The Object of Her Affection

di Gia August
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore a prima vista ***
Capitolo 2: *** Rose rosso sangue ***
Capitolo 3: *** Il lato oscuro delle favole ***
Capitolo 4: *** Invasione ***
Capitolo 5: *** Presto ***
Capitolo 6: *** Sorvegliando ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Ricordi perduti ***
Capitolo 9: *** Vetri rotti e cuori rotti ***
Capitolo 10: *** Scivolando nel buio ***
Capitolo 11: *** Senza potere ***
Capitolo 12: *** Ansie nella notte ***
Capitolo 13: *** Incubi ***
Capitolo 14: *** Non oltrepassare ***
Capitolo 15: *** Nell'oscurità ***
Capitolo 16: *** Niente oltre al lato oscuro ***
Capitolo 17: *** In un modo o nell'altro ***
Capitolo 18: *** Leggendo tra le righe ***
Capitolo 19: *** Il bell'addormentato ***
Capitolo 20: *** Cercando indizi ***
Capitolo 21: *** Cose sgradevoli nel buio ***
Capitolo 22: *** Le pareti non si muovono ***
Capitolo 23: *** Sei davvero qui? ***
Capitolo 24: *** Ecco la sposa ***
Capitolo 25: *** Un filo sottile ***
Capitolo 26: *** Lo sapevo che mi amavi ***
Capitolo 27: *** Non hai mai avuto nessuna possibilità ***



Capitolo 1
*** Amore a prima vista ***


Con immensa gioia vi regalo il primo capitolo di una nuova long-fiction che sta pian piano prendendo vita dalla geniale penna di Gia August. Questa storia si colloca nella stessa linea temporale di “A shot in the dark” ponendosi come suo naturale seguito. Mi auguro di ritrovare le mie affezionate commentatrici e di poterne salutare delle nuove.

Anche questa storia fa parte dell'immenso Fanfiction.net, qui di seguito vi lascio il link alla versione originale: http://www.fanfiction.net/s/3663730/1/The_Object_Of_Her_Affection

Vi auguro una buona lettura.

 

The Object of Her Affection

By Gia August

Traduzione di Lella Duke

 

Capitolo uno: amore a prima vista

 

Se la gente di Hazzard l’avesse conosciuta bene, avrebbe potuto pensare che Laura Dawson era una ragazza strana. Infatti, nonostante avesse vissuto in periferia per tutta la vita, i suoi concittadini l’avevano vista di sfuggita soltanto poche volte. E questo perché Laura era migliore di loro. I suoi genitori le avevano inculcato quella convinzione sin da quando era una bambina e si erano assicurati che tenesse le debite distanze dagli altri abitanti di Hazzard. Lei era al sicuro solo tra le mura domestiche del loro vecchio palazzo, unico superstite della grande piantagione di famiglia. Il cancello di ferro battuto, alto e con le estremità appuntite, li aiutava a tener fuori intrusioni esterne.

Laura aveva accettato le limitazioni dei genitori senza mai fare domande, ma le cose erano cambiate. Erano morti lasciandola sola con uno stato d’animo a metà tra lo sconcerto e l’eccitazione per la sua nuova improvvisa indipendenza. Il vecchio palazzo appartenuto alla sua famiglia da generazioni, ora era esclusivamente suo. Per la prima volta, era libera di prendere le sue decisioni. Non c’era più nessuno che la controllasse. Lei aveva il controllo. Non aveva più alcun desiderio di rimanere isolata. Aveva bisogno di conoscere il mondo al di fuori del cancello. Hazzard era un posto sicuro dove iniziare la sua nuova vita.

Il dolore per la perdita dei genitori, fu presto rimpiazzato da un senso di potere. Aveva assunto finalmente il controllo della sua vita. Non le occorse molto per guadagnare anche la libertà. Era pronta per iniziare la sua nuova vita. Riuscì ad ottenere un lavoro nella banca locale di proprietà di J.D. Hogg. Boss fu sorpreso che una ragazza del suo rango volesse lavorare per lui e la accolse nella sua banca con la muta speranza di poter entrare nelle grazie della sua famiglia. I Dawson erano dei ricchi possidenti. Lungi da lui giudicarne l’eccentricità. Rimase molto sorpreso dalle capacità organizzative di Laura. Non era di certo quella che si definisce una ragazza appariscente, ma andava più che bene considerando il livello degli abituali clienti della sua banca.

Era trascorso quasi un mese da quando Laura aveva iniziato il suo lavoro. Arrivava sempre presto. I suoi rituali mattutini erano sempre gli stessi. Dopo aver scelto con cura quale completo indossare, rimaneva sempre di fronte al vecchio specchio della sua camera da letto, meravigliandosi ogni volta per quella donna che ricambiava il suo stesso sguardo. C’erano stati così tanti cambiamenti per lei in un breve lasso di tempo. Si sarebbe aspettata anche una metamorfosi fisica, ma invece era sempre uguale. Osservò attentamente quel riflesso che le rimandava lo specchio e notò qualche ciocca dei suoi capelli castani libera dall’abbraccio dello chignon che aveva alla base del collo. Si sistemò con cura i capelli e li riannodò facendo attenzione a non farsene più sfuggire. Si mise in ordine la gonna grigia che le ricadeva al di sotto delle ginocchia. Si abbottonò al collo la camicetta bianca. Era pronta.

Mentre continuava a studiare il suo riflesso nello specchio, Laura si rese conto che nessuno l’avrebbe mai considerata carina. ‘Semplice’ era la parola che aveva udito per tutta la sua vita riferita alla sua persona. Si infilò gli occhiali spessi e si rimirò di nuovo soffermandosi sui suoi occhi azzurri e compiacendosi per ciò che stava vedendo. Non c’era niente di male nell’essere semplici. L’uomo giusto l’avrebbe apprezzata per quel che era.

Laura aveva atteso tanto per vivere la sua vita in quella cittadina e l’aveva più volte immaginata da dietro la recinzione del suo palazzo. Sperava che avrebbe avuto la possibilità di farsi amici anche se per lei non era mai stato facile. In realtà non ne aveva mai avuti considerati i suoi contatti limitati con le persone fino ad allora. Ma si impose di cambiare. Era sicura che a breve avrebbe incontrato l’uomo dei suoi sogni. Credeva nel destino.

L’orologio sulla mensola annunciava le otto e Laura si guardò un’ultima volta allo specchio. Soddisfatta di ciò che vedeva, corse via diretta verso la banca.

 

 

Laura stava dietro al bancone intenta ad organizzare il suo giorno di lavoro. Come solito era tutto in perfetto ordine. L’ordine era importante. Alle nove in punto si avviò verso l’entrata. Quando aprì la porta però, si ritrovò a sobbalzare per lo spavento. Si ritrovò faccia a faccia con un uomo dall’altra parte della porta aggrappato alla maniglia.

“Mi perdoni signorina. Non volevo spaventarla.” Si scusò Bo Duke regalandole un sorriso.

Laura si ricompose in fretta. Rispose: “non mi ha spaventata.”

Aprì completamente la porta per permettere a Bo di entrare. Non appena le passò di fronte, non poté fare a meno di notare quanto fosse bello quel ragazzo biondo. Bo si accorse di essere osservato, ma non ne fu sorpreso. Era abituato a certi sguardi da parte delle donne. Sapeva per esperienza che apprezzavano quel che vedevano.

Bo si arrestò per permettere a Laura di passare. Sorrise in modo radioso e disse: “buongiorno, deve essere nuova vero?”

Laura annuì bruscamente, era troppo indaffarata: “si, per favore si avvicini.”

Bo si accostò al bancone mentre la ragazza riguadagnava la sua postazione. Fu preso alla sprovvista quando lei non ricambiò il suo sorriso.

“Come posso aiutarla?” Chiese Laura in maniera formale. Il suo tono piatto stupì Bo. Si aspettava l’inizio di un flirt come sempre accadeva con tutte le ragazze di Hazzard. E invece sembrava proprio che Laura fosse troppo occupata per accorgesi di lui.

“Sono Bo Duke e dovrei prelevare del denaro dal nostro conto di famiglia. Venti dollari per favore.”

Bo sorrise di nuovo cercando di stabilire una sorta di connessione con Laura, la quale però non se ne accorse. Esaminò attentamente l’assegno che le aveva consegnato il giovane prima di iniziare la pratica. Portò il libro mastro sul bancone per annotare l’operazione. Quando sentì la porta aprirsi e richiudersi, distolse lo sguardo dal suo lavoro. Smise di scrivere e osservò l’uomo che si stava avvicinando.

“Hey Bo, non hai ancora finito qui? Io sono stato già all’ufficio postale.” Disse Luke Duke con un sorriso compiaciuto stampato in volto e ponendosi di fianco al giovane.

“Lo vedi che non ho finito, cugino. Miss Tizdale deve aver aperto prima del solito perché sono solo passati un paio di minuti dalle nove.” Rispose Bo guardando l’orologio. “Non avresti dovuto ritirare la posta tanto in fretta.”

Luke sorrise trionfante: “già, Miss Tizdale ha aperto l’ufficio non appena si è accorta che stavo aspettando di fuori. E’ andata contro tutte le regole e mi ha fatto entrare un paio di minuti prima. Naturalmente ho dovuto prendere il numero e ho dovuto mostrarle la mia carta d’identità, ma credo che in realtà non sappia resistere al mio fascino. Ha detto che sono come zio Jesse.”

“Il suo comportamento non ha niente a che fare con te, Luke. Miss Tizdale è carina con te solo perché vuole far colpo su zio Jesse.” Continuò Bo tentando di nascondere la stizza che gli aveva procurato il cugino.

Luke scrollò le spalle: “se la pensi così! Quanto ti manca? Dobbiamo ancora mettere mano alla lista della spesa che ci ha dato zio Jesse. Non possiamo farlo aspettare.”

“Ho quasi finito, Luke.” Concluse Bo mostrando il suo disappunto. “Non faremo tardi.”

Miss Tizdale poteva anche essere una persona mattiniera, ma di sicuro non era immune al fascino di Luke. Bo non poteva vantarsi dello stesso successo con le donne quella mattina. Si era sempre considerato una calamita per le fanciulle molto più di quanto lo fosse Luke, ma la nuova impiegata della banca non la pensava allo stesso modo. Non si era neanche accorta di lui. Decise di non farne parola col cugino e di non dargli quindi altri motivi per prenderlo in giro. Almeno non aveva mostrato interesse neanche per Luke.

Mentre i due giovani stavano parlando, Laura cercava di guardare Luke senza dare nell’occhio. Quando ricambiò un suo sguardo catturandole gli occhi, lui le sorrise. Il suo volto si accese rivelando delle piccole fossette. Laura si sentì lusingata. Rivolse di nuovo la sua attenzione al lavoro sul bancone per cercare di nascondere il rossore che le aveva invaso le gote. Si sentì come avvolta da un’ondata di calore. Doveva concentrarsi e terminare la sua operazione. Non riusciva a credere a quel che era appena accaduto. Consegnò il denaro a Bo con mano tremolante e sperò che nessuno dei due se ne fosse accorto.

Bo afferrò le banconote e le ripose nel portafogli: “grazie signorina. Buona giornata.” Ma non ricevette risposta.

Luke sorrise di nuovo a Laura. La giovane distolse immediatamente lo sguardo. “Ci vediamo.” Le disse.

Bo afferrò Luke per un braccio: “andiamo cugino. Abbiamo altre commissioni. Zio Jesse non vuole che perdiamo tempo quando ha bisogno di qualcosa.”

“Non sto perdendo tempo.” Protestò Luke sottovoce seguendo Bo alla porta.

Quando furono abbastanza lontani da Laura, Luke sussurrò: “deve essere timida, non trovi?”

“Direi che è ‘strana’ soprattutto.” Rispose Bo. “Di sicuro non aveva molto da dirmi.”

Luke rise: “ed è questo che la rende strana? Perché non ti ha considerato?”

“Sto solo dicendo che non è una persona socievole.”

“Rallegrati, Bo. Quella forse è l’unica ragazza di Hazzard sulla quale il tuo irresistibile fascino non ha alcun potere. Dimenticala, ne hai tante altre.” Disse Luke sogghignando e scivolando al posto di guida del Generale Lee.

“Mi hai distratto per poter guidare, Lukas.”

“Tutto è lecito…” Rispose Luke ridacchiando mentre Bo raggiungeva l’altro lato della vettura.

Mentre il Generale si allontanava, Bo restituì il sorriso al cugino: “mi hai battuto. Vorrà dire che stavolta mi gusterò la corsa.”

Laura osservò i due giovani uscire dalla banca, incapace di togliere gli occhi di dosso a Luke. Quando la porta si chiuse alle loro spalle, finalmente sospirò. Li guardò saltare dentro una macchina arancione parcheggiata su strada. Mentre lasciavano la sosta, corse verso la finestra per vederli scomparire dietro l’angolo. Si sentì sopraffatta. Aveva bisogno di ricomporsi. Sapeva che la sua vita era cambiata nel momento stesso in cui Luke Duke l’aveva guardata negli occhi e le aveva sorriso. Si era creato subito un buon feeling tra loro due.

Laura si sedette sullo sgabello posto dietro al bancone e iniziò a pensare a Luke. Riusciva a vedere chiaramente ogni dettaglio del suo volto proprio come se lo avesse avuto ancora di fronte. Il contrasto tra i suoi occhi azzurri e il castano scuro dei suoi ondulati capelli, rendeva ancora più profondo il suo sguardo. Il suo volto si illuminava quando sorrideva. La sua voce era dolce e gentile. Laura era sopraffatta da quei nuovi sentimenti che si stavano impadronendo di lei. Sapeva che esisteva qualcosa chiamato amore a prima vista e non poteva credere che fosse capitato proprio a lei. E soprattutto sapeva che lui la ricambiava. Aveva potuto leggerlo nei suoi occhi e nel suo sorriso. Il messaggio che le aveva rivolto era stato chiaro.  Le aveva detto che voleva rivederla. Sapeva che in realtà stava tentando di dirle qualche altra cosa però: si era innamorato di lei. Era destino che si amassero.

Bo Duke lo aveva chiamato “Luke”. Luke Duke. A Laura piaceva il suono del suo nome. Le sarebbe piaciuto diventare la signora Duke. Avevano perfino le stesse iniziali. Non aveva alcun dubbio che Luke fosse l’uomo giusto. Lei lo amava. Lui la ricambiava.

E si sarebbero amati finché la morte non li avesse separati.

 

To be continued…

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Capitolo 2
*** Rose rosso sangue ***


Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo con il quale mi appresto a postare il secondo capitolo di questa mia traduzione, in secondo luogo, per rispondere alla mia cara Maria (sono così felice di non essermi liberata di te), aspettatevi una storia piuttosto inquietante. Già da questo capitolo potrete rendervi conto di quale piega prenderà tutta la vicenda.

Grazie a tutti coloro che hanno letto il primo capitolo.

 

Capitolo due: rose rosso sangue

 

Bo e Luke tornarono ad Hazzard il mattino seguente in quanto zio Jesse aveva loro commissionato altri acquisti presso il negozio di ferramenta. Luke ne uscì trasportando due scatole di chiodi al contrario di Bo che invece aveva le mani libere. Quando Luke si mosse per raggiungere il lato guida del Generale, Bo scivolò rapidamente sul cofano della macchina tagliandogli la strada. Saltò abilmente nel finestrino piantandosi dietro al volante. Il suo sorriso trionfante però si tramutò presto in una smorfia di dolore non appena realizzò di essersi seduto su qualcosa di appuntito.

Quando urlò, Luke gli chiese preoccupato: “che è successo?”

Bo cercò di localizzare la fonte del suo dolore e si rese conto che si trattava di un bouquet di rose rosse. Le osservò attentamente ed esclamò: “sono piene di spine!”

“Certo che hanno le spine, sono rose.” Disse Luke trattenendo a stento una risata. “E’ piuttosto ovvio.”

“Mi sono punto. Per fortuna i jeans mi hanno salvato.”

“Ti serva di lezione la prossima volta che non vorrai farmi guidare.” Disse ancora Luke incapace di nascondere il suo ghigno.

“Invece di ridere dovresti ringraziarmi perché a quest’ora ti ci saresti seduto tu.”

Esasperato dalla logica di Bo, Luke proseguì: “non potrà mai capitarmi niente del genere perché sono più cauto di te e guardo sempre dove mi siedo.”

“Fosse capitato ieri quando mi hai battuto e ti sei infilato di fretta nel finestrino del Generale, non le avresti viste, quindi non essere così sicuro che oggi avresti prestato maggiore attenzione. Dovresti semplicemente ringraziarmi per averti salvato il fondoschiena.”

Luke scosse il capo meravigliato ancora una volta dalla prospettiva unica e particolare di Bo. Chiese: “da dove arrivano? Chi ti ha mandato delle rose?”

“Non lo so. Potrebbe trattarsi di una ragazza tra un numero imprecisato di altre ragazze. Ho parecchie ammiratrici.” Rispose sorridendo mentre Luke scuoteva ancora il capo. “Fammi vedere se c’è un biglietto.”

Ne trovò uno tra le rose e lo tolse dal suo involucro color lavanda. Lesse il messaggio e si lasciò sfuggire un sorriso.

Luke chiese con curiosità: “allora? Chi le manda?”

Bo rispose: “non sono per me cugino.”

“Non sono per te? Qualcuno allora le ha lasciate per Daisy?” Domandò ancora Luke senza considerare l’ovvietà della risposta.

“Non sono neanche per Daisy.”

“E allora per chi sono?” Chiese ancora iniziando a spazientirsi.

“Per un tipo intelligente come te, non dovrebbe essere difficile arrivarci. Sono per te.” Rispose Bo accompagnando le parole ad una risata divertita.

“Per me?”

“Proprio così! Sono per te. Che mi stai nascondendo? Chi è lei?” Domandò Bo ghignando.

“Fammi vedere.” Disse Luke incredulo. “Non avevo mai ricevuto fiori da una ragazza prima d’ora.”

“C’è sempre una prima volta.” Continuò Bo tirandogli il mazzo di rose dal finestrino.

Luke istintivamente lo afferrò lasciando cadere le scatole di chiodi. Urlò per il dolore.

“Accidenti a queste spine appuntite. Volevo vedere solo il biglietto non mi servivano anche le rose.” Disse Luke seccato. “In ogni caso chi mai potrebbe spedire rose piene di spine a qualcuno? Non bisognerebbe toglierle tutte prima di regalarle?”

“Il biglietto non è firmato, ma sembrerebbe proprio che tu la conosca. Allora da dove vengono?”

Luke scrutò bene il biglietto sperando di trovare una risposta: “non lo so.” Rispose. Lesse poi il messaggio a voce alta.

 

Mio carissimo Luke,

queste rose rosse sono il simbolo del nostro amore eterno. So che mi ami e io ti amerò per sempre. L.D.

 

“So che mi ami?” Ripeté Luke. “Non so davvero chi le abbia mandate. Non c’è una firma e non riconosco questa calligrafia. Pensi che ‘L.D.’ siano le sue iniziali?”

Bo rise: “penso che ‘L.D.’ siano le tue di iniziali. Dice di amarti Luke Duke anche se non ne capisco il perché! Sei proprio sicuro di non sapere chi le abbia mandate? Mi stai nascondendo qualcosa? Hai una storia d’amore segreta?”

“Non ho nessuna storia d’amore segreta.” Negò Luke continuando ad esaminare il biglietto. “Non credo provenga dal negozio di fiori. Non c’è nessun nome sopra. Ha un profumo molto intenso però, direi di lillà.”

“Fammi dare un’occhiata.” Disse Bo allungando il braccio ed afferrando il biglietto. Lo annusò: “hai ragione sembra lillà.”

“Sembrerebbe che qualcuno abbia dei seri problemi.”

“Hai un’ammiratrice segreta.” Continuò Bo. “Non penso sia giusto giudicare i gusti degli altri.”

Quando Bo vide lo sguardo interrogativo del cugino, aggiunse: “non è una brutta cosa, Lukas. Piaci a qualcuna anche se non ne capisco il motivo!”

“Vorrei solo sapere chi è lei. Perché non ha firmato il biglietto?”

“Bè Luke, con una firma si sarebbero persi tutti i propositi di segretezza della tua ammiratrice.”

“Penso che tu abbia ragione.” Convenne Luke. “E’ strano però non sapere chi sia. Non credo che questa faccenda mi piaccia: qualcuna conosce me, ma io non conosco lei. Mi sento come se fossi osservato.”

“E tutto questo ti farà impazzire finché non scoprirai la sua identità.” Bo conosceva suo cugino meglio di chiunque altro.

Luke prese il biglietto dalle mani di Bo e lo esaminò di nuovo sperando che un nome sarebbe potuto comparire magicamente. Alla fine capitolò: “non credo che scoprirò qualcosa ora. Andiamocene a casa. Dobbiamo ancora riparare il recinto.”

Luke si chinò a raccogliere le due scatole di chiodi e si avviò verso il lato passeggero del Generale Lee. Saltò nel finestrino facendo attenzione nel tenere le rose ed evitare così di pungersi di nuovo. Rimase in silenzio sulla strada verso casa intento com’era a cercare una risposta a quella faccenda. Dal biglietto si poteva dedurre che lui già conoscesse la sua ammiratrice, ma al momento non stava vedendo nessuna e di sicuro non era innamorato. Bo tentò di iniziare una qualche conversazione diverse volte, ma alla fine si arrese sapendo bene che suo cugino non avrebbe smesso di riflettere finché non avesse scoperto chi aveva mandato quelle rose. Terminarono il viaggio in silenzio.

Quando giunsero alla fattoria, Bo saltò giù dal Generale e si diresse verso Jesse e Daisy seduti al tavolo da picnic. Urlò: “Hey voi, volete sapere l’ultima? Luke ha un’ammiratrice segreta.”

Luke scese in fretta dalla macchina, preoccupato che Bo avrebbe ingigantito troppo la storia delle rose. Si sporse di nuovo all’interno della vettura per recuperare il bouquet. Quando fu vicino al tavolo, vi poggiò sopra le rose.

Non appena le ebbe adagiate sul piano, Daisy chiese: “sono per me questi fiori tesoro? Sono così carini!”

Luke arrossì e rispose: “ no, non sono per te. Sono per me. Fai attenzione, sono piene di spine.”

“Di solito le rose ne hanno.” Disse Daisy esaminando il bouquet più da vicino. Domandò ancora: “cosa gli è successo? Sembra che qualcuno abbia schiacciato questo mazzo di rose.”

“Non chiedermelo.” Rispose Bo.

Luke sogghignò: “Bo ci si è seduto sopra.”

“Accidenti! Devono far male.” Daisy sorrise.

“Fanno male!” Confermò Bo carezzandosi il fondoschiena, finalmente in grado di vedere l’umorismo insito nel suo piccolo incidente.

Jesse osservò le rose e notò un piccolo biglietto nel mezzo del bouquet: “hai detto che provengono da un’ammiratrice segreta? Posso vedere quel biglietto?”

Daisy porse il piccolo involucro viola allo zio. Dopo che lo ebbe letto, guardò in direzione di Luke con un’espressione accigliata: “sei proprio sicuro di non sapere chi te lo abbia scritto?”

Luke negò col capo: “non ne ho idea zio Jesse, ci sono solo le iniziali ‘L.D.’, ma Bo pensa che siano le mie.”

Jesse osservò ancora Luke con sguardo scettico: “eppure sembrerebbe che lei conosca te e tu conosca lei molto bene. Che mi dici di ti amerò per sempre e del fatto che lei sa che tu la ami?”

“Non lo so. Non so chi mi abbia mandato quelle rose zio Jesse, te lo giuro.” Insistette Luke.

“Non c’è bisogno di giurare, ragazzo.” Jesse alzò la voce. “Forse dovresti ripensare a tutte le ragazze con cui sei stato o a tutte quelle con cui hai soltanto flirtato di recente.”

“Non sono più uscito con nessuna da quando ho rotto con Ellen e non ho avuto neanche qualche flirt.” Si difese Luke. “E sono sicuro di non aver detto a nessuna di amarla.”

Bo sentì tornare a galla un famigliare senso di colpa consapevole com’era di esser stato la causa della rottura tra Luke ed Ellen. Sapeva che suo cugino non aveva visto nessun’altra da allora. Iniziò a sperare che quella misteriosa ammiratrice fosse ciò di cui aveva bisogno Luke dal momento che si era completamente ristabilito da quella orribile caduta giù dal ponte. Aveva bisogno di ricominciare a uscire con qualche ragazza. Egoisticamente Bo sapeva che, se fosse accaduto, avrebbe cominciato a sentirsi meno responsabile.

Avvertendo il turbamento del nipote più grande, Jesse lasciò cadere l’argomento e gli diede una leggera pacca sulla spalla: “va bene figlio mio. Stavo solo chiedendo. Ti credo. Non voglio che tu possa approfittarti di qualcuna e non voglio che tu infranga un povero cuore. So come siete fatti voi ragazzi.”

Luke scosse il capo: “forse potrebbe farlo Bo, ma non io.”

“Hey!” Si risentì Bo. “Non incolparmi senza motivo. Questi fiori sono per te. Non per me, cugino.” Ammiccò scanzonato. “Non è colpa mia se le donne ti trovano irresistibile.”

Daisy si alzò stringendo il bouquet tra le mani: “io penso che tutto questo sia molto romantico. Vado in casa a mettere le rose in un vaso. E Luke, posso capire il suo interesse nei tuoi confronti. Sei davvero irresistibile tesoro.”

Daisy baciò Luke su di una guancia mentre il giovane arrossiva per il complimento. “Vedrai che a tempo debito si rivelerà. Nel frattempo goditi questo mistero. Potrebbe essere divertente dopo tutto. A me piacerebbe molto avere un ammiratore segreto. Dovresti esserne lusingato.”

“Ci proverò.” Rispose dubbioso Luke. “Grazie Daisy.”

“Cos’è che ti tormenta?” Chise poi la giovane non riuscendo a capire l’apprensione del cugino.

“Lei dice di amarmi e di sapere che anche io la amo. Non c’è nessuna nella mia vita ora.” Rispose Luke. “Sarebbe stato diverso se avesse detto che voleva conoscermi, ma così non solo sembra che già ci conosciamo, ma che siamo addirittura innamorati. Non ha senso.”

“Magari è qualcuna che hai conosciuto in passato.” Propose Jesse.

“Non lo so zio. Non credo. Non conosco questa calligrafia.”

“Io continuo a pensare che sia tutto molto romantico.” Insistette ancora Daisy. “Ti farà conoscere la sua identità al momento giusto. Non te ne preoccupare.”

“Ci proverò.” Ripeté Luke senza entusiasmo.

Daisy regalò un altro bacio al cugino e si avviò in casa: “provaci sul serio tesoro. Scrollati quest’ansia di dosso.”

Luke sospirò. Forse avevano tutti quanti ragione e poteva essere una bella esperienza avere un’ammiratrice segreta. Forse si sarebbe rivelata presto e avrebbero iniziato ad uscire insieme. Forse, ma ne dubitava. Non poteva ignorare quella spiacevole sensazione che gli attanagliava lo stomaco. Si ritrovò a sperare di non aver mai ricevuto quelle rose, rosse come il sangue.

Daisy portò il bouquet in casa e dopo averlo sistemato in un vaso, gli diede il posto d’onore sulla mensola del caminetto.

 

To be continued…

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Capitolo 3
*** Il lato oscuro delle favole ***


Lo so, lo so. Sono imperdonabile. Ho abbandonato questa traduzione e peggio ancora ho abbandonato voi, mie care, che mi avete sempre seguito e sostenuto. Potrei inventarmi scuse su scuse per giustificare la mia assenza, ma non lo farò perché vi rispetto troppo. Ho passato semplicemente una fase di pigrizia acuta, tutto qui.

Con il nuovo anno, tuttavia, è tornata la voglia di continuare questa incredibile storia e infatti qui di seguito troverete tradotto il terzo capitolo. Il quarto sarà sfornato e pubblicato in settimana.

Buona lettura!

 

 

Capitolo tre: il lato oscuro delle favole

 

Luke rabbrividì raggiungendo la vecchia trapunta fatta a mano che giaceva ai piedi del suo letto. Se la portò fin sopra le nude spalle e si raggomitolò stringendosi al suo cuscino. L’aria fredda che entrava dalla finestra della camera da letto, gonfiava le tende. Pensò di alzarsi e di chiuderla, ma non aveva alcun desiderio di abbandonare il confortevole calore nel quale era avvolto. Guardò nella direzione di Bo, il quale dormiva placidamente sepolto sotto le coperte. La finestra poteva aspettare.

Le prime luci dell’alba filtrarono lentamente nella stanza. Luke provò a riaddormentarsi, ma la consapevolezza di doversi alzare presto per iniziare i lavori alla fattoria, lo fece rimanere sveglio. Non appena iniziò a pensare alla giornata che aveva davanti, la sua mente tornò al bouquet di rose rosse per la centesima volta. Dopo quasi una settimana, Daisy finalmente gli aveva concesso di gettare quei fiori appassiti nella spazzatura. La giovane rimaneva aggrappata all’idea romantica che una fanciulla si era presa una cotta per suo cugino e che presto si sarebbe rivelata. Non voleva ferire i suoi sentimenti e così aveva conservato le rose tanto a lungo.

Luke continuava a non avere sospetti su chi potesse essere la ragazza in questione. Ogni volta che andava in città, si ritrovava a fissare ogni donna che vedeva, chiedendosi se fosse la sua ammiratrice. Non credeva si trattasse di qualcuna con cui era uscito in passato e di certo non poteva fermare ogni fanciulla che incontrava chiedendole se gli avesse mandato delle rose. Non voleva mettere in imbarazzo nessuna di loro e soprattutto non voleva mettere in imbarazzo sé stesso ricevendo un no come risposta.

Non c’erano stati altri biglietti o fiori nel frattempo. Luke cominciò a credere che qualcuno si fosse semplicemente divertito alle sue spalle e quel qualcuno poteva essere Bo, ma il giovane continuava a negare ogni responsabilità. Ciò nonostante Luke si era intimamente riservato il piacere di prendersi la rivincita nel caso ci fosse stata proprio la sua firma dietro le rose. Tuttavia non era da Bo tirare uno scherzo così per le lunghe.

Luke aveva tentato di seguire il consiglio di Daisy e aveva cercato di sentirsi lusingato di quel dono, ma era il biglietto a tormentarlo. Implicava un’intimità che non esisteva. Implicava uno stretto contatto con la donna che lo aveva scritto. Ma non c’era una donna nella sua vita. Quella era la sua unica certezza.

Si costrinse ad uscire fuori dal suo letto e tremò ancora ritrovandosi coperto solo dai suoi boxer nel freddo del mattino. Si infilò in fretta i jeans e gli stivali prima di avvicinarsi al letto di Bo, iniziando a scuotere il cugino per un braccio.

“E’ ora di alzarsi.”

Bo si strinse ancora di più nelle coperte. Luke le scansò via e ripeté usando lo stesso tono dello zio: “è ora di alzarsi. Abbiamo del lavoro da fare.”

Bo mugugnò: “va bene, Luke ti ho sentito. Sono sveglio. Non c’è bisogno di urlare.”

“Non sto urlando, volevo solo essere sicuro che mi sentissi.”

Certo che Bo non si sarebbe rimesso a dormire, afferrò una maglietta dal cassetto e uscì dalla stanza. Vide le luci accese e sentì l’aroma del caffé appena tostato. Non appena entrò in cucina, non rimase affatto stupito nel vedere suo zio seduto al tavolo con una tazza in mano e Daisy in piedi vicino ai fornelli.

“Buongiorno zio Jesse, buongiorno Daisy. Non credevo vi foste già alzati. Pensavo avrei fatto io il caffé.”

Daisy gli porse una tazza: “buongiorno, tesoro. Come vedi è già pronto. Prendine un po’, è proprio come piace a te.”

Luke strinse la tazza tra le mani e si avviò verso la porta di casa: “grazie Daisy. Comincio i miei lavori. Chiamami quando è pronta la colazione. Bo sarà in piedi a momenti.”

“Non ti preoccupare, vi chiamerò entrambi.” Rispose la giovane.

Luke uscì dalla porta, ma si arrestò di colpo non appena si accorse della presenza di un pacchetto sui gradini del portico. Era avvolto in una carta rossa e vicino aveva una busta color lavanda con il suo nome scritto all’interno di un cuore.

“Zio Jesse, Daisy!” Chiamò Luke.

Entrambi comparvero alla porta, seguiti da un assonnato Bo. Luke mostrò loro il pacchetto: “eravate già usciti stamattina? Era già qui questa scatolina?”

“Nessuno di noi era ancora uscito, ma non c’era niente qui fuori quando siamo andati a dormire ieri sera.” Rispose Jesse. “Ne sono certo. Controlla cosa c’è scritto sul biglietto. Sembra uguale a quello delle rose.”

Luke scrutò attentamente la busta come per cercare qualche indizio. Quando Daisy si accorse che ancora non l’aveva aperta, disse: “andiamo Luke, aprila! Magari stavolta ti ha lasciato scritto il suo nome.”

Tanto bastò perché Luke estrasse il biglietto dalla busta che rilasciò immediatamente un intenso odore di lillà. Sospirò non appena lo ebbe letto.

“Beh? Che c’è scritto?” Daisy non stava nella pelle. “Ti dice chi è?”

Luke negò e lesse a voce alta:

 

Mio carissimo Luke,

sei sempre nel mio cuore. So che tu provi lo stesso. So che mi ami. Lo leggo nei tuoi occhi quando mi sorridi. Ho capito il messaggio segreto che mi hai inviato. Siamo due parti della stessa anima. Due parti dello stesso cuore. Per favore, accetta questo simbolo del nostro amore. Io indosserò sempre l’altra metà. So che di solito non indossi gioielli, ma spero tu voglia indossare questo.

Ti amerò per sempre. L.D.

 

“Sei assolutamente sicuro di non sapere chi te lo abbia mandato?” Chiese Jesse. “Perché sembra proprio che lei ti conosca bene. Che mi dici al riguardo del messaggio segreto che le hai inviato?

“E dei sorrisi?” Aggiunse Daisy. “Sei stato faccia a faccia con lei da quel che dice.”

“Devi conoscerla per forza, Luke.” Concluse Bo.

“Non so chi lei sia.” Rispose bruscamente Luke alla valanga di domande. “Non ho mandato messaggi segreti e, per quel che ne so, non sono stato faccia a faccia con nessuna. Non riesco ad immaginare chi sia. Magari è Bo che si sta divertendo.”

“Non sono io.” Si giustificò il giovane. “Anche se credo sarebbe stato divertente.”

Quando Luke lo guardò, Bo raccolse il pacchetto e lo offrì al cugino: “perché non lo apri? Magari scopriremo qualcosa.”

Luke rimosse attentamente la carta rossa e si ritrovò una scatolina di velluto nero tra le mani. La aprì con cautela come per paura di vederla esplodere all'improvviso. Conteneva la metà di un cuore d’oro tagliato a zigzag e attaccato all’estremità ad una catenina anch’essa d’oro. Luke se l’avvicinò al volto per guardarla meglio. C’era incisa una L sul davanti. Quando girò il ciondolo, sul retro lesse per sempre.

Daisy disse: “è davvero carino, Luke. E’ molto dolce avere un cuore spezzato a metà per due persone che si amano.”

“Peccato solo che io non sia innamorato, Daisy.” Insistette Luke.

Jesse prese la catenina dalle mani del nipote e la esaminò: “sembra un regalo molto costoso. Non è qualcosa che si regala ad uno sconosciuto. Sembra davvero che lei ti conosca.”

Daisy aggiunse: “devi per forza avere un’idea di chi sia questa donna se ti ha fatto un regalo del genere.”

“Ve l’ho già detto, non so chi sia.” Luke non era più in grado di contenere la sua frustrazione e il suo disappunto. “Ci ho pensato per tutta la settimana e non mi è venuta in mente nessuna che potrebbe aver qualcosa a che fare con tutto questo.”

A giudicare dagli sguardi che si sentiva puntati addosso, Luke ebbe la netta sensazione che nessuno credesse alle sue parole. Bo confermò il suo presentimento quando innocentemente domandò: “hai per caso una fidanzata segreta?”

“NO!” Urlò Luke. “Non so più come dirvelo. Non c’è nessuna e non ci sono segreti.” Aggiunse con tono più basso. “Non vi sto mentendo, zio Jesse.”

Jesse studiò attentamente Luke, scorgendo sul volto del nipote un turbinio di emozioni: dalla confusione alla frustrazione, dalla rabbia al dolore per non essere creduto. Luke poteva non essere un ragazzo espansivo nel mostrare i suoi sentimenti, ma Jesse era sempre stato in grado di capire quel che il giovane provava anche quando cercava di nasconderlo. Sapeva inoltre che Luke non mentiva mai.

“Ti credo, ragazzo. So che non mentiresti.” Jesse strinse il nipote tra le braccia e lo sentì finalmente rilassarsi un po’. “Ci stavamo soltanto chiedendo se avessi una storia segreta. Non ci sarebbe niente di sbagliato se fossi così.”

Luke guardò lo zio con gratitudine: “non sono più uscito con nessuna da quando ho rotto con Ellen. Non ci sono storie segrete. Suppongo non ci sia niente di male nel mandare regali, ma i biglietti non hanno senso. E’ come se qualcuno mi stesse guardando o stesse giocando con me.”

Quando Luke guardò Bo, il giovane si mise sulla difensiva: “te l’ho detto. Non sono io. Non avrei potuto comprarti quel cuore anche se mi sarebbe piaciuto divertirmi un po’ a farti diventare matto. Ma credo che ora non sia più così divertente.”

“Non è mai stato divertente per me.” Disse Luke. “Non mi piace che in questi biglietti ci sia scritto quanto siamo uniti quando in realtà non lo siamo affatto.”

“Secondo me ti stai agitando troppo, forse è semplicemente qualcuna a cui piaci.” Aggiunse Daisy. “Penso ancora che dovresti sentirti lusingato e che dovresti aspettare finché non sarà pronta a rivelarsi.”

“Non sono lusingato.” Tagliò corto Luke.

“Non dovrebbe essere troppo difficile scoprire chi ti ha mandato questo regalo. Tutto quello che dobbiamo fare è trovare la fanciulla che indossa l’altra metà del cuore.” Suggerì Bo.

Daisy continuò: “terrò gli occhi bene aperti. Ha scritto che lo indosserà sempre.”

“Apprezzo il vostro aiuto.” Disse Luke concedendo un debole sorriso.

“C’è scritto il nome della gioiellerie sulla scatoletta? Se l’hanno comprato da Reed, è probabile che in negozio si ricordino chi ha preso questo cuore.” Disse Jesse.

Luke osservò suo zio: “sono sorpreso di non averci pensato io.”

“Sei troppo nervoso per pensare coerentemente e questo non è da te.” Rispose Jesse rasserenato dal sorriso apparso sul volto del nipote.

L’espressione di Luke, tuttavia, si fece nuovamente seria: “non proviene da Hazzard. Non c’è scritto il nome del negozio, ma solo Atlanta. Penso non sia di molto aiuto.”

“Da qualunque posto provenga, non puoi tenere un regalo così costoso.” Disse Jesse. “Lei potrebbe farsi un’idea sbagliata.”

“Lo so zio Jesse. Non ho intenzione di tenerlo, ma non so a chi devo restituirlo.”

“Questo è vero.” Convenne Jesse. “Va bene. Non possiamo permetterci di chiacchierare tutto il giorno. Abbiamo una fattoria da mandare avanti. Voi due ragazzi iniziate i vostri lavori. Le nostre bestiole vi stanno aspettando. Io e Daisy prepareremo la colazione quindi non perdiamo tempo. E non ti preoccupare, Luke. Verremo a capo di questa faccenda.”

“Vedrai che si rivelerà presto.” Disse Daisy con un sorriso continuando a considerare i doni e l’ammiratrice segreta come una romantica avventura. “Forse la incontrerai, ti innamorerai di lei e vivrete per sempre felici e contenti. Un bel lieto fine come nelle favole.”

Luke sospirò guardando sua cugina e suo zio entrare in casa. Si rivolse a Bo: “quella ragazza è troppo romantica. Sta ancora aspettando il principe azzurro sperando che venga a portarla via come fosse una principessa. Se questa è una favola, e non sto dicendo che lo sia, assomiglia molto ad una dei fratelli Grimm piena di streghe, folletti e gnomi nascosti sotto un ponte nella foresta nera, in attesa di poterti afferrare e condurti nel loro tetro mondo. E una volta che ti hanno preso, ti tengono prigioniero in un covo sotterraneo di un qualche umido, buio e vecchio castello finché qualcuno non ti libererà dopo molti anni, se sei fortunato.”

Bo sorrise circondando le spalle del cugino con un braccio: “Lukas, sei probabilmente la persona meno romantica che io conosca. Anche adesso guardi sempre sotto i ponti alla ricerca di streghe e gnomi. Penso da piccolo tu abbia preso le favole un po’ troppo sul serio.”

“Forse si, ma qualcuno deve pur preoccuparsi di certe cose. E tu non sei meglio di Daisy quando si tratta di fare la prima cosa ti salti in mente senza riflettere sulle conseguenze.”

“Infatti quello è un compito che deleghiamo a te.” Rispose Bo con un ghigno divertito. “Sei talmente bravo nel farlo! E poi sappiamo che ci sarai sempre per proteggerci da quei mostri spaventosi che si nascondono nel buio.”

“Quelle favole di sicuro vi hanno terrorizzati quando eravate piccoli. Non riesco più a contare le volte in cui uno di voi o tutti e due insieme, vi siete infilati nel mio letto cercando protezione dai mostri che si nascondevano nel buio delle stanze.”

Bo sorrise a quel ricordo: “lo so, Luke. Ma ora siamo cresciuti e non crediamo più che ci sia qualcuno sotto i nostri letti pronto ad afferrarci.”

Luke sospirò. Tutti quei mostri immaginari erano scomparsi veramente crescendo, ma la vita, a volte, ne presenta alcuni infinitamente peggiori. Forse era troppo apprensivo, ma sapeva per esperienza che c’era un lato oscuro della vita e sperava che i suoi cugini non lo avrebbero mai conosciuto. Nel caso fosse successo, però, lui avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggerli e vegliare su di loro.

Luke guardò suo cugino e disse seriamente: “non ti farebbe male essere un po’ più cauto una volta ogni tanto.”

“E a te non farebbe male essere un po’ meno cauto. Ti divertiresti molto di più.” Replicò Bo.

“Io mi diverto.” Rispose Luke sulla difensiva.

“Tu pensi solo di divertirti.” Ridacchiò Bo.

Prima che Luke potesse parlare, Bo aggiunse di nuovo: “andiamo, cugino. Abbiamo del lavoro da fare. Per fortuna ci sono io a tenerti informato su come stanno le cose.”

Luke rise di gusto, grato a Bo per averlo distratto come suo solito: “okay, cugino. Muoviamoci o ci perderemo la colazione.”

“Non accadrà mai.” Rispose Bo allungando il passo.

Luke depose la piccola scatola nera sul davanzale della finestra. La osservò per un lungo istante e infine raggiunse Bo nel granaio.

 

 

To be continued…

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Capitolo 4
*** Invasione ***


Maria prima o poi mi prenderà a morsi, vero cara? Ragazze mi rincresce farvi aspettare, però mi fa piacere sapere che questa storia vi stia prendendo tanto! Non farò più promesse che non posso mantenere, ma cercherò con ogni mezzo di aggiornare almeno una volta a settimana. Voi però non vi spazientite e non mi abbandonate, vi prego ^_^’

Visto che state seguendo questa storia (e quella precedente) con tanto amore e interesse, immagino vi piacciano i Dukes. Vorrei quindi invitarvi, qualora lo vogliate, a visitare il forum dedicato ad Hazzard all’interno del quale io sono assistente amministratrice: http://hazzardcountyline.forumfree.net/

Ci faccio un salto almeno una volta al giorno, quindi se volete comunicare con me (o insultarmi per i mancati aggiornamenti), potete tranquillamente contattarmi lì.

Bando alle ciance, a voi il quarto capitolo.

Buona lettura!

 

 

Capitolo quattro: invasione

 

Laura Dawson salì con cautela gli scalini del portico della fattoria dei Duke. Sapeva che in casa non c’era nessuno poiché aveva visto Jesse e Daisy prima, Bo e Luke poi allontanarsi in macchina. Aveva mantenuto una distanza di sicurezza per essere certa che nessuno l’avrebbe vista mentre fotografava la fattoria. Quando tutti se ne furono andati si avvicinò alla casa fino a ritrovarsi sotto il portico. Sperava in realtà di trovare Luke da solo, ma ogni volta che lo vedeva era in compagnia o di un Duke o di un altro, la maggior parte delle volte comunque si trattava di Bo. Sembrava proprio che Luke non andasse da nessuna parte senza il cugino a fargli da guardiano. Nessuno di loro lo perdeva mai di vista. Capiva perfettamente cosa si provava essendo scappata lei stessa al controllo dei genitori. La famiglia di Luke lo stava controllando allo stesso modo. Laura riusciva a riconoscerne tutti i segnali. Volevano tenerla lontana da lui. Volevano tenere Luke lontano da Laura.

La giovane afferrò la maniglia della porta della cucina e fu sorpresa di constatare che fosse aperta. Suppose che non serrare le porte fosse un’usanza tipica dei campagnoli. Al contrario lei aveva sempre vissuto dietro alti muri e lucchetti. Non aveva pianificato di entrare in casa, ma a quel punto non poté più resistere. Aprì la porta con attenzione e per essere sicura chiamò: “c’è nessuno in casa?”

Non ricevendo risposta, entrò e richiuse la porta alle sue spalle. Tirò fuori la macchinetta fotografica dalla grande borsa che aveva con sé e iniziò a fotografare la cucina. Esaminò ogni angolo di quella stanza. Quando ebbe finito si mosse verso il soggiorno chiedendosi se Luke avesse una zona preferita. Non sapeva dirlo, ma immaginò si potesse trattare del divano. Era certa che la grande e confortevole poltrona appartenesse a suo zio. Si sedette sul divano e amorevolmente iniziò ad accarezzarne un bracciolo prima di scattare altre foto.

Entrò poi nelle altre stanze. La prima che visitò, a giudicare dai decori, apparteneva ad una donna. Era la camera di Daisy senza dubbio alcuno. Continuò per il corridoio ed entrò in un’altra stanza. Questa aveva un grande letto al suo interno. Vide un paio di salopette di jeans poggiate su di una sedia. Ne dedusse che la camera appartenesse allo zio di Luke.

In fondo al corridoio Laura sbirciò nel bagno la cui porta era aperta. Vi entrò e scattò ulteriori foto. Vide delle spazzole sul mobiletto e ne prese una. Ne estrasse un capello lungo e castano e decise che apparteneva a Daisy. La seconda conteneva qualche capello biondo. Con la terza fece centro. Trovò dei capelli corti e scuri e capì che appartenevano a Luke. Si infilò la spazzola nella borsa e tornò nel corridoio.

Rimaneva una sola stanza da controllare. Delicatamente spalancò la porta semi aperta. Vide due letti singoli. Realizzò che Luke dovesse dividerla con suo cugino, probabilmente perché in quel modo Bo poteva controllarlo ogni momento. Si avvicinò al primo letto chiedendosi se appartenesse a Luke. Tirò via le coperte fino a scoprire due cuscini. Li controllò accuratamente finché non trovò quel che stava cercando: un altro capello marrone. Afferrò un cuscino e se lo strinse al petto prima di sistemarlo ai piedi del letto.

Laura osservò le due cassettiere in fondo alla stanza. Sperò che quella più vicina al letto di Luke fosse effettivamente la sua. Non c’era granché al di sopra, fu tuttavia attratta dalla foto di una bellissima donna. Laura fissò quella figura che le sorrideva di rimando. Si domandò chi fosse. Si augurò che la cassettiera appartenesse a Bo e che quella donna fosse la sua fidanzata. Aprì un cassetto e toccò delicatamente le magliette e i boxer accuratamente riposti, non era certa però fossero di Luke. Aprì poi l’ultimo cassetto e ne estrasse un paio di jeans. Sembravano della misura giusta. Per fugare ogni dubbio si avvicinò all’altra cassettiera e tirò fuori un altro paio di jeans. Erano più lunghi dei precedenti, dovevano pertanto appartenere a Bo visto che era leggermente più alto del cugino.

Soddisfatta di aver appurato che la prima cassettiera fosse effettivamente di Luke, piegò con attenzione i jeans e li ripose nella sua borsa. La fotografia tuttavia catturò nuovamente la sua attenzione. Quella donna aveva qualcosa a che fare con Luke. Era tra le sue cose. Era sua. Laura sentì i primi morsi della gelosia mentre scrutava l’immagine di quella donna con gli occhi blu e lunghi capelli castani. Il trascorrere dei minuti accrebbe la sua collera. Quella donna non aveva ragione di sorridere così.

Depose la fotografia sul mobile con mani tremolanti. Chi poteva mai essere e perché significava tanto per Luke al punto di tenerla così in vista? Si avvicinò nuovamente alla cornice e, con un gesto nervoso, la sbatté faccia in giù sulla cassettiera. Il suo umore cambiò non appena udì il fragore di un vetro rotto.

Sorrise aprendo di nuovo il primo cassetto. Estrasse un paio di boxer e li mise nella sua borsa. Guardandosi attorno notò l’anta dell’armadio semi aperta. La spalancò con cautela ed esaminò le magliette contenute al suo interno. Notò la camicia blu che Luke indossava il giorno in cui era entrato in banca ed aveva iniziato a flirtare con lei. Lo stesso giorno in cui le aveva fatto capire di amarla. Afferrò la camicia e la ripose nella sua borsa. Una volta ancora usò la sua macchinetta fotografica ed immortalò ogni angolo della stanza.

La trapunta fatta a mano ai piedi del letto di Luke catturò la sua attenzione. Era consumata dall’usura, ma la sua tonalità di blu e il marrone della zampa d’orso che vi era sopra raffigurata erano ancora intatti. Immaginò Luke mentre dormiva avvolto in quella coperta. La piegò con amore e se la mise sotto il braccio insieme al cuscino.

Si guardò attorno un’ultima volta, radunò il suo bottino e si diresse verso la cucina. Uscì dalla porta sul retro e la richiuse alle sue spalle. Raggiunse velocemente la macchina e andò via.

 

Quando arrivarono a casa dopo una lunga giornata di lavoro, Bo e Luke erano esausti. Un fragrante profumo di pollo fritto li attirò come una calamita. Jesse si stava sciacquando le mani mentre Daisy, in piedi vicino ai fornelli, stava finendo di preparare i piatti. Non appena vide i ragazzi esclamò: “lavatevi in fretta, la cena è pronta!”

Bo sorpassò il cugino e prese il posto di Jesse davanti al lavandino. Luke scrollò le spalle e sorrise: “solo un pazzo oserebbe mettersi tra un uomo affamato e il suo pollo fritto. Vado a lavarmi le mani in bagno.”

Anche Jesse rise: “sbrigati Luke, Bo sembra affamato!”

Senza perdersi in altre chiacchiere, Luke uscì dalla cucina. Si tolse la camicia e la gettò distrattamente sul letto passando davanti alla sua camera. Mentre era in piedi di fronte al lavandino intento a lavarsi le mani, si accorse di avere i capelli scompigliati. Cercò la sua spazzola e si sorprese di non trovarla al suo posto. Si guardò attorno ed ispezionò anche il pavimento. Alla fine abbandonò le ricerche; si bagnò le mani e si passò le dita umide tra i capelli tentando di sistemarli, ma non ebbe molto successo.

Si guardò attorno ancora una volta cercando la spazzola, prima di dirigersi nella sua stanza per prendere una camicia pulita.

Non appena mise piede in camera ebbe la sensazione che qualcosa non fosse al suo posto. Gli occorse solo un istante per rendersi conto che un delicato odore di lillà aleggiava nell’aria. Si guardò attorno repentinamente aspettandosi di vedere lei nascosta nel buio.

Sollevato che in realtà non ci fosse nessuno, Luke scrutò meglio la stanza. La coperta del suo letto era stata rimossa. Sapeva bene di aver sistemato tutto quella mattina, come d'abitudine. Un’ispezione più accurata lo informò che un solo cuscino giaceva sul letto. Cercò l’altro sul pavimento, ma non lo trovò. Mancava all’appello anche la vecchia trapunta che sua zia gli aveva cucito quando era un bambino.

Luke scandagliò ancora la sua camera e si arrestò di fronte alla cassettiera. Il cassetto superiore era ancora aperto. Era certo di averlo chiuso quella mattina. Si avvicinò per chiuderlo e fu sorpreso di vederne il contenuto gettato all’aria. Lui non avrebbe mai lasciato un cassetto in quelle condizioni. A volte Daisy riponeva la biancheria dei ragazzi nei rispettivi armadi, ma lasciava sempre tutto ordinato. Non poteva esser stata lei dunque. Aprì anche gli altri cassetti, ma notò come tutto fosse al suo posto.

Luke richiuse man mano tutti i cassetti cercando di formulare una plausibile spiegazione oltre a quella ovvia che invece si rifiutava di considerare, tuttavia un vago odore di lillà continuava a riempire la stanza. Sentì qualcosa infrangersi sotto le suole dei suoi stivali e fece un passo indietro sorprendendosi di trovare schegge di vetro sul pavimento. Ne raccolse una chiedendosi quale fosse la sua origine. Quando notò la cornice buttata a faccia in giù sul mobile circondata da altri frammenti di vetro, il suo cuore ebbe un’improvvisa accelerata. La esaminò più da vicino e fu sollevato nel constatare che la fotografia non era stata danneggiata. Il volto sorridente di sua madre era ancora intatto. Riusciva a cogliere qualcosa di sé in quella foto, gli infondeva un senso di continuità e pace, qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Era di sicuro uno dei suoi tesori.

“Hey Luke! Che stai facendo?” Urlò Bo dalla cucina. “Stiamo aspettando te”

La voce del cugino ridestò Luke facendolo tornare alla realtà. Rispose: “sto arrivando!” Si infilò in fretta una maglietta, afferrò la cornice e raggiunse la sua famiglia.

Una volta in cucina si sedette a tavola sul lato opposto rispetto al quale già si trovavano Bo e Daisy. Jesse poté finalmente rendere grazie al Signore. Daisy si accorse dello sguardo incerto del cugino e chiese preoccupata: “qualcosa non va, tesoro?”

Jesse notò la cornice tra le mani di Luke e domandò dolcemente: “ti è caduta?”

Luke offrì la cornice allo zio: “No. Era sulla cassettiera faccia in giù e rotta.”

“Forse non te ne sei reso conto e le hai dato una botta o forse è stato il vento.” Suggerì Daisy.

“Non l’ho fatta cadere io e non è stato il vento.”

Jesse guardò la foto più da vicino: “il vetro è rotto, ma l’immagine non è rimasta danneggiata.”

Sapeva bene quanto il nipote amasse quella foto e aveva notato quanto fosse preoccupato. Tentò di rassicurarlo: “va tutto bene, Luke. Compreremo una nuova cornice.”

Lei è stata qui.” Disse all’improvviso.

“Chi è stata qui?” Domandò Jesse.

Lei. La mia ammiratrice segreta. Ne sono certo, ho sentito odore di lillà nella mia stanza e qualcuno ha frugato tra le mie cose.”

“Che vuoi dire?” Si intromise Bo.

“La coperta è stata spostata e io sono sicuro di essermi rifatto il letto stamattina. Non riesco a trovare uno dei miei cuscini, è sparita la vecchia trapunta che zia Martha ha cucito per me e non so che fine abbia fatto la mia spazzola.”

Bo si mise a ridere: “assomiglia molto a quel famoso qualcuno ha dormito nel mio letto! Pensi che riccioli d’oro sia stata qui?”

“Non è divertente Bo.” Disse Luke spazientito. “Non sto parlando di riccioli d’oro. Qualcuno ha frugato tra le mie cose. Il letto era in disordine e un cassetto era aperto. Inoltre c’è la cornice rotta.”

“Hai per caso trovato un altro biglietto o un altro regalo?” Chiese dunque Jesse.

“No, niente. Ma ho sentito odore di lillà. Era molto tenue, ma sono certo di averlo sentito. Sono sicuro che lei sia stata qui.”

“Forse hai ragione. Faresti meglio a pensare davvero a chi potrebbe essere questa ragazza prima che la situazione le sfugga di mano.”

“Mi sto lambiccando il cervello zio Jesse, ma non ho idea di chi possa essere.” Rispose Luke con un tono carico di frustrazione.

“Beh continua a pensarci. Devi venirne a capo. Non mi piace molto l’idea di qualcuno che entra in casa nostra e che fruga tra le tue cose.”

Jesse osservò i visi contratti dei suoi tre ragazzi: “ascoltatemi bene. Se è stata davvero qui, e sembra proprio ci sia stata, non c’è più niente che possiamo fare adesso. Daisy ha cucinato per noi una cena deliziosa, quindi godiamocela. Dopo mangiato cercheremo di dedicarci più a fondo a questa faccenda. Ora Daisy per favore, passami il pollo.”

Luke aveva molti dubbi, ma di sicuro sapeva che la sua ammiratrice segreta non portava con sé niente di buono o di romantico.

Aveva invaso la sua casa e la sua vita.

Era più che mai determinato a trovarla e a fermarla.

 

To be continued…

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Capitolo 5
*** Presto ***


Con il capo cosparso di cenere e in ginocchio sui ceci, chiedo umilmente perdono per aver abbandonato questa traduzione. Spero di riuscire ad espiare la mia colpa portandola finalmente a termine. Prima di leggere la parola fine però dovrete sopportarmi ancora per molti capitoli.

Ripartiamo da qui.

Buona lettura!

 

Capitolo cinque: presto

 

Laura Dawson serrò il pesante cancello di ferro dietro di sè. La grande e minacciosa casa le si stagliava di fronte. Quei mattoni neri erano freddi ed inospitali per chiunque eccetto che per lei. Inquietanti statue affollavano il tetto conferendo all’edificio un aspetto gotico. C’erano più di trenta stanze distribuite su tre piani. Porte segrete e corridoi nascosti disseminati per tutta la casa a creare una sorta di labirinto. Tunnel sotterranei e segreti ormai dimenticati. Esistevano diverse storie sulla casa e i suoi occupanti. La gente di Hazzard non sapeva per certo quali fossero vere e quali fossero invece leggende metropolitane, ma non importava granché. Quelle storie tenevano chiunque a distanza.

A differenza degli abitanti di Hazzard, Laura chiudeva le porte a chiave mantenendo così ciò che per lei contava al sicuro all’interno e ciò che la spaventava all’esterno. Quello che succedeva dentro le sue mura erano soltanto affari suoi, questo era ciò che le era stato insegnato e ciò in cui credeva. Seguì il sentiero di mattoni che le si apriva dinanzi entrando dal cancello. Teneva la borsa piena dei suoi tesori al sicuro sotto al braccio mentre cercava la chiave giusta per aprire la porta di casa. Una volta dentro richiuse la pesante imposta con tre mandate. Mentre si dirigeva in cucina sul retro della casa, accese tutte le luci. Pesanti tende mantenevano le stanze al buio anche durante il giorno. Entrata nella dispensa, scansò due sacchi di farina su di uno scaffale e tirò una leva aprendo così una porta nascosta sul muro opposto.

La porta si aprì rivelando un passaggio segreto. Laura accese una delle lanterne ad olio sistemate vicino all’entrata e si incamminò. Quando arrivò alla fine del corridoio, si fermò e premette la mano su una sezione del muro a ridosso del pavimento aprendo in questo modo un’ulteriore porta segreta. La oltrepassò e discese gli scalini di pietra che conducevano ad un corridoio sotterraneo. Si fermò per accendere un’altra lampada agganciata al muro. Quei passaggi sotterranei non avevano elettricità, risalivano alla Rivoluzione Americana. C’erano sei stanze disseminate lungo il corridoio chiuse tutte da porte di ferro. Ciascuna porta era dotata di una piccola finestrella al centro, grande abbastanza da farci entrare solo il suono della voce. Ciascuna porta era assicurata da lucchetti.

Il padre di Laura le aveva detto che quelle porte erano state usate durante la Rivoluzione dall’esercito continentale per nascondere armi e provviste agli inglesi. In seguito furono usate per segregarci gli schiavi, furono quindi convertite in prigioni dai soldati americani durante la Guerra Civile. Le stanze erano grandi, con mura di pietra e prive di finestre. Erano insonorizzate. Non si poteva sentire alcunché al di fuori della casa. Allo stesso modo non arrivavano suoni o rumori una volta all’interno. Laura pensava fossero luoghi perfetti per mantenere dei segreti. Ristrutturazioni varie nel corso dell’ultimo secolo avevano nascosto quelle camere ancora di più.

Accese le lanterne agganciate al muro man mano che si avvicinava all’ultima stanza alla fine del corridoio. Nel 1950 suo padre l’aveva trasformata in un rifugio antiatomico dove potersi nascondere con tutta la famiglia, per il timore che i sovietici sganciassero ordigni nucleari nel periodo della Guerra Fredda. La camera era stata concepita per resistere a qualunque tipo di calamità. Fu rifornita di provviste per molto tempo, aveva al suo interno anche un bagno e acqua corrente.

Laura girò la chiave di metallo e fece scorrere la barra che serrava la porta. Accese tutte le lampade che si trovavano all’interno. La luce illuminò la stanza con un tenue bagliore rivelando un grande ambiente dominato da un letto matrimoniale. Il letto era ricoperto da un’antica trapunta decorata con un motivo di rose. I cuscini erano sistemati ordinatamente di fronte alla testata in mogano del letto e conferivano allo stesso un aspetto caldo ed invitante. C’erano vestiti ed un piccolo tavolo con tre sedie. Candele un po’ dappertutto. Una parete era interamente occultata da un grande scaffale stipato di vecchi libri. Tende appese ad un’altra parete davano l’illusione che ci fossero finestre, ma non c’era vista sul mondo esterno. La camera era stata costruita per tenere al sicuro chi vi stava all’interno.

Laura in passato si recava in quella stanza quando sentiva il bisogno di allontanarsi dall’oppressione della sua famiglia. Era un posto confortevole dove poter tenere tutti i suoi tesori e i suoi oggetti preziosi.

Estrasse il cuscino di Luke dalla sua borsa e lo abbracciò una volta ancora immaginando di stringere proprio Luke. Lo adagiò delicatamente tra gli altri. Lisciò la zampa d’orso ricamata sulla trapunta rubata e dopo averlo disteso, fece un passo indietro e guardò il letto.

“Presto amore mio.” Mormorò sommessamente. “Presto.”

Una foto tagliata che ritraeva Luke e Laura era situata su una piccola cassettiera in un angolo. Laura aveva fotografato Luke di nascosto dalla banca ed era corsa in un negozio di Atlanta per includere se stessa nella foto. La afferrò amorevolmente e passò le sue dita sul volto di Luke. Ne aveva molte di foto con le quali poter assemblare altri fotomontaggi. Avrebbe presto aggiunto anche quelle scattate alla fattoria.

Laura rimosse anche gli abiti di Luke dalla sua borsa. Annotò la misura prima di riporre jeans e boxer nei cassetti. Ne aveva svuotati due per poterli riempire con gli effetti di Luke. Si asciugò qualche goccia di sudore ed afferrò la maglietta abbracciandola ed immaginando le braccia del giovane ad avvolgerla. Accese le candele sulla cassettiera, prese di nuovo la fotografia e si mise a sedere. Sussurrò: “presto, molto presto i nostri sogni diverranno realtà. Non lascerò che qualcuno ci separi. So che mi ami. Io ti amerò per sempre.”

 

Bo sospinse il Generale nel parcheggio di fronte alla banca e saltò giù dal finestrino. Luke fece lo stesso dal lato passeggero. Bo tirò fuori trenta dollari dal portafoglio e li contò di nuovo. I ragazzi avevano guadagnato quel denaro grazie a qualche lavoretto per la fattoria del signor Thompson. Erano davvero felici di poter versare dei soldi sul loro conto anziché prelevarli come solito.

Bo offrì il denaro al cugino: “pensaci tu, la nuova impiegata è strana.”

Luke rise: “intendi dire che è insensibile al tuo fascino?”

“Proprio così e non è neanche cordiale, non è stata amichevole neanche con te.”

“Io non stavo cercando di sedurla.”

“Beh cugino, hai campo libero questa volta, io vado all’ufficio postale a controllare se sono pronte le foto di Daisy.

“Ok, va bene.” Disse Luke guardando Bo allontanarsi.

Luke aprì la porta della banca e vide Laura dietro al bancone. Quando vide Boss Hogg alzare lo sguardo nella sua direzione esclamò: “buon pomeriggio, Boss.”

Lui sbuffò: “che vuoi?”

“Devo solo fare un versamento.”

“Un versamento? E’ difficile da credere.”

Luke scrollò il capo: “beh è proprio quello che sto per fare.”

“Fallo alla svelta allora. “Disse Boss impaziente. “Non voglio che tu tenga impegnata la signorina Dawson nel caso entri un vero cliente.”

Luke ignorò l’insulto. Sorrise a Laura e disse: “buon pomeriggio signorina Dawson, è un piacere rivederla di nuovo.”

Le ginocchia di Laura si piegarono quando Luke si rivolse a lei usando il suo nome. Era furiosa per il modo in cui Boss aveva trattato il suo amore, ma si trattenne dal parlare. La loro relazione era segreta ed era meglio che Hogg non ne venisse a conoscenza. Se Luke non avesse detto niente, anche lei avrebbe mantenuto il silenzio. Luke probabilmente si sentiva imbarazzato per la sua situazione economica. Lei proveniva da una ricca famiglia, mentre lui discendeva da contrabbandieri di whisky. Il loro amore sarebbe rimasto nascosto per il momento.

“Buon pomeriggio signor Duke. “Rispose educatamente Laura. “Cosa posso fare per lei oggi?”

“Vorrei versare questi trenta dollari sul nostro conto di famiglia, per favore.”

“Certamente. Mi lasci prendere il libro mastro per annotare la registrazione.”

“Grazie signorina Dawson.”

Quando Laura tornò al bancone, Luke le sorrise ancora porgendole il denaro. Quando le loro mani si sfiorarono, Laura fu travolta da un turbinio di emozioni. Sapeva che le stava dando un muto messaggio d’amore. Le stava dicendo quanto la amasse e doveva farlo di nascosto. Gli altri avrebbero potuto non approvare, quindi dovevano essere cauti nelle manifestazioni di affetto. Annuì forte della sua convinzione e fu grata a Luke quando lui le sorrise di rimando. Non erano necessarie parole di fronte ad un legame del genere.

Quando ebbe terminato la sua operazione, sorrise di nuovo facendo attenzione a non farsi vedere da Boss Hogg. “Il suo conto è stato aggiornato.”

“Molto obbligato, signorina Dawson. Arrivederci.”

Luke si voltò e prima di uscire si rivolse a Boss: “Ci vediamo.”

“Già, già.” Farfugliò contrariato Hogg.

Laura osservò Luke uscire dalla banca. Il cuore le martellava in petto per il breve incontro che avevano avuto e per la dichiarazione d’amore che le era appena stata fatta. Non sarebbero rimasti lontani ancora per molto. Sarebbe rimasta paziente fino a quel momento. Quando vide Luke arrivare dall’altra parte della piazza, iniziò a scrivere una lettera.

 

Bo e Luke si incontrarono di fronte al Generale una mezzora dopo. Bo incredulo si rivolse a suo cugino: “mi stai dicendo che la signorina Dawson è stata carina e amichevole con te?”

“Proprio così, mi ha addirittura sorriso.” Rispose Luke.

“Penso che i gusti siano gusti.” Replicò Bo con un ghigno. “Hey Luke, qual è il nome della signorina Dawson?”

“Non lo so. Non ci siamo presentati. Ho semplicemente sentito Boss chiamarla per cognome. Perché ti interessa?”

“Dawson inizia con la D così come il cognome della tua ragazza.” Disse Bo.

“Non è la mia ragazza.” Puntualizzò stizzito Luke. “Ti sarei grato se smettessi di chiamarla così e poi te l’ho già detto. L.D. sono le mie iniziali.”

“Non ne sono convinto, stavo pensando che potrebbero anche essere le sue di iniziali.”

“Non so come si chiami la signorina Dawson, ma non credo si tratti di lei. Non la conosco neanche. L’ho vista solo un paio di volte e per pochi minuti. Mi ha appena guardato.”

Bo scrollò le spalle: “si, credo tu abbia ragione.”

Non appena Bo saltò nel Generale, si accorse di una busta color lavanda poggiata sul cruscotto. La afferrò e percepì subito un odore di lillà. Luke, amore mio c’era scritto sopra. Non appena Luke entrò in macchina, Bo gli consegnò la busta.

“Un’altra?” Chiese Luke sconsolato.

“Sembrerebbe provenire di nuovo da lei.” Rispose Bo.

Luke si fece serio: “dannazione. Spero stavolta di scoprire chi è. Tutto questo è durato abbastanza. Pensi si sia stancata di questo gioco?”

“Apri la busta. Forse è la volta buona.”

Luke strappò rapidamente l’involucro augurandosi che Bo avesse ragione. Lentamente lesse la lettera:

Sto contando i minuti che ci separano dal nostro prossimo incontro. Mi manchi se non ti vedo ogni giorno. L’unica cosa che mi consola è sapere che tu provi lo stesso. La tua dichiarazione d’amore significa moltissimo per me. Per favore continua a inviarmi i tuoi messaggi. Non vedo l’ora di esserti vicina. Stavi davvero bene con quella camicia blu ieri, quando ti sei fermato al garage di Cooter prima di entrare da Rhuebottom. Rendeva i tuoi occhi più azzurri del cielo. Ti amerò per sempre, L.D.

“Che dice?” Chiese Bo.

Luke porse la lettera al cugino. Quando la ebbe terminata, domandò: “sei ancora convinto di non sapere chi sia? Lei sembra conoscerti molto bene. Dice che le mandi messaggi e che non vede l’ora di esserti nuovamente vicina. Dice che le hai confessato il tuo amore.”

“Te lo giuro, non so chi lei sia. Non so di che parla. Non mi vedo con nessuna e non mando messaggi. E di sicuro a nessuna ho dichiarato il mio amore.”

Bo scrollò le spalle: “lei dice che l’hai fatto.”

Esasperato, Luke sbottò: “non l’ho fatto. Me ne ricorderei altrimenti.”

“Ok, ok Luke. Calmati, ti credo. Chiunque sia, o sta giocando ad un brutto gioco o è un po’ matta.”

“Questo non è un gioco quindi lei deve essere completamente pazza.” Corresse Luke. “Non mi piace sapere che mi osserva. Sa come mi vesto e dove vado.”

“Sta diventando tutto molto strano.” Ammise Bo. “Neanche a me piace pensare che qualcuno si sia introdotto in casa nostra ed abbia curiosato tra le nostre cose.”

“Sono d’accordo.”

“Forse c’è Boss dietro tutto questo.” Suggerì Bo.

“Ci ho già pensato, ma non avrebbe molto senso. Non ha niente da guadagnare inventando una storia del genere.”

Bo sospirò: “beh non puoi sapere cosa si agita in quella sua piccola mente deviata. Escogita sempre qualcosa e di solito va contro di noi.”

“Lo so, ma non credo si tratti di lui stavolta. Tuttavia dobbiamo rimanere con gli occhi aperti nel caso mi sbagliassi. Sai una cosa? Mi sentirei sollevato se alla fine scoprissi che c’è proprio Boss dietro a questa storia.”

“Perché?” Domandò Bo.

“Come si dice è meglio avere a che fare con un demone conosciuto che con uno nuovo. Preferirei vedermela con Boss che con…”

Quando Luke si arrestò, Bo lo incalzò: “con chi?”

“Una donna che mi perseguita.” Rispose Luke.

“Pensi davvero ci sia una donna che ti sta perseguitando?”

“Non lo so, ma sembrerebbe davvero così. Vorrei solo che la smettesse.

Bo gli poggiò una mano sulla spalla: “non ti preoccupare, Lukas. Scopriremo cosa c’è dietro questa faccenda e la faremo finire.”

“Grazie, Bo. Adesso sarà meglio andare a casa prima che zio Jesse inizi ad irritarsi sul serio. A quest’ora dovevamo già essere alla fattoria.”

“Zio Jesse è l’unico del quale dovremmo preoccuparci adesso.” Convenne Bo con un sorriso.

“Hai ragione.” Disse Luke distendendo il volto. “Parti, Bo. Non abbiamo bisogno di altri guai.”

Il giovane spinse il Generale oltre la curva e pigiò sull’acceleratore.

Laura osservò i ragazzi allontanarsi dalla finestra della banca.

“Presto.” Bisbigliò.

 

To be continued…

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Capitolo 6
*** Sorvegliando ***


Maria cara meriteresti un premio per la tua fedeltà ai miei tempi biblici di aggiornamento. Ti ringrazio di essere ancora presente e di farmi avere i tuoi preziosi pareri.

Lu Duke ringrazio anche te per avermi recensito, spero tu abbia voglia di continuare a leggere la mia traduzione.

Bando alle ciance, a voi il sesto capitolo!

 

Capitolo sei: sorvegliando

 

Laura Dawson si aggirava tra gli scaffali dell’emporio di Rhuebottom cercando di decidere cosa sarebbe potuto occorrere a Luke. Aveva già preso un rasoio, schiuma da barba, un deodorante, dentifricio e shampoo. Stava osservando il reparto dei balsami tentando di capire se gli uomini li usassero. Afferrò un flacone e lo ripose nel cestino quando decise che i capelli mossi di Luke probabilmente ne avevano bisogno. Sorrise rendendosi conto di quanto il giovane necessitasse del suo tocco femminile.

Laura si ridestò dai suoi pensieri quando udì il campanello annunciare l’arrivo di un cliente. Vide Jesse Duke avanzare nel locale seguito da Bo. Quando raggiunsero lo scaffale appena dietro di lei, Laura ne seguì le voci. Si avvicinò per ascoltare meglio la loro conversazione.

“Sarebbe dovuto essere qui già da un’ora.” Disse Jesse visibilmente spazientito.

“Sarà qui a minuti.” Rispose Bo.

“Gli ho detto chiaramente di farsi trovare qui davanti all’una e invece sono quasi le due e mezza.”

Bo annuì: “ha solo un po’ di ritardo.”

“Un po’ di ritardo?” Disse Jesse alzando la voce. “E’ molto più che in ritardo. Non ho tutto il giorno da sprecare aspettando voi ragazzi.”

“Andiamo zio Jesse, calmati.” Continuò Bo sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

“Sono calmo.”

“Veramente stai gridando.” Affermò Bo sommessamente.

“Non sto gridando.” Rispose Jesse abbassando la voce. “Ma quando Luke sarà qui forse lo farò.”

Laura si avvicinò di più quando si accorse che il nome di Luke veniva menzionato. Capì che stavano parlando dell’uomo che amava e non gradiva molto usassero quel tono arrabbiato. Ora sapeva di non essersi sbagliata nel giudicare quella famiglia. Erano esattamente come i suoi genitori: controllavano e dominavano. Doveva assolutamente salvare Luke da loro.

Persa nei suoi pensieri, Laura fu riportata al presente dal suono della voce di Luke. Si spostò nella sua direzione.

“Zio Jesse, Bo vi ho cercato ovunque.” Disse Luke entrando nel locale.

“Ci avresti trovati esattamente dove ti avevo dato appuntamento all’una in punto, se ci fossi stato.” Brontolò Jesse.

“Ho una spiegazione.” Si affrettò Luke.

Jesse tuttavia non gli diede l’occasione: “non voglio sentirla. Io non capisco perché voi ragazzi non possiate mai fare quel che vi viene detto senza bisogno di tirare fuori scuse o giustificazioni. Eppure non è tanto difficile. Ti ho detto che ci saremmo incontrati all’una di fronte all’emporio. Non ho tutto il giorno da sprecare aspettando il tuo arrivo. Se non mi fossi fatto prendere dall’ansia ogni volta che sono stato preoccupato per voi ragazzi, a quest’ora dimostrerei molti meno anni e i miei capelli sarebbero un po’ meno bianchi. Vorrei farvi stare per una volta sola al mio posto e allora capireste.”

Luke, con le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans, aveva lo sguardo basso e attendeva il termine della ramanzina. Sapeva bene quanto non fosse saggio interrompere lo zio in situazioni come quella. Quando colse una pausa, disse amareggiato: “mi dispiace zio Jesse.”

“E’ tutto ciò che hai da dire in tua discolpa?” Incalzò Jesse.

“Pensavo non volessi una spiegazione.” Ghignò lievemente Luke. Sapeva che la rabbia dello zio era dovuta alla preoccupazione che gli aveva involontariamente causato.

La voce di Jesse si abbassò considerevolmente: “beh, adesso ne voglio una.”

“Si è forata una gomma del furgone.”

“E da quando ti serve un’ora per cambiare una gomma?” Ribadì Jesse contrariato.

“Da quando tu non ne hai una di scorta.”

“Io ne ho una.” Si difese Jesse.

Luke annuì: “in effetti è vero una c’è, ma è bucata. Ho dovuto aspettare l’arrivo di Cooter, purtoppo ci ha messo un po’ perché era fuori per un’altra chiamata.”

Bo non poté far a meno di ridere. Aveva tentato di restare fuori da quella discussione, ma era troppo divertito dalla spiegazione di Luke. Non era da zio Jesse farsi cogliere impreparato. Più di una volta i ragazzi erano stati avvisati di controllare l’efficienza delle gomme di scorta. Quando Jesse lo guardò, Bo nascose velocemente il suo ghigno.

Posò poi una mano sulla spalla del nipote maggiore: “Luke…”

Il giovane regalò un sorriso allo zio. Sapeva bene che la sgridata a cui era stato sottoposto era solo frutto di preoccupazione: “lo so zio Jesse, lo so. Mi dispiace averti fatto stare in ansia. Sarà meglio ora terminare le nostre compere, non abbiamo tutto il pomeriggio da sprecare qui dentro.”

Jesse avvolse le spalle di Luke col suo braccio: “è proprio così ragazzo mio. Bo vai a prendere quello che ci serve, io e Luke cominceremo a caricare il furgone.”

Laura si mosse seguendo il suono della voce dei Duke. Luke la colse di sorpresa quando i loro occhi si incontrarono di sfuggita. Le fece un cenno di saluto e le sorrise passandole avanti e dirigendosi verso l’entrata con lo zio al suo fianco. Laura sapeva che le stava chiedendo aiuto, ma non c’era niente che lei potesse fare. Il vecchio Jesse lo teneva saldamente sotto il suo braccio.

Osservò i Duke attraversare la strada e dirigersi verso il furgone. Sperava ardentemente di poter proteggere Luke dalla sua famiglia. Quando erano da Rhuebottom suo zio aveva detto chiaramente che lo avrebbe punito e per tutta risposta Bo ero scoppiato a ridere. Non sarebbe stato facile per lei portare Luke lontano dalla sua famiglia. Lo sapeva perché ormai lei e l’uomo che amava avevano stretto una sorta di legame empatico. Laura ormai si era liberata della sua famiglia. Per Luke però non sarebbe stato tanto facile.

Laura acquistò altri oggetti per il suo amato compresi un paio di jeans e uno di boxer. Avviandosi alla cassa scorse Lulu Hogg intenta a pagare una scatola di praline. Accorgendosi della sua presenza, la dolce Lulu disse: “Oh signorina Dawson, che piacere vederla fuori dalla banca. Mio marito la tiene troppo occupata e noi non abbiamo mai tempo di parlare.”

“Salve signora Hogg. E’ un piacere anche per me.” Rispose educatamente Laura.

Lulu osservò il cestino di Laura ed annotò gli oggetti che aveva comprato. Non nascose la sua sorpresa esclamando: “oh santo cielo! Sono tutte cose per uomini. Sta aspettando compagnia?”

Laura sorrise: “sono per mio marito.”

“Suo marito?” Ripeté Lulu con maggior stupore. “Non sapevo fosse sposata, mia cara.”

“In effetti non lo sono ancora, ma succederà molto presto. Tutte queste cose sono per lui. Ho bisogno di fargli trovare pronto tutto ciò che gli servirà.”

“E’ meraviglioso! Posso sperare in un gran matrimonio con molti invitati?”

“Oh no! Sarà una piccola cerimonia. Romantica e intima.”

“Beh mia cara, il tutto è davvero incantevole. Conosco il suo giovane uomo?”

Laura scosse il capo decisa: “non è di queste parti.”

“Vi auguro ogni bene. Spero di conoscerlo prima o poi.”

“Forse.” Disse Laura senza impegno.

“Mi farebbe davvero molto piacere. Oh come si è fatto tardi!” Esclamò Lulu. “E’ stata una gioia vederla signorina Dawson.”

“Le auguro una buona giornata signora Hogg.” Concluse Laura.

La ragazza depose delicatamente la merce che aveva nel cestino sulla cassa. Si sentiva bene per aver condiviso i suoi piani con qualcuno. Sarebbe stata una notizia meravigliosa per tutti se non fosse stato per la famiglia Duke. Stavano costringendo sia lei che Luke a mantenere segreto il loro prossimo matrimonio.

 

Bo e Luke terminarono di caricare il furgone sotto la supervisione di zio Jesse. Quando ebbero finito, Jesse si mise al volante: “ok ragazzi, ci vediamo direttamente alla fattoria. Abbiamo già perso abbastanza tempo perciò non tardate. Appena ripreso il Generale da Cooter, vi voglio a casa, chiaro?”

“Sissignore.” Risposero i ragazzi all’unisono.

Quando il vecchio furgone bianco si fu allontanato, Bo e Luke si incamminarono verso l’officina di Cooter. Il Generale era parcheggiato all’esterno, ma non vi era traccia del meccanico. Luke si poggiò comodamente sul cofano della macchina, mentre Bo entrò nell’officina per cercare l’amico.

Laura aveva seguito di nascosto i ragazzi. Fu sorpresa di vedere Luke da solo. Gli si avvicinò cercando di non dare nell’occhio.

Quando Luke la vide, si rimise in piedi e la salutò: “buon pomeriggio signorina Dawson.” Ricordando poi la conversazione avuta con Bo, si soffermò ad osservarle il collo cercando l’altra metà del cuore che lui stesso aveva ricevuto, ma il giacchetto che indossava la copriva completamente.

Laura sorrise incapace di formulare una qualsiasi frase per la gioia di ritrovarsi finalmente da sola con Luke.

Non ricevendo alcuna risposta, Luke tentò ancora: “bella giornata, vero?”

“Si, è proprio vero.” Replicò finalmente Laura ritrovando la sua voce.

Proprio quando stava per dichiarargli tutto il suo amore, Bo riemerse dall’officina: “hey Luke è tutto sistemato. Certo dobbiamo una bella cifra a Cooter per le parti di ricambio del Generale, ma ora è come nuovo.”

Sorpresa dall’improvviso arrivo di Bo, Laura fece un cenno di assenso a Luke e tagliò corto: “buona giornata signor Duke.”

Sapeva che nessuno doveva vederli insieme. Non voleva causare a Luke più problemi di quanti non ne avesse già con la sua famiglia. Bo controllava e sorvegliava Luke continuamente. Di sicuro poi riferiva tutto allo zio.

Luke osservò Laura allontanarsi di fretta ed attraversare la strada in direzione della banca. Bo gli chiese: “non era l’impiegata della banca?”

“Si, era lei.” Rispose Luke.

“Che le hai detto? Sembra quasi sia scappata via.”

“Non lo so, Bo. Non le ho detto niente. Magari era solo in ritardo per il suo lavoro.”

“Hai scoperto qual è il suo nome?” Continuò dunque Bo.

“No, ma non indossa il ciondolo per quel che ho potuto vedere.”

“Probabilmente non è lei. Non credo parli mai con qualcuno.”

Luke annuì: “hai ragione. A stento mi ha rivolto la parola. Sarà meglio andare a casa ora o dovremmo sorbirci un’altra ramanzina da parte di zio Jesse.”

Bo rise: “Già! Lo hai irritato abbastanza per oggi, cugino!”

“Non è stata colpa mia, ma hai ragione. Andiamo a casa.”

Laura osservò dalla finestra della banca i ragazzi saltare nel Generale Lee e partire. Non sarebbe stato per niente facile. Bo sorvegliava continuamente Luke. Doveva escogitare un modo per far sì che Luke rimanesse da solo. Doveva assicurarsi che Bo non interferisse più con i suoi piani.

Nel frattempo anche lei avrebbe cominciato a sorvegliare il suo amore malgrado la distanza che li separava.

 

To be continued...

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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


Cerchiamo di velocizzare un po’!  A grande sorpresa, a soli due giorni dall’ultimo aggiornamento, eccomi tornata con un nuovo capitolo tradotto. Non ci fate l’abitudine però, ormai lo sapete che sono completamente inaffidabile!

Grazie alle mie care Thia e Lu Duke per i commenti puntuali e graditissimi come al solito.

 

Capitolo sette: rivelazioni

 

Come solito di venerdì sera il Boar’s Nest era pieno zeppo. Daisy si fece largo tra la folla tenendo abilmente in equilibrio un vassoio di birre. Sorrise ai suoi cugini quando li vide entrare nel locale. Era molto felice che Bo fosse riuscito a convincere Luke ad uscire di casa. A Luke infatti non piaceva l’idea di star fuori dove c’era qualcuno che lo osservava a sua insaputa. Dopo aver trovato l’ultimo messaggio nel Generale Lee, si era rinchiuso nella fattoria per tutta la settimana. Jesse aveva praticamente dovuto spingerlo verso la porta di casa quella sera dicendogli che non avrebbe dovuto permettere a qualcuno di controllarlo in quella maniera. Luke non era d’accordo, ma aveva comunque seguito Bo.

I ragazzi trovarono due sgabelli liberi al bancone. Daisy li raggiunse con due boccali di birra. Sorrise a Luke e disse: “è bello saperti uscito dal tuo isolamento, tesoro.”

Luke ricambiò il sorriso: “non ho avuto molta scelta. Zio Jesse mi ha praticamente sbattuto fuori casa. Penso fosse stanco di vedere la mia faccia, o forse aspettava compagnia e voleva la casa solo per sé.”

Bo e Daisy scoppiarono a ridere grati che il senso dell’umorismo di Luke fosse tornato. Bo scrutò la folla e colse Marylee Conner a sorridergli seduta ad un tavolo da sola. Afferrò la sua birra e disse: “perdonatemi cugini, ma la mia presenza è richiesta altrove.”

Luke scrollò la testa guardando Bo mettersi seduto al tavolo di Marylee. Fece un cenno nella sua direzione: “beh Daisy a quanto pare Bo mi ha già scaricato.”

“Puoi aspirare a qualcosa di meglio.” Rispose la giovane ammiccando. “E’ comunque positivo che tu sia uscito. Ti terrò compagnia io anche se stasera sarò molto occupata.”

Quando Daisy si fu allontanata, Luke esaminò attentamente il locale chiedendosi se ci fosse anche lei. Osservò i volti di coloro che conosceva e quelli di chi non aveva mai visto, ma sembravano tutti impegnati nelle loro conversazioni. Non sembrava possibile potesse essere uno di loro. Eppure continuava ad avere la sensazione di essere osservato. Non sapeva se si trattasse della sua immaginazione o se fosse reale, tuttavia era abbastanza perché rimanesse costantemente vigile.

Saltò praticamente sullo sgabello quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si voltò e si ritrovò di fronte ad una donna che aveva occupato il posto lasciato libero da Bo. Aveva l’aria familiare, ma non sapeva dire chi fosse. I capelli castani le scendevano sulle spalle, due occhi di un celeste pallido, erano immersi nei suoi.

Laura sorrise dolcemente: “ciao Luke.”

Luke riconobbe la sua voce e le sorrise di rimando: “salve signorina Dawson.”

Sembrava molto diversa senza gli occhiali e con i capelli sciolti. Era vestita in modo casual con un paio di jeans e un golfino. Aveva un’aria addolcita, non austera come al solito.

“Laura.” Disse. “Per favore chiamami Laura.”

Luke annuì. “D’accordo Laura. Non ti avevo mai vista qui dentro prima d’ora.”

“Di solito non frequento i bar, ma avevo voglia di uscire e questo posto sembra essere molto famoso.”

Luke rise: “non è che ci sia molta scelta, ma se non ti disturba bere birra annacquata, puoi addirittura trovare un po’ di piacevole compagnia qui dentro.”

“Non potrei essere più d’accordo.” Rispose Laura riconoscendo chiaramente il messaggio subliminale di Luke.

“Cosa prendi da bere?” Chiese poi il giovane.

“Quello che prendi anche tu, grazie.”

Luke chiamò Daisy, quando la ragazza si avvicinò le disse: “potresti portarci due birre, per favore?”

“Certo tesoro. Chi è la tua amica?”

“Daisy, lei è Laura Dawson. E’ la nuova impiegata della banca. Laura questa è mia cugina Daisy Duke.”

Daisy offrì la sua mano a Laura la quale non riponeva nella giovane molta fiducia in quanto appartenente ai Duke. Non era tuttavia sgradevole come Bo e Jesse, non aveva la loro stessa aria minacciosa.

“E’ un piacere conoscerti.” Disse Laura.

“Sarò di ritorno con le vostre birre.” Concluse poi Daisy con un dolce sorriso.

Laura guardò Luke amorevolmente. Non riusciva a credere di ritrovarsi finalmente seduta da sola accanto a lui. Sapeva che doveva continuare ad agire con discrezione, tuttavia il bar era talmente affollato che sembrava nessuno le prestasse attenzione. Doveva essere molto cauta con Bo nei paraggi, ma il giovane era impegnato con una ragazza e le stava dando le spalle.

L’emozione di essere vicina a Luke unitamente alla possibilità di essere scoperti, rendevano Laura nervosa. Tentò di calmare il suo scalpitante cuore. Riusciva a sentire le proprie gote in fiamme e sperava passassero inosservate alla poca luce del locale. Aveva bisogno di calmarsi, ma aspettava quel momento da tutta la vita. Le sembrava un sogno essere finalmente accanto al suo amore il quale le stava dimostrando tutto il suo affetto così apertamente.

Laura si infilò una mano in tasca e toccò con le dita una bottiglietta contenente piccole pillole bianche. Sperava la serata sarebbe stata speciale, ma non era molto sicura di riuscire a rilassarsi abbastanza per godersela. Non era mai stata con un uomo. Pensava le sarebbe occorso il *Rohypnol per calmarsi, ma sapeva che non avrebbe potuto mandar giù neanche mezza pillola se non avesse avuto niente da bere. Il suo medico ad Atlanta non avrebbe voluto prescriverle quel medicinale così potente, ma a volte i soldi fanno la differenza. L’aveva messa in guardia dal non mischiare mai le pillole con l’alcol. Lei voleva solo distendere un po’ i suoi nervi senza dimenticare la serata speciale che aveva di fronte. Decise alla fine di non prendere il farmaco. Sperò che la tranquillità le arrivasse dalla birra, ma ne avrebbe preso un solo boccale. Voleva rimanere sobria.

“Da dove vieni?” Chiese dunque Luke.

Laura fu colta all’improvviso dalla domanda del giovane. Rispose: “dall’altra parte della contea.”

Luke sorrise: “no, volevo sapere di dove sei originaria. Non ricordo di averti mai vista ad Hazzard.”

“Ho vissuto ad Hazzard tutta la vita eccetto il periodo che ho trascorso fuori per studio. La casa della mia famiglia è in questa contea da circa duecento anni.”

“Dawson?” Ripeté Luke. “Sei una di quei Dawson?”

Laura non si fece sfuggire la sorpresa sul volto di Luke e la attribuì immediatamente al suo rango sociale. Doveva esser certa che avrebbe compreso come la sua ricchezza contrapposta alla povertà dei Duke, non le interessava assolutamente come argomento.

Luke non aveva capito che Laura facesse parte dei leggendari Dawson. Molte storie si tramandavano sul vecchio palazzo e sui suoi abitanti, tuttavia ormai venivano considerati semplicemente come gente strana e solitaria. Luke aveva sentito dire che c’era una figlia che aveva ereditato tutto il patrimonio alla morte dei genitori, ma non ricordava di averla mai vista.

“Mi dispiace per la perdita dei tuoi genitori.” Disse Luke sinceramente. “Deve essere dura dover vivere in quella vecchia e grande casa tutta sola.”

Laura annuì percependo immediatamente la richiesta di Luke di unirsi a lei nella sua casa.

“Non è facile perdere un genitore, figuriamoci perderli tutti e due insieme. So cosa significa. Hai tutta la mia comprensione.” Aggiunse Luke.

“Grazie.” Disse Laura anche se per lei il dolore di quella perdita era durato molto poco.

“Non ricordo di averti mai vista neanche da bambino.”

“Tu sei cresciuto nella fattoria di tuo zio, mentre io in città e non ho mai frequentato la scuola di qui perché avevo un insegnante privato a casa.”

Luke annuì: “immagino questo spieghi tutto. Come fai però a sapere che sono cresciuto nella fattoria di mio zio?”

“Hazzard è poco più di un paese. Conosco di fama la famiglia Duke.” Rispose Laura. “Tuttavia neanche io ricordo di averti mai visto prima. Penso abbiamo semplicemente avuto differenti cerchie di conoscenze.”

Laura distese il braccio e posò una mano sulla spalla di Luke scuotendolo gentilmente. Sorpreso dall’inaspettato contatto fisico, il giovane la guardò negli occhi. Gli afferrò poi una mano e la strinse tra le sue sorridendogli. L’istinto di Luke si azionò all’istante quando fu investito da una spiacevole sensazione.

L’espressione di Laura poteva essere definita soltanto come amorevole. Liberò una mano e cercò sotto il collo del suo maglione la catenina d’oro alla quale era attaccato il cuore spezzato. La raggiunta consapevolezza colpì duramente Luke. Non aveva tuttavia senso. Non conosceva quella donna. L’aveva vista di sfuggita solo in un paio di occasioni. Non le aveva mai realmente parlato prima di quella sera. Si era convinto che la sua ammiratrice segreta alla fine si sarebbe rivelata come qualcuna che già conosceva.

“Mio Dio. Sei tu, non è vero? Sei tu la ragazza che mi invia regali e che mi scrive messaggi. L.D. Laura Dawson.”

“Certo che sono io. Ma tu lo sapevi. Anche tu mi hai mandato messaggi d’amore segreti.” Replicò Laura come se il suo discorso fosse ovvio. Gli afferrò di nuovo le mani e sorrise: “so che mi ami tanto quanto io amo te. Semplicemente non sei libero di esternare il tuo amore.”

Luke gentilmente recuperò le sue mani. Avrebbe dovuto sentirsi arrabbiato e invece non lo era. Era dispiaciuto per lei. Riusciva a cogliere la sua malcelata tristezza. Non si trattava di qualche gioco elaborato. Lei era sincera. Ma come poteva amarlo se neanche lo conosceva?

“Mi dispiace, ma ti stai sbagliando.” Il più delicatamente possibile aggiunse poi: “non ti amo e non ti ho mai mandato messaggi. Ci conosciamo a mala pena.”

“Capisco.” Sussurrò Laura avvicinandosi a Luke. “Non sei ancora pronto per divulgare il nostro segreto. Sei preoccupato che la tua famiglia possa non approvare. Le piccole città possono essere nocive in certi casi. Il nostro amore rimarrà nascosto fintanto che tu vorrai.”

“Non è come dici tu Laura. Non mi conosci abbastanza per amarmi. Non mi conosci affatto.”

“Ti conosco, Luke. Forse più di quanto tu conosca te stesso. Non mi puoi ingannare. Sei solo restio a mostrare i tuoi sentimenti. Hai bisogno di rilassarti. E io ti posso aiutare.”

Laura poggiò una mano sulle ginocchia di Luke. Il giovane si alzò di scatto non sapendo più cosa dire. Aveva bisogno di pensare. Laura non lo ascoltava. “Scusami, ho bisogno di darmi una rinfrescata.” Disse allontanandosi dal bancone.

Quando fu lontano dalla sua vista, Laura prese la bottiglietta contenente le pillole. Nonostante ciò che Luke diceva, lei percepiva una perfetta sintonia tra di loro. Era lui quello timido, non Laura. E aveva paura della sua famiglia. Gli serviva qualcosa che lo aiutasse a rilassarsi. Lo stress di sentire i suoi famigliari contro, alla lunga poteva costargli caro. Aprì con cautela la bottiglietta e afferrò una pastiglia di Rhoypnol. La gettò nel boccale di Luke e la osservò dissolversi nella birra. Considerò poi quanto Luke fosse nervoso e per sicurezza immerse una seconda pillola. Così poteva bastare. Era proprio quello di cui aveva bisogno.

Sapeva che sarebbe stata una via d’uscita da codardo, ma sperava ardentemente di non trovare più Laura seduta al bancone. Gli riusciva difficile convincersi che dopo tutto non si trattava di uno scherzo. Quella ragazza gli faceva tenerezza. Probabilmente non avrebbe dovuto, ma era ciò che provava. Non era piacevole essere rifiutati da chi si ama, ma non era giusto che lei continuasse a sperare. Luke in passato era stato ferito molte volte e non gli piaceva l’idea di infrangere i sogni di Laura, anche se di sogni appunto si trattava. Doveva trovare il modo di farla ragionare.

Cercò il cugino con lo sguardo per avere da lui un po’ di supporto morale, ma Bo stava pendendo letteralmente dalle labbra di Marylee. Di sicuro non avrebbe apprezzato un’interruzione. Avrebbe voluto scivolare aldilà della porta e andarsene via, ma non avrebbe risolto la situazione. Doveva occuparsene subito. Voleva congedarsi il più delicatamente possibile da Laura. In fondo non si meritava modi bruschi. Quella ragazza emanava tristezza e solitudine.

Tornò a sederle vicino. Afferrò il boccale e bevve d’un fiato la birra rimasta. Chiamò Daisy: “portamene un’altra per favore.”

Con un nuovo boccale in mano, Luke sedette in silenzio cercando il modo per far ragionare Laura. La giovane sembrava contenta della sua vicinanza. Lo guardava con aria sognante. Bevve un altro sorso cercando di capire come uscirne fuori.

Quando sollevò lo sguardo in direzione di Laura, si accorse di non riuscire più a metterle a fuoco il viso. Sembrava quasi le stesse fluttuando di fronte. Lei disse qualcosa, ma non ne riuscì ad afferrare il senso. Iniziò ad avvertire un senso di vertigine e la testa cominciò a girargli. Aveva bisogno di un po’ d’aria fresca. Non credeva di aver bevuto tanto. Aveva preso solo due birre e per giunta annacquate. Doveva uscire. Si alzò dallo sgabello e praticamente cadde addosso a Laura.

Daisy lo vide barcollare e gli si avvicinò di corsa: “stai bene, tesoro?”

Luke si scusò: “Io… penso… di aver bevuto… troppo. Vado fuori. Ho bisogno di aria.”

“Ti serve aiuto?” Chiese Daisy rendendosi conto di come trascinasse le parole.

“Mi assicurerò io che stia bene,” Intervenne Laura. “Gli passerà tutto quando respirerà un po’ d’aria fresca. Penso abbia alzato un po’ troppo il gomito.”

“Grazie. Sicura che non ti sia di disturbo? Io ho molti clienti. Luke di solito non beve così tanto.”

Laura sorrise: “nessun disturbo.”

“Verrò fuori a dargli un’occhiata il prima possibile.” Affermò Daisy con crescente preoccupazione.

Daisy non vedeva suo cugino ubriaco da quando era un adolescente e aveva bevuto per la prima volta. Si avvicinò a Bo e lo fece allontanare da Marylee di modo che lei non potesse ascoltare: “Luke ha bevuto troppo e non si sente bene. Penso che dovresti portarlo a casa.”

“Non sono ancora pronto per andare a casa. Sto parlando con Marylee. Tranquilla, non credo Luke sia ubriaco. Siamo qui da neanche un’ora.”

“Non mi importa da quanto siete arrivati, Bo. Ha bisogno di essere accompagnato alla fattoria e io non posso lasciare il lavoro. Non è in condizione di guidare.” Disse Daisy fermamente. “Devi portarcelo tu.”

“Ho io le chiavi del Generale quindi non può andare da nessuna parte.”

“Deve andare a casa ora.” Ribadì Daisy.

“Oh Daisy. Siamo appena arrivati e io sto passando una piacevole serata con Marylee.” Bo si guardò attorno: “a proposito, ma dov’è Luke?”

“E’ uscito a prendere una boccata d’aria.”

“Quindi sta bene. Tornerà presto dentro.”

No, non sta bene Bo. Non riesce a mettere una parola dietro l’altra e a fatica si regge in piedi. E’ praticamente caduto dallo sgabello. Devi portarlo a casa. Dico sul serio.”

“E va bene.” Disse Bo seccato. “Lo accompagnerò a casa. Dammi solo dieci minuti così Marylee non penserà che sto scappando da lei.”

Daisy sorrise e gli diede un bacio su una guancia: “grazie, lo apprezzo molto.”

“Spero lo apprezzerà anche Luke. Mi ha rovinato la serata.” Concluse Bo contrariato.

Tornò a sedere al tavolo per terminare la sua serata e scusarsi con Marylee.

 

Luke lasciò che Laura lo guidasse al di fuori del locale, nel parcheggio. Lentamente lo condusse verso la sua Sedan nera sul retro del Boar’s Nest. Quando raggiunsero la macchina, Luke si sdraiò sul cofano aspettando che Laura prendesse le chiavi.

“Dove stiamo… andando?” Chiese Luke.

“A casa, chiaramente.” Rispose Laura.

“Bene… ho bisogno di mettermi a… letto.”

“E’ proprio lì che ti porterò, amore mio.”

Laura aprì lo sportello sul lato passeggero e tornò a prendere Luke. Lo afferrò per un braccio e lo tirò su di peso. Era difficile per lei riuscire a sorreggerlo. Era diventato un peso morto. Non appena riuscì a rimetterlo in posizione eretta, udì la voce di Bo. Cercò di infilare Luke nella macchina alla svelta, ma il giovane non ne voleva sapere di muoversi. Barcollò pericolosamente. Ricadde di peso sul cofano.

“Luke? Dove sei? Andiamo, Luke!” Urlò Bo.

Bo si aspettava di trovare il cugino seduto nel Generale Lee, ma la macchina era vuota. Si guardò attorno, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte. Memore del racconto di Daisy, iniziò a preoccuparsi.

“Luke!” Gridò ancora. “Luke!”

“Bo.” Sussurrò Luke.

La voce di Bo si avvicinava pericolosamente. Laura afferrò di nuovo le braccia del ragazzo per tentare di rimetterlo in piedi. Disse disperatamente: “dobbiamo andarcene prima che Bo ci trovi. Devo portarti in salvo. Andiamo Luke. Dobbiamo andare via.”

“Ma Bo…”

“Non ti preoccupare per lui. Io ti porterò in salvo. Non gli permetterò di farti del male.”

“Luke!” Strillò ancora Bo cercando tra le macchine nel parcheggio. Stava percorrendo tutto il perimetro esterno del locale.

Laura con un ultimo tentativo, riuscì a mettere in piedi Luke. Lo sorresse saldamente per la vita e guidò i suoi passi incerti verso lo sportello della macchina.

Luke sentiva il suo nome chiamato insistentemente sia da Bo che da Laura. Cercava di capire dove fossero. Gli stava girando tutto intorno, rendendogli impossibile localizzare le voci. Sembrava lo circondassero. Non sapeva da dove venissero, ma sembravano tutte e due disperate. Volevano qualcosa da lui, ma non sapeva cosa. Il tono frenetico di Laura e la presa tenace con la quale lo sorreggeva, lo stava guidandolo verso la macchina, mentre la disperata urgenza nella voce di Bo sembrava tanto lontana. Si convinse che Bo avesse bisogno di aiuto. Doveva andare da lui. Ignaro del fatto che Laura lo stesse caricando nella sua macchina, tentò di immaginare un modo per raggiungerlo. Ma le voci che sentiva non avevano volti e lui non aveva più alcun controllo sulle sue gambe.

 

To be continued…

 

*Il Rohypnol conosciuto anche come droga dello stupro è un farmaco che produce effetto ipnotico, ansiolitico e sedativo in quanto induttore di rilassamento muscolo-scheletrico. La sua commercializzazione è iniziata nel 1970. All'inizio venne usato come ammortizzatore degli effetti di cocaina ed anfetamina, successivamente a scopo ansiolitico ed infine come vera e propria droga, tenuto conto della dipendenza generata dall'assunzione. Sotto l'effetto del Rohypnol (soprattutto insieme ad alcolici od altre droghe) si perde totalmente coscienza di sé e non è infrequente che tale condizione venga seguita da uno stato di amnesia. Per questo motivo, oltre che per alcuni effetti negativi riscontrati a livello cerebrale, negli Stati Uniti è stato da tempo vietato il commercio mentre in Europa e nel resto del mondo è ancora ampiamente usato a livello farmaceutico. Alcuni studi sostengono che sia dieci volte più potente del Valium. (Informazioni raccolte su Wikipedia)*

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Capitolo 8
*** Ricordi perduti ***


Considerando che per i prossimi 8 giorni sarò via e considerando che siamo a ferragosto, ho pensato di regalarvi un altro aggiornamento. Spero il capitolo vi piaccia!

Ringrazio infinitamente tutti coloro che stanno leggendo questa storia e soprattutto ringrazio chi mi lascia puntualmente una recensione.

 

Capitolo otto: ricordi perduti

 

“Luke! Andiamo, Luke, dove sei? Luke!”

Luke sentiva l’urgenza di quella chiamata. Bo aveva bisogno di lui. Ne era certo. Era difficile per lui concentrarsi, ma era sicuro che Bo fosse in difficoltà. Si fermò e cercò di sottrarsi alla presa di Laura.

“Bo… ha bisogno di me. Devo andare… da lui.”

“No!” Rispose freneticamente Laura. “Dobbiamo andarcene di qui prima che ci veda. Dobbiamo allontanarci alla svelta.”

“Bo ha bisogno… di me.” Disse ancora Luke tentando di staccarsi dalla ragazza. “Devo aiutarlo.”

“Lui non ha bisogno di te.” Insistette Laura. “Vuole solo farti del male.”

“Bo vuole farmi male?” Chiese Luke confuso.

“Si, è per questo che ti cerca.”

“No… ha bisogno di me.”

Luke cercò ancora di liberarsi da Laura, ma la giovane lo teneva saldamente. Era tutto così poco chiaro. Bo non gli avrebbe mai fatto del male. Lo chiamava perché aveva bisogno di lui. Doveva trovarlo.

Quando Bo girò attorno al Boar’s Nest, vide finalmente Luke avvinghiato ad una donna. Sembravano abbracciati. Luke era con una ragazza. La preoccupazione di Bo divenne presto un fastidio irrazionale nei confronti del cugino, che chiaramente non era nei guai e nei confronti di Daisy per averlo spedito fuori a cercarlo senza motivo. Stava per rientrare quando si accorse che Luke barcollava pericolosamente rischiando di cadere addosso alla ragazza. Si avvicinò rapidamente e afferrò il cugino per un braccio proprio mentre le gambe stavano per cedergli. Luke si appoggiò di peso addosso a Bo e Laura, riluttante, fu costretta a lasciare la sua presa. Sapeva di non poter fare altrimenti.

“Daisy aveva ragione.” Brontolò Bo aiutando suo cugino. “Sei ubriaco.”

“Stai bene, Bo?” Domandò il giovane.

“Sto benissimo, Lukas.”

“Ti… serve aiuto?” Chiese Luke a rallentatore.

“No, Luke. Non ho bisogno di aiuto. Sto bene, non c’è niente che non vada in me. Sei tu quello che non è molto in forma. Ne hai buttati giù un po’ troppi per ridurti in questo stato. Quanto hai bevuto?”

“Non… ho bevuto… molto.”

Bo scrollò la testa. “Come no. Andiamo a casa. Zio Jesse andrà su tutte le furie quando ti vedrà in queste condizioni.”

“Non ho… bevuto.” Farfugliò ancora Luke.

“Odio contraddirti cugino, ma sei ubriaco.”

Bo guardò Laura. “Mi dispiace per tutto questo. Grazie per aver aiutato mio cugino. Luke di solito non si comporta così. Spero non le abbia creato troppi problemi.”

“Nessun problema.” Rispose Laura tentando di nascondere il proprio disappunto e la propria frustrazione per essersi vista rovinare il suo piano. Avrebbe dovuto aspettare ancora. Era preoccupata per quel che sarebbe potuto accadere a Luke una volta a casa, ma non c’era niente che potesse fare per proteggerlo. Magari avesse potuto salvarlo dalla sua famiglia.

“Mi sembra di averla già vista. Ci conosciamo?” Chiese poi Bo.

“Lavoro in banca.” Fu la risposta secca di Laura.

Bo le regalò un sorriso: “ma certo, la signorina Dawson. Stentavo a riconoscerla. E’ curioso come le persone sembrino diverse fuori dal loro contesto lavorativo. Grazie per aver aiutato Luke. Mi dispiace per tutto, di solito non si ubriaca. Ora sarà meglio portarlo a casa.”

Laura guardò Bo portare praticamente a peso morto Luke dentro la macchina. La sua rabbia stava crescendo. Era furiosa con Bo per averle sottratto Luke. Le stava tentando tutte per farli stare lontani. Era lui la ragione per la quale Luke continuava a mantenere la loro relazione segreta. Doveva assolutamente salvare Luke da Bo. Doveva salvarlo dalla sua famiglia. Non avrebbe permesso a nessuno di distruggere la loro storia. Avrebbe protetto il suo amore. Non avrebbe più permesso a Bo di portargli via Luke.

Laura chiuse violentemente lo sportello della macchina prima di sistemarsi al posto di guida. Quando si fu messa seduta, afferrò lo sterzo con tanta forza che le nocche le divennero bianche. Era furiosa. La prossima volta. Avrebbe salvato Luke la prossima volta. Schiacciò l’acceleratore e uscì dal parcheggio. Doveva escogitare un piano migliore.

Bo aiutò Luke attraverso il finestrino del Generale Lee non senza difficoltà. Quando anche lui si fu sistemato, disse scocciato: “hai scelto un momento sbagliato per ubriacarti, cugino. Stavo passando una splendida serata con Marylee e tu me l’hai rovinata.”

“Mi… dispiace…”

Luke sembrava talmente afflitto che Bo si dispiacque per lui. “Non fa niente. Anch’io ti ho rovinato una serata o due in passato. Fa che non succeda più. Altrimenti la prossima volta camminerai fino a casa.”

Luke non rispose, Bo lo guardò e si accorse che si era addormentato. Sospirò: “ma quanto puoi aver bevuto in un’ora? Devi esserti scolato un bicchiere dietro l’altro. Zio Jesse non sarà molto contento di vederti rientrare così sbronzo.”

Arrivati alla fattoria, Bo faticò per far uscire Luke dalla macchina. Considerò l’ipotesi di portarlo a braccia, ma decise che non sarebbe stata una buona idea. Sarebbe stato meglio se Luke avesse camminato con le sue gambe. Farlo passare davanti a Jesse sperando che lo zio non si accorgesse di niente, era una pia illusione. A giudicare dalle luci accese, era pressoché impossibile. Jesse era seduto sulla sua sedia preferita in salotto.

Entrarono dalla porta sul retro, Luke non riusciva a camminare dritto. A stento si reggeva sulle sue gambe. Era il corpo di Bo a sostenerlo, non si rendeva conto di dove fosse.

Quando Jesse vide i nipoti, chiese: “come mai siete tornati a casa così presto?”

Si alzò di scatto dalla sedia quando si accorse delle condizioni di Luke. Domandò preoccupato: “Che gli è successo? Sta male?”

“Bo sospirò: “nossignore. Non sta male. Ha solo bevuto un po’.”

“Dire che ha bevuto troppo.” Jesse scosse la testa con disapprovazione. “Non si regge neanche in piedi. Ma quanto ha bevuto?”

“Non lo so esattamente, zio Jesse.”

“Portalo a letto.”

“Zio Jesse…”

L’anziano Duke interruppe subito il nipote: “non provare ad inventare scuse per lui. Sa bene che non dovrebbe bere così. A giudicare dalle sue condizioni, ha bevuto tanto e in fretta. Non ci sono giustificazioni. Non lo vedevo così da quando a sedici anni bevve per la prima volta.”

“Si, mi ricordo. Scommetto che anche Luke si ricorda le conseguenze.” Bo tentò nuovamente di discolpare il cugino: “zio Jesse, sai che Luke è stato molto sotto pressione ultimamente per via della sua ammiratrice segreta. Non voleva neanche uscire stasera. Ho dovuto praticamente tirarlo fuori di casa. Non fosse stato per la nostra insistenza, sarebbe rimasto con te a guardare la tv. Un po’ è anche colpa nostra. Non essere troppo duro con lui.”

“Possiamo anche averlo indotto ad uscire, ma di certo non gli abbiamo detto di bere così. L’alcol non aiuta a risolvere i problemi. Adesso vai. Mettilo a letto perché non importa quanto si sentirà male domani mattina, avrà comunque i suoi lavori da portare avanti.

Quando Jesse si accorse dell’angoscia comparsa sul volto del nipote, aggiunse: “non preoccuparti. Non sono arrabbiato con lui, ma questo non significa che non ci saranno conseguenze. I postumi della sbornia non lo terranno lontano dalle sue responsabilità. Sono certo che domattina rimpiangerà la decisione presa stasera di bere così tanto.”

Bo sospirò. Quel che suo zio diceva era vero. Barcollò sotto il peso di Luke. Di certo non sarebbe voluto essere nei suoi panni la mattina dopo. C’era già passato. Zio Jesse non avrebbe mai permesso ai postumi di una sbronza di tenere uno dei suoi nipoti a letto anziché nei campi. C’era sempre del lavoro alla fattoria.

“Va bene, zio Jesse. Lo porto a letto. Penso che poi guarderò un po’ di tv insieme a te. Non ho più molta voglia di uscire ora che sono a casa.”

“D’accordo Bo.” Jesse diede una piccola pacca a Luke e scrollò le spalle. Luke non sembrava consapevole della presenza dello zio e del cugino.

“Buonanotte Luke.” Disse Jesse osservando Bo trasportarlo di peso nella loro stanza.

 

“Luke. Andiamo, Luke. E’ ora di svegliarsi. Luke!”

Luke faticò ad aprire gli occhi. Sentiva la chiamata insistente del cugino rimbombargli in testa sempre più forte. Qualcuno lo stava scuotendo e il suo stomaco di sicuro non apprezzava. Finalmente aprì gli occhi tentando di mettere a fuoco quel volto preoccupato che gli si stagliava di fronte.

“Bo?”

“Quanto hai bevuto ieri sera? Sono almeno dieci minuti che cerco di svegliarti. Zio Jesse si arrabbierà se non saremo a tavola entro pochi minuti. Andiamo. Alzati.”

Luke delicatamente si alzò e si mise a sedere sul bordo del letto. Si passò una mano tra i capelli e rimase con i gomiti sulle ginocchia, tenendosi la testa. Si sentiva disorientato e nauseato. Se solo la stanza avesse smesso di girargli intorno.

“Muoviti Luke. La colazione è pronta.”

“Non mi sento molto bene. Non voglio mangiare. Non credo di poter mettere niente nello stomaco.” Farfugliò Luke.

Bo si mise a sedere sul letto accanto al cugino e gli circondò le spalle con un braccio.

“Non ne sono sorpreso considerato lo stato in cui versavi ieri notte. Ma lo sai come la pensa zio Jesse riguardo le sbronze.”

Luke si fece sfuggire un gemito: “sbronza? Io non mi sono ubriacato. Ho preso solo un paio di birre, almeno credo.”

Bo sorrise: “penso tu ne abbia bevute molte di più, eri ubriaco fradicio quando ti ho riportato a casa. Quelli che accusi ora sono i postumi della sbronza.”

“Mi hai portato a casa?” Chiese Luke costernato.

“Certo e ti ho anche spogliato per metterti a letto.” Sorrise Bo. Aggiunse poi più seriamente: “mi dispiace, ma non ho potuto evitare che zio Jesse ti vedesse.”

Luke si rannicchiò ancora di più. Era peggio di quel che sembrava. Chiese immediatamente: “è arrabbiato?”

“Forse scocciato. No, non è arrabbiato, ma ha detto di non averti visto così da quando ti ubriacasti a sedici anni per la prima volta.” Quando vide l’ansia passare sul volto di Luke, Bo aggiunse con un sorriso: “non ti preoccupare cugino. Penso tu sia troppo cresciuto perché ti riprenda a sculacciate sulle sue ginocchia. O forse no.”

Bo vide suo cugino rabbrividire e decise che non era il momento giusto di scherzare. “Non sto dicendo sul serio, ma zio Jesse si aspetta di vederti fuori a lavorare. Sarà meglio muoversi.”

Bo si alzò in piedi. Offrì la sua mano a Luke per aiutarlo. Lo sorresse finché si rese conto che era stabile sulle sue gambe.

“Sarò pronto.” Disse Luke. “Ho solo bisogno di sciacquarmi il viso con dell’acqua fredda… e di vomitare.”

“Hai anche bisogno di vestirti a meno che tu non voglia fare colazione in mutande.”

Luke guardò in basso come se non avesse ancora realizzato di essere praticamente nudo. Bo era seriamente preoccupato dallo stato confusionale in cui versava il cugino. Si chiese come mai non si fosse reso conto che Luke, la sera prima, stava alzando troppo il gomito. Certo, la sua attenzione era stata tutta per Marylee e Luke, seduto al bancone con una ragazza, non aveva bisogno di un babysitter.

Bo scrollò le spalle guardando Luke attraversare la stanza e raggiungere i suoi vestiti prima di recarsi in bagno. Non poté resistere alla tentazione di stuzzicarlo ancora: “ lo sai Luke, non puoi volare con le aquile la mattina, se la notte non canti con i gufi (N.D. credo questo sia un detto americano, sinceramente non lo avevo mai sentito.)

“Non è divertente, Bo.”

“Un po’ lo è.”

“No invece.” Mormorò Luke.

Bo rise. Almeno Luke reagiva. Il giorno seguente sarebbe stato bene anche se al momento avrebbe avuto ancora qualche difficoltà. Bo annusò l’aroma del bacon provenire dalla cucina: “penso stamattina ci sarà un po’ più da mangiare per me.”

 

Luke fu assalito da un’altra ondata di nausea quando entrò in cucina e sentì profumo di bacon e uova. Jesse, Daisy e Bo erano già seduti a tavola.

“Buongiorno zio Jesse. Daisy.”

Daisy si alzò rapidamente e raggiunse i fornelli per preparare il piatto a Luke.

“No, grazie tesoro. Prenderò solo un po’ di caffè.”

Daisy baciò Luke su una guancia: “siediti te lo prendo io.”

“Grazie.”

Luke si mise a sedere accanto a Bo e cautamente guardò suo zio cercando di capire il suo stato d’animo. Non riuscì però a decifrare la sua espressione, quindi disse semplicemente: “mi dispiace zio Jesse.”

Jesse osservò il nipote con sguardo duro cercando di scorgere sul suo volto i demoni dell’alcol. Le vistose borse sotto gli occhi, rendevano il viso di Luke ancora più pallido. I suoi capelli erano più arruffati del solito. Sembrava messo così male che Jesse ebbe un moto di tenerezza. Dolcemente gli diede una piccola pacca: “non farla diventare un’abitudine.”

Luke rispose con un piccolo sorriso: “non lo farò.”

Daisy porse a Luke una tazza di caffè e disse: “hai passato molto tempo a parlare con Laura Dawson ieri sera.” Fece l’occhiolino a Bo: “hai intenzione di uscire con lei?”

Luke sembrò confuso per qualche minuto, ma poi riacquistò i suoi ricordi. Almeno qualcosa ricordava della notte precedente. Non sapeva come era tornato a casa, ma ricordava di esser stato al Boar’s Nest.

Disse a voce bassa: “non le chiederò di uscire. Lei è la mia ammiratrice segreta.”

“Che cosa?” Esclamò incredulo Bo. “L’impiegata della banca? Quella timida ragazza? E’ stata lei a spedirti biglietti e regali? E’ lei che ti perseguitava?”

“Non direi proprio che mi perseguitava.”

“E come definiresti quello che ha fatto? Chiese Bo, scioccato che il cugino potesse difendere quella donna.

“Non lo so, Bo. Mi è sembrata così sola. Mi sono sentito molto dispiaciuto per lei.”

“E perché dovresti dispiacerti per lei dopo lo stress a cui ti ha sottoposto? Domandò ancora Bo. “Che è successo ieri notte?”

Luke sospirò: “vi dirò la verità, non ricordo molto, ma di sicuro ricordo quando mi ha confessato di essere lei la mia ammiratrice. Ha detto di amarmi. Indossava l’altra metà del cuore. Non so come possa affermare di provare certi sentimenti. Prima di ieri sera, l’avevo intravista di sfuggita soltanto un paio di volte.

“Ti sei arrabbiato con lei per quello che ti ha fatto?” Chiese Bo.

“No, non le ho detto niente. Almeno credo. Sembrava triste. Mi si stringeva il cuore.”

“Ti ha perseguitato e a te si stringe il cuore?”

Luke scrollò le spalle: “non credo volesse arrecarmi danni. Non penso volesse farmi male. Ha detto solo di essere innamorata di me.”

Forse ti ama davvero, Luke.” Si intromise Daisy. “Hai mai sentito parlare dell’amore a prima vista?”

“Un momento Daisy, anche se fosse vero, questo non giustifica il suo comportamento.” Intervenne Jesse. Si voltò poi verso Luke: “che cosa le hai detto? Hai messo bene le cose in chiaro?”

Luke arrossì: “zio Jesse non ricordo cosa le ho detto e non so se lei mi ha detto qualcos’altro.”

Jesse rilasciò un sospiro. Non aveva intenzione di rimproverare il nipote, ma non poté farne a meno: “spero questo ti serva di lezione. Non puoi bere tanto da non ricordare quello che hai fatto o detto la sera prima. Non ci sono scuse. Adesso dovrai rivederla per chiudere questa storia.”

“Sono certo di averle detto che non sono innamorato di lei… almeno credo.”

“Devi fare la cosa giusta e parlarle nuovamente.” Insistette Jesse. Aggiunse poi contrariato: “dovrai anche restituirle il ciondolo.”

“Sissignore, lo so.” Rispose Luke rassegnato.

Non appena fu assalito da una nuova ondata di nausea, Luke si alzò di scatto e corse verso il bagno.

Jesse scosse nuovamente la testa: “che questo serva da lezione anche a voi due.” Disse indicando con l’indice sia Bo che Daisy. “Se avete intenzione di bere, dovete farlo responsabilmente o farete la fine di Luke che sta vomitando chiuso in bagno e non ricorda com’è tornato a casa ieri sera.”

Alzandosi da tavola, borbottò ancora: “ho sempre detto a quel ragazzo che doveva essere un modello per voi due. Non era certo questo ciò che intendevo.”

Bo si alzò a sua volta e si mosse per raggiungere lo zio di fuori. Bisbigliò all’orecchio di Daisy: “sarà meglio che cominci a lavorare prima che arrivi Luke. Cercherò di fare anche la sua parte perché non è in buone condizioni.”

Daisy gli diede un bacio: “sei proprio un bravo cugino, Bo.”

“Sarei dovuto stare più attento la scorsa notte e tenere d’occhio Luke. Non c’è niente che lui non farebbe per me o per te. Cerca di tenerlo in casa il più a lungo possibile senza farti scoprire da zio Jesse.”

“Va bene tesoro. Lo aiuteremo a superare questo momento.”

Bo sorrise: “dovremo fare un bel lavoro di squadra.”

“Noi siamo un’ottima squadra.” Convenne Daisy.

“Hai ragione.” Concluse Bo.

Quindi uscì fuori e iniziò a lavorare nel campo.

 

To be continued…

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Capitolo 9
*** Vetri rotti e cuori rotti ***


Come al solito, prima di lasciarvi alla lettura del nono capitolo, vorrei ringraziare sinceramente le mie care Juliet e Lu Duke per i commenti che mi fanno pervenire ogni volta. Mi fa piacere sapere che la mia traduzione stia riuscendo bene, ma come sempre il merito è solo ed esclusivamente di Gia August. Un’autrice eccezionale che amo dal più profondo del mio cuore.

 

Capitolo nove: vetri rotti e cuori rotti

 

Laura Dawson riusciva a stento a contenere la propria eccitazione mentre, da dietro la porta chiusa della banca, osservava di nascosto la Charger arancione parcheggiarsi davanti all’officina di Cooter. Il suo volto si infiammò per l’emozione. Ma la gioia divenne presto dispiacere quando vide Bo saltare fuori dal finestrino del Generale e dirigersi verso l’emporio di Rhuebottom. Quando realizzò che era solo, il dispiacere divenne rabbia. Sapeva che Bo stava costringendo Luke ad un isolamento forzato alla fattoria. Era chiaro per lei che Bo stesse facendo tutto quanto era in suo potere per tenerla lontana da Luke. Era praticamente tenuto prigioniero dalla sua famiglia. Non lo aveva più visto da quando Bo lo aveva portato via dal Boar’s Nest. Sapeva che Jesse e Bo stavano impedendo a Luke di andare da lei. Volevano tenerli separati.

Bo era il più grande ostacolo alla realizzazione dei suoi sogni. Lo zio non era molto meglio, ma almeno non era attaccato continuamente al fianco di Luke. Quello era compito di Bo. Lo tenevano alla fattoria e comunque non lo perdevano mai di vista. Quando veniva ad Hazzard, non era mai solo. Bo gli era sempre accanto, osservando ogni sua mossa. Non sarebbe stato facile staccare Luke dalla sua famiglia.

Laura doveva fare assolutamente qualcosa per contrastare le continue interferenze di Bo.

Dopo aver chiuso a chiave la porta principale della banca, rimase in finestra ad osservare il sole riflettersi sul cofano del Generale. Le era venuta una buona idea. Avrebbe fatto capire a Bo con chi aveva a che fare. Andò dietro al bancone e prese una piccola spada confederata avente funzione di tagliacarte. Cautamente ne testò l’affilatura con il dito indice. Ne uscì sangue. Sorrise. Il tagliacarte faceva al caso suo. Ma aveva bisogno anche di qualcos’altro per personalizzare il suo messaggio.

Entrò nel bagno e prese un bicchiere di vetro. Lo osservò alla luce e se lo rigirò tra le mani. Un delicato motivo di rose rosse avvolgeva il bordo. Lo fasciò con un asciugamano e poi lo posò nel lavandino. Con un gesto rapido lo ridusse in pezzi usando il tagliacarte. Con attenzione adagiò sia l’asciugamano pieno di frammenti di vetro che il tagliacarte nella sua borsa.

Uscì dal retro della banca richiudendosi la porta alle spalle. Si costrinse a non correre per la strada fin davanti da Rhuebottom. Avanzava lentamente. Con la massima naturalezza entrò nell’emporio. Bo stava chiacchierando con una commessa vicino alla cassa. Quando Laura si accorse che si trattava della stessa fanciulla con la quale Bo si era intrattenuto al Boar’s Nest, decise che era tempo di portare a termine il suo piano. Bo sarebbe stato occupato ancora per un po’. Ormai conosceva quel ragazzo. Non l’aveva notata entrare nel negozio, non l’avrebbe vista uscirne. Laura sapeva di non correre rischi. Un uomo come Bo non avrebbe mai guardato una ragazza come Laura una seconda volta. Forse non l’avrebbe mai neanche notata. Lei era troppo semplice, troppo comune. E lui era troppo superficiale per andare oltre l’aspetto fisico. Avrebbe fatto sì che Bo finalmente la notasse. Con un ultimo sguardo di sdegno, Laura lasciò il negozio.

Il tardo pomeriggio era tranquillo. Laura non vide nessuno per strada. Prese il tagliacarte dalla borsa e si avviò verso il Generale. Di proposito fece cadere la borsa in terra e si chinò per raccoglierla. Con il tagliacarte squarciò la gomma anteriore della macchina. La ruota iniziò a sgonfiarsi emettendo un sibilo sordo. Per velocizzare la fuoriuscita d’aria, tirò un altro fendente alla gomma. Soddisfatta del risultato, fece lo stesso con le altre tre ruote. Quando ebbe finito, si avvicinò al finestrino dalla parte della guida ed estrasse l’asciugamano dalla borsa. Ne sparpagliò a casaccio il contenuto sul sedile. I pezzi di vetro rilucevano come diamanti alla luce del tramonto. Si guardò cautamente attorno e fu soddisfatta di non scorgere occhi indiscreti ad osservarla. Come niente fosse attraversò la piazza e si diresse verso la sua macchina. Si voltò e sorrise compiaciuta del proprio operato. Era di nuovo felice. Non rimase a godersi la scena però, salì in macchina e se ne andò.

 

Marylee condusse Bo davanti all’ingresso del negozio. Indietreggiò quando il giovane si chinò su di lei per baciarla. Contrariato, Bo disse: “non sarai ancora arrabbiata con me, vero? Ti ho spiegato perché ho dovuto lasciarti sola venerdì scorso.”

“Non mi piace molto essere mollata in quella maniera.” Spiegò Marylee. “Lo sai che posso avere qualunque uomo io voglia.”

“Lo so, Marylee. Sono davvero dispiaciuto. Ma mi farò perdonare.”

“Bene…”

Bo si sbilanciò immediatamente: “ci vediamo venerdì sera al Boar’s Nest. Ti prometto che stavolta non ti lascerò sola. Sono davvero spiacente, ma la volta scorsa Luke aveva bisogno di me. Sai com’è con i parenti. Saprò farmi perdonare.”

“Ho capito, ma non lasciare che accada di nuovo.”

“Non lo farò.” Assicurò Bo.

“Va bene. Attendo con impazienza che arrivi venerdì allora. Ci vediamo lì.” Rispose Marylee. Sorrise tanto dolcemente che Bo si rammaricò di dover aspettare tanto per rivederla.

“Arriverò per le otto.” Concluse Bo.

Marylee gli diede un bacio su una guancia e sparì all’interno del negozio.

Bo sorrideva mentre si avvicinava al Generale Lee. Gli era costata fatica riuscire a convincere Marylee ad offrirgli una seconda possibilità, ma alla fine la giovane aveva ceduto al suo fascino. Si arrestò bruscamente quando vide le gomme della sua macchina a terra.

“Maledizione. Che diavolo è successo?”

Bo osservò la strada per capire se arrivando avesse potuto urtare qualcosa, ma non vide niente. Quando si accovacciò per esaminare le ruote non vide chiodi o vetri, ma solo fori. Fece il giro sul lato guida ed imprecò mentalmente realizzando che tutte e quattro le gomme erano bucate.

Cooter Davenport uscì dalla sua officina quando si accorse della presenza di Bo. Il giovane sembrava turbato. Domandò: “che succede, amico? Va tutto bene?”

“No, non c’è niente che vada bene.” Rispose Bo. “Tutte e quattro le ruote del Generale sono a terra.”

“Ma guarda che roba. Che è successo? Qualcuno ha lasciato le valvole aperte?”

“Magari.” Disse Bo pieno di rabbia. “Sembra siano state bucate con qualcosa di appuntito. E’ stato fatto di proposito.”

Ad un esame più attento, Cooter ne convenne con l’amico. Disse speranzoso: “forse possiamo ripararle. Non sembrano messe tanto male. Forse riesco a rattopparle e farle diventare come nuove.”

Bo sospirò: “spero tu abbia ragione. Non possiamo permetterci quattro gomme nuove adesso. Prendo il crick dal bagagliaio. Possiamo sistemarne una alla volta. Almeno è successo davanti alla tua officina.” Cercò le chiavi nelle tasche: “accidenti devo averle lasciate attaccate al quadro.”

Bo si intrufolò nel finestrino del Generale per raggiungere le chiavi. Rimase scioccato quando vide il sedile invaso da frammenti di vetro. Si guardò attorno, ma non riuscì a capire da dove potessero provenire. Non c’era niente di rotto. Chiamò Cooter: “vieni a dare un’occhiata.”

Quando il meccanico si avvicinò, Bo gli indicò i vetri. Cooter cautamente, prese un frammento tra le mani: “per fortuna non sei saltato qui dentro come fai di solito. Ti saresti potuto ferire seriamente in una zona in cui di sicuro non ti vorresti mai ferire.”

Cooter si affacciò all’interno per osservare meglio: “non c’è niente di rotto qui.” Prese poi un’altra scheggia di vetro: “sembrerebbe un bicchiere rotto. Guarda questo frammento di fiore, e questo pezzo circolare. Sembra proprio il fondo di un bicchiere.”

Bo osservò le piccole rose rosse: “ancora rose. Ma che sta succedendo?” Chiese spazientito. “Qualcuno ha fatto tutto questo di proposito. Avrei potuto farmi male seriamente. Ma chi può essere stato?”

“Hai fatto arrabbiare qualcuno di recente?” Chiese Cooter. “Magari il padre di qualche fanciulla che hai corteggiato.”

“Molto divertente, Cooter. Nessuno ce l’ha con me e nessuno potrebbe mai farmi una cosa del genere.”

“Cooter scrollò le spalle: “se non si tratta di te, forse riguarda Luke.”

“No, non lo credo possibile.”

Tuttavia Bo si fece esitante ricordando improvvisamente il bouquet di rose rosse piene di spine affilate, lasciate nel Generale qualche tempo prima. Ora le stesse rose erano disegnate su un bicchiere di vetro frantumato.

“Però, forse si tratta di Laura Dawson.”

“L’impiegata della banca?” Chiese Cooter scettico. “Perché mai dovrebbe avercela con Luke?”

In un’altra situazione Bo si sarebbe fatto una risata, ma ormai non c’era più niente di divertente. “Luke non ti ha detto che quella ragazza è la sua ammiratrice segreta?”

“No, non mi ha detto niente.” Rispose incredulo Cooter. “E’ sempre stato riservato quel ragazzo. Comunque perché dovrebbe essere arrabbiata con lui?”

“Perché è finalmente uscita allo scoperto e gli ha confessato di esser stata lei a lasciargli messaggi e regali. E gli ha detto di essere innamorata di lui. Ma te lo immagini? Non lo conosce neanche e dice di amarlo. Luke non ne è convinto, ma crede di averle detto di non provare i suoi stessi sentimenti. Conoscendo Luke, sicuramente ha usato molto tatto, ma sai come si dice: l’inferno è niente se paragonato alla furia di una donna rifiutata.

“Non lo so Bo. Mi sembra tutto così esagerato. Pensi davvero ci sia lei dietro tutto questo? Cosa mai potrebbe averle detto Luke per irritarla a tal punto?”

“Non ne ho idea. Neanche Luke sa cosa le ha detto. Non ricorda niente di preciso, sai ha bevuto un po’ troppo. Alcune persone non reagiscono bene di fronte ad un rifiuto.”

“Credo tu abbia ragione, ma non ci sono prove che sia stata lei. Non sai neanche se Luke l’abbia davvero rifiutata. Penso che tuo cugino debba chiarire questa faccenda, prima che vada fuori controllo.”

“Se davvero è stata lei, la situazione è già fuori da ogni controllo. Ha intenzione di chiederle un appuntamento per venerdì sera al Boar’s Nest, anche se non ne ha molta voglia. Ma sai com’è fatto Luke. Deve mettere le cose apposto dal momento che non ricorda di averlo fatto la volta scorsa.”

“Però non è da Luke bere tanto da non ricordare addirittura cos’ha fatto.”

“No, hai ragione. Però è successo e ora è costretto a rivederla di nuovo.”

“C’è sempre un prezzo da pagare.” Concluse simpaticamente Cooter. “Vediamo di sistemare queste gomme.”

“Grazie Cooter.”

 

Luke stava di fronte alla porta della banca cercando dentro di sé il coraggio per entrare e parlare con Laura. Non è mai una cosa facile dire a qualcuno che non vuoi averci niente a che spartire. Sapeva che non era una buona idea discutere la loro “relazione” in un posto pubblico, ma doveva fare la cosa giusta e parlarle di persona anche se avrebbe preferito chiudere la faccenda per telefono. Purtroppo non aveva quell’opportunità dal momento che Laura sembrava proprio non avere il telefono in casa. Tuttavia sapeva dove lavorava, quindi non aveva scuse alle quali aggrapparsi per evitarla.

Luke doveva fare ciò che era giusto anche perché si vergognava molto di non ricordare cosa era accaduto al Boar’s Nest. I ricordi di quella notte erano avvolti dalle tenebre ed erano spariti nel nulla subito dopo che Laura gli aveva confessato chi fosse in realtà. Nonostante tutti gli sforzi che facesse, la sua mente era completamente vuota. Ma non avrebbe certo dimenticato le conseguenze di quella notte. Aveva avuto mal di testa e nausea per due giorni interi.

E adesso doveva rivederla nuovamente. Aveva pensato di chiederle un appuntamento per venerdì sera. Era il minimo che potesse fare. Sarebbe stato meglio parlare al Boar’s Nest, non sarebbero stati da soli, ma avrebbero comunque trovato un po’ di privacy.

Bo era convinto che ci fosse Laura dietro le gomme tagliate del Generale Lee e i vetri sul sedile, ma Luke non ne era altrettanto sicuro. Insieme riuscivano a trovare abbastanza guai per conto loro senza l’aiuto di Laura. Era probabile, ma non se ne persuadeva. Le passate relazioni che aveva avuto con altre donne, a volte erano finite per volere suo, a volte no. Mai però erano degenerate in simili atti di violenza. Solo i sentimenti erano stati feriti. Non voleva credere che Laura fosse capace di una simile azione. Sembrava così calma e mite. Non avrebbe creduto alla colpevolezza di Laura a meno che non avesse avuto in mano prove più convincenti del semplice sospetto di Bo. Certo le rose erano un bel segnale, ma non significavano niente. Tentò ancora di ricordare cosa era accaduto l’ultima volta che si erano visti, ma sembrava proprio che, per la sua mente, quella notte non fosse mai esistita.

Luke prese un respiro profondo ed afferrò la maniglia. Aprì la porta ed entrò. Esitò qualche istante guardandosi attorno. Boss Hogg stava lavorando alla sua scrivania mentre Laura stava servendo Miss Tizdale. Di certo non era il luogo adatto per una conversazione personale.

Il cuore di Laura accelerò quando vide Luke entrare. Sapeva che dovevano essere cauti. Non riusciva a credere che lui fosse realmente lì. Fu sorpresa di non vedere Bo. Probabilmente doveva esser fuggito in qualche maniera e aveva trovato un modo per rivederla. Era il segnale di un amore profondo. Si era preso un gran rischio. Era certa che sarebbe stato punito per questo.

Miss Tizdale sorrise apertamente quando girandosi si trovò di fronte Luke: “ciao, come stai?”

Luke le sorrise di rimando: “buon pomeriggio Miss Tizdale. Sto bene, grazie. E lei?”

“Oh, tutto bene, Luke. Devo tornare all’ufficio postale. Salutami quel bell’uomo di tuo zio.”

“Lo farò.” Rispose Luke osservandola mentre si allontanava.

Notò come il volto di Laura tradisse la sua emozione. Non sarebbe stato facile. Si avvicinò al bancone e le regalò un sorriso. Passando diede un’occhiata a Boss. Di sicuro non voleva che ascoltasse neanche una parola. Doveva ponderare bene ciò che avrebbe detto e come lo avrebbe detto.

Laura si accorse del modo in cui Luke aveva guardato Boss. Quando Hogg alzò gli occhi e sul suo viso lesse solo disapprovazione, capì il motivo di tanta discrezione. Luke era ovviamente preoccupato che Boss avrebbe potuto ascoltarli. Laura lo avrebbe assecondato.

Disse: “buon pomeriggio, signor Duke.”

Luke fu colpito dal tono formale della ragazza. Non sapeva bene cosa aspettarsi, ma di sicuro non si aspettava questo. Forse aveva già chiarito tutto la volta scorsa. Probabilmente già le aveva detto che non provava i suoi stessi sentimenti. Magari lo avesse saputo per certo, avrebbe evitato di parlarle di nuovo. Ma come gli diceva spesso zio Jesse, ad ogni azione corrisponde una reazione. Ed era ora di farci i conti.

Si adeguò: “buon pomeriggio, signorina Dawson.”

“Cosa posso fare per lei?” Chiese quindi Laura.

Si protese ancora di più verso la giovane abbassando il tono della voce e arrivando subito al punto: “penso che abbiamo bisogno di parlare, ma non qui. Vorresti vedermi venerdì sera al Boar’s Nest?”

“Certamente.” Sussurrò Laura comprendendo pienamente la necessaria segretezza.

“Verso le otto.”

Laura annuì senza parlare.

“Bene.” Disse Luke. “Ci vediamo allora.”

Esitò qualche istante prima di aggiungere: “sono davvero dispiaciuto per venerdì scorso.”

“Non è stata colpa tua. Capisco.” Bisbigliò Laura. Sapeva che il commento era rivolto all’allontanamento forzato compiuto da Bo. Non avrebbe più permesso a nessun Duke di intromettersi.

Luke studiò bene il volto di Laura cercando di capire cosa potesse pensare. Cosa non era stata colpa sua? Cosa si erano realmente detti? Il viso di Laura era una maschera di indifferenza, impossibile da decifrare. Luke sospirò. Avrebbe dovuto aspettare venerdì per avere qualche risposta.

“Se non hai niente da fare, vattene da qui.” Si intromise Boss scocciato dal non aver afferrato neanche una parola di quello che Luke e Laura si erano detti. “Non far perdere tempo alla mia impiegata.”

“Vado.” Rispose semplicemente Luke.

Poco prima di voltare le spalle, Luke si accorse che Laura portava ancora il cuore spezzato al collo. Le cose tra di loro non erano state sistemate affatto. Non le aveva detto niente. Avrebbe dovuto restituirle al più presto l’altra metà del ciondolo. Provò una gran tristezza quando realizzò che la descrizione di quel cuore era esatta. Non erano due metà, ma frammenti di due cuori distinti che non sarebbero mai potuti stare insieme. Sapeva che le avrebbe spezzato il cuore e se ne rammaricava benché non avesse mai fatto niente per illuderla. Conosceva bene la sensazione che si prova quando si chiude una storia. Si soffermò sulla porta e guardò di nuovo Laura che a sua volta non gli aveva tolto gli occhi di dosso. Annuì e se ne andò.

Laura lentamente riprese a respirare. Continuare a tenere la loro relazione segreta, era eccitante. Erano riusciti abilmente a scambiarsi messaggi d’amore senza farsi scoprire da Boss. Era esaltante. Non poteva aspettare fino a venerdì. Stavolta però sarebbe stata più attenta. Quella sera gli aveva versato una dosa eccessiva di tranquillanti nella birra. Non avrebbe più fallito. Lo avrebbe finalmente aiutato a fuggire dalla sua famiglia. In fondo lui dipendeva da lei. Nessuno più si sarebbe messo sulla sua strada.

Era pronta per iniziare la sua nuova vita con Luke.

 

To be continued…

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Capitolo 10
*** Scivolando nel buio ***


Non posso darvi anticipazioni, ma vi avverto che da questo capitolo in avanti, la vita del nostro povero Luke si complicherà notevolmente.

Ringrazio infinitamente Juliet, Thia e Lu Duke per le recensioni che mi hanno lasciato e, come sempre, ringrazio la genialità di Gia August senza la quale questa storia non avrebbe mai visto la luce. Buona lettura!

 

Capitolo dieci: scivolando nel buio

 

Bo parcheggiò il Generale Lee di fronte al Boar’s Nest alle otto meno dieci di venerdì sera. Sogghignò quando, osservando Luke, lo ritrovò a rigirarsi nervosamente tra le mani la scatoletta contenente il ciondolo. Soppresse una risata quando Luke lo guardò con aria minacciosa.

“Non c’è niente da ridere, Bo.”

“Mi dispiace, ma sei stato nervoso durante tutta la giornata e ora sei lì seduto come se stessi aspettando il plotone d’esecuzione. Non sarà così terribile. Devi solo parlare con lei. Dille chiaro e tondo che non sei interessato. Se ne farà una ragione.”

“E’ più facile dirlo che farlo.” Rispose Luke. “Dire ad una persona che non ne vuoi sapere niente di lei, a volte è più difficile che sentirselo dire.”

“Ne dubito, Luke. Per quanto mi riguarda di solito sono io che tronco le mie relazioni. Comunque non smetterà di perseguitarti fintanto che non le parlerai.”

Luke si strinse nelle spalle: “vorrei che smettessi di usare quella parola. Non è così. Lei non mi sta perseguitando.”

“Invece si e continuerà finché non chiarirai tutto. Se vuoi posso dirti io quali parole usare.”

“Non è necessario. So esattamente cosa dirle. Solo non sarà facile. Non mi servono i tuoi consigli.”

“Forse no.” Rispose Bo con un sorriso appena accennato. “Sei stato mollato tante di quelle volte che ormai le parole lei hai memorizzate… non si tratta di te Luke, si tratta di me…”

“Bo…”

“Va bene, va bene.” Si affrettò Bo riconoscendo il tono spazientito del cugino. “Ti darò comunque un suggerimento che tu lo voglia oppure no perché ne hai bisogno.”

“Sarebbe?” Chiese Luke riluttante.

“Guarda bene dove ti siedi.” Disse Bo con un ghigno.

“Non sappiamo se sia stata lei a mettere i vetri nel Generale.” Replicò Luke non riuscendo a cogliere l’umorismo di Bo.

“Ma non siamo neanche certi non sia stata lei, quindi stai attento a dove ti siedi.” Insistette Bo.

Luke cedette: “va bene, Bo. Farò attenzione, ma non penso sarò io quello che uscirà ferito da questa serata. Considerando Laura stia ancora indossando l’altra metà del cuore, non penso di averle detto niente di scoraggiante venerdì scorso. Ma neanche qualcosa che abbia potuto illuderla. E adesso devo dirle che non provo i suoi stessi sentimenti. Non ho proprio voglia di ferirla.”

“Lo so, Luke.” Rispose Bo con tono serio. Tentando di tirargli su il morale, aggiunse: “sarà meglio che tu ponga fine a questa storia stasera prima che Laura inizi a distribuire le partecipazioni per le vostre nozze.”

Quando si accorse che Luke non aveva sorriso alla battuta, Bo gli diede una pacca sulla spalla: “stai su, Luke. Andrà tutto bene. Le dirai quel che provi e lei se ne farà una ragione. In fondo questo non è un appuntamento. La gente si lascia ogni giorno e va avanti.”

“Si, penso tu abbia ragione.”

“E Luke…”

“Cosa?”

“Non bere troppo stasera.”

“Non ho intenzione di bere più di una o due birre annacquate.” Lo rassicurò Luke. “Non voglio certo ripetere l’esperienza dell’altra settimana.”

Bo sorrise: “nemmeno io. Coraggio, entriamo. Devo vedermi con Marylee e non voglio farla aspettare. E’ ancora piuttosto seccata per esser stata mollata su due piedi.”

Bo e Luke scesero dal Generale Lee. Mentre si avviavano verso l’entrata, Luke disse: “mi dispiace per quel che è successo la scorsa settimana.”

“Lo so, cugino.” Rispose Bo cingendo con un braccio le spalle di Luke. “Non pensarci più.”

Non appena furono dentro, Bo si rivolse di nuovo al cugino: “buona fortuna. Io raggiungo Marylee, ci vediamo dopo. Comportati bene.”

Luke osservò Bo attraversare tutto il locale. Si guardò poi attorno cercando Laura, ma non la vide. Trovò posto al bancone. Daisy gli porse un boccale di birra.

“Ciao tesoro, Laura non è arrivata. Perché non ti vai a cercare un tavolo finché ce ne sono ancora di vuoti? Avrai bisogno di un po’ di privacy per parlare con lei. E Luke, vacci piano con la birra stasera. Conterò quante ne berrai a partire da questa.”

Luke afferrò il boccale: “grazie Daisy. Non ti preoccupare, ho intenzione di rimanere sobrio stasera. Un paio di queste saranno il mio limite. Un tavolo in fondo al locale è quel che mi serve. Spero proprio non faccia qualche scenata. Forse avremmo dovuto incontrarci in privato da qualche altra parte.”

“Niente affatto, Luke.” Disse Daisy. “Sarà più difficile che faccia scenate in pubblico. E forse le sarebbe venuta in mente qualche strana idea se l’avessi incontrata da solo in un posto appartato.”

“Spero tu abbia ragione. Se la vedi entrare, dille di raggiungermi.”

Daisy si sporse sul bancone e baciò Luke su una guancia: “lo farò.”

Luke trovò un tavolo un po’ defilato in un angolo. Alle otto precise, vide Laura con un boccale di birra tra le mani, farsi largo tra la folla. Notò ancora come i capelli sciolti e un paio di jeans, le addolcissero i lineamenti. Chissà, forse in un’altra circostanza avrebbe potuto trovarla addirittura attraente. Sembrava così indifesa che si sentì male al pensiero di quanto l’avrebbe fatta soffrire. Quando raggiunse il tavolo, si alzò per porgerle una sedia.

“E’ così bello rivederti, Luke. Avevo paura che la tua famiglia non ti avrebbe lasciato libero.” Esordì Laura sedendosi. “Vedo comunque che Bo è qui per controllarti.”

Sconcertato, Luke rispose: “di solito ci teniamo d’occhio l’un l’altro, comunque stasera Bo è occupato con Marylee.”

Laura osservò i due giovani. Forse sarebbe stato più facile di quel che pensava. Di sicuro Bo era molto preso dal suo appuntamento. Non avrebbe fallito stavolta. Sedeva contenta accanto a Luke, seppur in un locale pieno di gente e con Bo a pochi passi da loro, finalmente era sola con il suo amore.

Luke sapeva che non aveva senso far finta di niente. Disse: “vorrei scusarmi ancora per la scorsa settimana. Non ricordo di aver bevuto molto, ma devo aver perso il conto delle birre. Mi imbarazza ammettere di non ricordare niente di quello che ci siamo detti.”

Laura sorrise apertamente: “le parole non sono necessarie tra di noi.”

“Sono necessarie invece. Dobbiamo chiarirci.” Rispose Luke abbassando lo sguardo sulla sua birra e cercando il modo più adatto per parlarle.

Laura si protese verso di lui e le posò il dito indice sulle labbra: “Shh… Lo so cosa provi. Capisco.”

Luke scosse il capo imbarazzato: “no, non credo tu capisca. Non ricordo cosa è successo venerdì scorso. Non ricordo cosa ti ho detto, quindi dovrò ricominciare daccapo. Mi dispiace.”

“Ti amo, Luke. So che anche tu mi ami.” Disse Laura all’improvviso. “Non c’è altro da dire.”

Luke si ritrasse tentando ancora di ricordare cosa potesse esser successo la volta precedente, ma non ebbe successo. “Mi dispiace, ma non provo i tuoi stessi sentimenti. Ci conosciamo a mala pena. Ci vuole tempo per queste cose. Ti chiedo scusa se venerdì scorso ho detto qualcosa che ti ha portato a credere che io ti ami.”

Laura sorrise ancora: “so che parli così perché hai paura della tua famiglia. Ti spaventa cosa potrebbero fare in quanto non approvano il nostro amore. Ma va bene così. Posso aiutarti ad allontanarti da loro.”

Luke guardò Laura sbalordito. Non riusciva a capire come le fosse venuta in mente un’idea del genere. Non avrebbe mai pensato una cosa simile neanche da ubriaco. Sarebbe stato più difficile del previsto. Lei non voleva ascoltare. Lui diceva una cosa e Laura ne rispondeva un’altra. Era convinta che la sua famiglia volesse separarli.

Sorseggiò un po’ di birra sprofondando nella sua sedia e tentando di capire come poter uscire da quella situazione. Cercò nelle sue tasche e tirò fuori la scatoletta contenente il ciondolo. La porse a Laura.

La giovane la afferrò e la aprì; fu sorpresa di trovarvi all’interno il cuore spezzato. Osservò attentamente Luke.

“Mi dispiace, ma non posso accettare questo regalo.”

“E’ a causa loro, vero? Tuo zio ti ha detto di ridarmelo?” Domandò Laura mostrando i primi segni di rabbia.

“E’ così.” Ammise Luke. Aggiunse poi: “ma sapevo da me che avrei dovuto ridartelo. Non ci conosciamo abbastanza per poter accettare un regalo simile.”

Laura si accorse che Luke stava iniziando a diventare nervoso. Doveva assolutamente aiutarlo a mantenere le sue emozioni sotto controllo. Soltanto nominare la sua famiglia contribuiva ad agitarlo. Esercitavano troppe pressioni su di lui anche quando non gli erano vicini. Bo era accanto al bancone ed era per Luke motivo di disturbo. Di sicuro aveva paura che il cugino lo stesse controllando.

Laura sapeva che Luke aveva bisogno di un po’ di calma, ma non poteva ottenerla senza aiuto. Aveva la bottiglietta di Rohypnol nella borsa. Stavolta però non avrebbe commesso l’errore di dargliene una dose eccessiva. Una piccola pastiglia sarebbe stata sufficiente. Aveva bisogno di abbandonare le proprie paure e sentirsi più a suo agio accanto a lei. Era per il suo bene. Aprì la sua borsa sotto al tavolo, sentì il metallo del suo piccolo revolver accarezzarle la mano. Se ne avesse avuto bisogno, non avrebbe esitato ad usare la pistola, ma non era quella che stava cercando. Alla fine trovò la piccola boccetta contenente il Rohypnol e cautamente estrasse una pastiglia. Alla prima occasione l’avrebbe messa nel boccale di Luke.

Luke si sentiva perso. Non stava andando affatto bene. La frustrazione si stava impadronendo di lui. Non importava cosa le dicesse, Laura sentiva quel che voleva sentire. Continuava a fissarlo con quello sguardo innocente attraverso il quale non gli riusciva di decifrare i suoi pensieri. Voleva allontanarsi da quegli occhi penetranti per qualche momento. Si alzò di scatto dal tavolo. Per la sorpresa Laura fece cadere la pillola sul pavimento.

“Vado a prendere un altro paio di birre, torno subito.”

Quando si fu allontanato, Laura cercò di recuperare la pastiglia, ma non riuscì a trovarla. Rapidamente ne estrasse un’altra dalla bottiglietta e rimase ad attendere il ritorno di Luke.

“Come sta andando, tesoro?” Chiese Daisy vedendo Luke al bancone.

“Non bene.”

“E’ molto avvilita?” Domandò ancora Daisy con tono compassionevole.

“E’ proprio questo che non va. Non è affatto avvilita. Non mi crede quando le dico che non la amo. Dammi due birre, per favore.”

Daisy lo guardò con aria di rimprovero: “pensavo ci saresti andato piano stasera con l’alcol.”

“E’ così infatti. E’ il secondo e ultimo boccale della serata. L’altro è per Laura. Non mi ascolta, Daisy.”

“Prova con più convinzione.” Propose la giovane porgendogli le birre. “E vacci piano con queste.”

“Ci sto provando seriamente, ma è come parlare ad un muro… o a Bo.”

Daisy sorrise: “non può essere tanto dura.”

Luke si concesse un leggero ghigno: “è una bella lotta. Sarà meglio che mi prepari al secondo round.”

Luke raggiunse di nuovo il tavolo e si ritrovò ad esaminare la sua sedia prima di sedersi. Scoppiò quasi a ridere quando si rese conto di come Bo lo avesse condizionato. La sedia chiaramente era pulita. Porse la birra a Laura.

La giovane, allungando il braccio per prendere il boccale, fece cadere intenzionalmente la scatoletta con il ciondolo in terra. Quando Luke si chinò per raccoglierla, gli fece scivolare la pastiglia nella birra. Si dissolse immediatamente senza lasciare tracce. Luke le porse la scatoletta, ma Laura la rifiutò.

“E’ tua. Non la riprenderò. So che vuoi tenerla. Non devi aver paura della tua famiglia. Puoi scappare da loro e io ti aiuterò. So che significa essere controllati a vista. Ci sono molti modi per fuggire. Io lo so. Ho fatto andar via io la mia famiglia.”

Non apprezzando molto le sue parole, Luke replicò: “non ho intenzione di lasciare la mia famiglia.” Esitò qualche istante prima di aggiungere: “pensavo i tuoi genitori fossero morti.”

“Infatti.” Rispose Laura non lasciando trapelare alcuna emozione.

Laura sembrava soddisfatta e serena mentre guardava Luke con amore. Quello sguardo gli fece salire un brivido lungo la schiena. Sedeva sulla sua sedia a debita distanza da Laura, ma poté toccare con mano il gelo di quella risposta. Che aveva voluto dire?

“Lo so che mi ami veramente.” Disse con incrollabile convinzione.

Luke era sconcertato. Bo aveva ragione. C’era qualcosa di strano in quella ragazza. Niente di quello che diceva aveva senso. Sembrava avere coscienza solo delle sue false convinzioni. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma lei lo stava rendendo impossibile. Afferrò la sua birra e bevve qualche sorso cercando un modo per trarsi d’impaccio.

Provò ancora: “Laura, ascolta. Noi non ci conosciamo. Non siamo innamorati.”

All’improvviso non riuscì più a mettere a fuoco il volto di Laura. Sembrava quasi gli stesse fluttuando di fronte. Chiuse gli occhi sperando di dipanare la nebbia che li aveva avvolti, ma il risultato fu pessimo. Quando li riaprì, Laura sorrideva ancora. La stanza sembrava distorta e piena di gente che si muoveva a rallentatore e che pronunciava parole incomprensibili. Non riusciva più a formulare un pensiero coerente.

Laura gli si avvicinò e sussurrò: “non ti senti meglio adesso, amore mio? Più rilassato? Andrà tutto bene. Te lo prometto. Andiamocene.”

“Dove vuoi andare?” Domandò Luke a fatica.

“A casa.”

“Bene… voglio andare a… casa.”

Luke barcollò alzandosi in piedi e per poco cadde a terra. Bo lo vide attraverso la folla e si mosse velocemente per raggiungerlo.

“Luke, stai bene?” Chiese afferrando il cugino per un braccio. Luke fece fatica a trovare il suo equilibrio. Quando Bo si rese conto dello stato in cui versava e che sul tavolo c’erano quattro boccali di birra vuoti, disse seccato: “non posso credere che tu l’abbia fatto di nuovo.”

“Sto bene.” Borbottò Luke.

“Non stai affatto bene. Sei ubriaco.” Bo era disgustato. “Ma non mi manderai a monte un’altra serata con Marylee.”

Quando Bo si voltò verso Laura per scusarsi, si accorse che lei se n’era già andata. Strinse con maggior vigore il braccio di Luke: “almeno non dovrai dare un passaggio a Laura Dawson.”

Luke non ebbe la forza di opporsi a Bo il quale lo stava trascinando fuori dal locale. Si sentiva talmente confuso e debole che poteva fare soltanto quel che gli veniva chiesto. Quando raggiunsero il Generale, Bo lasciò Luke accanto al finestrino sul lato passeggero.

Laura stava osservando la scena nascosta tra due macchine. Non avrebbe permesso a Bo di rovinarle i piani anche questa volta. Cercò nella borsa la sua piccola pistola. L’avrebbe usata se fosse stata costretta, ma sarebbe stato un rischio con tutta quella gente che entrava e usciva dal Boar’s Nest. Doveva scegliere il momento in cui agire e doveva farlo con molta cautela. Si avvicinò per ascoltare meglio ciò che Bo stava dicendo. Il tono della sua voce era adirato. Avrebbe protetto Luke a qualunque costo.

“Luke, non mi rovinerò un’altra serata per colpa tua. Marylee si è molto arrabbiata venerdì scorso, non mi perdonerà una seconda volta quindi non ti porterò a casa.” Disse Bo piuttosto spazientito. “Non posso credere che tu lo abbia fatto di nuovo. Non può diventare un’abitudine.”

“Mi… dispiace…”

“Già, dispiace anche a me.”

“Non mi sento molto bene. Mi fa male la testa.” Affermò Luke.

“Non puoi prendertela con nessuno se non con te stesso. Puoi dormire nel Generale. Ti porterò a casa quando la mia serata sarà conclusa.”

“Non sono… ubriaco.” Bisbigliò Luke.

“Si che lo sei. Dormi che ti passa.” Ribadì Bo sempre più contrariato.

Luke annuì anche se non aveva capito molto di quello che il cugino gli aveva detto. Gli era chiaro soltanto che avrebbe dormito in macchina. Bo era arrabbiato, ma Luke non sapeva perché. Cercò di fare quel che gli era stato detto e afferrò la maniglia del Generale cercando di aprire lo sportello.

Esasperato, Bo sbottò: “che stai facendo? Lo sai che le portiere sono saldate. Passa dal finestrino.”

Scuotendo il capo irritato, aggiunse: “non mi va di perdere tempo con te. Entra in macchina da solo. Marylee mi sta aspettando. Ci vediamo dopo.”

Bo diede le spalle a Luke e si diresse verso l’entrata del Boar’s Nest. Passò a pochi metri da Laura senza accorgersi della sua presenza. La ragazza allentò la presa sulla pistola. Era meglio lasciarlo entrare nel locale. Era troppo rischioso usare quell’arma. Ci sarebbero state altre occasioni. Aveva bisogno di tempo per recuperare Luke. Non appena Bo fu entrato, Laura riemerse dal buio del parcheggio. Si precipitò verso Luke il quale stava cercando di entrare nel Generale Lee. La droga avrebbe avuto i suoi effetti più pesanti entro le prime due ore, ma ne sarebbero dovute trascorrere delle altre prima che si riprendesse. Doveva agire in fretta.

Luke si poggiò di peso sulla macchina quando Laura lo afferrò per un braccio. “Andiamo. Sono qui per aiutarti.”

Quella faccia che gli fluttuava davanti agli occhi, era famigliare: “devo entrare… in macchina…”

“No, devi venire con me.” Insistette Laura.

“Bo…”

“Dimentica Bo. Lui è davvero molto arrabbiato con te. Non vuole che tu rovini la sua serata. Non vuole che tu rovini la sua vita. Vuole che tu te ne vada via. Non gli importa niente di te. Lo hai sentito.”

Luke cercò di ricordare le parole di Bo, ma non ci riuscì. Sapeva che il cugino era arrabbiato, ma non sapeva il perché. Tentò anche di comprendere cosa gli stesse dicendo Laura. Bo gli aveva detto che aveva rovinato qualcosa, ma non sapeva cosa.

“Voglio andare a… casa.” Disse Luke. Aveva bisogno di un posto nel quale sentirsi sicuro e protetto. Voleva andare a casa sua.

“Ti ci porterò io.” Rispose Laura tirandolo per un braccio.

Quando si accorse che Luke era irremovibile, aggiunse: “hai detto che vuoi andare a casa, giusto?”

“Si.”

“E allora muoviti. Vieni con me.” Gli circondò la vita con un braccio e lo scostò dal Generale. Lo guidò verso la propria macchina. Aprì la portiera e lo aiutò a sistemarsi sul sedile prima di correre dall’altra parte e piazzarsi dietro al volante. Quando abbandonò il parcheggio, si costrinse a procedere adagio lungo la strada. Non voleva attirare l’attenzione di nessuno.

Laura era euforica. Osservò Luke, assorbì la sua presenza. Alla fine era riuscita a strapparlo alla sua famiglia. Adesso lui le apparteneva. Lo avrebbe mantenuto salvo e sicuro. Nessuno più glielo avrebbe portato via. Ci sarebbe voluto del tempo perché Luke si liberasse del ricordo della sua famiglia, ma lei avrebbe aspettato. Non aveva fretta.

Luke abbandonò la testa all’indietro e chiuse gli occhi. Voleva riposarsi almeno per un po’. Gli avrebbe fatto bene. Voleva andare a casa. Laura gli aveva detto che ce lo avrebbe portato lei. Stava lottando con tutte le sue forze per rimanere sveglio, ma era una battaglia persa in partenza. Mentre Laura guidava nella notte, Luke scivolò inesorabilmente nel buio.

 

To be continued…

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Capitolo 11
*** Senza potere ***


Grazie mille ragazze per le vostre recensioni, per la vostra pazienza e per il vostro incoraggiamento.

Grazie a Lu Duke, a Juliet e a tutti coloro che stanno seguendo questa traduzione.

Thia ci sei ancora, vero? Spero proprio di si!

 

 

Capitolo undici: senza potere

 

Laura parcheggiò nel garage dietro al vecchio palazzo. Il cancello automatico si serrò emettendo un forte rumore. La prolungata vibrazione iniziò a svegliare Luke. Laura gli si avvicinò e gli accarezzò il volto con le dita. Il giovane istintivamente si allontanò mentre continuava a lottare per uscire dalle tenebre. Le luci al neon lo accecarono quando provò ad aprire gli occhi e la sue tempie iniziarono a pulsare dal dolore. Si coprì con un braccio provando ancora a mettere a fuoco quel che aveva di fronte. Percepì la presenza di Laura prima ancora di vederla.

“Dove siamo?” Chiese Luke combattendo ancora contro la nebbia che gli avvolgeva la mente. Non riusciva a mettere in riga un pensiero dietro l’altro.

“Siamo a casa. Andiamo tesoro. E’ ora di entrare.”

“Siamo a casa?” Chiese Luke guardandosi attorno. Non c’era niente di famigliare, ma gli faceva troppo male la testa per dare un senso alla parole di Laura.

La giovane scese dalla macchina e raggiunse il lato passeggero della stessa. Aprì la portiera e prese Luke per mano: “andiamo.”

“Dove?” Domandò Luke convinto com’era di non voler andare da nessuna parte insieme a Laura. C’era qualcosa in quella ragazza che gli faceva accapponare la pelle, ma non sapeva dire cosa. Non era ancora del tutto cosciente, la sua mente era ancora annebbiata.

“Vuoi andare a letto, vero?” Gli chiese con tono calmo nonostante il suo cuore battesse all’impazzata. Doveva portare Luke dentro casa.

Luke annuì per poi rimpiangere subito dopo il movimento fatto con la testa. Il garage iniziò a girargli intorno. Bisbigliò: “sono stanco. Non mi sento bene.”

“Si lo so. Andiamo a letto. Ho già preparato tutto. Non vorrai rimanere in macchina tutta la notte, vero?”

Luke scrollò la testa. Sapeva che Laura aveva ragione. Non voleva più stare lì. Aveva bisogno di uscire anche se non riusciva a capire cosa lo rendesse tanto agitato. Aveva bisogno di andare a casa. Laura continuava a dire che erano a casa, ma quel posto non sembrava la sua fattoria. Barcollò provando ad uscire dalla macchina. Quando ne fu finalmente fuori, si appoggiò alla vettura cercando di ritrovare il suo equilibrio. Laura gli cinse la vita con le braccia e lo scostò dalla macchina. Lo guidò lungo il corridoio che dal garage arrivava direttamente nella sua casa. Una volta dentro, Luke si accasciò contro il bancone della cucina male illuminata, mentre Laura raggiunse la dispensa. Quella non era casa. C’era qualcosa di decisamente sbagliato.

Laura spostò dei sacchi dal pavimento allo scaffale ed azionò una leva che aprì una porta segreta. Aveva già preparato tutto. Delle lanterne illuminavano i due corridoi che conducevano alla camera da letto. Sapeva che questa sarebbe stata la loro notte speciale, l’inizio della loro vita insieme. Era tutto pronto. Afferrò di nuovo Luke e lo guidò attraverso la porta segreta. Il giovane esitò, ma alla fine la seguì. Voleva solo andare alla fattoria, mentre lei diceva che erano già a casa. Camminarono lentamente lungo lo stretto corridoio che arrivava fin nei sotterranei. Aveva lasciato la seconda porta aperta per agevolare il loro passaggio.

Luke faticò a tenere il passo in quel luogo angusto. Era come se il muro di cemento gli si richiudesse sopra. La sua apprensione aumentò quando cercò in fondo al corridoio una via d’uscita. Laura percepì la sua resistenza. Incrementò la morsa e lo incitò a seguirla.

“Andiamo amore mio, ci siamo quasi.”

“Dove?”

“Nel nostro posto speciale.” Luke tuttavia non si mosse. “Non puoi rimanere qui.”

Luke annuì, voleva andarsene di lì. Stava cominciando a soffrire di claustrofobia in quel luogo. Le pareti erano troppo vicine e il soffitto appena sopra la sua testa. Consentì a Laura di guidarlo oltre.

“Ci sono un po’ di scalini qui. Stai molto attento.” Avvertì Laura quando ebbero raggiunto l’entrata dei sotterranei. “Sono scalini piccoli. Non voglio che tu cada e ti faccia male.”

Luke fece del suo meglio per concentrarsi sulla sua discesa. Aveva la sensazione che sarebbe stato meglio salire piuttosto che scendere, ma il suo senso d’orientamento lo aveva completamente abbandonato. Barcollò sull’ultimo scalino, ma Laura lo afferrò per tempo prima che cadesse. Quando si appoggiò al muro, Laura lo tirò di nuovo a sé. Tentò di resisterle, ma Laura ebbe la meglio. Doveva portarlo nella loro stanza prima che l’effetto della droga finisse. Aveva probabilmente a disposizione tutta la notte considerando l’aveva mischiata con la birra, ma doveva essere comunque cauta.

“Dove siamo?” Chiese Luke per l’ennesima volta cercando di vedere oltre il buio del corridoio. Laura percepì l’ansia nella sua voce, sapeva che doveva fare in fretta.

“Ti ho già detto che siamo a casa.”Rispose stizzita. Quando capì che Luke dubitava di lei, disse più gentilmente: “siamo a casa. Andiamo. Ci siamo quasi. Non hai bisogno di preoccuparti. Mi occuperò io di tutto.”

“Casa.” Ripeté Luke. Confuso, osservò le pareti di cemento: “zio Jesse…”

Non preoccuparti amore mio. Tuo zio non è qui. Non potrà più farti del male. Non glielo permetterò. Non ti troverà mai. Nessuno di loro ti troverà.”

Luke tentò di dare un senso alle parole di Laura, ma non capiva. Le consentì di guidarlo lungo il corridoio, fin dentro la camera. Una soffusa e dorata luce trapelava da sotto la porta. Laura la aprì e rimase ferma sulla soglia memorizzando quell’istante. Aveva aspettato quel momento per tutta la sua vita. Era finalmente insieme all’uomo che amava e che ricambiava il suo sentimento. Si sarebbero amati per sempre. Era un momento talmente perfetto che avrebbe voluto non finisse mai. Lei lo avrebbe fatto durare per sempre.

Luke entrò nella stanza con la voglia di scappare. Era vagamente conscio del fatto fossero appena entrati in una camera da letto, ma non sembrava quella che divideva con Bo. Quella non era la sua fattoria. C’era un grande letto matrimoniale invece che due letti singoli. Laura tuttavia continuava a ripetere che erano a casa. Aveva bisogno di riposo. Forse sarebbe stato in grado di pensare più chiaramente se avesse chiuso gli occhi per un po’. Non si era mai sentito così stanco in vita sua. Le sue braccia e le sue gambe erano incredibilmente pesanti. Fece del suo meglio per rimanere in piedi. Era grato alle braccia che lo sostenevano. Non sarebbe stato in grado di fare un altro passo da solo.

Una trapunta con un piccolo motivo di rose era già stata adagiata ai piedi del letto. Diversi cuscini erano stati sistemati  contro la testata in mogano del letto. Le bianche lenzuola sembravano calde e invitanti agli occhi di Luke, un buon posto dove riposare e rigenerarsi. Raccolse le sue forze residue e mosse un passo verso il letto. Aveva bisogno di sdraiarsi altrimenti sarebbe caduto a terra.

Laura sorrise vedendo Luke dirigersi verso il letto. Era quello che voleva. Lo guidò e lo aiutò a sedersi. Lo lasciò solo qualche istante per accendere le candele rosse sopra il tavolo e gli scaffali situati lungo l’intero perimetro della stanza. Una delicata essenza di rose riempì l’ambiente. Invece di rilassarlo, quella fragranza turbò Luke ulteriormente. Qualcosa assillava la sua mente, ma non riusciva a capire cosa.

“Mettiti comodo.” Disse Laura ridestando Luke dai suoi pensieri. “Ti aiuterò io.”

Gli si inginocchiò di fronte e gli sfilò gli stivali. Si sollevò leggermente poi e gli sbottonò la camicia. Gli si sedette a fianco e gli accarezzò il petto. Luke provò ad allontanarsi provando disagio al suo tocco.

“No.” Obiettò.

“Va tutto bene, rilassati.” Disse Laura sfilandogli definitivamente la camicia. Dolcemente lo sospinse addosso ai cuscini: “hai bisogno di riposare.”

Luke non poteva più resistere. Sapeva che avrebbe dovuto tentare di alzarsi, ma non aveva energie. Voleva solo dormire. La morbidezza dei cuscini era invitante. Voleva che la sua testa smettesse di martellare. Chiuse gli occhi. Sentì il respiro di Laura sulla sua faccia quando gli si sdraiò accanto. Le sue mani si muovevano sul suo corpo. C’era qualcosa di sbagliato, ma non sapeva dire cosa. Voleva che Laura smettesse di accarezzarlo, ma era completamente impotente. Non riusciva a trovare le parole o la forza per allontanarla da sé. Sentì le sue dita attraversagli i capelli. Provò a sedersi, ma lei lo costrinse a rimanere sdraiato sopra quei cuscini così morbidi, una vera mano santa per la sua testa dolorante. Sentì poi il peso del suo corpo schiacciarlo sul letto e le sue mani toccarlo dolcemente. Le emozioni e le sensazioni che stava provando erano contrastanti. Voleva solo andare a casa.

Luke non poté più resistere. Chiuse quindi gli occhi e scivolò in un sonno incosciente.

 

Camminando verso il parcheggio, Bo fece scivolare il suo braccio sulle spalle di Marylee. Quando arrivarono alla macchina, le chiese: “sei sicura di voler andare a casa? E’ appena mezzanotte.”

“Devo lavorare domattina. E’ già più tardi di quanto avessi programmato. Sono stata benissimo, Bo.”

“Anche io.” Rispose il giovane baciandole le labbra.

Dopo qualche istante, Marylee si scostò dolcemente. Bo le aprì la portiera e la osservò sistemarsi al posto di guida. Disse: “ti chiamerò. Guida con cautela.”

Rimase a guardare la macchina di Marylee scomparire lungo la strada prima di raggiungere il Generale Lee. Sperava avrebbe trovato Luke in una forma migliore rispetto a due ore prima. Almeno era tardi e zio Jesse di sicuro stava già dormendo. Lo avrebbero probabilmente evitato anche se poi ci avrebbero fatto i conti la mattina seguente. Non era da Luke bere così tanto, ma la storia di Laura lo aveva davvero stressato. Se lei non aveva recepito il messaggio neanche stavolta, avrebbe sistemato la questione lui stesso una volta per tutte. Era ormai tempo che la sua ossessione per Luke finisse.

Avvicinatosi al Generale, Bo non vide Luke. Si affacciò nel finestrino e guardò sul sedile posteriore aspettando di trovarvi il cugino addormentato. Fu sorpreso che Luke non ci fosse. Bo sospirò, augurandosi che non fosse rientrato per bere ancora. Non lo aveva rivisto nel Boar’s Nest, ma il locale era affollato e la sua attenzione era stata tutta per Marylee. Guadagnò di nuovo l’entrata per cercarlo.

Bo si guardò attorno, ma di Luke non v’era traccia. Lo cercò nel bagno degli uomini, ma non era neanche lì. Quando vide Daisy intenta a pulire il tavolo dove erano stati seduti Luke e Laura, la raggiunse e le chiese: “hai visto Luke?”

“No, non lo vedo da quando è uscito con te. Quando sei rientrato da solo, ho pensato fosse andato a casa.”

“L’ho lasciato nel Generale Lee a farsi passare la sbronza, ma ora non c’è più.”

“Sbronza?” Chiese Daisy. “Ha bevuto poco e niente, due birre al massimo.”

“Ha bevuto molto di più.” Rispose Bo. “C’erano quattro boccali vuoti sul tavolo e non so se ne abbia svuotati altri prima di sedersi.”

“Non l’ha fatto, Bo. Si è seduto portandosi dietro una birra e poi ne ha prese altre due. Una per lui e una per Laura. Non era ubriaco. Non ha preso nient’altro. Ne sono certa. Ha bevuto due birre annacquate e basta. Ho parlato con lui e stava bene fino a mezzora prima che uscisse con te.”

Confuso, Bo affermò: “agiva come fosse ubriaco però. Non si reggeva in piedi e strascicava le parole. Non riusciva a camminare ed era confuso.”

“Te lo ripeto, Bo. Luke non era ubriaco. L’ho tenuto d’occhio. Pensi che sia malato?” Domandò quindi Daisy preoccupata.

Bo non avevo considerato affatto quell’ipotesi: “non lo so. Diceva che gli faceva male la testa, ma parlare con quella ragazza avrebbe fatto venire il mal di testa a chiunque.”

“Ho visto Laura andar via un attimo prima che tu uscissi con Luke, ho pensato quindi che Luke le avesse finalmente parlato e che poi se ne fosse andato a casa.”

“Non è andato a casa.” Bo cominciò a capire che c’era qualcosa che non andava. “L’ho lasciato nel Generale. Gli ho detto di farsi una dormita perché non mi sarei fatto rovinare un’altra serata.” Quando Daisy lo guardò con disapprovazione, si affrettò ad aggiungere: “il mio appuntamento con Marylee stava andando a gonfie vele. Comunque pensavo zio Jesse si sarebbe arrabbiato con Luke se fosse tornato di nuovo a casa ubriaco. Era meglio per tutti se fosse rimasto a dormire in macchina.”

“Forse sarebbe stato meglio per te. Dormiva quando lo hai lasciato?” Chiese Daisy.

“Non esattamente.” Rispose Bo cominciando a sentire un fastidioso senso di colpa.

“Non esattamente? Che significa?”

“Significa che l’ho lasciato in piedi vicino al Generale. Non riusciva ad entrare dal finestrino così l’ho lasciato lì.”

Daisy guardò Bo sconcertata: “lo hai davvero lasciato lì fuori? Come hai potuto farlo, Bo?”

“Ero seccato. Marylee mi aspettava e Luke aveva provato ad aprire la portiera del Generale.” La spiegazione era misera alle orecchie dello stesso Bo.

“Era davvero così confuso? Decisamente c’è qualcosa che non va.”

“Hai ragione.” Convenne Bo. Qualcosa non andava e lui se ne sarebbe dovuto accorgere prima.

“Forse ha accettato un passaggio a casa.” Tentò Daisy convinta tuttavia che Luke non se ne sarebbe mai andato senza prima avvisare. “Chiamo casa e vedo se è rientrato.”

“Non farlo Daisy. Sveglieresti zio Jesse e non voglio che si arrabbi con Luke nel caso fosse già andato a casa senza avvisarci o peggio ancora se non ci fosse affatto. Andrò alla fattoria a controllare. Probabilmente starà già dormendo nel suo letto.”

“Chiamami e fammi sapere. Qui ne avrò almeno per altre due ore.”

“Lo farò. Non ti preoccupare. Sono certo di trovarlo a casa.” Disse Bo sforzandosi di credere a quel che aveva appena detto.

Daisy sorrise: “per averci fatti preoccupare così, dagli un bacio da parte mia.”

Bo rise: “lascerò che sia tu a baciarlo, almeno non correrai il rischio di essere allontanata con la forza.”

Daisy rimase sulla porta ad osservare Bo saltare nel Generale Lee. Una spiacevole sensazione si stava impadronendo di lei. Pregò affinché Bo potesse chiamarla in fretta e darle buone notizie. Tornò al tavolo che stava pulendo per mantenersi occupata mentre aspettava. Raggiunto un angolo del tavolo, notò una pastiglia bianca sul pavimento. La raccolse e la esaminò. Non era un’aspirina. Sembrava più una di quelle che prescrive il medico. Andò dietro al bancone e la adagiò sul fondo di un bicchiere. L’avrebbe conservata nel caso fosse stata importante e nel caso qualcuno fosse tornato a reclamarla. Mise il bicchiere sullo scaffale dietro la cassa e rimase in attesa della chiamata di Bo.

 

To be continued...

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Capitolo 12
*** Ansie nella notte ***


Ed ecco pronto il dodicesimo capitolo!

Ringrazio infinitamente Lu Duke, Juliet, Marzia e la mia adorata Thia per aver letto e recensito il capitolo precedente.

Buona lettura!

 

Capitolo dodici: ansie nella notte

 

Daisy riuscì a schivare Bo mentre trasportava il bricco del caffè sul tavolo della cucina per riempiere la tazza dello zio. Jesse fece un cenno di ringraziamento. Daisy era nervosa in quanto sembrava esausto. Lo aveva svegliato da un sonno profondo una quindicina di minuti prima. Il vecchio Jesse si era ridestato con il cuore in gola come sempre accadeva quando si doveva alzare nel cuore della notte per placare qualche crisi o prendersi cura di uno dei suoi bambini ammalati. Avrebbe potuto farlo dormire fino al mattino, ma sapeva che sarebbe scoppiato un inferno se, per allora, Luke non fosse tornato a casa e loro fossero stati costretti a raccontargli tutto. Voltandosi per posare il bricco del caffè sul fornello, Bo per poco non le andò di nuovo a sbattere contro. Allontanò immediatamente la caffettiera per evitare che suo cugino si scottasse.

“Bo…”

“Mi dispiace, Daisy. Non ti ho vista.” Mormorò Bo ricominciando a camminare.

Jesse aggrottò la fronte mentre guardava i suoi due ragazzi e sperando che anche il terzo fosse insieme a loro. Daisy cercava di tenersi occupata ai fornelli, mentre Bo camminava avanti e indietro percorrendo l’intera area della cucina con le sue lunghe falcate. Era tempo di prendere il controllo della situazione.

“Daisy, Bo, sedetevi.” Ordinò Jesse non ammettendo repliche. “Forse ci stiamo agitando per niente. Non albeggerà per un’altra ora almeno. Luke potrebbe tornare a casa da un momento all’altro.”

Daisy era seduta vicina allo zio: “lo pensi davvero?” Chiese con rinnovata speranza.

“E’ un adulto. Non mi fa piacere che non abbia avvisato, ma tornerà presto.” Rispose Jesse cercando di tranquillizzare la nipote anche se lui stesso non credeva affatto che Luke avrebbe potuto far preoccupare la sua famiglia in quella maniera. Lo sapeva bene. Jesse aveva capito subito che qualcosa non andava. Istintivamente sapeva che Luke era finito in qualche guaio.

 “Non credo affatto che tornerà a casa tanto presto.” Si intromise Bo dall’altra parte della cucina.

Jesse osservò intensamente il suo più giovane nipote. Riconobbe immediatamente il senso di colpa mal celato dall’ansia. Disse con più asprezza del voluto: “va bene, Bo. Sputa il rospo. Voglio una spiegazione e la voglio subito. So bene di non aver sentito ancora tutta la storia. Daisy non mi avrebbe tirato giù dal letto nel cuore della notte e noi ora non saremmo seduti in cucina preoccupandoci per Luke se lui fosse solo in ritardo. Se questo fosse stato il caso, avreste fatto di tutto per coprirlo. Di sicuro non mi avreste svegliato. E mi sembrava di averti detto di sederti.”

Bo smise di camminare e si sedette di peso sulla sedia opposta allo zio: “non sta tornando a casa. Non era in condizioni di andare da nessuna parte da solo. Tanto meno a casa.”

Jesse osservò serio i suoi ragazzi: “penso tu debba spiegarmi quello che hai appena detto. In che condizioni era Luke?”

Bo sospirò. Non voleva lo zio sapesse che Luke si era di nuovo ubriacato, ma non aveva scelta.

“Zio Jesse, Luke ha bevuto troppo. Non stava molto meglio della settimana scorsa. L’ho lasciato accanto al Generale intorno alle nove e gli ho detto di mettersi a dormire per farsi passare la sbronza, ma non era più lì quando sono tornato.”

“A che ora sei tornato?” Domandò Jesse in tono severo.

“Poco dopo mezzanotte.”

“Se era davvero in pessime condizioni, perché lo hai lasciato per tre ore?”

Bo era già divorato dal senso di colpa senza che ci si mettesse anche lo zio: “pensavo sarebbe stato meglio se avesse dormito per un po’ nel Generale.”

“Era addormentato quando lo hai lasciato?”

“Non esattamente.” Rispose Bo. Riluttante aggiunse: “aveva difficoltà ad entrare in macchina. Ha perfino provato ad aprire la portiera. Ero irritato con lui. Volevo tornare da Marylee così gli ho detto di cavarsela da solo e l’ho lasciato lì fuori.”

“Lo hai davvero abbandonato così?” Chiese Jesse incredulo.

Bo si prese la testa tra le mani: “lo so, non avrei dovuto, ma credevo si sarebbe messo a dormire sul sedile posteriore. Pensavo fosse troppo ubriaco per andare da qualche parte.”

Jesse scosse la testa: “a quanto pare ti sei sbagliato.”

Daisy aveva ascoltato in silenzio lo scambio di battute tra lo zio e il cugino ed era arrivato il momento di chiarire alcune cose. Disse con convinzione: “Luke non era ubriaco, zio Jesse.”

Jesse la osservò intensamente: “ne sei sicura, tesoro? Bo dice il contrario. Si comportava come se lo fosse.”

“Sono certa. Ha bevuto un paio di birre annacquate. E’ necessario molto di più per ubriacarsi con quello che serve Boss al Boar’s Nest. L’ho tenuto d’occhio e stava bene quando gli ho parlato verso le otto e mezzo. Non era ubriaco. Ha bevuto solo quelle due birre.”

“E io ti dico che non stava bene alle nove.” Insisté Bo. “Non si reggeva in piedi e faceva fatica a parlare. Per poco non è caduto in terra. Non aveva senso quello che diceva.” Prima che lo zio potesse commentare, Bo aggiunse: “mi dispiace averlo lasciato solo. Ero arrabbiato perché pensavo avesse bevuto di nuovo e non volevo rovinarmi un’altra serata con Marylee. Riconosco però che avrei dovuto controllarlo. Sono molto dispiaciuto.”

“Non mi interessa sapere come agiva, Bo. Non era ubriaco. Non aveva bevuto. Forse sta male.” Affermò Daisy con ansia crescente.

Bo tentò di tranquillizzare la cugina: “non credo sia malato, Daisy. Non sembrava stesse male. L’hai detto tu stessa che stava bene quando gli hai parlato.”

Jesse analizzò quel che era stato detto: “qualcosa non torna. Non ha alcun senso che Luke abbia potuto commettere la stessa sciocchezza per due settimane di fila. Non è da lui ripetere lo stesso sbaglio due volte. Non pensava di aver bevuto molto la settimana passata e Daisy dice che non ha bevuto neanche stavolta. Non era ubriaco e non è malato. Deve essere qualche altra cosa. Sembrerebbe quasi abbia preso una qualche droga. Questo spiegherebbe tutto.”

“Luke non prenderebbe mai niente del genere, zio Jesse.” Disse Bo schierandosi dalla parte del cugino. “Ci scommetto la vita.”

“Calmati, Bo. Non sto dicendo che si sia drogato di proposito. Lo so da me che non lo farebbe mai.”

“Forse ha preso qualcosa a sua insaputa.” Intervenne Daisy afferrando il discorso dello zio. “Laura potrebbe avergli messo qualcosa nella birra. Non ho affatto fiducia in lei. Ed era con lui anche la settimana scorsa. Ho trovato una piccola pillola bianca sul pavimento mentre pulivo. Era proprio accanto al tavolo dove Luke e Laura erano seduti. Forse le è caduta.”

“Di che pillola si tratta?” Domandò Bo.

“Non lo so, ma sembra una di quelle per le quali serve la prescrizione. L’ho messa in un bicchiere nel caso fosse venuto qualcuno a chiedermela indietro.”

“Brava ragazza. Forse il Dott. Appleby è in grado di dirci cos’è. Non so se significa qualcosa oppure se non ha niente a che fare con Luke, ma vale la pena di controllare.”

Quando Daisy fece per alzarsi, Jesse delicatamente la afferrò per un braccio: “calmati, bambina. Dai al dottore il tempo di svegliarsi. Luke potrebbe tornare da un momento all’altro e la pillola che hai trovato potrebbe non avere niente a che fare con tutto questo. Non sappiamo con certezza se Luke è stato davvero drogato. Non abbiamo bisogno di svegliare il dottore nel cuore della notte.”

Daisy lentamente si rimise a sedere: “credo tu abbia ragione. Ma è l’unica spiegazione che abbia un senso. Forse dovremmo chiamare Laura e vedere se Luke è con lei.”

“Non credo Luke avrebbe mai seguito Laura da qualche parte.” Disse Jesse. “Non per sua scelta almeno. Era intenzionato a mettere le cose in chiaro con lei. Sai se ne ha avuta occasione?”

“So che ci stava provando, ma mi ha detto che lei non voleva ascoltarlo.”

“Ma non è andato via con lei.” Si intromise Bo. “Laura è praticamente scomparsa quando ho raggiunto Luke per aiutarlo. Forse alla fine si era persuasa che Luke non voleva avere niente a che fare con lei. Non l’ho vista andare via, ma fuori non c’era.”

“Neanche io l’ho più vista dopo che siete usciti.” Convenne Daisy.

“Va bene, Laura è andata via nello stesso momento in cui Bo ha portato fuori Luke. E’ possibile che sia tornata quando Bo è rientrato in quanto non sembra proprio fosse intenzionata a farsi scaricare tanto facilmente da Luke. Forse gli ha dato un passaggio. Se era davvero confuso come dici, forse è andato via con lei.”

“Scommetto che hai ragione, zio Jesse.” Esclamò Bo. “Luke era abbastanza sconnesso da seguirla. Non avrei mai dovuto lasciarlo solo in balia di quella pazza che gli ronzava intorno.”

“Però non sappiamo con certezza che sia andata così. Non sappiamo davvero se Luke sia andato via con Laura.”

“La chiamo.” Disse Daisy. “No! Accidenti. Luke ha detto che non ha il telefono. Non possiamo chiamarla.”

Bo si alzò di scatto: “allora vado da lei.”

“Con calma, Bo.” Lo ammonì Jesse. “Non puoi andare a bussare alla sua porta a notte fonda.”

“Ma, zio Jesse…”

“Niente ma, Bo. Non sappiamo se Luke sia con lei. Potrebbe rientrare a casa da un momento all’altro o può essersi fatto dare un passaggio da qualche suo amico. Proviamo con Cooter. E’ possibile che sia da lui o alla sua officina.”

“Zio Jesse, Luke può avere bisogno di noi.” Disse Daisy in tono supplichevole.

Jesse accarezzò il braccio della nipote: “non ho dubbi in proposito, bambina. Ma dobbiamo affrontare tutto questo in maniera logica se vogliamo davvero aiutarlo. Dobbiamo accertarci che non stia da Cooter. Non possiamo piombare di punto in bianco a casa di Laura. Devi tornare al Boar’s Nest e recuperare la pillola cosicché potremmo farla esaminare al Dott. Appleby. E mentre aspettiamo che si faccia giorno, ci faremo un giro e cercheremo Luke. Magari ha trovato un posto dove fermarsi visto che non riusciva ad entrare nel Generale Lee. Per quel che ne sappiamo può essersi addormentato da qualche parte fuori dal Boar’s Nest. Se non dovessimo trovarlo, andremo a casa di Laura.”

Bo e Daisy si resero conto di quanta logica ci fosse nelle parole dello zio. Riuscirono a tranquillizzarsi. Era davvero un bene che avesse preso in mano la situazione. Con un po’ di fortuna avrebbero potuto trovare Luke addormentato nei pressi del Boar’s Nest inconsapevole del fatto non si trovasse nel suo letto e che stava spaventando a morte la sua famiglia. Quando lo avrebbero trovato lo avrebbero di certo aggredito spietatamente per non parlare poi della sonora sgridata da parte di zio Jesse, che si sarebbe dovuto sorbire. Ma subito dopo lo avrebbero abbracciato stretto e non lo avrebbero più perso di vista per molto tempo.

 

To be continued…

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Capitolo 13
*** Incubi ***


Grazie infinite ragazze per i vostri commenti ancora una volta puntuali e deliziosi!

La faccenda si sta facendo davvero seria. Povero Luke, non verrei essere nei suoi panni!

 

 

Capitolo tredici: incubi

 

Luke circondato dalla nebbia, cercava un modo per uscirne fuori. Ma la nebbia era dappertutto. Lo aveva inghiottito. Era talmente fitta che non riusciva neanche a vedersi gli stivali guardando in basso. Si sentiva soffocare. Il suo battito accelerò e il cuore gli balzò in gola. Gli venne il fiato corto. C’era qualcosa nella nebbia. Una presenza. Qualcosa dalla quale sapeva di dover scappare. Qualcosa di oscuro e opprimente che seguiva i suoi movimenti. Se provava a spostarsi, si sentiva seguito. Nella nebbia più fitta. Nell’oscurità.

Quando una mano fredda come il ghiaccio squarciò la nebbia e gli afferrò il braccio, Luke saltò nel letto. Lentamente, si rese conto di aver avuto un incubo. Prese un respiro profondo e si passò una mano sul viso. Si era trattato solo di un sogno. Ma il suo sollievo durò poco. Perfino nell’oscurità, avvertiva che qualcosa non andava nella stanza. Le dimensioni per cominciare. E poi era silenziosa, troppo silenziosa. Non c’erano rumori famigliari come il vento tra gli alberi, i grilli o il cinguettio degli uccelli alle prime luci dell’alba. Niente. Tutto mortalmente silenzioso. Eccetto per il suo respiro.

La mente di Luke cercava di dare un senso al luogo nel quale si trovava, ma era troppo disorientato. Sebbene più debolmente, la stanza ancora gli girava intorno. La testa gli faceva male e la nausea aumentava. Non appena i suoi occhi si furono abituati al buio, vide una lanterna dall’altra parte del letto. La fiamma era fioca, ma era abbastanza perché riuscisse a guardarsi intorno. Il suo stomaco si contorse ancora di più quando raggiunse un’ulteriore consapevolezza. Non aveva idea di dove si trovasse. Era in un letto, ma quella non era la sua stanza.

Tentò di non farsi assalire dal panico. Non sapeva dov’era e come c’era arrivato. Doveva schiarirsi le idee. Quando si allungò per raggiungere la lanterna, sussultò per il tocco di un corpo caldo accanto a lui. Non si era accorto di non essere solo. Una donna gli stava dormendo affianco. Dei capelli scuri le ricadevano confusamente sulla faccia, oscurandogliela e non permettendogli di riconoscerla.

Delicatamente le scansò i capelli dal volto. Nonostante fosse quasi al buio, riconobbe Laura Dawson. Non capiva come era potuto finire a letto con lei. Ricordava di esser stato al Boar’s Nest. Ricordava di averle restituito il ciondolo. Ricordava come lei non lo ascoltasse affatto mentre lui le diceva di non ricambiare i suoi sentimenti. Ma non ricordava altro. Non riusciva ad immaginare come fosse finito lì, a letto con Laura. In aggiunta all’amarezza che provava, iniziò a sentirsi anche imbarazzato per aver permesso che accadesse qualcosa con una ragazza per la quale non provava nulla. Non sarebbe dovuto succedere.

Laura si stiracchiò. Quando aprì gli occhi e vide che Luke la stava fissando, sorrise. Disse dolcemente: “buongiorno, amore mio.”

Luke fu invaso dalla vergogna: “buongiorno.” Mugugnò non sapendo cos’altro aggiungere.

Laura si mise a sedere, lasciando che le coperte le scivolassero di dosso. Luke stava per distogliere lo sguardo, quando si accorse che indossava una camicia da notte di seta. Sollevato, tornò a posare lo sguardo su di lei, cercando di sondare i suoi pensieri. Laura afferrò la lampada ed aumentò la fiamma illuminando la stanza.

Luke osservò la piccola camera e la analizzò nei dettagli. Sembrava una stanza da letto. C’erano pesanti tende attaccate alla parete dalla sua parte del letto. Ma non filtrava luce. Realizzò che non aveva idea di che ora fosse. Si guardò attorno, ma non vide orologi. A giudicare dalla completa assenza di luce, immaginò che fosse notte fonda.

“Sai per caso che ora è?”

Laura guardò l’orologio d’oro che aveva al polso: “sono quasi le dodici.”

“Mezzanotte?” Domandò Luke sorpreso che fossero passate tante ore senza che lui se ne ricordasse. “E’ tardi. Devo andare a casa.”

“Non è mezzanotte.” Rispose Laura. “E’ mezzogiorno. E tu sei già a casa, sciocco.”

“Mezzogiorno?” Esclamò allarmato Luke. “Sono stato qui tutta la notte?”

“Ma certo.” Disse Laura come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

Laura scese dal letto e accese altre due lanterne, illuminando così tutta la stanza. Luke stava passando un gran brutto momento tentando di realizzare quel che Laura gli aveva detto. Aveva trascorso la notte con lei. Non ricordava se avesse avvisato a casa oppure no. Più tentava di ricordare, più il dolore alla testa peggiorava. E che cosa voleva dire che erano già a casa? Dove si trovava?

Luke si mise a sedere sul bordo del letto con l’intenzione di alzarsi, quando si rese conto di non avere niente addosso. Si guardò disperatamente intorno cercando i suoi jeans, ma non li trovò. Osservò Laura seduta davanti allo specchio, intenta a spazzolarsi i capelli e canticchiando allegramente.

Una volta ancora, Luke cercò di concentrarsi sulla notte appena trascorsa, ma tutto quello che ottenne fu un aumento del dolore alla sua povera testa. Non riusciva a razionalizzare niente, sapeva soltanto che non sarebbe dovuto stare in quel letto. Non ricordava di aver passato la notte con Laura, ma le prove parlavano chiaro. Si era ritrovato nudo nel letto insieme a lei, c’era una sola ovvia conclusione.

Luke si coprì con la coperta. Disse con un po’ di esitazione: “Laura, mi dispiace.”

Laura si voltò sorpresa: “non hai niente di cui dispiacerti.”

“Si invece.” Insistette Luke. “Mi dispiace per questa notte.”

“Perché? E’ stata la notte più bella della mia vita.”

Luke sospirò: “non sarei dovuto venire qui. Non so cos’abbiamo fatto e ti chiedo scusa. E’ stato un errore.”

Laura guardò Luke in modo rude: “non c’è niente di sbagliato riguardo la notte appena trascorsa. E’ stata perfetta.”

Luke tormentò la coperta con le mani. Tutto questo non lo avrebbe portato da nessuna parte. Aveva contribuito a far precipitare le cose. Invece di mettere tutto in chiaro con Laura, ci aveva dormito insieme.

Provò ancora: “Laura, non mi ricordo cos’è successo la notte scorsa. Forse ho bevuto troppo. Mi dispiace, ma non avrei mai voluto che questo accadesse. Non succederà più.”

Quando Laura lo fissò senza rispondere, Luke aggiunse: “devo tornare a casa. La mia famiglia sarà in ansia. Dove sono i miei vestiti?”

L’espressione sul viso di Laura cambiò in un attimo. La rabbia le attraversò gli occhi. Sentenziò: “sei a casa. Non pensare di potertene andare via così dopo quello che abbiamo condiviso.”

“Sono davvero spiacente, Laura. Ho bisogno dei miei vestiti. La mia famiglia sarà preoccupata.”

“Non devi più preoccuparti di tuo zio e dei tuoi cugini. Non possono farti del male.”

“Non mi faranno del male. Si staranno chiedendo dove sono finito. Devo andare a casa.”

Il volto di Laura mutò nuovamente espressione. Luke non sapeva dire cosa le stesse passando per la testa, ma presto avrebbe rimpianto di non aver colto la determinazione nel suo sguardo.

“Molto bene.” Disse lapidaria. “Ti prendo i vestiti.”

“Grazie.”

Luke fu sorpreso di vedere Laura aprire la cassettiera e tirare fuori i suoi jeans, boxer e calzini come se ci fossero sempre stati. Dopo aver chiuso il cassetto con eccessivo vigore, si diresse verso l’armadio e ne estrasse una camicia blu. Adagiò il tutto sul letto accanto a Luke e lo guardò aspramente.

Con noncuranza disse: “vai, se vuoi.”

Quando Luke esitò, rise: “ti darò la privacy necessaria per rivestirti anche se credo non ce ne sia più bisogno dopo la notte scorsa. Penso ormai tra noi non dovrebbero più esserci imbarazzi di sorta.”

Luke sentì salire di nuovo la vergogna e provò ancora a richiamare i ricordi della notte trascorsa, ma senza successo. Non voleva rassegnarsi all’idea di esser stato in intimità con Laura, ma così era stato.

“Mi dispiace.” Sussurrò nuovamente.

“A me no.” Ridacchiò Laura perfettamente conscia del disagio di Luke. Il suo umore cambiò ancora: “datti una mossa e vestiti, tesoro. Ti aspetto nel corridoio. Trovo carino che tu sia così timido.”

Laura afferrò la sua vestaglia e la indossò prima di attraversare tutta la stanza e raggiungere la porta. La oltrepassò e delicatamente la richiuse alle sue spalle. Fece scivolare il chiavistello di metallo e rapidamente lo serrò con il lucchetto. Allarmato da quel suono, Luke si infilò in fretta i jeans. Corse verso la porta e provò ad aprirla. Non riuscì a smuoverla.

La faccia di Laura apparve nella piccola finestrella: “sarai in salvo con me, mio caro. Io ti amo. Lo so che anche tu mi ami.”

“Non ho bisogno di essere salvato. Sto benissimo. Apri la porta.” Quando Laura per tutta risposta si limitò a sorridere, Luke aggiunse: “per favore. Per favore apri la porta. Fammi uscire di qui.”

“Non posso farti andar via.” Replicò mantenendo la sua serenità.

“Il gioco è bello quando dura poco, Laura. Devo andare a casa. Fammi uscire.”

“Ho detto che non posso. Sto facendo tutto questo per il tuo bene, amore mio. Tuo zio e i tuoi cugini ti hanno fatto il lavaggio del cervello. Dipendi da loro per il semplice fatto che hanno abusato di te per tutta la tua vita. E’ impossibile sfuggire a qualcosa del genere. Lo so bene, io stessa sono fuggita dai miei genitori. Non è stato facile, ma ho dovuto fare quello che andava fatto. Adesso faccio tutto questo per te. Realizzerai che ho ragione e mi ringrazierai, quando tornerai in te. Non hai bisogno di tornare alla fattoria da quelle persone orribili. Questa ora è casa tua.”

Luke indietreggiò ascoltando la spiegazione di Laura. Era sconcertato. Lei credeva ad ogni parola che aveva detto. Era ovvio. Era convinta che la sua famiglia lo controllasse. Era convinta che lui ricambiasse il suo amore. Tutta la tenerezza che aveva provato per lei, era svanita. Luke spinse la porta con tutte le sue forze, ma tutto quello che ottenne fu una spalla dolorante. La porta era di metallo ed era chiusa con un lucchetto. Fece un passo indietro e si accarezzò la spalla.

La sua frustrazione divenne rabbia: “non puoi fare una cosa del genere, Laura. Non puoi tenermi qui contro la mia volontà. Apri questa porta.”

“Mi dispiace che tu sia irritato Luke, ma devo farlo. E’ per te. Non posso permetterti di tornare da tuo zio. L’ho sentito come ti maltratta. Ti farebbe del male se ti lasciassi andare.”

“Non mi farebbe mai del male.” Insisttte Luke. “Verrà a cercarmi.”

“Non ti preoccupare. Non ti troverà. Nessuno ti troverà mai. Sei in salvo con me. Io so la verità, tesoro. Non devi più sentirti imbarazzato e non devi più mentire. Mi prenderò cura di te. Rilassati. Andrà tutto bene. Adesso vai e finisci di vestirti. Io intanto ti preparo la colazione. Tornerò presto.”

Luke osservò Laura sbigottito. Le sue obiezioni non l’avevano smossa di un centimetro. Il suo umore variava dalla serenità alla rabbia e viceversa, nel volgere di pochi secondi. Quando scomparve in fondo al corridoio canticchiando ancora, sondò la stanza cercando una via di fuga. La porta era da escludere. Raggiunse le tende e le scostò, ma dietro c’era solo il muro. La consapevolezza di trovarsi in una sorta di prigione, lo colpì duramente. Non c’erano finestre. Era circondato solo da solide pareti. Fu invaso dalla speranza quando vide una porticina dall’altro lato della stanza. Quando la aprì però, vide solo un piccolo bagno.

Si voltò e tornò nella stanza. Si lasciò cadere di peso su una sedia. Era nei guai. Bo alla fine aveva avuto ragione. Laura era davvero pazza. Non c’erano dubbi. Non sapeva come fosse riuscita a trascinarlo lì dentro. Era sicuro di non essersi ubriacato la sera precedente. Sapeva che non l’avrebbe mai seguita in nessun luogo senza una qualche coercizione. E non ci avrebbe mai dormito insieme.

La testa gli faceva ancora male e la nausea non lo aveva abbandonato. Si poggiò allo schienale della sedia. Aveva bisogno di riposo. Forse sarebbe riuscito a pensare più chiaramente se si fosse riposato. Di solito aveva sempre un piano d’azione, ma ora non riusciva a pensare a niente. La sua mente era ancora annebbiata. Si sentiva come se fosse tornato nell’incubo che lo aveva svegliato. La nebbia lo aveva inghiottito e non aveva via di scampo. Ma stavolta non era un sogno, era reale.

 

To be continued…

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Capitolo 14
*** Non oltrepassare ***


Capitolo quattordici: non oltrepassare

 

Bo stava camminando avanti e indietro lungo il marciapiede incrinato fuori dalla recinzione in ferro battuto. Nel frattempo scrutava l’oscura e inospitale casa sull’altro lato della strada. Con le sue mura di mattoni freddi che fungevano da barriera invalicabile per il mondo esterno, sembrava molto più un castello che una tenuta tipica del sud. Tutte le finestre erano chiuse e non vi era possibilità di sbirciare all’interno. Il ripido frontone donava alla casa un aspetto sinistro. Bo rabbrividì. Sentiva storie su quella casa da quando era bambino. Guardandola ora, non dubitava affatto fossero vere le leggende legate a fantasmi e fatti oscuri. Semmai fosse esistito un posto infestato, ebbene ce l’aveva di fronte. Ma c’erano cose ben peggiori dei fantasmi.

La pavimentazione del vialetto era seriamente danneggiata. Alberi alti e cupi fiancheggiavano il lato est della casa creando un’ulteriore barriera a causa della quale, pensò Bo, non riusciva a filtrare neanche il sole. Il prato era un selvaggio cumulo di erbacce. Il sentiero che dal cancello conduceva all’ingresso della casa era pressoché invisibile. Un cartello con su scritto “non oltrepassare” sbucava dalle sterpaglie.

“Maledizione.” Imprecò Bo. “E’ spettrale. Chi nel pieno possesso delle sue facoltà mentali potrebbe voler entrare lì dentro? E pensare che lei ci abita. Non è normale.”

Bo si arrestò di fronte al cancello. Jesse gli aveva detto di aspettare di avere delle prove certe prima di andare a bussare alla porta di Laura, ma Bo non aveva dubbi. Luke non era in prigione e non era da Cooter. Nessuno lo aveva più visto dalla notte precedente e questo era più che sufficiente. Laura era praticamente scomparsa quando Bo aveva raggiunto Luke nel parcheggio del Boar’s Nest. Avrebbe dovuto realizzare che non era andata via e che probabilmente si era solo nascosta aspettando l’occasione per avventarsi su Luke. E lui le aveva dato quell’opportunità lasciando il cugino vicino al Generale Lee. Non poteva pensare di aver fatto una cosa simile a Luke.

Al di là dei fatti certi e appurati, aveva comunque la netta sensazione che Laura fosse coinvolta nella scomparsa di Luke. Se solo il suo istinto avesse funzionato la notte precedente. Ma Luke aveva interferito nei suoi piani con Marylee, e Bo ne era rimasto alquanto seccato. Era sopraffatto dal rimorso e dal senso di colpa.

Bo avrebbe dovuto incontrare Jesse e Daisy dal dottor Appleby prima di affacciarsi dalle parti di Laura, ma non poteva più aspettare. Avrebbero capito. Spinse il pesante cancello, ma non si mosse. Era serrato. Indietreggiò osservando la ringhiera in ferro battuto che circondava la proprietà. Gli spuntoni aguzzi che facevano capolino sulla cima, rendevano impossibile scavalcare senza causarsi gravi danni. Bo sospirò. Non sarebbe stato facile.

Un elaborato campanello catturò la sua attenzione. Lo premette ansiosamente sperando in una risposta. Impaziente lo spinse ancora, e ancora, ottenendo però sempre lo stesso risultato. Niente. O Laura non era in casa oppure non voleva rispondere. Bo camminò sul prato intorno alla casa fino a raggiungere il vialetto d’accesso. Giunse ad un altro cancelletto. Lo afferrò, ma anche quello era assicurato con un lucchetto. Scoraggiato, tornò sui suoi passi e suonò di nuovo il campanello. La casa sembrava disabitata. Sarebbe stato meglio incontrare Jesse e Daisy e scoprire se loro avessero avuto nel frattempo qualche novità. Se non ne avessero avute, sarebbe tornato. Sarebbe entrato in una maniera o nell’altra.

 

Il dottor Amos Appleby seduto alla sua scrivania stava esaminando la piccola pillola bianca attraverso le lenti dei suoi occhiali. La posò cautamente in un recipiente e iniziò a cercare nel suo prontuario. Non riuscendo a trovare ciò che stava cercando, si accigliò. Sapeva che non l’avrebbe trovata, ma sperava di sbagliarsi.

“Dici di averla trovata sul pavimento del Boar’s Nest?” Chiese rivolto a Daisy.

“Era proprio accanto al tavolo dove Luke sedeva con Laura. Che cos’è?” Domandò ansiosa Daisy.

“Sembri perplesso, Amos.” Intervenne Jesse preoccupato.

“Lo sono.”

“Perché? Che cos’è quella roba?” Incalzò Bo.

“Rohypnol.” Rispose il dottore con tono grave. “Credo sia Rohypnol. Il fatto io non riesca a trovarlo nel mio prontuario, conferma il mio sospetto.”

“Pensi che qualcuno potrebbe averne bisogno e se lo sia semplicemente perso?” Domandò Jesse.

“No, Jesse. Ecco perché sono preoccupato. Non è un medicinale. I medici non lo prescrivono. Si tratta di un tranquillante, è potente e molto simile al Valium, ma dieci volte più efficace. Non viene prescritto per via dei suoi effetti collaterali. Sarebbe da veri irresponsabili.”

“Cosa fa?” Chiese Daisy.

Il dottor Appleby scrutò i tre volti ansiosi di fronte a lui. Se Luke avesse davvero preso quella droga, dovevano sapere la verità. Sospirò: “come ho detto, è molto potente. Ha effetto sedativo, produce amnesia, rilassamento muscolare e rallentamento delle capacità psichiche e motorie.”

“Amos, come avrebbe agito Luke se avesse preso una di queste pastiglie?”

“Probabilmente avreste pensato che fosse ubriaco. Avrebbe avuto difficoltà a parlare e a coordinare qualunque tipo di movimento. Avrebbe avuto le vertigini. E se ci avesse bevuto sopra un po’ di alcol, gli effetti sarebbero stati anche peggiori.”

“Luke non si drogherebbe mai.” Intervenne Bo mettendosi dalla parte del cugino.

“Calmati, Bo. Non sto dicendo che lo abbia fatto intenzionalmente. Qualcuno potrebbe avergli fatto cadere una pillola nella birra senza che lui se ne sia accorto. Si dissolve in fretta ed è insapore e inodore.”

“Perché qualcuno avrebbe dovuto fargli una cosa del genere?” Chiese Daisy.

“Daisy, non sappiamo davvero se Luke abbia preso del Rohypnol.” Il dottor Appleby tentò tranquillizzarla.

Jesse fissò l’amico con sguardo fermo: “non hai risposto alla domanda di Daisy, Amos. Non nasconderci niente. Dobbiamo sapere la verità.”

Il dottore sospirò nuovamente: “questo tipo di droga fa cadere le inibizioni e rende le persone più disponibili. Si agisce senza ragionare. Causa confusione. Produce una sorta di amnesia a causa della quale non si ricorda cosa è accaduto durante il suo effetto.”

Quando il dottore si arrestò, Jesse lo incoraggiò: “e?”

“Viene usato durante gli stupri perché le vittime non hanno la capacità di ribellarsi e, una volta finito, non ricordano niente di quello che è accaduto.”

I tre Duke rimasero in silenzio finché Jesse non riacquistò l’uso della parola e domandò: “quando gli effetti della droga finiscono, come ci si sente la mattina dopo?”

“Gli effetti sono simili ai postumi di una sbronza. Mal di testa e nausea. E un grande senso di confusione dovuto al blackout.”

“Zio Jesse, combacia perfettamente con le condizioni in cui versava Luke lo scorso fine settimana.” Disse Bo. “Pensavamo si fosse ubriacato anche se lui continuava a sostenere di non aver bevuto molto. Quella pazza di Laura deve averlo drogato anche la settimana scorsa.”

“E’ possibile.” Convenne Daisy. “Non riuscivo a capire come potesse essersi ubriacato tanto in fretta. Deve avergli messo una pillola nella birra.”

“Almeno ero lì per proteggerlo la volta scorsa.” Aggiunse Bo. “Avrei dovuto riportarlo a casa ieri notte, ma ero troppo seccato. L’ho praticamente abbandonato. Zio Jesse non potevo sapere che fosse stato drogato.”

“No, non potevi saperlo, Bo.” Concordò Jesse. “Neanche io mi sarei dovuto arrabbiare con lui quando ho creduto che avesse bevuto di nuovo.”

“Ma non l’ha fatto.” Insistette Bo saturo di sensi di colpa. “Avrei dovuto capire che c’era qualcosa di sbagliato.”

“Non ha senso tormentarsi così, Bo. Dobbiamo trovare Luke e riportarlo a casa.” Disse Jesse.

“Si, penso tu abbia ragione. Lo dobbiamo trovare.”

“E lo faremo.” Aggiunse Jesse con più fiducia di quanta ne avesse in realtà. “Non sappiamo per certo se Luke è stato drogato. Per quanto ne sappiamo, potrebbe stare a casa adesso.”

“Neanche tu credi alle tue parole.”

Jesse scosse la testa tristemente: “no, hai ragione. Luke non ci farebbe mai preoccupare così. Penso sia ora di fare due chiacchiere con Laura Dawson. Se lei gli ha dato il Rohypnol, Luke deve essere a casa sua. Forse sta ancora dormendo. Quanto durano gli effetti, Amos?”

“Di solito dalle otto alle dodici ore, ma quando viene assunto insieme all’alcol, si può arrivare fino a trentasei ore.”

“Quindi è presumibile pensare che sia ancora sotto l’influenza di quella droga.”

“Ho paura di si, Jesse.”

“Farà meglio ad aprire la porta stavolta.” Affermò Bo pieno di rabbia e frustrazione. “In un modo o nell’altro noi entreremo in quella casa.”

“Possiamo chiedere ad Enos di venire con noi.” Propose Daisy. “Lui può pretendere di entrare.”

“Non c’è niente che possiamo fare, tesoro. Non sono passate ancora ventiquattro ore dalla scomparsa di Luke.” Disse Jesse. “E non possiamo costringerla ad aprirci la porta se lei non vuole.”

“Ma, zio Jesse…”

“Niente ma, Bo. Non abbiamo la certezza che Luke sia davvero lì.”

“Se non è dentro quella casa, di sicuro Laura sa dov’è.” Insistette Bo.

“Forse hai ragione, ma dobbiamo procedere con cautela senza infrangere la legge. Se Luke è davvero lì, lo troveremo. E adesso muoviamoci.”

Bo annuì: “questo si che è parlare. Andiamo.”

Jesse si voltò verso il suo vecchio amico: “grazie, Amos. Apprezziamo le informazioni che ci hai fornito.”

“Non c’è di che, Jesse. Sai quanto sono affezionato ai tuoi ragazzi. Se avrai bisogno del mio aiuto quando avrete trovato Luke, io sarò qui.”

“Perché pensi che avremmo bisogno del tuo aiuto?” Chiese Jesse riconoscendo la perplessità nella voce del medico. “C’è qualcosa che non ci hai detto?”

Quando si accorse che non giungevano risposte, Jesse aggiunse: “per favore, dimmi cosa ti preoccupa. Se riguarda Luke, devo saperlo.”

Il dottor Appleby esitò prima di parlare: “Jesse, i danni del Rohypnol non si limitano al blackout o alla perdita di controllo. Quando è mischiato con l’alcol, può portare a difficoltà respiratorie o addirittura…”

“Addirittura cosa?”

“In casi estremi…”

“Cosa?” Incalzò Jesse con tono duro.

“In casi estremi, se il dosaggio è elevato e se è mischiato con l’alcol, può portare ad un’overdose e alla possibile…”

“Morte.” Concluse debolmente Jesse la frase dell’amico.

Daisy esclamò: “Luke non lo avrebbe mai fatto!”

Jesse circondò la nipote con le braccia e le offrì il suo conforto: “no tesoro. So che non lo avrebbe mai fatto di proposito. Ma non poteva sapere che Laura gli aveva messo una pastiglia nella birra. E c’è così tanto che noi ancora ignoriamo.”

“Ecco perché dobbiamo andare a casa di Laura. Ha tutte le risposte alle nostre domande.” Si intromise Bo.

“Hai ragione. Andiamo. Non abbiamo tempo da perdere.”

“Buona fortuna.” Fu l’augurio del dottor Appleby mentre accompagnava i Duke fuori dal suo studio. “Spero non ne avrete bisogno, ma chiamatemi se credete.”

Jesse annuì e saltò sul lato passeggero della jeep di Daisy. Bo aveva già preso posto nel Generale lasciandosi dietro una nuvola di polvere.

“Sarà meglio sbrigarsi, Daisy. Non voglio che Bo ci preceda. Desidero essere presente per mantenerlo calmo.” Disse Jesse.

Daisy innestò la marcia e spinse il pedale del gas. Fece del suo meglio per stare dietro a Bo.

 

To be continued…

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Capitolo 15
*** Nell'oscurità ***


Capitolo quindici: nell’oscurità

 

Ancora in preda a vertigini e nausea, Luke sospinse il pesante armadio dal muro al centro della stanza portandolo così a raggiungere gli altri mobili che aveva già spostato. Si poggiò addosso alla fredda parete stremato per lo sforzo. Cercò con le mani un varco attraverso i solidi mattoni di cui era composto il muro. Era inutile. Il muro era compatto. Stava cercando una via di fuga ormai da più di un’ora. La sua mente stava combattendo contro l’inevitabile conclusione che era in trappola.

La fioca luce della lampada catturò la sua attenzione. L’aveva tenuta d’occhio. La fiamma stava lentamente diminuendo di intensità. Le altre due lanterne si erano già spente. Aveva cercato in giro fiammiferi per accendere le candele, ma non ne aveva trovati. Laura non era più tornata e Luke non sapeva dire da quanto tempo si trovasse lì dentro. Era ancora disorientato. L’assenza di luce esterna e di orologi, rendeva impossibile stabilire che ora fosse o addirittura se fosse giorno o notte. A peggiorare il tutto, inoltre, non sapeva come fosse arrivato lì o che posto fosse.

Luke raggiunse la porta di metallo e la spinse con tutta la forza della sua frustrazione. Era inutile. Ottenne solo che gli si riacutizzasse il dolore alla spalla. Non c’era speranza di uscire da quella porta. La finestrella al centro era utile per farci passare dei piccoli oggetti, ma non c’era verso che ci passasse un uomo. Guardandoci attraverso, riuscì a vedere un’altra porta, fu sollevato che non fosse chiusa. Non che potesse usarla in qualche modo, ma almeno rendeva l’ambiente meno claustrofobico. Da quello che riusciva a stabilire, la sua prigione si trovava alla fine di un corridoio. Dalla sua prospettiva però, non riusciva a vedere altre stanze. Il corridoio era illuminato da un’altra fioca lanterna. Quando la fiamma si fosse spenta, sarebbe diventato buio pesto.

E poi accadde. La fiamma iniziò ad abbassarsi e l’oscurità cominciò ad espandersi creando ombre e assorbendo i colori della stanza. Luke si avvicinò alla lanterna, la afferrò e la strinse saldamente con le mani. Sembrava che la stanza gli si stesse chiudendo addosso. Si mise seduto sul letto cercando di far tornare i battiti del suo cuore a livelli accettabili. La fiamma oscillò confusamente, conferendo all’invadente oscurità movimenti sinistri.

Il petto di Luke martellava come fosse stato in trepidante attesa. Non voleva restare da solo nel buio. La sua ansia aumentava tanto quanto l’oscurità che lo circondava. Gli angoli e i confini della stanza svanivano sotto i suoi occhi. Non è che avesse paura del buio, non proprio almeno. Riusciva ancora a distinguere qualcosa, vedeva delle forme, delle sfumature di grigio. Ma quando la fiamma si fosse spenta, le tenebre avrebbero inghiottito tutto. Non sapeva cosa gli sarebbe successo. E questo lo spaventava.

E poi c’era silenzio. Non un rumore che lui stesso non avesse creato era giunto alle sue orecchie. Mentre sedeva sul letto, tutto quello che riusciva a sentire era il battito del suo cuore e il suo respiro pesante. Il pensiero che quella stanza era la sua tomba, lo colpì improvvisamente. Tremò.

“Non va bene.” Bisbigliò talmente piano da non sentire la sua stessa voce. “Avrei dovuto ascoltare Bo. Non ho mai capito niente di donne.”

Odiava ammetterlo, ma sperava di rivedere Laura. Cosa sarebbe accaduto se non fosse mai tornata? E se avesse deciso di lasciarlo morire lì al buio? Era abbastanza disturbata da farlo. Luke aveva bisogno di Laura. Era dolorosamente ovvio. Mentre osservava il cerchio di luce stringersi intorno a lui, iniziò a pregare affinché Laura tornasse.

 

Jesse era immobile sul marciapiede incrinato di fronte al cancello di Laura, con Bo e Daisy al suo fianco. Suonarono il campanello. Impaziente, Bo si lasciò sfuggire: “so che è qui dentro, zio Jesse. Dobbiamo trovare un altro modo per entrare.”

“Calma ragazzo. Non possiamo violare la sua proprietà senza una ragione.”

“Ho tutte la ragioni che mi servono. Te lo dico io, lei è qui dentro e così anche Luke. E se lui non ci dovesse essere, lei di sicuro sa dov’è.”

“ Va bene, Bo.” Concesse Jesse. “Sono d’accordo con te. Dobbiamo parlare con Laura, ma…”

Prima che potesse finire la frase, il cancello si aprì. Laura stava osservando i Dukes dall’interno della casa già da diverso tempo. Quando capì che non avevano nessuna intenzione di andare via, decise di farli entrare. Avrebbe dovuto affrontarli prima o poi. Pensò che sarebbe stato meglio togliersi subito l’incombenza.

Jesse sorrise all’inaspettata apertura del cancello: “visto? Non abbiamo bisogno di infrangere la legge.”

“Fa lo stesso per me, vediamo di guardarci le spalle gli uni gli altri.” Rispose Daisy. “Neanche io, come Bo, mi fido di lei.”

Quando videro aprirsi la porta di casa e Laura fissarli con le mani sui fianchi, i Dukes si mossero per raggiungerla. Erano più che mai determinati a ritrovare Luke.

“Cosa posso fare per voi?” Domandò Laura quando se li vide di fronte.

Bo la squadrò sprezzante: “vogliamo Luke. Dov’è?”

“Luke?” Ripeté innocentemente Laura. “Perché dovrei sapere dov’è?”

Daisy le si parò davanti: “tu eri con lui al Boar’s Nest la notte scorsa.”

“E sei tu che lo perseguiti da tempo.” Aggiunse Bo rabbioso. “Quando l’ho lasciato nel parcheggio, non era in condizione di andare da nessuna parte. Riusciva appena a reggersi in piedi. So che l’hai portato via tu.”

“Se era ridotto tanto male, non avresti dovuto abbandonarlo. Può essere andato ovunque. Può essergli accaduta qualunque cosa.” Disse Laura con tono minaccioso.

Il senso di colpa colpì duramente Bo. Laura aveva ragione su una cosa. Non avrebbe mai dovuto lasciare da solo Luke nelle condizioni in cui versava. Il rimorso lo lasciò senza parole.

Jesse riempì il silenzio che si era creato. Provò una tattica diversa: “se tu avessi una qualche idea di dove potrebbe trovarsi Luke, ti saremmo grati se ce la comunicassi.”

Laura fissò Jesse guardinga. Non si sarebbe bevuta la sua “preoccupazione” per Luke. Era in preda all’ansia, d’accordo. Ma voleva Luke indietro soltanto per continuare ad esercitare il suo controllo su di lui.

“Sappiamo che è qui.” Ripeté Bo.

“Se pensi davvero che Luke sia dentro casa mia, sei il benvenuto. Entra e cercalo. Non ho niente da nascondere.”

Jesse non sapeva dire se Laura stesse bleffando, ma accettò in tutta fretta il suo invito. “Grazie. Ci daremo un’occhiata intorno.”

“Entrate. Guardate ovunque.” Ripeté Laura con nonchalance.

I Dukes rimasero stupiti dalla piega che avevano preso gli eventi. Non si erano aspettati certo che Laura sarebbe stata così cooperativa e che avrebbe concesso loro addirittura di entrare in casa sua. Tanta collaborazione rese Bo sospettoso. Sapeva già che non avrebbero trovato Luke. Laura sembrava troppo tranquilla. Si rese conto che se non avessero scovato Luke lì dentro, non avrebbe saputo dove altro andarlo a cercare. Non aveva dubbi che Laura fosse coinvolta nella sparizione del cugino.

“Cominceremo dalla mansarda.” Disse Bo pensando che potesse essere un buon nascondiglio. “E poi scenderemo. Restiamo insieme, non ci separiamo.”

“Come potreste non vedere un uomo grande e grosso se fosse nascosto qui dentro?” Domandò sarcastica Laura. “ Comunque, accomodatevi. Vi mostrerò la strada per la mansarda.”

Laura condusse i Dukes su per la scala che dava accesso al terzo piano. Aprì la porta e accese la luce. Defilandosi disse: “fate con comodo. Vi aspetto in cucina. Controllate ovunque crediate.” Fece una breve pausa e poi aggiunse con un sorriso: “se posso aiutarvi, non esitate a chiamarmi.”

Bo la osservò allontanarsi passando di fronte a Jesse e Daisy. Una volta rimasti soli in mansarda, iniziarono le loro ricerche. La stanza era piena di bauli, scatole e vecchi mobili. Arrivavano fino al soffitto laddove vi era lo spiovente tipico dei sottotetti. La scarsità di luce rendeva difficoltoso controllare cosa ci fosse negli angoli. Le ombre erano ovunque.

Daisy controllò dietro ad un altro armadio e sospirò: “non è qui, zio Jesse. Non penso proprio Laura sia così sprovveduta da permetterci di cercare Luke se fosse davvero qui.”

Jesse convenne con la nipote: “penso tu abbia ragione, tesoro. Ma sai cosa si dice riguardo le cose nascoste alla luce del sole. Continua a cercare. Anche nei posti che non credi probabili. Sono d’accordo con Bo. Ha qualcosa di strano quella ragazza. Sa di sicuro dov'è Luke. Dobbiamo solo averne le prove.”

Un ghigno si fece largo sul volto di Bo: “adesso si che stai parlando, zio Jesse.”

Quando ebbero rivoltato da cima a fondo la mansarda, i Duke fecero lo stesso con gli altri tre piani della casa. Non trovarono tracce di Luke da nessuna parte. Aprirono ogni porta e cercarono addirittura sotto tutti i letti. Si era ormai fatto pomeriggio inoltrato, ogni singola stanza era celata da pesanti tende alle finestre e la poca luce di cui disponevano, permetteva all’oscurità di avanzare inesorabile. Non c’erano colori nella casa. Tutto sembrava stinto come se la vitalità fosse uscita da tutti gli oggetti. Quella casa era oppressiva.

Avendo ormai cercato in ogni angolo, i Dukes raggiunsero la cucina dove trovarono Laura seduta al tavolo intenta sorseggiare una tazza di te.

“Qualcuno gradisce un po’ di te?” Chiese garbatamente Laura con un malcelato ghigno di trionfo stampato in faccia.

“No, grazie.” Rispose Jesse per tutti.

“Trovato niente?” Domandò poi.

“Penso tu conosca già la risposta.” Disse Jesse.

“Ma non abbiamo ancora cercato dappertutto.” Si intromise Bo. “Questa casa non ha una cantina o un sotterraneo?”

“Certo.” Rispose Laura. “La porta è proprio dietro di voi. Andate pure, ma fate attenzione alla testa. Il soffitto è molto basso. Non vorrei che vi faceste male.”

“Non mi farò male.” Obiettò Bo guardando duramente Laura. Era certo che lei avesse appena lanciato loro un avvertimento. Bo accese la luce e iniziò a scendere seguito a breve distanza da Jesse e Daisy. Una volta ancora la ricerca fu infruttuosa. La cantina era ancora più buia e opprimente della mansarda.

Daisy camminava attaccata allo zio. Sussurrò: “questa casa è spettrale.”

“Mi fa venire i brividi.” Aggiunse Bo guardandosi attorno. “Non vi sembra troppo piccola questa cantina per una casa così grande?”

“Questa casa è molto vecchia, saranno stati aggiunti di sicuro dei locali nel corso degli anni. Questa forse era la cantina originaria. Ma non è detto che ce ne sia un’altra sotto la parte nuova della casa.” Disse Jesse.

“Beh, abbiamo cercato ovunque, ma Luke non è qui.” Affermò tristemente Daisy. “Ero certa che lo avremmo trovato.”

“Si anche io.” Convenne Bo guardando dietro l’ennesimo scatolone. “Ma io sono sicuro che lei sa dov’è.”

Jesse circondò le spalle del nipote con un braccio: “andiamo figliolo. Credo tu abbia ragione, ma sarà meglio immaginare un altro luogo dove cercarlo perché qui non c’è.”

Bo e Daisy seguirono lo zio fino in cucina dove trovarono Laura ancora seduta al tavolo. Li stava osservando duramente, ogni traccia di cordiale ospitalità era sparita: “avete perlustrato tutta la casa. Avete appurato che Luke non è qui. Adesso voglio che ve ne andiate.”

“Ce ne andremo non appena avremo finito.” Rispose Bo. Si avvicinò alla dispensa che nascondeva il passaggio segreto ai sotterranei e domandò: “cosa c’è dietro questa porta?”

Il cuore di Laura per poco non si arrestò, ma riuscì a mantenersi calma: “è solo la dispensa.”

Bo percepì il sottile cambiamento nell’atteggiamento di Laura e d’istinto aprì la porta. Si era quasi aspettato di vedere Luke dentro la stanza, ma trovò solo un armadio che conteneva ripiani colmi di dolci.

Laura si alzò in piedi e sbatté la porta: “soddisfatto ora? Vi avevo detto che Luke non era qui e adesso avete visto con i vostri occhi che non vi ho mentito. Se posso dire la mia, probabilmente è scappato via da voi.”

“Luke non avrebbe nessun motivo per fare una cosa del genere. Non lo farebbe mai. Noi siamo la sua famiglia e lo amiamo.” Disse Daisy sulla difensiva. Visto che Laura l’aveva provocata, Daisy aggiunse: “non sai niente di mio cugino, quindi non parlare.”

“Oh! io so cosa dico.” Continuò Laura. “Ho passato la notte a parlare con Luke al Boar’s Nest. Era stanco di essere controllato da tutti voi. Mi ha detto quanto gli state addosso.”

“Adesso stammi bene a sentire…” Tentò Jesse, ma fu immediatamente interrotto da Laura.

“No. Voi dovete starmi a sentire. So che abusate di lui. So che gli fate del male. Mi ha detto tutto.”

“Stai mentendo.” Tagliò corto Bo. “Luke non direbbe mai niente del genere.”

“Eppure l’ha fatto. Ha detto molto di più se volete saperlo. Mi ha confidato di odiarvi e che aveva intenzione di andarsene. E di non tornare mai più.”

“Non è vero!” Urlò Daisy. “Luke non andrebbe mai da nessuna parte senza prima informarci.”

“Non è più sotto il vostro controllo.” Affermò Laura. “Non deve dirvi più niente.”

Jesse mise fine all’acceso confronto mettendosi tra Daisy e Laura: “non abbiamo intenzione di litigare con te, Laura. Tu non conosci Luke. Noi siamo una famiglia. Non andrebbe mai via così, senza dire niente. Non sarebbe da lui un comportamento del genere. E’ finito sicuramente in qualche guaio e noi lo troveremo.”

Nera di rabbia, Laura mosse un passo e rimase di fronte alla porta della dispensa, come a voler vegliare il suo prezioso avere. Disse: “siete persone ben strane voi Dukes e io vi voglio fuori da casa mia. E non tornate mai più.”

“Come ha detto mio zio, non ci daremo per vinti. Sappiamo che hai qualcosa a che fare con la sparizione di Luke. Stai certa che tornerò. Ti terrò d’occhio.” Assicurò Bo.

“Fuori di qui, prima che chiami lo sceriffo.” Minacciò Laura.

“Forse dovremmo chiamarlo noi Rosco.” Intervenne Daisy.

“Rosco non farebbe un bel niente.” Disse Bo.

Piena di speranza, Daisy affermò: “dimentichi Enos.”

“Non c’è motivo di coinvolgere Rosco o Enos adesso. Non è ancora trascorso il tempo utile per dichiarare Luke scomparso.” Jesse era il più razionale: “non potrebbero fare niente e noi abbiamo già controllato questa casa.”

“Adesso sapete che Luke non è qui.” Ringhiò Laura. “Fuori da casa mia.”

“Ce ne andiamo.” Disse Jesse abbracciando Daisy e spingendo Bo affinché lo seguisse. “Ce ne andiamo, ma non smetteremo di cercare Luke.”

Laura seguì i Dukes fino alla porta d’ingresso. La sbatté con forza non appena furono usciti. La assicurò immediatamente con il lucchetto. Aveva avuto ragione di voler salvare Luke da quelle terribili persone. Doveva metterlo in salvo e questo significava doverlo allontanare dalla sua famiglia. Dovevano assolutamente convincersi che si era allontanato di sua volontà. Un sorriso si fece largo sul suo viso. Dovevano sapere che Luke se n’era andato di propria sponte e che non sarebbe più tornato. Laura avrebbe pianificato il da farsi.

 

To be continued…

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Capitolo 16
*** Niente oltre al lato oscuro ***


Capitolo sedici: niente oltre al lato oscuro

 

Non c’era niente che Luke potesse fare per impedire al debole barlume di luce di essere divorato dall’oscurità crescente. Aveva già provato a sistemare lo stoppino della lanterna il più in basso possibile per evitare che la fiamma si estinguesse, ma aveva ottenuto soltanto che la luce durasse un po’ di più. La lampada nel corridoio si era già spenta. La lanterna avrebbe presto fatto la stessa fine lasciando la stanza completamente al buio.

Luke non sapeva dire cos’era peggio, se il silenzio o l’oscurità. Le due cose insieme erano insostenibili. Era terrorizzato da entrambe. Chiuse gli occhi e si strofinò la faccia con vigore per poi riaprirli di nuovo. Era troppo buio. Era troppo agitato. Aveva bisogno di calmarsi. Doveva pensare razionalmente. Doveva esserci una via d’uscita da qualche parte. La sua mente era un po’ più presente rispetto a qualche ora prima, ma aveva ancora difficoltà nel concentrarsi. Di solito aveva sempre un piano, ma ora non riusciva a pensare a niente.

“Non può essere così brutta la situazione.” Disse così piano da sentire a stento la sua voce. “Non c’è niente nel buio che io non abbia già visto alla luce… almeno spero. Zio Jesse dice sempre di guardare il lato più chiaro delle cose… i guai di solito si trovano lì in attesa di uscir fuori. E non rimane niente se non il lato oscuro.”

Mentre il buio avanzava inesorabile, Luke sedeva su di una sedia stringendo la lanterna tra le mani. Vide la fiamma ondeggiare un’ultima volta prima di scomparire, lasciando solo un alone rossastro. Si concentrò su quell’ultimo bagliore morente che fece diventare la stanza completamente nera.

L’oscurità totale lo avvolse. Luke aprì e chiuse gli occhi diverse volte, ma non riuscì più a vedere niente. Cercò disperatamente di riaccendere la lanterna, ma senza successo. La stanza era blindata. Niente riusciva ad entrare e niente, compreso lui, poteva uscirne. Si passò una mano sul viso senza riuscire a vederla.

Era solo nel buio. Quel pensiero, accompagnato ad un senso di pericolo, invase la sua mente e il suo corpo. I battiti del suo cuore aumentarono. Il suo respiro divenne irregolare. Tremava. La sensazione che qualcosa di catastrofico potesse accadere nel buio, lo pervase completamente. Qualcosa di sinistro fuori dalla sua portata, aspettava solo di colpire.

“Coraggio, Luke.” Disse nella sua miglior interpretazione di Jesse. “Non c’è niente di cui aver paura. Non c’è niente là fuori… eccetto quella pazza di Laura.”

Zio Jesse riusciva sempre a calmarlo. Aveva bisogno dello zio in quel momento, anche se si trovava solo nella sua mente. Chiuse gli occhi e prese un paio di respiri profondi. Si sentiva meglio con gli occhi chiusi. Almeno non si aspettava di dover vedere niente. Si appoggiò allo schienale della sedia. Forse sarebbe stato in grado di pensare più chiaramente se si fosse sentito meglio.

 

Luke non era sicuro di quanto tempo fosse passato. Si era addormentato sulla sedia. Qualcosa lo aveva risvegliato, ma non sapeva dire cosa. Addrizzò la schiena e rimase in ascolto. Lo sentì di nuovo. Un suono. Un canto che diventava sempre più vicino. Un piccolo barlume di luce si fece largo dalla finestrella della porta.

Luke sorrise ampiamente non appena vide la luce. Il canto divenne chiaro. Lo riconobbe: La Marcia Nuziale. Laura stava intonando La Marcia Nuziale.

“Sta arrivando la sposa.” Bisbigliò Luke sgomento. “Deve essere un pessimo scherzo. Sta arrivando la dannata lunatica suonerebbe meglio.”

Lunatica o no, Luke fu sollevato quando capì che Laura stava tornando. Aveva bisogno di lei. Non c’era modo di scappare dalla sua prigione senza di lei. Si costrinse a rimanere seduto. Non voleva apparire disperato agli occhi di Laura. Doveva sembrare calmo malgrado la rabbia e la paura.

Il volto di Laura apparve nella finestrella: “ciao, tesoro. Oh, ma è buio qui. Avresti dovuto amministrare meglio l’olio nella lampada. Ti sono mancata?”

Luke si mozzicò la lingua sopprimendo un commento sarcastico. Non voleva irritare la sua carceriera. Al momento lei aveva il coltello dalla parte del manico.

“La lampada si è spenta.” Si limitò a rispondere.

“Ho portato un po’ di olio e tre fiammiferi, per ciascuna lampada.”

Laura poggiò un barattolo di vetro e i tre fiammiferi sul davanzale della finestrella. Indietreggiò non appena Luke si avvicinò. Il giovane afferrò rapidamente gli oggetti: “non c’è molto olio qui dentro.”

“E’ abbastanza per adesso. Se farai il bravo te ne darò di più quando ne avrai ancora bisogno.”

Luke non poté evitare di rivolgerle uno sguardo truce. Si voltò e si allontanò da lei cercando di tenere sotto controllo la sua rabbia. Versò un po’ di olio in una lampada e accese lo stoppino, tenendo bassa la fiamma.

“La tua famiglia è venuta a farmi visita.” Disse Laura con un sorriso. “Sembra proprio che siano preoccupati per te. Erano certi che fossi qui, ma io li ho convinti del contrario.”

Colmo di rabbia, Luke si avvicinò di nuovo alla porta costringendo Laura a fare un passo indietro: “dove siamo.” Domandò

“A casa.” Rispose Laura come se dovesse essere ovvio.

“Questa non è casa mia.” Replicò Luke colpendo la porta con le palme delle mani.

Presa alla sprovvista, Laura fece un salto indietro: “certo che non è casa tua. Questa è casa nostra.”

“Siamo in casa tua, vero?” Chiese Luke osservando quella che considerava ormai la sua prigione.

“Non esattamente in, direi piuttosto sotto.

Luke la guardò stupito. Ricordava di aver sentito storie da bambino su vecchi edifici che nascondevano stanze segrete.

Laura era più disturbata di quanto avesse immaginato. Ripensando a quello che gli aveva detto, chiese ansiosamente: “hai detto che la mia famiglia è stata qui.”

Travisando la preoccupazione che aveva percepito nella voce di Luke, Laura si affrettò a tranquillizzarlo: “non dartene pensiero, amore mio. Mi sono presa cura di loro.”

Il panico pietrificò Luke: “che vuoi dire che ti sei presa cura di loro? Hai fatto loro del male?”

“No, non gli ho torto un capello.” Disse Laura indignata. “I tuoi curiosissimi parenti sono venuti a cercarti e io li ho fatti accomodare. Sono stata una perfetta padrona di casa. Hanno cercato ovunque e si sono resi conto che non c’eri, anche se in realtà tu sei qui.”

Laura rise compiaciuta della propria astuzia. Tornò seria e aggiunse: “ma non sono certa di averli convinti, soprattutto Bo.”

Luke sorrise. Era proprio da Bo. Suo cugino era in grado di andare oltre la facciata a volte. Non gli piaceva Laura e non avrebbe mai creduto alle sue parole. Sarebbe tornato. Bo lo avrebbe trovato.

“Dovremmo convincerlo a tenersi alla larga da qui.” Continuò Laura. “Non è vero?”

“Bo non è tipo da mollare. Tornerà e mi troverà. Non smetterà di cercarmi finché non mi avrà trovato.”

Laura sorrise ancora. Quel sorriso cominciava a dare sui nervi a Luke. Non gli piaceva affatto. Sapeva che era disturbata, ma ora realizzava anche che era molto furba. I due elementi insieme davano vita ad una combinazione pericolosa.

“Dobbiamo assicurarci che non tornerà.” Ripeté Laura.

“Non c’è niente che tu possa fare per fermare Bo, zio Jesse e Daisy.” Ribadì Luke con convinzione.

“Forse.” Ammise Laura. “Ma tu puoi.”

Luke rimase in silenzio ad osservarla e Laura alla fine si spiegò: “scriverai loro una lettera. Gli comunicherai che hai abbandonato la fattoria di tua iniziativa e che non hai intenzione di tornare. Dirai loro quanto li odi e che non vuoi vederli mai più. Dovrai assicurarti che non torneranno a cercarti qui.”

Luke non riuscì più a contenere la propria ira: “non lo farò mai.”

Laura sorrise rendendo ancora più furente Luke: “si che lo farai invece.”

“No. E non c’è niente che tu possa fare per convincermi.”

L’espressione di Laura mutò immediatamente. Il suo sorriso fu rimpiazzato da un’intensa collera. Dichiarò: “se non scriverai la lettera, troverò un altro modo per sbarazzarmi di loro.”

A Luke non sfuggì la minaccia: “e che vorresti fare?” Domandò tentando di controllare la sua furia.

Laura si appoggiò con la schiena al muro del corridoio. Si frugò nelle tasche ed estrasse una pistola. La sollevò per mostrarla a Luke: “lavora di fantasia.” Disse compiaciuta.

Il cuore di Luke accelerò quando vide la pistola nelle mani di Laura. Stava minacciando di uccidere la sua famiglia. Cercando di rimanere il più possibile calmo, asserì: “tu non vuoi fare loro del male.”

Un sorriso glaciale tornò sul viso di Laura quando realizzò di aver fatto una mossa giusta. Rispose: “solo se sarò costretta, tesoro. Se non vuoi scrivere la lettera, dovrò fare a modo mio. Spetta a te. Penna o pistola. Decidi tu, non fa differenza per me.”

Piegato, Luke abbassò lo sguardo e sussurrò: “lo farò.”

“Non ti ho sentito.” Disse Laura con tono trionfante e costringendo Luke ad ammettere di nuovo la propria sconfitta.

Luke sollevò la testa e guardò duramente Laura. Affermò: “ho detto che scriverò quella dannata lettera.”

“Così mi piaci.”

“Ma devi promettermi di non fare del male a zio Jesse, a Bo e Daisy.” La supplicò Luke. “Devi stare alla larga da loro.” Non pensava che una promessa fatta da Laura avrebbe avuto un qualche valore, ma aveva bisogno di sentirsi rincuorato.

“Starò lontana da loro, se loro staranno lontani da me.”

La risposta di Laura fu tutt’altro che rassicurante. Non credeva che scrivendo la lettera avrebbe fermato la sua famiglia, specialmente Bo. Ma avrebbe comunque fatto il suo meglio per convincerli che si era allontanato di sua iniziativa. Doveva tenerli al sicuro e per farlo doveva mettere le distanze tra loro e Laura. Per quanto avesse bisogno della sua famiglia, ancora di più aveva bisogno di saperli sani e salvi.

Laura si chinò e raccolse qualche foglio di carta, una busta e una penna. Leggendo chiaramente la rabbia negli occhi di Luke, gli comandò: “stai indietro.”

Luke fece come ordinato e lei poggiò il necessario sul davanzale. Per la prima volta si rese conto delle condizioni in cui versava la stanza. Tutto quello che lei aveva sistemato con cura, era stato portato al centro.

“Che cos’hai fatto qui dentro?” Domandò irritata. “Avevo preparato questa camera per noi e tu hai rovinato tutto.”

Luke si guardò alle spalle. Non erano importanti le condizioni della stanza. Quando tornò con lo sguardo su Laura, riconobbe immediatamente il fastidio disegnato sul suo volto. Iniziò ad agitare confusamente la pistola mentre urlava: “come hai potuto fare questo al nostro posto speciale?”

Luke mosse le sue mani lentamente come si fa quando si vuole tranquillizzare un animale agitato: “calma Laura. Sistemerò tutto. Pensavo avremmo rimesso tutto in ordine insieme, adesso che siamo entrambi qui. Ma rimetterò tutto come lo avevi sistemato tu.”

Lo stato d’animo di Laura mutò ancora e un sorriso le attraversò il volto. Luke non poteva credere a come cambiasse repentinamente il suo umore.

“E’ molto dolce da parte tua.” Disse serenamente. “Hai il diritto di dire la tua su questa stanza. Sistemala come più ti piace. Adesso prendi i fogli e scrivi. Persuadi quelle orribili persone a lasciarci in pace.”

Luke era molto più che determinato a scrivere la lettera per proteggere la sua famiglia. Doveva salvarli da Laura. Era seriamente disturbata. Non aveva dubbi che avrebbe potuto far loro del male. Prese in mano carta e penna e si avvicinò ad un comodino. Esitò mentre cercava di capire cosa dover scrivere.

Impaziente, Laura disse: “scrivi semplicemente che sei andato ad Atlanta perché non ne potevi più di loro e che non tornerai.”

Luke fece del suo meglio per costringersi a sorridere. Rispose: “so cos’è meglio io scriva.”

“Bene. Allora fallo alla svelta.”

Luke impugnò la penna e iniziò. Valutò cosa inserire e cosa escludere, sperando il suo messaggio sarebbe stato chiaro.

 

Zio Jesse, Bo, Daisy,

con tutto quello che è successo, ho bisogno di un po’ di tempo per me stesso lontano da tutti. Sono andato ad Atlanta. Per favore rispettate la mia volontà e non mi cercate. Specialmente tu, Bo. Sai che non potresti mai trovarmi, neanche se fossi in bella vista. Perciò non lo fare. Non tornerò indietro.

Luke

 

Luke ripiegò il foglio e fece per infilarlo nella busta, quando Laura lo fermò.

“Fammi leggere.”

Luke posò la lettera sul davanzale e poi si fece indietro. Laura era molto attenta a non avvicinarsi troppo alla porta quando Luke era proprio dall’altra parte. Afferrò in tutta fretta il foglio e lesse.

“Non hai scritto ciò che provi per loro. Voglio che capiscano che non hai nessuna intenzione di tornare da loro. Scrivi. Fai sapere loro quanto sono orribili.”

Laura appallottolò il foglio e lo buttò nella finestrella. Luke lo guardò cadere al suolo. Si chinò per raccoglierlo. Odiava fare quello che Laura comandava, ma l’avrebbe ascoltata se significava salvare la sua famiglia.

Prese un foglio bianco e provò di nuovo.

 

Zio Jesse, Bo, Daisy,

ho bisogno di vivere la mia vita da solo, senza la vostra continua interferenza. Zio Jesse non ho bisogno che tu mi dica sempre cosa fare o che tu mi punisca quando non ti ascolto. Sono un uomo e non ho più bisogno di te. Non puoi più controllarmi.

Sono andato ad Atlanta. Non venite a cercarmi specialmente tu Bo. Sai che non potresti mai trovarmi neanche se fossi in bella vista. Perciò non lo fare. Non tornerò. Sono stanco di averti sempre dietro ovunque io vada. Non mi serve una dannata ombra che mi segua. Ne ho abbastanza sia di te che di Daisy. Non sopporto più che mi controlliate e poi riferiate tutto a zio Jesse.

Voglio stare da solo. Non vi permetterò di abusare ancora di me. Ho bisogno di qualcuno che mi completi. Non tornerò mai indietro.

Potreste non credermi, ma questa è la verità ed è sempre stato così. A volte la verità ce l’abbiamo proprio sotto al naso, ma non riusciamo a vederla.

Luke

 

Luke sospirò rileggendo la lettera. Non voleva certo ferirli con le sue parole, ma voleva saperli al sicuro. Era certo che non avrebbero mai smesso di cercarlo. Sospettavano già di Laura. Doveva metterli in guardia e dare loro qualche indizio. Posò nuovamente il foglio sul davanzale aspettando che Laura leggesse.

“Così va molto meglio.” Disse alla fine. “Adesso sanno la verità. Non torneranno più a cercarti. Saranno così feriti nei sentimenti che non ti vorranno più vedere. Bel lavoro, tesoro. Gliele hai proprio cantate.”

“Già.” Bisbigliò Luke. Sapeva che la lettera non li avrebbe tenuti lontani anche se forse le sue parole avrebbero fatto male. Sapeva anche che la sua famiglia era la sua unica speranza di salvezza. Semmai avessero creduto a quello che aveva scritto, lo avrebbero condannato.

“Dammi la busta così posso spedirla.” Disse Laura interrompendo i pensieri di Luke.

“Prima la riceveranno, meglio sarà. E poiché ti sei comportato bene, ho una ricompensa per te.”

Laura si chinò a raccogliere un panino e un cartone di latte. Sorrise dolcemente: “ti ho portato qualcosa da mangiare. Devi essere affamato.”

In effetti lo stomaco di Luke era vuoto e lui aveva fame. Non sapeva dire a quando risalisse il suo ultimo pasto. Nonostante odiasse prendere qualcosa dalle mani di Laura, sapeva che doveva mantenersi in forze. Si avvicinò rapidamente alla porta e prese il panino con il latte prima che lei potesse cambiare idea.

“Devo andare adesso, tesoro. Voglio spedire la tua lettera. Vedi di sistemare la stanza prima del mio ritorno. Non mi piace questa confusione. E conserva l’olio. Non mi piacciono gli sprechi.”

Laura riprese a intonare mentre si allontanava per il corridoio. Mentre La Marcia Nuziale si faceva sempre più lontana, Luke rabbrividì chiedendosi cosa potesse avere in serbo per lui. Guardando ai freddi mattoni delle mura, si augurò non si trattasse della stanza per la loro luna di miele. Pensò che non avrebbe mai più considerato le candele romantiche.

Sapeva che molti matrimoni venivano imposti, ma questo andava oltre ogni umana comprensione. Si sarebbe fatto una risata se non fosse stato nei guai fino al collo.

Luke abbassò la fiamma della lanterna sperando che l’olio sarebbe durato più a lungo. Aveva soltanto due fiammiferi. Doveva stare molto attento, non sapeva quando Laura sarebbe tornata. Non voleva ritrovarsi di nuovo al buio. Finì il suo panino e risistemò l’arredamento come lo aveva trovato. Doveva tenere Laura più calma possibile. Aveva bisogno di lei per sopravvivere.

 

To be continued…

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Capitolo 17
*** In un modo o nell'altro ***


Capitolo diciassette: in un modo o nell’altro

 

Luke era esausto. Aveva rimesso ogni mobile al suo posto per placare il nervosismo di Laura. Non voleva certo inimicarsela dopo che gli aveva sventolato la pistola in faccia minacciando la sua famiglia. Realizzò sarebbe stato meglio tenerla buona. Dopo aver sistemato tutto, mangiò il suo panino e bevve il latte che Laura gli aveva lasciato. Si sentì un po’ meglio dopo essersi saziato, tuttavia non riusciva a rimanere fermo. Cominciò a camminare per la stanza.

Mantenne la fiamma della lanterna molto bassa affinché durasse di più. Come risultato si ritrovò ad osservare le curiose ombre che si annidavano negli angoli. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma ora non ne era più tanto sicuro. Le finestre chiuse dai mattoni lo rendevano nervoso anche se non riusciva a vederle nel buio. Sapeva tuttavia che erano lì. Aveva la netta sensazione che avanzassero lentamente verso di lui. Poteva sentire la stanza stringersi impercettibilmente intorno a lui.

Mentre traeva conforto dalla sua piccola fonte di luce, disse a voce alta: “hai troppa immaginazione Luke Duke. I muri non si muovono. Non vanno da nessuna parte. Sono solo le ombre.” Per convincersi aggiunse: “è solo un’illusione. Sarà meglio che tu escogiti un piano per uscire di qui invece di preoccuparti delle ombre e dei muri che camminano. Non hai già abbastanza guai senza che tu ne immagini degli altri?”

Luke sospirò: “e sto anche parlando con me stesso.” Mugugnò sconsolato. “Beh, penso non sia tanto grave almeno fintanto che non comincerò anche a darmi delle risposte. Almeno è meglio del silenzio. Preferisco tenermi attivo che finire pazzo come lei.”

Smise per un istante di camminare: “mi chiedo se mi sto rivolgendo a me stesso nel modo corretto. Non ho molta esperienza. Devo parlarmi usando la prima o la terza persona? Ecco, mi sono rivolto un’altra domanda. Dannazione, se solo lei non mi avesse confuso tanto da non riuscire a pensare lucidamente.”

Riprendendo i propri passi, Luke cominciò a sentirsi a disagio. Non si sentiva bene. Cominciò a sudare freddo. Qualcosa non andava, ma non sapeva dire cosa fosse. Si fermò e si aggrappò all’armadio quando si accorse che stava perdendo l’equilibrio. Ebbe un giramento di testa. Guardò la lanterna per stabilizzare la vista pensando che le ombre fossero responsabili della sua condizione. Ma non riuscì a vederla chiaramente. Riprese a camminare. La fiamma appariva incerta, mentre la lanterna sembrava fluttuare.

“Questo non va affatto bene.” Bofonchiò.

Luke sbarellò mentre seguiva la fiamma traballante. La testa iniziò di nuovo a fargli male. Doveva sedersi se non voleva cadere per terra.

Faticò a mantenere l’equilibrio necessario per raggiungere il letto. Si mise a sedere sul bordo, chiuse gli occhi e, con i gomiti poggiati sulle ginocchia, si prese la testa tra le mani. Si sentiva nauseato, ma sapeva che era impossibile. Non aveva bevuto altro che il latte portato da Laura. Guardò il contenitore vuoto poggiato sul comodino e scosse il capo rimpiangendo immediatamente il movimento a causa del quale gli si era amplificato il dolore alla testa.

“Deve aver messo qualcosa nel latte.” Disse ad alta voce. “Proprio come deve aver messo qualcosa nella birra le volte scorse. Non ero… ubriaco… Avrei dovuto sapere… che c’era qualcosa di sbagliato. Avrei dovuto realizzarlo… prima.”

Ma ormai era troppo tardi. La droga mostrò rapidamente i suoi risultati. Luke combatté contro l’effetto sedante, ma fu una lotta inutile. Provò a rimettersi in piedi, ma non ne aveva la forza. La stanza iniziò a girargli intorno provocandogli una nuova ondata di nausea. Tentò disperatamente di rimanere sveglio. Non sapeva cosa gli avesse fatto Laura l’ultima volta che era svenuto, ma di certo non voleva risvegliarsi al suo fianco. Aveva il terrore di perdere il controllo, ma i suoi pensieri si stavano facendo sempre più incoerenti. Luke si rese conto che non avrebbe potuto fare niente. L’oscurità lo stava inesorabilmente inghiottendo. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Nel giro di pochi minuti scivolò nell’incoscienza.

 

Laura appose il francobollo sulla busta che conteneva la lettera scritta da Luke alla sua famiglia. Si guardò attorno un’ultima volta per essere sicura non ci fosse nessun altro per la strada, prima di raggiungere la cassetta delle lettere davanti all’ufficio postale. La posta sarebbe stata ritirata di mattina presto. Con un po’ di fortuna i Dukes avrebbero ricevuto la lettera già nel pomeriggio. Quindi se ne sarebbero lavati le mani di Luke e avrebbero smesso di interferire nella sua vita. Dovevano accettare il fatto Luke non li volesse più tra i piedi. Forse avrebbero smesso di cercarlo.

Imbucata la lettera, Laura guidò la sua macchina verso il Boar’s Nest per far visita a Boss Hogg. Giunta a destinazione arrivò davanti alla porta del suo ufficio e bussò.

“Avanti, avanti.” Rispose Boss con la sua solita impazienza.

Quando Laura aprì la porta, vide Boss seduto al tavolo intento a gustarsi del pollo fritto insieme alla moglie Lulu.

“Oh Miss Dawson!” Esclamò. “Prego si accomodi. Cosa posso fare per lei?”

Laura non era solo la miglior impiegata di Boss, ma era anche la più facoltosa. Renderla pienamente soddisfatta era tra le priorità di Boss.

“Buongiorno Boss, signora Hogg. Può dedicarmi qualche minuto?” Domandò dolcemente Laura.

Boss si pulì bocca e mani prima di alzarsi. Scortò Laura vicino al tavolo e disse: “non c’è neanche da chiederlo, certo che posso dedicarle del tempo. Tutto quello che vuole. Gradisce qualcosa da mangiare?”

“No, grazie Boss.” Rispose Laura mettendosi a sedere. “Ho splendide notizie che vorrei condividere con voi due. Mi sposerò alla fine della settimana.”

“Un matrimonio? Alla fine della settimana?” Ripeté Boss mal celando il proprio stupore. “Con chi?”

Lulu osservò il marito esasperata: “non mi ascolti mai J.D. Te l’avevo detto che Miss Dawson mi aveva già confidato la buona notizia quando ci siamo incontrate da Rhuebottom, la settimana scorsa. Il suo futuro marito viene da Atlanta. Semplicemente non avevo capito ti saresti sposata tanto presto cara.”

Laura sorrise apertamente: “quando due persone sono innamorate è difficile che sopportino di stare separate. Non c’è motivo di aspettare.”

“Può organizzare qui il ricevimento.” Offrì Boss.

Lulu scosse il capo: “non essere stupido J.D. Miss Dawson vorrà sposarsi e pranzare in qualche posto elegante e romantico.”

“Ma… “ Obiettò Boss prima di essere interrotto dalla moglie.

“J.D., il Boar’s Nest non è né elegante, né romantico. Miss Dawson è una ragazza sofisticata. Questo posto non è adatto per il suo ricevimento nuziale.”

“Per favore signora Hogg, mi chiami Laura.”

“E tu chiamami Lulu, cara.”

Boss osservò le due donne con espressione accigliata. Chiese: “se non vuole usare il mio locale, dove festeggerà?”

“Avremo una cerimonia privata con una cornice molto romantica creata ad arte da me.” Rispose Laura. “Saremo soltanto noi due e il reverendo. Come sapete i miei genitori sono morti e il mio fidanzato non  ha più rapporti con la sua famiglia.”

“Nessun amico, cara?” Domandò Lulu.

“So che può sembrare egoistico, ma noi abbiamo occhi l’uno per l’altra e basta. Non abbiamo bisogno di nessun altro.”

Lulu sorrise: “com’è romantico. Se posso esserti d’aiuto, fammelo sapere.

“Si, si.” Si affrettò ad aggiungere Boss. “Se avrà bisogno della nostra assistenza non esiti a chiamarci.”

“Vi ringrazio entrambi, ma c’è un’altra cosa. Ho paura che dovrò lasciare il mio posto in banca. Il mio fidanzato non vuole che io lavori una volta che saremo sposati. Giovedì sarà il mio ultimo giorno di lavoro.”

“Mi sta lasciando?” Chiese Boss sconsolato. “E’ la mia migliore impiegata.”

“Sono spiacente, ma è il desiderio del mio fidanzato e io, come sa, non ho bisogno di denaro. Comunque partiremo per Atlanta appena ci sarà possibile.”

“Atlanta? Questo significa che chiuderà anche i suoi conti?” Boss fu preso dal panico.

“Terrò il mio denaro qui ad Hazzard.” Lo rassicurò Laura. “Dopo tutto qui c’è la casa dei miei genitori, quindi tornerò molto spesso.”

Boss si tranquillizzò. Poteva sopportare di perdere la sua migliore impiegata purché lei lasciasse intatti i suoi cospicui conti.

Laura si alzò seguita da Boss e Lulu. Disse: “devo andare. Ho ancora molte cose da sistemare per il matrimonio.”

“Non dimenticare, cara. Se hai bisogno d’aiuto, chiamami.” Ripeté Lulu.

“Lo farò, grazie. Ci vediamo domani Boss. Arrivederci Lulu.”

Lulu abbracciò Laura: “arrivederci, cara.”

Boss aprì la porta: “a domani. Mi mancherà in banca, ma sono contento di poter continuare ad annoverarla tra i miei migliori clienti.”

Laura sorrise mentre Boss le chiudeva la porta alle spalle. Aveva avuto successo. Tutto stava andando secondo i suoi piani. Per la fine della settimana sarebbe diventata la signora Duke.

 

Laura accese la lanterna mentre camminava attraverso il corridoio buio e stretto. Era stata lontana da Luke per diverse ore. Lui non stava prendendo bene la sua inaspettata libertà. Gli altri Dukes, sebbene lontani, esercitavano ancora uno strano dominio su di lui. Ma questo è ciò che accade quando si sono subiti abusi per tanti anni. Si diventa dipendenti dai propri aguzzini. Si può arrivare addirittura a proteggerli. Tuttavia, con il passare del tempo, tutto sarebbe stato superato. Laura ne era certa. Doveva soltanto tenere al sicuro Luke fintanto che la sua rabbia e la sua dipendenza dalla sua famiglia non fossero passate. Sapeva che sarebbe stato un processo lento, ma lei lo avrebbe aiutato. E alla fine Luke l’avrebbe ringraziata.

Sfortunatamente, la rabbia di Luke era ben lontana dall’esser passata. Odiava farlo, ma era stata costretta a dargli un calmante. Aveva messo le sue ultime tre pastiglie di Rohypnol nel latte. Sperava lo avrebbe trovato più mansueto e ragionevole. Si avvicinò con delicatezza alla porta e debolmente lo chiamò.

“Luke, tesoro. Sono tornata.”

Non ricevendo risposta, cautamente sbirciò nella finestrella. La lampada era ancora accesa. Luke giaceva addormentato sul letto.

“Luke!” Tentò più forte. “Sei sveglio?”

Luke non si mosse. Laura si era aspettata di trovarlo docile e accondiscendente. Il Rohipnol aveva avuto quel tipo di effetto le altre due volte. Stavolta aveva dovuto necessariamente aumentare la dose in quanto lo aveva trovato arrabbiato e agitato. Sapeva che non si sarebbe svegliato. Si sentì tranquilla di poter entrare.

Laura disserrò la porta e la aprì. Si avvicinò lentamente a Luke tenendo comunque le mani in tasca per tastare la pistola. Non voleva certo minacciarlo, ma era ancora vittima del lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto per tanti anni dalla sua famiglia. Doveva stare attenta. Se fosse scappato e fosse tornato alla fattoria non avrebbe più saputo niente di lui. Lo avrebbero punito severamente. Non aveva dubbi al riguardo. Doveva proteggerlo che lui fosse d’accordo oppure no.

Laura si arrestò accanto a Luke e lo osservò per un po’ dormire. Poggiò la lanterna sul comodino e si sedette sul letto. Con il dito medio seguì le linee del suo volto. Quando arrivò a toccargli il mento si fermò ad esaminare la cicatrice che aveva. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Sapeva che gliel’aveva provocata lo zio. Non gli avrebbe mai permesso di mettere di nuovo le mani addosso a Luke.

Luke rimase immobile sotto le carezze di Laura. Gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Sembrava così in pace mentre dormiva. Rappresentava la perfezione per lei ed era tutto suo. Dolcemente gli poggiò il dito sulle labbra per poi chinarsi e ripetere lo stesso gesto con la bocca. Lui non rispose.

Osservò il petto di Luke gonfiarsi e abbassarsi. Gli sbottonò la camicia. Lentamente fece scivolare le mani sui suoi muscoli tonici, gli accarezzò gli addominali. Gli afferrò una mano e se la portò all’altezza del cuore. Raggomitolandosi accanto a lui gli poggiò dolcemente la testa sul petto. Continuando a tenere salda la mano di Luke e cullata dai battiti del suo cuore, Laura finì per addormentarsi accanto all’uomo con il quale aveva deciso di trascorrere il resto della sua vita.

In un modo o nell’altro.

 

To be continued…

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Capitolo 18
*** Leggendo tra le righe ***


Thia mia adorata!  Avevo una paura folle di averti sfiancato con i miei tempi biblici di aggiornamento e che tu ti fossi stufata di aspettarmi. Che gioia rivederti da queste parti! Ringrazio infinitamente anche le mie splendide commentatrici Marzia, Lu e Juliet, è una gioia immensa per me leggere le vostre recensioni ad ogni capitolo!

 

Capitolo diciotto: leggendo tra le righe

 

Bo stava calpestando pesantemente il pavimento della cucina quando girò per l’ennesima volta intorno al tavolo al quale erano seduti lo zio e Daisy. Era per lui impossibile contenere la propria frustrazione e la propria ansia. Sapeva dov’era Luke (magari non esattamente, ma ci andava molto vicino). Sapeva che Laura lo teneva chiuso da qualche parte. E il fatto Luke non fosse in grado di fuggire da lei era terrificante. Non voleva neanche immaginare cosa potesse avergli fatto.

Quando compì un altro giro attorno al tavolo, la pazienza di Jesse raggiunse il limite massimo di sopportazione. Esclamò esasperato: “Bo, siediti! Mi stai facendo girare la testa!”

Bo lentamente si arrestò: “scusa zio Jesse.” Disse sedendosi di peso su una vecchia sedia.

Jesse si allungò sul tavolo e gli afferrò una mano: “lo so che sei preoccupato, figlio mio. Lo siamo anche io e Daisy, ma fare un buco nel pavimento non è di nessun aiuto. Dobbiamo capire cosa possiamo fare. Abbiamo bisogno di un piano.

Daisy sospirò: “di solito è di Luke il compito di escogitare piani.”

“E’ vero.” Convenne Jesse. “ma adesso tocca a noi se vogliamo ritrovarlo. E’ il nostro turno.”

“Ma, zio Jesse.” Lo interruppe Bo: “cosa faremo? Laura sa dov’è. Non ho dubbi al riguardo eppure in quella casa non c’è. Abbiamo cercato ovunque.”

“Beh, non abbiamo guardato proprio dappertutto…” Jesse si arrestò quando udì il rombo di un motore in avvicinamento.

Bo saltò dalla sedia e corse verso la finestra seguito da Jesse e Daisy. Il disappunto soffocò immediatamente la loro tenue speranza quando videro Miss Tizdale in sella alla sua moto.

Jesse circondò le spalle dei nipoti sperando di non far capire loro quanto lui stesso fosse rimasto deluso che non si fosse trattato di Luke. Disse sommessamente: “andiamo a vedere perché Emma è qui. Magari ha qualche notizia.”

A quelle parole Bo si diresse verso la porta e uscì sotto il portico insieme a Jesse e Daisy. Scesero in fretta le scale fino ad incontrare Miss Tizdale.

“Buongiorno Emma.” Esordì Jesse insolitamente sottotono. Non era dell’umore adatto per intrattenere inutili convenevoli.

“Buongiorno Jesse, Daisy, Bo.” Ad Emma non sfuggì l’espressione cupa disegnata su ciascun membro dei Dukes. Arrivò immediatamente al punto: “Jesse ho sentito dire che sei in pensiero per Luke, che è scomparso.”

Emma rimpianse immediatamente la sua infelice frase quando vide il dolore contrarre il volto dei suoi interlocutori. Guardò Jesse negli occhi e gli afferrò una mano: “mi dispiace. Ho sentito che non vedete Luke da un paio di giorni e che non sapete dove sia.”

“E’ così.” Concordò Jesse annuendo per far capire ad Emma quanto apprezzasse il suo interessamento. “Non è da Luke sparire senza farci sapere dov’è andato.”

“E’ un bravo ragazzo.” Rispose Emma. “Lo so bene che non vi provocherebbe mai dei dispiaceri di proposito. E’ per questo che sono corsa immediatamente qui quando ho visto questa lettera. Pensavo avreste voluto leggerla subito visto che  è da parte di Luke.”

“Luke ci ha scritto una lettera?” Domandò Daisy. “Dov’è, Miss Tizdale?”

“Ce l’ho qui con me, cara.” Rispose Emma frugando nella sua sacca.

Bo gliela strappò letteralmente dalle mani tanto era impaziente. Esaminò attentamente la busta: “è la scrittura di Luke, non c’è dubbio.” Affermò porgendo la lettera allo zio. La sua ansia fu presto rimpiazzata dalla paura. E se Luke se ne fosse andato di propria iniziativa? E se Luke lo avesse lasciato? E se non fosse mai più voluto tornare a casa?

Jesse non ebbe difficoltà a leggere i pensieri del nipote. La verità è che aveva i suoi stessi timori. Per Jesse, Bo era sempre stato un libro aperto. E come con un libro, riusciva ad indovinare la storia all’interno già dalla copertina. Sul suo volto, leggeva tutta la sua paura.

“Dammela, figliolo.” Disse Jesse allungando il braccio. Non mancò di notare il tremore nelle mani di Bo mentre gli porgeva la lettera. Nonostante fosse in apprensione per quel che avrebbero potuto trovarvi all’interno, Bo era sollevato che lo zio avesse preso il controllo.

Jesse si rigirò la busta tra le mani: “è vero, la scrittura è di Luke. Sembra sia stata spedita oggi da Hazzard.”

“E’ stata ritirata oggi.” Spiegò Miss Tizdale. “Ma potrebbe essere stata imbucata sabato pomeriggio o domenica. Non ritiriamo la posta nel weekend.”

Jesse annuì: “perciò Luke potrebbe averla spedita in un momento qualsiasi tra sabato e questa mattina.”

“Esatto.” Rimarcò Miss Tizdale. Quando realizzò la difficoltà che la famiglia stava avendo con quella lettera, ebbe il buon senso di scusarsi e andarsene nonostante la sua curiosità e apprensione.

“Sarà meglio che vada. Devo aprire l’ufficio postale alle nove in punto. Se c’è qualcosa che posso fare per voi, per favore fatemelo sapere.

Jesse annuì e ringraziò: “grazie Emma. Apprezzo molto che tu ci abbia consegnato di persona la lettera.”

“Spero Luke stia bene.”

“Sono sicuro di si.” Rispose Jesse. “Io, Daisy e Bo ce ne accerteremo presto.”

Emma sorrise mentre fece partire la sua moto. Salutò i Dukes e andò via, pregando affinché tutto si risolvesse per il meglio.

Tenendo gli occhi incollati sulla busta, Bo e Daisy si avvicinarono allo zio. Nessuno di loro aveva immaginato di poter ricevere una lettera da Luke. Quel piccolo e bianco involucro conteneva tutte le loro paure e i loro dubbi. Erano stati tutti talmente preoccupati per Luke, che nessuno aveva preso seriamente in considerazione l’ipotesi si fosse allontanato di sua spontanea iniziativa.

“Non vuoi aprirla, zio Jesse?” Domandò Daisy prendendolo sotto braccio.

“La apro, la apro.” Rispose Jesse più alterato di quanto non fosse in realtà. “Decisamente proviene da Luke. Riconoscerei la sua scrittura ovunque. Abbiamo ricevuto un mucchio di sue lettere quando era in Vietnam.”

Bo si avvicinò ulteriormente per dare e avere maggior supporto: “cosa pensi ci abbia scritto?”

“Non lo so, Bo. E credo non lo sapremo finché non la leggeremo.”

Jesse si mise a sedere sugli scalini del portico e cautamente iniziò ad aprire la busta. Bo e Daisy si posizionarono velocemente al suo fianco. Jesse si adagiò l’involucro sulle gambe e spiegò il foglio. Considerò di leggere la lettera da solo prima di condividerla con i nipoti, ma alla fine decise che non avrebbe avuto senso. Erano entrambi grandi abbastanza per sapere la verità qualunque essa fosse e, comunque, non avrebbe potuto nascondergliela a lungo. Dovevano sapere. Ne avevano il diritto. Avrebbero affrontato insieme qualunque cosa Luke avesse scritto loro.

Jesse si schiarì la gola e lesse a voce alta.

 

Zio Jesse, Bo, Daisy,

ho bisogno di vivere la mia vita da solo, senza la vostra continua interferenza. Zio Jesse non ho bisogno che tu mi dica sempre cosa fare o che tu mi punisca quando non ti ascolto. Sono un uomo e non ho più bisogno di te. Non puoi più controllarmi.

 

Quelle parole, dure da leggere, misero Jesse in soggezione. Era davvero troppo controllato? Era vero che aveva spesso avuto un atteggiamento autoritario con i ragazzi, ma ormai erano cresciuti e quei tempi erano passati. Luke lo sapeva, vero?

Dopo una breve pausa, riprese la lettura.

 

Sono andato ad Atlanta. Non venite a cercarmi, specialmente tu, Bo. Sai che non potresti mai trovarmi neanche se fossi in bella vista. Perciò non lo fare. Non tornerò. Sono stanco di averti sempre dietro ovunque io vada. Non mi serve una dannata ombra che mi segua. Ne ho abbastanza sia di te che di Daisy. Non sopporto più che mi controlliate e poi riferiate tutto a zio Jesse.

 

Bo inghiottì quelle parole come un boccone amaro. Era vero che spendeva gran parte del suo tempo con Luke, ma avevano ognuno la propria individualità. Non lo seguiva sempre dappertutto. Forse lo faceva quando era piccolo, ma non credeva di stargli ancora alle costole come in passato. Luke era davvero stanco di averlo continuamente tra i piedi?

Avvertendo un nodo salito a serrargli la gola, Jesse tossì e continuò.

 

Voglio stare da solo. Non vi permetterò di abusare ancora di me. Ho bisogno di qualcuno che mi completi. Non tornerò mai indietro.

Potreste non credermi, ma questa è la verità ed è sempre stato così. A volte la verità ce l’abbiamo proprio sotto al naso, ma non riusciamo a vederla.

Luke

 

Anche se aveva terminato la lettura, Jesse continuò a guardare la lettera come se sperasse che le parole del nipote sarebbero potute cambiare. Seduti silenziosamente al suo fianco, Bo e Daisy cercavano di capire come mai Luke avesse riservato loro delle parole così dure.

“Non vi permetterò di abusare ancora di me.” Ripeté Jesse prima di lasciarsi cadere la lettera sul grembo. Il suo spirito e la sua voce roca tornarono improvvisamente: “che Laura sia dannata. Ha costretto Luke a scrivere questa roba.”

Tornato alla realtà Bo chiese: “ne sei sicuro, zio?”

“Si, certo.” Rispose Jesse con convinzione. “Queste non sono le parole di Luke. E’ sempre stato onesto con me. Avrei saputo se si fosse sentito trattato come ha scritto.”

“E allora perché ci ha mandato questa lettera?” Intervenne Daisy.

“A questa domanda posso rispondere io.” Si intromise Bo ristabilito completamente dallo shock. “Laura lo ha costretto. Non sono certo di sapere come abbia fatto, ma lo ha fatto. Forse gli ha dato altre pillole oppure lo ha minacciato in qualche modo.”

“O forse ha minacciato noi.” Offrì Daisy. “Lo conoscete Luke. Farebbe qualsiasi cosa per proteggerci. Avrà minacciato di far male a uno di noi.”

“Penso tu abbia ragione, tesoro.” Disse Jesse circondale le spalle con un braccio. Jesse lesse ancora la lettera: “questi possono non essere i sentimenti di Luke, ma rileggendo attentamente, penso siano sue le parole.”

“Come puoi dire una cosa del genere?” Protestò Bo difendendo apertamente il cugino. Saltò in piedi incapace di trattenere ulteriormente la propria irritazione: “Luke non direbbe mai cose così terribili sul nostro conto.”

“Siediti, Bo.” Ordinò Jesse. Quando Bo non si mosse perché in contrasto con l’opinione dello zio, Jesse ripeté più dolcemente: “mettiti seduto e calmati. Arrabbiarsi così non aiuterà Luke. Non ho detto che intendesse realmente ciò che ha scritto, ma conoscendo quel ragazzo, scommetto la fattoria che ha voluto farci capire dov’è. Dobbiamo soltanto leggere tra le righe e scoprire il suo messaggio.”

Un sorriso attraversò il volto di Bo. Certamente lo zio aveva ragione. Luke aveva escogitato il modo di far sapere loro dove si trovava. Imbarazzato per aver dubitato dello zio, Bo tornò a sedere: “mi dispiace.”

Jesse tagliò corto su quelle che trovava inutili scuse. Gli diede una pacca su un ginocchio: “so quanto sei preoccupato e che non pensavi quello che hai detto, ma Luke l’ha fatto. Non letteralmente, ma ha voluto dirci comunque qualcosa. Non possiamo abbandonarlo ora.”

“Nossignore. Certo che non lo faremo.” Convenne Bo.

Jesse riprese in mano la lettera. “Va bene, vediamo di capirci qualcosa. Luke ci ha detto di essere andato ad Atlanta e non vuole che lo cerchiamo. Ha detto che non potresti mai trovarlo, Bo neanche se fosse in bella vista. Penso abbia tentato di dirci che non è affatto ad Atlanta, ma qui ad Hazzard.”

“Sono d’accordo, zio Jesse. Non c’è possibilità che Luke si sia allontanato da Hazzard.”

“La parte in cui dice di non volere un’ombra che lo segue, mi fa pensare molto alla spettrale casa di Laura.” Propose Daisy. “Non è qualcosa che Luke direbbe.”

“Ottimo, tesoro.” Annuì Jesse. “Ci sta dicendo che si trova in un posto buio pieno di ombre. E sono d’accordo che ci stia parlando della casa di Laura.”

“Ve lo dico io, Luke è nascosto lì dentro.” Affermò risoluto Bo. “Lo ha sequestrato lei. Ne sono certo. Penso sia quello che ha voluto comunicarci quando scrive che ha bisogno di qualcuno che lo completi. Avete presente il cuore spezzato, vero? Laura è l’altra metà. E’ di lei che sta parlando. Sta provando a dirci che è con lei.” La frustrazione di Bo crebbe alla fine della frase.

“Dobbiamo stare calmi, Bo. Credo tu abbia ragione. Stava cercando di dirci che è con Laura. Vediamo se ci ha lasciato qualche altro messaggio.”

“Dice che a volte la verità ce l’abbiamo proprio sotto al naso, ma non riusciamo a vederla.” Disse Bo. “Proprio sotto ai nostri nasi…”

Qualcosa si riaffacciò nella memoria di Bo. Si sforzò perché non riusciva a capire cosa fosse. Dopo qualche istante, finalmente disse eccitato: “zio Jesse, mi ricordo di aver sentito molte storie su quella vecchia casa quando ero piccolo. Ho sempre pensato che fosse infestata dai fantasmi.”

“Ma adesso sai che non è vero.”

“Si lo so, zio Jesse. Ma ne ho sentite davvero tante. Ho sentito che ci sono stanze segrete e passaggi nascosti risalenti alla Guerra Civile. Pensi qualcuna di queste storie possa essere vera?”

“Forse.” Rispose speranzoso Jesse. “Queste pseudo leggende circolano da quando io stesso ero un bambino. Non so se siano vere oppure no, ma di sicuro so che c’è un rifugio antiatomico da qualche parte in quella proprietà. Me lo disse Edward Dawson in persona.”

“Un rifugio antiatomico?” Domandò Daisy. “Perché mai si sono presi la briga di costruirlo?”

“Vedi tesoro, negli anni cinquanta eravamo nel bel mezzo della Guerra Fredda. In molti temevano un attacco nucleare da parte dell’Unione Sovietica. Quelli che avevano più paura, avevano costruito rifugi antiatomici per salvare la propria famiglia in caso di necessità.”

“Non riesco ad immaginare persone così timorose qui ad Hazzard.” Considerò Daisy.

“Per quel che ne so io, i Dawsons sono stati gli unici a prendere un simile provvedimento nonostante non ci fossero reali minacce.”

Non credo noi Dukes avremmo potuto fare qualcosa del genere.” Intervenne Bo.

“Anche se avremmo potuto, non lo avremmo mai fatto.” Rispose Jesse.

“Perché no?” Chiese Daisy.

“Non sarebbe stato giusto chiudere tutti i nostri amici e vicini fuori, mentre noi eravamo dentro al sicuro. E poi, se davvero ci fosse stato un attacco atomico, non credo sarebbe rimasto molto una volta usciti fuori. Noi Dukes affrontiamo quello che viene aiutando il nostro prossimo, non lo guardiamo morire mentre noi ci salviamo.”

“Hai ragione, zio Jesse.” Disse Daisy.

La mente di Bo stava analizzando le informazioni appena ricevute: “è certo che i Dawson abbiano costruito un rifugio del genere?”

“Si, Bo.” Rispose Jesse. “Fu proprio Edward Dawson a confidarmelo. Voleva tenere tutta la sua famiglia chiusa al sicuro ed è poi quel che ha fatto utilizzando la sua grande casa.”

“Quindi sarà ancora nella loro proprietà. Sarebbe un posto perfetto per nasconderci qualcuno. Scommetto che è proprio lì che Laura ha chiuso Luke.”

Jesse sorrise: “ottimo spunto, Bo. Hai senz’altro ragione.”

“Dobbiamo solo scoprire dove si trova esattamente.” Continuò Bo eccitato.

Anche il volto di Daisy si illuminò quando realizzò ci fosse la concreta possibilità di scovare Luke: “ma da dove inizieremo a cercare?”

“Non lo so.” Rispose Bo. “Ma butterò giù quella casa se sarà necessario.”

“Con calma.” Lo ammonì Jesse. “Non faremo niente del genere.”

“Ma, zio Jesse…”

“Niente ma, Bo. Non lo faremo perché c’è un modo migliore. Nessuno può svegliarsi la mattina e decidere di costruire un rifugio antiatomico senza farsi dare i dovuti permessi. C’è la probabilità che il tutto sia stato registrato e sia conservato al Comune. Si tratta di documenti pubblici a cui possiamo accedere. Sapremo così esattamente dove i Dawson hanno costruito il rifugio.”

Bo e Daisy strinsero lo zio in un abbraccio. Non sapevano dove fosse finito Luke, ma almeno avevano un piano e un punto di partenza. Non avevano nessuna intenzione di mollare fintanto non lo avessero trovato.

Daisy osservò lo zio riporre la lettera di Luke nella busta. Si accorse che aveva gli occhi lucidi.

“Stai bene, zio?” Gli chiese dolcemente. “Lo sai che Luke non pensa quello che ha scritto.”

Jesse si ricompose in fretta: “si lo so, tesoro. Sono solo stato colto di sorpresa e per un momento mi sono chiesto se davvero Luke potesse provare ciò che ha scritto…”

“Luke non scriverebbe mai niente del genere.” Lo interruppe Bo. “Ha solo cercato il modo migliore per lasciarci dei messaggi. Scommetto qualunque cosa che Laura ci ha minacciati e Luke si è trovato con le spalle al muro.” Bo si arrestò un attimo per poi continuare: “lui ti ama, zio Jesse. Non ha niente da rimproverarti.”

“Si Bo, lo so. Ma ti ringrazio lo stesso per avermelo detto. Quando ho letto le sue parole…”

“Anch’io, zio Jesse.” Disse Bo. “Mi hanno terrorizzato, ma poi ho capito che Luke stava cercando di dirci qualcosa.”

Daisy sorrise: “e c’è riuscito. Adesso dobbiamo solo trovarlo e riportarcelo a casa.”

“La prima fermata sarà al Comune. Dobbiamo trovare la documentazione che ci permetta di localizzare il rifugio.” Disse Jesse.

Bo aveva già iniziato ad aiutare lo zio ad entrare nel Generale Lee. Lo fece passare attraverso il finestrino: “sono troppo vecchio.” Borbottò Jesse col fiatone.

Daisy imitò lo zio mentre Bo scivolò sul cofano e raggiunse in fretta il posto di guida. Senza aspettare che si fossero messi tutti comodi, Bo schiacciò con forza il pedale del gas e si immise sulla strada per Hazzard lasciandosi dietro una densa nuvola di polvere.

 

To be continued…

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Capitolo 19
*** Il bell'addormentato ***


Capitolo diciannove: il bell’addormentato

 

Un sospiro pesante fece capire a Laura che Luke si stava finalmente svegliando. Si scostò gentilmente il suo braccio dalla vita. Riluttante a lasciare il suo abbraccio, si mise a sedere sul letto. Aveva dormito profondamente per ore (era stato incosciente forse era l’espressione più adatta). Non aveva reagito quando lei gli aveva tolto i vestiti, così come non aveva reagito ai suoi tocchi. Non aveva opposto resistenza quando lei gli si era stesa di fianco e si era inserita nella curva che il suo corpo faceva dormendo su un fianco. Aveva trascorso così tutta la notte, con la schiena poggiata su di lui e tenendosi le braccia avvinghiate.

Laura aveva realmente temuto che Luke fosse andato in overdose da Roypnol. Fu sollevata quando finalmente lui si era girato sulla schiena. Era il primo movimento volontario che faceva, ma ora che si stava svegliando era tempo per lei di andare via. Non avrebbe voluto ma sapeva che Luke le avrebbe ancora opposto resistenza, in fondo era tutta la vita che la sua famiglia gli faceva il lavaggio del cervello. Sarebbe servita tutta la sua pazienza e tutta la sua volontà per allontanarlo definitivamente da loro. Sarebbe servito tempo, ma ora doveva andare. Non aveva altro Roypnol da somministrargli se avesse iniziato a ribellarsi. Doveva trovare una soluzione e nel frattempo sarebbe stato meglio se non ne avesse preso per un paio di giorni. Doveva stare più attenta con il dosaggio in futuro, troppo poco e sarebbe stato arrendevole, troppo e sarebbe diventato incosciente.

Luke sentì il cigolio del lucchetto mentre tentava di uscire dal suo stato di incoscienza. Era consapevole della fioca luce, doveva essere giorno ormai, era ora di alzarsi e iniziare i lavori nel granaio. La testa gli pulsava. Si mise a sedere lentamente, fu assalito dalla nausea. Il suo stomaco era in subbuglio.

Farfuglio: “Bo è ora di alzarsi” voltandosi alla sua destra e aspettandosi di vedere il cugino.

Ma Bo non c’era nella penombra. Il letto di Bo non c’era. Quella non era la loro stanza. Il cuore iniziò a martellargli nel petto e la nausea e il mal di testa peggiorarono all’istante. Luke non sapeva dov'era, ma sapeva che non doveva trovarsi lì. Mentre si guardava attorno gli tornò la memoria. Laura. Laura lo aveva rinchiuso in quella stanza. La scandagliò ma di lei non v’era traccia. Era solo.

Luke si mise a sedere sul bordo del letto, con un braccio tentava di tenere a bada il suo stomaco. L’ultima cosa che ricordava era di aver mangiato un panino e di aver bevuto il latte che Laura gli aveva dato. Presto realizzò che ogni volta beveva qualcosa che arrivava da Laura, diminuivano i suoi tempi di veglia e si sentiva sempre più male. Era chiaro che gli somministrava qualcosa, sapeva solo che non si trattava di alcol. Non era ubriaco, non aveva i postumi di una sbornia.

Ma si sentiva male. Si alzò in piedi e la nausea aumentò. Si trascinò in bagno e arrivò al wc giusto in tempo. Lo stomaco gli faceva male quando quindici minuti dopo finì di rimettere. Esausto rimase seduto sul pavimento con la schiena contro il muro. Il freddo del pavimento e del muro lo aiutarono a calmarsi mentre il suo corpo si riprendeva. Presto iniziò a tremare.

Si accorse con sgomento che non aveva vestiti indosso. Non ricordava di essersi spogliato e sperò ardentemente di esserseli levati da solo. Dolorante afferrò un asciugamano e si tirò su. Aggrappandosi al muro per avere stabilità tornò nella stanza cercando qualcosa che fosse fuori posto. Non era stato spostato niente ma sapeva che Laura era stata lì. Si sentiva debole e si sedette sul letto. E si accorse di cosa mancava. Non c’erano più il piatto e il bicchiere sul tavolo. Decisamente Laura era stata lì.

Gli girava la testa. Si appoggiò alla testiera del letto e prese un cuscino. Qualcosa cadde, guardò e vide che si trattava di un orecchino d’oro a forma di cuore. Laura indossava sempre cuori. Era stata lì con lui nel letto. Il cuscino che aveva afferrato profumava vagamente di rose. Lei era stata lì e lui aveva perso l’occasione di scappare.

Mentre ci pensava, la sua disperazione si tramutò in rabbia. Laura aveva dormito con lui, ormai non aveva più dubbi. Non sapeva cosa aveva fatto o se aveva fatto qualcosa. Forse si era limitata a dormire. Non era giusto, niente di tutto questo era giusto. E la cosa peggiore era che non ricordava niente.

Luke chiuse gli occhi mentre si teneva lo stomaco. Aveva bisogno di riposare, giusto un po’. Doveva fuggire da quella prigione. Appena si fosse sentito meglio avrebbe iniziato a cercare un modo per andarsene. In una maniera o nell’altra lo avrebbe trovato.

Non sapeva quanto avesse dormito. Era impossibile capire quanto tempo fosse passato. Non c’era luce naturale, non c’erano orologi. Sapeva che erano passate ore ma non sapeva dire quante. Laura non tornava con i pasti ad intervalli regolari che gli avrebbero dato un’idea del tempo che passava. Per quanto ne sapeva potevano essere passate ore o giorni o settimane. Essere stato drogato poi non aiutava, non aveva la percezione di niente.

Si mise a sedere lentamente dando al suo stomaco e alla testa il tempo di abituarsi. Passato qualche minuto si avvicinò all’armadio e si vestì con abiti non suoi. Le misure dei jeans e della camicia erano perfette. Laura conosceva tutto di lui, perfino la sua preferenza in fatto di boxer. E quello era un pensiero fastidioso. Sapeva ogni intimo dettaglio della sua vita. Non avrebbe voluto indossare i vestiti che lei gli aveva comprato, ma non aveva scelta. I suoi di vestiti erano spariti.

Il dolore alla testa era diminuito considerevolmente fino a diventare solo un fastidio. Probabilmente non sarebbe stato in grado di trattenere niente nello stomaco, ma almeno non gli faceva più male. Iniziò a controllare la stanza. Doveva esserci un’uscita se era stata costruita per essere un rifugio e non una prigione. Gli occupanti che si rifugiavano là dovevano poter contare su un’uscita di emergenza nel caso qualcosa avesse bloccato la porta. Almeno lo sperava. Se avesse costruito lui quel rifugio si sarebbe di certo assicurato una via di fuga.

Le mura erano solide. Aveva già spostato tutti i mobili per guardarci dietro. Avrebbe controllato anche il pavimento, ma temeva che gli sarebbe tornata la nausea. Doveva muoversi piano e con cautela. Si sedette su una sedia e si mise a pensare.

Il pavimento. Doveva assolutamente controllarlo. La superficie esposta sembrava compatta ma non aveva controllato quella coperta dai mobili. Si tolse gli stivali per sentire il pavimento con i piedi nudi. Con metodo, come seguendo una griglia, camminò cercando possibili irregolarità.

Non ce n’erano, il pavimento era compatto. Con tutta la forza che aveva spostò di lato il pesante letto. Su di una piccola area c’era una coperta. Luke la sollevò rivelando la presenza di una botola. Si inginocchiò e afferrò il chiavistello che la serrava. Qualche istante dopo riuscì ad aprirla.

Luke sbirciò nell’oscurità incapace di vedere alcunché. Uno spiacevole ricordo si affacciò alla memoria. Era accovacciato insieme ad altri due Marines all’entrata di un tunnel scovato sotto un materasso. Avevano seguito la scia del sangue di tre compagni colpiti da un cecchino. Si guardavano l’un l’altro, ognuno di loro sperava non toccasse a lui scendere in quel buco…

Non c’era niente che odiasse di più che scendere in tunnel bui. Si passò una mano sugli occhi tentando di scacciare quel ricordo. Per quanto non volesse farlo, non aveva scelta. Non ne aveva mai avuta. Indossò gli stivali, afferrò la lanterna e controllò il livello dell’olio. Era quasi vuota. Quella fioca luce non sarebbe durata a lungo. Doveva fare in fretta. Avvicinò la luce all’entrata del tunnel per valutarne la profondità. Erano meno di due metri. Un salto facile.

Saltò giù tenendo stretta la lanterna. Si trovò circondato da mura alte e solide. Il passaggio era all’incirca due metri in altezza e un metro e mezzo in larghezza. La luce morente della lanterna illuminava solo ciò che aveva a stretto contatto. Non riusciva a vedere la fine del tunnel.

Tentò di calmare il respiro, sarebbe andato tutto bene. Quel tunnel doveva arrivare da qualche parte e sarebbe stato comunque meglio di dove si trovava prima. Iniziò a camminare nell’unica direzione possibile. Si muoveva piano e con circospezione anche se il suo istinto gli diceva di correre.

Il suo cuore sussultò quando una cinquantina di metri dopo si trovò di fronte un muro. Avvicinandosi fu sollevato nel rendersi conto che il tunnel non era terminato. Di divideva in due, destra e sinistra. Quello a destra sembrava più stretto rispetto al tunnel principale.

Non riusciva a vedere niente in nessuna delle due direzioni. Bofonchiò: “uno vale l’altro.”

Andò a destra. Più si addentrava più l’aria diventava fredda. Lo spazio si restringeva. Duecento metri dopo il tunnel era finito. Luke esaminò le mura, il pavimento e il soffitto alla ricerca di una porta segreta. Era tutto cemento, un vicolo cieco.

“Perché?” Urlò. “Perché qualcuno dovrebbe costruire un tunnel che non porta da nessuna parte? E’ un gioco malato. Non ha senso a meno che non si voglia torturare qualcuno.”

Rimase immobile qualche istante tentando di calmarsi. La rabbia non era una soluzione e aveva bisogno di volgerla in positivo se voleva uscire di lì. Doveva avere il controllo delle proprie emozioni e rimanere lucido. C’era un’altra opzione.

“Va bene” disse a voce alta per convincere se stesso. “Questo tunnel non porta da nessuna parte. C’è ancora l’altro. Nessuno avrebbe faticato tanto per costruire dei tunnel ciechi. Ci deve essere una via d’uscita.”

La luce della lanterna diventava sempre più fioca mentre Luke tornava verso il tunnel di sinistra. Sembrava più alto e più largo dell’altro, il senso di claustrofobia che stava provando si allentò un po’.

Luke implorò la luce di durare ancora mentre si avventurava nel tunnel più veloce di quanto avrebbe voluto. Era più lungo rispetto a quello di destra. Vedeva così poco ormai che rischiò di finire addosso alla parete di fondo. Si guardò intorno in cerca di un altro passaggio, ma non c'era. Quella era la fine. Un altro vicolo cieco. Non c’erano altre opzioni. Non c’era nessuna via di fuga.

“Che tu sia dannata Laura!” Urlò colpendo il muro con la mano. La sua voce riempì il passaggio e gli tornò indietro come eco.

Rabbia. Disperazione. Frustrazione. Paura. Luke era sopraffatto dalle emozioni mentre si trovava da solo alla fine di un tunnel senza uscita. Facendo qualche passo indietro colpì qualcosa sul pavimento. Cercò di proteggere la lanterna mentre cadeva a terra seduto. Tentò nuovamente di farsi luce. Il cuore prese a martellargli nel petto e la nausea ritornò. Tentò di far star ferma la lanterna cercando di vedere quello che aveva di fronte, ma le sue mani avevano cominciato a tremare. La fiammella rimasta si spense definitivamente lasciando Luke al buio con Edward e Julia Dawson.

 

To be continued…

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Capitolo 20
*** Cercando indizi ***


Capitolo venti: cercando indizi

 

Bo lasciò cadere un altro libro sul tavolo facendo sollevare in aria migliaia di particelle di polvere che invasero l’umido scantinato del Comune. Lo zio lo guardò male.

“Mi dispiace” mugugnò sedendosi di peso su una delle sedie. Cominciava a scoraggiarsi dopo ore di ricerche, tutto quello che aveva ottenuto erano occhi irritati per la polvere e per lo sforzo di leggere inchiostro sbiadito su fogli ingialliti. Hazzard non poteva di certo vantare un buon sistema di archiviazione che né lui né lo zio né la cugina riuscivano a decifrare. Come risultato si ritrovarono a spendere ore tra informazioni inutili.

“Si potrebbe pensare che un posto del genere dovrebbe essere tenuto meglio considerate le tasse che dobbiamo pagare.” Si lamentò Bo. “Stiamo perdendo tempo qui quando potremmo cercare Luke.”

“Lo stiamo cercando.” Jesse riprese dolcemente il nipote. “Le informazioni che troveremo qui ci serviranno per capire esattamente dove si trova.”

“Non abbiamo altra scelta se non quella di continuare a cercare.” Disse Daisy. "Non abbiamo idea di dove il signor Dawson abbia costruito il rifugio antiatomico.”

“Forse dovrei iniziare a cercare nei dintorni della proprietà.” Aggiunse Bo. "Molte persone ne hanno costruiti non è vero?”

“Negli anni cinquanta in tanti ci dissero che avremmo dovuto costruire un rifugio antiatomico. La gente era veramente spaventata da una possibile guerra nucleare. Ci dicevano che i rifugi erano necessari come il bagno in casa.

“Non hai mai pensato di costruirne uno, zio Jesse?” Domandò Bo.

“No.” Rispose Jesse “Avevamo deciso di costruire il bagno in casa proprio quando hanno iniziato a dirci che dovevamo costruire un rifugio. Abbiamo scelto il bagno.”

Bo rise. “Il bagno è decisamente più utile.”

“Infatti.” Concordò Jesse.

Dove li hanno costruiti quelli che hanno accettato di farlo?” Chiese ancora Bo.

“E chi lo sa. L’importante era che fossero sotto terra. E’ probabile siano stati adattati degli scantinati allo scopo.”

“L’ho trovato!” Gridò Daisy saltando in piedi. “Ho trovato il permesso per costruire il rifugio.”

Daisy porse il foglio a Jesse. Lei e Bo lo lessero da sopra le sue spalle. Jesse sospirò “questo è il permesso per costruire il rifugio ma non ci serve a niente. Non c’è scritto dov’è. Potrebbe essere ovunque nella proprietà dei Dawson.”

“Dannazione.” Esclamò Bo. “Non ci serve a niente.”

“Almeno sappiamo per certo che il rifugio esiste. E’ già qualcosa.” Disse Daisy.

“Cavolo Daisy, già lo avevamo immaginato. Non sappiamo dove si trova e non abbiamo altri elementi che ci possano aiutare.” Sbottò Bo, aveva il disappunto scritto in faccia.

Jesse mise una mano sulla spalla del nipote. Disse con voce calma “Daisy ha ragione, Bo. E’ una buona cosa avere avuto la conferma. Adesso sappiamo per certo che i Dawson hanno costruito un rifugio e che si trova nella loro proprietà. Dobbiamo solo capire dov’è. Se come pensiamo Luke è con Laura è proprio lì che si trova.”

“Luke ha scritto che la verità è sotto ai nostri nasi. Che non lo avrei trovano neanche se fosse stato in bella vista.” Rifletté Bo. “Stava cercando di dirci dove si trova.”

“E ha scritto di essere circondato di ombre.” Aggiunse Daisy.

“Ok.” Intervenne Jesse. “Analizziamo bene tutto. Luke ha scritto in bella vista, sotto i nostri nasi circondato da ombre. Sembra un luogo sotto terra.”

“Forse uno scantinato.” Aggiunse Daisy.

“Ci ho guardato.” Disse Bo. Esitante aggiunse “ma era incredibilmente piccolo per una casa così grande. Forse c’è una sezione che io non ho visto.”

“Ottimo, Bo. Quella casa è vecchia di generazioni. E’ stata modificata nel corso degli anni. Può esserci una sezione più vecchia.” Esclamò Jesse.

“Abbiamo solo bisogno di trovarla.” Continuò Bo.

“Forse potremmo chiedere aiuto a Rosco.” Disse Daisy.

“Non ci aiuterà, Daisy. Ci ha già detto chiaro e tondo che non si metterà a cercare in quella casa senza avere una prova che Luke possa essere veramente lì dentro. Siamo soli.” Disse Bo.

Jesse concordò “odio ammetterlo ragazza mia ma Bo ha ragione. Non avremo nessun aiuto da parte di Rosco.”

“Allora andiamo.” Disse Bo alzandosi in piedi.

Jesse afferrò il braccio del nipote “datti una calmata. Che cosa hai intenzione di fare?”

Vado a cercare Luke a casa di Laura. Non lascerò che mi fermi.” Rispose Bo con determinazione.

“Non puoi irrompere così, Bo.” Jesse aveva usato il suo tono più deciso. “Ti farà arrestare per violazione di proprietà privata e cosa ne verrà di buono a Luke se tu sarai in prigione?”

Gli occhi di Bo ardevano di rabbia “e cosa dovremmo fare allora, zio Jesse? Rimanere seduti ad aspettare che Laura faccia del male a Luke se già non l’ha fatto?”

Bo rimpianse le sue parole nel momento stesso in cui le aveva pronunciate. Vide il dolore impadronirsi del volto dello zio. Tutti e tre temevano che Laura potesse far del male a Luke, ma nessuno lo aveva ancora detto a voce alta. Adesso che era uscito fuori, pendeva pesante sopra le loro teste. Jesse si accasciò sulla sedia. Daisy lo abbracciò, Bo gli si sedette accanto e lo accarezzò.

“Mi dispiace, zio Jesse.” Disse Bo sommessamente. “Non volevo farti preoccupare più di quanto tu non sia già. Troverò Luke, vedrai che starà bene. Te lo riporterò a casa. Te lo prometto.”

Jesse gli diede un colpetto sulla mano “lo so figlio mio. E’ quello che spero.”

“Zio Jesse non farò niente di stupido.” Bo tentò di rassicurarlo. “Non voglio farti preoccupare, ma io devo andare a guardare lì nei dintorni della proprietà. Devo trovare quel rifugio, deve esserci un passaggio o un’entrata. Se non dovesse esserci vuol dire che si trova sotto la casa.”

“Va bene, Bo.” Concesse Jesse. “Fai attenzione. “Io e Daisy continueremo a cercare una planimetria che ci indichi dove possano aver costruito quel dannato coso. Semmai dovessi trovarlo, Bo non fare niente. Avvisaci subito, ci siamo capiti?”

“Sissignore.” Rispose Bo.

Daisy lo raggiunse e lo abbracciò “stai attento per favore. Non potrei sopportarlo se ti accadesse qualcosa.”

“Andrà tutto bene.” Bo le restituì l’abbraccio. “Aggiorniamoci se qualcuno di noi ha novità. Ci vediamo più tardi a casa.”

Daisy tornò al tavolo con lo zio. Guardarono Bo uscire da quella stanza. Passò un altro libro allo zio, vedendo poi il suo sguardo angosciato disse “non ti preoccupare, zio Jesse. Lo troveremo.”

“Che Dio ti ascolti.”

Bo seguì il perimetro del recinto sovrastato dal filo spinato cercando un punto dal quale poter accedere. Nel frattempo guardava dentro la proprietà con occhi vigili. Non c’era niente che potesse far pensare ad un rifugio. Rimase sorpreso nel constatare che la proprietà fosse più piccola di quello che sembrava. Da quel che poteva vedere non c’erano colline o posti strategici nei quali costruire rifugi.

Bo tornò verso la parte di recinto che ospitava un grande albero sul quale avrebbe potuto salire per entrare nella proprietà. Una volta dentro cominciò a scandagliare il terreno. Rovistò ogni cumulo di terra che potesse far pensare ad una collina. Non c’erano entrate neanche in posti che sembrava potessero occultarne la vista.

Mentre iniziava a fare buio, Bo si avvicinò sempre più alla casa. Le luci erano accese all’interno. Laura c’era. Doveva essere cauto per non farsi scoprire. Ragionò che lo scantinato potesse trovarsi sotto la parte frontale della casa, la parte posteriore poteva contenere la sezione che non aveva visto. Se veramente c’era una parte più vecchia doveva trovarsi nel retro della casa.

Bo esaminò le fondamenta fuori dalla cucina. Considerate le tubature fuori da quell’area, doveva esserci uno scantinato da qualche parte. Non ricordava di aver visto altre porte oltre quella vicina alla cucina, doveva dare un’altra occhiata a quella stanza. C’erano storie di vecchie case con camere segrete e passaggi nascosti costruiti durante la guerra. Doveva escogitare un modo per entrare. Doveva attendere che Laura se ne andasse. Nel frattempo sarebbe tornato a casa da Jesse e Daisy per vedere se loro avessero trovato qualcosa di utile.

Jesse e Daisy continuavano nella loro meticolosa ricerca. Seguendo un’intuizione Jesse iniziò a cercare tra documenti ancora più datati. Ricordava di aver sentito voci secondo cui la casa era stata usata come prigione durante la guerra civile. Secondo quelle voci, i soldati venivano segregati in celle sotterranee. Quegli stessi soldati che ancora infestavano la casa secondo le leggende di quando era bambino. Non aveva mai dato credito a certi miti popolari, ma è pur vero che taluni si basano su fatti realmente accaduti. Cominciava a credere che dovessero esserci veramente prigioni segrete nella parte più vecchia della casa. Dovevano trovare una planimetria che lo confermasse.

Jesse si raddrizzò gli occhiali sul naso, mentre girava le pagine di un libro mastro del 1864. Non sapeva esattamente cosa cercare, ma l’avrebbe capito quando lo avesse trovato. E alla fine lo trovò. I Dawson avevano avanzato una richiesta di rimborso nei confronti della Contea di Hazzard per aver alloggiato ufficiali dell’Unione in quattro celle ubicate nel seminterrato della loro proprietà. La Contea aveva rifiutato il risarcimento accollando la responsabilità ai Confederati.

La conferma dell’esistenza di quelle celle era quello di cui Jesse aveva bisogno. Dovevano cercare nella parte vecchia della casa. Luke era lì. Era il posto perfetto per nascondere qualcuno. Era il posto perfetto per costruire un rifugio. Dopo una lunga giornata finalmente Jesse si concesse un sorriso. Sapeva che Luke era lì. Pregò che non fosse troppo tardi.

“Andiamo tesoro.” Disse rivolto a Daisy. “Abbiamo trovato tutto quello che ci serve. Ho le prove che ci sono delle celle lì sotto da qualche parte. E soprattutto che c’è il rifugio che stiamo cercando.”

“Ed è lì che si trova Luke.” Rispose Daisy speranzosa.

Jesse annuì “ci scommetto. Andiamo ragazza mia, dobbiamo trovare Bo ed escogitare un modo per tirare Luke fuori di là.”

Daisy chiuse il libro che aveva davanti. Quando si alzò abbracciò lo zio “lo troveremo.”

Jesse ricambiò l’abbraccio “si, andiamo a casa da Bo. Abbiamo un piano da mettere a punto.”

 

To be continued…

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Capitolo 21
*** Cose sgradevoli nel buio ***


Capitolo ventuno: Cose sgradevoli nel buio

 

Luke fece un salto indietro, si fermò solo quando colpì il muro con la schiena. Aveva visto solo due resti scheletrici per pochi secondi, ma gli spettri già affollavano la sua mente. Sapeva che erano seduti da qualche parte al buio di fronte a lui, abbracciati, sepolti nel tunnel.

Chiuse gli occhi cercando di calmarsi. Almeno con gli occhi chiusi il buio pesto era sotto controllo. Respirò profondamente nella speranza che il cuore smettesse di martellargli in petto. Doveva pensare chiaramente e razionalmente. Le due persone avvinghiate nella morte che erano lì con lui non gli avrebbero fatto alcun male. Ma quello che gli stavano facendo emotivamente era tutta un’altra storia.

Non sapeva effettivamente chi fossero, ma di certo erano morti laggiù. Non avevano trovato una via d’uscita. Da quanto erano lì sotto? C’erano finiti a causa di Laura?

Gli tornarono in mente le sue parole: “è pressoché impossibile scappare. Lo so ma io sono riuscita a fuggire dai miei genitori. Non è stato facile ma ho dovuto fare ciò che andava fatto. Adesso devo fare ciò che è giusto per te.”

“Devo fare ciò che è giusto per te.” Ripeté Luke. “Che hai fatto, Laura?”

Era possibile che quei due scheletri fossero i genitori di Laura? Era stata capace di tanto? Lo avrebbe fatto anche a lui? Lo avrebbe lasciato morire laggiù?

Il panico che stava disperatamente tentando di tenere a bada tornò quando realizzò che era intrappolato al buio con i Dawson. Se Laura aveva fatto una cosa del genere ai propri genitori, niente le avrebbe impedito di farlo anche a lui. Aprì gli occhi sperando di trovare variazioni al buio intenso, ma non era cambiato niente. Malgrado non riuscisse a vedere nulla, poteva sentire i muri che lo circondavano. Erano sempre più vicini, ne era certo.

“Non è che non sono mai stato in un tunnel.” Sussurrò per sentire la sua voce e convincersi che la situazione non era così brutta.

Ma era brutta. Bruttissima. Sentì qualcosa strisciargli sul braccio e lo scacciò via. Si spostò rapidamente dal muro e si ritrovò al centro del tunnel. L’esperienza gli aveva insegnato che posti del genere erano pieni di cose sgradevoli: insetti, scorpioni, serpenti, pipistrelli, formiche rosse, ragni, trappole esplosive, mine, cadaveri e nemici. La cosa peggiore che aveva dovuto fare in Vietnam era stata proprio quella di calarsi in sistemi di tunnel stretti e bui. Non aveva mai sofferto di claustrofobia fino ad allora. Non aveva dovuto farlo spesso, ma si era reso necessario in più di un’occasione.

I ricordi che riemersero gli fecero accapponare la pelle. Era sicuro di sentirsi camminare addosso. Laggiù aveva visto muri muoversi solo per scoprire poi che si era trattato di un’illusione causata da una fitta massa di ragni. Si era trovato occhi negli occhi con una vipera del bambù. Faccia a faccia con corpi in putrefazione occultati dai vietcong per nascondere la reale conta dei morti. Si era trovato a giocare a nascondino con i nemici e chi vinceva sopravviveva.

Luke aveva vissuto tutto questo e aveva fatto del suo meglio per dimenticare, ma ritrovarsi seduto nel buio assoluto di un tunnel aveva fatto riemergere le sue vecchie paure. Non riusciva più a far allontanare quei ricordi, la sua mente stava raggiungendo il limite.

Si portò le gambe al petto e nascose la testa tra le ginocchia. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Non voleva più ricordare.

Luke si appoggiò al sedile, sentiva il vento che entrava dal finestrino sulla faccia. Il Generale Lee correva lungo la strada sterrata alzando nuvole di foglie secche. Si voltò verso il posto di guida. Bo gli sorrise mentre si avvicinava al torrente. Schiacciò il pedale del gas e lasciò che il Generale prendesse il volo.

Mentre attraversavano il torrente in volo, i muri vennero giù e la luce lo avvolse. Luke era libero.

 

Bo fissava la casa da dietro la vecchia quercia aspettando e sperando che Laura uscisse. Sapeva di essere vicino. Poteva sentirlo. Luke era lì da qualche parte. Ma doveva riflettere. Luke glielo ripeteva sempre e per il suo bene stavolta gli avrebbe dato retta. Doveva trovare suo cugino senza l’interferenza di Laura. Non sarebbe stato di nessun aiuto se si fosse fatto arrestare e fosse finito in prigione.

La sua attenzione fu catturata dalla luce che si accendeva in cucina. Si posizionò meglio dietro il tronco della quercia dove poteva vedere senza essere visto. Vide Laura muoversi nella stanza per qualche minuto, appariva e scompariva alla finestra. Non si era avvicinata alla cantina, ma alla grande dispensa. Dopo tre volte in cui aveva fatto avanti e indietro, non ne era più uscita. Bo rimase in attesa domandandosi cosa stesse facendo. Ipotizzò che stesse sistemando gli scaffali. Si appoggiò all’albero aspettando che tornasse in cucina.

 

Laura scansò i sacchi di farina e tirò la leva della porta nascosta. Accese la lanterna e prese una borsa piena di provviste. La lampada nel seminterrato si era probabilmente smorzata lasciando Luke al buio, ma lei non aveva fretta. A Luke non piaceva il buio e avrebbe apprezzato di più Laura se avesse dovuto aspettarla che lo rifornisse di olio.

Non aveva con sé il Roypnol. Era troppo pericoloso tentare di procurarsene dell’altro. Ma c’erano altri modi per controllare le persone. Era necessario conoscerne le debolezze, per sfruttarle a proprio favore. E le debolezze di Luke erano il buio e la sua famiglia. Poteva usarle entrambe per tenerlo in pugno. E se non fosse stato sufficiente c’era sempre la piccola pistola che portava con sé.

Faceva tutto per il bene di Luke. Laura doveva troncare il rapporto che lo legava alla sua famiglia. Era difficile liberare qualcuno dalla dipendenza risultato di una vita di abusi fisici e mentali. Luke era ancora lontano dal recidere quel legame, era molto più ostinato di quanto avesse immaginato. Ma lei sapeva che lui la amava. Lei non avrebbe mollato, non importava quanto lui avrebbe potuto opporre resistenza. Confidava che prima o poi avrebbe realizzato qual era la verità e avrebbe finalmente allontanato la sua famiglia. E se non lo avesse fatto, ci avrebbe pensato lei. In un modo o nell’altro avrebbe liberato Luke.

Quando Laura raggiunse la fine del corridoio, aprì la finestrella sulla porta e tirò su la lanterna. La stanza era buia come aveva immaginato.

“Sono tornata, tesoro.” Laura si fermò di colpo quando vide lo stato della camera. Il letto era spostato di lato lasciando scoperta la botola sul pavimento. Si guardò intorno cercando Luke. Non lo vedeva, ma poteva essere nel bagno.

“Luke” chiamò. “Dove sei?”

Luke sollevò la testa dalle ginocchia quando udì la voce di Laura che lo chiamava. Vide fasci di luce illuminare il pavimento. Laura era tornata. Doveva capire cosa fare. Considerò velocemente le sue opzioni che a dire il vero non erano molte. Ovviamente non poteva scappare. Se anche ci fosse stato un passaggio segreto non lo avrebbe trovato al buio. Doveva tornare di sopra.

“Luke! Rispondimi” Provò ancora Laura. “Dove sei?”

Luke sapeva che doveva rispondere. Affrontarla però non era una buona idea. Doveva convincerla che apprezzava tutto quello che stava facendo per lui. Era già convinta che lui la amasse. Doveva farle credere che fosse pronto a rinnegare la sua famiglia per stare con lei. Era l’unico modo che aveva per salvarsi e tenere al sicuro i suoi cari.

Laura sbloccò la pesante porta e la aprì. Afferrò la pistola e distese il braccio davanti a sé. Senza la droga aveva bisogno dell’arma per controllare Luke. Direzionò la luce in ogni angolo della stanza, ma di Luke non c’era traccia. La porta del bagno era aperta. Illuminò l’interno, ma era vuoto.

Il tunnel era il solo posto dove Luke avrebbe potuto essere. Ma non sarebbe andato lontano. Il tunnel era un vicolo cieco. Il padre di Laura lo aveva costruito al di sotto del rifugio antiatomico nel caso avessero avuto bisogno di una via di fuga alternativa, ma non lo aveva mai completato. Non sbucava in superficie, non portava da nessuna parte. Luke era lì sotto e non era da solo. Si chiese se avesse già incontrato i suoi compagni.

Luke credeva che Laura fosse nel corridoio fuori dalla stanza. Poteva ritornare di sopra e giustificarsi dicendo che stava esplorando l’ambiente perché si stava annoiando. Forse sarebbe riuscito a convincerla che non avrebbe più opposto resistenza, che non voleva più tornare dalla sua famiglia. Le avrebbe detto che aveva ragione su tutto e che le era grato per il suo aiuto. Doveva essere convincente. Si alzò e si avviò verso la luce che filtrava da sotto la botola.

Laura attraversò la stanza osservando la botola sul pavimento. La sua rabbia tornò. Luke si stava nascondendo da lei. Sapeva che era lì, ma non le rispondeva. Non gli avrebbe permesso di trattarla così. Si inginocchiò accanto alla botola e avvicinò la lanterna all’entrata.

Urlò furiosa “lo so che sei là sotto, Luke. Non c’è nessuna uscita. Rispondimi o chiuderò a chiave la botola.”

Luke si affrettò verso l’entrata e fu sorpreso di trovare Laura che lo fissava. Illuminata dalla luce della lanterna aveva un’espressione spaventosa. Se il suo sguardo avesse potuto ucciderlo di sicuro Luke sarebbe morto in quell’istante. Vide che aveva una pistola e istintivamente fece un passo indietro. Sapeva che era capace di usarla.

“Stai cercando di lasciarmi, Luke? Non te lo permetterò mai.”

“Non stavo cercando di lasciarti.” Rispose Luke con tutta la calma che riuscì a trovare. “Mi stavo solo guardando intorno.”

“Non avevi nessun diritto di andare lì sotto.”

“Mi dispiace.” Disse Luke.

“Stavi cercando di lasciarmi.” Ripeté ancora Laura furiosa.

Luke scosse la testa “no Laura davvero. Non ti volevo lasciare, mi stavo solo guardando intorno.”

“Non mentirmi, Luke.” Disse Laura mentre faceva oscillare pericolosamente la pistola nella sua mano. “Non mi piace che mi si menta. Non tollero che mi si menta. Tu volevi lasciarmi.”

“Non è così, tesoro.” Luke sperava di essere convincente. Doveva persuaderla che tenesse a lei. “Ero annoiato, ho cominciato a guardarmi in giro. Mi dispiace, ti prego calmati.”

Presa alla sprovvista dal vezzeggiativo con cui Luke l’aveva chiamata, Laura ci mise un po’ a rispondere. Sapeva che lui la amava, ma non era una giustificazione per ciò che aveva fatto. Non poteva placare la sua collera. Doveva essere punito.

Laura osservò Luke “se non ti piace la nostra stanza puoi passare un po’ di tempo lì sotto a riflettere.”

Luke voltò la testa e si guardò alle spalle in direzione dei due corpi che si era lasciato laggiù. Non voleva passare un solo minuto in più con i Dawson.

“Mi piace molto la nostra stanza.” Disse Luke tentando di non mostrarle alcun segno di panico. Doveva uscire fuori da quel tunnel “fammi salire così potremo stare insieme.”

“No.” Rispose Laura.

“Voglio stare con te. Non mi vuoi?”

Laura lo guardò in modo duro “certo che ti voglio, ma sembra tu non capisca che ti ho in pugno, tesoro. Non andrai da nessuna parte.”

Luke osservò l’apertura della botola poco sopra la sua testa. Poteva salire. Fece un passo avanti. Laura gli puntò la pistola.

“Rimani dove sei. Penso sia meglio che tu ne approfitti per riflettere. Sei stato cattivo. Devi imparare a comportarti. Non mi piace punirti, ma per te sarà un bene.”

“Non puoi lasciarmi qui, Laura.” Il cuore di Luke batteva furiosamente.

Quando si guardò nuovamente alle spalle, Laura gli domandò “che succede, tesoro? Non vuoi passare un altro po’ di tempo insieme a mia madre e a mio padre?”

“Sono i tuoi genitori?” Luke era sgomento. Non aveva voluto credere fino in fondo che potessero essere davvero loro. “Come sono finiti qui sotto? Cosa hai fatto loro?”

“Te l’ho detto, Luke. Ho fatto quello che era necessario per guadagnare la mia libertà. Ora farò lo stesso per te. Mi assicurerò che la tua famiglia non ti faccia più del male.”

Il panico si impadronì di Luke “stai alla larga dalla mia famiglia, Laura. Non fare loro del male. Non tornerò da loro quindi li puoi lasciare in pace.”

“Li lascerò stare fintanto che loro faranno lo stesso con me.” Rispose Laura. “Spetta a loro. Sono molto fastidiosi, non si fanno mai gli affari propri.”

Luke afferrò il bordo della botola. Laura gli puntò la pistola in faccia “un passo indietro. Te l’ho detto devi passare un po’ di tempo là dentro. Ti aiuterà a mettere le cose sotto la giusta prospettiva e ti infonderà un po’ di buon senso.”

Luke si staccò, ma rimase dov’era “sto salendo, Laura.”

Laura puntò la pistola e sparò, Luke fece un salto all’indietro a causa dell’eco prodotto dal proiettile che rimbalzò tra il pavimento e il muro. Cadde quando sentì qualcosa colpirlo alla coscia.

“Bene così. Devi imparare ad ascoltare. Spero avrai un atteggiamento migliore quando tornerò. Semmai tornerò. Forse potrei lasciarti lì come ho fatto con i miei genitori.”

“Li hai lasciati qui a morire?” Luke era incredulo. “Come hai potuto?”

Laura fece spallucce “andava fatto. E’ stato più facile di quanto avessi immaginato.”

Si tirò su e afferrò la maniglia della botola. La chiuse con un solo movimento fluido. Il buio avvolse Luke ancora una volta.

Spinse con le mani la porta della botola, ma era stata già serrata. Urlò con quanto fiato aveva in corpo “Laura, non puoi lasciarmi qui. Apri la porta. Ti prego... ti prego...”

Quando si rese conto di avere i jeans bagnati, si tastò la coscia. C’era un piccolo foro nel tessuto. E poi arrivò il dolore. Si mise a sedere adagio e realizzò che il proiettile doveva averlo colpito di rimbalzo. La parte bagnata diventava sempre più grande. Fece pressione sulla ferita sperando di arrestare la fuoriuscita di sangue. Non poteva vedere l’entità della lesione. Sapeva solo che era nuovamente solo al buio.

Non riusciva più a pensare razionalmente. Appoggiò la schiena al muro fregandosene di cosa potesse esserci sopra. Tanto non sarebbe uscito vivo. Avrebbe trascorso l’eternità con i Dawson e nessuno lo avrebbe mai trovato.

 

Bo era rimasto nascosto dietro alla quercia per mezz’ora aspettando che Laura uscisse dalla dispensa. Non riusciva ad immaginare cosa stesse facendo. Stava per tornare a casa da Jesse e Daisy quando udì qualcosa. Si bloccò e fece più attenzione. Avrebbe potuto scommettere di aver sentito uno sparo. Rimase in ascolto.

“Laura... non puoi lasciarmi qui…”

Bo fece un salto. Era la voce di Luke, ne era certo. Era distante e attutita, ma era Luke. Stava chiamando Laura. Non veniva da dentro la casa, proveniva da fuori, ma non sapeva dire dove esattamente. Non era sicuro di niente tranne che quella era la voce di Luke. Ed era una voce disperata.

“Dove sei, Luke?” Gridò Bo.

Si guardò intorno, ma non aveva idea da dove iniziare a cercare. Aveva già perlustrato il perimetro esterno, ma non aveva trovato tracce del cugino.

“Ragiona Bo!” Disse a voce alta.

Stava quasi per gridare nuovamente il nome di Luke quando Laura uscì dalla dispensa, attraversò la cucina e spense le luci. Luke l’aveva chiamata quindi era stata con lui. Forse l’entrata per il rifugio che stava cercando era dentro quella dispensa. Lei vi era rimasta a lungo. Il rifugio doveva trovarsi lì da qualche parte. Dovevano esserci delle ventole per questo era stato in grado di sentire Luke. Ma ora Bo non poteva più chiamarlo, Laura lo avrebbe sentito.

Dopo aver riflettuto qualche istante decise di tornare verso il Generale Lee e chiamò Jesse e Daisy. Disse loro dove si trovava e che non si sarebbe mosso di lì. Non se ne sarebbe andato finché non avesse trovato Luke.

 

“Luke!”

Luke poteva giurare di aver sentito la voce di Bo che lo chiamava. Si guardò attorno inutilmente. Restò in ascolto, ma non lo sentì più. Forse era stata la sua immaginazione. La disperazione gli faceva sentire quello che più desiderava. Sospirò pensando che era solo questione di tempo prima che iniziasse a parlare di Laura con i Dawson. Si domandò se avrebbe perso prima il senno o la vita. Pregò che Laura tornasse da lui.

 

To be continued…

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Capitolo 22
*** Le pareti non si muovono ***


Capitolo ventidue: le pareti non si muovono

 

Bo saltò dentro al Generale Lee e afferrò il microfono della radio. Chiamò con urgenza: “pecora smarrita a pastore, avanti rispondi. Per favore… zio Jesse, Daisy ho bisogno di voi.”

“Qui pastore.” Rispose Jesse. “Dove sei Bo? Stai bene?”

“Si, sto bene. Sono da Laura. Zio Jesse, sono certo di aver sentito Luke.”

“Hai trovato Luke?” Lo interruppe brutalmente Daisy.

“Non esattamente.” Disse Bo non riuscendo a nascondere tutta la sua frustrazione.

“Come sarebbe a dire allora?”

“Beh, stavo tenendo d’occhio la casa sul retro, quando sono certo di aver sentito Luke chiamare Laura. Non so dire da dove provenisse la sua voce, ma ho già ispezionato tutto il perimetro e non c’è traccia di lui. Non lo so, zio Jesse. Forse proveniva dall’interno della casa o forse dal rifugio che stiamo cercando.”

“Potrebbe essere. Il rifugio è sepolto lì da qualche parte.” Concordò Jesse. “E’ probabile che ci sia in superficie qualche ventola per l’areazione, per questo lo hai sentito. Sei certo che fosse lui?”

“Come quando non ti aspetti di sentire qualcosa, ma poi ti arriva da lontano. Non ne sei convinto all’inizio.” Bo tentava di spiegare. “Stavo osservando Laura e l’ho vista entrare nella dispensa della cucina. C’è rimasta almeno mezzora e ne è uscita subito dopo aver sentito la voce di Luke che la chiamava e… zio Jesse…”

“Che c’è, figlio mio?” Intervenne Jesse quando Bo smise di parlare. “Cosa non hai il coraggio di dirmi?”

Bo ingoiò un grumo di saliva sperando di poter tenere ancora un po' per sé l’informazione che stava per condividere: “ho sentito un sparo prima di avvertire la voce di Luke.”

“Sei sicuro fosse uno sparo?” Chiese Jesse in preda all’ansia.

“Sissignore. L’ho sentito, non mi sbaglio.”

Jesse rimase in silenzio per un momento “va bene, Bo. Rimani là e controlla la casa a distanza di sicurezza. Non correre rischi. Quella ragazza è pericolosa. Io e Daisy andiamo a chiamare Rosco e Enos. Fosse l’ultima cosa che faccio li convincerò a venire con noi anche senza un mandato di perquisizione.”

“Non ci aiuteranno.” Rispose Bo.

Intervenne Daisy “forse non Rosco, ma sono sicura di convincere Enos.”

“Siamo d’accordo allora.” Aggiunse Jesse. “Io e Daisy cercheremo di convincere le forze dell’ordine di Hazzard ad entrare in quella casa. Bo, tu aspettaci.”

“Sissignore.”

“Dico davvero, Bo. Non voglio che tu faccia niente di stupido o di avventato. Aspettaci, capito?”

“Ho capito, zio Jesse.” Non farò niente che possa mettere in pericolo Luke.”

“Questo lo so. Non fare niente che possa mettere in pericolo neanche te stesso.”

“Stai tranquillo.”

“Bravo ragazzo.” Disse Jesse. “Saremmo lì quanto prima.”

“D’accordo.” Concluse Bo. “Fate presto.”

Bo rimise a posto il microfono nel Generale Lee. Non aveva molta visuale da dietro il recinto di ferro battuto. Era troppo lontano e gli alberi nascondevano la casa alla sua vista. Decise di tornare sul retro, dove aveva sentito Luke. Da lì poteva osservare la casa e Laura da più vicino e poteva continuare a cercare suo cugino. Fosse stato fortunato sarebbe addirittura riuscito a sentire Luke o Luke avrebbe potuto sentire lui. Di certo non sarebbe rimasto seduto ad aspettare l’arrivo di Jesse e Daisy. Avrebbe atteso, ma nel frattempo avrebbe continuato a cercare. Provava un senso di urgenza. Qualcosa era cambiato. Sentiva che Luke era in un pericolo imminente.

Quando Bo raggiunse la grande quercia sul retro, vide nuovamente Laura muoversi all’interno della cucina. Stavolta però rimaneva fuori dalla dispensa. Dopo qualche minuto spense la luce della cucina. Tutto il primo piano rimase al buio. Le luci si accesero al piano di sopra dove Bo pensava si trovasse la sua stanza. Con un po’ di fortuna anche quelle luci si sarebbero spente presto. Bo era determinato ad entrare in casa e ad andare a guardare all’interno della dispensa. Era sicuro che da lì si accedesse al rifugio che stavano cercando.

 

Luke si appoggiò al muro e rimase in ascolto. Poteva giurare di aver sentito Bo che lo chiamava. Non sapeva dire da dove provenisse la voce. Era ovattata e troppo lontana. Trattenne il fiato e attese, ma tutto ciò che riusciva a sentire era il battito accelerato del suo cuore. Non sentì più Bo. Non era più neanche sicuro di averlo sentito la prima volta. A volte si sente ciò che più si desidera.

“Bo!” Urlò.

Probabilmente si trattava della sua immaginazione, ma gli sembrava che l’aria stesse diminuendo. O forse stava accadendo davvero. Forse Laura aveva sigillato l’unica presa d’aria quando aveva serrato la botola.

Luke tentò di prendere un respiro profondo, ma si ritrovò a tossire. Doveva calmarsi. Sentiva i jeans sempre più bagnati. La gamba gli stava sanguinando. Doveva cercare di arrestare la fuoriuscita di sangue. Si tolse la camicia e ne strappò un lungo lembo. Sussultò quando si fasciò la gamba con la benda improvvisata. Iniziò a sentire freddo e a tremare. Indossò quello che rimaneva della camicia e si tirò su in piedi.

L’oscurità lo avvolgeva, era circondato da pareti che gli si chiudevano addosso.

Luke sapeva di dover superare la paura di cosa si celava nel buio. Non sarebbe rimasto ad aspettare di morire da solo in quel tunnel. Doveva muoversi. E se ci fosse stato qualcosa in agguato al buio, lo avrebbe trovato e affrontato.

“Le pareti non ti vengono addosso, Luke.” Disse con tutta la sicurezza che riuscì a chiamare a raccolta. “Anche se sembra. Non c’è niente di pericoloso quaggiù a parte i Dawson. Queste pareti sono ferme, non si muovono. Sono umide e sporche, ma non mi crolleranno addosso. Non c’è niente di cui avere paura.”

“Lei tornerà.” Sorpreso si ritrovò a sperare allo stesso tempo che Laura tornasse e che non si facesse vedere mai più. Doveva trovare una via d’uscita prima del suo ritorno, ma se non l’avesse trovata aveva bisogno di lei. Avrebbe dovuto convincerla che era pronto a disconoscere la sua famiglia e che le era grato per tutto ciò che aveva fatto per lui.

Luke continuava a prendere respiri profondi sperando di calmarsi. Era in una situazione disperata. Anche se avrebbe preferito non tornarci più, decise che il posto migliore per cercare una fuga era alla fine del tunnel dove erano i Dawson. Forse si trovavano così distanti dall’entrata perché avevano trovato un’uscita. Ce ne fosse stata una il padre di Laura lo avrebbe saputo visto che aveva costruito lui quel tunnel. Forse non avevano avuto la forza di uscire. Forse erano rimasti a corto di ossigeno. Forse… Doveva sperare in qualcosa perché non aveva molte opzioni.

Anche se non voleva farlo, mantenne una mano sul muro per avere una guida e adagio poggiò a terra la gamba ferita. Faceva male, ma almeno non aveva ceduto. Iniziò a muoversi lentamente accanto al muro pregando di non venire a contatto con qualche altro abitante del tunnel e sperando che i genitori di Laura gli avrebbero dato qualche risposta.

Luke arrivò al crocevia del tunnel, poteva svoltare a destra lontano dai Dawson o a sinistra proprio dove si trovavano i loro resti. Avrebbe voluto andare dall’altra parte, ma alla fine girò a sinistra.

“Puoi farcela, Luke. Un passo alla volta come dice sempre zio Jesse.”

Riusciva quasi a sentire la voce dello zio pronunciare quelle parole. Gli diedero lo sprone per andare avanti.

Mentre avanzava rallentò il passo. I Dawson erano vicini, poteva avvertire la loro presenza. Poteva vederli chiaramente abbracciati nella morte. Si chiese se si fossero aggrappati alla vita o se si fossero lasciati andare. Come si erano sentiti sapendo che la figlia aveva fatto loro una cosa del genere?

Erano stati lasciati lì al buio. Luke non aveva visto nessuna lanterna. Forse per quello non avevano trovato una via d’uscita. Forse non erano abbastanza forti. Forse erano troppo anziani per opporre resistenza.

Luke pensò ai propri genitori. Aveva di loro dei ricordi vaghi. Ricordi sbiaditi nel tempo o diventati confusi tanto che non sapeva più dire se erano reali o se erano frutto di racconti fatti da altri. Ne sentiva la mancanza ogni giorno e così sarebbe stato per il resto della sua vita. Cos’era andato storto nella famiglia Dawson per fa sì che i genitori finissero sepolti lì sotto per mano della figlia? Erano stati loro i mostri responsabili del loro destino o Laura soffriva di una malattia mentale incontrollabile?

Non era importante. Non cambiava niente per Luke. Era intrappolato in un tunnel alla mercé di una donna disturbata.

Luke rimase dalla parte opposta della parete finché non raggiunse il corridoio. I Dawson erano di fronte a lui. Esausto scivolò seduto. Gli girava la testa. Doveva riposare.

“Eccoci qui.” Disse nell’oscurità. “Spero di non disturbare il vostro riposo, ma non ho scelta. Non penso stiate riposando tranquillamente considerando il posto in cui siete finiti.”

Chiuse gli occhi. Si sentiva meglio con gli occhi chiusi. In qualche maniera così sentiva di avere più controllo. Doveva riposare, ma non per troppo tempo. Non sapeva se o quando Laura sarebbe tornata a cercarlo. Doveva essere preparato. Se davvero ci fosse stata un’uscita, doveva trovarla.

“Vostra figlia ha dei seri problemi.” Disse ancora. “Non vi sto dicendo niente di nuovo, immagino lo abbiate già capito.”

Dopo qualche istante aggiunse “e pensavo fosse preoccupante quando parlavo con me stesso. Adesso sto parlando con persone morte. Almeno non mi stanno rispondendo, ma da come si sta mettendo a breve avremo molto in comune.”

Mentre era seduto iniziò a tastare il pavimento intorno a sé cercando tracce di un’altra botola, ma il pavimento era compatto. Esaminò la parete dietro di lui attento a non avvicinarsi mai troppo ai Dawson. Fosse stato necessario avrebbe controllato solo intorno ai loro corpi e probabilmente avrebbe dovuto farlo davvero.

Rabbrividì togliendosi una ragnatela dalla faccia.

“Semmai uscirò di qui non rimarrò mai più al buio. Bo imparerà a dormire con la luce accesa.”

Luke sentì risalirgli le lacrime quando pensò al cugino. Per un momento sperò che fosse lì con lui, ma non gli avrebbe mai augurato un’esperienza del genere. Né a lui, né a nessun altro. Bo era più di un cugino. Era il suo miglior amico. Erano fratelli in ogni senso del termine. C’era tra di loro una profonda connessione che andava oltre ogni spiegazione razionale. Era un dono prezioso. C’erano volte in cui Luke poteva sentire la presenza di Bo anche se erano distanti. Come quando era in Vietnam. Riusciva a sentirlo anche ora. Era da qualche parte lì vicino a lui. Sapeva che Bo e la sua famiglia lo stavano cercando.

Si asciugò le lacrime. Almeno nessuno poteva vederlo al buio, tanto meno i Dawson ai quali probabilmente non importava niente. Non era tempo di lasciarsi andare. Doveva rimanere lucido. Continuò a tastare la parete alla ricerca di irregolarità sulla superficie. Sulla parte più in alto sentì una forma circolare leggermente sporgente rispetto alla parete. Era una specie di coperchio. Con tutta la forza che aveva tento di girarlo. Dopo qualche tentativo finalmente ci riuscì. Lo rimosse rivelando un piccolo foro di circa dieci centimetri di diametro. Doveva essere un condotto dell’aria.

L’euforia per il suo piccolo successo svanì in fretta quando realizzò che da lì non penetrava né luce né aria. Doveva essere sigillato in superficie. La ventola era bloccata.

Scivolò nuovamente lungo la parete e si lasciò sprofondare nello sconforto. Aveva un bisogno disperato di aiuto. Non si sentiva bene. Gli faceva male la gamba. Sanguinava. Gli girava la testa. Tremava nel buio.

“Bo!” Urlò. “Bo!”

E più sommessamente aggiunse “ho bisogno di te, cugino. Dove sei?”

Disperato appoggiò la testa al muro. Si stava prendendo in giro da solo, non c’era via d’uscita. Doveva vedersela con Laura quando fosse tornata, semmai fosse tornata.

E poi lo sentì. Drizzò la schiena, tutto il corpo in allerta. Non era solo nel tunnel. Lo sentì ancora.

“Luke!” Dove sei, Luke?”

 

To be continued…

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Capitolo 23
*** Sei davvero qui? ***


Capitolo ventitré: Sei davvero qui?

 

Attraverso le tende di pizzo della sua camera da letto, Bo osservò la silhouette di Laura che camminava avanti e indietro. Stava cominciando a perdere la pazienza aspettando che andasse a dormire. Decise che non poteva attendere ulteriormente. Aveva la terribile sensazione che Luke avesse bisogno di lui, doveva trovarlo prima che fosse troppo tardi. Era certo di aver sentito la sua voce. Ed era una voce disperata. Era molto vicino. Doveva entrare in casa e cercare nella dispensa in cucina.

Lentamente iniziò ad avvicinarsi alla casa quando inciampò su qualcosa nascosto dalle foglie cadute a terra. Si inginocchiò e scansò le foglie con le mani. Uno sportello di metallo sporgeva di pochi centimetri rispetto al terreno. Non era sicuro di cosa avrebbe trovato aprendolo, ma valeva la pena tentare. Tentò più volte di allentare il coperchio, alla fine riuscì a rimuoverlo. E lo sentì.

“Bo… Bo… ho bisogno di te cugino. Dove sei?”

Incredulo si mise a sedere sui talloni. La voce di Luke arrivava dal terreno, dal buco che aveva di fronte. Non era la sua immaginazione. Era Luke.

Bo si sporse in avanti: “Luke! Dove sei?”

Luke scrutò il tunnel attraverso il buio cercando di vedere qualcosa. Guardò in alto e vide una piccola variazione nell’oscurità in corrispondenza della presa d’aria. Esitò, non osava sperare.

Incapace di formulare una frase intera, con voce roca chiamò “Bo?”

“Luke, mi puoi sentire?” Chiese Bo elettrizzato per aver sentito la voce del cugino.

“Sei davvero qui, Bo? Non sei frutto della mia immaginazione?” Domandò scettico.

Bo sorrise “sono davvero qui. Stai bene?”

“Sono stato meglio.” Rispose Luke cauto e ancora incredulo. “Dove sei? Non riesco a vedere niente qui.”

“Sono nel giardino di Laura. Ti sto parlando da una ventola… almeno credo sia una ventola. Tu dove sei?”

“In un tunnel.”

“Pensavamo potessi essere nel rifugio antiatomico dei Dawson.”

“Si, è così infatti, ma poi sono entrato in una botola e sono finito in questo tunnel che non arriva da nessuna parte… Bo?”

“Che c’è?”

“Sei davvero lì?” Chiese ancora Luke.

Bo era solo una voce nell’oscurità. Luke non si fidava del suo stesso giudizio, non sapeva più cosa era reale e cosa no. Poteva essere un’allucinazione per quanto ne sapeva.

“Sono davvero qui, Luke.” Rispose Bo con un pizzico di apprensione. “Sono qui e mi dispiace di averci messo tanto, ma non ti lascerò. Stai bene?”

Luke finalmente sorrise “starò bene.”

“C’è un’entrata vicino a te?” Domandò Bo.

Luke sospirò “no, non c’è un’entrata o un’uscita. E’ nero come la pece e non vedo niente, non credo ci sia una via di fuga. Ma io ormai non sono più sicuro di niente. Hai modo tu di scendere?”

“Sto controllando il terreno e non sembra esserci un’apertura. Come sei finito là sotto? Da dentro la casa?”

Luke sospirò ancora “mi dispiace, ma non ricordo. Non so neanche dire dove sia la casa. Credo Laura mi abbia drogato. Non sono di nessun aiuto, scusa.”

“Si, credo tu abbia ragione.” Bo era furioso. “Ti ha drogato e tu non hai niente per cui scusarti. E’ solo colpa di Laura. Penso di sapere dove possa essere l’entrata per il rifugio. Resisti un altro po’. Sarò presto da te.”

“Aspetta, Bo. Non so dove sia Laura. Non è sicuro.”

“E’ nella sua stanza, ormai starà dormendo anche se la luce è ancora accesa. Sto arrivando, tieni duro.”

Bo si alzò e iniziò ad avviarsi verso la casa quando sentì Luke che lo chiamava.

“Ti devi fermare, Bo.” Luke era in preda all’ansia.

“Aspettami, sto arrivando, Lukas. Sto venendo da te.”

“No. Ha una pistola, Bo. Non voglio che ti faccia del male.”

“Farò attenzione. Presto sarò lì.”

Prima che Luke potesse ribattere, Bo si incamminò verso la casa.

“Bo!” Urlò Luke, ma suo cugino ormai era andato via. Per quanto fosse grato che lo avesse trovato, aveva paura che Bo si ritrovasse in pericolo. Ormai sapeva che Laura era capace di qualsiasi cosa. E odiava Bo. Se era stata capace di uccidere i suoi genitori, avrebbe fatto altrettanto con Bo.

Dopo aver girato intorno alla casa, Bo decise che l’accesso più agevole poteva essere quello attraverso una finestra rotta del seminterrato. Doveva solo fare attenzione a rimuovere i vetri rotti. La finestra era molto distante dalla camera in cui si trovava Laura, non avrebbe sentito niente. Il seminterrato conduceva alla cucina. Confidava di trovare l’entrata del rifugio una volta avuto accesso alla dispensa.

Gli ci volle qualche istante per abituarsi al buio dello scantinato. Localizzò le scale. Salì silenziosamente pregando che la porta non fosse chiusa a chiave. Afferrò la maniglia e la abbassò. Con sollievo constatò che si apriva. Entrò in cucina, tutte le luci erano spente. Non poteva rischiare di accenderle. Si arrestò quando le assi del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. Quando si accorse che tutto intorno a lui era silenzio, avanzò verso la dispensa.

Una volta dentro cercò l’interruttore della luce. Chiuse la porta dietro di sé prima di accenderlo. Cercò un accesso. Non vedendo niente né sul pavimento, né sulle pareti, cominciò a rimuovere i contenitori dallo scaffale iniziando dal basso. Spostò il sacco della farina sulla mensola più in alto e per poco non mancò la leva nascosta lì dietro.

La afferrò e tirò con forza non sapendo esattamente cosa aspettarsi. La parete alle sue spalle si aprì lentamente rivelando un passaggio nascosto. Era certo di aver trovato la via per raggiungere il cugino. Notò la lanterna appesa ad un gancio all’entrata. Dopo averla accesa osservò il percorso che aveva davanti. Senza ulteriori indugi si avviò e iniziò la sua ricerca.

Scese con attenzione i gradini di pietra che lo condussero ad un corridoio. Ai lati c’erano delle stanze. Aprì la porta della prima e guardò all’interno. La stanza era vuota. Aprì velocemente anche le altre trovandole tutte vuote.

Alla fine del corridoio giunse all’ultima stanza. Quando vide il lucchetto capì che si trattava del rifugio. Aprì la finestrella e illuminò l’interno. La stanza era ammobiliata, sembrava ci vivesse qualcuno. Non c’era traccia di Luke, ma lui aveva detto di trovarsi in un tunnel.

Bo girò la chiave nel lucchetto e sfilò la barra metallica. Aprì la pesante porta. Una volta all’interno vide la botola al centro del pavimento. Era chiusa.

Si guardò attorno per essere sicuro che Laura non fosse lì. Ispezionò sotto il letto, nel bagno e nell’armadio. Non c’erano né Luke, né Laura.

Quella stanza metteva i brividi, Bo si aspettava quasi che Laura uscisse dal buio urlando. Sperava stesse dormendo nel suo letto, ma la verità era che non sapeva esattamente dove fosse. Non aveva dubbi che fosse capace di azioni irrazionali. Lo aveva ampiamente dimostrato. Luke aveva detto che possedeva una pistola. Per quanto ne sapeva poteva essere con Luke in quel momento. La botola era chiusa, ma poteva esserci un’altra strada. Doveva fare molta attenzione.

Bo girò la maniglia e aprì la botola. Puntò la lanterna verso l’entrata e guardò in basso. Sussurrò “Luke sei qui?”

Non ebbe risposta. Poteva vedere gocce scure sul pavimento. Saltò giù per esaminarle più da vicino. Era sangue ed era fresco. Il cuore di Bo iniziò a battere furiosamente. Era di Luke quel sangue? Era arrivato troppo tardi? Laura lo aveva ferito? Decise di seguire le gocce di sangue.

Guardando verso la fine del corridoio, Bo non riusciva a capirne la lunghezza alla luce della lanterna. Dovette imporsi di non urlare il nome del cugino per non allertare Laura. Rimase in silenzio. Non sapeva cosa avrebbe trovato e non voleva esporre Luke ad ulteriori rischi. Avanzò adagio lungo il tunnel.

Luke vedeva la luce che lentamente diventava più intensa e più vicina. Voleva urlare il nome di Bo, ma non era certo fosse lui. Poteva essere Laura. Con la luce che si avvicinava, i resti dei Dawson riemersero dall’oscurità. Ancora avvinghiati l’uno all’altra.

Luke si raggomitolò nell’angolo, avrebbe voluto fondersi con il muro. Non c’era un posto dove nascondersi o scappare. Chiunque stesse arrivando lo avrebbe visto. Non c’era una via di fuga. Pregò che si trattasse di Bo.

La luminosità della lanterna apparve da dietro l’angolo e lo accecò. I suoi occhi non ebbero il tempo di abituarsi alla luce perché se la ritrovò di fronte all’improvviso. Si schermò il viso con le mani, riusciva a vedere solo una sagoma indefinita mentre cercava di mettere a fuoco.

Bo rimase immobile mentre cercava di elaborare ciò che aveva di fronte. Due scheletri sedevano sul pavimento abbracciati. Quando spostò lo sguardo dietro quei poveri resti, vide Luke seduto a terra che si proteggeva gli occhi.

Capì che Luke non avrebbe potuto vederlo se non avesse diminuito l’intensità della luce. Abbassò la lanterna e disse “va tutto bene, Luke. Sono io.”

Luke abbassò le mani e rilassò il volto “Bo, ce l’hai fatta.”

Alzò la testa e guardò il cugino negli occhi “dov’è Laura?”

“Non ne sono sicuro. Mi auguro stia dormendo nella sua stanza.”

Luke guardò oltre le spalle di Bo. Disse con rinnovata urgenza “non è finita, non finché lei è là fuori. E’ pazza. Chissà cosa potrebbe fare se ti trovasse qui con me. Dobbiamo uscire prima che chiuda di nuovo la botola.”

Bo guardò verso l’ingresso del tunnel, ma era buio pesto. Osservò poi i due scheletri che condividevano lo spazio con loro. Non riusciva a immaginare cosa fosse stato per Luke rimanere là sotto.

Bo indicò con lo sguardo i poveri resti e chiese “chi sono?”

“Non ne sono sicuro, ma credo siano i genitori di Laura. Mi ha detto di aver fatto per loro ciò che era necessario. Penso li abbia segregati qui sotto.”

“Dio mio. Come si può fare una cosa del genere ai propri genitori?”

“Non sta bene.” Riprese Luke “non c’è limite a ciò che potrebbe fare. Dobbiamo uscire alla svelta prima che Laura torni o finiremo seduti qui con loro due per l’eternità.”

“Va bene, cugino. Diamoci una mossa.” Disse Bo alzandosi. Offrì la mano a Luke “andiamo.”

Luke la afferrò, non poté soffocare una smorfia di dolore quando lui lo tirò su in piedi. Gli girò la testa per il movimento repentino. Quando si appoggiò di peso alla parete Bo notò la benda che aveva sulla gamba. Afferrò Luke per le spalle per avere la sua attenzione.

“Cos’hai fatto alla gamba?” Gli chiese.

“Laura mi ha sparato.” Rispose Luke.

“Ti ha sparato?”

“Non credo lo volesse. Ha sparato nel tunnel e il proiettile mi è rimbalzato addosso.”

“E cosa pensava sarebbe accaduto sparando in un posto stretto e limitato da muri?” Bo era in collera. “Fammi vedere.”

Si inginocchiò di fronte al cugino per esaminargli la ferita, ma Luke lo fermò.

“Va tutto bene, Bo. Mi sono bendato e non c’è altro che possiamo fare qui sotto. Andiamocene via.”

Bo si alzò in piedi “va bene, puoi camminare?”

“Credo di aver bisogno di aiuto, ma penso di farcela.”

Luke mise un braccio attorno alle spalle di Bo mentre lui lo sorreggeva in vita. Bo prese la lanterna da terra.

“Pronti?”

Luke annuì. Si incamminarono nel tunnel verso la botola, i sensi allertati per paura di Laura. Quando raggiunsero l’entrata furono sollevati di trovarla aperta. Con un po’ di fortuna avrebbero trovato aperta anche la porta della stanza. Ma c’era una sola via per arrivare alla dispensa. Fossero incappati in Laura, avrebbero dovuto farci i conti. Bo avrebbe fatto qualunque cosa per tenere Luke lontano dalla sua ira.

 

To be continued…

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Capitolo 24
*** Ecco la sposa ***


Capitolo ventiquattro: Ecco la sposa

 

Laura camminò lentamente sul pavimento di legno della sua stanza. Gli eventi delle ultime ore affollavano la sua mente. Ribolliva di rabbia. Aveva fatto tutto quanto in suo potere per proteggere Luke dalla sua famiglia e da sé stesso. Lo aveva salvato dagli abusi che subiva e lui non aveva mostrato riconoscenza. Sapeva che sarebbe stato difficile recidere i suoi rapporti famigliari, ma Luke si era dimostrato fin troppo resistente. Aveva esagerato quando aveva tentato di fuggire.

Luke l’aveva rifiutata, l’aveva tradita. Non lo avrebbe permesso. Non gli avrebbe permesso di abbandonarla. Doveva essere punito più severamente. Gli avrebbe fatto capire quanto aveva bisogno di lei, quanto l’amava. Sapeva che lui l’amava, ma stava giocando sporco. Doveva pagarne le conseguenze. Gli avrebbe dimostrato che lei aveva il controllo. E alla fine avrebbe capito che non avrebbe mai potuto vivere senza di lei. Non sarebbe sopravvissuto senza di lei. In un modo o nell’altro Laura avrebbe trascorso la sua vita con Luke. Sarebbero stati insieme per l’eternità.

Laura tirò fuori la pistola dalla borsa, estrasse il tamburo per vedere quanti proiettili fossero rimasti. Quando vide che era vuoto, scaraventò la pistola addosso all’armadio. Non aveva altri proiettili in casa. La sua rabbia aumentò.

Sussurrò “ci sono altri modi per tenere buono Luke in attesa che lasci andare la sua famiglia. Deve capire che gli ho votato la mia intera vita, è tempo che lui faccia lo stesso con me.”

Laura osservò il proprio riflesso nello specchio antico della sua camera. Prese la spazzola d’argento e se la passò tra i capelli castani, si fermò dopo aver contato cento colpi di spazzola. Le servì per calmarsi. Sapeva esattamente cosa doveva fare, doveva prepararsi.

Aprì l’armadio e passò in rassegna le stampelle esaminando uno a uno i vestiti sotto gli involucri di plastica. Trovò quello che stava cercando nella parte più fonda dell’armadio. Afferrò il vestito e lo adagiò dolcemente sul letto. Era tempo che prendesse il controllo della situazione. Era tempo che avesse il controllo su Luke, prima o poi gliene sarebbe stato grato.

Era accanto al letto indossando solo gli slip, osservava il vestito ancora avvolto nella plastica. Tirò giù la zip con la stessa attenzione che si deve a qualcosa di prezioso. Con amore e delicatezza rimosse lo stesso vestito bianco che la madre e la nonna avevano indossato alle rispettive nozze. Era arrivato anche il suo momento. Lo aveva aspettato per tutta la sua vita. Aveva aspettato Luke tutta la vita.

Si infilò il vestito dalla testa attenta a non scompigliarsi i capelli. Doveva essere perfetta, Luke non le avrebbe mai levato gli occhi di dosso. Si fece scivolare addosso l’abito mentre si ammirava allo specchio. Lo lisciò con le mani. Era bellissimo. Lei era bellissima.

Tornò verso l’armadio ed estrasse un contenitore. Sciolse il nodo del fiocco e rimosse il coperchio. Con delicatezza tirò fuori il velo. Di nuovo di fronte allo specchio, se lo sistemò e lo fissò con dei fermagli ai capelli. Era pronta.

Che stai facendo Laura?”

Laura sorrise “sto andando a sposarmi.”

“Non puoi fidarti degli uomini, cara. Ti faranno sempre del male. L’unico uomo di cui puoi fidarti è tuo padre.”

Il suo sguardo si indurì “Luke è diverso. Mi ama, mamma.”

E’ un uomo.” Ribatté Julia Dawson. “Gli interessa solo quello che può avere da te, i tuoi soldi.”

“Posso dargli altre cose.” Rispose Laura sulla difensiva.

“Non vuole altro, cara. Non gli importa niente di te. Gli importa solo dei tuoi soldi. Non avresti dovuto interessarti a qualcuno che non ha il tuo stesso rango sociale. Lui è inferiore a te. E’ povero. Se gli fosse importato di te, non ti avrebbe respinto. Non avrebbe provato a scappare.”

“E’ confuso.” Replicò Laura. “La sua famiglia lo ha sempre controllato. Capirà.”

“Ti ha tradito.”

No.”

Ha tentato di fuggire da te.”

Laura scosse la testa “ha detto che si stava solo guardando intorno. Non voleva lasciarmi.”

“Ti ha mentito.” Insistette Julia Dawson. “Ci ha detto che voleva lasciarti.”

“Davvero?” Chiese Laura.

“Devi punirlo. Ti ha ferito e lo farà ancora. Vuole scappare via da te.”

L’ho chiuso a chiave al buio nel tunnel. L’ho già punito.”

“Non è abbastanza.” Incalzò Julia. “Non è abbastanza.”

Il viso di Laura si indurì “non andrà da nessuna parte. Me ne sono assicurata. Non gli permetterò di andarsene, mamma.”

“Non trascorrerà la sua vita con te, cara.”

Laura annuì “e allora ci passerà l’eternità. Non mi lascerà mai, lo giuro.”

“Fai quello che devi, cara. Fai quello che devi.”

Laura si guardò un’ultima volta allo specchio. Perfetto. Era tutto perfetto. Prese il cuore d’oro spezzato e lo tenne tra le dita. Rimosse poi le rose rosse dal vaso vicino al letto e premette il dito su una spina. Il sangue che fuoriuscì cadde sul ciondolo.

Era pronta. Si voltò e uscì dalla stanza soffermandosi in cima alla grande scalinata. Sorrise e iniziò la sua lenta discesa intonando la marcia nuziale. E’ così che aveva sempre sognato il giorno del suo matrimonio.

Quando raggiunse la cucina, si diresse verso il cassetto vicino al lavandino. Ci rovistò dentro finché non trovò ciò che stava cercando. Osservò il proprio riflesso distorto sui venti centimetri di lama di un coltello da macellaio.

“Questo farà al caso mio.”

Dischiuse la porta della dispensa e fu sorpresa di vedere che la luce era accesa e che il passaggio nascosto era aperto. Era stata una sua dimenticanza. Il comportamento di Luke l’aveva irritata, probabilmente era distratta. Era andata così. Prese la lanterna e non si accorse che l’altra mancava. Accostandosi il coltello al petto iniziò la discesa verso il suo destino intonando ancora la marcia nuziale.

Il suo cuore si fermò quando alla fine del corridoio vide che la porta del rifugio era aperta. Era mai possibile che Luke fosse uscito? Era stata lei a lasciare la porta aperta? Si, probabilmente era stata lei visto che Luke era intrappolato nel tunnel.

Una volta nella stanza vide la botola aperta. Luke non avrebbe potuta aprirla, non era possibile. Non sarebbe potuto uscire di lì da solo. Qualcuno era entrato in casa. Il cuore di Laura cominciò a battere in maniera forsennata. Nessuno le avrebbe rovinato il giorno del matrimonio.

Laura strinse forte il coltello nella mano. Uno dei Duke, quasi certamente Bo, si era introdotto in casa sua per sottrarle Luke. Doveva salvarlo da quella famiglia orribile, doveva salvarlo da Bo. I Duke erano più pericolosi di quanto avesse immaginato. Non mollavano. Non poteva pensare a come lo avrebbero ferito se avessero rimesso le loro mani su di lui. Non lo avrebbe permesso.

Luke le apparteneva, non poteva lasciarlo andare. Non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via. Con rinnovata determinazione entrò nella stanza. Non c’era nessuno, ma sentiva un vociare confuso nel tunnel. Spense la lanterna e si attaccò con la schiena al muro, al buio. Lasciò cadere le rose, ma tenne stretto a sé il coltello. Avrebbe fatto qualunque cosa per salvare Luke.

 

“Come va, Luke?” Chiese Bo preoccupato.

“Ti dico la verità, Bo. Sono stato meglio.”

“Hai bisogno di riposare?”

Luke scosse la testa con vigore “No. Voglio andare a casa. Portami a casa. Fammi uscire di qui.”

“Contaci.” Rispose Bo tentando di rassicurare il cugino. Arrivarono sotto all’entrata della botola.

Bo domandò “vuoi che ti spinga o preferisci che ti tiri su dall’alto?”

“Penso una spinta sia meglio. Non è molto alto.”

Luke rimase dritto in piedi, non era fermo sulle gambe così Bo lo tenne per le spalle.

“Sicuro di farcela?”

“Non penso di avere scelta. Dobbiamo andarcene prima che Laura ritorni. Se è stata capace di fare quello che ha fatto ai suoi genitori, non oso immaginare cosa potrebbe fare a me e a te.”

Bo sospirò “pensi davvero che abbia rinchiuso i genitori lì sotto?”

“Non riesco a immaginare come potrebbero esserci finiti altrimenti. Continuava a dirmi che ha fatto per loro ciò che era necessario. Prima ce ne andiamo di qui e meglio è. Non voglio trascorrere l’eternità con i Dawson. Dobbiamo uscire prima che chiuda nuovamente la porta.”

“Si, sono d’accordo.”

Bo posò la lanterna a terra. Unì le mani e le offrì al cugino. Luke ci posò sopra il piede della gamba buona e fece leva sulle spalle di Bo per tirarsi su. Bo lo sollevò così avrebbe raggiunto più facilmente l’entrata della botola. Lo spinse tanto forte che per il contraccolpo si ritrovò seduto sul pavimento.

“Hai bisogno di aiuto?” Chiese Luke.

“Ce la faccio.” Rispose Bo.

Luke tirò su le gambe e si mise seduto sul bordo della botola. La coscia iniziò nuovamente a sanguinare. Faceva male. Bo gli passò la lanterna. Quando la appoggiò a terra, sentì qualcosa. Afferrò nuovamente la lanterna e si guardò alle spalle. Non riusciva a credere a cosa aveva davanti agli occhi. Laura si stagliava di fronte alla porta bloccandola, indossava un abito da sposa e aveva in mano un coltello da macellaio con una lama lunga almeno venti centimetri.

Laura sorrise e sollevò il coltello. Si avventò verso Luke.

 

To be continued…

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Capitolo 25
*** Un filo sottile ***


Capitolo venticinque: Un filo sottile

 

Laura osservò Luke emergere dalla botola. Era tornato da lei. Aveva atteso pazientemente e alla fine lui era tornato di sua spontanea volontà. Era tornato per restare. Era pronta. Era tempo per loro di stare insieme.

Luke si voltò di scatto quando udì qualcosa alle sue spalle. Vide prima le rose rosse abbandonate sul pavimento e poi il luccichio delle perline su un lungo abito bianco. Osservò la figura che aveva di fronte. Non riusciva a crederci. Laura indossava un abito da sposa con tanto di velo. La lanterna illuminò il mezzo cuore d’oro frastagliato che pendeva da una catenina tenuta dalla stessa mano che reggeva un coltello da macellaio. Stringeva tanto forte il manico del coltello che le nocche le erano diventate bianche. Il suo sguardo era talmente intenso che avrebbe potuto trapassarlo da parte a parte. Luke non sapeva dire se era uno sguardo d’amore o di odio. Rimase immobile come un animale in trappola.

E poi lei sorrise. Luke capì immediatamente di essere in pericolo. Sapeva che Laura voleva portarlo nel suo mondo, poteva vedere la sua determinazione. Poteva vedere la sua follia. Il filo sottile che la teneva ancora collegata al mondo reale si era spezzato. Non avrebbe potuto più ragionarci. Non si tornava indietro.

Laura sollevò il coltello. Lo voleva morto. Luke appoggiò lentamente la lanterna a terra. Voleva provare a calmarla, ma non ne ebbe modo. Si avventò su di lui urlando e brandendo il coltello. Lui sollevò il braccio per proteggersi dal coltello. Un dolore intenso gli trafisse la spalla destra quando la lama entrò nella carne. Quando Laura tentò di colpirlo una seconda volta, Luke la afferrò per le braccia. Lei gli cadde addosso e finirono entrambi sul pavimento.

“Sei mio!” Urlò Laura mentre Luke lottava per togliersela di dosso. “E’ il nostro tempo. Non combattermi.”

Laura si mise a cavalcioni su di lui cercando di affondargli il coltello nel petto. Doveva colpirlo al cuore così i due mezzi ciondoli d’oro simbolo del loro amore sarebbero rimasti uniti per sempre.

“Smetti di lottare amore mio. Presto sarà finita. E poi ti raggiungerò. Staremo insieme per sempre.”

“Non farlo, Laura.” La supplicò Luke. “Sono qui ora, possiamo stare insieme adesso. Non devi farlo.”

Luke vedeva la lama avvicinarsi. Il dolore alla spalla aumentava e il sangue gli aveva impregnato la camicia. Non aveva la forza per resisterle a lungo. Era già debilitato dalla pallottola nella coscia. Aveva le vertigini. Laura stava vincendo la sua battaglia.

Sembrava si stesse svolgendo tutto al rallentatore, ma in realtà era passata una manciata di secondi. Bo sentì del movimento, quando udì Laura urlare si issò e riemerse dalla botola con un solo balzo. Laura era sopra Luke e cercava di colpirlo con un coltello. Aveva la lama vicina al petto. Non si era accorta della presenza di Bo.

Bo si mise alle sue spalle e la afferrò per le braccia, la allontanò da Luke. Come una furia Laura si girò tentando di colpire Bo con il coltello. Gli agitò la lama di fronte. L’abito da sposa si era sporcato con il sangue di Luke, adesso aveva lo stesso colore delle rose rosse sul pavimento. Aveva i capelli arruffati sotto al velo. Il mezzo cuore d’oro che aveva al collo catturò un bagliore. L’altra metà era attaccata ad una catenina che teneva ancora con la stessa mano che brandiva il coltello. Era furiosa.

Bo fece un passo indietro per tenersi a distanza di sicurezza. Laura era in mezzo tra i due cugini, come un animale cercava di proteggere la sua preda. Luke era sdraiato sul pavimento e respirava a fatica. Aveva la camicia intrisa di sangue. Bo realizzò che Laura gli aveva dato una coltellata. Doveva occuparsi di lui. Doveva neutralizzare Laura. Si avvicinò di un passo a lei.

“Fermo dove sei, Bo Duke.” Gridò Laura. “Non ti lascerò avvicinare a Luke. Non ti permetterò di fargli del male.”

“Non voglio fargli del male.” Rispose Bo con tutta la calma che riuscì a trovare. “Luke ha bisogno di aiuto. Sta sanguinando. Dobbiamo arrestare l’emorragia.”

“Non lo faremo.” Dichiarò Laura. “Sarebbe uno spreco di tempo. Morirà comunque. Moriremo insieme. E staremo insieme per sempre.”

Bo non poteva credere alle sue orecchie. Laura era più folle di quanto avesse immaginato. Tentò di muoversi lentamente attorno a lei.

“Non gli farai del male.” Ribadì ancora furiosamente.

“Non gli farò del male, ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di me.” Ribadì Bo.

“L’unica persona di cui ha bisogno sono io.” Urlò Laura brandendo il coltello. “Stai alla larga. Non me lo porterai via.”

Bo alzò le mani in segno di resa “Ok Laura. Non te lo porterò via. Ho capito che appartenete l’uno all’altra. Non ti combatterò. Voglio solo aiutarlo e voglio aiutare te. Voglio che vuoi due stiate insieme.”

“Non vuoi aiutarmi. Tu vuoi fare del male a Luke. Tutta la vostra famiglia vuole fargli del male. Lo avete fatto per tutta la sua vita.”

“Ti sbagli, Laura. Sono felice per Luke. Sono felice che finalmente si sia allontanato da zio Jesse. Ti sono grato per averlo salvato.” Bo stava cercando di rimanere calmo. “E’ stata tutta colpa di zio Jesse, non mia. Non ho mai voluto ferire Luke. Te lo giuro. Voglio aiutarvi a stare insieme.”

“Perché dovrei crederti.” Laura era scettica.

“Chiedilo a Luke. Te lo dirà lui.” Rispose Bo.

Laura si avvicinò a Luke e gli puntò il coltello. Domandò “è vero, amore mio? Bo sta dicendo la verità?”

“Si.” Ansimò Luke. Aveva capito cosa stava facendo il cugino. Pregò che funzionasse. Non era in condizione di aiutarlo in nessun altra maniera. “E’ sempre stata colpa di zio Jesse. Non ci ha mai voluti, nessuno di noi tre. Ci ha sempre negato la libertà. Ci ha sempre fatto del male. Bo vuole aiutarci.”

Laura era confusa. Non sapeva più cosa pensare. Forse Bo poteva davvero aiutarli.

Bo si chinò e raccolse il bouquet di rose rosse “voglio vedervi sposati. Così zio Jesse perderà finalmente il suo potere su di lui. Luke avrà bisogno di un testimone, giusto? Vorrei stare al suo fianco mentre vi scambiate le promesse nuziali. Significherebbe molto per me. Significherebbe molto per Luke.”

“Per favore, Laura.” Sussurrò Luke. “Fallo per me ti prego. Sarà il tuo regalo di nozze per me.”

“Non lo so…”

“Ti prego.” Ripeté Luke. “Non ti chiederò mai più niente.”

Luke faticò ad alzarsi. Si mise seduto e guardò intensamente Laura “voglio che il nostro matrimonio sia speciale. Io ti amo.”

Laura si avvicinò di un altro passo, il coltello sempre teso. Ora sovrastava Luke.

“Aspetta.” Si intromise Bo cercando di mantenere la calma. “Hai bisogno delle rose. Ogni sposa deve avere un bouquet di rose rosse, simbolo di passione e amore eterno.”

Bo offrì le rose a Laura. Lei esitò un attimo prima di prenderle. Non appena le ebbe prese, Bo le afferrò il polso che reggeva il coltello. La allontanò da Luke e le schiacciò con forza la mano sull’armadio. Il coltello cadde e lei iniziò a urlare. Bo la scaraventò sul letto e la tenne ferma mentre lei continuava a scalciare. Aveva più forza di quanto pensasse.

Luke afferrò una sedia e la usò per tirarsi su. Doveva aiutare il cugino. Si avvicinò al letto.

“Bo…”

“La tengo, Luke. Tu prendi il coltello.”

Luke localizzò il coltello sul pavimento. Si chinò a fatica e lo raccolse.

“Esci di qui, vai nel corridoio.” Ordinò Bo.

“Non ti lascerò da solo con lei.”

“Ti seguirò subito. Andiamo, Luke. Devo saperti al sicuro prima di mollare la presa su di lei.”

Luke arrancò verso la porta. Non avrebbe mai pensato che sarebbe uscito vivo di lì. Raggiunse il corridoio e si appoggiò di peso alla parete.

Bo si sollevò, tenendo però ancora salda la presa su Laura. Si guardò alle spalle per accertarsi che Luke fosse uscito. Lasciò Laura e corse verso la porta. Laura gli corse dietro. Bo le chiuse la porta in faccia.

“Non puoi farmi una cosa del genere.” Strillò Laura prendendo a pugni la porta. “Non puoi rinchiudermi qui dentro. Non te lo permetto. Fammi uscire.”

Le gambe gli cedettero e Luke scivolò a terra. Bo gli fu vicino immediatamente e lo sorresse.

“Ti tengo io, cugino. E’ finita… è finita. Come stai?”

“Non tanto bene.” Rispose Luke con una smorfia.

“Dobbiamo andare in ospedale. Pensi di poter camminare?”

Luke guardò preoccupato verso la porta dove Laura continuava ad urlare.

“Non puoi portarmelo via! Non puoi. Lui è mio!”

Bo si voltò bruscamente “smettila. Non ti avvicinerai mai più a Luke. Me ne accerterò. Dovrei chiuderti qui dentro e gettare via la chiave.”

“Ti salverò, Luke. Non permetterò che ti facciano del male.” Continuò Laura.

Bo chiuse la finestrella sulla porta per non sentire più il suo delirio. Ne aveva avuto abbastanza di lei. E a giudicare dall’espressione sul suo volto, era lo stesso anche per Luke. Gli si inginocchiò accanto.

“Pensi di farcela se ti appoggi a me.” Chiese ancora.

“Non credo. Ho le vertigini. Non mi sento bene.”

“Ok, tu rimani qui. Vado a cercare aiuto.” Disse Bo alzandosi in piedi.

“No, non andartene.” Luke gli afferrò un braccio.

“Tornerò con zio Jesse e Daisy.” Insistette Bo prendendo la lanterna.

“Non abbandonarmi qui con lei.” Lo supplicò Luke.

“Non può uscire di lì. Lo sai. Non ti si avvicinerà mai più.”

“Non sono convinto, Bo. Se c’è una via d’uscita lei la conosce di sicuro. Non rimarrò qui seduto ad aspettare che ritorni.”

Bo si inginocchiò nuovamente. Luke si aggrappò al suo braccio. Era pallido e respirava a fatica. Aveva perso molto sangue. Doveva portarlo fuori di lì alla svelta, ma poteva fargli ancora più male se avesse provato a farlo muovere. Avrebbe dovuto aspettare lì seduto.

Gli posò una mano sulla nuca e gli scansò una ciocca di capelli dalla fronte. Lo guardò negli occhi “ascoltami, Lukas. Devi andare in ospedale. Sei ferito seriamente, non provare a negarlo. Non puoi camminare e non posso correre il rischio di farti ancora più male. L’interno della casa è ad un paio di minuti da qui. Correrò e cercherò aiuto. Tornerò in meno di cinque minuti. Te lo prometto, va bene?”

“Ok.” Sussurrò Luke.

“Andrà tutto bene.”

Bo si rimise in piedi e cominciò a correre quando Luke lo fermò “prendi la lanterna.”

“Sei sicuro?”

“Farai prima se vedi dove vai.” Disse Luke rabbrividendo mentre guardava verso la porta. Poteva ancora sentire le urla di Laura. “Fai in fretta.”

Bo sorrise “farò prima che posso.”

Bo prese la lanterna e corse lungo il corridoio. Luke lo osservò allontanarsi mentre le tenebre lo avvolsero ancora una volta. La luce sempre più lontana, svanì definitivamente.

Di nuovo al buio Luke chiuse gli occhi e poggiò la testa al muro. Gli arrivavano distinte le urla di Laura. Rabbrividì e si mise con attenzione ad ascoltare eventuali rumori che indicassero che la porta si stava aprendo.

E poi fu silenzio. Non sentiva più Laura. Sentiva solo il battito del suo cuore. Il silenzio lo allertò ancora di più. Non poteva vedere niente. Non riusciva a mettere a fuoco niente. Gli girava la testa. Le pareti gli si stringevano addosso. Era tornato in quel tunnel buio e stretto che passava sotto ad un villaggio vietnamita. Era circondato da trappole esplosive, ragni, serpenti e cadaveri. I Vietcong erano vicini. Erano sempre presenti anche quando non li vedevi. Erano come fantasmi.

Ma non era in Vietnam o almeno così credeva. Non era sicuro di niente. Non sapeva dove si trovava. Stava diventando difficile pensare lucidamente.

Stava aspettando Bo, aveva detto che sarebbe tornato.

“Cinque minuti.” Bisbigliò Luke. “Tornerà entro cinque minuti. Non è molto tempo, tra poco sarà qui.”

Ma era difficile rimanere lucido. Il cuore gli martellava nel petto e respirava affannosamente. Aveva bisogno della luce, anche poca. Laura era chiusa nel rifugio. Lei aveva una lanterna. Se avesse aperto la finestrella avrebbe avuto un po’ di luce. Qualunque cosa pur di non rimanere al buio.

“Mi aiuti sergente.”

Luke si drizzò e si mise in ascolto. Uno dei suoi uomini lo stava chiamando.

“Sergente!”

“Dove sei?” Urlò Luke.

“Dietro la porta.” Rispose Laura.

Luke a fatica si mise in piedi. Aveva la porta di fronte. Attraversò il corridoio e ci finì addosso. Cercò a tastoni la finestrella. Lentamente la aprì. Non ebbe la prontezza di ritirarsi perché una mano gli afferrò il polso.

“Aiutami, Luke.” Lo supplicò Laura. “Stanno venendo per me. Mi faranno male. Aiutami.”

Luke guardò la mano che gli serrava il polso. Tutti e due i cuori spezzati pendevano dalle dita di Laura uniti in un inestricabile nodo.

“Stanno venendo a prendermi, li sento nel tunnel. Non avresti mai dovuto aprire la botola, li hai liberati.”

“Sono nel tunnel?” Chiese Luke.

“Stanno arrivando.” Si disperò Laura. “Aiutami.”

Le sue unghie affondarono nella carne di Luke, gocce di sangue sporcarono i ciondoli d’oro. Luke cercò di sottrarsi alla sua presa, ma non aveva la forza.

La paura e la disperazione avevano preso il sopravvento in Laura.

“Aiutami, sergente.”

Luke posò la mano sulla chiave. Non riusciva a pensare lucidamente. Non sapeva cos'era reale e cosa no. Si trovava in Vietnam chiuso in un tunnel con uno dei suoi uomini che lo implorava di aiutarlo. Non poteva certo negargli il suo aiuto. Lentamente girò la chiave.

 

To be continued…

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Capitolo 26
*** Lo sapevo che mi amavi ***


Capitolo ventisei: Lo sapevo che mi amavi

 

Bo cercò affannosamente il telefono all’interno della cucina. Spostò qualunque cosa sui ripiani, ma non lo trovò. Non era attaccato al muro. Corse per il corridoio accendendo le luci e cercando in ogni stanza. Andò verso le scale e fece i gradini due alla volta, forse ce n’era uno nella camera da letto di Laura. Spalancò la porta rischiando di farsi colpire dal suo rimbalzo. Non c’era il telefono neanche lì.

“Com’è possibile che non abbia il telefono.” Disse a voce alta esasperato. “Resisti, Luke. Resisti.”

Riprese le scale al contrario e scese. Esitò qualche istante tentando di capire cosa fare. Sapeva che Luke aveva bisogno di lui, ma doveva cercare aiuto. Alla fine decise, corse fuori e si diresse verso il Generale Lee.

Saltando sul cofano, coprì più velocemente la distanza. Afferrò il microfono della ricetrasmittente “pecora smarrita a pastore. Rispondi per favore.”

“Qui pastore. Stiamo arrivando insieme a Enos, Rosco e un mandato di perquisizione.”

“Zio Jesse, ho trovato Luke.”

“Grazie a Dio.” Rispose Jesse. “Sta bene?”

“E’ ferito. Deve andare in ospedale.”

Enos si intromise “chiamo un’ambulanza e la faccio arrivare dai Dawson.”

“E’ grave?” Chiese Daisy impaurita.

Bo rispose con voce incerta “Laura gli ha sparato a una gamba prima che lo raggiungessi. Abbiamo lottato con lei e lo ha accoltellato ad una spalla. E’ veramente matta.”

Jesse insistette “è molto grave?”

“Non lo so, zio Jesse. Sanguina parecchio, ma è stato in grado di alzarsi ed è vigile. Non può camminare ed avevo paura di peggiorare la situazione se avessi provato a spostarlo così l’ho lasciato nel tunnel.”

“Che tunnel? Dov’è adesso?” Chiese ancora Jesse.

“E’ nel seminterrato della casa in un tunnel che porta al rifugio antiatomico.”

“Lo aveva segregato nel rifugio?”

“Ascolta, zio Jesse. Non posso spiegarti adesso. Devo tornare da lui, ha bisogno di me. Gli ho detto che sarei stato via solo cinque minuti e sono già passati. Quando arrivate andate in cucina, vedrete la porta della dispensa aperta. Da lì si accede al tunnel. Seguite il corridoio fino alla fine. Io e Luke vi aspetteremo lì. Fate presto.

“Saremo lì tra pochi minuti. Bo, dov’è Laura?”

Ma Bo era già andato via. Stava correndo verso la casa, stava correndo da Luke.

 

“Aiutami, Luke.” Implorò Laura. “Aiutami, stanno arrivando. Mi faranno del male.”

Luke girò la chiave con la mano libera. Laura gli teneva ancora stretta l’altra. Nei suoi occhi poteva leggere tutta la sua paura.

“Stanno arrivando, Luke. Non li senti? Ti prego aiutami.”

Luke sentì rumori in lontananza. Qualcuno stava arrivando. C’era qualcun altro nel tunnel con loro. I tunnel erano posti pericolosi, erano pieni di trappole e insidie nascoste nel buio. Dovevano andarsene prima che il nemico li trovasse, prima che le pareti si chiudessero sulle loro teste. Sfilò la barra di metallo che serrava la porta.

“Non permetterò che ti facciano del male.” Sussurrò Luke. “Usciremo di qui.”

Quando aprì la porta, Laura gli lasciò andare il polso. Spinse con forza la porta scaraventandolo sulla parete opposta. Mantenne l’equilibrio a fatica, gli girava la testa. Laura era di fronte a lui con il suo abito da sposa sporco di sangue. Riusciva vagamente a metterla a fuoco, sembrava un fantasma. Non sapeva dire se era reale oppure no.

Quando Luke alzò un braccio per capire se poteva toccarla, lei gli prese la mano e se lo tirò appresso nel rifugio. Disse “non abbiamo molto tempo, amore mio. Possiamo ancora scappare prima che arrivino a prenderci.”

Luke sentiva passi pensanti in avvicinamento. Apparve una luce, qualcuno stava arrivando. Laura aveva ragione, la seguì nel rifugio. Laura vide il coltello sul pavimento, lo raccolse e chiuse la porta.

Bo si mise a correre quando sentì il rumore della porta che si chiudeva. Quando la luce della lanterna illuminò un corridoio vuoto, urlò “dove sei Luke?”

Laura rimase immobile nello spazio tra la porta e la botola. Era circondata. Non c’era via di fuga. Poteva sentire i suoi genitori arrivare dal tunnel di sotto e Bo che si avvicinava nel corridoio. La porta si stava per aprire. Doveva fare qualcosa.

La voce di Bo riportò Luke alla realtà. Laura era di fronte a lui e impugnava il coltello. Bo apparve alle sue spalle. Laura guardò prima l’uno e poi l’altro. Supplicò Luke con lo sguardo.

“Vieni con me, amore mio. Trascorreremo insieme l’eternità. Non lasciare che ci impediscano di essere felici. Presto sarà tutto finito. Seguimi, io ti aspetterò.”

Laura sollevò il coltello sopra la sua testa, puntando la lama verso il proprio addome. Con tutta la forza che gli era rimasta, Luke si avvicinò a lei di un passo. La donna che aveva di fronte stava per morire. Ormai aveva perso del tutto la precaria connessione che aveva con la realtà.

“Aspetta, Laura. Non devi farlo.”

Laura scosse la testa con veemenza “non ho scelta. Non posso stare qui, noi non possiamo stare qui. Vieni con me, nessuno ci farà più del male. Finalmente staremo insieme.”

Avvicinò la lama al proprio petto. Luke accorciò ancora un po' le distanze. Quando Bo fece lo stesso, Laura gridò “stai lontano.”

Luke si rivolse a Bo “rimani dove sei. Non ti riguarda. Io e Laura dobbiamo fare quello che è necessario per stare insieme.”

Laura guardò Luke e sorrise “sapevo che saresti rinsavito e avresti abbandonato la tua orribile famiglia. Sapevo che avresti capito quanto ti amo e quanto tu ami me.”

Luke continuò ad avvicinarsi a lei senza staccare gli occhi dalla lama del coltello. Se la teneva ancora pericolosamente vicina al petto.

“Verrai con me? Non possiamo più rimanere qui. Non ci lascerebbero stare insieme. Non ci lascerebbero mai in pace.”

“Verrò con te.” Disse Luke con tono calmo. “Dammi il coltello per favore.”

“Solo quando avrò finito, amore mio.” Laura sorrise e sollevò nuovamente il coltello.

“No! Non è giusto che tu vada per prima. Dammi il coltello, fammi fare le cose per bene. Devo prendermi cura di te adesso. Fammi essere il primo. Voglio dimostrarti il mio amore.”

Laura non stava in sé dalla gioia. Finalmente era andato da lei di sua spontanea volontà. Era pronto. Lei era pronta.

“Lo sapevo che mi amavi.” Sussurrò passandogli il coltello con mano tremante.

Luke lo afferrò. Laura non gli tolse mai gli occhi di dosso. Bo si spostò silenziosamente e prese il coltello dalle mani di Luke.

“E’ finita. Lascia che ti aiuti adesso.” Disse Luke.

Laura guardò Bo con rabbia quando realizzò che era di fianco a Luke. Adesso ce l’aveva lui il coltello, Luke non aveva nessuna intenzione di usarlo. L’aveva tradita ed era stata tutta colpa di Bo. Sarebbe andato tutto bene se lui non fosse tornato. Si avventò su Bo e lo colpì al petto con un pugno. Luke la afferrò per la vita e per allontanarla dal cugino cadde a terra con Laura tra le braccia. Mantenne ferma la presa mentre lei iniziava a piangere.

“Nessuno ti farà del male, Laura.” Disse Luke con voce gentile. “Sei in salvo adesso.”

“Tu mi ami.” Singhiozzò prendendo i due cuori spezzati in mano. Visto? Sono di nuovo uniti.” Si rilassò tra le braccia di Luke, aveva smesso di lottare.

Incredulo intervenne Bo “lascia che la prenda io.”

“Va tutto bene, Bo.” Bisbigliò Luke. “E’ finita. Non oppone più resistenza. Ha bisogno di aiuto, deve andare in ospedale.”

“Devi andarci anche tu grazie a lei.” Ribatté con rabbia Bo.

“Non sapeva cosa stava facendo.” Disse Luke dolcemente.

Jesse, Daisy e Rosco comparvero all’improvviso, rimasero scioccati nel vedere Laura vestita da sposa nelle braccia di Luke. Si avvicinarono immediatamente.

“Ha bisogno di aiuto.” Disse Luke rivolto a Rosco.

“E’ ferita?” Rispose lo sceriffo notando il sangue sul vestito di Laura.

“Non è ferita. E’ lei che ha ferito Luke. Quello è il suo sangue.” Spiegò Bo. “Gli ha sparato e lo ha accoltellato. E giù nel tunnel troverete i suoi genitori. Credo li abbia rinchiusi lei. E’ matta.”

Rosco guardò Bo incredulo. Se non avesse visto con i suoi occhi quel posto e Laura con indosso un abito da sposa, non avrebbe mai creduto a quella storia.

Intervenne Jesse “allontaniamola da Luke. Sembra inoffensiva adesso, ma sarà meglio che tu le metta le manette, Rosco. Potrebbe perdere nuovamente il controllo. Non sappiamo di cos’altro sarebbe capace.”

Bo e Rosco aiutarono Laura ad alzarsi. Non sembrava si rendesse conto di cosa stava succedendo. Aveva uno strano sorriso. Sembrava stesse guardando qualcosa che solo lei poteva vedere.

Jesse e Daisy si inginocchiarono accanto a Luke. Jesse gli posò una mano sulla nuca e lo attirò a sé abbracciandolo. Non voleva fargli male, ma aveva bisogno di tenere il nipote tra le braccia.

“Stai bene, ragazzo mio?”

“Sto bene adesso che sei qui.”

Jesse si staccò da lui a malincuore “Enos è di sopra, sta aspettando l’ambulanza. Sarà qui da un minuto all’altro. Devi andare in ospedale.”

Luke osservò Rosco portare via Laura “dove la sta portando?”

“In ospedale probabilmente.” Rispose Jesse.

Daisy prese il cugino per mano “non ti preoccupare per lei, tesoro. Non può più farti del male. Ci prenderemo cura noi di te adesso.”

Enos entrò nella stanza con i paramedici i quali si avvicinarono a Luke mentre Jesse, Bo e Daisy fecero spazio. Si abbracciarono, per fortuna erano arrivati in tempo. C’era mancato davvero poco perché Laura portasse a termine il suo piano.

Dopo aver pulito le ferite di Luke e aver applicato garze sterili, i paramedici lo sistemarono su una barella. Avrebbero raggiunto il Tri-County Hospital. Luke afferrò Bo per un braccio “grazie di avermi salvato. Non so come hai fatto, ma grazie.”

“Ti abbiamo trovato tutti e tre insieme.” Rispose Bo osservando prima lo zio e poi la cugina. “Ma Luke…”

“Cosa c’è?”

“La prossima volta che ti dico che una ragazza porta guai, dammi retta.”

Luke sorrise “contaci.”

“Ti seguiamo in ospedale.” Assicurò Jesse dando una leggera pacca al nipote. “Cerca di riposare. Ci vediamo lì.”

Luke annuì riluttante a lasciar andare il braccio di Bo. Si abbandonò alla stanchezza e chiuse gli occhi, il buio non gli faceva più paura.

 

To be continued…

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Capitolo 27
*** Non hai mai avuto nessuna possibilità ***


Ho iniziato a tradurre questa storia la bellezza di 16 anni fa. Non so proprio perché ad un certo punto l’ho abbandonata. Forse avevo perso l’entusiasmo o la voglia o l’interesse, chi lo sa. Mi è ricapitata sotto agli occhi per caso un paio di mesi fa e vederla così incompleta mi ha spezzato il cuore. L’ho ripresa in mano e nel giro di pochi giorni l’ho portata a termine. Lo dovevo alla meravigliosa autrice Gia August e alle splendide commentatrici di un tempo che ho mollato di punto in bianco senza una spiegazione. Spero ci sia ancora in giro qualcuno che ha voglia di leggere questa storia. Ringrazio tutti coloro che l’hanno letta e tutti coloro che la leggeranno in futuro. Lella

 

Capitolo ventisette: Non hai mai avuto nessuna possibilità

 

Luke era come sospeso nel nulla, si guardò intorno cercando di capire dove si trovava, ma non c’era niente di famigliare intorno a lui. Ad un tratto vide un muro di oscurità avvicinarsi. Si voltò e iniziò a correre solo per ritrovarsi quello stesso muro di fronte. Qualunque strada prendeva, il muro era lì sempre più vicino. Sfinito, rimase immobile.

Scrutò nel buio cercando disperatamente qualche variazione, un barlume di luce che potesse indicargli la via d’uscita. Ma l’oscurità lo circondava e si faceva sempre più vicina. Lo avvolgeva, gli alitava addosso, lo toccava, lo stava divorando. Era solo nelle tenebre.

Il cuore gli batteva forte, sentiva una stretta al petto. Il fiato gli divenne corto quando realizzò che l’oscurità era dentro di lui. Non poteva scappare da nessuna parte.

“Aiutami, Luke… aiutami, Luke…”

Sentiva voci che lo chiamavano. Arrivavano da lontano, lo supplicavano. Erano voci famigliari ma non sapeva a chi appartenessero. Sentì le voci di Bo, di Daisy e di zio Jesse. E quella di zia Martha. Riconobbe le voci dei genitori. Quelle dei suoi compagni d’armi. E ce n’erano tante altre che non distingueva. E sentì Laura che implorava il suo aiuto.

“Aiutami, Luke. Stanno venendo a prendermi.”

“Dove sei?”

“Sono qui, aiutami.” Singhiozzò Laura.

“Non riesco a trovarti.” Urlò disperato Luke. Avvertiva la sua presenza, ma non poteva toccarla.

“Aiutami…” La voce di Laura si faceva sempre più distante.

“Sono qui. Non riesco a vederti.” Rispose Luke.

“Sapevo che saresti venuto per me. Sapevo che mi amavi. Io lo sapevo…”

La voce di Laura svanì. Sembrava fosse stata inghiottita dalle tenebre. Non l’aveva salvata, aveva fallito.

“Laura!” Gridò Luke saltando nel letto.

Bo si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò al cugino, gli mise le mani sulle spalle per calmarlo.

“Piano, Luke. Era solo un sogno. Va tutto bene.” Sussurrò. “Mettiti giù prima di farti male.”

Confuso, Luke osservò il cugino “dov’è Laura?”

“Non ti devi preoccupare di lei. Non ti farà mai più del male.”

“Dov’è? L’ho sentita che mi chiamava.”

Bo scosse la testa mentre aiutava Luke con i cuscini. “Stavi sognando. Non è qui. Smetti di pensare a lei.”

Luke chiuse gli occhi per un momento, fece una smorfia di dolore massaggiandosi la spalla. Quando li riaprì domandò "dove l’ha portata Rosco?”

“Non devi preoccuparti di lei.” Insistette Bo.

“Per favore, Bo. Ho bisogno di sapere cosa le è successo.”

“Perché? Per quanto mi riguarda avremmo potuto rinchiuderla in quel tunnel con i suoi genitori. Sarebbe stata la giusta punizione.” Bo era arrabbiato. E più pensava a quello che Laura aveva fatto a Luke, più la sua rabbia aumentava.

Luke rabbrividì ripensando al terrore che aveva provato quando era stato rinchiuso al buio con i resti dei Dawson. Sospirò “non augurerei niente del genere a nessuno. Neanche a lei.”

“E invece è proprio quello che si meriterebbe. Ti ha quasi ammazzato.”

“Ma non l’ha fatto. Non sapeva cosa stava facendo, Bo.”

“Dici che non lo sapeva?” Bo era incredulo. “Lo sapeva eccome. Ha pianificato tutto dal momento in cui ti ha drogato a quando ti ha accoltellato.”

“Non era in sé. Credo le sia successo qualcosa di brutto in passato.”

Esasperato, Bo gridò “Lukas, non posso credere che tu sia dispiaciuto per lei e che la stia giustificando. Non mi interessa sapere cosa le è successo in passato. Non ci sono scuse per ciò che ti ha fatto. Ha fatto patire le pene dell’inferno a noi tutti, a te specialmente.”

“Che sta succedendo? Che sono queste urla?” Chiese Jesse entrando nella stanza con Daisy al suo fianco. “Ti si sente dal corridoio.”

“Zio Jesse, Luke è dispiaciuto per Laura e la sta giustificando. Riesci a crederci? Dopo tutto quello che abbiamo dovuto sopportare, lui si preoccupa di sapere lei ora dov’è.”

Daisy si avvicinò al letto di Luke. Gli posò un bacio sulla fronte e si accertò che non avesse la febbre. Gli spostò una ciocca di capelli “non ti preoccupare per lei, tesoro. Pensa solo a rimetterti in piedi in fretta.”

Jesse sorrise, i suoi ragazzi erano così prevedibili. Daisy aveva assunto il ruolo protettivo, il suo era un fare materno. Anche Bo aveva assunto lo stesso ruolo protettivo, ma lui lo esternava con la rabbia rivolta alla persona che aveva ferito il cugino. Un po’ di quella rabbia era indirizzata anche a Luke dal momento che lui domandava della sua carnefice. E Luke era il protettore per eccellenza delle persone in difficoltà. Si occupava da sempre dei cugini più giovani. I suoi anni nel corpo dei Marines avevano intensificato la sua necessità di proteggere gli altri. Era suo dovere, credeva di essere responsabile per le vite dei suoi uomini. Jesse capiva e condivideva la rabbia di Bo nei confronti di Laura, ma capiva anche il bisogno radicato in Luke di aiutare chi aveva bisogno.

“Zio Jesse, ti pare possibile che Luke sia preoccupato per Laura?” Bo era un po’ più calmo ora.

“Si, Bo.” Rispose Jesse. “Non mi sarei aspettato niente di diverso da Luke. Lui è fatto così, quindi lascialo stare.”

“Beh, a me sembra una follia.” Disse Bo mettendo il broncio.

Jesse gli diede una pacca sulla spalla e lo superò raggiungendo il letto di Luke. Gli passò una mano dietro il collo “come ti senti ragazzo mio?”

“Indolenzito e stanco, ma a parte questo sto bene.”

“Il dottor Appleby dice che ti serviranno un paio di settimane per ristabilirti quindi rimani tranquillo e non forzare i tempi.” Disse Jesse con tono severo. “Fai le cose per bene o ti prenderò sulle mie ginocchia, sai che ne sarei capace.”

“Ho capito, ho capito.” Il sorriso di Luke svanì quasi subito. Esitò un istante prima di chiedere “zio Jesse, cosa è successo a Laura? Ho bisogno di sapere che sta bene.”

Bo scosse la testa e iniziò a protestare “Luke…”

Jesse fece segno a Bo di tacere “l’ultima cosa che so, figlio mio, è che è stata portata in un ospedale di Capitol City dove si prenderanno cura di lei. Non sembrava avere coscienza di sé.”

“Un ospedale psichiatrico?” Chiese Luke.

Quando Jesse annuì, domandò ancora “cosa le è successo? So che non stava bene, ma non ho mai conosciuto nessuno nelle sue condizioni.”

Jesse assentì “il dottor Appleby ha provato a spiegarmi qual è il suo disturbo.”

“E? ...” Lo incoraggiò Luke.

“Si chiama erotomania. La persona che ne è affetta si convince che qualcuno che neanche conosce si sia innamorato di lei. E niente la convince del contrario neanche quando l’oggetto del suo desiderio, tu Luke, le dice che si sbaglia. Non ha importanza per lei. E’ presa totalmente dal suo delirio. Può dare il via ad episodi di stalking o spingersi oltre come ha fatto Laura.”

“Quindi ha una malattia mentale?” Luke chiese più a se stesso che come domanda vera e propria.

“Secondo Amos Appleby si tratta di schizofrenia. Questo spiega tutto.”

“Si è scusata per quello che ha fatto?” Intervenne Bo scettico.

“Non parla.” Rispose Jesse. “Amos dice che si trova in uno stato catatonico da quando è stata arrestata.”

“Che significa?” Chiese Daisy.

“Non è consapevole di cosa le accade intorno. Non ha più detto una parola.”

Luke affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi cercando di assorbire tutte quelle informazioni. Ecco perché Laura si comportava in quel modo. Non cambiava niente di ciò che aveva fatto, ma quella spiegazione lo aiutava a capire.

Jesse accarezzò il braccio del nipote. Chiese preoccupato “Luke senti dolore?”

Luke aprì piano gli occhi “no, zio Jesse. Avrei voluto aiutarla, avrei dovuto fare qualcosa per lei.”

“Non avresti potuto fare niente, Luke. Non hai mai avuto nessuna possibilità. Non potevi conoscere il suo stato emotivo.”

“Se lo avessi saputo avrei potuto fare qualcosa.”

Jesse scosse la testa “qualunque cosa le è successa risale a molti anni prima che lei ti incontrasse.”

“Pensi che abbia ucciso i suoi genitori?” Domandò Luke.

“Così sembra.”

“Cosa le potranno mai aver fatto di male per finire così i loro giorni?”

“Non lo so, Luke. Forse Laura è nata così o forse le è accaduto qualcosa. In ogni caso non avresti potuto farci niente.”

“Potrei fare qualcosa adesso.”

“No, Luke.” Rispose fermo Jesse. “Non puoi. Adesso è nelle mani di medici e delle forze dell’ordine. Non è solo quello che ha fatto a te. Ci sono anche i suoi genitori.”

“Avrei dovuto capire che aveva bisogno di aiuto.”

“Non hai mai avuto nessuna possibilità.” Ripeté Jesse.

Luke sospirò “perché proprio io?”

Jesse alzò le spalle “forse le hai sorriso. Secondo Amos sarebbe stato sufficiente.”

Bo si sedette sul bordo del letto attento a non urtare la gamba di Luke. Sorrise “i gusti sono gusti.”

“Già.” Luke gli restituì il sorriso. “Non me la prenderò la prossima volta che una ragazza guarderà te e non me.”

Bo rise di cuore.

Daisy si abbassò e baciò Luke sulla guancia “sono felice che Laura sia sorvegliata a vista lontano da qui. Dovrò cominciare a tenerti d’occhio d’ora in avanti quando verrai al Boar’s Nest.”

“Si, lo farò anche io.” Convenne Bo.

“Avete ragione.” Concordò Luke.

“E io dovrò tenere d’occhio tutti e tre.” Si intromise Jesse. "Non posso distrarmi un attimo che uno di voi o due di voi o tutti e tre finite nei guai. Pensavo che invecchiando avrei avuto una vita più tranquilla.”

Quando si accorse che Luke cominciava con fatica a tenere gli occhi aperti, Jesse si alzò “hai bisogno di dormire, figlio mio. Sarà meglio andare a casa, così potrai riposare.”

Daisy si alzò controvoglia. Baciò ancora il cugino “porterò un po’ delle tue cose per farti stare più comodo. Chiamami se ti viene in mente qualcosa di particolare.”

“Grazie.”

Jesse si protese in avanti e abbracciò il nipote “cerca di riposare.”

“Sissignore.”

Bo si rivolse allo zio “rimango qui con Luke finché non si addormenta. Vi raggiungo più tardi.”

“Non farlo stancare.” Si raccomandò Jesse. “Sbrigati a tornare a casa, hai bisogno anche tu di riposo.”

Quando Jesse e Daisy uscirono dalla stanza, Bo tornò a sedere sulla sedia accanto al letto del cugino. Allungò una mano per spegnere la luce, ma Luke lo fermò “lasciala accesa.”

Bo annuì comprensivo “penso tu ne abbia avuto abbastanza di buio. Dormi, io rimango qui se hai bisogno di qualcosa.”

“Ma zio Jesse ti ha detto…”

“Sa dove sono, Luke. Non ti preoccupare. Lo sai che posso dormire ovunque.”

Luke chiuse gli occhi, grato per la comprensione del cugino. Con Bo al suo fianco riuscì finalmente ad addormentarsi sereno.

 

Laura sedeva con la schiena dritta sul letto d’ospedale. Le mani allacciate in grembo. Non si era mossa sin da quando l’avevano portata in quella stanza bianca e asettica. Sapeva che la porta era chiusa a chiave. Riusciva a vedere attraverso la finestrella dottori e infermiere fare avanti e indietro nel corridoio. Era immobile.

Non aveva più detto una parola. Non aveva risposto a nessuna domanda.

Si era totalmente estraniata da tutto e tutti.

Aspettava.

Aspettava Luke.

Aveva tutto il tempo del mondo.

 

Fine

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