Half Demon. Dark Existence

di OfeliaMontgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


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Sentivo la ghiaia scricchiolare sotto ai miei piedi e l'aria fredda e mattutina accarezzarmi il viso e scompigliarmi i lunghi capelli color carbone.
Ero molto in ansia per l'inizio del nuovo anno scolastico, anche se conoscevo a memoria la Ravenstorm Academy perché mio padre era il preside e sin da bambina avevo vissuto con lui in quella scuola. La verità era che ero in ansia perché mi sarebbe toccato rivedere i miei compagni di scuola, che non facevano altro che prendersi gioco di me e parlarmi male alle spalle. Nessuno amava molto la mia razza. Io ero un mezzo-demone; mia madre era un'umana, morta dandomi alla luce e mio padre – mai conosciuto – era un demone. Il mio vero padre era un demone. Il padre con cui vivevo, era il mio papà adottivo ed era un semplice umano con la vista sul mondo paranormale. La Ravenstorm Academy non ero una semplice accademia, ma ben sì una scuola di persone non completamente umane.
«Oh, guardate Samara è arrivata!» sentii gridare a gran voce dietro alle mie spalle poi iniziarono a sghignazzare fra di loro. Sentii una forte fitta al cuore. Abbassai lo sguardo intimorita e con piccoli passi, mi avviai verso l'entrata della scuola. Tutti mi chiamavano Samara, come il personaggio di The Ring, perché avevo lunghi capelli neri come il carbone, grandi occhi rosso sangue con la pupilla verticale e la pelle bianca come il latte. E secondo i miei compagni facevo paura e ribrezzo per via del mio sangue.
Mio padre mi aveva detto di non dare ascolto alle scemenze che mi dicevano, ma ero difficile provare indifferenza quando sentivi il cuore farsi pesante e la voglia di piangere farsi sempre più forte. Erano così crudeli con me, quando io non avevo fatto altro che essere gentile con loro.
Nell'accademia vivevano varie specie tra cui: i mezzi-demoni, mezzi-vampiri, mezzi-licantropi, mezze-streghe e stregoni, mezze-fate, mezzi-elfi e mezze-sirene. Tra queste specie, quelle più disprezzate e odiate c’erano: la mia razza perché dicevano che eravamo dei mostri sanguinari; i vampiri che chiamavano assassini o succhiasangue; i licantropi che nonostante li trovassero affascinanti, avevano terrore di loro; ed infine le sirene, di aspetto sensuale ed elegante, venivano disprezzate per via del loro sguardo incantatore, difatti le avevano rinominate incantatrici maledette. C'era questo odio-amicizia fra razze che mi scombussolavo ogni volta. Non sapevo mai a chi rivolgere la parola e a chi no.
«Claribel!» una voce alta e allegra si sentii fortemente nell'aria. Quella voce stava chiamando proprio me. Era Aqua, la mia unica amica. Aqua era una sirena ed era di una bellezza disarmante. Aveva folti e lunghi capelli color azzurro pastello, sempre tenuti raccolti in due trecce e, due piccoli e allungati occhi color malva, senza traccia di pupilla. Le sirene non avevano la pupilla, ma solamente l’iride. Aveva le labbra sottili e ben proporzioniate. Aveva un fisico slanciato ed era magra come un chiodo. La pelle era pallida con sfumature azzurre intorno al viso e sulle braccia e sulle gambe.
Come ogni studente, Aqua, indossava la uniforme dell'accademia e le stava, ovviamente, d'incanto. La gonna marrone a pieghe le lasciava scoperte le gambe magrissime e chilometriche che si ritrovava. La camicetta bianca era nascosta sotto al maglioncino nero che indossava. Si intravedeva solamente il colletto che fuoriusciva da sotto di esso. Il maglioncino le fasciava alla perfezione il fisico secco che si ritrovava. Su di esso, sul taschino vicino al cuore, c'era lo stemma delle sirene. Una semplice onda azzurra con sfumature bluastre. La uniforme era uguale per tutti, cambiava solamente lo stemma per ogni razza. Lo stemma dei mezzi demoni era una stella a cinque punte rovesciata.
«Ciao» la salutai con un velo di allegria nella voce. Lei alzò un sopracciglio, incrociò le braccia al petto e iniziò a guardarmi dubbiosa. «Beh, che succede? Quei pezzi di merda ti hanno rotto il cazzo nuovamente?» mi domandò incavolata Aqua piazzandosi davanti al mio campo visivo e fissandomi con i suoi occhi color malva. Quando mi fissava in quel modo mi metteva sempre in soggezione e nonostante glielo avessi ripetuto una miriade di volte di finirla, lei continuava, perché sapeva che era l'unico modo per strapparmi una confessione. Abbassai lo sguardo ed iniziai a fissarmi le all-star nere e un po' vecchiotte che indossavo, pur di non incrociarlo con quello di Aqua. Mi sentivo a disagio e in imbarazzo. Sapevo che se le avessi detto che avevano già iniziato a prendermi nuovamente in giro, lei si sarebbe catapultata da loro e gli avrebbe presi a calci in culo uno per uno, fino a quando non si fossero scusati con me.
«Aqua, lascia stare. Andiamo in classe» scossi la testa e cercai di non far tremare la voce mentre glielo dicevo. Aqua emise un forte sospiro poi annuì rassegnata. Con passi svelti entrammo a scuola. Per i corridoi dell'accademia incontrammo altri mezzi-demoni e due mezze-sirene che ci salutarono allegri. Entrammo nell'aula per gli incantesimi demoniaci e la trovammo esattamente come l'anno scorso a parte per qualche piccolo cambiamento. I banchi era messi in stile 'scacchiera' come l’anno precedente. La cattedra mezza scassata, di fronte ai banchi, era stata sostituita da una perfettamente nuova e con le gambe della stessa misura e non come quella precedente che traballava tutta. Il grande armadio di legno scuro, contenete vecchi libri di incantesimi e vari oggetti per completare il tutto, era esattamente nello stesso punto dell’anno precedente: sul lato destro della classe, vicino alla porta. Le pareti erano rimaste di quel pallido giallino, che mio padre riteneva un bel colore allegro e adeguato per un’aula scolastica. Alla sinistra dei banchi, si trovava la grande vetrata colorata che rappresentava le varie razze con al centro un cuore di ghiaccio, segno di pace fra di esse. Non sapevo quante volte ci avevo perso ore a fissarla perché era magnifica e coloratissima. Ogni pezzo di vetro colorato che era stato incastonato al suo interno, rendeva magica la vetrata. Come ora ad esempio. Se non fosse stato per Aqua, che mi aveva riportata alla realtà con una gomitata, sarei stata immobile in mezzo alla stanza a fissarla come una ebete.
Aqua si schiarì la gola per avere la mia attenzione, «Che ne dici di metterci nei banchi la infondo?» indicò due banchi vicino alla vetrata e infondo alla stanza. Annuii decisa poi svelte, ci andammo a sedere ai nostri nuovi posti. Pochi minuti dopo la classe iniziò a riempirsi. Tutti i miei compagni dell'anno precedente, entrarono nella mia visuale. Chi come quelli della mia razza che mi salutarono tranquillamente e chi come fate, elfi e licantropi che iniziarono a fare battutine e a sghignazzare fra loro. Aqua lanciò occhiatacce cariche di odio alla capo branco delle fate che ricambiò volentieri. «Problemi incantatrice?» domandò acidamente Eleanor, la capo branco.
Aqua scoccò la lingua contro al palato «Sì, fiorellino. Lasciate in santa pace Claribel o ve la vedrete con me» rispose acida e con uno sguardo carico di odio. Io assistevo alla scena senza riuscire a proferire parola e senza riuscire a fare niente. Non riuscivo nemmeno a difendermi da sola. Anzi non volevo difendermi da sola, perché sapevo che le avrei prese di sicuro e anche perché io non ero un tipo a favore della violenza. Ero timida, quindi anche se avrei proferito parola contro di loro, non sapevo se sarei riuscita a continuare il battibecco o a rispondere con e alla violenza.
«Oh oh la nostra cara Samara ha la guardia del corpo» commentò divertita Eleanor poi puntò i suoi occhi giallo canarino, senza traccia di pupilla come le sirene, nei miei rossi dalla pupilla verticale e dall'espressione terrorizzata, «Non parli? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» domandò velenosa, scostandosi un ciuffo di capelli viola da davanti il viso per potermi scrutare meglio.
«H-ho l-la lingua» balbettai imbarazzata, tenendo lo sguardo puntato sul pavimento grigio topo della classe. Sentivo il cuore battermi violentemente nel petto e le guance scaldarsi e tingersi di rosso. Eleanor scoppiò in una finta e fragorosa risata, le sue amiche o meglio cagnolini, la seguirono a ruota, facendomi sentire sempre di più fuori posto.
«Il demonietto ha parlato» mi schernì lei, puntandomi un dito smaltato di rosso addosso e ridendo nuovamente.
«Fata, è meglio per te che la smetti! Non penso che tu ti voglia ritrovare le ali incenerite o strappate dalla sottoscritta» Aqua era già in piedi e con violenza aveva alzato da terra Eleanor, prendendola dal colletto della camicia. La stava letteralmente fulminando con lo sguardo e continuava a stringere di più la presa intorno al colletto, impedendole di respirare. Ad Eleanor mancava il fiato e si dimenava sotto alla presa ferrea di Aqua.
«Signorina Ao, veda di rimettere con i piedi per terra la sua compagna» la professoressa Hill fece la sua entrata in scena. La professoressa Hill era un demone completo ed era di una bellezza disarmante. Aveva lunghi capelli color rosso sangue e piccoli occhi arancioni con la pupilla verticale. Un fisico a clessidra, con un seno prosperoso, messo sempre in evidenza dalle camicette scollate e eccessivamente attillate.
Aqua lasciò andare Eleanor. Solamente dopo averla fulminata con lo sguardo, tornò al suo posto e si calmò un po'.
Ero sempre stata sola, sin da bambina. La mia unica luce era stata ed era Aqua. Aqua era arrivata all'accademia che aveva circa quattro anni; mio padre si prese cura di lei come una figlia e per me divenne automatico chiamarla e definirla una sorella. La sorella che non avevo mai avuto, ma che avevo sempre desiderato.
C'erano stati anche altri bambini all'accademia (ora miei compagni di classe), ma con loro non ero mai riuscita ad andare d'accordo. L'unica con cui avevo instaurato una certa amicizia e affetto fu Aqua. Per me era normale definirla sorella perché nel cuore sentivo che era così. Lei per me c'era sempre stata, mi aveva sempre protetta e risollevata quando stavo male. E ancora adesso lo faceva. Io cercavo di fare il possibile per ricambiarla. Cercavo anche di intralciarla il meno possibile e di sostenerla qualsiasi scelta avrebbe deciso di prendere.
«Tesoro, ti senti bene?» Aqua mi picchiettò due dita su una spalla per riportarmi al presente. Mi girai verso di lei e con un sorriso finto e tirato, le dissi che andava tutto bene. Sapevo che non dovevo mentirle, ma non volevo che si preoccupasse ancora. E soprattutto per una cosa, che con grande dolore e un po' di determinazione, riuscivo a gestire da sola. Ah, ma a chi volevo mentire. Sapevo che appena avrei messo piede nella mia camera, sarei scoppiata in un pianto disperato.
Ma questo Aqua non doveva venirlo assolutamente a sapere. Se sapeva che sprecavo ancora lacrime per loro avrebbe: prima preso a mazzate me e poi avrebbe ucciso di botte chiunque mi aveva fatta piangere. E di vederla sospesa dalle lezioni per colpa mia e della mia debolezza e anche per via dei nostri compagni, non mi andava affatto bene.
«Bene ragazzi, iniziamo la lezione di oggi» esordì allegra la professoressa, battendo freneticamente le mani fra loro. Sentii Aqua sbuffare alle mie spalle ed io mi lasciai sfuggire un lieve risolino che la mia migliore amica percepì chiaramente.
La professoressa passò dei fogli alla mezza-vampira, che si trovava nel banco di fronte alla cattedra, e le disse di passarli al resto della classe. Nel frattempo che i fogli venivano consegnati ad ognuno, la professoressa Hill iniziò a spiegare cosa dovevamo fare.
«Il foglio che vi sta arrivando fra le mani non è un semplice pezzo di carta, bensì un foglio demoniaco, cioè con disegnato sopra un pentacolo che vi servirà ad evocare un demone minore. La lezione di oggi è: evocare demoni minori con il vostro sangue» spiegò la professoressa divenuta stranamente seria, «Non a tutti funzionerà al primo colpo. Probabilmente il maggior successo di possibilità di riuscita dell’evocazione, sarà ottenuta dai mezzi-demoni, dai mezzi-vampiri e dalle mezze-streghe e stregoni» concluse battendo le mani fra di loro.
Un brusio di dissenso si levò tra i miei compagni di classe. Dall’altra parte della classe si scatenò il caos più totale. Avevano già iniziato ad insultarsi fra razze. Ed io entrai nel panico perché volarono insulti anche verso di me. Dicevano che i mezzi-demoni, i mezzi-vampiri e le mezze-streghe erano in netto vantaggio, solamente perché possedevano sangue demoniaco.
Anche i licantropi possedevano sangue demoniaco, ma a differenza dei demoni e dei vampiri, loro facevano più fatica a controllare ed ad usare la magia.
«E’ perché siamo migliori!» urlò Jacob, un mezzo-demone dai capelli nero blu, a due banchi più avanti dal mio.
«Tappati quella cazzo di bocca demone! Anzi lavatela con l’acido! Noi siamo i migliori» gridò il capo branco dei mezzi-licantropi guardando in cagnesco Jacob. Era un ragazzone, grosso quanto un armadio a due ante e alto almeno due metri, con due braccia e due gambe enormi, che se voleva ti poteva spezzare l’osso del collo con una sola mossa. Aveva la pelle abbronzata e i capelli e gli occhi color cioccolato fondente. Aveva l’aria sempre incazzata; non l’avevo mai visto sorridere, solo imprecare, dare ordini o minacciare chiunque gli si parava davanti.
«Ragazzi!» strillò furiosa la professoressa, creando un aura violacea intorno al suo corpo e facendo volare in aria la cattedra nuova. Ecco svelato il motivo per cui la vecchia cattedra era tutto sgangherata.
Tutta la classe calò in un silenzio di tomba, poi si sentì il capo branco dei licantropi fare spallucce e tornare al suo posto, come se non fosse accaduto nulla. Jacob si riaccomodò al suo posto, ed infine la professoressa tornò normale e con ella, anche la cattedra che si schiantò pesantemente al suolo, emettendo un grande boato. Per fortuna la cattedra ne uscì illesa, se non per qualche scheggiatura intorno alle gambe.
La professoressa invece si risistemò i capelli, lisciò la gonna poi si schiarì la voce ed infine tornò a spiegare la lezione.
«Dopo aver preso il foglio demoniaco, dovrete pungervi un dito con un ago, che ora farò passare per i banchi, ovviamente ognuno avrà il suo e far cadere una goccia sul pezzo di carta, più precisamente dentro al pentacolo e sussurrare: invoco un demone minore. Dopo di ché, strapperete in due il foglio e il demone scomparirà» spiegò la Hill, passando una scatolina di plastica trasparente, contenente gli aghi, alla ragazza di prima. La ragazza si prese un ago e poi passò la scatolina al compagno dietro alle sue spalle. Dopo che tutti ebbero preso un ago, la professoressa Hill decretò che il primo ad iniziare sarebbe stato sorteggiato dal registro di classe.
«Bene, il primo ad iniziare sarà la signorina Ravenstorm» decretò la professoressa muovendo l’indice sul registro di classe. Quando sentii chiamare il mio nome sobbalzai sulla sedia e arrossii vistosamente.
Con le mani tremolanti e con il cuore in gola, presi in mano l'ago e mi punsi l'indice destro, da cui iniziò a fuoriuscire una gocciolina del mio sangue nerastro. Pigiai sulla ferita, facendomi uscire più sangue e emettere un versetto di dolore, poi lasciai cadere delle gocce sul foglio di carta, centrando in pieno il pentacolo.
«I-invoco un demone minore» sussurrai balbettando imbarazzata. Avevo gli occhi di tutta la classe puntati addosso. Mi sentivo a disagio. Magari l'evocazione avrebbe fatto cilecca ed io mi sarei ritrovata sommersa di insulti sulla mia incapacità e sulla mia inutilità di mezzo demone.
Ma tutto ciò non accadde perché il foglio demoniaco iniziò a brillare di una luce rossa e fastidiosamente accecante. Chiusi istintivamente gli occhi e non vidi cosa accadde in quel preciso istante, ma da dietro alle mie spalle sentii Aqua gridare che era fiera di me e allora capii che ci ero riuscita. Aprii lentamente gli occhi, misi a fuoco ciò che mi trovavo davanti al viso e poi gli strabuzzai scioccata. Un piccolo, ma proprio piccolo, demone minore, alto quasi quindici centimetri, si trovava davanti a me, dentro al pentacolo. Aveva la pelle verdognola, gli occhi erano piccoli come due bottoni dal colore blu marino e da sotto la chioma castana si intravedevano due piccole corna simili a pietre nere. Dure e appuntite. Il piccolo demone inclinò la testa di lato e iniziò a fissarmi con i suoi dolci occhioni blu.
«C-che carino» commentai sorridendo al piccolo demone, che aprì la bocca e provò ad imitare le mie stesse azioni. Provò a sorridere, ma non ci riuscì benissimo. Gli uscì più una smorfia strana che un sorriso. Lo trovai ancora più dannatamente carino.
«E' un demone minore delle foreste. E' innocuo. Il loro scopo è quello di tenere al sicuro la foresta in cui sono nati o stati assegnati» spiegò la professoressa, tenendo un dito puntato in aria e parlando con un tono serio.
«La sua specie sono i Zurkoi. I zurkoi hanno un vocabolario molto limitato e cercano molte volte di copiare le espressioni umane» continuò la Hill. Guardai con attenzione il zurkoi e gli sorrisi nuovamente.
«Claribel» mormorò lo zurkoi con voce esile e infantile, allungando le sue piccole e corte braccine verso di me.
«Conosce il mio nome» esclamai confusa e allo stesso tempo felice.
«Sì, perché sei stata tu ad evocarlo. Se gli darai un nome, lui apparirà ogni qual volta che userai il pentacolo» mi disse la professoressa sorridendomi.
Lo guardai arricciando il naso, e dei miei compagni di classe fecero dei versi disgustati e poi scoppiarono a ridere. Mi rattristai nuovamente. Ecco che il mio momento di felicità dovuta a qualcosa che ero riuscita a fare con le mie forze, veniva spazzata via da delle stupide e insensate risate.
«Ciuu, ciuu» mormorò lo zurkoi, muovendo le braccia in avanti e indietro. Giusto, la professoressa aveva detto che dovevo dargli un nome se volevo che apparisse ancora, «Mmh, che ne dici di Ciuuin?» domandai allo zurkoi che saltellò nel pentacolo, poi fece la smorfia di prima che stava a significare un sorriso.
Eleanor scoppiò a ridere, «Scusate, ma non proprio non posso trattenermi. Che nome stupido, dato da un mezzo demone idiota» continuò a sghignazzare coprendosi la bocca con una mano.
«Signorina Lambert perché non prova a farlo anche lei?» domandò severa la professoressa, inchiodandola con lo sguardo al suo posto.
Eleanor fece scoccare la lingua contro al palato poi mi lanciò un’occhiataccia che mi fece trasalire ed infine provò ad evocare il demone minore.
Ciuuin saltò fuori dal pentacolo e arrampicandosi sul mio braccio, si sedette sulla mia spalla ed infine si nascose sotto ai miei capelli corvini.
«Che c’è piccolino?» gli domandai turbata, andandogli a toccare un piedino scoperto. Lo sentii emettere quello che sembrava essere una timida risata, «Ciuu, ciuu» iniziò a giocherellare con delle ciocche di capelli, nascondendosi sotto ad essi.
«Gli piaci proprio» esclamò Aqua, facendomi girare dalla sua parte. Le sorrisi timidamente poi annuii, «Anche a me piace» replicai nuovamente allegra.
«Piacere Aqua» Aqua sorrise a Ciuuin che aveva fatto sbucare fuori la testa, da sotto la mia folta chioma.
«C-ciuuin» replicò il mio zurkoi muovendo una manina in avanti e creando nell’aria una coroncina di fiori, «P-per Aqua» mormorò lui.
Aqua si allargò in un grande sorriso poi prese la coroncina che stava ancora a mezz’aria e la indossò tutta contenta.
«Grazie piccolino» sussurrò lei poi riprese a seguire le evocazioni degli altri.
Dopo un interminabile ora, la campanella suonò e noi dovemmo alzarci per cambiare aula. Era passata solamente la prima ora e già ero stanca degli insulti appena presi. Non sapevo come avrei fatto a superare l’anno. Sentivo che le lacrime stavano provando insistemente ad uscire. Stavo cercando di farmi forza per trattenerle, almeno fino alla pausa intervallo.
Aqua riuscì ad evocare un demone minore, dopo varie imprecate e tre prove, prima di quella decisiva. Eleanor, invece, fece cilecca tutte le volte che aveva provato e si era anche beccata una sgridata da parte della professoressa per avermi derisa dato che a me l'esercizio era uscito alla perfezione.
«Seconda ora: Controllo dell’elemento dell’Acqua con il professore Lawrence ‘sono un figo’ Hudson» esclamò allegra Aqua, passandomi davanti per uscire come un fulmine dalla classe.
Ciuuin piegò la testa di lato e mi guardò confuso, «Niente piccolino, niente» dissi accarezzandogli delicatamente la testa. Ciuuin mosse le braccia in aria poi sussurrò un lungo «ciuu» ed infine anche noi uscimmo dalla classe.

 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo. ***


«Ho dimenticato il diario in classe, vado a prenderlo. Ci vediamo in classe» dissi ad Aqua, mentre feci retromarcia ed iniziai a correre verso l'aula demoniaca.
Quando entrai nell'aula, la trovai, per fortuna, ancora vuota. Mi avviai a passo spedito verso il mio banco e presi il diario dal porta libri sotto ad esso.
Lo misi in borsa e poi di corsa uscii dalla classe. Non stavo guardando dove stavo andando, come sempre d'altronde, e mi scontrai con il petto duro di qualcuno. Caddi al suolo come un sacco di patate e picchiai malamente il fondoschiena.
«Ahi» esclamai emettendo un forte verso di dolore. Ero finita con culo per terra e con esso, anche tutti gli oggetti che poco prima si trovavano dentro alla mia borsa.
«S-scusa» balbettai imbarazzata, con le guance in fiamme e con lo sguardo rivolto verso il pavimento. Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo. Ma il tipo con cui mi ero scontrata non diceva nulla e questo mi rendeva ancora più nervosa.
Sentii il ragazzo ridere con gran enfasi e pensai che si stesse prendendo gioco di me, «Tranquilla, capita a tutti di avere la testa fra le nuvole» disse infine. Beh, in verità io ero sempre così e poi non ero proprio fra le nuvole, semplicemente non stavo guardando davanti a me per non incrociare lo sguardo di altre persone.
«Gomen nasai» mi alzai lentamente e con un po' di fatica. Sembravo un bradipo da quanto mi muovevo lentamente e goffamente. Ciuuin mi salì alla svelta sulla spalla destra, prima si era intrufolato dentro alla mia borsa per dormire un po', e si nascose fra i miei capelli, come prima in classe. Raccolsi le mie cose e le ficcai con violenza dentro alla mia borsa poi alzai appena lo sguardo e incrociai gli occhi con quelli di lui che erano glaciali e penetranti. Aveva la pupilla verticale, quindi era un mezzo demone come me. Il problema era che quel ragazzo non l'avevo mai visto prima ed io conoscevo tutti almeno di vista e sapevo i nomi di tutti, compresi insegnanti, bidelli e cuoche.
Aveva capelli corvini, scalati e lunghi fino alle spalle, che gli incorniciavano quel viso perfettamente squadrato e levigato. La pelle era diafana e faceva contrasto con lo scuro dei capelli e il chiaro di quei piccoli occhi magnetici. Sul labbro inferiore portava un piercing a cerchio e gli stava dannatamente bene. Lo rendeva ancora più sexy. Alt Claribel, non erano pensieri da fare in quel momento.
Le guance mi si tinsero nuovamente di rosso ed iniziai a balbettare sillabe a caso. Il ragazzo rise nuovamente, «Calma, non ti mangio» disse scherzosamente e accennando un sorriso che aveva quel qualcosa di tetro, ma allo stesso tempo affascinante.
«Sei nuovo?» gli domandai distogliendo lo sguardo da lui per puntarlo verso qualcos'altro, come le mie unghie appuntite che necessitavano di un aiuto da parte di Aqua.
«Sì. Trasferito oggi e penso di aver appena perso la prima lezione. Questi corridoi sono infiniti e ad ogni svolta, mi sembrava di sbagliare strada e quindi facevo retromarcia e provavo un'altra via. Ho perso un'ora in questi corridoi, ma alla fine ci sono arrivato all'aula demoniaca» disse leggermente imbarazzato, grattandosi la nuca.
«S-siamo in classe insieme, quindi. Sono la figlia del preside, quindi con me non ti p-puoi perdere» balbettai mettendomi al suo fianco.
«Bene. Allora andiamo mia dolce guida. Comunque sono Sebastian» replicò lui.
Il rosso sulle mie guance aveva deciso di non abbandonarmi perché le sentivo bollenti e il mio cuore aveva iniziato a battere freneticamente nel petto.
«C-claribel».
Incominciai a muovere qualche passo e Sebastian mi seguì a ruota.
«Piacere C-claribel» disse scherzosamente, facendomi battere ancora più velocemente il cuore nel petto.
«Comunque è uno zurkoi quel piccolo demone, vero?» domandò di punto in bianco, dopo essersi messo al mio fianco e indicato Ciuuin, che aveva fatto sbucare la testolina da sotto i miei capelli.
«Sì, si chiama Ciuuin» risposi accarezzando la testolina del zurkoi, sfiorando con i polpastrelli le piccole cornine dure. Sebastian mi sorrise poi tornò a guardare davanti a sé.
Dopo aver svoltato a sinistra al bivio infondo a quel corridoio, ci imbattemmo in mio padre che si stava mangiucchiando un pasticcino, sicuramente preparato da Sheena, la cuoca.
«Preside Ravenstorm» esclamai cordialmente. Lui mi guardò torvo poi posò il suo sguardo su Sebastian e sorrise.
«Bambina mia quante volte ti ho detto che puoi tranquillamente chiamarmi papà» esordì guardando dalla mia parte. Gli sorrisi imbarazzata.
«E' imbarazzante chiamarti papà davanti agli altri» dissi grattandomi la nuca in imbarazzo. Lui mi lanciò un'occhiataccia poi tornò sorridente come sempre.
«Vedo che ha già fatto la conoscenza di mia figlia, signorino Black» questa volta si
rivolse a Sebastian che annuì ed infine accennò un sorriso.
«Mi sono perso e la sua dolcissima figlia si è offerta di accompagnarmi verso l'aula della prossima lezione» spiegò Sebastian cordialmente poi accennò un sorriso ed infine tornò ad essere serio.
«Fantastico! Allora vi lascio andare» esclamò fin troppo allegro mio padre. Emisi un sospiro impercettibile agli altri due, poi aspettai che mio padre si allontanasse da noi.
«Bye, bye. Ah, tesoro, durante la pausa pranzo vieni nel mio ufficio» mio padre ci salutò con la mano poi svoltò l'angolo e scomparve dalla nostra visuale.
Emisi un forte sospiro di sollievo. Mio padre si ostinava a volersi far chiamare papà anche quando eravamo in ambito scolastico e non famigliare. Mi vergognavo troppo a chiamarlo papà davanti ai miei compagni di classe. Non volevo dare a loro un altro motivo per prendermi in giro; non volevo dare a loro un altro motivo per ferirmi.
«Simpatico tuo padre» parlò Sebastian con voce calma, accennando anche un piccolo sorriso.
Gli sorrisi timidamente, con anche il rossore sulle guance ad accompagnarmi.
«Sei davvero graziosa quando sorridi. Beh, ora è meglio andare in classe, no?» sentii il cuore fare una capriola nel petto, era il primo ragazzo a farmi un complimento. Mi sentivo così felice che non riuscivo a smettere di accennare dei timidi sorrisi. Poi annuii.
Dopo due svolte a destra e una a sinistra, arrivammo davanti alla porta di legno, dipinta di azzurro dalle mezze sirene e con inciso sopra la scritta: aula marina.
Feci un profondo respiro, mentre cercavo di calmare il battito del cuore e il nervosismo. Avevo persino le mani sudate. Odiavo entrare dopo che tutti gli altri si trovavano già al loro posto.
Bussai alla porta; dopo aver ricevuto il consenso da parte del professore per entrare, varcai la soglia con Sebastian al mio seguito.
Mi spostai di fianco, spiaccicandomi contro alla lavagna poi iniziai a balbettare qualcosa come il nome di Sebastian. Sentii i miei compagni ridacchiare, seguite da battutacce rivolte verso, secondo loro, la mia stupidità.
Strinsi i pugni lungo ai fianchi poi dopo aver preso un gran respiro, presentai a tutta la classe il nuovo arrivato.
«L-lui è S-sebastian Black, da oggi studierà qui» balbettai un po', ma almeno ero riuscita a pronunciare il suo nome e cognome.
Sebastian si passò una mano fra la folta chioma corvina e mezza classe - le ragazze - iniziarono a fare apprezzamenti sul suo aspetto, nonostante fosse un mezzo demone.
«Piacere» parlò con voce soave e profonda mentre guardava l'intera classe con i suoi occhi penetranti.
Sentii i ragazzi - di tutte le razze - fare versi di disapprovazione. Sentii anche che un licantropo borbottò un «tiratala di meno, che sei solo un sporco mezzo demone» con fare scazzato.
Stavo tremando come un gattino bagnato, quando Aqua balzò in aria e con due falcate mi raggiunse. C-che diamine stava succedendo?
Aqua mi sorrise diabolicamente poi mi afferrò violentemente il polso e strinse con gran forza le dita intorno ad esso e, sotto alle proteste e grida del professore, mi trascinò fuori dalla classe.
«A-aqua che fai? Fermati!» protestai cercando di divincolarmi dalla sua presa ferrea, ma lei era molto più forte di me, quindi fu inutile cercare di fermarla. Si fermò solamente dopo che ci fummo allontanate per bene dall'aula marina. Lasciò il mio polso dolorante ed io potei finalmente massaggiarmi la parte lesa.
Feci due passi in avanti e grazie alla mia grandissima sfiga, inciampai nei miei stessi piedi. Ero sul punto di cadere in avanti e picchiare il viso, quando due braccia mi avvolsero da dietro e il mio cuore perse un colpo. Aqua spalancò gli occhi poi iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.
«Che faticaccia. Per seguirvi ho rischiato di perdermi almeno due volte» la voce vellutata di Sebastian mi arrivò alle orecchie come una dolce melodia. Iniziai a tremare imbarazzata; le guance ritornarono ad tingersi di un rosso scarlatto e il cuore cominciò a battere all'impazzata. Mi mancava il respiro e non riuscivo a stare calma. Sarei potuta morire di crepa cuore da un momento all'altro, per colpa di Sebastian occhi di ghiaccio.
Lo sentii ridacchiare vicino al mio orecchio destro e il mio cuore fece due salti mortali nel petto. Sentirlo così vicino, mi rese ancora più nervosa.
Poi senza preavviso, le braccia forti e muscolose di Sebastian si slacciarono dal mio corpo ed io tornai a respirare. Feci profondi respiri poi cercai di calmarmi ed infine mi girai verso di lui, facendo svolazzare nell'aria i miei lunghi capelli.
«S-sebastian, c-che ci fai qui?» chiesi balbettando con le gote arrossate. Davanti a quegli occhi penetranti e a quel viso perfetto, ero incapace di formulare una frase senza balbettare. Mi sentivo in imbarazzo e nervosa. Era stato il primo ragazzo a rivolgermi la parola senza insultarmi o prendermi in giro. E mi aveva persino fatto un complimento sul mio sorriso. Forse era anche per questo che mi sentivo così nervosa, oltre al fatto che fosse un ragazzo di una bellezza accecante.
«Il professore mi ha mandato a cercarvi» alzò le spalle poi le scrollò con nonchalance. Dopodichè guardò oltre alle mie spalle e fece un sorriso a trentadue denti ad Aqua, che ancora non aveva proferito parola.
«Piacere di conoscerti» le disse gentilmente.
Aqua lo fissò per una manciata di secondi poi ricambiò il sorriso, «Aqua. Piacere mio».
Io, in mezzo a loro due, mi sentivo leggermente di troppo. Mi schiarii la voce, attirando la loro attenzione su di me, «F-forse è meglio tornare in classe. S-sebastian non può perdere un'altra ora» dissi timidamente.
I due acconsentirono senza fare storie. Quindi eccoci qui, nell'aula marina a provare a fare degli esercizi con l'elemento dell'acqua.
Ovviamente ad Aqua gli esercizi uscirono alla perfezione, essendo una mezza sirena. Mentre io feci cilecca almeno una quindicina di volte, prima di arrendermi e mandare tutto al diavolo.
Sebastian, non sapevo come, ci riuscì al primo colpo. Ne rimasi sbalordita perché l'elemento dell'acqua veniva padroneggiato meglio dalle sirene, dalle fate, dalle streghe e dagli elfi. Dopo che tutti ebbero provato a fare l'incantesimo con scarsi risultati a parte quelli sopra citati, la campanella suonò, segnando la fine della seconda ora.
 
La prima giornata scolastica finii molto lentamente. Aqua era già scappata verso la mensa, mentre Sebastian era circondato di mezze demoni che gli facevano delle avances. Lui si aprì in un sorriso smagliante poi si passò sensualmente una mano fra i capelli e, le mezze demoni gli fecero diversi apprezzamenti ed emisero gridolini imbarazzanti.
Roteai gli occhi seccata poi sgattaiolai via e mi diressi verso l'ufficio di papà.
L'ufficio di mio padre si trovava al primo piano, alla fine dell'ala ovest.
Camminavo lentamente, lungo quel corridoio un po' cupo e dalle pareti grigiastre.
Ciuuin si dondolava in avanti e indietro sui miei capelli. Ridacchiava divertito. E la sua risata era infantile e adorabile.
Le luci a neon sul soffitto traballavano leggermente e proiettavano strane ombre sul muro. Mio padre non si era ancora deciso a farle cambiare con quelle nuove e quindi quel corridoio era il meno illuminato dell’accademia.
Mi piazzai davanti alla porta di legno scuro che portava all'ufficio di mio padre o presidenza, poi feci un profondo respiro, bussai due colpi ed infine stetti in attesta di una sua risposta.
«Entra tesoro» la risposta di mio padre non tardò arrivare.
Aprii lentamente la porta poi entrai al suo interno e un profumo nauseante di vaniglia mi invase le narici, facendomi storcere il naso per la nausea appena venuta.
«Ciao papà» lo salutai tranquilla, accomodandomi sulla poltrona di fronte alla cattedra di mio padre.
Come sempre lo studio o presidenza, decidete voi come chiamarlo, era pieno zeppo di fogli sparsi ovunque. Libri aperti buttati a terra come se fossero spazzatura. Cera di candele colata sul davanzale della stanza. Lui e la sua mania per le candele profumate, almeno ogni tanto poteva controllarle, per non fare colare dappertutto la cera. Ma invece no, lasciava che la cera rovinasse la mobilia. Ed infine cartoni, sacchetti e lattine di cibo spazzatura, buttati nel cestino, già pieno fino all'orlo.
«E quel demone?» chiese alzando il viso dal suo libro e indicando con lo sguardo Ciuuin.
Ciuuin batté le mani tra loro poi fece una piccola smorfia sorridente, «Ciuuin, ciuu» mormorò affettuosamente.
«Si chiama Ciuuin ed è un zurkoi. Durante la lezione nell'aula demoniaca abbiamo fatto delle evocazioni e lui è apparso dentro al mio pentacolo» spiegai sorridendo a Ciuuin. Lui mosse la manina poi si nascose nuovamente fra i miei capelli.
Mio padre annuì poi si aggiustò gli occhiali sul naso e tornò con lo sguardo sul suo libro.
«Clari, ho delle commissioni da farti fare» ecco svelato il motivo per cui mi voleva nel suo ufficio. Mio padre non usciva quasi mai dall'accademia - chissà per quale motivo -, quindi mandava o me o Aqua. Non che mi dispiacesse uscire dall'accademia, ma proprio ora dovevo andarci? Io avevo fame.
«Devo andarci proprio ora?» domandai, grattandomi una guancia.
Lui mi sorrise, «Certo che no! Puoi tranquillamente mangiare, ti ho fatto comprare una pizza» tirò fuori, da sotto alla cattedra, la scatola contenente la pizza e l'appoggiò sopra alla pila di fogli che si trovavano su quel macello che non si poteva definire scrivania.
Gli sorrisi affettuosamente poi mi fiondai sulla pizza. Aprii la scatola e la mia pancia a quella vista meravigliosa, iniziò a brontolare affamata. Pizza con patatine e salame, la mia preferita.
Presi una prima fetta e me la portai alla bocca. Ne diedi un enorme morso poi me la gustai al meglio. Il gusto del salame e delle patatine invase la mia bocca e le mie papille gustative fecero i salti di gioia. Diedi altri due morsi e finii la prima fetta. Una fetta tira l'altra e la pizza finì prima di quanto mi aspettassi.
«Sono felice che tu abbia fatto amicizia con il signorino Black, sarebbe bello se diventasse il tuo fidanzato» mio padre spezzò il silenzio che si era creato con questa bellissima frase imbarazzante. Mi strozzai con l'acqua e per poco non ci rimanevo secca. Iniziai a tossicchiare poi annaspai un po' d'aria ed infine guardai con aria torva mio padre che mi fissò confuso «Ho detto qualcosa di strano?» domandò.
Alzai gli occhi al cielo, «Oh...no, tranquillo. Hai solamente detto che dovrei fidanzarmi con un ragazzo che nemmeno conosco e solo perché ci hai visti insieme in un corridoio» replicai.
Mio padre alzò le spalle poi mi accennò un sorriso, «E che c'è di male?».
Strabuzzai gli occhi poi mi portai una mano alla fronte e scossi la testa, «Sei un caso perso. Lasciamo stare» dissi svelta.
Mio padre alzò un sopracciglio, poi fece per parlare, ma alla fine lasciò perdere.
«Hai fatto una lista di cosa devo comprare? Ah, sappi che voglio usare la chiave magica, non ho intenzione di prendere un battello per andare dall'altra parte della città» dissi seria, mentre picchiettavo le dita sul legno scuro della cattedra.
L'Accademia Ravenstorm era situata in mezzo ad una fitta boscaglia e divisa dal resto della città da un vasto lago. Il Lake Cemetery. Per poter tornare alla civiltà dovevi o prendere un battello o usare una chiave magica che fungeva da portale. Ed io preferivo di gran lunga il portale. Facevi più in fretta e mi evitava le nausee che mi faceva venire il battello.
Si chiamava Lake Cemetery perché in quelle acque gelide e profonde si trovavano i rimasugli di cadaveri e ossa di persone del mondo paranormale, cioè le razze non umane. Il lago per quelli delle nostre razze fungeva da cimitero e questa cosa mi faceva venire i brividi, perché da piccina mio padre portava molto spesso me e Aqua a nuotare in quelle acque. Solamente dopo molti anni scoprii il vero significato di quel lago e del suo nome.
Gli umani avevano i normali cimiteri e le loro bare, noi avevamo le bare e cadaveri e ossa sul fondo del lago.
«Certamente. E se non vuoi andare da sola, chiedi ad Aqua o a Sebastian di accompagnarti» replicò mio padre con tono premuroso poi mi consegnò la chiave magica, che teneva sempre nella tasca dei pantaloni e la lista delle cose da prendere. 
Le afferrai al volo, sorrisi amorevolmente a mio padre poi mi alzai dalla poltrona, lo salutai con la mano ed infine uscii alla svelta da lì.
Mi chiusi la porta alle spalle poi mi lasciai andare in un forte sospiro esasperato. Mio padre ce la metteva tutta per farmi esasperare. Sapevo già che quella sera l'avrei passata nell'ufficio di papà a ripulire quel porcile, che non poteva essere chiamato presidenza.
Mi rigirai nella mano la chiave poi sorrisi vittoriosa. La chiave aveva l'impugnatura a forma di cuore, con incastonato al centro un diamante a forma di goccia. Era fatta in ora ed era abbastanza piccola.
Sloggiai da quel corridoio buio e ritornai nell'ala centrale, dove incontrai Sebastian in preda ad un esaurimento nervoso. Era seduto sul bordo della fontana, che si trovava al centro della gigantesca stanza, e stava fumando una sigaretta e ogni tanto imprecava pure. Con la mano libera continuava a mandare avanti e indietro il suo trolley.
Mi soffermai a guardarlo, stando appoggiata al muro, vicino all'inizio del corridoio che
portava all'ala est e con il cuore che mi batteva in gola per l'agitazione.
I raggi solari che filtravano dalla grande vetrata, all'entrata dell'accademia,
illuminavano il viso perfetto di Sebastian, facendolo sembrare quasi un Dio. Era di una bellezza insurreale, non vera, quasi angelica, ma allo stesso tempo demoniaca. Perché era risaputo che molti demoni erano di una bellezza quasi impossibile da descrivere. Maestosa, perfetta.
Sebastian sembrò percepire la mia presenza perché girò il capo verso di me e mi sorrise, quasi come se fosse felice di vedermi.
Ricambiai timidamente il sorriso, anche se penso sia improbabile che l'abbia visto da quella distanza.
Le mie gote incominciarono a tingersi di rosso, quando vidi che con passo felino si stava avvicinando a me.
«Ecco qui la mia piccola salvezza. Sto letteralmente sclerando, devo raggiungere il mio dormitorio, ma non so da dove devo passare» disse esasperato, aggrappandosi con le mani alle mie spalle. Sentivo la pressione delle sue grandi mani sulle spalle e un forte brivido mi percorse la spina dorsale. Sotto al suo tocco la mia pelle si infiammò, nonostante non avessimo avuto un contatto fra pelli.
Mi sentivo letteralmente andare a fuoco. Ogni parte del mio corpo fremeva sotto al suo tocco.
«C-che succede?» domandai con le gote arrossate e con il cuore che batteva all'impazzata nel petto.
Lui spostò lentamente le sue mani dalle spalle alle mie guance, e mi accarezzò con i polpastrelli la pelle bollente e arrossata delle gote.
«Ti prego aiutami. Come faccio ad arrivare al mio dormitorio?» mi guardò supplichevole.
«Q-Quando sei arrivato, in segreteria ti hanno dato una chiave magica, giusto?» cercai di non incrociare il suo sguardo magnetico perché sennò mi ci perdevo in quegli occhi color ghiaccio.
Sebastian ci pensò su un attimo, «Questa?» chiese, tirando fuori dalla tasca della sua giacca di pelle, la chiave magica dedicata ai dormitori. Era una chiave dall'impugnatura a forma di cerchio con incastonata all'interno un rubino circolare.
«La, nascoste dai tre pilastri di pietra grigia, ci sono sette porte, ognuna di esse porta ai rispettivi dormitori, se si usa la chiave magica» indicai i tre pilastri di pietra grigia che sostenevano il secondo piano.
Per salire al secondo piano, si potevano usare le scale di destra o le scale di sinistra. Erano grandi e ampie scale, dal corrimano in oro con due sfere in cima e alla fine di esse e ricoperte da un maestoso tappeto rosso. Mio padre non si era fatto mancare nulla per rendere l'accademia un posto accogliente e da ricordare.
«V-Vieni, ti accompagno» dissi balbettando, afferrandogli la mani della giacca per poi trascinarlo verso i tre pilastri. Sebastian non si divincolò dalla mia presa, anzi ridacchiò penso divertito dalla mia improvvisa intraprendenza, che tra l'altro non sapevo da dove mi fosse uscita.
Arrivati davanti ai tre pilastri, ci fermammo. Lasciai la presa dalla sua giacca e balbettai uno «scusa» imbarazzata. Poi con il viso abbassato, passai attraverso il pilastro centrale. Sebastian mi seguì a ruota, stando dietro alle mie spalle, il che mi rendeva molto nervosa.
Quel piccolo corridoio era poco illuminato, quasi buio. C'era solamente una piccola lampadina che penzolava dal soffitto e illuminava molto parzialmente quel corridoio corto e stretto.
Di fronte a noi si trovavano sette porte di diversi colori, con incisi sopra gli stemmi delle razze.
Azzurra e con lo stemma a forma di onda, del medesimo colore, era quella delle mezze sirene.
Viola e con lo stemma a forma di una rosa blu era quella della mezze fate.
Verde e con lo stemma di un quadrifoglio era quella dei mezzi elfi.
Arancione e con lo stemma di un pipistrello era quella dei mezzi vampiri.
Gialla e con lo stemma di una luna crescente era quella dei mezzi licantropi.
Grigia e con lo stemma di una stella a cinque punte era quella delle mezze streghe e stregoni.
Ed infine rossa e con lo stemma a forma di stella rovesciata era quella dei mezzi demoni.
«B-basta infilare la chiave nella serratura della porta rossa, quella che porta al dormitorio demoniaco, aprila e poi entrarci dentro. È come un portale, solo che funziona solamente con i dormitori» gli spiegai indicando la porta rossa.
Sebastian spostò il suo sguardo dalle porte a me. Mi guardò attentamente poi mi sorrise contento.
«Grazie dell'aiuto» replicò lui, accarezzandomi una guancia che sembrò andare a fuoco sotto al suo tocco.
Perché succedeva questo? Avevo avuto contatti con altri miei compagni maschi, ma non mi era mai capitata una cosa del genere. Non sentivo la pelle bruciare sotto al tocco di altri e non mi sentivo così nervosa, cioè molto più nervosa, quando gli altri miei compagni mi guardavano.
Perché lui mi faceva questo effetto? Era una cosa legata al nostro sangue demoniaco?
«Clari, che succede? Ti sei imbambolata di colpo» Sebastian mi riportò al presente, scuotendo leggermente il mio corpo. Il suo tocco era leggero e gentile, nonostante stesse cercando di riportami nel mondo dei vivi, spezzando il mio flusso di domande sul perché mi rendesse così nervosa.
«Ah? Sì, scusa» le guance assunsero un colore ancora più acceso, facendomi diventare un peperone vivente.
Sebastian emise una melodiosa risata, che mi fece imbambolare a fissarlo e, il mio cuore perse un battito alla vista di quel pezzo d'arte.
«Dovevi andare da qualche parte?» domandò di punto in bianco. Annuii decisa, poi ficcai svelta la mano nella tasca della mia giacchetta di jeans e afferrai la chiave magica, stringendola fortemente in essa. Di colpo la frase che mi aveva detto prima mio padre, mi rimbombò nella testa come un forte mal di testa. E se non vuoi andare da sola, chiedi ad Aqua o a Sebastian di accompagnarti.
Potevo provare a chiederglielo, mal che vada mi diceva di no. Peccato che mi si era seccata la gola e sentivo l'agitazione salire dalle viscere. Sentivo il cuore battere fortemente e velocemente, persino nelle orecchie. Sembrava essere sul punto di scoppiare.
Sebastian mi guardava in attesa di una risposta, ma non riuscivo a proferire parola. Ero come bloccata. Le parole vorrebbero uscire, ma la voce sembrava essere scomparsa, come la mia borsa preferita dopo averla lasciata in una stanza da sola con Aqua.
Deglutii rumorosamente poi presi un profondo respiro, «Devo fare delle commissioni per mio padre. Ti va di venire con me?» chiusi gli occhi e gli strinsi fortemente in attesa di una sua risposta. Incrociai le dita delle mani e dei piedi per una sua risposta positiva.
«Certamente» mi sorrise dolcemente ed io mi sentii in paradiso.

 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo. ***


Sebastian accettò di venire con me, quindi riportammo le sue valige in segreteria, beccandoci una sfuriata da Jenny, la segretaria, che si era incavolata con noi perché non voleva che le lasciassimo lì un'altra volta.
Non demmo ascolto a quello che disse perché erano tutte balle e lasciammo lì le valige, dicendole anche di curarcele.
Uscimmo di corsa dall'accademia, beccandoci una seconda ramanzina da Andy, uno dei bidelli più anziani, perché avevamo lasciato impronte sul pavimento appena lavato.
Sebastian ed io ci stavamo dirigendo verso il cancello d'entrata e di ferro grigio, per poter creare il portale che ci avrebbe portati dall'altra parte, oltre il lago.
Sentivo il cuore battere a mille sentendo la sua presenza così vicina. Perché mi faceva questo effetto?
Il cielo era sereno, anche se ogni tanto veniva accompagnato da qualche nuvola bianca e passeggera, che sembravano tanto dei batuffoli di ovatta.
Il sole, nonostante fosse settembre inoltrato, era ancora caldo e riscaldava l'ambiente. L'aria, però, era già più fresca e ti costringeva a coprirti con qualcosa di più pensate di una semplice maglietta a maniche corte e pantaloncini corti.
«Come facciamo a trovare il portale?» domandò Sebastian guardandosi in giro spaesato.
La sua voce roca e melodiosa, mi risvegliò dal mio trance. Le gote incominciarono a saldarsi e a prendere colore.
Girai la testa verso di lui e ridacchiai timidamente, «Il portale è il cancello della Ravenstorm Academy» risposi, accennandogli un sorriso.
Lui spalancò gli occhi poi ridacchiò anche lui. «Non ci avevo nemmeno pensato» replicò grattandosi la nuca.
La ghiaia sotto ai nostri piedi scricchiolava ad ogni nostro passo. Il venticello fresco si infrangeva contro al mio viso e mi faceva svolazzare nell'aria i capelli. E purtroppo anche alzare la gonna, facendomi emettere gridolini imbarazzanti. In tutto ciò, Sebastian se la rideva beato.
Arrivati davanti al cancello di ferro, ci fermammo. Tirai fuori la chiave e la infilai nella serratura del cancello. Girai verso destra e il cancello per pochi secondi si illuminò di un bagliore tenue e biancastro.
«O-ora dobbiamo aprirlo insieme» dissi, stringendo le dita intorno alle sbarre fredde e grigie del cancello.
Sebastian annuì, poi anche lui strinse le dita intorno alle sbarre ed infine, insieme spingemmo il cancello in avanti.
Lo oltrepassammo e una folata di aria gelida si infranse contro il mio viso e mi penetrò fin dentro alle ossa. Tremai per il freddo improvviso e iniziai a battere i denti tra loro, mentre Sebastian non fece una smorfia, ne disse una parola. Venimmo risucchiati dal portale, trasportati in un luogo buio e senza via di fuga. Poi all'improvviso una forte luce bianca mi costrinse a chiudere gli occhi, mentre il terreno sotto ai miei piedi scomparve ed iniziai a fluttuare nel vuoto. Lo stesso successe a Sebastian che si teneva un braccio davanti al viso.
Mi sembrava di precipitare nel nuovo e la sensazione di non avere il terreno sotto ai piedi, mi fece venire il voltastomaco. Odiavo questa parte del viaggiare con il portale. Usare il portale implicava, per me, forte nausee e gran mal di testa, ma ehi, era più veloce e comodo, dopotutto.
La luce pian piano si affievolì, diventando quasi impercettibile e finalmente i miei piedi toccarono nuovamente il terreno. Sebastian, al mio fianco, si risistemò i capelli e la giacca di pelle, come se il viaggio con il portale fosse una cosa normalissima per lui e che non lo toccava minimamente, poi posò i suoi occhi penetranti su di me «Tutto okay?» domandò facendo un passo verso la mia figura.
Annuii incerta.
Eravamo nuovamente al buio, ma davanti a noi si trovava un cancello semi aperto con incise dentro a dei cerchi di metallo, incastonati nella parte superiore di esso, fra le sbarre, le iniziali della piccola cittadina. RT; Roseline Town.
«Siamo arrivati» esclamai, facendo dei piccoli passi verso il cancello.
Sebastian con due lunghe falcate mi raggiunse e mi affiancò.
«Pronto?» domandai più a me stessa che a Sebastian, che annuì deciso poi scrollò le spalle con nonchalance.
Appoggiai la mano destra e tremante sulla piccola maniglia nera che aveva il cancello e lo aprii, spingendolo in avanti.
Oltrepassammo il cancello e ci ritrovammo nel cimitero di Roseline Town. Era tetro e cupo, e mi metteva i brividi, con tutte quelle lapidi grigie con su incisi nomi, date di nascita e morte e nome e cognome, sparse ovunque.
Avevo paura che ovunque mettessi i piedi, sotto al terreno ci fossero delle bare e quindi ossa o cadaveri, ancora in decomposizione. A pensarci mi venivano i brividi.
Ricordo quando io, papà e Aqua avevamo usato insieme e per la prima volta il portale. Il portale ci aveva portati in un magazzino abbandonato e per poco la polizia locale non ci beccava e arrestava. Mi veniva ancora da ridere a pensarci, ma mi trattenni per non sembrare ancora più cretina davanti a Sebastian.
Un rumore alquanto sospetto, mi fece accapponare la pelle. Sobbalzai in aria con il cuore in gola e con una mano davanti alla bocca per soffocate le urla. Da dietro dei cespugli uscì un cane abbastanza grande che iniziò ad abbaiare rumorosamente.
Emisi un sospiro di sollievo, non era nulla di cui preoccuparsi.
Sebastian scoppiò a ridere poi afferrò un pezzo di legno da terra, lo fece vedere al cane che iniziò a muovere la coda, ed infine lo lanciò lontano da noi. Il cane prese a rincorrere il bastone. Sebastian mi prese per mano ed io sentii la pelle andare a fuoco sotto al suo tocco, poi iniziammo a correre verso l'uscita del cimitero.
«Se ci dirigiamo di qua, arriviamo in città, se andiamo dall'altra parte dovrebbe portarci verso una piccola fattoria» lessi i cartelli, quello che indicava a destra diceva: "200 metri Roseline Town" e quello che indicava a sinistra diceva: "300 metri Fattoria Greene".
Sebastian ero appoggiato alla staccionata che divideva la strada dal bosco, e si stava fumando una sigaretta. Lo guardai incantata. Era davvero troppo sexy.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri poi presi un profondo respiro, «A-andiamo?».
Sebastian alzò il viso da terra e mi fissò con i suoi occhi penetranti poi buttò il mozzicone a terra ed infine mi raggiunse, circondandomi le spalle con braccio muscoloso, da cui partirono scariche di scosse che mi fecero tremare.
«La prima cosa da comprare qual è?» domandò Sebastian sorridendomi allegro.
Stavamo girovagando tra i negozietti di Roseline Town per cercare un set di coltelli in ceramica per quello scellerato di mio padre. A che cosa gli servissero lo sapeva solo lui...che poi mio padre nemmeno cucinava, a quello ci pensava Sheena.
Avevamo già comprato metà di quello che mio padre aveva scritto sulla lista, ed era da dieci minuti che girovagavamo in giro in cerca del set di coltelli.
«Clari, io vado a cercare in questo negozio, tu vai in quello di fronte» Sebastian indicò un negozio al angolo della strada, dove di fronte ce n'era un'altro di cianfrusaglie.
«V-va bene. A dopo».
Dopo una mezz'oretta, sprecata alla ricerca del set di coltelli, uscii dal negozio,
ovviamente senza averli trovati. Di Sebastian nemmeno l'ombra.
Emisi un sospiro esasperato poi mi passai una mano tra i capelli ed infine mi sedetti sul bordo del marciapiede, in attesa dell'arrivo di Sebastian.
Guardai il grande orologio che spiccava nell'alta torre al centro della piazza di Roseline Town. Alto quasi venti metri, in stile gotico, dalle vetrate colorate e dalle pareti scure, alte e slanciate verso il cielo cupo, l'orologio segnava le due e mezza del pomeriggio.
Sospirai nuovamente mentre spostai il mio sguardo verso il cielo dapprima sereno, ma che pian piano si stava scurendo e riempiendo di nuvoloni grigi, portatori di pioggia.
La via si stava liberando da bancarelle e ceste di frutta e verdura, che erano state lasciate davanti ai negozi dai loro proprietari.
Le grida di donne e uomini e le risate dei bambini pian piano si affievolirono e nell'aria ritornò il fastidioso rumore di auto e motociclette che sfrecciavano a tutta velocità per le vie.
Stanca di stare ad aspettare, mi alzai da terra, raccolsi le borse di plastica ed infine iniziai ad allontanarmi da quella via, passando per un piccolo e sporco vicolo di fianco al negozietto di cianfrusaglie.
Iniziò a mancarmi l'aria, quando passai vicino ad un cassonetto della spazzatura mezzo spaccato, da cui usciva di tutto e dalla puzza insopportabile e irrespirabile. L'odore nauseabondo di marcio mi penetrò con forza le narici, facendomi venire il vomito. Lo stomaco mi si girò sotto sopra e dagli occhi, iniziarono ad uscire lacrime per la troppa puzza.
Mi coprii con una mano il naso e la bocca ed infine presi a correre il più veloce possibile (anche se con un po' di difficoltà per via delle borse) verso la fine di quel sudicio vicolo.
Quando finalmente vidi la luce e la fine del vicolo, presi a correre più velocemente per uscire il più in fretta possibile da quello schifo.
Mi mancavano pochi passi e sarei uscita da quel vicolo, quando inciampai nei miei stessi piedi e finii con le gambe all'aria sopra ad un petto duro come il marmo e muscoloso come un lottatore di wrestling.
«Frank!» esclamò una voce potente e maschile davanti alla fine del vicolo.
Emisi un verso di dolore poi alzai la testa dal petto di marmo che mi aveva fracassato il naso, massaggiandomelo e vidi che si trattava di un mezzo licantropo, perché i suoi occhi da color cioccolato divennero gialli, dalla sua bocca spuntarono lunghi e appuntiti canini e le unghie si allungarono e si incurvarono leggermente in avanti.
Mi alzai di scatto ed indietreggiai spaventata, finendo con la schiena contro al muro freddo e umido di quel vicolo sudicio.
«Tu lurida mezza demone! Come hai osato venirmi addosso» ringhiò il mezzo licantropo, facendo un passo verso di me.
Iniziai a tremare come una foglia, spaventata da quel orso a due ante, alto almeno un metro e ottanta che si stava avvicinando pericolosamente a me.
Non potevo nemmeno indietreggiare perché ero arrivata al capolinea. Se iniziavo a correre verso la parte da cui ero arrivata, sapevo che non avrei avuto possibilità di vincere contro a dei licantropi e in più ero una imbranata cronica quindi sarei sicuramente caduta al suolo, dando loro la possibilità di braccarmi.
«M-mi d-dispiace» balbettai terrorizzata con il cuore in gola. Ero fottuta. Mi avrebbero picchiata a sangue e chissà cos'altro mi farà. Perché proprio a me?!
Ricacciai indietro le lacrime che cercavano prepotentemente di uscire.
I tre mezzi licantropi scoppiarono in un grossolana risata, forzata e carica di odio.
«Frank, falla fuori» disse uno dei due seguaci di quel Frank con voce carica di odio, mentre mi fulminava con i suoi occhi giallastri.
Avevo il corpo scosso da brividi di paura, riuscivo a stento a trattenete le lacrime e respiravo a fatica.
Magari Ciuuin poteva aiutarmi, ma come? Da quello che aveva detto la professoressa Hill, gli zurkoi erano pacifici, quindi Ciuuin era innocuo e sinceramente non penso che farebbe del male a qualcuno. Ero spacciata. Ero un mezzo demone incapace di usare i propri poteri ed ero debole.
Il mezzo licantropo mi ringhiò davanti al viso ed io iniziai a piangere. Le lacrime scesero senza il mio consenso; erano calde contro alle mie guance arrossate e, di certo non avevano intenzione di fermarsi.
Cominciai a singhiozzare rumorosamente e mentre il mio corpo veniva scosso da spasmi, tirai su con il naso e tremai fortemente contro al muro di quel vicolo.
Il cuore mi martellava fortemente nel petto, sembrava essere sul punto di esplodere talmente batteva ad un ritmo disumano.
Il mezzo demone portò le sue enormi mani al mio collo, mi sorrise malignamente, poi le strinse fortemente intorno ad esso, togliendomi il fiato e facendomi dimenare come un anguilla sotto al suo malvagio tocco. Sentivo le sue mani bollenti stringersi sempre più fortemente intorno al mio collo mentre i miei polmoni incominciarono a necessitare di aria.
«N-non r-resp-...» il fiato mi spezzò in gola e sentii le forze incominciare ad abbandonarmi.
Il licantropo stringeva con maggior pressione le sue mani intorno al mio collo mentre sorrideva divertito da tutto ciò.
La vista iniziò ad appannarsi sia per le lacrime appena versate e che tutt'ora stavo versando e sia per la mancanza di aria, che mi rese sempre più debole. Il licantropo mi stava strappando via la vita ed io non riuscivo a muovere un dito per fermarlo e riprendermela.
«Uccidi 'sta spazzatura, capo!» gridò con tono divertito e allo stesso tempo malvagio uno dei suoi scagnozzi.
Il mezzo licantropo che mi impediva di respirare, strinse ancora di più le mani intorno al mio collo. Sentii le forze abbandonarmi del tutto.
Poi all'improvviso una scintilla rossa sfrecciò verso il petto dello scagnozzo, che aveva parlato poco prima, e gli trafisse il cuore. Il suo cadavere scivolò a terra in una pozza di sangue.
Vidi il licantropo tentennare appena e in quel pochissimo lasso di tempo, presi aria, poi ritornò a stringere, con maggior forza, le sue mani intorno al mio collo.
«Togli le tue dannate mani dal suo collo se non vuoi fare la fine del tuo amico» la voce di Sebastian era diversa, più tetra e cupa e mi fece venire i brividi. I suoi occhi erano rosso fuoco e dalla bocca gli spuntavano dei lunghi e affilati canini. Era completamente diverso, faceva quasi paura, ma allo stesso tempo era stupendo e affascinante e mi stava salvando la vita.
Sebastian gli aveva puntato una spada dalla lama rossa scarlatta, che fuoriusciva dalla sua mano destra. Stava usando il suo stesso sangue demoniaco come arma. Il sangue demoniaco era come un acido per le altre specie.
Il mezzo licantropo emise una grossolana risata, poi fece scivolare le sue mani lungo le mie spalle poi sempre più in basso, intrufolandosi sotto alla mia maglia della divisa scolastica. Tremai impaurita e disgustata. Le sue mani erano ruvide contro alla pelle liscia e pallida della mia pancia.
Emisi un verso di disgusto, mentre le lacrime continuavano a scendere copiose e calde lungo le mie guance. Il mio cuore aveva aumentato di intensità e velocità, era sul punto di scoppiare.
«Quindi va bene se porto le mie mani qui?» domandò con voce strafottente il mezzo licantropo, portando le sue mani lungo le mie cosce lasciate scoperte dalle lunghe calze.
Guardai Sebastian con uno sguardo supplichevole «A-aiutami» balbettai a corto di fiato e con le lacrime a distorcermi e ad appannarmi la vista.
Sebastian digrignò i denti poi con un colpo svelto della mano, mosse la spada in aria e diede un taglio netto al braccio del licantropo, tagliandoglielo via.
Il licantropo balzò indietro urlando come un pazzo e facendo schizzare sangue ovunque.
«Ti avevo avvisato, bastardo» disse furioso Sebastian mentre colpiva con delle gocce di sangue anche l'altro mezzo licantropo rimasto.
I mezzi licantropi continuavano a gridare mentre il sangue di Sebastian iniziava a fare il suo lavoro, cioè sciogliere i loro corpi sia dall'interno che dall'esterno, partendo dalle ferite inflitte dalla spada e dal sangue di demone.
Io sentii le forze mancarmi del tutto. Lentamente mi accasciai contro al muro freddo del vicolo e il cuore riprese a battermi in modo decente nel petto e non più veloce come pochi attimi prima.
L'aria ricominciò ad entrare nei miei polmoni e finalmente mi sentii meglio.
«Stai bene?» domandò preoccupato Sebastian, dopo aver depositato i cadaveri dei tre licantropi sul lato di fronte al mio, uno sopra all'altro, formando un'unica pozza di sangue.
Annuii incerta, «G-grazie per avermi salvata» fu l'ultima cosa che dissi prima di fare un passo in avanti e svenire fra le braccia possenti di Sebastian. Poi vidi tutto nero e in sottofondo sentii Sebastian gridare il mio nome preoccupato.
 
«Claribel! Clari! Oh la mia piccola» la voce preoccupata e al contempo soave di Aqua mi arrivò ovattata alle orecchie.
Aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai quelli color malva di Aqua, contornati dal trucco sbavato, puntati addosso. Il suo viso era deformato dalla preoccupazione e aveva gli occhi spenti e pieni di lacrime.
Mi guardai in giro e notai che non eravamo nella mia camera, bensì nell'infermeria dell'Accademia. Le pareti bianche, i quattro lettini messi in fila dalle lenzuola azzurrine, le finestre con le tapparelle costantemente chiuse che lasciavano filtrare un filo di luce e le luci a neon (un po' vecchiotte) appese al soffitto. Quella era la terza volta che finivo in infermeria. Le prima volta che fui portata in infermeria fu perché nell'ora di educazione fisica caddi sul terreno della palestra esterna, sbucciandomi ginocchia e gomiti e la seconda volta perché dei miei compagni mi spinsero giù dalle scale, facendomi rompere un braccio.
«La spesa! Sebastian! I mezzi licantropi!» gridai dopo essermi ricordata gli avvenimenti avvenuti precedentemente, tirandomi su di scatto con la schiena e facendo sobbalzare dalla paura Aqua.
Vidi Sebastian e mio padre, fuori dall'infermiera, fermare di colpo la loro discussione per poi puntare i loro occhi preoccupati su di me. Entrambi mi sorrisero appena poi chiusero la porta davanti a loro ed infine sparirono dalla mia visuale.
«Clari...dovresti preoccuparti un po' di più di te stessa e meno della spesa, a cui tra l'altro ci ha pensato Sebastian» disse Aqua con un velo di tristezza nella voce, mentre mi accarezzava il braccio destro a cui c'era attaccata una flebo.
Arrossii vistosamente. Tingendo di un bel rosso acceso le mie guance.
«Io sto bene...sono solo un po' stanca» accennai un timido sorriso poi mi lasciai andare con la schiena contro al materasso morbido del lettino. Appoggiai le testa contro al soffice cuscino, chiusi gli occhi ed inspirai una boccata d'aria al sapore disgustoso di disinfettante e medicine poi la lasciai uscire e mi rilassai un po'.
Chissà se Sebastian stava bene...usare il proprio sangue implicava più forza fisica e mentale che purtroppo veniva risucchiata più in fretta e ti poteva rendere molto debole e anemico.
«Vedo che la mia dolce bestiolina si è svegliata» il dottor. Sahal, un elfo completo, entrò nella stanza con in mano la mia cartella clinica e con il suo solito sorriso stampato sulle sottili labbra.
Indossava il solito camice bianco che lui aveva decisamente decorato con piccole greche colorate che si intravedevano da un chilometro di distanza.
I capelli bianchissimi e lunghi fino a metà schiena era legati in un'alta coda. E i suoi magnetici occhi dal colore del metallo erano nascosti da un paio di occhiali dalla montatura in ferro, che gli donava un'aria da intellettuale e che cambiava in continuazione, dicendo di avere un fissazione per gli occhiali.
«Dottor Zhael Sahal!» sbraitò Aqua «Non è una bestia! È una persona, una sua paziente!» replicò furibonda la mia migliore amica, fulminando con lo sguardo il dottore.
Quest'ultimo fece spallucce poi con una delle sue enormi mani, andò a spettinare i capelli di Aqua, ridacchiando allegramente. La mia migliore amica sbraitò di finirla, lanciandogli occhiatacce di fuoco.
«Suvvia signorina Ao, stavo ovviamente scherzando. La sua dolce amica, la dolce figlia del signor Ravenstorm sta bene. È svenuta per la mancanza di ossigeno e molto probabilmente per lo spavento. Uno sano riposo le farà passare tutto» disse il dottore, sorridendo prima a me poi ad Aqua, che in risposta gli fece una smorfia.
Ridacchiai, «La ringrazio dottore» sorrisi a mia volta, lasciandomi scappare un sospiro di sollievo.
«Ora vado ad avvisare vostro padre» il dottor. Sahal appoggiò la mia cartella clinica sul tavolino al fianco del mio letto, poi puntò i suoi occhi color metallo fuso su Aqua «Lei veda di riportare in camera la sua amica sana e salva».
Aqua scoccò la lingua contro al palato poi schioccò seccata due dita, «Ovviamente» replicò velenosa.
Il dottor. Sahal uscì dall'infermiera ed io scoppiai a ridere in faccia ad Aqua.
«Non ti è ancora passata la cotta amore-odio verso il dottore, eh?» domandai retoricamente, ridendo sotto ai baffi.
Aqua mi diede un pugno sulla gamba che mi fece sobbalzare nel lettino, «Perché non torni a fare la malata e stai zitta! Forza ti porto nella tua stanza» esclamò con tono aspro ma con accenno di divertimento.
Le feci la linguaccia. Aqua in cambio mi diede un pizzicotto sul braccio che mi fece un po'  male, «Muoviti! Non voglio incontrare nuovamente occhi incandescenti» borbottò alzandosi dallo sgabello vicino al mio lettino e lanciandomi addosso le mie scarpe.
«Ti piace ancora!»
«Stai zitta!» strillò poi ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere come due sceme.

 

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo. ***


Dopo una bella dormita nel mio adorato letto, mi svegliai, ritrovandomi Aqua che dormiva beatamente sul divanetto al mio fianco. Mi alzai con i gomiti dal letto e sbadigliai rumorosamente.
Accesi la lampada sul mio comodino e la luce illuminò parzialmente la mia camera. Aqua borbottò qualcosa poi con il cuscino si coprì la testa e si girò dall'altra parte del letto.
Mi guardai attentamente la mano ferma a mezz'aria e notai che le mie unghie erano magicamente diventate belle e pulite. Aqua doveva avermele fatte mentre io dormivo. Quella ragazza!
Scostai le coperte dal mio corpo e venni invasa da una ventata d'aria fredda che mi fece venir voglia di ricoprirmi e tornare a dormire, ma avevo anche voglia di andare a fare una corsetta.
Balzai giù dal letto e mentre mi dirigevo verso il bagno, mi legai i capelli in una coda disordinata. Chissà se mio padre era già nella presidenza o era ancora in camera sua..
Entrai nel bagno e con una mano tastai alla cieca il muro per trovare l'interruttore della luce. Lo trovai e accesi la luce che mi accecò per alcuni secondi.
Mi stropicciai gli occhi e al contempo sbadigliai, portandomi una mano davanti alla bocca.
Mi piazzai davanti allo specchio, lanciai un veloce sguardo al mio orribile riflesso poi aprii il rubinetto e con un getto d'acqua fredda, direi gelida, mi sciacquai il viso, svegliandomi del tutto.
Mi lavai i denti. Ed infine uscii dal bagno.
Presi la mia solita tuta e la indossai cercando di non svegliare Aqua, poi uscii di soppiatto dalla mia camera e lasciai riposare la mia migliore amica.
Stavo correndo da circa un'ora ed ero già stanca morta, si vedeva che durante l'estate avevo poltrito, sotto questo aspetto. Avevo fatto il solito giro intorno alla scuola per poi fermarmi nella spiaggetta in cui mio padre portava sempre me e Aqua, vicino al lago.
Sentivo i muscoli delle gambe tirarmi dolorosamente, il sudare appiccicoso colarmi giù dalla schiena e il respiro affannoso mozzarsi in gola. Ero fradicia, neanche mi fossi fatta una doccia con il mio stesso sudore. Disgustoso anche solo pensarci.
Mi sedetti sulla spiaggia e ripresi fiato, beandomi della brezza mattutina e dell'odore del lago, un po' di pantano e un po' di erba bagnata.
Il respiro pian piano tornò normale e le mie povere gambe si raffreddarono e smisero di farmi così tanto male, sentivo solamente tirare appena i muscoli.
Feci un profondo respiro poi buttai fuori tutta l'aria e mi lasciai cadere indietro, facendo scontrare il mio corpo con la spiaggia sabbiosa e morbida, ma a tratti - molto più lontano da dove mi trovavo io - anche fangosa.
«Anche tu mattiniera?» una voce roca e melodiosa mi fece sobbalzare. Scattai in aria e mi guardai in giro, ma non c'era ombra di nessuno.
Quando tornai con il corpo e il viso verso il lago notai che al mio fianco si trovava, seduto sulla sabbia, Sebastian, con indosso una tuta nera e i capelli legati in una coda abbastanza piccola e corta.
«S-sebastian, c-che ci fai qui?» domandai imbarazzata con le mani davanti al cuore che batteva all'impazzata.
Lui ridacchiò e la sua risata era cristallina, «Non riuscivo a dormire, così sono uscito a correre» spiegò scrollando le spalle.
«A-ah..» arrossii vistosamente poi con un po' di coraggio, mi sedetti al suo fianco, continuando a fissare il lago perché se incrociavo il suo sguardo di ghiaccio, sarei potuta morire di vergogna.
«È bello qui» esordì Sebastian dopo attimi di silenzio che a me sembrarono secoli di imbarazzo.
Annuii, «Ogni volta che vengo qui mi rilasso» disse spostandomi una ciocca nera dietro all'orecchio.
Lui fece un profondo respiro, piegando la testa indietro e mettendo in risalto il pomo d'Adamo pronunciato. Era così sexy. Le folte ciglia scure andavano a sfiorarli gli zigomi affilati. I ciuffi neri scappati alla coda, scivolarono lungo le tempie; in quel momento desiderai affondare le mani in quei capelli che sembravano morbidi e setosi. Arrossii di botto e distolsi lo sguardo.
Lo sentii ridacchiare poi sospirare.
«Sai pensavo che in una scuola in cui tutti avevano sangue magico, se così lo possiamo chiamare, non ci sarebbero stati i soliti e vecchi pregiudizi, ma mi sbagliavo» dichiarò con voce piatta, «I mezzi demoni sono gli esseri più odiati. Più di tutte le altre specie» concluse, sbuffando e scuotendo la testa.
«Purtroppo è così. I-io sono costantemente presa di mira» ribattei abbassando lo sguardo verso la sabbia scura.
«L'avevo capito. Mi dispiace».
Un fresco venticello mosse i rami degli alberi intorno alla spiaggetta, creando un leggero fruscio di foglie e muovendo nell'aria la mia lunga coda.
«Sai perché i miei occhi sono diversi?» domandò di punto in bianco Sebastian, facendomi girare verso di lui con un'espressione confusa.
Scossi la testa, «Fortuna?!» chiesi facendo un timido sorriso.
Lui rise di gusto poi scosse la testa, «I miei occhi hanno questo colore perché mia madre era una vampira mentre mio padre è un demone» spiegò Sebastian passandosi una mano sui capelli per poi andare a slegare la coda, facendoli scivolare lungo il viso e il collo in modo sexy - aiutato anche dal vento che sembrava a essere a suo favore per uccidermi -.
«Oh, wow» esclamai distogliendo lo sguardo dalla sua figura e tingendomi le guance di rosso.
«Tu?»
«I-io? Mia madre era umana ed è morta dandomi alla luce e mio padre - mai conosciuto - era un demone» risposi sospirando.
Sebastian annuì al mio fianco poi puntò i suoi glaciali occhi verso il cielo che pian piano si stava scurendo poi emise un sospiro ed infine sorrise, «Mia madre invece è viva, ma non so dove sia.
Dopo i miei primi anni di vita è scomparsa e non ha più fatto ritorno a casa. Divertente eh?» domandò con un tono di voce misto tra sarcasmo e tristezza.
Vidi il suo sguardo brillante spegnersi per poi diventare malinconico e il suo sarcastico sorriso scomparire dal suo volto per lasciar posto ad una smorfia di tristezza.
«M-mi disp--» il suono assordante della campanella di inizio lezioni arrivò fino alla spiaggetta e mi fece mozzare la frase.
«La cerimonia di inizio anno sta per cominciare, andiamo» esclamai balzando in aria poi mi spolverai la tuta ed infine porsi una mano a Sebastian che si affrettò ad afferrare.
«Ma le lezioni non sono iniziate ieri? Perché c'è oggi la cerimonia?» domandò lui confuso.
«Tutte le classi hanno iniziato ieri, tranne i primini che hanno visitato l'Accademia in un'altra dimensione creata da una strega - una nostra insegnante che poi conoscerai - per non farci incontrare fino alla cerimonia d'apertura» spiegai mentre ci incamminavamo verso l'accademia «Mio padre, essendo che in questa accademia si parte dall'età di sei anni - ovvero la prima elementare - ha deciso che i primini di ogni grado scolastico, il primo giorno di scuola lo devono passare a conoscere tutto l'immenso edificio».
«So che può sembrare strano, ma serve per non avere problemi più avanti» alzai le spalle mentre guardavo con la coda dell'occhio Sebastian che sorrideva.
«Grazie della spiegazione mia piccola salvatrice» mi fece l'occhiolino poi mi sorrise, facendomi sobbalzare il cuore e prendere rossore sulle guance.
«D-di nulla. Beh…non possiamo presentarci alla cerimonia così, è meglio cambiarsi» allungai il passo superando Sebastian, poi feci una piroetta ed infine venni avvolta da una brillante luce rossa. La mia tuta cominciò a farsi a pezzettini per poi sparire nel nulla. Il mio corpo nudo venne avvolto da delle fasce di luci bianche per poi andare a sostituire la tuta con la mia divisa scolastica. I capelli vennero legati in una lunghissima treccia corvina, mentre un filo di trucco comparve sul mio viso. Feci una seconda piroetta facendo svolazzare la gonna nell'aria poi l'intensa luce rossa scomparve, con anche la mia tuta, ed io ero pronta per la cerimonia.
La gonna marrone a pieghe mi lasciava scoperte le cosce magre, per fortuna avevo le gambe coperte fino alle ginocchia da delle calze nere. Soffrivo molto il freddo alle gambe. La camicetta bianca dalle maniche lunghe veniva sempre nascosta dal maglioncino nero che indossavo, se non per il colletto che spuntava fuori, messo in risalto dalla collana dalla pietra rossa che portavo sempre al collo. Apparteneva a mia madre, era un oggetto davvero importante per me. Era l'unica cosa che mi legava a lei.
«Wow che velocità» commentò Sebastian sorridendomi poi fece esattamente quello che avevo fatto io. Anche lui venne avvolto dalla luce rossa. I suoi vestiti scomparvero mentre fasce di luci avvolsero il suo corpo pallido e con un accenno di muscoli per poi far comparire la sua uniforme.
«Bene. Sono pronto, andiamo?» domandò passandosi una mano fra la folta chioma corvina. Annuii incantata dalla sua bellezza.
Quando varcammo l'entrata dell'enorme salone della mensa, tutti gli occhi si puntarono su di me e Sebastian ed iniziarono a parlottare tra di loro e a sghignazzare, facendomi sentire piccola piccola.
Sebastian lanciò occhiatacce a tutti poi mi prese per mano ed infine insieme andammo a sederci vicino ad Aqua, che aveva tenuto liberi due posti e che mi stava guardando in cagnesco.
«'Giorno gioia» esclamai dolcemente, facendole il labbrino. Aqua scoccò la lingua poi bisbigliò un «giorno anche a te» e poi mi accennò un sorriso.
Mio padre non si era lasciato mancare nulla. La sala era ancora più bella degli anni passati. Delle grandi lanterne dorate, illuminate da pietre magiche, fluttuavano nell'aria grazie all'aiuto della magia e rendevano il salone più caldo e accogliente.
Grandi lampadari di cristallo, a forma di stelle, erano stati appesi al soffitto per sostituire le solite luci a neon che illuminavano la sala.
I tavoli in cui normalmente noi alunni e insegnati mangiavamo erano stati fatti sparire, per poi venir sostituti da un'enorme palcoscenico, dove erano state disposte una quindicina di sedie per i docenti dell'Accademia ed al centro un leggio per mio padre.
I posti a sedere per noi alunni erano stati disposti in una trentina di file per una ventina di sedie. Il salone era decisamente enorme, d'altronde l'accademia ospitava tantissime persone.
«Buongiorno Aqua» mormorò Sebastian sporgendosi verso Aqua, passando con quel viso perfetto vicino al mio e facendomi perdere un battito. Da così vicino notai che aveva una piccola cicatrice vicino al sopracciglio sinistro e delle lunghissime ciglia.
Le mie guance divennero nuovamente di un rosso scarlatto e accaldate. Mi sentivo come un ghiacciolo lasciato sotto al sole cocente.
«'Giorno» disse atona poi fece spallucce ed infine mi lanciò un'occhiata traversa.
Sebastian ghignò poi scrollò le spalle ed infine iniziò a guardarsi in giro per ammirare l'enorme salone decorato per la cerimonia.
Mi incantai a guardalo e se non fosse stato per lo strattone che mi aveva rifilato Aqua, avrei fatto una stramega figuraccia.
«Tu mi devi raccontare un bel po' di cose, né nini?» mi sussurrò aspramente nell'orecchio destro.
Arrossii poi mossi le braccia in avanti in segno di negazione, «Non è successo nulla, ci siamo solo incontrati durante la mia corsa mattutina» bisbigliai al suo orecchio mentre tenevo gli occhi abbassati verso la mia gonna marrone.
«Eeeh» strillò lei facendo involontariamente girare tutti verso di noi. Abbozzai un timido sorriso con le guance dello stesso colore dei capelli della professoressa Hill poi sussurrai «scusate» e tutti tornarono con il corpo e il viso rivolto verso il palcoscenico, dopo ovviamente aver sghignazzato per bene.
«Aqua! Perché hai urlato? Che imbarazzo» borbottai imbarazzata, portandomi le mani sulle guance accaldate e sospirando rattristata.
La mezza sirena ridacchiò «Scusa, ma dai è evidente che ti piaciucchia» mi fece l'occhiolino poi mi diede una leggera spallata che mi sballottò in avanti.
Strabuzzai gli occhi e aprii la bocca, formando una "o" muta, «M-ma c-che dici!» balbettai in imbarazzo, aggiustandomi la frangetta e evitando il suo sguardo curioso. Lei si allargò in un sorriso divertito e pervertito.
Storsi la bocca, «Ti stai vendicando per il dottor Zhael!» esclamai fingendomi furiosa mentre le puntavo un dito accusatorio contro.
Lei fece finta di nulla, iniziando a fischiettare, «Ma va! Che dici!» esclamò, ovviamente fingendosi offesa.
«A-..» Aqua non mi fece finire la frase che sovrastando la mia voce esclamò: «Sta entrando tuo padre, shh» zittendomi all'istante.
Puntai lo sguardo in avanti e vidi mio padre entrare nel salone in tutta eleganza. Indossava un completo nero, glielo avevo appositamente scelto io per queste occasioni, che gli stava alla perfezione. Almeno non indossava quei vecchi abiti di cui non voleva mai disfarsi.
I capelli erano ben pettinati e pieni di gel per non far sembrare la sua testa un enorme criniera e gli occhiali sempre appoggiati sulla punta del naso, così da farlo sembrare un topo da biblioteca.
Salì sul palcoscenico, si piazzò davanti al leggio con un apposito microfono poi si schiarì la voce, «Benvenuti alla Ravenstorm Academy. Come ben saprete la nostra accademia offre la possibilità di studiare partendo dai più piccoli, ovvero dalla prima elementare fino ad arrivare alle superiori. Le razze che troverete in questa accademia sono per metà di una specie e per metà di un'altra che sia umana o demoniaca o marina o fatata o elfica, qui non ci sono distinzioni se non per i vostri dormitori e gli stemmi sulle vostre divise che più che altro servono a noi per distinguervi essendo in moltissimi. I corsi saranno molto difficili e complessi ma non vi demoralizzate, con l'aiuto dei vostri insegnanti e compagni riuscite a superare ogni cosa. Bene, ora diamo il via alle presentazioni dei professori» mio padre fece momento di pausa che lasciò tutti i nuovi arrivati con il fiato sospeso poi ricominciò «Non siate agitati! Non dovete mica essere selezionati per andare in guerra quindi calmatevi tutti, fate un profondo respiro poi continuo» disse con tono scherzoso mentre guardava con attenzione i novellini nelle prime file.
Mio padre ridacchiò, «Partiamo con la prima insegnante: la professoressa Louise Hill, lei insegna incantesimi demoniaci» la Hill varcò il portone con passo felino e ancheggiando in quella striminzita gonna rossa. Salutò tutti con una mano dalle unghie laccate di rosso e sorrise stizza, «Buongiorno a tuttii!» strillò allegra.
«Come sempre Louise ti trovo splendida!» commentò mio padre facendo ridacchiare tutti gli alunni nel salone. Mi portai le mani sul viso e scossi la testa disperata.
«Il secondo professore che voglio presentarvi è: Lawrence Hudson e insegna il controllo dell'elemento dell'acqua» gridò mio padre indicando il portone dai cui fece la sua entrata il professore Hudson.
Con un sorriso smagliante e sventolando una mano fece strillare tutte le ragazzine nella sala. Il professore Hudson aveva i capelli a spazzola color verde acqua e piccoli e allungati occhi color giallo pallido senza pupilla perché era per metà sirena e per metà fata. Era oggettivamente bellissimo, ma non era il mio tipo, lo era Sebastian.
«Salve fanciulle! Ciao ragazzi! Spero di divertirmi con voi durante l'anno» esclamò continuando a sventolare una mano fino a quando non si sedette vicino alla Hill su una sedia sul palcoscenico.
Mio padre gli fece un cenno poi tornò con la testa verso noi alunni.
«Date un benvenuto alla professoressa Tabitha Parker, lei insegna il controllo della terra» la professoressa Parker era una fata completa ed era un pochettino antipatica, ma proprio poco eh!
La Parker portava sempre, almeno da quando insegnava qui, un taglio carré dal colore della notte, un stupendo blu scuro, aveva grandi occhi color verde bottiglia senza pupilla e una pelle rosea e ben levigata.
Entrò in scena ancheggiando poi ci lanciò uno sguardo severo ed infine andò a sedersi vicino agli altri due insegnanti senza degnarci di un saluto.
«Venga Professore Michael Kaiser» esclamò mio padre «Lui insegna il controllo della Trasformazione in Licantropo».
Il licantropo varco la soglia passandosi una mano tra i folti ricci rossicci, sorridendo maliziosamente e guardandoci interessato con quelle pozze nere che si ritrovava come occhi. Aveva la pelle abbronzata che si notava dalle braccia muscolose, lasciate scoperte dalla maglia verde a maniche corte e che era dovuta al suo essere licantropo.
«Yo, ragazzi! Siate uomini!» gridò con la sua voce forte e alta facendo il segno delle corna con le dita e sventolandosele davanti al viso.
In verità ci siamo anche noi ragazze...eh.
«Oggi le presentazioni saranno un po' lunghe, perdonatemi ma è giusto che conosciate i vostri professori e che loro conoscano voi» disse sconsolato mio padre aggiustandosi agitato gli occhiali sul naso.
«La prossima insegnate è la signorina Velma West. Lei insegna una magia chiamata voodoo doll, ovvero il controllo di oggetti e persone».
La professoressa Velma West era una vampira ed era di una bellezza che ti lasciava senza parole. Aveva dei setosi e lunghi capelli che le arrivavano fin sopra al sedere di biondo cenere chiaro e aveva due splendidi e luminosi occhi dorati. Era sempre elegante. Infatti quando varco la soglia tutti tacquero. Una dea.
Indossava un vestito bianco a maniche lunghe di pizzo, lungo fino ai piedi che nascondeva quel poco di forme che aveva, ma che la rendeva quasi angelica. I capelli resi boccolosi e portati tutti sulla spalla sinistra. Il viso sempre impeccabile. Con un trucco leggero sugli occhi, ma pesante sulle labbra, un rosso acceso che gliele ingigantiva.
«È un piacere conoscervi» disse con voce melodiosa simile al canto degli angeli poi fece un piccolo inchino e nella sala scoppiò il putiferio. Tutti ad urlare e battere le mani per quella meraviglia.
Mio padre si schiarì la gola vicino al microfono così da farsi sentire da tutti. Tutti smisero di fare trambusto per poi lasciare a mio padre la possibilità di continuare le presentazioni.
«Il prossimo professore è Loegon Ravon ed insegna gli incantesimi curativi» Loegon era il cugino del dottore Zhael, entrambi usavano la magia curativa.
Loegon entrò, accompagnato dalla sua bambina di appena tre anni. Sorrise cordialmente a tutti. A differenza di Zhael, Loegon aveva lunghi capelli che gli arrivavano fino a metà schiena, lisci come spaghetti, di un bel rosso mattone e occhi color ruggine, con qualche sfumature di giallo a contraddistinguerli.
Salutò tutti molto cordialmente poi andò a sedersi vicino agli altri professori.
«Aaah, non finisce più» borbottò Aqua al mio fianco, stiracchiandosi sulla sua sedia. Ridacchiai poi con la coda dell'occhio guardai cosa stava facendo Sebastian che sembrava stare facendo la mia stessa cosa, ovvero spiarmi. Gli sorrisi poi tornai a guardare in avanti con il cuore nuovamente a mille. Lo sentii ridacchiare al mio fianco per poi ricomporsi quasi subito.
«Ne mancano quattro, quindi ora ne presenterò due alla volta» esclamò nuovamente mio padre con il viso ormai paonazzo. Anche per lui era una tortura presentare ogni insegnante ogni anno.
«Date un benvenuto alla professoressa Suzanne Nash, lei insegna come creare i portali magici. E alla professoressa Zelda Morez che insegna il controllo dell'elemento del fuoco».
La professoressa Suzanne era la più anziana fra tutti ed era una strega potentissima. Era lei che aveva creato l'altra dimensione per la scuola. Entrò al fianco della professoressa Zelda che sembrava essere in imbarazzo vicino alla Nash.
La professoressa Suzanne aveva i capelli brizzolati e leggermente mossi, gli occhi grigi e vitrei e la pelle pallida. Sulla guancia destra aveva una profondissima cicatrice. Aveva raccontato di essersela procurata durante uno scontro con un licantropo anni prima. Le dava una aria vissuta e di una che ne aveva passate molte.
«Siamo liete di conoscervi» strillò la professoressa Zelda facendo il segno del peace and love, accompagnato da un caloroso sorriso. La Nash fece spallucce poi con l'aiuto della professoressa Zelda, salì sul palcoscenico e insieme andarono a sedersi.
«Simpatica come sempre» commentò seccata Aqua scoccando la lingua contro al palato.
La professoressa Zelda era completamente diversa dalla Nash. Era molto sportiva e giovanile. Teneva i capelli a spazzola ed erano neri come il carbone e aveva due piccoli occhi giallastri con sfumature arancioni. I canini affilati e appuntiti di un bianco brillante erano sempre messi in bella mostra.
«Finalmente siamo giunti alla fine» si aggiustò nuovamente gli occhiali sul naso «Professore Robert Cole e professoressa Crystal Blue entrate pure. Loro insegnano: il professore Cole il controllo dell'elemento dell'aria mentre la professoressa Blue gli incantesimi acquatici».
Finalmente eravamo giunti alla fine delle presentazioni.
Il professore Cole e la professoressa Blue entrarono nel salone tenendosi a braccetto e salutando tutti molto calorosamente e con un grande sorriso sulle labbra.
Lui sempre impeccabile dentro al suo completo nero mentre la professoressa sempre mezza nuda, ovvero con indosso solamente un top blu a metterle in risalto il seno prosperoso, la pancia piatta e le sfumature azzurro che la ricopriva per la maggior parte del corpo. Una gonna lunga fino ai piedi azzurra con un enorme spacco che mostrava un intera gamba secca e i capelli raccolti per mostrare il suo collo lungo.
Il professore Cole aveva i capelli corti con il ciuffo più lungo color melanzana e aveva sottili occhi verdi oliva. Mentre la professoressa Blue aveva i capelli ricci e di solito lasciati sciolti che arrivavano fino a metà schiena, di un bel color acquamarina e occhi senza traccia di pupilla color rosa antico. Aveva la pelle pallida ma con sfumature azzurre intorno al viso, sulla pancia, sulle braccia e sulle gambe.
«Bene, ora che quasi tutti i professori sono stati presentati, si perché alcuni sono a casa per malattia, gli conoscerete più avanti, posso annunciarvi ufficialmente che oggi stesso iniziano le lezioni. Quindi affrettatevi ad andare nelle vostre classi. Mentre gli alunni delle classi ai cui mancano gli insegnanti permetto di lasciarvi liberi, ma non fate casino e non disturbate gli altri. Potete, se volete, assistere alle lezioni altrui. Ora andate in pace» concluse mio padre sorridendo allegramente. Poi senza preavviso riprese a parlare, «Mi sono dimenticato di dirvi che i ragazzi delle elementari avranno solamente due insegnanti. La professoressa Suzanne Nash che insegnerà le nozioni base sulla magia e la professoressa Elizabeth Martínez che insegnerà la storia del mondo magico e che purtroppo oggi è assente. Quelli delle medie impareranno incantesimi di bassa potenza, ma utili nel futuro. E quelli delle superiori impareranno tutto quello che serve per poter entrare e essere accettati nel mondo magico. So che gli insegnanti sembrano pochi per tutte le classi che ospitiamo qui, ma grazie ad un incantesimo i docenti si possono sdoppiare, triplicare o quadruplicare così da poterci essere per tutti. Ora ho veramente finito, andate pure».
Tutti applaudirono e fischiarono mentre si alzavano dalle loro sedie.
«Abbiamo un'ora buca» esclamai sbadigliando. Aqua fece un salto «Evviva!» strillò allegra.
Mancava la professoressa Elizabeth Martínez, ovvero l'insegnate della storia del mondo magico e dei suoi abitati, tra cui le varie specie.
«Che facciamo?» domandai grattandomi la nuca pensierosa mentre spostavo lo sguardo da Aqua a Sebastian che alzò le spalle.
«Io vado in biblioteca, a dopo» rispose con voce soave Sebastian, passandosi una mano tra i capelli poi mi fece un gran sorriso ed infine si incamminò verso l'uscita.
«Andiamo nella aula marina II?» chiese Aqua con sguardo sognante. Scrollai le spalle, «Va bene».
L'aula marina II era una grande stanza vicino all'aula marina normale, solo che conteneva unicamente una enorme piscina che veniva usufruita dalle sirene.
Dopo neanche quindi minuti, l'aula cominciò a riempirsi di sirene, amiche di Aqua e stare lì dentro stava diventando soffocante. Poi a parte il fatto che il bagno non me lo sarei mai fatto perché non indossavo il costume e perché non ne avevo voglia, decisi di andare a farmi un giro per non annoiarmi a morte, lasciando Aqua con le altre sue amiche.
 
Stavo camminando lentamente per il corridoio che portava alla biblioteca. Inevitabile mi ero ritrovata in quel corridoio. I miei piedi si erano mossi da soli. Non volevo assolutamente vedere cosa faceva Sebastian, nono.
Quando sentii un urlo femminile venire dal corridoio infondo all'angolo, sobbalzai per lo spavento poi presi a correre verso quella voce.
Svoltai l'angolo e mi ritrovai un enorme mezzo licantropo che stringeva le mani intorno al collo di Eleanor, soffocandola. I ricordi del licantropo, che mi aveva messo le sue enormi e callose mani intorno a collo, riaffiorirono. Trattenni a stento le lacrime vedendo quella orribile scena.
Mi sentii mancare il fiato quando percepii una gran quantità di magia farsi spazio in me. Mi scorreva nelle vene come metallo fuso, bruciava come lava incandescente e mi rendeva potente come una scarica elettrica.
Portai una mano in avanti e sentii la mia magia scorrere velocemente nelle mie vene. Le dita iniziarono a manifestare delle scintille viola che sembravano bruciarmi la pelle, poi dal nulla intorno al licantropo si formarono quattro cerchi magici con disegnate vecchie rune Tabao, che ancora non sapevo riconoscere, e una forte luce dello stesso colore delle scintille lo investì in pieno, facendolo gridare dal dolore.
Strinsi fortemente la mano a pugno e altre scintille si materializzarono e ancora più forte divenne la luce viola che circondava e sovrastava il licantropo.
Il licantropo, di cui ora non ricordavo il nome, si portò entrambe le mani sulla testa cadendo in ginocchio stremato e gridando dal dolore.
«Ti prego basta! Mi scoppia la testa» gridò ululando dolorosamente.
«Claribel!» gridò sconvolta Eleanor, appoggiata al muro di fronte al licantropo mentre mi guardava come se avesse appena visto qualcosa di mostruoso.
Chiusi gli occhi e portai l'indice e il medio vicini poi tracciai una linea invisibile verso il licantropo, spezzando il cerchio magico in cui lo avevo intrappolato, ma che non sapevo minimamente come avevo fatto a crearlo dato che ero sempre stata una frana negli incantesimi.
Il licantropo con un po' di fatica si alzò da terra e senza degnarmi neanche di uno sguardo, scappò con la coda fra le gambe.
Feci un profondo respiro per calmarmi poi preoccupata mi avvicinai ad Eleanor che sembrava ancora sconvolta.
«Stai bene? Sei ferita?» domandai preoccupata, appoggiando una mano sulla sua spalla.
Lei mi lanciò un'occhiataccia poi si scostò di dosso la mia mano, con un colpetto del dorso di una delle sue.
«Non avevo bisogno del tuo aiuto, ce l'avrei fatta anche da sola» sbraitò furiosa a pochi centimetri dal mio viso poi mi guardò ferita ed infine lasciò che una lacrima solitaria le solcasse il viso.
«El-..» la mezza fata mi si lanciò addosso, incominciando a singhiozzare sulla mia spalla per poi lasciarsi andare in un pianto vero e proprio.
La strinsi fortemente fra le mie braccia, cercando di calmarla un po'. Lei tirò su con il naso poi si aggrappò alla mia divisa, stringendola a pugno dietro alla mia schiena. Incominciai ad accarezzarle la testa poi le sussurrai se voleva venire nella mia camera per parlare e lei stranamente accettò.
«Tieni un bicchiere d'acqua» mormorai appoggiandole il bicchiere davanti alle gambe incrociate. Ci eravamo sedute sulla mia cassapanca che tenevo in fondo al letto.
Si strofinò il viso con la manica del maglione poi mi sussurrò un «grazie» ed infine prese il bicchiere e bevve un sorso d'acqua.
«Cosa voleva William da te?» la vedi tremolare al mio fianco mentre girava e rigirava il bicchiere fra le mani.
«Mi ha ricattato. Voleva pubblicare false informazioni sul mio passato per potermi rovinare. I licantropi vogliono comandare l'accademia» rispose tirando su con il naso e strofinandosi nuovamente gli occhi, ormai gonfi.
Ridacchiai poi scossi la testa «E tu credi che mio padre glielo permetterà? Non si fa e farà mettere i piedi in testa da dei teppistelli» replicai seria.
Annuì incerta sospirando debolmente, «Però il prossimo loro obbiettivo sei tu» sussurrò con voce flebile mentre la campanella suonava e segnava la fine della prima ora.
Si alzò di scatto, come se per tutto questo tempo avesse avuto una molla sotto al sedere, poi cercando di rimettersi in qualche modo in sesto con le mani, si girò verso di me «Vedi di non raccontare nulla a nessuno, ci siamo capito demone?» domandò acidamente, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
Annuii, «S-si».
Però prima di uscire del tutto dalla mia stanza, Eleanor mi rifilò un piccolo accenno di sorriso che ricambiai felice.
Appena chiuse la porta alle sue spalle scoppiai in una pianto disperato. Mi sentivo strana. Cos'era stato quel incantesimo di prima? Come avevo fatto a crearlo? Io ero la prossima? Cosa dovevo fare?
Presi un cuscino dalla stoffa fiorellata tra le mani poi me lo portai al viso ed infine ci soffocai all'interno un urlo misto alle mie lacrime di disperazione.
Cosa dovevo fare? Aiuto.

 

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