Caffè amaro

di Yuki_o
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Va bene così... ***
Capitolo 2: *** Caffè Americano-Da qui in poi... ***
Capitolo 3: *** Iced Coffe -Ricorderò il profumo. ***



Capitolo 1
*** Va bene così... ***


Caffè amaro
 
Aveva iniziato a pensare ad una scusa più o meno a 10 minuti dalla sua destinazione, nell’esatto istante in cui aveva capito quale fosse.
Era in macchina, le mani strette attorno al volante e lanciava lunghi sguardi indecisi all’entrata del vecchio magazzino/loft. Il vicolo buio, la luna quasi del tutto oscurata, i lampioni dalla tinta aranciata: nulla la spaventava quanto la prospettiva di affrontare il perché si trovasse lì.
Perché si ritrovasse lì come ogni maledetta notte soprattutto…
 
Stava per mettere rabbiosamente la retromarcia e tornarsene da dove era venuta, pronta a ignorare lo sguardo preoccupato di suo padre che passava rapido dal suo viso alle ruote infangate della sua macchina, e gettarsi sul suo letto morbido e fresco -freddo- aspettando quella notte in cui sarebbe di nuovo riuscita a riposare, invece che limitarsi a dibattersi nel sonno per poi svegliarsi sempre più stanca. Stremata.
Stava per inserire la maledetta marcia quando comprese che era esattamente per quello che si trovava lì.
Troppe notti insonni per tornare indietro...mai più avrebbe potuto tornare indietro, in ogni caso.
Scese dall'auto e si avviò lungo le scale fino alla porta del loft.
C'era musica nell'aria, una canzone triste ma viva...Spirits in the night.
Bussò leggera e attese. Non udì i passi avvicinarsi ma in qualche modo quando la porta si aprì se lo aspettava.
Soliti jeans, solita T-shirt bianca di cotone e poi, beh...Derek Hale.
-Posso entrare?- chiese Allison titubante.
-Vuoi?-
Non era la risposta che si aspettava e fu difficile non dire la verità.
-Sono qui.- rispose invece…invece che: Non lo so.
-Non è quello che ti ho chiesto, Argent.- e dicendo ciò si spostò, rimanendo accanto all’entrata e chiuse la porta dietro di lei appena riuscì a convincere i suoi piedi a muoversi.
Rimase ferma a pochi passi dalla porta ormai chiusa, sentendosi in qualche modo di troppo in quell’appartamento così spazioso ma semivuoto, esclusi i mobili strettamente necessari. Quella casa sembrava molto di più un altro nascondiglio temporaneo, che non una casa.
-Vuoi del caffè?- lo sentì chiedere.
Fu strano e innocuo, ma soprattutto…cortese. Allison si volse e scorse Derek a meno di due metri da lei, con le braccia incrociate al petto e un atteggiamento rilassato.
Già, pensò, non sono più un pericolonon sono una cacciatrice.
-Sì, grazie.- rispose annuendo.
-Ok, vieni.- le volse le spalle senza esitazione.  
Fu uno shock.
Le aveva appena mostrato le spalle! Avrebbe davvero voluto ridere –di sé, di lui, del motivo per cui tutto quello che stava succedendo era assurdo.
Le porse una bella mag rossa piena di caffè fumante e dopo aver servito se stesso le offrì dello zucchero. Fu sorpresa anche di vederelui servirsi lo zucchero, tanto da strabuzzare gli occhi proprio di fronte e Derek, che alzò un sopracciglio, perplesso.
-Cosa?- le chiese.
Esitò un attimo, valutando come avrebbe potuto spiegargli tutto quello che le frullava per la mente e come nonostante quel caos si sentisse così vuota, tanto da poter essere trascinata via dal vento. Poi parlò.
-Credevo lo prendessi amaro…ero proprio sicura.-
Tacquero per qualche secondo, poi il rumore del cucchiaino di Derek che veniva poggiato sul piano in metallo della cucina ruppe quella bolla di sapone.
-Adoro il gelato…e le brioches alla crema.-
Eh?
Derek era mortalmente serio, tranquillo e…oddio, non scherzava. Non scherzava, vero?
 
Rise.
Non voleva farlo e perciò si portò un mano alla bocca cercando di trattenere la sua voce che si diffondeva cristallina per la sala e veniva inghiottita da quelle mura spoglie, come se ne fossero affamate, come se fino a quel momento non avessero mai riecheggiato risate in quel luogo.
 Ma non importava.
Per quanto premesse forte, per quanto cercasse di soffocarle non  volevano smettere e non avrebbero smesso. Fu un attimo perché lo capisse e allora le risate si trasformarono in lacrime e anche quelle riecheggiarono tra le pareti intorno a loro.
Per un lungo istante tutto quello che udì fu l’eco dei suoi gemiti e singhiozzi, incapace di trattenerli o smorzarli per averli trattenuti troppo a lungo in passato. Come il primo temporale dopo la siccità, quando si aprono le cataratte e sembra che il cielo voglia riversare sulla terra secca tanta tanta acqua da canellare tutto, non solo l’aridità quanto la terra stessa, ecco quelle urla non si stavano portando via solo la tristezza, ma anche quella stanchezza, quella frustrazione impotente.
Sua madre era morta, Kate era morta, Gerald li aveva traditi…e Kate…e anche sua madre.
I traditori devono morire.
Sua madre…
-Mamma…- non poteva sapere da quanto tempo stesse singhiozzando quel nome, sapeva però che anche se solo ora riusciva a udirne il suono, quella nenia era iniziata prima. Non riusciva ad aprire gli occhi, sentiva la gola chiudersi e contrarsi dolorosamente e la mascella era intorpidita tanto stava stringendo i denti.
Non ce la faceva a smettere e aveva paura che non si sarebbe fermata mai più.
-Non trattenerti.-
Era alle sue spalle. Aveva il respiro accelerato e si sentiva stordita, senza riuscire a smettere di emettere quei tremendi suoni strozzati.
Non la stava toccando ma era abbastanza vicino da percepirne il respiro regolare, il profumo di dopobarba e il calore.
Era davverovicino.
Più di suo padre, più di Lydia…diamine, più di Scott!
-Non smetterà mai di mancarti e forse, una parte di te, non riuscirà nemmeno mai a perdonarla. Non importa, va bene così, Argent. È giusto così.-
Parlava lentamente e senza inflessioni particolari. Era sincero e non condiscendente. Ma la stava consolando, era così…ed era bello.
-I morti, per quanto amore ci abbia legati a loro, sono un peso per i vivi: portiamo con noi la loro vita o quello che ne resta e il dolore non è altro che il peso di quella vita che si aggiunge alla nostra. È normale rifiutarlo, è normale chiedersi perché. Tu hai il diritto di essere arrabbiata, Argent. Di essere delusa.-
Un altro singhiozzo la scosse. –Ma era mia madre…- che tono petulante…
-Lo era. E ti ha ferita.-
Si volse di scatto.
-Non voglio! Io non sono così! Questa non sono io!- urlò dritto in faccia al licantropo.
-Sì, invece. Sei tu.-
-No!-
-Bugiarda.-
-Zitto! Non voglio- non voglio essere così!-
Silenzio e un mano leggera le scostò un ciuffò di capelli. Senza una vera funzione, non era né una carezza né un gesto casuale. Era solo…vero. Reale. E non faceva male.
Gentile.
-Ci sono cose che posso cambiare e altre che devono essere accettate, Argent. Tu sei fragile ora, ma non significa che tu sia debole.-
Alzò lo sguardo consapevole delle guance bagnate, degli occhi e il naso altrettanto arrossati.
-Non ho una balestra in mano.- disse, cercando di non essere sprezzante.
-E nonostante ciò sei qui, con me. Questa è forza.-
-È disperazione…-
-Ti stupirà quante volte siano l’una lo specchio dell’altra.-
La mano di Derek tornò a pendere al suo fianco e lui si mosse per tornare al bancone e finire il suo caffè.
Anche lei riprese in mano la tazza e cercò di mandare giù qualche sorso, mentre tirava su con il naso in modo ben poco elegante, ma per quanto le importava…
Un leggero gorgoglio la distrasse per l’ennesima volta dalla sua tazza. Fu difficile accettare che si trattasse della risata di Derek. Seriamente.
Risata.di.Derek.
-Che c’è?- non era paura quella che risuonava nella sua voce…solo non sopportava di essere presa in giro.
-Nulla. Solo…mi ricordi molto-
-Kate.-
Silenzio.
-Laura. Stavo per dire Laura.-
Nemmeno questo fu facile da accettare.
-Laura? Tua…sorella?-
-Sì.-
La maggior parte delle volte la felicità fa sentire stupidi. In quel momento Allison si sentiva molto –molto- stupida.
L’Alpha tacque ancora qualche istante, poi riprese con un vigore nuovo.
-Senti un po’, Argent, tu non pensi di…insomma…-
Lo fissò qualche istante finché lui abbandonò di nuovo l’altro lato del piano cucina e si pose di nuovo di fronte a lei.
-Io non ti ho mai visto come un’altra Kate…siamo intesi? Non ci vuole un genio per capire che sia tu che Scott siete quanto di più lontano si possa immaginare da me e…beh,lei.-
-Sicuro? Se non sbaglio sono proprio io quella che –cito testualmente- ha sparato una trentina di frecce su te e il tuo branco.- ribadì con un’amarezza che non le era nuova. Rimorso. Ma lui non cedettè.
-Tu hai attaccato frontalmente, Argent. Hai cacciato, inseguito e agguantato. Lei ha ucciso la mia famiglia intrappolandoli tutti come topi e non ha nemmeno avuto il coraggio di farlo con le sue mani.-
-Quindi io vinco per fair-play?-
-Tu hai il mio rispetto, se non la mia fiducia…lei aveva tutto e mi ha tradito.-
-Tu hai morso mia madre…-
-Ma non l’ho uccisa io.-
-Lo so…- era poco più di un sussurro ma le tolse ogni molecola d’aria dal corpo. Si sentiva leggera. Lo aveva ammesso.
-Devo andare a casa ora.-
-Dammi pure la tazza.-
Allungò la mano e la pose in quella di lui. Era grande e segnata ma sorprendentemente giovane. Derek portava dentro di sé così tante età diverse, così tante vite.
Arrivò davanti alla porta e lasciò lo sguardo attraversare il loft fino a trovare il licantropo, appoggiato con i palmi lì dove stavano bevendo il loro caffè fino a pochi istanti prima.
Sembrava ancora rilassato nonostante tutto.
-Io non assomiglio a Laura.-
Allison suppose che quel ghigno fosse il suo modo di sorriderle.
-Con il naso così rosso e lo sguardo truce che avevi, sì.-
-E non ti da fastidio?-
Questa volta le concesse un leggero, ma autentico, sorriso. Un po’ triste.
-Mi mette nostalgia.-
Giunse alla porta e chiuse gli occhi. Focalizzò l’immagine: Derek in cucina, il loft vuoto intorno a loro e lei, come la vedeva lui, voltata di spalle e aggrappata alla porta.
-Grazie, Derek.-
 Disse aprendo la porta, ormai consapevole che quello che sentiva non era un’illusione.
E non sentiva nulla…o meglio, nulla che le impedisse di sentirsi finalmente stanca e assonnata. Il dolore, certo, c’era sempre, come la rabbia, il rimpianto: erano sempre lì, ma era diverso.
Non occupavano più il centro del suo essere, erano ai margini con i ricordi e i sentimenti provati, passati…dove dovevano essere.
Dove era giusto che fossero. Perché erano giusti , questo le aveva detto e –Dio!- quanto aveva bisogno di sentirlo dire! Quelle esatte parole: non Andrà tutto bene o Passerà.
 No.
Va bene così! È giusto sentirsi così.
Ferita, spezzata, arrabbiata, tradita…non più innamorata o almeno non come prima.
Di questo aveva bisogno.
Andava bene.
Chiuse la porta dietro di sé, mentre sentiva ancora una volta qualcosa di sorprendente venire pronunciato dall’Alpha.
 
-Buonanotte, Allison.-
 
Il suo nome.
 
Si era proprio sbagliata.
Pensava davvero che prendesse il caffè amaro.
 
 
 
Angolo dell’autrice (?)
Eccoci qua :D
Questa ff è nata con il supporto di una persona straordinaria la mia adorabile sorellina Donia_ ed è a lei dedicata.
Finora ho lasciato la possibilità di aggiungere altri capitoli a questa storia, ma il tutto dipenderà dalla solite grandi variabili: A-la risposta del pubblico; B- l’ispirazione;
So che la Dellison è al limite del Crack (ok, è decisamente Crack…sigh) ma il potenziale di una storia con Derek ed Allison è innegabile: con tutte le scene che nella terza serie hanno lasciato aperto una sorta di dialogo tra loro (erano litigi, lo so, ma usavano parole… quindi erano dialoghi!) mi sono lasciata travolgere dal vortice della ship :P
Fatemi sapere cosa ne pensate!
With love,
boby (aka Yuki_o)
 

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Capitolo 2
*** Caffè Americano-Da qui in poi... ***


Caffè americano
 


Era mattina presto, sabato di un autunno mite e soleggiato che in qualche modo le ricordava la Francia.
Seduta in uno dei caffe-bar del centro di Baecon Hills, Allison Argent si crogiolava nella normalità del suo caffè-latte al caramello come Lydia Martin avrebbe fatto davanti a un nuovo paio di Jimmy Cho.
Il tavolino che occupava, accanto alla vetrina del negozio, le permetteva di rivolgere ai passanti lo sguardo, fingendosi preda di una noia che in realtà non provava: osservare la gente di corsa, accaldata o rilassata, camminare o correre davanti a lei, ignari di lei, le dava una piacevole sensazione di tranquillità: l'illusione o la certezza -non lo sapeva bene- che il mondo non solo sarebbe andato avanti senza di lei, ma nonostante lei.
 
Andava meglio.
Da qualche mese, ormai, era facile alzarsi la mattina, non le pesava sorridere e aveva di nuovo voglia di divertirsi, di scherzare e di perdonare se stessa per questa sua ostinazione a vivere.
Non andava più così spesso sulla tomba di sua madre e a volte questo faceva sbocciare il lei un pungente senso di colpa, che però si affievoliva un po’ appena vedeva suo padre entrare in casa borbottando lamentele sul traffico urbano o leggendo un sms di Lydia -in cui l’amica poteva descriverle, con uguale entusiasmo, una nuova teoria di fisica quantistica o l’ultimo trend di trucchi naturali e anallergici.
Doveva occuparsi dei vivi.
Questo le diceva ogni sguardo che incrociava, ogni sorriso che riusciva a cucirsi addosso senza troppa fatica: lei era viva.
Se si concentrava un po’ riusciva a vedere una mag rossa al posto dell'anonima tazza bianca con il logo del bar di fronte a lei, e un bancone di alluminio invece del tavolino di legno a cui era seduta. Quella fuga disperata da se stessa che si era conclusa a casa di Derek era stata come l'esplosione che aveva fatto sfogare tutta la tensione e la rabbia accumulata.
Dopo quel giorno bere un caffe aveva assunto un nuovo senso: voleva dire pausa da se stessa e dalle proprie aspettative e obiettivi. Dopo quella sera era riuscita a prendere di nuovo in mano un arco senza tremare.
La sensazione di quei ricordi stava ancora stuzzicandola quando senti l'acuto trillo del campanello della porta che annunciava l'ingresso di un nuovo cliente: Allison alzò la testa quasi meccanicamente e mai si sarebbe immaginata di vedere lui entrare nel locale.
Derek Hale.
A volte si era chiesta se avesse solo giacche di pelle nel proprio guardaroba, quindi fu in qualche modo una sorpresa vederlo con indosso una comune felpa blu con cappuccio, appoggiarsi al bancone come un qualunque studente del college e ordinare un caffe lungo da portar via. Aspettò che si voltasse verso il resto della sala per salutarlo -non soffermandosi troppo sul fatto che fino a un paio di settimane prima avrebbe probabilmente cercato di sprofondare il più possibile nella sedia pur di non avere nulla a che fare con lui.
Del resto però allora nemmeno Derek, se si fosse accorto che Allison Argent sedeva nello stesso bar dove anche lui stava ordinando il suo caffe, avrebbe mai  considerato l'idea di salutarla con un cenno del capo e avvicinarsi con il bicchiere di carta in mano e chiederle semplicemente: "Come va Argent?"
Era bastata una notte folle a rendere questo possibile in un giorno come gli altri.
 
"Tutto ok, grazie. Tu?"
Derek rispose con una diplomatica alzata di spalle e continuò a starsene in piedi con il bicchiere fumante in mano. Evidentemente aveva esaurito la sua riserva quotidiana di loquacità. Trattandosi di Derek non la stupì.
"Se non hai fretta potresti fermarti a bere il caffè..."
L'idea l'aveva colta quasi a tradimento, prima ancora di realizzare il pericolo che conteneva quella prospettiva, ma lo sguardo perplesso di Derek fece sì che ad un tratto fosse tutto molto chiaro. Vederlo così vicino, con quel look inconsueto per lui, mentre teneva così semplicemente in mano il suo caffè le aveva fatto abbassare la guardia e ora che non lo vedeva più attraverso le solite difese si rese conto di quello che aveva sempre rifiutato di riconoscere: Derek Hale era un ragazzo, che l'aveva salutata in un caffè un giovedì pomeriggio d'autunno.
Il non sentire il bisogno di nascondersi o allontanarsi da lui, avere persino il sincero slancio a condividere parte del suo tempo con una persone che fino a poco prima avrebbe potuto -senza esagerare- definire un nemico la lasciò quasi stordita.
La voce del ragazzo non espresse meno sconcerto quando le chiese: "Con te?"
Forse fu un moto d'orgoglio davanti a quella diffidenza e quella nota di divertimento che -no, non se l'era immaginata- aveva colorato la voce di Derek.
"La sedia è libera." disse quindi, alzando le spalle come se la cosa le fosse indifferente.
Dentro tremava solo un po'.
Vederlo sedersi, lasciando scorrere uno sguardo apparentemente casuale sulla sala, e poi tornare al caffe fu quasi surreale.
"Nessuna squadra di cacciatori è qui per tenderti un'imboscata, non preoccuparti." disse senza riuscire a trattenersi.
Il lupo alzò lo sguardo e lo fermò nel suo. Era tranquillo.
"Saresti l'esca perfetta..."
"Perché?" lo interruppe di colpo e cercò di ignorare il brivido scatenato da quelle parole. Non riuscì a impedire alla solita paura di insinuarsi in lei: assomigliava abbastanza a Kate da portarlo sempre a dubitare di lei? Credeva che come sua zia fosse una traditrice? Una bugiarda?
Ma la risposta fu ben altra.
"Perché, per quanto mi riguarda, sei del tutto imprevedibile, Argent."
Lei tacque. Maledetti brividi.
Rimasero qualche istante in silenzio.
"Non ricordo nemmeno se ti ho ringraziato quella volta..."
Lui avrebbe potuto benissimo non capire a cosa si riferisse, con una frase così enigmatica  e fuori contesto, eppure capì. Tutto.
Si sarebbe aspettata che una frase simile facesse scendere la temperatura del locale di almeno 10 gradi, invece Derek non batté ciglio ed Allison decise di seguire l'istinto e continuare a parlare.
"Ora dormo molto meglio e anche visitare la sua tomba...è più facile."
Allison alzò il capo e vide Derek annuire lentamente.
"Ci vuole tempo Argent...ma a quelli come noi non manca mai."
Anche lei rimase in silenzio stavolta -nonostante la domanda “chi sono quelli come noi?” le pizzicasse quasi sulla punta della lingua, dove rimase inespressa- e avrebbe voluto lasciare che l'argomento lentamente si dissolvesse portando con sé le ombre dei loro lutti, ma nemmeno in quel momento Allison dimenticò quanto i fantasmi di Derek fossero più numerosi dei suoi.
Lo aveva realizzato solo dopo quella sera e si era sentita nauseata dal suo egocentrismo e anche incredula a come avesse fatto, fino a quel momento, a guardare quel ragazzo negli occhi e non vedere.
"Quante volte si può sopravvivere a questo? Quante volte puoi amare, perdere e poi ricominciare a...” trasse un sospiro doloroso “Quante volte, Derek, prima di crollare?"
Lo vide sorridere, con sorpresa, come quando le aveva parlata di Laura.
"Le volte che riesci a respirare abbastanza a lungo da ricordare quelli che sono rimasti. Ti aggrappi a loro e speri di riuscire a resistere abbastanza a lungo, fino a quando non passa la tempesta."
Non avrebbe mai ottenuto una rassicurante bugia da lui, lo aveva già capito, contava anzi sulla sua onestà delicata. Tuttavia non era sicura che sarebbe riuscita a sostenere le parole che Derek stava per pronunciare quando incrociò il suo sguardo a quel punto.
"La maggior parte non sarebbe sopravvissuta a questo Argent, siamo come i primi scopritori di una nuova terra…da qui in poi non ho più risposte."
Fissò la tazza che ormai da bollente era diventata ormai appena tiepida tra le sue mani. Lasciò che un respiro profondo le sfuggisse e poi alzò lo sguardo con un sorriso.
“Derek Hale è un filosofo: chi l'avrebbe detto!”
Allison osservò le labbra del lupo arricciarsi appena in uno sbuffo di risata.
“Parlo troppo poco per esserlo Argent, ma la gente non mi ascolta mai proprio come fa con i filosofi.”
“Io non mi chiamo Scott McCall.” Disse lei volendo prolungare quel momento leggero.
“Credimi Argent: lo so. Tu sei quello a cui Scott pensa di solito proprio quando non mi ascolta.”
La risata che la scosse allo sguardo sconsolato di Derek fu genuina e allegra.
Continuarono a parlare dimenticando e lei finì con il dimenticare totalmente il suo caffè-latte ormai freddo: l’ironia di un Cacciatrice che passava un pomeriggio a parlare con il lupo più taciturno di Bacon Hills non sfuggì a nessuno dei due.
 
 
La prima volta che si ritrovò di nuovo davanti alla porta del loft di Derek ero ormai inverno e il pomeriggio che avevano passato insieme mesi prima sembrava allo stesso tempo vicino e irreale. Si sentiva nervosa come la notte che era arrivata lì, fuori di sé e confusa, anche se questa volta aveva più che un valido motivo per trovarsi lì…con un’ora di anticipo sugli altri.
Certo.
Trasse un sospiro e aprì le porte scorrevoli –convenientemente lasciate aperte dato il numero di ospiti atteso per quella ‘pack-reunion’- e si diresse nella zona cucina. Derek era in piedi dietro al bancone, comodamente curvo sul piano, mentre appoggiato sui gomiti sorseggiava caffè –l’aroma inconfondibile era percepibili anche ai suoi sensi umani- mentre un’altra mug rossa era appoggiata accanto a lui.
Il sorrisetto che il ragazzo cercava di nascondere un po’ nella mug era quasi affettuoso non riuscì a non arrossire un po’ sapendo che probabilmente la ragione di quella smorfia era il suo stato d’animo così teso.
Si avvicinò al bancone e appoggiò sul tavolo il sacchetto di carta che aveva portato con sé. Appena l’aroma arrivò ai sensi acuti del lupo di fronte a lei le scoccò uno sguardo interrogativo –e non poco divertito.
-Ho pensato che il gelato non fosse l’opzione migliore a colazione, quindi ho ripiegato sulle brioches.- spiegò con una alzata di spalle.
L’unico commento di Derek fu un breve sorriso che si allargò ulteriormente quando lei aggiunse –Alla crema.- *
Bevvero in silenzio il loro caffè e divisero le brioches riempiendo il bancone di briciole, cosa che non sembrò preoccupare minimamente il padrone di casa.
Quando anche gli altri membri del branco di Scott arrivarono nessuno dei due si prese il disturbo di muoversi, anzi continuarono con calma a sorbire la seconda –terza?- tazza di caffè mentre facevano a gara a raccogliere con le dita le briciole sparse sul piano.
I loro amici potevano fissarli con quegli sguardi sconvolti quanto volevano, ma se Allison Argent e Derek Hale quella mattina volevano rivolgersi sguardi comprensibili solo a loro, beh…quelli erano solo affari loro.









Angolo dell’autrice:
non riesco quasi a credere di essere di nuovo qui! La pausa che mi sono “presa” –fissa con odio mucchio di libri di diritto- è talmente lunga che non voglio nemmeno provare a leggere la data della mia ultima pubblicazione!
Torno con il secondo capitolo autoconclusivo di questa mini-raccolta ( a cui, se Jeff Davis vuole Aka.non-uccide-Derek-perché-io-ne-morirei seguirà un terzo capitolo che sarà Spoiler!Alert: POV!DEREK) a cui sono sempre più affezionata: tutta questa caffeina mi scalda il cuore…
Come sempre ho innalzato un peana agli dei perché mi aiutassero a mantenere i personaggi IC, spero di esserci riuscita!
Ricordo anche: la qui-cyder-presente autrice è una ferma sostenitrice dello SHIPPING LIBERO, per cui facendo appello alla Dea Ambiguità ho cercato di mantenere il tono su un ipotetico pre-slash/friendzone perciò…se vi disturba l’idea di una Dellison ship, consideratela pure solo una Derek&Allison: io stessa rileggendola sono una volta per l’uno e l’altra per l’altra opzione!
Detto ciò mi dileguo con l’unica nota che mi sembrava il caso di apporre:
l’asterisco (*) è riferito alla battuta sulle brioches alla crema che sono state citate nel capitolo precedente, perciò se volete capire la battuta sapete dove guardare, eheh. Esatto sono sadica e voglio costringervi a leggere anche quella parte…sue me <3
love you,
boby

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Capitolo 3
*** Iced Coffe -Ricorderò il profumo. ***


[ATTENZIONE: So che siamo tutti persone impegnate, ma siate gentili e se leggete fino alla fine dedicate un minuto alle note dell’autore alla fine del capitolo. Sono brevi promesso. GRAZIE.]
 

Iced coffe

 
Derek si svegliò dal sonno leggero al suono di piccoli singhiozzi. Aprì gli occhi a fatica e non trovò nemmeno la forza di strofinarli pur sentendoli impastati e pesanti.
Lentamente si alzò dalla poltrona nell'angolo della stanza e si diresse verso il bozzolo di lenzuola sul letto di fronte a lui da cui provenivano quei rantoli di dolore.
Si sedette piano sul bordo del materasso e poggiando una mano sulla punta del bozzolo disse, con la voce più rassicurante e gentile che riuscì ad evocare, sfinito dal sonno e nel pieno della notte: -Lydia?-
Dal grumo di lenzuola, piano, emerse una cascata di capelli fiammeggianti e scarmigliati e infine un viso pallido e rigato di lacrime.
Lentamente, seguendo le sue carezze e il suo nome sussurrato, iniziò a liberarsi dal sonno e dopo qualche minuto gli occhi verdi di Lydia trovarono Derek, lucidi di lacrime e persi ancora nel sogno appena lasciato.
Per la terza volta quella notte.
-Derek...- sussurrò rauca la ragazza. -Mio Dio, ancora...mi dispiace.- provò a scusarsi lei ma Derek non la lasciò finire.
-Shhh- sussurrò continuando a passare la mano là dove immaginava esserci la schiena e il suo braccio, nascoste sotto le molte coperte -Io sto bene, Lydia, non preoccuparti. Ricordi cosa hai sognato?-
Alla domanda la ragazza chiuse gli occhi, scuotendo piano la testa e lasciandosi sfuggire un sospiro stanco. -Mi agitavo molto?- gli chiese poi.
Derek negò col capo –Appena, ma ho preferito svegliarti. Non c'è ragione però di perdere più sonno del necessario, giusto? Prova a rimetterti a dormire, ora. Su.- disse picchiettando le coperte che avvolgevano il corpo di lei in un goffo tentativo di rimboccare l’informe ammasso di stoffa.
La osservò raggomitolarsi accanto a sé e chiudere gli occhi, all'apparenza tranquilla, avrebbe detto, non fosse stato il martellare erratico del suo cuore a rivelargli il suo vero stato d’animo.
Cercando di ricordare le notti in cui era stato lui a rifugiarsi sotto strati e strati di coperte in cerca di conforto, iniziò a cantare a bocca chiusa la stessa nenia che all'epoca era stata Laura a intonare per lui.
Una canzone dolce e ridondante, per scacciare i fantasmi di chi si ha perso, diceva sua sorella. I suoi genitori, le sue sorelle e fratelli, la casa e gli amici.
Sperava che potesse funzionare con lei come non aveva funzionato per lui…o almeno cullarla fino al sonno.
Quando dopo un po' avvertì il respiro di Lydia assumere ritmo regolare, Derek si concesse un sospiro che sembrava più un gemito di dolore.
Con tutta la delicatezza che gli fu possibile si alzò dal letto e tornò alla poltrona da cui continuare a vegliare la stanza e la sua occupante.
Era la terza notte che trascorreva lì, i percorsi della stoffa ricamata sulla fodera ormai familiari sotto le sue dita, così come il respiro delicato e il profumo di Lydia. Dopo quello che era successo non aveva potuto lasciarla sola. Derek sapeva...per questo era rimasto lì, ogni notte, come Laura a suo tempo −nonostante anche lei stesse combattendo e piangendo gli stessi fantasmi.
Chi lo avrebbe detto che ai suoi, già numerosi, si sarebbe aggiunta lei.
Allison...
 
 
La funzione era stata semplice, breve e tremenda.
Ad ogni istante aveva avuto la sensazione chiara e terrificante di infiniti tagli aprirsi nella pelle, un gelo tremendo che si diffondeva nelle sue vene e i suoi pensieri che bruciavano incandescenti. A stento si era trattenuto dallo strapparsi la cravatta dal collo e voltare le spalle a tutti ed andarsene.
Quando aveva sepolto Laura era stato un incubo diverso: intorno a lui c’erano i rumori della foresta e quel particolare vuoto laddove gli animali riconoscevano la caduta di uno dei loro signori. Aveva scavato la buca e si era lasciato ubriacare dall’odore della terra umida, aveva deposto il corpo, sopportando a stento la sensazione degli arti rigidi e freddi e poi aveva disposto la spirale di Strozzalupo.
Il dolore lo aveva confortato.
 
Quello che più di ogni cosa lo faceva impazzire era il silenzio. Il silenzio dopo il discorso del reverendo, durante l’omaggio di rose sulla bara, della gente che sussurrando appena stava lentamente muovendosi per l’appartamento di Argent per porgere le proprie condoglianze a Chris.
Perdere una figlia…
E a così breve distanza dalla moglie…
Pover’uomo…
 
Una tragedia.
 
Derek sentì gli artigli farsi piano strada nella carne tenera del palmo delle mani, chiuse a pugno, in cerca di un appiglio che gli impedisse di crollare e trascinare tutto con sé in una valanga di rabbia.
Una tragedia.
 
Una tragedia, dicevano.
 
Non era stata un tragedia, era stata una guerra.
Allison era uno dei soldati che l’aveva combattuta, quello che non era tornato a casa.
 
Conosceva il dolore di Chris e gli invidiava la libertà di vivere quel dolore, una libertà che lui non aveva avuto, divorato dal senso di colpa per essere stato la causa stessa di tutto.
Cercando una distrazione lasciò la stanza e si concentrò sul battito cardiaco del Branco. Scott era in uno dei divani del soggiorno, sua madre accanto a lui masticava lentamente, con compostezza, una torta salata portata da una dei vicini di Chris. Il battito di Scott era spezzato. Scott era spezzato.
Lasciò la stanza in cerca di Stiles. Insieme a suo padre stavano aiutando Chris con gli onori di casa, lo Sceriffo in piedi ricevendo stoicamente tutti i ‘era una ragazza meravigliosa’ e i ‘sentiremo tutti la sua mancanza’.
Il battito degli Stilinski era accelerato,  più del solito, come il cuore di un colibrì o quello di una lepre spaventata. Quello di Stiles sembrava voler sfuggire dal suo petto, lontano da tutto. Non poteva biasimarlo.
Isaac era raggomitolato ai piedi del letto di Chris, il luogo più vicino ad essere di Allison senza essere davvero suo. Derek non aveva bisogno di ascoltare il battito del suo cuore: il respiro irregolare e il tremore delle sue mani gli dicevano tutto, da dove lo scrutava attraverso uno spiraglio della porta della stanza, spettatore di quel dolore giovane.
Così giovane…
 
Ma non erano loro a preoccuparlo. Scott, Stiles, Isaac e –Dio!- persino Chris ce l’avrebbero fatta.
Doveva trovare lei.
 
La stanza di Allison era rimasta chiusa sin da quella notte, una terra di nessuno dove le bussole non puntano a nord e le stelle disegnano costellazioni sconosciute.
Nessuno aveva avuto la forza –o il coraggio- di metterci piede. Dove altro avrebbe potuto essere la straordinaria Lydia Martin?
Sul suo abito nero con le maniche e il corpetto di pizzo la sua cascata di capelli fiammeggianti era incredibile, il contrasto meraviglioso. Come un tizzone che ancora arde sulla superficie ma muore al di sotto. Come lei in piedi di fronte alla finestra, con gli occhi chiusi e lacrime silenziose a rigarle le guance, mentre si lasciava avvolgere da quello che era rimasto della sua migliore amica senza la forza di affrontarlo ad occhi aperti.
Tutti stavano soffrendo per la perdita di Allison e tutti la stavano affrontano nel limite delle loro forze, ma nessuno aveva sentito quella perdita come Lydia. Il momento in cui il rintocco del fato era suonato, il momento in cui se n’era andata.
Nessuno avrebbe mai potuto, solo una banshee.
 
La stanza era rimasta chiusa a lungo e il tipico odore di aria viziata riempiva l’ambiente.
Sulla scrivania ancora aperti gli ultimi compiti –storia- e un barattolo di crema alla lavanda. Una molletta per capelli e una boccetta di smalto verde smeraldo. Sul comodino del letto un libro letto a metà –romance contemporaneo? Davvero, Allison?-  e l’armadio lasciato con una delle due ante socchiuse.
Derek ha sempre odiato l’asimmetria.
Con calma, senza fare rumore, si accostò e con delicatezza quasi chiuse l’anta. La mano rimase qualche istante sul legno freddo e liscio. Poteva sentire l’aroma di Allison provenire dai vestiti all’interno e sapeva che presto sarebbe sparito, soffocato dall’odore della polvere, del tempo.
Come era successo con quello di Laura.
Chiuse gli occhi un istante, reprimendo il desiderio all’improvviso soverchiante di inspirare a fondo ogni briciola di lei intrappolata tra la seta e il poliestere. Che senso avrebbe avuto aggrapparsi così? Ritardare l’inevitabile momento di lasciare andare.
Lui tra tutti era quello che perdeva il meno…vero?
 
-C’è ancora molta gente?- risuonò la voce limpida di Lydia.
-Stanno iniziando a trovare scuse. Presto saranno rimasti solo i sinceri e poi…solo noi.-
-Ho chiesto a Chris di poter tenere qualcosa delle cose di Allison.-
Derek attese qualche istante prima di rispondere.
-Sai già cosa?-
-No.-
Il silenzio tornò a riempire lo spazio tra di loro.
-Tu cosa prenderesti?-
La voce di lei rimaneva limpida ma il battito del suo cuore accelerava e non sembrava avere intenzione di voltarsi.
-Ho tenuto tutto di Laura. I libri, i colori ad olio e la macchina fotografica, i vestiti, i cd…la macchina.-
-Lo sapevo che non poteva essere tua.-
Un sorriso gli stiracchiò il viso. La Camaro, che ora sedeva tranquilla in un garage sotterraneo.
-Ma non è la risposta che ti ho chiesto. Cosa prenderesti in questa stanza, cosa prenderesti di lei?-
Il momento in cui Lydia con una leggerissima piroetta finalmente lo fronteggiò sembrò sollevare una invisibile tenda e all’improvviso i raggi del tramonto riempirono la stanza e lei sembrava davvero in fiamme.
In un altro momento avrebbe saputo che semplicemente stando in piedi davanti alla finestra aveva bloccato la luce dall’entrare attraverso i vetri ma non ora. Ora era una magia.
Avrebbe potuto dirle che non aveva motivo di desiderare qualcosa che gli ricordasse Allison. Avrebbe potuto dirle che nulla in quella stanza gli diceva alcunché della ragazza che aveva visto quella sera di luna piena ad una festa. Di quella ragazza che aveva difeso il suo amore contro la sua famiglia e la sua famiglia contro il suo amore. Di quella cacciatrice che aveva portato il lutto e di quella guerriera che lo aveva messo da parte, quel lutto devastante, per salvare quello che rimaneva della sua anima.
Di quella ragazza che una notte era piombata alla sua porta e aveva pianto e preso un caffè seduta al bancone della sua cucina.
Di quella ragazza che seduta in un caffè aveva cercato la sua compagnia, che gli aveva dato del filosofo e si era ricordata delle brioches. (1)
Avrebbe potuto e invece…
-La sua giacca di pelle. Sembra appropriato.-
La risata di Lydia risuonò come una pioggia di campanelli o come un vaso di cristallo che andasse in frantumi e Derek pensò a Peter Pan e alla risata delle fate.
-Non scherzare con me, Derek Hale, Stiles non me lo perdonerebbe mai se lo scoprisse.-
Derek nascose dietro una risata soffocata il ricordo amaro del battito del cuore di Stiles che voleva scappare via e sospirò. Se il profumo di Allison riempì infine i suoi polmoni nessuno lo avrebbe saputo, tranne lui.
-Non stavo scherzando.-
Disse e in un momento di ardimento incontrò gli occhi di Lydia.
-La pelle trattiene più a lungo gli odori.- (2)
Registrò l’impercettibile dilatarsi delle pupille di Lydia, l’impennata minima del battito cardiaco e il respiro che le sfuggì nel capire.
Brillante, straordinaria, Lydia Martin.
 
-Ti serve un passaggio a casa?-
Derek osservò la ragazza scuotere la testa, le occhiaie sotto gli occhi più visibili ora che il Sole stava scomparendo sotto l’orizzonte, lasciando dietro di sé solo ombre.
-Mi ci porterà Stiles tra un po’. Ci vediamo più tardi?-
Non poté non sorridere alla nota incerta con cui si concluse quella domanda, per quanto lei avesse affinato l’arte di nascondere tutto ciò che potesse apparire meno che impeccabile e netto nel suo atteggiamento.
Era stato con loro ogni notte, da quel giorno, tutti insieme come in un nido in casa Martin, dove la madre di Lydia così raramente faceva un’apparizione –sempre più che breve. All’inizio li aveva vegliati tutti, raggomitolati in un king size che per quanto ci si sforzasse, sembrava poco più che un singolo quando tentava di ospitare quattro diciassettenni e un adulto. Poi lentamente avevano orbitato verso altre stanze. Isaac raggomitolato accanto a Scott e Stiles che teneva stratta a sé Lydia…fino a che lei aveva voluto tornare nella sua stanza.
Non l’aveva lasciata una sola notte.
-Sarò lì prima che tu ti addormenti.-
E detto ciò, con uno sguardo che sperava gentile, uscì con discrezione dalla stanza, mentre lei gli sorrideva, lasciandosi inghiottire sempre più dalle ombre.
 
 
Entrando nel loft Derek fu consapevole di molte cose tutte insieme.
La prima cosa: l’odore dell’abbandono stava già lentamente posandosi su ogni cosa anche lì, anche se non erano passati più di quattro giorni da quando si era più-o-meno-di-fatto- trasferito a casa Martin.
La seconda cosa: per la prima volta da quando aveva perso Laura riusciva a guardare quel posto e pensare “casa” e questo lo faceva sentire incredibilmente egoista.
La terza cosa: Allison aveva lasciato qualcosa lì.
Si bloccò come gelato sull’ingresso, fissando l’open-space senza vederlo. La notte in cui l’avevano persa era tornato per non più di un paio d’ore, aveva fatto una doccia, preso qualche vestito, il portafogli e il carica-batterie del cellulare, tutto praticamente in autopilota, ancora assordato dagli ultimi raspii di Allison -fino all’ultimo mozzato singulto: una playlist che lo aveva accompagnato fino a quel momento- e da allora non aveva mai avuto né il tempo né la forza di tornare nell’ennesima casa vuota.
Ora però, dopo quelle ore passate immerso nelle ultime tracce di quello stesso aroma, questa flebile traccia era chiara come un clacson nella notte. Gli gridava contro e lo paralizzava.
Lentamente si avvicinò al divano, la luce del crepuscolo che si faceva sempre più violetta rivolgeva gli ultimi sprazzi di arancione attraverso le grandi finestre di fronte a lui…ed eccola.
La sciarpa di Allison.
La risata strozzata che gli sfuggì lo sorprese e lo irritò allo stesso tempo. Quella sciarpa…
 
 
-Si può sapere perché diavolo fa sempre così caldo qui dentro? È un open-space, Hale! Che diavolo di impianto di riscaldamento alieno usi? Credevo fossi un lupo, non una lucertola.
-Probabilmente farebbe meno caldo se non stessi indossando 3 strati di vestiti e una sciarpa di lana mentre stai sotto una coperta di pile e bevi tè bollente…ma la mia è solo un’ipotesi, Argent.
-Hai il metabolismo accelerato di Superman, Derek, perché diavolo tieni una temperatura così alta? Le emissioni del tuo impianto, da sole, faranno raddoppiare il buco nell’ozono.
-Ed ecco a voi, signori e signori, miss Allison Argent, colei che ridefinisce il concetto di drama queen!
-Oh, stai zitto, Hale!
-…-
-…-
-…-
-…mi piace stare al caldo e girare a piedi nudi, va bene? Sono un adulto, pago le mie bollette e posso fare quello che voglio.-
-…-
-…-
-Scommetto che da piccolo tua madre ti costringeva a indossare fastidiosissimi calzini di lana e questo dei piedi nudi è una specie di sogno di infanzia.-
-I calzini erano morbidissimi e li faceva a maglia mia nonna, porta rispetto, Argent.-
-Oddio, Derek!-
-Smetti di ridere e levati quella sciarpa, Argent, o puoi scordarti la maratona di Supernatural, lo dirò ad Isaac.-
-Colpo basso, signore. Chiamo il fallo.-
-Va bene, va bene…popcorn o Pringles?
-Devi anche chiederlo?-
-Stai zitta e fammi spazio sotto la coperta.-
-Ma che c…! Derek! I tuoi piedi sono GELIDI!-
-Ben ti sta.-
-Permaloso.-
-Ssh. Sta iniziando.-
-Solo per Dean Winchester, tregua.
-Per Dean Winchester.-
 
Erano passate settimane da quando l’aveva dimenticata, era inverno ancora all’epoca mentre adesso il clima stava iniziando a riscaldarsi…era morta in primavera. Dannazione.
Non avrebbe dovuto importare in che diavolo di stagione…fosse morta! Laura era morta in autunno, i suoi genitori alla fine dell’estate. Era morta.
Erano morti tutti.
Sembrava non fosse passato poi tanto da quella notte in cui le aveva detto che loro erano sopravvissuti. Loro dovevano andare avanti e farlo senza il peso dei morti.
Derek allungò la mano verso la sciarpa, ripiegata sulla sponda del divano, dove era rimasta per tutto quel tempo. Avvicinandola al viso l’aroma di Allison lo raggiunse ormai ineluttabilmente unito a quello della sua casa, al suo. Come tutti quei giorni seduti sul divano, o in cucina a bere un caffè, o mentre si riposavano dopo una corsa nella riserva…
Ora, in un mondo ideale Derek avrebbe potuto sedersi sul divano e, dopo giorni di veglia senza un istante per sé, avrebbe potuto finalmente piangere la morte della sua…di Allison.
In un mondo ideale…ma a quel punto Derek si era reso conto della quarta cosa: non era solo.
-Cosa fai qui, Alan?-
Una risata sommessa alle sue spalle e voltandosi verso il bancone della cucina –dove prima avrebbe trovato spalle più sottili, capelli corvini e lucidi ed essenza di lavanda- Alan Deaton, “veterinario”, sedeva placido, tenendo tra le mani una mug rossa.
La mug rossa.
-Quel tono…mi ricorda così tanto Talia. Laura pur sua erede non ha mai avuto così tanto di sua madre. Non nella voce, non nei gesti. Ironico che proprio tu, il cadetto, sia una sua immagine riflessa così perfetta.-
Derek si concentrò per qualche secondo sulla sensazione della sciarpa ancora nelle sue mani, fredda come un indumento che non viene indossato a lungo…abbandonato. Ma reale.
Con calma si avvicinò alla cucina e all’uomo che lo aspettava con una familiare espressione enigmatica. In tanto tempo in cui aveva avuto a che fare con questo individuo gli aveva così raramente dato delle risposte, non importa quanto importante o vitale, quella risposta fosse, tanto che Derek aveva semplicemente perso ogni interesse a chiedergli alcunché. Motivo per cui fu in silenzio che si avvicinò al fornello e si versò a sua volta una di caffè.
Mentre con metodica lentezza mescolava lo zucchero nel liquido caldo, trovando una sorta di conforto nel suono acuto del cucchiaino che lentamente descriveva cerchi sul fondo della tazza di ceramica, inaspettatamente, fu Deaton a fare una domanda a lui.
-Posso fare qualcosa per te, Alfa?-
Derek trattenne il cucchiaio dallo sfuggirgli dalle mani, ma non aveva certezza che sarebbe riuscito a fare altrettanto se avesse tentato di sollevare la tazza alla bocca, per cui la lasciò sul bancone. Lentamente voltandosi e fronteggiando l’emissario, che non sorrideva più.
-Non c’è nulla da fare per i morti, druido.-
Derek lo vide –oh, se lo vide- il dolore passato che tornava a pungere sulla pelle. Nulla in confronto allo squarcio aperto che in ogni secondo, in ogni istante, tormentava Derek. Da anni ormai. Dall’incendio.
Dal rogo della sua famiglia intera.
Quella volta un’Argent lo aveva distrutto un pezzo alla volta, con ogni caro che perdeva un altro arto che gli veniva strappato.
Questa volta? Questa volta un’Argent lo aveva ferito…andandosene. Per sempre.
Deaton lentamente si alzò, prese la giacca appoggiata sullo schienale dello sgabello e lentamente la infilò, senza incrociare lo sguardo di Derek.
-Sei sicuro di stare parlando di un morto, Derek?-
Il licantropo represse un brivido ghiacciato a quelle parole. La speranza era solo un’altra delle sue aguzzine: poteva contare le cicatrici di tutte le sue ferite.
-Cosa vuoi dire?-
-Solo che non sempre le cose sono come sembr…-
-NO. Risposte Deaton. Non indovinelli, non metafore, non bugie. O hai qualcosa da dirmi, qualcosa di vero, o faresti meglio ad andartene in fretta prima che ti dimostri quanto davvero assomiglio a mia madre. Fino agli artigli.-
Parlò tenendo lo sguardo fisso in quello del druido, lasciando che quella parte di lui che i cacciatori chiamavano bestia, che i druidi chiamavano potere, che sua madre –semplicemente- chiamava il lupo, emergesse. Rossa come gli occhi di un Alfa.
-…Chris Argent ha preferito tenere la bara chiusa al funerale della ragazza. Comprensibile per un padre non volere che l’ultimo ricordo della figlia fosse quello di un cadavere sfregiato. Impressionante come la mente umana riesca a mentire a se stessa, non trovi? Una bara chiusa è sufficiente a nascondere sangue, paura e morte.-
L’uomo guardava Derek mentre parlava e il licantropo lentamente contava i minuti fino a che la pazienza non lo avrebbe abbandonato. Se il suo sguardo avesse potuto parlare avrebbe detto “arriva al punto”. Deaton sembrò ricevere il messaggio.
-Nessuno ha più aperto la tomba, Derek e francamente sapendo come lo sappiamo noi che gli Argent hanno una certa difficoltà a morire e restare morti…trovo che questo sia un comportamento alquanto irresponsabile.-
Silenzio.
-Lei è morta, druido.-
-Pensavi lo stesso di Kate.-
-Lei non è Kate. Non ci sono stati artigli di Alfa, solo un mostro senza controllo. E noi siamo arrivati troppo tardi.-
-Sembri avere fretta di aggiungere un altro fantasma alla tua lista, Alfa Hale.-
-Che cosa vorresti che facessi, druido?- esclamò infine Derek, sempre più vicino alla rabbia -Che mi mettessi a scoperchiare tombe solo per la speranza che Allison segua la tradizione di famiglia e metta in piedi l’ennesima replica di “Lazzaro”?-
-Isaac dovrebbe avere ancora le chiavi.-
Derek rimase a bocca aperta, fissando Deaton con aria corrucciata.
L’uomo aveva abbandonato infine quella serietà così eccezionale e ripreso il suo solito sguardo sardonico, rivolgendo a Derek quel mezzo sorriso, lo stesso con cui lo aveva accolto poco prima.
-Sei davvero pronto a seppellire un altro pezzo del tuo cuore, figliolo?-
-Lei non era…-
-Oh, non provarci. Come ti ho detto, sei molto simile a tua madre…e questo include anche il modo in cui ami i tuoi.-
-Allison era una Argent.-
-Argent è solo un nome, Derek.-
-Lo è anche Hale.-
Con un sospiro Deaton alzò infine le mani come ad arrendersi.
-La scelta è tua, Alfa, io sono solo passato a porgerti le mie condoglianze. Tolgo il disturbo ora.-
Detto ciò si alzò e si diresse alla porta. Derek lo seguì fino al grande open-space e accanto ai divani attese di vedere il druido sparire dietro le porte metalliche.
L’uomo lo salutò con un gesto del capo e lanciò un ultimo sguardo verso la casa…per un istante Derek pensò di vederlo soffermarsi sulla sciarpa abbandonata sul divano. Ma proseguì oltre verso le uniche due fotografie dell’appartamento.
Certi giorni non riusciva a posarvi lo sguardo, ma non aveva il coraggio di spostarle, per qualsiasi ragione.
-Era bellissima.- disse la voce di Alan, distogliendolo dai suoi pensieri.
Derek non guardò la foto. Non ne aveva bisogno.
-Sì.-
Poi se ne andò.
Il licantropo tornò in cucina, dove trovò la mug rossa ad aspettarlo. Piena, intatta.
Il caffè gelato.
 
 
 
 
 
Mezz’ora dopo Derek aveva contattato lo sceriffo e gli aveva riferito della sua chiacchierata con Deaton. Quella notte gli uomini dello sceriffo si presentarono con tanto mandato al cimitero di Beacon Hills e disseppellirono la bara di Allison. Non ci volle molto, la terra era ancora fresca e morbida.
Quando aprirono il coperchio e lo trovarono vuoto Derek non riuscì nemmeno a provare stupore.
Nulla. Stava in piedi mentre lo sceriffo gli poggiava una mano sulla spalla e lo chiamava per nome. Gli agenti intorno a loro lo guardavano. Chi lo conosceva per l’incendio, chi per il mandato di arresto di due anni prima, chi per le lunghe notti di caccia come ‘consulente speciale’ del BHPD. Nessuno mostrava altro che compassione.
Derek era vuoto.
-Figliolo, avanti…dobbiamo avvisare Chris.- lo sceriffo alla fine in qualche modo fece breccia nel suo shock con quelle parole.
-Diglielo tu.-
-Derek…-
-Chris non vorrà sapere che il corpo di sua figlia è sparito da me e lo sappiamo entrambi. Non vuole che sia io a vedere il dolore nel momento in cui gli verrà detto, non vuole essere debole di fronte ad un Hale.-
-Ragazzo…-
-Va tutto bene, sceriffo. Chiamerò Deaton e cercherò di tiragli fuori altro…magari anche come facesse a sapere che il corpo era sparito.-
Lo sceriffo continuò a guardarlo preoccupato ma con un’ultima pacca sulla spalla tornò dai suoi uomini.
 
Derek non chiamò Deaton, si limitò a raggiungere la macchina e lo trovò lì già ad aspettarlo. Ovviamente.
Non gli diede tempo di fare un altro respiro prima di sbatterlo contro la vettura e ringhiargli la sua domanda.
-Come lo sapevi?-
-Tu mi biasimi per non darti risposte chiare, Alfa Hale, ma forse dovresti cominciare a considerare che c’è la possibilità che io non possa dartene. La magia non è una scienza. La magia è solo se stessa. A volte ho delle intuizioni, la cui unica spiegazione è che io sono quello che sono. Nessuno ti ha mai chiesto di spiegare il tuo istinto, giusto Derek?-
-Il mio istinto non mi ha fatto scoprire una bara vuota, druido, sei stato tu a condurmi qui.-
-Ma non sei sorpreso di quello che hai trovato…o non hai trovato, mi sbaglio?-
Derek accolse con il silenzio quell’ultima domanda, ma non durò a lungo perché Deaton riprese a incalzarlo.
-Ci sono solo due spiegazioni, persino in un mondo come quello in cui viviamo io e te, per questa notte: o hanno preso il corpo della tua Allison…-
-…o non c’era un corpo, in quella bara. O non era morta.- concluse Derek e tra le due possibilità era difficile pensare a quale fosse più spaventosa, perché chi sopravvive alla morte, non può non esserne cambiato irrimediabilmente.
Quando rialzò lo sguardo Deaton lo osservava con uno sguardo diverso, uno che non aveva mai visto rivolto a lui. Orgoglio.
-Che cosa ti dice il tuo istinto allora, Alfa Hale?-
 
 
Derek arrivò sotto casa Argent quando l’aurora iniziava a diluire la notte. Non si stupì di trovare Lydia Martin e Stiles Stilinski ad aspettarlo.
-Avevi detto saresti tornato a casa prima che mi addormentassi, Derek.-
Non c’era rimprovero nella voce di Lydia, ma lo guardava con una certa nostalgia, come se lo stesse ancora aspettando, come se non fosse stato lì a un metro da lei. Come se ne fosse già andato.
-E’ successo qualcosa…- iniziò a dire ma Stiles lo interruppe.
-Lo sappiamo.- disse e poi con uno di quei suoi sorrisi che sembravano prendere più il lato destro che il sinistro della sua bocca, gli lanciò qualcosa.
Derek afferrò al volo quelle che si rivelarono le chiavi della casa. Chris aveva preso una stanza in hotel la notte stessa in cui avevano perso Allison. Nessuno si era stupito: era partito per la Francia dopo Victoria, Gerald e Kate. Una stanza di hotel dopo Allison era il minimo.
Stringendo le chiavi in mano Derek incontrò lo sguardo di Stiles che sorrise di nuovo, ma più dolcemente…con un po’ di rimpianto forse.
-Finalmente hai rispolverato le tue carte migliori, Hale.- disse accennando con il capo alle loro spalle dove Derek sapeva, la Camaro splendeva sfacciata sotto i primi raggi dell’alba.
Il licantropo continuò a fissare il ragazzo di fronte a lui. Capelli più lunghi e lo sguardo più profondo di quel primo giorno nel bosco, era cresciuto fino a riempire finalmente i suoi vestiti. L’odore sempre lo stesso però –ansia e coraggio- e quella terrificante intelligenza. Anche il battito del cuore, come un torrente in piena, sempre lo stesso.
-Ho portato qualcosa che potrebbe servirti, apri il bagagliaio?-
A quel punto Derek sentì a sua volta il peso di un momento…e lo colse.
Si avvicinò a Stiles e gli mise in mano le chiavi della Camaro. Il ragazzo lo guardò confuso finché.
-Pensaci tu, mi fido.-
Eccolo il momento, nello sguardo di Stiles, nel suo battito che –incredibilmente- accelerava ancora.
E poi una risata strangolata.
-Dio, Derek…se solo lo avessi detto prima.-
Lo so.
Senza una parola Stiles lo superò e si mise all’opera.
 
Quando infine mise piede nella casa, con Lydia, Derek non si fermò ad esitare, percorse i corridoi verso la sua destinazione, quell’unica porta da aprire –e chiudere- prima di salire in macchina e…andare.
Tentare.
La stanza di Allison era sempre uguale ma ogni secondo che passava sembrava sbiadire. Tutta la sua determinazione non sembrava più abbastanza, ad un tratto, di fronte al quel vuoto.
Fu Lydia a compiere l’ultimo gesto. Aprire l’armadio e prendere la giacca. Non sapeva nemmeno cosa se ne sarebbe fatto.
Lydia gliela porse e in quel momento sentì il bisogno di qualcosa, di dire qualcosa, e invece rimase lì in piedi ad annuire al silenzio.
-Va bene così Derek- sussurrò lei infine -ti sei preso cura di tutti così bene, senza di te nessuno di noi...- le parole però sembravano arrivare con difficoltà anche per lei, tuttavia con determinazione infine disse –E’ il momento che tu faccia ciò che è giusto per te.-
Le banshee percepiscono la morte. La sfiorano, ne ascoltano i sussurri. C’era qualcosa nella morte di Allison che non dava pace a nessuno di loro e Derek, questa volta, avrebbe tentato di aggrapparsi a questo ricordo. A questa morte. Solo questa volta, sperando di fare ritorno dai suoi abissi.
Lydia non aveva bisogno di parole.
La abbracciò, mentre lei piangeva in silenzio, sempre irreale.
Meravigliosa Lydia Martin.
 
 
Il sole era infine sorto quando Derek si ritrovò a camminare verso la sua macchina –ancora intatta, grazie Stiles.
Il ragazzo stava seduto sul marciapiede a qualche passo dalla vettura e guardava avanti a sé. Derek si fermo al suo fianco, in piedi con le mani nelle tasche della giacca, in silenzio.
-Scott e Isaac daranno di matto. Mio padre sarà ferito. E Melissa!- sembrava quasi allegro, quel pazzo, al pensiero di tutto quel caos mentre sorrideva e scuoteva il capo.
-Prenditi cura di loro.-
-Ah, certo…perché ti fidi di me, giusto?-
Derek sogghignò –Giusto.-
-Non ti ho mai odiato davvero sai?- disse ancora Stiles, quasi distratto –ma adesso ti odio solo un po’ credo…- concluse con un sussurro.
Derek sentì la bugia nel suo battito e sorrise un po’ di più.
In due falcate aveva raggiunto la macchina e seduto al volante fece ruotare la chiave nell’ignizione, sentendo il motore svegliarsi.
La mano di Stiles si aggrappò al finestrino abbassato e in un fiato, con voce urgente, lo sentì dire.
-Torna. Comunque vada…torna.- dopodiché, senza aspettare una risposta, si voltò e corse dentro casa Argent.
Derek spinse sull’acceleratore e sgommò via.
Sul sedile posteriore, accanto ad una pila di mappe e una scatola di cartone senza etichette la giacca di Allison e la sua sciarpa riempivano l’abitacolo di aroma di lavanda e di lei.
(Era leggero quello di Stiles.)
Derek inspirò profondamente.
-Okay, istinto…portami da lei.-
 
FINE.
 
Titoli di coda
Grazie alle mie amiche e fedeli sostenitrici per le lunghe e insensate conversazioni su Whatsapp, per non aver perso la speranza dopo i MESI che ho impiegato con questo capitolo finale, dopo l’anno che ho impiegato con questa storia.
Grazie a Derek ed Allison.
Grazie a Lydia e Stiles.
Grazie al correttore automatico.
 
Canzone di chiusura: “So Cold” di FURTHER SEEMS FOREVER
How did you find me here?
I covered every track
I kept not souvenir
I left an open pack
To slip the phone under
I let my left hand down
To leave you undeterred
I kept my right hand out
To slip the phone under
I kept my right hand
How did you find me here, oh
So cold
So cold
So cold
To find another
So cold
So cold
 
You find a path to me
From an unwelcomed place
You kept the copy key
Between the skin and lace
To slip the phone under
I let my left hand down
To leave you undeterred
I kept my right hand out
To slip the phone under
I kept my right hand
How did you find me here, oh
So cold
So cold
So cold
To find another
So cold
So cold
 
To find another road
To take me down again
To fix another rule
To try it hard and true
To let it go this long
To point it back to you
 
So cold
So cold
So cold
So cold
To find another
So cold
So cold
To find another
So cold
So cold
 
Angolo dell’autrice (?)
PLOT-TWIST.
Francamente io odio le ff in cui uno dei personaggi principali muore…quindi prendi questo Jeff Davis!
  1. Mi riferisco ai capitoli precedenti qui, ovviamente, quindi se non volete rileggervi tutto allora vi dico fidatevi, sono successe. Anche la brioche.
  2. Non so se questo sia vero o meno: consideriamo che in questo caso la sottoscritta potrebbe semplicemente aver scritto una cosa che suonava bene…? #noregrets
Alla fine ho dovuto mettere Stiles. Lo so, ragazzi non vogliatemene ma seriamente, le mie mani scrivevano e non avevo nessun controllo sul risultato. Io shippo Sterek, ovviamente. Questa rimane una fanfiction Derek/Allison.
Chiedo scusa per eventuali errori di battitura, se lo rileggo un'altra volta mi si sbriciolano gli occhi nelle orbite. L’ho già riletto 7 volte. Basta.
Mi dà sempre soddisfazione concludere un lavoro, soprattutto così sofferto.
Mi lasciate un commentino?
 
See ya,
bob (aka Yuki_o)
 
MOMENTO PUBBLICITA’: se questa storia vi è piaciuta o se trovate il mio stile interessante e siete interessati a leggere altro sappiate che nel Fandom di Teen Wolf ho al momento in corso DUE PROGETTI:
una raccolta di autoconlcusive (YEA, niente lunghissime attese per futuri capitoli, storie con UN FINALE!) sempre per la coppia Derek/Allison & una long-fiction STEREK. Ho infine una flash-fiction (max 500 parole) per il pairing Peter Hale/Chris Argent.
Passate a farmi sapere cosa ne pensate! (non mordo.)
 
 
 

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