This is war

di Destyno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Uno
 
«Underwood!» abbaiò il professore.
«Sì, professor Lovelace?» chiese Nathaniel, senza nemmeno cercare di nascondere la noia che provava.
«Ripeti ciò che ho detto. E togliti quell’espressione da pesce lesso dalla faccia!»
Il giovane roteò gli occhi, sbuffando.
«Le prime testimonianze scritte di creature sovrannaturali si ebbero attorno al dodicesimo-tredicesimo secolo. Una di queste è il Bestiario di Aberdeen, un manoscritto miniato inglese risalente appunto-»
«Basta così, Underwood» lo interruppe Simon Lovelace, il volto livido di rabbia.
Poi si voltò e, come se non avesse mai interrotto la lezione, riprese a spiegare le varie differenze tra le specie demoniache, e Nathaniel poté tornare a fissare con sguardo sognante il profilo della ragazza al primo banco.
«Professore, perché ne parla come se fossero animali, o peggio?» chiese proprio quella ragazza. Nathaniel sbuffò e picchiò debolmente la testa contro il banco.
Kitty poteva anche essere la ragazza più bella del corso di demonologia, ma non imparava mai.
«Perché è esattamente quello che sono, signorina Jones» ribatté Lovelace con tono di supponenza «Animali. A malapena riescono a controllare i loro istinti e poteri, si pensi al Grande Incendio di Londra del 1666…»
Kitty aveva tutta l’aria di voler lanciare un mattone in faccia al professore, ma si contenne. Anche se le costò un certo sforzo e l’espressione di chi è costretto ad ingoiare qualcosa di disgustoso e viscido. Molto disgustoso e molto viscido.
Nathaniel sbuffò, annoiato, e appoggiò nuovamente la testa sulle braccia, e chiuse gli occhi.
Dopotutto era il più bravo del suo anno, qualche privilegio se lo poteva permettere.
 
«Allora, “Mandrake”» ridacchiò una ragazza, mollando un pugno scherzoso sulla spalla di Nathaniel «Com’è andata con Severus Piton?»
«Smettila con queste citazioni da nerd, Asmira, tanto nessuno le capisce» borbottò Jakob, facendo piroettare distrattamente una sigaretta tra le dita «Non è che avete da accendere?»
Nathaniel scosse la testa, agitando qua e là i suoi folti ricci neri.
«La mia povera anima fangirl, accerchiata da voi insensibili mondani» si compatì Asmira, sospirando melodrammaticamente.
Kitty non rise, mentre lanciava a Jakob l’accendino. Sul volto aveva un’espressione mortalmente seria.
«Io quel Lovelace non lo sopporto. È così… così…»
«Presuntuoso? Arrogante? Viscido?» suggerì il moro.
«Sì, esatto, viscido.» borbottò Kitty, lanciandogli un’occhiata storta «Tutto quel blaterare sul fatto che gli umani siano superiori alle creature sovrannaturali… sapete chi mi ricorda? Hitler»
«Lovelace non ha attuato un genocidio sistematico» le fece notare Jakob, aspirando una lunga boccata dalla sigaretta.
«Non ancora» lo corresse Asmira «Ma io sto con Kitty. Alla fine sono in grado di provare sentimenti, proprio come noi, e non è giusto sfruttarli in questo modo»
«Tu che ne pensi, Nat?» chiese poi, rivolto al moro, che ancora non si era pronunciato sull’argomento.
«Penso che dovreste essere più prudenti» sibilò «Al governo non piace chi si schiera contro le sue idee»
«E allora? Ci sono dei movimenti che si schierano per i diritti dei sovrannaturali…»
«Sì, e quanti di loro sono stati arrestati con l’accusa di tradimento contro la corona? Date retta a me, fareste meglio a tenervi per voi i vostri pensieri di libertà. Sapete che a mio padre non vanno a genio»
«Sai, Underwood» si scagliò Kitty «è colpa di persone come te se nessuno vuole avere a che fare con i sovrannaturali. Questo egoistico opportunismo che tu e la gente come te vi portate dietro. Sei uguale a Lovelace, anzi, forse sei peggio di lui. Quantomeno lui si schiera da qualche parte, mentre tu ti rintani nel tuo smisurato ego da primo della classe»
Nathaniel le lanciò un’occhiataccia stizzita, poi prese lo zaino, se lo mise in spalla e se ne andò.
«Ehi, che fai? Le lezioni non sono ancora finite!» gli gridò dietro Jakob.
«Per me sì!» sbottò il ragazzo, e si diresse rabbioso fuori dal cancello dell’istituto.
 
«Ma chi si crede di essere, quella Jones? Solo perché ha un bel faccino e degli ideali di pace e giustizia degni di Capitan America non vuol dire che deve tirarsela in questo modo» sbuffò il moro, tirando un calcio rabbiosamente infantile ad un ciottolo sulla sua strada.
Alla rabbia sorda che gli attanagliava le viscere si sostituì ben presto un altro sentimento: che fare?
Aveva tre opzioni: la prima, tornare a scuola, era decisamente impraticabile. Ormai era tardi, economia  era già iniziata da quasi mezz’ora – e poi non aveva fatto i compiti.
La seconda, passare il pomeriggio a bighellonare in giro per Londra, e magari spendere quelle venti sterline che gli aveva regalato sua zia.
Infine, tornare a casa e sperare che i suoi genitori fossero ancora al lavoro, oppure una bella ramanzina non gliel’avrebbe tolta nessuno.
Beh, rifletté Nathaniel, un po’ di svago fuori casa gli avrebbe fatto bene, una volta tanto.
Dunque, stabilì come sua meta il negozio di giocattoli vicino a Piccadilly Circus – non ci stava andando per comprare una catenina con l’Unico Anello, no, nel modo più assoluto – e, nel mentre, acquistò un hot dog da un venditore ambulante.
Soddisfatto e con lo stomaco pieno di sano cibo spazzatura, Nathaniel scese nella metropolitana.
 
«Oh, ma andiamo» borbottò il ragazzo, guardando storto la cartina e tentando di capire dove si trovasse.
Si era bellamente appisolato sul treno – complice anche la serata precedente, passata sul pc a giocare online – e adesso non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
In giro non c’era anima viva a cui chiedere spiegazioni, e l’orgoglio di Nathaniel gli impediva di chiamare i suoi genitori e farsi venire a prendere.
All’improvviso sentì uno scalpiccio concitato alle sue spalle; temendo il sopraggiungere di un rapinatore, si girò di scatto.
«Cosa ci fai qui?!» lo riprese seccamente una voce sconosciuta, bisbigliando «Se ti vede Jabor quello ti squarta vivo!»
«Eh?»
«Oh, che Dio ti fulmini» borbottò l’altro, afferrandolo per un gomito ed infilandosi nel più vicino bagno delle signore.
«Che diamine-» tentò di gridare Nathaniel, ma lo sconosciuto gli tappò la bocca con la mano.
«Stai zitto, idiota. Jabor non guarderà mai qui dentro, siamo più o meno al sicuro»
Rimase in silenzio per un po’, mentre Nathaniel tentava vanamente di liberarsi, ma alla fine si arrese.
Durante quel lasso di tempo, col cuore a mille, osservò il volto del (rapitore?) ragazzo.
Era di poco più basso di Nathaniel, ma era massiccio ed aveva le spalle larghe, ed un incarnato quasi color cioccolato. I suoi capelli erano neri, come quelli del giovane Underwood, ma a differenza di questi ultimi erano tagliati corti e soprattutto molto ricci.
Non riuscì a guardarlo bene in viso, dato che guardava costantemente la porta, ma poté vedere che all’orecchio portava alcuni piercing dorati.
Con la coda dell’occhio riuscì anche a scorgere un tatuaggio sul lato del collo, poco sotto l’orecchio: una semplice linea curva, perfetta ed elegante, quasi una “S” stilizzata. Se fosse o meno il suo tatuaggio, questo Nathaniel non seppe dirlo.
Ben presto udirono fuori uno scalpiccio pesante di passi e uno sbuffare – pareva che dietro quella porta ci fosse un toro in agguato.
Nathaniel, suo malgrado, rabbrividì. In che razza di situazione si era andato a cacciare?
Fortunatamente per entrambi, il toro – o qualunque cosa fosse – passò davanti al bagno senza rallentare. Lo sconosciuto aspettò ancora un paio di minuti, ma poi lasciò andare Nathaniel.
«Si può sapere chi sei?»
«Potresti anche ringraziarmi, sai?» borbottò il ragazzo, senza smettere di fissare la porta.
«Ringraziarti? Ma se mi hai praticamente rapito!» esclamò Nathaniel, scioccato.
«Sì, ma ti ho anche salvato da morte certa, principessa» sbottò l’altro, voltandosi di scatto.
«Oh mio Dio» bisbigliò lo studente «Sei un demone»
«Mezzo demone» lo corresse il ragazzo stizzito, ma Nathaniel non lo ascoltava: era troppo concentrato a fissare con meraviglia mista ad orrore le scintillanti iridi color tramonto dell’altro e la pupilla verticale, ferina.
 
Poi la porta del bagno esplose e i due vennero scaraventati contro la parete.
«Un trucchetto furbo, Bartimeus» ironizzò una nuova voce «Quello di nasconderti nel bagno delle signore. Ci avevi quasi fregato»
«Oh merda» borbottò il mezzo demone – evidentemente Bartimeus – rialzandosi a fatica.
Quando la vista di Nathaniel tornò a funzionare il suo cervello andò completamente in pappa; aveva incontrato un mezzo demone, era sfuggito a quello che pareva un toro impazzito nascondendosi nel bagno delle signore ma quello era semplicemente troppo, persino per lui.
Un uomo, grasso e stempiato, con una divisa da cuoco e diversi tentacoli dalla schiena, stava brandendo un coltellaccio da cucina sporco di – ommioddio ma quello è sangue.
«Faquarl» borbottò Bartimeus, di nuovo in piedi ma visibilmente indebolito «E io che speravo che fossi morto»
«Speravi male, a quanto sembra» fece roteare distrattamente il coltello «Stavolta la tua fortuna sfacciata non potrà aiutarti»
«Tu sottovaluti il mio potere»
«Ah sì? Vediamo, allora» il cuoco fece un gesto con la mano libera «Jabor»
Dal buco nel muro che ormai c’era al posto della porta, entrò un coso – perché Nathaniel non riuscì a definirlo in nessun altro modo: aveva il corpo di un uomo alto due metri, la testa di sciacallo, un gonnellino egizio e, particolare importante, aveva in mano un’alabarda grossa quanto lui.
«Oddio» pigolò Nathaniel, rialzandosi in piedi ed indietreggiando convulsamente.
«Jabor, che piacere vederti» ironizzò il mezzo demone, deglutendo a vuoto «Mi fa un po’ meno piacere vedere quell’orribile gonnellino e le tue parti basse»
«Restituisci quello che hai rubato, Bartimeus» lo invitò Faquarl, tendendo la mano «Oppure qualcuno si farà molto male»
E nel dirlo i suoi occhi dardeggiarono pericolosamente su Nathaniel.
«Oddio» ripeté lui.
«Lasciatelo fuori da questa storia» ringhiò quasi Bartimeus «Lui non c’entra niente»
«Peccato. Un’anima così innocente…» lo compatì sarcastico il cuoco con i tentacoli «Jabor. Uccidi»
«Sarà divertente squartarti, Bartimeus!»
Mancò poco che il giovane se la fece addosso, al sentire quell’inquietante voce doppia e profonda come un incubo.
«Indietro!» urlò il mezzo demone, spingendo lontano Nathaniel.
L’alabarda si abbatté su di lui, e Nathaniel urlò.
Ma i suoi timori erano vani: Bartimeus era riuscito a bloccare la lama gigantesca del demone – solo con le mani.
Mani che al momento stavano scintillando di un colore rosso-arancio, come le sue iridi. Nathaniel, di nuovo a terra, realizzò che non avrebbe potuto resistere molto a lungo.
Pensa Nathaniel pensa, rifletté, che cosa temono i demoni?
Il suo sguardo dardeggiò verso il bracciale d’argento che portava al braccio destro. Lo afferrò e, con uno scatto meccanico, si trasformò in un piccolo stiletto affilato.
Ommioddio io non lo so usare perché non ho una pistola a proiettili d’argento
E poi gli venne un’idea.
«Oh, ma tu guarda… un apprendista Soppressore?» lo schernì il cuoco, lanciando il coltello sporco di sangue ad uno dei tentacoli da piovra e scrocchiandosi le mani «Caccia grossa, a questo giro…»
«Scappa, idiota!» gli urlò Bartimeus, con l’alabarda che gli sfiorava minacciosamente il collo «Non puoi vincere contro di lui!»
«Infatti non voglio combattere»
Con una mira che non sapeva quasi di avere, lanciò il coltello, conficcandolo esattamente nell’occhio di Jabor.
Sangue nero sprizzò dalla sua testa; il demone dalla testa di sciacallo abbandonò l’alabarda e questo permise a Bartimeus di scostarsi quel tanto che bastava per buttarsi di nuovo su Nathaniel e salvarlo dal coltello di Faquarl che si conficcò nella parete proprio dietro la sua testa, creando una grossa ragnatela di crepe.
Nathaniel deglutì a vuoto, ma non si fermò: con uno scatto repentino, si morse il pollice a sangue e con esso tracciò una linea su un foglietto recante un pentacolo stilizzato.
«Arthamiel!» invocò, ed improvvisamente i due furono avvolti da un forte vento «Nella mia camera!»
«Subito, padrone» mormorò il vento, ed i due sparirono nel nulla.
Faquarl, stizzito, colpì uno specchio con lo scatto di un tentacolo.
Migliaia di luccicanti frammenti caddero a terra tintinnando.

 

 
‘kay.
Non so da dove sia uscita ‘sta robaccia.
Anyway-
Abbiamo un doppio AU (un crossover di AU, si può dire?): uno, che ho trovato su Tamblah in inglese – sì, mi è capitato sotto gli occhi mentre guardavo la pagina Facebook The Best of Tumblr – ed un altro che è tutta farina del mio sacco u.u
Comunque, l’AU Tamblah è in pratica un AU sui tatuaggi: ogni persona qui ha un tatuaggio da qualche parte sul corpo, unico ed irripetibile. Quando una persona A si innamora di un tizio random B, allora da qualche parte a caso sul corpo di A appare il tatuaggio di B. Questo non significa che A e B siano per forza anime gemelle – infatti sul corpo di B potrebbe non apparire il tatuaggio di A – ma vale anche nel caso di mera attrazione fisica. In quest’ultimo caso (una “cotta”, in pratica), il tatuaggio può sbiadire.
In caso di Trù Lovv™ ovviamente è permanente (quindi magari c’è gente che cerca inutilmente di sbiadire tatuaggi di ex che non li hanno ricambiati – che malvaGGità)
Il mio AU personale è, invece, un AU sul sovrannaturale.
In pratica, l’evocazione funziona più o meno come nel canon!verse, ma non servono pentacoli protettivi perché i demoni non possono ammazzare i loro evocatori – fa troppo le Tre Leggi della Robotica, rido – ma possono avere figli coi comuni mortali, anche se capita molto raramente (ah, sì, e per evocarli serve un sacrificio di sangue).
Però non possono manifestarsi nel mondo reale a meno che non siano stati chiamati, al contrario dei mezzi demoni che vivono nel mondo dei mortali ma posseggono poteri magycy made in The Other Place™, anche se più deboli rispetto a quelli di un Trù Demone™.
Poi vabbè, i demoni sono vulnerabili ad argento, ferro, rosmarino e menate varie (più il sorbo degli uccellatori perché Teen Wolf è bello).
Ci sono anche licantropi, vampiri, wendigo (vedi sopra), elfi (questo non ve lo spiego) e altre robe carine che forse non vedrete mai [inserire risata malvagia qui].
Poi vabbè, Barty c’ha il tatuaggio perché sì – no, in realtà è tipo perché il tatuaggio è codificato da un gene dominante del DNA umano e quindi YEAH GENETICA MAGICA-
Okay, le note le termino qui sennò diventano più lunghe del capitolo.
Ci si vede in giro-
Destyno.

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Capitolo 2
*** Due. ***


Due
 
Bartimeus rotolò su un fianco, lasciando andare Nathaniel, che respirava affannosamente ed aveva il cuore in gola.
«Ommioddio» pigolò quest’ultimo «Sono vivo»
«Ehi, principessa» mugugnò Bartimeus, tastando a fatica la moquette azzurra del pavimento «Complimenti per la tua scena da supereroe. Come fai ad essere così idiota?»
«Come scusa?!» fece il ragazzo, issandosi immediatamente in piedi.
«Adesso Faquarl ti ha visto! Ti troverà e ti ammazzerà in modi orribili, e tutto perché non mi hai voluto ascoltare!»
«Se non ti avessi aiutato quel coso enorme ti avrebbe tagliato in due!»
La pelle color cioccolato di Bartimeus si fece leggermente più scura.
«Dove ci troviamo, comunque?» tentò abilmente di cambiare discorso.
«A casa mia. Non preoccuparti, oggi i domestici hanno la giornata libera e i miei genitori non torneranno prima delle due»
Rimasero in silenzio per un po’.
«Io… uhm, io mi chiamo Nathaniel, comunque» si presentò il moro, porgendogli la mano.
«Bartimeus- ahia!»
La mano del mezzo demone si ritrasse di scatto.
«Va tutto bene?»
«Sì, so benissimo»
«Fammi vedere le mani» ordinò Nathaniel con fare inquisitorio.
«Perché?» chiese evasivo Bartimeus.
«Smettila di fare il cretino e dammi qua»
Il giovane gli afferrò velocemente i polsi, volgendo i palmi di Bartimeus verso l’alto.
Le loro mani, osservò, erano profondamente diverse, quasi speculari: quelle di Nathaniel erano simili a degli esili e pallidi ragni dalle lunghe zampe, dal tocco leggero, quasi non fossero fatte di carne ma di seta. Erano le mani morbide di un nobile, e l’altro non si sarebbe stupito se avesse scoperto che il ragazzo suonava il pianoforte; le sue erano invece mani ruvide, tozze e callose, dai palmi grandi e caldi ricoperti – ora li vedeva meglio anche lui – di rosse scottature spiraleggianti.
«Queste sono ustioni da ferro» borbottò Nathaniel, osservandole con occhio critico «Hai toccato nulla di metallico, di recente?»
«No, non ho toccato nulla, a parte…» sgranò gli occhi da gatto «L’alabarda di Jabor. Ma non ha senso, un demone di quel livello non può-»
«Ci penseremo più tardi» decretò il giovane Underwood in tono pragmatico «Ho una pomata per le scottature di là. Non ti muovere»
Scomparve in una porta scorrevole vicino al letto.
Bartimeus rimase a guardare per un istante il punto in cui la figura magra ed alta di Nathaniel era scomparsa dietro la porta, poi iniziò a guardarsi intorno.
Era una camera ampia e spaziosa, con un grande letto ricoperto da un soffice piumone bianco in un angolo, una finestra grande sul lato opposto che dava sul giardino, una scrivania ed una gigantesca libreria nell’angolo opposto a quello del letto.
Incuriosito, Bartimeus scrutò con aria scettica gli scaffali pieni di libri, perfettamente in ordine.
«“Guerra e pace”, “Cime tempestose”, “Anna Karenina”… ma questo non li legge dei libri normali?»
«C’è la trilogia del Signore degli Anelli nello scaffale di mezzo» lo sorprese la voce pacata di Nathaniel, facendolo voltare di scatto.
«Fantastico, sono stato salvato da un secchione» sbuffò.
«Hai ancora la testa attaccata al collo, di cosa ti lamenti?»
«Un punto per te»
Il ragazzo gli porse il tubetto di pomata.
«Tieni. Dovrebbe calmare il bruciore»
«Grazie»
Provò a svitare il tappo, cercando di ignorare il dolore alle mani.
«Se non ce la fai basta dirlo, eh» ghignò Nathaniel, intuendo i gemiti di dolore appena trattenuti dell’altro.
«Fottiti» bofonchiò Bartimeus, ma fu costretto a porgergli nuovamente la pomata.
«Posso anche mettertela, bambino mio»
«Che c’è, ti piace giocare a fare l’infermierina con me?»
«Ti ricordo che “l’infermierina” qui ti ha salvato dallo squartamento»
«Io ti ho salvato da una possibile decapitazione»
«Se non ci fossi stato io a quest’ora saremmo morti e riversi sul pavimento di uno squallido bagno delle donne in metropolitana»
«Se non ci fossi stato tu non mi sarei mai sognato di nascondermi lì. E, a tal proposito, come mai uno come te si trovava in una squallida stazione metropolitana deserta come quella, invece che a scuola?»
«Non ti deve interessare» borbottò Nathaniel, arrossendo.
«Oho, qualcuno qui ha saltato le lezioni»
«Vedi di smetterla» ringhiò l’altro, smettendo di spalmare la pomata per conficcare forte le unghie nella carne ustionata dell’altro «O potrei farti molto più male di così»
«E cosa farai, mh? Mi tirerai un calcio nelle parti basse o mi darai un virilissimo schiaffo sulla guancia?» lo schernì il demone, soffocando tra i denti un gemito di dolore.
Il ragazzo stava per rispondere, quando il rumore della porta d’ingresso che si apriva lo interruppe.
«Merda, sono già le due! Nasconditi nell’armadio!»
«E cosa sono, il tuo amante?»
«Non fare l’idiota! A meno che tu non sappia cambiare colore degli occhi non ti consiglio di restare nella stessa stanza assieme a mio padre per più di due seco-»
Si interruppe quando Bartimeus alzò lo sguardo: sul suo volto color cioccolato era apparso un ghigno candido.
I canini non si vedevano più, e gli occhi erano di un normalissimo nero.
Peccato i suoi occhi mi piacevano tanto
Scosse la testa violentemente. Cosa aveva appena pensato?
 
Passi sulle scale. Il rumore di una porta che si apre.
«Ciao ma’» la salutò Nathaniel, alzando lo sguardo dal libro di testo.
«Salve signora Underwood!» aggiunse un’altra voce, con un sorriso un po’ troppo entusiasta.
«Oh, ciao. Mi dispiace, ma non mi sembra di conoscerti» replicò Martha Underwood, stringendo cordialmente la mano del ragazzo.
«Ah, lui è… uhm, Elijah, un mio compagno di scuola. Dobbiamo fare una ricerca su… uhm»
«Sulle cause che hanno portato alla rivolta dei sovrannaturali a Salem» aggiunse prontamente il presunto Elijah, con un sorriso smagliante.
«Perché non mi hai detto prima di aver invitato un amico per pranzo, Nathaniel? Preferisci gli spaghetti al sugo o in bianco, Elijah?»
L’interpellato scoccò uno sguardo di sfuggita a Nathaniel.
«Ehm, è uguale» borbottò in fretta, abbassando lo sguardo.
«D’accordo allora» cinguettò la signora Underwood «Vi aspetto tra cinque minuti nella sala da pranzo»
Nathaniel attese di sentire i passi risuonare sulle scale, prima di tirare un profondo sospiro di sollievo.
«E così, lei è tua madre? Non vi somigliate per niente» commentò Bartimeus, tornando a far brillare gli occhi come due braci ardenti.
«Sono stato adottato» tagliò corto il ragazzo, senza guardarlo «Ma adesso cosa ci inventiamo? Dovrai rimanere per forza qui fino alle sei o qualcosa del genere»
«Ed è un problema? Per me, intendo»
Nathaniel gli scoccò un’occhiata gelida.
«Sì, se mi viene voglia di cospargerti di polvere di sorbo»
«Come sei tenero. Un sedicenne sottopeso alto in maniera esagerata che vuole torturarmi»
«Io non sono sottopeso!»
«Riesco a contarti le costole da qui, Natty-boy»
«Molto divertente» borbottò Nathaniel «Vai a lavarti le mani, è pronto»
«Ai suoi ordini, principessa»
«Smettila di chiamarmi principessa, Elijah»
 
«Quindi, Elijah» esordì il padre di Nathaniel, «Come ti trovi nella tua nuova scuola?»
Bartimeus, con una spavalderia decisamente invidiabile per qualcuno che si sta inventando un sacco di bugie su due piedi – evidentemente era abituato a mentire – disse: «Beh, non è semplice, ho lasciato tanti amici a Brighton, e adesso non conosco nessuno, a parte Nathaniel»
«Oh, quello è il tuo tatuaggio?» chiese Martha, indicando la “S” stilizzata sul collo del ragazzo.
«Mamma, non è-»
«Va tutto bene, Nat. A dir la verità, è il tatuaggio di una ragazza che conoscevo… qualche anno fa…»
Il suo sguardo si perse nel vuoto e, per un momento terrificante, gli occhi di Bartimeus tornarono arancioni.
Poi Nathaniel si schiarì la voce e l’altro si riprese.
«Scusa tanto, caro» si scusò la donna «Ma vedi, Nathaniel non invita mai nessuno a casa sua, e mi sembra che non abbia amici, quindi sono un po’ scortese»
«Capisco signora Underwood, non si preoccupi» la rassicurò Bartimeus con un sorriso smagliante «In effetti, Nathaniel non ha poi così tanti amici»
Il ragazzo gli scoccò un’occhiata glaciale, masticando con particolare forza un pezzo di pane.
«Quindi dovete fare una ricerca sulla rivolta di Salem?» cambiò argomento il signor Underwood, cercando di tirare su degli spaghetti.
«Beh, sì»
«Ah, è stata una faccenda da niente in realtà» borbottò Arthur, posando la forchetta ed agitando una mano in aria «Tutti quei sovrannaturali che si accalcavano e protestavano… come se potessero sul serio pretendere dei diritti»
Bartimeus s’irrigidì a quelle parole, stringendo convulsamente il tovagliolo di stoffa – ma fu così discreto che quasi neanche Nathaniel, che non lo perdeva d’occhio un istante, lo aveva notato.
Ciononostante, ritenne che il pranzo attorno a quella piccola tavola coperta dalla tovaglia bianca fosse durato anche troppo.
«Ehm, noi dobbiamo andare a fare la ricerca. Ci vediamo più tardi»
Si alzò in fretta e, prima che i suoi genitori potessero dire o fare qualsiasi cosa, prese il ragazzo per mano e lo trascinò nuovamente nella sua camera.
«Tutto a posto?» sussurrò, chiudendo a chiave la porta.
«Sì» rispose il mezzo demone, lapidario.
«Mio padre… ha opinioni un po’ estremiste nei confronti dei sovrannaturali» sospirò Nathaniel, cercando di giustificarsi «È stato lui ad iscrivermi al collegio per Soppressori»
«Quindi sei davvero un Soppressore apprendista»
«Sì. Io avrei preferito studiare per la facoltà di lingue, o di belle arti, ma… lui non è qualcuno con cui si discute»
Bartimeus rimase in silenzio.
«Cosa farai… dopo?» chiese Nathaniel, esitante.
«Dopo cosa?»
«Dopo questo. Qui sei al sicuro, ma… quei due demoni ti daranno la caccia, non è così?»
«Perché dovrebbe interessarti?»
«Non voglio che t- che qualcuno si faccia male»
Ommioddio stavo per dire “tu” perché stavo per dire “tu”
«Un Soppressore che si preoccupa per un demone. Che cosa romantica»
«Si può sapere che cos’hai?»
«Che cos’ho?!» sbottò il mezzo demone, con gli occhi scintillanti come carboni ardenti. La temperatura della stanza si innalzò di almeno cinque gradi «I Soppressori come te hanno ucciso tutte le persone che amavo, e tu mi chiedi che cos’ho
Il ragazzo lo fissò in silenzio, spaventato da quello scatto di rabbia. Se si concentrava, riusciva a vedere sul secondo livello un’inquietante aura rosso-arancio che ribolliva rabbiosa appena sopra la pelle dell’altro.
«Io non-»
«Zitto! Tu non sai nulla di quello che faccio io, ragazzino. Sei rinchiuso nella Londra Alta come una principessina nel suo castello, lontano dalle sofferenze di quelli come me. Tanto noi non contiamo nulla per voi, vero?»
Nathaniel tacque, mentre una strana sensazione gli attanagliava lo stomaco. Le sue parole erano dannatamente simili a quelle di Kitty, e all’improvviso si sentì un verme, un verme egoista attanagliato dai sensi di colpa.
Inspirò a fondo.
«Io… se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti…»
«Non puoi aiutarmi, Natty» sussurrò il mezzo demone. L’aura di potere si era calmata «Nessuno può»
Nathaniel rimase in silenzio.
«Me ne vado» annunciò poi Bartimeus «Le mani non mi fanno più male. Dì ai tuoi che… che sono dovuto tornare a casa perché mia madre si è sentita male, o qualcosa del genere»
Si infilò di nuovo la vecchia giacca nera che indossava alla metro e si diresse velocemente verso la porta.
«A-aspetta!» lo bloccò Nathaniel.
«Cosa…?»
Il mezzo demone rimase fermo, in piedi, con una mano sulla maniglia della porta, mentre l’altro correva alla scrivania e afferrava una penna ed un foglio di carta.
Scribacchiò qualcosa sopra, poi lo ripiegò e lo porse a Bartimeus.
«Io voglio davvero aiutarti, Barty» spiegò, con la mano tesa «Qui c’è il mio numero di cellulare. Se hai bisogno… qualsiasi cosa, davvero. Chiamami, ed io farò il possibile»
«Non potresti aiutarmi a nascondere un cadavere, Natty-boy» scherzò il ragazzo, sorridendo cordialmente «Ma apprezzo lo sforzo. Grazie, per… per tutto»
Prese il foglietto, se lo infilò in tasca ed uscì.
Nathaniel lo seguì fino alla porta d’ingresso.
Appena prima di uscire di casa Bartimeus si girò e lo salutò con un sorriso smagliante. Poi la porta si chiuse ed il mezzo demone scomparve.
«Come mai il tuo amico se n’è andato così presto?» chiese perplessa la signora Underwood.
«Ha avuto un problema con i suoi» mentì spudoratamente il ragazzo, continuando a fissare la porta di legno scuro «Finiremo la ricerca a scuola»
Non lo sapeva ancora, ma un piccolo, infido tatuaggio a forma di complicato arabesco stava cominciando ad apparire timidamente sulla sua schiena.

 
 
E niente, sono un bimbo felicio.
Certo, ho le mani gelide, un raffreddore cronico ed un mal di testa lancinante, però sono rimasto a casa oggi-
Niente scuola, yay-
Oh, qualche mini-chiarimento.
Le parti in corsivo – non quelle tra i dialoghi – sono i pensieri di Natty. Non ho messo la punteggiatura (e nemmeno il punto finale) perché mi piace scrivere di pensieri a ruota libera ^.^
Nathaniel e tutti gli umani possono vedere circa sul primo e sul secondo piano se si concentrano abbastanza – i Soppressori inoltre hanno le lenti a contatto che gli permettono di vedere su tutti e sette i livelli (sono molto costose, obv).
Alcune creature sovrannaturali assomigliano agli umani – tipo i lupi mannari – ma sul terzo livello manifestano la loro vera natura.
(che poi io parlo come se ci fossero miliardi di folle che mi seguono quando in realtà probabilmente sta roba la legge solo Mayo e SantaKlaus – A PROPOSITO GRAZIE PER NON FARMI SENTIRE UN SOLITARIO DISAGIATO A SHIPPARE BARTNAT VI LOVVO)

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Tre
 
«Ehi, Mandrake»
«Hyrnek»
«Com’è andata la verifica di inglese?»
«Bene. Come al solito» borbottò Nathaniel, spostandosi un po’ più in là per permettere a Jakob di sedersi sul cornicione del tetto.
Jakob addentò un toast.
Il ragazzo guardò il cielo, dondolando i piedi nel vuoto.
Non c’era mai nessuno, sul tetto della scuola. Nessuno li aveva mai beccati. Era il piccolo luogo di ritrovo del loro piccolo gruppo – Jakob Hyrnek, Kathleen Jones, Nathaniel “Mandrake” Underwood ed Asmira Ma’rib.
«Non è che hai da accendere?»
«Tu non fumi, Underwood»
«Vuoi prestarmi una sigaretta sì o no?»
Jakob lo guardò storto, poi si strinse nelle spalle e si frugò nelle tasche.
Gli porse un pacchetto di sigarette.
«Grazie»
Nathaniel l’accese e se la portò alla bocca. La fissò per un istante, poi inspirò a fondo.
Tossì violentemente, e per poco non cadde all’indietro. Sentiva la nicotina ardergli l’esofago come se avesse inghiottito braci ardenti.
«Le prime volte fa sempre questo effetto» lo rassicurò Jakob «Poi ci si abitua»
L’altro non rispose, fissando assorto il sottile filo di fumo che si innalzava tra le sue dita. Poi la riportò alla bocca e inspirò di nuovo.
Faceva già meno male.
«Tutto okay?»
«Sì»
«Oggi Kitty aveva la febbre»
«Ah»
«Tu non avevi una cotta per lei?»
Silenzio.
Il ceco lasciò cadere l’argomento con un sospiro.
Poi suonò la campanella, e dovettero rientrare: la pausa pranzo era finita.
 
Erano accadute cose bizzarre, in quel mese che era trascorso dallo strano incontro di Nathaniel nella metro: il ragazzo, se possibile, si era chiuso ancora di più in se stesso, mentre le parole di Kitty e di quel bizzarro mezzo demone dai canini più lunghi del normale gli roteavano incessantemente nella testa.
Era stato proprio per quelle parole, per farle sparire dalla sua testa una volta per tutte, che aveva litigato con la Jones.
Furioso e sdegnato nel suo orgoglio ferito, Nathaniel aveva improvvisamente accettato l’invito ad una festa in casa di Jane Farrar, la figlia del capo dei Soppressori, nonostante cercasse dall’inizio dell’anno di sfuggire alle sue avances.
A quella stessa festa, con il cervello rimbambito dall’alcol e dalla musica da discoteca che gli martellava le orecchie senza pietà, che l’aveva baciata.
Era stato un gesto forse non voluto davvero, ma ormai era fatta: senza nemmeno capire come fosse successo, si era allontanato dal vecchio gruppetto ed era diventato uno dei “popolari”, in quanto fidanzato della Farrar.
Le parole rivoluzionarie di Kitty e Bartimeus, fulgide e splendenti nei loro utopistici ideali di giustizia e democrazia, giacevano impolverate in un angolo della sua mente. Abbandonate, ignorate, ma non dimenticate.
 
Contemporaneamente, nella Londra Bassa, abitata dai sovrannaturali e dagli umani troppo poveri, iniziarono a sparire delle persone.
Non si trattava quasi mai di umani, e quindi i casi facevano meno scalpore; Nathaniel però ricordò un servizio sul telegiornale, che annunciava la sparizione di un uomo, denunciata da una banshee.
Lei, che con l’uomo ci conviveva, era stata indagata e trattenuta per sei lunghi mesi, nonostante non ci fossero prove a suo carico.
Nathaniel ci fece particolarmente caso perché la banshee aveva capelli scuri tagliati cortissimi, ed in un certo qual modo gli ricordava molto Kitty.
Smise di pensarci. Era molto più facile se ignorava tutto ed andava avanti, freddo e meccanico, risultando sempre il migliore in qualsiasi corso.
 
Bartimeus non l’aveva più richiamato, e mano a mano che le settimane passavano – ormai Halloween era passato, e dicembre si avvicinava minacciando neve e tormente – il ricordo di quell’irritante mezzo demone dai capelli ricci e gli occhi di brace smise di ossessionare il giovane Soppressore.
Questo però non gli impediva di sussultare tutte le volte che un ragazzo riccio e dalla pelle scura si voltava verso di lui.
Nathaniel si voltò a sinistra.
Accanto a lui, Jane Farrar sorrideva, con gli occhi di un verde incredibile scintillanti di caustica ironia.
Era davvero bella, la Farrar. Aveva una vita stretta, capelli lisci e setosi, lunghi fino a metà schiena, ed una pelle bianca, perfetta, come porcellana.
Avrà venduto la sua anima ad un demone per avere una pelle del genere
La ragazza lo prese per mano e lo trascinò lungo i corridoi. Quando fu davanti all’aula di storia, si voltò verso Nathaniel – che si affrettò a cancellare un’espressione di indolente fastidio – e gli sorrise.
Poi lo baciò.
A Jane Farrar comandare piaceva. Piaceva anche a Nathaniel, in genere, ma non in quel momento.
Il profumo della ragazza lo colpì come una mazzata, nonostante fosse leggero come una piuma. Melograno e limone.
 
A volte – e Nathaniel se ne vergognava, perché comunque Jane era la sua ragazza – non pensava a lei mentre la baciava.
Non era una cosa volontaria. Succedeva e basta.
Pensava quasi sempre a Kitty. Aveva una cotta per lei dalle elementari, e non gliel’aveva mai confessato.
Adesso lei lo odiava e lui si pentiva di non avergli mai confessato i suoi sentimenti.
«Ci vediamo dopo, Natty» sussurrò la ragazza quando si lasciarono, ammiccando maliziosamente.
Poi scomparve dietro la porta.
Nathaniel rimase a fissare la porta chiudersi, un leggero fastidio alla bocca dello stomaco.
Perché mi ha chiamato Natty nessuno può chiamarmi Natty
Nessuno tranne lui vero?, sussurrò una vocina infida nella sua testa.
Il ragazzo scosse forte il capo e poi, senza nessuna espressione particolare sul viso, si voltò e si diresse verso l’aula di disegno.
 
Si svegliò di colpo, nel cuore della notte. Il suo cellulare vibrava, scandendo alte nell’aria le note di un pianoforte.
Annaspò nelle coperte, afferrò il cellulare dal comodino accanto al letto e schiacciò il tasto della risposta alla cieca, senza nemmeno guardare il numero.
Fortuna che Arthur e Martha erano fuori per lavoro, altrimenti li avrebbe svegliati.
«Pronto?» biascicò, con la bocca e gli occhi ancora impastati di sonno.
-Sono io, Natty- bisbigliò una voce concitata, sconosciuta.
«Io chi?»
-Bartimeus, brutto idiota che non sei altro!-
«Bartimeus?» borbottò Nathaniel, con il cervello ancora intorpidito.
Bartimeus perché questo nome mi dice qualcosa
-Sì, Bartimeus, hai presente? Quello che ti ha salvato in metropolitana, circa… santo cielo, sono già passati due mesi e sei ancora vivo? Sei decisamente fortunato, Natty-boy, lasciatelo dire-
«Bar…timeus?» cercò di nuovo conferma il ragazzo, dubbioso.
La voce all’altro capo del telefono soffocò un’imprecazione.
-Sì, demente, Bartimeus, proprio io. Capisco che il mio nome sia talmente meraviglioso e ci sia bisogno di un po’ di tempo per assaporarlo completamente, ma-
«Ma ti sei fuso il cervello!?» strillò il moro, adesso completamente sveglio.
«Sono passati due mesi senza che tu ti facessi sentire e adesso mi chiami…» lanciò un’occhiata alla sveglia e soffocò un gemito «Alle quattro di mattina?»
Bartimeus sospirò.
-Senti, se avessi avuto qualcun altro da chiamare, l’avrei fatto. Spero che la tua offerta di aiuto sia ancora valida, perché ho qualche nostra vecchia conoscenza alle calcagna, non so se mi sono spiegato-
«Ma perché mi hai chiamato?»
Dall’altra parte del telefono giunse una strana interferenza, e per un attimo ci fu silenzio.
«Bartimeus?» chiese sospettoso Nathaniel «Sei vivo?»
-Uuuf!- fece la voce calda e bassa di Bartimeus, sollevata -Per un pelo! Ascolta Natty-boy, qui Jabor vuole vaporizzarmi. Ha già fatto saltare in aria una panchina e… oh, no, povero gatto-
«Bartimeus!» tuonò il ragazzo «Dove sei?»
Il mezzo demone bisbigliò in fretta un indirizzo.
-Adesso mi sa che devo riattaccare, Testa di Sciacallo è leggerissimamente troppo vicino. Ci vediamo!-
«Aspetta!»
Ma era troppo tardi. Aveva già chiuso la chiamata.
«Merda» imprecò Nathaniel, per poi precipitarsi verso l’armadio.
Sei minuti e mezzo dopo, il ragazzo era in sella al suo vecchio motorino usato – finalmente aveva un motivo valido per usarlo – con un’ansia del tutto inspiegabile che gli stringeva la bocca dello stomaco e un sospetto rigonfiamento nella tasca sinistra della giacca.
 
«Ciao, Bartimeus»
Jabor era sempre un gigantesco uomo dal gonnellino egizio e la testa di sciacallo. Aveva sempre quell’inquietante alabarda con sé.
Però adesso aveva una bellissima cicatrice sull’occhio sinistro. Bartimeus si ripromise di ringraziare Nathaniel. Il fatto che il demone non avesse più il senso della profondità l’aveva salvato da un paio di Folgori.
«Ehilà, Jabor» rise nervosamente il mezzo demone, arretrando contro il muro «Da tanto che non ci si vede, eh?»
«Sei riuscito a cavartela per troppo tempo, Sakhr al-Jinni. Faquarl crede ancora che tu possa lavorare per noi, ma è un illuso. Dovresti essere distrutto»
Il demone dalla testa di sciacallo batté l’alabarda per terra, ed un piccolo lampo rosso si diresse a gran velocità verso il muro. Bartimeus riuscì a spostarsi quel tanto che bastava a non farsi esplodere la testa.
La piccola Deflagrazione colpì il muro, sbeccandolo.
Il ragazzo deglutì a vuoto. Forse, se riusciva a fargli colpire il muro abbastanza da romperlo…
«Sai, “distrutto” è una parola un po’ forte…» iniziò, poi si interruppe.
Oh, pensò, è venuto davvero io non ci contavo per niente
«Ehi, brutto bestione!» urlò la voce stridula di Nathaniel.
Jabor si girò.
Fantastico siamo morti
 
«TU!» urlò il demone, così forte che un paio di vetri sopra di loro esplosero, ed i muri del piccolo vicolo si ricoprirono di piccole crepe «Ti ucciderò, mangerò le tue ossa e berrò il tuo sangue!»
Lanciò uno Sventramento grigioverde contro il ragazzo, e per un attimo Bartimeus ebbe un tuffo al cuore.
Ma l’incantesimo si infranse sfrigolando a qualche centimetro dal volto di Nathaniel.
Lui ghignò: sull’asfalto ricoperto di crepe vi era una sottile linea di polvere, che andava da un muro all’altro. Sorbo degli uccellatori.
Jabor ruggì, lanciando incantesimi sempre più potenti contro il ragazzo. La barriera resse, incurvandosi verso l’interno. Bartimeus quasi si ritrovò a sperare che fosse una Barriera Specchiante, ma nessun colpo riflesso fece esplodere Jabor in mille pezzettini.
«Bartimeus, muoviti!» ordinò Nathaniel e, chissà perché, Bartimeus non aveva nessuna voglia di discutere.
Si lanciò contro la barriera, tenendosi stretto il fianco ferito con le mani e stringendo i denti: quando la urtò, il dolore fu così forte che lo fece quasi urlare.
Era come sentire piccoli aghi incandescenti che gli strappavano la pelle e la ricucivano subito dopo.
Chissà se è così che ci si sente quando si viene immersi nell’argento
Udì Nathaniel dire qualcosa, ma non riuscì a capire nulla. Sentì solo un tocco leggero sulle braccia, poi il dolore scomparve.
Si sentì improvvisamente debolissimo, come se non mangiasse da mesi.
Percepì le proprie ginocchia urtare l’asfalto gelido.
Udì Jabor ruggire di frustrazione, e lo schianto di un altro incantesimo contro la barriera di sorbo.
Sentì le mani di Nathaniel sollevarlo a fatica, ed il ragazzo che soffocava un gemito affaticato.
Il suo sguardo si fece appannato. L’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu un vecchio motorino in fondo al vicolo.
 
Giusto un paio di note prima di scappare via: la polvere di sorbo degli uccellatori, come ci insegna Teen Wolf, è una potente barriera contro il sovrannaturale. La barriera di Nathaniel resiste agli incantesimi di Jabor (che sono piuttosto potenti, indeed) anche perché mischiate alla polvere ci sono particelle d’argento.
Bartimeus riesce a superarla solo perché è umano per metà, e comunque ad un prezzo non indifferente.
Okay-
Adesso devo andare via-
Ci sentiamoH
Destyno. 

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