le cose. Harry si premette una mano sulla fronte, esausto. «Ma non sono riuscito ancora a respingerla, signore»
«Ci stiamo arrivando»
«Riproviamo»
«No, credo che per oggi possa bastare»
«Ancora una volta…» insisté il ragazzo.
Ma Piton non demorse. Con un gesto della mano pose fine alla lezione e Harry non poté fare nulla per fargli cambiare idea. Cercò di ricomporsi. Sistemò i vestiti, si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della divisa e poi si alzò. In quel preciso istante la stanchezza lo colpì come un improvviso schiaffo in faccia.
«La prossima settimana non voglio più nessuna scusa, Potter. E se la Umbridge ti dà ancora problemi vieni da me»
«Non glielo dica al Preside…»
«Farò ciò che ritengo giusto»
Harry, sconfitto, abbassò la testa e annuì. «Buonanotte, signore»
«E…Potter? Non osare più venire in ritardo a queste lezioni»

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