Locksley Tales

di Zury Watson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'alba della Speranza ***
Capitolo 2: *** Freccia e Lama ***
Capitolo 3: *** Fantasmi del Passato ***
Capitolo 4: *** La Pergamena ***
Capitolo 5: *** Sir Guy di Gisborne ***
Capitolo 6: *** Il Temporale ***
Capitolo 7: *** Contraccolpo ***
Capitolo 8: *** From Edwinstowe... ***
Capitolo 9: *** ...To Locksley ***
Capitolo 10: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 11: *** Alla Prova ***
Capitolo 12: *** I Tre ***
Capitolo 13: *** La Caccia ***
Capitolo 14: *** Inatteso Ritorno ***
Capitolo 15: *** Resta Con Me ***
Capitolo 16: *** Una Questione di Dettagli ***
Capitolo 17: *** Un'Offerta ***
Capitolo 18: *** A Fil di Lama ***
Capitolo 19: *** Il Grande Albero delle Promesse ***
Capitolo 20: *** Lord Much il Difensore ***
Capitolo 21: *** Il Torneo ***
Capitolo 22: *** Lo Voglio ***
Capitolo 23: *** I Cavalieri Neri ***
Capitolo 24: *** Lady Gisborne ***
Capitolo 25: *** Tempo di Partenze ***



Capitolo 1
*** L'alba della Speranza ***


Guy di Gisborne


Locksley Tales


Premessa
Isabella Thornton, – nata Gisborne – fatta prigioniera nelle segrete del Castello di Nottingham, ricevette la visita di suo fratello maggiore, Guy – da poco alleatosi con Robin Hood nella lotta contro lo Sceriffo Vaisey di Nottingham e Isabella stessa e con il quale aveva scoperto di condividere un fratello, divenuto il punto d'unione tra i due da anni nemici in armi e in amore.
Guy si presentò a lei recando con sé una fiala di veleno che in prima battuta pensò di lasciare a sua sorella, condannata a morte certa, per risparmiarle la sofferenza e l'umiliazione di un'esecuzione pubblica. In Guy, nonostante da tempo avesse assunto gli atteggiamenti tipici di un tiranno, risiedeva ancora quella piccola e fievole luce di umanità e bontà – ereditata da sua madre, Ghislaine – che la sola Lady Marian aveva intravisto prima di tutti pur non ricambiando i sentimenti di lui e preferendogli Robin. Ripensandoci, però, Gisborne si rese conto – avendo avuto modo di sperimentarla sulla propria pelle – della cattiveria di Isabella, la aveva tentato di uccidere sia lui che Robin Hood, approfittando della collaborazione di Archer – il quale aveva erroneamente creduto di potersi arricchire alleandosi con Isabella – perciò decise infine di non fidarsi di sua sorella, immaginando che avrebbe potuto trovare il modo di fuggire e vendicarsi.
Così, entrato nella cella dove era stata rinchiusa sua sorella, la costrinse, non senza soffrirne lui stesso, ad assumere il veleno dopo aver avuto con lei un breve dialogo; in questo modo Gisborne pose fine alla vita di Isabella Thornton, scampando lui stesso alla morte, come avrebbe scoperto poco più tardi.
Uccidendo Isabella, infatti, a sua insaputa Guy mandò a monte non soltanto la vendetta di lei contro gli uomini che avevano cercato per anni di sottometterla, – indiziando con l'assassinio di suo marito, Thornton, e intendendo proseguire con l'uccisione di Guy, il quale l'aveva ceduta in sposa per denaro quando aveva soltanto tredici anni – ma anche i piani di Vaisey, lo Sceriffo che Guy aveva creduto di aver ucciso e che era invece sopravvissuto, fingendosi morto, e intendeva riprendersi il titolo di Sceriffo della città, sterminando i traditori e l'intera banda di Robin Hood.
Guy, intanto, promise a se stesso che quella di Isabella sarebbe stata l'ultima uccisione per mano sua – tra i molti cittadini innocenti, sulla sua coscienza gravava anche il peso della morte di Lady Marian – e che avrebbe fatto ricorso alle armi solo se strettamente necessario, decisione questa che collimava perfettamente con gli ideali di Robin Hood e della sua banda; ragion per cui, comunque fossero andate le cose, Guy decise che si sarebbe unito alla banda di fuorilegge se Robin glielo avesse permesso.
Robin Hood, messo al corrente di quanto accaduto a Isabella, cambiò definitivamente opinione su Guy e insieme a lui, saputo anche del ritorno di Vaisey, decise di organizzare la difesa contro l'assedio da parte dello Sceriffo e la sua armata.
Dal momento che Vaisey aveva dimostrato di essere in possesso del cosiddetto fuoco greco, la banda pensò che l'uomo dovesse avere, tra le mura del Castello, una scorta degli elementi che servivano a prepararlo, così, con l'aiuto di Archer – che era un esperto di alchimia – Tuck scoprì come procurarsi quell'arma tanto potente e si mise all'opera affinché si potesse cacciare definitivamente Vaisey dall'intera Contea di Nottingham.
Nel mentre, un'esplosione attirò l'attenzione di Guy che, istintivamente volle muoversi in direzione del trambusto.
L'ex Sceriffo e i suoi uomini volevano, infatti, introdursi nel Castello attraverso il passaggio segreto che, solo poche ore prima, aveva quasi ucciso Robin, Guy e Much grazie ad una trappola architettata da Isabella e messa in atto da Archer – poi ravvedutosi e tornato a collaborare con Robin e Guy, che l'avevano salvato da morte certa a York solo qualche giorno prima.
Robin, volendo seguire Gisborne, lasciò il comando a Tuck e Little John per andare incontro a Vaisey ed i suoi uomini insieme anche ad Archer.
Lo scontro si rivelò inevitabile e feroce e sia Robin che Guy rimasero feriti; nonostante fossero in minoranza, però, riuscirono a respingere i nemici quel tanto che bastava per tornare indietro, avvisare Little John e Tuck e radunare tutti in modo tale da avere il via libera: mentre l'ex Sceriffo – intenzionato a uccidere tutti e tornato subito con più uomini ancora – passava letteralmente sotto gli occhi della banda e della popolazione – nascostisi in un tunnel secondario – per infilarsi nel Castello, Robin guidò tutti fuori, salvandol l'intera popolazione dall'imminente esplosione causata dal fuoco greco che Tuck aveva preparato e che attendeva solo di essere innescata.
Successivamente, infatti, Robin e Archer fecero velocemente ritorno al Castello per scoccare una freccia infuocata contro uno dei barili predisposti dal frate: il tempo di qualche attimo ed il Castello esplose uccidendo una volta per tutte Vaisey e i suoi.

Introduzione
A causa della violenta esplosione che aveva segnato la fine della tirannia di Vaisey, Nottingham era completamente distrutta, – ad eccezione delle solide mura che la circondavano – e i suoi cittadini erano stati costretti a stabilirsi tra Locksley e i villaggi vicini; questo però non aveva scoraggiato nessuno, tant'è che la volontà di veder rinascere Nottingham libera dalle angherie di uno Sceriffo che mirava soltanto al potere e al denaro, era palpabile; tanto più perché Re Riccardo I era finalmente rientrato in patria e aveva iniziato a ripristinare ordine e giustizia spodestando e diseredando suo fratello, il Principe Giovanni.
I fuorilegge come Robin Hood e la sua banda poterono quindi tornare ad essere uomini liberi e da tutti considerati eroi.
Dopo i grandi festeggiamenti per l'inizio di quello che si prospettava un periodo di pace, serenità e ricchezza, tutti i fuorilegge della banda di Robin Hood tornarono ad abitare le rispettive abitazioni che erano state loro confiscate e ritrovarono, in questo modo, l'equilibrio che era venuto a mancare anni addietro.
Nonostante le cose fossero nettamente migliorate rispetto agli anni di terrore appena trascorsi, però, Robin, Allan, Little John, Tuck, Much, Kate, Archer e Guy – tutti membri della vecchia banda – non smisero di fare del bene a chi più ne aveva bisogno, cominciando da chi, tra loro, non aveva una casa da abitare.
Guy restituì volentieri a Robin le terre che gli appartenevano per diritto, a Locksley, anche se l'arciere aveva espresso la volontà di amministrare i suoi possedimenti insieme a lui ed Archer.
Robin iniziò a considerare sia Guy e che Archer come suoi fratelli e li coinvolse pienamente in ogni sua attività, sostenendoli e impegnandosi a recuperare il tempo perduto durante gli anni di separazione; inoltre era molto affezionato a tutti i componenti della sua banda – preoccupandosi per ognuno di loro in ogni modo possibile – e in particolare nutriva un forte sentimento nei confronti della bella Kate. Pur avendo creduto di amarla, il tempo trascorso accanto a Gisborne, in attesa che quest'ultimo si riprendesse dalle ferite subìte nello scontro con Vaisey, gli aveva dato modo di riflettere e aveva capito, così, di non essere ancora riuscito a separarsi dal ricordo dell'amore provato per Marian, morta l'anno precedente per mano dello stesso Gisborne.
Perciò ritenne giusto mettere in chiaro la situazione con Kate – la quale soffrì molto per questo, pur scegliendo infine di restare fedele al gruppo nonostante il terremoto emotivo, perché le ragioni che la spingevano a lottare per il bene comune superavano i legami d'amore.
Allo stesso modo, qualche tempo prima, anche Much era rimasto.
Tale era la situazione quando la giovane Kaelee arrivò a Locklsey per stabilirvisi.
Kaelee era una ragazza che, partita da un villaggio non molto lontano da Locksley e Nottingham con l'unico intento di trovare Robin Hood, aveva raggiunto il villaggio di Locksley in compagnia del proprio cavallo e la prima persona che aveva incontrato era Allan. La sua determinazione l'aveva portata, nel giro di poco tempo, ad ottenere un incontro con Robin in persona al quale la ragazza aveva raccontato di aver sentito parlare di lui e delle sue imprese dai fratelli più grandi e per questo aveva deciso di trasferirsi là dove Robin Hood risiedeva, per unirsi alla sua causa.
Tutti erano stati molto contenti di avere un'ulteriore presenza femminile nel gruppo – tanto più perché la sua presenza sembrò da subito essere molto di sollievo a Kate, che aveva deciso di ospitarla – e Kaelee, da parte sua, instaurò in breve tempo un buon rapporto con l'intera truppa.
Mentre Allan e Much già raccoglievano scommesse su chi tra Robin e Archer avrebbe conquistato il cuore della ragazza, lei fece tutto quanto era in suo potere per rendersi utile alla comunità, svolgendo le più svariate mansioni e dimostrandosi disponibile a imparare molti mestieri, se necessario.
Fu solo dopo un paio di settimane dal suo arrivo a Locksley che si imbatté  in Guy di Gisborne, il quale si era finalmente ripreso quanto bastava perché potesse alzarsi dal proprio letto senza far danni.




L'alba della Speranza

Locksley.
Era da poco sorto il Sole sulla bella Inghilterra – e su Locksley in particolare – quando Kaelee finì di infornare il pane insieme ai numerosi giovani che aiutavano il vecchio Tyrik, padrone del forno del villaggio e uomo dal cuore davvero grande, perché da solo offriva lavoro a moltissimi giovani di Locksley evitando che finissero col dedicarsi ad attività disonorevoli e contemporaneamente insegnando loro un'arte che gli avrebbe garantito un futuro. Kaelee, che non aveva mai fatto altro che lavorare la terra appartenente alla sua famiglia di origine, gli era molto grata per l'opportunità che le era stata offerta e non si rifiutava mai di aiutarlo, se la chiamava per qualche mansione anche al di fuori dei turni a lei destinati; ad esempio era capitato, qualche volta, che Tyrik le chiedesse di consegnare una pagnotta ad una vecchia signora che faticava a muoversi e lei lo aveva sempre fatto con molto piacere, trovando in quel compito l'opportunità di familiarizzare con tutti gli abitanti di quel bel villaggio circondato da Sherwood.
Sebbene di tanto in tanto le mancasse il suo villaggio d'origine, era ben felice di essersi trasferita a Locksley, tanto più perché tutti le avevano manifestato fin da subito simpatia e disponibilità; sopratutto Kate, la quale aveva insistito per ospitarla nella sua abitazione, che era diventata subito una valida amica, ragion per cui Kaelee non poteva che essere pienamente soddisfatta della sua scelta.
Dopo essersi privata del grembiule da lavoro e della cuffietta che, ne era convinta, la faceva sembrare una bambolina, si asciugò la fronte sudata, fissò le mani sui fianchi e sorrise al giorno in arrivo. Il viaggio per Locksley aveva messo in evidenza la sua incredibile voglia di vivere: se era partita alla ricerca di Robin Hood era principalmente per il sogno di essere libera; libera da un destino che altri avevano iniziato tempo addietro a scrivere per lei, da un futuro che l'avrebbe vista costretta a sposare un uomo che non amava e a far figli per lui in cambio di una vita priva di ogni fatica; libera di vivere la appieno l'esistenza che Dio le aveva regalato, perciò preferiva mille volte fatica e vero amore alle catene che la sua famiglia aveva tentato di imporle e aveva la sensazione che quel posto, per il solo fatto che vi risiedesse Robin Hood, avrebbe potuto offrirle tutto ciò di cui aveva bisogno e renderla la donna che sempre aveva desiderato essere.
Quando Kaelee uscì dal forno di Tyrik, poté godere della luce soffusa che avvolgeva il villaggio, simile a quella delle candele, ma molto, molto più morbida, immensa e bella, e ringraziò il cielo per quel dono.

Nella sua camera da letto Guy sfuggì ad un brutto sogno svegliandosi bruscamente, con la fronte imperlata di sudore. Il ricordo di Lady Marian che moriva per mano sua lo tormentava da molto tempo e, anche se non si sarebbe mai abituato a quell'apparizione, aveva iniziato a rassegnarsi all'idea di fare i conti con le sue colpe per il resto della vita, perciò lo sconvolgimento che si impossessava di lui subito dopo ogni incubo, durava non più di qualche minuto; ultimamente, però, a turbare il suo sonno si era aggiunta Isabella: mentre con la spada trafiggeva Lady Marian, poteva sentire sua sorella ridere con una malignità insopportabile mentre gli indicava anche il corpo esanime di Meg, morta per salvarlo. La presenza delle tre donne insieme, ognuna così determinante per il suo percorso di vita, era davvero troppo per lui e il senso di colpa che si riversava nel suo cuore dopo quegli incubi era così insopportabile, che chiedere l'aiuto di Fratello Tuck non sarebbe servito a molto – sebbene parlarne con lui certamente lo avrebbe rasserenato facendo volgere in positivo una giornata iniziata nel verso sbagliato.
Dal momento, quindi, che rigirarsi sul fianco e sperare di riaddormentarsi era nient'altro che un'utopia, Guy decise di alzarsi nonostante Robin e Archer più di tutti gli avessero impedito categoricamente di sforzarsi dopo lo scontro con Vaisey e la conseguente ferita che aveva riportato. Tuttavia erano giorni che non sanguinava più neanche un po' e stava quindi finalmente iniziando a rimarginarsi, per questo Guy ritenne di poter uscire a guardare l'alba senza arrecarsi alcun danno e senza scatenare le proteste di Robin Hood.
Ancora non si capacitava di come fosse possibile riuscire ad andarci d'accordo dopo aver trascorso anni ed anni a darsi battaglia per questiomi morali, politiche e amorose, oltre che per capricci personali; se ci ripensava, con il senno di poi, tutto ciò che era accaduto tra loro gli sembrava assurdo e non riusciva a trovare una sola ragione per cui valesse veramente la pena uccidere così tante persone e perdere amici, amori e una parte di se stessi.
Nonostante Tuck gli avesse raccomandato di non fare della sua redenzione una fissazione, di non indugiare troppo a lungo nell'arco di una sola giornata sui suoi trascorsi, alle volte Guy sentiva di non poterne fare a meno, così pensava e pensava fino a farsi venire un gran mal di testa. E se invece di andare via da Locksley, dopo l'incendio che aveva ucciso i suoi genitori, fosse rimasto? Se lui e Robin fossero diventati amici? Se avessero collaborato per il bene di Locksley e Nottingham? In che modo sarebbe cambiato il destino della città, della Contea e dell'Inghilterra? In che modo sarebbe cambiato il suo destino?
Eppure Fratello Tuck gli aveva detto che tardi era pur sempre meglio che mai, perciò probabilmente aver lottato fianco a fianco con Robin Hood, averlo protetto ed aver ricevuto le sue cure e attenzioni, stava infine offrendo a Gisborne un'alternativa, l'opportunità di vivere un'esistenza nuova e migliore – anche se Guy era convinto che Robin lo avrebbe preso volentieri a calci nel sedere, se gli si fosse presentata l'occasione.
Aprire la porta a un nuovo giorno, quella mattina, fu come svegliarsi dopo un lunghissimo sonno; sicuramente in parte quella sensazione derivava dal periodo di riposo forzato, durante il quale gli era stato quasi impossibile godere della luce del sole o dell'aria fresca sul viso, di una cavalcata in libertà o di una passeggiata a piedi per le vie del villaggio, ma c'era anche dell'altro, come un sensto senso che lo convinse ad affrontare la giornata appena iniziata con un atteggiamento totalmente positivo; quindi, tanto per cominciare, avrebbe cercato Robin e gli avrebbe detto che intendeva pranzare al Maniero o da qualsiasi parte che non fosse casa sua.
Mettendo il naso fuori dalla porta, Guy si accorse dell'unica figura intenta ad osservare il Sole nascente non molto distante da dov'era lui, ma non vi si soffermò, troppo intento a godersi l'aria fresca e pulita che gli accarezzava il volto e gli riempiva i polmoni, troppo desideroso di muovere i primi passi nella nuova esistenza che era riuscito in qualche modo a guadagnarsi, liberandosi dello Sceriffo e del Principe Giovanni.

Trascorsi cinque minuti buoni, Kaelee decise che era il momento di rientrare, tanto più perché la stanchezza di una notte trascorsa ad impastare iniziava a farsi sentire.
Non avere una casa tutta sua non le recava alcun fastidio, né le dispiaceva condividere ogni cosa con Kate – che non avrebbe mai ringraziato abbastanza per quanto aveva fatto per lei quando era arrivata in quel villaggio. Non era stato facile convincere Allan a combinarle un incontro con Robin Hood e non era stato semplice spiegargli la sua situazione e chiedergli che quella conversazione restasse tra loro, perché non voleva essere compatita dagli uomini della banda o dagli abitanti di Locksley; l'arciere, però, aveva accettato le sue condizioni e l'aveva subito presentata al gruppo permettendole di legare con la donna che era presto diventata sua amica.
Kaelee era a conoscenza dei trascorsi sentimentali di Kate e sapeva che non se la passava bene anche se spesso tendeva a minimizzare; a Kaelee anche se non conosceva Kate da molto, dispiaceva vederla tanto triste, perciò voleva essere al suo fianco quando si sarebbe svegliata, voleva augurarle una buona giornata e voleva anche vedere un viso amico prima di piombare nel sonno profondo che la stanchezza le avrebbe imposto; forse era un desiderio un po' infantile, ma dato che non recava danni a nessuno perché non regalarsi quella piccola gioia?
Fu in quel momento, quando si voltò per imboccare la via di casa, che Kaelee scorse la sagoma di un uomo dinanzi all'ingresso di un'abitazione. Istintivamente si soffermò a guardarlo anche se la poca luce le impedì di distinguerne i lineamenti, sebbene fosse chiaro che il suo viso era incorniciato da una chioma medio-lunga e, con ogni probabilità, anche molto scura; ciò di cui aveva, invece, una percezione tutt'altro che vaga era l'imponenza di quella figura, che si stagliava come un'enorme ombra verticale su un paesaggio abbracciato dai primi raggi solari. Si domandò se avesse mai visto prima quell'uomo, salvo poi chiedersi se fosse consono guardare qualcuno con tanta insistenza senza avere almeno l'intenzione di alzare la mano in cenno di saluto; quando le sembrò che lui si fosse voltato nella sua direzione, si disse che era meglio riprendere a camminare e rincasare.
Suo malgrado e nonostante l'ora, trovò Kate già sveglia e non propriamente allegra.
Anche se caratterialmente Kaelee era una ragazza positiva e ottimista, non la infastidiva dover avere a che fare con una persona che vedeva tutto nero in quel momento della sua vita; del resto, anche se non si era mai innamorata in vita sua, riusciva a capire quanto grande dovesse essere la sofferenza per Kate: pur non avendola vissuto sulla propria pelle, era più che certa che essere lasciata dalla persona amata non era affatto un'esperienza piacevole o facile da affrontare e superare.
Si unì allora a Kate nella preparazione della colazione, che consumò volentieri in sua compagnia, e riuscì a farla sorridere raccontandole un aneddoto che aveva a che fare con gli impasti per il pane e il putiferio che uno dei ragazzi di Tyrik aveva quasi scatenato quella notte; le faceva enormemente piacere poter essere utile, non solo economicamente, alla persona che, senza sapere nulla di lei e senza costrizioni, aveva deciso di offrirle un tetto sotto cui vivere.
«Va' pure a riposare. Hai lavorato tutta la notte, sarai stanca», le disse Kate, rivolgendole un sorriso.
«Ti ringrazio, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa puoi svegliarmi in qualunque momento», le rispose, sinceramente disposta a stare sveglia per altre otto ore filate, se necessario.
«Me la caverò», chiuse Kate nell'evidente tentativo di rassicurarla.
Kaelee annuì e la strinse brevemente prima di separarsi da lei – che sarebbe andata ad aiutare sua madre, Rebecca, con la decorazione di alcuni vasi da vendere al Mercato – prima di andare al piano superiore e addormentarsi immediatamente dopo essersi stesa.

Kaelee si svegliò che era ormai passato mezzogiorno, come la posizione del Sole indicava chiaramente, e si accorse subito del trambusto che regnava al piano inferiore; nonostante la mente ancora confusa e mezza addormentata, non ebbe difficoltà a riconoscere le voci di Much e Allan oltre a quella di Kate.
D'istinto scosse il capo al pensiero di tutte le storie che Allan si sarebbe messo a raccontare pur di attirare su di sé l'attenzione dei presenti, ma poi sorrise tra sé immaginando Much che preparava uno dei suoi piatti, soprattutto per Kate: non era un segreto per nessuno, infatti, che la donna fosse la sua più grande fonte di ispirazione e contentezza. Perfino lei si era subito accorta del sentimento che lo legava a Kate e le era stato impossibile non sperare che tra i due nascesse qualcosa prima o poi, perché Much le dava la netta sensazione di essere un uomo buono, di quelli che non mancherebbero mai di rispetto alla donna che amano, di quelli capaci di dare valore alle piccole cose.
Si stiracchiò prima di alzarsi per darsi una sistemata e raggiungere gli altri, compito per nulla semplice come avrebbe potuto sembrare.
Dopo qualche minuto impiegato in maldestri tentativi di acconciarsi i capelli, Kaelee dovette per forza arrendersi all'indomabile chioma che si ritrovava e accontentarsi di fermare alcune ciocche scure che troppo spesso le ricadevano indisciplinate davanti agli occhi, infastidendola oltre ogni dire; quindi scese con l'allegria che era solita portarsi dietro, intenzionata a condividerla con Kate attraverso il supporto anche di Allan e Much.
Dando per scontato che sarebbero stati solo loro quattro per il pranzo, come altre volte era accaduto, non guardò nella stanza prima di aver sceso l'ultimo scalino; così si accorse del nuovo ospite quando era ormai troppo tardi per tornare indietro e prepararsi mentalmente a fare una nuova conoscenza.
Quando le voci arrivarono distintamente alle sue orecchie, la conversazione tra i presenti doveva essere già iniziata da un po'.
«In tutta sincerità nemmeno io riesco a credere di poter pranzare fuori casa», disse lo sconosciuto con una voce profonda e piacevole.
«E in nostra compagnia!», esclamò Allan.
I presenti risero e si lanciarono in una breve serie di battute che Kaelee non colse, ancora stordita da quella presenza e, forse, anche perché ciò che faceva ridere tutti non sarebbe mai riuscito a far ridere anche lei, dal momento che si faceva riferimento a fatti che lei ignorava.
Mentre indugiava ancora sull'ultimo gradino, Much la notò e ne richiamò l'attenzione.
«Kaelee! Mi chiedevo quando saresti arrivata. Manca giusto il pane», disse, inducendo inevitabilmente l'ospite a voltarsi nella sua direzione.
Gli occhi chiari che quello puntò nei suoi quasi le tolsero il respiro tanto erano accesi di curiosità.
«Much... Il pane lo preparo e lo lascio al forno del vecchio Tyrik, non me lo porto mica a letto», gli rispose arginando l'imbarazzo e facendo ridere Allan di gusto.
Much rimase interdetto per qualche istante e Allan si propose di risolvere la questione facendo un salto al forno del vecchio Tyrik.
Kate intanto stava preparando la tavola e Kaelee si rese conto che era buona educazione presentarsi all'uomo e poi aiutare l'amica.
«Io sono Kaelee. Non mi sembra di conoscervi», esordì tendendo la mano allo sconosciuto.
Lui si alzò, rivelando la sua notevole altezza, e contrasse per un attimo le labbra sottili in una smorfia di dolore senza che lei potesse intuirne l'origine.
«Guy di Gisborne», rispose infine, sollevandole la mano fin quasi a sfiorarla con le labbra in un gesto elegante e gentile. «Robin mi ha parlato di voi e del vostro trasferimento a Locksley. Ben arrivata anche da parte mia», concluse.
Senza che ci fosse un razionale motivo, il cuore di Kaelee prese un ritmo a lei completamente nuovo; simile a quando correva a perdifiato, ma non uguale; simile a quando infrangeva qualche sciocca regola, ma non uguale.
Sentì il viso riscaldarsi improvvisamente e immaginò le guance colorarsi di rosso, come al solito, ma nonostante questo non potè trattenere un sorriso quando gli occhi cristallini di lui si incastrarono di nuovo nei suoi, manifestando subito una predisposizione d'animo per niente ostile.
Si accorse, ora che gli era così vicina, che ciglia e sopracciglia scure li rendevano ancora più ipnotici di quanto dovessero essere realmente, – "pericolosamente ipnotici", corresse nella mente – al punto che l'unica soluzione era distrarsi aiutando Kate ad apparecchiare.
«Vi ringrazio e spero vi abbia detto soltanto cose interessanti», scherzò, scoprendo che era più facile nascondere quelle sensazioni sconosciute se non lo guardava negli occhi.
Lui si sedette di nuovo e diede vita ad una leggera e piacevolissima risata.

Kate, che aveva conosciuto la parte oscura e cattiva di Gisborne, che aveva dubitato di lui anche quando Robin aveva deciso di fidarsi, aveva ora dinanzi a sé innegabilmente una persona molto diversa, anche se non gli dava ancora completa fiducia. Non riusciva a credere, infatti, che il caratteristico ghigno avesse abbandonato il volto di Guy, rimpiazzato da un sorriso gentile; non poteva credere che la voce rabbiosa avesse lasciato il posto a toni pacati, e il tutto in un tempo così piccolo. Ancora adesso, mentre era nella sua casa e nella sua cucina, l'atteggiamento di Guy di Gisborne e la sua gentilezza verso Kaelee non la convincevano pienamente e se si era mostrata disponibile ad ospitarlo per pranzo era soltanto perché Robin gliel'aveva chiesto come favore personale essendo lui e Archer impegnati in un giro di ricognizione sul limitare della foresta.
I suoi pensieri, mentre continuava a osservare Gisborne con sguardo critico e Kaelee con materna attenzione, furono interrotti da Allan, il quale irruppe rumorosamente e allegramente in casa annunciando di avere il pane, per la gioia di Much, permettendo così ai cinque di mettersi a tavola.
Con Much e Allan non c'era davvero il pericolo di annoiarsi e il pranzo fu allegro e colmo di risate sincere.

Per Guy fu un piacevole ritorno alla vita di tutti i giorni, che si prospettava diversa in tutto e per tutto dalla precedente esistenza vissuta al fianco di Vaisey e in qualità di suo braccio destro, – nessuno, infatti, gli avrebbe chiesto di prendere con la forza il denaro a questa o quella famiglia, nessuno lo avrebbe costretto a mozzare la mano ad un uomo solo perché aveva rubato una mela al Mercato, nessuno gli avrebbe ordinato di uccidere un innocente in cambio di denaro e potere – e si rese conto di provare sentimenti considerati perduti per sempre: si sentì sereno, felice, mentre scopriva che la speranza poteva nascere perfino nel suo cuore lacerato.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 27/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Salve a voi coraggiosi, che siete giunti fino alla fine di questo primo e sperimentale capitolo, e benvenuti!
Chi conosce nel dettaglio la serie televisiva di appartenenza, avrà facilmente intuito, già leggendo la premessa, che non ho amato particolarmente il finale della terza ed ultima stagione di Robin Hood; ragion per cui mi sono presa la libertà di apportare qualche modifica, ponendo come presupposto che Robin, Allan e Guy non siano morti.
Per chi non è pratico del fandom ed è arrivato ugualmente a questa storia, preciso che nella premessa ho sintetizzato quello che è il finale alternativo, quindi di mia invenzione, da cui prendono il via le vicende che racconterò di qui in avanti.
Con l'introduzione, ho invece gettato le basi per le nuove avventure, ho voluto dare uno sguardo generale alla situazione in cui intendo ambientare i personaggi e ho approfittato per inserire brevemente l'arrivo di Kaelee a Locksley. Lei non fa parte della serie tv in alcun modo, neanche trasversalmente comparendo per pochi istanti nel corso di un episodio, ed è, quindi, completamente mia; la conosceremo meglio insieme, nel corso delle vicende, dal momento che intendo incentrare il tutto su lei e Guy di Gisborne (è principalmente per lui che ho sentito il bisogno di scrivere).
Ci tengo inoltre a precisare che adoro Much e sapendolo innamorato di Kate, vorrei provare a dargli un'opportunità; non sono certa di come andrà a finire: mi lascerò trasportare dai personaggi.
Prima di chiudere voglio precisare che siamo nel 1194, lo stesso anno in cui è ambientata la terza stagione della serie tv, e voglio fare un piccolo riepilogo sui personaggi e i loro eventuali legami, sia per coloro i quali hanno seguito la serie, sia per chi ha nozioni generiche sul personaggio di Robin Hood.
Robin di Locksley: ha 31 anni, ha un Maniero a Locksley e altri possedimenti nei villaggi adiacenti, è nobile di nascita; ha un fratellastro di nome Archer (nato dall'unione di suo padre con la madre di Guy di Gisborne) e ha sempre amato Lady Marian; dopo la sua morte ha avuto brevi relazioni con Isabella Thornton e Kate; ha combattuto nella Guardia Reale di Riccardo I, in Terra Santa e crede in un'Inghilterra giusta e libera; il suo più fedele alleato è Much, che è stato anche il suo servo quando entrambi abitavano al Maniero prima di partire per la Crociata di Re Riccardo.
Much: ha 33 anni, vive al fianco di Robin come suo leale servitore da diverso tempo e non desidera altro che la Tenuta a Bonchurch promessagli da Robin dopo l'esperienza in Terra Santa; è sensibile e si innamora in fretta; un ottimo cuoco e un amico sincero; vuole molto bene a Robin Hood e spesso manifesta gelosia in chiunque ne riceva le attenzioni; ha una brevissima relazione con Eve, una giovane donna di Bonchurch, alla quale fa una promessa (affronterò l'argomento nel corso dei capitoli) e si innamora a prima vista di Kate.
Allan A Dale: ha 30 anni e diventa subito membro della banda di Robin Hood; è incline a pensare spesso al proprio tornaconto, ma non per questo è una cattiva persona; nel corso degli eventi si ritrova a dover scegliere tra la propria vita e la fedeltà alla banda; collabora con Sir Guy di Gisborne e lo Sceriffo Vaisey senza mai tradire davvero i suoi amici; è un imbroglione nato, ottimista e positivo, allegro e dalla battuta facile; ha una cotta per Djaq la Saracena, ma non lotta per lei quando la ragazza dichiara di amare Will.
Will Scarlett: ha 21 anni, vive a Locksley con suo padre Dan (che verrà ucciso dallo Sceriffo) e suo fratello minore Luke (che si trasferirà a Scarborough; si unisce alla banda di Robin Hood dopo essere stato quasi impiccato per aver infranto le assurde regole dello Sceriffo di Nottingham; resta fedele al gruppo e combatte al fianco dei suoi compagni fino a quando, tutti insieme, partono verso Acri, in Terra Santa, per salvare Lady Marian e fermare Vaisey e Gisborne che vogliono uccidere Re Riccardo; innamorato di Djaq la Saracena, decide di stabilirsi ad Acri con lei per sposarla e costruirsi una famiglia; lascia la banda nel 1193.
Djaq la Saracena: ha 28 anni, è originaria di Acri e il suo vero nome è Safiya; ha un fratello gemello di nome Djaq, del quale assume l'identità dopo la sua morte; arriva in Inghilterra come prigioniera e si unisce alla banda di Robin Hood fingendosi uomo; è esperta di medicina e sarà spesso utile alla banda in tal senso; ha un carattere forte, è un valido alleato sul campo ed è di mentalità molto aperta; si innamora di Will al quale si dichiara il giorno del compleanno di Robin Hood, quando l'intera banda rischia la vita; lascia la banda nel 1193.
Little John: ha 54 anni, è originario di Locksley, ha una moglie di nome Alice e un figlio di nome Little Little John che nasce quando lui è già un fuorilegge; quando viene dichiarato fuorilegge è costretto a fingersi morto per evitare problemi a sua moglie; si mette a capo di un gruppo di fuorilegge, ma quando conosce Robin si unisce volentieri alla sua banda; sue caratteristiche peculiari sono forza fisica e bontà; è un compagno leale e sensibile ai drammi esistenziali; non si fida facilmente delle persone.
Fratello Tuck: ha 43 anni, è un frate di colore e torna in Inghilterra nel 1194; nello stesso anno si unisce alla causa di Robin Hood riportandolo sulla retta via dopo la morte della donna amata; diventa subito una colonna portante della banda; è allegro, ma anche molto intelligente e trova nella fede la sua forza; è un ottimo combattente.
Kate: ha 30 anni (ho deciso io l'età non avendo trovato indicazioni da nessuna parte) e vive a Locksley con sua madre Rebecca, sua sorella Maggie e suo fratello Matthew (che verrà ucciso da Gisborne); è istintiva e incline a moti irosi; non sopporta catene e costrizioni, perciò entra a far parte della banda di Robin Hood nel 1194, dopo l'uccisione di suo fratello; si innamora di Robin.
Archer: ha 20 anni ed è il fratellastro di Robin di Locksley e Guy di Gisborne; sa poco e niente dei suoi genitori e vive gran parte della sua vita girando il mondo; si trova imprigionato a York quando conosce i suoi fratelli, arrivati a liberarlo; scopre di avere anche una sorella che è lo Sceriffo di Nottingham, così decide di allearsi con lei per denaro, ma presto capisce che la donna è corrotta e si unisce alla banda di Robin Hood nel 1194; è scaltro ed è un abilissimo arciere.
Lady Marian: muore nel 1193 all'età di 22 anni, per mano di Guy di Gisborne; vive a Knighton insieme a suo padre, Sir Edward, e veste i panni di Guardiano Notturno per contrastare l'operato dello Sceriffo Vaisey; per qualche tempo vive al Castello di Nottingham insieme allo Sceriffo e a Gisborne, facendo la spia per conto di Robin Hood, del quale è innamorata; viene costretta a sposare Gisborne, ma lo abbandona all'altare; quando viene scoperta nei panni di Guardiano Notturno rischia l'impiccagione, ma viene salvata da Gisborne e Allan; condotta in Terra Santa insieme allo Sceriffo e Gisborne, dopo aver tentato di uccidere il primo, viene uccisa dal secondo; viene sepolta in Terra Santa.
Isabella Thorntorn: muore nel 1194 all'età di 30 anni, per mano di suo fratello Guy; perde entrambi i genitori in un incendio, a Locksley, e viene poi venduta da suo fratello all'età di tredici anni; molti anni più tardi decide di scappare da suo marito e si reca a Nottingham, dove chiede protezione a suo fratello Gisborne; prova, in realtà, a entrare nelle grazie del Principe Giovanni e riesce a farsi eleggere Sceriffo dopo la finta morte di Vaisey, vendicandosi così di suo fratello Guy; si innamora di Robin Hood, ma non riesce a conquistarlo.
Sir Guy di Gisborne: ha 36 anni e dopo una vita trascorsa al fianco di Vaisey, considerandolo un padre, lo uccide (così crede) mirando a diventare Sceriffo; fatto invece prigioniero da sua sorella, nominata Sceriffo, conosce una ragazza di nome Meg e grazie a lei capisce di non voler più vivere nella cattiveria; innamorato di Lady Marian cerca di conquistarla in ogni modo possibile, offrendole i propri averi e il proprio cuore, ma non ci riesce e, accecato da rabbia e dolore, la uccide; si pente e ne soffre molto finché sceglie di unirsi a Robin Hood dopo aver scoperto di avere un fratellastro in comune con lui, Archer (figlio di sua madre e del padre di Robin di Locksley); entra a far parte della banda nel 1194 e collabora alla distruzione di Vaisey.
Vaisey di Nottingham: muore nel 1194 a 54 anni; è il maligno Sceriffo di Nottingham che trama alle spalle di Re Riccardo e in coalizione con il Principe Giovanni.

Dopo aver parlato brevemente dei componenti della banda di Robin (attuali e non), di chi ha avuto un ruolo importante ed è poi morto e dei due cattivi principali (di cui uno è ora dalla parte dei buoni e l'altro è passato a miglior vita, quindi aspettatevi pure l'ingresso di nuovi antagonisti), credo di potervi salutare.
Mi auguro che non ve la prenderete troppo con me per aver stravolto un po' le cose e vi ringrazio in anticipo per la lettura e l'eventuale recensione.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Freccia e Lama ***


Locksley


Freccia e Lama

Locksley.
Laddove l'attività di panettiere non avesse entusiasmato abbastanza le nuove generazioni di uomini e donne di Locksley, il villaggio aveva una divertente ed istruttiva alternativa da offrire. Tuck ed il suo orto, infatti, erano diventati il passatempo preferito dai più giovani: il frate era riuscito non soltanto a reperire i semi dei molti ortaggi che aveva imparato a coltivare anni addietro, ma anche ad attirare l'attenzione dei ragazzini mostrando loro le magie della Natura, come da un seme con le dovute cure sarebbe spuntata una piantina prima o poi. Così, mentre gli adulti, già istruiti a quel tipo di lavoro, raccoglievano i frutti dell'idea del frate, si prendevano cura del terreno e commercializzavano il cibo, Tuck insegnava ai piccoli come preparare la terra e trattare i semi. Alcuni di loro si erano appassionati a quell'attività al punto che pure il fazzoletto dietro la loro abitazione era buono per far pratica.
«Tuck! Tuck!», urlò il piccolo Rolf correndo per tutto il campo alla ricerca del frate per mostrargli ciò che era riuscito a coltivare grazie ai suoi insegnamenti.
Scene come questa si ripetevano ogni giorno, più volte al giorno, e tutti gli abitanti di Lockley che si rivolgevano a Fra Tuck ricevevano sempre in cambio un sorriso ed un ringraziamento spontaneo da quell'uomo di colore tanto alto quanto pieno di voglia di vivere, fede e speranza nel futuro.

Robin e Archer, dal canto loro, reclutavano giovani arcieri.
Nessuno, né i due fratelli né gli altri della banda di ex fuorilegge, si augurava nuovi scontri, ma farsi trovare impreparati nell'eventualità di un pericolo imminente sarebbe stato un errore così sciocco ed imperdonabile che Robin voleva correre ai ripari e giocare d'anticipo. Inoltre istruire uomini e donne all'arte del tiro con l'arco offriva anche la preziosa possibilità di organizzare una gara per animare qualche festa, motivare i giovani e divertire gli abitanti del villaggio.
Tra gli altri, anche Kaelee aveva iniziato a prendere lezioni, ma sembrava che arco e frecce non fossero il suo forte.

Non trascorreva giorno, comunque, che gli uomini di Robin Hood non si infilassero nella foresta per tenere sotto controllo la situazione: il ritorno di Re Riccardo non aveva estirpato cattiveria e avidità nei cuori di tutti gli inglesi, perciò a volte capitava che un gruppo di persone passasse da Sherwood con l'intento di saccheggiare i villaggi a portata di mano pur consapevoli della concreda eventualità di imbattersi nella nota banda che proteggeva da anni Sherwood e dintorni.
Essere stati costretti a vivere nascosti nella foresta per lungo tempo dava agli uomini di Robin un netto vantaggio in quanto non esisteva angolo di quella grande e bellissima foresta che i fuorilegge non conoscessero, non un punto in cui non si fossero appostati almeno una volta per tendere un'imboscata, non un cantuccio che non avesse giocato un ruolo importante per la salvezza di uno o più della banda. Sherwood era letteralmente parte della banda, sua silenziosa complice.
A capo delle piccole spedizioni programmate, molto spesso c'erano Much e Little John i quali si portavano dietro tre o quattro uomini per volta e insegnavano loro i segreti della foresta, invitandoli a non averne paura, a non temerla e a rispettarla.
In tutto ciò Much approfittava anche per cacciare animali di piccola taglia e preparare i suoi ormai celebri manicaretti.

La tranquillità che Locksley viveva dopo gli anni trascorsi nel terrore era una novità molto gradita e dal momento che tutti, nel villaggio, nutrivano grande rispetto per Robin Hood nessuno sognava anche solo lontanamente di venir meno alle poche ma efficaci regole che tenevano in piedi la comunità e consentivano a chiunque una vita tranquilla e dignitosa. Il lavoro non mancava grazie alle qualità dei molti artigiani, senza contare che parecchi si stavano dando da fare per ricostruire Nottingham; Locksley era in buoni rapporti con i villaggi vicini e questo consentiva scambi commerciali molto utili; la foresta ed il fiume offrivano carne e pesce sempre freschi e questo aveva consentito la nascita di altre attività all'interno del villaggio. Certo i nobili non mancavano nelle terre vicine, ma l'assenza di uno Sceriffo avido di denaro aveva ridimensionato molto le pretese dei ricchi e aveva impedito loro di sfruttare i meno abbienti.
Quel clima sereno aveva dato un nuovo volto a Locksley e ai suoi abitanti.

Kaelee, dopo quel pranzo a casa di Kate, aveva rivisto Guy soltanto di sfuggita.
Non era ancora riuscita a capire se quella specie di malinconia che provava dipendesse da questo, ovvero se le dispiacesse non aver rivisto quell'uomo, oppure no e nel caso in cui la risposta fosse positiva, la ragazza si domandava perché mai dovesse lasciarsi prendere da simili sensazioni dato che lo conosceva appena quell'uomo. Era evidentemente confusa e se da un lato credeva che parlarne con qualcuno potesse essere una soluzione, dall'altro non se la sentiva di parlarne con nessuno, men che meno con Kate che aveva problemi sentimentali ben più grossi dei suoi. Ammesso che davvero quella fosse la natura dei turbamenti di Kaelee.
Anche se le donne di Locksley erano per la maggior parte molto socievoli, l'unica con cui Kaelee fosse riuscita a instaurare un buon rapporto era proprio Kate: insieme a lei trascorreva il tempo libero, teneva in ordine la casa e svolgeva molte attività. Kate aveva perfino la forza di spronarla a non demoralizzarsi se il tiro con l'arco non andava come sperava. Kaelee si era resa conto fin da subito che Kate era una donna speciale e insieme a lei si divertiva tantissimo, come non le era mai capitato prima del suo arrivo a Locksley.
L'unica amica che Kaelee avesse mai avuto, infatti, era morta per una grave malattia quando entrambe avevano undici anni e da allora Kaelee non era più riuscita ad avere un rapporto di quel tipo con le ragazze del suo villaggio d'origine. Poi era piombata Kate nella sua vita rimettendo inconsciamente in moto molte cose. C'era un'affinità di fondo tra loro e questo aveva fatto sì che Kate ricoprisse per Kaelee un ruolo molto simile a quello di un'amica.
Le due, però, non avevano ancora mai affrontato l'argomento Guy di Gisborne, né Kaelee aveva il coraggio di fermare spudoratamente lui per strada e parlargli. "E di cosa poi?", si chiedeva tutte le volte che ci pensava su. Perciò l'uomo animava soltanto i pensieri di lei.
In compenso aveva qualcun altro sempre intorno ad animarle le giornate.
«Mi stai di nuovo seguendo Allan?», disse Kaelee dirigendosi al pozzo per prendere dell'acqua. Stava imparando a creare dei bellissimi vasi grazie agli insegnamenti della madre di Kate e quello era anche un ottimo modo per socializzare con sue coetanee e non.
«Chi? Io? Ma che dici?», si difese lui. «Passavo di qui per caso!».
Questo fantomatico caso voleva spesso che Allan apparisse esattamente dove si trovava Kaelee: quando aiutava Tuck con la semina e la raccolta, quando raggiungeva Archer per assistere alle magie dell'alchimia, quando intrecciava cestini con le spighe insieme alle donne più anziane.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, gli chiese se fosse impegnato in qualche attività e saputo che era libero lo invitò a seguirla.
«Abbiamo un mucchio di vasi da decorare, sai?», precisò lasciando che portasse lui il secchio colmo d'acqua.
Il ragazzo mosse qualche debole protesta e pretese di difendere la sua virilità stando quanto più possibile lontano dai colori, ma bastò la risata di Kaelee a fargli cambiare idea.
Kaelee non aveva mai avuto un ragazzo e non si era mai innamorata, ma aveva un sesto senso per queste cose e già prima che Kate iniziasse a scherzarci sopra quando erano da sole in casa, aveva intuito che Allan non la raccontava giusta.

Trascorrevano così, alle volte velocemente e altre in modo più lento, le giornate di Kaelee a Locksley.
Di tanto in tanto sentiva la mancanza della sua famiglia, di un componente in particolare in verità, ma ogni volta che ripensava al destino che le sarebbe toccato se fosse rimasta a Edwinstowe la nostalgia svaniva. La sua convinzione che trasferirsi a Locksley fosse stata la cosa migliore che avesse fatto in tutta la sua vita, invece, non vacillava mai.
Capitava ogni tanto che, terminato l'allenamento con Robin, Archer e gli altri del villaggio, prolungasse l'esercizio per conto suo se Kate era impegnata in altre attività e fu esattamente questa sua voglia di impegnarsi ed imparare a regalare a Kaelee un secondo incontro con Guy.
La donna aveva raggiunto a cavallo un posto nella foresta, non troppo lontano dal villaggio e non troppo all'interno di Sherwood, e scelto il tronco di un albero come bersaglio per far pratica nella speranza di poter migliorare.
Tutte le volte, a fine allenamento si ritrovava a sfiorare una freccia con le dita e a chiedersi quale misteriosa forza faceva sì che le frecce scoccate da Robin e Archer andassero a segno, quella stessa forza che non assisteva invece lei e faceva cadere miseramente a terra ogni freccia prima ancora di farla partire. Si sentiva frustrata, tanto più perché non c'era stato alcun passo in avanti da quando aveva iniziato.
In aggiunta, poi c'era un episodio in particolare che la demoralizzava ulteriormente: uno degli artigiani di Loksley, infatti, le aveva regalato un arco in segno di ringraziamento per aver ritrovato la loro bambina che si era persa. In realtà era stato un vero colpo di fortuna imbattersi in lei sul limitare della foresta, a nord del villaggio, ma nonostante questo quel buon uomo le aveva comunque donato quell'arco e non riuscire ad utilizzarlo degnamente equivaleva, per Kaelee, a non apprezzato il prezioso dono dell'artigiano.
Nonostante tutti gli intoppi, comunque la ragazza non era intenzionata a lasciar perdere e, con la determinazione che la caratterizzava da sempre, sollevò l'arco e posizionò la freccia. Tese la corda e si preparò al lancio.
«Mi arrendo!», esclamò affranta quando vide la freccia crollare molle davanti ai suoi piedi.
Presa com'era dai propri insuccessi non si accorse del suono di zoccoli sul terreno finché un uomo a cavallo si fermò non molto lontano da lei, scese dal suo destriero e le si avvicinò rivelandole la sua identità. Si trattava di Guy di Gisborne e con ogni probabilità stava rientrando a Locklsey dopo una perlustrazione.
«Serve aiuto?», chiese serio. «Non è prudente aggirarsi da sola nella foresta», aggiunse con un disappunto che stupì entrambi.
Lei gli rivolse un mezzo sorriso, sperando che l'imbarazzo e la confusione che aveva provato nel riconoscerlo non fosse troppo evidente, e gli mostrò l'arco. «Tentavo inutilmente di far funzionare quest'arma», spiegò.
Guy le si fece più vicino.
«È un bell'arco», commentò sfiorandone con un tocco delicato il legno.
«Ve lo cedo volentieri», rispose lei, senza pensarci su. La consapevolezza di essere completamente sola con quell'uomo, lontana dal villaggio abbastanza perché nessuno potesse sentire eventuali grida, la assalì, ma non era paura. Si rese conto che il fascino esercitato da quella figura imponente aveva annientato in lei ogni altro sentimento.
«Vi darò una mano se accetterete di darmi del tu». Raccolse la freccia intanto e si spostò dietro di lei intanto.
Kaelee si limitò ad annuire. Improvvisamente pensò che arrendersi non fosse più l'unica soluzione valida per evitare di essere un peso per Robin e Archer ed esimersi da eventuali umiliazioni future da parte di chi al contrario di lei riusciva a migliorare e che, in fin dei conti, avrebbe potuto continuare a provare e riprovare. Soprattutto con il supporto di Guy.

Guy sapeva tirare con l'arco, anche se preferiva la spada, perciò non fu difficile per lui guidare le braccia e le mani della donna nel modo più corretto, tanto più perché la sua istintività gli aveva consentito di arginare l'impaccio di una situazione improvvisamente intima.
Insieme tesero l'arco.
«Ancora un po'», mormorò alle sue spalle a voce molto bassa, quasi che non volesse alterare l'aria attorno alla loro figura e all'arco.

Il soffio che Kaelee avvertì tra i capelli le scatenò un piacevolissimo brivido. Era vergognosamente bassa in confronto a lui e forse anche parecchio più giovane, ma in quel momento ogni cosa passava in secondo piano. C'erano soltanto lei e Guy. Le mani di lui sulle proprie.
La forza dei suoi muscoli in contrasto con la propria femminilità.
«Adesso!», disse Guy lasciando andare la freccia.
E la freccia volò, dritta nel tronco.
Anche qualcos'altro aveva preso il volo nel frattempo. Qualcosa che gli occhi non potevano vedere, né le mani toccare. Qualcosa che martellava costantemente nel petto di entrambi.
Se fosse per il successo appena conseguito o per la presenza di Guy, Kaelee non lo sapeva con assoluta certezza.
Se fosse per l'aiuto che aveva offerto a Kaelee o per il meraviglioso sorriso di quest'ultima, Guy non riusciva a determinarlo senza margine di errore.
«Di nuovo!», esclamò lei, recuperando l'antica determinazione.
Da questo momento in poi, Guy e Kaelee, si esercitarono insieme tutti i giorni e fu inevitabile creare un legame.

Foresta di Sherwood.
A Kaelee piaceva molto andare a cavallo, così non le dispiacque affatto dover cavalcare per un quarto d'ora buono prima di raggiungere il luogo in cui lei e Gisborne tiravano con l'arco. Più che altro, in verità, era lui che tirava: tutte le volte che ci provava da sola, o la freccia non partiva o non raggiungeva comunque l'obiettivo.
"Guy è un uomo di infinita pazienza", pensò raggiungendo il piccolo spiazzo erboso.
Gisborne non era ancora arrivato, così decise di godersi il silenzio e la meraviglia della Natura.
La luce che filtrava dagli alberi assumeva, a seconda dell'angolazione da cui la si osservava, sfumature dorate o verdi creando un'ambientazione molto suggestiva. Se ci si concentrava su un raggio di sole si potevano vedere infinite particelle danzare in modo così armonioso da far credere che ci fosse qualcuno a muoverle e la terra bagnata da quella luce si colorava di un marrone intenso, pieno, incantevole. Kaelee si perse in se stessa e nell'adorazione di quel posto, l'arco appuntato a terra e sorretto dalla mano destra.

Invogliato dalla bella giornata e dal bisogno di godersi quanto più possibile l'aria aperta dopo aver trascorso settimane a riposo, Guy decise di farsela a piedi quel giorno, convinto che se anche avesse ritardato un po' al consueto e piacevole appuntamento Kaelee non se la sarebbe presa.
Gisborne ne vide la sagoma e la riconobbe senza indugio: era tutta minuta, ma non per questo sgraziata. Si avvicinò a lei in totale silenzio, accompagnato soltanto dal rumore dei propri passi, certo che Kaelee si sarebbe voltata da un momento all'altro per salutarlo. E invece dovette constatare che la donna non l'aveva sentito arrivare e quando il fruscio delle foglie mosse dal proprio incedere raggiunse le orecchie di lei era già troppo tardi: se fosse stato un aggressore l'avrebbe immobilizzata e probabilmente uccisa senza difficoltà.
Guy non intendeva spaventarla, ma evidentemente era riuscito a coglierla di sorpresa scatenando in lei una reazione del tutto inaspettata. Nonostante l'evidente svantaggio in un'ipotesi di affressione, l'istinto doveva averle suggerito di impugnare l'unica arma di cui disponeva. Con una prontezza di riflessi che fino a quel momento Kaelee non aveva mai manifestato, Guy la vide ruotare su se stessa e utilizzare l'arco contro di lui che si scansò prontamente.
I due si guardarono per qualche istante, sorpresi ognuno per motivi differenti.
«Mi dispiace!», esclamò lei lasciando cadere l'arco, mortificata. «Non ti ho sentito arrivare e mi sono spaventata», aggiunse portandosi entrambe le mani alla bocca, mostrando lo sconvolgimento che la invadeva.
Guy scosse il capo, le sorrise e si scusò a sua volta per non essersi annunciato. «È una fortuna che tu e le frecce non andiate d'accordo», scherzò.

Al solo pensiero che se avesse avuto dimestichezza con l'arco avrebbe potuto scagliargli contro una freccia e ferirlo, Kaelee si sentì male ed ebbe l'impulso di fuggire lontano da lì per nascondersi in qualche posto buio fino alla fine dei propri giorni. Esagerava e lo sapeva anche lei, ma non poteva fare a meno del suo lato comicamente melodrammatico. Qualcosa, però, forse il terrore o forse il fatto che Guy la stesse guardando, la trattenne esattamente dove si trovava.

Gisborne si accorse del turbamento della ragazza e cercò un modo per rassicurarla. Gli occhi di lei erano di un intenso e inusuale color caramello, profondi quanto bastava a crear confusione nei pensieri di un uomo, ma altrettanto cristallini da rivelare ogni sentimento provato. Guy la trovò bella nel suo sconvolgimento e desiderò di poterle sfiorare le spalle, di poterla avvicinare a sé e stringerla in un abbraccio. Si chiese però se non sarebbe stato un gesto avventato il suo, quindi esitò e si lasciò prendere dai mille dubbi scatenati dai suoi stessi impulsi.
«Una vera fortuna», commentò lei con un filo di voce. «Forse dovremmo smettere», aggiunse abbassando lo sguardo.
A quel punto Guy non riuscì a resistere all'impulso, si avvicinò, le sfiorò le mani e la invitò dolcemente a guardarlo.
La vide arrossire lievemente a quel contatto e a quella vicinanza improvvisa, inaspettata.
«Ho visto come hai brandito quell'arco», mormorò Guy. «Come se fosse una spada», precisò.
Lo sguardo sconcertato di Kaelee, fisso ora nei suoi occhi, ora sulle sue labbra mentre lui parlava, irrigidì Gisborne. Non era neanche certo che lo stesse davvero ascoltando tanto smarrita era l'espressione di lei. "Adorabile", si ritrovò a pensare l'uomo.
Gisborne credette di aver urtato in qualche modo la sensibilità della donna, perché in fin dei conti non aveva poi tanta esperienza con le donne, così pensò di rimediare allontanandosi delicatamente da lei, facendolo sembrare un gesto spontaneo. Per distrarsi dalla pessima figura che credeva di aver fatto e tirarsi fuori da quell'imbarazzante situazione, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa di assimilabile ad una spada, entusiasmato dalla rivelazione, e individuando dei rami nelle immediate vicinanze corse a prenderne due.
«Ecco. Proviamo con questi».

La posa che l'uomo assunse impugnando il ramo scatenò un putiferio nell'animo di Kaelee, come se già l'inatteso contatto non avesse minacciato seriamente la sua stabilità mentale. Guy apparve ai suoi occhi come l'essere umano più bello, forte, imponente e perfetto che avesse mai visto. Per un attimo immaginò la stretta delle sue braccia vigorose, il calore del suo respiro tra i capelli, le sue labbra così vicine al viso. "Perché quando ho detto che sarebbe bene smettere lui semplicemente non ha smesso? Cosa devo fare adesso?", si domandò Kaelee, più confusa che mai. "Quanto vorrei che Kate fosse qui! Devo prenderlo oppure no quel ramo? Cosa si aspetta che faccia?".
«Kaelee? È tutto a posto?», si informò Guy abbandonando la posa da spadaccino e muovendo alcuni passi in direzione della giovane donna.
«Come? Sì! Sì, certo!», si affrettò lei a rispondergli gesticolando senza una ragione particolare. «Cosa devo farci con questo?», chiese poi, mostrando il ramo che aveva deciso di afferrare.
Sentiva di non poter continuare così.
"Mi ha soltanto sfiorato le dita ed io non capisco più nulla. Ma cosa mi succede?", pensò.
«D'accordo», disse lui. «Ma se qualcosa non andasse me lo diresti, non è vero?», aggiunse con un velo di incertezza negli occhi chiari.
Kaelee aggrottò le sopracciglia a quell'improvvisa confidenza, senza riuscire ad interpretare il reale senso di quelle parole. Cosa le stava chiedendo esattamente? Come poteva Kaelee dirgli cosa le stesse succedendo se neanche lei lo sapeva con esattezza? Come poteva assicurargli che nulla stesse andando nella direzione sbagliata se neanche aveva idea di quale fosse la direzione sbagliata? "Forse sto travisando tutto... In ogni caso devo rispondergli o penserà definitivamente che sono stupida. Ma cosa gli dico?". Ricordò in quel momento di avere in mano il pezzo di legno. Lo strinse e cercò di imitare la posizione che Guy aveva assunto solo qualche minuto prima. "Quella posa...", pensò senza controllo.
«Era così?», chiese Kaelee sperando di aver evitato così di rispondere alla domanda di Gisborne.

La leggerezza con cui la ragazza si mise in guardia, con il ramo stretto nella mano destra, provocò in Guy sensazioni contrastanti. La parte guerriera di lui lo spingeva ad impugnare a sua volta il ramo e iniziare un duello; la parte umana di lui era invece concentrata sulle linee femminili di Kaelee. Il viso privo di qualsiasi imperfezione tradiva un'età molto giovane, probabilmente fin troppo giovane per lui; la ciocca di capelli scuri che ricadeva sulla spalla finiva col disegnare la sagoma di un seno piccolo ma perfetto sotto gli abiti leggeri; la candida mano che tremando faceva vibrare impercettibilmente il ramo suscitò in lui tenerezza.

La foresta ci metteva del suo inondando ogni cosa con quella luce straordinaria, illuminando i dettagli più belli di quel luogo e delle due persone che in quel momento lo animavano. Tra i capelli di lei si accesero intense sfumature di un castano tendente al rosso mentre gli occhi di lui si facevano ancora più chiari e splendenti.
Riuscendo ad avere la meglio sulla propria confusione si mise in guardia anche lui e intraprese una lenta danza circolare.
Lei lo imitò.
Gli sguardi incatenati.
Il cuore in corsa.
La pelle infuocata sotto i vestiti.
Giravano in tondo, come due avversari intenti a studiare il rispettivo atteggiamento in attesa del momento migliore per compiere la prima mossa.
Lo sguardo di lui cambiò e Kaelee poté scorgervi come un'ombra, un'oscura tenebra che rendeva Guy ancora più attraente.
Seguendo soltanto l'istinto Kaelee si piegò di più sulle ginocchia, pronta ad attaccare.
Guy registrò il movimento e si preparò a scartare.
La concentrazione di Kaelee vacillava. Più lo guardava, più desiderava che lui le rivelasse ogni cosa di sé. Più si rendeva conto dei propri desideri, più ne aveva timore.
Il modo in cui Kaelee si muoveva indicava un talento naturale per quel tipo di arma: altro che frecce, era una donna da lama lei.
Questo non faceva che solleticare i suoi istinti di uomo.
"Ora o mai più", si disse Kaelee lanciandosi verso Gisborne.
Lui si spostò poco prima che lei lo toccasse con il ramo. Saltò a destra e riprese il movimento circolare di poco prima senza smettere di tenerla d'occhio.
Lei quasi perse l'equilibrio nello slancio. Per pochi attimi, che in un incontro reale le sarebbero stati fatali, Guy non fu nel suo campo visivo e lei capì che doveva tornare a seguirne ogni singolo passo; quando lo vide danzare in tondo fece altrettanto.
Andarono avanti così per una buona mezz'ora: tutte le volte che lei attaccava, lui la schivava con un'abilità incredibile.
Kaelee iniziava a dare segni di stanchezza e Guy ne approfittò. Si scagliò contro di lei dosando la forza, la disarmò senza la minima difficoltà e la intrappolò tra le braccia, con il ramo vicino alla gola come fosse davvero la lama di una spada.
La ragazza rimase sbalordita alla velocità dei movimenti di lui.
«Mi hai presa in giro», commentò con il fiatone. «Mi hai fatto credere di poterti attaccare sul serio».
Lui rise senza lasciare la presa su di lei. In compenso abbandonò il ramo.
«È andata molto meglio che con l'arco però», commentò dichiarandosi poi disponibile ad insegnarle i segreti di quell'arte se era interessata ad apprenderli.
"Se accetto cosa succederà tra noi? Questa confusione non farà altro che aumentare e prima o poi crollerò... Ma sono davvero così forte da rinunciare volontariamente alla possibilità di contatti come questo?", si chiese. Intanto, istintivamente portò una mano sull'avambraccio di Guy, all'altezza delle proprie spalle.
«Credo che ne approfitterò», rispose in un sussurro.
«Sarà un piacere», mormorò lui con un sorriso sulle labbra sottili.
Restarono in quella posa - lui dietro di lei, la testa di lei quasi a sfiorargli il collo, le labbra di lui vicinissime ai capelli di lei, le spalle di lei contro il petto ampio di lui - non più di un paio di minuti prima di decidere che sarebbe stato meglio rientrare.
Kaelee constatò con un filo di soddisfazione che Guy non era arrivato a cavallo, ma non ebbe il coraggio di domandarsi perché se ne fosse resa conto soltanto in quel momento.
«Ti offro un passaggio, in fin dei conti sono in debito con te», azzardò Kaelee montando a cavallo.
Vide Guy osservarla interdetto, probabilmente non tanto per l'invito ma per la situazione in sé.
«Ti aspettavi forse che ti avrei fatto condurre la cavalcata dopo che mi hai disarmata in quel modo?», scherzò lei intuendone i pensieri. Incredibile quanto si sentisse leggera dopo tutte quelle forti emozioni, leggera dopo quell'accenno di abbraccio, leggera sebbene con il cuore ancora in corsa.
Gisborne le sorrise, accettò le sue condizioni e dopo essersi messo in spalla l'arco di lei, montò a cavallo e cinse con dolcezza e decisione la vita sottile della ragazza.
Entrambi ebbero un brivido.







N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 27/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Ringrazio, come sempre, chiunque di voi si sia fermato a leggere ed eventualmente recensire.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Fantasmi del Passato ***


Leggere


Fantasmi del Passato

Casa di Kate, Locksley.
Allan le stava insegnando a leggere - in verità lo insegnava a chiunque avesse voglia di imparare - e in via del tutto eccezionale le aveva lasciato in prestito un libro. Più precisamente era una raccolta di canti popolari, aveva spiegato Allan a Kaelee, aggiungendo non sensa una certa spavalderia di essere menzionato anche lui lì dentro, dopo Robin, ma soltanto perché lui era il capo. Kaelee non gli aveva creduto neanche per un secondo, ma aveva preso comunque il libro, troppo curiosa e desiderosa di far pratica per farsi scappare quell'occasione anche se questo contemplava che lei ed Allan si vedessero ancora per ulteriori lezioni. Non aveva approvato, infatti, l'aria soddisfatta dell'uomo nell'attimo in cui lei lo aveva ringraziato dandogli appuntamento per la settimana successiva, ma non poteva neanche negare che in fin dei conti Allan le stesse simpatico.
Era un amico molto simpatico, in effetti, e aveva trovato il modo per meritarsi l'attenzione di lei.
Kaelee aveva sempre dato non pochi problemi alla sua famiglia, quando viveva a Edwinstowe con loro. In un'epoca in cui le donne del popolo non avevano libero accesso alla cultura, in un'epoca in cui alle donne spettava soltanto il compito di governare la casa e dare figli - possibilmente maschi - a un marito che spesso non amavano, Kaelee era un fastidioso e pericoloso problema, nonché fonte di disonore per la famiglia di appartenenza. Il suo desiderio più grande era sempre stato quello di imparare a leggere e scrivere, fermamente convinta dell'utilità di entrambe le discipline. "Sono due porte che se le apri ti svelano i segreti del mondo", diceva sempre a tavola, nel tentativo di convincere i genitori che qualcosa in quelle assurde regole non andava. "Due porte che ti condurranno all'inferno!", le aveva duramente risposto una volta sua madre, guardandola quasi con disprezzo. Kaelee non le dava mai la soddisfazione di piangere dinanzi a lei, ma appena restava sola dava sfogo a tutte le sue lacrime.
La si poteva vedere con indosso dei pantaloni di ritorno da lunghe cavalcate solitarie nel fitto della foresta, dettagli che facevano mormorare spesso le donne del suo villaggio, le quali sostenevano - credendo di non essere udite - che Kaelee non sarebbe mai stata un buon partito per i loro figli e qualcuno credeva addirittura che fosse una strega, mentre altri dicevano che era così perché sua madre era troppo debole di carattere e lei era cresciuta in una famiglia di soli uomini dai quali aveva ereditato le pessime abitudini tutt'altro che femminili. Evidentemente non conoscevano bene sua madre.
Una delle tante sere, tutte uguali a loro stesse, Kaelee aveva visto suo fratello Aric rincasare con una risma di piccole pergamene, aveva quindi iniziato a fargli delle domande e non aveva smesso fin quando lui, esasperato, non ne aveva letto il contenuto in sua presenza. Ne era rimasta così affascinata che si era detta pronta a qualunque cosa pur di poter leggere altre storie come quella.
Poi aveva sentito i racconti su Robin Hood e aveva deciso di lasciare la sua famiglia e la sua casa per raggiungere Locksley e la speranza di un futuro diverso, migliore. Non aveva detto niente a nessuno, tranne che a uno dei suoi fratelli, quello che aveva letto per lei tante volte e che si era sempre dimostrato gentile con lei. Non era affatto certa che gli altri non l'avrebbero cercata, ma sperava che non lo facessero, che la lasciassero libera, in pace.
Infine aveva conosciuto Allan che con sommo piacere di lei non solo sapeva leggere ed era disposto ad insegnarglielo, ma possedeva anche alcuni libri contenenti storie: Kaelee non si era mai sentita più felice di così.

Era nella camera da letto che condivideva con Kate e stava provando a leggere da sola quando sentì che qualcuno entrava in casa.
Il cuore quasi le esplose nel momento in cui le si affacciò alla mente l'idea che potesse essere Guy di Gisborne.
C'era Kate al piano inferiore ed era appena andata ad aprire, come di consuetudine e come educazione voleva.
Kaelee tenne le orecchie tese nel caso in cui la visita fosse per lei, senza nemmeno comprendere davvero il perché di quell'ansia improvvisa e dell'inopportuno desiderio che a bussare fosse stato proprio Gisborne. Oppure forse era soltanto Allan che, con una scusa qualunque, voleva sedersi alla tavola della sua amica. O forse Robin, venuto a risolvere le questioni in sospeso con Kate.
Quanche istante più tardi la voce di Much fugò ogni dubbio e Kaelee sospirò di sollievo pensando che l'uomo fosse lì per un nuovo esperimento culinario e per godere della compagnia della donna che, lo sapevano perfino pecore e maiali, gli faceva battere il cuore.
Much non aveva dovuto faticare molto per conquistarsi la fiducia e l'affetto di Kaelee la quale, con una spontaneità che non riusciva ad avere con gli altri membri del gruppo ad eccezione di Kate, non provava neanche per sbaglio a mascherare i sorrisi che nascevano spontanei sulle sue labbra quando si trovava in compagnia di lui. Dal momento che Kate si confidava spesso con Kaelee parlando anche di Much, la giovane donna sapeva molte cose di lui: adorava Robin, ad esempio, e passava molto tempo con lui volendo esserci sempre se era Robin ad uscire in perlustrazione; e ancora, Much voleva così bene al suo amico fuorilegge che si era fatto da parte quando aveva capito che a Robin piaceva Kate e che a Kate piaceva Robin - questo Kate glielo aveva raccontato quando, con un leggero imbarazzo dipinto sul volto, le aveva confidato anche di aver chiesto personalmente a Much di mettere al corrente Robin del tipo di rapporto che aveva con lei, in modo che il capo della banda di fuorilegge si sentisse libero di intraprendere una relazione amorosa con lei.
Kaelee non si sentiva nella posizione di giudicare e additare Kate perché, sebbene non avesse mai provato l'amore sulla propria pelle, era convinta che dinanzi a certi sentimenti la razionalità viene istintivamente accantonata, perciò dopo averla ascoltata le aveva semplicemente sorriso. I burrascosi trascorsi sentimentali di Much avevano amplificato l'affetto di Kaelee nei suoi confronti tanto che, anche se anagraficamente e fisicamente parlando Much era un uomo in piena regola, Kaelee era solita definirlo "ragazzo-uomo" perché aveva saputo conservare uno spirito molto giovane e questo lo faceva apparire agli occhi di Kaelee un giovane ragazzo capace ancora di voler bene a qualcuno con tutto se stesso, capace di profonda lealtà e sincerità assoluta. Un gran bravo ragazzo.
Appurato quindi che la visita non era per lei, Kaelee decise di tornare alla propria occupazione non aspettandosi minimamente quello che sarebbe successo di lì a poco.
A giudicare dal profumino che dal piano inferiore raggiunse le narici di Kaelee, Much doveva essere arrivato con tutto il necessario per preparare un pranzo coi fiocchi in compagnia della bella Kate e, sempre a naso, Kaelee ipotizzò che il cuoco avesse messo sul fuoco un delizioso stufato che avrebbero consumato tutti insieme come erano soliti fare da quado Kaelee era arrivata a Locksley.
Insieme all'aroma che stuzzicava dispettosamente lo stomaco di Kaelee, arrivarono alle sue orecchie anche le risate tranquille dei suoi amici, dettaglio che la convinse a restare esattamente dov'era per evitare di interromperli e disturbarli. E poi doveva esercitarsi con la lettura e stupire Allan durante la lezione successiva: a Kaelee piaceva mettersi alla prova e trovava stimolanti le competizioni, non tanto per l'eventuale vittoria, ma per l'arricchimento personale che ne traeva.
Tutto era andato bene per una buona mezz'ora dall'arrivo di Much, poi, però, evidentemente uno dei due doveva aver toccato un argomento scomodo perché iniziarono a discutere così animatamente da preoccupare Kaelee che dal piano di sopra riusciva ad intercettare qualcosa.
Kate non aveva un carattere facile da gestire, Kaelee ne era consapevole; si arrabbiava in fretta ed era molto istintiva, ma possedeva un grande cuore e Kaelee sapeva che in fondo un po' le dispiaceva che Much potesse star male per lei.
Contro la propria volontà, la giovane donna si ritrovò ad ascoltare distintamente una parte del litigio.
«Much per favore!», gridò Kate con esasperazione nella voce.
«Kate... Non posso cambiare ciò che sento per te. Mi hai chiesto di mettermi da parte e l'ho fatto».
«Much non insistere».
Lui non le diede retta. «Per amore tuo e di Robin», aggiunse.
«Basta!», urlò Kate.
Il suo fastidio, il non voler affrontare l'argomento, dipendeva certamente, almeno in parte, dalla ferita ancora aperta, ma Kaelee pensava che Much non fosse completamente indifferente a Kate: perché infuriarsi così altrimenti?
«Ma adesso tu e Robin non siete più una coppia ed io... Vorrei solo che tu mi vedessi, Kate. Vorrei solo... che tu mi vedessi».
Il tono di Much era colmo di una tristezza che Kaelee non riusciva a sopportare.
Decise di lasciare i fogli, scendere al piano di sotto e sgattaiolare via senza farsi sentire. Non aveva però fatto i conti con il legno che decise di scricchiolare a tradimento sotto i suoi piedi. "Maledetto", pensò.
I due si voltarono immediatamente nella sua direzione, ammutolendo all'istante.
«Non badate a me. Io devo... dare una mano a Tuck!», disse, pronta a svignarsela a tutta velocità, in imbarazzo almeno quanto loro due.
L'onestà di Much, però, la trattenne. Nemmeno in un momento come quello l'uomo riuscì a venir meno all'impegno di recapitare un messaggio.
«Allan ti cercava. Mi ha detto di dirtelo se ti avessi trovata qui».
La ragazza provò l'impulso di abbracciare Much così forte, avrebbe voluto dirgli che tutto si sarebbe messo a posto, che sarebbe stato bene, che al mondo esisteva una donna che lo avrebbe amato come meritava e che era solo questione di tempo. Sapeva però che la cosa migliore da fare era lasciare che lui e Kate parlassero.
«Vorrà dire che aiuterò Tuck e poi troverò Allan. Vado!», disse in fretta. Un muto "Grazie" negli occhi.
"Grazie per essere così come sei. Grazie perché senza rendertene conto sei un esempio per tutti noi. Grazie perché ti prendi cura di Kate più di chiunque altro senza pretendere niente in cambio, senza arrabbiarti se lei ti urla contro tutte le volte", pensò.
Appena fu fuori da quella casa si rese conto che la vista le si era appannata. Aveva gli occhi colmi di lacrime.
Kaelee era una ragazza molto sensibile e, inevitabilmente, questa sensibilità aveva fatto sì che lei legasse con tutte le persone che ruotavano attorno a Robin Hood.
Robin Hood era la speranza che l'aveva indotta ad abbandonare ogni cosa.
Eppure, in quel momento, non erano le braccia di Robin che desiderava per un conforto.

Piazza del Mercato, Locksley.
Il cuore pulsante del piccolo villaggio di Locksley era la Piazza del Mercato.
Da quando Nottingham era in fase di ricostruzione, Locksley era diventata il fulcro di ogni scambio commerciale. Due volte a settimana i mercanti arrivavano per vendere la propria merce e due volte a settimana i mercanti del villaggio partivano per vendere i frutti degli artigiani e dei coltivatori di Locksley.
Era una vita semplice, che seguiva ritmi semplici, dettati per lo più dalle esigenze e dalla Natura che regolava ogni attività.
Non era giorno di mercato, ma Kaelee si diresse ugualmente in quella piazza non sapendo esattamente dove altro andare e non volendo recarsi da Tuck che certamente avrebbe letto nei suoi occhi più di quanto lei desiderasse. Per sua fortuna riuscì anche a non incontrare Allan, non tanto perché le stesse improvvisamente antipatico, quanto più perché non faticava ad immaginare la sfilza di domande che l'uomo le avrebbe rivolto vedendola in quello stato, con le lacrime agli occhi, il turbamento nell'anima e un solo quesito nel cuore: perché l'amore doveva essere così dannatamente complicato?
La sua destinazione, lo capì quando si accorse di avere il viso in fiamme, era il pozzo.
Con gesti svelti e senza badare troppo alle altre persone presenti in piazza, ma salutandole con educazione quando il caso lo richiedeva, calò il secchio, lo tirò su e si rinfrescò il volto.
Tanto bastò affinché andasse subito meglio.
Ritrovata un po' di quiete e restituito un minimo di ordine ai pensieri, decise che si sarebbe mossa da lì soltanto quando Much o Kate fossero stati visti in circolazione. Tutto ciò che non desiderava era vedere qualcuno litigare a quel modo perché la situazione le ricordava irrimediabilmente gli screzi a casa e sua madre che inveiva contro di lei per qualunque cosa, perché se avesse continuato a quel modo non avrebbe trovato mai marito e sarebbe stata il disonore di tutta la famiglia, perché i suoi moti di ribellione l'avrebbero condotta dritta alla forca e i suoi familiari avrebbero dovuto assistere ad una simile umiliazione in pubblico. Era anche da questo che era fuggita, in fin dei conti.

Collina delle Croci, Locksley.
Altro non era che un cimitero, quella collina.
Lì, però, non erano sepolti i suoi genitori.
Lì non era sepolta Marian.
Eppure Guy se ne stava seduto ad occhi chiusi tra le croci, come se stesse onorando i suoi defunti.
Era uno di quei giorni in cui non riusciva a trovare pace. Non la trovava dedicandosi ai doveri amministrativi, non la trovava aiutando una famiglia del villaggio, non la trovava scagliando la spada contro gli alberi di Sherwood, non la trovava in Chiesa e non la trovò neanche lì, sulla Collina delle Croci. Non sapeva più dove andare a cercarla questa sfuggente ed agognata pace interiore che sembrava non volerci proprio stare accanto e dentro di lui.
Lì non era sepolta nemmeno sua sorella. Né lì, né in nessun altro posto in effetti.
Almeno Isabella aveva smesso di tormentarlo. Non gli appariva più in sogno, non si prendeva più gioco di lui, non rideva di lui, non cercava più vendetta. Era come scomparsa in un nulla senza ritorno e sebbene non si possa dire che Guy abbia amato sua sorella quando era in vita, specialmente dopo la sua fuga e il conseguente arrivo a Nottingham, aveva ugualmente paura di poterla perdere per sempre, definitivamente, che il ricordo di lei svanisse dalla sua memoria.
Lo stesso accadeva tutte le volte che pensava a Marian, la donna che sopra ogni cosa aveva amato. Tanto da ucciderla mentre lei, con una cattiveria che non le apparteneva, sputava su di lui letali gocce di velenosa realtà: il suo cuore apparteneva a Robin Hood e non a lui, il suo cuore era sempre appartenuto a Robin Hood e mai a lui.
"Come puoi mancarmi così tanto, tu che mai sei stata mia?", pensò Guy con in mente gli occhi chiari di lei, la rotondità delle sue forme femminili, i lunghi capelli scuri e le labbra che poche volte aveva avuto l'onore di sfiorare con le proprie.
Al di là di quella visione di un passato ormai perduto, due gemme color caramello lo scrutavano curiose, una femminilità meno pronunciata ma altrettanto bella, un sorriso rivoltogli con disarmante spontaneità.
Kaelee di Edwinstowe.
"È davvero la speranza che ti ha condotta fino a me per fare luce sulla mia anima nera più della pece? Se solo conoscessi il mio passato fuggiresti senza indugio e perderei anche te, senza mai averti avuta...", pensò scoprendo in se stesso una nuova verità riguardo quella giovane ragazza che lo guardava come mai nessuno prima aveva fatto. Realizzò di volerla accanto a sé.
Guy pianse un pianto muto e severo circondato dalle molte croci di Locksley.

Diverse ore più tardi, Locksley.
Cinque anime, quella notte, vivevano nel tormento.
Much, che avrebbe sbagliato completamente le dosi per gli impasti del pane se Little John non vi avesse posto rimedio prontamente.
Guy, vestito di buio nel nero della notte, gli occhi puntati alla Luna, il cuore colmo di dubbi pungenti.
Kate, che raccontava alla sua coinquilina come la lite fosse finita in un bacio e come questo l'avesse gettata nel panico e nella confusione.
Allan, incapace di prendere sonno nel suo letto perché lei non l'aveva cercato.
Kaelee, che taceva il suo turbamento e ascoltava paziente la sua unica amica.

La fievole luce di due candele illuminava i volti delle due donne facendo chiarezza sulle loro angosce.
Kate sembrava aver esaurito la voglia di sfogarsi e se ne restava immobile sul letto a fissare un punto oltre Kaelee.
Il cuore di quest'ultima aveva preso a battere sempre più forte mentre il coraggio si faceva largo in quel corpo giovane ed esile.
«Non riesco a non pensare a lui», mormorò, mordendosi il labbro inferiore subito dopo.
Il rossore sulle sue guance non fu visibile a Kate, ma c'era e le colorava nel modo gentile e delicato di sempre mettendo in bella mostra tutte le sue emozioni. Kaelee detestava quella parte di sé che doveva essere sempre così a disposizione di chiunque si fermasse ad osservarla, ma sapeva di non poter fare nulla per impedire al proprio viso di prendere fuoco.
La giovane donna vide Kate risvegliarsi dal suo nulla e abbozzare un sorriso che le accese di nuovo lo sguardo. «Ti sei innamorata», disse e la sua voce era colma di dolcezza.
Kaelee sorrise di rimando. «Non saprei dirlo», confidò. «Non mi è mai accaduto prima».
«Allan è un bravo ragazzo», sussurrò Kate come se ciò che aveva appena detto fosse un segreto.
Kaelee rimase interdetta, spiazzata dal commento dell'amica. Sbatté le palpebre più volte, ritmicamente, prima di riuscire a risponderle.
«Allan? Io veramente... mi riferivo a Guy», disse infine, con una sincerità di bambina, non pensando di aver detto una cosa così orribile da scatenare la furia di Kate.
Il volto dell'amica quasi si pietrificò prima di esplodere in un'espressione di sconcerto, incredulità, disapprovazione.
«Perché? Perché tra tutti proprio lui?». Il tono ricordò a Kaelee quello di sua madre ogni volta che la rimproverava per qualcosa. «Cos'ha Allan che non va? Forse non è abbastanza per te, Kaelee?», tuonò la bionda.
Quelle parole risuonarono come un'eco inesauribile nella sua testa. Kaelee non comprendeva la ragione di tanta rabbia, non capiva perché Kate detestasse l'idea che Guy potesse piacerle.
Non sapeva ancora di essere all'oscuro di molte cose.
Sentì la prepotente esigenza di difendersi, ma non voleva litigare con Kate perciò attese qualche istante prima di rispondere.
La bionda la fissava con l'accusa nello sguardo.
«Perché Robin?», le chiese infine in un pacato sussurro. «Cos'ha Much che non va? Forse non è abbastanza per te?». Un tremolio nella voce perché sapeva che ribaltare così la situazione avrebbe potuto rivelarsi un azzardo e scatenare il finimondo definitivamente.
Ma Kate si paralizzò. Kalee sapeva quanto la bionda fosse abituata a far valere le proprie ragioni urlando, spintonando o scappando via e proprio questo l'aveva convinta a cambiare approccio con lei. Nessuno mai, inoltre, a parte Much aveva avuto la pazienza di tentare una nuova strada con lei e da Much Kaelee aveva tratto ispirazione.
Poté leggere negli occhi chiari di Kate tutto il suo sgomento derivante, probabilmente, dal fatto che la giovane donna aveva messo in luce l'ovvio di tutta quella situazione, sua e di Kaelee stessa: non si comanda ad un cuore innamorato, non si governa un cuore in corsa, non si può indurlo a ragionare.

«Kaelee... Guy è...», cominciò Kate, non troppo sicura su cosa fosse meglio fare in quella situazione. Dirle tutta la verità su Sir Guy di Gisborne oppure dare a quest'ultimo un'opportunità? L'istinto le suggeriva di mettere l'amica al corrente di ogni cosa così da fermare sul nascere quel sentimento che si sarebbe rivelato dannoso per Kaelee come lo era stato per Marian in precedenza. Pur non avendo vissuto in prima persona quelle vicende, Kate era a conoscenza di come erano andate le cose quando per diversi mesi sia lo Sceriffo che Robin e la sua banda si erano assentati da Nottingham e da Locksley per recarsi in Terra Santa.
Vide Kaelee alzarsi di scatto, evidentemente pronta a fuggire e si fermò a riflettere. "In fondo quale diritto ho io di sventolare il suo passato ai quattro venti?".
«Io ti considero un'amica... Ti chiedo solo di stare molto attenta», concluse infine sperando di non aver rovinato l'unico rapporto sereno che aveva in quel periodo della sua vita.

Una leggera sorpresa si dipinse sul giovane volto di Kaelee, la quale fu felice di ciò che Kate aveva appena detto. Senza neanche pensarci la abbracciò forte e le disse che le voleva bene, che era contenta che avessero parlato e che, sì, sarebbe stata attenta e non avrebbe fatto sciocchezze. Le disse che arrivare a Locksley e trovare un'amica come lei le aveva dato nuova forza e che non desiderava altro che vivere lì con lei e con tutte le belle persone che aveva conosciuto.
Le due si strinsero per diversi minuti, ma il cuore di Kaelee era ancora pesante, forse più pesante di prima, dopo quella conversazione. La ragazza si domandava riguardo le parole e la reazione di Kate, si chiedeva cosa potesse mai essere successo tra Kate e Guy di così terribile. Si interrogava riguardo il da farsi.
«Ho bisogno di aria fresca e di stare un po' da sola», sussurrò tra i capelli biondi di Kate. «Non andrò lontano. Solo qualche passo qui attorno, promesso».
Kate annuì e la lasciò andare.
"Guy è... Cosa? Sposato? Un poco di buono? Un violento? Troppo grande per me? Troppo in alto per me? Cosa?". Ogni domanda era come un cappio attorno al collo, un sacco sulla testa. Si sentiva soffocare.
Quindi, dopo essersi congedata pacificamente da Kate, Kaelee prese un abito idoneo e un mantello, li indossò, uscì dalla stanza, scese le scale, percorse la distanza che la separava dall'uscio e infine aprì quest'ultimo accompagnata dal battito frenetico del proprio cuore.
L'aria della notte era più fresca di quanto si aspettasse, ma i pensieri che le ronzavano nella testa come vespe impazzite le fecero dimenticare tutto il resto e senza neanche accorgersene davvero prese a camminare più di quanto avrebbe dovuto. Sapeva che non avrebbe mai dimenticato quell'assurda giornata: la lite tra Kate e Much che le aveva riportato alla mente le infinite discussioni familiari; Allan che a quanto pareva avrebbe preferito essere qualcosa di più che un semplice amico per lei; gli occhi tristi di Much; l'assenza fisica di Guy e la sua presenza costante nel cuore e nella mente; la piccola discussione con Kate, le misteriose parole di lei e la consapevolezza di aver trovato un'amica.
Kaelee sapeva che essere fuggita dal suo villaggio non significava essere salva dai problemi. Voleva soltanto dire lasciarsi alle spalle l'infelicità che l'attanagliava e relegarla al passato. La vita, Kaelee lo sapeva, sarebbe sempre stata colma di difficoltà, imprevisti, alterchi, questioni da risolvere.
Ma c'era dell'altro e il cuore martellante nel petto glielo suggeriva con una forza straordinaria. Non a caso i passi la stavano conducendo esattamente dove nel profondo del suo cuore lei voleva essere.

Guy era seduto a terra, davanti la porta della propria abitazione, e se la vedeva ancora con i fantasmi del suo passato.
La rabbia, quella che lo aveva indotto ad uccidere Marian, aveva poi lasciato il posto alla disperazione.
La disperazione al dolore.
Il dolore alla rassegnazione.
La rassegnazione al nulla.
E in quel nulla, infine, aveva fatto timidamente capolino la sottile luce della speranza.
Era iniziato tutto con Meg, la giovane donna che Isabella aveva prima salvato e poi condannato a morte, rinchiudendola nelle segrete del castello di Nottingham dove deteneva anche lui. Guy l'aveva soltanto intravista quella luce, ne aveva a malapena sentito il calore sulla pelle. Poi Meg era morta e il nulla aveva riguadagnato terreno.
Non del tutto, però. Un uomo, per la precisione il padre di Robin creduto morto molti anni prima, aveva riaperto una minuscola feritoia in quell'oscurità rivelando l'esistenza di un fratello nato dal suo amore per la madre di Guy: Archer era il suo nome e ciò che rappresentava era un punto di unione tra Robin e Guy.
Da quel preciso momento tutto ciò che Gisborne era stato lui stesso lo rinnegò divenendo fuorilegge insieme ai suoi fratelli, rischiando la morte insieme a loro.
Già solo questo gli aveva regalato un po' di quella pace interiore di cui tanto aveva bisogno.
La sottile lama di luce era a poco a poco diventata un piccolo foro, poi una frattura più grande, una piacevole pozza lucente nel bel mezzo del buio.
Doveva solo permetterle di entrare definitivamente e riscaldarlo, eppure sembrava aver perso la chiave o non trovare la serratura perché qualcosa dentro di lui lo bloccava, gli impediva di essere felice, di lasciarsi il passato alle spalle.
Oppure, forse, la chiave per la sua serratura non era ancora stata messa a punto. Così Guy era rimasto lì, in quella specie di limbo di luce e ombra, in attesa. In attesa di riprendersi da quella ferita, in attesa di poter uscire all'aria aperta, in attesa di poter andare in Chiesa a confessare ancora e ancora e ancora i suoi peccati a Tuck, in attesa di iniziare le ricerche della sua chiave. Ma alla fine era stata la chiave a trovare lui.

Era stata la chiave a trovare lui.
Kaelee era finita dinanzi alla casa di Guy e in quell'oscurità non l'aveva nemmeno visto, seduto a terra, vestito di buio nella notte.
«Che ci faccio qui?», rifletté a voce alta, spaventando Guy che saltò in piedi.
Gli ci volle un attimo a riconoscere la voce di lei. «Kaelee?», mormorò, sorpreso.
La ragazza fu a sua volta spaventata dall'imponenza di quell'ombra scura contro l'abitazione. Nero su nero. Notte nella notte.
«Guy...». Soltanto pronunciare quel nome le causò una specie di scossa alla punta delle dita, le fece annodare lo stomaco e le azzerò la salivazione.
"Non riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti sei innamorata".
"Non saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Guy le si avvicinò. «Cosa ci fai in giro in piena notte?», le domandò accarezzandole il profilo del braccio. Con dolcezza.
"Non riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti sei innamorata".
"Non saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Kaelee non aveva la minima idea di quali fossero i sentimenti di Guy per lei.
Semplicemente non riusciva a desiderare la presenza di altri in quel momento. In ogni momento, in verità.
"Non riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti sei innamorata".
Kaelee non aveva chiari neanche i propri sentimenti per lui.
"Non saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Aveva la sensazione che il braccio le andasse a fuoco.
"Ti sei innamorata".
"Forse. Sì, forse sono innamorata di lui", pensò. "Non faccio altro che immaginarlo accanto a me ogni volta che apro gli occhi a un nuovo giorno, quando preparo la colazione, quando esco per andare al mercato, quando sforno un vaso e mi accorgo di quanto mi sia venuto bene, quando vado a prendere l'acqua al pozzo, quando provo a leggere il libro di Allan, quando corro dal fabbro a chiedergli se la mia spada è pronta. Guy non ne sa nulla... O almeno spero che sia così, perché voglio fargli una sorpresa. I suoi occhi sono così belli... Perfino in questa oscurità riescono a risplendere".
I pensieri di Kaelee erano un fiume in piena. E così anche le emozioni. Incontenibili.
Il silenzio era assoluto attorno a loro, ma Kaelee aveva i timpani assordati dal battere frenetico del proprio cuore quando decise che l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento erano le braccia di Guy.
Un passo. Un altro.
La testa appoggiata al petto ampio di lui. Le palpebre abbassate. Le labbra piegate in un sorriso soddisfatto.
«Ti cercavo». La risposta più sincera e naturale che potesse dargli. "Ti cercavo. Ti ho cercato per tutto il giorno. Ti cerco da tutta la vita".
Le braccia, abbandonata la timidezza, andarono a cingergli la vita. Le mani lungo la schiena.
Il cuore non accennava a rallentare, ma a Kaelee non importava.
Guy si irrigidì, ma solo per un momento.
Capì di avere la sua chiave e decise di aprire la porta, far entrare la luce.
Abbracciò a sua volta la giovane Kaelee.
E non provò altro che gioia.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 30/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Non ricordo se quella che io ho chiamato Collina delle Croci abbia in realtà un altro nome. Si tratta di quella collina dove è sepolta la madre di Robin Hood, per intenderci. Perciò se qualcuno di voi ha una memoria migliore della mia, non esiti a scrivermi.
Per quel che riguarda la storia, be'... a voi i commenti!
Grazie a voi che vi siete fermati a leggere ed eventualmente recensire.
Alla prossima.

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Capitolo 4
*** La Pergamena ***


Aric


La Pergamena

Casa di Kaelee, Edwinstowe.
Aric era riuscito a mantenere il segreto di Kaelee non senza difficoltà e soprattutto perché in casa si erano avanzate soltanto ipotesi campate più o meno in aria. Non era un mistero, in quella casa, che lui avesse con sua sorella un rapporto speciale, un legame forte e una complicità che nessuno sembrava comprendere neanche tra gli abitanti del villaggio i quali, anzi, spesso guardavano ai due con occhio maligno o carico di una malizia che non apparteneva per niente né ad Aric, né a Kaelee. Ma si sa che in ambienti così circoscritti basta che un evento accada una volta perché tutti tendano a credere che succederà di nuovo, così soltanto perché i figli del mugnaio - che poi erano fratellastri tra loro - erano stati beccati a scambiarsi effusioni all'ombra del mulino, molti adulti vedevano rapporti incestuosi praticamente ovunque.
La verità, nel caso di Kaelee ed Aric, stava nel modo in cui quest'ultimo vedeva la sorella: i suoi moti di ribellione, il suo spirito avventuroso, i suoi occhi sinceri e spesso ricolmi di meraviglia, la sua determinazione erano tutto ciò che lui avrebbe voluto essere e che non era.
Aric era il fratello più giovane tra i maschi. Aveva, infatti, solo un anno e mezzo in più rispetto a Kaelee ed era esile quanto lei, poco portato per i lavori duri, poco portato per le arti del combattimento, ma molto incline al sapere. Gli piaceva osservare la Natura e il modo in cui essa cambiava e il susseguirsi delle stagioni e il tramontare e il sorgere del Sole e le fasi della Luna. Se ciò che la famiglia coltivava rendeva buoni frutti che consentivano di guadagnare più denaro ai Mercati era anche merito delle sue osservazioni, ma l'unica persona che gli riconosceva apertamente quel merito era Kaelee, la quale sosteneva - senza preoccuparsi dell'altrui giudizio - che Aric fosse un mago e che un giorno avrebbe fatto magie bellissime, incantando un mucchio di persone. Kaelee gli voleva bene, Aric ne era consapevole e ricambiava appieno quel sentimento. Si era infatti guadagnato l'importante ruolo di fratello che le raccontava storie, ma che non si era mai azzardato a insegnarle come leggerle - forse un po' per paura di quella madre troppo dura, forse un po' per il timore che Kaelee non lo avrebbe più considerato un mago se avesse imparato a leggere, che si sarebbe allontanata da lui una volta raggiunta l'indipendenza in quel campo.
Aric sentiva moltissimo la mancanza di Kaelee, ma non poteva e non doveva parlarne con nessuno anche se da quando lei era andata via si era sentito totalmente inutile e vuoto.
Sua madre era ogni giorno più furiosa e pretendeva che Aric e i suoi tre fratelli più grandi mettessero a ferro e fuoco tutta l'Inghilterra se necessario, voleva che la riportassero a casa e non perché avesse il desiderio di rivederla o di conoscere le motivazioni che l'avevano spinta a lasciare la casa d'origine, ma perché voleva punirla, darla in moglie ad uno del villaggio soltanto perché quest'ultimo possedeva buone terre da coltivare. In effetti nessuno della famiglia aveva preso in considerazione l'ipotesi che Kaelee fosse scomparsa, sparita, in seguito ad una disavventura o ad un rapimento, semplicemente perché non era da lei perdersi o lasciarsi prendere in ostaggio senza darle di santa ragione all'aggressore di turno.
Aric si era ripromesso che non avrebbe parlato neanche sotto tortura se qualcuno della famiglia fosse arrivato ad avere la certezza di un suo coinvolgimento nella faccenda e ogni volta che veniva accusato di sapere dove Kaelee fosse andata a finire, lui semplicemente diceva "Ci ha abbandonati, chi può biasimarla per questo?". Poi doveva correre più veloce del vento se non voleva che la madre lo colpisse con il primo oggetto a disposizione - a volte uno strofinaccio, altre qualcosa di più solido e duro.
Il padre era così impegnato nella propria occupazione da non darsi pena per la figlia scomparsa, da non voler entrare nella questione esprimendo un parere ad una moglie che non lo avrebbe minimamente preso in considerazione. 
«È scappata via da tua madre», aveva detto una volta ad Aric, «Non capisce che vorremmo farlo tutti... Va', adesso», aggiunse lasciando il ragazzo un po' sorpreso per quello slancio inaspettato.

«Che vuol dire che non l'avete trovata? Avete paura della foresta forse?», ruggì la donna un tardo pomeriggio.
Kaelee era via da oltre tre settimane e nessuno sembrava aver idea di dove fosse, il che rassicurava almeno in parte Aric, il quale naturalmente si augurava che nessuno mai la trovasse.
«L'abbiamo perduta, madre», mormorò una voce composta. Dwight, il primogenito, era l'unico capace di sostenere lo sguardo di quella che Aric riteneva un'arpia in piena regola, l'unico che avesse tanta fermezza da risponderle pur sapendo di contraddirla.
Gli occhi stretti della donna traboccavano d'ira.
«Tu forse l'hai persa, Dwight, e tu, Aric. Ma io la troverò e, Dio se la riporterò indietro!», intervenne un'altra voce. Si trattava di Rudyard, il secondogenito, che era uguale alla madre. Oppure, forse, aveva seguito la via più breve per avere una convivenza facile in quella casa: non osava mai contraddirla. Qualunque cosa lei dicesse, lui la faceva senza pensarci su due volte e trovava sempre il modo di compiacerla a parole e con i fatti. Finché era stato un bambino, questo atteggiamento l'aveva solo portato a ritenersi libero di fare il prepotente con i suoi fratelli e con sua sorella, ma a lungo andare Rudyard aveva sviluppato cattiveria pura e un'indole violenta.
In molti nel villaggio lo temevano per questo e gli portavano rispetto per lo stesso motivo.
Immediatamente lo sguardo della madre si mitigò alle parole del prediletto, illuminandosi di tutta l'ammirazione che nutriva per quel figlio tiranno.
Aric conosceva abbastanza bene Rudyard da sapere che non si sarebbe fermato finché non l'avesse trovata e sapeva anche che, prima o poi, l'avrebbe trovata e non avrebbe esitato neanche un secondo: senza alcuna pietà l'avrebbe riportata a casa e data in pasto prima a sua madre e poi a quell'uomo che possedeva terre e che aveva sembre guardato Kaelee con una bramosia disgustosa.
Aric sapeva, infine, anche cosa fare ma non aveva il coraggio di cavalcare non visto fino a Locksley per avvisare Kaelee di persona.
Però, forse, aveva un'idea che avrebbe potuto funzionare.


Locksley.
Kaelee era passata dal fabbro e correva con la sua spada ben custodita nel fodero appeso alla cintura, irradiando attorno a sé tutta la felicità che provava. Finalmente la spada che aveva commissionato al fabbro e che aveva pagato mettendo da parte ciò che guadagnava era pronta. Correva a perdifiato alla ricerca di Guy per metterlo al corrente della novità e correva così veloce che la sua veste si sollevava come se ci fosse vento o come se la ragazza stesse per spiccare il volo.
L'idea che i due si sarebbero finalmente allenati con spade vere, la entusiasmava oltre ogni dire perché sentiva che d'ora in poi si sarebbe impegnata in allenamenti seri in cui ogni piccola distrazione sarebbe stata estremamente pericolosa. Anziché spaventarla, come era giusto che accadesse, questa eventualità la stimolava a dare il massimo perciò non vedeva l'ora di condividere il tutto con il suo istruttore. Non che Guy non facesse sul serio anche con i rami comunque dato che alla fine di ogni allenamento Kaelee si ritrovava senza forze e dolorante in ogni parte del corpo.
Quando Kaelee era andata da Robin per dirgli che non avrebbe più seguito le lezioni di tiro con l'arco perché aveva scoperto di essere più incline a maneggiare una spada, lui non si era per nulla offeso, ma aveva voluto seguire un paio di esercitazioni sostenendo di essere molto curioso in merito alle dinamiche. Se Kaelee aveva capito bene, Robin non riusciva comprendere come una creatura tanto esile sarebbe riuscita a cavarsela contro un uomo della stazza di Guy di Gisborne. Inoltre aveva precisato di voler essere assolutamente certo che i due non si facessero male, così sia Kaelee che Guy avevano acconsentito. Certo la presenza di Robin quella volta era stata fonte di distrazione per la ragazza, che istintivamente aveva ceduto alla tentazione di gettare un occhio in direzione del fuorilegge per intuirne i pensieri e le sensazioni. Secondo quanto Robin stesso aveva comunicato loro ad esercitazione conclusa, il capo della banda era rimasto parecchio colpito dalla leggerezza con cui quella giovane donna si spostava nello spazio e benché fosse ancora - letteralmente - alle prime armi, riteneva che avesse un potenziale enorme ed era certo che Gisborne ci avrebbe lavorato su al meglio, perciò aveva dato via libera a suo fratello.
Kaelee correva veloce come il vento, ma scorgendo Robin che passava accanto al pozzo non poté non chiamarlo a gran voce.
«Robin! Robin! Ti devo mostrare una cosa!», esclamò con voce ricolma di gioia allo stato puro, sentendosi come una bambina alle prese con un'enorme varietà di dolciumi tutti per lei.
«Attenta, che se corri così veloce prendi il volo», aveva scherzato lui.
«Il problema, poi, sarebbe non impigliarmi da qualche parte nella foresta di Sherwood», rispose prontamente Kaelee, con il sorriso sulle labbra, per nulla offesa dalla confidenza di Robin.
Lui le piaceva. Non nel senso fisico o sentimentale del termine, le piaceva come persona. Adorava il modo in cui sorrideva alla gente, il modo in cui tirava su il morale a tutti, il modo in cui infondeva positività in tutta Locksley. Tuttavia Robin Hood era diverso da come se l'era immaginato: basandosi sui racconti dei suoi fratelli l'aveva creduto più alto e muscoloso, con i capelli un po' più lunghi e la barba leggermente diversa, ma l'aspetto estetico in fin dei conti non contava poi molto perché Robin Hood era, caratterialmente parlando, esattamente come aveva pensato che dovesse essere. Intelligente, buono e spericolato abbastanza da non avere paura di morire per una giusta causa.
«Farai bene ad esserci ai prossimi allenamenti», proseguì, «Ho una spada adesso. Una spada vera!». La sua gioia era incontenibile.
Robin le promise che ci sarebbe stato e lei lo ringraziò mentre già correva via, verso il suo reale obiettivo, sfiorandosi di tanto in tanto il fodero della lama per essere certa che non fosse tutto frutto della sua immaginazione, che non fosse un sogno.
Tutti i suoi fratelli, eccetto uno, sapevano maneggiare un'arma, cosa che a lei non era mai stato concesso di imparare a fare - come molte altre attività in effetti. A parte non far bruciare i pasti preparati da sua madre, tenere pulita la casa e piantare verdure non ricordava di aver appreso altro dalla sua famiglia, perciò per la prima volta in tutta la sua vita sentiva di avere davvero qualità utili al prossimo, qualità che l'avrebbero resa forte, sicura di sé e libera perché, da quel momento in poi, se qualcuno avesse cercato di farle del male lei avrebbe saputo difendersi. Nessuno avrebbe potuto più costringerla a fare qualcosa che non voleva.
Trovò Guy che si occupava di alcuni cavalli, non lontano dalla Piazza del Mercato, lo salutò con la mano e attese che fosse libero prima di avvicinarsi e rivolgergli la parola.
Dopo l'abbraccio di quella notte, Kaelee e Guy si erano visti ogni giorno e non soltanto per gli allenamenti o per alcune mansioni. Avevano preso l'abitudine di passeggiare insieme nella foresta di Sherwood appena avevano un momento libero, ma anche le strade del villaggio andavano bene se il tempo a disposizione era poco. Camminavano, immersi nella natura o tra la vita degli abitanti di Locksley, e parlavano solo di cose belle, di quanto fosse verde l'erba e profumati i fiori, caldo il sole e affascinante e misteriosa la foresta. Avevano parlato del canto degli uccelli una volta, delle proprietà mediche di alcune erbe un'altra: Gisborne non perdeva mai occasione per raccontarle tutto ciò che della vita conosceva, perfino la differenza tra una lama forgiata bene ed una che non avrebbe mai reso un buon servizio in un duello.
La sensazione che pervadeva Kaelee da capo a piedi era di benessere generale quando era in compagnia di Guy e il fatto che raramente smetteva di sorriderle le faceva credere che anche lui fosse felice di poter trascorrere del tempo insieme.
Kaelee vide Guy finire diligentemente, senza fretta, di prendersi cura di quel cavallo, poi lo vide parlare con uno dei tre ragazzi che erano con lui e infine allontanarsi in direzione di lei.
Il suo sorriso illuminò ogni cosa agli occhi della ragazza.
Non si erano più abbracciati da quella volta, né si erano mai presi per mano, ma a lei andava bene così: del resto le bastava averlo intorno per sentirsi la persona più fortunata di tutta l'Inghilterra. La cosa che lei riteneva la più bella di tutte era la naturalezza con cui riusciva a relazionarsi con lui nonostante le piacesse da morire. Non come le piaceva Robin, ma come aveva sempre immaginato dovesse piacerle l'uomo da amare per una vita intera.
La giovane donna seguì i movimenti dell'uomo fissandoseli bene in mente, lasciando che un piacevole intorpidimento conquistasse le dita delle mani, e poté così notare che lo sguardo di Guy era subito finito sul fodero appeso alla sua cintura. Il momento tanto atteso era infine arrivato e Kaelee avvertì il proprio cuore battere ancora più forte; poi lui la guardò rivolgendole un sorriso sghembo da mozzare il fiato e lei dimenticò istantaneamente cosa voleva dirgli.


Diverso tempo dopo, Edwinstowe.
Aric nascondeva una piccola pergamena nella manica della sua casacca. L'aveva scritta quella stessa notte, in segreto, dopo essersi assicurato che nessuno lo vedesse.
Rudyard era in giro per i villaggi adiacenti insieme a Willard, il terzogenito, che non aveva saputo dirgli di no, quindi Aric aveva deciso di cogliere la palla al balzo e agire prima che fosse troppo tardi. Willard, Aric l'aveva capito, avrebbe voluto avere la forza di Rudyard, ma non la cattiveria. Di fatto comunque non aveva nessune delle due cose e, come tutti quelli che per loro sfortuna si trovavano ad avere a che fare con lui, aveva paura di Rudyard perciò lo assecondava.
Ciononostante Aric sapeva che non era il caso di prendere sotto gamba nessuno dei due. Quel giorno il giovane uomo era alla ricerca di un amico fidato, uno che conosceva alla perfezione tutti i villaggi vicini e che poteva per questo motivo essergli di grande aiuto. Memore di tutte le avventure di Robin Hood arrivate alle sue orecchie, Aric aveva deciso di imitarne il modus operandi che il fuorilegge adottava quando voleva passare inosservato e si aggirava quindi con fare circospetto, con passo piuttosto veloce, con il capo coperto da un ampio cappuccio sperando in cuor suo di trovare il suo amico quanto prima possibile, per nulla entusiasmato dall'idea di sfidare troppo a lungo il destino. Quella situazione lo metteva parecchio a disagio e costituiva una grande prova di coraggio per lui, ma era per l'amore che nutriva nei confronti di Kaelee che aveva trovato la forza di fare ciò che stava per fare.
Giunto a destinazione si infilò quasi furtivamente nella taverna del villaggio sapendo che era lì che il suo amico si guadagnava da vivere. Trovatolo, senza proferire parola, lo trascinò nell'angolo più buio di quel locale e sollevò il cappuccio quanto bastava affinché lui lo riconoscesse.
«Per la miseria Aric! Mi hai spaventato a morte!», disse allegro il ragazzo.
«Ssssssh! Non gridare così! Ho bisogno che tu mi faccia un favore», disse forse con troppa urgenza nella voce. «Devi consegnare questa a Robin Hood. Sai dove vive? Dimmi solo sì o no!». Parlava velocemente e a voce bassissima.
«Aric, mi spieghi cosa diavolo ti prende?», domandò l'amico, improvvisamente preoccupato.
«Puoi farmelo questo favore?», insisté Aric allungando un sacchetto che tintinnò a contatto con il legno del tavolo.
Vide l'amico di una vita scrutarlo attentamente e severamente negli occhi prima di respingere il sacchetto e conservare la pergamena. «So dove egli vive».
«Una vita sola non sarà abbastanza lunga per ripagarti degnamente, amico mio».
Si strinsero la mano e Aric si dileguò.


Alcuni giorni più tardi, Foresta di Sherwood.
«Non è ancora tempo per impugnare una spada vera», sentenziò Guy e sembrava davvero irremovibile.
Erano giorni che Kaelee teneva quella spada nel fodero, inutilizzata, ora perché la pioggia aveva fatto saltare l'allenamento, ora perché Kate aveva avuto bisogno del suo supporto per affrontare una delle sue crisi. E adesso la ferma opposizione di Gisborne ad ostacolarla.
«Che c'è? Hai paura che ti uccida?», domandò, determinata e quasi irriverente nei confronti dell'uomo senza il quale lei avrebbe continuato nel tentativo di scoccare una freccia. Ciò che la spingeva a rivolgersi in quel modo proprio a Guy era l'aver creduto che lui sarebbe stato felice di quella che lei aveva considerato una sorpresa. In effetti Gisborne si era mostrato contento prima che lei gli chiedesse un'esercitazione con lame vere, quindi evidentemente lui non doveva aver compreso il reale motivo per cui Kaelee portava una spada appesa alla cintura del proprio abito. Eppure, pensava Kaelee, non era così difficile da capire.
Lo sguardo di lui si fece incredibilmente serio e intenso, tanto da metterle quasi paura come nemmeno sua madre era mai riuscita.
«È per te che sono in pensiero», mormorò senza staccare gli occhi da quelli di lei prima che una freccia sfilasse quasi sotto al naso di Guy per poi andare a piantarsi a terra, poco lontano da loro. Era Robin, naturalmente, che annunciava il suo arrivo con la solita originalità.
Kaelee non poté trattenere una risata: per quanto fosse infastidita dal fatto che Guy non la considerasse ancora idonea ad un duello in piena regola, il suo carattere allegro aveva sempre la meglio su ogni cosa e la vicinanza di uno come Robin Hood amplificava quel lato del suo carattere.
«Pare che ci sia un intruso», disse Guy rivolgendo un mezzo sorriso a Robin, «Sei in minoranza», aggiunse riferendosi all'arma che l'ex fuorilegge recava con sé.
Robin fece una smorfia e si accomodò su un vecchio tronco piegato dal tempo dichiarandosi pronto ad assistere allo spettacolo.
Per un attimo Kaelee sperò che la presenza di Robin potesse far cambiare idea a Guy e che lei potesse finalmente utilizzare la sua spada, ma quando Robin si trovò d'accordo con Gisborne - dopo che quest'ultimo aveva esposto le proprie ragioni per cui la giovane donna non era ancora pronta - dovette arrendersi a duellare con i soliti rami.

La sua natura curiosa spigeva Robin a non stare mai fermo nello stesso posto per più di qualche ora: più poteva starsene in giro a confrontarsi con questo e con quello, più Robin si sentiva completo e vivo, motivato e utile. Gli piaceva osservare, imparare sempre cose nuove, ingegnarsi per risolvere problemi, soprattutto perché molteplici attività fisiche e mentali equivalevano a distrazione certa dai suoi drammi esistenziali che pure poi tornavano, ma almeno non lo tormentavano ventiquattro ore al giorno.
Più Robin osservava Gisbrone e Kaelee, più pensava che al momento opportuno i due avrebbero potuto istruire la gente di Locksley come già lui ed Archer facevano con arco e frecce. Riteneva un utile vantaggio per il popolo di Locksley saper sia tirare con l'arco che giostrarsi con abilità in uno scontro diretto: per esperienza diretta sapeva che dettagli come quello potevano rivelarsi determinanti in una situazione di pericolo. Anni ed anni trascorsi nascosto nella foresta, costretto ad avere occhi e orecchie ovunque, avevano inciso molto su di lui tanto che la prima cosa a cui pensava al mattino quando si svegliava e l'ultima alla sera quando andava a dormire era come difendere il villaggio in caso di necessità.
Robin Hood ringraziava ogni giorno la vita per averlo condotto lì dov'era e per avergli fatto incontrare le splendide persone che si erano unite a lui nei momenti più difficili. Ora che tutto andava bene e che Nottingham era quasi di nuovo in piedi, Robin non desiderava essere il nuovo capo, lo Sceriffo o il tiranno di quei villaggi, considerandosi anzi uno di loro, uno che aveva dovuto imparare a lottare nella vita per avere ciò che era suo per diritto ma che qualcuno aveva deciso deliberatamente di togliergli, uno che voleva il bene del popolo ed era per questo che aveva deciso di condividere con la sua gente tutto ciò che la vita gli aveva insegnato.
Senza forse neanche rendersene pienamente conto aveva dato vita ad un sogno. Un sogno in cui ogni essere umano era in grado di dare un contributo alla società, non un tributo in denaro, ma un contributo in una delle tante attività che tenevano in piedi Locksley e i villagi come Locksley. Nessuno sapeva quanto quel sogno sarebbe durato e a che punto dell'idillio ci si sarebbe svegliati in malo modo, ma tutti desideravano viverlo quanto più a lungo possibile e facevano tutto quanto era in loro potere per renderlo reale con grande soddisfazione di tutti, Robin compreso.
Guardando con attenzione la danza dei duellanti, Robin ebbe la chiara percezione che Kaelee stesse velocemente affinando la tecnica: gli parve molto migliorata dall'ultima volta che l'aveva vista scontrarsi con Gisborne. Robin pensò che, a furia di esercitarsi, Kaelee aveva avuto occasione di studiare sempre più a fondo il modo in cui Guy si spostava, schivava, affondava. Perché Guy aveva iniziato ad affondare. Non si limitava più ad attendere i colpi di lei e a lei toccava essere più veloce di lui se non voleva finire a terra prima di aver potuto muovere un dito.
L'ex fuorilegge sapeva bene quanto Gisborne fosse bravo con quell'arma, bravo almeno quanto lui lo era con l'arco, e trovava sorprendente che Kaelee riuscisse a tenergli testa per più di dieci minuti considerata l'enorme differenza fisica tra i due, perciò Robin si era fatto un'idea di quelli che dovevano essere i piani di Gisborne e si ripromise che ne avrebbe discusso con lui perché andare per gradi andava bene, ma indurre l'allievo a credere in passi avanti che erano soltanto mezzi passi avanti era scorretto e forse perfino controproducente. Finché non avesse avuto conferma ai propri pensieri, comunque, Robin non sarebbe intervenuto per intettompere l'esercitazione, godendosi invece lo spettacolo dei loro occhi erano incatenati.
Robin poteva quasi sentire l'elettricità nell'aria e ne era innegabilmente affascinato.
Il più delle volte, constatò Robin, finiva che Kaelee, esausta, si arrendeva all'evidenza; finiva che Guy la disarmava in ogni duello senza mai smettere di spronarla a fare di più, a stare più attenta, a fare affidamento sui suoi punti di forza. Kaelee, a Robin non era sfuggito, si muoveva leggera nello spazio, era in grado di compiere salti molto lunghi o molto alti a seconda delle esigenze e questo le consentiva di schivare i colpi senza troppe difficoltà. Ci voleva solo tanto duro allenamento e Robin era convinto che lei avesse un ottimo maestro. E, a pensarci bene, si era anche convinto che tra quei due ci fosse qualcosa di più che un semplice rapporto tra maestro e discepolo.

Kaelee iniziava seriamente a faticare a tenere alta la concentrazione e quando Guy si preparò all'affondo, lei già si vide disarmata.
Stava cercando di impiegare tutte le forze per resistere all'attacco, tanto più perché non voleva fare brutta figura con Robin e desiderava tantissimo che quest'ultimo, dopo aver assistito nuovamente al training, esprimesse il proprio consenso all'utilizzo delle spade.
Vide Guy scagliarsi contro di lei - i muscoli tesi nello slancio - e attese il momento che le parve il più giusto. Si abbassò sulle ginocchia, scartò di lato ed evitò il colpo.
Con la coda dell'occhio poté vedere Robin si protendersi in avanti, coinvolto e si sentì invadere dalla felicità senza perdere per questo quel poco di concentrazione che le era rimasto.
Gli occhi di Guy le sembrarono liquidi di orgoglio e Kaelee capì che in fin dei conti tifava per lei.
I duellanti tornarono a girare in tondo, riprendendo fiato.
Kaelee si preparò mentalmente a sferrare un attacco, determinata a non mancare l'avversario. Studiò la situazione e optò per una finta dal momento che gli attacchi frontali non erano mai andati a buon fine, quindi fece credere a Guy che si sarebbe lanciata proprio in un attacco frontale e invece all'ultimo gli saltò di fianco e lo punse a tradimento nelle reni con il suo micidiale ramo.
«Sei morto», mormorò con una dolcezza infinita proveniente da chissà dove. Un momento prima si era sentita euforica all'idea che potesse riuscire non solo a schivarlo, ma addirittura ad andare a segno, e ora invece tutto l'entusiasmo era stato sostituito da qualcosa che neanche lei riusciva a comprendere appieno. Pochi istanti più tardi lasciò cadere il ramo e si mise a saltare tutto intorno dando sfogo alla sua contentezza, come era giusto che fosse sebbene questi salti emozionali la confondessero come non mai.
Era comunque la prima volta che batteva Guy in un duello, quindi ritenne che forse essere preda di ogni tipo di emozione fosse normale.
«Ora sono pronta per una spada vera?», chiese tra i complimenti di Robin e Guy.
Gisborne scosse il capo e le sorrise. «Non ancora».


Qualche giorno più tardi.
Locksley; Foresta di Sherwood.

Un giovane messaggero era arrivato al villaggio per consegnare un documento a Robin Hood in persona e per sua sfortuna tra gli altri era incappato proprio in Little John il quale lo aveva letteralmente bloccato tempestandolo di domande in merito a ciò che custodiva e che nessuno avrebbe dovuto leggere se non il legittimo destinatario. Neanche lui, del resto, ne conosceva il contenuto sebbene l'omone che aveva di fronte non sembrava intenzionato a credergli. Little John - non era stato poi così difficile capire che si trattava di lui vista la stazza - non si sarebbe mai fidato e il giovane messaggero lo capì quando la vigorosa mano dell'uomo si strinse di più attorno al lungo bastone che recava con sé e che costituiva la sua arma primaria. Questo era il principale motivo per cui dalle sue labbra era uscita una sola, rivelatrice, parola.
«Edwinstowe».

Edwinstowe. Tanto bastò a convincere Little John che una decisione andava presa. Tutti gli uomini di Robin Hood e molti abitanti di Locksley, infatti, sapevano che il nome di quel villaggio riportava a Kaelee, la gioiosa e gentile ragazza che aveva regalato ulteriore luce in quel villaggio. Credere che fosse una coincidenza senza provare a rifletterci su sarebbe stato da sciocchi.
Il resto accadde in un soffio.
Little John portò l'uomo da Robin Hood con modi che non potevano definirsi davvero gentili, ma nemmeno scortesi in fin dei conti: semplicemente se lo trascinò dietro tenendolo stretto per un braccio e minacciandolo di tanto in tanto con il bastone fin quando non trovò Robin e chiarendo più volte al messaggero che il motivo per cui lo stava conducendo proprio dall'uomo che lui cercava non aveva niente a che fare con la cortesia - insomma non stava esaudendo il suo desiderio, ma lo stava portando dal capo della banda per capire cosa fosse più opportuno fare con lui, di lui.
Little John dovette constatare che il messaggero aveva fegato: non tradì mai la preoccupazione che avrebbe attanagliato chiunque si fosse trovato troppo vicino all'eventualità di essere stretto nella morsa di un ammasso di muscoli allenati a stritolare ogni cosa e, quando fu al cospetto di Robin Hood, ripeté quanto Little John già sapeva.
In men che non si dica, Robin mise in moto i meccanismi della banda e convocò tutti i suoi uomini al Tronco Matto, nella foresta di Sherwood, invitando naturalmente anche Kaelee.
La ragazza si era dimostrata una persona in gamba ed affidabile, arrivata a Locksley per un sogno e non in virtù di un secondo fine, onesta e positiva, perciò all'unanimità era considerata ufficialmente una del gruppo e nessuno dubitava di lei.
Nel giro di mezz'ora Robin, Archer, Guy, Little John, Allan, Much, Tuck, Kate, Kaelee e il messaggero erano riuniti nel cuore della foresta.
La reazione della ragazza alla presenza del messaggero fu inequivocabile.
«No...», gemette tirandosi indietro prima ancora che Robin potesse dire qualsiasi cosa.

Sul viso del giovane di Edwinstowe si dipinse un'espressione sorpresa: tutti nel villaggio sapevano che Kaelee era scomparsa, qualcuno diceva "scappata", e quando Aric era arrivato da lui chiedendogli di consegnare una pergamena a Robin Hood il ragazzo aveva creduto che ne volesse l'aiuto per ritrovarla o per averne notizie. Le cose, invece, dovevano essere molto diverse da come pensava dal momento che la sorella di Aric era lì davanti ai suoi occhi, attorniata dall'intera banda di Robin Hood.
Lo sguardo dei presenti era colmo di interrogativi, così Robin decise di prendere parola riportando su di sé l'assenzione di tutti.
Il messaggero vide una donna bionda affiancare Kaelee stringendole delicatamente la vita, come a volerla rassicurare e proteggere al tempo stesso, e pensò che se mai fosse riuscito a tornare a Edwinstowe avrebbe dovuto raccontare ad Aric quel dettaglio per rassicurarlo: sapere che Kaelee aveva trovato un'amica avrebbe sicuramente rincuorato Aric.
«Noi siamo Robin Hood», esordì rivolgendoglisi direttamente. Il ragazzo non ebbe la sensazione che il fuorilegge volesse incutergli timore o paura, ma ne percepì tutta l'autorità. «Loro sono le mie orecchie, le mie braccia, le mie gambe, la mia coscienza. Se anche non leggessi adesso ad alta voce quanto scritto qui dentro, le persone che vedi ne verrebbero comunque a conoscenza», concluse trovando l'approvazione di tutti i presenti.
«Il mio compito era consegnarla nelle mani di Robin Hood e fare in modo che lui ne leggesse il contenuto», rispose il giovane chiarendo la propria posizione e dimostrando grande lealtà al suo amico.
Robin annuì, svolse la pergamena e diede inizio alla lettura.

Edwinstowe
Amatissima sorella,

Perdonerai il mio azzardo nell'apprenderne le motivazioni.
Nostra madre ha disposto che ti si trovi e non ti sarà difficile capire chi tra i nostri fratelli ti sta dando la caccia.
Il tuo segreto mi appartiene e intendo mantenere la promessa di non rivelarlo ad anima viva.
Confido nella lealtà del mio messaggero e nella bontà di Robin Hood. Voglia egli metterti al corrente di quanto accade.
Possa tu salvarti ed essere felice.

Tuo, fedelissimo, per sempre.

Gli occhi di Kaelee si riempirono definitivamente delle lacrime che fino a poco prima aveva cercato di trattenere. Non le serviva conoscere il nome del mittente perché l'identità del messaggero bastava di per sé a chiarire ogni cosa. La ragazza capiva perfettamente il significato, forse per gli altri non totalmente decifrabile, di ciò che suo fratello le aveva mandato a dire. Le sue erano lacrime riconoscenti e amare al tempo stesso: riconoscenti perché Aric aveva trovato il coraggio per informarla senza farsi scoprire e amare perché ciò che sperava non accadesse stava invece accadendo e scampare all'eventualità di essere riportata ad Edwinstowe era un'impresa impossibile, forse perfino per Robin Hood, ammesso che decidesse di aiutarla ancora una volta. Gettando uno sguardo sui presenti, Kaelee avvertì la confusione e il bisogno di sapere negli occhi di tutti, eccezion fatta per Robin. Lui, infatti, era l'unico a conoscere per intero la sua storia, ma ormai era chiaro che Kaelee avrebbe dovuto condividerla anche con tutti gli altri se voleva chiedere la loro protezione.
La giovane donna prese un profondo respiro.
Quando era arrivata a Locksley e aveva avuto l'opportunità di incontrare la personificazione del suo sogno di libertà, Kaelee aveva voluto essere onesta nel rivelare a Robin di essere fuggita dalla propria famiglia di nascosto, svelando soltanto ad uno dei suoi quattro fratelli il motivo e la destinazione. Gli aveva detto che molte voci giravano sul suo conto e che spesso, a casa sua, i fratelli parlavano di lui mentre lei pelava le patate o rassettava la cucina. Gli aveva parlato di quanto lui fosse stato un esempio per lei attraverso quelle storie, di quanta forza le avesse dato e, alla fine del racconto, Kaelee aveva lasciato a Robin la scelta di accoglierla nel suo villaggio o rimandarla indietro, con la sola richiesta di non fare menzione con nessuno dei particolari della sua storia. Come sappiamo, lui decise di darle ospitalità, la presentò ai suoi uomini e le offrì protezione, una casa e la prospettiva di una vita migliore.
Nel cuore di Sherwood Kaelee raccontò ogni cosa tenendosi stretta a Kate, sua amica, sua roccia, e cercando spesso lo sguardo di Robin.
Il fatto che Kaelee avesse trovato degli amici e forse anche l'amore in quel villaggio, non sminuiva affatto il valore che Robin Hood aveva per lei: lui era e sarebbe sempre stato il suo mito, il suo idolo, la sua guida.
Ci furono alcuni istanti di silenzio che Kaelee decise di affrontare con gli occhi abbassati sul terreno della foresta, per questo non si accorse dello sgomento prima e della rabbia poi che albergava nello sguardo di Guy, né di come Tuck tratteneva Allan che avrebbe voluto pararsi davanti alla ragazza per difenderla a qualsiasi costo.
La differenza tra i due, però, sarebbe stata evidente se Kaelee li avesse osservato. Sarebbe bastato guardarli in faccia per capire chi dei due avesse un passato di violenza alle spalle.

Qualcosa in Gisborne aveva iniziato a ribollire nel momento in cui Robin aveva terminato la lettura. La sola idea che qualcuno potesse arrogarsi il diritto di portargli via Kaelee lo faceva imbestialire: sebbene fosse pienamente cosciente di quanto Kaelee non gli appartenesse in alcun modo, sapeva con altrettanta certezza che avrebbe fatto qualsiasi cosa per non perderla. Quando poi la ragazza aveva messo tutti al corrente della propria situazione, in Guy era scattato l'impulso irrefrenabile di tirarla fuori da quella situazione. Era pronto ad accettare qualsiasi conseguenza di ciò che stava per fare pur di non dover fare ancora i conti con il dolore, il vuoto, la solitudine perché Kaelee, nel poco tempo che gli era stata vicina, aveva donato nuova serenità e reso definitivo il cambiamento di Guy.

Prima che Allan potesse fare qualunque cosa, Guy si avvicinò al messaggero con fare minaccioso, un fare che Kaelee non conosceva in lui e che la spaventò.
Lo stava guardando ora e le parve che la figura già di per sé imponente di Gisborne si fosse ingigantita e sovrastasse completamente il giovane amico di Aric.
«Ascoltami bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di Gisborne. Hai capito?».
La sua voce era profonda, leggermente roca e Kaelee la trovò subito terrificante, ma c'era qualcos'altro che la spaventava di più: non riconosceva chi aveva davanti.
Guardò Kate e un'illuminazione la riportò alla discussione avuta con lei, la notte in cui per la prima volta aveva abbracciato Guy. Una domanda muta nello sguardo: "Era questo che volevi dirmi di lui?".
Kate le accarezzò la schiena, protettiva, comprensiva, mentre Kaelee iniziava a porsi infinite domande per le quali non aveva risposte.
Guy di Gisborne non era chi lei aveva creduto che fosse? Non era semplicemente il fratello acquisito di Robin Hood? Era un nobile? Un cavaliere? In effetti era stata una sciocca a non arrivarci prima dal momento che Robin stesso aveva nobili origini, perciò suo padre non avrebbe mai intrattenuto una relazione con una popolana, giusto? Eppure Gisborne lo stava facendo. Oppure forse si era soltanto illusa?
Perché i suoi fratelli, quando le avevano raccontato le mirabolanti imprese di Robin e dei suoi fuorilegge non l'avevano mai menzionato? Chi era davvero Sir Guy di Gisborne? E se non aveva mai fatto parte della banda, per chi aveva combattuto e come si era infine inserito tra gli uomini di Robin Hood?
Un dubbio atroce le stringeva le tempie e le induriva il cuore mentre cercava le risposte.
Perché Kate aveva cercato di metterla in guardia? Perché gli altri invece non se n'erano preoccupati?
La ragazza guardò Allan senza capire bene perché i suoi occhi avessero preso quella direzione.
Allan ricambiò lo sguardo e a lei parve che l'uomo avesse preso una decisione proprio in quel momento. Lo vide infatti raggiungere Guy.
«E sotto quella di Allan A Dale. Per quel che può valere in confronto», disse. L'ultima parte la borbottò in un modo così comico che avrebbe suscitato il riso di tutti se non si fossero trovati in una situazione così ostica.
Kaelee chiuse gli occhi per un momento mentre rifletteva sul da farsi. Non poteva permettere che Guy o Allan o entrambi si facessero male per colpa sua mettendosi contro Rudyard, ma sapeva che senza il loro aiuto non sarebbe mai riuscita a scappare da suo fratello e da sua madre, senza di loro non sarebbe mai stata libera. Eppure, per quanto fosse consapevole del dolore che avrebbe provato nella separazione, decise che c'era un'unica soluzione a quel problema.
«Aspettate», disse facendo voltare sia Guy che Allan.
Il primo aveva assunto di nuovo lo sguardo che lei conosceva. Soltanto un'ombra lo rendeva un po' più cupo del solito.
Robin se ne stava a braccia conserte, lo sguardo molto serio. Osservava.
«Io vi sono molto grata per ciò che fate per me, ma non voglio trascinarvi nei miei drammi».
Allan tentò di protestare ma Robin sollevò una mano intimandogli il silenzio.
Kaelee si fece quindi forza e continuò.
«Aiutatemi a fuggire e se qualcuno vi chiederà di me, un giorno, ditegli di non avermi mai conosciuta», decise sperando che potesse bastare per salvare tutte le parti da eventi poco piacevoli. In cuor suo Kaelee sapeva che non avrebbe mai trovato pace e che la sua vita sarebbe stata una fuga continua, ma il prezzo da pagare perché lei restasse a Locksley le sembrava troppo alto, quindi era davvero intenzionata a mettere in atto quel piano.
Ma non aveva fatto i conti con Guy: non le diede neanche il tempo di un respiro. Fu dinanzi a lei, le strinse le spalle con una forza che la fece tremare e pretese la sua attenzione.
«Guardami», mormorò persuasivo. «Guardami!», gridò qualche istante più tardi non avendo ottenuto ciò che voleva.
Più lui la scuoteva, più la paura in lei cresceva.
«Lasciala!», urlò Kate, prontamente fermata da un cenno di Robin.
Il respiro era irregolare ed i suoi occhi caramello fuso quando guardò Guy.
«Io non ti permetto di andartene», decretò lui.
Lo disse con rabbia e, anche se Kaelee era certa che non fosse quello il sentimento che l'aveva spinto ad un simile gesto, questo la indispettì inducendola immediatamente a mettersi sulla difensiva proprio come faceva a Edwinstowe quando uno dei suoi fratelli l'aggrediva senza un perché.
«Ed io non ti permetto di parlarmi in questo modo, Guy o Sir Guy o chiunque tu sia!», sbottò lei.
Fu Robin a ristabilire l'equilibrio dell'intera situazione. Parlò con calma al messaggero, lo ringraziò sentitamente e assicurò la propria disponibilità in caso di bisogno. Gli disse anche che Kaelee era una di loro e che con loro sarebbe rimasta, sotto la protezione di Robin Hood e dei suoi uomini. Ritenne saggio, però, che questo venisse detto solo ed esclusivamente al mittente della pergamena e se il ragazzo non avesse rispettato i patti sarebbe diventato un nemico di Robin Hood. Poi lo invitò a fermarsi a Locksley per la notte, a rifocillarsi e a far riposare il cavallo. Infine sciolse l'assemblea.
«Noi siamo Robin Hood. Tu, Kaelee, sei Robin Hood. E se deciderai di andartene, non avrai la mia approvazione».
Kaelee si liberò dalla presa ormai leggera di Guy e si rivolse a Robin.
«Io sono Robin Hood ed è per me un onore, ma...», tentò di obiettare senza riuscirci.
«Siamo d'accordo allora», la interruppe il fuorilegge.
Il suo cuore era più straziato che mai. Non voleva metterli in pericolo, non voleva deluderli, non voleva allontanarsi da loro, non voleva che suo fratello facesse loro del male.
C'era una cosa, però, che più di tutte non voleva: mollare. Una sola difficoltà non le avrebbe impedito di diventare ciò che voleva essere, suo fratello e sua madre non le avrebbero tolto oltre la felicità.
Robin le sorrise di quel sorriso tipicamente suo e invitò tutti a tornare a Locksley.
Guy non si mosse, guardava Kaelee e nemmeno Allan n si mosse perché teneva d'occhio Guy.
Kate non si mosse, proteggendo Kaelee da qualsiasi cosa lei non volesse in quel momento: se lei glielo avesse chiesto, Kaelee era certa che Kate avrebbe allontanato Guy o Allan a suon di calci nel sedere.
La ragazza ringraziò sia Guy che Allan per il gesto di poco prima. Poi, però, chiese a Kate di portarla a casa: aveva bisogno di riflettere.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 01/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Chiedo scusa se mi sono dilungata un po' troppo. A volte mi lascio prendere totalmente dalla storia.
Come sempre un grande grazie a voi che siete arrivati fino alla fine e a voi che deciderete di lasciarmi una recensione, positiva o negativa che sia.

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Capitolo 5
*** Sir Guy di Gisborne ***


Tormento


Sir Guy di Gisborne

Nessuno che non appartenesse alla banda di Robin Hood o al villaggio di Locksley aveva cercato Kaelee dopo l'episodio della pergamena, perciò sembrava essere andato tutto per il meglio, almeno per il momento. Certo tutti tenevano alta la guardia, ma ognuno aveva continuato a svolgere le proprie mansioni e attività con i consueti ritmi, ognuno era pienamente calato nella conquistata normalità, conseguenza diretta della morte dello Sceriffo Vaisey e del ritorno di Re Riccardo in patria e sul trono.
In verità, però, niente andava bene per alcuni abitanti di Locksley.


Casa di Guy, Locksley.

I vecchi incubi erano tornati e insieme a loro anche il buio nell'animo di Gisborne. Per la terza notte di fila, a causa dei brutti pensieri che lo tormentavano senza sosta e senza pietà, Guy non riuscì a prendere sonno. Consapevole che darsi al vino non avrebbe risolto il problema e conscio che prendersela con gli alberi di Sherwood non lo avrebbe aiutato a scacciare i suoi drammi e quelli della donna che amava, Gisborne aveva scelto di lasciarsi travolgere da ciò che provava e si trascinava, da un angolo all'altro della sua abitazione, più simile ad un fantasma che ad un uomo in carne ed ossa.
Non aveva più rivisto Kaelee da quando le aveva offerto la propria protezione e questo peggiorava nettamente le cose, rendendolo folle non per rabbia, ma di dolore. L'assenza di quella giovane ragazza arrivata da un villaggio vicino aveva restituito a Guy tutta la sua solitudine, così come il rifiuto di lei quando era andato a cercarla lo aveva ferito più di quanto tutti si aspettassero, perfino più di quanto lui stesso si aspettasse.
Aveva finito col chiudersi in casa non volendo vedere nessuno, non permettendo a nessuno di andare a fargli visita; non andava neanche più a curare i cavalli degli abitanti del villaggio né il proprio e a stento si concedeva un pasto al giorno. Non aveva più voglia di dedicarsi a nulla.
Quella notte si alzò dal letto, si prese la testa tra le mani, esasperato da se stesso e dai pensieri che non accennavano a quietarsi, e iniziò ad urlare, solo, nel buio della sua casa sbraitando contro un muro di oscurità e desolazione, contro un Dio che sembrava non volerlo aiutare, contro un destino che gli era evidentemente avverso e contro se stesso per aver consentito alla sua coscienza di credere che l'espiazione delle sue colpe fosse giunta a conclusione.
"È insopportabile! È insopportabile tutto questo soffrire", pensò, ritenendo che mille ferite avrebbero fatto meno male dell'indifferenza di Kaelee.
Cadde a terra, in ginocchio, sopraffatto dall'intensità delle sue stesse emozioni fino a qualche tempo prima credute perse, confinate in angoli remoti del suo cuore, sovrastate dal solo desiderio di arricchirsi e acquisire potere a discapito dei più sfortunati.
Nel villaggio alcune finestre si accesero del lume di una candela, ma nessuno degli abitanti andò a bussare alla porta di Guy di Gisborne.

Robin e Archer erano di ritorno da una serata all'insegna del divertimento quando, passando nelle vicinanze dell'abitazione in cui risiedeva Guy, sentirono un urlo provenire da lì. Senza neanche pensarci su un secondo, si precipitarono all'ingresso e iniziarono a colpire con forza la porta in legno. Non ottenendo alcuna risposta, fecero irruzione nel timore che Guy potesse aver commesso una sciocchezza.
«Hai davvero una così scarsa considerazione di lui?», chiese Archer a suo fratello Robin mentre lo aiutava a buttar giù la porta. «Non è il tipo che va fuori di testa per una donna, naaah, non è così stupido», affermò subito dopo, sorridendo, pienamente convinto di ciò che aveva appena detto.
Robin, invece, sapeva per esperienza personale che Guy era capace di azioni di cui si sarebbe pentito per tutta la vita a causa di una donna. Anche Archer conosceva la storia di Lady Marian, ma non l'aveva vissuta in prima persona, perciò Robin credeva che non riuscisse a realizzare che non era questione di stupidità, quando di istintività – e tutti a Locksley e Nottingham sapevano quanto Gisborne agisse più per istinto che seguendo la ragione, dettaglio, questo, che molte volte aveva avvantaggiato la banda di fuorilegge in passato.
Lo cercarono al piano inferiore, poi presero le scale e infine lo trovarono nella stanza da letto.
Entrambi furono concordi nel constatare che stava bene, almeno fisicamente parlando, perciò Robin e Archer tirarono un sospiro di sollievo e altro non fecero che sederglisi accanto – uno da un lato, l'altro dall'altro.
Dopo un po' videro Guy cambiare posizione per imitarli, abbandonando il capo sulla sponda del letto.
Dal momento che nessuno sembrava intenzionato a parlare, Robin si immerse nei propri pensieri.
"Stramba entità, il destino", rifletté l'arciere.
Robin aveva conosciuto Guy quando entrambi erano dei ragazzini e la cattiveria non aveva ancora fatto breccia nel cuore di un giovane Guy dai capelli neri e dai grandi occhi chiari come il luccichìo azzurrognolo del ghiaccio in certi giorni d'inverno. Gisborne era più grande di Robin, in tutti i sensi: era nato prima di lui, era più alto di lui, ed aveva maturato più esperienza di lui. Se si parlava di tiro con l'arco, però, i due si equivalevano e più Robin cresceva, più diventava bravo. Ben presto, a detta di molti, l'avrebbe superato ampiamente.
Robin e Guy non erano in alcun modo parenti, semplicemente le loro abitazioni erano vicine e i due si incontravano spesso.
Dopo tanti anni, seduti a terra in quella che era di nuovo la casa di Guy di Gisborne a Locksley, tutto era completamente diverso.
"È quasi buffo il modo in cui la vita tende a girare su se stessa, a volte", pensò ancora Robin.
I due erano stati compagni di giochi, il che significava anche che qualche volta si erano provocati a vicenda e se le erano date di santa ragione creando qualche dissapore. Ma i bambini dimenticano in fretta i piccoli screzi, perciò i due non si erano mai odiati davvero. Poi era accaduto qualcosa che né Guy, né Isabella, né Robin avrebbero mai dimenticato anche se l'unico a conoscere gran parte dei dettagli mentre le vicende accadevano era proprio Gisborne, il quale per anni si portò dietro il peso di una verità che non aveva mai smesso di ferirlo, lentamente e incessantemente. E non era neanche tutta la verità.
Le loro strade, quando Robin era ancora un bambino, si erano divise in seguito ad un brutto incidente che aveva strappato ad entrambi la rispettiva famiglia, ma con il passare del tempo quella separazione era diventata netta, radicale, definitiva – o almeno così entrambi avevano creduto: Robin era dalla parte della giustizia, mentre Guy del potere e spesso avevano combattuto l'uno contro l'altro, rischiando più volte di perdere la vita prima del tempo.
Per i grovigli della vita si erano infine e inaspettatamente ritrovati a camminare nella medesima direzione, verso un fratello che non avevano mai creduto di avere e contro uno Sceriffo che voleva entrambi alla gogna; ma soprattutto grazie a quel fratello di nome Archer che era lì con loro, in silenzio, immerso anche lui nei propri pensieri.

Ciò che Archer conosceva delle proprie origini era solo una manciata di informazioni che non lo avevano mai condotto da nessuna parte, che non lo avevano mai soddisfatto e che non lo avevano mai indotto a indagare più a fondo. Del resto cos'avrebbe potuto fare dopo aver saputo che sua madre era morta poco tempo dopo averlo dato alla luce? Recarsi sulla sua tomba?
Archer si era considerato per tutta la vita un giramondo, uno senza radici, uno che non conosceva il significato di famiglia e che non credeva di averne una.
Era un ragazzo che aveva appreso di avere due fratelli quando era già adulto, quando aveva già affrontato da solo una buona parte di drammi. Archer era un ragazzo in gamba, intelligente, capace di cavarsela da solo in qualsiasi situazione.
Somigliava fisicamente più a Robin che a Guy. Di Robin, Archer aveva i colori e la passione per arco e frecce: doveva essere una dote naturale ereditata dal padre il saper tirare con tanta precisione e facilità. Il modo in cui sapeva essere strafottente, invece, lo avvicinava più a Guy, come anche qualcosa nello sguardo tradiva una parentela con Guy: quell'intensità che sapeva riversare addosso a chi lo guardava negli occhi e che era il suo modo di nascondere grande sofferenza dietro una finta cattiveria, un finto desiderio di arrivare al potere e alla ricchezza.
Archer non aveva dimenticato il grave errore che aveva commesso quando, per l'idea di arricchirsi, aveva pensato di stare dalla parte dei potenti invece che con Robin e Guy che gli avevano salvato la vita. Aveva quasi ammazzato i suoi fratelli appena ritrovati, ma aveva imparato la lezione decidendo di schierarsi definitivamente dalla loro parte. Si scontrava spesso soprattutto con Robin, ma tutto sommato aveva legato bene sia con lui che con Gisborne.
Era il più giovane dei tre, naturalmente, e da quando lo Sceriffo era saltato in aria insieme al Castello, Archer non si era più separato dai suoi fratelli.

«Dovresti parlarle».
Fu Robin a rompere il silenzio.
«Non vuole», rispose secco Gisborne, con una punta di rassegnazione.
Robin gli rivolse il suo miglior mezzo sorriso e il miglior sopracciglio sollevato della storia di Locksley: era come se volesse ricordargli, con quell'occhiata, che Guy di Gisborne non era uno che si lasciava scoraggiare in quel modo. Nel contempo, però, non voleva tirare in ballo Marian in modo diretto, anche se sarebbe stato l'esempio più corretto da riportare se intendeva dare davvero una scrollata a Gisborne rammentandogli quanto sapeva essere ostinato se si metteva d'impegno. Né Robin voleva parlare di Isabella e di come il desiderio di distruggerla avesse portato Guy addirittura a stare dalla parte del tanto detestato Robin Hood quando lei era stata nominata Sceriffo di Nottingham dal Principe Giovanni.
Erano due capitoli molto delicati per entrambi e Robin ritenne che non fosse il momento adatto per parlarne.
Guy lo guardò con espressione quasi disgustata prima di tornare a fissare il soffitto.
«No, ma fate pure come se non ci fossi!», scherzò Archer nel tentativo di alleggerire la situazione.
«In effetti non so che cosa ci facciate qui tutti e due», commentò Guy, sarcastico.
«Ma tu guarda!», brontolò Archer.
Robin intanto rifletteva: aveva visto Guy non fermarsi davanti a nulla pur di conquistare il cuore di Marian e si chiedeva adesso cosa lo trattenesse con Kaelee.

Casa di Kate, Locksley.
Kaelee era totalmente assente da giorni.
Passava la pezza nello stesso punto senza accorgersene, infornava e sfornava vasi meccanicamente, si aggirava per il villaggio come uno spettro, non rivolgeva la parola a nessuno che non fosse Kate; aveva uno sguardo spento; non si allenava più e non leggeva più.
Aveva fatto di tutto per evitare Allan, – così come aveva fatto con Gisborne dal momento che entrambi si erano esposti in suo favore più di tutti gli altri – anche se a quanto pareva quest'ultimo non aveva intenzione di lasciarla in pace sebbene lei non mostrasse alcun segno di voler interagire: le volte in cui si erano incontrati, infatti, non aveva scambiato una sola parola con lui, neanche quando Allan si era messo a parlarle di un nuovo rotolo di pergamene che sarebbe andato a recuperare a York la settimana successiva.
Non incontrare Guy, invece, era stato molto più semplice da quando si era rifiutata di parlare con lui una prima volta, semplicemente perché non l'aveva più visto in giro. Era come sparito dalla circolazione.
Quella notte Kate stava dormendo poco lontano da lei. Le era stata molto vicina in quei giorni, cercando in tutti i modi di risollevarle il morale e di mettere perfino una buona parola per Guy nonostante non l'avesse ancora perdonato per alcune azioni che aveva commesso in passato – azioni su cui Kate non si era soffermata, dando a Kaelee la sensazione di voler sminuire qualcosa di molto più grande e preoccupante. Ogni tentativo, comunque, sembrava essere inutile perché Kaelee si sentiva come se il suo cuore fosse sepolto sotto metri di gelida neve, come se il suo corpo continuasse a respirare e vivere senza di lei.
La giovane donna era consapevole delle preoccupazioni che stava dando alla sua unica amica, eppure si era convinta di non poterci far nulla sebbene sperasse che prima o poi il tempo avrebbe messo una pezza laddove si era creato uno squarcio. A farla sentire in colpa per il suo comportamento, però, si aggiungevano le occhiate sofferenti di Much tutte le volte che passava a trovare lei e Kate: la guardava come se volesse prendersi i suoi tormenti, come se avesse la soluzione sulla punta della lingua senza poterla esprimere liberamente per non entrare in questioni che non lo riguardavano in maniera diretta. Kaelee lo aveva sentito discutere con Kate un pomeriggio e sapeva che Much aveva suggerito alla bionda di mettere Gisborne al corrente del suo stato d'animo, ma Kate non aveva accettato ritenendo che se lei si era rifiutata di vederlo quando lui l'aveva cercata voleva dire che non era ancora pronta ad affrontarlo. Dopo aver ascoltato quella conversazione, Kaelee si era scoperta ancora più confusa: davvero non voleva più vedere Gisborne?
Kaelee non dormiva quella notte, se ne stava rannicchiata su un fianco, dando le spalle a Kate, incapace di prendere una decisione.
Guy le mancava, su questo non nutriva alcun dubbio. "Ma chi mi manca davvero?", si domandò per l'ennesima volta.
"Ascoltami bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di Gisborne. Hai capito?".
Quella frase non la lasciava in pace un istante.

Casa di Guy, Locksley.
Dopo aver pensato e ripensato a come potessero stare le cose, Robin decise che doveva fare in modo di scatenare una reazione in Guy, convinto che se l'uomo avesse continuato a tormentarsi in quel modo sarebbe stato molto difficile recuperarlo. Così gli diede uno spintone, senza alcun preavviso, facendolo finire addosso ad un impreparato Archer.
«Ma ti sei bevuto il cervello?!», protestò prontamente il minore contro Robin.
«Sei uno stupido», aggiunse Robin in tono serio, rivolgendosi a Gisborne.
Fortunatamente nessuno di loro lo era davvero e quando Archer incontrò lo sguardo espressivo di Robin, comprese che non si era affatto dissetato con il proprio intelletto e decise di reggergli il gioco, qualunque esso fosse e dovunque Robin voleva che li portasse.
«Già! Levati di dosso, fratello», e lo spinse a sua volta.
Robin intercettò una scintilla negli occhi di Guy prima che una risatina amara gli uscisse dalle labbra.
«Ho detto che sei uno stupido», ripeté. Robin non temeva di azzuffarsi con Guy, non temeva che lui potesse aggredirlo con la volontà di fargli del male o di ucciderlo.
«Sono d'accordo con lui», convenne Archer annuendo col capo.
Robin si rese conto che la scena in sé aveva un che di comico – e in questo la mimica facciale di suo fratello Archer era da primo premio – anche se le sue intenzioni erano serie e il benessere di Gisborne era per lui molto importante.
«Fuori. Andatevene», disse Guy. Non il più piccolo accenno di rabbia nella voce.
«Neanche per sogno», rispose Robin, «Ti tormenterò con la mia presenza e tutte le offese del caso finché non muoverai quelle chiappe molli per andare a dirle che l'ami».
Robin vide Archer sgranare gli occhi e nel suo sguardo lesse il terrore di chi è convinto che giocare con il fuoco sia un mestiere troppo pericoloso, ma l'arciere sapeva di non avere alternative e comunque non sarebbe mai riuscito a prendere Gisborne con le buone maniere – un po' perché non era da lui e un po' perché credeva che suo fratello non avrebbe apprezzato un simile comportamento da parte sua, trovandolo inappropriato e ridicolo.
Trascorsero pochi attimi prima che Guy fosse addosso a Robin, sopra di lui, regalando all'ex fuorilegge l'attesa reazione.
«Lei non mi vuole!», ringhiò l'uomo. C'erano fiamme nei suoi occhi e una forza immensa nelle braccia. «Che diavolo hai da sghignazzare?!», ruggì infine notando il sorrisetto che Robin non tentava neanche di nascondere pur essendo in una situazione di netto svantaggio.
Robin era certo che Guy fosse abbastanza intelligente da capire che l'aveva fatto apposta, che l'aveva volutamente provocato anche se non credeva che ci sarebbe cascato come un fesso tanto in fretta.
Borbottando qualcosa di incomprensibile, Gisborne si alzò da terra – con sommo sollievo di Archer – e si spostò dinanzi alla finestra.
Anche Robin si alzò e ridacchiando disse: «Te l'ho già detto che sei uno stupido?».
«Sparisci dalla mia vista, Hood! O ne pagherai le conseguenze», minacciò Guy. Sulle labbra un sorrisetto che Robin conosceva molto bene.

I due si rincorsero fin dentro alla foresta, inseguiti da un Archer sbalordito e convinto di essere vittima di una stregoneria.
Tutti e tre rientrarono a Locksley che era quasi l'alba, a braccetto, spettinati e sporchi, dopo essersi azzuffati nel bel mezzo di Sherwood come dei ragazzini.
Archer non poteva credere di avere davvero dei fratelli così.

Il giorno seguente.
Locksley.

Il fatto che non avesse chiuso occhio era un dettaglio irrilevante per Guy: la determinazione da sola bastava a tenerlo in piedi. Tutto ciò che doveva fare era trovare Kaelee e convincerla a farsi ascoltare – e avrebbe fatto qualunque cosa, avrebbe atteso tutto il tempo che Kaelee avesse chiesto, perché era certo che ne valesse la pena. Robin c'era arrivato prima di lui a capire quanto profondo fosse il sentimento che nutriva per quella ragazza arrivata da fuori per rimettergli in moto il cuore, per curargli le ferite e farlo sentire vivo di nuovo. Completamente vivo. Vivo come forse non si era mai sentito.
Gisborne era quindi di nuovo in giro per le strade di Locksley e la cosa più straordinaria era il sorriso che dimorava sulle sue labbra sottili, così lontano dal ghigno che per anni aveva tormentato gli abitanti del villaggio. Salutò gentilmente tutti quelli che incontrò e chiese loro di Kaelee – se l'avessero vista, se sapessero dov'era, se conoscessero i suoi impegni del giorno.

Quel mattino Kaelee fece colazione in silenzio insieme a Kate, soltanto perché quest'ultima aveva insistito così tanto da farle credere che a momenti si sarebbe infuriata come non mai. Kaelee sapeva che non sarebbe riuscita ad affrontare un litigio, ma nonostante questo non riuscì ad essere di compagnia. Neanche l'ombra di un sorriso si disegnò sulle labbra mentre mangiava senza voglia frutta secca e un tozzo di pane. Appena le fu possibile si offrì volontaria per sparecchiare e riordinare, prima di comunicare a Kate che sarebbe uscita con l'intenzione di rintanarsi in Chiesa.
Era un po' di tempo che Tuck ci lavorava su, che cercava di farle buttare fuori ciò che la rendeva tanto triste e lentamente in Kaelee stava iniziando a smuoversi qualcosa. Tuck parlava con delicatezza e forza; sembrava girare attorno al problema, ma in realtà colpiva dritto al cuore della questione, facendolo in un modo, però, che anziché ferire Kaelee spingendola a chiudersi in se stessa, faceva sì che la ragazza trovasse una via di salvezza. Non pretendeva che parlasse con lui, che si confidasse con lui o che lo ritenesse un amico: voleva soltanto che si rendesse conto di dove risiedesse la soluzione al suo tormento. In se stessa, naturalmente – Kaelee c'era arrivata quasi subito anche se ancora non aveva trovato il modo per tirarla fuori.
La ragazza pensava così spesso a Guy che non si stupì di vederselo arrivare incontro, sorridente per giunta. Credette che fosse tutto frutto della sua immaginazione sebbene si trattasse di una visione piuttosto realistica, ma del resto quella notte non aveva dormito quasi per nulla perciò, per quel che ne sapeva, poteva essersi addormentata in Chiesa ed essere nel bel mezzo di un sogno. Perciò ci rimase di sasso quando la visione si mise ad interagire con lei.

Guy la vide e il suo cuore prese a martellare forte nel petto: aveva la sensazione che glielo avrebbe sfondato.
Si trovarono uno di fronte all'altra e ad entrambi il tempo parve fermarsi.
Gisborne non riusciva a smettere di sorridere tanto era felice di vederla e in quel momento non gli importava di come sarebbe andata, non era preoccupato di come lei l'avrebbe presa; ciò che gli interessava, sopra ogni cosa, era che lei scegliesse di ascoltarlo, che gli desse un'occasione, che non lo rifiutasse di nuovo. Era, però, intenzionato anche a non forzarla in alcun modo, perciò si impose di non sfiorarla per evitare di turbarla e di essere il più gentile possibile nei modi e nei termini da adoperare.

Per contro, Kaelee era stordita da quanto le stava accadendo perché pensava di essere arrabbiata con lui, ma il cuore la stava tradendo ed era come se il solo rivedere Guy avesse riacceso qualcosa in lei ricordandole immediatamente chi era, chi voleva essere. Le tornò in mente la sua spada, abbandonata in un angolo vicino al suo letto; le tornò in mente il giorno in cui aveva battuto Guy in duello; le tornò in mente la bella sensazione delle braccia di lui attorno a lei.
Ricordò di amarlo.
Poco importava se invece di essere Guy di Gisborne era Sir Guy di Gisborne, lo amava e ora che l'aveva detto a se stessa, Gisborne avrebbe potuto essere qualunque cosa senza che lei potesse smettere di amarlo.
Questo, però, Guy non lo sapeva e lei non aveva idea di come dirglielo o, almeno, di come farglielo capire.
«Kaelee...», sussurrò l'uomo, distogliendola dalla rivelazione appena avuta.
Nessuno aveva mai pronunciato il suo nome con tanta dolcezza, nemmeno suo fratello Aric; un brivido la scosse da capo a piedi e fu come risvegliarsi dopo uno strano sogno, non esattamente un incubo, fu come se qualcuno le avesse dato una spinta per svegliarla da un pensiero insistente.
«Devo andare». Lo disse velocemente, con poca convinzione e senza spostarsi di un millimetro. Neanche lei sapeva perché avesse detto una cosa del genere.
«Ti lascerò andare se devi, ma prima promettimi che mi ascolterai. Non necessariamente ora, se non vuoi, ma dimmi che mi ascolterai. Oggi pomeriggio. Stasera», mormorò lui cercando il suo sguardo di caramello. «Ti supplico», aggiunse aggrottando leggermente le sopracciglia, un lieve tremore sulle labbra.
Kaelee si concesse un tuffo nel mare cristallino che erano gli occhi di lui. Quei capelli un po' lunghi per un uomo, il modo in cui gli incorniciavano il viso, la facevano impazzire più delle mille domande che aveva in testa. Pensò che non l'aveva mai visto con indosso qualcosa che non fosse nero e diverse volte si era chiesta come mai prediligesse quel colore a differenza degli altri uomini di Robin Hood, ma non aveva mai provato a darsi veramente una risposta. Per qualche meccanismo che probabilmente Kaelee non avrebbe mai compreso, la sua mente si era difesa da una verità che forse l'avrebbe spaventata e sicuramente l'avrebbe turbata, eliminando alcuni dettagli – nei racconti dei suoi fratelli Gisborne non era mai comparso tra i membri della banda di fuorilegge; non viveva al Maniero con Robin e Archer sebbene fosse loro fratello e amico; il suo abbigliamento era diverso da quello degli altri abitanti di Locksley; i suoi modi, fin da quando le aveva quasi baciato la mano a casa di Kate, erano parsi eleganti e gentili più di quelli di ogni altro ex fuorilegge. Kaelee arrivò alla consclusione che Guy avesse qualcosa di diverso da tutti loro, qualcosa che lo rendeva unico, speciale e inquietante al tempo stesso. Ma anche terribilmente affascinante.
In quel tuffo Kaelee comprese che non avrebbe mai potuto dirgli di no, perciò annuì.
«Tra due ore, al Crocevia, nella foresta», disse e scappò via.

Foresta di Sherwood.
Guy arrivò in anticipo sul posto concordato per l'appuntamento, troppo agitato e teso per rispettare l'ora stabilita, ed ebbe modo di capire che, per quanto tentasse di prepararsi un discorso lineare, non sarebbe comunque riuscito ad essere così lucido da gestirlo nella maniera più corretta e che quindi non gli restava altro da fare che lasciarsi guidare dall'istinto nella speranza che Kaelee non lo interrompesse, non fuggisse, non lo guardasse con odio e disprezzo.

Kaelee si presentò al Crocevia non molto tempo dopo l'arrivo di Gisborne, anche lei in anticipo.
Prima di lasciare l'abitazione riempendosi lo stomaco soltanto con una tisana alle erbe, la ragazza aveva voluto accennare a Kate dell'incontro di quella mattina con Guy e della sua decisione di ascoltare quanto avesse da dirle. Non gliel'aveva detto per ottenere un consiglio perché la decisione di ascoltarlo non era in alcun modo oggetto di discussione; l'aveva fatto perché lei si era tanto preoccupata in quei giorni e non voleva nasconderle nulla, non voleva uscire di casa come avrebbe fatto una fuggiasca.
Il fatto che Kate non aveva approvato la sua scelta per ragioni che non aveva però motivato, era un dettaglio di cui Kaelee si sarebbe preoccupata a tempo debito onde evitare di aggiungere altri quesiti a quelli già presenti nella sua testa. Ad una conclusione, però, credette di esserci arrivata: Gisborne aveva fatto qualcosa di brutto a Kate.
«Eccoci qui», disse infine Kaelee abbozzando un sorriso, il primo di quella settimana. «Ti ascolto», aggiunse, andando dritta al sodo.
Guy annuì. «Ti sono molto grato per questo, ma non posso prometterti di essere breve». Un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra, di quelli che ti accendono lo sguardo, di quelli sinceri da poterne morire, di quelli pregni d'amore che Kaelee tanto adorava.
«Non ho molti impegni ultimamente», rispose lei. Lo disse voltandogli le spalle, incapace di guardarlo in faccia senza provare un brivido, di piacere e di timore.
Per alleggerire la tensione presero a camminare tra gli alberi di Sherwood.

Gisborne non parlò subito. Aveva una paura tremenda di rovinare ogni cosa, di sbagliare, di non piacerle. Le azioni che per anni aveva compiuto quasi senza provare alcun rimorso non erano atti degni di un Cavaliere, né di un uomo degno di avere al proprio fianco una donna come Kaelee, pura, gentile e buona con tutti. Gisborne per primo si vergognava terribilmente di ciò che aveva fatto sotto il comando di Vaisey di Nottingham ora che aveva compreso, ora che guardava alla vita da una prospettiva diversa e diametralmente opposta alla precedente, ma non poteva cancellare di netto il proprio vissuto. D'altra parte il Guy che Kaelee conosceva era il frutto di un passato che, per quanto lei potesse non gradire, lo aveva portato fin lì, perciò l'uomo si fece coraggio e raccontò la storia dall'inizio, ritenendolo necessario e soprattutto giusto nei confronti di Kaelee e di se stesso.
Le disse di essere il primogenito di due figli, di provenire da una famiglia nobile e che sua madre era di origine francese. Le disse di conoscere Robin da quando entrambi erano piccoli. Che il nome di sua sorella era Isabella e che lui l'aveva uccisa. Le raccontò della sua infanzia a Locksley, di quando credette morto suo padre per poi scoprire che egli invece era vivo ma destinato a morire in quanto affetto da lebbra. Le raccontò di come aveva scoperto della relazione di sua madre con il padre di Robin, all'epoca già vedovo, e di come da questa relazione fosse nato un bambino, Archer, senza che nessuno ne fosse a conoscenza a parte coloro che lo avevano messo al mondo perché Guy non aveva capito che il malore accusato da sua madre dopo un diverbio avuto proprio con lui era in realtà l'inizio del parto. Si perse per un attimo nei dettagli di quella vicenda e fece un salto in avanti parlando del padre di Robin, che tutti pensavano fosse morto nell'incendio e che invece era sopravvissuto, e di come era letteralmente piombato nelle loro vite dopo decenni rivelando l'esistenza di un fratello comune. Poi tornò indietro all'incendio e le parlò dei primi anni suoi e di sua sorella nei panni di orfani, di come sofferenza e preoccupazioni lo avessero mutato nel carattere e di come aveva letteralmente venduto Isabella, all'epoca appena tredicenne, ad un uomo che non l'amava ma che aveva pagato profumatamente.
Si fermò quando vide Kaelee irrigidirsi, ma, dal momento che lei non lo interruppe decise di proseguire.
Le raccontò quindi della violenza che lo aveva governato per anni interi, dell'esperienza in Terra Santa, dello Sceriffo di Nottingham, della cattiveria che lo divorava lentamente da dentro. Le disse anche di Annie e del figlio che aveva avuto con lei, Seth.

A quel punto Kaelee sentì il cuore spezzarsi. Non era così sciocca da credere che Guy fosse suo coetaneo, o che non si fosse mai unito con una donna prima di incontrare lei, ma sentirglielo dire così, con la calma di chi sta semplicemente raccontando una storia, le causò un dolore insostenibile. Era troppo, era troppa tutta quella cattiveria di cui Gisborne parlava con pacatezza, come se quegli eventi appartenessero ad un'epoca lontanissima anziché a qualche anno prima. Eppure Kaelee non sentì davvero l'impulso di andar via perché si rese conto che Guy stava dipingendo se stesso come una persona orribile, senza cuore, assetato di sangue e potere, il che doveva significare una presa di coscienza da parte sua; perché Gisborne si stava mettendo a nudo con lei che era quasi un'estranea in fin dei conti, quindi Kaelee voleva sentire tutta la storia prima di trarre conclusioni, sentendo di dovergli quella cortesia.
«Io ho ucciso. Ucciso persone», continuò l'uomo, «Un numero infinito di volte. Persone che non conoscevo, ma anche qualcuno con cui avevo parlato qualche volta, persone a me molto care perfino. Sono un assassino perché ho ucciso senza pietà, non per difendermi, ma per una soddisfazione personale che non ho mai raggiunto».
Quella quiete mista a rassegnazione nella voce di lui spaesò Kaelee e la disgustò quando credette che a Guy non importasse un bel niente del dolore che aveva seminato negli anni.
«Vorrei avere la possibilità di morire e tornare in vita soltanto per morire di nuovo, tante volte quante sono le vittime della mia spada», aggiunse con un filo di voce.
Questo fece subito capire a Kaelee che si era sbagliata, che era stata frettolosa nel giudicare Gisborne: il tormento di quell'uomo non era forse la testimonianza di un animo in fondo buono e sicuramente pentito?

Guy guardava dritto davanti a sé mentre parlava, camminava lento per non perdere il controllo di se stesso e cedere alla sofferenza che rievocare il passato gli provocava. Inoltre sapeva che se avesse cercato lo sguardo di Kaelee non sarebbe stato capace di continuare e andare fino in fondo.
Proseguì il racconto fino ad arrivare all'incontro con Lady Marian. Parlarle di lei era ancora incredibilmente difficile, ma soltanto così forse sarebbe riuscito a liberarsi dalle catene di quel ricordo, solo così forse sarebbe riuscito a lasciarla andare per sempre com'era giusto che fosse. Parlò di lei con estrema sincerità, non nascondendo a Kaelee l'amore immenso che aveva provato per Marian, mettendola a conoscenza di tutto ciò che aveva fatto per lei e di come aveva cercato in tutti i modi di portarla via a Robin Hood. Le raccontò di quando era quasi riuscito a sposarla e di quanto si sentisse sciocco ora per aver creduto anche solo per un attimo che Marian potesse amare un violento come lui. Non si risparmiò i dettagli e neanche le vicende del Guardiano Notturno, neanche che era stato lui ad ucciderla in Terra Santa dopo che lei gli aveva rivelato di amare Robin Hood.
Le rare volte in cui Gisborne si concedeva di gettare uno sguardo su Kaelee, che gli camminava di fianco, gli appariva chiaramente a disagio nel suo imbarazzato silenzio, tipico di chi non sa se sia il caso di dire davvero qualcosa. In fin dei conti Gisborne le aveva chiesto di ascoltarlo ed era esattamente ciò che Kaelee gli stava concedendo.
«Aveva soltanto ventidue anni quando l'ho uccisa», aggiunse, «Non doveva essere molto più grande di te», commentò d'istinto, maledicendosi un attimo dopo per ciò che aveva appena detto, per averla messa in mezzo a quel racconto.
Kaelee, però, parve non scomporsi affatto.
«Ne ho compiuti venti», fu la risposta che fece stringere i pugni a Gisborne.
«Forse non ti piacerà sapere che ne ho trentasei. Ma del resto stai passeggiando in compagnia di un assassino, quindi forse il resto non conta», ironizzò Guy.

Kaelee non avrebbe mai immaginato che ci fossero così tanti anni di differenza tra loro. A pensarci bene gliene avrebbe dati una trentina in effetti, non di più. La ragazza realizzò che l'uomo che amava era perfino più grande del maggiore dei suoi fratelli, che di anni ne aveva trentaquattro. Dovette ammettere a se stessa che quella rivelazione l'aveva definitivamente destabilizzata perché era una realtà che, a differenza del male che Gisborne aveva fatto, non sarebbe mai mutata. Ciò che però la spinse a rispondergli fu la seconda parte della frase.
«Mi stai dando dell'idiota per caso? No, perché sarei un'idiota se davvero me ne andassi in giro con un assassino e io non credo di esserlo. Ingenua potrei concedertelo, ma idiota no. Raccontami il resto».
Una piccola parte di lei si disse che avrebbe dovuto avere paura di quell'uomo dopo ciò che le aveva raccontato, ma dentro di sé Kaelee non riuscì a rinvenire quel sentimento tra gli altri.

Guy non osò commentare: la determinazione nella voce della ragazza lo mise in soggezione. "Per essere una donna così giovane ha coraggio da vendere", pensò.
«Il resto è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia di violenza», continuò Guy mettendola a conoscenza degli eventi più recenti, ovvero l'arrivo a Locksley di sua sorella, in fuga dal marito, l'uccisione di Vaisey non andata a buon fine e il periodo che aveva trascorso nelle segrete dove aveva conosciuto Meg. Le parlò anche di lei e le disse che da quel momento in poi la sua vita aveva iniziato a cambiare volgendo nell'attuale direzione. Le disse di come lui e Robin avevano trovato e liberato Archer, di come lui li avesse in prima battuta traditi e poi salvati e di come il Castello di Nottingham e Nottingham stessa fossero letteralmente saltati in aria. Raccontò della ferita che lo aveva costretto a starsene a letto per un bel po' e di quanto fosse stato e in parte fosse ancora difficile farsi accettare dagli abitanti del villaggio, quanto fosse difficile meritare la loro fiducia. Si soffermò anche su quelli che erano i suoi tormenti da quando aveva ucciso Marian e raccontò di come Tuck lo avesse aiutato nella convalescenza fisica e morale e di come gli fosse comunque impossibile perdonarsi per tutto il male causato. Le svelò anche il motivo per cui non stava molto simpatico a Kate: aveva ucciso suo fratello.
Vide Kaelee chiudere gli occhi per un momento e credette che lo avrebbe aggredito vista l'importanza che Kate aveva per lei, ma ancora una volta la ragazza non fece né disse nulla.
Non le chiese pietà quando riprese a parlare. «Io stesso non ne ho per me», spiegò, né le chiese comprensione. Non pretese assolutamente nulla da lei.
Nessuno dei due si rese conto di quanto tempo fosse passato finché non videro che il Sole cominciava a scendere ed il cielo a divenire più scuro. Avevano camminato a lungo, eppure nessuno dei due aveva voglia di fermarsi o di rientrare. C'era come qualcosa in sospeso ancora tra loro.
«Questa è la storia di Guy di Gisborne», concluse, «prima che incontrasse Kaelee di Edwinstowe, prima che stringesse amicizia con lei, prima che le insegnasse a maneggiare la spada, prima che le offrisse protezione...», aggiunse senza riuscire a dire ciò che nella sua mente rimbombava: "Prima che si innamorasse di lei".

"Guy ha un figlio chissà dove, un figlio che aveva abbandonato senza pensarci su due volte mentendo alla madre e che sarebbe morto se gli uomini di Robin non l'avessero trovato per puro caso e salvato. Ha seminato terrore a Nottingham, a Locksley e ovunque sia andato. Ha amato e ucciso la donna che amava. È stato un uomo orribile", pensò Kaelee senza smettere di camminargli al fianco. "Ha perso entrambi i genitori in un incendio, ha sofferto tanto per questo, per la parte di verità che si è portato dietro tacendola per anni e per tutto ciò che è accaduto dopo quell'incidente. Non ha avuto una guida e ha amato nel modo sbagliato, ma ha amato, a suo modo. È stato ferito, ha pagato e sta pagando ancora le conseguenze delle sue azioni. Si è pentito. Ha combattuto al fianco di Robin Hood e insieme hanno salvato l'Inghilterra. Guy ha salvato anche me, in fondo, ed è un uomo diverso adesso. Resta il fatto che sia sedici anni più grande di me e forse non dovrei, ma lo amo. Ne sono sicura, ora più che mai".
La mano di lei cercò timidamente quella di Guy mentre un nodo alla gola le impediva di parlare per dirgli tutto ciò che sentiva.
Le loro dita si sfiorarono e Guy non riuscì a non voltarsi verso di lei.

I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle lasciate scoperte dall'abito; la sua pelle era chiara e bellissima, priva di qualunque imperfezione, splendente della luce dei suoi vent'anni. Il modo in cui la chioma formava quiete onde castane regalava armonia alla sua figura che agli occhi di Guy appariva fragile, ma al tempo stesso forte. Ai suoi occhi Kaelee appariva una creatura meravigliosa: si muoveva leggera nella foresta di Sherwood lasciando che la stoffa del suo vestito accarezzasse l'erba e la terra di quel magico angolo di mondo, sembrava magica anche lei.
Guy si fece coraggio e infine strinse la mano di lei nella propria: era immensamente piccola, ma sprigionava un calore capace di dargli la sensazione di essere finalmente libero da ogni male, quasi come se lei, con la sua sola presenza, Kaelee potesse redimerlo da ogni peccato.

«Un Guy che io non ho conosciuto e che non ho il diritto di giudicare in alcun modo», mormorò infine. La voce le tremò, fuori dal suo controllo.
"Guy mi sta tenendo per mano. Cosa significa?", pensò. «Accetto la tua protezione, Guy di Gisborne», aggiunse. "Sa cosa provo per lui? Dovrei dirgli che lo amo oppure sarebbe più consono aspettare che sia lui ad esporsi? So così poco... quasi niente della vita e del corso naturale delle cose! Sbaglio ad amarlo?".
Guy si fermò dopo che lei ebbe finito di parlare, ma non lasciò la sua mano. Cercò il suo sguardo e, quando ricambiò, Kaelee notò una luce calda e piacevole in quegli occhi chiari. Una luce che le fece battere forte il cuore, rassicurandola perché forse non aveva detto nulla di sbagliato, forse tutto sarebbe andato per il meglio.
«C'è un'altra cosa», sussurrò serio, scrutando negli occhi di lei.
Il tramonto era vicino e a breve avrebbero fatto bene ad incamminarsi per rientrare a Locksley. Fortunatamente avevano seguito una sorta di percorso circolare e non erano così lontani dal villaggio, perciò poterono trattenersi ancora un po'.
«Prima voglio dirtene una io», lo interruppe Kaelee e, avvicinandosi di più a lui, sollevò la mano libera vicino al volto di lui.
Dovette bloccarsi, però, a metà del gesto quando vide Guy stringere gli occhi, quasi che si aspettasse uno schiaffo da parte sua. Kaelee non comprese le ragioni di quella reazione, anche se poteva immaginare che lo Sceriffo Vaisey, di cui Gisborne le aveva parlato, non lo avesse mai trattato con modi gentili, ma lei voleva fare niente di male, in fondo, perciò si disse che non era giusto fargli credere il contrario. Si fece coraggio e posò le dita sul viso dell'uomo accarezzandogli delicatamente la guancia.
«Guy...», soffiò sperando che aprisse gli occhi.
La sorpresa fu evidente sul volto di lui prima e nello sguardo poi, quando le palpebre si sollevarono restituendo al mondo quei brandelli di cielo. Qualunque cosa si aspettasse, di certo non era una carezza. 
«Non voglio mai più vedere quell'aggressività, quella cattiveria, quell'odio in te. Mai più. Non mi piace e... mi fa paura», mormorò infine Kaelee riferendosi al modo in cui si era rivolto all'amico di suo fratello Aric.
L'uomo annuì e si scusò con lei per averla spaventata.
Si tenevano ancora per mano, ma la mano libera di Kaelee si era spostata dal volto al petto dell'uomo passando dal collo e dalla spalla; lo sfiorava all'altezza del cuore, come se ne volesse percepire i battiti e verificare se anche quello di lui stesse impazzendo come il suo.
Dopo qualche tempo la ragazza gli chiese cosa stava per dire prima che lo interrompesse.
Guy posò la propria mano su quella di lei, per trattenerla.
«Sarei onorato di offrirti me stesso insieme alla mia protezione», confidò Gisborne.
Kaelee sgranò gli occhi e dischiuse le labbra con somma sorpresa. "Mi sta dicendo che...", pensò senza riuscire a dirlo neanche a se stessa. Gli occhi le si appannarono e sentì un lieve rossore conquistarle le gote.
«Sì», fu la sola cosa che riuscì a dire, vibrando da capo a piedi per l'emozione.
«Sì...?», ripeté Guy. Il sorriso che gli piegò le labbra fu, per Kaelee, come il Sole dopo settimane di pioggia.
«Sì», confermò Kaelee ricambiando il sorriso e lasciandosi sfuggire una lacrima di gioia.
Guy l'attirò a sé e la strinse forte nell'abbraccio più bello che entrambi avessero mai vissuto.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 03/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Stando a quanto riportato su Wikia, Guy, Robin ed Allan sarebbero morti nel 1194 rispettivamente all'età di 36, 31 e 30 anni.
Avendo io iniziato questa storia con Guy in fase di ripresa da una ferita riportata nello scontro precedente alla distruzione del Castello di Nottingham, si presume che l'ambientazione temporale sia ancora la stessa e quindi il 1194. Ecco perché ho scritto che Guy ha trentasei anni. Lo stesso vale per Marian che, sempre secondo il sito, sarebbe morta nel 1193 a 22 anni.
L'età di Kaelee e quella di Dwight, invece, l'ho decisa io.
Spero di non aver preso un granchio durante la narrazione, ma se così fosse vi invito a farmelo notare.
Grazie a voi che vi siete soffermati a leggere ed eventualmente recensire.

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Capitolo 6
*** Il Temporale ***


Temporale


Il Temporale

Locksley.
Kate stava dipingendo alcuni vasi che l'indomani sarebbero finiti al mercato dei villaggi più vicini e poi nelle case dei rispettivi abitanti, facendo così girare l'economia di Locksley e della famiglia di Kate che da sempre produceva vasi decorativi e brocche di ogni forma e dimensione.
Nei giorni precedenti aveva parlato a lungo con Kaelee di Guy ed era rimasta sorpresa dalla sincerità di lui nei confronti della giovane ragazza quando lei le aveva raccontato per filo e per segno ciò che si erano detti nella foresta di Sherwood. Tutto ciò che Kate desiderava per Kaelee era che Gisborne non le facesse del male, cosa difficile da credere visti i precedenti. Eppure aveva promesso a Kaelee che avrebbe provato a fidarsi di lui nonostante tutto, che lo avrebbero fatto entrambe in fin dei conti, e che non l'avrebbe mai lasciata da sola specialmente ora che lei e Guy si erano timidamente dichiarati l'uno all'altra. Kate ci era rimasta quasi di sasso quando Kaelee aveva tirato fuori quel dettaglio, ritenendo che fosse troppo presto per un passo del genere, ed era stata ad un passo da una paternale con i fiocchi vedendo lo sguardo trasognato della ragazza, ma all'ultimo aveva cambiato idea perché in fin dei conti non era giusto da parte sua impedire a Kaelee di vivere emozioni che l'avrebbero aiutata a maturare, seppur con un margine di dolore e sofferenza non trascurabile. Non senza un certo imbarazzo si era informata sull'evoluzione del loro rapporto, temendo che Gisborne bruciasse in fretta tutte le tappe dal momento che Kaelee non era certo la prima donna sulla quale metteva gli occhi e le mani, e non senza un certo imbarazzo Kaelee aveva confidato che non si erano ancora mai baciati – che, più precisamente, lei non aveva mai baciato nessuno. Kate era più grande di Kaelee e aveva già avuto a che fare con l'amore, perciò sapeva che ci si poteva sentire felici un momento e persi il momento successivo, sapeva che il sentimento che si poteva provare per una persona poteva anche distruggere se non ricambiato e sapeva pure che l'amore era un sentimento volubile e che non era quindi da escludere l'ipotesi di poter amare altri uomini dopo il primo. Kate, però, non voleva trasformarsi in un nemico per Kaelee impedendole di vivere la sua storia d'amore con Guy e trasformandosi in quella madre da cui la ragazza era fuggita a gambe levate; semplicemente si ripromise di esserci nel caso in cui le cose fossero andate nel modo peggiore o avessero anche solo traballato un po'.
Nelle vicende che avevano riguardato Kaelee nell'ultimo periodo, un ruolo importante l'aveva coraggiosamente rivestito Much, il quale aveva ascoltato e consigliato Kate in merito all'atteggiamento più consono da tenere con l'amica e con Gisborne. Più con Gisborne in effetti: mentre Kate partiva prevenuta nei suoi confronti, Much guardava a lui da un'angolazione diversa e lo aveva in gran parte perdonato per tutto ciò che l'uomo aveva combinato in passato. Perciò Kate aveva preso a vedere spesso Much anche al di fuori di un pranzo o di una cena. Dopo la lite finita con un bacio, però, non era ancora riuscita a fare chiarezza in se stessa perché, se da un lato sentiva di voler bene a Much, d'altra parte ogni volta che pensava a Robin non riusciva a non voler essere tra le sue braccia. Ultimamente il bisogno di frequentare l'arciere era diminuito d'intensità, ma non era ancora scomparso, ragione per cui Kate era divisa in due dal dubbio: era il momento di guardarsi intorno perché con Robin non aveva più alcuna speranza, oppure sarebbe stato meglio attendere e continuare a sperare? Ma più lei sperava, più Much soffriva, anche lui incastrato nella stessa situazione di lei che se ne rendeva finalmente conto. Kate era cascata in un circolo vizioso che faceva del male a tutti.
Fu mentre si dedicava ad uno dei vasi che Robin fece la sua apparizione, salutandola con un sorriso spontaneo e sincero che lei ricambiò. Non le fu affatto difficile scegliere di rimandare il lavoro per una chiacchierata con lui.
Robin le apparve rilassato, sereno e senza troppe preoccupazioni per la testa. Kate non ricordava di averlo mai visto tanto tranquillo e ne rimase molto colpita mentre da un angolino della sua mente già proveniva la fastidiosa domanda pregna di una gelosia che non avrebbe giovato a nessuno: "Di chi è il merito di questo stato d'animo?".
Mentre dividevano spazio e tempo senza punzecchiarsi a vicenda o creare ulteriori tensioni, Robin le chiese di Kaelee e quando Kate gli disse che stava bene e che sembrava felice con Guy, lui le raccontò di come lo aveva aiutato a dichiararsi. Kate non riuscì a credergli, non poteva credere che Robin riuscisse ad accettare Gisborne al punto da mettersi a scherzare con lui, al punto da offrirgli il proprio aiuto per un problema personale, come si fa tra amici. "Tra fratelli", si corresse Kate mentalmente – chiedendosi ancora come potesse essere possibile dopo che Gisborne aveva crudelmente assassinato Lady Marian – senza riuscire a proferir parola.
Forse per questo suo silenzio Robin si fece più serio, pur non perdendo la carica allegra che si portava dietro quel giorno. Iniziò a parlarle di quello che era diventato suo fratello in un modo che non aveva mai creduto potesse verificarsi, le disse che aveva mille motivi per odiarlo quanto lei, mille motivi per non fidarsi di lui, ma era necessario ammettere che il Guy che abitava a Locksley adesso era una persona completamente diversa dal braccio destro di Vaisey.
Kate convenne con lui e glielo fece presente, ma in cuor suo si stava domandando perché Robin sentisse il bisogno di parlarle di Gisborne quando loro due avevano molte questioni in sospeso che attendevano di essere risolte una volta per tutte.
«Il percorso per lui è appena all'inizio e non sarà facile farsi accettare da tutti, qui a Locksley e nella nascente Nottingham, per questo e perché tengo molto a te e nutro molta stima per te, vorrei che riuscissi a perdonarlo per ciò che ti ha fatto», disse Robin lasciando Kate in preda a strane sensazioni.
Aveva appena avuto conferma di quanto Robin si fidasse di lei e le volesse bene, ma come faceva a sapere se lui provava anche qualcosa di più del semplice affetto che si nutre per un amico? Come poteva fare per uscire da quella situazione senza dover litigare ancora una volta con Robin?
Gli disse che il perdono non è qualcosa che arriva di colpo, semplicemente perché qualcuno ti fa capire che perdonare è la cosa più giusta da fare. «Ma ci proverò», sentì di dover precisare. «L'ho promesso anche a Kaelee del resto... Mi avete proprio messa nel sacco voi due eh?», scherzò come non faceva da tanto con lui.
Di nuovo si sentì strana in quel contesto: parlava con Robin come un tempo, riuscendo più facilmente di quanto credesse a non provare per lui rancore, senza sentirsi a disagio o tradita o ferita. Si rese conto che la compagnia di Robin, indipendentemente da come sarebbe finita tra loro, la rendeva felice e capì di non essere disposta a rinunciare totalmente alla sua presenza nella propria vita – cosa che sarebbe necessariamente accaduta nel caso in cui Kate non si fosse dimostrata disposta ad accettare il cambiamento.
Robin rise e Kate comprese anche di essere stata una sciocca a non aver voluto confrontarsi con lui prima di quel momento, forse per eccesso di orgoglio, forse per la paura di un altro rifiuto o forse perché in cuor suo Kate sapeva di dover andare oltre a quella storia senza essere però ancora pronta a farlo.
Quell'incontro inaspettato quanto sereno sembrava aver sistemato molte cose, appianato dissapori e chiarito che non c'erano sentimenti ostili da parte di Robin per lei.
Nel loro passeggiare per le stradine di Locksley erano intanto passati dal macellaio che aveva promesso a Robin una prelibatezza, poi avevano fatto ritorno al forno gestito dalla madre di Kate e qui Robin la ringraziò per aver compreso le sue ragioni e si scusò per non essere riuscito a darle ciò che meritava. Infine la salutò con un leggero abbraccio.
Kate aveva infine avuto la sua risposta ed era pronta a voltare pagina, a considerate l'idea di poter rendere felice Much, che per lei stravedeva da sempre.


Edwinstowe.
Rudyard e Willard non erano ancora riusciti nel loro intento di riportare a casa Kaelee ed erano rincasati per qualche giorno di riposo, sia per loro stessi che per i cavalli. Per loro sfortuna e per la fortuna di Kaelee, i due avevano deciso di iniziare le ricerche partendo in direzione diametralmente opposta a Locksley: un colpo di fortuna che regalava tempo alla giovane ragazza prima che si verificasse l'inevitabile. Aric, infatti, era consapevole che prima o poi i due avrebbero cambiato rotta e a meno che Kaelee non decidesse di condurre una vita da fuggiasca spostandosi di villaggio in villaggio, Rudyard e Willard sarebbero infine arrivati a lei. Forse avrebbero impiegato un mese o magari due o, chissà, un anno intero, ma illudersi di scamparla, era da sciocchi.
Aric, dal canto suo, aveva avuto modo di parlare con l'amico che gli aveva fatto da messaggero e aveva così appreso non solo che sua sorella era arrivata sana e salva a Locksley ma che viveva anche sotto la protezione di Robin Hood e dei suoi uomini, due in particolare stando al racconto del giovane. In cuor suo era felice per lei sebbene a lui toccasse assistere continuamente alla cattiveria di suo fratello Rudyard che, tanto per dirne una, per ovviare alla propria frustrazione aveva deciso di uccidere con le proprie mani due commercianti ambulanti solo perché aveva ritenuto che passassero davanti alla sua proprietà con un fare troppo sospetto. Più passava il tempo, più la malvagità di Rudyard aumentava; più passava il tempo, più la gente del villaggio lo temeva e detestava al tempo stesso.
Aric non faceva altro che pensare a come potesse fare per mettere i bastoni tra le ruote dei suoi fratelli senza essere scoperto, andando così in aiuto di sua sorella evitandole la sofferenza da cui era fuggita. Ma c'era un'altra cosa che preoccupava Aric da quando aveva parlato con l'amico rentrato da Locksley. Uno dei due nomi che il ragazzo aveva fatto era Sir Guy di Gisborne e il pensiero che sua sorella fosse sotto la protezione di un uomo tanto malvagio, aveva gettato Aric nello sconforto sebbene il suo amico avesse precisato che quel Gisborne facesse parte della banda di Robin Hood e avesse ottenuto l'approvazione del capo.
Era un gran bel rompicapo per il giovane Aric, il quale si ritrovò a non saper proprio cosa pensare di quel fatto così strano.


Foresta di Sherwood.
Kaelee aveva appuntamento con Guy per il consueto allenamento. Nonostante sapesse che lui non le avrebbe ancora permesso di usare la lama vera, portava comunque sempre con sé l'arma che si era fatta fare dal fabbro. "Non si sa mai", pensava tutte le volte.
Correva a perdifiato, impaziente di raggiungere l'uomo che amava, e non provò nemmeno a mascherare il rumore dei propri passi quando vide che Gisborne era già lì ad attenderla. Gli sorrise da lontano e quando gli fu abbastanza vicina gli gettò le braccia al collo in uno slancio che la fece arrossire subito dopo.

All'uomo piaceva la sensazione che provava ogni volta nel voltarsi e vederla arrivare. In questo periodo di transizione da Sir Guy di Gisborne lo spietato a Guy uomo di Robin Hood, l'ex braccio destro dello Sceriffo sentiva il bisogno di continue conferme da parte di chi viveva a stretto contatto con lui. Parlava spesso con Robin ed Archer, chiedendo loro se il proprio comportamento fosse consono agli ideali di Robin Hood, in cosa fosse necessario migliorarsi ancora, e, raccontando loro di Kaelee, cercava consigli su come muoversi in quella nuova relazione. Nuova non perché aveva cambiato donna, ma perché lui era cambiato, lui era un uomo nuovo. I suoi due fratelli minori erano le rocce cui si aggrappava quando stava per cadere, le corde che lo avrebbero tirato su, le braccia che lo avrebbero aiutato a rimettersi in piedi, perché vedeva quotidianamente negli occhi di Robin chi era stato, da cosa stava allontanandosi per sempre, e negli occhi di Archer chi stava diventando, chi gli aveva dato l'occasione di dimostrarsi un uomo migliore. Gli bastava averli vicino per dimenticare i tormenti che ancora persistevano in lui.
Così, anticipare sui tempi Kaelee e vederla correre sorridente verso di lui gli faceva capire che la strada che stava percorrendo era quella giusta e che stavolta davvero sarebbe riuscito ad amare e proteggere la donna amata, perfino da se stesso se necessario.
Aprì le braccia quando capì che lei intendeva abbracciarlo, la strinse e la sollevò da terra senza difficoltà, accogliendola con gioia.

«Salve spadaccino», sussurrò al suo orecchio.
Lo fece ridere e tutta la foresta le parve riempirsi di quel suono: era bellissimo vederlo ridere, sentirlo ridere.
Kaelee aveva un'idea estremamente romantica dell'amore, perciò quando incontrava Guy non le importava cercare un posto per stare da soli e abbandonarsi ad intime effusioni, anzi, il solo pensiero la faceva sentire a disagio perché temeva di non essere ancora pronta, anche se non aveva per nulla le idee chiare in merito. Le bastava quel che aveva comunque, per il momento, e se solo pensava che prima o poi lui l'avrebbe baciata, si sentiva venir meno.
Tuttavia era una persona diversa da quando aveva conosciuto l'amore, perché nuovi e diversi pensieri si erano affacciati alla sua mente, che aveva cominciato a vedere cose e persone in maniera del tutto differente. Se fino a quel momento non c'era stata alcuna malizia a filtrare i contatti che Much aveva con Kate, da un po' Kaelee aveva cominciato a chiedersi come si sarebbe sentita lei se Gisborne le avesse sfiorato il braccio allo stesso modo o baciato la guancia trattenendosi sulla sua pelle e rispondersi che al posto di Kate lei avrebbe preso fuoco, l'aveva indotta a credere che nei gesti di Much dovesse esserci qualcosa di più del semplice affetto e bisogno di un innocente contatto, qualcosa che forse poteva corrispondere alla definizione del termine desiderio. Nel comprendere che ciò che provava per Guy non era solo una semplice amicizia, Kaelee si era inevitabilmente sentita più adulta e più donna. Il corpo le aveva già rivelato il passaggio da fanciullezza a maturità e si era sentita adulta tutte le volte che aveva portato a termine una commissione, cucinato per la propria famiglia, svolto correttamente i doveri e amministrato la casa in assenza di sua madre, unica donna a parte lei. Ma sentirsi donna era una cosa diversa e Kaelee lo stava scoprendo grazie all'amore che provava per Gisborne e che lui provava per lei. Da quando si era innamorata era come se splendesse e nel suo splendore aveva imparato a vivere intensamente ogni singolo momento.
Ingenuità e maturità si fondevano in un modo imprevedibile nella persona di Kaelee, capace di arrossire per un'accennata allusione e al contempo in grado di prendere le redini del proprio futuro. Ecco perché se da un lato ogni cellula del suo corpo viveva in funzione di Gisborne, dall'altro era pienamente consapevole di dover parlare con Allan perché sapeva che era giusto così, anche se c'era la possibilità che entrambi ne soffrissero. Allan, infatti, le stava molto simpatico ed era sempre stato gentile con lei, perciò le sarebbe dispiaciuto perdere la sua amicizia, ma nonostante questo non si sentiva autorizzata a mentirgli o a evitarlo. Perciò aveva deciso che gli avrebbe parlato quanto prima e aveva messo al corrente anche Guy, il quale aveva apprezzato molto la correttezza di lei.

Guy la trattenne per un po' in quella piacevole stretta capace di riscaldarlo più in fretta del fuoco in un enorme camino, ne era certo, prima di ricordare il reale motivo per cui entrambi erano lì. Molto lentamente, quasi non volesse separarsene, la liberò dall'abbraccio e le rivolse un sorriso.
Adorava l'esuberanza di Kaelee, sebbene alle volte i suoi slanci lo irrigidissero, gli piaceva che lei fosse così piena di vita, così curiosa nei confronti di tutto ciò che accadeva attorno a lei, perché, forse senza neanche saperlo, Kaelee lo faceva sentire utile.
«Mi hai davvero chiamato in quel modo?», le chiese senza smettere di sorridere.
La vide fare spallucce. «Se non ti piace basta che me lo dici», mormorò.
Lui per tutta risposta, divertito dalla timidezza che si alternava a momenti in cui era quasi sfacciata, si chinò per baciarle la guancia in un gesto d'affetto spontaneo.

A Kaelee piacque molto il contatto delle labbra sottili di lui con la propria guancia. Le labbra, però, non erano la sola cosa che le piaceva di lui; era infatti affascinata dalle mani di Guy, dalle dita lunghe e dal loro colore chiaro in contrasto con le maniche nere della casacca, così si mise a rigirarsele tra le proprie. Notò che diverse cicatrici nel decoravano la superficie, testimonianza di infiniti istanti di violenza e pericolo. Kaelee non aveva mai smesso di pensare a ciò che Guy le aveva raccontato e di tanto in tanto si era chiesta se un uomo come lui potesse davvero cambiare radicalmente e diventare quella bellissima persona che aveva conosciuto; pensava a Lady Marian, la donna che lui diceva di aver amato più di ogni altra cosa al mondo, e al fatto che fosse stato proprio lui a toglierle la vita; di tanto in tanto, prima di addormentarsi, veniva assalita dal terrore che Guy potesse tornare quello di un tempo, ma poi lo rivedeva nella mente, gli occhi limpidi, il sorriso sincero; lo vedeva insieme a Robin ed Archer, i suoi fratelli, e non riusciva a credere che quella storia fosse vera, eppure Guy aveva salvato Archer insieme a Robin e Kaelee sapeva che non era una bugia perché anche Kate le aveva parlato dell'arrivo di Archer a Locksley e di come, insieme, avevano fatto saltare in aria Nottingham e l'ex Sceriffo salvando la popolazione che adesso stava ricostruendo la città.
Molte volte Kaelee rifletteva sull'imprevedibilità della vita e dei sentimenti umani che nel loro piccolo, se sommati, erano capaci di cambiare il corso delle cose.

Gisborne le lasciava fare tutto ciò che voleva soltanto per poi godere del sorriso che esplodeva sulle labbra di lei; se voleva accarezzargli il viso non l'avrebbe fermata, se voleva tenergli le mani per ore ed ore non l'avrebbe fermata, se voleva stare immobile a guardarlo non l'avrebbe fermata. Si fidava e gli piaceva ricevere le attenzioni di lei, anche se l'adorazione con cui a volte lo guardava lo sconvolgeva nel profondo perché nessuno, tranne forse sua madre, gli aveva mai rivolto sguardi così carichi di sentimenti. Inoltre, il motivo per cui lasciava fare a lei dipendeva anche dall'enorme paura che lo divorava ogni volta che pensava anche solo di sfiorarla. Temeva infatti di spaventarla, di esagerare. E di impazzire. Non aveva mai fatto i conti con nulla del genere, in quanto in precedenza si era preso con la forza ciò che aveva desiderato. Lo aveva fatto in modo del tutto disonesto con Annie e l'aveva fatto più gentilmente anche con Lady Marian alla quale aveva strappato diversi baci nel corso della sua permanenza al Castello. Aveva fermamente creduto che fosse quello il modo per conquistare il cuore di una donna: prenderla con la forza, farle molti doni e poi marcare il territorio. Ora capiva quanto avesse sbagliato con Marian.
Intanto, mentre una parte di lui provava a concentrarsi sul reale motivo per cui entrambi si trovavano nella foresta, un tuono scoppiò al di sopra degli alberi facendo sobbalzare Kaelee.
Guy sollevò lo sguardo istintivamente, ma non riuscì a vedere oltre le alte chiome che componevano Sherwood. La staticità dell'aria, però, la diceva lunga sul temporale in arrivo.
«Dovremmo tornare a Locksley», disse Guy e ringraziò il cielo di aver preso il suo cavallo quel giorno, perché a piedi non sarebbero mai arrivati a Locksley prima di beccarsi un malanno. Dato che a Kaelee non dispiaceva affatto cavalcare, le strinse la mano e le disse di montare per prima. Subito dopo, con le redini saldamente in mano, ordinò al cavallo di partire a tutta velocità alla volta del villaggio.

Il bianco destriero di Guy era un contrasto perfetto con il nero che predominava in lui, ma anche perfettamente in linea con la purezza del suo sguardo ora che era privo di sofferenza, dolore e malvagità. Guy in sella a quel cavallo era la visione più bella che Kaelee avesse mai avuto, ma la cosa ancora più bella, in quel momento, era la sua appartenenza alla visione da sogno. Le sue spalle erano a diretto contatto con il petto dell'uomo il quale con le braccia non solo teneva le redini, ma la proteggeva da un'eventuale caduta laterale. Anziché guardare avanti, preoccuparsi del vento improvvisamente freddo, temere i tuoni insistenti e la pioggia che iniziava a cadere, Kaelee abbandonò la testa contro il petto di Guy e chiuse gli occhi.
L'allenamento era ufficialmente saltato, ma la nuova circostanza era un piacevole fuori programma.

Casa di Guy, Locksley.
Nonostante il cavallo di Gisborne fosse tra i più veloci che l'uomo avesse mai cavalcato, lui e Kaelee erano completamente zuppi quando raggiunsero Locksley e a Guy parve la cosa più sensata far scendere la ragazza davanti casa sua anziché portarla dallo scudiero con sé e rientrare di corsa insieme a lei.
«Entra in casa! Arrivo tra un momento!». Dovette urlare per sovrastare il chiasso prodotto dalla pioggia battente: incredibile con quanta forza quel temporale fosse scoppiato all'improvviso con l'intento di allagare ogni cosa. Guy era davvero preoccupato per Kaelee, sicuramente infreddolita quanto lui, ma molto più minuta di lui e sentiva l'urgenza di accendere un fuoco per far sì che si riscaldasse immediatamente ed evitasse l'eventualità di una febbre pericolosa. Gisborne ne aveva vista di gente morire così e il solo pensiero che potesse toccare proprio a Kaelee gli faceva perdere la ragione, ma doveva mantenere la calma e lasciare all'asciutto il suo cavallo. Così raggiunse i ragazzi che lui stesso aveva istruito e corse di nuovo verso casa.
La terra stava già diventando fanghiglia, così l'uomo aumentò il passo.

Appena mise piede in casa di Guy, Kaelee si rese conto tutto in una volta della situazione. Non era mai andata a casa dell'uomo, un po' perché lui effettivamente non l'aveva ancora invitata e un po' perché qualcosa da qualche parte nella sua testa le urlava "È sconveniente! È sconveniente! È sconveniente!", in quanto lui viveva da solo a differenza sua che divideva l'abitazione con Kate. Anche in quel momento la vocetta strillava, odiosa e inarrestabile, confondendola e spaventandola. Se ne rimase lì – davanti all'ingresso, con la pioggia che componeva indisturbata la propria sinfonia alle sue spalle – per qualche istante, senza sapere bene cosa fosse opportuno fare, ma alla fine si disse che non poteva davvero restarsene immobile a morire di freddo come una stupida aspettando che Guy rientrasse e sistemasse le cose, così decise di provare ad avviare il camino. Quell'abito bagnato le avrebbe presto procurato un malanno se non fosse corsa immediatamente ai ripari e lo stesso sarebbe accaduto a Guy, senza contare che il modo in cui il tessuto le si appiccicava addosso era incredibilmente fastidioso, irritante e scomodo. L'abitazione, notò Kaelee, era ben tenuta e lei non ebbe difficoltà ad orientarsi: si somigliavano tutte, in fin dei conti, le case. Aveva a disposizione tutto l'occorrente e dal momento che diverse volte si era trovata a dover accendere o alimentare il fuoco, a casa sua, non si perse d'animo. Sistemò la legna come suo fratello Dwight, il maggiore, le aveva insegnato e attese che il fuoco prendesse per bene.

Quando Guy entrò in casa il tepore che lo accolse gli rivelò che il camino era già stato acceso. Ne rimase piacevolmente colpito: nonostante avesse ben chiaro che quella ragazza tutto era tranne che una sprovveduta, non mancava mai occasione di stupirsi in sua presenza. Si chiuse la porta alle spalle annunciando così il suo ritorno, ma non raggiunse subito Kaelee. Salì invece al piano superiore, velocemente, per recuperare delle coperte. "Se io sto morendo di freddo, figuriamoci lei", commentò mentalmente senza però dare ascolto sul serio a quell'angolo molto pratico della sua mente che suggeriva di privarsi completamente dei vestiti per potersi riscaldare in modo efficace nel minor tempo possibile.
Tornato al piano inferiore, senza alcuna malizia si avvicinò a Kaelee, la ringraziò e si complimentò con lei per il fuoco, le sorrise e le mostrò le coperte. Sempre senza alcun segno di malizia, istintivamente, e con il solo scopo di fare in modo che non si ammalasse, senza perdere altro tempo si spostò dietro di lei e prese a slacciarle l'abito.
Gisborne collegò subito i brividi di Kaelee al freddo che certamente la stava pervadendo, perciò si affrettò ulteriormente prima che un'idea diversa si affacciasse alla sua mente.
«Guy, che stai facendo?», domandò la ragazza senza fiato, tremando per i brividi e forse anche per il piacere che quel gesto aveva scatenato.
Solo allora Gisborne realizzò quanto stava accadendo e si sentì uno sciocco per non aver preso in considerazione la cosa su un piano più ampio: le sue intenzioni erano buone, ma erano perfettamente chiare solo a lui in effetti e Kaelee era abbastanza intelligente da capire che quei gesti potevano significare anche altro. Senza contare che Gisborne non poteva negare a se stesso di averci pensato per una frazione di secondo in cui aveva perso il controllo dei pensieri e aveva dato retta soltanto al proprio corpo; non poteva ignorare
il pensiero del corpo esile di Kaelee scosso dai brividi e delle sue piccole mani e della pelle delicata mentre all'esterno dell'abitazione i tuoni infuriavano e lo scrosciare intenso della pioggia faceva da sottofondo al modo dolcissimo in cui lei sempre gli si rivolgeva dimostrandole il suo amore.
«Voglio solo che tu non prenda freddo. Ti chiedo scusa», mormorò guardando subito altrove. «Ti lascio sola, ma... Togliteli quei vestiti».
Non si era mai sentito così... impacciato? Fuori luogo? Ingenuo? Non era abituato a stare attento a certe cose, non aveva mai dovuto farlo in passato e soprattutto non aveva mai dovuto dare una spiegazione razionale alle proprie azioni, giuste o sbagliate che fossero. Ora invece tutto era molto diverso.
Aveva condotto la giovane Kaelee a casa, perché pioveva, certo; perché entrambi erano zuppi e infreddoliti, certo; perché era la soluzione più veloce per trovare ristoro, certo; ma anche perché, lo sapeva, voleva trascorrere altro tempo con lei; perché detestava l'idea di darla vinta a quel temporale; perché averla accanto lo rilassava e lo faceva sentire amato. E perché pensava che a lei non sarebbe dispiaciuto. "Ma come diavolo ho fatto a non pensare che saremmo stati soli, in casa, senza vestiti e con un temporale assurdo lì fuori? Come ho potuto non pensare a quanto possa essere imbarazzante per lei?", si disse e avrebbe voluto sprofondare perché era certo che lei si stesse facendo un'idea del tutto sbagliata di lui e di quella situazione, era certo che stesse fraintendendo le sue intenzioni e quasi totalmente certo che alla prima occasione Kaelee si sarebbe fiondata fuori da quella casa per raggiungere Kate e non rivederlo mai più. "Le racconterà tutto e lei mi odierà più di quanto già non faccia", pensò, seriamente dispiaciuto per aver perso il controllo della situazione.
A Gisborne non era sfuggito come Kaelee avesse iniziato a tremare come una foglia al vento e come le sue labbra tendessero sempre più al viola e il volto fosse divenuto pallido ad eccezione delle gote che erano di un rossore adorabile perfino in quel momento. L'istinto continuava a suggerirgli di correrle in soccorso, ma i costumi dell'epoca gli imponevano di darsi un contegno maggiore di quanto avesse dimostrato fino ad ora, perciò Guy si era venuto a trovare in un libro che gli avrebbe fatto perdere la testa se qualcosa non fosse cambiato nel giro di qualche minuto.
«D'accordo, m-ma tu r-resta», balbettò Kaelee senza riuscire a smettere di tremare.
Guy si voltò di scatto, gli occhi sgranati, lo sguardo leggermente sconvolto perché quella ragazza lo confondeva di continuo di una confusione oltremodo piacevole.

Kaelee non riusciva a pentirsi di quanto aveva appena finito di dire anche se non aveva esattamente pensato di dirlo: le era uscito fuori così, senza che lei ordinasse alle labbra di muoversi. Pensò a quanto tutto quel contesto fosse surreale.
Lei a casa di lui, il camino avviato e i vestiti impregnati d'acqua piovana; i corpi infreddoliti e l'opportunità concreta di riscaldarsi semplicemente spogliandosi e avvolgendosi in una coperta; l'amore che li legava e il fatto che se fino a poco prima tenersi per mano era quanto di più intimo ci fosse tra loro, nel giro di pochi istanti si sarebbero ritrovati completamente nudi; il tepore del camino e l'atmosfera che esso creava; il viso di Guy e le sue mani e la velocità con cui avevano cavalcato insieme per raggiungere in fretta Locksley; e i suoi capelli neri, così belli anche quando erano completamente scompigliati dalla pioggia e dal vento.
La giovane donna dovette arrendersi ad una nuova evidenza: il corpo diceva ciò che la mente si ostinava a negare e tacere. Infatti, sebbene razionalmente Kaelee riuscisse a comprendere che ciò che sarebbe potuto succedere potesse essere uno sbaglio, il corpo reagiva in maniera non soltanto diversa, ma addirittura opposta a ciò che i pensieri suggerivano facendole desiderare un inappropriato, ma sicuramente piacevole, contatto con quell'uomo. Per un attimo si sentì inopportuna e sporca, una di quelle donne da taverna che non bisogna mai frequentare, ma poi si disse che Gisborne non era un avventore qualunque, non un uomo tra tanti. Gisborne era l'uomo che amava e questo doveva pur voler dire qualcosa.
Kaelee si chiedeva come sarebbe andato a finire quel pomeriggio di confusione e incertezza.

Guy si domandava se fosse consono restare lì come lei aveva chiesto. Ma aveva davvero senso porsi tutte quelle domande dopo che l'aveva portata a casa? Non sarebbe stato più adeguato porsele prima? E dal momento che non si era ricordato di farlo, cos'altro poteva fare se non vivere quell'attimo? Dal momento che non si era ricordato per tempo il motivo per cui non l'aveva mai invitata a casa sua fino ad ora e non avendo la possibilità di tornare indietro, cosa gli restava da fare? Ogni dubbio svanì istantaneamente appena Kaelee si fece ancora più pallida, tremò con maggiore violenza e si strinse nel tentativo di conservare un minimo di calore. Nell'uomo scattò di nuovo quell'incontenibile bisogno di proteggerla e seppe che non c'era nient'altro da fare che riscaldarla nell'unico modo che conosceva per far sì che stesse meglio.
Le sue mani tornarono ai lacci dell'abito di lei e ogni volta che inavvertitamente le sfiorò la schiena con le dita, la sentì rabbrividire. Gisborne avrebbe tanto voluto indugiare su quella pelle, ma si disse che non era il momento più giusto, che era necessario pensare alla salute di Kaelee prima di ogni altra cosa e che quel momento sarebbe arrivato prima o poi e sarebbe stato bellissimo. Le baciò il capo mentre l'abito finiva per terra insieme al resto, sperando in questo modo che lei si rilassasse, che non lo fraintendesse, che non lo considerasse un pervertito approfittatore. Inoltre voleva anche farle capire che non la stava guardando, che nutriva un profondo rispetto per lei.
Osservandone lateralmente il volto, Gisborne si accorse che Kaelee teneva gli occhi chiusi e la trovò incredibilmente tenera.
Avrebbe voluto dirle qualcosa mentre la avvolgeva in una delle coperte che aveva recuperato al piano superiore e che Kaelee gli aveva gentilmente passato quando aveva terminato di spogliarla, ma non gli venne in mente niente che fosse utile a mandar via un po' di imbarazzo, sia suo che della donna che amava.

«Grazie», sussurrò infine Kaelee voltandosi per guardarlo, «Devi riscaldarti anche tu adesso», aggiunse senza osare muovere un braccio, per paura che la coperta le cadesse di dosso. Scoprì di non essere affatto pronta per ciò che una situazione come quella poteva implicare, ciò che avrebbe sicuramente implicato se solo lei fosse stata più grande o avesse già avuto un'esperienza in tal senso. Scoprì che la sola idea di essere accanto ad un uomo completamente nudo la stordiva, stravolgeva, spaventava.
Gisborne annuì e alla luce calda del camino si privò di quelle pennellate di nero che celavano una tela quasi del tutto immacolata, pelle chiara solcata qua e là da qualche cicatrice, un corpo scolpito, ancora giovane e bello da guardare.
Kaelee ritenne opportuno evitare che lui si accorgesse di quanto la vista del suo petto nudo l'avesse sconvolta. Piacevolmente sconvolta. La ragazza non ci capiva più niente: un istante credeva di non essere pronta e l'istante dopo non desiderava altro che trovarsi pelle contro pelle con Guy. Se non altro cominciava ad avvertire sollievo dal freddo anche se non era sicura che fosse esclusivamente merito della coperta e del camino. Decise che la soluzione migliore e più semplice da attuare in mezzo a quel caos di sentimenti e pensieri fosse quella di fissare gli occhi sulle fiamme, che infatti in breve tempo la ipnotizzarono con la loro danza di sinuose forme astratte.
Con la coda dell'occhio, troppo curiosa per tenere costantemente lo sguardo fisso sul fuoco, Kaelee si era accorta che Gisborne aveva preferito avvolgersi una prima coperta attorno alla vita, gettandosene poi una seconda sulle spalle prima di sedersi a terra, di fronte al camino, e invitarla a raggiungerlo. Kaelee pensò che di certo Guy aveva usato su di sé due coperte per scaldarsi in fretta, ma ebbe anche la sensazione che l'uomo si fosse coperto interamente per non mettere entrambi ancor più in imbarazzo. Nonostante questo, Kaelee si morse il labbro inferiore, incerta sul da farsi e fu forse questo suo atteggiamento a spingere Gisborne a parlarle con il cuore in mano.
«Non intendo nuocerti in alcun modo», mormorò abbagliandola con un sorriso dolcissimo. «Non accadrà nulla di male, voglio solo tenerti stretta e scaldarti finché la tempesta non sarà finita. Puoi fidarti di me», aggiunse in tono pacato, gentile, incredibilmente tranquillo.
Kaelee ebbe la sensazione che Gisborne non sentisse tutta la confusione che invece provava lei, quasi che i sentimenti di lui fossero diversi anche se le si era dichiarato, ma quando la coperta che gli avvolgeva le spalle lasciò intravedere la pelle mentre lui protendeva le braccia nella sua direzione, lei smise di pensare e non resistette oltre a quell'invito. La sua unica coperta era grande abbastanza da coprirla per intero, così non ebbe timore nel piegarsi e prendere posto accando a Guy il quale pretese di averla più vicina di quanto lei già non fosse. A Kaelee non dispiacque affatto quando Guy le avvolse un braccio attorno alle spalle portandosi dietro la coperta, riscaldandola ancora più velocemente e accogliendola in un tenero abbraccio.
Contro ogni possibile previsione, Kaelee sentì la tensione allentarsi sui suoi muscoli, contratti un po' per il freddo e un po' per le emozioni; sentì anche di essere al sicuro con Guy e fu certa che ciò che lui le aveva detto era vero: non sarebbe successo niente di male in quella casa, né quel giorno né un altro giorno, perché in fondo ad amarsi non c'era proprio nulla di sbagliato se il sentimento era sincero da entrambe le parti. Nel loro caso sembrava esserlo e qualunque cosa fosse successa, non sarebbe stata sbagliata. Forse affrettata, forse non esattamente come Kaelee e Guy avevano immaginato, ma di sicuro nessuno dei due se ne sarebbe pentito. Per questo la ragazza ritrovò il sorriso sul petto dell'uomo che amava; per questo decise che non era necessario stare sempre a pensare a cosa fare e a cosa non fare; per questo gli baciò la porzione di petto a portata di labbra scoprendo che la pelle di lui era liscia, morbida e nuovamente calda. Seppe anche che ad ogni bacio le sue labbra avrebbero preso fuoco e che questo non sarebbe cambiato molto presto; scoprì che spegnere i pensieri era piacevole e si disse che se anche Guy avesse intravisto il suo corpo privo di vestiti non era poi un così terribile dramma, quindi decise di spostare le braccia dalla loro posa piuttosto rigida per avvolgerle invece attorno alla vita di lui. Seppe che sarebbe stato difficile rinunciare a toccarlo, d'ora in poi.

Guy era certo che il calore che lentamente si impadroniva del suo corpo non derivava soltanto dalle coperte o dal camino acceso, ma che anzi era soprattutto grazie alla presenza della donna che amava se si era riscaldato così presto. Non di un calore violento, di quelli scatenati dal desiderio, ma di un calore meno rovente e più duraturo nel tempo.
Invaso da quella nuova luce, da quell'amore che non credeva più di poter provare, Guy sospirò beato.
Furono le labbra della ragazza a rompere quella tranquillità. Gisborne non si aspettava che lei prendesse una simile iniziativa e credette di poter morire ogni volta che lei gli sfiorava con tanta leggerezza e con tanto amore il petto. Non ricordava di aver vissuto mai niente di simile sebbene si fosse intrattenuto con diverse donne al Castello, non certo per amore e doveva essere proprio quella la differenza. In risposta le accarezzò i capelli ancora umidi, giocando ad intrecciarvi le dita, lasciandoseli scorrere tra queste ultime. Era una sensazione incredibilmente piacevole che lo riportava a istanti lontanissimi nel tempo, a quando da bambino aveva l'abitudine di toccare i lunghi capelli scuri di sua madre sorprendendosi per la loro morbidezza che ancora ricordava dopo tutto quel tempo. Ebbe un fremito quando percepì le braccia di Kaelee attorno alla propria vita e dovette lottare con se stesso per restare lucido; così, dopo qualche istante, con la mano libera le accarezzò le spalle, non osando oltrepassare la stoffa pur desiderando di poterlo fare, per far capire a Kaelee che il suo gesto non lo aveva turbato, che non gli era dispiaciuto.
Mentre una buona fetta di mente si perdeva nelle emozioni e una piccola porzione si focalizzava esclusivamente su Kaelee, sulle sue reazioni, un'altra piccolissima parte della sua mente era concentrata sulla realtà al di fuori di loro. E se qualcuno avesse bussato alla porta? Se Robin o Archer o chiunque altro avesse cercato rifugio a casa sua in quel momento? Poteva capitare, no? E se Kate fosse piombata lì a cercare Kaelee? Come le avrebbe spiegato che il fatto che fossero entrambi nudi non significava ciò che lei avrebbe immaginato significasse? Era quella stessa parte ad impedirgli di rilassarsi completamente, facendo trillare in continuazione quel fastidioso ma necessario campanello d'allarme.
Nonostante Gisborne cercasse di non dare a vedere quanto fosse in contrasto con se stesso – in quanto essendo decisamente più adulto di Kaelee, toccava a lui tenere ogni cosa sotto controllo e rassicurare lei in ogni singolo istante – Kaelee dovette accorgersi comunque che qualcosa non andava perché in un sussurro gli rivolse una domanda a cui era quasi impossibile rispondere.
«Quali sono i tuoi pensieri?», sussurrò sollevando appena lo sguardo per incrociare il suo e togliergli il respiro in un attimo.
Non fu per niente facile spiegarle ciò che gli succedeva dal momento che neanche lui si raccapezzava in quel caos; non fu semplice dirle che sedici anni di vantaggio si erano rivelati completamente inutili e che ogni cosa era una novità con lei. Ciononostante le mormorò le proprie preoccupazioni e nel farlo si rilassò, scoprendo che esprimere a voce alta le proprie sensazioni poteva essere di grande aiuto, cosa che non poteva sapere visto che in passato non aveva mai avuto un amico con il quale confidarsi e che lo comprendesse, anche se qualcosa di molto simile l'aveva provata quando Fratello Tuck si era offerto di ascoltarlo dopo che lui aveva gettato Robin Hood da un dirupo senza avere la certezza di averlo ucciso – e infatti aveva poi saputo che proprio Tuck lo aveva tratto in salvo dal fiume che scorreva impetuoso alla fine del precipizio. Ma in quel momento era diverso e Gisborne si ritrovò a sorridere per l'assurdità della cosa, condividendo naturalmente anche quello con Kaelee. Le disse quanto fosse stato semplice, in fondo, smettere di torturarsi con quei pensieri forse perfino sciocchi a dirla tutta.
Aveva ancora le dita intrecciate ai capelli di lei quando smise di parlare concentradosi sullo sguardo caldo di Kaelee. Era incantevole in quella tonalità tutta sua che Gisborne non ricordava di avere mai visto prima. Dolcemente e senza fretta, Guy portò la mano all'altezza della nuca di Kaelee, con una leggera pressione ridusse notevolmente la già breve distanza tra i loro visi.
Sentiva il respiro di lei sfiorargli le labbra e il mento e lo trovò piacevole e rilassante. Sentì che lei non opponeva alcuna resistenza e si convinse che un bacio non avrebbe mai potuto rompere l'incantesimo di quel momento, sentì che nulla poteva andare storto, che quell'abbraccio da parte di lei non poteva voler dire altro se non che lo amava. Per quanto fosse difficile crederci davvero, Guy seppe che al mondo c'era una persona in grado di amarlo per ciò che era senza odiarlo per ciò che era stato e che quella persona era lì con lui. 
Lasciò scivolare l'altra mano lungo la schiena di lei, sempre restando al di sopra della coperta, trattenendola per il semplice fatto di volerne sentire ancor di più la presenza, la guardò negli occhi per un interminabile istante e poi, finalmente, la baciò.
Fu un bacio tenero, adorante, leggero, lungo abbastanza da fargli scoppiare il cuore.
Le labbra di Kaelee erano più morbide di quanto Guy si aspettasse, meno timide anche, in ogni caso perfette, e fu facile perdersi.

Era il primo bacio della sua vita e Kaelee credette di poter impazzire di gioia. Era talmente felice che fosse successo con Guy da non ricordare neanche più dove fosse, come ci fosse arrivata e come fosse capitato che le loro bocche si incontrassero in un modo così meraviglioso. La mano che Guy le teneva sulla nuca non la intimoriva, né le faceva percepire la situazione come una forzatura, facendola anzi sentire desiderata e amata. Le faceva capire quanto Guy sentisse il bisogno di quel bacio, un bisogno da lei condiviso, naturalmente.
Se avesse dovuto pensarci in anticipo, Kaelee non avrebbe avuto la minima idea di come comportarsi durante un bacio, ma dal momento che era già successo senza che lei potesse rifletterci sopra si lasciò andare all'istinto e tutto andò bene anche quando tentò di prolungare ancora il contatto. Sentì le labbra di Guy piegarsi in un sorriso sopra le sue.
Tutta quella tenerezza era quasi insostenibile per lei che non aveva mai ricevuto attenzioni diverse da quelle di suo fratello Aric.

Gisborne, che quasi aveva dimenticato cosa volesse dire sentirsi amato, ebbe la sensazione che le parti stessero per invertirsi. L'amore che Kaelee provava per lui era di una potenza straordinaria, tale che Guy non sarebbe mai riuscito a negarne l'evidenza, tale che qualunque dubbio avesse tentato di travolgerlo avrebbe fallito miseramente. Fu lui, quasi inaspettatamente, a terminare il bacio e ad affondare per qualche attimo, soltanto per pochi istanti, la fronte tra i capelli di lei, sulla sua spalla ancora coperta respirando così il suo profumo. Un profumo delizioso. Di nuovo, per un attimo gli parve di essere tornato un bambino il cui unico problema era reperire qualche freccia per sfidare a gara quel presuntuoso di Robin di Locksley; un bambino che tornando a casa, la sera, poteva gettarsi tra le braccia di sua madre senza che nessuno gli desse dello stupido, del codardo, del buono a nulla o della femminuccia.
Per la prima volta dopo decenni, Gisborne vide davvero una nuova vita dispiegarsi dinanzi a sé, specialmente quando Kaelee prese ad accarezzarlo con infinita dolcezza, sfiorandogli con delicatezza la schiena, le spalle, i fianchi e infine il petto.
Quando si allontanò un po' da lei fu soltanto per prenderle il viso tra le mani e sorriderle. Avrebbe voluto dirle tantissime cose, ma non trovava le parole, perse chissà dove tra la mente e il cuore o forse fuggite sulle labbra di lei in quel bacio. Gli occhi di Kaelee erano liquidi ed il fuoco del camino li rendeva simili ad oro fuso, uno spettacolo indescrivibile quasi quanto quelle labbra che avevano ripreso il colore naturale, come anche il viso, tinto di rosso come sempre.

Kaelee ricambiò il sorriso, le mani ferme sul petto di lui. In cuor suo sperò che quel temporale non finisse mai, sperò di non doversene andare da lì, di non dover salutare Guy e separarsi da lui per una notte intera; sperò che il tempo si fermasse solo per loro.
A quella distanza così ravvicinata, Kaelee poté notare una sottile cicatrice sul volto di lui, sotto il leggero strato di barba, e la osservò con timida curiosità interrogandosi su come se la fosse procurata. "L'ultimo disperato atto di una sua vittima? Il risultato di un'aggressione?".
«Cosa guardi con così tanto interesse?», domandò Guy, distraendola.
«Te, tanto per cominciare», gli rispose facendolo sorridere di nuovo. Kaelee non si sarebbe persa un suo sorriso per nessuna ragione al mondo.
«E poi?», sussurrò.
«Questa cicatrice», disse sollevando una mano per accarezzargli il viso. La coperta scivolò pericolosamente scoprendole in parte la spalla e lasciando intravedere qualcos'altro, ma Guy subito ne afferrò il bordo e la ricoprì con cura. Kaelee avvampò.
Il gesto di Guy parve assolutamente spontaneo a Kaelee, così come la sua risposta.
«È stato Robin. Se vuoi picchiarlo fai pure». Quel mezzo sorriso mozzafiato si dipinse sulle labbra di lui e Kaelee scoppiò a ridere.
«Finisce che mi riempie il vestito di buchi, lui e la sua mania delle frecce», scherzò, allegra come sempre. Si sentiva completamente a proprio agio, tanto che spinse i palmi contro il petto di Guy sperando che lui capisse e l'assecondasse.
Lo vide scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo alla risposta che gli aveva dato. Poi il suo sguardo mutò e vi lesse curiosità e un pizzico di incertezza quando sentì la pressione contro la propria pelle, come se capisse perfettamente ciò che lei voleva, ma non fosse certo delle conseguenze. Nonostante questo, con grande soddisfazione di Kaelee, non si oppose e si distese dolcemente a terra, trascinandola con sé e accogliendola tra le braccia, sul petto.
Fuori pioveva ancora, ma il temporale si stava allontanando, perciò presto Guy avrebbe dovuto riaccompagnarla a casa, con il sommo dispiacere di entrambi. Intanto, però, Kaelee decise di godersi quel momento di pura felicità e appoggiò un orecchio sul petto di Guy.
«Ho appena scoperto chi è l'autore della più bella melodia del mondo», commentò mentre Guy le accarezzava i capelli.
«Chi è?», domandò lui.
«Il tuo cuore», mormorò.
Poco dopo, sentì quel cuore impazzire di gioia insieme al suo.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 04/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Mi auguro di non essere stata troppo sdolcinata o azzardata.
Mi rendo conto di passare da ciò che prova Kaelee a ciò che prova Guy diverse volte all'interno della stessa scena, ma non me la sento di perdere per strada l'introspezione di uno dei due perché mi piace calarmi nei panni di entrambi per far capire con chi si ha a che fare. Magari sbaglio e ciò che scrivo è quanto di più scorretto possa esistere, ma finché non capirò come si possa ottenere lo stesso risultato in una forma migliore, continuerò a muovermi così sperando di non annoiare, confondere, far inorridire nessuno.
Come sempre un grazie va a voi che siete arrivati alla fine della storia e a voi che mi lasciate una recensione.
Alla prossima.

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Capitolo 7
*** Contraccolpo ***


Contraccolpo


Contraccolpo

Foresta di Sherwood.
Ne aveva viste di stranezze, Sherwood.
Ne aveva vista passare di gente, Sherwood.
Ne aveva accolta di gente, Sherwood.
Sherwood era lì, immobile, ma non troppo.
Sherwood era lì, eterna, ma non esattamente.
Sherwood era lì, bellissima come sempre.

Kaelee ne restava incantata tutte le volte che vi metteva piede e, sebbene non fosse la prima foresta che vedeva, respirava e attraversava, si era convinta che Sherwood si diversificasse da tutte le altre per intensità di colori e profumi e per il suo essere così viva in confronto ad ogni altro gruppo di alberi che lei avesse mai osservato. Anche nei pressi di Edwinstowe c'era una foresta, ma i suoi alberi non avevano niente a che vedere con quelli immensi di Sherwood, o almeno questa era la sensazione di Kaelee, la quale più tempo vi trascorreva, più se ne innamorava, più voleva conoscerne ogni angolo, valletta e radura.
La foresta di Sherwood non era un semplice elemento del paesaggio, non era una foresta e basta – senza nulla togliere alle altre foreste del mondo – era più viva che mai e custodiva un mucchio di segreti, segreti che un giorno, forse, sarebbero diventati leggenda, mito, esempio, letteratura, perché Sherwood non meritava di passare inosservata.
"Oh, se fossi brava come quei cantori di cui mi ha parlato Archer! Se sapessi rapire anche io le parole giuste e cucirle addosso a questa foresta!", pensava Kaelee quando si fermava ad osservarne le innumerevoli sfumature in occasione di un'esercitazione con Gisborne o di una passeggiata con Much alla ricerca di funghi ed erbe da poter usare in cucina. E quante ce n'erano che Kaelee neanche immaginava esistessero! Era rimasta molto colpita dall'abilità di Much di scovarne ai piedi di certi tronchi o nascoste sotto grandi foglie, immerse nel sottobosco, o ancora di fianco a piante letali, se ingerite, e così simili a loro che distinguerle era veramente difficile per chiunque non avesse l'esperienza dell'ex fuorilegge. Una volta Kaelee gli aveva domandato se avesse mai sbagliato con una di quelle erbe e la risposta di lui, semplice e vera quanto inquietante, l'aveva fatta riflettere a lungo su quanto non si dovesse prendere sottogamba Sherwood. Much le aveva detto: «Certo che no! Non starei parlando con te adesso altrimenti».
Sherwood aveva davvero tanti, ma tanti segreti nel suo ventre verdeggiante, compreso quel tipo di segreti capaci di incantare i cuori dei più piccoli, capaci di divertire l'animo degli adulti e di piantare un seme di dubbio e timore nelle coscienze degli ingiusti i quali, per necessità o per capriccio, si trovavano a cavalcare tra i bei tronchi della foresta. In tal proposito, Fra Tuck le aveva raccontato un aneddoto spaventoso e divertente una volta, un aneddoto che a Kaelee era rimasto impresso nella memoria e che diceva così.
«Il Principe Giovanni aveva appena nominato Isabella Thornton Sceriffo di Nottingham, quando il marito di lei – Thornton appunto – giunse in città per riprendersi ciò che era suo di diritto», le aveva raccontato il frate mentre entrambi si prendevano cura di alcune piantine nell'orto della Chiesa. «E, nel mentre, pensò bene di aggiungere un po' d'oro alla riconquista di sua moglie, così Isabella lo indirizzò verso una ricca tomba nascosta nel cuore verde della nostra Sherwood. Complice la superstizione dei Cavalieri che accompagnavano il nobile Thornton, con l'intera banda di Robin ci mascherammo e, una volta calato il buio, sorprendemmo il gruppo di furfanti sulla via del ritorno. Allestimmo una grande croce sul sentiero, usufruendo di alcune pietre, e ci nascondemmo nel fitto della vegetazione con i nostri cavalli. Già assistere alla reazione dei Cavalieri giunti al cospetto della nostra croce fu visione assai deliziosa per i nostri occhi, ma avresti dovuto vederli quando spuntammo fuori fingendoci l'enorme spirito adirato dell'uomo sepolto nella tomba da loro profanata! Come tremavano le loro gambe! E che gridolini emettevano mentre fuggivano di qua e di là, terrorizzati dal fiato condensato dei nostri cavalli nel freddo di quella notte!», aveva concluso Tuck ridendo di gusto.
Sherwood, Kaelee l'aveva capito quasi subito, era una costante nella vita di Robin Hood e dei suoi uomini; come incudine e martello, chiave e serratura, arco e freccia: non era possibile dire Robin Hood senza tirare in ballo Sherwood, che era stata un rifugio per tanto tempo. Era terra di passaggio, di esperienze, di miracoli a volte perfino; accadeva di tutto in quella foresta, un po' complice e un po' traditrice, un po' salvezza e un po' trappola; per questo motivo, prima che per qualsiasi altra ragione, Robin Hood e i suoi uomini pur vivendo a Locksley una vita finalmente tranquilla, non smettevano mai di frequentarla. Ogni occasione era buona, in effetti, e i giri di perlustrazione erano molto graditi a tutti quanti, Kaelee compresa.
Sherwood era letteralmente una parte di loro.
Poco importava quante insidie potesse nascondere e quante volte Robin e i suoi avessero rischiato di lasciarci le penne: se Sherwood fosse scomparsa, gli uomini di Robin Hood e Robin Hood stesso si sarebbero sentiti persi.

Per quel giorno Little John e Archer – più il secondo in effetti – avevano deciso di portarsi dietro Kaelee nel loro giro di perlustrazione, che – come la ragazza sapeva – era anche un modo per mettere alla prova i giovani di Locksley che accettavano di misurarsi con l'enormità della foresta. Per lei era la prima volta e non era intenzionata a tirarsi indietro, specie visto che Archer aveva tanto insistito per averla nel gruppo.
Durante quella sorta di escursione Kaelee avrebbe certamente avuto modo di riflettere ulteriormente sulla magia della foresta, aggiungendo nuovi interessanti dettagli a tutti quelli raccolti nel corso delle precedenti visite. Il silenzio, – aveva imparato Kaelee con il tempo – nel cuore di Sherwood era una realtà strana. C'era ma non c'era.
C'era perché la foresta si estendeva per una così vasta superficie che se anche una comitiva di persone parlava, non era possibile sentirle a meno che non si trovassero a ragionevole distanza, oggettivamente a portata d'orecchio.
Eppure non c'era perché ogni cosa, lì dentro, produceva un suono: le foglie mosse da una corrente d'aria troppo alta per poterla sentire da terra e tutte le creature che la popolavano appollaiandosi tra i rami o scavandosi tane nella terra scura. Era un silenzio non silenzio e Kaelee riteneva che se incuteva timore oppure no dipendeva sostanzialmente dallo stato d'animo dei visitatori, dalle intenzioni con cui entravano lì dentro. Per Kaelee, che vi era sempre entrata con curiosa meraviglia, ogni dettaglio era motivo di interesse anziché d'inquietudine: non ne era spaventata, sebbene non avesse l'ardire di sottovalutarla, rispettandone invece ogni singola foglia e radice.
Kaelee aveva sempre la sensazione che Sherwood se ne stesse lì e assistesse agli eventi, semplicemente. Palcoscenico e spettatore al tempo stesso. La trovava meravigliosa.
Quel pomeriggio il tempo era buono – sebbene non facesse molto caldo – e non pioveva da un po', ragion per cui non si rischiava di trovare un fastidiosissimo terreno molle che avrebbe rallentato molto l'andatura dei visitatori.
L'appuntamento era al limitare della foresta, appena fuori da Locksley, in direzione ovest. Non ci si poteva sbagliare e Kaelee non stava più nella pelle.

Quando aveva parlato con Kate per ottenere la sua approvazione a quella nuova avventura, – che, ritenne Kaelee, non poteva poi essere così pericolosa se molti giovani di Locksley vi avevano preso parte prima di lei tornando al villaggio sani e salvi ed entusiasti – sapeva che se la donna non si era opposta fermamente era soprattutto per via di due importanti e determinanti fattori: la presenza di Little John e Archer e il fatto che Kate – come anche i due uomini della banda – la credeva capace di maneggiare la spada che la ragazza si portava ovunque. Kate neanche sospettava che in verità Kaelee non aveva ancora mai utilizzato la lama vera durante le esercitazioni con Gisborne, ma la ragazza credeva che non dovesse poi fare tutta questa differenza in fin dei conti, perché la cosa più importante era averla un'arma, in caso di pericolo, poi il resto sarebbe venuto da sé, quindi aveva volutamente taciuto.
Il confine tra curiosità e superficialità era spesso molto sottile in lei: Kaelee era così curiosa di vivere quella nuova avventura e aveva il vizio di gettarsi così a capofitto nelle cose, da mettere in secondo piano particolari che in un'altra situazione l'avrebbero spinta a riflettere più attentamente. Se non si fosse lasciata prendere così tanto dalla possibilità offerta e dall'entusiasmo che Archer aveva manifestato nella sua volontà di farla partecipare al giro di perlustrazione, si sarebbe resa conto che duellare con un bastone o con una spada non sarebbe stato determinante nel caso in cui l'uomo di fronte a lei fosse stato il suo istruttore, – il cui intento di certo non era quello di ucciderla per sopravviverle in uno scontro diretto – ma lo sarebbe diventato se dinanzi a lei fosse comparso un completo sconosciuto non propriamente mosso dalle migliori intenzioni; e si sarebbe poi domandata come avrebbe affrontato questo eventuale incontro con loschi individui non sapendo per certo di essere in grado di gestire la spada come andava fatto in simili casi; si sarebbe altresì chiesta con quale altra arma si sarebbe dunque difesa subendo un aggressione: un sasso forse? Probabilmente non avrebbe lo stesso rinunciato a partecipare, però almeno avrebbe recato con sé una scorta di pietre o un coltello.
A Guy, invece, Kaelee non aveva detto nulla – non tanto perché in cuor suo sapeva che lui l'avrebbe fermata o scortata personalmente, quanto più perché di fatto non aveva avuto la possibilià di informarlo dal momento che lui si trovava a York con Tuck per certi affari di cui Kaelee non conosceva i particolari – e per questo motivo aveva assistito ai continui litigi tra Little John e Archer: John era certo che Gisborne si sarebbe infuriato se fosse venuto a saperlo, ma Archer era convinto che non sarebbe accaduto se avesse saputo Kaelee insieme a loro due. 
In quanto ad Allan – al quale Kaelee voleva molto bene, ragion per cui aveva ripreso a frequentarlo regolarmente – era stato informato dopo una delle tante lezioni di lettura che l'uomo le impartiva e, con sua grande gioia, l'uomo aveva trovato la cosa molto esaltante: «Grande!», aveva esclamato subito, invogliando maggiormente Kaelee.
In ogni caso, la decisione ultima – dal momento che Gisborne era fuori e gli altri membri della banda erano in disaccordo – era spettata a Robin, naturalmente, e avendo lui approvato la scelta di Archer di portare Kaelee, nessuno aveva potuto opporsi davvero e Kaelee si era sentita orgogliosa per aver ricevuto una tale dimostrazione di fiducia da parte di diversi componenti della banda. Niente più dell'essere ritenuta all'altezza di ciò che desiderava fare la rendeva felice.

Così, montata sul suo cavallo, quello con cui era arrivata da Edwinstowe a Locksley, la ragazza cavalcò fino al posto prestabilito irradiando tutto il suo entusiasmo. Little John e Archer erano già in loco quando lei arrivò e subito si mise a chiacchierare volentieri con il fratello di Gisborne, suo coetaneo, dei suoi progressi nelle varie attività che svolgeva e raccontandogli di come Gisborne le avesse insegnato a mantenere sempre in forma e salute il suo cavallo, che infatti aveva un mantello davvero lucido. Pur sentendo su di sé lo sguardo attento e critico di Little John, Kaelee preferì non badargli troppo per evitare di sentirsi messa sotto pressione e fare un qualsiasi passo falso.
Dopo una manciata di minuti altre due persone si unirono al gruppetto e tutti e cinque si incamminarono lentamente, perché non c'era ragione di metter fretta ai cavalli dal momento che non scappavano da niente e da nessuno. Tra uno sguardo ad un tronco contrassegnato da un'incisione che Kaelee pensò essere opera della banda di Robin Hood e un altro rivolto invece ad una lepre che sfrecciava tra gli alberi per poi sparire in una depressione naturale del terreno che probabilmente costituiva il suo alloggio, Kaelee si soffermò anche sui due ragazzi del villaggio. Ad una prima occhiata le sembrò che entrambi potessero avere all'incirca la sua età e nel biondino riconobbe il ragazzetto con il quale aveva condiviso un turno di raccolta delle carote; era proprio quest'ultimo che non la smetteva più di fare domande ad Archer, il quale rispondeva gentilmente, senza mostrare segni di irritazione: quali erano questi famosi misteri d'Oriente di cui tutti parlavano quando c'era il suo nome nella conversazione, come aveva fatto a cavarsela da solo nel mondo, dove aveva appreso i segreti dell'alchimia, cos'era precisamente questa alchimia e come faceva a ricordare esattamente la quantità di cose da mescolare insieme per ottenere ad esempio il fuoco greco, chi aveva deciso con fermezza quanto di questo e quanto di quello dovesse essere messo insieme per ottenere una terza sostanza. A Kaelee il biondo ricordò moltissimo suo fratello Aric; l'altro giovane, invece, cavalcava in silenzio, guardandosi nervosamente attorno e stringendo le briglie più del dovuto.
Avendo già ascoltato i racconti di Archer, Kaelee tornò a osservare Sherwood. "È un'enorme macchia verde se la si guarda da lontano o anche semplicemente da fuori, ma se ci si entra è tutto completamente diverso", pensò, cullata dalla dolce andatura del suo destriero. A pensarci bene, Kaelee si accorse che guardare Sherwood da dentro era un po' come guardare gli uomini di Robin Hood: c'erano tutti i loro colori lì dentro. O forse erano i fuorilegge ad avere i colori di Sherwood addosso. Nei fortunati raggi di Sole che trovavano un varco tra gli alberi e riuscivano ad arrivare a terra, Kaelee rinvenne l'oro che accendeva i capelli di Robin e Much. Nel marrone rotondo e pieno della terra c'era Little John, c'erano le stoffe dei loro abiti, c'era il legno delle armi. Nel verde degli alberi c'era la forza d'animo e l'ottimismo di tutti e ancora stoffa per i loro abiti. Era come se, a furia di abitarci dentro, Robin, Much, Allan, Little John, Kate e Tuck si fossero fusi alla foresta, come se ne fossero le appendici ambulanti, come se vi avessero messo radici. Anche Archer, a guardarlo con attenzione, aveva quelle pennellate sebbene i suoi colori possedessero una tonalità diversa, a tratti più cupa. Del resto lui non aveva vissuto nella foresta tanto quanto i fuorilegge, e poi c'era la parentela con Gisborne a reclamare la propria parte. I capelli di Robin, ad esempio, erano di un castano chiaro tendente al biondo; quelli di Gisborne erano più neri che castani; Archer, infine, aveva i capelli castani, né chiari, né scuri. Castani e basta. Era come se fosse una sorta di stramba via di mezzo tra i due.
Kaelee si domandava se anche lei, prima o poi, sarebbe riuscita a mettere radici in quel posto, se anche lei avrebbe prima o poi cominciato a colorarsi di verde, marrone e oro. Nel mentre pensò a Guy e a tutto il suo nero.
"Il Castello di Nottingham doveva essere un posto molto tetro e lugubre", si disse.
Intanto che Archer continuava a parlare con il giovane curioso e l'altro seguitava a star zitto, Kaelee affiancò Little John. Era il più grande tra gli uomini di Robin ed era una vera e propria roccia. La sua sola presenza bastava a indurre i nemici a rifletterci su un po', prima di scagliarglisi contro. Era forte e quasi sempre serio, come se fosse concentrato perennemente su qualcosa al di fuori o all'interno della sua mente insondabile dal momento che raramente interveniva per il puro gusto di fare conversazione.
Soltanto ora che gli era tanto vicina Kaelee notò una collana che gli dondolava sul petto, mezza nascosta sotto gli abiti. C'era appesa una specie di medaglietta in legno con inciso qualcosa che Kaelee non riuscì a decifrare, ma che accese in fretta la sua curiosità: la ragazza, infatti, aveva sentito dire che gli uomini di Robin Hood, ai tempi in cui erano dei fuorilegge, portassero una sorta di medaglietta in legno che era il loro segno distintivo e li identificava non come comuni criminali, ma come affiliati di Robin. Eppure non l'aveva mai vista prima né appesa al collo di Kate, né a quello di Much e Allan, né tantomeno al collo di Robin, così pensò che forse quella che lei aveva preso per vera era soltanto una fantasiosa diceria. Del resto aveva imparato che non tutto ciò che si diceva in giro corrispondeva a verità – una volta suo fratello Rudyard aveva sosenuto, con la certezza di chi aveva visto con i propri occhi ciò che raccontava, che Much fosse un misero servo da quattro soldi che aveva paura della propria ombra, ma Kaelee aveva potuto constatare di persona che quella era soltanto un'inutile cattiveria – e proprio per questo volle chiedere spiegazioni direttamente all'uomo.
«Che cos'è?», chiese gentile, risvegliando Little John da qualunque cosa tenesse la sua mente impegnata.

John ci mise un po' a mettere a fuoco la situazione.
Tra tutti, era quello che aveva interagito di meno con "la ragazza arrivata da lontano" – così diceva spesso quando parlava di lei con Robin, anche se non era poi da così lontano che era arrivata. Little John si rendeva conto di essere un po' un orso caratterialmente parlando, schivo a tratti, diffidente quasi sempre. Poi, però, bastava un niente per far sì che cambiasse idea su qualcuno; bastava che lo si tirasse fuori dai guai o che gli si dicesse la cosa giusta al momento giusto e lui vedeva con occhi diversi chi aveva di fronte. Era così che era andata con Gisborne, il quale si era unito al gruppo per volontà di Robin Hood, che in quanto capo di quel piccolo grande gruppo di uomini non aveva bisogno dell'approvazione di tutti per prendere quella decisione. I suoi uomini si fidavano di lui, ma se qualcosa non andava loro a genio di solito se ne discuteva, Little John non ricordava una sola volta in cui fosse andata diversamente, Gisborne escluso. Per Sir Guy, invece, Robin non aveva chiesto il parere di nessuno e non aveva dato grandi spiegazioni a nessuno, con grande disapprovazione di Little John e non solo sua. Lui e Kate, infatti, si erano dimostrati più ostili degli altri a quella scelta e a Gisborne in generale, sostenendo che nulla in lui avrebbe potuto convincerli che fosse meritevole di essere parte del gruppo. Kate aveva detto di lui che era puro male e John si era trovato d'accordo con lei pur non esprimendolo ad alta voce. Poi però, a York, Gisborne gli aveva salvato la vita. Si era preoccupato per la sua incolumità, lo aveva chiamato per nome e gli aveva chiesto se fosse tutto a posto dopo avergli evitato un attacco alle spalle e in quel momento Little John aveva cominciato a guardare con occhi diversi Guy di Gisborne; in quel momento aveva iniziato a vedere oltre e capire ciò che Robin aveva già visto in lui e ancor prima di tutti loro Lady Marian.
John non escludeva che con Kaelee sarebbe potuta andare alla stessa maniera, ma non credeva che quella ragazzina potesse essere utile in qualche modo al gruppo; "Al villaggio sicuramente sì, ma al gruppo...", aveva pensato spesso tra sé; e i primi disastrosi approcci di Kaelee con arco e frecce sembravano dimostrare in pieno ciò che pensava, ma tutti gli altri continuavano ad avere fiducia in lei e quel giorno Archer aveva pure voluto portarsela dietro sebbene lui non fosse per niente convinto.
Quando Kaelee gli rivolse la parola, Little John la guardò e vide che portava una spada appesa alla cintura.
Tutti sapevano che si allenava con Gisborne, ma John continuava a credere che la ragazza fosse così magra e minuta da non riuscire nemmeno a sollevarla una spada.
Del resto, dal suo punto di vista era pure comprensibile dato che Kaelee in confronto a lui era davvero un fuscello: Gisborne era alto e muscoloso, ma Little John aggiungeva a queste due doti una mole considerevole; non era grasso, ma massiccio.
Inoltre la vita non era stata molto gentile con lui – specie quando lo aveva allontanato dalla sua amata Alice, impedendogli di veder nascere suo figlio, Little Little John – e lo aveva presto indotto a non fidarsi di nessuno prima di aver messo diverse volte alla prova la lealtà di chi aveva di fronte.
«Un ricordo dei tempi andati», rispose burbero, tornando a guardare davanti a sé.

Kaelee, che aveva atteso quasi con impazienza quella risposta, ne rimase un po' delusa, ma, intuendo che l'uomo non avrebbe detto altro in merito, preferì lasciar perdere onde evitare di irritarlo in qualche modo dato che già evidentemente non era contento della sua presenza quel giorno.
Provò quindi a dirottare i propri pensieri altrove, ma notando che Archer ancora rispondeva alle domande del ragazzo e che l'altro si ostinava a restare nel suo silenzio, tornò al punto di partenza e si ritrovò a osservare la medaglietta di Little John.
«Quindi tu combatti davvero con quel bastone», riprovò, incapace di non essere ciò che era: curiosa, interessata, socievole e allegra. «Ho sentito molto parlare di Little John e della sua enorme forza, quando ero a Edwinstowe. Dicono che tu abbia sollevato una roccia una volta, o qualcosa di simile, per aprire un varco a te e ai tuoi amici. Lo trovo grandioso, anche se i racconti sono spesso confusi o alterati quando passano di voce in voce. Sai, a volte uno alza il gomito ed esagera con qualche dettaglio», disse con l'intento di punzecchiarlo soltanto un pochino mettendo in dubbio le doti dell'uomo e sperando così di invogliarlo a parlare.
Indipendentemente dalla situazione in sé, comunque, tutto ciò che Kaelee conosceva di Robin Hood e dei suoi uomini era una serie di racconti di seconda mano, quindi ora che aveva l'opportunità di parlarne con chi quelle vicende le aveva vissute, voleva approfittarne a costo di non dar tregua a nessuno di loro.

«Una roccia, mh?», fece lui. «Nessuno che sappia raccontare per bene una storia», brontolò, e fu così che Little John si mise a raccontare di quando la Regina Madre, Eleonora di Aquitania, passò per Locksley prima di rientrare a Londra e dopo essere sfuggita ai piani malvagi che suo figlio, il Principe Giovanni, aveva in mente per lei in Francia. John raccontò tutta la storia per filo e per segno, tralasciando soltanto le allusioni della Regina in merito alla sua "possanza fisica", come aveva detto lei stessa mettendolo in grave imbarazzo dinanzi agli altri membri della banda. In breve e senza volerlo davvero, John si guadagnò l'attenzione di tutti perché nessuno dei presenti, a parte lui, aveva mai sentito raccontare quella storia da chi l'aveva vissuta e perché non accadeva tutti i giorni che un uomo, con la sola forza di braccia, gambe e schiena, riuscisse a sollevare una pesante lastra di pietra scivolata meccanicamente verso il basso per ostruire l'unica via d'uscita da una trappola: perfino il ragazzo curioso smise di fare domande ad Archer per ascoltarlo.
Pendevano dalle labbra di Little John la cui voce da burbero incantò i presenti a tal punto che nessuno, neanche John stesso che aveva sempre un orecchio teso ad ascoltare, si accorse subito dell'unico rumore fuori luogo.
Appena la mente dell'ex fuorilegge tornò a concentrarsi sull'ambiente, percepì nell'aria un ritmo molto familiare e in prima battuta, coinvolto ancora nelle vicende appena raccontate, – e con il bel volto della Regina Madre impresso nella memoria – l'uomo credette che il rumore di zoccoli che si diffondeva tutt'intorno appartenesse ai cavalli che accompagnavano il gruppo, ma pochi istanti più tardi si rese conto che invece doveva appartenere sì ad animali della stessa specie, lanciati, però, al galoppo. Solo quando effettivamente li vide, in lontananza ma non troppo, John realizzò che a breve si sarebbero imbattuti in qualcuno. Consapevole di essere quello con più esperienza, iniziò ad elaborare velocemente un semplice piano d'azione interrompendo definitivamente il racconto, improvvisamente attento ad ogni singola foglia di Sherwood.
Fece segno a tutti di tacere e invitò Kaelee e il ragazzo silenzioso a seguirlo; nel mentre fece cenno ad Archer di posizionarsi al lato opposto del sentiero che avevano percorso fino a quel momento, insieme al ragazzo che gli aveva fatto un milione di domande. Si fermarono alle estremità laterali del percorso, nascosti tra la vegetazione, e scesero da cavallo assicurando ognuno il proprio a certi tronchi in modo che non fossero visti in anticipo. Infine si acquattarono e attesero.
Little John non aveva idea di chi sarebbe sfilato loro davanti di lì a poco: per quel che ne sapeva avrebbe potuto trattarsi di un gruppo di frati in viaggio da un'abbazia ad un'altra oppure di commercianti in cerca di un Mercato a cui prendere parte e vendere la propria mercanzia. John non aveva dimenticato le parole di Robin in merito al non spaventare inutilmente eventuali persone che semplicemente passavano di lì, ma il modo in cui i visitatori facevano galoppare i cavalli, tradiva una certa fretta e sebbene fosse vero che ipotetici mercanti potessero essersi attardati troppo in una qualche locanda e dovessero correre per raggiungere il Mercato più vicino, John preferiva di gran lunga tenere occhi e orecchi al massimo dell'attenzione. Del resto l'uomo aveva maturato una certa esperienza nelle imboscate e avrebbe saputo riconoscere a colpo d'occhio un mercante, un viaggiatore, un frate e un ladro semplicemente da come erano vestiti e dalla mole di sacchi che si portavano dietro.
John che dopo aver dato ulteriori istruzioni ai suoi due si stava muovendo verso gli stranieri per verificare la reale situazione e dare un segnale per tempo, pensò che sarebbe stato davvero comico se si fosse imbattuto in Gisborne e Tuck che rientravano da York, nonché meno pericoloso per tutti.

Kaelee, rimasta acquattata come Little John aveva ordinato, poté vedere Archer, dalla parte opposta del sentiero, gesticolare in maniera strana, comica perfino, probabilmente per rassicurare lei e il giovane silenzioso e invitarli ulteriormente a non uscire allo scoperto. La giovane donna non se la prese per tutte quelle attenzioni da parte dei due uomini di Robin Hood nonostante gli ordini fossero per lei molto chiari, perché sapeva che la prudenza non era mai troppa quando oltre alla responsabilità per se stessi si aveva quella per altre persone, tant'è che prima di partire per la perlustrazione Little John e Archer avevano spiegato, di nuovo, le poche ma necessarie e vitali regole di quella piccola spedizione: non allontanarsi; non fare mai di testa propria; riconoscere i segnali.
Kaelee ripassò mentalmente le dritte mentre focalizzava la scena. "I segnali vengono dati in caso di un pericolo. Quando il pericolo è soltanto un'ipotesi verificabile, è previsto che Little John si porti avanti per verificare la situazione. In caso di non pericolo semplicemente tornerà indietro. In caso di verificato pericolo, invece, salterà fuori da solo dalla propria postazione urlando o suonando un corno per richiamare gli altri e spaventare gli sgraditi visitatori". La giovane donna sentì il cuore martellarle improvvisamente nel petto, ma si costrinse a non perdere la calma, tanto più perché negli occhi scuri del ragazzo silenzioso poteva leggere senza difficoltà una così grande paura che non si sarebbe stupita se lui se la fosse data a gambe senza preavviso e mettendo scioccamente a rischio la propria incolumità. Kaelee prese in considerazione anche l'eventualità che potesse svenire da un momento all'altro e si ritrovò a preferire la seconda opzione alla prima: almeno poi non sarebbe toccato a nessuno andarlo a cercare nel bel mezzo di Sherwood.
Inconsciamente, istintivamente, portò una mano sull'impugnatura della spada, pronta ad agire nonostante il batticuore.
Kaelee guardava il ragazzo e provava pena per lui, immaginando che si stesse domandando chi gliel'aveva fatta fare a prendere parte a quell'avventura; poi spostò lo sguardo su Archer e notò che aveva teso l'arco e incoccato una freccia con un'eleganza che le fece provare invidia perché lei aveva fallito su tutta la linea con quel tipo di arma; infine la ragazza prese un lungo respiro per controllare le proprie emozioni e concentrarsi su cose più serie di quella.
«Coraggio», sussurrò al ragazzo che era con lei e che la guardò ancora più terrorizzato.
Senza preavviso Little John urlò raggelando per un attimo tutti i muscoli di Kaelee, che dovette aver spalancato gli occhi alla stessa maniera del ragazzo silenzioso.
"Riconoscere i segnali", si ripeté provando a non andare nel panico. "È il momento di saltare fuori e aiutarlo", si disse per darsi coraggio dal momento che il ragazzo silenzioso a stento riusciva a respirare, così Kaelee realizzò che era inutile provare a fare affidamento su di lui e spostò lo sguardo verso Archer, il quale era in piedi e sembrava dire qualcosa al biondino che rimase esattamente dov'era quando l'uomo gli voltò le spalle incrociando così il proprio sguardo. Bastò quello a farla scattare come se avesse le molle sotto ai piedi; insieme all'arciere fratello di Robin e Guy, Kaelee raggiunse Little John realizzando che si trattava di due forestieri, con ogni probabilità una coppia di ladri visto che John aveva ritenuto opportuno fermarne la corsa, di cui uno era già a terra mentre l'altro tentava di scappare.
Il cuore di Kaelee correva più veloce delle sue gambe e si sentì come se il corpo fosse completamente slegato dalla mente in confusione. Provò sensazioni del tutto simili, anche se meno piacevoli, a quando si era trovata a casa di Gisborne durante il temporale: anche se la sua mente non riusciva a razionalizzare spingendola nella giusta direzione, pareva che il corpo sapesse esattamente cosa fare e come farlo, con la naturalezza di chi ha a che fare tutti i giorni con situazioni del genere. Non è che Kaelee non avesse paura, anzi, ma per una ragione che la ragazza non riuscì a individuare quella paura che l'aveva immobilizzata quando Little John aveva urlato si era tramutata in forza e in quello stesso coraggio che le aveva permesso di fuggire in gran segreto dalla propria famiglia di origine. Anche se a lei stessa sembrò assurdo, Kaelee dovette ammettere che quella situazione la faceva sentire più viva che mai.
Al suo fianco, Archer scoccò una freccia che spaventò i cavalli ed anche il secondo uomo fu a terra, spiazzato dalla freccia che gli era passata accanto all'orecchio.
Kaelee, incoraggiata dall'arciere e dall'omone armato di bastone, aveva sguainato la spada, pronta a usarla davvero nel caso servisse mentre John si occupava ancora del primo, tentando di farlo scappare nella direzione da cui era arrivato, evitando di ferirlo gravemente – così come le leggi della banda imponevano. Anche Archer, infatti, scoccava frecce con lo stesso intento, perché gli uomini di Robin Hood non uccidevano se non era strettamente necessario.
Kaelee, che spostava lo sguardo dall'uno all'altro uomo della banda, vide il secondo uomo rialzarsi in fretta e partire all'attacco; riuscì non senza difficoltà ad evitare le frecce di Archer facendosi abilmente scudo con la propria spada e invece di puntare verso l'arciere, Kaelee lo vide andar dritto verso di lei, probabilmente ritenendola il punto debole del gruppo, la donzella da proteggere, gicché se ne stava più indietro rispetto ai due uomini della banda. Probabilmente, realizzò Kaelee, il ladro aveva ritenuto che colpendo lei avrebbe distratto gli altri due sebbene lei fosse armata di spada. Che la stesse brandendo in un modo così sbagliato da non sembrare neanche credibile?
Fece mente locale richiamando alla memoria tutti gli insegnamenti di Guy: non perdere di vista il nemico; mantenere la concentrazione sempre e comunque; mai voltare le spalle; fare affidamento sui propri punti di forza. Nel suo caso, l'ultima raccomandazione significava letteralmente velocità e questo poteva essere un problema nella situazione in cui Kaelee si trovava e in cui erano in gioco emozioni troppo forti e contrastanti tra loro affinché lo scontro assumesse le caratteristiche dei duelli "ideali" che inscenava con Gisborne durante gli allenamenti.
Kaelee si accorse di quanto l'uomo fosse rapido con quell'arma, ma sapeva di essere oggettivamente più leggera di lui e quindi, con ogni probabilità e a rigor di logica, anche più veloce.
Schivò, infatti, il primo colpo.
Attorno a lei poteva sentire il chiasso dello scontro di Little John con l'altro uomo, il quale – a giudicare dagli strilli in allontanamento – doveva infine essersi arreso alla fuga.
Il secondo colpo, Kaelee lo parò con la propria arma, così come aveva fatto con il bastone diverse volte, ma quell'uomo era forte oltre che veloce e il contraccolpo provocò un dolore non indifferente al braccio della ragazza. Per un attimo il pensiero che Gisborne avesse dosato molto la forza nei loro allenamenti la distrasse, ma non abbastanza da indurre il suo avversario a credere di avere la vittoria in pugno.
Nonostante i muscoli dell'avambraccio tirassero fastidiosamente e dolorosamente, Kaelee non mostrò segni di sofferenza, né si lasciò intimidire dalla piega presa dalla situazione, e nel momento esatto in cui parò anche il terzo colpo, Archer scagliò una freccia prendendo l'uomo di striscio alla spalla. Subito Kaelee vide John immobilizzarlo tirandolo a sé e intrappolandolo mentre usava il bastone come una sbarra – proprio come Gisborne aveva fatto con lei durante la loro prima, fortunatissima, esercitazione.
Ciò che Little John disse al malfattore riguardo agli uomini di Robin Hood dovette spaventarlo così tanto che Kaelee lo sentì supplicare in lacrime affinché lo lasciassero andare via incolume. La ragazza ringraziò il cielo che nel suo viaggio verso Locksley nessuno l'avesse presa per un visitatore indesiderato e si domandò se qualcuno, di fatto, ne avesse previsto l'arrivo attraverso un giro di perlustrazione: non ci aveva mai pensato prima e quell'eventualità le causò un brivido mentre realizzava quanto grande e temibile fosse la figura di Robin Hood per un disonesto. Naturalmente il ladro fu lasciato libero di fuggire via a piedi dal momento che i cavalli erano scappati da tempo, impauriti dall'agguato di Little John e dalle frecce di Archer, e Kaelee – insieme agli altri due compagni d'armi – rimase a guardarlo correre come se avesse le ali ai piedi e il fuoco alle spalle. Poi tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo e decisero di tornare indietro a prendere i due ragazzi che non si erano voluti unire allo scontro, ma prima Kaelee venne bloccata da Little John che le tendeva amichevolmente la mano.
La ragazza lo guardò interdetta.
«È il suo modo di esprimerti la sua fiducia», sussurrò Archer ridacchiando.
«Non ti permetto di trattarla come una stupida, ragazzino», commentò John, improvvisamente di ottimo umore e con un grande sorriso sulle labbra. «Me la stringi o no questa mano?», aggiunse rivolgendosi a lei direttamente.
Kaelee sorrise di rimando. «Sì, se me la restituisci intera», rispose avvolgendo la piccola mano a quella immensa, forte e ruvida di Little John.

Tutti e cinque insieme, dopo essersi accertati di non aver riportato ferite, ripresero i cavalli e fecero ritorno a Locksley chiacchierando amabilmente. Né Archer, né Little John rimproverarono i giovani del villaggio per non essersela sentita di prendere parte all'azione, perché in fin dei conti non erano obbligati a farlo sebbene quelle escursioni avessero la doppia funzione di controllare Sherwood e selezionare gli elementi migliori del villaggio da schierare in un'eventuale scontro.
Comunque sia, quell'avventura fece presto il giro del villaggio ed è inutile stare a precisare chi dei due ragazzi avesse sparso la voce.


Due giorni più tardi.
Locksley.

Guy di Gisborne e Fratello Tuck non avevano ancora fatto in tempo a mettere piede nelle rispettive abitazioni che erano già venuti a sapere di quanto era successo nella foresta due giorni prima. Guy era tutt'altro che entusiasta della cosa e prima di tutto volle andare a cercare Kaelee per assicurarsi che stesse davvero bene come si diceva in giro. Che molti tessessero le lodi di lei e raccontassero con entusiasmo del coraggio con cui la ragazza si era destreggiata nello scontro dimostrandosi all'altezza di Archer e Little John, sicuramente inorgogliva Gisborne, ma a preoccuparlo era il fatto che sembrava che Kaelee avesse usato la sua spada senza che lui avesse avuto modo di insegnarle a farlo. Inoltre una parte di lui avrebbe voluto darle di santa ragione ad Archer per aver permesso a Kaelee di commettere un mucchio di sciocchezze in sua assenza.

Kaelee aveva trascorso quei giorni in assenza di Gisborne tenendosi impegnata costantemente in una serie infinita di attività: ora aiutava a distribuire il pane, ora intrecciava una cesta, ora dipingeva un vaso, un momento dopo era carica di panni da lavare per conto di un'anziana donna del villaggio e aveva perfino aiutato il bottaio. Insomma era inarrestabile nonostante il dolore al braccio non le fosse ancora passato. Tutte le volte che sollevava un peso o esercitava pressione, infatti, era come se qualcuno dall'interno vi appiccasse fuoco. Si era detta che sarebbe sparito da solo e non ne aveva fatto parola con nessuno, neanche con Kate, all'infuori di Archer il quale si era accorto da solo del problema.
Invece di un'altra cosa aveva deciso di parlare con qualcuno quel giorno. E questo qualcuno era Allan.
Kaelee non sapeva esattamente quale reazione aspettarsi dal giovane uomo ed era per questo un po' preoccupata, ma le era chiara la necessità di parlare con lui di persona in merito alla natura dei sentimenti che lei provava nei suoi confronti, non desiderando affatto che qualcuno – per voglia di spettegolare o semplicemente ritrovandosi in argomento – andasse a raccontargli del legame che aveva con Gisborne; e non desiderando, inoltre, che Allan cogliesse lei e Gisborne sul fatto, magari mentre si tenevano per mano o si sorridevano lasciando poco spazio all'interpretazione. Infine, se aveva scelto il confronto, era perché riteneva fermamente che Allan dovesse saperlo da lei, perché non era giusto mentirgli, non era giusto prenderlo in giro visto che gli voleva molto bene.
Del resto a Kaelee non era mai piaciuto nascondersi dietro alle chiacchiere degli altri, perciò era andata a cercarlo dopo aver finito di aiutare Rebecca, la madre di Kate, e quando lo aveva trovato gli aveva detto tutto senza troppi preamboli ed evitando dettagli come il giorno del temporale, naturalmente, perché ferirlo gratuitamente più di quanto avesse già fatto dicendogli che lo considerava non più di un ottimo amico era davvero inutile ad entrambi. Lo aveva fatto, quindi, con delicatezza e puntualizzando diverse volte di essersi affezionata a lui, di tenerci al fatto che potessero continuare ad essere amici. 
Il fatto che lui l'avesse subito buttata sul ridere, non stupì molto Kaelee. 
"Tipico di Allan", pensò ricambiando il sorriso apparentemente sereno di lui.
«E così hai mandato a monte le scommesse mie e di Much», scherzò, mentre si appoggiava alla staccionata con un braccio, il piede sul polpaccio e la mano libera sul fianco.
A furia di frequentarlo, Kaelee aveva capito che quella non era esclusivamente una posa oggettivamente sexy, ma più una posa alla Allan: l'effetto che faceva lui quando si metteva in quel modo, infatti, nessuno riusciva ad ottenerlo e sebbene lei non provasse "quel tipo" di attrazione verso di lui, ne restava tutte le volte colpita. Tutte tranne quella in questione, perché Allan aveva appena detto una cosa che le fece aggrottare le sopracciglia per lo stupore.
«Come scusa?», chiese quindi, manifestando tutta la sorpresa per quella rivelazione.
«Be' noi... abbiamo scommesso!», ripeté lui senza un filo di imbarazzo, come se le stesse parlando del tempo o di sciocchezze simili.
«Scommesso su cosa?», domandò con il tono di chi ha tutte le intenzioni di infuriarsi. Non poteva, non voleva credere che lui e soprattutto Much – "Il buon Much!", pensò – si fossero messi a spettegolare su di lei come due comari.
«Su chi ti avrebbe preso il cuore tra Robin e Archer... E invece tu ti prendi una cotta per il tenebroso uomo in nero», disse lui con quel sorrisetto da furbo tra i baffi e il pizzetto.
«Allan!», esclamò, incapace di trattenersi oltre. «Io non... Non posso crederci», aggiunse in un sospiro, scuotendo il capo. Sebbene sapesse che mostrarsi offesa fosse l'unico modo per scoraggiare ulteriori comportamenti così stupidi nei suoi confronti, non riuscì proprio ad arrabbiarsi essendo, anzi, in un certo senso era perfino divertita dall'assurdità di quella faccenda.
«Ah, nemmeno io se è per questo!», fece lui e il modo in cui sollevò il sopracciglio la disse lunga a Kaelee su quanto Allan non fosse propriamente contento della scelta di lei.
La ragazza scosse nuovamente il capo, non volendo aggiungere commenti inopportuni, e lo colpì piano sulla spalla, risvegliando inavvertitamente il dolore e la conseguente preoccupazione di Allan – ovvero esattamente ciò che Kaelee voleva evitare con tutta se stessa.
«Ehi, che hai al braccio?», domandò subito.
Kaelee dovette appellarsi a tutta la faccia tosta che non aveva.
«Mh? Oh, questo? Niente di grave, avrò fatto qualche movimento strano sollevando una botte o chissà che altro», disse sfiorandosi la parte dolente e cercando un appiglio per cambiare argomento. Sapeva perfettamente che Allan stava cercando di sdrammatizzare in merito a ciò che si erano detti, sapeva di averlo involontariamente ferito, e che in assenza di lei probabilmente avrebbe fatto uscire il suo reale stato d'animo, perciò gli disse di dover tornare alle sue mansioni, così da lasciarlo riflettere in pace, ma che se aveva voglia di parlare o di leggere o qualsiasi altra cosa che non fosse scommettere, sapeva dove trovarla.
Lui la ringraziò e i due si salutarono con un sorriso.

Gisborne lasciò il cavallo a riposo e alle cure dei giovani che si erano offerti di aiutarlo in quel compito. Locksley era un villaggio talmente piccolo che non gli sarebbe stato difficile trovare Kaelee pur attraversando ogni via a piedi, inoltre la preoccupazione per lei aveva cancellato ogni segno di stanchezza nel suo corpo.
Fu così che, dopo un po', si imbatté proprio in suo fratello Archer il quale non soltanto aveva presenziato allo scontro, ma – stando alle voci che circolavano – aveva pure insistito affinché Kaelee prendesse parte a quella spedizione. In difesa del giovanotto, Gisborne dovette considerare che Archer non avrebbe mai potuto sapere in anticipo degli uomini che il gruppo aveva incontrato nella foresta, però restava il fatto che entrambi i suoi fratelli avevano consentito a Kaelee di vedersela con qualcuno che non fosse lui stesso e, ancor più grave, non le avevano domandato a che punto fosse arrivata con le esercitazioni, ignorando così – sperava Guy, in modo da poter trovare una giustificazione valida per non farli neri – che la ragazza non aveva mai utilizzato una spada in tutta la sua vita.
«Gisborne!», esclamò allegro Archer andandogli incontro. «Tu e Tuck siete tornati finalmente. Che avete combinato, eh? Ve la siete spassata, dì la verità», aggiunse maliziosamente, accompagnando le parole con significative gomitate.
L'occhiata truce che Guy gli rivolse dovette spegnere una parte del suo entusiasmo, perché Archer lasciò perdere quelle sciocchezze e continuò parlando d'altro.
«Hai già sentito dell'avventura nella foresta?», chiese senza perdere il sorriso.
«Non da fonte diretta, perciò ti sarei grato se non risparmiassi nessun dettaglio».
Gisborne dovette interrompere più volte il racconto di Archer, che risultava molto caotico dal momento che il giovane passava da una cosa all'altra, ricordandosi improvvisamente di particolari che appartenevano a qualcosa che aveva detto in precedenza; tuttavia non si spazientì perché conoscere ogni cosa era essenziale per lui dato che era quasi certo che Kaelee avrebbe tentato di sminuire il tutto.
«Saresti stato orgoglioso di lei, mi ci gioco quello che vuoi. Solo per un istante ho pensato che anche lei, come gli altri due, sarebbe rimasta nascosta tra la vegetazione, ma quando ho incontrato il suo sguardo ho subito capito che sarebbe venuta con me. Little John ha fiuto per i delinquenti eh! Un vero peccato non essere riusciti a recuperare la refurtiva, ma con i ragazzi al seguito non ce la siamo sentita di correr loro appresso...», raccontò Archer.
Gisborne incrociò le braccia al petto e gli rivolse un'occhiata molto eloquente: i dettagli che gli interessavano, evidentemente non riguardavano Little John.
«Sì, va bene, Kaelee. Ha sguainato la spada e mentre io e John ci occupavamo di quei due è rimasta alle nostre spalle tenendo d'occhio la situazione. Aveva una luce negli occhi! Inizio a capire perché ti sei preso una bella cotta per lei».
«Archer...», quasi ringhiò.
«Quanto sei suscettibile!», sbuffò prima di proseguire. «Comunque, tenevo sotto tiro uno dei due. Lo sai, no? Robin non vuole che uccidiamo nessuno se non è necessario, quindi non potevo scagliare la freccia come avrei voluto, ponendo in fretta fine a quella faccenda. Allora che ho fatto? Gli ho fatto fischiare una freccia vicino all'orecchio e l'ho mandato a terra, ma quello a un certo punto s'è alzato e ha parato le mie frecce con la sua spada! Quel maledetto! Io scoccavo e quello si faceva scudo a velocità incredibile e mentre io tendevo di nuovo l'arco lui si è lanciato contro Kaelee. Quasi non l'ho visto, ma lei sì! Eccome! Ha schivato un affondo come molti non sarebbero riusciti a fare... Perché Robin può assistere ai vostri allenamenti e io no?», raccontò, interrompendosi poi accigliato.
«Se non continui non riuscirai nemmeno a tornare a casa sulle tue gambe», minacciò Gisborne.
«Esagerato! L'avversario era veloce e Kaelee non ha potuto schivare anche gli altri colpi, così li ha parati dandomi il tempo di prendere la mira e lanciare una freccia per ferirlo e atterrarlo di nuovo. Poi è intervenuto John che ha immobilizzato e spaventato a morte quel poveretto che già se l'era fatta sotto di suo ormai. Alla fine abbiamo liberato anche lui e siamo tornati indietro. Kaelee era così entusiasta che non ha fatto altro che parlare per tutto il tragitto da Sherwood a Locksley. Mi sa tanto che le sei mancato molto perché in questi giorni non ha fatto altro che lavorare a più non posso e ho notato che lo scontro deve averle creato qualche fastidio all'avambraccio, ma sta benone!», concluse esaltato.
Gisborne, che era sulla via dell'arrabbiatura perché Archer gli aveva confermato che Kaelee non soltanto s'era portata dietro l'arma, ma l'aveva pure usata mostrando un'incoscienza che non credeva le appartenesse, cambiò improvvisamente umore quando suo fratello fece accenno al danno riportato da Kaelee.
«Sai dov'è?», domandò sintetico.
Archer aggrottò le sopracciglia, forse intuendone i pensieri, e cercò di rassicurarlo ulteriormente.
«Non si è fatta nulla, davvero, deve soltanto tenerlo a riposo come le ho consigliato, ma è parecchio testarda...», disse.
«Già». convenne Gisborne. «Dov'è?», insisté poi.
Archer gli rispose di non sapere dove Kaelee si trovasse esattamente, ma che con ogni probabilità l'avrebbe trovata lì in giro.
«Forse ti conviene star fermo in un posto e aspettarla. Perché non vai a casa? Sarai stanco dopo il viaggio», suggerì ottenendo l'effetto contrario.
Per Gisborne, infatti, fu come se gli avesse detto di correre a cercarla, perciò ringraziò velocemente e si rimise in moto.
Locksley non era un villaggio così grande ed era praticamente impossibile non incontrarsi a meno che non ci si nascondesse, perciò Guy riteneva assurdo non essersi ancora imbattuto in lei e cominciò a pensare che le fosse successo qualcosa, prima di considerare l'eventualità che fosse rincasata. Quando il panico si fu quasi impadronito di lui, finalmente la vide: anche se era di spalle la riconobbe subito e la chiamò per nome.

Kaelee si stava riposando dopo aver affrontato la conversazione con Allan ed era immersa nei propri pensieri quando si sentì chiamare. Non ebbe alcun dubbio in merito alla voce che aveva pronunciato il suo nome: doveva necessariamente trattarsi di Gisborne, perciò, voltandosi, gli rivolse un sorriso che certamente manifestava apertamente l'emozione che provava nel rivederlo dopo tutti quei giorni.
«Sei tornato!», esclamò irradiando gioia attorno a sé. Pur notando immediatamente che lo sguardo di lui era fin troppo serio e non c'era un accenno di sorriso sulle labbra, Kaelee non riuscì a smettere di sorridergli, troppo felice di averlo nuovamente dinanzi a sé e troppo impaziente di raccontargli tutto ciò che aveva fatto in sua assenza. Tuttavia, la ragazza era abbastanza intelligente da comprendere in fretta che lo sguardo stanco, ma severo, il volto per nulla rilassato mentre gli si avvicinava e le labbra leggermente contratte in una smorfia di possibile preoccupazione dovessero essere obbligatoriamente il risultato delle dicerie che correvano per tutta Locksley arricchendosi sempre più di particolari verosimili, ma non esatti. Kaelee si convinse in fretta che Gisborne non era affatto felice di quell'avventura e del fatto che lei si fosse spinta in un duello pur non avendo mai davvero impugnato una spada e in parte lo comprendeva, non sentendosela di condannarlo per quell'accoglienza tutt'altro che cordiale.
Prese quindi un profondo respiro e annullò la distanza tra sé e lui.
«Ti devo chiedere di ascoltare la mia versione dei fatti prima che ti arrabbi sul serio», esordì, non faticando a credere che il racconto arrivato alle sue orecchie non corrispondesse esattamente al reale svolgimento delle cose, sebbene Kaelee non avrebbe potuto negare che la spada l'aveva usata anche se Gisborne non glielo aveva mai permesso durante le esercitazioni.
La ragazza lo vide incrociare le braccia al petto e chiudere gli occhi per un solo istante. Quando li riaprì erano così intensi che a guardarli Kaelee si sentì quasi male, il suo sguardo era insostenibile, e improvvisamente non desiderò altro che sfuggire a quella presa invisibile.
«Ho parlato con Archer», precisò subito l'uomo. «Hai idea di come io mi sia sentito quando, appena rientrato e con il solo desiderio di rivederti, sono venuto a sapere di questa perlustrazione?», chiese manifestando a Kaelee una buona dose di rabbia, sebbene non avesse urlato. «Hai idea di come io mi senta adesso sapendo che sei stata in pericolo ed io non c'ero? Io non ho potuto difenderti. Riesci a immaginare come mi sento?», continuò.
Kaelee lo guardava solo per brevi momenti, sentendo il senso di colpa nascere in lei perché non aveva considerato gli eventi da quell'ottica.
«Guy, vorresti...», iniziò, ma lui non le permise di continuare.
«Hai idea di come mi sia sentito quando ho saputo che avevi la spada con te e che hai combattuto?», continuò con voce leggermente più alta rispetto a prima. «Non eri neanche certa di saperla usare quella spada!», esclamò con rabbia.
«Ci siamo esercitati», obiettò lei con voce ferma.
«E pensi che questo sia abbastanza?».
La domanda era arrivata alle orecchie di Kaelee con un tono improvvisamente pacato, completamente fuori luogo rispetto alla rabbia che Gisborne aveva tradito poco prima, perciò alla ragazza parve quasi di sentire una vena di derisione nel tono di lui, come se volesse darle della sciocca per aver creduto che esercitarsi a combattere, per giunta con un bastone, fosse la stessa cosa che combattere davvero contro uno sconosciuto. Kaelee sapeva che, qualora il tono di Gisborne collimasse con i propri pensieri, non avrebbe potuto fare altro che dargli ragione, avendo compreso lei stessa quanto superficiale fosse stata nel voler utilizzare la spada tanto in fretta, eppure credeva fermamente di non aver avuto alcuna scelta: cos'altro avrebbe dovuto fare dinanzi all'avversario? Farsi uccidere forse? Darsela a gambe?
«Come credi che mi sia sentito quando Archer mi ha detto del tuo braccio?», chiese infine, mostrando quella che doveva essere la sua più grande preoccupazione dato il tono affranto.
Kaelee stava perdendo la pazienza. Per la prima volta, da quando conosceva Guy, si rivolse a lui con poca gentilezza e molta decisione credendo che la reazione di lui fosse esagerata.
«Non ti chiedo più di ascoltarmi. Ora mi ascolterai e basta, oppure se non vuoi vattene pure, ma non pensare poi di tornare quando avrai sbollito la rabbia», disse guardandolo dritto negli occhi adesso. Solitamente evitava di essere scortese con le persone, specie con quelle a cui teneva maggiormente, ma non le piaceva che la gente semplicemente l'accusasse senza neanche voler sentire cosa aveva da dire. Non le andava a genio che Gisborne la rimproverasse per le preoccupazioni che lo affliggevano e di cui avrebbe potuto semplicemente parlarle con calma anziché aggredirla così.
«Se proprio vuoi saperlo, ero felice per il tuo ritorno ma sei riuscito a mettermi di cattivo umore con i tuoi discorsi», aggiunse.
La vita aveva insegnato a Kaelee a ripagare le persone con la stessa moneta e il vissuto che si portava dietro la costringeva a mettersi sulla difensiva al primo segnale di minaccia.
«Il mio braccio è ancora mio, come puoi ben vedere, e dal momento che non sarei comunque rimasta nascosta dietro alla vegetazione è stato un bene che mi sia portata dietro la spada. E, sì, pensavo fosse abbastanza prima di rendermi conto che hai sempre fatto finta di combattere con me. La prossima volta, se veramente vuoi che io rimanga illesa in un duello, vedi di usarli quei muscoli che ti ritrovi, Guy di Gisborne», affermò con tono piuttosto alterato, soprattutto perché il dubbio che l'aveva sfiorata durante lo scontro con lo straniero aveva appena trovato conferma. Si sentiva presa in giro e non le piaceva affatto che fosse proprio Gisborne l'autore di quella pessima burla che stava causando danni ad entrambi.
Era un fiume in piena e sapeva che, una volta esaurito lo scatto violento, si sarebbe sentita tremendamente in colpa: le succedeva sempre così, quando era confusa, quando era in imbarazzo e quando era arrabbiata.
«Archer ha avuto la cortesia di spiegarti che non sono ferita e che se il braccio mi fa male è perché ho subìto un... Come si dice... Come diavolo l'ha chiamato?», continuò maledicendo quel suo vizio di perdersi le parole per strada quando si arrabbiava.
«Contraccolpo», intervenne Guy.
Kaelee notò che il suo sguardo si era rabbonito e gli occhi mostravano tutta la stanchezza del viaggio.
«Sì. E tu sei stanco morto, perciò dovresti filare dritto a casa, metterti a letto e riparlare di questo con me solo dopo un lungo riposo», concluse Kaelee con le mani sui fianchi, neanche fosse una madre che sgrida suo figlio per una marachella. Iniziava già a sentirsi in colpa per come gli aveva parlato, per questo abbandonò quella posa e abbassò lo sguardo sebbene Guy non avesse più le braccia incrociate e le tendesse una mano in segno di voluta riappacificazione; tuttavia, non poté ignorare a lungo quelle dita lunghe e chiare, quindi le strinse ben volentieri.
«Non è esattamente così che avevo immaginato il nostro incontro», sussurrò la ragazza.
Guy le sorrise e si scusò con calma, fermandola quando anche lei tentò di chiedere scusa. Poi le chiese di fargli vedere il braccio e lei alzò gli occhi al cielo, ma alla fine si sollevò la manica dell'abito e lasciò che Guy la tastasse delicatamente. "Probabilmente è una cosa da spadaccini questa faccenda del contraccolpo", pensò Kaelee prima di sentire un dolore lancinante.
«Ehi, vacci piano Ercole!», esclamò tirandosi indietro.
Non sentì Gisborne ridere come si era aspettata dopo quell'uscita, ma almeno l'espressione sul suo viso si era rilassata un po'.
«Vieni con me, ho una cosa che ti rimetterà in sesto», mormorò.

Casa di Guy, Locksley.
Prima di qualunque altra cosa, Guy sentì il dovere di occuparsi di Kaelee. Il confronto che aveva appena avuto con lei gli fece capire di aver commesso qualche errore a stento perdonabile nel corso degli allenamenti, per questo si ripromise che in qualche modo avrebbe dovuto farsi coraggio e smettere di dosare la forza d'ora in poi; inoltre comprese che era necessario istruire Kaelee anche sulle possibili conseguenze dell'uso di un'arma bianca, così che potesse porre rimedio immediatamente nel caso in cui fosse incappata in un problema simile a quello che la affliggeva da due giorni a quella parte. Il pensiero che per quell'arco di tempo Kaelee avesse sopportato il fastidio senza che nessuno glielo alleviasse dal momento che la ragazza aveva taciuto con tutti, Archer escluso, gli causò un moto di rabbia mentre considerava l'insensata idea di non muoversi più senza di lei. Soltanto per un attimo quel pensiero sbagliato sfiorò la sua mente, mosso più che altro dalla paura di perderla, perché immediatamente Gisborne si rese conto che proprio mettendola in gabbia avrebbe maggiormente corso il rischio di perdere Kaelee per sempre.
Non lasciò mai la mano di lei, né mentre prendeva l'unguento di cui le aveva parlato poco prima, né quando la fece accomodare su una delle sedie presenti nella stanza, sciogliendo l'intreccio soltanto quando fu necessario rimescolare l'unguento per renderne più morbida la consistenza e poterlo così spalmare più facilmente sul braccio nudo di Kaelee.
Mentre compiva i gesti con estrema delicatezza era silenzioso e concentrato, in parte per evitare di causarle fastidio con un gesto troppo brusco e in parte perché la vista della pelle scoperta e liscia della ragazza gli aveva riportato alla mente il pomeriggio del temporale quando, in quella stessa abitazione, si era ritrovato a spogliarla affinché potesse riscaldarsi in fretta. Non era mai riuscito a pentirsi di aver preso quella decisione obiettivamente avventata e, anzi, da allora ci aveva ripensato spesso.
«Potresti almeno dirmi che sei contento di vedermi», mormorò Kaelee interrompendo il filo dei suoi pensieri con il tono di chi sta cercando di sdrammatizzare.
La guardò dritto negli occhi perdendovisi. «Nutri qualche dubbio in merito?», domandò con voce pacata e profonda.
«No, visto come ti preoccupi per me, ma... Sto bene Guy, sul serio e... Vorrei poterti dire che è stato grandioso, che mi sono sentita orgogliosa del lavoro fatto con te e che non vedevo l'ora di raccontarti tutto», rispose lei sospirando infine.
«Me lo stai dicendo ora», mormorò senza smettere di stendere con delicatezza un leggero strato di crema.

Kaelee, che da quando si era incamminata con Gisborne verso l'abitazione di lui aveva cercato di mettere a tacere la delusione che provava per non aver potuto esprimere come voleva tutto l'entusiasmo che quell'avventura le aveva regalato, sbuffò, infastidita da quella che per lei era un'eccessiva serietà da parte di Guy. "E se fossi tornata a casa ferita, che avrebbe combinato? Avrebbe preso a schiaffi Archer e Little John fino a fargli diventare la faccia rossa e gonfia?", pensò, infastidita dai suoi stessi pensieri.
Guy non aggiunse nulla, finì con l'unguento e andò a recuperare una benda che avvolse sapientemente attorno al braccio della ragazza, la quale non oppose resistenza anche se più il tempo passava in quel religioso silenzio, più il nervosismo cresceva dentro di lei.
«Ho un modo... inusuale di affrontare ciò che mi ferisce», disse poi lui, improvvisamente, fissando il lavoro appena ultimato e frenando involontariamente un'altra ondata del fuome in piena che Kaelee ormai stentava a contenere. «Me la prendo con chi amo», concluse.
La ragazza fu spiazzata da quella confidenza. Non conosceva Gisborne da molto e sapeva che l'aver appreso molti dettagli del suo passato non significava sapere tutto di lui al punto da poterne prevedere le reazioni, così non si aspettava che il suo carattere lo indirizzasse in comportamenti così diversi dai propri. "Quindi mi ha aggredita così solo perché era preoccupato per me?", si domandò e quando capì che la risposta a quella domanda era un "Sì", il suo cuore impazzì come se lui l'avesse appena baciata.
«Sei un idiota», sussurrò dopo un po', senza volerlo offendere, di nuovo con il sorriso sulle labbra e la voce colma di dolcezza.
«Mi sei mancata. Ogni singolo istante», continuò Gisborne, sorridendole come solo lui sapeva fare. «Ho pensato a te tutto il tempo e non vedevo l'ora di tornare».
Si sedette anche lui, dopo un po' chiuse gli occhi e le spiegò come stavano le cose dal suo punto di vista. Le disse che non si era mai sentito in quel modo, che non aveva mai provato il bisogno pressante di tornare in un posto, consapevole che qualcuno lo stesse aspettando, perché sostanzialmente nessuno l'aveva mai aspettato prima d'ora.
«Se fossi sparito dal Castello di Nottingham per settimane intere, quando vivevo lì con lo Sceriffo, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza e nessuno si sarebbe preso la briga di cercarmi», mormorò a voce talmente bassa che Kaelee quasi faceva fatica a sentirlo con il cuore che le martellava nelle orecchie.
Lo guardò come se non lo vedesse da anni, mentre lui parlava, e si perse nella bellezza di quel volto che le era tanto mancato osservare, sfiorare e baciare in quei giorni. Era contenta di vedere che Gisborne si era finalmente tranquillizzato, quindi lo ascoltò senza interromperlo, godendo anche del suono della sua voce che tanto le piaceva.
Poi, ad un certo punto Guy smise di parlare, restando immobile con le palpebre abbassate e la tempia sostenuta dal dorso della mano.
Kaelee attese un attimo prima di capire che si era addormentato o che c'era comunque molto vicino e si intenerì moltissimo: era certa di poter restare a guardarlo per le successive sei ore, se la situazione l'avesse permesso, ma era piuttosto evidente che non poteva lasciarlo lì a dormire sul tavolo, così si alzò e gli toccò delicatamente la spalla, stringendogliela piano per non spaventarlo. I muscoli sotto le sue dita le accesero istantaneamente il volto, mentre pensieri inappropriati le affollarono senza preavviso la mente.
Per sua enorme fortuna, Gisborne riaprì gli occhi e la guardò come se non ricordasse nulla, distraendola momentaneamente dall'incendio appena avvampato. Infine l'uomo sospirò e si scusò.
«Mi hai trascinata qui per imbrattarmi il braccio con questo unguento», mormorò Kaelee sorridendogli, «Ora lascia che sia io a dirti cosa devi fare: devi andare a dormire», disse con estrema dolcezza.
«Dovrei passare del tempo con te, non dormire», protestò lui, sembrandole un bambino e facendola per questo ridere.
«Non scappo mica. Appena ti svegli vieni a cercarmi», gli disse accompagnandolo al piano superiore senza dargli alcun modo di replicare. «Devi raccontarmi tutto del tuo viaggio a York, perciò trascorreremo molto tempo insieme», aggiunse in un sussurro che lasciava fin troppo spazio a sottintesi troppo caldi per entrambi. Ancora una volta, comunque, la fortuna sembrava essere dalla sua parte perché Gisborne era così stanco che non si accorse di nulla, o almeno così Kaelee sperò fortemente.

Era come se la stanchezza gli fosse piombata addosso tutta in una volta.
Non riusciva a tenere gli occhi aperti, né a parlare, né a restare concentrato su un pensiero, desiderando solo riposare per un tempo indefinito. Con ogni probabilità l'ondata di preoccupazione che lo aveva investito appena era rientrato a Locksley gli aveva tolto definitivamente le forze e appena aveva avuto modo di rilassarsi per un attimo, ecco che il sonno si era impadronito di lui. Qualcosa gli diceva che non stava facendo una gran bella figura con Kaelee, ma era già troppo altrove con la mente, così quando lei gli disse di stendersi e addormentarsi lui non si oppose.
«Dormi bene», gli sussurrò prima di baciargli una guancia, diffondendo così un piacevolissimo calore sul suo viso e ispirandogli un sorriso che non fu certo di essere riuscito a esprimere davvero.

L'ultimo atto eroico di un Guy di Gisborne sopraffatto dal sonno fu prenderele la mano e non lasciargliela fin quando non fu profondamente addormentato.
E soltanto allora Kaelee lo lasciò solo, sorridendogli acora una volta prima di voltargli le spalle senza che lui la vedesse.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 07/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Come tutte le volte che scrivo di Gisborne, mi auguro di non aver dipinto un personaggio completamente diverso da quello che sarebbe potenzialmente diventato Guy se fosse sopravvissuto davvero anche nella serie tv. Ormai è chiaro che è il mio preferito, ma spero che questo non incida negativamente su di lui.
Sto cercando di fondere quanto più possibile gli eventi della serie tv con questa nuova avventura al fine di renderla credibile, perciò nel capitolo sono presenti diversi richiami a fatti raccontati in differenti episodi: il racconto di Tuck e quello di Little John ad esempio, così come anche alcune espressioni quali i "misteri d'Oriente" in riferimento ad Archer e "puro male" in riferimento a Gisborne (è l'esatta definizione data da Kate nella terza stagione), provengono direttamente dalla serie tv.
In merito a Little John preciso che  gli eventi di York si riferiscono a quando Robin e Guy hanno salvato Archer; inoltre Alice e Little Little John (sì, si chiama proprio così), sono moglie e figlio del fuorilegge. Più avanti troverete altri accenni in merito alla loro storia.
Il corno cui accenno attraverso i pensieri di Kaelee, invece, è un dettaglio "rubato" al Robin Hood di Alexandre Dumas.
Ho voluto fare queste precisazioni per coloro i quali leggono questa storia considerandola un'originale: se doveste avere qualsiasi dubbio in merito a questo o quel personaggio/situazione non esitate a domandare.
Detto questo vi ringrazio per la lettura e per le eventuali recensioni. Queste ultime sono sempre molto gradite.
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** From Edwinstowe... ***


Rudyard


From Edwinstowe... – Parte Prima

Edwinstowe.
Al villaggio girava voce che, da quando Re Riccardo era tornato in patria costringendo suo fratello Giovanni in Francia, Robin Hood e i suoi uomini amministrassero Locksley e alcuni villaggi circostanti e che si occupassero addirittura della ricostruzione di Nottingham detenendo i compiti di uno Sceriffo senza esercitarne i poteri.
Si dicevano un mucchio di cose a Edwinstowe e altrove; alcune vere, altre false e altre ancora che non erano né totalmente vere né completamente false, ma il risultato di racconti che passando di bocca in bocca cambiavano continuamente connotati con una facilità incredibile.
I racconti delle imprese di Robin Hood, ad esempio, avevano fatto in fretta il giro di tutta l'Inghilterra e lui era in breve diventato l'eroe dei giusti prima ancora che Nottingham venisse distrutta. Si diceva addirittura che qualcuno, in certi villaggi dove i soprusi erano insopportabili, avesse deciso di seguire le orme dei fuorilegge ponendosi a capo di una piccola banda e mettendo i bastoni tra le ruote alla prepotenza dei nobili. Così sembrava quasi che l'intera Inghilterra fosse popolata da piccoli gruppi di uomini – focolai di speranza – che lottavano per il bene del popolo, dei meno fortunati, delle persone comuni che in quel momento storico contavano poco o nulla e che da sole non avrebbero mai potuto farcela a ribellarsi.
Alcuni dicevano che il vero Robin di Locksley non vivesse più in quel villaggio da molto tempo, che dopo il soggiorno forzato nella foresta di Sherwood nei panni di fuorilegge avesse rifiutato la tenuta che gli toccava per diritto, che avesse lasciato ogni cosa nelle mani dei suoi amici e che si spostasse laddove era necessario il suo intervento, armato come sempre di arco e frecce. Questa teoria, in netta contrapposizione con l'altra, alimentava il mito dell'uomo-eroe sempre volto all'altrui serenità prima che alla propria.
C'era qualcuno che sosteneva che Robin Hood fosse morto il giorno in cui Nottingham era saltata in aria, ucciso da una lama avvelenata, e che l'uomo che ancora si faceva chiamare con quel nome già diventato leggenda, altri non era che uno dei suoi fratelli in armi. Quale precisamente nessuno l'aveva capito e in alcuni villaggi si diceva fosse Much, il servitore, in altri invece si faceva il nome di Allan, lo stesso Allan che secondo altri ancora era morto insieme a Robin.
Comunque stessero davvero le cose, una era la più importante di tutte: la gente aveva ripreso a credere in qualcosa. Nei villaggi in cui qualcuno tentava di imporsi con prepotenza accadeva, sempre più spesso, che un piccolo gruppo di giovani uomini prendesse posizione e contrastasse il potente di turno, perché tutto quel chiacchierare su Robin Hood e i suoi uomini aveva infine mosso le acque e risvegliato ideali per cui valesse la pena lottare, aveva riacceso la speranza anche nei cuori più aridi, perfino negli animi più spaventati.
Nonostante questo, come nelle migliori storie, come ogni cosa nella vita e a testimonianza del fatto che ogni medaglia ha la tanto temuta altra faccia, non per tutti Robin era un eroe ed esisteva ancora qualcuno disposto a mettersi contro di lui se necessario, vivo o morto che fosse. Sarebbe sempre esistito qualcuno che avrebbe cercato di ottenere massimo potere e somma ricchezza per dominare incontrastato su Contee, Nazioni, persino il mondo intero.

Aric, da quando aveva avuto il coraggio di far avere quella missiva a Robin Hood, aveva iniziato a considerarsi parte del primo gruppo di persone speranzose che forse, prima o poi, sarebbero riuscite a cambiare le sorti del popolo inglese anche se proprio lo stesso Aric aveva, per sua immensa sfortuna, due fratelli che si collocavano al suo esatto opposto e che avevano l'ardire di sfidare Robin Hood, certi di poter vincere laddove lo Sceriffo di Nottingham e il Principe Giovanni avevano sempre fallito.
Il giovane uomo sapeva che non era Willard, ma Rudyard, il problema più grande per se stesso e per Kaelee, che ne era diventata l'ambita preda. Rudyard, infatti, poteva avere una quantità infinita di difetti, ma possedeva un unico grande pregio: la costanza. Era capace di inseguire un obiettivo per mesi e mesi senza stancarsi mai, senza spazientirsi mai, senza cedere mai, caratteristica, questa, che avrebbe potuto fare di lui un uomo degno di essere ricordato, capace di grandi opere, se solo l'avesse utilizzata nel bene e ne avesse avuto pieno controllo. Invece, puntualmente, quando la sua caccia si prolungava e produceva pochi e scarsi risultati, Rudyard sfogava la frustrazione arrabbiandosi chiunque gli capitasse a tiro. Purtroppo il bene sembrava ben lontano dal voler albergare nel suo cuore, così come la sua mano era poco intenzionata a risparmiare la vita a uomini che non riteneva utili per se stesso.
Aric era convinto che, se Dwight non avesse tenuto d'occhio Rudyard impedendogli di essere eccessivamente violento in casa, quest'ultimo non ci avrebbe pensato due volte a farlo fuori senza un motivo in particolare, semplicemente perché era diverso da lui e incapace di maneggiare un'arma. Del resto gli era bastato capire che compiacere sua madre lo avrebbe reso il favorito di casa per scatenare definitivamente il lato peggiore del suo carattere: per Rudyard non era stato difficile convincersi che scovare sua sorella Kaelee era assolutamente necessario per mantenere alto l'onore della famiglia dal momento che lei, fuggendo, si era resa colpevole di un grave affronto verso chi l'aveva generata e cresciuta, che con la fuga aveva disonorato la famiglia venendo meno alla promessa di sposare il proprietario terriero su cui sua madre aveva messo gli occhi; Aric sapeva che niente e nessuno al mondo sarebbe riuscito a fermarlo, né con le parole, né con la forza, finché sua madre restava ferma nella propria volontà di riavere la figlia a casa.
In sostanza, a nessuno dei due – né madre, né fratello – importava davvero del destino di Kaelee, tant'è che il dubbio che non fosse sopravvissuta alla fuga non li aveva mai neanche lontanamente sfiorati, così come non si erano mai preoccupati di scoprire come avesse fatto ad allontanarsi senza essere vista, né avevano quindi preso in considerazione che Kaelee fosse di fatto perfettamente in grado di fargliela sotto al naso, come Aric ben sapeva e le aveva visto fare. D'altra parte, però, il giovane era certo che se sua madre e Rudyard avessero scoperto che la giovane donna era morta, allora l'avrebbero pianta come se l'avessero amata quando era in vita.
Erano ipocriti. Opportunisti. Falsi.
"Perfetti candidati alla carica di Sceriffo senza cuore in stile Vaisey di Nottingham", pensava continuamente Aric di loro, disprezzandoli con tutto se stesso e invidiando sua sorella per aver avuto la forza di andare via da quell'inferno e provare a guadagnarsi una fetta di felicità e serenità.
A proposito di Nottingham, anche Rudyard, naturalmente, conosceva molte di quelle storie su Robin Hood che la gente raccontava di villaggio in villaggio e da quando viaggiava alla ricerca di Kaelee, Aric si era reso conto che ne aveva apprese di altre ancora. Sebbene anche lui temesse il temperamento di suo fratello Rudyard, si sentiva in dovere di raccogliere quante più informazioni possibile sugli spostamenti suoi e di Willard, così da poter tentare di correre ai ripari per tempo; quindi partecipava con celato interesse quando suo fratello condivideva i nuovi racconti, tanto più quando l'uomo aveva accennato a Gisborne.
Una cosa curiosa che Rudyard aveva sentito dire ultimamente, infatti, pareva proprio riguardasse il braccio destro del nemico numero uno dell'arciere. Non c'era storia in cui Sir Guy di Gisborne non venisse menzionato come antagonista di Robin e sebbene lo Sceriffo fosse il vero nemico dell'intera popolazione di Nottingham e dei villaggi attigui, Gisborne era notoriamente la sua mano armata. Rudyard aveva raccontato, senza sospettare che Aric avrebbe fatto tesoro di quelle informazioni, che non molto tempo addietro si era presentato a York un tale Fra Tuck per discutere di certi affari di commercio.
«Se quei meschini ignoranti e infami cui ho concesso l'onore di essere interrogati da me personalmente», raccontò Rudyard con una presunzione che fece venire il voltastomaco ad Aric, «hanno detto il vero, il colorato frate della banda di Hood era in compagnia di un uomo di nome Guy di Gisborne. E quante possibilità ci sono che esista un altro uomo tra Nottigham e Locklsey che abbia il suo stesso nome?», chiese retorico, con un sorrisetto malefico e per niente rassicurante sulle labbra. «Vuoi rispondere tu, Willard?».
Aric spostò istintivamente lo sguardo verso il fratello chiamato in causa e lo vide torcersi le mani e abbassare lo sguardo in un atteggiamento che trasudava disagio.
«Nessuna?», sussurrò Willard incerto.
Rudyard applaudì divertito per una ragione che Aric non comprese. «Esatto! Allora non sei poi così stupido, fratello!», esclamò abbandonandosi ad una risata che non contagiò nessuno.
Nei giorni successivi Aric sentì Rudyard riflettere ad alta voce su quell'informazione che l'uomo, da megalomane egocentrico quale era, credeva non essere arrivata a lui per caso. E più Rudyard si convinceva di essere ad un passo da una rivelazione importante per la ricerca di Kaelee, più Aric temeva che suo fratello iniziasse ad unire i puntini.
Aric sapeva che Rudyard era un bravo osservatore ed era dotato di un ottimo sesto senso, ma conosceva anche il suo punto debole: la troppa concentrazione sull'obiettivo lo induceva a prendere in considerazioni dati inutili, con il solo risultato di distrarsi, perdendo così i dettagli più importanti. Come ad esempio l'ovvietà della meta di Kaelee visti tutti i bei racconti che aveva ascoltato su Robin Hood; come ad esempio il fatto che Aric fosse riuscito a metterla in guardia senza essere scoperto.
Se Rudyard fosse stato un vero segugio, come pensava di se stesso, Aric non l'avrebbe fatta franca e invece l'uomo non nutriva il benché minimo sospetto su nessuno dei suoi familiari perché un altro grande difetto di Rudyard individuato da Aric era la presunzione di sapere sempre tutto e di avere ogni cosa sotto controllo.
"È così pieno di sé da giudicare me troppo codardo per muovermi in favore di Kaelee e Dwight troppo poco affezionato a lei per metterglisi contro", aveva concluso Aric dopo aver ascoltato un paio di conversazioni tra Rudyard e sua madre, ben contento che suo fratello non fosse un genio.


Negli anni, a casa di Rudyard – come in molte altre dei vari villaggi della Contea di Nottingham – non si era fatto altro che raccontare delle imprese di Robin Hood per riempire i tempi morti nei giorni in cui era impossibile dedicarsi alla terra a causa del maltempo o quando, dopo la cena e prima di andare a dormire, si cercava di richiamare il sonno in compagnia di tutta la famiglia. Era diventata, per tutti i familiari, un'abitudine più che un reale momento di unione giacché, secondo Rudyard, nessun componente della famiglia, tranne sua madre, aveva qualcosa in comune con lui. Dal suo punto di vista i suoi fratelli erano un ammasso di incapaci perdenti: Dwight con la sua depressione era perfino più ridicolo di Aric che aveva paura della sua stessa ombra, mentre Willard era troppo stupido per riuscire a guadagnarsi veramente il rispetto di qualcuno e se assecondava sua madre era soltanto per paura che lo gonfiasse di botte; in quanto a Kaelee era l'elemento peggiore di tutti.
Rudyard aveva sempre detestato avere una sorella che voleva a tutti i costi ascoltare discorsi che non la riguardavano in alcun modo e si era sempre detto contrario al fatto che nessuno, né la madre, né il maggiore dei fratelli, l'avesse mai ripresa e rimandata a lavare stoviglie o a rammendare vestiti. Se c'era lei nella stanza, infatti, Rudyard era costretto ad omettere i particolari truculenti concentrando la narrazione esclusivamente sulla figura di Robin Hood e sulle sue generose opere di beneficenza per evitare di impressionare Kaelee, dettagli che all'uomo interessavano veramente poco a differenza di sua sorella il cui sguardo era sempre trasognato quando lui o un altro dei fratelli tesseva le lodi della banda di fuorilegge. Proprio non capiva come lei e Aric potessero accontentarsi di quella parte della storia quando c'erano un sacco di entusiasmanti dettagli sanguinolenti che riguardavano, ad esempio, gli scontri ravvicinati tra Hood e Gisborne, perché sebbene si dicesse in giro che Robin Hood non uccidesse, altre voci raccontavano che una volta avesse dato fuoco a Gisborne soltanto per poi cercare di annegarlo. "Robin è un eroe! Robin è un eroe! Loro dicono, ma è pure cornuto visto che Lady Marian, la sua adorabile promessa sposa, se la intendeva con Gisborne. Mica scema la ragazza!", pensava Rudyard pur non potendo condividere quei pensieri ad alta voce in presenza di sua sorella.
Cosa potesse mai esserci di interessante in tutto quel consegnare ceste piene di ortaggi e sacchetti con monete d'oro quando a Nottingham nello stesso momento c'era stata una pubblica esecusione di cui parlare nel dettaglio, Rudyard non riusciva proprio a capirlo. "Un collo spezzato è più educativo di un collo intero che non paga le tasse", riteneva.
Rudyard era sempre stato più un fan di Gisborne che di Hood e quando aveva avuto il piacere di conoscerlo di persona, anni addietro, aveva scoperto un uomo ancora migliore – e per migliore Rudyard intendeva più malvagio – di quanto si dicesse in giro, ragion per cui da qualche giorno non si dava pace non potendo proprio capire per quale motivo Sir Guy di Gisborne dovesse accompagnarsi con un seguace di Robin Hood. L'uomo non aveva mai creduto, e non voleva arrendersi a credere, a quelle voci che raccontavano di un Gisborne pentito che si era unito alla banda contro lo Sceriffo Vaisey.
"Sono romanticherie per donnicciole queste. Il Gisborne che conosco non si unirebbe mai a quell'Hood, a meno che... non voglia copirlo alle spalle", si era detto mentre un'idea interessante e nuova si affacciava alla sua mente.
Rientrava da una passeggiata per le terre che la sua famiglia coltivava, quando diede una voce all'unico tra i suoi fratelli che lo aiutava nella missione.
«Willard! Willard! Vieni qui!», ordinò, sapendo che lui non avrebbe mai osato disobbedire, qualunque cosa stesse facendo, e infatti si presentò velocemente al suo cospetto, accaldato e con le mani ancora sporche della terra di cui si stava occupando. Rudyard sorrise soddisfatto dall'atteggiamento remissivo di suo fratello e sebbene fosse conscio che Willard aveva lasciato il lavoro a metà per raggiungerlo, gli mise una mano sulla spalla e lo allontanò dai suoi doveri che potevano certamente aspettare.
«Facciamoci quattro chiacchiere tra uomini, mh?», disse non trovando opposizione da parte dell'altro.
Guardando i lineamenti sgraziati del viso di Willard, incrostato di terra e sudore, Rudyard vi lesse tutto il bisogno di compiacerlo, di non deluderlo, di servirlo per paura di soccombere e di diventare vittima dei suoi sbalzi d'umore. La sensazione che provò nel vedere suo fratello così inerme dinanzi al suo potere persuasivo fu di godimento assoluto e per un attimo si domandò se Willard lo avrebbe supplicato frignando come una ragazzina qualora avesse deciso di punirlo con una scusa qualsiasi. "Se non mi servisse per trovare quella stupida bambina, lo metterei alla prova stasera stessa deliziandomi il riposo notturno con le sue urla", pensò prima di rivolgergli di nuovo la parola.
«Dimmi, fratello, per quale motivo un uomo dovrebbe unirsi ad una causa che fino a pochi istanti prima non condivideva ed anzi ostacolava?», domandò Rudyard a Willard fissando lo sguardo sul terzogenito mentre passeggiavano tra le colture.
Quando gli occhi scuri di Willard incrociarono i suoi, Rudyard vide distintamente che erano colmi dello sgomento che sapeva derivare dalla paura di deluderlo e di farlo arrabbiare. Più volte, infatti, era andato fuori di testa con lui offendendolo largamente per i suoi odiosi tenennamenti, degli stupidi silenzi e dell'insicurezza che manifestava in ogni occasione possibile. Anche quella volta non fu in grado di rispondergli niente di soddisfacente e Rudyard gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo soltanto per umiliarlo; poi scosse il capo e di nuovo parlò.
«Ma come devo fare con te, fratellino?», domandò retorico prima di lasciarsi andare ad uno dei tanti scatti irosi. «Pensa! Provaci almeno! Non mi sei di nessun aiuto se non sei nemmeno in grado di rispondere a una semplice domanda!», urlò colpendolo dietro la nuca affinché ricordasse meglio l'errore ed il rimprovero. Per Rudyard l'espressione "ficcarsi in testa qualcosa" era da interpretare alla lettera.
Vide Willard mortificarsi mentre cercava la risposta che voleva gli desse e, di nuovo, immaginò se stesso nel granaio a frustare senza pietà suo fratello.
«Un nemico comune?», domandò infine.
Soddisfatto, Rudyard sorrise e gli scompigliò i capelli, abbandonando completamente i pensieri di poco prima e complimentandosi con lui per aver risposto correttamente. L'uomo si era infatti convinto che il buon cantastorie che aveva messo in giro la voce secondo cui Gisborne aveva lottato al fianco di Hood contro Vaisey di Nottingham avesse detto il vero, ma che le cose non stessero esattamente come le aveva raccontate. Secondo Rudyard, Gisborne non si era unito alla banda, abbagliato improvvisamente dalla luce del Signore e desideroso di pentirsi delle teste che aveva fatto saltare, delle braccia che aveva mozzato, delle mani che aveva tagliato e dei toraci che aveva trafitto, per affidare la propria anima all'Onnipotente; aveva scelto, invece, di fare buon viso a cattivo gioco con quei fuorilegge fessacchiotti al fine di accaparrarsi il ruolo di Sceriffo di Nottingham, a ricostruzione ultimata, ora che non aveva più rivali con cui competere per quella carica. A Rudyard sembrava un piano degno di un leader.
«Vedi che quando vuoi riesci a darmi un mucchio di soddisfazioni?», disse Rudyard a suo fratello. «E una volta che il comune nemico è battuto, tu cosa faresti?».
Nessuno dei due smise di camminare quando entrambi sentirono il maggiore di loro chiamare Willard per darsi una ripulita prima della cena e Rudyard fu nuovamente soddisfatto dal comportamento servile di suo fratello minore.
«Penso che me ne andrei per fatti miei», mormorò con un filo di timore nella voce.
Il secondogenito annuì, pensieroso.
«Va' adesso, raggiungi Dwight, fatti un bagno e di' a nostra madre che domattina partiamo per York», ordinò. "Tu te ne andresti per i fatti tuoi perché sei un rammollito", pensò subito dopo.


Il giorno seguente.
York.

Willard cavalcava di fianco a suo fratello con l'aria di chi teme un agguato anche dalla propria ombra o di chi in cuor suo sa di non fare la cosa più giusta, ma Rudyard era così concentrato su se stesso da non accorgersene neanche; o almeno così sperava Willard. Lui non era malvagio quanto suo fratello, ma non possedeva nemmeno i valori di Dwight, perciò era stato costretto a scegliere tra l'essere relegato e offeso continuamente come Aric oppure essere il cagnolino fedele di Rudyard. "Se Robin Hood ha un servo, pure Rudyard ne avrà bisogno quando diventerà Signore di un villaggio", si diceva.
La città di York era nel pieno delle quotidiane attività quando i due fratelli vi arrivarono e Willard cercò di non lasciarsi impressionare dalla moltitudine di poveri accattoni che girovagavano senza meta sperando di arrivare a fine giornata con qualche moneta in tasca o di morire prima nel modo meno atroce possibile. Lo Sceriffo dello Yorkshire era sadico e crudele forse anche più di Vaisey di Nottingham, perciò Willard si augurò di non incontrarlo.
Lui e suo fratello Rudyard lasciarono i cavalli in custodia e si avviarono a piedi nel cuore della città, alla ricerca di informazioni in merito alla visita di Guy di Gisborne e Fratello Tuck.

Rudyard decise che era tempo di mettere alla prova suo fratello per accertarsi che gli sarebbe rimasto fedele anche nel momento in cui sarebbero andati a prelevare Kaelee, ovunque essa fosse, e per accertarsi anche che non fosse un completo ed inutile imbecille, perciò lo convinse che se si fossero divisi ne avrebbero tratto un enorme vantaggio in termini di tempo e quantità di notizie. Se in prima battuta Willard gli era apparso poco incline ad accettare quell'ordine, la minaccia successiva di consegnarlo direttamente nelle mani degli uomini dello Sceriffo di York lo aveva così tanto impaurito che subito si era reso disponibile a collaborare. "Mai nessuno che obbedisca senza essere minacciato in continuazione! Che gran seccatura questi servi. Cavalieri, ecco di cosa ho bisogno! Ed ecco cosa mi darà Gisborne quando ci incontreremo di nuovo", pensò Rudyard compiaciuto dell'idea che prendeva sempre più forma nella sua mente. Come aveva fatto poi a non pensarci prima, proprio non se lo spiegava. Chi meglio di Sir Guy di Gisborne avrebbe potuto appoggiarlo nella sua caccia a Kaelee visto che lui per primo aveva venduto sua sorella per denaro?
Così spedì Willard nella zona del Mercato e gli ordinò di parlare con le donne più pettegole e con i bambini mentre lui si sarebbe diretto alla Taverna, sapendo perfettamente che lì avrebbe ottenuto le stesse identiche informazioni ricavate da Willard.
E proprio in questo consisteva la prova: se Willard gli avesse mentito, lui avrebbe potuto agire di conseguenza per tempo, senza rischi.
Dispensò quindi qualche consiglio su come convincere la gente a sbottonarsi, dal momento che Willard non era il massimo della loquacità, e se ne andò dopo avergli infine dato appuntamento all'ingresso della città, dove avevano lasciato i cavalli.

Nonostante le indicazioni ricevute, il terzogenito tra i fratelli di Kaelee si sentì perso senza suo fratello e per un buon quarto d'ora rimase impalato dov'era senza ben capire cosa fosse meglio fare. Chi è che doveva interrogare esattamente? E cos'è che doveva chiedere? Come aveva detto Rudyard di parlare per convincerli a parlare senza ricorrere alle mani e farsi arrestare? Si sentì un idiota e per un attimo la sua volontà di servire quel fratello malvagio vacillò, ma poi ricordò quanto sapesse essere violento Rudyard, indipendentemente da chi aveva davanti, e si mise in moto correndo per le vie di York.


Diversi giorni più tardi.
Edwinstowe.

Sebbene Aric tendesse sempre a mantenere un basso profilo, cercava di restare quanto più informato possibile sugli spostamenti dei suoi due fratelli, deciso a proteggere Kaelee dalla sofferenza che certamente loro le avrebbero causato nel caso in cui l'avessero trovata. Quel che sarebbe successo nel momento in cui Robin Hood e Rudyard si fossero scontrati, Aric non faticava ad immaginarlo. Era noto a tutti che Robin Hood di rado uccideva e solo se strettamente necessario; ed era noto ad Aric e Kaelee che, al contrario, Rudyard era molto incline alla violenza e non ci avrebbe pensato su due volte prima di colpire chiunque lo ostacolasse. Anche questo, Aric ne era certo, avrebbe fatto soffrire Kaelee.
Era una situazione spinosa da cui Aric non sapeva come uscire se non invocando l'aiuto di qualcuno per fermare Rudyard in qualche modo, il che significava però ammettere di essere a conoscenza di ogni cosa riguardo Kaelee, la sua fuga e la sua attuale sede. Il problema più grande del suo muoversi da solo e in incognito riguardava il motivo dei singoli viaggi dei suoi fratelli: sapeva che cercavano, ma non sapeva su quale principio basassero le ricerche. Sapeva, ad esempio, che quella stessa mattina i due si erano recati a York, ma non era riuscito a capire perché Rudyard avesse deciso di cambiare itinerario così, all'improvviso, anche se immaginava che il viaggio fosse legato a ciò che aveva sentito dire su Gisborne.
Che stesse cercando lui? E perché se stava dalla parte di Robin Hood?
Tormentato dai suoi stessi pensieri, Aric decise di andare a far visita all'amico che gli aveva fatto da messaggero per cercare conforto, chiarezza mentale – l'unico, tra l'altro, che conoscesse la verità, l'unico che avesse visto Kaelee da quando era scappata – e per scambiare due parole con lui.
Arrivato alla taverna in cui il ragazzo lavorava, attese che l'amico fosse libero di fermarsi un attimo a dargli ascolto e quando questa situazione si verificò, Aric approfittò per parlargli dei movimenti dei suoi fratelli, certo che il ragazzo mai lo avrebbe tradito dal momento che detestava Rudyard per il suo carattere prepotente. Scoprì così che l'amico era anche lui a conoscenza della visita di Fra Tuck e Sir Guy di Gisborne a York.
«Qui in taverna nessuno che sia riuscito a tacere al riguardo. Tutti a chiedersi che ci facesse Gisborne con un uomo di Robin Hood», raccontò il ragazzo. «In effetti me lo sono chiesto anche io quando...», sussurrò in tono d'intesa, senza completare la frase.
Aric subito annuì, intuendone i pensieri. Sapeva quanto il suo amico si fosse sentito onorato di aver compiuto una buona azione attraverso cui aveva avuto la grande opportunità di conoscere Robin Hood in persona; e sapeva anche della completa disponibilità da parte dell'amico di replicare.
«Allora è vero... Credo che Rudyard abbia in mente qualcosa», fece Aric, improvvisamente nervoso e pensieroso.
Fu questione di pochi istanti prima che Aric iniziasse a percepire il pericolo.
«Non può essere una coincidenza che mio fratello abbia deciso di recarsi a York proprio ora che Guy di Gisborne è sulla bocca di tutti quelli che raccontano di Robin Hood», sussurrò ancora Aric, con agitazione crescente. «Se per qualche motivo che non capisco, Rudyard volesse arrivare a Gisborne e ci riuscisse, allora arriverebbe anche a Robin...», aggiunse.
«E quindi a Kaelee», concluse l'amico per lui. «Che intendi fare?», domandò poi, anche lui preoccupato.
«Devo tornare a casa. Grazie», disse in fretta. «Mi farò vivo», aggiunse correndo via come una scheggia.

Aric fece appena in tempo a rincasare senza che nessuno vedesse quanto era sconvolto per la nuova ed inquietante intuizione. Non riusciva a capire che razza di collegamento avesse fatto Rudyard nella sua mente contorta, ma era certo che qualcosa doveva essere accaduto al suo interno e che Rudyard avesse imboccato un nuovo, pericoloso, percorso.
Ragionare con l'amico di quella strana faccenda lo aveva aiutato a tirare una conclusione per quanto questa non lasciasse molta speranza. I due avevano infatti convenuto che se Rudyard e Willard erano andati a York perché avevano saputo che un uomo di Robin Hood vi era arrivato non molto tempo addietro insieme a Sir Guy di Gisborne, era perché, certamente, cercavano informazioni. Essendo molti i racconti su come era andata dopo l'esplosione di Nottingham e spesso discordanti tra loro, probabilmente Rudyard era andato ad accertarsi che la voce sulla strana accoppiata in giro per York fosse vera e, sebbene il passo successivo non fosse prevedibile, Aric era certo che stesse tra l'interrogarsi riguardo l'attuale posizione dell'ex braccio destro dello Sceriffo e il recarsi a Locksley per indagare personalmente.
Pur non avendo la certezza che Rudyard avesse collegato la fuga di Kaelee con la magia nei suoi occhi tutte le volte che ascoltava i racconti sulle avventure di Robin Hood, il dubbio bastava ad angosciare Aric al punto da fargli prendere definitivamente in considerazione l'idea di chiedere aiuto a suo fratello Dwight anche se avrebbe dovuto metterlo al corrente di ogni cosa, rischiando di prendersi una strigliata di proporzioni colossali. A incoraggiarlo restava il fatto che Dwight non fosse un violento.
Fu mentre prendeva quella decisione che suo fratello Rudyard rincasò portandosi appresso un'espressione trionfante che non piacque affatto ad Aric.
Lo osservò di nascosto intanto che, con gran fretta e senza nemmeno degnare i presenti di un saluto, l'uomo prendeva da parte la donna che li aveva generati per riferirle, con ogni probabilità, ciò che aveva scoperto e le mosse che intendeva mettere in atto.
Con un coraggio inaspettato, Aric si mise ad ascoltare la conversazione acquattato e respirando appena per evitare che qualcuno lo sentisse o vedesse.


Casa di Guy, Locksley.
Kaelee era appena uscita di casa sebbene fosse ancora piuttosto presto e il Sole non fosse ancora sorto completamente. Un po' perché, svegliandosi, aveva trovato Much in cucina insieme a Kate, – stavano soltanto parlando tranquillamente tra loro, ma la ragazza si era subito sentita in dovere di lasciar loro la privacy che meritavano e di cui con ogni probabilità avevano bisogno, anche se non le era ancora chiaro il tipo di rapporto che intercorreva tra quei due pur facendole piacere che Much frequentasse l'abitazione e Kate – e un po' anche perché era impaziente di vedere Gisborne: le notti erano diventate troppo lunghe da quando si era innamorata di lui.
Del resto, la vita nei villaggi iniziava di buon mattino, sia che per mestiere si lavorassero i metalli, sia che ci si occupasse della terra; sia che si conciassero pelli, sia che ci si prendesse cura dell'anima dei fedeli, e Kaelee non faceva eccezione pur non avendo un'occupazione precisa e gestendo il proprio tempo in funzione di chi ne richiedeva l'aiuto di volta in volta; né aveva avuto abitudini diverse a Edwinstowe dove, anzi, veniva buttata giù dal letto da sua madre che ancora il buio non aveva ceduto il passo alla luce del mattino.
Non si era quindi stupita della presenza di Much ad un simile orario, tanto più perché sapeva quanto l'uomo tenesse a raccogliere erbe e spezie al momento più opportuno che non sempre coincideva con le ore diurne; aveva preso con sé un cestino di frutta e un piccolo pane speziato, ennesimo esperimento culinario di Much il quale portava di continuo a casa delle due donne manicaretti da assaggiare e giudicare – ciò che rendeva incredibilmente tenero e straordinario quell'uomo agli occhi di Kaelee era che sebbene amasse Kate, non pensava solo a lei quando cucinava, ma anche a Kaelee e a chiunque si fosse trovato a casa di Kate all'ora della colazione, del pranzo o della cena – con l'intenzione di fare colazione insieme a Guy, a casa di lui.
Da quando aveva la possibilità di andarsene in giro senza che sua madre la tirasse per un braccio urlandole i peggiori insulti e pizzicandole malignamente i fianchi, Kaelee aveva imparato ad apprezzare ogni istante delle sue giornate, contemplandone ogni singolo dettaglio: che fosse uno dei ragazzi di Gisborne che spazzolava di buon'ora i cavalli, oppure un cane che sbadigliava assonnato per poi nascondere la testa alla luce nascente, Kaelee amava perdersi a guardare ciò che aveva attorno sebbene non comprendesse la realtà allo stesso modo di Aric che era, invece, capace di trarre preziosi insegnamenti da ciò che osservava. Si ritrovò a sospirare pensando a suo fratello: ne sentiva molto la mancanza.
Arrivata davanti alla porta di casa di Gisborne, la ragazza fu colta dal dubbio che l'uomo fosse ancora addormentato e rimase lì fuori, con il cesto incastrato nella piega del gomito e appuntato sul fianco, per diversi minuti prima di bussare piano, così piano da farle temere che, qualora fosse sveglio, potesse comunque non averla sentita. Tutta quell'indecisione la infastidiva al punto che, in un moto di stizza, si impose di bussare nuovamente e con più convinzione, ma nell'esatto momento in cui sollevò la mano libera sentì dei passi dirigersi verso la soglia e si tranquillizzò, anche se solo per qualche secondo. Il fatto che Guy sembrava avere il vizio di andare ad aprire senza mettersi prima addosso una casacca, infatti, non aiutava Kaelee a mantenere la calma, perché effettivamente, da quando si erano baciati, non desiderava fare altro per il resto dei suoi giorni. Si riteneva a tratti infantile e a tratti sfacciata per quei suoi pensieri, ma, finché restavano custoditi sotto chiave nella sua mente, Kaelee aveva deciso di non preoccuparsene troppo.
«Buongiorno», salutò lui con voce calda sebbene ancora un po' impastata dal sonno notturno e con la naturalezza di chi non si è nemmeno reso conto di essere mezzo nudo.
Kaelee ci rimase quasi secca e si convinse ulteriormente che mai si sarebbe abituata a tutta quella bellezza, tanto più quando trasse la conclusione che Gisborne dormisse soltanto con un paio di calzoni addosso.
«'Giorno», disse infine. «Ho portato la colazione», aggiunse riuscendo finalmente a sorridergli. "Senza sembrare un'ebete... Forse", puntualizzò mentalmente.
Guy la fece entrare senza indugio, guardandola con immensa dolcezza e facendola, naturalmente, arrossire. Kaelee si domandò se avrebbe mai smesso di farlo prima o poi.
«Ti ho svegliato io?», mormorò spostando lo sguardo alla tavola su cui appoggiò quella che sarebbe stata la loro colazione.
«No», sussurrò avvicinandosi a lei con un sorriso e incastrandola tra sé e il tavolo. «E non ci saresti riuscita. Non ero nemmeno certo che qualcuno avesse bussato davvero», ammise facendole battere fortissimo il cuore a causa di quell'inattesa vicinanza, a causa di quei muscoli pericolosamente vicini alle sue mani.
«Vuoi dirmi che sei solito aprire a chiunque a petto nudo?», scherzò ostentando una calma che non le apparteneva nemmeno per sbaglio in quel momento e ridacchiando nervosamente quasi sulle labbra di lui, desiderando nient'altro che baciarle.
La risata calda e bassa di Gisborne si diffuse nell'ambiente rubando un battito al cuore già in corsa di Kaelee.
«Di solito nessuno bussa alla mia porta all'alba, tranne i miei fratelli», soffiò. «E te», aggiunse prima di baciarla.
Kaelee, che fino a quel momento aveva ancorato saldamente le dita al bordo del tavolo, non poté trattenersi dall'accarezzare i fianchi e la schiena muscolosa dell'uomo. Sentirlo vibrare ad ogni suo tocco la appagava moltissimo e non ne aveva mai abbastanza di momenti come quello, perciò prolungò bacio e carezze finché ebbe fiato. Poi sospirò e sorrise a Gisborne.
«Sarà meglio che ti metta qualcosa addosso», gli disse, pur non essendo propriamente d'accordo con la parte pensante di se stessa, sfiorandogli il petto ancora per qualche istante.
Anche Gisborne sospirò, le baciò la fronte ed annuì chiedendole di aspettarlo.
Mentre provava a tornare in sé, Kaelee decise di distrarsi svuotando il cesto, prendendo una brocca da un ripiano e uscendo per riempirla dell'acqua contenuta in un barile che Guy teneva sul retro dell'abitazione e che andava a riempire al pozzo del villaggio quando necessario. L'aria quasi pungente del mattino attenuò le fiamme sul volto di Kaelee, la quale rientrando trovò Gisborne che allestiva la tavola canticchiando il motivetto di una vecchia ballata che anche lei conosceva. Rimase a guardarlo per una manciata di secondi durante i quali Kaelee immaginò se stessa diversi anni più tardi a cullare un pargolo, rasserenata dalla voce e dalla presenza di Guy; fu solo un attimo e si trattò solo di una delle molteplici ipotesi verificabili, eppure Kaelee si sentì subito a proprio agio in quello scenario sebbene non avesse mai manifestato uno spiccato desiderio di maternità, né la voglia di unirsi in matrimonio con un uomo. La frequentazione con Gisborne stava insegnando a Kaelee che anche le più solide certezze non sono mai incrollabili fino in fondo e che l'intero bagaglio di convinzioni che ognuno si porta dietro nel corso della vita non era immune ai cambiamenti se si aveva accanto una persona cacape di aprire nuove strade, mostrare nuovi punti di vista. Kaelee era spaventata e confusa da quella nuova scoperta, ma confidava nella rassicurante presenza di Gisborne, perciò seppur destabilizzata dal futuro che la sua mente le aveva proposto, si accomodò al tavolo con il suo amato e, alternando momenti di tenerezza a slanci di allegria, fece colazione con lui.
La ragazza, a costo di fare la figura della maleducata, intendeva non perdersi neanche un dettaglio di Guy. Le interessavano tanto i particolari della vita di lui prima che loro si conoscessero, – e per questo lo tempestava continuamente di domande – quanto i particolari fisici dell'uomo; in quel momento era concentrata sul petto ampio, sulle spalle e sulle braccia di lui sebbene la sua pelle fosse ora coperta da un sottile strato di leggera stoffa nera che gli lasciava scoperti gli avambracci, permettendole di gettare uno sguardo a quella cicatrice davvero brutta che Guy recava sull'avambraccio destro. Nonostante questo e le molte altre cicatrici che aveva individuato, Kaelee non lo aveva mai trovato meno bello. L'uomo le aveva già raccontato la storia di quel tatuaggio, poi divenuto cicatrice per intervento dello Sceriffo Vaisey, che gli aveva creato un po' di problemi quando Robin, proprio grazie a quel segno distintivo, aveva capito che era stato lui a ferirlo a morte in Terra Santa anni prima. Per questo motivo lo Sceriffo aveva ben pensato di cancellarne ogni traccia – e quindi anche le prove che a Nottingham si complottasse contro Re Riccardo e i suoi Crociati – grazie ad un misterioso intruglio ustionante preparato da Djaq la Saracena. L'attenzone di Kaelee aveva raggiunto picchi altissimi sentendo parlare di lei, una donna, la prima donna della banda di Robin Hood. Da alcune storie Kaelee aveva appreso l'esistenza di un'infedele che combatteva per l'Inghilterra anche se Re Riccardo aveva portato la guerra nella terra d'origine della donna, ma non si era mai convinta della veridicità di quelle chiacchiere, non conoscendo quasi nulla del passato di Robin Hood in Terra Santa, perciò, avendone l'occasione, aveva chiesto a Gisborne di approfondire l'argomento e lui le aveva non solo confermato ciò che Kaelee aveva sentito dire in giro, ma anche raccontato di lei e di Will Scarlett, che insieme avevano lasciato la banda di Robin Hood l'anno in cui Lady Marian era morta.
Pian piano Kaelee stava venendo a conoscenza di tutti i dettagli del turbolento passato dell'uomo che amava e questo non l'annoiava affatto, né la induceva a cambiare idea su di lui.
«Tu non mi stai ascoltando», disse Gisborne picchiettandole la mano con le dita per richiamarne l'attenzione.
Kaelee avvampò perché effettivamente non si era nemmeno accorta che l'uomo avesse parlato, concentrata com'era sui ricordi.
«Vuoi che ti racconti del tatuaggio?», le domandò con il sorriso sulle labbra, per nulla spazientito dalla distrazione di lei.
«No, la ricordo. Ti chiedo scusa», mormorò, sinceramente di spiaciuta, intrecciando le dita alle sue.
«Non era niente di importante», la rassicurò rispondendo alla stretta.
I muscoli non erano l'unica caratteristica che Kaelee adorava di lui, né quella su cui si concentrava più spesso. Tra le altre, infatti, c'erano sicuramente i capelli: le piaceva da morire il nero intenso che metteva in risalto i lineamenti del volto e anche quegli occhi così meravigliosamente chiari; le piaceva il modo in cui gli si arricciavano le punte e le piaceva perfino l'aria da cattivo che gli davano quando il suo sguardo diventava serio, così, d'istinto, gli domandò se poteva pettinarlo prima di uscire. Due secondi più tardi si sentì una stupida ed ebbe paura che lui si sarebbe messo a ridere per l'infantilità della cosa.
E invece Guy accettò e per la prima volta la invitò a salire nella propria camera da letto. L'imbarazzo istantaneo che le accese il viso, era una sensazione con cui Kaelee stava imparando a convivere dal momento che l'aver vissuto insieme diverse situazioni più o meno intime non aveva placato il fuoco che lambiva ogni volta la sua pelle. Non si era mai sentita a disagio insieme a Gisborne ed era certa che non ci fosse nessun intento malizioso in lui, esattamente come quando il temporale li aveva sorpresi e costretti a rifugiarsi in quella stessa abitazione, eppure, esattamente come quella volta, Kaelee si trovava di nuovo davanti ad un contrasto interiore. Alle prese con i piccoli drammi del primo amore, con quelle scelte che non si sa mai esattamente quando vadano prese, con quelle azioni che non si riesce mai a capire se sia il momento giusto per farle o no e con tutta l'incertezza che provava tentando di trovare la più corretta definizione di "momento giusto", respirò profondamente. Parlandone con Kate aveva capito che, prima di riuscire a controllare le proprie emozioni e gli irrazionali istinti che l'amore era in grado di risvegliare, le ci sarebbe voluta probabilmente tutta la vita. Sapeva che non era per scoraggiarla che Kate le aveva parlato francamente, ma per rassicurarla e aiutarla a vivere ogni momento pienamente e Kaelee ci stava lavorando, anche se non le era ancora ben chiaro quando, con esattezza, bisognava lasciarsi andare e quando, invece, era necessario restare lucidi. Kate aveva detto che il confine era lei stessa a determinarlo in base a ciò che desiderava, ma dal momento che Kaelee era molto confusa in merito, si era ritrovata ad avere a che fare con un confine ballerino e piuttosto dispettoso.
In tutto ciò, con ogni probabilità Gisborne non aveva idea della tempesta emozionale da lei vissuta perché Kaelee non era ancora riuscita a determinare nemmeno se fosse più giusto metterlo al corrente del caos che aveva in testa, oppure attendere di fare un po' d'ordine prima. Sballottata da un pensiero all'altro, da un'emozione all'altra, da un desiderio all'altro, scelse di fare ciò che le riusciva più semplice e spontaneo: sorrise all'uomo che amava.
Tenendola per mano, Guy la condusse al piano superiore senza manifestare alcuna fretta.
Appena mise piede nella stanza dell'uomo, Kaelee poté notare che era non era affatto piccola e che era molto ben arredata, – letto matrimoniale compreso – ma quando stava per commentare mentalmente lo specchio, Gisborne l'attirò a sé, le passò una mano tra i capelli e la guardò negli occhi senza mai smettere di sorriderle. Il suo sguardo era liquido, limpido, incredibilmente profondo e affascinante, dolce al punto che Kaelee non avrebbe mai potuto nutrire alcun dubbio in merito alle sue intenzioni, non avrebbe mai potuto avere paura di lui.
L'istante successivo, infatti, le loro bocche erano ad una distanza tale che non baciarsi sarebbe stato impossibile e del tutto insensato.
Come le era accaduto la prima volta, e la seconda, e la terza, e tutte le altre, il suo cuore impazzì e lei desiderò soltanto non doversi più staccare da lui. Poco le importava di come avrebbe gestito tutto il resto – Kate, il lavoro, i pasti, gli allenamenti e le perlustrazioni – quando era impegnata in attività come quella.
Kaelee aveva scoperto che perdere il senso del tempo era una cosa possibile, che dimenticare dove ci si trovi senza prendere un forte colpo alla testa era una cosa possibile, che sentirsi incredibilmente felici nel giro di un attimo era una cosa possibile; aveva scoperto che l'amore era ben altra cosa da quello che aveva visto animare la sua abitazione a Edwinstowe, aveva capito che quando si viveva sotto lo stesso tetto e si finiva per rivolgersi quasi esclusivamente occhiatacce e non sfiorarsi neanche per sbaglio non poteva essere amore; Kaelee aveva avuto la conferma che andarsene da Edwinstowe era stata la cosa migliore che potesse fare e per tutto questo, per Robin Hood, per Kate, per Guy, Kaelee era una donna felice.
Le labbra di lui erano morbide e si muovevano in sincrono con le sue, lentamente, ma non senza una buona dose di passione, che a tratti le rendeva più audaci. Le braccia di Guy le si strinsero attorno al capo e alla vita, trattenendola in un abbraccio d'amore a cui mai avrebbe rinunciato volontariamente. Kaelee, infatti, non sapeva più immaginare una vita che contemplasse l'assenza di Gisborne e non osava neanche immaginare cosa le sarebbe successo, come si sarebbe sentita, se qualcosa tra loro fosse andato storto, perciò cercava di non pensarci anche se più il loro rapporto si intensificava, più l'incubo che i suoi fratelli la trovassero si faceva forte e terrificante. Si diede della sciocca quando si rese conto che invece di pensare a tutte quelle cose, tutte insieme, avrebbe fatto meglio a concentrarsi sul bacio meraviglioso che Guy le stava concedendo così inaspettatamente. E appena lo fece, mente e corpo presero fuoco all'istante mentre l'immagine del letto sfatto di Gisborne le invadeva la testa facendo correre a briglia sciolta i suoi pensieri in direzioni fin troppo pericolose, verso luoghi fin troppo caldi. Era letteralmente fuori controllo e quindi non più padrona delle proprie azioni.

Guy adorava soffermarsi sulla bocca di Kaelee, perciò prolungava sempre molto volentieri un bacio accompagnandolo con dolci carezze lungo la schiena o i fianchi di lei, tuttavia stava sempre attento a non spingersi troppo, volendole lasciare il tempo per fare ogni cosa gradualmente. Del resto l'amava e lei amava lui, perciò perché farsi prendere dalla fretta? Aveva imparato sulla propria pelle che correre troppo con le donne non aveva portato nulla di buono nella sua vita. Ricordava ancora tutte le volte che Lady Marian aveva rifiutato un suo bacio e quanto questo lo avesse fatto soffrire acuendo la sua rabbia nei confronti del mondo e delle persone; solo ora comprendeva di aver sbagliato in tutti i suoi tentativi di forzare la donna a cedergli, solo ora comprendeva che regali e denaro non l'avrebbero mai avvicinato a Marian perché l'amore sapeva andare oltre alla ricchezza. Sebbene Gisborne di tanto in tanto ripensasse alla donna, non significava che c'era in lui ancora un sentimento per lei, ma rievocare quelle esperienze gli era utile a ricordare a sé stesso che alcune ferite non sarebbero mai a guarite completamente e questa consapevolezza lo aiutava ad evitare di far soffrire le persone che lo avevano accolto rendendogli possibile un nuovo inizio – Robin in primis, la sua banda poi e infine gli abitanti del villaggio. Tante volte, infatti, Guy era stato ferito in battaglia e la pelle si era sempre rimarginata in un modo o nell'altro; le ferite dell'amore, invece, avevano il brutto vizio di restare sempre un po' aperte, sempre pronte a far male se sfiorate.
Guy era conscio che con Kaelee fosse tutto molto diverso dal rapporto che aveva avuto con Lady Marian, perché lei ricambiava totalmente il sentimento che provava nei suoi confronti, ma temeva che, prendendosi troppe libertà, alla fine Kaelee avrebbe cominciato a detestarlo, a temerlo, ad evitarlo e ad interessarsi a qualcuno che la amasse come meritava. Aveva trascorso tutta una vita a tu per tu con la violenza e ne aveva abbastanza: era cambiato, ma esserne consapevole non bastava a convincere anche tutti gli altri e la dimostrazione più lampante di questo ragionamento era Kate, che ancora non riusciva a fidarsi completamente di lui. Guy aveva bisogno che Kaelee gli credesse, che lo amasse per ciò che era diventato pur conoscendo ciò che era stato, che si fidasse di lui anche se a volte cedeva ancora all'antica prepotenza.
Guy aveva bisogno di Kaelee, se ne rendeva conto ogni giorno di più.
Quella mattina, però, nonostante tutti i buoni propositi, non riusciva a smettere di baciarla e senza neanche rendersene davvero conto, perso nel vortice d'amore che stava vivendo e che tutte le volte la ragazza scatenava in lui, socchiuse le labbra e sfiorò quelle di lei con la lingua in un chiaro invito ad imitarlo. Non riuscì a pentirsene, ripetendosi invece che Kaelee era una ragazza tutt'altro che debole e che se non avesse gradito glielo avrebbe fatto certamente capire, fermandolo o prendendolo a pugni se necessario. Anche se non era mai riuscito a strapparle nessuna informazione, nessun aneddoto, sul rapporto che aveva con i fratelli, Gisborne era convinto che Kaelee non fosse il tipo di ragazza che si fa mettere i piedi in testa e le mani addosso senza lottare con tutte le forze, quindi la credeva capace di occasionali atti di violenza a puro scopo difensivo.
"Quando l'ho guardata per la prima volta, ho visto soltanto una ragazza minuta, non soltanto esile, ma anche bassa, tutta piccola quasi fosse ancora poco più che un'adolescente. Ma stavo solo sfiorando la superficie al di sotto della quale esiste una donna forte e tenace", pensò.
I capelli di lei attorcigliati alle sue dita, quasi ad imitare le emozioni più che mai aggrovigliate, erano piacevoli come estremamente piacevole era anche il calore della schiena inarcata a contatto con il proprio palmo, premutovi contro per trattenerla. Con sua grande sorpresa, Kaelee, invece di ritrarsi come pensava avrebbe fatto, assecondò con naturalezza quel bacio mettendo così in allarme la parte sempre vigile di lui – quella stessa parte che aveva considerato ed escluso immediatamente l'ipotesi di arrivare al letto.

Kaelee vibrò di sgomento e di piacere nel sentire la lingua di Guy stuzzicarla in quel modo per lei completamente nuovo e non riuscì a resistere all'istinto di socchiudere a propria volta le labbra. Anche se non aveva idea di come si facesse esattamente, il pensiero che chi stava baciando era la persona che sopra ogni cosa amava, la rassicurò rendendola più audace, spazzando via ogni timore, dubbio e pensiero razionale.
Fu un bacio più umido degli altri, ma questo non infastidì per nulla Kaelee, la quale, anzi, ebbe l'ennesima conferma di quanto sarebbe stato difficile non desiderare Gisborne tutto per sé in ogni momento del giorno e della notte. Nell'attuale situazione emotiva, Kaelee trovava difficoltoso perfino immaginarsi a decorare un vaso insieme a Rebecca e alle altre donne e ragazze del villaggio senza pensare alle proprie dita che stringevano, sollevavano e sfilavano la stoffa nera svelando un petto scolpito e caldo, che lei avrebbe accarezzato fino a sentire male alle mani.
Intrecciò ancora la lingua a quella di Gisborne e pensò nuovamente al suo letto sfatto, chiedendosi perché Guy non avesse ancora spinto entrambi in quella direzione, domandandosi cosa stesse aspettando a farlo visto che tutti e due stavano evidentemente prendendo fuoco sebbene nella stanza non vi fosse alcun camino acceso. Per un attimo prese in considerazione l'idea di rendersi lei stessa protagonista di quel gesto più che mai sfacciato e che implicava conseguenze che Kaelee non riusciva a valutare in quella situazione. Perciò la ragazza non fu per niente d'accordo quando sentì che l'uomo si scostava delicatamente da lei, decidendo, senza fiato e per entrambi, che per quella mattina poteva bastare.
Sollevando lo sguardo per incontrare quello di Guy, Kaelee sperò che fosse solo la fine del primo round e che Gisborne avesse soltanto bisogno di riprendersi prima di continuare con quelle effusioni, ma appena notò il leggero rossore sulle sue gote sentì le labbra tendersi in un sorriso di spontanea contentezza.
"Possibile che sappia essere perfino più irresistibile di quanto non sia normalmente?", si chiese mentre lui appoggiava la fronte contro la sua e si lasciava andare ad una leggera risata.
«Non dovresti permettermi di baciarti in questo modo», mormorò con un tono per nulla convincente, senza smettere di ridacchiare in quel modo adorabile.
Solo quando tornò a percepire davvero che attorno a lei, a parte le braccia di Guy, esisteva una realtà fatta di abitazioni, persone e villaggi Kaelee si accorse anche di avere il respiro alterato almeno quanto quello di lui e di essersi spinta molto oltre il limite del lecito con la fantasia; le mancava l'aria, ma stranamente la sensazione non era di soffocamento.
Era qualcosa di più piacevole: l'eredità di un atto d'amore.
Scoppiò a ridere alle parole di Gisborne, dandogli subito dello sfacciato.
«Se solo non aprissi la porta a petto nudo...», mormorò affibbiandogli quindi tutta la colpa.
«Ho indossato quasi subito la blusa», soffiò in una tenera giustificazione.
«Ma poi mi hai baciata in questo modo», obiettò con un filo di malizia nella voce.
Lui annuì. «Mi perdonerai se ti dico che non me ne pento e che lo rifarei. E poi tu non mi hai fermato».
Kaelee si morse piano il labbro inferiore e affondò il viso sul petto di lui volendo prolungare ancora un po' la gioia immensa che provava sempre quando poteva abbracciarlo. Per la prima volta nella sua vita si sentiva protetta e questa consapevolezza la rendeva forte e debole al tempo stesso: forte, perché se era con Guy nessuno avrebbe potuto farle del male, nessuno avrebbe potuto torcerle un capello e qualsiasi cosa l'avesse minacciata dall'interno o dall'esterno di sé, l'avrebbe affrontata e sconfitta insieme a lui; e debole perché sapeva che Gisborne sarebbe arrivato a combattere, non solo metaforicamente, pur di tenerla lontana da ogni sofferenza, come era consapevole di quanto entrambi avrebbero lottato pur di appartenersi e non perdersi per evitare di morire in una lenta agonia di solitudine e vuoto.
Kaelee non aveva mai amato prima, eppure dentro di sé sentiva che perdere l'amato l'avrebbe annullata completamente. Pensieri come questo, di tanto in tanto, la tormentavano facendo traballare la terra sotto ai suoi piedi e imponendole di porsi tutte le domande possibili ed immaginabili, sommergendola di dubbi e timori di ogni genere, spaventandola con scenari  che razionalmente Kaelee riteneva improbabili, ma che andavano a nozze con il violento Sir Guy di Gisborne di cui aveva ascoltato gli atti più crudeli. Paradossalmente, Kaelee sapeva che la serenità provata in quel frangente dipendeva proprio dalle braccia di Guy che, teneramente, le accarezzavano la schiena senza pretendere nient'altro che dolcezza ed emozioni pure e semplici.
Nello sciogliere l'abbraccio, diversi minuti più tardi, Kaelee vide Gisborne chinarsi per baciarle la spalla lasciata nuda dall'abito appiccando così, a sua insaputa, un piccolo incendio sulla sua pelle, di nuovo. Poi le chiese se volesse ancora sistemargli i capelli.
I due si avvicinarono quindi allo specchio e Kaelee fece sedere Guy, così da avere libero accesso alla sua chioma corvina. Nel mentre parlarono molto e Kaelee approfittò per farsi raccontare nuovi aneddoti sulla vita dell'uomo che le aveva letteralmente rubato il cuore, come un ladro gentile che portandole via tutti i suoi averi le avesse lasciato un fiore ed un biglietto di scuse. Si ritrovò a sospirare.

Per Guy non era stato affatto semplice fermarsi, sedare le fiamme della passione e del desiderio, senza risultare brusco o completamente pazzo. Se fosse dipeso soltanto da lui e se non ci fossero stati sentimenti importanti in gioco, con ogni probabilità a quel punto sarebbe stato beatamente avvinghiato al corpo della donna, tra le lenzuola, impegnato in un atto che troppe volte aveva compiuto senza emozionarsi mai davvero. Gisborne era tutt'altro che un uomo dalla ferrea morale e, come la maggior parte dei nobili dell'epoca, aveva considerato le donne come un mezzo per raggiungere il proprio piacere personale. Poi si era imbattuto in Lady Marian e il suo cuore aveva perso un battito, facendogli scoprire l'amore e un nuovo tipo di rispetto ben diverso da quello che portava per lo Sceriffo Vaisey, un rispetto che implicava dolcezza e pazienza – qualità che non gli appartenevano, ma su cui aveva provato a lavorare con risultati inizialmente disastrosi.
Grazie a Marian prima e Meg poi, poteva amare Kaelee senza mancarle di rispetto, senza risultarle prepotente, senza forzarla, controllando i propri istinti e lasciando che il tempo facesse il suo corso. Il lavoro che aveva fatto su se stesso, inoltre, non andava soltanto a vantaggio della giovane donna di cui Gisborne si era invaghito, ma gli avevano anche permesso di godere di piccoli gesti – che non sarebbe stato in grado di apprezzare altrimenti – come le piccole dita di Kaelee che tentavano di sciogliere delicatamente i nodi tra i suoi capelli.
Le stava raccontando di quando, da bambino, Robin aveva combinato un disastro uccidendo quasi un uomo pur di mettersi in mostra e aveva lasciato che la colpa ricadesse su di lui dal momento che la freccia incriminata proveniva dalla sua faretra e non da quella di Robin; ma, appena si accorse del sospiro di Kaelee, Gisborne si fermò e se le gettò un'occhiata dallo specchio per verificare che fosse tranquilla. Non stava condividendo con lei nulla di troppo delicato, nessun episodio violento, ma quando si trattava del proprio passato lui ci andava sempre con i piedi di piombo, temendo sempre che lei potesse inorridire prima o poi. Eppure si sentiva più sereno da quando aveva cominciato a parlarne, sebbene non avesse mai creduto di poter riuscire a farlo così liberamente, men che meno con Kaelee, e aveva scoperto che dire ad alta voce tutto ciò che aveva vissuto era un modo efficace per accettare e superare ogni cosa. Se questo però fosse diventato un problema per la donna che amava, lui non ci avrebbe pensato su nemmeno un attimo prima di smettere con quei racconti.
In risposta Kaelee gli accarezzò le spalle e gli sorrise, rassicurandolo istantaneamente. A volte Guy aveva la sensazione di non avere segreti per Kaelee, che lei riuscisse a comprendere ogni sua emozione semplicemente guardandolo in faccia.
«Anche il grande Robin di Locksley ha i suoi difetti», commentò.
«Era solo un bambino molto competitivo», sospirò Gisborne ricordando con inaspettata tenerezza quelle vicende, momenti di una vita ancora tranquilla in compagnia di sua madre e di sua sorella. Fu lui a sospirare stavolta, prima che Kalee cambiasse argomento.
«Qualche giorno fa ho chiesto a Kate di parlarmi di te. Mi ha detto che un tempo non portavi così i capelli e che il tuo abbigliamento era un po' più elaborato», gli disse sorridendo al riflesso di entrambi.
«Kate ti ha detto questo?», domandò, scettico.
«Tra le altre cose», ammise in un sussurro imbarazzato.
Gisborne le rivolse un sorriso e allungò una mano verso quella di lei, che ancora gli accarezzava la spalla.
«Si sono allungati negli anni, è vero», confermò, «Riguardo al vecchio Sir Guy conservo ancora qualcosa. Ti mostrerò i suoi abiti appena finisci qui», concluse baciandole dolcemente le dita.

Foresta di Sherwood.
Robin e Much, stavano facendo uno dei consueti giri di controllo per proteggere Locksley e far scoprire la foresta ai volontari del villaggio che decidevano di accompagnarli. Insieme a loro tre giovani arcieri, che promettevano molto bene, non tentavano nemmeno di nascondere l'emozione che provavano per aver avuto occasione di poter fare quell'uscita in compagnia di Robin Hood in persona: non la smettevano di bisbigliare tra loro, sacrificando una buona fetta di attenzione, e sorridevano di continuo immaginandosi, un giorno, così capaci come arcieri da poter incoccare tre frecce insieme proprio come faceva il loro mentore.
Se questo infastidiva Much, che aveva ancora il vizio di prendere tutto troppo sul serio, non riusciva a guastare invece l'umore di Robin, il quale alla fine si unì al chiacchierare dei ragazzi.
La foresta di Sherwood, da quando le cose si erano messe a posto, non era più minacciosa come quando Robin e i suoi uomini erano dei fuorilegge, ma nonostante questa consapevolezza e il fatto che dopo l'episodio con Little John, Archer e Kaelee non si erano più verificate anomalie, Much non era per niente tranquillo. Continuava a guardarsi intorno, sospettoso, come se un sesto senso gli annunciasse che qualcosa di pericoloso si sarebbe presentato di lì a poco a rompere la pace di Locksley e della foresta. Non faceva altro che pensare al momento in cui sarebbero rientrati, alla cucina e a Kate. Non esattamente in questo ordine.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 10/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Sono stata costretta a dividere questo capitolo in due parti vista la quantità di avvenimenti da raccontare. Fino ad ora avevo soltanto accennato alla famiglia di Kaelee, ma è arrivato il momento di approfondire la questione, motivo per cui ho così tanto da dire. Anche se non intendo scendere nei dettagli più intimi di questi nuovi personaggi, è comunque doveroso dare loro la giusta impronta.
Quindi credo sia anche il caso di fare un riepilogo schematico sui fratelli di Kaelee, ricordando che le vicende sono ambientate nel 1194:
- Dwight, nato a Edwinstowe nel 1160, 34 anni;
- Rudyard, nato a Edwinstowe nel 1163, 31 anni;
- Willard, nato a Edwinstowe nel 1166, 28 anni;
- Aric, nato a Edwinstowe nel 1172, 22 anni;
- Kaelee, nata a Edwinstowe nel 1174, 20 anni.
Inoltre voglio precisare, per chi legge questa storia come un'originale, che tra i vari scenari in merito alla figura di Robin Hood che ho inserito all'inizio c'è anche il finale della serie tv a cui i personaggi appartengono (Robin muore a causa di una leggerissima ferita al collo causata, però, da una lama avvelenata da Isabella con il veleno che le aveva dato Guy affinché si uccidesse prima di una pubblica esecuzione; con la stessa lama Isabella trafigge anche Guy, in contemporanea con lo Sceriffo, uccidendolo; anche Allan muore, ma trafitto dalle frecce dello Sceriffo Vaisey mentre tenta di avvisare la banda che Isabella li ha imbrogliati tutti e che Vaisey è ancora in vita anche se per poco: sia lui che Isabella saltano in aria insieme a Nottingham grazie ai barili di fuoco greco predisposti da Tuck e innescati da una freccia infuocata scagliata da Robin prima di morire). La storia del tatuaggio di Gisborne è raccontata nella serie tv, ecco perché non mi ci sono soffermata a lungo, così come l'accenno ad un ricordo di Guy e Robin da bambini, ma se ci fossero domande in merito sono a disposizione. In quanto a Djaq la Saracena e Will Scarlett, tornerò a parlare di loro più avanti.
Ciò detto spero di aver tenuto alta la vostra attenzione fino alla fine, vi ringrazio per aver letto la storia e vi dò appuntamento alla seconda parte del capitolo. Un enorme grazie a chi recensirà.
A presto!

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Capitolo 9
*** ...To Locksley ***


RudyardII


...To Locksley – Parte Seconda

Edwinstowe.
«Mio orgoglio! Mia unica soddisfazione!», squittì la madre di Aric e lui se la immaginò mentre avvolgeva il viso di Rudyard con entrambe le mani. «Non tenermi sulle spine e dimmi, deliziami con le nuove da York. Allora? Hai trovato quella disgraziata? Ho in serbo per lei tanti di quei calci nelle reni che... Ah! Ma non farmi parlare oltre o perderò la grazia di Nostro Signore che punirà me, anziché lei! Dimmi, Rudyard, dimmi», continuò facendo inorridire Aric, che ce la metteva tutta per non tradire la sua presenza.
«Madre, vogliate perdonarmi se non ho con me la screanzata», esordì Rudyard. «Ma ve la porterò. Presto. Avete la mia parola», mormorò con un tono così persuasivo che Aric rabbrividì.
«Ti perdono. Parla, figlio mio», acconsentì lei con un po' di entusiasmo in meno rispetto a prima.
«Sir Guy di Gisborne è davvero stato a York con quel frate», confermò.
Ad ogni pausa l'ansia di Aric cresceva e il suo bisogno di mettersi in moto anche.
«Chi è, esattamente, questo Gisborne?».
«Madre, ascoltatemi bene. Gisborne ha militato nei Cavalieri Neri, ha vissuto per anni accanto allo Sceriffo di Nottingham ed ama spargere sangue», spiegò concitatamente.
«Parli di lui come se lo conoscessi», replicò la madre.
Seguì un breve momento di silenzio e Aric maledì la propria posizione che gli impediva di vedere qualsiasi cosa, sebbene sentisse tutto molto chiaramente.
«Non vi deluderò, madre, fidatevi di me. Troverò colei che ci ha disonorati e mi assicurerò che abbia il trattamento che merita», mormorò Rudyard con voce maligna.
«Me lo auguro», borbottò.
«Statene certa invece! Sono ad un passo dalla svolta. Io e Willard andremo a Locksley».
«Oh, non farmi dannare! Sii più preciso e raccontami tutto per bene. Non prenderti gioco di una donna che non ha più la mente veloce come un tempo! Perché sei convinto di trovare a Locksley ciò che non hai trovato fino ad ora qui intorno?».
«Prestate molta attenzione, madre, e seguite il mio ragionamento. Quel frate giunto a York, arrivava dal villaggio di Locksley con il suo compare Gisborne. E sapete chi risiede a Locksley, mia amata genitrice?».
«Chi, figliolo? Chi?», chiese impaziente.
«Robin Hood».
Aric si convinse di aver sentito abbastanza e seppe di non poter più restarsene fermo.
Mentre il secondogenito pianificava nel dettaglio, forte della soddisfazione di sua madre, la nuova tappa della personale ricerca dell'altrui infelicità, il minore tra i maschi si fiondò di nuovo fuori casa e, correndo come se un paio d'ali gli rendesse più leggeri i piedi, raggiunse per la seconda volta in un giorno l'unico amico che aveva.
La situazione era precipitata così velocemente e Aric era così sconvolto, che non sarebbe mai riuscito ad affrontare tutto da solo, necessitando invece il supporto del suo giovane amico, il quale dovette davvero restare colpito dalla sua angoscia visto che ritenne opportuno chiedere all'oste, suo padrone, di potersi allontanare dalla taverna per qualche ora anche a costo di non essere retribuito per il tempo perso. Per Aric fu l'ennesima dimostrazione che l'amicizia che li legava da quando erano bambini era profonda e sincera, priva di un qualsiasi interesse.
Chissà per quale miracolo, quel giorno l'oste fu comprensivo e li lasciò andar via insieme.
Si recarono quindi, in gran fretta e senza farsi vedere, al granaio presente nell'appezzamento di terra della famiglia di Aric, dove quest'ultimo ebbe modo di ringraziare degnamente il suo amico per l'impagabile aiuto che gli stava dando.
A furia di origliare le conversazioni di Rudyard e Willard, Aric era diventato una presenza silenziosa capace di stare dove voleva senza essere scoperto, aveva imparato a muoversi quasi senza far rumore e, soprattutto, aveva imparato a svignarsela quanto più velocemente possibile mosso da impellente necessità, proprio lui che si era sempre sentito fuori posto nel dover svolgere un'attività che lo coinvolgesse fisicamente. Era cambiato molto da quando sua sorella era andata via: si era messo a studiare Rudyard appena aveva capito che sarebbe stato lui, un giorno, il nemico da abbattere e sapeva quindi per certo che lui mai avrebbe messo piede nel granaio, perché già si vedeva Lord di qualche città, Sceriffo tiranno incubo della popolazione, e non si abbassava più a coltivare la terra o a raccoglierne i frutti. Aric non aveva faticato a capire che Rudyard, nella sua stessa immaginazione e in quella di sua madre, era il nobiluomo di casa e guai a chi gli chiedeva anche solo di prendere l'acqua dal pozzo; sua madre già se lo vedeva Cavaliere: Sir Rudyard di Edwinstowe. Il solo pensiero faceva venire la nausea tanto a lui quanto a Dwight, Aric ne era sicuro, che più di tutti doveva sorbirsi gli stupidi vaneggiamenti di quei due.
Quindi il giovane fece nascondere l'amico nel granaio, raccomandandogli di non muoversi per nessuna ragione al mondo prima del suo rientro e di iniziare ad allarmarsi se non l'avesse visto tornare nel giro di mezz'ora, poi corse a chiedere l'aiuto di Dwight pregando la Santa Vergine che potesse aiutarlo a compiere quella missione.
Non era per niente certo di riuscire a ingraziarsi il favore del primogenito, di docici anni più grande e diverso da lui al punto da non aver mai trovato un vero punto di incontro che potesse avvicinarli, ma non provarci equivaleva ad un rifiuto oltre che ad un insuccesso definitivo, perciò, nel dubbio, Aric si fece coraggio, pur conoscendo i tormentati pensieri che riempivano la mente di suo fratello. Dwight era stato, infatti, ad un passo dal matrimonio l'anno precedente; aveva appena potuto assaporare la lucentezza e la libertà dell'amore, poiché il destino gli era avverso e a pochi mesi dalla cerimonia che lo avrebbe unito alla donna che amava, quel fato gliel'aveva portata via uccidendola con una malattia ritenuta inguaribile e da quel momento Dwight non era stato più lo stesso: parlava poco, passava gran parte del proprio tempo in solitudine e non aveva più guardato una donna negli occhi, esclusa Kaelee – sebbene solo da lontano. Poi anche lei era andata via e Dwight era diventato ancora più triste e schivo, dettagli che non incoraggiarono affatto Aric, il quale dovette appellarsi a tutta la sua determinazione per portare a termine con successo il proprio compito. Non fu affatto facile indurre Dwight a smettere di fare ciò che stava facendo – Aric non si rese neanche conto di ciò che effettivamente suo fratello stava facendo, tanta era l'urgenza che lo costringeva a venir meno alla parola data a Kaelee, seppur stesse infrangendo la promessa solo per proteggerla – senza anticipargli niente; e ancor più difficile fu trascinarlo via dalla tenuta, in cui in quel momento Rudyard stava elaborando piani malvagi insieme a sua madre, perché l'ultima cosa che Aric desiderava era essere scoperto e preso a cinghiate nel cuore della notte dal secondogenito.
Ma le preghiere di Aric, quel giorno, dovevano essere state ascoltate ed esaudite – forse insieme al contributo del tono convincente che aveva usato – perché il ragazzo riuscì nell'intento. Nel periodo in cui aveva segretamente protetto sua sorella, Aric aveva potuto infatti sperimentare il lato persuasivo che era in lui e che lui non credeva neanche di avere; aveva scoperto di non essere soltanto bravo ad osservare la Natura ed i suoi misteriosi e affascinanti fenomeni, ma di saper anche leggere dentro le persone, scendere silenziosamente nelle loro vite e scovare i punti migliori su cui far leva per ottenere ciò di cui aveva bisogno. L'amico che lo attendeva nel granaio era esonerato dalla messa in pratica di queste tecniche, naturalmente, perciò Aric si era esercitato con la gente del villaggio e si era reso conto di quanto fosse vantaggiosa per lui quell'inaspettata dote, considerata la posizione in cui si trovava e il bisogno costante di ottenere informazioni.
In breve tempo si trovarono quindi tutti e tre nel granaio, al riparo da occhi e orecchie indiscreti, ed Aric poté raccontare ogni dettaglio della storia a partire dalla finta scomparsa di Kaelee.

Nell'animo di Dwight, dopo che ebbe ascoltato suo fratello, balenarono nel giro di pochi attimi una quantità indefinita di emozioni, dalla sorpresa alla collera, al risentimento, all'impossibilità di accettare che Kaelee avesse preferito inseguire un sogno da sola che chiedere l'aiuto dei suoi fratelli, al senso di inutilità che lo invadeva, alla sensazione di aver fallito pure come fratello maggiore, dalla rabbia alla tristezza, all'amarezza soffermandosi infine sulla paura.
«Hai una vaga idea di cosa significhi tutto questo?», domandò ad Aric. «Hai messo in grave pericolo il tuo amico. Ma come ti è venuto in mente? Avresti dovuto parlarne subito con me», continuò Dwight, animato dalla sua caratteristica ferocia tranquilla, quel tipo di furia che gli si incastrava negli occhi e non raggiungeva mai i toni di voce inducendolo a parlare pianissimo, quasi a voler ringhiare.
«E tu sai cos'è una promessa? Sono l'unico di cui si sia mai fidata. Quando nessuno di voi aveva il coraggio di guardarla in faccia dopo che nostra madre ha combinato quell'assurdo matrimonio per lei, io ero lì. Sarò anche inutile nei campi, non saprò usare armi e avrò preso decisioni avventate, Dwight, ma ero lì», rispose Aric con una determinazione che Dwight non gli avrebbe mai attribuito; una determinazione in cui il primogenito non rinvenne alcun accenno di accusa, né di rimprovero nei suoi riguardi e in quelli dell'intera famiglia.
«È inutile sprecare tempo a redigere un elenco delle mancanze, degli errori, delle cose solo pensate», continuò Aric. «C'è in ballo la vita di nostra sorella e tanto basta, convieni con me?», domandò guardandolo dritto negli occhi.
Dwight comprese in fretta che l'intento di Aric era quello di trovare un valido alleato con cui fronteggiare Rudyard e poter salvare Kaelee non soltanto da un matrimonio forzato, ma da sofferenza e tristezza senza fine, così, dopo aver osservato suo fratello per diversi minuti, riflettendo su quando gli aveva appena raccontato, Dwight prese la sua decisione.
«Cosa sai degli ultimi piani di Rudyard?», chiese infine.
«Un uomo di Robin Hood in compagnia di Sir Guy di Gisborne ha attirato a sua insaputa l'attenzione di nostro fratello», spiegò Aric in modo conciso. «Lui ora vuole andare a Locksley. Non so cosa abbia capito di tutta la vicenda, ma di sicuro troverà Kaelee e la coglierà impreparata sebbene lei abbia la protezione di tutta la banda ed in particolare di Gisborne e Allan A Dale», precisò, tradendo tutta la sua preoccupazione nel tono di voce strozzato con cui gli si rivolgeva.
Dwight sgranò gli occhi al nome dell'ex braccio destro dello Sceriffo di Nottingham e la sorpresa non era dovuta solo al fatto che un violento se ne andasse in giro con un uomo di Robin Hood, né al fatto che sua sorella Kaelee ne avesse ottenuto in qualche modo la protezione – sebbene questo lo allarmasse notevolmente. La sua preoccupazione derivava, invece e soprattutto, da un particolare di cui Aric non poteva essere a conoscenza e che avrebbe giocato un ruolo importante, se non decisivo in quella faccenda.
Dwight non aveva tempo di rivolgere ulteriori domande ad Aric in merito alla situazione di Kaelee a Locksley, né aveva tempo di condividere con lui le informazioni che possedeva su Rudyard e Gisborne, perciò pensò in fretta ad un piano destinato a subire migliorie in itinere.
«Cavalcherai con me fino a Locksley. Seguiremo da una distanza strategica Rudyard e Willard ed interverremo al momento più opportuno», disse cercando di sembrare irremovibile. Tutto ciò di cui non aveva bisogno era una serie di ragionevoli obiezioni da parte di suo fratello o dell'amico di lui.
«Intendi farli arrivare a Locksley?», esclamò Aric, apparendo disgustato da quell'eventualità. «Non ho chiesto il tuo aiuto per assistere in compagnia alla rovina di Kaelee», affermò voltandogli le spalle.
«Non discutere Aric. Ho più esperienza di te e conosco meglio di te Rudyard», replicò.
«Su questo avrei da ridire», brontolò, non del tutto in torto, Aric.
Dwight lo guardò intensamente negli occhi. «Fidati di me, fratello. Mi hai dato una ragione per lottare e non intendo tirarmi indietro», mormorò persuasivo e sincero.
«Vengo con voi», si intromise all'improvviso una voce.
Dwight osservò attentamente l'amico di suo fratello Aric, apprezzandone la volontà di rendersi utile ad una causa che neanche gli apparteneva direttamente, e quasi si convinse ad accordargli il permesso, intravedendo in lui la concreta possibilità di risolvere positivamente la triste situazione in cui si era venuto a trovare visto che sarebbero stati in superiorità numerica, ma poi ripensò alla facilità con cui Rudyard aveva ucciso sconosciuti per capriccio e decise che non poteva caricarsi di quella responsabilità così grande, non poteva portare con sé quel ragazzino nella consapevolezza che Rudyard, se le cose si fossero messe male, gli avrebbe fatto del male soltanto per veder soffrire Aric. Per un attimo Dwight pensò di lasciare a Edwinstowe anche suo fratello, troppo inesperto per potergli essere d'aiuto in uno scontro. "Senza di lui, però, non sarei a conoscenza dei piani di Rudyard e di molte altre cose", pensò e, di nuovo, si vide costretto a prendere una decisione. Forse avrebbe deluso Aric, il cui sguardo in quel momento brillava di entusiasmo, ma avrebbe salvato la vita al più caro amico di lui almeno.
Dwight si avvicinò al ragazzo, gli strinse una spalla e scosse il capo.
«Hai già fatto molto per questa famiglia e rischiato abbastanza per noi. Ti siamo infinitamente grati per la lealtà che hai dimostrato e per l'affetto che ti lega a mio fratello. È un uomo fortunato ad averti come amico», disse. «Non occorre che metta in pericolo te stesso e i tuoi familiari. Se Rudyard ti sapesse coinvolto non esiterebbe un attimo a lasciarti per ultimo soltanto per far sì che tu assista alla barbara uccisione di tutti i tuoi cari», concluse, parlando con estrema franchezza e sperando così di sembrare abbastanza convincente. Né il giovane né Aric, infatti, avevano pienamente idea di ciò che sarebbe loro toccato in sorte se, avendo deciso di mettersi contro Rudyard, avessero poi perso la battaglia e Dwight li riteneva troppo giovani per consentir loro di sprecare la vita a causa dell'immane violenza di quello che, suo malgrado, era suo fratello. Forse, se la fortuna per una volta fosse stata dalla sua parte, sarebbe riuscito a riportare sano e salvo Aric a Edwinstowe.
Mentre parlava aveva la mente era già in moto per elaborare la strategia migliore, la tattica più adeguata, che gli avrebbe consentito di percorrere la strada più sicura e scegliere il mezzo di trasporto più veloce e silenzioso a disposizione. Tra tutte queste idee però, riecheggiava, spaventoso, un nome.
Sir Guy di Gisborne.


Foresta di Sherwood.
«Che cos'era? L'avete sentito anche voi, padrone?», domandò Much, reso ancora inquieto da quella spiacevole quanto inspiegabile sensazione.
Sebbene nessuno lo obbligasse a servire ancora, materialmente parlando, Robin Hood – né quest'ultimo ne pretendesse i servigi, ritenendolo invece suo grande e fedele amico – Much non aveva mai smesso di considerarsi legato a Robin di Locksley, perché la sua era una più una condizione di spirito che un vincolo persistente nel mero bisogno di avere un alloggio e nella speranza di migliorare la propria situazione economica.
Much era a tutti gli effetti un uomo libero e da uomo libero viveva da quando Re Riccardo aveva restituito quel privilegio a tutti i componenti della banda di fuorilegge che aveva ostacolato con forza le mire del Principe Giovanni e dei suoi servitori; eppure l'uomo, che si era infine separato dal suo caratteristico copricapo ingrigito lasciando splendere la capigliatura bionda, continuava ad essere estremamente protettivo nei confronti di Robin: lo seguiva, lo consigliava, lo ascoltava, era non la sua ombra, ma il mantello che lo avrebbe riscaldato nelle notti di gelo. In parole povere Much gli voleva un gran bene, anche se non gli era mai riuscito di esprimerlo realmente a parole senza iniziare a balbettare o a dire sciocchezze di vario genere.
Il leggendario arciere, forse allarmato dal tono di voce che Much aveva usato, tese le orecchie probabilmente in cerca di un rumore anomalo e non trovandolo rivolse all'uomo uno dei suoi ampi sorrisi che subito gli riscaldarono il cuore ricordandogli i vecchi tempi.
«Non c'è niente qui, Much. A parte alberi, animali e noi», gli rispose. «Rilassati e goditi il paesaggio insieme a noi».
Much non lo prese come un rimprovero o un ordine, perché l'allegria nella voce di Robin era palpabile – e Much proprio non riusciva a spiegarsi come fosse possibile essere così rilassati dopo tutto quello che avevano passato nella foresta, dopo tutte le imboscate subìte e i pericoli cui erano miracolosamente scampati – eppure, pur provandoci, non gli riuscì affatto di tranquillizzarsi e continuò ad avere la sensazione che stesse per accadere qualcosa di davvero brutto, solo non era in grado di determinare da dove sarebbe potuto arrivare l'eventuale pericolo, in cosa avrebbe potuto consistere, chi ne sarebbe stata la causa e quando avrebbe colpito.
Il chiacchiericcio dei giovanotti esaltati per avere l'onore di cavalcare con Robin Hood, non lo aiutava affatto a migliorare la situazione, anzi, avrebbe presto finito per farlo irritare ulteriormente.
"Tutto questo chiasso per una cavalcata!", pensò. "Io che ho condiviso con lui ogni cosa che dovrei fare? Capriole tutto il giorno?", si chiese provando a distrarsi con ricordi più piacevoli.


La settimana successiva.
Piazza del Mercato, Locksley.

Little John, Tuck e Allan trasportavano pesanti casse contenenti i vasi prodotti dalla madre di Kate, – e da tutti gli abitanti del villaggio che l'avevano aiutata – archi e frecce appositamente costruiti per l'occasione, armi bianche forgiate in quantità, ceste intrecciate dalle donne di Locskely, tessuti e stoffe sapientemente colorati e molto altro ancora, il tutto pronto a partire per Nottingham. La ricostruzione della città era stata infine completata, in tempi brevissimi, a dimostrazione che la collaborazione portava solo bene alla collettività e al posto del vecchio Castello era stata eretta una Fortezza atta ad ospitare tutta la popolazione della città e dei villaggi più vicini in caso di pericolo; erano inoltre già state avviate diverse attività che avrebbero permesso all'economia di rifiorire pian piano con la collaborazione di tutta la Contea e quel giorno si era deciso che, anziché tenersi a Locksley, il Mercato si sarebbe svolto a Nottingham: un segno di pacifica alleanza e l'occasione di inaugurare il nuovo destino della città.
Gli abitanti di Locksley erano dunque in fermento: i bambini erano curiosi di visitare la nuova città, di divertirsi e mangiare leccornie solitamente proibite e gli adulti si dimostravano altrettanto impazienti di poter assistere alla definitiva rinascita dell'intera zona e già immaginavano come sarebbe stato vivere a ridosso di una città fondata sui valori di Robin Hood e della sua banda. Nottingham, infatti, era stata il simbolo delle angherie da parte dei ricchi e potenti e vederla quel giorno sotto una nuova luce e con nuove vesti era una grande emozione per tutti, compresi gli uomini di Robin Hood, chi più, chi meno.
Tra gli altri, Gisborne non era troppo convinto di voler mettere piede a Nottingham, ambientazione dei ricordi insanguinati che ancora di tanto in tanto gli tenevano una sgradita compagnia, e se alla fine si decise in positivo fu più che altro perché Kaelee aveva dato fondo ad una fantasiosa e creativa opera di convincimento – cosa che non sorprese nessuno e divenne, anzi, il pretesto per una lunga serie di sfottò da parte di Robin e Archer, i quali più volte lo definirono "romanticone" in pubblico e non esattamente a bassa voce. A testimonianza del proprio cambiamento interiore, invece di arrabbiarsi, Guy ricambiò il favore mettendosi a raccontare platealmente episodi imbarazzanti riguardo al tempo che i tre trascorrevano insieme e infine tentò di zittirli asserendo che, in qualità di fratello maggiore, godeva del diritto di avere l'ultima parola su tutto.
La reazione dei fratelli, naturalmente, scatenò le risate dei presenti testimonianto quanto felice fosse quel giorno per Locksley.
Era un giorno felice anche per Guy, il cui sguardo era morbido, delicato, irriconoscibile per chi lo aveva incrociato un anno prima.
L'organizzazione era toccata, come sempre, a Robin e ai suoi i quali avevano deciso di spostarsi in piccoli gruppi che sarebbero partiti dalla Piazza del Mercato di Locksley, più gremita che mai, per un duplice motivo: non lasciare il villaggio deserto e non affollare di colpo la nuova Nottingham.

Kate aspettava Much, impegnato a caricare frutta e pane su alcuni carretti, mentre Kaelee e Guy le tenevano compagnia. La bionda non riusciva ancora a sentirsi completamente a proprio agio in presenza di Gisborne, – tutte le volte che incrociava il suo sguardo, immancabilmente le tornava in mente la crudeltà con cui aveva ucciso suo fratello – ma grazie alla buona parola di Robin e ai racconti colmi di gioia che Kaelee condivideva con lei, andava molto meglio tra loro. Kate non poteva ignorare per uno stupido preconcetto quanto Guy fosse gentile con lei, come con chiunque altro ormai, né poteva accusarlo di non rispettarne i silenzi, o di scomporsi se lei distoglieva lo sguardo quando incrociava il suo, così come non poteva negare che Gisborne ce la stava mettendo proprio tutta per costruire un rapporto con lei anche se lei evitava di stargli troppo vicino. In parte Kate credeva che tutto quell'impegno da parte di lui dipendesse dai sentimenti che provava per Kaelee, sua migliore amica, ma aveva dovuto riconoscere che l'atteggiamento di Gisborne non appariva per niente forzato, falso, perciò ammesso che in parte cercava di essere gentile con lei per compiacere Kaelee, d'altra parte Kate doveva rendersi conto che Guy era sinceramente desideroso di far pace con se stesso e con lei.
Inoltre, quel giorno, la donna ebbe modo di conoscere il lato simpatico e comico di Gisborne: Robin e Archer, infatti, andavano e venivano dando una mano con i carichi e ogni volta che raggiungevano di nuovo Guy, una battuta di spirito o una leggera spallata erano d'obbligo.
«Che condanna essere il fratello maggiore di due idioti! Santa Vergine, aiutami tu!», aveva detto, ironico e quasi certamente scimmiottando Robin e la sua mania di invocare la Vergine, all'ennesima presa in giro.
Per chi, come Kate, aveva conosciuto Robin e Guy quando erano avversari, quella complicità era ancora qualcosa di estraneo, qualcosa a cui guardare con perplessità; per Kaelee, invece, – Kate glielo leggeva nello sguardo adorante – era un esempio meraviglioso di rapporto fraterno.
«Archer non è poi così male», commentò Kaelee in risposta.
«Ah! Allora è così che stanno le cose! Traditrice disonesta che non sei altro!», rispose Gisborne scatenando ilarità generale.
«Non osare offendere la mia protetta», lo sfotté Robin tendendo l'arco.
«La tua protetta? È la mia protezione che ha accettato. Hai forse preso una botta in testa, fratello?», e nel dirlo Guy lo colpì piano sulla nuca.
«Che simpatico Sir! Sarai mica un giullare travestito da Cavaliere?», lo canzonò Robin.
Kate, intanto, scosse la testa esasperata e preferì richiamare l'attenzione di Kaelee pur di non assistere oltre a quell'infantile messa in scena.
«Kaelee, ho dimenticato di dire una cosa a mia madre. Verresti con me?», le domandò.
«Certo! Spero solo che Much non si sia messo a raccogliere funghi per la strada», rispose lei commentando in modo divertente il ritardo dell'uomo.

Era questa la situazione quando due stranieri a cavallo si fermarono a Locksley.

Rudyard e Willard avevano cavalcato fino al villaggio sostando solo se strettamente necessario, dritti alla meta, decisi a riprendersi ciò che credevano appartenesse a loro. Soprattutto il maggiore, naturalmente. Nessuno dei due pensava neanche lontanamente che sostenere il diritto di proprietà nei confronti di una persona fosse qualcosa di completamente diverso dall'arrogare il medesimo diritto in merito a un bene materiale; a nessuno dei due importava davvero di Kaelee in qualità di essere umano, in effetti: era solo una cosa da riportare a casa, da dare in pasto alla madre e all'uomo che era stato scelto per lei. Perciò entrambi non vedevano l'ora di scovarla e dare sodisfazione alla genitrice.
Non erano mai stati in quel villaggio, ma sembrava che molte persone fossero dirette a Nottingham quel giorno e dal momento che Locksley era ad un passo dalla città, non ci misero molto a raggiungere la Piazza del Mercato dove si trovavano forse tutti gli abitanti tra i quali Rudyard riconobbe sia Hood – abbigliato con le caratteristiche vesti dal colore verde brillante e con l'arco su una spalla – che Gisborne.
"Quale gradita sorpresa. La fortuna mi assiste", pensò smontando da cavallo e invitando Willard a legare le briglie dei destrieri ad una staccionata per poi muoversi con lui in direzione di Robin Hood, Guy di Gisborne e un terzo uomo che Rudyard non conosceva e che si era appena aggiunto al gruppo. "Deve essere un altro della banda", decretò osservando la confidenza con cui i tre uomini interagivano tra loro. "Fin troppa confidenza", puntualizzò a se stesso. "Gisborne è davvero un ottimo attore".

Ai tre fratelli, abituati com'erano a stare sempre in guardia, non sfuggì la presenza dei due nuovi arrivati e li osservarono con attenzione, senza dare nell'occhio, chiedendosi ognuno intimamente da dove arrivassero e cosa fossero venuti a fare a Locksley. Con Nottingham di nuovo in piedi era piuttosto normale avere dei visitatori, specialmente quel giorno, ma fermarsi a qualche passo dalla nuova città era una scelta piuttosto inusuale a meno che si fosse alla ricerca di qualcosa di specifico o si preferisse alloggiare in un contesto più tranquillo. In fin dei conti, per quel che ne sapevano, quegli uomini potevano essere appena stati a Nottingham e nel visionare le merci prodotte a Locksley potevano aver deciso di fermarvisi per concludere un affare. Eppure l'atteggiamento di quello più alto, che era poi anche quello che avanzava per primo verso di loro, non ispirava fiducia a nessuno dei tre. Bastò uno scambio di sguardi a mettere in allerta i fratelli, che si prepararono ad accogliere i visitatori alla maniera di Robin Hood, ovvero con animo ben disposto e una mano alle armi.

In quello stesso momento Kate e Kaelee, presi gli ultimi accordi con Rebecca, avevano deciso di tornare in piazza e incamminandosi scherzavano, ancora, divertite su quanto Much sapesse fare ritardo se si parlava di cibo. La sua passione per la cucina era già diventata proverbiale a Locksley e dintorni, tanto che qualcuno gli aveva perfino chiesto di fare da cuoco in occasione di un matrimonio o di una particolare festa – richieste che si facevano sempre più frequenti visto che sia Kate che Kaelee non facevano altro che elogiarlo con conoscenti e mercanti, specialmente da quando Kate era riuscita a convincere Much a vendere certe sue piccole forme di pane speziato al Mercato di Locksley prima e pian piano anche a quelli dei villaggi vicini.
Quando però Kaelee scorse i fratelli a pochi passi da lei, l'espressione sul suo volto cambiò bruscamente e l'istinto di conservazione la spinse a nascondersi tirandosi dietro anche Kate. Sperava con tutta se stessa che non l'avessero ancora vista e che non avessero parlato con nessuno del villaggio chiedendo di lei, perché non era pronta a quella circostanza, sebbene la paura che si verificasse non l'aveva mai abbandonata durante il soggiorno a Locksley, specialmente dopo la pergamena che Aric le aveva fatto avere tramite un vecchio amico. Non era pronta perché aveva gustato un assaggio di felicità, una piccola porzione di quella vita fatta di amici e piccole cose, abitudini, riti sciocchi ma fondamentali, sorrisi sinceri e familiari, problemi da risolvere in compagnia, sguardi che si cercano e trovandosi comunicano nient'altro che contentezza, mani che si sfiorano e labbra che si attraggono. Non era pronta perché non era più disposta davvero a lasciare tutto e sparire, a lasciare Gisborne e sparire.
Gli occhi sgranati e già colmi di lacrime esprimevano in pieno il terrore che quella visita inaspettata aveva immediatamente scatenato nella ragazza, come se perfino il corpo sentisse il bisogno di difendersi da Rudyard e Willard. Si sentì come un animale braccato: in trappola.
Tanto più perché Gisborne era lì e non sapeva niente in merito alle persone che aveva davanti a sé.
Kaelee non amava parlare della propria famiglia, del rapporto che aveva avuto con fratelli e genitori, e quando lo aveva fatto – con Kate, Robin o Guy – si era trattato soltanto di piccoli accenni ad avvenimenti molto generici e per lo più concentrati su lei stessa, perciò né Kate, né Guy avevano idea di ciò che stava accadendo, maggior ragione perché, sicuramente per prudenza, nella sua missiva Aric non aveva fatto nomi.
La giovane di Edwinstowe si portò le mani alla bocca per impedirsi di strillare, tanta era la paura che aveva in quel momento. La mente non l'aiutava affatto nel srotolarle davanti agli occhi il futuro che l'attendeva: una cavalcata fino al suo villaggio di origine, – probabilmente legata e vittima degli insulti di suo fratello – lontana dalla persona che amava, settimane chiusa in camera, se non in un luogo ancora peggiore, e controllata a vista in attesa soltanto del matrimonio che esclusivamente sua madre voleva, poi una vita di totale infelicità da trascorrere in assenza dell'unico uomo che avrebbe voluto accanto e al quale si sarebbe concessa, al quale non avrebbe negato un matrimonio, al quale avrebbe volentieri dato dei figli e con il quale avrebbe vissuto felice. Il solo pensiero di dover rinunciare a Gisborne le causava un dolore così insopportabile da stendere un altro scenario davanti agli occhi spalancati e fissi su Rudyard: se fosse stata costretta a tornare a Edwinstowe avrebbe trovato il modo per togliersi la vita.
Non riuscì a spiegare subito a Kate il motivo di quella reazione, sebbene il dubbio fosse evidente nello sguardo di lei, non riuscì a fare altro che premere le mani contro le labbra e restarsene nascosta, rannicchiata, preda del destino, come una condannata a morte. Temeva che il cuore le sarebbe scoppiato e non lo trovò affatto piacevole, perché quella sensazione non aveva niente a che vedere con la serenità che provava quando si scambiava effusioni con Gisborne e i battiti impazzivano andando al ritmo che preferivano; levò lo sguardo su Kate che forse le aveva chiesto qualcosa, o forse l'aveva soltanto immaginato, e vedendola sporgere la testa oltre al loro nascondiglio improvvisato, Kaelee sentì l'ennesimo urlo che tentava di esplodere nell'aria rivelando la sua posizione.
"Non posso gridare. Non devo. Devo restare nascosta... O forse dovrei cogliere l'occasione e scappare ora che Rudyard e Willard sono impegnati a parlare. Che devo fare? Cosa devo fare?!", pensò, in preda al terrore.
«Vuoi dirmi che ti succede?», le domandò poi la bionda, evidentemente infastidita da un comportamento che sicuramente per lei non aveva alcun senso. «Che c'è di strano in due forestieri che parlano con Robin? Non è mica la prima volta», proseguì con quella che sembrava esasperazione nel tono.
"Come glielo dico che quelli sono i miei fratelli venuti a riportarmi a casa?", si chiese mordendosi a tal punto il labbro inferiore da sentire dolore.
«Insomma, Kaelee!», esclamò Kate facendola scattare.
«Shhhh! Sta' zitta! Non sono semplici visitatori... Che stanno facendo?», mormorò tirandola per la manica temendo che qualcuno potesse vederla.
Kaelee aveva gli occhi della bionda puntati nei suoi e sapeva che tacere non era la scelta migliore se si aveva a che fare con Kate.
«Dimmi cosa succede», rispose con decisione.
Per tutta risposta Kaelee si sentì venir meno.

«Gisborne!», esordì Rudyard in tono cordiale, felice di rivedere un vecchio amico di bravate. «Si dice in giro che siete passato dalla parte dei buoni», lo provocò, certo che quello avrebbe risposto adeguatamente, dandogli il muto indizio che quell'atmosfera così disgustosamente serena non era altro che una farsa, come Rudyard aveva immaginato e compreso da quando aveva saputo del viaggetto a York. Nel pronunciare quelle parole squadrò Robin Hood con aria di superiorità, trovando ripugnante la coalizione, con l'aria di chi aveva voglia di mettere zizzania e litigare. Guardò attentamente sia Hood che il ragazzetto che stava al fianco di lui e che lo stava letteralmente trapassando con uno sguardo carico di sospetto. Lo trovò divertente nella sua impertinenza e pensò che sarebbe stato il primo a cui avrebbe fatto saltare la testa qualora si fosse arrivati subito ad uno scontro diretto. Rudyard non era sicuro che Kaelee fosse a Locksley e non avrebbe avuto alcun motivo di pensarlo se solo Gisborne e quel frate non fossero arrivati a York insieme: era stato mentre pensava a Robin Hood, e al motivo che poteva aver spinto il letale Sir Guy di Gisborne ad andarsene in giro con un uomo della banda, che si era rammentato della stupida passione di sua sorella per l'eroe dei poveri e degli indifesi, così aveva deciso di recarsi a Locksley con il doppio intento di verificare se Kaelee era fuggita in quel villaggio e di chiedere collaborazione al Cavaliere Nero che Rudyard tanto apprezzava, considerandolo perfino un esempio da seguire. L'uomo, infatti, si era nutrito di tutte le malefatte e la cattiveria raccontata in merito alla figura di Sir Guy di Gisborne e ne aveva tratto insegnamento, ritenendo che solo attraverso cattiveria e violenza avrebbe potuto conquistare potere e denaro. Poi, quando le storie non gli erano più bastate, Rudyard aveva cominciato a raccogliere informazioni concrete sull'uomo e infine era riuscito ad ottenere l'onore di una piacevole chiacchierata accompagnata da ottimo vino rosso quanto il sangue delle vittime che Gisborne aveva fatto in tutta la sua carriera di assassino.
Dopo aver rivolto un mezzo sorriso al ragazzetto cui avrebbe fatto saltare volentieri la testa, l'uomo spostò lo sguardo su Gisborne mentre ne attendeva la risposta e dovette riconoscere che aveva davvero assunto l'aspetto di uno di quei noiosi uomini di villaggio tutti presi da un'occupazione socialmente utile. Se non l'avesse visto personalmente uccidere un contadino per il puro gusto di affondare la lama in carne fresca, avrebbe creduto alle assurde dicerie sul suo conto.
«Rudyard di Edwinstowe, qual buon vento ti porta fin qui?», domandò infine l'uomo con voce ferma, ma con un filo di incertezza che mise subito in guardia Rudyard.
«Nottingham», rispose prontamente, cercando indizi negli occhi del potenziale alleato. «Lui è Willard, fratello e compagno di viaggio. Permettetemi di presentarvelo», continuò tergiversando sul reale motivo della visita, non più certo che Gisborne fosse ancora l'uomo che ricordava.
"Neanche un'occhiatina sinistra, nemmeno un segno. Che tema di essere scoperto e sia determinato a fingere in attesa di un'occasione migliore per potermi parlare?", si chiese.
Gisborne tese la mano e a sua volta presentò Robin e Archer introducendoli come propri fratelli.
Nell'animo di Rudyard, dopo la momentanea sorpresa e i piccoli dubbi, si fece spazio la convinzione che uno come Gisborne non sarebbe mai mutato così radicalmente.
«Nonostante abbiate evidentemente cambiato modo di vedere le cose, sono certo che non negherete aiuto ad un vecchio amico», disse infine.

Kaelee era disperata tra le braccia di Kate, messa finalmente al corrente di ogni cosa, singhiozzava senza sosta e si colpevolizzava per non aver mai rivelato a Gisborne il nome dei fratelli che le davano la caccia, per non aver approfondito l'argomento, mettendolo così in mezzo ad una situazione che lo avrebbe colto impreparato. Ciò che Kaelee non riusciva però a comprendere era la cordialità – così le aveva riferito Kate, che li aveva spiati velocemente – tra i due, come se si conoscessero.
"Possibile?", si domandò. Kaelee era assolutamente certa di non aver visto Guy prima di quel pranzo a casa di Kate, – anche se a voler essere precisi la prima volta che i due si erano incontrati risaliva all'alba di quello stesso giorno, quando entrambi erano solo sagome vagamente illuminate dalla luce del Sole; avevano impiegato un po' prima di capire com'erano andate le cose e ci avevano riso su per un pomeriggio intero – perché non avrebbe mai dimenticato un volto bello quanto quello di Gisborne. Sentì il cuore stringersi al ricordo dei momenti felici trascorsi insieme a lui e ancor di più al pensiero che non ne avrebbe più vissuti, se non avesse fermato Rudyard e Willard. Ma come? Come poteva avvisare Guy, ammesso che fosse ancora in tempo per quello?
Nel caos e nel panico cominciò a riflettere sulle informazioni che aveva sul passato di Gisborne: sapeva che aveva lasciato Locksley dopo l'incendio che aveva reso orfano lui e sua sorella, ma era certa che se avesse alloggiato a Edwinstowe, fosse anche per pochi anni, non glielo avrebbe mai nascosto; perché poi?; sapeva che si era spostato spesso per ordine dello Sceriffo, possibile che avesse conosciuto Rudyard in questo modo? Ma allora perché, se Gisborne conosceva un uomo di Edwinstowe, sapendo che anche lei proveniva da quel villaggio, non gliene aveva mai fatto alcun accenno? Che avesse qualcosa di così terribile da nascondere da non poterlo condividere con lei? Eppure le aveva raccontato di aver ucciso Lady Marian.
Kaelee capì che non ci sarebbe mai arrivata visto che non aveva neppure la certezza che di fatto i due si conoscessero. "Forse Gisborne è soltanto gentile con mio fratello perché non sa chi è e si comporta come un qualsiasi uomo farebbe al suo posto", pensò. "Se incontrassi una persona malvagia senza essere al corrente della sua indole, la saluterei con cordialità", rifletté ancora. "Ragionare su questo non mi porterà alla salvezza. Devo fare qualcosa, devo agire, devo lottare per la mia libertà", decise.
«La spada», mormorò ritrovando infine un po' di lucidità. «Ho bisogno della mia spada per intimargli di andarsene. Combatterò se necessario perché non voglio che mi portino via, Kate», disse con le labbra tremanti per la crisi di pianto che minacciava di scoppiare e le mani che tremavano per la rabbia.
Kate provò a calmarla, a farla ragionare, ma Kaelee si rese conto che anche lei non era disposta ad accettare che Rudyard e Willard la prelevassero con la forza, così quando le chiese di nuovo della spada – che quel giorno non aveva con sé – vide Kate correre con tutta la forza che aveva nelle gambe per raggiungere la loro abitazione e portarle l'arma quanto prima.
Probabilmente non era la cosa più logica da fare e probabilmente Kate non era la persona più opportuna per placare gli istinti di Kaelee, dal momento che lei per prima era una donna d'istinto, eppure la ragazza non vedeva altra via di salvezza.

Dwight ed Aric, partiti da Edwinstowe in contemporanea con i fratelli, ne avevano osservato i movimenti e li avevano seguiti a distanza, come si erano ripromessi, facendo in modo di non essere scoperti. Se Dwight aveva naturali doti fisiche che avrebbero fatto la differenza in uno scontro, Aric possedeva nozioni che erano state fondamentali perché quell'inseguimento andasse a buon fine, perciò alla fine di quel viaggio e all'inizio della pericolosa avventura, Dwight comprese di aver ignorato per anni persone degne di nota come Aric e Kaelee e si ripromise che, se fosse sopravvissuto, avrebbe cambiato le carte in tavola e posto rimedio.
La prima parte del piano era riuscita alla perfezione, senza troppi intoppi di natura tecnica e senza imprevisti. Dwight contava molto sulla presunzione di Rudyard, il quale non sospettava neanche minimamente che gli altri suoi due fratelli potessero opporglisi concretamente, per mandare a monte i suoi intenti; una parte di lui sperava anche che suo fratello non avesse la certezza che Kaelee si trovava a Locksley, ma quell'eventualità contemplava troppe condizioni per potersi verificare davvero: non solo Rudyard doveva ignorare l'informazione chiave, ma era anche necessario che Kaelee non si trovasse nel villaggio per un qualsiasi motivo, che Rudyard non si imbattesse in Gisborne e che decidesse infine di andarsene senza indagare ulteriormente. "Essere troppo ottimista farà di me un illuso. Devo pensare al peggio per poter sopravvivere e godere del resto", si disse.
La seconda parte del piano, invece, era ancora tutta da giocare e prevedeva l'ingresso a Locksley e l'effettivo intervento contro Rudyard e Willard. Da questi presupposti nascevano le più grandi preoccupazioni di Dwight, che sapeva bene di non poter contare sull'aiuto di Aric nel caso in cui si fosse arrivati alle armi e che non aveva idea delle condizioni di Kaelee in quel contesto: non sapeva se al loro arrivo lei sarebbe stata presente, non aveva idea del ruolo di sua sorella in quel villaggio, non riusciva neanche più a immaginarla ormai. Quindi sperava nell'ipotesi meno drammatica, ovvero quella che escludeva uno scontro armato con i suoi fratelli. "Ammesso e non concesso che Robin Hood e i suoi uomini assistano alla scena, chi mi assicura che si schiereranno dalla mia parte?", si disse mentre lasciavano i cavalli all'ingresso del villaggio.
La necessità di mantere la calma era l'unica cosa di cui Dwight era certo.

Appena Kate tornò con la spada dell'amica, la vide spuntare fuori dal nascondiglio e incamminarsi lentamente verso i suoi fratelli, evidentemente animata da nuova forza, più combattiva che mai e ancor più determinata a salvare se stessa, la nuova vita che si era guadagnata e l'amore che Locksley le aveva regalato. Il suo sguardo era così intenso che Kate credette di potervi leggere ogni singola emozione senza il bisogno che Kaelee le esprimesse a parole o a gesti. In quegli occhi grandi e dal colore incredibilmente bello, Kate notò qualcosa che le fece venire i crampi allo stomaco: una furia animalesca che la donna non aveva mai visto nello sguardo di nessuno che non fosse Gisborne. Fu molto turbata da quell'inatteso accostamento, ma la seguì ugualmente, armata del proprio arco e pronta a difenderla da chiunque avesse anche soltanto osato pensare di poterla toccare.
Man mano che si avvicinavano, le voci dei presenti si facevano più chiare e Kate poté sentire.
«Nonostante abbiate evidentemente cambiato modo di vedere le cose, sono certo che non negherete aiuto ad un vecchio amico», disse l'uomo alto che Kate identificò come Rudyard
«Ti ascolto», rispose Gisborne assumendo un atteggiamento di difesa nei confronti del suo interlocutore.
Nel frattempo Kate vide Much comparire in piazza e fermarsi prima di raggiungere Robin e cercare lei con lo sguardo, con l'espressione sconvolta di chi si aspettava che qualcosa andasse storto, avendo ugualmente sperato che invece tutto sarebbe andato per il meglio. Kate impiegò poco a collegare gli occhi sgranati di Much e le sue labbra semiaperte all'ansia che l'uomo aveva condiviso con lei durante tutta la settimana parlandole di una catastrofe imminente. "Non aveva tutti i torti", pensò, "Ma siamo ancora in tempo per evitare il disastro", si disse, agguerrita al fianco della migliore amica che avesse mai avuto – la quale in quel momento stringeva con ferocia le dita sull'elsa della spada, pronta ad estrarla.

Gisborne aveva avuto un attimo di indecisione quando aveva visto Rudyard, per nulla certo che si trattasse di uno spietato uomo conosciuto anni prima in un contesto che adesso gli appariva tutt'altro che piacevole. "Rudyard di Edwinstowe", ripensò Gisborne rifiutandosi categoricamente di fare l'ovvio collegamento mentre aspettava che l'uomo riprendesse a parlare. Sul suo volto, però, Gisborne vide allargarsi un sorriso beffardo che gli parve disgustoso più di quello di Vaisey di Nottingham, così decise di seguirne lo sguardo, che l'uomo aveva spostato lateralmente, e vide Kaelee. Un pensiero fastidioso lo punse dolorosamente.
«Sto aspettando», disse nel tentativo di riportare l'attenzione dell'uomo su di sé.
«Non è più necessario», rispose Rudyard senza smettere di guardare la ragazza. «Conoscete bene mia sorella, Gisborne?», domandò.
Fu quasi come un fulmine a ciel sereno, perché ora Gisborne non poteva più ignorare ciò che l'intuito aveva cercato di suggerirgli dall'esatto momento in cui aveva riconosciuto l'uomo. Nonostante l'evidenza, Guy continuava a non voler credere che un uomo come Rudyard, così vicino al modo di agire del vecchio Sir Guy di Gisborne, potesse essere imparentato con Kaelee, la dolce ragazza di cui si era innamorato, perché non riusciva a trovare una sola caratteristica che li accomunasse. Gisborne aveva conosciuto Rudyard quando era ancora il braccio destro dello Sceriffo di Nottingham, ovvero quanto di più vicino ad un mostro crudele, e aveva percepito immediatamente l'adorazione di quell'uomo nei propri confronti. Ricordava di essersene compiaciuto, ma a ripensarci ora ne era disgustato.
Accanto a sé, Gisborne aveva Robin e Archer, anch'essi sulla difensiva e intenti a valutare la situazione e il da farsi. Con ogni probabilità loro avevano tratto l'ovvia conclusione prima di lui non essendo emotivamente coinvolti quanto lo era lui. Mentre pensava alla risposta da dare a Rudyard, Guy vide che altri due uomi si avvicinavano al centro dell'azione e si domandò immediatamente se fossero complici di Rudyard e Willard o dei semplici curiosi.
«Vattene», ringhiò una voce che Gisborne stentò a riconoscere.
L'uomo ebbe un tuffo al cuore perché conosceva ormai abbastanza bene Kaelee da saper interpretare i segni sul suo volto e avere la certezza che aveva pianto. Quello fu l'ultimo pezzo del puzzle, quello risolutivo e definitivo: Guy comprese che la visita da parte di Rudyard e Willard era strettamente collegata alla pergamena indirizzata a Robin e consegnata da un ragazzino di Edwinstowe da parte di uno dei fratelli di Kaelee, che certamente non coincideva né con Rudyard, né con Willard a meno che quest'ultimo non stesse facendo il doppio gioco, – cosa molto improbabile dal suo punto di vista dal momento che il giovanotto se ne stava quasi alle spalle di Rudyard e continuava a guardarsi nervosamente attorno quasi cercasse una via di fuga – perciò a Gisborne non restava altro da fare che tirare le somme e concludere che Rudyard era a Locksley per prelevare Kaelee, la quale doveva averlo visto ed essere crollata in un momento di puro panico prima di reagire. E fu proprio la reazione della ragazza a farlo rabbrividire come non gli accadeva da tempo. Guy era certo che la pacifica Kaelee sapesse difendersi con le unghie e con i denti se necessario, ma oltre a non desiderare che la ragazza fosse costretta ad affrontare una simile situazione, non avrebbe mai creduto possibile scorgere quella cattiveria negli occhi di lei, una cattiveria che lui conosceva fin troppo a fondo, un demone contro il quale ancora combatteva. "Nel cuore della mia Kaelee non c'è posto per una tale malvagità", si disse mentre la guardava, seguita a ruota da Kate, quest'ultima subito affiancata da Much.
Gisborne percepì di nuovo, come quando insieme alla banda di Robin aveva collaborato alla disfatta dello Sceriffo, lo spirito di squadra che spingeva tutti a difendersi vicendevolmente e da questo trasse l'enorme forza che gli permise di guardare Rudyard in cagnesco quando questi rise, divertito da chissà che cosa.
«Vattene», ripeté intanto Kaelee, sguainando la spada senza esitazione e avanzando dritta verso suo fratello.
Robin cercò di sedare la situazione chiedendo spiegazioni e mantenendo un atteggiamento per niente offensivo verso Rudyard e Willard.
«Perché tanta violenza, Kaelee? È un giorno di festa per Locksley e Nottingham. Andiamo, amici! Non è necessario impugnare le armi, parliamone invece da persone civili quali siamo e se qualcuno ha subìto un torto, faremo di tutto per porvi rimedio», disse, allegro, il fuorilegge in quella che Gisborne interpretò come una velata minaccia.
Eppure notò come, anziché scomporsi, Rudyard assunse movenze ancor più indisponenti, strafottenti perfino.
«Sei proprio una bambina cattiva, Kaelee. Non hai detto ai tuoi amici di essere scappata di casa senza dire niente a nessuno e facendo molto preoccupare la tua famiglia?», domandò esprimendo una tale falsità nella voce che Gisborne desiderò ingaggiare immediatamente un duello con lui per porre fine a quella farsa. Se Rudyard era arrivato a Locksley in cerca del suo appoggio per riportare Kaelee a Edwinstowe era cascato davvero male.
«Vattene», ripeté per l'ennesima volta Kaelee che appariva inarrestabile nella sua determinazione, perfino feroce e potenzialmente letale. «Qui non c'è niente per te», aggiunse.
La vicinanza di Kaelee a suo fratello e la spaventosa calma nella voce di lei spinsero Guy ad esporsi, rispondendo così, infine, alla domanda che Rudyard gli aveva posto in precedenza. Le si avvicinò lentamente e con cautela affinché non si sentisse minacciata pure da lui, scivolò alle sue spalle e le cinse dolcemente la vita con un braccio, per rassicurarla e nel contempo trattenerla. Con la mano libera, invece, creò un contatto con il braccio di Kaelee fino a raggiungere le sue dita strette sull'impugnatura della spada e la invitò a deporre l'arma sussurrandole all'orecchio che rispondere alla violenza con altra violenza non era la soluzione migliore.
Intanto sentì Rudyard lasciarsi andare ad un'altra risata maligna e si costrinse a non permettere alla rabbia di prendere il sopravvento su di lui; contemporaneamente vide che Willard era già indietreggiato di qualche passo temendo probabilmente il modo in cui sua sorella brandiva la spada.
Robin gli si fece più vicino, sicuramente deciso a marcare il territorio e rimettere ordine, mentre Archer si avvicinò così tanto da sfiorargli il braccio con la spalla: Guy ne fu commosso e, di nuovo, ne trasse la forza necessaria a lottare contro i propri istinti e quelli di Kaelee, che in quel frangente sembrava aver perso completamente la testa.
Attorno a loro, inoltre, si erano radunate alcune persone del villaggio e gente che Guy non aveva mai visto – come quei due che aveva notato avvicinarsi prima – il che rendeva assolutamente necessario evitare l'uso di qualsiasi tipo di arma.
«Dammi ascolto, ti prego», insisté Guy all'orecchio della ragazza, «Non commettere i miei stessi errori».
«Davvero un bel quadretto!», commentò Rudyard esibendosi in un applauso evidentemente canzonatorio. «Non è un po' troppo giovane per voi? Inesperta e magrolina com'è dubito che vi diverta come sanno fare alcune serve... No... Ma non mi dite! Voi l'amate!», esclamò fingendosi sorpreso e portandosi teatralmente una mano davanti alla bocca prima di tornare a ridere di gusto. Un gusto che con ogni probabilità apparteneva soltanto a lui dal momento che perfino il giovanotto che lo aveva accompagnato era rimasto serio.
Guy decise di concentrarsi completamente ed esclusivamente su Kaelee, così da impedire che quelle provocazioni avessero effetto.
«Sei qui per me, non per lui», sputò la ragazza, che ancora si ostinava a tenere l'arma puntata contro suo fratello, intenzionata quasi certamente ad ucciderlo.
«Bene, bene, vedo che la diplomazia oggi non è di casa a Locksley», commentò Robin a bassa voce. «Rudyard e Willard di Edwinstowe!», disse più energicamente per richiamare l'attenzione di tutti. «Ho l'obbligo di ricordarvi che siete in territorio a voi estraneo. Non ho idea delle regole in vigore dalle vostre parti, ma qui a Locksley chi si comporta come voi non è il benvenuto. Kaelee di Edwinstowe ha chiesto ed ottenuto la mia protezione e resterà al villaggio per tutto il tempo che vorrà», disse serio, appoggiandosi all'arco da cui non si separava mai.
L'uomo sollevò entrambi i palmi in segno di resa, lasciando intendere che non voleva ricorrere alla forza. Non in quella occasione almeno.
Fu in quel momento che i due individui che Gisborne aveva notato, decisero di intervenire facendosi avanti sotto gli occhi attenti di tutta la banda. Se per Guy quegli uomini – uno più adulto e l'altro probabilmente coetaneo di Kaelee – altro non erano che una coppia sconosciuti, si rese conto che la stessa cosa non doveva essere per la donna che stringeva con decisione a sé: appena si mostrarono apertamente, infatti, Kaelee lasciò cadere improvvisamente la spada.
«Andiamocene, Rudyard», mormorò subito Willard atterrito, terrorizzato al punto da permettere alla voce di tremare.
«Ma che bella sorpresa», commentò il secondogenito, sarcastico, rivolgendosi ai due appena arrivati, senza ridere questa volta.
«Non sei furbo come credi», disse il più grande dei nuovi venuti.
«E sentiamo, Sua Intelligenza, chi è il traditore tra noi?», lo provocò Rudyard.

Kaelee, che fino a quel momento non aveva fatto altro che trafiggere Rudyard con lo sguardo come era impossibilitata a fare con la spada, fissò gli occhi su Aric appena lui fu nel suo campo visivo. La vista del suo fratello preferito, nonché unico amico che avesse mai avuto a Edwinstowe, aveva cancellato istantaneamente tutto il resto, ispirandole una gioia incredibile. Era felice di rivederlo dopo tanto tempo, al punto che lasciar cadere l'arma come Gisborne le suggeriva da diversi minuti era stato più semplice che mai, al punto che l'unica cosa che avrebbe voluto fare era corrergli incontro e abbracciarlo, sommergerlo di domande e pregarlo di restare, perché tornare a Edwinstowe avrebbe significato problemi e sofferenza anche per lui ora che si era esposto. "Oh, Aric! Sciocco Aric!", pensò rimproverandolo con dolcezza e, con l'affacciarsi di quei pensieri, sentì tornare anche la preoccupazione: tutti e quattro i suoi fratelli erano giunti a Locksley, a coppie, con intenzioni diametralmente opposte e se Kaelee non faceva fatica a credere che Willard si fosse unito a Rudyard senza troppe proteste, era invece rimasta colpita dalla presenza di Dwight accanto ad Aric. Aveva una moltitudine di domande in testa – "Come ha fatto Rudyard a sapere che mi avrebbe trovata qui?", "Perché si era rivolto a Gisborne chiamandolo vecchio amico?", "In che modo Aric aveva coinvolto Dwight?", "Quanto sapevano i suoi fratelli, escluso Aric, delle motivazioni che l'avevano spinta a lasciare Locksley?" – e ancora pochissime risposte, ma al di sopra di questo turbine di punti interrogativi si ergeva un'unica, grande e grave, certezza: Kaelee aveva creduto di essersi guadagnata la libertà fuggendo di casa e invece aveva solo diviso i suoi fratelli, combinato un gran disastro che difficilmente sarebbe riuscita a rimettere a posto, spinto tutti e quattro i suoi fratelli fino a Locksley e messo in pericolo non solo la vita dei suoi familiari, ma anche quella di tutti i presenti nella piazza. Già solo questo sarebbe bastato a Kaelee per sentirsi in colpa per vent'anni a venire, ma c'era dell'altro che non poteva assolutamente ignorare: decidendo di allontanarsi da casa aveva cacciato Aric in un pasticcio più grande di lui, di entrambi probabilmente, e aveva involontariamente coinvolto Gisborne gettandolo di nuovo in quel vortice di violenza dal quale stava cercando di allontanarsi con enormi sforzi.
Nel mentre, Dwight si presentò a Robin Hood e presentò anche suo fratello, ponendo le proprie scuse a nome dell'intera famiglia per aver turbato l'equilibrio e la serenità del villaggio. Spiegò in modo conciso ma esauriente come stavano le cose, perché il secondogenito ed il terzogenito erano arrivati fino a Locksley e perché lui e Aric li avessero seguiti. Poi si rivolse a Kaelee e le promise che l'avrebbe appoggiata nella scelta di andar via da Edwinstowe, come già aveva fatto il minore tra i maschi di casa, che si era rivelato infine il più intelligente e coraggioso di tutti perché aveva combattuto senza armi, lottato senza spargere sangue e aveva vinto a suo modo.
«Non sei obbligata a tornare a casa solo perché Rudyard pretende che tu lo faccia», mormorò. «Parlerò io con nostra madre e se questo fa di me un traditore, sono ben lieto di averti tradito, Rudyard», concluse volgendo lo sguardo verso il diretto interessato.
Kaelee trasalì quando Rudyard fece partire un altro dei suoi fastidiosissimi e per niente opportuni applausi.

Gisborne si sentiva meno teso da quando il giovanotto presentato con il nome di Aric, che doveva essere l'autore della pergamena, aveva avuto su Kaelee un effetto inaspettatamente positivo, inducendola con la sua sola presenza a desistere dal commettere un crimine per cui avrebbe certamente pagato non soltanto in termini morali, ma appena Rudyard si esibì nell'ennesimo scatto di pessima ironia, vibrò insieme a Kaelee, ancora stretta a lui. Pensò, di nuovo, che quell'uomo fosse dotato un senso dell'umorismo perfino peggiore di quello di Vaisey e una parte di lui si immerse nel passato, in quel Guy di Gisborne che aveva affiancato lo Sceriffo e conosciuto e apprezzato Rudyard per l'elevata dose di cattiveria che lo animava. Avrebbe riso insieme a quell'uomo, se solo il Guy di una volta fosse ancora esistito.
«Questo sì che è un discorso!», disse Rudyard. Poi si mosse, così velocemente che nessuno intercettò il movimento fin quando non ebbe la spada di Kaelee in mano. «Pessima mossa, sorellina», aggiunse.
Gisborne, che aveva duellato innumerevoli volte e aveva dimestichezza con gesti repentini come quello di cui Rudyard si era appena reso protagonista, altrettanto velocemente si portò davanti a Kaelee intuendo che le intenzioni dell'uomo non fossero pacifiche e sebbene fosse disarmato, era pronto a fare qualunque cosa pur di proteggere Kaelee.
Vi fu un breve scambio di sguardi durante il quale Gisborne comprese l'indecisione del suo avversario, come se l'essersi messo davanti a Kaelee lo avesse destabilizzato in quanto era lei, evidentemente, la preda. Quindi provò a prevedere la mossa successiva tra le tre più probabili.
"Se fossi al suo posto prenderei in considerazione l'idea di colpire Dwight, arrivato a rompere le scatole con atteggiamenti da nobile cavaliere; Aric, perché è palese che Kaelee tiene molto a lui e che è lui il responsabile dell'imprevisto che ha scombinato tutti i piani; infine, se fossi in lui, vorrei colpire me stesso in quanto ho rifiutato di appoggiarlo nella sua folle caccia a Kaelee e mi sono schierato in prima linea per difenderla", ragionò. "Ma il mio intento principale sarebbe colpire Kaelee direttamente o indirettamente, perciò affonderei la lama nel mio stomaco, se fossi Rudyard", concluse, senza poter aggiungere altro.
Lo scatto di Rudyard fu fulmineo, ma Gisborne spinse lateralmente Kaelee, a costo anche di farla cadere, e saltò lui stesso per evitare l'aggressione mentre Robin Hood faceva partire una freccia che si piantò nella terra battuta, a qualche millimetro dai piedi del fratello di lei.
«Questo era un avvertimento. La prossima non mancherà il bersaglio», disse Robin, serio e con l'arco già nuovamente teso.
«Non finisce qui», minacciò Rudyard lasciando la spada e allontanandosi insieme a Willard che tirò un sospiro di sollievo e se la diede a gambe come il più codardo degli uomini.
Gisborne, definitivamente sollevato dalla piega presa dagli eventi, si portò una mano all'altezza dello stomaco perché nonostante fosse stato protagonista di numerosi scontri, aveva trovato in Rudyard un degno avversario, reso ancora più forte dalla completa assenza di buone intenzioni e così disonesto da aggredire un uomo completamente disarmato. Rudyard gli aveva impedito di difendersi, forse consapevole che se anche lui avesse avuto un'arma l'avrebbe contrastato come meritava fermando la lama con la propria, perciò Gisborne era stato costretto a scegliere tra l'afferrare una lama a mani nude riportando ferite che avrebbero potuto rivelarsi anche molto gravi, e tentare di uscirne incolume. Considerato che la prima eventualità sarebbe stata una vera e propria follia, aveva scelto il male minore, ma Rudyard era riuscito ugualmente a ferirlo di striscio e Guy sapeva di non essere più in grado di prevedere la reazione di Kaelee, la quale – per quel che ne sapeva – avrebbe potuto crollare in un pianto liberatorio oppure dare sfogo alla rabbia concretizzando l'atto di violenza che non si era verificato prima. Per quanto si stesse sforzando di tenerla d'occhio, Kaelee si lanciò con la velocità di un fulmine in avanti per riprendersi l'arma e colpire suo fratello alle spalle, mentre si allontanava: non ci voleva uno stratega per capire che Kaelee non intendeva ferirlo, ma ucciderlo. Gisborne cercò di afferrarla per il polso, ma fu troppo lento e temette il peggio finché vide suo fratello Archer avvolgerla prontamente in una morsa.
«Lasciami!», gridò lei, dimendandosi. «Lasciami Archer!».
«Gli uomini di Robin Hood non uccidono se non è strettamente necessario e tu hai accettato di appartenere alla nostra banda!», la rimproverò Archer sotto lo sguardo attento di tutti i presenti. Benché scalciasse come un'ossessa e manifestasse una forza che nessuno avrebbe mai detto le appartenesse, Archer non mollò la presa e presto Much e Robin gli diedero una mano, con gran sollievo di Guy il quale cadde sulle ginocchia, cedendo al dolore della ferita che aveva riportato. Inaspettatamente fu Kate a prestargli un primo soccorso, sancendo così il reale inizio di una nuova amicizia.

Ci vollero diversi minuti prima che la giovane donna di Edwinstowe la smettesse di tentare la fuga e di urlare.
«Lasciatemi», mormorò alla fine, evidentemente più calma.
Robin, però, non si fidava. Sapeva bene cosa significasse essere preda degli istinti e sapeva anche che lui stesso, al posto di Kaelee, avrebbe messo in scena una farsa pur di essere lasciato libero e poter portare a termine un'idea, giusta o sbagliata che fosse. Perciò temeva più per l'incolumità della ragazza che per il destino dei suoi fratelli, essendo certo che non avrebbe potuto farcela contro uno come Rudyard, quindi pretese che lei lo guardasse negli occhi mentre le parlava.
«Puoi darmi la tua parola?», chiese.
Lei annuì, ma subito abbassò lo sguardo.
Robin diede ordine di mantenere la presa su di lei mentre Guy lo implorava silenziosamente di lasciarla libera. Robin era combattuto perché se da un lato si fidava ormai di Gisborne, che conosceva Kaelee più di ogni altro lì a Locksley, e non voleva che soffrisse di nuovo come un tempo, d'altra parte non poteva fare affidamento su Kaelee che in quel momento sembrava aver perso completamente il senno.
La ragazza, però, non si mosse e sul suo volto comparve un'espressione più simile al dolore che alla furia omicida.
«Hai la mia parola», sussurrò infine ad occhi chiusi, la voce che tremava ed una lacrima solitaria a solcarle il volto.

Nel cuore di Kaelee si alternavano emozioni fortissime che a stento riusciva a controllare – dalla disperazione nel momento in cui aveva scorto Rudyard nella piazza, alla voglia di tenersi stretta la libertà; dalla rabbia provata nel sentire Rudyard minacciare Gisborne, nel vederlo scagliarsi contro l'uomo che amava e nel realizzare che l'aveva ferito, al senso di colpa che di nuovo la travolgeva come poco prima, quando aveva riflettuto su tutti i problemi che la sua fuga aveva creato ad Aric e agli uomini di Robin Hood. Una parte di lei desiderava ancora uccidere Rudyard, ma Kaelee capì in fretta che Robin l'avrebbe chiusa in una stanza del Maniero se necessario, pur di evitare che commettesse un simile gesto.
Quindi, appena fu libera, ignorando l'arma che giaceva a terra, Kaelee si voltò in direzione di Guy. Senza dire una parola, con il cuore a pezzi e il senso di colpa che pendeva su di lei come una spada di Damocle, lo aiutò a tirarsi su per accompagnarlo a casa.

In un clima più pacato, immaginando che Dwight e Aric fossero all'oscuro del legame che esisteva tra Kaelee e Gisborne, Robin volle chiarire brevemente l'atteggiamento della ragazza invitando poi Dwight e Aric a fermarsi a Locksley per riposare, parlare e incontrare Kaelee prima prendere una qualunque decisione. Poi chiese ad Archer, Much e Kate di recarsi a Nottingham e rintracciare gli altri della compagnia per informarli del motivo della propria assenza alla festa e al Mercato.
«Niente aria allarmata e assoluta discrezione. Siamo intesi», percisò.
Scortò quindi i fratelli di Kaelee fino al Maniero e insisté affinché alloggiassero presso la sua abitazione per tutto il tempo che volevano, dimostrando loro fiducia e gratitudine per essere arrivati fin lì con il solo scopo di proteggere la ragazza.

Casa di Guy, Locksley.
Kaelee non aveva più detto una parola e Gisborne iniziava a preoccuparsi, avvolto già da un sottile strato di ansia.
Erano entrati in casa, lei lo aveva accompagnato al piano superiore, aveva fatto in modo che si stendesse sul letto e poi aveva pulito e fasciato la ferita senza mai aprir bocca e con una tale delicatezza da dare a Guy la sensazione che a stento volesse sfiorarlo. Infine gli si era seduta di fianco e aveva preso a fissarlo con occhi colpevoli, che lo stavano lentamente conducendo alla follia, le unghie affondate nei palmi e le labbra serrate, le nocche bianche, le sopracciglia contratte, i muscoli congelati in un'identica posa da interi minuti.
Gisborne non riuscì a sopportare oltre quell'atteggiamento, quindi, ignorando la fitta di dolore si sollevò e si protese verso di lei.
Inaspettatamente Kaelee si spostò più indietro.
Guy rimase impietrito mentre un antico dolore riaffiorava da lontano nel suo cuore appena guarito: lo strazio del rifiuto. Evidentemente doveva solo essersi illuso di star bene, se era bastato un gesto così piccolo a distruggere tutto in un istante.
«Non farmi questo», sussurrò.
Sentiva le vecchie barriere spingere per tornare ad innalzarsi fiere, pregne della cattiveria di un tempo, ma la forza interiore che aveva maturato riuscì ad abbatterle ancora una volta. Preferiva i crampi allo stomaco e il male al petto ad una maschera di violenza, perché non aveva intenzione di lasciar perdere, non con lei, perciò con ostinato coraggio fece un secondo tentativo e più lentamente di prima allungò una mano fino al ginocchio di lei, che di nuovo si ritrasse.
«È colpa mia», disse senza alcuna inflessione nella voce gelida che proveniva da un angolo della personalità di lei che Guy non aveva ancora conosciuto e che lo spaventava.
«Non dire sciocchezze», mormorò lui.

«È colpa mia», si sentì dire di nuovo, automaticamente, senza provare alcuna emozione che non fosse la colpa per quanto era accaduto alla parte buona della sua famiglia e a Guy, che si era guadagnato l'ennesima cicatrice grazie a lei. Gli sarebbe rimasta vicina nei giorni a venire ma, in netto contrasto con il terrore che l'aveva fatta crollare con Kate al pensiero di dover dire addio a Gisborne, stava di nuovo valutando l'ipotesi di andarsene. Seriamente stavolta, a differenza di quando l'amico di suo fratello aveva consegnato a Robin il messaggio di Aric per lei. Lasciare Locksley, non certo per far ritorno a casa, le sembrava un modo per proteggere Guy da Rudyard anche se non era certa che l'uomo che amava sarebbe rimasto al proprio posto o che Rudyard non si fosse ugualmente accanito su Gisborne pur di attirarla in una trappola.
Guardando dritto negli occhi l'uomo che amava, Kaelee sperava di trovare la più corretta soluzione ai loro problemi.

L'autocontrollo di Gisborne era al limite. Non riusciva a sopportare di vedere Kaelee in quello stato, non sopportava che lei si colpevolizzasse per tutto e ancora non sopportava che lo rifiutasse nella convinzione che fosse la cosa giusta da fare. Il respiro accelerò mentre la collera aumentava: non gli andava per niente bene che quella situazione mettesse dei muri tra loro, che li dividesse quando nemmeno il suo passato di assassino era riuscito nell'intento.
Kaelee era ancora seduta, quindi – pensò Gisborne – forse non voleva andarsene sul serio; l'uomo sapeva che il punto di forza della ragazza era la velocità, perciò si disse che muoversi adagio in direzione di lei non avrebbe portato a nulla se non ad allontanarla ulteriormente e sebbene non lo entusiasmasse l'idea di far ricorso ai vecchi modi – anche se le intenzioni erano del tutto diverse da quelle di un tempo – si dichiarò, intimamente, disposto a qualsiasi cosa pur di impedire a Kaelee di fare del male ad entrambi, perciò la afferrò a tradimento, ignorando la fitta improvvisa, e la costrinse sul letto per poi piazzarsi sopra di lei.
La ragazza era innegabilmente svelta, ma lui decisamente più forte.
«Non ti permetto di rifiutarmi solo perché sei convinta che così mi salverai la vita. È senza te che non ho scampo», le disse con la vista annebbiata e il cuore in corsa.
Vide lo sguardo della ragazza ammorbidirsi subito mentre si voltava per appoggiare una guancia sulla morbida coperta, senza dargli il tempo di godere dello spettacolo che erano i suoi occhi quando si scioglievano in quel modo. In men che non si dica Kaelee prese a singhiozzare dando finalmente sfogo a tutto ciò che aveva dentro. Gli venne istintivo stringerla forte a sé e spostarla per consentire ad entrambi di essere più comodi e a se stesso di non manifestare la sofferenza che le sue lacrime gli causavano. Si mise a sedere, infatti, appoggiandosi alla spalliera del letto, lasciando che la crisi di pianto di Kaelee facesse il proprio corso sul suo petto, e sebbene non fosse facile per lui confortarla e rassicurarla senza disperarsi a sua volta per tutte le possibili conseguenze dell'arrivo di Rudyard a Edwinstowe, era felice che Kaelee non lo avesse di nuovo messo da parte: averla tra le braccia gli bastava a sentirsi più sereno.
Continuò per diversi minuti a ripeterle di star bene e che ogni cosa si sarebbe risolta per il meglio, che avrebbero affrontato tutto insieme, che non avrebbe mai permesso a nessuno di portargliela via.
Poi, quando pensò che Kaelee dopo aver speso tutte quelle energie fosse infine crollata, le accarezzò dolcemente i capelli e lasciandosi trasportare dalle emozioni che lei gli suscitava, le dichiarò il proprio amore in un sussurro.

Kaelee, sfinita dopo le tribolazioni di quel giorno, ma non abbastanza da addormentarsi tra le braccia di Guy, avvertì lacrime e senso di colpa riaffiorare alle parole di lui prima che il sentimento profondo e devastante che provava per l'uomo li spazzasse via entrambi. In un attimo l'amore riuscì a radere al suolo tutto il resto, le ansie, i timori, la paura di doversi separare da Guy, l'angoscia di dover vivere una vita in fuga: nel suo cuore erano rimasti solo le emozioni che nutriva per lui. Fu invasa da una tale gioia che per un attimo credette di essersi appena svegliata dopo un bruttissimo incubo, ma gli occhi che bruciavano e le labbra secche testimoniavano che aveva pianto e che il brutto sogno corrispondeva invece alla cruda realtà. Nonostante questo non poteva negare la felicità causata dalle parole che Gisborne le aveva appena rivolto, così mise un paio di centimetri tra loro, giusto lo spazio che le avrebbe consentito di guardarlo in volto.
L'espressione di lui era colma di sorpresa e anche se Kaelee se ne domandò per qualche istante il perché, preferì non chiederlo ad alta voce e credere all'ipotesi che Gisborne, pensando di aver parlato a voce più bassa di quanto non avesse fatto in realtà, si trovasse in imbarazzo forse perché non avrebbe voluto che lei lo sentisse.
Comunque stessero le cose, Kaelee sollevò le dita sul viso di lui, sfiorandogli la guancia e apprezzando perfino il leggero strato di barba che costituiva una sottile e pungente barriera tra le sue dita e la pelle di lui. Il cuore le batteva forte nel petto mentre le labbra si preparavano a pronunciare due brevi, ma tanto intense e importanti, parole.
«Ti amo», mormorò non senza emozione.

Entrambi sopraffatti da assoluta felicità, Guy e Kaelee scoprirono il rimedio ad ogni angoscia e seppero che insieme avrebbero potuto affrontare qualunque problema.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 12/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Prima di dire qualsiasi cosa, voglio precisare che il capitolo riprende direttamente gli eventi di Edwinstowe, interrotti nella prima parte per dare uno sguardo a Locksley.
Anche qui, mi rendo conto, affronto la stessa scena da più punti di vista, ma come ho precisato qualche capitolo addietro non mi va di perdere pensieri e azioni di questo o quel personaggio e non sapendomi esprimere in maniera migliore, mi affido a ciò che so fare sperando di non creare troppa confusione.
Preciso, per i lettori che affrontano questa storia come un'originale, che nella serie tv Rudyard non esiste (né è presente un personaggio minore con lo stesso nome o con un background simile) e che quindi nel contesto originale lui e Gisborne non si sono mai conosciuti.
Mi auguro di non essere risultata troppo pesante nel raccontare il tutto – specialmente vista la necessità di dividere questo lungo "episodio", se così vogliamo chiamarlo, in due parti – e spero, come sempre, di aver soddisfatto le vostre aspettative.
Grazie per essere arrivati fin qui e doppiamente grazie nel caso in cui decidiate di dirmi la vostra.
Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Ritrovarsi ***


Ritrovarsi


Ritrovarsi

Kaelee era stata informata da Robin che i suoi fratelli si erano convinti a restare per qualche giorno a Locksley, così aveva deciso di approfittarne trascorrendo gran parte del suo tempo in loro compagnia. Al villaggio si era sempre data da fare, fin dall'inizio, perciò tutti chiusero volentieri un occhio, vista la situazione, e quando anche Tyrik le disse che non gli occorreva aiuto per gli impasti invitandola a riposare e godersi la presenza dei suoi familiari, Kaelee comprese che si erano messi tutti d'accordo per farla sentire meglio dopo gli ultimi avventimenti. Ne fu così commossa che, parlandone con Tuck – il quale la stava aiutando ad affrontare il desiderio di uccidere che aveva provato nei confronti di Rudyard e che, dopo la rabbia iniziale, l'aveva sconvolta – si ripromise di impegnarsi ancora di più nelle attività del villaggio i cui abitanti la trattavano come se avesse sempre risieduto lì.
Con Aric fu un piacevole ritrovarsi, tanto che non si separò quasi mai da lui che era da sempre il familiare con il quale Kaelee aveva legato maggiormente; non è che non volesse bene a Dwight, ma essendo quest'ultimo il più grande dei suoi fratelli, non aveva mai avuto modo di cercare punti in comune con lui. Quando era poco più che una bambina, infatti, la vita di lui già si svolgeva prevalentemente nei campi e al rientro era così stanco che non gli era possibile dedicarsi a lei e anche se, crescendo, le cose erano un po' cambiate e passavano più tempo insieme visto che lei stessa aveva preso ad occuparsi delle coltivazioni, la differenza di età continuava ad incidere in modo rilevante sul loro rapporto. In più c'era da tenere conto delle divergenze caratteriali: se Kaelee era sempre stata una ragazza vivace e chiacchierona, sempre intenta a cercare una nuova avventura, Dwight mostrava una spiccata tendenza a stasersene per conto proprio a pensare, all'ombra di un albero o in qualche altro posto, quindi difficilmente l'esuberanza di lei riusciva a far positivamente presa sul fratello.
Esserselo ritrovato a Locksley e averlo visto schierarsi dalla sua parte contro Rudyard, indusse inevitabilmente Kaelee a riflettere e spesso, durante la permanenza di Dwight al villaggio, si chiese se il suo punto di vista in merito al rapporto che aveva con lui fosse oggettivamente valido e non piuttosto il risultato di una serie di giustificazioni, che si era data per spiegare in maniera semplice e riduttiva la sua mancata volontà di provare a costruire qualcosa con Dwight per non dover far fronte a una serie di difficoltà che l'avrebbero scoraggiata. Arrivò presto, quindi, alla conclusione che – complice la giovane età – aveva scelto di dedicarsi al fratello con il quale le era stato più facile ed istintivo interagire e che era, per questo motivo, un po' anche colpa sua se non era mai riuscita a legare con Dwight; il fatto che si fosse innamorata di un uomo che aveva due anni più di suo fratello non faceva altro che confermare i suoi ragionamenti e acuire il suo senso di colpa.
Le parve di esserci arrivata con netto ritardo e provò vergogna per non essere stata in grado di stare vicino a suo fratello neanche quando, l'anno precedente, aveva perso la donna che amava ed ebbe la netta sensazione che la Kaelee di Edwinstowe aveva davvero poco a che fare con la se stessa che viveva a Locksley, sempre disponibile ad offrire una mano a chiunque ne avesse bisogno. L'aver preso una decisione tanto determinante e l'aver affrontato in solitudine quel viaggio da un villaggio all'altro avevano lasciato un segno su di lei, perciò forse era pronta per un reale tentativo con Dwight, con il quale avrebbe dovuto parlare come non aveva mai fatto prima.

Sapere che Kaelee era davvero serena lì a Locksley, senza che dovesse accontentarsi di un singolo momento di quiete in tutta una giornata basata su continui contrasti come accadeva a Edwinstowe, rese più tranquilli entrambi i fratelli ed in particolar modo Dwight sebbene egli, a differenza di Aric, si mostrò subito poco favorevole alla relazione amorosa di sua sorella con Gisborne. Mentre Aric aveva preferito non immischiarsi negli affari di cuore della sorella, anche se il primogenito gli aveva visto una strana luce nello sguardo quando Kaelee aveva rivolto un sorriso estasiato all'uomo, Dwight non riusciva a non pensare a sua sorella e Gisborne insieme, alle conseguenze che quel rapporto avrebbe certamente avuto. Fu il dubbio che quest'ultimo potesse un giorno renderla infelice a spingerlo verso un confronto diretto con l'uomo così, mentre Kaelee ed Aric si prendevano momenti tutti loro, esattamente come tante volte avevano fatto a Edwinstowe, Dwight, rincorrendo il tempo che aveva ormai per buona parte perduto, cercò di calarsi nel ruolo di fratello maggiore e decise di parlare in prima battuta con Robin Hood, ritenendolo un uomo giusto seppur coinvolto nei fatti più di quanto si potesse credere – del resto, come Dwight aveva scoperto durante la permanenza, Guy era suo fratello, anche se acquisito, e sarebbe stato quindi del tutto lecito da parte sua parlarne positivamente – e poi, proprio su consiglio dell'arciere, bussò alla porta di Gisborne.

Casa di Guy, Locksley.
La ferita era così superficiale che Gisborne non faticò a rimettersi in piedi già il giorno successivo, potendo così letteralmente cacciare di casa Kaelee che, preoccupata per lui, avrebbe persino rinunciato ad approfittare della presenza dei suoi fratelli, ne era certo. E poi, come quando era rimasto ferito nell'ultimo scontro con Vaisey, c'erano Robin e Archer a fargli da mammine premurose visitando la sua abitazione più volte al giorno, separatamente o insieme, e portandogli perfino da mangiare. Gisborne trovava la cosa molto divertente dal momento che tra lui e Robin negli anni precedenti era stata guerra aperta e rimaneva comunque della convinzione che a cucinare per lui fosse Much e non Archer, come entrambi sostenevano con convinzione.
«Saprai pure preparare il fuoco greco, ma non saresti in grado di tagliare una mela a metà nemmeno con la migliore tra tutte le lame», gli aveva detto la sera precedente, quando Archer gli aveva addirittura portato un'ottima minestra che era appena stata tolta dal fuoco.

Erano da poco passate le dieci del mattino quando qualcuno bussò alla sua porta.
«Spero di non disturbare», disse Dwight con un tono gentile accompagnato però da un'aria seria, forse tesa.
«Sei il benvenuto», rispose Guy invitandolo ad accomodarsi. Sebbene lo conoscesse da poco, non aveva faticato a riconoscerlo, soprattutto perché in lui aveva rivisto l'espressione di Kaelee quando era concentrata durante le loro esercitazioni, senza contare che il colore degli occhi di Dwight era molto simile a quello di Kaelee, benché leggermente più scuro. Non aveva alcun buon motivo per non accoglierlo e non intendeva negargli un confronto, se l'uomo era arrivato fin lì per quello, come Gisborne credeva. Del resto riteneva giusto che un fratello maggiore si preoccupasse del destino di sua sorella e, potendo tornare indietro e modificare il proprio passato, anche lui si sarebbe comportato alla stessa maniera con Isabella, evitando si venderla al primo nobile che offrisse un'ottima somma di denaro. Lui non avrebbe offerto nessuna somma di denaro quel giorno a Dwight, non avrebbe comprato Kaelee qualora suo fratello lo avesse cercato per vendergliela, perché nessun oggetto materiale per quanto prezioso e bello valeva l'amore che la donna provava nei suoi confronti.

Dwight si sentiva un po' sciocco a preoccuparsi di Kaelee solo ora che lei aveva raggiunto i vent'anni e la maturità necessaria per decidere di farsi una vita tutta sua, ma soprattutto si sentiva stupido per non averla mai protetta prima, per non averle dato mai un consiglio, per aver lasciato che sua madre facesse programmi per lei. Per tanti anni aveva permesso che Kaelee se la cavasse da sola, senza il suo intervento, ma ora, anche se in netto ritardo, aveva deciso che era suo dovere assicurarsi che quell'uomo fosse per sua sorella migliore di quello che altri avevano già scelto per lei. E questo era il nocciolo della questione, da questo derivava il suo bisogno di parlare con Guy. Dwight, infatti, aveva un'idea piuttosto chiara di chi fosse Sir Guy di Gisborne, – e in base a quest'idea lo giudicava inadatto a Kaelee – ma non conosceva per nulla l'uomo che aveva davanti in quel momento, lo stesso che aveva protetto sua sorella da Rudyard parandosi letteralmente davanti a lei. Che fosse un ottimo duellante, Dwight non lo metteva in dubbio, ma a colpirlo maggiormente non era stata la destrezza con cui Gisborne aveva allontanato Kaelee mettendola in salvo da un possibile affondo di Rudyard, quanto più il fatto che l'uomo fosse stato disposto a farsi ferire, forse perfino uccidere, al posto di lei. Il Sir Guy di Gisborne delle eroiche storie su Robin Hood e i fuorilegge non si sarebbe mai reso protagonista di un così nobile gesto, Dwight ne era più che sicuro.
Gli venne offerta della frutta e un buon vino, che non osò rifiutare per non offendere la gentilezza del suo ospite, e nel giro di pochi minuti i due uomini stavano parlando con una surreale tranquillità del viaggio che lui ed Aric avevano affrontato per raggiungere Locksley e del loro soggiorno nel villaggio. L'uomo si sentì subito a proprio agio e comprese che chiunque fosse stato Gisborne, non era più la stessa persona a meno che stesse fingendo.
Lo osservò a lungo prima di arrivare al dunque, prendendo tempo con chiacchiere più leggere e vaghe. Aveva maniere gentili, era indubbiamente un uomo ben educato e senza dubbio più colto di lui; l'abbigliamento, semplice e funzionale, nettamente in contrasto con il ruolo che aveva ricoperto fino all'anno precedente, era indice di una vita fatta di piccole cose e vissuta tra la gente comune e non in mezzo ai potenti o ai nobili; si portava dietro ancora un che di tenebroso, ma il suo sguardo era quasi completamente limpido e l'impressione che gli fece fu inaspettatamente positiva.
Dwight era evidentemente partito prevenuto nei suoi riguardi e si rese conto di aver dato ascolto soltanto ad una parte di ciò che si diceva su Sir Guy di Gisborne e di non conoscere per nulla gli eventi che ne avevano caratterizzato l'esistenza. Era stato un errore sciocco e dettato soprattutto dall'esperienza maturata frequentando Rudyard: a lui non era mai successo niente di particolarmente spiacevole, eppure aveva ugualmente iniziato a nutrirsi di cattiveria pur di compiacere la madre e sentirsi degno di rappresentare la famiglia. Secondo il pensiero di Dwight, Rudyard aveva una predisposizione a comportamenti violenti, ma se questa aveva preso il sopravvento sull'uomo era in parte colpa della genitrice, che aveva sempre tentato di istigare i fratelli e metterli l'uno contro l'altro per una ragione che Dwight non aveva ancora compreso.
In quanto a Gisborne non ne conosceva i trascorsi più remoti, né sapeva cosa gli fosse successo nel frattempo, quale evento gli avesse stravolto l'esistenza, se fosse in parte merito di sua sorella, cosa lo avesse spinto a cambiare in modo così radicale, ma gli era palese che quello sguardo tanto sincero non poteva appartenere al mostro protagonista di molteplici episodi di scellerata violenza. Il dubbio che stesse mentendo si dissolse completamente: il temuto Sir Guy di Gisborne non ci avrebbe pensato due volte ad uccidere Rudyard sotto gli occhi di Kaelee, se facendolo ne avesse tratto giovamento.
«Sir Guy, voglio ringraziarvi per aver difeso mia sorella», disse facendosi coraggio.
«Ti prego, Guy va più che bene», lo interruppe lui, invitandolo a non essere così formale.
Dwight annuì e abbassò per qualche attimo lo sguardo in segno di rispetto: anche se Gisborne gli aveva lasciato intendere di preferire una conversazione alla pari, restava di fatto comunque un nobile.
«Guy allora», accordò. «Mi auguro che la ferita non sia causa di spiacevoli conseguenze», aggiunse, scusandosi poi al posto di Rudyard.
Gisborne lo ringraziò e gli disse che si trattava di un taglio di poco conto che non gli avrebbe dato alcun problema in futuro e che, anzi, il dolore era quasi del tutto sparito grazie anche alle cure di Kaelee.
«Tengo molto a lei», disse ancora introducendo, forse volontariamente oppure forse per pura coincidenza, l'argomento di cui Dwight voleva discutere con lui.
L'uomo si prese ancora un minuto per riflettere, poi decise di raccontare a Gisborne la storia della ragazza immaginando che lei non dovesse essere mai scesa nei particolari: del resto neanche a lui faceva piacere parlare della famiglia di cui, suo malgrado, era parte.
Gli parlò di un'infanzia trascorsa prevalentemente in compagnia di Aric, il quale l'aveva tenuta per mano in tutte le fasi della sua crescita nonostante l'insignificante differenza d'età; raccontò di come la madre avesse lasciato che badasse a se stessa, in quanto troppo impegnata a gestire gli affari della casa e dei campi per occuparsi di una bambina vivace, tanto più perché non aveva mai tenuto nascosto che avrebbe preferito un altro maschio anziché una femmina alla quale dover trovare marito un giorno; di quanto Kaelee, anche da bambina, avesse subito manifestato uno spirito curioso e libero che tante volte l'aveva cacciata nei pasticci nonostante la supervisione di Aric, il quale alla fine si lasciava coinvolgere nelle piccole grandi avventure di sua sorella; delle volte in cui aveva avuto l'ardire di prendersi la libertà di andare in giro per il villaggio, senza chiedere permesso a sua madre la quale certamente gliel'avrebbe negato, solo perché aveva voglia di vedere un'altra bambina sua amica o di rincorrere una farfalla o anche semplicemente di stare all'aria aperta. Proseguì soffermandosi ancora sul carattere duro della madre e su quanto pretendesse da Kaelee che, a parte lei, era l'unica donna di casa. Era appena un'adolescente ed era già costretta a lavare i panni di tutta la famiglia, lucidare i pavimenti e tenere in sesto le stanze, ma la ragazza non si era mai lasciata sconfortare dalla situazione e aveva trovato sempre una ragione per sorridere insieme ad Aric, suscitando invidia negli altri fratelli. Con l'età erano sopraggiunti nuovi interessi, grazie anche alle storie che Aric le leggeva, contravvenendo alle regole dettate dalla madre secondo la quale leggere non era affatto un'attività per fanciulle. Quando Kaelee aveva detto di apprezzare molto il suono degli strumenti musicali che aveva ascoltato una volta al villaggio, durante una festa, la madre l'aveva chiusa in casa per una settimana intera dicendole che la musica non era affare da donne, così come leggere, scrivere e tutte le altre discipline che suscitavano l'interesse di Kaelee aggiungendo che, se avesse continuato su quella via, sarebbe presto stata additata come strega e messa al rogo pubblicamente, derisa da tutti gli abitanti di Edwinstowe che si sarebbero poi anche allontanati dalla famiglia, che sarebbe piombata nel disonore; quella era stata una delle poche volte in cui Dwight era intervenuto invitando sua sorella a uscire dalla stanza se lo desiderava, senza dover temere nulla. Ancora, la ragazza aveva pregato fino alle lacrime affinché le fosse permesso di poter andare a cavallo visto che i suoi fratelli lo facevano e non ottenendo di poterlo fare, aveva deciso di imparare da sola, di nascosto e con la complicità di Aric, come sempre. Era difficile contenerla. Una volta rischiò di restare schiacciata dall'animale in seguito ad una caduta, ma nemmeno allora la madre consentì a uno dei fratelli di istruirla e, anzi, una volta che Kaelee si fu ripresa sua madre la picchiò selvaggiamente com'era abituata a fare con i figli maschi quando le disobbedivano. Lei, però, ancora una volta non si lasciò scoraggiare, ignorò le minacce di sua madre, si nascose agli occhi di lei e infine imparò: appena poteva si allontanava da quella casa per lunghe corse o passeggiate in sella al destriero che era destinato ad Aric e che lui le cedeva volentieri, coprendola e rendendosi suo complice come aveva fatto quando era partita. Dwight ammise anche, a  Gisborne, che, sebbene raramente fosse intervenuto, aveva sempre tenuto d'occhio Kaelee da lontano, fatta eccezione per gli ultimi dodici mesi circa che aveva dedicato quasi esclusivamente a se stesso. Alla fine, raccontò, il padre le aveva regalato un cavallo tutto per lei mettendosi per la prima volta contro la moglie; era lo stesso animale che l'aveva poi portata fino a Locksley. Gli disse che Kaelee avrebbe voluto fare un sacco di cose e che non aveva potuto farne nessuna finché era rimasta a Edwinstowe. Poi, con un filo di amara tristezza, confidò a Gisborne di non aver mai nemmeno sospettato che Aric conoscesse la verità sulla fuga della ragazza e ammise di non avere idea di ciò che lei facesse lì a Locksley e se avesse oppure no realizzato almeno uno dei sogni che la rendevano tanto determinata.
Gisborne lo ascoltò in silenzio intervenendo raramente, lasciando che fosse lui a parlare, e mostrandosi molto interessato a ciò che Dwight gli stava raccontando.
«Qui cavalca spesso», gli disse. «Abita con Kate, la donna bionda che era presente in piazza quando tu e Aric siete arrivati, e Allan le sta insegnando a leggere. Svolge diversi lavori insieme agli artigiani del villaggio e, come avrai avuto modo di notare da solo, sa maneggiare un'arma», lo informò con calma, gentilezza ed un sorriso sulle labbra, come se lui per primo fosse felice che Kaelee avesse una vita tanto piena lì a Locksley.
A Dwight venne spontaneo chiedere da chi avesse imparato a usare una spada e quando Gisborne gli rispose che era stato lui a insegnarglielo, ne fu felice.
«È un bene che sappia difendersi», constatò.
«Lo è. Aveva iniziato con arco e frecce, prendendo lezione da Robin e Archer, ma non va molto d'accordo con quest'arte», disse Guy usando un tono leggero, quasi divertito.
«In questo è identica a nostro fratello Aric. Non c'è pericolo che impari a scoccare una freccia, ma forse nessuno di noi ha avuto la pazienza necessaria a insegnarglielo. Almeno Kaelee ha un ottimo maestro».
Gisborne lo ringraziò assicurando che avrebbe fatto del proprio meglio per rendere indipendente Kaelee sotto quel punto di vista, così un'altra domanda sorse spontanea nella mente di Dwight.
«Prima hai detto che alloggia nell'abitazione di Kate. Perciò non vive qui con te? Assistendo a quanto è accaduto nella Piazza del Mercato, mi ero convinto che condivideste molto più che un po' di tempo insieme», disse guardandolo attentamente negli occhi. Anche se si fidava sia di Gisborne che di Kaelee, Dwight non escludeva che entrambi potessero mentirgli su quel particolare onde evitare che si dichiarasse contrario alla relazione.
«Viene spesso a farmi visita», rispose Guy, mostrandosi tranquillo. «Dedica molto tempo alle esercitazioni con me e alla prima occasione ci troviamo al pozzo o al forno di Rebecca, davanti alla Chiesa o nei pressi nel Maniero per una passeggiata o anche soltanto per parlare. Ma non è questo che ti preme sapere adesso, dico bene?», chiese e Dwight annuì.
«Ti do la mia parola: non ne ho mai violato la purezza», mormorò senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Non fu per niente difficile credergli dal momento che i suoi occhi chiari tradivano tutta l'intensità di quella confessione, così Dwight annuì di nuovo e lo ringraziò per la sincerità e per il rispetto con cui trattava sua sorella. Vi fu una breve pausa prima che riprendesse a parlare della vita di Kaelee a Edwinstowe.
L'adolescenza della ragazza non era stata per nulla semplice. In continuo contrasto con sua madre e senza l'appoggio dei fratelli, escluso Aric, rideva molto meno, era meno spensierata e trascorreva molto tempo da sola a pensare, forse a immaginare una via di fuga visto com'erano poi andate le cose. Ma la determinazione non l'abbandonò mai, nemmeno quando ricevette la notizia che era stato combinato un matrimonio per lei. Disse di essere certo che Kaelee non si fosse mai innamorata finché era rimasta a Edwinstowe e se lo sapeva non era perché si fosse davvero interessato alla vita sentimentale di lei, ma perché sua madre non le permetteva di frequentare nessuno. Perciò, sostanzialmente, l'amore era rimasto per lei solo un'idea. Svolgeva le faccende, lavorava la terra e ascoltava le storie che i fratelli le raccontavano.
«In particolare apprezzava quelle che parlano di Robin Hood», disse e aggiunse che nessuno di loro si era mai veramente accorto di quanto quella figura fosse diventata per lei un esempio da seguire e un sogno da inseguire, il simbolo di una libertà da conquistare. Dwight aveva infine capito che erano davvero quelli i motivi che avevano spinto sua sorella ad andarsene e mentre raccontava, finì per confidare a Gisborne molti dei suoi problemi personali con Kaelee. Ribadì quanto fosse sempre stato assente con lei, come non si fosse opposto alle imposizioni di sua madre, quanto fosse stato egoista e inutile come fratello.
«La più coraggiosa tra noi è proprio Kaelee», ammise infine prendendosi un'ulteriore pausa che inumidì con un sorso di vino.
«Kaelee non aveva la minima idea di chi io fossi quando ci siamo conosciuti», rifletté Gisborne dopo un po' e non ci fu bisogno che continuasse: Dwight capì dove voleva arrivare l'uomo e gli disse che quando lei era in ascolto i fratelli parlavano esclusivamente degli atti eroici di Robin e dei suoi uomini, di tutte le volte che rubava un carico di denaro destinato allo Sceriffo o di come distribuiva pane e ceste di frutta e ortaggi ai poveri dei villaggi che, oppressi dalle tasse, non riuscivano a mettere da parte nulla e finivano per non avere nulla da mangiare pur lavorando tantissimo. Questo perché in primo luogo Kaelee era una ragazza e poi perché credevano fosse particolarmente sensibile e temevano di impressionarla mostrandole anche il lato violento di quelle imprese. Infine anche perché volevano insegnarle che quei racconti erano soltanto storie e che la vita vera era quella che tutti i giorni vivevano in assenza di Robin Hood. Avevano quindi preferito fare di Robin l'eroe per antonomasia, il protagonista indiscusso che, sebbene avesse numerosi nemici non ce ne fosse nemmeno uno degno di nota, il personaggio di una storia appunto. E invece Kaelee aveva preso la cosa sul serio ed era infine andata a cercare il suo eroe.
«Il tuo nome non è mai comparso nei racconti destinati a lei e, come già sai, Kaelee non frequentava nessuno esclusa la famiglia e non ha mai avuto quindi modo di conoscere altro», concluse Dwight. La domanda che seguì fu la più logica, a quel punto. «Sa chi sei?».
L'uomo si rese conto di aver posto una questione particolarmente ostica, eppure era necessario chiarire anche quel punto. Perciò toccava a Gisborne ora raccontare e Dwight si accorse subito che sarebbe stato un racconto tutt'altro che semplice e veloce.

Continuarono a parlare per ore: Dwight cercando di capire che intenzioni avesse Gisborne con Kaelee, Guy tentando di guadagnarsi la fiducia dell'uomo che sarebbe potuto diventare suo cognato. Alla fine della conversazione entrambi raggiunsero il proprio obiettivo e uscirono insieme, in pace, per raggiungere Kaelee.

Maniero di Robin, Locksley.
Kaelee si stava dirigendo con Aric verso l'abitazione di Robin e Archer dopo una lunga camminata nella foresta, servita alla ragazza per raccontare a suo fratello di tutte le attività che svolgeva al villaggio, tenendo a precisare soprattutto di aver imparato a leggere grazie alla pazienza di un amico. Ci stava ancora lavorando su, in verità, come ammise arrossendo lievemente, ma era così felice che si sarebbe messa a leggere qualsiasi cosa pur di dimostrare ad Aric di esserne capace e anche se aveva scorto una nota cupa nello sguardo di suo fratello quando gli aveva fatto quella confidenza, il consueto entusiasmo aveva preso il sopravvento su ogni cosa e alla fine Aric aveva sorriso, dicendosi felice che fosse riuscita a realizzare molti di quelli che a Edwinstowe erano soltanto desideri con poca probabilità di concretizzarsi.
«Non sono davvero brava quasi in niente però», si era sentita di puntualizzare mentre si avvicinavano al Maniero.
«Ci credo poco», sbuffò lui, alzando gli occhi al cielo.
«Ma è la verità!», esclamò strattonandolo giocosamente. «Robin e Archer si sarebbero presto strappati i capelli se Guy non avesse scoperto che sono più portata a maneggiare una spada che a tendere un arco!», aggiunse.
«Mh... E chi sarebbe questo amico che ti ha insegnato a leggere?», chiese Aric evitando commenti su quanto lei aveva appena detto e con una punta di un sentimento, nella voce, che Kaelee non riuscì a individuare, considerato che il ragazzo si ostinava a non guardarla mai negli occhi, dandole di fatto la sensazione che qualcosa in lui non andasse, che fosse in qualche modo turbato e che non volesse però parlargliene. "Forse la sua mente è concentrata su Rudyard e forse dovrei pensarci anche io", si disse prima di rispondergli.
«Allan», mormorò. «Ho detto qualcosa di sbagliato?», chiese poi, attirando l'attenzione di suo fratello, che finalmente la guardò.
«Allan? Allan A Dale? L'uomo che ti ha offerto la sua protezione?», disse in una raffica di domande che fece aggrottare le sopracciglia a Kaelee.
«Non sarai mica geloso? Sono tutti miei amici qui, è naturale per me trascorrere con loro il mio tempo», rispose gentile, rivolgendo ad Aric un sorriso e prendendolo a braccetto come non faceva da tanto.
«Amici», brontolò lui in un modo così buffo da farla ridere. «Gisborne non è tuo amico», borbottò.
«Hai ragione, lui è qualcosa di più per me. Ma tu hai sempre un posto nel mio cuore», sussurrò Kaelee volendolo rassicurare e ritenendo necessario esprimere l'affetto che provava nei suoi confronti, dal momento che a breve sarebbe rientrato a Edwinstowe nonostante lei gli avesse chiesto di restare a Locksley.
Chiacchierando raggiunsero il Maniero e, trovandovi sia Archer che Robin, Kaelee decise di trattenersi in compagnia di suo fratello e dei due uomini, certa che con loro non c'era davvero pericolo di annoiarsi. Inoltre proprio non riusciva a separarsi da Aric che per tanti anni le era stato vicino e l'aveva supportata nonostante fosse caratterialmente diverso da lei.
Aric, infatti, era un ragazzo piuttosto introverso e timido, soprattutto perché in casa nessuno l'aveva mai preso davvero in considerazione e tutti avevano ritenuto che fosse più un peso che altro, per tutta la famiglia, a causa delle sue strane inclinazioni. Gli ultimi eventi, però, come Kaelee aveva notato, avevano iniziato a mutarlo e questo gli consentì di fare amicizia molto in fretta con i due fratelli che abitavano a Locksley.
Lo vide restarci di stucco quando Robin gli raccontò come stavano le cose tra lui, Archer e Guy, consapevole che – come era stato per lei – anche per Aric doveva essere una grande emozione poter parlare con Robin Hood in persona dopo aver appreso così tante storie sul suo conto: essere addirittura suo ospite e ascoltare i racconti direttamente da lui era un'esperienza incredibile, Kaelee lo sapeva bene. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui per la prima volta aveva incontrato gli occhi vispi del fuorilegge e ascoltato la sua voce allegra, come non avrebbe mai scordato la moltitudine di domande che immediatamente avrebbe voluto rivolgergli, così immaginò che per Aric fosse lo stesso con l'aggiunta di uno spiccato interesse nei confronti di Archer, il quale conosceva i segreti dell'alchimia. Kaelee non aveva capito di cosa si trattasse esattamente nemmeno quando il fratello di Robin le aveva detto che l'alchimia era qualcosa di incredibilmente affascinante che stava tra la magia e la scienza, ma era certa che per uno come Aric, che da sempre si era interessato ai fenomeni della Natura e al modo in cui essa muta ogni cosa nel tempo e spesso ciclicamente, perfino le montagne, osservare le "magie" che Archer era in grado di compiere, facesse di lui un uomo meno solo e più felice.
Era contenta di vedere suo fratello tanto sereno nonostante i problemi e le angosce che coinvolgevano tutti, perché Rudyard era ancora in circolazione e nessuno di loro sapeva per certo se fosse rientrato a Edwinstowe o si fosse fermato nelle vicinanze di Locksley in attesa di colpire di nuovo.

«Non è andata proprio così», replicò Archer interrompendo Robin che stava raccontando, soprattutto ad Aric, di quando lui e Gisborne lo avevano salvato, a York.
«Sì invece!», si voltò lui abbassando le sopracciglia come se fosse infastidito, ma mantenendo quel sorriso che lo contraddistingueva e lo faceva sembrare un eterno ragazzino.
«Evidentemente hai la memoria corta. Aric, lascia che ti racconti io come stanno le cose», ribatté Archer mettendogli un braccio attorno alle spalle, nel chiaro tentativo di tirarlo dalla propria parte.
Kaelee alzò gli occhi al cielo e scosse il capo. Li aveva visti un mucchio di volte metter su spettacoli come quello: si punzecchiavano in continuazione e poi finivano sul pavimento a far finta di picchiarsi. Se poi c'era anche Guy, la faccenda diventava ancora più comica. Erano tutti abbastanza adulti da potersi permettere di tornare a fare i bambini ed era un po' come se volessero riconquistare la parte di tempo che gli era stata tolta quando erano piccoli, riflessione, questa, che aveva incoraggiato molto la ragazza nella sua volontà di recuperare con suo fratello Dwight.
«Non ricordo cos'hai detto della mia memoria, ma so che era qualcosa di poco gentile. Quindi scusati», scherzò Robin.

Aric li osservava senza riuscire a capire bene fino a che punto i due fingessero. Di tutti i racconti che aveva sentito in giro, non ne ricordava uno che parlasse di momenti come quello e capì che ciò che si diceva in giro era soltanto una parte infinitesimale di quello che realmente era la vita di Robin Hood.
"Tutti parlano di Robin Hood e di quanto sia buono, o fastidioso se il punto di vista è quello dei ricchi, ma nessuno si preoccupa mai della sua vita privata, delle sofferenze che lo tormentano, dei drammi che certamente ha vissuto, dei sentimenti che prova, ed è proprio questo il punto. Hanno fatto di lui un eroe da ballate e canti, ma lo hanno privato completamente di quello che forse è il suo lato più bello e sconvolgente: il lato più umano", pensò mentre lo osservava divertirsi come un uomo qualunque in compagnia di un ragazzino tutto muscoli e perfino più alto dell'arciere, che aveva scoperto essere suo fratello. Anche se Aric sapeva che Archer era fratello di Robin soltanto per metà, nulla di ciò che vedeva lo aveva indotto a pensare che Robin lo considerasse un fratellastro di poco conto, perché la loro complicità era degna di un legame molto più profondo che lo meravigliò moltissimo: lui non aveva mai avuto un simile rapporto con nessuno dei suoi fratelli, nemmeno con Kaelee in effetti.
«Vedi? Sei vecchio ormai», rispose Archer confermando la sua tesi con un'eloquente alzata di spalle.
Più Aric li osservava, più sentiva di non aver mai fatto abbastanza per conquistarsi la fiducia e l'attenzione dei suoi fratelli, quelli migliori come Dwight e Kaelee ad esempio. Certo non negava che sua sorella non lo avesse mai scoraggiato, ma in cuor suo sapeva che lei non aveva mai condiviso davvero i suoi interessi, perciò non aveva mai potuto creare con lei la complicità che vedeva così spontanea tra Robin e Archer.
Più li osservava, più desiderava poter avere anche lui un rapporto così libero, spensierato, con Dwight.
"Non si conoscono quasi per nulla avendo appreso di essere fratelli soltanto in età adulta, nessuno di loro ha avuto vita semplice ed entrambi probabilmente non hanno un reale motivo per volersi bene, non avendo un passato comune, eppure tra loro c'è un sincero rapporto fraterno. Nonostante Archer sia parente di Robin solo per parte paterna e nonostante il padre si sia negato ad entrambi facendosi credere morto e tornando dall'arciere soltanto per poter morire in pace, i fratelli hanno un'affinità che va oltre agli eventi del passato e che ha fatto di loro una famiglia. Non hanno più i genitori, ma nessuno di loro è più solo su questa terra. Nemmeno il temibile Gisborne, fratello di Archer per parte materna", pensò ancora Aric convincendosi che era necessario parlare con suo fratello maggiore e prendere, insieme, una posizione forte per cambiare le cose a Edwinstowe. Aric, contagiato dal clima di unione e serenità che regnava a Locksley, si sentì pervaso da una forza che non aveva mai creduto di possedere e seppe, per la prima volta in tutta la sua vita, di poter davvero cambiare le proprie sorti. Gli sarebbe bastato soltanto avere il coraggio di decidere, proprio come aveva fatto Kaelee mesi prima, e in quel momento fu certo di essere pronto per quel passo.
Mentre Aric era immerso in quei pensieri, qualcuno aprì l'uscio ed entrò come se fosse casa propria e in effetti un po' lo era – pensò il giovane quando vide di chi si trattava.
Gisborne, infatti, si era appropriato del Maniero di Robin quando quest'ultimo era diventato un fuorilegge e per molto tempo vi aveva vissuto solo per indispettirlo e umiliarlo. Evidentemente, però, anche se nelle storie Aric non aveva mai sentito parlare nel dettaglio di quanto e perché l'ex braccio destro dello Sceriffo di Nottingham fosse cambiato, Gisborne aveva restituito ogni cosa al legittimo proprietario, nonostante il grado di parentela acquisita tra lui e Robin, ed era andato ad abitare in una costruzione che lui stesso aveva tirato su insieme ai nuovi amici laddove un tempo sorgeva – così aveva appreso Aric – la casa in cui aveva abitato con sua madre, andata poi a fuoco.
Tutta quella situazione sembrara surreale agli occhi e al cuore di Aric, sempre più immerso in intime riflessioni in merito alla propria famiglia.
«Possibile che alla vostra età ancora non abbiate imparato le buone maniere?», esordì Gisborne.
«Abbiamo degli ospiti, nel caso in cui non ve ne foste accorti», concluse allargando le braccia come se fosse esasperato.
Quell'alta e massiccia figura intimorì Aric che, istintivamente, si ritrasse verso l'angolo più lontano dall'uomo sebbene insieme a lui fosse entrato anche suo fratello Dwight. Il giovane ipotizzò che i due avessero parlato tra loro di Rudyard e di come affrontarlo per tenerlo lontano da Kaelee, ma un sesto senso gli suggeriva che avessero parlato anche di qualcos'altro che doveva aver disteso l'animo di suo fratello, giacché non lo vedeva così tranquillo da diversi mesi.


Kaelee, intanto, che assisteva alla scena già divertita, vide suo fratello Dwight raggiungerla e sorriderle come poche volte era successo in passato.
«Ora sì che siamo a posto!», esclamò ironica rivolgendosi a Gisborne e facendolo ridere.
Poi si concentrò su Dwight e vide in suo fratello qualcosa che non ricordava di aver mai visto in lui e che non era sicura di saper identificare. Sembrava più leggero sebbene fisicamente fosse esattamente come lo ricordava. Doveva essere piuttosto qualcosa che riguardava la sua vita interiore, come se si fosse appena liberato di un grosso macigno. L'aveva visto chiudersi in se stesso dopo la morte improvvisa della donna che amava, aveva assistito al suo dolore senza riuscire a fare nulla per alleviarlo perché, si rese conto, non conosceva affatto suo fratello e non sapeva minimamente quale fosse il giusto approccio da usare con lui.
Il fatto che fosse arrivato insieme a Guy rese ulteriormente pensierosa la ragazza che aveva trascorso tutta la mattina insieme ad Aric, senza chiedersi dove fosse il maggiore dei suoi fratelli. Era quasi certa, a quel punto, che lui e Gisborne avessero parlato e ciò che la preoccupava era l'argomento di discussione: Dwight aveva cercato di convincere Guy a lasciarla tornare a Edwinstowe? Gli aveva detto che non poteva stare con lei? Che il reale motivo per cui lui e Aric erano giunti a Locksley non era quello che le avevano riferito?
Provò a non andare in paranoia e ad analizzare ogni cosa con calma, soprattutto osservando l'atteggiamento del maggiore dei suoi fratelli. Tanto per cominciare, se Dwight avesse cercato di convincere Guy a lasciarla, si disse Kaelee, quest'ultimo di certo non sarebbe stato tanto allegro come invece appariva; in secondo luogo i due non sarebbero andati insieme a casa di Robin, perciò forse era meno tragica di quanto credesse.
Le bastò incontrare lo sguardo di Gisborne per sapere che tutto andava bene. Quegli occhi tanto limpidi e belli che le facevano battere il cuore tutte le volte, non esprimevano altro che gioia. Da quando era apparso in quella stanza, Guy aveva riempito il campo visivo della ragazza e per quanto lei cercasse di domare l'istinto di tenergli gli occhi incollati sulla schiena, sul volto, sul petto, sulle mani, sulla nuca, sulle gambe, non le riusciva nemmeno lontanamente. Si sentiva infantile per questo e per nulla donna, ma aveva scelto di essere felice e se la felicità dipendeva da un atteggiamento infantile, allora sarebbe stata per sempre una bambina. Poco le importava.
Intanto i tre fratelli continuarono a punzecchiarsi per diversi minuti finché il più grande, Guy, – che si era ritrovato di nuovo ad essere il fratello maggiore dopo la morte di Isabella – decise che era il momento di smetterla. Prese Robin e Archer per un orecchio e fece loro una strigliata con i fiocchi, con il solo scopo di divertire il pubblico. Ciò che rendeva poco credibile e molto assurda quella situazione, infatti, era che tutti ridevano di gusto. In momenti come quello, i sedici anni che si interponevano tra Kaelee e Guy sembravano non esistere più.
Infine, tra l'allegria che aveva contagiato i presenti, Gisborne le rivolse un sorriso colmo d'amore e così intenso che, come sempre, lei arrossì e abbassò lo sguardo, a maggior ragione perché due dei suoi fratelli erano lì a guardarla. Non aveva esplicitamente rivelato ai fratelli che amava Gisborne, ma entrambi sicuramente avevano potuto intuirlo tanto da ciò che aveva riferito ad Aric il giovane messaggero suo amico, quanto da come si era comportato Guy dinanzi a Rudyard. Eppure non si vergognava dei propri sentimenti, sebbene la presenza dei fratelli la imbarazzasse leggermente: senza di loro, probabilmente, sarebbe corsa ad abbracciare Gisborne anche davanti a Robin e Archer, i quali ormai ci avevano fatto l'abitudine avendo vissuto ogni cosa insieme a lei e Guy. Non credeva invece che fosse opportuno farlo in quel frangente, temendo di poter sconvolgere, spiazzare o inorridire i suoi fratelli.
Intanto anche Aric le si era avvicinato di nuovo e la osservava con una strana espressione sul viso.
«Loro sanno di te e Gisborne?», domandò in un sussurro, riferendosi chiaramente a Robin e Archer, risvegliandola dai propri pensieri.
Kaelee annuì timidamente e, mentre Robin organizzava qualcosa che prevedeva l'intervento di Much, prese coraggio, seguì il proprio istinto e si avvicinò a Guy che subito intrecciò le dita a quelle di lei continuando ancora a punzecchiarsi con i fratelli. La sensazione che Kaelee provò fu di immediata completezza, come se le mancasse un pezzo ogni volta che non era con lui, perciò aumentò la stretta sulla mano di Guy, il quale le rivolse uno sguardo dolce e rassicurante che non sfuggì a Dwight.

L'uomo si lasciò per un attimo invadere dalla malinconia mentre veniva travolto dal sentimento che avvolgeva sua sorella e Gisborne, – il legame di cui quest'ultimo gli aveva parlato con tale sincerità e trasporto da emozionarlo e convincerlo che Kaelee era più al sicuro tra le braccia di Gisborne che costretta in un abito elegante al fianco di un prepotente – si lasciò travolgere dai ricordi della sua amata dai lunghi capelli sottili, del colore del pane ai cereali, che lei preferiva intrecciare lungo le tempie ed unire dietro in un'unica treccia che usava fissare con un filo d'erba cui lui, di tanto in tanto, aggiungeva un fiore; si lasciò accarezzare di nuovo dalla fresca brezza della felicità che gli sfiorava il volto e le braccia nude quando era insieme a lei e poteva sorriderle senza un perché. Guardare Guy e Kaelee era un po' come rivedere se stesso, ma inaspettatamente questo non lo ferì. Gli ridiede, anzi, una valida motivazione per continuare a vivere: la giovane ragazza era riuscita a prendere le redini del proprio destino nonostante avesse avuto tutto contro ed ora era felice, così a Dwight fu chiaro che la speranza non conosceva confini se si era disposti a farla entrare nella propria esistenza e lui, in quel momento, si sentì pronto.
Intanto Robin e Archer, senza dar modo a nessuno di replicare e creando, forse appositamente, una gran confusione, abbandonarono la stanza con la scusa di dover parlare con Much – che Dwight sapeva essere il più fedele dei membri della banda, ma che non aveva riconosciuto nella piazza il giorno del suo arrivo a Locksley – di qualcosa che contemplava la sua presenza e raccomandarono agli ospiti rimasti di comportarsi come fossero a casa propria. Dwight comprese che Robin e Archer avevano voluto dar modo ai quattro di dirsi quanto era necessario, perciò si disse che toccava quindi a lui iniziare, si fece coraggio e mise a conoscenza Kaelee dell'affetto che nutriva per lei, anche se troppo spesso non glielo aveva dimostrato, sbagliando tutte le volte. Le rivelò anche i motivi per cui aveva deciso di parlare con Gisborne prima di far ritorno a Edwinstowe.
«Dovevo sapere che qui sei felice», mormorò dando loro infine il proprio appoggio in merito all'amore che li legava.
Ci fu un lungo abbraccio e per diversi minuti nessuno più parlò.

Alla fine si scoprì che Robin aveva deciso di organizzare, insieme ai suoi uomini, una cena in onore degli ospiti, ragion per cui aveva chiesto l'intervento di Much.
«Una cena senza un cuoco è come un lago senza acqua», constatò quest'ultimo, soddisfatto dell'opportunità che Robin gli aveva dato. «Kate, ho bisogno che tu convinca la signora Jodie a prestarti un paio delle sue belle tovaglie. Tuck, mi porteresti una cesta di ortaggi? Le carote, preferibilmente, prendile dell'orto di Joderic, perché sono le più tenere. John tu mi aiuterai a tagliare, sminuzzare, riempire e cuocere, mentre tu, Kaelee ti occuperai delle stoviglie che hanno bisogno di una bella sciacquata. Bene!», esclamò con maggior soddisfazione di prima. «E ora, tutti fuori dalla mia cucina! Via, via! Andate ad intrattenere gli ospiti, a riscaldare la sala, a renderla più accogliente... Fate ciò che volete, ma uscite di qui», concluse mettendosi le mani sui fianchi e sorridendo felice.
Diverse ore più tardi tutta la banda di Robin Hood e i due fratelli di Kaelee si trovarono al Maniero a mangiare le gustose prelibatezze degne di un banchetto di nobili signori che Much aveva preparato con tanta attenzione e cura, dosando per bene ogni spezia e mettendo o togliendo dal fuoco ogni pietanza al momento ritenuto più opportuno, mentre Allan e Archer pensarono bene di fare i buffoni di corte e Kate e Kaelee fingevano di essere completamente estranee a quella compagnia di pazzi.
In definitiva erano riusciti a riprendersi il giorno di allegria che Rudyard e Willard avevano loro negato.


Scarborough.
Rudyard e Willard, dopo la veloce fuga imposta dall'arrivo dei due guastafeste che avevano per fratelli, avevano deciso di fermarsi in un villaggio nei pressi di York, anziché rientrare a Edwinstowe, e da lì riorganizzarsi degnamente.
Rudyard trascorse diversi giorni a imprecare contro i suoi fratelli – Willard compreso – e contro il destino che lo aveva tradito in quel modo permettendo che venisse umiliato da un gruppo di stupidi ignoranti. Gliel'avrebbero pagata, di questo Rudyard era più che certo, e appena la lunga sequela di spergiuri si esaurì, fu pronto di nuovo a pensare al modo più giusto per non deludere ulteriormente sua madre.
«Quando saprà che abbiamo fallito per colpa tua e di quegli altri due vedrai come si arrabbierà. E allora sì che avrai la schiena sanguinante per settimane!», inveì contro Willard, che aveva l'unica colpa di non aver fatto né detto nulla.
«Ma io...», tentò l'altro.
«Taci! Taci! Ho bisogno di pensare a cosa fare di te».
«Come? Che intendi dire?», domandò Willard con voce tremante.
«Ah! Che Dio mi aiuti!», sbottò allontanandosi per prendere una boccata d'aria.
Ora che sapeva di avere contro l'intera banda di Robin Hood e pure Gisborne, occorreva che si facesse venire un'idea migliore che semplicemente andare a Locksley e prelevare di peso Kaelee, la quale certamente sarebbe stata controllata a vista dopo quello che era successo.
"Ho più possibilità io di uccidere quella disgraziata, che una freccia di Robin Hood riesca a raggiungermi. Perché quel fesso non uccide", pensò meditando già l'omicidio di sua sorella, sebbene prima ci fosse un'altra decisione da prendere.
Benché Willard gli avesse dimostrato fedeltà a York e lo avesse sostenuto nel viaggio, si era poi dimostrato un debole al momento dello scontro, così venne rispedito da Rudyard a casa per informare la madre sulla situazione che i due avevano trovato a Locksley e riguardo al tradimento subìto per mano di Dwight e Aric. I piani di Rudyard prevedevano un ritorno lampo a Locksley per provare a capire come aveva deciso di muoversi quell'arciere da quattro soldi; poi si sarebbe stabilito a Nottingham e da lì avrebbe pianificato al meglio una nuova strategia di attacco che gli avrebbe permesso di vincere su tutta la linea. Non accettava l'idea di essere stato sconfitto ed era più agguerrito che mai, disposto a qualsiasi cosa pur di vedere soffrire qualcuno, pur di vedere Gisborne disperarsi per la morte di Kaelee o quest'ultima crollare dinanzi al corpo senza vita di Gisborne. Non esisteva bene materiale che Rudyard non fosse disposto a cedere pur di assistere ad una disgrazia da lui orchestrata e aveva perfino valutato, tra le altre, l'idea di fare prigionieri sia Gisborne che Kaelee e costringerli a uccidersi vicendevolmente.
"Sarebbe così... perfetto!", si disse, pregustando il sapore del sangue che a causa sua sarebbe stato versato.
Prima di lasciar partire Willard gli ordinò di non raggiungerlo per nessuna ragione al mondo, a meno che credesse fermamente in ciò che lui si era proposto di fare, a meno che fosse realmente disposto ad affondare una lama nel cuore pulsante di sua sorella e guardarla negli occhi mentre moriva; quindi precisò che se non era disposto a usare un'arma contro Kaelee e chiunque la difendesse, allora la sua presenza era inutile e avrebbe fatto meglio a restarsene a casa a controllare gli affari di famiglia e gli altri due fratelli, che prima o poi sarebbero rincasati. Concluse, infine, dicendogli di non fare nulla a Edwinstowe prima di ricevere una sua missiva.
Così, dopo qualche giorno, i due si separarono.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 14/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.
Sebbene in orgigine intendessi fermarmi a tredici capitoli, richiamando così i tredici episodi di ogni stagione, è ormai evidente che le vicende hanno preso il sopravvento. Non credevo che sarebbe successo, ma sono letteralmente stata travolta dai personaggi e dalla storia, così mi toccherà raddoppiare e costringervi a seguirmi per altri sedici capitoli.
Come sempre, mi rivolgo a chi leggere questa storia come un'originale, sono presenti richiami a eventi narrati nella serie tv e trattati qui in modo molto superficiale, perciò se c'è qualche dubbio sono a vostra completa disposizione.
Vi ringrazio per il tempo dedicatomi e per eventuali recensioni.
Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Alla Prova ***


Alla Prova


Alla Prova

Quando i suo fratelli ripartirono alla volta di Edwinstowe, Kaelee si trovò a fare il punto della situazione e ciò che ne venne fuori non la tranquillizzò per niente.
Esaurita la contentezza dell'aver ritrovato due dei suoi quattro fratelli e di aver condiviso con loro affetto e tutti i pensieri inespressi di un'intera vita, ciò che restava a Kaelee era la preoccupazione derivanti dalle possibili azioni attribuibili agli altri due fratelli. Pensare che Rudyard si sarebbe limitato a quella comparsata nella Piazza del Mercato, accontentandosi di aver ferito superficialmente Gisborne, non era per nulla saggio, né plausibile.
Che Rudyard fosse un violento e Willard il suo cagnolino fedele non era una novità per Kaelee, ma la consapevolezza che fosse davvero capace di fare del male anche ai propri familiari la sconvolse più di quanto non avesse fatto il suo desiderio di ucciderlo; lei, infatti, aveva una ragione per provare tanto odio nei confronti di suo fratello, dal momento che era sua intenzione strapparla alla serenità che aveva conquistato, mentre lui non aveva nessun buon motivo per volerle fare del male, per quel che lei ne sapeva, ed era proprio questo che Kaelee non riusciva a digerire. Aveva un gran caos nella testa, aumentato dall'essere venuta a sapere che Rudyard aveva conosciuto Guy e condiviso con lui chissà quali atrocità, e il fatto che tutti avessero minimizzato quando aveva preteso i dettagli, le lasciava intendere che, come minimo, avevano ammazzato qualcuno insieme per poi andarsene allegramente a brindare alla faccia dei familiari dei defunti.
Questi pensieri, animati da una vena di cinismo che difficilmente prendeva il sopravvento in lei, mettevano inevitabilmente in discussione ogni cosa a partire dalle sue stesse origini: si chiedeva, infatti, perché Rudyard fosse così, cosa lo avesse spinto ad un atteggiamento volto al male; perché doveva esserci qualcosa a monte. Da Gisborne e da ciò che lui le aveva raccontato in merito al proprio passato, Kaelee aveva compreso che nessuno nasce buono o cattivo in maniera del tutto assoluta, ma che, sebbene ognuno fosse dotato di un'indole che poteva pendere in una delle due direzioni in modo quasi casuale, dipendeva molto dal vissuto dei singoli e Gisborne aveva alle spalle esperienze oggettivamente difficili da affrontare serenamente e con un atteggiamento positivo nei confronti della vita. Per quel che riguardava Rudyard, invece, Kaelee non ricordava niente che potesse giustificare quanto pensava e faceva: non gli era mai stato impedito di fare nulla e raramente si era preso strigliate dalla madre, la quale preferiva accanirsi contro gli altri figli e non su di lui, che restava il preferito anche quando la combinava grossa.
La ragazza non poteva fare a meno di rivivere ciclicamente il momento in cui suo fratello aveva impugnato la spada che le apparteneva e gliel'aveva puntata contro con l'intento di ferirla, forse ucciderla, perché avrebbe preferito vederla morta anziché felice; questo la rendeva folle di rabbia. Continuava anche a rivivere il momento in cui lei stessa aveva impugnato la propria spada e l'aveva puntata contro suo fratello con l'intento di ferirlo, forse ucciderlo, perché avrebbe preferito vederlo morto anziché lasciarlo scappare; questo, invece, la rendeva triste e la induceva a domandarsi se poi, in fondo, lei e Rudyard fossero davvero così diversi come pensava.
E in tutto ciò c'era Gisborne, il quale si portava dietro un passato pesante che continuava a tornare con prepotenza anche per colpa sua, sebbene i sentimenti di Kaelee per lui non fossero in dubbio. Ogni volta che lo guardava, però, non poteva fare a meno di vederlo mentalmente insieme a Rudyard con le spade insanguinate e un sorriso strafottente sulle labbra prima di tornare alla realtà vera, quella che Kaelee conosceva, che lo vedeva a terra, in ginocchio, e con una mano premuta all'altezza dello stomaco perché Rudyard aveva cercato di ucciderlo per fare del male a lei. A causa dei contrasti che la stringevano in una morsa invisibile, ma ferrea, la ragazza aveva deciso di non condividere con Gisborne i suoi tormenti prima di aver fatto un po' di chiarezza in se stessa, perché non se la sentiva di prenderlo da parte e accusarlo di aver banchettato con suo fratello in nome della crudeltà; tanto più perché non aveva alcuna certezza che le cose fossero andate così visto che nessuno pareva volerle raccontare come si erano svolti i fatti.
Sembrava proprio che per quanto Kaelee rincorresse la felicità, questa le sfuggisse continuamente come sabbia tra le dita, destinandola ad un'infinita serie di scossoni. Eppure la sua indole positiva le impediva di non vedere del buono in tutta quella vicenda: se era vero che Rudyard e Willard avevano concretizzato il suo incubo peggiore e minacciato seriamente la tranquillità di Locksley e della banda di Robin attentando alla vita di alcuni di loro, era altrettanto vero che Kaelee aveva avuto occasione di ricucire gli squarci nel rapporto con Aric e soprattutto con Dwight. Entrambi le avevano infatti promesso di scrivere quanto prima e di tenersi con lei e con gli uomini di Robin Hood in costante contatto, dando all'arciere la propria disponibilità per qualsiasi cosa. Kaelee non era al corrente di ciò che suo fratello maggiore si era detto con Robin la notte prima che partisse insieme ad Aric, sapendo solo che i due avevano parlato a lungo, ma ebbe la forte sensazione che i suoi fratelli avrebbero svolto a Edwinstowe un lavoro molto simile a quello che Robin e i suoi uomini avevano fatto per Locksley e dintorni negli anni passati e ne fu molto orgogliosa.
Con Gisborne, nonostante i pensieri che la tormentavano e frasi intere costrette al silenzio, andava piuttosto bene finché una mattina Kate la buttò letteralmente giù dal letto.

Aperta campagna, Locksley.
Dire che l'arrivo di Rudyard e la crudeltà che l'uomo aveva subito dimostrato di possedere avessero messo in allarme gli uomini di Robin Hood era un eufemismo, sebbene tendessero a non manifestare la loro preoccupazione agli abitanti del villaggio e a Kaelee, anche se non proprio a tutti riusciva di essere moderati nelle reazioni. Quando Little John era venuto a conoscenza di com'erano andate le cose, infatti, si era infuriato in prima battuta perché nessuno aveva pensato di chiamarlo per conciare per le feste "quel tale", come lo aveva definito, e poi perché non poteva proprio tollerare un simile comportamento nei confronti di "una ragazza dolce come Kaelee"; anche Allan non era stato per nulla contento di quanto era successo a Locksley mentre lui si trovava a Nottingham, impossibilitato a difendere Kaelee come le aveva promesso offrendole protezione.
Più di tutti, Gisborne, divorato dall'ansia, aveva parlato a lungo con Robin e Archer su cosa fosse meglio fare con Rudyard, ma anche con Kaelee e tutti e tre si erano trovati d'accordo sulla necessità di addestrarla al combattimento senza più essere troppo teneri. L'avrebbero comunque protetta, certo, come sempre gli uomini della banda facevano gli uni con gli altri, ma nell'ipotesi in cui nessuno di loro fosse stato con lei nel momento di un'imboscata da parte di Rudyard o di chiunque altro – la peggiore tra tutte le ipotesi che avevano vagliato – dovevano essere certi che Kaelee potesse fronteggiarlo almeno quel tanto che bastava per fuggire e dare l'allarme. Avevano anche molto riflettuto sul metodo da usare e su quanto Gisborne fosse disposto a mettere in gioco, dal momento che gli allenamenti con lui erano sì serviti a prepararla, ma non bastavano a salvarle la vita. Dato che Gisborne non era intenzionato a rinunciare al privilegio di addestrarla, consapevole che sarebbe morto di gelosia e invidia, i tre avevano quindi pensato bene di farle conoscere il miglior spadaccino di Locksley nel modo più crudo possibile.
Erano occorsi giorni per preparare il piano, che aveva inoltre richiesto la collaborazione di molte persone che facessero coincidere tante piccole cose, ma la parte più difficile toccava senza ombra di dubbio a Guy.
Sebbene si trattasse di una messa in scena che non prevedeva tragedie e drammi letali, era necessario che Kaelee ci credesse davvero, senza dubitare neanche per un secondo della situazione, affinché il tutto di funzionasse come previsto: l'intento era quello di farle capire che d'ora in poi Gisborne avrebbe fatto sul serio e sia quest'ultimo che i suoi fratelli erano certi che dirglielo semplicemente non sarebbe bastato.

L'esclamazione «Guy e Robin stanno litigando!», da parte di una terrorizzata Kate, era bastata a far saltare in piedi Kaelee. Fu il modo in cui la donna si pose a indurre la ragazza a pensare che non si trattasse di uno dei soliti finti azzuffamenti che di tanto in tanto animavano il villaggio, il Maniero e le colline nei dintorni di Locksley, perché in fin dei conti a quelli anche Kate era abituata ormai, tanto da non temere più che Guy potesse fare seriamente male a Robin. La ragazza non sapeva davvero cosa pensare, un po' perché la sua mente era ancora annebbiata dal sonno bruscamente interrotto e un po' perché non era a conoscenza di nessuna questione per cui Robin e Gisborne dovessero litigare al punto da spaventare Kate e chissà chi altri. Se tra i due ci fosse stata una qualche tensione, sicuramente Gisborne gliene avrebbe parlato, ritenne Kaelee senza quindi riuscire a capire che direzione stessero prendendo gli eventi. "È pur vero che io gli sto tenendo nascoste un sacco di cose ultimamente, ma anche ammesso che abbia intuito qualcosa, Guy non è tipo da ripicche. Che sia per Rudyard?", si domandò. "Forse è tornato a Locksley questa notte e ha messo in pericolo uno degli uomini della banda facendo infuriare Robin? Ma perché Kate non me l'ha detto subito? E perché prendersela con Guy? Ma certo... Se lui non si fosse innamorato di me, forse Robin e gli altri avrebbero permesso a Rudyard di riportarmi a Edwinstowe, evitando così qualsiasi rischio per loro stessi e per il villaggio. Allora perché Robin mi ha accolta, quando sono arrivata a Locksley, nonostante sapesse della mia fuga? No, qualcosa non torna, deve esserci un altro motivo per cui Robin e Guy stanno litigando. Ma quale?", continuò a chiedersi Kaelee mentre correva a perdifiato verso la campagna attorno a Locksley, teatro della lite in corso. Le due vi arrivarono in men che non si dica, ignorando le persone in strada che commentavano con un vociare concitato ciò che stava presumibilmente accadendo e di cui Kaelee non volle alcuna anticipazione, preferendo vedere ogni cosa con i propri occhi e giudicare con la propria testa ed il proprio cuore, senza lasciarsi condizionare da quella o quell'altra parola. Le sembrava tutto talmente surreale che per un attimo credette di star ancora dormendo e di essere alle prese con un sogno in piena regola, un pessimo sogno per la precisione, eppure quando scorse i due uomini guardarsi in cagnesco e urlarsi contro parole che ancora non riusciva ancora a percepire, dovette rendersi conto che era tutto vero e che il termine litigare era riduttivo se si considerava che erano entrambi armati di spada e che Guy era letteralmente irriconoscibile.
«Oh bene, allora Sir Guy di Gisborne è tornato!», commentò Robin gettando uno sguardo fugace in direzione di lei, o almeno così le parve, proseguendo una conversazione che doveva andare avanti già da un po'. "Ma perché nessuno ha pensato di informarmi per tempo?", si chiese mentre si concentrava sui due uomini ed in particolare sull'espressione di totale ribrezzo che regnava sovrana sul volto di Robin Hood. L'arciere non aveva guardato in quel modo nemmeno suo fratello Rudyard, perciò Kaelee rabbrividì, spaventata.

Per l'occasione Gisborne aveva indossato i vecchi vestiti in pelle, guanti compresi, sebbene questo avesse rievocato tutti quei ricordi che lentamente e quotidianamente l'uomo affrontava uno per uno nel suo percorso di redenzione, e aveva assunto l'aria più malvagia di cui fosse capace – in questo l'aver riportato alla memoria il periodo vissuto accanto a Vaisey gli era stato molto d'aiuto. Robin gli aveva detto che le doti recitative di entrambi dovevano essere spinte ai massimi livelli per poter mandare Kaelee su tutte le furie, ottenere una reazione e portare a termine lo scopo che lui e i suoi fratelli si erano prefissati, e Gisborne non intendeva deludere nessuno, né sprecare quell'unica opportunità nonostante le conseguenze che il rapporto tra lui e Kaelee avrebbe pagato.
«Sta' zitto, Locksley», rispose. «e fammi vedere quanto sei bravo a duellare. Magari ti riesce di battermi una volta tanto! I cantastorie di tutta l'Inghilterra te ne saranno grati e forse diventerai davvero famoso», lo provocò con un'aria strafottente che gli faceva venire il voltastomaco. Era davvero stato così per tutti quegli anni?
«Sapevo che era tutta una finta», rispose Robin. «Avrei dovuto fidarmi di Kate e John!».
Un altro punto su cui lui e Robin si erano trovati d'accordo riguardava l'entità delle provocazioni. Ne avevano parlato molto, analizzando tutte le possibilità – dall'inventarsi di sana pianta eventi di un passato mai esistito, al far intervenire finti testimoni di Locksley e Nottingham, fino anche al chiamare in causa ipotetici uomini del vecchio Sir Guy di Gisborne ancora pronti a servirlo fedelmente nei suoi atti di pura cattiveria – e valutando ogni conseguenza e reazione da parte di entrambi. Ciò che la ragione aveva loro suggerito era di mettere su uno spettacolo totalmente inventato, ma ciò che l'istinto aveva proposto li aveva convinti maggiormente, anche se sarebbe stato molto più pericoloso ed emotivamente distruttivo per tutti. Quindi Robin e Guy avevano deciso di tirare in ballo, nel corso dello scontro verbale, vicende realmente accadute al fine di innescare reazioni più realistiche e credibili.
Archer aveva sostenuto che stessero giocando con il fuoco e Gisborne gli aveva dato ragione, ma era rimasto convinto che fosse la scelta più adeguata.
La spada di Guy fendette l'aria sibilando minacciosa davanti alla figura di Robin Hood.
«Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla», rispose lui, chiudendo intimamente le porte in faccia a quel subdolo dubbio che stava cercando di fargli credere che forse non era poi così falso quanto aveva appena affermato in merito a Robin. Gisborne sapeva a cosa sarebbe andato incontro e aveva promesso a se stesso e a Robin di mantenere alta la concentrazione sulla realtà dei fatti: lui e l'arciere si erano riappacificati, perdonati a vicenda, e si ritenevano fratelli a tutti gli effetti. Era fondamentale che Gisborne lo tenesse a mente per non perdersi nella vecchia parte di sé, sempre pronta ad uscire dall'angolo in cui l'uomo la teneva chiusa.

Kaelee non riusciva a crederci e pensò di essere piombata in un incubo perfino peggiore di Rudyard che tornava a minacciare lei e tutti i suoi amici. Non voleva nemmeno prendere in considerazione le parole che Robin aveva rivolto a Guy, né quelle che quest'ultimo aveva riservato al fuorilegge, perché tutto il contesto era davvero assurdo. Com'era possibile che Gisborne avesse mentito fino a quel punto? Che avesse finto di pentirsi e le avesse raccontato il suo vissuto solo per rendere credibile un gioco cui stava giocando da solo? E che senso aveva mentire se Nottingham era stata fatta saltare in aria e con essa anche lo Sceriffo e i suoi piani di dominio? Possibile che si fosse lasciato intenzionalmente ferire da Rudyard per far credere a tutti che fosse cambiato ed era invece in combutta con lui?
Come sempre le succedeva quando perdeva il controllo di se stessa e di ciò che accadeva attorno a lei, nella sua mente cominciarono ad affollarsi domande e pensieri contrastanti e disordinati.
"La città è stata ricostruita, Gisborne ha collaborato alla sua ricostruzione, e uno Sceriffo potrebbe di nuovo prendere il potere sulla Contea di Nottingham e allearsi, magari, con lo Sceriffo di York per contrastare il Re", pensò Kaelee. "Uno Sceriffo di nome Gisborne, ad esempio, ed uno di nome Rudyard, che prenderebbe il posto dell'attuale Sceriffo di York il quale verrebbe misteriosamente e tragicamente trovato morto nelle proprie stanze", concluse inorridita, scacciando con decisione quegli scenari, mentre ancora una volta una parte di lei sostenne che non era possibile, che qualcosa non tornava e che mai e poi mai Guy avrebbe ceduto di nuovo alla violenza. Che motivo aveva? Quale poteva mai essere la causa scatenante? Robin doveva essersi sbagliato e anche se nessuno, neanche lei, riusciva a vederla, sicuramente c'era una valida spiegazione al comportamento di Gisborne di quel giorno.
Doveva esserci una ragione e Kaelee doveva assolutamente credere che ci fosse affinché sotto ai suoi piedi non si aprisse improvvisamente un'enorme voragine che avrebbe presto risucchiato tutte le sue certezze e messo in discussione ogni sua scelta. Amava Guy e non poteva accettare che, dopo tutto ciò che le aveva raccontato, dopo le sofferenze che aveva patito nel passaggio da Sir Guy di Gisborne a Guy, si comportasse in quel modo insensato.
Nel contempo però, guardandolo, ne ebbe paura, perché chi aveva davanti non corrispondeva assolutamente all'uomo che aveva conosciuto – quello del pranzo a casa di Kate, quello delle esercitazioni nella foresta, quello delle cavalcate e dei momenti di assoluta dolcezza. Vestito in quel modo e con un mezzo sorriso sulle labbra, Gisborne era terrificante. "E tremendamente bello", pensò una piccola parte di lei, totalmente fuori controllo.
Perfino in quella situazione l'attrazione che sentiva per quell'uomo non trovò ostacoli e le impose di osservare la meravigliosa cattiveria di cui era capace, come una preda che si metta a contemplare l'animale che di lì a poco la ucciderà.
"Allora Sir Guy di Gisborne è tornato!".
Le parole di Robin le risuonavano nella mente insieme al resto.
"Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
"... non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
"... uccidermi".
"...per vendicarla"
.
"Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
"Lady Marian, naturalmente", aggiunse Kaelee mentalmente.
"Avrei dovuto fidarmi di Kate e John!".
"Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
Le parole di Gisborne rimbombavano come campane impazzite in un'eco continua e martellante che l'avrebbe presto condotta ad un crollo nervoso se non avesse preso in mano la situazione. Eppure era davvero difficile per lei riprendere le redini di un cavallo imbizzarrito prima del suo arrivo, scatenato da un evento che lei non conosceva, specialmente se il vorticare dei pensieri le impediva di ragionare.
"Uno Sceriffo di nome Gisborne. Lo Sceriffo di York ucciso di proposito. Rimpiazzato da Rudyard", pensò. "Guy e Rudyard se ne andranno a braccetto a seminare terrore e orrore in tutta Nottinghamshire e Yorkshire, oppure Robin è impazzito", rifletté torcendosi le mani e perdendo di vista tutto ciò che non fosse Robin e Guy che si offendevano e minacciavano.
Decidere cosa fosse meglio fare andava oltre le sue capacità intellettive, tattiche e di qualunque altra natura, ma starsene ferma a guardare non era mai stato nelle sue corde, perciò era certa di dover intervenire anche se non aveva minimamente capito cosa fosse accaduto, cosa stesse accadendo e cosa sarebbe successo di lì a poco se nessuno avesse fatto nulla. Forse tentare di calmare i due uomini per poi farsi spiegare tutto poteva essere una soluzione, eppure nessuno stava facendo un tentativo di qualsiasi genere.
"Kate sta ferma a guardare", pensò. "Che abbia paura?", si domandò, guardandosi attorno prima di tornare a Kate che se ne restava immobile, con lo sguardo fisso, concentrato, sulle due figure a qualche metro da entrambe. "Perché non interviene? Perché non strilla loro di smettere come farebbe normalmente?", si chiese Kaelee osservandola con attenzione. Per un attimo tornò a valutare l'ipotesi che potesse trattarsi di uno dei soliti giochi che divertivano tanto Robin e Guy – e se così fosse stato, nessuno dei due l'avrebbe passata liscia – ma Kate sembrava sinceramente terrorizzata, Robin appariva seriamente nauseato da quella novità e Guy aveva un'aria spaventosa, non sembrava in sé.
Eppure una sorta di sesto senso cercava costantemente di avvertirla in merito all'assurdità della faccenda: quante probabilità c'erano che Robin e Guy, partendo da uno scontro verbale, arrivassero allo scontro fisico e che Kate, presente, non cercasse di fermarli o non desse i numeri?
"Poche", constatò Kaelee. "Ma evidentemente oggi è il giorno giusto per far accadere l'improbabile".
Nella confusione mentale scoppiavano come lampi considerazioni quali "Ci sono due grandi assenti che in una situazione realistica non mancherebbero: Archer e Much. Dove sono?", e ancora "Perché Kate ha saputo della lite e Much no, visto che hanno deciso di essere una coppia?", eppure la ragazza decise di avvicinarsi ai due uomini.

Se Kaelee fosse riuscita ad estraniarsi dalle proprie emozioni, avrebbe scoperto in fretta l'inganno, perché per quanto si fosse badato ai dettagli, c'era sempre un margine di errore.
Affinché il piano funzionasse, Much e Archer – che in una situazione realistica sarebbero stati al fianco di Robin – erano dovuti restare a Locksley a orchestrare i figuranti del villaggio – che certamente Kaelee aveva incontrato mentre raggiungeva il luogo della lite – e ad assicurarsi che nessuno, ignorando la realtà dei fatti, desse un qualche allarme che avrebbe mandato in tilt l'intera popolazione e il piano architettato dagli ex fuorilegge, ragion per cui Robin e Guy contavano esclusivamente sull'emotività di Kaelee. Scatenare in lei emozioni forti al punto da impedirle di osservare e ragionare era essenziale per la riuscita del piano e, per il momento, sembrava che Robin e Guy avessero giocato un'ottima carta, in quanto a guardare la ragazza si scorgevano senza fatica confusione e terrore nel suo sguardo.
«Guy!», urlò all'improvviso Kaelee, alle spalle dell'uomo.
Gisborne, che evitava quanto più possibile di incrociare lo sguardo della ragazza, si avvalse di tutta la propria forza di volontà per non voltarsi e sorriderle come invece desiderava fare. Ciò che più di ogni altra cosa voleva era vedere Kaelee felice e, finché lei lo avesse amato, avrebbe fatto di tutto per assicurarle ogni bene, perfino quella sceneggiata. E mentre Robin gli rivolgeva fugaci occhiate di supporto, invitandolo silenziosamente a non mollare proprio ora, Gisborne realizzò che era il momento di passare all'azione.

«Allontanati, Kaelee! È pericoloso!», rispose Robin difendendosi da un primo, velocissimo, colpo sferrato da Guy.
Il duello a cui i due uomini diedero vita risultò così credibile che perfino Kate, ad un certo punto, iniziò a temere che Robin e Guy avessero dimenticato l'idea iniziale e si fossero infine messi a fare gli eroi. Questo perché entrambi stavano combattendo sul serio e nessuno dei due stava dosando la propria forza, il che era possibile solo grazie alla fiducia che nutrivano l'uno per l'altro, così forte da non far loro temere che potessero ferirsi a vicenda, fosse anche per sbaglio. Nessuno dei due si sarebbe permesso di sbagliare, Kate ne era certa perché aveva preso parte all'organizzazione di quella farsa e aveva ascoltato con attenzione le parole che l'arciere e lo spadaccino si erano rivolti, li aveva sentiti giurarsi lealtà in un modo che non lasciava alcuno spazio ai dubbi.
Per un attimo Kate fu così presa dallo scontro in atto da dimenticare il proprio ruolo rischiando di mandare a monte ogni cosa, così afferrò repentinamente Kaelee per un braccio quando la ragazza si mosse per avvicinarsi, costringendola ad arretrare.
«Hai sentito Robin? Non devi avvicinarti a loro!», esclamò mettendocela tutta per tradire paura e disapprovazione. «Gisborne è pericoloso», percisò con odio, reinterpretando appropriatamente le parole che Robin aveva rivolto poco prima a Kaelee. La donna era certa che istigare l'amica facendo leva sull'opinione negativa che aveva avuto su Gisborne avrebbe distratto Kaelee da qualsiasi tentativo di riflessione su quanto stava accadendo, perché
era giovane ed impulsiva, così abituata a non avere nessuno al proprio fianco da riuscire a mettere in dubbio, probabilmente, perfino l'amore che Gisborne le aveva dimostrato di provare per lei e l'amicizia che Kate stessa le aveva manifestato fin dall'inizio.
Sia Kate che Robin e Guy erano consapevoli di quanto Kaelee non fosse affatto stupida e proprio in virtù di questo erano arrivati alla conclusione che bisognava condurre ogni azione, ogni parola, ogni singolo gesto sul piano puramente emozionale. Quindi, stringendo con forza il polso di Kaelee, Kate attese la sua reazione.

"Perché Kate non mi ha fermata subito? Perché ha lasciato che avanzassi verso Robin e Guy prima di trattenermi? E perché Guy non si è nemmeno girato quando l'ho chiamato?", si domandò ancora Kaelee, tornando mentalmente alla peggiore tra le ipotesi che fino a quel momento era stata in grado di formulare, ovvero ad una possibile alleanza di Gisborne con Rudyard. Le venne da piangere, ma non cedette. 
Animata dalla rabbia per quanto Kate aveva appena detto in merito a Gisborne e per essere stata tradita proprio da quest'ultimo, si separò con decisione e forza dall'amica, sguainò la spada che ormai portava sempre con sé – spada che Archer le aveva restituito dopo che Rudyard l'aveva abbandonata nella piazza di Locskley – e si avvicinò ai duellanti.
«Guy di Gisborne!», tuonò. «Ti sei forse bevuto il cervello?», chiese sarcastica, mossa solo dal proprio instinto, incurante dell'evidente pericolo che avrebbe corso rivolgendosi con quel tono a Guy se lui fosse tornato davvero ad essere Sir Guy, come sembrava.

Guy rivolse a Robin uno sguardo colmo di timore, certo che Kaelee non lo avrebbe notato dalla posizione in cui si trovava, perché non gli era sfuggito il familiare suono di una lama che abbandonava il fodero e sapeva che quello era esattamente il momento in cui avrebbe dovuto mettere da parte l'amore che nutriva per Kaelee; il momento in cui avrebbe dovuto risvegliare un'ultima volta la bestia che era in lui; il momento in cui si sarebbe messo a combattere contro Kaelee per tirare fuori tutto il tormento che lei aveva dentro a causa di Rudyard e dello scompiglio che aveva portato a Locksley e che gli aveva nascosto probabilmente per paura di mettere in gioco la loro relazione; il momento in cui l'avrebbe messa di fronte ad un vero avversario con l'intento di farle capire che d'ora in avanti lei avrebbe dovuto crescere e maturare sul serio, che avrebbe dovuto comportarsi da donna e affrontare la vita, anche quella di coppia, da persona adulta. Tutto questo lo terrorizzava e sapeva di aver bisogno di un contatto visivo con suo fratello per potercela fare.
Gli costava moltissimo dover rivestire quel ruolo di severa guida, ma nonostante questo sapeva di doverlo fare per lei, che gli aveva salvato la vita, che lo aveva rimesso al mondo, semplicemente amandolo; glielo doveva e aveva promesso a Dwight che si sarebbe preso cura di lei rendendola indipendente e forte.
Inspirò profondamente, in cerca del coraggio che gli serviva, e quando si voltò era certo di indossare un'impenetrabile maschera di cattiveria, tale che riuscì a far inorridire Kaelee, il cui sguardo fu come una lama dritta nel cuore.
«No!», gridò Robin opportunamente. «Scappa se non vuoi farti male!».
«Lui non mi farà del male», mormorò Kaelee, comunicando una certezza disarmante sebbene fosse chiaro nei suoi occhi quanto fosse spaventata e confusa dalla situazione in corso, e di nuovo Gisborne dovette concentrarsi sui vecchi ricordi di Sir Guy per risultare credibile, su tutte le volte che aveva offeso qualcuno soltanto per compiacere lo Sceriffo, sui pestaggi perpetrati per divertirlo, sulle mani mozzate affinché non si potesse dire che Vaisey di Nottingham non avesse avvisato con un opportuno quanto crudele esempio.
«Sicura?», le chiese, sperando di stordirla con un mezzo sorriso maligno che spesso, in passato, certe donne avevano ritenuto irresistibile. «Vieni qui allora», aggiunse a voce bassa e roca, volendole apparire sensuale e letale come gli era capitato di essere un tempo.
Non si era mai rivolto a lei in quel modo e si sentì un verme nel doverlo fare, anche se quella tattica parve funzionare perché Kaelee gli si avvicinò ignorando gli avvertimenti di Robin, il quale la invitava a starne fuori e tornare da Kate, che stava anche lei tentando di richiamarne l'attenzione, senza però avvicinarsi. Evidentemente era riuscita a distrarla con quell'atteggiamento, perciò fu facile far scontrare la propria lama con quella di Kaelee senza che lei se ne accorgesse, se non al momento dell'impatto. Si limitò semplicemente a toccare la lama per richiamare l'attenzione della ragazza, ma in verità stava ancora cercando in se stesso il coraggio di affrontare un duello senza imbrogli.
Con la coda dell'occhio Guy vide Robin indietreggiare lentamente – cosa che mai si sarebbe sognato di fare se quella situazione si fosse verificata per davvero – ed ebbe l'assoluta certezza che da quell'istante in poi avrebbe gestito il tutto da solo, prendendosi la responsabilità assoluta di qualunque cosa fosse successa.
«È così che pensi di battermi?», domandò per provocarla.
«Non sono qui per questo», gli rispose con un filo di voce e spostando lo sguardo sulle sue mani guantate.
«Però hai una spada», osservò Guy. «Sono proprio curioso di vedere se hai il coraggio di ferirmi», mormorò con voce profonda.
Gisborne teneva gli occhi fissi su di lei e si accorse subito che Kaelee aveva il respiro alterato, probabilmente per la tensione accumulata e per il caos emotivo e mentale che certamente doveva darle tormento, così attese che la ragazza reagisse, ma dato che non sembrava intenzionata a parlare o a muovere un passo, Guy raccolse le forze e decise di attaccare per primo. Spietato e inarrestabile, così era necessario che si mostrasse, ed esattamente come aveva fatto con Robin poco prima, fece sibilare la spada e poi affondò a pochi centimetri dal fianco della ragazza.
Con lei era tutto più difficile non solo perché Guy l'amava, ma anche perché i movimenti di Kaelee erano imprevedibili anche per lui, che era il suo maestro. Gisborne era consapevole della possibilità di ferirla gravemente, perciò faceva tutto il possibile per calcolare i colpi con precisione millimetrica, non mettendoci tutta la determinazione che aveva impiegato poco prima con suo fratello, i cui movimenti erano stati concordati a priori a tavolino. Se era vero che l'obiettivo era essere credibile, era vero anche che il suo intento non era quello di uccidere l'avversario, in quanto quel teatrino altro non era, sostanzialmente, che una delle tante esercitazioni.
Kaelee era evidentemente stata spiazzata dalla velocità e dalla potenza di quel colpo probabilmente inatteso, ma Gisborne aveva la sensazione che la ragazza non credesse reale ciò che stava vivendo e che, in qualche modo, il suo cuore stesse cercando di rifiutare ciò che stava vivendo, chiedendo alla mente una soluzione più logica. Fu difficile non lasciar perdere tutto per stringerla tra le braccia quando lei lo guardò dritto negli occhi condividendo una muta supplica che minacciò di distruggerlo, ma si obbligò ugualmente a ricambiare con un'occhiataccia cui lei rispose stringendo le dita attorno all'elsa della spada. Ottenuta la reazione che voleva, Gisborne tentò di nuovo di colpirla e lei si scansò senza contrattaccare.
«Guy smettila. Non intendo ferirti, lo sai», disse infine.
Si sentì un mostro, ma si costrinse ad una risata malvagia. «Male, molto male», disse. «Se vuoi essere davvero libera devi imparare ad essere crudele con chi ti minaccia», aggiunse, non in quello che sarebbe potuto sembrare un inno alla violenza, ma una visione nuda e cruda dell'indipendenza, che suonava come un "Chiunque vorrà metterti in catene, fosse anche un fratello o l'uomo che ami, non meriterà nient'altro che la tua spada".
Gli occhi sgranati di Kaelee furono per l'uomo l'ennesimo colpo al cuore.

Proprio non capiva perché Gisborne avesse deciso di ingaggiare un duello con lei, visto che fino a poco prima sembrava avercela con Robin. Continuava a dirsi che c'era qualcosa di tremendamente sbagliato in ciò che stava vivendo e aveva il netto sentore di avere la soluzione sotto al naso, senza però riuscire a vederla forse per via delle emozioni in gioco, forse a causa della confusione mentale. Non capiva quale fosse il reale intento di Guy e la situazione diventava sempre meno chiara: stando alle parole di Kate, Gisborne stava litigando con Robin, ma in quel momento pareva avercela proprio con lei mentre le parlava di libertà. Eppure non comprendeva in che modo lui potesse togliergliela dal momento che l'aveva aiutata a realizzarla insegnandole a maneggiare un'arma e se invece si riferiva a Rudyard, perché prendersela così con lei e con Robin? C'era qualcosa di completamente illogico, in ciò che stava accadendo, ma Kaelee non riusciva a identificare l'errore e, coinvolta com'era da quell'uomo, non risuciva a non pensare all'amore che provava per lui perfino mentre la guardava quasi con odio e la invitava a combattere contro di lui, come avevano fatto soltanto durante l'addestramento.
"E se si trattasse di una lezione a sorpresa? Se Gisborne volesse dimostrarmi qualcosa in un modo contorto che gli rinfaccerò per tutta la vita?", si domandò, stretta nel dubbio che fossero tutti d'accordo. "Ma perché dovrebbero essersi accordati se sarebbe soltanto bastato parlarne, qualunque cosa passi nella testa di Gisborne?".
«In che modo tu saresti per me una minaccia?», domandò infine, abbassando l'arma, rifiutandosi di combattere, perché le girava la testa e più tempo passava, meno capiva.
Per tutta risposta Guy la costrinse a evitare l'ennesimo affondo.
«Ti basta come esempio?», chiese ironico.
Intanto, alle sue orecchie, arrivavano distinte e preoccupanti le preghiere di Kate e Robin, i quali invitavano Gisborne a non prendersela con lei e premevano affinché lei scappasse in quanto Guy era pericoloso.
"Di nuovo con questa storia", si disse Kaelee. "Se ne accorgono adesso che è pericoloso? Eppure Robin non si è mai mostrato contrario alle mie esercitazioni con Guy, che avrebbe potuto uccidermi in qualsiasi momento visto che porta sempre con sé la spada. Ha ucciso un sacco di gente, ma non ha mai cercato di farmi del male in alcun modo, quindi perché insistono a dire che è pericoloso? Solo perché mi punta contro un'arma, che non è detto userà sul serio per uccidermi? E se invece lo facesse? Se invece fosse d'accordo con Rudyard e volesse prendermi in ostaggio per portarmi da lui e farmi chissà che cosa in compagnia di mio fratello? E se avessero ragione Robin e Kate?".
«Tu non sei l'uomo di cui mi sono innamorata», mormorò infine, spaventata lei stessa da ciò che era appena uscito dalla sue labbra.
Sentì di nuovo quel dolore misto a rabbia che la indusse a tendere l'arma e accettare di combattere contro quell'uomo tornato dal passato a tormentare il Guy che lei amava e che la amava. Decise di reagire: se Guy voleva violenza, lei gli avrebbe dato violenza sebbene proprio lui le avesse detto, non molto tempo prima, che alla violenza non bisognava rispondere con altra violenza. Se era riuscita a contenersi in presenza di Rudyard era solo grazie a Gisborne e alle parole che le aveva sussurrato all'orecchio, alla gentilezza con cui le aveva avvolto la mano con la propria, alla decisione con cui le aveva cinto i fianchi per trattenerla, ma ora che proprio lui era dalla parte opposta e la incitava a duellare, Kaelee non trovava la forza di essere lucida, deporre l'arma e affrontare l'uomo verbalmente, giocando d'astuzia alla maniera di Robin Hood.
"Ma io non sono Robin Hood", si disse. "Io non sono altro che una ragazza di campagna costretta ad affrontare una situazione più grande di lei".
Tutto ciò che era in grado di fare in quel frangente era sperare che Gisborne tornasse ad essere la persona che aveva incontrato al suo arrivo a Locksley, perché ciò che stava vedendo non le piaceva affatto e sapeva che non avrebbe mai potuto amare davvero un uomo come lui. Nonostante avesse accettato il Sir Guy di Gisborne del passato come parte dell'uomo che le aveva rubato il cuore e l'anima, e nonostante avrebbe continuato ugualmente a provare quel sentimento per lui anche se il Guy che amava fosse stato messo di nuovo in ombra dal vecchio Sir Guy, Kaelee sapeva che non sarebbe riuscita ad esprimerlo al meglio, se obbligata a interagire con una persona animata da cattiveria. Gisborne le aveva parlato di Lady Marian come la prima persona che avesse visto in lui qualcosa di buono, delle qualità nascoste sotto strati di malvagità e violenza, e Kaelee provava molta ammirazione per quella donna, che doveva certamente aver avuto una personalità forte. "Io sarei stata in grado, al suo posto, di non vedere in Guy solo odio?", si domandò in preda a dubbi e incertezze.
In tutto ciò un'altra cosa Kaelee sapeva senza margine di errore: non era all'altezza del suo avversario, ma era determinata a fare del proprio meglio nella speranza che prima o poi lui si arrendesse e rinsavisse.

I due si misero a combattere e Kaelee smise momentaneamente di pensare a qualcosa che non coincidesse con i movimenti di Gisborne: se lui tendeva un muscolo, lei doveva rendersene conto per tempo; se lui affilava lo sguardo, lei doveva intuirne le motivazioni; se lui faceva sibilare la lama nello spazio che li divideva, lei doveva prevederne la direzione.
Lottò a lungo e si stancò moltissimo nel tentativo di contrastare i colpi inferti da Gisborne in tutta la sua maestria, potenza, abilità, con cui per la prima volta lei aveva a che fare davvero. Non riuscì quasi mai a completare un affondo, trovandosi sempre la spada dell'uomo contro la propria e Kaelee si rese conto che Guy era un nemico impossibile da battere partendo dalle condizioni in cui si trovava lei. Per questo motivo si sentì una stupida e capì definitivamente perché Guy si era quasi messo a ridere quando era venuto a sapere dell'avventura nella foresta di Sherwood e della sicurezza ostentata da Kaelee dinanzi al proprio nemico.
"Sono davvero una stupida visto che non sono nemmeno in grado di intimorire Guy", si disse, vicina al limite sia fisico che emotivo.
«Perché?!», urlò disperata, con le lacrime che minacciavano di velarle la vista e compromettere il duello.

Gisborne, che aveva fatto tutto quanto era in suo potere per non dosare la forza rispondendo all'istinto di protezione che nutriva per la ragazza e che aveva duellato spingendo al massimo le sue conoscenze ed abilità, mostrando così alla ragazza una parte di sé che lei ancora non conosceva per esperienza diretta, immaginava che da un momento all'altro Kaelee sarebbe crollata, sopraffatta dallo sforzo. Sul viso di lei, infatti, la fatica era evidente, ma Gisborne non immaginava che lo scontro potesse prendere una nuova piega e che, anziché cedere fisicamente, Kaelee avrebbe ceduto sul piano psicologico. Evidentemente la ragazza era troppo giovane per far fronte ad un contesto così pesante ed angosciante, evidentemente lui e Robin l'avevano caricata eccessivamente nel timore che potesse scoprire i loro intenti prima del tempo.
La semplice domanda, urlata in quel modo, fu come uno schiaffo per Gisborne che si sentì immediatamente in colpa mentre veniva sopraffatto dal dolore, perciò decise che poteva bastare e che era tempo che Kaelee sapesse la verità su tutta la faccenda, anche se Guy iniziava a temere ciò che sarebbe successo da lì a qualche minuto. 
"Come reagirà sapendo di essere stata presa in giro da tutti? Sicuramente il senso di tradimento le brucerà nel petto, ma cos'altro? No, non dovrei pensarci, ma non posso farne a meno e dunque mi chiedo: che cosa sarà di noi quando le dirò che l'idea è stata mia? Non vorrà più guardarmi in faccia e in tal caso dovrò farmi forza perché è per il suo bene che ho voluto tutto questo, per garantirle che non avrei più barato durante l'addestramento. E se lei non volesse più avermi come maestro? Avrò fatto tutto questo inutilmente?", si domandò Gisborne, preda di se stesso e di tutta l'insicurezza che aveva cercato per una vita intera di mascherare dietro atteggiamenti da cattivo, seguendo gli scellerati consigli di Vaisey di Nottingham, il quale gli aveva assicurato di considerarlo al pari di un figlio. Che padre snaturato era allora quello Sceriffo se aveva spinto suo figlio nel baratro della violenza.
Sebbene desiderasse poter guardare Robin negli occhi e in essi cercare tutte le risposte, Guy sapeva di doversela vedere da sé, perciò prese una decisione e la portò a compimento immediatamente. Senza preavviso, l'uomo sferrò un ultimo affondo con l'intento di mandare a terra entrambi: si scagliò su di lei con la ferocia che nutriva verso se stesso, brandendo la spada con sicurezza, e, soltanto un istante prima di stroncare la vita di Kaelee, le piombò addosso senza ferirla, piantando la spada nel terreno anziché nel cuore della giovane e restando sopra di lei.

Fu un attimo, solo un piccolo, insignificante ed eterno attimo in cui Kaelee pensò a tutto ciò che aveva fatto per sfuggire alla prepotenza che era stata costretta a subire a Edwinstowe. A stento l'aveva visto spostarsi quell'uomo che non riconosceva più, a fatica aveva realizzato che nel giro di qualche secondo sarebbe morta per mano di lui come era già accaduto a Lady Marian e a Isabella Thornton, ma riuscì a chiudere gli occhi attendendo il dolore che avrebbe provato quando la lama le avesse trafitto la carne.
Attese una manciata di secondi senza che il lancinante dolore arrivasse, sostituito da una vertigine improvvisa e da una perdita di equilibrio che l'aveva fatta rovinare a terra. Trovò due occhi chiari a fissarla, quando riaprì i suoi, un paio di meravigliosi occhi color del cielo che Kaelee conosceva così bene e che la confusero ancora di più.
"Cosa ci faccio per terra con Guy a bloccarmi? Oh, questo sguardo... Tanto intenso e bello sul viso arrossato per la fatica!", pensò dimenticando momentaneamente ogni cosa.
«Per mostrarti con chi avrai a che fare durante i prossimi allenamenti», sussurrò l'uomo, che sembrava essere di nuovo quello che amava.
Kaelee si prese del tempo per riflettere su quelle parole, non comprendendone immediatamente il significato sebbene, si accorse, rispecchiassero una delle tante ipotesi confuse che aveva vagliato. Man mano che i tasselli si incastravano ognuno al proprio posto – Robin e Kate compresi – si sentì sempre più presa in giro in un modo così subdolo che le lacrime pronte a scendere cambiarono idea e la rabbia montò dal profondo del suo animo come quando aveva visto Rudyard fare lo sbruffone a Locksley. Guardò Gisborne stralunata, arrabbiata, ferita, e infine gli diede una ginocchiata nello stomaco per toglierselo di dosso, non volendo restare un minuto di più in compagnia di quell'essere infimo.
Kaelee non poteva credere che lui e Robin si fossero davvero divertiti così alle sue spalle.
Vide Gisborne sgranare gli occhi e gemere in reazione al colpo, prima di spostarsi tossendo e consentendole di alzarsi. Non si sentì per niente in colpa nel vederlo piegato in ginocchio, nemmeno quando realizzò di aver centrato esattamente il punto in cui Rudyard lo aveva ferito, perché era troppo arrabbiata per provare un sentimento diverso e lo era troppo anche per fuggire via come l'istinto stava cercando di suggerirle. Sarebbe stato troppo facile togliersi di torno e lasciare che il tempo ponesse rimedio e placasse gli animi, perciò quella volta sarebbe rimasta e si sarebbe vendicata.
Dalla sua posizione, ma soprattutto grazie al nuovo punto di vista che si era guadagnata in seguito alla rivelazione di Gisborne, poté vedere Robin teso nella sua direzione, pronto ad intervenire, avendo così conferma che era complice. Ciò che più di ogni altra cosa Kaelee non riusciva proprio a capire era perché semplicemente non avessero provato a parlargliene, perché non avessero tentato di convincerla che Gisborne avrebbe cambiato approccio durante le esercitazioni.
Quando l'uomo si alzò e fece per parlare, lei sollevò la mano per mollargli un sonoro ceffone e anche se Guy non si difese, né si spostò di un millimetro, non riuscì sentirsi in colpa, né soddisfatta.
«Sei perfido», sibilò, fuori di sé. Sarebbe stata disposta a tutto pur di restituire a Gisborne la pace che si era guadagnato a fatica, ma dopo aver compreso che tutti l'avevano imbrogliata l'unica cosa che desiderava era odiarlo con tutta se stessa e anche se sapeva in partenza che non ci sarebbe riuscita, ci avrebbe provato.
«Non mi avresti creduto se te l'avessi semplicemente detto senza dimostrartelo», commentò lui abbassando lo sguardo.
Volò un altro schiaffo.
Le lacrime alla fine ci ripensarono di nuovo e le bagnarono il viso, sebbene l'espressione arrabbiata non l'avesse ancora abbandonata. "Come ha potuto farmi questo?", si domandò, con le mani che le tremavano violentemente per la rabbia.
«Certo», commentò con un'ironia che solitamente non le apparteneva. «Perché quando mi hai detto di non essere più un assassino io non ti ho creduto, vero? Quando mi hai detto di aver lasciato andare il ricordo di Lady Marian io non ti ho creduto, non è così?», chiese retorica alzando la voce. Era profondamente ferita e non riusciva più a controllare pensieri ed emozioni che sgorgarono, quindi, impetuosi e taglienti. «Io ti ho sempre creduto!», urlò. «Perfino quando fingevi di insegnarmi a combattere io ti ho creduto, passando per una sciocca ignorante!». Nonostante i propositi di vendetta, ormai singhiozzava e per questo decise che non era il caso di restare lì a farsi umiliare ancora; quindi recuperò la propria spada, la fece scivolare nel fodero e si voltò per andarsene nonostante gli occhi lucidi di Gisborne. Appena il suo sguardo finì sulla figura di Kate, Kaelee si sentì nuovamente tradita e si bloccò consentendo a Gisborne di afferrarla per un polso, gesto che stuzzicò di nuovo tutta la furia che provava verso quelli che aveva considerato suoi amici.
«Non mi toccare!», ruggì senza che lui muovesse un solo muscolo. «Lasciami andare!», continuò, senza riuscire a smettere di piangere.
«Non posso», sussurrò lui con voce tremante.

Più Kaelee cercava di divincolarsi, pestando i piedi, agitandosi e urlandogli di lasciarla andare, più la sua stretta attorno al polso sottile si rafforzava, perché se l'avesse lasciata andare non avrebbe avuto più alcuna opportunità di recuperare con lei, la quale, guardandolo dritto negli occhi, gli disse che esattamente come aveva avuto la forza di mettere in scena quella pagliacciata, poteva allo stesso modo mollare la presa su di lei e lasciare che se ne tornasse a casa.
Gisborne scosse il capo, spaventato da ciò che aveva appena detto. Si chiese intimamente cosa Kaelee intendesse con "tornare a casa" e temeva che "casa" equivalesse a Edwinstowe e non all'abitazione che condivideva con Kate: il solo pensiero bastava a causargli un tale dolore che era quasi impossibile trattenere le lacrime.

Robin, che osservava a debita distanza la scena, pronto a intervenire se Kaelee avesse reagito con eccessiva violenza, ma disposto a lasciare che sfogasse almeno in parte la rabbia che provava, non aveva mai visto Gisborne cedere dinanzi a nessuno che non fosse lui stesso o Archer e capì che, se era pronto a mostrare il suo lato più umano a Kaelee, allora doveva amarla davvero molto. Quindi si rasserenò, perché se era stato l'amore a muovere quelle circostanze, certamente nulla di ciò che era avvenuto sarebbe stato vano.

Kate, anch'essa rimasta ad osservare, era sconvolta dall'atteggiamento di Kaelee e si preoccupava della propria posizione. Non avrebbe mai immaginato che la dolce ragazza che condivideva con lei non solo l'abitazione, i pasti ed una camera da letto, ma anche un pezzo di vita, potesse schiaffeggiare l'uomo che amava tanto intensamente, come più volte le aveva confidato nelle conversazioni che avevano prima di dormire. La donna considerava Kaelee un'amica importante, una sorella, una persona a lei indispensabile, e aveva imparato ad apprezzare anche Gisborne, perciò era immensamente dispiaciuta per la piega che gli eventi avevano preso; se aveva accettato di far parte della commedia era solo per il bene di Kaelee, ma stando così le cose non credeva più che quanto era accaduto potesse far bene alla sua amica e cominciava a credere che lei non avrebbe più voluto condividere la stanza e la casa e che piuttosto avrebbe preferito dormire all'aperto o magari chiedere asilo ad Allan. Kate sapeva che se la ragazza avesse preso una simile decisione avrebbe distrutto il cuore di Guy in un attimo, perché Allan non aveva rinunciato del tutto alla ragazza attendendo, in cuor suo, un passo falso da parte di Gisborne. Allan si era messo in un angolo solo momentaneamente: non che desiderasse l'infelicità di Kaelee, ma sarebbe bastato un nonnulla a riaccendere la sua speranza di poterla conquistare, Kate ne era più che certa.

Sorprendendo i presenti,  Kaelee sfoderò nuovamente la lama e la puntò alla gola di Guy. Poté quasi sentire i respiri mozzati di Robin e Kate, certamente impietriti dinanzi ad una tale presa di posizione, e anziché ripensarci, si lasciò invadere dalla soddisfazione, dal senso di potere che quel gesto le instillava.
"Vuole mettermi alla prova? E sia", si disse provando nuovamente quel desiderio di vendetta mentre Gisborne non osava muoversi e tradiva sgomento con lo sguardo.
«Volevi sapere se ho il coraggio di ferirti», disse. «non provocarmi ulteriormente, ti dico, o lo scoprirai in fretta a tuo discapito». Ad ogni parola la voce minacciava di rompersi a causa del pianto che la scuoteva dall'interno e la mano che reggeva la spada tremava di tanto in tanto, ma la giovane donna non voleva darla vinta a quei traditori. «Lasciami andare», ripeté, furiosa come solo un'anima ferita sapeva essere.
Quando Gisborne chiuse gli occhi, Kaelee credette che avrebbe mollato la presa sul suo polso dolorante, ma si sbagliava, perché quelle dita non accennavano ad allentarsi mentre un luccichìo abbelliva il volto dell'uomo. Il suo cuore vacillò dinanzi alle lacrime di lui, senza però cedere alla tenerezza che le impose di ricordare tutte le cicatrici che Guy si portava addosso, il suo passato, tutti i baci che si erano scambiati e le carezze e le parole d'amore. Come se soltanto in quel momento riuscisse a vederla, Kaelee non riuscì a credere che la mano che teneva quella spada premuta sulla gola di lui, minacciando di lasciare l'ennesimo segno sulla pelle, le appartenesse, eppure non riusciva ad allontanarla. Una parte di lei desiderava mettere fine ad ogni cosa, abbassare l'arma e attendere che lui la liberasse; un'altra parte, assetata di vendetta, le imponeva di ferirlo fisicamente e non.
«Mi hai invitata ad essere crudele con chiunque minacci la mia libertà», continuò, riprendendo di nuovo le parole che lui le aveva rivolto poco prima. «Tu mi stai negando la libertà di andarmene, quindi sei per me una minaccia», concluse cercando di tenere un atteggiamento duro, sperando che l'ostentata risolutezza potesse scoraggiarlo e indurlo a liberarla. Era tremendamente umiliante per lei restare lì, sotto gli occhi di chi non aveva fatto altro che ingannarla, e piangere dinanzi a loro, comportarsi da sciocca dinanzi a loro – perché razionalmente Kaelee sapeva che cercare vendetta non le avrebbe arrecato alcuna soddisfazione. La presa di lui, però, si fece ancora più ferrea, quasi che non esistessero parole capace di scalfirlo in quel momento, e questo alimentò a dismisura la rabbia di Kaelee, la quale scoprì di avere perfino una vena sadica quando, senza rifletterci su, mosse la lama sotto al mento di lui e poi sulla guancia come se lo stesse accarezzando; infine la spostò sul proprio avambraccio e minacciò di ferirsi se lui non l'avesse lasciata libera di andarsene: era pronta a tutto semplicemente perché Gisborne aveva messo in dubbio la sua determinazione, semplicemente perché voleva vendicarsi di quello scherzo di pessimo gusto.
«No», disse Guy spaventato. «Non dici sul serio», soffiò, senza fiato.
Per tutta risposta lei premette leggermente la lama sulla pelle scoperta, senza ancora lacerarla, ma molto vicina a farlo, non temendo affatto il dolore che avrebbe provato.
«No!», esclamò di nuovo, sollevando la mano libera. «Aspetta, dammi un'alternativa», supplicò.
Gli rivolse un sorriso amaro che aveva il sapore della delusione e della derisione.
«E cos'altro vuoi? Prima vuoi una donna che sappia tenerti testa, poi la vuoi arrendevole. Dovresti fare chiarezza in te stesso prima di pretendere qualcosa dagli altri», disse con cattiveria.
Vide qualcosa cambiare sul volto di Gisborne e capì che qualcosa stava per succedere, anche se non riuscì a comprendere cosa prima che lui, senza preavviso, portasse la mano libera sulla lama con cui lei stava minacciando di ferirsi. Le si mozzò il respiro quando vide le dita stringersi attorno all'arma e fare pressione per strappargliela di mano. Una piccolissima parte della mente di Kaelee tenne conto dello spesso strato del guanto in pelle che Gisborne indossava e che certamente lo aveva protetto da un taglio profondo e doloroso, ma il resto del suo corpo non ci fece caso e reagì come se Guy avesse afferrato la lama a mani nude. Quel gesto la distrasse al punto da farle allentare la presa sull'elsa e permettere a Guy di appropriarsi della spada e gettarla lontano da loro, salvandola con ogni probabilità da una situazione che stava degenerando.
Sebbene fosse nel panico, Kaelee scorse con la coda dell'occhio Robin e Kate che si avvicinarono di corsa e recuperavano l'uno l'arma di Gisborne e l'altra quella che lei aveva brandito fino a qualche secondo prima.
«Vorrei potervi lasciare soli senza dovermi preoccupare che vi sbraniate a vicenda», disse l'arciere che, ottenuta risposta affermativa da entrambi, si allontanò insieme a Kate.
La ragazza era ancora ferma mentalmente al momento in cui le dita di Guy avevano stretto la spada e, ingabbiata nella morsa della collera e dello sconcerto, iniziò a colpire Gisborne con la mano che fino a poco prima aveva tenuto l'arma. Non erano colpi seri, tant'è che poco dopo fu di nuovo in lacrime e anziché schiaffeggiarlo finì per accarezzargli la guancia su cui aveva posato la lama qualche minuto prima, preda di quel crollo emotivo che da tanto minacciava ormai di prendere il sopravvento.
«Fammi vedere», gli disse tra i singhiozzi.
Lui scosse il capo e lei gli pestò un piede, stizzita.
«Non mi sono fatto nulla», mormorò.
«Fammela vedere lo stesso, testone!», strillò senza contegno. Ormai era crollata e riteneva che non avesse più alcun senso continuare a litigare; lo avrebbero fatto di nuovo, più tardi, nei giorni successivi, avrebbero discusso e forse non si sarebbero più guardati in faccia per qualche tempo, ma in quel momento Kaelee non ne poteva più di tutta quella cattiveria. Si era ripromessa di odiarlo, non molte decine di minuti addietro, eppure nemmeno in quel frangente, si rese conto, riusciva davvero a smettere di amarlo con tutta se stessa sebbene questo non le impedisse comunque di prenderlo a pugni, visto che Guy se l'era proprio meritato.
«Promettimi di non scappare», soffiò lui, trattenendo le lacrime.
«Promesso», assicurò.
Quando Gisborne si tolse il guanto tirandolo via con i denti, risultando indicibilmente sensuale, Kaelee pregò affinché i sensi non le venissero meno dinanzi ad una simile visione, considerato il suo stato emotivo; poi si diede dell'idiota per aver formulato simili pensieri dopo tutto quello che era accaduto quella mattina, anche se non riuscì a smettere di sbattere le palpebre velocemente in risposta a quel gesto. Era così confusa che se anche avesse voluto scappare venendo meno alla promessa appena fatta, appena lui allentò la presa sul suo polso, non ci sarebbe comunque riuscita, tant'è che le occorse un minuto buono prima di poter mettere in ordine un paio di frasi che galleggiavano senza un senso nella sua mente. Si rese conto anche di avere il polso indolenzito a causa delle stretta di lui, ma, anziché esserne irritata, qualcosa in lei la spingeva a guardare i segni rossi da un'altra angolazione; un'angolazione molto pericolosa in effetti, tanto che in pochi attimi la sua mente fu invasa dall'immagine di Guy che duellava con lei con la forza di un animale e pensò che l'uomo avrebbe potuto sfruttare quella stessa forza in altre occasioni molto più piacevoli. Come quando l'aveva atterrata poco prima, per esempio.
«Maledizione!», urlò all'improvviso, completamente fuori di testa.
I suoi pensieri erano incontrollabili e questo la faceva infuriare oltre ogni dire, perché non avrebbe dovuto pensare a Guy in quei termini dopo quanto era accaduto e avrebbe dovuto, anzi, prenderlo a calci, gridargli contro rabbia e dolore anziché desiderarlo. Guardarlo negli occhi mentre sul viso gli si dipingeva un'aria stranita, non era di alcun aiuto. Lo trovò, infatti, bellissimo fasciato dall'intricata trama di quella tenebrosa casacca che non gli aveva mai visto addosso, ma che lui le aveva mostrato una mattina; pensò che fosse bellissimo anche nella sua crudeltà più nera e ritenne, per questo, di essere una sciocca ragazzina alle prese con una cotta di proporzioni epiche che l'avrebbe condotta alla rovina, ma la cosa che la rendeva ancor più stupida era l'assoluta mancanza di volontà di porvi rimedio; al punto che se Guy avesse tentato di prenderla in quel preciso posto e istante, lei non si sarebbe ribellata, e non avrebbe considerato lui un bruto, un approfittatore, ma un amante perfetto.
«Cosa c'è?», le domandò Guy in un sussurro, distraendola.
"Questa voce, la sua voce. Il modo in cui mi ha detto "Vieni qui allora", con questa voce", pensò Kaelee.
"Vieni qui allora".
Era un invito irresistibile, come se glielo stesse sussurrando dall'interno.
"Vieni qui allora".
Il tono caldo e sensuale, lo sguardo terribilmente magnetico, tale che Kaelee si avvicinò a lui come la voce nella sua mente le ordinava.
"Vieni qui allora".
Si sollevò sulle punte, portò una mano tra i capelli di Guy e li strinse tra le dita.
«Kaelee...», mormorò lui, forse destabilizzato dal suo atteggiamento, prendendo a guardarla in un modo strano e nuovo, come se per la prima volta fosse riuscita a intimorirlo.
Decise di non rispondergli e di non fermarsi, troppo soddisfatta dalla piega che gli eventi stavano prendendo. Senza preavviso aggredì le sue labbra, lasciandosi guidare da tutte le emozioni che le scoppiavano nel petto: amore, rabbia e passione.

In prima battuta Gisborne subì il bacio, ancora stordito dalla luce di desiderio che le aveva visto negli occhi prima che lei monopolizzasse le sue labbra, ma quando reagì per Kaelee non ci fu più via di fuga. La strinse a sé con entrambe le braccia e si privò del guanto rimasto soltanto per poter beneficiare del calore di lei. Per la prima volta da quando aveva capito di amarla, Guy si lasciò andare completamente, abbandonando ogni pensiero, e per la prima volta cercò con insistenza la pelle della ragazza perché voleva percepirla sotto le dita, accarezzarla, sentirsela addosso, amarla totalmente e senza impedimenti, senza il solito campanello d'allarme che lo avrebbe frenato ad un passo dal confine tra ciò che lui riteneva lecito e ciò che invece considerava illecito. La passione improvvisa di Kaelee scatenò in lui un desiderio irrefrenabile misto al bisogno di risanare ogni astio, di dimenticare quel litigio e lasciarsi alle spalle quanto era appena accaduto per sua stessa volontà.

La ragazza si sentì invadere da un insolito senso di vittoria, come se il fatto che Guy volesse spogliarla fosse per lei una conquista.
Le sue mani imitarono quelle di lui e lasciarono i capelli solo per raggiungere le molteplici fibbie che contenevano un corpo perfetto e nonostante una serie infinita di lacci e cuciture che le impedivano di raggiungere lo scopo in tempi brevi, in particolar modo perché non poteva vederli impegnata com'era, Kaelee non smise un attimo di baciare Guy. Anche se un po' in ritardo capì che per privarlo dell'indumento avrebbe dovuto prima slacciargli la cintura, a cui era appeso il fodero per la spada che Robin e Kate avevano sequestrato insieme alla sua, ma trovato ciò che cercava, gliela strappò di dosso con uno scatto repentino e deciso, manifestando apertamente l'improvvisa voglia di amarlo.

Gisborne la lasciò fare e, quando la ragazza liberò tutti gli impedimenti, fece in modo che gli sfilasse di dosso quel primo strato lasciandolo con addosso la solita blusa nera che Kaelee ben conosceva. Immediatamente dopo, le braccia dell'uomo si avvinghiarono attorno al suo busto esile e mentre le mani di lei si spostavano sul suo petto per sciogliere il leggero nodo che ancorava i due lembi della scollatura, lui insisteva sulle spalle, sulla nuca, tra i capelli e poi giù, di nuovo, fino alla vita in una serie di carezze che facevano vibrare tanto lei quanto lui stesso. Aveva il respiro corto: baciare Kaelee gli toglieva il fiato più di una corsa sfrenata, così, per evitare di dover poi interrompere il bacio bruscamente, decise di lasciare momentaneamente la bocca della ragazza per raggiungere il collo sottile e cospargerlo di piccoli baci infuocati. Il sospiro che sfuggì alle labbra di Kaelee e il suo piegare istintivamente la testa di lato per facilitargli il compito e mostrargli quanto la cosa la appagasse, lo invitatono a non fermarsi come invece una parte di lui sapeva che avrebbe dovuto fare dal momento che si trovavano in aperta campagna, alla luce del giorno.

Considerato che quel giorno Guy non era intenzionato a ostacolarla, Kaelee decise di osare: le sue dita raggiunsero la vita ampia di lui per poi infilarsi, spudorate, al di sotto del tessuto cercando il contatto con la pelle nuda del petto e godendo di quel calore che avrebbe voluto sentire su una porzione più ampia del proprio corpo, quando, del tutto inaspettatamente, si rese conto che il terreno spariva da sotto i suoi piedi e che ciò che riusciva a vedere oltre i capelli neri di Gisborne, ancora impegnato ad incendiarle il collo, si stava inclinando. Poco dopo comprese che non era il mondo a muoversi, ma lei, che si ritrovò con la schiena tra i fili d'erba, sovrastata dall'imponente figura dell'uomo.
Per un attimo incontrò lo sguardo di Guy: non c'era traccia dell'ostilità di prima, ma quei frammenti di cielo bruciavano intensi ed erano lo specchio di tutte le sensazioni di cui lei stessa era preda. Una voce molto lontana tentava di avvisarla sulle conseguenze di quella situazione, ma era così debole in mezzo alla tempesta, che Kaelee non riusciva nemmeno a sentirla davvero; e poi, comunque, non voleva ascoltarla. Si aggrappò quindi ai fianchi di lui, non per respingerlo ma per trattenerlo.

Incastrato nel caramello che erano gli occhi di lei, Gisborne portò una mano sulla gamba della ragazza, incurante di ogni altra cosa, oltrepassò l'abito e le accarezzò la pelle fin sopra al ginocchio, che istintivamente si sollevò all'altezza della sua vita. Approvò così tanto quell'iniziativa che continuò ad avanzare con le dita raggiungendo la coscia tonda e compatta della ragazza. La vide avvampare, la sentì premere con forza le dita sulla pelle, e in un primo momento se ne beò desiderando vederla arrossire ancora, volendo sentirla sospirare sotto di lui e a causa delle sue carezze impertinenti. Poi, però, il solito allarme scattò e appena Guy si rese conto della direzione che avevano presi gli eventi si fermò nonostante il desiderio.
Lentamente le fiamme che lambivano ogni parte del suo corpo si fecero più quiete e le carezze divennero dolci e rassicuranti, come il sorriso che le rivolse. Impiegò un po' a riaversi completamente, perché quella volta aveva quasi oltrepassato ogni limite, ma alla fine riuscì a dominare i propri istinti ricordando che non era così che desiderava fosse la prima volta con lei. Ciononostante lasciò la mano esattamente dov'era.

Con il cuore che martellava dolorosamente nel petto, Kaelee sospirò e si abbandonò completamente a quella posizione, esausta più per la potenza delle emozioni provate che per un reale sforzo fisico. Si prese un paio di minuti di completo silenzio e totale immobilità per placare il fuoco che ancora sentiva dentro e per riuscire a capire se essere grata a Gisborne per essersi fermato, oppure se prenderlo a schiaffi fino all'indomani per lo stesso motivo. Una parte di lei sicuramente aveva apprezzato il gesto, immaginando che con la mente tanto sconvolta non avrebbe di sicuro potuto gustarsi pienamente un momento così intimo; un'altra parte di lei, però, avrebbe voluto andare fino in fondo, annegare in quell'atto e dimenticare tutto il resto, così non sapendo decidere cosa fosse più giusto, alla fine si disse che non era necessario decidere nulla.
Sentì e vide Guy scivolarle di lato, risistemarle il vestito e perdersi a guardarla. La prima sensazione che provò fu l'assenza del corpo di lui sul proprio e non fu piacevole, ma preferì tacere, presa da altri pensieri.
«Non so cosa mi sia preso», sussurrò timidamente.
Il venticello fresco che le sfiorava il viso solleticandola con l'erba la aiutava a mettere a fuoco i pensieri sconnessi che le galleggiavano nella mente e il risultato era imbarazzante.
«Non lo sai?», mormorò Guy sorridendole dolce.
Anche lei si mise su un fianco, di fronte a lui.
«Intendo dire che invece di...», la parola giusta era "desiderarti", ma non ebbe il coraggio di esprimerla a voce alta. «...baciarti, avrei dovuto pestarti per bene», rispose abbassando lo sguardo per paura che lui le leggesse troppe cose negli occhi. Un istante più tardi si disse che effettivamente non c'era molto da nascondere: il modo in cui si era comportata con lui era più eloquente che mai. Gli aveva praticamente fatto capire di essere disponibile e se ne vergognava così tanto che avrebbe voluto sparire.
Lo sentì sospirare e un brivido le attraversò la schiena.
«Hai ragione», disse. «Puoi perdonarmi se ti dico che ho gradito maggiormente i tuoi baci degli schiaffi?», chiese in un sussurro.
In quel momento fu come se Kaelee si fosse risvegliata improvvisamente da un sogno, di nuovo: ricordò di averlo colpito più di una volta in viso e immediatamente si scusò con lui per averlo fatto, pentendosene amaramente, e, come spesso le accadeva quando andava in panico, non poté fare a meno di parlare a briglia sciolta, così gli disse che non avrebbe mai voluto farlo e che detestava la violenza ed i litigi, non sopportava dover alzare la voce e difendersi a quel modo dalle persone che amava, che tutto quel discutere le ricordava la famiglia da cui si era allontanata, che il solo pensiero di dargli uno schiaffo non l'avrebbe mai sfiorata se non fosse stata tanto infuriata con lui.
«Shhh», fece lui. «Non importa, me la sono cercata», mormorò mettendosi a sedere.
Kaelee lo imitò; lo sguardo le cadde sulle proprie gambe e il ricordo delle carezze infuocate di Guy le sconvolse di nuovo la mente. "Possibile che non riesca proprio a controllarmi?", si chiese e quando un "Sì, è possibile", nacque spontaneo da qualche parte dentro di lei, Kaelee seppe che avrebbe dovuto farci i conti più o meno per tutta la vita.
Non aveva più voglia di pensare, ragionare, riflettere, quindi si alzò, si portò di fronte a lui e si sistemò cavalcioni sulle sue gambe; lo guardò intensamente negli occhi mentre gli prendeva le mani per condurle nuovamente su di sé, oltre l'abito, volendo sentire ancora quel calore, quella sensazione di benessere.

Sebbene avesse creduto di amare una donna, in passato, Gisborne dovette rendersi conto che avere una relazione corrisposta era tutta un'altra cosa che amare unidirezionalmente qualcuno. Interpretare i gesti della donna che amava era una sfida continua che però non riusciva a sfiancarlo o ad annoiarlo, tanto che non si sentì davvero minacciato quando vide Kaelee alzarsi sebbene una parte di lui avesse preso in considerazione che lei potesse andarsene e lasciarlo lì, da solo, con i suoi sensi di colpa.
Quando la vide scendere sulle proprie gambe Guy non aveva idea delle intenzioni di Kaelee, tuttavia non si oppose e appena comprese l'intento della ragazza, appena riuscì a interpretare le parole mute incastrate negli occhi di lei, mosse delicatamente le dita sulla sua pelle accarezzandola senza fretta.
In cambio ricevette un bacio sulla guancia che gli fece socchiudere gli occhi e battere il cuore mentre la consapevolezza di essere un uomo immensamente fortunato si faceva strada in lui, in quanto Kaelee lo amava con una purezza che non credeva potesse esistere su quella terra.
Non avrebbero fatto l'amore quel giorno, ma nessuno avrebbe impedito loro di regalarsi un po' di attenzioni.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 17/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Ammetto candidamente che non avevo la minima idea di come sarebbe andata a finire e ammetto anche che assistere alla loro lite è stata un'esperienza poco piacevole, sebbene necessaria visto che questa scena ha preteso di essere scritta. Non so fino a che punto, nella vita reale, due persone alle prese con una simile discussione finirebbero per baciarsi e desiderarsi come Guy e Kaelee, ma la sola idea di farla allontanare e lasciare da solo Guy mi creava non pochi problemi.
Mi auguro di non aver esagerato con la fantasia e di essere stata credibile nelle dinamiche.
In ultimo voglio precisare, per chi legge la fanfiction come un'originale, che in un episodio della serie tv Gisborne si è davvero tolto il guanto in pelle con i denti e la cosa mi è piaciuta così tanto che ho pensato di riproporla, vista la situazione. In quanto a "l'intricata trama di quella tenebrosa casacca", il riferimento è all'abbigliamento di Gisborne nella terza stagione (vedi foto), prima di uscire dalle grazie dello Sceriffo e del Principe.

Come sempre vi ringrazio per il vostro tempo e vi sono grata per le eventuali recensioni.
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** I Tre ***


I Tre


I Tre

Lo stato d'animo di Kaelee non era mai stato tanto altalenante prima che si innamorasse e che suo fratello Rudyard piombasse a Locksley.
La concomitanza delle due circostanze la portava ad essere sorridente un momento e pessimista un attimo dopo, comprensiva ora e altamente irritabile tra un istante. In più ce l'aveva ancora con tutti a causa delle modalità che avevano scelto per dimostrarle che gli allenamenti avrebbero preso un nuovo andazzo. In cuor suo sapeva di potersi fidare ciecamente di ognuno, ma l'arrabbiatura non ancora sbollita la rendeva sospettosa e, come se non bastasse, Allan era sempre dietro l'angolo tutte le volte che la ragazza se ne andava in giro senza Gisborne. Questo perché, come aveva ammesso candidamente durante una riunione al Maniero, quando il fratello di lei aveva fatto l'infelice comparsa a Locksley, lui era assente e ritenendolo imperdonabile da parte sua, dal momento che aveva offerto protezione alla ragazza, aveva deciso che non avrebbe più permesso il verificarsi di una simile eventualità.
Allan le appariva sempre molto felice di poter trascorrere tempo extra con lei, al di fuori delle lezioni di lettura che Kaelee ancora prendeva, ma le stesse sensazioni non appartenevano a lei, che aveva mille pensieri, domande e dubbi per la testa senza riuscire mai ad avere una sola risposta certa.
Sostenere di essere sotto pressione era la sintesi della sintesi di ciò che provava Kaelee in quel periodo e dire che Allan e Gisborne non ne avessero combinate di tutti i colori in passato, insieme e separatamente, era una fandonia bella e buona, come Kaelee ben sapeva; senza contare che sapeva pure che, per questo motivo, Much era piuttosto preoccupato e temeva che Allan stesse rischiando grosso mettendosi tra lei e Gisborne.
«Gisborne è pur sempre Gisborne», gli sentì dire a Kate un pomeriggio, mentre lei si trovava al piano superiore nel tentativo di rilassarsi con un bagno caldo. «Ed è comunque un uomo. Se qualcuno facesse lo stesso con te, non la passerebbe liscia. Gli farei vedere io!».
Dunque Kaelee aveva avuto modo di capire che, nonostante lei avesse parlato con Allan tempo addietro in merito ai propri sentimenti per lui, tutti i membri della banda erano fermamente convinti che Allan non attendesse altro che il momento più opportuno per corteggiarla apertamente, come se lei lo avesse mai incoraggiato in tal senso. "Perché nessuno tiene mai in conto me?", si chiese Kaelee, piuttosto irritata. "Sono giovane, è vero, ma non mi sembra di aver mai dimostrato di essere una rammollita, una ragazzina svenevole, una che si compiace nell'avere più spasimanti. Uno solo mi basta e avanza vista la situazione! Possibile che non ci sia neanche uno di loro che creda in me? Neanche Kate?", sbuffò. "Pensassero pure quel che vogliono, io ho problemi più grandi da affrontare ora", si disse immergendo la testa nell'acqua per non dover sentire altro della conversazione che stava avvenendo di sotto.
I problemi più grandi cui Kaelee doveva far fronte riguardavano per buona parte Gisborne, il quale era ancora l'uomo che amava con tutta se stessa, ma che rappresentava anche la persona che più di ogni altra l'aveva tradita. Non avendo mai frequentato molte persone, Kaelee non era avvezza a questo tipo di circostanze – in cui per l'altrui bene si mente senza malizia – e ogni sua sensazione bruciava al pari del primo amore, della prima delusione, della primo ginocchio sbucciato, della prima scottatura nel tentativo di accendere il fuoco, perciò non sapeva come comportarsi con Guy, il quale, per sua fortuna, si rivelò un uomo molto paziente e anche molto innamorato, senza sembrare troppo dura o troppo superficiale. Né se la sentiva di chiedere consiglio a Kate come aveva fatto altre volte, perché anche lei in fin dei conti l'aveva tradita.

Sebbene non di rado accadeva che Kaelee inveisse contro di lui o che gli rinfacciasse la pessima idea della farsa, non la trattò mai con durezza, non le rispose mai male e non si arrabbiò quando la ragazza decise di non rivolgergli la parola per tre giorni. Si sentiva ancora in colpa anche se l'aveva fatto per lei, perciò la espiava senza aprir bocca. Furono comunque i tre giorni peggiori di tutta la sua vita e il fatto che Allan ballasse sempre attorno a Kaelee non lo aiutava per niente. Nonostante il fastidio che ne derivava, Gisborne decise di non cercare un confronto con l'uomo che per un periodo era stato suo complice e traditore al tempo stesso, doppiogiochista e opportunista dotato di un grande istinto di conservazione, perché se per Kaelee la presenza di Allan non era un problema, lui ritenne di non avere il diritto di intervenire: voleva renderla libera e indipendente del resto.
Solo perché era stato il braccio destro dello Sceriffo ai tempi in cui Nottingham, Locksley e i villaggi circostanti erano sotto la tirannia di Vaisey, solo perché si era dimostrato un uomo disposto a uccidere senza remore e a far del male al prossimo senza ripensamenti, non significava che non avesse un cuore e che non comprendesse i sentimenti umani, che non potesse essere altruista anche lui. Chi aveva avuto la pazienza di ascoltarne l'intera storia, di scendere a fondo nella sua vita e nelle sue esperienze, sapeva che se aveva dato alle fiamme l'abitazione di Lady Marian e Sir Edward era principalmente perché lei, rifiutandolo all'altare, lo aveva ferito. Si rendeva conto di averle voluto bene nel modo sbagliato, ma non poteva negare a se stesso di aver provato qualcosa per lei, perciò tutte le volte che lei gli aveva negato una carezza, un bacio o anche solo amicizia e lealtà lui aveva sofferto moltissimo e anziché reagire chiudendosi in se stesso, sfogandosi con un amico, rassegnandosi o tentando di conquistarla con gentilezza, aveva finito per essere violento e cattivo, perché questa era l'unica via che conosceva. Nessuno gli aveva mai riservato una carezza dopo la morte di sua madre, perciò Guy non ricordava più cosa volesse dire essere amato; nessuno gli aveva insegnato ad amare e ciononostante aveva avuto la forza di farlo. Questo non lo giustificava affatto, né agli occhi della popolazione di Locksley e Nottingham, né ai suoi stessi occhi, ma lo rendeva meno mostro e più essere umano; un essere umano volto a cattive azioni, ma pur sempre un essere umano. Tra tutti, forse neanche tanto paradossalmente considerato che si conoscevano da quando erano dei bambini, era stato Robin quello che per primo aveva scelto di ascoltare il suo cuore. Dopo aver avuto diverse conversazioni con Tuck, il quale lo aveva aiutato a tirare fuori ciò che sentiva senza doversene vergognare, senza arrabbiarsi per le emozioni che provava, senza il timore che qualcuno lo avrebbe preso a schiaffi e deriso, Guy aveva deciso di raccontare la storia dal suo punto di vista e aveva scoperto che farlo lo aiutava a comprendere meglio dove aveva sbagliato e perché, gli era utile nella ricerca di se stesso. Aveva lui per primo scoperto che un conto era sentir raccontare ciò che aveva fatto negli anni e giudicarlo, altra cosa era rivivere la sofferenza che c'era dietro ad ognuno dei crimini che aveva commesso.
Ciò che molti ancora non riuscivano a comprendere era che Gisborne non era nato malvagio, tant'è che dopo tutta una serie di tragici errori e con l'aiuto dei suoi fratelli aveva infine portato alla luce la parte buona che era in lui e si era innamorato nel modo più giusto, mettendo da parte tutta la negatività che lo aveva accompagnato per anni. A volte sbagliava ancora, a volte tendeva ancora ad arrabbiarsi quando era estremamente preoccupato per Kaelee, a volte si poneva con prepotenza quando riteneva che lei volesse fare qualcosa di troppo ardito o pericoloso, sostanzialmente, però, Gisborne aveva fatto tesoro di molte lezioni, aveva ritrovato se stesso ed una famiglia in Robin e Archer, aveva trovato una dimensione tutta sua a Locksley e si era lentamente guadagnato la fiducia di molti.
Mentre Kaelee sceglieva di non vederlo, Gisborne provava a lasciarle spazi e tempi aiutato da una comprensiva Kate, che di tanto in tanto gli passava qualche informazione, pur essendone lei stessa a corto dal momento che Kaelee quasi non le rivolgeva la parola. Aveva così appreso che per la ragazza non era semplice stargli lontana, – visto che, a detta dell'amica, sembrava sempre che fosse irrequieta per qualcosa e si guardava attorno come se cercasse qualcuno – che a volte, di notte, sussurrava il suo nome e che se veniva a sapere di qualcosa che lo riguardava, immediatamente un sorriso spuntava sulle sue labbra.

Quei tre giorni potevano aver messo alla prova la pazienza di entrambi, ma non il loro amore.
Si amavano, ma lei era giovane, inesperta, istintiva e sfuggente quando qualcosa non andava come l'aveva immaginata; lui faceva continuamente i conti con un passato difficile, con amori finiti sempre male e l'ombra della paura di sbagliare che lo seguiva ovunque andasse. Era una relazione particolarmente difficile nei momenti di disaccordo, ma molto intensa in ogni caso. Alla fine si attraevano come come la calamita attrae il ferro e riuscivano sempre a sanare ogni crepa riempiendola d'amore.

Chiesa di Locksley.
Tuck stava parlando alla popolazione di Locksley, nella nuova Chiesa che era stata ricostruita dopo l'incendio fatto appiccare dal Principe Giovanni; stava tenendo uno dei suoi illuminanti e appassionati discorsi a tutta la popolazione di Locksley e a chi da Nottingham aveva voluto recarsi nel villaggio quel giorno, quando Much capì che avrebbe dovuto chiedere la mano di Kate. L'intuizione arrivò così, all'improvviso, senza che ci avesse meditato sul serio nei giorni precedenti. Mentre Tuck parlava, Much aveva semplicemente smesso di ascoltarlo e si era detto "Devo chiedere la sua mano. Lo sapevo. L'ho sempre saputo" e proprio non riusciva più a stare seduto lì dov'era e concentrarsi in silenzio e attentamente sulle parole del frate, perché in lui la molla era scattata e tutto ciò che desiderava fare era camminare su e giù per tutta Locksley alla ricerca delle parole più opportune da usare, al posto migliore in cui dichiararsi ufficialmente, all'anello che le avrebbe regalato. "L'anello! Io non ce l'ho un anello da darle!", si disse mentre Kate, ignara di tutto, gli sedeva accanto, completamente presa dalla voce potente di Fra Tuck. "Lo sapevo! Lo sapevo che qualcosa doveva andare storto", continuò, nel suo monologo interiore fatto di piccoli tic nervosi.


Alcuni giorni prima.
Nottingham.

Rudyard non aveva trovato alcuna difficoltà ad ambientarsi in quella nuova città. Dopo la breve sosta a Scarborough e dopo essersi liberato di un inutile peso di nome Willard, l'uomo era ripartito alla volta di Nottingham con l'intento di non fallire di nuovo. La consapevolezza di avere a che fare con Robin Hood e con la sua banda di stupidi non lo spaventava affatto, perché per quanto quell'arciere arrivasse a minacciare, era l'unica cosa che sapeva fare davvero dal momento che, per una ragione che a Rudyard non interessava, aveva deciso di non uccidere più. Questo raccontavano le storie e il fatto che Gisborne fosse vivo e parte integrante dell'allegra compagnia di bifolchi ignoranti era la testimonianza di quanto l'arciere fosse sciocco, ingenuo e perfino una pessima guida. Avrebbe dovuto averla lui una banda di uomini sotto il suo comando e allora sì che avrebbe riscosso successo e vittorie in tutta l'Inghilterra.
Quindi si era stabilito a Nottingham, con la promessa di svolgere indagini su Locksley per ricavare informazioni utili su come sua sorella e i suoi protettori impegnassero le loro inutili giornate, e aveva anche incontrato qualche suo vecchio amico, riuscendo in breve a trovare una sistemazione adeguata e piccoli lavoretti che non lo rendessero sospetto per la comunità. Per il momento manteneva un basso profilo, per nulla intenzionato a far sapere a Robin Hood e ai suoi di essersi insediato a pochi passi dalle loro abitazioni, e curioso di verificare quanto alte fossero le difese del gruppo. Ben presto, però, sarebbe tornato all'attacco e possibilmente in compagnia.
Nel frattempo si scambiava brevi missive con Willard al solo scopo di informare la madre su eventuali novità, con la speranza di poterle dare presto la lieta novella dell'avvenuta cattura e punizione di Kaelee.


Presente.
Casa di Kate e Kaelee, Locksley.

Kaelee era rimasta sola a casa quella mattina, – dopo aver convinto a fatica Kate a recarsi in Chiesa come faceva tutti giorni prima di andare al forno di sua madre – perché appena sveglia si era sentita poco bene, cosa che aveva evidentemente allarmato Kate per ragioni che la ragazza non riuscì a comprendere subito, ma era bastato mangiare un frutto per riprendere il solito colorito, con grande sollievo di Kate. Kaelee non gestiva molto bene le situazioni di stress e in quel periodo era perennemente tormentata dal pensiero che Rudyard le sarebbe apparso davanti al naso nel momento meno opportuno, ancor meno opportuno visto che non aveva ancora fatto davvero pace con Guy. Troppo spesso quel fratello le appariva in sogno per uccidere Gisborne senza che lei potesse far nulla e questo la rendeva ansiosa e triste.
Ad appesantire il carico c'era l'addestramento, che si era rivelato molto più duro di quanto non fosse mai stato prima, in seguito al quale la ragazza rincasava spesso con qualche livido, i muscoli doloranti e una stanchezza tale che appena si metteva a letto crollava. I risultati, però, come sia lei che Gisborne avevano potuto verificare, erano notevoli: non soltanto Kaelee riusciva a gestire molto meglio i colpi dell'avversario e i propri movimenti nello spazio, ma diventava ogni giorno più forte, metteva su i muscoli necessari a renderla un avversario temibile, quasi imbattibile, al pari del suo maestro.
Ciò che testimoniava la serietà di entrambi in merito agli allenamenti era che anche quando Kaelee si era presa una pausa da lui, a nessuno dei due era passata per la testa l'idea di interrompere le lezioni, perché Rudyard sarebbe potuto tornare da un momento all'altro e rinunciare alle esercitazioni avrebbe reso inutile il teatrino messo su da Guy e Robin che, invece, aveva segnato una svolta decisiva per la ragazza: finalmente Gisborne la trattava come un allievo e non come una fanciulla in pericolo, finalmente Kaelee aveva potuto constatare personalmente le ragioni per cui Gisborne aveva ottenuto la fama di essere uno dei migliori nel suo campo. Se Robin sapeva scagliare tre frecce alla volta senza esitazione né imprecisioni, mantenendo il primato di più abile arciere di tutta Nottinghamshire e forse d'Inghilterra, Gisborne era in grado di sopportare duelli per ore intere senza patirne lo sforzo, senza lasciarsi mai colpire nemmeno di striscio, senza perdere la concentrazione, studiando l'avversario e affondando un unico colpo letale, definitivo. Insieme, quei due, avrebbero potuto fronteggiare senza difficoltà anche una ventina di guardie addestrate, Kaelee ne era certa.
Era affacciata alla finestra della camera da letto, al piano superiore dell'abitazione, e stava godendosi i raggi del sole che le accarezzavano con delicatezza il viso e il collo quando vide Guy passare. Il primo istinto, suggerito esclusivamente dal corpo, fu quello di mordersi il labbro: perfino dall'alto era l'uomo più bello che avesse mai visto e sebbene non ne avesse incontrati poi così tanti, sapeva che non avrebbe comunque cambiato idea. Sospirò e appoggiò il mento sulle braccia incrociate mentre lo osservava, anzi, lo contemplava come si può contemplare un'opera d'arte o il nonno che ti racconti una favola o il fratello maggiore che ti riveli un magico segreto. O la persona che si ami più di ogni altra cosa al mondo.
Lo vide incedere svelto fino alla costruzione da cui lei lo stava guardando, poi il suo camminare si fece più incerto; si fermò e ripartì un paio di volte, si voltò come se volesse tornare indietro, ma poi ci ripensò e mosse un passo in avanti, verso la porta d'ingresso. Kaelee trovò tenera quell'indecisione, pur non sapendo da dove provenisse. Anche se era ancora arrabbiata e si rifiutava di interagire con Guy al di fuori delle esercitazioni, Kaelee non aveva smesso di volerlo accanto. Poteva sembrare un controsenso, ma dentro di sé la ragazza sentiva che continuare a vederlo senza prima aver accantonato tutta la rabbia e quel pizzico di rancore che provava nei suoi confronti, sarebbe stato controproducente per entrambi.

Aveva ricevuto una velocissima visita da parte di Kate quel mattino presto ed era stato messo al corrente del malore accusato da Kaelee, cosa che, naturalmente, lo aveva allarmato subito. La sola idea che per un qualsiasi motivo Kaelee stesse male lo faceva impazzire. Kate, che come Guy sapeva ormai era completamente dalla loro parte, gli aveva anche detto che sarebbe andata in Chiesa e poi ad infornare i vasi con sua madre, quindi sarebbe rimasta fuori casa a lungo. Il modo in cui lo aveva guardato gli aveva lasciato intendere che, se avesse voluto e se la fosse sentita, avrebbe potuto raggiungere Kaelee con la sua approvazione. Inoltre, Gisborne si era trovato coinvolto, quella mattina, in una conversazione parecchio imbarazzante sia per lui che per Kate, la quale, pensando che Kaelee avesse sminuito perché ne temeva la reazione, aveva voluto accertarsi che i due non si fossero amati dal momento che il malore al risveglio aveva fatto nascere in lei il dubbio. Era stata così diretta che per un attimo entrambi erano avvampati ed erano rimasti immobili ognuno nella propria posizione, distogliendo lo sguardo.
«È da escludersi», aveva detto infine, schiarendosi la voce, ancora in imbarazzo.
«Molto bene. Lei è davvero strana in questo periodo. Non si confida più nemmeno con me e sono costretta a interpretare. E dato che voi due vi siete trattenuti parecchio il giorno della lite...», aveva risposto Kate, tutto d'un fiato.
«Sì, comprendo. Ti... Ti ringrazio per la tua premura».
«Allora io vado. Buona giornata!», aveva detto fuggendo via come un fulmine.
Era stata la conversazione più imbarazzante di tutta la sua vita e, sebbene fosse assolutamente certo che i dubbi di Kate erano infondati e non sospettasse affatto che Kaelee potesse averlo tradito in tal senso, quello scambio gli aveva messo addosso una tale agitazione che non riuscì a restare in casa. Era preoccupato per lei e si chiedeva se fosse il caso di consultare il medico del villaggio, oppure attendere che quello strano malore di ignota origine se ne andasse così come era arrivato. Mentre si chiudeva la porta alle spalle, ripensò alle parole di Kate, la quale gli aveva assicurato che, quando era uscita di casa, Kaelee sembrava essere in perfetta forma e che quindi, forse, era soltanto stanca per gli allenamenti intensivi. Si sentì subito in colpa essendo lui responsabile del nuovo ritmo che quelle lezioni avevano preso, nonché di tutti i lividi e i graffi che Kaelee si portava a casa. Eppure non riusciva a non ritenere necessari quei passaggi sebbene avrebbe preferito molto più evitare a Kaelee tutti i danni collaterali e renderla forte, indipendente e magnifica senza causarle alcun tipo di sofferenza.
Prese un profondo respiro convincendosi che la cosa migliore che potesse fare era andare a trovarla, come del resto gli aveva velatamente suggerito Kate, ma qualche passo più tardi una serie di domande spuntò fuori dal nulla. "E se sta riposando e la disturbo? Se volesse stare da sola? Se non vuole vedermi? Potrebbe aver mandato Kate a riferirmi una bugia per non dirmi in faccia che ne ha abbastanza di me", pensò volendo però chiederle almeno come si sentiva. Arrivato a pochi metri dall'abitazione di lei, si torturava ancora con pensieri contrastanti mentre quella paura – di sbagliare, di restare solo, di perdere Kaelee per sempre, di ricadere nell'oblio di una vita senza senso – non lo lasciava respirare.
«Ehi, straniero», chiamò una voce divertita, dall'alto.
Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse appellarlo in quel modo, ma la voce che aveva parlato era inconfondibile nel suo suono delicato ma pieno, vivace e colmo dell'entusiasmo dei suoi anni, perciò Guy sollevò lo sguardo in direzione di lei e quando la vide gli fu inevitabile sorriderle.
«Stavi forse pensando di venire a trovarmi?», gli chiese.
«Forse», rispose lui reggendole il gioco. «Mi faresti entrare se così fosse?», domandò.
Lei rise piano, dolcemente, mentre scompariva dietro la finestra portando con sé quel suono che Guy adorava. Ricomparve poco dopo, tutta intera e incredibilmente bella, sull'uscio di casa e, quando lo invitò ad entrare, Gisborne si sentì l'uomo più felice del mondo.
Agli occhi di Guy, Kaelee era di una bellezza capace di mettere sottosopra l'anima, quel tipo di bellezza che a guardarla a lungo sapeva far male agli occhi, al cuore, ad ogni parte del corpo.
Non era molto alta nemmeno se non la si confrontava con lui, eppure questo non riusciva ad essere un difetto su di lei, che era ben proporzionata; era infatti tutta minuta, perciò niente risultava fuori posto; aveva occhi grandi ed espressivi di un colore che lo tranquillizzava e che rendeva la bellezza di lei ancor più caratteristica; lunghe ciglia da bambina facevano da contorno allo sguardo di caramello e sottili sopracciglia, scure come i capelli, accompagnavano ogni sua espressione; a differenza delle sue, le labbra di Kaelee erano piene perfino nel colore e, quando sorrideva, si piegavano all'insù in un modo adorabile e per certi versi infantile nella loro spontaneità; Kaelee non sorrideva mai per compiacere qualcuno, né per ammaliare qualcuno che non fosse lui; anche il naso, come tutto il resto, era piccolo ma non sottile quanto il suo. Gisborne adorava il modo in cui arrossiva per qualsiasi cosa e come abbassava lo sguardo se provava imbarazzo. Portava i capelli piuttosto lunghi e le onde naturali della chioma creavano un morbido volume attorno a lei; quando poi si esponeva alla luce diretta del sole, piccoli fili tra il castano ed il rosso le si accendevano qua e là; era solita fissare un paio di ciocche per evitare che le ricadessero sul volto; aveva mani piccole e dita affusolate, unghie curate e qualche piccola lesione sui palmi per via dell'arma che maneggiava, per questo Gisborne intendeva regalarle un paio di guanti su misura. Kaelee non aveva forme notevoli, ma le curve che aveva erano esattamente dove dovevano essere; le gambe sottili e svelte che Guy aveva soltanto intravisto lo affascinavano e accendevano senza un perché. Una volta si era ritrovato ad immaginarla nuda e l'enorme imbarazzo che aveva provato nel rendersene conto gli aveva impedito di riprovarci consciamente anche se, per quanto Gisborne volesse fare le cose per bene, restava un uomo fatto di carne e sangue e Kaelee era pur sempre la donna che amava, perciò – dal momento che gli piaceva molto e sotto molti aspetti – capitava che desiderasse poter andare oltre al semplice bacio, oltre alle innocue carezze, semplicemente oltre.
La sua voce, poi, era limpida, cristallina; la pelle, infine, era molto chiara in contrasto con la capigliatura, e liscia al tatto, morbida, compatta e irresistibile.
Per quel che l'uomo ne sapeva, Kaelee poteva essere saltata fuori direttamente da un dipinto tanta era la sua grazia: non riusciva a trovare un solo motivo per non amarla.
Nemmeno le continue prese in giro da parte di Archer che gli ricordava sempre quanto lei fosse microscopica in confronto a lui, riuscivano a fargli cambiare idea: Archer amava stuzzicarlo e aveva trovato uno dei suoi punti deboli, perciò ogni volta che li definiva "il gigante e la bambina", – il che avveniva spesso – Guy partiva in automatico, come se suo fratello azionasse un invisibile meccanismo, una leva che conosceva soltanto lui. Tutte le volte finiva che entrambi necessitassero di un bel bagno dopo essere rincasati pieni di fili d'erba e spighe infilate ovunque, letteralmente. In tal proposito, una volta Robin aveva riso così tanto perché Archer aveva fili d'erba perfino dove non batteva mai il sole, che gli erano venuti crampi talmente violenti da costringerlo a letto per mezza giornata.

Guy e Kaelee, una volta in casa, non passarono neanche dalla cucina; lei lo trascinò direttamente al piano superiore ed entrambi si accomodarono sul letto della ragazza.
Kaelee spostò il cuscino prima di sedersi, incrociò le gambe, e se lo sistemò in grembo, così, ai piedi del letto, Guy assunse una posa simile ma senza cuscino.
Sarebbero stati capaci di restare così, a guardarsi negli occhi, per ore intere ognuno perso in pezzi di cielo o in pozze di caramello.


Diversi giorni prima.
Edwinstowe.

Al loro ritorno, Dwight e Aric non ottennero quella che si definirebbe una calorosa accoglienza, ma del resto nessuno dei due si aspettava un atteggiamento diverso. La madre era furiosa perché i suoi figli l'avevano lasciata così, senza dirle assolutamente niente, era però bastato che Dwight le ordinasse di smetterla di fingere di non sapere dove fossero stati tutti e quattro per chiudere definitivamente l'argomento. Sebbene sua madre si fosse comportata per anni da despota, sembrava temere molto il primogenito le poche volte in cui lui alzava i toni, perciò Dwight, stanco di dover assistere in silenzio alle sciocche scene di una madre che tramava contro i propri figli, aveva deciso di assumersi la responsabilità che suo padre non si era mai sentito di prendersi: d'ora in poi avrebbe contrastato attivamente sua madre, ad ogni costo.
Le posizioni dei singoli, in famiglia, erano dunque più chiare che mai e Willard, che era rientrato a Edwinstowe prima di Aric e Dwight ed era rimasto solo visto che Rudyard aveva realizzato per se stesso piani diversi, evitava di incontrare i fratelli – Dwight in modo particolare.
A qualche giorno dal loro rientro nel villaggio, Aric e Dwight avevano sondato il terreno separatamente ed erano arrivati alla conclusione che la loro genitrice riteneva Aric innocuo sebbene avesse seguito Dwight a Locksley, ma, anziché arrabbiarsi, i due fratelli sfruttarono la cosa a proprio vantaggio, consapevoli che sottovalutare un avversario non era mai una scelta intelligente; tanto più perché Aric sapeva essere una minaccia piuttosto pericolosa quando si metteva a fare la spia.
La prima volta che Dwight aveva visto suo fratello infilarsi dentro l'armadio qualche attimo prima che la madre e Willard facessero il loro ingresso nella stanza, aveva pensato che le avrebbe prese, ma Aric era tornato da lui, un'ora più tardi, con diverse informazioni utili e da quel momento il primogenito si era reso conto dell'enorme potenziale del minore tra i suoi fratelli. Willard e la donna non avrebbero avuto vita facile nel loro tramare contro Kaelee insieme a Rudyard, perché Aric era sempre pronto ad intercettare conversazioni interessanti, tra le quali una gli aveva consentito di sapere delle missive che Willard si scambiava con Rudyard, anche se non era ancora riuscito ad appropriarsene; perciò il compito principale del giovane era scoprire dove Willard le nascondesse, visto che non era così astuto da bruciarle eliminandole per sempre e rendendo impossibile ricavarne informazioni.
Dwight era felice di aver un fratello cerebralmente lento e pessimo osservatore.
Il viaggio a Locksley e l'incontro con Robin Hood avevano risvegliato Dwight dalla depressione che minacciava di distruggerlo lentamente da quando la sua donna lo aveva abbandonato per sempre, per questo motivo, insieme ad Aric e all'amico di lui che aveva fatto da messaggero, aveva deciso di operare a Edwinstowe come Robin e i suoi uomini avevano fatto a Locksley e dintorni quando lo Sceriffo aveva reso loro la vita impossibile. A Edwinstowe non c'era uno Sceriffo crudele a tassarli, appartenendo il villaggio alla Contea di Nottingham esattamente come Locksley, ma le cose non andavano comunque bene quanto al villaggio di Robin Hood per via dei pochi ricchi che giocavano a fare i prepotenti con tutti gli altri. Era un mestiere pericoloso, ma tutti e tre lo facevano più che volentieri regalando speranza ai concittadini, spronandoli a reagire ai soprusi.


Presente.
Chiesa di Locksley.

Tuck aveva appena dato la propria benedizione ai presenti e Much era letteralmente saltato in piedi come se avesse le molle sotto al sedere. Aveva preso per mano Kate e l'aveva trascinata all'esterno, tutto concentrato sulla frase più giusta da usare per farle la proposta anche se non aveva ancora un anello, ma essendo consapevole di essere molto più bravo con la cucina che con le parole, ritenne che forse sarebbe stato più saggio chiedere consiglio a Robin, salvo poi ricordarsi di un piccolo dettaglio.
"Ma quanto sei stupido, Much?!", si domandò retorico. "Proprio a Robin vuoi chiederlo?", continuò mentre prendeva tempo accompagnando Kate da Rebecca, sua madre. "E poi forse, in fin dei conti, è anche troppo presto. Non voglio che pensi male di me, che creda che voglio sposarla solo per averla... Aspetterò. E se poi mi lascia? Però potrebbe anche rifiutare se glielo chiedo ora...", rifletté desiderando ardentemente grattarsi la testa per scacciare almeno uno di quei fastidiosi punti interrogativi.
«Much, ma che ti prende?», intervenne Kate interrompendo i suoi ragionamenti e anche il suo incedere.
La guardò per un istante, serio, poi le si parò davanti e le poggiò le mani sulle spalle, prese un respiro profondo.
«Io... Ho una cosa da dirti», cominciò.
Kate sollevò un sopracciglio mentre un venticello fresco le scompigliava leggermente i capelli chiarissimi facendole finire una ciocca davanti agli occhi. Much provò l'istinto di scostargliela, ma lei lo anticipò portandosela dietro l'orecchio e lui rimase lì con l'intenzione di sollevare la mano e con parole che non avevano voglia di aiutarlo.
«Da... Da chiederti», si corresse.
L'emozione gli giocava scherzi bruttissimi, lo sapeva.

Kate, che non aveva la più pallida idea di cosa stesse passando per la testa dell'uomo, continuò a guardarlo con l'aria di chi è ad un passo dal preoccuparsi seriamente. Sebbene avessero trascorso diverso tempo insieme, prima come fuorilegge e poi da liberi cittadini, ed in particolar modo nell'ultimo periodo, Much aveva ancora qualcosa di indecifrabile per Kate; era un uomo che prendeva le cose molto seriamente e che diceva sempre tutto ciò che gli passava per la testa, solo che spesso lo esprimeva in un modo così imbrogliato che alla fine neanche lui riusciva più a capirsi; era un uomo molto dolce e affettuoso, leale nei confronti di chi riteneva suo amico, fedele nei confronti di Robin Hood e tendeva a marcare gelosamente il proprio territorio. Lo ammirava molto per come si era comportato quando gli aveva detto di essere interessata più a Robin che a lui, mettendosi da parte per il bene che voleva ad entrambi. Much aveva una forza interiore non indifferente ed era mosso sempre dalle migliori intenzioni, difficilmente esprimeva disappunto verso qualcuno senza prima averlo studiato un po', a meno che questo qualcuno si mettesse ad infamare le persone a lui care; in quel caso aveva perfino la freccia facile.
Da quando aveva capito di poter ricambiare il sentimento di Much, aveva anche scoperto che i motivi per cui lui l'aveva corteggiata così a lungo erano più nobili di quanto avesse creduto: non aveva mai osato sfiorarla più del lecito, aveva sempre condiviso baci molto casti e non si appartava mai con lei nemmeno quando si addentravano nella foresta per raccogliere bacche o anche solo per una passeggiata. Le doti che avevano fatto innamorare Much andavano oltre alla sua bellezza fisica e Kate ne era lusingata e felice.

Much era lì che la guardava in tutta la sua bellezza e più le cercava, meno le trovava le parole più adatte alla situazione, così alla fine si arrese.
«Ecco io... Avevo pensato che se ti va potresti venire da me a pranzo!», improvvisò sorridendole imbarazzato.
Si stava mentalmente maledicendo per la propria ignoranza e stava cercando intanto di capire con chi avrebbe dovuto parlare visto che l'unica persona con cui avrebbe voluto farlo non era la più indicata. "Little John si metterebbe a borbottare qualcosa in merito all'inutilità di certe romanticherie, Archer farebbe qualche battuta sconcia e poi dovrei rincorrerlo per tutto il villaggio intimandogli un po' di rispetto, Allan mi consiglierebbe qualcosa che non farei mai, quindi a chi devo rivolgermi?", si domandò desiderando di nuovo di potersi grattare la testa. "Robin resta il solo, ma come faccio a domandare consiglio proprio a lui che ha avuto una relazione con Kate seppur breve? Sarebbe di cattivo gusto da parte mia... Ah, per tutte le erbe di Sherwood!".
Sentì Kate tirare un sospiro di sollievo, ma non ebbe il tempo di interrogarsi riguardo la ragione di quella reazione perché lei gli accarezzò una guancia e Much non capì più nulla, definitivamente.
«Non rinuncerei ad uno dei tuoi manicaretti per niente al mondo», gli disse alzandosi sulla punta dei piedi per reclamare un bacio.
Much stava ancora sorridendo quando le labbra della donna raggiunsero le sue.


Nottingham.
Rudyard si era svegliato con comodo, senza alcuna fretta, e con il proposito di rovinare la giornata a sua sorella.
Aveva iniziato a prendere informazioni e, avendo saputo che Kaelee era molto amica della donna bionda che era presente quando era arrivato a Locksley, aveva deciso di indagare anche su di lei. Per essere una volgare popolana era nient'affatto male, secondo i suoi gusti personali, dettaglio che l'aveva già indotto a prendere in considerazione l'idea di divertirsi un po' con lei prima o poi e magari, chissà, sarebbe pure riuscito a corromperla e farsi consegnare Kaelee senza troppa fatica, sebbene non avesse intenzione semplicemente di prelevare sua sorella e riportarla all'ovile: aveva bisogno di generare sofferenza, voleva sentire le urla di qualcuno e voleva essere lui a provocarle.
La sua raccolta di informazioni lo aveva portato a conoscenza della convivenza di sua sorella proprio con quella sua amica bionda; inoltre aveva saputo che Kaelee si teneva impegnata svolgendo diversi lavori durante la giornata – stando alle voci dei pettegoli, sua sorella lavorava sia al forno di un vecchio panettiere che al forno di una certa Rebecca che creava del vasellame, oltre che a coltivare l'orto di questo o di quell'altro.
"Insomma, è scappata da una casa in cui non si sentiva libera, ma fa ugualmente da serva a questi luridi ignoranti", pensò l'uomo quando una vecchia contadina gli aveva parlato di questa ragazza "bassina e piccina, uno scricciolo", così l'aveva definita, che l'aveva tanto aiutata quando era stata poco bene un mese addietro. Se c'era una cosa che non cambiava mai di città in città e di villaggio in villaggio, era il vizio di spettegolare: ovunque si andasse, si riusciva sempre a trovare un essere umano pronto a cedere o vendere informazioni.
Dal momento che gli abitanti di Nottingham provenivano per la maggiore da Locksley, che li aveva ospitati durante la ricostruzione della città, molti di loro conoscevano abbastanza bene Kaelee da possedere qualche utile dettaglio sulla sua vita nel ridente villaggio – un vero e proprio colpo di fortuna per Rudyard, il quale, naturalmente, aveva mentito sulla propria identità, dichiarando sì di chiamarsi Rudyard, ma di provenire da Scarborough, Yorkshire; il che era una mezza verità in fin dei conti; e stava molto attento quando chiedeva informazioni, facendolo sempre velatamente, gestendo le conversazioni in modo da non sembrare un impiccione o un uomo losco.
Evidentemente, da quando lo Sceriffo era morto insieme ai suoi uomini, c'era molta meno diffidenza in giro e questo giocava a favore dell'uomo, che poteva muoversi liberamente senza destare il minimo sospetto. Rudyard aveva, inoltre, avuto conferma del sentimento che legava sua sorella a Gisborne ed era proprio su questo che intendeva fare leva.
Stando alle informazioni che aveva, avrebbe trovato facilmente Kaelee al lavoro con i vasi creati da quella tale Rebecca, quindi si mise addosso abiti leggeri, un cappuccio in testa, prese il cavallo e partì alla volta di Locksley.


Casa di Kate e Kaelee, Locksley.
Gisborne non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era salito in camera di Kaelee e non aveva comunque alcuna voglia di tornare alla vita di tutti i giorni, perciò fu lieto di sapere che anche alla ragazza faceva piacere semplicemente starsene lì dov'erano, a non fare nulla di particolare se non guardarsi e parlare come facevano di solito. Infine sembrava che Kaelee lo avesse perdonato per la messinscena della lite e se ne rallegrò.
Tuttavia, nonostante l'atmosfera sembrava essere tornata quella di sempre, preferì non raccontare a Kaelee ciò che gli aveva chiesto Kate, troppo imbarazzato per ripetere il contenuto di quella conversazione senza balbettare, avvampare o desiderare di sparire sotto metri e metri di terra, e assolutamente certo che il dubbio di Kate fosse infondato, ma diverse volte le chiese come si sentisse e se avesse bisogno di qualcosa, qualunque cosa. L'idea di chiamare un medico non lo entusiasmava, non perché fosse egoisticamente geloso, ma perché, per un ragionamento dettato dai sentimenti più che dalla logica, era convinto che farla visitare da un dottore avrebbe fatto di Kaelee una donna malata. In sostanza era preoccupato per lei e la paura di perderla lo assaliva, rischiando di farlo apparire iperprotettivo e invadente, ragion per cui cercava di manteneva la calma per non turbare l'amata e il nuovo equilibrio che avevano appena raggiunto in quella stanza. Lei gli rispose tutte le volte, con estrema dolcezza, di sentirsi molto meglio e che quello che era successo non poteva essere niente di grave.
«Sarò solo stanca», gli rispose. «Oppure forse ho preso una botta in testa e non me lo ricordo», scherzò.
In prima battuta, prima di capire che si trattava di una burla, Gisborne aveva sentito il proprio cuore accelerare istantaneamente, e soltanto quando Kaelee si era messa a ridere aveva compreso che lo stava prendendo in giro; quindi scosse il capo e rise anche lui, sollevato.
«Per quanto ancora ti vendicherai?», le chiese.
«Oh, questo non è niente», mormorò, stabilendo poi, evidentemente, che la distanza tra loro era troppa; la ragazza lasciò perdere il cuscino e cercò un cantuccio tra le sue gambe, accoccolandosi infine con la testa sul petto.
Non poté e non volle far altro che accoglierla con gioia spontanea e un po' di sorpresa.
Gisborne, infatti, non si aspettava mai che qualcuno gli riservasse un gesto d'affetto, che qualcuno desiderasse la sua compagnia, un contatto fisico, e non si era ancora abituato all'amore che Kaelee provava per lui, quindi tutte le volte che lei gli accarezzava il viso o lo cercava per un bacio era una gradita sorpresa.
Con la ragazza tra le braccia parte del timore che lo attanagliava scomparve e Guy sospirò, le baciò i capelli chinandosi leggermente e poi prese ad accarezzarle lentamente il viso disegnandone i contorni con le dita. Quando lei abbassò le palpebre, rilassata, lui vi passò sopra l'indice facendola sorridere e sospirare.
Gisborne non ricordava di essere mai stato tanto felice in età adulta come lo era da quando aveva incontrato Kaelee; nella sua mente erano transitati una quantità infinita di pensieri dal momento in cui aveva abbandonato Nottingham, il Castello, il denaro ed il potere per cercare Archer insieme a Robin, molte riflessioni erano scaturite dal suo pensare da quando era quasi morto nell'ultima battaglia contro Vaisey e molte volte si era chiesto come sarebbe proseguita la sua vita, cosa questa gli avrebbe riservato e se sarebbe davvero riuscito ad essere un uomo buono, degno della fiducia di Robin Hood e dei suoi, degno di vivere a Locksley in mezzo alla gente che un tempo aveva tassato e maltrattato senza ritegno; tante volte si era domandato se avrebbe infine trovato qualcuno che fosse riuscito ad amarlo e se sarebbe lui stesso riuscito ad amare di nuovo dopo Marian e Meg, entrambe morte a causa sua anche se con modalità del tutto differenti: la prima uccisa da lui, la seconda uccisa per salvargli la vita. L'amore per Meg non aveva nemmeno avuto il tempo di sbocciare il lui, ma lo aveva mutato così profondamente che non poteva semplicemente dimenticarla dopo aver pianto la sua morte per settimane e settimane. Eppure, tra questi pensieri e tra mille previsioni di un incerto futuro, non c'era mai stata traccia, nemmeno blanda, delle sensazioni che stava vivendo insieme a Kaelee, perché neanche nella più positiva ipotesi di felicità Gisborne si era proiettato in tanta dolcezza, in una così disarmante tenerezza, mai avrebbe pensato di poter essere lui stesso così delicato con una donna, perciò tutto era per lui completamente nuovo e questa consapevolezza lo rilassava in merito alla sua continua paura di sbagliare: era come se fosse un giovane adolescente alle prese con il primo amore.

Dal canto suo, Kaelee adorava trascorrere il suo tempo con Guy, anche se avrebbe dovuto mostrarsi più dura nel periodo di riappacificazione, perché non voleva che Gisborne credesse di poter fare qualunque cosa con lei ottenendo sempre il perdono sa parte sua; non era così che Kaelee voleva funzionasse, ma non se la sentiva neanche di punirlo troppo severamente perché lo amava totalmente e senza condizioni. Con il senno di poi era riuscita a comprendere il punto di vista di Guy e Robin e anche se non avrebbe mai approvato la loro scelta, comprendeva che era stato un modo molto efficace di convincerla del reale mutamento: se Guy fosse andato da lei per informarla riguardo la necessità di intensificare le esercitazioni, a lei sarebbe sempre rimasto il dubbio che lui si trattenesse, fosse anche in minima parte, mentre avendo duellato con lui senza alcun imbroglio, quel giorno, era certa ora che lui utilizzasse tutta la sua forza in ogni scontro. In fin dei conti tre giorni potevano bastare come punizione e poi, avendolo davanti a sé, non aveva potuto resistere alla tentazione di cercare un contatto con lui.
Adorava essere stretta dalle sue braccia forti, muscolose e rassicuranti, adorava che il suo petto ampio la contenesse perfettamente, proteggendola dal mondo intero e adorava sentire il suo respiro leggero sulla pelle; sebbene non avesse alcuna esperienza sull'amore, quando era in compagnia di Gisborne ogni cosa le sembrava del tutto naturale e appropriata, perfino i suoi slanci – ultimo dei quali l'essersi portata le mani di Guy sulle proprie cosce, in aperta campagna – non le sembravano troppo irriverenti, sfacciati o sconci. Probabilmente, se Gisborne non fosse stato prudente e rispettoso nei suoi riguardi, presa dall'impeto del desiderio, gli si sarebbe concessa già da tempo, forse per poi pentirsi di averlo fatto tanto in fretta.
Stava imparando a sue spese quanto difficile fosse controllare l'istinto che la spingeva tra le braccia dell'uomo con una tale forza che resistere era quasi impossibile, perciò era felice che Guy la comprendesse e ragionasse per entrambi; in quel momento, ad esempio, mentre se ne stava con la testa appoggiata al petto di lui, dopo avergli consentito di accarezzarle dolcemente il viso, gli prese la mano e se la portò sul ventre, vibrando e sospirando a quel tocco: Kaelee aveva costantemente disogno di un contatto fisico con lui.
Prima di arrivare a Locksley, aveva vissuto una vita quasi completamente priva di affetto, non ricordava di aver mai ricevuto una carezza sul capo da parte di sua madre, né una parola di conforto, perciò quando era fuggita via da Edwinstowe, benché desiderasse che la sua vita subisse un cambiamento anche in tal senso, non aveva messo in conto di trovare il vero amore. Aveva preso in considerazione, certo, diversi scenari possibili e nel migliore tra questi sperava di potersi unire agli uomini di Robin Hood, mentre, nel peggiore, avrebbe continuato a scappare per tutta la vita. Quando la prima condizione, la più rosea, si era verificata, Kaelee non pretendeva di trovare altro in quel villaggio, perciò l'amicizia con Kate, l'aver incontrato Gisborne, essersi innamorata di lui e aver scoperto che il sentimento era ricambiato, aver imparato tanti mestieri, a leggere e a maneggiare un'arma, aver trovato tanti amici leali e sinceri erano un'aggiunta per cui Kaelee ringraziava ad ogni suo risveglio.


Forno di Rebecca, Locksley.
Kate stava parlando con sua madre di ciò che aveva detto Tuck e rifletteva sul potere che le parole di quell'uomo avevano sulle persone, sul carisma che gli apparteneva per natura e su quanto Tuck rappresentasse per tutti una solida roccia cui affidare la propria anima durante le tempeste. La donna non sapeva come il frate ci riuscisse, come potesse trovare in ogni occasione la cosa giusta da dire; vedeva la pace interiore di Tuck riflessa sul suo volto e si interrogava su come un uomo potesse possedere tanta pazienza nell'ascoltare gli altri senza mai parlare con nessuno dei propri problemi o drammi interiori; lo guardava stare tra la gente, tra i bambini, e vedeva il sorriso sulle loro labbra e la speranza nello sguardo.
Tuck sapeva indubbiamente smuovere le coscienze e, per la fortuna di tutti gli abitanti di Locksley, era dalla parte del bene, dalla parte dei giusti, dalla parte dei meno fortunati e dalla parte di chi, in ogni caso, volesse dargli la propria fiducia, volesse affidarsi a lui. Come aveva fatto Gisborne, ad esempio.
Il sermone di quella mattina era un invito a non additare mai il prossimo a priori, senza conoscerne la storia, senza essere prima scesi a fondo nei sentimenti e nelle emozioni; Tuck aveva parlato di quanto sbagliare fosse una costante comune a tutti gli uomini, di quanto sbagliare potesse essere l'inizio di una presa di coscienza che avrebbe condotto alla saggezza; aveva sostenuto con convinzione che chiunque avrebbe potuto imparare dai propri errori e che nessuno meriterebbe mai di essere condannato per uno sbaglio. A quelle parole, Kate aveva visto molti dei presenti chinare il capo, certamente immersi ognuno in intime considerazioni, immedesimandosi, ripercorrendo il proprio passato, alla ricerca di risposte o anche solo di nuove vie da percorrere, ed era rimasta molto affascinata dall'atmosfera serena che l'aveva avvolta all'interno della Chiesa.
Parlandone con Rebecca, aveva pensato tanto a Guy quanto a Kaelee ed era proprio su di loro che aveva infine spostato l'argomento, condividendo con sua madre il malore che Kaelee aveva accusato quel mattino e la conversazione avuta con Gisborne.
Intanto, sistemando i vasi per l'asciugatura, Kate poté vedere, non molto lontano del forno, un uomo che scendeva dal proprio cavallo e si dirigeva verso il pozzo. A giudicare dal cappuccio che gli copriva il capo doveva essere un viaggiatore giunto a Locksley per una sosta, o forse, più probabilmente, un mercante che aveva Nottingham come meta.

Con fare discreto, giunto a Locksley, Rudyard finse di riposarsi dopo un'immaginaria cavalcata molto lunga e, per rendersi ancora più credibile, decise di sciacquarsi il viso, potendo così sondare il terreno. Nessun passante lo guardava sospettoso, nessuno lo stava tenendo d'occhio e nessuno lo avrebbe riconosciuto, a patto, però, che si tenesse a debita distanza dalla bionda e da tutti gli uomini di Robin Hood che lo avevano visto quando era arrivato la prima volta in quel villaggio. Sebbene stesse lavorando sul proprio aspetto per camuffarsi, non era ancora saggio mostrarsi apertamente e sfidare scioccamente la sorte.
Con la scusa del viaggiatore stanco, trovò ristoro sedendosi non molto lontano dal forno in cui Rebecca, la bionda amica di sua sorella e molti altri stavano lavorando non senza scambiarsi chiacchiere vivaci e rumorose, che gli consentirono – insieme ai pettegoli passanti – di ottenere diverse informazioni utili.
Tanto per cominciare, fare il lascivo con una giovinetta dai capelli castani che non aveva niente di attraente se non la capigliatura, gli era servito per sapere che il nome dell'eccitante biondina era Kate. "Un nome piuttosto banale per uno sguardo focoso come quello. Scommetto che sarebbe capace di stendere perfino uno come me, tra le lenzuola, anche se non ha niente a che vedere, in quanto a bellezza, con la mia Maude. La conquisterò prima o poi, o non mi chiamo Rudyard", pensò mentre osservava con attenzione.
Quella Kate aveva una voce molto alta, stridula a tratti, per nulla piacevole per le sue orecchie anche se in quel frangente si era rivelata per lui una dote impagabile: poco importava quanto scortese fosse ascoltare le altrui conversazioni, perciò non si fece alcun problema morale a concentrarsi sullo scambio che Kate stava avendo con sua madre Rebecca. Scoprì in questo modo che quel mattino Gisborne era insieme a Kaelee, con ogni probabilità a casa di lei. "Si starà dando da fare", pensò maliziosamente. Inoltre seppe che la bionda non sarebbe rientrata per il pranzo, perché un certo Much – che secondo i ragionamenti dell'uomo doveva essere il cagnolino fedele di Hood – l'aveva invitata a consumare un pasto insieme, e forse pure qualcos'altro, il che implicava la possibilità che Kaelee restasse ulteriormente sola nell'abitazione della donna bionda – dettaglio, questo, parecchio interessante per lui: se gli uomini di quell'arciere da quattro soldi erano così sciocchi da lasciare la preda in bella vista, allora il suo piano di far del male a Kaelee si sarebbe rivelato molto più semplice del previsto. Interrogando innocentemente alcuni giovani apprendisti artigiani, Rudyard riuscì ad intuire che sua sorella conduceva una vita molto regolare, rispondeva con serietà agli impegni che si prendeva, si esercitava con Gisborne e di rado si prendeva un momento libero per sé stessa, evitando di frequentare la locanda di sera, il che significava che Kaelee non lasciava quasi mai la casa durante la notte e questo poteva voler dire soltanto che Gisborne dormiva altrove e completamente solo, dal momento che non aveva voluto serve in casa e che non risiedeva al Maniero. Molte donne poco raccomandabili che lavoravano a Nottingham gli avevano assicurato che sebbene alcune di loro avessero diverse volte offerto i loro servigi al "bel tenebroso" – così l'avevano definito – egli aveva sempre declinato, così come aveva rifiutato la proposta di alloggiare con i suoi fratellastri. Rudyard era venuto a conoscenza della veridicità di quell'assurda storia di amanti, tradimenti e figli illegittimi proprio in quei giorni e ne aveva riso per diverse ore, facendosi intimamente beffe tanto di Gisborne quanto di Hood.
Dopo una ventina di minuti trascorsi comodamente seduto a farsi gli affari degli altri, l'uomo finse di voler fare un'innocente passeggiata per Locksley con l'intento, invece, di scoprire dove risiedesse esattamente Gisborne.

Ignari di ogni cosa, Kate e Much pranzarono insieme. Guy e Kaelee si fecero compagnia per tutto il giorno e dal momento che Gisborne non volle farla stancare con gli allenamenti, lesse per lei alcune storie. Tuck si dedicò alle coltivazioni. Archer si mise a fare la corte ad una ragazza del villaggio mentre Allan dava spettacolo nella taverna con il gioco dei tre bicchierini. Little John era come sempre meditabondo e Robin parlò a lungo con diversi abitanti del villaggio, raccogliendo idee e proposte per l'amministrazione dei beni e delle merci.


Piena notte.
Casa di Guy, Locksley.

Gisborne non aveva lasciato sola Kaelee se non quando Kate era rincasata, non sentendosela di rischiare che la ragazza si sentisse nuovamente male senza che nessuno fosse lì a prestarle soccorso; si rendeva conto di essere fin troppo protettivo nei suoi riguardi, dal momento che se era stata in grado di affrontare da sola il viaggio da Edwinstowe a Locksley sicuramente era anche capace di cercare aiuto se necessario, ma non poteva farne a meno, mosso dall'amore che provava nei suoi confronti.
Sebbene Kate lo avesse invitato a restare per la cena e nonostante gli avrebbe fatto molto piacere trascorrere dell'altro tempo insieme a Kaelee, rifiutò educatamente sostenendo di aver approfittato anche troppo della sua ospitalità e di dover rientrare per occuparsi di alcune mansioni che non aveva svolto durante la giornata.
Lui e Kate, dopo che lei lo aveva soccorso in seguito alla ferita causatagli da Rudyard, erano riusciti a legare maggiormente. Era da diverso tempo che Guy faceva piccoli tentativi con lei, desiderando che potesse perdonarlo e guardarlo con occhi diversi anche se aveva ucciso suo fratello a sangue freddo, ma sapeva bene che finché la volontà di avvicinarsi fosse stata soltanto sua, non ci sarebbero stati molti progressi in tale direzione, perciò il gesto di Kate, il giorno dell'inaugurazione di Nottingham, era stato determinante. La donna aveva mosso un passo verso di lui e questo aveva accresciuto la reciproca fiducia permettendo loro di interagire con molta più scioltezza. Questo, comunque, – Guy ne era cosciente – non vooleva dire che ogni ferita era sanata, perciò l'uomo preferiva andarci ugualmente con i piedi di piombo, non tirare troppo la corda, non approfittare della gentilezza di lei.
In questo percorso, in ogni caso, Kaelee stava rivestendo un ruolo fondamentale costituendo un importante punto d'incontro per entrambi, e Gisborne ne era felice, sia perché il fatto che Kaelee avesse un'amica come Kate lo rassicurava e sia perché era anche grazie a lei se Kate non cambiava strada appena lo vedeva in lontananza, dal momento che Kaelee spesso la coinvolgeva in brevi scambi in piazza o vicino al pozzo o al forno di Rebecca.
Lasciata la casa di Kate, Gisborne era passato da Robin per una chiacchierata tra fratelli – abitudine, questa, che lo rilassava e rallegrava come mai avrebbe creduto un anno prima – e aveva infine cenato insieme a lui ed Archer, il quale li aveva intrattenuti con l'interessante avventura di come aveva quasi conquistato la giovanissima Nettie.
Ciò che rendeva Archer un bersaglio fin troppo facile per le battute dei fratelli maggiori era la spudoratezza con cui mentiva, credendo di poter sempre fregare i suoi interlocutori anche quando questi erano del calibro di Robin e Guy, i quali ormai avevano imparato a conoscerlo. Archer raccontava sì cose realmente accadute, ma aveva poi il vizio di infiorettarle eccessivamente rendendole, così, poco credibili e più insisteva, più Guy e Robin si divertivano a prenderlo in giro, finché Archer iniziava a rispondere per le rime.
Uno degli sfottò ricorrenti riguardava la differenza di altezza tra Guy e Kaelee, sottolineata sempre in modo molto colorito da Archer, il quale riteneva anche che la ragazza fosse troppo delicata e dolce per un bruto arrogante quale era Gisborne – non lo era più in effetti, ragion per cui era concesso scherzarci sopra liberamente.
A quel punto, di solito, Gisborne rispondeva che il suo essere un impostore cronico, nonché donnaiolo privo di controllo, lo avrebbe condotto alla forca se lui e Robin non fossero intervenuti per tirarlo fuori dai guai, a York.
Poi era il turno di Robin che si autodescriveva come il fratello senza peccato, quello buono, giusto e – con molta modestia – assolutamente perfetto.
Chiunque li avesse conosciuti separatamente non avrebbe creduto ai propri occhi guardandoli così affiatati, così in sintonia, e Guy sapeva quanto ancora alcuni abitanti del villaggio non riuscissero a credere a ciò che vedevano: in fin dei conti, per i più adulti, Robin Hood era il salvatore, l'eroe, il buono, mentre Guy di Gisborne era l'assassino, l'esattore delle tasse, il cattivo. Eppure, ormai, gli azzuffamenti dei tre uomini erano diventati quasi proverbiali a Locksley, che lentamente si stava abituando alla nuova situazione, tant'è che quando dei ragazzini litigavano per la strada, gli adulti a volte commentavano dicendo "Ma guardateli! Se continuano su questa via, finiranno come i Tre".
Per tutti coloro che avevano infine accettato la presenza di Gisborne, vedendo in lui una persona divera da quella che li aveva tormentati per anni insieme allo Sceriffo, lui, Robin e Archer erano semplicemente "I Tre", perché erano sì fratelli, ma lo erano in un modo così articolato che ognuno di loro aveva titoli e provenienze diverse, perciò si era deciso di sintetizzare così, quando si parlava di ciò che facevano per il villaggio e a Gisborne questo non dispiaceva per niente sentendosi lui davvero parte integrante della sua nuova famiglia.

Alla fine dell'ennesima piccola zuffa che aveva animato il Maniero, Robin gli propose di fermarsi per la notte e prolungare così il loro tempo insieme, ma la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire e Guy, sostenendo di non poter essere per nulla di buona compagnia, riuscì a defilarsi. Era, infatti, già nel cortile quando fu costretto ad arrestarsi, visto che Archer aveva deciso di uscirsene con un'altra delle sue.
«Qualcosa mi dice che ha appuntamento con la sua bella», disse con una vocetta maliziosa che gli fece venire la pelle d'oca, soprattutto perché gli ci voleva poco a scatenare quei pensieri che tanto difficilmente conteneva, nel rispetto di lei.
Se Kaelee fosse stata presente, Guy non sarebbe semplicemente arrossito, ma avvampato a quella insinuazione: non era affatto come Archer pensava, perché lui non era più quel tipo di uomo che bada solo al piacere fisico e se non lo era più era perché aveva conosciuto l'amore ed era disposto ad aspettare anche anni, prima di condividere un momento intimo con Kaelee. Preso da quei pensieri, – e da altri più caldi, che vedevano la giovane donna in tutto il suo splendore, pronta a concederglisi senza condizioni – Gisborne decise di stare al gioco, si voltò nuovamente in direzione dei fratelli e rivolse ad Archer uno dei sorrisi sghembi che ricordavano il Sir Guy di qualche tempo prima.
«Geloso perché la tua Nettie non ha ceduto?», domandò lasciando visibilmente Archer di sasso.
«Non dici veramente!», esclamò sconvolto. «Non ti credo», aggiunse guardando poi Robin, che si godeva la scena ridacchiando.
Gisborne fece spallucce, senza smettere di sorridere all'espressione stupita di suo fratello.
«Io non ho detto niente», rispose infine con tono innocente.
Archer, che infine dovette aver capito il gioco, gli lanciò contro una piccola pietra e tutti e tre risero di gusto ancora per qualche minuto prima di salutarsi definitivamente, con un sincero abbraccio.

Una volta rincasato, Guy si era preparato un bagno rilassante e poi si era messo a letto, pensando a Kaelee.
Nonostante la stanchezza non si era addormentato subito.
I sedici anni di età che stavano tra lui e la ragazza avevano scatenato un forte senso di responsabilità da parte sua nei confronti di lei, tanto più perché aveva promesso a Dwight che se ne sarebbe preso cura con tutto se stesso. Non che prima di quello scambio con il maggiore trai i fratelli di Kaelee le sue intenzioni con lei fossero diverse, naturalmente, ma l'aver conosciuto una parte della famiglia della donna che amava, aveva reso tutto molto più reale, concreto, quasi che l'aver dialogato di lei con Dwight avesse ufficializzato in qualche modo la loro relazione. In cuor suo Guy sperava che Kaelee fosse la donna giusta, quella con la quale avrebbe condiviso il tempo che gli restava su quella terra, pertanto l'istinto di proteggerla sempre e comunque, ad ogni costo, era del tutto naturale in lui; il fatto, poi, che Rudyard le desse la caccia, lo rendeva ancora più vigile e nel contempo preoccupato. Se da un lato aveva il vantaggio di aver conosciuto Rudyard in passato, dall'altro non sapeva abbastanza di lui per capire fino a che punto quell'uomo fosse disposto ad arrivare e la preoccupazione stava diventando un elemento onnipresente nelle sue giornate, tant'è che aveva anche pensato di chiedere a Kaelee di trasferirsi da lui, in modo che potesse starle accanto ad ogni ora del giorno e della notte. Non era ancora riuscito a proporglielo però, anche perché temeva che in questo modo il loro rapporto sarebbe andato incontro ad un progressivo logorìo, temeva che lei si sentisse oppressa dovendo condividere per cause di forza maggiore uno spazio con lui. Eppure una parte di lui credeva che quella potesse essere una buona soluzione per limitare i rischi.
Il pensiero che potesse accettare, però, lo riportò con la mente alle parole di suo fratello Archer, anzi, all'allusione che l'uomo aveva fatto e inevitabilmente Guy tornò a immaginare Kaelee tra le sue braccia, coperta solo da una sottile veste che gli avrebbe lasciato intravedere forme bellissime, completamente abbandonata a lui. Come avrebbe reagito se avesse provato ad accarezzarle un fianco? Cosa gli avebbe detto se avesse spinto le dita oltre la veste, sfiorandole la coscia, l'addome e poi più giù? Era giusto un approccio di questo tipo, in attesa di qualcosa di più intimo?
Immerso nelle tante domande e nei molteplici dubbi, infine crollò senza accorgersene.

Nascosto nel buio della notte, Rudyard era pronto a mettere in atto il suo piano.
Era rimasto in incognito a Locksley per tutto il giorno anziché rientrare a Nottingham a metà giornata, come aveva pensato di fare quando aveva raggiunto il villaggio quella stessa mattina, aveva raccolto informazioni utili, aveva aspettato che Gisborne rientrasse e, anche se per un momento aveva creduto che quello sciocco si fosse fermato chissà dove per divertirsi un po', appena lo vide mettere piede nell'abitazione sentì un calore invadergli tutto il corpo. Dare la caccia ad un preda pensante e in grado di contrastarlo realmente, infatti, lo eccitava oltre ogni dire, quasi quanto la soddisfazione di vedere il sangue della sua vittima scorrergli attorno agli stivali e sicuramente molto più di una donnaccia disposta ad aprirsi a lui senza tanti convenevoli. Rudyard ne aveva conosciute di donne come quelle e, dopo la breve ossessione maturata in seguito alle prime esperienze, se ne era facilmente stufato preferendo invece attirare a sé giovani ragazze ancora vergini, per rovinarle definitivamente con il loro consenso; trovava divertente giocare con i sentimenti delle sue giovani amanti, convincerle che le avrebbe amate davvero, approfittare della loro fiducia e poi sparire nel nulla. "Ma con Maude sarà diverso", si diceva sempre. 
Da una postazione favorevole aveva osservato il rientro a casa del proprio avversario, sapendo che era solo questione di tempo, e quando fu certo di avere campo libero, lasciò il proprio nascondiglio per introdursi nell'abitazione di Gisborne. Decise che tentare di entrare dall'ingresso principale non era la più brillante delle idee, né la più eccitante in effetti, quindi pensò a qualcosa di più coinvolgente e pericoloso, che gli desse quella carica che tanto gli piaceva. Quindi, dopo averci ragionato un po', non fu così complicato trovare il modo per arrampicarsi ed entrare direttamente dalla finestra al piano superiore.
Rudyard ebbe conferma, con grande entusiasmo e nonostante il buio, di trovarsi proprio nella camera da letto dell'uomo; non riusciva a distinguere i contorni di ciò che aveva attorno, così rimase immobile in attesa che gli occhi si abituassero alla quasi totale assenza di luce e nel mentre iniziò a valutare vari scenari: aggredire Gisborne, semplicemente spaventarlo, oppure attentare direttamente alla sua vita?
Non aveva con sé né spada, né arco, entrambi troppo ingombranti per portarseli dietro senza destare sospetti nei panni di innocuo e affabile mercante, ma si era portato dietro un fedele coltello, che estrasse dal fodero, regalatogli da suo padre molti anni prima e da cui non si separava mai.
"Che atroce dilemma! Se mi limito ad una burla, rischio di scoppiare a ridere senza potermi trattenere, ma se lo ferisco e basta non andrò via di qui pienamente soddisfatto. Quindi forse dovrei ucciderlo, anche se così renderei le cose troppo semplici alla mia cara sorellina, privandola in fretta del suo amore. Dovrei dar loro almeno il tempo di accoppiarsi più di un paio di volte... Magari Gisborne la mettesse incinta! Che soddisfazione sarebbe uccidere Kaelee e il bambino non ancora nato sotto gli occhi di questo sciocco nobile che ha rinunciato al potere! Sebbene anche uccidere lui dinanzi a Kaelee e all'infante non sarebbe così male... Bene, bene, che fare allora stanotte?", si ritrovò a pensare mentre i contorni degli arredi iniziavano a manifestarsi più chiaramente. Lentamente e silenziosamente si avvicinò, quindi, al letto su cui giaceva Gisborne, profondamente addormentato o almeno così gli parve, e i suoi pensieri mentre lo osservava divennero ancor più indecenti e osceni, oltre che violenti. Se una parte di lui stava ancora valutando il modo migliore di agire per causare sofferenza a Kaelee, un'altra pensava al tempo che l'uomo trascorreva insieme a sua sorella e si domandava se anche lei sapesse essere perversa come certe fanciulle che lui aveva posseduto negli anni.
Illuminata dalla luce lunare che filtrava dalla finestra, la lama del coltello scintillò nel buio della stanza e Guy cambiò posizione.
Rudyard si bloccò per diversi minuti, respirando appena, portandosi il coltello dietro la schiena, per evitare di commettere due volte la stessa imprudenza, e accertandosi di non aver interrotto irrimediabilmente il sonno di Gisborne prima ancora di poterlo aggredire; eppure, dopo un po', quello si girò un'altra volta di scatto, come se fosse disturbato da qualcosa che certamente non poteva essere lui, quindi ipotizzò che stesse avendo un incubo o qualcosa del genere.
"Oppure magari sta sognando di possedere mia sorella", pensò rivolgendo un ghigno all'oscurità circostante.
Proteso verso il massiccio corpo di Gisborne, inerme quanto un fanciullo, Rudyard si rese conto di non poter rischiare di essere scoperto, quindi decise di muovere un passo alla volta appena l'uomo sembrava essere tornato tra le braccia di Morfeo e a poco a poco, gli fu così vicino che colpirlo sarebbe stato davvero questione di un attimo.

Forse un sesto senso, forse una buona stella, forse solo il destino.
Attanagliato da un incubo orribile, Gisborne si svegliò di soprassalto spaventando anche un intruso – della cui presenza venne a conoscenza in quel momento – che saltò all'indietro appiattendosi contro la parete. A sua volta intimorito dall'inattesa presenza nella sua stanza, per un attimo pensò di aver immaginato tutto sotto l'influsso del pessimo sogno che era riuscito, per sua fortuna, ad interrompere. Nel tentativo di placare i battiti del suo cuore e il respiro divenuto affannoso per lo spavento, si guardò attorno e si rese conto che la stanza era avvolta completamente dal buio, fatta eccezione per una piccola porzione del legno del pavimento illuminata dalla luce lunare, e dal silenzio, esattamente com'era giusto che fosse. Eppure qualcosa aveva visto e sentito, poco prima, quando si era svegliato e infatti, mentre cercava di raccogliere i brandelli di razionalità sparsi qua e là nella mente, scorse un'ombra contro la parete di fronte a sé e gli si gelò il sangue. "Che i miei fantasmi abbiano preso corpo adesso?", si domandò, ancora confuso dalle immagini che il suo incoscio gli aveva propinato rendendo quella notte agitata e terribile.
Guy proprio non riusciva a mettere a fuoco la situazione e non capiva che cosa mai potesse farci un uomo in casa sua in piena notte, perciò per un momento pensò ad uno scherzo di Archer, venuto a vedere se era insieme a Kaelee visto lo scambio avuto con lui prima di rientrare, ma poi la piccola porzione di lucidità che si era finalmente messa in moto gli suggerì che in tal caso si sarebbe già mostrato, non avendo alcuna ragione di nascondersi al pari di un ladro come faceva quell'ombra, che si ostinava a fondersi con il buio. Si convinse, quindi, che qualcuno si era realmente introdotto nella sua abitazione, per motivi a lui ignoti, e aguzzò la vista mentre cercava mentalmente l'arma più vicina a disposizione: la spada era troppo lontana per raggiungerla senza esporsi al pericolo e non aveva coltelli, né frecce a portata di mano. L'unica cosa che poté fare, quindi, fu continuare a scrutare tra le tenebre.
Senza preavviso udì un sibilo nell'aria seguito subito da un rumore sordo.
Gisborne non impiegò molto a rendersi conto che un'arma, probabilmente un pugnale, un coltello o uno stiletto, aveva attraversato la stanza piantandosi nella parete alle sue spalle, mancandolo per poco più di un soffio – il che poteva voler dire o che l'intruso avesse una pessima mira, oppure che volesse soltanto minacciarlo o spaventarlo, o ancora che si sentisse messo alle strette e per questo avesse agito d'istinto, mancando il bersaglio. Comunque stessero le cose, Gisborne pensò che il buio fosse uno svantaggio per entrambi, così decise di rimanere immobile per non facilitare il compito all'aggressore, chiunque egli fosse e nel caso in cui disponesse di altre armi, e nel frattempo pensare al da farsi.
"Almeno adesso ho un'arma a disposizione", rifletté, valutando l'ipotesi di rilanciare al mittente la lama augurandosi di ferirlo e scoprirne l'identità, ma fu presto libero da ogni tipo di minaccia dal momento che poco dopo il tentato omicidio, l'ombra si tuffò nella finestra e scappò via velocissimamente.
Altrettanto celermente, Guy si affacciò a quella stessa apertuta e poté vedere l'aggressore dileguarsi nella notte: si trattava sicuramente di un uomo ed era evidente che, chiunque fosse, non aveva intenzioni amichevoli, il che restringeva significativamente il ventaglio di sospetti.
Quindi scese in fretta al piano inferiore, senza neanche preoccuparsi di prendere il coltello, ma invece di seguire l'intruso corse al Maniero per informare Robin e Archer dell'accaduto e decidere con loro come fosse più opportuno comportarsi.
Fu semplice per tutti e tre far cadere i sospetti su Rudyard, ma prima di muovere accuse infondate decisero di attendere, perché se si fosse trattato davvero del fratello di Kaelee, certamente non avrebbe esitato a replicare l'assalto e se davvero era stato lui ad intrufolarsi in casa di Guy, poteva voler dire soltanto che l'uomo si era sistemato nelle vicinanze.
Temendo infine che, sempre ammesso che fosse Rudyard l'ombra nella stanza di Gisborne, l'uomo potesse presentarsi a casa di Kate e Kaelee per minacciare anche loro, i tre fratelli raggiunsero le donne e, senza raccontare dell'aggressione, ma riferendo solo voci secondo cui un uomo sospetto era stato visto a Locksley nel pomeriggio e scusandosi per l'ora tarda, fecero in modo che fossero al sicuro: si decise, infatti, che abitare da sole quella casa non era opportuno, specialmente di notte, quindi Kate andò a dormire da Much – al quale Robin raccontò la verità, chiedendogli però di tacere categoricamente a riguardo – mentre Kaelee e Guy si trasferirono al Maniero di Robin e per la prima volta condivisero un letto per una notte intera.

Ora che i Tre erano tutti sotto lo stesso tetto, pronti a proteggersi l'un l'altro come era già accaduto a Nottingham contro Vaisey, Rudyard o chi per lui non avrebbe avuto vita semplice, perché i Tre erano un'unica, forte, entità che né Rudyard, né nessun altro avrebbe potuto facilmente distruggere.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 23/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Rieccomi con le consuete precisazioni per coloro i quali hanno scelto di leggere questa storia trattandola come un'originale.
Il riferimento ad Allan come doppiogiochista deriva direttamente dalla serie tv – fin dai primi episodi Allan ha dimostrato di tenere molto alla propria vita e quando è stato costretto a scegliere tra morire per mano di Gisborne e collaborare con lui fornendo informazioni sui movimenti di Robin Hood e della banda, ha scelto di tradire; in sua difesa va detto che non ha mai rivelato la posizione di nessuno degli accampamenti, preservando così i suoi compagni da cattura e morte certa; anche quando è stato scoperto dall'arciere e costretto a lasciare la banda, Allan alleandosi con Gisborne non ha mai tradito per davvero, rivelando solo una parte delle informazioni a sua disposizione e facendo avere delle soffiate alla banda attraverso Lady Marian, anch'essa spia nel Castello di Nottingham – perciò ho pensato di far emergere qui anche questa parte del suo carattere. Much, nella serie tv ha il vizio di dire "Lo sapevo!", perciò quando ne ho l'occasione provo a giocarci. Anche Gisborne che appicca un incendio a casa di Lady Marian è un evento mostrato nella serie tv, così come lei che lo abbandona all'altare; lo stesso vale per il destino della Chiesa di Locksley: il Principe Giovanni le ha davvero dato fuoco, con una coppia di sposi e relativi invitati all'interno. Il nome Maude, invece, è preso in prestito dal Robin Hood di Alexandre Dumas, anche se il personaggio da lui creato non ha nulla a che fare con queste vicende. Se ci fossero domande, sono a disposizione.
Mi piace pensare che Guy, Robin e Archer si siano lasciati alle spalle il passato, che Robin abbia perdonato definitivamente Guy e che quest'ultimo si comporti realmente da fratello maggiore sia per lui che per Archer. Mi piace pensare che siano davvero una famiglia, che insieme "I Tre" possano vegliare su Locksley, Nottingham, gli amici e le persone che amano.
Chiedo scusa per l'alternanza temporale, ma mi sembrava giusto non abbandonare i fratelli di Kaelee senza dar prima loro uno sguardo.

Spero, come sempre, di non aver scritto troppe cavolate e vi ringrazio per il tempo che dedicate alle mie storie.
Alla prossima!

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Capitolo 13
*** La Caccia ***


La Caccia


La Caccia

Sospettare che fosse Rudyard l'autore dell'aggressione a Gisborne si era rivelato molto più che facile, praticamente ovvio, soprattutto grazie al coltello che l'uomo aveva lasciato come eloquente prova del suo passaggio, tramutando quindi il sospetto in certezza.
Sospettare che Rudyard fosse nei ditorni era stato pure piuttosto ovvio, ma non era per nulla la stessa cosa che averne la conferma assoluta, tanto più perché non si disponeva di alcuna informazione sicura in merito. Anche se tutti gli uomini di Robin Hood erano più che attenti a ciò che ruotava attorno a Locksley, a partire dalla foresta di Sherwood, nessuno era ancora riuscito a dire con inattaccabile certezza che il fratello cattivo di Kaelee si trovasse nel villaggio di Clun, Bonchurch oppure nella città di Nottingham. Sapevano per certo soltanto che non risiedeva stabilmente a Locksley, il che del resto era la cosa più logica che Rudyard potesse fare se non voleva essere scoperto immediatamente.
Perfino la corrispondenza tenuta regolarmente con Aric e Dwight da Edwinstowe non aveva restituito risultati precisi su cui basarsi, perciò la scelta più opportuna, l'atteggiamento più giusto da tenere, era attendere e intanto armarsi a dovere: tutti gli uomini di Robin Hood continuavano, infatti, a svolgere ognuno le proprie attività, ma intanto si guardavano attorno senza dare nell'occhio e senza allarmare gli abitanti del villaggio, perché in fin dei conti i bersagli di Rudyard erano Guy e Kaelee, non gli abitanti di Locksley, quindi era una questione che avrebbero risolto senza coinvolgere esterni alla compagnia di Robin, sperando che Rudyard non fosse così subdolo da volersela prendere con famiglie innocenti.

Maniero di Robin, Locksley.
Quando Robin convocò tutti al Maniero, il pomeriggio successivo all'intrusione in casa di Gisborne, per elaborare una strategia di difesa contro l'uomo arrivato da Edwinstowe, a Kaelee venne raccontato dell'aggressione subìta da Guy e fu in quel momento che riconobbe l'arma che suo fratello aveva usato contro l'uomo che amava. Naturalmente non la prese affatto bene – tanto più perché aveva appena perdonato tutti per averle mentito senza ritegno e venire a sapere che quel gruppo di uomini continuava a commettere gli stessi errori non la entusiasmava per niente – e rimproverò Guy per non avergliene parlato subito, ma una volta ascoltato sia lui che Robin non ebbe difficoltà a comprendere che la verità le era stata tenuta nascosta per preservarla da ulteriore stress, almeno per il tempo di una notte e della mattinata successiva. In effetti precipitarsi a casa sua e di Kate investendo entrambe con la notizia nella sua interezza, non avrebbe giovato al nervosismo già evidente in lei, quindi, tutto sommato, si trovò in accordo con la scelta di Gisborne, anche se dormire al Maniero e nello stesso letto dell'uomo che amava era tutt'altro che un affare rassicurante per lei considerate le mille domande che si poneva da quando si era svegliata, quella stessa mattina.
Non che Gisborne si fosse comportato male con lei, anzi, le aveva soltanto messo un braccio attorno alla vita senza neanche tenerlo al caldo sotto le coperte, eppure il suo fianco aveva preso fuoco all'istante e aveva continuato a bruciare per tutta la notte, perciò era più preoccupata per le proprie iniziative ai danni di Gisborne che per ciò che sarebbe potuto succedere a lei, non avendo neanche, di fatto, la sicurezza che lui la desiderasse come lo desiderasse lei. Addormentarsi era stato molto difficile quella notte, mentre i suoi pensieri la tormentavano senza pietà con i possibili scenari che avrebbe potuto vivere d'ora in avanti, dormendo ogni notte insieme all'uomo che amava; e, purtroppo per la sua stabilità mentale, si trattava di quadretti tutt'altro che casti e delicati, capaci di metterla senza troppa fatica in subbuglio.
Così, quel pomeriggio, si sentiva un po' stordita mentre si presentava alla riunione cercando di non soffermarsi troppo su Gisborne e il suo petto scolpito o le braccia forti, ma di pensare, ad esempio, a illustrare a tutti i membri della banda i progressi maturati grazie al training intensivo con lui: a detta di quest'ultimo, Kaelee era diventata una spadaccina alla quale era difficile tenere testa e l'unico che riusciva ancora a disarmarla, non senza qualche difficoltà, era proprio il suo maestro il quale era convinto che con qualche altra lezione avrebbe raggiunto un tale livello di esperienza da iniziare ad essere un problema serio anche per lui e a maggior ragione per Rudyard.
Gli allenamenti erano diventati così seri e realistici che più di una volta entrambi erano rientrati con qualche piccola ferita superficiale, oltre agli ormai consueti lividi e dolori muscolari, che aveva messo in allarme tanto Kate, quanto Allan, costringendo Guy prima e Robin poi ad argomentare, di nuovo, in modo molto soddisfacente la necessità di quella scelta, ricordando a tutta la banda che non si era messa in scena una lite per puro divertimento, ma proprio per fare di Kaelee un membro della banda a tutti gli effetti e una donna capace di sostenere un duello con uno o più nemici senza soccombere.
Chi non era a stretto contatto con Guy e Kaelee – quindi gli abitanti di Locksley e di Nottingham, ma anche tutti i giovani che prendevano lezioni da Robin e Archer – poteva credere che i due fossero completamente matti, perfino masochisti, e che il loro fosse un amore malato, ma la verità era tutt'altra e prima o poi, pensava Kaelee, l'avrebbero compreso anche loro. Entrambi, infatti, volevano la stessa cosa: sopravvivere per poter stare insieme, potersi difendere a vicenda nel corso di una battaglia, non essere un peso l'uno per l'altra. Era ormai chiaro, infatti e tra l'altro, che Rudyard non si sarebbe limitato a portar via Kaelee dal villaggio, ma sarebbe arrivato a uccidere per pura soddisfazione personale ed era più che comprensibile che nessuno dei due fosse d'accordo con lui.
Tornando alla riunione, quel giorno si decise come ognuno si sarebbe comportato per impedire a Rudyard di prevedere con certezza le mosse dei singoli.
Quindi di giorno Gisborne avrebbe vissuto tranquillamente nella propria abitazione, che avrebbe frequentato anche durante i pasti e quando non fosse stato impegnato in qualche attività, – mai le stesse e mai da svolgersi nello stesso ordine – così come avrebbero fatto anche Kaelee e Kate; di notte, però, l'uomo si sarebbe categoricamente trasferito al Maniero insieme a Kaelee, mentre Kate avrebbe raggiunto Much per la gioia di entrambi; in modo del tutto simile si sarebbero comportati anche tutti gli altri componenti della banda, incaricati di svolgere ognuno il proprio mestiere, contemporaneamente tenere occhi e orecchie sempre attenti a rilevare ogni minima stranezza, e non lasciare mai, per nessuna ragione al mondo, Kaelee da sola.

Dalla prima notte trascorsa al Maniero, Kaelee non aveva, quindi, più dormito senza Guy e quest'ultimo senza un affilato coltello. 
Le prime notti dopo l'aggressione, inoltre, Robin, Archer e Guy restarono svegli a turno per evitare di essere presi in contropiede da Rudyard, ma poi, non ricevendo alcuna minaccia, i fratelli si resero conto della reale improbabilità che quest'ultimo decidesse di fare irruzione in una casa abitata da due arcieri provetti, il miglior spadaccino della zona e una donna pronta a tutto pur di non vedersi sottratta la libertà.


Nottingham.

Immediatamente dopo essere saltato fuori da quella finestra con il rischio di rompersi una gamba, Rudyard si rese conto di aver commesso un gravissimo errore manifestando la sua presenza in modo inequivocabile: Kaelee, infatti, era a conoscenza del coltello che il loro genitore gli aveva regalato e certamente lo avrebbe riconosciuto, dando a quella banda di ignoranti moralisti la certezza della sua presenza in zona e scatenando, con ogni probabilità, una caccia all'uomo in cui lui era la preda anziché il predatore.
Inoltre era stato costretto a lasciare Locksley senza poter recuperare prima il suo cavallo e aveva dovuto, quindi, tornare a Nottingham a piedi, imprecando, per tutto il tragitto contro Gisborne, perché aveva avuto la bizzarra idea di svegliarsi proprio quando lui aveva deciso di piantargli un coltello nella coscia. Quindi gli sarebbe toccato pure recarsi di soppiatto a Locksley a riprendersi quel maledetto cavallo, sperando di non incontrare nessuno degli uomini di Hood.
«Che tu sia dannato. Sei addirittura tanto rammollito da non aver nemmeno avuto il fegato di inseguirmi, stupido spadaccino da quattro soldi. E dire che si raccontavano imprese magnifiche sul tuo conto, si tessevano lodi sulle tue qualità nei duelli», brontolò calciando piccole zolle di terra lungo la via. «Guardati adesso: spaventato a morte da un brutto sogno. Povero piccolo Gisborne!», esclamò infine, a poche decine di metri dall'ingresso della città, abbandonandosi ad una risata. «Andrò dritto alla locanda. Ho bisogno di bere e di intrattenermi con i generosi fianchi di un'esperta nelle arti amatorie che sappia farmi dimenticare perfino il mio nome. Un gran peccato che non ci sia più lo Sceriffo qui a Nottingham: fino allo scorso anno, nelle prigioni si trovava carne fresca e molto allettante», si disse, fischiettando come se nulla fosse accaduto, come se l'essere stato scoperto non fosse più un problema visti i programmi che aveva in mente per la notte.
In effetti, il mattino seguente, Rudyard dimostrò a se stesso di non essersi dato affatto per vinto: anche se aveva perso una battaglia, aveva ancora tempo e mezzi per vincere la guerra.
Nelle settimane successive all'aggressione fallita, Rudyard non smise di osservare gli uomini di Hood raccogliendo informazioni in merito alle loro abitudini ed era quindi venuto a conoscenza dei cambi di programma che riguardavano sia Kaelee che Gisborne, ma volle anche dedicarsi ad una ricerca differente, che gli avrebbe consentito di ingannare il gruppo di ex fuorilegge arrugginiti, perciò l'uomo trascorse molto più tempo a Nottingham, volendo cercarsi concretamente degli alleati da reclutare per la sua causa senza raccontar loro, naturalmente, la realtà dei fatti e nascondendosi, invece, dietro una storia strappalacrime che si delineò nella sua mente durante una conversazione con l'oste della sua taverna preferita.
Non avrebbe più fallito, ne era certo.


Edwinstowe.
Dopo aver appreso, tramite pergamena inviata da Robin Hood, ciò che Rudyard aveva tentato di fare a Gisborne, Dwight decise che era necessario passare alle maniere forti. Aric, infatti, non era ancora riuscito a scoprire con le buone dove Willard custodisse le missive di suo fratello, quindi Dwight era passato all'azione.
Avendo suo fratello minore il compito di sistemare il fienile in quei giorni, Rudyard pensò bene di aspettarlo all'interno della costruzione e coglierlo di sorpresa, trattenendosi dal sollevarlo per la camiciola e sbatterlo contro il legno della parete soltanto perché temeva che quello si sarebbe messo a strillare come una femminuccia, richiamando l'attenzione della madre che nulla doveva aver a che fare con l'argomento: quella, infatti, era una questione che avrebbero risolto tra loro, con la sola collaborazione di Aric il quale, appena Willard fu all'interno del fienile, ebbe la prontezza di chiudervi dentro sia lui che Dwight.
In prima battuta, Dwight mantenne la calma e fece qualche innocuo tentativo per far parlare suo fratello in merito a Rudyard e ai suoi piani, ma presto i due finirono alle mani e considerato quanto Willard fosse vigliacco e incapace di difendersi, non riuscì a spuntarla senza che Dwight gli rompesse il naso e comunque non prima di aver sputato tutta la verità.
Quando i due si presentarono per la cena, nessuno ebbe l'ardire di scomporsi, sebbene l'episodio fece arricciare le labbra alla genitrice, la quale – dopo aver scoperto che Willard aveva rivelato tutti i dettagli ai suoi fratelli – diede il resto a suo figlio umiliandolo con una sfuriata delle sue e facendogli sanguinare la schiena.
Nonostante questo e l'offerta che Dwight gli fece qualche giorno più tardi, invitandolo a collaborare con lui e Aric, – il che includeva anche la possibilità di sottrarsi alla prepotenza della madre – l'uomo decise di non sostenere i due fratelli nella lotta contro Rudyard.
Dwight non era intenzionato ad abbandonare Willard a se stesso, specialmente dopo aver dato un'occhiata alla sua schiena, perciò avrebbe tentato nuovamente di convincerlo a cambiare idea in merito a quale fosse la posizione più giusta da tenere in quella vicenda, ma in quel frangente la priorità assoluta era comunicare a Robin Hood quanto aveva scoperto su Rudyard, perciò scrisse in fretta tutte le informazioni su una pergamena che poi affidò al suo corriere di fiducia, ovvero l'amico di Aric, che avrebbe trovato il modo più veloce per far recapitare il messaggio all'arciere.
Sapendo che Rudyard contemplava di uccidere Gisborne soltanto per far soffrire Kaelee e poi uccidere anche lei, a Dwight non rimase altro che la speranza di non aver tardato troppo, lasciando che l'irrimediabile avvenisse senza che lui potesse far nulla, così – nauseato dal sadismo di suo fratello – si mise a pregare Dio e la Santa Vergine affinché non gli venisse tolta anche la sua unica sorella.


Qualche tempo dopo.
Nottingham.

Nell'ultimo periodo era un susseguirsi di riunioni al Maniero, finalizzate a riorganizzarsi continuamente in modo diverso per confondere Rudyard, in attesa di nuove da Edwinstowe. Il contributo di Dwight e Aric si rivelò impagabile in quanto, dopo aver letto il contenuto della missiva, Robin e i suoi avevano la certezza assoluta che Rudyard risiedesse a Nottingham, ragion per cui si decise che, a turno, tutti gli uomini della banda avrebbero bazzicato la città in diversi momenti della giornata per stanare il fratello di Kaelee. Prima lo si trovava, meglio era, viste le sue intenzioni poco pacifiche.
Dargli la caccia divenne presto la priorità assoluta di tutti gli ex fuorilegge.

Allan, – che teneva ed essere in prima linea per poter far colpo su Kaelee, ma anche, ovviamente, per proteggerla personalmente – camuffato per bene insieme a Little John, aveva quel giorno il compito di recarsi in città e dare il cambio a Tuck e Kaelee.
Quando si trattava di soffiate Allan era un genio, anche se non sempre gli era andata bene in passato, come tutti gli uomini della banda ben ricordavano. Per assurdo, era riuscito a stare con un piede nel Castello e l'altro nella foresta per un bel po' di tempo – vivendo inizialmente con i fuorilegge e facendo la spia a Gisborne il quale gli aveva risparmiato la vita in cambio di utili informazioni, e poi con Gisborne e lo Sceriffo fornendo dettagli a Robin tramite Lady Marian – prima di tornare definitivamente al fianco di Robin Hood, che lo aveva accolto nella sua banda e protetto fin quando ne aveva fatto parte e che fece altrettanto anche dopo, concedendogli un'ulteriore opportunità e altra fiducia. Di fatto, comunque, poteva difendersi con onore dalle eventuali accuse, che lo descrivevano come un traditore opportunista in grado di pensare soltanto a se stesso, non avendo mai tradito davvero i suoi compagni. Era incline a pensare al proprio tornaconto, questo non poteva negarlo, ma si riteneva ugualmente un valido alleato e credeva negli ideali di Robin Hood, specialmente da quando Locksley e Nottingham erano tornate ad essere libere dai potenti. Il timore di Allan, infatti, quello che una volta lo aveva spinto a tentare la fuga insieme a Will Scarlett con una parte del bottino della banda, era che una volta fatto rientrare sano e salvo Re Riccardo in patria, Robin si sarebbe riappropriato delle sue terre e del titolo che gli spettava, voltando infine le spalle a quelli che erano stati i suoi compagni d'avventure e che l'avevano difeso e supportato svariate volte; ormai, però, gli era chiaro che una simile eventualità non solo non si era mai verificata, ma non sarebbe neanche mai potuta accadere dal momento che l'arciere, capo della banda, si era preoccupato di dare un futuro degno e un'abitazione adeguata a tutti i suoi uomini che ne erano privi.
Avvezzo alla menzogna che gli aveva più volte permesso di salvarsi la pelle prima di incontrare Robin Hood, Allan aveva sottovalutato e giudicato male l'arciere a prescindere da quello che i suoi occhi ogni giorno vedevano e che la sua mente si ostinava a negare. Aveva impiegato un po', ma alla fine aveva compreso e posto rimedio.
Il rapporto tra Allan e la banda di cui faceva parte era stato, quindi, caratterizzato da reciproca mancanza di una totale fiducia, ma fortunatamente ogni cosa si era risolta per il meglio, tanto più perché anche Archer, inizialmente e nonostante Robin e Guy gli avessero salvato la vita, era caduto nello stesso errore collaborando con Isabella, la quale all'epoca era stata proclamata Sceriffo di Nottingham e possedeva dunque una quantità di denaro che avrebbe potuto far comodo al giovane arciere.
I due episodi avevano fatto capire a tutti, diretti interessati compresi, che il passato del singolo incideva continuamente sul presente e non sempre solo in positivo o in negativo: chi nella vita era stato preso a calci era oggettivamente più incline a cercare la protezione del più forte, esattamente come era accaduto a Gisborne, ma questo non significava che non ci fosse la speranza di un cambiamento nel corso dell'esistenza. Del resto tutti e tre erano fedeli alleati di Robin ormai.
In quanto a Little John, era uno che sapeva il fatto suo, un uomo di carattere, ma anche di buon cuore. Prima di entrare a far parte della banda di Robin, quando quest'ultimo si trovava in Terra Santa a combattere al fianco di Re Riccardo, era stato giudicato fuorilegge e, non volendo arrendersi alla prepotenza dello Sceriffo, si era messo a capo di un proprio gruppo di persone come lui, possedendo tutte le caratteristiche necessarie ad un leader degno di essere considerato tale, tant'è che quando c'era da programmare spedizioni e ricognizioni, era sempre in prima linea; quando c'era da organizzare un'incursione o un piano di attacco o difesa, lui era sempre pronto a fornire una serie di utili consigli e diverse idee di tutto rispetto. Era un uomo tanto silenzioso quanto leale, un po' orso, ma abilissimo e temuto combattente; il suo motto era "Oggi è un buon giorno per morire" e ci aveva creduto davvero, tutte le volte che si era ritrovato a dirlo ad alta voce.

La situazione in sé aveva ricordato a tutti gli uomini di Robin il periodo trascorso in incognito nella foresta, quando era necessario spiare lo Sceriffo, intercettare i suoi traffici per fargliela sotto al naso; quando era necessario infiltrarsi nel Castello di Nottingham per recuperare documenti o denaro rubato; quando essere dei fuorilegge significava ribellarsi ai soprusi e lottare per la giustizia e la libertà, rischiando spesso la vita nella lotta per un ideale.
Travestirsi, guardarsi le spalle, osservare ogni cosa attentamente, essere pronti a sguainare una spada o a far partire una freccia erano azioni che appartenevano al passato, seppur recente, ma né Allan né Little John erano dispiaciuti di doversi rimettere in gioco, quel giorno e nei giorni a venire e anzi, l'adrenalina che scorreva nelle loro vene li fece sentire più vivi che mai, mentre passeggiavano per le nuove vie di Nottingham, resi irriconoscibili grazie ai vecchi trucchi che li avevano salvati per anni dal desiderio di Vaisey di vederli tutti morti.
L'aver maturato esperienza sul campo, però, non aveva assicurato alla banda che il lavoro da svolgere sarebbe stato semplice e privo di difficoltà; uno dei problemi cui Robin e i suoi avevano dovuto far fronte, infatti, era l'assenza di alcuni di loro quando Rudyard era capitato a Locskley insieme a Willard, il che significava che Little John, Allan e Tuck non avevano idea dell'aspetto di Rudyard. Una temporanea soluzione a quell'inghippo era giunta quando Kaelee aveva provato a descriverlo nel dettaglio e Archer aveva tentato un abbozzo di ritratto per facilitare l'impresa a tutti quanti, perché comunque nessuno – eccetto Kaelee – ricordava Rudyard nel dettaglio.


Nelle settimane che trascorse esclusivamente a Nottingham, Rudyard ebbe modo di tastare il terreno e scegliere gli elementi migliori per la propria causa. Riuscì a circondarsi di due uomini ai quali raccontò una storia molto simile alla realtà dei fatti, ma a parti completamente ribaltate: nella sua personalissima versione dei fatti, lui era il buono della situazione, mentre Kaelee era la sua amata sorella, portata via dalla propria casa per fare da serva ad un uomo che aveva finto di essere gentile e di amarla, ma che si era rivelato era un tiranno e un approfittatore oltre che un violento. Ciò che più interessava a Rudyard era che i due gli credessero, ragion per cui evitò tutti gli uomini originari di Nottingham e Locksley, puntando sui forestieri e sui viaggiatori, quindi avrebbe pensato poi alla condivisione di eventuali ulteriori dettagli, se strettamente necessario, oppure, una volta raggiunto lo scopo, avrebbe fatto fuori anche i suoi scagnozzi.
"Due inutili vite in meno con cui spartire l'aria di questo mondo", aveva pensato la prima volta che li aveva accolti nell'abitazione in cui alloggiava.
Nella scelta dei due compari, Rudyard aveva badato bene anche che non fossero troppo intelligenti da poter dubitare di lui e che non avessero amicizie o anche solo contatti con gente di Locksley, perché in tal caso avrebbe fatto una pessima figura e probabilmente sarebbe stato persino preso a calci per le bugie che andava raccontando in giro, inoltre sicuramente Hood e i suoi sarebbero venuti a saperlo e lui avrebbe potuto dire addio definitivamente ai propri piani di sofferenza per sua sorella.
I due uomini che avevano abbracciato la sua causa venivano, infatti, dal villaggio di Nettlestone e non conoscevano né Kaelee, né i suoi trascorsi, né sapevano alcunché di come Rudyard e Willard erano realmente piombati a Locksley o della reale motivazione, essendo i due arrivati a Nottingham poco più tardi a cercar fortuna: erano le persone ideali per lui.
Con la messinscena del fratello maggiore in pena per la sorellina costretta ad una vita che non voleva e che non meritava, Rudyard era quindi riuscito a muovere a compassione due anime ignare, assicurandosi così protezione e compagni d'armi. Certo, tre continuava ad essere un piccolo numero a fronte dei nove del nucleo ristretto di Hood, ma considerato che lui intendeva colpire esclusivamente Guy e Kaelee, era di fatto in superiorità numerica anche se la condizione necessaria affinché non fallisse era che l'attacco avesse luogo in un momento di solitudine per i piccioncini e anche a questo sarebbero serviti i quattro occhi in più che Rudyard si era procurato.


Per l'occasione, Kaelee aveva nascosto la chioma sotto un ampio copricapo di stoffa, si era passata una polvere colorata sul viso per scurire l'incarnato e aveva indossato abiti maschili per evitare di essere riconosciuta, perché più di tutti aveva necessità di camuffarsi.
Tuck, invece, si era privato del saio nascondendo la croce sotto i nuovi abiti e insieme a lei aveva passato al setaccio ogni strada della città, senza mai perdersi d'animo.
«Che ci abbia visti e si sia rintanato da qualche parte?», mormorò ad un certo punto, rivolgendosi al suo compagno d'avventura.
«Se ti ha riconosciuta in questi panni deve essere un osservatore davvero attento», le rispose il frate, rivolgendole uno di quei sorrisi capaci di rianimare anche il più sfiduciato tra gli uomini.
«Non mi dispiacerebbe essere un uomo di tanto in tanto», scherzò allora.
«Non è forse un privilegio essere donna e poter donare la vita a una nuova creatura in nome di Nostro Signore?», le domandò lui instillandole immediatamente il dubbio che la sua considerazione di poco prima fosse quanto mai inappropriata.
«Dovremmo domandare ad una partoriente», gli rispose dopo un po' e lui rise.
«Non c'è gioia senza sofferenza, rammentalo sempre».
«Sarà, ma tu non sei una donna, pertanto, se in via del tutto ipotetica ti sposassi, godresti della gioia di un figlio senza patire la sofferenza del darlo alla luce», disse con convinzione, ritenendo incredibilmente ingiusto che a soffrire dovessero essere esclusivamente le donne. Sentì di nuovo Tuck ridere e si domandò cosa lo divertisse così tanto del suo discorso.
«Se non avessi la certezza che sei pura come la luce dell'alba e l'acqua dei torrenti, potrei pensare che tu sappia cosa significi dare alla luce una creatura, da come ne parli», le disse lui fissando quelle iridi scure ed espressive nelle sue.
Stando così le cose, non poté fare altro che arrossire.
«Ma che dici?!», si difese. «E poi come lo sai che sono... pura?», sussurrò a voce appena udibile, avvampando ulteriormente.
«Quando non fingo di essere un altro, sono un pastore di anime, un intimo confidente tenuto al segreto dinanzi a Dio e alla Vergine», mormorò lui senza smettere di sorridere, vagamente compiaciuto.
«E se volessi corromperti, cosa dovrei fare?», chiese. «Anche se forse non è necessario farlo dal momento che se non sono stata io a fornirti questa informazione, può essere stato soltanto Guy», ragionò apertamente.
«Sia lodato il Signore, l'amore regna nel tuo cuore e nel suo», fece lui in tono accorato inducendola ad aggrottare le sopracciglia, confusa.
Quando comprese, per poco non svenne.
«Imbroglione di un frate che non sei altro! Disonesto approfittatore dell'ingenuità di un'innocente!», esclamò sconvolta, controllando il tono di voce. «Tu non lo sapevi fino ad un momento fa!», aggiunse.
«Le vie del Signore sono infinite, non dimenticarlo mai», disse, ridendo di nuovo di gusto.
«È un vero peccato che non si possa malmenare un frate», borbottò, tornando a guardarsi intorno.
Di Rudyard, quella mattina, non sembrava esserci neanche l'ombra, ma proprio quando entrambi avevano ormai quasi abbandonato le speranze, lo videro sostare dinanzi ad un'abitazione insieme a due uomini che nessuno dei due conosceva.
Istintivamente Kaelee portò la mano sull'elsa della propria spada, quasi sopraffatta dalla necessità di uccidere chi aveva tentato di portarle via non soltanto Gisborne, ma anche l'esistenza che stava cercando di crearsi insieme a lui nel villaggio di Locksley, ma la presenza di Tuck e la convivenza con Robin Hood e tutto ciò che la sua figura rappresentava le impedirono di commettere lo stesso sciocco errore che aveva spinto Rudyard ad aggredire Gisborne in piena notte e lasciare una prova piantata nella parete della sua stanza da letto.
«È lui», sibilò.
«Ne sei assolutamente certa?», bisbigliò Tuck, forse temendo che lei, accecata dalla rabbia, potesse lasciarsi confondere dall'abbigliamento o da un singolo atteggiamento.
Kaelee prese un profondo respiro, costringendosi a non prendersela con il frate, perché sapeva che Tuck era un uomo saggio e prudente, uno che aveva sempre avuto a che fare con le persone e che per questo sapeva bene quanto l'istintività potesse essere nociva nella maggior parte delle situazioni come quella in cui lei si trovava; del resto il frate aveva seguito interamente il percorso intrapreso da Gisborne vivendo in prima persona il suo dolore, i drammi, i momenti di cedimento, gli accessi d'ira e il pianto, perciò Kaelee ritenne che l'uomo preferisse andarci con i piedi di piombo e lasciarsi scappare un'opportunità, anziché trovarsi a doverla confortare per i tormenti derivanti da un omicidio compiuto in preda alla fretta, e ritenne che fosse un atteggiamento più che giusto il suo, tanto più perché era un uomo di Chiesa e più di chiunque altro aveva sommo rispetto della vita in tutte le sue forme.
Quindi, ritrovata la calma, rivolse al frate lo sguardo più deciso di cui era capace.
«Sì», rispose. «Vedi quella piccola parte rada vicino al mento? È una cicatrice che si è procurato prima che io nascessi, in seguito a un litigio con Dwight. Non sono mai andati d'accordo e capitava che il più grande dei miei fratelli lo rimettesse in riga anche contro il volere di nostra madre», commentò tornando a tenere d'occhio Rudyard. «Guardalo e dimmi se io e lui non ci somigliamo», aggiunse dopo qualche attimo di silenzio, non troppo contenta di quella evidenza.
Vide Tuck rivolgere uno sguardo attento, analitico, in direzione di Rudyard.
«Non è una somiglianza netta, ma non posso negare che ci sia qualcosa in lui – sebbene se interrogato non saprei dire con esattezza cosa – che mi ricordi te, quindi ti credo», decise Tuck. 
I due, dopo interi minuti trascorsi ad osservare nel dettaglio i gesti di Rudyard, ipotizzarono che la casa in questione non dovesse appartenergli, non essendo egli stesso entrato insieme a uno dei due uomini ed essendosi invece allontanato con l'altro, così, quando fu ora di presentarsi sul luogo dell'appuntamento con Allan e Little John, per darsi il cambio, li informarono riguardo l'ultima scoperta fatta invitandoli a tenere d'occhio quella struttura, perché sicuramente lì avrebbero potuto vedere in faccia Rudyard e avrebbero potuto facilmente riconoscerlo in quanto i due uomini che lo accompagnavano erano molto diversi da lui.

Uno dei tanti intoppi di quella vicenda sembrava, quindi, essere risolto.
Così, mentre i due uomini si appostavano nei dintorni del punto indicato da Kaelee e Tuck, questi ultimi tornarono a Locksley per mettere Robin e gli altri a conoscenza delle novità.
Ed era a questo ritmo che trascorrevano le giornate della nuova banda di Robin Hood.


Qualche giorno più tardi.
Collina delle Croci, Locksley.

Dopo tanto rimuginare, torcersi le mani e maledirsi per la propria ignoranza cui non aveva mai cercato di porre rimedio, in effetti, Much aveva infine visto l'ovvio e aveva deciso che, se non poteva chiedere aiuto al proprio miglior amico, avrebbe parlato con la migliore amica di Kate in merito alla proposta di matrimonio che stava pensando di farle da giorni ormai. Quindi diede appuntamento a Kaelee nel luogo più tranquillo e discreto che conoscesse, anche se forse non era il più indicato per parlare di matrimonio: la Collina delle Croci.

Che tutti gli uomini della banda tenessero costantemente gli occhi aperti e dedicassero parte del loro tempo a registrare le mosse di chi li minacciava, non aveva impedito, comunque, il naturale svolgimento delle consuete attività, né aveva ostacolato i rapporti di amicizia nati e coltivati in quel contesto. Perciò, sebbene la preoccupazione fosse una costante da settimane nella vita della giovane Kaelee, quando aveva ricevuto il messaggio da parte di Much non ci aveva pensato su nemmeno mezza volta e lo aveva raggiunto nel luogo prestabilito.
Ciò che non aveva assolutamente previsto era il motivo per cui l'uomo volesse incontrarla, anche se aveva intuito che l'argomento della loro conversazione sarebbe stato Kate. Cos'altro altrimenti? Kaelee dubitava che Much volesse intercedere a favore di Allan, che volesse informazioni sul suo rapporto con Gisborne – dato che Kaelee non aveva ancora ripreso a confidarsi con Kate – o che volesse chiederle di andarsene e lasciare, così, ognuno libero di vivere la propria esistenza. Certo, Kaelee ci aveva pensato, aveva riflettuto sull'ipotesi di scappare e farsi inseguire da Rudyard in modo che lui lasciasse in pace Locksley e i suoi abitanti, ma era certa che Gisborne non si sarebbe arreso; perciò, fuggendo, avrebbe con ogni probabilità fatto più danni che altro dal momento che Robin e Archer avrebbero tentato di fermare Guy, innescando una reazione a catena per cui anche Much li avrebbe seguiti e con lui pure Kate. Inoltre l'intero gruppo di ex fuorilegge aveva manifestato la volontà di difenderla, proteggerla e supportarla.
Appena lo vide, con lo sguardo perso a guardare il villaggio, salutò Much abbracciandolo con corrisposto affetto.
«Grazie per essere venuta», disse l'uomo guardandola con quei suoi sinceri occhi blu.
La ragazza gli disse che non c'era motivo per cui non avrebbe dovuto farlo e che, qualunque cosa avesse da dirle, lo avrebbe ascoltato volentieri. Prima, però, gli domandò se fosse tutto a posto con Robin. Kaelee aveva avuto modo di constatare di persona quanto Much tenesse al leader del gruppo, aveva appreso delle avventure in Terra Santa e aveva visto con i propri occhi le piccole, ma significative, reazioni dell'uomo ogni volta che Robin si complimentava con uno della banda e non con lui. Tra i due c'era evidentemente un legame molto profondo, difficile da comprendere appieno, qualcosa che somigliava molto all'amore senza però esserlo: era come se Much amasse Robin senza la necessità della componente fisica di quel sentimento. Era una sorta di adorazione, venerazione, un po' come l'affetto che poteva legare due fratelli o genitori e figli e Kaelee aveva la sensazione che Much vivesse nel terrore di essere rimpiazzato nel cuore di Robin da qualcuno di più interessante e in gamba di lui. Quello tra Much e Robin era un tipo di rapporto che Kaelee non aveva mai vissuto, né visto, perché per quanto lei e Kate fossero amiche, il loro modo di volersi bene non somigliava neanche lontanamente a quello dei due uomini, e per quanto con Aric avesse sempre avuto un rapporto speciale, nemmeno quello era paragonabile.
Quando Much assicurò che tra lui e Robin non c'era alcun problema, ringraziandola per essersene interessata, confidò anche che voleva parlarle di Kate.
Sul suo volto si aprì un sorriso spontaneo: voleva molto bene a entrambi singolarmente e li adorava ancor di più da quando erano una coppia, quindi era immensamente felice che Kate avesse ritrovato un po' di serenità e si fosse infine lasciata andare con Much, sebbene Kaelee volesse molto bene anche a Robin e le dispiacesse che il cuore di lui fosse ancorato ad un amore del passato, un amore che non avrebbe fatto ritorno. Di tanto in tanto si domandava come Robin fosse riuscito a perdonare Guy per quello che aveva fatto a lui, a Lady Marian, e a se stesso; si chiedeva se lei, al posto dell'arciere, ci sarebbe riuscita e la conclusione a cui giungeva era sempre la stessa: Robin Hood era un uomo dotato di grande umanità, capace di grandi azioni e in grado di guardare oltre a molti ostacoli che avrebbero fermato tanti suoi simili.
Le sopracciglia di Much si abbassarono poco dopo, lo sguardo si fece serio, le labbra si mossero tutte le volte in cui lui fu sul punto di parlare e poi non lo fece e i profondi respiri che prese finirono tutti in sbuffi o sospiri che iniziarono a metterla in agitazione.
«Così mi fai preoccupare», mormorò posandogli una mano sull'avambraccio.
Due grandi occhi blu si fissarono nei suoi, stordendola tanta era la confusione che vi poteva leggere.
Much non era uno che stava in silenzio, uno che se aveva qualcosa da dire aspettava il momento giusto, eppure nessuno del gruppo era riuscito davvero a comprendere i meccanismi che animavano quell'uomo tanto sincero e straordinario, onesto e leale; durante le riunioni al Maniero Kaelee aveva potuto notare come perfino Robin Hood a volte avesse qualche difficoltà a capire dove l'amico di una vita volesse andare a parare.
«No... No», disse lasciando intravedere un sorriso e agitando le mani davanti a sé. «È una cosa bella... Credo. Lo è per me almeno», aggiunse e di nuovo aggrottò le sopracciglia. «Per me è bellissima... Non Kate... Cioè, anche Kate, soprattutto lei. Ma la cosa che vorrei fare, dopo avertela detta, è bellissima».
Much era talmente tenero ai suoi occhi mentre esprimeva i propri sentimenti così come li provava, senza nemmeno tentare di mettere un po' d'ordine, che Kaelee ebbe l'istinto di abbracciarlo forte nel tentativo di trattenere un sorriso divertito. In qualche modo, nemmeno lei sapeva come in effetti, Much le ricordava suo fratello Aric e questo lo rendeva ancor più adorabile dal suo punto di vista.
«E cosa vorresti fare?», domandò spontaneamente, incoraggiandolo.
Il sorriso che sbocciò sulle labbra di lui, mentre abbassava timidamente lo sguardo verso il terreno, rivelò l'essenza pura di quell'uomo: Much poteva anche essere un sempliciotto, uno che ragionava in termini molto pratici, uno che pensava alla pancia e a Robin prima che a tutto il resto, ma non era per nulla sciocco o superficiale, anzi, sotto la superficie si celava un uomo meraviglioso; non l'uomo giusto per lei, ma certamente un uomo buono e un marito eccezionale.
«Io vorrei... Vorrei... Ecco, mi piacerebbe chiedere...», mormorò, in imbarazzo.
"Certo che è imbattibile nell'abilità di creare suspance", pensò Kaelee sentendo l'ansia crescerle nel petto.
«Sì?», fece, già impaziente, emotivamente partecipe.
«Voglio chiedere la sua mano», disse tutto d'un fiato, sfregandosi nervosamente le mani tra loro, picchiettando il terreno con un piede, e con lo sguardo ancora basso.
Kaelee esultò e si rese conto subito di averlo spaventato, anche se ormai era troppo tardi per porre rimedio.
«E cosa stai aspettando, Much?!», esclamò allegra, saltandogli letteralmente tra le braccia e stringendolo forte, sinceramente felice che Much avesse preso quella decisione e quasi del tutto certa che a Kate non sarebbe dispiaciuto per nulla sposarlo.

L'ora successiva fu colma di consigli, timori, riflessioni, picchi di felicità e tanta complicità.
Quel gesto da parte di Much, l'averla cercata per un consiglio, dimostrò a Kaelee quanto fosse ormai parte integrante di quel gruppo di persone che per tanto tempo aveva popolato i suoi sogni di libertà. Ogni volta che ci ripensava, quasi non riusciva a credere di essere un membro ufficiale degli uomini di Robin Hood.
«Quindi vado da lei e glielo dico», mormorò ancora una volta Much, prima di salutarla.
Lei annuì, sorridendogli apertamente.
«Lo sapevo», affermò ridendo, mentre Kaelee alzava gli occhi al cielo, ormai avvezza a quella sua abitudine di dire sempre "lo sapevo".

Maniero di Robin, Locksley.
Guy non era molto convinto che mandare Kaelee a Nottingham, nella tana del lupo, fosse l'idea migliore, ma quando aveva saputo che era stata lei a riconoscerlo per prima si era ricreduto sebbene fosse costantemente in ansia quando lei era fuori. I due non si recavano mai in città insieme, ritenendolo troppo pericoloso per entrambi: era come gettarsi letteralmente tra le braccia di Rudyard, il quale avrebbe preso due piccioni con una fava, come si suol dire. Il fatto che quest'ultimo avesse cercato di uccidere Gisborne era il chiaro segnale che suo primario interesse era fare del male a sua sorella in qualunque modo possibile; e quale sofferenza più grande per lei del veder morire l'uomo di cui si era innamorata?
Anche se era disgustato da quei ragionamenti, Gisborne doveva ammettere che aver pensato come quel barbaro per molti anni della sua esistenza, avrebbe potuto rivelarsi un'ottima carta per lui e per tutta la banda.
Quanto Dwight aveva mandato loro a dire da Edwinstowe, aveva confermato ogni dubbio riguardo le pessime intenzioni di Rudyard e, sebbene non lo desse a vedere in presenza di Kaelee, Guy era molto preoccupato per la situazione che si era venuta a creare. A tormentarlo non era semplicemente la sofferenza che Rudyard avrebbe causato a lui, a Kaelee e agli uomini di Robin, ma anche la sofferenza che lui stesso avrebbe arrecato a Kaelee, perché la soluzione più ovvia e semplice era, infatti, uccidere Rudyard senza mezzi termini e senza inutili perdite di tempo, ma Gisborne sapeva che, se l'avesse fatto, Kaelee ci sarebbe stata male nonostante tutto, in quanto Rudyard restava pur sempre suo fratello e sapere che ad ucciderlo era stato l'uomo che amava non l'avrebbe aiutata a vivere un'esistenza serena. Era pur vero che lei stessa aveva più volte sostenuto di volerlo vedere morto, ma era molto arrabbiata con lui ed era quel sentimento a parlare al suo posto. L'alternativa, quindi, era regolarsi in base alle scelte dell'uomo: se Rudyard avesse nuovamente tentato di ucciderlo o di fare palesemente del male a Kaelee, gli avrebbe tolto la vita – soluzione, questa, che non lo convinceva molto in quanto avrebbe potuto rivelarsi molto pericolosa per tutti, perché Rudyard avrebbe avuto la reale possibilità di ferire o addirittura uccidere uno di loro prima di restare a sua volta ucciso.
Per quanto Gisborne ci ragionasse sopra, era evidente che il fratello della donna che amava aveva trovato il punto debole di tutto il gruppo, ovvero i sentimenti. Loro, invece, non avevano idea di quale potesse essere il punto debole di Rudyard, ammesso che uno come lui ne avesse; per di più, la superiorità numerica si stava rivelando completamente inutile.
In compagnia dei suoi fratelli, Guy rimuginava sulla personalità di Rudyard – arrivando perfino a paragonarlo a Vaisey – nel tentativo di comprenderne i ragionamenti, se di logica si poteva parlare in riferimento alle crudeli azioni di cui si rendeva protagonista. Ripescare nel proprio passato non lo entusiasmava, ma Guy ritenne che calarsi nei vecchi panni di ex braccio destro dello Sceriffo fosse un buon modo per entrare nell'ottica di quell'uomo, così si mise a raccontare ad alta voce episodi della propria vita che né Archer, né Robin, conoscevano. Parlò loro delle circostanze in cui aveva conosciuto il fratello di Kaelee e di quanto ribrezzo provasse ora nel dover ammettere che le intenzioni malvagie dell'uomo, all'epoca lo avevano entusiasmato non poco. Era quasi certo che l'intento di Rudyard, quando lo aveva fermato a York, fosse quello di comprare la sua benevolenza.
«Con ogni probabilità voleva accaparrarsi un titolo nobiliare o un ruolo al fianco di Vaisey e sicuramente conosceva con esattezza la mia identità e la mia posizione», disse con lo sguardo assente, perso nei ricordi.
Robin e Archer lo ascoltavano e tendevano a rassicurarlo quando lo vedevano tormentarsi per cose di cui ritenevano non avesse colpa.
«La peggior cosa che potesse capitare a Kaelee era ricambiare il mio sentimento per lei e, ovviamente, lei l'ha fatto», mormorò cinico.
Non erano trascorsi neanche cinque secondi da quando aveva parlato che i suoi fratelli erano già intervenuti.
«Ma la vuoi finire? Stai zitto!», esclamò Archer mentre Robin gli dava un pugno, più o meno affettuoso, sul braccio.
Gisborne sbuffò alla reazione dei fratelli e continuò a raccontare. Ogni volta, però, che diceva una sciocchezza Robin ed Archer intervenivano a modo loro.
«Guy di Gisborne, la smetti oppure no di essere così pessimista?», fece Robin all'ennesima manifestazione negativa.
«Sir Guy del mio cuore, vorrai dire», rispose Archer fingendo di essere Kaelee e facendo sorridere infine anche Guy.
«Avessi la metà della sua bellezza saresti guardabile», rispose, prendendolo giocosamente in giro.
«Nettie non sarebbe d'accordo con te», ribatté il minore dei tre. «E secondo me anche Kaelee sotto sotto...», insinuò poi, con lo sguardo di chi era certo di scatenare un putiferio.
Robin riempì la sala con la sua calda risata e intanto lui si alzò in piedi e puntò l'indice contro Archer.
«Tu! Prova a ripeterlo!», urlò con un filo di serietà in più.
Archer sollevò entrambe le mani.
«Del resto tu non sei stato preso in considerazione nelle scommesse di Allan e Much su Kaelee», continuò Archer, evidentemente divertito.
Guy rubò una freccia dalla faretra di Robin e la agitò in aria contro suo fratello, mentre provava a trattenere le risate. In fondo, qualunque cosa potesse dire Archer, Kaelee aveva scelto lui e questo non sarebbe cambiato tanto facilmente.
«Fossi in te scapperei», intervenne Robin che, anziché sedarli, ci metteva del suo. «Non a casa di Nettie però», aggiunse. «Guy non è così tonto e non sono certo che la tua bella ospiterebbe un fuggitivo», concluse ridendo ancora.
La sua attenzione si spostò immediatamente sulla figura di Robin al quale rivolse uno sguardo carico di finto odio, prima di parlare.
«Cosa vuol dire esattamente», disse, marcando l'avverbio. «che non sono così tonto?», domandò retorico, invitando poi Robin a scappare finché poteva.
Mentre Robin correva per tutto il Maniero, gli ricordava tutte le volte che, in passato, gliel'aveva fatta fuggendo sempre all'ultimo momento o facendogli fare una pessima figura dinanzi allo Sceriffo.
«Ti ho cosparso di pece, dato fuoco e quasi annegato! E tutto nella stessa giornata!», urlò l'arciere. «Mi sono introdotto così tante volte nel Castello, senza che tu te ne accorgessi, che dovresti solo vergognarti!», continuò. «Non hai idea di quante volte ero presente quando parlavi "in privato" con Marian!», disse infine, rallentando di colpo la corsa.
Anche Guy, che lo aveva inseguito con l'intento di atterrarlo e torturarlo, – magari con una scarica di solletico – diminuì la velocità fino a fermarsi.
Loro due non affrontavano spesso l'argomento Marian e quando accadeva un velo di tristezza si stendeva sul loro sguardo.
«Scusa», mormorò Robin con il fiatone, piegato in avanti con le mani sulle ginocchia.
Guy lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
«Tu ti scusi con me?», chiese rivolgendogli un mezzo sorriso che Robin ricambiò.

Archer, vedendoli fermi, si mosse nella loro direzione e quando arrivò trovò i suoi due fratelli seduti a terra, schiena contro schiena.
«Siete vecchi ormai per queste cose», commentò allargando le braccia e facendo spallucce.
I due fratelli maggiori si voltarono a guardarlo e, in perfetta sintonia, lo afferrarono per i polsi, lo tirarono giù e lo riempirono di buffetti affettuosi.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 24/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Eccoci alle ormai consuete precisazioni.
Gli accenni al passato di Allan e Little John, si riferiscono alla serie tv e sto cercando, nei vari capitoli, di occuparmi anche degli altri personaggi in modo che il background sia a grandi linee comprensibile a tutti. Anche ciò che Robin dice a Guy mentre quest'ultimo lo insegue fa riferimento a diversi episodi della serie.
Che altro dire? Spero di essere stata credibile anche nella parte logistica della faccenda, pur non essendo scesa nei minimi dettagli.
Ringrazio chi ha scelto di arrivare alla fine dello scritto e chi sceglierà di lasciare una recensione, sia essa positiva o negativa.
Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Inatteso Ritorno ***


Inatteso Ritorno


Inatteso Ritorno

Maniero di Robin, Locksley.
«Com'è possibile che non riusciamo a scoprire dove abita?», domandò Little John, durante una delle riunioni settimanali che gli uomini di Robin organizzavano per riordinare i pezzi e fare il punto della situazione.
L'intera banda stava letteralmente pedinando Rudyard da giorni ormai, a Nottingham e ovunque l'uomo decidesse di spostarsi – fosse anche sul confine di Sherwood, appena fuori dalla città. Con molta discrezione, certo, ma non si poteva negare che, se Rudyard non fosse stato ciò che era e gli ex fuorilegge non fossero stati ciò che erano, si sarebbe potuto dire che gli uomini di Robin Hood stavano molestando, infastidendo, perseguitando una persona senza un apparente motivo e il fatto che non dispiacesse a nessuno di loro, avrebbe aggravato notevolmente la posizione di tutti. Ciò che impediva agli ex fuorilegge di sentirsi in colpa erano le dubbie qualità morali dell'uomo cui stavano dando la caccia e ciò che impediva agli abitanti di Locksley e Nottingham di insospettirsi in qualche modo era la reputazione che Robin e i suoi si erano guadagnati.
«Sa che gli stiamo alle costole», intervenne Much, con una certa agitazione.
«Per questo non ci ha più attaccati», aggiunse Allan.
«Quindi secondo voi basta continuare a spiarlo e tallonarlo per scongiurare il pericolo di una nuova aggressione? Che sciocchezze!», intervenne di nuovo John.
«Ehi ehi, calmi. Ci manca solo che ci mettiamo a litigare tra noi», fece Archer.
«È un dato di fatto che non ci ha più infastiditi», ribatté Allan, ignorando l'intervento del fratello minore di Robin.
«Chi ti dice che non si sta organizzando per bene, sapientone?», brontolò Little John, facendoglisi vicino e sovrastandolo con la sua mole imponente.
«Ragazzi...», richiamò Fra Tuck.
«Non per fare lo spiritoso, ma con due uomini cosa vuoi che stia organizzando?», rispose Allan, mettendo le mani avanti in segno di pace, ma investendo il suo interlocutore con quel sorrisetto un po' impertinente che gli apparteneva.
«Vuoi farmi credere che si è trasferito a Nottingham, si è fatto due amici ed è finita così?», domandò l'altro, in tono minaccioso.
Mentre ognuno diceva la propria, Robin se ne stava seduto con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Riteneva che la domanda di John fosse del tutto lecita, così come anche la considerazione di Much, ma pensava pure che Rudyard avesse deciso di essere più prudente che mai dopo la fallita aggressione ai danni di Gisborne e che ipotizzasse di essere tenuto d'occhio dai suoi uomini senza averne la certezza perché loro, se lo desideravano, sapevano essere invisibili, rendersi irriconoscibili nell'aspetto esteriore, perciò era plausibile che Rudyard vivesse nel dubbio di avere costantemente addosso gli occhi di almeno uno dei componenti della banda.
In tal proposito gli tornarono in mente tutte le volte che uno dei suoi uomini non l'aveva riconosciuto nei panni di guardia dello Sceriffo o di mendicante, di uomo di Chiesa, di vecchina in pericolo o di chissà chi altri; perfino Much, il quale lo conosceva come le proprie tasche avendo vissuto a stretto contatto con lui per svariati anni, c'era cascato più di una volta e, di certo, Rudyard non aveva presente né lui né i suoi nemmeno la metà di quanto li conoscesse Much. Forse l'unica persona che correva davvero il rischio di essere riconosciuta era Kaelee, ragion per cui ai suoi camuffamenti si prestava sempre molta più attenzione.
Dunque cosa stava tramando Rudyard a Nottingham? E che ruolo avevano i due uomini che erano stati visti con lui? E chi erano e cosa sapevano di Kaelee?
«Magari l'abbiamo spaventato e si è arreso», fece ancora Allan. «Non l'abbiamo più visto a Locksley», ribadì con un'alzata di spalle e il suo consueto ottimismo spensierato.
«Come no! Per questo se ne va in giro costantemente con quei due a fare chissà che», rispose prontamente Archer, appoggiandosi alla parete.
«Per quel che ne sappiamo, Rudyard ha pure un'occupazione», commentò ancora Allan.
«Appunto, per quel che ne sappiamo. Dobbiamo trovare il modo di ascoltare le sue conversazioni con quei due!», esclamò John, di nuovo proteso verso Allan.

Kaelee presenziava a tutte le riunioni, ma preferiva non intervenire – se non espressamente richiesto o nel caso in cui fosse in possesso di dettagli utili a stanare Rudyard – in parte perché ancora ce l'aveva un po' con tutti, ma soprattutto in quanto si sentiva terribilmente colpevole per l'intera vicenda: non aveva certo desiderato condurre suo fratello nei pressi di Locklsey per infastidire Robin e la sua banda, ma di fatto la sua partenza aveva portato quel bruto a pochi passi dalla sua nuova abitazione, creando scompiglio nella vita di chi si era appena guadagnato una fetta di meritata tranquillità e l'aveva accolta senza pregiudizi, trattandola come se fosse cresciuta tra le strade di Locksley e Nottingham.
Quindi, per lo più, ascoltava le considerazioni dei suoi amici e faceva il possibile per portare a termine nel miglior modo i compiti che Robin le assegnava, anche se questo le costava parecchio considerato che starsene in silenzio non era propriamente una sua abitudine; però aveva deciso che, pur essendosi lasciata alle spalle quanto era successo il giorno in cui Gisborne le aveva dimostrato il nuovo andazzo che gli allenamenti avrebbero preso, chiunque avesse partecipato attivamente a quella farsa, meritava una sorta di punizione e quindi aveva smesso di confidarsi con Kate, tanto per cominciare, sapendo che ne avrebbe sofferto – poteva sembrare un atto di cattivera bella e buona, ma non lo era affatto in quanto anche lei ci stava male, naturalmente; il fulcro dei suoi ragionamenti e del suo conseguente atteggiamento, era il suo detestare anche la sola idea di essere vista e considerata come una sciocca ragazzina e, in linea di massima, Kaelee riteneva comunque giusto che ognuno si prendesse le responsabilità delle proprie azioni. Per quel che riguardava Guy, dopo i giorni in cui aveva parlato con lui soltanto degli allenamenti, da quando era andato a trovarla le veniva difficile escluderlo, tanto più perché ogni notte condivideva con lui il letto. In quanto a Robin, invece, non aveva ancora deciso il da farsi, ma il silenzio che si autoimponeva rendeva già di per sé evidente che quei modi l'avevano ferita e, dato che l'arciere era tutt'altro che stupido, Kaelee sapeva che avrebbe collegato il tutto nella maniera più corretta.
Era consapevole che quella situazione non sarebbe durata per tutta la vita, a maggior ragione perché Much aveva deciso di chiedere la mano a Kate e lei non poteva non giorne, ed era anche convinta che il suo comportamento non potesse essere attribuito al mero orgoglio; era più una questione di fiducia: dopo quell'episodio Kate, Guy e Robin avevano perso una porzione della sua.
Con un lieve sospiro tornò alla discussione che stava animando il Maniero, e ad Archer, che aveva appena rinunciato a mettersi tra i due che si punzecchiavano. Quel giovane uomo, pur somigliando esteticamente più a Robin che a Guy, aveva certi modi di fare, certe movenze, che a Kaelee ricordavano moltissimo l'uomo che amava, perciò era una strana sensazione averlo intorno, specie da quando dormiva al Maniero, a qualche stanza dalla sua. Riusciva ad essere perfino imbarazzante in certi frangenti.
«Fa di tutto per non farci capire dove abita. Si prende gioco di noi!», esclamò Kate, d'accordo con il fratello minore di Robin e Guy.
Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti attendevano l'intervento di Robin il quale, invece, rimase ancora in silenzio, immerso probabilmente in una serie di ragionamenti.
«Ok, non si è arreso», ammise Allan. «Ma, ehi! Noi siamo Robin Hood! E lui è da solo... Più o meno. Abbiamo la maggioranza numerica comunque», concluse.
Se Kaelee non l'avesse conosciuto abbastanza, avrebbe pensato di aver di fronte un tipo superficiale e volutamente irritante, ma sapeva che Allan aveva semplicemente un'indole ottimista e tendeva sempre a credere, quindi, che qualunque cosa potesse accadere se la sarebbe cavata. A quanto pareva, però, gli altri della banda non erano della stessa opinione, specialmente John che si tormentava senza sosta con i punti interrogativi della questione.
Gisborne, forse percependo la sua tensione, la avvolse con un braccio, in quell'atteggiamento protettivo che non le dispiaceva mai; quindi si strinse volentieri a lui continuando a osservare i presenti e le loro reazioni.
Tuck ascoltava e rifletteva, forse in attesa del parere di Robin, mentre Allan e John non riuscivano a smettere di battibeccare nonostante Archer tentasse, di nuovo, di placarne i torni.
Infine, diversi minuti più tardi, Robin si alzò in piedi richiamando così l'attenzione di tutti.
«È necessario espandere la rete delle nostre conoscenze. Abbiamo ottenuto informazioni dirette in merito ai movimenti di Rudyard a Nottingham e sappiamo per certo che risiede in città. Ci siamo convinti che non ci abbia mai mostrato la sua abitazione e che si fa beffe di noi, ma è veramente così?», disse Robin. «Ognuno di voi ha offerto un valido contributo e una giusta considerazione, tanto che sono arrivato ad una conclusione verosimile. Ritengo, infatti, possibile che, anziché celare il suo nascondiglio, ce l'abbia sempre mostrato lasciandoci credere che non è sciocco al punto da invitarci nella sua tana. Pensateci. John prima si è chiesto com'è possibile che osservandolo per settimane non siamo riusciti a individuare la sua abitazione. Nottingham non è Londra, perciò la risposta è che non è possibile. Sa di avere i nostri occhi attorno, addosso, e ha optato per una tattica piuttosto banale, ma molto efficace: ha messo in bella mostra quanto di più prezioso possiede, spostando l'attenzione di chi osserva. Allan, tu che imbrogli continuamente gli avventori con il gioco dei tre bicchieri, avresti dovuto arrivarci prima di noi tutti. Non fai niente di molto diverso tutte le volte che posizioni tre piccoli bicchieri e mostri una moneta ai tuoi spettatori e scommettitori, facendo credere loro di averla nascosta sotto ad uno dei tre contenitori, che mescoli velocemente per chiedere, infine, dove pensano che si celi la moneta che tu, molto abilmente, hai recuperato e riposto nella manica. Il tutto sotto i loro occhi, concentrati esclusivamente sul movimento dei tre bicchieri. Ti è andata bene perché nessuno ha mai pensato di chiederti di alzarli tutti e tre e, allo stesso modo, a Rudyard fino ad ora è andata bene perché nessuno di noi ha pensato di intrufolarsi di notte in quell'abitazione per fare una verifica».
La sua esposizione dei fatti lasciò di stucco alcuni compagni d'armi e mise sull'attenti altri: in ogni caso, se quanto Robin aveva appena detto era vero, Rudyard era tutt'altro che inesperto in fatto di strategie; ipotesi, questa, che non entusiasmava affatto Kaelee.
«All'ultimo momento metto sempre la moneta sotto un bicchiere che, ovviamente, non è quasi mai quello scelto», bofonchiò Allan, evidentemente offeso dalle parole dell'arciere.
«In quanto ai due uomini con i quali si accompagna», continuò Robin. «Chi sono? Da dove provengono? Non da Locksley, questo è certo, e neanche da Nottingham, perché altrimenti li conosceremmo».
«Sono uomini di Nettlestone», rispose prontamente Tuck, spiegando che aveva avuto modo di confessarli proprio quel giorno, essendosi recato in città nei panni di se stesso.
Robin annuì e disse che occorrevano più dati sul loro passato e su come Rudyard li aveva reclutati.
«In questo momento non immagina che abbiamo intuito il suo gioco, perciò dovremo prestare molta attenzione affinché non capisca che il suo piano sta per saltare. Abbiamo l'occasione di metterlo nel sacco e non dobbiamo, per niente al mondo, lasciarcela scappare», concluse con convinzione. «Ora, amici, rilassiamoci insieme, beviamo qualcosa, perché il sole splende e Locksley è un villaggio felice!», aggiunse, prendendo a braccetto Allan. «Spiegami un po' com'è che fai con quel gioco», gli disse.
Un «Lo sapevo» di Much, appena mormorato, fece ridere tutti quanti.

Foresta di Sherwood.
In cammino da molti giorni, in compagnia del proprio figlio, una donna rimandava ostinatamente l'appuntamento con il dolore che la rincorreva e si dirigeva nell'unico posto in cui sapeva di poter trovare un conforto – se non lei, almeno suo figlio. Finché era impegnata a mettere un piede davanti all'altro, contando tutte le volte che lo stomaco le si contraeva per la fame, poteva permettersi di non pensare e quindi di non soffrire; inoltre era necessario trovare un nuovo giaciglio per la notte nel caso in cui non fosse riuscita a raggiungere il villaggio prima del tramonto, questione che, aggiunta alle altre, riempiva la sua mente più del dolore e del senso di sconfitta.
Era trascorso diverso tempo dall'ultima volta che i suoi piedi avevano lasciato orme su quella terra scura, che i suoi occhi si erano soffermati sull'incanto di quei luoghi, che le sue narici erano state sfiorate dall'odore, pungente e bagnato, del muschio; le sembrava un'eternità e invece non erano che un paio d'anni; benché molte cose fossero cambiate nel frattempo, mutando inevitabilmente anche lei, pareva infine che il cerchio si stesse chiudendo su se stesso, riportando lei e suo figlio al punto di origine, dove la sua vita, quella del bambino e altri eventi avevano avuto inizio. Non aveva idea se tutta quella faccenda fosse una maledizione o una benedizione, considerato che era andata via da Locksley per sfuggire ad una condanna a morte e vi stava tornando in condizioni forse addirittura peggiori; ma dal momento che la vita l'aveva nuovamente messa dinanzi ad una serie di impedimenti e difficoltà, tra tutti i potenziali mali, era stata costretta a optare per quello ritenuto il minore. Gli eventi le avrebbero risposto prima o poi e tutto le sarebbe stato chiaro e limpido come un ruscello, perciò la cosa fondamentale era fare qualcosa, intraprendere un percorso, scegliere e prendersi le responsabilità di una decisione, anche se non c'era niente di semplice in quella presa di posizione: se fosse dipeso esclusivamente da lei, se fosse stata l'unica protagonista di quegli sfortunati eventi, forse avrebbe ceduto sotto il peso del dolore, ma aveva un figlio da mettere in condizioni di crearsi un futuro roseo e per lui era necessario essere forte e lucida.
In quel momento, in via del tutto eccezionale, il ragazzino che camminava al suo fianco era silenzioso, ma di tanto in tanto sollevava verso di lei gli occhi speranzosi, perché con ogni probabilità aveva intuito la direzione del loro camminare – anche se non osava esprimere ad alta voce pensieri e desideri – e sembrava esserne felice. Era un ragazzo sveglio e di carattere, per la fortuna di entrambi, ed era davvero l'unico motivo per cui si era di nuovo rimboccata le maniche e aveva trovato il coraggio per affrontare quel viaggio a ritroso colmo di punti interrogativi forse più di un ipotetico futuro in un villaggio del tutto nuovo o, magari, addirittura in un'altra Contea.
Nonostante la compagnia di suo figlio e il ritmo ipnotico dei passi di entrambi, mettere totalmente a tacere i pensieri era un'ardua impresa, tanto più perché ogni passo era un ricordo e ogni ricordo la portava sul solito cerchio che si chiudeva: sembrava quasi che Locksley non potesse fare a meno di lei, o lei di Locksley; pareva che, per quanto tentasse di andare avanti con la propria esistenza, un richiamo più forte l'attirasse là dove tutto era cominciato e dove aveva lasciato qualcosa di irrisolto, in sospeso. Forse, dunque, stava infine tornando per fare i conti con il passato, forse stava tornando per provare a rimettere a posto le cose, ora che l'Inghilterra era di nuovo nelle mani del suo Re e a Nottingham non c'era più uno Sceriffo che la voleva morta. Oppure, forse, stava tornando perché era sull'orlo della disperazione e non aveva altra scelta che quella.

Forno del vecchio Tyrik, Locksley.
Little John stava ancora rimuginando su quanto aveva detto Robin durante la riunione al Maniero, quel mattino. Non sottovalutare mai l'avversario era una regola che aveva imparato in fretta fin da quando era soltanto un ragazzino, perciò non aveva permesso alla sua mente di prendere in considerazione che Rudyard fosse una pessima copia di Vaisey di Nottingham, uno sciocco egocentrico senza arte né parte, ma fino a quel mattino non aveva creduto che l'uomo potesse essere uno stratega degno di nota, considerato l'errore che aveva commesso lasciando il coltello nella stanza da letto di Gisborne dopo aver tentato di fargli del male, se non ucciderlo. John considerava quella manovra un errore da pivelli, uno di quelli che si commettono quando si è altamente stupidi o molto inesperti, eppure, se le intuizioni di Robin si fossero rivelate vere, a Locksley sarebbe stato necessario tenere gli occhi molto più che ben aperti. Da quando quel malfattore aveva messo piede nel suo villaggio – anche se non era un Lord, Little John considerava sua Locksley per il solo fatto che vi aveva lasciato il cuore molti anni prima – gli sembrava di essere tornato indietro a quando lui e gli altri della banda dovevano guardarsi le spalle perfino dall'aria e dai raggi del Sole, nel timore che lo Sceriffo e i suoi potessero arrestarli e farli giustiziare con una scusa qualsiasi, e questa situazione lo innervosiva e torturava con pensieri negativi; la sua preoccupazione era rivolta in special modo agli abitanti di Nottingham e Locksley – che di tanto in tanto ancora temevano che un ingiusto esattore delle tasse o uno Sceriffo dissennato potessero punirli, se il raccolto non rendeva quanto si era sperato, oppure se la merce non era perfetta a causa di un qualsivoglia contrattempo; abitanti che, di tanto in tanto, portavano ancora istintivamente la mano all'altezza della vita in cerca di una piccola ascia o di un coltello, nel caso in cui una guardia o un soldato avessero provato a far loro del male – nonché, naturalmente, alla giovane Kaelee.
Se Rudyard li avesse colti alla sprovvista e fosse riuscito a uccidere Gisborne o Kaelee senza che nessuno potesse opporre la dovuta resistenza, se anche uno solo dei due avesse perso la vita a causa sua, John non soltanto ne avrebbe sofferto e non se lo sarebbe mai perdonato, ma sicuramente avrebbe cercato vendetta, avrebbe dato la caccia a quell'uomo fino in capo al mondo pur di ucciderlo con le proprie mani, anche se ciò non gli avrebbe restituito i suoi amici, né avrebbe alleviato il suo senso di colpa.
Sua paura era anche che Rudyard non si sarebbe limitato a circondarsi di soli due uomini, ma ne avrebbe corrotti – John era infatti certo che appoggiarlo non poteva essere una libera scelta dei singoli – sempre di più e che questo, in qualche modo, avrebbe a lungo andare fatto di lui il nuovo Sceriffo di Nottingham o qualcuno che vi si avvicinava molto, se nessuno lo avesse fermato quanto prima. 
Non poteva sopportare che l'ultimo venuto mandasse in frantumi l'armonia di Locksley e Nottingham, non dopo tutto ciò che lui e gli altri fuorilegge avevano fatto per restituire la libertà agli abitanti dei villaggi e della città: la sola idea che, di nuovo, bambini innocenti avrebbero visto morire di stenti i loro genitori e sarebbero stati costretti a vagare in solitudine o ad alloggiare in qualche orfanotrofio in attesa di morire di fame anche loro e pregando ogni istante di non essere adottati da una famiglia bisognosa esclusivamente di braccia da sfruttare in campagna, lo faceva infuriare; se non avesse temuto l'ira di Sherwood, avrebbe abbattuto decine di alberi quel giorno per sfogare la rabbia, invece di provare a calmare i nervi impastando.
La sua indole buona, comprensiva e volta all'altruismo, gli impediva di non prendere a cuore i drammi dei più deboli, a costo di rischiare la vita per qualcuno che nemmeno conosceva. Non a caso anche in tempi di pace non mancava mai di far visita a qualche anziano che viveva in solitudine, ai bambini dell'orfanotrofio, o ai figli di certi suoi vecchi amici rimasti orfani a causa di Vaisey e che avevano preferito cavarsela da soli e restare nella loro abitazione; aveva sempre offerto a tutti il suo aiuto, soltanto per godere della vista di un sorriso spontaneo e sincero su quei volti stanchi, provati, resi scarni dalla costante privazione di cibo: non chiedeva nulla in cambio, neanche prima di essere dichiarato fuorilegge, nemmeno prima di unirsi alla banda di Robin Hood che, notoriamente, rubava ai ricchi per sfamare i poveri. Innumerevoli volte, infatti, insieme a Robin, Will, Allan e Much aveva fermato un facoltoso abate, lo aveva invitato a pranzo nel bel mezzo di Sherwood e aveva infine chiesto un contributo per il pasto e l'ospitalità e quando gli ospiti si offendevano per il trattamento ricevuto, John si godeva lo spettacolo di Robin che sosteneva di essere l'oste di quell'accogliente locanda che era la foresta e, pertanto, esigeva un pagamento in monete tintinnanti che, puntualmente, saltavano fuori, seppur tra borbottii indignati e dopo un paio di minacce. 
Più di tutti gli altri, John si era fatto in quattro pur di distribuire cibo e denaro ai poveri dei villaggi attorno a Locksley, mettendosi perfino contro Robin in diverse occasioni in nome della propria vocazione, anche se le possibilità di rientrare indenne erano minime. Una volta, disobbedendo alle raccomandazioni di Robin, si era perfino lasciato imbrogliare da Vaisey a causa del desiderio di fare del bene: era accaduto, infatti, che lo Sceriffo si fosse ritrovato nel bel mezzo della foresta di Sherwood, in seguito ad un episodio di sonnambulismo, e che avesse deciso di approfittarne per riprendersi un documento che gli apparteneva e che era finito nelle mani dei fuorilegge; si era quindi vestito di stracci, regalando la sua lucida vestaglia pregiata ad un poveraccio, e finto cieco con la collaborazione di una povera donna e dei suoi tre figli, i quali attendevano Robin Hood, o uno dei suoi, per poter mettere qualcosa sotto ai denti; ritenendo che quello dovesse proprio essere il suo giorno fortunato, aveva atteso pazientemente e, al momento opportuno, si era lasciato soccorrere da un caritatevole Little John, il quale aveva condotto la famigliola dritto nel nascondiglio della banda. Essendo quest'ultimo un luogo segreto per tutti coloro i quali non appartenevano alla cerchia ristretta di Robin Hood, John aveva avuto l'accortezza di bendare la donna e i tre figli, ma aveva ritenuto inutile bendare anche il vecchio nonno, dal momento che aveva astutamente dichiarato di essere cieco.
John si era sentito tremendamente in colpa, appena aveva visto con i suoi occhi che il vecchio cieco altri non era che lo Sceriffo Vaisey, – al quale, da quel momento in poi, sarebbe bastato riuscire a raggiungere il Crocevia di scambio per raggiungere senza difficoltà il campo dei fuorilegge – per il rischio che aveva fatto correre ai suoi amici; fortunatamente tutto era poi andato per il meglio dal momento che il tanto agognato Patto di cui Vaisey avrebbe voluto riappropriarsi gli era stato, infine, nuovamente sottratto prima che i fuorilegge lo riconducessero, bendato e privo di sensi, a Nottingham. Tuttavia, lo spavento preso a causa di quell'episodio, non aveva scoraggiato John, il quale non aveva smesso di girare di villaggio in villaggio, di Crocevia in Crocevia a distribuire ortaggi, pane e qualsiasi altro bene a sua disposizione.
Anche quando Locksley e i suoi abitanti erano tornati ad essere liberi, John aveva continuato ad aiutare gli anziani e le famiglie con molti bambini, gli infermi e i più colpiti dagli anni di tirannia, prestandosi a svolgere piccoli lavoretti per le donne rimaste sole a crescere i figli di uomini morti a causa dello Sceriffo, rimettendo in piedi vecchie abitazioni, aiutando nella gestione di piccoli orti, portando acqua ogni giorno a coppie di anziani; tutte le volte che si imbatteva in qualcuno che aveva bisogno di aiuto, fosse anche qualcuno proveniente da villaggi vicini, John non ci pensava due volte ad offrir loro le proprie braccia senza mai chiedere nulla in cambio.
Ecco perché si era infine affezionato a Gisborne ed ecco perché era pronto a rischiare la vita per Kaelee.
Tutti, compreso lui, avevano assistito alla sofferenza di Guy e ai suoi tormenti, dopo che aveva ancora una volta ucciso un essere umano, sua sorella. Per quanto ognuno degli uomini di Robin Hood conservasse almeno un ricordo sgradevole di Gisborne, era palese quanto la morte di Lady Marian e il tradimento da parte di Isabella lo avessero lentamente mutato nel profondo, lasciando emergere una parte di lui rimasta ancorata sul fondo della sua essenza fino a quel momento.
John non gli era davvero stato vicino, lasciando che fossero invece i fratelli a farlo, ma aveva mitigato gradualmente il ribrezzo che provava nei confronti di lui fino ad eliminarlo completamente; a quel punto si fidava ciecamente di Gisborne.
In quanto a Kaelee, la piccola disavventura nella foresta gli aveva testimoniato quanto la ragazza fosse fedele al gruppo, nell'attimo stesso in cui non si era tirata indietro quando era stato necessario venire alle armi, e da quel momento in poi l'uomo l'aveva davvero presa a cuore, rivalutandola sotto ogni aspetto possibile. Fin dall'inizio aveva provato per lei un immediato senso di protezione a causa della situazione familiare da cui era sfuggita e i nuovi dettagli che aveva appreso in seguito alla prima pergamena, recapitata a Robin Hood da parte di Aric per mezzo di un fidato messaggero, avevano ingigantito quel sentimento fino indurre John ad assicurarsi più volte nel corso di una giornata che la ragazza stesse bene. Non c'era istante, infatti, in cui non si informasse riguardo il benessere di Kaelee, mai chiedendo direttamente a lei essendo un uomo sostanzialmente timido nel suo modo di fare chiuso e riservato; il suo informatore più efficace era Fra Tuck, che conosceva i più intimi pensieri di lei, e anche se non era facilmente corrutibile, John non era intenzionato a smettere di interrogarlo, tanto più perché non erano i segreti della ragazza al centro della sua attenzione, perciò il frate non avrebbe infranto alcuna regola rivelandogli che un tale giorno lei era turbata per un motivo di facile intuizione.

Accompagnato da questi pensieri, Little John – uomo di cinquantaquattro anni, ormai – depose l'ultimo impasto da lasciar riposare alla maniera del vecchio Tyrik e si fece carico di un paio di sacchi, colmi di pane, da distribuire a chi non poteva, per un motivo o per un altro, raggiungere con le proprie gambe il forno.
Come di consueto, l'anziano uomo, che per tutta una vita aveva avuto a che fare con farine, impasti e forme di pane, fu ben contento della sua collaborazione e lo ringraziò sentitamente.
«Sempre felice è il mio animo nel vederti arrivare. Sei il benvenuto nei luoghi a me più cari, Little John il Benefattore», gli disse.
Immediatamente, lui avvertì un piacevolissimo calore al centro del petto e, come tutte le volte in cui portava a compimento una buona azione, si sentì appagato, soddisfatto e felice di poter godere di quel senso di pace, che troppo spesso credeva perduto insieme alla donna che aveva amato e che ancora amava e al figlio che non aveva potuto crescere e che avrebbe tanto voluto crescere.

Foresta di Sherwood.
Mentre gli uomini della banda adempievano ai rispettivi doveri e impegni, Robin e Much erano occupati in un veloce giro di ricognizione appena oltre il limite più esterno della foresta. Come sempre accadeva quando Robin si avvicinava a Sherwood, una moltitudine di emozioni e ricordi gli stringeva il cuore mozzandogli, di tanto in tanto, perfino il respiro se la mente rievocava il sorriso di Marian avvolta da quella luce dorata, in mezzo al verde predominante, che soltanto quella foresta sapeva ricreare. Quindi, un po' per distrarsi e un po' perché sentiva di doverlo fare, decise di parlare di Kate a Much; ormai, infatti, era di pubblico dominio l'ufficialità della loro relazione – Much aveva chiesto la mano della donna che amava, la quale aveva accettato senza indugio e non senza nascondere all'intero villaggio la sua immensa gioia – sebbene non avessero ancora avuto modo di dare una bella festa a causa di Rudyard, che di certo avrebbe colto la palla al balzo, se avesse saputo; perciò, senza l'occasione di un banchetto e in concomitanza con tutti i problemi cui la banda cercava di far fronte in quel periodo, non c'era stata circostanza favorevole per i due di scambiarsi qualche parola in merito, oppure, come Robin aveva iniziato a credere, Much aveva volutamente evitato l'argomento in sua presenza non trovando il coraggio di confidare i propri pensieri all'amico di tante avventure. Lo conosceva molto bene – anche se troppe volte lo aveva sottovalutato o trattato più come un servo che come un amico, in passato – e sapeva che, se non aveva fatto parola con lui della volontà di sposare Kate, doveva per forza esserci qualcosa che l'aveva frenato: Much, infatti, non era uno in grado di contenere le proprie emozioni, essendo molto spontaneo in tutto ciò che diceva e faceva, quindi a Robin era parso subito parecchio strano che l'amico non l'avesse coinvolto per domandare consiglio o anche soltanto per informarlo anticipatamente. Riflettendoci su, era arrivato alla conclusione che Much si fosse lasciato intimorire dall'eventualità che potesse infastidirlo o ferirlo nel dirgli che intendeva unirsi in matrimonio con Kate, con la quale lui aveva avuto una breve relazione; Much, infatti, non era affatto superficiale o sciocco al punto da dire qualcosa nella consapevolezza di poter fare del male a qualcuno a lui caro.
Dunque toccava a lui mettere a proprio agio l'amico e, volendolo guardare negli occhi mentre gli parlava, decise di smontare dal proprio cavallo, invitando Much a fare lo stesso, con la scusa di volersi per un attimo godere la quiete della foresta. Non a caso Robin aveva deciso di trattare l'argomento in quel preciso frangente: erano soli e in un luogo colmo di ricordi. 

Much iniziò a torturarsi coi denti la parte interna della guancia ancor prima che Robin gli chiedesse di scendere da cavallo. Qualcosa, nello sguardo dell'arciere, lo aveva indotto a credere che a breve avrebbe affrontato con lui una questione molto seria. Che volesse parlargli di Kaelee, visto che Kate era molto amica della ragazza? In fin dei conti gli aveva rivelato in anteprima quanto era accaduto a casa di Gisborne, la notte in cui Rudyard lo aveva aggredito, chiedendogli di non farne parola con Kate per non allarmarla, perciò si fidava di lui, no? Era stato muto come un pesce fino al pomeriggio successivo, quindi non poteva trattarsi di un rimprovero. E poi perché sorridergli e parlargli della tranquillità di Sherwood se voleva fargli una strigliata?
"Much, non pensar troppo e lega bene il cavallo, altrimenti se fugge dovrai tornare al villaggio a piedi e comprarne uno nuovo, anche se Gisborne ti offrirebbe uno dei suoi", si ammonì nell'attesa.
«Sono molto felice per te e Kate. Lei merita un uomo come te», gli disse infine l'arciere, prima di esibire quel sorrisetto furbo di chi stava per dire qualcosa di vagamente canzonatorio. «E tu una donna come lei», concluse senza smettere di sorridergli.
Allora si ritrovò a ridacchiare, sentendosi subito in imbarazzo per quella situazione e anche vagamente in colpa per non aver reso Robin il primo del gruppo ad essere al corrente delle sue intenzioni con Kate, ma la scelta di escluderlo inizialmente dai suoi programmi era stata ponderata a lungo, perciò si disse che poteva rilassarsi e parlargli con calma; così gli raccontò di come, durante una messa celebrata da Fra Tuck, gli fosse balenata quell'idea e di come avesse dapprima preso in considerazione l'ipotesi di parlarne con lui.
«Voi siete l'unica persona con cui avrei voluto parlarne prima di ogni altra, ma non volevo essere irrispettoso nei vostri confronti. Insomma, voi e Kate siete stati una coppia fino a non molto tempo fa, anche se io l'amo fin dal primo momento in cui l'ho vista e, scusatemi se ve lo dico, l'ho notata prima di voi», disse, scatenando la risata gioiosa dell'amico. «Cos'avete da ridere così tanto?», chiese allora, sorridendo a sua volta.
«Nulla amico mio, nulla. Va' avanti e raccontami di come hai conquistato il sì della bella Kate», rispose Robin, appoggiandosi al tronco di un albero, con le braccia incrociate al petto.
Much parlò, quindi, del turbine di timori e ansie che lo aveva attanagliato per giorni, che gli erano sembrati anni, e di tutte le gaffe di cui si era reso protagonista nel tentativo di dichiararsi alla sua amata, per poi aggiungere che un ruolo importante in tutta quella faccenda l'aveva avuto Kaelee, alla quale aveva dato appuntamento alla Collina delle Croci per chiederle consiglio.
Robin scoppiò di nuovo a ridere dicendogli poi, molto seriamente, che aveva rischiato grosso con Gisborne.
In effetti non aveva pensato a Guy quando si era incontrato con Kaelee e, ora che Robin lo aveva indotto a riflettere, avvertì la paura invaderlo di colpo e sentì che le gambe iniziavano a tremargli mentre il battito del suo cuore prendeva un ritmo velocissimo, quasi come quando correva, al pensiero di quel colosso di Gisborne che andava a bussare alla sua porta per dargli una bella lezione sul concetto di proprietà. "Proprietà o qualcosa del genere", si disse, incapace di trovare il termine più adeguato.
«Much, scherzavo. Guy non ti farebbe mai del male, a maggior ragione perché Kaelee ti vuole bene», mormorò Robin con tono vagamente divertito.
«Lo sapevo», soffiò, lasciandosi scappare un leggero sorriso, mentre ancora smaltiva la dose di paura.
Robin rise più forte, portando affettuosamente una mano sulla sua spalla per tirarlo a sé e scompigliargli i capelli, esattamente come un tempo, e suscitando in lui la medesima contentezza di un tempo.

Tale era la situazione quando i due si imbatterono in una donna e in un bambino visibilmente provati, al punto che entrambi gli uomini ebbero l'istantanea sensazione di dover prestare immediato soccorso ai visitatori. Sul volto della donna, infatti, erano evidenti i segni della stanchezza, così come gli zigomi sporgenti erano un chiaro segno di denutrizione, ma non era tutto perché Much sentì che dallo sguardo estremamente triste, quasi spento, un profondo dolore era pronto ad emergere da un momento all'altro. Ciò che lo sconvolse più di ogni altra cosa, per la netta contrapposizione con le condizioni della donna, fu, però, il sorriso luminoso di quel bambino che sembrava felice di vedere lui e Robin; non come quando un viaggiatore solitario che abbia perso la via, incontri per sua fortuna un'anima buona che gli indichi la strada, ma come qualcuno che si ritrovi dinanzi a dei vecchi amici. Più Much si soffermava sulle labbra distese di quel ragazzino, meno gli riusciva di capire cosa stesse accadendo, tanto più perché la donna non era ancora intervenuta se non per trattenere quello che poteva essere suo figlio, oppure un nipote o molto meno probabilmente un fratello minore, dal gettarsi tra le braccia dell'arciere. Much non ne aveva la certezza, eppure, osservando il modo in cui il ragazzino si protendeva verso Robin, gli riuscì semplice credere che il primo volesse un abbraccio dal secondo.
"Che Robin abbia un figlio e non me l'abbia mai rivelato? Ahi, quale guaio sarebbe! Ma chi mai potrebbe essere la madre, se il mio padrone ha sempre amato solo Lady Marian fin quando lei era in vita?", si chiese, concentrandosi ancora sul piccolo uomo che aveva dinanzi. "I capelli sono di un colore diverso e gli occhi non hanno nemmeno la metà dell'espressività di Robin. No, non è suo figlio", decise, perché in verità gli faceva più comodo pensare che fosse così. "Un nipote? Ma com'è possibile se non ha fratelli?", rifletté. "Oh Santa Vergine, aiutaci! Di fratelli ne ha due adesso! Non può essere, non può essere! Gisborne ha un figlio, questa è cosa certa! Kaelee ne morirà, ne morirà! Santa Vergine, abbi pietà di tutti noi!", esclamò mentalmente, torcendosi le mani e aggrottando le sopracciglia in preda all'agitazione. "Aspetta, Much, ragiona. Non può essere il figlio di Guy, perché questo giovanotto è troppo grande, mentre l'altro avrà si e no tre anni. Ah, che sollievo! Ma allora chi è? E chi è la donna che lo accompagna? Archer mi pare troppo giovane per avere un figlio di questa età, ma è una testa calda più di Robin, perciò... Much, concentrati", continuò finché decise di cercare lo sguardo di Robin, per sapere se almeno lui era riuscito a capirci qualcosa. "Che sia un ammiratore dell'arciere più celebre d'Inghilterra?", proseguì, ma subito smise di porsi domande perché Robin teneva lo sguardo fisso sul volto della donna, ignorando completamente il bambino, – o così gli parve – perciò anche lui spostò l'attenzione verso di lei.
Era indubbiamente giovane, anche se non giovanissima come lo erano Kate o Kaelee, aveva i capelli scuri e un paio di occhi che divennero incredibilmente espressivi quando incontrarono i suoi, tanto che Much fu costretto ad abbassare lo sguardo mentre Robin finalmente rompeva il silenzio.
«Io vi conosco», sussurrò l'arciere, come se avesse avuto una rivelazione improvvisa, con le sopracciglia aggrottate e il capo lievemente inclinato in segno di curioso interesse.
La donna rivolse a entrambi un sorriso stanco, distolse lo sguardo e lasciò che fosse il ragazzino a rispondere per lei.
«Voi siete Robin Hood! Conoscete mio padre!», esclamò con entusiasmo.
Vi fu un breve momento di silenzio in cui Much continuò a torcersi le mani, spostando gli occhi da Robin al bambino e dal bambino alla donna, per poi ricominciare da capo. Si sentiva come se il ragazzo avesse parlato in un'altra lingua, tanto quelle parole lo sconvolsero. "Se Robin conosce suo padre, suo padre deve essere uno del villaggio e forse uno della banda. Che sia davvero Gisborne? Che ne so io se ha avuto altri figli oltre quella piccola anima innocente che abbiamo trovato nella foresta? Ma se fosse imparentato con Gisborne, perché mostrare tanto entusiasmo per i fuorilegge, considerata l'indole di Guy prima di unirsi a noi? Non è suo, no. Che sia di Allan? Will? Mio non è di certo", rifletté, mentre il dubbio, intanto, si insinuava in lui. "Much, smettila. Sii consapevole delle tue azioni!", si rimproverò. "Tu non hai mai ingravidato una fanciulla e, con ogni probabilità, quando questa creatura è nata tu eri in Terra Santa con il tuo padrone. E poi, Much, è il caso che tu ammetta a te stesso di non essere mai stato con una donna in quel senso, quindi è impossibile che lui sia tuo figlio. Ma allora di chi?", si disse prima di essere interrotto nuovamente da Robin.
«Vergine Santissima», mormorò l'arciere. «Siete venuti fino a qui a piedi e senza sufficiente cibo e acqua?», chiese, dando a Much la sensazione che si trattasse di una di quelle domande definite retoriche, considerate le condizioni dei due viaggiatori. Poi, come era solito fare, Robin prese lucidamente e velocemente una decisione che condivise con i presenti.
«Cavalcherete con me fino a Locksley. Vorrei cedervi il mio cavallo e camminare al vostro fianco, per cortesia e per non mancarvi di rispetto, ma temo per voi più di quanto mi importi delle buone maniere, in questo momento», disse, aiutando la donna a montare sul destriero che gli apparteneva. «Much, aiuta il piccolo a salire e spingi il tuo cavallo alla massima velocità in direzione del Maniero!», esclamò allontanandosi insieme alla donna.
Much non era sicuro di ciò che stava accadendo, ma era riuscito a farsene un'idea abbastanza precisa a furia di andare per esclusione; quindi si issò sull'animale, tirò su il ragazzino ed eseguì gli ordini di Robin.

Maniero di Robin, Locksley.
Giunto al Maniero, Robin aveva chiamato a raccolta tutte le persone a sua disposizione e le aveva incaricate di occuparsi della donna e del suo bambino, raccomandando che i due ospiti venissero trattati al pari di una Regina e di un giovane Principe – che venisse quindi offerta loro acqua calda in cui immergersi e rilassarsi, abiti puliti e cibo e bevande in abbondanza affinché rimediassero, almeno in parte, agli stenti del lungo vagare. Dopodiché mandò Archer a cercare Little John per dirgli che la sua presenza al Maniero era necessaria, ma che poteva raggiungerlo senza dover per forza abbandonare un'attività o mancare ad un impegno.
Quando aveva chiesto a Much se avesse riconosciuto la donna, lui aveva annuito, precisando che aveva elaborato moltissime ipotesi mentre ancora si trovavano nella foresta ed era infine arrivato proprio alla sua stessa conclusione; nient'affatto sicuro, però, che Much facesse sul serio, aveva preferito fare il nome di entrambi i pellegrini e, nel vedere il suo amico sgranare gli occhi, comprese che tra tutte le possibilità, lui aveva scartato quella giusta, perciò scoppiò a ridere gioioso prima di invitarlo a raggiungere la sua amata, raccomandandosi che non rivelasse a nessuno quanto sapeva, perché John avrebbe dovuto apprendere da sé quella novità.

Trascorsa una buona mezz'ora da quando gli aveva chiesto di recapitare il messaggio, Robin vide suo fratello tornare di corsa.
«L'ho trovato», annunciò con il fiatone. «Gli ho detto di venire qui appena gli è possibile, ma senza fretta», aggiunse, accettando un bicchiere d'acqua.
«Bene», rispose Robin con un sorriso, felice di ospitare due vecchie conoscenze.
«Grazie», disse ancora Archer, indicando il bicchiere già vuoto. «Mi è sembrato piuttosto preoccupato, ma non credo che si precipiterà qui immediatamente», concluse.
Robin annuì pensieroso e tornò a rivolgere lo sguardo oltre la finestra della stanza. Del tutto inaspettatamente, rivedere quella donna aveva steso, dietro l'innegabile gioia, un sottile velo di malinconia, perché indubbiamente era felice che uno dei suoi migliori amici – nonché uno tra i più valorosi uomini che avessero lottato al suo fianco – si sarebbe ricongiunto, quel giorno, con una parte della sua vita che gli era sempre mancata da quando l'aveva perduta, eppure non poté fare a meno di pensare, egoisticamente, a Marian, così lontana da lui, così presente nel suo cuore, e raffrontare la situazione di Little John con la propria.
"Indimenticato amore mio, adorata sposa, un giorno ci ricongiungeremo anche noi, in quell'altrove che ci spetta", pensò. "Ho tentato, ho provato ad amare di nuovo, ad andare avanti, ma è stato un fallimento. Ho illuso una brava ragazza, prima di capire che l'unica cosa che dovevo fare era lasciarla andare. L'ho ferita. Ho sbagliato con lei, come tante volte ho sbagliato con Much. Non è comico che proprio lui sia riuscito a porre rimedio al mio errore con Kate, salvandomi per l'ennesima volta?", si disse, immaginando che dalla sua posizione privilegiata, tra le nuvole e nella luce più intensa, lei potesse sentirlo anche se non parlava a voce alta, altrimenti avrebbe dovuto riconoscere di essere impazzito dal momento che molte volte aveva silenziosamente dialogato con Marian e molte altre l'aveva incontrata in sogno, dopo aver pensato a lei durante un'intera giornata.
Nonostante fosse trascorso più di un anno, non gli riusciva di lasciarla andare davvero; era cosciente del fatto che Marian aveva abbandonato per sempre quella Terra e la breve vita che le era toccata in sorte, perciò non nutriva alcuna speranza di riaverla accanto, – speranza che invece aveva sempre confortato il cuore di Little John, ad esempio – ma separarsi da lei non era per Robin un'opzione plausibile, con ogni probabilità perché non era ancora davvero pronto ad accettare quanto era accaduto all'unico vero amore della sua vita; quindi, pur vivendo costantemente sul filo della tristezza – e non gli piaceva affatto autocommiserarsi, piangersi addosso e cercare l'altrui compassione, ragion per cui piangeva le sue lacrime in solitudine o in presenza dei suoi fratelli – non riusciva ancora a guardare avanti. Come si era appena ripetuto, dopo il rientro in Inghilterra e la voglia di mollare tutto per lasciarsi andare rinnegando amici, banda e perfino se stesso, aveva mosso qualche passo in direzione di un nuovo inizio e in tal senso l'arrivo di Fra Tuck nella banda si era rivelato molto più che una benedizione, perché quell'uomo era stato capace di ricordargli con forza tutti gli ottimi motivi per cui aveva dato vita a quella combriccola di fuorilegge volta al bene, perciò era da lì che Robin aveva ricominciato; poi, tra un'opera di bene e l'altra, erano piombate nella sua vita Isabella Thornton – sorella di Gisborne e sua vecchia conoscenza – e Kate di Locksley, due donne molto diverse tra loro, ma entrambe attratte da lui. Se avesse potuto tornare indietro, si sarebbe comportato in maniera del tutto diversa, ma, accecato com'era dal dolore della perdita, aveva vissuto, con una superficialità che non gli era mai appartenuta, l'innamoramento effimero che l'aveva avvicinato a loro, ferendole entrambe: quando gli sembrava che il futuro sussurratogli da Isabella in un momento di estremo pericolo potesse avverarsi, ecco che il volto di Kate e la sua indole furiosa apparivano dinanzi ai suoi occhi invitandolo a cambiare idea; e allo stesso modo, quando Kate gli chiedeva di scegliere tra lei e la banda, ecco che lo sguardo impaurito di Isabella gli si palesava nella mente, impedendogli di dare a Kate ciò che desiderava; ma era nel silenzio delle ore notturne che una figura sovrastava sempre tutte le altre, ricordandogli chi era, sussurrandogli che Robin Hood non avrebbe mai mancato di rispetto ad una donna a quel modo.
Robin si ritrovò a sospirare, con Sherwood a colmare il suo campo visivo, mentre pensava al suo amore perduto.
"Non sono ancora riuscito a perdonare me stesso, ma qualcuno l'ho perdonato, sai? Ti ha amata, a suo modo, e adesso è felice perché la giovane e determinata Kaelee gli ha cambiato la vita definitivamente. Mi credi se ti dico che sono contento per lui? È quasi morto tra le mie braccia per salvare Archer, immagino tu sappia chi è dal momento che da lassù puoi vedere il mondo nella sua interezza. Puoi perdonarmi se considero fratello il tuo assassino? Se non porto rancore nei suoi confronti? Dovresti vederlo... O forse no. Poi finisce che ti innamori di lui e mi dimentichi", pensò, riuscendo ad essere ironico perfino in un momento come quello. "Avrei così tante cose da raccontarti! Di Gisborne, me ed Archer; della morte dello Sceriffo e della ricostruzione di Nottingham; dello splendore di Locksley, ora che è libera dal suo tiranno... Crudele è stata con noi la vita, mia adorata Marian", sospirò.
Si accorse della presenza di Archer soltanto quando quest'ultimo gli posò una mano sulla spalla, riportandolo definitivamente alla realtà.
«Dovresti parlarne con qualcuno», sussurrò, intuendo che qualcosa lo tormentava.
"Non ti dimenticherò mai, Marian, ti terrò con me per sempre", pensò infine.
«Un giorno, forse, se vorrai ascoltarmi», rispose allungando le dita verso quelle di suo fratello, in un muto gesto di gratitudine.

Dopo aver completato il giro per la distribuzione del pane, Little John era andato all'orfanotrofio a ridosso del villaggio, per far visita ai tanti bambini che vivevano lì. Lo spaventoso numero di ospiti in quella struttura ricordava, a lui e a tutti gli abitanti di Locksley e Nottingham, la ferocia di Vaisey e dei suoi uomini, le quasi scontate conseguenze di un abuso di potere e gli innumerevoli drammi e problemi cui era necessario far fronte: che fine avrebbero fatto tutti quei bambini? Chi avrebbe assicurato loro un futuro, una famiglia, una vita serena? Chi avrebbe impedito che crescessero nella stessa cattiveria che aveva tolto loro i genitori? Chi avrebbe alleviato l'odio dei più grandi nei confronti della vita e di quelle persone che ancora camminavano liberamente per i villaggi e le città, impuniti, dopo aver ucciso chissà quante persone? Le anime buone che si erano offerte di mandare avanti l'orfanotrofio facevano del loro meglio per rieducare, istruire e confortare quelle creature, ma da sole non avrebbero mai potuto sostenere tutte le spese necessarie per il cibo, gli abiti e tutto l'occorrente, senza contare che tra gli orfani c'era anche qualche testa calda difficile da tenere a bada. Per questo e per la sua indole volta al prossimo, Little John aveva subito abbracciato quella causa, finanziando la struttura come poteva, aiutato anche dai suoi compagni d'armi, e cercando di prendere con le buone i più irrequieti, che erano poi anche quelli che maggiormente coltivavano un desiderio di vendetta contro chi aveva assassinato i loro parenti e amici.
A quest'ultimo gruppo apparteneva certamente Gisborne, il quale, infatti, era in cima alla lista dei più detestati uomini di Locksley e Nottingham, al punto che il volto di lui affollava gli incubi di molti ospiti dell'orfanotrofio, tant'è che la prima volta che l'uomo era andato a trovarli, – mosso dalle migliori intenzioni, spronato da Tuck e accompagnato da Little John – era stato un completo disastro: i bambini si erano messi a strillare e piangere, mentre i più grandi avevano cercato di scagliarglisi contro, l'avevano ricoperto di insulti esprimendo il loro odio nei suoi confronti e infine si erano messi a lanciare piccoli sassi contro la sua figura inerme.
John riteneva che bambini e ragazzi non avessero tutti i torti, dal momento che l'esecutore materiale di molti omicidi era stato proprio il vecchio Sir Guy, e credeva che non si potesse pretendere che cuori e menti tanto giovani potessero capire dall'oggi al domani che l'ex braccio destro dello Sceriffo era cambiato completamente; sarebbe occorso del tempo, oltre alla buona volontà di Gisborne – il quale si era dichiarato disposto a fare ulteriori tentativi che avevano spinto John a volergli dare una mano in quell'impresa, visto che i piccoli ospiti si fidavano ciecamente di lui.
Li adorava quei bambini, senza distinzioni, senza preferenze, e anche loro gli volevano molto bene, mostrandosi sempre contenti ed entusiasti nel vederlo arrivare. Uno più di tutti gli altri: si trattava di un bambino dai capelli rossi, che John aveva salvato a Nottingham e dal quale poi era stato a sua volta salvato. La donna che aveva imbrogliato pure lui, sostenendo di togliere dalla strada i tanti bambini che portava con sé, in verità li nutriva e teneva in salute soltanto per poi venderli e ricavarci un mucchio di denaro, dopo averli usati per raccogliere scommesse su incontri che lei stessa organizzava e pilotava; quando ne era venuto a conoscenza, John si era così tanto arrabbiato che aveva portato tutti i bambini in quell'orfanotrofio vicino a Locksley, anche perché la donna era stata poi condannata da Vaisey ad impiccagione per ragioni che lui non era riuscito ad afferrare, pur sospettando che quei due in passato avessero fatto comunella in qualche losco affare; non che gli interessasse, comunque, visto che tutta la sua attenzione era rivolta ai piccoli innocenti. Andava a trovarli quasi tutti i giorni e trascorreva con loro almeno un paio di ore chiacchierando, invitandoli a non litigare tra loro, osservandoli in cerca delle potenzialità che sicuramente ognuno di loro custodiva, così da poterli inserire, un giorno, nelle attività commerciali di Locksley oppure tra le fila della banda di Robin Hood; quando riusciva, portava anche piccoli doni ai bambini e del denaro alle donne che si prendevano cura di loro, perciò, in sostanza, era un po' come se li avesse adottati tutti.
John stava tirandosi fuori dal sacchetto che portava alla vita una graziosa biglia colorata da donare al bambino che gli si era ancorato alla gamba nell'esatto momento in cui era arrivato, quando il suo sguardo venne attirato da una figura in movimento, un uomo che stava correndo nella sua direzione. Prima di riconoscerlo, pensò che potesse trattarsi di uno dei ragazzi più grandi che l'orfanotrofio ospitava, in fuga a causa di chissà quale nuova marachella combinata in uno dei villaggi vicini, ma appena si rese conto che si trattava di Archer, immediatamente si mise sull'attenti. Quale motivo poteva aver spinto il fratello minore di Robin Hood a raggiungerlo a piedi e di corsa, anziché a cavallo? Che avesse così tanta fretta di comunicargli qualcosa da dimenticare che un cavallo avrebbe ridotto notevolmente i tempi? Oppure era stato aggredito durante una perlustrazione e si era diretto al primo luogo utile, per mettersi in contatto con gli uomini della banda? Che c'entrasse Rudyard?
«Archer!», esclamò dunque, rivestendo il nome di lui con tutta la preoccupazione che lo pervadeva da capo a piedi.
Quello, accaldato e affannato dopo la corsa, sollevò le mani mostrando i palmi, come a voler assicurare che non era successo niente di grave prima ancora di poterlo esprimere a parole, non avendo il fiato necessario.
«È tutto a posto», asserì qualche istante più tardi.
Eppure, nonostante Archer aggiunse che era atteso al Maniero, ma non era niente di urgente e che avrebbe potuto raggiungere Robin quando più gli veniva comodo, John non si sentì per nulla rassicurato da quella visita inattesa e così strana. Perché Robin aveva mandato Archer e non uno degli allievi di tiro con l'arco? Oppure, perché non era lui stesso andato all'orfanotrofio visto che i bambini erano sempre contentissimi di rivedere il loro eroe con arco e frecce?
«Non c'è alcuna fretta, John, dico davvero. So quanto tieni al tempo che trascorri qui, quindi ora torno al Maniero, riferisco a Robin che ti ho trovato e poi tu vieni quando sei libero», mormorò Archer poggiandogli una mano sulla spalla e stringendola in una presa leggera, accompagnata da un sorriso comprensivo.
Non era un mistero per nessuno, infatti, che se aveva preso a cuore tutti quei bambini era anche perché gli mancava suo figlio. Sebbene Archer non fosse ancora parte della banda di Robin Hood quando Little John aveva finalmente potuto conoscere il figlio che Alice aveva partorito in sua assenza, – in quanto era già stato dichiarato fuorilegge e si era dato per morto affinché sua moglie non rischiasse la vita cercandolo nella foresta – conosceva bene la quella storia, perché gliel'aveva raccontata lui stesso su consiglio di Tuck.
In effetti, ora che John ci pensava, c'era spesso lo zampino di Tuck nelle questioni intime e personali di ogni componente della banda: con il suo essere gentile e spontaneo, quel frate stava rimettendo in sesto tutti quanti; infatti, dopo aver condiviso le angosce e i tormenti, in merito a suo figlio e a sua moglie, con una persona che ne era completamente all'oscuro, John si era subito sentito più leggero e aveva trovato in Archer un ottimo e comprensivo ascoltatore. 
Così, non senza aver dedicato attenzioni ad ognuno dei presenti, seppur più velocemente di quanto avesse programmato per quel giorno, John lasciò l'orfanotrofio prima del tempo e piuttosto in fretta nonostante le raccomandazioni di Archer. Più correva verso il Maniero, più si convinceva che dovesse obbligatoriamente essere accaduto qualcosa, altrimenti perché richiedere la sua presenza senza fornire ulteriori dettagli?
"Se si tratta di Rudyard, giuro che gliele darò di santa ragione", si disse. "Se ha provato a torcere anche solo un capello a Kaelee, mi assicurerò personalmente che ne paghi le conseguenze", decise, intravedendo già la meta.

Gli ospiti di Robin e Archer, dopo aver riposato le membra grazie ad un profumato bagno caldo, erano seduti al tavolo, nella Sala Grande del Maniero, e mentre il bambino mangiava con gusto e appetito della frutta fresca e secca, la donna spiegava che la voce che lo Sceriffo era morto, che Re Riccardo era tornato e che tutti i villaggi, anche quelli più vicini a Nottingham, – sede di Vaisey e delle sue scelleratezze – erano finalmente liberi da ogni angheria, si era diffusa in fretta e questo le aveva dato infine il coraggio di mettersi in cammino verso il suo villaggio d'origine.
«Ho pensato che, stando così le cose, Locksley potrebbe essere davvero il posto giusto per noi adesso. Per lui, soprattutto», mormorò la donna guardando il proprio figlio, senza nascondere il velo di tristezza e manifestando anche la preoccupazione che l'attanagliava fin da quando si era messa in viaggio. Chi le assicurava che sarebbe stata accolta, dopo quanto era accaduto? Dopo ciò che aveva detto all'uomo che aveva amato e che era il padre di suo figlio?
Robin annuì, sorridendole comprensivo.
«Avresti fatto meglio a venire subito qui», la rimproverò affettuosamente.
«È arrivato!», si intromise Archer, – che teneva d'occhio la strada da una delle finestre, in attesa – interrompendo la conversazione.
Vi fu un momento di completo silenzio in cui la donna poté sentire esclusivamente il proprio cuore rimbombarle forte nelle orecchie e martellarle violento contro il petto; dovette stringere le mani l'una nell'altra per bloccarne il tremore causato dall'ansia, mentre fissava lo sguardo su Robin, il quale posò una mano sulle sue e le sorrise ancora una volta.
«Vado ad accoglierlo», mormorò per poi sparire dalla sua vista.
La donna si rese subito conto che la stanza in cui si trovava con suo figlio e Archer non era così lontana dall'ingresso, perciò tese le orecchie, ansiosa di sentire di nuovo, dopo tanto tempo, la voce che le aveva parlato in sogno di tanto in tanto.

Quando Robin comparve sull'ingresso, vide Little John sostenersi alla parete esterna del Maniero, per riprendere fiato.
«Cosa non ti era chiaro di "fai con calma"?», gli chiese, in un rimprovero colmo d'affetto, virgolettando l'espressione con un gesto delle dita.
In cambio ricevette un'occhiataccia da parte del suo burbero amico, il quale, qualche istante più tardi, gli rivolse la domanda cui più di ogni altra cercava risposta.
«Cos'è successo?», chiese, senza perdere tempo, mentre ancora lottava per lasciar entrare quanta più aria possibile nei polmoni.
Robin alzò gli occhi al cielo e sorrise divertito dall'atteggiamento, tra il preoccupato e l'irritato, tenuto con fierezza da John. Una delle caratteristiche che lo avevano sempre salvato da quel tipo di profondissima tristezza che, in certi casi estremi, portava perfino al suicidio, era il suo saper essere felice per gli altri pur non essendolo lui stesso nella sua piccola realtà personale. Che Robin soffrisse per la morte di Lady Marian era chiaro a tutti, – e nessuno osava pensare il contrario, dandogli implicitamente del superficiale, come nessuno credeva che fosse un dolore destinato a sparire in poco tempo – ma non per questo si poteva dire che invidiasse i suoi amici i quali, a differenza sua, avevano un amore da vivere, da costruire e in cui sperare; anzi, nello scorgere serenità negli occhi dei suoi amici, trovava un'ottima ragione per andare avanti.
«La tua domanda mi conferma che Archer mi è sinceramente fedele», mormorò allegro, prendendo tempo, perché era necessario che Little John fosse perfettamente lucido affinché la novità non lo sconvolgesse al punto da fargli perdere i sensi.
«Avresti dovuto imparare da tempo, ormai, la differenza tra un momento buono per far battute di spirito ed un pessimo momento per far la stessa cosa», borbottò John.
«E tu, invece, avresti dovuto imparare da tempo, ormai, che puoi essere serio con leggerezza», ribatté Robin. «Archer ti ha forse detto che è accaduto qualcosa di grave?».
«No», fece John con tono deciso. «Non escludo che tu lo avrai minacciato per mentirmi, però».
«Amico! Lasciami dire che sei parecchio ingiusto quest'oggi. Ho mai minacciato un compagno d'armi? Ho mai mentito su questioni importanti?», rispose, senza perdere il sorriso.
«Minacciato e mentito no, ma ordinato di star in questo o in quel posto sì», lo provocò John, incrociando le braccia al petto ampio.
Robin assunse volutamente un'aria pensierosa. «Qualcuno deve pur prendere le decisioni scomode», affermò poi, scoppiando a ridere.
«Ah, Robin!», ringhiò quasi, irritato.
«Rilassati John! Riprendi fiato, perché non c'è fretta!».
«Non fate che ripetermelo, tu e Archer, eppure mi hai mandato a chiamare! E se ho fiato per parlare con una zucca vuota come te, allora ne ho anche per entrare nel Maniero».
A quel punto Robin sospirò e scosse il capo, ancora una volta divertito dalla situazione. Non voleva farsi beffe di John, solo il modo burbero in cui sempre l'uomo si poneva e l'atteggiamento da guerriero con cui affontava ogni situazione, lo rallegravano quando non c'era ragione di sentirsi in pericolo.
«La ragazza», continuò Little John, rivolgendogli uno sguardo sottile, affilato.
Robin sbuffò. «Kaelee sta bene!», esclamò. «Stiamo tutti bene, quindi smettila di preoccuparti per niente. Ti ho mandato a chiamare, è vero, e una ragione c'è, ma non deve essere per forza una tragedia! Fai un bel respiro, rilassati e seguimi», disse tutto d'un fiato, ma non si mosse finché non vide lo sguardo di John ammorbidirsi.
«Non potresti almeno dirmi...», fece, ma non riuscì a finire.
«No! Devi vedere con i tuoi occhi», lo zittì Robin facendogli strada.

La voce cavernosa di John le aveva smosso subito qualcosa nel cuore o lì, nei dintorni, dove si diceva risiedesse il centro dei sentimenti e delle emozioni umane, quasi che non fosse trascorsa che una manciata di minuti da quando lo aveva sposato, molti anni prima. Come per opera di un magico artifizio, la donna sentì crescere l'ansia man mano che il tempo passava e i passi dei due uomini si avvicinavano alla sala; non riusciva a smettere di guardare quella porta spalancata da cui, da un momento all'altro, sarebbe apparso colui il quale avrebbe risolto l'enigma di un'intera vita, che avrebbe sciolto i nodi delle molteplici eventualità che l'avevano ricondotta a Locklsey, che le avrebbe chiarito se l'averlo creduto morto, l'aver cresciuto da sola il loro bambino, l'essersi trasferita altrove con il piccolo e con un altro uomo, fossero piccole tappe necessarie a completare un disegno più grande e giusto che contemplava serenità per tutti e tre. Ci sperava e lo faceva con tutta se stessa, mentre suo figlio tradiva impazienza dallo sguardo sveglio, vispo, pur sembrando a proprio agio in quel contesto. Era felice per lui, perché dopo diversi giorni di stenti era riuscita, finalmente, a far sì che mangiasse come il fisico di un ragazzino della sua età richiedeva.
Da quando Archer aveva annunciato l'arrivo di Little John, lei aveva dovuto intimare il silenzio a suo figlio, il quale aveva subito cominciato a rivolgere una serie infinita di domande sia a lei che al giovane uomo che era il fratello di Robin Hood.
"Non ricordavo ne avesse uno", pensò, osservandolo e trattenendo ancora la vivacità di suo figlio.
«Non una parola», sussurrò pianissimo, in un ultimo ammonimento, sentendo i passi farsi più vicini.
Alle orecchie della donna arrivò anche un borbottio incomprensibile, insieme ai tonfi che ne annunciavano l'arrivo, e non poté fare a meno di sorriderne nonostante l'ansia che la pervadeva da capo a piedi. Smise di respirare appena la figura imponente di Little John si stagliò sull'ingresso, appena oltre la soglia, seguita da una più piccola che certamente apparteneva a Robin Hood, anche se lei non vi si soffermò, concentrata invece interamente sull'uomo che aveva sempre albergato nel suo cuore.
Con lo sguardo fisso su di lui, notò lo stupore in ogni tratto del suo volto, in ogni muscolo contratto per la tensione del momento, sostituirsi all'espressione burbera che doveva averlo accompagnato fin lì; riconobbe incredulità negli occhi scuri e familiari che, da guardinghi quali sempre erano, si colmarono infine di un'immensa tenerezza e se riprese a respirare fu soltanto perché, altrimenti, non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo da riconciliarsi con lui.

«Alice», mormorò, riconoscendola all'istante. Non avrebbe mai potuto avere alcun dubbio in merito; quello sguardo sempre attento, perfino nei momenti di grande dolcezza, non aveva eguali per intensità e bellezza, apparteneva a lei soltanto. Semplicemente guardandola, ebbe conferma di non averla mai dimenticata, nemmeno un pizzico, perché il suo cuore stava battendo con una furia tale da non contemplare che il sentimento nei riguardi di lei fosse andato scemando negli anni: il tempo non aveva avuto alcun effetto su quell'amore e nemmeno sulla bellezza di lei, che appariva meravigliosa nonostante le leggere occhiaie di stanchezza sotto lo sguardo emozionato.
"Lo è davvero? È contenta di vedermi?", si domandò John, rammentando il giorno in cui l'aveva guardata, suo malgrado, partire verso un nuovo futuro in compagnia di un uomo che non era lui; così come aveva conservato integro il ricordo del volto di lei, non aveva dimenticato la durezza e l'ostilità con cui Alice gli si era rivolto quando si erano incontrati nelle prigioni del Castello e non sapeva, quindi, come interpretare la sua presenza al Maniero. Poi una testolina curiosa fece capolino da dietro la donna che amava alla follia e non poté non cedere a lacrime di gioia.
«Little Little John», aggiunse, con un filo di voce.
In un attimo la sua intera vita si era ribaltata e tutta la sofferenza della separazione dalla famiglia che non era mai riuscito ad avere per davvero, si era come allontanata da lui per magia: aveva davanti a sé la donna con la quale desiderava vivere, invecchiare, morire, ed il bambino che era suo figlio e che amava così tanto. Che altro avrebbe potuto chiedere alla vita?
Per tutta risposta, il piccolo Little John mostrò una medaglietta, precedentemente custodita sotto gli abiti che indossava, che John non faticò a riconoscere dal momento che era stato lui a donargliela, al momento della partenza. 
«L'ho conservata», disse con il tono trionfante di chi era certo di aver compiuto una grande impresa, di chi sapeva di non aver deluso le aspettative dei propri cari. «Non l'ho mai tolta da quando me l'avete donata, nemmeno di notte e neanche per fare il bagno!», esclamò allegro, ma anche con serietà nel tono. «E mai lo farò. Sono orgoglioso di portare al collo la piastrina di fuorilegge appartenente al grande Little John, mio padre, naturalmente; e portandola conservo vivo il ricordo dell'uomo che insieme a mia madre mi ha dato la vita e me l'ha poi anche salvata», concluse, dando a John la sensazione che quel ragazzetto fosse già più uomo che bambino.
Poi lo vide gettarsi tra le sue braccia e lo sollevò da terra come fosse una piuma, stringendoselo al petto come non aveva mai potuto fare. Era consapevole che quel bambino aveva avuto ben poche occasioni di conoscerlo, essendo nato e cresciuto esclusivamente con sua madre, prima che lei si affidasse ad un altro uomo che aveva imparato ad amare e che certamente l'amava, – altrimenti John si sarebbe opposto con tutte le sue forze alla partenza – eppure sentiva che Little Little John provava per lui un affetto incondizionato, che prescindeva da come erano andate le cose. Oppure era soltanto una sua fantasia, una sua speranza? Ma poteva quel calore provenire da lui soltanto?
Lo trattenne ancora per un po', incapace di separarsene, nel timore di essersi addormentato da qualche parte e che stesse solo sognando.
«Ho molte cose da dirti», intervenne infine Alice, con delicatezza e interrompendo solo momentaneamente l'incantesimo, con l'accenno di un sorriso sulle belle labbra.
John scosse il capo e si avvicinò a lei, lasciando libero suo figlio, le prese le mani e la guardò negli occhi.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo, Alice», le rispose, invitandola tra le proprie braccia.
Anche il piccolo John volle di nuovo aggiungersi, così gli scompigiò i capelli mentre baciava quelli della sua amata, accogliendolo ben volentieri e godendosi l'incommensurabile calore dell'amore.
Robin ed Archer, a quel punto, uscirono silenziosamente dalla stanza.

Il tempo parve fermarsi in quell'abbraccio e nessuno dei tre, temendo ognuno che fosse tutto un sogno destinato a dissolversi con le prime luci dell'alba, riuscì a muoversi di un millimetro, non trovando neanche un briciolo del coraggio che sarebbe occorso per scostarsi da uno dei familiari; ragion per cui trascorsero diversi minuti prima che i componenti della famiglia Little – cognome che aveva sempre suscitato il riso di chiunque, considerata la mole di John, il quale era appunto chiamato per scherzo Little John, anziché John Little – tornassero alla realtà, al Maniero e a tutto ciò di cui era necessario parlare.
Più di tutti, la voglia di chiacchierare si era impossessata del piccolo John, il quale voleva assolutamente raccontare tutto e subito a suo padre, senza mettere ordine ai pensieri e senza, quindi, preoccuparsi dell'incomprensibilità della sua narrazione. Il ragazzino, per attirare l'attenzione su di sé, dato che i coniugi non facevano altro che guardarsi come se non si fossero mai visti prima di quel momento, dava dei leggeri strattoni alla casacca di suo padre che infine, bonariamente esasperato da quell'atteggiamento, lo investì con la sua risata tonante e gli strinse delicatamente la spalla, lasciando intendere che aveva priorità assoluta e che, finalmente, poteva dar sfogo alla sua esuberanza.
Alice, però, che pure gli sorrideva amorevolmente, lo anticipò.
«Ci lasceresti soli per un po'?», chiese, con voce carica di una tale tenerezza che fu impossibile per il piccolo John protestare degnamente, come avrebbe voluto e nonostante desiderasse restare in compagnia di entrambi i genitori più di qualsiasi altra cosa al mondo. 
«Ma io...», tentò ugualmente, con l'intento di intenerire almeno suo padre – consapevole di quanto la madre sapesse essere ferma nelle sue posizioni – nella convinzione che rivolgergli uno sguardo smielato sarebbe andato a proprio vantaggio. Invece sua madre lo ammonì senza rivolgergli neanche una parola, con la sola inclinazione del capo ed un'occhiata moderatamente severa, così fu costretto a cedere il passo ad un'espressione imbronciata, seguita da un sommesso sbuffare e dalla conseguente rinuncia a qualunque altro tentativo di corrompere il genitore. «E va bene! Vado a cercare Robin e Archer», disse, sconsolato e mogio.
«Grazie», mormorò sua madre baciandogli la fronte.
Guardò per qualche secondo ancora suo padre e poi corse via, come sua madre gli aveva chiesto di fare, sotto gli occhi attenti di John e Alice.

Rimasti soli, i due restarono per diversi minuti in silenzio a guardarsi, con la stessa disperata intensità di chi sapeva di star riempiendo la propria mente con quello che sarebbe stato il suo ultimo ricordo terreno. Non si vedevano da così tanto tempo che soffermarsi su ogni singolo dettaglio dell'altro era quasi di vitale importanza, quasi come prendere una lunghissima boccata d'aria dopo un'immersione forzata o una fuga senza speranza da un nemico troppo grande per essere sconfitto. Faceva quasi male tanto era grande la potenza delle emozioni che entrambi provavano.
Non mancava, comunque, un accenno di imbarazzo in quel ritrovarsi, nonostante fossero stati molto intimi in passato; c'era quella tipica paura dei primi approcci, il timore che una carezza troppo avventata avrebbe fatto fuggire l'altro, il terrore che una parola detta nel momento sbagliato avrebbe determinato il destino di entrambi, per sempre. Occhi negli occhi, nessuno dei due sapeva quindi bene da dove iniziare, l'uno perso nelle proprie domande e l'altra immersa nei propri segreti, entrambi desiderosi di condividere lo stato d'animo in cui si trovavano.
«Cos'è successo?», domandò John, infine, per la seconda volta in quella giornata, facendosi coraggio.
Alice inspirò profondamente, socchiudendo brevemente gli occhi, consapevole che il momento della verità era arrivato e che per portare a termine ciò che aveva iniziato intraprendendo quel viaggio di ritorno a Locklsey, avrebbe dovuto confidarsi con John. In virtù di questo aveva preferito che Little Little John non assistesse all'imminente conversazione.
In lei albergavano in pari misura il dolore di una perdita e la gioia di una ricongiunzione, sentimenti difficili da tenere a bada, specie in quel frangente; eppure riteneva che non fosse ancora il momento per lasciarsi sopraffare da emozioni e sentimenti, in quanto nulla c'era ancora di certo in tutta la situazione: anche se John era visibilmente e innegabilmente contento di rivedere lei e il loro bambino, infatti, sarebbe stato sciocco da parte sua dare per scontato che li rivolesse anche nella sua esistenza e quotidianità. Per quel che ne sapeva, come lei aveva provato a rifarsi una vita con Luke, la stessa cosa poteva essere accaduta a John, il quale, quindi, forse viveva con una bella donna di Locksley o Nottingham che gli avrebbe dato un figlio a breve. Resasi conto di aver corso troppo con la fantasia, cercò di riaversi – tanto più perché John attendeva una risposta – facendo un tuffo nei ricordi fino al giorno in cui aveva scoperto che l'uomo che aveva così tanto amato e pianto era ancora vivo ed era un fuorilegge. La menzogna in cui aveva vissuto e in cui aveva cresciuto il loro bambino, che per così tanto tempo aveva atteso il ritorno di suo padre, le aveva fatto provare rabbia nei confronti di John anche dopo che aveva saputo il reale motivo per cui aveva lasciato che lei lo credesse morto: un marito e un padre fuorilegge sarebbero stati un pericolo per lei e per il piccolo John, tale che avrebbero rischiato la reclusione, la tortura e l'impiccagione qualora non avessero fornito informazioni sul fuggitivo – e dal momento che il piccolo John, all'epoca dei fatti, era soltanto un neonato, sarebbe stato gettato senza pietà in un fosso o annegato in qualche corso d'acqua. Solo in un secondo momento, quando con calma aveva rivissuto gli eventi, lontana da Locksley e in compagnia dell'uomo che si sarebbe preso cura di lei e del piccolo John, aveva compreso che John non aveva fatto altro che proteggere la sua famiglia, sacrificando se stesso, e un altro sentimento si era fatto strada nel suo cuore: il sollievo. Sapere che Little John era vivo l'aveva rasserenata e condotta verso un'ulteriore conclusione.
La consapevolezza di non poter vivere un'esistenza nella foresta di Sherwood insieme a dei fuorilegge, con la costante paura che il suo bambino venisse preso dagli uomini dello Sceriffo e giustiziato, – come era quasi accaduto quando il piccolo era stato imprigionato insieme al padre adottivo e poi a lei, che aveva invano tentato di salvarlo – con la certezza di non essere pronta per far fronte alla costante esigenza di spostarsi, difendersi e combattere per salvarsi la pelle, la rattristava moltissimo, ma l'amore incondizionato per il piccolo John e la volontà che egli potesse vivere una vita lunga e migliore della propria, l'aveva resa determinata nella sua scelta di lasciare per sempre l'uomo che aveva amato più di ogni altro e il villaggio in cui era nata e a cui era legata, permettendole perfino di essere felice per un po' di tempo, prima che, di nuovo, la vita le imponesse un'infausta realtà che era poi il fulcro del suo rientro a Locksley.
Quando riaprì gli occhi e incontrò lo sguardo dell'uomo che ancora considerava suo marito, era trascorsa non più di quella manciata di secondi necessari a trovare le parole più adatte da rivolgergli.
«Siamo rimasti soli, io e il piccolo John», esordì, raccontando senza preamboli la fine della storia, prima di immergervisi.
Partì da lontano, mettendo John a conoscenza di quanto non fosse stato facile iniziare da zero in un nuovo villaggio e lì ambientarsi, crearsi un proprio spazio, crescere un bambino che non parlava d'altro che del suo vero padre e del bene che faceva nella foresta di Sherwood.
«Ripeteva sempre "Se non fosse stato per lui, saremmo morti da un pezzo" e stringeva tra le dita la tua medaglietta di affiliato alla banda di fuorilegge di Robin Hood, sognando di farne parte a sua volta», disse, sorridendo appena.
Dal momento che la narrazione avrebbe richiesto tempi molto lunghi, si sedettero l'uno di fronte all'altra, ma non abbastanza lontani da impedire alle dita di John di raggiungere le sue per un leggero, ma significativo, contatto.

Sebbene molto attento al racconto di Alice, John iniziò a ricordare tutti i momenti in cui aveva percepito con più forza l'assenza della donna che amava e del bambino che avevano avuto; tra gli altri, rammentò un episodio in particolare che un giorno, forse, avrebbe condiviso con i suoi familiari: era il giorno del compleanno di Robin, era il 1193, l'anno in cui Lady Marian morì, e Much si era messo in testa di organizzare una festa a sorpresa per il suo padrone, capo e amico, così – nonostante fossero tutti ricercati dallo Sceriffo e dai suoi uomini – l'uomo aveva invitato tutti in un capanno fuori da Sherwood, in un villaggio che non era Locksley e che non era neanche troppo vicino a Nottingham; certamente Much aveva agito in buona fede, ma a loro insaputa qualcuno aveva fatto la spia e avvisato lo Sceriffo, il quale aveva mandato dei mercenari a uccidere i membri della banda presenti alla festicciola; avevano tutti creduto di essere a pochi passi dalla morte e, per questo motivo, Djaq la Saracena aveva invitato i suoi compagni d'armi a rispettare una sua usanza che consisteva nel confidare in totale libertà i propri pensieri e segreti, prima di lasciare la vita terrena; in quel frangente, mentre Djaq e Luke Scarlett si erano dichiarati amore a vicenda, John aveva perso totalmente il controllo ed espresso ad alta voce il desiderio di morire accanto alla sua amata Alice, di averla con sé e poterla amare come meritava, aveva pianto come un bambino, perché sarebbe morto senza di lei e aveva avuto conferma che quella donna non aveva mai smesso di mancargli.

Alice proseguì parlandogli di come l'artigianato aveva permesso loro di vivere una vita serena, sebbene anche nel nuovo villaggio le tasse da versare allo Sceriffo si facevano sentire non poco, e di come pure il piccolo John aveva infine accettato la situazione ed era diventato il primo aiutante del suo padre acquisito.
«Con la mente, però, era sempre rivolto a Locksley e Sherwood e al ruolo che ti competeva nei panni di fuorilegge. Raccontava senza filtri ciò che gli passava per la testa e, sulle prime, questo ha costituito un problema per entrambi in quanto non eravamo ben visti a causa del nostro passato», mormorò scuotendo il capo e abbassando lo sguardo prima di proseguire con il racconto di quando, giocando con altri bambini, il piccolo John aveva dichiarato di essere il valoroso fuorilegge Little John, che combatteva per il bene al fianco di Robin Hood.
«Con fatica e sacrifici siamo riusciti a costruirci una piccola abitazione, di poche stanze e con poche finestre, ma di tutto rispetto per una piccola famiglia composta di tre membri. Per contribuire all'economia, mi sono inventata un mestiere attraverso cui mi è stato possibile guadagnare qualche preziosa moneta», continuò, precisando che cuciva abiti molto semplici per gli abitanti del villaggio, soprattutto per i bambini dal momento che aveva fatto molta pratica con il piccolo John negli anni, dovendosi adattare ad allargare, modificare e rattoppare gli indumenti che già possedeva, al fine di risparmiare e potersi nutrire degnamente. «Mi piaceva, mi ha consentito di socializzare con gli abitanti e farmi qualche amica. Ma poi tutto è andato storto», aggiunse, rattristata al pensiero di ciò che era accaduto. «Una mattina ero uscita molto presto per comprare del pane e portarlo a casa ancora caldo, per la colazione, lasciando il piccolo John ancora addormentato nel suo letto, nella consapevolezza che Luke l'avrebbe svegliato, ignara che di lì a poco l'intera situazione sarebbe precipitata. Quando ho fatto ritorno, il silenzio regnava ancora nella nostra abitazione e mi sono subito accorta che qualcosa non andava, perciò mi sono precipitata nella stanza di John e, rincuorata nel vederlo esattamente dove l'avevo lasciato, sono corsa da Luke scoprendo che non stava affatto bene. Ho dato la colpa al freddo e l'ho curato personalmente, senza interpellare un medico, ma il giorno successivo le sue condizioni non hanno fatto altro che peggiorare e ho dovuto consultare il dottore del villaggio, il quale non mi ha dato alcuna speranza. Pochi giorni più tardi lui se n'è andato», raccontò, sforzandosi di non crollare proprio davanti a suo marito. John avrebbe compreso che, sebbene non avesse mai smesso di amare lui, si era inevitabilmente affezionata anche a Luke, il quale con amore si era preso cura di lei e del piccolo? Non ne aveva idea, ma sperava che con il tempo avrebbe compreso, l'avrebbe perdonata o almeno non l'avrebbe odiata. «È stato quattro mesi fa», sussurrò.
«Alice», mormorò subito Little John, stringendole le dita e con voce meno profonda del solito, commossa forse dal racconto appena ascoltato. «Perché tu e Little Little John non mi avete raggiunto subito?», chiese.
Alice sospirò. Non le parve un rimprovero la domanda di John, anzi, le sembrò che li avrebbe accolti volentieri se si fossero presentati immediatamente a Locksley, e se davvero era così, si sarebbe presto sentita la donna più felice del mondo.
«Non è stato facile prendere la decisione di mollare tutto, di nuovo, e partire. Nostro figlio ha sempre avuto la ferma convinzione che non avresti cacciato né lui, né me se ci fossimo presentati alla tua porta e mi ha così tante volte e con così tanto entusiasmo riempito la testa con Locksley e Sherwood, che venire qui e vederlo sorridere alla sola idea mi è sembrata la cosa più opportuna da fare, sebbene non avessi alcuna certezza», proseguì fermando poi Little John con un cenno della mano, quando tentò di intervenire. «Ho venduto la casa, la piccola area di lavoro annessa, – che Luke aveva tirato su per le sue botti – le stoffe che mi erano rimaste e anche i cavalli pur di mettere da parte qualcosa e poter ricominciare altrove nel caso in cui qui a Locksley fosse andata male. Ecco perché Robin ci ha trovati che vagavamo a piedi per la foresta», concluse.
Little John si alzò in piedi, con un'espressione indecifrabile dipinta sul viso, e lei, istintivamente, lo imitò; il cuore le batteva forte nel petto, mentre constatava che quello era il momento in cui il suo futuro avrebbe preso una nuova, precisa, direzione che contemplava la permanenza a Locksley e dintorni oppure una definitiva partenza, lontana dalle zone che avevano dato i natali sia a lei che a suo figlio, e tra l'istante in cui John aveva fissato lo sguardo nel suo e quello in cui la strinse forte in un abbraccio le parve fosse trascorsa un'eternità. 
«La mia casa è anche vostra. Il mio denaro è vostro», mormorò l'uomo tra i suoi capelli. «Non ho mai smesso di amarti, Alice, mai. Ho sperato che tu riapparissi prima o poi, ho immaginato me stesso al termine della mia vita, infelice perché non avrei potuto dirti addio. Tutte le volte che ho rischiato di morire, combattendo la mia causa, ho pensato che avrei lasciato questo mondo con il rimpianto di non aver mai vissuto in pace con la mia famiglia, perché tu e John siete sempre stati quanto di più caro io abbia mai avuto e, se deciderete di restare, farò tutto quanto è in mio potere per rendervi felici».
Alice, che conosceva bene Little John, sapeva quanto fosse difficile per lui esprimere i propri sentimenti a parole, apertamente, e comprendeva senza difficoltà quanto profondi dovevano essere i suoi sentimenti per lei e il piccolo John se era disposto ad aprire così il proprio cuore; perciò si lasciò andare completamente in quella stretta, ricambiandola con tutto l'amore che nutriva per lui e sperando che da quel punto in avanti le cose sarebbero andate meglio per tutti.
Diversi secondi più tardi, l'abbraccio fu sciolto e Alice incontrò di nuovo gli occhi espressivi dell'uomo.
«Vorresti ricominciare qui a Locksley? Con me?», domandò, emozionato.
Gli sorrise, commossa per le parole che le aveva rivolto e felice per la domanda appena formulata.
«Sì», disse semplicemente, finendo di nuovo tra le braccia di lui, che tirò un immenso sospiro di sollievo.
«Dio, ti ringrazio perché mi hai dato una seconda opportunità, perché ho finalmente modo di apprezzare come merita questo dono che è la vita», sussurrò.

Entrambi con il cuore gonfio di gioia, scambiandosi sorrisi e sguardi innamorati, uscirono insieme, tenendosi per mano, per cercare il loro bambino e ascoltare tutte le storie che il piccolo non vedeva l'ora di condividere.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 03/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Ormai avrete capito che, se mi sono permessa di mettere mano al finale di una storia creata da altri è perché nella mia mente si è srotolato un finale alternativo. Chi ha visto la serie tv sa quanto Little John è legato a sua moglie Alice e a suo figlio Little Little John, perciò ho voluto sciogliere anche questo nodo: ormai il pericolo di un'impiccagione è scampato, quindi non avevo alcun motivo per non regalare un po' di serenità al buon John. Certo, è stato necessario sacrificare un personaggio e causare nuova sofferenza ad Alice, ma tra i due mali ho scelto quello che per me era il minore, esattamente come ha dovuto fare lei. Sono convinta che insieme, John, Alice e il loro bambino, riusciranno a trovare la serenità che meritano.
È vero che ho scritto questa storia prevalentemente per Gisborne, però questo non significa che debba ignorare tutti gli altri personaggi perdendo svariate dimensioni che, a mio vedere, possono essere ugualmente piacevoli – quindi spero di aver trasmesso degnamente i miei intenti e che l'assenza di Guy e Kaelee non abbia gravato troppo negativamente sulla storia.
In quanto a Much e i suoi ragionamenti su Little Little John, ad un certo punto pensa che possa trattarsi del figlio di Gisborne e che Kaelee potrebbe non reggere il colpo nell'apprendere la notizia, perché, naturalmente, Much non sa nel dettaglio cosa Guy ha rivelato a Kaelee del suo passato.
Veniamo a qualche precisazione per i lettori che trattano la storia come un'originale.
Tutti i riferimenti ai trascorsi di Little John e di Robin sono richiami diretti alla serie tv, ad eccezione dell'episodio con l'abate invitato a pranzo da Robin e i suoi che è un modus operandi raccontato da Alexandre Dumas nel suo Robin Hood.
Riguardo al gioco dei tre bicchierini attuato da Allan, è un altro riferimento al telefilm.
Soffermandomi di nuovo su Robin voglio precisare che la serie tv ha inizio con l'arciere e Much che tornano dalla Terra Santa dove hanno combattuto come Crociati per Re Riccardo. Nel corso della seconda stagione, tutta la banda si reca in Terra Santa per avvertire Riccardo che Vaisey sta tentando di ucciderlo (infatti anche Vaisey e Gisborne sono in Terra Santa con Marian che è stata fatta prigioniera dai due) ed è in questa occasione che Gisborne uccide Marian. Quindi nella terza stagione Robin rientra in Inghilterra dalla Terra Santa (dove ha lasciato, oltre al corpo di Marian, anche Will e Djaq, componenti della banda, che hanno deciso di fermarsi lì) ed è a questo momento cui faccio riferimento nel capitolo, quando dico che rientrato in Inghilterra Robin voleva lasciarsi andare.
In quanto agli eventi vissuti da Alice e suo figlio durante il periodo di assenza da Locksley, tranne per il fatto che è andata via con un altro uomo (Luke il Bottaio), me li sono completamente inventati cercando di restare in linea con il contesto – ho creato, ad esempio, un'abitazione con poche finestre perché all'epoca c'era perfino una tassa sulle finestre e dal momento che il nucleo familiare non vive nell'agiatezza, ho pensato che il dettaglio potesse rendere bene l'idea.
Come sempre, se dovesse esserci qualche domanda, sono a completa disposizione.
Ringrazio chiunque abbia deciso di arrivare fino a qui, sia che abbia scelto di passare in silenzio, sia che abbia deciso di recensire.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Resta Con Me ***


Resta Con Me


Nota: Per tutto il tempo che mi è occorso a scrivere e sistemare
quanto state per leggere ho ascoltato "Humility and Love"
di Christopher Young, perciò, se vi va, ascoltatela anche voi.

Resta Con Me

Maniero di Robin, Locksley.
C'erano talmente tanti motivi per cui festeggiare – il fidanzamento di Much e Kate, il ritorno di Alice e del piccolo John a Locksley, la rinascita di Nottingham – che, sebbene tutti gli uomini di Robin Hood dormissero con un occhio sempre aperto, si era deciso di riunirsi al Maniero per cenare e brindare tutti insieme.
Kaelee non sapeva per esperienza diretta come fosse la vita da fuorilegge nella foresta di Sherwood, ma, osservando il gruppo nel tempo, si era resta conto che ognuno di loro conservava nell'animo e nello sguardo un piccolo frammento di malinconia che derivava, probabilmente, dall'aver perso quell'avventurosa quotidianità da vivere insieme: continuamente in pericolo e senza alcuna comodità, ma in compagnia di persone fidate, che avrebbero rischiato la vita pur di riportare un compagno sano e salvo all'accampamento. Quell'ideale comune di libertà e giustizia aveva creato legami di amicizia e lealtà che continuavano ad esistere anche alle nuove condizioni, ora che il villaggio non era più sottoposto ai soprusi di Vaisey, Isabella o chi per loro, ora che i fuorilegge non erano più considerati tali da nessuno e che le esistenze dei singoli membri della banda si svolgevano in piena autonomia, senza il bisogno di un rifugio ben nascosto dove passare la notte ed elaborare piani; ora che ogni cosa, finalmente, sembrava essere esattamente dove doveva, – salvo qualche piccolo e spesso gradito contrattempo – gli uomini di Robin Hood sentivano la necessità di riunirsi, stare insieme, coalizzarsi a favore della giustizia, sempre e per sempre.
La permanenza tra i giganti verdi di Sherwood, come Kaelee aveva avuto modo di verificare, aveva segnato profondamente tutti i fuorilegge che avevano lottato duramente in nome di Re Riccardo e della libertà, dell'uguaglianza e della felicità dei singoli e della comunità; tutti avevano imparato che la vita, nella sua ineguagliabile bellezza, era anche colma di nemici, non necessariamente armati di tutto punto e ben visibili ad occhio nudo; avevano tutti imparato che molto più spesso di quanto si possa credere, i nemici più duri da abbattere si manifestavano sotto forma di demoni interiori – quali la brama di potere, di denaro, oppure violenza e cattiveria – e ogni volta che i demoni prendevano il sopravvento, un uomo diventava potenzialmente un assassino, un manipolatore, un tiranno – ovvero un nemico giurato di quei valori per cui Robin Hood e i suoi fuorilegge si erano battuti, mettendo in gioco tutto ciò che possedevano, affetti, amori, titoli nobiliari.
A testimonianza di quanto profondo fosse il segno lasciato, Kaelee aveva visitato con meravigliata curiosità il luogo in cui Robin e Archer allevavano piccioni viaggiatori usati per scambiare messaggi con Will e Djaq, dalla Terra Santa – non aveva avuto modo di conoscere personalmente la coppia di ex fuorilegge dato che si era stabilita ad Acri prima del suo arrivo a Locksley, ma aveva diverse volte sentito parlare di loro dagli altri componenti della vecchia banda, gli stessi che avevano tentato di spiegarle come funzionava quella faccenda dei piccioni viaggiatori, sebbene non avesse ugualmente compreso molto bene i meccanismi che governavano quel tipo di scambi aerei, capendo soltanto che bisognava separare una coppia affinché il messaggio venisse recapitato correttamente e il messaggero tornasse indietro, ragion per cui i piccioni di Robin e Archer provenivano direttamente da un addestratore di Acri. Il rientro in patria di Re Riccardo, naturalmente, aveva reso molto più semplici le comunicazioni tra quelli che una volta erano i fuorilegge più ricercati di tutta Nottingham, forse dell'intera Inghilterra, e spesso i due, che avevano convolato a nozze nel frattempo, ci scherzavano su ricordando sinteticamente le avventure vissute insieme – dando anche occasione a Kaelee di apprendere nuovi dettagli di quelle storie a lei tanto care – e, sebbene avessero tenuto a precisare che la nuova vita di coppia nella terra natìa di Djaq rendeva entrambi immensamente felici, capitava che entrambi manifestassero la malinconia dell'assenza di Sherwood e dei loro compagni, così come i due mancavano a Robin e compagnia.
Per Kaelee non era semplice comprendere davvero come potessero, dopo aver conquistato autonomia lottando per anni, gli ex fuorilegge sentire la mancanza di una situazione tanto ostica, eppure – se provava a immedesimarsi – percepiva sulla propria pelle l'emozione dell'avventura, del dover correre via veloce, nascondersi nei posti più impensabili e giocare uno scherzo all'oppressore di turno. Perciò, quando Robin aveva espresso la volontà di tornare in Terra Santa un giorno, per salutare i suoi vecchi amici, ma soprattutto perché lì giaceva la sua Marian, Kaelee non si era scomposta, come era invece accaduto a Much o a Guy, e aveva, anzi, intuito che forse soltanto visitare quel luogo avrebbe permesso a Robin di ricominciare a vivere.
L'arrivo di Rudyard comunque, in tal senso, aveva rianimato istantaneamente lo spirito di gruppo, incentivando le antiche abitudini, dando a tutti un valido motivo per lavorare di nuovo insieme, come un tempo, e offrendo a Kaelee l'opportunità di essere parte di quella vita avventurosa.

Come sempre, era stato Much ad occuparsi del lato culinario della faccenda.
La sua era una vera e propria vocazione, tant'è che riusciva a rendere digeribili persino le carni meno appetitose senza che nessuno, eccezion fatta per i suoi apprendisti, riuscisse a capire come potesse riuscirci e quali erbe aromatiche usasse di volta in volta, per migliorare ed esaltare il sapore delle sue pietanze.
Da quando, poi, Archer e la sua conoscenza in fatto di spezie erano entrati a far parte della banda, l'estro di Much aveva dato risultati ancora migliori e non passava settimana in cui l'uomo non si recasse a questo o a quel Mercato alla ricerca di ingredienti provenienti da fuori.
Molte volte, durante la permanenza forzata nella foresta, si era ritrovato a dover cuocere carni di piccoli animali, come ad esempio scoiattoli, pur di non rimanere a digiuno, quindi aveva imparato ad arrangiarsi, a fare di necessità virtù, a sfruttare tutto ciò che la Natura gli offriva e, a detta di tutti ormai, gli riusciva meravigliosamente bene.
Inoltre, senza la sua presenza, sebbene i fuorilegge lo avessero preso spesso in giro, – in particolar modo Allan, che si divertiva a farlo passare per la donnina di casa – i pasti non avrebbero facilmente soddisfatto nessuno degli uomini di Robin.
Certo, ora che a Locksley le cose andavano molto meglio, un bel maiale arrosto con tanto di mela non glielo toglieva proprio nessuno.

Né da Nottingham, né da Edwinstowe erano giunte notizie, valido motivo, questo, per lasciarsi andare alla spensieratezza almeno per una sera. Inoltre Allan era riuscito, con il suo contagiosissimo ottimismo, a convincere Robin che il diffuso modo di dire "nessuna nuova, buona nuova" avesse una certa attendibilità; senza poi contare che, se da una parte era altamente improbabile che qualcuno di Locksley andasse a fare la spia a Rudyard, dall'altra certamente a quest'ultimo non sarebbe convenuto affatto attaccare proprio quando l'intero gruppo era riunito, a meno che si fosse dotato di un esercito e dal momento che così non era – Rudyard, infatti, era stato visto sempre in compagnia di quei due uomini di Nettlestone – Robin e gli altri ritennero di poter fare una meritata eccezione in memoria dei tempi andati.
La serata trascorse, quindi, nella più totale serenità, animata dall'allegria che gli uomini di Robin sapevano manifestare quando si trovavano tutti insieme, arricchita da aneddoti di ogni sorta e racconti del passato.
«Per essere due che neanche da bambini andavano d'accordo, ce la stiamo cavando bene, no?», fece Robin a Guy, dopo aver raccontato qualche episodio della loro infanzia a Locklsey.
Guy fece spallucce, mantenendo un'espressione seria mentre masticava un acino d'uva.
«Non si può andare d'accordo con un arrogantello che vuole fare sempre a modo suo», gli rispose
guardandolo di sottecchi e rivolgendogli quel sorriso che gli sollevava soltanto un angolo della bocca e che tutti i componenti della banda avevano visto almeno una volta sul viso del vecchio Sir Guy.
«Parlavi di te stesso suppongo», ribatté Robin scatenando le risate e l'entusiasmo dei presenti.
Gisborne, a quel punto, si alzò in piedi con il boccale in mano e dedicò al fratello un ironico inchino, volendo lasciare intendere un brindisi in suo onore; invece, senza preavviso, glielo svuotò sulla testa, senza fermare la corsa dei rivoli rivoli violacei che colavano sul bel viso dell'arciere, e poi, come se non bastasse, si appropriò del vino di suo fratello e bevve alla sua salute tra gli applausi, l'approvazione e le risate dei presenti – ai quali, naturalmente, era chiaro che i due stavano scherzando.
«Questo colore scarlatto ti dona, Locksley», commentò, rivolgendogli di nuovo quel mezzo sorriso.
«Molto divertente davvero», borbottò nel tentativo di ripulirsi almeno gli occhi.
«Per una volta, mi trovi d'accordo con te», disse infine Guy ridendo di gusto.
Tutti erano divertiti dall'ennesimo siparietto messo in scena dai due fratelli, perfino Little John, che fino ad un momento prima non aveva fatto altro che scuotere la testa, contrariato, non riuscì a trattenersi nel vedere Robin messo a posto da Gisborne; in altri tempi, di certo, una simile reazione da parte dei fuorilegge non si sarebbe mai verificata, perciò l'intera situazione aveva un che di surreale per tutti, pur risultando anche normale e spontanea.
Forse nemmeno Robin e Guy si erano ancora realmente abituati all'armonia del loro rapporto, così cambiato da quando erano stati nemici giurati per lungo tempo, eppure, per quanto lentamente, tutto stava assumendo toni di assoluta normalità anche per i più restii a considerare Gisborne parte del gruppo.

Diverse ore più tardi, a festa terminata e quando tutti gli ospiti, soddisfatti e felici, lasciarono in allegria il Maniero, Robin e Archer si ritirarono nelle proprie stanze – a suon di spintoni e allusioni a questa o quella donna o ragazza che aveva guardato con insistenza l'uno o l'altro – così come anche Guy e Kaelee.
«Perché mi sono toccati in sorte fratelli così scemi?», chiese retorico Gisborne, sicuramente consapevole che la domanda non si sarebbe persa nel corridoio del secondo piano.
«Ti abbiamo sentito!», rispose Archer, infatti, per entrambi.
«Disse il fratello che si fece chiudere nelle prigioni di Nottingham da sua sorella e che sarebbe morto sotto la lama del boia se non fosse stato per la mia freccia», fece eco Robin.
«Era anche vostra sorella e tu, Robin, stavi per finire tra le sue braccia», precisò Guy.
«Uno stratega deve saper scegliere le sue spie e deve saper rischiare», replicò Robin, con il tono di chi stava trattenendo una risata, ormai arrivato dinanzi alla porta della sua stanza da letto.
«Megalomane».
«Chi disprezza compra».
«Così sostiene lo sciocco».
«Ora chi è quello che ha fratelli imbecilli?», chiese Archer, ridendo.
«Oh, fossi in te non mi lamenterei! Pensa a me, che mi sono innamorata di uno e ne devo sopportare altri due!», esclamò Kaelee, scuotendo il capo. «Buonanotte!», aggiunse, tirando Guy per un braccio.
«Buonanotte, lei dice!», la sfotté Robin.
«E che buona sia! Ammesso che mio fratello si dia da fare», aggiunse l'altro.
«Archer!», esclamarono in coro Guy e Kaelee.
Quest'ultima poté sentire il tipico rumore di una mano che colpiva la nuca di un'altra persona e ipotizzò che Robin dovesse aver dato uno scappellotto a suo fratello; sebbene non potesse ritenersi soddisfatta, in quanto lei lo avrebbe preso volentieri a calci nel sedere per tutta la notte, si trattenne dall'innescare una lite – anche perché non aveva poi così tanta voglia di rincorrere Archer dal Maniero alla foresta e ritorno.
«Evidentemente le tue facoltà ti abbandonano, fratellino. È tempo, dunque, di lasciar spazio al dolce sonno e allora buonanotte!», chiuse l'arciere.
«Buonanotte», risposero tutti, ritirandosi ognuno nelle proprie stanze.

Ogni notte, quando arrivava il momento di condividere lo stesso letto, Kaelee provava un'emozione incontenibile; era inesperta, sì, nelle faccende d'amore, ma comprendeva bene l'intimo significato del condividere un giaciglio, perciò tutte le volte, nessuna esclusa, il cuore iniziava a batterle forte nel petto al pensiero che il suo corpo avrebbe preso posto così vicino a quello di Gisborne; il viso le si colorava di rosso per lo stesso motivo e a causa di tutti i dubbi e le domande che l'assalivano, mettendo in discussione ogni singolo gesto, anche il più innocente, ogni desiderio, ogni azione soltanto ipotizzata e mai portata a compimento nel timore che non fosse corretto, in quanto lei e Gisborne non erano sposati e "Certe cose si fanno solo quando l'uomo che ami diventa tuo marito in seguito ad un giuramento dinanzi a Dio, giusto?", si chiedeva sempre più spesso; le mani le tremavano mentre alla fine, non potendo restistere ai suoi stessi istinti, giusti o sbagliati che fossero, sfiorava il petto dell'uomo che amava, prima che entrambi si addormentassero nella più totale tranquillità.
Rudyard non aveva smesso di essere una preoccupazione per la banda, – anzi, erano tutti più attenti che mai al minimo movimento sospetto da parte di sconosciuti, quali potevano essere, ad esempio, mercanti di passaggio o forestieri giunti a Nottingham per concludere qualche affare – ma perfino lei si era ormai convinta che suo fratello non fosse così stupido, superficiale o sconsiderato da commettere due volte lo stesso errore, a maggior ragione perché, trasferendosi al Maniero, lei e Gisborne avevano messo seriamente i bastoni tra le ruote a quel bruto, il quale si sarebbe ritrovato a lottare contro tre avversari dalle abilità notoriamente notevoli cui si aggiungeva lei, la cui determinazione sarebbe bastata, da sola, a farlo correre via urlando come un codardo. Che ne avrebbe ricavato, dunque, Rudyard tentando un'irruzione al Maniero? Certamente una freccia infilzata da qualche parte nel suo corpo, nonché tutti gli insulti che Kaelee gli avrebbe certamente rivolto, a costo di fare la figura della maleducata e di svegliare l'intero villaggio; perciò, ammesso che fosse un completo imbecille, gli sarebbe stato chiaro anche in quel caso che non era affatto conveniente un simile azzardo.
Sia la quasi totale sicurezza che, almeno di notte, lei, Gisborne e tutti i membri della banda, erano fuori pericolo, sia la costante vicinanza dell'uomo che amava, avevano indotto Kaelee, con il passare del tempo, a prendere con più leggerezza il cambiamento cui aveva per forza dovuto adattarsi.
Non era stato affatto semplice, infatti, ambientarsi al Maniero nella consapevolezza che avrebbe dovuto dormire in un'abitazione insieme a tre uomini, dopo aver condiviso per mesi e volentieri una camera con Kate – che le mancava molto, nonostante tutto, insieme ai suoi caratteristici cambi d'umore; se era vero che a Edwinstowe Kaelee aveva vissuto una situazione molto simile, avendo lei quattro fratelli, era pure vero che non era affatto la stessa cosa dal momento che Aric, di certo, non aveva mai desiderato abbracciarla o accarezzarle i capelli o il viso mentre dormiva, come lei non aveva mai provato il bisogno di rannicchiarsi contro il petto di suo fratello – cosa che, invece, accadeva spesso con Gisborne.
Dopo qualche tempo, però, entrambi avevano iniziato a prendere confidenza con le nuove abitudini e avevano imparato ad organizzarsi per arginare l'imbarazzo che una situazione tanto intima inevitabilmente generava, almeno in lei; perciò, anche se si era vergognata come non mai nel dover confidare a Guy di aver bisogno di alcune dritte che regolamentessero la loro convivenza e anche se, sicuramente, doveva aver parlato a sproposito, considerato che diverse volte aveva visto Guy portarsi la mano alla bocca per coprirsela, quasi volesse celare un sorriso divertito, era riuscita a raggiungere con lui un equilibrio che le consentiva di non sentirsi continuamente fuori posto, inopportuna o indicibilmente sciocca e ingenua. Amarlo con tutta se stessa, aveva appreso Kaelee, non faceva affatto di lei una donna sicura di sé nel relazionarsi con lui; anzi, per assurdo, si sentiva più impacciata in quell'ultimo periodo che quando lo aveva baciato per la prima volta e questo, naturalmente, non faceva che aggiungere caos ad altro caos, permettendo alla pioggia di cadere su un terreno già pregno d'acqua.
Uno dei tanti punti di quel regolamento mai scritto e assolutamente segreto, riguardava il momento in cui ci si preprarava per dormire: andava da sé che Kaelee non si sarebbe mai privata di tutti gli abiti dinanzi a Gisborne, in modo del tutto consapevole e manifestando una sfacciataggine che non le apparteneva – anche se non molto tempo dopo l'inizio della frequentazione con lui si era ritrovata in sua compagnia, avvolta solo da una coperta – e che, comunque, non riteneva affatto opportuna. Cos'avevano condiviso, infatti, lei e Gisborne se non qualche lieve effusione e il desiderio di andare oltre? Kaelee non escludeva, naturalmente, che prima o poi sarebbe successo dell'altro tra loro, ma non era necessario forzare la mano o, peggio, dare una cattiva idea di sé all'uomo che amava. Se si fosse spogliata davanti a lui, pur arrossendo, cos'avrebbe pensato Gisborne? Non avrebbe forse detto di lei che era una donna facile? E se anche non lo avesse pensato, cosa avrebbe pensato lei di se stessa qualora avesse assunto atteggiamenti per nulla pudichi? Lei, che non si era mai mostrata senza veli nemmeno a Kate, che pure era una donna? Se proprio doveva condividere così presto un letto con l'uomo che amava, ma che non era detto sarebbe stato l'uomo della sua vita sebbene lei lo volesse, allora era necessario prendere accordi. Non che non si sentisse sciocca per questo, ma lo preferiva ad una cattiva nomea. Si era quindi deciso, di comune accordo, che il primo a mettersi sotto le coperte sarebbe stato sempre Guy, il quale si sarebbe preparato con comodo mentre Kaelee era intenta a pettinarsi; poi, quando lui fosse stato comodamente steso nel letto che avrebbe condiviso con lei, Kaelee sarebbe sparita nella stessa piccola stanza che aveva ospitato Gisborne e che le avrebbe consentito di spogliarsi senza che nessuno la vedesse, ma non senza che l'ansia la assalisse.
Kaelee era certa che, se qualcuno si fosse messo a spiarli, li avrebbe trovati comicamente goffi, oppure teneramente pudichi; in ogni caso, ridicoli al punto da rischiare seriamente di soffocare in un accesso di risa. Se solo non fosse stata consapevole che tutti l'avrebbero ritenuta una svitata, si sarebbe messa a urlare pur di arginare lo sciame di fastidiosissimi pensieri che la tormentavano costantemente, traducendosi in un'insicurezza senza fine. Aveva fatto bene a stipulare un accordo con Guy? Avrebbe, invece, dovuto prendere le cose con ancor più leggerezza? Avrebbe dovuto parlargli della lotta libera che si svolgeva tra la parte razionale di lei e quella emotiva, che mai riuscivano ad accordarsi quando si parlava di lui? E se sì, come avrebbe dovuto impostare il discorso? Non poteva mica dire a Guy che lo desiderava, ma che trovava quel sentimento scorretto e vergognoso, perché si sarebbe certamente offeso, fraintendendo il tutto e credendo che l'amore che lei provava per lui si limitasse alla bellezza fisica. Certo, gli addominali scolpiti e le spalle larghe non la aiutavano a riaversi, però il cuore non mentiva quando le diceva che sarebbe stata disposta a camminare sui carboni ardenti per lui.
Così, ogni sera, mentre si distraeva spazzolandosi i capelli e intanto che si infilava la camicia da notte, nella sua mente succedeva il pandemonio senza che Gisborne ne fosse a conoscenza, perciò, una volta pronta, prendeva posto accanto a lui, accoccolandosi immediatamente al suo petto, per mascherare il rossore sulle guance e nella speranza che tutti i pensieri tacessero simultaneamente; e lo avrebbero fatto, se solo a Gisborne non fosse venuto in mente di scostarle una ciocca di capelli per fissarla dietro l'orecchio o di portare l'indice sotto al suo mento, costringendola delicatamente a sollevare il viso, rendendo puntualmente inutile ogni suo sforzo.

Se c'era una cosa che Gisborne adorava più di ogni altra in Kaelee, era il modo in cui le gote le si tingevano di rosso in sua presenza. L'aveva capito in netto ritardo, ma quando ci era arrivato si era sentito lusingato, importante e amato; sebbene fosse consapevole da tempo del sentimento che la giovane donna provava per lui, non aveva mai creduto che arrossisse esclusivamente quando lui la guardava, la accarezzava, le parlava all'orecchio o le rivolgeva un complimento e invece l'aveva osservata con attenzione, a cena, parlare con Archer in totale tranquillità e senza che gli occhi iniziassero a brillarle o il viso a colorarsi: era stata una piacevolissima rivelazione, come, del resto, tutta la nuova situazione in cui entrambi si erano venuti a trovare. Da quando si erano trasferiti al Maniero, Kaelee si era rivelata essere il ritratto del pudore, – il che gli ricordava cosa fosse l'amore e quanto imponente fosse il cambiamento che aveva subìto e quanto importante; gli ricordava che niente era più come un tempo e che era ora per lui di essere felice – niente a che vedere con la malizia che aveva scorto nello sguardo di lei il giorno della messinscena con Robin, sebbene quel velo non fosse mai scomparso del tutto.
Adorava il contrasto che il desiderio creava sul viso delicato di lei, in quegli occhi grandi e perennemente accesi di viva curiosità.
A Guy non era per nulla chiaro cosa potesse passare nella mente di Kaelee in merito alla convivenza, perciò aveva deciso di assecondare tutte le piccole regole che lei gli aveva quasi imposto in quanto era convinta che, grazie a quelle, condividere un letto le sarebbe risultato più semplice. Quel che si domandava era in che senso Kaelee lo avrebbe trovato più semplice; ragionandoci brevemente su, era arrivato a concludere che lei non fosse ancora pronta per quel passo e che, dovendosi adattare all'imprevedibilità degli eventi, aveva voluto fargli capire che non era intenzionata a concederglisi soltanto perché dormivano nello stesso letto. Considerato che non intendeva forzarla in alcun modo, non era un gran peso per lui tenere le mani a posto, se solo avesse fatto lo stesso anche Kaelee. Accadeva quasi ogni notte, infatti, che le piccole mani della ragazza gli accarezzassero il petto con tale dolcezza che non poteva restare indifferente o mantenere la calma. La desiderava, su questo non c'era alcun dubbio, e non se ne vergognava; eppure non sapeva se condividere quel pensiero con lei fosse consono oppure no, ignorando completamente la reazione che Kaelee avrebbe potuto avere.
In definitiva, aveva la sensazione che anche lei volesse vivere nuove esperienze in tal senso, ma che qualcosa fungesse da freno e, mentre sperava di non essere lui stesso la causa, aveva deciso di godersi appieno i teneri, ma infuocati, momenti di lieve intimità, senza porsi troppe domande e sottostando al volere della ragazza.

Quella notte, dopo aver salutato Archer e Robin e aver spento la voglia di prendere a calci il primo, Kaelee aveva tentato invano di rilassarsi passando la spazzola più del dovuto tra i capelli soffici e lunghi, prima di cedere al bisogno di affondare tra le braccia dell'uomo che amava; quindi, senza troppi convenevoli, aveva avvolto un braccio attorno alla vita di Guy e aveva appoggiato la guanca rovente sul suo petto ampio. Puntualmente, Guy l'aveva invitata a incontrare i suoi occhi e lei era avvampata.
«Non dovresti guardarmi così», sussurrò dopo un po', abbassando lo sguardo e mordendosi le labbra, di nuovo in preda al caos.
«Così come?», domandò Guy con la voce ancor più profonda del solito, forse per la necessità di bisbigliare e non farsi sentire dai fratelli o per non disturbare il loro riposo, oppure forse solo per farla impazzire del tutto.
Non aveva bisogno di soffermarsi ad osservarlo per descrivere l'intensità che gli occhi di Guy trasmettevano se incrociavano i suoi; conosceva, ormai, fin troppo bene i tratti di quell'uomo, avendo trascorso ore ed ore a contemplarli e a ripercorrerli mentalmente nei momenti in cui le era impossibile incontrarlo, quindi si ritrovò a sorridere, sognante, non potendo fare altro che quello dinanzi a un simile spettacolo.
«Come se... Come se non esistesse nulla di più bello», mormorò, consapevole di non aver reso neanche lontanamente l'idea.
C'era molto di più, lo sapeva, qualcosa che andava oltre la semplice bellezza esteriore, qualcosa di più profondo e imponente che non sapeva spiegare a parole, ma che percepiva chiaramente nel più profondo del suo animo.
Il modo in cui Guy rise scatenò una piacevole serie di brividi in lei, perché rise spontaneamente, lo fece come solo chi è davvero sereno sa fare, coinvolgendo tutti i muscoli del viso e del corpo, lasciando traboccare dallo sguardo quel sentimento, permettendo alle labbra di disegnare un bellissimo sorriso su un volto di per sé già meraviglioso.
Kaelee non poté resistere alla tentazione di guardarlo, quasi con avidità.
«È così, piccola Kaelee», mormorò lui, «sei esattamente quanto di più bello io abbia mai visto e vissuto».
Glielo disse con un tale trasporto che era impossibile anche solo pensare di dubitarne, trasmettendo una tale e disarmante sincerità con gli occhi, da indurre Kaelee a domandarsi se fosse davvero possibile che lo sguardo di un essere umano riuscisse ad essere limpido più di un ruscello e assolutamente puro, come quello di un grazioso gatto o di un fedele cane. Iniziò poi ad immaginare, senza alcuna motivazione logica, cosa si dovesse provare nel guardare negli occhi il temibile Sir Guy di Gisborne e riuscì in parte a comprendere perché, anche a distanza di tempo, c'era ancora qualcuno nel villaggio che preferiva evitarlo: se Guy risultava altrettanto trasparente quando ad animarlo era la cattiveria, allora doveva essere davvero un'esperienza poco piacevole – sebbene, ne era certa, ugualmente sconvolgente – incrociarne lo sguardo; eppure, anziché allontanare quella visione, Kaelee ci si immerse più a fondo e si ritrovò dinanzi ad uno sguardo tutt'altro che freddo ed impassibile, benché più cupo e ostile, chiaro e incredibilmente vivo, capace di travolgere tutto ciò che l'uomo aveva attorno. Indubbiamente Gisborne sapeva parlare senza aprir bocca, sapeva comunicare tutto ciò che aveva da dire semplicemente fissando gli occhi sull'interlocutore, così Kaelee lo immaginò intenso e passionale pure nella precedente versione di se stesso, figurandoselo come una presenza imponente e fiera di fianco ad uno Sceriffo che non gli avrebbe mai reso giustizia e che, di certo, non era neanche paragonabile a lui per eleganza, bellezza e profondità d'animo; perfino da fermo comunicava talmente tanto di sé, che era difficile non notarlo sia pur in mezzo a decine di altre persone, perché non era mai la posa che assumeva, ma il modo in cui la interpretava; non ciò che indossava, ma come lo indossava; non ciò che diceva, ma come lo diceva; non quel che faceva, ma il modo in cui lo faceva a renderlo terribilmente attraente, affascinante e, per questo, pericoloso; quasi che si portasse dietro una sorta di aura capace di farlo sembrare irresistibile agli occhi di chiunque, che stesse dando un ordine oppure chiacchierando amabilmente, che avesse la spada rischiosamente puntata al tuo collo o che ti stesse augurando di trascorrere una buona giornata.
«Guy...», sussurrò, di nuovo in imbarazzo e con l'aggravante di essersi persa in pensieri tutt'altro che spiacevoli. «Non dire sciocchezze. Io non sono altro che una ragazzina di campagna, cresciuta coltivando terra e senza alcuna istruzione. Tu hai un titolo nobiliare, tanto per cominciare, e poi...».
Gisborne le posò l'indice sulle labbra, accendendole a sua insaputa, evidentemente per impedirle di terminare la frase; poi scosse il capo mentre la pregava con dolcezza di tacere, indugiando sulla sua bocca con le dita.

«Sicuramente la tua posizione sociale sarebbe stata di fondamentale importanza per il vecchio Sir Guy, ma non lo è per me», rispose senza staccare gli occhi dalle sue labbra. «Tutto ciò di cui ho bisogno è qui, accanto a me. Altro non mi serve per essere un uomo felice. Tu, con la tua sola presenza, mi regali la vita ogni singolo giorno, da quando ti ho conosciuta».

Lui stesso si stupì della naturalezza con cui aveva confidato a Kaelee ciò che pensava e provava, perché non era mai accaduto prima che si esprimesse con così tanta dolcezza e pacatezza nei confronti di qualcuno; del resto non si era mai sentito che il braccio destro di uno Sceriffo, nonché esattore delle tasse per conto di quest'ultimo, si rivolgesse con gentilezza al popolo che il più delle volte non rispettava regole e volontà del padrone e anche quando aveva confidato a Marian ciò che sentiva per lei, o l'aveva messa a conoscenza della volontà di sposarla, c'erano sempre stati istintività e un fare brusco a sminuire l'intensità del gesto, fino a renderlo perfino sgradevole agli occhi della diretta interessata. Sebbene il suo cuore avesse palpitato diverse volte anche prima di conoscere la giovane Kaelee, mai si era sentito così libero di amare qualcuno da comprendere appieno tutto ciò che aveva dentro ed esprimerlo senza timore, senza rabbia, senza barriere. La paura si era infine arresa e ritirata dal suo cuore, alleggerendolo, lasciando che scintillasse nell'esplosione di sentimenti considerati perduti e che, invece, erano rimasti dormienti per molti anni, lì, in qualche angolo di lui, senza che se ne rendesse conto; era libero da quel se stesso messo in catene da Vaisey e poteva voltare definitivamente pagina, chiudere una volta per tutte i conti con il passato, dare un giro di chiave ai cassetti colmi dei tristi ricordi di Marian, Vaisey, Isabella, Meg e di tutta la crudeltà di cui si era reso protagonista; si sentiva così in pace con il mondo, così in pace mentre il caramello degli occhi di Kaelee lo avvolgeva morbidamente, che zittì tutti i campanelli d'allarme e parlò senza filtri e seguendo esclusivamente l'istinto che premeva per guidarlo verso un nuovo passo in quella vita ancora tutta da scoprire, da vivere.
«Mi vuoi sposare, Kaelee?», domandò in un sussurro, pretendendo l'attenzione della donna che amava, rendendosi conto di quanto aveva detto soltanto nel momento in cui la sua stessa voce gli era arrivata alle orecchie e da lì alla mente. Se fosse o meno il caso di pentirsi e ritirare quelle parole, a Guy non interessava minimamente, perché sposarla era ciò che desiderava più di ogni altra cosa al mondo e, forse, era arrivato il momento di ricominciare a camminare sulle sue gambe, senza più attendere che fosse Kaelee a muovere i primi passi mentre lui si lasciava attanagliare dal terrore. Era ora che lei sapesse fino in fondo la verità dei suoi sentimenti; era ora che vedesse anche lei quel bellissimo scenario di vita condivisa, che riempiva la sua mente da diverso tempo ormai. Non l'avrebbe obbligata, costretta con l'inganno o con la promessa di un patrimonio di non indifferente valore, non avrebbe commesso lo stesso errore fatto con Lady Marian, anche se avrebbe subito voluto avere la certezza che lei intendeva muoversi nella sua stessa direzione; avrebbe atteso anche qualche anno, se lei glielo avesse chiesto, purché non gli spezzasse il cuore come Marian, in passato, era riuscita a fare.
Kaelee lo stava guardando con evidente sconcerto e Gisborne avrebbe potuto giurare di aver sentito la terra tremare sotto ai suoi piedi.

Kaelee doveva ancora riprendersi da ciò che aveva sentito poco prima, quando quella proposta arrivò alle sue orecchie, alla mente e poi al cuore. Quest'ultimo prese a battere così veloce che credette di poterne morire; le faceva quasi male mentre tentava, questa era l'impressione ormai perfino familiare, di sfondarle il petto, così, in un riflesso involontario, si portò una mano sopra al punto che le doleva di quel dolore immaginario, pur nella consapevolezza che se il cuore avesse deciso di esploderle non avrebbe potuto farci proprio nulla. Però, almeno sarebbe morta tra le braccia dell'uomo che amava, che le aveva appena chiesto di sposarlo, e tanto basava a non spaventarla e a tenerla in vita. Era certa che tra tutte le emozioni che aveva provato da quando aveva scoperto l'amore, non ne avrebbe trovata una più forte di quella che in quel momento le toglieva il respiro, spezzava il cuore dalla gioia, confondeva i pensieri, serrava le labbra, bloccava i muscoli; lei, che poco o nulla sapeva della vita, ebbe l'assoluta certezza che ciò che sentiva per Gisborne era vero amore; lei, che troppo presto aveva conosciuto la sofferenza e che aveva visto come un uomo e una donna, pur avendo messo su famiglia, potevano arrivare ad ignorarsi, non ebbe alcun dubbio in merito alla volontà assoluta di condividere l'esistenza con quell'uomo, quasi che fosse un provvidenziale istinto quello di volersi affidare a lui per il resto dei suoi giorni, anche se era più grande di lei di sedici anni, anche se era più elegante e colto di lei, con un passato tutt'altro che semplice alle spalle ed un presente colmo di tormento, con un titolo nobiliare e altre donne nel cuore prima di lei. Proprio per tutto ciò che Guy rappresentava, era ed aveva avuto il coraggio di diventare, Kaelee si sentiva sicura dei propri sentimenti nei suoi riguardi; proprio in virtù di quel cuore dolorante, che tutte le volte impazziva appena lei lo incontrava, sfiorava, abbracciava, baciava, sapeva che Guy era l'unico uomo che avrebbe voluto al proprio fianco, tant'è che niente di ciò che lui le aveva raccontato dell'essere immondo che era stato Sir Guy era riuscita a farle cambiare idea e niente mai avrebbe sortito quell'effetto in futuro.
Eppure non riusciva a trovare le parole adatte da rivolgergli, pur consapevole che lui non attendeva altro che una risposta, mentre lui ancora la guardava.
«Ti chiedo perdono. Sono stato uno sciocco. Non è così che si chiede la mano della donna che si ama. Non ho neanche un anello da donarti», mormorò, sorridendole con infinita dolcezza nel chiaro tentativo di alleggerire il momento di tensione venutosi a creare.
Evidentemente Guy aveva frainteso il suo silenzio, interpretandolo, forse, come il segno di un rifiuto che non riusciva a manifestare a parole, quindi Kaelee, per provare a porre rimedio e a rassicurarlo, sollevò una mano sul suo viso, che accarezzò teneramente prima di parlare.
«No, per favore, no», soffiò.
«Non chiedermi di perdonarti, perché non posso proprio farlo e la ragione è molto semplice», aggiunse con gli occhi nei suoi, la bocca fin troppo vicina alla sua, il corpo a contatto con il suo. «Se ti perdonassi», continuò, senza riuscire a fermare il tremolio della voce, «non potremmo sposarci. E io voglio sposarti, Guy. Voglio sposarti», confidò immaginando di avere le guance color porpora mentre gli occhi minacciavano di sciogliersi in lacrime di gioia.
Aveva appena accettato quell'inusuale proposta di matrimonio senza nemmeno essere certa che non fosse tutto un sogno, senza accertarsi che non fosse un pessimo scherzo della sua mente, – come quella volta in cui aveva sognato di correre con lui attraverso una radura bellissima al centro della quale luceva, come un grande specchio, un lago di forma quasi circolare in cui si era immersa con Guy senza dare ascolto al pudore e a ciò che era o non era convenzionale
e opportuno, tant'è che quando si era poi svegliata c'era rimasta talmente male nel realizzare che nulla di quanto aveva vissuto nel sogno era realmente successo, da trascorrere le successive quattro ore a rimuginarci su – ma nonostante l'innegabile stravolgimento, era certa di aver appena fatto la scelta più giusta di tutta una vita, dopo aver deciso di partire da Edwinstowe alla volta di Locksley. Non osava più neanche immaginare come sarebbe proseguita la sua esistenza se non si fosse messa in viaggio.
Ciò che più del suo stesso caos la sconvolse fu l'inaspettata reazione di Guy: quasi come se qualcosa nel suo cuore si fosse spezzata in modo irrimediabile, causandogli un enorme dolore, l'uomo che le aveva appena chiesto di sposarla scoppiò in un pianto che sembrava disperato, ma che Kaelee pensò e sperò scaturisse, invece, da un sentimento nettamente più positivo quale poteva essere, per esempio, la gioia.
Per nulla preparata a sentirlo singhiozzare a quel modo, non si lasciò comunque prendere dal panico e subito se lo strinse al petto, carezzandogli i capelli e le spalle ampie con fare materno mentre pensava che se Guy non si fosse sentito a suo agio in quella situazione, l'avrebbe condiviso con lei che si sarebbe scostata senza offendersi perché, del resto, era tutto nuovo per entrambi e sarebbe stato necessario venirsi incontro. Chiuse gli occhi, come se volesse concentrarsi per riuscire a contenere tutta la sua figura tra le braccia esili e fin troppo corte perché le dita si unissero tra loro sulla schiena di lui, mentre si rifugiava nei propri pensieri per evitare di aggiungere l'eco dei suoi singhiozzi a quelli di Guy.
Nessuno, guardandolo, avrebbe immaginato che un uomo grande e grosso come Sir Guy di Gisborne potesse mettersi a piangere; nessuno lo avrebbe creduto possibile, un po' perché, in quanto uomo in sé, abbandonarsi a simili manifestazioni sentimentali era ritenuto segno di debolezza da molti, e un po' perché da un assassino non ci si aspetterebbe mai un crollo emotivo di tale portata. Era questo, forse, – pensò Kaelee – uno dei più grandi controsensi dell'esistenza umana: perché ad un Crociato, tra gli altri possibili esempi, che pure aveva sparso sangue, assistito a barbarie di ogni sorta e affondato la lama senza indugio fino alle ossa del proprio nemico, era concesso soffrire e redimersi e impazzire a causa delle brutalità viste e vissute, mentre non si riusciva ad essere ugualmente comprensivi nei confronti della controparte? Perché di fronte al pentimento da parte di un uomo un tempo spietato la gente non sapeva commuoversi? Perché tanta differenza verso chi, come Guy, aveva dimostrato ampiamente di avere un animo volto al bene sebbene in passato avesse accettato la guida del male?
La risposta a queste domande Kaelee credeva di averla trovata nel pregiudizio che le persone sapevano provare con tanta facilità nei confronti del diverso.
Lei, invece, che conosceva esclusivamente il lato più umano dell'uomo, riteneva che non ci fosse niente di assurdo in quella reazione e che, anzi, Guy avrebbe dovuto abbandonarsi più spesso ad un bel pianto liberatorio anziché tormentarsi ore intere con il proprio passato, con i propri demoni, e versare poche lacrime nella più totale solitudine.
Anche se lo aveva incontrato a cambiamento per buona parte già avvenuto, non significava affatto che Kaelee non avesse dovuto faticare per comprendere appieno l'animo complicato, tormentato e ferito di Gisborne; molto spesso, infatti, era accaduto che lei non riuscisse a capirlo, che non sapesse come porsi con lui, che non riuscisse ad abbattere certi suoi muri ancora in piedi a far barriera tra l'amore che provava e il punto più caldo del cuore di lui. C'erano volute tanta pazienza e tanta determinazione per poter conoscere la parte più intima di Guy, per arrivare fin dentro i suoi pensieri più remoti, fino alle sue paure più recondite e avevano sofferto entrambi quando lei lo aveva spronato a buttar fuori tutto ciò che dal passato lo torturava, impedendogli di andare avanti, ma alla fine c'era riuscita ed era un po' come se avesse portato a termine ciò che Lady Marian prima e Meg poi avevano inconsciamente iniziato tempo addietro: aveva portato alla luce la parte migliore di Sir Guy di Gisborne, semplicemente amandolo come nessuno aveva potuto o voluto fare in precedenza.
Come Kaelee ebbe modo di accorgersi spostando lo sguardo in direzione della porta, i singhiozzi di Guy avevano attirato l'attenzione di Robin, il quale aveva fatto capolino dalla porta socchiusa, probabilmente per accertarsi che né lei, né Guy, avessero bisogno del suo sostegno. "Magari si è pure preso uno spavento sentendo piangere così suo fratello", pensò Kaelee, che quindi si sentì in dovere di rassicurarlo immediatamente con un gesto della mano ed un sorriso che dicevano "Va tutto bene, grazie", perché sapeva quanto poco pettegolo e impiccione fosse Robin – quasi al pari di Little John, che lo era meno di tutti gli altri della banda – e quindi non pensava affatto che l'arciere si fosse presentato sulla soglia della stanza che lei condivideva con Gisborne per farsi gli affari loro; infatti, a conferma delle sue intuizioni, lo vide annuire e sparire silenziosamente come era apparso, senza cercare spiegazioni di alcun genere e chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle.
In tutto ciò, Guy non sembrò accorgersi della breve intrusione di Robin, così Kaelee continuò ad accarezzarlo e rassicurarlo.

Per una volta aveva scelto di non vergognarsi delle lacrime che sgorgavano spontanee dai suoi occhi, iniziando la corsa dal cuore; per una volta aveva deciso di mettere da parte la convinzione che un uomo non dovesse mai mostrare apertamente le proprie debolezze e aveva preferito restare al sicuro tra le braccia della donna che amava, aveva scelto di farsi proteggere senza nascondere la sua vulnerabilità, aveva deciso di affidarsi – e di fidarsi – completamente a lei, che aveva appena accettato di sposarlo.
All'improvviso, come se una pesante tenda si fosse scostata spontaneamente, Guy ricordò di essere sempre stato una persona sensibile, un giovane ragazzo governato dalle emozioni, e non quel mostro senza cuore che Vaisey aveva creato a suon di rimproveri, manrovesci e cinghiate. Per tanto tempo aveva negato a se stesso quanto quei modi lo avessero ferito, più nell'animo che nel corpo, ripetendosi che era giusto così e che la spietatezza era la via per il potere, per il denaro, per una posizione sociale che lo avrebbe reso invincibile, temibile e un ottimo partito per donne belle e di buona famiglia. Persi entrambi i genitori, infatti, Guy non aveva avuto altra guida che Vaisey di Nottingham, il quale aveva accolto lui e sua sorella sotto la sua ala protettiva, inducendolo poi, qualche anno più tardi, a liberarsi di Isabella vendendola al miglior offerente. Per quanto avesse provato a negarsi anche quello, Guy dovette finalmente ammettere a se stesso che lo Sceriffo aveva avuto un ruolo determinante in quella vicenda e che, forse, senza le di lui macchinazioni, non avrebbe mai fatto un simile torto all'unico parente in vita che gli era rimasto dopo la morte dei genitori. Forse, senza l'intervento di Vaisey, lui e Isabella non si sarebbero mai trovati l'uno contro l'altra e a lui non sarebbe toccato toglierle la vita per salvarsi. Tutto ciò che provò in quel frangente, dopo un'iniziale sciltilla di rabbia, fu dolore e poi quiete mentre un altro insanguinato tassello del suo passato veniva lavato dal pentimento.
Con quei pensieri in mente, Guy decise che era arrivato il momento di chiudere definitivamente con il proprio passato e aprirsi esclusivamente al futuro.
Ogni lacrima custodiva un addio. Addio a ciò che era stato, alla malvagità che gli aveva congelato i sentimenti; addio all'odio nei confronti degli esseri umani; addio al denaro e al potere, agli atti mossi da mera cattiveria, al piacere nel provocare ed osservare l'altrui sofferenza; addio al rancore e addio alla solitudine; addio a Vaisey e al Principe Giovanni; addio a Isabella e a ciò che era diventata per colpa di una scelta che lui aveva fatto per lei; addio ad Annie e Seth, un figlio che non avrebbe mai avuto il coraggio di crescere; addio a Marian, con la speranza che ovunque si trovasse l'avesse perdonato per l'orrendo crimine di cui si era macchiato; addio a Meg, prima, fievole luce di una speranza ora pienamente esplosa; e addio per sempre a Sir Guy di Gisborne, che mai più avrebbe terrorizzato popoli, ucciso innocenti e svolto attività dalla parte del male.
Lentamente, senza fretta, i singhiozzi diminuirono fino a placarsi e quando si scostò da Kaelee trovò un meraviglioso sorriso ad accoglierlo.

Guy aveva gli occhi arrossati e il volto stropicciato dopo tutto quel piangere, ma Kaelee vedeva ugualmente in lui una bellezza capace di spiazzarla.
Quando le sorrise di rimando, seppe che il peggio era passato e che poteva permettersi di scherzarci su.
«Devo aver necessariamente capito male, se questa è la tua reazione», sussurrò senza trattenere un ampio sorriso.
Guy rise di quella sua risata profonda che riusciva sempre a farla vibrare d'emozione; poi la baciò, senza preavviso, a lungo e con dolcezza, sfiorandole appena le labbra, come se temesse di poterle in qualche modo sciupare mentre la coinvolgeva in una calda e piacevole effusione.
«Avrai il tuo anello, promesso», soffiò senza staccarsi da lei, che rise divertita.
«Smettila», gli rispose. «Ho già te, non potrei desiderare di piùAnche se qualche gioiello o abito elegante non guasterebbe...», aggiunse soltanto per vederlo ancora sorridere in quel modo che la faceva sentire importante, che la appagava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Potrebbe rivelarsi un problema», fece lui. «Al momento tutto ciò che posso offrirti sono io stesso».
Era certa che con quelle parole lui volesse essere romantico, ma non era altrettanto sicura che Guy avesse idea di quale effetto avrebbero sortito se, come stava accadendo, la sua mente l'avesse indotta a prendere in considerazione il lato malizioso della faccenda. Si sentiva una sciocca ragazzina per il desiderio che la consumava, tanto più perché Kate le aveva confidato che lei e Much non erano ancora andati oltre il bacio e qualche innocente carezza, senza mai oltrepassare il confine di stoffa, e che non intendevano entrare in maggiore intimità prima del matrimonio; Kaelee sapeva che Kate aveva più esperienza di lei, perciò aveva cercato di convincersi che il comportamento più corretto e dignitoso da tenere doveva essere il suo, eppure non aveva idea di come fare ad arginare quel calore che nasceva dal cuore e si diffondeva in ogni altra parte del suo corpo con tale intensità da sembrarle reale, da riuscire a scuoterla e a farla sragionare. Se Dwight o Aric avessero saputo, forse l'avrebbero disconosciuta come sorella e avrebbero concordato con sua madre sulla necessità di mandarla al rogo a causa dei suoi peccati, quindi, probabilmente, era il caso di parlarne con Tuck: ma come arrivare al mattino successivo senza cadere in tentazione? Poteva essere così superficiale ed egoista da affidarsi esclusivamente all'onestà di Gisborne che, di sicuro, l'avrebbe frenata come tutte le altre volte? Era evidente che pure lui, come Kate, riteneva che quel grado di intimità dovesse essere raggiunto esclusivamente dopo il matrimonio, anche se lui aveva avuto un figlio da una donna che non aveva sposato.
Si morse invano il labbro nel tentativo di riaversi, perché inevitabilmente la vicinanza tra i loro corpi, il bacio da poco terminato, la proposta di matrimonio e ciò che Guy aveva appena detto, dirottarono i suoi pensieri verso destinazioni ben più roventi del romanticismo in sé e di tutte le convenzioni di quel mondo, molto invitanti e piacevoli, nonché ricorrenti da un po' di tempo a quella parte. Era dal giorno in cui lei a Guy avevano duellato davvero per la prima volta, da quando lui aveva quasi perso il controllo, da quando aveva sentito quelle mani grandi su di sé e le aveva immaginate salire ancora e ancora, era da quel giorno che invisibili fiamme si erano impadronite dei suoi sensi, incendiandoli alla prima occasione utile; quindi Kaelee decise che avrebbe infranto l'ennesima regola, perché come lo amava in quel momento, allo stesso modo lo avrebbe amato dopo il matrimonio, ragion per cui prima o dopo non faceva alcuna differenza per lei.
«Bene», sussurrò quindi, cercandolo per un nuovo bacio nient'affatto delicato come il precedente; un bacio che esprimeva tutto il suo desiderio e che avrebbe potuto essere il preludio di un'emozionante esperienza.
La sua soddisfazione fu grande nel verificare che Guy non intendeva farsi pregare per ricambiare; ormai si era quasi abituata a quella parte di lui che teneva saldamente le redini ogni sera, ogni notte, ogni volta che il corpo voleva una cosa e la mente quella opposta, ma non le era certo sfuggito come, ultimamente, Guy tendesse ad essere molto meno controllato dei primi tempi, come si abbandonasse sempre più spesso e molto volentieri ai suoi slanci, assecondandola e permettendole di prendersi molte più libertà, ponendo, però, pur sempre un freno quando sentiva che la situazione, secondo lui, stava per oltrepassare il limite. Se fosse stata lei ad avere pieno controllo della corsa, non avrebbe fermato affatto i cavalli. Col senno di poi, riusciva sempre a dirsi che senza Gisborne avrebbe combinato un bel pasticcio già da un po', lasciandosi trasportare da emozioni e sensazioni e abbandonando completamente la razionalità; riusciva a rendersi conto di quanto dannosa avrebbe potuto essere la sua impulsività, la sua impazienza; riusciva ad accorgersi di quanto fosse ancora una bambina sotto svariati aspetti e di quanto, per questo, avesse bisogno di Gisborne non soltanto in qualità di partner, ma anche come guida, consigliere, amico, confidente; probabilmente non sarebbe stata comunque capace di pentirsene, – come non si era mai pentita sul serio di tutte le volte in cui aveva cercato di privare Guy dei suoi vestiti con la fretta, tipica delle bambine, di togliere il panno sopra un cestino colmo di frutta fresca e succosa – però, forse, se si fosse concessa a lui nel bel mezzo della campagna circostante Locksley, ci avrebbe poi ripensato su e si sarebbe data dell'imbecille per aver avuto fretta di raggiungere una tappa tanto importante e significativa.  

Gli era grata, anche se preferiva molto più quando le metteva una mano sulla nuca, come in quel momento, che fosse per trattenerla oppure per ancorarsi alla realtà e trattenere se stesso.
Vestita della parte più maliziosa di sé, scatenata poco prima da Gisborne, e ignorando le riflessioni che la sua mente aveva cercato di rammentarle, senza alcun preavviso, gli sollevò la leggera blusa che indossava per dormire, con il chiaro intento di togliergliela di dosso. Non le importava minimamente ciò che sarebbe accaduto di lì a mezz'ora, un'ora o all'alba, non le interessava se e come Guy sarebbe intervenuto, perché voleva semplicemente godersi il momento e provare a convincere lui a fare altrettanto per una volta, e inizialmente andò bene, perché lui continuò a ricambiare il bacio e a premerle le dita contro la nuca fino a sollevare, poi, perfino le braccia per facilitarle il compito; ma d'un tratto Kaelee poté quasi sentire la campana allarmata rimbombare nella testa di lui per avvertirlo che se non l'avesse fermata sarebbe successo. Successo cosa? L'irreparabile?
Lo spazio che Guy mise tra loro le parve incredibilmente e fastidiosamente ingombrante, tanto che, se non fosse stato per la delicatezza di lui, avrebbe di certo messo il broncio, si sarebbe alzata, avrebbe bussato alla porta di Robin e avrebbe chiesto che le venisse data un'altra stanza o che le fosse concesso di trascorrere la notte da Kate solo per indispettire Gisborne. Si rendeva conto da sola di quanto, alle volte, sapesse essere esagerata nelle sue reazioni, ma l'istinto era sempre stato la parte predominante in lei e, sebbene ci stesse lavorando su, era davvero difficile contrastarlo degnamente; così, prima che Guy iniziasse ad affrontare di nuovo l'argomento con calma, facendosi portatore di tutte le buone ragioni del mondo, Kaelee diede voce ai suoi desideri.
«Ti prego», mormorò riavvicinandosi alle sue labbra, trattenendolo con tutta la forza di cui era capace. «Ti prego, non opporti».
Chiuse gli occhi e cercò con insistenza la sua bocca, volendo semplicemente che si abbandonasse una volta per tutte, che non tenesse sempre sveglia una parte razionale che sarebbe intervenuta sul più bello. Fino a quella sera, Kaelee lo aveva sempre ammesso a se stessa e a lui, tutte le ragioni sollevate da Guy l'avevano convinta davvero che non fosse ancora il momento giusto, ma, dopo che le aveva chiesto, d'istinto, di sposarlo e che lei aveva accettato, quale altro motivo avrebbe potuto trovare per rimandare ciò che da tempo era ad un passo dall'accadere? Se in precedenza Kaelee aveva nutrito il dubbio che lui potesse non volere la stessa cosa, in quel frangente non aveva più alcun motivo di pensarlo perché, se veramente Guy voleva condividere il resto della sua vita con lei, non era possibile che non la desiderasse anche sul piano puramente fisico, perciò si convinse che dovesse esserci un'altra ragione, – oltre le buone maniere, oltre il buon costume – si sentì in dovere di rasserenare Guy e scoprire cosa lo tratteneva. Quindi prese un profondo respiro e riordinò i pensieri.
«Guardami... Kaelee, guardami», fece lui, anticipandola, in tono serio e scuotendola leggermente per le spalle, mandando inconsapevolmente a monte la domanda che stava per raggiungerle la lingua.
Dinanzi a tanta urgenza e preoccupazione – forse perfino paura – Kaelee non poté che obbedire: smise di provare a baciarlo, abbandonò il suo petto e lasciò che la blusa tornasse a coprirgli per intero il torace e la vita, senza spazientirsi
per quell'ormai consueta interruzione visto che aveva deciso di scendere ancora una volta nel profondo dei tormenti di Gisborne.
«Di cosa hai paura, Guy?», gli domandò andando dritta a quello che riteneva il punto della situazione, senza attendere il solito discorso che le avrebbe fatto di lì a qualche attimo.
Con gli occhi fissi in quelli di lui, si accorse di averlo spiazzato prima ancora che Guy abbassasse lo sguardo sulle coperte – neanche si fosse macchiato del peggiore dei crimini. Kaelee comprese, dunque, che era davvero la paura il fulcro della questione, ovvero quel freddo fantasma costantemente attaccato alla sua schiena, capace di raggelargli ogni muscolo.
Allora gli cinse il viso con entrambe le mani, per accarezzarlo dolcemente, in cerca del coraggio che sarebbe servito a entrambi per affrontare quella situazione, perché sapeva quanto fosse doloroso scendere nei meandri del passato di Guy e non aveva dimenticato le volte in cui ne era uscita a pezzi, seppur felice di averlo aiutato.
«Parlane con me, per favore. Cos'è che ti spaventa così tanto tutte le volte?», domandò con un tono che non era né pedante, né stizzito e che testimoniava la sincera volontà di capire, di abbattere quell'ultimo brandello di muro.
Lo vide e sentì prendere un profondo respiro prima che tornasse a guardarla e parlare, lasciandola con il fiato sospeso nel tempo trascorso tra l'una e l'altra azione.
«Temo di distruggere ogni cosa», ammise, accarezzandole le spalle.
Dovette lasciar passare diverse decine di secondi perché le fosse realmente chiaro il senso di quelle parole; secondi che le occorsero per fare mente locale e un tuffo nel passato di Guy alla ricerca del motore di quel tarlo. Ripensò a tutto ciò che, giorno dopo giorno, le aveva raccontato e si rese conto di quanto Guy si stesse colpevolizzando per avvenimenti che non erano totalmente dipesi da lui; conosceva bene la sua storia, ormai, e poteva facilmente intuire che Guy stesse andando avanti nella convinzione di essere esclusivamente lui stesso la causa del proprio e dell'altrui male, in quanto aveva fatto dei torti a Lady Marian, pur sostenendo di amarla; ce l'aveva sempre messa tutta per evitare di esprimere giudizi su una persona che non aveva neanche conosciuto, ma era difficile per lei tenere per sé l'idea che si era fatta di quella donna, dopo averne ascoltato la storia e le vicende di cui si era resa protagonista: per quel che ne sapeva lei, infatti, Marian non aveva mai avuto le idee chiare su cosa volesse esattamente, come se fosse attratta tanto da Robin, quanto da Guy – a differenza sua – perciò, anche se Gisborne aveva commesso un grave errore togliendole la vita, non era giusto che continuasse a tormentarsi a quel modo, pregiudicando anche il rapporto che aveva con lei. Quindi scosse il capo, contrariata.
«Come puoi pensarlo?», gli chiese, aggrottando istintivamente le sopracciglia.
«Guy... Nulla di orribile potrà mai accaderci», soffiò, addolcendo di nuovo i tratti «perché ti amo e tu ami me, non è così?».
«È così», le rispose senza esitare. «Ma ho paura. Ho paura che un giorno tu possa cambiare idea, che tu possa odiarmi, che tu possa abbandonarmi».
Kaelee sospirò mentre rifletteva su quella confidenza. Si pose le mani in grembo, come a volersi concentrare, e quando Guy spostò le proprie dalle sue spalle, le intercettò per poterle stringere e trovare ispirazione per le parole più adatte da dirgli. Non quelle che Guy avrebbe voluto sentirsi dire, ma quelle più vicine alla verità, le più realistiche; non quelle che lo avrebbero convinto a lasciarsi andare per soddisfare la voglia che Kaelee aveva di affrontare il passo successivo e appartenersi completamente, ma quelle che avrebbero allontanato per sempre la paura dal cuore di lui.
«Io non so cos'abbia in serbo per noi il futuro. So che siamo arrivati fin qui, percorrendo strade molto diverse, e che ci siamo incontrati. So che uno dei miei fratelli ci vuole morti, ma ho ancora la speranza di poter vivere un'esistenza felice. Non so quanto lunga sarà e proprio per questo sento di dover vivere appieno ogni istante con te e con Kate e con tutti voi che mi avete accolta con tanta ospitalità, qui a Locksley. Questo non significa che bisogna correre o avere fretta, né vuol dire che dobbiamo cedere troppo presto agli istinti anche quando non sono totalmente fuori luogo. Però, Guy, tu sei l'uomo migliore che potessi incontrare nel mio percorso di vita e sei l'unico con il quale io voglia condividere ogni cosa, perciò se non sarà con te non sarà con nessun altro. Sono consapevole di quanto la tua condizione sia diversa dalla mia, so che per te non è la prima volta, ma non mi importa. Sarà la prima volta con me, perciò non avere paura di niente, non più del necessario, non di perdermi, perché ho ragione di credere fermamente che non mi perderai mai per mia libera iniziativa e scelta. Eppure comprendo anche che domani Rudyard potrebbe colpirci e che potremmo... che potresti...», non riuscì a dirlo, ma Guy capì ugualmente e le strinse le mani. «E mi hai chiesto di sposarti ed io ti ho detto che voglio farlo, che lo farò se tutto andrà come deve e come spero che vada. Quindi lasciati andare, sentiti libero di farlo».
«Sei così giovane eppure così profonda», commentò Guy, stringendola poi in un abbraccio, «così saggia nella tua spontaneità, che a volte mi chiedo chi sia l'adulto tra noi due».
La pausa che seguì mandò quasi in tilt il cuore e la mente di Kaelee, che non riusciva a intuire la direzione dei pensieri dell'uomo.
«Una cosa mi è chiara come la luce del giorno», riprese. «Senza te non mi sarebbe stato possibile essere ciò che sono oggi, né avrei potuto provare tutte queste emozioni che tanto generosamente mi regali. Non posso prometterti che non avrò paura, posso però assicurarti che proverò a non averne», mormorò infine.
Kaelee non ebbe tempo né modo di chiedersi se ci sarebbe stato un "ma" da abbattere affinché Guy si decidesse a fidarsi ciecamente di lei, – che lo amava incondizionatamente, che lo amava per ciò che era e che nonostante fosse al corrente del passato di lui continuava a non considerarlo un assassino, un uomo malvagio, una persona da evitare – perché quando ancora nella sua mente risuonava l'eco di quelle parole, Guy iniziò a spogliarla senza distogliere gli occhi dai suoi.
«Fermami se cambi idea», sussurrò. «In qualsiasi momento. Prometti».
Kaelee deglutì senza riuscire a distogliere lo sguardo mentre il nastro che teneva uniti i due lembi della veste si scioglieva sulla sua schiena, lasciandone libera una porzione.
«Te lo prometto», disse in un soffio quasi inudibile a causa dei respiri che si spezzavano così presto da non lasciarle il tempo di riempire di ossigeno i polmoni.

Le parole che Kaelee gli aveva rivolto si erano presto rivelate un'ulteriore porta aperta verso la pace interiore cui stava cercando di arrivare. La donna non lo aveva del tutto convinto che fare l'amore con lei prima di sposarla e per di più al Maniero, con Robin e Archer nelle vicinanze, fosse la cosa più saggia da fare, ma era riuscita a portare in superficie con estrema facilità quella voglia che aveva di farla sua. Con se stesso aveva sbagliato tutto e la sua prima volta era stata con una donna che sapeva di non amare, una donna che aveva posseduto per puro divertimento e svago personale, su suggerimento di Vaisey il quale gliel'aveva procurata come premio per un compito che aveva portato correttamente a termine; ciononostante riusciva a dare il giusto valore a quell'atto d'amore che si apprestava a compiere per la prima volta con Kaelee, perciò voleva, almeno con lei, evitare di commettere errori. Ma non sarebbe stato uno sbaglio continuare a intralciare quello che pareva essere il percorso naturale delle cose? Non rischiava forse di deludere e allontanare Kaelee ostinandosi a rifiutarla, pur non volendo davvero farlo? Forse era davvero tempo di lasciarsi andare, quindi spostò una mano sul viso di Kaelee, così piccolo da stargli interamente nel palmo, fissandola forse con aria fin troppo seria, tanto che gli fu impossibile rilassarsi finché non fu abbagliato dal suo sorriso. Socchiuse gli occhi per pochi attimi ed ebbe la sensazione che ogni cosa vissuta fino a quel momento acquistasse significato, culminando in quell'atto d'amore che era forse il primo di tutta una vita. La morte dei suoi genitori, i meccanismi di difesa, il pesante segreto della relazione di sua madre con il padre di Robin, l'aver letteralmente venduto Isabella al miglior offerente, l'alleanza con Vaisey, il viaggio in Terra Santa, la scoperta di avere un fratellastro, ogni singola ferita inferta e subìta, tutte le umiliazioni provocate e subìte, i maltrattamenti perpetrati e subìti, le notti al Maniero per indispettire Robin e le notti in cella per aver fatto del male a sua sorella, tutto il tempo trascorso dietro al desiderio di potere e denaro, quando invece gli sarebbe bastato un pizzico d'amore per renderlo felice in eterno, tutto divenne più leggero sollevato da quel sentimento potente e devastante. Trentasei anni di vita si erano appena tuffati in un lago di caramello trovando, finalmente, un senso.

Persa nella delicatezza dei suoi gesti, Kaelee quasi non riusciva a credere che Guy avesse davvero scelto di tagliare la corda a quella benedetta campana che aveva in testa e, quando le accarezzò la guancia, travolgendola con un sorriso dolcissimo, per un attimo venne sfiorata dal dubbio che Gisborne avesse ragione. Le pareva che fino a quel momento fosse stata certa di voler intraprendere quella strada perché aveva l'intima sicurezza che Gisborne avrebbe posto rimedio per entrambi, se necessario; ma ora che Guy si manifestava disposto a lasciarsi andare completamente, ecco che tutte quelle campanelle che non si erano mai mosse fin lì, avevano iniziato a suonare tutte insieme. Cosa ne sapeva lei, in fondo, della vita e dell'amore se non quelle poche nozioni imparate sul campo negli ultimi mesi? Aveva abbastanza consapevolezza da poter affrontare le conseguenze della voluta intimità? E se non fosse stata pronta a vivere quanto stava per accaderle, come avrebbe gestito la situazione dal momento che per prima aveva fatto capire a Guy di essere sicura di ciò che voleva?
Mentre Gisborne la invitava dolcemente a stendersi, fu aggredita con prepotenza da tutti i timori che aveva evitato di considerare fino a quell'istante e che, forse, erano proprio quelli che avevano frenato Guy in precedenza: iniziò a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro dopo, se sarebbe stata all'altezza di lui, che direzione avrebbero preso i suoi stessi pensieri l'indomani mattina, cosa avrebbe detto a Kate; iniziò a valutare l'ipotesi di attendere il matrimonio e improvvisamente si rese persino conto che Robin e Archer erano a distanza molto ravvicinata e che non era poi così improbabile che si accorgessero di quanto avveniva nella stanza del fratello; si chiese se avrebbe provato dolore e quanto; fu assalita, poi, da una serie infinita di dubbi in merito all'atteggiamento che Guy avrebbe assunto in quel frangente; sarebbe stato gentile fino alla fine? L'avrebbe rispettata anche dopo? Sarebbe stato prudente?
Kaelee ebbe la conferma che non ne aveva parlato abbastanza con Guy nonostante ne avessero parlato moltissimo e, per la prima volta, si sentì fuori posto tra le sue braccia. Fu per lei una sensazione così orribile che sentì le lacrime pungerle gli occhi, perché non aveva mai ritenuto possibile sentirsi così con lui.
Gisborne, che – come Kaelee aveva notato – non aveva mai smesso di osservarla con attenzione, riuscì a capire subito che qualcosa in lei non andava, quindi si concentrò esclusivamente sul suo viso, facendola arrossire, facendola sentire una stupida ragazzina incapace di prendere una decisione.
«Mi hai fatto una promessa», sussurò sminuendo il lieve rimprovero con un sorriso.
Sospirò, arrabbiata con se stessa, delusa da se stessa, in conflitto con se stessa, mentre gli scostava una ciocca di capelli dal viso incredibilmente bello, constatando – sebbene non c'entrasse nulla con la situazione in corso – che l'età non aveva quasi per nulla inciso su di lui, – e ne era convinta anche se non aveva avuto il piacere di conoscerlo prima – fatta eccezione per qualche piccola ruga attorno agli occhi e sulla fronte. La realtà dei fatti era che Kaelee non sapeva da dove iniziare, non aveva idea di come fare a esprimergli le proprie paure senza rischiare di offenderlo.
Fu lui, ancora una volta, a incoraggiarla, a rimetterla su quella carreggiata che lei stessa gli aveva mostrato non molti minuti prima.
«Voi donne, e tu in modo particolare, siete per me un mistero. Complesse e affascinanti, incomprensibili e irresistibili. Ho spesso tirato a indovinare la direzione dei vostri pensieri, condizionando il tentativo con i miei desideri personali, e ho sempre sbagliato, perciò non commetterò lo stesso errore con te. Poco fa mi hai chiesto di parlarti delle mie paure, ti sei messa a mia completa disposizione senza che io ti abbia chiesto nulla, spontaneamente, ed è stato incredibilmente semplice mettermi a nudo. Non mi hai mai giudicato, neanche quando avevi tutto il diritto di farlo, non hai mai inveito contro di me e, anzi, con amore e pazienza sei riuscita ad abbattere tutte le barriere che, involontariamente, ho innalzato negli anni e nei confronti di chiunque, perfino dinanzi a chi voleva solo aiutarmi, come te, convinto che così mi sarei difeso dal mondo intero. Sbagliavo di nuovo, Kaelee, perché se è vero che non risentivo dell'intensità delle emozioni, è altrettanto vero che non vivevo. Quindi non prendermi come esempio, non innalzare anche tu barriere con me, perché non sono certo di avere la forza necessaria a riuscire in questa enorme impresa che tu, piccola e determinata creatura, hai portato a compimento. Parlamene, ti prometto di ascoltarti e di provare a comprenderti e aiutarti sebbene questo ruolo sia a me poco congeniale, ma ti amo e in virtù di questo so che farei qualunque cosa per te, sarei qualunque cosa», disse con voce quieta, che ebbe l'immediato effetto di rilassarla. «Se non ti senti pronta, dimmelo e ti terrò stretta a me per tutta la notte. Se ci hai ripensato, dimmelo e ne parleremo insieme. Sappi, però, che se vuoi, domattina saremo gli stessi di adesso, sappi che ti guarderò come ti guardo adesso, avrò sempre timore di sfiorarti, avvertirò sempre la tempesta ad ogni bacio e vorrò sempre tenerti per mano», aggiunse.
Quel tono di voce, pacato e rassicurante, colmo d'amore e di sincerità, ebbe un effetto benefico sui suoi nervi tesi. Senza neanche saperlo, Guy aveva indovinato con esattezza le domande che l'avevano stretta in una morsa tutt'altro che piacevole e, sebbene sostenesse di non essere un buon ascoltatore, si era rivelato un osservatore eccellente e aveva manifestato un'empatia che la colpì molto, facendo virare di nuovo i suoi pensieri. Se Guy era così in sintonia con lei, poteva voler dire soltanto che si appartenevano – pensava guardandolo e sospirando per l'ennesima volta. Si convinse che non avrebbe mai raggiunto un equilibrio con se stessa e sperò che questo non avrebbe inciso negativamente sulla sua relazione con Guy, in futuro, quindi si ritrovò a rispondergli tutt'altro rispetto a ciò che aveva sconvolto la sua mente.
«Prima o poi ti stancherai della mia volubilità», mormorò, scherzandoci su e facendo poi una sintesi di ciò che l'aveva tanto spaventata. «Stavolta, però, non ho cambiato idea», concluse.
«Non voglio che tu te ne penta domattina», rispose Gisborne, nuovamente serio.
Annuì. «Lo so e ti ringrazio per l'infinita pazienza che hai con me. Sono sicura che questo non accadrà, a meno che...», soffiò per poi avvampare. "Ed ora? Se gli dico che non voglio essere madre adesso, si offenderà? Penserà di me che sono una di quelle donne lì?", si chiese cercando aiuto e conforto negli occhi di Guy.
«Cosa stavi per dire?», chiese con un sorriso. «Non devi avere mai timore di dirmi qualcosa. A meno che tu stia per confidarmi un tradimento», scherzò, facendola ridere.
«Questo è impossibile», assicurò, per poi prendere un profondo respiro. «Conosco le possibili conseguenze di ciò che stiamo per fare, eppure non sono pronta a... a... ad essere...», disse, esitando e non riuscendo, di nuovo, a terminare la frase.
«Ogni cosa a suo tempo, te lo prometto», rispose, comprendendo evidentemente il senso di quella frase sconclusionata, cercandola per un bacio che lei ricambiò volentieri e che le fece battere forte il cuore.
Mentre pensava a cosa sarebbe quindi accaduto di lì a qualche istante, mentre rifletteva a come poter raggiungere di nuovo l'armonia che aveva spezzato facendosi assalire dai dubbi, sentì le mani di Guy scivolare con dolcezza sul suo corpo, riprendendo esattamente da dove erano rimaste.
Non avrebbe mai immaginato di potersi sentire così a proprio agio in tale intimità e nella consapevolezza che niente e nessuno avrebbe impedito loro, quella volta, di unirsi. Con una sicurezza di cui Kaelee non era per nulla convinta gli sfilò senza intoppo la blusa, sebbene le mani le tremassero, lasciandosi invadere dal calore della pelle di Guy a contatto con i propri palmi: non sarebbe mai riuscita a resistere alla tentazione di sfiorare quella pelle chiara e liscia. Seguì quindi una lunga serie di leggere carezze che condussero per la prima volta le sue dita al di sotto della vita di Guy. Benché avesse una vaga idea di come fosse fatto un uomo, avvampò nell'incontrare la sua intimità e fu tentata di ritirare le dita nel timore di essere stata troppo azzardata con quel gesto, perciò fu colta da un brivido che la scosse da capo a piedi costringendola a cercare un contatto visivo con Guy.
«Va tutto bene», la rassicurò in un sussurro.

Pur vivendo pienamente ogni gesto di lei, Guy era molto attento a ciò che traspariva dallo sguardo di Kaelee. Si era ripromesso di tenersi pronto a sostenerla in qualsiasi momento, perciò non smise mai di osservarne il volto. Mentre si lasciava privare da lei di ogni indumento, vide passare dagli occhi della donna che amava una quantità indefinita di emozioni che andavano dall'ammirazione al desiderio, passando per l'amore e l'imbarazzo; la trovò adorabile nella timidezza che trasmetteva quando, sfiorandolo, scostava le dita e contraeva le labbra temendo, probabilmente, di poter sbagliare.
Il contrasto in cui Kaelee viveva era sempre stato fonte di grande curiosità e attrazione in lui, – sebbene mostrasse istantaneamente un carattere determinato e forte, difficile da sopraffare e domare, era al contempo molto timida e delicata nel relazionarsi con gli altri – perfino in quel momento; Kaelee, infatti, non aveva smarrito la propria determinazione, – altrimenti non avrebbe potuto accarezzarlo a quel modo – ma in quel frangente era così sopraffatta dall'intera situazione da apparire incerta, quasi spaesata, bisognosa di continue rassicurazioni che lui era pronto ad offrirle.
Quando fu completamente nudo la vide serrare gli occhi e avvampare più di prima, così le accarezzò il viso con il respiro già alterato e il cuore in corsa, immaginando che anche lei fosse preda delle stesse sensazioni.
«Sono così brutto?», scherzò per alleggerire l'intensità delle emozioni.
Spalancando gli occhi e socchiudendo le labbra in un modo incredibilmente tenero e infantile, Guy la vide negare con vigore mentre premeva le dita sottili sui suoi glutei come non aveva mai fatto prima, pelle contro pelle, fuoco su fuoco.
«Sei bellissimo», soffiò con voce tremante.
Allora le sorrise e iniziò a sollevarle la veste, lunga fin quasi alle caviglie e già slacciata sulla schiena, con lentezza calcolata, senza alcuna fretta sebbene non desiderasse altro che poter sentire pienamente la sua pelle contro il proprio corpo. Dopo Annie, Guy non era più entrato in intimità con una donna dal momento che il suo cuore batteva per Lady Marian, la quale non aveva mai voluto neanche sposarlo, figurarsi andare oltre un bacio rubato, perciò – nonostante l'indubbia esperienza – era in piccola parte incerto, temendo di poter risultare rude o brutale. In effetti con nessuna delle altre donne con le quali era stato aveva dovuto preoccuparsi di essere gentile, delicato e dolce, considerandole sua proprietà e niente di più, non provando alcun sentimento che non fosse il mero desiderio di possederle, ma con Kaelee era tutto completamente diverso perché l'amava. Da quando l'aveva incontrata aveva provato sulla pelle una moltitudine di sensazioni diverse, una quantità infinita di sfumature per ogni singola emozione conosciuta, talmente tante da non essere neanche in grado di attribuire un nome specifico ad ognuna, e, in questa scala immaginaria, il desiderio occupava un posto del tutto marginale, sul fondo. Sarebbe stato scorretto negare a se stesso, ai suoi fratelli o a Kaelee, di sentirlo pulsare nel basso ventre ad ogni bacio, ad ogni carezza, ma Guy aveva la certezza che il desiderio non costituisse per lui un bisogno di vitale importanza, da soddisfare nell'immediato, non più, e ne era felice.
In sincrono perfetto con la stoffa che si arrotolava salendo lungo le gambe di Kaelee, Guy allungava le dita sempre più su lungo il corpo di lei con tocchi voluti, cercati, desiderati, a tratti stringendole attorno al polpaccio, sul ginocchio, sulla coscia e ancora sulle natiche quando fu necessario che Kaelee si sollevasse, affinché riuscisse a toglierle definitivamente l'indumento. Indugiò, quindi, sui fianchi e sull'addome liscio, che si contraeva ad ogni passaggio, apprezzandone la compattezza e la morbidezza.
Guy realizzò che Kaelee aveva avuto più ragione di quanto forse lei stessa si fosse resa conto di avere nel momento in cui gli aveva detto che anche se non era la prima esperienza per lui, lo sarebbe stata con lei; infatti si sentiva come se stesse amando per la prima volta una donna, forse proprio perché non aveva mai amato nessuno prima di allora.
Il continuo mordersi il labbro inferiore da parte di Kaelee, lo convinse a baciarla per porre rimedio ad una stretta che stava diventanto fin troppo forte per i suoi gusti; inoltre non gli dispiaceva affatto baciarla, perciò si dedicò a lei in tal senso con molto piacere.
Reggendosi sui gomiti fece poi scivolare le mani dai fianchi alla schiena, che poté finalmente sfiorare senza alcun impedimento, rendendosi conto che Kaelee pareva essere ancora più minuta e delicata mentre con le dita riusciva a sentirne le scapole e parte della colonna vertebrale. Possibile che una creatura tanto piccola fosse riuscita ad esercitare una forza tanto straordinaria su di lui da far crollare definitivamente quei brandelli di passato che ancora si ergevano sul suo cuore quando lei ci aveva messo delicatamente piede? E dove aveva trovato, lui, il coraggio di duellare con lei senza trattenersi? Come aveva potuto convincersi che lei non corresse alcun pericolo? Eppure, per quanto esile lei potesse apparire, appena Guy si soffermò nuovamente sulle braccia, sull'addome e sulle gambe, si accorse di quanto allenati fossero i muscoli di lei mentre spingeva le braccia lungo le sue fino a raggiungere la nuca e poi i capelli, che tirò con passione mentre si abbandonava al bacio. Lo costrinse perfino ad una leggera smorfia di disapprovazione mista a dolore quando lo strattonò, solo perché opponeva resistenza alla sua lingua. Guy non faticò a comprendere, pur non ammettendo giustificazioni, perché la madre di Kaelee avesse cercato di metterla in catene: una donna tanto intraprendente, autonoma, forte, decisa e ingovernabile era senz'altro un pericolo per una società in cui la figura femminile non veniva presa in considerazione come parte integrante del sistema; fu certo che se Kaelee avesse sposato l'uomo che sua madre aveva scelto per lei, avrebbe tentato la fuga il giorno stesso del matrimonio e, qualora non vi fosse riuscita, sarebbe stata capace di togliersi la vita pur di non sottostare a regole che riteneva ingiuste.
A corto d'ossigeno, dalle labbra si spostò sulla guancia, – che assaporò con lentezza – poi sul collo, – che leccò sensualmente con la punta della lingua per il solo gusto di sentirla sospirare e tremare tra le sue braccia – sulla spalla – che si azzardò a mordere piano – e sul petto – che baciò dolcemente – per risalire a ritroso, infine, passando anche per la gola e per il mento prima di raggiungere nuovamente la bocca. 

Completamente immerso nelle proprie emozioni, fu certo di non commettere niente di malvagio o di sbagliato amando quella ragazza che, fin da subito, lo aveva colpito e conquistato, che gli aveva rimesso in moto il cuore grazie alla notevole dose di entusiasmo che sempre si portava dietro. Negli occhi quasi dorati con cui lei lo guardava, Guy aveva infine trovato la pace tanto agognata, l'amica sincera che non era mai riuscito ad avere, l'amore da cui fino a quel momento era soltanto stato sfiorato; in una giovane donna, così minuta da sembrare fragile, così diversa da come aveva immaginato la persona con la quale avrebbe condiviso tutta una vita, aveva scoperto una forza d'animo che faceva di lei tutto ciò che lui non era stato capace di essere, una determinazione che le aveva impedito di crescere infelice, una positività che aveva mantenuto intatta l'inclinazione al bene e che lo aveva guidato in quella stessa direzione, tenendolo dolcemente per mano; nell'ostinazione di lei, negli occhi grandi sempre colmi di emozione, sempre sinceri e trasparenti nel loro muto parlare, nella delicatezza che gli riservava e nella risolutezza con cui impugnava la spada, nell'intensità con cui lei viveva ogni cosa, Guy aveva conosciuto l'amore vero – quello stesso amore che teneva Robin ancora legato a Marian nonostante lei non fosse più su quella Terra. Nel giro di un tempo brevissimo, Guy si era reso conto di provare qualcosa di veramente forte e puro per lei e da quel momento in poi non gli era stato in alcun modo possibile nascondere quel sentimento, nemmeno di fronte ad una considerevole differenza di età, neanche dinanzi alla prospettiva di metterla a conoscenza del proprio disastroso passato, neppure davanti ad una famiglia che non avrebbe mai accettato la loro relazione.


Kaelee aveva ormai la costante sensazione di poter prendere fuoco da un momento all'altro, perché il contatto diretto della pelle con quella di lui era qualcosa di così intenso che, se anche ci avesse provato impegnandosi, non sarebbe riuscita a descrivere nel dettaglio e degnamente; per non parlare di quelle dita che tastavano sapientemente il suo corpo, – come nessuno aveva mai fatto prima e come nessun'altro avrebbe fatto da quel momento in avanti – o dei baci, che l'avevano spinta a cercare per prima la lingua di lui. Era certa di essere ad un passo dal perdere il controllo di ogni freno possibile e l'unica cosa che le era davvero chiara era quanto fosse oltremodo piacevole condividere quel momento con Guy, così come sapeva che presto non avrebbe potuto più farne a meno, come già accaduto con i baci d'altronde. Si sentì sovrastata dall'imponenza di Gisborne, ma anche protetta in quell'abbraccio che la avvolgeva completamente, cancellando ogni timore e facendola sentire totalmente amata. Per quanto potesse sembrarle incredibile, Guy pareva davvero convinto che proprio lei fosse destinata a renderlo un uomo felice e questo, per Kaelee, era di fondamentale importanza. 
Da quando aveva compreso che l'uomo provava sentimenti molto profondi per lei, non aveva fatto altro che amarlo apertamente con tutta se stessa, desiderando solo di vederlo sorridere sempre, volendo semplicemente che fosse sereno e che vivesse un'esistenza in pace con se stesso, con i suoi amici e con gli abitanti di Locksley.
Kaelee aveva appoggiato delicatamente le labbra al di sotto della sua clavicola, quando, con una naturalezza e semplicità disarmanti, il corpo di lui si fece spazio in lei.
Ebbe la sensazione di fluttuare o galleggiare, mentre percepiva se stessa più che mai in quell'incastro perfetto, quasi che in precedenza non si fosse mai davvero accorta di quella parte del suo corpo che, in quel frangente, le donava un calore quasi insostenibile ed un piacere sconosciuto, ma altrettanto intenso; tanto che tutte le domande che si era posta svanirono dinanzi alla consapevolezza che fare l'amore con la persona amata era quanto di più naturale e bello potesse accadere tra un uomo ed una donna.
Se Guy non avesse sussurrato il suo nome, mentre lei faceva i conti con un armonioso disordine di pensieri, probabilmente avrebbe finito per perdersi in tutta quella luce, in quel benessere che invadeva ogni singola fibra del suo corpo. Si domandò se fosse quella la definizione più corretta di felicità, ma non si soffermò a cercare la risposta, tanta era la voglia di vivere totalmente quel momento insieme a Guy. Nel sentire la voce dolce e profonda dell'uomo, vibrò sotto di lui prima di baciargli il collo con amore.
«Sono qui», mormorò senza temere di risultare banale, ovvia o addirittura sciocca.
«Resta con me», soffiò lui, con voce rotta dall'emozione.
«Per sempre», gli rispose.

Kaelee non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando Guy l'aveva stretta tra le braccia e accolta sul petto, né aveva tenuto il conto di tutte le volte che l'uomo aveva sussurrato il suo nome dichiarandole i propri sentimenti, coprendola con milioni di tenere carezze e rassicurandola in ogni modo possibile.
L'unica certezza che aveva era di essere più felice che mai.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 12/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

A sorpresa, questa è stata una delle scene emotivamente più difficili da scrivere e descrivere senza rischiare di perdere la magia del momento così come io lo avevo immaginato. Ammetto di aver incontrato non poche difficoltà, stavolta, a scendere nell'introspezione di Guy che sembrava proprio non volersi aprire con me, come invece ha fatto con Kaelee.
Ancora adesso, quindi, (perfino dopo la revisione) non sono pienamente convinta di aver reso onore al legame dei due protagonisti, ma lo ritengo comunque un buon compromesso tra un pessimo risultato ed un ottimo risultato.
Veniamo dunque alle precisazioni per chi tratta la storia come un'originale – e ringrazio sentitamente tutti quanti si stanno impegnando in tal senso.
Quando Gisborne attribuisce l'appellativo "arrogantello" a Robin, aggiungendo che vuole fare sempre di testa sua, vuole fare un velato riferimento ad un episodio particolare della loro infanzia – a Locksley si stava festeggiando e c'era da issare una ruota, cui erano precedentemente stati fissati dei giochi pirotecnici; tanto a Robin quanto a Guy, entrambi ragazzini, era stato impedito di usare arco e frecce per incendiare i fuochi, quindi quando Robin si impunta, Guy gli strappa la freccia di mano, ma Robin gliene ruba una, ne accende la punta e la scocca verso i fuochi pirotecnici, incendiandoli prima del tempo e dando luogo ad una piccola tragedia: chi stava issando la ruota, ustionato dalle scintille, la lascia cadere e questa finisce addosso al parroco, che rimane gravemente ferito; la colpa viene attribuita a Guy, perché l'impennaggio della freccia scoccata appartiene inequivocabilmente a lui, e qualcuno ne propone l'uccisione immediata, evitata grazie al salvataggio del parroco per mano della madre di Guy. Per i curiosi, l'episodio di riferimento è il 3x10: "Bad Blood - Sangue Cattivo".
Tutto ciò che riguarda il passato di Guy è tratto direttamente dalla serie tv, oppure liberamente dedotto da piccoli dettagli; ciò che mi sono completamente inventata è, invece, l'intervento dello Sceriffo nel matrimonio combinato per Isabella. Ciò che mi ha condotta verso questa possibilità è stata la presentazione di Guy nel flashback riguardante il passato suo e di Robin: Gisborne era tutt'altro che un adolescente maligno, perciò ho dovuto cercare la causa del suo mutamento – che è poi il perno attorno cui ruota la successiva redenzione – e l'ho trovato in Vaisey. La serie tv non dice nulla in merito al destino di Guy ed Isabella dopo la morte di entrambi i genitori e la conseguente fuga da Locksley, perciò ho immaginato che a furia di girovagare Guy abbia incontrato Vaisey (che nella serie tv sostiene che Guy è stato come un figlio per lui) e che lui, per qualche ragione, abbia voluto accoglierlo insieme a sua sorella a Nottingham.
Attendo con curiosità il vostro parere, ringraziandovi sempre per il tempo che mi dedicate.
Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Una Questione di Dettagli ***


Una Questione Di Dettagli


Una Questione di Dettagli

Nottingham.
Quando si svegliò, per un attimo convinta che fosse l'alba, aveva la vista offuscata e la testa dolorante sebbene fosse certa di non aver esagerato con il vino la notte precedente. Anzi, se si sforzava di andare oltre a quel mal di testa insopportabile, riusciva a ricordare che l'allenamento del pomeriggio precedente era stato molto duro, tanto che a cena aveva mangiato poco per poter andare immediatamente a letto. Che avesse dormito troppo?
Provò a sbattere le palpebre e la vista parve migliorare a differenza del dolore lancinante al capo, tanto intenso che perfino gli occhi sembravano pulsarle mentre scopriva di avere anche uno stretto bavaglio sulla bocca, che a stento le consentiva di respirare, delle corde attorno ai polsi e un aguzzino dalla faccia familiare a tenerla d'occhio. Per essere un incubo era fin troppo realistico e qualora non lo fosse, Kaelee proprio non capiva come avesse potuto finire in quella situazione. Strinse le palpebre tentando di mettere a fuoco, ma non le riuscì di abbinare a quel volto un nome.
Che fosse l'ennesimo scherzo di quella banda di pazzi? Sarebbero arrivati perfino a legarla pur di dimostrarle qualcosa?
Arrendendosi a tenere chiusi gli occhi, nella speranza di potersi sentire meglio, comprese che qualcosa doveva essere successo tra la notte di sonno al Maniero e quel preciso momento, eppure, per quanto ci provasse, il tentativo di ricordare ciò che le era accaduto e mettere a fuoco ciò che le stava accadendo si rivelava costantemente un inutile sforzo, che incideva negativamente sul già martellante male alle tempie.
Né le riuscì di capire dove avesse visto il carceriere prima di quel momento, avendo la sola certezza che non si trattava di uno degli uomini della cerchia ristretta di Robin Hood. Poteva essere un suo allievo, però, ammesso che l'ipotesi di un rapimento da parte di Robin potesse davvero essere presa in considerazione, perché, viste le condizioni in cui si trovava, la situazione pareva rispecchiare un sequestro di persona in piena regola. Che si trattasse di un piano per smascherare Rudyard? Ma perché non metterla al corrente prima, se Robin o chi per lui intendeva usarla come esca? E Guy, che aveva fatto un mucchio storie quando lei aveva voluto recarsi a Nottingham per raccogliere informazioni, lo avrebbe mai permesso?
"La testa. La testa mi sta scoppiando", si disse mentre tentava di liberarsi delle corde, scoprendo invece che ogni movimento era una nuova fitta ai polsi e una dose in meno di aria per i suoi polmoni, così come ogni pensiero si rivelava un chiodo immaginario nella testa già messa duramente alla prova.
Fu quindi più semplice lasciarsi andare che lottare, senza alcuna arma, contro uno spietato nemico senza identità.


Piazza del Mercato, Locksley.
Non era ancora ora di pranzo quando Allan, prendendosi una pausa dal raccolto, si recò al pozzo per una rinfrescata.
Il Sole splendeva su Locksley quel giorno, il raccolto prometteva molto bene, da Edwinstowe erano giunte ottime notizie in merito all'operato di Dwight e dei suoi alleati, perciò Allan ebbe davvero l'impressione che sarebbe stata una giornata meravigliosa, finché si accorse di un dettaglio inequivocabile che lo indusse ad una corsa sfrenata fino a Robin Hood.
Robin, infatti, anche se di fatto non esisteva più una banda di fuorilegge, aveva mantenuto il ruolo di leader: ovvero era quell'uomo sul quale fare affidamento per quasiasi cosa e al quale riferire tutto ciò che appariva fuori dal normale, costituiva il punto di riferimento non soltanto per quelli che erano stati, ed erano ancora, i suoi uomini, ma anche per l'intero villaggio. Perciò se un artigiano decideva di aprire una bottega, chiedeva consiglio a Robin; se una donna aveva intenzione di maritare la propria figlia, chiedeva consiglio a Robin; se un giovanotto desiderava imparare un mestiere, chiedeva consiglio a Robin. Perché era molto più che un semplice eroe, lui era una leggenda vivente e aveva la fiducia di chiunque lo conoscesse, direttamente o indirettamente.
L'unica differenza rispetto ai tempi in cui la banda viveva nella foresta di Sherwood, era la presenza di Guy e Archer, che lo affiancavano e sostenevano nelle decisioni e nell'amministrazione, senza provare per lui invidia o gelosia; sebbene Robin non fosse il maggiore dei Tre, – e quindi, secondo usi comuni in diverse parti del mondo, colui al quale di diritto spettava il comando – la fiducia che la popolazione e gli uomini a lui vicini nutrivano nei suoi confronti faceva di lui la miglior guida che si potesse desiderare.
Ragion per cui Allan non avrebbe potuto recarsi da altri per discutere di quanto aveva appena rinvenuto in prossimità del pozzo e che gli aveva fatto rizzare i capelli sulla testa, quindi, scoperto che l'arciere non era al Maniero e saputo dove si trovava da uno degli uomini che si occupavano di mantenere in ordine l'abitazione, schizzò via a tutta velocità.

Radura del Cavaliere, Sherwood.
Robin e Archer si trovavano in una delle radure, generoso regalo della foresta, per esercitarsi al tiro con l'arco insieme ai quattro ragazzi che si erano dimostrati più abili in quella disciplina da quando i due fratelli avevano dato il via alle lezioni. L'intento era di fare di loro degli arcieri scelti, in grado di difendere il villaggio e la città meglio di chiunque altro, ma anche capaci di insegnare a loro volta quell'arte ad altre persone, così da estendere la rete.
Sostanzialmente i due fratelli avevano fondato una scuola a tutti gli effetti e ne erano più orgogliosi che mai, soprattutto perché grazie a questa attività comune Robin e Archer avevano familiarizzato molto più in fretta di quanto entrambi avrebbero mai potuto credere, anche se, con ogni probabilità, avrebbero socializzato ugualmente visto che Archer aveva legato anche con Guy, sebbene lui non si dedicasse ad impartire quel tipo di lezioni.
In particolare Robin era felice di aver trovato qualcuno che lo facesse sentire parte di una famiglia. Aveva perso sua madre che era molto piccolo e aveva creduto morto suo padre per moltissimi anni prima che tornasse ad informare lui e Gisborne dell'esistenza di Archer, perciò era cresciuto tra gli abitanti di Locksley senza avere una famiglia tutta sua; tuttavia era stato capace di intravedere una possibilità in Lady Marian, prima che venisse uccisa togliendogli quasi ogni speranza. Aver saputo dell'esistenza di Archer aveva cambiato moltissime cose a partire dall'alleanza con Guy, grazie alla cui collaborazione era stato possibile distruggere lo Sceriffo e il suo macabro regno di sofferenza e morte.
Proprio l'ultima battaglia contro Vaisey aveva aperto gli occhi a Robin e ai suoi su quanto importante fosse, per un piccolo villaggio, essere dotato di un gruppo di uomini istruiti all'arte della guerra. Che fosse con una spada o con arco e frecce era di relativa importanza: fondamentale era che sapessero difendersi, oltre che essere esperti nella coltivazione di un terreno e nella gestione di un maniero o di una bottega di artigianato. Questa era la ragione che aveva spinto Robin in direzione di un addestramento collettivo; che poi disponesse anche di uno dei migliori spadaccini che avesse mai incontrato in vita sua, era un gran bel colpo di fortuna per lui e per la popolazione di Locksley e Nottingham ed era andato da sé coinvolgere Gisborne in un progetto simile e parallelo – Guy infatti, sebbene si occupasse con la massima priorità di Kaelee e avesse iniziato proprio con lei, aveva poi organizzato, proprio con la ragazza, un primo gruppo di volontari che non amavano particolarmente l'arco e le frecce – e se le cose fossero andate come Robin immaginava, ben presto si sarebbe parlato di Locksley e di Nottingham in tutta l'Inghilterra non soltanto per il gruppo di fuorilegge che aveva lottato con coraggio contro il Principe Giovanni e in favore della giustizia e del Re, ma anche per l'impeccabile organizzazione di un piccolo grande popolo, che avrebbe costituito un esempio per tutti. Robin ci sperava, desiderando un'Inghilterra sempre libera e forte.
Fu nel bel mezzo dell'esercitazione che apparve Allan, affaticato quanto preoccupato, rischiando perfino di essere colpito da una freccia già scagliata da un giovane arciere che per poco non svenne all'idea di poter anche solo ferire un uomo della cerchia ristretta di Robin, il quale fu quindi costretto a rassicurarlo, con la mente già rivolta al possibile evento scatenante. Non fu difficile pensare subito a Rudyard.
«Sono io! Fermi! Fermi!», urlò Allan, senza però smettere di correre verso Robin. «Abbiamo un problema», ansimò, consegnando infine nelle mani di Robin un brandello di pergamena.
«Perché dovremmo essere spaventati da quella pezza vecchia?», chiese Archer con ironia.
«Non per fare lo spiritoso, ma faresti meglio a leggere», ribatté Allan. «L'ho trovato vicino al pozzo e chissà da quanto tempo era lì», precisò.
«Aspettava solo di essere trovato da te, naturalmente», lo prese in giro Archer.
Prima che Allan potesse rispondere innescando un battibecco senza fine, Robin riprese suo fratello e gli chiese di occuparsi dei quattro giovani arcieri mentre lui si dedicava ad Allan, zittendo così entrambi e potendosi dedicare alla lettura.
Il messaggio si rivelò composto di poche parole scritte in bella grafia, che nulla di buono lasciavano sperare, perciò Robin comprese e giustificò senza indugio la fretta che Allan aveva manifestato nel volergli parlare immediatamente. Ritenne che fosse stato un bene – e forse anche non propriamente un caso – che, tra tutti, Allan avesse notato quella traccia, che non lasciava molti dubbi in merito al relativo mittente. Benché avesse commesso diversi errori, Robin non riteneva Rudyard uno sprovveduto, quindi non gli riuscì difficile ipotizzare che la collocazione della pergamena non fosse affatto casuale, come chiaro era, ai suoi occhi, l'intento del mittente di attirare esclusivamente l'attenzione di chi era avvezzo ad osservare i dettagli di ogni situazione, tanto più se strana o inusuale – categoria di persone, questa, in cui tutti gli uomini della banda rientravano perfettamente, a maggior ragione da quando si erano messi a dare la caccia al fratello di Kaelee. Inoltre erano di dominio pubblico i trascorsi degli uomini appartenenti al vecchio gruppo di fuorilegge e a Rudyard, dando per certo che il messaggio partisse da lui, sarebbe bastato prestare orecchio ad un paio di storie per individuare l'elemento migliore, tra gli uomini di Robin, che potesse servire al suo scopo di recapitare un messaggio senza esporsi personalmente. E chi, meglio di Allan, avrebbe potuto scovare con estrema facilità una traccia nascosta agli occhi dell'intero villaggio? L'uomo, infatti, com'era noto ai più, aveva lavorato per Gisborne mentre ancora viveva con i fuorilegge e questa collaborazione lo aveva reso ancor più sveglio di quanto già non fosse: Robin sapeva che, con l'ex braccio destro dello Sceriffo, Allan aveva all'epoca deciso di lasciare segni sulle travi all'esterno di una taverna di Nottingham, precedentemente concordata, – segni di cui, naturalmente, solo lui e Gisborne conoscevano il reale significato – quando c'era la necessità di incontrarsi per uno scambio retribuito di informazioni, e il fatto che nessuno della banda avesse sospettato di lui per diverso tempo dall'inizio dell'infelice alleanza con il nemico, stava a significare quanto scaltro fosse Allan, perciò Robin immaginò subito che il suo compagno d'armi non avesse dovuto nemmeno pensarci su per comprendere che quel pezzo di pergamena non era lì a caso e che non a caso nessuno l'aveva notato prima di lui. 
La sua espressione, quando terminò di leggere, attirò l'attenzione di Archer, – che aveva continuato fino a quel momento ad occuparsi dei quattro giovani, come lui gli aveva chiesto di fare – il quale gli si avvicinò per chiedere spiegazioni che lui preferì non offrirgli in presenza dei ragazzi di Locksley.
Fu proprio a loro che si rivolse subito dopo.
«Basta così per oggi. Tornate pure al villaggio e date qualche lezione ai più giovani, se non avete altri impegni. Avete tutta la mia fiducia», disse, congedandoli con un sorriso, come se nulla di grave fosse accaduto o stesse per accadere.
I quattro lo ringraziarono sentitamente e sparirono veloci nella foresta in direzione del villaggio, senza fare alcuna domanda in merito all'incursione di Allan, sicuramente orgogliosi di essere entrati nelle grazie di Robin Hood, che sempre riusciva a entusiasmare l'animo dei più giovani e guadagnarsi la loro ammirazione.
«Allan, cerca Tuck e John. Archer, tu va' da Much e Kate e fai in modo che si liberino da qualsiasi impegno abbiano. Io devo trovare Guy. Vediamoci al Maniero», organizzò velocemente, appena fu solo con i suoi uomini, con la razionalità che un pianificatore doveva sempre avere, ma con l'anima in subbuglio per la notizia che avrebbe dovuto condividere con suo fratello maggiore qualora non avesse trovato Kaelee insieme a lui.
«Fratello, si può sapere che succede?», chiese Archer.
«Sospetto che Kaelee non si trovi a Locksley», tagliò corto, ribadendo poi a entrambi di correre veloce come il vento.


Nottingham.
«Svegliati!», ringhiò una voce che Kaelee scoprì non corrispondere alla faccia familiare che aveva visto precedentemente, anche se non aveva ben chiaro a cosa corrispondesse, esattamente, il termine "precedentemente". Aveva, infatti, perso il senso del tempo e dello spazio, per nulla aiutata dall'ambiente buio in cui si trovava suo malgrado; in compenso, però percepì chiaramente che il dolore ai polsi sarebbe aumentato con lo scorrere dei minuti anche se fosse rimasta immobile di lì alla fine della giornata, nottata o quel che era; la testa, invece, andava meglio e questo le consentì di provare a mettere a fuoco la situazione.
Quella che, a rigor di logica, doveva essere la stessa mattina, ricordò, si era svegliata tra le braccia di Guy, aveva fatto colazione al Maniero con lui, Archer e Robin, poi li aveva salutati ed era uscita per le quotidiane mansioni che prevedevano una visita a Tuck e al suo orto, – per informarsi in merito alla coltivazione della rapa, che proprio non voleva crescere nel piccolo giardino del fabbro – un salto dal fornaio e una visita all'orfanotrofio dove avrebbe certamente incontrato John e il piccolo John, che le stava tanto simpatico.
Non riuscì, però, nemmeno a stabilire se fosse mai arrivata da Tuck, perciò non capì come si fosse trovata legata e imbavagliata, né per mano di chi anche se, in effetti, non era poi così difficile da indovinare, dato che era abbastanza improbabile, ormai, che si trattasse di uno scherzo ad opera di Archer – che lei riteneva una sorta di giullare di corte. Guardandosi intorno realizzò, inoltre, di essere molto più in basso rispetto agli uomini messi a guardia, quindi arrivò facilmente alla conclusione di essere parzialmente distesa per terra – il che spiegava l'indolenzimento generale che la infastidiva.
Dovette sbattere più volte le palpebre, contrarle e risollevarle lentamente prima di poter riconoscere il volto abbinato alla voce poco gentile che l'aveva scossa da una sgradita perdita di coscienza e quando la consapevolezza arrivò, tornò anche la voglia di combattere, ribellarsi, opporsi. Poco importava il male ai polsi e ancor meno la fastidiosa pulsazione nelle tempie. Persino la nausea che l'assalì quando provò a tirarsi su, seguendo un moto di istintiva conservazione, non arginò la rabbia che provava in quel momento e che le impediva di chiedersi come diamine avesse fatto quell'essere immondo a mettere a segno un colpo del genere e con chi si fosse coalizzato per ottenere un risultato così vincente.
Non potendo rivolgere all'uomo tutti gli insulti che conosceva, si limitò a minacciarlo con uno sguardo carico di un odio che non aveva mai provato per nessun essere vivente prima di quel frangente, neanche per sua madre, quando le aveva detto che presto avrebbe sposato un uomo molto conveniente per tutta la famiglia; nemmeno quando Robin, Guy e Kate le avevano giocato quello scherzo di pessimo gusto; nemmeno quando Rudyard si era presentato a Locksley con Willard e nemmeno quando suo fratello aveva provato a uccidere Guy.
Ciò che animava il suo cuore mentre guardava l'uomo che aveva davanti era quel tipo di odio misto a rabbia, preludio di un cieco istinto omicida che nessuno, o forse una sola persona al mondo, avrebbe potuto fermare. Se solo avesse avuto i polsi liberi, Kaelee gli avrebbe già rotto il naso.
«Siamo debolucce eh?! Ah, Kaelee... L'ho detto, io, a nostra madre che non sei buona a dare un figlio al tuo futuro marito! Niente fianchi! Niente seno! Che razza di donna sei, mh? Sei così inutile!», esordì, scuotendo il capo.
Fu tanto il disgusto che provò per quell'uomo che abbassò lo sguardo.
«Ehi! Non è il momento di dormire, stupida ragazzina. Voglio che tu sia lucida quando trapasserò il cuore di Gisborne con la tua spada. Voglio che tu lo veda morire», disse con una cattiveria che, forse, riuscì a intimorire chiunque altro fosse nella stanza insieme a loro, ma non lei che invece di tremare di paura come probabilmente quel bruto si aspettava, gettò lo sguardo in cerca di altre figure umane attorno a lei. Stando a quanto aveva scoperto insieme alla banda, Rudyard doveva avere due uomini dalla sua parte, ma in quel momento poté vederne soltanto uno che, considerata la posa rigida, sembrava se la stesse facendo sotto; tanto bastò a rimetterle in moto il cervello: perché il complice di un rapimento dovrebbe manifestare confusione dinanzi ad una situazione come quella in atto? Si aspettava forse che avrebbero bevuto vino tutti insieme decidendo la cifra del riscatto? Non c'era alcuna ragione logica ad un simile atteggiamento, eppure ciò che Kaelee vide sul volto dell'uomo, – lo stesso che era presente quando si era svegliata la prima volta – era senza dubbio incertezza.
«Potrei perfino decidere di costringerti ad infilzarlo tu stessa e sarebbe così teatralmente perfetto! Ma prevedo una rivoltante scenetta d'amore», commentò con un tono a dir poco irritante e degno di un folle. «Poi, in ogni caso, farò lo stesso con te. Non dispiacerà a nessuno se tornerai cadavere a Edwinstowe», aggiunse ridendo di gusto, come se qualcuno avesse appena detto qualcosa di molto divertente, e pareva non importargli affatto essere l'unico tra i presenti a trovare la situazione tanto esilarante.
Più Rudyard parlava, più lei desiderava ucciderlo e più sul viso del complice a lei visibile aumentava lo sconcerto. Che avesse mentito alle persone di cui si era circondato, raccontando qualcosa di completamente falso, e che loro gli avessero creduto e si trovassero ora in una posizione decisamente scomoda? A questi interrogativi Kaelee non poteva avere risposta nell'immediato e non erano certo la sua preoccupazione più grande dal momento che suo fratello aveva chiamato in causa Gisborne, includendo nella stessa frase termini come "spada" e "infilzare": se non avesse trovato in fretta il modo di evadere dalla sua prigione, avrebbe innescato una carneficina, perché non le passò nemmeno per l'anticamera del cervello che Rudyard intendesse lasciare in vita i suoi complici.


Maniero di Robin, Locksley.
Trovato Guy, accertatosi che nessuno avesse visto Kaelee quella mattina e che non si trovasse neanche con Gisborne, Robin non riuscì a mascherare il peso che lo affliggeva da quando Allan gli aveva portato quella pergamena. Ebbe soltanto la forza di invitare suo fratello a seguirlo fino alla Collina delle Croci – un luogo lontano da occhi e orecchi indiscreti, tranquillo e ideale per qualunque tipo di intima confidenza o dramma esistenziale, ma soprattutto congruo a qualunque fosse stata la reazione di Gisborne dal momento che quest'ultimo era notoriamente istintivo e razionale quando era sentimentalmente o emotivamente coinvolto in qualcosa – dove, evitando troppi giri di parole, rivelò a suo fratello il motivo per cui di lì a poco avrebbero raggiunto gli altri al Maniero e avrebbero organizzato un piano che per nessuna ragione al mondo contemplava un fallimento.
L'assoluto silenzio che per mezzo minuto era seguito alla sua rivelazione appena sussurrata, perché spezzare consciamente il cuore ad un uomo cui aveva imparato a voler bene non gli piaceva affatto, fu rotto dal feroce urlo di Gisborne, il quale sarebbe andato da solo e perfino disarmato a Nottingham se lui non l'avesse trattenuto nella stretta più salda di cui era capace, anche se non fu semplice vista l'enorme forza dei muscoli dello spadaccino.
A Robin non faceva piacere assistere alla sofferenza di Guy, – sebbene per diverso tempo non avesse desiderato altro che vederlo in preda alla disperazione più atroce – non gli faceva piacere sentire il dolore nella sua voce e vedere quello stesso sentimento negli occhi limpidi di lui; Robin era abituato ad un Guy fiero anche nella sconfitta, ad un uomo che non si fermava davanti a niente e nessuno, ad un uomo che lo aveva pregato di ucciderlo per aver tolto la vita a Marian quando lui aveva, invece, deciso di regalargli una nuova cicatrice sulla guancia, costringendolo ad espiare in vita le sue colpe e a tormentarsi nei rimorsi, dato che quell'assassino pareva avere un cuore (*); doverlo vedere tanto fragile, quel giorno, gli riportò alla mente quando erano rimasti feriti a Nottingham, il giorno di quell'ultima battaglia che aveva rischiato di ucciderli entrambi. Quel giorno Robin aveva creduto di aver perso Gisborne quando lo aveva visto abbattersi a terra, dopo essere stato colpito da Vaisey, così si era avvicinato a lui, appena possibile, e lo aveva sollevato con una delicatezza che non aveva mai pensato di poter destinare ad un uomo come Sir Guy di Gisborne, che lo aveva distrutto in tutti i modi possibili, sostenendogli la schiena e la testa, scostandogli i capelli dal volto sporco di sangue e terra per scoprire, così, che era vivo. Era stata la prima volta in cui aveva scorto negli occhi del suo vecchio nemico qualcosa di completamente nuovo: l'umanità, la riconoscenza, la fiducia.
Robin non aveva mai dimenticato quello sguardo colmo di lacrime e quella voce, non più di un sussurro, che lo aveva ringraziato, né quella mano che aveva cercato la sua in un gesto di definitiva riappacificazione, perché in quei pochi istanti aveva finalmente visto ciò che Marian diverse volte aveva provato a raccontargli; aveva finalmente ricordato che Sir Guy di Gisborne era il giovane adolescente che non aveva fatto la spia quando lui aveva combinato quel disastro durante la festa, a Locksley, uccidendo quasi il parroco e lasciando che Guy venisse quasi impiccato davanti ai suoi occhi. Ricambiando la stretta di Gisborne, Robin aveva ricordato che erano amici, un tempo, e che poi Gisborne si era perso senza che lui potesse far nulla per ricondurlo sulla strada giusta; e quando Guy gli aveva detto che grazie a lui poteva andarsene in pace, Robin aveva quasi voluto prenderlo a schiaffi e, con quanta determinazione aveva in corpo, gli aveva risposto che non l'avrebbe permesso (**).
«Risolveremo la questione», mormorò facendoglisi vicino, senza forzare un contatto che non era certo Guy desiderasse da lui; invece, un istante più tardi, lo vide cadere sulle ginocchia e non poté fare a meno di chinarsi per stringerlo in un abbraccio silenzioso.
«È tutta colpa mia. Non dovevo lasciarla uscire da sola», disse Gisborne diversi minuti più tardi.
«Non ha importanza di chi sia la colpa. Ciò che conta, adesso, è riportarla a casa», gli rispose, risoluto, obbligandolo a rialzarsi per raggiungere Locksley.

Quando lui e Guy arrivarono al Maniero, il secondo aveva ormai almeno in apparenza superato la prima, disastrosa, fase di quella situazione.
Gli altri del gruppo erano già lì in attesa del loro arrivo e perfino Alice, la moglie di John, aveva chiesto di poter essere presente, perché non voler bene a Kaelee era impossibile e tutti erano davvero disposti a dimostrarsi solidali nei confronti di Gisborne, dando anche disponibilità nel caso in cui si arrivasse ad uno scontro fisico con Rudyard, che aveva osato spingersi così oltre, sfidarli così apertamente.
Come Robin poté constatare a discussione avviata, ciò che faceva infuriare molti dei suoi uomini – Kate, Allan e naturalmente Guy più di chiunque altro – era che, nonostante tutte le precauzioni prese, il fratello di Kaelee era comunque riuscito, almeno in parte, nel suo intento e aveva, di fatto, rapito la ragazza sotto ai loro occhi e nasi per farne chissà cosa, perché, come aveva fatto giustamente notare Kate, nessuno di loro sapeva quando esattamente Rudyard aveva agito e dove si trovasse insieme a sua sorella.
Ciò che invece preoccupava lui e John era lo stato di totale incertezza in cui l'intero gruppo si trova in quel frangente; oltre a non sapere nulla in merito al piano architettato ad arte, evidentemente, da Rudyard, oltre a non avere idea di dove lui e Kaelee fossero mentre al Maniero si provava a decidere il da farsi, – anche se, con ogni probabilità, Rudyard era ancora fermo a Nottingham dato che era appena trascorsa l'ora di pranzo – pendeva sulle loro teste una pericolosissima spada di Damocle attorniata da un numero indefinito di punti interrogativi.
La pergamena che Rudyard aveva fatto in modo che uno dei fuorilegge trovasse, – e anche se non si era firmato era ovvio pensare a lui – infatti, era una sfida in piena regola, se non un tranello; l'uomo aveva mandato a dire che se nessuno avesse trovato Kaelee entro il tramonto, Robin Hood e i suoi uomini non avrebbero più saputo niente di lei e se invece qualcuno di loro, cercandola, avesse avuto la fortuna di scoprire dove era tenuta nascosta, allora ci sarebbe stato un duello che non prevedeva la sopravvivenza del più debole.
Robin sapeva che, se fosse dipeso da Gisborne, appena terminata nuovamente la lettura necessaria ad informare tutto il gruppo, lo spadaccino si sarebbe fiondato a Nottingham per fare a pezzi Rudyard. Ancora una volta, però, cercò di farlo ragionare ed evitare, così, di peggiorare le già critiche condizioni.
L'arciere comprendeva alla perfezione lo stato d'animo di Guy e per primo si incolpava per quanto stava accadendo, dovendo ammettere che, nonostante avesse pianificato per bene e con astuzia la difesa di Locksley e del Maniero, c'era stata una falla nel sistema e che questa mancanza stava rischiando di risultare letale; eppure, proprio per questo, era il momento meno opportuno per perdere la testa e agire mossi da rabbia e violenza, perciò era necessario ricavare qualcosa di buono da quella disgrazia, così da poterla poi far pagare a Rudyard, una volta preso. Robin aveva perso già troppe persone lungo la via verso la libertà e non intendeva sacrificare altri amici, tanto più perché la sensazione, sia sua che di Tuck, era che Rudyard avesse architettato una trappola per uccidere tanto Kaelee quanto Gisborne, sicuramente certo del fatto che, tra tutti gli uomini di Robin Hood, fosse proprio Guy il più motivato a ritrovare la ragazza – e aveva ragione, perché se Guy non avesse avuto attorno a sé persone che tenevano alla sua incolumità sarebbe già caduto nelle mani di Rudyard.
«L'ultima cosa che devi fare è andare a Nottingham. Penseremo noi a trovarla», intervenne Robin quando Guy diede segno di essere di nuovo al limite.
«Ti aspetti davvero che me ne resti qui?!», urlò Gisborne, fuori di sé al punto che a tutti i presenti, stando ai loro sguardi sconcertati, sembrò di avere di nuovo a che fare con il vecchio Sir Guy a causa della voce profonda e roca, dello sguardo affilato, delle mani strette a pugno e delle labbra contratte, che lo facevano sembrare l'uomo malvagio di un tempo. Negli occhi, però, al posto della cattiveria c'erano sofferenza e preoccupazione, tormento e paura di perdere la persona amata, ed era così evidente che Robin vide Alice commuoversi mentre Kate stringeva il braccio di Much, nel tentativo di trattenere le lacrime, certamente preoccupata per la sua migliore amica e dispiaciuta per Guy.
Robin stava per rispondergli a tono quando Archer lo anticipò posando entrambe le mani sulle spalle di Gisborne, forse per sostenerlo in quel momento difficile o forse per tentare di placarlo, e si sentì orgoglioso di avere Guy come compagno d'armi e fratello acquisito nel momento in cui quello, anziché dare in escandescenze e aggredire il giovane Archer, prese a camminare, per smaltire la furia e non impazzire.
«Devo le mie scuse a tutti quanti voi», scandì poco più tardi, sforzandosi di arginare la rabbia perfino nel tono di voce. «Mi sento in colpa perché le ho promesso che l'avrei protetta ad ogni costo e invece ho fallito miseramente e questo mi fa infuriare», continuò soffiando come un gatto l'ultima parola. Poi, dopo una pausa, si rivolse ad Archer. «E me la prendo con chi non mi ha fatto nulla di male, come al mio solito. Perdonami, fratello», concluse, emozionando Robin che aveva una vaga idea di quanto costasse a Gisborne esporre i propri sentimenti così apertamente.
Archer gli sorrise comprensivo e gli diede una pacca leggera sulle spalle.
Per quanto tendenzialmente Robin fosse uno per nulla impiccione, aveva ben chiara la situazione dei singoli componenti del suo gruppo, perciò rivolse parte dell'attenzione vero Allan, il quale, per quanto si sforzasse, tradiva ugualmente una forte preoccupazione dagli occhi grandi fissi in uno stesso punto da diversi minuti, quasi che non si fosse neanche accorto di quanto era appena accaduto nella Sala Grande; perciò Robin comprese che l'infatuazione dell'uomo per Kaelee era più presente che mai in quel momento e pungeva più di una sottile lama puntata contro la schiena nuda, aggiungendo tensione al clima già teso, perché se Gisborne si fosse reso conto che i sentimenti di Allan per la giovane donna non erano mutati di una virgola, non sarebbe riuscito a mantenere la calma come aveva fatto, invece, in precedenza.
Dunque Robin prese un lungo respiro e pregò affinché almeno la banda restasse saldamente unita e collaborasse.
«Non posso lasciarti andare a morire come un idiota», rispose infine a Guy, con il tono fermo di chi non intendeva scendere a compromessi.
Si guardarono negli occhi per pochi istanti che sembrarono ore, tanto fu intenso lo scambio: con un solo sguardo si dissero tutto ciò che a parole l'orgoglio impediva loro di esprimere, ovvero che il passato non contava più nulla e che si consideravano ormai fratelli a tutti gli effetti, pur non essendolo, che si volevano bene dopo tutto e che nessuno di loro era disposto a perdere un'altra sola persona cara, perché ne avevano abbastanza di vedere morire amici e parenti.

«Qual è il tuo piano?», domandò allora Gisborne che, pur avendo la mente offuscata dal terrore di poter perdere per sempre la donna che amava, sapeva quanto Robin fosse abile nel pianificare le cose, osservando semplicemente la realtà dei fatti. Non lo aveva fregato un mucchio di volte pur essendo sempre in minoranza numerica? Certo le guardie dello Sceriffo non avevano mai brillato per intelligenza, eppure in venti contro uno Robin era riuscito ugualmente a scamparla. Quante volte lo aveva stordito e legato al tronco di un albero, nel bel mezzo di Sherwood? Aveva perso il conto ormai. Inoltre era stato lui, in fin dei conti, a partorire l'idea che aveva permesso loro di tirare Archer fuori dai guai a York; ed era stato ancora lui a svuotare più volte le casse dello Sceriffo, a rubare la corona che avrebbe consentito al Principe Giovanni di diventare Re con l'inganno; era stato lui a scappare più di una volta dal Castello senza essere visto dalle molteplici guardie dello Sceriffo ed era stato lui a liberare Nottingham dall'oppressione di Vaisey.


Nottingham.
Man mano che riacquistava lucidità, la sua preoccupazione per Gisborne – più che per se stessa – saliva, si ingigantiva e la tormentava con ipotesi di scenari davvero poco rassicuranti.
Se Kaelee conosceva bene l'uomo che amava, non le risultava molto difficile credere che Guy sarebbe impazzito appena avesse saputo cosa aveva combinato Rudyard, così come sapeva che, se nessuno l'avesse fermato, sarebbe corso a cercarla senza pensarci su neanche un attimo, andando così incontro a morte certa; con questa conclusione Kaelee non pensava che Guy non fosse in grado di vincere in duello contro Rudyard, anzi, se un duello regolare tra loro fosse avvenuto, certamente suo fratello ne sarebbe uscito perdente, ma la situazione era del tutto differente da quello scontro ideale e senza imbrogli: Guy, infatti, probabilmente, nel caos di pensieri e nella fretta di liberare lei, non avrebbe riflettuto sulle reali intenzioni di Rudyard, il quale intendeva uccidere anche lui; o se pure lo avesse sospettato, considerata l'aggressione notturna subìta, avrebbe ugualmente perso la testa prima di riuscire a ragiornarci sopra.
Kaelee nulla sapeva del modus operandi di suo fratello – non aveva idea di come avesse fatto a rapirla, introducendosi a Locksley senza essere visto oppure delegando uno dei suoi due uomini o, ancora, reclutando qualcuno di completamente sconosciuto alla banda; né sapeva se avesse lasciato un indizio di ciò che aveva combinato, egocentrico com'era, oppure se avesse preferito restare nell'ombra e attendere che gli uomini di Robin Hood arrivassero da soli a scoprire la verità – e questo la rendeva incredibilmente nervosa, al punto che ogni minuto che passava era un granello di pazienza in meno e ben presto Kaelee iniziò a scalciare e dimenarsi. Tentò di urlare e muoversi sebbene fosse saldamente ancorata a quella che le sembrava una trave in legno, di quelle tipiche che si trovavano in ogni abitazione con la funzione di sostenere e rinforzare l'intera struttura; non poteva esserne certa, a causa del buio, ma era molto propensa a credere di trovarsi all'interno di una casa, anche perché da quando si era svegliata non aveva avvertito alcuna corrente d'aria, il che lasciava presupporre un ambiente chiuso. Che fosse a Nottingham, un villaggio nei dintorni o Edwinstowe, Kaelee non riuscì a determinarlo, ma era sicura di non essere a Locksley, perché Locksley non era davvero il luogo più sicuro per suo fratello. Oggettivamente parlando, e per i contorni che riusciva a vedere, il locale in cui si trovava non aveva qualcosa di particolarmente riconoscibile, identificabile, associabile ad un edificio specifico quale poteva essere il Maniero di Robin o il Castello di Nottingham, quindi era piuttosto una sensazione a pelle la sua, un invisibile dettaglio nella poca aria che a fatica trascinava nei polmoni, una sfumatura nella scarsa luce che filtrava dall'esterno, lo spiacevole presentimento di non essere a casa, ovvero nel villaggio che l'aveva adottata.
A suggerirle di non trovarsi a Edwinstowe era più il cuore che un razionale ragionamento logico, era la volontà di non essere stata condotta in quel villaggio da cui era sfuggita; ma quando si era soffermata a riflettere, aveva ricordato le parole che Rudyard le aveva rivolto in merito al voler uccidere Gisborne, probabilmente, quindi, si trovava a Nottingham dal momento che Rudyard si era stabilito lì ed era più probabile che fosse quella città la prima meta che Guy avrebbe visitato – e se era arrivata lei a quella conclusione, con tanto di malessere generale, certamente anche Guy ci sarebbe arrivato in fretta, ammesso che non avesse già tirato le somme e stesse in quel momento correndo un rischio a pochi passi da lei.
Se da una parte desiderava vedere Gisborne più di ogni altra cosa al mondo, d'altra parte preferiva che non la cercasse affatto, che non si esponesse ad un così grande pericolo.
«Finiscila di agitarti o ti taglio la lingua, così non potrai più baciare quel bell'imbusto di Sir Guy di Gisborne. Chissà con quali servizi lo hai convinto ad amare il manico di scopa che sei! Pensi pure che ti vorrà anche se non avrai più una lingua con cui soddisfare i suoi vizi?», minacciò Rudyard, platealmente divertito dalle oscenità che aveva appena finito di dire e che avevano scatenato in lei un senso di enorme disgusto. 
Inoltre, qualcosa nello sguardo freddo di lui le lasciò intendere che non erano parole dette per spaventarla, ma che sarebbe stato veramente capace di una simile azione ai suoi danni. Non poteva credere di avere un fratello così malvagio e, mentre si chiedeva la ragione che lo spingesse a vivere di cattiveria, un ringhio le salì spontaneo dalla gola nonostante il bavaglio le impedisse di manifestarlo appieno. Avrebbe voluto sputargli dritto in faccia e, sì, avrebbe voluto tagliarla lei a lui qualla lurida lingua che si ritrovava, così almeno avrebbe smesso di rivolgersi in quel modo a lei e a chissà chi altri; avrebbe voluto prenderlo a schiaffi fino a farlo piangere, fino a vedergli le gote talmente rosse da farlo sembrare una fragola matura; avrebbe voluto schiacciarlo, annullarlo, cancellarlo dalla faccia della terra e non rivederlo mai più, perciò, riuscendo a distendere faticosamente e dolorosamente la gamba, provò a tirargli un calcio alla caviglia o, meglio ancora, sullo stinco.
Il palmo della mano di Rudyard si abbattè con una tale velocità e violenza sul suo volto che non se ne accorse nemmeno finché la guancia iniziò a pulsarle per il dolore. Era stato un colpo secco, di quelli che anche alcuni giorni più tardi si poteva sentire un qualche muscolo indolenzito; era stato uno di quegli schiaffi che l'uomo raramente era riuscito a portare a segno su di lei, perché era Aric, di solito, a prenderseli al suo posto, ma in quel momento Aric non c'era. Come non c'era Gisborne. E a peggiorare il tutto c'era la totale impossibilità di reagire.
Davvero pochi altri eventi avrebbero potuto rendere quella situazione ancora peggiore di quel che era, – la morte di Guy per mano di Rudyard, ad esempio – dato che era legata, imbavagliata e pure disarmata e, quindi, le possibilità di poter ingaggiare uno scontro con suo fratello erano inesistenti.
Sebbene non volesse darla vinta a Rudyard, gli occhi le si riempirono di lacrime, più per un riflesso involontario che per il reale desiderio di mettersi a piangere, scatenando la risata sguaiata e sgradevole di lui, che in breve riempì lo spazio in cui entrambi si trovarono.
Da come il suono rimbalzò attorno a lei, Kaelee intuì che doveva trattarsi di un locale piuttosto piccolo, quindi, istintivamente, provò a guardarsi intorno incrociando lo sguardo, ancora sconvolto, del complice di Rudyard. Concluse che non doveva saperne davvero nulla di come erano andate davvero le cose e provò pietà per lui, che si era venuto a trovare in una situazione tutt'altro che piacevole.


Maniero di Robin, Locksley.
Come già avevano ipotizzato osservando i movimenti di Rudyard, Robin e i suoi uomini decisero che il posto più probabile dove nascondere Kaelee doveva essere, in realtà, quello meno probabile, ovvero la dimora stessa di Rudyard e quindi l'abitazione, a Nottingham, dove spesso l'uomo era stato avvistato in compagnia dei suoi due fedeli. Era un ragionamento forse contorto e forse perfino completamente errato, ma se Robin e i suoi avevano trascorso tutto il loro tempo ad osservare quell'uomo e non si erano imbattuti in niente che non fosse quella casa, per quanto improbabile doveva essere quella struttura il fulcro della situazione. Era un dato di fatto che Rudyard non avesse trovato amici all'infuori dei due complici noti ed era una certezza assoluta che Willard non stava affatto collaborando con lui all'organizzazione del rapimento di Kaelee, perciò la conclusione più logica era che tenesse prigioniera la ragazza in quel di Nottingham, in attesa.
Anche se Little John riteneva che fosse fin troppo ovvio e temeva un ulteriore inganno, – ipotesi che Robin aveva messo in conto e condiviso con i presenti – si dichiarò disposto a seguire il gruppo, rasserenando subito l'arciere. Per quanto fosse da tempo il leader indiscusso di quella banda di fuorilegge, avere spontaneamente la fiducia dei suoi uomini gli dava la forza per andare avanti e lo differenziava definitivamente da un tiranno come Vaisey.
«Robin, abbiamo bisogno di più tempo! Le tue sono soltanto possibilità, non certezze! E se non funzionasse? Se non funzionasse e Kaelee ci rimettesse la vita?», obiettò Kate quasi con rabbia in un tono d'accusa, mentre Much cercava prontamente di calmarla.
«Hai ragione, occorrerebbe più tempo, ma non ne abbiamo e bisogna prenderne atto», le rispose con calma.
«Se restiamo qui a girarci i pollici, Kaelee ce la rimetterà comunque la vita», sbottò Allan, attirando su di sé lo sguardo di Gisborne, carico di odio per quanto aveva appena detto.
Eppure Robin dovette ammettere che Allan, quella volta, non aveva tutti i torti.
«Più in fretta agiremo, prima potremo riportare Kaelee a Locksley. Siete con me?», domandò infine.
Quando tutti diedero il loro assenso, Robin tese una mano invitando gli altri ad aggiungere le proprie, Gisborne compreso, perché gli era evidente che non avrebbe mai potuto chiedergli di restarsene nascosto a Locklsey mentre il resto del gruppo andava a salvare Kaelee, perciò avrebbe fatto in modo di coinvolgerlo senza rischiare di perderlo per sempre.
«Noi siamo Robin Hood!», esclamarono insieme.

Guy era pensieroso nella sua preoccupazione, sebbene non riuscisse davvero ad elaborare pensieri logici e razionali visto lo stato emotivo in cui si trovava, e stringeva tra le mani un paio di guanti troppo piccoli per appartenergli. Non riusciva a darsi pace per ciò che era accaduto a Kaelee e faticava a contenere quella voglia di uccidere che, in passato, avrebbe manifestato senza indugio contro chiunque avesse incontrato sulla strada verso il suo reale nemico, eppure non era certo di voler uccidere veramente Rudyard, consapevole del torto che rischiava di fare alla donna che diceva di amare. Ma se Rudyard voleva solo la morte di Kaelee, non era giusto ucciderlo sebbene non fosse mai giusto togliere la vita ad un essere umano? Sarebbe stato più corretto, da un punto di vista morale, lasciare che l'uomo fuggisse e provasse a rifarsi una vita altrove; ma se avesse continuato a costituire un problema ed un pericolo per la serenità di tutti, bisognava comunque dar retta alla morale?
Quel flusso di domande, probabilmente sconclusionate, fu interrotto da Archer, che gli si fece vicino e gli posò una mano sulla spalla.
«Sono per lei questi?», domandò in un sussurro.
Annuì senza sollevare lo sguardo dalle proprie mani.
«Le piaceranno solo perché sarai tu a darglieli», continuò il giovane uomo, provando ad alleggerire la tensione.
Gisborne sospirò senza dire nulla, memore delle tante volte in cui le aveva promesso quei guanti.

Dopo una lunga serie di ragionamenti condivisi ad alta voce, Robin concluse che la tattica migliore restava quella di dividersi in piccoli gruppi, come tante altre volte avevano fatto in passato, così da poter avere sempre una via di fuga, una speranza nel momento in cui due o tre di loro fossero stati messi nel sacco.
L'esperienza gli insegnava, infatti, che se essere tutti insieme era un vantaggio non indifferente in uno scontro armato, non essere tutti concentrati nello stesso punto lasciava sempre accesa la possibilità di salvezza nel caso in cui qualcuno venisse fatto prigioniero o si trovasse in pericolo. Quante volte un provvidenziale allontanamento di Much dall'accampamento si era rivelato di vitale importanza? Quante volte, mentre alcuni fuorilegge venivano incastrati dagli uomini di Gisborne, altri, riuscendo a fuggire, avevano la possibilità di introdursi nel Castello per liberare i prigionieri? Non sarebbero forse Robin e Guy stati impiccati a York se la banda di fuorilegge non fosse arrivata in città solo in un secondo momento?
Nell'elaborare una strategia adeguata alla situazione, l'arciere ripensò al giorno in cui Rudyard era apparso a Locksley e gli tornò in mente che era stato il giorno dell'inaugurazione della nuova Nottingham, ragion per cui alcuni dei suoi uomini non erano presenti mentre due tra i fratelli di Kaelee facevano un primo tentativo di riportarla a Edwinstowe.
Con ogni probabilità Rudyard aveva più o meno presente tutti i componenti della banda di Robin, tanto più perché tante volte Kaelee aveva parlato dei racconti dei suoi fratelli riguardo alle imprese di Robin Hood e dei suoi uomini, ma poteva davvero essere certo Robin che il suo nemico potesse veramente individuare ogni singolo elemento? Oppure non era forse vero che Rudyard non aveva visto tutti quanti in faccia quella mattina?
«Ragazzi, ho un'idea. Allan, Tuck, John», disse quindi, dopo aver fatto mente locale, richiamando l'attenzione degli uomini. «Rudyard non conosce il vostro reale aspetto dal momento che non eravate presenti a Locklsey quando è arrivato e non andate a Nottingham nei panni di voi stessi da un bel po' ormai, quindi forse abbiamo di nuovo un vantaggio su di lui».
Mentre esponeva il ragionamento che si srotolava nella sua mente, Robin prendeva lunghe pause, per valutare ogni possibilità ed essere certo di non dire sciocchezze.

Seguendo e comprendendo la linea di pensiero di Robin, Little John arricciò le labbra e grugnì qualcosa di incomprensibile, consapevole che Rudyard avrebbe potuto riconoscerlo per la stazza e che, quindi, non sarebbe stato lui a scendere in prima linea per salvare Kaelee. Era infatti davvero molto preoccupato per il destino della giovane donna che, pur non essendo piombata propriamente in silenzio nella vita di ognuno di loro, era arrivata a Locksley con grande umiltà e voglia di rendersi utile, perciò avrebbe voluto fare tutto il possibile per riportarla a casa sana e salva, e non poter dare una bastonata in testa a quell'imbecille lo innervosì tanto che, se non ci fosse stata Alice al suo fianco, probabilmente avrebbe sbottato in malo modo.
«Lo stesso vale per te, Tuck», continuò Robin, rivolgendosi all'uomo che gli aveva salvato la vita in ogni modo possibile dopo la morte di Marian.
John vide il frate concordare immediatamente e non era difficile intuirne l'evidente motivazione che aveva spinto i ragionamenti di Robin in quella direzione: essendo la pelle di Tuck di un colore molto scuro, per nulla tipico degli inglesi, era comunque piuttosto semplice individuarlo anche se avesse indossato panni diversi dai soliti.
Quindi John e gli altri concentrarono l'attenzione sull'unico rimasto dei tre uomini che Robin aveva nominato.

Lo sguardo di Gisborne lampeggiò di un'ira che non credeva avrebbe provato nuovamente in quella vita. Tra tutti proprio Allan, che per Kaelee provava un sentimento fin troppo vicino al confine tra amicizia e amore; proprio Allan, che aveva preferito salvarsi la pelle e tradire i suoi amici fornendogli informazioni utili a mandare a monte tutti i piani dei fuorilegge; proprio Allan, che poi aveva tradito anche lui e che non aveva, in fondo, mai smesso di svolgere quel ruolo di doppiogiochista, infiltrato ora in una fazione e ora nell'altra.
Dovette fare metaforicamente violenza su se stesso per non spezzargli il collo davanti a tutti.
«Hai trovato tu la pergamena e, a quanto pare, sarai tu la chiave per salvare Kaelee. Noi faremo in modo che tu non fallisca», disse Robin.
«Cosa vuoi che faccia?», chiese Allan, con la voce colma di determinazione.
«Che ti introduca nell'abitazione di Rudyard con una scusa qualunque e metta in salvo Kaelee», rispose Robin.


Nottingham.
Ognuno nei panni di un'altra persona, gli uomini di Robin Hood – eccezion fatta per Alice ed il piccolo John, che rimasero a Locksley – si recarono quindi a Nottingham, certi che Kaelee si trovasse in città e non a Locksley o nel bel mezzo della foresta: nel primo caso, infatti, qualcuno degli abitanti si sarebbe già accorto di movimenti sospetti e avrebbe avvisato la banda; nel secondo, invece, era così scontato che nessuno avrebbe trovato Kaelee da rendere inutili le minacce di Rudyard, perché se quest'ultimo l'avesse tenuta prigioniera nella foresta, volendo rispettare le regole che lui stesso aveva dettato, sarebbe stato costretto a riportare Kaelee a Edwinstowe da sua madre e lì avrebbe trovato Dwight e Aric pronti ad ostacolarlo, qualunque fossero i suoi piani. L'ipotesi che la uccidesse anziché riportarla a Edwinstowe era da prendere in considerazione, ma non troppo seriamente perché ormai era ben chiaro che Rudyard cercava lo scontro diretto con Gisborne: altrimenti perché attaccarlo di notte nella sua camera da letto? Non avrebbe ucciso Kaelee senza prima far fuori Gisborne, questa era stata la conclusione cui tutta la banda era arrivata al Maniero, quindi l'unica soluzione possibile era che la ragazza fosse a Nottingham e che Rudyard volesse provocare Guy e scatenare l'inferno in terra.
Gisborne, per nulla d'accordo che fosse Allan a salvare la ragazza, cercò per tutto il tragitto dal villaggio alla città una soluzione diversa, senza però riuscire nel proprio intento perché Robin fu irremovibile e lo minacciò di rispedirlo a Locksley a suon di calci nel sedere se avesse provato a fare diversamente dai piani, assicurandogli che sarebbe rimasto a sorvegliarlo al Maniero lasciando che il resto del gruppo agisse senza di loro.
«Ti detesto, Locksley, perché mi fai un torto», ringhiò Guy.
«Se farti questo torto ti salverà quella tua pellaccia, sarò ben lieto del tuo odio», gli rispose prima di riepilogare il piano.
«Archer, Guy voi vi assicurerete che l'abitazione di Rudyard non sia sorvegliata dall'esterno e vi nasconderete nelle vicinanze, così da poter andare in aiuto ad Allan appena riuscirà ad entrare in casa. Archer, tieni buono tuo fratello e tramortiscilo, se è il caso», raccomandò.
«Guarda che non sono un bambino», replicò Guy.
«Oh no, certo che no, i bambini non sanno maneggiare una spada come te infatti», tagliò corto per poi proseguire. «Io, Much e John ci apposteremo all'ingresso della strada che porta alla dimora, terremo sotto controllo ogni movimento e ci terremo pronti ad intervenire. Tuck e Kate, voi perlustrerete un'area più ampia con la scusa di essere arrivati da Locksley per ascoltare le confessioni di chiunque voglia cercare il perdono o la pace. Tutti conoscono Fratello Tuck, perciò non dubiteranno di una tua visita agli abitanti di Nottingham che fino a poco tempo fa hanno frequentato la Chiesa di Locksley. Comunicheremo tra noi alla solita maniera. Possa la Vergine avere un occhio di riguardo per tutti noi», concluse stringendo la mano ad ognuno dei suoi compagni.

Grazie ad uno sfacciato colpo di fortuna, introdursi nel cuore del covo nemico si rivelò più semplice del previsto.
Uno degli uomini di Rudyard, proprio mentre Allan attendeva il momento più opportuno per bussare e inscenare quella che riteneva l'idea migliore, uscì dall'abitazione con il compito di fare qualcosa che, senza averne piena coscienza, non sarebbe mai riuscito a portare a termine perché venne aggredito alle spalle. Con una rapidità che era il frutto di anni ed anni passati a nascondersi, Allan gli tappò la bocca con una mano mentre con l'altra lo immobilizzava, sussurrandogli all'orecchio parole poco rassicuranti che avevano a che fare con un ipotetico tentativo di strillare o intralciarlo. Prontamente, dopo averlo spaventato a dovere, Allan consegnò quel giovane a Gisborne e Archer, senza farsi notare da altri, e si appropriò degli abiti di lui, pronto ad entrare in scena.

Mentre Allan spariva oltre l'ingresso, Archer mandò Gisborne ad avvisare Robin che il piano era avviato e che avevano preso in ostaggio uno dei due uomini del fratello di Kaelee.
A sua volta, come in una sorta di staffetta, Robin mandò Much ad avvisare Tuck e Kate, in modo tale che, anche se gli ex fuorilegge erano dislocati in diverse aree della città, di fatto era come se fossero insieme.


Kaelee iniziò a sentirsi nuovamente male: aveva sete e le mancava l'aria, lo zigomo e il labbro, nonostante il bavaglio avesse in parte attutito il colpo, pulsavano ancora a causa dello schiaffo ricevuto e aveva la sensazione che lembi di pelle le si stessero staccando dai polsi mentre le gambe si facevano sempre più rigide, aveva la nausea ed era costretta a tenere gli occhi chiusi per arginarla, tanto più perché la testa cominciava a girarle, probabilmente per via del colpo subìto. Scoraggiata, cominciò a credere che, forse, sarebbe stato meglio morire di lì a qualche minuto anziché continuare a lottare in quelle condizioni per qualcosa che quasi non aveva la possibilità di riavere, ma proprio mentre pensava di lasciarsi andare e di darla vinta a suo fratello, di chiedergli di riportarla a Edwinstowe senza causare altri problemi a Robin Hood, le tornò in mente Gisborne, con il suo sorriso e quegli occhi chiari e intensi, e immaginò che anche lui l'avrebbe presa a schiaffi se le avesse sentito dire qualcosa del genere. Ad occhi chiusi lo vide avvicinarsi a lei, prenderla per le spalle e scuoterla affinché si riavesse e tornasse a focalizzarsi sulla libertà che aveva avuto il coraggio di conquistare affidandosi quasi esclusivamente a se stessa; sentì la sua mano calda accarezzarle il viso con dolcezza e le labbra sottili posarsi sulle sue per sussurrarle di farsi forza e che l'avrebbe presto stretta tra le braccia.
Sapeva che era tutto frutto della sua immaginazione, eppure all'idea di condividere un letto con lui, come ogni sera da quando vivevano al Maniero, si sentì subito più motivata, di nuovo determinata, avvertì ancora quel desiderio di combattere per se stessa e per l'uomo che amava, così sorrise d'istinto e cominciò a vagliare le poche possibilità di fuggire, benché fossero davvero remote, perché nulla era impossibile fin quando non si fosse accertata che lo era veramente.
«Già di ritorno?», domandò con poca gentilezza Rudyard al ragazzo incaricato poco prima di rilevare la presenza di uomini di Robin Hood nei dintorni. «Gisborne deve essere più stupido di quanto pensassi se non ha ancora capito dove cercarmi», commentò, abbandonandosi alla solita risata sguaiata.
Kaelee riaprì gli occhi, – mentre l'idea che suo fratello stesse semplicemente aspettando Gisborne si faceva strada nella sua mente, confermandole che non poteva essere in altro posto che non fosse Nottingham – perché le era necessario riuscire a vedere qualcosa per poter organizzare una fuga degna di essere definita tale, e poté così assistere ad uno strano scambio tra Rudyard e il suo complice, come se qualcosa fosse cambiato quando era uscito da quella stanza e non volesse rendere Rudyard partecipe delle novità. Che avesse incontrato Gisborne o Robin e questi lo avessero convinto ad aiutarli raccontandogli la verità? Possibile che fosse così fortunata?

Finalmente Allan aveva davanti a sé quella faccia da furfante e, potendo guardarlo da vicino, trovò che non aveva proprio nulla da condividere con il bel viso di Kaelee. Non solo, quindi, fratello e sorella non si somigliavano dal punto di vista caratteriale, ma anche fisicamente avevano pochi tratti che potevano essere davvero messi a confronto; qualcosa tra il mento e le labbra, forse, oppure i capelli ondulati, ma nulla di più. In risposta alla domanda che gli era appena stata rivolta, Allan si esibì in un'alzata di spalle nel timore che parlando si sarebbe smascherato troppo in fretta. Mentre Rudyard, che faceva avanti e indietro nel piccolo ambiente bofonchiando qualcosa e bestemmiando contro Gisborne, non lo guardava, Allan cercò un'intesa con Kaelee che era a terra, poco lontano dalla sua posizione. La penombra, però, gli impediva di verificare se avesse o meno gli occhi aperti, perciò rischiò di andare nel panico dal momento che la ragazza non si muoveva o, se accadeva, doveva essere in modo impercettibile; iniziò, quindi, a temere il peggio finché si accorse che respirava ancora, perché emise un suono simile ad un piccolo ringhio spazientito. Forse, pensò Allan, stava provando a liberarsi delle corde che la tenevano legata alla trave in legno. Per poco non guardò Rudyard in cagnesco mentre la rabbia si faceva spazio in lui al pensiero di ciò che l'uomo poteva aver fatto a Kaelee.
Senza perdere altro tempo, si mise a prendere in considerazione tutte le opzioni,, contando che all'esterno della casa aveva due validi compagni pronti ad aiutarlo; fatti due conti, Allan dovette, però, rendersi conto che da solo non sarebbe mai riuscito a mettere fuori gioco Rudyard e il suo complice, né poteva nascondersi dietro al mutismo per troppo tempo se voleva evitare che l'intera missione di salvataggio saltasse miseramente rendendolo, anziché l'eroe di turno, la barzelletta o, peggio, il responsabile di una disgrazia. Ancora una volta, però, la fortuna sembrò essere dalla sua parte quel giorno.
«Tenetela d'occhio», ordinò l'uomo sparendo nel buio di quel locale e lasciandolo in compagnia di un giovane uomo che sembrava più spaventato che realmente convinto di dover fare la guardia a Kaelee.
Il cuore iniziò a martellargli forte nel petto mentre si preparava ad agire.


Da quando Allan era entrato nell'abitazione dove tutti avevano immaginato che si trovasse Kaelee, – e il fatto che l'uomo non fosse ancora uscito lasciava presupporre che ci avevano visto bene e che Allan stava cercando un modo per tirare fuori Kaelee da quel posto – Archer e Gisborne non avevano mai staccato gli occhi dall'ingresso della costruzione mentre costringevano al silenzio l'uomo che aveva consentito, suo malgrado, ad Allan di infiltrarsi nella tana del lupo. Nessuno dei due ritenne opportuno spiegare a quel tipo come stavano realmente le cose o chidergli cosa Rudyard avesse raccontato a lui e all'altro complice, perché dovevano tenersi pronti a scattare immediatamente in caso Allan si fosse manifestato con Kaelee.
Infatti, quando videro la porta aprirsi, subito credettero che ne sarebbe uscito Allan per comunicare un'informazione, – forse che Kaelee non si trovava lì o che gli serviva più tempo e la presenza di un altro della banda per portarla via di lì – ma si accorsero in fretta che non si trattava del loro compagno d'armi.
«Archer», mormorò Guy, «guarda», disse indicando la figura maschile che si spostava con lentezza calcolata, con circospezione, guardandosi continuamente attorno.
Non era necessario essere particolarmente arguto per capire che si trattava proprio dell'avversario che molti tra gli uomini di Robin Hood volevano morto, Gisborne compreso, tanto più perché l'ostaggio prese a scalciare e tentò di urlare per indicare la propria presenza a quello che, evidentemente, era l'uomo in cui aveva riposto fiducia.
Il tempo stringeva e Archer comprese che lui e Guy avrebbero dovuto sfruttare immediatamente l'occasione che il destino aveva loro offerto su un piatto d'argento: se il suo ragionamento era giusto, Allan doveva aver convinto in qualche modo Rudyard a prendere un po' d'aria e in quel momento stava mettendo fuori gioco il secondo complice così da poter salvare Kaelee senza alcun rischio. Non c'era tempo nemmeno per provare ad organizzare qualcosa di realmente sensato insieme a suo fratello, così mentre Gisborne si assicurava che l'ostaggio non scappasse, decise di uscire allo scoperto – nascondendo, naturalmente, la propria identità – per distrarre Rudyard e tenerlo lontano quanto più possibile dall'abitazione, favorendo Allan in ogni modo possibile.


Allan si costrinse a non perdere la calma, si avvicinò al secondo uomo di Rudyard e, con uno scatto repentino, gli puntò il coltello alla gola.
«Emetti anche soltanto un fiato e sei un uomo morto. Hai capito?», disse con la fermezza di uno che era abituato a svolgere quel mestiere.
S
ebbene non fosse propriamente vero – perché non era mai stato un assassino di professione, un sicario – era comunque un dato di fatto che diverse volte si era ritrovato a minacciare qualcuno per ottenere qualcosa o per salvarsi la vita, perciò gli riusciva piuttosto bene e sapeva come risultare alquanto convincente e terrorizzare vittime come quel giovanotto, che gli dava proprio l'impressione di essere lì per volontà di un destino infausto e non per una decisione presa con coscienza.
Che poi, tra tutti gli abitanti di Locksley e Nottingham, fosse proprio Kaelee la persona da salvare, lo rendeva un uomo ancor più motivato a portare a termine il proprio compito senza margine di errore.
Il complice di Rudyard annuì spaventato, tremando come se fosse stato nudo in mezzo alla neve, quindi Allan cercò e trovò corda sufficiente a immobilizzarlo velocemente per potersi così dedicare alla ragazza, che pareva non rendersi conto di cosa stesse succedendo attorno a lei – ragion per cui era molto preoccupato per la sua salute e iniziava a credere che Rudyard le avesse somministrato un veleno o qualcosa del genere.

Stordita dalla nausea che minacciava di farle perdere i sensi, Kaelee riuscì soltanto a intuire che qualcosa era cambiato in quella stanza. Quando aveva sentito Rudyard uscire, aveva cercato con tutte le sue forze di alzarsi, per liberarsi e fuggire via da una finestra – ammesso che ce ne fossero – o dalla porta d'ingresso, sfidando il destino, ma non era riuscita a muovere neanche un muscolo. Si stava dando di nuovo per vinta quando si accorse che uno dei due scagnozzi di Rudyard stava aggredendo l'altro.
"Ma che cosa sta succedendo?", si chiese. "Che siano tutti impazziti?".


«Buongiorno a voi, buongiorno!», salutò un uomo, cogliendolo di sorpresa e piazzandoglisi davanti senza alcun criterio.
Rudyard pensò che dovesse essere uno di quei detestabili quanto inutili abitanti della città, perditempo desiderosi soltanto di fare quattro chiacchiere in compagnia pur di non rincasare in orario o di non tornare al lavoro come era richiesto. Se una cosa simile gli fosse accaduta a Edwinstowe, non avrebbe esitato a mozzare la testa a quell'impertinente d'un barbone, ma a Nottingham aveva una maschera da indossare ad arte ed era necessario risultare sempre credibile nel ruolo che si era attribuito stabilendosi in città, perciò non poté permettersi di mostrarsi irritato da quella sgradita intrusione.
Sulle prime provò ad annuire freddamente, sperando che il ficcanaso si levasse di torno con la stessa velocità di cui aveva usufruito per apparire, e continuò a guardarsi attorno per verificare la presenza di uomini di Robin Hood camuffati da artigiani, mercanti o chissà chi altri: sapeva, infatti, quanto abile fosse sempre stato quel montato di un fruorilegge ad imbrogliare perfino i suoi stessi, sciocchi, compagni con un travestimento. Eppure gli parve tutto normale nei dintorni della sua abitazione e dato che lo sconosciuto non demordeva e intendeva importunarlo ancora, Rudyard fu costretto ad intrattenere quel minimo di conversazione che non avrebbe fatto di lui un uomo scortese e degno di sospetti.

Ben presto Much si rese conto di aver ottenuto il ruolo di staffetta o messaggero, tant'è che dovette prima raggiungere la postazione di Guy e Archer per sapere se c'era stato qualche cambiamento nella situazione, poi correre di nuovo da Tuck e Kate, per dir loro di tenersi pronti ad ogni eventualità, e ancora dovette tornare da Robin insieme alla sua futura sposa e al frate, – i quali decisero di avvicinarsi alla postazione di Robin, Much e John, certi che non sarebbero stati ormai di alcuna utilità lì dove si trovavano – per raggiungere, infine, nuovamente la postazione di Gisborne e Archer.
Stava giusto pensando di lamentarsi per tutta quella fatica mentre gli altri se ne stavano fermi a non far nulla o a pensare, come aveva sostenuto Robin poc'anzi, quando notò che Gisborne era rimasto solo con il complice di Rudyard.
«Ma dov'è Archer?», domandò con il fiatone.
Anziché ottenere una risposta concreta, fu costretto a guardare, su indicazione di Gisborne, il punto preciso in cui Rudyard e Archer stavano parlando; poi l'uomo lo mise a conoscenza della rischiosa decisione presa repentinamente dal giovane arciere nel vedere Rudyard uscire dall'abitazione e Much capì che Archer l'aveva fatto per dare tempo ad Allan di sbrogliare la situazione all'interno dell'abitazione.
«Lo sapevo! Lo sapevo che qualcuno avrebbe infranto le regole. Certo ero più portato a credere che saresti stato tu a disobbedire a Robin, visto come hai reagito al Maniero e considerato che non ti va molto a genio che sia Allan a liberare Kaelee, quando vorresti e dovresti essere tu a farlo. Ma Archer... Oh, Robin si arrabbierà moltissimo e vi farà una tale sfuriata che...», cominciò, quasi mangiandosi le parole preso com'era dall'ansia, senza, però, riuscire a terminare il discorso.
«Basta adesso!», lo rimproverò Gisborne. «Va' da Robin e digli come stanno le cose qui!».
«Lo sapevo», concluse, sconfortato, mentre si preparava mentalmente a correre ancora da una parte all'altra.
Durante il tragitto provò a riordinare i pensieri, così da non far confusione nel riportare a Robin, Kate, John e Tuck ciò che Guy gli aveva detto, perciò quando arrivò alla sua postazione originaria portò entrambe le mani alle tempie e si concentrò.
«Guy pensa che Kaelee sia dentro quella casa, perché Allan non è ancora uscito, perciò lo stanno aspettando. Però, mentre aspettavano che qualcosa accadesse, Rudyard è uscito in strada e il suo complice, quello che Guy e Archer hanno rapito, voleva avvisarlo, quindi Guy lo ha minacciato e Archer ora sta parlando con Rudyard», spiegò in fretta.
«Che cosa?!», esclamò Kate. «Che intendi dire che Archer sta parlando con Rudyard?», precisò.
Much prese un lungo respiro e ci riprovò.
«Rudyard è uscito in strada, no? E allora Archer ha pensato che, se nessuno lo avesse trattenuto, quello sarebbe rientrato – anche io ci avrei pensato al posto suo, naturalmente – e quindi ha fatto finta di essere un abitante di Nottingham che vuole parlare con Rudyard del più e del meno», disse, convinto di essere stato chiaro quella volta anche se Kate continuava a guardarlo confusa.
«Sta prendendo tempo, è chiaro», intervenne Tuck.
«In modo tale che Allan possa agire con più calma», concluse Robin.
«Bravo ragazzo!», esclamò Little John.
«È quel che ho detto!», si difese Much. «Se Rudyard resta fuori, Allan può salvare più facilmente Kaelee. Ovvio!», aggiunse, orgoglioso come se avesse fatto una scoperta di enorme rilevanza per l'intera umanità.
Quando vide Kate scuotere la testa, stava per chiederle cos'avesse che non andava, ma Robin diede nuove disposizioni, cambiando le carte in tavola e disordinandogli di nuovo i pensieri.
«Kate, Tuck e Much, restate qui a tenere d'occhio la situazione e se qualcuno degli abitanti della città dovesse chiedervi qualcosa o se doveste accorgervi che sospettano qualcosa, fate in modo che tutto fili liscio come l'olio, sminuite, mentite e intrattenete. Guy e Archer potrebbero avere bisogno di aiuto mentre Allan porta in salvo Kaelee, perciò io e John andiamo alla loro postazione. Farò io da staffetta, se necessario. È tutto chiaro?», chiese Robin, con lo sguardo serio e attento di chi è abituato a veloci cambi di programma.
«Ma padrone, voi non potete lasciarmi qui!», protestò Much.
«È tutto chiaro?», ripeté Robin, lasciando intendere di non essere disposto ad accettare obiezioni.
Much sospirò e annuì insieme agli altri.
«Lo sapevo che sarebbe finita così, lo sapevo», brontolò a bassa voce quando fu certo che Robin non avrebbe potuto più sentirlo.
In compenso si guadagnò una tirata d'orecchi da parte di Kate, la quale lo rimproverò perché tutte le volte che c'era da separarsi da Robin lui perdeva la testa.
«No... Ti sbagli», tentò, cercando un ottimo argomento per replicare.
«Ah no, non credo proprio! Forse avresti dovuto chiedere a lui di sposarti, ma di questo discuteremo a casa, quando Kaelee sarà di nuovo con noi», decise Kate, con una fermezza che piacque molto a Much e che gli ricordò di che pasta era fatta la donna che aveva scelto come compagna di vita.
La risata sommessa di Tuck chiuse quel siparietto.


Per prima cosa Allan liberò Kaelee da quello che gli sembrava un asfissiante bavaglio, permettendole di respirare a pieni polmoni e riprendersi almeno un po' prima farla alzare e condurla fuori. Perfino nella penombra il colorito di Kaelee appariva pessimo, tant'è che Allan fu sul punto di fiondarsi all'esterno e chiedere l'intervento di Archer o Tuck, che ne capivano più di ogni altro di medicamenti, erbe e pratiche mediche, ma si rese conto immediatamente di non avere tutto quel tempo a disposizione perché Rudyard avrebbe potuto riapparire da un momento all'altro. Anche ammesso che Guy o Archer stessero facendo in modo di trattenerlo, Allan era consapevole di dover fare quanto più in fretta possibile, quindi si chinò su Kaelee.
«Va tutto bene. Andrà tutto bene», le mormorò mentre, con dita tremanti, scioglieva i nodi sui polsi della ragazza. Non gli servì molta immaginazione per realizzare che, a causa di quella corda tanto stretta, la pelle di Kaelee avrebbe presentato screpolature e tagli per diversi giorni. «Ti porto fuori di qui», aggiunse.

Spalancò gli occhi – provocandosi una terribile vertigine – appena quella voce, così familiare, giunse alle sue orecchie lasciandole credere di essere svenuta di nuovo e di star, quindi, solo sognando. Si sentiva estremamente confusa mentre cercava di capire perché un complice di suo fratello la stava liberando da tutti gli impedimenti imposti da Rudyard. Possibile che ci fosse lo zampino di Robin e i suoi? Ma allora dov'era Guy? Che Robin avesse escogitato un piano che non prevedeva il diretto intervento dei suoi uomini, ma mirava a corrompere gli scagnozzi di Rudyard? Se così fosse stato, c'erano riusciti con uno soltanto visto che l'altro era stato immobilizzato e minacciato. Ma allora perché aveva la sensazione di conoscere bene il proprietario di quella voce?
Inoltre, man mano che il suo salvatore scioglieva le corde, paradossalmente il dolore aumentava: nel momento stesso in cui l'uomo l'aveva privata del bavaglio, l'aria, finalmente libera di circolare nei polmoni, iniziò a bruciare come fosse stata fuoco, scatenando contemporaneamente tutta una serie di lancinati fitte ai muscoli tesi; il labbro tirò più di quanto avesse fatto prima e la guancia prese a pulsarle ancora più intensamente, a ritmo con il cuore in corsa; la nausea, però, iniziò a placarsi, ragion per cui Kaelee poté guardare in faccia l'uomo che le stava facendo quella gentilezza, restando piacevolmente stupida da ciò che vide.
«Allan?», domandò incredula, con la gola secca e la voce roca, come se fosse gravemente malata. «Allan!», ripeté mentre la gioia le rianimava il cuore.
Era indubbiamente felice di vedere un volto amico e di sapere che la banda aveva intuito le intenzioni di suoi fratello, felice di non aver sperato invano, felice di avere una via d'uscita e degli amici che le volevano bene; ma era anche felice, in fondo, che Guy non fosse lì a rischiare la vita per lei, sebbene in quel momento fosse proprio lui l'unica persona che voleva vedere. Avrebbe mille volte preferito le braccia di Gisborne a quelle di Allan; altre mille volte avrebbe voluto che fosse lui a sorriderle con tanta dolcezza. Eppure il solo pensiero che l'uomo che amava abboccasse al perfido amo teso da Rudyard la feriva a tal punto che vedere Allan l'aveva riempita di gioia istantaneamente.
«Sì, sono io», rispose l'uomo sorridendole spontaneamente. «Dobbiamo fare in fretta, vieni».

La felicità che Allan provò nel sentire l'entusiasmo nella voce di lei fu devastante, tanto che dimenticò perfino che lei amava Gisborne, che aveva sempre scelto Gisborne, che gli aveva detto apertamente di provare solo un profondo affetto per lui e non attrazione o amore; dimenticò che portandola fuori da quell'abitazione l'avrebbe restituita alle braccia del suo rivale in amore, perché la sensazione di poter diventare il suo eroe era totalizzante e si stese su qualsiasi altro pensiero razionale, rimpiazzandolo subito. In fin dei conti cosa aveva fatto Gisborne per lei? Le aveva offerto protezione, ma anche lui l'aveva fatto nella medesima occasione ed ora le stava anche salvando la vita mentre lui era costretto a restare in disparte per non farsi ammazzare come un fesso. Se Gisborne le era stato vicino era perché lei glielo aveva permesso, negando invece a lui il medesimo privilegio. Perciò quali e quanti diritti poteva vantare quell'uomo su Kaelee? Certamente quell'occasione gli avrebbe dato modo di competere davvero con il suo rivale, gli avrebbe permesso di sperare davvero che Kaelee scegliesse lui e lasciasse perdere uno come Gisborne, che era pure fin troppo vecchio per lei.
Benché roca e gracchiante, quasi irriconoscibile, la voce di Kaelee che pronunciava il suo nome fu per lui una scossa di pura adrenalina. Forse ne avrebbe pagato le conseguenze, forse avrebbe fatto i conti con la solita realtà – quella in cui Kaelee avrebbe continuato a scegliere Gisborne – una volta tornato a Locksley, ma in quel momento nulla gli interessava, se non la ragazza che si strinse al petto in un goffo abbraccio prima di rendersi conto che avrebbe dovuto portarla fuori di peso.
Appena tentò di aiutarla ad alzarsi, infatti, vide Kaelee barcollare pericolosamente minacciando di ricadere a terra se non l'avesse sostenuta, quindi, senza rifletterci oltre e con il cuore in gola per l'emozione, Allan si sentì libero di prenderla in braccio e condurla in fretta fuori da quello che, certamente, doveva essere stato per lei un incubo.


«Credetemi, mio buon signore, se vi dico che la vita in città è tutt'altra cosa! I villaggi? Sono fin troppo tranquilli per i miei gusti», disse Archer con finta noncuranza, accompagnando le parole con un gesto della mano e rubando ulteriori minuti determinanti per la riuscita del piano. «Quando Nottingham è stata distrutta ho creduto d'esser un uomo finito. Finito vi dico! E invece... Guardate! Guardatela! Nottingham risplende più di prima!», aggiunse con convinzione, recitando per l'ennesima volta nella sua vita un ruolo né troppo vicino, né troppo lontano dalla realtà delle cose; infatti Archer aveva davvero creduto che la sua vita sarebbe giunta al termine nel corso dell'ultimo scontro con Vaisey, a causa del quale aveva rischiato seriamente di perdere entrambi i suoi fratelli appena conosciuti.
Nel frattempo osservava tanto Rudyard quanto eventuali movimenti in direzione dell'abitazione, sperando che Allan si sbrigasse e non lo costringesse a forzare troppo la mano con l'avversario; l'uomo, infatti, aveva già dato segno di volersi sottrarre alle chiacchiere con cui lui cercava di stordirlo, riuscendo, fino a quel momento, nel suo intento; ma per quanto ancora gli sarebbe stato possibile prenderlo in giro?
Sebbene Rudyard avesse dimostrato di non essere un completo idiota rapendo Kaelee sotto al naso dell'intera banda, in quel frangente non sembrò essersi accorto che chi aveva davanti non era un comune cittadino di Nottingham, ma il diversivo che avrebbe fatto saltare in aria tutti i suoi sogni di gloria e che lo avrebbe costretto a lasciare la città, dal momento che d'ora in avanti Rudyard avrebbe avuto la certezza che Robin e i suoi conoscevano il suo nascondiglio. Eppure poteva Archer esserne davvero certo? Stando a quanto il gruppo aveva scoperto di lui osservandone i movimenti, Rudyard non aveva che due complici, – di cui uno era tenuto sotto stretta sorveglianza da Gisborne e l'altro, con ogni probabilità, stava per essere messo fuorigioco da Allan – perciò Archer, almeno in teoria, poteva considerarsi fuori pericolo, ma aveva imparato a sue spese che la prudenza non era mai troppa quando si aveva a che fare direttamente con il proprio avversario, perciò avrebbe preferito non dover mettere a dura prova l'autocontrollo che Rudyard stava manifestando di avere.
Senza dubbio Archer si stava esponendo ad un grosso rischio stando così a diretto contatto con un uomo senza pietà quale era Rudyard, ma voleva così bene a Guy e Kaelee da non subire negativamente il peso dello sforzo; inoltre doveva la vita a suo fratello che, senza neanche conoscerlo, era quasi stato impiccato a York per salvarlo, ed era quasi morto soffocato dalla trappola che lui stesso aveva architettato per ottenere denaro da Isabella, era rimasto disarmato nel tunnel segreto del Casello di Nottingham per offrire a lui la propria spada e consentirgli di difendersi. Sarebbe stato, quindi, meschino da parte sua tirarsi indietro per paura.


Con la dovuta cautela, Allan sbirciò oltre l'ingresso per assicurarsi di avere via libera. Vide Rudyard di spalle, lontano una decina di metri da dove si trovavano lui e Kaelee, intento a parlare con un uomo: impiegò solo qualche istante a riconoscere gli abiti indossati da Archer per l'occasione e un sorriso di compiaciuta approvazione si disegnò sul suo volto mentre gratitudine e riconoscenza si facevano largo nel suo cuore.
Accettare Archer come parte integrante del gruppo non era stato semplice per lui, non tanto perché si era rivelato essere un fratello comune a Robin e Gisborne, – cosa che, inevitabilmente, gli aveva comunque ricordato che anche lui, un tempo, aveva un fratello che Vaisey aveva fatto impiccare prima che la banda potesse intervenire a salvargli la vita – ma più per una quesione caratteriale. Ai suoi occhi, infatti, quel giovane uomo appariva sempre troppo spavaldo e saccente, strafottente quasi quanto Gisborne pur avendo lo sguardo mite simile a quello di Robin e un'indiscutibile abilità nel maneggiare arco e frecce; era, inoltre, innegabilmente di bell'aspetto e intelligente, conosceva piccoli trucchi capaci di tenere viva l'attenzione del pubblico e altri in grado di mandare fuori di testa le donne, giovanissime e non, caratteristiche queste che lo avevano reso un pericoloso rivale nella corsa alla conquista della fetta femminile di Locksley.
Volendo scendere più a fondo, però, Allan sapeva bene che la sua iniziale antipatia nei riguardi di Archer non dipendeva strettamente dall'arciere, ma da quanto l'esperienza da fuorilegge lo aveva segnato, rendendolo più diffidente verso chiunque tentasse di rapportarsi con lui. Si era reso complice di Gisborne quando Gisborne non era una brava persona, non poteva negarlo, e averlo fatto per salvarsi la pelle forse non faceva di lui un uomo onesto, eppure in cuor suo era sempre rimasto fedele a Robin e ai suoi, sperando a lungo che Robin lo perdonasse e gli desse una seconda occasione anziché bandirlo dal gruppo di fuorilegge, costringendolo a cercare ospitalità a Gisborne – il quale lo prese con sé nonostante non potesse più fornirgli informazioni in tempo reale in merito ai piani della banda; non c'era stato un momento in cui non avesse sentito la loro mancanza durante il soggiorno al Castello ed era rimasto molto amareggiato quando tutti erano caduti nella trappola tesa da Isabella, qualche giorno prima dello scontro finale, la quale aveva mirato unicamente a mettere in disaccordo i membri della banda; il fatto che quella donna fosse riuscita a farlo passare di nuovo per il traditore di turno, era ciò che lo feriva maggiormente, perché voleva dire che i suoi compagni d'armi, anche se lo avevano poi riaccolto nella banda quando aveva liberato tutti dai mercenari assoldati da Vaisey, non avevano mai riacquistato totale fiducia in lui (***). Non portava rancore, di questo ne era certo, – altrimenti non sarebbe rimasto al fianco di Robin e compagnia – ma tendeva a difendersi spesso, anche quando non ce n'era realmente bisogno. Capitava, infatti, pur senza che lui lo volesse razionalmente, che ripensasse alla facilità con cui i suoi amici avevano creduto alle infamanti parole di Isabella, alla facilità con cui era stato legato e costretto a restare all'accampamento dei fuorilegge mentre tutti gli altri si recavano a Nottingham, in vista di quella che sarebbe diventata l'ultima battaglia, alla rabbia che gli aveva permesso di liberarsi e correre via, lontano; gli veniva in mente il volto di Vaisey, tornato dal regno dei morti (****) per uccidere Robin Hood e forse anche Guy di Gisborne, e la sorpresa, che quasi lo aveva ancorato al suolo, che gli avrebbe impedito di sfuggire alle molteplici frecce che sarebbero state scagliate contro di lui, se non avesse tentato la fuga come invece gli era riuscito di fare – e nonostante questo, era comunque stato colpito da diverse punte, sebbene da nessuna in maniera grave (*****). Ferito e sofferente, aveva lo stesso tentato di raggiungere Nottingham per avvertire Robin e gli altri, senza riuscirci; tutte le volte che il suo pensiero correva a quegli istanti si sentiva inutile e impotente, perché non era mai riuscito ad arrivare in città, si era arreso prima, sconfitto dalle molte ferite che gli avevano fatto perdere sangue e forze, inducendolo a nascondersi e a sperare che tutto potesse andar bene per i suoi amici, anche se non si erano fidati di lui, anche se lo avevano creduto di nuovo un traditore. Soltanto diversi giorni dopo che Nottingham era saltata in aria gli era stato possibile ricongiungersi con Robin e scoprire che erano tutti vivi, anche se mal ridotti, e, a scanso di equivoci, aveva preferito non perdere tempo e raccontar loro la verità.
Mandò via la distrazione che erano quei ricordi e, silenziosamente, uscì con Kaelee in braccio costeggiando le pareti dell'abitazione fino a raggiungere Gisborne, il quale appena li vide saltò in piedi. Ad Allan non sfiorò neanche il dubbio che Gisborne volesse attaccarli, credendoli nemici, e, anzi, pensò subito che fosse sollievo quell'emozione che gli lesse negli occhi, perché sicuramente tutta la tensione e l'angoscia che aveva provato si erano dissolte alla sola vista di Kaelee, esattamente come era accaduto a lui stesso poco prima. 

Da quando Robin e Little John lo avevano raggiunto, cambiando postazione per essergli di supporto, Gisborne aveva fissato lo sguardo sul punto esatto in cui si aspettava che Allan sarebbe sbucato, – ovvero dal lato dell'abitazione opposto al punto in cui Archer stava trattenendo Rudyard –  in attesa dell'istante in cui avrebbe rivisto la sua Kaelee.
Non dovendosi preoccupare più di tenere a bada il prigioniero, perché Robin e John lo stavano interrogando in merito a Rudyard, – per scoprire cosa quell'uomo avesse raccontato a lui e all'altro complice che era ancora in casa, chi avesse detto loro di essere e cosa avesse detto riguardo Kaelee, che intenzioni avesse sostenuto di avere e quali intenzioni avesse invece dimostrato dopo il rapimento di sua sorella, come avesse organizzato il sequestro e quante altre persone stessero dalla sua parte, quante lo avessero aiutato in quell'impresa folle, per poi informarlo, infine, su come stavano realmente le cose – Guy non pensava ad altri che a Kaelee, ponendosi una serie infinita di domande su come quel bruto che lei si ritrovava per fratello l'avesse trattata dopo averla rapita, cosapevole che se Rudyard avesse solo provato a torcerle un capello l'avrbbe pagata prima o poi, fosse anche non direttamente ad opera sua; perciò ascoltava solo con un orecchio quanto Robin stava dicendo al prigioniero.
«Non so se posso fidarmi di te, anche se mi sembri onesto nel tuo essere sconvolto. Chi mi dice che non imbrogli raccontandomi che non sapevi nulla delle reali intenzioni di Rudyard e che nulla sai di come abbia rapito un'innocente? Perciò non sarai slegato quando ce ne andremo», disse l'arciere con un tono che, quasi certamente, – pensò Gisborne – era accompagnato dal solito sorrisetto vagamente strafottente. «Non pretendo che collabori con noi, ma bada! Se verrò a sapere che collabori ancora con Rudyard ai danni di Robin Hood e della sua banda o se tenterai di fare del male a Kaelee o a chiunque altri tra i miei uomini, non te la caverai altrettanto facilmente come adesso», concluse severamente.
«Voi siete il celebre Robin Hood, signore?», domandò quello, con un filo di voce.
«Chi altri pensavi che fossi? Un mendicante forse?», domandò Robin, il quale, manco a farlo apposta, aveva addosso quattro stracci sgualciti.
Perfino Guy, concentrato com'era sull'arrivo di Allan, scosse il capo e alzò gli occhi al cielo a quella pessima battuta.
«Oh, Robin! Possibile che tu debba scherzare pure in un simile momento?», lo rimproverò John.
«Perciò non mi ucciderete, signore? Mi risparmierete per davvero la vita, come si dice che voi facciate anche con chi vi manca di rispetto?», chiese il prigioniero, qualche momento più tardi.
«Ti ho offerto una scelta, ragazzo. Sfrutta al meglio questa seconda occasione e scegli meglio i tuoi compagni d'avventura», rispose Robin, chiudendo il discorso tra i molti ringraziamenti del giovane complice di Rudyard.
«Intendi riservare lo stesso trattamento anche a Rudyard?», domandò allora Guy, sempre più convinto che la soluzione migliore fosse catturarlo e dargli una lezione prima di rispedirlo a Edwinstowe e alle poco amorevoli cure di Dwight e Aric.
«Pensiamo a Kaelee prima», ribatté Robin.
«Gli hai già dato una seconda opportunità il giorno dell'inaugurazione della nuova Nottingham ed ecco come lui l'ha usata. Ne merita forse un'altra?», continuò con sarcasmo, cercando lo sguardo dell'arciere.
«Non sarò io a dargli la morte, se è questo che vuoi sapere, e non lo farai neanche tu. Avrà la sua punizione», gli rispose senza vacillare.
Quella discussione sarebbe potuta andare avanti per ore intere, ma appena Kaelee apparve oltre l'angolo Gisborne sentì la propria mente svuotarsi di ogni pensiero e riempirsi soltanto di lei, dei suoi occhi, del viso bellissimo anche se molto pallido. Non riuscì neanche ad arrabbiarsi per il modo in cui Allan la stringeva a sé, né badò al sorriso soddisfatto sulle labbra di lui, perché la contentezza che provava nel rivedere Kaelee sana e salva era incontenibile.

L'andatura ondeggiante di Allan rischiò di farle tornare la nausea, così come la luce improvvisa, che le aveva colpito gli occhi appena era uscita con il suo salvatore, le provocò un fastidiosissimo giramento di testa, che la costrinse ad aggrapparsi con forza ad Allan nel timore di poter cadere. Dal momento che Allan e non Gisborne era entrato in quell'abitazione per trarla in salvo, Kaelee ritenne che, in qualche modo, – probabilmente dandogli un colpo sulla nuca, legandolo o facendogli respirare un infuso dal potere estremamente calmante – Robin era riuscito a trattenere Guy al Maniero, perciò non si aspettava certo di trovarselo davanti, quando azzardò a riaprire gli occhi sperando che la vertigine non tornasse. Appena scorse il volto dell'uomo che amava e quegli occhi intensi, colmi di lacrime e d'amore, subito si agitò tra le braccia di Allan volendo soltanto sprofondare tra le braccia forti di Guy.
Con un movimento tanto fluido che non ne risentì minimamente, qualche istante più tardi scivolò dalle braccia di Allan a quelle di Gisborne e si sentì a casa come mai le era capitato in vent'anni di vita.
«Tu non dovresti essere qui», lo rimproverò in un sussurro roco.
«Nemmeno tu», rispose Guy baciandole la fronte e restituendole, così, tutto il calore umano di cui necessitava per dimenticare quell'orrenda disavventura.
Sapeva che non avrebbe accantonato in fretta quell'esperienza e sapeva che ci avrebbe fatto i conti molto presto, ma in quel momento non c'era altro che Gisborne con le sue mani grandi, con il suo petto ampio e con la sua voce profonda a sussurrarle parole d'amore e conforto.

La gioia lasciò presto il posto alla preoccupazione nel suo animo. Finché Kaelee era stata tra le braccia di Allan, Guy aveva notato soltanto quanto il suo colorito fosse più vicino al bianco che al rosa, ma avendola ora così vicina si rese conto che il pallore rischiava di essere il minore dei problemi: la ragazza, infatti, si mostrava debole al punto da non riuscire a reggersi in piedi, aveva occhi stanchi e lievemente cerchiati di nero, un sorriso tirato sulle labbra secche, screpolate tanto da recare perfino un taglio – preferì non considerare l'ipotesi che Rudyard le avesse messo le mani addosso, altrimenti sarebbe stato capace di affidare Kaelee a Robin per uccidere istantaneamente Rudyard – e dei brutti segni ai polsi. Dovette focalizzarsi esclusivamente sulla serenità che stringere al petto la donna che amava gli trasmetteva, per evitare di perdere la calma e bombardare Kaelee di tutte le domande che gli rimbalzavano in testa e per bloccare sul nascere gli inaccettabili scenari che gli si srotolavano nella mente – scenari in cui Kaelee veniva maltrattata fisicamente e verbalmente da suo fratello.

Quasi che Kaelee fosse un confortevole camino acceso, nel momento in cui Allan se ne separò ne risentì fisicamente: se fino a poco prima la gioia era il sentimento predominante nel suo animo e un caldo sorriso ne era lo specchio sul suo volto, quando la ragazza era finita in braccio a Gisborne fu come se il placido fuoco si fosse spento e Allan cominciò a sentire tutto il peso dell'illusione che si era creato.
La consapevolezza che lei non aveva affatto cambiato idea e che vedeva ancora in Gisborne l'unico uomo meritevole del suo amore, fece di Allan un uomo improvvisamente triste mentre lo sconforto si abbatteva su di lui come una tempesta di neve e se un accenno di sorriso tornò ad animargli il volto e il cuore fu soltanto perché Kaelee lo guardò dritto negli occhi per ringraziarlo sentitamente di averla salvata.
Si ritrovò ad annuire svogliatamente, accompagnando il gesto
con un'alzata di spalle.
«Chiunque di noi lo avrebbe fatto», rispose soltanto, come se averla salvata non avesse per lui un valore diverso, come se non provasse per lei sentimenti differenti da quelli di Archer, Much e tutti gli altri e più simili, invece, a quelli di Gisborne.
«Ma sei stato tu a farlo e per questo ti ringrazio», gli rispose in poco più che un sussurro.
Era palese, nella voce di lei, l'affetto che provava nei suoi confronti, ma questo non alleggerì affatto il suo cuore, anzi, quella riconoscenza e quel sorriso stanco, ma sincero, furono per lui come uno schiaffo in pieno viso, perché era l'ulteriore e chiara conferma che non era lui l'uomo che Kaelee amava, era la testimonianza che comunque fossero andate le cose lei non lo avrebbe mai amato. Rassegnarsi, quindi, era la cosa giusta da fare, l'inevitabile conclusione da dare a quella faccenda di cuore, ma la speranza sapeva essere davvero dura a morire e combatteva con ferocia nel suo cuore, piantando quella sottile radice pronta a crescere al minimo raggio di sole.
Allan avrebbe mille volte preferito soffrire vedendola sorridere tra le braccia di un altro che averla e renderla infelice a vita, perciò le sorrise ancora una volta.


Maniero di Robin, Locksley.
Era sera quando Kaelee si svegliò, nel letto che condivideva con Guy, senza ricordare di essersi addormentata.
Istintivamente allungò la mano alla sua destra e scoprì, con un pizzico di delusione, che lui non c'era.
Man mano che le nebbie del sonno si diradavano, riuscì a fare mente locale con la sensazione che non fosse la prima volta che ci provava nel corso di quella giornata. Era indubbiamente molto confusa e impiegò qualche minuto per rammentare che aveva affrontato lo stesso sforzo mentale a Nottingham, quando aveva dovuto razionalizzare di essere stata rapita da suo fratello. Constatato che non si era trattato di un incubo, Kaelee preferì non soffermarsi oltre su quella brutta esperienza e, in tal proposito, iniziò a ricordare di essere tornata a Locksley insieme a Gisborne, che l'aveva tenuta stretta perfino durante la cavalcata da Nottingham al villaggio.
Nel caos generale che pulsava insieme ai muscoli doloranti, scoprì di avere anche qualche ricordo confuso degli svariati risvegli di soprassalto che avevano preceduto il sonno profondo in cui era piombata, restandovi fino al tramonto di quel giorno orrendo; ricordava vagamente anche le braccia di Gisborne attorno a sé tutte le volte che si era svegliata in malo modo e quello era l'unico dettaglio che riuscisse a rasserenarla mentre si metteva a sedere senza nessuna voglia di alzarsi o fare qualunque cosa.
Gli incubi, invece, li rammentava benissimo, con una chiarezza tale da farli sembrare reali, e avevano tutti il volto maligno di suo fratello.
In effetti, a pensarci meglio, Kaelee si rese conto che i brutti sogni che l'avevano spaventata tanto da farla saltare su dal letto, somigliavano tremendamente agli eventi di quella mattina perché altro non erano che la rielaborazione di quanto le era realmente accaduto. Senza il mal di testa che aveva caratterizzato la disavventura era più semplice mettere in ordine i fatti: era stata rapita da Rudyard, anche se non aveva ancora capito come gli fosse riuscita l'impresa, era stata rinchiusa da qualche parte a Nottingham, – quasi certamente in quell'abitazione che lei e la banda avevano tenuto d'occhio – legata e privata di acqua e cibo, schiaffeggiata, derisa e minacciata; il tutto per neanche mezza giornata che, però, a lei era parsa corrispondere a giorni interi.
Poi, dal nulla, era arrivato Allan.
Si coprì il volto con entrambe le mani e scoprì che la guancia ancora le doleva fastidiosamente, se vi premeva sopra le dita, così si nascose di nuovo sotto le coperte per un tempo indefinito.

Stufa di restarsene immobile, infine si alzò dal letto, raggiunse la piccola bacinella a sua disposizione e si ritrovò a contemplare il riflesso di se stessa nell'acqua pulita e fresca, senza avere ben chiaro cosa dovesse o volesse fare.
Ciò che vide non le piacque affatto ed era questa l'unica certezza che aveva in quel momento.
Un volto imbronciato, sopracciglia corrucciate, labbra serrate, strette in una linea inespressiva, screpolate, sguardo vuoto la rendevano così diversa da chi era solita essere stata anche nei momenti peggiori della sua esistenza, che non riusciva nemmeno a riconoscersi davvero. Chi era la ragazza del riflesso, allora? Possibile che in una sola mattina Rudyard fosse riuscito a cambiarla più di quanto non fosse riuscita a fare sua madre in tanti anni?
La solita ciocca ribelle le cadde davanti agli occhi e la innervosì più delle altre volte, così, con uno scatto repentino delle dita, se la cacciò dietro l'orecchio desiderando strapparla via, più che intrecciarla al resto della chioma sperando che stesse ferma. Il riflesso dentro la bacinella, intanto, le mostrò un piccolo taglio all'angolo delle labbra lievemente gonfie, eredità dello schiaffo ricevuto da suo fratello e mentre i capelli di nuovo le ricadevano sul volto, Kaelee seppe finalmente cosa voleva e doveva fare.

Quando raggiunse i Tre, nella Sala Grande del Maniero, la conversazione in corso morì istantaneamente e nessuno ebbe il coraggio di fiatare. In quanto al perché si sconvolsero tanto nel rivederla, Kaelee decise che non le interessava, perché ormai la decisione era stata non soltanto presa, ma anche portata a compimento, perciò qualsiasi cosa Guy, Robin e Archer avessero detto, le carte in tavola non sarebbero cambiate, quindi era giusto che non dessero voce ai loro inutili e non richiesti commenti; in fin dei conti tutti, a Locksley, avevano lavorato per renderla definitivamente libera e consapevole di sé, ragion per cui non avrebbero avuto alcun diritto di protestare nel momento in cui lei avesse scelto per se stessa in modo del tutto autonomo.
Inevitabilmente, il suo sguardo finì su Gisborne, il quale la fissava più sconvolto che mai, incredulo, tanto che Kaelee si domandò perfino se l'avesse o meno riconosciuta: ci sarebbe stato da ridere se, istintivamente, lui le avesse chiesto quale fosse il suo nome.
Come se niente fosse, perché in fin dei conti nulla di tragico era accaduto mentre lei dormiva, prese posto al tavolo con una sicurezza che non si era mai sognata di ostentare al Maniero, né in nessun altro posto, – ma che le era necessaria a testimoniare con chi avrebbero avuto a che fare Gisborne e compagnia da quel momento in avanti – spostando senza convenevoli l'attenzione dei presenti su un argomento ben preciso.
«Dov'è Rudyard?», chiese, a pugni stretti, nel tentativo di apparire calma quando invece voleva soltanto prendere a calci quello che, per il pessimo senso dell'umorismo di un destino avverso, era suo fratello; un fratello il cui unico scopo nella vita era infelicitarla e che, per tale motivazione, sarebbe stato eliminato dalla faccia della terra, perché lei ne aveva abbastanza di vedere uomini che, continuamente e perfino in modi creativi, si divertivano a sottomettere e umiliare le donne.
"Mi mandino pure al rogo, se credono. Vorrà dire che lancerò contro di loro una tale maledizione che se ne pentiranno finché saranno in vita e anche oltre", pensò incollerita, sapendo che stava esagerando con quei pensieri che, tuttavia, non tentò di fermare.
Dal momento che Robin e Archer sembravano non essere intenzionati a risponderle, essendosi voltati entrambi verso Gisborne, Kaelee tornò a guardare il maggiore dei Tre.
Appena distolse lo sguardo dagli altri due, ebbe quasi la sensazione fisica dei loro occhi su di sé e questo non la aiutava certo a mantenere la calma, ma dato che mettersi a discutere sulla loro maleducazione l'avrebbe allontanata dalla ragione principale per cui era scesa al pianterreno, preferì tacere e attendere che Gisborne si decidesse a risponderle; nell'attesa provò a fantasticare sulla direzione che i pensieri di Robin e Archer potevano aver preso dopo averla vista in quelle sue nuove vesti – sebbene non avesse badato troppo a svolgere un lavoro preciso, il risultato mostratole dal riflesso nell'acqua non le era dispiaciuto, perciò nessuno avrebbe potuto dire di lei che fosse meno bella di prima – e, prendendo in considerazione le informazioni che possedeva sul passato di ognuno, concluse che Robin, se avesse avuto occasione di esprimere la propria opinione, avrebbe detto di lei che quel mutamento era il risultato di un'immediata reazione allo sconvolgimento per ciò che le era accaduto, avrebbe detto che lei si era convinta di poter allontanare tutto ciò che di spiacevole aveva vissuto semplicemente alterando lo stile di vita; mentre il secondo avrebbe sostenuto che si trattava più di una presa di posizione, ovvero solo l'inizio di un cambiamento più profondo e duraturo, magari pure definitivo, quasi che vivere una brutta esperienza avesse tirato fuori un'altra parte di lei con cui indendeva affrontare il futuro alle porte.
Se Kaelee si fosse trovata a dover ragionare su una situazione simile, avrebbe guardato all'insieme attraverso le sue esperienze di vita, perciò immaginò che Robin e Archer stessero facendo altrettanto mentre la fissavano senza criterio; probabilmente, quindi, Robin, che di ritorno dalla Terra Santa dopo la morte di Marian aveva pensato per un momento di mandare al diavolo il mito che si era creato attorno alla sua figura e che era poi tornato sui propri passi, credeva che Kaelee avesse solo bisogno di sfogare quanto aveva dentro, nel modo da lei ritenuto più opportuno; Archer, invece, che mille volte era stato costretto a reinventarsi per sopravvivere, vestendo così tanti panni non suoi da rischiare di perdere se stesso, probabilmente pensava che lei avesse solo esposto alla luce un altro strato della sua personalità.
Forse avevano ragione entrambi, forse nessuno dei due, ma comunque stessero le cose, Kaelee non intendeva giustificarsi, né aveva intenzione di perdere altro tempo con inutili elucubrazioni.
«Qualcuno di voi vuole rispondermi, oppure avete tutti perso la lingua?», domandò quindi, spazientita dal silenzio generale.

Gisborne, che prima dell'arrivo di Kaelee stava discutendo con i suoi fratelli proprio del destino di Rudyard, non riusciva a trovare le giuste parole da mettere in fila per comporre una frase di senso compiuto, destabilizzato dal mutamento fisico di lei prima ancora che dal tono con cui si stava rivolgendo a tutti loro. Se non fosse stato per gli occhi grandi di caramello e per la corporatura minuta, avrebbe stentato a riconoscerla tanto appariva diversa.
«Kaelee... Che cosa hai fatto?», mormorò appena quando lei insisté, con gli occhi fissi sul suo volto perché le lunghe onde scure della giovane donna avevano lasciato il posto ad un taglio corto e disordinato – non quanto quello di Djaq e più simile ai suoi stessi capelli – che, evidentemente, si era fatta da sola subito dopo essersi svegliata.
Inoltre aveva le mani fasciate dai corti guanti che finalmente le aveva dato, quando entrambi erano rientrati nel villaggio, nel tentativo di risollevarle il morale e anziché uno dei soliti, adorabili, abiti leggeri che le lasciavano fuori le spalle coprendole invece le caviglie, aveva indosso una blusa dalle maniche ampie, stretta attorno al busto grazie ad un corpetto che le metteva in risalto il seno e la vita sottile, e accompagnata da un paio di pantaloni tutt'altro che femminili, raccolti dal ginocchio in giù in aderenti stivali che la facevano somigliare più a Robin Hood che a una donna di Locksley o di un qualsiasi altro villaggio o città.
Ma, come aveva già avuto sentore dal tono che Kaelee aveva usato, non era solo una questione estetica. Il sorriso che Kaelee gli rivolse in risposta alla domanda che le aveva posto, lo inquietò al punto da indurlo ad alzarsi in piedi, come se sentisse il bisogno di difendersi dalla persona che aveva davanti e che non somigliava per niente alla Kaelee di cui si era innamorato. Il modo in cui quelle labbra si erano piegate all'insù aveva un che di malvagio, qualcosa che sapeva di rabbia e vendetta, di furia cieca – sentimenti, questi, che non sopportava collegare a lei – e anche se l'istintività di Kaelee non era una novità per nessuno, c'era qualcosa di realmente diverso in lei.
L'esperienza di quella mattina aveva evidentemente toccato determinate corde della sua anima, quali esattamente e con quali conseguenze Guy ancora non lo sapeva; del resto era stata una giornata difficile per tutti, una di quelle giornate i cui strascichi sapevano condizionare anche per settimane il comportamento dei malcapitati, perciò, forse, si trattava solo di un momento, passato il quale Kaelee sarebbe tornata a sorridere come sempre.
«Ricresceranno», commentò semplicemente la ragazza, «e, converrai certamente con me, gli abiti da donna non sono il massimo in duello», aggiunse poggiando un gomito sul tavolo e abbandonando una metà del viso nel palmo della mano, ancora evidentemente in attesa di una risposta – e determinata ad averla.
Di nuovo, Gisborne fu spiazzato dal suo atteggiamento perché, dovette ammettere a se stesso,
avere a che fare con lei in quel momento lo intimoriva. La forza nel suo sguardo lo metteva in soggezione, facendogli credere di non essere assolutamente in grado di proteggerla, semplicemente perché lei non ne aveva bisogno; per un attimo, guardandola, si convinse che Kaelee non avesse più bisogno di lui, si convinse di non avere nulla da offrirle e le spire di paura tornarono a stritolargli i polmoni e il cuore e la mente, impedendogli di respirare, amare, pensare.
Ciò che Gisborne vedeva era una donna piena di coraggio, fiera nel suo essere minuta ed esile, ferma nelle sue convinzioni, invincibile per il solo fatto che credeva fermamente in quel che pensava e faceva. Si sentì piccolo dinanzi a lei, in confronto a lei, e non fu in grado di dir nulla
.

Era un dato di fatto inattaccabile che Kaelee avesse scelto consciamente di allontanarsi dalla propria casa, dal villaggio in cui era nata e cresciuta, dall'unico essere umano che le aveva mai dimostrato di tenere a lei – suo fratello Aric – in nome di un sogno, di una speranza, di un'idea. La fermezza che le aveva consentito di ambientarsi in mezzo a completi estranei, di costruire un rapporto di amicizia con Kate, – la quale l'aveva gentilmente ospitata nella propria abitazione – di imparare a svolgere mestieri con cui non aveva mai avuto a che fare, che le aveva permesso di imparare a leggere e a maneggiare una spada senza perdersi d'animo solo perché con arco e frecce era andata male; quella stessa risolutezza che l'aveva salvata dalle pesanti giornate vissute a Edwinstowe in compagnia di sua madre, che l'aveva fatta montare in sella al cavallo di suo fratello pure dopo una brutta caduta, che l'aveva indotta a sognare e valutare la possibilità di una vita migliore altrove, che le aveva impedito di mettere in discussione ciò in cui credeva e i sentimenti che provava per Guy nel momento in cui lui le aveva aperto le porte del proprio passato; quella caratteristica che prima tra tutte emergeva sopra ogni lato del suo carattere, non era un'invenzione o un sottile muro di protezione. Era reale, solida e insita in profondità in lei come parte integrante della sua personalità, tanto che, anche se la vita serena che le sembrava di aver trovato a Locksley aveva posto in evidenza altre sfaccettature di lei, – l'altruismo, la solarità, la dolcezza – l'intolleranza nei confronti delle ingiustizie di ogni tipo restava un punto fermo del suo essere.
Non era abituata a sottomettersi a nessuno, tanto meno ad un fratello deciso a distruggere lei e le persone a cui voleva bene, né ad amici che preferivano avere a che fare esclusivamente con una parte di lei non accettandone il lato combattivo e desideroso di indipendenza, seppur bisognoso di affetti.
L'amore che nutriva per Gisborne, infatti, l'aveva per molti versi cambiata, facendo certamente di lei una donna più matura e responsabile, consapevole di avere metaforicamente in mano il cuore di un'altra persona e di doverne aver cura; l'aveva posta dinanzi a scelte importanti e decisive, ma le aveva, contemporaneamente, anche permesso di rilassarsi e accantonare per un po' quel desiderio di essere totalmente libera, consentendole di comprendere che essere la donna di qualcuno non significava per forza essere chiusa in gabbia.
Sebbene lei non avesse mai perso di vista la sua vera natura, iniziava a pensare che forse il sentimento che provava per Gisborne aveva finito per distrarre lui, allontanandolo dalla vera essenza di lei, lasciandolo di sasso ora che la ragazza partita di nascosto da Edwinstowe alla volta di Locksley era tornata a manifestarsi con forza.
Visto che, ancora una volta, Gisborne sembrava così stordito da aver perso la parola, le toccò catturare per l'ennesima volta la sua attenzione, provocandolo.
«Che c'è? Non ti piaccio più forse?», domandò quindi, senza troppa delicatezza nel tono, ottenendo infine il confronto che desiderava.

Dopo aver ascoltato il racconto dettagliato di quanto era successo quella mattina, delle ipotesi in merito a come Rudyard l'avesse prelevata da Locksley senza essere visto, – perché nessuno della banda era ancora riuscito ad avere certezze al riguardo – e dell'attuale situazione di suo fratello, – che la banda non aveva fermato quando aveva tentato la fuga e che era, quindi, ancora libero di circolare nei dintorni – Kaelee si era concessa una boccata d'aria fresca, per mettere da parte la disapprovazione, in compagnia di Gisborne. Sia lui che Robin e Archer le avevano spiegato di aver messo la sua incolumità dinanzi a tutto il resto e che era questa, quindi, la ragione per cui avevano permesso a Rudyard di svignarsela e, sebbene Kaelee non fosse ottusa al punto da non comprendere che avrebbe dovuto ringraziarli anziché fare polemica, non riusciva a non provare rabbia sapendo che suo fratello l'aveva scampata anche quella volta, come al solito.
Rifletteva su ciò che sarebbe stato meglio fare di lì in avanti quando Gisborne, senza preavviso e senza tenerezza, le strinse il mento con pollice e indice e la baciò, così rudemente che le parve di essere baciata da qualcuno che non fosse lui. Provò a protestare e a lamentarsi per la guancia e per il labbro doloranti, ma Guy la ignorò completamente, forzandola perfino a concedergli la lingua per un bacio più profondo e quasi violento, o forse disperato, e solo quando fu pienamente soddisfatto – emozione che espresse con un inequivocabile sospiro – si separò da lei per bloccarla con uno sguardo di fuoco.
«Prima mi hai chiesto se mi piaci ancora.Ti basta come risposta o preferiresti che ti inchiodassi alla parete e ripetessi l'operazione fino a toglierti il fiato e la ragione?», le chiese senza sorridere, con voce bassa e pericolosamente suadente che la costrinse a deglutire, perché per quanto fosse furiosa con Rudyard, l'attrazione che provava per Gisborne non era calata minimamente.
Dovette fare mente locale per esprimere al meglio ciò che pensava.
«Il sentimento che provo per te non mi ha resa e non deve rendermi debole, perciò quanto è successo stamattina non può più accadere. A me, a te o a uno qualsiasi tra noi», disse dopo qualche secondo di silenzio trascorso a galleggiare negli occhi di Guy.
«Quindi ti sei tagliata i capelli e ti sei vestita da uomo per dimostrarmi che sei forte?», chiese Gisborne, con ironia tagliente.
Con una punta di fastidio e disapprovazione per come Guy aveva malamente sintetizzato il senso della decisione che lei aveva preso, Kaelee riacquistò, almeno in parte, quell'obiettività che le era venuta meno nel momento stesso in cui si era lasciata guidare dalla rabbia, anziché dalla ragione, e capì che Gisborne – prima attraverso il bacio preso con la forza, poi con quel tono di voce – voleva rammentarle che lei non era l'unica ad aver accantonato un lato del proprio carattere per amore e voleva anche testimoniarle, forse, che amare non significava necessariamente sacrificarsi lasciando morire una parte di sé, tramutarsi in esseri deboli e privi di ogni difesa.
«Non devo dimostrarti proprio niente», rispose stizzita, pronta a voltargli le spalle per rientrare nel Maniero, perché non era ancora pronta ad affrontare un confronto pacato e razionale, anche se andarsene avrebbe fatto di lei una bambina capricciosa.
Prima che potesse farlo, però, si sentì afferrare per le spalle e fu costretta a restare esattamente dov'era, senza distogliere lo sguardo da lui.
«Hai ragione. So perfettamente che tipo di donna sei ed è per questo che ti amo», disse con pacatezza e determinazione. «Non sceglierei mai per me una donna diversa da te, meno forte di te, meno intelligente di te, meno bella di te», aggiunse, prendendole delicatamente il viso tra le mani.
Kaelee chiuse gli occhi e sospirò, come sempre in pace con se stessa e con il mondo quando era insieme a Gisborne.
Di nuovo senza preavviso, ricevette un secondo bacio da Guy, leggero e dolce stavolta, più simile a quelli che ben conosceva.
«Questo», mormorò Guy sulle sue labbra, «ciò che siamo noi due insieme», sussurrò cingendole la vita, «non ha niente a che fare con la debolezza».
La convinzione nella voce di Gisborne, la pressione delle dita sulla sua schiena, – in contrapposizione con la delicatezza dei baci – il calore del corpo di lui così vicino al proprio, indussero nuovamente Kaelee a riflettere. Ciò che la tormentava, infatti, era la possibilità che a causa sua e dei guai che si era portata appresso da Edwinstowe, Guy dovesse rimetterci la felicità o la vita ed era una sensazione, questa, che si era insinuata in lei quando l'amico di suo fratello Aric era giunto a Locklsey con la pergamena che aveva rotto l'equilibrio appena raggiunto; pertanto, la stabilità del rapporto con Guy, l'amore che lui nutriva per lei e che lei ricambiava, nulla sembravano poter fare contro quel tarlo che di tanto in tanto contaminava i suoi pensieri.
«E cosa siamo io e te insieme?», domandò, tenendo lo sguardo fisso sul petto di Gisborne mentre con le dita glielo sfiorava dolcemente.

Gisborne lasciò che quella domanda gli galleggiasse per qualche decina di istanti nella testa, volendone comprendere ogni singola sfaccettatura. Cosa gli stava chiedendo davvero Kaelee? Era ironica, oppure aveva bisogno di sentirsi dire che niente era perduto? Gli stava manifestando dubbio e incertezza? Voleva lasciargli intendere che ciò che aveva detto di provare per lui non era così forte come entrambi avevano creduto? Voleva che lui la proteggesse e le desse la forza per superare quel momento?
Ovunque stesse la verità assoluta, Guy scelse di lasciarla dov'era e rispondere alla donna che amava secondo quanto lui sentiva nel proprio cuore.
«L'antidoto ad ogni veleno. Il tetto di una casa. Lo scudo del guerriero. Oppure, se preferisci, soltanto un testardo intreccio di dita, un inarrestabile sfiorarsi di labbra. Due piccole isole che il destino ha coraggiosamente unito con un ponte», disse senza fretta, senza voler essere convincente. «Non so esattamente cosa siamo io e te insieme, Kaelee, ma so cosa sono senza di te», aggiunse, prendendo poi una pausa.
Kaelee, che aveva intanto sollevato lo sguardo deliziandolo con quei suoi occhi bellissimi, sembrò colpita dalle sue parole e gli parve restare in attesa, come sospesa a mezz'aria, non desiderando altro che lui riprendesse a parlare.
«Niente», sussurrò quindi, infine.






N.B.
Il capitolo è stato rieditato in data 20/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed è invece consistito nella revisione della forma e nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.


N.d.A.

Chiedo scusa in anticipo se ad un certo punto ho iniziato a saltare da una parte all'altra, ma, come al mio solito, ho provato a dare una visione globale della situazione, – anche per provare a rendere l'idea di gruppo – pur concentrandomi prevalentemente sull'interno dell'abitazione e sul ruolo di Guy e Archer nella vicenda. In tal proposito, tengo a precisare che quando ho lasciato due righe non ho solo cambiato punto di vista, ma anche il luogo d'azione, dall'interno all'esterno e viceversa. Spero che il risultato non sia il caos più totale.
In quanto a Rudyard e Kaelee, se fisicamente e caratterialmente sembrano non avere nulla in comune, a quanto pare un punto d'incontro tra loro esiste ed è identificabile con la determinazione. Tanto lei non vuole darsi per vinta, quanto lui vuole infelicitarla e compiacere sua madre.
Veniamo alle precisazioni per chi tratta la storia come un'originale – e che, comunque, sono informazioni utili a tutti.
Ad un certo punto (*) Robin fa riferimento ad un momento realmente accaduto nella serie tv: nella terza stagione, ovvero dopo l'assassinio di Marian, Robin e Guy hanno uno scontro molto ravvicinato durante il quale il secondo chiede all'arciere di ucciderlo, ma quest'ultimo gli fa solo un taglio sul volto – la conseguente cicatrice è quella che Kaelee di tanto in tanto chiama in causa. Restando ancora su Robin, naturalmente l'ultimo scontro cui si riferisce (**) è quello che, nella serie tv, ha ucciso entrambi; anche se ho modificato il destino di Robin e Guy, le cose sono andate in modo molto simile anche sullo schermo: Guy ha ceduto la spada ad Archer e, volendo salvare Robin da un affondo dello Sceriffo, si è trovato lui stesso colpito da Vaisey e da Isabella (che nella serie tv è ancora viva, mentre nella mia versione a questo punto della storia è già morta); una volta a terra, Robin se l'è preso sulle ginocchia e i due hanno avuto un breve dialogo in cui Guy gli dice che grazie a lui può morire libero anche se ad attenderlo dall'altra parte non ci sarà nessuno. (Se volete vedere il video originale – a rischio della vostra emotività, io ho le lacrime agli occhi tutte le volte che lo guardo – vi basterà cliccare
qui ).
In quanto ad Allan, tutti gli elementi su cui ho fatto (e farò anche nei prossimi capitoli) leva appartengono alla serie tv. Come mi è già capitato di precisare (credo e spero, altrimenti devo prendere atto di avere la testa tra le nuvole), per un certo periodo Allan ha accettato di vendere informazioni a Gisborne prima di essere cacciato da Robin; Guy lo ha davvero accolto anche se non poteva più essergli utile come prima – il che mi ha sempre fatto riflettere sulla reale cattiveria del personaggio: Vaisey, ad esempio, lo avrebbe cacciato a calci nel sedere – e Allan, per non farsi ammazzare ha dovuto rivelargli alcuni dei posti segreti che facevano da magazzino per le scorte della banda, però non ha mai rivelato la posizione degli accampamenti. In particolare, ad un certo punto (***) faccio riferimento alla riannessione di Allan al gruppo di fuorilegge: ho già parlato di questo episodio (il penultimo della seconda stagione, per i curiosi) in riferimento alla volontà di Much di festeggiare il compleanno di Robin non nella foresta, ma in un villaggio che aveva ritenuto sicuro; Allan è ancora alleato con Gisborne, ma sapendo che un gruppo di mercenari vuole uccidere gli uomini della banda, scappa e libera i suoi amici riappacificandosi con loro e partendo alla volta della Terra Santa, dove Gisborne e Vaisey sono diretti.
Ancora, Allan dice di Vaisey che è "tornato dal regno dei morti" (****), perché, in effetti, Gisborne era convinto di averlo ucciso qualche tempo prima; essendo solo stato gravemente ferito, invece, Vaisey ha poi avuto il tempo di riorganizzarsi ad insaputa di tutti, tranne qualche uomo fidatissimo.
Infine ho descritto la scena della morte di Allan (*****) (accusato da Isabella di aver collaborato con lei tradendo i compagni, è stato costretto a restare all'accampamento; riuscendo a liberarsi intende fuggire, ma incontra Vaisey il quale lo fa uccidere prima che possa avvisare gli altri della banda del ritorno dello Sceriffo e poi, da buon perfido quale è, fa recapitare il corpo senza vita davanti all'ingresso di Nottingham, dove Robin, Guy e la popolazione si preparano a spodestare chiunque voglia diventare nuovo Sceriffo della città) cambiando gli eventi in modo tale da farlo sopravvivere nella mia versione dei fatti.
Chiedo scusa se mi dilungo così tanto, ma ogni personaggio ha un suo bagaglio personale noto a chi ha seguito la serie tv e da cui io ho attinto per dar vita a nuove vicende, perciò mi sembra giusto parlarne, tanto più perché c'è chi mi fa la grandissima gentilezza di seguire e apprezzare questa storia nonostante appartenga ad un fandom specifico. 

Se qualcuno di voi mi dovesse chiedere come andrà a finire questa storia, non vi nasconderei che non ne ho la più pallida idea. Perciò toccherà anche a me attendere la volontà dei personaggi.
Intanto lascio a voi la parola ringraziandovi per il tempo che mi avete dedicato leggendo il capitolo ed eventualmente scegliendo di lasciarmi una recensione.
Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Un'Offerta ***


Diciassette


Un'Offerta

Locksley.
Erano diversi giorni che gli abitanti del villaggio non vedevano Allan in un posto diverso dalla taverna. Giorni che non svolgeva le proprie mansioni. Giorni che ignorava gli amici. 
E quando l'oste si rifiutava di servirgli altro vino temendo un malore o che desse in escandescenze, il giovane si alzava brontolando e si trascinava fino a Nottingham per soddisfare la propria sete alcolica. Lì restava fino a sera.
Fondamentalmente rientrava in quella tipologia di persone che da sbronze non causano volontariamente alcun danno, che non si lasciano coinvolgere in baruffe se non li si provoca. Proprio questo era uno dei motivi che aveva indotto i suoi amici a tenerlo d'occhio da lontano: di tanto in tanto facevano una capatina nella taverna, lo scortavano fino a Nottingham e si assicuravano che raggiungesse infine casa incolume. Vista la situazione avevano infatti ritenuto opportuno lasciargli la libertà di metabolizzare gli eventi e se il modo migliore per lui era ubriacarsi, dormire dodici ore filate o non riuscire affatto a chiudere occhio e convivere con un mal di testa atroce, non l'avrebbero ostacolato. Non subito almeno.
Dopo la preoccupazione iniziale dovuta al non aver ben chiaro il motivo che aveva spinto Allan tra le braccia del vino e del gioco d'azzardo, Robin e i suoi si erano solo assicurati che non esagerasse, che non facesse nulla di sconsiderato, nulla che potesse minare la sua salute. In fin dei conti si trattava di Allan, ovvero un tipo notoriamente positivo, sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronto ad una battuta, sempre pronto ad affrontare ogni cosa con sarcasmo ed ironia.
Quasi ogni cosa.
Perché ora la situazione iniziava a farsi complicata.
A detta di tutti quelli che si imbattevano in lui, Allan era sempre più scontroso, aveva perso il sorriso e a nessuna ora del giorno o della notte si poteva sperare di avere con lui un sobrio confronto, un normale dialogo. Aveva cominciato ad evitare gli amici perché in quella sua nuova ottica avvinazzata gli davano più noia che reale sostegno. Si era convinto che tenendo davvero a lui avrebbero parlato con Kaelee per illuminarla sulle alternative che si stava negando per stare con Gisborne e invece nessuno l'aveva fatto. Sosteneva in ogni caso di essere adulto abbastanza da poter scegliere liberamente il proprio stile di vita e non gradiva i consigli di chi gli voleva bene giudicandoli invece inutili critiche mirate ad infelicitarlo ulteriormente.
Nessuno, forse neanche lui stesso, sapeva con esattezza cosa gli passasse per la mente, ma tutti gli uomini di Robin avevano presto capito che quell'atteggiamento era il risultato di una forte delusione che sarebbe sfociata inevitabilmente in qualcosa di molto distruttivo se nessuno avesse posto rimedio.
La facilmente intuibile causa era Kaelee.

Non era certo una novità la relazione che la giovane Kaelee aveva con Guy di Gisborne, eppure aver vissuto sulla propria pelle l'intensità del sentimento che legava la ragazza a quell'uomo - quel sentimento così istintivo da tendere i muscoli di lei in direzione di lui appena i loro occhi si erano incontrati - era stato devastante per Allan.
Consapevole di non essere del tutto indifferente a Kaelee non si capacitava dell'abisso che lo separava dal cuore della donna. Sempre la ragazza gli aveva sorriso e sempre i suoi occhi grandi e attenti mentre le insegnava a leggere avevano manifestato profondo affetto. Sempre si era illuminata nel vederlo arrivare carico di pergamene tutte da scoprire. Ma non era abbastanza. Non era neanche lontanamente paragonabile alla delicata dolcezza con cui le labbra di Kaelee si piegavano all'insù se anche solo vedeva Guy passare in lontananza; neanche lontanamente paragonabile alla gioia di cui i suoi occhi si accendevano quando lui le rivolgeva la parola, fosse anche solo un breve saluto.
Non si può dire che fino a quel momento Allan non si fosse reso conto delle evidenze che ora gli apparivano chiare e lo ferivano a tal punto da dover annegarle in taverna. Si deve invece precisare che il giorno in cui aveva portato in salvo Kaelee si era concesso erroneamente di sperare in qualcosa di oggettivamente improbabile - così platealmente inverosimile che Allan stesso si era consapevolmente messo da parte, in attesa - e questo lo stava lentamente conducendo alla rovina.
Non riusciva a smettere di pensare, con un filo di risentimento, a come si erano svolte le cose e alla sincera determinazione con cui si era messo in gioco soltanto per poter ancora sentir risuonare la risata di Kaelee a Locklsey temendo di perderla per sempre. Solo per poter avere quella piccola dose di lei che gli migliorava le giornate.
Lui che per primo, per un colpo di fortuna o forse per volere di un destino favorevole, - o beffardo date le attuali circostanze - aveva trovato la traccia volutamente lasciata da Rudyard; lui che si era infilato nell'abitazione dell'uomo rischiando la vita e soprattutto caricandosi il peso della responsabilità di quella di lei; proprio lui che l'aveva portata in salvo si era infine guadagnato un misero "Grazie" da parte di Kaelee la quale, come se non bastasse, si era abbandonata ben volentieri alle braccia muscolose di quel bell'imbusto di Gisborne appena ne aveva avuto l'occasione, lasciando irrimediabilmente vuote quelle di Allan.
"Sedici anni più vecchio di lei", pensò rabbiosamente mentre scolava con avidità, quasi per dispetto, l'ennesimo boccale di vino rosso. "Da non crederci. Cosa ci trovi in lui resta un mistero. Con tutte le colpe che si porta dietro...". E intanto l'immagine di lei che si accoccolava al petto di Gisborne si abbatteva in ondate violente nella sua testa, alterandogli i pensieri forse più del vino ormai ampiamente in circolo.
Nemmeno le rivalità amorose erano una novità per gli uomini di Robin Hood - Robin e Guy entrambi innamorati di Marian; Will e lo stesso Allan che avevano manifestato una simpatia per Djaq la Saracena; e ancora l'interesse di Robin e Much rivolto a Kate.
Quando Kate aveva confidato a Much di provare qualcosa per Robin Hood chiedendogli di considerare il loro un semplice rapporto di amicizia, il fuorilegge aveva optato per la fuga in segreto. Che poi non avesse portato a termine l'idea per cause di forza maggiore - e per la fortuna di tutti dal momento che aveva salvato l'intera banda da un inganno di Isabella - era un altro paio di maniche. Ma Allan non era come Much. Ah, no. Allan non sarebbe mai fuggito soltanto perché Kaelee preferiva Gisborne a lui. Sarebbe rimasto e avrebbe lottato per lei, per dimostrarle che Gisborne non era l'unico buon partito a Locksley.
Il tutto rigorosamente dopo una bella bevuta.
L'ennesima.
Certo l'idea di sé che stava dando da sei giorni a quella parte non era delle migliori se l'intento era quello di far cambiare opinione a Kaelee.
Ma cosa poteva fare contro l'intima convizione che il vino fosse l'unico amico in grado di lenire il dolore e impedire ai cocci di andare irrimediabilmente alla deriva?

La proposta di matrimonio che Gisborne aveva fatto alla donna la notte in cui si erano uniti per la prima volta era rimasta un segreto che entrambi custodivano gelosamente anche a causa di Rudyard e della sua sadica inclinazione a perseguitare gli altri.
Un segreto che consentiva ad Allan di sperare ancora che la ragazza potesse allontanarsi una volta per tutte da Gisborne. Perché Allan si fosse convinto che Kaelee sarebbe corsa senza alcun dubbio da lui una volta rotto il legame con Guy non era chiaro a nessuno, neanche ad Allan stesso probabilmente.
Ma l'amore, si sa, rende ciechi oltre ogni limite.

Fu in tarda mattinata che Allan venne cacciato dalla taverna del villaggio per aver attaccato inappropriatamente briga con uno degli artigiani del posto il quale lo aveva stuzzicato per primo, è vero, ma non in maniera così grave. Non era da lui.
Allan stava perdendo se stesso.
Urlando bestemmie suggerite dal vino assunto dall'alba a quel momento se ne andò barcollando in direzione di Sherwood lasciando che fossero i suoi piedi a decidere la destinazione del suo oscillante vagabondare.
"Di sicuro non sono più sbronzi del mio cervello", pensò per nulla certo dell'effettivo senso di quella frase.

Foresta di Sherwood.
Ad un segnale ben preciso da parte dei suoi compagni nascosti, Archer aveva concesso a Rudyard ciò che lui bramava da quando la loro conversazione era iniziata: la libertà di proseguire per la propria strada. Così l'uomo aveva creduto di avere nuovamente la situazione in mano e di potersi finalmente dedicare alla ricerca degli uomini di Robin Hood - di uno in particolare - senza rendersi conto che per tutto quel tempo aveva interagito con uno di loro mentre gli altri mandavano in fumo i suoi sogni di gloria.

Da circa una settimana il fratello di Kaelee non faceva altro che ripensarci.
Più rimuginava su quanto facilmente si era lasciato trarre in inganno da una banda di sciocchi analfabeti - questa la sua opinione - più la ferita al suo orgoglio pulsava e si incancreniva. In concomitanza, il desiderio di vendetta cresceva a dismisura. E più tempo passava, più feroci e sanguinolenti divenivano i dettagli delle future imprese.
Di nuovo solo a causa di Robin Hood che doveva aver dato troppa aria alla sua lurida bocca di fuorilegge inducendo i due cagnolini fedeli a fuggire il più lontano possibile da Nottingham e dall'uomo che li aveva ingannati in modo tanto meschino, Rudyard fu costretto a lasciar perdere la copertura che si era creato in città e a trovare una diversa sistemazione. Suo malgrado dovette rinunciare alla comodità di un tetto sulla testa che lo riparasse dalle intemperie e da tutti i pericoli e gli imprevisti del caso, ritenendo poco sicuro continuare a risiedere a Nottingham o in uno qualunque dei villaggi circostanti. Si trasferì quindi nella foresta con la speranza, seppur lieve, di essere creduto molto più lontano di quanto in realtà non fosse.
Trascorse giorni alla ricerca di un rifugio che potesse vagamente somigliare ad una tana e che non fosse troppo all'interno di quella grande, misteriosa e popolata vegetazione.
Poco avvezzo alla vita senza le comodità di un'abitazione, per quanto misera, dormiva poco e male temendo perennemente l'agguato da parte di una qualche belva feroce.
Queste condizioni non facevano altro che incattivirlo maggiormente rendendolo una spietata macchina da guerra.
Rintanato tra gli arbusti, benché sofferente per la fame, la sete e il mancato sonno, più simile ad un fuorilegge trasandato che all'uomo presentatosi a Locksley non molto tempo addietro, Rudyard lavorava al nuovo piano d'attacco che non contemplava un fallimento né un vincitore che non fosse lui stesso. Sul serio questa volta.
"Se solo Willard non fosse il codardo che è...", pensava costantemente maledicendo suo fratello.

Allan perse molto in fretta il senso dell'orientamento apparendogli quegli arbusti tutti assolutamente identici tra loro.
«Ma che avete da oscillare così tanto?!», sbraitò senza controllo, «Vi sembra che ci sia vento? Niente vento! I miei abiti non si muovono affatto! Non un alito vi dico!», continuò nella convinzione che le piante si facessero beffe di lui, e che potessero non solo sentire le sue parole ma anche comprenderle, senza accorgersi che con ogni probabilità l'unico a muoversi nel raggio di miglia era lui stesso.
Oltre all'orientamento, l'uomo sembrava aver perso anche il senno.
Proprio lui che dell'amore non aveva mai fatto una gran malattia, lui che aveva preso con molta filosofia ogni rifiuto ricevuto, proprio lui che aveva ritenuto Robin e Guy due sciocchi a darsele di santa ragione per una donna, ora vagava nell'oblio di un sentimento non ricambiato. E non aveva la più pallida idea di come affrontare sobriamente la cosa. L'unica via attraverso cui incanalava le proprie sensazioni, una volta ubriaco, era quella della rabbia. Rabbia nei confronti di Gisborne che in quel momento era ai suoi occhi l'essere più immondo di tutta la Terra, una persona che con perfidia aveva astutamente corrotto e sedotto una ragazzina di vent'anni che meritava un uomo molto migliore di lui. Il suo piccolo mondo interiore girava così al contrario che i pensieri dell'uomo finivano per rassomigliare alla bugia di Rudyard, il fratello arrivato da lontano per salvare la dolce Kaelee dalla prepotenza di un essere viscido. Se il tasso alcolico nel suo sangue e la follia derivante dal rifiuto della giovane donna avessero indotto Allan a credere in quelle assurde convinzioni, gli eventi sarebbero velocemente precipitati.
Vinto da un inspiegabile - per lui - senso di nausea, si lasciò cadere contro un tronco e lì continuò a straparlare.

Maniero di Robin, Locksley.
Approfittando di un momento di solitudine, Kaelee aveva deciso di regalarsi un bagno rilassante nella tondeggiante e alta vasca in legno di cui disponeva liberamente lì al maniero.
Con indosso una leggerissima tunica bianca che utilizzava soltanto in occasioni come quella, si era immersa ben volentieri nell'acqua aromatizzata con deliziosi petali di fiori, ideali per quello scopo. L'essenza floreale la condusse in fretta in posti lontani che non aveva mai visitato ma che immaginava esistessero da qualche parte nel mondo.
Sospiro dopo sospiro aveva infine abbassato dolcemente le palpebre lasciando che tutti i muscoli del suo corpo si distendessero completamente.
Era al corrente del pessimo momento che Allan stava attraversando ma dopo averci pensato e ripensato era arrivata alla conclusione di non poterci fare nulla, credendo anzi di essere la peggiore persona che potesse occuparsi della situazione. Proprio perché era certa che ad Allan avrebbe fatto piacere averla attorno, sapeva anche che tentare di aiutarlo personalmente non avrebbe fatto altro che gettarlo ancor di più in fondo a quel baratro in cui già cadeva giorno dopo giorno a velocità record. Perché in nessuna cellula del corpo di lei era presente la volontà di ricambiare ciò che Allan provava nei suoi confronti. Lo stesso sentimento che lei rivolgeva ogni istante a Gisborne.
Se sia possibile o no amare due persone contemporaneamente, di certo non era il caso di Kaelee.
Già tempo addietro la giovane donna aveva affrontato con Allan questo stesso argomento e la pacatezza con cui l'uomo aveva reagito alle parole di lei l'aveva indotta a credere che con il tempo le cose sarebbero migliorate per lui, che avrebbe accantonato quell'infatuazione a favore della donna giusta; ma evidentemente qualcosa era andato come non doveva. Seppur sicura di non aver dato modo all'uomo di sperare in un cambiamento di rotta, si sentiva ugualmente in colpa per ogni goccio di vino bevuto da quello che lei riteneva un amico a tutti gli effetti.

Credette di aver solo immaginato il leggerissimo colpo alla porta socchiusa, ma quando sentì il frusciare di abiti accompagnato da passi dal ritmo inconfondibile seppe che Guy era entrato nella stanza e che si stava avvicinando alle spalle di lei, ancora immersa nella vasca. Sorrise immaginando l'istante in cui avrebbe sentito la voce dell'uomo che amava o una sua carezza.
Gisborne aveva bussato con delicatezza più per non spaventarla che per educazione.
La visione di lei immersa nell'acqua che profumava di fiori lo aveva subito riscaldato di un calore misto d'amore e desiderio. Dalla sua posizione riusciva a vedere soltanto la testa deliziosamente riccioluta di Kaelee, ma più avanzava più dettagli scorgeva. Intravide le ginocchia sollevate coperte da un sottile e trasparente strato di tessuto; le dita ancorate con delicatezza al bordo in legno; il profilo del piccolo naso leggermente rivolto all'insù essendo il capo appoggiato alla vasca; infine le labbra piegate in un sorriso irresistibile e ancora le spalle anch'esse parzialmente immerse e coperte dalla tunica trasparente che galleggiava tra i petali attorno alla figura della ragazza.
Si chinò senza fretta e le baciò la fronte trattenendosi più del dovuto.
«Disturbo?», domandò piano, per non rompere la tranquillità di lei le cui labbra e sopracciglia avevano finalmente smesso di essere contratte in un'espressione corrucciata.
«Affatto. Sono felice che tu sia qui», rispose lei riaprendo gli occhi per guardare quelli di lui e perdervisi.
Il sorriso di Guy parve illuminare l'intera stanza.
L'uomo constatò con curiosità che le morbide onde di Kaelee avevano assunto, grazie al nuovo taglio di capelli, la forma di ampi ricci che la facevano sembrare ancor più giovane. Nei suoi scoppi di gioia sembrava davvero una bambina e nonostante Guy non fosse pienamente d'accordo con la scarsa lunghezza della capigliatura, non riusciva a non trovare Kaelee più bella che mai. Fu proprio in quei capelli che Gisborne intrecciò le dita restando alle spalle della ragazza.
Con tutta la delicatezza di cui era capace l'uomo passò al collo prima e alle spalle poi strappando a Kaelee un sospiro soddisfatto. Si trattenne diversi minuti sulla pelle della ragazza prima di allontanarsi per recuperare una sorta di basso sgabello e sedersi di fianco alla vasca con il solo intento di restarsene in contemplazione.
Un sorriso sbocciò sulle labbra di Kaelee quando i suoi occhi incontrarono di nuovo quelli di Guy.
«Ti va di raccontarmi una storia? Una bella, la più bella che conosci?».
Uno dei loro passatempi preferiti quando non erano impegnati a duellare o a scambiarsi effusioni.

Foresta di Sherwood.
Guardingo come forse mai era stato, Rudyard udì una voce in lontananza e istintivamente si appiattì sul terreno nascondendosi tra la fitta vegetazione. Per quanto trovasse disgustoso starsene faccia a faccia con insetti e invertebrati di ogni sorta, era costretto a non fare troppo lo schizzinoso se voleva salvarsi la pelle.
Restò in ascolto e ben presto riuscì a concludere che chiunque fosse a parlare e ovunque si trovasse non si stava spostando, il che faceva di Rudyard un uomo libero di andarsene a zonzo per Sherwood sperando di agguantare almeno uno scoiattolo da arrostire per cena dato che a pranzo si era accontentato di certe bacche trovate per caso lungo la strada che l'aveva condotto esattamente lì dov'era.
Stando all'angolazione dei raggi che filtravano attraverso gli altissimi alberi della foresta doveva essere pomeriggio presto quando Rudyard decise di rischiare e incamminarsi silenziosamente verso la misteriosa voce. Per quel che ne sapeva poteva trattarsi di qualcuno che si era perso. Magari con una bella pagnotta al seguito.

Locksley.
L'incontenibile gioia che la pergamena appena ricevuta aveva scatenato in Much sovrastava di gran lunga la preoccupazione per Allan. A sua discolpa va detto che il contenuto della missiva riguardava un titolo che attendeva da diverso tempo e nel quale quasi non sperava più. Pur tenendo molto a quell'amico che si stava perdendo allontanandosi dalla retta via, come si suol dire, Much non riuscì a non correre a tutta birra per Locksley urlando a squarciagola la bella novità.
Una volta soltanto, e con il solo scopo di ricavarne un utile, lo Sceriffo Vaisey di Nottingham lo aveva pregiato del titolo di Lord lasciandogli credere che la bella tenuta a Bonchurch sarebbe stata sua per sempre. Ben presto però l'uomo si era reso conto dell'inganno ed era tornato ad essere il fedele servitore di Robin e della sua causa. Ma ora era tutto diverso.
Il sigillo in ceralacca di Re Riccardo in persona era posto su quella pergamena a lui indirizzata e tanto bastava renderlo l'uomo più felice del mondo. Semplice, ingenuo, fedele e felice signore di Bonchurch. Un sogno che si avverava e che doveva assolutamente condividere con Kate e Robin. Con la velocità di una saetta, al pensiero di quel nome Much venne sfiorato dall'idea che fosse stato proprio il suo amico Robin ad intervenire in suo favore mantenendo così un'antica promessa.
Il successivo anello della catena fu Eve, la serva che gli aveva tenuto compagnia durante la sua prima permanenza a Bonchurch: ricordò di aver fatto anche lui una promessa e si domandò se avrebbe trovato ancora la donna lì. Il velo di preoccupazione non riuscì comunque a distoglierlo dall'enorme e disordinata contentezza che provava.
L'inarrestabile sorriso dipinto sulle labbra di Much mandò in confusione Kate quando l'uomo la raggiunse cingendole i fianchi con delicatezza. La donna si rendeva conto ogni giorno di più quanto il suo futuro marito fosse bello e prezioso per le sue doti caratteriali.
«Bonchurch», esordì quasi sulle labbra di lei. «Verresti a vivere lì insieme a me?».
Ma la donna non ebbe il tempo di replicare trovandosi la bocca di Much sulla propria.

Foresta di Sherwood.
I discorsi insensati dell'uomo sconosciuto fecero credere a Rudyard di avere a che fare con un alterato, un malato di mente. Parlava di un vento invisibile e tanto forte da fargli girare la testa, chiedeva pietà e una tregua giurando di sentirsi molto male. Nel mentre malediceva cose e persone senza che Rudyard riuscisse a capirci qualcosa probabilmente perché era ancora troppo distante dall'uomo. Quindi, più silenziosamente che poté, raggiunse un cespuglio più vicino alla stramba figura seduta per terra e lì si nascose.

Allan si prese la testa tra le mani e iniziò a lamentarsi senza più usare parole. Di tanto in tanto borbottava qualcosa, lanciava un gemito più acuto, si dondolava ritmicamente nella speranza che la testa smettesse così di girare per proprio conto, si sventolava le mani davanti alla faccia come per scacciare via qualcosa. A guardarlo si sarebbe detto di lui che era davvero un pazzo. Invece era quella la sommatoria di tutte le bevute del giorno e di quelli precedenti.
D'un tratto parve infine placarsi, ma non durò più di un paio di minuti. Battendo i pugni contro il terreno e sollevando il capo di scatto si mise a urlare un nome.

Rudyard era sul punto di andarsene quando finalmente l'uomo misterioso gli fornì un interessante indizio.
«Kaelee!», gridò con quanto fiato aveva in gola in un tono che sembrava colmo di disperazione e dolore.
Pur non conoscendone il nome Rudyard ebbe la certezza che, chiunque fosse, quell'uomo aveva a che fare con sua sorella e con Robin Hood. Uno dopo l'altro gli anelli iniziarono ad incastrarsi nella mente dell'abitante di Edwinstowe. Un'evidente certezza suggeriva che quell'uomo non era Gisborne sebbene avesse invocato il nome di Kaelee - Rudyard conosceva Gisborne di persona e quel relitto umano non somigliava neanche un po' a Sir Guy. Questo lasciava intendere che doveva essere qualcuno a lei molto legato e quindi con ogni probabilità un uomo di Robin Hood, magari un pretendente. E magari uno di quelli disposti a tutto pur di avere una donna.
L'idea gli balenò con forza nella mente: quell'uomo era sì pazzo, ma di un dolore che aveva annegato nell'alcool e Kaelee ne era, volutamente oppure no, la causa. Il che significava che quell'ex fuorilegge aveva un avversario di nome Gisborne, dettaglio che faceva di lui un potenziale alleato di Rudyard.
Se fosse riuscito a corromperlo avrebbe avuto un aiuto molto più valido dei due idioti che erano corsi via a gambe levate alla prima occasione e senza dubbio più valido di suo fratello Willard.
Ritenendo che non rappresentasse un pericolo nelle condizioni in cui si trovava, Rudyard decise di venire allo scoperto.
«Siamo ridotti maluccio», disse restando in piedi ad un paio di metri da Allan il quale alzò la testa più per istinto che per difendersi da un eventuale pericolo.
Il suo sguardo era vuoto, spento, come di chi non riesce a comprendere bene la realtà che ha attorno non essendosi ancora completamente risvegliato dopo un sonno profondo. Non soltanto Allan non riconobbe Rudyard, ma non si interrogò neanche sulle intenzioni di quello sconosciuto. Un po' per la confusione che gli impediva di ragionare e un po' perché non gli importava.
Non gli importava più di niente e nessuno, nemmeno di se stesso.

Locksley.
Much aveva più o meno portato a termine il racconto dietro all'improvvisa e inarrestabile voglia di trasferirsi a Bonchurch. Un'incredula Kate lo tempestava di domande facendosi ripetere più e più volte alcuni passaggi di quella storia quasi surreale.
Kate aveva già sbagliato una volta con Much credendo di conoscerlo abbastanza da poter dire che non era il tipo di persona adatto a lei. E ancora aveva continuato a sbagliare ritenendolo un uomo troppo buono, sincero e pacato per aver davvero combattuto in Terra Santa al fianco di Robin Hood, nella Guardia Privata di Re Riccardo. Sottovalutandolo Kate non aveva prestato orecchio alle tante storie raccontate nelle notti troppo buie per dormire sereni, non aveva ritenuto utile fermarsi ad ascoltare attentamente.
«Lord Much», ripetè a se stessa. In prima battuta in tono scettico. Poi come se lo stesse domandando a qualcuno. Con sorpresa. Meraviglia.
Eppure nel breve periodo trascorso nei panni della fuorilegge Kate era stata spettatrice del coraggio di Much, lo aveva visto mettersi in gioco per i suoi compagni e amici. Che preferisse occuparsi di questioni più pacifiche era un dato di fatto, ma non faceva di lui un codardo o un incapace. Uno che non meritava stima al pari di tutti gli altri.
Infine Kate ripeté quelle due parole con l'entusiasmo di chi realizza qualcosa, di chi fa una scoperta.
«Lord Much!», esclamò ancora.
«È così, mia cara», le rispose lui dandosi arie da nobile: mento all'insù, lo sguardo frivolo di chi finge di non considerare importante quel titolo, un sorrisetto compiaciuto, la mano sventolata con leggerezza come a scacciar via una mosca.
Kate scoppiò a ridere e gli gettò le braccia al collo.

Foresta di Sherwood.
Prima di dare il via al piano di corruzione, Rudyard volle assicurarsi che non si trattasse di una trappola. Per quel che ne sapeva, Robin Hood e i suoi potevano aver capito che viveva nascosto nella foresta e aver quindi messo a punto un contorto tranello per attirarlo verso di loro e farlo prigioniero o ucciderlo. Allan però sembrava essere davvero solo e anche davvero ubriaco, perciò Rudyard decise di stuzzicarlo chiamando in causa proprio sua sorella.
«Ehi, amico. Prima ti ho sentito urlare un nome... Un nome di donna», disse contando sul fatto che ubriaco com'era non si sarebbe posto domande troppo intelligenti.
«No», rispose Allan con gli occhi mezzi chiusi, ancora malamente seduto a terra e con l'indice alzato ad annunciare una puntualizzazione. «Non è una donna», continuò marcando l'articolo. «È Kaelee ed è la donna che amo», concluse lasciando che la mano ricadesse tra l'erba, spinta verso il basso dalla forza di gravità.
Senza saperlo Allan aveva confermato le ipotesi di Rudyard, gli aveva fornito una nuova speranza di spuntarla in quella vicenda e gli aveva regalato la carta vincente su cui fare leva.
L'uomo di Edwinstowe, certo ormai di non essere stato riconosciuto, - complici forse l'incolta barba e i capelli spettinati e sporchi, forse lo stato alterato del suo interlocutore - si vestì di un'espressione sinceramente preoccupata prima di rivolgere nuovamente la parola ad Allan.
«Se l'ami cosa ti rende così infelice? Le è forse accaduto qualcosa di brutto?», domandò in tono calmo, muovendo qualche passo in direzione dell'uomo.
Allan, istintivamente, scosse la testa e capì troppo tardi che quella era stata una pessima scelta. La nausea minacciò di sconvolgergli il corpo prima di ritirarsi nel punto esatto da cui era partita. Solo un paio di minuti più tardi l'uomo riuscì a rispondergli.
«No, no davvero», disse di getto per poi ripensarci. «Anzi sì. Appartiene ad un uomo che non sono io!». La furia nel suo tono di voce era palpabile.

Con calma, pazienza e astuzia Rudyard spronò Allan a confidarsi. Ottenne informazioni in merito alla sua identità e lasciò che gli raccontasse tutta una serie di particolari che non gli sarebbero stati utili se non a guadagnarsi la fiducia dell'uomo che infine, stanco, si addormentò.
Anziché sparire, Rudyard gli rimase accanto. Non certo per pietà o solidarietà: era fermamente intenzionato a portarlo dalla propria parte.
Consapevole che Allan si sarebbe svegliato sobrio prese le distanze da lui, temendo che l'ormai smaltita confusione mentale avrebbe consentito all'uomo di riconoscerlo ma pensando con una certa convinzione e non a torto che ciò non accadesse; in tal caso sperò inoltre che al risveglio Allan non ricordasse alcunché della conversazione avuta cosa che gli avrebbe permesso di spacciarsi per un conoscente, qualcuno mosso dalle migliori intenzioni.
La mente di Rudyard era un cavallo in corsa. Durante le due ore in cui Allan rimase privo di coscienza, Rudyard pensò a mille modi diversi per incastrarlo e non sapendo sceglierne uno, il migliore, decise che avrebbe agito in base all'atteggiamento e alle reazioni dell'affiliato a Robin Hood. Non dimenticò di mettere in conto che più tempo passava, più era probabile che l'arciere e i suoi si accorgessero della scomparsa di uno di loro e si mettessero a cercarlo, né si permise di abbassare la guardia tenendo presente anche la possibilità di un'imboscata pianificata.

Al suo risveglio Allan fu costretto a fare i conti con un gran mal di testa e un enorme vuoto di memoria che gli impediva di ricordare come fosse arrivato nel bel mezzo della foresta e perché. Non scorse subito la figura accovacciata a qualche metro da lui, perciò si spaventò quando una voce gli domandò come si sentisse. Le parole arrivarono chiassose alla mente stordita di Allan e rimbalzarono sulle tempie martoriate dipingendo un'espressione addolorata e infastidita sul volto dell'uomo.
Rudyard riuscì a non sembrare teso e pronto a darsi alla fuga, come invece era, mentre attendeva tanto una risposta quanto un responso: Allan avrebbe o no capito chi era il suo interlocutore?
L'ex fuorilegge rimase spaesato dall'inaspettata presenza e dalla sua domanda. Riconobbe a se stesso che aveva qualcosa di vagamente familiare ma, non riuscendo ad individuare cosa e attribuendo il disordine mentale all'ennesima bevuta, ritenne che doveva essere un abitante di Locksley o Nottingham che lo aveva trovato per caso lì nella foresta.
«Allan? Va meglio?», domandò di nuovo.
Chiamandolo per nome Rudyard era convinto di guadagnare un punto a proprio favore dimostrando di conoscere bene l'uomo e di avere con lui una certa confidenza. Allan infatti non sembrava essere sulla difensiva. L'uomo arrivato da Edwinstowe non aveva ancora ben chiaro nella mente come avrebbe esposto la propria offerta, ma sapeva di doverlo fare esattamente nel momento giusto. Né un attimo prima, né un secondo più tardi. Restava da definire il concetto di "momento giusto".
L'ex fuorilegge espirò probabilmente tutta l'aria che aveva nei polmoni, lasciando che le spalle si afflosciassero in segno di resa dinanzi ad un'enorme evidenza. No, non andava meglio. Non andava meglio perché aveva smaltito tutto il vino. Non andava meglio perché i postumi della bevuta erano orribili. E non andava meglio perché era tornata anche la consapevolezza di ogni cosa. Il tono di quei pensieri era sarcastico e sgarbato, perciò inspirò ed espirò ancora prima di rispondere all'uomo che aveva manifestato gentilezza e preoccupazione nei suoi riguardi.
«Non esattamente, ma grazie per aver chiesto», disse infine accompagnando con un accenno di sorriso.
Anche Rudyard sorrise tendendo una mano ad Allan che si alzò malfermo.

I due camminarono lentamente e per molto tempo verso una meta che non era Locklsey, senza che Allan dubitasse minimamente della direzione presa.
La calcolata cordialità dell'uomo impediva che il sospetto si insinuasse nel cuore dell'affiliato a Robin Hood; e anche se il percorso iniziava ad apparirgli troppo lungo, Allan non se la sentì di contraddire la persona che gli era stata accanto mentre era privo di coscienza.
Dialogarono senza sosta del più e del meno finché, arrivati ad un piccolo spiazzo erboso, Rudyard si fermò. L'espressione sul suo viso mutò repentinamente.
Allan si bloccò a metà di una risposta, colto alla sprovvista.
Entrambi restarono in attesa l'uno di una mossa dell'altro, ognuno immerso nei propri ragionamenti e quesiti.
Mentre Allan cercava di capirci qualcosa senza lasciarsi prendere dal panico, Rudyard si preparava a cogliere l'attimo consapevole che non avrebbe avuto un'altra occasione come quella.
«Ehi, amico...», esordì l'ex fuorilegge ostentando una calma che iniziava a svanire, «Che succede?».
Il sorriso maligno di Rudyard fu l'eloquente e immediata risposta a tutti i dubbi di Allan che finalmente comprese il motivo per cui quel volto gli era noto.
«Rudyard... Ma come ho fatto a non capir...», Allan non riuscì a terminare.
«È ciò che accade quando si va a zonzo sbronzi». Rudyard parlò senza fretta, a bassa voce e senza alcun cenno di minaccia nella voce.
L'uomo di Robin Hood cercò di arginare la sorpresa e di azionare il cervello mettendo da parte pure il mal di testa persistente. Non gli fu semplice considerato che aveva dovuto fare molto in fretta, ma tirò ugualmente con provvidenziale rapidità le somme: doveva scappare, far ritorno a Locksley e avvisare Robin e gli altri della presenza del fratello di Kaelee nella foresta. La parte riguardante il rientro a Locksley era una delle più complesse dal momento che Allan non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Quindi iniziò a guardarsi freneticamente attorno, in cerca della direzione più conveniente in cui scattare per sottrarsi all'uomo e in cerca un indizio - un tronco dalla forma particolare, rami segnati. Non era ancora propriamente nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali, ma era sicuro che restare lì con Rudyard non era una scelta vincente.
Il fratello di Kaelee lesse chiaramente nelle movenze di Allan la volontà di andarsene e non potendo permettere che ciò accadesse, sollevò lentamente entrambe le mani in un segno di pacifica intesa. «Aspetta, Allan A Dale. Ho un'offerta per te», mormorò Rudyard.
«Spiacente. Non sono interessato. Quindi ora, se non ti spiace, me ne torno al villaggio e ti mando alle calcagna i migliori segugi della banda», rispose Allan con uno dei suoi migliori sorrisi sarcastici, per nulla intenzionato a venire a patti con un individuo quale Rudyard.
Rudyard rise in modo composto, a bassa voce, apparendo davvero divertito prima di giocare la propria carta.
«È un vero peccato. Saremmo andati molto d'accordo io e te, a Edwinstowe... Con Kaelee», ammiccò.

Maniero di Robin, Locksley.
Gisborne aveva appena chiesto una tregua a Kaelee affermando di non avere più storie degne della sua curiosità in repertorio, quindi si era allontanato per aggiungere dell'acqua calda alla tonda vasca che la ragazza ancora occupava.
Che fosse lo scorrere di un piccolo rivo, la placida immobilità di un lago o la semplice immersione in una vasca, il contatto con l'acqua aiutava da sempre Kaelee a rilassarsi. Dopo una dura giornata di lavoro. Dopo l'ennesimo scontro con sua madre. Per mitigare i brutti pensieri. Quando non poteva correre libera con il suo cavallo, a Edwinstowe, raggiungeva in solitudine il limpido ruscello che scorreva poco lontano da casa sua e lì si chinava per sfiorarne la superficie cristallina con il palmo; quindi chiudeva gli occhi e ascoltava i suoni del mondo.
Da quando era a Locksley raramente si affidava a quella vecchia abitudine per calmare i nervi: le bastava stare insieme a Gisborne.
Si era voltata d'istinto per seguirlo con lo sguardo. Kaelee aveva in questo modo potuto apprezzare la lunga linea della schiena che terminava in un'ipnotica curva perfetta. Aveva potuto soffermarsi inoltre sulle spalle ampie e sulle gambe muscolose e al contempo eleganti.
Fu estremamente facile ripensare all'ultima volta che aveva affondato le dita sulla pelle di lui.
Nella mente della ragazza presero in fretta a vorticare immagini di loro due impegnati in dolci, lente, stuzzicanti e irresistibili effusioni.
E fu altrettanto semplice attendere il ritorno di Guy volutamente in piedi, lasciando che le trasparenze e l'aderenza della veste bagnata accendessero l'uomo e lo spingessero tra le braccia di lei. Come di consueto arrossì dinanzi a quella parte che costantemente desiderava Gisborne più del lecito, una parte che negli ultimi tempi aveva imparato a prendere il sopravvento, ma anziché lasciarsi frenare da quel pudore che l'uomo adorava Kaelee aveva iniziato a sfruttarlo a proprio vantaggio, come arma di seduzione.
Così quando Guy mise nuovamente piede nella stanza sgranò gli occhi per una frazione di secondo prima che il suo corpo rispondesse alle provocazioni di lei.
Quelle soavi pennellate di timidezza in netto contrasto con il fuoco di caramello, quel giovane corpo dalle forme soltanto accennate ma evidenti sotto il fine e trasparente velo, la vita esile ma non per questo priva di sensualità mentre spostando il peso su una gamba Kaelee inclinava impercettibilmente il bacino originando una morbida curva, le braccia sottili lasciate cadere con leggerezza lungo i fianchi; quella donna, la sua donna, che gli si offriva così; tutto di Kaelee lo attraeva: ogni respiro che le sollevava le spalle, ogni tremolio delle labbra piene e delle palpebre chiare, ogni singolo movimento di lei per quanto minimo.
Il mutamento si innescò in un attimo.
Poco prima Guy era entrato con innocenza in quello spazio portando con sé un sorriso totalmente privo di malizia. Subito dopo il suo incedere si era fatto sensuale, il mento si era sollevato con un pizzico di sfrontatezza scoprendo il collo generosamente lungo, lo sguardo era divenuto intrigante mentre tutti i muscoli si tendevano verso un'unica direzione.
Con ricercata calma aggiunse l'acqua calda a quella già presente nella vasca senza mai staccare gli occhi da quelli di Kaelee.
Il calore che raggiunse le gambe della ragazza accrebbe la voglia di lui causandole un brivido di puro piacere.
Fu in un battito di ciglia che i capelli di Gisborne da ordinati quali erano risultarono meravigliosamente scompigliati agli occhi della giovane donna. Guy si era privato della casacca scura e mostrava senza alcun pudore un corpo glabro, tonico, scolpito.
Kaelee lasciò lo sguardo terso di lui per posare avidamente gli occhi su quel delizioso punto di congiunzione tra le clavicole e la linea del petto; e da lì iniziare una pericolosa discesa verso il piacevole peccato. Si morse il labbro inferiore preda di quell'impazienza che alimenta all'infinito un fuoco senza mai lasciarlo divampare né spegnere, in una crudele ma sensuale tortura. E scesero, quegli occhi, in sincrono con le mani dell'uomo il quale si privò della cintura che scagliò senza cura a terra; e indugiarono con loro sul bottone che univa i lembi di tessuto nero; e si posarono sull'unico indumento rimasto bramandone la caduta.
Non una parola. Solo respiri sempre più veloci e sempre più spezzati.
Prima con un piede, poi con l'altro Gisborne infranse definitivamente la quiete cristallina che, svergognata, aveva osato lambire il corpo sotto la bianca veste.
Senza indugio Kaelee si appropriò dei fianchi dell'uomo ripercorrendo al contrario il percorso intrapreso dallo sguardo, soffermandosi di tanto in tanto e arrivando infine al volto irsuto e bellissimo. Guardandolo le tornò in mente il giorno in cui si era svegliata per il pranzo dopo una notte trascorsa al forno del vecchio Tyrik e aveva trovato Guy seduto a tavola nella casa che condivideva con Kate. Ricordò le emozioni in tumulto e lo scombussolamento creato dagli ultimi arrivati in materia di sentimenti. Rammentò la gentilezza con cui l'uomo aveva posto la mano sotto quella di lei per poterla sollevare fin quasi all'altezza delle labbra in un simbolico bacio. Riecheggiò nella sua mente la voce profonda e allora sconosciuta che interagiva e rideva. Si rivide avanzare dalla scala alla cucina con i pensieri già in disordine; già inconsapevolmente innamorata di quell'uomo così complesso, così tormentato, così maturo e misterioso eppure anche così fragile nella preziosa profodità del suo essere. Fece un passo indietro nei ricordi tornando all'alba di quella stessa mattina, al momento in cui si era voltata per rientrare a casa e l'aveva visto: alto, quasi solenne nell'immobilità della posa assunta, come in attesa di qualcosa di più di un nuovo giorno soltanto.
Kaelee non riuscì a non sorridere mentre come in una visione riviveva anche la notte in cui aveva preso coscienza dei propri sentimenti per Guy. 
E proprio come aveva fatto quella notte appoggiò una guancia al petto dell'uomo, in cerca di un tenero abbraccio.
Era così tra loro. Un attimo andavano a fuoco e poco dopo si fasciavano di immensa dolcezza.
Gisborne, che non si era ancora abituato davvero ai repentini cambi di direzione di entrambi, impiegò qualche secondo a sintonizzarsi con lei. Difficile scollegarsi dai pensieri indecenti che gli affollavano la mente e concentrarsi sull'improvvisa delicatezza di Kaelee. Quando ricambiò l'abbraccio, però, Guy aveva la testa occupata esclusivamente dal suono del respiro di lei e dal gradevole tepore che si espandeva dal punto esatto in cui la loro pelle si era incontrata.
Le accarezzò il viso indugiando sulla fronte e sulla tempia, soffermandosi tra i capelli soffici e proprio a loro indirizzò il sospiro che sentì nascere spontaneo.
Se non fosse stato per la tenera comicità dell'episodio, Guy si sarebbe lanciato in una delle sue scenate scoprendo Kaelee da sola nella foresta ad esercitarsi con un arco che non collaborava. Che sciocco era stato a non rendersi conto di quanto fosse eloquente la preoccupazione che sempre insisteva in lui quando si trattava della giovane ragazza arrivata da Edwinstowe. Che cieco era stato nel notare l'aspetto minuto di lei - caratteristica che la faceva apparire perennemente indifesa ai suoi occhi - senza soffermarsi sul proprio bisogno di proteggerla da qualunque cosa o persona lei incontrasse quasi che pure un soffio di vento potesse portarla via. 
Portargliela via.
Come la minaccia contenuta in una breve ma tagliente pergamena che aveva suscitato in Guy una tale rabbia da fargli quasi perdere il controllo, tale che si era esposto completamente offrendo a Kaelee la propria protezione, mettendola dinanzi alla porta oscura del proprio passato. Porta che lei aveva aperto con coraggio e rispetto. Porta che non li aveva affatto allontanati. Porta che li aveva infine condotti entrambi esattamente lì dov'erano.
Guy sentì la necessità di amplificare le piacevoli sensazioni di quell'abbraccio, quindi si immerse finalmente nella vasca trascinando Kaelee con sé.
«Non erano esattamente queste le mie intenzioni, ma devo ammettere che anche così si sta benissimo», sussurrò la ragazza sulle labbra di lui prima di baciarlo con una lentezza tale da far credere a entrambi di avere l'eternità a disposizione.



N.d.A.
Mi tocca ammettere che gli eventi hanno stupito anche me mentre scrivevo. E mi rendo conto di quanto sia scontato associare proprio Allan alla figura del traditore. Eppure la trama si è letteralmente stesa da sola a partire da quando tra tutti proprio Allan ha preteso di avere una preferenza per Kaelee, fino ad arrivare al viaggio che ha portato Rudyard e gli altri a Locksley. Quindi non mi resta che arrendermi alla volontà dei personaggi e stare a vedere dove ci condurrà.
Grazie per il tempo dedicatomi.
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** A Fil di Lama ***


Diciotto


A Fil di Lama

Foresta di Sherwood.

"È un vero peccato. Saremmo andati molto d'accordo io e te, a Edwinstowe... Con Kaelee".
Le parole di Rudyard continuavano a riecheggiare nell'ancora dolorante testa di Allan mentre lui cercava una risposta intelligente. O anche soltanto una risposta.
Quando credette di averla trovata tentò di indossare un'espressione pacatamente divertita sperando di darla a bere all'uomo che aveva di fronte.
«Perché dovrebbe interessarmi?», chiese.
A sorpresa la risata di Rudyard riempì in uno scoppio l'aria attorno a entrambi.

Il sorrisetto dell'ex fuorilegge si spense istantaneamente rivelando la valanga di domande.
Allan non ricordava nulla di ciò che gli era accaduto da quando era stato sbattuto fuori dalla taverna di Locksley a quando si era svegliato nella foresta in compagnia di Rudyard, perciò non sapeva di aver rivelato all'uomo la motivazione delle sue bevute, del suo soffrire e del suo vagare a vuoto fuori dai confini del villaggio. Tuttavia non era uno sciocco e comprese che qualcosa doveva essergli sfuggito. Il proprio nome ad esempio. Rammentava infatti di aver imprecato e sbraitato a lungo e la gola riarsa ne era una lampante testimonianza.
Inoltre sebbene fosse consapevole che in tutta l'Inghilterra non si parlava d'altro che di Robin Hood e dei suoi uomini, era altrettanto convinto che non tutti in Inghilterra abbinassero un volto ad ogni nome, ragion per cui Rudyard poteva pur conoscere Allan A Dale il fuorilegge ma non poteva essere certo che il nome corrispondesse proprio alla persona che aveva trovato nella foresta. A maggior ragione perché quando Rudyard e suo fratello erano arrivati a Locksley il giorno del primo mercato nella nuova Nottingham lui non era presente perciò, se anche c'erano state delle presentazioni e se anche Rudyard ci aveva poi ragionato sopra facendosi due conti ed escludendo i membri noti, non era giustificabile tanta sicurezza.
Invece ne sembrava proprio sicuro.
A meno che non stesse bluffando.
Ma se invece Rudyard non bluffava, se le sue convinzioni erano fondate, allora poteva voler dire soltanto che l'uomo aveva ottenuto le proprie informazioni direttamente dalla fonte. E in tal caso Allan non aveva che due vie davanti a sé.

Maniero di Robin, Locklsey.
Era passata più di un'ora da quando Much aveva fermato Robin, appena prima che rincasasse, chiamandolo a gran voce.
Probabilmente perfino un sordo avrebbe capito dal suo atteggiamento smanioso che aveva qualcosa di importante da comunicare all'arciere. Stava infatti creando un così gran baccano che pure Guy e Kaelee - che si erano da poco rivestiti dopo il bagno rilassante - avevano deciso di affacciarsi, preoccupati, per sapere cosa stesse accadendo.
Come era solito fare Robin accolse l'uomo con gentilezza, senza più sconvolgersi dinanzi al carattere di quello che era per lui il miglior amico che avesse mai avuto. Lo invitò quindi a entrare mentre ancora lui gli saltellava intorno incapace di contenere la gioia che lo animava e incapace anche di esprimere pacatamente la ragione che lo aveva condotto al Maniero.
Robin sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che Much lo mettesse a conoscenza di ciò che già aveva intuito.
Come Much aveva pensato quando aveva informato Kate, era stato proprio Robin a fargli avere titolo e tenuta a Bonchurch.
Dopo una lunga serie di ringraziamenti e la promessa di non lasciare Locksley prima di aver chiuso i conti con Rudyard, Much si disse che era ora di tornare a casa, ma Robin invitò sia lui che Kate a fermarsi per cena così da condividere anche con Archer, Guy e Kaelee la bella notizia.

Foresta di Sherwood.
«Non per fare lo spiritoso, ma questo posto non è per niente sicuro», commentò Allan una volta raggiunto il precario e provvisorio rifugio di Rudyard insieme a quest'ultimo.
Delle due alternative che aveva, Allan aveva scelto quella più conveniente.
«Dici davvero?», gli rispose Rudyard con voce pregna di sarcasmo ed un'occhiataccia ancor più eloquente.
Un'alzata di spalle da parte dell'ex fuorilegge indusse l'uomo arrivato da Edwinstowe a non lasciar cadere la conversazione: aveva fame, sapeva perfettamente che il nascondiglio lasciava molto a desiderare ed era consapevole di avere accanto a sé una persona che aveva vissuto per molto tempo in quella stessa foresta. Aveva quindi deciso di mettere da parte l'orgoglio e la supponenza - soltanto un pochino e soltanto perché era un'emergenza - per sfruttare la situazione a proprio vantaggio. O per meglio dire al fine di sfruttare Allan fino in fondo.
I grandi occhi chiari che lo scrutavano simboleggiavano la soluzione a tutti i suoi problemi. Con il supporto di Allan - corrotto dalla promessa di un matrimonio con la bella Kaelee - una volta messo di nuovo piede a Edwinstowe Rudyard avrebbe accontentato sua madre guadagnandosi certamente un premio, magari un bel titolo nobiliare ottenuto chissà come e grazie ai favori di chi a quale potente della zona; avrebbe portato con sé l'ex fuorilegge e, per indurlo a restare nonostante il mancato sposalizio, avrebbe fatto di lui il proprio braccio destro ricoprendolo di onori e denaro; avrebbe soppiantato definitivamente quel buono a nulla di Willard; e tornando all'attuale situazione aveva la concreta possibilità di trovare una sistemazione se non più dignitosa almeno più sicura, nonché un pasto decente a base di carne cotta su fuoco vivo.
Rudyard aveva avuto modo di conoscere diversi particolari della vita di Allan, ma c'era ancora un importante dettaglio di cui non sapeva assolutamente niente: come alleato aveva scelto proprio l'uomo che aveva materialmente mandato a monte il rapimento di Kaelee, ovvero l'uomo che già una volta lo aveva fregato.
«Hai un'idea migliore?», chiese cercando il più possibile di tenere a bada la voglia di annientare una volta per tutte il sorrisetto beffardo di Allan.
«A dire il vero sì», mormorò l'ex fuorilegge invitando l'uomo a seguirlo mentre si dirigeva verso uno dei tanti luoghi che avevano ospitato i vecchi accampamenti della banda.

Delle due alternative che aveva Allan aveva scelto quella che gli era parsa la migliore.
Nel momento stesso in cui Rudyard aveva lasciato intendere di essere al corrente dei sentimenti che legavano Allan a Kaelee, si era convinto di aver aperto all'uomo di Robin Hood due vie opposte tra loro. Unirsi a lui oppure schierarglisi contro e tentare la fuga.
Quando Allan aveva realizzato di essere in trappola si era imposto di trovare una via d'uscita che non prevedesse una coalizione con Rudyard né un'incerta ritirata. Nel poco tempo che aveva passato a pensare sul da farsi aveva mentalmente maledetto quell'odiosa sfortuna che continuava a metterlo dinanzi ad un potenziale tradimento nei confronti dei suoi unici amici. Una volta soltanto aveva tradito e per salvarsi la vita; quell'esperienza gli era bastata a fargli capire non soltanto che allearsi con gente come il vecchio Gisborne e Rudyard non gli avrebbe recato alcun guadagno, ma anche che non valeva la pena barattare un sentimento come l'amicizia per sacchi di monetine sonanti o una donna che non l'avrebbe mai amato. Così aveva trovato una terza soluzione che immediatamente rimpiazzò l'ipotesi di un accordo con Rudyard.
Allan aveva quindi davvero due alternative.
Darsela a gambe senza avere la certezza di riuscire nell'impresa non essendo ancora nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali; oppure lasciar credere al proprio avversario di avere in pugno la situazione e prendersi così il tempo necessario per mettere in atto la sua disfatta.
Delle due opzioni Allan aveva scelto la seconda.
Da sempre era Robin lo stratega della banda, era lui che pensava, valutava ed elaborava le imprese minimizzando la percentuale di non riuscita, quindi l'idea di essere solo contro Rudyard e all'insaputa dei propri amici non entusiasmava affatto Allan. Se solo fosse riuscito ad avvertire qualcuno della banda sarebbe stato molto più facile, ma non poteva semplicemente chiedere al suo compagno di disavventure di far sosta a Locksley.
Mentre i due avanzavano nel folto della foresta, Allan prendeva in considerazione tutte le ipotesi possibili ed immaginabili. Si chiedeva, ad esempio, come i suoi amici avrebbero reagito trovandolo in compagnia del fratello di Kaelee: qualcuno di loro sarebbe stato sfiorato dal dubbio che Allan potesse aver fatto il doppio gioco per consegnare Rudyard direttamente nelle mani di Robin o Guy? Oppure avrebbero immediatamente gridato al tradimento?
Conscio che dubitare dei propri compagni non era il miglior modo di affrontare la situazione decise di spostare il problema e fare in modo che la propria posizione risultasse inequivocabile.

«Se non arriviamo prima di sera verremo sbranati dagli orsi», borbottò Rudyard dopo una buona mezz'ora di cammino.
«Non ci sono orsi», rispose Allan.
«Dai lupi allora», ribatté l'altro.
«Ti pare di sentire ululati?», chiese ironico Allan scuotendo il capo e indicandogli un punto non molto lontano da dove si trovavano.
Anche se nessuno della banda abitava più i vecchi rifugi, settimanalmente qualcuno del gruppo vi si recava per occuparsi della manutenzione. Nessuno di loro si augurava di vivere un altro periodo come quello in cui lo Sceriffo di Nottigham e il Principe Giovanni detenevano ingiustamente il potere, ma tutti si erano trovati d'accordo sulla volontà di non farsi cogliere impreparati nel caso in cui tutto ciò che Robin e i suoi stavano tentando di fare per l'Inghilterra fosse andato in malora.
«Se ti aspettavi una tavola imbandita sei fuori strada, amico. Ma almeno dormirai, non dico sul morbido, ma quasi».
Allan ce la stava mettendo tutta per non lasciar trasparire la tensione che lo attanagliava all'idea di non avere un piano d'azione.
«Dì un po', Allan A Dale, il tuo passato di fuorilegge non potrebbe procurarci anche una cena?», domandò Rudyard provando a non essere velenoso. Se avesse potuto comportarsi come desiderava, non avrebbe di certo usato un tono tanto pacato e così vagamente amichevole.
«Ti accompagnerò a caccia soltanto perché stanotte voglio dormire e se non ti riempi lo stomaco mi sarà impossibile», gli rispose l'uomo di Robin Hood sfoggiando l'aria da saputello che diverse volte aveva irritato alcuni componenti della banda. L'intento era quello di dare all'uomo la sensazione di essere ritenuto molto più che un amico con il quale è permesso assumere atteggiamenti confidenziali; più un salvatore, colui che può e vuole cambiare radicalmente in meglio la vita di un altro essere umano.

Il giorno successivo.
Chiesa, Locksley.

Come ogni mattina, appena dopo l'alba, Fra Tuck aveva celebrato una Messa per dare il benvenuto al nuovo giorno e augurare alla comunità che il sudore della fronte di ognuno potesse dare i meritati frutti. Tuck non era semplicemente un frate che imponeva le regole di Dio, che desiderava unire popolazioni sotto il nome del suo Dio. Tuck era un uomo prima ancora di essere un uomo di fede e in quanto tale aveva a cuore tanto le faccende umane quanto quelle spirituali delle persone con cui si rapportava. Era sua grande dote parlare alla gente come pochi altri potevano, arrivando dritto al cuore e ai problemi di chi con lui si confidava e a lui si affidava. Nelle sue Messe non lo si sentiva mai soltanto predicare insegnamenti, fede, religiosità; né lo si sentiva rivolgere severi rimproveri a chi non seguiva la giusta via per la salvezza; nelle Messe che celebrava Tuck parlava dell'importanza di essere onesti, leali, sinceri e uniti, dell'importanza di collaborare al fine di poter cogliere i frutti migliori, quelli dati dai semi che non il singolo ha piantato ma la comunità intera.
Tuck era fermamente convinto che nessun'arma era in grado di eguagliare la forza di una folla determinata a conseguire un obiettivo senza ricorrere alla violenza e lo aveva dimostrato in occasione dell'ultima battaglia contro Vaisey quando, insieme e Little John e ai male organizzati e non adatti al combattimento abitanti di Locklsey, si era seduto dinanzi ad uno degli ingressi che davano accesso a Nottingham e da lì non si era mosso neanche sotto la minaccia di frecce puntute e spade scintillanti.
Prima che lasciasse l'altare per cambiarsi d'abito e dedicarsi all'orto della Chiesa, il proprietario della taverna del villaggio l'aveva fermato per dirgli che Allan non si era fatto vedere quella mattina e per chiedergli se per caso lui e Robin Hood fossero infine riusciti a ricondurlo alla ragione.

Neanche venti minuti dopo che Tuck aveva chiesto a Robin di raggiungerlo in Chiesa quanto prima, i due si erano ritrovati a parlare di Allan.
Il frate condivise la propria preoccupazione con l'arciere e i due convennero sulla necessità di organizzarsi in piccoli gruppi per cercare l'amico di cui non si avevano più notizie dal giorno precedente.
Robin Hood non riteneva Allan capace di rendersi protagonista di atti moralmente discutibili, non lo credeva neanche così sconsiderato da pensare che potesse scegliere di allontanarsi definitivamente da Locklsey o togliersi la vita per amore. Robin era certo che se anche per assurdo Allan avesse deciso di lasciare il villaggio sia pur per una settimana o un mese non lo avrebbe fatto senza dir nulla, non sarebbe sparito e basta.
«Allan non è uno che si nasconde», commentò con lo sguardo fisso sulla parete ma in realtà molto lontano dalla Chiesa del villaggio.
Tuck sospirò e annuì. «Pensi che potrebbe essergli accaduto qualcosa?», chiese.
I due si guardarono e decisero che era arrivato il momento di intervenire.

Foresta di Sherwood.
Allan e Rudyard avevano trascorso entrambi la notte con un occhio aperto. Nessuno dei due si fidava dell'altro e ognuno di loro era costretto a fingere al fine di ottenere ciò che voleva.
Il buio e le silenziose ore notturne in concomitanza con la completa eliminazione di tracce alcoliche nel corpo di Allan avevano portato quest'ultimo a ragionare freneticamente sulla situazione in corso. Per uno scherzo del destino non soltanto Kaelee aveva scelto come compagno un uomo che non era lui, non solo questo aveva spinto Allan alla frequentazione assidua di ambienti non esattamente tranquilli, ma alla fine il fato avverso aveva anche fatto sì che l'uomo si trovasse dinanzi ad una pericolosa quanto decisiva scelta: servire un pessimo soggetto quale era Rudyard e rendere per sempre infelice per mero egoismo la donna che amava nella speranza che prima o poi potesse ricambiarlo, oppure salvarla e accompagnarla verso la felicità per un tratto di quella lunga strada immaginaria che aveva davanti.
Per quanto Allan amasse Kaelee e per questo desiderasse averla accanto per tutta la vita che gli restava da vivere, proprio perché l'amava non sarebbe mai riuscito a sopportare di veder scomparire il suo sorriso giorno dopo giorno ed esserne pure la causa. Diverso sarebbe stato se tra lei e Gisborne le cose non avessero funzionato: allora lui le sarebbe stato vicino e avrebbe asciugato le sue lacrime, l'avrebbe consolata e avrebbe cercato di restituirle la gioia. Perciò anche a costo di camminare sui carboni ardenti a piedi nudi pur di spianarle la strada Allan avrebbe impedito a Rudyard di realizzare i propri piani.
Tanto Rudyard quanto Allan sapevano che prima o poi Robin Hood e i suoi uomini avrebbero iniziato a cercare il componente mancante della loro banda, perciò l'ex fuorilegge si concentrò su tale certezza: come poteva trarne profitto?
Per tutta la notte si interrogò su quale fosse la via giusta da intraprendere affinché i suoi amici non dubitassero immediatamente di lui vedendolo in compagnia di Rudyard. Dando per scontato che la banda si sarebbe divisa in piccoli gruppi si chiese anche chi tra loro lo avrebbe trovato per primo e come avrebbe reagito. Sapeva che Tuck si sarebbe fermato a pensare, che si sarebbe lasciato sfiorare dal dubbio e che non lo avrebbe accusato a priori. Altro paio di maniche se a trovarlo fosse stato l'impulsivo Little John. Peggio ancora probabilmente se si fosse trattato di Gisborne. O di Kaelee.
Allan si rese presto conto che c'erano troppe variabili da prendere in considerazione e che il margine di errore era troppo ampio, quindi si sforzò di pensare come Robin Hood e partorire idee brillanti, elaborare un piano funzionante.
Quando stava per gettare la spugna gli si accese la celebre lampadina. La rivelazione fu così semplice ed ovvia da indurlo a domandarsi quanto dovesse essere idiota se non ci aveva pensato prima. Senza attendere oltre e in completo silenzio iniziò a mettere in atto la strategia che sperava avrebbe salvato tutti quanti.

Limitare della foresta, Locklsey.
Tutti gli ex fuorilegge, Kaelee, Alice e qualche fidato amico di Robin Hood erano in attesa di Archer il quale aveva dovuto sbrigare un impegno non rimandabile prima di poter raggiungere il resto del gruppo fuori dai confini del villaggio. Quando si palesò fu chiaro che il suo impegno aveva sembianze femminili e portava il nome di Nettie, la giovanissima quindicenne che aveva insistito per andare con lui. Tutta la fermezza del fratello minore di Robin e Guy aveva ceduto dinanzi all'ipotesi largamente realizzabile che Nettie lo seguisse ugualmente di nascosto, così Archer aveva deciso di portarla con sé raccomandandole di non allontanarsi più di dieci centimetri da lui.
Nonostante il clima di preoccupazione, molti sorrisero nel vedere il giovane arciere tanto premuroso nei riguardi della ragazza.
Nulla infine ostacolava l'inizio alle ricerche tranne il disaccordo in merito alla separazione in gruppi. La domanda che tutti si ponevano era: come fare a tenersi in contatto durante la ricerca dal momento che l'area era troppo grande per prendere in considerazione una staffetta?
«Io dico che dovremmo andare tutti insieme», disse tra gli altri Little John.
Le voci di molti si sovrapposero le une alle altre mentre si cercava un compromesso.
«Si rischia di vagare a vuoto mentre Allan magari è già in salvo a Locksley», convenne Kate.
«Ma che senso ha cercarlo in così tanti se non ci dividiamo?», chiese Archer.
Come spesso accadeva fu poi Tuck a risolvere la questione con diplomazia.
«Avviamoci tutti insieme», propose. «Vediamo cosa succede e decidiamo strada facendo».

Foresta di Sherwood.
Gisborne era più vigile che mai e sovente nella concentrazione finiva per stringere con troppa forza il polso di Kaelee. Da quando si erano addentrati nel bosco Guy era tormentato da uno spiacevole presentimento e mentre una parte di lui era attenta a cercare tracce di Allan, un'altra pensava esclusivamente alla donna che gli camminava al fianco. Donna che faceva di tutto per rassicurarlo senza riuscirci veramente. Donna che era lei stessa tormentata dai sensi di colpa.
Da un punto di vista puramente razionale Kaelee sapeva di essere sì la causa della sofferenza di Allan, ma anche di non esserlo intenzionalmente - cosa che alleviava almeno un poco la preoccupazione per le sorti dell'amico. Sul piano emozionale invece era distrutta. Si era chiesta mille volte se le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa partendo anche da un piccolissimo gesto o particolare come poteva essere un cenno del capo o un sorriso. Aveva cercato senza sosta il momento esatto in cui aveva spezzato il cuore di Allan, aveva rivissuto il tempo trascorso da prigioniera e si era costretta a provare di nuovo la sensazione di sollievo nel rendersi conto che proprio lui stava per salvarla dalla malvagità di un fratello senza cuore. Era stato quello l'errore? Aver provato gioia nel vedere Allan? Oppure era stato quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Guy? Quando ogni cellula del suo corpo aveva desiderato lasciare le braccia di Allan a favore di quelle forti e conosciute di Gisborne? Era perfino arrivata a parlarne con quest'ultimo come sarebbe accaduto se lui fosse stato il suo migliore amico; e Guy aveva avuto la pazienza e la forza di ascoltarla e di ragionare con lei vestendo ben volentieri, per amore, quei panni che soltanto per un breve periodo aveva indossato in presenza di lei. Il fatto che Kaelee si stesse dando tanta pena per Allan, che si colpevolizzasse per ogni azione di lui, era un'enorme fonte di timore per Guy il quale benché, non intendesse lasciarsi prendere dalla gelosia o dalla paura che la donna potesse separarsi da lui preferendogli Allan, era terrorizzato dalle conseguenze psicologiche dell'intera situazione.
Kaelee era indubbiamente una donna molto forte, ma anche molto sensibile e per questo in grado di sentire sulla propria pelle ogni singola emozione pur non appartenendole direttamente. Era capitato, ad esempio, quando Gisborne le aveva parlato della sofferenza che lo aveva travolto nel momento della resa dei conti: egli aveva potuto vedere la pena negli occhi della donna e le lacrime che avevano rigato il suo bel viso.
Sarebbe accaduto lo stesso con Allan? Kaelee si sarebbe fatta carico del dolore dell'uomo facendo contemporaneamente fronte al proprio e a quello di Gisborne? Ci sarebbe riuscita oppure sarebbe infine crollata?
Di tanto in tanto la donna scuoteva impercettibilmente il capo nel tentativo di scacciare o schiacciare un pensiero riuscendoci però di rado.

Allan intanto aveva giustificato la propria assenza con la necessità di raccogliere bacche e foglie commestibili da mettere sotto i denti al risveglio per non rischiare di perdere le forze in un momento così importante.
«Dormivi così bene che non ho voluto svegliarti», disse all'uomo di Edwinstowe con falsa premura e comportandosi sostanzialmente da servo per guadagnarsi totale fiducia.
Non gli era stato possibile allontanarsi più di tanto, ma aveva ragione di credere che la sua idea potesse davvero funzionare.
Da parte sua, essendo a conoscenza dei sentimenti dell'uomo per Kaelee, Rudyard era convinto che l'offerta fatta ad Allan gli assicurasse assoluta fedeltà da parte di lui perciò il dubbio che l'uomo potesse imbrogliarlo non lo sfiorò minimamente. Pieno di sé com'era non riusciva a mettere in discussione mai la genialità delle proprie azioni, la fattibilità delle proprie idee.
Per contro Allan era assediato da moltissimi "se" e altrettanti "ma" accompagnati da insostenibili punti di domanda che minacciavano pericolosamente i suoi nervi già pronti a cedere.
Si ha sempre a che fare con confini molto sottili quando si è costretti a reggere un doppio gioco e cadere oltre quella linea fine è un pericolo reale e costante.
Allan stava camminando sulla parte non tagliente della lama di una spada, ma da un momento all'altro la situazione avrebbe potuto ribaltarsi senza preavviso determinandone la fine.

Nessuno sapeva esattamente che tipo di tracce cercare, perciò si soffermavano su qualsiasi cosa apparisse loro fuori luogo. Era un po' come cercare un ago in un pagliaio in effetti, ma perdere la speranza non si trovava nell'elenco delle azioni da compiere ragion per cui nemmeno i più pessimisti della banda si diedero per vinti.
Tra rami spezzati, interi ciuffi d'erba piegati sotto il peso di quello che poteva essere tanto un uomo quanto un animale, resti di piccoli animali in decomposizione e brandelli di tessuto che si erano impigliati nei rovi chissà quanto tempo prima, dovettero raggiungere un punto piuttosto lontano da Locksley prima di trovare un segno degno di essere definito tale.
«Ragazzi! Guardate qui!», esclamò Kate indicando il tronco di un albero.
Le dita di Gisborne si intrecciarono a quelle di Kaelee, come se il cavaliere volesse essere certo dell'effettiva presenza - non esclusivamente fisica ma anche mentale - della donna che amava, mentre entrambi si muovevano in direazione di Kate, subito affiancata da Much e Robin.
Aveva tutta l'aria di essere un momento di svolta.
Ad una prima occhiata i due uomini non scorsero nulla di particolare sulla corteccia se non dei segni che sembravano in tutto e per tutto graffi fatti dagli artigli di un qualche animale, ma quando si avvicinò anche Guy fu tutto subito molto più chiaro.
Lo spadaccino rivolse per prima cosa sinceri complimenti alla donna per non essersi lasciata ingannare dalle apparenze e la ringraziò perché era solo grazie alla sua vista acuta se ora disponevano di dati reali su cui basare le ricerche dell'amico.
«Nel periodo in cui Allan lavorava per me pur vivendo con i fuorilegge usavamo un codice in segni per comunicare», spiegò poi rivolgendosi ai presenti senza lasciare la mano dell'amata volendo infonderle sicurezza e speranza di ritrovare l'ex fuorilegge sano e salvo. «Ho ragione di credere che Allan voglia dirci qualcosa».
«Ma cosa?», domandò Archer avvicinandosi ulteriormente per guardare più da vicino. Nettie, al suo fianco, appariva curiosa e sveglia nel suo essere taciturna. «Di lasciarlo in pace? Di non cercarlo?».
«Uno che non vuole farsi trovare non lascia dei segni», fece Little John.
«E se fosse caduto? Se si fosse slogato un piede e non riuscisse a tornare da solo al villaggio?», ipotizzò Kate subito smentita da Kaelee che si domandò per quale motivo una persona con un piede fuori uso dovesse sforzarsi per graffiare alberi ad altezza uomo non preferendo invece usare le medesime forze per zoppicare fino al villaggio più vicino e lì chiedere aiuto.
Robin e Guy meditavano silenziosamente ognuno per se stesso provando a calarsi nei panni dell'amico.
«Temo sia in pericolo», mormorò Alice con ansietà nella voce.
Robin sospirò mentre Guy si voltava a guardare la moglie di Little John. «Abbastanza da doverci avvisare in qualche modo, ma non abbastanza da lasciare segni troppo evidenti. Abbastanza da chiedere aiuto, ma non abbastanza da urlarlo ai quattro venti», le rispose. «C'è accuratezza nel metodo, cosa che non si accorda bene con la fretta di chi ha la vita legata ad un filo», aggiunse. Per un minuto la sua voce profonda zittì l'intero gruppo.
«Pensate che potrebbe essere un depistaggio?», chiese infine Tuck spiazzandone molti.
«Allan non lo farebbe mai», rispose velocemente e con fermezza Much, appena capì l'antifona, guadagnandosi una serie di occhiate perplesse.
Sebbene avessero perdonato ad Allan la temporanea alleanza con Gisborne e sebbene avessero imparato a non dare per scontato che avendo tradito una volta era largamente probabile una replica, la serpe del dubbio si insinuava ancora facilmente in ognuno di loro. Tranne in Much che, «Non lo farebbe», ribadì convinto.
«A che pro?». Robin si rivolse a Tuck il quale espose un contorto ragionamento per il quale uno che non vuole farsi trovare semina falsi indizi lasciando credere il contrario di quello che desidera e guadagnando così tempo, scoraggiando contemporaneamente le ricerche da parte di persone avvezze a interpretare tracce, osservare e cercare, sfinendole a suon di false piste. Un ragionamento che di per sé non era errato ma che poco corrispondeva forse alla personalità di Allan, ubriaco o meno che fosse.
Vi fu un altro momento di silenzio prima che Robin riprendesse la parola facendo luce su nuove possibilità. «Potrebbe volerci mettere in guardia da qualcosa... O da qualcuno».
Guy e Kaelee parlarono con un'unica voce.
«Rudyard».

A quel punto trovare Allan era un gioco da ragazzi: sarebbe bastato seguire gli scarabocchi sui tronchi senza fare troppo rumore.
«Se davvero è insieme a Rudyard occorrerà prepararsi», sussurrò Robin.
«Intendi combattere?», ribatté Archer.
«Non sarà necessario. È solo contro tutti noi».
«Dobbiamo prenderlo e portarlo a Locksley», fece Gisborne.
«Rispedirlo a Edwinstowe sarebbe l'ideale. Dwight sarà ben contento di metterlo a posto», rispose Kaelee con una punta di acidità nella voce.
«Di questo parleremo con calma», disse Robin riportando la questione al punto di origine. «Sicuramente Allan ha lasciato gli indizi in gran segreto aspettandosi che non vedendolo lo avremmo cercato», continuò, «questo significa che ha puntato tutto sull'effetto sorpresa», concluse.
Capire esattamente le dinamiche che avevano portato Allan e Rudyard a percorrere lo stesso cammino richiedeva una concentrazione che gli uomini di Robin Hood non potevano permettersi di dedicare a quella parte della vicenda, quindi semplicemente evitarono di chiederselo prendendo invece in considerazione il fatto che comunque fossero andate le cose Allan si era adoperato affinché i suoi amici non fraintendessero la sua posizione. Chi aveva imbrogliato chi e come aveva fatto lo avrebbero saputo una volta catturato definitivamente Rudyard.
«Robin, questa strada conduce ad uno dei nostri vecchi accampamenti», mormorò Much.
«Almeno adesso conosco due dei posti in cui vi nascondevate», scherzò Guy per alleggerire la tensione.
Una serie di sommesse risate fece da preludio alla serietà con cui venne pianificata l'imboscata.

Rudyard e Allan avevano ultimato la colazione già da un pezzo e il secondo frenava con ogni mezzo l'impazienza del primo. Fosse dipeso da Rudyard i due sarebbero già stati in viaggio verso Locksley per rapire Kaelee con l'inganno basato sulla fiducia della ragazza nei confronti di Allan. Quest'ultimo però, consapevole che per la riuscita della propria idea era necessario non muoversi da lì, sosteneva con decisione la necessità di un piano ben pensato in quanto Kaelee non era stupida e trascorreva gran parte del suo tempo in compagnia di Gisborne, anch'egli tutt'altro che stupido.
Tra lo sbuffare e lo scalpitare dell'uomo di Edwinstowe Allan inventava sul momento diverse possibili strategie da poter utilizzare per incastrare la ragazza senza che nessuno si rendesse conto della trappola.
«Ma tu la ami davvero mia sorella?», chiese all'improvviso Rudyard fissando Allan con sguardo severo, sottile e attento quasi che davvero gli importasse del destino di Kaelee.
«Certo. Sì, certamente», rispose l'altro.
«E sei disposto proprio a tutto per averla?», continuò rivelando ad Allan il punto a cui voleva arrivare. Voleva accertarsi che l'uomo non avrebbe avuto ripensamenti al momento della messa in atto del sequestro della ragazza. Voleva essere certo che dinanzi alla possibilità di ferire o uccidere un suo vecchio compagno Allan non si sarebbe fatto prendere dal rimorso o dall'incertezza.
«Non sto già forse tradendo senza ritegno la fiducia dei miei amici per lei?», rispose con tutta la convinzione di cui era capace.
Intanto, giunti al rifugio, gli uomini di Robin Hood avevano ascoltato l'ultima parte della conversazione trovando conferma alle loro ipotesi e ritenendo astuta la mossa di Allan: se l'avessero sorpreso in compagnia di Rudyard senza che avesse fatto in modo di avvisarli, avrebbero quasi sicuramente creduto ad una combutta ai danni di Kaelee e in ogni caso, trovandosi in disaccordo, avrebbero sprecato tempo prezioso in inutili discussioni rischiando perfino di farsi scoprire come degli sciocchi principianti.
Ancora riuniti in un unico punto, gli ex fuorilegge e chi li aveva accompagnati analizzarono velocemente, ma non senza preoccuparsi dei dettagli, tutte le possibilità: mandarne un paio e fingersi sorpresi, inscenare un litigio con Allan e infine attaccare; mandare Robin e lasciar credere a Rudyard che fosse solo; assediare il posto senza indugio manifestandosi istantaneamente; provocare l'uomo e attirarlo fuori dal nascondiglio al fine di accerchiarlo e farlo prigioniero; irrompere tutti insieme; dare a Rudyard esattamente quel che voleva e mandare quindi direttamente Kaelee.
La maggioranza andò infine alla proposta di schierare in prima linea Gisborne per molteplici ragioni.
Se da una parte era un'ottima esca visto l'odio e il desiderio omicida che Rudyard provava nei suoi confronti, dall'altra avrebbe rassicurato Allan considerato il fatto che proprio tra loro era avvenuto uno scambio di informazioni in passato usufruendo dello stesso metodo che aveva condotto tutti al vecchio rifugio.
Kaelee non era propriamente d'accordo, ma Tuck cercò di convincerla avvolgendola nell'aura carismatica che lo accompagnava. L'esperienza di Guy, le fece notare Tuck, era nota a tutti e molti tra i presenti lo avevano temuto quando si erano trovati in schieramenti opposti. Del resto, inoltre, l'uomo era sopravvissuto alla lunaticità di Vaisey e del Principe Giovanni nonché ai tanti scontri diretti con Robin Hood. Infine non era solo, non questa volta, e aveva un'ottima ragione per sopravvivere a quella missione.

Senza indugiare oltre, escluso Gisborne, si acquattarono tutti nella vegetazione attorno al nascondiglio di Allan e Rudyard. Guy invece si allontanò quanto bastava per far sì che il suo "casuale" arrivo all'alloggio dei due fosse ben udibile.
Fu molto abile nel non eccedere con fruscii e scricchiolii, colpi di tosse e borbottii, facendo in definitiva sembrare molto realistico il suo camminare. Affacciandosi sull'ingresso del covo domandò ad alta voce se ci fosse qualcuno, dicendo che gli era sembrato di sentire dei rumori provenire da lì.
Il sollievo di Allan nel sentire la voce di Gisborne fu immediato: capì subito che lui e gli altri avevano interpretato i segni sui tronchi e comprese anche che la scelta di esporre Guy non era stata affatto casuale. In cuor suo Allan aveva puntato su di lui, sulla sua presenza nel gruppo di ricerca, sulla sua capacità di collegare i fatti perché inevitabilmente tra loro si era venuta a creare una certa complicità nel periodo in cui avevano collaborato. Era quasi comico come proprio la persona che una parte di lui più detestava a causa dei sentimenti che entrambi provavano per Kaelee e che lei provava per uno solo di loro, si rivelava infine l'infallibile arma che lo avrebbe aiutato ad incastrare Rudyard e rimediare forse in parte al modo in cui aveva trattato i suoi amici nell'ultimo periodo.
Il fratello di Kaelee gongolò non poco appena riconobbe la voce dello straniero che si era avvicinato così tanto. Credendo ancora una volta di avere la vittoria in mano lanciò un'occhiata d'intesa ad Allan il quale annuì e lo invitò a spostarsi affinché Gisborne non lo vedesse prima di essere a portata di spada. A Rudyard parve un'intelligente osservazione, così accettò il consiglio e più silenzioso che mai si fuse con la zona d'ombra alle proprie spalle.
«C'è nessuno?» ripeté Guy con il coltello nascosto nella manica, pronto all'azione.
La spada custodita nel fodero alimentò la convinzione di Rudyard che quasi non riusciva a trattenersi dal ridere.
Quando fu dentro abbastanza da non aver immediato accesso all'unica via di fuga, Gisborne fu colto alla sprovvista da Allan il quale si vestì di assoluta serietà e un pizzico di cattiveria recitando alla perfezione un ruolo che non gli era mai appartenuto davvero.
«Ma che ti salta in mente?». Il tono di Guy era severo e arrabbiato dopo il simulato spavento. «Hai seminato ansia e preoccupazione in tutta Locksley. Non che io ti abbia a cuore per motivi molto ovvi, ma mi secca vedere Kaelee tanto triste a causa tua», aggiunse sapendo che il miglior modo di inscenare una lite era tirare in ballo argomenti sensibili esattamente come era successo con Robin tempo addietro.
«Se è così triste perché non ti fai un po' di domande, Gisborne?», rispose prontamente Allan con un malefico sorrisetto afferrando perfettamente il gioco del complice.
Lo sguardo infuriato di Guy divertì Rudyard tanto che fu sul punto di uscire allo scoperto salvo poi ripensarci all'ultimo momento per potersi godere ancora un po' la scena.
L'ambiente non era ben illuminato il che consentiva ad Allan e Guy di scambiarsi gesti d'intesa e occhiate eloquenti come ad esempio quella con cui Allan indicò il punto esatto in cui era celato Rudyard in modo che Gisborne sapesse esattamente da che lato difendersi.
I due continuarono a battibeccare ancora per diversi minuti finché decisero di venire alle mani. Fu a quel punto che Rudyard li onorò della propria presenza.
Mentre Guy e Allan, trasferitisi all'esterno, fingevano di darsele di santa ragione sbraitando in merito a chi fosse il miglior partito per Kaelee - la quale intanto era in ascolto con il viso nascosto tra le mani, cosciente che non tutto in quella vicenda era inventato - Rudyard comparve dinanzi all'ingresso del nascondiglio e scoppiò in una fragorosa risata attirando l'attenzione di un più che mai sconvolto Gisborne. Lo sguardo di quest'ultimo saltò velocemente dall'uno all'altro come se cercasse risposte che invece già aveva.
«Tu! Avrei dovuto aspettarmelo da uno come te!», urlò rivolgendo la prima esclamazione a Rudyard e la seconda ad Allan.
«Già... Ma non sei abbastanza sveglio», commentò l'ex fuorilegge dando luogo ad un'altra azzuffata.
«Canaglia!».
Per quanto cercassero di non esagerare con pugni e calci, finì che entrambi accusarono diversi colpi. Allan aveva il labbro inferiore arrossato e leggermente gonfio mentre a Guy sanguinava un sopracciglio quando Rudyard camminò verso di loro allontanandosi dal rifugio e dando inconsapevolmente libertà di azione a Robin e ai suoi.
«Sembra che stavolta vi sia andata male, Sir Guy», lo canzonò invitando poi Allan ad alzarsi lasciandogli Gisborne. Estratta la spada gliela puntò sotto al mento impedendogli di tirarsi su e sottrarsi alla minaccia. Si scambiarono uno sguardo di puro odio - ed era reale stavolta - e rimasero perfettamente immobili nel silenzio che improvvisamente era calato dopo il chiasso provocato dalla lite con Allan.
Concentrato com'era sulla preda, Rudyard non si rese conto che ancora una volta stava per essere messo nel sacco, non si accorse dei cenni di Allan ai suoi amici, non vide questi ultimi avvicinarsi sempre di più e non attribuì il giusto significato alla nuova luce nello sguardo del proprio avversario.
In men che non si dica fu disarmato e immobilizzato sotto gli occhi furenti di Kaelee che se avesse dato retta al proprio istinto gli avrebbe mozzato la testa senza rifletterci due volte. Invece si sforzò di trattenersi puntandogli la lama contro, esattamente come aveva appena fatto lui con Guy.
«A chi è andata male fratellino?», ruggì la giovane donna tra i denti.
Rudyard faticò a riconoscerla a causa dei capelli cortissimi e dell'abbigliamento davvero poco femminile, ma capì ugualmente di aver perso non la battaglia stavolta, ma l'intera guerra.
Tenuto fermo da Little John, Archer e Tuck, Rudyard fissò gli occhi in quelli di Kaelee conservando la propria supponenza e impertinenza perfino in quel frangente. Non fu necessario dire nulla per istigare ulteriormente la furia della ragazza.
Fu Gisborne a salvare entrambi, l'uno da morte certa e l'altra da una vita di tormenti. Si portò lentamente alle spalle della donna che amava e, come già era accaduto una volta, la invitò ad abbassare l'arma.
«Tu sei diversa da tutti noi, Kaelee. Non conosci l'espressione di un uomo che muore per mano tua», sussurrò, «Possa tu non vederla mai», aggiunse stringendole le dita e chinandosi a posare un bacio sul capo di lei che sospirò, arrendendosi alle richieste di Gisborne.
«Ringrazia quest'uomo e portagli rispetto finché campi perché ti ha appena salvato la pelle», commentò con freddezza prima di voltargli le spalle.

Mentre Allan condivideva i particolari con i suoi amici, Guy e Kaelee si concessero un momento tutto per loro.
Poco lontano dal punto in cui la banda era riunita insieme a Rudyard saldamente ancorato ad un tronco e controllato a vista da Little John e Tuck, Kaelee si occupava del sopracciglio dell'uomo che amava e lo ringraziava per aver sedato ancora una volta quella sua istintività di ragazzina.
Medicato alla meglio il piccolo taglio che si aggiungeva alle molteplici cicatrici sul corpo di Guy, Kaelee non desiderò altro che perdere la ragione e il respiro in un interminabile bacio.



N.d.A.
Con un deciso ritardo rispetto ai precedenti aggiornamenti, finalmente riesco a pubblicare questo nuovo capitolo.
Come sempre spero di non aver deluso le aspettative di chi continua a seguirmi in questo percorso e ringrazio tutti per la pazienza e il tempo messo a disposizione della storia.
Alla prossima!

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Capitolo 19
*** Il Grande Albero delle Promesse ***


Diciannove


Il Grande Albero delle Promesse

Strada per Edwinstowe.

La mente di Kaelee era sovraffollata di ricordi.
Non era passato poi così tanto tempo da quando era fuggita alla volta di Locksley con addosso la volontà di cambiare le sorti della sua stessa esistenza, ma a pensarci bene sembrava fossero trascorsi anni se non decenni tanti e tali erano i cambiamenti avvenuti da allora.
In groppa al cavallo che aveva reso veloce, silenzioso e meno solitario l'allontanamento dalla prorpria casa, lo stesso destriero che adesso la riportava indietro, aveva all'epoca beneficiato senza timore e per la prima volta davvero del vento fresco sul volto e tra i capelli, del senso di leggerezza e libertà dati dall'essersi lasciata alle spalle corde e catene, della forza interiore che si era sprigionata di colpo in seguito alla sua presa di posizione.
Non era stato difficile immaginare la fuga. Non era stato difficile volerla. E nemmeno prendere la decisione era stato poi così complicato. La parte meno facile di tutta quella vicenda aveva riguardato la presa di coscienza di tutte le conseguenze. Ugualmente poco semplice era stato non far trapelare niente di niente se non in presenza del solo Aric, suo amato fratello e complice.
Radunare pochi averi per esser leggera e poter correre veloce; procurarsi le provviste necessarie a coprire la distanza da Edwinstowe a Locksley; prepararsi ad affrontare intemperie, eventuali aggressori, notti all'aperto e tutti i potenziali pericoli che la Natura cela dietro il fascino delle sue selve; abbandonare un tetto sulla testa, un letto tutto sommato comodo, due pasti caldi assicurati e l'unica persona a cui teneva più di ogni altra cosa al mondo e per cosa poi? Per un futuro incerto. Per un'idea. Per l'ipotesi, dettata dai tanti racconti su Robin Hood, di una vita migliore.
Eppure i molti interrogativi in cui si era imbattuta e che aveva dovuto mettere sul piatto della bilancia non l'avevano scoraggiata. Anzi, tirando le somme Kaelee era giunta alla conclusione che per quanto ignota fosse la strada che aveva scelto di percorrere era di gran lunga preferibile a quella già ampiamente tracciata e la cui meta era ben visibile e poco invitante.
Era quindi partita nelle vesti di una ragazzina con tanta voglia di scoprire, imparare, vivere e tornava, anche se solo temporaneamente, nei panni di una donna nuova. Simile, naturalmente, alla vecchia Kaelee ma anche diversa da lei.
Si era allontanata da quella casa amata e al contempo odiata per scappare da un matrimonio che non voleva e che sapeva l'avrebbe resa infelice per il tempo che le rimaneva da vivere e vi tornava portando con sé la candida promessa d'amore fatta senza costrizioni a Gisborne perché, sì, lui le avrebbe regalato indimenticabili momenti di gioia che se anche fosse spirata un attimo dopo sarebbe di certo morta senza alcun rimpianto e in completa pace.
Aveva rifiutato con determinazione di sottostare alla volontà di un uomo - quello che sua madre aveva scelto per lei e di cui lei non conosceva sostanzialmente nulla se non la disponibilità economica che sarebbe andata a favore più della famiglia di Kaelee che a Kaelee stessa - per trovare infine un uomo capace di camminarle di fianco, un uomo che mai e poi mai, per nessuna ragione al mondo, avrebbe osato calpestarla, umiliarla, usarla a proprio piacimento.
Ancora vivo nella sua memoria era l'arrivo a Locklsey e l'incontro con Robin Hood, quell'eroe diventato leggenda che inconsapevolmente le aveva infuso il coraggio di prendere in mano le redini del proprio destino. Se i suoi fratelli non le avessero raccontato le avventure dell'arciere, degli uomini che lo circondavano e la determinazione con cui essi si opponevano alle imposizioni dei potenti facendo del bene e impedendo così il diffondersi della diffidenza tra la gente e la scomparsa della speranza, con ogni probabilità Kaelee avrebbe fatto la fine di tante donne che come lei erano vittime degli altrui capricci e desideri. Sottomesse, infelici e senza amore. Non sarebbe certo stata la prima volta a Edwinstowe che una giovane ragazza veniva offerta, o più precisamente venduta, ad un uomo molto più grande di lei e con succulente disponibilità economiche. Esistevano al mondo uomini abbienti ancora capaci di innamorarsi e godere della compagnia di una donna per le sue qualità morali e intellettuali, ma era innegabile che i più erano invece interessati a comprare letteralmente una ragazzina - spesso anche più piccola di Kaelee - per il solo gusto di soddisfare i propri bisogni puramente fisici, avere degli eredi - possibilmente maschi - e scaricare le frustrazioni della giornata.
Tante volte Kaelee aveva provato ad immaginare come sarebbe andata se non fosse mai partita e sempre si era ritratta con un brivido dagli scenari che le si erano dipinti nella mente. Così, sebbene Aric le mancasse molto e benché sentisse che il suo rapporto con Dwight era come sospeso e in attesa di essere vissuto, non si era mai pentita di aver intrapreso il viaggio alla volta di Locksley e non aveva mai preso in considerazione l'ipotesi di tornare a Edwinstowe con Gisborne.


Alcuni giorni prima.
Locksley.

La cattura di Rudyard aveva restituito agli uomini di Robin Hood, in particolar modo a Guy e Kaelee, quella normalità che aveva caratterizzato la loro nuova esistenza in qualità di liberi abitanti di Locksley. Con la rinnovata quiete, Gisborne era tornato ad abitare la piccola tenuta costruita sullo stesso terreno che aveva visto sorgere e crollare la vecchia casa appartenuta ai suoi genitori. Se in passato si era indebitamente appropriato del Maniero appartenente a Robin Hood, il quale però a causa della sua condizione di fuorilegge aveva perso ogni diritto sull'immobile, dopo la morte di Isabella e la distruzione di Nottingham Guy aveva espresso il desiderio di poter rimettere in piedi l'abitazione in cui aveva vissuto la propria infanzia restituendo così il Maniero al legittimo proprietario. Chi non conosceva i dettagli delle vicende continuava a credere che Gisborne avesse agito mosso da prepotenza e avidità nel derubare Robin dei suoi averi, ma l'affermazione era vera solo in parte. Come Robin Hood stesso era da poco venuto a sapere, Sir Malcolm - suo padre - era stato protagonista insieme a Lady Ghislaine - madre di Guy - di una relazione clandestina di cui Gisborne era venuto a conoscenza e che non aveva però rivelato mai a nessuno, neanche a Isabella. Relazione il cui frutto era Archer, elemento d'unione tra i due uomini apparentemente troppo diversi tra loro per avere qualcosa in comune. Il peso di questa verità e i successivi eventi che avevano caratterizzato l'adolescenza di Gisborne avevano fatto di lui lo spietato Sir Guy di Gisborne che aveva occupato il Maniero di Robin Hood più per dispetto che per il reale desiderio di appropriarsene.
Il passato non giustificava nessuna delle crudeltà da lui commesse negli anni, ma induceva a guardare con occhi diversi alla sua persona e aiutava a prendere in considerazione l'ipotesi di un cambiamento radicale.
Con sé Guy aveva naturalmente portato anche Kaelee e di lei si era occupato con molta cura e pazienza, ponendo il sentimento provato nei suoi confronti al di sopra di ogni altra cosa. Pur non essendo Gisborne il tipo di uomo capace di gettarsi senza pensarci tra fiamme altissime su richiesta dell'amata, era disposto a lottare non solo con se stesso ove necessario, ma perfino con lei pur di non perderla per sempre, attribuendo così alla perdita un significato tutt'altro che egoistico. Il che stava a significare che Guy avrebbe accettato anche di separarsi da lei purché continuasse a vivere e che non si sarebbe arreso dinanzi ad una difficoltà, di qualunque portata fosse.
La ragazza, infatti, da quando Rudyard era stato preso in ostaggio diverse volte aveva desiderato vendetta per i molti trambusti che suo fratello aveva volutamente causato a Locksley e Nottingham. Senza contare che non aveva mai digerito l'irruzione notturna nella camera da letto di Gisborne con tanto di tentato omicidio.
Spesso Kaelee si arrabbiava anche per piccole cose, ma quasi mai l'arrabbiatura durava più di qualche ora. A volte l'orgoglio la spingeva a tenere il muso per alcuni giorni anche quando in cuor suo sapeva di aver già dimenticato l'accaduto. Quelle rare volte in cui però si infuriava sul serio, Kaelee non si dava pace. Non faceva altro che rimuginare sulla causa scatenante chiedendosi il perché di ogni cosa, interrogandosi sui motivi che spingono alcuni esseri umani ad essere tanto cattivi verso i loro simili; pensava e rifletteva e si isolava, diventava scontrosa con tutti e si rifiutava di ragionare ad alta voce con qualcuno che avesse voglia di ascoltarla.
Stavolta però aveva Gisborne al proprio fianco e anziché tormentarsi in solitudine aveva scelto di coinvolgerlo. Se da una parte questa era la più giusta delle idee, dall'altra poteva rivelarsi persino la più inopportuna considerata la facilità con cui pure Gisborne si infiammava.
I due innamorati avevano affrontato, tra le altre cose, anche una discussione molto animata che aveva visto Gisborne obbligato a tirare nuovamente in ballo il proprio passato, con il solo scopo di convincere Kaelee che vendicarsi con le maniere forti avrebbe aperto ferite che non si sarebbero cicatrizzate neanche a distanza di anni ed anni, prima che le acque si calmassero definitivamente e la tempesta nell'animo di Kaelee lasciasse spazio ad una serenità permanente seppur ancora molto velata.
Kaelee era consapevole dell'impulsività che troppo spesso la guidava e aveva imparato a controllarla anni addietro, quando aveva capito che rispondere male ai suoi fratelli le sarebbe valsa una punizione mentre piazzare una ventina di formiche tra le loro coperte le avrebbe assicurato una silenziosa rivincita senza prove evidenti della sua colpevolezza. Soltanto Aric, come sempre, veniva messo al corrente e anche se non condivideva appieno le scelte rischiose di sua sorella puntualmente le reggeva il gioco.
Quello stesso controllo esercitato sull'impulso di correre via dalla sua famiglia le aveva consentito di pianificare una fuga senza ritorno.
Dinanzi all'ipotesi, però, che a Guy potesse accadere qualcosa Kaelee aveva dimenticato tutto ciò che aveva imparato sull'autocontrollo e rischiava di mutare in una donna furiosa e violenta, desiderosa soltanto di infliggere la medesima sofferenza imposta a lei stessa. Se non ci fosse stato Gisborne a fermarla probabilmente Rudyard sarebbe stato in pericolo di vita appena dopo la cattura.

Dopo qualche giorno trascorso adempiendo pienamente a quelle mansioni che rendevano Locksley un villaggio ormai fiorente, Robin e i suoi si erano riuniti al Maniero per decidere il da farsi in merito a Rudyard il quale alloggiava anch'egli al Maniero, incatenato ma non privato totalmente della possibilità di muoversi nello spazio attorno, controllato a vista e nutrito a sufficienza. Erano occorsi due giorni per trovare un accordo che non causasse il malcontento di qualcuno: benché nessuno desiderasse macchiarsi del sangue di Rudyard, ognuno aveva pensato a punizioni degne del suo atteggiamento malevolo nei riguardi degli ex fuorilegge, del villaggio di Locksley e della città di Nottingham.
Tra le varie idee si era presa perfino in considerazione quella di bendarlo, condurlo nel bel mezzo di Sherwood e lì lasciarlo così che fosse il Fato a decidere per la sua vita o per la sua morte. Kaelee sarebbe stata ben felice di abbandonarlo disarmato e disorientato, ma il tono accorato con cui Gisborne le si era ripetutamente rivolto l'aveva profondamente colpita e, anche se non avrebbe mai perdonato suo fratello, albergava in lei la volontà di essere migliore di lui ovvero abbandonare definitivamente il desiderio di fargli del male nella convinzione che si sarebbe così sentita meglio. Anche questa certezza Gisborne aveva smontato aprendole ancora una volta lo scrigno del proprio cuore contenente l'esperienza di anni trascorsi a uccidere persone. Le aveva ricordato che perfino un essere spietato come Guy di Gisborne era infine cambiato e questo, forse, poteva voler dire che anche Rudyard meritava una seconda occasione. Kaelee aveva riflettuto molto trovando conferma di quanto fortunata fosse ad avere Gisborne e sebbene fosse convinta che mai suo fratello sarebbe riuscito a intraprendere il medesimo percorso di Guy si rese conto che non spettava a lei decidere della vita di Rudyard.
Alla fine tutti avevano convenuto sulla necessità di ricondurlo a Edwinstowe da sua madre, ma soprattutto da Dwight che certamente si sarebbe occupato di lui impedendogli di mettere nuovamente i bastoni tra le ruote a Kaelee e alla sua storia d'amore con Gisborne.
Quindi, con l'aiuto di Guy, Kaelee scrisse una lettera indirizzata ad Aric in cui informava lui e il fratello maggiore riguardo l'esito delle ultime vicende e la partenza sua, di Guy e di Fra Tuck alla volta del villaggio d'origine.
Ricevuta la risposta, i quattro - Guy, Kaelee, Tuck e Rudyard - avevano intrapreso il viaggio verso Edwinstowe.


Edwinstowe.
La scelta di Tuck come compagno di viaggio si era rivelata molto più che giusta. Il frate era infatti il giusto mix di forza, saggezza, pazienza e carisma necessario per tenere a bada le continue schermaglie tra Rudyard e Kaelee.
Nonostante infatti Rudyard avesse platealmente perso la guerra che lui stesso aveva dichiarato, non aveva perduto la voglia di provocare sua sorella. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che muovere insinuazioni sul conto di Gisborne raccontando a Kaelee tutti quei particolari che i fratelli avevano omesso in passato nel raccontare le imprese di Robin Hood in presenza di lei. Neanche quando la ragazza era scoppiata a ridere e gli aveva assicurato di essere al corrente di ogni cosa riguardasse Guy Rudyard si era scoraggiato.
Appena Tuck si rendeva conto che Kaelee era sul punto di sguainare la spada e Gisborne sull'orlo di una reazione violenta interveniva prontamente mettendo a tacere Rudyard con quel modo di fare tutto suo che sarebbe stato in grado di piegare anche il più ostinato e sciocco degli uomini. Quando si fermavano per una sosta andava anche peggio perché le mani di Kaelee, non più impegnate a governare il cavallo, prudevano con maggior facilità e sia a Tuck che a Gisborne sembrava che Rudyard non aspettasse altro. Del resto non aveva più nulla da perdere ormai.
Solo quando finalmente intravidero il villaggio d'origine di fratello e sorella entrambi si chiusero in un silenzio che tradiva l'enorme confusione emozionale che provavano.

Rudyard era consapevole che sua madre non sarebbe stata contenta della mancata riuscita dei piani; sapeva che la donna avrebbe incolpato lui anche del mancato matrimonio con quel proprietario terriero ed era consapevole che sarebbe toccato proprio a lui spiegargli perché l'accordo sarebbe saltato; immaginava che, venendo meno la fonte di terreno e denaro, si sarebbe dovuto infine piegare al lavoro nei campi; avrebbe dovuto affrontare anche Dwight il quale di sicuro lo avrebbe tenuto strettamente d'occhio dal momento del ritorno a Edwinstowe fino al passaggio a miglior vita; inoltre c'era Willard ad attenderlo insieme a tutte le faccende che aveva lasciato in sospeso al villaggio. Insieme a tanti pensieri negativi, però, c'era un pizzico di contentezza nell'essere tornato a casa perché - anche se è difficile da credere - Rudyard avrebbe rivisto la donna della quale era invaghito.

Kaelee era preda di un feroce contrasto. Una parte di lei riusciva a provare un briciolo di emozione nel rivedere i luoghi in cui era nata, nel rimettere piede nella casa che l'aveva vista crescere, nella possibilità di interagire con la propria famiglia da donna libera. La parte restante invece era angosciata dal pensiero di incontrare quella madre che troppe volte l'aveva ostacolata, ingabbiata, condizionata, punita, trattata da stupida; quella stessa donna che era quasi riuscita a venderla ad un uomo pur di ricavare del denaro per sé. Mentre ci rifletteva su le tornò in mente la storia di Isabella, sorella minore di Gisborne, venduta da suo fratello con le stesse modalità adottate dalla madre di Kaelee. Chiuse gli occhi per un momento e provò a convincersi che anche sua madre aveva una speranza di migliorare, ma più tentava di trovare una giustificazione alle azioni di lei e più l'ipotesi di perdonarla si allontanava.
Una parte di lei era senza dubbio felice di rivedere Aric, fratello, amico, complice e protettore; era contenta di poter salutare nuovamente Dwight. Quella stessa parte prendeva in considerazione la possibilità di visitare il villaggio insieme a Gisborne, presentarlo a quelle poche amiche che aveva lì, presentargli il miglior amico di Aric - il giovane che aveva fatto da messaggero - e magari portarlo nei luoghi per lei più significativi.
L'altra parte era preoccupata per la reazione dei genitori al momento delle presentazioni. Non che le importasse davvero il loro parere: se anche avessero sostenuto che una simile relazione era un'enorme vergogna, Kaelee non avrebbe rinunciato a Gisborne. Però l'ennesima disapprovazione, aggiunta a tutte le altre, sarebbe stata un'ulteriore ferita da curare.
Nonostante fosse immersa a fondo nel caos di riflessioni non poté non accorgersi di Gisborne al proprio fianco. Cavalcava con una tale grazia che guardarlo faceva quasi male, risultava così elegante vestito di nero da capo a piedi in sella al suo cavallo dal candido manto che Kaelee, in confronto, si sentiva goffa e impacciata. Quando le labbra di lui si distesero in un sorriso tutte le ansie della ragazza impallidirono.

Ad attendere il loro arrivo dinanzi la porta d'ingresso c'era un impaziente Aric. Da quando i fratelli di Kaelee avevano ricevuto la missiva che annunciava una visita da parte di lei, Guy e Tuck, in casa non c'era più stato un momento di pace. Lo sbraitare della madre che subito aveva messo in moto le rotelle maligne del suo ingegno era stato troncato sul nascere così come le sue intenzioni di trattenere con la forza la ragazza. La forza di chi poi? Willard ormai si era arreso alla collaborazione con i fratelli e gli altri giovani uomini che avevano abbracciato la causa di Dwight, precedentemente appartenuta a Robin Hood in quel di Locksley; il padre invece era sempre stato in cuor suo contento della fuga di sua figlia dalla vipera che la donna era diventata nel tempo - l'uomo l'aveva sposata, infatti, in parte anche per le buone qualità di moglie e donna di casa che aveva dimostrato di avere, ma poi qualcosa doveva essere andato storto, un qualche evento doveva aver fatto esplodere quella vena di cattiveria in lei mutandola radicalmente e inevitabilmente in un mostro avido di denaro e senza più un briciolo di cuore - perciò non si sarebbe mai messo contro Kaelee ed era anzi sollevato perché aveva la possibilità di parlarle un'ultima volta separandosi così da lei in completa pace.
Appena quattro cavalli furono ben visibili ai suoi occhi, Aric non ebbe più alcun dubbio: Kaelee era tornata a casa.
Il ragazzo non si aspettava che lei si stabilisse infine proprio nel luogo da cui era scappata, ma sperava che avrebbe sostato a Edwinstowe per un tempo non troppo breve. Nella peggiore delle sue ipotesi Aric aveva voluto credere che sua sorella sarebbe rimasta per una settimana perché la voglia di parlare con lei, condividere tutto ciò che gli era accaduto nel frattempo e ritagliarsi quei momenti che da sempre appartenevano solo a loro era troppa. Sapeva che forse si era soltanto illuso, sapeva che con lei sarebbe arrivato anche Gisborne - l'uomo di cui si era innamorata - e immaginava che i due non si sarebbero separati facilmente dal momento che l'uomo non conosceva nessuno nel villaggio a parte i familiari di Kaelee. Eppure Aric sperava di avere sua sorella tutta per sé prima che partisse di nuovo e definitivamente.
L'unica persona in quella casa che non aveva più alcuna voglia di rivedere Kaelee era sua madre che infatti non presenziò all'arrivo del gruppo rinunciando anche ad accogliere il figlio prediletto che aveva però fallito il compito assegnatogli tradendo così la fiduca della donna.

Nonostante tutte le ansie e preoccupazioni, l'incontro con i parenti andò bene e anche Gisborne e Fratello Tuck furono accolti con piacere.
Rudyard, invece, fu preso in custodia da Dwight e da quel momento in poi Kaelee non lo vide più.

Il giorno seguente, mentre il maggiore dei fratelli informava i presenti riguardo i risultati ottenuti da quando Dwight e gli uomini del suo gruppo avevano iniziato ad agire mossi dagli stessi ideali di Robin Hood, Aric non riusciva a smettere di guardare sua sorella.
Pur trovandosi tutti nella medesima stanza, Aric e Kaelee erano già alle prese con uno dei momenti tutti loro. Dopo tanti anni trascorsi a sostenersi vicendevolmente, condividendo ogni riflessione, paura, desiderio, esperienza, i due sapevano comunicare anche senza il bisogno di esprimere ad alta voce un pensiero. Bastava uno sguardo e tutto era chiaro come se fosse stato scritto nero su bianco in bella grafia. Quel giorno, però, Aric era particolarmente distratto.
Il cambiamento fisico di Kaelee - più evidente, in una prima analisi, di quello interiore - aveva subito colpito i familiari tant'è che suo padre le aveva confidato in un sussurro che non l'avrebbe riconosciuta se l'avesse incontrata per caso al Mercato. Anche Willard aveva lasciato intendere di trovarsi sulla stessa linea di pensiero del padre dichiarando che certamente se si fosse imbattuto in lei nella foresta avrebbe preferito darsela a gambe ancor prima di tentare di infastidirla nuovamente. Era un goffo modo per chiederle scusa.
Per quanto riguarda Dwight, invece, quando aveva visto arrivare Kaelee si era sentito più che mai orgoglioso di avere una sorella come lei. Non gliel'aveva detto, ma sapeva che in qualche modo lei sarebbe riuscita a leggerglielo nello sguardo. Inoltre, nonostante il radicale cambiamento estetico, apparve affascinante agli occhi del fratello maggiore.
Kaelee, infatti, se da un lato mostrava muscoli sodi e scolpiti sotto gli abiti leggeri tutt'altro che femminili che indossava e aveva scelto di portare una capigliatura dall'aria mascolina che aveva trasformato le sue morbide onde in ampi ricci, dall'altro aveva acquisito una nuova luce capace di incendiare il caramello dei suoi occhi rendendola più femminile che mai, più donna e meno ragazzina. Senza che Kaelee raccontasse nulla, Dwight comprese che qualcosa di molto intimo doveva essere accaduto tra lei e Gisborne.
Tra un pensiero inespresso e l'altro, mosso da pressante curiosità, Aric non riuscì più a trattenersi e «Ma che hai combinato?», mormorò a voce molto bassa per non interrompere il resoconto di Dwight.
Kaelee lo guardò senza afferrare il senso della sua domanda, concentrata invece sulla muta conversazione che con lui stava tenendo più o meno a insaputa di tutti. Anche se Dwight e Willard erano a conoscenza del particolare e intenso legame venutosi a creare nel tempo tra Aric e Kaelee non era semplice per loro assistere agli scambi intraducibili senza restarne un minimo sconvolti. Lo stesso valeva per Gisborne il quale molto spesso gettava un'occhiata curiosa e affascinata in direzione di fratello e sorella.
Perciò solo quando Aric indicò esplicitamente un punto al di sopra degli occhi di lei Kaelee trovò il nesso ricordando di essersi accorciata i capelli dopo essere stata rapita da Rudyard. Si era così tanto abituata al nuovo taglio da non badare più alle reazioni delle persone con le quali interagiva a Locksley o a Nottingham. Sulle prime molti avevano creduto che avesse perduto il senno per via della brutta esperienza, ma quando Kaelee aveva dimostrato di essere la stessa persona che gli abitanti del villaggio avevano conosciuto al suo arrivo si erano infine abituati alla novità ed erano tornati a comportarsi come sempre.
Le più profonde ragioni che stavano dietro al cambio di look Kaelee non le aveva condivise quasi con nessuno e pur ritenendo Aric degno di conoscere tutta la verità in merito a quella faccenda decise di divertirsi un po' prima di confidarsi con lui come in passato.
«Questi?», domandò quindi arrotolandosi un corto boccolo attorno all'indice. «È stato lui», sussurrò indicando Gisborne con un'occhiata furtiva, «In un duello-esercitazione», aggiunse con una serietà che non consentì ad Aric di mettere in dubbio le parole di sua sorella.
Il giovane uomo sbiancò pensando alla lama che affondava nella gola di Kaelee anziché rovinarle soltanto la bella capigliatura, la immaginò priva di un braccio o costretta per un lungo periodo a non muoversi a causa di taglio quasi mortale. Quando le apparve pallida ed esanime, immobile e con le palpebre ostinatamente chiuse Aric preferì mettere un freno ai propri pensieri. Fissò lo sguardo sgranato in quello serio ma tranquillo - come se non attribuisse il giusto peso all'accaduto - della ragazza prima di spostarlo su Gisborne e permettere alla rabbia di accendergli gli occhi. Pur essendo immensamente grato a Gisborne per aver insegnato a Kaelee l'arte della spada, non era disposto a tollerare che lei si facesse del male durante gli allenamenti. Ciò che Aric non sapeva - o non prendeva in considerazione in quel particolare momento - era che Gisborne stesso non si sarebbe mai perdonato se avesse accidentalmente ferito Kaelee in modo grave nel corso di un'esercitazione.
Aric strinse i pugni e fu ad un passo dal saltare in piedi e aggredire verbalmente il possente uomo che gli stava quasi di fronte - assalirlo fisicamente non sarebbe stata una buona idea neanche se Aric fosse stato animato da furia cieca e omicida e Gisborne fosse stato ancora mezzo addormentato - quando si sentì avvolgere le nocche dalle dita candide e sottili di sua sorella.
«Cosa vorresti fare?», gli domandò aggrottando le sopracciglia.
Lui quasi la incenerì. «Cosa ti aspetti che faccia? Avrebbe potuto decapitarti!», rispose tentando di mantenere un tono di voce basso sebbene avesse coomunque intenzione ormai di mandare a monte il racconto di suo fratello Dwight.
A quel punto tutti i presenti - Gisborne, Tuck, Dwight, Willard, il giovane messaggero e il padre di Kaelee - si voltarono verso Aric con occhi colmi di interrogativi mentre Kaelee tratteneva a stento l'aria divertita che iniziava a dipingersi sul suo volto.
Gisborne, che ormai la conosceva abbastanza da ipotizzare che la ragazza avesse messo al corrente suo fratello, senza mezzi termini, del desiderio di vendetta di cui era stata preda nell'ultimo periodo a causa di Rudyard e che avesse condiviso con Aric anche i particolari del rapimento, sentì di dover intervenire per rassicurare il minore tra i fratelli di Kaelee. Non sarebbe mai riuscito a immaginare cosa era invece accaduto.
«Che succede?», domandò gentile, accorgendosi in ritardo dello sguardo iroso di Aric a lui rivolto.
«Che le hai tranciato i capelli e non la gola per nostra grande fortuna», borbottò il giovane abbassando lo sguardo e anticipando l'eventuale intervento Kaelee. Gli occhi troppo limpidi e sinceri di Gisborne avevano destabilizzato perfino lui: era davvero possibile che Gisborne - disposto a proteggere Kaelee da tutto e tutti prima ancora del faccia a faccia con Rudyard - non provasse un minimo di rimorso tutte le volte che guardava i capelli della ragazza?
«Cosa?», esclamò Gisborne con grande sorpresa e confusione.
Kaelee non fu più in grado di reggere la farsa e scoppiò in una sonora risata. Una di quelle risate che si infilano nei ripostigli e nei cassetti, che rimbalzano sulle pareti e si intrecciano alla trama delle tende. Una di quelle risate che di rado avevano animato quella casa e deliziato quella famiglia.
Aric si sentì un idiota quando Kaelee rivelò lo scherzo e raccontò di esserseli tagliati da sola i capelli senza alcun rischio per la sua stessa incolumità.

Dopo alcuni giorni che Kaelee, Gisborne e Tuck si trovavano a Edwinstowe il frate chiese che gli venisse indicata la Chiesa più vicina sentendo lui l'esigenza di pregare e ringraziare Dio per averli condotti sani e salvi a destinazione. Kaelee colse quindi l'occasione per accompagnare Tuck, insieme a Guy, nella Chiesa del villaggio e di mostrare poi all'uomo che amava alcuni dei piccoli posti che l'avevano ospitata nei momenti più intimi della propria esistenza.
Fianco a fianco, accompagnati da chiacchiere leggere come l'aria, Guy e Kaelee fecero il giro del villaggio prima di imboccare un sentiero che conduceva al di fuori dello stesso, verso luoghi non abitati dall'uomo. Tra i percorsi che molte volte aveva intrapreso a cavallo, le piccole radure sparse qua e là nei dintorni, il vecchio capanno abbandonato in cui si rifugiava con Aric quando era bambina e a casa scoppiava l'inferno, il Grande Albero delle Promesse sotto i cui rami i giovani amanti si giuravano amore eterno e il ruscello che tante volte le aveva dato sollievo dalle angosce che pativa, Kaelee scelse di portare Gisborne là dove tante volte aveva lei stessa sognato di trovarsi insieme all'uomo con cui avrebbe condiviso la vita intera.
Null'altro che lo scricchiolare delle foglie sotto i loro passi accompagnava ora l'incedere lento e sereno. Nessuno dei due aveva la necessità di parlare sentendosi a proprio agio nel rilassato silenzio di chi sa godere dell'altrui compagnia anche in assenza di un dialogo.
Lontani da occhi indiscreti, Kaelee intrecciò timidamente le dita a quelle di Gisborne il quale ricambiò con gioia, sorridendo deliziosamente. La curiosità non gli mancava, ma preferì non chiedere a Kaelee dove stessero andando ritenendo che forse lei voleva sorprenderlo o rivelarglielo al momento più opportuno.
Come sempre accadeva quando Kaelee era con lui il cuore le danzava sfrenato nel petto aumentando il ritmo ad ogni contatto, anche casuale. Fu improvvisamente assalita dal dubbio che la destinazione scelta fosse troppo scontata o sciocca vista la situazione: del resto erano a Edwinstowe per via di Rudyard e non per una piacevole visita. Però era anche vero che in parte il soggiorno al villaggio era un modo per riconciliarsi con il proprio passato e abbracciare il futuro; un futuro che coincideva esattamente con il nome di Guy di Gisborne. Al solito il caos di pensieri rischiava di mettere sottosopra mente e cuore di Kaelee che senza rendersene conto rallentò il passo fin quasi a fermarsi.
Gisborne intanto si godeva il paesaggio e la meravigliosa sensazione della mano di lei nella propria pensando a quanto gli erano mancate le piccole ma preziose effusioni che quotidianamente scambiava con Kaelee e a cui aveva dovuto forzatamente rinunciare durante il viaggio da Locksley a Edwinstowe a causa sia della necessità di tenere alta l'attenzione su Rudyard e sia della presenza costante di quest'ultimo e di Tuck. Anche se chi l'aveva conosciuto prima che si affiliasse al clan di Robin non avrebbe mai creduto che in Gisborne albergasse pudore, restava il fatto che il più delle volte evitava di sbilanciarsi troppo in pubblico con Kaelee preferendo l'intimità di un luogo appartato o di un'abitazione sicura. Con le piacevoli sensazioni del ritrovato contatto a popolargli i pensieri Gisborne interpretò il rallentare della ragazza come il preambolo di una sosta o forse del raggiungimento della meta, qualunque essa fosse. Guardandosi attorno non vide altro che alberi tutti simili tra loro, ma anziché chiedere spiegazioni a Kaelee l'uomo la costrinse delicatamente contro uno dei tronchi e premette d'istinto le labbra su quelle di lei.
L'inatteso bacio soffiò via la confusione dalla mente di Kaelee, così che per qualche istante la voce dei pensieri tacesse lasciando spazio esclusivamente a quelle emozioni che le svelarono la semplice verità: se aveva scelto il Grande Albero delle Promesse era perché Gisborne, indipendentemente dalle sciocche tradizioni popolari di un villaggio inglese, era l'uomo che nei suoi sogni di ragazzina la guardava con amore e le si dichiarava con dolcezza, l'uomo che prendendola per mano la conduceva verso un'abitazione piccola e bellissima. Nel profondo del suo cuore Kaelee lo sapeva e voleva condividere quella consapevolezza con lui. Ricambiò quindi il bacio ammettendo finalmente a se stessa che il persistente nervosismo durante il viaggio di andata era anche in parte dovuto all'impossibilità di accoccolarsi tra le braccia di Guy e lì trovare la cura ad ogni malessere. Ora che poteva concedersi un momento di intimità avrebbe voluto affondare le dita in ogni centimetro di pelle, attorcigliarle ad ogni ciocca dei capelli corvini, usarle per privarlo di ogni indumento. Ma non lo fece. Non ancora.
«Guy...», sussurrò richiamando la sua attenzione mentre lui riprendeva fiato spostandosi dalle labbra al collo di lei.
«Mh?», fu la sintetica risposta dell'uomo per nulla intenzionato a fermarsi.
Con dolcezza, intenerita e al contempo eccitata dall'atteggiamento di Gisborne, Kaelee posò una mano sul viso di lui esercitando una leggera pressione che lo convinse ad ascoltarla.
«Non è mia intenzione interromperti», mormorò accompagnando le parole con un sorriso vagamente malizioso. «Ma vorrei che vedessi una cosa prima».
Con ogni probabilità il vecchio Gisborne non avrebbe approvato quell'interruzione prendendo in men che non si dica provvedimenti affatto delicati. Il nuovo Gisborne, invece, aveva lo sguardo acceso di viva curiosità quando Kaelee terminò di parlare. Un tempo, se al posto di Kaelee ci fosse stata un'altra donna, Gisborne avrebbe preso il gesto come un rifiuto e si sarebbe infuriato al punto da costringere la malcapitata ad assecondare i propri desideri. Ma era un momento della sua vita che appariva così sfocato ormai, tanto era lontano, da dare all'uomo la sensazione che simili reazioni non potessero essergli mai appartenute. Invece negli angolini più remoti della sua coscienza albergava la consapevolezza di tutte le paure che, sommate, avevano innalzato la facciata da duro, spietato e senza cuore. Quella paura di essere respinto, di non essere tenuto in considerazione, di essere solo, di non avere i mezzi necessari a farsi largo tra la gente e sopravvivere ad una vita che gli aveva tolto la famiglia e lasciato una sorella poco più piccola della quale occuparsi, la paura di essere per sempre il figlio del lebbroso e della donna che aveva avuto una relazione clandestina con il padre di Robin Hood. Per troppo tempo si era lasciato governare da un così subdolo sentimento, così da quando in lui era scattata la molla del cambiamento aveva scelto di abbandonarlo. Davanti a lui, adesso, ancora tra le sue braccia, non c'era una donna che lo avrebbe allontanato provando disgusto per i suoi modi di fare, ma la donna che aveva accettato di sposarlo nonostante non le avesse ancora regalato un anello, la donna che lo amava a prescindere dai fantasmi del suo passato e dalle cicatrici visibili e non.
Rubò un ultimo bacio a Kaelee prima di prenderle nuovamente la mano e condividere con lei la voglia di scoprire cosa lo aspettasse.
La giovane donna lo ringraziò per la pazienza e gli disse di portarne ancora per un po'. Quindi si incamminò guidandolo nell'ultima parte di tragitto.
L'atmosfera e i colori ricordavano la Sherwood di Locksley, ma la Natura che si estendeva oltre i confini di Edwinstowe non possedeva la stessa magia. Agli occhi di Kaelee alberi e cespugli, muschio e piccoli animali erano come spenti in confronto alla meravigliosa luce che illuminava Sherwood. Soffermandosi a riflettere Kaelee era riuscita ad arrivare alla conclusione che la sua visione d'insieme dipendesse molto dal vissuto e dai ricordi che la legavano all'uno e all'altro luogo. In effetti nel villaggio di Edwinstowe e nei dintorni Kaelee aveva maturato sostanzialmente esperienze negative, di costrizione e violenza, di privazioni e tristezza mentre a Locksley e Sherwood erano legati la svolta, la crescita personale, l'indipendenza e l'amore - tutte sensazioni positive. Pensò che magari più tardi avrebbe potuto confrontarsi con Gisborne in merito. Quando però i due raggiunsero il Grande Albero delle Promesse, Kaelee dovette ritrattare le proprie convinzioni: quel piccolo angolo di mondo risplendeva e rassicurava quasi irradiasse serenità da ogni singola foglia, radice, bacca.
Il Grande Albero delle Promesse sorgeva immenso e immutato al centro di una radura circolare che descriveva un perimetro quasi pari all'ampiezza dei rami più lunghi di quell'albero.
Kaelee non aveva idea di che tipo di albero si trattasse, né sapeva quanto antica fosse l'abitudine degli innamorati di recarsi proprio in quel punto, ma le piaceva credere in quella che forse era soltanto una leggenda o l'augurio scaramantico per un'esistenza felice.
Prendendo un lungo e profondo respiro la ragazza si fermò a una decina di passi dall'albero e guardò Gisborne dritto negli occhi con espressione seria e decisa. La consueta confusione che caratterizzava sempre momenti di grande importanza emotiva era del tutto assente, rimpiazzata da una chiarezza disarmante. Se fino a pochi attimi prima Kaelee non aveva idea di cosa avrebbe detto e come, appena il Grande Albero era entrato nel suo campo visivo non aveva avuto più alcun dubbio.
Con delicatezza pretese entrambe le mani dell'uomo per stringerle nelle proprie.
«Se vorrai ascoltarmi intendo raccontarti una storia», sussurrò. La voce era ferma ma non priva di emozione; gli occhi già lievemente lucidi.
Gisborne rimase colpito tanto dall'enorme esemplare che si erigeva imponente a pochi passi da lui, quanto da come Kaelee appariva diversa in quel frangente. Più donna.
«Volentieri», le rispose rivolgendole un timido sorriso.
Alcuni secondi si interposero tra le due voci, come una veloce pausa tra due atti di un'opera.
«Avevo dodici anni quando sono capitata in questo posto per la prima volta. Resa cieca dalle lacrime, risultato dell'ultima strigliata di una lunga serie, non avevo badato al sentiero da seguire, affidandomi esclusivamente all'istinto di fuggire il più lontano possibile da mia madre». Kaelee iniziò a raccontare con calma, fermandosi e lasciando a Gisborne il tempo di assorbire le informazioni, di calarsi nella storia. Kaelee non aveva mai condiviso con nessuno quel ricordo, neanche con suo fratello Aric, perché un po' si sentiva sciocca a sognare il grande amore dichiarato all'ombra di un gigantesco albero. Eppure otto anni più tardi era proprio lì in compagnia dell'uomo che amava, pronta ad augurare eterna vita a quell'unione.
«Mi fermai più o meno laggiù, mezza nascosta tra i cespugli. Non sono alta adesso, immagina com'ero otto anni fa», ironizzò indicando con la propria mano e quella di Guy un punto non lontano da loro. «Al nostro posto c'era una giovane coppia. Le mani giunte e gli sguardi incatenati. Non riuscii a sentire cosa si dicevano ma dovevano di certo essere parole pregne di sentimento. Ricordo che i due si abbracciarono a lungo prima di scambiarsi un bacio commosso». Kaelee proseguì raccontando della sua confusione in merito a gesti che non era riuscita a comprendere appieno; rivelò di essersi chiesta se era stato un caso che l'incontro fosse avvenuto proprio sotto quel grande albero e infine condivise la storia di quel luogo così come le era stata raccontata qualche tempo dopo la scoperta. «Tradizione vuole che un uomo e una donna si incontrarono qui per caso un giorno di un'epoca senza tempo. Ognuno in cerca di qualcosa che desse il giusto valore all'esistenza toccatagli in sorte, aveva infine scelto di abbandonare tutto andando così in contro al proprio destino, qualunque esso fosse. Si narra che i loro occhi non riuscirono più a smettere di cercarsi da quel primo incontro e fu così che decisero di condividere lo spazio sottostante questo prezioso dono di Madre Terra. All'interno e nei dintorni della piccola radura avevano tutto ciò di cui necessitavano: bacche per nutrirsi, foglie e cespugli per un giaciglio, una piccola fonte da cui attingere acqua per dissetarsi e rinfrescarsi, un posto all'ombra durante le ore più calde e una buona compagnia per condividere riflessioni di ogni sorta. Nessuno seppe di loro finché un giorno la donna si ammalò gravemente. L'uomo tentò di applicare le proprie conoscenze di guaritore, ma la donna non migliorava. Così, disperato, decise di correre in cerca di una comunità di persone che potesse aiutarlo e si congedò dalla donna pregandola di attendere il suo ritorno. In cambio le promise che l'avrebbe seguita anche se avessero dovuto abbandonare quell'oasi di pace. Quando l'uomo giunse nel villaggio più vicino aveva l'aspetto di un rozzo selvaggio avendo vissuto parte della propria esistenza a curare l'anima anziché l'aspetto esteriore e per questo motivo molte porte gli vennero sbattute in faccia. Soltanto dopo un lungo vagare egli riuscì a trovare una persona buona disposta ad ascoltarlo. Era però troppo tardi ormai. Si racconta che il dolore della perdita fu così insopportabile che l'uomo non poté far altro che urlarlo alla Natura per ore intere stringendo al petto il corpo esanime della donna. Poi, quando non ebbe più lacrime da versare volse gli occhi ai folti rami di questo albero, rinnovò e mantenne la promessa fatta prima di recarsi al villaggio: sotto gli occhi increduli del buon soccorritore quell'uomo si privò della vita tornata ad essere inutile senza la donna che capì di aver amato dal primo momento. Da quel giorno, come sostiene la leggenda, questo ampio tronco viene chiamato Grande Albero delle Promesse», concluse Kaelee con un lieve sospiro.
Nello sguardo terso di Gisborne fluttuavano meraviglia e tristezza mentre stringeva tra le proprie le mani della giovane donna, incapace di dire alcunché.
Dopo una breve pausa Kaelee riprese a parlare.
«Molte volte ho sognato questo momento trovando spesso conforto in questa immagine, trovandovi la ragione per andare avanti nonostante le difficoltà e la sofferenza», sussurrò. La voce adesso vacillava a tratti. Si morse il labbro inferiore e si costrinse a non distogliere lo sguardo da quello di Gisborne.
Gli occhi di lui si fecero più luminosi.
«E adesso... Eccomi qui», disse sorridendo, «In compagnia dell'uomo che amo, al cospetto del Grande Albero. Il mio cuore ti appartiene, Guy, e ho già accettato di unirmi a te in matrimonio davanti a Dio, ma voglio ugualmente farti una promessa. Qui non ti prometterò di esserci se verrai privato della tua salute o se perderai i tuoi averi, non ti prometterò di lottare sempre affinché il nostro sentimento si perpetui nel tempo in virtù di un'unione voluta da Dio. Ti prometto invece di lasciarti libero di andare se questo sarà ciò che vorrai, perché ti amo così tanto da aver perso l'egoismo insito in ognuno di noi. Ti amo così tanto che pur di vederti felice mi farei da parte se necessario. E c'è un'altra cosa che voglio prometterti qui e ora», soffiò con la voce rotta dall'intensità dell'emozione.
«Kaelee...», mormorò Gisborne intuendo la direzione dei pensieri di lei. «No...». Fu un sussurro leggero.
«Prometto di seguirti sempre, ovunque, comunque vada».
Sebbene potesse sembrare una contraddizione non lo era affatto.
Gisborne scosse con decisione il capo e la cercò per un bacio che sapeva di disperazione, di rifiuto verso una promessa così assurda. Non sarebbe mai riuscito a convivere con quella consapevolezza, non avrebbe mai accettato neanche l'ipotesi che Kaelee si uccidesse dopo la propria morte per cause naturali o accidentali. Non avrebbe mai desiderato nulla di simile per lei. Al contempo, però, un altro pensiero in controtendenza si affacciò alla sua mente e Guy capì che non poteva avercela con Kaelee per quanto aveva detto: lui stesso non avrebbe avuto la forza di sopravviverle.
Kaelee non lo allontanò. Si sollevò sulle punte e gli avvolse braccia attorno al collo, lasciò che i loro corpi entrassero in contatto e si accendessero di conseguenza, non ostacolò la lingua di Gisborne che chiedeva accesso alla propria e non si scompose quando le sue mani scesero pericolosamente oltre la schiena.
«Mi impegno nel tentativo perpetuo di dissuaderti», ansimò Gisborne sulle labbra di lei senza interrompere quel bacio. «E mi impegno in una promessa identica alla tua», aggiunse.
L'invadenza della lingua di lui impedì a Kaelee non solo di rispondere ma perfino di pensare a qualsiasi cosa non fosse la stretta di Gisborne sulle sue natiche, il suo respiro sul volto, lo strusciare dei loro abiti più ingombranti che mai in quel momento, il lieve tintinnio metallico delle armi che si scontravano insieme a loro.
Di nuovo intrappolata tra l'imponenza di Gisborne e un tronco altrettanto maestoso, stavolta non si oppose all'incendio che a breve sarebbe divampato. La mancanza di lui che aveva provato durante i giorni dedicati al viaggio cedeva il passo alla sensazione di interezza di cui Kaelee si permeava ad ogni bacio, carezza, unione. Dopo la prima ce n'erano state altre di pari intensità e più volte accadeva, più la giovane donna si rendeva conto che - come per tutte le altre effusioni- non se ne sarebbe mai stancata. Era più che certa di poter trascorrere un decennio intero in costante compagnia di Gisborne senza provare noia, senza perdere il sorriso, senza avere l'imbarazzo di non sapere come riempire una giornata. Gisborne era un uomo intelligente, stimolante, un ottimo combattente, un uomo ormai aperto al confronto e incline al dialogo, paziente e coinvolgente oltre che bello in un modo assurdo e attraente come nessun altro al mondo. La sua sola presenza bastava a disordinarle i pensieri, a far sbocciare spudorati desideri in lei. Appetiti che sempre più spesso venivano soddisfatti.
Kaelee abbandonò le spalle di Gisborne soltanto per slacciarsi il corpetto e privarsi della sottostante blusa chiara.
«Adesso?», le domandò Gisborne in un soffio appena udibile.
«Adesso», confermò lei.
Privarsi degli abiti sembrava loro sempre un'impresa più complicata di quanto non fosse in realtà, trasportati com'erano dalla voglia di appartenersi immediatamente e senza alcuna barriera.
Gisborne aveva quasi completamente perso l'abitudine di tenere vigile una parte della propria mente affidandole il compito di campanello d'allarme: non c'era più nulla da temere. Sapeva bene che Kaelee non nutriva alcun dubbio sul sentimento che li legava l'uno all'altra, sapeva che se anche un giorno l'avesse rifiutato non sarebbe mai stato per mancanza d'amore o ripugnanza nei suoi confronti. Sapeva anche che un giorno avrebbe costruito una famiglia con quella donna, ma non subito.
«Adesso», ripeté.
Nella mente di Kaelee quella voce profonda diede vita a scenari caldissimi che le sembrava di aver già vissuto o forse soltanto immaginato. Mentre il corpetto finalmente si arrendeva, la donna si rese conto che Gisborne si era già privato della blusa. Con un gesto svelto ma non privo di sensualità aggiunse l'indumento di lei al proprio ed entrambi finirono a terra, uno vicino all'altro. Lo stesso accadde per il resto degli abiti che fecero da sottile giaciglio per il loro amore sugellando così il voto fatto dinanzi al Grande Albero delle Promesse.



N.d.A.
La stesura dei singoli capitoli sta richiedendo più tempo del previsto e sono costretta ad aggiornare con notevole ritardo rispetto ai precedenti, come chi mi legge da tempo si sarà certamente accorto. Non intendo però sospendere la storia in attesa di avere momenti più lunghi da dedicarle, perciò anche se a rilento aggiornerò fino alla conclusione.
Vi ringrazio con molto affetto per la pazienza che avete dimostrato e spero di ricompensarla presto con un nuovo capitolo.
Alla prossima!

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Capitolo 20
*** Lord Much il Difensore ***


Venti


Lord Much il Difensore

Bonchurch.

Come si era ripromesso di fare, risolta la questione con Rudyard Much aveva deciso di recarsi nella tenuta a lui destinata insieme al titolo di Lord.
Nella mente i ricordi del giorno in cui il suo amico e padrone Robin lo aveva messo a conoscenza della sua situazione con Lady Marian. Mentre l'intera banda collaborava con Gisborne al fine di ritrovare lo Sceriffo di Nottingham prima che il funzionario del Principe Giovanni mettesse a ferro e fuoco l'intera Contea, Robin aveva raccontato a Much della proposta di matrimonio fatta a Marian e di come lei avesse accettato a patto che prima il Re tornasse in patria e sistemasse ogni cosa.
Much ricordava di essersi sentito come spaesato, perso per via di quella novità che se da una parte lo rendeva felice assicurando a Robin una vita serena al Maniero, dall'altra lo destabilizzava tanto da indurlo a preoccuparsi per se stesso: che fine avrebbe fatto lui, servo fedele, nel momento in cui Robin avesse messo su famiglia e si fosse riappropriato del Maniero? Dove sarebbe andato? E con chi?
A distanza di tempo quelle paure si erano rivelate del tutto infondate e Much aveva capito il reale valore dell'affetto che lo legava a Robin. Poteva sorriderne adesso.

Aveva preferito visitare la tenuta da solo la prima volta da quell'unica in cui ci aveva abitato e per convincere Kate che sarebbe stato meglio se lei fosse rimasta a Locklsey si era giustificato nascondendosi dietro l'incertezza riguardo le condizioni dell'abitazione. In parte era vero che Much nulla sapeva dell'eventuale manutenzione da fare alla struttura, ma di certo non se ne sarebbe preoccupato se a metterlo in agitazione non ci fosse stata la reale possibilità di incontrare Eve. Pur essendo più che mai sicuro dei sentimenti che provava nei confronti di Kate e non volendo per nessuna ragione al mondo rischiare di perderla, Much non aveva dimenticato la promessa fatta tempo prima alla donna che si era spacciata per una semplice domestica e che invece aveva inizialmente fatto la spia per conto di Vaisey salvo poi capire di non essere disposta a lavorare per un uomo spregevole come lui; la donna per la quale Much aveva provato un sentimento che andava oltre l'affetto e che forse, se coltivato, si sarebbe tramutato in vero amore.
Probabilmente Much non l'avrebbe mai ammesso a se stesso, ma tutti i suoi traguardi in quella vita avevano a che fare con l'amore. Suo desiderio di sempre era avere qualcuno al proprio fianco che lo apprezzasse per ciò che era e che volesse costruire con lui una famiglia, che gli desse dei figli. Sin da ragazzino si immaginava nei panni di rispettato capofamiglia proprietario di una modesta ma bella abitazione con annesso un piccolo fazzoletto di terra, lavoratore onesto, marito fedele e modello di dignità per i suoi bambini. Poco importava che non sapesse leggere: con il sudore della propria fronte avrebbe garantito un futuro diverso alla prole. La vita aveva preso una piega diversa nel corso del tempo allontanandolo bruscamente da quei sogni di fanciullo, ma non tutto era perduto. Era un po' come se anziché seguire la strada maestra o imboccare un'astuta scorciatoia Much fosse incappato in un percorso colmo di pericoli, tortuoso, che lo avrebbe ricondotto sulla via principale solo in seguito ad un lungo periodo di incerto vagare.
Il Much che la vita aveva restituito dopo l'esperienza maturata al fianco di Robin Hood era di certo diverso dal giovane uomo che aveva sognato un'esistenza dorata nella sua semplicità; diverso, sì, ma non più superficiale né meno buono.
Much aveva promesso ad Eve che sarebbe tornato a Bonchurch quando anche la giustizia fosse tornata a regnare nella Contea di Nottingham.
Quel sogno di libertà che aveva animato lo spirito di Robin Hood e dei suoi affiliati si era infine realizzato con la morte dello Sceriffo e dei suoi scagnozzi, con il ritorno di Re Riccardo e con il freno imposto al Principe Giovanni restituendo a Nottingham e dintorni una luce che si credeva ormai perduta per sempre. Conseguenza più o meno diretta di questi eventi era la tanto agognata svolta nella vita di Much il quale infine, come promesso, stava per tornare proprio a Bonchurch per insediarsi esattamente lì dove aveva conosciuto Eve.
Da quando aveva ricevuto la notizia l'uomo non riusciva a smettere di pensarci non sapendo bene come affrontare al meglio la situazione, in che modo porsi con Kate e con Eve.
Ricordava di aver baciato quest'ultima nell'assicurarle che si sarebbero rivisti in circostanze molto migliori.
E anche questa non era una bugia se non per il fatto che non avrebbe più potuto riservarle quel gesto perché il suo cuore, adesso, batteva esclusivamente per Kate.
Ormai fin troppo vicino al villaggio che avrebbe ospitato lui e Kate fino alla fine dei loro giorni, Much scese da cavallo e si avviò verso la tenuta a passo veloce e nervoso ma con un incontenibile sorriso che gli illuminava il volto.


Foresta di Sherwood.

L'assenza di Rudyard nella vita di Guy e Kaelee non aveva indotto i due a cullarsi nel rinnovato clima di serenità che aleggiava non solo sulla coppia, ma anche su Locksley e Nottingham.
Tutti i componenti della vecchia banda, pur tornando alle rispettive attività che contribuivano al sostentamento del piccolo villaggio e ad un personale senso di soddisfazione ed equilibrio, non avevano smesso di pianificare, organizzarsi e allenarsi, in linea con la necessità - espressa diverse volte e in svariate occasioni da Robin - di non farsi cogliere impreparati nel caso in cui malauguratamente qualcosa fosse nuovamente andato storto. Little John, ad esempio, si era infine convinto a prendere sotto la propria ala tutti i giovani - molti dei quali provenienti dall'orfanotrofio di cui l'uomo si occupava ora insieme anche ad una felicissima Alice - che fallivano con l'arco e con la spada; John non era certo della reale incapacità dei ragazzi e sospettava che sbagliassero di proposito per passare più tempo in sua compagnia e a lui, tutto sommato, andava più che bene. Inoltre, da qualche tempo, anche alcune vecchie conoscenze della banda avevano chiesto ed ottenuto il permesso di prendere parte alle lezioni. Si trattava dei ragazzini che, giocando a "Robin Hood", erano stati rapiti da Gisborne, salvati dai veri fuorilegge ed elevati alla carica di membri onorari della banda. Tuck - che come principale impiego aveva la vocazione di curare anime - era tornato a condividere e ottimizzare le tecniche agricole ideali per il tipo di terreno con cui lui e gli abitanti di Locksley avevano a che fare. Archer, oltre ad insegnare i segreti che aveva appreso durante i suoi spostamenti, era maestro di seduzione per i più giovani; continuava ad essere il braccio destro di suo fratello Robin e non mancava mai di ritagliarsi del tempo da trascorrere in compagnia di Nettie. I due sembravano fare davvero sul serio. Allan, invece, dopo le ultime vicende aveva deciso di portare in circolazione i manufatti di Locksley nei Mercati della Contea - cosa che lo distraeva da Kaelee, dai suoi sentimenti per lei e da Gisborne con il quale avrebbe fatto volentieri a pugni vista l'instabilità emotiva in cui viveva; diverse volte aveva immaginato un ipotetico duello decisivo in cui il meritevole vincitore avrebbe definitivamente ottenuto l'ambito premio: Kaelee; quando tornava lucido, però, si rendeva conto che a Kaelee non avrebbe fatto per nulla piacere essere considerata un "premio" e che probabilmente sarebbe stata lei stessa a dargli una lezione prima ancora di dare inizio al duello. In tutto ciò, per nulla solo ma molto spesso travolto da ondate di malinconia, Robin faceva il possibile per apprezzare il dono che la Natura e Dio gli avevano fatto e che aveva perso gran parte del suo senso con la scomparsa di Lady Marian. L'unica ragione che gli permetteva davvero di andare avanti era la causa per cui aveva combattuto e combatteva ancora: la presenza di Riccardo Cuor di Leone sul trono d'Inghilterra non bastava, da sola, a garantire la pace in ogni Contea. A sostenerlo c'erano, come sempre, gli amici e tutte le persone a cui lui negli anni aveva fatto del bene e che gli portavano gran rispetto. Tra questi uno in particolare aveva deciso di tornare a Locksley dopo aver smaltito il dolore per la perdita di suo padre, fatto uccidere dallo Sceriffo. Si trattava di Luke Scarlett, fratello di Will, il quale rimasto ormai solo si era recato presso le uniche persone di cui sapeva di potersi fidare ricevendo infatti il più caloroso dei benvenuti.
Anche Kaelee e Gisborne avevano lentamente ripreso le vecchie abitudini tornando ad esercitarsi nell'accogliente Foresta di Sherwood. Come accadeva già da un po' di tempo, i due inscenavano duelli in piena regola alla cui base c'era fiducia reciproca: la lama spesso sfiorava la pelle dell'avversario minacciando gli organi vitali, ma mai la lacerava affondando nella carne, ferendo, mordendo come sarebbe accaduto in presenza di un vero nemico. Non per niente l'impresa risultava tutt'altro che semplice. Nessuno dei due infatti dosava più forza e abilità, così spesso Guy e Kaelee si trovavano impegnati in duelli estenuanti che si protraevano per un arco di tempo piuttosto ampio.
Lui, capace di scatti incredibilmente veloci, osservava e studiava ogni minuscolo movimento dell'avversario basando gran parte della propria tecnica sulla concentrazione e il resto sulla forza fisica che lo rendeva una macchina da guerra quasi inarrestabile. Nella banda di Robin esisteva un uomo soltanto in grado di atterrare Gisborne in uno scontro corpo a corpo ed era una rara eccezione, il che stava a significare che Gisborne era per la maggioranza dei suoi nemici una minaccia concreta tanto se armato di spada quanto se disarmato. Se non era coinvolto in una lotta improvvisa Guy difficilmente attaccava in tempi brevi - in parte per la necessità di trovare i punti deboli del nemico e in parte per indurlo a stancarsi - ma quando decideva di farlo non c'era scampo per la controparte. I suoi affondi erano micidiali e andavano sempre a segno con l'enorme forza consentita dai muscoli allenati.
Lei, che alla pratica aveva ormai aggiunto molte nozioni teoriche e aveva imparato a conoscere il proprio corpo, poneva invece al centro dello scontro leggerezza e resistenza. La seconda l'aveva acquisita nel corso degli allenamenti con Gisborne e, combinata alla prima caratteristica, si rivelava letale per ogni avversario. La fisicità di Kaelee era l'arma a doppio taglio che le offriva un generosissimo vantaggio su un nemico superficiale il quale, vedendola così minuta, tendeva a prenderla sottogamba. Il fatto, poi, che fosse una donna la rendeva ancor più vulnerabile agli occhi di quegli sciocchi uomini che non sapevano affatto chi avevano davanti.
Più Gisborne la guardava, più gli sembrava di vederla volare a pochi centimetri dal morbido pavimento della foresta.
Conoscevano alla perfezione punti deboli e di forza l'uno dell'altra, eppure ogni duello era un capitolo a sé stante. Niente era mai scontato se entrambi mettevano tutte le loro risorse in gioco lasciando da parte il sentimento che li legava.
Per Kaelee non era affatto semplice separarsi dalla parte di lei che amava quell'uomo armato di spada. L'uomo al quale era promessa, al quale aveva donato cuore e anima. Uomo che era anche un combattente, un ex affiliato ai terribili Cavalieri Neri del Principe Giovanni. Un uomo che aveva ucciso in passato e che avrebbe ancora ucciso se si fosse rivelato necessario. Quella parte di lei anziché temere il lato oscuro di Gisborne lo trovava perfino affascinante ed era questa la principale ragione per cui le risultava difficoltoso estraniarsi da se stessa e calarsi nei panni della spadaccina. Sapeva, però, che per rendere funzionali ed efficaci le esercitazioni era necessario compiere quello sforzo.
Lo sguardo di lui appariva glaciale in quei duelli simulati.
Quello di Kaelee si discostava nettamente dal caramello fuso a cui Gisborne era avvezzo, divenendo più simile ad un'ipnotica pietra dura difficile da ignorare.
Solo a quel punto la danza poteva iniziare.
Occhi negli occhi, presa ferrea attorno all'elsa.
Chiunque avesse avuto il piacere di osservarli sarebbe rimasto colpito dalla magia del duello che grazie all'atmosfera e ai colori di Sherwoord assumeva toni surreali.
Quel giorno Kaelee decise di non dare tempo al proprio avversario di anticipare le sue mosse e senza preavviso sorprese Gisborne con un velocissimo fendente. D'istinto lui contrattaccò senza andare a segno: Kaelee si era già spostata lateralmente.
La parte di Gisborne affettivamente coinvolta si compiaceva tutte le volte che Kaelee riusciva a spiazzarlo o a sfuggirgli.
Ruotando su se stesso con la spada tesa Gisborne avrebbe tagliato la testa a Kaelee se lei non si fosse prontamente piegata sulle ginocchia. Così come la ferita inferta al polpaccio di Gisborne, se non avesse cambiato posizione per tempo, gli avrebbe impedito di restare in piedi e difendersi.
Per quanto fosse oggettivamente pericoloso, più pericoloso che tirare con l'arco contro uno spaventapasseri, Guy e Kaelee facevano sul serio.


Bonchurch.
Quando Lord Much si avvicinò alla tenuta che gli era stata destinata non ebbe neanche il tempo di lasciar esplodere definitivamente la gioia per il conquistato futuro che venne accolto con festosità dagli abitanti del piccolo villaggio. Sembrava proprio che la voce si fosse sparsa a gran velocità e che tutti non aspettassero altro di conoscere il nobile uomo che si sarebbe trasferito nella bella tenuta, sperando probabilmente che fosse anche un buon uomo.
Sebbene non lo avessero mai visto prima - anche se molti avevano comunque ipotizzato che potesse trattarsi di Much il fuorilegge, servo fedele di Robin di Locksley - gli abitanti del villaggio non ebbero alcun dubbio. Un gruppo di bambini, vedendolo avanzare, gli corse incontro accompagnato da gioiose urla di benvenuto.
Fu infine il fabbro del villaggio a riportare un po' d'ordine tendendo la mano al nuovo venuto.
«I miei ossequi Lord Much e quelli del villaggio tutto. Perdonate l'eccessivo entusiasmo dei nostri bambini. Era loro intenzione soltanto darvi il benvenuto», disse con tono pacato.
Much fu spiazzato da quell'inattesa situazione, ma strinse ugualmente la mano del suo interlocutore e ringraziò con la timidezza e quel pizzico di goffaggine che lo contraddistinguevano. Sorrise a tutti, compiaciuto ma mai sicuro di sé come lo sarebbe stato un vero Lord. Del resto non era semplice abituarsi all'idea dopo essere stato per anni il servo di Robin Hood, il fuorilegge che aveva combattuto al fianco degli eroi nel nome di Re Riccardo divenendo egli stesso eroe senza rendersene conto. Much era uno con la testa sulle spalle e benché sognasse una vita migliore e una bella casa, difficilmente si montava la testa nel senso dispregiativo del termine. Sognava, progettava, ma mai pretendeva, mai credeva che qualcosa gli fosse dovuto. Non era sciocco, né superficiale, come qualcuno che non lo conoscesse bene poteva pensare. Aveva invece conservato l'ingenuità dei ragazzini mantenendo integri i suoi valori morali.
Altri, forse, avrebbero dubitato di quella calorosa accoglienza; si sarebbero insospettiti temendo che quegli umili potessero in seguito pretendere qualcosa. Ma non Much. Lui ne fu felice e si comportò come se i suoi amici gli avessero organizzato una grande festa di compleanno: ringraziò, ringraziò e ancora ringraziò.
Andò avanti così finché, tra i tanti occhi che lo scrutavano curiosi, Much non scorse il volto di Eve. Gli sorrideva, come tutti gli altri, e quando si accorse che lui la guardava sollevò timidamente la mano in un cenno di saluto.
Da quando era ufficialmente tornato ad essere un uomo libero Much non portava più lo strambo copricapo chiaro, suo segno distintivo all'interno della banda; non si era invece sbarazzato dello scudo finemente decorato che gli sarebbe valso, a Boncurch, il soprannome di Lord Much il difensore.
Il momento che aveva reso inquieto quell'uomo era infine arrivato. Eve si avvicinò e si offrì di accompagnarlo fino alla tenuta. Attorno a loro i bambini ancora saltavano e ridevano.
«Siete tornato davvero», mormorò la donna quando furono all'ingresso.
Much si grattò nervosamente il capo mostrando tutto il suo imbarazzo. Doveva assolutamente informare Eve della svolta che la sua vita aveva preso da quando era partito di nuovo per la Terra Santa con l'intento di salvare il Re ed era tornato in Inghilterra con il compito di confortare un amico che aveva perduto la sua unica ragione di vita. Si accomodò lo scudo e fece per schiarirsi la gola quando una voce maschile chiamò Eve per nome. Il sorriso di lei fu inequivocabile: era lo scintillante sorriso dell'amore.
"Dunque anche per lei qualcosa è cambiato?", si chiese Much voltandosi insieme alla donna.
Con le presentazioni, Much venne a sapere che Eve si era innamorata e sposata e che non aveva nascosto a suo marito le vicende accadute proprio in quella tenuta. Gli fu rivelato che se le cose fossero andate diversamente - ovvero se Eve non avesse incontrato il suo compagno di vita - al suo ritorno a Bonchurch Much avrebbe trovato una donna pronta ad amarlo con tutta se stessa e a condividere con lui la sorte loro destinata. Fu quindi più semplice, a quel punto, raccontare a Eve di Kate e dell'amore che lo legava a lei.
Ciò che più stupì Much fu la naturalezza con cui raccontò alla donna ciò che si era persa da quando si erano salutati. L'ex fuorilegge che aveva salvato l'Inghilterra insieme ai suoi compagni d'armi seppe in quel momento di avere al proprio fianco un'amica che in un modo o nell'altro avrebbe continuato a far parte della sua vita.


Foresta di Sherwood.
È sempre questione di attimi.
Prima di un bacio. Prima di una grande decisione. Prima di una svolta.
Sono piccoli attimi carichi di elettricità ad annunciare una tempesta. Brevi attimi a scombussolare un cuore.
Basta un attimo a decretare la tua sorte in battaglia. Un attimo sentenzierà la tua vittoria o la tua sconfitta, ti regalerà la vita o ti darà la morte.
E in un attimo la spada di Gisborne fu ad un millimetro dalla gola di Kaelee.
Immobilità assoluta.
In un attimo la spada di Kaelee fu ad un soffio dal fianco di Gisborne.
Silenzio assordante.
Occhi negli occhi a scambiarsi l'irrefrenabile voglia di vivere. Occhi negli occhi come se il Sole potesse per magia farsi liquido e gettarsi nel mare.
Uno spettacolo mai visto prima tradotto nell'universale lingua dell'amore.
Quel misterioso giudice senza volto né nome che decide deliberatamente e sfacciatamente l'esatta durata di un attimo sembra non avere criterio mentre, quasi come in una scena al rallentatore, Gisborne si protende impercettibilmente verso Kaelee inclinando soltanto il collo. Odioso giudice tutt'altro che imparziale desideroso di assistere allo scoppio di quei cuori ancora troppo giovani per fermarsi. Giudice che torturi nel prolungare l'attimo prima di un bacio soltanto per lanciare poi il tempo in una folle corsa di respiri mozzati e cuori instabili.
Fu un semplice ma intenso attimo quello che intercorse tra l'incastro di sguardi e l'incontro di labbra.
Nessuno dei due spostò la lama.
Entrambi chiusero gli occhi.
E quando le labbra si sfiorarono fu come se la Terra riprendesse a girare, come se tutte le stelle esplodessero contemporaneamente nel cielo, come se tutte le onde del mondo si infrangessero in sincrono contro i fianchi della Natura.
Spuntò un sorriso sulla bocca di Kaelee al piacevolissimo contatto.
«Finalmente», commentò in un sussurro.
Anche Gisborne sorrise.
«Mi hai dato filo da torcere. Te lo sei guadagnata questo bacio», le rispose scostandosi da lei quel tanto che bastava ad ostacolare ulteriori effusioni di quel tipo.
A Kaelee non sfuggì la provocazione nel tono di Guy, così con un movimento fluido fece scivolare il braccio attorno alla vita dell'uomo - la spada a premere contro la schiena - prima di rispondergli.
«Baciatemi, Sir Guy, o sarete un uomo morto», soffiò con malizia. Neanche a lei fu chiaro il motivo per cui avesse usato il voi e l'avesse chiamato attribuendogli il titolo. Molto più evidente fu invece l'effetto che quella scelta ebbe su entrambi.
Il sorriso sghembo alla Sir Guy di Gisborne si dipinse sul volto dell'uomo mentre annuiva inclinando la testa compiaciuto. Ripose la spada nel fodero con snervante lentezza. Si sfilò un guanto e portò la mano nuda sul volto di Kaelee. Con il pollice le accarezzò la guancia, tracciando una linea immediatamente sotto l'occhio prima di scivolare sulla nuca.
«Potrebbe essere pericoloso», soffiò all'orecchio della ragazza.
«Non temo il pericolo», rispose prontamente lei inspirando a lungo il profumo della pelle di lui. Si sentiva come se dovesse perdere i sensi da un momento all'altro. Strinse la presa attorno all'elsa della spada che infine scagliò lontano da loro, lasciando che si piantasse nel terreno morbido di Sherwood.
Lui rise sommessamente, divertito e compiaciuto, con un pizzico di eccitazione mentre l'eco della voce di Kaelee che lo chiamava "Sir Guy" gli scombinava le idee.
"Baciatemi, Sir Guy, o sarete un uomo morto".
"Baciatemi, Sir Guy".
"Sir Guy".
Il passato che tanto aveva cercato di allontanare prima e metabolizzare poi, tornava in una forma nuova e incredibilmente ricca di fascino. Mai Gisborne avrebbe pensato che essere Sir Guy potesse risultargli addirittura piacevole. Non c'era più violenza in quel titolo, né la cattiveria alimentata dallo Sceriffo. Sebbene fosse pienamente consapevole del proprio cambiamento e del percorso che lo aveva condotto verso un nuovo io più incline alla giustizia e ad una vita fatta di valori semplici anziché di potere e denaro, la nuova sfumatura appena scoperta riuscì a sconvolgerlo. Convinto che l'intera sua storia personale al fianco dello Sceriffo fosse legata al titolo di Sir aveva iniziato a farsi chiamare semplicemente Guy e, superato l'iniziale imbarazzo da parte degli abitanti di Locksley, quella decisione era valsa all'uomo l'accenno di un equilibrio interiore destinato a trovare sempre più stabilità. Essere semplicemente Guy di Gisborne non lo esonerava dal tormento di tutto il male esercitato negli anni, ma lo aveva aiutato a inserirsi meglio nella nuova comunità e nell'ottica di una vita senza troppi agi. Restava pur sempre Sir Guy di Gisborne ma, come Robin Hood, - che pur essendo Signore di Locksley era per tutti semplicemente Robin - privandosi dell'appellativo si era lentamente guadagnato la fiducia delle persone. Difficilmente capitava ora che qualcuno lo guardasse male o che gli rinfacciasse qualcosa, che lo incolpasse per il modo in cui aveva vissuto una buona parte della propria esistenza. Persino la figura imponente e gli abiti categoricamente neri avevano smesso di intimidire la gente.
Guy di Gisborne, che pochi avevano visto sorridere di gioia ai tempi in cui era il braccio destro dello Sceriffo di Nottingham, - e tra queste certamente Marian e Meg - rivolgeva quotidianamente un sorriso gentile a chiunque incontrasse, salutava con cortesia e si fermava a chiacchierare con il fabbro e gli artigiani del villaggio.
Ma ora Kaelee lo aveva chiamato "Sir Guy" - la malizia nel tono, quasi che lei fosse inspiegabilmente attratta dalla parte oscura di lui - e tutto era mutato in un baleno, come una bandierina voltata di netto da una folata di vento. La prospettiva di poter essere Sir Guy di Gisborne senza essere servo di Vaisey gli si schiuse dinanzi agli occhi come un fiore a primavera e per un attimo Guy vide il proprio futuro prendere una piega lievemente diversa da come aveva immaginato fino a quel momento. Avrebbe ugualmente sposato Kaelee la quale, si rese conto, avrebbe preso il titolo di Lady. Lady Gisborne. Suonò così dolce quel pensiero nella mente di Guy da fargli desiderare che il matrimonio avvenisse in quello stesso istante. E seguendo l'impeto di quell'ondata l'uomo baciò Kaelee con trasporto.
Nessuno dei due osò portare a termine il contatto prima di essere davvero a corto di ossigeno.
«Non so perché ti ho chiamato... in quel modo», ammise Kaelee dopo un po', lo sguardo timidamente rivolto verso il basso.
Lui la avvolse tra le braccia avvertendo il senso di colpa nella voce incerta della giovane donna.
Kaelee più di ogni altro conosceva gli angoli più bui dell'anima di Gisborne e credeva che, in fin dei conti, riportare a galla quella parte del suo passato non fosse stata poi una così gran bella idea.
«Non mi è affatto dispiaciuto», sussurrò.
Il viso di Kaelee, ben volentieri nascosto sul petto di Guy, prese letteralmente fuoco mentre una valanga di pensieri e domande la travolgeva. Che non si sarebbe mai abituata a Guy Kaelee l'aveva messo in conto tempo addietro, ma non credeva che dopo ciò che avevano vissuto insieme si sarebbe trovata ancora a tenere a bada il caos mentale che lui - volontariamente o meno - le provocava anche con uno sguardo fugace. Non era il gesto, ma il modo in cui lui la guardava: con una tale intensità da metterla in soggezione.
E mentre lei si interrogava sui misteri dell'impulsività e dell'amore, su quanto dipendesse dalla sua mente e quanto dall'istinto, Gisborne la prese in braccio e si incamminò in silenzio verso uno dei tanti tronchi della foresta. Trovata una comoda sistemazione tra due grandi radici che affioravano in superficie, baciò la fronte di Kaelee.
«A che punto della discussione siete tu e i tuoi pensieri?», le domandò prendendola dolcemente in giro.
Lei, che aveva temporaneamente accantonato il suddetto trambusto in favore del vortice emozionale causato dalla nuova situazione, ridacchiò con aria serena.
«Non ne ho idea, ma non ha importanza», rispose. «Sono con te e questo è tutto ciò che conta», aggiunse allungando le dita verso la ciocca nera che da sempre - o meglio da quando lei lo conosceva - gli incorniciava il viso.
A volte Kaelee aggiungeva alla storia della propria vita tutti quei se e quei ma che se inizi a considerarli rischi di diventar matto nel giro di pochi minuti. Un se in particolare riaffiorava spesso tra i suoi pensieri. "E se Gisborne anziché sopravvivere alla grave ferita che lo aveva costretto a letto avesse ceduto e si fosse addormentato per sempre?".
Come sarebbe stata la permanenza di Kaelee a Locksley senza Guy? Avrebbe assecondato i sentimenti di Allan? Si sarebbe invaghita del fratello minore di Robin e Guy?
A ognuna delle domande Kaelee si rispondeva tutte le volte allo stesso modo pur cercando di intraprendere percorsi ragionativi differenti.
"Meno intensa, ma ugualmente definitiva". "No". "No".
Gisborne sospirò e Kaelee approfittò per parlare ancora andando contro all'istinto di tacere per paura di sbagliare.
«Credo che sarebbe stato complicato interagire con Sir Guy di Gisborne, il braccio destro dello Sceriffo di Nottingham intendo, ma sono quasi certa che ci avrei provato lo stesso», mormorò.
Incredulità e turbamento furono due lampi evidenti nel cielo dei suoi occhi.
«Avresti pagato a caro prezzo la tua scelta», disse velocemente, a bassa voce, distogliendo lo sguardo; le labbra ridotte ad una sottile linea dritta.
«Scelta? Di quale scelta parli? Hai forse deciso consapevolmente di amare Lady Marian tu?», domandò lei in risposta.
«Kaelee...».
«No Guy. Kaelee un bel niente», fece la donna lasciando trasparire l'irritazione che provava. Non le importava quante donne Guy avesse amato prima di lei, quante ne avesse possedute, a quante avesse promesso gli agi di una vita da nobile. Non le importava neanche che lui avesse un figlio ed era disposta perfino a prendere quest'ultimo in considerazione come parte integrante della propria vita se solo Guy le avesse manifestato il desiderio di cercarlo e incontrarlo. Kaelee era giovane, sì, ma non sciocca e sapeva bene che i sentimenti di Gisborne per lei erano sinceri. A infastidirla era stata l'affermazione di lui.
L'amore, infatti, è tutt'altro che una scelta. È qualcosa di incontrollabile, qualcosa che ha poco a che fare con logica e razionalità. È istinto. Quando si ama difficilmente si pensa e anche a volerci provare il più delle volte non ci si riesce.
Definire quindi l'amore di Kaelee come una scelta - ovvero qualcosa di calcolato in base ai propri bisogni, alle necessità e a obiettivi ben precisi - le aveva fatto saltare i nervi.
Senza pensarci su due volte Gisborne tornò a guardare Kaelee negli occhi. Vi trovò una vena di dispiacere tra le colorite striature del disappunto e si dispiacque a sua volta.
«Hai ragione e per questo ti chiedo scusa. Non ho deciso di innamorarmi di te», mormorò accompagnando le parole con un sorriso appena accennato. «I miei occhi ti hanno incrociata e il cuore ha fatto il resto battendo come un folle nel mio petto», aggiunse.
«Così va molto meglio», rispose Kaelee sorridendogli con dolcezza, incapace di arrabbiarsi con lui. «Comunque sia sono felice di come sono andate le cose. Non so se sarei stata in grado di intrufolarmi nel Castello senza essere scoperta e messa alla forca al primo tentativo».
La risata di Gisborne riempì e traboccò dal cuore di Kaelee diffondendosi nello spazio attorno a entrambi.
«Non hai tenuto conto della mia complicità», mormorò lasciando Kaelee a bocca aperta.
«Sir Guy di Gisborne mi avrebbe protetta dalle grinfie dello Sceriffo?», chiese incredula. Dopo tutti i racconti che aveva sentito sullo spietato Sir Guy, Kaelee non avrebbe mai immaginato che proprio lui potesse mettersi a difendere una donna soltanto perché di lui invaghita.
Qualcosa nel profondo della sua anima aveva convinto Gisborne che se avesse conosciuto Kaelee prima di unirsi a Robin Hood e alla sua banda di fuorilegge, non sarebbe riuscito ad ignorarla pur amando Lady Marian. Non sapeva come sarebbero andate le cose, non sapeva se Kaelee sarebbe riuscita a conquistare il suo cuore sciogliendolo dalla morsa dell'amore che lui provava per Marian, non aveva idea di come avrebbe gestito la situazione e non era in grado di determinare se la giovane donna sarebbe stata capace di allontanarlo dallo Sceriffo evitando così la morte di Lady Marian, di Meg e forse perfino di Isabella.
Entrambi si domandarono intimamente che piega avrebbero assunto le vicende se una donna avesse amato Sir Guy di Gisborne quando la sua parte migliore era sepolta sotto strati di cattiveria e cinismo.
Kaelee si rendeva conto di essere stata molto fortunata a conoscere Gisborne in quel particolare frangente della vita di lui ed era consapevole anche che amarlo, dopo il cambiamento, era stato incredibilmente semplice. Ma se lui l'avesse respinta e derisa? La fermezza che la caratterizzava avrebbe retto l'offesa?
I due si guardarono a lungo negli occhi prima che un
«Sì» appena sussurrato rompesse il silenzio. «Sai cosa mi ha detto una volta Vaisey?», le domandò retorico, consapevole che Kaelee non poteva affatto saperlo.
Infatti lei scosse il capo.
«Che la pietà è sempre stata il mio punto debole», soffiò. «Per molti non ne ho avuta, questo è vero, ma non sono mai stato immune all'affetto e all'amore. Credo di aver cercato l'affetto delle persone per una vita intera senza nemmeno rendermene conto, covinto di desiderare esclusivamente potere, denaro e gloria. Perciò sì, avrei cercato una scappatoia per te. Forse poi ti avrei cacciata in malo modo intimandoti di non farti mai più vedere al mio cospetto, ma non ti avrei consegnata a lui», concluse distogliendo lo sguardo, puntandolo nel folto di Sherwood.
Kaelee rimase in silenzio e si perse a guardare il profilo del viso di lui. Il naso spiccava inevitabilmente, ma anziché rovinare la bellezza di Gisborne gli attribuiva un fascino particolare ed unico. Le sopracciglia lievemente contratte gli donavano un'aria tormentata e misteriosa richiamando al presente quello che doveva essere stato il tenebroso Sir Guy. Per quanto tentasse di restare lucida, Kaelee non poteva ignorare le pulsioni del proprio corpo che immediatamente e costantemente reagiva alla presenza di Gisborne.
«Grazie», mormorò infine.
Gisborne sospirò e chiuse gli occhi. Kaelee lo stava ringraziando per qualcosa che non aveva neanche fatto. Lo ringraziava con una sincerità tale da chiudergli lo stomaco. L'uomo si chiedeva come fosse possibile che lei, pur sapendo di aver a che fare con uno che non ne aveva combinata una giusta, con un assassino, con un opportunista, un arrivista, lo amasse così tanto ed incondizionatamente.
«Guy», lo chiamò lei senza ottenere alcuna reazione.
Lui che aveva smesso di esaminare la propria coscienza quando i suoi genitori erano morti; lui che aveva successivamente spalancato con violenza le porte del proprio io; lui che credeva di aver fatto i conti definitivamente con i suoi demoni; l'uomo che aveva servito Vaisey di Notthingam schierandosi con il male del mondo ora si interrogava sul perché Kaelee fosse arrivata in dono proprio a lui. Una donna come lei, buona e altruista, cosa poteva mai avere in comune con lui?
«Sir Guy di Gisborne», riprovò Kaelee con maggior decisione.
Gisborne contrasse le sopracciglia, ancora una volta colpito da come quel nome suonava sulle labbra della dolce donna che amava.
«Ascoltatemi», sussurrò la donna immaginando di parlare proprio a quel nobile che tanti avevano odiato desiderandone anche la morte. Immaginò di trovarsi a Notthingam, a due passi dallo Sceriffo, con il pericolo di essere vista e accusata di un qualsivoglia crimine. «L'uomo cattivo che il popolo descrive è lo stesso che, anziché uccidere un gruppo di bambini che lo aveva visto sperimentare nella foresta un'armatura invincibile, li ha soltanto imprigionati. E magari nella speranza che Robin Hood li liberasse evitando così di dover togliere loro la vita su richiesta dello Sceriffo», gli disse con ferma dolcezza.
Non era stato Gisborne a parlarle di quell'episodio, ma Little John.
L'uomo ebbe un sussulto per la sopresa, ma non si mosse ulteriormente. Né parlò.
«In voi risiede una parte buona che le sofferenze della vostra vita hanno tentato invano di seppellire. Io giudico solo ciò che vedo, Sir Guy, e davanti a me ho un uomo che senz'altro merita il mio amore più di ogni altro al mondo, un uomo perfettamente in grado di ricambiare degnamente il mio sentimento», terminò avvicinandosi in cerca delle labbra di lui.
Gisborne non si sottrasse al bacio che anzi ricambiò mentre alcune lacrime scendevano calde sul suo viso.
«Ti amo Guy», soffiò Kaelee. Il suo cuore correva come se si stesse dichiarando a lui per la prima volta.
Gisborne la strinse di più a sé e la ringraziò per le belle parole che gli aveva rivolto.
«Se solo fossi arrivata prima nella mia vita...», mormorò infine.
«Ssssssh. Non pensarci amore mio», rispose lei in tono rassicurante. «Sai, tante volte quando abitavo a Edwinstowe ho immaginato che un cavaliere arrivasse a portarmi via dall'inferno della mia casa. Era bello e forte e valoroso. Pareva un principe in sella al suo destriero», gli confidò con un sorriso.
Lui sorrise a sua volta ritrovando il buon umore grazie a lei. «E invece sei stata tu a tirar fuori me dal mio inferno personale», commentò.
Entrambi risero e ripresero a baciarsi
.




N.d.A.
Complice il caldo e le giornate intere trascorse in spiaggia con gli amici, aggiorno la storia con la lentezza degna di un bradipo. Ma, come si suol dire, la speranza è l'ultima a morire ed infatti ecco infine anche questo ventesimo capitolo!
Ringrazio in anticipo chi segue la storia da tempo e anche chi i nuovi lettori, augurandomi di essere stata credibile nella narrazione e di aver regalato una lettura piacevole.
Non mi resta che darvi appuntamento alla prossima (sperando di poter limitare i tempi d'attesa)!

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Capitolo 21
*** Il Torneo ***


Ventuno


Il Torneo

Locksley.

Il trascorrere di diverse settimane nella totale assenza di un qualsivoglia contatto non aveva per nulla migliorato il non-rapporto tra Allan e Kaelee.

L'uomo, che si era impegnato anima e corpo presentando in ogni mercato della Contea i prodotti di Locksley, era infine tornato a casa nella convinzione di aver ritrovato almeno in parte un personale equilibrio. E invece il suo cuore aveva perso un battito incrociando per caso gli occhi caramellati di lei.
Allan comprese presto e con cupa rassegnazione di essersi soltanto illuso per tutto quel tempo. Si era detto che il sentimento per Kaelee altro non era che la sciocchezza di un momento. Si era creduto capace di tornare a interagire con lei come se nulla fosse accaduto, come prima, come quando insieme leggevano storie condividendo istanti di vita che appartenevano esclusivamente a loro. Persino Gisborne, la persona più importante su quella Terra per Kaelee, non
aveva accesso alle loro letture.
L'uomo capì che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in quel sentimento sebbene molti, durante il suo vagare, gli avevano detto con convinzione che non c'è errore nell'amare una donna anche quando il cuore di quest'ultima appartiene ad altri. Eppure tutte le volte che Allan guardava Gisborne pensava a Marian e a come era finita: una vita era stata spezzata ingiustamente e due cuori con essa. Ancora oggi Allan vedeva il dolore negli occhi di Robin così come lo aveva visto in quelli di Guy prima dell'arrivo di Kaelee e si chiedeva dove il sentimento per quella giovane donna lo avrebbe condotto. Quanto oltre si sarebbe spinto per lei, pur di averla?
Gisborne aveva ucciso dinanzi alla crudele e definitiva conferma che Marian lo aveva sempre ingannato, troppo confusa forse per fare chiarezza nel proprio cuore o ancora troppo giovane per essere ciò che credeva di essere, troppo giovane per gestire senza danni collaterali la situazione in cui lei stessa si era volontariamente cacciata rifiutando un posto nella Foresta di Sherwood pure dopo la morte di suo padre. Gisborne, con il cuore in frantumi, aveva fatto a pezzi la vita di lei e originato un uomo-fantasma di nome Robin Hood. Pentirsene amaramente non molto più tardi non aveva cambiato le sorti di nessuna delle tre parti.
Allan non voleva arrivare a quel punto, ma non era disposto a lasciare Locksley e gli amici che aveva in quel luogo. Per andare dove poi? E con chi?
Chi interpretava la scelta come il risultato di una punta di vivo orgoglio sbagliava: in verità Allan non riusciva ad accettare l'idea di non poter vedere mai più Kaelee neanche di sfuggita, nemmeno di nascosto, sebbene anche solo saperla nei dintorni gli causava una fitta al cuore.
Così era rimasto. E con lui i suoi tormenti.

Il senso di colpa feriva Kaelee nei suoi momenti di fragilità. Il volto di Allan popolava la mente di lei prima che potesse addormentarsi. Il subconscio le propinava tutta una serie di domande che la costringevano ad alzarsi dal proprio letto per prendere un po' d'aria. Per qualche tempo era riuscita a nascondere a Gisborne la natura di quei tormenti, ma poi lui aveva capito e i due ne avevano parlato senza però arrivare ad una conclusione soddisfacente. Kaelee aveva paura. Paura di cercare Allan, paura di fargli ancora del male. Paura di ferire Gisborne, paura che lui potesse sentirsi di nuovo come con Marian. Tutto ciò che Kaelee non desiderava era essere causa dall'altrui sofferenza.
Quando i suoi occhi avevano per caso incrociato quelli grandi di Allan le si era stretto il cuore. Sebbene la giovane donna non nutrisse alcun dubbio in merito ai sentimenti provati per Gisborne si era resa conto che le lezioni di lettura in compagnia di Allan le mancavano molto. Le mancava la risata di lui, il modo in cui la prendeva in giro quando non riusciva a scandire correttamente un vocabolo, lo sguardo che si accendeva ogni volta che gli poneva una domanda. Pensieri come questi, però, mettevano in moto un disastroso meccanismo di autoanalisi: Kaelee si sentiva egoista, ingiusta, una sorta di bambina viziata che non sapendosi accontentare del grande amore pretendeva pure la presenza del migliore amico nella propria vita.
Come sempre, Kaelee sapeva con esattezza ciò che voleva solo non sapeva con la stessa precisione come gestire la situazione in cui si era inconsapevolmente cacciata. Del resto non aveva mai desiderato che Allan si innamorasse di lei né incolpava quest'ultimo per qualcosa che non era dipeso dalla sua volontà. Kaelee non voleva altro dalla vita che poter stare al fianco di Gisborne per quanto più tempo possibile; possibilmente fino alla propria morte. Sarebbe andata fino in capo al mondo per lui e con lui, eppure non voleva davvero separarsi da quel villaggio che le aveva restituito una vita, da quelle persone che l'avevano accolta con tanta disponibilità, non voleva dover dire addio a Kate, amica e sorella in quella sua nuova esistenza. Né ad Allan in fondo.
Così anche lei era rimasta. E con lei le sue angosce.

Era stata necessaria un'ulteriore settimana prima che qualcosa cambiasse.
Ciò che Allan non si sarebbe mai aspettato era una visita da parte di Gisborne, giunto per offrirgli amicizia.
I due non si erano mai considerati nemici a vicenda e neanche rivali dal momento che non aveva alcun senso alimentare astio e odio in nome di un sentimento puro come l'amore, un sentimento che non conosce regole, né ordini, né controllo. Un sentimento che nasce dal nulla perfino nei cuori più aridi o in quelli privi di speranza. Muovere guerra per amore sarebbe stato lo stesso che sterminare un'intera popolazione innocente. Inoltre tra Allan e Guy esisteva un legame particolare che aveva visto la luce in un momento drammatico per la vita dell'ex fuorilegge e che aveva portato con sé conseguenze non indifferenti. Anche se dopo una breve allenaza basata su una serie di menzogne e piccoli tradimenti i due erano tornati a combattere su fronti opposti si erano infine ricongiunti in seguito alla distruzione di Nottingham. Così come non erano mai stati amici nel periodo della collaborazione, allo stesso modo nessuno dei due aveva minato direttamente alla vita dell'altro dopo la separazione. Del resto, per quel che ne sapeva Allan, Gisborne avrebbe potuto senza difficoltà dargli la caccia e ucciderlo.
Invece aveva bussato alla sua porta e aveva chiesto di poter entrare, di potergli parlare.
Fu grazie a Gisborne che qualche giorno più tardi Allan e Kaelee si erano incontrati; fu grazie all'amore di Gisborne per Kaelee che quest'ultima allontanò da sé l'angoscia e riuscì a condividere spazio e tempo con il suo vecchio amico che le aveva insegnato a leggere. Non erano certo mancati momenti di imbarazzo, attimi di assoluto silenzio pieno di mille quesiti, secondi di gesti goffi, ma poi tutto aveva riacquistato un senso e l'equilibrio era stato ripristinato.
Allan provava ancora dei sentimenti nei confronti di Kaelee e quest'ultima temeva ancora di poterlo ferire anche soltanto respirando, però entrambi avevano ripreso a interagire tra loro mitigando infine la tensione.


Qualche tempo dopo.
Nottingham.
Il lavoro di Robin, Archer, Guy e Little John sui giovani di Locksley e dintorni aveva iniziato a dare preziosi frutti, tant'è che si era deciso insieme agli abitanti di Nottingham di indire un torneo i cui partecipanti si sarebbero misurati ognuno nella propria specialità - arco, spada o bastone - con altri validi esponenti. Lo scopo della gara non era semplicemente decretare un vincitore per ogni categoria, ma testimoniare al popolo - lo stesso popolo che aveva dimostrato coraggio, bloccando insieme a Tuck e John una delle uscite della città di Nottingham quando ancora era in piedi e sotto il governo dello Sceriffo, pur non avendo idea di come si maneggiasse un'arma - che insieme è possibile raggiungere traguardi ben più grandi che in solitudine. Del resto
a voler scavare nel passato di ciascun abitante di Locksley, Nottingham, Bonchurch, Nettlestone e Clun non si sarebbe trovato un solo uomo che ce l'avesse fatta sempre da solo in tutto e per tutto. Il pastore e i suoi fedeli, l'artigiano e i suoi garzoni, il proprietario terriero e i suoi agricoltori, Robin Hood e la sua banda di fuorilegge senza il cui aiuto l'uomo non sarebbe mai riuscito a contrastare Vaisey così come senza Gisborne non avrebbe salvato Archer esaudendo così l'ultimo desiderio di suo padre.
Anche Kaelee era un bell'esempio di collaborazione ben riuscita, infatti senza il contributo di suo fratello Aric non sarebbe andata molto lontano, forse non avrebbe nemmeno mai raggiunto Locksley e probabilmente non avrebbe avuto scampo contro suo fratello Rudyard.
Lo stesso tipo di cooperazione applicato ad un contesto più grande aveva portato prima alla ricostruzione di Nottingham ed ora alla preparazione per il Torneo. La città appariva radiosa con le sue innumerevoli bandierine colorate fissate in ogni dove e incredibilmente viva grazie ai bambini che correvano in totale libertà per le sue strade, gli artigiani che ne animavano gli angoli e le famiglie che l'abitavano con gioia. Era un vero piacere visitarla.
In occasione del Torneo moltissime famiglie erano giunte dai villaggi vicini per offrire supporto morale ai partecipanti o anche soltanto per assistere allo spettacolo e trascorrere una giornata in compagnia. Sembrava quasi un sogno dopo anni ed anni trascorsi nell'angoscia del dover pagare tasse sempre più alte ad uno Sceriffo ingiusto. Tra i presenti, naturalmente, c'era la banda di Robin Hood al completo con il doppio ruolo di graditi ospiti, in quanto era grazie a loro se il Torneo si era potuto realizzare, e di tifosi dal momento che uno dei loro membri era stato iscritto come partecipante.
Non è difficile capire di chi si tratti.
Gisborne aveva insistito così tanto e aveva con tale entusiasmo tessuto le lodi della sua preferita che alla fine Kaelee aveva aggiunto il proprio nome alla lista più per sfinimento che per la reale volontà di mettersi in gioco con gli altri allievi di Gisborne. Kaelee non metteva in dubbio l'obiettività di Guy quando si complimentava con lei per la sua bravura, ma aveva assistito agli allenamenti degli altri ragazzi fin da quando Gisborne aveva accettato di occuparsene e sapeva che tra loro c'erano alcuni giovani molto validi e di sicuro più forti di lei dal punto di vista fisico; però era pure consapevole di aver duellato diverse volte con uno degli uomini più forti che avesse mai incontrato e di averlo messo in seria difficoltà durante i recenti allenamenti.

Vinta dall'orgoglio con cui Gisborne la guardava tutte le volte che si faceva cenno alle sue doti di spadaccina, la mattina del Torneo aveva indossato i suoi abiti migliori e il paio di guanti regalatole da Guy pur non sentendosi per niente pronta a quel tipo di prova. Era poco più dell'alba quando fu sorpresa da Gisborne a guardare con preoccupazione un punto indefinito oltre la finestra della loro abitazione, a Locksley.
«Già pronta?», le domandò, con il tono di chi sta sorridendo, avvolgendola in un caldo abbraccio.
Kaelee sospirò e rilassò le spalle contro l'ampio petto di Gisborne.
«Manca ancora un po' prima del Torneo», soffiò, «È un gran peccato che ti sia già vestita», aggiunse in un sussurro carico di malizia.
Kaelee ebbe un sussulto e avvampò. «Non credo davvero sia il caso di... Non è proprio il caso, no», concluse con un pizzico di decisione in più.
Mentre Kaelee tentava di mettere a tacere la parte di lei incapace di credere che Guy volesse dedicarsi ad intime effusioni a poche ore dalla competizione e quella più spinta che avrebbe ceduto volentieri alla voce suadente e profonda di lui e ai suoi muscoli scolpiti, la risata di Gisborne riempì la stanza riscuotendo la giovane donna dai propri pensieri in contrasto.
L'uomo esercitò una leggera pressione sulle spalle di Kaelee, spingendola a voltarsi, per poter godere del suo sguardo di caramello che era più confuso che mai in quel momento.
«Sarei un disonesto se ti dicessi che mi dispiacerebbe averti nuda tra le braccia...», mormorò spudorato senza smettere di sorridere in quel suo modo disarmante.
«Guy!», lo riprese lei arrosendo di nuovo.
Gisborne sollevò l'indice sulle labbra deliziose di lei prima di continuare. «Ma non era a questo che mi riferivo poco fa», spiegò.
Kaelee si rese conto di aver frainteso tutto e si sentì così sciocca da voler sprofondare. Provò a sfuggire alle braccia dell'uomo il quale la strinse maggiormente a sé, trattenendola e accarezzandole con cura i capelli corti perché Gisborne adorava la timidezza e il pudore che ancora sapevano affioravare negli occhi e sulle gote della donna che amava.
«L'hai fatto apposta», si lamentò lei con già l'ombra di un sorriso sulle labbra ricambiando l'abbraccio.
Lui rise e poi le sussurrò all'orecchio quanto amasse prenderla dolcemente in giro, quanto gli piacesse vedere gli occhi di lei illuminarsi e le guance colorarsi di rosso. Infine le chiese di raggiungere nuovamente la camera da letto insieme a lui perché voleva mostrarle una cosa.
«Sir Guy di Gisborne», lo apostrofò lei, «Se è un altro dei tuoi scherzi giuro che ti prendo a calci là dove non batte il sole!». E Gisborne le avrebbe anche creduto se lei non fosse scoppiata in una scampanellante risata immediatamente dopo.
Una volta raggiunto il piano superiore Gisborne respirò profondamente. Il fatto che fosse un uomo ormai adulto non lo esonerava dal provare le emozioni sconvolgenti tipiche della giovane età. Si sentì come un giovanotto ai primi approcci con il corteggiamento sebbene avesse già condiviso diversi doni con la donna che amava. Chiuse gli occhi e di nuovo prese un lungo respiro prima di mostrare a Kaelee quella che sarebbe stata la sua tenuta da spadaccina se lo avesse desiderato.
«Nulla di eccezionale», commentò lui stesso porgendole un completo in pelle nera in pieno stile Guy di Gisborne che gli valse uno degli slanci più intensi che Kaelee gli avesse mai riservato.

Fasciata da corpetto e pantaloni che Gisborne aveva fatto confezionare appositamente per lei e per quell'occasione, Kaelee affrontò e batté diversi avversari animando torneo e folla.
Nonostante molti fossero suoi allievi, Gisborne non vedeva altri che la sua Kaelee provando un brivido ad ogni affondo che la ragazza mandava a segno. Non era una lotta all'ultimo sangue, ovvero non era previsto che qualcuno riportasse gravi ferite affinché il duello venisse dichiarato concluso, quindi le lame delle spade erano state rese innocue attraverso una speciale guaina protettiva che non influiva in alcun modo sul corretto maneggiamento dell'arma. La decisione era stata presa all'unanimità - e lo stesso era accaduto alle frecce che erano state spuntate e ai bastoni cui erano stati applicati morbidi cuscini atti ad ammortizzare i colpi - onde evitare spiacevoli incidenti e questo rendeva più tranquillo Gisborne il quale certamente non avrebbe insistito così tanto per la partecipazione di Kaelee se ci fosse stato il rischio che restasse ferita. Ma Kaelee non correva rischi e Gisborne appariva agli occhi dei suoi fratelli come un bambino al quale fosse stato fatto dono di un sacco colmo dei più golosi dolciumi: la guardava e non vedeva altro che bellezza ed eleganza. Trovò i suoi muscoli, evidenziati dagli abiti che indossava come una seconda pelle tanto erano aderenti, pericolosamente affascinanti mentre si tendevano per colpire o si contraevano per difendersi. Le mani minute ma intelligentemente guantate le permettavano una presa decisa sull'elsa, così che nessun movimento della spada potesse risultarle scomodo o difficile da eseguire.
I duelli erano alternati da gare di tiro con l'arco e da round di lotta con bastone in modo tale che i partecipanti a ciascuna categoria potessero riposarsi prima di affrontare un nuovo avversario. Dopo il quinto Kaelee era già fisicamente piuttosto provata: stancare il contendente per poterlo attaccare a colpo sicuro era senza dubbio una tattica efficace, ma alla lunga si rivelava un'arma a doppio taglio che rischiava di metterla in fretta fuori gioco. La giovane donna, però, tenne duro e finché si misurò con uomini fisicamente massicci tutto andò bene nonostante qualche difficoltà. Fu quando le si presentò dinanzi un giovanotto dall'aria smilza che Kaelee fece diversi passi falsi. Per nulla avvezza a duellare con persone della sua stessa stazza venne spiazzata dalla velocità con cui il giovane si spostava danzando letteralmente di fronte e attorno a lei; sembravano due meravigliose libellule intente a corteggiarsi. L'abilità con cui lui scansava i colpi di lei era impressionante e così come nei precedenti duelli Kaelee aveva lasciato senza parole la folla, era ora il giovane ragazzo di Nottingham a stupire tutti.
Gisborne seguì rapito quello che si rivelò essere l'ultimo duello della sua amata nel primo torneo della città e la accolse rassicurandola e rivolgendole molti complimenti nonostante la ragazza non fosse riuscita ad evitare un rapido ed inatteso affondo che aveva assicurato infine la vittoria al suo avversario.
Kaelee aveva subito mostrato molta sportività non prendendosela per la sconfitta e anzi elogiando l'abilità del giovane e augurandogli buona fortuna per i successivi duelli, perciò tornò da Gisborne con il sorriso sulle labbra perché in fin dei conti aveva comunque vinto il suo personale duello con la vita. Dopo aver indossato abiti più femminili e comodi iniziò quindi a godersi pienamente la festa in compagnia di Nettie e di Kate che fu molto felice di avere Kaelee tutta per sé. L'ormai imminente matrimonio con Much, infatti, ed il definitivo trasferimento a Bonchurch l'avevano scombussolata a tal punto che sempre più spesso sentiva il bisogno di avere la giovane donna al proprio fianco. Il rapporto tra le due, infatti, non era per nulla mutato nonostante entrambe portassero avanti una relazione molto seria con l'uomo che amavano: l'amicizia che le aveva legate fin dall'arrivo di Kaelee a Locksley era qualcosa di indissolubile e le due si erano ripromesse di non perdersi di vista mai pur abitando in due villaggi diversi.
Al contempo c'era un'ulteriore novità, per Kaelee, che coincideva con la presenza di Nettie.
Dopo aver sequestrato per giorni interi Robin e Guy, Archer aveva infine finalmente capito che Nettie era la donna giusta per lui, quella con cui avrebbe condiviso il resto dei propri giorni. Così la nuova famiglia di Kaelee si era arricchita di un membro, una giovane quindicenne che sarebbe andata prima o poi in sposa al ventenne Archer acquisendo così anche il ruolo di cognata per Kaelee. A quest'ultima capitava, ogni tanto, di pensare a quanto scombinati fossero i sentieri della vita; l'eventualità più logica, per un fattore anagrafico, si sarebbe verificata infatti qualora tra i Tre Kaelee si fosse legata al più piccolo - suo coetaneo - o al massimo a Robin, di undici anni più grande; senza contare che attorno ai tre fratelli orbitavano molti altri uomini di non indifferente fascino, primo tra tutti il trentenne Allan. E invece il cuore della ragazza era andato al trentaseienne Guy di Gisborne che aveva immediatamente e irrimediabilmente risvegliato in lei l'amore.
«Potrebbe cambiare idea e allora io sarei una donna finita!», sbottò Kate risvegliando Kaelee dal flusso di pensieri.
«Non accadrà di certo!», la rassicurò Nettie sorridendole comprensiva.
«Vorrei sapere perché hai deciso di comportarti da sciocca», rispose invece Kaelee trattenendo un sorriso.
«Sciocca io?! Oh, ma certo! Dall'alto della tua relazione perfetta sembriamo tutte assai sciocche ai tuoi occhi, giusto?», domandò la prima con voce lievemente isterica e sicuramente indispettita dalla mancanza di sensibilità dell'amica.
Nettie si zittì di colpo e sbiancò, per nulla abituata alle crisi di Kate. Kaelee, che invece la conosceva meglio, scoppiò a ridere e l'abbracciò forte.
«Sei sciocca perché permetti alla paura di offuscarti la vista. Non credo esista una relazione perfetta, ma di sicuro Much ti ama», soffiò con dolcezza tra i capelli biondi e profumati di Kate. «Ogni tuo dubbio è un torto nei suoi confronti», aggiunse rassicurandola definitivamente.
Per tutta risposta Kate ricambiò con decisione la stretta e invitò poi Nettie ad aggiungersi all'abbraccio.
Nel cuore di una Nottingham in festa, ricca di banchi con ogni ben di Dio, nasceva quel giorno un secondo Trio, parallelo al primo, tutto al femminile.



Da qualche parte in Francia.
Per tanto tempo Giovanni aveva più volte tentato di portare via il titolo di Re a suo fratello, partito per lottare al fianco dei suoi Crociati, mettendosi perfino contro la Regina Madre e istituendo un'armata nota con il nome di Cavalieri Neri, ovvero guerrieri che combattevano animati dall'unico scopo di veder regnare Giovanni, uccidere Re Riccardo e ottenere la prestigiosa ricompensa promessa dal Principe. Essere semplicemente un principe non soddisfaceva affatto la sete di potere che gli avvelenava il cuore, né le terre che possedeva erano per lui abbastanza affinché potesse sentirsi davvero Signore di un regno. Era avido e maligno, ma non completamente stupido e sapeva come corrompere ricchi e potenti che sarebbero potuti tornargli utili al momento più opportuno. Gente come Vaisey di Nottingham ad esempio, o Sir Guy di Gisborne, pedina tra le sue mani.
In seguito all'ultima fallimentare missione in Terra Santa guidata proprio dallo Sceriffo di Nottingham e da Gisborne, - la stessa in cui Lady Marian aveva perso la vita - l'Ordine dei Cavalieri Neri era stato ufficialmente sciolto e il Principe si era recato personalmente a Nottingham per vendicarsi dei due incapaci con il doppio obiettivo di tentare nuovamente l'ascesa al trono inscenando la morte di suo fratello, e liberarsi di Vaisey e Gisborne mettendoli l'uno contro l'altro e istigandoli ad eliminarsi a vicenda. Lasciò in seguito Nottingham in mano alla sorella di Gisborne e pianificò il rapimento di Re Riccardo avvalendosi dell'aiuto degli ultimi nobili disposti a sporcarsi le mani per lui. Resosi però ben presto conto di aver nuovamente e definitivamente fallito, il Principe Giovanni decise di rifugiarsi in gran segreto alla corte di Francia ancor prima che suo fratello Re Riccardo facesse ritorno in Inghilterra per rimettere in piedi il regno e diseredarlo ufficialmente.
Ma può un uomo così meschino arrendersi e rinunciare per sempre all'ambito titolo di Re?
Confinato in Francia, Giovanni non si lasciò demoralizzare e decise di cercare prudentemente un contatto con quelli che erano stati i suoi Cavalieri Neri mettendo così in moto temibili ingranaggi. Non trascorse molto tempo dalla sua decisione che venne informato della situazione di uno dei più validi combattenti che avesse mai avuto tra le proprie fila e ne rimase profondamente indignato. Tanto da desiderarne e ordinarne la morte.
Fu così che un folto gruppo di abili guerrieri partì alla volta di Nottingham con il compito di stanare e uccidere Sir Guy di Gisborne.




N.d.A.
Dopo una lunghissima pausa ho finalmente ripreso con gli aggiornamenti. Non ho mai seriamente pensato di lasciare questa storia in sospeso, - men che meno ora che siamo più che mai vicini alla fine - perciò conto di pubblicare i prossimi capitoli in un tempo certamente ridotto rispetto a quello intercorso tra il ventesimo e quest'ultimo. Non voglio fornire indicazioni perché temo di non poter rispettare una scadenza fissa, ma sono sicura che non dovrete attendere a lungo.
Ringrazio voi che siete arrivati fin qui, voi che avete gentilmente pazientato, voi che leggete silenziosamente e voi che invece decidete di lasciare un segno del vostro passaggio. Grazie, grazie di cuore.
A presto!

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Capitolo 22
*** Lo Voglio ***


Ventidue


Lo voglio

Locksley.

Nelle settimane precedenti l'evento tanto atteso, Kaelee aveva impedito più o meno a mezzo villaggio di svolgere le normali attività quotidiane. Si era presa la briga di assegnare, con la dolcezza e la gentilezza di cui era capace, un mucchio di compiti ad un consistente numero di persone affinché tutto fosse quanto più possibile assimilabile a oggettiva perfezione. Del resto aveva ormai molta familiarità con gli abitanti di Locksley ed era quindi in grado di determinare chi avrebbe potuto svolgere meglio cosa e sapeva, inoltre, quanto fosse difficile resistere alla sua esuberanza negandole qualcosa. Naturalmente aveva lei stessa preso parte ai preparativi - dettare ordini e sedersi su un alto seggio non era proprio nelle sue corde - sebbene per farlo avesse dovuto trascurare per un po' di tempo Gisborne il quale, dal canto suo, aveva approfittato della momentanea distrazione di lei per portare a termine ciò che sentiva e sapeva di dover fare.
Infine, dopo una notte agitata dall'insonnia di molti, il gallo aveva cantato sancendo sonoramente l'arrivo di un nuovo giorno. Quello in questione, però, quello che il sole aveva da qualche ora inaugurato con i suoi raggi d'oro, era tutt'altro che uno dei tanti. Era il giorno delle nozze di Kate e Much, il momento esatto in cui i due si sarebbero giurati amore eterno dinanzi a Dio, parenti ed amici.

«Sono orribile! E guarda i miei capelli!», sbottò Kate evidenziando l'isteria che la pervadeva da capo a piedi. «Non sono mai stati tanto ingovernabili! Verrò abbandonata all'altare, altroché! Robin ringrazierà il giorno in cui ha deciso di lasciarmi», concluse battendo le mani sull'abito in segno di stizza e resa per poi strapparsi letteralmente le forcine che sua madre le aveva pazientemente sistemato con l'unico intento di dar forma all'acconciatura concordata settimane addietro.
L'esclamazione finale della donna aveva freddato i presenti, ad eccezione di Nettie che poco o nulla conosceva dei trascorsi amorosi tra Kate e Robin e che, pertanto, lasciava trasparire soltanto una lieve sorpresa dallo sguardo allungato.
Gli occhi già grandi di Kaelee, invece, si spalancarono completamente mentre li fissava in quelli chiari e allagati della donna che in poco tempo era diventata una sorella per lei. Ciò che aveva stupito la giovane non era il modo in cui Kate stava affrontando uno dei giorni più importanti di tutta la sua vita, quello che sicuramente segnava una svolta decisiva per lei e Much, ma il fatto che proprio quel giorno pensasse a Robin Hood, ovvero all'uomo che pur ricevendo da lei amore incondizionato si era infine dichiarato incapace di ricambiarla. Nessuno gliene aveva fatto una colpa, nemmeno Kate, ma non si poteva negare l'evidenza. Perciò perché la donna, che ormai aveva superato il trambusto dovuto al naufragio della relazione, stava tirando in ballo quella ferita che Much aveva con tanta pazienza cercato di curare? Questo Kaelee si domandava.
Dopo lo sconcerto iniziale, lo sguardo della giovane donna si fece serio e severo: voleva bene all'amica, la comprendeva e ne tollerava i tracolli emozionali, ma non sarebbe stata mai capace di assecondarla sapendola in errore, soltanto per compiacerla. Anzi, proprio in nome dell'amicizia che le legava, Kaelee si sentiva in dovere di farla ragionare e di difendere Much, anch'egli suo amico.
«Cosa c'entra Robin adesso?», domandò con calma fermezza, le braccia incrociate.
Kate abbassò lo sguardo sui propri piedi, consapevole. «Niente», mormorò, «L'ho detto così per dire. Lo sai che quando sono nervosa parlo a sproposito!». La sua voce crebbe di pari passo con il numero di parole pronunciate mentre sbatteva i piedi come una bambina capricciosa. «Tra poche ore mi sposo! Ho il diritto di essere isterica, non trovi?», strillò con le lacrime agli occhi e una voglia irrefrenabile di sfuggire allo sguardo color caramello della sua amica. Così, in un impeto di rabbia - per aver nominato Robin, per aver mancato di rispetto a Much e per aver deluso Kaelee - voltò le spalle ai presenti e si chiuse nella stanza adiacente accompagnata dal sospiro di Kaelee.
Entrambe sapevano che quest'ultima sarebbe riuscita a restituire sorriso e sicurezza a Kate. Entrambe sapevano che tutto sarebbe andato bene.
Entrambe sapevano inoltre che nessuna delle due sarebbe riuscita ad affrontare i drammi dell'esistenza umana in totale assenza dell'altra.

"Padrone... Robin, amico... fratello, io ecco, ciò che sto cercando di dirvi in questo giorno speciale... speciale per noi, cioè per me e... No! No! No! Così non va! Much, sei uno stupido!", si disse.
Much non aveva quasi chiuso occhio, complice la presenza del suo migliore amico fermatosi da lui dopo una serata trascorsa a mangiare, bere e raccontare aneddoti, - lo stesso Robin Hood che in quel momento gli stava offrendo un bicchiere contenente qualcosa che Much non si preoccupò di identificare prima di berne - e tentava di trovare un filo logico ai propri pensieri, confusi più o meno da una vita. Il compito gli risultò particolarmente difficile per un insieme di concause quali l'agitazione prematrimoniale, il mancato sonno e un mucchio di inutili preoccupazioni molto somiglianti a quelle che attanagliavano Kate qualche abitazione più in là. Ciò che Much voleva e non riusciva a fare era mettere Robin a conoscenza, ancora una volta, dell'intenso sentimento di amicizia che lo legava a lui, quasi sentisse il bisogno di rassicurarlo in qualche modo per l'imminente separazione. E di rassicurare se stesso, in fondo. Dall'ultima volta che i due avevano vissuto una vera avventura, una di quelle che ti costringono a nasconderti schiena contro schiena, camuffarti e agire in fretta e in sincrono se non vuoi perdere la vita in un attimo, era trascorso diverso tempo e un po' Much rimpiangeva il periodo passato in Terra Santa, perché in quel frangente temporale lui e Robin erano stati più che mai affiatati, più che mai legati l'un l'altro. Già con il rientro in Inghilterra, a Locksley, qualcosa era cambiato nel loro rapporto e ancor prima che Much rimettesse piede in terra inglese preoccupazione e tristezza avevano conquistato gran parte del suo cuore. Ciò che più gli aveva causato dispiacere, e lo confondeva un po' tutt'ora quando ci rifletteva su, era l'inevitabile separazione da Robin il quale come signore di Locksley non avrebbe più avuto tempo per lui, un semplice servitore destinato - grazie all'innegabile bontà del suo padrone - al titolo di Lord e a divenire proprietario di una tenuta in quel di Bonchurch. Nonostante non desiderasse altro che migliorare la propria condizione sociale, la paura di perdere ogni contatto con Robin Hood lo aveva reso malinconico oltre ogni dire e sebbene la presenza di Vaisey a Nottingham in qualità di nuovo Sceriffo avesse arrecato ingenti danni a tutta la popolazione della Contea, Much aveva scoperto una punta di inusuale - e forse fuori luogo - contentezza dentro di sé quando aveva capito che l'avventura con Robin non era ancora giunta al termine.
A poche ore dal matrimonio con Kate, la donna di cui si era innamorato nell'ultimo periodo trascorso nei panni di fuorilegge e a cui aveva rinunciato per amore della stessa e del suo amico arciere per poi riconquistarla successivamente, i pensieri dell'uomo non erano molto diversi da quelli di qualche anno prima. Alla fine si sarebbe trasferito a Bonchurch, avrebbe messo su famiglia e grazie al nuovo titolo nobiliare avrebbe assicurato ai suoi cari una vita serena mentre Robin sarebbe rimasto a Locksley con i suoi fratelli. Certo, si sarebbero visti spesso dal momento che Kate aveva promesso a Kaelee che non si sarebbero mai separate sul serio, però Much sapeva quanto Robin gli sarebbe mancato e quanto difficile sarebbe stato gestire quella gelosia che sempre lo attanagliava quando l'arciere dedicava attenzioni ad altri membri della vecchia banda. Aveva sempre pensato di essere speciale per lui, ma spesso aveva temuto di esserselo soltanto immaginato.
Invece Robin lo riteneva davvero un amico di inestimabile valore, gli voleva bene anche se non si era accorto per molto tempo di aver trattato Much come suo subordinato pur avendolo reso a tutti gli effetti un uomo libero nel momento stesso in cui entrambi erano tornati in patria.
Robin Hood era una brava persona, ma non era perfetto e, come molti uomini in questo mondo, gli capitava di sbagliare o di non interpretare correttamente la realtà che aveva stotto al naso. Oppure di ferire involontariamente i suoi cari.
«Sai, Much», esordì sorseggiando la sua bevanda con aria pensierosa, un accenno di sorriso sulle labbra e lo sguardo molto lontano da Locksley e dall'Inghilterra, «Penso che mi recherò ad Acri».
Per Much fu come ricevere un calcio in pieno stomaco. Le dita strette attorno al bicchiere. Le labbra contratte.
«Mi piacerebbe rivedere Will e Djaq», aggiunse dopo una breve pausa accompagnata da un altro sorso.
Robin non lo stava neanche guardando, quasi non gli importasse dell'identità del suo interlocutore. Much dimenticò tutto. Kate, il matrimonio, Bonchurch. Tutto scomparve dinanzi alla prospettiva che Robin partisse senza di lui e la paura che lo aggredì fu talmente violenta da impedirgli di arginare e dissimulare le proprie emozioni come molte volte in passato si era costretto a fare, riuscendoci.
«Ma, padrone!», strillò con voce acuta. Le mani che gli tremavano mentre posava il bicchiere sul tavolo.
Robin si accorse in ritardo di aver sbagliato completamente i tempi: quella rivelazione rischiava di mandare a monte l'intera cerimonia.
«Voi! Proprio voi che non riuscite neanche a parlarne ora volete tornarci! In Terra Santa!», esclamò, sbiancando soltanto per avvampare un momento più tardi. Terrore, incredulità e dolore nei suoi occhi. «Che sciocchezze mi raccontate! Oh... Ma deve essere uno scherzo!», affermò poi abbandonandosi ad una leggera risata isterica. «Voi mi prendete in giro ed io ci casco sempre, non è così?», concluse dando una pacca sulla spalla ad un interdetto Robin Hood.
L'incapacità di accettare una simile eventualità aveva spinto Much a considerare l'idea che il suo amico avesse voluto spaventarlo per scherzo, ancora una burla da ragazzini prima che lui divenisse ufficialmente un uomo sposato.
Robin, che realizzò l'entità delle conseguenze di quella confidenza, scoppiò a ridere e riservò all'amico un buffetto affettuoso sul capo decidendo di stare al gioco.
«E da quando sei così perspicace?», esclamò facendo il possibile per essere credibile.
Much tirò un sospiro di sollievo, ingenuamente felice che la sua disperata intuizione si fosse rivelata giusta, e rise insieme a Robin rilassandosi un po'.
«Lo sapevo», mormorò come al suo solito, ricordando a entrambi le molteplici avventure nella Foresta di Sherwood. Poi lo abbracciò.

La chiesa di Locksley era in fermento.
Lo sposo, impaziente dinanzi all'altare, continuava a voltarsi verso l'ingresso nonostante tutti gli suggerissero di non agitarsi in quel modo se voleva evitare di farsi trovare lungo disteso all'arrivo della sposa. Perfino i tentativi da parte di Robin, scherzosi e non, si rivelarono pressocché inutili. E mentre la maggior parte degli ex fuorilegge se la rideva prendendo in giro "il maritino" più o meno a bassa voce, - Little John borbottava qualcosa in merito all'esagerato atteggiamento dell'uomo, in concomitanza con le parole intrise di tenerezza che sua moglie Alice gli rivolgeva per ammorbidirlo, e un po' offeso perché Much aveva osato riprendere il suo motto,
«Oggi è un buon giorno per morire», applicandolo a quella situazione da lui ritenuta del tutto inappropriata alla citazione; la giovanissima Nettie si torturava il labbro inferiore con i denti e si stritolava l'abito tra le dita, tesa forse più dello sposo, sebbene le battute di Archer la divertissero almeno quanto le gomitate che lui riceveva da parte di Guy - Much si domandava perché Kate ci mettesse così tanto.
Gisborne, invece, era piuttosto serio, sentiva un fastidioso nodo allo stomaco cui non riuscì ad attribuire un nome preciso. Sapeva solo di essere ansioso, ma per cosa esattamente non poteva determinarlo perché troppi erano i pensieri che gli affollavano la mente e improvvisamente pesante ciò che custodiva in tasca. Se questa era la sua reazione al matrimonio di un amico, cos'avrebbe provato quando sarebbe toccato a lui? A dirla tutta Guy era stato ad un soffio dalle nozze con Lady Marian e rammentava la tensione che gli aveva quasi immobilizzato tutti i muscoli, ma era piuttosto certo che con Kaelee sarebbe stato diverso. Perché lei lo amava e non avrebbe mai potuto lasciarlo dopo avergli assestato un pugno in pieno viso.

Quest'ultima aveva appena preso posto accanto a lui, solo dopo un lunghissimo e lacrimoso abbraccio con Kate ed una veloce chiacchierata con Fra Tuck per gli ultimi accordi, e gli sorrideva felice sebbene nel caramello dei suoi occhi albergasse una sfumatura malinconica. Kate era pur sempre la prima persona con la quale Kaelee aveva legato al suo arrivo a Locksley, quella che l'aveva accolta nella propria casa e aiutata ad ambientarsi.
«Cavalcheremo fino a Bonchurch tutte le volte che vorrai», le sussurrò sfiorandole dolcemente le dita, certo di migliorarle l'umore: sapeva quanto le piacesse cavalcare.
Poi tutti si voltarono verso il portone principale.
«Fratelli e sorelle, siamo oggi qui riuniti per celebrare...», iniziò qualche minuto più tardi Fra Tuck, incapace di trattenere un sorriso essendo i due promessi suoi grandi amici oltre che fedeli.
Kaelee non era riuscita a staccare gli occhi di dosso a Kate quando era entrata in chiesa accompagnata da sua madre. La donna, nel suo incedere aggraziato, aveva guardato con emozione il suo futuro sposo come se non esistesse altro al mondo, incurante di tutti gli sguardi dei presenti alla cerimonia. La leggerezza con cui aveva percorso lo spazio che la separava da Much era parsa surreale a Kaelee, la quale trovò Kate più radiosa che mai nel suo abito chiaro e con i capelli raccolti adornati da fiori setosi. Fu completamente rapita da quell'immagine che la sua mente associò al concetto più puro di felicità; non poteva trattarsi di nient'altro del resto, perché cosa avrebbe potuto desiderare Kate ormai letteralmente ad un passo dal coronare il suo sogno d'amore? Much rappresentava per la donna un futuro sereno e insieme a lei costituiva le solide basi di una bella famiglia numerosa.
Immersa nei propri pensieri, Kaelee non prestò alcuna attenzione alle parole di Tuck che certamente erano state le migliori che si potessero pronunciare in una simile occasione semplicemente perché Tuck era ineguagliabile quando si trattava di arrivare al cuore delle persone. Fu solo quando i presenti esplosero in un applauso gioioso che Kaelee si ridestò accanto ad un Guy dall'aria vagamente pensierosa, forse perfino preoccupata.

Seguirono abbracci, strette di mano, congratulazioni e molte pacche sulle spalle di Much da parte dei suoi amici più cari.
Certo un banchetto non curato personalmente dal cuoco più celebre di Locksley era un po' un azzardo, ma andò tutto per il meglio dal momento che Much aveva condiviso i suoi segreti con qualche appassionato, così gli invitati mangiarono ogni cosa con gusto accompagnando le pietanze con dell'ottimo vino consigliato e procurato da Gisborne in persona, il quale pur non esagerando mai ne capiva abbastanza da saper distinguere con esattezza una qualità dall'altra. Vivere nel Castello di Nottingham insieme a Vaisey e al suo stile di vita da nobile aveva lasciato in eredità qualcosa di positivo in fin dei conti.
Tra canti allegri a tratti irriverenti, aneddoti imbarazzanti e sfottò di ogni tipo, la giornata si rivelò una delle più belle e divertenti di sempre a Locksley, in particolare per il gruppo di ex fuorilegge. Il periodo vissuto all'ombra di Sherwood sicuramente non era stato uno dei migliori per Robin e la sua banda, ma le innegabili avversità e difficoltà di sorta non avevano scoraggiato la banda che era spesso riuscita a trovare un motivo per rendere omaggio ad una piccola vittoria sullo Sceriffo. Niente a che vedere con il ricco banchetto di quel giorno, eppure i piccoli animali arrostiti su un fuoco di fortuna e condivisi con i compagni di mille avventure avevano spesso rallegrato e dato forza alla banda di fuorilegge. Era anche in simili occasioni che andava cercato l'invisibile legame capace di unire i componenti del gruppo come fossero perle di un'unica collana.
Non mancarono anche attimi di grande commozione, soprattutto quando Rebecca volle ringraziare Kate pubblicamente per la meravigliosa figlia che era elogiandola per il coraggio che in diverse occasioni aveva manifestato; o quando Robin dedicò un discorso semiserio al suo amico Much; ma proprio nel momento in cui tutti credettero che l'apice emozionale era ormai stato raggiunto, Gisborne chiese l'attenzione dei presenti annunciando di avere qualcosa di molto importante da dire.
«Non sono tanto bravo con le parole, perciò prenderò spunto da quelle che Tuck ci ha riservato in chiesa durante la cerimonia», esordì dopo essersi alzato in piedi, i palmi poggiati sulla morbida stoffa della lunga tovaglia dalle sfumature pastello, lo sguardo fisso davanti a sé. «"L'amore, cari fratelli e care sorelle, è un delizioso bambino facile agli sbalzi d'umore, bisognoso di stimoli, capriccioso alle volte e incline agli sbagli di tanto in tanto, ma dotato di un cuore puro. Non si preoccupa del colore della pelle, della classe sociale o dell'età. Trasforma l'imperfezione in originalità. E non stupitevi se quest'oggi vi dico che nessuno di noi è immune all'amore"». Gisborne ripeté ad occhi chiusi, con assoluta precisione quanto Fra Tuck aveva detto poche ore prima e sorrise nel ricordare l'intervento del piccolo John - figlio di Little John e Alice - il quale aveva chiesto a Tuck, interrompendolo, se anche lui fosse quindi innamorato di qualcuno. "Di Dio", era stata la gentile e sincera risposta del frate. «Ho provato sulla pelle che Tuck non ha mentito: perfino uno come me è stato raggiunto dall'amore» e nel dirlo guardò inevitabilmente Kaelee, seduta di fianco a lui con il viso rivolto verso l'alto per poterlo osservare mentre parlava.
Lei arrossì vistosamente, incredula e lusingata, e lui sorrise beato.
«In questo giorno dedicato all'amore, chiedo scusa se rubo spazio ai novelli sposi», continuò sorridendo a Much e Kate che sedevano l'uno accanto all'altra, mano nella mano, «Voglio farmi carico del testimone e muovere un passo verso l'ufficializzazione del mio sentimento per la donna che mi ha rimesso al mondo. Una donna bellissima di nome Kaelee. Kaelee di Edwinstowe». L'ultima parte la sussurrò con la voce che gli tremava lievemente e lo stomaco in subbuglio.
Kaelee si sentì venir meno. Si domandava come e quando fosse venuto in mente a Guy di prendere una simile iniziativa alla festa per il matrimonio dei loro amici, così, davanti a tutti e con Allan presente. Non gli aveva già promesso amore eterno in privato? Era davvero necessario esporsi in quel modo, senza rifletterci? Improvvisamente iniziò a valutare l'ipotesi che non fosse lo slancio di un momento.
Gisborne tese una mano verso la sua amata, invitandola ad alzarsi in piedi, e lei non ebbe più occasione, né voglia, di porsi domande.
La maggior parte degli invitati aveva capito le intenzioni di Gisborne e aveva gli occhi puntati sulla curiosa coppia. Curiosa perché Kaelee era una giovane donna piena di vita, minuta ed esuberante, dotata di un'elevata determinazione e anche piuttosto bella esteticamente parlando, era una persona piacevole da frequentare, molto socievole e gentile; Guy invece riusciva ancora a mettere in soggezione molti abitanti del villaggio semplicemente con uno sguardo, se la prendeva con facilità e tendeva a cedere a scatti irosi seppure si sforzasse molto per evitare che accadesse, aveva sviluppato un notevole autocontrollo e interagiva molto di più con l'intera popolazione, ma non si poteva dire di lui che fosse un tipo brioso o che sorridesse spesso, era anche lui fisicamente attraente, solo era molto più alto, forte e maturo di Kaelee. Curiosa perché da quando si erano conosciuti entrambi avevano subìto un cambiamento: lei era maturata molto e lui sembrava più vivo di quanto non fosse mai stato prima. Curiosa perché, nonostante tutte le differenze, vedendoli insieme non si poteva pensare che non fossero fatti per starsi accanto.
Tra le mani di Gisborne comparve quasi magicamente - questa la sensazione di Kaelee - un minuscolo cofanetto che aveva tutta l'aria di contenere al suo interno qualcosa di molto prezioso, svelato qualche attimo più tardi.
«Accettando questo anello scegli di regalarmi il tuo cuore ottenendo in cambio il mio», mormorò non senza imbarazzo e non senza l'immotivata, ma incontrollabile, punta di terrore che lei potesse rifiutarlo.
Kate si portò entrambe le mani alla bocca, commossa.
Much si impose di non imitarla, ma nulla poté contro il velo che gli appannò la vista.
Nettie trattenne prima il respiro e poi Archer che stava per lasciarsi andare ad una delle sue solite considerazioni divertenti, ma fuori luogo in quel frangente.
Little John scosse per l'ennesima volta il capo borbottando che tutto quel romanticismo gli avrebbe fatto andare di traverso il pranzo appena consumato. Alice e il piccolo John lo amavano troppo per rimproverarlo, così sorrisero.
Tuck espresse la sua gioia ringraziando Dio a bassa voce perché presto avrebbe unito altre due anime in nome di Lui.
Allan sentì la parte di sé che ancora amava Kaelee perdersi in un altrove immaginario da cui non sarebbe più tornata, come se una porzione del suo cuore avesse smesso di battere spontaneamente e continuasse a farlo soltanto perché spinta dalle restanti parti. Nonostante questo si mostrò felice perché se Kaelee lo era, non poteva non esserlo anche lui.
Robin apparve estremamente serio per la prima volta in quel giorno perché, all'improvviso, tutto gli fu definitivamente chiaro e capì che il suo destino era tornare in Terra Santa, sulla tomba della sua amata, a cercare e forse trovare la pace che Locksley non era riuscita a donargli. Ora che suo fratello Guy si era lasciato il passato alle spalle era tempo anche per lui di intraprendere la propria strada e risolvere i conti che aveva ancora in sospeso con la vita, tanto più perché anche Archer sarebbe stato bene.
Poco lontano da Robin sedeva Luke, Luke Scarlett, a lui molto affezionato e riconoscente. Essendo vissuto a Locksley prima di essere costretto a scappare con suo padre in seguito alla cattura sua e di suo fratello per ordine dello Sceriffo e alla successiva fuga grazie all'aiuto di Robin, il ragazzo conosceva abbastanza bene tutti i componenti della vecchia banda e aveva facilmente stretto amicizia con i nuovi quali Archer e Kaelee ad esempio. Eppure soffriva terribilmente la mancaza di suo fratello Will, trasferitosi in Terra Santa insieme alla sua amata Djaq che aveva poi sposato. Era stato lui a proporre a Robin un viaggio in quei luoghi per poter rivedere Will e da allora la mente di entrambi era davvero molto lontana dal piccolo villaggio inglese.
Ciò che Gisborne mostrò a Kaelee non era un semplice anello. La sua particolarità stava nella scelta delle due pietre che ne impreziosivano l'intreccio: ambra e topazio la cui sfumatura era un evidente richiamo al colore degli occhi di entrambi.
Alla giovane donna non sfuggì quel dettaglio e capì che tutte le volte in cui Gisborne si era scusato per non averle ancora regalato un anello stava soltanto prendendo il tempo necessario alla realizzazione del gioiello. Kaelee si sentì amata e importante come non le era mai accaduto prima.
«Lo voglio», soffiò la giovane donna in preda all'emozione, scatenando sonori applausi da parte dei presenti.


Da qualche parte, nei pressi della costa inglese.
«Muovetevi! Razza di perditempo!», tuonò un uomo in nero dalla sella del proprio cavallo. Lui e i suoi erano sbarcati due settimane prima e in quell'arco di tempo i più anziani si erano dedicati alla parte organizzativa della faccenda mentre i più giovani avevano preferito abbandonarsi all'ozio e a piaceri effimeri. «Non siete qui per trascinare tra le vostre sudicie lenzuola le giovani figlie dei pescatori locali!», aggiunse agitando la spada dinanzi a sé per richiamare all'ordine i cavalieri che il Principe Giovanni in persona aveva affidato al suo comando. "Sia maledetto il giorno", pensò. Se qualcosa fosse andato storto avrebbe perso la testa, letteralmente, ma non prima di aver ricevuto il perverso e raccapricciante invito per assistere allo sterminio di tutti i suoi cari. Non poteva e non doveva permettersi di commettere neanche il più piccolo degli errori. «Siete i Cavalieri Neri! Lo rammentate o il vostro cervello è troppo piccolo per questo?». La sua voce era potente e decisa.
«Sissignore! Nossignore!», risposero quelli in un cupo coro ad entrambe le domande.
Uno di loro aveva dipinto un sorriso beffardo sul suo giovane viso mentre chiedeva:
«Invidioso, mio signore?».
L'uomo sentì la rabbia montare, ma non cedette alla provocazione, consapevole che sarebbe stata la fine. «Ebbene, meritate più di qualche puzzolente sgualdrina di periferia! O siete caduti così in basso da aver già dimenticato quanto sanno essere eccitanti e perverse certe nobildonne tra liscia seta e velati pizzi a coprir le loro grazie?», continuò sfumando di malizia la voce. "Autorità. Governa il più ribelle e li governerai tutti", si disse. «Siete o no rispettabili nobili meritevoli della fiducia del Principe Giovanni e della mia?», domandò punzecchiandoli nell'orgoglio e spegnendo il sorrisetto del cavaliere che aveva osato interromperlo poco prima.
«Sissignore!». Le loro voci in coro, stavolta, si levarono alte e decise.
«A Nottingham dunque!», terminò l'uomo brandendo nuovamente l'arma e puntandola verso l'alto.
«A Nottingham!», risposero. «Lunga vita al Principe Giovanni!», esclamarono infine prima di intraprendere la cavalcata alla volta della città da poco ricostruita.




N.d.A.
La splendida notizia è che Rai4 ha deciso di trasmettere di nuovo la serie tv, ogni giorno intorno alle 17:00 (sabato e domenica esclusi). Come si può non gioirne?
Tornando a noi, essere arrivata a ultimare questo ventiduesimo capitolo equivale per me ad aver vinto un'altra piccola battaglia personale. Vincerò la guerra quando avrò pubblicato l'ultimo capitolo della storia, ma già essere riuscita ad arrivare fin qui - per una come me che si distrae facilmente e che si scoraggia altrettanto facilmente - è motivo di contentezza. Mi sento di dirvi che siamo molto vicini alla fine ormai e che la cosa un po' mi rattrista. D'altro canto, però, è necessario portarla a termine perciò spero di aggiornare molto presto.
Ringrazio chiunque di voi abbia scelto di soffermarsi su queste vicende, silenziosamente oppure no.
A presto!

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Capitolo 23
*** I Cavalieri Neri ***


Ventitre


I Cavalieri Neri

Nottingham.

Un gruppetto di giovani arcieri era di ritorno da Sherwood dopo un'esercitazione guidata da Robin Hood.
L'allegra compagnia, composta da quattro uomini e due donne, scherzava e rideva spensierata nel corso del consueto tragitto che li avrebbe ricondotti nella nuova Nottingham. Il periodo di stenti che aveva caratterizzato gran parte della loro vita ancora agli albori era soltanto un vecchio ricordo, sebbene non fosse trascorso poi così tanto tempo, e se questo era possibile era solo grazie alla spensieratezza tipica della loro età e alla fortuna di aver avuto Robin di Locksley come maestro di vita.
I giovani di tutte le contee dell'Inghilterra erano la speranza concreta di un futuro migliore, di una vita più giusta, erano quel filtro che permetteva a tutti di guardare al mondo con una positività che per molto tempo si era creduta persa e che invece era soltanto rimasta nascosta in fondo al cuore dei più piccoli.
Mentre uno dei ragazzi intonava una canzonetta leggera e una delle ragazze gli rivolgeva lo sguardo smielato di chi è ad un passo dall'innamorarsi, gli altri li prendevano affettuosamente in giro ad eccezione di uno. Il più adulto tra loro, ed anche il più guardingo, a poche decine di metri dall'ingresso alla città Nottingham notò che qualcosa di strano stava accadendo e chiese il silenzio dei suoi compagni. Sulle prime il gruppo non gli badò, ritenendolo il solito rompiscatole, ma poi anche l'altra ragazza presente si accorse degli uomini in nero che sostavano dinanzi alla porta principale come se stessero facendo la guardia. A quel punto tutti si zittirono ed ebbero la sensazione di essere tornati indietro nel tempo a quando lo Sceriffo Vaisey governava nel terrore.
Il giovane adulto si rivolse alla ragazza che per prima gli aveva dato retta e che aveva la fama di essere molto veloce nella corsa.
«Va' a Locksley. Cerca Archer o Guy, informali e torna insieme alla banda», le disse ponendole una mano sulla spalla.
La ragazza abbassò per un attimo lo sguardo, intimidita dalla determinazione di lui e in imbarazzo per quell'inatteso contatto.
«Voi che farete?», domandò con un filo di voce.
«Osserveremo. Attenderemo», rispose sintetico, deciso. Aveva la stoffa del leader.
Lei annuì e lasciò la sua sacca all'amica per poter raggiungere il vicino villaggio nel minor tempo possibile.
«Non azzardarti a tornare da sola», le intimò guandandola dritto negli occhi. «Va'! Corri più del vento!», concluse lasciandola libera.

Chiunque avesse informato il Principe Giovanni in merito alla condizione di Sir Guy di Gisborne doveva essere un tipo assai sbadato - e anche poco furbo dal momento che, una volta scoperto, il denaro ottenuto gli sarebbe servito a poco - perché nel vendere le sue conoscenze aveva dimenticato di dire che l'uomo non viveva più a Nottingham nonostante questa fosse stata ricostruita dopo il fatale scontro tra gli uomini di Robin Hood e il vecchio Sceriffo della contea, prima che Re Riccardo sfuggisse al rapimento orchestrato da suo fratello Giovanni, già al sicuro in Francia. Perciò il Principe aveva inviato i suoi Cavalieri Neri - sei potenti nobili accompagnati da una rappresentanza di cinque giovani cavalieri ciascuno - in città, certo di trovarvi l'ambita preda da eliminare definitivamente poiché aveva osato tradire la sua lealtà a colui il quale era destinato ad essere Re - questo ciò di cui era ancora convinto Giovanni pur essendo stato diseredato e privato delle sue terre dal fratello Riccardo. Né i Cavalieri Neri si erano premurati di raccogliere testimonianze in giro, non volendo contraddire in alcun modo gli ordini del Principe, quindi raggiungere Nottingham convinti di poter catturare, torturare e umiliare un uomo e non riuscire invece a scovare Gisborne da nessuna parte aveva presto scaldato gli animi degli uomini di Giovanni i quali avevano in fretta iniziato a discutere animatamente tra loro sul da farsi, incriminando il Primo Cavaliere - ovvero colui il quale era stato incaricato di gestire e guidare non soltanto i propri cinque, ma anche gli altri nobili e i rispettivi uomini - di tutte le scelte sbagliate, ma in precedenza approvate, che aveva preso, considerandolo l'unico responsabile del reale rischio di aver fatto un lungo e sfiancante viaggio a vuoto. In più alcuni di loro stavano meditando di usare violenza gratuita sulla popolazione di propria iniziativa al fine di farsi dire dove quel tale Gisborne si nascondesse, così da catturarlo, ucciderlo e divenire i favoriti del Principe. Creare il panico tra la gente di Nottingham, però, non era tra i piani di Lord Wyatt il quale era perfettamente conscio della presenza di Robin Hood e dei suoi nei dintorni della città e, memore dell'ultima volta che lo aveva incontrato, preferiva evitare di scontrarsi con lui, cosa che di certo sarebbe accaduta se i cavalieri avessero messo a soqquadro la città.
Questa era la situazione quando Lord Wyatt ordinò di setacciare fino all'osso ogni abitazione, ogni osteria e ogni bottega evitando di essere violenti senza motivo mentre diversi uomini venivano messi a guardia dell'ingresso principale cosicché nessuno potesse uscire o entrare senza che i suoi uomini ne fossero a conoscenza. Se da una parte questo aumentava il rischio che la notizia del loro arrivo raggiungesse Robin, dall'altra arginava la possibilità che gli abitanti di Nottingham corressero a cercarlo.
Questa era la situazione quando il gruppo di giovani arcieri inviò la celere compagna a Locksley nella speranza che tutto filasse liscio.


Locksley.
Mentre correva, la ragazza pensava esclusivamente al compito che le era stato assegnato e faceva leva sul proprio coraggio per non fallire, per non lasciarsi intimidire da Archer o Guy. Soprattutto il secondo non le andava propriamente a genio. Tutti sostenevano che fosse cambiato e in effetti si comportava in modo gentile con l'intera popolazione, che si trattasse di umili artigiani, donne anziane o bambini; aveva anche trovato l'amore in quella giovane donna carina ma troppo bassa per i gusti di Rose - così si chiamava - e accompagnava Little John all'orfanotrofio a volte, eppure lei non riusciva proprio a fidarsi di lui. Il sollievo che aveva provato quando finalmente la ricostruzione di Nottingham era stata completata, era paragonabile soltanto al momento in cui lo Sceriffo Vaisey era morto. Finché aveva abitato a Locksley con la sua famiglia, infatti, Rose era stata costretta a fare i salti mortali per evitare di incontrare Gisborne per strada, così come era stato necessario ripiegare su arco e frecce perché le lezioni con la spada erano impartite proprio da lui. Era un ragionamento sciocco il suo, infantile, e Rose se ne rendeva conto nei momenti di lucidità, ma il suo istinto le suggeriva di stare alla larga da quell'uomo e lei raramente andava contro le sue stesse intuizioni.
Quando raggiunse il villaggio era ormai senza fiato e correva mossa soltanto dalle parole che l'arciere suo amico le aveva rivolto. Non fermò le proprie gambe finché non vide Allan che parlava con il bottaio. Avrebbe preferito incontrare direttamente Archer o qualsiasi altro affiliato di Robin Hood visto che da qualche mese aveva scoperto di avere una simpatia per il divertente ex fuorilegge dai grandi occhi blu, - il quale però si era preso una sbandata per la piccoletta tuttofare arrivata da Edwinstowe portando nient'altro che scompiglio - ma non era il momento di farsi venire un attacco di timidezza o gelosia, così salutò entrambi gli uomini cercando di non sembrare allarmata, per evitare che caos e panico si diffondessero a macchia d'olio. Oltre ad istruire i giovani all'uso di un'arma, Archer, Robin, Guy e John, insegnavano loro il più corretto comportamento da tenere in caso di pericolo e Rose sapeva che la prima regola in circostanze come quella che si era verificata a Nottingham non contemplava l'andarsene in giro gridando alla tragedia.
«Ehi Rose!», esclamò con la consueta allegria Allan. «So di essere un tipo affascinante, ma davvero non è il caso di rischiare il collasso per me».
La ferita inferta dall'amore per Kaelee era ancora in via di guarigione e non sanguinava più come prima, così Allan stava tornando ad essere quello di sempre, quindi non c'era da stupirsi se l'innata simpatia e una buona dose di narcisismo lo avevano reso, a sua insaputa, il protagonista di una situazione davvero imbarazzante.
Rose, infatti, perse il filo logico di ogni cosa e avvampò dimenticando perfino il motivo per cui aveva corso così tanto e così in fretta. Il collasso, a dirla tutta, lo stava rischiando proprio mentre lui le rivolgeva quel sorriso accecante, ma sentiva che dirlo ad Allan non era la cosa migliore che potesse fare, così si sforzò di fare mente locale e cercò di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
«Sì... Non vorrei offenderti, ma sto cercando Archer», gli rispose portando avanti il compito affidatole e, contemporaneamente, tentando di apparire sicura di sé e per nulla interessata all'uomo che aveva davanti. La sua voce aveva traballato un po', ma Rose sperò che Allan non se ne accorgesse.
«Eppure sei arrossita», la provocò lui.
La sua reazione fu un misto tra lo sbuffare ed il sospirare mentre alzava gli occhi al cielo.
«Vuoi dirmi che tu non hai caldo dopo una corsa? E poi, sul serio, ho bisogno di Archer», concluse rivolgendogli una fugace occhiata preoccupata.
Il sorriso di Allan si affievolì appena percepì che c'era una nota d'allarme nel tono che la ragazza aveva usato nell'ultima frase e sentì l'immediata esigenza di congedarsi dal bottaio.


Neanche mezz'ora più tardi, la banda di ex fuorilegge era venuta a conoscenza degli strani movimenti osservati in quel di Nottingham e si era deciso di rimandare indietro Rose insieme ad Allan in modo da tranquillizzare i ragazzi che la attendevano e fornir loro alcune istruzioni. Intanto, Robin e i suoi, in riunione al Maniero, discutevano sul da farsi.
«E se fosse di nuovo Rudyard?», domandò Kaelee disgustata al solo pensiero, ma si convinse subito che quell'eventualità era molto improbabile dal momento che gli scambi con i suoi fratelli dipingevano un Rudyard costretto a rigare dritto e sorvegliato a vista per gran parte delle sue giornate. Come aveva potuto organizzarsi meglio della prima volta nelle condizioni in cui si era venuto a trovare?
«Rose ha parlato di uomini in nero», fece John meditabondo.
«Guardie vestite di nero che controllano la città di Nottigham... Ho paura che lo Sceriffo sia tornato dal mondo dei morti per tormentarci. Noi che ne sappiamo di come vanno le cose laggiù? Lassù... Insomma, dall'altra parte», intervenne Much il quale, ovviamente, si trovava a Locksley insieme a Kate non potendo entrambi stare lontani l'uno da Robin e l'altra da Kaelee.
«Much!», esclamarono in coro Archer, Kate e Luke.
«Che ho detto?», rispose lui sinceramente stupito dal rimprovero ricevuto.
Robin si mordeva l'indice, lateralmente, come era solito fare quando si trovava in difficoltà, quando non sapeva come comportarsi. Per quel che ne sapeva, né Nottingham, né la banda di ex fuorilegge avevano nemici dichiarati. Certo il Principe Giovanni non aveva accettato di buon grado le decisioni prese dal Re suo fratello, ma cosa mai poteva volere Giovanni proprio da Nottingham? Cosa sperava di trovarci, ammesso che ci fosse il suo zampino? Un nuovo Sceriffo forse?
Scosse il capo nel tentativo di mandare via quei pensieri che egli stesso reputò assurdi in quanto privi di un fondamento logico.
Anche Gisborne era piuttosto silenzioso mentre ripensava al racconto fornito da Rose la quale aveva parlato, più precisamente, di guardie a cavallo poste a sorveglianza dell'ingresso principale alla città. Il chiacchiericcio dei compagni divenne un borbottio lontano, un sottofondo ai suoi pensieri che, come quelli di Robin, rischiavano di rasentare l'assurdo. Eppure c'era un filo, benché Gisborne stesse volutamente evitando di prenderlo in considerazione, capace di legare tutti gli indizi portando ad un'intuizione che appariva verosimile se si prendevano in considerazione alcune vicende del passato.
«È sicuramente opera del Principe Giovanni. Ha già provato ad insediarsi a Nottingham, l'avete dimenticato?», intervenne Kate, convinta che l'Inghilterra non avesse altro nemico che lui, Giovanni il diseredato, Giovanni Senzaterra.
Il Principe Giovanni. Nottingham. La corona. Lo Sceriffo. Re Riccardo. Cavalieri.

Mentre qualcuno scuoteva il capo in segno di dissenso, Gisborne obbligò se stesso ad accettare l'idea che, ancora una volta, fosse lui la causa del trambusto.
«Credo che Kate abbia ragione», mormorò, «E se è davvero così, allora dobbiamo raggiungere in fretta la città perché i Cavalieri Neri l'assedieranno nella convinzione che io ne sia a capo».
Intorno a lui calò il silenzio.

Che Gisborne avesse ragione oppure no - e tutti speravano che si sbagliasse - era necessario recarsi a Nottingham per verificare. Sebbene fosse chiaro a tutti che qualcuno dovesse rimanere a Locksley, ognuno di loro aveva una ragione per seguire gli altri fino in città.
Archer non avrebbe permesso ai fratelli di rischiare la vita senza che ci fosse anche lui a difenderli.
Much sarebbe stato l'ombra di Robin e Kate non sarebbe rimasta a guardare.
Luke non se la sentiva di gestire da solo la sicurezza dell'intero villaggio, perciò sarebbe rimasto soltanto se qualcuno lo avesse affiancato.
Little John sapeva di poter essere utile al gruppo, ma non aveva intenzione di permettere ad Alice o John di seguirlo, quindi era nel bel mezzo di una discussione animata, così come anche Kaelee che stava nuovamente ricordando a Gisborne i motivi per cui non le sarebbe riuscito di starsene con le mani in mano.
Tuck cercava di mettere pace nel gruppo, ma si rendeva conto che i sentimenti in gioco non erano compatibili con un vero e proprio accordo.
Naturalmente, e come sempre, fu Robin a decidere per tutti: Tuck, Luke, il piccolo John, Alice, Nettie e Archer sarebbero rimasti a Locksley, pronti però ad intervenire se necessario. Questa scelta fece andare fuori di testa Archer che inveì contro Robin accusandolo di avere la presunzione di saper sempre gestire ogni cosa e di poter comandare tutti a bacchetta.
Robin premette con forza le proprie dita contro la nuca di suo fratello, costringendolo ad una tale vicinanza che la fronte di Archer sfiorò la sua.
«Chi credi che ci tirerà fuori dai guai se dovessimo avere la peggio?», disse più serio che mai prima di allentare la presa. «E poi gli devi un favore», aggiunse indicando Gisborne - che gli aveva salvato la vita proprio a Nottingham nell'ultimo scontro con Vaisey - e regalandogli la tipica risata alla Robin Hood, colma di ottimismo, speranza e un po' di strafottenza.
«A maggior ragione devo venire con voi», ribatté prendendolo per un braccio.
Robin scosse il capo. «A Locksley serve qualcuno che possa mettere gli abitanti in salvo», replicò.
«Tuck è un'ottima guida», fece lui, testardo.
«È vero. Lo è anche più di te, ma non può farcela da solo», rispose Robin guardandolo tanto intensamente da costringere Archer a mollare la presa.
«Perché non resti tu allora visto che ti piace così tanto impartire ordini?», ma mentre parlava si era già avviato fuori dal Maniero, consapevole che non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea a suo fratello.


Nottingham.

La ricerca non aveva prodotto alcun risultato positivo - sembrava che Gisborne avesse un tale ascendente sulla popolazione di Nottingham che nessuno avrebbe mai osato tradirlo in alcun modo - e il Primo Cavaliere Lord Wyatt di Rochford sentiva già un sinistro brivido lungo la schiena al solo pensiero di poter deludere il Principe Giovanni. Gli altri cavalieri avevano già iniziato di nuovo a mormorare in merito alla sua incapacità e infelici battute erano dietro l'angolo quando accadde qualcosa di nuovo, finalmente. Uno degli uomini messo a guardia dell'ingresso alla città aveva abbandonato la propria postazione per riferire un'anomalia. Sosteneva, infatti, di aver notato strani movimenti nella vegetazione attorno e non avendo istruzioni su come comportarsi in tale situazione, era tornato indietro per chiederne a chi di dovere. Non trovando Lord Wyatt aveva pensato bene di rivolgersi al Cavaliere Nero che serviva fedelmente da tre anni.
I presenti - giovani sotto il comando degli altri Cavalieri Neri - avevano riso di gusto dandogli dell'idiota.
«I cespugli si muovono! Che sarà mai?», lo canzonò uno.
«Non hai mai sentito parlare degli spiriti che si aggirano per questa città?», disse un altro tentando di apparire serio.
«L'ha detto anche il Principe, ma tu forse dormivi: "Non lasciatevi trarre in inganno dagli echi dei fantasmi. Sono i defunti che cercano giustizia"!», fece un terzo imitando malamente la voce del sovrano.
Sarebbero andati avanti così per ore se nessuno avesse imposto loro un limite.
«Silenzio! Siete più inutili di una spada senza lama nel vostro incessante squittio da topi!», tuonò il veterano, giunto in quel momento.

La banda di Robin Hood si era aggregata al gruppo di giovani arcieri con a capo Allan e insieme erano pronti a mettere in atto un piano. Tanto per cominciare, alcuni di loro avrebbero creato scompiglio tra la vegetazione così da attirare l'attenzione delle guardie. Successivamente il più adulto degli arcieri, un secondo giovanotto suo amico, Allan e Little John si sarebbero avvicinati alle guardie con fare pacifico e con l'intento di entrare in città per raggiungere il resto dei Cavalieri Neri e offrire loro, casualmente, le informazioni che desideravano avere, venendo invece così a conoscenza delle loro intenzioni. Un segnale precedentemente concordato avrebbe fatto capire alla banda rimasta nascosta se le intuizioni di Gisborne erano esatte oppure no.

Raggiunta la piazza principale, dove di solito si teneva il Mercato, situata non molto lontano dalla Chiesa e quindi dal campanile che sarebbe stato il mezzo per comunicare con Robin Hood e i suoi, i due ragazzi diedero vita alla messinscena mentre Allan e John si nascondevano nei dintorni, pronti a dare l'allarme e organizzare il resto.
Il più giovane dei due, nel bel mezzo di una conversazione improvvisata si lasciò prendere da repentino entusiasmo e si rivolse direttamente ai cavalieri.
«Voi siete quelli delle storie che racconta mio fratello!», esclamò facendoli voltare tutti.
«Sta' zitto!», lo rimproverò l'altro, complice, strattonandolo come se avesse voluto portarlo via timoroso delle conseguenze per entrambi a causa della sua sfacciataggine.
«Ma sì, è sicuro! Siete i Cavalieri Neri!», continuò il ragazzo, come se l'altro non esistesse.
A quel punto uno dei nobili si avvicinò rivolgendogli la parola per confermare la propria identità e informarsi su quella di lui.
«Oh, io sono un semplice apprendista. Non sono neanche di Nottingham, ma mio fratello c'era quando voi siete arrivati in città prima che saltasse in aria. Parla sempre di voi. Mi ha detto che vestite rigorosamente di nero, ma solo i più importanti portano un grande anello... Proprio come voi, signore! Non gli ho mai creduto, ma per la miseria, aveva ragione!». E mentre parlava, l'altro arciere si guardava attorno, contava i nemici, valutava le vie di fuga.
Il cavaliere rise di gusto e richiamò i suoi.
«Venite un po' qui! Abbiamo un seguace... Ed è lui tuo fratello?», chiese indicando l'altro arciere.
Il ragazzo sfoggiò un sorriso soddisfatto, come se quelle attenzioni lo rendessero davvero felice anziché nervoso.
«Lui? No, lui è un apprendista come me. Mi ha accompagnato in città perché non potevo presentarmi da solo da Sir Guy per ritirare l'ordine», spiegò con calcolata naturalezza sebbene il cuore stesse per esplodergli nel petto. Sapeva di essere stato incaricato di un compito importante e, impersonando Robin Hood il suo concetto di eroe, non voleva in alcun modo sbagliare e deluderlo, tanto più perché si era fatto avanti spontaneamente quando Robin aveva chiesto chi se la sentisse di svolgere quel ruolo.
I cavalieri si guardarono tra loro.
«Senti, senti... Dovete essere proprio dei bravi ragazzi se il vostro padrone vi affida un servizio presso un nobile. Come hai detto che si chiama?», continuò il cavaliere per avere l'assoluta certezza che quello era davvero il colpo di fortuna che gli avrebbe fruttato una bella ricompensa.
I due giovani si scambiarono una veloce occhiata d'intesa: i Cavalieri Neri avevano abboccato all'amo.
Per sembrare credibile il ragazzo pensò a quanto sarebbe rimasto soddisfatto Robin nel constatare la sua bravura e gonfiò il petto mostrando tutto il suo orgoglio.
«Sir Guy di Gisborne», scandì per bene,
«Ha commissionato al nostro padrone certi tendaggi da fare con stoffe particolari che arrivano da... Uhm... Non me lo ricordo più! E il padrone ha bisogno di alcuni dettagli, ma non poteva venire qui di persona perché ha tanto lavoro da svolgere e...», raccontò, improvvisando.
«Sì, sì, va bene», tagliò corto un cavaliere cercando lo sguardo degli altri.
«Abbiamo qualcosa in comune tu ed io», intervenne il nobile di prima, quello che indossava l'anello e che era a tutti gli effetti un Cavaliere Nero, «Siamo qui per la stessa persona e abbiamo entrambi dimenticato qualcosa», disse spiegando poi che lui e i suoi amici cavalieri erano stati invitati da Sir Guy, ma avevano dimenticato dove esattamente risiedesse ora che Nottingham era stata ricostruita e trovando il vecchio Castello inaccessibile ed evidentemente disabitato, non erano stati capaci di orientarsi e trovarlo.
Allan e John, che avevano ascoltato lo scambio, seppero che era il momento di intervenire e mentre John restava fermo alla sua postazione per offrire eventuali indicazioni ai giovani e tenere sotto controllo la situazione, Allan correva senza farsi vedere verso il campanile della Chiesa. Una volta entrato si scontrò con il campanaro e non potendo convincerlo a fargli suonare le campane dovette tirargli un pugno in pieno volto affinché non gli fosse d'intralcio. A sua discolpa va detto che, lasciandolo a terra privo di sensi si scusò con lui prima di riprendere la corsa. Giunto a destinazione tirò con forza le corde dando vita ad una sgraziata melodia composta di cinque rintocchi.
Il più grande tra i giovani arcieri fu percorso da un brivido e pregò perché tutto andasse per il meglio.

Intanto i fuorilegge e i giovani arcieri rimasti fuori dalle mura della città formulavano ipotesi e pianificavano un eventuale scontro con quei misteriosi cavalieri.
Gisborne, pur avendoli visti soltanto da lontano, si era definitivamente convinto che si trattasse proprio dei Cavalieri Neri di cui tempo prima aveva fatto parte anche lui e aveva condiviso le proprie impressioni con la banda che aveva convenuto con lui, ma sperava ancora che si sbagliasse. Era chiaro che, qualora quelli fossero davvero i Cavalieri Neri, il Principe Giovanni era tornato all'attacco con l'unico intento di appropriarsi di nuovo della Corona, ma la sensazione di Gisborne era che non fosse questo l'unico motivo per cui i cavalieri si trovavano a Nottingham, tanto più perché il Re non si trovava lì. Se il Principe aveva riunito di nuovo i Cavalieri Neri, aveva di certo cercato anche Gisborne e sapendolo ora dalla parte di Riccardo era possibile che avesse inviato i cavalieri per corromperlo o, peggio, punirlo. Questa intuizione lo preoccupava più di quanto non avesse dato a vedere a Kaelee, ma Robin sapeva bene che se Guy aveva ragione, la situazione era potenzialmente molto pericolosa.
«Un rintocco se non c'è pericolo. Tre rintocchi se si tratta dei Cavalieri Neri. Cinque rintocchi se i Cavalieri Neri sono qui per Gisborne», ripeté Much a bassa voce come un mantra, dondolandosi avanti e indietro nella sua posizione accovacciata, assunta per non essere visto.
Quando i cinque rintocchi arrivarono forti e chiari alle orecchie dei fuorilegge, Robin e Guy si fissarono intensamente.
«Mi dispiace», mormorò il secondo.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Ne verremo fuori», lo rassicurò suo fratello.
Tutti i presenti si avvicinarono a Gisborne per offrire il proprio sostegno, tranne Rose, che se ne rimase in disparte con l'altra ragazza ed il cantastorie loro amico mentre l'altro arciere del gruppo si era unito ai fuorilegge come già gli altri due che si trovavano in città.
Sebbene Rose non intendesse rischiare la vita per uno come Gisborne, una parte di lei era in ansia per Allan il quale, invece, la rischiava eccome la propria vita per Gisborne. Per la ragazza era inconcepibile che l'ex fuorilegge mettesse in gioco così tanto proprio per lui.
«Ho sperato e pregato affinché potessimo far ritorno a Locksley in pace, ma ahimé sono costretto a imbracciare di nuovo l'arco per difendere il mio popolo», disse Robin chiarendo poi che nessuno di loro aveva l'obbligo di prendere parte alla battaglia imminente e necessaria.
«Ma noi siamo Robin Hood», obiettò Much a bassa voce, timidamente.
«Noi siamo Robin Hood!», fecero eco Kate e Kaelee con più vigore coinvolgendo anche gli altri.

Little John attese il ritorno di Allan e, mentre i due arcieri discutevano tra loro perché il più grande, come condordato, non era d'accordo sulla decisione di condurre quegli sconosciuti da Sir Guy, insieme a lui diede il via alla messa in sicurezza degli abitanti di Nottingham.
Questi ultimi si erano assai insospettiti nel vedere tutti quei cavalieri abbigliati in nero e molti tra loro - atterriti dal pulsare delle vecchie ferite non ancora completamente guarite - avevano pensato di dover richiedere l'intervento di Robin Hood e dei suoi uomini, ma non sapendo come raggiungerlo senza destare sospetti ed essere seguiti dagli uomini messi a guardia dell'ingresso, avevano confidato nel suo arrivo spontaneo consci che un gruppo di giovanotti era fuori città prima del loro arrivo e Tuck era solito visitare spesso Nottingham, trovandosi infine tutti d'accordo nel non fornire alcuna informazione a quei loschi figuri. Perciò furono tutti lieti e sollevati nell'imbattersi in John e Allan e ne seguirono ben volentieri le indicazioni. Il vecchio Castello, infatti, adibito a fortezza atta ad ospitare la popolazione della città e dei villaggi a ridosso di essa in caso di pericolo, consentì ai due uomini di Robin Hood di indirizzarvi le categorie più a rischio in piccoli gruppi per non dare nell'occhio.
Il Cavaliere Nero, intanto, aveva fatto rapporto, tramite uno dei suoi uomini, a Lord Wyatt il quale aveva deciso di richiamare i cavalieri a guardia dell'ingresso per riunire tutti in piazza ed organizzarsi. Mentre si attendeva l'arrivo del Primo Cavaliere, degli altri Cavalieri Neri e dei cavalieri sottoposti, quelli presenti avevano accerchiato i due giovani affinché non fuggissero portandosi dietro le informazioni su Gisborne. I due sbiancarono, ma non persero la calma neanche vedendosi puntare contro le spade e neanche scorgendo il sospetto negli sguardi dei cavalieri quando dal campanile della Chiesa si diffuse un suono non previsto, improvviso e tutt'altro che piacevole.
«Ma che diavolo...?», ringhiò uno degli uomini.
«Deve essere il campanaro», disse con calma l'arciere più adulto. «Ha l'abitudine di bere un po' troppo», spiegò.
«Sarà meglio per te, ragazzino, se dici il vero», minacciò.

Avendo via libera, gli ex fuorilegge si introdussero a Nottingham correndo e pronti allo scontro perché sapevano che avere un dialogo con gli alleati del Principe Giovanni era piuttosto inutile. Questo non significa che Robin non ci avrebbe provato, ma voleva che quegli uomini sapessero con chi avevano a che fare.
Robin vide Allan scortare alcuni anziani verso il vecchio Castello, annuì compiaciuto e dal momento che alla fine anche Rose e gli altri giovani si erano uniti, diede loro il compito fino ad ora svolto da John e Allan che sarebbero stati più utili sul campo, senza contare che in quattro i ragazzi avrebbero sveltito le manovre di messa in salvo.
Rose rivolse un'intensa occhiata ad Allan, il quale le sorrise prima di sparire dalla vista di lei.
A ridosso della piazza principale ci furono le ultime raccomandazioni e una sorta di saluti che nessuno volle accettare davvero perché ognuno sperava ardentemente che tutti sarebbero tornati a Locklsey sani e salvi e perché
«Gli uomini di Nottingham sono dalla nostra», aveva detto John. Gisborne pregò ancora una volta Kaelee di non prendere parte allo scontro, perché sapeva che la giovane donna avrebbe dovuto ferire o uccidere per salvarsi la vita e lui non voleva che accadesse, non voleva che lei assistesse alla morte di un uomo, non voleva che ne fosse responsabile, ma non ci fu verso. Ci fu un bacio prima che Kaelee si ritrovasse tra le braccia di Kate, sua migliore amica, sorella che non aveva mai avuto. Anche gli altri si abbracciarono velocemente tra loro, consapevoli del rischio che correvano, e in questo clima Robin e Guy si strinsero la mano.
«Sono lieto di averti al mio fianco, anche se attiri un mucchio di guai», mormorò Robin scherzandoci su.
«È per me un grande onore, anche se resti un odioso ragazzino», rispose Gisborne rivolgendogli un mezzo sorriso.
E con un
«Noi siamo Robin Hood!», urlato a gran voce, il gruppo fece il suo ingresso.

Come Robin aveva previsto, fu inutile cercare un confronto pacifico, tanto più perché i Cavalieri Neri tenevano minacciosamente sotto tiro i due arcieri che avevano collaborato con lui. L'effetto sorpresa fu però la carta vincente che consentì loro di sfuggire alla presa e nascondersi nei dintorni.
«Canaglie! Siamo stati giocati! Ecco dunque Guy di Gisborne che sputa nel piatto in cui ha mangiato», gridò con rabbia uno dei Cavalieri Neri, mancando volutamente di rispetto a Gisborne nel privarlo del suo titolo nobiliare, mentre il Primo Cavaliere vedeva manifestarsi dinanzi ai propri occhi tutte le sue paure.
In men che non si dica la piazza mutò in un campo di battaglia come tante altre volte era accaduto in passato, ma mai dalla ricostruzione della città.
Gli uomini in nero erano in tutto trentasei contro i sette della banda di Robin Hood, ma le leggi dei grandi numeri raramente avevano avuto ragione in quel di Locksley e Nottingham se si parlava della banda di fuorilegge che aveva fatto parlare di sé in tutta l'Inghilterra. Molte volte era accaduto che Robin da solo eludesse le guardie dello Sceriffo facendogliela sotto al naso e altrettante in tre o quattro avevano tenuto testa alla scorta di Sir Guy, perciò non c'era da biasimarlo se Lord Wyatt si riteneva un condannato a morte.
Kaelee impose a se stessa di non lasciarsi distrarre dalla preoccupazione per l'uomo che amava ripetendosi che non era necessario darsi pena per lui dal momento che era tra i migliori cavalieri che Robin Hood avesse mai incontrato, come spesso raccontava, e se lo diceva Robin in persona c'era da credergli dopo tutte le avventure di cui era stato protagonista negli ultimi anni. Inoltre, la distrazione rischiava di esserle fatale in un contesto come quello. Era infatti la prima volta per lei e sebbene l'enorme forza che la animava le aveva fatto sguainare la spada in un gesto fluido e sicuro, in cuor suo era terrorizzata dai cavalieri che aveva attorno. Ripensò a Guy e considerò che se era stato un Cavaliere Nero in precedenza, gli uomini contro cui stava per duellare dovevano essere abili almeno quanto lui. Questo non fece altro che spaventarla maggiormente, ma non intendeva darsi per vinta o alla fuga. Del resto Guy stesso aveva sostenuto dinanzi agli altri membri della banda che lei gli aveva dato filo da torcere durante le ultime esercitazioni e questo poteva voler dire soltanto che aveva una reale chance di farcela.
Mentre la sua spada cozzava con quella di un cavaliere, Kaelee con la coda dell'occhio vide Kate duellare coraggiosamente con due uomini. Kate era più abile con l'arco, ma se la cavava bene anche con la spada e aveva più esperienza di lei sul campo essendo stata una fuorilegge insieme alla banda ai tempi dello Sceriffo, perciò Kaelee si convinse che sarebbe andato tutto bene nonostante fossero in evidente inferiorità numerica.
Little John aveva appena messo fuori combattimento il suo avversario e Kaelee non volle domandarsi se l'avesse ucciso oppure soltanto stordito. Non voleva sapere, perché se avesse iniziato a porsi domande avrebbe inevitabilmente dovuto interrogarsi in merito a se stessa: era pronta a ferire un uomo e guardarlo morire?
Il campo di battaglia riecheggiava delle urla dei partecipanti, del vociare degli abitanti di Nottingham che se ne stavano a sorvegliare le vie adiacenti, decisi ad impedire una fuga da parte dei Cavalieri Neri, e del sibilo delle frecce scoccate da Robin, Much e Allan.


Locksley.
La consueta tranquillità regnava nel piccolo villaggio, ma non si può dire altrettanto dell'animo di coloro i quali erano a conoscenza della situazione a Nottingham.
Era trascorso ormai diverso tempo da quando Robin e gli altri si erano allontanati e Acher iniziava a dare segni di nervosismo e impazienza.
«Non resterò qui un minuto di più», asserì l'arciere. Scattò in piedi e recuperò arco e frecce, deciso a cavalcare fino alla città nonostante il divieto di suo fratello e i tentativi di Nettie di fermarlo.
Tuck lo osservò e capì che sarebbe stato inutile cercare di trattenerlo: il ragazzo, per sua fortuna, aveva uno spirito ribelle davvero difficile da domare, qualità che gli aveva garantito la sopravvivenza nei difficili e tumultuosi anni vissuti in solitudine.
Nonostante Archer fosse un uomo forte e sapesse il fatto suo, Tuck non poteva mandarlo a Nottingham da solo, così gli si avvicinò per preparare anche il proprio cavallo.
«Che stai facendo?», gli domandò Archer aggrottando le sopracciglia.
«Non lascerò che tu vada lì da solo, ragazzo», rispose il frate, «Nettie, Alice e il piccolo John se la caveranno bene qui», concluse salendo in groppa allo scuro destriero.
Archer sospirò e annuì, salutò Nettie con un bacio non propriamente casto e infine partì a tutta velocità verso Nottingham.


Nottingham.
Da quando la città era stata ricostruita, la grande porta che ne dava l'accesso veniva chiusa di rado, perciò Tuck e Archer non si scomposero nel vederla spalancata. Ciò che invece attirò la loro attenzione furono il silenzio tombale che sembrava regnare come non mai e l'assenza della banda nei dintorni. Non fu difficile a quel punto comprendere che l'azione doveva essersi spostata altrove e a tendere bene l'orecchio entrambi conclusero che era necessario raggiungere il centro della città quanto prima.
I due arrivarono in piazza nel bel mezzo dello scontro e vi presero immediatamente parte.
«Che accidenti ci fai qui?», ringhiò Gisborne, contrariato, a suo fratello il quale aveva appena ucciso uno dei tre cavalieri che si erano accaniti contro di lui.
«Ti salvo le chiappe, fratello!», esclamò Archer scontrandosi insieme a Gisborne con i due cavalieri rimasti.
Tuck arrivò appena in tempo in soccorso di Much che, concentrato sul proprio obiettivo, non si era accorto dell'uomo che gli avrebbe facilmente tolto la vita a tradimento colpendolo alle spalle. La freccia del fuorilegge andò a segno e quest'ultimo esultò brevemente dando una pacca sulla spalla al frate.
«Sono contento che tu sia qui! E grazie!», esclamò prima di rendersi conto della situazione. «Ehi, aspetta, ma non dovevi essere a Locksley?!», urlò difendendosi da un colpo di spada con il suo caratteristico scudo tondo e colorato.
«Abbiamo cambiato idea», rispose il frate colpendone uno.
«Abbiamo?», domandò Much senza capire. «Guarda che se hai portato qui Alice, Little John ti ucciderà!», aggiunse.
Tuck rise intenerito dalla spontanea ingenuità di quell'uomo e gli spiegò concisamente come stavano le cose.
«Lo sapevo», rispose lui, come al suo solito.

Quando anche i sei giovani arcieri che avevano avvisato Robin Hood della presenza dei Cavalieri Neri a Nottingham decisero di unirsi alla battaglia dopo aver messo in salvo donne e bambini nella fortezza, molti cavalieri erano feriti e alcuni già morti, così Robin fece loro segno di sistemarsi ai piani superiori delle abitazioni attorno alla piazza, in modo da poter essere di aiuto senza rischiare la vita. Anche alcuni della banda avevano riportato ferite, seppure non gravi, ma avrebbero continuato comunque a lottare fino alla fine.
«Tanto per chiedere... Oggi è un buon giorno per morire, John?», domandò Allan al suo amico, con un sorrisetto sulle labbra, consapevole che quello era stato per anni il motto di Little John.
Per tutta risposta l'uomo borbottò un insulto.
«Oggi non è un buon giorno per morire, Allan. Non per noi!», rispose infine abbattendo un altro uomo.
Kaelee si ritrovò a trattenere un gemito quando il cavaliere suo avversario riuscì a ferirla di striscio al braccio, ma non riuscì pensare di rendere il favore che a gran velocità una freccia tagliò l'aria all'altezza del suo orecchio per trovare posto infine nella spalla dell'uomo.
«Archer!», esclamò sorpresa la ragazza, voltandosi.
«Per servirti», rispose lui esibendosi in un breve inchino e abbagliandola con uno di quei sorrisi che stavano tra quello "alla Robin Hood" - ampio e luminoso - e quello "alla Guy di Gisborne" - sghembo e un po' strafottente.
Kaelee alzò gli occhi al cielo e fece in tempo a sorridergli prima che Archer riprendesse a scagliare frecce a destra e a manca cercando di non uccidere finché gli era possibile, così da rendere onore agli ideali della banda. Eppure, come Kaelee ebbe modo di notare, del sangue era stato versato quel giorno e la piazza di Nottingham era stata teatro di orrore e morte nonostante il Re e gli uomini di Robin Hood vegliassero su di essa e sui suoi abitanti. Perciò qualcuno doveva aver necessariamente ucciso quel giorno e contro ogni logica Kaelee si ritrovò a chiedersi chi.
John? Archer? Kate?
Gisborne?
Intanto che quegli infelici pensieri le riempivano la mente, il cavaliere che Archer credeva di aver abbattuto, si rialzò con l'intento di cogliere di sorpresa la ragazza. Per lui era inaccettabile che nessuno di quegli insulsi fuorilegge fosse a terra mentre parecchi suoi compagni d'armi giacevano immobili, perciò voleva vendetta. A guardarla, anche se era di spalle, gli sembrò poco più che una quindicenne e pensò che Robin Hood dovesse aver perso qualche rotella se credeva di poter avere la meglio sui Cavalieri Neri con elementi come lei nella sua banda, ma si rese conto ben presto che aveva sottovalutato la giovane spadaccina.
Qualcosa, sesto senso o istinto di sopravvivenza, riportò Kaelee alla realtà prima che accadesse l'irrimediabile. La ragazza si voltò, la spada ancora in pugno, e vedendo l'avversario in atteggiamento ostile ne anticipò le mosse e affondò la lama nel suo stomaco prima che lui potesse fare altrettanto con lei.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Poi lui cadde a terra agonizzante e infine si spense.
Kaelee aveva appena ucciso un uomo.

Nel momento esatto in cui Gisborne si trovò faccia a faccia con Lord Wyatt, tutti gli uomini di quest'ultimo si erano arresi mentre quelli di Robin Hood facevano la conta dei danni e si prendevano cura gli uni degli altri, ad esclusione dei sei giovani arcieri che rimasero in posizione, attenti e pronti ad intervenire.
«È me che volevate», esordì, «Ebbene, parlate». La sua voce era bassa e roca nel suo essere calma, fredda e ferma.
A sorpresa, il Primo Cavaliere depose l'arma e cadde in ginocchio dinanzi a Gisborne.
«Parlerò soltanto per pregarvi, per supplicarvi di uccidermi. Sono comunque un uomo morto, ma preferisco morire per mano di un cavaliere onesto che di un Principe ingiusto», mormorò a capo chino.
A quel punto l'attenzione di tutti i presenti era puntata su Lord Wyatt il quale, su richiesta di Gisborne, raccontò nel dettaglio l'intera vicenda non omettendo il prezzo che lui e i suoi uomini avrebbero pagato se fossero tornati dal Principe Giovanni recando notizia di un fallimento, perciò chiese sepoltura per i caduti e libertà per i sopravvissuti, mentre per se stesso ribadì di desiderare nient'altro che una morte veloce.
Gisborne cercò lo sguardo dei suoi fratelli anche se aveva in cuor suo già deciso il da farsi e negli occhi chiari di entrambi trovò la forza per parlare.
«I vostri defunti avranno degna sepoltura e i vostri cavalieri sono liberi di andare via quanto prima, ma non intendo macchiarmi con il vostro sangue», disse Gisborne tendendo la mano a Lord Wyatt che si alzò e per la prima volta davvero ne sostenne lo sguardo. Si erano incontrati quando Gisborne aveva ricevuto l'investitura, eppure il Primo Cavaliere non riusciva a riconoscere lo spietato Sir Guy di Gisborne nell'uomo compassionevole, seppur altero, che aveva davanti in quel momento. «Non sarete mai più un Cavaliere Nero, fuggirete da Nottingham e, senza incontrare ostacolo alcuno, raggiungerete la vostra famiglia e con essa scapperete lontano dall'Inghilterra, dal Principe Giovanni e da questa vita. Cambierete nome e vivrete una vita tranquilla fino alla fine dei vostri giorni», aggiunse stringendogli la mano. «Questo è quanto posso e voglio concedervi».
Lord Wyatt ricambiò la stetta, commosso, e ringraziò lui e Robin Hood per l'opportunità offerta. Infine radunò i sopravvissuti e con loro lasciò per sempre la bella Inghilterra.

Gli abitanti di Nottingham che sorvegliavano le strade attorno non reagirono al passaggio dei Cavalieri Neri, ma appena questi si furono allontanati il campanaro, che si era presto ripreso dal colpo inferto da Allan, suonò a festa le campane della Chiesa richiamando fuori dalla fortezza anche chi vi aveva trovato rifugio.
Lo sguardo di Guy si fermò su Kaelee che aveva trovato un primo conforto in Kate. L'uomo notò che era ferita e in prima battuta pensò che lo sconvolgimento sul suo volto fosse da attribuire a quello, ma poi notò che la ragazza non aveva ancora riposto l'arma, reggendola invece più per un riflesso involontario delle dita che per la reale intenzione di farlo, e mentre rifletteva su quale potesse essere la ragione che l'aveva indotta a restare sulla difensiva nonostante gli avversari avessero lasciato la città, si accorse che la lama era sporca di sangue in tale misura da non lasciare alcun dubbio su ciò che poteva essere accaduto. Lentamente si mosse in direzione di lei e ad ogni suo passo la piazza era sempre più gremita di persone che gridavano il suo nome. Quando la raggiunse la strinse a sé senza dire nulla, perché non c'erano parole in quel momento che potessero esserle d'aiuto e perché le voci dei presenti erano troppo forti per essere sovrastate da una sola.

«Che tu sia benedetto!», dicevano in molti rivolgendosi proprio a colui il quale era stato per anni l'incubo di quella città insieme allo Sceriffo.
«Evviva Sir Guy!», fecero altri.
La folla lo stava acclamando e per la prima volta nella sua vita Gisborne seppe di avere sì ucciso, ma soltanto per salvare centinaia di vite innocenti e in questa nuova consapevolezza Guy trovò la forza per affrontare insieme a Kaelee le conseguenze di quell'impresa.




N.d.A.
Se non mi fossi lasciata prendere dal panico questo capitolo avrebbe visto la luce un po' prima, ma quando mi sono ritrovata a parlare di Rose ho temuto il peggio perché lei non era in programma e ha letteralmente preteso un nome e un ruolo nelle vicende. Ma per fortuna la mia amica Amalia - che non riuscirò mai a ringraziare abbastanza - mi ha restituito il lume della ragione ed eccoci qui!
Ringrazio anche la cara ArwenDurin che non ha trovato assurda la mia idea di richiamare in causa i Cavalieri Neri.
E infine ringrazio voi. Sia che preferiate un passaggio silenzioso, sia che decidiate di condividere il vostro parere.
A presto!

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Capitolo 24
*** Lady Gisborne ***


Ventiquattro


Lady Gisborne

Nottingham.

La gioia che era esplosa tra i cittadini in seguito alla dipartita dei Cavalieri Neri grazie alla decisione diplomatica e non violenta presa da Gisborne dopo lo scontro, aveva fatto sentire Kaelee terribilmente fuori posto. Sebbene fosse innegabilmente felice di aver contribuito alla libertà della città e alla salvezza di Gisborne, la ragazza si sentiva anche profondamente triste perché per la prima volta da quando aveva iniziato a maneggiarla la sua spada aveva conosciuto il sangue di un essere umano e di quest'ultimo aveva preso la vita crudelmente, senza pentirsi del gesto poiché una lama fa esattamente ciò per cui è stata creata: ferisce e uccide guidata sapientemente dalla mano del possessore.
La stretta in cui Gisborne l'aveva infine avvolta dopo averla invitata a riporre l'arma nel fodero, l'aveva inizialmente rassicurata facendole perfino dimenticare il bruciore al braccio, ma nel giro di qualche minuto Kaelee aveva sentito di nuovo la forte esigenza di allontanarsi da quella piazza e dal giubilo dei cittadini espresso in convinti
«Sir Guy di Gisborne signore di Nottingham!», che rimbalzavano sulle abitazioni e si infilavano in ogni via di Nottingham. La ragazza era così mentalmente confusa da non riuscire neanche a cogliere davvero il senso di quell'acclamazione e, consapevole di non essere in grado in quel momento di pensare ad altro che al suo bisogno impellente di fuga, sciolse con delicatezza l'abbraccio, sorrise all'uomo che amava invitandolo a godersi quel momento a lui dedicato e se ne andò con la scusa di voler parlare con Kate la quale, nel frattempo, si era spostata, probabilmente in cerca di Much.
La verità, però, era ben lontana dal volersi confidare davvero con qualcuno, perciò, trovata l'amica tra la folla, Kaelee si fermò in sua compagnia soltanto per un breve scambio.
«Ehi! Siamo tutti sani e salvi!», esclamò la bionda, su di giri come il resto dei presenti. «I nostri hanno riportato solo ferite facilmente curabili. Ce l'abbiamo fatta, Kaelee! Abbiamo vinto sui Cavalieri Neri del Principe Giovanni!». La sua euforia era incontenibile, così Kaelee non poté fare a meno di sorriderle.
«Sì, sono sollevata anche io, ma ho bisogno che tu mi faccia un favore», disse tradendo il tormento che arrivò ai suoi occhi.
«Kaelee, va tutto bene?», domandò l'amica, improvvisamente preoccupata.
Lei annuì. «Non dire a Guy che ho lasciato Nottingham se dovesse chiederti di me. Ho bisogno di stare sola», confidò infine.
«Non intendi fare sciocchezze, come lasciare Locksley o nasconderti nella foresta, vero? Non puoi mentirmi, Kaelee, non puoi tradire la nostra amicizia. Sono la tua migliore amica! Non è così?». Le mani di Kate avevano fatto presa su quelle della giovane donna nel tentativo di scuoterla e capirne le intenzioni.
Kaelee le rivolse un sorriso stanco, tirato.
«Sei come una sorella per me, Kate. Il mio futuro è qui, dove è Gisborne e dove sei tu. Devo solo riflettere, trovare un senso a ciò che è successo se possibile, fare pace con me stessa», le rispose con sincerità.
«E non vuoi neanche me intorno», concluse Kate, un po' offesa per via di quella scelta che le appariva alquanto sospetta visto che tra loro non c'erano mai stati segreti.
«Niente di personale. Credo che pregherò, tutto qui», tagliò corto Kaelee non sopportando più le urla festose, così in contrasto con le grida di dolore che riecheggiavano nella sua testa. Lasciò un bacio sulla guancia dell'amica e si mescolò velocemente alla folla.
Inizialmente aveva creduto che la Chiesa di Locksley le avrebbe dato la pace di cui necessitava per meditare, ma si rese conto durante il tragitto che certamente anche il villaggio doveva essere in fermento per l'accaduto, perché voci come quella si spargevano piuttosto in fretta di solito. Fu così che, quasi inconsciamente, Kaelee cambiò direzione e raggiunse la Collina delle Croci, il piccolo cimitero di Locksley dove riposavano, tra gli altri, i genitori di Luke Scarlett e la madre di Robin. Era stato Much a dirglielo diverso tempo prima raccontando di una volta in cui aveva trovato Robin a contemplare silenziosamente la croce della donna che lo aveva dato alla luce.
Si sedette tra i fili d'erba, lasciandosi sfuggire un sospiro, nonostante il terreno fosse ancora umido per la pioggia dei giorni precedenti. Per diversi minuti rimase ferma a guardare il villaggio ai piedi della collina su cui di trovava: una serie di piccole case dal grande tetto triangolare, recinti in legno continuamente riparati per trattenere piccoli animali da cortile, deliziosi orti colorati, una piazza che era il centro delle attività commerciali e politiche, il grande Maniero di Robin Hood, un pozzo che assicurava l'acqua alle famiglie e la verde Sherwood alle spalle - questo era Locksley, il luogo in cui Kaelee, ne era certa, avrebbe vissuto tutti i giorni a venire insieme a Gisborne, sfornando pane, infornando vasi, coltivando insalata, pregando con la guida di Tuck, esercitandosi con la spada, allevando dei figli forse. In cuor suo sapeva di non desiderare altro, eppure una parte di lei in quel preciso istante avrebbe preferito fuggire via e nascondersi nel cuore di Sherwood perché quel giorno la sua mano aveva deliberatamente scelto il destino di un uomo, che non avrebbe fatto ritorno a casa, e della famiglia che lo avrebbe atteso invano per chissà quanto tempo prima di ricevere notizia da uno dei sopravvissuti a quello scontro. Per quanto si ripetesse che il Principe Giovanni avrebbe comunque fatto uccidere quel cavaliere e tutti gli altri se non fossero caduti in battaglia, Kaelee non riusciva a non incolpare se stessa. Il suo sguardo si allontanò da Locksley tornando a Nottingham solo per rivivere decine di volte l'istante in cui aveva incrociato gli occhi attoniti dell'uomo, puntati nei suoi, più vicino alla morte che alla vita dopo che la lama lo aveva trafitto senza lasciargli scampo. Kaelee sapeva che mai avrebbe dimenticato quegli occhi mentre un altro paio le tornava alla mente facendola sentire maggiormente in colpa: due grandi occhi castani incastonati su un viso spigoloso dall'incarnato chiaro. Cosa avrebbe pensato di lei Aric, il mite Aric, se avesse saputo la verità? Che cosa le avrebbe detto? Cosa avrebbe trovato Kaelee sul fondo di quel marrone mentre suo fratello realizzava che lei aveva ucciso un uomo? Delusione? Orrore?
Si strinse le ginocchia al petto, non senza sentire una fitta al braccio per via della ferita riportata, nel tentativo di ripararsi dallo sguardo improvvisamente fastidioso della Natura e di Dio. Si sentiva giudicata perfino dal più piccolo granello di terra, dall'aria invisibile attorno a lei, da quell'immensa presenza verdeggiante che era la foresta di Sherwood e si domandava se avrebbe mai trovato salvezza la sua anima. Se l'avrebbe meritata prima o poi.
Kaelee ripensò alla regola principale che vigeva tra i membri della banda di Robin Hood, quella che imponeva di non uccidere se non strettamente necessario, se non in caso di reale pericolo, trovandola una soluzione giusta e in linea con la figura dell'eroe che aveva animato i pomeriggi della sua casa a Edwinstowe e che l'aveva ispirata a partire alla volta di Locksley. Eppure quella dei fuorilegge non doveva essere stata una vita che non contemplasse almeno una situazione pericolosa al giorno. Nel periodo trascorso al Maniero, quando Rudyard si era stabilito a Nottingham, aveva ascoltato spesso i racconti delle varie incursioni al Castello o di quando Robin era stato catturato, Allan quasi impiccato e Much torturato con un ferro rovente che gli aveva lasciato un brutto segno sul fianco destro, perciò si convinse che doveva esserci una ragione più profonda del nobile gesto di risparmiare una vita e della volontà di dare l'esempio portandosi in una posizione diametralmente opposta a quella dei cattivi di turno che uccidevano in maniera sconsiderata e violenta. Kaelee ritenne che dovesse esserci una causa scatenante e si domandò in seguito a quale evento Robin avesse iniziato a deviare la traiettoria delle proprie frecce. L'uomo, infatti, con l'arco e l'infallibile mira che lo contraddistinguevano avrebbe potuto uccidere facilmente a distanza di sicurezza da lame, bastoni, accette e altre armi che richiedessero uno scontro diretto, eppure sceglieva di non macchiarsi col sangue di chi aveva provato a fare del male a lui o ai suoi amici, decideva di non aggiungere altra violenza alla violenza. La morte di Lady Marian, pensava Kaelee, era collocata temporalmente in un momento in cui la banda di Robin agiva già da diverso tempo, quindi non poteva essere quella la ragione che cercava. Ma allora cosa? Una sera, sempre al Maniero, Archer aveva chiesto a suo fratello Robin di raccontare dell'esperienza in Terra Santa nella Guardia personale del Re e Kaelee aveva visto nettamente lo sguardo limpido dell'arciere rannuvolarsi di colpo nello stesso istante in cui Gisborne si era irrigidito accanto a lei. Cos'era dunque accaduto di così terribile in quei posti lontani da indurre Robin Hood ad essere un ladro che rubava ai ricchi per sfamare i poveri senza mai versare una goccia di sangue durante le sue imprese? Kaelee si perse in fretta in argomenti che non conosceva abbastanza a fondo per poter comprendere davvero la situazione, perciò tornò a ciò che la tormentava.


Collina delle Croci, Locksley.

Gisborne non aveva impiegato molto a capire che quella di Kaelee era una scusa per allontanarsi da Nottingham senza dargli spiegazioni, così, dopo aver pregato i suoi fratelli di fare le sue veci con il popolo che lo voleva signore della città e dopo aver parlato con le persone giuste, cavalcò fino a Locksley perché niente per lui era più importante della donna che amava. Rise di se stesso mentre ripensava a quanto era stato sciocco, in passato, per aver messo al primo posto denaro e potere anziché i sentimenti che aveva invece cercato sempre di seppellire. Non aveva capito l'importanza dell'amore finché non lo aveva provato sulla propria pelle, ovvero finché non aveva conosciuto una donna che lo amasse incondizionatamente, per ciò che era e non per il titolo che aveva ereditato. Kaelee non aveva conosciuto il Gisborne esattore delle tasse per conto dello Sceriffo di Nottingham, non aveva conosciuto l'uomo che custodiva gelosamente un forziere contenente i propri averi per poi vantarsene con la donna che desiderava sposare appellandosi alla ricchezza nel sostenere di essere un ottimo partito, non aveva conosciuto il Cavaliere Nero che aveva tradito il Re e tentato di uccidere Robin Hood. No. Kaelee aveva conosciuto Guy, un semplice abitante di Locksley e di lui si era innamorata prima ancora di essere messa al corrente di tutta la situazione. Perfino quando le aveva rivelato di essere un assassino lei non aveva smesso di amarlo.
Kaelee, forse senza nemmeno rendersene conto, aveva insegnato così tante cose a Guy che lui non si sarebbe mai perdonato se l'avesse persa, perciò i cittadini di Nottingham avrebbero aspettato.
Dopo aver perlustrato ogni angolo del piccolo villaggio senza trovare traccia della sua Kaelee, Gisborne sentì la preoccupazione crescere con prepotenza, ma si costrinse a riflettere. Se la donna avesse deciso di partire, pensò Gisborne, non lo avrebbe fatto senza portare con sé l'essenziale e l'aver constatato che dalla loro dimora non mancava nulla permise all'uomo di rilassarsi. Quindi provò a mettersi nei panni dell'amata e si chiese dove sarebbe andato lui al posto di Kaelee, così decise di fare un nuovo tentativo.

Kaelee finì con il chiedersi cosa mai potesse averci visto Guy in lei, che a stento sapeva leggere e che nulla sapeva di come si amministrasse un villaggio o una città, figurarsi una contea. Si domandò se una relazione con così tante disparità - non soltanto culturali, ma anche sociali dal momento che Gisborne era un Cavaliere, un nobile a tutti gli effetti - avrebbe davvero potuto funzionare; si chiese se sarebbe mai potuta essere la moglie ideale per Guy e se potesse davvero competere con Lady Marian. Kaelee non aveva idea di che aspetto avesse la donna che aveva fatto palpitare il cuore di due uomini contemporaneamente, ma aveva un'unica inconfutabile certezza: quella donna apparteneva alla nobiltà al pari di Robin e Guy. Lei invece cos'era? Una contadina scappata via da una famiglia problematica, una giovane donna che aveva creduto di poter prendere davvero in mano le redini del proprio destino, una ragazzina che aveva voluto imparare ad usare la spada trasformandosi infine in un'assassina.
Soltanto pensare a quella parola la faceva tremare da capo a piedi.
Sapeva, inoltre, che Gisborne aveva conosciuto il Principe Giovanni in persona e perfino Re Riccardo, mentre lei non aveva la più pallida idea di che aspetto avessero.
Una cosa, però, forse le era tutt'altro che chiara: la sua inclinazione ad essere estremamente severa nei confronti di se stessa.
Sospirò prendendosi la testa tra le mani quando passi leggeri annunciarono l'arrivo di qualcuno che le si sedette accanto qualche minuto più tardi.
La ragazza non dovette girarsi a guardarlo per capire che si trattava di Guy. Avrebbe saputo riconoscerne il respiro ed il profumo anche se bendata.
«Come facevi a sapere che ero qui?», chiese tranquilla, con un sorriso accennato sulle labbra nascoste.
«Kate è una pessima bugiarda», gli rispose lui prendendo la mano di Kaelee nella propria con delicatezza.
«Non si può fare affidamento su nessuno», borbottò la ragazza, rasserenata dal contatto con le dita calde di Gisborne.
«Ho dovuto insistere molto prima che parlasse, non avercela con lei. E poi mi ha ingannato: credevo fossi in Chiesa», sussurrò osservandola. La ferita al braccio attirò subito la sua attenzione, ma Guy si rese conto che non era grave sebbene avesse un brutto aspetto e necessitasse per questo di un intervento immediato.
Kaelee sbuffò.
«Non sapeva che sarei venuta qui. L'ho deciso strada facendo», spiegò.
«Ti va di parlarne?», domandò Gisborne senza lasciarle la mano.
Finalmente Kaelee decise di sollevare il viso anche se preferì non incontrare lo sguardo del suo amato.
«Non conoscevo quell'uomo, Guy. Sto bene. Non è come quando volevo uccidere Rudyard e tu hai fatto di tutto per impedirmelo», mormorò tenendo fisso lo sguardo su Locksley.
«Questo era uno scontro vero», terminò dopo una breve pausa.
«Se non lo avessi ucciso lo avrebbe fatto lui con te», sussurrò l'uomo, senza usare mezzi termini.
La giovane donna si voltò a guardarlo, le sopracciglia aggrottate, stupita dalla disarmante verità di quelle parole.
«Ti conosco abbastanza da sapere che ti stai incolpando», la anticipò Guy parlando pacatamente, usando un tono gentile, «e non voglio che tu lo faccia. Non sei la persona orribile che credi di essere. Non sei un'assassina».
«Ho ucciso un uomo, lo sono eccome Guy», rispose lei stizzita. Quando tentò di porre fine all'intreccio delle loro dita Guy glielo impedì con decisione e lei si arrese senza opporre troppa resistenza.
«Allora anche io lo sono e finiremo entrambi all'Inferno per questo».
Di nuovo Kaelee rimase interdetta. Guy non le aveva mai parlato con tanta schiettezza e pur non essendoci rabbia o freddezza nel suo tono, Kaelee percepiva che quella conversazione non sarebbe stata come le precedenti perché Guy la stava trattando come suo pari. Per età, per maturità, per classe sociale, per abilità con la spada, per esperienze vissute. La giovane donna impiegò diverse decine di secondi prima di riuscire a rispondergli con un filo di voce.
«Tu ti sei pentito, hai scontato la tua pena in Terra».
«E tu no? Non sei pentita?», domandò Gisborne.
«Sì, ma...», esitò, «Non è la stessa cosa».
«Non ti è concesso tenere due pesi e due misure. Se entrambi siamo assassini ed entrambi ci siamo pentiti, il nostro destino è comune», mormorò.
Kaelee scosse vigorosamente il capo.
«Tu non capisci», soffiò sul punto di piangere.
«Ascoltami, Kaelee, io so chi sei perciò fidati se ti dico che non hai colpe», sussurrò accorato, sollevando le dita intrecciate per poter baciare quelle di lei. «Sei circondata da persone che ti vogliono bene, che ti amano», continuò sorridendole dolcemente. Non poté aggiungere altro perché la donna si tuffò sul suo petto e tra le lacrime gli confidò ogni suo più intimo pensiero.

Qualche ora più tardi, Locksley.
«Non ho bisogno di un dottore», piagnucolò Kaelee ritirandosi in un angolo della stanza da letto, a casa di Guy.
Gisborne trattenne a stento le risate perché era evidente che la donna aveva paura di farsi curare la ferita, probabilmente perché era arrivata da sola alla conclusione che era necessario ricucirne i lembi.
«Lascia che lo faccia io allora», propose rivolgendole un sorriso.
«Tu?!», esclamò in un acuto. «Tu non sai... Non puoi saperlo fare sul serio», aggiunse sgranando gli occhi.
Guy trovò la situazione comica più che tragica o problematica, perché il modo in cui Kaelee cercava inutilmente di sfuggirgli, il tono quasi isterico della sua voce e gli occhi spalancati che lo fissavano con terrore, avevano un che di divertente. In fondo al caramello fuso l'uomo era riuscito a cogliere la vena di fiducia che la ragazza da sempre nutriva nei suoi confronti, perciò era abbastanza sicuro che il timore di Kaelee non era così grande e grave da richiedere un atteggiamento troppo serio e melodrammatico. Inoltre Guy ritenne che sarebbe stato inutile aggredire la giovane donna con un tono severo o preoccupato, tanto più perché il danno era tutt'altro che grave per fortuna, perciò preferì scherzarci sopra e alleggerire la tensione.
«Non ti facevo così fifona», constatò aprendo il cassetto di un basso mobile e tirandone fuori un ago ricurvo, ada
tto a suturare.
«Non ho paura!», asserì abbassando lo sguardo e avvampando, a testimonianza del fatto che tanto più la sua mente provava a fare il possibile per non lasciar trasparire la verità, quanto più il suo corpo la tradiva lavorando in direzione contraria e manifestando invece i reali sentimenti che albergavano in lei. «Dove hai imparato?», chiese, forse nel tentativo di spostare l'attenzione di Gisborne.
«Siediti, farò il possibile per non farti troppo male», mormorò lui indicandole una sedia.
«Non mi sei di alcun aiuto, sai?», fece lei con un pizzico di sarcasmo, guardando con orrore l'ago tra le dita di Gisborne.
«Mi crederesti se ti dicessi che non sentirai nulla?».
«No».
«Allora siediti e lasciami fare. O, se preferisci, ti accompagno da Lord Basil», le rispose Gisborne riferendosi al dottore che abitava ed esercitava al villaggio.
Per tutta risposta vide Kaelee avvicinarsi lentamente e con riluttanza alla sedia.

«È proprio necessario?», chiese con un filo di voce.
«Fifona», sussurrò Gisborne, divertito. Ormai certo di averla convinta la invitò a mostrargli il braccio per poterle pulire il taglio prima di ricucire. Come già aveva avuto modo di vedere, la ferita appariva più brutta di quel che era, così con l'aiuto di una spugna morbida e di acqua riscaldata precedentemente al fuoco del camino acceso al piano inferiore, rimosse qualche residuo di tessuto e le incrostazioni create tutto intorno dal sagnue fuoriuscito ore prima.
«Non mi hai detto dove hai imparato», insisté Kaelee quando Guy ebbe finito con la spugna.
«Sono rimasto coinvolto in molti scontri e le prime volte era facile che restassi ferito. A furia di guardarlo fare, ho imparato», spiegò. «Brucerà un pochino, ma tu tieni premuto», aggiunse porgendo alla ragazza del tessuto pulito imbevuto di un liquido dall'odore molto forte, mentre riscaldava l'ago sulla fiamma di una candela.
«E questo lo definiresti un pochino?! Bugiardo!», esclamò a voce piuttosto alta la ragazza, allontanando immediatamente il panno dal braccio e attirando l'attenzione di Gisborne che in quel momento le dava le spalle.
«Non costringermi», minacciò Guy senza negarle un sorriso paziente, comprensivo e rilassato. Non aveva la certezza che quello fosse il modo migliore per affrontare la situazione, ma riteneva che Kaelee avesse un carico emotivo già abbastanza pesante di per sé perché certamente un pianto liberatorio non aveva risolto definitivamente la questione. Se conosceva la donna come credeva, nei giorni a venire avrebbe ripreso l'argomento, avrebbe sofferto ancora per quello che lei definiva un crimine e si sarebbe messa severamente in discussione.
Kaelee colse l'antifona e si sforzò di resistere a quello che le sembrava fuoco vivo sulla pelle martoriata.
«Mi racconti qualcosa mentre...?», implorò la ragazza, guardando Gisborne con i suoi grandi occhi di caramello.
«Possibile che tu abbia più paura di un ago che di una spada?», domandò retorico l'uomo, scuotendo il capo mentre si avvicinava a lei con l'ago reso sterile dalla fiamma.
«Perché Guy di Gisborne se sei di Locksley?», chiese allora lei ignorando le parole di Guy che le avevano causato non poco imbarazzo testimoniato dal rossore diffuso sul bel viso.
Senza fretta, Guy le si portò di fianco e le baciò amorevolmente il capo nel tentativo di tranquillizzarla.
«Mia madre aveva origini francesi, mentre mio padre era originario del villaggio di Gisburn», iniziò con voce pacata.
«Gisburn? Non ne ho mai sentito parlare», soffiò Kaelee interrompendolo e cercando lo sguardo di lui, che le sorrise immediatamente.
«I miei genitori si sono conosciuti in questo villaggio, di cui mio padre era Signore, e lì hanno vissuto per alcuni anni prima di unirsi in matrimonio. Mia madre, quando alla sera non volevo proprio addormentarmi, mi raccontava del grande Maniero in cui aveva vissuto insieme a mio padre e dei progetti che avevano fatto per il futuro. Il suo nome era Ghislaine e aveva morbidi capelli scuri che portava lunghi e quasi sempre liberi da acconciature». Mentre raccontava, Guy punse Kaelee a tradimento una prima volta facendola sobbalzare.
«Ahi!», strillò lei d'istinto, colta di sorpresa dal gesto di Gisborne il quale ridacchiò. «Va' avanti», borbottò ad occhi chiusi.
«Era una donna dal carattere forte, era in grado di maneggiare una spada e sapeva prendersi cura della sua famiglia. Quando lo scorso anno ho rivisto Isabella, lei mi ha ricordato molto Ghislaine». Guy fece una breve pausa per concentrarsi sul proprio operato. «Era già incinta quando il villaggio di Gisburn venne messo a ferro e fuoco per ordine dello Sceriffo. Pare che gli abitanti fossero restii a pagare le tasse, quindi lo Sceriffo pensò bene di offrire un esempio a tutta la Contea distruggendo il villaggio, che non venne più ricostruito. I miei genitori si salvarono per miracolo e si stabilirono a Locksley non senza difficoltà. Qui siamo nati sia io che mia sorella».
«È molto triste», sussurrò Kaelee con un tono che tradiva dispiacere e compassione, sfiorando con la mano libera il braccio di Guy.
Gisborne annuì. «Il resto della storia lo conosci e sai anche che il mio presente è molto migliore», mormorò chinandosi a sfiorare le labbra della donna che amava in un bacio delicato. Senza che Kaelee se ne fosse davvero resa conto, Guy aveva ultimato il lavoro sulla ferita di lei e la stava premiando con attenzioni ben più piacevoli.
L'espressione che l'uomo scorse sul viso di Kaelee quando lei comprese che il taglio era stato completamente ricucito fu di sincera sorpresa.
«Com'è possibile che non abbia sentito niente dopo il primo passaggio?», gli chiese, convinta che dovesse esserci un trucco.
«Eri distratta», spiegò lui accompagnando le parole ad un'alzata di spalle.
Kaelee gli rivolse un tenero sorriso prima di pretendere nuovamente le labbra di lui. «Mai distrazione fu più attraente», soffiò.



Nei mesi successivi accaddero molte cose in quel di Locksley e dintorni.

La riconoscenza manifestata dai cittadini di Nottingham a Gisborne per aver mandato via i Cavalieri Neri risparmiando la vita ai sopravvissuti allo scontro non si era limitata al giorno della vittoria. Per settimane Gisborne aveva ricevuto visite da parte di nobili e non i quali l'avevano pregato di accettare la nomina a Signore di Nottingham, e sebbene per l'uomo fosse inconcepibile che una richiesta del genere fosse fatta proprio a lui dopo tutto ciò che aveva combinato in quella città insieme allo Sceriffo Vaisey, si era ritrovato coinvolto in una serie di iniziative che avevano fatto arrivare all'orecchio di Re Riccardo l'acquisita fama di uomo giusto.
Guy non riuscì mai ad escludere che in quella faccenda ci fosse anche lo zampino di suo fratello Robin, notoriamente amico del Re, e anche se non si sentiva pronto per un incarico del genere non impedì agli eventi di fare il proprio corso.

Inoltre la mente di Gisborne era stata occupata per diverso tempo dalla necessità di mettere al corrente la famiglia di Kaelee dell'ormai imminente matrimonio. Se Gisborne si era sentito libero di chiedere la mano di Kaelee direttamente a lei, senza coinvolgere suo padre o suo fratello maggiore era sostanzialmente perché Dwight non si era opposto alla relazione quando si era trovato a Locksley insieme ad Aric per fermare Rudyard, ma voleva che per Kaelee quel giorno fosse perfetto. Conscio che non era possibile chiedere a Dwight ed Aric di spostarsi lasciando Rudyard a Edwinstowe con il resto della famiglia o, peggio ancora, con la madre, si era impegnato in un lungo e fitto scambio di missive con il maggiore dei fratelli della sua futura sposa ottendendone la benedizione oltre che una soluzione al problema. Sia Gisborne che Dwight, infatti, sapevano bene che Kaelee avrebbe sofferto per l'assenza di Aric al matrimonio ed erano intenzionati a impedire alla tristezza di trovare un posto a sedere alla festa.

Kate e Much, ormai stabilitisi definitivamente a Bonchurch, avevano annunciato di aspettare un bambino, scatenando tra gli ex fuorilegge non soltanto gioia immensa ma anche una serie di battute e discorsi vagamente piccanti - la maggior parte pensati da Allan ed Archer che quando si mettevano d'impegno riuscivano a far arrossire perfino l'essere umano meno pudico di tutta l'Inghilterra - che avevano animato le cene dei compari per diverso tempo e imbarazzato gli sposini.

Rose aveva tentato invano di non balbettare ed arrossire in presenza di Allan, così quest'ultimo aveva infine compreso che un tenero sentimento era sbocciato nel cuore di lei e, dopo averla invitata a fare una passeggiata nella foresta e condotta in una deliziosa valletta fiorita, con un bacio a fior di labbra - seguito da altri molto meno casti - l'ex fuori legge dai grandi occhi blu aveva sancito la nuova unione.
Inoltre, frequentando spesso Allan, Rose aveva iniziato a cambiare idea su Guy e Kaelee intravedendo nel primo parte di quel mutamento in meglio che gli si attribuiva e nella seconda la determinazione che le aveva permesso, tra le altre cose, di affiancare Gisborne nell'addestramento con la spada. Timidamente, la ragazza, aveva perfino chiesto e ottenuto di poter seguire le lezioni senza abbandonare arco e frecce.



Il giorno antecedente alle nozze, Bonchurch.
La felicità che Kate aveva provato quando Gisborne le aveva chiesto se lei e Much avessero potuto ospitare Kaelee per qualche giorno prima della cerimonia era stata così grande che la donna aveva gettato letteralmente le braccia al collo dell'uomo che un tempo aveva odiato. Se qualcuno le avesse detto, un anno addietro, che sarebbe diventata amica di Guy di Gisborne, Kate lo avrebbe mandato senza dubbio al diavolo considerando assurde sciocchezze quelle previsioni. La vita, aveva imparato la bionda donna di Locksley, riservava più sorprese di quanto ci si potesse aspettare. Del resto, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe andata in sposa ad un ex fuorilegge di nome Much, figlio di un mugnaio e servitore fedele di Robin di Locksley, da qualche tempo conosciuto come Lord Much il Difensore?
Kate era di umili origini e sin da bambina aveva dato una mano a sua madre a sfornare e decorare vasi, facendo di questa attività la sua massima ambizione finché nella sua esistenza non erano piombati Robin Hood e la sua banda. Col tempo si era resa conto che il sentimento per il capo dell'allegra combriccola era stato sì importante e grande, ma ciò che la legava ora a Much era qualcosa di ancor più profondo, di indissolubile. La leggera curva del suo abito all'altezza dell'addome ne era la testimonianza.
Kate aveva accolto con un caloroso abbraccio l'amica quando Guy l'aveva accompagnata fino a Bonchurch con la scusa di doversi trasferire a Nottingham per poter predisporre al meglio ogni cosa dal momento che si sarebbero sposati non a Locksley ma in città.

Kaelee ci stava capendo poco e niente di tutta quella situazione. Tra le forti emozioni per il matrimonio e gli strani impegni in cui Gisborne sosteneva di essere coinvolto era arrivata a Bonchurch senza ben comprendere il perché di quella necessità. Le uniche cose davvero chiare erano che lei e Guy si sarebbero sposati a Nottingham per conciliare il matrimonio con qualcosa d'altro - a lei completamente oscuro - e che al matrimonio sarebbe stata presente la sua famiglia al completo - cosa che la preoccupava non poco.
Aveva dovuto far fronte a così tanti pensieri negli ultimi giorni che era arrivata a credere che la testa le sarebbe scoppiata e sapeva che senza il supporto dei suoi amici non sarebbe mai riuscita ad uscirne senza perdere qualche rotella. Durante i giorni di permanenza a Bonchurch, infatti, tanto Kate quanto Much l'avevano rassicurata in merito al passo che stava per compiere e alle conseguenze che questo comportava.
A guardare Kate e Much, Kaelee era rimasta diverse volte stordita dall'amore che diveniva palpabile nelle stanze della tenuta grazie agli sguardi ricchi di quel sentimento, alle leggere carezze che l'uomo riservava alla sua sposa, ai dolcissimi baci sparsi sul viso prima di raggiungere le labbra. A Kaelee parve che i due fossero avvolti da una meravigliosa luce che sentì irradiarsi intorno fino a toccare anche lei, rilassandola e tranquillizzandola.

Il giorno prima del matrimonio, Kate e Kaelee si ritrovarono sole ed in vena di confidenze.
«Ci siamo quasi! A cosa stai pensando?», domandò Kate stringendo le mani dell'amica nelle proprie e investendola con un sorriso radioso.
Kaelee si domandò se quello fosse un effetto della gravidanza oltre che del matrimonio e non poté fare a meno di pensare a se stessa nella medesima situazione che, lo sapeva, prima o poi si sarebbe verificata.
«Mi risulterebbe più semplice dirti a cosa non sto pensando, mia dolce Kate», sospirò la giovane donna.
«Ti ascolto, affrontiamo una questione per volta, d'accordo?», propose l'altra, paziente.
Kaelee non poté fare a meno di sorriderle di rimando in un muto ringraziamento. Soltanto qualche mese prima si era ritrovata lei a placare la crisi isterica di Kate.
«Sono felice», mormorò con aria sognante, «e impaziente. Sono arrivata a Locksley con l'intento di lavorare sodo e mantenermi da sola, di non dipendere da nessuno. Non avevo messo in conto l'amore», continuò. Il suo sorriso si fece più ampio mentre pensava a Guy. «Domani è davvero un grande giorno per me. Sono ansiosa di riabbracciare Aric e di rivedere Guy perché sebbene io stia molto bene con te e Much, perdonami, ma ho bisogno che lui mi stringa», ammise Kaelee facendo ridere Kate e ridendo lei stessa di gusto. «Ma c'è una cosa che mi preoccupa...».
«Racconta, non tenermi sulle spine», la invitò Kate.
«La scorsa settimana ho origliato una conversazione», confessò e nel vedere Kate spalancare gli occhi sentì l'esigenza di giustificarsi immediatamente. «Lo so, lo so! Non è educato e non è corretto, ma stavano parlando nella stanza di fianco a quella in cui mi trovavo io e...», spiegò velocemente.
«Stavano parlando chi?», intervenne Kate.
«I Tre».
«Naturalmente... E cosa si sono detti?», chiese curiosa la bionda.
«Kate!», esclamò l'altra fingendosi sconvolta da una domanda così sfacciata.
«Me l'avresti raccontato ugualmente. E poi sei stata tu a origliare, non dimenticarlo!», rispose Kate divertita.
«E va bene, se insisti... Parlavano di Nottingham e di Re Riccardo», soffiò per poi aggrottare le sopracciglia. «Perché il Re dovrebbe venire a Nottingham, Kate?».


Nottingham.
Gisborne, con il prezioso contributo dei suoi fratelli, dopo aver sistemato Kaelee a Bonchurch affinché affrontasse ogni attacco d'ansia con la sua migliore amica e non si preoccupasse di ciò che lui stava organizzando, accolse nel migliore dei modi la famiglia di Kaelee offrendo un comodo alloggio e non sottraendosi ad un pacato confronto verbale con Rudyard e sua madre in presenza di Dwight. Indubbiamente l'uomo che aveva creato scompiglio a Locksley e Nottingham si era ridimensionato e non sembrava avere intenti omicidi verso Guy o Kaelee, ma era ancora ben lontano dall'essere un uomo pacifico. Se non altro sfogava gli scatti d'ira lavorando la terra di famiglia e aveva perso in parte il ghigno malefico.
Rudyard si dichiarò contrario a quel matrimonio e Guy non si aspettava di certo una posizione diversa da quella, ma diede parola che né lui né sua madre si sarebbero opposti il giorno delle nozze perché
«Non abbiamo alcuna speranza di spuntarla», aveva affermato ridendo di cuore, senza cattiveria. «Le voci del vostro scontro con i Cavalieri Neri sono giunte fino a Edwinstowe e so che Kaelee era presente. Ha saputo guadagnarsi la felicità».
I due conclusero lo scambio con una stretta di mano.

Ma i familiari di Kaelee non erano gli unici ospiti attesi a Nottingham.
Gli uomini di Robin Hood erano in gran fermento per l'arrivo di Re Riccardo in persona il quale aveva fatto sapere, qualche settimana addietro e tramite una rappresentanza di cavalieri, che avrebbe condiviso con piacere del tempo in compagnia dei vecchi amici e avrebbe assolto volentieri ad un compito che Dio, l'Inghilterra e il suo popolo gli avevano destinato. Popolo che era stato informato da Robin dell'importante visita soltanto con tre giorni d'anticipo.
Il giorno precedente alla cerimonia, il Re giunse in città accompagnato dai più valorosi Cavalieri di tutta l'Inghilterra e immediatamente si insediò nel vecchio Castello di Nottingham che, per l'occasione, era stato allestito come si conviene per un Re del calibro di Riccardo Cuor di Leone. Non passarono molte ore che Robin Hood e i suoi erano già nella fortezza a chiacchierare amabilmente con Sua Maestà.


Bonchurch.
«Il Re? Sei certa di non aver capito male?», chiese Kate tenendo ancora le mani della giovane donna tra le proprie.
In quel mentre Much rientrò nella tenuta e bussò gentilmente alla porta della stanza in cui si trovavano le due donne, interrompendo la loro conversazione per effettuare una consegna molto importante.
Dopo essere stato invitato ad entrare, Much dedicò un primo sguardo a sua moglie e così le comunicò ancora una volta l'intensità del sentimento che lo legava a lei, poi si rivolse a Kaelee porgendole quello che pareva un fascio di stoffa.
«Torno da Nottingham e una persona speciale mi ha pregato di portarti questo», disse l'uomo sorridendo alla giovane donna. «Perdonatemi se non mi trattengo, ma ho certe questioni da sbrigare», aggiunse con fare leggermente nervoso. Se c'era una cosa che Much non sapeva fare era mentire, ragion per cui si era opposto con determinazione a quel ruolo che Robin e i fratelli di Kaelee avevano deciso di affidargli, senza successo.
Quando vide Kaelee aggrottare le sopracciglia e guardarlo con occhi colmi di dubbio e sospetto, Much seppe che era necessario dileguarsi alla svelta se non voleva che lei e Kate si mettessero a fargli domande scomode che avrebbero certamente smascherato tutti i piani.

«Questioni?», chiese Kaelee.
«Che tipo di questioni?», le fece eco Kate.
Much deglutì ripetendosi le parole di Robin - "Much", gli aveva detto, "Soprattutto Kaelee non deve sapere nulla della presenza del Re e dell'abito che Dwight e Aric hanno fatto cucire appositamente per lei, non prima di aver letto il loro messaggio, mi hai capito bene? Non sono riuscito a nascondere a Gisborne di Riccardo, almeno proviamoci con la futura sposa!" - mentre cercava una risposta consona. Di capire aveva capito benissimo, ma la pratica era sempre stata tutt'altra cosa rispetto alla teoria.
«Da uomini. Questioni da uomini!», esclamò pensando di avere così guadagnato il tempo necessario alla fuga. «Buon proseguimento!», aggiunse in fretta. Baciò Kate sulla fronte e lasciò la stanza e la tenuta.

Le due donne si scambiarono un'occhiata colma di interrogativi.
«Ma che gli è preso?», chiese Kaelee tastando la stoffa che avvolgeva qualcosa di decisamente morbido.
«Much è strano di suo, ma oggi lo è più del solito», rifletté Kate scatenando la risata di entrambe. «Non sei curiosa di scoprire di cosa si tratta?», aggiunse.
Kaelee si fece di nuovo pensierosa nel tentativo di mettere insieme i pezzi. Nel giro di qualche settimana era successo l'impossibile: i preparativi per le nozze avevano preso il via ufficialmente, Guy aveva iniziato a comportarsi in modo strano assentandosi spesso senza fornire spiegazioni esaurienti, il popolo sembrava essere su di giri da quando Nottingham era stata liberata ancora una volta dalla prepotenza del Principe Giovanni e dei suoi Cavalieri Neri, i Tre si erano riuniti più volte e durante uno di questi incontri avevano fatto il nome del Re, si era deciso che lei trascorresse i giorni precedenti alla cerimonia a Bonchurch anziché a Locksley o Nottingham con Guy e infine Much aveva recapitato uno strano dono proveniente da Nottingham. La giovane donna si sentì più confusa di prima e nella consapevolezza di non poter in alcun modo arrivare alla verità senza muoversi di nascosto da Bonchurch - cosa che Kate non avrebbe mai approvato - si arrese al corso degli eventi e sospirò.
«Dici che è da parte di Guy?», chiese Kaelee senza rispondere alla domanda postale da Kate.
«È probabile. Credo di sapere cosa sia... Avanti aprilo!», esclamò l'altra animata da improvviso entusiasmo.
Kaelee era titubante, ma presto cedette all'insistenza di Kate e quando portò alla luce ciò che le era stato donato per poco non perse i sensi. Ma come aveva fatto a non arrivarci subito? Come aveva potuto dimenticarsene?
«Oh cielo...», soffiò ad occhi sgranati.
Avvolto in una guaina di velluto scuro c'era un delizioso abito da sposa accompagnato da un biglietto.
Kaelee sapeva che il vestito che avrebbe indossato sarebbe stato una sorpresa e che l'avrebbe ricevuto all'ultimo momento perché Gisborne l'aveva pregata di lasciare che fosse lui ad occuparsene e lei non aveva saputo resistere. Ancora senza fiato, la futura sposa passò la piccola pergamena a Kate chiedendole se poteva leggergliene il contenuto.
«Dice così: "È solo grazie al sentimento che Sir Guy nutre nei tuoi confronti se abbiamo avuto l'onore di elogiarti con questo dono. Possa la vita sorriderti sempre. Tuoi amatissimi, Dwight e Aric"». La voce di Kate si affievolì sul finale per la commozione che la invase.
«Questa me la pagano», singhiozzò felice Kaelee tra le lacrime.


Il giorno delle nozze, Nottingham.
Il panico che aveva stretto Kaelee in una morsa quando una carrozza messale a disposizione per l'occasione era giunta a Bonchurch per condurla a Nottingham di primo mattino non l'aveva lasciata un attimo neanche durante il tragitto. La giovane donna non avrebbe mai voluto affrontare quel breve viaggio da sola, senza la sua confidente e amica Kate la quale si era occupata di lei come sua madre non aveva mai fatto in tutta la vita e che l'avrebbe raggiunta in città più tardi con Much, perché sapeva che in quel frangente la bella Sherwood non sarebbe riuscita a consolarla con i suoi giochi di luce sulle foglie cangianti.
L'atteggiamento di Kaelee verso i preparativi alla cerimonia era stato ben diverso dall'isteria di Kate, ma in cuor suo la ragazza aveva sepolto un urlo che premeva costantemente per uscire. Non aveva paura di sposare Gisborne - il quale rappresentava la chiave del suo personale riscatto, della felicità conquistata - ma temeva di non essere all'altezza della situazione e del suo futuro marito. Più che altro Kaelee non riusciva a togliersi dalla testa il titolo nobiliare di Gisborne e anziché gioirne, come forse una qualsiasi donna avrebbe fatto nel ricevere le attenzioni di un Cavaliere, ne faceva un problema. Si sentiva inferiore e inadatta sebbene mai Gisborne l'avesse trattata come una semplice contadina, facendola anzi sentire spesso una principessa, e i ragionamenti in cui si era impelagata la condussero presto a domandarsi cosa avrebbero pensato di quel matrimonio i genitori di Guy se fossero stati ancora vivi. L'avrebbero approvato oppure avrebbero considerato folle una simile scelta, un disonore per la famiglia?
Kaelee non possedeva nulla, pertanto nulla poteva offrire a Gisborne se non se stessa e questo la faceva impazzire più degli incessanti sobbalzi della carrozza che le facevano venire nausea e mal di testa - oppure era uno scherzo della mente? - perché era convinta che tra i due a guadagnarci sarebbe stata soltanto lei. Eppure era certa che Guy non l'avrebbe lasciata né all'altare né più avanti nel tempo. A sostegno di quella tesi era lo sguardo sempre limpido di Gisborne tutte le volte che l'aveva guardata, perciò Kaelee comprese che quando le era capitato di vacillare era stato a causa sua e non dell'uomo che amava, capì che ciò che più doveva temere in quel momento era se stessa e quegli assurdi pensieri che cercavano da giorni di confonderla. Prese quindi un profondo respiro e si lasciò sfuggire un sorriso mentre l'occhio scivolava sulle proprie dita e su quell'anello che Gisborne le aveva donata il giorno del matrimonio di Kate e Much. Un anello che rispecchiava inequivocabilmente la loro relazione. Un anello che lui aveva commissionato esclusivamente per lei come pegno del suo amore.

La carrozza non si fermò finché non raggiunse l'ingresso al vecchio Castello di Nottingham dove ad attendere Kaelee c'erano la sua famiglia al completo e i componenti della vecchia banda di Robin Hood con l'aggiunta di alcuni nuovi amici tra i quali spiccava la solare Nettie che Kaelee vide saltellare sul posto, euforica. Pur non potendo dire che la conosceva bene, Kaelee era quasi del tutto certa che Nettie fosse quel raro tipo di persona capace di gioire sinceramente per gli altri e questo faceva di lei un'amica preziosa.
La sposa provò una punta di immensa delusione nel non scorgere non soltanto Gisborne ma anche nessuno dei suoi due fratelli. Che sciocca, pensò di se stessa, era del tutto normale che Guy non fosse lì ad attenderne l'arrivo dal momento che si sarebbero incontrati in Chiesa, al cospetto di Dio e di Fratello Tuck. In compenso aveva molte altre persone da salutare, Aric su tutti. L'incontro con i fratelli fu in linea di massima piuttosto impacciato e se con Dwight e Aric Kaelee chiacchierò in modo del tutto naturale, si chiuse in un silenzio imbarazzante dinanzi a sua madre, - la quale non riuscì neanche a guardarla negli occhi per più di qualche secondo - Willard e soprattutto Rudyard. Kaelee fu sul punto di chiedergli cosa ci facesse proprio lui al suo matrimonio, con quale coraggio avesse osato presenziare all'unione di due persone che aveva tentato di uccidere in più di un'occasione, ma riuscì a tenere a freno la lingua non volendo mettersi a litigare in un giorno come quello. Sapeva che se si fosse scatenata una discussione non soltanto Dwight sarebbe immediatamente intervenuto, ma anche gli ex fuorilegge, che l'avevano tutti accolta con gran baccano e non senza esprimersi in complimenti sfacciati per via dell'abito aderente, avrebbero fatto altrettanto. Con suo padre, invece, Kaelee si scambiò uno sguardo d'intesa e seppe che sarebbe stato sempre dalla sua parte, che lo era stato anche prima e dopo la sua partenza sebbene non si fosse mai esposto.
Tornando all'abito che Dwight e Aric le avevano regalato si può dire che fosse semplice per il taglio, ma per nulla anonimo grazie alle deliziose rifiniture. Si trattava di una lunga veste aderente di colore bianco - non quel tipo di bianco candido e brillante, ma un bianco che si collocava, a seconda della luce che lo colpiva, tra beige, celeste e verde chiarissimi - caratterizzata da una fitta trama floreale tono su tono che si arrampicava per tutto l'abito dall'orlo fino alla scollatura generosa ma non volgare. Ad arricchire e decorare quest'ultima una leggera frangia arricciata in tessuto trasparente lambiva la pelle chiara della donna e nel contempo richiamava le maniche dell'abito, anch'esse lievi e trasparenti quasi fossero fatte di vapore, fermate sopra al gomito da un fiocco delicato. Una ghirlanda di candidi fiori e verdissime foglie - atta a sostenere un morbido velo - abilmente sistemata sui capelli della sposa completava l'opera. Kaelee era certa di non aver mai indossato abito più bello in vita sua.

Kaelee ebbe conferma che qualcosa di strano era successo o stava ancora succedendo a Nottingham, quando invece di condurla verso la Chiesa della città, gli uomini di Robin la invitarono a raggiungere insieme ai suoi familiari la cappella della Fortezza. Solo quando osservò davvero il vecchio Castello notò le insegne di Riccardo Cuor di Leone esposte alle alte finestre e da ambo i lati dell'enorme ingresso. Incontrando lo sguardo di Kate - la quale nel frattempo, come promesso, l'aveva raggiunta insieme a Much - Kaelee ebbe la sicurezza che entrambe stavano ripensando alla conversazione avuta il giorno precedente: dunque le conclusioni cui era arrivata dopo aver involontariamente origliato i Tre erano giuste e il Re si trovava davvero a pochi passi da lei. Kaelee percorse corridoi e sale senza guardare dove metteva i piedi, gettando solo uno sguardo fugace alle decorazioni per la cerimonia e agli stendardi dai disegni geometrici neri e gialli che non aveva mai visto prima, ma che sapeva non appartenessero a Re Riccardo, perché nella sua testa si era scatenato di nuovo il caos più totale. Vestire quell'abito fin troppo appariscente in confronto alla sua tenuta quotidiana, inoltre, la rendeva ancora più nervosa dandole la sensazione di avere tutti gli occhi dei presenti puntati su di sé.
Giunti dinanzi alla porta chiusa di quella che un tempo era stata la cappella privata dello Sceriffo di Nottingham, il gruppo costituito da familiari e amici si fermò per dividersi definitivamente in quanto Kaelee avrebbe fatto il suo ingresso soltanto accompagnata da suo fratello Dwight come lei stessa aveva deciso quella mattina. Le era costato un mal di pancia insostenibile dover compiere quella scelta necessaria, ma in cuor suo sentiva di dover offrire una seconda opportunità al rapporto con suo fratello maggiore e ritenne che non le sarebbe mai più capitata un'occasione migliore di quella. Perciò mentre anche Kate spariva oltre la massiccia porta in legno scuro, Kaelee rimase immobile in compagnia di suo fratello, con le gambe malferme a causa dell'agitazione che provava al pensiero di ciò che stava per accadere.
Dall'interno della cappella proveniva un chiacchiericcio diffuso e Kaelee immaginò tutti gli abitanti di Locksley e la banda al completo in attesa soltanto che lei entrasse, così come Gisborne che in quel momento doveva trovarsi davanti all'altare, probabilmente con il cuore in gola anche lui.
Appena Dwight le porse il braccio Kaelee sentì le lacrime minacciare di sfuggirle, ma si fece coraggio e si aggrappò a suo fratello con tutta la forza che le era rimasta.
«Sta' tranquilla, sei perfetta», le sussurrò prima di varcare la soglia.

Stavolta Gisborne non aveva infranto le regole andando incontro alla sposa prima dell'inizio ufficiale della cerimonia e anzi, per essere più precisi, non vedeva Kaelee da diversi giorni e ne sentiva la mancanza come mai prima di quel giorno. Per certi versi si sentiva in colpa per non aver placato personalmente dubbi e paure che certamente avevano attanagliato la giovane donna nelle ore precedenti al matrimonio, ma forse era stato meglio così dato che lui per primo non era stato capace di affrontare i propri spettri.
Sebbene non dubitasse affatto dell'amore che Kaelee provava per lui, l'immagine di Marian che cambiava posto all'anello solo per assestargli un pugno in pieno volto e fuggire via a gambe levate lasciando attonito il prete era tornata a torturarlo e lui aveva scaricato la tensione su Robin e Archer, entrambi felicissimi che il fatidico giorno fosse infine arrivato. Gisborne pensò che avrebbe dovuto chiedere loro scusa una volta finiti i festeggiamenti.
Il suo cuore batteva all'impazzata, tanto che l'uomo non avrebbe mai creduto che potesse correre più veloce di così, ma appena la vide risplendere quasi di luce propria, perfettamente fasciata nel suo abito bianco, si rese conto di aver avuto torto per tutto il tempo e gli parve che il cuore gli stesse fluttuando nel petto, in attesa di uscire e volare verso Kaelee.

Una piccola parte di lei aveva sperato che per una volta Guy avrebbe indossato un colore diverso dal nero e invece, quando l'uomo entrò nel suo campo visivo le sue speranze si infransero quasi completamente. Quasi, perché Gisborne indossava uno dei suoi completi migliori, uno di quelli tenuti insieme da decine di lacci e fibbie intrecciati ad arte, ma dalle spalle una lunga ed ampia stoffa nera con ricami dorati scivolava fino a terra in un regale mantello che Kaelee associò, per i colori, a quelle insegne gialle e nere che aveva visto in tutta la Fortezza. Non l'aveva mai visto abbigliato in quel modo, né con i capelli perfettamente in ordine, e lo trovò bellissimo.
I pochi metri che la separavano da lui sembravano moltiplicarsi ad ogni passo e la donna era così concentrata sullo sposo da non accorgersi che dietro l'altare si ergeva un'alta e imponente figura, che niente aveva a che fare con Fra Tuck, finché questa non parlò con voce profonda e imperiosa, causando un brivido di timore in Kaelee, la quale aveva infine raggiunto la posizione che quel giorno le spettava: davanti all'altare e di fianco all'uomo che amava.
«È con il favore di Dio e dell'Inghilterra che mi trovo qui ad assolvere al gradito compito di unire sotto la bandiera dell'amore due anime coraggiose e colme di luce. Ed è per lo stesso insindacabile volere che mi impegno quest'oggi a nominare il nuovo e giusto Signore di Nottingham», esordì quell'uomo che Kaelee comprese essere Re Riccardo in persona. La sposa lo guardò per la prima volta e si sentì venir meno, per l'ennesima volta, per l'emozione. Tutta quella faccenda appariva surreale ai suoi occhi, gli occhi di una fanciulla del popolo la cui ambizione più grande avrebbe dovuto essere dare figli ad un uomo che l'avrebbe presa sotto la sua protezione. Kaelee aveva già dimostrato a se stessa e a chi l'aveva conosciuta di non essere una donna avvezza alle regole ingiuste, ma un incontro con il Sovrano d'Inghilterra era oltre ogni sua più rosea previsione. Sebbene Kaelee non avesse alcuna nozione politica o militare e poco conoscesse di ciò che veniva deciso a Londra dagli uomini più potenti, sapeva che Riccardo Cuor di Leone non regnava contro il popolo perché, in tal caso, non avrebbe avuto la stima di Robin Hood il quale invece lo aveva orgogliosamente servito in Terra Santa - di questo Kaelee era certa perché aveva sentito raccontare quella storia più di una volta. A guardarlo bene la donna pensò che il soprannome con cui era conosciuto Riccardo I non derivasse soltanto dal coraggio che lo aveva portato a combattere in prima linea insieme ai suoi Cavalieri Crociati, ma fosse stato ispirato anche dal suo aspetto. Il Re, infatti, aveva voluminosi capelli ricci dal colore indefinibile che si collocava tra il biondo ed il rosso, così simili alla criniera di un leone che l'associazione era quasi impossibile da evitare; inoltre anche il suo volto ricordava in qualche modo, nei lineamenti, il regale felino. Kaelee pensò che mai epiteto fu più azzeccato per quell'uomo alto e massiccio, elegantemente vestito, simbolo stesso dell'Inghilterra e del popolo inglese.
«Ma procediamo con ordine e anteponendo, senza dubitare, un sentimento intenso quale è l'amore all'ambizione per un titolo che senza un animo nobile a rappresentarlo è inutile quanto pericoloso. È dunque a voi che mi rivolgo», affermò con convinzione il Re guardando Guy e Kaelee con quei suoi occhi chiari e incredibilmente vivi. «Guy Crispin di Gisborne, ti impegni dinanzi a Dio ad onorare e rispettare il sacro vincolo del matrimonio finché la luce di Nostro Signore lo riscalderà e a maggior ragione quando l'ombra si proietterà su di esso?», domandò in tono solenne il Re.
«Mi impegno». La voce di Guy arrivò decisa ed emozionata alle orecchie di Kaelee.
«Kaelee Lilas di Edwinstowe, vuoi tu al cospetto di Dio consacrare la tua vita ed il tuo cuore all'indissolubile legame di cui lo sposalizio necessita tanto nelle gioie quanto nelle avversità?», chiese ancora Re Riccardo rivolgendosi stavolta direttamente a lei.
Kaelee dovette mandar giù con forza il fastidioso nodo alla gola che le avrebbe impedito di rispondere come voleva.
«Lo voglio», riuscì a dire con voce ferma, manifestando ancora una volta quella determinazione che la caratterizzava.
Il Re sorrise gentile, quasi che fosse anche lui coinvolto nelle emozioni che animavano il cuore di Kaelee in quel momento, prima di invitare Gisborne a baciare la sposa. Kaelee si voltò istintivamente verso l'uomo al suo fianco e lo vide chinarsi, sentì il suo braccio cingerle un fianco e la mano premere sulla schiena, vide il sorriso sulle labbra sottili ed una luce accecante negli occhi limpidi prima di avvertire il calore del bacio, primo atto di una nuova vita da vivere in due. Non poté non ricambiare avvolta dagli applausi dei presenti e dalla risata baritonale del Re. Non poté non avvampare e non poté non sorridere sulla bocca di Guy mentre portava entrambe le mani sulla sua schiena, sotto al mantello.
«Va bene, va bene», li interruppe Cuor di Leone. «Credo sia chiaro a tutti noi quanto ardenti siano i vostri sentimenti, ma non posso ancora concludere la cerimonia e dare il via ai festeggiamenti».
L'euforia degli invitati sfumò lentamente insieme al bacio ripristinando il solenne silenzio che la situazione pretendeva e il Re si spostò ponendosi davanti all'altare e di fronte a Gisborne, così vicino a Kaelee che lei poté sentire il profumo fresco delle sue vesti. Quando il sovrano estrasse la spada dal fodero Kaelee si irrigidì non comprendendo il perché di quel gesto, troppo distratta per aver ascoltato davvero le parole che avevano dato inizio alla cerimonia.
«Sir Guy di Gisborne, Cavaliere d'Inghilterra, servo fedele della Patria e di Dio, io ti nomino Signore di Nottingham. Possa tu deciderne le sorti migliori e governarla sempre in pace». Nel pronunciare quelle parole, il Re toccò le spalle di Gisborne con la lama mentre lui, a capo chino ed in ginocchio, rimase immobile fin quando l'arma si accomodò nuovamente nel prezioso fodero.
Kaelee osservò
la scena a pochi centimetri dai due uomini, spostando lo sguardo ora sul Re, ora su Guy il quale ai suoi occhi appariva maestoso mentre veniva proclamato Signore di Nottingham. L'aveva compreso, finalmente. Pian piano i pezzi del mosaico, che si erano sparsi qua e là in modo confuso negli ultimi mesi, erano diligentemente finiti ognuno al proprio posto offrendo a Kaelee un quadro molto chiaro della situazione che stava vivendo: evidentemente i cittadini di Nottingham erano rimasti molto colpiti dalle parole che Gisborne aveva rivolto a Lord Wyatt di Rochford, con ogni probabilità la voce si era sparsa e forse qualcuno aveva chiesto a Robin Hood di intercedere affinché la città avesse una degna guida dal momento che ne aveva innegabilmente bisogno; le richieste del popolo erano in qualche modo arrivate al Re - quasi certamente attraverso Robin - il quale si era reso disponibile comunicando la data esatta in cui si sarebbe trovato a Nottingham; a quel punto era stata decisa anche la data del matrimonio e non era un caso che le due coincidessero di modo che il Re presiedesse entrambe le cerimonie.
Una serie di applausi e grida gioiose riecheggiarono nella cappella scomponendo i pensieri di Kaelee che puntò gli occhi in quelli di Guy in cerca di tutto ciò di cui aveva bisogno. 
Di nuovo venne travolta dal sorriso radioso di suo marito il quale le tese la mano in cerca di un contatto e di un nuovo bacio.
«Lady Gisborne», soffiò l'uomo sulle sue labbra«Posso avere l'onore di mostrare al mondo intero mia moglie?», chiese poi indicando l'uscita.
Lei rise ritenendo che Guy stesse esagerando, ma non lo contraddisse. «Con molto piacere», sussurrò.
Con le dita intrecciate, gli occhi lucidi e un sorriso davvero difficile da spegnere, gli sposi si inchinarono dinanzi a Re Riccardo e percorsero a ritroso, festeggiati da amici e parenti, il tragitto che li aveva condotti a quella cappella.





N.d.A.
Questo capitolo è veramente corposo, chiedo scusa. Ormai siamo quasi arrivati al termine dell'avventura e mi sembra di avere ancora così tante cose da raccontare! La verità, forse, è che non vorrei lasciare questi personaggi. Oppure semplicemente sento la necessità di sistemarli tutti in modo che possano essere felici.
Ci tengo a fare qualche precisazione. In un episodio della prima stagione Gisborne dice che il luogo da cui ha preso il nome non esiste più, da qui lo spunto di usare il villaggio di Gisburn (che esiste davvero); Ghislaine è davvero il nome della madre di Guy e Isabella; nella serie tv non è specificato nulla in merito alla famiglia di Much, perciò ho preso l'informazione da Alexandre Dumas; il secondo nome di Guy - Crispin - viene utilizzato nella serie tv al momento del (quasi) matrimonio con Marian, mentre il secondo nome di Kaelee - Lilas - l'ho "rubato" ad Alexandre Dumas (Lilas è un personaggio del suo Robin Hood); gli stendardi gialli e neri che vede Kaelee appartengono a Gisborne e compaiono nella serie tv.
Ringrazio chiunque di voi sia arrivato fino a qui, silenziosamente o lasciando traccia del proprio passaggio.
A presto!

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Capitolo 25
*** Tempo di Partenze ***


Venticinque


Tempo di Partenze

Nottingham.

Erano occorse alcune settimane a Guy e Kaelee per trasferirsi definitivamente in città e lasciare la casa a Locksley in mano agli amici della banda di Robin Hood che l'avrebbero tenuta in perfetto ordine per ogni necessità, come ad esempio la scelta, non unanime, della famiglia di Kaelee di trattenersi dopo il matrimonio. Tra tutti, sicuramente Rudyard e sua madre erano i meno contenti, ma non essendo loro concesso di spostarsi autonomamente dal nucleo familiare erano stati costretti a cedere e adeguarsi alla volontà degli altri componenti per la felicità soprattutto di Aric e Kaelee.
Un'abitazione priva di giardino e di un orto da coltivare, situata all'interno di alte mura
grigie e dalle cui finestre era impossibile vedere Sherwood non era ciò che Kaelee aveva immaginato per se stessa, soprattutto dopo aver vissuto un anno a Locksley. Eppure comprendeva l'esigenza di suo marito di risiedere a Nottingham per poter adempiere ai suoi doveri di Signore della città, perciò non gliene faceva una colpa - tanto più perché aveva convenuto con lei che abitare nella Fortezza come aveva fatto il vecchio Sceriffo quando quell'edificio era Castello della città sarebbe stato ancora peggio e terribilmente triste - preferendo invece godersi il suo nuovo inizio nei panni di Lady Gisborne. Ancora non si era abituata ad essere chiamata così, tant'è ch'era accaduto diverse volte che, uscendo per andare in Piazza in occasione del Mercato settimanale, qualcuno la salutasse a vuoto appellandola con il titolo che aveva ereditato sposando Guy perché soltanto dopo diversi minuti, quando il suo cervello aveva infine registrato e assimilato, riusciva a voltarsi per ricambiare anche se era sempre categoricamente troppo tardi. Perciò aveva chiesto a tutti di essere chiamata semplicemente Kaelee, non ottendendo però che la sua richiesta venisse esaudita in quanto come sposa del Signore di Nottingham era necessario portarle il rispetto che meritava. Era una delle tante regole della nobiltà che fino a quel momento Kaelee aveva ignorato ed evitato, ma alle quali non più poteva sfuggire.

Quando per l'ennesima volta il macellaio la ossequiò e lei rischiò di non curarsene assumendo involontariamente un atteggiamento altezzoso se non maleducato, Kaelee ricordò tra sé e sé la conversazione avuta con Guy la prima volta che non aveva risposto ad un saluto e ne sorrise passeggiando per le strade di Nottingham verso la nuova dimora insieme al più giovane dei suoi fratelli.


Svoltato l'angolo e imboccata una via secondaria, Kaelee si mise a correre così veloce che fu solo per miracolo se non perse metà del contenuto della sua cesta, colma degli acquisti della giornata. Si vergognava moltissimo perché aveva completamente ignorato l'Abate di Kirklees finché il fabbro, suo amico, non le aveva fatto notare il guaio che aveva combinato. Quasi sfondò la porta di casa e quasi travolse Gisborne che, seduto al tavolo in mezzo alle scartoffie che il suo nuovo ruolo contemplava, la guardò stralunato, preoccupato e confuso.

Le servì una buona mezz'ora per calmarsi e questo accadde soprattutto grazie al paziente intervento di Guy il quale le assicurò che avrebbe parlato personalmente con l'Abate per chiarire il malinteso e la rassicurò ritenendo che sarebbe stato necessario far trascorrere del tempo prima che si abituasse a quella novità.
«Lady Gisborne», sussurrò infine lui con quel tono che la faceva impazzire, quello colmo di malizia e sottintesi, quello che le incendiava il viso e non solo.
«Non migliori la situazione, Guy», soffiò lei provando a risultare seria per smentirsi subito dopo cercando le labbra di lui per un bacio appassionato.
«Lady Kaelee Lilas di Gisborne», continuò lui, senza pietà, come se l'unico scopo nella sua vita fosse stordirla, confonderla, mandarla fuori di testa. «Sul serio ti chiami Lilas?», le domandò con un pizzico d'ironia mentre prendeva fiato dopo l'ennesimo bacio che prometteva di farli finire entrambi tra le lenzuola.
«Proprio tu parli, Lord... Crispin?», lo canzonò lei scoppiando a ridere.
Per tutta risposta lui la sollevò di peso e la portò difilato in camera da letto per una punizione esemplare.


Quel giorno la donna rientrò, quindi, a casa in compagnia di Aric, recando con sé alcune stoffe che voleva assolutamente mostrare a Guy. Non trovandolo all'interno dell'abitazione decise di ammazzare il tempo dedicandosi al pranzo e alle chiacchiere. Kaelee non era mai stata una cuoca provetta, ma grazie al periodo trascorso accanto a Kate, ai suggerimenti di Much e alle ricette che lui aveva fatto trascrivere appositamente per cedergliele in una sorta di regalo di nozze, Lady Gisborne faceva progressi giorno dopo giorno. Pian piano stava imparando ad utilizzare al meglio tutte le spezie di cui disponeva e iniziava a non confonderle più una con l'altra scambiandole durante la cottura degli arrosti o delle minestre, rendendoli così quasi immangiabili anche se Guy insisteva nel dire che tutto ciò che lei cucinava era ottimo. Il pensiero più ricorrente nelle ultime settimane, per Kaelee, era "Che adorabile bugiardo".
Mentre un aroma di salvia e timo si diffondeva per tutta la stanza, Kaelee notò che Aric era particolarmente silenzioso e si torceva le mani con lo sguardo abbassato sul tavolo, evidentemente a disagio. La donna aggrottò le sopracciglia manifestando apertamente la propria confusione in quanto un atteggiamento simile da parte di suo fratello le risultava piuttosto strano. A pensarci meglio, in effetti, per tutto il giro del Mercato non aveva parlato granché intanto che lei acquistava.
«Aric... Sei ancora tra noi?», mormorò con un sorriso dolce sulle labbra.
«Mh? Sì, sì. Vuoi dirmi qualcosa?», chiese lui, sulla difensiva, guardandola soltanto per un attimo e voltandosi poi verso una delle finestre.
A quel punto Kaelee fu certa che suo fratello le stava nascondendo qualcosa, che qualcosa lo preoccupava tanto da zittirlo a quel modo. «Solitamente non cerco un dialogo con i muri», lo provocò per testarne la reazione.
«Quindi adesso sono un muro. Fortuna che me l'hai fatto notare!», le rispose Aric sarcastico.
«Tu come chiameresti una persona che si comporta come te? Sono pur sempre una donna di poca cultura: illuminami!», fece lei imitando il tono di suo fratello. A Kaelee non piaceva affatto litigare, anzi, ogni volta che le capitava di essere coinvolta in un litigio poi ci pensava e ripensava per ore intere senza darsi pace, cercando il motivo della lite e lo sbaglio che aveva condotto lei e l'altro interessato al punto di rottura, ma non sopportava essere trattata con sufficienza o arroganza per ragioni a lei ignote. Quindi non era per niente contenta della situazione che si stava venendo a creare, tuttavia non poteva lasciare che Aric tornasse a Edwinstowe con quell'aria triste, pensierosa, preoccupata, e per quanto cercasse di controllarsi non le riusciva di essere diplomatica con lui.
Aric la guardò finalmente in faccia, colpito dalle parole di lei. «Ti ho mai dato dell'ignorante?», le chiese mantenendo la calma.
«No, ma non è merito tuo se oggi me la cavo sia a leggere che a scrivere». Questa era cattiva e Kaelee se ne rese conto un secondo più tardi. «Scusami. Non era mia intenzione dir...», aggiunse immediatamente senza però riuscire a concludere la frase.
«No, non scusarti. Hai detto solo la verità! Io non conto niente per te!», esclamò battendo i palmi sul tavolo in legno mentre si alzava di scatto.
La donna ebbe la sensazione di essere arrivata al dunque, perciò decise di non lasciar cadere la discussione - opzione che avrebbe preso in considerazione se non si fosse trattato del parente ed amico più caro che aveva.
«È davvero di questo che stiamo parlando, Aric?», gli domandò dando una mescolata alla minestra che cuoceva lenta sul fuoco del camino.
Lui sbuffò l'aria dalle narici in un profondo sospiro. «Non lo so di cosa stiamo parlando, non lo so davvero, ma forse so di cosa dovremmo parlare», ammise infine. «Tu te ne sei andata. Sei partita per Locksley e se non fosse stato per l'insensata caccia all'uomo da parte di Rudyard chissà quando ti avrei rivista», si sfogò scuotendo il capo.
«Hai dimenticato che affinché la fuga avesse un risultato concreto era necessario il tuo silenzio? Che potevo fare? Restare e sposare quel bruto? Oppure invitarti a Locksley come se niente fosse con il pericolo che qualcuno ti seguisse insospettito da un comportamento poco affine alla tua personalità?», gli domandò controllando il tono, cercando di scegliere le parole per evitare di offenderlo. Aric si era sempre rifiutato di imparare a maneggiare una qualsiasi arma prima che Dwight lo coinvolgesse nella sua impresa contro le ingiustizie dei potenti, cavalcava solo se strettamente necessario, si difendeva soltanto verbalmente e attraverso l'ingegno, tutte scelte che non gli avrebbero concesso di giustificare in maniera credibile un temporaneo allontanamento da Edwinstowe, tanto più perché non era neanche un mercante, né un artigiano. Kaelee aveva tenuto conto di tutto questo quando aveva lasciato Edwinstowe e aveva sofferto molto la mancanza di Aric, per questo si sentì profondamente ferita dalle parole di lui: se portarlo a Locksley con sé non fosse stato pericoloso per entrambi, la donna non ci avrebbe pensato su neanche un attimo.
«La verità è che non ci saremmo più rivisti se non fosse stato per lui».
Kaelee arricciò le labbra, disgustata da quella verità che non condivideva affatto.
«Non la metterei su questo piano. Avresti saputo del mio matrimonio».
«Ah, già, il matrimonio. Ora per tutti sei Lady Gisborne e il tuo futuro sarà roseo! Congratulazioni», sputò con una tale dose di sarcasmo da lasciare intendere che fosse quasi infastidito, risentito.
«Qual è il problema? Forse non sei felice per il mio matrimonio con Guy? Oppure ti sei offeso perché ho chiesto a Dwight di accompagnarmi all'altare? Dimmi, perché proprio non ci arrivo!», sbottò. Sentì le lacrime ondeggiare negli occhi e decise di voltare le spalle a suo fratello con la scusa di dover badare al pranzo.
«No...», soffiò Aric, ridimensionandosi immediatamente.
«Cosa no? Sii più preciso. È tutta la mattina che cerco di conversare con te senza successo e tra qualche giorno tornerai a Edwinstowe con il resto della mia famiglia. Lasciami almeno capire cosa sto sbagliando!», esclamò esasperata. Nello sguardo di suo fratello le parve di scorgere imbarazzo insieme al nervosismo, ma per quanto si sforzasse di trovare una ragione a quello strano comportamento di Aric non c'era verso di riuscirci.
«Non sono offeso in alcun modo», spiegò a voce e sguardo bassi.
«Ma?», lo invogliò lei.
«Ma l'unica persona con cui condividerai il tuo tempo d'ora in poi è lui!», sbottò sputando finalmente la verità.
Kaelee impiegò qualche secondo per realizzare il senso di quelle parole.
«Tu sei geloso», sussurrò dolcemente. Si assicurò che il pranzo non prendesse fuoco - il che non era da escludersi - e si avvicinò a suo fratello per abbracciarlo con affetto.
«Sono uno sciocco», mormorò lui con voce tremante tra i capelli di Kaelee, più lunghi rispetto all'ultima volta che l'aveva vista prima del matrimonio, quando lei aveva riportato Rudyard a Edwinstowe in compagnia di Gisborne e Fra Tuck.
«Hai ragione. Avresti dovuto parlarmene liberamente», lo rimproverò bonariamente. «Ti vorrò sempre bene, Aric, per sempre. Potrai venire a trovarmi tutte le volte che vorrai. Puoi perfino trasferirti se lo desideri!», gli disse con trasporto, senza sciogliere l'abbraccio. «La casa a Locksley resterà vuota e puoi abitarla tu. Cosa ne pensi?».
Sentì suo fratello sospirare e stringerla di più.
«Un giorno, forse. Ho un compito da portare a termine a Edwinstowe insieme a Dwight e gli altri della nostra banda», mormorò.
Kaelee si allontanò da lui quel tanto che bastava per sorridergli luminosa.
«Sono orgogliosa di te», soffiò. «Sapevo che avresti fatto grandi cose con la tua intelligenza. Lasciami indovinare: sei lo stratega del gruppo!», gli disse per poi veder spuntare un enorme sorriso sulle labbra di lui mentre annuiva deciso.

I due, ritrovato un equilibrio, ripresero a chiacchierare come un tempo e a cucinare fino al rientro di Gisborne.
Quest'ultimo aveva trascorso la mattinata a discutere con i suoi fratelli alcuni dettagli per la gestione della città nel rispetto delle leggi e degli intenti di Re Riccardo e una volta messo piede fuori dalla Fortezza non aveva desiderato altro che raggiungere Kaelee per dedicarle il tempo che meritava. Arrivato a ridosso dall'abitazione l'uomo sentì distintamente due voci provenire dal suo interno e comprese che Kaelee doveva essere in compagnia di uno degli uomini della banda o uno dei suoi fratelli.
Aprendo la porta fu subito travolto dalla felicità di sua moglie che lo guardò con occhi tanto intensi da metterlo quasi in soggezione: poteva uno sguardo causargli un tale turbamento sebbene lo incontrasse più volte nel corso della stessa giornata da ormai molti mesi? Guy non poté far altro che rispondere positivamente a sé stesso, dando credito all'evidenza che gli aveva riscaldato le guance.
«Guy!», esclamò gioiosa e a lui parve che la sua voce fosse musica. «Sei tornato finalmente. Ho una cosa da farti vedere!», aggiunse la donna con l'entusiamo e la meraviglia di un bambino che ha scoperto un bruco farsi farfalla.
Ricambiò il meraviglioso sorriso che lei gli aveva rivolto e salutò cordialmente anche Aric invitandolo subito a fermarsi per il pranzo. Sebbene fosse sicuro che Kaelee gli avesse già rivolto lo stesso invito, volle mostrarsi ben disposto verso il giovane uomo il quale gli aveva dato l'impressione, in quei giorni, di essere non soltanto piuttosto timido ma anche non esattamente a proprio agio in sua presenza. Quindi, chiusosi la porta alle spalle, si avvicinò a Kaelee per baciarle la fronte con tutto l'amore che nutriva per lei.
Per tutta risposta sentì le braccia di lei avvolgerglisi sulle spalle in un breve, ma caldo e rassicurante abbraccio. Da quando Guy aveva una relazione con Kaelee aveva scoperto il significato del tornare a casa e trovare qualcuno che lo stesse aspettando non per dargli un ordine oppure offenderlo, ma per accoglierlo con affetto e con il reale desiderio di averlo attorno.
Qualche istante più tardi l'uomo gettò un'occhiata alla stanza e il suo sguardo cadde su una pila di stoffe scure.
«Non vuoi che ti aiuti a scegliere il tessuto migliore per tendaggi e coperte, vero?», domandò a sua moglie, con un sopracciglio sollevato mentre indicava il punto esatto in cui Kaelee aveva adagiato i suoi ultimi acquisti.
«Ti sembra stoffa per tende quella?», gli chiese lei di rimando scuotendo il capo con rassegnazione, ma rivolgendogli un ampio sorriso. «È evidente che ne sai ben poco di queste cose», lo prese in giro.
Lui rise incrociando le braccia al petto.
«Allora vuoi farti confezionare un nuovo abito?», azzardò.
«Ci sei quasi», mormorò lei avvicinandosi di nuovo e facendogli così battere forte il cuore. «È tempo che ti liberi di tutto questo nero, Guy», sussurrò. Quando Gisborne sentì le dita di lei sfiorargli il petto faticò a tenere alta la concentrazione sebbene uno spesso strato si frapponesse tra il calore di Kaelee e il proprio corpo desideroso di un contatto più intimo. Gisborne dovette costringersi a tenere presente che nella stanza, insieme a lui e Kaelee, c'era anche Aric, dettaglio questo che impediva a entrambi di lasciarsi andare ad effusioni troppo spinte. Immerso nella confusione mentale causata da Kaelee, Gisborne guardò quest'ultima, che si spostava verso le stoffe, con aria interrogativa.
«Che ne dici di questo bel blu zaffiro? Io lo trovo perfetto!», scampanellò lei sollevando un lembo di stoffa blu, piroettando poi su se stessa e illuminando l'intera casa, l'intera esistenza di Gisborne.


Maniero di Robin, Locksley.
Da diverse settimane Robin Hood e Luke Scarlett organizzavano il viaggio verso la Terra Santa. Ormai non era più un segreto per nessuno della banda, né per gli abitanti di Locksley e Nottingham, ma pochi erano davvero quelli che condividevano la scelta di Robin sebbene tutti la rispettassero e nessuno, tranne Much, avesse avuto l'ardire di chiedergli di restare.
Ora che Gisborne aveva trovato la propria strada e che Archer si era legato alla dolce Nettie, Robin sentiva di poter passare il testimone ai suoi fratelli congedandosi in pace e serenità dai suoi compagni di avventura. Nemmeno lui sapeva come sarebbe andato a finire quel viaggio che sarebbe durato mesi, neanche lui sapeva quanto si sarebbe fermato ad Acri e se e quando avrebbe mai fatto ritorno nella sua amata Inghilterra, né voleva pensarci. Tutto ciò che gli era chiaro da ormai diverso tempo era la necessità di doversi ricongiungere a Marian. Aveva provato ad accantonare il dolore della perdita, aveva provato ad innamorarsi ancora, aveva tentato un approccio sereno alla vita e al rapporto con altre donne, aveva lottato affinché i ricordi non lo assalissero rendendogli la vita impossibile, aveva trovato un senso a se stesso nella battaglia contro le ingiustizie perpertrate dallo Sceriffo di Nottingham e dal Principe Giovanni, aveva perdonato Gisborne accettandolo come alleato e fratello, aveva provato a ricostruirsi una vita vera, nuova, priva di incubi dal passato, ma lei, Marian, era sempre tornata ad affacciarsi alla sua mente per riscaldarlo con quel sorriso ampio e incredibilmente bello, per rassicurarlo con quei suoi occhi chiari e grandissimi, espressivi, indescrivibilmente unici, inducendolo, di fatto, a porsi una serie di quesiti cui era impossibile trovare risposta.
Quante volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se Marian gli avesse dato retta restando con lui a Sherwood anziché tornare ad abitare al Castello con lo Sceriffo e Gisborne? Quante altre si era ritrovato a pensare a come sarebbero andate le cose se Marian avesse davvero rinunciato ad essere il Guardiano Notturno perché troppe volte aveva rischiato di farsi scoprire e perfino uccidere da Guy? Robin non era mai riuscito veramente a perdonarsi per non aver saputo stare vicino a Marian come avrebbe voluto e dovuto, per non essere riuscito a fermarla, a parlarle con calma e nella maniera giusta, per non aver compreso il suo bisogno di essere libera e indipendente e di sentirsi protetta dall'amore che nutriva per lui senza dover essere rinchiusa in una gabbia.
Quando Robin aveva ascoltato la storia di Kaelee per la prima volta, subito dopo il suo arrivo a Locksley, la giovane donna gli aveva ricordato molto Marian per via del carattere indomabile che contraddistingueva entrambe. Era evidente che una ventenne senza alcuna familiarità con le armi e con l'unica abilità di saper cavalcare veloce e senza indugio doveva possedere una determinazione incrollabile se era riuscita a raggiungere da sola Locksley incolume, così come era chiaro che la ragazza sapeva il fatto suo se incontrando Allan aveva letteralmente preteso di poter parlare con Robin Hood in persona. L'arciere aveva rivolto un sorriso estasiato a quella minuta straniera arrivata da Edwinstowe rincorrendo un mito, come lei stessa aveva definito la figura di Robin Hood, e se l'aveva accolta senza alcuna difficoltà né resistenza era dovuto in parte proprio all'animo ribelle di lei: il capo della banda aveva intimamente scommesso su quella giovane donna dal primo momento in cui l'aveva vista.
Ripensandoci ora, a distanza di molti mesi, Robin si rese conto che una lezione dal passato l'aveva imparata. Ai tempi in cui Marian si impuntava per essere il Guardiano Notturno e fare la spia al Castello per i fuorilegge - così come Kaelee aveva messo tutta se stessa per poter essere utile al villaggio imparando alcuni mestieri, a leggere e a maneggiare la spada come pochi altri - l'arciere non aveva fatto altro che provare a dissuaderla da quelle attività tutt'altro che femminili e sicuramente molto più rischiose del semplice dedicarsi al fare la maglia dinanzi ad un camino acceso. Almeno verso Kaelee il suo atteggiamento era stato completamente diverso sebbene questo non avesse comunque riportato in vita Marian.

L'arciere era al Maniero quando, il giorno prima della partenza, un uomo irruppe nella stanza in cui si trovava, mettendolo in allarme. Appena si rese conto che si trattava di Much tirò un sospiro di sollievo.
«Amico mio, siedi, riprendi fiato e bevi il mio buon vino senza fare complimenti», lo invitò Robin accogliendolo con il suo solito sorriso amichevole.
L'uomo vide Much scuotere con vigore il capo e puntare nei suoi un paio di occhi estremamente vivi e, in quel momento, disperati.
«Sono venuto qui a dirvi che non potete partire», ansimò accettando infine di sedersi.
«Much...», sospirò Robin.
«No, padrone. Ascoltatemi. L'Inghilterra ha bisogno di voi, Locksley ha bisogno di voi che ne siete il Signore!», affermò con convinzione. «Con che coraggio abbandonate il vostro popolo senza assicurare che farete ritorno? Vedete? Non potete partire», concluse.
«Grazie per aver tentato... di nuovo. Ho già lasciato tutto nelle mani di Archer. E smettila di chiamarmi padrone: non lo sono più da molti anni», lo rimproverò allegramente scompigliandogli i capelli e facendolo sorridere per qualche istante.
«Se è così posso accompagnarti. Avrai sicuramente bisogno di compagnia durante il viaggio e io conosco ballate molto belle e so cucinare bene!», continuò non volendosi proprio arrendere.
«E lasceresti Kate e il vostro bambino in arrivo da soli?», obiettò subito Robin. «Luke verrà con me e ce la caveremo. Una volta lì Will e Djaq, o per meglio dire Safiya, ci ospiteranno e trascorrerò del tempo con loro. Sarò al sicuro, Much».
Robin vide gli occhi del suo amico farsi più lucidi, il labbro tremargli leggermente mentre di sicuro cercava una soluzione che non contemplasse la sua partenza.
«Non puoi...», mormorò tristemente.
Robin gli strinse una spalla volendolo confortare e non smise mai di sorridergli.
«Non puoi lasciarmi. Io non sono niente senza di te!», esclamò ormai in lacrime.
L'arciere sospirò pensando di non meritare tutto l'affetto e la devozione che quell'uomo gli riservava da sempre. Molte volte Robin lo aveva preso in giro per il suo essere troppo ingenuo e buono, troppe volte ne aveva sottovalutato le qualità e capacità, tante volte non aveva apprezzato il legame che Much sentiva nei suoi confronti arrivando perfino ad offenderlo davanti agli altri membri della banda, trattandolo come un servo ignorante pur consapevole che il gruppo di fuorilegge non poteva fare a meno di uno come lui. Much era sempre stato un uomo dalla lingua più veloce del pensiero, un uomo sincero e leale, uno di quegli uomini buoni che si innamorano in fretta della prima donna che gli concede una minima attenzione, un uomo ancora capace di commuoversi dinanzi all'incontro con un vecchio amico o alla nascita di un bambino o anche ad un pericolo scampato. Solo dopo anni trascorsi al fianco di Much Robin si era reso conto di quanto fondamentale e prezioso fosse quell'uomo ed ora salutarlo forse per sempre gli risultava così difficile che non riuscì a mandare giù il nodo alla gola causato dalle lacrime dell'amico.
«Io e te siamo amici, Much, non è così?», chiese con un tremolio nella voce che non gli era mai appartenuto.
«È così», fece Much tirando su col naso.
«E allora, amico e compagno di mille avventure, cerca di comprendere la mia decisione e non causarmi dolore con il tuo pianto», confidò guardandolo dritto negli occhi sebbene la vista gli si stesse appannando man mano che le lacrime salivano minacciando di scivolare via.
Much si alzò e lo abbracciò forte, affondando la testa sulla sua spalla e singhiozzando come... "Come un bambino", pensò Robin ricambiando la stretta.
«Non chiedermi questo. Io... Io non sono abbastanza forte».
«Non essere sciocco adesso. Come potresti essere il mio migliore amico se non fossi forte e coraggioso e fedele?», soffiò Robin, anche lui in lacrime.
Much scosse il capo senza mollare la presa sulla schiena dell'arciere. «Non ho la forza di dirti addio. Non posso. Perdonami, ti prego, perdonami, non ci riesco».
Robin non sapeva più cosa dirgli; vederlo soffrire a quel modo lo devastava, eppure sapeva di non poter tornare indietro, sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovar pace a Locksley se prima non fosse tornato sulla tomba dell'unica donna che aveva amato davvero. Accarezzò con affetto le spalle contratte del suo amico attendendo che lui si calmasse, sperando che smettesse di piangere così tanto e tanto intensamente.
«Non ti basta avere al tuo fianco Little John, Allan, Tuck, Archer, Gisborne, Kate, Kaelee? Non ti basta avere me?», chiese Much, implorante, dopo un po'.
«Basta adesso», mormorò con dolcezza, discostando lentamente l'amico da sé. «Tengo molto a tutti i miei amici e a te in modo particolare, ma non cambierò idea. Ho bisogno di rivederla, Much», si confidò.
Much aggrottò le sopracciglia. «La Terra Santa?», chiese, confuso.
«Marian! E ora non dire "Lo sapevo"!», esclamò Robin tornando a sorridere. Il buonumore era ciò che più identificava Robin Hood insieme al suo infallibile arco, perciò anche in una situazione come quella non era strano che riuscisse a scherzare e regalare un sorriso al sensibile Much, risolvendo almeno momentaneamente la questione. Robin sapeva che Much avrebbe pianto ancora e si sarebbe lasciato prendere dallo sconforto per settimane assillando tutti con la necessità di imbarcarsi per riportare a casa quella che lui riteneva essere la loro guida; e sapeva anche che qualcuno gliele avrebbe cantate per questo, qualcuno di nome Little John per la precisione; e sapeva che Fra Tuck sarebbe poi dovuto intervenire per dividerli e avrebbe dovuto tenere un discorso accorato per convincerli che nella vita ci sono avventimenti che vanno accettati per come arrivano, scelte che meritano di essere rispettate, eventualità che non si possono ostacolare. Robin li conosceva tutti con la stessa sicurezza che gli avrebbe consentito di distinguere ad occhi chiusi una freccia della propria faretra tra tante appartenenti ad altri, quasi che negli anni una piccola parte dei suoi compagni di avventura gli fosse rimasta nel cuore. Era cosciente che prima o poi si sarebbero rassegnati alla sua assenza e sarebbero andati avanti, ognuno con la propria vita e tutti insieme per il bene comune. Forse, un giorno, qualcuno dei suoi vecchi compagni e amici avrebbe raccontato la storia dei fuorilegge ai propri figli e avrebbe rivisto nei loro occhi incantati quelli riconoscenti dei poveri che avevano ricevuto pane e ortaggi grazie alla banda di Robin Hood. Forse si sarebbe parlato per anni, magari decenni, di ciò che lui e i fuorilegge avevano fatto per l'Inghilterra e per il Re.
«Potrò venire a trovarti?», domandò Much dopo un po'.
Robin alzò gli occhi al cielo e abbracciò ancora una volta l'amico.

Il resto della giornata fu un susseguirsi di amici che da Locksley, Nottingham, Clun, Scarborough, Wadlow, Nettlestone, Huntingdon, York, Knighton e Bonchurch raggiunsero il Maniero per augurare fortuna e pace a quell'uomo che tanto aveva fatto per gli abitanti dei villaggi. Robin li ricevette tutti indistintamente offrendo loro vino e frutta, accogliendoli come se tra lui e i vari artigiani, contadini, fabbri e mugnai non ci fosse alcuna differenza, scherzando, sorridendo e spazzando via la malinconia e la commozione che tanto affetto gli causavano. Non mancarono i piccoli amici per i quali Robin costituiva un coraggioso eroe da imitare, come i giovanotti più grandi avevano già iniziato a fare seguendo le lezioni di tiro con l'arco impartite dall'arciere e da suo fratello minore. Quando i bambini, con un pizzico di delusione, gli chiesero chi avrebbe insegnato loro ad usare arco e frecce, assicurò che Archer era perfino più bravo di lui e li convinse che da suo fratello avrebbero imparato anche moltissime altre cose interessanti e magiche.
Con sua grande sorpresa, trattenere l'emozione quando arrivò il momento di congedarsi dai componenti della banda, vecchi e nuovi, gli risultò molto più difficile e, tra un abbraccio e l'altro, Robin si lasciò andare perché in fondo con loro non era necessario fingere allegria. Indubbiamente lasciare Locksley lo rattristava ed era giusto che i suoi amici ne fossero al corrente: non voleva che pensassero di contare poco o nulla per lui quando invece non gli sarebbe stato possibile, senza di loro, sfuggire per anni allo Sceriffo e vivere nella Foresta per far del bene.

A conferma che quando si desidera fermare il tempo questo si mette a correre a perdifiato, dispettoso e implacabile, in quella che parve una manciata di attimi il Sole lasciò il posto alla Luna e la sera calò sul Maniero e su tutta l'Inghilterra. Eppure i compagni d'armi di Robin Hood erano restii ad andar via, così come lo erano i suoi due fratelli che gli si erano seduti l'uno ad un fianco e l'altro all'altro senza che nessuno riuscisse più a farli spostare. Tanto Archer quanto Guy tentavano di mascherare la tristezza dietro a racconti divertenti di avventure passate e aneddoti che fecero arrossire Robin con grande soddisfazione di tutti i presenti, ma nello sguardo di entrambi gli uomini era visibile un velo di malinconia per l'imminente addio. L'unico veramente felice in quel frangente era Luke Scarlett il quale si sarebbe ricongiunto con suo fratello Will.
«Gisborne, devo ricordarti quanto fossi ridicolo nella tua scintillante armatura prima che ti dessi fuoco?», rispose a tono Robin dopo l'ennesima battuta da parte di suo fratello. Quanti avevano anni addietro assistito alla scena scoppiarono a ridere di gusto e quasi si azzuffarono in un "tutti contro tutti" a suon di sfottò e spallate.
«Io almeno non sono mai fuggito passando attraverso le latrine!», disse Gisborne arricciando il naso. «Non credevo che poteste puzzare ancora di più voi fuorilegge, ma mi sono divuto ricredere», aggiunse guadagnandosi un bel calcio nel sedere da parte di Robin.
«Nobili... Che razza infelice», commentò ironico il capo della banda.
«Senti chi parla!», esclamò Allan, divertito. «Signore di Locksley, Conte di Huntingdon e cos'altro?».
«Hai dimenticato di dire che faceva parte della Guardia Privata del Re», aggiunse Much con orgoglio. «Insieme a me», precisò.
Un sonoro «Much!», riempì la sala grande del Maniero.
È così che si sarebbero detti addio: mangiando, bevendo, ricordando, divertendosi in armonia.
Dopo l'ennesimo battibecco scherzoso tra Archer e Robin vi fu un momento di silenzio in cui ognuno pensò a come sarebbe stato l'indomani svegliarsi senza l'eroe che aveva dato vita al mito. Kate e Kaelee furono sul punto di commuoversi quando Little John si alzò in piedi e mostrò la piastrina di fuorilegge con inciso il simbolo della banda.
«Noi siamo e saremo sempre Robin Hood», disse. La voce gli tremò e Much cominciò a piangere.
«Noi siamo Robin Hood!», esclamarono tutti a gran voce una, due, tre volte sentendosi parte di una grande e indistruttibile famiglia.


Il giorno seguente, Nottingham.
L'alba abbracciava le vie della città con la sua luce soffusa e calda mentre Kaelee combatteva con il rimorso per non essere riuscita a dire a Robin tutto ciò che aveva in mente. Aveva a lungo pensato alle parole che gli avrebbe rivolto, ma al momento dei saluti era riuscita soltanto ad abbracciarlo ringraziandolo, commossa, per averle donato un futuro inaspettatamente ricco e bello. Non era mai stata tanto brava con le parole quando si trattava di esprimere i suoi stessi sentimenti.
Neanche le braccia di Guy, in quella notte appena trascorsa senza che nessuno chiudesse davvero occhio, le erano state di conforto dal momento che lui per primo aveva avuto bisogno del sostegno di lei per non crollare, per non sentirsi completamente perso.
Entrambi, in effetti, dovevano tutto a Robin Hood e per entrambi quest'ultimo era una presenza importante, fondamentale affinché ogni giorno diventasse il dono meraviglioso che Dio faceva loro.
Kaelee ravviò il fuoco per distrarsi con la preparazione di una profumata tisana. "Ormai è fatta", pensò, "Robin sarà già partito da un pezzo", si disse per nulla rassicurata da quella constatazione. Kaelee non era affatto quel tipo di donna che si rassegna agli eventi che le capitano e li accetta senza fiatare, senza provare a cercare una soluzione, senza lottare per cambiare le proprie sorti. Non era il tipo di donna che, rendendosi conto di aver sbagliato qualcosa, lascia correre senza provare rimorso, senza torturarsi, senza cercare di porre rimedio.
Prima che Gisborne, il quale intanto l'aveva raggiunta, potesse dire qualsiasi cosa Kaelee lo guardò dritto negli occhi.
«Devo parlargli», gli disse manifestando tutta l'urgenza di quella necessità.
«Prendi il mio cavallo, è più veloce. Ti raggiungerò con il tuo», le rispose lui dandole la sensazione di aver compreso ogni cosa, che l'avrebbe sostenuta sempre, ricordandole perché aveva sposato proprio lui tra gli altri.
Kaelee non se lo fece ripetere, vestita soltanto dell'abito leggero che era solita indossare quando era in casa, corse verso la scuderia di loro proprietà e salì in groppa al maestoso destriero bianco partendo immediatamente al galoppo. Nonostante fosse ancora molto presto la città era già sveglia e i primi commercianti iniziavano a preparare i loro banchi, tenendo così compagnia a chi per tutta la notte aveva lavorato ai forni per garantire pane fresco a tutti i cittadini e ai proprietari delle locande rimaste aperte nelle ore più buie per ospitare viaggiatori e offrire divertimento a forestieri e non. Kaelee sfilò loro accanto a tutta velocità, senza soffermarsi troppo sulle loro figure, impaziente di superare le porte di Nottingham e fiondarsi tra gli alberi di Sherwood alla ricerca di quell'eroe che la donna aveva ammirato prima di conoscerlo personalmente e aveva continuato ad ammirare anche dopo. La donna non sapeva quale via esattamente Robin avesse preso, ma conosceva la strada che l'avrebbe condotta sulla costa al porto più vicino ed era determinata a cavalcare fin lì nel caso in cui non si fosse imbattuta prima nel fuorilegge.
In sella al cavallo di suo marito Kaelee entrò in fretta nella Foresta di Sherwood, accompagnata dal suono degli zoccoli che battevano il terreno con tutta la forza dei muscoli tesi ed eleganti e dal fruscio delle foglie secche che si sollevavano al loro passaggio. Le sue narici furono subito punte dalla fragranza fresca del muschio, dall'odore tipico della terra bagnata e da una caratteristica profumazione che, non sapendo definirla diversamente né attribuirla a qualcosa di preciso, Kaelee aveva ribattezzato come "profumo di sole" perché poteva sentirla quando i raggi solari riscaldavano le cime più alte liberando quell'aroma inconfondibile. Anche la prima volta che il profumo di sole era arrivato al suo naso Kaelee stava cavalcando più veloce che poteva e se in quel momento sapeva esattamente chi stava cercando nutrendo invece qualche dubbio sulla strada da prendere, all'epoca, al contrario, la meta le era stata ben chiara senza che potesse però immaginare neanche lontanamente chi avrebbe davvero incontrato una volta giunta a Locksley. Era come se un cerchio si stesse chiudendo.
Sfrecciò davanti ad uno dei luoghi preferiti da lei e Gisborne per le esercitazioni, poi raggiunse uno dei tanti vecchi e invisibili - ad occhi che non erano quelli della banda - nascondigli dei fuorilegge, costeggiò una deliziosa radura ricca di minuscoli fiori colorati e attraversata da un rivolo d'acqua che riluceva baciato dal sole, ma di Robin ancora nessuna traccia.
«Corri, mio caro amico, corri e trova Robin Hood», sussurrò all'animale che sembrava ben lontano dal volersi arrestare.
Kaelee constatò che Guy aveva ragione: il suo cavallo era davvero più veloce di quello che lei si era portata da Edwinstowe. Probabilmente era una questione di razza dal momento che di sicuro il destriero di Gisbone era uno di quegli esemplari selezionati per supportare i Cavalieri in battaglia, uno di quegli animali che venivano venduti per cifre che Kaelee non riusciva forse neanche a pensare, figurarsi pagarle. Il suo, invece, era soltanto un cavallo come moltissimi altri. Fu con questi pensieri che la donna passò nei pressi dell'albero che i fuorilegge chiamavano "degli incontri" poiché spesso il gruppo di riuniva sotto la sua grande ombra per discutere di piani, imboscate, informazioni rubate allo Sceriffo e riguardo l'esistenza che tutti i membri erano costretti a vivere, nascosti nel cuore della meravigliosa Sherwood. Convinta di aver visto una figura vicino al grande tronco, voltò il capo all'indietro per potersene accertare e subito tirò le briglie per frenare il cavallo e indurlo a mutare direzione
.

Albero degli incontri, Sherwood.
Robin Hood aveva chiesto a Luke di portare pazienza e concedergli di congedarsi dalla sua Sherwood come la grande Foresta meritava. Del resto se Robin e la sua banda avevano potuto permettersi di lottare contro i piani malvagi e le tasse imposte dallo Sceriffo di Nottingham era grazie alle alte betulle dai tronchi sottili e alle immense querce che costituivano un riparo sicuro in caso di emergenza, alle ridenti vallate, ai dolci declivi e ai nascondigli naturali che la Foresta aveva offerto loro senza pretendere nulla in cambio se non il rispetto che sempre gli uomini di Robin le avevano rivolto. In particolare, l'ex fuorilegge aveva sentito l'esigenza di sostare un'ultima volta prima della partenza sotto gli ampi rami dell'albero degli incontri che tante ne aveva viste e sentite negli anni.
Avendo Luke preferito restare sul carro a badare ai cavalli, in silenziosa attesa del suo compagno di viaggio, Robin aveva a disposizione un momento tutto suo da dedicare all'amata Sherwood. Con la dolcezza che si riserva alla donna del proprio cuore, posò una mano sulla ruvida corteccia a lui familiare e prese ad accarezzarla rivolgendo un sorriso alla Natura circostante. I suoi pensieri vagavano tra i ricordi delle tante avventure e disavventure vissute insieme ai suoi fedeli compagni e la mente non poté soffermarsi sul giorno in cui aveva rimesso piede in terra inglese insieme a Much il quale non desiderava altro che potersi riempire lo stomaco e dormire, ma che non era riuscito a fare davvero né l'una, né l'altra cosa. I due, infatti, avevano trovato una situazione tutt'altro che piacevole e decisamente diversa rispetto a quando erano partiti per la Terra Santa cinque anni prima: Sir Edward di Knighton, padre di Marian e fedelissimo di Re Riccardo, non era più Sceriffo di Nottingham e il nuovo che gli era subentrato simpatizzava per il Principe Giovanni e non faceva altro che imporre tasse e diffondere terrore e violenza affiancato dall'esattore delle tasse, nonché vecchia conoscenza di Robin, Sir Guy di Gisborne. Queste novità avevano spinto Robin, in quanto nobile, a incontrare lo Sceriffo Vaisey e a prendere parte alle riunioni che si tenevano regolarmente al Castello per mettere in luce la cattiva amministrazione che aveva ridotto in miseria Locksley. La poco calorosa accoglienza che gli era stata riservata non era bastata a scoraggiarlo e lo aveva, anzi, convinto di poter davvero cambiare le cose con la sua sola volontà e la collaborazione dei vecchi amici che aveva al villaggio e dintorni. Questi ultimi, però, si rivelarono restii a rivolgergli parola - Sir Edward compreso - mostrandosi completamente succubi del potere di Vaisey. Neppure questo, però, aveva gettato Robin nello sconforto né lo aveva convinto a ribellarsi immediatamente con forza e decisione allo Sceriffo. L'evento scatenante che gli era valso il titolo di fuorilegge era consistito in un'importante e determinante scelta: Allan A Dale insieme a Luke e Will Scarlett erano stati condannati ad impiccagione per reati diversi e Robin non era intenzionato ad assistere senza muovere un dito, perciò aveva cercato di convincere lo Sceriffo a evitare l'esecuzione - appellandosi a un diritto che era stato valido finché la Contea di Nottingham era stata guidata da uomini fedeli al Re - senza successo e anzi ottenendo lo sgradito compito di proclamarla e autorizzarla pubblicamente. Consultarsi con Marian e Sir Edward, il quale aveva infine accettato di parlare con lui di nascosto, era stato tutt'altro che costruttivo. Padre e figlia, infatti, gli avevano consigliato di sacrificare i tre uomini per ingraziarsi lo Sceriffo e contrastarlo poi dall'interno, ma Robin che a tante uccisioni inutili aveva assistito in Terra Santa non si era trovato per nulla in accordo con il suo vecchio amico e la giovane donna che amava. Inoltre si trattava dei due figli di Dan Scarlett, un uomo cui Robin doveva davvero tanto, quindi giunto il giorno dell'esecusione si era ribellato allo Sceriffo dinanzi alla popolazione, aveva liberato i prigionieri ed era fuggito insieme a Much, Allan e Will nella Foresta di Sherwood. Tutti erano stati dichiarati fuorilegge e la grande avventura della banda di Robin Hood aveva avuto inizio. Un'avventura che neanche con il ritorno di Re Riccardo e la ricostruzione di Nottingham aveva davvero avuto fine e che, in effetti, non si sarebbe mai conclusa finché qualcuno avesse lottato contro le ingiustizie dei potenti.
Mentre contemplava ancora l'albero degli incontri, Robin sentì un cavallo al galoppo che si faceva più vicino ma non si voltò ritenendo che se si fosse trattato di un aggressore Luke sarebbe prontamente intervenuto in suo soccorso. Dal momento che il ragazzo non reagì alla presenza estranea, che a Robin sembrò aver legato il proprio destriero ad un tronco non lontano prima di avvicinarsi, l'arciere tornò a concentrarsi sui ricordi.
«Salve a voi, straniero», disse una profonda voce femminile alle sue spalle. «Se mi dimostrerete di essere un uomo onesto vi lascerò passare liberamente attraverso questa foresta».
Robin sorrise divertito da quella strana situazione.
«In caso contrario?», domandò senza ancora voltarsi.
«Dovrete risponderne a Robin Hood, Signore di questa Foresta», fece la donna con un tono completamente diverso rispetto a qualche attimo prima, un tono che Robin conosceva bene e che riconobbe subito.
Voltandosi l'arciere ebbe conferma alle sue supposizioni e rivolse un ampio sorriso alla donna prima di scoppiare a ridere scatenando anche la risata di lei.
«Che ci fai qui?», le chiese poi.
«Proteggo Sherwood dai forestieri. Qualcuno deve pur farlo in tua assenza», fece con un'alzata di spalle mentre Robin scuoteva il capo.
«Sono serio. Perché hai cavalcato fin qui di prima mattina e con tanta fretta? E con il cavallo di Gisborne», constatò notando il bianco manto dell'esemplare assicurato al tronco di una betulla.
La vide sospirare e sospirò di rimando.
«Ti stavo cercando», confessò distogliendo lo sguardo dal suo.
«Dì un po', vuoi davvero mettermi nei guai?», domandò Robin, improvvisamente severo. «Sei una donna sposata ormai! Se intendevi dichiararmi i tuoi sentimenti avresti dovuto pensarci prima di concederti a Gisborne!», scherzò poi, com'era solito fare in ogni occasione.
Kaelee, che aveva puntato i suoi occhi di caramello in quelli del fuorilegge nel sentire quel tono quasi di rimprovero, lo colpì al braccio. «Che idiota», mormorò. «Con tutto il rispetto, preferisco i mori», aggiunse abbagliandolo con un sorriso.
Robin non era rimasto indifferente alla dolcezza che regnava nei tratti di Kaelee, nei suoi occhi luminosi e in quel corpo minuto ma avvezzo alla fatica, però più che provare attrazione per lei, aveva da subito sentito un forte bisogno di integrarla al gruppo per proteggerla da qualsiasi cosa stesse allontanando da sé. Quella mattina, all'ombra dell'albero degli incontri, Kaelee appariva molto diversa, cresciuta e maturata nel fisico e nel carattere sfoggiando, sì, tutta la sua femminilità.

«È accaduto qualcosa con Guy? Oppure è Much a mandarti?», azzardò riprendendo il discorso di poco prima.
La vide scuotere vigorosamente il capo.
«Prima che tu vada ho bisogno di dirti una cosa».
Gli occhi di caramello fuso stordirono Robin per un attimo e in quel momento capì cosa suo fratello Guy avesse visto in lei: vita nella sua forma più pura e sconvolgente. Kaelee era più viva che mai e affrontava ogni cosa tanto intensamente da travolgere chi le stava attorno. Robin non poté fare a meno di sorriderle invitandola a proseguire.
«I miei fratelli mi raccontavano di te come se fossi un eroe», esordì dopo un po'.
«E ora che mi hai conosciuto pensi che io non lo sia», si intromise l'ex fuorilegge accompagnando le parole con una leggera risata.
«Hai lasciato a Locksley l'educazione, Robin Hood?», lo riprese Kaelee, divertita.
L'intento di Robin era alleggerire quanto più possibile l'atmosfera. Nello sguardo della donna aveva infatti notato una vena di tristezza quando aveva iniziato a parlare e immaginò che Kaelee lo avesse raggiunto per salutarlo come non era riuscita a fare il giorno precedente. Sollevò i palmi in segno di scuse e le chiese di continuare.
«Mi hanno riempito la testa con le buone azioni di questo eroe volto al bene del popolo e di tutte le persone in difficoltà, mi hanno fatto credere che il bene può e deve vincere sempre ed è con queste convinzioni che ti ho cercato un anno fa. Sentivo di avere bisogno del tuo aiuto, ma sapevo che non saresti venuto fino a Edwinstowe, così ho lasciato tutto e sono partita, come sai. Ciò che più mi ha stupita e mi ha fatto riflettere in questo tempo che ho avuto l'onore di trascorrere con te non è l'eroe che tutti amano, rispettano e onorano come merita, ma l'uomo che c'è dietro, dentro e intorno. L'uomo che conforta i suoi amici, che si emoziona con loro, che cade preda dei dubbi e che affronta situazioni emotivamente difficili. L'uomo che si arrabbia e che alle volte sbaglia, l'uomo che non si è mai arreso e infine ha vinto».
Robin notò che la voce le tremava e avvertì l'esigenza di stringerla a sé temendo che emozioni troppo intense potessero distruggere il corpo snello di Kaelee, perciò si avvicinò e la attirò a sé con delicatezza. La sentì irrigidirsi per un attimo e poi rilassarsi e sospirare.
«Lo devo a te se oggi sono qui e sono sposata con Guy e ho amici leali e sempre disponibili per qualunque cosa. Lo devo a te se oggi sono felice», mormorò infine sul petto dell'arciere.
«Lo devi a te stessa», sussurrò lui. «Io non ho fatto niente. Tu, invece, ci hai messo forza e determinazione e anche nei momenti più cupi non hai ceduto».
«Non sarei mai riuscita a fare ciò che tu hai fatto per l'Inghilterra. Non avrei provato a cambiare il corso degli eventi se tu non fossi esistito o se non avessi fatto ciò che tutti sanno», gli rispose.
Vi furono diversi minuti di silenzio prima che Robin sciogliesse l'abbraccio e tornasse a parlare.
«È stato un onore averti nella mia banda», le disse sinceramente.
La commozione di Kaelee fu evidente e Robin notò che faticava a trattenere le lacrime.
«Non tornerai, è così?», gli chiese a mezza voce e con le spalle scosse da fremiti che annunciavano l'imminente pianto.
«Io non lo so, ma so che devo andare e che ve la caverete anche senza di me».
Kaelee annuì e spazzò via velocemente le lacrime manifestando un carattere forte.
«Non ti dimenticherò mai, Robin di Locksley».
«Neanch'io, Lady Gisborne. Abbi cura dei miei fratelli e dei miei adorati Much e Kate. Abbi cura di te», disse, la strinse ancora una volta e poi si diresse verso il carro dove Luke era rimasto immobile ad osservare la scena.

Quando Kaelee si voltò vide Luke Scarlett salutarla con la mano mentre ripartiva insieme a Robin, ricambiò la cortesia e solo quando i due furono inghiottiti dal verde della foresta, la donna si permise di dar sfogo alla tristezza.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando si era messa con le spalle contro il tronco a quando aveva sentito la presenza di Guy accanto a sé.
«Va tutto bene?», le domandò, preoccupato.
«Ci siamo salutati», mormorò lei accoccolandosi al petto ampio di suo marito, conforto ad ogni dolore, rimedio ad ogni male.


Diversi mesi più tardi, Acri, Israele.
Una bambina dalla carnagione scura e con grandissimi occhi espressivi osservava Robin Hood con una curiosità innarrestabile e lo rallegrava con immensi sorrisi. Aveva all'incirca due anni ed emetteva una serie infinita di adorabili versi a cui mescolava brevi parole che Robin non sempre comprendeva pur conoscendo la lingua, ma non assecondarla gli era impossibile, perciò trascorreva gran parte del suo tempo con lei, la figlia di Safiya e Will.
Lei, Safiya - un tempo Djaq - aveva guardato Robin con quei suoi caratteristici occhi scuri e comunicativi quando l'aveva visto arrivare insieme a Luke. Era esattamente come Robin la ricordava, eccezion fatta per i capelli che ora portava lunghi sotto un velo leggero che le ricopriva delicatamente il capo e le fasciava collo e spalle. Era in tutto e per tutto la cara, intelligente, pratica e coraggiosa Djaq, ma il matrimonio e la maternità ne avevano addolcito il sorriso e le movenze. Vedendola cullare con amore la tenera bambina Robin era stato travolto dall'emozione e aveva compreso che intraprendere quel viaggio era stata una decisione appropriata: doveva sapere che i nodi nella vita di tutti i suoi amici si erano sciolti prima di occuparsi dei propri.
Will era sempre il ragazzo allegro che Robin aveva conosciuto molti anni prima, l'abilissimo artigiano che aveva intagliato nel legno di Sherwood i tratti del volto di suo padre - dopo che lo Sceriffo l'aveva fatto uccidere - in modo che, colpito dai raggi del sole, il ciocco potesse proiettarne l'immagine contro una roccia e ricordargli quanto importante era stato per lui e Luke quell'uomo che si era sacrificato per i suoi due figli facendosi tagliare una mano, prendendosi l'assurda punizione al posto loro. Anche con addosso abiti che poco avevano a che fare con la lontana Inghilterra, Will appariva allegro e ottimista come sempre. L'abbraccio che il giovanotto aveva riservato a suo fratello Luke aveva ricordato a Robin quanto importante fosse la famiglia, che si trattasse di legami di sangue come era per i fratelli Scarlett oppure di legami acquisiti come per tutti i membri della banda di Sherwood era chiaro che una vita vissuta in solitudine non era una vita vissuta al meglio. Per questo Robin aveva maturato la certezza che prima o poi avrebbe fatto ritorno a Locksley per riabbracciare i suoi amici prima di lasciare per sempre quel mondo per un'avventura più grande ed eterna.

«Sei troppo vecchio per aspirare alla mano di mia figlia», disse Will distraendo Robin dalla contemplazione di un paesaggio familiare sebbene completamente diverso da Sherwood, familiare perché in quelle terre Robin aveva combattuto per cinque lunghi anni al fianco di Riccardo Cuor di Leone. L'arciere rise di gusto dando una pacca sul braccio del suo amico.

«Aspetta che cresca e lo vedremo», scherzò. «Non ti ho neppure chiesto come l'avete chiamata».
«Inaya Marian Scarlett è il suo nome», mormorò l'altro con una tale dolcezza nel tono da far girare la testa a Robin. Oppure forse era per il secondo nome che Will aveva pronunciato?
Robin lo vide annuire, quasi che Will avesse intuito i suoi pensieri e gli stesse rispondendo che avevano chiamato Marian la bambina in memoria della Lady Marian che aveva lottato al fianco della banda, che aveva rischiato per loro e per le loro idee, che si era sacrificata, che aveva detto addio alla vita proprio in Terra Santa dove riposava ormai da due anni, in pace e forse in attesa di ricongiungersi con l'uomo che l'aveva amata.
«Sono pronto», soffiò Robin. «Accompagnami sulla sua tomba. È troppo tempo che non le parlo come vorrei», aggiunse sorridendo malinconico.




N.d.A.
Questo capitolo è colmo di riferimenti alla serie tv, che voglio provare a chiarire qui per coloro i quali hanno deciso di leggere la storia pur non avendo familiarità con il fandom.
È la prima volta che mi appello ad un flashback in questa storia per raccontare un evento che altrimenti andrebbe perso o richiederebbe almeno un capitolo in più. Anche questa scelta è, come molti altri elementi di Locksley Tales, un richiamo alla serie tv - la storia della nascita di Archer, infatti, viene raccontata attraverso questa tecnica. Spero non sia stato un elemento di disturbo alla narrazione.
Forse vi siete chiesti perché dopo aver scritto per ventiquattro capitoli di "Sir Guy" in questo l'ho chiamato Lord. Essendo stato nominato Signore di Nottingham da Re Riccardo, ha ottenuto questo nuovo titolo così come Kaelee ha ereditato il diritto di essere conosciuta come Lady Gisborne (non Lady Kaelee come era per Lady Marian, in quanto Marian era nobile di nascita e poteva accompagnare il titolo con il nome proprio mentre Kaelee ha origini umili ed ereditando il titolo da suo marito deve accompagnarlo con il cognome di lui).
È anche la prima volta che mi intrufolo nella mente del fuorilegge per eccellenza e spero di non averlo storpiato. Scrivere l'addio di Robin a Much è stato terribile. Se avessi immaginato quanto doloroso sarebbe stato, forse avrei cambiato il corso degli eventi anche se credo che questa partenza sia necessaria.
L'albero degli incontri l'ho preso in prestito da Dumas, mentre il racconto di come Robin è diventato un fuorilegge è tratto dalla serie tv, così come i riferimenti a Marian nei panni di Guardiano Notturno e quelli riguardanti Will e la sua famiglia.
Safiya sarebbe Djaq che nella serie tv ha preso il nome di suo fratello gemello (Djaq appunto) dopo la morte di lui unendosi ai fuorilegge proprio con questo nome e fingendosi un uomo. Lei e Will hanno lasciato la serie tv alla fine della seconda stagione, trattenendosi ad Acri, luogo di nascita di lei.
Spero di non avervi annoiati con tutte queste precisazioni.
Alla prossima con il capitolo conclusivo!

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