Il nostro nome è morte...

di Avenal Alec
(/viewuser.php?uid=157339)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 + Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
 
….quando la loro essenza vitale si unirà,
Nel fievole istante prima del nulla,
 Morte risorgerà.
Morte cadrà sul mondo,
 Sarà caos e distruzione
L’alba sorgerà su un nuovo mondo.
Il ciclo ricomincerà,
in passato come nel presente e nel futuro,
così nei millenni a venire.
 
Tum
Tum
Il suo cuore che batte, il rumore del suo sangue nelle vene.
Sempre più forte, sempre più vicino
Tum
Tum
Il mio cuore che batte, il rumore del mio sangue nelle vene
Suo e mio, mio e suo.
Tum
Tum
Corro, il mio passo non cambia, scivolo tra la gente, le lotte e le barricate.
Scavalco, mi arrampico, i tetti della città scorrono sotto di me.
Tum
Tum
L’obiettivo è laggiù, non è lontano.
So cosa fare e il nostro viaggio presto comincerà.
Tum
Tum
La rosa dei templari sarà fra le mie mani, la nuova era avrà il suo inizio.
Sguaino la spada, attacco chi mi si para di fronte.
Tum
Tum
Pochi gradini, i miei passi risuonano sulle tavole di legno del patibolo.
Un affondo nel ventre molle di una guardia.
Tum
Tum.
Mi volto, la rosa è di fronte a me.
Silenzio fra noi, solo l’urlo della folla ci circonda.
Tum
Tum
Il tempo scorre.
Una lacrima di sangue corre sul filo della spada, scivola a terra colorando di rosso il tavolato.
Tum
Tum
Lei mi guarda, un lampo di riconoscimento.
Due bambini che giocavano assieme in un giardino di rose fiorite.
Tum
Tum
Scruta i miei occhi scuri sotto il cappuccio poi.. un cenno.
Taglio le corde che la tengono prigioniera.
Tum
Tum
Le lancio una spada che afferra al volo.
La rosa dei templari è stata trovata.
Tum
Tum
La ruota del tempo ha cominciato a girare.
Morte risorgerà.
Tic
Tac…
 
20 anni prima
 
“Venti, ventuno, ventidue…” il bambino continua a urlare i numeri mentre il suo viso è poggiato contro il tronco di un albero. Il braccio sulla fronte per non vedere attorno e non graffiare il suo volto contro la corteccia. Arrivato a trenta si stacca, “Via!” urla prima di correre a cercare la compagna di giochi nascosta chissà dove fra i roseti della villa padronale.
Percepisce la presenza della bambina, il battito del suo cuore, ma l’istinto non si è ancora affinato.
Osserva con attenzione fra i cespugli verso l’ala est della casa quando, con la coda dell’occhio, coglie un movimento alla sua sinistra, una gonna blu. Si volta di scatto e si mette a correre in direzioni del tronco dove ha contato. Troppo tardi, la ragazzina ha un margine troppo ampio per poterla battere e la risata argentina che lei si lascia sfuggire ne è la prova. Pochi istanti prima di lui tocca con la mano il fusto.
“Vinto!” trilla prima di lasciarsi cadere sull’erba per prendere fiato. Il ragazzo si accascia vicino a lei.
I loro respiri ansanti si mescolano con i suoni del giardino, il fruscio delle foglie, il cinguettio di un passero e le parole portate dal vento dei loro genitori.
Sentono una voce alzarsi, è quella di un uomo.
I due ragazzini si guardarono negli occhi, una consapevolezza che ha il sapore di un antico sapere. Entrambi sanno che le loro vite devono prendere strade diverse, così è stato nei secoli passati così succederà di nuovo. Le loro famiglie intrecciate da una leggenda. Vite vissute e spezzate per una storia narrata tra i focolari dei vecchi.
Chissà se anche gli altri ragazzini delle loro casate prima di loro percepivano lo stesso legame.
Si alzano all’unisono e, tenendosi per mano, raggiungono il patio in cui sono riuniti i loro genitori, le alte cariche della Confraternita dei Templari e la Gilda del Drago Rosso.
Gli adulti riuniti scorgono i bambini salire le scale, le loro dita intrecciate, i loro movimenti all’unisono.
Isabelle de Variy le trecce fulve, gli occhi di giada e Sebastian Gaunt dagli occhi di onice. Due giovani virgulti, anime antiche in corpi appena cresciuti.
Gli adulti li osservano.
Nelle loro menti un’unica domanda: saranno loro? saranno le loro le anime che disperse nel limbo del tempo si uniranno per risvegliare Morte? L’ora è ormai giunta o è l’ennesimo fallimento?
 
Due germogli di opposti destini
La croce e il drago
La mente e il braccio
L’onice e la giada
Uniti per poco
Distanti per tanto
Corpi separati
Anima unigenita
Il loro nome è Morte
Il loro destino è Morte
 
 
“Siamo pronti” dicono all’unisono i due bambini.
Il gemito delle madri si leva fra le persone riunite. Una si slancia verso la giovane figlia, si aggrappa a lei nella vana speranza di trattenerla a se. I singhiozzi dell’altra madre le fanno da contraltare, aggrappata al marito, il volto nascosto nell’incavo del suo braccio, non vuole ammettere a se stessa che il suo unico figlio maschio le verrà strappato per un storia che viene raccontata come se fosse una favola.
La figlia abbraccia per un istante la madre poi la sposta dal suo corpo con amorevole decisione.
“Vi voglio bene madre” le da un bacio sulla fronte, alza gli occhi verso il padre, un cenno e l’uomo si avvicina e porta via la moglie.
I bambini osservano i padri abbracciare le madri e portarle lontano, sperando che esse dimentichino di aver mai avuto dei figli.
Quando i genitori sono lontani dalla loro vista i bambini volgono il loro sguardo agli uomini schierati su due ali di fronte a loro. Isabelle e Sebastian non si guardano, non ne hanno bisogno, percepiscono il battere del cuore dell’altro, la forza vorticosa nelle loro vene, camminano ognuno sulla strada tracciata per loro dal destino. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Tum…tum.
Il mio sangue e il suo sangue rimbomba nella mia testa. I nostri respiri affannosi si mescolano in quella cantina in cui abbiamo trovato rifugio. Le mie mani sulle ginocchia, lei accanto a me nella stessa posizione. 
Uno specchio eravamo uno specchio siamo. 
Così deve essere ma non è ciò che sento. 
L’ho osservata di sfuggita durante la lotta per scappare dai tumulti, dalla folla inferocita, dalle guardie. Non è lei, un vago ricordo del prima ma ora?.
La guardo di sottecchi, aspettando il suo sguardo su di me, non c’è, i suoi occhi sono bassi. 
Tum…..tum, 
tum,tum
Il rumore sempre più fievole, una nota stonata, i nostri respiri, i nostri battiti non sono all’unisono, l’anima antica divisa fra noi urla nelle nostre menti. 
Cupe visioni di buio e luci fiammeggianti. 
Morte chiama, noi dobbiamo rispondere a quella chiamata.
Scrollo la testa, tento di snebbiare la mente. Lei è immobile, non sente, non prova ciò che sento e che provo?
Chi è questa giovane donna che mi è accanto?
L’ira s’impossessa di me, uno strano desiderio di distruzione. Un sapore acre nella bocca, non sono stato addestrato per lasciarmi andare. Calcolo, freddezza e decisione sono stati il mio credo alla Gilda del Drago Rosso. 
Cammino su e giù nella stanza, la mia mente allenata analizza ogni angolo, valuto ogni possibilità di fuga. 
So che è solo un trucco per non slanciarmi verso quella donna. 
Vorrei scrollarla con forza e urlarle “Non senti che Morte chiama?, rispondi alla sua chiamata, fa che il nostro fato espleti il suo disegno”
Ma continuo a girare, gli occhi saettano da un angolo all’altro della stanza mai troppo distanti dalla fanciulla.
Sento ora i suoi occhi su di me,
Mi scruta, lo sento, 
Mi pesa, lo vivo,
Mi osserva, non voglio.
Voglio che parli al mio cuore, alla mia anima. 
Voglio che il rumore torni un unico battito fra noi.
Si avvicina a me, il momento è ormai forse giunto? Perché l’interferenza di sottofondo non cede il passo all’armonia?
Chi sei o giovane fanciulla promessa, metà della mia anima, sposa del mio destino?
I nostri occhi s’incontrano, ci scrutiamo, all’unisono li chiudiamo entrando in noi. 
Eccola finalmente l’onda che sale, la musica, la melodia della tempesta che alberga nell’infinito. 
Un ricordo lontano riaffiora, parole di una leggenda: 

 
Le due anime allontanate dal tempo s’incontreranno, 
si riconosceranno 
il loro viaggio comincerà.

Entrambi sentiamo l’anima divisa, scalpita per rompere la membrana del limbo in cui è stata rinchiusa millenni orsono. Morte giace immortale fuori dal tempo ma presto sorgerà e la nuova Era comincerà.
Fa le fusa come un gattino, cullata dall’armonia dei nostri battiti. Si addormenta vigile in un angolo della nostra mente. 
Tornerà quando il viaggio terminerà, quando saremo pronti al sacrificio.

Apriamo gli occhi, il nostro riflesso nello sguardo dell’altro, un cenno d’assenso, la via è di nuovo chiara.

“Ricordi la strada” chiedo a Isabelle, sono venti anni che non ci vediamo ma quello che doveva essere detto è già stato raccontato quando i nostri occhi si sono incontrati. Non serve riferirle come io sia riuscito a trovarla e ciò che ho fatto.
“Si! Ora dobbiamo uscire dalla città prima che sorga un nuovo giorno.”
Faccio un cenno di assenso. Scapperemo nella notte, nascosti dalle ombre. Passeremo sui tetti, le strade sono bloccate dalle milizie e dai civili che si sono barricati. 
La guerra civile, un piccolo contrattempo, i sintomi dell’arrivo di Morte.
“Riposeremo alcune ore poi partiremo” replico prima di cercare un angolo in cui chiudere gli occhi e far riposare le mie membra stanche.
Lei mi osserva in silenzio poi con attenzione si siede a terra, un gemito le sfugge fra le labbra serrate.
Mi allarmo. 
“Sei ferita?” chiedo inginocchiandomi subito vicino a lei.
Un gesto immediato di diniego, i suoi occhi mi scrutano, un’incertezza si legge nel suo sguardo. 
Serra con più forza le labbra.
Un gesto d’assenso. 
Scosta il mantello, uno squarcio sul fianco del suo corpetto. Macchie di rosso brunito formano strani disegni sugli abiti dorati.
“Spogliati!” le ordino mentre cerco delle erbe per curarla nella piccola sacca da viaggio che porto con me.
Leva il mantello, ma, quando le sue dita ancora sporche di sangue rappreso toccano i lacci del corpetto, un nuovo gemito l’assale. Non ha forza in quelle dita, il suo corpo è debole. Ecco perché la melodia ha tardato a farsi sentire.
Mi accosto a lei, tocco le sue dita, le scosto dall’abito.
“Faccio io” le dico in un sussurro.
Un attimo di esitazione poi lei ritrae le mani, poggia la schiena al muro, il suo capo contro la parete. Chiude gli occhi per controllare il dolore che la affligge.
Sfioro con delicatezza i lacci e sciolgo i nodi. Sposto il corpetto in broccato e la candida camiciola in lino fa capolino fra le pieghe, il taglio sul tessuto sembra netto ma il sangue si è seccato attorno alla ferita.
Rifletto, provo a strattonarlo, Isabelle si lascia sfuggire un gemito.
Mi guardo in giro, trovo ciò che cerco e in pochi istanti riesco a fare un piccolo fuocherello, scaldo dell’acqua e con un panno umido comincio ad ammorbidire il tessuto e il sangue quando basta per poter staccare agevolmente il tessuto dal fianco.
“Ti devo medicare, spogliati” ordino.
Gli occhi verdi, rimasti chiusi per tutto il tempo, si aprono e si posano sui miei. Mi sta pesando come se non mi conoscesse. Serro la mascella infastidito da quell’esame. “Sono io!” vorrei urlargli “non mi riconosci?”.
Il riverbero di quel pensiero sembra raggiungere la ragazza, con un movimento appena accennato del mento mi da il permesso di aiutarla a spogliarsi.
Con cura l’aiuto a togliere il corpetto e a sollevare la camiciola.
Il rosso spicca sulla pelle pallida di Isabelle. Con calma ripulisco la ferita, è un taglio superficiale, netto per fortuna, non servirà ricucire nulla. 
Lascio che le mie dita si scaldino nel dolce tepore di quel contatto. Una  vibrazione  sconosciuta si propaga nel mio corpo.
Il mio sguardo è attratto dalla curva morbida del seno che s’intravede dalla camiciola scostata. Sento palpitare una strana sensazione, mi allontano scottato da quella vista. 
Il mio corpo, su cui normalmente ho il più ferreo autocontrollo, sembra ribellarsi al mio volere.
Cerco di calmare il desiderio che mi assale, fingo di frugare nella sacca da viaggio, la mia voce si fa brusca. “Non è niente di grave, ti rimarrà solo una lieve cicatrice”.
La giovane si lascia sfuggire una mezza risata sarcastica.
“Presto dove andremo il mio corpo non esisterà più, niente di noi esisterà”
Quel tono scoraggiato mi colpisce. Alzo gli occhi e la osservo.
Isabelle percepisce la domanda inespressa nel mio sguardo.
“Beh è così che finirà!”
Rimango sgomento da quell’atto di ribellione. Dovrebbe essere contenta, noi diventeremo la chiave, quello è sempre stato il loro destino.
“Come puoi parlare così, questa è la nostra vita, il nostro fato” Chiedo in un sussurrò.
Isabelle mi guarda, si morde il labbro, indecisa se parlare, esprimere il rancore, la lotta che si porta dentro.
“Hai mai desiderato altro nella vita Sebastian” chiede quindi.
Non capisco la domanda, il nostro destino è stato scritto millenni prima della nostra nascita. Ogni cosa è stata fatta per raggiungere Morte, l’ultimo sacrificio. 
La sua sembra una domanda insensata, non so cosa rispondere.
Il mio animo preferisce scappare.
“Siamo entrambi stanchi, è meglio dormire” ribatto brusco.
Cerco un luogo dove coricarmi, le volto la schiena.
 Chiudo gli occhi tenendola fuori, ma la mia mente viaggia verso ribellioni lontane, quando ho desiderato qualcosa di diverso da quello che il dovere ha imposto sul mio cammino.
Sento il sospiro di Isabella, i suoi occhi puntati sulla mia schiena. 
Non voglio rispondere a quella muta chiamata.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Camminiamo ormai da giorni, siamo usciti dalla città in subbuglio con facilità, abbiamo parlato poco durante le lunghe camminate e, la sera, troppo stanchi cadevamo in un sonno senza sogni.
Il tempo è ancora dalla nostra parte.
Isabelle ha dimostrato delle capacità rigenerative insperate.
Morte non vuole che il suo frutto sia avvelenato dalla mortalità umana. 
Superiamo il declivio di una collina erbosa, oltre finalmente troveremo il luogo della profezia. 
Il luogo in cui Morte risorgerà e il nostro destino si compirà.
Man mano che ci avviciniamo alla macchia boschiva dove il rito avverrà sento Isabelle rallentare il passo. Una cosa impercettibile, eppure è lì, comincia a crearsi una distanza fra noi. 
Una forza mi spinge ad andare avanti eppure, qualcosa mi trattiene, ciò che mi lega a lei.
Rallento il passo, volgo lo sguardo. 
Un cenno a volerle dire di affettarsi ma lei sposta lo sguardo verso l’orizzonte alla sua sinistra. Non vuole incontrare i miei occhi.
Mi fermo l’aspetto.
“Cos’hai?” le chiedo aspro, infastidito da quel comportamento.
Non mi guarda, preferisce osservare l’erba che calpesta.
L’istinto mi guida, mi avvicino a lei, le blocco il braccio e la obbligo a girarsi verso di me.
Isabelle alza il suo volto, due occhi colmi di lacrime trasformano le sue iridi in smeraldi.
La lascio andare, barcollo all’indietro come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato con forza.
Chiudo gli occhi, dov’è lei, non la sento, solo i suoi occhi piangenti riempiono la mia mente.
Li apro terrorizzato.
No, non accadrà!
Devo lottare contro il panico che mi assale.
Non sento Morte, non vedo la morte, solo il viso di una giovane terrorizzata.
Sento il mio respiro farsi affannoso, il mio cuore è in tumulto.
Apro gli occhi.
Lei mi guarda, la paura nei suoi occhi.
Devo essere forte, per me, per lei, per la profezia, per il mondo che verrà.
“Perché?” chiedo in un sussurro, so la risposta, ma ho paura di sentirla.
Il suo sguardo mi trafigge, una decisione nelle sue parole “Non voglio morire”.
Il tempo rimane sospeso fra noi, la mia bocca è serrata, non riesco a proferire parola. Una voragine si è aperta nella mia anima, risucchiata in qualcosa di sconosciuto. Sento Morte aggrapparsi con i suoi artigli ai margini di quella voragine, mi lacera l’anima scalfendola in profondità.
Ho sempre preso la vita fra le mie mani con decisione, niente ha mai intaccato la mia sicurezza fino a questo momento. Ora sento il mio animo fragile sgretolarsi sotto i suoi occhi circospetti.
Inghiotto, cerco le parole ma non le trovo.
Scappo, come sono scappato il giorno in cui l’ho salvata dall’impiccagione. 
Ora le ho voltato le spalle e cammino per raggiungere il luogo che è sempre stato la nostra ultima meta.
Non voglio sapere se mi segue.
Voglio credere che lo farà.

 
La mente, il braccio, l’onice e la giada
Lotteranno, cambieranno,
parole non dette li divideranno
parole mai urlate li uniranno
un unico sentimento, un unico tormento
un unico inganno
Morte non è morte..

Cammino deciso, un passo alla volta, attratto dall’inarrestabile forza che mi spinge verso il bosco, in mezzo agli alberi, fra i ruderi di una città leggendaria distrutta dal tempo e dall’oblio del passato, nascosta dagli occhi indiscreti dell’umanità.
Più mi inoltro nel centro della vecchia città più essa sembra mostrare i segni della sua bellezza passata. Osservo ogni cosa con sempre maggiore stupore, gli arbusti, gli alberi e le rovine cedono il passo a edifici intatti e giardini curati. Nel silenzio innaturale della città i miei passi risuonano lungo le strade lastricate in pietra. Sono circondato da una città fantasma cristallizzata nel tempo. 
Un brivido mi scorre lungo la schiena, ma il mio corpo non teme quel luogo e i miei passi mi portano sempre più vicino al posto dove troveremo riposo prima che il sacrificio venga compiuto.
Sento la mia anima colma di tranquillità, il mio essere più profondo chiama casa  questo luogo. Spero che lo stesso sia successo anche ad Isabelle.
Mi volto istintivamente sperando che mi abbia seguito, che abbia sentito la forza attrattiva della città.
Un sospiro mi sfugge dalle labbra quando mi rendo conto che lei non è distante da me. Il suo volto scruta ogni casa, ogni tetto e finestra, ogni giardino e architettura. È così diversa da quella del nostro tempo, gli edifici ricordano gli antichi palazzi di pietra bianca dei nostri antenati.
Mi fermo ad aspettarla, so che non potremmo mai entrare nella casa di Morte se non siamo insieme. 
Così ci è stato insegnato, è per questo che siamo stati addestrati, ogni cosa deve essere fatta nel giusto modo se vogliamo che Morte risorga e la leggenda si compia. 
La Gilda del Drago Rosso protegge il sapere della Confraternita dei Templari. Sono stato cresciuto ed addestrato per proteggere la Isabelle, la Rosa dei templari ,che ha impiegato anni per conoscere, comprendere, capire le parole delle sacre profezie. 
La osservo incerto, lei è la chiave di ogni cosa, farà ciò che deve essere fatto?. 
Il viso di Isabelle è smunto, i suoi occhi privi di espressione, un corpo che cammina.
Un sussulto, non sento la sua anima, che tutto sia ormai perduto.
Mi si avvicina, vorrei dirle qualcosa ma mi supera senza rivolgermi nemmeno uno sguardo. Cammina decisa fra le strade, cambiando a volte direzione, un filo invisibile la muove.
La seguo a pochi passi di distanza. La mia mano stretta all’impugnatura della spada. Sono all’erta ma sto anche cercando conforto nella concretezza della spada in questo luogo così irreale.
Isabelle si ferma di botto, le sono subito alle spalle.
La strada si apre in una piazza circolare fiancheggiata da due ali di colonnati, di fronte un edificio squadrato e bianco sormontato da una cupola celeste. 
Sento Isabelle respirare profondamente.
Fa un passo, poi un altro, io sono sempre un passo dietro a lei. È quello il mio posto. 
Non capisco come sia possibile, per tutto il viaggio abbiamo camminato uno a fianco dell’altro, ma, ora, so che il mio compito è scortarla verso il nostro destino. 
Attraversiamo la piazza.
 Sono circospetto, il mio sguardo scandaglia e analizza ogni angolo dello spazio. Tutto mi appare così semplice, troppo.
Mi è stato insegnato ad essere sempre pronto ad ogni evenienza.
Isabelle davanti a me invece sembra essere calma. 
Così diversa da prima.
Arrivati di fronte al portone a due battenti, Isabelle si ferma, si volta verso di me.
Non ho bisogno che mi parli, qualcosa dentro di me ha sussurrato i comandi.
Faccio un passo e sono accanto a lei.
Alziamo all’unisono i palmi delle nostre mani e li poggiamo sul metallo brunito dell’ingresso. 
Rimaniamo immobili.
Chiudiamo gli occhi.
Uno strano tepore ci assale e percorre le nostre membra stanche dal lungo viaggio.
Sotto i nostri palmi sentiamo il solido battente di metallo mutare forma, consistenza, un sostanza vischiosa cattura le nostre mani.
Veniamo tirati contro la porta, istintivamente cerco di fare resistenza ma la forza che mi attrae è troppo forte. 
Razionalmente so che dovrei lasciarmi andare ma il panico mi assale, odio essere bloccato, rinchiuso, catturato.
Comincio a strattonare con più forza man mano che le mie braccia vengono racchiuse nel fluido viscoso. Quando ormai sto per perdere il controllo sento una voce nella mia mente “rilassati, sei al sicuro, lasciati attrarre dalla soglia, è l’ultimo passo prima di incontrare Morte”.
Il tono tranquillizzante di Isabelle fa breccia nella mia mente.
È la prima volta, da quando ci conosciamo, che lei mi parla attraverso il pensiero. 
Sapevo che le nostre anime erano legate ma non mi sono mai reso conto di quanto.
Cerco di calmare la respirazione, trattengo il mio corpo che vorrebbe allontanarsi dalla sostanza che lo sta inglobando.
È arrivato al mio torace, non posso fare a meno di reclinare il capo all’indietro.
Se inserirò la testa in quel liquido non respirerò più. 
Morirò.
Il pensiero fulminante saetta nel mio cervello.
Non voglio morire.
Respiro affannoso, perché ora, perché qui.
Anche il mio corpo si ribella.
Nuovamente un sussurro nella mia mente, nuovamente Isabelle che trasmette alla mia mente una dolce melodia.
Mi concentro su di essa, un ricordo che giunge da lontano, una poesia che recitavamo  quando la paura del nostro destino ci avviluppava nella sua oscurità.
La mia mente comincia a mormorare le parole, un unico suono sgorga dalle nostre menti.

 
I sìn coma la cjandela
ca fâs lûs finche and 'e cera
ma na volta consumada
a ven gnot prima di sera.

La sô flama trimulina
a da vita fin ca splent
ma e na vora delicada
po studasi dal moment.

Il clarôr ca fâs di sera
fin al scûr ca le plui font
nus compagna pa che strada
par no pierdisi pal mont.

Nô sin come la cjandela.
al puest da flama vin il cûr
e a chell'aníma di stopa
nô la vin, ma chê no mûr.*


Mi lascio cullare da quelle parole, la mia mente vaga tornando al passato.
Sento il mio corpo farsi leggero.
Sono libero.
Apro gli occhi di scatto!
Di fronte a noi un’altra porta istoriata dai riflessi d’oro e avario. Alla nostra destra e sinistra un lungo corridoio di candido marmo bianco. Degli archi a sesto acuto  sormontano il passaggio. Analizzo ogni elemento, sono tornato finalmente lucido, ma sento rivoli di sudore scorrere lungo il collo, bagnarmi giubba e la camicia. 
Respiro profondamente, volgo lo sguardo verso Isabelle.
Scruta la porta di fronte a noi, la sua pelle quasi diafana è tesa sui suoi zigomi. La mascella rigida.
Non scorgo i suoi occhi ma la mia anima li vede.
Sono vuoti come chi ormai ha perso ogni speranza. Sento una stretta al cuore.
Mi accosto a lei.
La mia mano sulla sua spalla, spero che il tepore di quel contatto le dia forza. 
Comprendo in un instante che è per quello che sarei dovuto essere addestrato, per essere la sua forza, non con il braccio, non con la mia maestria di spadaccino ma con la mia anima. 
Ma, forse, non sono in grado.
Lei si volta verso di me.
Ci guardiamo, non siamo pronti, lo sappiamo eppure nell’attimo stesso in cui siamo entrati abbiamo capito che non c’è fuga per noi, il destino che è stato scritto prima che noi nascessimo, per il quale abbiamo lottato per anni si è ormai compiuto.
Un ultimo sacrificio e Morte risorgerà.
Noi siamo Morte, questo è il nostro nome. 
Lascio cadere la mano.
Null’altro c’è ormai da dire.
Mi volto, percorro il corridoio, sopra la mia testa, sul soffitto, lo stemma della Gilda del Drago Rosso guida il mio cammino.
Isabella compirà il suo percorso, prenderà l’altro corridoio dove lo stemma della Confraternita dei templari apre la via.
Il corridoio non è lungo. Mi fermo di fronte una porta di semplice legno scuro.
So cosa troverò dall’altra parte.
Una stanza per purificarmi prima del rito.
Stringo la maniglia con la mano, le mie nocche si sbiancano per la forza che imprimo sul quel semplice metallo.  
Ho sempre saputo che non sarei mai potuto tornare indietro  eppure, solo ora, tutto mi sembra così assurdo.
Scrollo la testa e supero la soglia.

-----------------                          -----------------------------                      ----------------
*Traduzione: Siamo come la candela/ che fa luce finché c’è cera /ma una volta consumata / crea la notte prima di sera. / La sua fiamma tremolante /da vita finché splende / ma è molto delicata /può spegnersi in un momento. / Il chiarore che fa la sera /raggiunge anche il buio più profondo/ Ci accompagna per la strada/ per non perdersi nella mondo./ Noi siamo come una candela/ Al posto della fiamma abbiamo il cuore/ e quell’anima di stoppa/ non l’abbiamo, ma non moriamo.
Poesia in friulano di : Bruno Cargnelutti.  

N.d.A. il prossimo capitolo verrà pubblicato il 22 novembre.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
 
Galleggio nell’acqua della vasca. Avvolto da profumi primaverili. La stanchezza del viaggio, i dubbi e le incertezze sembrano essere svaniti. Non ricordo nemmeno cosa mi abbia spinto, dopo aver superato la soglia, a dirigermi nella sala da bagno. L’istintiva necessità di purificazione forse.
Lascio che la mia mente vaghi, i pensieri si rincorrono senza una direzione precisa. Sento il mio cuore battere, il sangue scorrere nel mio corpo e rimbombare nella mia testa.
Una melodia ritmata attrae la mia attenzione, mi slancio verso l’esterno, l’irrazionale terrore di rimanere incastrato in questa vita terrena, di nuovo bloccato nelle porte che ho attraversato poco prima.
I colori svaniscono in un candore opalescente, una luce blu saetta davanti ai miei occhi chiusi. La inseguo.
Sento un battito accostarsi al mio, abbasso gli occhi, allungo la mano e tocco quella di Isabelle. Anche lei come me è stata attratta dalla melodia, da quel luogo.
Mai come in questo momento le nostre anime, i nostri corpi sono così reali. Forse è questo il passaggio per invocare Morte?.
Niente di questo luogo fa paura, perché non temo quello che succederà?
Perchè non temo la morte come è capitato entrando nel tempio?
Una risata cristallina fa da contraltare alle mie domande.
“Era la porta della verità. Solo i predestinati possono superarla.”
La mia mente è confusa, non ho mai avuto dubbi sul mio destino eppure davanti a quella porta mi sono bloccato, ho avuto paura.
“La verità è figlia del dubbio. Morte doveva essere certa del nostro valore. Le nostre anime dovevano essere unite per superarla.”
Ciò che Isabelle dice alla mia mente fa ancora più male, cosa ho fatto io per lei?, se lei non mi avesse accompagnato con le sue parole attraverso il varco ora non sarei qui. Ripenso al modo in cui l’ho trattata solo poche ore prima. L’ho abbandonata a se stessa e alle sue paure.
Sento il mio corpo ritrarsi, rimpicciolirsi. Raccolgo le gambe contro il costato. Nascondo il mio viso.
Strato dopo strato ogni certezza svanisce lasciando solo il nucleo di un bambino che a cui è stato affidato un destino troppo grande.
Rimango immobile fino a quando non sento due braccia avvolgermi, cullarmi.
Isabelle è accanto a me, come io non sono mai riuscito ad essere per lei.
Dove ha trovato la forza per contrastare le sue paure quando le mie sembrano sommergermi.
“Ho lottato Sebastian. Sto ancora lottando e, nel  mio intimo, ho capito che solo io posso e devo decidere ciò che succederà. Non una profezia, non Morte che alberga in noi deve decidere per noi.”
“Ma non si può dire No a Morte”, rispondo alla sua mente scioccato .
La sua risata divertita invade la mia mente.
“O forse si? nulla sappiamo di Morte se non antiche leggende e frasi mormorate.”
Lentamente il silenzio prende il posto del riverbero della risata di Isabelle, mentre le sue ultime parole continuano a girare nella mia testa. Cerco di darne un significato ma sfugge alla mia mente. Sento ormai il mio corpo richiamarmi. Nulla posso fare per contrastare questo movimento.
Apro gli occhi, sono ancora nella vasca.
Presto incontreremo morte ma non mi sento pronto.
Il pensiero non mi abbandona, vago negli appartamenti a me assegnati senza vedere nulla di ciò che mi circonda. Non l’assenza di finestre che in un’altra vita mi avrebbero fatto sentire imprigionato. Non i Tendaggi in broccato rosso che decorano le pareti dai colori perlacei. Non i Cuscini e tappeti che creano confortevoli zone in cui rilassarsi. Non l’opulenza di questo luogo così diversa dai luoghi in cui sono cresciuto. Posti in cui le regole frugali della Gilda mi hanno addestrato a questo.
Scuoto la testa stizzito, preparato a cosa?
Non sono pronto a ciò che succederà, non lo sono mai stato. Ogni cosa sembra sbagliata. Arranco in questo turbine di pensieri che non mi sono mai appartenuti. Sono un guerriero addestrato per essere mortale. Sono stato cresciuto per proteggere la Rosa durante il viaggio e compiere l’ultimo sacrificio.
Ora, qui, in questa stanza, in questo luogo dubito di me stesso, di ciò che sono stato e di ciò che sarò in grado di fare.
Mi muovo come un animale in gabbia, preso tra mille pensieri quando un inaspettato bussare alla porta mi fa sobbalzare. Afferro l’arma che ho lasciato su uno dei mobili, so che in quel tempo non c’è nessuno oltre a me ed Isabelle eppure, sentire fra le mie armi la solida elsa della spada che mi è sempre stata fedele compagna, mi rasserena e mi dona l’equilibrio mentale che ho perso da quando siamo arrivati all’interno della casa di Morte.
Mi accosto alla porta in legno e con attenzione la apro. Il corpo nascosto dietro al battente, mostro solo di profilo del mio viso lasciando così la minor parte del mio corpo esposta ad un attacco.
I nostri sguardi si incontrano, la connessione si ristabilisce.
La percepisco come anche la parte più profonda di me aveva fatto poco prima di aprire la porta. La stessa parte a cui non ho voluto dare retta, aggrappato all’idea di un nemico visibile che avrei potuto sconfiggere e che avrebbe dato uno scopo alla mia esistenza.
Abbasso l’arma sgomento di me stesso, da ciò che sono.
Ogni cosa sta crollando attorno a me.
Vorrei che Isabelle se ne andasse, non guardasse il relitto in cui mi sto trasformando eppure so che non posso allontanarla, lei è già con me, lo è sempre stata, molto prima che io ne fossi consapevole.
Le sue parole erano ciò che io non osavo dire, mi sento umiliato eppure so che devo lasciarla entrare.
Morte chiama non possiamo lasciare il suo richiamo senza risposta.
 
Quando l’anima tormentata troverà pace, Morte risorgerà
Il destino dei due viandanti si compirà
Così sia, ora e per sempre…
 
Apro la porta e lascio entrare Isabelle. I nostri sguardi s’incontrano, i miei tormenti riflessi nelle sue iridi. Il pallore del suo viso ingrandisce a dismisura i suoi occhi scavati dalla stanchezza. Sulle labbra un lieve sorriso che mi coglie impreparato.
Mi passa accanto, il profumo di agrifoglio segue la scia del suo passaggio, il fruscio della candida tunica in lino e l’unico fievole rumore nella stanza. Anche i suoi passi sono lievi.
È scalza, lo vedo dalle lievi impronte visibili sul lucido pavimento nero della stanza, un ombra che dura un’istante prima di scomparire.
Si lascia cadere con eleganza su un morbido tappeto, fra i cuscini. Avvicina a sé un basso tavolino in legno imbandito di frutta. Versa con studiata grazia dell’acqua in calici dorati poi, si volta verso di me, il suo sorriso ancora incastonato fra le labbra. Un cenno della sua mano, mi invita a sedermi.
Le mie gambe mi trascinano verso di lei, è forse un sortilegio di cui non sono a conoscenza o è la semplice ricerca di risposte che guidano i miei passi?
“Come stai Sebastian?” le parole di Isabelle interrompono il silenzio, la domanda mi appare così sciocca. Legge dentro di me, come io non riesco a fare e vuole una risposta, che risposta posso dare ora che l’incertezza si è insediata nel mio animo.
“Posso leggerti Sebastian ma non voglio”
Ecco che nuovamente sa cosa penso, provo una furia mai provata prima. È un sentimento così lontano da ciò che io sono sempre stato.
Una domanda mi sfugge dalle labbra
“Cosa siamo?” il mio sguardo non si è mai allontanato da lei, dal suo viso. La scruto in cerca di un dubbio, di un’incertezza.
“Siamo messaggeri di Morte, questo è il nostro compito”
Rimangono stordito dalla risposta. Non è Isabelle che parla, non può essere la stessa giovane che ha parlato solo poche ore prima sulla collina.
“Non era questo che volevi sentirti dire?” chiede ironica poi sospira, forse comprende la mia frustrazione.
“Sebastian noi siamo pedine di un gioco che non conosciamo, forse siamo messaggeri di Morte o forse no, siamo il simbolo di vecchi blasoni che non vogliono morire”
Ecco, la sento, la maschera è caduta, rivedo la giovane che ho salvato non più l’ancella segnata dal fato.
“Molto ci è stato insegnato nel corso di queste ultime due decadi, molto ci è stato raccontato, siamo stati preparati a questo momento. Anch’io credevo di sapere quale fosse il nostro destino e non volevo accettarlo eppure, attraversata quella porta, ho capito una cosa: Noi siamo mortali, tutti noi, le nostre casate, le nostre famiglie ognuno di noi è mortale. Il nostro compito è divino e non siamo preparati a questo. Non sappiamo cosa Morte sia.”
Le sue parole si perdono nel silenzio, richiamati dall’anima che palpita in noi.  Un brusio, una carezza vibrata che scorre nelle nostre membra. La nostra mente non si riempie di visioni, del buio che è sempre albergato in noi. Morte sembra scomparsa o ha solo indossato una maschera per confonderci, spingerci a fidarci di lui.
Guardo negli occhi Isabelle, mi perdo nelle pozze verdi che sono le sue iridi, so che anche lei ha i miei stessi dubbi.
Qualcosa è cambiato ma non capiamo.
Isabelle serra la mascella, una decisione nel suo sguardo. La mia stessa decisione.
Si alza in un unico sinuoso movimento e allunga la mano verso di me.
“Scopriamo allora chi siamo veramente”
Tendo la mia mano verso la sua, una lieve carezza prima di stringerla, sento un sorriso spuntare fra le mie labbra. Questa è una sfida che possono vincere.
Una parte del mio vecchio Io sembra aver trovato la strada di casa. Ora mi sento nuovamente l’uomo che ha salvato Isabelle dalla ghigliottina e che ha combattuto numerose battaglie.
So che Isabelle ha visto la mia trasformazione, mi stringe la mano e mi tira verso di se aiutandomi, anche se non è necessario, ad alzarmi.
Siamo uno di fronte all’altro, sereni come mai non lo siamo stati, riconoscenti di ciò che abbiamo trovato. La sovrasto di quasi l’intera testa eppure in quel momento i nostri sguardi, incontrandosi, ci spingono verso lontani ricordi, quando bambini ancora giocavamo assieme ed avevamo ancora la stessa altezza.
Immagini frammentari scorrono nella nostra mente annodando il passato con il presente. Ritrovando ciò che eravamo quando ancora l’ombra della Gilda e della Confraternita non ci ha spinti in un’altra direzione, quando ancora il nostro destino per noi era un gioco ed eravamo liberi.
Siamo pronti ad affrontare la stanza del sacrificio.

------------------------------------------------------
NOTA: con la speranza che questa storia continui a piacervi e, se non vi piace sappiate che il prossimo è comunque il capitolo finale, vi avviso che aggiornerò il 25/26 novembre. :) Grazie a chi mi sta seguendo, mettendo la storia fra i preferiti e lasciando i propri commenti :)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 + Epilogo ***


CAPITOLO 4
 
La nausea mi assale, sento che anche Isabelle vicino a me ha avuto la stessa reazione.  Si è aggrappata alla mia mano alla ricerca di un punto sicuro al quale ancorarsi.
Sapevamo che, entrando dentro alla stanza del sacrificio, avremmo infranto ogni regola che ci è stata insegnata, ma non avremmo mai rinunciato alla libertà di capire chi fossimo e quale fosse il nostro destino.
Avevamo superato la soglia insieme, un unico movimento. Le nostre mani avevano semplicemente sfiorato le porte e i battenti si erano aperti davanti a noi.
Era stato un istante ed eravamo stati catapultati al centro della stanza, attorniati da vortici d’infinito.
La nausea era stata la diretta conseguenza.
 
Il luogo in cui ci troviamo mi disorienta come se la mia mente non riuscisse a elaborare cosa ci circonda.
Cerco con lo sguardo un punto fisso per non perdere completamente la battaglia con il senso di vuoto alla bocca dello stomaco.
Abbasso gli occhi, vengo assalito dalla vertigine, sotto di noi sembra esserci il vuoto, i nostri piedi si trovano su un piedistallo apparentemente sospeso sul nulla.
Mi abbasso e sfioro con la mano la superficie. Dove mi aspetto di trovare il niente invece c’è il pavimento.
La scoperta mi aiuta a trovare l’equilibrio che sento di aver perso nei primi istanti.
Scruto con attenzione, volgo lo sguardo intorno a me e comprendo la geniale fattura.
Ogni angolo di quella stanza è un unico mosaico. Posato con pregevole maestria nel suo insieme crea l’effetto di una volta celeste e il nostro piccolo piedistallo si trova in mezzo a tale bellezza. La stanza riluce di una luminosità soffusa. Cerco di comprendere quale ne sia la sorgente che, riflessa sulle tessere venate da una sostanza simile all’argento, crea quell’effetto ottico. Eppure non la trovo.
Sorrido di me stesso.
Nulla può essere sempre spiegato con la ragione, accettare la bellezza e la sacralità della stanza, di quella città è forse il primo passo per comprenderne l’essenza.
Isabelle accanto a me, rimasta in piedi, osserva affascinata ciò che la circonda.
La nausea ormai solo un vago ricordo. Ora che siamo lì però non sappiamo ciò che stiamo cercando, di certo quel luogo è lontano dall’immagine che, nel corso del tempo, si era creata nella nostra mente.
Siamo nel tempio di Morte eppure sembra di essere ai piedi dell’Infinito.
 
La mia mano non ha smesso di accarezzare il pavimento, la concretezza sotto le dita mi da conforto e forza. Mi sento pronto per fare il primo passo oltre l’area del piedistallo.
Mi alzo in piedi.
Uno nuovo scambio di sguardi fra noi due.
Isabelle alza le spalle, anche lei è disorientata, ma capisce le mie intenzione e annuisce.
La paura per un istante mi blocca poi tento di slanciarmi oltre. La mia parte razionale cerca di ricordare che è solo una stanza con uno splendido mosaico ma i miei occhi faticano ad accettarlo.
È una lotta con me stesso, sento il tocco delle dita di Isabelle sulla mia spalla, l’altra mano sfiora la mia chiusa a pugno, le nocche sbiancate, le unghie conficcate nelle carni del palmo della mano.
Quel tocco leggero lascia uscire il respiro che non sapevo di aver trattenuto.
Rilasso le mani, il corpo, la mente…sono pronto.
Allungo il piede oltre il piedistallo, lo poggio a terra.
La nausea mi assale, ci assale.
Qualcosa è successo, ma cosa?
Osservo il mio piede che avrebbe dovuto toccare le tessere rappresentanti lo spazio attorno a noi, ma esso è appoggiato ancora sul piedistallo.
Accanto a me Isabelle osserva lo stesso punto.
So di essermi spostato eppure siamo ancora su quel supporto.
Isabelle sconcertata mi guarda.
All’unisono ci muoviamo, opposte direzioni, ci diamo la schiena a vicenda, qualcosa dovrà accadere.
Ecco di nuova la nausea, il senso di stordimento e siamo di nuovo nelle stesso punto, non più schiena contro schiena ma viso contro viso.
Con frenesia riproviamo, usando sempre movimenti diversi e, ogni volta, il ciclo si ripete e noi ci troviamo nel verso opposto dal quale siamo partiti come se, con un semplice passo, avessimo percorso la volta celeste e fossimo tornati al punto di partenza.
L’ineluttabilità di quello che ci sta succedendo, il perfetto meccanismo della profezia, sembra aprirsi d’innanzi ai nostri occhi.
Siamo imprigionati in quel luogo, senza via di uscita se non la morte.
È questo il destino in cui ci siamo intrappolati con le nostre stesse mani.
Una accanto all’altro, le nostre mani si sfiorano, la consapevolezza raggiunge le nostre anime dilaniando il nostro io.
Gli occhi disperati di Isabelle saettano da una parte all’altra della stanza, il suo respiro si fa affannoso.
Di slancio l’avvolgo tra le mie braccia, sento il suo fragile corpo- eppure mi era sempre sembrata così forte-, poggiarsi contro il mio petto. Il suo viso nascosto fra i lembi della mia tunica.
Le accarezzo la schiena, appoggio il mio mento sulla sua testa.
Chiudo gli occhi.
Mi lascio cullare nel tepore di quell’abbraccio, dimentico di ciò ci circonda e di quello che sarà di noi.
I nostri cuori palpitano all’unisono, i nostri corpi mai così vicini…le nostre anime si sfiorano, si abbracciano, si uniscono.
Una scossa inaspettata ci trafigge, una sensazione estraniante.
Niente visioni di oscurità, niente urla nella nostra mente, nessun animale in gabbia dagli occhi rossastri che freme e scuote le sbarre.
Isabelle si scosta da me quel tanto che basta per potermi osservare negli occhi, una domanda a cui rispondo con un cenno.
Forse non tutto è perduto, forse il rito non è quello che porterà all’estremo sacrificio.
“Lotteremo” sussurro.
“Lotteremo” mi risponde Isabelle.
Un patto fra noi che nulla ha a che fare con la strada tracciata da una leggenda ma solo da ciò che siamo.
Isabelle sfiora il simbolo della confraternita dei Templari che porta al collo.
La strappa, la collana di spezza senza alcuna fatica, la stringe un istante fra le dita, poi sfila il braccio inferiore della croce mostrandomi la piccola punta acuminata nascosta.
Allungo entrambe le braccia verso di lei mostrando i polsi. Due piccole incisioni, una stilla di sangue.
Isabelle fa la stessa cosa sui suoi polsi.
Lascia cadere il medaglione fra i nostri piedi.
Non sentiamo alcun rumore quando esso tocca il pavimento ma, ormai, nulla ci stupisce.
Ogni cosa in quella stanza è fatta di ovattato silenzio.
I nostri polsi si uniscono, le nostre ferite si toccano e il nostro sangue, la nostra essenza vitale si mescola.
Lasciamo che la mente voli, l’uno perso negli occhi dell’altra, pronti ad affrontare ciò che sarà.
Un calore sconosciuto si sprigiona dai nostri corpi, rischiara di una pallida luminescenza le nostre vesti, la nostra pelle.
Lentamente fluisce verso le nostre braccia facendosi sempre più intensa fino ad illuminare unicamente i nostri polsi.
Due globi di luce fuoriescono portandosi via anche l’ultimo bagliore dalle nostre figure.
Le due luci vorticano in cerchi concentri sempre più vicini fino ad unirsi in un’unica sfera che si saetta contro una delle pareti.
Si infrange  creando una luce così intensa da accecarci per un attimo.
Sbattiamo le palpebre storditi, i contatto fra noi si scioglie.
Ci guardiamo attorno, la stanza sembra sempre la stessa.
Ci muoviamo con la speranza di una via di fuga ma rimaniamo ancora bloccati  sul piedistallo, sconfortati dalla scoperta.
Osserviamo in giro in cerca di qualche spiraglio, quando la nostra attenzione viene attratta da un movimento lontano, una delle stelle sembra muoversi, avvicinarsi a noi. Gradualmente farsi sempre più grande.
La scrutiamo incantati, cambia fattezze sotto i nostri occhi, lentamente prende una forma umana, fino a quando, in un ultimo balzo è davanti a noi. Una giovane donna vestita di luce, i suoi lineamenti non sono nitidi, sembrano cambiare di continuo, se non per gli occhi dallo strano color rosato. Fra la luce si intravede il suo candido sorriso, quasi virginale.
Quella non può essere Morte.
Il riverbero del mio pensiero sembra raggiungerla perché la visione si lascia andare ad una risata.
“No, non sono Morte, non lo sono mai stata mio caro Sebastian Gaunt. Non la Morte che credevi di conoscere.”
Isabella si stringe a me e si fa forza.
“Chi sei?”
“Sono Vita, Armonia, Infinito, sono ciò che si vede e ciò che non si vede, ciò che permane per l’eternità. Sono Dio e anche Morte” un accenno verso la mia direzione.
“Ma noi siamo venuti per risvegliarti, cosa accadrà ora?” chiede Isabelle.
Vedo la visione davanti agli occhi scrollare le spalle, un sussulto, una risata trattenuta, un gesto che per un istante la rende umana e reale anche nei lineamenti.
“Non succederà nulla e voi riprenderete il vostro cammino quando uscirete da queste stanze”
“Perché?” Chiede di Isabelle
“Perché questa si chiama vita e io non posso intervenire negli avvenimenti mortali” risponde infastidita la divinità.
Quel gesto mi irrita. Abbiamo vissuto la nostra intera esistenza per questo momento e quell’essere ci dice che nulla di tutto questo, il nostro sforzo, i nostri addestramenti, i nostri principi e verità ha avuto uno scopo.
Faccio un passo avanti, voglio risposte, ma la visione mi blocca con uno sguardo. Sul suo viso una smorfia.
Sospira, come se il tempo passato con noi fosse inutile.
“Sebastian, tu non sai quanto tutto questo risulti noioso, all’inizio dei tempi credevo in voi, nelle vostre ricerche, nel vostro desiderio di risposte ma, decade dopo decade, millennio dopo millennio ogni mia parola è stata travisata, modificata fino a renderla lo specchietto delle allodole degli stolti.”
“Ma tu non puoi essere Dio!” ribatte Isabelle annichilita dalle parole della visione.
“Se così mi vuoi chiamare sono anche Dio, come sono stata Morte nei vostri animi”
“Ma noi sentivamo Morte fremere” sussurro.
“Perchè è ciò che il vostro mondo vi ha fatto credere. Ciò che sentivate non era altro che il riverbero delle vostre menti educate in tal senso.”
Lentamente comincio a capire ma un’altra domanda sfugge dalle mie labbra.
“Quindi, se avessimo invocato Morte secondo il rituale, chi sarebbe apparso?”
“Morte si sarebbe presentato al vostro cospetto, avrebbe raccolto le vostre vite e le avrebbe fatte sue ma..” continuò prima che noi potessimo fare un’altra domanda “Null’altro sarebbe successo, sareste stati semplicemente due corpi senza vita in una stanza, il mondo avrebbe continuato la sua corsa e le vostre casate avrebbero continuato la loro ricerca. Quella è l’essenza della loro stessa esistenza. “
“Perché l’anima mia e di Isabelle è la stessa allora”
La divinità ci osserva, una sorta di pietas nei suoi occhi.
“Ogni singola anima in cerca di risposte può giungere a me, molte sono le anime che invece si cercano, alcuni, fra la vostra gente, le chiama anime gemelle. È una sensazione a fior di pelle per voi mortali che riverbera nelle vostre menti e nei vostri cuori ma, tu e Isabelle, siete stati cresciuti con la convinzione che le vostre anime fossero un’unica essenza palpitante e questa certezza è diventato il fulcro della vostra stessa esistenza e per tale realtà avete sempre vissuto.”
Isabelle prende a quel punto la parola, sento che come me anche lei sta lentamente comprendendo la verità. “ma questo luogo, ogni cosa è come era scritta nei testi sacri?”
“Questo luogo” afferma la presenza allargando le braccia e mostrando la stanza dell’infinito “non è altro che una vostra immagine mentale, ciò che alberga nel vostro animo più profondo. Questo luogo esiste fintanto che nelle vostre menti è reale, come sarebbe stata reale Morte se l’aveste invocata”
“Cosa sarà quindi di noi?”
“Semplicemente vivrete un nuovo inizio slegato dal passato che vi ha tolto per lungo tempo la facoltà di scegliere”
E, nel riverbero delle ultime parole, la divinità comincia a dissolversi, ogni cosa attorno a noi comincia a disgregarsi svelando la vera forma del luogo in cui ci troviamo.
 
EPILOGO
 
“Cosa farai?” chiedo a Isabelle senza rallentare il passo.
Abbiamo abbandonato il luogo subito dopo che la visione era svanita, nient’altro che vecchi ruderi di una piccola fattoria.
Entrambi non riuscivamo a sostenere l’idea di passare altro tempo in quel posto.
Abbiamo trovato le nostre cose poco distante, ordinatamente riposte in una nicchia in uno dei pochi muri ancora rimasti in piedi.
Siamo scappati da lì.
Per molte miglia non abbiamo parlato, entrambi troppo occupati a mettere ordine nei nostri pensieri. Sentiamo ancora il riverbero dell’anima dell’altro, un rumore di sottofondo, niente di più. Come se, la consapevolezza della verità, avesse spezzato il nostro legame donandoci però la nostra individualità.
Non più un’anima divisa fra due corpi ma due anime e due persone.
“Tornerò dai miei genitori, voglio abbracciarli sopra ogni altra cosa” risponde Isabelle guardando di fronte a se “Poi andrò alla confraternita dell’ordine dei templari e la distruggerò pezzo per pezzo, fino a quando di quel luogo e di quel credo non rimarranno che macerie. Nessun’altro dovrà essere manipolato, sospinto alla morte come è successo a noi”.
Le sue parole mi colpiscono, sono i miei stessi sentimenti. Mi fermo e la obbligo a fermarsi.
La guardo negli occhi e allungo la mano verso la sua.
“Ti aiuterò nella tua missione se tu mi aiuterai a distruggere la Gilda del Drago Rosso”
Isabelle mi scruta poi allunga la sua mano verso la mia e la stringe.
“Lotteremo” mi dice con voce decisa.
“Lotteremo” ribadisco anch’io.
Un nuovo patto è ormai siglato.
Troppo ci è stato fatto perché ogni cosa venga dimenticata e ….
Il nostro nome è sempre Morte


----------------------------
NOTA: e anche questo racconto è finito, spero vi sia piaciuto...mi dispiace ancora per i problemi di sintassi e il resto...comunque spero che vi abbia lasciato qualcosa...spero nei prossimi giorni, quando sarò meno incasinata di potervi proporre la storia betata...;)...grazie ancora a chi mi ha seguito e a chi vorrà lasciare un proprio commento. Alla prossima!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3311673