Locksley Tales di Zury Watson (/viewuser.php?uid=245032)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'alba della Speranza ***
Capitolo 2: *** Freccia e Lama ***
Capitolo 3: *** Fantasmi del Passato ***
Capitolo 4: *** La Pergamena ***
Capitolo 5: *** Sir Guy di Gisborne ***
Capitolo 6: *** Il Temporale ***
Capitolo 7: *** Contraccolpo ***
Capitolo 8: *** From Edwinstowe... ***
Capitolo 9: *** ...To Locksley ***
Capitolo 10: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 11: *** Alla Prova ***
Capitolo 12: *** I Tre ***
Capitolo 13: *** La Caccia ***
Capitolo 14: *** Inatteso Ritorno ***
Capitolo 15: *** Resta Con Me ***
Capitolo 16: *** Una Questione di Dettagli ***
Capitolo 17: *** Un'Offerta ***
Capitolo 18: *** A Fil di Lama ***
Capitolo 19: *** Il Grande Albero delle Promesse ***
Capitolo 20: *** Lord Much il Difensore ***
Capitolo 21: *** Il Torneo ***
Capitolo 22: *** Lo Voglio ***
Capitolo 23: *** I Cavalieri Neri ***
Capitolo 24: *** Lady Gisborne ***
Capitolo 25: *** Tempo di Partenze ***
Capitolo 1 *** L'alba della Speranza ***
Guy di Gisborne
Locksley
Tales
Premessa
Isabella Thornton, – nata Gisborne – fatta
prigioniera nelle segrete
del Castello di Nottingham, ricevette la visita di suo fratello
maggiore, Guy – da poco alleatosi con Robin Hood nella lotta
contro lo Sceriffo Vaisey di Nottingham e
Isabella stessa e con il quale aveva scoperto di condividere un
fratello, divenuto il punto d'unione tra i due da anni nemici in
armi e
in amore.
Guy si presentò a lei recando con sé una fiala di
veleno
che
in prima battuta pensò
di lasciare a sua sorella, condannata a morte certa, per risparmiarle
la
sofferenza e l'umiliazione di un'esecuzione pubblica. In Guy,
nonostante da tempo avesse assunto gli atteggiamenti tipici di un
tiranno, risiedeva
ancora quella piccola e fievole luce di umanità e
bontà
–
ereditata da sua madre, Ghislaine – che la sola Lady Marian
aveva
intravisto
prima di tutti
pur non ricambiando i sentimenti di lui e preferendogli Robin.
Ripensandoci, però, Gisborne si rese conto –
avendo avuto
modo di sperimentarla sulla
propria
pelle – della cattiveria di Isabella, la aveva tentato di
uccidere sia lui
che Robin Hood, approfittando della collaborazione di Archer
– il
quale aveva erroneamente creduto di potersi arricchire alleandosi con
Isabella – perciò decise infine di non
fidarsi di sua sorella, immaginando che avrebbe potuto trovare il modo
di fuggire e vendicarsi.
Così, entrato nella cella dove era stata rinchiusa sua
sorella,
la costrinse, non senza soffrirne lui stesso, ad assumere il veleno
dopo aver avuto con lei un
breve dialogo; in questo modo Gisborne pose fine alla vita di Isabella
Thornton, scampando lui stesso alla
morte, come avrebbe scoperto poco più tardi.
Uccidendo Isabella, infatti, a sua insaputa Guy mandò a
monte
non soltanto la vendetta di lei contro gli uomini che avevano cercato
per anni di sottometterla, – indiziando con l'assassinio di
suo
marito, Thornton, e intendendo proseguire con l'uccisione di Guy, il
quale l'aveva ceduta in sposa per denaro quando aveva soltanto tredici
anni – ma anche i piani di Vaisey, lo Sceriffo che Guy aveva
creduto di aver
ucciso
e che era invece sopravvissuto, fingendosi morto, e intendeva
riprendersi il titolo di Sceriffo della città, sterminando i
traditori e l'intera banda di Robin Hood.
Guy, intanto, promise a se stesso che quella di Isabella sarebbe stata
l'ultima
uccisione per mano sua – tra i molti cittadini innocenti,
sulla
sua coscienza gravava anche il peso della morte di Lady Marian
–
e che avrebbe fatto ricorso alle armi solo se
strettamente necessario, decisione questa che collimava perfettamente
con gli ideali di Robin Hood e della sua banda; ragion per cui,
comunque fossero andate le cose, Guy decise che si sarebbe unito alla
banda di fuorilegge se Robin glielo avesse permesso.
Robin Hood, messo al corrente di quanto accaduto a Isabella,
cambiò
definitivamente opinione su Guy e insieme a lui, saputo anche del
ritorno di Vaisey, decise
di organizzare la difesa
contro l'assedio da parte dello Sceriffo e la sua armata.
Dal momento che Vaisey aveva dimostrato di essere in possesso del
cosiddetto fuoco greco, la banda pensò che l'uomo dovesse
avere,
tra le mura del Castello, una scorta degli elementi che servivano a
prepararlo, così, con l'aiuto di Archer – che era
un
esperto di alchimia – Tuck scoprì come procurarsi
quell'arma tanto potente e si mise all'opera affinché si
potesse
cacciare definitivamente Vaisey dall'intera Contea di Nottingham.
Nel mentre, un'esplosione attirò l'attenzione
di Guy che, istintivamente volle muoversi in direzione del trambusto.
L'ex Sceriffo e i suoi uomini volevano, infatti, introdursi nel
Castello
attraverso il passaggio segreto che, solo poche ore prima, aveva quasi
ucciso
Robin, Guy e Much grazie ad una trappola architettata da Isabella e
messa in atto da Archer – poi ravvedutosi e tornato a
collaborare
con Robin e Guy, che l'avevano salvato da morte certa a York solo
qualche giorno prima.
Robin, volendo seguire Gisborne, lasciò il comando a Tuck e
Little John per andare
incontro a Vaisey ed i suoi uomini insieme anche ad Archer.
Lo scontro
si rivelò inevitabile e feroce e sia Robin che Guy rimasero
feriti; nonostante fossero in minoranza, però, riuscirono a
respingere i nemici quel tanto che bastava per tornare indietro,
avvisare Little John e Tuck e radunare tutti in modo tale da avere il
via libera: mentre l'ex Sceriffo – intenzionato a uccidere
tutti
e tornato subito con più uomini ancora – passava
letteralmente sotto gli occhi della banda e della popolazione
–
nascostisi in un tunnel secondario –
per infilarsi nel Castello, Robin guidò tutti fuori,
salvandol
l'intera popolazione dall'imminente esplosione causata dal fuoco greco
che Tuck aveva
preparato e che attendeva solo di essere innescata.
Successivamente, infatti, Robin e Archer fecero
velocemente ritorno al Castello per
scoccare una freccia infuocata contro
uno dei barili predisposti dal frate: il tempo di qualche attimo ed
il Castello esplose uccidendo una volta per tutte Vaisey e i suoi.
Introduzione
A causa della violenta esplosione che aveva segnato la fine della
tirannia di Vaisey, Nottingham era completamente distrutta, –
ad
eccezione delle solide mura
che la circondavano – e i suoi cittadini erano stati
costretti a
stabilirsi tra Locksley e i villaggi vicini; questo però non
aveva scoraggiato nessuno, tant'è che la volontà
di veder
rinascere Nottingham libera dalle angherie di uno Sceriffo che mirava
soltanto al
potere e al denaro, era palpabile; tanto più
perché Re
Riccardo I era finalmente rientrato in
patria e aveva iniziato a ripristinare ordine e giustizia spodestando e
diseredando suo fratello, il Principe Giovanni.
I fuorilegge come Robin Hood e la sua banda poterono quindi tornare ad
essere uomini liberi e da
tutti considerati eroi.
Dopo i grandi festeggiamenti per l'inizio di quello che si prospettava
un periodo di pace, serenità e ricchezza, tutti i fuorilegge
della banda di Robin Hood tornarono ad abitare le rispettive abitazioni
che erano state loro confiscate e ritrovarono, in questo modo,
l'equilibrio che era venuto a mancare anni addietro.
Nonostante le cose fossero nettamente migliorate rispetto agli anni di
terrore appena trascorsi, però, Robin, Allan, Little
John, Tuck, Much, Kate, Archer e Guy – tutti membri della
vecchia banda – non smisero di fare del
bene a chi più ne aveva bisogno, cominciando da chi, tra
loro, non aveva una casa da abitare.
Guy restituì volentieri a Robin le terre che gli
appartenevano
per diritto, a
Locksley, anche se l'arciere aveva espresso la volontà di
amministrare i suoi possedimenti insieme a lui ed Archer.
Robin iniziò a considerare sia Guy e che Archer come suoi
fratelli e li coinvolse pienamente in ogni sua attività,
sostenendoli e impegnandosi a recuperare il tempo perduto durante gli
anni di separazione; inoltre era molto affezionato a tutti i
componenti della sua banda – preoccupandosi per ognuno di
loro in
ogni modo possibile – e in particolare nutriva un
forte
sentimento nei confronti della bella Kate. Pur avendo creduto di
amarla, il tempo trascorso accanto a Gisborne,
in attesa che quest'ultimo si riprendesse dalle ferite
subìte
nello
scontro con Vaisey, gli aveva dato modo di riflettere e aveva capito,
così, di
non essere ancora riuscito a separarsi dal ricordo dell'amore
provato per Marian, morta l'anno precedente per mano dello stesso
Gisborne.
Perciò ritenne giusto mettere in chiaro la situazione
con Kate – la quale soffrì molto per
questo, pur
scegliendo infine di restare fedele
al gruppo nonostante il terremoto emotivo, perché le ragioni
che la spingevano a lottare per il bene comune superavano i legami
d'amore.
Allo stesso modo, qualche tempo prima, anche Much era rimasto.
Tale era la situazione quando la giovane Kaelee arrivò a
Locklsey per stabilirvisi.
Kaelee era una ragazza che, partita da un villaggio non molto
lontano da Locksley e Nottingham con l'unico intento di trovare Robin
Hood, aveva raggiunto il villaggio di Locksley in compagnia del proprio
cavallo e la prima persona che aveva incontrato era Allan. La sua
determinazione l'aveva portata, nel giro di poco tempo, ad ottenere un
incontro con Robin in
persona al quale la ragazza aveva raccontato di aver sentito parlare di
lui e delle sue imprese dai
fratelli più grandi e per questo aveva deciso di trasferirsi
là dove Robin Hood risiedeva, per unirsi alla sua causa.
Tutti erano stati molto contenti di avere un'ulteriore presenza
femminile nel
gruppo – tanto più perché la sua
presenza
sembrò da subito essere molto di sollievo a Kate, che aveva
deciso di ospitarla – e Kaelee, da parte sua,
instaurò in
breve tempo un buon rapporto con
l'intera truppa.
Mentre Allan e Much già raccoglievano scommesse su chi tra
Robin
e Archer avrebbe conquistato il cuore della ragazza, lei fece tutto
quanto era in suo potere per rendersi utile alla comunità,
svolgendo le più svariate mansioni e dimostrandosi
disponibile a
imparare molti mestieri, se necessario.
Fu solo dopo un paio di settimane dal suo arrivo a Locksley che si
imbatté
in
Guy di Gisborne, il quale si era finalmente ripreso quanto bastava
perché potesse alzarsi dal proprio letto senza far danni.
L'alba
della Speranza
Locksley.
Era da poco sorto il Sole sulla bella Inghilterra – e su
Locksley
in particolare – quando Kaelee finì di infornare
il
pane insieme ai numerosi giovani che aiutavano il vecchio Tyrik,
padrone del forno del villaggio e uomo dal cuore davvero grande,
perché da solo offriva lavoro a moltissimi giovani di
Locksley evitando che finissero col dedicarsi ad attività
disonorevoli e contemporaneamente insegnando loro un'arte che gli
avrebbe garantito un futuro. Kaelee, che non aveva mai fatto altro che
lavorare la terra appartenente alla sua famiglia di origine, gli era
molto grata per l'opportunità che le era stata offerta e non
si
rifiutava mai di aiutarlo, se la chiamava per qualche mansione anche al
di fuori dei turni a
lei destinati; ad esempio era capitato, qualche volta, che Tyrik le
chiedesse di consegnare una pagnotta ad una vecchia signora che
faticava a muoversi e lei lo aveva sempre fatto con molto piacere,
trovando in quel compito l'opportunità di familiarizzare con
tutti gli abitanti di quel bel villaggio circondato da Sherwood.
Sebbene di tanto in tanto le mancasse il suo villaggio d'origine, era
ben felice di essersi trasferita a Locksley, tanto più
perché tutti le avevano manifestato fin da subito simpatia e
disponibilità; sopratutto Kate, la quale aveva insistito per
ospitarla nella sua abitazione, che era diventata subito una valida
amica, ragion per cui Kaelee non poteva che essere pienamente
soddisfatta della sua scelta.
Dopo essersi privata del grembiule
da lavoro e
della
cuffietta
che, ne era convinta, la faceva sembrare una bambolina, si
asciugò la fronte
sudata, fissò le mani
sui
fianchi e sorrise al giorno in arrivo. Il viaggio per Locksley aveva
messo in evidenza la sua incredibile voglia di vivere: se era partita
alla ricerca di Robin Hood era principalmente per il sogno di essere
libera; libera da un destino che altri avevano iniziato tempo addietro
a scrivere per
lei, da un futuro che l'avrebbe vista costretta a sposare un uomo che
non
amava
e a far figli per lui in cambio di una vita priva di ogni fatica;
libera di vivere la appieno l'esistenza che Dio le aveva regalato,
perciò preferiva mille volte fatica e vero amore alle catene
che
la sua famiglia aveva tentato di imporle e aveva la sensazione che
quel posto, per il solo fatto che vi risiedesse Robin Hood, avrebbe
potuto
offrirle tutto ciò di cui aveva bisogno e renderla la donna
che
sempre aveva desiderato essere.
Quando Kaelee uscì dal forno di Tyrik, poté
godere della
luce soffusa che avvolgeva il villaggio, simile a quella delle
candele, ma molto, molto più morbida, immensa e bella, e
ringraziò il cielo per quel dono.
Nella sua camera da letto Guy sfuggì ad un brutto sogno
svegliandosi
bruscamente, con la fronte imperlata di sudore. Il
ricordo di Lady Marian che moriva per mano sua lo tormentava da molto
tempo e, anche se non si sarebbe mai abituato a quell'apparizione,
aveva
iniziato a rassegnarsi all'idea di fare i conti con le sue colpe per il
resto della vita, perciò lo sconvolgimento che si
impossessava
di lui subito dopo ogni incubo, durava non più di qualche
minuto; ultimamente, però, a turbare il suo sonno si era
aggiunta Isabella: mentre con la
spada trafiggeva Lady Marian, poteva sentire sua sorella ridere con una
malignità
insopportabile mentre gli indicava anche il corpo esanime di Meg, morta
per salvarlo. La presenza delle tre donne insieme, ognuna
così determinante per il suo percorso di vita, era davvero
troppo
per lui e il senso di colpa che si riversava nel suo cuore dopo quegli
incubi era così insopportabile, che chiedere l'aiuto di
Fratello
Tuck non sarebbe servito a molto – sebbene parlarne con lui
certamente lo avrebbe rasserenato facendo volgere in positivo una
giornata iniziata nel verso sbagliato.
Dal momento, quindi, che rigirarsi sul fianco e sperare di
riaddormentarsi era nient'altro che
un'utopia, Guy decise di alzarsi nonostante Robin e
Archer
più
di tutti gli avessero impedito categoricamente di sforzarsi dopo lo
scontro con Vaisey e la conseguente ferita che aveva riportato.
Tuttavia erano
giorni che non sanguinava più neanche un po' e stava quindi
finalmente iniziando a
rimarginarsi, per questo Guy ritenne di poter uscire a guardare l'alba
senza arrecarsi alcun danno e senza scatenare le proteste di Robin Hood.
Ancora non si capacitava di come fosse possibile riuscire ad andarci
d'accordo dopo aver trascorso anni ed anni a darsi
battaglia per questiomi morali, politiche e amorose, oltre che per
capricci personali; se ci ripensava, con il senno di poi, tutto
ciò che era accaduto tra loro gli sembrava assurdo e non
riusciva a trovare una sola ragione per cui valesse veramente la pena
uccidere così tante persone e perdere amici, amori e una
parte di se stessi.
Nonostante Tuck gli avesse raccomandato di non fare della sua
redenzione una fissazione, di non indugiare troppo a lungo nell'arco di
una sola giornata sui suoi trascorsi, alle volte Guy sentiva di non
poterne fare a meno, così pensava e pensava fino a farsi
venire un gran mal di testa. E se invece di andare via da Locksley,
dopo l'incendio che aveva ucciso i suoi genitori, fosse rimasto? Se lui
e Robin fossero diventati amici? Se avessero collaborato per il bene di
Locksley e Nottingham? In che modo sarebbe cambiato il destino della
città, della Contea e dell'Inghilterra? In che modo sarebbe
cambiato il suo destino?
Eppure Fratello Tuck gli aveva detto che tardi era pur sempre meglio
che mai, perciò probabilmente aver lottato fianco a
fianco con Robin Hood, averlo protetto ed aver ricevuto le sue cure e
attenzioni, stava infine offrendo a Gisborne un'alternativa,
l'opportunità di vivere un'esistenza nuova e migliore
– anche se Guy era convinto che
Robin lo avrebbe preso volentieri a calci nel sedere, se gli si fosse
presentata l'occasione.
Aprire la porta a un nuovo giorno, quella mattina, fu come svegliarsi
dopo un lunghissimo sonno; sicuramente in parte quella sensazione
derivava dal periodo di riposo forzato, durante il quale gli era stato
quasi impossibile godere della luce del sole o dell'aria fresca sul
viso, di una cavalcata in libertà o di una passeggiata a
piedi per le vie del villaggio, ma c'era anche dell'altro, come un
sensto senso che lo convinse ad affrontare la giornata appena iniziata
con un atteggiamento totalmente positivo; quindi, tanto per cominciare,
avrebbe cercato Robin e gli avrebbe detto che intendeva pranzare al
Maniero o da qualsiasi parte che non fosse casa sua.
Mettendo il naso fuori dalla porta, Guy si accorse dell'unica figura
intenta ad osservare il Sole nascente non molto distante da dov'era
lui, ma non vi si soffermò, troppo intento a godersi l'aria
fresca e pulita che gli accarezzava il volto e gli riempiva i polmoni,
troppo desideroso di muovere i primi passi nella nuova esistenza che
era riuscito in qualche modo a guadagnarsi, liberandosi dello Sceriffo
e
del Principe Giovanni.
Trascorsi cinque minuti buoni, Kaelee decise che era il momento di
rientrare, tanto più perché la stanchezza di una
notte trascorsa ad impastare iniziava a farsi sentire.
Non avere una casa tutta sua non le recava alcun fastidio,
né le dispiaceva condividere ogni cosa con Kate –
che non avrebbe mai ringraziato abbastanza per quanto aveva fatto per
lei quando era arrivata in quel villaggio. Non era stato facile
convincere Allan a combinarle un incontro con Robin Hood e non era
stato semplice spiegargli la sua situazione e chiedergli che quella
conversazione restasse tra loro, perché non voleva essere
compatita dagli uomini della banda o dagli abitanti di Locksley;
l'arciere, però, aveva accettato le sue condizioni e l'aveva
subito presentata al gruppo permettendole di legare con la donna che
era presto diventata sua amica.
Kaelee era a conoscenza dei trascorsi sentimentali di Kate e sapeva
che non se la passava bene anche se spesso tendeva a
minimizzare; a Kaelee anche se non conosceva Kate da molto,
dispiaceva vederla tanto triste, perciò voleva essere al suo
fianco quando si sarebbe svegliata, voleva augurarle una buona giornata
e voleva anche vedere un viso amico prima di piombare nel sonno
profondo che la stanchezza le avrebbe imposto; forse era un desiderio
un po' infantile, ma dato che non recava danni a nessuno
perché non regalarsi quella piccola gioia?
Fu in quel momento, quando si voltò per imboccare la via di
casa, che Kaelee scorse la sagoma di un uomo dinanzi all'ingresso di
un'abitazione. Istintivamente si soffermò a guardarlo anche
se la poca luce le impedì di distinguerne i lineamenti,
sebbene fosse chiaro che il suo viso era incorniciato da una chioma
medio-lunga e, con ogni probabilità, anche molto scura;
ciò di cui aveva, invece, una percezione tutt'altro che vaga
era l'imponenza di quella figura, che si stagliava come un'enorme ombra
verticale su un paesaggio abbracciato dai primi raggi solari. Si
domandò se avesse mai visto prima quell'uomo, salvo poi
chiedersi se fosse consono
guardare qualcuno con tanta insistenza senza avere almeno l'intenzione
di alzare la mano in cenno di saluto; quando le sembrò che
lui
si fosse voltato
nella
sua direzione, si disse che era meglio riprendere a camminare e
rincasare.
Suo malgrado e nonostante l'ora, trovò Kate già
sveglia e non propriamente allegra.
Anche se caratterialmente Kaelee era una ragazza positiva e ottimista,
non la infastidiva dover avere a che fare con una persona che vedeva
tutto nero in quel momento della sua vita; del resto, anche se non si
era mai innamorata in vita sua, riusciva a capire quanto grande dovesse
essere la sofferenza per Kate: pur non avendola vissuto sulla propria
pelle, era più che certa che essere lasciata dalla persona
amata non era affatto un'esperienza piacevole o facile da affrontare e
superare.
Si unì allora a Kate nella preparazione della colazione, che
consumò volentieri in sua compagnia, e riuscì a
farla sorridere
raccontandole un aneddoto che aveva a che fare con gli impasti per il
pane e il putiferio che uno dei ragazzi di Tyrik aveva quasi scatenato
quella notte; le faceva enormemente piacere poter essere utile, non
solo economicamente, alla persona che, senza
sapere nulla di lei e senza costrizioni, aveva deciso di offrirle un
tetto sotto cui vivere.
«Va' pure a riposare. Hai lavorato
tutta la notte, sarai stanca»,
le disse Kate, rivolgendole un sorriso.
«Ti ringrazio, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa puoi
svegliarmi in qualunque momento», le rispose, sinceramente
disposta a stare sveglia per altre otto ore filate, se necessario.
«Me la caverò»,
chiuse Kate nell'evidente tentativo
di
rassicurarla.
Kaelee annuì e la
strinse brevemente prima di
separarsi da lei – che sarebbe andata ad aiutare sua madre,
Rebecca, con la decorazione di alcuni vasi da vendere al Mercato
– prima di andare al piano superiore e addormentarsi
immediatamente dopo essersi stesa.
Kaelee si svegliò che era ormai passato mezzogiorno, come la
posizione del Sole indicava chiaramente, e si
accorse
subito
del trambusto che regnava al piano inferiore; nonostante la
mente ancora confusa e mezza addormentata, non ebbe
difficoltà a riconoscere le voci
di Much
e Allan oltre a quella di Kate.
D'istinto scosse il capo al pensiero di tutte le storie che Allan si
sarebbe messo a raccontare pur di attirare su di sé
l'attenzione dei presenti, ma poi sorrise tra sé immaginando
Much che preparava uno dei suoi
piatti, soprattutto
per Kate: non era un segreto per nessuno, infatti, che la donna fosse
la sua
più grande fonte di ispirazione e contentezza. Perfino lei
si era subito accorta del sentimento che lo legava a Kate e le
era stato impossibile non sperare che tra i due nascesse qualcosa prima
o poi, perché Much le dava la netta sensazione di essere un
uomo buono, di quelli che non mancherebbero mai di rispetto alla donna
che amano, di quelli capaci di dare valore alle piccole cose.
Si stiracchiò prima di alzarsi per darsi una sistemata e
raggiungere gli altri, compito per nulla semplice come avrebbe potuto
sembrare.
Dopo qualche minuto impiegato in maldestri tentativi di acconciarsi i
capelli, Kaelee dovette per forza arrendersi all'indomabile chioma che
si ritrovava e accontentarsi di
fermare alcune ciocche scure che troppo
spesso
le ricadevano indisciplinate davanti agli occhi, infastidendola oltre
ogni dire; quindi scese con l'allegria che era solita portarsi dietro,
intenzionata a condividerla con Kate attraverso il supporto anche di
Allan e Much.
Dando per scontato che sarebbero stati solo loro quattro per il pranzo,
come altre volte era accaduto, non
guardò nella stanza prima
di
aver sceso l'ultimo scalino; così si
accorse del nuovo
ospite quando era ormai troppo tardi per tornare indietro e prepararsi
mentalmente a fare una nuova conoscenza.
Quando le voci arrivarono distintamente alle sue orecchie, la
conversazione tra i presenti doveva essere già iniziata da
un po'.
«In
tutta sincerità nemmeno io riesco a credere di poter
pranzare fuori casa», disse lo sconosciuto con una voce
profonda e piacevole.
«E in nostra compagnia!», esclamò Allan.
I presenti risero e si lanciarono in una breve serie di battute che
Kaelee non colse, ancora
stordita da quella presenza e, forse, anche perché
ciò che faceva ridere tutti non sarebbe mai riuscito a far
ridere anche lei, dal momento che si faceva riferimento a fatti che lei
ignorava.
Mentre indugiava ancora sull'ultimo gradino, Much la notò e
ne richiamò l'attenzione.
«Kaelee!
Mi chiedevo quando saresti arrivata.
Manca giusto il pane», disse, inducendo inevitabilmente
l'ospite a voltarsi nella sua direzione.
Gli occhi chiari che quello
puntò nei suoi quasi le tolsero il respiro tanto erano
accesi di curiosità.
«Much...
Il pane lo preparo e lo lascio al forno del vecchio Tyrik, non me lo
porto mica a
letto»,
gli rispose arginando l'imbarazzo e facendo ridere Allan di gusto.
Much rimase interdetto per qualche istante e Allan si propose di
risolvere la questione facendo un salto al forno del vecchio Tyrik.
Kate intanto stava preparando la tavola e Kaelee
si rese conto che era buona educazione presentarsi all'uomo e poi
aiutare
l'amica.
«Io sono
Kaelee.
Non mi sembra di conoscervi», esordì tendendo la
mano allo sconosciuto.
Lui si alzò, rivelando la sua notevole altezza, e contrasse
per un attimo le labbra sottili in una
smorfia di dolore senza che lei potesse intuirne l'origine.
«Guy
di Gisborne», rispose infine, sollevandole la mano fin quasi
a
sfiorarla con le labbra in un gesto elegante e gentile. «Robin mi ha parlato di voi e del vostro
trasferimento a Locksley. Ben arrivata anche da parte mia»,
concluse.
Senza che ci fosse un razionale
motivo, il cuore di Kaelee prese un ritmo a lei completamente nuovo;
simile a quando correva a perdifiato, ma non uguale; simile a quando
infrangeva qualche sciocca regola, ma non uguale.
Sentì il viso riscaldarsi improvvisamente e
immaginò le guance colorarsi di rosso, come al solito, ma
nonostante questo non potè trattenere
un
sorriso quando gli occhi cristallini di lui si incastrarono di nuovo
nei suoi, manifestando subito una predisposizione d'animo per niente
ostile.
Si accorse, ora che gli era così vicina, che ciglia e
sopracciglia scure li rendevano ancora più
ipnotici di quanto dovessero essere realmente, –
"pericolosamente ipnotici", corresse nella mente – al punto
che l'unica soluzione era distrarsi
aiutando Kate ad apparecchiare.
«Vi
ringrazio e spero
vi abbia detto soltanto cose
interessanti», scherzò, scoprendo che era
più
facile nascondere quelle sensazioni sconosciute se non
lo guardava negli occhi.
Lui si sedette di nuovo e diede vita ad una leggera e piacevolissima
risata.
Kate, che aveva conosciuto la parte oscura e cattiva di Gisborne, che
aveva dubitato di lui anche quando Robin aveva deciso di fidarsi, aveva
ora dinanzi a sé innegabilmente una persona molto diversa,
anche
se non gli dava ancora completa fiducia. Non
riusciva a credere, infatti, che il caratteristico ghigno avesse
abbandonato il volto di Guy,
rimpiazzato da un sorriso gentile; non poteva credere che la voce
rabbiosa avesse lasciato il posto a toni pacati, e il tutto in un tempo
così piccolo. Ancora adesso, mentre era nella sua casa e
nella sua cucina, l'atteggiamento di Guy di
Gisborne e la sua gentilezza verso Kaelee non la convincevano
pienamente e se si era mostrata disponibile ad ospitarlo per
pranzo era soltanto perché Robin gliel'aveva chiesto come
favore personale essendo lui e Archer impegnati in un giro di
ricognizione sul limitare della foresta.
I suoi pensieri, mentre continuava a osservare Gisborne con sguardo
critico e Kaelee con materna attenzione, furono interrotti da Allan, il
quale
irruppe rumorosamente e allegramente in casa annunciando di avere il
pane, per la gioia di
Much, permettendo così ai cinque di mettersi a tavola.
Con Much e Allan non c'era davvero il pericolo di annoiarsi e il pranzo
fu allegro e colmo di risate sincere.
Per Guy fu un piacevole ritorno alla vita di tutti i giorni, che si
prospettava diversa in tutto e per tutto dalla precedente esistenza
vissuta al fianco di Vaisey e in qualità di suo braccio
destro, – nessuno, infatti, gli avrebbe chiesto di prendere
con la forza il denaro a questa o quella famiglia, nessuno lo avrebbe
costretto a mozzare la mano ad un uomo solo perché aveva
rubato una mela al Mercato, nessuno gli avrebbe ordinato di uccidere un
innocente in cambio di denaro e potere – e si rese conto di
provare sentimenti considerati perduti per sempre: si sentì
sereno, felice, mentre scopriva che la speranza
poteva
nascere perfino nel suo cuore lacerato.
N.B.
Il
capitolo è stato rieditato in
data 27/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Salve a voi coraggiosi, che siete giunti fino alla fine di
questo primo e sperimentale capitolo, e benvenuti!
Chi conosce nel dettaglio la serie televisiva di appartenenza,
avrà facilmente intuito, già leggendo la
premessa, che
non ho
amato particolarmente il finale della terza ed ultima stagione di Robin
Hood; ragion per cui mi sono presa la libertà di apportare
qualche modifica,
ponendo come presupposto che Robin, Allan e Guy non siano morti.
Per chi non è pratico del fandom ed è arrivato
ugualmente
a questa storia, preciso che nella premessa ho sintetizzato quello che
è il finale alternativo, quindi di mia invenzione, da cui
prendono il via le vicende che racconterò di qui in avanti.
Con l'introduzione, ho invece gettato le basi per le nuove avventure,
ho voluto dare uno sguardo generale alla situazione
in cui intendo ambientare i personaggi e ho approfittato per inserire
brevemente l'arrivo di Kaelee a Locksley. Lei non fa parte della serie
tv in alcun modo, neanche trasversalmente comparendo per pochi istanti
nel corso di un episodio, ed è, quindi, completamente mia;
la
conosceremo meglio insieme,
nel
corso delle vicende, dal momento che intendo incentrare il tutto su lei
e Guy di Gisborne (è principalmente per lui che ho sentito
il
bisogno di
scrivere).
Ci tengo inoltre a precisare che adoro Much e sapendolo
innamorato di Kate, vorrei provare a dargli un'opportunità;
non
sono certa di come andrà a finire: mi lascerò
trasportare
dai personaggi.
Prima di chiudere voglio precisare che siamo nel 1194, lo stesso anno
in cui è ambientata la terza stagione della serie tv, e
voglio
fare un piccolo riepilogo sui personaggi e i loro eventuali legami, sia
per coloro i quali hanno seguito la serie, sia per chi ha nozioni
generiche sul personaggio di Robin Hood.
Robin di Locksley:
ha
31 anni, ha un Maniero a Locksley e altri possedimenti nei villaggi
adiacenti, è nobile di nascita; ha un fratellastro di nome
Archer (nato dall'unione di suo padre con la madre di Guy di Gisborne)
e ha sempre amato Lady Marian; dopo la sua morte ha avuto brevi
relazioni con Isabella Thornton e Kate; ha combattuto nella Guardia
Reale di Riccardo I, in Terra Santa e crede in un'Inghilterra giusta e
libera; il suo più fedele alleato è Much, che
è
stato anche il suo servo quando entrambi abitavano al Maniero prima di
partire per la Crociata di Re Riccardo.
Much:
ha 33 anni, vive
al fianco di Robin come suo leale servitore da diverso tempo e non
desidera altro che la Tenuta a Bonchurch promessagli da Robin dopo
l'esperienza in Terra Santa; è sensibile e si innamora in
fretta; un ottimo cuoco e un amico sincero; vuole molto bene a Robin
Hood e spesso manifesta gelosia in chiunque ne riceva le attenzioni; ha
una brevissima relazione con Eve, una giovane donna di Bonchurch, alla
quale fa una promessa (affronterò l'argomento nel corso dei
capitoli) e si innamora a prima vista di Kate.
Allan A Dale:
ha 30
anni e diventa subito membro della banda di Robin Hood; è
incline a pensare spesso al proprio tornaconto, ma non per questo
è una cattiva persona; nel corso degli eventi si ritrova a
dover
scegliere tra la propria vita e la fedeltà alla banda;
collabora
con Sir Guy di Gisborne e lo Sceriffo Vaisey senza mai tradire davvero
i suoi amici; è un imbroglione nato, ottimista e positivo,
allegro e dalla battuta facile; ha una cotta per Djaq la Saracena, ma
non lotta per lei quando la ragazza dichiara di amare Will.
Will Scarlett:
ha 21
anni, vive a Locksley con suo padre Dan (che verrà ucciso
dallo
Sceriffo) e suo fratello minore Luke (che si trasferirà a
Scarborough; si unisce alla banda di Robin Hood dopo essere stato quasi
impiccato per aver infranto le assurde regole dello Sceriffo di
Nottingham; resta fedele al gruppo e combatte al fianco dei suoi
compagni fino a quando, tutti insieme, partono verso Acri, in Terra
Santa, per salvare Lady Marian e fermare Vaisey e Gisborne che vogliono
uccidere Re Riccardo; innamorato di Djaq la Saracena, decide di
stabilirsi ad Acri con lei per sposarla e costruirsi una famiglia;
lascia la banda nel 1193.
Djaq la Saracena:
ha
28 anni, è originaria di Acri e il suo vero nome
è
Safiya; ha un fratello gemello di nome Djaq, del quale assume
l'identità dopo la sua morte; arriva in Inghilterra come
prigioniera e si unisce alla banda di Robin Hood fingendosi uomo;
è esperta di medicina e sarà spesso utile alla
banda in
tal senso; ha un carattere forte, è un valido alleato sul
campo
ed è di mentalità molto aperta; si innamora di
Will al
quale si dichiara il giorno del compleanno di Robin Hood, quando
l'intera banda rischia la vita; lascia la banda nel 1193.
Little John:
ha 54
anni, è originario di Locksley, ha una moglie di nome Alice
e un
figlio di nome Little Little John che nasce quando lui è
già un fuorilegge; quando viene dichiarato fuorilegge
è
costretto a fingersi morto per evitare problemi a sua moglie; si mette
a capo di un gruppo di fuorilegge, ma quando conosce Robin si unisce
volentieri alla sua banda; sue caratteristiche peculiari sono forza
fisica e bontà; è un compagno leale e sensibile
ai drammi
esistenziali; non si fida facilmente delle persone.
Fratello Tuck:
ha 43
anni, è un frate di colore e torna in Inghilterra nel 1194;
nello stesso anno si unisce alla causa di Robin Hood riportandolo sulla
retta via dopo la morte della donna amata; diventa subito una colonna
portante della banda; è allegro, ma anche molto intelligente
e
trova nella fede la sua forza; è un ottimo combattente.
Kate:
ha 30 anni (ho
deciso io l'età non avendo trovato indicazioni da nessuna
parte)
e vive a Locksley con sua madre Rebecca, sua sorella Maggie e suo
fratello Matthew (che verrà ucciso da Gisborne);
è
istintiva e incline a moti irosi; non sopporta catene e costrizioni,
perciò entra a far parte della banda di Robin Hood nel 1194,
dopo l'uccisione di suo fratello; si innamora di Robin.
Archer:
ha 20 anni ed
è il fratellastro di Robin di Locksley e Guy di Gisborne; sa
poco e niente dei suoi genitori e vive gran parte della sua vita
girando il mondo; si trova imprigionato a York quando conosce i suoi
fratelli, arrivati a liberarlo; scopre di avere anche una sorella che
è lo Sceriffo di Nottingham, così decide di
allearsi con
lei per denaro, ma presto capisce che la donna è corrotta e
si
unisce alla banda di Robin Hood nel 1194; è scaltro ed
è
un abilissimo arciere.
Lady Marian:
muore nel
1193 all'età di 22 anni, per mano di Guy di Gisborne; vive a
Knighton insieme a suo padre, Sir Edward, e veste i panni di Guardiano
Notturno per contrastare l'operato dello Sceriffo Vaisey; per qualche
tempo vive al Castello di Nottingham insieme allo Sceriffo e a
Gisborne, facendo la spia per conto di Robin Hood, del quale
è
innamorata; viene costretta a sposare Gisborne, ma lo abbandona
all'altare; quando viene scoperta nei panni di Guardiano Notturno
rischia l'impiccagione, ma viene salvata da Gisborne e Allan; condotta
in Terra Santa insieme allo Sceriffo e Gisborne, dopo aver tentato di
uccidere il primo, viene uccisa dal secondo; viene sepolta in Terra
Santa.
Isabella
Thorntorn:
muore nel 1194 all'età di 30 anni, per mano di suo fratello
Guy;
perde entrambi i genitori in un incendio, a Locksley, e viene poi
venduta da suo fratello all'età di tredici anni; molti anni
più tardi decide di scappare da suo marito e si reca a
Nottingham, dove chiede protezione a suo fratello Gisborne; prova, in
realtà, a entrare nelle grazie del Principe Giovanni e
riesce a
farsi eleggere Sceriffo dopo la finta morte di Vaisey, vendicandosi
così di suo fratello Guy; si innamora di Robin Hood, ma non
riesce a conquistarlo.
Sir Guy di
Gisborne:
ha 36 anni e dopo una vita trascorsa al fianco di Vaisey,
considerandolo un padre, lo uccide (così crede) mirando a
diventare Sceriffo; fatto invece prigioniero da sua sorella, nominata
Sceriffo, conosce una ragazza di nome Meg e grazie a lei capisce di non
voler più vivere nella cattiveria; innamorato di Lady Marian
cerca di conquistarla in ogni modo possibile, offrendole i propri averi
e il proprio cuore, ma non ci riesce e, accecato da rabbia e dolore, la
uccide; si pente e ne soffre molto finché sceglie di unirsi
a
Robin Hood dopo aver scoperto di avere un fratellastro in comune con
lui, Archer (figlio di sua madre e del padre di Robin di Locksley);
entra a far parte della banda nel 1194 e collabora alla distruzione di
Vaisey.
Vaisey di
Nottingham:
muore nel 1194 a 54 anni; è il maligno Sceriffo di
Nottingham
che trama alle spalle di Re Riccardo e in coalizione con il Principe
Giovanni.
Dopo aver parlato brevemente dei componenti della banda di Robin
(attuali e non), di chi ha avuto un ruolo importante ed è
poi
morto e dei due cattivi principali (di cui uno è ora dalla
parte
dei buoni e l'altro è passato a miglior vita, quindi
aspettatevi pure l'ingresso di nuovi antagonisti), credo di potervi
salutare.
Mi auguro che non ve la prenderete troppo con me per aver
stravolto un po' le cose e vi ringrazio in anticipo per la lettura e
l'eventuale recensione.
Alla prossima!
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Capitolo 2 *** Freccia e Lama ***
Locksley
Freccia
e
Lama
Locksley.
Laddove
l'attività di panettiere non avesse entusiasmato abbastanza
le nuove generazioni di uomini e donne di Locksley, il villaggio aveva
una divertente ed istruttiva alternativa da offrire. Tuck
ed il
suo orto, infatti, erano diventati il passatempo preferito dai
più
giovani: il frate era
riuscito non soltanto a reperire i semi dei molti ortaggi che aveva
imparato a
coltivare anni addietro, ma anche ad attirare l'attenzione dei
ragazzini mostrando loro le magie della Natura, come da un seme con le
dovute cure sarebbe spuntata una piantina prima o poi. Così,
mentre gli adulti, già istruiti a quel tipo di lavoro,
raccoglievano i frutti
dell'idea del frate, si prendevano cura del terreno e
commercializzavano il
cibo, Tuck insegnava ai piccoli come preparare la terra e trattare i
semi. Alcuni di loro si
erano appassionati
a quell'attività al punto che pure il fazzoletto
dietro la loro
abitazione era buono per far pratica.
«Tuck! Tuck!», urlò il piccolo Rolf
correndo per tutto il campo alla ricerca
del frate per mostrargli ciò che era riuscito a coltivare
grazie ai suoi
insegnamenti.
Scene come questa si ripetevano ogni giorno, più volte al
giorno, e tutti gli abitanti di Lockley che si rivolgevano a Fra Tuck
ricevevano sempre in cambio un sorriso ed un ringraziamento spontaneo
da quell'uomo di colore tanto alto quanto pieno di voglia di vivere,
fede e speranza nel futuro.
Robin e Archer, dal canto loro, reclutavano giovani arcieri.
Nessuno, né i due fratelli né gli altri della
banda di ex fuorilegge, si augurava nuovi scontri, ma farsi trovare
impreparati
nell'eventualità di un pericolo imminente sarebbe stato un
errore così sciocco ed imperdonabile che Robin voleva
correre ai ripari e giocare d'anticipo. Inoltre istruire uomini e donne
all'arte del tiro con l'arco offriva anche la preziosa
possibilità di organizzare una gara per animare
qualche festa, motivare
i giovani e
divertire gli abitanti del villaggio.
Tra gli altri, anche Kaelee aveva iniziato a prendere lezioni, ma
sembrava che arco e
frecce
non fossero il suo forte.
Non trascorreva giorno, comunque, che gli uomini di Robin Hood non si
infilassero nella foresta per tenere sotto controllo la situazione: il
ritorno
di Re Riccardo non aveva estirpato cattiveria e avidità nei
cuori di tutti gli
inglesi, perciò a volte capitava che un gruppo di persone
passasse da Sherwood
con l'intento di saccheggiare i villaggi a portata di mano pur
consapevoli della concreda eventualità di imbattersi nella
nota banda che proteggeva da anni Sherwood e dintorni.
Essere stati costretti a vivere nascosti nella foresta per lungo tempo
dava
agli
uomini di Robin un netto vantaggio in quanto non esisteva angolo di
quella grande e bellissima foresta che i fuorilegge non conoscessero,
non un punto in cui non si fossero appostati almeno una volta per
tendere un'imboscata, non un cantuccio che non avesse giocato un ruolo
importante per la salvezza di uno o più della banda.
Sherwood era letteralmente parte della banda, sua silenziosa complice.
A capo delle piccole spedizioni programmate, molto spesso c'erano Much
e Little John i quali si portavano dietro tre o quattro uomini per
volta e
insegnavano
loro i segreti della foresta, invitandoli a non averne paura, a non
temerla e a rispettarla.
In tutto ciò Much approfittava anche per cacciare animali di
piccola taglia e preparare i suoi ormai celebri manicaretti.
La tranquillità che Locksley viveva dopo gli anni trascorsi
nel terrore era una
novità molto gradita e dal momento che tutti, nel villaggio,
nutrivano grande rispetto
per Robin Hood nessuno sognava anche solo lontanamente di venir meno
alle poche
ma efficaci regole che tenevano in piedi la comunità e
consentivano a chiunque
una vita tranquilla e dignitosa. Il lavoro non mancava grazie alle
qualità dei
molti artigiani, senza contare che parecchi si stavano dando da fare
per
ricostruire Nottingham; Locksley era in buoni rapporti con i villaggi
vicini e
questo consentiva scambi commerciali molto utili; la foresta ed il
fiume
offrivano carne e pesce sempre freschi e questo aveva consentito la
nascita di
altre attività all'interno del villaggio. Certo i nobili non
mancavano nelle
terre vicine, ma l'assenza di uno Sceriffo avido di denaro aveva
ridimensionato
molto le pretese dei ricchi e aveva impedito loro di sfruttare i meno
abbienti.
Quel clima sereno aveva dato un nuovo volto a Locksley e ai suoi
abitanti.
Kaelee, dopo quel pranzo a casa di Kate, aveva rivisto Guy soltanto di
sfuggita.
Non era ancora riuscita a capire se quella specie di malinconia che
provava
dipendesse da
questo, ovvero se le dispiacesse non aver rivisto quell'uomo, oppure
no e nel caso in cui la risposta fosse positiva, la ragazza si
domandava perché mai dovesse lasciarsi prendere da simili
sensazioni dato che lo conosceva appena quell'uomo. Era evidentemente
confusa e se da un lato credeva che parlarne con qualcuno potesse
essere una
soluzione, dall'altro non se la sentiva di parlarne con nessuno, men
che meno
con Kate che aveva problemi sentimentali ben più grossi dei
suoi. Ammesso che
davvero quella fosse la natura dei turbamenti di Kaelee.
Anche se le donne di
Locksley
erano per la maggior parte molto socievoli, l'unica con cui Kaelee
fosse
riuscita a instaurare un buon rapporto era proprio Kate: insieme a lei
trascorreva il tempo libero, teneva in ordine la casa e svolgeva molte
attività. Kate aveva perfino la forza di spronarla a non
demoralizzarsi se il
tiro con l'arco non andava come sperava. Kaelee si era resa conto fin
da subito che Kate era una donna speciale e
insieme a lei si divertiva tantissimo, come non le era mai capitato
prima del suo arrivo a Locksley.
L'unica amica che Kaelee avesse mai avuto, infatti, era morta per una
grave
malattia
quando entrambe avevano undici anni e da allora Kaelee non era
più riuscita ad
avere un rapporto di quel tipo con le ragazze del suo villaggio
d'origine. Poi era
piombata
Kate nella sua vita rimettendo inconsciamente in moto molte cose. C'era
un'affinità di fondo tra loro e questo aveva fatto
sì che Kate ricoprisse per
Kaelee un ruolo molto simile a quello di un'amica.
Le due, però, non avevano ancora mai affrontato l'argomento
Guy di Gisborne, né
Kaelee aveva il coraggio di fermare spudoratamente lui per strada e
parlargli. "E di cosa
poi?", si chiedeva tutte le volte che ci pensava su. Perciò
l'uomo animava
soltanto i pensieri di lei.
In compenso aveva qualcun altro sempre intorno ad animarle le
giornate.
«Mi stai di nuovo seguendo Allan?», disse Kaelee
dirigendosi al pozzo per
prendere dell'acqua. Stava imparando a creare dei bellissimi vasi
grazie agli
insegnamenti della madre di Kate e quello era anche un ottimo modo per
socializzare
con sue coetanee e non.
«Chi? Io? Ma che dici?», si difese lui.
«Passavo di qui per caso!».
Questo fantomatico caso voleva spesso che Allan apparisse esattamente
dove si
trovava Kaelee: quando aiutava Tuck con la semina e la raccolta, quando
raggiungeva Archer per assistere alle magie dell'alchimia, quando
intrecciava
cestini con le spighe insieme alle donne più anziane.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, gli chiese se fosse
impegnato in qualche
attività e saputo che era libero lo invitò a
seguirla.
«Abbiamo un mucchio di vasi da decorare, sai?»,
precisò lasciando che portasse
lui il secchio colmo d'acqua.
Il ragazzo mosse qualche debole protesta e pretese di difendere la sua
virilità
stando quanto più possibile lontano dai colori, ma
bastò la risata di
Kaelee a
fargli cambiare idea.
Kaelee non aveva mai avuto un ragazzo e non si era mai innamorata, ma
aveva un
sesto senso per queste cose e già prima che Kate iniziasse a
scherzarci sopra
quando erano da sole in casa, aveva intuito che Allan non la raccontava
giusta.
Trascorrevano così, alle volte velocemente e altre in modo
più lento, le
giornate di Kaelee a Locksley.
Di tanto in tanto sentiva la mancanza della sua famiglia, di un
componente in particolare in verità, ma ogni volta
che
ripensava al destino che le sarebbe toccato se fosse rimasta a
Edwinstowe la
nostalgia svaniva. La sua convinzione che trasferirsi a Locksley fosse
stata la
cosa migliore che avesse fatto in tutta la sua vita, invece, non
vacillava mai.
Capitava ogni tanto che, terminato l'allenamento con Robin, Archer e
gli altri
del villaggio, prolungasse l'esercizio per conto suo se Kate era
impegnata in
altre attività e fu esattamente questa sua voglia di
impegnarsi ed imparare a regalare a Kaelee un secondo
incontro con Guy.
La donna aveva raggiunto a cavallo un posto nella foresta, non troppo
lontano dal
villaggio e non troppo all'interno di Sherwood, e
scelto il tronco di un albero come bersaglio per far pratica nella
speranza di poter migliorare.
Tutte le volte, a fine allenamento si ritrovava a sfiorare una freccia
con le dita e a chiedersi quale misteriosa forza
faceva sì
che le frecce scoccate da Robin e Archer andassero a segno, quella
stessa forza
che non assisteva invece lei e faceva cadere miseramente a terra ogni
freccia
prima ancora di farla partire. Si sentiva frustrata, tanto
più perché non c'era
stato alcun passo in avanti da quando aveva iniziato.
In aggiunta, poi c'era un episodio in particolare che la demoralizzava
ulteriormente: uno degli artigiani di Loksley, infatti, le aveva
regalato un arco in segno di
ringraziamento per aver ritrovato la loro bambina che si era persa. In
realtà era
stato
un vero colpo di fortuna imbattersi in lei sul limitare della foresta,
a
nord del
villaggio, ma nonostante questo quel buon uomo le aveva comunque donato
quell'arco e non
riuscire ad
utilizzarlo degnamente equivaleva, per Kaelee, a non apprezzato il
prezioso
dono
dell'artigiano.
Nonostante tutti gli intoppi, comunque la ragazza non era intenzionata
a lasciar perdere e, con la determinazione che la caratterizzava da
sempre,
sollevò l'arco e
posizionò la freccia. Tese la corda e si preparò
al lancio.
«Mi arrendo!», esclamò affranta quando
vide la freccia crollare molle davanti
ai suoi piedi.
Presa com'era dai propri insuccessi non si accorse del suono di zoccoli
sul terreno finché un uomo a cavallo si fermò non
molto lontano da lei, scese dal suo destriero e
le si avvicinò rivelandole la sua identità. Si
trattava di Guy di Gisborne e con ogni probabilità stava
rientrando a Locklsey dopo una perlustrazione.
«Serve aiuto?», chiese serio. «Non
è
prudente aggirarsi da sola nella foresta»,
aggiunse con un disappunto che stupì entrambi.
Lei gli rivolse un mezzo sorriso, sperando che l'imbarazzo e la
confusione che aveva provato nel riconoscerlo non fosse troppo
evidente, e gli mostrò l'arco.
«Tentavo inutilmente di
far funzionare quest'arma», spiegò.
Guy le si fece più vicino.
«È un bell'arco», commentò
sfiorandone con un tocco delicato
il legno.
«Ve lo cedo volentieri», rispose lei, senza
pensarci su. La consapevolezza di
essere completamente sola con quell'uomo, lontana dal villaggio
abbastanza
perché nessuno potesse sentire eventuali grida, la
assalì, ma non era paura.
Si rese conto che il fascino esercitato da quella figura imponente
aveva annientato in lei ogni altro
sentimento.
«Vi darò una mano se accetterete di darmi del
tu». Raccolse la freccia intanto e
si spostò dietro di lei intanto.
Kaelee si limitò ad annuire. Improvvisamente
pensò che
arrendersi non fosse più
l'unica soluzione valida per evitare di essere un peso per Robin e
Archer ed esimersi da eventuali umiliazioni future da parte di chi al
contrario di lei riusciva a migliorare e che, in fin dei conti, avrebbe
potuto continuare
a
provare e riprovare. Soprattutto con il supporto di Guy.
Guy sapeva tirare con l'arco, anche se preferiva la spada,
perciò non fu
difficile per lui guidare le braccia e le mani della donna nel modo
più
corretto, tanto più perché la sua
istintività gli aveva consentito di arginare l'impaccio di
una situazione improvvisamente intima.
Insieme tesero l'arco.
«Ancora un po'», mormorò alle sue
spalle a voce molto bassa, quasi che non volesse alterare l'aria
attorno alla loro figura e all'arco.
Il soffio che Kaelee avvertì tra i capelli le
scatenò un piacevolissimo
brivido. Era vergognosamente bassa in confronto a lui e forse anche
parecchio
più giovane, ma in quel momento ogni cosa passava in secondo
piano. C'erano
soltanto lei e Guy. Le mani di lui sulle proprie.
La forza dei suoi muscoli in contrasto con la propria
femminilità.
«Adesso!», disse Guy lasciando andare la freccia.
E la freccia volò, dritta nel tronco.
Anche qualcos'altro aveva preso il volo nel frattempo. Qualcosa che gli
occhi non potevano
vedere,
né le mani toccare. Qualcosa che martellava costantemente
nel petto di
entrambi.
Se fosse per il successo appena conseguito o per la presenza di Guy,
Kaelee non
lo sapeva con assoluta certezza.
Se fosse per l'aiuto che aveva offerto a Kaelee o per il meraviglioso
sorriso
di quest'ultima, Guy non riusciva a determinarlo senza margine di
errore.
«Di nuovo!», esclamò lei, recuperando
l'antica determinazione.
Da questo momento in poi, Guy e Kaelee, si esercitarono insieme tutti i
giorni
e fu inevitabile creare un legame.
Foresta di Sherwood.
A Kaelee piaceva molto andare a cavallo, così non le
dispiacque affatto dover
cavalcare per un quarto d'ora buono prima di raggiungere il luogo in
cui lei e
Gisborne tiravano con l'arco. Più che altro, in
verità, era lui che tirava:
tutte le volte che ci provava da sola, o la freccia non partiva o non
raggiungeva comunque l'obiettivo.
"Guy è un uomo di infinita pazienza", pensò
raggiungendo il piccolo
spiazzo erboso.
Gisborne non era ancora arrivato, così decise di godersi il
silenzio e la
meraviglia della Natura.
La luce che filtrava dagli alberi assumeva, a seconda dell'angolazione
da cui
la si osservava, sfumature dorate o verdi creando un'ambientazione
molto
suggestiva. Se ci si concentrava su un raggio di sole si potevano
vedere
infinite particelle danzare in modo così armonioso da far
credere che ci fosse
qualcuno a muoverle e la terra bagnata da quella luce si colorava di un
marrone
intenso, pieno, incantevole. Kaelee si perse in se stessa e
nell'adorazione di
quel posto, l'arco appuntato a terra e sorretto dalla mano destra.
Invogliato dalla bella giornata e dal bisogno di godersi quanto
più possibile
l'aria aperta dopo aver trascorso settimane a riposo, Guy decise di
farsela a
piedi quel giorno, convinto che se anche avesse ritardato un po' al
consueto e piacevole appuntamento Kaelee non se la sarebbe presa.
Gisborne ne vide la sagoma e la riconobbe senza indugio: era tutta
minuta, ma non per questo sgraziata. Si avvicinò a lei in
totale silenzio, accompagnato soltanto dal rumore dei propri passi,
certo che Kaelee si sarebbe voltata da un momento all'altro per
salutarlo. E invece dovette constatare che la donna non l'aveva sentito
arrivare e quando il fruscio delle foglie mosse dal proprio incedere
raggiunse le orecchie di lei era già troppo tardi: se fosse
stato un
aggressore l'avrebbe
immobilizzata e probabilmente uccisa senza difficoltà.
Guy non intendeva spaventarla, ma evidentemente era riuscito a
coglierla di sorpresa scatenando in lei una reazione del tutto
inaspettata. Nonostante l'evidente
svantaggio in un'ipotesi di affressione, l'istinto doveva averle
suggerito di impugnare l'unica arma
di cui disponeva.
Con una prontezza di riflessi che fino a quel momento Kaelee non aveva
mai manifestato, Guy la vide ruotare su se
stessa e utilizzare l'arco contro di lui che si scansò
prontamente.
I due si guardarono per qualche istante, sorpresi ognuno per motivi
differenti.
«Mi dispiace!», esclamò lei lasciando
cadere l'arco, mortificata. «Non ti ho
sentito arrivare e mi sono spaventata», aggiunse portandosi
entrambe le mani
alla bocca, mostrando lo sconvolgimento che la invadeva.
Guy scosse il capo, le sorrise e si scusò a sua volta per
non essersi
annunciato. «È una fortuna che tu e le frecce non
andiate
d'accordo», scherzò.
Al solo pensiero che se avesse avuto dimestichezza con l'arco avrebbe
potuto
scagliargli contro una freccia e ferirlo, Kaelee si sentì
male ed ebbe
l'impulso di fuggire lontano da lì per nascondersi in
qualche posto buio fino
alla fine dei propri giorni. Esagerava e lo sapeva anche lei, ma non
poteva
fare a meno del suo lato comicamente melodrammatico. Qualcosa,
però, forse il
terrore o forse il fatto che Guy la stesse guardando, la trattenne
esattamente
dove si trovava.
Gisborne si accorse del turbamento della ragazza e cercò un
modo per
rassicurarla. Gli occhi di lei erano di un intenso e inusuale color
caramello,
profondi quanto bastava a crear confusione nei pensieri di un uomo, ma
altrettanto cristallini da rivelare ogni sentimento provato. Guy la
trovò bella nel suo sconvolgimento e
desiderò di poterle sfiorare
le spalle, di poterla avvicinare a sé e stringerla in un
abbraccio. Si chiese
però se non sarebbe stato un gesto avventato il suo, quindi
esitò e si lasciò prendere dai mille dubbi
scatenati dai suoi stessi impulsi.
«Una vera fortuna», commentò lei con un
filo di voce. «Forse dovremmo
smettere», aggiunse abbassando lo sguardo.
A quel punto Guy non riuscì a resistere all'impulso, si
avvicinò, le sfiorò le
mani e la invitò dolcemente a guardarlo.
La vide arrossire lievemente a quel contatto e a quella vicinanza
improvvisa, inaspettata.
«Ho visto come hai brandito quell'arco»,
mormorò Guy. «Come se fosse una
spada», precisò.
Lo sguardo sconcertato di Kaelee, fisso ora nei suoi occhi, ora sulle
sue labbra mentre lui parlava, irrigidì Gisborne. Non era
neanche certo che lo stesse davvero ascoltando tanto smarrita era
l'espressione di lei. "Adorabile", si ritrovò a pensare
l'uomo.
Gisborne credette di aver urtato in qualche modo la
sensibilità della donna, perché in fin dei conti
non aveva poi tanta esperienza con le donne, così
pensò
di rimediare allontanandosi delicatamente da lei, facendolo sembrare
un gesto
spontaneo. Per distrarsi dalla pessima figura che credeva di aver fatto
e tirarsi fuori da quell'imbarazzante situazione, si guardò
attorno alla ricerca di qualcosa di
assimilabile ad una
spada, entusiasmato dalla rivelazione, e individuando dei rami nelle
immediate
vicinanze corse a prenderne due.
«Ecco. Proviamo con questi».
La posa che l'uomo assunse impugnando il ramo scatenò un
putiferio
nell'animo di
Kaelee, come se già l'inatteso contatto non avesse
minacciato seriamente la sua stabilità mentale. Guy apparve
ai suoi occhi come l'essere umano più
bello, forte,
imponente e perfetto che avesse mai visto. Per un attimo
immaginò la stretta
delle sue braccia vigorose, il calore del suo respiro tra i capelli, le
sue
labbra così vicine al viso. "Perché quando ho
detto che sarebbe bene
smettere lui semplicemente non ha smesso? Cosa devo fare adesso?", si
domandò
Kaelee, più confusa che mai. "Quanto vorrei che Kate fosse
qui! Devo
prenderlo oppure no quel ramo? Cosa si aspetta che faccia?".
«Kaelee? È tutto a posto?», si
informò
Guy abbandonando la posa da spadaccino
e muovendo alcuni passi in direzione della giovane donna.
«Come? Sì! Sì, certo!», si
affrettò lei a rispondergli gesticolando senza una ragione
particolare. «Cosa devo farci con
questo?», chiese poi, mostrando il ramo che aveva deciso di
afferrare.
Sentiva di non poter continuare così.
"Mi ha soltanto sfiorato le dita ed io non capisco più
nulla. Ma cosa mi
succede?", pensò.
«D'accordo», disse lui. «Ma se qualcosa
non andasse me lo diresti, non è
vero?», aggiunse con un velo di incertezza negli occhi chiari.
Kaelee aggrottò le sopracciglia a quell'improvvisa
confidenza, senza riuscire
ad interpretare il reale senso di quelle parole. Cosa le stava
chiedendo
esattamente?
Come poteva Kaelee dirgli cosa le stesse succedendo se neanche lei lo
sapeva con
esattezza? Come poteva assicurargli che nulla stesse andando nella
direzione
sbagliata se neanche aveva idea di quale fosse la direzione sbagliata?
"Forse sto travisando tutto... In ogni caso devo rispondergli o
penserà definitivamente che sono stupida. Ma cosa gli
dico?". Ricordò in
quel momento di avere in mano il pezzo di legno. Lo strinse e
cercò di imitare
la posizione che Guy aveva assunto solo qualche minuto prima. "Quella
posa...", pensò senza controllo.
«Era così?», chiese Kaelee sperando di
aver evitato così di rispondere alla
domanda di Gisborne.
La leggerezza con cui la ragazza si mise in guardia, con il ramo
stretto nella
mano destra, provocò in Guy sensazioni contrastanti. La
parte guerriera di lui
lo spingeva ad impugnare a sua volta il ramo e iniziare un duello; la
parte
umana di lui era invece concentrata sulle linee femminili di Kaelee. Il
viso
privo di qualsiasi imperfezione tradiva un'età molto
giovane, probabilmente fin
troppo giovane per lui; la ciocca di capelli scuri che ricadeva sulla
spalla
finiva col disegnare la sagoma di un seno piccolo ma perfetto sotto gli
abiti
leggeri; la candida mano che tremando faceva vibrare impercettibilmente
il ramo
suscitò in lui tenerezza.
La foresta ci metteva del suo inondando ogni cosa con quella luce
straordinaria,
illuminando i dettagli più belli di quel luogo e delle due
persone che in quel
momento lo animavano. Tra i capelli di lei si accesero intense
sfumature di un
castano tendente al rosso mentre gli occhi di lui si facevano ancora
più chiari
e splendenti.
Riuscendo ad avere la meglio sulla propria confusione si mise in
guardia anche
lui e intraprese una lenta danza circolare.
Lei lo imitò.
Gli sguardi incatenati.
Il cuore in corsa.
La pelle infuocata sotto i vestiti.
Giravano in tondo, come due avversari intenti a studiare il rispettivo
atteggiamento in attesa del momento migliore per compiere la prima
mossa.
Lo sguardo di lui cambiò e Kaelee poté scorgervi
come un'ombra, un'oscura
tenebra che rendeva Guy ancora più attraente.
Seguendo soltanto l'istinto Kaelee si piegò di
più sulle ginocchia, pronta ad
attaccare.
Guy registrò il movimento e si preparò a scartare.
La concentrazione di Kaelee vacillava. Più lo guardava,
più desiderava che lui
le rivelasse ogni cosa di sé. Più si rendeva
conto dei propri desideri, più ne
aveva timore.
Il modo in cui Kaelee si muoveva indicava un talento naturale per quel
tipo di
arma: altro che frecce, era una donna da lama lei.
Questo non faceva che solleticare i suoi istinti di uomo.
"Ora o mai più", si disse Kaelee lanciandosi verso Gisborne.
Lui si spostò poco prima che lei lo toccasse con il ramo.
Saltò a destra e
riprese il movimento circolare di poco prima senza smettere di tenerla
d'occhio.
Lei quasi perse l'equilibrio nello slancio. Per pochi attimi, che in un
incontro reale le sarebbero stati fatali, Guy non fu nel suo campo
visivo e lei capì
che doveva tornare a seguirne ogni singolo passo; quando lo vide
danzare in
tondo fece altrettanto.
Andarono avanti così per una buona mezz'ora: tutte le volte
che lei attaccava,
lui la schivava con un'abilità incredibile.
Kaelee iniziava a dare segni di stanchezza e Guy ne
approfittò. Si scagliò
contro di lei dosando la forza, la disarmò senza la minima
difficoltà e la
intrappolò tra le braccia, con il ramo vicino alla gola come
fosse davvero la
lama di una spada.
La ragazza rimase sbalordita alla velocità dei
movimenti di lui.
«Mi hai presa in giro», commentò con il
fiatone. «Mi hai fatto credere di
poterti attaccare sul serio».
Lui rise senza lasciare la presa su di lei. In compenso
abbandonò il ramo.
«È andata molto meglio che con l'arco
però», commentò dichiarandosi poi
disponibile ad insegnarle i segreti di quell'arte se era interessata ad
apprenderli.
"Se accetto cosa succederà tra noi? Questa confusione non
farà altro che
aumentare e prima o poi crollerò... Ma sono davvero
così forte da rinunciare
volontariamente alla possibilità di contatti come questo?",
si chiese.
Intanto, istintivamente portò una mano sull'avambraccio di
Guy, all'altezza
delle proprie spalle.
«Credo che ne approfitterò», rispose in
un sussurro.
«Sarà un piacere», mormorò
lui con un sorriso sulle labbra sottili.
Restarono in quella posa - lui dietro di lei, la testa di lei quasi a
sfiorargli il collo, le labbra di lui vicinissime ai capelli di lei, le
spalle
di lei contro il petto ampio di lui - non più di un paio di
minuti prima di
decidere che sarebbe stato meglio rientrare.
Kaelee constatò con un filo di soddisfazione che Guy non era
arrivato a
cavallo, ma non ebbe il coraggio di domandarsi perché se ne
fosse resa conto soltanto
in quel momento.
«Ti offro un passaggio, in fin dei conti sono in debito con
te», azzardò Kaelee
montando a cavallo.
Vide Guy osservarla interdetto, probabilmente non tanto per l'invito ma
per la
situazione in sé.
«Ti aspettavi forse che ti avrei fatto condurre la cavalcata
dopo che mi hai
disarmata in quel modo?», scherzò lei intuendone i
pensieri. Incredibile
quanto si sentisse leggera
dopo tutte quelle forti emozioni, leggera dopo quell'accenno di
abbraccio,
leggera sebbene con il cuore ancora in corsa.
Gisborne le sorrise, accettò le sue condizioni e dopo
essersi messo in spalla
l'arco di lei,
montò a cavallo e cinse con dolcezza e decisione la vita
sottile della ragazza.
Entrambi ebbero un brivido.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 27/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Ringrazio,
come sempre, chiunque di voi si sia fermato a
leggere ed
eventualmente recensire.
Alla prossima!
|
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Capitolo 3 *** Fantasmi del Passato ***
Leggere
Fantasmi
del Passato
Casa di Kate,
Locksley.
Allan
le stava insegnando a leggere - in verità lo insegnava a
chiunque avesse
voglia di imparare - e in via del tutto eccezionale le aveva lasciato
in
prestito un libro. Più precisamente era una raccolta di
canti popolari, aveva spiegato
Allan a
Kaelee, aggiungendo non sensa una certa spavalderia di essere
menzionato anche lui lì dentro,
dopo Robin, ma soltanto
perché lui era il capo. Kaelee non gli aveva creduto neanche
per un secondo, ma
aveva preso comunque il libro, troppo curiosa e desiderosa di far
pratica per farsi scappare quell'occasione anche se questo contemplava
che lei ed Allan si vedessero ancora per ulteriori lezioni. Non aveva
approvato, infatti, l'aria soddisfatta
dell'uomo nell'attimo in cui lei lo aveva ringraziato dandogli
appuntamento per la settimana successiva, ma non poteva neanche negare
che in fin dei conti Allan le
stesse
simpatico.
Era un
amico molto simpatico, in effetti, e
aveva trovato il modo per meritarsi l'attenzione di lei.
Kaelee
aveva sempre dato non pochi problemi alla sua famiglia, quando viveva a
Edwinstowe con loro. In un'epoca in cui le donne del popolo non avevano
libero
accesso alla cultura, in un'epoca in cui alle donne spettava soltanto
il
compito di governare la casa e dare figli - possibilmente maschi - a un
marito
che spesso non amavano, Kaelee era un fastidioso e pericoloso problema,
nonché fonte di disonore per la famiglia di appartenenza. Il
suo
desiderio più
grande era sempre stato quello di imparare a leggere e scrivere,
fermamente convinta dell'utilità di entrambe le discipline.
"Sono
due
porte che se le apri ti svelano i segreti del mondo", diceva sempre a
tavola, nel tentativo di convincere i genitori che qualcosa in quelle
assurde
regole non andava. "Due porte che ti condurranno all'inferno!", le
aveva duramente risposto una volta sua madre, guardandola quasi con
disprezzo.
Kaelee non le dava mai la soddisfazione di piangere dinanzi a lei, ma
appena
restava sola dava sfogo a tutte le sue lacrime.
La si
poteva vedere con indosso dei pantaloni di ritorno da lunghe cavalcate
solitarie nel fitto della foresta, dettagli che facevano mormorare
spesso le donne del suo villaggio, le quali sostenevano - credendo di
non essere udite - che Kaelee non sarebbe mai stata
un buon
partito per i loro figli e qualcuno credeva addirittura che fosse una
strega, mentre altri
dicevano
che era così perché sua madre era troppo debole
di carattere e lei era
cresciuta in una famiglia di soli uomini dai quali aveva ereditato le
pessime abitudini tutt'altro che femminili. Evidentemente non
conoscevano
bene sua
madre.
Una
delle tante sere, tutte uguali a loro stesse, Kaelee aveva visto suo
fratello Aric rincasare con una risma di
piccole
pergamene, aveva quindi iniziato a fargli delle domande e non aveva
smesso fin
quando
lui, esasperato, non ne aveva letto il contenuto in sua presenza. Ne
era
rimasta così affascinata che si era detta pronta a qualunque
cosa pur di poter
leggere altre storie come quella.
Poi
aveva sentito i racconti su Robin Hood e aveva deciso di lasciare la
sua
famiglia e la sua casa per raggiungere Locksley e la speranza di un
futuro
diverso, migliore. Non aveva detto niente a nessuno, tranne che a uno
dei suoi
fratelli, quello che aveva letto per lei tante volte e che si era
sempre dimostrato gentile con lei. Non era affatto certa che
gli altri non
l'avrebbero cercata, ma sperava che non lo facessero, che la
lasciassero
libera, in pace.
Infine
aveva conosciuto Allan che con sommo piacere di lei non solo sapeva
leggere ed era disposto ad insegnarglielo, ma possedeva anche alcuni
libri
contenenti storie: Kaelee non si era mai sentita più felice
di così.
Era
nella camera da letto che condivideva con Kate e stava provando a
leggere
da sola quando sentì che qualcuno entrava in casa.
Il
cuore quasi le esplose nel momento in cui le si affacciò
alla mente l'idea
che potesse essere Guy di Gisborne.
C'era
Kate al piano inferiore ed era appena andata ad aprire, come di
consuetudine e come educazione voleva.
Kaelee
tenne le orecchie tese nel caso in cui la visita fosse per lei, senza
nemmeno comprendere davvero il perché di quell'ansia
improvvisa e dell'inopportuno desiderio che a bussare fosse stato
proprio Gisborne. Oppure forse
era soltanto Allan che, con una scusa qualunque, voleva sedersi alla
tavola della sua amica. O forse
Robin,
venuto a risolvere le questioni in sospeso con Kate.
Quanche istante più tardi la
voce di Much fugò ogni dubbio e Kaelee sospirò di
sollievo pensando che l'uomo
fosse lì per un nuovo
esperimento culinario e per godere della compagnia della donna che, lo
sapevano perfino pecore e maiali, gli faceva battere il cuore.
Much non aveva dovuto faticare molto per conquistarsi la fiducia e
l'affetto di Kaelee la quale, con una spontaneità che non
riusciva ad avere con gli altri membri del gruppo ad eccezione di Kate,
non provava neanche per sbaglio a mascherare i sorrisi che nascevano
spontanei sulle sue labbra quando si trovava in compagnia di lui. Dal
momento che Kate si confidava spesso con Kaelee parlando anche di Much,
la giovane donna sapeva molte cose di lui:
adorava Robin, ad esempio, e passava molto tempo con lui volendo
esserci sempre se
era
Robin ad uscire in perlustrazione; e ancora, Much voleva
così bene al suo amico fuorilegge che
si era fatto da
parte quando aveva capito che a Robin piaceva Kate e che a Kate piaceva
Robin - questo Kate glielo aveva raccontato quando, con un leggero
imbarazzo dipinto sul volto, le aveva confidato anche di aver chiesto
personalmente a Much di mettere al corrente Robin del tipo di rapporto
che aveva con lei, in modo che il capo della banda di fuorilegge si
sentisse libero di intraprendere una relazione amorosa con lei.
Kaelee non si sentiva nella posizione di giudicare e additare Kate
perché, sebbene non avesse mai provato l'amore sulla propria
pelle, era convinta che dinanzi a certi sentimenti la
razionalità viene istintivamente accantonata,
perciò dopo averla ascoltata le aveva semplicemente sorriso.
I burrascosi trascorsi sentimentali di Much avevano amplificato
l'affetto di Kaelee nei suoi confronti tanto che, anche se
anagraficamente e
fisicamente parlando Much era un uomo in piena regola, Kaelee era
solita definirlo "ragazzo-uomo" perché aveva saputo
conservare uno
spirito molto giovane e questo lo faceva apparire agli occhi di Kaelee
un
giovane ragazzo capace ancora di voler bene a qualcuno con tutto se
stesso,
capace di profonda lealtà e sincerità assoluta.
Un gran bravo ragazzo.
Appurato quindi che la visita non era per lei, Kaelee
decise di tornare alla propria occupazione non aspettandosi minimamente
quello che sarebbe successo di lì a poco.
A giudicare dal profumino che dal piano inferiore raggiunse le narici
di Kaelee, Much doveva essere arrivato con tutto il necessario per
preparare un pranzo coi fiocchi in compagnia della bella Kate e, sempre
a naso, Kaelee ipotizzò che il cuoco avesse messo
sul fuoco un delizioso stufato che avrebbero consumato tutti insieme
come erano soliti fare da quado Kaelee era arrivata a Locksley.
Insieme all'aroma che stuzzicava dispettosamente lo stomaco di Kaelee,
arrivarono alle sue orecchie anche le risate tranquille dei suoi amici,
dettaglio che la convinse a restare esattamente dov'era per evitare di
interromperli e disturbarli. E poi doveva esercitarsi con la lettura e
stupire Allan durante la lezione successiva: a Kaelee piaceva mettersi
alla prova e trovava stimolanti le competizioni, non tanto per
l'eventuale vittoria, ma per l'arricchimento personale che ne traeva.
Tutto era andato bene per una buona mezz'ora dall'arrivo di Much, poi,
però, evidentemente uno
dei due doveva aver toccato un argomento scomodo
perché iniziarono a discutere così
animatamente da preoccupare Kaelee che dal piano di sopra riusciva ad
intercettare qualcosa.
Kate
non aveva un carattere facile da gestire, Kaelee ne era consapevole; si
arrabbiava in fretta ed
era
molto istintiva, ma possedeva un grande cuore e Kaelee sapeva che in
fondo un
po' le dispiaceva che Much potesse star male per lei.
Contro
la propria volontà, la giovane donna si ritrovò
ad
ascoltare distintamente una parte del litigio.
«Much
per favore!», gridò Kate con esasperazione nella
voce.
«Kate...
Non posso cambiare ciò che sento per te. Mi hai chiesto di
mettermi da
parte e l'ho fatto».
«Much
non insistere».
Lui
non le diede retta. «Per amore tuo e di Robin»,
aggiunse.
«Basta!»,
urlò Kate.
Il suo
fastidio, il non voler affrontare l'argomento, dipendeva certamente,
almeno in parte,
dalla ferita ancora aperta, ma Kaelee pensava che Much non
fosse completamente indifferente a Kate: perché infuriarsi
così altrimenti?
«Ma
adesso tu e Robin non siete più una coppia ed io... Vorrei
solo che tu mi
vedessi, Kate. Vorrei solo... che tu mi vedessi».
Il
tono di Much era colmo di una tristezza che Kaelee non riusciva a
sopportare.
Decise
di lasciare i fogli, scendere al piano di sotto e sgattaiolare via
senza farsi
sentire. Non aveva però fatto i conti con il legno che
decise di scricchiolare
a tradimento sotto i suoi piedi. "Maledetto", pensò.
I due
si voltarono immediatamente nella sua direzione, ammutolendo
all'istante.
«Non
badate a me. Io devo... dare una mano a Tuck!», disse, pronta
a
svignarsela a tutta velocità, in imbarazzo almeno quanto
loro due.
L'onestà
di Much, però, la trattenne. Nemmeno in un momento come
quello l'uomo riuscì
a venir meno all'impegno di recapitare un messaggio.
«Allan
ti cercava. Mi ha detto di dirtelo se ti avessi trovata qui».
La
ragazza provò l'impulso di abbracciare Much così
forte, avrebbe voluto
dirgli che tutto si sarebbe messo a posto, che sarebbe stato bene, che
al mondo
esisteva una donna che lo avrebbe amato come meritava e che era solo
questione
di tempo. Sapeva però che la cosa migliore da fare era
lasciare che lui e Kate
parlassero.
«Vorrà
dire che aiuterò Tuck e poi troverò Allan.
Vado!», disse in fretta. Un
muto "Grazie" negli occhi.
"Grazie
per essere così come sei. Grazie perché senza
rendertene conto sei
un esempio per tutti noi. Grazie perché ti prendi cura di
Kate più di chiunque
altro senza pretendere niente in cambio, senza arrabbiarti se lei ti
urla
contro tutte le volte", pensò.
Appena
fu fuori da quella casa si rese conto che la vista le si era appannata.
Aveva gli occhi colmi di lacrime.
Kaelee
era una ragazza molto sensibile e, inevitabilmente, questa
sensibilità
aveva fatto sì che lei legasse con tutte le persone che
ruotavano attorno a
Robin Hood.
Robin
Hood era la speranza che l'aveva indotta ad abbandonare ogni cosa.
Eppure,
in quel momento, non erano le braccia di Robin che desiderava per un
conforto.
Piazza
del Mercato, Locksley.
Il
cuore pulsante del piccolo villaggio di Locksley era la Piazza del
Mercato.
Da
quando Nottingham era in fase di ricostruzione, Locksley era diventata
il
fulcro di ogni scambio commerciale. Due volte a settimana i mercanti
arrivavano
per vendere la propria merce e due volte a settimana i mercanti del
villaggio
partivano per vendere i frutti degli artigiani e dei coltivatori di
Locksley.
Era
una vita semplice, che seguiva ritmi semplici, dettati per lo
più dalle
esigenze e dalla Natura che regolava ogni attività.
Non
era giorno di mercato, ma Kaelee si diresse ugualmente in quella piazza
non sapendo esattamente dove altro andare e non volendo recarsi da Tuck
che certamente avrebbe letto nei suoi occhi più di quanto
lei desiderasse. Per sua fortuna riuscì anche a non
incontrare Allan, non tanto perché le stesse improvvisamente
antipatico, quanto più perché non faticava ad
immaginare la sfilza di domande che l'uomo le avrebbe rivolto vedendola
in quello stato, con le lacrime agli occhi, il turbamento nell'anima e
un solo quesito nel cuore: perché l'amore doveva essere
così dannatamente complicato?
La sua
destinazione, lo capì quando si accorse di avere il viso in
fiamme, era
il pozzo.
Con
gesti svelti e senza badare troppo alle altre persone presenti in
piazza,
ma salutandole con educazione quando il caso lo richiedeva,
calò il secchio, lo
tirò su e si rinfrescò il
volto.
Tanto bastò affinché andasse subito meglio.
Ritrovata un po' di quiete e restituito un minimo di ordine ai
pensieri, decise
che si sarebbe mossa da lì soltanto quando Much o Kate
fossero stati
visti in circolazione. Tutto ciò che non desiderava era
vedere qualcuno
litigare a quel modo perché la situazione le ricordava
irrimediabilmente gli screzi a casa e sua madre che
inveiva
contro di lei per qualunque cosa, perché se avesse
continuato a quel modo non
avrebbe trovato mai marito e sarebbe stata il disonore di tutta la
famiglia, perché i suoi moti di ribellione l'avrebbero
condotta dritta alla forca e i suoi familiari avrebbero dovuto
assistere ad una simile umiliazione in pubblico.
Era anche da questo che era fuggita, in fin dei conti.
Collina
delle Croci, Locksley.
Altro
non era che un cimitero, quella collina.
Lì,
però, non erano sepolti i suoi genitori.
Lì
non era sepolta Marian.
Eppure
Guy se ne stava seduto ad occhi chiusi tra le croci, come se stesse
onorando i suoi defunti.
Era
uno di quei giorni in cui non riusciva a trovare pace. Non la trovava
dedicandosi ai doveri amministrativi, non la trovava aiutando una
famiglia del
villaggio, non la trovava scagliando la spada contro gli alberi di
Sherwood, non la trovava in Chiesa e non la trovò neanche
lì, sulla Collina delle Croci. Non sapeva più
dove andare a cercarla questa sfuggente ed agognata pace interiore che
sembrava non volerci proprio stare accanto e dentro di lui.
Lì
non era sepolta nemmeno sua sorella. Né lì,
né in nessun altro posto in effetti.
Almeno Isabella aveva
smesso di tormentarlo. Non gli appariva più in sogno, non si
prendeva più
gioco di lui, non rideva di lui, non cercava più vendetta.
Era come scomparsa
in un nulla senza ritorno e sebbene non si possa dire che Guy abbia
amato sua
sorella quando era in vita, specialmente dopo la sua fuga e il
conseguente
arrivo a Nottingham, aveva ugualmente paura di poterla perdere per
sempre,
definitivamente, che il ricordo di lei svanisse dalla sua
memoria.
Lo
stesso accadeva tutte le volte che pensava a Marian, la donna che sopra
ogni
cosa aveva amato. Tanto da ucciderla mentre lei, con una cattiveria che
non le
apparteneva, sputava su di lui letali gocce di velenosa
realtà: il suo cuore
apparteneva a Robin Hood e non a lui, il suo cuore era sempre
appartenuto a Robin Hood e mai a lui.
"Come
puoi mancarmi così tanto, tu che mai sei stata mia?",
pensò Guy
con in mente gli occhi chiari di lei, la rotondità delle
sue forme femminili,
i lunghi capelli scuri e le labbra che poche volte aveva avuto l'onore
di
sfiorare con le proprie.
Al di
là di quella visione di un passato ormai perduto, due gemme
color
caramello lo scrutavano curiose, una femminilità meno
pronunciata ma
altrettanto bella, un sorriso rivoltogli con disarmante
spontaneità.
Kaelee
di Edwinstowe.
"È
davvero la speranza che ti ha condotta fino a me per fare luce sulla
mia anima nera più della pece? Se solo conoscessi il mio
passato fuggiresti senza indugio e
perderei anche te, senza mai averti avuta...", pensò
scoprendo in se stesso una nuova verità riguardo quella
giovane ragazza che lo guardava come mai nessuno prima aveva fatto.
Realizzò di volerla accanto a sé.
Guy
pianse un pianto muto e severo circondato dalle molte croci di Locksley.
Diverse
ore più tardi, Locksley.
Cinque
anime, quella notte, vivevano nel tormento.
Much,
che avrebbe sbagliato completamente le dosi per gli impasti del pane se
Little
John non vi avesse posto rimedio prontamente.
Guy,
vestito di buio nel nero della notte, gli occhi puntati alla Luna, il
cuore colmo di dubbi pungenti.
Kate,
che raccontava alla sua coinquilina come la lite fosse finita in un
bacio
e come questo l'avesse gettata nel panico e nella confusione.
Allan,
incapace di prendere sonno nel suo letto perché lei non
l'aveva cercato.
Kaelee,
che taceva il suo turbamento e ascoltava paziente la sua unica amica.
La
fievole luce di due candele illuminava i volti delle due donne facendo
chiarezza sulle loro angosce.
Kate
sembrava aver esaurito la voglia di sfogarsi e se ne restava immobile
sul
letto a fissare un punto oltre Kaelee.
Il
cuore di quest'ultima aveva preso a battere sempre più forte
mentre il
coraggio si faceva largo in quel corpo giovane ed esile.
«Non
riesco a non pensare a lui», mormorò, mordendosi
il labbro inferiore subito dopo.
Il
rossore sulle sue guance non fu visibile a Kate, ma c'era e le colorava
nel modo gentile e delicato di sempre mettendo in bella mostra tutte le
sue emozioni. Kaelee detestava quella parte di sé che doveva
essere sempre così a disposizione di chiunque si fermasse ad
osservarla, ma sapeva di non poter fare nulla per impedire al proprio
viso di prendere fuoco.
La giovane donna vide Kate risvegliarsi dal suo nulla e abbozzare un
sorriso che
le accese di nuovo lo
sguardo. «Ti sei innamorata», disse e la sua voce
era colma di dolcezza.
Kaelee
sorrise di rimando. «Non saprei dirlo»,
confidò. «Non mi è mai
accaduto prima».
«Allan
è un bravo ragazzo», sussurrò Kate come
se ciò che aveva appena detto
fosse un segreto.
Kaelee
rimase interdetta, spiazzata dal commento dell'amica. Sbatté
le palpebre
più volte, ritmicamente, prima di riuscire a risponderle.
«Allan?
Io veramente... mi riferivo a Guy», disse infine, con una
sincerità di
bambina, non pensando di aver detto una cosa così orribile
da scatenare la
furia di Kate.
Il
volto dell'amica quasi si pietrificò prima di esplodere in
un'espressione di
sconcerto, incredulità, disapprovazione.
«Perché?
Perché tra tutti proprio lui?». Il tono
ricordò a Kaelee quello di sua
madre ogni volta che la rimproverava per qualcosa. «Cos'ha
Allan che non va?
Forse non è abbastanza per te, Kaelee?»,
tuonò la bionda.
Quelle
parole risuonarono come un'eco inesauribile nella sua testa. Kaelee non
comprendeva la ragione di tanta rabbia, non capiva perché
Kate detestasse
l'idea che Guy potesse piacerle.
Non
sapeva ancora di essere all'oscuro di molte cose.
Sentì la prepotente esigenza di difendersi, ma non voleva
litigare con Kate
perciò attese
qualche istante prima di rispondere.
La
bionda la fissava con l'accusa nello sguardo.
«Perché
Robin?», le chiese infine in un pacato sussurro.
«Cos'ha Much che non
va? Forse non è abbastanza per te?». Un tremolio
nella voce perché sapeva che ribaltare così la
situazione avrebbe potuto rivelarsi un azzardo e scatenare il finimondo
definitivamente.
Ma Kate si paralizzò. Kalee sapeva quanto la bionda fosse
abituata a far valere le proprie ragioni
urlando,
spintonando o scappando via e proprio questo l'aveva convinta a
cambiare approccio con lei. Nessuno mai, inoltre, a parte Much aveva
avuto la pazienza di tentare una nuova strada con lei e da Much Kaelee
aveva tratto ispirazione.
Poté leggere negli occhi chiari di Kate tutto il suo
sgomento derivante, probabilmente, dal fatto che la giovane donna aveva
messo in luce l'ovvio di tutta quella situazione, sua e di Kaelee
stessa:
non si comanda ad un cuore innamorato, non si governa un cuore in
corsa, non si
può indurlo a ragionare.
«Kaelee...
Guy è...», cominciò Kate, non troppo
sicura su cosa fosse meglio
fare in quella situazione. Dirle tutta la verità su Sir Guy
di Gisborne oppure
dare a quest'ultimo un'opportunità? L'istinto le suggeriva
di mettere l'amica al corrente di ogni cosa così da fermare
sul nascere quel sentimento che si sarebbe rivelato dannoso per Kaelee
come lo era stato per Marian in precedenza. Pur non avendo vissuto in
prima persona quelle vicende, Kate era a conoscenza di come erano
andate le cose quando per diversi mesi sia lo Sceriffo che Robin e la
sua banda si erano assentati da Nottingham e da Locksley per recarsi in
Terra Santa.
Vide Kaelee alzarsi di scatto, evidentemente pronta a fuggire e
si fermò a riflettere. "In fondo quale diritto ho io di
sventolare il
suo passato ai quattro venti?".
«Io ti considero un'amica...
Ti chiedo
solo di stare molto attenta», concluse infine sperando di non
aver rovinato
l'unico rapporto sereno che aveva in quel periodo della sua vita.
Una
leggera sorpresa si dipinse sul giovane volto di Kaelee, la quale fu
felice di
ciò che
Kate aveva appena detto. Senza neanche pensarci la abbracciò
forte e le disse
che le voleva bene, che era contenta che avessero parlato e che,
sì, sarebbe
stata attenta e non avrebbe fatto sciocchezze. Le disse che arrivare a
Locksley
e trovare un'amica come lei le aveva dato nuova forza e che non
desiderava
altro che vivere lì con lei e con tutte le belle persone che
aveva conosciuto.
Le due
si strinsero per diversi minuti, ma il cuore di Kaelee era ancora
pesante, forse più pesante di prima, dopo quella
conversazione. La ragazza si
domandava riguardo le parole e la reazione di Kate, si chiedeva cosa
potesse
mai essere successo tra Kate e Guy di così terribile. Si
interrogava riguardo
il da farsi.
«Ho
bisogno di aria fresca e di stare un po' da sola»,
sussurrò tra i capelli
biondi di Kate. «Non andrò lontano. Solo qualche
passo qui attorno, promesso».
Kate
annuì e la lasciò andare.
"Guy
è... Cosa? Sposato? Un poco di buono? Un violento? Troppo
grande per
me? Troppo in alto per me? Cosa?". Ogni domanda era come un cappio
attorno
al collo, un sacco sulla testa. Si sentiva soffocare.
Quindi, dopo essersi congedata pacificamente da Kate, Kaelee
prese un abito idoneo e un mantello, li indossò,
uscì dalla stanza,
scese le scale, percorse la distanza che la separava dall'uscio e
infine aprì
quest'ultimo accompagnata dal battito frenetico del proprio cuore.
L'aria
della notte era più fresca di quanto si aspettasse, ma i
pensieri che le
ronzavano nella testa come vespe impazzite le fecero dimenticare tutto
il resto
e senza neanche accorgersene davvero prese a camminare più
di quanto avrebbe dovuto. Sapeva che non
avrebbe
mai dimenticato quell'assurda giornata: la lite tra Kate e Much che le
aveva
riportato alla mente le infinite discussioni familiari; Allan che a
quanto
pareva avrebbe preferito essere qualcosa di più che un
semplice amico per lei;
gli occhi tristi di Much; l'assenza fisica di Guy e la sua presenza
costante
nel cuore e nella mente; la piccola discussione con Kate, le misteriose
parole
di lei e la consapevolezza di aver trovato un'amica.
Kaelee
sapeva che essere fuggita dal suo villaggio non significava essere
salva
dai problemi. Voleva soltanto dire lasciarsi alle spalle
l'infelicità che
l'attanagliava e relegarla al passato. La vita, Kaelee lo sapeva,
sarebbe
sempre stata colma di difficoltà, imprevisti, alterchi,
questioni da risolvere.
Ma
c'era dell'altro e il cuore martellante nel petto glielo suggeriva con
una
forza straordinaria. Non a caso i passi la stavano conducendo
esattamente dove
nel profondo del suo cuore lei voleva essere.
Guy
era seduto a terra, davanti la porta della propria abitazione, e se la
vedeva ancora con i fantasmi del suo passato.
La
rabbia, quella che lo aveva indotto ad uccidere Marian, aveva poi
lasciato
il posto alla disperazione.
La
disperazione al dolore.
Il
dolore alla rassegnazione.
La
rassegnazione al nulla.
E in
quel nulla, infine, aveva fatto timidamente capolino la sottile luce
della
speranza.
Era
iniziato tutto con Meg, la giovane donna che Isabella aveva prima
salvato e
poi condannato a morte, rinchiudendola nelle segrete del castello di
Nottingham
dove deteneva anche lui. Guy l'aveva soltanto intravista quella luce,
ne aveva
a malapena sentito il calore sulla pelle. Poi Meg era morta e il nulla
aveva
riguadagnato terreno.
Non
del tutto, però. Un uomo, per la precisione il padre di
Robin creduto morto
molti anni prima, aveva riaperto una minuscola feritoia in
quell'oscurità rivelando l'esistenza di un fratello nato dal
suo amore per la
madre di
Guy: Archer era il suo nome e ciò che rappresentava era un
punto di unione tra
Robin e Guy.
Da
quel preciso momento tutto ciò che Gisborne era stato lui
stesso lo rinnegò
divenendo fuorilegge insieme ai suoi fratelli, rischiando la morte
insieme a
loro.
Già
solo questo gli aveva regalato un po' di quella pace interiore di cui
tanto
aveva bisogno.
La
sottile lama di luce era a poco a poco diventata un piccolo foro, poi
una frattura
più
grande, una piacevole pozza lucente nel bel mezzo del buio.
Doveva
solo permetterle di entrare definitivamente e riscaldarlo, eppure
sembrava aver perso la chiave o non trovare la serratura
perché qualcosa
dentro di lui lo bloccava, gli impediva di essere felice, di
lasciarsi il
passato alle spalle.
Oppure,
forse, la chiave per la sua serratura non era ancora stata messa a
punto. Così Guy era rimasto lì, in quella specie
di limbo di luce e ombra, in
attesa. In attesa di riprendersi da quella ferita, in attesa di poter
uscire
all'aria aperta, in attesa di poter andare in Chiesa a confessare
ancora e
ancora e ancora i suoi peccati a Tuck, in attesa di iniziare le
ricerche della
sua chiave. Ma alla fine era stata la chiave a trovare lui.
Era
stata la chiave a trovare lui.
Kaelee
era finita dinanzi alla casa di Guy e in quell'oscurità non
l'aveva
nemmeno visto, seduto a terra, vestito di buio nella notte.
«Che
ci faccio qui?», rifletté a voce alta, spaventando
Guy che saltò in piedi.
Gli ci
volle un attimo a riconoscere la voce di lei.
«Kaelee?», mormorò,
sorpreso.
La
ragazza fu a sua volta spaventata dall'imponenza di quell'ombra scura
contro
l'abitazione. Nero su nero. Notte nella notte.
«Guy...».
Soltanto pronunciare quel nome le causò una specie di scossa
alla
punta delle dita, le fece annodare lo stomaco e le azzerò la
salivazione.
"Non
riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti
sei innamorata".
"Non
saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Guy le si
avvicinò. «Cosa ci fai in giro in piena
notte?», le domandò
accarezzandole il profilo del braccio. Con dolcezza.
"Non
riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti
sei innamorata".
"Non
saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Kaelee
non aveva la minima idea di quali fossero i sentimenti di Guy per lei.
Semplicemente
non riusciva a desiderare la presenza di altri in quel momento.
In ogni momento, in verità.
"Non
riesco a smettere di pensare a lui".
"Ti
sei innamorata".
Kaelee
non aveva chiari neanche i propri sentimenti per lui.
"Non
saprei dirlo. Non mi è mai accaduto prima".
Aveva
la sensazione che il braccio le andasse a fuoco.
"Ti
sei innamorata".
"Forse.
Sì, forse sono innamorata di lui", pensò. "Non
faccio
altro che immaginarlo accanto a me ogni volta che apro gli occhi a un
nuovo
giorno, quando preparo la colazione, quando esco per andare al mercato,
quando
sforno un vaso e mi accorgo di quanto mi sia venuto bene, quando vado a
prendere l'acqua al pozzo, quando provo a leggere il libro di Allan,
quando
corro dal fabbro a chiedergli se la mia spada è pronta. Guy
non ne sa nulla...
O almeno spero che sia così, perché voglio fargli
una sorpresa. I suoi occhi
sono così belli... Perfino in questa oscurità
riescono a risplendere".
I
pensieri di Kaelee erano un fiume in piena. E così anche le
emozioni.
Incontenibili.
Il
silenzio era assoluto attorno a loro, ma Kaelee aveva i timpani
assordati
dal battere frenetico del proprio cuore quando decise che l'unica cosa
di cui
aveva bisogno in quel momento erano le braccia di Guy.
Un
passo. Un altro.
La
testa appoggiata al petto ampio di lui. Le palpebre abbassate. Le
labbra
piegate in un sorriso soddisfatto.
«Ti
cercavo». La risposta più sincera e naturale che
potesse dargli. "Ti
cercavo. Ti ho cercato per tutto il giorno. Ti cerco da tutta la vita".
Le
braccia, abbandonata la timidezza, andarono a cingergli la vita. Le
mani
lungo la schiena.
Il
cuore non accennava a rallentare, ma a Kaelee non importava.
Guy si
irrigidì, ma solo per un momento.
Capì
di avere la sua chiave e decise di aprire la porta, far entrare la luce.
Abbracciò
a sua volta la giovane Kaelee.
E non
provò altro che gioia.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 30/11/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Non
ricordo se quella che io ho chiamato Collina delle Croci abbia in
realtà un
altro nome. Si tratta di quella collina dove è sepolta la
madre di Robin Hood,
per intenderci. Perciò se qualcuno di voi ha una memoria
migliore della mia,
non esiti a scrivermi.
Per quel
che riguarda la storia, be'... a voi i commenti!
Grazie a
voi che vi siete fermati a leggere ed eventualmente recensire.
Alla
prossima.
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Capitolo 4 *** La Pergamena ***
Aric
La
Pergamena
Casa
di Kaelee, Edwinstowe.
Aric
era
riuscito a mantenere il segreto di Kaelee non senza
difficoltà e soprattutto perché in casa si erano
avanzate
soltanto ipotesi campate più o meno in aria.
Non era un mistero, in quella casa, che lui avesse con sua sorella un
rapporto speciale, un legame forte e una complicità che
nessuno sembrava comprendere neanche tra gli abitanti del villaggio i
quali, anzi, spesso guardavano ai due con occhio maligno o carico di
una malizia che non apparteneva per niente né ad Aric,
né
a Kaelee. Ma si sa che in ambienti così circoscritti basta
che
un evento accada una volta perché tutti tendano a credere
che
succederà di nuovo, così soltanto
perché i figli
del mugnaio - che poi erano fratellastri tra loro - erano stati beccati
a scambiarsi effusioni all'ombra del mulino, molti adulti vedevano
rapporti incestuosi praticamente ovunque.
La verità, nel caso di Kaelee ed Aric, stava nel modo in cui
quest'ultimo vedeva la sorella: i suoi moti di
ribellione, il suo spirito avventuroso, i suoi occhi sinceri e
spesso ricolmi di meraviglia, la sua determinazione erano
tutto
ciò che lui avrebbe voluto essere e che non era.
Aric era il fratello più giovane tra i maschi. Aveva,
infatti,
solo un
anno e mezzo in più rispetto a Kaelee ed era esile quanto
lei, poco portato per i lavori duri, poco portato per le arti del
combattimento, ma molto incline al sapere. Gli piaceva osservare la
Natura e il modo in cui essa cambiava e il susseguirsi delle stagioni e
il tramontare e il sorgere del Sole e le fasi della Luna. Se
ciò
che la famiglia coltivava rendeva buoni frutti che consentivano di
guadagnare più denaro ai Mercati era anche merito delle
sue osservazioni, ma l'unica persona che gli riconosceva apertamente
quel merito era Kaelee, la quale sosteneva - senza preoccuparsi
dell'altrui giudizio -
che Aric fosse un mago e che un giorno avrebbe fatto magie bellissime,
incantando un mucchio di persone. Kaelee gli voleva bene, Aric ne era
consapevole e ricambiava appieno quel sentimento. Si era infatti
guadagnato l'importante ruolo di fratello che le
raccontava storie, ma che non si era mai
azzardato a insegnarle come leggerle - forse un po' per paura di quella
madre troppo dura, forse un po' per il timore che Kaelee non lo avrebbe
più considerato un mago se avesse imparato a leggere, che si
sarebbe allontanata da lui una volta raggiunta l'indipendenza in quel
campo.
Aric sentiva moltissimo la mancanza di Kaelee, ma non poteva e non
doveva parlarne con nessuno anche se da quando lei era andata via si
era sentito totalmente inutile e vuoto.
Sua madre era ogni giorno più furiosa e pretendeva che Aric
e i
suoi tre fratelli
più grandi mettessero a ferro e fuoco tutta l'Inghilterra se
necessario, voleva che la riportassero a casa e non perché
avesse il desiderio di rivederla o di conoscere le motivazioni che
l'avevano spinta a lasciare la casa d'origine, ma perché
voleva
punirla, darla in moglie
ad
uno del villaggio soltanto perché quest'ultimo possedeva
buone
terre da
coltivare. In effetti nessuno della famiglia aveva preso in
considerazione l'ipotesi che Kaelee fosse scomparsa, sparita, in
seguito ad una disavventura o ad un rapimento, semplicemente
perché non era da lei perdersi o lasciarsi prendere in
ostaggio
senza darle di santa ragione all'aggressore di turno.
Aric si era ripromesso che non avrebbe parlato neanche sotto tortura se
qualcuno della famiglia fosse arrivato ad avere la certezza di un suo
coinvolgimento nella faccenda e ogni volta che veniva accusato di
sapere dove Kaelee fosse andata a
finire, lui semplicemente diceva "Ci ha abbandonati, chi può
biasimarla per questo?". Poi doveva correre più veloce del
vento
se non voleva che la madre lo colpisse con il primo oggetto a
disposizione - a volte uno strofinaccio, altre qualcosa di
più
solido e duro.
Il padre era così impegnato nella propria occupazione da non
darsi pena per la figlia scomparsa, da non voler entrare nella
questione esprimendo un parere ad una moglie che non lo avrebbe
minimamente preso in considerazione. «È scappata via da tua madre»,
aveva detto una volta ad Aric,
«Non
capisce che vorremmo farlo tutti...
Va', adesso», aggiunse lasciando il ragazzo un po' sorpreso
per quello slancio inaspettato.
«Che vuol dire che non l'avete
trovata? Avete paura della foresta forse?», ruggì
la donna un tardo pomeriggio.
Kaelee era via da oltre tre settimane e nessuno sembrava aver idea di
dove
fosse, il che rassicurava almeno in parte Aric, il quale naturalmente
si augurava che nessuno mai la trovasse.
«L'abbiamo
perduta, madre», mormorò una voce composta.
Dwight, il primogenito, era l'unico capace
di
sostenere lo sguardo di quella che Aric riteneva un'arpia in piena
regola, l'unico che avesse tanta fermezza da risponderle
pur sapendo di contraddirla.
Gli occhi stretti della donna traboccavano d'ira.
«Tu
forse l'hai persa, Dwight, e tu, Aric. Ma io la troverò e,
Dio
se la riporterò indietro!», intervenne un'altra
voce. Si
trattava di Rudyard, il
secondogenito, che era
uguale alla madre. Oppure, forse, aveva seguito la via più
breve
per avere una convivenza facile in quella casa: non osava mai
contraddirla. Qualunque cosa lei dicesse, lui la faceva senza pensarci
su due volte e trovava sempre il modo di compiacerla a parole e con i
fatti. Finché era stato un bambino, questo atteggiamento
l'aveva
solo
portato a ritenersi libero di fare il prepotente con i suoi fratelli e
con sua sorella, ma
a lungo andare Rudyard aveva sviluppato cattiveria pura e un'indole
violenta.
In molti nel villaggio lo temevano per questo e gli portavano rispetto
per lo stesso motivo.
Immediatamente lo sguardo della madre si mitigò alle parole
del prediletto,
illuminandosi di tutta l'ammirazione che nutriva per quel figlio
tiranno.
Aric conosceva abbastanza bene Rudyard da sapere che non si sarebbe
fermato finché non l'avesse trovata e sapeva anche che,
prima o
poi, l'avrebbe trovata e non avrebbe esitato neanche un secondo: senza
alcuna pietà l'avrebbe riportata a casa e data in pasto
prima a sua madre e poi a
quell'uomo che possedeva terre e che aveva sembre guardato Kaelee con
una bramosia disgustosa.
Aric sapeva, infine, anche cosa fare ma non aveva il coraggio di
cavalcare non visto fino a Locksley per avvisare Kaelee di persona.
Però, forse, aveva un'idea che avrebbe potuto funzionare.
Locksley.
Kaelee era passata dal fabbro e correva con la sua spada ben
custodita nel fodero appeso alla cintura, irradiando attorno a
sé tutta la felicità che provava. Finalmente la
spada che
aveva commissionato al fabbro e che aveva pagato mettendo da parte
ciò che guadagnava era pronta. Correva a perdifiato alla
ricerca
di Guy per
metterlo al corrente della novità e correva così
veloce
che la sua veste si sollevava come se ci fosse vento o come se la
ragazza stesse per spiccare il volo.
L'idea che i due si sarebbero finalmente allenati con spade vere, la
entusiasmava oltre ogni dire perché sentiva che d'ora in poi
si
sarebbe impegnata in allenamenti seri in cui ogni piccola distrazione
sarebbe stata estremamente pericolosa. Anziché spaventarla,
come
era giusto che accadesse, questa eventualità la stimolava a
dare
il massimo perciò non vedeva l'ora di condividere il tutto
con
il suo istruttore. Non che Guy non facesse sul serio anche con i rami
comunque dato che alla fine di ogni allenamento Kaelee si ritrovava
senza forze e dolorante in ogni parte del corpo.
Quando Kaelee era andata da Robin per dirgli che non avrebbe
più
seguito le lezioni di tiro con l'arco perché aveva scoperto
di
essere più incline a maneggiare una spada, lui non si era
per
nulla offeso, ma aveva voluto
seguire un paio di esercitazioni sostenendo di essere
molto curioso in merito alle dinamiche. Se Kaelee aveva capito
bene, Robin non riusciva comprendere come
una creatura tanto esile sarebbe riuscita a cavarsela contro un uomo
della stazza di Guy di Gisborne. Inoltre aveva precisato di voler
essere assolutamente
certo che i due non si facessero male, così sia Kaelee che
Guy
avevano acconsentito. Certo la presenza di Robin quella volta era stata
fonte di distrazione per la ragazza, che istintivamente aveva ceduto
alla tentazione di gettare un occhio in direzione del fuorilegge per
intuirne i pensieri e le sensazioni. Secondo quanto Robin stesso aveva
comunicato loro ad esercitazione conclusa, il capo della banda era
rimasto
parecchio
colpito dalla leggerezza con cui quella giovane donna si spostava nello
spazio e benché fosse ancora - letteralmente - alle prime
armi,
riteneva che avesse un potenziale enorme ed era certo che Gisborne ci
avrebbe lavorato su al meglio, perciò aveva dato via libera
a
suo fratello.
Kaelee correva veloce come il vento, ma scorgendo Robin che passava
accanto al pozzo non poté non chiamarlo a gran voce.
«Robin!
Robin! Ti devo mostrare una cosa!», esclamò con
voce
ricolma di gioia allo stato puro, sentendosi come una bambina alle
prese con un'enorme
varietà
di dolciumi tutti per lei.
«Attenta,
che se corri così veloce prendi il volo», aveva
scherzato
lui.
«Il
problema, poi, sarebbe non impigliarmi da qualche parte nella foresta
di Sherwood», rispose prontamente Kaelee, con il sorriso
sulle
labbra, per nulla offesa dalla confidenza di Robin.
Lui le piaceva. Non nel senso fisico o sentimentale del termine, le
piaceva come persona. Adorava il modo in cui sorrideva alla gente, il
modo in cui tirava su il morale a tutti, il modo in cui infondeva
positività in tutta Locksley. Tuttavia Robin Hood era
diverso da
come se l'era immaginato: basandosi sui racconti dei suoi fratelli
l'aveva creduto
più alto e muscoloso, con i capelli un po' più
lunghi e
la barba leggermente diversa, ma l'aspetto estetico in fin dei conti
non contava poi
molto perché Robin Hood era, caratterialmente parlando,
esattamente come
aveva pensato che dovesse essere. Intelligente, buono e spericolato
abbastanza da non avere paura di morire per una giusta causa.
«Farai bene ad esserci ai prossimi
allenamenti», proseguì, «Ho una spada
adesso. Una spada vera!».
La sua gioia era incontenibile.
Robin le promise che ci sarebbe stato e lei lo ringraziò
mentre già correva via, verso il suo reale obiettivo,
sfiorandosi di tanto in tanto il fodero della lama per essere certa
che non fosse tutto frutto della sua immaginazione, che non fosse un
sogno.
Tutti i suoi fratelli, eccetto uno, sapevano maneggiare un'arma, cosa
che a lei non era mai stato concesso di imparare a fare - come molte
altre attività in effetti. A parte non far bruciare i pasti
preparati da sua madre, tenere pulita la casa e piantare verdure non
ricordava di
aver appreso altro dalla sua famiglia, perciò per la prima
volta
in tutta la
sua vita sentiva di avere davvero qualità utili al prossimo,
qualità che l'avrebbero resa forte, sicura di sé
e
libera
perché, da quel momento in poi, se qualcuno avesse cercato
di
farle del male lei avrebbe saputo difendersi. Nessuno avrebbe potuto
più costringerla a fare qualcosa che non voleva.
Trovò Guy che si occupava di alcuni cavalli, non lontano
dalla
Piazza del Mercato, lo salutò con la mano e attese che fosse
libero prima di avvicinarsi e rivolgergli la parola.
Dopo l'abbraccio di quella notte, Kaelee e Guy si erano visti ogni
giorno e non soltanto per gli allenamenti o per alcune mansioni.
Avevano
preso l'abitudine di passeggiare insieme nella foresta di Sherwood
appena avevano un momento libero, ma anche le strade del villaggio
andavano bene se il tempo a disposizione era poco.
Camminavano, immersi nella natura o tra la vita degli abitanti di
Locksley, e parlavano solo di cose belle, di
quanto fosse verde l'erba e profumati i fiori, caldo il sole e
affascinante e misteriosa la foresta. Avevano parlato del canto degli
uccelli una
volta, delle proprietà mediche di alcune erbe un'altra:
Gisborne
non
perdeva mai occasione per raccontarle tutto ciò che della
vita
conosceva, perfino la differenza tra una lama forgiata bene ed una che
non avrebbe mai reso un buon servizio in un duello.
La sensazione che pervadeva Kaelee da capo a piedi era di benessere
generale quando era in compagnia di Guy e il fatto che raramente
smetteva di sorriderle le faceva credere che anche lui fosse felice di
poter trascorrere del tempo insieme.
Kaelee vide Guy finire diligentemente, senza fretta, di prendersi cura
di quel cavallo, poi lo vide parlare con
uno dei tre ragazzi che erano con lui e infine allontanarsi in
direzione di lei.
Il suo sorriso illuminò ogni cosa agli occhi della ragazza.
Non si erano più abbracciati da quella volta, né
si erano
mai presi per mano, ma a lei andava bene così: del resto le
bastava averlo intorno per sentirsi la persona più fortunata
di
tutta l'Inghilterra. La cosa che lei riteneva la più bella
di
tutte era la naturalezza con cui riusciva a relazionarsi con lui
nonostante le piacesse da morire. Non come le piaceva Robin, ma come
aveva sempre immaginato dovesse piacerle l'uomo da amare per una vita
intera.
La giovane donna seguì i movimenti dell'uomo fissandoseli
bene
in mente, lasciando che un piacevole intorpidimento conquistasse le
dita delle mani, e poté così notare che lo
sguardo di Guy
era subito finito sul fodero appeso alla sua cintura. Il momento tanto
atteso era infine arrivato e Kaelee avvertì il proprio cuore
battere ancora più forte; poi lui la
guardò rivolgendole un sorriso sghembo da mozzare il fiato e
lei
dimenticò istantaneamente cosa voleva dirgli.
Diverso tempo dopo, Edwinstowe.
Aric nascondeva una piccola pergamena nella manica della sua casacca.
L'aveva scritta quella stessa notte, in segreto, dopo essersi
assicurato che nessuno lo vedesse.
Rudyard era in giro per i villaggi adiacenti insieme a Willard, il
terzogenito, che non aveva saputo dirgli di no, quindi Aric aveva
deciso di cogliere la palla al balzo e agire prima che fosse troppo
tardi. Willard, Aric l'aveva capito, avrebbe voluto
avere la forza di Rudyard, ma non la cattiveria. Di fatto comunque non
aveva
nessune delle due cose e, come tutti quelli
che per loro sfortuna si trovavano ad avere a che fare con lui,
aveva paura di Rudyard perciò lo assecondava.
Ciononostante Aric sapeva che non era il caso di prendere sotto gamba
nessuno dei due. Quel giorno il giovane uomo era alla ricerca di un
amico fidato, uno che conosceva alla
perfezione
tutti i villaggi vicini e che poteva per questo motivo essergli di
grande aiuto. Memore di tutte le avventure di Robin Hood arrivate alle
sue orecchie, Aric aveva deciso di imitarne il modus operandi che il
fuorilegge adottava quando voleva passare inosservato e si aggirava
quindi con fare circospetto, con passo
piuttosto veloce, con il capo coperto da un ampio cappuccio sperando in
cuor suo di
trovare il suo amico quanto prima possibile, per nulla entusiasmato
dall'idea di sfidare troppo a lungo il destino. Quella situazione lo
metteva parecchio a disagio e costituiva una grande prova di coraggio
per lui, ma era per l'amore che nutriva nei confronti di
Kaelee che aveva trovato la forza di fare ciò che stava
per
fare.
Giunto a destinazione si infilò quasi furtivamente nella
taverna del villaggio sapendo che era lì che il suo amico si
guadagnava
da vivere. Trovatolo, senza proferire parola, lo trascinò
nell'angolo più buio di
quel locale e sollevò il cappuccio quanto bastava
affinché lui lo riconoscesse.
«Per la miseria Aric! Mi hai spaventato a
morte!», disse allegro il ragazzo.
«Ssssssh! Non gridare così! Ho bisogno
che tu mi faccia un favore», disse forse con troppa urgenza
nella
voce. «Devi consegnare questa a Robin Hood. Sai dove
vive? Dimmi solo sì o no!». Parlava velocemente e
a voce bassissima.
«Aric, mi spieghi cosa diavolo ti
prende?», domandò l'amico, improvvisamente
preoccupato.
«Puoi
farmelo questo favore?», insisté Aric allungando
un
sacchetto che tintinnò a contatto con il legno del tavolo.
Vide l'amico di una vita scrutarlo attentamente e severamente negli
occhi prima di respingere il sacchetto e conservare la
pergamena.
«So dove egli vive».
«Una vita sola non sarà abbastanza
lunga per ripagarti degnamente, amico mio».
Si strinsero la mano e Aric si dileguò.
Alcuni giorni più tardi, Foresta di Sherwood.
«Non è ancora tempo per impugnare una
spada vera», sentenziò Guy e sembrava davvero
irremovibile.
Erano giorni che Kaelee teneva quella spada nel fodero, inutilizzata,
ora perché la pioggia aveva fatto saltare l'allenamento, ora
perché Kate aveva avuto bisogno del suo supporto per
affrontare
una delle sue crisi. E adesso la ferma opposizione di Gisborne ad
ostacolarla.
«Che
c'è? Hai paura che ti uccida?»,
domandò,
determinata e quasi irriverente nei confronti dell'uomo senza il quale
lei avrebbe continuato nel tentativo di scoccare una freccia.
Ciò che la spingeva a rivolgersi in quel modo proprio a Guy
era
l'aver creduto che lui sarebbe stato felice di quella che lei aveva
considerato una sorpresa. In effetti Gisborne si era mostrato
contento prima che lei gli chiedesse un'esercitazione con lame vere,
quindi evidentemente lui non doveva aver compreso il reale motivo per
cui Kaelee portava una spada appesa alla cintura del proprio abito.
Eppure, pensava Kaelee, non era così difficile da capire.
Lo sguardo
di lui si fece incredibilmente serio e intenso, tanto da metterle quasi
paura come nemmeno sua madre era mai riuscita.
«È per te che sono in pensiero»,
mormorò senza staccare gli occhi da quelli di lei prima che
una
freccia sfilasse quasi sotto al naso di Guy per poi andare
a piantarsi a terra, poco lontano da loro. Era Robin, naturalmente, che
annunciava il suo arrivo con la solita
originalità.
Kaelee non poté trattenere una risata: per quanto fosse
infastidita dal fatto che Guy non la considerasse ancora idonea ad un
duello in piena regola, il suo carattere allegro aveva sempre la meglio
su ogni cosa e la vicinanza di uno come Robin Hood amplificava quel
lato del suo carattere.
«Pare che ci sia un intruso», disse
Guy rivolgendo un mezzo sorriso a Robin, «Sei in
minoranza», aggiunse riferendosi
all'arma che l'ex fuorilegge recava con sé.
Robin fece una smorfia e si accomodò su un vecchio tronco
piegato dal tempo dichiarandosi pronto ad assistere allo spettacolo.
Per un attimo Kaelee sperò che la presenza di Robin potesse
far
cambiare idea a Guy e che lei potesse finalmente utilizzare la sua
spada, ma quando Robin si trovò d'accordo con Gisborne -
dopo
che quest'ultimo aveva esposto le proprie ragioni per cui la giovane
donna non era ancora pronta - dovette arrendersi a duellare con i
soliti rami.
La sua natura curiosa spigeva Robin a non stare mai fermo nello stesso
posto per più di qualche ora: più poteva starsene
in giro
a confrontarsi con questo e con quello, più Robin si sentiva
completo e vivo, motivato e utile. Gli piaceva osservare, imparare
sempre cose nuove, ingegnarsi per risolvere problemi, soprattutto
perché molteplici attività fisiche e mentali
equivalevano
a distrazione certa dai suoi drammi esistenziali che pure poi
tornavano, ma almeno non lo tormentavano ventiquattro ore al giorno.
Più Robin osservava Gisbrone e Kaelee, più
pensava che al
momento opportuno i due avrebbero potuto istruire la gente di
Locksley come già lui ed Archer facevano con arco e frecce.
Riteneva un utile vantaggio per il popolo di Locksley saper
sia
tirare con l'arco che giostrarsi con abilità in uno scontro
diretto: per esperienza diretta sapeva che dettagli come quello
potevano rivelarsi determinanti in una situazione di pericolo. Anni ed
anni trascorsi nascosto nella foresta, costretto ad
avere occhi e orecchie ovunque, avevano inciso molto su di lui tanto
che la prima cosa a
cui pensava al mattino quando si svegliava e l'ultima alla sera quando
andava a dormire era come difendere il villaggio in caso di
necessità.
Robin Hood ringraziava ogni giorno la vita per averlo condotto
lì dov'era e per avergli fatto incontrare le splendide
persone
che si erano unite a lui nei momenti più difficili. Ora che
tutto andava bene e che Nottingham era quasi di nuovo in piedi, Robin
non desiderava essere il nuovo capo, lo Sceriffo o il tiranno di quei
villaggi, considerandosi anzi uno di loro, uno che aveva dovuto
imparare a
lottare nella vita per avere ciò che era suo per diritto ma
che
qualcuno aveva deciso deliberatamente di togliergli, uno che
voleva il bene del popolo ed era per questo che aveva deciso di
condividere con la sua gente tutto ciò che la vita gli aveva
insegnato.
Senza forse neanche rendersene pienamente conto aveva dato vita ad un
sogno. Un sogno in cui ogni essere umano
era in grado di dare un contributo alla società, non un
tributo
in denaro, ma un contributo in una delle tante attività che
tenevano in piedi Locksley e i villagi come Locksley. Nessuno sapeva
quanto quel sogno sarebbe durato e a che punto dell'idillio ci si
sarebbe svegliati in malo modo, ma tutti desideravano viverlo quanto
più a lungo possibile e facevano tutto quanto era in loro
potere
per renderlo reale con grande soddisfazione di tutti, Robin compreso.
Guardando con attenzione la danza dei duellanti, Robin ebbe la chiara
percezione che Kaelee stesse velocemente affinando la tecnica: gli
parve molto migliorata dall'ultima volta che l'aveva vista scontrarsi
con Gisborne. Robin pensò che, a furia di esercitarsi,
Kaelee
aveva avuto occasione di studiare sempre più a fondo il modo
in
cui Guy si
spostava, schivava, affondava. Perché Guy aveva iniziato ad
affondare. Non si limitava più ad attendere i colpi di lei e
a
lei toccava essere più veloce di lui se non voleva finire a
terra prima di aver potuto muovere un dito.
L'ex fuorilegge sapeva bene quanto Gisborne fosse bravo con quell'arma,
bravo almeno quanto lui lo era con l'arco, e trovava sorprendente che
Kaelee riuscisse a tenergli testa per più di dieci minuti
considerata l'enorme differenza fisica tra i due, perciò
Robin
si era fatto un'idea di quelli che dovevano essere i piani di Gisborne
e si ripromise che ne avrebbe discusso con lui perché andare
per
gradi andava bene, ma indurre l'allievo a credere in passi avanti che
erano soltanto mezzi passi avanti era scorretto e forse perfino
controproducente. Finché non avesse avuto conferma ai propri
pensieri, comunque, Robin non sarebbe intervenuto per intettompere
l'esercitazione, godendosi invece lo spettacolo dei loro occhi erano
incatenati.
Robin poteva quasi sentire l'elettricità nell'aria e ne era
innegabilmente
affascinato.
Il
più delle volte, constatò Robin, finiva che
Kaelee, esausta, si arrendeva
all'evidenza; finiva che Guy la disarmava in ogni duello senza mai
smettere di spronarla a fare di più, a stare più
attenta,
a fare affidamento sui suoi punti di forza. Kaelee, a Robin non era
sfuggito, si muoveva leggera
nello spazio, era in grado di compiere salti molto lunghi o molto alti
a seconda delle esigenze e questo le consentiva di schivare i colpi
senza troppe difficoltà. Ci voleva solo tanto duro
allenamento e Robin era convinto che lei avesse un ottimo maestro. E, a
pensarci bene, si era anche convinto
che tra quei due ci fosse qualcosa di più che un semplice
rapporto
tra
maestro e discepolo.
Kaelee iniziava seriamente a faticare a tenere alta la concentrazione e
quando Guy si preparò all'affondo, lei già si
vide
disarmata.
Stava cercando di impiegare tutte le forze per resistere all'attacco,
tanto più perché non voleva fare brutta figura
con Robin
e desiderava tantissimo che quest'ultimo, dopo aver assistito
nuovamente al training, esprimesse il proprio consenso all'utilizzo
delle spade.
Vide Guy scagliarsi contro di lei - i muscoli tesi nello slancio - e
attese il momento che le parve il più giusto. Si
abbassò
sulle ginocchia, scartò di lato ed
evitò il colpo.
Con la coda dell'occhio poté vedere Robin si protendersi in
avanti, coinvolto e si sentì invadere dalla
felicità
senza perdere per questo quel poco di concentrazione che le era rimasto.
Gli occhi di Guy le sembrarono liquidi di orgoglio e Kaelee
capì che in fin dei conti tifava per
lei.
I duellanti tornarono a girare in tondo, riprendendo fiato.
Kaelee si preparò mentalmente a sferrare un attacco,
determinata a non
mancare l'avversario. Studiò la situazione e optò
per una finta dal
momento che
gli attacchi frontali non erano mai andati a buon fine, quindi fece
credere a
Guy che si sarebbe lanciata proprio in un attacco frontale e invece
all'ultimo
gli saltò di fianco e lo punse a tradimento nelle reni con
il suo micidiale
ramo.
«Sei
morto», mormorò con una dolcezza infinita
proveniente da
chissà dove. Un momento prima si era sentita euforica
all'idea
che potesse riuscire non solo a schivarlo, ma addirittura ad andare a
segno, e ora invece tutto l'entusiasmo era stato sostituito da qualcosa
che neanche lei riusciva a comprendere appieno. Pochi istanti
più tardi lasciò
cadere il ramo e si mise a saltare tutto intorno dando sfogo alla sua
contentezza, come era giusto che fosse sebbene questi salti emozionali
la confondessero come non mai.
Era comunque la prima volta che batteva Guy in un duello, quindi
ritenne che forse essere preda di ogni tipo di emozione fosse normale.
«Ora sono pronta per una spada vera?»,
chiese tra i complimenti di Robin e Guy.
Gisborne
scosse il capo e le sorrise. «Non ancora».
Qualche giorno più
tardi.
Locksley; Foresta di
Sherwood.
Un giovane messaggero era arrivato al villaggio per consegnare un
documento a Robin Hood in persona e per sua sfortuna tra gli altri era
incappato proprio in
Little John il quale lo aveva letteralmente bloccato tempestandolo di
domande in merito a ciò che custodiva e che nessuno avrebbe
dovuto leggere se non il legittimo destinatario. Neanche lui, del
resto, ne conosceva il contenuto sebbene l'omone che aveva di fronte
non sembrava intenzionato a credergli. Little John - non era stato poi
così difficile capire che si trattava di lui vista la stazza
-
non si sarebbe mai fidato
e il giovane messaggero lo
capì quando la vigorosa mano dell'uomo si strinse di
più
attorno al lungo bastone che recava con sé e che costituiva
la sua arma primaria. Questo era il
principale motivo per cui dalle sue labbra era uscita una sola,
rivelatrice, parola.
«Edwinstowe».
Edwinstowe. Tanto bastò a convincere Little John che una
decisione andava presa. Tutti gli uomini di Robin Hood e molti abitanti
di Locksley, infatti,
sapevano che il nome di quel villaggio riportava a Kaelee, la gioiosa e
gentile ragazza che aveva regalato ulteriore luce in quel villaggio.
Credere che fosse una coincidenza senza provare a rifletterci su
sarebbe stato da sciocchi.
Il resto accadde in un soffio.
Little John portò l'uomo da Robin Hood con modi che non
potevano definirsi davvero gentili, ma nemmeno scortesi in fin dei
conti: semplicemente se lo trascinò dietro tenendolo stretto
per
un braccio e minacciandolo di tanto in tanto con il bastone fin quando
non
trovò Robin e chiarendo più volte al messaggero
che il motivo per cui
lo stava conducendo proprio dall'uomo che lui cercava non aveva niente
a che fare con la
cortesia - insomma non stava esaudendo il suo desiderio, ma lo stava
portando dal capo della banda per capire cosa fosse più
opportuno fare con lui, di lui.
Little John dovette constatare che il messaggero aveva fegato: non
tradì mai la preoccupazione che avrebbe attanagliato
chiunque si fosse trovato troppo vicino all'eventualità di
essere stretto nella morsa di un ammasso di muscoli allenati a
stritolare ogni cosa e,
quando fu al cospetto di Robin Hood, ripeté quanto Little
John
già
sapeva.
In men che non si dica, Robin mise in moto i meccanismi della banda e
convocò tutti i suoi
uomini al Tronco Matto, nella foresta di Sherwood, invitando
naturalmente anche
Kaelee.
La ragazza si era dimostrata una persona in gamba ed affidabile,
arrivata a Locksley per un sogno e non in virtù di un
secondo
fine, onesta e positiva, perciò all'unanimità era
considerata ufficialmente una del gruppo e nessuno dubitava di lei.
Nel giro di mezz'ora Robin, Archer, Guy,
Little John, Allan, Much, Tuck,
Kate, Kaelee e il messaggero erano riuniti nel cuore della foresta.
La reazione della ragazza alla presenza del messaggero fu
inequivocabile.
«No...», gemette tirandosi indietro
prima ancora che Robin potesse dire qualsiasi cosa.
Sul viso del giovane di Edwinstowe si dipinse un'espressione sorpresa:
tutti nel villaggio sapevano che Kaelee era scomparsa, qualcuno diceva
"scappata", e quando Aric era arrivato da lui chiedendogli di
consegnare una pergamena a Robin Hood il ragazzo aveva creduto che ne
volesse l'aiuto per ritrovarla o per averne notizie. Le cose, invece,
dovevano essere molto diverse da come
pensava dal momento che la sorella di Aric era lì davanti ai
suoi occhi, attorniata dall'intera banda di Robin Hood.
Lo sguardo dei presenti era colmo di interrogativi, così
Robin decise di prendere parola riportando su di sé
l'assenzione di tutti.
Il messaggero vide una donna bionda affiancare Kaelee stringendole
delicatamente la vita,
come a volerla rassicurare e proteggere al tempo stesso, e
pensò che se mai fosse riuscito a tornare a Edwinstowe
avrebbe dovuto raccontare ad Aric quel dettaglio per rassicurarlo:
sapere che Kaelee aveva trovato un'amica avrebbe sicuramente rincuorato
Aric.
«Noi siamo Robin Hood»,
esordì rivolgendoglisi direttamente. Il ragazzo non ebbe la
sensazione che il fuorilegge volesse incutergli timore o paura, ma ne
percepì tutta l'autorità. «Loro
sono le mie orecchie, le mie braccia, le mie gambe, la mia coscienza.
Se anche non leggessi adesso ad alta voce quanto scritto qui dentro, le
persone che vedi ne verrebbero comunque a conoscenza»,
concluse trovando l'approvazione di tutti i presenti.
«Il
mio compito era consegnarla nelle mani di Robin Hood e fare in modo che
lui ne leggesse il contenuto», rispose il giovane
chiarendo la
propria posizione e dimostrando grande lealtà al suo amico.
Robin annuì, svolse la pergamena e diede inizio alla lettura.
Edwinstowe
Amatissima sorella,
Perdonerai il mio azzardo
nell'apprenderne le motivazioni.
Nostra madre ha disposto che ti
si trovi e non ti sarà difficile capire chi tra i nostri
fratelli ti sta dando la caccia.
Il tuo segreto mi appartiene e
intendo mantenere la promessa di non rivelarlo ad anima viva.
Confido
nella lealtà del mio messaggero e nella bontà di
Robin
Hood. Voglia egli metterti al corrente di quanto accade.
Possa tu salvarti ed essere
felice.
Tuo, fedelissimo, per sempre.
Gli occhi di Kaelee si riempirono definitivamente delle lacrime che
fino a poco prima aveva cercato di trattenere. Non le serviva conoscere
il nome del mittente perché l'identità del
messaggero bastava di
per
sé a chiarire ogni cosa. La ragazza capiva perfettamente il
significato, forse per gli altri non
totalmente decifrabile, di ciò che suo fratello le aveva
mandato
a dire. Le sue erano lacrime riconoscenti e amare al tempo stesso:
riconoscenti perché Aric aveva trovato il coraggio per
informarla senza farsi scoprire e amare perché
ciò
che
sperava non accadesse stava invece accadendo e scampare
all'eventualità di essere riportata ad Edwinstowe
era un'impresa impossibile, forse perfino per Robin Hood,
ammesso
che decidesse di aiutarla ancora una volta. Gettando uno sguardo sui
presenti, Kaelee avvertì la confusione e il bisogno di
sapere negli occhi di tutti, eccezion fatta per Robin. Lui, infatti,
era l'unico a conoscere per intero la sua storia,
ma ormai era chiaro che Kaelee avrebbe dovuto condividerla anche con
tutti gli altri se voleva chiedere la loro protezione.
La giovane donna prese un profondo respiro.
Quando era arrivata a Locksley e aveva avuto l'opportunità
di
incontrare la personificazione del suo sogno di libertà,
Kaelee
aveva voluto essere onesta nel rivelare a Robin di essere fuggita dalla
propria famiglia di nascosto, svelando soltanto ad uno dei suoi quattro
fratelli il motivo e la destinazione. Gli aveva detto che molte voci
giravano sul suo conto e che spesso, a casa sua, i fratelli parlavano
di lui mentre lei pelava le patate o rassettava la cucina. Gli aveva
parlato
di quanto lui fosse stato un esempio per lei attraverso quelle storie,
di quanta forza le avesse dato e, alla fine del racconto, Kaelee
aveva lasciato a Robin la scelta di accoglierla nel suo villaggio o
rimandarla indietro, con la sola richiesta di non fare menzione con
nessuno dei particolari della sua storia. Come sappiamo, lui decise di
darle ospitalità, la presentò ai suoi uomini e le
offrì protezione, una casa e la prospettiva di una vita
migliore.
Nel cuore di Sherwood Kaelee raccontò ogni cosa tenendosi
stretta a Kate, sua amica, sua roccia, e cercando spesso lo sguardo di
Robin.
Il fatto che Kaelee avesse trovato degli amici e forse anche l'amore in
quel villaggio, non sminuiva affatto il valore che Robin Hood aveva per
lei: lui era e sarebbe sempre stato il suo mito, il suo idolo, la sua
guida.
Ci furono alcuni istanti di silenzio che Kaelee decise di affrontare
con gli occhi abbassati sul terreno della foresta, per questo non si
accorse dello
sgomento prima e della rabbia poi che albergava nello sguardo di Guy,
né di come Tuck tratteneva Allan che avrebbe voluto pararsi
davanti alla ragazza per difenderla a qualsiasi costo.
La differenza tra i due, però, sarebbe stata evidente se
Kaelee li avesse osservato. Sarebbe bastato
guardarli
in faccia per capire chi dei due avesse un passato di violenza alle
spalle.
Qualcosa in Gisborne aveva iniziato a ribollire nel momento in cui
Robin
aveva terminato la lettura. La sola idea che qualcuno potesse arrogarsi
il diritto di portargli via Kaelee lo faceva imbestialire: sebbene
fosse
pienamente cosciente di quanto Kaelee non gli appartenesse in alcun
modo, sapeva con altrettanta certezza che avrebbe fatto qualsiasi cosa
per non perderla. Quando poi la ragazza aveva messo tutti al
corrente della propria situazione, in Guy era scattato l'impulso
irrefrenabile di tirarla fuori da quella situazione. Era pronto ad
accettare qualsiasi conseguenza di ciò che stava per fare
pur di
non dover fare ancora i conti con il dolore, il vuoto, la solitudine
perché
Kaelee, nel poco tempo che gli era stata vicina, aveva donato nuova
serenità e reso definitivo il cambiamento di Guy.
Prima che Allan potesse fare qualunque cosa, Guy si avvicinò
al
messaggero con fare minaccioso, un fare che Kaelee non conosceva in lui
e che la spaventò.
Lo stava guardando ora e le parve che la figura già di per
sé imponente di Gisborne si fosse ingigantita e sovrastasse
completamente il giovane amico di Aric.
«Ascoltami
bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di
Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di
Gisborne.
Hai capito?».
La sua voce era profonda, leggermente roca e Kaelee la trovò
subito
terrificante, ma c'era qualcos'altro che la spaventava di
più:
non riconosceva chi aveva davanti.
Guardò Kate e un'illuminazione la riportò alla
discussione
avuta con lei, la notte in cui per la prima volta aveva abbracciato
Guy. Una domanda muta nello sguardo: "Era questo che volevi dirmi di
lui?".
Kate le accarezzò la schiena, protettiva, comprensiva,
mentre Kaelee iniziava a porsi infinite domande per le quali non aveva
risposte.
Guy di Gisborne non era chi lei aveva creduto che fosse? Non era
semplicemente il fratello acquisito di Robin Hood? Era un nobile? Un
cavaliere? In effetti era stata una sciocca a non arrivarci prima dal
momento che Robin stesso aveva nobili origini, perciò suo
padre non avrebbe mai intrattenuto una relazione con una popolana,
giusto? Eppure Gisborne lo stava facendo. Oppure forse si era soltanto
illusa?
Perché i suoi fratelli, quando le avevano raccontato le
mirabolanti imprese di Robin e dei suoi fuorilegge non l'avevano mai
menzionato?
Chi era davvero Sir Guy di Gisborne? E se non aveva mai fatto parte
della banda, per chi aveva combattuto e come si era infine inserito tra
gli uomini di Robin Hood?
Un dubbio atroce le stringeva le tempie e le induriva il cuore mentre
cercava le risposte.
Perché Kate aveva cercato di metterla in guardia?
Perché gli altri invece non se n'erano preoccupati?
La ragazza guardò Allan senza capire bene perché
i suoi occhi avessero preso quella direzione.
Allan ricambiò lo sguardo e a lei parve che l'uomo avesse
preso una decisione proprio in quel momento. Lo vide infatti
raggiungere Guy.
«E
sotto quella di Allan A Dale. Per quel che può valere in
confronto», disse. L'ultima parte la borbottò in
un modo
così comico che avrebbe suscitato il riso di tutti se non si
fossero
trovati in una situazione così ostica.
Kaelee
chiuse gli occhi per un momento mentre rifletteva sul da farsi. Non
poteva permettere che Guy o Allan o entrambi si facessero male per
colpa sua mettendosi contro Rudyard, ma sapeva che senza il loro aiuto
non sarebbe mai riuscita a
scappare da suo fratello e da sua madre, senza di loro non sarebbe mai
stata
libera. Eppure, per quanto fosse consapevole del dolore che avrebbe
provato
nella separazione, decise che c'era un'unica soluzione a quel problema.
«Aspettate», disse
facendo voltare sia Guy che Allan.
Il primo aveva assunto di nuovo lo sguardo che lei conosceva. Soltanto
un'ombra lo rendeva un po' più cupo del solito.
Robin se ne stava a braccia conserte, lo sguardo molto serio. Osservava.
«Io vi sono molto grata per ciò che
fate per me, ma non voglio trascinarvi nei miei drammi».
Allan tentò di protestare ma Robin sollevò una
mano intimandogli il silenzio.
Kaelee si fece quindi forza e continuò.
«Aiutatemi a fuggire e se qualcuno vi
chiederà di me, un giorno, ditegli di non avermi mai
conosciuta», decise sperando che potesse bastare per salvare
tutte le parti da eventi poco piacevoli. In cuor suo Kaelee sapeva che
non avrebbe mai trovato pace e che la sua vita
sarebbe stata una fuga continua, ma il prezzo da pagare
perché
lei restasse a Locksley le sembrava troppo alto, quindi era davvero
intenzionata a mettere in atto quel piano.
Ma non aveva fatto i conti con Guy: non le diede neanche il tempo di un
respiro. Fu dinanzi a lei, le
strinse le spalle con una forza che la fece tremare e pretese la
sua attenzione.
«Guardami», mormorò
persuasivo. «Guardami!», gridò qualche
istante più tardi non avendo ottenuto ciò che
voleva.
Più lui la scuoteva, più la paura in lei cresceva.
«Lasciala!», urlò
Kate, prontamente fermata da un cenno di Robin.
Il
respiro era irregolare ed i suoi occhi caramello fuso quando
guardò Guy.
«Io non ti permetto di andartene»,
decretò lui.
Lo disse con rabbia e, anche se Kaelee era certa che non fosse quello
il sentimento che l'aveva spinto ad un simile gesto, questo la
indispettì inducendola immediatamente a mettersi sulla
difensiva proprio come faceva a Edwinstowe quando uno dei suoi fratelli
l'aggrediva senza un perché.
«Ed io non ti permetto di parlarmi in questo modo,
Guy o Sir Guy o chiunque tu sia!», sbottò lei.
Fu Robin a ristabilire l'equilibrio dell'intera situazione.
Parlò con calma al messaggero, lo ringraziò
sentitamente
e assicurò la propria disponibilità in caso di
bisogno.
Gli disse anche che Kaelee era una di loro e che con loro sarebbe
rimasta, sotto
la protezione di Robin Hood e dei suoi uomini. Ritenne saggio,
però, che questo venisse detto solo ed esclusivamente al
mittente della pergamena e se il ragazzo non avesse rispettato i patti
sarebbe diventato un
nemico di Robin Hood. Poi lo invitò a fermarsi a Locksley
per la
notte, a rifocillarsi e a far riposare il cavallo. Infine sciolse
l'assemblea.
«Noi siamo Robin Hood. Tu, Kaelee, sei Robin Hood.
E se deciderai di andartene, non avrai la mia approvazione».
Kaelee si liberò dalla presa ormai leggera di Guy e si
rivolse a Robin.
«Io sono Robin Hood ed è per me un
onore, ma...», tentò di obiettare senza riuscirci.
«Siamo d'accordo allora», la interruppe il
fuorilegge.
Il suo cuore era più straziato che mai. Non voleva metterli
in
pericolo, non voleva deluderli, non voleva allontanarsi da loro, non
voleva che suo fratello facesse loro del male.
C'era una cosa, però, che più di tutte non
voleva:
mollare. Una sola difficoltà non le avrebbe impedito di
diventare ciò che voleva essere, suo fratello e sua madre
non le
avrebbero tolto oltre la felicità.
Robin le sorrise di quel sorriso tipicamente suo e invitò
tutti a tornare a Locksley.
Guy non si mosse, guardava Kaelee e nemmeno Allan n si mosse
perché teneva d'occhio Guy.
Kate non si mosse, proteggendo Kaelee da qualsiasi cosa lei non volesse
in quel momento: se lei glielo avesse chiesto, Kaelee era certa che
Kate avrebbe allontanato
Guy o Allan a suon di calci nel sedere.
La ragazza ringraziò sia Guy che Allan per il gesto di
poco prima. Poi, però, chiese a Kate di portarla a casa:
aveva
bisogno di riflettere.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 01/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Chiedo scusa se mi sono dilungata
un po' troppo. A volte mi
lascio
prendere totalmente dalla storia.
Come sempre un grande grazie a voi che siete arrivati fino alla fine e
a voi che deciderete di lasciarmi una recensione, positiva o negativa
che sia.
|
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Capitolo 5 *** Sir Guy di Gisborne ***
Tormento
Sir Guy di Gisborne
Nessuno che non appartenesse alla
banda di Robin Hood o al villaggio di Locksley
aveva
cercato Kaelee dopo l'episodio della pergamena, perciò
sembrava
essere
andato tutto per il meglio, almeno per il momento. Certo tutti tenevano
alta la guardia, ma ognuno aveva continuato a svolgere le proprie
mansioni e attività con i consueti ritmi, ognuno era
pienamente
calato nella conquistata normalità, conseguenza diretta
della morte dello
Sceriffo Vaisey e del ritorno di Re Riccardo in patria e sul trono.
In verità, però, niente andava bene per alcuni
abitanti di Locksley.
Casa di Guy, Locksley.
I vecchi incubi erano tornati e insieme a loro anche il buio nell'animo
di
Gisborne. Per la terza notte di fila, a causa dei brutti pensieri che
lo tormentavano senza sosta e senza pietà, Guy non
riuscì
a prendere sonno. Consapevole che darsi al vino non avrebbe risolto il
problema e conscio che prendersela con gli alberi di Sherwood non lo
avrebbe aiutato a scacciare i suoi drammi e quelli della donna che
amava, Gisborne aveva scelto di lasciarsi travolgere da ciò
che provava e si trascinava,
da un angolo all'altro della sua abitazione, più simile ad
un
fantasma che ad un uomo in carne ed ossa.
Non aveva più rivisto Kaelee da quando le aveva offerto la
propria protezione e questo peggiorava nettamente le cose, rendendolo
folle non per rabbia, ma di
dolore. L'assenza di quella giovane ragazza arrivata da un villaggio
vicino aveva restituito a Guy tutta la sua solitudine, così
come
il rifiuto di lei quando era andato a cercarla lo aveva ferito
più di quanto tutti si aspettassero, perfino più
di
quanto lui stesso si aspettasse.
Aveva finito col chiudersi in casa
non
volendo vedere nessuno, non permettendo a nessuno di andare a fargli
visita; non andava neanche più a curare i cavalli degli
abitanti del
villaggio né il proprio e a stento si concedeva un pasto al
giorno. Non aveva
più voglia di dedicarsi a nulla.
Quella notte si alzò dal letto, si prese la testa tra le
mani, esasperato da se stesso e dai pensieri che non accennavano a
quietarsi, e iniziò ad urlare, solo, nel buio della
sua
casa sbraitando contro un muro di oscurità e desolazione,
contro
un Dio che sembrava non volerlo aiutare, contro un destino che gli era
evidentemente avverso e contro se stesso per aver consentito alla sua
coscienza di credere che l'espiazione delle sue colpe fosse giunta a
conclusione.
"È insopportabile! È insopportabile tutto questo
soffrire",
pensò, ritenendo che mille ferite avrebbero fatto meno male
dell'indifferenza di Kaelee.
Cadde a terra, in ginocchio, sopraffatto dall'intensità
delle
sue stesse emozioni fino a qualche tempo prima credute perse, confinate
in angoli remoti del suo cuore, sovrastate dal solo desiderio di
arricchirsi e acquisire potere a discapito dei più
sfortunati.
Nel villaggio alcune finestre si accesero del lume di una candela, ma
nessuno degli abitanti andò a bussare alla porta di Guy di
Gisborne.
Robin e Archer erano di ritorno da una serata all'insegna del
divertimento quando, passando nelle vicinanze dell'abitazione in cui
risiedeva Guy, sentirono un urlo provenire da lì. Senza
neanche
pensarci su un secondo, si precipitarono all'ingresso e iniziarono a
colpire con forza la porta in legno. Non ottenendo alcuna risposta,
fecero
irruzione nel timore che Guy potesse aver commesso una sciocchezza.
«Hai davvero una così scarsa considerazione di
lui?», chiese Archer a suo fratello Robin mentre lo aiutava a
buttar giù la porta. «Non è il tipo che
va fuori di
testa per una donna, naaah, non è così
stupido»,
affermò subito dopo, sorridendo, pienamente convinto di
ciò che
aveva appena detto.
Robin, invece, sapeva per esperienza personale che Guy era capace di
azioni di
cui si sarebbe pentito per tutta la vita a causa di una donna. Anche
Archer conosceva la storia di Lady Marian, ma non l'aveva vissuta in
prima persona, perciò Robin credeva che non riuscisse a
realizzare che non era
questione di stupidità, quando di istintività
– e
tutti a Locksley e Nottingham sapevano quanto Gisborne agisse
più per istinto che seguendo la ragione, dettaglio, questo,
che
molte volte aveva avvantaggiato la banda di fuorilegge in passato.
Lo cercarono al piano inferiore, poi presero le scale e infine lo
trovarono nella stanza da letto.
Entrambi furono concordi nel constatare che stava bene, almeno
fisicamente parlando, perciò Robin e
Archer tirarono un sospiro di sollievo e
altro non fecero che sederglisi accanto – uno da un lato,
l'altro
dall'altro.
Dopo un po' videro Guy cambiare posizione per imitarli, abbandonando il
capo sulla sponda
del letto.
Dal momento che nessuno sembrava intenzionato a parlare, Robin si
immerse nei propri pensieri.
"Stramba entità, il destino", rifletté l'arciere.
Robin aveva conosciuto Guy quando entrambi erano dei ragazzini e la
cattiveria non aveva ancora fatto breccia nel cuore di un giovane Guy
dai capelli neri e dai grandi occhi chiari come il luccichìo
azzurrognolo del ghiaccio in certi giorni d'inverno. Gisborne era
più
grande
di Robin, in tutti i sensi: era nato prima di lui, era più
alto
di lui, ed aveva maturato più esperienza di lui. Se si
parlava
di tiro con l'arco, però, i due si equivalevano e
più
Robin cresceva, più diventava bravo. Ben presto, a detta di
molti, l'avrebbe
superato ampiamente.
Robin e Guy non erano in alcun modo parenti, semplicemente le loro
abitazioni erano vicine e i due si incontravano spesso.
Dopo tanti anni, seduti a terra in quella che era di nuovo la
casa di Guy di Gisborne a Locksley, tutto era completamente diverso.
"È quasi buffo il modo in cui la vita tende a girare su se
stessa, a
volte", pensò ancora Robin.
I due erano stati compagni di giochi, il che significava anche che
qualche volta si erano provocati a vicenda e se le erano date di santa
ragione creando qualche dissapore. Ma i
bambini dimenticano in fretta i piccoli screzi, perciò i due
non si erano mai odiati davvero. Poi era accaduto
qualcosa che né Guy, né Isabella, né
Robin
avrebbero mai dimenticato anche se l'unico a conoscere gran parte dei
dettagli mentre le vicende accadevano era proprio Gisborne, il quale
per anni si portò dietro il
peso di
una verità che non aveva mai smesso di ferirlo, lentamente e
incessantemente. E non era neanche tutta la verità.
Le loro strade, quando Robin era ancora un bambino, si erano divise in
seguito ad un brutto incidente che aveva strappato ad entrambi la
rispettiva famiglia, ma con il passare del tempo quella separazione era
diventata netta, radicale, definitiva – o almeno
così
entrambi avevano creduto: Robin era dalla parte della giustizia, mentre
Guy del potere e spesso
avevano combattuto l'uno contro l'altro, rischiando più
volte di
perdere la vita
prima del tempo.
Per i grovigli della vita si erano infine e inaspettatamente ritrovati
a camminare nella
medesima direzione, verso un fratello che non avevano mai creduto di
avere e contro uno Sceriffo che voleva entrambi alla gogna; ma
soprattutto grazie a quel fratello di nome Archer che era lì
con
loro, in silenzio, immerso anche lui nei propri pensieri.
Ciò che Archer conosceva delle proprie origini era solo
una
manciata di informazioni che non lo avevano mai condotto da nessuna
parte, che non lo avevano mai soddisfatto e che non lo avevano mai
indotto a indagare più a fondo. Del resto cos'avrebbe potuto
fare dopo aver saputo che sua madre era morta poco tempo dopo averlo
dato alla luce? Recarsi sulla sua tomba?
Archer si era considerato per tutta la vita un giramondo, uno senza
radici, uno che non conosceva il
significato di famiglia e che non credeva di averne una.
Era un ragazzo che aveva appreso di avere due
fratelli quando era già adulto, quando aveva già
affrontato da solo una buona parte di drammi. Archer era un ragazzo in
gamba, intelligente, capace di cavarsela da solo in qualsiasi
situazione.
Somigliava fisicamente più a Robin che a Guy. Di Robin,
Archer
aveva i colori e la passione per arco e frecce: doveva essere una dote
naturale ereditata dal padre il saper tirare con tanta precisione e
facilità. Il
modo in cui sapeva essere strafottente, invece, lo avvicinava
più a Guy, come anche qualcosa
nello sguardo tradiva una parentela con Guy:
quell'intensità che sapeva riversare addosso a chi lo
guardava
negli occhi e che era il suo modo di nascondere grande sofferenza
dietro una
finta cattiveria, un finto desiderio di arrivare al potere e alla
ricchezza.
Archer non aveva dimenticato il grave errore che aveva commesso quando,
per l'idea di arricchirsi, aveva pensato di stare dalla parte dei
potenti invece che con Robin e Guy che gli avevano salvato la vita.
Aveva
quasi ammazzato i suoi fratelli appena ritrovati, ma aveva imparato la
lezione decidendo di schierarsi definitivamente dalla loro parte. Si
scontrava spesso soprattutto con Robin, ma tutto sommato aveva legato
bene sia con lui che con Gisborne.
Era il più giovane dei tre, naturalmente, e da quando lo
Sceriffo era saltato in aria insieme al Castello, Archer non si era
più separato dai suoi fratelli.
«Dovresti parlarle».
Fu Robin a rompere il silenzio.
«Non vuole», rispose secco Gisborne, con una punta
di rassegnazione.
Robin gli rivolse il suo miglior mezzo sorriso e il miglior
sopracciglio sollevato della storia di Locksley: era come se volesse
ricordargli, con quell'occhiata, che Guy di Gisborne non era uno
che si lasciava scoraggiare in quel modo. Nel contempo,
però,
non voleva tirare in ballo Marian in modo diretto, anche se sarebbe
stato l'esempio più corretto da riportare se intendeva dare
davvero una
scrollata a Gisborne rammentandogli quanto sapeva essere ostinato se si
metteva d'impegno.
Né Robin voleva parlare di Isabella e di come il desiderio
di
distruggerla avesse portato Guy addirittura a stare dalla parte del
tanto detestato Robin Hood quando lei era stata nominata Sceriffo di
Nottingham dal Principe Giovanni.
Erano due capitoli molto delicati per entrambi e Robin ritenne che non
fosse il momento adatto per parlarne.
Guy lo guardò con espressione quasi disgustata prima di
tornare a fissare il soffitto.
«No, ma fate pure come se
non ci fossi!»,
scherzò Archer nel tentativo di alleggerire la situazione.
«In effetti non so che
cosa ci facciate qui tutti e due»,
commentò Guy, sarcastico.
«Ma tu guarda!», brontolò Archer.
Robin intanto rifletteva: aveva visto Guy non fermarsi davanti a nulla
pur di conquistare il cuore di Marian e si chiedeva adesso cosa lo
trattenesse con Kaelee.
Casa
di Kate, Locksley.
Kaelee era totalmente assente da giorni.
Passava la pezza nello stesso punto senza accorgersene, infornava e
sfornava vasi meccanicamente, si aggirava per il villaggio come uno
spettro, non rivolgeva la parola a nessuno che non fosse Kate; aveva
uno sguardo spento; non si allenava più e non leggeva
più.
Aveva fatto di tutto per evitare Allan, – così
come aveva
fatto con Gisborne dal momento che entrambi si erano esposti in suo
favore più di tutti gli altri – anche se a quanto
pareva
quest'ultimo non aveva intenzione di lasciarla in pace sebbene lei non
mostrasse alcun segno di voler interagire: le volte in cui si erano
incontrati, infatti, non aveva scambiato una sola parola con lui,
neanche
quando Allan si era messo a parlarle di un nuovo rotolo di pergamene
che sarebbe andato a recuperare a York la settimana successiva.
Non incontrare Guy, invece, era stato molto più semplice da
quando si era rifiutata di parlare con lui una prima volta,
semplicemente perché non l'aveva più
visto in giro. Era come sparito dalla circolazione.
Quella notte Kate stava dormendo poco lontano da lei. Le era stata
molto vicina in
quei giorni, cercando in tutti i modi di risollevarle il morale e di
mettere
perfino una buona parola per Guy nonostante non l'avesse ancora
perdonato per alcune azioni che aveva commesso in passato –
azioni su cui Kate non si era soffermata, dando a Kaelee la sensazione
di voler sminuire qualcosa di molto più grande e
preoccupante.
Ogni tentativo, comunque, sembrava essere inutile perché
Kaelee si
sentiva come se il suo cuore fosse sepolto sotto metri di gelida neve,
come se il suo corpo continuasse a respirare
e vivere senza di lei.
La giovane donna era consapevole delle preoccupazioni che stava dando
alla sua
unica amica, eppure si era convinta di non poterci far nulla sebbene
sperasse che prima o poi il tempo avrebbe messo una pezza laddove si
era creato uno squarcio. A farla sentire in colpa per il suo
comportamento, però, si aggiungevano le occhiate sofferenti
di Much tutte
le volte che passava a trovare lei e Kate: la guardava come se volesse
prendersi i suoi tormenti, come se avesse la soluzione sulla punta
della lingua senza poterla esprimere liberamente per non entrare in
questioni che non lo riguardavano in maniera diretta. Kaelee lo aveva
sentito
discutere con Kate un pomeriggio e sapeva che Much aveva suggerito alla
bionda di mettere Gisborne al corrente del suo stato d'animo, ma Kate
non aveva accettato ritenendo che se lei si era
rifiutata di vederlo quando lui l'aveva cercata voleva dire che non era
ancora pronta ad affrontarlo. Dopo aver ascoltato quella conversazione,
Kaelee si era scoperta ancora più confusa: davvero non
voleva
più vedere Gisborne?
Kaelee non dormiva quella notte, se ne stava rannicchiata su un fianco,
dando le
spalle a Kate, incapace di prendere una decisione.
Guy le mancava, su questo non nutriva alcun dubbio. "Ma chi mi manca
davvero?", si domandò per l'ennesima volta.
"Ascoltami
bene, ragazzo. Fai in modo che il mittente sappia che Kaelee di
Edwinstowe è adesso sotto la protezione di Sir Guy di
Gisborne.
Hai capito?".
Quella frase non la lasciava in pace un istante.
Casa
di Guy, Locksley.
Dopo aver pensato e ripensato a come potessero stare le cose, Robin
decise che doveva fare in modo di scatenare una reazione in
Guy, convinto che se l'uomo avesse continuato a tormentarsi in quel
modo sarebbe stato molto difficile recuperarlo. Così gli
diede
uno spintone, senza alcun preavviso,
facendolo finire addosso ad un impreparato Archer.
«Ma ti sei bevuto il cervello?!»,
protestò
prontamente il minore contro Robin.
«Sei uno stupido», aggiunse Robin in tono serio,
rivolgendosi a Gisborne.
Fortunatamente nessuno di loro lo era davvero e quando Archer
incontrò lo sguardo espressivo di Robin, comprese che non si
era
affatto
dissetato con il proprio intelletto e decise di reggergli il gioco,
qualunque esso fosse e dovunque Robin voleva che li portasse.
«Già! Levati
di dosso, fratello», e lo
spinse a sua volta.
Robin intercettò una scintilla negli occhi di Guy prima che
una risatina amara gli
uscisse dalle labbra.
«Ho detto che sei uno stupido», ripeté.
Robin non temeva di
azzuffarsi con
Guy, non temeva che lui potesse aggredirlo con la volontà di
fargli del male o di ucciderlo.
«Sono d'accordo con lui», convenne Archer annuendo
col capo.
Robin si rese conto che la scena in sé aveva un che di
comico
– e in questo la mimica facciale di suo fratello Archer era
da
primo premio –
anche se le sue intenzioni erano serie e il benessere di Gisborne era
per lui molto importante.
«Fuori. Andatevene»,
disse Guy. Non il più piccolo accenno di rabbia nella voce.
«Neanche per sogno», rispose Robin, «Ti
tormenterò con la mia presenza e tutte le offese del caso
finché non muoverai quelle chiappe molli per andare a dirle
che
l'ami».
Robin vide Archer sgranare gli occhi e nel suo sguardo lesse
il
terrore di chi è convinto che giocare con il fuoco sia un
mestiere troppo pericoloso, ma l'arciere sapeva di non avere
alternative e comunque non sarebbe mai riuscito a prendere Gisborne con
le buone maniere – un po' perché non era da lui e
un po'
perché credeva che suo fratello non avrebbe apprezzato un
simile
comportamento da parte sua, trovandolo inappropriato e ridicolo.
Trascorsero pochi attimi prima che Guy fosse addosso a Robin, sopra di
lui, regalando all'ex fuorilegge l'attesa
reazione.
«Lei non mi vuole!»,
ringhiò l'uomo. C'erano fiamme nei suoi occhi e una forza
immensa
nelle braccia. «Che
diavolo hai da sghignazzare?!»,
ruggì infine notando il sorrisetto che Robin non tentava
neanche
di nascondere pur essendo in una situazione di netto svantaggio.
Robin era certo che Guy fosse abbastanza intelligente da capire che
l'aveva fatto
apposta, che l'aveva volutamente provocato anche se non credeva che ci
sarebbe cascato come un fesso tanto in fretta.
Borbottando qualcosa di incomprensibile, Gisborne si alzò da
terra –
con
sommo sollievo di Archer – e si spostò dinanzi
alla finestra.
Anche Robin si alzò e ridacchiando
disse: «Te l'ho già detto che sei uno
stupido?».
«Sparisci dalla mia
vista, Hood! O ne pagherai le conseguenze»,
minacciò Guy. Sulle labbra un sorrisetto che Robin conosceva
molto bene.
I due si rincorsero fin dentro alla foresta, inseguiti da un Archer
sbalordito e convinto di essere vittima di una stregoneria.
Tutti e tre rientrarono a Locksley che era quasi l'alba, a braccetto,
spettinati e sporchi,
dopo essersi azzuffati nel bel mezzo di Sherwood come dei ragazzini.
Archer non poteva credere di avere davvero dei fratelli così.
Il
giorno seguente.
Locksley.
Il fatto che non avesse chiuso occhio era un dettaglio irrilevante per
Guy: la determinazione da sola bastava a tenerlo in piedi. Tutto
ciò che doveva fare era trovare Kaelee e convincerla a farsi
ascoltare – e avrebbe fatto qualunque cosa, avrebbe atteso
tutto
il tempo che Kaelee avesse chiesto, perché era certo che ne
valesse la pena. Robin c'era arrivato prima di lui a capire quanto
profondo
fosse il sentimento che nutriva per quella ragazza arrivata da fuori
per rimettergli in moto il cuore, per curargli le ferite e farlo
sentire vivo di nuovo. Completamente vivo. Vivo come forse non si era
mai sentito.
Gisborne era quindi di nuovo in giro per le strade di Locksley e la
cosa
più
straordinaria era il sorriso che dimorava sulle sue labbra sottili,
così lontano dal ghigno che per anni aveva tormentato gli
abitanti del villaggio. Salutò gentilmente tutti quelli che
incontrò e chiese loro
di Kaelee – se l'avessero vista, se sapessero dov'era, se
conoscessero i suoi impegni del giorno.
Quel mattino Kaelee fece colazione in silenzio insieme a Kate,
soltanto perché quest'ultima aveva insistito così
tanto
da farle credere che a momenti si sarebbe infuriata come non mai.
Kaelee sapeva che non sarebbe riuscita ad affrontare un litigio, ma
nonostante questo non riuscì ad essere di compagnia. Neanche
l'ombra di un sorriso si disegnò sulle labbra mentre
mangiava
senza voglia frutta secca e un tozzo di pane. Appena le fu possibile si
offrì volontaria per sparecchiare e riordinare, prima di
comunicare a Kate che sarebbe uscita con l'intenzione di rintanarsi in
Chiesa.
Era un po' di tempo che
Tuck ci lavorava su, che cercava di farle buttare fuori ciò
che
la rendeva tanto triste e lentamente in Kaelee stava iniziando a
smuoversi qualcosa. Tuck parlava con delicatezza e forza;
sembrava girare attorno al problema, ma in realtà colpiva
dritto
al cuore della questione, facendolo in un modo, però, che
anziché ferire Kaelee spingendola a chiudersi in se stessa,
faceva sì che la ragazza trovasse una via di salvezza. Non
pretendeva che parlasse con lui, che si confidasse con lui o che lo
ritenesse un amico: voleva soltanto che si rendesse conto di dove
risiedesse la soluzione al suo tormento. In se stessa, naturalmente
– Kaelee c'era arrivata quasi subito anche se ancora non
aveva
trovato il modo per tirarla fuori.
La ragazza pensava così spesso a Guy che non si
stupì di
vederselo
arrivare incontro, sorridente per giunta. Credette che fosse tutto
frutto della sua immaginazione sebbene si trattasse di una visione
piuttosto
realistica, ma del resto quella notte non aveva dormito quasi per nulla
perciò, per quel che ne sapeva, poteva essersi addormentata
in
Chiesa ed essere nel bel mezzo di un sogno. Perciò ci rimase
di
sasso quando la visione si mise ad interagire
con lei.
Guy la vide e il suo cuore prese a martellare forte nel petto: aveva la
sensazione che glielo avrebbe sfondato.
Si trovarono uno di fronte all'altra e ad entrambi il tempo parve
fermarsi.
Gisborne non riusciva a smettere di sorridere tanto era felice di
vederla e in quel momento non gli importava di come sarebbe andata, non
era
preoccupato di come lei l'avrebbe presa; ciò che gli
interessava, sopra ogni cosa, era che lei scegliesse di ascoltarlo, che
gli
desse un'occasione, che non lo rifiutasse di nuovo. Era,
però,
intenzionato anche a non forzarla in alcun modo, perciò si
impose di non sfiorarla per evitare di turbarla e di essere il
più gentile possibile nei modi e nei termini da adoperare.
Per contro, Kaelee era stordita da quanto le stava accadendo
perché pensava di essere
arrabbiata con lui, ma il cuore la stava tradendo ed era come se il
solo
rivedere Guy avesse riacceso qualcosa in lei ricordandole
immediatamente chi era, chi voleva essere. Le tornò in mente
la
sua spada, abbandonata in un angolo vicino al suo letto; le
tornò in mente il giorno in cui aveva battuto Guy in duello;
le
tornò in mente la bella sensazione delle braccia di lui
attorno
a lei.
Ricordò di amarlo.
Poco importava se invece di essere Guy di Gisborne era Sir Guy di
Gisborne, lo amava e ora che l'aveva detto a se stessa, Gisborne
avrebbe
potuto essere qualunque cosa senza che lei potesse smettere di amarlo.
Questo, però, Guy non lo sapeva e lei non aveva idea di come
dirglielo o, almeno, di come farglielo capire.
«Kaelee...»,
sussurrò l'uomo, distogliendola dalla rivelazione appena
avuta.
Nessuno aveva mai pronunciato il suo nome con tanta dolcezza, nemmeno
suo fratello Aric; un brivido la scosse da capo a piedi e fu come
risvegliarsi dopo uno strano sogno, non esattamente un incubo, fu come
se qualcuno le avesse dato una spinta per svegliarla da un
pensiero insistente.
«Devo andare».
Lo disse
velocemente, con poca convinzione e senza spostarsi di un millimetro.
Neanche lei sapeva perché avesse detto una cosa del genere.
«Ti lascerò
andare se devi, ma prima
promettimi che mi ascolterai. Non necessariamente ora, se non vuoi, ma
dimmi che mi ascolterai. Oggi pomeriggio. Stasera»,
mormorò lui cercando il suo sguardo di caramello.
«Ti
supplico», aggiunse aggrottando
leggermente le sopracciglia, un
lieve tremore sulle labbra.
Kaelee si concesse un tuffo nel mare cristallino che erano gli occhi di
lui. Quei capelli un po' lunghi per un uomo, il modo in cui gli
incorniciavano il viso, la facevano impazzire più delle
mille
domande che aveva in testa. Pensò che non l'aveva mai visto
con indosso qualcosa che non fosse nero e diverse volte si era chiesta
come mai prediligesse quel colore a differenza degli altri uomini di
Robin Hood, ma non aveva mai provato a darsi veramente una risposta.
Per qualche meccanismo che probabilmente Kaelee non avrebbe mai
compreso, la sua mente si era difesa da una verità che forse
l'avrebbe spaventata e sicuramente l'avrebbe turbata, eliminando alcuni
dettagli – nei racconti dei suoi fratelli Gisborne non era
mai
comparso tra i membri della banda di fuorilegge; non viveva al Maniero
con Robin e Archer sebbene fosse loro fratello e amico; il suo
abbigliamento era diverso da quello degli altri abitanti di Locksley; i
suoi modi, fin da quando le aveva quasi baciato la mano a casa di Kate,
erano parsi eleganti e gentili più di quelli di ogni altro
ex
fuorilegge. Kaelee arrivò alla consclusione che Guy avesse
qualcosa di diverso da tutti loro, qualcosa che
lo rendeva unico, speciale e inquietante al tempo stesso. Ma anche
terribilmente affascinante.
In quel tuffo Kaelee comprese che non avrebbe mai potuto dirgli di no,
perciò annuì.
«Tra due ore, al Crocevia, nella
foresta», disse e
scappò via.
Foresta di Sherwood.
Guy arrivò in anticipo sul posto concordato per
l'appuntamento, troppo agitato e teso per rispettare l'ora stabilita,
ed ebbe modo di capire
che, per quanto tentasse di prepararsi un discorso lineare, non sarebbe
comunque
riuscito ad essere così lucido da gestirlo nella maniera
più corretta e che quindi non gli restava altro da fare che
lasciarsi guidare dall'istinto nella speranza che Kaelee non lo
interrompesse, non fuggisse, non lo guardasse con odio e disprezzo.
Kaelee si presentò al Crocevia non molto tempo dopo l'arrivo
di Gisborne, anche lei in anticipo.
Prima di lasciare l'abitazione riempendosi lo stomaco soltanto con una
tisana alle erbe, la ragazza aveva voluto accennare a Kate
dell'incontro di quella mattina con Guy e della sua
decisione di ascoltare quanto avesse da dirle. Non gliel'aveva detto
per ottenere un consiglio perché la decisione di ascoltarlo
non era in alcun modo oggetto di
discussione; l'aveva fatto perché lei si era tanto
preoccupata
in quei giorni e non voleva nasconderle nulla, non voleva uscire di
casa come avrebbe fatto una fuggiasca.
Il fatto che Kate non aveva approvato la sua scelta per ragioni che non
aveva però motivato, era un dettaglio di cui Kaelee si
sarebbe preoccupata a tempo
debito onde evitare di aggiungere altri quesiti a quelli già
presenti nella sua testa. Ad una conclusione, però, credette
di esserci arrivata: Gisborne aveva fatto qualcosa di brutto a Kate.
«Eccoci qui»,
disse infine Kaelee abbozzando un sorriso, il primo di quella
settimana.
«Ti
ascolto», aggiunse, andando
dritta al sodo.
Guy annuì. «Ti
sono molto grato per questo, ma non posso
prometterti di essere breve».
Un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra, di quelli che ti
accendono
lo sguardo, di quelli sinceri da poterne morire, di quelli pregni
d'amore che Kaelee tanto adorava.
«Non ho molti impegni ultimamente», rispose lei. Lo
disse
voltandogli le spalle,
incapace di guardarlo in faccia senza provare un brivido, di piacere e
di timore.
Per alleggerire la tensione presero a camminare tra gli alberi di
Sherwood.
Gisborne non parlò subito. Aveva una paura tremenda di
rovinare
ogni
cosa, di sbagliare, di non piacerle. Le azioni che per anni aveva
compiuto quasi senza provare alcun rimorso non erano atti degni di un
Cavaliere, né di un uomo degno di avere al proprio fianco
una donna come Kaelee, pura, gentile e buona con tutti. Gisborne per
primo si vergognava terribilmente di ciò che aveva fatto
sotto il comando di Vaisey di Nottingham ora che aveva compreso, ora
che guardava alla vita da una prospettiva diversa e diametralmente
opposta alla precedente, ma non poteva cancellare di netto il proprio
vissuto. D'altra parte il
Guy
che Kaelee conosceva era il frutto di un passato che, per quanto
lei potesse non gradire, lo aveva portato fin lì,
perciò
l'uomo si fece coraggio e raccontò la storia dall'inizio,
ritenendolo necessario e soprattutto giusto nei confronti di Kaelee e
di se stesso.
Le disse di essere il primogenito di due figli, di provenire
da una famiglia nobile e che sua madre era di origine francese. Le
disse
di conoscere Robin da quando entrambi erano piccoli. Che il nome di sua
sorella era Isabella e che lui l'aveva uccisa. Le raccontò
della
sua infanzia a Locksley, di quando credette morto suo padre per poi
scoprire che egli invece era vivo ma destinato a morire in quanto
affetto da lebbra. Le raccontò di come aveva scoperto della
relazione di sua madre con il padre di Robin, all'epoca già
vedovo, e di come da questa relazione fosse nato un bambino, Archer,
senza che nessuno ne fosse a conoscenza a parte coloro che lo avevano
messo al mondo perché Guy non aveva capito che il malore
accusato da sua madre dopo un diverbio avuto proprio con lui era in
realtà l'inizio del parto. Si perse per un attimo nei
dettagli di quella vicenda e
fece un salto in avanti parlando del padre di Robin, che tutti
pensavano
fosse morto nell'incendio e che invece era sopravvissuto, e di come era
letteralmente piombato nelle loro vite dopo decenni rivelando
l'esistenza di un
fratello comune. Poi tornò indietro all'incendio e le
parlò dei primi anni suoi e di sua sorella nei
panni di orfani, di come sofferenza e preoccupazioni lo avessero mutato
nel
carattere e di come aveva letteralmente venduto Isabella, all'epoca
appena tredicenne, ad un uomo che
non l'amava ma che aveva pagato profumatamente.
Si fermò quando vide Kaelee irrigidirsi, ma, dal momento che
lei non lo interruppe decise di proseguire.
Le raccontò quindi della violenza che lo aveva governato per
anni interi, dell'esperienza in Terra
Santa,
dello Sceriffo di Nottingham, della cattiveria che lo divorava
lentamente da
dentro. Le disse anche di Annie e del figlio che aveva avuto con lei,
Seth.
A quel punto Kaelee sentì il cuore spezzarsi. Non era
così
sciocca da credere che Guy fosse suo coetaneo, o che non si fosse mai
unito con una donna prima di incontrare lei, ma sentirglielo dire
così, con la calma
di
chi sta semplicemente raccontando una storia, le causò un
dolore
insostenibile. Era troppo, era troppa tutta quella cattiveria di cui
Gisborne parlava con pacatezza, come se quegli eventi appartenessero ad
un'epoca lontanissima anziché a qualche anno prima. Eppure
Kaelee non sentì davvero l'impulso di andar via
perché si rese conto che Guy
stava dipingendo se stesso come una persona orribile, senza cuore,
assetato di sangue e potere, il che doveva significare una presa di
coscienza
da parte sua; perché Gisborne si stava
mettendo a nudo con lei che era quasi un'estranea in fin dei conti,
quindi
Kaelee voleva sentire tutta la storia prima di trarre conclusioni,
sentendo di dovergli quella cortesia.
«Io ho ucciso. Ucciso
persone», continuò l'uomo, «Un
numero infinito di volte. Persone che non conoscevo, ma anche qualcuno
con cui avevo parlato qualche volta, persone a me molto care perfino.
Sono un assassino perché ho ucciso senza
pietà, non per difendermi, ma per una soddisfazione
personale che non ho mai raggiunto».
Quella quiete mista a rassegnazione nella voce di lui spaesò
Kaelee e la disgustò quando credette che a Guy non
importasse
un
bel niente del dolore che aveva seminato negli anni.
«Vorrei avere la
possibilità di morire e
tornare in vita soltanto per morire di nuovo, tante volte quante sono
le vittime della mia spada», aggiunse con un filo di voce.
Questo fece subito capire a Kaelee che si era sbagliata, che era stata
frettolosa nel giudicare Gisborne: il tormento di
quell'uomo non era forse la testimonianza di un animo in fondo buono e
sicuramente pentito?
Guy guardava dritto davanti a sé mentre parlava, camminava
lento
per non perdere il controllo di se stesso e cedere alla sofferenza che
rievocare il passato gli provocava. Inoltre sapeva che se avesse
cercato lo
sguardo di Kaelee non sarebbe stato capace di continuare e andare fino
in fondo.
Proseguì il racconto fino ad arrivare all'incontro con
Lady Marian.
Parlarle di lei era ancora incredibilmente difficile, ma soltanto
così
forse sarebbe riuscito a liberarsi dalle catene di quel ricordo, solo
così forse sarebbe riuscito a lasciarla andare per sempre
com'era giusto che fosse.
Parlò di lei con estrema sincerità, non
nascondendo a
Kaelee l'amore immenso che aveva provato per Marian, mettendola a
conoscenza di tutto ciò che aveva fatto per lei e di come
aveva
cercato in tutti i modi di portarla via a Robin Hood. Le
raccontò di quando era quasi riuscito a sposarla e di quanto
si
sentisse sciocco ora per aver creduto anche solo per un attimo che
Marian potesse amare un violento come lui. Non si risparmiò
i
dettagli e neanche le vicende del Guardiano Notturno, neanche che era
stato lui ad ucciderla in Terra Santa dopo che lei gli aveva rivelato
di amare Robin Hood.
Le rare volte in cui Gisborne si concedeva di gettare uno sguardo su
Kaelee, che gli camminava di fianco, gli appariva chiaramente a disagio
nel suo imbarazzato silenzio, tipico di chi non sa se sia il caso di
dire davvero qualcosa. In fin dei conti Gisborne le aveva chiesto di
ascoltarlo ed era esattamente ciò che Kaelee gli stava
concedendo.
«Aveva soltanto ventidue anni quando
l'ho uccisa», aggiunse, «Non
doveva essere molto più grande di te»,
commentò d'istinto, maledicendosi un attimo dopo per
ciò che
aveva
appena detto, per averla messa in mezzo a quel racconto.
Kaelee,
però, parve non scomporsi affatto.
«Ne ho compiuti venti», fu la risposta che fece
stringere i
pugni a Gisborne.
«Forse non ti
piacerà sapere che ne
ho trentasei. Ma del resto stai passeggiando in compagnia di un
assassino, quindi forse il resto non conta»,
ironizzò Guy.
Kaelee non avrebbe mai immaginato
che ci fossero
così tanti anni di differenza tra loro. A pensarci bene
gliene avrebbe dati una trentina in effetti, non di più. La
ragazza realizzò che l'uomo che amava era perfino
più
grande del maggiore dei suoi fratelli, che di anni ne aveva
trentaquattro. Dovette ammettere a se stessa che quella rivelazione
l'aveva definitivamente destabilizzata perché era una
realtà che, a differenza del male che Gisborne aveva fatto,
non sarebbe mai mutata. Ciò che però la spinse a
rispondergli fu
la seconda parte della frase.
«Mi stai dando dell'idiota per caso?
No, perché sarei un'idiota se davvero me ne andassi in giro
con un assassino e io non credo di
esserlo. Ingenua potrei concedertelo, ma idiota no. Raccontami il
resto».
Una piccola parte di lei si disse che avrebbe dovuto avere paura di
quell'uomo dopo ciò che le aveva raccontato, ma dentro di
sé Kaelee non riuscì a rinvenire quel sentimento
tra gli altri.
Guy non osò commentare: la determinazione nella voce della
ragazza lo mise in soggezione. "Per essere una donna così
giovane ha coraggio da vendere", pensò.
«Il resto è solo l'ultimo
capitolo di una lunga storia di violenza»,
continuò Guy mettendola a conoscenza degli eventi
più
recenti, ovvero l'arrivo a Locksley di sua sorella, in fuga dal marito,
l'uccisione di Vaisey non andata a buon fine e il periodo che aveva
trascorso nelle segrete dove aveva conosciuto Meg. Le parlò
anche di lei e le disse che da quel momento in poi la sua vita aveva
iniziato a cambiare volgendo nell'attuale direzione. Le disse di come
lui e Robin avevano trovato e liberato Archer, di come lui li avesse in
prima battuta traditi e poi salvati e di come il Castello di Nottingham
e Nottingham stessa fossero letteralmente saltati in aria.
Raccontò della ferita che lo aveva costretto a starsene a
letto
per un bel po' e di quanto fosse stato e in parte fosse ancora
difficile farsi accettare dagli
abitanti del villaggio, quanto fosse difficile meritare la loro
fiducia. Si soffermò anche su quelli che erano i suoi
tormenti
da quando aveva ucciso Marian e raccontò di come Tuck lo
avesse aiutato nella
convalescenza fisica e morale e di come gli fosse comunque impossibile
perdonarsi per tutto il
male causato. Le svelò anche il motivo per cui non stava
molto
simpatico a Kate: aveva ucciso suo fratello.
Vide Kaelee chiudere gli occhi per un momento e credette che lo avrebbe
aggredito vista l'importanza che Kate aveva per lei, ma ancora una
volta la ragazza non fece né disse nulla.
Non le chiese pietà quando riprese a parlare. «Io
stesso non ne ho per me»,
spiegò, né le chiese comprensione. Non pretese
assolutamente nulla da lei.
Nessuno dei due si rese conto di quanto tempo fosse passato
finché non videro che il Sole cominciava a scendere ed il
cielo
a divenire più scuro. Avevano camminato a lungo, eppure
nessuno
dei due aveva voglia di fermarsi o di rientrare. C'era come qualcosa in
sospeso ancora tra loro.
«Questa è la
storia di Guy di Gisborne»,
concluse, «prima
che incontrasse Kaelee di Edwinstowe, prima che stringesse amicizia con
lei, prima che le insegnasse a maneggiare la spada, prima che le
offrisse protezione...»,
aggiunse senza riuscire a dire ciò che nella sua mente
rimbombava: "Prima che si innamorasse di lei".
"Guy ha un figlio chissà dove, un figlio che aveva
abbandonato senza pensarci su due volte mentendo alla madre e che
sarebbe morto se gli uomini di Robin non l'avessero trovato per puro
caso e salvato. Ha seminato terrore a
Nottingham,
a Locksley e ovunque sia andato. Ha amato e ucciso la donna che amava.
È stato un uomo orribile", pensò Kaelee senza
smettere di
camminargli al fianco. "Ha perso entrambi i genitori in un
incendio, ha sofferto tanto per questo, per la parte di
verità che si è portato dietro tacendola per anni
e per tutto ciò che è accaduto dopo
quell'incidente. Non ha avuto una guida e ha amato nel modo
sbagliato, ma ha amato, a suo modo. È stato ferito, ha
pagato e sta pagando ancora le
conseguenze delle sue azioni. Si è pentito. Ha combattuto
al
fianco di Robin Hood e insieme hanno salvato l'Inghilterra. Guy ha
salvato anche me, in fondo, ed è un uomo diverso adesso.
Resta il fatto che sia sedici anni più grande di me e forse
non
dovrei, ma lo
amo. Ne sono sicura, ora più che mai".
La mano di lei cercò timidamente quella di Guy mentre un
nodo alla gola
le impediva di parlare per dirgli tutto ciò che sentiva.
Le loro dita si sfiorarono e Guy non riuscì a non voltarsi
verso di lei.
I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle lasciate scoperte
dall'abito; la sua pelle era chiara e bellissima, priva di qualunque
imperfezione, splendente della luce dei suoi vent'anni. Il modo in cui
la chioma formava quiete onde castane regalava armonia alla sua figura
che agli occhi di Guy appariva fragile, ma al tempo stesso forte. Ai
suoi occhi Kaelee appariva una creatura meravigliosa: si muoveva
leggera
nella foresta di Sherwood lasciando che la stoffa del suo vestito
accarezzasse l'erba e la terra di quel magico angolo di mondo, sembrava
magica anche lei.
Guy si fece coraggio e infine strinse la mano di lei nella propria: era
immensamente piccola, ma sprigionava un calore capace di dargli la
sensazione di essere finalmente libero da ogni male, quasi come se lei,
con la sua sola presenza, Kaelee potesse redimerlo da ogni peccato.
«Un Guy che io non ho conosciuto e che
non ho il diritto di giudicare in alcun modo»,
mormorò infine. La voce le tremò, fuori dal suo
controllo.
"Guy mi sta tenendo per
mano. Cosa significa?", pensò. «Accetto
la tua protezione, Guy
di Gisborne», aggiunse. "Sa cosa provo per lui? Dovrei dirgli
che
lo amo oppure sarebbe più consono aspettare che sia lui ad
esporsi? So così poco... quasi niente della vita e del corso
naturale delle cose! Sbaglio ad amarlo?".
Guy si fermò dopo che lei ebbe finito di parlare, ma non
lasciò la
sua
mano. Cercò il suo sguardo e, quando ricambiò,
Kaelee notò una luce calda e piacevole in quegli occhi
chiari. Una luce che le fece battere forte il cuore, rassicurandola
perché forse non aveva detto nulla di sbagliato, forse tutto
sarebbe andato per il meglio.
«C'è un'altra
cosa», sussurrò
serio, scrutando negli occhi di lei.
Il tramonto era vicino e a breve avrebbero fatto bene ad incamminarsi
per rientrare a Locksley. Fortunatamente avevano seguito una sorta di
percorso circolare e non erano così lontani dal villaggio,
perciò poterono trattenersi ancora un po'.
«Prima voglio dirtene una
io», lo interruppe Kaelee e, avvicinandosi di più
a lui, sollevò la mano
libera vicino al volto di lui.
Dovette bloccarsi, però, a metà del gesto quando
vide Guy stringere gli occhi, quasi che si aspettasse uno schiaffo da
parte sua. Kaelee non
comprese le ragioni di quella reazione, anche se poteva immaginare che
lo Sceriffo Vaisey, di cui Gisborne le aveva parlato, non lo avesse mai
trattato con modi gentili, ma lei voleva fare niente di male, in
fondo, perciò si disse che non era giusto fargli credere il
contrario. Si fece coraggio e posò le dita sul viso
dell'uomo accarezzandogli delicatamente la guancia.
«Guy...», soffiò sperando che aprisse
gli
occhi.
La sorpresa fu evidente sul volto di lui prima e nello sguardo poi,
quando le palpebre si sollevarono restituendo al mondo quei brandelli
di cielo. Qualunque cosa si aspettasse, di certo non era una
carezza.
«Non
voglio mai più
vedere quell'aggressività, quella cattiveria, quell'odio in
te.
Mai più. Non mi piace e... mi fa paura»,
mormorò
infine Kaelee riferendosi al modo in cui si era
rivolto all'amico di suo
fratello Aric.
L'uomo annuì e si scusò con lei per averla
spaventata.
Si tenevano ancora per mano, ma la mano libera di Kaelee si era
spostata
dal volto al petto dell'uomo passando dal collo e dalla spalla; lo
sfiorava all'altezza del cuore, come se ne volesse percepire i battiti
e verificare se anche quello di lui stesse impazzendo come il suo.
Dopo qualche tempo la
ragazza gli chiese cosa stava per dire prima che lo interrompesse.
Guy posò la propria mano su quella di lei, per trattenerla.
«Sarei
onorato di offrirti me stesso insieme alla mia protezione»,
confidò Gisborne.
Kaelee sgranò gli occhi e dischiuse le labbra con somma
sorpresa. "Mi sta dicendo che...", pensò senza riuscire a
dirlo neanche a se stessa. Gli occhi le si appannarono e
sentì un
lieve rossore conquistarle le gote.
«Sì», fu la sola cosa che
riuscì a dire, vibrando da capo a piedi per l'emozione.
«Sì...?», ripeté Guy. Il
sorriso
che gli piegò le labbra fu, per Kaelee, come il Sole dopo
settimane di
pioggia.
«Sì», confermò Kaelee
ricambiando il sorriso e lasciandosi sfuggire una lacrima di gioia.
Guy l'attirò a sé e la strinse forte
nell'abbraccio più bello che entrambi
avessero mai vissuto.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 03/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Stando a quanto riportato su Wikia,
Guy, Robin ed Allan
sarebbero morti
nel 1194 rispettivamente all'età di 36, 31 e 30 anni.
Avendo io iniziato questa storia con Guy in fase di ripresa da una
ferita riportata nello scontro precedente alla distruzione del Castello
di Nottingham, si presume che l'ambientazione temporale sia ancora la
stessa e quindi il 1194. Ecco perché ho scritto che Guy ha
trentasei anni. Lo stesso vale per Marian che, sempre secondo il sito,
sarebbe morta nel 1193 a 22 anni.
L'età di Kaelee e quella di Dwight, invece, l'ho decisa io.
Spero di non aver preso un granchio durante la narrazione, ma se
così fosse vi invito a farmelo notare.
Grazie a voi che vi siete soffermati a leggere ed eventualmente
recensire.
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Capitolo 6 *** Il Temporale ***
Temporale
Il Temporale
Locksley.
Kate
stava dipingendo alcuni vasi che l'indomani sarebbero finiti al
mercato dei villaggi più vicini e poi nelle case dei
rispettivi
abitanti, facendo così girare l'economia di Locksley e della
famiglia di Kate che da sempre produceva vasi decorativi e brocche di
ogni forma e dimensione.
Nei giorni precedenti aveva parlato a lungo con Kaelee di Guy ed era
rimasta sorpresa dalla
sincerità di lui nei confronti della giovane ragazza quando
lei
le aveva raccontato per filo e per segno ciò che si erano
detti
nella foresta di Sherwood. Tutto
ciò che Kate desiderava per Kaelee era che Gisborne non le
facesse del male, cosa difficile da credere visti i precedenti. Eppure
aveva
promesso a Kaelee che avrebbe provato a fidarsi di lui nonostante
tutto, che lo
avrebbero fatto entrambe in fin dei conti, e che non l'avrebbe mai
lasciata da sola specialmente ora che lei e Guy si erano timidamente
dichiarati l'uno all'altra. Kate ci era rimasta quasi di sasso quando
Kaelee aveva tirato fuori quel dettaglio, ritenendo che fosse troppo
presto per un passo del genere, ed era stata ad un passo da una
paternale con i fiocchi vedendo lo sguardo trasognato della ragazza, ma
all'ultimo aveva cambiato idea perché in fin dei conti non
era
giusto da parte sua impedire a Kaelee di vivere emozioni che
l'avrebbero aiutata a maturare, seppur con un margine di dolore e
sofferenza non trascurabile. Non senza un certo imbarazzo si era
informata sull'evoluzione del loro rapporto, temendo che Gisborne
bruciasse in fretta tutte le tappe dal momento che Kaelee non era certo
la prima donna sulla quale metteva gli occhi e le mani, e non senza un
certo
imbarazzo Kaelee aveva confidato che non si erano ancora mai baciati
– che, più precisamente, lei
non aveva mai baciato nessuno. Kate era più grande di Kaelee
e
aveva già avuto a che fare con l'amore, perciò
sapeva che
ci si
poteva
sentire felici un momento e persi il momento successivo, sapeva che il
sentimento che si poteva provare per una persona poteva anche
distruggere se non ricambiato e sapeva pure che l'amore era un
sentimento volubile e che non era quindi da escludere l'ipotesi di
poter amare altri uomini dopo il primo. Kate, però, non
voleva
trasformarsi in un nemico per Kaelee impedendole di vivere la sua
storia d'amore con Guy e trasformandosi in quella madre da cui la
ragazza era fuggita a gambe levate;
semplicemente si ripromise di esserci nel caso in cui le cose fossero
andate
nel modo peggiore o avessero anche solo traballato un po'.
Nelle vicende che avevano riguardato Kaelee nell'ultimo periodo, un
ruolo importante l'aveva coraggiosamente rivestito Much, il quale aveva
ascoltato e consigliato Kate in merito all'atteggiamento più
consono da tenere con l'amica e con Gisborne. Più con
Gisborne
in effetti: mentre Kate partiva prevenuta nei suoi confronti, Much
guardava a lui da un'angolazione diversa e lo aveva in gran parte
perdonato per tutto ciò che l'uomo aveva combinato in
passato.
Perciò Kate aveva preso a vedere spesso Much anche al di
fuori
di un pranzo o di una cena.
Dopo la lite finita con un bacio, però, non era ancora
riuscita
a fare
chiarezza in se stessa perché, se da un lato sentiva di
voler
bene a Much, d'altra parte ogni volta che pensava a Robin non riusciva
a non voler essere tra le sue braccia. Ultimamente il bisogno di
frequentare l'arciere era diminuito d'intensità, ma non era
ancora scomparso, ragione per cui Kate era divisa in due dal dubbio:
era il momento di guardarsi intorno perché con Robin non
aveva
più alcuna speranza, oppure sarebbe stato meglio attendere e
continuare a sperare? Ma più lei sperava, più
Much
soffriva, anche lui incastrato nella stessa situazione di lei che se ne
rendeva finalmente conto. Kate era cascata in un
circolo vizioso che faceva del male a tutti.
Fu mentre si dedicava ad uno dei vasi che Robin fece la sua
apparizione,
salutandola con un sorriso spontaneo e sincero che lei
ricambiò.
Non le fu affatto difficile scegliere di rimandare il lavoro per una
chiacchierata con lui.
Robin le apparve rilassato, sereno e senza troppe preoccupazioni per la
testa. Kate non ricordava di averlo mai visto tanto tranquillo e ne
rimase molto colpita mentre da un angolino della sua mente
già
proveniva la fastidiosa domanda pregna di una gelosia che non avrebbe
giovato a nessuno: "Di chi è il merito di questo stato
d'animo?".
Mentre dividevano spazio e tempo senza punzecchiarsi a vicenda o creare
ulteriori tensioni, Robin le
chiese di Kaelee e quando Kate gli disse che stava bene e che sembrava
felice con Guy, lui le raccontò di come lo aveva aiutato a
dichiararsi.
Kate non riuscì a credergli, non poteva credere che Robin
riuscisse ad accettare Gisborne al punto da mettersi a scherzare con
lui, al punto da offrirgli il proprio aiuto per un problema personale,
come si fa tra amici. "Tra fratelli", si corresse Kate mentalmente
– chiedendosi ancora come potesse essere possibile dopo che
Gisborne aveva crudelmente assassinato Lady Marian – senza
riuscire a proferir parola.
Forse per questo suo silenzio Robin si fece più
serio,
pur non perdendo la carica allegra che si portava dietro quel giorno.
Iniziò a parlarle di quello che era diventato suo fratello
in un
modo che non aveva mai creduto potesse verificarsi, le disse che aveva
mille motivi per odiarlo quanto lei, mille motivi per non fidarsi di
lui, ma era necessario ammettere che il Guy che abitava a Locksley
adesso era
una persona completamente diversa dal braccio destro di Vaisey.
Kate
convenne con lui e glielo fece presente, ma in cuor suo si stava
domandando perché Robin sentisse il
bisogno di parlarle di Gisborne quando loro due avevano molte questioni
in sospeso che attendevano di essere risolte una volta per tutte.
«Il
percorso per lui è
appena all'inizio e non sarà facile farsi accettare da
tutti,
qui
a Locksley e nella nascente Nottingham, per questo e perché
tengo molto a te e nutro molta stima per te, vorrei che riuscissi a
perdonarlo per ciò che ti ha fatto», disse Robin
lasciando
Kate in preda a strane sensazioni.
Aveva appena avuto conferma di quanto Robin si fidasse di lei e le
volesse bene, ma come
faceva a sapere se lui provava anche qualcosa di più del
semplice affetto che si nutre per un amico? Come poteva fare per uscire
da quella situazione senza dover litigare ancora una volta con Robin?
Gli disse che il perdono non è qualcosa che arriva di colpo,
semplicemente perché qualcuno ti fa capire che perdonare
è
la cosa più giusta da fare. «Ma ci
proverò», sentì di dover precisare.
«L'ho
promesso anche a Kaelee del resto... Mi
avete proprio messa nel sacco voi
due eh?», scherzò come non faceva da tanto con
lui.
Di
nuovo si sentì strana in quel contesto: parlava con Robin
come
un tempo, riuscendo più facilmente di quanto credesse a non
provare per lui rancore, senza sentirsi a disagio o
tradita o ferita. Si rese conto che la compagnia di Robin,
indipendentemente da come sarebbe finita tra loro, la rendeva felice e
capì di non essere disposta a rinunciare totalmente alla sua
presenza nella propria vita – cosa che sarebbe
necessariamente
accaduta nel caso in cui Kate non si fosse dimostrata disposta ad
accettare il cambiamento.
Robin rise e Kate comprese anche di essere stata una sciocca a non
aver voluto confrontarsi con lui prima di quel momento, forse per
eccesso di orgoglio, forse per la paura di un altro rifiuto o forse
perché in cuor suo Kate sapeva di dover andare oltre a
quella storia senza essere però ancora pronta a farlo.
Quell'incontro inaspettato quanto sereno sembrava aver sistemato molte
cose, appianato
dissapori e chiarito che non c'erano sentimenti ostili da parte di
Robin per lei.
Nel loro passeggiare per le stradine di Locksley erano intanto passati
dal macellaio che aveva promesso a Robin una
prelibatezza, poi avevano fatto ritorno al forno gestito dalla madre di
Kate e qui Robin la ringraziò per aver compreso le sue
ragioni e
si scusò per non essere riuscito a darle ciò che
meritava. Infine la salutò con un leggero abbraccio.
Kate aveva infine avuto la sua risposta ed era pronta a voltare pagina,
a considerate l'idea di poter rendere felice Much, che per lei
stravedeva da sempre.
Edwinstowe.
Rudyard e Willard non erano ancora riusciti nel loro intento di
riportare a casa Kaelee ed erano rincasati per qualche giorno di
riposo, sia per loro stessi che per i cavalli.
Per loro sfortuna e per la fortuna di Kaelee, i due avevano deciso di
iniziare le ricerche partendo in direzione diametralmente opposta a
Locksley: un colpo di fortuna che regalava tempo alla giovane ragazza
prima che si verificasse l'inevitabile. Aric, infatti, era consapevole
che prima o poi i due avrebbero cambiato rotta e a meno che Kaelee non
decidesse di condurre una vita da fuggiasca spostandosi di villaggio in
villaggio, Rudyard e Willard sarebbero infine arrivati a lei. Forse
avrebbero impiegato un mese o magari due o, chissà, un anno
intero, ma illudersi di scamparla, era da sciocchi.
Aric, dal canto suo, aveva avuto modo di parlare con l'amico che
gli aveva fatto da messaggero e aveva così appreso non solo
che sua sorella
era arrivata sana e salva a Locksley ma che viveva anche sotto la
protezione di Robin Hood e dei suoi uomini, due in particolare stando
al racconto del giovane. In cuor suo era felice per
lei sebbene a lui toccasse assistere continuamente alla cattiveria di
suo fratello
Rudyard che, tanto per dirne una, per ovviare alla propria frustrazione
aveva deciso di
uccidere con le proprie mani due commercianti ambulanti solo
perché aveva ritenuto che passassero davanti alla sua
proprietà con un fare troppo sospetto. Più
passava il
tempo, più la malvagità di Rudyard aumentava;
più passava il tempo, più la gente del villaggio
lo temeva e detestava al tempo stesso.
Aric non faceva altro che pensare a come potesse fare per mettere i
bastoni tra le ruote dei suoi fratelli senza essere scoperto, andando
così in aiuto di sua sorella evitandole la sofferenza da cui
era
fuggita. Ma c'era un'altra cosa che preoccupava Aric da quando aveva
parlato con l'amico rentrato da Locksley. Uno dei due nomi che il
ragazzo aveva fatto era Sir Guy di Gisborne e il pensiero che sua
sorella fosse sotto la protezione di un uomo tanto malvagio, aveva
gettato Aric nello sconforto sebbene il suo amico avesse precisato che
quel Gisborne facesse parte della banda di Robin Hood e avesse ottenuto
l'approvazione del capo.
Era un gran bel rompicapo per il giovane Aric, il quale si
ritrovò a non saper proprio cosa pensare di quel fatto
così strano.
Foresta di Sherwood.
Kaelee aveva appuntamento con Guy per il consueto allenamento.
Nonostante sapesse che lui non le avrebbe ancora permesso di usare la
lama
vera, portava comunque sempre con sé l'arma che si era fatta
fare dal fabbro. "Non si sa mai", pensava tutte le volte.
Correva a perdifiato, impaziente di raggiungere l'uomo
che amava, e non provò nemmeno a mascherare il rumore dei
propri
passi quando vide che Gisborne era già lì ad
attenderla. Gli
sorrise da lontano e quando gli fu abbastanza vicina gli
gettò
le braccia al collo in uno slancio che la fece arrossire subito dopo.
All'uomo piaceva la sensazione che provava ogni volta nel voltarsi e
vederla arrivare. In questo periodo di transizione da Sir Guy di
Gisborne lo spietato a Guy uomo di Robin Hood, l'ex braccio destro
dello Sceriffo sentiva il bisogno di continue conferme da parte di chi
viveva a stretto contatto con lui. Parlava spesso con Robin ed Archer,
chiedendo loro se il proprio comportamento fosse consono agli ideali di
Robin Hood, in cosa fosse necessario migliorarsi ancora, e, raccontando
loro di Kaelee, cercava consigli su come muoversi in quella nuova
relazione. Nuova non perché aveva cambiato donna, ma
perché lui era cambiato, lui era un uomo nuovo. I suoi due
fratelli minori erano le rocce cui si aggrappava quando stava per
cadere, le corde che lo avrebbero tirato su, le braccia che lo
avrebbero aiutato a rimettersi in piedi, perché vedeva
quotidianamente negli
occhi di Robin chi era stato, da cosa stava allontanandosi per sempre,
e negli occhi di Archer chi stava diventando, chi gli aveva dato
l'occasione di dimostrarsi un uomo migliore. Gli bastava averli vicino
per dimenticare i tormenti che ancora persistevano in lui.
Così, anticipare sui tempi Kaelee e vederla correre
sorridente verso di lui gli faceva capire che la strada che stava
percorrendo era quella giusta e che stavolta davvero sarebbe riuscito
ad amare e proteggere la donna amata, perfino da se stesso se
necessario.
Aprì le braccia quando capì che lei intendeva
abbracciarlo, la strinse e la sollevò da terra
senza difficoltà, accogliendola con gioia.
«Salve
spadaccino», sussurrò al suo orecchio.
Lo fece ridere e tutta la foresta le parve riempirsi di quel suono: era
bellissimo vederlo ridere, sentirlo ridere.
Kaelee aveva un'idea estremamente romantica dell'amore,
perciò quando incontrava Guy
non le importava cercare un posto per stare da soli e abbandonarsi ad
intime effusioni, anzi, il solo
pensiero la faceva sentire a disagio perché temeva di non
essere
ancora pronta, anche se non aveva per nulla le idee chiare in merito.
Le bastava quel che aveva comunque, per il
momento, e se solo
pensava che prima o poi lui l'avrebbe baciata, si sentiva venir meno.
Tuttavia era una persona diversa da quando aveva conosciuto l'amore,
perché nuovi e diversi pensieri si erano affacciati alla sua
mente, che aveva cominciato a vedere cose e persone in maniera del
tutto differente. Se fino a quel momento non c'era stata alcuna malizia
a filtrare i contatti che Much aveva con Kate, da un po' Kaelee aveva
cominciato a chiedersi come si sarebbe sentita lei se Gisborne le
avesse sfiorato il braccio allo stesso modo o baciato la guancia
trattenendosi sulla sua pelle e rispondersi che al posto di Kate lei
avrebbe preso fuoco, l'aveva indotta a credere che nei gesti di Much
dovesse esserci qualcosa di più del semplice affetto e
bisogno
di un innocente contatto, qualcosa che forse poteva corrispondere alla
definizione del termine desiderio. Nel
comprendere che ciò che provava per Guy non era solo una
semplice amicizia, Kaelee si era inevitabilmente sentita più
adulta e
più donna. Il corpo le aveva già rivelato il
passaggio da fanciullezza a maturità e si era sentita adulta
tutte le volte che aveva portato a termine una commissione, cucinato
per la propria famiglia, svolto correttamente i doveri e amministrato
la casa in assenza di sua madre, unica donna a parte lei. Ma sentirsi
donna era una cosa diversa e Kaelee lo stava scoprendo grazie all'amore
che provava per Gisborne e che lui provava per lei. Da quando si era
innamorata era come se
splendesse e nel suo splendore aveva imparato a vivere intensamente
ogni singolo momento.
Ingenuità e maturità si fondevano in un modo
imprevedibile nella persona di Kaelee, capace di arrossire per
un'accennata allusione e al contempo in grado di prendere le redini del
proprio futuro. Ecco perché se da un lato ogni cellula del
suo corpo viveva in funzione di Gisborne, dall'altro era pienamente
consapevole di dover parlare con Allan perché sapeva che era
giusto
così, anche se c'era la possibilità che entrambi
ne soffrissero. Allan, infatti, le stava molto simpatico ed era sempre
stato gentile con lei, perciò le sarebbe dispiaciuto perdere
la sua amicizia, ma nonostante questo non si sentiva autorizzata a
mentirgli o a evitarlo. Perciò aveva deciso che gli avrebbe
parlato quanto prima e aveva messo al corrente anche Guy, il quale
aveva
apprezzato molto la correttezza di lei.
Guy la trattenne per un po' in quella piacevole stretta capace di
riscaldarlo più in fretta del fuoco in un enorme camino, ne
era
certo, prima di ricordare il reale motivo per cui
entrambi erano lì. Molto lentamente, quasi non volesse
separarsene, la liberò dall'abbraccio e le rivolse un
sorriso.
Adorava l'esuberanza
di
Kaelee, sebbene alle volte i suoi slanci lo irrigidissero, gli piaceva
che lei fosse così piena di vita,
così curiosa nei confronti di tutto ciò che
accadeva
attorno a lei, perché, forse senza neanche saperlo, Kaelee
lo faceva sentire utile.
«Mi
hai davvero chiamato in quel modo?», le chiese senza smettere
di sorridere.
La vide fare spallucce. «Se non ti piace basta che me lo
dici», mormorò.
Lui per tutta risposta, divertito dalla timidezza che si alternava a
momenti in cui era quasi sfacciata, si chinò per baciarle la
guancia in
un
gesto d'affetto spontaneo.
A Kaelee piacque molto il contatto delle labbra sottili di lui con la
propria guancia. Le labbra, però, non erano la sola cosa che
le piaceva di lui; era infatti affascinata dalle mani di Guy, dalle
dita lunghe e dal loro colore chiaro in contrasto con le maniche nere
della casacca, così si mise a
rigirarsele tra le proprie. Notò che diverse cicatrici nel
decoravano la
superficie, testimonianza di infiniti istanti di violenza e pericolo.
Kaelee non aveva mai smesso di pensare a ciò che Guy le
aveva
raccontato e di tanto in tanto si era chiesta se un uomo come lui
potesse davvero cambiare radicalmente e diventare quella bellissima
persona che aveva conosciuto; pensava a Lady Marian, la donna che lui
diceva
di aver amato più di ogni altra cosa al mondo, e al fatto
che
fosse stato proprio lui a toglierle la vita; di tanto in tanto, prima
di addormentarsi, veniva assalita dal terrore che Guy potesse tornare
quello di un tempo, ma poi lo rivedeva nella mente, gli occhi limpidi,
il sorriso sincero; lo vedeva insieme a Robin ed Archer, i suoi
fratelli, e non riusciva a credere che quella storia fosse vera, eppure
Guy aveva salvato Archer insieme a Robin e Kaelee sapeva che non era
una bugia perché anche Kate le aveva parlato dell'arrivo di
Archer a Locksley e di come, insieme, avevano fatto saltare in aria
Nottingham e l'ex Sceriffo salvando la popolazione che adesso stava
ricostruendo la città.
Molte volte Kaelee rifletteva
sull'imprevedibilità della vita e dei sentimenti umani che
nel loro piccolo, se sommati, erano capaci di cambiare il corso delle
cose.
Gisborne le lasciava fare tutto ciò che voleva soltanto per
poi
godere del sorriso che esplodeva sulle labbra di lei; se voleva
accarezzargli il viso non l'avrebbe fermata, se voleva tenergli le mani
per ore ed ore non l'avrebbe fermata, se voleva stare immobile a
guardarlo non l'avrebbe fermata. Si fidava e gli piaceva ricevere le
attenzioni di lei, anche se l'adorazione con cui a volte lo guardava
lo sconvolgeva nel profondo perché nessuno, tranne forse sua
madre, gli aveva mai rivolto sguardi così carichi di
sentimenti.
Inoltre, il motivo per cui lasciava
fare a lei dipendeva anche dall'enorme paura che lo divorava ogni volta
che
pensava
anche solo di sfiorarla. Temeva infatti di spaventarla, di esagerare. E
di
impazzire. Non aveva mai fatto i conti con nulla del genere, in quanto
in precedenza si era preso con la forza ciò che aveva
desiderato. Lo aveva fatto in modo del tutto disonesto con Annie e
l'aveva fatto più gentilmente anche con Lady Marian alla
quale
aveva strappato diversi baci nel corso della sua permanenza al
Castello. Aveva fermamente creduto che fosse quello il modo per
conquistare il cuore di una donna: prenderla con la forza, farle molti
doni e poi marcare il territorio. Ora capiva quanto avesse sbagliato
con Marian.
Intanto, mentre una parte di lui provava a concentrarsi sul reale
motivo per cui entrambi si trovavano nella foresta, un tuono
scoppiò al di sopra degli alberi facendo sobbalzare
Kaelee.
Guy sollevò lo sguardo istintivamente, ma non
riuscì a vedere
oltre le alte chiome che componevano Sherwood. La staticità
dell'aria,
però, la diceva lunga sul temporale in arrivo.
«Dovremmo
tornare a
Locksley», disse Guy e ringraziò il cielo di aver
preso il
suo cavallo quel giorno, perché a piedi non sarebbero mai
arrivati a Locksley prima di beccarsi un malanno. Dato che a Kaelee non
dispiaceva affatto
cavalcare, le strinse la mano e le disse di montare per prima. Subito
dopo, con le redini saldamente in mano, ordinò al cavallo
di partire a tutta velocità alla volta del villaggio.
Il bianco destriero di Guy era un contrasto perfetto con il nero che
predominava in lui, ma anche perfettamente in linea con la purezza del
suo sguardo ora che era privo di sofferenza, dolore e
malvagità.
Guy in sella a quel cavallo era la visione più bella che
Kaelee
avesse mai avuto, ma la cosa ancora più bella, in quel
momento, era la sua
appartenenza alla visione da sogno. Le sue spalle erano a diretto
contatto con il petto dell'uomo il quale con le braccia non solo teneva
le
redini, ma la proteggeva da un'eventuale caduta laterale.
Anziché guardare avanti, preoccuparsi del vento
improvvisamente
freddo, temere i tuoni insistenti e la pioggia che iniziava a cadere,
Kaelee abbandonò la testa contro il petto di Guy e chiuse
gli occhi.
L'allenamento era ufficialmente saltato, ma la nuova circostanza era un
piacevole fuori programma.
Casa di Guy, Locksley.
Nonostante il cavallo di Gisborne fosse tra i più veloci che
l'uomo avesse mai cavalcato, lui e Kaelee erano completamente zuppi
quando raggiunsero Locksley e a Guy parve la
cosa più sensata far scendere la ragazza davanti casa sua
anziché portarla dallo scudiero con sé e
rientrare di
corsa insieme a lei.
«Entra
in casa! Arrivo tra un
momento!». Dovette urlare per sovrastare il chiasso prodotto
dalla pioggia battente: incredibile con quanta forza quel temporale
fosse scoppiato all'improvviso con l'intento di allagare ogni cosa. Guy
era davvero preoccupato per Kaelee, sicuramente infreddolita quanto
lui, ma molto più minuta di lui e
sentiva l'urgenza di accendere un fuoco per far sì che si
riscaldasse immediatamente ed evitasse l'eventualità di una
febbre pericolosa. Gisborne ne aveva vista di gente morire
così
e il solo pensiero che potesse toccare proprio a Kaelee gli faceva
perdere la ragione, ma doveva mantenere la calma e lasciare
all'asciutto il suo cavallo.
Così raggiunse i ragazzi che lui stesso aveva istruito e
corse
di nuovo verso casa.
La terra stava già diventando
fanghiglia, così l'uomo aumentò il passo.
Appena mise piede in casa di Guy, Kaelee si rese conto tutto in una
volta della
situazione. Non era mai andata a casa dell'uomo, un po'
perché
lui effettivamente non l'aveva ancora invitata e un po'
perché
qualcosa da qualche parte nella sua testa le urlava "È
sconveniente! È sconveniente! È sconveniente!",
in quanto
lui viveva da solo a differenza sua che divideva l'abitazione con Kate.
Anche in quel momento la
vocetta strillava, odiosa e inarrestabile, confondendola e
spaventandola. Se ne rimase lì – davanti
all'ingresso, con
la pioggia che componeva indisturbata la propria sinfonia alle sue
spalle – per qualche istante, senza
sapere
bene cosa fosse opportuno fare, ma alla fine si disse che non poteva
davvero restarsene immobile a morire di freddo come una stupida
aspettando che Guy rientrasse e sistemasse le cose, così
decise
di provare ad avviare il camino. Quell'abito bagnato le avrebbe presto
procurato un malanno se non fosse corsa immediatamente ai ripari e lo
stesso sarebbe accaduto a Guy, senza contare che il modo in cui il
tessuto le si appiccicava addosso era incredibilmente fastidioso,
irritante e scomodo.
L'abitazione, notò Kaelee,
era ben tenuta e lei non ebbe difficoltà ad
orientarsi: si somigliavano tutte, in fin dei conti, le case. Aveva a
disposizione tutto l'occorrente e dal momento che diverse volte si era
trovata a
dover accendere o alimentare il fuoco, a casa sua, non si perse
d'animo. Sistemò la legna come suo fratello Dwight, il
maggiore,
le aveva insegnato e attese che il fuoco prendesse per bene.
Quando Guy entrò in casa il tepore che lo accolse gli
rivelò che il camino era già stato
acceso. Ne rimase piacevolmente colpito: nonostante avesse ben chiaro
che quella ragazza tutto era tranne che una sprovveduta, non mancava
mai occasione di stupirsi in sua presenza. Si chiuse la porta alle
spalle annunciando così il suo ritorno, ma non raggiunse
subito Kaelee.
Salì invece al piano superiore, velocemente, per
recuperare
delle
coperte. "Se io sto morendo di freddo, figuriamoci lei",
commentò mentalmente senza però dare ascolto sul
serio a quell'angolo molto pratico della sua mente che suggeriva di
privarsi completamente dei vestiti per potersi riscaldare in modo
efficace nel minor tempo possibile.
Tornato al piano inferiore, senza alcuna malizia si avvicinò
a Kaelee, la ringraziò e
si complimentò con lei per il fuoco, le sorrise e le
mostrò le coperte. Sempre senza alcun segno di malizia,
istintivamente, e con il solo scopo di fare in modo che non si
ammalasse, senza perdere altro tempo si spostò dietro di lei
e
prese a slacciarle l'abito.
Gisborne collegò subito i brividi di Kaelee al freddo che
certamente la stava pervadendo, perciò si
affrettò
ulteriormente prima che un'idea diversa si affacciasse alla sua mente.
«Guy,
che stai
facendo?», domandò la ragazza senza fiato,
tremando per i
brividi e forse anche per il piacere che quel gesto aveva scatenato.
Solo allora Gisborne realizzò quanto stava accadendo e si
sentì uno sciocco per non aver preso in considerazione la
cosa su un piano più ampio: le sue intenzioni erano buone,
ma erano perfettamente chiare solo a lui in effetti e Kaelee era
abbastanza intelligente da capire che quei gesti potevano significare
anche altro. Senza contare che Gisborne non poteva negare a se stesso
di averci pensato per una frazione di secondo in cui aveva perso il
controllo dei pensieri e aveva dato retta soltanto al proprio corpo;
non poteva ignorare il
pensiero del corpo esile di Kaelee
scosso dai brividi e delle sue piccole mani e della pelle delicata
mentre all'esterno dell'abitazione i tuoni infuriavano e lo scrosciare
intenso della pioggia faceva da sottofondo al modo dolcissimo in cui
lei sempre gli si rivolgeva dimostrandole il suo amore.
«Voglio solo che tu non
prenda freddo. Ti chiedo scusa»,
mormorò guardando subito altrove. «Ti lascio sola,
ma... Togliteli quei
vestiti».
Non si era mai sentito così... impacciato? Fuori luogo?
Ingenuo? Non era abituato a stare attento a certe cose, non aveva mai
dovuto farlo in passato e soprattutto non aveva mai dovuto dare una
spiegazione razionale alle proprie azioni, giuste o sbagliate che
fossero. Ora invece tutto era molto diverso.
Aveva condotto la giovane Kaelee a casa, perché pioveva,
certo;
perché entrambi erano zuppi e infreddoliti, certo;
perché
era la soluzione più veloce per trovare ristoro, certo; ma
anche perché, lo sapeva, voleva trascorrere altro tempo
con lei;
perché
detestava l'idea di darla vinta a quel temporale; perché
averla
accanto lo rilassava e lo faceva sentire amato. E perché
pensava che a lei non sarebbe dispiaciuto. "Ma come diavolo ho
fatto a non pensare che saremmo stati soli, in casa, senza vestiti e
con un temporale assurdo lì fuori? Come ho potuto non
pensare a
quanto possa essere imbarazzante per lei?", si disse e avrebbe voluto
sprofondare
perché era certo che lei si stesse facendo un'idea del tutto
sbagliata di lui e di quella situazione, era certo che stesse
fraintendendo le sue intenzioni e quasi totalmente certo che alla prima
occasione Kaelee si sarebbe fiondata fuori da quella casa per
raggiungere Kate e non rivederlo mai più. "Le
racconterà tutto e lei mi
odierà
più di quanto già non faccia", pensò,
seriamente
dispiaciuto per aver perso il controllo della situazione.
A Gisborne non era sfuggito come Kaelee avesse iniziato a tremare come
una foglia al vento e come le sue
labbra tendessero sempre più al viola e il volto fosse
divenuto
pallido ad eccezione delle gote che
erano di un rossore adorabile perfino in quel momento. L'istinto
continuava a suggerirgli di correrle in soccorso, ma i costumi
dell'epoca gli imponevano di darsi un contegno maggiore di quanto
avesse dimostrato fino ad ora, perciò Guy si era venuto a
trovare in un libro che gli avrebbe fatto perdere la testa se qualcosa
non fosse cambiato nel giro di qualche minuto.
«D'accordo,
m-ma tu r-resta», balbettò Kaelee senza riuscire a
smettere di tremare.
Guy si voltò di scatto, gli occhi sgranati, lo sguardo
leggermente sconvolto perché quella ragazza lo confondeva di
continuo di una
confusione oltremodo piacevole.
Kaelee non riusciva a pentirsi di quanto aveva appena finito di dire
anche se non aveva esattamente pensato di dirlo: le era uscito fuori
così, senza che lei ordinasse alle labbra di muoversi.
Pensò a quanto tutto quel contesto fosse surreale.
Lei a casa di lui, il camino avviato e i vestiti impregnati d'acqua
piovana; i corpi infreddoliti e l'opportunità concreta di
riscaldarsi semplicemente spogliandosi e avvolgendosi in una coperta;
l'amore che li legava e il fatto che se fino a poco prima tenersi per
mano era quanto di più intimo ci fosse tra loro, nel giro di
pochi istanti si sarebbero ritrovati completamente nudi; il tepore del
camino e l'atmosfera che esso creava; il viso di Guy e le sue mani e la
velocità con cui avevano cavalcato insieme per raggiungere
in
fretta Locksley; e i suoi capelli neri, così belli anche
quando
erano completamente scompigliati dalla pioggia e dal vento.
La giovane donna dovette arrendersi ad una nuova evidenza: il corpo
diceva ciò che la mente si ostinava a negare e tacere.
Infatti,
sebbene razionalmente Kaelee riuscisse a comprendere che ciò
che
sarebbe potuto succedere potesse essere uno sbaglio, il corpo reagiva
in maniera non soltanto diversa, ma addirittura opposta a
ciò
che i pensieri suggerivano facendole desiderare un inappropriato, ma
sicuramente piacevole, contatto con quell'uomo. Per un attimo si
sentì inopportuna e sporca, una di quelle donne da taverna
che
non bisogna mai frequentare, ma poi si disse che Gisborne non era un
avventore qualunque, non un uomo tra tanti. Gisborne era l'uomo che
amava e questo doveva pur voler dire qualcosa.
Kaelee si chiedeva come sarebbe andato a finire quel pomeriggio di
confusione e incertezza.
Guy si domandava se fosse consono restare lì come lei aveva
chiesto. Ma aveva davvero senso porsi tutte quelle domande dopo che
l'aveva portata a casa? Non sarebbe stato più adeguato
porsele
prima? E dal momento che non si era ricordato di farlo, cos'altro
poteva fare se non vivere quell'attimo? Dal momento che non si era
ricordato per tempo il motivo per cui non l'aveva mai
invitata a casa sua fino ad ora e non avendo la possibilità
di
tornare indietro, cosa gli restava da fare? Ogni dubbio
svanì
istantaneamente appena Kaelee si fece ancora più
pallida, tremò con maggiore violenza e si strinse nel
tentativo
di conservare un minimo di calore. Nell'uomo scattò di nuovo
quell'incontenibile bisogno di proteggerla e seppe che non c'era
nient'altro da fare che riscaldarla nell'unico modo che conosceva per
far sì che stesse meglio.
Le sue mani tornarono ai lacci dell'abito di lei e ogni volta che
inavvertitamente le sfiorò la schiena con le dita, la
sentì
rabbrividire. Gisborne avrebbe tanto voluto indugiare su quella pelle,
ma
si
disse che non era il momento più giusto, che era necessario
pensare alla salute di Kaelee prima di ogni altra cosa e che quel
momento sarebbe arrivato
prima o poi e sarebbe stato bellissimo. Le baciò il capo
mentre
l'abito finiva per terra insieme al resto, sperando in questo modo che
lei si rilassasse, che non lo fraintendesse, che non lo considerasse un
pervertito approfittatore. Inoltre voleva anche farle capire che non la
stava
guardando, che nutriva un profondo rispetto per lei.
Osservandone lateralmente il volto, Gisborne si accorse che Kaelee
teneva gli occhi chiusi e la trovò incredibilmente tenera.
Avrebbe voluto dirle qualcosa mentre la avvolgeva in una delle coperte
che aveva recuperato al piano superiore e che Kaelee gli aveva
gentilmente passato quando aveva terminato di spogliarla, ma non gli
venne in mente niente che
fosse utile a mandar via un po' di imbarazzo, sia suo che della donna
che amava.
«Grazie»,
sussurrò infine Kaelee voltandosi per guardarlo,
«Devi
riscaldarti anche tu adesso»,
aggiunse senza osare muovere un braccio, per paura che la coperta le
cadesse di dosso. Scoprì di non essere affatto pronta per
ciò che una situazione come quella poteva implicare,
ciò
che avrebbe sicuramente implicato se solo lei fosse stata
più
grande o avesse già avuto un'esperienza in tal senso.
Scoprì che la sola idea di essere accanto ad un uomo
completamente nudo la stordiva, stravolgeva, spaventava.
Gisborne annuì e alla luce calda del camino si
privò
di quelle
pennellate di nero che celavano una tela quasi del tutto immacolata,
pelle chiara solcata qua e là da qualche cicatrice, un corpo
scolpito, ancora giovane e bello da guardare.
Kaelee ritenne opportuno evitare che lui si accorgesse di quanto la
vista del suo petto nudo l'avesse sconvolta. Piacevolmente sconvolta.
La ragazza non ci capiva più niente: un istante credeva di
non
essere pronta e l'istante dopo non desiderava altro che trovarsi pelle
contro pelle con Guy. Se non altro cominciava ad avvertire sollievo dal
freddo anche se non era sicura che fosse esclusivamente merito della
coperta e del camino. Decise che la soluzione migliore e più
semplice da attuare in mezzo a quel caos di sentimenti e pensieri fosse
quella di fissare gli occhi sulle fiamme, che infatti in
breve tempo la ipnotizzarono con la loro danza di sinuose
forme astratte.
Con la coda dell'occhio, troppo curiosa per tenere costantemente lo
sguardo fisso sul fuoco, Kaelee si era accorta che Gisborne aveva
preferito avvolgersi una prima coperta attorno alla vita, gettandosene
poi una seconda sulle spalle prima di sedersi a terra, di fronte al
camino, e invitarla a raggiungerlo. Kaelee pensò che di
certo Guy aveva usato su di sé due coperte per scaldarsi in
fretta, ma ebbe anche la sensazione che l'uomo si fosse coperto
interamente per non mettere entrambi ancor più in imbarazzo.
Nonostante questo, Kaelee si morse il labbro inferiore, incerta sul da
farsi e fu forse
questo suo atteggiamento a spingere Gisborne a parlarle con il cuore in
mano.
«Non intendo nuocerti in alcun modo»,
mormorò
abbagliandola con un sorriso dolcissimo. «Non
accadrà nulla di male,
voglio solo tenerti stretta e scaldarti finché la tempesta
non
sarà finita. Puoi fidarti di me», aggiunse in tono
pacato,
gentile, incredibilmente tranquillo.
Kaelee ebbe la sensazione che Gisborne non sentisse tutta la confusione
che invece provava lei, quasi che i sentimenti di lui fossero diversi
anche se le si era dichiarato, ma quando la coperta che gli avvolgeva
le
spalle lasciò intravedere la pelle mentre lui protendeva le
braccia
nella sua direzione, lei smise di pensare e non resistette oltre a
quell'invito. La sua unica coperta era grande abbastanza da coprirla
per intero, così non ebbe timore nel piegarsi e prendere
posto
accando a Guy il quale pretese di averla più
vicina di
quanto lei già non fosse. A Kaelee non dispiacque affatto
quando Guy le avvolse un braccio attorno alle
spalle portandosi dietro la coperta,
riscaldandola ancora
più velocemente e accogliendola in un tenero
abbraccio.
Contro ogni possibile previsione, Kaelee sentì la tensione
allentarsi sui suoi muscoli,
contratti
un po' per il freddo e un po' per le emozioni; sentì anche
di
essere
al sicuro con Guy e fu certa che ciò che lui le aveva detto
era vero: non
sarebbe successo niente di male in quella casa, né quel
giorno
né un altro giorno, perché in fondo ad amarsi non
c'era proprio nulla di
sbagliato se il sentimento era sincero da entrambe le parti. Nel loro
caso sembrava esserlo e qualunque cosa fosse successa, non sarebbe
stata
sbagliata. Forse affrettata, forse non esattamente come Kaelee e Guy
avevano immaginato, ma di sicuro nessuno dei due se ne sarebbe pentito.
Per questo la ragazza ritrovò il sorriso sul petto dell'uomo
che
amava; per questo decise che non era necessario stare sempre a pensare
a cosa fare e a cosa non fare; per questo gli baciò la
porzione
di petto a portata di labbra scoprendo che la pelle di lui era
liscia, morbida e nuovamente calda. Seppe anche che ad ogni bacio
le
sue labbra avrebbero preso fuoco e che questo non sarebbe cambiato
molto presto; scoprì che spegnere i pensieri era piacevole e
si
disse che se anche Guy avesse intravisto il suo corpo privo di vestiti
non era poi un così terribile dramma, quindi decise di
spostare le
braccia dalla loro posa piuttosto rigida per avvolgerle invece attorno
alla vita di lui. Seppe che sarebbe
stato difficile rinunciare a toccarlo, d'ora in poi.
Guy era certo che il calore che lentamente si
impadroniva del suo corpo
non derivava soltanto dalle coperte o dal camino acceso, ma che anzi
era soprattutto grazie alla presenza della donna che amava se si era
riscaldato così presto. Non di un calore violento, di quelli
scatenati dal desiderio, ma di un calore meno rovente e più
duraturo nel tempo.
Invaso da quella nuova luce, da quell'amore che non
credeva più di poter provare, Guy sospirò beato.
Furono
le labbra della ragazza a rompere quella tranquillità.
Gisborne non
si aspettava che lei
prendesse una simile iniziativa e credette di poter morire ogni volta
che lei gli sfiorava con tanta leggerezza e con tanto amore il petto.
Non ricordava di aver vissuto mai niente di simile sebbene si fosse
intrattenuto con diverse donne al Castello, non certo per amore e
doveva essere proprio quella la differenza. In risposta le
accarezzò i capelli ancora umidi, giocando ad intrecciarvi
le
dita, lasciandoseli scorrere tra queste ultime. Era una sensazione
incredibilmente piacevole che lo riportava a istanti lontanissimi nel
tempo, a quando da bambino aveva l'abitudine di toccare i lunghi
capelli scuri di sua madre sorprendendosi per la loro morbidezza che
ancora ricordava dopo tutto quel tempo. Ebbe un fremito quando
percepì le braccia di Kaelee attorno alla propria vita e
dovette lottare con se stesso per restare lucido; così, dopo
qualche istante, con la mano libera le accarezzò le
spalle, non
osando oltrepassare la stoffa pur desiderando di poterlo fare, per far
capire a Kaelee che il suo gesto non lo aveva turbato, che non gli era
dispiaciuto.
Mentre una buona fetta di mente si perdeva nelle emozioni e una piccola
porzione si focalizzava esclusivamente su Kaelee, sulle sue reazioni,
un'altra piccolissima
parte della sua mente era concentrata sulla realtà al di
fuori
di loro. E se qualcuno avesse bussato alla porta? Se Robin o Archer o
chiunque altro avesse cercato rifugio a casa sua in quel momento?
Poteva capitare, no? E se Kate fosse piombata lì a cercare
Kaelee? Come le avrebbe spiegato che il fatto che fossero entrambi nudi
non significava ciò che lei avrebbe immaginato significasse?
Era
quella
stessa parte ad impedirgli di rilassarsi completamente, facendo
trillare in continuazione quel fastidioso ma necessario campanello
d'allarme.
Nonostante Gisborne cercasse di non dare a vedere quanto fosse in
contrasto con se stesso – in quanto essendo decisamente
più adulto di Kaelee, toccava a lui tenere ogni cosa sotto
controllo e rassicurare lei in ogni singolo istante – Kaelee
dovette accorgersi comunque che qualcosa non andava perché
in un sussurro gli rivolse una domanda a cui era quasi impossibile
rispondere.
«Quali sono i tuoi pensieri?», sussurrò
sollevando appena lo sguardo per incrociare il suo e togliergli il
respiro in un attimo.
Non fu per niente facile spiegarle ciò che gli succedeva dal
momento che neanche lui si raccapezzava in quel caos; non fu
semplice
dirle che sedici anni di vantaggio si erano rivelati completamente
inutili e che ogni cosa era una novità con lei.
Ciononostante le
mormorò le proprie preoccupazioni e nel farlo si
rilassò, scoprendo che esprimere a voce alta le proprie
sensazioni poteva essere di grande aiuto, cosa che non poteva sapere
visto che in passato non aveva mai avuto un amico con il quale
confidarsi e che lo comprendesse, anche se qualcosa di molto simile
l'aveva provata quando Fratello Tuck si era offerto di ascoltarlo dopo
che lui aveva gettato Robin Hood da un dirupo senza avere la certezza
di averlo ucciso – e infatti aveva poi saputo che proprio
Tuck lo aveva tratto in salvo dal fiume che scorreva impetuoso alla
fine del precipizio. Ma in quel momento era diverso e Gisborne si
ritrovò a sorridere per l'assurdità della cosa,
condividendo naturalmente anche quello con Kaelee. Le disse quanto
fosse
stato semplice, in fondo, smettere di torturarsi con quei pensieri
forse perfino sciocchi a dirla tutta.
Aveva ancora le dita intrecciate ai capelli di lei quando smise di
parlare concentradosi sullo sguardo caldo di Kaelee. Era incantevole in
quella tonalità tutta sua che Gisborne non ricordava di
avere mai visto prima. Dolcemente e senza fretta, Guy portò
la
mano all'altezza della nuca di Kaelee, con una leggera pressione
ridusse notevolmente la già breve distanza tra i loro visi.
Sentiva il respiro di lei sfiorargli le labbra e il mento e lo
trovò piacevole e rilassante.
Sentì
che lei non opponeva alcuna resistenza e si convinse che un bacio non
avrebbe mai potuto rompere l'incantesimo di quel momento,
sentì
che nulla poteva andare storto, che quell'abbraccio da parte di lei non
poteva voler dire altro se non che lo amava. Per quanto fosse difficile
crederci davvero, Guy seppe che al mondo c'era una persona in grado di
amarlo per ciò che era senza odiarlo per ciò che
era
stato e che quella persona era lì con lui.
Lasciò scivolare l'altra mano lungo la schiena di lei,
sempre restando al di sopra della coperta, trattenendola per il
semplice fatto di volerne sentire ancor di più la presenza,
la
guardò negli occhi per un interminabile istante e poi,
finalmente, la baciò.
Fu un bacio tenero, adorante, leggero, lungo abbastanza da fargli
scoppiare il cuore.
Le labbra di Kaelee erano più morbide di quanto Guy si
aspettasse, meno timide anche, in ogni caso perfette, e fu facile
perdersi.
Era il primo bacio della sua vita e Kaelee credette di poter impazzire
di gioia. Era talmente felice che fosse successo con Guy da non
ricordare neanche più dove fosse, come ci fosse arrivata e
come
fosse capitato che le loro bocche si incontrassero in un modo
così meraviglioso. La mano che Guy le teneva sulla nuca non
la
intimoriva, né le faceva percepire la situazione come una
forzatura, facendola anzi sentire desiderata e amata. Le faceva capire
quanto Guy sentisse il bisogno di quel bacio, un bisogno da lei
condiviso, naturalmente.
Se avesse dovuto pensarci in anticipo, Kaelee non avrebbe avuto la
minima idea di come comportarsi durante un bacio, ma dal momento che
era già successo senza che lei potesse rifletterci sopra si
lasciò andare all'istinto e tutto andò bene anche
quando
tentò di prolungare ancora il contatto. Sentì le
labbra di
Guy piegarsi in un sorriso sopra le sue.
Tutta quella tenerezza era quasi insostenibile per lei che non aveva
mai ricevuto attenzioni diverse da quelle di suo fratello Aric.
Gisborne, che quasi aveva dimenticato cosa volesse dire
sentirsi amato, ebbe la sensazione che le parti stessero per
invertirsi. L'amore
che Kaelee provava per lui era di una potenza straordinaria, tale che
Guy non sarebbe mai riuscito a negarne l'evidenza, tale che qualunque
dubbio avesse tentato di travolgerlo avrebbe fallito miseramente. Fu
lui, quasi inaspettatamente, a terminare il bacio e ad affondare per
qualche attimo, soltanto
per pochi istanti, la fronte tra i capelli di lei, sulla sua spalla
ancora coperta respirando così il suo profumo. Un profumo
delizioso. Di nuovo, per un attimo
gli
parve di essere tornato un bambino il cui unico problema era reperire
qualche freccia per sfidare a gara quel presuntuoso di Robin di
Locksley; un
bambino che tornando a casa, la sera, poteva gettarsi tra le braccia di
sua madre senza che nessuno gli desse dello stupido, del codardo, del
buono a nulla o della femminuccia.
Per la prima volta dopo decenni, Gisborne vide davvero una nuova vita
dispiegarsi dinanzi a sé, specialmente quando Kaelee prese
ad accarezzarlo con infinita dolcezza,
sfiorandogli con delicatezza la schiena, le spalle, i fianchi e infine
il
petto.
Quando si allontanò un po' da lei fu soltanto per
prenderle
il viso tra le mani e sorriderle. Avrebbe voluto dirle tantissime cose,
ma non trovava le parole, perse chissà dove tra la mente e
il
cuore o forse fuggite sulle labbra di lei in quel bacio. Gli occhi di
Kaelee erano liquidi ed il fuoco del camino li rendeva simili ad oro
fuso, uno spettacolo indescrivibile quasi quanto quelle labbra che
avevano ripreso il colore naturale, come anche il viso, tinto di rosso
come sempre.
Kaelee ricambiò il sorriso, le mani ferme sul petto di lui.
In
cuor suo sperò che quel temporale non finisse mai,
sperò di non
doversene andare da lì, di non dover salutare Guy e
separarsi da lui per una notte intera; sperò che il tempo si
fermasse solo per loro.
A quella distanza così ravvicinata, Kaelee poté
notare
una sottile cicatrice sul volto di lui, sotto il leggero strato di
barba, e la osservò con timida curiosità
interrogandosi su
come se la fosse procurata. "L'ultimo disperato atto di una sua
vittima? Il risultato di un'aggressione?".
«Cosa
guardi con così tanto interesse?»,
domandò Guy, distraendola.
«Te,
tanto per cominciare», gli rispose facendolo sorridere di
nuovo. Kaelee non si sarebbe persa un suo sorriso per nessuna ragione
al mondo.
«E
poi?», sussurrò.
«Questa
cicatrice»,
disse sollevando una mano per accarezzargli il viso. La coperta
scivolò pericolosamente scoprendole in parte la spalla e
lasciando intravedere qualcos'altro,
ma Guy subito ne afferrò il bordo e la ricoprì
con
cura. Kaelee avvampò.
Il gesto di Guy parve assolutamente spontaneo a Kaelee, così
come la sua
risposta.
«È
stato Robin. Se vuoi
picchiarlo fai pure». Quel mezzo sorriso mozzafiato si
dipinse
sulle labbra di lui e Kaelee scoppiò a ridere.
«Finisce
che mi riempie il vestito di buchi, lui e la sua mania delle
frecce», scherzò, allegra
come sempre.
Si sentiva completamente a proprio agio, tanto che spinse i palmi
contro il petto di Guy sperando che lui capisse e l'assecondasse.
Lo vide scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo alla risposta che
gli aveva dato. Poi il suo sguardo mutò e vi lesse
curiosità e un pizzico di incertezza quando
sentì
la pressione contro la propria pelle, come se capisse perfettamente
ciò
che lei voleva, ma non fosse certo delle conseguenze. Nonostante
questo, con grande soddisfazione di Kaelee, non si oppose e si distese
dolcemente a terra,
trascinandola con sé e accogliendola tra le braccia, sul
petto.
Fuori pioveva ancora, ma il temporale si stava allontanando,
perciò presto Guy avrebbe dovuto riaccompagnarla a casa,
con il sommo dispiacere di entrambi. Intanto, però, Kaelee
decise di godersi quel momento di pura felicità e
appoggiò un orecchio sul petto di Guy.
«Ho
appena scoperto chi
è l'autore della più bella melodia del
mondo»,
commentò mentre Guy le accarezzava i capelli.
«Chi
è?», domandò lui.
«Il
tuo cuore», mormorò.
Poco dopo, sentì quel cuore impazzire di gioia insieme al
suo.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 04/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Mi auguro di non essere stata troppo sdolcinata o azzardata.
Mi rendo conto di passare da ciò che prova Kaelee a
ciò
che prova Guy diverse volte all'interno della stessa scena, ma non me
la sento di perdere per strada l'introspezione di uno dei due
perché mi piace calarmi nei panni di entrambi per far capire
con
chi si ha a che fare. Magari sbaglio e ciò che scrivo
è
quanto di più scorretto possa esistere, ma finché
non
capirò come si possa ottenere lo stesso risultato in una
forma
migliore, continuerò a muovermi così sperando di
non
annoiare, confondere, far inorridire nessuno.
Come sempre un grazie va a voi che siete arrivati alla fine della
storia e a voi che mi lasciate una recensione.
Alla prossima.
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Capitolo 7 *** Contraccolpo ***
Contraccolpo
Contraccolpo
Foresta di Sherwood.
Ne aveva viste di stranezze, Sherwood.
Ne aveva vista passare
di gente, Sherwood.
Ne aveva accolta di
gente, Sherwood.
Sherwood era
lì, immobile, ma non troppo.
Sherwood era
lì, eterna, ma non esattamente.
Sherwood era
lì, bellissima come sempre.
Kaelee ne restava incantata tutte le volte che vi metteva piede e,
sebbene non fosse la prima foresta che vedeva, respirava e
attraversava, si era convinta che Sherwood si diversificasse da tutte
le altre per intensità di colori e profumi e per il suo
essere
così viva in confronto ad ogni altro gruppo di alberi che
lei
avesse mai osservato. Anche nei pressi di Edwinstowe c'era una foresta,
ma i suoi alberi non avevano niente a che vedere con quelli immensi di
Sherwood, o almeno questa era la sensazione di Kaelee, la quale
più tempo vi trascorreva, più se ne innamorava,
più voleva conoscerne ogni angolo, valletta e radura.
La foresta di Sherwood non era un semplice elemento del paesaggio, non
era una foresta e basta – senza nulla togliere alle altre
foreste del mondo – era più viva che mai e
custodiva
un
mucchio di segreti, segreti che un giorno, forse, sarebbero diventati
leggenda, mito, esempio, letteratura, perché Sherwood non
meritava di passare inosservata.
"Oh, se fossi brava come quei cantori di cui mi ha parlato Archer! Se
sapessi rapire anche io le parole giuste e cucirle addosso a questa
foresta!", pensava Kaelee quando si fermava ad osservarne le
innumerevoli sfumature in occasione di un'esercitazione con Gisborne o
di una passeggiata con Much alla ricerca di funghi ed erbe da poter
usare in cucina. E quante ce n'erano che Kaelee neanche immaginava
esistessero! Era rimasta molto colpita dall'abilità di Much
di
scovarne ai piedi di certi tronchi o nascoste sotto grandi foglie,
immerse nel sottobosco, o ancora di fianco a piante letali, se
ingerite,
e così simili a loro che distinguerle era veramente
difficile
per chiunque non avesse l'esperienza dell'ex fuorilegge. Una volta
Kaelee gli aveva domandato se avesse mai sbagliato con una di quelle
erbe e la risposta di lui, semplice e vera quanto inquietante, l'aveva
fatta riflettere a lungo su quanto non si dovesse prendere sottogamba
Sherwood. Much le aveva detto: «Certo
che no! Non starei parlando con te adesso altrimenti».
Sherwood aveva davvero tanti, ma tanti segreti nel suo ventre
verdeggiante, compreso quel tipo di segreti capaci di incantare i cuori
dei più piccoli, capaci di divertire l'animo degli adulti e
di
piantare un seme di dubbio e timore nelle coscienze degli ingiusti i
quali, per necessità o per capriccio, si trovavano a
cavalcare
tra i bei tronchi della foresta. In tal proposito, Fra Tuck le aveva
raccontato un aneddoto spaventoso e divertente una volta, un aneddoto
che a Kaelee era rimasto impresso nella memoria e che diceva
così.
«Il
Principe Giovanni aveva appena nominato Isabella Thornton Sceriffo di
Nottingham, quando il marito di lei – Thornton appunto
–
giunse in città per riprendersi ciò che era suo
di
diritto», le aveva raccontato il frate mentre
entrambi si prendevano cura di alcune piantine nell'orto della Chiesa. «E,
nel mentre, pensò bene di aggiungere un po' d'oro alla
riconquista di sua moglie, così Isabella lo
indirizzò
verso una ricca tomba nascosta nel cuore verde della nostra Sherwood.
Complice la superstizione dei Cavalieri che accompagnavano il nobile
Thornton, con l'intera banda di Robin ci mascherammo e, una volta
calato
il buio, sorprendemmo il gruppo di furfanti sulla via del ritorno.
Allestimmo una grande croce sul sentiero, usufruendo di alcune pietre,
e ci nascondemmo nel fitto della vegetazione con i nostri cavalli.
Già assistere alla reazione dei Cavalieri giunti al cospetto
della nostra croce fu visione assai deliziosa per i nostri occhi, ma
avresti dovuto vederli quando spuntammo fuori fingendoci l'enorme
spirito adirato dell'uomo sepolto nella tomba da loro profanata! Come
tremavano le loro
gambe! E che gridolini emettevano mentre fuggivano di qua e di
là, terrorizzati dal fiato condensato dei nostri cavalli nel
freddo di quella notte!», aveva concluso Tuck
ridendo di gusto.
Sherwood, Kaelee l'aveva capito quasi subito, era una costante nella
vita di Robin
Hood e dei suoi uomini; come incudine e martello, chiave e serratura,
arco e freccia: non era possibile dire Robin Hood senza tirare in ballo
Sherwood, che era stata un rifugio per tanto tempo. Era terra
di passaggio, di esperienze, di miracoli a volte perfino; accadeva di
tutto in
quella foresta, un po' complice e un po' traditrice, un po' salvezza e
un po' trappola; per questo motivo, prima che per qualsiasi altra
ragione, Robin Hood e i suoi uomini pur vivendo a Locksley una vita
finalmente tranquilla, non smettevano mai di frequentarla. Ogni
occasione era buona, in effetti, e i giri di perlustrazione erano molto
graditi a tutti quanti, Kaelee compresa.
Sherwood era letteralmente una parte di loro.
Poco importava quante insidie potesse nascondere e quante volte Robin e
i suoi
avessero rischiato di lasciarci le penne: se Sherwood fosse scomparsa,
gli uomini di Robin Hood e Robin Hood
stesso si sarebbero sentiti persi.
Per quel giorno Little John e Archer – più il
secondo in effetti – avevano deciso di portarsi dietro Kaelee
nel loro giro di perlustrazione, che – come la ragazza sapeva
– era anche un modo per mettere alla prova
i giovani di Locksley che accettavano di misurarsi con
l'enormità della foresta. Per lei era la prima volta e non
era intenzionata a tirarsi indietro, specie visto che Archer aveva
tanto insistito per averla nel gruppo.
Durante quella sorta di escursione Kaelee avrebbe certamente avuto modo
di riflettere ulteriormente sulla magia della foresta, aggiungendo
nuovi interessanti dettagli a tutti quelli raccolti nel corso delle
precedenti visite. Il silenzio, – aveva imparato Kaelee con
il
tempo – nel cuore di Sherwood era una realtà
strana.
C'era ma non c'era.
C'era perché la foresta si estendeva per una così
vasta
superficie che se anche una comitiva di persone parlava, non era
possibile
sentirle a meno che non si trovassero a ragionevole distanza,
oggettivamente a portata d'orecchio.
Eppure non c'era perché ogni cosa, lì dentro,
produceva
un suono: le foglie mosse da una corrente d'aria troppo alta per
poterla sentire da terra e tutte le creature che la
popolavano appollaiandosi tra i rami o scavandosi tane nella terra
scura. Era un silenzio non silenzio e Kaelee riteneva che se incuteva
timore oppure no
dipendeva sostanzialmente dallo stato d'animo dei visitatori, dalle
intenzioni con
cui entravano lì dentro. Per Kaelee, che vi era sempre
entrata
con
curiosa meraviglia, ogni dettaglio era motivo di interesse
anziché d'inquietudine: non ne era spaventata, sebbene non
avesse l'ardire di sottovalutarla, rispettandone invece ogni singola
foglia e radice.
Kaelee aveva sempre la sensazione che Sherwood se ne stesse
lì e assistesse agli eventi,
semplicemente.
Palcoscenico e spettatore al tempo stesso. La trovava meravigliosa.
Quel pomeriggio il tempo era buono – sebbene non facesse
molto caldo – e non pioveva da un po', ragion per cui
non si rischiava di trovare un fastidiosissimo terreno molle che
avrebbe rallentato molto l'andatura dei visitatori.
L'appuntamento era al limitare della foresta, appena fuori da Locksley,
in direzione ovest.
Non ci si poteva sbagliare e Kaelee non stava più nella
pelle.
Quando aveva parlato con Kate per ottenere la sua approvazione a
quella nuova avventura, – che, ritenne Kaelee, non poteva poi
essere così pericolosa se molti giovani di Locksley vi
avevano
preso parte prima di lei tornando al villaggio sani e salvi ed
entusiasti – sapeva che se la donna non si era opposta
fermamente era soprattutto per via di due importanti e determinanti
fattori: la presenza di Little John
e Archer e il fatto che Kate – come anche i due uomini della
banda – la credeva capace di maneggiare la spada
che la ragazza si portava ovunque. Kate neanche sospettava
che in verità Kaelee non aveva ancora mai utilizzato la lama
vera durante le esercitazioni con Gisborne,
ma la ragazza credeva che non dovesse poi fare tutta questa differenza
in fin
dei conti, perché la cosa più importante
era averla
un'arma, in caso di pericolo, poi il resto sarebbe venuto da
sé, quindi aveva volutamente taciuto.
Il confine tra curiosità e
superficialità era spesso molto sottile in lei: Kaelee era
così curiosa di vivere quella nuova avventura e aveva il
vizio di gettarsi così a capofitto nelle cose, da mettere in
secondo piano particolari che in un'altra situazione l'avrebbero spinta
a riflettere più attentamente. Se non si fosse lasciata
prendere così tanto dalla possibilità offerta e
dall'entusiasmo che Archer aveva manifestato nella sua
volontà
di farla partecipare al giro di perlustrazione, si sarebbe resa conto
che duellare con un
bastone o
con una spada non sarebbe stato determinante nel caso in cui l'uomo di
fronte a lei fosse stato il suo istruttore, – il cui intento
di
certo non
era quello di ucciderla per sopravviverle in uno scontro diretto
– ma lo sarebbe diventato se dinanzi a lei fosse comparso un
completo sconosciuto non propriamente mosso dalle migliori intenzioni;
e si
sarebbe poi domandata come avrebbe affrontato questo eventuale incontro
con
loschi individui non sapendo per certo di essere in grado di gestire la
spada come andava fatto in simili casi; si sarebbe altresì
chiesta con quale altra arma si sarebbe dunque difesa subendo un
aggressione: un sasso forse? Probabilmente non avrebbe lo stesso
rinunciato a
partecipare, però almeno avrebbe recato con sé
una scorta
di pietre o un coltello.
A Guy, invece, Kaelee non aveva detto nulla – non tanto
perché in cuor suo sapeva che lui l'avrebbe fermata o
scortata
personalmente, quanto più perché di fatto non
aveva avuto
la possibilià di informarlo dal momento che lui si trovava a
York con Tuck per certi affari di cui Kaelee non conosceva i
particolari – e per questo motivo aveva assistito ai continui
litigi tra Little
John e Archer: John era certo che Gisborne si sarebbe
infuriato se fosse venuto a saperlo, ma Archer era convinto che non
sarebbe accaduto se avesse saputo Kaelee insieme a loro due.
In quanto ad Allan – al quale Kaelee voleva molto bene,
ragion
per cui aveva ripreso a frequentarlo regolarmente – era stato
informato dopo una delle tante lezioni di lettura che l'uomo le
impartiva e, con sua grande gioia, l'uomo aveva trovato la
cosa molto esaltante: «Grande!»,
aveva esclamato subito, invogliando maggiormente Kaelee.
In ogni caso, la decisione ultima – dal momento che Gisborne
era
fuori e gli altri membri della banda erano in disaccordo –
era
spettata a Robin, naturalmente, e avendo lui
approvato la scelta di Archer di portare Kaelee, nessuno aveva potuto
opporsi davvero e Kaelee si era sentita orgogliosa per aver ricevuto
una tale dimostrazione di fiducia da parte di diversi componenti della
banda. Niente più dell'essere ritenuta all'altezza di
ciò
che desiderava fare la rendeva felice.
Così, montata sul suo cavallo, quello con cui era
arrivata da
Edwinstowe a Locksley, la ragazza cavalcò fino al posto
prestabilito irradiando tutto il suo entusiasmo. Little John e Archer
erano già in loco quando lei arrivò e subito si
mise a
chiacchierare volentieri con il fratello di Gisborne, suo coetaneo, dei
suoi progressi nelle varie attività che svolgeva e
raccontandogli di come Gisborne le avesse insegnato a mantenere sempre
in forma e salute il suo cavallo, che infatti aveva un mantello davvero
lucido. Pur sentendo su di sé lo sguardo attento e critico
di
Little John, Kaelee preferì non badargli troppo per evitare
di
sentirsi messa sotto pressione e fare un qualsiasi passo falso.
Dopo una manciata di minuti altre due persone si unirono al gruppetto e
tutti e cinque si incamminarono lentamente, perché non c'era
ragione di
metter fretta ai cavalli dal momento che non scappavano da niente e da
nessuno. Tra uno sguardo ad un tronco contrassegnato da un'incisione
che
Kaelee pensò essere opera della banda di Robin Hood e un
altro rivolto
invece ad una lepre che sfrecciava tra gli alberi per poi sparire in
una depressione naturale del terreno che probabilmente costituiva il
suo alloggio, Kaelee si soffermò anche sui due ragazzi del
villaggio. Ad una prima occhiata le sembrò che entrambi
potessero avere all'incirca la sua età e nel biondino
riconobbe
il ragazzetto con il quale aveva condiviso un turno di raccolta delle
carote; era proprio quest'ultimo che non la smetteva più di
fare
domande ad Archer, il quale
rispondeva gentilmente, senza mostrare segni di irritazione: quali
erano questi
famosi misteri d'Oriente di cui tutti parlavano quando c'era il suo
nome nella conversazione, come aveva fatto a cavarsela da solo nel
mondo, dove aveva appreso i segreti dell'alchimia, cos'era precisamente
questa alchimia e come faceva a ricordare esattamente la
quantità
di
cose da mescolare insieme per ottenere ad esempio il fuoco greco, chi
aveva deciso con fermezza quanto di questo e quanto di quello dovesse
essere messo insieme per ottenere una terza sostanza. A Kaelee
il biondo ricordò moltissimo suo fratello Aric; l'altro
giovane, invece,
cavalcava in silenzio, guardandosi nervosamente attorno e stringendo le
briglie più del dovuto.
Avendo già ascoltato i racconti di Archer, Kaelee
tornò a
osservare Sherwood. "È un'enorme macchia verde se la si
guarda
da lontano o anche
semplicemente da fuori, ma se ci si entra è tutto
completamente
diverso", pensò, cullata dalla dolce andatura del suo
destriero.
A pensarci bene, Kaelee si accorse che guardare Sherwood da dentro era
un po' come guardare
gli uomini di Robin Hood: c'erano tutti i loro colori lì
dentro.
O forse erano i fuorilegge ad avere i colori di Sherwood addosso. Nei
fortunati raggi di Sole che trovavano un varco tra gli alberi e
riuscivano ad arrivare a terra, Kaelee rinvenne l'oro che accendeva i
capelli di
Robin e Much. Nel marrone rotondo e pieno della terra c'era Little
John, c'erano
le stoffe dei loro abiti, c'era il legno delle armi. Nel
verde degli alberi c'era la forza d'animo e l'ottimismo di tutti e
ancora stoffa
per i loro abiti. Era come se, a furia di abitarci dentro, Robin, Much,
Allan, Little John, Kate e Tuck si fossero fusi alla foresta, come se
ne fossero le
appendici ambulanti, come se vi avessero messo radici. Anche Archer, a
guardarlo con attenzione, aveva quelle pennellate sebbene i suoi colori
possedessero
una
tonalità diversa, a tratti più cupa. Del resto
lui non
aveva vissuto nella
foresta tanto quanto i fuorilegge, e poi c'era la parentela con
Gisborne a reclamare la propria parte. I capelli di Robin, ad esempio,
erano di un
castano chiaro tendente al biondo; quelli di Gisborne erano
più
neri che castani; Archer, infine, aveva i capelli castani,
né
chiari, né scuri. Castani e basta. Era come se fosse una
sorta
di stramba via di mezzo tra i due.
Kaelee si domandava se anche lei, prima o poi, sarebbe riuscita a
mettere radici in quel posto, se anche lei avrebbe prima o poi
cominciato a colorarsi di verde, marrone e oro. Nel mentre
pensò a Guy
e a
tutto il suo nero.
"Il Castello di Nottingham doveva essere un posto molto tetro e
lugubre", si disse.
Intanto che Archer continuava a parlare con il giovane curioso e
l'altro seguitava
a star zitto, Kaelee affiancò Little John. Era il
più grande tra gli uomini di Robin ed era una vera e propria
roccia. La sua sola presenza bastava a indurre i nemici a
rifletterci su un po', prima di scagliarglisi contro. Era forte e quasi
sempre serio, come se fosse concentrato perennemente su qualcosa al di
fuori o all'interno della sua mente insondabile dal momento che
raramente interveniva per il puro gusto di fare conversazione.
Soltanto ora che gli era tanto vicina Kaelee notò una
collana
che gli dondolava sul
petto, mezza nascosta sotto gli abiti.
C'era appesa una specie di medaglietta in legno con inciso qualcosa che
Kaelee non riuscì a decifrare, ma che accese in fretta la
sua
curiosità: la ragazza, infatti, aveva sentito dire che gli
uomini di
Robin Hood, ai tempi in cui
erano dei fuorilegge, portassero una sorta di medaglietta in legno che
era il loro segno distintivo e li identificava non come comuni
criminali, ma
come affiliati di
Robin. Eppure non l'aveva mai vista prima né appesa al collo
di
Kate, né a quello di Much e Allan, né tantomeno
al collo
di Robin, così pensò che forse quella che lei
aveva preso
per vera era soltanto una fantasiosa diceria. Del resto aveva imparato
che non tutto ciò che si diceva in giro
corrispondeva a verità – una volta suo fratello
Rudyard
aveva sosenuto, con la certezza di chi aveva visto con i propri occhi
ciò che raccontava, che Much fosse un misero servo da
quattro
soldi che aveva paura della propria ombra, ma Kaelee aveva potuto
constatare di persona che quella era soltanto un'inutile cattiveria
– e proprio per questo volle chiedere spiegazioni
direttamente
all'uomo.
«Che
cos'è?», chiese gentile, risvegliando Little John
da qualunque cosa tenesse la sua
mente impegnata.
John ci mise un po' a mettere a fuoco la situazione.
Tra tutti, era quello che aveva interagito di meno con "la ragazza
arrivata da lontano" – così diceva spesso quando
parlava
di
lei
con Robin, anche se non era poi da così lontano che era
arrivata. Little John si rendeva conto di essere un po' un orso
caratterialmente parlando,
schivo a tratti, diffidente quasi sempre. Poi, però, bastava
un
niente per far sì che cambiasse idea su qualcuno; bastava
che
lo si
tirasse fuori dai guai o che gli si dicesse la cosa giusta al momento
giusto e lui vedeva con occhi diversi chi aveva di fronte. Era
così che era
andata con Gisborne, il quale si era unito al gruppo per
volontà
di
Robin Hood, che in quanto capo di quel piccolo grande gruppo di uomini
non aveva bisogno dell'approvazione di tutti per prendere quella
decisione. I suoi uomini si fidavano di lui, ma se qualcosa non
andava loro a genio di solito se ne discuteva, Little John non
ricordava una sola volta in cui fosse andata diversamente, Gisborne
escluso. Per Sir Guy, invece,
Robin
non aveva chiesto il parere di nessuno e non aveva dato grandi
spiegazioni a nessuno, con grande disapprovazione di
Little John e non solo sua. Lui e Kate, infatti, si erano dimostrati
più
ostili degli altri a quella
scelta e a Gisborne in generale, sostenendo che nulla in lui avrebbe
potuto convincerli che fosse
meritevole di essere parte del gruppo. Kate aveva detto di lui che
era puro male e John si era trovato d'accordo con lei pur non
esprimendolo
ad alta voce. Poi però, a York, Gisborne gli aveva salvato
la
vita. Si era preoccupato per la sua incolumità, lo aveva
chiamato per nome e gli aveva chiesto se fosse tutto a posto dopo
avergli evitato un attacco alle spalle e
in quel momento Little John aveva cominciato a guardare con
occhi
diversi Guy di Gisborne; in quel momento aveva iniziato a
vedere oltre e capire ciò che Robin aveva già
visto in
lui e ancor prima di tutti loro Lady Marian.
John non escludeva che con Kaelee sarebbe potuta andare alla stessa
maniera, ma non credeva che quella ragazzina potesse
essere utile in qualche modo al gruppo; "Al villaggio sicuramente
sì, ma al gruppo...", aveva pensato spesso tra
sé; e i
primi disastrosi approcci di Kaelee con arco e frecce sembravano
dimostrare in pieno ciò che pensava, ma tutti gli altri
continuavano ad avere fiducia in lei e quel giorno Archer aveva pure
voluto portarsela dietro sebbene lui non fosse per niente convinto.
Quando Kaelee gli rivolse la parola, Little John la guardò e
vide che portava una spada appesa
alla cintura.
Tutti sapevano che si allenava con Gisborne, ma John continuava a
credere che la ragazza fosse così magra e minuta da non
riuscire
nemmeno a sollevarla una spada.
Del resto, dal suo punto di vista era pure comprensibile dato che
Kaelee in confronto a lui era davvero un fuscello: Gisborne era alto e
muscoloso, ma Little John aggiungeva a queste due doti una mole
considerevole; non era grasso, ma massiccio.
Inoltre la vita non era
stata molto gentile con lui – specie quando lo aveva
allontanato dalla sua amata Alice, impedendogli di veder nascere suo
figlio, Little Little John – e lo aveva presto indotto a non
fidarsi di nessuno prima di aver messo diverse volte alla prova la
lealtà di chi aveva di fronte.
«Un
ricordo dei tempi andati», rispose burbero, tornando a
guardare davanti a sé.
Kaelee, che aveva atteso quasi con impazienza quella risposta, ne
rimase un po' delusa, ma, intuendo che l'uomo non
avrebbe detto altro in
merito, preferì lasciar perdere onde evitare di irritarlo
in
qualche modo dato che già evidentemente non era contento
della sua presenza quel giorno.
Provò quindi a dirottare i propri pensieri altrove, ma
notando
che Archer ancora rispondeva alle domande del ragazzo e che l'altro si
ostinava a
restare nel suo silenzio, tornò al punto di partenza e si
ritrovò a osservare la medaglietta di Little John.
«Quindi
tu combatti davvero con quel
bastone», riprovò, incapace di non essere
ciò che
era: curiosa, interessata, socievole e allegra. «Ho
sentito molto parlare di Little John e della sua enorme forza, quando
ero a Edwinstowe. Dicono che tu abbia sollevato una roccia una volta, o
qualcosa di simile, per aprire un varco a te e ai tuoi amici. Lo trovo
grandioso, anche se i racconti sono spesso confusi o alterati quando
passano
di voce in voce. Sai, a volte uno alza il gomito ed esagera con qualche
dettaglio», disse con l'intento di punzecchiarlo soltanto
un pochino mettendo in dubbio le doti dell'uomo e sperando
così
di invogliarlo a parlare.
Indipendentemente dalla situazione in sé,
comunque, tutto
ciò che Kaelee conosceva di Robin Hood e dei suoi uomini era
una
serie di racconti di seconda mano, quindi ora che aveva
l'opportunità
di parlarne con chi quelle vicende le aveva vissute,
voleva approfittarne a costo di non dar tregua a nessuno di loro.
«Una
roccia, mh?», fece lui. «Nessuno
che sappia raccontare per bene una storia»,
brontolò, e fu
così che Little John si mise a raccontare di quando la
Regina Madre, Eleonora di Aquitania, passò per Locksley
prima di rientrare a Londra e dopo essere sfuggita ai piani malvagi che
suo figlio, il Principe Giovanni, aveva in mente per lei in Francia.
John raccontò tutta la
storia per filo e
per
segno, tralasciando soltanto le allusioni della Regina in merito alla
sua
"possanza fisica", come aveva detto lei stessa mettendolo in grave
imbarazzo dinanzi agli altri membri della banda. In breve e senza
volerlo davvero, John si guadagnò
l'attenzione di tutti perché nessuno dei presenti, a parte
lui, aveva mai
sentito raccontare quella storia da chi l'aveva vissuta e
perché non accadeva tutti i giorni che un uomo, con la sola
forza di braccia, gambe e schiena, riuscisse a sollevare una pesante
lastra di pietra scivolata meccanicamente verso il basso per ostruire
l'unica via d'uscita da una trappola: perfino il
ragazzo curioso smise di fare domande ad Archer per ascoltarlo.
Pendevano dalle labbra di Little John la cui voce da burbero
incantò i
presenti
a tal punto che nessuno, neanche John stesso che aveva sempre un
orecchio teso ad ascoltare, si accorse subito dell'unico rumore fuori
luogo.
Appena la mente dell'ex fuorilegge tornò a concentrarsi
sull'ambiente, percepì nell'aria un ritmo molto familiare e
in prima battuta, coinvolto ancora nelle vicende appena raccontate,
– e con il bel volto della Regina Madre impresso nella
memoria – l'uomo credette che il rumore di zoccoli che si
diffondeva tutt'intorno appartenesse ai cavalli che
accompagnavano il gruppo, ma pochi istanti più tardi si rese
conto che invece doveva appartenere sì ad animali della
stessa specie,
lanciati, però, al galoppo. Solo quando
effettivamente li vide, in lontananza ma non troppo, John
realizzò che
a breve si sarebbero imbattuti in qualcuno. Consapevole di essere
quello con più esperienza, iniziò ad elaborare
velocemente un semplice piano d'azione interrompendo definitivamente il
racconto, improvvisamente attento ad ogni singola foglia di Sherwood.
Fece segno a tutti di tacere e invitò Kaelee e il ragazzo
silenzioso a seguirlo; nel mentre fece cenno ad Archer di posizionarsi
al lato opposto del sentiero che avevano percorso fino a quel momento,
insieme al ragazzo che gli
aveva fatto un milione di domande. Si fermarono alle
estremità laterali del percorso,
nascosti tra la vegetazione, e scesero da cavallo assicurando ognuno il
proprio
a certi tronchi in modo che non fossero visti in anticipo. Infine si
acquattarono e attesero.
Little John non aveva idea di chi sarebbe sfilato loro davanti di
lì a poco: per quel che ne sapeva avrebbe potuto trattarsi
di un gruppo di frati in viaggio da un'abbazia ad un'altra oppure di
commercianti in cerca di un Mercato a cui prendere parte e vendere la
propria mercanzia. John non aveva dimenticato le parole di Robin in
merito al non spaventare inutilmente eventuali persone che
semplicemente
passavano di lì, ma il modo in cui i visitatori facevano
galoppare i
cavalli, tradiva una certa fretta e sebbene fosse vero che ipotetici
mercanti potessero essersi attardati troppo in una qualche locanda e
dovessero correre per raggiungere il Mercato più vicino,
John preferiva di gran lunga tenere occhi e orecchi al massimo
dell'attenzione. Del resto l'uomo aveva maturato una certa esperienza
nelle imboscate e avrebbe saputo riconoscere a colpo d'occhio un
mercante, un viaggiatore, un frate e un ladro semplicemente da come
erano vestiti e dalla mole di sacchi che si portavano dietro.
John che dopo aver dato ulteriori istruzioni ai suoi due si stava
muovendo verso gli stranieri per verificare la reale situazione e dare
un segnale per tempo, pensò che sarebbe stato davvero comico
se si fosse imbattuto in Gisborne e Tuck che
rientravano da York, nonché meno pericoloso per
tutti.
Kaelee, rimasta acquattata come Little John aveva ordinato,
poté vedere Archer, dalla parte opposta del
sentiero, gesticolare in maniera strana, comica perfino, probabilmente
per rassicurare lei e il giovane silenzioso e invitarli ulteriormente a
non uscire
allo
scoperto. La giovane donna non se la prese per tutte quelle attenzioni
da parte dei due uomini di Robin Hood nonostante gli ordini fossero per
lei molto chiari, perché sapeva che la prudenza non era mai
troppa quando oltre alla responsabilità per se stessi si
aveva quella per altre persone, tant'è che prima di partire
per la perlustrazione Little John e Archer avevano
spiegato, di nuovo, le poche ma necessarie e vitali regole di quella
piccola
spedizione: non allontanarsi; non fare mai di testa propria;
riconoscere i segnali.
Kaelee ripassò mentalmente le dritte mentre focalizzava la
scena. "I segnali vengono dati in caso di un pericolo. Quando il
pericolo è soltanto un'ipotesi verificabile, è
previsto che Little John si porti avanti per verificare la
situazione. In caso di non pericolo semplicemente tornerà
indietro. In caso di verificato pericolo, invece, salterà
fuori
da solo
dalla propria postazione urlando o suonando un corno per richiamare gli
altri e spaventare gli sgraditi visitatori". La giovane donna
sentì il cuore martellarle improvvisamente nel petto, ma si
costrinse a non perdere la calma, tanto più
perché negli occhi scuri del ragazzo silenzioso poteva
leggere senza difficoltà una così grande paura
che non si sarebbe stupita se lui se la fosse data a gambe senza
preavviso e mettendo scioccamente a rischio la propria
incolumità. Kaelee prese in considerazione anche
l'eventualità che potesse svenire da un momento all'altro e
si ritrovò a preferire la seconda opzione alla prima: almeno
poi non sarebbe toccato a nessuno andarlo a cercare nel bel mezzo di
Sherwood.
Inconsciamente, istintivamente, portò una mano
sull'impugnatura della spada, pronta ad agire
nonostante il batticuore.
Kaelee guardava il ragazzo e provava pena per lui, immaginando che si
stesse domandando chi gliel'aveva fatta fare a prendere parte a
quell'avventura; poi spostò lo sguardo su Archer e
notò che aveva teso l'arco e incoccato una
freccia con un'eleganza che le fece provare invidia perché
lei aveva fallito su tutta la linea con quel tipo di arma; infine la
ragazza prese un lungo respiro per controllare le proprie emozioni e
concentrarsi su cose più serie di quella.
«Coraggio»,
sussurrò al
ragazzo che era con lei e che la guardò ancora
più terrorizzato.
Senza preavviso Little John urlò raggelando per un attimo
tutti i muscoli di Kaelee, che dovette aver spalancato gli occhi alla
stessa maniera del ragazzo silenzioso.
"Riconoscere i segnali", si ripeté provando a non andare nel
panico. "È il momento di saltare fuori e aiutarlo", si disse
per darsi coraggio dal momento che il ragazzo silenzioso a stento
riusciva a respirare, così Kaelee realizzò che
era inutile provare a fare affidamento su di lui e spostò lo
sguardo verso Archer, il quale era in piedi e sembrava dire qualcosa al
biondino che rimase esattamente dov'era quando l'uomo gli
voltò le spalle incrociando così il proprio
sguardo. Bastò quello a farla scattare come se avesse le
molle sotto ai piedi; insieme all'arciere fratello di Robin e Guy,
Kaelee raggiunse Little John realizzando che si trattava di due
forestieri, con ogni probabilità una coppia di ladri visto
che John aveva ritenuto opportuno fermarne la corsa, di cui uno era
già a terra mentre l'altro tentava di scappare.
Il cuore di Kaelee correva più veloce delle sue gambe e si
sentì come se il corpo fosse completamente slegato dalla
mente in confusione. Provò sensazioni del tutto simili,
anche se meno piacevoli, a quando si era trovata a casa di Gisborne
durante il temporale: anche se la sua mente non riusciva a
razionalizzare spingendola nella giusta direzione, pareva che il corpo
sapesse esattamente cosa fare e come farlo, con la naturalezza di chi
ha a che fare tutti i giorni con situazioni del genere. Non
è che Kaelee non avesse paura, anzi, ma per una ragione che
la ragazza non riuscì a individuare quella paura che l'aveva
immobilizzata quando Little John aveva urlato si
era
tramutata in forza e in quello stesso coraggio che le aveva permesso di
fuggire in gran segreto dalla propria famiglia di origine. Anche se a
lei stessa sembrò assurdo, Kaelee dovette ammettere che
quella situazione la faceva sentire più viva che mai.
Al suo fianco, Archer scoccò una freccia che
spaventò i cavalli
ed anche il secondo uomo fu a terra, spiazzato dalla freccia che gli
era passata accanto all'orecchio.
Kaelee, incoraggiata dall'arciere e dall'omone armato di bastone, aveva
sguainato la spada, pronta a usarla davvero nel caso servisse mentre
John si occupava ancora del primo, tentando di farlo scappare
nella direzione da cui era arrivato, evitando di ferirlo gravemente
– così come le leggi della banda imponevano. Anche
Archer, infatti, scoccava frecce con lo stesso intento,
perché gli uomini di Robin Hood non uccidevano se non era
strettamente
necessario.
Kaelee, che spostava lo sguardo dall'uno all'altro uomo della banda,
vide il secondo uomo rialzarsi in fretta e partire
all'attacco; riuscì non senza difficoltà ad
evitare le frecce di Archer facendosi abilmente
scudo
con la
propria spada e invece di puntare verso l'arciere, Kaelee lo vide andar
dritto verso di lei, probabilmente ritenendola il punto debole del
gruppo, la
donzella da proteggere, gicché se ne stava più
indietro rispetto ai due uomini della banda. Probabilmente,
realizzò Kaelee, il ladro aveva ritenuto che colpendo lei
avrebbe
distratto gli altri due sebbene lei fosse armata di spada. Che la
stesse brandendo in un modo così sbagliato da non sembrare
neanche credibile?
Fece mente locale richiamando alla memoria tutti gli
insegnamenti di Guy: non perdere di vista il nemico; mantenere la
concentrazione sempre e comunque; mai voltare le spalle; fare
affidamento sui propri punti di forza. Nel suo caso, l'ultima
raccomandazione significava letteralmente velocità e questo
poteva essere un problema nella situazione in cui Kaelee si trovava e
in cui erano in gioco emozioni troppo forti e contrastanti tra loro
affinché lo scontro assumesse le caratteristiche dei duelli
"ideali" che inscenava con Gisborne durante gli allenamenti.
Kaelee si accorse di quanto l'uomo fosse rapido con quell'arma, ma
sapeva di essere oggettivamente
più leggera di lui e quindi, con ogni
probabilità e a rigor di logica, anche più
veloce.
Schivò, infatti, il
primo colpo.
Attorno a lei poteva sentire il chiasso dello scontro di Little John
con l'altro uomo, il quale – a giudicare dagli strilli in
allontanamento – doveva infine essersi arreso alla fuga.
Il secondo colpo, Kaelee lo parò con la propria arma,
così come aveva fatto con il bastone diverse volte, ma
quell'uomo era forte oltre che veloce e il contraccolpo
provocò
un
dolore non indifferente al braccio della ragazza. Per un attimo il
pensiero che Gisborne avesse dosato molto la forza nei loro allenamenti
la distrasse, ma non abbastanza da indurre il suo avversario a credere
di avere la vittoria in pugno.
Nonostante i muscoli dell'avambraccio tirassero fastidiosamente e
dolorosamente,
Kaelee non mostrò segni di sofferenza,
né si lasciò intimidire dalla piega presa dalla
situazione, e nel momento esatto in cui parò anche il terzo
colpo, Archer scagliò una freccia prendendo
l'uomo di striscio alla spalla. Subito Kaelee vide John immobilizzarlo
tirandolo a
sé e intrappolandolo mentre usava il bastone come una sbarra
– proprio come Gisborne aveva fatto con lei durante la loro
prima, fortunatissima, esercitazione.
Ciò che Little John disse al malfattore riguardo agli uomini
di Robin Hood dovette
spaventarlo così tanto che Kaelee lo sentì
supplicare in lacrime
affinché
lo lasciassero andare via incolume. La ragazza ringraziò il
cielo che nel suo viaggio verso Locksley nessuno l'avesse presa per un
visitatore indesiderato e si domandò se qualcuno, di fatto,
ne avesse previsto l'arrivo attraverso un giro di perlustrazione: non
ci aveva mai pensato prima e quell'eventualità le
causò un brivido mentre realizzava quanto grande e temibile
fosse la figura di Robin Hood per un disonesto. Naturalmente il ladro
fu lasciato libero di fuggire via a piedi dal momento che i cavalli
erano scappati da tempo, impauriti dall'agguato di Little John e dalle
frecce di Archer, e Kaelee – insieme agli altri due compagni
d'armi – rimase a guardarlo correre come se avesse le ali ai
piedi e il fuoco alle spalle. Poi tutti e tre tirarono un
sospiro di sollievo e decisero di tornare indietro a prendere i due
ragazzi che
non si erano voluti unire allo scontro, ma prima Kaelee venne bloccata
da Little John che le tendeva amichevolmente la mano.
La ragazza lo guardò interdetta.
«È il suo modo di esprimerti la sua
fiducia», sussurrò Archer ridacchiando.
«Non ti permetto di trattarla come una stupida,
ragazzino», commentò John, improvvisamente di
ottimo umore e con un grande sorriso sulle labbra. «Me la
stringi o no questa mano?», aggiunse rivolgendosi a lei
direttamente.
Kaelee sorrise di rimando. «Sì, se me la
restituisci intera», rispose avvolgendo la piccola mano a
quella immensa, forte e ruvida di Little John.
Tutti e cinque insieme, dopo essersi accertati di non aver riportato
ferite, ripresero i cavalli e fecero ritorno a Locksley chiacchierando
amabilmente. Né Archer, né Little John
rimproverarono i giovani del villaggio per non essersela sentita di
prendere parte all'azione, perché in fin dei conti non erano
obbligati a farlo sebbene quelle escursioni avessero la doppia funzione
di controllare Sherwood e selezionare gli elementi migliori del
villaggio da schierare in un'eventuale scontro.
Comunque sia, quell'avventura fece presto il giro del villaggio ed
è inutile stare a precisare chi dei due ragazzi avesse
sparso la voce.
Due giorni
più tardi.
Locksley.
Guy di Gisborne e Fratello Tuck non avevano ancora fatto in tempo a
mettere piede nelle rispettive abitazioni che erano già
venuti a sapere di
quanto era successo nella foresta due giorni prima. Guy era tutt'altro
che entusiasta della cosa e prima di tutto volle andare a cercare
Kaelee per assicurarsi che stesse davvero bene come si diceva in giro.
Che molti tessessero le lodi di lei e raccontassero con entusiasmo del
coraggio con cui la ragazza si era destreggiata nello scontro
dimostrandosi all'altezza di Archer e Little John, sicuramente
inorgogliva Gisborne, ma a preoccuparlo era il fatto che sembrava che
Kaelee avesse usato la sua spada senza che lui avesse avuto modo di
insegnarle a farlo. Inoltre una parte di lui avrebbe voluto darle di
santa ragione ad Archer per aver permesso a Kaelee di commettere un
mucchio di sciocchezze in sua assenza.
Kaelee aveva trascorso quei giorni in assenza di Gisborne tenendosi
impegnata costantemente in una serie infinita di attività:
ora
aiutava a distribuire il pane, ora intrecciava una cesta, ora dipingeva
un vaso, un momento dopo era carica di panni da lavare per conto di
un'anziana donna del villaggio e aveva perfino aiutato il bottaio.
Insomma era inarrestabile nonostante il
dolore al braccio non le fosse ancora passato. Tutte le volte che
sollevava un peso o esercitava pressione, infatti, era come se qualcuno
dall'interno vi appiccasse fuoco. Si era detta che sarebbe sparito da
solo e non ne aveva fatto parola con nessuno, neanche con Kate,
all'infuori di Archer il quale
si era accorto da solo del problema.
Invece di un'altra cosa aveva deciso di parlare con qualcuno quel
giorno. E questo qualcuno
era Allan.
Kaelee non sapeva esattamente quale reazione aspettarsi dal giovane
uomo ed era per questo un po' preoccupata, ma le era chiara la
necessità di parlare con lui di persona in merito alla
natura dei sentimenti che lei provava nei suoi confronti, non
desiderando affatto che qualcuno – per voglia di spettegolare
o semplicemente ritrovandosi in argomento –
andasse a raccontargli del legame che aveva con Gisborne; e non
desiderando, inoltre, che Allan cogliesse lei e Gisborne sul fatto,
magari mentre si tenevano per mano o si sorridevano lasciando poco
spazio all'interpretazione. Infine, se aveva scelto il confronto, era
perché riteneva fermamente che Allan dovesse
saperlo
da lei, perché non era giusto mentirgli, non era giusto
prenderlo in giro visto che gli voleva molto bene.
Del resto a Kaelee non era mai piaciuto nascondersi dietro alle
chiacchiere degli altri,
perciò era andata a cercarlo dopo aver finito di aiutare
Rebecca, la madre di Kate, e quando lo aveva trovato gli aveva detto
tutto senza troppi preamboli ed evitando
dettagli come il giorno del temporale, naturalmente, perché
ferirlo gratuitamente più di quanto avesse già
fatto dicendogli che lo considerava non più di un ottimo
amico era davvero inutile ad entrambi. Lo aveva fatto, quindi, con
delicatezza e puntualizzando diverse volte
di essersi affezionata a lui, di tenerci al fatto che potessero
continuare ad essere amici.
Il fatto che lui l'avesse subito buttata sul ridere, non
stupì molto Kaelee.
"Tipico di Allan", pensò ricambiando il sorriso
apparentemente sereno di lui.
«E
così hai mandato a monte le
scommesse mie e di Much», scherzò, mentre si
appoggiava
alla staccionata con un braccio, il piede sul polpaccio e la mano
libera sul fianco.
A furia di frequentarlo, Kaelee aveva capito che quella non era
esclusivamente una posa oggettivamente sexy, ma più una posa
alla Allan: l'effetto che faceva lui quando si metteva in quel modo,
infatti,
nessuno riusciva ad ottenerlo e sebbene lei non provasse "quel tipo" di
attrazione verso di lui, ne restava tutte le volte colpita. Tutte
tranne quella in questione, perché Allan aveva appena detto
una cosa che le fece aggrottare le sopracciglia per lo stupore.
«Come
scusa?», chiese quindi, manifestando tutta la sorpresa per
quella rivelazione.
«Be'
noi... abbiamo scommesso!», ripeté lui senza un
filo di imbarazzo, come se le stesse parlando del tempo o di
sciocchezze simili.
«Scommesso
su cosa?», domandò con il tono di chi ha tutte le
intenzioni di infuriarsi. Non poteva, non
voleva credere che lui e soprattutto Much – "Il buon Much!",
pensò – si fossero messi a spettegolare su di lei
come due comari.
«Su
chi ti avrebbe preso il
cuore tra Robin e Archer... E invece tu ti prendi una cotta per il
tenebroso uomo in nero», disse lui con quel sorrisetto da
furbo
tra i baffi e
il pizzetto.
«Allan!»,
esclamò, incapace di trattenersi oltre. «Io
non... Non posso crederci», aggiunse in un sospiro, scuotendo
il capo. Sebbene sapesse che mostrarsi offesa fosse l'unico modo per
scoraggiare ulteriori comportamenti così stupidi nei suoi
confronti, non riuscì proprio ad arrabbiarsi essendo, anzi,
in un
certo
senso era perfino divertita dall'assurdità di quella
faccenda.
«Ah,
nemmeno io se è
per questo!», fece lui e il modo in cui sollevò il
sopracciglio la disse lunga a Kaelee su quanto Allan non fosse
propriamente contento
della scelta di lei.
La ragazza scosse nuovamente il capo, non volendo aggiungere commenti
inopportuni, e lo colpì piano sulla spalla, risvegliando
inavvertitamente il dolore e la conseguente preoccupazione di Allan
– ovvero esattamente ciò che Kaelee voleva evitare
con tutta se stessa.
«Ehi, che hai al braccio?», domandò
subito.
Kaelee dovette appellarsi a tutta la faccia tosta che non aveva.
«Mh? Oh, questo? Niente di grave, avrò fatto
qualche movimento strano sollevando una botte o chissà che
altro», disse sfiorandosi la parte dolente e cercando un
appiglio per cambiare argomento. Sapeva
perfettamente che Allan stava cercando di sdrammatizzare in merito a
ciò che si erano detti, sapeva di averlo involontariamente
ferito, e che in
assenza di lei probabilmente avrebbe fatto uscire il suo reale stato
d'animo, perciò gli
disse di dover tornare alle sue mansioni, così da lasciarlo
riflettere in pace, ma che se aveva
voglia di parlare o di leggere o qualsiasi altra cosa che non fosse
scommettere, sapeva dove trovarla.
Lui la ringraziò e i due si salutarono con un sorriso.
Gisborne lasciò il cavallo a riposo e alle cure dei giovani
che si erano offerti di aiutarlo in quel compito. Locksley era un
villaggio talmente piccolo che non gli sarebbe stato difficile trovare
Kaelee pur attraversando ogni via a piedi, inoltre la preoccupazione
per lei aveva cancellato ogni segno di stanchezza nel suo corpo.
Fu così che, dopo un po', si
imbatté proprio
in suo fratello Archer il quale non soltanto aveva presenziato allo
scontro, ma – stando alle voci che circolavano –
aveva pure insistito affinché Kaelee prendesse parte a
quella spedizione. In difesa del giovanotto, Gisborne dovette
considerare che Archer non avrebbe mai potuto sapere in anticipo degli
uomini che il gruppo aveva incontrato nella foresta, però
restava il fatto che entrambi i suoi fratelli avevano consentito a
Kaelee di vedersela con qualcuno che non fosse lui stesso e, ancor
più grave, non le avevano domandato a che punto fosse
arrivata con le esercitazioni, ignorando così –
sperava Guy, in modo da poter trovare una giustificazione valida per
non farli neri – che la ragazza non aveva mai utilizzato una
spada in tutta la sua vita.
«Gisborne!», esclamò allegro Archer
andandogli incontro. «Tu e Tuck siete tornati finalmente. Che
avete combinato, eh? Ve la siete spassata, dì la
verità», aggiunse maliziosamente, accompagnando le
parole con significative gomitate.
L'occhiata truce che Guy gli rivolse dovette spegnere una parte del suo
entusiasmo, perché Archer lasciò perdere quelle
sciocchezze e continuò parlando d'altro.
«Hai già sentito dell'avventura nella
foresta?», chiese senza perdere il sorriso.
«Non da fonte diretta, perciò ti sarei grato se
non risparmiassi nessun dettaglio».
Gisborne dovette interrompere più volte il racconto di
Archer, che risultava molto caotico dal momento che il giovane passava
da una cosa all'altra, ricordandosi improvvisamente di particolari che
appartenevano a qualcosa che aveva detto in precedenza; tuttavia non si
spazientì perché conoscere ogni cosa era
essenziale per lui dato che era quasi certo che Kaelee avrebbe tentato
di sminuire il tutto.
«Saresti stato orgoglioso di lei, mi ci gioco quello che
vuoi. Solo per un istante ho pensato che anche lei, come gli altri due,
sarebbe rimasta nascosta tra la vegetazione, ma quando ho incontrato il
suo sguardo ho subito capito che sarebbe venuta con me. Little John ha
fiuto per i delinquenti eh! Un vero peccato non essere riusciti a
recuperare la refurtiva, ma con i ragazzi al seguito non ce la siamo
sentita di correr loro appresso...», raccontò
Archer.
Gisborne incrociò le braccia al petto e gli rivolse
un'occhiata molto eloquente: i dettagli che gli interessavano,
evidentemente non riguardavano Little John.
«Sì, va bene, Kaelee. Ha sguainato la spada e
mentre io e John ci occupavamo di quei due è rimasta alle
nostre spalle tenendo d'occhio la situazione. Aveva una luce negli
occhi! Inizio a capire perché ti sei preso una bella cotta
per lei».
«Archer...», quasi ringhiò.
«Quanto sei suscettibile!», sbuffò prima
di proseguire. «Comunque, tenevo sotto tiro uno dei due. Lo
sai, no? Robin non vuole che uccidiamo nessuno se non è
necessario, quindi non potevo scagliare la freccia come avrei voluto,
ponendo in fretta fine a quella faccenda. Allora che ho fatto? Gli ho
fatto fischiare una freccia vicino all'orecchio e l'ho mandato a terra,
ma quello a un certo punto s'è alzato e ha parato le mie
frecce con la sua spada! Quel maledetto! Io scoccavo e quello si faceva
scudo a velocità incredibile e mentre io tendevo di nuovo
l'arco lui si è lanciato contro Kaelee. Quasi non l'ho
visto, ma lei sì! Eccome! Ha schivato un affondo come molti
non sarebbero riusciti a fare... Perché Robin può
assistere ai vostri allenamenti e io no?»,
raccontò, interrompendosi poi accigliato.
«Se non continui non riuscirai nemmeno a tornare a casa sulle
tue gambe», minacciò Gisborne.
«Esagerato! L'avversario era veloce e Kaelee non ha potuto
schivare anche gli altri colpi, così li ha parati dandomi il
tempo di prendere la mira e lanciare una freccia per ferirlo e
atterrarlo di nuovo. Poi è intervenuto John che ha
immobilizzato e spaventato a morte quel poveretto che già se
l'era fatta sotto di suo ormai. Alla fine abbiamo liberato anche lui e
siamo tornati indietro. Kaelee era così entusiasta che non
ha fatto altro che parlare per tutto il tragitto da Sherwood a
Locksley. Mi sa tanto che le sei mancato molto perché in
questi giorni non ha fatto altro che lavorare a più non
posso e ho notato che lo scontro deve averle creato qualche fastidio
all'avambraccio, ma sta benone!», concluse esaltato.
Gisborne, che era sulla via dell'arrabbiatura perché Archer
gli aveva confermato che Kaelee non soltanto s'era portata dietro
l'arma, ma l'aveva pure usata mostrando un'incoscienza che non credeva
le appartenesse, cambiò improvvisamente umore quando suo
fratello fece accenno al danno riportato da Kaelee.
«Sai
dov'è?», domandò sintetico.
Archer aggrottò le sopracciglia, forse intuendone i
pensieri, e cercò di
rassicurarlo ulteriormente.
«Non si è fatta nulla, davvero, deve soltanto
tenerlo a riposo come le ho consigliato, ma è parecchio
testarda...», disse.
«Già». convenne Gisborne.
«Dov'è?»,
insisté poi.
Archer gli rispose di non sapere dove Kaelee si trovasse esattamente,
ma che con ogni probabilità l'avrebbe trovata
lì in
giro.
«Forse ti conviene star fermo in un posto e aspettarla.
Perché non vai a casa? Sarai stanco dopo il
viaggio», suggerì ottenendo l'effetto contrario.
Per Gisborne, infatti, fu come se gli avesse detto di correre a
cercarla, perciò ringraziò velocemente e
si rimise in moto.
Locksley non era un villaggio così grande ed era
praticamente
impossibile non incontrarsi a meno che non ci si nascondesse,
perciò Guy
riteneva assurdo non essersi ancora imbattuto in lei e
cominciò a pensare che le fosse successo qualcosa, prima di
considerare l'eventualità che fosse rincasata. Quando il
panico si fu quasi impadronito di lui, finalmente la vide: anche se era
di spalle la riconobbe subito e la chiamò per
nome.
Kaelee si stava riposando dopo aver affrontato la conversazione con
Allan ed era immersa nei propri pensieri quando si sentì
chiamare. Non ebbe alcun dubbio in merito alla voce che aveva
pronunciato il suo nome: doveva necessariamente trattarsi di Gisborne,
perciò, voltandosi, gli rivolse un sorriso che certamente
manifestava apertamente l'emozione che provava nel rivederlo dopo tutti
quei giorni.
«Sei
tornato!», esclamò irradiando gioia attorno a
sé. Pur notando immediatamente che lo sguardo di lui era fin
troppo serio e non c'era un
accenno di
sorriso sulle labbra, Kaelee non riuscì a smettere di
sorridergli, troppo felice di averlo nuovamente dinanzi a sé
e troppo impaziente di raccontargli tutto ciò che aveva
fatto in sua assenza. Tuttavia, la ragazza era abbastanza intelligente
da comprendere in fretta che lo sguardo stanco, ma severo, il volto per
nulla rilassato mentre gli si avvicinava e le labbra leggermente
contratte in una smorfia di possibile preoccupazione dovessero essere
obbligatoriamente il risultato delle dicerie che correvano per tutta
Locksley arricchendosi sempre più di particolari verosimili,
ma non esatti. Kaelee si convinse in fretta che Gisborne non
era affatto
felice di quell'avventura e del fatto che lei si fosse spinta in un
duello pur non avendo mai davvero impugnato una spada e in parte lo
comprendeva, non sentendosela di condannarlo per quell'accoglienza
tutt'altro che cordiale.
Prese quindi un
profondo respiro e annullò la distanza tra sé e
lui.
«Ti devo
chiedere di ascoltare la mia
versione dei fatti prima che ti arrabbi sul serio»,
esordì, non faticando a credere che il racconto arrivato
alle sue orecchie non corrispondesse esattamente al reale svolgimento
delle cose, sebbene Kaelee non avrebbe potuto negare che la spada
l'aveva usata anche se Gisborne non glielo aveva mai permesso durante
le esercitazioni.
La ragazza lo vide incrociare le braccia
al petto e chiudere gli occhi per un solo
istante. Quando li riaprì erano
così
intensi che a guardarli Kaelee si sentì quasi male, il suo
sguardo era insostenibile, e improvvisamente non desiderò
altro che sfuggire a quella presa invisibile.
«Ho parlato con Archer», precisò subito
l'uomo. «Hai
idea di come io mi sia sentito
quando, appena rientrato e con il solo desiderio di rivederti, sono
venuto a sapere di questa perlustrazione?», chiese
manifestando a Kaelee una buona dose di rabbia, sebbene non avesse
urlato. «Hai idea di come
io mi senta adesso sapendo che sei stata in pericolo ed io non c'ero?
Io non ho potuto difenderti. Riesci a immaginare come mi
sento?», continuò.
Kaelee lo guardava solo per brevi
momenti, sentendo il senso di colpa nascere in lei perché
non aveva considerato gli eventi da quell'ottica.
«Guy,
vorresti...», iniziò, ma lui non le permise di
continuare.
«Hai
idea di come mi sia
sentito quando ho saputo che avevi la spada con te e che hai
combattuto?», continuò con voce leggermente
più alta
rispetto a
prima. «Non eri neanche certa di saperla usare quella
spada!», esclamò con rabbia.
«Ci
siamo esercitati», obiettò lei con voce ferma.
«E
pensi che questo sia
abbastanza?».
La domanda era arrivata alle orecchie di Kaelee con un tono
improvvisamente pacato, completamente fuori luogo rispetto alla rabbia
che Gisborne aveva tradito poco prima, perciò alla
ragazza parve quasi di sentire una vena di derisione nel tono
di lui,
come se volesse darle della sciocca per aver creduto che esercitarsi a
combattere, per giunta con un bastone, fosse la stessa cosa che
combattere davvero contro uno
sconosciuto. Kaelee sapeva che, qualora il tono di Gisborne collimasse
con i propri pensieri, non avrebbe potuto fare altro che dargli
ragione, avendo compreso lei stessa quanto superficiale fosse stata nel
voler utilizzare la spada tanto in fretta, eppure credeva fermamente di
non aver avuto alcuna scelta: cos'altro avrebbe dovuto fare dinanzi
all'avversario? Farsi uccidere forse? Darsela a gambe?
«Come
credi che mi sia sentito quando Archer mi ha detto del tuo
braccio?», chiese infine, mostrando quella che doveva essere
la sua
più grande preoccupazione dato il tono affranto.
Kaelee stava perdendo la pazienza.
Per la prima
volta, da quando conosceva Guy, si rivolse a lui con poca gentilezza e
molta decisione credendo che la reazione di lui fosse esagerata.
«Non ti
chiedo più di
ascoltarmi. Ora mi ascolterai e basta, oppure se non vuoi vattene pure,
ma non pensare poi di tornare quando avrai sbollito la
rabbia»,
disse guardandolo dritto negli occhi adesso. Solitamente evitava di
essere scortese con le persone, specie con quelle a cui teneva
maggiormente, ma non le piaceva che la gente semplicemente l'accusasse
senza neanche voler sentire cosa aveva da dire. Non le andava a genio
che Gisborne la rimproverasse per le preoccupazioni che lo affliggevano
e di
cui avrebbe potuto semplicemente parlarle con calma anziché
aggredirla così.
«Se
proprio vuoi saperlo, ero felice per il tuo ritorno ma sei riuscito a
mettermi di cattivo umore con i tuoi discorsi», aggiunse.
La vita aveva insegnato a Kaelee a ripagare le persone
con la stessa moneta e il vissuto che si portava dietro la costringeva
a mettersi sulla difensiva al primo segnale di minaccia.
«Il
mio braccio è ancora mio, come puoi ben vedere, e dal
momento
che non sarei comunque rimasta nascosta dietro alla vegetazione
è stato un bene che mi sia portata dietro la spada. E,
sì, pensavo fosse abbastanza prima di rendermi conto che hai
sempre fatto finta di combattere con me. La prossima volta, se
veramente vuoi che io rimanga illesa in un duello, vedi di usarli quei
muscoli che ti ritrovi, Guy di Gisborne», affermò
con tono piuttosto alterato, soprattutto perché il dubbio
che l'aveva sfiorata durante lo scontro con lo straniero aveva appena
trovato conferma. Si sentiva presa in giro e non le piaceva affatto che
fosse proprio Gisborne l'autore di quella pessima burla che stava
causando danni ad entrambi.
Era un fiume in
piena e sapeva che, una volta esaurito lo scatto violento, si sarebbe
sentita tremendamente in colpa: le succedeva sempre così,
quando era confusa, quando era in
imbarazzo e quando era arrabbiata.
«Archer
ha avuto la cortesia di spiegarti che non sono ferita e che se il
braccio mi fa male è perché ho subìto
un... Come
si dice... Come diavolo l'ha chiamato?», continuò
maledicendo quel suo vizio di perdersi le parole per strada quando si
arrabbiava.
«Contraccolpo»,
intervenne Guy.
Kaelee notò che il suo sguardo si era rabbonito e gli occhi
mostravano
tutta la stanchezza del viaggio.
«Sì.
E tu sei stanco
morto, perciò dovresti filare dritto a casa, metterti a
letto e
riparlare di questo con me solo dopo un lungo riposo»,
concluse
Kaelee con le mani sui fianchi, neanche fosse una madre che sgrida suo
figlio per una marachella. Iniziava già a sentirsi in colpa
per come gli aveva parlato, per questo abbandonò quella posa
e abbassò lo sguardo sebbene Guy non avesse più
le braccia incrociate e le tendesse una mano in segno di voluta
riappacificazione; tuttavia, non poté ignorare a lungo
quelle dita lunghe e chiare, quindi le strinse ben volentieri.
«Non
è esattamente così che avevo immaginato il nostro
incontro», sussurrò la ragazza.
Guy le sorrise e si scusò con calma, fermandola quando anche
lei tentò di chiedere scusa. Poi le chiese di fargli vedere
il braccio e lei
alzò gli occhi al cielo, ma alla fine si sollevò
la manica
dell'abito e lasciò che Guy la tastasse delicatamente.
"Probabilmente è una cosa da spadaccini questa faccenda del
contraccolpo", pensò Kaelee prima di sentire un dolore
lancinante.
«Ehi,
vacci piano Ercole!», esclamò tirandosi indietro.
Non sentì Gisborne ridere come si era aspettata dopo
quell'uscita, ma almeno l'espressione sul suo viso si era rilassata un
po'.
«Vieni con me, ho una cosa che ti
rimetterà in sesto», mormorò.
Casa
di Guy, Locksley.
Prima di qualunque altra cosa, Guy sentì il dovere
di occuparsi
di Kaelee. Il confronto che aveva appena avuto con lei gli fece capire
di aver commesso qualche errore a stento perdonabile nel corso
degli
allenamenti, per questo si ripromise che in qualche modo avrebbe dovuto
farsi coraggio e smettere di dosare la
forza
d'ora in poi; inoltre comprese che era necessario istruire Kaelee anche
sulle possibili conseguenze dell'uso di un'arma bianca, così
che potesse porre rimedio immediatamente nel caso in cui fosse
incappata in un problema simile a quello che la affliggeva da due
giorni a quella parte. Il pensiero che per quell'arco di tempo Kaelee
avesse sopportato il fastidio senza che nessuno glielo alleviasse dal
momento che la ragazza aveva taciuto con tutti, Archer escluso, gli
causò un moto di rabbia mentre considerava l'insensata idea
di non muoversi più senza di lei. Soltanto per un attimo
quel pensiero sbagliato sfiorò la sua mente, mosso
più che altro dalla paura di perderla, perché
immediatamente Gisborne si rese conto che proprio mettendola in gabbia
avrebbe maggiormente corso il rischio di perdere Kaelee per sempre.
Non lasciò mai la mano di lei, né mentre prendeva
l'unguento di cui le aveva parlato poco prima, né quando la
fece accomodare su una delle sedie presenti nella stanza, sciogliendo
l'intreccio soltanto quando fu necessario rimescolare l'unguento per
renderne più morbida la consistenza e poterlo
così spalmare più facilmente sul braccio nudo di
Kaelee.
Mentre compiva i gesti con estrema delicatezza era
silenzioso e concentrato, in parte per evitare di causarle fastidio con
un gesto troppo brusco e in parte perché la vista della
pelle scoperta e liscia della ragazza gli aveva riportato alla mente il
pomeriggio del temporale quando, in quella stessa abitazione, si era
ritrovato a spogliarla affinché potesse riscaldarsi in
fretta. Non era mai riuscito a pentirsi di aver preso quella decisione
obiettivamente avventata e, anzi, da allora ci aveva ripensato spesso.
«Potresti
almeno dirmi che sei contento di vedermi», mormorò
Kaelee interrompendo il filo dei suoi pensieri con il tono di chi sta
cercando di sdrammatizzare.
La guardò dritto negli occhi perdendovisi. «Nutri
qualche
dubbio in merito?»,
domandò con voce pacata e profonda.
«No,
visto come ti preoccupi
per me, ma... Sto bene Guy, sul serio e... Vorrei poterti dire che
è stato grandioso, che mi sono sentita orgogliosa del lavoro
fatto con te e che non vedevo l'ora di raccontarti tutto»,
rispose lei sospirando infine.
«Me
lo stai dicendo ora», mormorò senza smettere
di stendere con delicatezza un leggero strato di crema.
Kaelee, che da quando si era incamminata con Gisborne verso
l'abitazione di lui aveva cercato di mettere a tacere la delusione che
provava per non aver potuto esprimere come voleva tutto l'entusiasmo
che quell'avventura le aveva regalato, sbuffò, infastidita
da quella che per lei era un'eccessiva serietà da parte di
Guy. "E se fossi tornata a casa ferita, che avrebbe combinato?
Avrebbe preso a schiaffi Archer e Little John fino a fargli diventare
la faccia rossa e gonfia?", pensò, infastidita dai suoi
stessi pensieri.
Guy non aggiunse nulla, finì con l'unguento e
andò a
recuperare una benda che avvolse sapientemente attorno al braccio della
ragazza, la quale non oppose resistenza anche se più il
tempo passava in quel religioso silenzio, più il nervosismo
cresceva dentro di lei.
«Ho
un modo... inusuale di affrontare ciò che mi
ferisce», disse poi lui, improvvisamente, fissando il lavoro
appena ultimato e frenando involontariamente un'altra ondata del fuome
in piena che Kaelee ormai stentava a contenere. «Me la prendo
con chi amo», concluse.
La ragazza fu spiazzata da quella confidenza. Non conosceva Gisborne da
molto e sapeva che l'aver appreso molti dettagli del suo passato non
significava sapere tutto di lui al punto da poterne prevedere le
reazioni, così non si aspettava che il suo carattere lo
indirizzasse in comportamenti così diversi dai propri.
"Quindi mi ha aggredita così solo perché era
preoccupato per me?", si domandò e quando capì
che la risposta a quella domanda era un "Sì", il suo cuore
impazzì come se lui l'avesse appena baciata.
«Sei un
idiota», sussurrò dopo un po', senza volerlo
offendere, di nuovo con il sorriso
sulle labbra e la voce colma di dolcezza.
«Mi
sei mancata. Ogni singolo istante», continuò
Gisborne, sorridendole come solo lui sapeva fare. «Ho
pensato a te tutto il tempo e non vedevo l'ora di tornare».
Si
sedette anche lui, dopo un po' chiuse gli occhi e le spiegò
come stavano le cose dal suo punto di vista. Le disse che non si era
mai
sentito in quel modo, che non aveva mai provato il bisogno pressante di
tornare in un posto, consapevole che qualcuno lo stesse aspettando,
perché sostanzialmente nessuno l'aveva mai aspettato prima
d'ora.
«Se fossi sparito dal Castello di Nottingham per settimane
intere, quando vivevo
lì con lo Sceriffo, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza
e
nessuno si sarebbe preso la briga di cercarmi»,
mormorò a voce talmente bassa che Kaelee quasi faceva fatica
a sentirlo con il cuore che le martellava nelle orecchie.
Lo guardò come se non lo vedesse da anni, mentre lui
parlava, e si perse nella bellezza di quel volto che le era tanto
mancato osservare, sfiorare e baciare in quei giorni. Era
contenta di vedere che Gisborne si era finalmente tranquillizzato,
quindi lo
ascoltò senza interromperlo, godendo anche del suono della
sua voce che tanto le piaceva.
Poi, ad un certo punto Guy smise di parlare, restando immobile
con le
palpebre abbassate e la tempia sostenuta dal dorso della mano.
Kaelee attese un attimo prima di capire che si era
addormentato o che c'era comunque molto vicino e si
intenerì moltissimo: era certa di poter restare a guardarlo
per le successive sei ore, se la situazione l'avesse permesso, ma
era piuttosto evidente che
non
poteva lasciarlo lì a dormire sul tavolo, così si
alzò e gli toccò delicatamente la spalla,
stringendogliela piano per non spaventarlo. I muscoli sotto le sue dita
le accesero istantaneamente il volto, mentre pensieri inappropriati le
affollarono senza preavviso la mente.
Per sua enorme fortuna, Gisborne riaprì gli occhi e la
guardò come se non
ricordasse nulla, distraendola momentaneamente dall'incendio appena
avvampato. Infine l'uomo sospirò e si scusò.
«Mi hai
trascinata qui per imbrattarmi il braccio con questo
unguento», mormorò Kaelee sorridendogli,
«Ora lascia che sia io a dirti cosa devi fare: devi andare a
dormire», disse con estrema dolcezza.
«Dovrei
passare del tempo con te, non dormire», protestò
lui, sembrandole un bambino e facendola per questo ridere.
«Non
scappo mica. Appena ti svegli vieni a cercarmi», gli disse
accompagnandolo al piano superiore senza dargli alcun modo di
replicare. «Devi raccontarmi tutto
del tuo viaggio a York,
perciò trascorreremo molto tempo insieme»,
aggiunse in un sussurro che lasciava fin troppo spazio a sottintesi
troppo caldi per entrambi. Ancora una volta, comunque, la fortuna
sembrava essere dalla sua parte perché Gisborne era
così stanco che non si accorse di nulla, o almeno
così Kaelee sperò fortemente.
Era come se la stanchezza gli fosse
piombata addosso tutta in una volta.
Non riusciva a tenere gli occhi aperti, né a parlare,
né
a restare concentrato su un pensiero, desiderando solo riposare per un
tempo indefinito. Con ogni probabilità l'ondata di
preoccupazione che lo aveva investito appena era rientrato a Locksley
gli aveva tolto definitivamente le forze e appena aveva avuto modo di
rilassarsi per un attimo, ecco che il sonno si era impadronito di lui.
Qualcosa gli diceva che non stava facendo una gran bella figura con
Kaelee, ma era già troppo altrove con la mente,
così
quando lei
gli disse di stendersi e addormentarsi lui non si oppose.
«Dormi
bene», gli sussurrò prima di baciargli una
guancia, diffondendo così un piacevolissimo calore sul suo
viso e ispirandogli un sorriso che non fu certo di essere riuscito a
esprimere davvero.
L'ultimo atto eroico di un Guy di Gisborne sopraffatto dal sonno fu
prenderele la mano e non lasciargliela fin quando non fu profondamente
addormentato.
E soltanto allora Kaelee lo lasciò solo, sorridendogli acora
una volta prima
di voltargli le spalle senza che lui la vedesse.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 07/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Come tutte le volte che scrivo di Gisborne, mi auguro di non
aver
dipinto un personaggio completamente diverso da quello che sarebbe
potenzialmente diventato Guy se fosse sopravvissuto davvero anche nella
serie tv. Ormai è chiaro che è il mio
preferito, ma spero che questo non incida negativamente su di lui.
Sto cercando di fondere quanto più possibile gli eventi
della
serie tv con questa nuova avventura al fine di renderla credibile,
perciò nel capitolo sono presenti diversi richiami a fatti
raccontati in differenti episodi: il racconto di Tuck e quello di
Little
John ad esempio, così come anche alcune espressioni quali i
"misteri d'Oriente" in riferimento ad Archer e "puro male"
in riferimento a Gisborne (è l'esatta definizione data da
Kate
nella terza stagione), provengono direttamente dalla serie tv.
In merito a Little John preciso che gli eventi di York si
riferiscono a quando Robin e Guy hanno salvato Archer; inoltre Alice e
Little Little John (sì, si chiama proprio così),
sono moglie e figlio del fuorilegge. Più avanti troverete
altri accenni in merito alla loro storia.
Il corno cui accenno attraverso i pensieri di Kaelee, invece,
è un dettaglio "rubato" al Robin Hood di Alexandre Dumas.
Ho voluto fare queste precisazioni per coloro i
quali leggono questa storia considerandola un'originale: se doveste
avere qualsiasi dubbio in merito a questo o quel personaggio/situazione
non
esitate a domandare.
Detto questo vi ringrazio per la lettura e per le eventuali recensioni.
Queste ultime sono sempre molto gradite.
Alla prossima!
|
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Capitolo 8 *** From Edwinstowe... ***
Rudyard
From Edwinstowe... – Parte Prima
Edwinstowe.
Al
villaggio girava voce che, da quando Re Riccardo era tornato in
patria costringendo suo fratello Giovanni in Francia, Robin Hood e i
suoi uomini amministrassero Locksley e alcuni villaggi
circostanti e che si occupassero addirittura della ricostruzione di
Nottingham detenendo i compiti di uno Sceriffo senza esercitarne i
poteri.
Si dicevano un mucchio di cose a Edwinstowe e altrove; alcune vere,
altre false e
altre ancora che non erano né totalmente vere né
completamente false, ma il risultato di racconti che passando di bocca
in bocca cambiavano continuamente connotati con una facilità
incredibile.
I racconti delle imprese di Robin Hood, ad esempio, avevano fatto in
fretta il giro di tutta
l'Inghilterra e lui era in breve diventato l'eroe dei giusti prima
ancora che Nottingham venisse distrutta. Si diceva
addirittura che qualcuno, in certi villaggi dove i soprusi erano
insopportabili, avesse deciso di seguire le orme dei fuorilegge
ponendosi a capo di
una piccola banda e mettendo i bastoni tra le ruote alla prepotenza dei
nobili. Così sembrava
quasi che
l'intera Inghilterra fosse popolata da piccoli gruppi di uomini
–
focolai di speranza – che
lottavano per il bene del popolo, dei meno fortunati, delle persone
comuni che in quel momento storico contavano poco o nulla e che da sole
non avrebbero mai potuto farcela a ribellarsi.
Alcuni dicevano che il vero Robin di Locksley non vivesse
più in
quel villaggio da molto tempo, che dopo il soggiorno forzato nella
foresta di Sherwood nei panni di fuorilegge avesse rifiutato la tenuta
che gli toccava per
diritto, che avesse lasciato ogni cosa nelle mani dei suoi amici e che
si spostasse laddove era necessario
il suo intervento, armato come sempre di arco e frecce. Questa teoria,
in netta contrapposizione con l'altra, alimentava il mito
dell'uomo-eroe sempre volto all'altrui serenità prima che
alla
propria.
C'era qualcuno che sosteneva che Robin Hood fosse morto il giorno in
cui Nottingham era saltata in aria, ucciso da una lama avvelenata, e
che
l'uomo che ancora si faceva chiamare con quel nome già
diventato
leggenda, altri non era che uno dei suoi fratelli in armi. Quale
precisamente nessuno l'aveva capito e in alcuni villaggi si diceva
fosse
Much, il servitore, in altri invece si faceva il nome di Allan, lo
stesso Allan che secondo altri ancora era morto insieme a Robin.
Comunque stessero davvero le cose, una era la più
importante di tutte: la gente aveva ripreso a credere in qualcosa. Nei
villaggi in cui qualcuno tentava di imporsi con prepotenza accadeva,
sempre più spesso, che un piccolo gruppo di giovani uomini
prendesse posizione e contrastasse il potente di turno,
perché tutto quel
chiacchierare su Robin Hood e i suoi uomini aveva infine mosso le acque
e risvegliato ideali per cui valesse la pena lottare, aveva riacceso la
speranza anche nei cuori più aridi, perfino negli animi
più spaventati.
Nonostante questo, come nelle migliori storie, come ogni cosa nella
vita e a testimonianza del fatto che ogni medaglia ha la tanto temuta
altra faccia, non per tutti Robin era un eroe ed esisteva ancora
qualcuno disposto a mettersi contro di lui se necessario, vivo o morto
che fosse. Sarebbe sempre esistito qualcuno che avrebbe cercato di
ottenere massimo potere e somma ricchezza per dominare incontrastato su
Contee, Nazioni, persino il mondo intero.
Aric, da quando aveva avuto il coraggio di far avere quella missiva a
Robin Hood, aveva iniziato a considerarsi parte del primo gruppo di
persone speranzose che forse, prima o poi, sarebbero riuscite a
cambiare le sorti del popolo inglese anche se proprio lo stesso Aric
aveva, per sua
immensa sfortuna, due fratelli che si collocavano al suo esatto opposto
e che avevano l'ardire di sfidare Robin Hood, certi di poter vincere
laddove lo Sceriffo di Nottingham e il Principe Giovanni avevano sempre
fallito.
Il giovane uomo sapeva che non era Willard, ma Rudyard, il problema
più grande per se stesso e per Kaelee, che ne era diventata
l'ambita preda. Rudyard, infatti, poteva avere una quantità
infinita di difetti, ma
possedeva un unico grande pregio: la costanza. Era capace di inseguire
un obiettivo per mesi e mesi senza stancarsi mai, senza spazientirsi
mai, senza cedere mai, caratteristica, questa, che avrebbe potuto fare
di lui
un uomo degno di essere ricordato, capace di grandi opere, se solo
l'avesse utilizzata nel bene e ne avesse avuto pieno controllo. Invece,
puntualmente, quando la sua caccia si prolungava e produceva pochi e
scarsi risultati, Rudyard sfogava la frustrazione arrabbiandosi
chiunque gli capitasse a tiro. Purtroppo il bene
sembrava ben lontano dal voler albergare nel suo cuore, così
come la sua mano era poco intenzionata a
risparmiare la vita a uomini che non riteneva utili per se stesso.
Aric era convinto che, se Dwight non
avesse tenuto d'occhio Rudyard impedendogli di essere eccessivamente
violento in casa, quest'ultimo non ci avrebbe pensato due
volte a farlo fuori senza un motivo in particolare, semplicemente
perché era diverso da lui e incapace di maneggiare
un'arma.
Del resto gli era bastato capire che compiacere sua madre lo avrebbe
reso il favorito di casa per scatenare definitivamente il lato peggiore
del suo carattere: per Rudyard non era stato difficile convincersi che
scovare sua sorella Kaelee era assolutamente necessario per mantenere
alto l'onore della famiglia dal momento che lei, fuggendo, si era resa
colpevole di un grave affronto verso chi l'aveva
generata e cresciuta, che con la fuga aveva disonorato la
famiglia venendo meno alla promessa di sposare il proprietario terriero
su cui sua madre aveva messo gli occhi; Aric sapeva che niente e
nessuno al mondo sarebbe riuscito a fermarlo, né con le
parole,
né con la forza, finché sua madre restava
ferma nella
propria volontà di riavere la figlia a casa.
In sostanza, a nessuno dei due – né madre,
né
fratello –
importava davvero del destino di Kaelee, tant'è che il
dubbio
che non fosse sopravvissuta alla fuga non li aveva mai neanche
lontanamente sfiorati, così come non si erano mai
preoccupati di
scoprire come avesse fatto ad allontanarsi senza essere vista,
né avevano quindi preso in considerazione che Kaelee fosse
di
fatto perfettamente in grado di fargliela sotto al naso, come Aric ben
sapeva e le aveva visto fare. D'altra parte, però, il
giovane
era certo che se sua madre e Rudyard avessero scoperto che la
giovane
donna era morta, allora l'avrebbero pianta come se l'avessero amata
quando era in vita.
Erano ipocriti. Opportunisti. Falsi.
"Perfetti candidati alla carica di Sceriffo senza cuore in stile
Vaisey
di Nottingham", pensava continuamente Aric di loro, disprezzandoli con
tutto se stesso e invidiando sua sorella per aver avuto la forza di
andare via da quell'inferno e provare a guadagnarsi una fetta di
felicità e serenità.
A proposito di Nottingham, anche Rudyard, naturalmente, conosceva molte
di quelle
storie su Robin Hood che la gente
raccontava di villaggio in villaggio e da quando viaggiava alla ricerca
di Kaelee, Aric si era reso conto che ne aveva apprese di altre ancora.
Sebbene anche lui temesse il temperamento di suo fratello Rudyard, si
sentiva in dovere di raccogliere quante più informazioni
possibile sugli spostamenti suoi e di Willard, così da poter
tentare di correre ai ripari per tempo; quindi partecipava con celato
interesse quando suo fratello condivideva i nuovi racconti, tanto
più quando l'uomo aveva accennato a Gisborne.
Una cosa curiosa che Rudyard aveva
sentito dire ultimamente, infatti, pareva proprio riguardasse il
braccio destro del nemico numero
uno
dell'arciere. Non c'era storia in cui Sir Guy di Gisborne non venisse
menzionato come antagonista di Robin e sebbene lo Sceriffo
fosse il
vero nemico dell'intera popolazione di Nottingham e dei villaggi
attigui, Gisborne era notoriamente la sua mano armata. Rudyard aveva
raccontato, senza sospettare che Aric avrebbe fatto tesoro di quelle
informazioni, che non
molto tempo addietro si era presentato a
York un
tale Fra Tuck per discutere di certi affari di commercio.
«Se quei meschini ignoranti e infami cui ho concesso l'onore
di
essere interrogati da me personalmente», raccontò
Rudyard
con una presunzione che fece venire il voltastomaco ad Aric,
«hanno detto il vero, il colorato frate della banda di Hood
era
in compagnia di un uomo di nome Guy di Gisborne. E quante
possibilità ci sono che esista un altro uomo tra Nottigham e
Locklsey che abbia il suo stesso nome?», chiese retorico, con
un
sorrisetto malefico e per niente rassicurante sulle labbra.
«Vuoi rispondere tu, Willard?».
Aric spostò istintivamente lo sguardo verso il fratello
chiamato
in causa e lo vide torcersi le mani e abbassare lo sguardo in un
atteggiamento che trasudava disagio.
«Nessuna?», sussurrò Willard incerto.
Rudyard applaudì divertito per una ragione che Aric non
comprese. «Esatto! Allora non sei poi così
stupido,
fratello!», esclamò abbandonandosi ad una risata
che non
contagiò nessuno.
Nei giorni
successivi Aric sentì Rudyard riflettere ad alta voce su
quell'informazione che l'uomo, da megalomane egocentrico quale era,
credeva non essere arrivata a lui per caso. E più Rudyard si
convinceva
di essere ad un passo da una rivelazione importante per la ricerca di
Kaelee, più Aric temeva che suo fratello iniziasse ad unire
i puntini.
Aric sapeva che Rudyard era un bravo osservatore ed era dotato di un
ottimo sesto
senso, ma conosceva anche il suo punto debole: la troppa
concentrazione sull'obiettivo lo induceva a prendere in
considerazioni dati inutili, con il solo risultato di distrarsi,
perdendo così i dettagli più importanti. Come
ad esempio l'ovvietà della meta di Kaelee visti tutti i bei
racconti
che aveva ascoltato su Robin Hood; come ad esempio il fatto che Aric
fosse riuscito a metterla in guardia senza essere scoperto.
Se Rudyard fosse stato un vero segugio, come pensava di
se
stesso, Aric non l'avrebbe fatta franca e invece l'uomo non nutriva il
benché minimo sospetto su nessuno dei suoi familiari
perché un altro grande
difetto di Rudyard individuato da Aric era la presunzione di sapere
sempre tutto e di avere ogni cosa sotto controllo.
"È
così pieno di sé da giudicare me troppo codardo
per muovermi in favore
di Kaelee e Dwight troppo
poco affezionato a lei per metterglisi contro", aveva concluso Aric
dopo aver ascoltato un paio di conversazioni tra Rudyard e sua madre,
ben contento che suo fratello non fosse un genio.
Negli anni, a casa di Rudyard – come in molte altre dei vari
villaggi della Contea di Nottingham – non si era fatto
altro che raccontare delle imprese di Robin Hood per riempire i tempi
morti nei giorni in cui era impossibile dedicarsi alla terra a causa
del maltempo o quando, dopo la cena e prima di andare a dormire, si
cercava di richiamare il sonno in compagnia di tutta la famiglia. Era
diventata, per tutti i familiari, un'abitudine più che un
reale
momento di unione giacché, secondo Rudyard, nessun
componente della
famiglia, tranne sua madre, aveva qualcosa in comune con lui. Dal suo
punto di vista i suoi fratelli erano un ammasso di incapaci perdenti:
Dwight con la sua depressione era perfino più ridicolo di
Aric
che aveva paura della sua stessa ombra, mentre Willard era troppo
stupido per riuscire a guadagnarsi veramente il rispetto di qualcuno e
se assecondava sua madre era soltanto per paura che lo gonfiasse di
botte; in quanto a Kaelee era l'elemento peggiore di tutti.
Rudyard aveva sempre detestato avere una sorella che voleva a tutti i
costi ascoltare discorsi che non la riguardavano in alcun modo e si era
sempre detto contrario al fatto che nessuno, né la madre,
né il maggiore dei fratelli, l'avesse mai ripresa e
rimandata a
lavare stoviglie o a rammendare vestiti. Se c'era lei nella stanza,
infatti, Rudyard era costretto ad omettere i particolari truculenti
concentrando la narrazione esclusivamente sulla figura di Robin Hood e
sulle sue generose opere di beneficenza per evitare di impressionare
Kaelee, dettagli che all'uomo
interessavano veramente poco a differenza di sua sorella il cui sguardo
era
sempre trasognato quando lui o un altro dei fratelli tesseva le
lodi della banda di fuorilegge. Proprio non capiva come lei e Aric
potessero accontentarsi di quella parte della storia quando c'erano un
sacco di entusiasmanti dettagli sanguinolenti che riguardavano, ad
esempio, gli
scontri ravvicinati tra Hood e Gisborne, perché sebbene si
dicesse in giro che Robin Hood non uccidesse, altre voci raccontavano
che una volta avesse dato fuoco a Gisborne soltanto per poi cercare di
annegarlo. "Robin è un eroe! Robin è un eroe!
Loro
dicono, ma è pure cornuto visto che Lady Marian, la sua
adorabile promessa sposa, se la intendeva con Gisborne. Mica scema la
ragazza!", pensava Rudyard pur non potendo condividere quei pensieri ad
alta voce in presenza di sua sorella.
Cosa potesse mai esserci di interessante in tutto quel consegnare ceste
piene di ortaggi e sacchetti con monete d'oro quando a Nottingham nello
stesso momento c'era stata una pubblica esecusione di cui parlare nel
dettaglio, Rudyard non riusciva proprio a capirlo. "Un collo spezzato
è più educativo di un collo intero che non paga
le
tasse", riteneva.
Rudyard era sempre stato più un fan di Gisborne che di Hood
e
quando aveva avuto il piacere di conoscerlo di persona, anni addietro,
aveva scoperto un uomo ancora migliore – e per migliore
Rudyard
intendeva più malvagio – di quanto si dicesse in
giro,
ragion per cui da qualche giorno non si dava pace non potendo proprio
capire per quale motivo Sir Guy di Gisborne dovesse accompagnarsi con
un seguace di Robin Hood. L'uomo non aveva mai creduto, e non voleva
arrendersi a credere, a quelle voci che raccontavano di un Gisborne
pentito che si era unito alla banda contro lo Sceriffo Vaisey.
"Sono romanticherie per donnicciole queste. Il Gisborne che conosco non
si unirebbe mai a quell'Hood, a meno che... non voglia copirlo alle
spalle", si era
detto mentre un'idea interessante e nuova si affacciava alla sua mente.
Rientrava da una passeggiata per le terre che la sua famiglia
coltivava,
quando diede una voce all'unico tra i suoi fratelli che lo aiutava
nella missione.
«Willard! Willard! Vieni qui!», ordinò,
sapendo che
lui non avrebbe mai osato disobbedire, qualunque cosa stesse
facendo, e infatti si presentò velocemente al suo cospetto,
accaldato e con
le mani ancora
sporche
della terra di cui si stava occupando. Rudyard sorrise soddisfatto
dall'atteggiamento remissivo di suo fratello e sebbene fosse conscio
che Willard aveva lasciato il
lavoro a metà per raggiungerlo, gli mise una mano sulla
spalla e
lo allontanò dai suoi
doveri che potevano certamente aspettare.
«Facciamoci quattro chiacchiere tra uomini, mh?»,
disse non trovando opposizione da parte dell'altro.
Guardando i lineamenti sgraziati del viso di Willard, incrostato di
terra e
sudore, Rudyard vi lesse tutto il bisogno di compiacerlo, di non
deluderlo, di servirlo per paura di soccombere e di diventare vittima
dei suoi sbalzi d'umore. La sensazione che provò nel vedere
suo
fratello così inerme dinanzi al suo potere persuasivo fu di
godimento assoluto e per un attimo si domandò se Willard lo
avrebbe supplicato frignando come una ragazzina qualora avesse deciso
di punirlo con una scusa qualsiasi. "Se non mi servisse per trovare
quella stupida bambina, lo metterei alla prova stasera stessa
deliziandomi il riposo notturno con le sue urla",
pensò prima di rivolgergli di nuovo la parola.
«Dimmi, fratello, per quale
motivo un uomo dovrebbe unirsi ad una causa che fino a pochi istanti
prima non condivideva ed anzi ostacolava?»,
domandò
Rudyard a Willard fissando lo sguardo sul terzogenito mentre
passeggiavano tra le colture.
Quando gli occhi scuri di Willard incrociarono i suoi, Rudyard vide
distintamente che erano colmi dello sgomento che sapeva derivare dalla
paura di deluderlo e di farlo arrabbiare. Più volte,
infatti,
era andato fuori di testa con lui offendendolo largamente per i suoi
odiosi tenennamenti, degli stupidi silenzi e dell'insicurezza che
manifestava in ogni occasione possibile. Anche
quella volta non fu in grado di rispondergli niente di soddisfacente e
Rudyard gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo soltanto per
umiliarlo; poi scosse il capo e di nuovo parlò.
«Ma
come devo fare con te, fratellino?», domandò
retorico
prima di lasciarsi andare ad uno dei tanti scatti
irosi. «Pensa!
Provaci almeno! Non mi sei di nessun aiuto se non sei nemmeno in grado
di rispondere a una semplice domanda!», urlò
colpendolo dietro la
nuca affinché ricordasse meglio l'errore ed il rimprovero.
Per Rudyard
l'espressione "ficcarsi in testa qualcosa" era da interpretare
alla lettera.
Vide Willard mortificarsi mentre cercava la risposta che voleva gli
desse e, di nuovo, immaginò se stesso nel granaio a frustare
senza pietà suo fratello.
«Un nemico
comune?», domandò infine.
Soddisfatto, Rudyard sorrise e gli scompigliò i capelli,
abbandonando completamente i pensieri di poco prima e
complimentandosi con lui per aver
risposto correttamente. L'uomo si era infatti convinto che il buon
cantastorie che aveva messo in giro la voce secondo cui Gisborne aveva
lottato al fianco di Hood contro Vaisey di Nottingham avesse detto il
vero, ma che le cose non stessero esattamente come le aveva raccontate.
Secondo Rudyard, Gisborne non si era unito alla banda, abbagliato
improvvisamente dalla luce del Signore e desideroso di pentirsi delle
teste che aveva fatto saltare, delle braccia che aveva mozzato, delle
mani che aveva tagliato e dei toraci che aveva trafitto, per affidare
la propria anima all'Onnipotente; aveva scelto, invece, di fare buon
viso a cattivo gioco con quei fuorilegge fessacchiotti al fine di
accaparrarsi il ruolo di Sceriffo di Nottingham, a ricostruzione
ultimata, ora che non aveva più rivali con cui competere per
quella carica. A Rudyard sembrava un piano degno di un leader.
«Vedi che quando vuoi riesci a darmi
un mucchio di soddisfazioni?», disse Rudyard a suo fratello.
«E una volta
che il comune nemico è
battuto, tu cosa faresti?».
Nessuno dei due smise di camminare quando entrambi sentirono il
maggiore di loro chiamare Willard per darsi
una ripulita prima della cena e Rudyard fu nuovamente soddisfatto dal
comportamento servile di suo fratello minore.
«Penso che me ne andrei per fatti miei»,
mormorò con un filo di timore nella voce.
Il
secondogenito annuì, pensieroso.
«Va' adesso,
raggiungi Dwight, fatti un bagno e
di' a nostra madre che domattina partiamo per York»,
ordinò. "Tu te ne andresti per i fatti tuoi
perché sei un
rammollito", pensò subito dopo.
Il giorno seguente.
York.
Willard cavalcava di fianco a suo fratello con l'aria di chi teme un
agguato anche
dalla propria ombra o di chi in cuor suo sa di non fare la cosa
più
giusta, ma Rudyard era così concentrato su se stesso
da non accorgersene neanche; o almeno così sperava Willard.
Lui
non era malvagio quanto suo fratello, ma non possedeva nemmeno i valori
di Dwight, perciò era stato costretto a scegliere tra
l'essere
relegato e offeso continuamente come Aric oppure essere il cagnolino
fedele di Rudyard. "Se Robin Hood ha un servo, pure Rudyard ne
avrà bisogno quando diventerà Signore di un
villaggio",
si diceva.
La città di York era nel pieno delle quotidiane
attività
quando i due fratelli vi arrivarono e Willard cercò di non
lasciarsi impressionare dalla moltitudine di poveri accattoni che
girovagavano senza meta sperando di arrivare a fine giornata con
qualche moneta in tasca o di morire prima nel modo meno atroce
possibile. Lo Sceriffo dello Yorkshire era sadico e crudele forse anche
più di Vaisey di Nottingham, perciò Willard si
augurò di non incontrarlo.
Lui e suo fratello Rudyard lasciarono i cavalli in custodia e si
avviarono a piedi nel cuore della
città, alla ricerca di informazioni in merito alla visita di
Guy di Gisborne e Fratello Tuck.
Rudyard decise che era tempo di mettere alla prova suo fratello per
accertarsi che gli sarebbe rimasto fedele anche nel momento in cui
sarebbero andati a prelevare Kaelee, ovunque essa fosse, e per
accertarsi anche che non fosse un completo ed inutile imbecille,
perciò lo convinse che se si
fossero divisi ne avrebbero tratto un enorme vantaggio in termini di
tempo e quantità di notizie. Se in prima battuta Willard gli
era
apparso poco incline ad accettare quell'ordine, la minaccia successiva
di consegnarlo direttamente nelle mani degli uomini dello Sceriffo di
York lo aveva così tanto impaurito che subito si era reso
disponibile a collaborare. "Mai nessuno che obbedisca senza essere
minacciato in continuazione! Che gran seccatura questi servi.
Cavalieri, ecco di cosa ho bisogno! Ed ecco cosa mi darà
Gisborne quando ci incontreremo di nuovo", pensò Rudyard
compiaciuto dell'idea che prendeva sempre più forma nella
sua
mente. Come aveva fatto poi a non pensarci prima, proprio non se lo
spiegava. Chi meglio di Sir Guy di Gisborne avrebbe potuto appoggiarlo
nella sua caccia a Kaelee visto che lui per primo aveva venduto sua
sorella per denaro?
Così
spedì Willard
nella zona del Mercato e gli ordinò di parlare con le donne
più pettegole e con i bambini mentre lui si sarebbe diretto
alla
Taverna, sapendo perfettamente che lì avrebbe ottenuto le
stesse
identiche informazioni ricavate da Willard.
E proprio in questo consisteva la
prova: se Willard gli avesse mentito, lui avrebbe potuto agire di
conseguenza per tempo, senza rischi.
Dispensò quindi qualche
consiglio su come convincere la gente
a sbottonarsi, dal momento che Willard non era il massimo della
loquacità, e se ne andò dopo avergli infine dato
appuntamento
all'ingresso della città, dove avevano lasciato i cavalli.
Nonostante le indicazioni ricevute, il terzogenito tra i fratelli di
Kaelee si sentì perso senza suo fratello e per un buon
quarto d'ora rimase impalato
dov'era senza ben capire cosa fosse meglio fare. Chi è che
doveva interrogare esattamente? E cos'è che doveva chiedere?
Come aveva detto Rudyard di parlare per convincerli a parlare senza
ricorrere alle mani e farsi arrestare? Si sentì un idiota e
per
un attimo la sua volontà di servire quel fratello malvagio
vacillò, ma poi ricordò
quanto sapesse essere violento Rudyard, indipendentemente da chi aveva
davanti, e si mise in
moto correndo per le vie di York.
Diversi giorni più tardi.
Edwinstowe.
Sebbene Aric tendesse sempre a mantenere un basso profilo, cercava di
restare quanto più informato possibile sugli spostamenti dei
suoi due fratelli, deciso a proteggere Kaelee dalla sofferenza che
certamente loro le avrebbero causato nel caso in cui l'avessero
trovata. Quel che sarebbe successo nel momento in cui Robin Hood e
Rudyard si fossero scontrati, Aric non faticava ad immaginarlo. Era
noto a tutti che Robin Hood di rado uccideva e solo se strettamente
necessario; ed era noto ad Aric e Kaelee che, al contrario, Rudyard era
molto incline alla violenza e non ci avrebbe pensato su due volte prima
di colpire chiunque lo ostacolasse. Anche questo, Aric ne era certo,
avrebbe fatto soffrire Kaelee.
Era una situazione spinosa da cui Aric non sapeva come uscire se non
invocando l'aiuto di qualcuno per fermare Rudyard in qualche modo, il
che significava però ammettere
di essere a conoscenza di ogni cosa riguardo Kaelee, la sua fuga e la
sua attuale sede. Il problema più grande del suo muoversi da
solo e in incognito riguardava il motivo dei singoli viaggi dei suoi
fratelli: sapeva che cercavano, ma non sapeva su quale principio
basassero le ricerche. Sapeva, ad esempio, che quella stessa mattina i
due si erano recati
a York, ma
non era riuscito a capire perché Rudyard avesse deciso di
cambiare itinerario così, all'improvviso, anche se
immaginava
che il viaggio fosse legato a ciò che aveva sentito dire su
Gisborne.
Che stesse cercando lui? E perché se stava dalla parte di
Robin Hood?
Tormentato dai suoi stessi pensieri, Aric decise di andare a far visita
all'amico
che gli aveva fatto da messaggero per cercare conforto, chiarezza
mentale – l'unico, tra l'altro, che conoscesse
la verità, l'unico che avesse visto Kaelee da
quando era scappata – e per scambiare due parole con lui.
Arrivato alla taverna in cui il ragazzo lavorava, attese che l'amico
fosse libero
di fermarsi un attimo a dargli ascolto e quando questa situazione si
verificò, Aric approfittò per parlargli dei
movimenti dei
suoi fratelli, certo che il ragazzo mai lo avrebbe tradito dal momento
che detestava Rudyard per il suo carattere prepotente.
Scoprì
così che l'amico era anche lui a conoscenza della visita di
Fra
Tuck e Sir Guy di Gisborne a York.
«Qui in taverna nessuno che sia riuscito a tacere al
riguardo.
Tutti a chiedersi che ci facesse Gisborne con un uomo di Robin
Hood», raccontò il ragazzo. «In effetti
me lo sono
chiesto anche io quando...», sussurrò in tono
d'intesa,
senza completare la frase.
Aric subito annuì, intuendone i pensieri. Sapeva quanto il
suo
amico si fosse sentito onorato di aver compiuto una buona azione
attraverso cui aveva avuto la grande opportunità di
conoscere
Robin Hood in persona; e sapeva anche della completa
disponibilità da parte dell'amico di replicare.
«Allora è vero... Credo che Rudyard abbia in mente
qualcosa», fece Aric, improvvisamente nervoso e pensieroso.
Fu
questione di pochi istanti prima che Aric
iniziasse a percepire il pericolo.
«Non può essere una coincidenza
che mio fratello abbia deciso di recarsi a York proprio ora che Guy di
Gisborne è sulla bocca di tutti quelli che
raccontano di Robin Hood», sussurrò ancora Aric,
con
agitazione crescente. «Se per qualche motivo che non capisco,
Rudyard volesse arrivare a Gisborne e ci riuscisse, allora arriverebbe
anche a Robin...», aggiunse.
«E quindi a Kaelee», concluse l'amico per lui.
«Che
intendi fare?», domandò poi, anche lui preoccupato.
«Devo tornare a casa. Grazie», disse in fretta.
«Mi
farò vivo», aggiunse correndo via come una
scheggia.
Aric fece appena in tempo a rincasare senza che nessuno vedesse quanto
era sconvolto per la nuova ed inquietante intuizione. Non riusciva a
capire che razza di collegamento avesse fatto Rudyard nella sua mente
contorta, ma era certo che qualcosa doveva essere accaduto al suo
interno e che Rudyard avesse imboccato un nuovo, pericoloso, percorso.
Ragionare con l'amico di quella strana faccenda lo aveva aiutato a
tirare una conclusione per quanto questa non lasciasse molta speranza.
I due avevano infatti convenuto
che se Rudyard e Willard erano andati a York perché avevano
saputo che un uomo di Robin Hood vi era arrivato non molto tempo
addietro insieme a Sir Guy di Gisborne, era perché,
certamente,
cercavano
informazioni. Essendo molti i racconti su come era andata dopo
l'esplosione di Nottingham e spesso discordanti tra loro, probabilmente
Rudyard era andato ad accertarsi che la voce sulla strana accoppiata in
giro per York fosse vera e, sebbene il passo successivo non fosse
prevedibile, Aric era certo che stesse tra l'interrogarsi riguardo
l'attuale posizione dell'ex braccio
destro
dello Sceriffo e il recarsi a Locksley per indagare personalmente.
Pur non avendo la certezza che Rudyard avesse collegato la fuga di
Kaelee con la magia nei suoi occhi tutte le volte che ascoltava i
racconti sulle avventure di Robin Hood, il dubbio bastava ad angosciare
Aric al punto da fargli prendere definitivamente in considerazione
l'idea di chiedere aiuto a suo fratello Dwight anche se avrebbe dovuto
metterlo al corrente di ogni cosa, rischiando di prendersi una
strigliata di proporzioni colossali. A incoraggiarlo restava il fatto
che Dwight non fosse un violento.
Fu mentre prendeva quella decisione che suo fratello Rudyard
rincasò portandosi appresso un'espressione trionfante che
non
piacque affatto ad Aric.
Lo osservò di nascosto intanto che, con gran fretta e senza
nemmeno degnare i presenti di un saluto, l'uomo prendeva
da parte la donna che li aveva generati per riferirle, con ogni
probabilità, ciò che aveva scoperto e le mosse
che
intendeva mettere in atto.
Con un coraggio inaspettato, Aric si mise ad ascoltare la conversazione
acquattato e respirando appena per evitare che qualcuno lo sentisse o
vedesse.
Casa di Guy, Locksley.
Kaelee era appena uscita di casa sebbene fosse ancora piuttosto presto
e il Sole non fosse ancora sorto completamente.
Un po' perché, svegliandosi,
aveva trovato Much in cucina insieme a Kate, – stavano
soltanto
parlando tranquillamente tra loro, ma la ragazza si era subito sentita
in dovere di lasciar loro la
privacy che meritavano e di cui con ogni probabilità avevano
bisogno, anche se non le era ancora chiaro il tipo di rapporto che
intercorreva
tra quei due pur facendole piacere che Much frequentasse l'abitazione
e Kate – e un po' anche perché era impaziente di
vedere
Gisborne: le notti erano diventate troppo lunghe da quando si era
innamorata di
lui.
Del resto, la vita nei villaggi iniziava di buon mattino, sia che per
mestiere si lavorassero i metalli, sia che ci si occupasse della terra;
sia che si conciassero pelli, sia che ci si prendesse cura
dell'anima dei fedeli, e Kaelee non faceva eccezione pur non avendo
un'occupazione precisa e gestendo il proprio tempo in funzione di chi
ne richiedeva l'aiuto di volta in volta; né aveva avuto
abitudini
diverse a Edwinstowe dove, anzi, veniva buttata
giù dal letto da sua madre che ancora il buio non aveva
ceduto il passo
alla luce del mattino.
Non si era quindi stupita della presenza di Much ad un simile orario,
tanto più perché sapeva quanto l'uomo tenesse a
raccogliere erbe e spezie al momento più opportuno che non
sempre coincideva con le ore diurne;
aveva preso con sé un cestino di frutta e un piccolo pane
speziato, ennesimo esperimento culinario di Much il quale portava di
continuo a casa delle due donne manicaretti da assaggiare e giudicare
– ciò che rendeva
incredibilmente tenero e straordinario quell'uomo agli occhi di Kaelee
era che sebbene amasse Kate, non
pensava solo a lei quando cucinava, ma anche a Kaelee e a chiunque si
fosse trovato a casa di Kate all'ora della colazione, del pranzo o
della cena – con l'intenzione di fare colazione
insieme a Guy, a casa di lui.
Da quando aveva la possibilità di andarsene in giro senza
che
sua madre la tirasse per un braccio urlandole i peggiori insulti e
pizzicandole malignamente i fianchi, Kaelee aveva imparato ad
apprezzare ogni istante delle sue giornate, contemplandone ogni singolo
dettaglio: che fosse uno dei ragazzi di Gisborne che spazzolava
di buon'ora i cavalli, oppure un cane che sbadigliava assonnato per poi
nascondere la testa alla luce nascente, Kaelee amava perdersi a
guardare ciò che aveva attorno sebbene non comprendesse la
realtà allo stesso modo di Aric che era, invece, capace di
trarre preziosi insegnamenti da ciò che osservava.
Si ritrovò a sospirare pensando a suo fratello: ne sentiva
molto la mancanza.
Arrivata davanti alla porta di casa di Gisborne, la ragazza fu colta
dal dubbio che l'uomo fosse ancora addormentato e rimase lì
fuori, con il cesto incastrato nella piega del gomito e appuntato sul
fianco, per diversi minuti prima di bussare piano, così
piano da
farle temere che, qualora fosse sveglio, potesse comunque non averla
sentita. Tutta quell'indecisione la infastidiva al punto che, in un
moto di stizza, si impose di bussare nuovamente e con più
convinzione, ma nell'esatto momento in cui sollevò la mano
libera sentì dei passi
dirigersi verso la soglia e si tranquillizzò, anche se solo
per
qualche secondo. Il fatto che Guy sembrava avere il vizio di andare ad
aprire senza mettersi
prima addosso una casacca, infatti, non aiutava Kaelee a mantenere la
calma, perché effettivamente, da quando si erano baciati,
non desiderava fare altro per il resto dei suoi giorni. Si riteneva a
tratti infantile e a tratti sfacciata per quei suoi pensieri, ma,
finché restavano custoditi sotto chiave nella sua mente,
Kaelee
aveva deciso di non preoccuparsene troppo.
«Buongiorno», salutò lui con
voce calda sebbene ancora un po' impastata dal sonno notturno e con la
naturalezza di chi non si è nemmeno reso conto di essere
mezzo
nudo.
Kaelee ci rimase quasi secca e si convinse ulteriormente che mai si
sarebbe abituata
a tutta quella bellezza, tanto più quando trasse la
conclusione
che Gisborne dormisse soltanto con un paio di calzoni addosso.
«'Giorno», disse infine. «Ho portato la
colazione», aggiunse
riuscendo finalmente a sorridergli. "Senza sembrare un'ebete... Forse",
puntualizzò mentalmente.
Guy la fece entrare senza indugio, guardandola con immensa dolcezza e
facendola, naturalmente, arrossire. Kaelee si domandò se
avrebbe
mai smesso di farlo prima o poi.
«Ti ho svegliato io?», mormorò spostando
lo sguardo
alla tavola su cui appoggiò quella che sarebbe stata la loro
colazione.
«No», sussurrò avvicinandosi a lei con
un sorriso e
incastrandola tra sé e il tavolo. «E non ci
saresti
riuscita. Non ero nemmeno certo che qualcuno avesse bussato
davvero», ammise facendole battere fortissimo il cuore a
causa di
quell'inattesa vicinanza, a causa di quei muscoli pericolosamente
vicini alle sue mani.
«Vuoi dirmi che sei solito aprire a chiunque a petto
nudo?», scherzò ostentando una calma che non le
apparteneva nemmeno per sbaglio in quel momento e ridacchiando
nervosamente quasi sulle labbra di lui, desiderando nient'altro che
baciarle.
La risata calda e bassa di Gisborne si diffuse nell'ambiente rubando un
battito al cuore già in corsa di Kaelee.
«Di solito nessuno bussa alla mia porta all'alba, tranne i
miei
fratelli», soffiò. «E te»,
aggiunse prima di
baciarla.
Kaelee, che fino a quel momento aveva ancorato saldamente le dita al
bordo del tavolo, non poté trattenersi dall'accarezzare i
fianchi e la
schiena muscolosa dell'uomo. Sentirlo vibrare ad ogni suo tocco la
appagava moltissimo e non ne aveva mai abbastanza di momenti come
quello, perciò prolungò bacio e carezze
finché ebbe
fiato. Poi sospirò e sorrise a Gisborne.
«Sarà meglio che ti metta qualcosa
addosso», gli
disse, pur non essendo propriamente d'accordo con la parte pensante di
se stessa, sfiorandogli il petto ancora per qualche istante.
Anche Gisborne sospirò, le baciò la fronte ed
annuì chiedendole di aspettarlo.
Mentre provava a tornare in sé, Kaelee decise di distrarsi
svuotando il
cesto, prendendo una brocca da un ripiano e uscendo per riempirla
dell'acqua contenuta
in un barile che Guy teneva sul retro dell'abitazione e che andava a
riempire al pozzo del villaggio quando necessario. L'aria quasi
pungente del mattino attenuò le fiamme sul volto di Kaelee,
la
quale rientrando trovò Gisborne che allestiva la tavola
canticchiando il motivetto di una vecchia ballata che anche lei
conosceva. Rimase a guardarlo per una manciata di secondi durante i
quali Kaelee immaginò se stessa diversi anni più
tardi a
cullare un pargolo, rasserenata dalla voce e dalla presenza di Guy; fu
solo un attimo e si trattò solo di una delle molteplici
ipotesi
verificabili, eppure Kaelee si sentì subito a proprio agio
in
quello scenario sebbene non avesse mai manifestato uno spiccato
desiderio di maternità, né la voglia di unirsi in
matrimonio con un uomo. La frequentazione con Gisborne stava insegnando
a Kaelee che anche le più solide certezze non sono mai
incrollabili fino in fondo e che l'intero bagaglio di convinzioni che
ognuno si porta dietro nel corso della vita non era immune ai
cambiamenti se si aveva accanto una persona cacape di aprire nuove
strade, mostrare nuovi punti di vista. Kaelee era spaventata e confusa
da quella nuova scoperta, ma confidava nella rassicurante presenza di
Gisborne, perciò seppur destabilizzata dal futuro che la sua
mente le aveva proposto, si accomodò al tavolo con il suo
amato
e, alternando momenti di
tenerezza a slanci di
allegria, fece colazione con lui.
La ragazza, a costo di fare la figura della maleducata, intendeva non
perdersi neanche un dettaglio di Guy. Le interessavano tanto i
particolari della vita di lui prima che loro si conoscessero,
– e
per questo lo tempestava continuamente di domande – quanto i
particolari fisici dell'uomo; in quel momento era concentrata
sul
petto ampio, sulle spalle e sulle braccia di lui sebbene la sua pelle
fosse ora coperta da un sottile strato di leggera stoffa nera che gli
lasciava scoperti gli avambracci, permettendole di gettare uno sguardo
a
quella cicatrice davvero brutta che Guy recava sull'avambraccio destro.
Nonostante questo e le molte altre cicatrici che aveva individuato,
Kaelee non lo aveva mai trovato meno bello. L'uomo
le aveva già raccontato la storia di quel
tatuaggio, poi divenuto cicatrice per intervento dello Sceriffo Vaisey,
che gli aveva creato un po' di problemi quando
Robin, proprio grazie a quel segno distintivo, aveva capito che era
stato lui a
ferirlo a morte in Terra Santa anni prima. Per questo motivo lo
Sceriffo aveva ben pensato di cancellarne ogni traccia – e
quindi
anche le prove che a Nottingham si complottasse contro Re Riccardo e i
suoi Crociati
– grazie ad un misterioso
intruglio ustionante preparato da Djaq la Saracena. L'attenzone di
Kaelee aveva raggiunto picchi altissimi sentendo parlare di lei, una
donna, la prima donna della banda di Robin Hood. Da alcune storie
Kaelee aveva appreso l'esistenza
di un'infedele che combatteva per l'Inghilterra anche se Re Riccardo
aveva portato la guerra nella terra d'origine della donna, ma non si
era mai convinta della veridicità di quelle chiacchiere, non
conoscendo quasi nulla del passato di Robin Hood in Terra Santa,
perciò, avendone l'occasione, aveva
chiesto a Gisborne di approfondire l'argomento e lui
le aveva non solo confermato ciò che Kaelee aveva sentito
dire
in giro, ma anche raccontato di lei e di Will Scarlett, che insieme
avevano lasciato la
banda di Robin Hood l'anno in cui Lady Marian era morta.
Pian piano
Kaelee stava venendo a conoscenza di tutti i dettagli del turbolento
passato
dell'uomo che amava e questo non l'annoiava affatto, né la
induceva a cambiare idea su di lui.
«Tu non mi stai ascoltando», disse Gisborne
picchiettandole la mano con le dita per richiamarne l'attenzione.
Kaelee avvampò perché effettivamente non si era
nemmeno
accorta che l'uomo avesse parlato, concentrata com'era sui ricordi.
«Vuoi che ti racconti del tatuaggio?», le
domandò
con il sorriso sulle labbra, per nulla spazientito dalla distrazione di
lei.
«No, la ricordo. Ti chiedo scusa»,
mormorò, sinceramente di spiaciuta, intrecciando le dita
alle sue.
«Non era niente di importante», la
rassicurò rispondendo alla stretta.
I muscoli non erano l'unica caratteristica che Kaelee
adorava di lui, né quella su cui si concentrava
più spesso. Tra le altre, infatti, c'erano sicuramente i
capelli:
le piaceva da
morire il nero intenso che metteva in risalto i lineamenti del volto e
anche quegli occhi così meravigliosamente chiari; le piaceva
il
modo in cui gli si arricciavano le punte e le piaceva perfino l'aria da
cattivo che gli davano quando il suo sguardo diventava serio,
così, d'istinto, gli domandò se poteva pettinarlo
prima
di uscire. Due
secondi più tardi si sentì una stupida ed ebbe
paura che lui si sarebbe messo a ridere per l'infantilità
della
cosa.
E invece Guy accettò e per la prima volta la
invitò
a salire nella propria camera da letto. L'imbarazzo istantaneo che le
accese il viso, era una sensazione con cui Kaelee stava imparando a
convivere dal momento che l'aver vissuto insieme diverse situazioni
più o meno intime non aveva placato il fuoco che lambiva
ogni
volta la sua pelle. Non si era mai sentita a disagio insieme a Gisborne
ed era
certa che non ci fosse nessun intento malizioso in lui, esattamente
come quando il temporale li aveva sorpresi e costretti a rifugiarsi in
quella stessa abitazione, eppure, esattamente come quella
volta, Kaelee si trovava di nuovo davanti ad un contrasto interiore.
Alle prese
con i piccoli drammi del primo amore, con quelle scelte che non si sa
mai esattamente quando vadano prese, con quelle azioni che non si
riesce mai a capire se sia il momento giusto per farle o no e con tutta
l'incertezza che provava tentando di trovare la più corretta
definizione di "momento giusto", respirò
profondamente. Parlandone con Kate aveva capito che, prima di riuscire
a
controllare le proprie emozioni e gli irrazionali istinti che l'amore
era in grado di risvegliare, le ci sarebbe voluta probabilmente tutta
la vita. Sapeva che non era per
scoraggiarla che Kate le aveva parlato francamente, ma per rassicurarla
e aiutarla a vivere ogni momento pienamente e Kaelee ci stava
lavorando,
anche se non le era ancora ben chiaro quando, con esattezza, bisognava
lasciarsi andare e quando, invece, era necessario restare lucidi. Kate
aveva detto che il confine era lei stessa a determinarlo in base a
ciò che desiderava, ma dal momento che Kaelee era molto
confusa
in merito, si era ritrovata ad avere a che fare con un confine
ballerino e piuttosto dispettoso.
In tutto ciò, con ogni probabilità Gisborne non
aveva
idea della tempesta emozionale da lei vissuta perché Kaelee
non
era ancora riuscita a determinare nemmeno se
fosse più giusto metterlo al corrente del caos che aveva in
testa, oppure attendere di fare un po' d'ordine prima. Sballottata da
un
pensiero all'altro, da un'emozione all'altra, da un desiderio
all'altro, scelse di fare ciò che le riusciva più
semplice e spontaneo: sorrise all'uomo che amava.
Tenendola per mano, Guy la condusse al piano superiore senza
manifestare alcuna fretta.
Appena mise piede nella stanza dell'uomo, Kaelee poté notare
che
era non era affatto piccola e che era molto ben arredata, –
letto
matrimoniale compreso – ma quando stava per commentare
mentalmente lo specchio, Gisborne l'attirò a sé,
le
passò una mano
tra i capelli e la guardò negli occhi senza mai smettere di
sorriderle.
Il suo sguardo era liquido, limpido, incredibilmente profondo e
affascinante, dolce al punto che Kaelee non avrebbe mai potuto nutrire
alcun dubbio in merito alle sue intenzioni, non avrebbe mai potuto
avere paura di lui.
L'istante successivo, infatti, le loro bocche erano ad una distanza
tale che non
baciarsi sarebbe stato impossibile e del tutto insensato.
Come le era accaduto la prima volta, e la seconda, e la terza, e tutte
le altre, il suo cuore impazzì e lei desiderò
soltanto
non
doversi più staccare da lui. Poco le importava di come
avrebbe
gestito tutto il resto – Kate, il lavoro, i pasti, gli
allenamenti e le
perlustrazioni – quando era impegnata in attività
come
quella.
Kaelee aveva scoperto che perdere il senso del tempo era una cosa
possibile, che dimenticare dove ci si trovi senza prendere un forte
colpo alla testa era una cosa possibile, che sentirsi incredibilmente
felici nel giro di un attimo era una cosa possibile; aveva scoperto che
l'amore era ben altra cosa da quello che aveva visto animare la sua
abitazione a Edwinstowe, aveva capito che quando si viveva sotto lo
stesso tetto e si finiva per rivolgersi quasi esclusivamente
occhiatacce e non sfiorarsi neanche per sbaglio non poteva
essere
amore; Kaelee aveva avuto la conferma che andarsene da Edwinstowe era
stata la cosa migliore che potesse fare e per tutto questo, per Robin
Hood, per Kate, per Guy, Kaelee era una donna felice.
Le labbra di lui erano morbide e si
muovevano in sincrono con le sue, lentamente, ma non senza una buona
dose
di
passione, che a tratti le rendeva più audaci. Le braccia di
Guy
le si strinsero attorno al capo e alla vita, trattenendola in un
abbraccio d'amore a cui mai avrebbe rinunciato volontariamente. Kaelee,
infatti, non
sapeva più immaginare una vita che contemplasse l'assenza di
Gisborne e non osava neanche immaginare cosa le sarebbe successo, come
si sarebbe sentita, se
qualcosa tra loro fosse andato storto, perciò cercava di non
pensarci anche
se più il loro rapporto si intensificava, più
l'incubo
che i suoi fratelli la trovassero si faceva forte e terrificante. Si
diede della sciocca quando si rese conto che invece di pensare a tutte
quelle cose, tutte insieme, avrebbe fatto meglio a concentrarsi sul
bacio meraviglioso che Guy le stava concedendo così
inaspettatamente. E appena lo fece, mente e corpo presero fuoco
all'istante mentre l'immagine del letto sfatto di Gisborne le invadeva
la testa facendo correre a briglia sciolta i suoi pensieri in direzioni
fin troppo pericolose, verso
luoghi fin troppo caldi. Era letteralmente fuori controllo e quindi non
più padrona delle proprie azioni.
Guy adorava soffermarsi sulla bocca di Kaelee, perciò
prolungava
sempre molto volentieri un bacio accompagnandolo con dolci carezze
lungo la schiena o i fianchi di lei, tuttavia stava sempre attento a
non spingersi troppo, volendole
lasciare il tempo per fare ogni cosa gradualmente. Del resto l'amava e
lei amava lui, perciò perché farsi prendere dalla
fretta?
Aveva imparato sulla propria pelle che correre troppo con le donne non
aveva portato nulla di buono nella sua vita. Ricordava ancora tutte le
volte che Lady Marian aveva rifiutato un suo bacio e quanto questo lo
avesse fatto soffrire acuendo la sua rabbia nei confronti del mondo e
delle persone; solo ora comprendeva di aver sbagliato in tutti i suoi
tentativi di forzare la donna a cedergli, solo ora comprendeva che
regali e denaro non l'avrebbero mai avvicinato a Marian
perché
l'amore sapeva andare oltre alla ricchezza. Sebbene Gisborne di tanto
in tanto ripensasse alla donna, non significava
che c'era in lui ancora un sentimento per lei, ma rievocare quelle
esperienze gli era utile a ricordare a sé stesso che alcune
ferite non sarebbero mai a guarite
completamente e questa consapevolezza lo aiutava ad evitare di far
soffrire le persone che lo avevano accolto rendendogli possibile un
nuovo inizio – Robin in primis, la sua banda poi e infine gli
abitanti del villaggio. Tante volte, infatti, Guy era stato ferito in
battaglia e la
pelle si era sempre rimarginata in un modo o nell'altro; le ferite
dell'amore, invece, avevano il brutto vizio di restare sempre un
po' aperte, sempre pronte a far male se sfiorate.
Guy era conscio che con Kaelee fosse tutto molto diverso dal rapporto
che aveva avuto con Lady Marian, perché
lei
ricambiava totalmente il sentimento che provava nei suoi confronti,
ma temeva che, prendendosi troppe libertà, alla fine Kaelee
avrebbe
cominciato a detestarlo, a temerlo, ad evitarlo e ad interessarsi a
qualcuno che la amasse come meritava. Aveva trascorso tutta una vita a
tu per tu con
la violenza e ne aveva abbastanza: era cambiato, ma esserne consapevole
non bastava a convincere anche tutti gli altri e la dimostrazione
più lampante di questo ragionamento era Kate, che ancora non
riusciva a fidarsi completamente di lui. Guy aveva bisogno che Kaelee
gli credesse, che lo amasse per ciò che era diventato pur
conoscendo ciò che era stato, che si fidasse di lui anche se
a
volte cedeva ancora all'antica prepotenza.
Guy aveva bisogno di Kaelee, se ne rendeva conto ogni giorno di
più.
Quella mattina, però, nonostante tutti i buoni propositi,
non
riusciva
a smettere di baciarla e
senza neanche rendersene davvero conto, perso nel vortice d'amore che
stava vivendo e che tutte le volte la ragazza scatenava in lui,
socchiuse le labbra e sfiorò quelle di lei con la
lingua in un chiaro invito ad imitarlo. Non riuscì a
pentirsene, ripetendosi invece che Kaelee era una ragazza tutt'altro
che debole e
che se non avesse gradito glielo avrebbe fatto certamente capire,
fermandolo o prendendolo a pugni se necessario. Anche se non era mai
riuscito a strapparle nessuna informazione, nessun aneddoto, sul
rapporto che aveva con i fratelli, Gisborne era convinto che Kaelee non
fosse il tipo di ragazza che si fa mettere i piedi in testa e le mani
addosso senza lottare con tutte le forze, quindi la credeva capace di
occasionali atti di violenza a puro scopo difensivo.
"Quando l'ho guardata per la prima volta, ho visto soltanto una ragazza
minuta, non soltanto esile, ma anche bassa, tutta piccola quasi fosse
ancora poco più che un'adolescente. Ma stavo solo sfiorando
la
superficie al di sotto della quale esiste una donna forte e tenace",
pensò.
I capelli di lei attorcigliati
alle sue dita, quasi ad imitare le emozioni più che mai
aggrovigliate, erano piacevoli come estremamente piacevole era anche
il
calore della schiena inarcata a contatto con il proprio palmo,
premutovi
contro per trattenerla. Con sua grande sorpresa,
Kaelee,
invece di ritrarsi come pensava avrebbe fatto, assecondò con
naturalezza quel bacio mettendo così in allarme la parte
sempre
vigile di lui – quella stessa parte che aveva considerato ed
escluso immediatamente l'ipotesi di arrivare al letto.
Kaelee vibrò di sgomento e di piacere nel sentire la lingua
di Guy stuzzicarla
in quel modo per lei completamente nuovo e non riuscì a
resistere all'istinto di
socchiudere
a propria volta le labbra. Anche se non aveva idea di come si facesse
esattamente, il pensiero che chi stava baciando era la persona che
sopra ogni cosa amava, la rassicurò rendendola
più audace, spazzando via ogni timore, dubbio e pensiero
razionale.
Fu un bacio più umido degli altri, ma questo non
infastidì per nulla Kaelee, la quale, anzi, ebbe
l'ennesima conferma di quanto sarebbe stato difficile non desiderare
Gisborne tutto per sé in ogni momento del giorno e della
notte.
Nell'attuale situazione emotiva, Kaelee trovava difficoltoso perfino
immaginarsi a decorare un vaso insieme a Rebecca e alle altre donne e
ragazze del villaggio senza pensare alle proprie dita che stringevano,
sollevavano e sfilavano la stoffa nera svelando un petto scolpito e
caldo, che lei avrebbe accarezzato fino a sentire male alle mani.
Intrecciò ancora la lingua a quella di Gisborne e
pensò
nuovamente al suo letto sfatto, chiedendosi perché Guy non
avesse ancora spinto entrambi in quella direzione, domandandosi cosa
stesse aspettando a farlo visto che tutti e due stavano evidentemente
prendendo fuoco sebbene nella stanza non vi fosse alcun camino acceso.
Per un attimo prese in considerazione l'idea di rendersi lei stessa
protagonista di quel gesto più che mai sfacciato e che
implicava conseguenze che Kaelee non riusciva a valutare in quella
situazione. Perciò la ragazza non fu per niente d'accordo
quando
sentì che l'uomo si scostava delicatamente da lei,
decidendo, senza fiato e per entrambi, che per quella mattina poteva
bastare.
Sollevando lo
sguardo per incontrare quello di Guy, Kaelee sperò che fosse
solo la
fine del primo round e che Gisborne avesse soltanto bisogno di
riprendersi prima di continuare con quelle effusioni, ma appena
notò il leggero
rossore sulle sue
gote sentì le labbra tendersi in un sorriso di spontanea
contentezza.
"Possibile che sappia essere perfino più irresistibile di
quanto
non sia normalmente?", si chiese mentre lui appoggiava la fronte contro
la sua e si lasciava
andare ad una leggera risata.
«Non dovresti permettermi di baciarti in
questo modo», mormorò con un tono per nulla
convincente,
senza smettere di ridacchiare in quel modo adorabile.
Solo
quando tornò a percepire davvero che attorno a
lei, a parte le braccia di Guy, esisteva una realtà fatta di
abitazioni,
persone e villaggi Kaelee si accorse anche di avere il respiro
alterato almeno quanto quello di lui e di essersi spinta molto oltre il
limite del lecito con la fantasia; le mancava l'aria, ma stranamente la
sensazione non era di
soffocamento.
Era qualcosa di più piacevole:
l'eredità di un atto d'amore.
Scoppiò a ridere alle parole di Gisborne, dandogli subito
dello
sfacciato.
«Se solo non aprissi la porta a petto
nudo...», mormorò affibbiandogli quindi tutta la
colpa.
«Ho indossato quasi subito la blusa»,
soffiò in una tenera giustificazione.
«Ma poi mi hai baciata in questo modo»,
obiettò con un filo di malizia nella voce.
Lui annuì. «Mi perdonerai se ti dico che non me ne
pento e che lo rifarei. E poi tu non mi hai fermato».
Kaelee si morse piano il labbro inferiore e affondò il viso
sul
petto di lui volendo prolungare ancora un po' la gioia immensa che
provava sempre quando poteva abbracciarlo. Per la prima volta nella sua
vita si sentiva protetta e questa consapevolezza la rendeva forte e
debole al tempo stesso: forte, perché se era con Guy nessuno
avrebbe potuto farle del male, nessuno avrebbe potuto torcerle un
capello e qualsiasi cosa l'avesse minacciata dall'interno o
dall'esterno di sé, l'avrebbe affrontata e sconfitta insieme
a lui; e debole perché sapeva che Gisborne sarebbe arrivato
a combattere,
non
solo metaforicamente, pur di tenerla lontana da ogni sofferenza, come
era consapevole di quanto entrambi avrebbero lottato pur di
appartenersi e non perdersi per evitare di morire in una lenta agonia
di solitudine e vuoto.
Kaelee non aveva mai amato prima, eppure dentro di sé
sentiva che perdere l'amato l'avrebbe annullata completamente. Pensieri
come questo, di tanto in tanto, la tormentavano facendo traballare la
terra sotto ai suoi piedi e imponendole di porsi tutte le domande
possibili ed immaginabili, sommergendola di dubbi e timori di ogni
genere, spaventandola con scenari che razionalmente Kaelee
riteneva improbabili, ma che andavano a nozze con il violento Sir Guy
di Gisborne di cui aveva ascoltato gli atti più crudeli.
Paradossalmente, Kaelee sapeva che la serenità provata in
quel frangente dipendeva proprio dalle braccia di Guy che, teneramente,
le accarezzavano la schiena senza pretendere nient'altro che dolcezza
ed emozioni pure e semplici.
Nello sciogliere l'abbraccio, diversi minuti più tardi,
Kaelee vide Gisborne chinarsi per baciarle la spalla lasciata nuda
dall'abito appiccando così, a sua insaputa, un piccolo
incendio sulla sua
pelle, di nuovo. Poi le
chiese se volesse ancora sistemargli i capelli.
I due si avvicinarono quindi allo specchio e Kaelee fece sedere Guy,
così da avere libero accesso alla sua chioma corvina. Nel
mentre parlarono molto e Kaelee approfittò per farsi
raccontare nuovi aneddoti sulla vita dell'uomo che le aveva
letteralmente rubato il cuore, come un ladro gentile che portandole via
tutti i suoi averi le avesse lasciato un fiore ed un biglietto di
scuse. Si ritrovò a sospirare.
Per Guy non era stato affatto semplice fermarsi, sedare le fiamme della
passione e del desiderio, senza risultare brusco o completamente pazzo.
Se fosse dipeso soltanto da lui e se non ci fossero stati sentimenti
importanti in gioco, con ogni probabilità a quel punto
sarebbe stato beatamente avvinghiato al corpo della donna, tra le
lenzuola, impegnato in un atto che troppe volte aveva compiuto senza
emozionarsi mai davvero. Gisborne era tutt'altro che un uomo dalla
ferrea morale e, come la maggior parte dei nobili dell'epoca, aveva
considerato le donne come un mezzo per raggiungere il proprio piacere
personale. Poi si era imbattuto in Lady Marian e il suo cuore aveva
perso un battito, facendogli scoprire l'amore e un nuovo tipo di
rispetto ben diverso da quello che portava per lo Sceriffo Vaisey, un
rispetto che implicava dolcezza e pazienza –
qualità che non gli appartenevano, ma su cui aveva provato a
lavorare con risultati inizialmente disastrosi.
Grazie a Marian prima e Meg poi, poteva amare Kaelee senza mancarle di
rispetto, senza risultarle prepotente, senza forzarla, controllando i
propri istinti e lasciando che il tempo facesse il suo corso. Il lavoro
che aveva fatto su se stesso, inoltre, non andava soltanto a vantaggio
della giovane donna di cui Gisborne si era invaghito, ma gli avevano
anche permesso di godere di piccoli gesti – che non sarebbe
stato in grado di apprezzare altrimenti – come le piccole
dita di Kaelee che tentavano di sciogliere delicatamente i nodi tra i
suoi capelli.
Le stava raccontando di quando, da bambino, Robin aveva combinato un
disastro uccidendo quasi un uomo pur di mettersi in mostra e aveva
lasciato che la colpa ricadesse su di lui dal momento che la freccia
incriminata proveniva dalla sua faretra e non da quella di Robin; ma,
appena si accorse del sospiro di Kaelee, Gisborne si fermò e
se le gettò un'occhiata dallo
specchio per verificare che fosse tranquilla. Non stava condividendo
con lei
nulla di troppo delicato, nessun episodio violento, ma quando si
trattava del proprio passato lui
ci andava sempre con i piedi di piombo, temendo sempre che lei potesse
inorridire prima o poi. Eppure si sentiva più sereno da
quando aveva cominciato a parlarne, sebbene non avesse mai creduto di
poter riuscire a farlo così liberamente, men che meno con
Kaelee, e aveva scoperto che dire ad alta voce tutto ciò che
aveva
vissuto era un modo efficace per accettare e superare ogni cosa. Se
questo
però fosse diventato un problema per la donna che amava, lui
non
ci avrebbe pensato su nemmeno un attimo prima di smettere con quei
racconti.
In risposta Kaelee gli accarezzò le spalle e gli sorrise,
rassicurandolo istantaneamente. A volte Guy aveva la sensazione di non
avere segreti per Kaelee, che lei riuscisse a comprendere ogni sua
emozione semplicemente guardandolo in faccia.
«Anche il grande Robin di Locksley ha i suoi
difetti», commentò.
«Era solo un bambino molto competitivo»,
sospirò Gisborne ricordando con inaspettata tenerezza quelle
vicende, momenti di una vita ancora tranquilla in compagnia di sua
madre e di sua sorella. Fu lui a sospirare stavolta, prima che Kalee
cambiasse argomento.
«Qualche giorno fa ho chiesto a Kate di parlarmi di te. Mi ha
detto che un tempo non
portavi così i capelli e che il tuo abbigliamento era un po'
più elaborato», gli
disse
sorridendo al riflesso di entrambi.
«Kate ti ha detto questo?», domandò,
scettico.
«Tra le altre cose», ammise in un sussurro
imbarazzato.
Gisborne
le rivolse un sorriso e allungò una mano verso quella di
lei, che ancora gli accarezzava la spalla.
«Si sono allungati negli anni, è vero»,
confermò, «Riguardo
al vecchio Sir Guy conservo ancora qualcosa. Ti mostrerò i
suoi abiti
appena finisci qui», concluse baciandole dolcemente le dita.
Foresta
di Sherwood.
Robin
e Much, stavano facendo uno dei consueti giri di
controllo per proteggere Locksley e far scoprire la foresta ai
volontari del villaggio che decidevano di accompagnarli. Insieme a loro
tre giovani arcieri,
che promettevano molto bene, non tentavano nemmeno di nascondere
l'emozione che provavano per aver avuto occasione di poter fare
quell'uscita in compagnia di Robin Hood
in persona: non la smettevano di bisbigliare tra loro, sacrificando una
buona fetta di attenzione, e sorridevano di continuo immaginandosi, un
giorno, così capaci come arcieri da poter incoccare tre
frecce insieme proprio come faceva il loro mentore.
Se questo infastidiva Much, che aveva ancora
il vizio di prendere tutto troppo sul serio, non riusciva a guastare
invece l'umore di Robin, il quale alla fine si unì al
chiacchierare
dei ragazzi.
La foresta di Sherwood, da quando le cose si erano messe a posto, non
era più minacciosa come quando Robin e i suoi uomini erano
dei
fuorilegge, ma nonostante questa consapevolezza e il fatto che dopo
l'episodio con
Little John, Archer e Kaelee non si erano più verificate
anomalie, Much non era per niente tranquillo. Continuava a guardarsi
intorno, sospettoso, come se un sesto senso gli annunciasse che
qualcosa
di pericoloso si sarebbe presentato di lì a poco a rompere
la
pace di Locksley e della foresta. Non faceva altro che pensare al
momento in cui sarebbero rientrati, alla cucina e a Kate. Non
esattamente in questo ordine.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 10/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Sono stata costretta a dividere questo capitolo in due parti
vista la
quantità di avvenimenti da raccontare. Fino ad ora avevo
soltanto
accennato alla famiglia di Kaelee, ma è arrivato il momento
di
approfondire la questione, motivo per cui ho così tanto da
dire.
Anche se non intendo scendere nei dettagli più intimi di
questi nuovi personaggi,
è comunque doveroso dare loro
la giusta impronta.
Quindi credo sia anche il caso di fare un riepilogo schematico sui
fratelli di Kaelee, ricordando che le vicende sono ambientate nel 1194:
- Dwight, nato a Edwinstowe nel 1160, 34
anni;
- Rudyard, nato a Edwinstowe nel 1163, 31 anni;
- Willard, nato a Edwinstowe nel 1166, 28 anni;
- Aric, nato a Edwinstowe nel 1172, 22 anni;
- Kaelee, nata a Edwinstowe nel 1174, 20 anni.
Inoltre voglio precisare, per chi legge questa storia come
un'originale, che tra i vari scenari in merito alla figura di Robin
Hood che ho inserito all'inizio c'è anche il finale della
serie
tv a cui i personaggi appartengono (Robin muore a causa di una
leggerissima
ferita al collo causata, però, da una lama avvelenata da
Isabella con il veleno che le aveva dato Guy affinché si
uccidesse prima di una pubblica esecuzione; con la stessa lama Isabella
trafigge anche Guy, in contemporanea con lo Sceriffo, uccidendolo;
anche Allan muore, ma trafitto dalle
frecce dello Sceriffo Vaisey mentre tenta di avvisare la banda che
Isabella li ha imbrogliati tutti e che Vaisey è ancora in
vita anche se per poco: sia lui che
Isabella saltano in aria insieme a Nottingham grazie ai barili di fuoco
greco predisposti da Tuck e innescati da una freccia infuocata
scagliata da Robin prima di morire). La storia del tatuaggio di
Gisborne è raccontata nella serie tv, ecco perché
non mi
ci sono soffermata a lungo, così come l'accenno ad un
ricordo di Guy e Robin da bambini, ma se ci fossero domande in merito
sono a
disposizione. In quanto a Djaq la Saracena e Will Scarlett,
tornerò a parlare di loro più avanti.
Ciò detto spero di aver tenuto alta la vostra attenzione
fino
alla fine, vi ringrazio per aver letto la storia e vi dò
appuntamento alla seconda parte del capitolo. Un enorme
grazie a
chi recensirà.
A presto!
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Capitolo 9 *** ...To Locksley ***
RudyardII
...To Locksley – Parte Seconda
Edwinstowe.
«Mio orgoglio! Mia unica soddisfazione!»,
squittì la
madre di Aric e lui se la immaginò mentre avvolgeva il viso
di
Rudyard con entrambe le mani. «Non tenermi sulle spine e
dimmi,
deliziami con le nuove da York. Allora? Hai trovato quella
disgraziata? Ho in serbo per lei tanti di quei calci nelle reni che...
Ah! Ma non farmi parlare oltre o perderò la grazia di Nostro
Signore che punirà me, anziché lei! Dimmi,
Rudyard,
dimmi», continuò facendo inorridire Aric, che ce
la
metteva tutta per non tradire la sua presenza.
«Madre, vogliate perdonarmi se non ho con me la
screanzata», esordì Rudyard. «Ma ve la
porterò. Presto. Avete la mia parola»,
mormorò con un tono così persuasivo che Aric
rabbrividì.
«Ti perdono. Parla, figlio mio»,
acconsentì lei con un po' di entusiasmo in meno rispetto a
prima.
«Sir Guy di Gisborne è davvero stato a York con
quel frate», confermò.
Ad ogni pausa l'ansia di Aric cresceva e il suo bisogno di mettersi in
moto anche.
«Chi è, esattamente, questo Gisborne?».
«Madre, ascoltatemi bene. Gisborne ha militato nei Cavalieri
Neri, ha vissuto per anni accanto allo Sceriffo di Nottingham ed ama
spargere sangue», spiegò concitatamente.
«Parli di lui come se lo conoscessi»,
replicò la madre.
Seguì un breve momento di silenzio e Aric maledì
la propria posizione che gli impediva di vedere qualsiasi cosa, sebbene
sentisse tutto molto chiaramente.
«Non vi deluderò, madre, fidatevi di me.
Troverò colei che ci ha disonorati e mi
assicurerò che abbia il trattamento che merita»,
mormorò Rudyard con voce maligna.
«Me lo auguro», borbottò.
«Statene certa invece! Sono ad un passo dalla svolta. Io e
Willard andremo a Locksley».
«Oh, non farmi dannare! Sii più preciso e
raccontami tutto per bene. Non prenderti gioco di una donna che non ha
più la mente veloce come un tempo! Perché sei
convinto di trovare a
Locksley ciò che non hai trovato fino ad ora qui
intorno?».
«Prestate molta attenzione, madre, e seguite il mio
ragionamento. Quel frate giunto a York, arrivava dal villaggio di
Locksley con il suo compare Gisborne. E sapete chi risiede a Locksley,
mia amata genitrice?».
«Chi, figliolo? Chi?», chiese impaziente.
«Robin Hood».
Aric si convinse di aver sentito abbastanza e seppe di non poter
più restarsene fermo.
Mentre il secondogenito pianificava nel dettaglio, forte della
soddisfazione di sua madre, la nuova tappa della personale ricerca
dell'altrui infelicità, il minore tra i maschi si
fiondò di nuovo fuori
casa e, correndo come se un paio d'ali gli rendesse più
leggeri
i piedi,
raggiunse per la seconda volta in un giorno l'unico amico che aveva.
La situazione era precipitata così velocemente e Aric era
così sconvolto, che non sarebbe mai riuscito ad affrontare
tutto da solo, necessitando invece il supporto del suo giovane amico,
il quale dovette davvero restare colpito dalla sua angoscia visto che
ritenne opportuno
chiedere all'oste, suo padrone,
di potersi allontanare dalla taverna per qualche ora anche a costo di
non essere retribuito per il tempo perso. Per Aric fu l'ennesima
dimostrazione che
l'amicizia che li legava da quando erano bambini era profonda e
sincera, priva di un
qualsiasi interesse.
Chissà per quale miracolo, quel giorno
l'oste fu comprensivo e li lasciò andar via insieme.
Si recarono quindi, in gran fretta e senza farsi vedere, al granaio
presente nell'appezzamento di terra della famiglia di Aric, dove
quest'ultimo ebbe modo di ringraziare degnamente il suo amico per
l'impagabile aiuto che gli stava dando.
A furia di origliare le conversazioni di Rudyard e Willard, Aric era
diventato una presenza silenziosa capace di stare dove voleva senza
essere scoperto, aveva imparato a muoversi quasi
senza far rumore e, soprattutto, aveva imparato a svignarsela quanto
più velocemente possibile mosso da impellente
necessità, proprio lui che si era sempre sentito fuori posto
nel dover svolgere un'attività che lo coinvolgesse
fisicamente.
Era cambiato molto da quando sua
sorella era andata via: si era messo a studiare Rudyard
appena aveva capito che sarebbe stato lui, un giorno, il nemico da
abbattere e sapeva quindi per certo che lui mai
avrebbe messo piede nel granaio, perché già
si vedeva Lord di qualche città, Sceriffo tiranno incubo
della
popolazione, e non si abbassava più a coltivare la terra o a
raccoglierne i frutti. Aric non aveva faticato a capire che Rudyard,
nella sua stessa immaginazione e in quella di
sua madre, era il nobiluomo di casa e guai a chi gli chiedeva anche
solo di prendere l'acqua dal pozzo; sua madre già se lo
vedeva Cavaliere: Sir Rudyard di Edwinstowe. Il solo pensiero faceva
venire la
nausea tanto a lui quanto a Dwight, Aric ne era sicuro, che
più di tutti
doveva
sorbirsi gli stupidi vaneggiamenti di quei due.
Quindi il giovane fece nascondere
l'amico nel granaio, raccomandandogli di non muoversi per nessuna
ragione al mondo prima del suo rientro e di iniziare ad allarmarsi se
non l'avesse visto tornare nel giro di mezz'ora, poi corse a chiedere
l'aiuto di
Dwight pregando la Santa Vergine che potesse aiutarlo a compiere quella
missione.
Non era per niente certo di riuscire a ingraziarsi il favore del
primogenito, di
docici anni più grande e diverso da lui al punto da non aver
mai
trovato un vero punto di incontro che potesse avvicinarli,
ma non provarci equivaleva ad un rifiuto oltre che ad un insuccesso
definitivo, perciò, nel dubbio, Aric
si
fece coraggio, pur conoscendo i tormentati pensieri che riempivano la
mente di suo fratello. Dwight era stato, infatti, ad un passo dal
matrimonio l'anno
precedente; aveva appena potuto assaporare la lucentezza e la
libertà dell'amore, poiché il destino gli era
avverso e a pochi
mesi dalla cerimonia che lo avrebbe unito alla donna che amava, quel
fato gliel'aveva portata via uccidendola con una malattia ritenuta
inguaribile e da
quel
momento Dwight non era stato più lo stesso: parlava poco,
passava gran parte del proprio tempo in solitudine e non aveva
più guardato una donna negli occhi, esclusa Kaelee
– sebbene solo da lontano. Poi
anche
lei era andata via e Dwight era diventato ancora più triste
e
schivo, dettagli che non incoraggiarono affatto Aric, il quale dovette
appellarsi a tutta la sua determinazione per portare a termine con
successo il proprio compito. Non fu affatto facile indurre Dwight a
smettere di fare ciò
che stava facendo – Aric non si rese neanche conto di
ciò
che
effettivamente suo fratello stava facendo, tanta era l'urgenza che lo
costringeva a venir meno alla parola data a Kaelee, seppur stesse
infrangendo la promessa solo per proteggerla –
senza anticipargli niente; e ancor più difficile fu
trascinarlo
via dalla tenuta, in cui in quel
momento Rudyard stava elaborando piani malvagi insieme a sua madre,
perché l'ultima cosa che Aric desiderava era essere scoperto
e preso a cinghiate nel cuore della notte dal secondogenito.
Ma le preghiere di Aric, quel giorno, dovevano essere state ascoltate
ed esaudite
– forse insieme al contributo del tono convincente che aveva
usato
– perché il ragazzo
riuscì nell'intento. Nel periodo in cui aveva segretamente
protetto sua sorella, Aric aveva potuto infatti sperimentare il lato
persuasivo che era in lui e che lui non
credeva neanche di avere; aveva scoperto di non essere soltanto bravo
ad osservare la Natura ed i
suoi misteriosi e affascinanti fenomeni, ma di saper anche leggere
dentro le
persone, scendere silenziosamente nelle loro vite e scovare i punti
migliori su cui far leva per ottenere ciò di cui aveva
bisogno.
L'amico che lo attendeva nel granaio era esonerato dalla messa in
pratica di queste tecniche, naturalmente, perciò Aric si era
esercitato con la gente del villaggio e si era reso conto di quanto
fosse vantaggiosa per lui quell'inaspettata dote, considerata la
posizione
in cui si trovava e il bisogno costante di ottenere informazioni.
In
breve tempo si trovarono quindi tutti e tre nel granaio, al riparo da
occhi e
orecchie
indiscreti, ed Aric poté raccontare ogni dettaglio della
storia a partire dalla finta scomparsa di Kaelee.
Nell'animo di Dwight, dopo che ebbe ascoltato suo fratello, balenarono
nel
giro di pochi attimi una
quantità indefinita di emozioni, dalla sorpresa alla
collera, al
risentimento, all'impossibilità di accettare che Kaelee
avesse
preferito inseguire un sogno da sola che chiedere l'aiuto dei suoi
fratelli, al senso di inutilità che lo invadeva, alla
sensazione
di aver fallito pure come fratello maggiore, dalla rabbia alla
tristezza, all'amarezza soffermandosi infine sulla paura.
«Hai
una vaga idea di cosa significhi tutto questo?»,
domandò ad Aric. «Hai
messo in grave pericolo il tuo amico. Ma come ti è venuto in
mente? Avresti
dovuto parlarne subito con me»,
continuò Dwight, animato dalla sua caratteristica ferocia
tranquilla, quel tipo di furia che gli si incastrava negli occhi e non
raggiungeva mai i toni di voce inducendolo a parlare pianissimo, quasi
a voler ringhiare.
«E
tu sai cos'è una promessa? Sono l'unico di cui si sia mai
fidata. Quando nessuno di voi aveva il coraggio di guardarla in faccia
dopo che nostra madre ha combinato quell'assurdo matrimonio per lei, io
ero lì. Sarò anche inutile nei campi, non
saprò
usare armi e avrò preso decisioni avventate, Dwight, ma ero
lì», rispose Aric con
una determinazione che Dwight non gli avrebbe mai attribuito; una
determinazione in cui il primogenito non rinvenne
alcun accenno
di
accusa, né di rimprovero nei suoi
riguardi e in quelli dell'intera famiglia.
«È
inutile
sprecare tempo a redigere un elenco delle mancanze, degli errori, delle
cose solo pensate», continuò Aric.
«C'è in ballo la vita di nostra sorella e tanto
basta, convieni con me?», domandò guardandolo
dritto negli occhi.
Dwight comprese in fretta che l'intento di Aric era quello di trovare
un valido alleato con cui
fronteggiare Rudyard e poter salvare Kaelee non soltanto da un
matrimonio forzato, ma da sofferenza e tristezza senza fine,
così, dopo aver osservato suo fratello per diversi minuti,
riflettendo su quando gli aveva appena raccontato, Dwight prese la sua
decisione.
«Cosa sai degli ultimi piani di Rudyard?», chiese
infine.
«Un
uomo di Robin Hood in compagnia di Sir Guy di Gisborne ha attirato a
sua
insaputa l'attenzione di nostro fratello», spiegò
Aric in modo conciso. «Lui ora vuole andare a Locksley. Non
so cosa
abbia capito di tutta la vicenda, ma di sicuro troverà
Kaelee e la coglierà impreparata sebbene lei abbia la
protezione di tutta la banda ed in particolare di Gisborne e Allan A
Dale», precisò, tradendo tutta la sua
preoccupazione nel tono di voce strozzato con cui gli si rivolgeva.
Dwight sgranò gli occhi al nome dell'ex braccio destro dello
Sceriffo di Nottingham e
la sorpresa non era dovuta solo al fatto che un violento se ne andasse
in giro con un uomo di Robin Hood, né al fatto che sua
sorella Kaelee ne avesse ottenuto in qualche modo la protezione
– sebbene questo lo allarmasse notevolmente. La sua
preoccupazione
derivava, invece e soprattutto, da un particolare di cui Aric non
poteva essere a conoscenza e che avrebbe giocato un ruolo importante,
se non decisivo in quella faccenda.
Dwight non aveva tempo di rivolgere ulteriori domande ad Aric in merito
alla situazione di Kaelee a Locksley, né aveva tempo di
condividere con lui le informazioni che possedeva su Rudyard e
Gisborne, perciò pensò in fretta ad un piano
destinato a
subire migliorie in itinere.
«Cavalcherai
con me fino a Locksley. Seguiremo da una distanza strategica Rudyard e
Willard ed interverremo al momento più opportuno»,
disse cercando di sembrare irremovibile. Tutto ciò di cui
non aveva bisogno era una serie di ragionevoli obiezioni da parte di
suo fratello o dell'amico di lui.
«Intendi
farli arrivare a Locksley?», esclamò Aric,
apparendo
disgustato da
quell'eventualità. «Non ho chiesto il tuo aiuto
per assistere in compagnia alla rovina di Kaelee»,
affermò voltandogli le spalle.
«Non discutere Aric. Ho più esperienza
di te e conosco meglio di te Rudyard», replicò.
«Su questo avrei da ridire»,
brontolò, non del tutto in torto, Aric.
Dwight lo guardò intensamente negli occhi. «Fidati
di me, fratello. Mi hai dato una ragione per lottare e non intendo
tirarmi indietro», mormorò persuasivo e sincero.
«Vengo con voi», si intromise all'improvviso una
voce.
Dwight osservò attentamente l'amico di suo fratello Aric,
apprezzandone la volontà di rendersi
utile ad una causa che neanche gli apparteneva direttamente, e quasi si
convinse ad accordargli il permesso, intravedendo in lui la concreta
possibilità di risolvere positivamente la triste situazione
in cui si era venuto a trovare visto che sarebbero stati in
superiorità numerica, ma poi ripensò alla
facilità con cui Rudyard aveva ucciso sconosciuti
per
capriccio e decise che non poteva caricarsi di quella
responsabilità così grande, non poteva portare
con sé quel ragazzino nella consapevolezza che Rudyard, se
le cose si fossero messe male, gli avrebbe fatto del male soltanto per
veder soffrire Aric. Per un attimo Dwight
pensò di lasciare a Edwinstowe anche suo fratello, troppo
inesperto per potergli essere d'aiuto in uno scontro. "Senza di lui,
però, non sarei a conoscenza dei piani di Rudyard e di molte
altre cose", pensò e, di nuovo, si vide costretto a
prendere una decisione. Forse avrebbe deluso Aric, il cui sguardo in
quel momento brillava di entusiasmo, ma avrebbe salvato la vita al
più caro amico di lui almeno.
Dwight si avvicinò al ragazzo, gli strinse una spalla e
scosse il capo.
«Hai
già fatto molto per questa famiglia e rischiato abbastanza
per
noi. Ti siamo infinitamente grati per la lealtà che hai
dimostrato e per l'affetto che ti lega a mio fratello. È un
uomo
fortunato ad averti come amico», disse. «Non
occorre che metta in pericolo te stesso e i tuoi familiari. Se Rudyard
ti sapesse coinvolto non esiterebbe un attimo a lasciarti per ultimo
soltanto per far sì che tu assista alla barbara uccisione di
tutti i tuoi cari», concluse, parlando con estrema franchezza
e sperando così di sembrare
abbastanza convincente. Né il giovane né Aric,
infatti,
avevano pienamente idea di ciò che sarebbe loro toccato in
sorte se, avendo deciso di mettersi contro Rudyard, avessero poi perso
la
battaglia e Dwight li riteneva troppo giovani per consentir loro di
sprecare la vita a causa dell'immane violenza di quello che, suo
malgrado, era suo
fratello. Forse, se la fortuna per una volta fosse stata dalla sua
parte, sarebbe riuscito a riportare sano e salvo Aric a Edwinstowe.
Mentre parlava aveva la mente era già in moto per elaborare
la
strategia migliore, la tattica più adeguata, che gli avrebbe
consentito di percorrere
la
strada più sicura e scegliere il mezzo di trasporto
più
veloce e silenzioso a disposizione. Tra tutte queste idee
però, riecheggiava, spaventoso, un nome.
Sir Guy di Gisborne.
Foresta di Sherwood.
«Che cos'era? L'avete sentito anche voi,
padrone?», domandò Much, reso ancora inquieto da
quella spiacevole quanto inspiegabile sensazione.
Sebbene nessuno lo obbligasse a servire ancora, materialmente parlando,
Robin Hood – né quest'ultimo ne pretendesse i
servigi, ritenendolo
invece suo grande e fedele amico – Much non
aveva mai smesso di considerarsi legato a
Robin di Locksley, perché la sua era una più una
condizione di spirito che un vincolo persistente nel mero bisogno di
avere un alloggio e nella speranza di migliorare la propria situazione
economica.
Much era a tutti gli effetti un uomo
libero e da uomo libero viveva da quando Re Riccardo aveva restituito
quel privilegio a tutti i componenti della banda di fuorilegge che
aveva ostacolato con forza le mire del Principe Giovanni e dei suoi
servitori; eppure l'uomo, che si era infine separato dal suo
caratteristico copricapo ingrigito
lasciando splendere la capigliatura bionda, continuava ad essere
estremamente protettivo nei confronti di
Robin: lo seguiva, lo consigliava, lo ascoltava, era non la sua ombra,
ma il mantello che lo avrebbe riscaldato nelle notti di gelo. In parole
povere
Much gli
voleva un gran bene, anche se non gli era mai riuscito di esprimerlo
realmente a
parole senza iniziare a balbettare o a dire sciocchezze di vario genere.
Il leggendario arciere, forse allarmato dal tono di voce che Much aveva
usato, tese le orecchie probabilmente in cerca di un rumore anomalo e
non trovandolo rivolse all'uomo uno dei suoi ampi sorrisi che subito
gli riscaldarono il cuore ricordandogli i vecchi tempi.
«Non c'è niente qui, Much. A parte
alberi, animali e noi», gli rispose. «Rilassati
e goditi il paesaggio insieme a noi».
Much non lo prese come un rimprovero o un ordine, perché
l'allegria nella voce di Robin era palpabile – e Much proprio
non
riusciva a spiegarsi come fosse possibile essere così
rilassati dopo tutto quello che avevano passato nella foresta, dopo
tutte le imboscate subìte e i pericoli cui erano
miracolosamente scampati
– eppure, pur
provandoci, non gli riuscì affatto di tranquillizzarsi e
continuò ad
avere la sensazione che stesse per accadere qualcosa di davvero brutto,
solo non era in grado di determinare da dove sarebbe potuto arrivare
l'eventuale
pericolo, in cosa avrebbe potuto consistere, chi ne sarebbe stata la
causa e quando avrebbe colpito.
Il chiacchiericcio dei giovanotti esaltati per avere l'onore di
cavalcare con Robin Hood, non lo aiutava affatto a migliorare la
situazione, anzi, avrebbe presto finito per farlo irritare
ulteriormente.
"Tutto questo chiasso per una cavalcata!", pensò. "Io che ho
condiviso con lui ogni cosa che dovrei fare? Capriole tutto il
giorno?", si chiese provando a distrarsi con ricordi più
piacevoli.
La settimana successiva.
Piazza del Mercato,
Locksley.
Little John, Tuck e Allan trasportavano pesanti casse contenenti i vasi
prodotti dalla madre di Kate, – e da tutti gli abitanti del
villaggio
che l'avevano aiutata – archi e frecce appositamente
costruiti per
l'occasione, armi bianche forgiate in quantità, ceste
intrecciate
dalle
donne di Locskely, tessuti e stoffe sapientemente colorati e molto
altro ancora, il tutto pronto a partire per Nottingham. La
ricostruzione della città era stata infine completata, in
tempi brevissimi, a dimostrazione che la collaborazione portava solo
bene alla collettività e al
posto del vecchio Castello era stata eretta una Fortezza atta ad
ospitare tutta
la popolazione della città e dei villaggi più
vicini in
caso di pericolo; erano inoltre già state avviate diverse
attività che
avrebbero permesso all'economia di rifiorire pian piano con la
collaborazione di tutta la Contea e quel giorno si era
deciso che, anziché tenersi a Locksley, il Mercato si
sarebbe
svolto a Nottingham: un segno di pacifica alleanza e l'occasione
di inaugurare il nuovo destino della città.
Gli abitanti di Locksley erano dunque in fermento: i bambini erano
curiosi di visitare la nuova città, di divertirsi e mangiare
leccornie solitamente proibite e gli adulti si
dimostravano
altrettanto impazienti di poter assistere alla definitiva rinascita
dell'intera zona e già immaginavano come sarebbe stato
vivere a ridosso di una città fondata sui valori di Robin
Hood e della sua banda. Nottingham, infatti, era stata il simbolo delle
angherie da parte dei ricchi e potenti e vederla quel giorno sotto una
nuova
luce e con nuove vesti era una grande emozione per tutti, compresi gli
uomini di Robin Hood, chi più, chi meno.
Tra gli altri, Gisborne non era troppo convinto di voler mettere piede
a Nottingham,
ambientazione dei ricordi insanguinati che ancora di tanto in tanto gli
tenevano una sgradita compagnia, e se alla fine si decise in positivo
fu più che altro perché Kaelee aveva dato fondo
ad una
fantasiosa e creativa opera di convincimento – cosa che non
sorprese nessuno e divenne, anzi, il pretesto per una lunga serie di
sfottò da parte di Robin e Archer, i quali più
volte
lo
definirono "romanticone" in pubblico e non esattamente a bassa voce. A
testimonianza del proprio cambiamento interiore, invece di
arrabbiarsi, Guy ricambiò il favore mettendosi a raccontare
platealmente
episodi
imbarazzanti riguardo al tempo che i tre trascorrevano insieme e infine
tentò di zittirli asserendo che, in qualità di
fratello
maggiore, godeva del diritto di avere l'ultima parola su tutto.
La
reazione dei fratelli, naturalmente, scatenò le risate dei
presenti testimonianto quanto felice fosse quel giorno per Locksley.
Era un giorno felice anche per Guy, il cui sguardo era morbido,
delicato, irriconoscibile per chi lo aveva incrociato un anno prima.
L'organizzazione era toccata, come sempre, a Robin e ai suoi i quali
avevano deciso di spostarsi in piccoli gruppi che sarebbero partiti
dalla Piazza del Mercato di Locksley, più gremita che mai,
per
un
duplice
motivo: non lasciare il villaggio deserto e non affollare di colpo la
nuova
Nottingham.
Kate aspettava Much, impegnato a caricare frutta e pane su alcuni
carretti, mentre Kaelee e Guy le tenevano compagnia. La bionda non
riusciva ancora a sentirsi completamente a proprio agio in presenza di
Gisborne, – tutte le volte che incrociava il suo sguardo,
immancabilmente le tornava in mente la crudeltà con cui
aveva
ucciso suo fratello – ma grazie alla buona parola di Robin e
ai
racconti colmi di gioia che Kaelee condivideva con lei, andava molto
meglio tra loro. Kate non poteva ignorare per uno stupido preconcetto
quanto Guy fosse gentile con
lei, come con chiunque altro ormai, né poteva accusarlo di
non
rispettarne i silenzi, o di scomporsi se lei distoglieva lo sguardo
quando incrociava il suo, così come non poteva negare che
Gisborne ce la stava mettendo proprio tutta per costruire un rapporto
con lei anche se lei evitava di stargli troppo vicino. In parte Kate
credeva che tutto quell'impegno da parte di lui dipendesse dai
sentimenti che provava per Kaelee, sua
migliore amica, ma aveva dovuto riconoscere che
l'atteggiamento di Gisborne non appariva per niente forzato, falso,
perciò ammesso che in parte cercava di essere gentile con
lei per
compiacere Kaelee, d'altra parte Kate doveva rendersi conto che Guy era
sinceramente desideroso di far
pace con se stesso e con lei.
Inoltre, quel giorno, la donna ebbe modo di conoscere il lato simpatico
e comico di Gisborne: Robin e Archer, infatti, andavano e venivano
dando una mano con i carichi e ogni
volta che raggiungevano di nuovo Guy, una battuta di spirito o una
leggera spallata erano d'obbligo.
«Che condanna essere il fratello maggiore di due idioti!
Santa
Vergine, aiutami tu!», aveva detto, ironico e quasi
certamente scimmiottando Robin e la sua mania di invocare la Vergine,
all'ennesima presa
in giro.
Per chi, come Kate, aveva conosciuto Robin e Guy quando erano
avversari, quella
complicità era ancora qualcosa di estraneo, qualcosa a cui
guardare con perplessità; per Kaelee, invece, –
Kate glielo leggeva nello sguardo adorante – era un esempio
meraviglioso di rapporto fraterno.
«Archer non è poi così male»,
commentò Kaelee in risposta.
«Ah! Allora è così che stanno le cose!
Traditrice
disonesta che non sei altro!», rispose Gisborne scatenando
ilarità generale.
«Non osare offendere la mia protetta», lo
sfotté Robin tendendo l'arco.
«La tua protetta? È la mia protezione che ha
accettato.
Hai forse preso una botta in testa, fratello?», e nel dirlo
Guy
lo colpì piano sulla nuca.
«Che simpatico Sir! Sarai mica un giullare travestito da
Cavaliere?», lo canzonò Robin.
Kate, intanto, scosse la testa esasperata e preferì
richiamare
l'attenzione di Kaelee pur di non assistere oltre a quell'infantile
messa in scena.
«Kaelee, ho dimenticato di dire una cosa a mia madre.
Verresti con me?», le domandò.
«Certo! Spero solo che Much non si sia messo a
raccogliere funghi per la strada», rispose lei commentando in
modo divertente il ritardo dell'uomo.
Era questa la situazione quando due stranieri a
cavallo si fermarono a
Locksley.
Rudyard e Willard avevano cavalcato fino al
villaggio sostando solo se
strettamente necessario, dritti alla meta, decisi a riprendersi
ciò che credevano appartenesse a loro. Soprattutto il
maggiore, naturalmente.
Nessuno dei due pensava neanche lontanamente che sostenere il
diritto di proprietà nei confronti di una persona fosse
qualcosa
di completamente diverso dall'arrogare il medesimo diritto in merito a
un bene materiale; a nessuno dei due importava davvero di Kaelee in
qualità di essere umano, in effetti: era solo una cosa da
riportare a
casa,
da dare in pasto alla madre e all'uomo che era stato scelto per lei.
Perciò entrambi non vedevano l'ora di scovarla e dare
sodisfazione alla genitrice.
Non erano mai stati in quel villaggio, ma sembrava che molte persone
fossero dirette a Nottingham quel giorno e dal momento che Locksley era
ad un passo
dalla città, non ci misero molto a
raggiungere la Piazza del Mercato dove si trovavano forse tutti gli
abitanti tra i quali Rudyard riconobbe sia Hood – abbigliato
con le caratteristiche vesti dal colore verde brillante e con l'arco su
una spalla – che Gisborne.
"Quale gradita sorpresa. La fortuna mi assiste", pensò
smontando
da cavallo e invitando Willard a legare le briglie dei destrieri ad una
staccionata per poi muoversi con lui in direzione di Robin Hood, Guy di
Gisborne e un terzo uomo che Rudyard non conosceva e che si era appena
aggiunto al gruppo. "Deve essere un altro della banda",
decretò
osservando la confidenza con cui i tre uomini interagivano tra loro.
"Fin troppa confidenza", puntualizzò a se stesso. "Gisborne
è davvero un ottimo attore".
Ai tre fratelli, abituati com'erano a stare sempre in guardia, non
sfuggì la presenza dei due nuovi arrivati e
li osservarono con attenzione, senza dare nell'occhio,
chiedendosi ognuno intimamente da dove arrivassero e cosa fossero
venuti a fare a Locksley. Con Nottingham di nuovo in piedi era
piuttosto normale avere dei visitatori, specialmente quel giorno, ma
fermarsi a qualche passo
dalla nuova città era una scelta piuttosto inusuale a meno
che si fosse alla ricerca di qualcosa di specifico o si preferisse
alloggiare in un contesto più tranquillo. In fin dei conti,
per quel che ne sapevano, quegli uomini potevano essere appena stati
a Nottingham e nel visionare le merci prodotte a Locksley potevano aver
deciso di fermarvisi per concludere un affare. Eppure l'atteggiamento
di quello più alto, che era poi anche quello che avanzava
per
primo verso di loro, non ispirava fiducia a nessuno dei tre.
Bastò uno scambio di sguardi a mettere in allerta i
fratelli, che
si prepararono ad accogliere i visitatori alla maniera di Robin Hood,
ovvero con animo ben disposto e una mano alle armi.
In quello stesso momento Kate e Kaelee, presi gli ultimi accordi con
Rebecca,
avevano deciso di tornare in piazza e incamminandosi scherzavano,
ancora,
divertite
su quanto Much sapesse fare ritardo se si parlava di cibo. La sua
passione per la cucina era già diventata proverbiale a
Locksley
e dintorni, tanto che
qualcuno gli aveva perfino chiesto di fare da cuoco in occasione di un
matrimonio o di una particolare festa – richieste che si
facevano
sempre più frequenti visto che sia Kate che Kaelee non
facevano
altro che elogiarlo con conoscenti e mercanti, specialmente da quando
Kate era riuscita a convincere Much a vendere certe sue piccole forme
di pane speziato al Mercato di Locksley prima e pian piano anche a
quelli dei villaggi vicini.
Quando però Kaelee
scorse
i fratelli a pochi passi da lei, l'espressione sul suo volto
cambiò bruscamente e l'istinto di conservazione la
spinse a nascondersi tirandosi dietro anche Kate. Sperava con tutta se
stessa che non l'avessero ancora vista e che non avessero parlato con
nessuno del villaggio chiedendo di lei, perché non era
pronta a
quella
circostanza, sebbene la paura che si verificasse non l'aveva mai
abbandonata durante il soggiorno a Locksley, specialmente dopo la
pergamena che Aric le aveva fatto avere tramite un vecchio amico. Non
era pronta perché aveva gustato un assaggio di
felicità,
una piccola porzione di quella vita fatta di amici e piccole cose,
abitudini, riti sciocchi ma fondamentali, sorrisi sinceri e familiari,
problemi da risolvere in compagnia, sguardi che si cercano e trovandosi
comunicano nient'altro che contentezza, mani che si sfiorano e labbra
che si attraggono. Non era pronta perché non era
più
disposta davvero a lasciare tutto e sparire, a lasciare Gisborne e
sparire.
Gli
occhi sgranati e già colmi
di lacrime esprimevano in pieno il terrore che quella visita
inaspettata aveva immediatamente scatenato nella ragazza, come se
perfino il corpo sentisse il bisogno di difendersi da Rudyard e
Willard. Si sentì come un animale braccato: in trappola.
Tanto più perché Gisborne era lì e non
sapeva niente in merito alle persone che aveva davanti a sé.
Kaelee non amava parlare della propria famiglia, del rapporto che aveva
avuto con fratelli e genitori, e quando lo aveva
fatto – con Kate, Robin o Guy – si era trattato
soltanto di
piccoli
accenni ad avvenimenti molto generici e per lo più
concentrati su lei stessa, perciò né Kate,
né Guy avevano idea di ciò che stava
accadendo, maggior ragione perché, sicuramente per
prudenza, nella sua missiva
Aric non aveva fatto nomi.
La giovane di Edwinstowe si portò le mani alla bocca per
impedirsi di strillare, tanta era la paura che aveva in quel momento.
La mente non l'aiutava affatto nel srotolarle davanti agli occhi il
futuro che l'attendeva: una cavalcata fino al suo villaggio di origine,
– probabilmente legata e vittima degli insulti di suo
fratello
–
lontana dalla persona che amava, settimane chiusa in camera, se non in
un luogo ancora peggiore, e
controllata a vista in attesa soltanto del matrimonio che
esclusivamente sua
madre voleva, poi una vita di totale infelicità da
trascorrere
in assenza dell'unico uomo che avrebbe voluto accanto e al quale si
sarebbe concessa, al quale non avrebbe negato un matrimonio, al quale
avrebbe volentieri dato dei figli e con il quale avrebbe vissuto
felice. Il solo pensiero di dover rinunciare a Gisborne le causava un
dolore così insopportabile da stendere un altro scenario
davanti
agli occhi spalancati e fissi su Rudyard: se fosse stata costretta a
tornare a Edwinstowe avrebbe trovato il modo per togliersi la vita.
Non riuscì a spiegare subito a Kate il motivo di quella
reazione, sebbene il dubbio fosse evidente nello sguardo di lei, non
riuscì a fare altro che premere le mani contro
le
labbra e restarsene nascosta, rannicchiata, preda del destino, come una
condannata a morte. Temeva che il cuore le sarebbe scoppiato e non lo
trovò
affatto piacevole, perché quella sensazione non aveva niente
a
che vedere con la serenità che provava quando si scambiava
effusioni con Gisborne e i battiti impazzivano andando al ritmo che
preferivano; levò lo sguardo su Kate che forse le aveva
chiesto
qualcosa, o forse l'aveva soltanto immaginato, e vedendola sporgere la
testa oltre al loro
nascondiglio improvvisato, Kaelee sentì l'ennesimo urlo che
tentava di esplodere nell'aria rivelando la sua posizione.
"Non posso gridare. Non devo. Devo restare nascosta... O forse dovrei
cogliere l'occasione e scappare ora che Rudyard e Willard sono
impegnati a parlare. Che devo
fare? Cosa devo fare?!", pensò, in preda al terrore.
«Vuoi dirmi che ti succede?», le domandò
poi la
bionda, evidentemente infastidita da un comportamento che sicuramente
per lei non aveva alcun senso. «Che c'è di strano
in due
forestieri che parlano con Robin? Non è mica la prima
volta»,
proseguì con quella che sembrava esasperazione nel tono.
"Come glielo dico che quelli sono i miei fratelli venuti a riportarmi a
casa?", si chiese mordendosi a tal punto il labbro inferiore da sentire
dolore.
«Insomma, Kaelee!», esclamò Kate
facendola scattare.
«Shhhh! Sta' zitta! Non sono semplici visitatori... Che
stanno
facendo?», mormorò tirandola per la manica temendo
che
qualcuno potesse vederla.
Kaelee aveva gli occhi della bionda puntati nei suoi e sapeva che
tacere non era la scelta migliore se si aveva a che fare con Kate.
«Dimmi cosa succede», rispose con decisione.
Per tutta risposta Kaelee
si sentì venir meno.
«Gisborne!», esordì Rudyard
in tono cordiale, felice di rivedere un vecchio amico di bravate.
«Si
dice in giro che siete passato dalla parte dei buoni», lo
provocò, certo che quello avrebbe risposto adeguatamente,
dandogli il muto indizio che quell'atmosfera così
disgustosamente serena non era altro che una farsa, come Rudyard aveva
immaginato e compreso da quando aveva saputo del viaggetto a York. Nel
pronunciare quelle parole
squadrò Robin Hood con aria di superiorità,
trovando
ripugnante la coalizione, con l'aria di chi aveva voglia di mettere
zizzania e litigare. Guardò attentamente sia Hood che il
ragazzetto che
stava al fianco di lui e che lo stava letteralmente trapassando con uno
sguardo carico di sospetto. Lo trovò divertente nella sua
impertinenza e pensò che sarebbe stato il primo a cui
avrebbe
fatto saltare la testa qualora si fosse arrivati subito ad uno scontro
diretto. Rudyard non era sicuro che Kaelee fosse a Locksley e non
avrebbe avuto alcun motivo di pensarlo se solo Gisborne e quel frate
non fossero arrivati a York insieme: era stato mentre pensava a Robin
Hood, e al motivo che poteva aver spinto il letale Sir Guy di Gisborne
ad andarsene in giro con un uomo della banda, che si era rammentato
della stupida passione di sua sorella per l'eroe dei poveri e degli
indifesi, così aveva deciso di recarsi a Locksley con il
doppio
intento di verificare se Kaelee era fuggita in quel villaggio e di
chiedere collaborazione al Cavaliere Nero che Rudyard tanto apprezzava,
considerandolo perfino un esempio da seguire. L'uomo, infatti, si era
nutrito di tutte le malefatte e la cattiveria raccontata in merito alla
figura di Sir Guy di Gisborne e ne aveva tratto insegnamento, ritenendo
che solo attraverso cattiveria e violenza avrebbe potuto conquistare
potere e denaro. Poi, quando le storie non gli erano più
bastate, Rudyard aveva cominciato a raccogliere informazioni concrete
sull'uomo
e infine era riuscito ad ottenere l'onore di una piacevole
chiacchierata
accompagnata da ottimo vino rosso quanto il sangue delle vittime che
Gisborne aveva fatto in tutta la sua carriera di assassino.
Dopo aver rivolto un mezzo sorriso al ragazzetto cui avrebbe fatto
saltare volentieri la testa, l'uomo spostò lo sguardo su
Gisborne mentre ne attendeva la risposta e dovette riconoscere che
aveva davvero assunto l'aspetto di uno di quei noiosi uomini di
villaggio tutti presi da un'occupazione socialmente utile. Se non
l'avesse visto personalmente uccidere un contadino per il puro gusto di
affondare la lama in carne fresca, avrebbe creduto alle assurde dicerie
sul suo conto.
«Rudyard
di Edwinstowe, qual buon vento ti porta fin qui?»,
domandò
infine l'uomo con voce ferma, ma con un filo di incertezza che mise
subito in guardia Rudyard.
«Nottingham», rispose prontamente, cercando indizi
negli occhi del potenziale alleato. «Lui
è Willard, fratello e compagno di viaggio. Permettetemi di
presentarvelo», continuò tergiversando sul
reale
motivo della visita, non più certo che Gisborne fosse ancora
l'uomo che ricordava.
"Neanche un'occhiatina sinistra, nemmeno un segno. Che tema di essere
scoperto e sia determinato a fingere in attesa di un'occasione migliore
per potermi parlare?", si chiese.
Gisborne
tese la mano e a sua volta presentò Robin e Archer
introducendoli come propri fratelli.
Nell'animo di Rudyard, dopo la momentanea sorpresa e i piccoli dubbi,
si fece spazio la convinzione che uno come Gisborne non sarebbe mai
mutato così radicalmente.
«Nonostante
abbiate evidentemente cambiato modo di vedere le cose, sono certo che
non negherete aiuto ad un vecchio amico»,
disse infine.
Kaelee
era disperata tra le braccia di Kate, messa
finalmente al corrente di ogni cosa, singhiozzava senza sosta e si
colpevolizzava per non aver mai rivelato a Gisborne il nome dei
fratelli che le
davano la caccia, per non aver approfondito l'argomento, mettendolo
così in mezzo ad una situazione che lo avrebbe colto
impreparato. Ciò che Kaelee non riusciva però a
comprendere era la cordialità – così le
aveva
riferito
Kate, che li aveva spiati velocemente – tra i due, come se si
conoscessero.
"Possibile?", si domandò. Kaelee era assolutamente certa di
non
aver visto
Guy prima di quel pranzo a casa di Kate, – anche se a voler
essere
precisi la prima volta che i due si erano incontrati risaliva all'alba
di quello stesso giorno, quando entrambi erano solo sagome vagamente
illuminate dalla luce del Sole; avevano impiegato un po' prima di
capire com'erano andate le cose e ci avevano riso su per un
pomeriggio intero – perché non avrebbe mai
dimenticato un volto bello quanto quello di Gisborne. Sentì
il
cuore stringersi al
ricordo
dei momenti felici trascorsi insieme a lui e ancor di più al
pensiero che non ne avrebbe più
vissuti, se non avesse fermato Rudyard e Willard. Ma come? Come poteva
avvisare Guy, ammesso che fosse ancora in tempo per quello?
Nel caos e nel panico cominciò a riflettere sulle
informazioni che aveva sul passato
di Gisborne: sapeva che aveva lasciato Locksley dopo l'incendio che
aveva reso orfano lui e sua sorella, ma era certa che se avesse
alloggiato a Edwinstowe, fosse anche per pochi anni, non glielo avrebbe
mai nascosto; perché poi?; sapeva che si era spostato spesso
per
ordine dello Sceriffo, possibile che avesse conosciuto Rudyard in
questo modo? Ma allora perché, se Gisborne conosceva un uomo
di
Edwinstowe, sapendo che anche lei proveniva da quel villaggio, non
gliene aveva mai fatto alcun accenno? Che avesse qualcosa di
così terribile da nascondere da non poterlo condividere con
lei?
Eppure le aveva raccontato di aver ucciso Lady Marian.
Kaelee capì che non ci sarebbe mai arrivata visto che non
aveva
neppure la certezza che di fatto i due si conoscessero. "Forse Gisborne
è soltanto gentile con mio fratello perché non sa
chi
è e si comporta come un qualsiasi uomo farebbe al suo
posto",
pensò. "Se incontrassi una persona malvagia senza essere al
corrente della sua indole, la saluterei con cordialità",
rifletté ancora. "Ragionare su questo non mi
porterà alla
salvezza. Devo fare qualcosa, devo agire, devo lottare per la mia
libertà", decise.
«La spada», mormorò
ritrovando infine un po' di lucidità. «Ho
bisogno della mia spada per intimargli di andarsene.
Combatterò se necessario perché non voglio
che mi portino via, Kate», disse con le labbra tremanti per
la
crisi di pianto che minacciava di scoppiare e le mani che tremavano per
la rabbia.
Kate provò a calmarla, a farla ragionare, ma Kaelee si rese
conto che anche lei non era disposta ad accettare che Rudyard e Willard
la prelevassero con la forza,
così quando le chiese di nuovo della spada – che
quel
giorno non aveva con sé – vide Kate correre con
tutta la
forza che aveva nelle gambe per raggiungere la loro abitazione e
portarle l'arma quanto prima.
Probabilmente non era la cosa più logica da fare e
probabilmente Kate non era la persona più opportuna per
placare gli istinti di Kaelee, dal momento che lei per prima
era una donna d'istinto, eppure la ragazza non vedeva altra via di
salvezza.
Dwight
ed Aric, partiti da Edwinstowe in contemporanea con i fratelli, ne
avevano osservato i movimenti e li avevano seguiti
a distanza, come si erano ripromessi, facendo in modo di non essere
scoperti. Se Dwight aveva naturali doti fisiche che avrebbero fatto la
differenza in uno scontro, Aric possedeva nozioni che erano state
fondamentali perché quell'inseguimento andasse a buon fine,
perciò alla fine di quel viaggio e all'inizio della
pericolosa
avventura, Dwight comprese di aver ignorato per anni persone degne di
nota come Aric e Kaelee e si ripromise che, se fosse sopravvissuto,
avrebbe cambiato le carte in tavola e posto rimedio.
La prima parte del piano era riuscita alla perfezione, senza troppi
intoppi di natura tecnica e senza imprevisti. Dwight contava molto
sulla presunzione di Rudyard, il quale non sospettava neanche
minimamente che gli altri suoi due
fratelli potessero opporglisi concretamente, per mandare a monte i suoi
intenti; una parte di lui sperava anche che suo fratello non avesse la
certezza che Kaelee si trovava a Locksley, ma
quell'eventualità
contemplava troppe condizioni per potersi verificare davvero: non solo
Rudyard doveva ignorare l'informazione chiave, ma era anche necessario
che Kaelee non si trovasse nel villaggio per un qualsiasi motivo, che
Rudyard non si imbattesse in Gisborne e che decidesse infine di
andarsene senza indagare ulteriormente. "Essere troppo ottimista
farà di me un illuso. Devo pensare al peggio per poter
sopravvivere e godere del resto", si disse.
La seconda parte del piano, invece, era ancora tutta da giocare e
prevedeva l'ingresso a Locksley e
l'effettivo intervento contro Rudyard e Willard. Da questi presupposti
nascevano le più grandi preoccupazioni di Dwight, che sapeva
bene
di non poter contare sull'aiuto di Aric nel caso in cui si fosse
arrivati alle armi e che non aveva idea delle condizioni di Kaelee in
quel contesto: non sapeva se al loro arrivo lei sarebbe stata presente,
non aveva idea del ruolo di sua sorella in quel villaggio, non riusciva
neanche più a immaginarla ormai. Quindi sperava nell'ipotesi
meno drammatica, ovvero quella che escludeva uno scontro armato con i
suoi fratelli. "Ammesso e non concesso che Robin Hood e i suoi uomini
assistano alla scena, chi mi assicura che si schiereranno dalla mia
parte?", si disse mentre lasciavano i cavalli all'ingresso del
villaggio.
La necessità di mantere la calma era l'unica cosa di cui
Dwight era
certo.
Appena Kate tornò con la spada dell'amica, la
vide spuntare
fuori dal nascondiglio e incamminarsi
lentamente
verso i suoi fratelli, evidentemente animata da nuova forza,
più
combattiva che mai e ancor più determinata a salvare se
stessa,
la nuova vita che si era guadagnata e l'amore che Locksley le aveva
regalato. Il suo sguardo era così intenso che Kate credette
di
potervi leggere ogni singola emozione senza il bisogno che Kaelee le
esprimesse a parole o a gesti. In quegli occhi grandi e dal colore
incredibilmente bello, Kate notò qualcosa che le fece venire
i
crampi allo stomaco: una furia animalesca che la donna non aveva mai
visto nello sguardo di nessuno che non fosse Gisborne. Fu molto turbata
da quell'inatteso accostamento, ma la seguì ugualmente,
armata
del proprio arco e pronta a difenderla da chiunque avesse anche
soltanto osato pensare di poterla toccare.
Man mano che si avvicinavano, le voci dei presenti si facevano
più chiare e Kate poté sentire.
«Nonostante
abbiate evidentemente cambiato modo di vedere le cose, sono certo che
non negherete aiuto ad un vecchio amico», disse l'uomo alto
che Kate identificò come Rudyard
«Ti ascolto», rispose Gisborne assumendo
un atteggiamento di difesa nei confronti del suo interlocutore.
Nel frattempo Kate vide Much comparire in piazza e fermarsi prima di
raggiungere Robin e cercare lei con lo sguardo, con l'espressione
sconvolta di chi si aspettava che
qualcosa andasse storto, avendo ugualmente sperato che invece tutto
sarebbe andato per il meglio. Kate impiegò poco a collegare
gli
occhi sgranati di Much e le sue labbra semiaperte all'ansia che l'uomo
aveva condiviso con lei durante tutta la settimana parlandole di una
catastrofe imminente. "Non aveva tutti i torti", pensò, "Ma
siamo ancora in tempo per evitare il disastro", si disse, agguerrita al
fianco della migliore amica che avesse mai avuto – la quale
in
quel momento stringeva con ferocia le dita sull'elsa della spada,
pronta ad estrarla.
Gisborne aveva avuto un attimo di indecisione quando aveva visto
Rudyard, per nulla certo che si trattasse di uno spietato uomo
conosciuto anni prima in un contesto che adesso gli appariva tutt'altro
che piacevole. "Rudyard di Edwinstowe", ripensò Gisborne
rifiutandosi categoricamente di fare l'ovvio collegamento mentre
aspettava che l'uomo riprendesse a parlare.
Sul suo volto, però, Gisborne vide allargarsi un sorriso
beffardo che gli parve disgustoso più di quello di Vaisey di
Nottingham, così decise di seguirne lo sguardo, che l'uomo
aveva
spostato lateralmente, e vide Kaelee. Un pensiero fastidioso lo punse
dolorosamente.
«Sto
aspettando», disse nel tentativo di riportare l'attenzione
dell'uomo su di sé.
«Non è più
necessario», rispose Rudyard senza smettere di guardare la
ragazza. «Conoscete bene mia sorella, Gisborne?»,
domandò.
Fu quasi come un fulmine a ciel sereno, perché ora Gisborne
non
poteva più ignorare ciò che l'intuito aveva
cercato di
suggerirgli dall'esatto momento in cui aveva riconosciuto l'uomo.
Nonostante l'evidenza, Guy continuava a non voler credere che un uomo
come Rudyard, così vicino al modo di agire del vecchio Sir
Guy
di Gisborne, potesse essere imparentato con Kaelee, la dolce ragazza di
cui si era innamorato, perché non riusciva a trovare una
sola
caratteristica che li accomunasse. Gisborne aveva
conosciuto Rudyard quando era ancora il braccio destro dello Sceriffo
di
Nottingham, ovvero quanto di più vicino ad un mostro
crudele, e aveva percepito immediatamente l'adorazione di quell'uomo
nei propri confronti. Ricordava di essersene compiaciuto, ma a
ripensarci ora ne era disgustato.
Accanto a sé, Gisborne aveva Robin e Archer, anch'essi sulla
difensiva e intenti a valutare la situazione e il da farsi. Con ogni
probabilità loro avevano tratto l'ovvia conclusione prima di
lui
non essendo emotivamente coinvolti quanto lo era lui. Mentre pensava
alla risposta da dare a Rudyard, Guy vide che altri due uomi si
avvicinavano al centro dell'azione e si domandò
immediatamente
se fossero complici di Rudyard e Willard o dei semplici curiosi.
«Vattene», ringhiò una voce che Gisborne
stentò a riconoscere.
L'uomo ebbe un tuffo al cuore perché conosceva ormai
abbastanza
bene Kaelee da saper
interpretare i segni sul suo volto e avere la certezza che aveva
pianto. Quello fu l'ultimo pezzo del puzzle, quello risolutivo e
definitivo: Guy comprese che la visita da parte di Rudyard e Willard
era strettamente collegata alla pergamena indirizzata a Robin e
consegnata da un ragazzino di Edwinstowe da parte di uno dei fratelli
di Kaelee, che certamente non coincideva né con Rudyard,
né con Willard a meno che quest'ultimo non stesse facendo il
doppio gioco, – cosa molto improbabile dal suo punto di vista
dal momento che il giovanotto se ne stava quasi alle spalle di
Rudyard e continuava a guardarsi nervosamente attorno quasi cercasse
una via di fuga – perciò a Gisborne non restava
altro da
fare che tirare le somme e concludere che Rudyard era a Locksley per
prelevare Kaelee, la quale doveva averlo visto ed essere crollata in un
momento di puro panico prima di reagire. E fu proprio la reazione della
ragazza a
farlo rabbrividire come non gli accadeva da tempo. Guy era certo che la
pacifica Kaelee sapesse difendersi con le unghie e con i denti se
necessario, ma oltre a non desiderare che la ragazza fosse costretta ad
affrontare una simile situazione, non avrebbe mai creduto possibile
scorgere quella cattiveria negli occhi di lei, una cattiveria
che lui conosceva fin troppo a fondo, un demone contro il quale
ancora combatteva. "Nel cuore della mia Kaelee non c'è posto
per
una tale malvagità", si disse mentre la guardava, seguita a
ruota da Kate, quest'ultima subito affiancata da Much.
Gisborne percepì di nuovo, come quando insieme alla banda di
Robin aveva collaborato alla disfatta dello Sceriffo, lo spirito di
squadra che spingeva tutti a difendersi vicendevolmente e da questo
trasse l'enorme forza che gli permise di guardare Rudyard in cagnesco
quando questi rise, divertito da chissà che cosa.
«Vattene», ripeté intanto Kaelee,
sguainando la spada senza esitazione e avanzando dritta verso suo
fratello.
Robin
cercò di sedare la situazione chiedendo spiegazioni e
mantenendo
un atteggiamento per niente offensivo verso Rudyard e Willard.
«Perché tanta violenza, Kaelee? È un
giorno di
festa per Locksley e Nottingham. Andiamo, amici! Non è
necessario impugnare le armi, parliamone invece da persone civili quali
siamo e se qualcuno ha subìto un torto, faremo di tutto per
porvi rimedio», disse, allegro, il fuorilegge in quella che
Gisborne interpretò come una velata minaccia.
Eppure notò come, anziché scomporsi, Rudyard
assunse
movenze ancor più indisponenti, strafottenti perfino.
«Sei
proprio una bambina cattiva, Kaelee. Non hai detto ai tuoi amici di
essere scappata di casa senza dire niente a nessuno e facendo molto
preoccupare la tua famiglia?», domandò esprimendo
una tale
falsità nella voce che Gisborne desiderò
ingaggiare
immediatamente un duello con lui per porre fine a quella farsa. Se
Rudyard era arrivato a Locksley in cerca del suo appoggio per riportare
Kaelee a Edwinstowe era cascato davvero male.
«Vattene», ripeté per l'ennesima volta
Kaelee che appariva inarrestabile nella sua
determinazione, perfino feroce e potenzialmente letale. «Qui
non
c'è niente per te»,
aggiunse.
La vicinanza di Kaelee a suo fratello e la spaventosa calma nella voce
di lei spinsero Guy ad esporsi, rispondendo così, infine,
alla
domanda che Rudyard gli aveva posto in precedenza.
Le si
avvicinò lentamente e con cautela affinché non si
sentisse minacciata pure da lui, scivolò alle sue spalle e
le
cinse dolcemente la
vita con
un braccio, per rassicurarla e nel contempo trattenerla. Con la mano
libera, invece, creò un contatto con il braccio di Kaelee
fino a
raggiungere le sue dita strette sull'impugnatura della spada e la
invitò a deporre l'arma sussurrandole
all'orecchio che rispondere alla violenza con altra violenza non era la
soluzione migliore.
Intanto sentì Rudyard lasciarsi andare ad un'altra
risata maligna e si costrinse a non permettere alla rabbia di prendere
il sopravvento su di lui; contemporaneamente vide che Willard
era
già indietreggiato di qualche passo temendo probabilmente il
modo in cui
sua
sorella brandiva la spada.
Robin gli si fece più vicino, sicuramente deciso a
marcare il territorio e rimettere ordine, mentre Archer si
avvicinò così tanto da sfiorargli il braccio con
la
spalla: Guy ne fu commosso e, di nuovo, ne trasse la forza necessaria a
lottare contro i propri istinti e quelli di Kaelee, che in quel
frangente sembrava aver perso completamente la testa.
Attorno a loro, inoltre, si erano radunate alcune persone del villaggio
e gente che Guy non aveva mai visto – come quei due che aveva
notato avvicinarsi prima – il che
rendeva assolutamente necessario evitare l'uso di qualsiasi tipo di
arma.
«Dammi ascolto, ti prego», insisté Guy
all'orecchio della ragazza, «Non
commettere i miei stessi errori».
«Davvero un bel quadretto!»,
commentò Rudyard esibendosi in un applauso evidentemente
canzonatorio.
«Non
è un po' troppo giovane per voi? Inesperta e magrolina
com'è dubito che vi diverta come sanno fare alcune serve...
No... Ma non mi dite! Voi l'amate!», esclamò
fingendosi
sorpreso e portandosi teatralmente una mano davanti alla bocca prima di
tornare a
ridere di gusto. Un gusto che con ogni probabilità
apparteneva
soltanto a lui dal momento che perfino il giovanotto che lo aveva
accompagnato era rimasto serio.
Guy decise di concentrarsi
completamente ed esclusivamente su Kaelee, così da impedire
che quelle provocazioni avessero effetto.
«Sei qui per me, non per
lui», sputò la ragazza, che ancora si ostinava a
tenere l'arma puntata contro suo fratello, intenzionata quasi
certamente ad ucciderlo.
«Bene, bene, vedo che la diplomazia oggi non è di
casa a
Locksley», commentò Robin a bassa voce.
«Rudyard e
Willard di Edwinstowe!», disse più energicamente
per
richiamare l'attenzione di tutti. «Ho
l'obbligo di ricordarvi che siete in territorio a voi estraneo. Non ho
idea delle regole in vigore dalle vostre parti, ma qui a Locksley chi
si comporta come voi non è il benvenuto. Kaelee di
Edwinstowe ha
chiesto ed ottenuto la mia protezione e resterà al villaggio
per
tutto il tempo che vorrà», disse serio,
appoggiandosi
all'arco da cui non si separava mai.
L'uomo sollevò entrambi i palmi in segno di resa, lasciando
intendere che non voleva ricorrere alla forza. Non in quella occasione
almeno.
Fu in quel momento che i due individui che Gisborne aveva notato,
decisero
di intervenire facendosi avanti sotto gli occhi attenti di tutta la
banda. Se per Guy quegli uomini – uno più adulto e
l'altro
probabilmente coetaneo di Kaelee – altro non erano che una
coppia sconosciuti, si rese conto che la stessa cosa non doveva essere
per
la donna che stringeva con decisione a sé: appena si
mostrarono
apertamente, infatti,
Kaelee lasciò cadere improvvisamente la spada.
«Andiamocene,
Rudyard», mormorò subito Willard atterrito,
terrorizzato al punto da permettere alla voce di tremare.
«Ma che bella sorpresa»,
commentò il secondogenito, sarcastico, rivolgendosi ai due
appena
arrivati, senza ridere questa volta.
«Non sei furbo come credi», disse il più
grande dei nuovi venuti.
«E sentiamo, Sua Intelligenza, chi è il
traditore tra noi?», lo provocò Rudyard.
Kaelee, che fino a quel momento non aveva fatto altro che trafiggere
Rudyard con lo sguardo come era impossibilitata a fare con la spada,
fissò gli occhi su Aric appena lui fu nel suo campo visivo.
La
vista del suo fratello preferito, nonché unico amico che
avesse
mai avuto a Edwinstowe, aveva cancellato istantaneamente tutto il
resto, ispirandole una gioia incredibile. Era felice di rivederlo dopo
tanto tempo, al punto che lasciar cadere l'arma come Gisborne le
suggeriva da diversi minuti era stato più semplice che mai,
al
punto che l'unica cosa che avrebbe voluto fare era corrergli incontro e
abbracciarlo, sommergerlo di domande e pregarlo di restare,
perché tornare a Edwinstowe avrebbe significato problemi e
sofferenza anche per lui ora che si era esposto. "Oh, Aric! Sciocco
Aric!", pensò rimproverandolo con dolcezza e, con
l'affacciarsi
di quei pensieri, sentì tornare anche la preoccupazione:
tutti e quattro i suoi fratelli erano giunti a Locksley, a coppie, con
intenzioni diametralmente opposte e se Kaelee non faceva fatica a
credere che Willard si fosse unito a Rudyard senza troppe proteste, era
invece rimasta colpita dalla presenza di Dwight accanto ad Aric. Aveva
una moltitudine di domande in testa – "Come ha fatto Rudyard
a
sapere che mi avrebbe trovata qui?", "Perché si era rivolto
a
Gisborne chiamandolo vecchio amico?", "In che modo Aric aveva coinvolto
Dwight?", "Quanto sapevano i suoi fratelli, escluso Aric, delle
motivazioni che l'avevano spinta a lasciare Locksley?" – e
ancora
pochissime risposte, ma al di sopra di questo turbine di punti
interrogativi si ergeva un'unica, grande e grave, certezza: Kaelee
aveva creduto di essersi guadagnata la
libertà
fuggendo di casa e invece aveva solo diviso i suoi fratelli, combinato
un gran disastro che difficilmente sarebbe riuscita a
rimettere a posto, spinto tutti e quattro i suoi fratelli fino a
Locksley e messo in pericolo non solo la vita dei suoi familiari, ma
anche quella di tutti i presenti nella piazza. Già solo
questo
sarebbe bastato a Kaelee per sentirsi in colpa per vent'anni a venire,
ma c'era dell'altro che non poteva assolutamente ignorare: decidendo di
allontanarsi da casa aveva
cacciato Aric in un pasticcio più grande di lui, di entrambi
probabilmente, e aveva involontariamente coinvolto Gisborne gettandolo
di nuovo in quel vortice di violenza dal quale stava cercando di
allontanarsi con enormi sforzi.
Nel mentre, Dwight si presentò a Robin Hood e
presentò anche
suo
fratello, ponendo le proprie scuse a nome dell'intera famiglia per aver
turbato l'equilibrio e la serenità del villaggio.
Spiegò
in modo conciso ma esauriente come stavano le cose, perché
il
secondogenito ed il terzogenito erano arrivati fino a Locksley e
perché lui e Aric li avessero seguiti. Poi si rivolse a
Kaelee e
le promise che l'avrebbe appoggiata nella scelta di
andar via da Edwinstowe, come già aveva fatto il minore
tra i maschi di casa, che si era rivelato infine il più
intelligente e coraggioso di tutti perché aveva combattuto
senza armi, lottato senza spargere sangue e aveva vinto a suo modo.
«Non sei obbligata a tornare a casa solo perché
Rudyard
pretende che tu lo faccia», mormorò.
«Parlerò
io con nostra madre e se questo fa di me un traditore, sono ben lieto
di averti tradito, Rudyard», concluse volgendo lo sguardo
verso
il diretto interessato.
Kaelee trasalì quando Rudyard fece partire un altro dei suoi
fastidiosissimi e per niente
opportuni applausi.
Gisborne si sentiva meno teso da quando il giovanotto presentato con il
nome di Aric, che doveva essere l'autore della pergamena, aveva avuto
su Kaelee un effetto inaspettatamente positivo, inducendola con la sua
sola presenza a desistere dal commettere un crimine per cui avrebbe
certamente pagato non soltanto in termini morali, ma appena Rudyard si
esibì nell'ennesimo scatto di pessima ironia,
vibrò
insieme a Kaelee, ancora stretta a lui. Pensò, di nuovo, che
quell'uomo
fosse dotato un senso
dell'umorismo perfino peggiore di quello di Vaisey e una parte di lui
si immerse
nel passato, in quel Guy di Gisborne che aveva affiancato lo Sceriffo e
conosciuto e apprezzato
Rudyard per l'elevata dose di cattiveria che lo animava. Avrebbe riso
insieme a quell'uomo, se solo il Guy di una volta fosse ancora esistito.
«Questo
sì che è un discorso!», disse Rudyard.
Poi si
mosse, così velocemente che nessuno intercettò il
movimento fin
quando non ebbe la spada di Kaelee in mano. «Pessima mossa,
sorellina», aggiunse.
Gisborne, che aveva duellato innumerevoli volte e aveva dimestichezza
con gesti repentini come quello di cui Rudyard si era appena reso
protagonista, altrettanto velocemente si portò davanti a
Kaelee
intuendo che le intenzioni dell'uomo non fossero pacifiche e sebbene
fosse disarmato, era pronto a fare qualunque cosa pur di
proteggere Kaelee.
Vi fu un breve scambio di sguardi durante il quale Gisborne comprese
l'indecisione del suo avversario, come se l'essersi messo davanti a
Kaelee lo avesse destabilizzato in quanto era lei, evidentemente, la
preda. Quindi provò a prevedere la mossa successiva tra le
tre
più probabili.
"Se fossi al suo posto prenderei in considerazione l'idea di colpire
Dwight, arrivato a rompere le scatole con atteggiamenti da nobile
cavaliere; Aric, perché è palese che Kaelee tiene
molto a
lui e che è lui il responsabile dell'imprevisto che ha
scombinato tutti i piani; infine, se fossi in lui, vorrei colpire me
stesso in quanto ho rifiutato di appoggiarlo nella sua folle caccia a
Kaelee e mi sono schierato in prima linea per difenderla",
ragionò. "Ma il mio intento principale sarebbe colpire
Kaelee
direttamente o indirettamente, perciò affonderei la lama nel
mio
stomaco, se fossi Rudyard", concluse, senza poter aggiungere altro.
Lo scatto di Rudyard fu fulmineo, ma Gisborne spinse lateralmente
Kaelee, a
costo anche di farla cadere, e saltò lui stesso per evitare
l'aggressione mentre Robin Hood faceva partire una freccia che
si piantò nella terra battuta, a qualche millimetro dai
piedi del fratello di lei.
«Questo era un avvertimento. La prossima non
mancherà il
bersaglio», disse Robin, serio e con l'arco già
nuovamente
teso.
«Non
finisce qui», minacciò Rudyard lasciando la spada
e
allontanandosi
insieme a Willard che tirò un sospiro di sollievo e se la
diede a gambe come il più codardo degli uomini.
Gisborne, definitivamente sollevato dalla piega presa dagli eventi,
si portò una mano all'altezza dello stomaco
perché
nonostante
fosse
stato protagonista di numerosi scontri, aveva trovato in
Rudyard un degno avversario, reso ancora più forte dalla
completa assenza di buone intenzioni e così disonesto da
aggredire un uomo completamente disarmato. Rudyard gli aveva impedito
di difendersi, forse consapevole che se anche lui avesse avuto un'arma
l'avrebbe contrastato come meritava fermando la lama con la propria,
perciò Gisborne era stato costretto a scegliere tra
l'afferrare
una lama a mani nude riportando ferite che avrebbero potuto rivelarsi
anche molto gravi, e tentare di uscirne incolume. Considerato che la
prima eventualità sarebbe stata una vera e propria follia,
aveva
scelto il male minore, ma Rudyard era riuscito ugualmente a
ferirlo di striscio e Guy sapeva di non essere più in grado
di
prevedere la reazione di Kaelee, la quale – per quel che ne
sapeva – avrebbe potuto crollare in un pianto liberatorio
oppure
dare sfogo alla rabbia concretizzando l'atto di violenza che non si era
verificato prima. Per quanto si stesse sforzando di tenerla d'occhio,
Kaelee si lanciò con la velocità di un fulmine
in
avanti per riprendersi l'arma e colpire suo fratello alle
spalle, mentre si allontanava: non ci voleva uno stratega per capire
che Kaelee non intendeva ferirlo, ma ucciderlo. Gisborne
cercò
di afferrarla per il polso, ma fu troppo
lento e temette il peggio finché vide suo fratello Archer
avvolgerla prontamente in
una
morsa.
«Lasciami!», gridò lei,
dimendandosi. «Lasciami Archer!».
«Gli uomini di Robin Hood non uccidono se non è
strettamente necessario e tu hai accettato di appartenere alla nostra
banda!», la rimproverò Archer sotto lo sguardo
attento di
tutti i presenti. Benché scalciasse come un'ossessa e
manifestasse una forza che nessuno avrebbe mai detto le appartenesse,
Archer non
mollò la presa e presto Much e Robin gli diedero una mano,
con
gran sollievo di Guy il quale cadde sulle ginocchia, cedendo al dolore
della ferita che aveva riportato. Inaspettatamente fu Kate a prestargli
un primo soccorso, sancendo così il reale inizio di una
nuova
amicizia.
Ci vollero diversi minuti prima che la giovane donna di Edwinstowe la
smettesse di tentare la fuga e di urlare.
«Lasciatemi», mormorò alla
fine, evidentemente più calma.
Robin,
però, non si fidava. Sapeva bene cosa significasse essere
preda
degli istinti e sapeva anche che lui stesso, al posto di Kaelee,
avrebbe messo
in scena una farsa pur di essere lasciato libero e poter portare a
termine un'idea, giusta o sbagliata che fosse. Perciò temeva
più per l'incolumità della ragazza che per il
destino dei
suoi fratelli, essendo certo che non avrebbe potuto farcela
contro
uno come Rudyard, quindi
pretese che lei lo guardasse negli occhi mentre le parlava.
«Puoi darmi la tua parola?»,
chiese.
Lei annuì, ma subito abbassò lo sguardo.
Robin diede ordine di mantenere la presa su di lei mentre Guy lo
implorava silenziosamente di lasciarla libera. Robin era combattuto
perché se da
un lato si fidava ormai di Gisborne, che conosceva Kaelee
più di
ogni altro lì a Locksley, e non voleva che soffrisse di
nuovo
come un tempo, d'altra parte non poteva fare affidamento su Kaelee che
in quel momento sembrava aver perso completamente il senno.
La ragazza, però, non si mosse e sul suo volto comparve
un'espressione più simile al dolore che alla furia omicida.
«Hai la mia parola», sussurrò infine
ad occhi chiusi, la voce che tremava ed una lacrima solitaria a
solcarle il volto.
Nel cuore di Kaelee si alternavano emozioni fortissime che a stento
riusciva a controllare – dalla disperazione nel momento in
cui
aveva scorto Rudyard nella piazza, alla voglia di tenersi stretta la
libertà; dalla rabbia provata nel sentire Rudyard minacciare
Gisborne, nel vederlo scagliarsi contro l'uomo che amava e nel
realizzare che l'aveva ferito, al senso di colpa che di nuovo la
travolgeva come poco prima, quando aveva riflettuto su tutti i problemi
che la sua fuga aveva creato ad Aric e agli uomini di Robin Hood. Una
parte di lei desiderava ancora uccidere Rudyard, ma Kaelee
capì
in fretta che Robin l'avrebbe chiusa in una stanza del Maniero se
necessario, pur di evitare che commettesse un simile gesto.
Quindi, appena
fu libera, ignorando l'arma che giaceva a terra, Kaelee si
voltò in
direzione di Guy. Senza dire una parola,
con il cuore a pezzi e il senso di colpa che pendeva su di lei come una
spada di Damocle, lo aiutò a tirarsi su per accompagnarlo a
casa.
In un clima più pacato, immaginando che Dwight e Aric
fossero
all'oscuro del legame che esisteva tra Kaelee e Gisborne, Robin volle
chiarire
brevemente l'atteggiamento della ragazza invitando poi Dwight e Aric a
fermarsi a Locksley per riposare, parlare
e incontrare Kaelee prima prendere una qualunque decisione. Poi chiese
ad Archer, Much e
Kate di recarsi a Nottingham e rintracciare gli altri della compagnia
per informarli del motivo della propria assenza alla festa e al Mercato.
«Niente aria allarmata e assoluta discrezione. Siamo
intesi», percisò.
Scortò quindi i fratelli di Kaelee fino al Maniero e
insisté affinché alloggiassero presso la sua
abitazione
per tutto il tempo che volevano, dimostrando
loro fiducia e gratitudine per essere arrivati fin lì con il
solo scopo di proteggere la ragazza.
Casa di Guy, Locksley.
Kaelee non aveva più detto una parola e Gisborne iniziava a
preoccuparsi, avvolto già da un sottile strato di ansia.
Erano entrati in casa, lei lo aveva accompagnato al piano superiore,
aveva fatto in modo che si stendesse sul letto e poi aveva pulito e
fasciato la
ferita senza mai aprir bocca e con una tale delicatezza da dare a Guy
la
sensazione che a stento volesse sfiorarlo. Infine gli si era
seduta di fianco e aveva preso a fissarlo con occhi colpevoli, che lo
stavano lentamente
conducendo
alla follia, le unghie affondate nei palmi e le labbra serrate, le
nocche bianche, le sopracciglia contratte, i muscoli congelati in
un'identica posa da interi minuti.
Gisborne non riuscì a sopportare oltre quell'atteggiamento,
quindi, ignorando
la fitta di dolore si sollevò e si protese verso di lei.
Inaspettatamente Kaelee si spostò più indietro.
Guy rimase impietrito mentre un antico dolore riaffiorava da lontano
nel suo cuore appena guarito: lo strazio del rifiuto. Evidentemente
doveva solo essersi illuso di star bene, se era bastato un gesto
così
piccolo a distruggere tutto in un istante.
«Non farmi questo», sussurrò.
Sentiva le vecchie barriere spingere per tornare ad innalzarsi fiere,
pregne della cattiveria di un tempo, ma la forza interiore che aveva
maturato riuscì ad abbatterle ancora una volta. Preferiva i
crampi allo stomaco e
il male al petto ad una maschera di violenza, perché non
aveva intenzione
di lasciar perdere, non con lei, perciò con ostinato
coraggio
fece un secondo
tentativo e più lentamente di prima allungò una
mano fino
al ginocchio di lei, che di nuovo si ritrasse.
«È colpa mia», disse senza alcuna
inflessione nella voce gelida che proveniva da un angolo della
personalità di
lei che Guy non aveva ancora conosciuto e che lo spaventava.
«Non dire sciocchezze»,
mormorò lui.
«È
colpa mia», si sentì dire di nuovo,
automaticamente, senza
provare alcuna emozione che non fosse la colpa per quanto era accaduto
alla parte buona della sua famiglia e a Guy, che si era guadagnato
l'ennesima cicatrice grazie a lei. Gli sarebbe rimasta vicina nei
giorni a venire ma, in
netto contrasto con il terrore che l'aveva fatta crollare con Kate al
pensiero di dover dire addio a Gisborne, stava di nuovo valutando
l'ipotesi
di andarsene. Seriamente stavolta, a differenza di quando l'amico di
suo fratello aveva consegnato a Robin il messaggio di Aric per lei.
Lasciare Locksley, non certo per far ritorno a casa, le sembrava un
modo per proteggere Guy da Rudyard anche se non era certa che
l'uomo che amava sarebbe rimasto al proprio posto o che Rudyard non si
fosse ugualmente accanito su Gisborne pur di attirarla in una trappola.
Guardando dritto negli occhi l'uomo che amava, Kaelee sperava di
trovare la più
corretta soluzione ai loro problemi.
L'autocontrollo
di Gisborne era al limite. Non riusciva a sopportare di vedere Kaelee
in quello stato, non sopportava che lei si colpevolizzasse per tutto e
ancora non sopportava che lo rifiutasse nella convinzione che fosse la
cosa giusta da fare. Il respiro accelerò mentre la
collera
aumentava: non gli andava per niente bene che quella situazione
mettesse dei muri tra loro, che li dividesse quando nemmeno il suo
passato di assassino era riuscito nell'intento.
Kaelee era ancora seduta, quindi – pensò
Gisborne – forse non voleva andarsene sul serio; l'uomo
sapeva
che il punto di forza
della ragazza era la velocità, perciò si disse
che
muoversi adagio in direzione di lei non avrebbe portato a nulla se non
ad allontanarla ulteriormente e sebbene non lo entusiasmasse l'idea di
far ricorso ai vecchi
modi – anche se le intenzioni erano del tutto diverse da
quelle
di un
tempo – si dichiarò, intimamente, disposto a
qualsiasi cosa pur di impedire a Kaelee di fare del male ad entrambi,
perciò la afferrò a tradimento, ignorando la
fitta
improvvisa, e la costrinse sul letto per poi piazzarsi sopra di lei.
La ragazza era innegabilmente svelta, ma lui decisamente più
forte.
«Non
ti permetto di rifiutarmi solo perché sei convinta che
così mi salverai la vita. È senza te che non ho
scampo», le disse con la vista annebbiata e il cuore in corsa.
Vide lo sguardo della ragazza ammorbidirsi subito mentre si voltava per
appoggiare una
guancia sulla morbida coperta, senza dargli il tempo di godere dello
spettacolo che erano i suoi occhi quando si scioglievano in quel modo.
In men che non si dica Kaelee prese a singhiozzare dando finalmente
sfogo a tutto
ciò che aveva dentro. Gli venne istintivo stringerla forte a
sé e spostarla per consentire
ad
entrambi di essere più comodi e a se stesso di non
manifestare la sofferenza che le sue lacrime gli causavano. Si mise a
sedere, infatti,
appoggiandosi
alla spalliera del letto, lasciando che la crisi di pianto di
Kaelee facesse il proprio corso sul suo petto, e sebbene non fosse
facile per lui confortarla e rassicurarla senza disperarsi a sua volta
per tutte le possibili conseguenze dell'arrivo di Rudyard a Edwinstowe,
era felice che Kaelee non lo avesse di nuovo messo da parte:
averla tra le braccia gli bastava a sentirsi più sereno.
Continuò per diversi minuti a ripeterle di star bene e che
ogni cosa si sarebbe
risolta
per il meglio, che avrebbero affrontato tutto insieme, che non avrebbe
mai permesso a nessuno di portargliela via.
Poi, quando
pensò
che Kaelee dopo aver speso tutte quelle energie fosse infine crollata,
le accarezzò dolcemente i capelli e lasciandosi trasportare
dalle emozioni che lei gli suscitava, le dichiarò il proprio
amore in un sussurro.
Kaelee, sfinita dopo le tribolazioni di quel giorno, ma non abbastanza
da addormentarsi tra le braccia di Guy, avvertì lacrime e
senso di
colpa
riaffiorare alle parole di lui prima che il sentimento profondo e
devastante che provava per l'uomo li spazzasse via entrambi. In un
attimo
l'amore riuscì a
radere al suolo tutto il resto, le ansie, i timori, la paura di doversi
separare da Guy, l'angoscia di dover vivere una vita in fuga: nel suo
cuore erano rimasti solo le emozioni che nutriva per lui. Fu invasa da
una tale gioia che per un attimo credette di essersi appena svegliata
dopo un bruttissimo incubo, ma gli occhi che bruciavano e le labbra
secche testimoniavano che aveva pianto e che il brutto sogno
corrispondeva invece alla cruda realtà. Nonostante questo
non poteva negare la felicità causata dalle parole che
Gisborne le aveva appena rivolto, così mise un paio di
centimetri tra loro, giusto lo spazio che le avrebbe consentito di
guardarlo in volto.
L'espressione di lui era colma di sorpresa e anche se Kaelee se ne
domandò per qualche istante il perché,
preferì non chiederlo ad alta voce e credere all'ipotesi che
Gisborne, pensando di aver parlato a voce più bassa di
quanto non avesse fatto in realtà, si trovasse in imbarazzo
forse perché non avrebbe voluto che lei lo sentisse.
Comunque stessero le cose, Kaelee
sollevò le dita sul viso di lui, sfiorandogli la guancia e
apprezzando perfino il
leggero strato di barba che costituiva una sottile e pungente barriera
tra le sue dita e la pelle di lui.
Il cuore le batteva forte nel petto mentre le labbra si preparavano a
pronunciare due brevi, ma tanto intense e importanti, parole.
«Ti amo»,
mormorò non senza emozione.
Entrambi sopraffatti da assoluta felicità, Guy e Kaelee
scoprirono il rimedio ad ogni angoscia e seppero che insieme avrebbero
potuto affrontare qualunque problema.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 12/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Prima di dire qualsiasi cosa, voglio precisare che il capitolo
riprende direttamente gli eventi di Edwinstowe, interrotti nella prima
parte per dare uno sguardo a Locksley.
Anche qui, mi rendo conto, affronto la stessa scena da più
punti di vista, ma come ho precisato qualche capitolo addietro non mi
va di perdere pensieri e azioni di questo o quel personaggio e non
sapendomi esprimere in maniera migliore, mi affido a ciò che
so fare sperando di non creare troppa confusione.
Preciso, per i lettori che affrontano questa storia come un'originale,
che nella serie tv Rudyard non esiste (né è
presente un personaggio minore con lo stesso nome o con un background
simile) e che quindi nel contesto originale lui e Gisborne non si sono
mai conosciuti.
Mi
auguro di non essere risultata troppo pesante nel raccontare il
tutto – specialmente vista la necessità di
dividere questo lungo "episodio", se così vogliamo
chiamarlo, in due parti – e spero, come sempre, di aver
soddisfatto le vostre aspettative.
Grazie per essere arrivati fin qui e doppiamente grazie nel caso in cui
decidiate di dirmi la vostra.
Alla prossima!
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Capitolo 10 *** Ritrovarsi ***
Ritrovarsi
Ritrovarsi
Kaelee
era stata informata da Robin che i suoi
fratelli si erano convinti a restare per qualche giorno a Locksley,
così aveva deciso di approfittarne trascorrendo gran parte
del suo
tempo in loro
compagnia. Al villaggio si era sempre data da fare, fin dall'inizio,
perciò tutti chiusero volentieri un occhio, vista la
situazione,
e quando anche Tyrik le disse che non gli occorreva aiuto per gli
impasti invitandola a riposare e godersi la presenza dei suoi
familiari, Kaelee comprese che si erano messi tutti d'accordo per farla
sentire meglio dopo gli ultimi avventimenti. Ne fu così
commossa
che, parlandone con Tuck – il quale la stava aiutando ad
affrontare il
desiderio di uccidere che aveva provato nei confronti di Rudyard e che,
dopo la rabbia iniziale, l'aveva sconvolta
– si ripromise di impegnarsi ancora di più nelle
attività del villaggio i cui abitanti la trattavano come se
avesse sempre risieduto lì.
Con Aric fu un piacevole ritrovarsi, tanto che non si separò
quasi mai da lui che era da sempre il
familiare con il quale Kaelee aveva legato maggiormente; non
è
che
non
volesse bene a Dwight, ma essendo quest'ultimo il più grande
dei
suoi fratelli, non aveva mai avuto modo di cercare punti in comune con
lui. Quando era poco più che una bambina, infatti, la vita
di lui
già si svolgeva prevalentemente nei campi e al rientro era
così stanco che non gli era possibile dedicarsi a lei e
anche se, crescendo, le cose erano un po' cambiate e passavano
più
tempo
insieme visto che lei stessa aveva preso ad occuparsi delle
coltivazioni, la
differenza di età continuava ad incidere in modo rilevante
sul
loro rapporto. In più c'era da tenere conto delle divergenze
caratteriali: se Kaelee era sempre stata una ragazza vivace e
chiacchierona, sempre intenta a cercare una nuova avventura, Dwight
mostrava una spiccata tendenza a stasersene per conto proprio a
pensare, all'ombra di un albero o in qualche altro posto, quindi
difficilmente l'esuberanza di lei riusciva a far positivamente presa
sul fratello.
Esserselo ritrovato a Locksley e averlo visto schierarsi dalla sua
parte contro Rudyard, indusse inevitabilmente Kaelee a riflettere e
spesso, durante la permanenza di Dwight al
villaggio, si chiese se il suo punto di vista in merito al rapporto che
aveva con lui fosse oggettivamente valido e non piuttosto il risultato
di una serie di giustificazioni, che si era data per spiegare in
maniera
semplice e riduttiva la sua mancata volontà di provare a
costruire qualcosa con Dwight per non dover far fronte a una serie di
difficoltà che l'avrebbero scoraggiata.
Arrivò presto, quindi, alla conclusione che –
complice la giovane
età – aveva scelto di dedicarsi al fratello con il
quale
le era stato più facile ed istintivo interagire e che era,
per questo motivo, un
po' anche colpa sua se
non
era mai riuscita a legare con Dwight; il fatto che si fosse innamorata
di un uomo che aveva due anni più di suo fratello non faceva
altro che confermare i suoi ragionamenti e acuire il suo senso di colpa.
Le parve di esserci arrivata con netto ritardo e provò
vergogna
per non essere stata in grado di stare vicino a suo fratello neanche
quando, l'anno precedente, aveva perso la donna che amava ed ebbe la
netta sensazione che la Kaelee di Edwinstowe aveva davvero poco a che
fare con la se stessa che viveva a Locksley, sempre disponibile ad
offrire una mano a chiunque ne avesse bisogno. L'aver preso una
decisione tanto determinante e l'aver affrontato in solitudine quel
viaggio da un
villaggio all'altro avevano lasciato un segno su di lei,
perciò
forse era pronta per un reale tentativo con Dwight, con il quale
avrebbe dovuto parlare come non aveva mai fatto prima.
Sapere che Kaelee era davvero serena lì a Locksley, senza
che
dovesse accontentarsi di un singolo momento di quiete in tutta una
giornata basata su continui contrasti come accadeva a Edwinstowe, rese
più
tranquilli entrambi i fratelli ed in particolar modo Dwight sebbene
egli, a
differenza di Aric, si mostrò subito poco favorevole alla
relazione amorosa
di
sua sorella con Gisborne. Mentre Aric aveva preferito non immischiarsi
negli affari di cuore della sorella, anche se il primogenito gli aveva
visto una strana luce nello sguardo quando Kaelee aveva rivolto un
sorriso estasiato all'uomo, Dwight non riusciva a non pensare a sua
sorella e Gisborne insieme, alle conseguenze che quel rapporto avrebbe
certamente avuto. Fu il dubbio che quest'ultimo potesse un
giorno
renderla infelice a spingerlo verso un confronto diretto con l'uomo
così,
mentre Kaelee ed Aric si prendevano momenti tutti loro, esattamente
come tante volte avevano fatto a Edwinstowe, Dwight, rincorrendo
il tempo che aveva ormai per buona parte perduto, cercò di
calarsi nel ruolo di fratello maggiore e decise di parlare in prima
battuta
con Robin Hood, ritenendolo un uomo giusto seppur coinvolto nei fatti
più di quanto si potesse credere – del resto, come
Dwight
aveva scoperto durante la permanenza, Guy era suo
fratello, anche se acquisito, e sarebbe stato quindi del tutto lecito
da parte sua parlarne positivamente – e poi, proprio su
consiglio
dell'arciere, bussò alla porta di Gisborne.
Casa di Guy, Locksley.
La ferita era così superficiale che Gisborne non
faticò a
rimettersi in piedi già il giorno successivo, potendo
così
letteralmente cacciare di casa Kaelee che, preoccupata per lui, avrebbe
persino rinunciato ad approfittare della presenza dei suoi fratelli, ne
era certo. E poi, come quando era rimasto ferito nell'ultimo scontro
con Vaisey, c'erano Robin e Archer a fargli da mammine premurose
visitando la sua abitazione più volte al giorno,
separatamente o
insieme, e portandogli perfino da mangiare. Gisborne trovava la cosa
molto divertente dal momento che tra lui e Robin negli anni precedenti
era stata guerra aperta e rimaneva comunque della convinzione che a
cucinare per lui fosse Much e non Archer, come entrambi sostenevano con
convinzione.
«Saprai pure preparare il fuoco greco, ma non saresti in
grado di tagliare una mela a metà nemmeno con la migliore
tra tutte le lame», gli aveva detto la sera precedente,
quando Archer gli aveva addirittura portato un'ottima minestra che era
appena stata tolta dal fuoco.
Erano da poco passate le dieci del mattino quando qualcuno
bussò alla sua porta.
«Spero di non disturbare», disse Dwight
con un tono gentile accompagnato però da un'aria
seria, forse tesa.
«Sei il benvenuto», rispose Guy
invitandolo ad accomodarsi. Sebbene lo conoscesse da poco, non aveva
faticato a riconoscerlo, soprattutto perché in lui aveva
rivisto
l'espressione di Kaelee quando era concentrata durante le loro
esercitazioni, senza contare che il colore degli occhi di Dwight era
molto simile a quello di Kaelee, benché leggermente
più
scuro. Non aveva alcun buon motivo per non accoglierlo e non intendeva
negargli un confronto, se l'uomo era arrivato fin lì per
quello,
come Gisborne credeva. Del resto riteneva giusto che un fratello
maggiore si preoccupasse del destino di sua sorella e, potendo tornare
indietro e modificare il proprio passato, anche lui si sarebbe
comportato alla stessa maniera con Isabella, evitando si venderla al
primo nobile che offrisse un'ottima somma di denaro. Lui non avrebbe
offerto nessuna somma di denaro quel giorno a Dwight, non avrebbe
comprato Kaelee qualora suo fratello lo avesse cercato per
vendergliela, perché nessun oggetto materiale per quanto
prezioso e bello valeva l'amore che la donna provava nei suoi confronti.
Dwight si
sentiva un po' sciocco a preoccuparsi di
Kaelee solo ora che lei aveva raggiunto i vent'anni e la
maturità necessaria per decidere di farsi una vita tutta
sua, ma
soprattutto si sentiva stupido per non averla mai protetta prima, per
non averle dato mai un consiglio, per aver lasciato che sua madre
facesse programmi per lei. Per tanti anni aveva permesso che Kaelee se
la cavasse da sola, senza il suo intervento, ma ora, anche se in netto
ritardo, aveva deciso che era suo dovere assicurarsi che quell'uomo
fosse per sua sorella migliore di quello che altri avevano
già
scelto per lei. E questo era il nocciolo della questione, da questo
derivava il suo bisogno di parlare con Guy. Dwight, infatti, aveva
un'idea piuttosto chiara di chi fosse Sir Guy di Gisborne, –
e in
base a
quest'idea lo giudicava inadatto a Kaelee – ma non conosceva
per
nulla l'uomo che aveva davanti in quel momento, lo stesso che aveva
protetto sua sorella da Rudyard parandosi letteralmente davanti a lei.
Che fosse un ottimo duellante, Dwight non lo metteva in
dubbio, ma
a colpirlo maggiormente non era stata la destrezza con cui Gisborne
aveva allontanato Kaelee mettendola in salvo da un possibile affondo di
Rudyard, quanto più il fatto che l'uomo fosse stato disposto
a
farsi ferire, forse perfino uccidere, al posto di lei. Il Sir Guy di
Gisborne delle eroiche
storie su Robin Hood e i fuorilegge non si sarebbe mai reso
protagonista di un così nobile gesto, Dwight ne era
più che sicuro.
Gli venne offerta della frutta e un buon vino, che non osò
rifiutare per non offendere la gentilezza del suo ospite, e nel giro di
pochi minuti i
due uomini stavano parlando con una surreale tranquillità
del
viaggio che lui ed Aric avevano affrontato per raggiungere Locksley
e del loro soggiorno nel villaggio. L'uomo si sentì subito a
proprio agio e comprese che chiunque fosse stato Gisborne, non era
più la stessa persona a meno che stesse fingendo.
Lo osservò a lungo prima di arrivare al dunque, prendendo
tempo con chiacchiere più leggere e vaghe. Aveva
maniere
gentili, era indubbiamente un uomo ben educato e senza dubbio
più colto di lui; l'abbigliamento, semplice e funzionale,
nettamente in contrasto con il ruolo che aveva ricoperto fino all'anno
precedente, era indice di una vita fatta di piccole cose e vissuta tra
la gente comune e non in mezzo ai potenti o ai nobili; si portava
dietro ancora un che di tenebroso, ma il suo sguardo era quasi
completamente limpido e l'impressione che gli fece fu inaspettatamente
positiva.
Dwight era evidentemente partito prevenuto nei suoi riguardi e si rese
conto di aver dato ascolto soltanto ad una parte di ciò che
si
diceva su Sir Guy di Gisborne e di non conoscere per nulla gli eventi
che ne avevano caratterizzato l'esistenza. Era stato un errore sciocco
e dettato soprattutto dall'esperienza maturata frequentando Rudyard: a
lui non era mai successo niente di particolarmente spiacevole, eppure
aveva ugualmente iniziato a nutrirsi di cattiveria pur di compiacere la
madre e sentirsi degno di rappresentare la famiglia. Secondo
il pensiero di Dwight, Rudyard aveva una predisposizione a
comportamenti violenti, ma se questa aveva preso il sopravvento
sull'uomo era in parte colpa della genitrice, che aveva sempre tentato
di istigare i fratelli e metterli l'uno contro l'altro per una ragione
che Dwight non aveva ancora compreso.
In quanto a Gisborne non ne conosceva i trascorsi più
remoti,
né sapeva cosa gli fosse successo nel frattempo, quale
evento
gli avesse stravolto l'esistenza, se fosse in parte merito di sua
sorella, cosa lo avesse spinto a cambiare in
modo così radicale, ma gli era palese che quello sguardo
tanto sincero non
poteva appartenere al
mostro protagonista di molteplici episodi di scellerata violenza. Il
dubbio che stesse mentendo si dissolse completamente: il temuto
Sir Guy
di Gisborne non ci avrebbe pensato due volte ad uccidere Rudyard sotto
gli occhi di Kaelee, se
facendolo ne avesse tratto giovamento.
«Sir Guy, voglio ringraziarvi per aver difeso mia
sorella», disse facendosi coraggio.
«Ti prego, Guy va più che
bene», lo interruppe lui, invitandolo a non essere
così formale.
Dwight
annuì e abbassò per qualche attimo lo sguardo in
segno di
rispetto: anche se Gisborne gli aveva lasciato intendere di preferire
una conversazione alla
pari, restava di fatto comunque un nobile.
«Guy allora»,
accordò. «Mi auguro che la ferita non sia causa di
spiacevoli conseguenze», aggiunse, scusandosi poi al posto di
Rudyard.
Gisborne
lo ringraziò e gli disse che si
trattava di un taglio di poco conto che non gli avrebbe dato alcun
problema in futuro e che, anzi, il dolore era quasi del tutto sparito
grazie anche alle cure di Kaelee.
«Tengo molto a lei», disse ancora
introducendo, forse volontariamente oppure forse per pura
coincidenza, l'argomento di cui Dwight voleva discutere con
lui.
L'uomo si prese ancora un minuto per riflettere, poi decise di
raccontare a
Gisborne la storia della ragazza immaginando che lei non dovesse essere
mai scesa nei particolari: del resto neanche a lui faceva piacere
parlare della famiglia di cui, suo malgrado, era parte.
Gli parlò di un'infanzia trascorsa prevalentemente in
compagnia
di Aric, il quale l'aveva tenuta per mano in tutte le fasi della sua
crescita
nonostante l'insignificante differenza d'età;
raccontò di
come la
madre
avesse lasciato che badasse a se stessa, in quanto troppo
impegnata
a gestire gli affari della casa e dei campi per occuparsi di una
bambina vivace, tanto più perché non aveva mai
tenuto
nascosto che avrebbe
preferito un altro maschio anziché una femmina alla quale
dover trovare marito un giorno; di quanto Kaelee,
anche da bambina, avesse subito manifestato
uno spirito curioso e libero che tante volte l'aveva cacciata nei
pasticci nonostante la supervisione di Aric, il quale alla fine si
lasciava coinvolgere nelle piccole grandi avventure di sua sorella;
delle
volte in cui aveva avuto l'ardire di prendersi la libertà di
andare in giro per il
villaggio, senza chiedere permesso a sua madre la quale certamente
gliel'avrebbe negato,
solo perché aveva voglia di vedere un'altra bambina sua
amica o
di
rincorrere una farfalla o anche semplicemente di stare all'aria aperta.
Proseguì soffermandosi ancora sul carattere duro della madre
e
su quanto
pretendesse da Kaelee che, a parte lei, era l'unica donna di casa. Era
appena un'adolescente ed era già costretta a lavare i panni
di
tutta la famiglia, lucidare i pavimenti e tenere in sesto le stanze, ma
la ragazza non si era mai lasciata sconfortare dalla situazione e aveva
trovato sempre una ragione per sorridere insieme ad Aric, suscitando
invidia negli altri fratelli. Con
l'età erano sopraggiunti nuovi interessi, grazie anche
alle
storie che Aric le leggeva, contravvenendo alle regole dettate dalla
madre secondo la quale leggere non era affatto un'attività
per
fanciulle.
Quando Kaelee aveva detto di apprezzare molto il suono degli strumenti
musicali che aveva ascoltato una volta al villaggio, durante una festa,
la madre l'aveva
chiusa in casa per una settimana intera
dicendole che la musica non era affare da donne,
così come
leggere, scrivere e tutte le altre discipline che suscitavano
l'interesse di Kaelee aggiungendo che, se avesse continuato su quella
via, sarebbe presto stata additata come strega e messa al rogo
pubblicamente, derisa da tutti gli abitanti di Edwinstowe che si
sarebbero poi anche allontanati dalla famiglia, che sarebbe piombata
nel disonore; quella era stata
una delle poche volte in cui Dwight era intervenuto invitando sua
sorella a uscire dalla stanza se lo desiderava, senza dover temere
nulla. Ancora, la
ragazza aveva pregato fino alle lacrime affinché le fosse
permesso di poter andare a cavallo visto che i suoi fratelli lo
facevano e non ottenendo di poterlo fare, aveva deciso di imparare da
sola, di nascosto e con la complicità di Aric, come sempre.
Era
difficile contenerla. Una volta
rischiò
di restare schiacciata
dall'animale in seguito ad una caduta, ma nemmeno allora la madre
consentì a uno dei fratelli di istruirla e, anzi, una volta
che Kaelee si fu ripresa sua madre la picchiò selvaggiamente
com'era abituata a fare con i figli maschi quando le disobbedivano.
Lei,
però, ancora una volta non si lasciò scoraggiare,
ignorò le minacce di sua madre, si nascose agli occhi di lei
e infine
imparò: appena poteva si allontanava da quella
casa
per lunghe corse o passeggiate in sella al destriero che era destinato
ad Aric e che lui le cedeva volentieri, coprendola e rendendosi suo
complice come aveva fatto quando era partita. Dwight ammise anche,
a Gisborne, che, sebbene raramente fosse intervenuto, aveva
sempre tenuto d'occhio Kaelee da lontano, fatta eccezione per gli
ultimi dodici mesi circa che aveva dedicato quasi esclusivamente a se
stesso. Alla fine, raccontò, il padre le
aveva regalato un cavallo tutto per lei mettendosi per la prima volta
contro
la moglie; era lo stesso animale che l'aveva poi portata fino a
Locksley. Gli disse che Kaelee avrebbe voluto fare un sacco di cose e
che non aveva potuto farne nessuna finché era rimasta a
Edwinstowe. Poi, con un filo di amara tristezza, confidò a
Gisborne di non aver mai nemmeno sospettato che Aric conoscesse la
verità sulla fuga della ragazza e ammise di non avere idea
di
ciò che lei facesse lì a Locksley e se avesse
oppure no
realizzato almeno uno dei sogni che la rendevano tanto determinata.
Gisborne lo ascoltò in silenzio intervenendo raramente,
lasciando che fosse lui a parlare, e mostrandosi molto interessato a
ciò che Dwight gli stava raccontando.
«Qui cavalca spesso», gli disse. «Abita
con Kate, la
donna bionda che era presente in piazza quando tu e Aric siete
arrivati, e Allan
le sta insegnando a leggere. Svolge diversi lavori insieme agli
artigiani
del villaggio e, come avrai avuto modo di notare da solo, sa maneggiare
un'arma», lo informò con calma, gentilezza ed un
sorriso
sulle labbra, come se lui per primo fosse felice che Kaelee avesse una
vita tanto piena lì a Locksley.
A Dwight venne spontaneo chiedere da chi avesse imparato a
usare una spada e quando Gisborne gli rispose che era stato lui
a insegnarglielo, ne fu felice.
«È un bene che sappia difendersi»,
constatò.
«Lo è. Aveva iniziato con arco e frecce, prendendo
lezione
da Robin e Archer, ma non va molto d'accordo con quest'arte»,
disse Guy usando un tono leggero, quasi divertito.
«In questo è identica a nostro fratello Aric. Non
c'è pericolo che impari a scoccare una freccia, ma forse
nessuno
di noi ha avuto la pazienza necessaria a insegnarglielo. Almeno Kaelee
ha un ottimo
maestro».
Gisborne lo ringraziò assicurando che avrebbe fatto del
proprio
meglio per rendere indipendente Kaelee sotto quel punto di vista,
così un'altra domanda sorse spontanea nella mente di Dwight.
«Prima hai detto che alloggia nell'abitazione di Kate.
Perciò non vive qui con te? Assistendo a quanto è
accaduto nella Piazza del Mercato, mi ero convinto che condivideste
molto più che un po' di tempo insieme», disse
guardandolo
attentamente negli occhi. Anche se si fidava sia di Gisborne che di
Kaelee, Dwight non escludeva che entrambi potessero mentirgli su quel
particolare onde evitare che si dichiarasse contrario alla relazione.
«Viene spesso a farmi visita», rispose Guy,
mostrandosi
tranquillo. «Dedica molto tempo alle esercitazioni con me e
alla
prima occasione ci troviamo al pozzo o al forno di Rebecca, davanti
alla Chiesa o nei pressi nel Maniero per una passeggiata o anche
soltanto per parlare. Ma non è questo che ti preme sapere
adesso, dico bene?», chiese e Dwight annuì.
«Ti do la mia parola: non ne ho mai violato la
purezza», mormorò senza mai distogliere lo sguardo
dal suo.
Non fu per niente difficile credergli dal momento che i suoi occhi
chiari
tradivano tutta l'intensità di quella confessione,
così
Dwight annuì di nuovo e lo ringraziò per la
sincerità e per
il rispetto con cui trattava sua sorella. Vi fu una breve pausa prima
che riprendesse a parlare della vita di Kaelee a Edwinstowe.
L'adolescenza della ragazza non era stata per nulla semplice. In
continuo contrasto con sua
madre e senza l'appoggio dei fratelli, escluso Aric, rideva molto meno,
era meno spensierata e trascorreva molto tempo da sola a pensare, forse
a immaginare una via di fuga visto com'erano poi andate le cose. Ma la
determinazione non l'abbandonò mai, nemmeno quando ricevette
la
notizia che era stato combinato un matrimonio per lei. Disse di essere
certo
che Kaelee non si fosse mai innamorata finché era rimasta a
Edwinstowe e se lo sapeva non era perché si fosse davvero
interessato alla vita sentimentale di lei, ma perché sua
madre non le permetteva di frequentare nessuno. Perciò,
sostanzialmente, l'amore era rimasto per lei solo un'idea. Svolgeva le
faccende,
lavorava la terra e ascoltava le storie che i fratelli le
raccontavano.
«In
particolare apprezzava quelle che parlano di Robin Hood»,
disse
e aggiunse che nessuno di loro si era mai veramente accorto di quanto
quella figura fosse diventata per lei un esempio da seguire e un sogno
da inseguire, il simbolo di una libertà da conquistare.
Dwight
aveva infine capito che erano davvero quelli i motivi che avevano
spinto sua
sorella ad andarsene e mentre raccontava, finì per confidare
a
Gisborne molti dei suoi problemi personali con Kaelee.
Ribadì quanto fosse sempre stato assente con lei,
come
non si fosse opposto alle imposizioni di sua madre, quanto fosse
stato egoista e inutile come fratello.
«La più coraggiosa tra noi è proprio
Kaelee»,
ammise infine prendendosi un'ulteriore pausa che inumidì con
un
sorso di vino.
«Kaelee non aveva la minima idea di chi io fossi
quando ci siamo conosciuti», rifletté Gisborne
dopo un po'
e non ci fu bisogno che continuasse: Dwight capì dove voleva
arrivare l'uomo e gli disse che quando lei era in ascolto i fratelli
parlavano
esclusivamente degli atti eroici di Robin e dei suoi uomini, di tutte
le volte che rubava un carico di denaro destinato allo Sceriffo o di
come distribuiva pane e ceste di frutta e ortaggi ai poveri dei
villaggi che, oppressi dalle tasse, non riuscivano a mettere da parte
nulla e finivano per non avere nulla da mangiare pur lavorando
tantissimo. Questo perché in primo luogo Kaelee era una
ragazza
e poi perché credevano fosse particolarmente sensibile e
temevano di impressionarla mostrandole anche il lato violento di quelle
imprese. Infine anche
perché volevano insegnarle che quei racconti erano soltanto
storie e
che
la vita vera era quella che tutti i giorni vivevano in assenza di
Robin Hood. Avevano
quindi preferito fare di Robin l'eroe per antonomasia, il
protagonista indiscusso che, sebbene avesse numerosi nemici non ce ne
fosse nemmeno uno degno di nota, il personaggio di una
storia
appunto. E invece Kaelee aveva preso la cosa sul serio ed era infine
andata a cercare il suo eroe.
«Il
tuo nome non è mai comparso nei racconti destinati a lei e,
come
già sai, Kaelee non frequentava nessuno esclusa la famiglia
e
non ha mai avuto quindi modo di conoscere altro», concluse
Dwight. La domanda che seguì fu la più logica, a
quel
punto. «Sa chi sei?».
L'uomo si rese conto di aver posto una questione particolarmente
ostica,
eppure era necessario chiarire anche quel punto. Perciò
toccava
a Gisborne ora raccontare e Dwight si accorse subito che sarebbe stato
un racconto tutt'altro che
semplice e veloce.
Continuarono
a parlare per ore: Dwight cercando di
capire che intenzioni avesse Gisborne con Kaelee, Guy tentando di
guadagnarsi la fiducia dell'uomo che sarebbe potuto diventare suo
cognato. Alla fine della conversazione entrambi raggiunsero il proprio
obiettivo e uscirono insieme, in pace, per raggiungere Kaelee.
Maniero di Robin,
Locksley.
Kaelee si stava dirigendo con Aric verso l'abitazione di Robin e Archer
dopo una
lunga camminata nella foresta, servita alla ragazza per raccontare a
suo
fratello di tutte le attività che svolgeva al
villaggio, tenendo a precisare soprattutto di aver imparato a
leggere
grazie alla pazienza di un amico. Ci stava ancora lavorando su, in
verità, come ammise arrossendo lievemente, ma era
così felice che si sarebbe messa a
leggere
qualsiasi cosa pur di dimostrare ad Aric di esserne capace e anche se
aveva scorto una nota cupa nello sguardo di suo fratello quando gli
aveva fatto quella confidenza, il consueto entusiasmo aveva preso il
sopravvento su ogni cosa e alla fine Aric aveva sorriso, dicendosi
felice che fosse riuscita a realizzare molti di quelli che a
Edwinstowe erano soltanto desideri con poca probabilità di
concretizzarsi.
«Non sono davvero brava quasi in niente
però», si
era sentita di puntualizzare mentre si avvicinavano al Maniero.
«Ci credo poco», sbuffò lui, alzando gli
occhi al cielo.
«Ma è la verità!»,
esclamò
strattonandolo giocosamente. «Robin e Archer si sarebbero
presto
strappati i capelli se Guy non avesse scoperto che sono più
portata a maneggiare una spada che a tendere un arco!»,
aggiunse.
«Mh... E chi sarebbe questo amico che ti ha insegnato a
leggere?», chiese Aric evitando commenti su quanto lei aveva
appena detto e con una punta di un sentimento, nella voce, che Kaelee
non
riuscì a individuare, considerato che il ragazzo si ostinava
a non
guardarla mai negli occhi, dandole di fatto la sensazione che qualcosa
in lui non
andasse, che fosse in qualche modo turbato e che non volesse
però parlargliene. "Forse la sua mente è
concentrata su
Rudyard e forse dovrei pensarci anche io", si disse prima di
rispondergli.
«Allan», mormorò. «Ho detto
qualcosa di
sbagliato?», chiese poi, attirando l'attenzione di suo
fratello,
che finalmente la guardò.
«Allan? Allan A Dale? L'uomo che ti ha offerto la sua
protezione?», disse in una raffica di domande che fece
aggrottare le sopracciglia a Kaelee.
«Non sarai mica geloso? Sono tutti miei amici qui,
è
naturale per me trascorrere con loro il mio tempo», rispose
gentile, rivolgendo ad Aric un sorriso e prendendolo a braccetto come
non faceva da tanto.
«Amici», brontolò lui in un modo
così buffo
da farla ridere. «Gisborne non è tuo
amico»,
borbottò.
«Hai ragione, lui è qualcosa di più per
me. Ma tu
hai sempre un posto nel mio cuore», sussurrò
Kaelee
volendolo rassicurare e ritenendo necessario esprimere l'affetto che
provava nei suoi confronti, dal momento che a breve sarebbe rientrato a
Edwinstowe nonostante lei gli avesse chiesto di restare a Locksley.
Chiacchierando raggiunsero il Maniero e, trovandovi sia Archer che
Robin, Kaelee decise di trattenersi in compagnia
di suo fratello e dei due uomini, certa che con loro non c'era davvero
pericolo di annoiarsi. Inoltre proprio non riusciva a separarsi da Aric
che per tanti anni le era stato vicino e l'aveva supportata nonostante
fosse caratterialmente diverso da lei.
Aric, infatti, era un ragazzo piuttosto introverso e timido,
soprattutto
perché in casa nessuno l'aveva mai preso davvero in
considerazione e tutti avevano ritenuto che fosse più un
peso
che altro, per tutta la famiglia, a causa delle sue strane
inclinazioni.
Gli ultimi eventi, però, come Kaelee aveva notato,
avevano iniziato a mutarlo e questo gli consentì di fare
amicizia molto in fretta con i due fratelli che abitavano a Locksley.
Lo vide restarci di stucco quando
Robin gli raccontò come stavano le cose tra lui, Archer e
Guy, consapevole che – come era stato per lei –
anche per
Aric doveva essere una grande emozione poter parlare con Robin Hood in
persona dopo
aver appreso così tante storie sul suo conto:
essere addirittura suo ospite e ascoltare i racconti direttamente da
lui era un'esperienza incredibile, Kaelee lo sapeva bene. Non avrebbe
mai dimenticato il momento in cui per la prima volta aveva incontrato
gli occhi vispi del fuorilegge e ascoltato la sua voce allegra, come
non avrebbe mai scordato la moltitudine di domande che immediatamente
avrebbe voluto rivolgergli, così immaginò che per
Aric
fosse lo stesso con l'aggiunta di uno spiccato interesse nei confronti
di Archer, il quale conosceva i segreti
dell'alchimia. Kaelee non aveva capito di cosa si trattasse
esattamente nemmeno quando il fratello di Robin le aveva detto che
l'alchimia era qualcosa di incredibilmente affascinante
che stava tra la magia e la scienza, ma era certa che per uno come
Aric, che da sempre
si era interessato ai fenomeni
della Natura e al modo in cui essa muta ogni cosa nel tempo e spesso
ciclicamente, perfino le montagne,
osservare le "magie" che Archer era in grado di compiere, facesse di
lui
un uomo meno solo e più felice.
Era contenta di vedere suo fratello tanto sereno nonostante
i
problemi e le angosce che coinvolgevano tutti, perché
Rudyard era ancora in
circolazione e nessuno di loro sapeva per certo se fosse rientrato a
Edwinstowe o si fosse fermato nelle vicinanze di Locksley in attesa di
colpire di nuovo.
«Non
è andata proprio così»,
replicò Archer
interrompendo Robin che stava raccontando, soprattutto ad Aric, di
quando lui e Gisborne lo
avevano
salvato, a York.
«Sì
invece!», si voltò lui abbassando le sopracciglia
come se
fosse infastidito, ma mantenendo quel sorriso che lo contraddistingueva
e lo faceva sembrare un eterno ragazzino.
«Evidentemente hai la memoria corta. Aric, lascia
che ti racconti io come stanno le cose», ribatté
Archer mettendogli un braccio attorno alle spalle, nel chiaro tentativo
di tirarlo dalla propria parte.
Kaelee
alzò gli occhi al cielo e scosse il
capo. Li aveva visti un mucchio di volte metter su spettacoli come
quello: si punzecchiavano in
continuazione e poi finivano sul pavimento a far finta di picchiarsi.
Se poi c'era anche Guy, la faccenda diventava ancora più
comica.
Erano tutti abbastanza adulti da potersi permettere di tornare a fare i
bambini ed era un po' come se volessero riconquistare la parte di tempo
che gli era stata tolta quando erano piccoli, riflessione, questa, che
aveva incoraggiato molto la ragazza nella sua volontà di
recuperare con suo fratello Dwight.
«Non
ricordo cos'hai detto della mia memoria, ma so che era qualcosa di poco
gentile. Quindi scusati», scherzò Robin.
Aric li osservava senza riuscire a capire bene fino a che punto i due
fingessero. Di tutti i racconti che aveva sentito in giro, non ne
ricordava uno che parlasse di momenti come quello e capì che
ciò che si diceva in giro era soltanto una parte
infinitesimale
di quello che realmente era la vita di Robin Hood.
"Tutti parlano di Robin Hood e di quanto sia buono, o fastidioso
se il punto di vista è quello dei ricchi, ma nessuno si
preoccupa mai
della sua vita privata, delle sofferenze che lo tormentano, dei
drammi che certamente ha vissuto, dei sentimenti che prova, ed
è
proprio questo il punto. Hanno fatto di lui un eroe da ballate e canti,
ma lo hanno privato completamente di quello che forse è il
suo
lato più bello e sconvolgente: il lato più
umano",
pensò mentre lo osservava divertirsi come un uomo qualunque
in
compagnia di un ragazzino tutto muscoli e perfino più alto
dell'arciere, che aveva scoperto essere suo fratello. Anche se Aric
sapeva che Archer era fratello di Robin soltanto per metà,
nulla
di ciò che vedeva lo aveva indotto a pensare che Robin lo
considerasse un fratellastro di poco conto, perché la loro
complicità era degna di un legame molto più
profondo che
lo meravigliò moltissimo: lui non aveva mai avuto un simile
rapporto con nessuno dei suoi fratelli, nemmeno con Kaelee in effetti.
«Vedi? Sei vecchio ormai», rispose
Archer confermando la sua tesi con un'eloquente alzata di spalle.
Più Aric li osservava, più sentiva di non aver
mai fatto
abbastanza per conquistarsi la fiducia e l'attenzione dei suoi
fratelli, quelli migliori come Dwight e Kaelee ad esempio. Certo non
negava che sua sorella non lo avesse mai scoraggiato, ma in cuor suo
sapeva che lei non aveva mai condiviso davvero i suoi interessi,
perciò non aveva mai potuto creare con lei la
complicità che vedeva così spontanea tra Robin e
Archer.
Più li osservava, più desiderava poter avere
anche lui un
rapporto così libero, spensierato, con Dwight.
"Non si conoscono quasi per nulla avendo appreso di essere
fratelli soltanto in età adulta, nessuno di loro ha avuto
vita semplice ed entrambi probabilmente non hanno un reale motivo
per volersi bene, non avendo un passato comune, eppure tra loro
c'è un sincero rapporto fraterno. Nonostante Archer sia
parente
di Robin solo per parte paterna e nonostante il padre si sia negato ad
entrambi facendosi credere morto e tornando dall'arciere
soltanto
per poter morire in pace, i fratelli hanno un'affinità che
va
oltre agli eventi del passato e che ha fatto di loro
una famiglia. Non hanno più i genitori, ma nessuno di loro
è
più solo su questa terra. Nemmeno il temibile Gisborne,
fratello
di Archer per parte materna", pensò ancora Aric
convincendosi
che era necessario parlare con suo fratello maggiore e prendere,
insieme, una posizione forte per cambiare le cose a Edwinstowe. Aric,
contagiato dal clima di unione e serenità che regnava a
Locksley, si sentì pervaso da una forza che non aveva mai
creduto di possedere e seppe, per la prima volta in tutta la sua vita,
di poter davvero cambiare le proprie sorti. Gli sarebbe bastato
soltanto avere il coraggio di decidere, proprio come aveva fatto Kaelee
mesi prima, e in quel momento fu certo di essere pronto per quel passo.
Mentre Aric era immerso in quei pensieri, qualcuno aprì
l'uscio ed entrò come se fosse casa
propria e in effetti un po' lo era – pensò il
giovane quando vide di chi si trattava.
Gisborne, infatti, si era appropriato del Maniero di Robin quando
quest'ultimo
era diventato un fuorilegge e per molto tempo vi aveva vissuto solo per
indispettirlo e umiliarlo. Evidentemente, però, anche se
nelle
storie Aric non aveva mai sentito parlare nel dettaglio di quanto e
perché l'ex
braccio destro dello Sceriffo di Nottingham fosse cambiato, Gisborne
aveva restituito ogni cosa al legittimo proprietario, nonostante il
grado di parentela acquisita tra lui e Robin, ed era andato ad abitare
in una costruzione che lui stesso
aveva tirato su insieme ai nuovi amici laddove un tempo sorgeva
–
così aveva appreso Aric – la casa
in cui aveva abitato con sua madre, andata poi a fuoco.
Tutta quella situazione sembrara surreale agli occhi e al cuore di
Aric, sempre più immerso in intime riflessioni in merito
alla
propria famiglia.
«Possibile che alla vostra età ancora
non abbiate imparato le buone maniere?», esordì
Gisborne.
«Abbiamo degli ospiti, nel caso in cui non ve ne foste
accorti», concluse allargando le braccia come se fosse
esasperato.
Quell'alta e massiccia figura intimorì Aric che,
istintivamente,
si ritrasse verso l'angolo più lontano dall'uomo sebbene
insieme
a lui fosse entrato anche suo fratello Dwight. Il giovane
ipotizzò che i due avessero parlato tra loro di Rudyard e di
come affrontarlo per tenerlo lontano da Kaelee, ma un sesto senso gli
suggeriva che avessero parlato anche di qualcos'altro che doveva aver
disteso l'animo di suo fratello, giacché non lo vedeva
così tranquillo da diversi mesi.
Kaelee, intanto, che assisteva alla scena già divertita,
vide
suo fratello Dwight raggiungerla e sorriderle come poche volte era
successo in passato.
«Ora sì che siamo a posto!»,
esclamò ironica rivolgendosi a Gisborne e facendolo ridere.
Poi si concentrò su Dwight e vide in suo fratello qualcosa
che non ricordava di
aver mai visto in lui e che non era sicura di saper identificare.
Sembrava più leggero sebbene fisicamente fosse esattamente
come lo ricordava. Doveva essere piuttosto qualcosa che
riguardava la sua vita interiore, come se si fosse appena liberato di
un
grosso macigno. L'aveva visto chiudersi in se stesso dopo la morte
improvvisa della donna che amava, aveva assistito al suo dolore senza
riuscire a fare nulla per alleviarlo perché, si rese conto,
non
conosceva affatto suo fratello e non sapeva minimamente quale fosse il
giusto approccio da usare con lui.
Il fatto che fosse arrivato insieme a Guy rese ulteriormente pensierosa
la ragazza
che aveva trascorso tutta la mattina insieme ad Aric, senza chiedersi
dove fosse il maggiore dei suoi fratelli. Era quasi certa, a quel
punto, che lui e Gisborne avessero parlato e ciò che la
preoccupava era l'argomento di discussione: Dwight aveva cercato di
convincere Guy a lasciarla tornare a Edwinstowe? Gli aveva detto che
non poteva stare con lei? Che il reale motivo per cui lui e Aric erano
giunti a Locksley non era quello che le avevano riferito?
Provò a non andare in paranoia e ad analizzare ogni cosa con
calma, soprattutto osservando l'atteggiamento del maggiore dei suoi
fratelli. Tanto per cominciare, se Dwight avesse cercato di convincere
Guy
a lasciarla, si disse Kaelee, quest'ultimo di certo non sarebbe stato
tanto allegro come invece appariva; in secondo luogo i due non
sarebbero andati insieme a
casa di Robin, perciò forse era meno tragica di quanto
credesse.
Le bastò incontrare lo sguardo di Gisborne per sapere che
tutto
andava bene. Quegli occhi tanto limpidi e belli che le facevano battere
il cuore tutte le volte, non esprimevano altro che gioia. Da quando era
apparso in quella stanza, Guy aveva riempito il campo
visivo della ragazza e per quanto lei cercasse di domare l'istinto di
tenergli gli occhi incollati sulla schiena, sul volto, sul petto, sulle
mani, sulla nuca, sulle gambe, non le riusciva nemmeno lontanamente. Si
sentiva infantile per questo e per nulla donna, ma aveva scelto di
essere felice e se la felicità dipendeva da un atteggiamento
infantile, allora sarebbe stata per sempre una bambina. Poco le
importava.
Intanto i tre fratelli continuarono a punzecchiarsi per diversi minuti
finché il più grande, Guy, – che si era
ritrovato
di
nuovo ad essere il fratello maggiore dopo la morte di Isabella
– decise che era il momento di
smetterla. Prese Robin e Archer per un orecchio e fece loro una
strigliata con i fiocchi, con il solo scopo di divertire il pubblico.
Ciò che rendeva poco credibile e
molto
assurda quella
situazione, infatti, era che tutti ridevano di gusto. In momenti come
quello, i
sedici anni che si interponevano tra Kaelee e Guy sembravano non
esistere più.
Infine, tra l'allegria che aveva contagiato i presenti, Gisborne le
rivolse
un sorriso colmo d'amore e così intenso che, come
sempre,
lei arrossì e abbassò lo sguardo, a maggior
ragione
perché due dei suoi fratelli
erano lì a guardarla. Non aveva esplicitamente rivelato
ai
fratelli che amava Gisborne, ma entrambi sicuramente avevano potuto
intuirlo tanto
da ciò che aveva riferito ad Aric il giovane messaggero suo
amico, quanto da come si era comportato Guy dinanzi a Rudyard. Eppure
non si vergognava dei propri sentimenti, sebbene la presenza
dei fratelli la imbarazzasse leggermente: senza di loro, probabilmente,
sarebbe corsa ad abbracciare Gisborne anche davanti a Robin e Archer, i
quali ormai ci avevano fatto l'abitudine avendo vissuto ogni cosa
insieme a lei e Guy. Non
credeva invece che fosse opportuno farlo in quel frangente, temendo di
poter sconvolgere, spiazzare o inorridire i suoi fratelli.
Intanto anche Aric le si era avvicinato di nuovo e la osservava con una
strana espressione sul viso.
«Loro sanno di te e Gisborne?», domandò
in un sussurro, riferendosi chiaramente a Robin e Archer,
risvegliandola
dai propri pensieri.
Kaelee annuì timidamente e, mentre Robin organizzava
qualcosa
che prevedeva l'intervento di Much, prese coraggio, seguì il
proprio istinto e si avvicinò a Guy che subito
intrecciò le dita a quelle di lei continuando ancora a
punzecchiarsi con i fratelli. La sensazione che Kaelee
provò fu di immediata completezza, come se le mancasse un
pezzo
ogni volta che non era con lui, perciò aumentò la
stretta
sulla mano di Guy, il quale le rivolse uno sguardo dolce e rassicurante
che non sfuggì a Dwight.
L'uomo si lasciò per un attimo invadere dalla malinconia
mentre
veniva travolto dal sentimento che avvolgeva sua sorella e Gisborne,
– il legame di cui quest'ultimo gli aveva parlato con tale
sincerità e trasporto da emozionarlo e convincerlo che
Kaelee era più al sicuro tra le braccia di Gisborne che
costretta in un abito elegante al fianco di un prepotente –
si
lasciò travolgere dai ricordi della sua amata dai lunghi
capelli sottili, del colore del pane ai cereali, che lei preferiva
intrecciare lungo le tempie ed unire dietro in un'unica treccia che
usava fissare con un filo d'erba cui lui, di tanto in tanto, aggiungeva
un fiore; si lasciò accarezzare di nuovo dalla fresca
brezza della felicità che gli sfiorava il volto e le braccia
nude quando era insieme a lei e poteva sorriderle senza un
perché. Guardare Guy e Kaelee era un po' come
rivedere se stesso, ma inaspettatamente questo non lo ferì.
Gli
ridiede, anzi, una valida motivazione per continuare a vivere: la
giovane
ragazza era riuscita a prendere le redini del proprio destino
nonostante avesse avuto tutto contro ed ora era felice, così
a Dwight fu chiaro
che la speranza non conosceva confini se si era disposti a farla
entrare nella propria esistenza e lui, in quel momento, si
sentì pronto.
Intanto Robin e Archer, senza dar modo a nessuno di replicare e
creando, forse appositamente, una gran confusione, abbandonarono la
stanza con la scusa di dover parlare con Much – che Dwight
sapeva essere il più fedele dei membri della banda, ma che
non aveva riconosciuto nella piazza il giorno del suo arrivo a Locksley
– di qualcosa che contemplava la sua presenza e
raccomandarono agli ospiti rimasti di comportarsi come fossero a casa
propria. Dwight comprese che Robin e Archer avevano voluto dar modo ai
quattro di dirsi quanto era
necessario, perciò si disse che toccava quindi a lui
iniziare, si fece coraggio e mise a conoscenza Kaelee dell'affetto che
nutriva per lei, anche
se troppo spesso non glielo aveva dimostrato, sbagliando tutte le
volte. Le rivelò anche i motivi per cui aveva deciso di
parlare
con Gisborne prima di far ritorno a Edwinstowe.
«Dovevo
sapere che qui sei felice»,
mormorò dando loro infine il proprio appoggio in merito
all'amore che
li legava.
Ci fu un lungo abbraccio e per diversi minuti nessuno più
parlò.
Alla
fine si scoprì che Robin aveva deciso di organizzare,
insieme
ai suoi uomini, una cena in onore degli ospiti, ragion per cui aveva
chiesto l'intervento di Much.
«Una cena senza un cuoco è
come un
lago senza acqua», constatò quest'ultimo,
soddisfatto dell'opportunità che Robin gli aveva dato.
«Kate, ho bisogno che tu convinca la signora Jodie a
prestarti un paio delle sue belle tovaglie. Tuck, mi porteresti una
cesta di ortaggi? Le carote, preferibilmente, prendile dell'orto di
Joderic, perché sono le più tenere. John tu mi
aiuterai a tagliare, sminuzzare, riempire e cuocere, mentre tu, Kaelee
ti occuperai delle stoviglie che hanno bisogno di una bella sciacquata.
Bene!», esclamò con maggior soddisfazione di
prima. «E ora, tutti fuori dalla mia cucina! Via, via! Andate
ad intrattenere gli ospiti, a riscaldare la sala, a renderla
più accogliente... Fate ciò che volete, ma uscite
di qui», concluse mettendosi le mani sui fianchi e sorridendo
felice.
Diverse ore più tardi tutta la banda di Robin Hood e i due
fratelli di Kaelee si trovarono al Maniero a mangiare le gustose
prelibatezze degne di un banchetto di nobili
signori che Much aveva preparato con tanta attenzione e cura, dosando
per bene ogni spezia e mettendo o togliendo dal fuoco ogni pietanza al
momento ritenuto più opportuno, mentre Allan e Archer
pensarono bene di fare i buffoni di corte e Kate e Kaelee fingevano di
essere completamente estranee a
quella compagnia di pazzi.
In definitiva erano riusciti a riprendersi il giorno di allegria che
Rudyard e
Willard avevano loro negato.
Scarborough.
Rudyard e Willard, dopo la veloce fuga imposta dall'arrivo dei due
guastafeste che avevano per fratelli, avevano deciso di fermarsi in
un villaggio nei pressi di York, anziché rientrare a
Edwinstowe, e da lì riorganizzarsi degnamente.
Rudyard trascorse diversi giorni a imprecare contro i suoi fratelli
– Willard compreso – e contro il destino che lo
aveva tradito in quel modo permettendo che venisse umiliato da un
gruppo di stupidi ignoranti. Gliel'avrebbero pagata, di questo Rudyard
era più che certo, e appena la lunga sequela di spergiuri si
esaurì, fu pronto di nuovo a pensare al modo più
giusto per non deludere ulteriormente sua madre.
«Quando saprà che abbiamo fallito per colpa tua e
di quegli altri due vedrai come si arrabbierà. E allora
sì che avrai la schiena sanguinante per
settimane!», inveì contro Willard, che aveva
l'unica colpa di non aver fatto né detto nulla.
«Ma io...», tentò l'altro.
«Taci! Taci! Ho bisogno di pensare a cosa fare di
te».
«Come? Che intendi dire?», domandò
Willard con voce tremante.
«Ah! Che Dio mi aiuti!», sbottò
allontanandosi per prendere una boccata d'aria.
Ora che sapeva di avere contro l'intera banda di Robin Hood e pure
Gisborne, occorreva che si facesse venire un'idea migliore che
semplicemente andare a Locksley e prelevare di peso Kaelee, la quale
certamente sarebbe stata controllata a vista dopo quello che era
successo.
"Ho più possibilità io di uccidere quella
disgraziata, che una freccia di Robin Hood riesca a raggiungermi.
Perché quel fesso non uccide", pensò meditando
già l'omicidio di sua sorella, sebbene prima ci fosse
un'altra decisione da prendere.
Benché Willard gli avesse dimostrato fedeltà a
York e lo
avesse sostenuto nel viaggio, si era poi dimostrato un debole al
momento dello scontro,
così venne rispedito da Rudyard a casa per informare la
madre sulla
situazione che i due avevano trovato a Locksley
e riguardo al tradimento subìto per mano di Dwight e Aric. I
piani di
Rudyard prevedevano un ritorno lampo a Locksley per provare a capire
come aveva deciso di muoversi quell'arciere da quattro soldi; poi si
sarebbe stabilito a Nottingham e da lì avrebbe pianificato
al meglio una nuova strategia di attacco che gli avrebbe permesso di
vincere su tutta la linea. Non accettava l'idea di essere stato
sconfitto ed era
più agguerrito che mai, disposto a qualsiasi cosa pur di
vedere soffrire qualcuno, pur di vedere Gisborne disperarsi per la
morte di Kaelee o quest'ultima crollare dinanzi al corpo senza vita di
Gisborne. Non esisteva bene materiale che Rudyard non fosse disposto a
cedere pur di assistere ad una disgrazia da lui orchestrata e aveva
perfino valutato, tra le altre, l'idea di fare prigionieri sia Gisborne
che Kaelee e costringerli a uccidersi vicendevolmente.
"Sarebbe così... perfetto!", si disse, pregustando il sapore
del sangue che a causa sua sarebbe stato versato.
Prima di lasciar partire Willard gli ordinò di non
raggiungerlo per nessuna ragione al mondo, a meno che credesse
fermamente in ciò che lui si era proposto di fare, a meno
che fosse realmente disposto ad affondare una lama nel cuore pulsante
di sua sorella e guardarla negli occhi mentre moriva; quindi
precisò
che se non era disposto a usare un'arma contro Kaelee e chiunque la
difendesse, allora la sua presenza era inutile e avrebbe fatto meglio a
restarsene a casa a controllare gli affari di famiglia e gli altri due
fratelli, che prima o poi sarebbero rincasati. Concluse, infine,
dicendogli di non fare nulla a Edwinstowe prima di ricevere una sua
missiva.
Così, dopo qualche giorno, i due si separarono.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 14/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Sebbene in orgigine intendessi fermarmi a
tredici capitoli,
richiamando così i tredici episodi di ogni stagione,
è ormai evidente che le vicende hanno preso il sopravvento.
Non credevo che sarebbe successo, ma sono letteralmente stata travolta
dai personaggi e dalla storia, così mi toccherà
raddoppiare e costringervi a seguirmi per altri sedici capitoli.
Come sempre, mi rivolgo a chi leggere questa storia come un'originale,
sono presenti richiami a eventi narrati nella serie tv e trattati qui
in modo molto superficiale, perciò se c'è qualche
dubbio sono a vostra completa disposizione.
Vi ringrazio per il tempo dedicatomi e per eventuali recensioni.
Alla prossima!
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Capitolo 11 *** Alla Prova ***
Alla Prova
Alla Prova
Quando
i suo fratelli ripartirono alla volta di Edwinstowe, Kaelee si
trovò a fare il
punto
della situazione e ciò che ne venne fuori non la
tranquillizzò
per niente.
Esaurita la contentezza dell'aver ritrovato due dei suoi quattro
fratelli e di aver condiviso con loro affetto e tutti i pensieri
inespressi di un'intera vita, ciò che restava a Kaelee era
la
preoccupazione derivanti dalle possibili azioni attribuibili agli altri
due fratelli. Pensare che Rudyard si sarebbe limitato a quella
comparsata nella Piazza del Mercato, accontentandosi di aver
ferito superficialmente Gisborne, non era per nulla saggio,
né plausibile.
Che Rudyard fosse un violento e Willard il suo cagnolino
fedele non era una novità per Kaelee, ma la consapevolezza
che
fosse davvero
capace
di fare del male anche ai propri familiari la sconvolse più
di
quanto non avesse fatto il suo desiderio di ucciderlo; lei, infatti,
aveva una ragione per provare tanto odio nei confronti di suo fratello,
dal momento che era sua intenzione strapparla alla serenità
che
aveva conquistato, mentre lui non aveva nessun buon motivo per volerle
fare del male, per quel che lei ne sapeva, ed era proprio questo che
Kaelee non riusciva a digerire.
Aveva un gran
caos nella testa, aumentato dall'essere venuta a sapere che Rudyard
aveva
conosciuto Guy e condiviso con lui chissà quali
atrocità, e il fatto che tutti avessero minimizzato quando
aveva preteso i dettagli, le lasciava intendere che, come minimo,
avevano ammazzato qualcuno
insieme per poi andarsene allegramente a brindare alla faccia dei
familiari dei defunti.
Questi pensieri, animati da una vena di cinismo che difficilmente
prendeva il sopravvento in lei, mettevano inevitabilmente in
discussione ogni cosa a partire dalle sue stesse origini: si chiedeva,
infatti, perché Rudyard fosse
così,
cosa lo avesse spinto ad un atteggiamento volto al male;
perché doveva esserci qualcosa a monte. Da Gisborne e
da ciò che lui le aveva raccontato in merito al proprio
passato,
Kaelee aveva compreso che nessuno nasce buono o cattivo in maniera del
tutto assoluta, ma che, sebbene ognuno fosse dotato di un'indole che
poteva pendere in una delle due direzioni in modo quasi
casuale,
dipendeva molto dal vissuto dei singoli e Gisborne aveva alle spalle
esperienze oggettivamente difficili da affrontare serenamente e con un
atteggiamento positivo nei confronti della vita. Per quel che
riguardava Rudyard, invece, Kaelee non ricordava niente che potesse
giustificare quanto pensava e faceva: non gli era mai stato impedito di
fare nulla e raramente si era preso strigliate dalla madre, la quale
preferiva accanirsi contro gli altri figli e non su di lui, che restava
il preferito anche quando la combinava grossa.
La ragazza non poteva fare a meno di rivivere ciclicamente il momento
in cui suo fratello aveva impugnato la
spada che le apparteneva e gliel'aveva puntata contro con l'intento di
ferirla, forse ucciderla, perché avrebbe preferito vederla
morta
anziché felice; questo la rendeva folle di rabbia.
Continuava anche a
rivivere il momento in cui lei stessa aveva impugnato la
propria spada e l'aveva puntata contro suo fratello con l'intento di
ferirlo, forse ucciderlo, perché avrebbe preferito vederlo
morto
anziché lasciarlo scappare; questo, invece, la rendeva
triste e
la induceva a domandarsi se poi, in fondo, lei e Rudyard fossero
davvero così diversi come pensava.
E in tutto ciò c'era Gisborne, il quale si portava dietro un
passato pesante che continuava
a tornare con prepotenza anche per colpa sua, sebbene i sentimenti di
Kaelee per lui non fossero in
dubbio. Ogni volta che lo guardava, però, non poteva fare a
meno
di
vederlo mentalmente insieme a Rudyard con le spade insanguinate e un
sorriso strafottente sulle labbra prima di tornare alla
realtà vera, quella che Kaelee conosceva, che lo vedeva a
terra, in ginocchio, e con una mano premuta
all'altezza dello stomaco perché Rudyard aveva cercato di
ucciderlo per fare del male a lei. A causa dei contrasti che la
stringevano in una morsa invisibile, ma ferrea, la ragazza aveva deciso
di non condividere con Gisborne i suoi tormenti prima di aver fatto un
po' di chiarezza in se stessa, perché non se la sentiva di
prenderlo da parte e accusarlo di aver banchettato con suo fratello in
nome della crudeltà; tanto più perché
non aveva alcuna certezza che le cose fossero andate così
visto che nessuno pareva volerle raccontare come si erano svolti i
fatti.
Sembrava proprio che per quanto Kaelee rincorresse la
felicità,
questa le sfuggisse continuamente come sabbia tra le dita, destinandola
ad un'infinita serie di scossoni. Eppure la sua indole positiva le
impediva di non vedere del buono in tutta quella vicenda: se era vero
che Rudyard e Willard avevano concretizzato il suo incubo peggiore e
minacciato seriamente la tranquillità di Locksley e della
banda
di Robin attentando alla vita di alcuni di loro, era altrettanto vero
che Kaelee aveva avuto occasione di ricucire gli squarci nel rapporto
con Aric e soprattutto con Dwight. Entrambi le avevano infatti promesso
di scrivere quanto prima e di tenersi con lei e con gli uomini di Robin
Hood in costante contatto, dando all'arciere la propria
disponibilità per qualsiasi cosa. Kaelee non era al corrente
di
ciò che suo fratello maggiore
si
era detto con Robin la notte prima che partisse insieme ad Aric,
sapendo solo che i due avevano parlato a lungo, ma
ebbe la forte sensazione che i suoi fratelli avrebbero svolto a
Edwinstowe un
lavoro
molto simile a quello che Robin e i suoi uomini avevano fatto per
Locksley e dintorni negli anni passati e ne fu molto orgogliosa.
Con Gisborne, nonostante i pensieri che la tormentavano e frasi intere
costrette al silenzio, andava
piuttosto
bene finché una mattina Kate la buttò
letteralmente
giù dal letto.
Aperta campagna,
Locksley.
Dire che l'arrivo di Rudyard e la crudeltà che l'uomo aveva
subito dimostrato di possedere avessero messo in allarme gli uomini di
Robin Hood era un eufemismo, sebbene tendessero a non manifestare la
loro preoccupazione agli abitanti del villaggio e a Kaelee, anche se
non proprio a tutti riusciva di essere moderati nelle reazioni. Quando
Little John era venuto a conoscenza
di com'erano andate le cose, infatti, si era infuriato in prima battuta
perché nessuno aveva pensato di chiamarlo per conciare per
le
feste "quel tale",
come lo aveva definito, e poi perché non
poteva proprio tollerare un simile comportamento nei confronti di "una
ragazza dolce come Kaelee"; anche Allan non era stato per
nulla contento
di quanto era successo a Locksley mentre lui si trovava a Nottingham,
impossibilitato a difendere Kaelee come le aveva promesso offrendole
protezione.
Più di tutti, Gisborne, divorato dall'ansia, aveva parlato a
lungo con Robin e
Archer
su cosa fosse meglio fare
con Rudyard, ma anche con Kaelee e tutti e tre si erano trovati
d'accordo sulla
necessità di addestrarla al combattimento senza
più
essere
troppo
teneri. L'avrebbero comunque protetta, certo, come sempre gli uomini
della banda facevano gli uni con gli altri, ma nell'ipotesi in cui
nessuno di
loro fosse stato con lei nel momento di un'imboscata da parte di
Rudyard o di chiunque altro – la peggiore tra tutte le
ipotesi
che
avevano vagliato –
dovevano essere certi che Kaelee potesse fronteggiarlo almeno quel
tanto che
bastava per fuggire e dare l'allarme. Avevano anche molto riflettuto
sul metodo da usare e su quanto Gisborne fosse disposto a mettere in
gioco,
dal momento che gli allenamenti con lui erano sì serviti a
prepararla, ma non bastavano a salvarle la vita. Dato che
Gisborne non era
intenzionato a rinunciare al privilegio di addestrarla, consapevole che
sarebbe morto di gelosia e invidia, i tre avevano quindi
pensato bene di farle conoscere il miglior spadaccino di Locksley nel
modo
più crudo possibile.
Erano occorsi giorni per preparare il piano, che aveva inoltre
richiesto la collaborazione di molte persone che
facessero coincidere tante piccole cose, ma la parte più
difficile toccava senza ombra di dubbio a Guy.
Sebbene si trattasse di una messa in scena che non prevedeva tragedie e
drammi letali, era necessario che Kaelee ci credesse davvero, senza
dubitare
neanche per un secondo della situazione, affinché il tutto
di
funzionasse come previsto: l'intento era quello di farle capire che
d'ora in poi Gisborne avrebbe
fatto sul serio e sia quest'ultimo che i suoi fratelli erano certi che
dirglielo semplicemente non sarebbe bastato.
L'esclamazione «Guy e Robin stanno litigando!»,
da parte di una terrorizzata Kate, era
bastata a far saltare in piedi Kaelee. Fu il modo in cui la donna si
pose a indurre la ragazza a pensare che non si
trattasse di uno dei soliti finti azzuffamenti che di tanto in tanto
animavano il villaggio, il Maniero e le colline nei dintorni di
Locksley, perché in fin dei conti a quelli anche Kate era
abituata ormai, tanto da non temere più che Guy potesse fare
seriamente male a Robin. La ragazza non sapeva davvero cosa pensare, un
po'
perché la sua mente era ancora annebbiata dal sonno
bruscamente
interrotto e un po' perché non era a conoscenza di nessuna
questione per cui Robin e Gisborne dovessero litigare al punto da
spaventare Kate e chissà chi altri. Se tra i due ci fosse
stata
una qualche tensione, sicuramente Gisborne gliene avrebbe parlato,
ritenne Kaelee senza quindi riuscire a capire che direzione stessero
prendendo gli eventi. "È pur vero che io gli sto tenendo
nascoste un sacco di cose ultimamente, ma anche ammesso che abbia
intuito qualcosa, Guy non è tipo da ripicche. Che sia per
Rudyard?", si domandò.
"Forse
è tornato a Locksley questa notte e ha messo in pericolo uno
degli uomini della banda facendo infuriare Robin? Ma perché
Kate
non me l'ha detto subito? E perché
prendersela con Guy? Ma certo... Se lui non si fosse innamorato di me,
forse Robin e gli altri avrebbero permesso a Rudyard di riportarmi a
Edwinstowe, evitando così qualsiasi rischio per loro stessi
e
per il villaggio. Allora perché Robin mi ha accolta, quando
sono arrivata a Locksley, nonostante sapesse della mia fuga? No,
qualcosa non torna, deve esserci un altro motivo per cui
Robin e Guy stanno litigando. Ma quale?", continuò a
chiedersi
Kaelee mentre correva a perdifiato verso la campagna attorno a
Locksley, teatro della lite in corso. Le due vi arrivarono in men che
non si dica, ignorando le persone in strada che commentavano con un
vociare concitato ciò
che
stava presumibilmente accadendo e di cui Kaelee non volle alcuna
anticipazione, preferendo vedere ogni cosa con i propri occhi e
giudicare con la propria testa ed il proprio cuore, senza lasciarsi
condizionare da quella o quell'altra parola. Le
sembrava tutto talmente surreale che per un attimo credette di star
ancora dormendo e di essere alle prese con un sogno in piena
regola, un pessimo sogno per la precisione, eppure quando scorse i due
uomini guardarsi in cagnesco e urlarsi contro parole che ancora non
riusciva ancora a percepire, dovette rendersi conto che
era tutto vero e che il termine litigare era riduttivo se si
considerava che erano entrambi armati di spada e che Guy era
letteralmente irriconoscibile.
«Oh
bene, allora Sir Guy di Gisborne è tornato!»,
commentò
Robin gettando uno sguardo fugace in direzione di lei, o almeno
così le parve, proseguendo una conversazione che doveva
andare
avanti già da un po'. "Ma perché nessuno ha
pensato di
informarmi per tempo?", si chiese mentre si concentrava sui due uomini
ed in particolare sull'espressione di totale ribrezzo che regnava
sovrana sul volto di Robin Hood. L'arciere non aveva guardato in quel
modo nemmeno suo fratello Rudyard, perciò Kaelee
rabbrividì, spaventata.
Per l'occasione Gisborne aveva indossato i vecchi vestiti in pelle,
guanti compresi, sebbene questo avesse rievocato tutti quei ricordi che
lentamente e quotidianamente l'uomo affrontava uno per uno nel suo
percorso di redenzione, e
aveva assunto l'aria più malvagia di cui fosse capace
– in
questo l'aver riportato alla memoria il periodo vissuto accanto a
Vaisey gli era stato molto d'aiuto. Robin gli aveva detto che le
doti
recitative di entrambi dovevano essere spinte ai massimi livelli per
poter mandare Kaelee su tutte le furie, ottenere una reazione e portare
a termine lo scopo che lui e i suoi fratelli si erano prefissati, e
Gisborne non intendeva deludere nessuno, né sprecare
quell'unica
opportunità nonostante le conseguenze che il rapporto tra
lui e
Kaelee avrebbe pagato.
«Sta' zitto, Locksley», rispose.
«e fammi vedere quanto sei bravo a
duellare. Magari ti riesce di battermi una volta tanto! I
cantastorie di tutta l'Inghilterra te ne saranno grati e forse
diventerai davvero famoso», lo provocò con
un'aria
strafottente che gli faceva venire il voltastomaco. Era davvero stato
così per tutti quegli anni?
«Sapevo che era tutta una finta»,
rispose Robin. «Avrei dovuto fidarmi di Kate e
John!».
Un altro punto su cui lui e Robin si erano trovati d'accordo riguardava
l'entità delle provocazioni. Ne avevano parlato molto,
analizzando tutte le possibilità – dall'inventarsi
di sana
pianta eventi di un passato mai esistito, al far intervenire finti
testimoni di Locksley e Nottingham, fino anche al chiamare in causa
ipotetici uomini del vecchio Sir Guy di Gisborne ancora pronti a
servirlo fedelmente nei suoi atti di pura cattiveria – e
valutando ogni conseguenza e reazione da parte di entrambi.
Ciò
che la ragione aveva loro suggerito era di mettere su uno spettacolo
totalmente inventato, ma ciò che l'istinto aveva proposto li
aveva convinti maggiormente, anche se sarebbe stato molto
più
pericoloso ed emotivamente distruttivo per tutti. Quindi Robin e Guy
avevano deciso di tirare in ballo, nel corso dello scontro verbale,
vicende realmente accadute al fine di innescare reazioni più
realistiche e credibili.
Archer aveva sostenuto che stessero giocando con il fuoco e Gisborne
gli aveva dato ragione, ma era rimasto convinto che fosse la scelta
più adeguata.
La spada
di Guy fendette l'aria sibilando minacciosa davanti alla figura di
Robin Hood.
«Sappiamo tutti che non vedi l'ora di
uccidermi per vendicarla», rispose lui, chiudendo intimamente
le porte in
faccia
a quel
subdolo dubbio che stava cercando di fargli credere che forse non era
poi così falso quanto aveva appena affermato in merito a
Robin.
Gisborne sapeva a cosa sarebbe andato incontro e aveva promesso a se
stesso e a Robin di mantenere alta la concentrazione sulla
realtà dei fatti: lui e l'arciere si erano riappacificati,
perdonati a vicenda, e si ritenevano fratelli a tutti gli effetti. Era
fondamentale che Gisborne lo tenesse a mente per non perdersi nella
vecchia parte di sé, sempre pronta ad uscire dall'angolo in
cui l'uomo
la teneva chiusa.
Kaelee
non riusciva a crederci e pensò di essere piombata in un
incubo perfino peggiore di Rudyard che tornava a minacciare lei e tutti
i suoi amici.
Non voleva nemmeno prendere in considerazione le parole che Robin aveva
rivolto a Guy, né quelle che quest'ultimo aveva riservato al
fuorilegge, perché tutto il contesto era davvero assurdo.
Com'era possibile che Gisborne avesse mentito fino a quel punto? Che
avesse finto di pentirsi e le avesse raccontato il suo vissuto solo per
rendere credibile un gioco cui stava giocando da solo? E che senso
aveva mentire se Nottingham era stata fatta saltare in aria e con essa
anche lo Sceriffo e i suoi piani di dominio? Possibile che si fosse
lasciato intenzionalmente ferire da Rudyard per far credere a tutti che
fosse cambiato ed era invece in combutta con lui?
Come sempre le succedeva quando perdeva il controllo di se stessa e di
ciò che accadeva attorno a lei, nella sua mente cominciarono
ad
affollarsi domande e pensieri contrastanti e disordinati.
"La città
è stata ricostruita, Gisborne ha collaborato alla sua
ricostruzione, e uno Sceriffo potrebbe di nuovo
prendere il potere sulla Contea di Nottingham e allearsi, magari, con
lo
Sceriffo di York per contrastare il Re",
pensò Kaelee. "Uno Sceriffo di nome
Gisborne, ad esempio, ed uno di nome Rudyard, che prenderebbe il posto
dell'attuale
Sceriffo di York il quale verrebbe misteriosamente e tragicamente
trovato morto nelle proprie stanze", concluse inorridita, scacciando
con decisione quegli scenari, mentre ancora una volta una parte di
lei sostenne che non era possibile, che qualcosa non
tornava e che mai e poi mai Guy avrebbe ceduto di nuovo alla violenza.
Che motivo aveva? Quale poteva mai essere la causa scatenante? Robin
doveva essersi sbagliato e anche se nessuno, neanche
lei, riusciva a vederla, sicuramente c'era una valida spiegazione al
comportamento di
Gisborne di quel giorno.
Doveva esserci una ragione e Kaelee doveva assolutamente credere che ci
fosse affinché sotto ai suoi piedi non si aprisse
improvvisamente un'enorme voragine che avrebbe presto risucchiato tutte
le sue certezze e messo in discussione ogni sua scelta. Amava Guy e non
poteva accettare che, dopo tutto
ciò
che le aveva raccontato, dopo le sofferenze che aveva patito nel
passaggio da Sir Guy di Gisborne a Guy, si comportasse in quel modo
insensato.
Nel contempo
però, guardandolo, ne ebbe paura, perché chi
aveva
davanti non corrispondeva assolutamente all'uomo che aveva conosciuto
– quello del pranzo a casa di Kate, quello delle
esercitazioni
nella foresta, quello delle cavalcate e dei momenti di assoluta
dolcezza. Vestito in quel modo e con un mezzo sorriso sulle labbra,
Gisborne era
terrificante. "E tremendamente bello", pensò una piccola
parte di lei, totalmente fuori controllo.
Perfino in quella situazione l'attrazione che sentiva per
quell'uomo non trovò ostacoli e le impose di osservare la
meravigliosa cattiveria di cui era capace, come una preda che si
metta a contemplare l'animale che di lì a poco la
ucciderà.
"Allora Sir Guy di Gisborne è tornato!".
Le
parole di
Robin le risuonavano nella mente insieme al resto.
"Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
"... non vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
"... uccidermi".
"...per vendicarla".
"Sappiamo tutti che non vedi l'ora di uccidermi per
vendicarla".
"Lady Marian, naturalmente", aggiunse Kaelee mentalmente.
"Avrei dovuto
fidarmi di Kate e John!".
"Sappiamo tutti che non
vedi l'ora di uccidermi per vendicarla".
Le
parole di Gisborne
rimbombavano come campane impazzite in un'eco continua e martellante
che l'avrebbe presto condotta ad un crollo nervoso se non avesse preso
in mano la situazione. Eppure era davvero difficile per lei riprendere
le redini di un cavallo imbizzarrito prima del suo arrivo, scatenato da
un evento che lei non conosceva, specialmente se il vorticare dei
pensieri le impediva di ragionare.
"Uno Sceriffo di nome
Gisborne. Lo Sceriffo di York ucciso di proposito. Rimpiazzato da
Rudyard", pensò. "Guy e Rudyard se ne andranno a braccetto a
seminare terrore e orrore
in tutta Nottinghamshire e Yorkshire, oppure Robin è
impazzito", rifletté torcendosi le mani e perdendo di vista
tutto
ciò
che non fosse Robin e Guy che si offendevano e minacciavano.
Decidere cosa fosse meglio fare andava oltre le sue capacità
intellettive, tattiche e di qualunque altra natura, ma starsene ferma a
guardare non era mai stato nelle sue corde, perciò era certa
di
dover intervenire anche se non aveva minimamente capito cosa fosse
accaduto, cosa stesse accadendo e cosa sarebbe successo di
lì a
poco se nessuno avesse fatto nulla. Forse tentare di calmare i due
uomini per poi farsi spiegare tutto poteva essere una soluzione, eppure
nessuno stava facendo un tentativo di qualsiasi genere.
"Kate sta ferma a guardare", pensò. "Che abbia
paura?", si domandò, guardandosi attorno prima di tornare a
Kate che se ne
restava immobile, con lo sguardo fisso, concentrato, sulle due figure a
qualche metro da entrambe. "Perché non interviene?
Perché
non strilla loro di smettere come farebbe normalmente?", si chiese
Kaelee osservandola con attenzione. Per un attimo
tornò a
valutare l'ipotesi che potesse trattarsi di uno dei soliti giochi che
divertivano tanto Robin e Guy – e se così fosse
stato,
nessuno dei due l'avrebbe passata liscia – ma Kate
sembrava sinceramente terrorizzata, Robin appariva seriamente nauseato
da
quella novità e Guy aveva un'aria spaventosa, non sembrava
in
sé.
Eppure una sorta di sesto senso cercava costantemente di avvertirla in
merito
all'assurdità della faccenda: quante probabilità
c'erano
che Robin e Guy, partendo da uno scontro verbale, arrivassero allo
scontro fisico e che Kate, presente, non cercasse di fermarli o non
desse i numeri?
"Poche", constatò Kaelee. "Ma evidentemente oggi
è il giorno giusto per far accadere l'improbabile".
Nella confusione mentale scoppiavano come lampi considerazioni quali
"Ci sono due grandi assenti che in una situazione realistica non
mancherebbero: Archer e Much. Dove sono?", e ancora "Perché
Kate ha saputo della lite e Much no, visto che hanno deciso di essere
una coppia?", eppure la ragazza decise di avvicinarsi ai due uomini.
Se Kaelee fosse riuscita ad estraniarsi dalle proprie emozioni, avrebbe
scoperto in fretta l'inganno, perché per quanto si fosse
badato ai dettagli, c'era sempre un margine di
errore.
Affinché il piano funzionasse, Much e Archer – che
in una
situazione realistica sarebbero stati al fianco di Robin –
erano
dovuti
restare a Locksley a orchestrare i figuranti del villaggio –
che certamente Kaelee aveva incontrato mentre raggiungeva il luogo
della lite – e ad
assicurarsi che nessuno, ignorando la realtà dei fatti,
desse un
qualche allarme che avrebbe mandato in tilt l'intera popolazione e il
piano architettato dagli ex fuorilegge, ragion per cui Robin e Guy
contavano esclusivamente
sull'emotività di Kaelee. Scatenare in lei emozioni forti al
punto da impedirle di osservare e ragionare era essenziale per la
riuscita del piano e, per il momento, sembrava che Robin e Guy avessero
giocato
un'ottima carta, in quanto a guardare la ragazza si scorgevano senza
fatica confusione e terrore nel suo sguardo.
«Guy!», urlò all'improvviso Kaelee, alle
spalle dell'uomo.
Gisborne, che evitava quanto più possibile di incrociare lo
sguardo della ragazza,
si avvalse di tutta la propria forza di volontà per non
voltarsi e sorriderle come invece desiderava fare. Ciò che
più di ogni altra cosa voleva era
vedere
Kaelee felice e, finché lei lo avesse amato, avrebbe fatto
di
tutto per assicurarle ogni bene, perfino quella sceneggiata. E mentre
Robin gli rivolgeva fugaci occhiate di supporto, invitandolo
silenziosamente a non mollare proprio ora, Gisborne realizzò
che
era il momento di passare all'azione.
«Allontanati, Kaelee! È
pericoloso!», rispose Robin difendendosi da un primo,
velocissimo, colpo sferrato da Guy.
Il duello a cui i due uomini diedero vita risultò
così
credibile che perfino Kate, ad un certo punto, iniziò a
temere
che
Robin e Guy avessero dimenticato l'idea iniziale e si fossero infine
messi a fare gli eroi. Questo perché
entrambi stavano combattendo sul serio e nessuno dei due stava dosando
la propria forza, il che era possibile solo grazie alla fiducia che
nutrivano l'uno per l'altro, così forte da non far loro
temere
che potessero ferirsi a vicenda, fosse anche per sbaglio. Nessuno dei
due si sarebbe permesso di sbagliare, Kate ne era certa
perché
aveva preso parte all'organizzazione di quella farsa e aveva ascoltato
con attenzione le parole che l'arciere e lo spadaccino si erano
rivolti, li aveva sentiti giurarsi lealtà in un modo che non
lasciava alcuno spazio ai dubbi.
Per un attimo Kate fu così presa dallo scontro in atto da
dimenticare il proprio ruolo rischiando di mandare a monte ogni cosa,
così afferrò repentinamente Kaelee per un
braccio quando la ragazza si mosse per avvicinarsi,
costringendola ad arretrare.
«Hai sentito Robin? Non devi avvicinarti a loro!»,
esclamò mettendocela tutta per tradire paura e
disapprovazione.
«Gisborne è pericoloso»,
percisò con odio,
reinterpretando appropriatamente le parole che Robin aveva rivolto poco
prima a Kaelee. La donna era certa che istigare l'amica facendo leva
sull'opinione negativa che aveva avuto su Gisborne avrebbe distratto
Kaelee
da qualsiasi tentativo di riflessione su quanto stava accadendo,
perché era
giovane ed impulsiva, così abituata a non avere nessuno al
proprio
fianco da riuscire a mettere in dubbio, probabilmente, perfino l'amore
che Gisborne le aveva dimostrato di provare per lei e l'amicizia che
Kate stessa le aveva manifestato fin dall'inizio.
Sia Kate che Robin e Guy erano consapevoli di quanto Kaelee non fosse
affatto stupida e proprio in virtù di questo erano arrivati
alla
conclusione che bisognava condurre ogni azione, ogni parola, ogni
singolo gesto sul piano puramente emozionale. Quindi, stringendo con
forza il polso di Kaelee, Kate attese la sua reazione.
"Perché Kate non mi ha fermata subito? Perché ha
lasciato
che avanzassi verso Robin e Guy prima di trattenermi? E
perché Guy non si
è nemmeno
girato quando l'ho
chiamato?", si
domandò ancora Kaelee, tornando mentalmente alla peggiore
tra le
ipotesi che fino a quel momento era stata in grado di formulare, ovvero
ad una possibile alleanza di Gisborne con Rudyard. Le venne da
piangere, ma non cedette.
Animata dalla rabbia per quanto Kate aveva appena detto in merito a
Gisborne e per essere stata tradita proprio da quest'ultimo, si
separò con decisione e forza dall'amica, sguainò
la spada
che ormai portava sempre con
sé –
spada che Archer le aveva restituito dopo che Rudyard l'aveva
abbandonata nella piazza di Locskley – e si
avvicinò ai
duellanti.
«Guy di Gisborne!», tuonò.
«Ti sei forse bevuto il cervello?», chiese
sarcastica,
mossa solo dal proprio instinto, incurante dell'evidente pericolo che
avrebbe corso rivolgendosi con quel tono a Guy se lui fosse tornato
davvero ad essere Sir Guy, come sembrava.
Guy rivolse a Robin uno sguardo colmo di timore, certo che Kaelee non
lo avrebbe notato dalla posizione in cui si trovava,
perché non gli era sfuggito il familiare suono di
una lama
che abbandonava
il fodero e sapeva che quello era esattamente il momento in cui avrebbe
dovuto mettere da parte
l'amore che nutriva per Kaelee; il momento in cui avrebbe dovuto
risvegliare
un'ultima volta la bestia che era in lui; il momento in cui si sarebbe
messo a combattere contro Kaelee per tirare fuori tutto il tormento che
lei
aveva dentro a causa di Rudyard e dello scompiglio che aveva portato a
Locksley e che gli aveva nascosto probabilmente per paura di
mettere in gioco la
loro relazione; il momento in cui l'avrebbe messa di fronte ad
un vero avversario con l'intento di farle capire che d'ora in avanti
lei avrebbe dovuto crescere e maturare sul serio, che avrebbe dovuto
comportarsi da donna e affrontare la vita, anche quella di coppia, da
persona adulta. Tutto
questo lo terrorizzava e sapeva di aver bisogno di un contatto visivo
con suo fratello per potercela fare.
Gli costava moltissimo dover rivestire quel ruolo di severa guida, ma
nonostante questo sapeva di doverlo fare per
lei, che gli aveva salvato la vita, che lo aveva rimesso al mondo,
semplicemente amandolo; glielo doveva e aveva promesso a Dwight che si
sarebbe preso cura di lei rendendola indipendente e forte.
Inspirò profondamente, in cerca del coraggio che gli
serviva, e quando si voltò era certo di indossare
un'impenetrabile maschera di cattiveria, tale che riuscì a
far
inorridire Kaelee, il cui sguardo fu come una lama dritta nel
cuore.
«No!», gridò Robin opportunamente.
«Scappa se
non vuoi farti male!».
«Lui
non mi farà del male», mormorò Kaelee,
comunicando
una certezza disarmante sebbene fosse chiaro nei suoi occhi quanto
fosse spaventata e
confusa dalla situazione in corso, e di nuovo Gisborne dovette
concentrarsi sui vecchi ricordi di Sir Guy per risultare credibile, su
tutte le volte che aveva offeso qualcuno soltanto per compiacere lo
Sceriffo, sui pestaggi perpetrati per divertirlo, sulle mani mozzate
affinché non si potesse dire che Vaisey di Nottingham non
avesse
avvisato
con un opportuno quanto crudele esempio.
«Sicura?», le chiese, sperando di stordirla con un
mezzo sorriso maligno che spesso, in passato, certe donne avevano
ritenuto irresistibile. «Vieni qui
allora», aggiunse a voce bassa e roca, volendole apparire
sensuale e letale come gli era capitato di essere un tempo.
Non si era mai rivolto a lei in quel modo e si sentì un
verme
nel doverlo fare, anche se quella tattica parve funzionare
perché Kaelee gli si avvicinò ignorando gli
avvertimenti
di Robin, il quale la invitava a starne fuori e tornare da Kate, che
stava anche lei tentando di richiamarne l'attenzione, senza
però
avvicinarsi. Evidentemente era riuscita a distrarla con
quell'atteggiamento, perciò fu facile far scontrare la
propria lama con quella di Kaelee senza che lei se ne accorgesse, se
non
al momento dell'impatto. Si limitò semplicemente a toccare
la lama per
richiamare l'attenzione della ragazza, ma in verità stava
ancora
cercando
in se stesso il coraggio di affrontare un duello senza imbrogli.
Con la coda dell'occhio Guy vide Robin indietreggiare lentamente
– cosa che mai si sarebbe sognato di fare se quella
situazione si fosse verificata per davvero – ed ebbe
l'assoluta
certezza che da quell'istante in poi avrebbe gestito il tutto da solo,
prendendosi la responsabilità assoluta di qualunque cosa
fosse
successa.
«È così che pensi di
battermi?», domandò per provocarla.
«Non sono qui per questo», gli rispose con un filo
di voce e
spostando lo sguardo sulle sue mani guantate.
«Però hai una spada»,
osservò Guy. «Sono proprio curioso di vedere se
hai il coraggio
di ferirmi», mormorò con voce profonda.
Gisborne teneva gli occhi fissi su di lei e si accorse subito che
Kaelee
aveva il respiro alterato, probabilmente per la tensione accumulata e
per il caos emotivo e mentale che certamente doveva darle tormento,
così attese che la ragazza reagisse, ma dato
che non sembrava intenzionata a parlare o a muovere un passo, Guy
raccolse le forze e decise di
attaccare per primo. Spietato e inarrestabile, così era
necessario che si mostrasse, ed esattamente come aveva fatto con
Robin poco prima, fece sibilare la spada
e poi affondò a pochi centimetri dal fianco della ragazza.
Con lei era tutto più difficile non solo perché
Guy
l'amava, ma anche perché i movimenti di Kaelee erano
imprevedibili anche per lui, che era il suo maestro. Gisborne
era
consapevole della possibilità di
ferirla gravemente, perciò faceva tutto il possibile per
calcolare i colpi con precisione
millimetrica, non mettendoci tutta la determinazione che aveva
impiegato
poco prima con suo fratello, i cui movimenti erano stati concordati a
priori a tavolino. Se era vero che l'obiettivo era essere credibile,
era vero anche che il suo intento non era quello di uccidere
l'avversario, in quanto quel teatrino altro non era, sostanzialmente,
che una delle tante esercitazioni.
Kaelee era evidentemente stata spiazzata dalla velocità e
dalla
potenza di quel
colpo probabilmente inatteso, ma Gisborne aveva la sensazione che la
ragazza non credesse reale ciò che stava vivendo e che, in
qualche modo, il suo cuore stesse cercando di rifiutare ciò
che
stava vivendo, chiedendo alla mente una soluzione più
logica. Fu
difficile non lasciar perdere tutto per stringerla tra le braccia
quando lei lo guardò dritto negli occhi condividendo una
muta
supplica che minacciò di distruggerlo, ma si
obbligò
ugualmente a ricambiare con un'occhiataccia cui lei rispose stringendo
le dita attorno all'elsa della spada. Ottenuta la reazione che voleva,
Gisborne tentò di nuovo di colpirla e lei si
scansò senza
contrattaccare.
«Guy smettila. Non intendo ferirti, lo
sai», disse infine.
Si
sentì un mostro, ma si costrinse ad una risata malvagia.
«Male, molto male», disse. «Se
vuoi essere davvero libera devi imparare ad essere crudele con chi ti
minaccia», aggiunse, non in quello che sarebbe potuto
sembrare un inno alla violenza, ma
una
visione nuda e cruda dell'indipendenza, che suonava come un "Chiunque
vorrà metterti in catene, fosse anche un fratello o l'uomo
che
ami, non meriterà nient'altro che la tua spada".
Gli occhi
sgranati di Kaelee furono per l'uomo l'ennesimo colpo al cuore.
Proprio non capiva perché Gisborne avesse deciso di
ingaggiare un duello con lei, visto che fino a poco prima sembrava
avercela con Robin. Continuava a dirsi che c'era qualcosa di
tremendamente sbagliato in ciò che stava vivendo e aveva il
netto sentore di avere la soluzione sotto al naso, senza
però
riuscire a vederla forse per via delle emozioni in gioco, forse a causa
della confusione mentale. Non capiva quale fosse il reale intento di
Guy e la
situazione
diventava sempre meno chiara: stando alle parole di Kate, Gisborne
stava litigando con Robin, ma in quel momento pareva avercela proprio
con lei mentre le parlava di libertà. Eppure non
comprendeva in che
modo
lui potesse togliergliela dal momento che l'aveva aiutata a realizzarla
insegnandole a maneggiare un'arma e se invece si riferiva a Rudyard,
perché prendersela così con lei e con Robin?
C'era
qualcosa di completamente illogico, in ciò che stava
accadendo,
ma Kaelee non riusciva a identificare l'errore e, coinvolta com'era da
quell'uomo, non risuciva a non pensare all'amore che provava per lui
perfino mentre la guardava quasi con odio e la invitava a
combattere contro di lui, come avevano fatto soltanto durante
l'addestramento.
"E se si trattasse di una lezione a sorpresa? Se Gisborne volesse
dimostrarmi qualcosa in un modo contorto che gli rinfaccerò
per tutta la vita?", si domandò, stretta nel dubbio che
fossero tutti d'accordo. "Ma perché dovrebbero essersi
accordati
se sarebbe soltanto bastato parlarne, qualunque cosa passi nella
testa di Gisborne?".
«In che modo tu saresti per me una
minaccia?», domandò infine, abbassando l'arma,
rifiutandosi di combattere, perché le girava la testa e
più tempo passava, meno capiva.
Per tutta
risposta Guy la costrinse a evitare l'ennesimo affondo.
«Ti
basta come esempio?», chiese ironico.
Intanto, alle sue orecchie, arrivavano distinte e preoccupanti le
preghiere di Kate e Robin, i quali invitavano Gisborne a non
prendersela con lei e premevano affinché lei scappasse in
quanto
Guy era pericoloso.
"Di nuovo con questa storia", si disse Kaelee. "Se ne accorgono adesso
che è pericoloso? Eppure Robin non si è mai
mostrato
contrario alle mie esercitazioni con Guy, che avrebbe potuto uccidermi
in qualsiasi momento visto che porta sempre con sé la
spada.
Ha ucciso un sacco di gente, ma non ha mai cercato di farmi del male in
alcun modo, quindi perché insistono a dire che è
pericoloso? Solo perché mi punta contro un'arma, che non
è
detto userà sul serio per uccidermi? E se invece lo facesse?
Se
invece fosse d'accordo con Rudyard e volesse prendermi in ostaggio per
portarmi da lui e farmi chissà che cosa in compagnia di mio
fratello? E se avessero ragione Robin e Kate?".
«Tu
non sei l'uomo di cui mi sono innamorata»,
mormorò infine, spaventata lei stessa da ciò che
era appena uscito dalla sue labbra.
Sentì di nuovo quel dolore misto a rabbia che la indusse a
tendere l'arma e accettare di combattere contro quell'uomo tornato
dal passato a tormentare il Guy che lei amava e che la amava. Decise di
reagire: se Guy voleva violenza, lei gli avrebbe
dato violenza sebbene proprio lui le avesse detto, non molto tempo
prima, che alla violenza non
bisognava rispondere con altra violenza. Se era riuscita a contenersi
in presenza di Rudyard era solo grazie a Gisborne e alle parole che le
aveva sussurrato all'orecchio, alla gentilezza con cui le aveva avvolto
la mano con la propria, alla decisione con cui le aveva cinto i fianchi
per trattenerla, ma ora che proprio lui
era dalla parte opposta e la incitava a duellare, Kaelee non trovava la
forza di essere lucida,
deporre l'arma e affrontare l'uomo verbalmente, giocando d'astuzia alla
maniera di Robin Hood.
"Ma io non sono Robin Hood", si disse. "Io non sono altro che una
ragazza di campagna costretta ad affrontare una situazione
più
grande di lei".
Tutto ciò che era in grado di fare in quel frangente era
sperare che Gisborne
tornasse ad essere
la persona che aveva incontrato al suo arrivo a Locksley,
perché ciò che stava vedendo non le
piaceva
affatto e sapeva che non avrebbe mai potuto amare davvero un uomo come
lui. Nonostante avesse accettato il Sir Guy di Gisborne del passato
come parte dell'uomo che le aveva rubato il cuore e l'anima, e
nonostante avrebbe continuato ugualmente a provare quel sentimento per
lui anche se il Guy che amava fosse stato messo di nuovo in ombra dal
vecchio Sir Guy, Kaelee sapeva che non
sarebbe riuscita ad esprimerlo al meglio, se obbligata a interagire con
una
persona animata da cattiveria. Gisborne le aveva parlato di Lady Marian
come la prima persona che avesse visto in lui qualcosa di buono, delle
qualità nascoste sotto strati di malvagità e
violenza, e
Kaelee provava molta ammirazione per quella donna, che doveva
certamente
aver avuto una personalità forte. "Io sarei stata in grado,
al
suo
posto, di non vedere in Guy solo odio?", si domandò in preda
a
dubbi e incertezze.
In tutto ciò un'altra cosa Kaelee sapeva senza margine di
errore: non era all'altezza del suo avversario, ma era
determinata a fare del proprio meglio nella speranza che prima o poi
lui si arrendesse e rinsavisse.
I due si misero a combattere e Kaelee smise momentaneamente di pensare
a qualcosa che non coincidesse con i movimenti di Gisborne: se lui
tendeva un muscolo, lei doveva rendersene conto per tempo; se lui
affilava lo sguardo, lei doveva intuirne le motivazioni; se lui faceva
sibilare la lama nello spazio che li divideva, lei doveva prevederne la
direzione.
Lottò a lungo e si stancò moltissimo nel
tentativo di
contrastare i colpi inferti da Gisborne in tutta la sua maestria,
potenza,
abilità, con cui per la prima volta lei aveva a che fare
davvero. Non riuscì quasi mai a completare un
affondo,
trovandosi sempre la spada dell'uomo contro la propria e Kaelee si rese
conto che Guy era un nemico impossibile da battere partendo dalle
condizioni in cui
si trovava lei. Per questo motivo si sentì una stupida e
capì definitivamente
perché
Guy si era quasi messo a ridere quando era venuto a sapere
dell'avventura nella foresta di Sherwood e della sicurezza ostentata da
Kaelee dinanzi al proprio nemico.
"Sono davvero una stupida visto che
non sono nemmeno in grado di intimorire Guy", si disse, vicina al
limite sia fisico che emotivo.
«Perché?!», urlò
disperata, con le lacrime che minacciavano di velarle la vista e
compromettere il duello.
Gisborne, che aveva fatto tutto quanto era in suo potere per non dosare
la forza rispondendo all'istinto di protezione che nutriva per la
ragazza e
che aveva duellato spingendo al massimo le sue conoscenze ed
abilità, mostrando così alla ragazza una parte di
sé che lei
ancora non conosceva per esperienza diretta, immaginava che da un
momento all'altro Kaelee
sarebbe crollata, sopraffatta dallo sforzo. Sul viso di lei, infatti,
la fatica era evidente, ma Gisborne non immaginava che lo scontro
potesse prendere una nuova piega e che, anziché cedere
fisicamente, Kaelee avrebbe ceduto sul piano psicologico. Evidentemente
la ragazza era troppo giovane per far fronte ad un contesto
così pesante ed angosciante, evidentemente lui e Robin
l'avevano caricata eccessivamente nel timore che potesse scoprire i
loro
intenti prima del tempo.
La semplice domanda, urlata in quel modo, fu come uno schiaffo per
Gisborne che si sentì immediatamente in colpa mentre veniva
sopraffatto dal dolore, perciò
decise che poteva bastare e che era tempo che Kaelee sapesse la
verità su tutta la faccenda, anche se Guy iniziava a temere
ciò che sarebbe successo da lì a qualche
minuto.
"Come reagirà sapendo di essere stata presa in giro da
tutti? Sicuramente il senso di tradimento le brucerà nel
petto, ma cos'altro? No, non dovrei pensarci, ma non posso farne a meno
e dunque mi chiedo: che cosa sarà di noi quando le
dirò che l'idea è stata mia? Non vorrà
più guardarmi in faccia e in tal caso dovrò farmi
forza perché è per il suo bene che ho voluto
tutto questo, per garantirle che non avrei più barato
durante l'addestramento. E se lei non volesse più avermi
come maestro? Avrò fatto tutto questo inutilmente?", si
domandò Gisborne, preda di se stesso e di tutta
l'insicurezza che aveva cercato per una vita intera di mascherare
dietro atteggiamenti da cattivo, seguendo gli scellerati consigli di
Vaisey di Nottingham, il quale gli aveva assicurato di considerarlo al
pari di un figlio. Che padre snaturato era allora quello Sceriffo se
aveva spinto suo figlio nel baratro della violenza.
Sebbene desiderasse poter guardare Robin negli occhi e in essi cercare
tutte le risposte, Guy sapeva di doversela vedere da sé,
perciò prese una decisione e la portò a
compimento immediatamente. Senza preavviso, l'uomo sferrò un
ultimo affondo con l'intento di mandare a terra entrambi: si
scagliò su di lei con la ferocia che nutriva verso se
stesso, brandendo la spada con sicurezza, e, soltanto un istante prima
di stroncare la vita di Kaelee, le piombò addosso
senza ferirla, piantando la spada nel terreno anziché nel
cuore della giovane e restando sopra di lei.
Fu un attimo, solo un piccolo, insignificante ed eterno attimo in cui
Kaelee pensò a tutto ciò che aveva fatto per
sfuggire alla prepotenza che era stata costretta a subire a Edwinstowe.
A stento l'aveva visto spostarsi quell'uomo che non riconosceva
più, a fatica aveva realizzato che nel giro di qualche
secondo sarebbe morta per mano di lui come era già accaduto
a Lady Marian e a Isabella Thornton, ma riuscì a chiudere
gli occhi attendendo il dolore che avrebbe provato quando la lama le
avesse trafitto la carne.
Attese una manciata di secondi senza che il lancinante dolore
arrivasse, sostituito da una vertigine improvvisa e da una perdita di
equilibrio che l'aveva fatta rovinare a terra. Trovò due
occhi chiari a fissarla, quando riaprì i suoi, un paio di
meravigliosi occhi color del cielo che Kaelee conosceva così
bene e che la confusero ancora di più.
"Cosa ci faccio per terra con Guy a bloccarmi? Oh, questo sguardo...
Tanto intenso e bello sul viso arrossato per la fatica!",
pensò dimenticando momentaneamente ogni cosa.
«Per mostrarti con chi avrai a che fare durante i
prossimi allenamenti», sussurrò l'uomo, che
sembrava essere di nuovo quello che amava.
Kaelee si prese del tempo per riflettere su quelle parole, non
comprendendone immediatamente il significato sebbene, si accorse,
rispecchiassero una delle tante ipotesi confuse che aveva vagliato. Man
mano che i tasselli si incastravano ognuno al proprio posto –
Robin e Kate compresi – si sentì sempre
più presa in giro in un modo così
subdolo
che le lacrime pronte a scendere cambiarono idea e la rabbia
montò dal profondo del suo animo come quando aveva visto
Rudyard fare lo sbruffone a Locksley. Guardò Gisborne
stralunata, arrabbiata, ferita, e infine gli diede una ginocchiata
nello
stomaco per toglierselo di dosso, non volendo restare un minuto di
più in compagnia di quell'essere infimo.
Kaelee non poteva credere che lui e Robin si fossero davvero divertiti
così alle sue spalle.
Vide Gisborne sgranare gli occhi e gemere in reazione al colpo, prima
di spostarsi tossendo e consentendole di alzarsi. Non si
sentì per niente in colpa nel vederlo piegato in ginocchio,
nemmeno quando realizzò di aver centrato esattamente il
punto in cui Rudyard lo aveva ferito, perché era troppo
arrabbiata per provare un sentimento diverso e lo era troppo anche per
fuggire via come l'istinto stava cercando di suggerirle. Sarebbe stato
troppo facile togliersi di torno e lasciare che il tempo ponesse
rimedio e placasse gli animi, perciò quella volta sarebbe
rimasta e si sarebbe vendicata.
Dalla sua posizione, ma soprattutto grazie al nuovo punto di vista che
si era guadagnata in seguito alla rivelazione di Gisborne,
poté vedere Robin teso nella sua direzione, pronto ad
intervenire, avendo così conferma che era complice.
Ciò che più di ogni altra cosa Kaelee non
riusciva proprio a capire era perché semplicemente non
avessero provato a parlargliene, perché non avessero tentato
di convincerla che Gisborne avrebbe cambiato approccio durante le
esercitazioni.
Quando l'uomo si alzò e fece per parlare, lei
sollevò la mano per mollargli un sonoro ceffone e anche se
Guy non si difese, né si spostò di un millimetro,
non riuscì sentirsi in colpa, né soddisfatta.
«Sei
perfido», sibilò, fuori di sé. Sarebbe
stata
disposta a tutto pur di restituire a Gisborne la pace che si era
guadagnato a fatica, ma dopo aver compreso che tutti l'avevano
imbrogliata l'unica cosa che desiderava era odiarlo con tutta se
stessa e anche se sapeva in partenza che non ci sarebbe
riuscita, ci avrebbe
provato.
«Non mi avresti creduto se te l'avessi
semplicemente detto senza dimostrartelo», commentò
lui abbassando lo sguardo.
Volò
un altro schiaffo.
Le lacrime alla fine ci ripensarono di nuovo e le bagnarono il viso,
sebbene l'espressione arrabbiata non l'avesse ancora abbandonata. "Come
ha potuto farmi questo?", si domandò, con le mani che le
tremavano violentemente per la rabbia.
«Certo», commentò con
un'ironia che solitamente non le apparteneva.
«Perché
quando mi hai detto di non essere più un assassino io non ti
ho
creduto, vero? Quando mi hai detto di aver lasciato andare il ricordo
di Lady Marian io non ti ho creduto, non è
così?», chiese retorica alzando la voce. Era
profondamente ferita e non riusciva
più a controllare pensieri ed emozioni che sgorgarono,
quindi, impetuosi e taglienti. «Io ti ho
sempre creduto!»,
urlò. «Perfino
quando fingevi di insegnarmi a combattere io ti ho creduto, passando
per
una sciocca ignorante!». Nonostante i propositi di vendetta,
ormai singhiozzava e per questo
decise
che non era il caso di restare lì a farsi umiliare ancora;
quindi recuperò la propria spada, la fece scivolare nel
fodero e si voltò per andarsene nonostante gli occhi lucidi
di Gisborne. Appena il suo sguardo finì sulla figura di
Kate, Kaelee si sentì nuovamente tradita e si
bloccò consentendo a Gisborne di afferrarla per un polso,
gesto che stuzzicò di nuovo tutta la furia che provava verso
quelli che aveva considerato suoi amici.
«Non mi toccare!», ruggì senza che lui
muovesse un solo muscolo. «Lasciami andare!»,
continuò, senza riuscire a smettere di piangere.
«Non posso», sussurrò lui con voce
tremante.
Più Kaelee cercava di divincolarsi, pestando i
piedi, agitandosi e urlandogli di lasciarla andare, più la
sua stretta attorno al polso sottile si
rafforzava, perché se l'avesse lasciata andare non avrebbe
avuto
più
alcuna opportunità di recuperare con lei, la quale,
guardandolo dritto negli occhi, gli disse che
esattamente
come aveva avuto la forza di mettere in scena quella pagliacciata,
poteva allo stesso modo mollare la presa su di lei e lasciare
che se ne tornasse a casa.
Gisborne scosse il capo, spaventato da ciò che aveva appena
detto.
Si chiese intimamente cosa Kaelee intendesse con "tornare a casa" e
temeva che "casa"
equivalesse a Edwinstowe e non all'abitazione che condivideva con Kate:
il solo pensiero bastava a causargli un tale dolore che era quasi
impossibile trattenere le lacrime.
Robin, che osservava a debita distanza la scena, pronto a intervenire
se Kaelee avesse reagito con eccessiva violenza, ma disposto a lasciare
che sfogasse almeno in parte la rabbia che provava, non aveva mai visto
Gisborne cedere dinanzi a nessuno che non fosse
lui stesso o Archer e capì che, se era pronto a mostrare il
suo
lato più umano a Kaelee, allora doveva amarla davvero molto.
Quindi si rasserenò, perché se era stato l'amore
a
muovere quelle circostanze, certamente nulla di ciò che era
avvenuto sarebbe stato vano.
Kate, anch'essa rimasta ad osservare, era sconvolta dall'atteggiamento
di Kaelee e si preoccupava della propria posizione. Non avrebbe mai
immaginato che la dolce ragazza che condivideva con lei non solo
l'abitazione, i pasti ed una camera da letto, ma anche un pezzo di
vita, potesse schiaffeggiare l'uomo che amava tanto intensamente, come
più volte le aveva confidato nelle conversazioni che avevano
prima di dormire. La donna considerava Kaelee
un'amica importante, una sorella, una persona a lei indispensabile, e
aveva imparato ad apprezzare anche Gisborne,
perciò era immensamente dispiaciuta per la piega che gli
eventi
avevano preso; se aveva accettato di far parte della commedia
era solo per il bene di Kaelee, ma stando così le cose non
credeva più che quanto era accaduto potesse far bene alla
sua
amica e cominciava a credere che lei non avrebbe più voluto
condividere la stanza e la casa e che piuttosto avrebbe preferito
dormire
all'aperto o magari chiedere asilo ad Allan. Kate sapeva che se la
ragazza avesse preso una simile decisione
avrebbe distrutto il cuore di Guy in un attimo, perché Allan
non aveva rinunciato del tutto alla ragazza attendendo, in
cuor suo, un passo falso da parte di Gisborne. Allan si era messo in
un angolo solo momentaneamente: non che desiderasse
l'infelicità
di
Kaelee, ma sarebbe bastato un nonnulla a riaccendere la sua speranza di
poterla conquistare, Kate ne era più che certa.
Sorprendendo i presenti, Kaelee sfoderò nuovamente
la lama e
la puntò
alla gola di Guy. Poté quasi sentire i respiri mozzati di
Robin e Kate, certamente impietriti dinanzi ad una tale presa di
posizione, e anziché ripensarci, si lasciò
invadere dalla soddisfazione, dal senso di potere che quel gesto le
instillava.
"Vuole mettermi alla prova? E sia", si disse provando
nuovamente quel desiderio di vendetta mentre Gisborne non osava
muoversi e tradiva sgomento con lo sguardo.
«Volevi sapere se ho il coraggio di
ferirti», disse. «non provocarmi
ulteriormente, ti dico, o lo scoprirai in fretta a tuo
discapito». Ad ogni
parola la voce
minacciava di rompersi a causa del pianto che la scuoteva
dall'interno e la mano che reggeva la spada tremava di tanto in tanto,
ma la giovane donna non voleva darla vinta a quei traditori.
«Lasciami andare», ripeté, furiosa come
solo un'anima ferita sapeva essere.
Quando Gisborne
chiuse gli occhi, Kaelee credette che avrebbe mollato la presa sul suo
polso dolorante, ma si sbagliava, perché quelle dita non
accennavano ad allentarsi mentre un luccichìo abbelliva il
volto dell'uomo. Il suo cuore vacillò dinanzi alle lacrime
di lui, senza però cedere alla tenerezza che le impose di
ricordare tutte le cicatrici che Guy si portava
addosso, il suo passato,
tutti i baci che si erano scambiati e le carezze e le parole d'amore.
Come se soltanto in quel momento riuscisse a vederla, Kaelee non
riuscì a credere che la mano che teneva quella spada premuta
sulla gola di lui, minacciando di lasciare l'ennesimo segno sulla
pelle, le appartenesse, eppure non riusciva ad allontanarla. Una parte
di lei desiderava mettere fine ad ogni cosa, abbassare l'arma
e attendere che lui la liberasse; un'altra parte, assetata di vendetta,
le imponeva di ferirlo
fisicamente e non.
«Mi
hai invitata ad essere crudele con chiunque minacci la mia
libertà», continuò, riprendendo di
nuovo
le parole
che lui le aveva rivolto poco prima. «Tu
mi stai negando la libertà di andarmene, quindi sei per me
una
minaccia», concluse cercando di tenere un atteggiamento duro,
sperando che l'ostentata risolutezza potesse scoraggiarlo e indurlo a
liberarla. Era tremendamente umiliante per lei restare lì,
sotto gli occhi di chi non aveva fatto altro che ingannarla, e piangere
dinanzi a loro, comportarsi da sciocca dinanzi a loro –
perché razionalmente Kaelee sapeva che cercare vendetta non
le avrebbe arrecato alcuna soddisfazione. La presa di lui,
però, si
fece ancora più ferrea, quasi che non esistessero parole
capace di scalfirlo in quel momento, e questo alimentò a
dismisura la rabbia di Kaelee, la quale scoprì di
avere perfino una vena sadica quando, senza
rifletterci
su, mosse la lama sotto al mento di lui e poi sulla guancia come se lo
stesse accarezzando; infine la spostò sul proprio
avambraccio e
minacciò di ferirsi se lui non l'avesse lasciata libera di
andarsene: era pronta a tutto semplicemente perché Gisborne
aveva messo in dubbio la sua determinazione, semplicemente
perché voleva vendicarsi di quello scherzo di pessimo gusto.
«No», disse Guy spaventato.
«Non dici sul serio», soffiò,
senza fiato.
Per tutta risposta lei
premette leggermente la lama sulla pelle scoperta, senza ancora
lacerarla, ma
molto vicina a farlo, non temendo affatto il dolore che avrebbe provato.
«No!», esclamò di nuovo, sollevando la
mano libera. «Aspetta, dammi un'alternativa»,
supplicò.
Gli
rivolse un sorriso amaro che aveva il sapore della delusione e della
derisione.
«E
cos'altro vuoi? Prima vuoi una donna che sappia tenerti testa, poi la
vuoi arrendevole. Dovresti fare chiarezza in te stesso prima di
pretendere qualcosa dagli altri», disse con cattiveria.
Vide qualcosa cambiare sul volto di Gisborne e
capì che qualcosa stava per succedere, anche se non
riuscì a comprendere cosa prima che lui, senza preavviso,
portasse la mano libera sulla lama con cui lei stava minacciando di
ferirsi. Le si mozzò il respiro quando vide le dita
stringersi attorno all'arma e fare pressione per strappargliela di
mano. Una piccolissima parte della mente di Kaelee tenne conto dello
spesso strato del guanto in pelle che Gisborne
indossava e che certamente lo aveva protetto da un taglio
profondo e doloroso, ma il resto del suo corpo non ci fece caso e
reagì come
se
Guy avesse afferrato la lama a mani nude. Quel gesto la
distrasse al punto da farle allentare la presa sull'elsa e permettere a
Guy di appropriarsi
della spada e gettarla lontano da loro, salvandola con ogni
probabilità da una situazione che stava degenerando.
Sebbene fosse nel panico, Kaelee scorse con la coda dell'occhio Robin e
Kate che si avvicinarono di corsa e recuperavano l'uno l'arma di
Gisborne e l'altra quella che lei aveva brandito fino a qualche secondo
prima.
«Vorrei potervi lasciare soli senza dovermi preoccupare che
vi sbraniate a vicenda», disse l'arciere che, ottenuta
risposta affermativa da entrambi, si allontanò insieme a
Kate.
La ragazza era ancora ferma mentalmente al momento in cui le dita di
Guy
avevano stretto la spada e, ingabbiata nella morsa della collera e
dello
sconcerto,
iniziò a
colpire Gisborne con la mano che fino a poco prima aveva tenuto l'arma.
Non erano colpi seri, tant'è che poco dopo fu
di nuovo in lacrime e anziché schiaffeggiarlo
finì per
accarezzargli la guancia su cui aveva posato la lama qualche minuto
prima, preda di quel crollo emotivo che da tanto minacciava ormai di
prendere il sopravvento.
«Fammi vedere», gli disse tra i
singhiozzi.
Lui scosse il capo e lei gli pestò un piede, stizzita.
«Non mi sono fatto nulla»,
mormorò.
«Fammela
vedere lo stesso, testone!», strillò senza
contegno. Ormai era
crollata e riteneva che non avesse più alcun senso
continuare a litigare; lo avrebbero fatto di nuovo, più
tardi, nei giorni successivi,
avrebbero discusso e forse non si sarebbero più guardati in
faccia per qualche tempo, ma in quel momento Kaelee non
ne
poteva più di tutta quella cattiveria. Si era ripromessa di
odiarlo, non molte decine di minuti addietro, eppure nemmeno in quel
frangente, si rese conto,
riusciva davvero a smettere di amarlo con tutta se stessa sebbene
questo non le
impedisse comunque di prenderlo a pugni, visto che Guy se l'era proprio
meritato.
«Promettimi di non scappare», soffiò
lui, trattenendo le lacrime.
«Promesso», assicurò.
Quando Gisborne
si tolse il guanto tirandolo via con i denti, risultando
indicibilmente sensuale, Kaelee pregò affinché i
sensi non le venissero meno dinanzi ad una simile visione, considerato
il suo stato emotivo; poi si diede dell'idiota per aver formulato
simili pensieri dopo tutto quello che era accaduto quella mattina,
anche
se non riuscì a smettere di sbattere le palpebre velocemente
in
risposta
a quel gesto. Era così confusa che se anche avesse voluto
scappare venendo meno alla promessa appena fatta, appena lui
allentò la
presa sul suo polso, non ci sarebbe comunque riuscita,
tant'è che le occorse un minuto buono prima di poter mettere
in ordine un paio di frasi che galleggiavano senza un senso nella sua
mente. Si rese conto anche di avere
il polso indolenzito a causa delle stretta di lui, ma,
anziché esserne irritata, qualcosa in lei
la spingeva a guardare i segni rossi da un'altra angolazione;
un'angolazione molto pericolosa in effetti, tanto che in pochi attimi
la sua mente fu invasa dall'immagine di Guy che duellava con lei con
la forza di un animale e pensò che l'uomo avrebbe potuto
sfruttare quella stessa forza in altre occasioni molto più
piacevoli. Come quando l'aveva atterrata poco prima, per esempio.
«Maledizione!», urlò
all'improvviso, completamente fuori di testa.
I suoi pensieri erano incontrollabili e questo la faceva infuriare
oltre ogni dire, perché non avrebbe dovuto pensare a Guy in
quei
termini dopo quanto era accaduto e avrebbe dovuto, anzi, prenderlo a
calci, gridargli contro rabbia e dolore anziché desiderarlo.
Guardarlo negli occhi mentre sul viso gli si dipingeva un'aria
stranita, non era di alcun aiuto. Lo trovò, infatti,
bellissimo
fasciato dall'intricata trama di quella
tenebrosa casacca che non gli aveva mai visto addosso, ma che lui le
aveva mostrato una mattina; pensò che fosse bellissimo anche
nella
sua
crudeltà più nera e ritenne, per questo, di
essere
una
sciocca
ragazzina alle prese con una cotta di proporzioni epiche che l'avrebbe
condotta
alla rovina, ma la cosa che la rendeva ancor più stupida era
l'assoluta mancanza di volontà di porvi rimedio; al punto
che se
Guy
avesse tentato di prenderla in quel preciso posto e istante, lei non si
sarebbe
ribellata, e non avrebbe considerato lui un bruto, un approfittatore,
ma un amante perfetto.
«Cosa c'è?»,
le domandò Guy in un sussurro, distraendola.
"Questa voce, la sua voce. Il modo in cui mi ha detto "Vieni
qui allora", con questa voce", pensò Kaelee.
"Vieni qui allora".
Era un invito irresistibile, come se glielo stesse sussurrando
dall'interno.
"Vieni qui allora".
Il tono caldo e sensuale, lo sguardo terribilmente magnetico, tale che
Kaelee si avvicinò a lui come la voce nella sua mente le
ordinava.
"Vieni qui allora".
Si sollevò sulle punte, portò una mano
tra i capelli di Guy e li strinse tra le dita.
«Kaelee...»,
mormorò lui, forse destabilizzato dal suo atteggiamento,
prendendo a guardarla in un modo strano e nuovo, come se per la prima
volta fosse riuscita a intimorirlo.
Decise di non rispondergli e di non fermarsi, troppo soddisfatta dalla
piega che gli eventi stavano prendendo. Senza preavviso
aggredì le sue
labbra, lasciandosi guidare da tutte le emozioni che le scoppiavano nel
petto: amore, rabbia e passione.
In prima battuta Gisborne subì il bacio, ancora stordito
dalla
luce di desiderio che le aveva visto negli occhi prima che lei
monopolizzasse le sue labbra, ma quando
reagì
per Kaelee non ci fu più via di fuga. La strinse a
sé con
entrambe le braccia e si privò del guanto rimasto soltanto
per
poter beneficiare del calore di lei. Per la prima volta da quando aveva
capito di amarla, Guy si lasciò andare completamente,
abbandonando ogni pensiero, e per la prima volta cercò con
insistenza la pelle della ragazza perché voleva percepirla
sotto
le dita,
accarezzarla, sentirsela addosso, amarla totalmente e senza
impedimenti, senza il solito campanello d'allarme che lo avrebbe
frenato ad un passo dal confine tra ciò che lui riteneva
lecito
e ciò che invece considerava illecito. La passione
improvvisa di Kaelee
scatenò in lui un desiderio irrefrenabile misto al bisogno
di
risanare ogni astio, di dimenticare quel litigio e lasciarsi alle
spalle quanto era appena accaduto per sua stessa volontà.
La ragazza si sentì invadere da un insolito senso di
vittoria, come se il fatto che Guy volesse spogliarla fosse per lei una
conquista.
Le sue mani imitarono quelle di lui e lasciarono i capelli solo per
raggiungere le molteplici fibbie che contenevano un corpo perfetto e
nonostante una serie infinita di lacci e cuciture che le impedivano di
raggiungere lo scopo in tempi brevi, in particolar modo
perché
non poteva vederli impegnata com'era, Kaelee non smise un attimo di
baciare Guy.
Anche se un po' in ritardo capì che per privarlo
dell'indumento
avrebbe dovuto prima slacciargli la cintura, a cui era appeso il fodero
per la spada che Robin e Kate avevano sequestrato insieme alla sua, ma
trovato
ciò
che cercava, gliela strappò di dosso con uno scatto
repentino e deciso,
manifestando apertamente l'improvvisa voglia di amarlo.
Gisborne la lasciò fare e, quando la ragazza
liberò
tutti gli
impedimenti, fece in modo che gli sfilasse di dosso quel primo
strato lasciandolo con addosso la solita blusa nera che
Kaelee
ben conosceva. Immediatamente dopo, le braccia dell'uomo si
avvinghiarono
attorno al suo busto esile e mentre le mani di lei si
spostavano sul suo petto per sciogliere il leggero
nodo che ancorava i due lembi della scollatura, lui insisteva
sulle spalle, sulla nuca,
tra i capelli e poi giù, di nuovo, fino alla vita in una
serie
di
carezze
che facevano vibrare tanto lei quanto lui stesso. Aveva il respiro
corto: baciare Kaelee gli toglieva il fiato
più di una corsa sfrenata, così, per evitare di
dover poi
interrompere il bacio bruscamente, decise di lasciare momentaneamente
la bocca della ragazza per raggiungere il collo sottile e cospargerlo
di piccoli baci infuocati. Il sospiro che
sfuggì alle
labbra di Kaelee e il suo piegare istintivamente la testa di lato per
facilitargli il
compito e mostrargli quanto la cosa la appagasse, lo invitatono a non
fermarsi come invece una parte di lui sapeva che avrebbe dovuto fare
dal momento che si trovavano in aperta campagna, alla luce del giorno.
Considerato che quel giorno Guy non era intenzionato a ostacolarla,
Kaelee decise di osare: le sue
dita raggiunsero la vita ampia di lui per poi infilarsi, spudorate,
al di sotto del tessuto cercando il contatto con la pelle nuda del
petto e godendo di quel calore che avrebbe voluto sentire su una
porzione più ampia del proprio corpo, quando, del
tutto inaspettatamente, si rese conto che il terreno spariva da sotto i
suoi piedi e che ciò che riusciva a vedere oltre i capelli
neri
di Gisborne, ancora impegnato ad incendiarle il collo, si stava
inclinando.
Poco dopo comprese che non era il mondo a muoversi, ma lei, che si
ritrovò con la schiena tra i fili d'erba, sovrastata
dall'imponente figura dell'uomo.
Per un attimo incontrò lo sguardo di Guy: non c'era traccia
dell'ostilità di prima, ma quei frammenti di cielo
bruciavano
intensi ed erano lo specchio di tutte le sensazioni di cui lei stessa
era preda. Una voce molto lontana tentava di avvisarla sulle
conseguenze di quella situazione, ma era così debole in
mezzo
alla tempesta, che Kaelee non riusciva nemmeno a sentirla davvero; e
poi, comunque, non
voleva ascoltarla. Si aggrappò quindi ai fianchi di lui,
non
per respingerlo ma per trattenerlo.
Incastrato nel caramello che erano gli occhi di lei, Gisborne
portò una mano sulla gamba della ragazza, incurante di ogni
altra cosa,
oltrepassò
l'abito e le accarezzò la pelle fin sopra al ginocchio, che
istintivamente si sollevò all'altezza della sua vita.
Approvò così tanto quell'iniziativa che
continuò
ad avanzare con le dita raggiungendo la coscia tonda e compatta della
ragazza. La vide avvampare, la sentì premere con forza le
dita
sulla pelle, e in un primo momento se ne beò desiderando
vederla
arrossire ancora, volendo sentirla sospirare sotto di lui e a causa
delle sue carezze impertinenti.
Poi, però, il solito allarme scattò e appena Guy
si rese
conto della direzione che avevano presi gli eventi si fermò
nonostante il desiderio.
Lentamente le fiamme che lambivano ogni parte del suo corpo si fecero
più quiete
e le carezze divennero dolci e rassicuranti, come il sorriso che le
rivolse. Impiegò un po' a
riaversi completamente, perché quella volta aveva quasi
oltrepassato ogni limite, ma alla fine riuscì a dominare i
propri istinti
ricordando che non era così che desiderava fosse
la prima
volta con lei. Ciononostante lasciò la mano esattamente
dov'era.
Con il cuore che martellava dolorosamente nel petto, Kaelee
sospirò e si abbandonò completamente a
quella
posizione, esausta più per la potenza delle emozioni provate
che
per un reale sforzo fisico. Si prese un paio di minuti di completo
silenzio e totale immobilità per placare il fuoco che ancora
sentiva dentro e per riuscire a capire se essere grata a Gisborne per
essersi
fermato, oppure se prenderlo a schiaffi fino
all'indomani per lo stesso motivo. Una parte di lei sicuramente aveva
apprezzato il gesto, immaginando che con la mente tanto sconvolta non
avrebbe di sicuro potuto gustarsi pienamente un momento così
intimo; un'altra parte di lei, però, avrebbe voluto andare
fino in
fondo, annegare in quell'atto e dimenticare tutto il resto,
così non sapendo
decidere cosa fosse più giusto, alla fine si disse che non
era
necessario decidere nulla.
Sentì e vide Guy scivolarle di lato, risistemarle il vestito
e
perdersi a guardarla. La prima sensazione che provò fu
l'assenza
del corpo di lui sul proprio e non fu piacevole, ma preferì
tacere, presa da altri pensieri.
«Non so cosa mi sia preso»,
sussurrò timidamente.
Il venticello fresco che le sfiorava il viso solleticandola con l'erba
la aiutava a mettere a fuoco i pensieri sconnessi che le galleggiavano
nella mente e il risultato era imbarazzante.
«Non lo sai?», mormorò Guy
sorridendole dolce.
Anche lei
si mise su un fianco, di fronte a lui.
«Intendo
dire che invece di...», la parola giusta era "desiderarti",
ma
non ebbe il coraggio di esprimerla a voce alta. «...baciarti,
avrei dovuto pestarti per bene», rispose abbassando lo
sguardo
per paura che lui le leggesse troppe cose negli occhi. Un istante
più tardi si disse che effettivamente non c'era molto
da nascondere: il modo in cui si era comportata con lui era
più eloquente che mai. Gli aveva
praticamente fatto capire di essere disponibile e se ne vergognava
così tanto che avrebbe voluto sparire.
Lo sentì sospirare e un brivido le attraversò la
schiena.
«Hai ragione», disse. «Puoi
perdonarmi se ti dico che ho gradito maggiormente i tuoi baci degli
schiaffi?», chiese in un sussurro.
In quel momento fu come se Kaelee si fosse risvegliata improvvisamente
da
un sogno, di nuovo: ricordò di averlo colpito più
di una
volta
in viso
e immediatamente si scusò con lui per averlo fatto,
pentendosene
amaramente, e, come spesso le accadeva quando andava in panico, non
poté fare a meno di parlare a briglia sciolta,
così gli
disse che non avrebbe mai voluto farlo e che detestava la violenza ed i
litigi, non sopportava dover alzare la voce e difendersi a quel modo
dalle persone che amava, che tutto quel discutere le ricordava la
famiglia da cui si era allontanata, che il solo pensiero di dargli uno
schiaffo non l'avrebbe mai sfiorata se non fosse stata tanto infuriata
con lui.
«Shhh», fece lui. «Non importa, me la
sono cercata»,
mormorò mettendosi a sedere.
Kaelee lo imitò; lo sguardo le cadde sulle proprie gambe e
il
ricordo delle carezze infuocate di Guy le sconvolse di nuovo la mente.
"Possibile che non riesca proprio a controllarmi?", si chiese e quando
un
"Sì, è possibile", nacque spontaneo da qualche
parte
dentro di lei, Kaelee seppe che avrebbe dovuto farci i conti
più
o meno per tutta la vita.
Non aveva più voglia di
pensare, ragionare, riflettere, quindi si alzò, si
portò di fronte a lui e si sistemò
cavalcioni
sulle sue gambe; lo guardò intensamente negli occhi mentre
gli
prendeva le mani per condurle nuovamente su di sé, oltre
l'abito, volendo sentire ancora quel calore, quella sensazione di
benessere.
Sebbene avesse creduto di amare una donna, in passato, Gisborne dovette
rendersi conto che avere una relazione corrisposta era tutta un'altra
cosa che amare unidirezionalmente qualcuno. Interpretare i gesti della
donna che amava era una sfida continua che però non riusciva
a
sfiancarlo o ad annoiarlo, tanto che non si sentì davvero
minacciato quando vide Kaelee alzarsi sebbene una parte di lui avesse
preso in considerazione che lei potesse andarsene e lasciarlo
lì, da solo, con i suoi sensi di colpa.
Quando la vide scendere sulle proprie gambe Guy non aveva idea delle
intenzioni di Kaelee, tuttavia non si oppose e appena comprese
l'intento della ragazza, appena riuscì
a interpretare le parole mute incastrate negli occhi di lei,
mosse
delicatamente le dita sulla sua pelle accarezzandola senza fretta.
In cambio ricevette un bacio sulla guancia che gli fece socchiudere gli
occhi e battere il cuore mentre la consapevolezza di essere un uomo
immensamente fortunato si faceva strada in lui, in quanto Kaelee lo
amava con una purezza che non credeva
potesse esistere su quella terra.
Non avrebbero fatto l'amore quel giorno, ma nessuno avrebbe impedito
loro di regalarsi un po' di attenzioni.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 17/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Ammetto candidamente che non avevo la minima idea di come
sarebbe
andata a finire e ammetto anche che assistere alla loro lite
è
stata un'esperienza poco piacevole, sebbene necessaria visto che questa
scena ha preteso di essere scritta. Non so fino a che punto, nella vita
reale, due persone alle prese con una simile discussione finirebbero
per
baciarsi e desiderarsi come Guy e Kaelee, ma la sola idea di farla
allontanare e
lasciare da solo Guy mi creava non pochi problemi.
Mi auguro di non aver esagerato con la fantasia e di essere stata
credibile nelle dinamiche.
In ultimo voglio precisare, per chi legge la fanfiction come
un'originale, che in un episodio della serie tv Gisborne si
è davvero tolto il guanto in pelle con i denti e la cosa mi
è piaciuta così tanto che ho pensato di
riproporla, vista la situazione. In quanto a "l'intricata trama di
quella tenebrosa casacca", il riferimento è
all'abbigliamento di Gisborne nella terza stagione (vedi foto), prima di
uscire dalle grazie dello Sceriffo e del Principe.
Come sempre vi ringrazio per il vostro tempo e vi sono grata per le
eventuali recensioni.
Alla prossima!
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Capitolo 12 *** I Tre ***
I Tre
I Tre
Lo stato d'animo di Kaelee non era mai stato tanto altalenante prima
che si innamorasse e che suo fratello Rudyard piombasse a Locksley.
La concomitanza delle due circostanze la portava ad essere sorridente
un momento e pessimista un attimo dopo, comprensiva ora e altamente
irritabile tra un istante. In più ce l'aveva ancora con
tutti a causa delle modalità che avevano scelto per
dimostrarle che
gli allenamenti avrebbero preso un nuovo andazzo. In cuor suo sapeva di
potersi fidare ciecamente di ognuno, ma l'arrabbiatura non ancora
sbollita la rendeva sospettosa e, come se non
bastasse, Allan era sempre dietro l'angolo tutte le volte che la
ragazza se ne
andava in giro senza Gisborne. Questo perché, come aveva
ammesso candidamente durante una riunione al Maniero, quando il
fratello
di lei aveva fatto l'infelice comparsa a Locksley, lui era assente e
ritenendolo
imperdonabile da parte sua, dal momento che aveva offerto protezione
alla ragazza, aveva deciso che non avrebbe più
permesso il verificarsi di una simile eventualità.
Allan le appariva sempre molto felice di poter trascorrere tempo extra
con lei, al di fuori delle lezioni di lettura che Kaelee ancora
prendeva, ma le stesse sensazioni non appartenevano a lei, che aveva
mille pensieri, domande e dubbi per la testa senza riuscire mai ad
avere una sola risposta certa.
Sostenere di essere sotto pressione era la sintesi della sintesi di
ciò che provava Kaelee in quel periodo e dire che Allan e
Gisborne non ne avessero combinate di tutti i colori
in passato, insieme e separatamente, era una fandonia bella e
buona, come Kaelee ben sapeva; senza contare che sapeva pure che, per
questo motivo, Much era piuttosto preoccupato e temeva che Allan
stesse rischiando grosso mettendosi tra lei e Gisborne.
«Gisborne è pur sempre Gisborne», gli
sentì
dire a Kate un pomeriggio, mentre lei si trovava al piano superiore nel
tentativo di rilassarsi con un bagno caldo. «Ed è
comunque
un uomo.
Se qualcuno facesse lo stesso con te, non la passerebbe
liscia.
Gli farei vedere io!».
Dunque Kaelee aveva avuto modo di capire che, nonostante lei avesse
parlato con Allan tempo addietro in merito ai propri sentimenti per
lui, tutti i membri della banda erano fermamente convinti che Allan non
attendesse altro che il momento più opportuno per
corteggiarla
apertamente, come se lei lo avesse mai incoraggiato in tal senso.
"Perché nessuno tiene mai in conto me?", si chiese Kaelee,
piuttosto irritata. "Sono
giovane, è vero, ma non mi sembra di aver mai dimostrato di
essere una rammollita, una ragazzina svenevole, una che si compiace
nell'avere più spasimanti. Uno solo mi basta e avanza vista
la
situazione! Possibile che non ci sia neanche uno di loro che creda in
me? Neanche Kate?", sbuffò. "Pensassero pure quel che
vogliono, io ho problemi
più grandi da affrontare ora", si disse immergendo la testa
nell'acqua per non dover sentire altro della conversazione che stava
avvenendo di sotto.
I problemi più grandi cui Kaelee doveva far fronte
riguardavano
per buona parte Gisborne, il quale era ancora l'uomo che amava con
tutta se stessa, ma che rappresentava anche la persona che
più
di ogni altra l'aveva tradita. Non avendo mai frequentato molte
persone, Kaelee non era avvezza a questo tipo di circostanze
– in
cui per l'altrui bene si mente senza malizia – e ogni sua
sensazione bruciava al pari del primo amore, della prima delusione,
della primo ginocchio sbucciato, della prima scottatura nel tentativo
di accendere il fuoco, perciò non sapeva come comportarsi
con
Guy, il quale, per sua fortuna, si rivelò un uomo molto
paziente e anche molto innamorato, senza sembrare troppo dura o troppo
superficiale. Né se la sentiva di chiedere consiglio a Kate
come
aveva fatto altre volte, perché anche lei in fin dei conti
l'aveva tradita.
Sebbene non di rado accadeva che Kaelee inveisse contro di lui o che
gli rinfacciasse
la pessima idea della farsa, non la trattò mai con
durezza, non le rispose mai male e non si arrabbiò quando la
ragazza decise di non rivolgergli la parola per tre giorni. Si sentiva
ancora in colpa anche se l'aveva fatto per lei, perciò la
espiava senza aprir bocca. Furono
comunque i tre giorni peggiori di tutta la sua vita e il fatto che
Allan ballasse sempre attorno a Kaelee non lo aiutava per niente.
Nonostante il fastidio che ne derivava, Gisborne decise di non cercare
un confronto con
l'uomo
che per un periodo era stato suo complice e traditore al tempo stesso,
doppiogiochista e opportunista dotato di un grande istinto di
conservazione, perché se per Kaelee la presenza di Allan non
era
un problema, lui ritenne di non avere il diritto di intervenire: voleva
renderla libera e indipendente del resto.
Solo perché era stato il braccio destro dello Sceriffo ai
tempi
in cui Nottingham, Locksley e i villaggi circostanti erano sotto la
tirannia di Vaisey, solo perché si era dimostrato un uomo
disposto a uccidere senza remore e a far del male al prossimo senza
ripensamenti, non significava che non avesse un cuore e che non
comprendesse i sentimenti umani, che non potesse essere altruista anche
lui. Chi
aveva avuto la pazienza di ascoltarne l'intera storia, di scendere a
fondo nella sua vita e nelle sue esperienze, sapeva che se aveva
dato alle fiamme l'abitazione di Lady Marian e Sir Edward era
principalmente
perché lei, rifiutandolo all'altare, lo aveva ferito. Si
rendeva
conto di averle voluto bene nel modo sbagliato, ma non poteva negare a
se stesso di aver provato qualcosa per lei, perciò
tutte
le volte che lei gli aveva negato una carezza, un bacio o anche solo
amicizia
e lealtà lui aveva sofferto moltissimo e anziché
reagire
chiudendosi in se stesso, sfogandosi con un amico, rassegnandosi o
tentando di conquistarla con gentilezza, aveva finito per essere
violento e
cattivo, perché questa era l'unica via che conosceva.
Nessuno
gli aveva mai riservato una carezza dopo la morte di
sua madre, perciò Guy non ricordava più cosa
volesse dire
essere amato; nessuno gli aveva insegnato ad amare e ciononostante
aveva avuto
la forza di farlo. Questo non lo
giustificava affatto, né agli occhi della popolazione di
Locksley e Nottingham, né ai suoi stessi occhi, ma lo
rendeva
meno mostro e più essere
umano; un essere umano volto a cattive azioni, ma pur sempre un essere
umano. Tra tutti, forse neanche tanto paradossalmente considerato che
si conoscevano da quando erano dei bambini, era stato Robin quello che
per
primo aveva
scelto di ascoltare il suo cuore. Dopo aver avuto diverse conversazioni
con Tuck, il quale lo aveva aiutato a tirare fuori ciò che
sentiva senza doversene vergognare, senza arrabbiarsi per le emozioni
che provava, senza il timore che qualcuno lo avrebbe preso a schiaffi e
deriso, Guy aveva deciso di raccontare la storia dal suo punto di vista
e aveva scoperto che farlo lo aiutava a comprendere meglio dove aveva
sbagliato e perché, gli era utile nella ricerca di se
stesso.
Aveva lui per primo scoperto che un conto era sentir
raccontare ciò che aveva fatto negli anni e giudicarlo,
altra
cosa era rivivere la sofferenza che c'era dietro ad
ognuno dei crimini che aveva commesso.
Ciò che molti ancora non
riuscivano
a comprendere era che Gisborne non era nato malvagio, tant'è
che dopo tutta una
serie di tragici errori e con l'aiuto dei suoi fratelli aveva infine
portato alla luce la parte buona che era in lui e si era innamorato nel
modo più giusto, mettendo da
parte tutta la negatività che lo aveva accompagnato per
anni. A
volte
sbagliava ancora, a volte tendeva ancora ad arrabbiarsi quando
era
estremamente
preoccupato per Kaelee, a volte si poneva con prepotenza quando
riteneva che lei volesse fare qualcosa di troppo ardito o pericoloso,
sostanzialmente, però,
Gisborne aveva fatto tesoro di molte lezioni, aveva ritrovato se stesso
ed una famiglia in Robin e Archer, aveva trovato una dimensione tutta
sua a Locksley e si era lentamente guadagnato la fiducia di molti.
Mentre Kaelee sceglieva di non vederlo, Gisborne provava a lasciarle
spazi e tempi aiutato da una comprensiva Kate, che di tanto in tanto
gli
passava qualche informazione, pur essendone lei stessa a corto dal momento che Kaelee quasi non le rivolgeva la parola. Aveva così appreso che per la
ragazza non era semplice stargli lontana, – visto che, a detta dell'amica, sembrava sempre che fosse irrequieta per qualcosa e si guardava attorno come se cercasse qualcuno – che a volte, di notte, sussurrava il suo nome e che se veniva a sapere di qualcosa che lo riguardava,
immediatamente un sorriso spuntava sulle sue labbra.
Quei tre giorni potevano aver messo alla prova la pazienza di entrambi,
ma non il loro amore.
Si amavano, ma lei era giovane, inesperta, istintiva e sfuggente quando
qualcosa non andava come l'aveva immaginata; lui faceva continuamente i
conti con
un passato difficile, con amori finiti sempre male e l'ombra della
paura di
sbagliare che lo seguiva ovunque andasse. Era una relazione
particolarmente difficile nei momenti di disaccordo, ma molto intensa
in ogni caso. Alla fine si attraevano come come la calamita attrae il
ferro e riuscivano sempre a
sanare ogni crepa riempiendola d'amore.
Chiesa di Locksley.
Tuck stava parlando alla popolazione di Locksley, nella nuova Chiesa
che era stata ricostruita dopo l'incendio fatto appiccare dal Principe
Giovanni; stava tenendo uno dei suoi illuminanti e appassionati
discorsi a tutta la popolazione di Locksley e a chi da Nottingham aveva
voluto recarsi nel villaggio quel giorno, quando
Much capì che avrebbe dovuto chiedere la mano di Kate.
L'intuizione arrivò così, all'improvviso, senza
che ci
avesse meditato sul serio nei giorni precedenti. Mentre
Tuck
parlava, Much aveva semplicemente smesso di ascoltarlo e si
era detto
"Devo chiedere la sua mano. Lo sapevo. L'ho sempre saputo" e
proprio non riusciva più a stare seduto lì
dov'era e concentrarsi in silenzio e attentamente sulle parole del
frate, perché in lui la molla era scattata e tutto
ciò
che desiderava fare era camminare su e giù per tutta
Locksley
alla ricerca delle parole più opportune da usare, al posto
migliore in cui dichiararsi ufficialmente, all'anello che le avrebbe
regalato. "L'anello! Io non ce l'ho un anello da darle!", si disse
mentre
Kate, ignara di tutto, gli sedeva accanto, completamente presa dalla
voce potente di Fra Tuck. "Lo sapevo! Lo sapevo che qualcosa doveva
andare storto", continuò, nel suo monologo interiore fatto
di
piccoli tic nervosi.
Alcuni giorni prima.
Nottingham.
Rudyard non aveva trovato alcuna difficoltà ad ambientarsi
in
quella nuova città. Dopo la breve sosta a Scarborough e dopo
essersi liberato di un inutile peso di nome Willard, l'uomo era
ripartito alla volta di Nottingham con l'intento di non fallire di
nuovo. La consapevolezza di avere a che fare con Robin Hood e
con la sua banda di stupidi non lo spaventava affatto,
perché
per quanto quell'arciere arrivasse a minacciare, era l'unica cosa che
sapeva fare davvero dal momento che, per una ragione che a Rudyard non
interessava, aveva deciso di non uccidere più. Questo
raccontavano le storie e il fatto che Gisborne fosse vivo e parte
integrante dell'allegra compagnia di bifolchi ignoranti era la
testimonianza di quanto l'arciere fosse sciocco, ingenuo e perfino una
pessima guida. Avrebbe dovuto averla lui una banda di uomini sotto il
suo comando e allora sì che avrebbe riscosso successo e
vittorie
in tutta l'Inghilterra.
Quindi si era stabilito a Nottingham, con la
promessa di svolgere indagini su Locksley per ricavare informazioni
utili su come sua sorella e i suoi protettori impegnassero le loro
inutili giornate, e aveva anche incontrato qualche suo vecchio
amico, riuscendo in breve a trovare una sistemazione adeguata e piccoli
lavoretti
che
non lo rendessero sospetto per la comunità. Per il momento
manteneva
un basso profilo, per nulla intenzionato a far sapere a Robin Hood e ai
suoi
di essersi insediato a pochi passi dalle loro abitazioni, e curioso di
verificare quanto alte fossero le difese del gruppo. Ben presto,
però, sarebbe tornato all'attacco e possibilmente in
compagnia.
Nel frattempo si scambiava brevi missive con Willard al solo scopo di
informare la madre su eventuali novità, con la speranza di
poterle dare presto la lieta novella dell'avvenuta cattura e punizione
di Kaelee.
Presente.
Casa di Kate e Kaelee,
Locksley.
Kaelee era rimasta sola a casa quella mattina, – dopo aver
convinto a fatica Kate a recarsi in Chiesa come faceva tutti giorni
prima di andare al forno di sua madre – perché
appena sveglia
si era
sentita poco bene, cosa che aveva evidentemente allarmato Kate per
ragioni che la ragazza non riuscì a comprendere subito, ma
era
bastato mangiare
un frutto per riprendere il solito colorito, con grande sollievo di
Kate. Kaelee non
gestiva molto bene le situazioni di stress e in quel periodo era
perennemente tormentata dal pensiero che Rudyard le sarebbe apparso
davanti al naso nel momento meno opportuno, ancor meno opportuno visto
che non aveva ancora fatto davvero pace con Guy. Troppo spesso
quel fratello
le appariva in sogno per uccidere Gisborne senza che lei potesse far
nulla e questo la rendeva ansiosa e triste.
Ad appesantire il carico c'era l'addestramento, che si era
rivelato molto più duro di quanto non fosse mai stato prima,
in seguito al quale la ragazza
rincasava
spesso con qualche livido, i muscoli doloranti e una stanchezza tale
che appena si metteva a letto crollava. I risultati, però,
come
sia lei che Gisborne avevano potuto verificare,
erano notevoli: non soltanto Kaelee riusciva a gestire molto meglio i
colpi dell'avversario e i propri movimenti nello spazio, ma diventava
ogni giorno più forte,
metteva su i muscoli necessari a renderla un avversario temibile, quasi
imbattibile, al pari del suo maestro.
Ciò che testimoniava la serietà di entrambi in
merito
agli
allenamenti era che anche
quando Kaelee si era presa una pausa da lui, a nessuno dei due era
passata per la testa l'idea di interrompere le
lezioni, perché Rudyard sarebbe potuto tornare da un momento
all'altro e rinunciare alle esercitazioni avrebbe reso inutile il
teatrino messo su da Guy e Robin che, invece, aveva segnato una svolta
decisiva per la ragazza: finalmente Gisborne la trattava come un
allievo e non come una fanciulla in pericolo, finalmente Kaelee aveva
potuto constatare personalmente le ragioni per cui Gisborne aveva
ottenuto la fama di essere uno dei migliori nel suo campo. Se Robin
sapeva scagliare tre frecce alla volta senza esitazione né
imprecisioni, mantenendo il primato di più abile arciere di
tutta Nottinghamshire e forse d'Inghilterra, Gisborne era in grado di
sopportare duelli per ore intere senza patirne lo sforzo, senza
lasciarsi mai colpire nemmeno di striscio, senza perdere la
concentrazione, studiando l'avversario e affondando un unico colpo
letale, definitivo. Insieme, quei due, avrebbero potuto fronteggiare
senza difficoltà anche una ventina di guardie addestrate,
Kaelee
ne era certa.
Era affacciata alla finestra della camera da letto, al piano superiore
dell'abitazione, e stava godendosi i raggi del sole che le
accarezzavano con delicatezza il viso e il collo quando vide Guy
passare. Il primo istinto, suggerito esclusivamente dal corpo, fu
quello di
mordersi il labbro: perfino dall'alto era l'uomo più bello
che
avesse mai visto e sebbene non ne avesse incontrati poi così
tanti, sapeva che non avrebbe comunque cambiato idea.
Sospirò e
appoggiò il mento
sulle
braccia incrociate mentre lo osservava, anzi, lo contemplava come si
può contemplare un'opera d'arte o il nonno che ti racconti
una
favola o il fratello maggiore che ti riveli un magico segreto. O
la persona che si ami più di ogni altra cosa al mondo.
Lo vide incedere svelto fino alla costruzione da cui lei lo stava
guardando, poi il suo camminare si fece più incerto; si
fermò e ripartì un paio di volte, si
voltò come se
volesse tornare indietro, ma poi ci ripensò e mosse un passo
in
avanti, verso la porta d'ingresso. Kaelee trovò tenera
quell'indecisione, pur non sapendo da dove provenisse. Anche se era
ancora arrabbiata e si rifiutava di interagire con Guy al di fuori
delle esercitazioni, Kaelee non aveva smesso di volerlo accanto. Poteva
sembrare un controsenso, ma dentro di sé la ragazza sentiva
che
continuare a vederlo senza prima aver accantonato tutta la rabbia e
quel pizzico di rancore che provava nei suoi confronti, sarebbe stato
controproducente per entrambi.
Aveva ricevuto una velocissima visita da parte di Kate quel
mattino presto ed era stato messo al corrente del malore
accusato da Kaelee, cosa che, naturalmente, lo aveva allarmato subito.
La sola idea che per un qualsiasi motivo Kaelee stesse male lo faceva
impazzire. Kate, che come Guy sapeva ormai era completamente dalla loro
parte, gli aveva anche detto che sarebbe andata in Chiesa e poi ad
infornare i vasi con sua madre, quindi sarebbe rimasta fuori casa a
lungo. Il modo in cui lo aveva guardato gli aveva lasciato intendere
che, se
avesse voluto e se la fosse sentita, avrebbe potuto raggiungere Kaelee
con la sua
approvazione.
Inoltre, Gisborne si era trovato coinvolto, quella mattina, in
una
conversazione parecchio imbarazzante sia per lui che per Kate, la
quale, pensando che Kaelee avesse sminuito perché
ne
temeva la reazione, aveva
voluto accertarsi che i due non si fossero amati dal momento che il
malore al risveglio aveva fatto nascere in lei il dubbio. Era stata
così diretta che per un attimo entrambi erano avvampati ed
erano
rimasti immobili ognuno nella propria posizione, distogliendo lo
sguardo.
«È da escludersi», aveva detto infine,
schiarendosi la voce, ancora in imbarazzo.
«Molto bene. Lei è davvero strana in questo
periodo. Non
si confida più nemmeno con me e sono costretta a
interpretare. E
dato che voi due vi siete trattenuti parecchio il giorno della
lite...», aveva risposto Kate, tutto d'un fiato.
«Sì, comprendo. Ti... Ti ringrazio per la tua
premura».
«Allora io vado. Buona giornata!», aveva detto
fuggendo via come un fulmine.
Era stata la conversazione più imbarazzante di tutta la sua
vita
e, sebbene fosse assolutamente certo che i dubbi di Kate erano
infondati e non sospettasse affatto che Kaelee potesse averlo tradito
in tal senso, quello scambio gli aveva messo addosso una tale
agitazione che non riuscì a restare in casa. Era preoccupato
per
lei e si chiedeva se fosse il caso di consultare il medico del
villaggio, oppure attendere che quello strano malore di ignota origine
se ne andasse così come era arrivato. Mentre si chiudeva la
porta alle spalle, ripensò alle parole di Kate, la quale gli
aveva assicurato che, quando era uscita di casa, Kaelee sembrava essere
in perfetta forma e che quindi, forse, era soltanto stanca per gli
allenamenti intensivi. Si sentì subito in colpa essendo lui
responsabile del nuovo ritmo che quelle lezioni avevano preso,
nonché di tutti i lividi e i graffi che Kaelee si portava a
casa.
Eppure non riusciva a non ritenere necessari quei passaggi sebbene
avrebbe preferito molto più evitare a Kaelee tutti i danni
collaterali e renderla forte, indipendente e magnifica senza causarle
alcun tipo di sofferenza.
Prese un profondo respiro convincendosi che la cosa migliore che
potesse fare era andare a
trovarla, come del resto gli aveva velatamente suggerito Kate, ma
qualche passo più tardi una
serie di domande spuntò fuori dal nulla. "E se sta riposando
e la
disturbo? Se volesse stare
da sola? Se non vuole vedermi? Potrebbe aver mandato Kate a riferirmi
una bugia per non dirmi in faccia che ne ha abbastanza di me",
pensò volendo però chiederle almeno come si
sentiva. Arrivato a pochi metri dall'abitazione di lei, si torturava
ancora
con pensieri contrastanti mentre quella paura – di sbagliare,
di restare solo, di perdere Kaelee per
sempre, di ricadere nell'oblio di una vita senza senso – non
lo
lasciava respirare.
«Ehi, straniero», chiamò una voce
divertita, dall'alto.
Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse appellarlo in quel modo,
ma la voce che aveva parlato era inconfondibile nel suo suono delicato
ma pieno, vivace e colmo dell'entusiasmo dei suoi anni,
perciò
Guy sollevò lo
sguardo in direzione di lei e quando la vide gli fu inevitabile
sorriderle.
«Stavi forse pensando di venire a
trovarmi?», gli chiese.
«Forse», rispose lui reggendole il
gioco. «Mi faresti entrare se così
fosse?», domandò.
Lei rise piano, dolcemente, mentre
scompariva dietro
la finestra portando con sé quel suono che Guy adorava.
Ricomparve
poco dopo, tutta intera e incredibilmente bella, sull'uscio di casa e,
quando lo invitò ad
entrare, Gisborne si sentì l'uomo più felice del
mondo.
Agli occhi di Guy, Kaelee era di una bellezza capace di mettere
sottosopra l'anima, quel tipo di bellezza che a guardarla a lungo
sapeva far
male agli occhi, al cuore, ad ogni parte del corpo.
Non era molto alta nemmeno se non la si confrontava con lui, eppure
questo non riusciva ad essere un difetto su di lei, che era ben
proporzionata; era infatti tutta minuta, perciò
niente risultava fuori posto; aveva occhi grandi ed espressivi
di
un colore
che lo tranquillizzava e che rendeva la bellezza di lei ancor
più caratteristica; lunghe ciglia da bambina facevano da
contorno allo sguardo di caramello e sottili sopracciglia, scure come i
capelli, accompagnavano ogni sua espressione; a differenza delle sue,
le labbra
di
Kaelee erano piene perfino nel colore e, quando sorrideva, si piegavano
all'insù in un modo adorabile e per certi versi infantile
nella
loro spontaneità; Kaelee non sorrideva mai per compiacere
qualcuno, né per ammaliare qualcuno che non fosse lui; anche
il
naso, come tutto il resto, era piccolo ma non sottile quanto il suo.
Gisborne adorava il modo in cui
arrossiva per qualsiasi cosa e come abbassava lo sguardo se provava
imbarazzo. Portava i capelli piuttosto lunghi
e le onde naturali della chioma creavano un morbido volume attorno a
lei; quando poi si esponeva alla luce diretta del sole, piccoli fili
tra il castano ed il rosso le si accendevano qua e là; era
solita fissare un paio di ciocche per evitare che le ricadessero sul
volto; aveva mani piccole e dita affusolate, unghie curate e qualche
piccola lesione sui palmi per via dell'arma che maneggiava, per questo
Gisborne
intendeva regalarle un paio di guanti su misura. Kaelee non aveva forme
notevoli, ma le curve che aveva erano esattamente dove dovevano essere;
le gambe sottili e svelte che Guy aveva soltanto intravisto lo
affascinavano e accendevano senza un perché. Una volta si
era
ritrovato ad
immaginarla nuda e l'enorme imbarazzo che aveva provato nel rendersene
conto gli aveva impedito di riprovarci consciamente anche se, per
quanto
Gisborne volesse fare le cose per bene, restava un uomo fatto di carne
e
sangue e
Kaelee era pur sempre la donna che amava, perciò –
dal
momento che gli piaceva molto e sotto molti aspetti –
capitava
che
desiderasse poter andare oltre al semplice bacio, oltre alle innocue
carezze, semplicemente oltre.
La sua voce, poi, era limpida, cristallina; la pelle, infine, era molto
chiara in contrasto con la capigliatura, e liscia al tatto, morbida,
compatta e irresistibile.
Per quel che l'uomo ne sapeva, Kaelee poteva essere saltata fuori
direttamente da un dipinto tanta era la sua grazia: non riusciva a
trovare un solo motivo per non amarla.
Nemmeno le continue prese in giro da parte di Archer che gli ricordava
sempre quanto lei fosse microscopica in confronto a lui, riuscivano a
fargli cambiare idea: Archer
amava stuzzicarlo e aveva trovato uno dei suoi punti deboli,
perciò ogni volta che li definiva "il gigante e la bambina",
– il che avveniva spesso –
Guy partiva in automatico, come se suo fratello azionasse un invisibile
meccanismo, una leva che conosceva soltanto lui. Tutte le volte finiva
che entrambi necessitassero di un bel
bagno dopo essere rincasati pieni di fili d'erba e spighe infilate
ovunque, letteralmente. In tal proposito, una volta Robin aveva riso
così tanto perché Archer aveva fili d'erba
perfino dove
non batteva mai il sole, che gli erano venuti crampi talmente violenti
da costringerlo a letto per mezza giornata.
Guy e Kaelee, una volta in casa, non passarono neanche dalla cucina;
lei lo trascinò
direttamente
al piano superiore ed entrambi si accomodarono sul letto della ragazza.
Kaelee spostò il cuscino prima di sedersi,
incrociò le gambe, e se lo
sistemò in grembo, così, ai piedi del letto, Guy
assunse una posa
simile ma senza cuscino.
Sarebbero stati capaci di restare così, a guardarsi negli
occhi,
per ore intere ognuno perso in pezzi di cielo o in pozze di caramello.
Diversi giorni prima.
Edwinstowe.
Al loro ritorno, Dwight e Aric non ottennero quella che si definirebbe
una calorosa accoglienza, ma del resto nessuno dei due si aspettava un
atteggiamento diverso. La madre era furiosa
perché i
suoi figli l'avevano lasciata così, senza dirle
assolutamente
niente, era però bastato che Dwight le ordinasse di
smetterla di fingere
di non sapere dove fossero stati tutti e quattro per chiudere
definitivamente
l'argomento. Sebbene sua madre si fosse comportata per anni da despota,
sembrava temere molto il primogenito le poche volte in cui lui alzava i
toni, perciò Dwight, stanco di dover
assistere
in silenzio alle sciocche scene di una madre che tramava contro i
propri
figli, aveva deciso di assumersi la responsabilità che suo
padre
non si era mai sentito di prendersi: d'ora in poi avrebbe contrastato
attivamente sua madre, ad ogni costo.
Le posizioni dei singoli, in famiglia, erano dunque più
chiare che mai e Willard, che era rientrato a Edwinstowe prima di Aric
e Dwight ed era rimasto solo visto che Rudyard aveva realizzato per se
stesso piani diversi, evitava di incontrare i
fratelli – Dwight in modo particolare.
A qualche giorno dal loro rientro nel villaggio, Aric e Dwight avevano
sondato il terreno separatamente ed erano arrivati alla conclusione che
la loro genitrice riteneva Aric innocuo sebbene avesse seguito Dwight a
Locksley, ma, anziché arrabbiarsi, i due fratelli
sfruttarono la
cosa a proprio vantaggio, consapevoli che sottovalutare un avversario
non era mai una scelta intelligente; tanto più
perché
Aric sapeva essere una minaccia piuttosto pericolosa quando si metteva
a fare la spia.
La prima volta che Dwight aveva visto suo fratello infilarsi dentro
l'armadio qualche attimo prima che la madre e Willard facessero il loro
ingresso nella stanza, aveva pensato che le avrebbe prese, ma Aric era
tornato da lui, un'ora più tardi, con diverse informazioni
utili
e da quel momento il primogenito si era reso conto dell'enorme
potenziale del minore tra i suoi fratelli. Willard e la donna non
avrebbero avuto vita facile nel loro tramare contro
Kaelee insieme a Rudyard, perché Aric era
sempre pronto ad
intercettare conversazioni interessanti, tra le quali una gli aveva
consentito di sapere
delle missive che Willard si scambiava con Rudyard, anche se non era
ancora riuscito ad appropriarsene; perciò il
compito principale del giovane era scoprire dove Willard le
nascondesse, visto che non era
così astuto da bruciarle eliminandole per sempre e rendendo
impossibile ricavarne informazioni.
Dwight era felice di aver un fratello cerebralmente lento e pessimo
osservatore.
Il viaggio a Locksley e l'incontro con Robin Hood avevano risvegliato
Dwight dalla depressione che minacciava di distruggerlo lentamente da
quando la sua donna lo aveva abbandonato per sempre, per questo motivo,
insieme ad Aric e all'amico di lui che aveva fatto da messaggero, aveva
deciso di operare a Edwinstowe come Robin e i suoi uomini avevano fatto
a Locksley e dintorni quando lo Sceriffo aveva reso loro la vita
impossibile. A Edwinstowe non c'era uno Sceriffo crudele a tassarli,
appartenendo il villaggio alla Contea di Nottingham esattamente come
Locksley, ma
le cose non andavano comunque bene quanto al villaggio di Robin Hood
per via dei pochi
ricchi che giocavano a fare i prepotenti con tutti gli altri. Era un
mestiere pericoloso, ma tutti e tre lo facevano più che
volentieri regalando speranza ai concittadini, spronandoli a reagire ai
soprusi.
Presente.
Chiesa di Locksley.
Tuck aveva appena dato la propria benedizione ai presenti e Much era
letteralmente saltato in piedi come se avesse le molle sotto al sedere.
Aveva preso per mano Kate e l'aveva trascinata all'esterno, tutto
concentrato sulla frase più giusta da usare per farle la
proposta anche se non aveva ancora un anello, ma essendo consapevole di
essere molto più bravo con la cucina che con le
parole, ritenne che forse sarebbe stato più saggio chiedere
consiglio a
Robin, salvo poi ricordarsi di un piccolo dettaglio.
"Ma quanto sei
stupido, Much?!", si domandò retorico. "Proprio a Robin vuoi
chiederlo?", continuò
mentre
prendeva tempo accompagnando Kate da Rebecca, sua madre. "E poi forse,
in fin dei conti, è anche troppo presto. Non voglio che
pensi
male di me, che creda che voglio sposarla solo per averla...
Aspetterò. E se poi mi lascia? Però potrebbe
anche
rifiutare se glielo chiedo ora...", rifletté desiderando
ardentemente grattarsi la testa per scacciare almeno uno di quei
fastidiosi punti interrogativi.
«Much, ma che ti prende?», intervenne
Kate interrompendo i suoi ragionamenti e anche il suo incedere.
La guardò per un
istante, serio, poi le si parò davanti e le
poggiò le
mani sulle spalle, prese un respiro profondo.
«Io... Ho una cosa da dirti»,
cominciò.
Kate sollevò un
sopracciglio mentre un venticello fresco le scompigliava leggermente i
capelli chiarissimi facendole finire una ciocca davanti agli occhi.
Much provò l'istinto di scostargliela, ma lei lo
anticipò
portandosela dietro l'orecchio e lui rimase lì con
l'intenzione
di sollevare la mano e con parole che non avevano voglia di aiutarlo.
«Da... Da chiederti», si corresse.
L'emozione gli giocava scherzi bruttissimi, lo sapeva.
Kate, che non aveva la più pallida idea di cosa stesse
passando
per la testa dell'uomo, continuò a guardarlo con l'aria di
chi
è ad un passo dal preoccuparsi seriamente. Sebbene avessero
trascorso diverso tempo insieme, prima come fuorilegge e poi da liberi
cittadini, ed in particolar modo nell'ultimo periodo, Much aveva ancora
qualcosa di indecifrabile per Kate; era un uomo che prendeva le cose
molto seriamente e che diceva sempre tutto ciò che gli
passava
per la testa, solo che spesso lo esprimeva in un modo così
imbrogliato che alla fine neanche lui riusciva più a
capirsi; era un uomo molto dolce e affettuoso, leale nei confronti di
chi
riteneva suo amico, fedele nei confronti di Robin Hood e tendeva a
marcare gelosamente il proprio territorio. Lo
ammirava molto per come si era comportato quando gli aveva detto di
essere interessata più a Robin che a lui, mettendosi da
parte per il bene che voleva ad entrambi. Much aveva una
forza
interiore non indifferente ed era mosso sempre dalle migliori
intenzioni, difficilmente esprimeva disappunto verso qualcuno senza
prima averlo studiato un po', a meno che questo qualcuno si
mettesse ad infamare le persone a lui care; in quel caso aveva perfino
la freccia facile.
Da quando aveva capito di poter ricambiare il sentimento di Much,
aveva anche scoperto che i motivi per cui lui l'aveva corteggiata
così a lungo erano più nobili di quanto avesse
creduto: non aveva mai osato sfiorarla più del lecito, aveva
sempre
condiviso baci molto casti e non si appartava mai con lei
nemmeno quando si addentravano nella foresta per raccogliere bacche o
anche solo per una passeggiata. Le doti che avevano fatto innamorare
Much andavano oltre alla sua bellezza fisica e Kate ne era lusingata e
felice.
Much era lì che la
guardava in tutta la sua bellezza e più le
cercava, meno le trovava le parole più adatte alla
situazione,
così alla fine si arrese.
«Ecco io... Avevo pensato che se ti va potresti
venire da me a pranzo!», improvvisò sorridendole
imbarazzato.
Si stava mentalmente maledicendo per la propria ignoranza e stava
cercando intanto di capire con chi avrebbe dovuto parlare visto che
l'unica persona con cui avrebbe voluto farlo non era la più
indicata. "Little John si metterebbe a borbottare qualcosa in merito
all'inutilità di certe romanticherie, Archer farebbe qualche
battuta sconcia e poi dovrei rincorrerlo per tutto il villaggio
intimandogli un po' di rispetto, Allan mi consiglierebbe qualcosa che
non farei mai, quindi a chi devo rivolgermi?", si domandò
desiderando di nuovo di potersi grattare la testa. "Robin resta il
solo, ma come faccio a domandare consiglio proprio a lui che ha avuto
una relazione con Kate seppur breve? Sarebbe di cattivo gusto da parte
mia... Ah, per tutte le erbe di Sherwood!".
Sentì Kate tirare un sospiro di
sollievo, ma non ebbe il tempo di interrogarsi riguardo la ragione di
quella reazione perché lei gli accarezzò una
guancia e
Much non capì più nulla, definitivamente.
«Non
rinuncerei ad uno dei tuoi manicaretti per niente al mondo»,
gli
disse alzandosi sulla punta dei piedi per reclamare un bacio.
Much stava ancora sorridendo quando le labbra della donna raggiunsero
le sue.
Nottingham.
Rudyard si era svegliato con comodo, senza alcuna fretta, e con il
proposito di rovinare la giornata a sua sorella.
Aveva iniziato a prendere informazioni e, avendo saputo che Kaelee era
molto
amica della donna bionda che era presente quando era arrivato a
Locksley, aveva deciso di indagare anche su di lei. Per essere una
volgare popolana era nient'affatto male, secondo i suoi gusti
personali, dettaglio che l'aveva già indotto a prendere in
considerazione l'idea di
divertirsi un po' con lei prima o poi e magari, chissà,
sarebbe
pure riuscito a corromperla e farsi consegnare Kaelee senza troppa
fatica, sebbene non avesse intenzione semplicemente di prelevare sua
sorella e riportarla all'ovile: aveva bisogno di generare
sofferenza, voleva sentire le urla di qualcuno e voleva essere lui a
provocarle.
La sua raccolta di informazioni lo aveva portato a conoscenza della
convivenza di sua sorella proprio con quella sua amica bionda; inoltre
aveva saputo che Kaelee si teneva impegnata svolgendo diversi lavori
durante la giornata – stando alle voci dei pettegoli, sua
sorella
lavorava sia al forno di un vecchio panettiere che al forno di una
certa Rebecca che creava del vasellame, oltre che a coltivare l'orto di
questo o di quell'altro.
"Insomma, è scappata da una casa in cui non si sentiva
libera,
ma fa ugualmente da serva a questi luridi ignoranti", pensò
l'uomo quando una vecchia contadina gli aveva parlato di questa ragazza
"bassina e piccina, uno scricciolo", così l'aveva definita,
che
l'aveva tanto aiutata quando era stata poco bene un mese addietro. Se
c'era una cosa che non cambiava mai di
città in città e di villaggio in villaggio, era
il vizio
di spettegolare: ovunque si andasse, si riusciva sempre a trovare un
essere umano pronto a cedere o vendere informazioni.
Dal momento che gli abitanti di Nottingham provenivano per la maggiore
da Locksley, che li aveva ospitati durante la ricostruzione della
città, molti di loro conoscevano abbastanza bene Kaelee da
possedere qualche utile dettaglio sulla sua vita nel ridente villaggio
– un vero e proprio colpo di fortuna per Rudyard, il quale,
naturalmente, aveva mentito sulla propria identità,
dichiarando sì di chiamarsi Rudyard, ma di provenire da
Scarborough, Yorkshire; il che era una mezza verità in fin
dei
conti; e
stava molto attento quando chiedeva informazioni, facendolo sempre
velatamente, gestendo le conversazioni in modo da non sembrare un
impiccione o un uomo losco.
Evidentemente, da quando lo Sceriffo era morto insieme ai suoi uomini,
c'era molta
meno diffidenza in giro e questo giocava a favore dell'uomo, che poteva
muoversi liberamente senza destare il minimo sospetto. Rudyard aveva,
inoltre, avuto conferma del sentimento che legava sua sorella a
Gisborne
ed era proprio su questo che intendeva fare leva.
Stando alle informazioni che aveva, avrebbe trovato facilmente Kaelee
al lavoro con i vasi creati da quella tale Rebecca, quindi si mise
addosso abiti leggeri, un cappuccio in testa, prese il cavallo e
partì alla volta di Locksley.
Casa di Kate e Kaelee,
Locksley.
Gisborne non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era
salito in camera di Kaelee e non aveva comunque alcuna voglia di
tornare alla vita di tutti i giorni, perciò fu lieto di
sapere
che anche alla ragazza faceva piacere semplicemente starsene
lì
dov'erano, a non fare nulla di particolare se non guardarsi e parlare
come facevano di solito. Infine sembrava che Kaelee lo avesse perdonato
per la messinscena della lite e se ne rallegrò.
Tuttavia, nonostante l'atmosfera sembrava essere tornata quella di
sempre, preferì non raccontare a Kaelee ciò che
gli
aveva
chiesto
Kate, troppo imbarazzato per ripetere il contenuto di quella
conversazione senza balbettare, avvampare o desiderare di sparire sotto
metri e metri di terra, e assolutamente certo che il dubbio di Kate
fosse
infondato, ma diverse volte le chiese come si sentisse e se avesse
bisogno di qualcosa, qualunque cosa. L'idea di chiamare un medico non
lo
entusiasmava, non perché fosse egoisticamente geloso, ma
perché, per un ragionamento dettato dai sentimenti
più che
dalla logica, era convinto che farla visitare da un dottore avrebbe
fatto di
Kaelee una donna malata. In sostanza era preoccupato per lei e la paura
di perderla lo assaliva, rischiando di farlo apparire iperprotettivo e
invadente, ragion per cui cercava di manteneva la calma per non
turbare l'amata e il nuovo equilibrio che avevano appena raggiunto in
quella stanza. Lei gli rispose tutte le volte, con estrema dolcezza, di
sentirsi molto
meglio e che quello che era successo non poteva essere niente di grave.
«Sarò solo stanca», gli rispose.
«Oppure forse
ho preso una botta in testa e non me lo ricordo»,
scherzò.
In prima battuta, prima di capire che si trattava di una burla,
Gisborne aveva sentito il proprio cuore accelerare istantaneamente, e
soltanto quando Kaelee si era messa a ridere aveva compreso che lo
stava prendendo in giro; quindi scosse il capo e rise anche lui,
sollevato.
«Per quanto ancora ti vendicherai?», le chiese.
«Oh, questo non è niente»,
mormorò,
stabilendo poi, evidentemente, che la distanza tra loro era
troppa; la ragazza lasciò perdere il cuscino e
cercò un
cantuccio
tra le sue
gambe, accoccolandosi infine con la testa sul petto.
Non poté e non volle far altro che accoglierla con gioia
spontanea e un po' di sorpresa.
Gisborne, infatti, non si aspettava mai che qualcuno gli riservasse un
gesto
d'affetto, che qualcuno desiderasse la sua compagnia, un contatto
fisico, e non si era ancora abituato all'amore che Kaelee provava per
lui, quindi tutte le volte che lei gli accarezzava il viso o lo cercava
per un bacio era una gradita sorpresa.
Con la ragazza tra le braccia parte del timore che lo attanagliava
scomparve e Guy sospirò, le
baciò i capelli chinandosi leggermente e poi prese ad
accarezzarle lentamente il viso disegnandone i contorni con le dita.
Quando lei
abbassò le palpebre, rilassata, lui vi passò
sopra l'indice facendola sorridere e sospirare.
Gisborne non ricordava di essere mai stato tanto felice in
età
adulta come lo era da quando aveva incontrato Kaelee; nella sua mente
erano transitati una quantità
infinita
di pensieri dal momento in cui aveva abbandonato Nottingham, il
Castello, il denaro ed il potere per cercare Archer
insieme a Robin, molte riflessioni erano scaturite dal suo pensare da
quando era quasi morto nell'ultima battaglia contro
Vaisey e molte volte si era chiesto come sarebbe proseguita la sua
vita,
cosa questa gli avrebbe riservato e se sarebbe davvero riuscito ad
essere un uomo buono, degno della fiducia di Robin Hood e dei suoi,
degno di vivere a Locksley in mezzo alla gente che un tempo
aveva tassato e maltrattato senza ritegno; tante volte si era domandato
se avrebbe infine trovato qualcuno che fosse riuscito ad amarlo e se
sarebbe
lui stesso riuscito ad amare di nuovo dopo Marian e Meg, entrambe morte
a causa sua anche se con modalità del tutto differenti: la
prima
uccisa da lui, la seconda uccisa per salvargli la vita. L'amore per Meg
non aveva nemmeno avuto il tempo di sbocciare il lui, ma lo aveva
mutato
così profondamente che non poteva semplicemente
dimenticarla dopo aver
pianto la sua morte per settimane e settimane. Eppure, tra
questi pensieri e tra mille previsioni di un incerto futuro, non c'era
mai stata traccia, nemmeno blanda, delle sensazioni che stava vivendo
insieme a Kaelee, perché neanche
nella più positiva ipotesi di felicità Gisborne
si era
proiettato in tanta dolcezza, in una così disarmante
tenerezza, mai avrebbe pensato di poter essere lui stesso
così
delicato
con
una donna, perciò tutto era per lui completamente nuovo e
questa
consapevolezza lo rilassava in merito alla sua continua paura di
sbagliare: era come se fosse un giovane adolescente alle prese con il
primo amore.
Dal canto suo, Kaelee adorava trascorrere il suo tempo con Guy, anche
se avrebbe dovuto mostrarsi più dura nel periodo di
riappacificazione, perché non voleva che Gisborne credesse
di
poter fare qualunque cosa con lei ottenendo sempre il perdono sa parte
sua; non era così che Kaelee voleva funzionasse, ma non se
la
sentiva neanche di punirlo troppo severamente perché lo
amava
totalmente e senza condizioni. Con il senno di poi era riuscita a
comprendere il punto di vista di Guy e Robin e anche se non avrebbe mai
approvato la loro scelta, comprendeva che era stato un modo molto
efficace di convincerla del reale mutamento: se Guy fosse andato da lei
per informarla riguardo la necessità di intensificare le
esercitazioni, a lei sarebbe sempre rimasto il dubbio che lui si
trattenesse, fosse anche in minima parte, mentre avendo duellato con
lui senza alcun imbroglio, quel giorno, era certa ora che lui
utilizzasse tutta la sua forza in ogni scontro. In fin dei conti tre
giorni potevano bastare come punizione e poi, avendolo davanti a
sé, non aveva potuto resistere alla tentazione di cercare un
contatto con lui.
Adorava essere stretta dalle sue braccia forti, muscolose e
rassicuranti, adorava che il suo petto ampio la contenesse
perfettamente, proteggendola dal mondo intero e adorava sentire il suo
respiro leggero sulla pelle; sebbene non avesse alcuna esperienza
sull'amore, quando era in compagnia di Gisborne ogni cosa le sembrava
del tutto naturale e appropriata, perfino i suoi slanci –
ultimo
dei quali l'essersi portata le mani di Guy sulle proprie cosce, in
aperta campagna –
non le sembravano troppo irriverenti, sfacciati o sconci.
Probabilmente, se Gisborne non fosse stato prudente e rispettoso nei
suoi riguardi, presa dall'impeto del desiderio, gli si
sarebbe concessa già da tempo, forse per poi pentirsi di
averlo
fatto tanto in fretta.
Stava imparando a sue spese quanto difficile fosse controllare
l'istinto che la spingeva tra le braccia dell'uomo con una tale forza
che resistere era quasi impossibile, perciò era felice che
Guy
la comprendesse e ragionasse per entrambi; in quel momento, ad esempio,
mentre se ne stava con la testa appoggiata al petto di lui, dopo
avergli consentito di accarezzarle dolcemente il viso, gli prese la
mano e se la portò sul ventre, vibrando e sospirando a quel
tocco: Kaelee aveva costantemente disogno di un contatto fisico con lui.
Prima di arrivare a Locksley, aveva vissuto una vita quasi
completamente priva di affetto, non ricordava di aver mai ricevuto una
carezza sul capo da parte di sua madre, né una parola di
conforto, perciò quando era fuggita via da Edwinstowe,
benché desiderasse che la sua vita subisse un cambiamento
anche
in tal senso, non aveva messo in conto di trovare il vero amore. Aveva
preso in considerazione, certo,
diversi scenari possibili e nel migliore tra questi sperava di potersi
unire
agli uomini di Robin Hood, mentre, nel peggiore, avrebbe continuato a
scappare per tutta la vita. Quando la prima condizione, la
più
rosea, si era verificata, Kaelee non pretendeva di trovare altro in
quel villaggio, perciò l'amicizia con Kate, l'aver
incontrato
Gisborne, essersi innamorata di lui e
aver scoperto che il sentimento era ricambiato, aver imparato
tanti mestieri, a leggere e a maneggiare un'arma, aver trovato tanti
amici leali e sinceri erano un'aggiunta per
cui Kaelee ringraziava ad ogni suo risveglio.
Forno di Rebecca, Locksley.
Kate stava parlando con sua madre di ciò che aveva detto
Tuck e rifletteva sul potere che le parole di quell'uomo avevano sulle
persone, sul
carisma che gli apparteneva per natura e su quanto Tuck rappresentasse
per tutti una solida roccia cui affidare la propria anima durante le
tempeste. La donna non sapeva come il
frate ci riuscisse, come potesse trovare in ogni occasione la cosa
giusta da dire; vedeva la pace interiore di Tuck riflessa sul suo volto
e si interrogava su come un uomo potesse possedere tanta pazienza
nell'ascoltare gli altri senza mai parlare con nessuno dei propri
problemi o drammi interiori; lo guardava stare tra la gente, tra i
bambini, e vedeva il sorriso sulle loro labbra e la speranza nello
sguardo.
Tuck sapeva indubbiamente smuovere le coscienze e, per la fortuna di
tutti gli abitanti di Locksley, era
dalla parte del bene, dalla parte dei giusti, dalla parte dei meno
fortunati e dalla parte di chi, in ogni caso, volesse dargli la propria
fiducia, volesse affidarsi a lui. Come aveva fatto Gisborne, ad
esempio.
Il sermone di quella mattina era un invito a non additare mai il
prossimo a priori, senza conoscerne la storia, senza essere prima scesi
a fondo nei sentimenti e nelle emozioni; Tuck aveva parlato di quanto
sbagliare fosse una costante comune a tutti gli uomini, di quanto
sbagliare potesse essere l'inizio di una presa di coscienza che avrebbe
condotto
alla saggezza; aveva sostenuto con convinzione che chiunque avrebbe
potuto imparare dai propri errori e che nessuno meriterebbe mai di
essere
condannato per uno sbaglio. A quelle parole, Kate aveva visto molti dei
presenti chinare il capo, certamente
immersi ognuno in intime considerazioni, immedesimandosi, ripercorrendo
il proprio passato, alla ricerca di risposte o anche solo di nuove vie
da
percorrere, ed era rimasta molto affascinata dall'atmosfera serena che
l'aveva avvolta all'interno della Chiesa.
Parlandone con Rebecca, aveva pensato tanto a Guy quanto a Kaelee
ed era proprio su di loro che aveva infine spostato l'argomento,
condividendo con sua madre il malore che Kaelee aveva accusato quel
mattino e la conversazione avuta con Gisborne.
Intanto, sistemando i vasi per l'asciugatura, Kate poté
vedere,
non molto lontano del forno, un uomo che scendeva dal proprio
cavallo e si dirigeva verso il pozzo. A giudicare dal cappuccio che gli
copriva il capo doveva essere un viaggiatore giunto a Locksley per una
sosta, o forse, più probabilmente, un mercante che aveva
Nottingham come meta.
Con fare discreto, giunto a Locksley, Rudyard finse di riposarsi dopo
un'immaginaria
cavalcata molto lunga e, per rendersi ancora più credibile,
decise
di sciacquarsi il viso, potendo così sondare il terreno.
Nessun
passante lo guardava sospettoso, nessuno lo stava tenendo
d'occhio e nessuno lo avrebbe riconosciuto, a patto, però,
che
si tenesse a debita distanza dalla bionda e da tutti gli uomini di
Robin Hood che lo avevano visto quando era arrivato la prima volta in
quel villaggio. Sebbene stesse lavorando sul proprio aspetto per
camuffarsi, non era ancora saggio mostrarsi apertamente e sfidare
scioccamente la sorte.
Con la scusa del viaggiatore stanco, trovò ristoro sedendosi
non
molto lontano dal
forno in cui Rebecca, la bionda amica di sua sorella e molti altri
stavano lavorando non senza scambiarsi chiacchiere vivaci e rumorose,
che gli consentirono – insieme ai pettegoli passanti
– di
ottenere diverse informazioni utili.
Tanto per cominciare, fare il lascivo con una giovinetta dai capelli
castani che non aveva niente di attraente se non la capigliatura, gli
era servito per sapere che il nome dell'eccitante biondina era Kate.
"Un nome piuttosto banale per uno sguardo focoso come quello. Scommetto
che sarebbe capace di stendere perfino uno come me, tra le lenzuola,
anche se non ha niente a che vedere, in quanto a bellezza, con la mia
Maude. La conquisterò prima o poi, o non mi chiamo Rudyard",
pensò mentre osservava con attenzione.
Quella Kate aveva una voce molto alta, stridula a tratti, per nulla
piacevole per le sue orecchie anche se in quel frangente si era
rivelata per lui una dote impagabile: poco importava quanto
scortese fosse ascoltare le altrui conversazioni, perciò non
si
fece alcun problema morale a concentrarsi sullo scambio che Kate stava
avendo con sua madre Rebecca. Scoprì in questo modo che quel
mattino Gisborne era insieme a
Kaelee, con ogni probabilità a casa di lei. "Si
starà
dando da fare", pensò maliziosamente. Inoltre seppe che la
bionda non sarebbe rientrata per
il
pranzo, perché un certo Much – che secondo i
ragionamenti
dell'uomo doveva essere il cagnolino fedele di Hood – l'aveva
invitata a consumare un pasto insieme, e forse pure qualcos'altro, il
che implicava la possibilità che Kaelee restasse
ulteriormente
sola nell'abitazione della donna bionda – dettaglio, questo,
parecchio interessante per lui: se gli uomini di quell'arciere da
quattro soldi erano così sciocchi da lasciare la preda in
bella
vista, allora il suo piano di far del male a Kaelee si sarebbe rivelato
molto più semplice del previsto. Interrogando innocentemente
alcuni giovani apprendisti artigiani, Rudyard riuscì ad
intuire che sua sorella conduceva una vita molto regolare, rispondeva
con serietà agli impegni che si prendeva, si esercitava con
Gisborne e di rado si prendeva un momento libero per sé
stessa,
evitando di frequentare la locanda di sera, il che significava che
Kaelee non lasciava quasi mai la casa durante la notte
e questo poteva voler dire soltanto che Gisborne dormiva altrove e
completamente
solo, dal momento che non aveva voluto serve in casa e che non
risiedeva
al Maniero. Molte donne poco raccomandabili che lavoravano a Nottingham
gli avevano assicurato che sebbene alcune di loro avessero diverse
volte offerto i loro servigi al "bel tenebroso" –
così
l'avevano definito – egli aveva sempre declinato,
così
come aveva rifiutato la proposta di alloggiare con i suoi fratellastri.
Rudyard era venuto a conoscenza della veridicità di
quell'assurda storia di amanti, tradimenti e figli illegittimi proprio
in quei giorni e ne aveva riso per diverse ore, facendosi intimamente
beffe tanto di Gisborne quanto di Hood.
Dopo una ventina di minuti trascorsi comodamente seduto a farsi gli
affari degli altri,
l'uomo finse di voler fare un'innocente passeggiata per Locksley con
l'intento, invece, di scoprire dove risiedesse esattamente Gisborne.
Ignari di ogni cosa, Kate e Much pranzarono insieme. Guy e Kaelee si
fecero compagnia per tutto il giorno e dal momento che Gisborne non
volle farla stancare con gli allenamenti, lesse per lei alcune storie.
Tuck si dedicò alle coltivazioni. Archer si mise a fare la
corte
ad una ragazza del villaggio mentre Allan dava spettacolo nella taverna
con il gioco dei tre bicchierini. Little John era come sempre
meditabondo e Robin parlò a lungo con diversi abitanti del
villaggio, raccogliendo idee e proposte per l'amministrazione dei beni
e delle merci.
Piena notte.
Casa di Guy, Locksley.
Gisborne non aveva lasciato sola Kaelee se non quando Kate era
rincasata, non sentendosela di rischiare che la ragazza si sentisse
nuovamente male senza che nessuno fosse lì a prestarle
soccorso; si rendeva conto di essere fin troppo protettivo nei suoi
riguardi, dal momento che se era stata in grado di affrontare da sola
il viaggio da Edwinstowe a Locksley sicuramente era anche capace di
cercare aiuto se necessario, ma non poteva farne a meno, mosso
dall'amore che provava nei suoi confronti.
Sebbene Kate lo avesse invitato a restare per la cena e nonostante gli
avrebbe fatto molto piacere trascorrere dell'altro tempo insieme a
Kaelee,
rifiutò educatamente sostenendo di aver approfittato anche
troppo della sua ospitalità e di dover rientrare per
occuparsi di alcune mansioni che non aveva svolto durante la giornata.
Lui e Kate, dopo che lei lo aveva soccorso in seguito alla ferita
causatagli da Rudyard, erano riusciti a legare maggiormente. Era da
diverso tempo che Guy faceva piccoli tentativi con lei, desiderando che
potesse perdonarlo e guardarlo con occhi diversi anche se aveva ucciso
suo fratello a sangue freddo, ma sapeva bene che finché la
volontà di avvicinarsi fosse stata soltanto sua, non ci
sarebbero stati molti progressi in tale direzione, perciò il
gesto di Kate, il giorno dell'inaugurazione di Nottingham, era stato
determinante. La donna aveva mosso un passo verso di lui e questo aveva
accresciuto la reciproca fiducia permettendo loro di interagire con
molta più scioltezza. Questo, comunque, – Guy ne
era cosciente – non vooleva dire che ogni ferita era sanata,
perciò l'uomo preferiva
andarci ugualmente con i piedi di piombo, non tirare troppo la corda,
non approfittare della gentilezza di lei.
In questo percorso, in ogni caso, Kaelee stava rivestendo un ruolo
fondamentale costituendo un importante punto d'incontro per entrambi, e
Gisborne ne era felice, sia perché il fatto che Kaelee
avesse un'amica come Kate lo rassicurava e sia perché era
anche grazie a lei se Kate non cambiava strada appena lo vedeva in
lontananza, dal momento che Kaelee spesso la coinvolgeva in brevi
scambi in piazza o vicino al pozzo o al forno di Rebecca.
Lasciata la casa di Kate, Gisborne era passato da Robin per una
chiacchierata tra fratelli – abitudine, questa, che lo
rilassava e rallegrava come mai avrebbe creduto un anno prima
– e aveva infine cenato insieme a lui ed
Archer, il quale li aveva intrattenuti con l'interessante avventura di
come
aveva quasi conquistato la giovanissima Nettie.
Ciò che rendeva Archer un bersaglio fin troppo facile per le
battute dei fratelli maggiori era la spudoratezza con cui mentiva,
credendo di poter sempre fregare i suoi interlocutori anche quando
questi erano del calibro di Robin e Guy, i quali ormai avevano imparato
a conoscerlo.
Archer raccontava sì cose realmente accadute, ma
aveva poi il vizio
di
infiorettarle eccessivamente rendendole, così, poco
credibili e
più insisteva, più Guy e Robin si divertivano a
prenderlo
in giro, finché Archer iniziava a rispondere per le rime.
Uno
degli sfottò ricorrenti riguardava la differenza di altezza
tra
Guy e Kaelee, sottolineata sempre in modo molto colorito da Archer, il
quale riteneva anche che la ragazza fosse troppo delicata e dolce per
un bruto arrogante quale era Gisborne – non lo era
più in effetti,
ragion
per cui era concesso scherzarci sopra liberamente.
A quel punto, di solito, Gisborne rispondeva che il suo essere un
impostore cronico, nonché donnaiolo privo di controllo, lo
avrebbe
condotto alla forca se lui e Robin non fossero intervenuti per tirarlo
fuori dai guai, a York.
Poi era il turno di Robin che si autodescriveva come il fratello senza
peccato, quello buono, giusto e – con molta modestia
– assolutamente
perfetto.
Chiunque li avesse conosciuti separatamente non avrebbe creduto ai
propri occhi guardandoli così affiatati, così in
sintonia, e Guy sapeva quanto ancora alcuni abitanti del villaggio non
riuscissero a credere a ciò che vedevano: in fin dei conti,
per i più adulti, Robin Hood era il salvatore, l'eroe, il
buono, mentre Guy di Gisborne era l'assassino, l'esattore delle tasse,
il cattivo. Eppure, ormai, gli azzuffamenti dei tre uomini
erano diventati quasi proverbiali a Locksley, che lentamente si stava
abituando alla nuova situazione, tant'è che quando dei
ragazzini litigavano per la strada, gli adulti a volte commentavano
dicendo "Ma guardateli! Se continuano su questa via, finiranno come i
Tre".
Per tutti coloro che avevano infine accettato la presenza di Gisborne,
vedendo in lui una persona divera da quella che li aveva tormentati per
anni insieme allo Sceriffo, lui, Robin e Archer erano semplicemente "I
Tre", perché erano sì
fratelli,
ma lo erano in un modo così articolato che ognuno di loro
aveva
titoli e provenienze diverse, perciò si era deciso di
sintetizzare così, quando si parlava di ciò che
facevano
per il villaggio e a Gisborne questo non dispiaceva per niente
sentendosi lui davvero parte integrante della sua nuova famiglia.
Alla fine dell'ennesima piccola zuffa che aveva animato il Maniero,
Robin gli propose di fermarsi per la notte e prolungare
così il loro tempo insieme, ma la stanchezza aveva iniziato
a
farsi sentire e Guy, sostenendo di non poter essere per nulla di buona
compagnia, riuscì a defilarsi. Era, infatti, già
nel cortile quando fu costretto ad arrestarsi, visto che Archer aveva
deciso di uscirsene con un'altra delle sue.
«Qualcosa mi dice che ha
appuntamento con la sua bella», disse con una vocetta
maliziosa che gli fece venire la pelle d'oca, soprattutto
perché gli ci voleva poco a scatenare quei pensieri che
tanto difficilmente conteneva, nel rispetto di lei.
Se Kaelee fosse stata presente, Guy non sarebbe
semplicemente arrossito, ma avvampato a quella insinuazione: non era
affatto come Archer pensava, perché lui non era
più quel tipo di uomo che bada solo al piacere fisico e se
non lo era più era perché aveva conosciuto
l'amore ed era disposto ad aspettare anche anni, prima di condividere
un momento intimo con Kaelee. Preso da quei pensieri, – e da
altri più caldi, che vedevano la giovane donna in tutto il
suo splendore, pronta a concederglisi senza condizioni –
Gisborne decise di stare al gioco, si
voltò nuovamente in direzione dei fratelli e rivolse ad
Archer
uno dei sorrisi sghembi che ricordavano il Sir Guy di qualche tempo
prima.
«Geloso perché la tua Nettie non ha
ceduto?», domandò lasciando visibilmente Archer di
sasso.
«Non dici veramente!»,
esclamò sconvolto. «Non ti credo»,
aggiunse guardando poi Robin, che si godeva la scena
ridacchiando.
Gisborne fece spallucce, senza
smettere di sorridere all'espressione stupita di suo fratello.
«Io non ho detto niente», rispose infine con tono
innocente.
Archer,
che infine dovette aver capito il gioco, gli lanciò contro
una piccola
pietra e
tutti e tre risero di gusto ancora per qualche minuto prima di
salutarsi definitivamente,
con un sincero abbraccio.
Una volta rincasato, Guy si era preparato un bagno rilassante e poi si
era messo a letto, pensando a Kaelee.
Nonostante la stanchezza non si era addormentato subito.
I sedici anni di età che stavano tra lui e la ragazza
avevano
scatenato un forte senso di responsabilità da parte sua nei
confronti
di lei, tanto più perché aveva promesso a Dwight
che se ne sarebbe preso cura con tutto se stesso. Non che prima di
quello scambio con il maggiore trai i fratelli di Kaelee le sue
intenzioni con lei fossero diverse, naturalmente, ma l'aver conosciuto
una parte della famiglia della donna che amava, aveva reso tutto molto
più reale, concreto, quasi che l'aver dialogato di lei con
Dwight avesse ufficializzato in qualche modo la loro relazione. In cuor
suo Guy sperava che Kaelee fosse la donna giusta, quella con la quale
avrebbe condiviso il tempo che gli restava su quella terra, pertanto
l'istinto di proteggerla sempre e comunque, ad ogni costo, era del
tutto naturale in lui; il fatto, poi, che
Rudyard le desse la caccia, lo rendeva ancora più vigile e
nel
contempo preoccupato. Se da un lato aveva il vantaggio di aver
conosciuto Rudyard in passato, dall'altro non sapeva abbastanza di lui
per capire fino a che punto quell'uomo fosse disposto ad arrivare e la
preoccupazione stava diventando un elemento onnipresente nelle sue
giornate, tant'è che aveva anche pensato di chiedere a
Kaelee di trasferirsi da lui, in modo che potesse starle accanto ad
ogni ora
del giorno e della notte. Non era ancora riuscito a proporglielo
però, anche perché temeva che in questo modo il
loro rapporto sarebbe andato incontro ad un progressivo
logorìo, temeva che lei si sentisse oppressa dovendo
condividere per cause di forza maggiore uno spazio con lui. Eppure una
parte di lui credeva che quella potesse essere una buona soluzione per
limitare i rischi.
Il pensiero che potesse accettare, però, lo
riportò con la mente alle parole di suo fratello Archer,
anzi, all'allusione che l'uomo aveva fatto e inevitabilmente Guy
tornò a immaginare Kaelee tra le sue braccia, coperta solo
da una sottile veste che gli avrebbe lasciato intravedere forme
bellissime, completamente abbandonata a lui. Come avrebbe reagito se
avesse provato ad accarezzarle un fianco? Cosa gli avebbe detto se
avesse spinto le dita oltre la veste, sfiorandole la coscia, l'addome e
poi più giù? Era giusto un approccio di questo
tipo, in attesa di qualcosa di più intimo?
Immerso nelle tante domande e nei molteplici dubbi, infine
crollò senza accorgersene.
Nascosto nel buio della notte, Rudyard era pronto a mettere in atto il
suo piano.
Era rimasto in incognito a Locksley per tutto il giorno
anziché rientrare a Nottingham a metà giornata,
come aveva pensato di fare quando aveva raggiunto il villaggio quella
stessa mattina, aveva raccolto informazioni utili, aveva aspettato che
Gisborne rientrasse e, anche se per un momento aveva creduto che quello
sciocco si fosse fermato chissà dove per divertirsi un po',
appena lo vide mettere piede nell'abitazione sentì un calore
invadergli tutto il corpo. Dare la caccia ad un preda pensante e in
grado di contrastarlo realmente, infatti, lo eccitava oltre ogni dire,
quasi quanto la soddisfazione di vedere il sangue della sua vittima
scorrergli attorno agli stivali e sicuramente molto più di
una donnaccia disposta ad aprirsi a lui senza tanti convenevoli. Rudyard
ne aveva conosciute di donne come quelle e, dopo la breve ossessione
maturata in seguito alle prime esperienze, se ne era facilmente stufato
preferendo invece attirare a sé giovani ragazze ancora
vergini, per rovinarle definitivamente con il loro consenso; trovava
divertente giocare con i sentimenti delle sue giovani amanti,
convincerle che le avrebbe amate davvero, approfittare della loro
fiducia e poi sparire nel nulla. "Ma con Maude sarà
diverso", si diceva sempre.
Da una postazione favorevole aveva
osservato il rientro a casa del proprio avversario, sapendo che era
solo
questione di tempo, e quando fu certo di avere campo libero,
lasciò il proprio nascondiglio per introdursi
nell'abitazione di
Gisborne. Decise che tentare di entrare dall'ingresso principale non
era la più brillante delle idee, né la
più eccitante in effetti, quindi pensò a qualcosa
di più coinvolgente e pericoloso, che gli desse quella
carica che tanto gli piaceva. Quindi, dopo averci ragionato un po', non
fu così complicato trovare il modo per arrampicarsi ed
entrare direttamente dalla finestra al piano superiore.
Rudyard ebbe conferma, con grande entusiasmo e nonostante il buio, di
trovarsi proprio nella
camera
da letto dell'uomo; non riusciva a distinguere i contorni di
ciò che aveva attorno, così rimase immobile in
attesa che gli occhi si abituassero alla quasi totale assenza di luce e
nel mentre iniziò a valutare vari scenari: aggredire
Gisborne, semplicemente spaventarlo, oppure attentare direttamente alla
sua vita?
Non aveva con sé né spada,
né
arco, entrambi troppo ingombranti per portarseli dietro senza destare
sospetti nei panni di innocuo e affabile mercante, ma si era portato
dietro un fedele
coltello, che estrasse dal fodero, regalatogli da suo padre molti anni
prima e da cui non si separava mai.
"Che atroce dilemma! Se mi limito ad una burla, rischio di scoppiare a
ridere senza potermi trattenere, ma se lo ferisco e basta non
andrò via di qui pienamente soddisfatto. Quindi forse dovrei
ucciderlo, anche se così renderei le cose troppo semplici
alla mia cara sorellina, privandola in fretta del suo amore. Dovrei dar
loro almeno il tempo di accoppiarsi più di un paio di
volte... Magari Gisborne la mettesse incinta! Che soddisfazione sarebbe
uccidere Kaelee e il bambino non ancora nato sotto gli occhi di questo
sciocco nobile che ha rinunciato al potere! Sebbene anche uccidere lui
dinanzi a Kaelee e all'infante non sarebbe così male...
Bene, bene, che fare allora stanotte?", si ritrovò a pensare
mentre i contorni degli arredi iniziavano a manifestarsi più
chiaramente. Lentamente e silenziosamente si avvicinò,
quindi, al letto su cui
giaceva
Gisborne, profondamente addormentato o almeno così gli
parve, e i suoi pensieri
mentre lo osservava divennero ancor più indecenti e osceni,
oltre che violenti.
Se una parte di lui stava ancora valutando il modo migliore di agire
per causare sofferenza a Kaelee,
un'altra pensava al tempo che l'uomo trascorreva insieme a sua sorella
e si domandava se anche lei sapesse essere perversa come certe
fanciulle che lui aveva posseduto negli anni.
Illuminata dalla luce lunare che filtrava dalla finestra, la lama del
coltello scintillò nel buio della stanza e Guy
cambiò posizione.
Rudyard si bloccò per diversi minuti, respirando appena,
portandosi il coltello dietro la schiena, per evitare di commettere due
volte la stessa imprudenza, e accertandosi di non aver interrotto
irrimediabilmente il sonno di Gisborne prima ancora di poterlo
aggredire; eppure, dopo un po', quello si girò un'altra
volta di scatto, come se fosse disturbato da qualcosa che certamente
non poteva essere lui, quindi ipotizzò che stesse avendo un
incubo o qualcosa del genere.
"Oppure magari sta sognando di possedere mia sorella", pensò
rivolgendo un ghigno all'oscurità circostante.
Proteso verso il massiccio corpo di Gisborne, inerme quanto un
fanciullo, Rudyard si rese conto di non poter rischiare di essere
scoperto, quindi decise di muovere un passo alla volta appena l'uomo
sembrava essere tornato tra le braccia di Morfeo e a poco a poco, gli
fu così vicino che colpirlo sarebbe stato davvero questione
di un attimo.
Forse un sesto senso, forse una buona stella, forse solo il destino.
Attanagliato da un incubo orribile, Gisborne si svegliò di
soprassalto spaventando anche un intruso – della cui presenza
venne a conoscenza in quel momento – che
saltò all'indietro appiattendosi contro la parete. A sua
volta intimorito dall'inattesa presenza nella sua stanza, per un attimo
pensò di aver immaginato tutto sotto l'influsso del pessimo
sogno che era riuscito, per sua fortuna, ad interrompere. Nel tentativo
di placare i battiti del suo cuore e il respiro divenuto affannoso per
lo spavento, si guardò attorno e si rese conto che la stanza
era avvolta completamente dal buio, fatta eccezione per una piccola
porzione del legno del pavimento illuminata dalla luce lunare, e dal
silenzio, esattamente com'era giusto che fosse. Eppure qualcosa aveva
visto e sentito, poco prima, quando si era svegliato e infatti, mentre
cercava di raccogliere i brandelli di razionalità sparsi qua
e
là nella mente, scorse un'ombra contro la parete di fronte
a sé e gli si gelò il sangue. "Che i miei
fantasmi abbiano preso corpo adesso?", si domandò, ancora
confuso dalle immagini che il suo incoscio gli aveva propinato rendendo
quella notte agitata e terribile.
Guy proprio non riusciva
a
mettere a fuoco la situazione e non capiva che cosa mai potesse farci
un uomo in casa sua in piena notte, perciò per un momento
pensò ad
uno
scherzo di Archer, venuto a vedere se era insieme a Kaelee visto lo
scambio avuto con lui prima di rientrare, ma poi la
piccola porzione di lucidità che si era finalmente messa in
moto gli
suggerì che in tal caso si sarebbe già mostrato,
non avendo alcuna ragione di nascondersi al pari di un ladro come
faceva quell'ombra, che si ostinava a fondersi con il buio. Si
convinse, quindi, che qualcuno si era realmente introdotto nella sua
abitazione, per motivi a lui ignoti, e aguzzò la vista
mentre cercava mentalmente l'arma
più
vicina a disposizione: la spada era troppo lontana per raggiungerla
senza esporsi al pericolo e non aveva coltelli, né frecce a
portata di mano.
L'unica cosa che poté fare, quindi, fu continuare a scrutare
tra
le tenebre.
Senza preavviso udì un sibilo nell'aria seguito subito da un
rumore
sordo.
Gisborne non impiegò molto a rendersi conto che un'arma,
probabilmente un pugnale, un coltello o uno stiletto, aveva
attraversato la stanza piantandosi nella parete alle sue spalle,
mancandolo per poco più di un soffio – il che
poteva voler dire o che l'intruso avesse una pessima mira, oppure che
volesse soltanto minacciarlo o spaventarlo, o ancora che si sentisse
messo alle strette e
per questo avesse agito d'istinto, mancando il bersaglio. Comunque
stessero le cose, Gisborne pensò che il buio fosse uno
svantaggio per entrambi, così decise di rimanere immobile
per non facilitare il compito all'aggressore,
chiunque egli fosse e nel caso in cui disponesse di altre armi, e nel
frattempo pensare al da farsi.
"Almeno adesso ho un'arma a disposizione", rifletté,
valutando l'ipotesi di rilanciare al mittente la lama augurandosi di
ferirlo e scoprirne l'identità, ma fu presto libero da ogni
tipo di minaccia dal
momento che poco dopo il tentato omicidio, l'ombra si tuffò
nella finestra
e
scappò via velocissimamente.
Altrettanto celermente, Guy si affacciò a quella stessa
apertuta e poté vedere l'aggressore dileguarsi nella notte:
si trattava sicuramente di un uomo ed era evidente che, chiunque fosse,
non aveva intenzioni amichevoli, il che restringeva significativamente
il ventaglio di sospetti.
Quindi scese in fretta al piano inferiore, senza neanche preoccuparsi
di prendere il coltello, ma invece di seguire
l'intruso corse al Maniero per informare Robin e Archer dell'accaduto e
decidere con loro come fosse più opportuno comportarsi.
Fu semplice per tutti e tre far cadere i sospetti su Rudyard, ma prima
di muovere accuse infondate decisero di attendere, perché se
si
fosse trattato davvero del fratello di Kaelee, certamente non avrebbe
esitato a replicare l'assalto e se davvero era stato lui ad
intrufolarsi in casa di Guy, poteva voler dire soltanto che l'uomo si
era sistemato
nelle vicinanze.
Temendo infine che, sempre ammesso che fosse Rudyard l'ombra nella
stanza di Gisborne, l'uomo potesse presentarsi a casa di Kate e Kaelee
per minacciare anche loro,
i tre fratelli raggiunsero le donne e, senza raccontare
dell'aggressione, ma riferendo solo voci secondo cui un uomo sospetto
era
stato visto a Locksley nel pomeriggio e scusandosi per l'ora tarda,
fecero in modo che fossero al
sicuro: si decise, infatti, che abitare da sole quella casa non era
opportuno,
specialmente di notte,
quindi Kate andò a dormire da Much – al quale
Robin
raccontò la verità, chiedendogli però
di tacere
categoricamente a riguardo – mentre Kaelee e Guy si
trasferirono al
Maniero di Robin e per la prima volta condivisero un letto per una
notte intera.
Ora che i Tre erano tutti sotto lo stesso tetto, pronti a
proteggersi l'un
l'altro come era già accaduto a Nottingham contro Vaisey,
Rudyard o chi per lui non avrebbe avuto vita semplice,
perché i Tre erano un'unica, forte, entità che
né
Rudyard, né nessun altro avrebbe potuto facilmente
distruggere.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 23/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Rieccomi con le consuete precisazioni per coloro i quali hanno
scelto di leggere questa storia trattandola come un'originale.
Il riferimento ad Allan come doppiogiochista deriva direttamente dalla
serie tv – fin dai primi episodi Allan ha dimostrato di
tenere
molto alla propria vita e quando è stato costretto a
scegliere
tra morire per mano di Gisborne e collaborare con lui fornendo
informazioni sui movimenti di Robin Hood e della banda, ha scelto di
tradire; in sua difesa va detto che non ha mai rivelato la posizione di
nessuno degli accampamenti, preservando così i suoi compagni
da
cattura e
morte certa; anche quando è stato scoperto dall'arciere e
costretto a lasciare la banda, Allan alleandosi con Gisborne non ha mai
tradito per davvero, rivelando solo una parte delle informazioni a sua
disposizione e
facendo avere delle soffiate alla banda attraverso Lady Marian,
anch'essa spia nel Castello di Nottingham – perciò
ho
pensato di far emergere qui anche questa parte del suo carattere. Much,
nella serie tv ha il vizio di dire "Lo sapevo!", perciò
quando
ne ho l'occasione provo a giocarci. Anche Gisborne che appicca un
incendio a casa di Lady Marian è
un evento mostrato nella serie tv, così come lei che lo
abbandona all'altare; lo stesso vale per il destino della Chiesa di
Locksley: il Principe Giovanni le ha davvero dato fuoco, con una coppia
di sposi e relativi invitati all'interno. Il nome Maude, invece,
è preso in prestito dal Robin Hood di Alexandre Dumas, anche
se
il personaggio da lui creato non ha nulla a che fare con queste
vicende. Se ci fossero domande, sono a
disposizione.
Mi piace pensare che Guy, Robin e Archer si siano lasciati
alle spalle
il passato, che Robin abbia perdonato definitivamente Guy e che
quest'ultimo si comporti realmente da fratello maggiore sia per lui che
per Archer. Mi piace pensare che siano davvero una famiglia, che
insieme "I Tre" possano vegliare su Locksley, Nottingham, gli amici e
le persone che amano.
Chiedo scusa per l'alternanza temporale, ma mi sembrava giusto non
abbandonare i fratelli di Kaelee senza dar prima loro uno sguardo.
Spero, come sempre, di non aver scritto troppe cavolate e vi ringrazio
per il tempo che dedicate alle mie storie.
Alla prossima!
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Capitolo 13 *** La Caccia ***
La Caccia
La Caccia
Sospettare che fosse Rudyard l'autore dell'aggressione a Gisborne si
era rivelato molto
più che facile, praticamente ovvio, soprattutto grazie al
coltello che l'uomo
aveva lasciato come eloquente prova del suo passaggio, tramutando
quindi il sospetto in certezza.
Sospettare che
Rudyard fosse nei
ditorni era stato pure piuttosto ovvio, ma non era per nulla la stessa
cosa che averne la conferma
assoluta, tanto più perché non si disponeva di
alcuna informazione sicura in merito. Anche
se tutti gli uomini di Robin Hood erano più che attenti a
ciò che ruotava attorno a Locksley, a partire dalla foresta
di
Sherwood, nessuno era ancora riuscito a dire con inattaccabile certezza
che il fratello cattivo di Kaelee si trovasse nel villaggio di Clun,
Bonchurch oppure nella città di Nottingham. Sapevano per
certo
soltanto che non risiedeva stabilmente a Locksley, il che del resto era
la cosa più logica che Rudyard potesse fare se non voleva
essere
scoperto immediatamente.
Perfino la corrispondenza tenuta regolarmente con Aric e Dwight da
Edwinstowe non aveva restituito risultati precisi su cui basarsi,
perciò la scelta più opportuna, l'atteggiamento
più giusto da tenere, era attendere e intanto armarsi a
dovere: tutti gli uomini di Robin Hood continuavano, infatti, a
svolgere ognuno le
proprie attività, ma intanto si guardavano attorno senza
dare
nell'occhio e senza allarmare gli abitanti del villaggio,
perché
in fin dei
conti i bersagli di Rudyard erano Guy e Kaelee, non gli abitanti di
Locksley, quindi era una questione che avrebbero risolto senza
coinvolgere esterni alla compagnia di Robin, sperando che Rudyard non
fosse così subdolo da volersela prendere con famiglie
innocenti.
Maniero di Robin,
Locksley.
Quando Robin convocò tutti al Maniero, il pomeriggio
successivo
all'intrusione in casa di Gisborne, per elaborare una
strategia di difesa contro l'uomo arrivato da Edwinstowe, a Kaelee
venne raccontato dell'aggressione subìta da Guy e fu in
quel momento che riconobbe l'arma che suo fratello aveva usato contro
l'uomo che amava. Naturalmente
non la prese affatto bene – tanto più
perché aveva
appena perdonato tutti per averle mentito senza ritegno e venire a
sapere che quel gruppo di uomini continuava a commettere gli stessi
errori non la entusiasmava per niente – e
rimproverò Guy
per non avergliene
parlato subito, ma una volta ascoltato sia lui che Robin non
ebbe difficoltà a comprendere
che la verità le era stata tenuta nascosta per
preservarla da ulteriore stress,
almeno per il tempo di una notte e della mattinata successiva. In
effetti precipitarsi a casa sua e di Kate investendo entrambe con la
notizia
nella sua interezza, non avrebbe giovato al nervosismo già
evidente in lei, quindi, tutto sommato, si trovò in accordo
con la
scelta di Gisborne, anche se dormire al Maniero e nello stesso letto
dell'uomo che amava era tutt'altro che un affare rassicurante per lei
considerate le mille domande che si poneva da quando si era svegliata,
quella stessa mattina.
Non che Gisborne si fosse comportato male con lei, anzi, le aveva
soltanto messo un braccio attorno alla vita senza neanche tenerlo al
caldo sotto le coperte, eppure il suo fianco aveva preso fuoco
all'istante e aveva continuato a bruciare per tutta la notte,
perciò era più preoccupata per le proprie
iniziative ai
danni di Gisborne che per ciò che sarebbe potuto succedere a
lei, non avendo neanche, di fatto, la sicurezza che lui la desiderasse
come lo desiderasse lei. Addormentarsi era stato molto difficile
quella notte, mentre i suoi pensieri la tormentavano senza
pietà
con i possibili scenari che avrebbe potuto vivere d'ora in avanti,
dormendo ogni notte insieme all'uomo che amava; e, purtroppo per la sua
stabilità mentale, si trattava di quadretti tutt'altro che
casti
e delicati, capaci di metterla senza troppa fatica in subbuglio.
Così, quel pomeriggio, si sentiva un po' stordita mentre si
presentava alla riunione cercando di non soffermarsi troppo su
Gisborne e il suo petto scolpito o le braccia forti, ma di pensare, ad
esempio, a illustrare a tutti i membri
della banda i progressi maturati grazie al training intensivo con lui:
a detta di quest'ultimo, Kaelee era diventata una spadaccina
alla quale era difficile tenere
testa e l'unico che riusciva ancora a disarmarla, non senza qualche
difficoltà, era proprio il suo
maestro il quale era convinto che con qualche altra lezione
avrebbe raggiunto un tale livello di esperienza da iniziare ad essere
un problema serio anche per lui e a maggior ragione per Rudyard.
Gli allenamenti erano diventati così seri e realistici che
più di una volta entrambi erano rientrati con qualche
piccola
ferita superficiale, oltre agli ormai consueti lividi e dolori
muscolari, che aveva messo in allarme tanto Kate, quanto Allan,
costringendo Guy prima e Robin poi ad argomentare, di nuovo, in modo
molto soddisfacente la necessità di quella scelta,
ricordando a
tutta la banda che non si era messa in scena una lite per puro
divertimento, ma proprio per fare di Kaelee un membro della banda a
tutti gli effetti e una donna capace di sostenere un duello con uno o
più nemici senza soccombere.
Chi non era a stretto contatto con Guy e Kaelee – quindi gli
abitanti di Locksley e di Nottingham, ma anche tutti i giovani che
prendevano lezioni da Robin e Archer – poteva credere che i
due
fossero completamente matti, perfino masochisti, e che il loro fosse un
amore malato, ma la
verità era tutt'altra e prima o poi, pensava Kaelee,
l'avrebbero
compreso anche loro. Entrambi, infatti, volevano la stessa cosa:
sopravvivere per poter stare insieme, potersi difendere a vicenda nel
corso di una battaglia, non essere un peso l'uno per l'altra. Era ormai
chiaro, infatti e tra l'altro, che
Rudyard non si sarebbe limitato a portar via Kaelee dal villaggio, ma
sarebbe arrivato
a uccidere per pura soddisfazione personale ed era più che
comprensibile che nessuno dei due fosse d'accordo con
lui.
Tornando alla riunione, quel giorno si decise come ognuno si sarebbe
comportato per impedire a Rudyard di prevedere con certezza le mosse
dei singoli.
Quindi di giorno Gisborne avrebbe vissuto tranquillamente nella propria
abitazione, che avrebbe frequentato anche durante i pasti e quando non
fosse stato impegnato in qualche attività, – mai
le stesse
e mai da svolgersi nello stesso ordine – così come
avrebbero fatto anche Kaelee e Kate; di notte, però, l'uomo
si
sarebbe categoricamente trasferito al Maniero insieme a Kaelee, mentre
Kate avrebbe raggiunto Much per la gioia di entrambi; in modo del tutto
simile si sarebbero comportati anche tutti gli altri componenti della
banda, incaricati di svolgere ognuno il proprio mestiere,
contemporaneamente tenere occhi e orecchie sempre attenti a rilevare
ogni minima stranezza, e non lasciare mai, per nessuna ragione al
mondo, Kaelee da sola.
Dalla prima notte
trascorsa
al Maniero, Kaelee non aveva, quindi, più dormito senza Guy
e
quest'ultimo senza un
affilato coltello.
Le prime notti dopo l'aggressione, inoltre, Robin, Archer e Guy
restarono svegli
a turno per evitare
di essere presi in contropiede da Rudyard, ma poi, non ricevendo alcuna
minaccia, i fratelli si resero conto della reale
improbabilità che quest'ultimo decidesse di fare irruzione
in una casa
abitata da due arcieri provetti, il miglior spadaccino della zona
e una donna pronta a tutto pur di non vedersi sottratta la
libertà.
Nottingham.
Immediatamente dopo essere saltato fuori da quella
finestra con il rischio di rompersi una gamba, Rudyard si rese conto di
aver commesso un gravissimo errore manifestando la sua presenza in
modo inequivocabile: Kaelee, infatti, era a conoscenza del coltello che
il loro genitore gli aveva regalato e certamente lo avrebbe
riconosciuto, dando a quella banda di ignoranti moralisti la certezza
della sua presenza in zona e scatenando, con ogni
probabilità, una caccia all'uomo in cui lui era la preda
anziché il predatore.
Inoltre era stato costretto a lasciare Locksley senza poter recuperare
prima
il suo cavallo e aveva dovuto, quindi, tornare a Nottingham a piedi,
imprecando, per tutto il tragitto contro Gisborne, perché
aveva
avuto la bizzarra idea di svegliarsi proprio quando lui aveva deciso di
piantargli un coltello nella coscia. Quindi gli sarebbe toccato pure
recarsi di soppiatto a Locksley a riprendersi quel maledetto cavallo,
sperando di non incontrare nessuno degli uomini di Hood.
«Che tu sia dannato. Sei addirittura tanto rammollito da non
aver
nemmeno avuto il fegato di inseguirmi, stupido spadaccino da quattro
soldi. E dire che si raccontavano imprese magnifiche sul tuo conto, si
tessevano lodi sulle tue qualità nei duelli»,
brontolò calciando piccole zolle di terra lungo la via.
«Guardati adesso: spaventato a morte da un brutto sogno.
Povero
piccolo Gisborne!», esclamò infine, a poche decine
di
metri dall'ingresso della città, abbandonandosi ad una
risata.
«Andrò dritto alla locanda. Ho bisogno di bere e
di
intrattenermi con i generosi fianchi di un'esperta nelle arti amatorie
che sappia farmi dimenticare perfino il mio nome. Un gran peccato che
non ci sia più lo Sceriffo qui a Nottingham: fino allo
scorso
anno, nelle prigioni si trovava carne fresca e molto
allettante»,
si disse, fischiettando come se nulla fosse accaduto, come se l'essere
stato scoperto non fosse più un problema visti i programmi
che
aveva in mente per la notte.
In effetti, il mattino seguente, Rudyard dimostrò a se
stesso di
non essersi dato affatto per vinto: anche se aveva perso una battaglia,
aveva ancora tempo e mezzi per vincere la guerra.
Nelle settimane successive all'aggressione fallita, Rudyard non smise
di
osservare gli uomini di Hood raccogliendo informazioni in merito
alle loro abitudini ed era quindi venuto a conoscenza dei cambi di
programma che riguardavano sia Kaelee che Gisborne, ma volle anche
dedicarsi ad una ricerca differente, che gli avrebbe consentito di
ingannare il gruppo di ex fuorilegge arrugginiti, perciò
l'uomo
trascorse molto più tempo a Nottingham, volendo cercarsi
concretamente degli alleati da reclutare per la sua causa senza
raccontar loro, naturalmente, la realtà dei fatti e
nascondendosi, invece, dietro una storia strappalacrime che si
delineò nella sua mente durante una conversazione con
l'oste della sua taverna preferita.
Non avrebbe più fallito, ne era certo.
Edwinstowe.
Dopo aver appreso, tramite pergamena inviata da Robin Hood,
ciò
che Rudyard aveva tentato di fare a Gisborne, Dwight decise che era
necessario passare alle maniere forti. Aric, infatti, non era ancora
riuscito a scoprire con le buone dove Willard custodisse le missive di
suo fratello, quindi Dwight era passato all'azione.
Avendo suo fratello minore il compito di sistemare il fienile in quei
giorni, Rudyard pensò bene di aspettarlo all'interno della
costruzione e coglierlo di sorpresa, trattenendosi dal sollevarlo per
la camiciola e sbatterlo contro il legno della parete soltanto
perché temeva che quello si sarebbe messo a strillare come
una
femminuccia, richiamando l'attenzione della madre che nulla doveva aver
a che fare con l'argomento: quella, infatti, era una questione che
avrebbero risolto tra loro, con la sola collaborazione di Aric il
quale, appena Willard fu all'interno del fienile, ebbe la prontezza di
chiudervi dentro sia lui che Dwight.
In prima battuta, Dwight mantenne la calma e fece qualche innocuo
tentativo per
far parlare suo fratello in merito a Rudyard e ai suoi piani, ma presto
i due finirono alle mani e considerato quanto Willard fosse vigliacco e
incapace di difendersi, non riuscì a spuntarla senza che
Dwight
gli rompesse
il naso e comunque non prima di aver sputato tutta la
verità.
Quando i due si presentarono per la cena, nessuno ebbe l'ardire di
scomporsi, sebbene l'episodio fece arricciare le labbra alla genitrice,
la quale – dopo aver scoperto che Willard aveva rivelato
tutti i
dettagli ai suoi fratelli – diede il resto a suo figlio
umiliandolo con una sfuriata
delle sue e facendogli sanguinare la schiena.
Nonostante questo e l'offerta che Dwight gli fece qualche giorno
più tardi, invitandolo a collaborare con lui e Aric,
– il che
includeva anche la possibilità di sottrarsi alla prepotenza
della madre – l'uomo decise di non sostenere i due
fratelli nella lotta contro Rudyard.
Dwight non era intenzionato ad abbandonare Willard a se stesso,
specialmente dopo aver dato un'occhiata alla sua schiena,
perciò
avrebbe tentato nuovamente di convincerlo a cambiare idea in merito a
quale fosse la posizione più giusta da tenere in quella
vicenda,
ma in quel frangente la priorità assoluta era comunicare a
Robin
Hood quanto aveva scoperto su Rudyard, perciò scrisse in
fretta
tutte le informazioni su una pergamena che poi affidò al suo
corriere di fiducia, ovvero l'amico di Aric, che avrebbe trovato il
modo più veloce per far recapitare il messaggio all'arciere.
Sapendo che Rudyard contemplava di uccidere Gisborne soltanto per far
soffrire Kaelee e poi uccidere anche lei, a Dwight non rimase altro che
la speranza di non aver tardato troppo, lasciando che l'irrimediabile
avvenisse senza che lui potesse far nulla, così –
nauseato
dal sadismo di suo fratello – si mise a pregare Dio e la
Santa
Vergine affinché non gli venisse tolta anche la sua unica
sorella.
Qualche tempo dopo.
Nottingham.
Nell'ultimo periodo era un susseguirsi di riunioni al Maniero,
finalizzate a riorganizzarsi continuamente in modo diverso per
confondere Rudyard, in attesa di nuove da Edwinstowe. Il contributo di
Dwight e Aric si rivelò impagabile in quanto, dopo aver
letto il
contenuto della missiva, Robin e i suoi avevano la certezza assoluta
che Rudyard risiedesse a Nottingham, ragion per cui si decise che, a
turno, tutti gli uomini della banda avrebbero bazzicato la
città
in diversi momenti della giornata per stanare il fratello di
Kaelee. Prima lo si trovava, meglio era, viste le sue intenzioni poco
pacifiche.
Dargli la caccia divenne presto la priorità assoluta di
tutti gli ex fuorilegge.
Allan, – che teneva ed essere in prima linea per poter far
colpo
su Kaelee, ma anche, ovviamente, per proteggerla personalmente
–
camuffato per bene insieme a Little John, aveva quel giorno il
compito di
recarsi in città e dare il cambio a Tuck e Kaelee.
Quando si trattava di soffiate Allan era un genio, anche se non sempre
gli era andata bene in passato, come tutti gli uomini della banda ben
ricordavano.
Per
assurdo, era riuscito a stare con un piede nel Castello e l'altro nella
foresta per un bel po' di tempo – vivendo inizialmente con i
fuorilegge e
facendo la spia a Gisborne il quale gli aveva risparmiato la vita in
cambio di utili informazioni,
e poi con Gisborne e lo Sceriffo fornendo dettagli a Robin tramite
Lady
Marian – prima di tornare definitivamente al
fianco di Robin Hood, che lo aveva accolto nella sua banda
e protetto fin quando ne aveva fatto parte e che fece altrettanto anche
dopo, concedendogli un'ulteriore opportunità e altra
fiducia. Di fatto, comunque, poteva difendersi con onore dalle
eventuali
accuse, che lo descrivevano come un traditore opportunista in grado di
pensare soltanto a se stesso,
non avendo mai tradito davvero i suoi compagni. Era incline a pensare
al
proprio tornaconto, questo non poteva negarlo, ma si riteneva
ugualmente un valido alleato e credeva negli ideali di
Robin Hood, specialmente da quando Locksley e Nottingham erano tornate
ad essere libere dai potenti. Il timore di Allan, infatti, quello che
una volta lo aveva spinto a tentare la fuga insieme a Will Scarlett con
una parte del bottino della banda, era che una
volta fatto rientrare sano e salvo Re Riccardo in patria, Robin si
sarebbe riappropriato delle sue terre e del titolo che gli spettava,
voltando infine le spalle a quelli che erano stati i suoi compagni
d'avventure e che l'avevano difeso e supportato svariate volte; ormai,
però, gli era chiaro che una simile eventualità
non solo non si era mai verificata,
ma non sarebbe neanche mai potuta accadere dal momento che l'arciere,
capo
della banda, si era preoccupato di dare un futuro degno e un'abitazione
adeguata a tutti i suoi uomini che ne erano privi.
Avvezzo alla menzogna che gli aveva più volte permesso di
salvarsi la pelle prima di incontrare Robin Hood, Allan aveva
sottovalutato e giudicato male l'arciere a prescindere da quello che i
suoi occhi ogni giorno vedevano e che la sua mente si ostinava a
negare. Aveva impiegato un po', ma alla fine aveva compreso e posto
rimedio.
Il rapporto tra Allan e la banda di cui faceva parte era stato, quindi,
caratterizzato da reciproca mancanza di una totale fiducia, ma
fortunatamente
ogni cosa si era risolta per il meglio, tanto più
perché
anche Archer, inizialmente e nonostante Robin e Guy gli avessero
salvato la vita, era caduto nello stesso errore
collaborando con Isabella, la quale all'epoca era stata proclamata
Sceriffo di Nottingham e
possedeva dunque una quantità di denaro che avrebbe potuto
far
comodo al giovane arciere.
I due episodi avevano fatto capire a tutti, diretti interessati
compresi, che il passato del singolo incideva continuamente sul
presente e non sempre solo in positivo o in negativo: chi nella vita
era stato preso a calci era oggettivamente più incline a
cercare la
protezione del più forte, esattamente come era accaduto a
Gisborne, ma questo non significava che non ci fosse la speranza di un
cambiamento nel corso dell'esistenza. Del resto tutti e tre erano
fedeli alleati di Robin ormai.
In quanto a Little John, era uno che sapeva il fatto suo, un uomo di
carattere, ma anche di buon cuore.
Prima di entrare a far parte della banda di Robin, quando quest'ultimo
si trovava in Terra Santa a combattere al fianco di Re Riccardo, era
stato giudicato fuorilegge e, non volendo arrendersi alla prepotenza
dello Sceriffo, si era messo a capo di
un
proprio gruppo di persone come lui, possedendo tutte le caratteristiche
necessarie ad un leader degno di essere considerato tale,
tant'è
che quando c'era da programmare
spedizioni
e ricognizioni, era sempre in prima linea; quando c'era da
organizzare un'incursione o un piano di attacco o difesa, lui
era sempre pronto a fornire una serie di utili consigli e diverse idee
di tutto rispetto. Era un uomo tanto silenzioso quanto leale, un po'
orso, ma abilissimo e temuto combattente; il suo motto era "Oggi
è
un buon giorno per morire" e ci aveva creduto davvero, tutte le volte
che si era ritrovato a dirlo ad alta voce.
La situazione in sé aveva ricordato a tutti gli uomini di
Robin
il periodo
trascorso in incognito nella foresta, quando era necessario spiare lo
Sceriffo, intercettare i suoi
traffici per fargliela sotto al naso; quando era necessario infiltrarsi
nel Castello di Nottingham per recuperare documenti o denaro rubato;
quando essere dei fuorilegge significava ribellarsi ai soprusi e
lottare per la giustizia e la libertà, rischiando spesso la
vita nella lotta per un ideale.
Travestirsi, guardarsi le spalle, osservare ogni cosa attentamente,
essere pronti a sguainare una spada o a far partire una freccia erano
azioni che appartenevano al passato, seppur recente, ma né
Allan
né Little John erano dispiaciuti di doversi rimettere in
gioco, quel giorno e nei giorni a venire e anzi, l'adrenalina che
scorreva nelle loro vene li fece sentire
più vivi che mai, mentre passeggiavano per le nuove vie di
Nottingham, resi irriconoscibili grazie ai vecchi trucchi che li
avevano
salvati per anni dal desiderio di Vaisey di vederli tutti morti.
L'aver maturato esperienza sul campo, però, non aveva
assicurato
alla banda che il lavoro da svolgere sarebbe stato semplice e privo di
difficoltà; uno dei problemi cui Robin e i suoi avevano
dovuto
far fronte, infatti, era l'assenza
di alcuni di loro quando Rudyard era capitato a Locskley insieme a
Willard, il che significava che Little John, Allan e Tuck non avevano
idea dell'aspetto di Rudyard. Una temporanea soluzione a quell'inghippo
era giunta quando Kaelee aveva provato a descriverlo nel
dettaglio e Archer aveva tentato un abbozzo di ritratto per facilitare
l'impresa a tutti quanti, perché comunque nessuno
–
eccetto Kaelee – ricordava Rudyard nel dettaglio.
Nelle settimane che trascorse esclusivamente a Nottingham, Rudyard ebbe
modo di tastare il terreno e scegliere gli elementi migliori per la
propria causa. Riuscì a circondarsi di due uomini ai quali
raccontò una storia molto simile alla realtà dei
fatti,
ma a parti completamente ribaltate: nella sua personalissima versione
dei fatti, lui era il buono della situazione, mentre Kaelee era la sua
amata sorella, portata via dalla
propria casa per fare da serva ad un uomo che aveva finto di essere
gentile e di amarla, ma che si era rivelato era un tiranno e un
approfittatore oltre che un violento. Ciò che
più interessava a Rudyard era che i due gli credessero,
ragion
per cui evitò tutti gli uomini originari di Nottingham e
Locksley, puntando sui forestieri e sui viaggiatori, quindi avrebbe
pensato poi alla condivisione di eventuali ulteriori dettagli, se
strettamente necessario,
oppure, una volta raggiunto
lo scopo, avrebbe fatto fuori anche i suoi scagnozzi.
"Due inutili vite in meno con cui spartire l'aria di questo mondo",
aveva pensato la prima volta che li aveva accolti nell'abitazione in
cui alloggiava.
Nella scelta dei
due
compari, Rudyard aveva badato bene anche che non fossero
troppo intelligenti
da poter dubitare di lui e che non avessero amicizie o anche solo
contatti con gente di Locksley,
perché in tal caso avrebbe fatto una pessima figura e
probabilmente sarebbe stato persino preso a calci per le bugie che
andava raccontando in giro, inoltre sicuramente Hood e i suoi sarebbero
venuti
a saperlo e lui avrebbe potuto dire addio definitivamente ai propri
piani di sofferenza per sua sorella.
I due uomini che avevano abbracciato la sua
causa venivano, infatti, dal villaggio di Nettlestone e non conoscevano
né Kaelee, né i suoi trascorsi, né
sapevano
alcunché di
come Rudyard e Willard erano realmente piombati a Locksley o della
reale motivazione,
essendo i due arrivati a Nottingham poco più tardi a cercar
fortuna: erano le persone ideali per lui.
Con la messinscena del fratello maggiore in pena per la sorellina
costretta ad una vita che non voleva e che non meritava, Rudyard era
quindi riuscito a muovere a compassione due anime ignare, assicurandosi
così protezione e compagni d'armi. Certo, tre continuava ad
essere un piccolo numero a fronte dei nove del nucleo ristretto di
Hood, ma
considerato che lui intendeva colpire esclusivamente Guy e Kaelee,
era di fatto in superiorità numerica anche se la condizione
necessaria affinché non fallisse era che l'attacco avesse
luogo
in un
momento
di solitudine per i piccioncini e anche a questo sarebbero
serviti i quattro occhi in più che Rudyard si era procurato.
Per l'occasione, Kaelee aveva nascosto la chioma sotto un ampio
copricapo di stoffa, si
era passata una polvere colorata sul viso per scurire l'incarnato e
aveva indossato abiti maschili per evitare di essere riconosciuta,
perché più di tutti aveva necessità di
camuffarsi.
Tuck, invece, si era privato del saio nascondendo la
croce sotto i nuovi abiti e insieme a lei aveva passato al
setaccio ogni strada della città, senza mai perdersi d'animo.
«Che ci abbia visti e si sia rintanato da qualche
parte?»,
mormorò ad un certo punto, rivolgendosi al suo compagno
d'avventura.
«Se ti ha riconosciuta in questi panni deve essere un
osservatore
davvero attento», le rispose il frate, rivolgendole uno di
quei
sorrisi capaci di rianimare anche il più sfiduciato tra gli
uomini.
«Non mi dispiacerebbe essere un uomo di tanto in
tanto», scherzò allora.
«Non è forse un privilegio essere donna e poter
donare la
vita a una nuova creatura in nome di Nostro Signore?», le
domandò lui instillandole immediatamente il dubbio che la
sua
considerazione di poco prima fosse quanto mai inappropriata.
«Dovremmo domandare ad una partoriente», gli
rispose dopo un po' e lui rise.
«Non c'è gioia senza sofferenza, rammentalo
sempre».
«Sarà, ma tu non sei una donna, pertanto, se in
via del tutto
ipotetica ti sposassi, godresti della gioia di un figlio senza patire
la sofferenza del darlo alla luce», disse con convinzione,
ritenendo incredibilmente ingiusto che a soffrire dovessero essere
esclusivamente le donne. Sentì di nuovo Tuck ridere e si
domandò cosa lo divertisse così tanto del suo
discorso.
«Se non avessi la certezza che sei pura come la luce
dell'alba e
l'acqua dei torrenti, potrei pensare che tu sappia cosa significi dare
alla luce una creatura, da come ne parli», le disse lui
fissando
quelle iridi scure ed espressive nelle sue.
Stando così le cose, non poté fare altro che
arrossire.
«Ma che dici?!», si difese. «E poi come
lo sai che
sono... pura?», sussurrò a voce appena udibile,
avvampando
ulteriormente.
«Quando non fingo di essere un altro, sono un pastore di
anime,
un intimo confidente tenuto al segreto dinanzi a Dio e alla
Vergine», mormorò lui senza smettere di sorridere,
vagamente compiaciuto.
«E se volessi corromperti, cosa dovrei fare?»,
chiese.
«Anche se forse non è necessario farlo dal momento
che se
non sono stata io a fornirti questa informazione, può essere
stato soltanto Guy», ragionò apertamente.
«Sia lodato il Signore, l'amore regna nel tuo cuore e nel
suo», fece lui in tono accorato inducendola ad aggrottare le
sopracciglia, confusa.
Quando comprese, per poco non svenne.
«Imbroglione di un frate che non sei altro! Disonesto
approfittatore dell'ingenuità di un'innocente!»,
esclamò sconvolta, controllando il tono di voce.
«Tu non
lo sapevi fino ad un momento fa!», aggiunse.
«Le vie del Signore sono infinite, non dimenticarlo
mai», disse, ridendo di nuovo di gusto.
«È un vero peccato che non si possa malmenare un
frate», borbottò, tornando a guardarsi intorno.
Di Rudyard, quella mattina, non sembrava esserci neanche l'ombra, ma
proprio quando entrambi avevano ormai quasi abbandonato le speranze, lo
videro sostare dinanzi ad
un'abitazione insieme a due uomini che nessuno dei due conosceva.
Istintivamente Kaelee portò la mano sull'elsa della propria
spada,
quasi sopraffatta dalla necessità di uccidere
chi aveva tentato di portarle via non soltanto Gisborne, ma anche
l'esistenza che stava cercando di crearsi insieme a lui nel villaggio
di Locksley, ma la presenza di Tuck e la convivenza con Robin Hood e
tutto ciò che la
sua figura rappresentava le impedirono di commettere
lo stesso sciocco errore che aveva spinto Rudyard ad aggredire Gisborne
in piena notte
e lasciare una prova piantata nella parete della sua stanza da letto.
«È lui», sibilò.
«Ne
sei assolutamente certa?», bisbigliò Tuck, forse
temendo
che lei, accecata dalla rabbia,
potesse lasciarsi confondere dall'abbigliamento o da un singolo
atteggiamento.
Kaelee prese un profondo respiro, costringendosi a non prendersela con
il frate, perché sapeva che Tuck era un uomo saggio e
prudente,
uno che aveva sempre
avuto a che fare con le persone e che per questo sapeva bene quanto
l'istintività potesse essere nociva nella maggior parte
delle situazioni come quella in cui lei si trovava; del resto il frate
aveva
seguito interamente il percorso intrapreso da Gisborne vivendo in
prima persona il suo dolore, i drammi, i momenti di cedimento, gli
accessi d'ira e il pianto, perciò Kaelee ritenne che l'uomo
preferisse andarci con i piedi di piombo e lasciarsi
scappare un'opportunità, anziché trovarsi a
doverla
confortare per i tormenti derivanti da un omicidio
compiuto in preda alla fretta, e ritenne che fosse un atteggiamento
più che giusto il suo, tanto più
perché era un
uomo di Chiesa e più di chiunque altro aveva sommo rispetto
della vita in tutte le sue forme.
Quindi, ritrovata la calma, rivolse al frate lo sguardo
più deciso di cui era capace.
«Sì», rispose. «Vedi
quella piccola parte rada vicino al mento? È una cicatrice
che
si è procurato prima che io nascessi, in seguito a un
litigio
con Dwight. Non sono mai andati d'accordo e capitava che il
più grande dei miei fratelli lo rimettesse in riga anche
contro il volere di nostra madre», commentò
tornando a tenere d'occhio
Rudyard. «Guardalo e dimmi se io e lui non ci
somigliamo», aggiunse dopo qualche attimo di silenzio, non
troppo contenta di quella evidenza.
Vide Tuck rivolgere uno sguardo attento, analitico, in direzione di
Rudyard.
«Non è una somiglianza netta, ma
non
posso negare che ci sia qualcosa in lui – sebbene se
interrogato
non saprei dire con esattezza cosa – che mi ricordi te,
quindi ti
credo», decise Tuck.
I due, dopo interi minuti trascorsi ad osservare nel dettaglio i gesti
di Rudyard, ipotizzarono che la casa in questione non dovesse
appartenergli, non essendo egli stesso entrato insieme a uno dei due
uomini ed essendosi invece allontanato con l'altro, così,
quando fu ora di presentarsi sul luogo dell'appuntamento con
Allan
e Little John, per darsi il cambio,
li informarono riguardo l'ultima scoperta fatta invitandoli a tenere
d'occhio quella struttura, perché sicuramente lì
avrebbero potuto vedere in faccia Rudyard e avrebbero potuto facilmente
riconoscerlo in quanto i due uomini che lo accompagnavano erano molto
diversi da lui.
Uno dei tanti intoppi di quella vicenda sembrava, quindi, essere
risolto.
Così, mentre i due uomini si appostavano nei dintorni del
punto
indicato da Kaelee e Tuck, questi ultimi tornarono a Locksley per
mettere Robin e gli altri a conoscenza delle novità.
Ed era a questo ritmo che trascorrevano le giornate della nuova banda
di Robin
Hood.
Qualche giorno
più tardi.
Collina delle Croci, Locksley.
Dopo tanto rimuginare, torcersi le mani e maledirsi per la propria
ignoranza cui non aveva mai cercato di porre rimedio, in effetti, Much
aveva infine visto l'ovvio e aveva deciso che, se non poteva
chiedere aiuto al proprio miglior amico, avrebbe parlato con la
migliore amica di Kate in merito alla proposta di matrimonio che stava
pensando di farle da giorni ormai. Quindi diede appuntamento a Kaelee
nel luogo
più tranquillo e discreto che conoscesse, anche se forse non
era
il più indicato per parlare di matrimonio: la Collina delle
Croci.
Che tutti gli uomini della banda tenessero costantemente gli occhi
aperti e dedicassero parte del loro tempo a registrare le mosse di chi
li minacciava, non aveva impedito, comunque, il naturale svolgimento
delle
consuete attività, né aveva ostacolato i rapporti
di amicizia nati e coltivati in quel contesto.
Perciò,
sebbene la preoccupazione fosse una costante da settimane nella vita
della giovane Kaelee, quando aveva ricevuto il messaggio da parte di
Much non ci aveva pensato su nemmeno mezza volta e lo aveva raggiunto
nel luogo prestabilito.
Ciò che non aveva assolutamente previsto era il motivo per
cui l'uomo volesse incontrarla, anche se aveva intuito che l'argomento
della
loro conversazione sarebbe stato Kate. Cos'altro altrimenti? Kaelee
dubitava che Much volesse intercedere a favore di Allan, che volesse
informazioni sul suo rapporto con Gisborne – dato che Kaelee
non aveva ancora ripreso a confidarsi con Kate – o che
volesse
chiederle di andarsene e lasciare, così, ognuno libero di
vivere la
propria esistenza. Certo, Kaelee ci aveva pensato, aveva riflettuto
sull'ipotesi di scappare e farsi inseguire da Rudyard in modo che lui
lasciasse in pace Locksley e i suoi abitanti, ma era certa che Gisborne
non si sarebbe arreso; perciò, fuggendo, avrebbe con ogni
probabilità fatto più danni che altro dal momento
che Robin e Archer avrebbero tentato di fermare Guy, innescando una
reazione a catena per cui anche Much li avrebbe seguiti e con lui pure
Kate. Inoltre l'intero gruppo di ex fuorilegge aveva manifestato la
volontà di difenderla, proteggerla e supportarla.
Appena lo vide, con lo sguardo perso a guardare il villaggio,
salutò Much abbracciandolo con corrisposto
affetto.
«Grazie per essere venuta», disse l'uomo
guardandola con quei suoi sinceri occhi blu.
La ragazza gli disse che non c'era motivo
per cui non
avrebbe dovuto farlo e che, qualunque cosa avesse da dirle, lo avrebbe
ascoltato volentieri. Prima, però, gli domandò se
fosse
tutto a posto con Robin. Kaelee aveva avuto modo di constatare di
persona quanto Much tenesse al leader del gruppo, aveva appreso
delle avventure in Terra Santa e aveva visto con i propri occhi le
piccole, ma significative, reazioni dell'uomo ogni volta che Robin si
complimentava con uno della banda e non con lui. Tra i due c'era
evidentemente un
legame molto profondo, difficile da comprendere appieno, qualcosa che
somigliava molto all'amore senza però esserlo: era come se
Much
amasse Robin senza la necessità della componente fisica di
quel sentimento. Era una sorta di adorazione, venerazione, un po'
come l'affetto che poteva legare due fratelli o genitori e figli e
Kaelee aveva
la sensazione che Much vivesse nel terrore di essere rimpiazzato nel
cuore di Robin da
qualcuno di più interessante e in gamba di lui. Quello tra
Much e Robin era un tipo di rapporto che Kaelee non aveva mai vissuto,
né visto, perché per quanto lei e Kate fossero
amiche, il loro modo
di
volersi bene non somigliava neanche lontanamente a quello dei due
uomini, e per quanto con Aric avesse sempre avuto un rapporto speciale,
nemmeno quello era paragonabile.
Quando Much assicurò che tra lui e Robin non c'era alcun
problema, ringraziandola per essersene interessata, confidò
anche
che
voleva parlarle di Kate.
Sul suo volto si aprì un sorriso spontaneo: voleva
molto bene a entrambi singolarmente e li adorava ancor di
più da
quando erano una coppia, quindi era immensamente felice che Kate avesse
ritrovato un po' di serenità e si fosse infine lasciata
andare
con Much, sebbene Kaelee volesse molto bene anche a Robin e le
dispiacesse che il cuore di lui fosse ancorato ad un amore del passato,
un amore che non avrebbe fatto ritorno. Di tanto in tanto si domandava
come Robin fosse riuscito a perdonare Guy per quello che aveva fatto a
lui, a Lady
Marian, e a se stesso; si chiedeva se lei, al posto
dell'arciere, ci sarebbe riuscita e la conclusione a cui giungeva era
sempre la stessa: Robin Hood era un uomo dotato di grande
umanità, capace di grandi azioni e in grado di guardare
oltre a molti ostacoli che avrebbero fermato tanti suoi simili.
Le sopracciglia di Much si abbassarono poco dopo, lo sguardo si fece
serio, le
labbra si mossero tutte le volte in cui lui fu sul punto di parlare e
poi non lo fece e i profondi respiri che prese finirono tutti in sbuffi
o sospiri che iniziarono a metterla in agitazione.
«Così mi fai preoccupare»,
mormorò posandogli una mano sull'avambraccio.
Due grandi occhi blu si fissarono nei suoi, stordendola tanta era la
confusione che vi poteva leggere.
Much non era uno che stava in silenzio, uno che se aveva qualcosa da
dire aspettava il momento giusto, eppure nessuno del gruppo era
riuscito davvero a comprendere i meccanismi che animavano quell'uomo
tanto sincero e straordinario, onesto e leale; durante le riunioni al
Maniero Kaelee aveva potuto notare come perfino Robin Hood a
volte avesse qualche difficoltà a capire dove l'amico di una
vita
volesse andare a parare.
«No... No», disse lasciando intravedere
un sorriso e agitando le mani davanti a sé.
«È una cosa bella... Credo. Lo
è per me almeno», aggiunse e di nuovo
aggrottò le sopracciglia. «Per
me è bellissima... Non Kate... Cioè, anche Kate,
soprattutto lei. Ma la cosa che vorrei fare, dopo avertela detta,
è
bellissima».
Much era talmente tenero ai suoi occhi mentre
esprimeva i propri
sentimenti così come li provava, senza nemmeno tentare di
mettere
un po' d'ordine, che Kaelee ebbe l'istinto di abbracciarlo forte nel
tentativo di trattenere un sorriso divertito. In
qualche modo, nemmeno lei sapeva come in effetti, Much le ricordava suo
fratello Aric e questo lo rendeva ancor più adorabile dal
suo punto di vista.
«E cosa vorresti fare?»,
domandò spontaneamente, incoraggiandolo.
Il sorriso che sbocciò
sulle labbra di lui,
mentre abbassava timidamente lo sguardo verso il terreno,
rivelò l'essenza pura di quell'uomo: Much poteva anche
essere un
sempliciotto, uno che ragionava in termini molto pratici, uno che
pensava alla pancia e a Robin prima che a tutto il resto, ma non era
per nulla
sciocco o superficiale, anzi, sotto la superficie si celava un uomo
meraviglioso; non l'uomo giusto per lei, ma certamente un uomo buono
e un marito eccezionale.
«Io vorrei... Vorrei... Ecco, mi piacerebbe
chiedere...», mormorò, in imbarazzo.
"Certo che è imbattibile
nell'abilità di creare suspance", pensò Kaelee
sentendo l'ansia crescerle nel petto.
«Sì?», fece,
già impaziente, emotivamente partecipe.
«Voglio
chiedere la sua mano», disse tutto d'un fiato, sfregandosi
nervosamente le mani tra loro, picchiettando il terreno con un piede, e
con
lo sguardo ancora basso.
Kaelee esultò e si rese conto subito di averlo spaventato,
anche se ormai era troppo tardi per porre rimedio.
«E
cosa stai aspettando, Much?!», esclamò allegra,
saltandogli
letteralmente tra le braccia e stringendolo forte, sinceramente
felice che Much avesse preso quella decisione e quasi del tutto certa
che a Kate non sarebbe dispiaciuto per nulla sposarlo.
L'ora successiva fu colma di
consigli, timori, riflessioni, picchi di felicità e tanta
complicità.
Quel gesto da parte di Much, l'averla cercata per un consiglio,
dimostrò a Kaelee quanto fosse ormai parte integrante di
quel gruppo di persone che per tanto tempo aveva popolato i suoi sogni
di libertà. Ogni volta che ci ripensava, quasi non riusciva
a credere di essere un membro ufficiale degli uomini di Robin Hood.
«Quindi vado da lei e glielo dico»,
mormorò ancora una volta Much, prima di salutarla.
Lei annuì, sorridendogli apertamente.
«Lo sapevo», affermò ridendo, mentre
Kaelee alzava
gli occhi al cielo, ormai avvezza a quella sua abitudine di dire sempre
"lo sapevo".
Maniero di Robin,
Locksley.
Guy non era molto convinto che mandare Kaelee a Nottingham, nella tana
del lupo, fosse l'idea migliore, ma quando aveva saputo che era stata
lei a riconoscerlo per prima si era ricreduto sebbene fosse
costantemente in ansia quando lei era fuori. I due non si recavano mai
in città insieme, ritenendolo troppo pericoloso per
entrambi:
era come gettarsi letteralmente tra le braccia di Rudyard, il quale
avrebbe preso due piccioni con una fava, come si suol dire. Il fatto
che
quest'ultimo avesse cercato di uccidere Gisborne era il chiaro segnale
che suo primario interesse era fare del male a sua sorella in qualunque
modo possibile; e quale sofferenza
più grande per lei del veder morire l'uomo di cui si era
innamorata?
Anche se era disgustato da quei ragionamenti, Gisborne doveva ammettere
che aver pensato come quel barbaro per molti anni della sua esistenza,
avrebbe potuto rivelarsi un'ottima carta per lui e per tutta la banda.
Quanto Dwight aveva mandato loro a dire da Edwinstowe, aveva confermato
ogni dubbio riguardo le pessime intenzioni di Rudyard e, sebbene non
lo desse a vedere in presenza di Kaelee, Guy era molto preoccupato per
la
situazione che si era venuta a creare. A tormentarlo non era
semplicemente la sofferenza che Rudyard avrebbe causato a lui, a Kaelee
e agli uomini di Robin, ma anche la sofferenza che lui stesso avrebbe
arrecato a Kaelee, perché la soluzione più ovvia
e semplice era,
infatti, uccidere Rudyard senza mezzi termini e senza inutili perdite
di
tempo, ma Gisborne sapeva che, se l'avesse fatto, Kaelee ci sarebbe
stata
male nonostante tutto, in quanto Rudyard restava pur sempre suo
fratello e sapere che ad ucciderlo era stato l'uomo che amava non
l'avrebbe aiutata a vivere un'esistenza serena. Era pur vero che lei
stessa aveva più volte sostenuto di volerlo vedere morto, ma
era
molto arrabbiata con lui ed era quel sentimento a parlare al suo posto.
L'alternativa, quindi, era regolarsi in base alle scelte dell'uomo: se
Rudyard
avesse nuovamente tentato di ucciderlo o di fare palesemente del
male a Kaelee, gli avrebbe tolto la vita – soluzione, questa,
che non lo convinceva molto in quanto avrebbe potuto rivelarsi molto
pericolosa per tutti,
perché Rudyard avrebbe avuto la reale possibilità
di ferire o addirittura uccidere uno di loro prima di restare a sua
volta ucciso.
Per quanto Gisborne ci ragionasse sopra, era evidente che il fratello
della donna che amava aveva trovato il punto debole di tutto il gruppo,
ovvero i sentimenti. Loro, invece, non avevano idea di quale potesse
essere il punto debole di Rudyard, ammesso che uno come lui ne avesse;
per di più, la superiorità numerica si stava
rivelando completamente inutile.
In compagnia dei suoi fratelli, Guy rimuginava sulla
personalità
di Rudyard – arrivando perfino a paragonarlo a Vaisey
– nel
tentativo di comprenderne
i ragionamenti, se di logica si
poteva parlare in riferimento alle crudeli azioni di cui si rendeva
protagonista. Ripescare nel proprio passato non lo entusiasmava, ma
Guy ritenne che calarsi nei vecchi panni di ex braccio destro dello
Sceriffo fosse un buon modo per entrare nell'ottica di quell'uomo,
così si mise a raccontare ad alta voce episodi della propria
vita che né Archer, né Robin, conoscevano.
Parlò
loro delle circostanze in cui aveva conosciuto il fratello di Kaelee e
di quanto ribrezzo provasse ora nel dover ammettere che le intenzioni
malvagie dell'uomo, all'epoca lo avevano entusiasmato non poco. Era
quasi
certo che l'intento di Rudyard, quando lo aveva fermato a York, fosse
quello
di comprare la sua benevolenza.
«Con
ogni probabilità voleva accaparrarsi un titolo nobiliare o
un ruolo al fianco di
Vaisey
e sicuramente conosceva con esattezza la mia
identità e la mia posizione»,
disse con lo sguardo assente, perso nei ricordi.
Robin e Archer lo ascoltavano e
tendevano a rassicurarlo quando lo vedevano tormentarsi per cose di cui
ritenevano
non avesse colpa.
«La peggior cosa che potesse capitare a Kaelee era ricambiare
il
mio sentimento per lei e, ovviamente, lei l'ha fatto»,
mormorò cinico.
Non erano trascorsi neanche cinque secondi da quando aveva parlato che
i suoi fratelli erano già intervenuti.
«Ma la vuoi finire? Stai zitto!»,
esclamò
Archer mentre Robin gli dava un pugno, più o meno
affettuoso,
sul braccio.
Gisborne sbuffò alla
reazione dei fratelli e
continuò a raccontare. Ogni volta, però, che
diceva una
sciocchezza Robin ed Archer intervenivano a modo loro.
«Guy
di Gisborne, la smetti oppure no di essere così
pessimista?», fece Robin all'ennesima manifestazione negativa.
«Sir Guy del mio cuore, vorrai dire»,
rispose Archer fingendo di essere Kaelee e facendo sorridere infine
anche Guy.
«Avessi la metà della sua bellezza
saresti guardabile», rispose, prendendolo
giocosamente in giro.
«Nettie non sarebbe d'accordo con te»,
ribatté il minore dei tre. «E secondo me anche
Kaelee sotto
sotto...», insinuò poi, con lo sguardo di chi era
certo di scatenare un putiferio.
Robin riempì la sala con
la sua calda risata e intanto lui si alzò in piedi
e puntò l'indice contro
Archer.
«Tu! Prova a ripeterlo!»,
urlò con un filo di serietà in più.
Archer sollevò entrambe
le mani.
«Del
resto tu non sei stato preso in considerazione nelle scommesse di Allan
e Much su Kaelee», continuò Archer, evidentemente
divertito.
Guy rubò una freccia dalla faretra di Robin e la
agitò in
aria contro suo fratello, mentre provava a trattenere le risate. In
fondo, qualunque cosa potesse dire Archer, Kaelee aveva scelto lui e
questo non sarebbe cambiato tanto facilmente.
«Fossi in te scapperei», intervenne
Robin che, anziché sedarli, ci metteva del suo.
«Non a casa di Nettie però»,
aggiunse. «Guy non è così tonto e non
sono certo che la tua bella ospiterebbe un fuggitivo»,
concluse ridendo ancora.
La sua attenzione si spostò immediatamente sulla figura di
Robin al quale rivolse uno sguardo carico di finto odio, prima di
parlare.
«Cosa vuol dire esattamente», disse, marcando
l'avverbio.
«che non sono così tonto?»,
domandò retorico, invitando poi Robin a scappare
finché poteva.
Mentre Robin correva per tutto il
Maniero, gli ricordava tutte le volte che, in passato, gliel'aveva
fatta fuggendo sempre
all'ultimo momento o facendogli fare una pessima figura dinanzi allo
Sceriffo.
«Ti ho cosparso di pece, dato fuoco e quasi
annegato! E tutto nella stessa giornata!», urlò
l'arciere. «Mi
sono introdotto così tante volte nel Castello, senza che tu
te ne
accorgessi, che dovresti solo vergognarti!»,
continuò. «Non hai idea di quante volte ero
presente quando
parlavi "in privato" con Marian!», disse infine, rallentando
di colpo la corsa.
Anche Guy, che lo aveva inseguito con l'intento di atterrarlo e
torturarlo, – magari con una scarica di solletico –
diminuì
la velocità fino a fermarsi.
Loro due non affrontavano spesso
l'argomento Marian e quando accadeva un velo di tristezza si stendeva
sul loro sguardo.
«Scusa», mormorò Robin con il
fiatone, piegato in avanti con le mani sulle ginocchia.
Guy lo raggiunse e gli
posò una mano sulla spalla.
«Tu ti scusi con
me?», chiese
rivolgendogli un mezzo sorriso che Robin ricambiò.
Archer, vedendoli fermi, si mosse
nella loro
direzione e quando arrivò trovò i suoi due
fratelli
seduti a terra, schiena contro schiena.
«Siete vecchi ormai per queste cose»,
commentò allargando le braccia e facendo spallucce.
I due fratelli maggiori si voltarono a guardarlo e, in perfetta
sintonia, lo afferrarono per i polsi, lo tirarono giù e lo
riempirono di buffetti
affettuosi.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 24/12/2015.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Eccoci alle ormai consuete precisazioni.
Gli accenni al passato di Allan e Little John, si riferiscono alla
serie tv e sto cercando, nei vari capitoli, di occuparmi anche degli
altri personaggi in modo che il background sia a grandi linee
comprensibile a tutti. Anche ciò che Robin dice a Guy mentre
quest'ultimo lo insegue fa riferimento a diversi episodi della serie.
Che altro dire? Spero di essere stata credibile anche nella
parte
logistica della faccenda, pur non essendo scesa nei minimi dettagli.
Ringrazio chi ha scelto di arrivare alla fine dello scritto e chi
sceglierà di lasciare una recensione, sia essa positiva o
negativa.
Alla prossima!
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Capitolo 14 *** Inatteso Ritorno ***
Inatteso Ritorno
Inatteso Ritorno
Maniero di Robin, Locksley.
«Com'è
possibile che non riusciamo a scoprire dove abita?»,
domandò Little John, durante una delle riunioni settimanali
che
gli uomini di Robin organizzavano per riordinare i pezzi e fare il
punto della situazione.
L'intera banda stava letteralmente pedinando Rudyard da giorni ormai, a
Nottingham e
ovunque l'uomo decidesse di spostarsi – fosse anche sul
confine
di Sherwood, appena fuori dalla città. Con molta
discrezione,
certo, ma non si poteva negare che, se Rudyard non fosse stato
ciò che era e gli ex fuorilegge
non fossero stati ciò che erano, si sarebbe potuto dire che
gli
uomini
di Robin Hood stavano molestando, infastidendo, perseguitando una
persona senza un apparente motivo e il fatto che non dispiacesse a
nessuno di loro, avrebbe aggravato
notevolmente la posizione di tutti. Ciò che
impediva agli
ex fuorilegge di sentirsi in colpa erano le dubbie qualità
morali dell'uomo cui stavano dando la caccia e ciò che
impediva
agli abitanti di Locksley e Nottingham di insospettirsi in qualche modo
era la reputazione che Robin e i suoi si erano guadagnati.
«Sa che gli stiamo alle costole»,
intervenne Much, con una certa agitazione.
«Per questo non ci ha più attaccati»,
aggiunse Allan.
«Quindi secondo voi basta continuare a spiarlo e tallonarlo
per scongiurare il
pericolo di una nuova aggressione? Che sciocchezze!»,
intervenne di nuovo John.
«Ehi ehi, calmi. Ci manca solo che ci mettiamo a litigare tra
noi», fece Archer.
«È un dato di fatto che non ci ha più
infastiditi», ribatté Allan, ignorando
l'intervento del
fratello minore di Robin.
«Chi ti dice che non si sta organizzando per bene,
sapientone?», brontolò Little John, facendoglisi
vicino e
sovrastandolo con la sua mole imponente.
«Ragazzi...», richiamò Fra Tuck.
«Non per fare lo spiritoso, ma con due uomini cosa vuoi che
stia
organizzando?», rispose Allan, mettendo le mani avanti in
segno di
pace, ma investendo il suo interlocutore con quel sorrisetto un po'
impertinente che gli apparteneva.
«Vuoi farmi credere che si è trasferito a
Nottingham, si
è fatto due amici ed è finita
così?»,
domandò l'altro, in tono minaccioso.
Mentre
ognuno diceva la propria, Robin se ne stava seduto con lo sguardo perso
nei suoi pensieri. Riteneva che la domanda di John fosse del tutto
lecita, così come anche la considerazione di Much, ma
pensava
pure che Rudyard avesse deciso di essere più prudente che
mai
dopo la fallita aggressione ai danni di Gisborne e che ipotizzasse di
essere
tenuto d'occhio dai suoi uomini senza averne la certezza
perché loro, se lo desideravano,
sapevano essere invisibili, rendersi irriconoscibili nell'aspetto
esteriore, perciò era plausibile che Rudyard vivesse nel
dubbio
di avere costantemente addosso gli occhi di almeno uno dei componenti
della banda.
In tal proposito gli tornarono in mente tutte le volte che uno dei suoi
uomini
non
l'aveva riconosciuto nei panni di guardia dello Sceriffo o di
mendicante, di uomo di Chiesa, di vecchina in pericolo
o di chissà chi altri; perfino Much, il quale lo
conosceva come le proprie tasche avendo vissuto a stretto
contatto
con lui
per svariati anni, c'era cascato
più di
una volta e, di certo, Rudyard non aveva presente né lui
né i
suoi nemmeno la metà di quanto li conoscesse Much. Forse
l'unica
persona che correva davvero il rischio di essere riconosciuta era
Kaelee, ragion per cui ai suoi camuffamenti si prestava sempre
molta più attenzione.
Dunque cosa stava tramando Rudyard a Nottingham? E che ruolo avevano i
due uomini che erano stati visti con lui? E chi erano e cosa sapevano
di Kaelee?
«Magari l'abbiamo spaventato e si è
arreso», fece ancora
Allan. «Non l'abbiamo più visto a
Locksley», ribadì con un'alzata di spalle e il suo
consueto
ottimismo spensierato.
«Come no! Per questo se ne va in giro
costantemente con quei due a fare chissà che»,
rispose prontamente
Archer, appoggiandosi alla parete.
«Per quel che ne sappiamo, Rudyard ha pure
un'occupazione», commentò ancora Allan.
«Appunto, per quel che ne sappiamo. Dobbiamo trovare il modo
di
ascoltare le sue conversazioni con quei due!»,
esclamò
John, di nuovo proteso verso Allan.
Kaelee presenziava a tutte le riunioni, ma preferiva non intervenire
– se
non espressamente richiesto o nel caso in cui fosse in possesso di
dettagli utili a stanare Rudyard – in
parte perché ancora ce l'aveva un po' con tutti, ma
soprattutto
in quanto si sentiva terribilmente colpevole per l'intera vicenda: non
aveva certo desiderato condurre suo fratello nei pressi di Locklsey per
infastidire
Robin e la sua banda, ma di fatto la sua partenza aveva portato quel
bruto a pochi passi dalla sua nuova abitazione, creando scompiglio
nella vita di chi si era appena guadagnato una fetta di meritata
tranquillità e l'aveva accolta senza pregiudizi, trattandola
come se fosse cresciuta tra le strade di Locksley e Nottingham.
Quindi, per lo più, ascoltava le considerazioni dei suoi
amici e
faceva il possibile per portare a termine nel miglior modo i compiti
che Robin le assegnava, anche se questo le costava parecchio
considerato che starsene in silenzio non era propriamente una sua
abitudine; però aveva deciso che, pur essendosi lasciata
alle
spalle quanto era successo il giorno in cui Gisborne le aveva
dimostrato il nuovo andazzo che gli allenamenti avrebbero preso,
chiunque avesse partecipato attivamente a quella farsa, meritava una
sorta di punizione e quindi aveva smesso di confidarsi con Kate, tanto
per cominciare, sapendo che ne avrebbe sofferto – poteva
sembrare
un atto di cattivera bella e buona, ma non lo era affatto in quanto
anche lei ci stava
male, naturalmente; il fulcro dei suoi ragionamenti e del suo
conseguente atteggiamento, era il suo detestare anche la
sola idea
di essere vista e considerata come
una sciocca ragazzina e, in linea di massima, Kaelee riteneva comunque
giusto che
ognuno si prendesse le responsabilità delle proprie azioni.
Per
quel che riguardava Guy, dopo i giorni in cui aveva parlato con lui
soltanto degli allenamenti, da quando era andato a trovarla le veniva
difficile escluderlo, tanto più perché ogni notte
condivideva con lui il letto. In quanto a Robin, invece, non aveva
ancora deciso il
da farsi, ma il silenzio che si autoimponeva rendeva già di
per
sé evidente che quei modi l'avevano ferita e, dato che
l'arciere
era tutt'altro che stupido, Kaelee sapeva che avrebbe collegato il
tutto nella maniera più corretta.
Era consapevole che quella
situazione non sarebbe durata per tutta la vita, a maggior ragione
perché Much aveva deciso di chiedere la mano a Kate e lei
non
poteva non giorne, ed era anche convinta che il suo comportamento non
potesse
essere attribuito al mero orgoglio; era più una questione di
fiducia: dopo quell'episodio Kate, Guy e Robin avevano perso
una
porzione della sua.
Con un lieve sospiro tornò alla discussione che stava
animando il
Maniero, e ad Archer, che aveva appena rinunciato a mettersi tra i due
che si punzecchiavano. Quel giovane
uomo, pur somigliando esteticamente più a Robin
che a Guy, aveva certi modi di fare, certe movenze, che a Kaelee
ricordavano moltissimo l'uomo che amava, perciò era una
strana
sensazione
averlo intorno, specie da quando dormiva al Maniero, a qualche stanza
dalla sua. Riusciva ad essere perfino imbarazzante in certi frangenti.
«Fa di tutto per non farci capire dove
abita. Si prende gioco di noi!», esclamò Kate,
d'accordo con il fratello minore di
Robin e Guy.
Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti attendevano l'intervento di
Robin il quale, invece, rimase ancora in silenzio, immerso
probabilmente in una serie di
ragionamenti.
«Ok, non si è arreso», ammise
Allan. «Ma, ehi! Noi siamo Robin Hood! E lui è
da solo... Più o meno. Abbiamo la maggioranza numerica
comunque», concluse.
Se Kaelee non l'avesse conosciuto abbastanza, avrebbe pensato di aver
di fronte un tipo superficiale e volutamente irritante, ma sapeva che
Allan aveva
semplicemente un'indole ottimista e tendeva sempre a credere, quindi,
che
qualunque
cosa potesse accadere se la sarebbe cavata. A quanto pareva,
però, gli altri della banda non erano della stessa opinione,
specialmente John che si
tormentava senza sosta con i punti interrogativi della questione.
Gisborne, forse percependo la sua tensione, la avvolse con un braccio,
in
quell'atteggiamento protettivo che non le dispiaceva mai; quindi si
strinse volentieri a lui continuando a osservare i presenti e le loro
reazioni.
Tuck ascoltava e rifletteva, forse in attesa del parere di Robin,
mentre Allan e John non riuscivano a smettere di battibeccare
nonostante Archer
tentasse, di nuovo, di placarne i torni.
Infine, diversi minuti più tardi, Robin si alzò
in piedi richiamando
così l'attenzione di tutti.
«È
necessario espandere la rete delle nostre conoscenze. Abbiamo ottenuto
informazioni dirette in merito ai movimenti di Rudyard a Nottingham e
sappiamo per certo che risiede in città. Ci siamo convinti
che
non ci abbia mai mostrato la sua abitazione e che si fa beffe di noi,
ma è veramente così?», disse Robin.
«Ognuno
di voi ha offerto un valido contributo e una giusta considerazione,
tanto che sono arrivato ad una conclusione verosimile. Ritengo,
infatti,
possibile che, anziché celare il suo nascondiglio, ce
l'abbia
sempre mostrato lasciandoci credere che non è
sciocco al punto da invitarci nella sua tana. Pensateci. John prima si
è
chiesto com'è possibile che osservandolo per settimane non
siamo
riusciti a individuare la sua abitazione. Nottingham non è
Londra, perciò la risposta è che non
è possibile. Sa di avere i nostri occhi attorno, addosso, e
ha optato
per
una tattica piuttosto banale, ma molto efficace: ha messo in bella
mostra
quanto di più prezioso possiede, spostando l'attenzione di
chi
osserva. Allan, tu che imbrogli continuamente gli avventori con il
gioco dei tre bicchieri, avresti dovuto arrivarci prima di noi tutti.
Non fai niente di molto diverso tutte le volte che posizioni
tre piccoli
bicchieri e mostri una moneta ai tuoi spettatori e
scommettitori, facendo credere loro di averla nascosta sotto ad uno dei
tre contenitori, che
mescoli velocemente per chiedere, infine, dove pensano che si celi
la moneta che tu, molto abilmente, hai recuperato e riposto nella
manica. Il tutto sotto i loro occhi, concentrati esclusivamente sul
movimento dei tre bicchieri. Ti è andata bene
perché
nessuno ha mai pensato di
chiederti di alzarli tutti e tre e, allo stesso modo, a
Rudyard fino ad ora è andata bene perché nessuno
di noi
ha pensato di intrufolarsi di notte in quell'abitazione per fare una
verifica».
La sua esposizione dei fatti lasciò di stucco alcuni
compagni
d'armi e mise sull'attenti altri: in ogni caso, se quanto Robin aveva
appena
detto era vero, Rudyard era tutt'altro che inesperto in fatto di
strategie; ipotesi, questa, che non entusiasmava affatto Kaelee.
«All'ultimo momento metto sempre la moneta sotto un bicchiere
che, ovviamente, non è quasi mai
quello scelto», bofonchiò Allan, evidentemente
offeso
dalle parole dell'arciere.
«In quanto ai due uomini con i quali si
accompagna», continuò Robin. «Chi sono?
Da dove provengono? Non da
Locksley, questo è certo, e neanche da Nottingham,
perché altrimenti li conosceremmo».
«Sono uomini di Nettlestone», rispose
prontamente Tuck, spiegando che aveva avuto modo di confessarli proprio
quel
giorno, essendosi recato in città nei panni di se stesso.
Robin annuì e disse che occorrevano più dati sul
loro passato e su come Rudyard li aveva reclutati.
«In
questo momento non immagina che abbiamo intuito il suo gioco,
perciò dovremo prestare molta attenzione affinché
non
capisca che il suo piano sta per saltare. Abbiamo l'occasione di
metterlo nel sacco e non dobbiamo, per niente al mondo, lasciarcela
scappare», concluse con convinzione. «Ora,
amici, rilassiamoci insieme, beviamo qualcosa, perché il
sole
splende e Locksley è un villaggio felice!»,
aggiunse,
prendendo a braccetto Allan. «Spiegami un po'
com'è che
fai con quel gioco», gli disse.
Un «Lo sapevo» di Much, appena
mormorato, fece ridere tutti quanti.
Foresta di Sherwood.
In cammino da molti giorni, in compagnia del proprio figlio, una donna
rimandava ostinatamente l'appuntamento con il dolore che la rincorreva
e si dirigeva
nell'unico posto in cui sapeva di poter trovare un conforto –
se non
lei, almeno suo figlio. Finché era impegnata a mettere un
piede
davanti all'altro, contando tutte le volte che lo stomaco le si
contraeva per la fame, poteva permettersi di non pensare e quindi di
non soffrire; inoltre era necessario trovare un nuovo giaciglio per la
notte nel caso in cui non
fosse riuscita a raggiungere il villaggio prima del tramonto, questione
che, aggiunta alle altre, riempiva la sua mente più del
dolore e
del senso di sconfitta.
Era trascorso diverso tempo dall'ultima volta che i suoi piedi avevano
lasciato orme su quella terra scura, che i suoi occhi si erano
soffermati
sull'incanto di quei
luoghi, che le sue narici erano state sfiorate dall'odore, pungente e
bagnato, del muschio; le sembrava un'eternità e invece non
erano che un paio d'anni; benché molte cose fossero
cambiate nel frattempo, mutando inevitabilmente anche lei, pareva
infine che il cerchio si
stesse chiudendo su se stesso, riportando lei e suo figlio al punto di
origine, dove la sua vita, quella del bambino e altri eventi avevano
avuto inizio. Non
aveva idea se tutta quella faccenda fosse una
maledizione o una benedizione, considerato che era andata via da
Locksley per sfuggire ad una condanna a morte e vi stava tornando
in condizioni forse addirittura peggiori; ma dal momento che la vita
l'aveva
nuovamente messa dinanzi ad una serie di impedimenti e
difficoltà, tra tutti i potenziali mali,
era stata costretta a optare per quello ritenuto il minore. Gli eventi
le avrebbero
risposto prima o
poi e tutto le sarebbe stato chiaro e limpido come un ruscello,
perciò la cosa fondamentale era fare qualcosa, intraprendere
un
percorso, scegliere e prendersi le responsabilità di una
decisione, anche se non c'era niente di semplice in quella presa di
posizione: se fosse dipeso esclusivamente da lei, se fosse stata
l'unica protagonista di quegli sfortunati eventi, forse avrebbe ceduto
sotto il peso del dolore, ma aveva un figlio da mettere in condizioni
di crearsi un futuro roseo e per lui era necessario
essere forte e lucida.
In quel momento, in via del tutto eccezionale, il ragazzino che
camminava al suo fianco era silenzioso, ma di tanto
in tanto sollevava verso di lei gli occhi speranzosi, perché
con
ogni probabilità aveva intuito la direzione del
loro camminare – anche se non osava esprimere ad alta voce
pensieri e
desideri – e sembrava esserne felice. Era un ragazzo sveglio
e di
carattere, per la fortuna di entrambi, ed era davvero l'unico motivo
per cui si
era di nuovo rimboccata le maniche e aveva trovato il coraggio per
affrontare quel viaggio a ritroso colmo di punti interrogativi forse
più di un ipotetico futuro in un villaggio del tutto nuovo
o,
magari, addirittura in un'altra Contea.
Nonostante la compagnia di suo figlio e il ritmo ipnotico dei passi di
entrambi, mettere totalmente a tacere i pensieri era un'ardua
impresa, tanto più perché ogni passo era un
ricordo e
ogni ricordo la
portava sul solito cerchio che si chiudeva: sembrava quasi che Locksley
non potesse fare a meno di lei, o lei di
Locksley; pareva che, per
quanto tentasse di andare avanti con la propria esistenza, un richiamo
più forte l'attirasse là dove tutto era
cominciato e dove
aveva lasciato qualcosa di irrisolto, in sospeso. Forse, dunque, stava
infine tornando per fare i
conti con il passato, forse stava tornando per provare a
rimettere a posto le cose, ora che l'Inghilterra era di nuovo nelle
mani
del suo Re e a Nottingham non c'era più uno Sceriffo che la
voleva morta. Oppure, forse, stava tornando
perché
era sull'orlo della disperazione e non aveva altra scelta che quella.
Forno del vecchio Tyrik,
Locksley.
Little John stava ancora rimuginando su quanto aveva detto Robin
durante la riunione al Maniero, quel mattino. Non sottovalutare mai
l'avversario era una regola che aveva imparato in fretta fin da
quando era soltanto un ragazzino, perciò non aveva permesso
alla
sua mente di prendere in considerazione che Rudyard fosse una pessima
copia di Vaisey di Nottingham, uno sciocco egocentrico senza arte
né parte, ma fino a quel mattino non aveva
creduto che l'uomo potesse essere uno stratega degno di nota,
considerato
l'errore che aveva commesso lasciando il coltello nella stanza da letto
di Gisborne dopo aver tentato di fargli del male, se non ucciderlo.
John considerava quella manovra un errore da pivelli, uno di quelli che
si commettono quando si è altamente stupidi o molto
inesperti,
eppure, se le intuizioni di Robin si fossero rivelate vere, a
Locksley sarebbe stato necessario tenere gli occhi molto più
che
ben aperti. Da quando quel malfattore aveva messo piede nel suo
villaggio – anche se non era un Lord, Little John considerava
sua
Locksley per il solo fatto che vi aveva lasciato il cuore molti anni
prima – gli sembrava di essere tornato indietro a quando lui
e
gli
altri della banda dovevano guardarsi le spalle perfino dall'aria e dai
raggi del Sole, nel timore che lo Sceriffo e i suoi potessero
arrestarli e farli giustiziare con una scusa qualsiasi, e questa
situazione lo innervosiva e torturava con
pensieri negativi; la sua preoccupazione era
rivolta in
special modo agli abitanti di Nottingham e Locksley – che di
tanto in tanto ancora temevano che un ingiusto esattore delle tasse o
uno Sceriffo dissennato potessero punirli, se il
raccolto non rendeva quanto si era sperato, oppure se la merce non era
perfetta a causa di un qualsivoglia contrattempo; abitanti che, di
tanto in tanto,
portavano ancora istintivamente la mano all'altezza della vita in cerca
di una piccola
ascia o di un coltello, nel caso in cui una guardia o un soldato
avessero provato a far loro del male – nonché,
naturalmente, alla giovane Kaelee.
Se
Rudyard li avesse colti alla sprovvista
e
fosse riuscito a uccidere Gisborne o Kaelee senza che nessuno potesse
opporre la dovuta
resistenza, se anche uno solo dei due avesse perso la vita a causa sua,
John non soltanto ne avrebbe sofferto e non se lo sarebbe mai
perdonato, ma sicuramente avrebbe cercato
vendetta, avrebbe dato la caccia a quell'uomo fino in capo al mondo pur
di ucciderlo con le proprie mani, anche se ciò non gli
avrebbe
restituito i suoi amici, né avrebbe alleviato il suo senso
di
colpa.
Sua paura era anche che Rudyard non si sarebbe limitato a circondarsi
di soli due
uomini, ma ne avrebbe corrotti – John era infatti certo che
appoggiarlo non poteva essere una libera scelta dei singoli –
sempre di più e che
questo, in
qualche modo, avrebbe a lungo andare fatto di lui il nuovo Sceriffo di
Nottingham o qualcuno che vi si avvicinava molto, se nessuno lo avesse
fermato quanto prima.
Non poteva
sopportare che l'ultimo venuto mandasse in frantumi l'armonia di
Locksley e Nottingham, non dopo tutto ciò che lui e gli
altri
fuorilegge avevano fatto per restituire la libertà agli
abitanti dei villaggi e della città: la sola idea che, di
nuovo, bambini innocenti avrebbero visto morire di stenti i loro
genitori e sarebbero stati costretti a vagare in solitudine o ad
alloggiare in qualche orfanotrofio in attesa di morire di fame anche
loro e
pregando ogni istante di non essere adottati da una famiglia bisognosa
esclusivamente di braccia da sfruttare in campagna, lo faceva
infuriare; se non avesse temuto l'ira di Sherwood, avrebbe abbattuto
decine di alberi quel giorno per sfogare la rabbia, invece di provare a
calmare i
nervi impastando.
La sua indole buona, comprensiva e volta all'altruismo, gli impediva di
non prendere a cuore i drammi dei più deboli, a costo di
rischiare la vita per qualcuno che nemmeno conosceva. Non a caso anche
in tempi di pace non mancava mai di far visita a qualche anziano che
viveva in solitudine, ai bambini dell'orfanotrofio, o ai figli di certi
suoi vecchi amici rimasti orfani a causa di Vaisey e che avevano
preferito cavarsela da soli e restare nella loro abitazione; aveva
sempre offerto a tutti il suo aiuto, soltanto per godere della vista di
un sorriso spontaneo e sincero su quei volti stanchi, provati, resi
scarni dalla costante privazione di cibo: non chiedeva nulla in cambio,
neanche prima di essere dichiarato fuorilegge, nemmeno prima di unirsi
alla banda di Robin Hood che, notoriamente, rubava ai ricchi per
sfamare i poveri. Innumerevoli volte, infatti, insieme a Robin, Will,
Allan e Much aveva fermato un facoltoso abate, lo aveva invitato a
pranzo nel bel mezzo di Sherwood e aveva infine chiesto un contributo
per il pasto e l'ospitalità e quando gli ospiti si
offendevano
per il trattamento ricevuto, John si godeva lo spettacolo di Robin che
sosteneva di essere l'oste di quell'accogliente locanda che era la
foresta e, pertanto, esigeva un pagamento in monete tintinnanti che,
puntualmente, saltavano fuori, seppur tra borbottii indignati e dopo un
paio di minacce.
Più di tutti gli altri, John si era fatto in quattro
pur
di distribuire cibo e denaro ai poveri dei villaggi attorno a Locksley,
mettendosi perfino contro Robin in diverse occasioni in
nome
della
propria vocazione, anche se le possibilità di rientrare
indenne
erano minime. Una volta, disobbedendo alle raccomandazioni di Robin, si
era perfino lasciato imbrogliare da Vaisey a causa del
desiderio di fare del bene: era accaduto, infatti, che lo Sceriffo si
fosse ritrovato nel bel mezzo della foresta di Sherwood, in seguito ad
un episodio di sonnambulismo, e che avesse deciso di approfittarne per
riprendersi un documento che gli apparteneva e che era finito nelle
mani dei fuorilegge; si era quindi vestito di stracci, regalando la sua
lucida vestaglia pregiata ad un poveraccio, e finto cieco con
la collaborazione di una povera donna e dei suoi tre figli, i quali
attendevano Robin Hood, o uno dei suoi, per poter mettere qualcosa
sotto
ai denti; ritenendo che quello dovesse proprio essere il suo giorno
fortunato, aveva atteso pazientemente e, al momento opportuno, si era
lasciato soccorrere da un caritatevole Little John, il quale aveva
condotto
la famigliola dritto nel nascondiglio della banda. Essendo quest'ultimo
un luogo segreto per tutti coloro i quali non
appartenevano alla cerchia ristretta di Robin Hood, John aveva avuto
l'accortezza di bendare
la donna e i tre figli, ma aveva ritenuto inutile bendare anche il
vecchio
nonno, dal momento che aveva astutamente dichiarato di essere cieco.
John si era sentito tremendamente in colpa, appena aveva visto con i
suoi occhi che il vecchio cieco altri non era che lo Sceriffo Vaisey,
– al quale, da quel momento in poi, sarebbe bastato riuscire
a
raggiungere il Crocevia di scambio per raggiungere senza
difficoltà il campo dei fuorilegge – per il
rischio che
aveva fatto correre ai
suoi amici; fortunatamente tutto era poi andato per il meglio dal
momento che il tanto agognato Patto di cui Vaisey avrebbe voluto
riappropriarsi gli era stato, infine, nuovamente sottratto prima che i
fuorilegge lo riconducessero, bendato e privo di sensi, a Nottingham.
Tuttavia, lo spavento preso a causa di quell'episodio, non aveva
scoraggiato John, il quale non aveva
smesso di girare di villaggio in villaggio, di Crocevia in Crocevia
a distribuire ortaggi, pane e qualsiasi altro bene a sua disposizione.
Anche quando Locksley e i suoi abitanti
erano tornati ad essere liberi, John aveva continuato ad aiutare gli
anziani e le famiglie con molti bambini, gli infermi e i più
colpiti dagli anni di tirannia, prestandosi a svolgere
piccoli lavoretti per le donne rimaste sole a crescere i figli di
uomini morti a causa dello Sceriffo, rimettendo in piedi
vecchie
abitazioni, aiutando nella gestione di piccoli orti, portando acqua
ogni giorno a
coppie di anziani; tutte le volte che si imbatteva in qualcuno che
aveva
bisogno di aiuto, fosse anche qualcuno proveniente da villaggi vicini,
John non ci pensava due volte ad offrir loro le proprie
braccia senza mai chiedere nulla in cambio.
Ecco perché si era infine affezionato a Gisborne ed ecco
perché era pronto a rischiare la vita per Kaelee.
Tutti, compreso lui, avevano assistito alla sofferenza di Guy e ai suoi
tormenti, dopo
che aveva ancora una volta ucciso un essere umano, sua sorella. Per
quanto ognuno degli uomini di Robin Hood conservasse almeno un ricordo
sgradevole di Gisborne, era palese quanto la morte di Lady Marian e il
tradimento da parte di Isabella lo avessero lentamente mutato nel
profondo, lasciando emergere una parte di lui rimasta ancorata sul
fondo della sua essenza fino a quel momento.
John non gli era davvero stato vicino, lasciando che fossero invece i
fratelli a farlo, ma aveva mitigato gradualmente il ribrezzo che
provava nei confronti di lui fino ad eliminarlo completamente; a quel
punto si fidava ciecamente di Gisborne.
In quanto a Kaelee, la piccola disavventura nella foresta gli aveva
testimoniato quanto la ragazza fosse fedele al gruppo, nell'attimo
stesso in
cui non si era tirata indietro quando era stato necessario venire alle
armi,
e da quel momento in poi l'uomo l'aveva davvero presa a cuore,
rivalutandola sotto ogni aspetto possibile. Fin dall'inizio aveva
provato per lei un immediato senso di protezione a causa della
situazione familiare da cui era sfuggita e i nuovi dettagli che aveva
appreso in seguito alla prima pergamena, recapitata a Robin Hood da
parte di Aric per mezzo di un fidato messaggero, avevano ingigantito
quel sentimento fino indurre John ad assicurarsi più volte
nel
corso
di una giornata che la ragazza stesse bene.
Non
c'era istante, infatti, in cui non si informasse riguardo il benessere
di Kaelee, mai chiedendo direttamente a lei essendo un uomo
sostanzialmente timido nel suo modo di fare chiuso e riservato; il suo
informatore più efficace era Fra Tuck, che conosceva i
più
intimi pensieri di lei, e anche se non era facilmente corrutibile, John
non era intenzionato a smettere di interrogarlo, tanto più
perché non erano i segreti della ragazza al centro
della sua attenzione, perciò il frate non avrebbe infranto
alcuna
regola rivelandogli che un tale giorno lei era turbata per un motivo di
facile intuizione.
Accompagnato da questi pensieri, Little John – uomo di
cinquantaquattro
anni, ormai – depose l'ultimo impasto da lasciar riposare
alla maniera del vecchio Tyrik e si fece carico di
un paio di sacchi, colmi di pane, da distribuire a chi non poteva, per
un
motivo o per un altro, raggiungere con le proprie gambe il forno.
Come di consueto, l'anziano uomo, che per tutta una vita aveva avuto a
che fare con farine, impasti e forme di pane, fu ben contento della
sua collaborazione e lo ringraziò sentitamente.
«Sempre felice
è il mio animo nel vederti arrivare. Sei il benvenuto nei
luoghi
a me più cari, Little John il Benefattore», gli
disse.
Immediatamente, lui avvertì un piacevolissimo calore al
centro
del petto e, come tutte le volte in cui portava a compimento una buona
azione, si sentì appagato, soddisfatto e felice di poter
godere
di quel senso di pace, che troppo spesso credeva perduto insieme alla
donna
che aveva amato e che ancora amava e al figlio che non aveva potuto
crescere e che avrebbe tanto voluto crescere.
Foresta di Sherwood.
Mentre gli uomini della banda adempievano ai rispettivi doveri e
impegni, Robin e Much erano occupati
in un veloce giro di ricognizione appena oltre il limite più
esterno della foresta. Come sempre accadeva quando Robin si avvicinava
a Sherwood, una moltitudine di emozioni e ricordi gli stringeva il
cuore mozzandogli, di tanto in tanto, perfino il respiro se la mente
rievocava il sorriso di Marian avvolta da quella luce dorata, in mezzo
al verde predominante, che soltanto quella foresta sapeva ricreare.
Quindi, un po' per distrarsi e un po' perché sentiva di
doverlo
fare, decise di parlare di Kate
a Much; ormai, infatti, era di pubblico dominio
l'ufficialità
della
loro
relazione – Much aveva chiesto la mano della donna che amava,
la
quale aveva accettato senza indugio e non senza nascondere all'intero
villaggio la sua immensa gioia – sebbene non avessero
ancora avuto modo di dare una bella festa a causa di Rudyard, che di
certo avrebbe colto la palla al balzo, se avesse saputo;
perciò, senza l'occasione di un banchetto e in concomitanza
con
tutti i problemi cui la banda cercava di far fronte in quel periodo,
non c'era
stata circostanza favorevole per i due di scambiarsi qualche parola in
merito, oppure, come Robin aveva iniziato a credere, Much aveva
volutamente evitato l'argomento in sua presenza non trovando il
coraggio di confidare i propri pensieri all'amico di tante avventure.
Lo conosceva molto bene – anche se troppe volte lo
aveva sottovalutato o trattato più come un servo che come un
amico, in passato – e sapeva che, se non aveva fatto parola
con
lui della volontà di sposare Kate, doveva per forza esserci
qualcosa che l'aveva frenato: Much, infatti, non era uno in grado di
contenere le proprie emozioni, essendo molto spontaneo in tutto
ciò che diceva e faceva, quindi a Robin era parso subito
parecchio strano che l'amico non l'avesse coinvolto per domandare
consiglio o anche soltanto per informarlo anticipatamente.
Riflettendoci su, era arrivato alla conclusione che Much si fosse
lasciato intimorire dall'eventualità che potesse
infastidirlo o
ferirlo nel dirgli che intendeva unirsi in matrimonio con Kate, con la
quale lui aveva avuto una breve relazione; Much, infatti, non era
affatto superficiale o sciocco al punto da dire qualcosa nella
consapevolezza di poter fare del male a qualcuno a lui caro.
Dunque toccava a lui mettere a proprio agio l'amico e, volendolo
guardare negli occhi mentre gli parlava, decise di smontare dal proprio
cavallo, invitando Much a fare lo stesso, con la scusa di volersi per
un
attimo godere la quiete della foresta. Non a caso Robin aveva deciso di
trattare l'argomento in quel preciso
frangente: erano soli e in un luogo colmo di ricordi.
Much iniziò a torturarsi coi denti la parte interna della
guancia ancor prima che Robin gli chiedesse di scendere da cavallo.
Qualcosa, nello sguardo dell'arciere, lo aveva indotto a credere che a
breve avrebbe affrontato con lui una questione molto seria. Che volesse
parlargli di Kaelee, visto che Kate era molto amica della ragazza? In
fin dei conti gli aveva rivelato in anteprima quanto era accaduto a
casa di Gisborne, la notte in cui Rudyard lo aveva aggredito,
chiedendogli di non farne parola con Kate per non allarmarla,
perciò si fidava di lui, no? Era stato muto come un pesce
fino
al pomeriggio successivo, quindi non poteva trattarsi di un rimprovero.
E poi perché sorridergli e parlargli della
tranquillità
di Sherwood se voleva fargli una strigliata?
"Much, non pensar troppo e lega bene il cavallo, altrimenti se fugge
dovrai tornare al villaggio a piedi e comprarne uno nuovo, anche se
Gisborne ti offrirebbe uno dei suoi", si ammonì nell'attesa.
«Sono
molto felice per te e Kate. Lei merita un uomo come te»,
gli disse infine l'arciere, prima di esibire quel sorrisetto furbo di
chi stava per dire qualcosa
di vagamente canzonatorio. «E tu una donna come
lei», concluse
senza smettere di sorridergli.
Allora si ritrovò a ridacchiare, sentendosi subito in
imbarazzo per quella
situazione e anche vagamente in colpa per non aver reso Robin il primo
del gruppo ad essere al corrente delle sue intenzioni con Kate, ma la
scelta di escluderlo inizialmente dai suoi programmi era stata
ponderata a lungo, perciò si disse che poteva rilassarsi e
parlargli con calma; così gli
raccontò di come, durante una messa celebrata da Fra Tuck,
gli
fosse balenata quell'idea e di come avesse dapprima preso in
considerazione l'ipotesi di parlarne con lui.
«Voi siete l'unica persona con cui avrei voluto parlarne
prima di
ogni altra, ma non volevo essere irrispettoso nei vostri confronti.
Insomma, voi e Kate siete stati una coppia fino a non molto
tempo fa, anche se io l'amo fin dal primo momento in cui l'ho vista e,
scusatemi se ve lo dico, l'ho notata prima di voi», disse,
scatenando la risata gioiosa dell'amico. «Cos'avete da ridere
così tanto?», chiese allora, sorridendo a sua
volta.
«Nulla amico mio, nulla. Va' avanti e raccontami di come hai
conquistato il sì della bella Kate», rispose
Robin,
appoggiandosi al tronco di un albero, con le braccia incrociate al
petto.
Much parlò, quindi, del turbine di
timori e ansie che lo aveva attanagliato per giorni, che gli erano
sembrati anni, e di tutte le gaffe di cui si era reso protagonista nel
tentativo di dichiararsi alla sua amata, per poi aggiungere che un
ruolo importante in tutta quella faccenda l'aveva avuto Kaelee, alla
quale aveva dato appuntamento alla Collina delle Croci per chiederle
consiglio.
Robin scoppiò di nuovo a ridere dicendogli poi, molto
seriamente, che aveva rischiato grosso
con
Gisborne.
In effetti non aveva pensato a Guy quando si era incontrato con
Kaelee e, ora che Robin lo aveva indotto a riflettere,
avvertì
la paura invaderlo di colpo e sentì che le gambe iniziavano
a
tremargli mentre il battito del suo cuore prendeva un ritmo
velocissimo, quasi come quando correva, al pensiero di quel colosso di
Gisborne che andava a bussare alla sua porta per dargli una bella
lezione sul concetto di proprietà. "Proprietà o
qualcosa
del genere", si disse, incapace di trovare il termine più
adeguato.
«Much, scherzavo. Guy non ti farebbe mai del male, a maggior
ragione perché Kaelee ti vuole bene»,
mormorò Robin
con tono vagamente divertito.
«Lo sapevo», soffiò,
lasciandosi scappare un leggero sorriso, mentre ancora smaltiva la dose
di paura.
Robin rise più forte, portando affettuosamente una mano
sulla sua
spalla per tirarlo a sé e scompigliargli i
capelli, esattamente come un tempo, e suscitando in lui la medesima
contentezza di un tempo.
Tale era la situazione quando i due si imbatterono in una donna e in
un bambino
visibilmente provati, al punto che entrambi gli uomini ebbero
l'istantanea
sensazione di dover
prestare immediato soccorso ai visitatori. Sul volto della donna,
infatti, erano evidenti i segni della stanchezza, così come
gli
zigomi sporgenti erano un chiaro segno di denutrizione, ma non
era tutto perché Much sentì che dallo sguardo
estremamente triste, quasi spento, un profondo dolore era pronto ad
emergere da un momento all'altro. Ciò che lo sconvolse
più di ogni altra cosa, per la netta contrapposizione con le
condizioni della donna, fu, però, il sorriso luminoso di
quel
bambino che sembrava
felice di vedere lui e Robin; non come quando un viaggiatore solitario
che abbia perso la via, incontri per sua fortuna un'anima buona che gli
indichi la strada, ma come qualcuno che si ritrovi dinanzi a dei vecchi
amici. Più Much si soffermava sulle labbra distese di quel
ragazzino, meno gli riusciva di capire cosa stesse accadendo, tanto
più perché la donna non era ancora intervenuta se
non per
trattenere quello che poteva essere suo figlio, oppure un nipote o
molto meno probabilmente un fratello minore, dal gettarsi tra le
braccia dell'arciere. Much non ne aveva la certezza, eppure, osservando
il
modo in cui il ragazzino si protendeva verso Robin, gli
riuscì
semplice credere che il primo volesse un abbraccio dal secondo.
"Che Robin abbia un figlio e non me l'abbia mai rivelato? Ahi, quale
guaio sarebbe! Ma chi mai potrebbe essere la madre, se il mio padrone
ha
sempre amato solo Lady Marian fin quando lei era in vita?", si chiese,
concentrandosi ancora sul piccolo uomo che aveva dinanzi. "I capelli
sono di un colore diverso e gli occhi non hanno nemmeno la
metà
dell'espressività di Robin. No, non è suo
figlio",
decise, perché in verità gli faceva
più comodo
pensare che fosse così. "Un nipote? Ma com'è
possibile se
non ha fratelli?", rifletté. "Oh Santa Vergine, aiutaci! Di
fratelli ne ha due adesso! Non
può essere, non può essere! Gisborne ha un
figlio, questa
è cosa certa! Kaelee
ne morirà, ne morirà! Santa Vergine, abbi
pietà di
tutti noi!", esclamò mentalmente, torcendosi le mani e
aggrottando le sopracciglia in preda all'agitazione. "Aspetta, Much,
ragiona. Non può essere il figlio di Guy, perché
questo
giovanotto è troppo grande, mentre l'altro avrà
si e no
tre anni. Ah, che sollievo! Ma allora chi è? E chi
è la
donna che lo accompagna? Archer mi pare troppo giovane per avere un
figlio di questa età, ma è una testa calda
più di
Robin, perciò... Much, concentrati", continuò
finché decise di cercare
lo sguardo di Robin, per sapere se almeno lui era riuscito a capirci
qualcosa. "Che sia un ammiratore dell'arciere più celebre
d'Inghilterra?", proseguì, ma subito smise di porsi domande
perché Robin teneva lo sguardo fisso sul volto della donna,
ignorando completamente il bambino, – o così gli
parve
– perciò anche lui spostò l'attenzione
verso di lei.
Era
indubbiamente giovane, anche se non giovanissima come lo erano Kate o
Kaelee, aveva i capelli scuri e un paio di
occhi che divennero incredibilmente espressivi quando incontrarono i
suoi, tanto che Much fu costretto ad abbassare lo sguardo mentre Robin
finalmente rompeva il silenzio.
«Io vi conosco», sussurrò
l'arciere, come se avesse avuto una rivelazione improvvisa, con le
sopracciglia aggrottate e il capo lievemente inclinato
in segno di curioso interesse.
La donna rivolse a entrambi un sorriso stanco, distolse lo sguardo e
lasciò che fosse il ragazzino a rispondere per
lei.
«Voi siete Robin Hood! Conoscete mio
padre!», esclamò con entusiasmo.
Vi fu un breve momento di silenzio in cui Much continuò a
torcersi le mani, spostando gli occhi da Robin al bambino e dal bambino
alla donna, per poi ricominciare da capo. Si sentiva come se il ragazzo
avesse parlato in un'altra lingua, tanto quelle parole lo sconvolsero.
"Se Robin conosce suo padre, suo padre deve essere uno del villaggio e
forse uno della banda. Che sia davvero Gisborne? Che ne so io se ha
avuto altri figli oltre quella piccola anima innocente che abbiamo
trovato nella foresta? Ma se fosse imparentato con Gisborne,
perché mostrare tanto entusiasmo per i fuorilegge,
considerata
l'indole di Guy prima di unirsi a noi? Non è suo, no. Che
sia di
Allan? Will? Mio non è di certo", rifletté,
mentre il
dubbio, intanto, si insinuava in lui. "Much, smettila. Sii consapevole
delle tue azioni!", si rimproverò. "Tu non hai mai
ingravidato
una fanciulla e, con ogni probabilità, quando questa
creatura
è nata tu eri in Terra Santa con il tuo padrone. E poi,
Much,
è il caso che tu ammetta a te stesso di non essere mai stato
con
una donna in quel senso, quindi è impossibile che lui sia
tuo
figlio. Ma allora di chi?", si disse prima di essere interrotto
nuovamente
da Robin.
«Vergine Santissima», mormorò l'arciere.
«Siete
venuti fino a qui a piedi e senza sufficiente cibo e acqua?»,
chiese, dando a Much la sensazione che si trattasse di una di quelle
domande definite retoriche, considerate le condizioni dei due
viaggiatori. Poi, come era solito fare, Robin prese lucidamente e
velocemente una decisione che condivise con i presenti.
«Cavalcherete con me fino a Locksley. Vorrei cedervi il mio
cavallo e camminare al vostro fianco, per cortesia e per non mancarvi
di rispetto, ma temo per voi più di quanto mi importi delle
buone maniere, in questo momento», disse, aiutando la donna a
montare sul destriero che gli apparteneva. «Much, aiuta il
piccolo a salire e spingi il tuo cavallo alla massima
velocità
in direzione del Maniero!», esclamò allontanandosi
insieme
alla donna.
Much non era sicuro di ciò che stava accadendo, ma era
riuscito
a farsene
un'idea abbastanza precisa a furia di andare per esclusione; quindi si
issò sull'animale,
tirò su il ragazzino ed eseguì gli ordini di
Robin.
Maniero di Robin, Locksley.
Giunto al Maniero, Robin aveva chiamato a raccolta tutte le persone a
sua disposizione e le aveva incaricate di occuparsi della donna e del
suo bambino, raccomandando che i due ospiti venissero trattati al pari
di una Regina e di un giovane Principe – che venisse quindi
offerta loro acqua calda in cui immergersi e rilassarsi, abiti puliti e
cibo e bevande in abbondanza affinché rimediassero, almeno
in
parte, agli stenti del lungo vagare. Dopodiché
mandò
Archer a cercare Little John per dirgli che la sua presenza al Maniero
era necessaria, ma che poteva raggiungerlo senza dover per forza
abbandonare un'attività o mancare ad un impegno.
Quando aveva chiesto a Much se avesse riconosciuto la donna, lui aveva
annuito, precisando che aveva elaborato moltissime ipotesi mentre
ancora
si trovavano nella foresta ed era infine arrivato proprio alla sua
stessa conclusione; nient'affatto sicuro, però, che Much
facesse sul serio,
aveva preferito fare il nome di entrambi i pellegrini e, nel vedere il
suo amico sgranare gli occhi, comprese che tra tutte le
possibilità, lui aveva scartato quella giusta,
perciò
scoppiò a ridere gioioso prima di invitarlo a raggiungere la
sua
amata, raccomandandosi che non rivelasse a nessuno quanto sapeva,
perché John avrebbe dovuto apprendere da sé
quella
novità.
Trascorsa una buona mezz'ora da quando gli aveva chiesto di recapitare
il messaggio, Robin vide suo fratello tornare di corsa.
«L'ho trovato», annunciò con il fiatone.
«Gli
ho detto di venire qui appena gli è possibile, ma senza
fretta», aggiunse, accettando un bicchiere d'acqua.
«Bene», rispose Robin con un sorriso, felice di
ospitare due vecchie conoscenze.
«Grazie», disse ancora Archer, indicando il
bicchiere
già vuoto. «Mi è sembrato piuttosto
preoccupato, ma
non credo che si precipiterà qui immediatamente»,
concluse.
Robin annuì pensieroso e tornò a rivolgere lo
sguardo
oltre la finestra della stanza. Del tutto inaspettatamente, rivedere
quella donna aveva steso, dietro l'innegabile gioia, un
sottile velo di malinconia, perché indubbiamente era
felice che uno dei suoi migliori amici – nonché
uno tra i
più valorosi uomini che avessero lottato al suo fianco
–
si sarebbe ricongiunto, quel giorno, con una parte della sua vita che
gli era sempre mancata da quando l'aveva perduta, eppure non
poté fare a meno di pensare, egoisticamente, a Marian,
così
lontana da lui, così presente nel suo cuore, e raffrontare
la
situazione di Little John con la propria.
"Indimenticato
amore mio, adorata sposa, un giorno ci ricongiungeremo anche noi, in
quell'altrove
che ci spetta", pensò. "Ho tentato, ho provato ad amare di
nuovo, ad andare avanti, ma è stato un fallimento. Ho illuso
una
brava ragazza, prima di capire che l'unica cosa che dovevo fare era
lasciarla andare. L'ho ferita. Ho sbagliato con lei, come tante volte
ho
sbagliato con Much. Non è comico che proprio lui sia
riuscito a
porre rimedio al mio errore con Kate, salvandomi per l'ennesima
volta?", si disse, immaginando che dalla sua posizione privilegiata,
tra le nuvole e nella luce più intensa, lei potesse sentirlo
anche se non parlava a voce alta, altrimenti avrebbe dovuto riconoscere
di essere impazzito dal momento che molte volte aveva silenziosamente
dialogato con Marian e molte altre l'aveva incontrata in sogno, dopo
aver pensato a lei durante un'intera giornata.
Nonostante fosse trascorso più di un anno, non gli riusciva
di
lasciarla andare davvero; era cosciente del fatto che Marian aveva
abbandonato per sempre quella Terra e la breve vita che le era toccata
in sorte, perciò non nutriva alcuna speranza di riaverla
accanto, – speranza che invece aveva sempre confortato il
cuore
di Little John, ad esempio – ma separarsi da lei non era per
Robin un'opzione
plausibile, con ogni probabilità perché non era
ancora
davvero pronto ad accettare quanto era accaduto all'unico vero amore
della sua vita; quindi, pur
vivendo costantemente sul filo della tristezza – e non gli
piaceva affatto autocommiserarsi, piangersi addosso e cercare l'altrui
compassione, ragion per cui piangeva le sue lacrime in solitudine o in
presenza dei suoi fratelli – non riusciva ancora a guardare
avanti. Come si era appena ripetuto, dopo il rientro in
Inghilterra e la voglia di mollare tutto per lasciarsi andare
rinnegando amici, banda e perfino se stesso, aveva mosso qualche passo
in direzione di un nuovo inizio e in tal senso l'arrivo di Fra Tuck
nella banda si era rivelato molto più che una benedizione,
perché quell'uomo era stato capace di ricordargli con forza
tutti gli ottimi motivi per cui aveva dato vita a quella combriccola di
fuorilegge volta al bene, perciò era da lì che
Robin
aveva ricominciato; poi, tra un'opera di bene e l'altra, erano piombate
nella sua vita Isabella Thornton – sorella di Gisborne e sua
vecchia conoscenza – e Kate di Locksley, due donne molto
diverse
tra loro, ma entrambe attratte da lui. Se avesse potuto tornare
indietro, si sarebbe comportato in maniera del tutto diversa, ma,
accecato com'era dal dolore della perdita, aveva vissuto, con una
superficialità che non gli era mai appartenuta,
l'innamoramento
effimero che l'aveva avvicinato a loro, ferendole entrambe: quando gli
sembrava che il futuro sussurratogli da Isabella in un momento di
estremo pericolo potesse avverarsi, ecco che il volto di Kate e la sua
indole furiosa apparivano dinanzi ai suoi occhi invitandolo a cambiare
idea; e allo stesso modo, quando Kate gli chiedeva di scegliere tra lei
e la banda, ecco che lo sguardo impaurito di Isabella gli si palesava
nella mente, impedendogli di dare a Kate ciò che desiderava;
ma
era nel silenzio delle ore notturne che una figura sovrastava sempre
tutte le altre, ricordandogli chi era, sussurrandogli che Robin Hood
non avrebbe mai mancato di rispetto ad una donna a quel modo.
Robin si ritrovò a sospirare, con Sherwood a colmare il suo
campo visivo, mentre pensava al suo amore
perduto.
"Non sono ancora riuscito a perdonare me stesso, ma qualcuno l'ho
perdonato, sai? Ti ha amata, a suo modo, e adesso
è
felice perché la giovane e determinata Kaelee gli ha
cambiato la
vita
definitivamente. Mi credi se ti dico che sono contento per lui?
È quasi morto tra le mie braccia per salvare Archer,
immagino tu
sappia chi è dal momento che da lassù puoi vedere
il
mondo nella sua interezza. Puoi
perdonarmi se considero fratello il tuo assassino? Se non porto
rancore nei suoi confronti? Dovresti vederlo... O forse no. Poi finisce
che ti innamori di lui e mi dimentichi", pensò, riuscendo ad
essere ironico perfino in un momento
come quello. "Avrei così tante cose da raccontarti! Di
Gisborne,
me ed
Archer; della morte dello Sceriffo e della ricostruzione di Nottingham;
dello splendore di Locksley, ora che è libera dal suo
tiranno...
Crudele è stata con noi la vita, mia adorata Marian",
sospirò.
Si accorse della presenza di Archer soltanto quando quest'ultimo gli
posò una mano sulla spalla, riportandolo definitivamente
alla
realtà.
«Dovresti parlarne con qualcuno»,
sussurrò, intuendo che qualcosa lo tormentava.
"Non ti dimenticherò mai, Marian, ti
terrò con me per sempre", pensò infine.
«Un giorno, forse, se vorrai
ascoltarmi», rispose allungando le dita verso quelle di
suo fratello,
in un muto gesto di gratitudine.
Dopo aver completato il giro per la distribuzione del pane, Little John
era
andato all'orfanotrofio a ridosso del villaggio, per far visita
ai tanti bambini che vivevano lì. Lo spaventoso numero di
ospiti in quella struttura ricordava, a lui e a tutti gli abitanti di
Locksley
e Nottingham, la ferocia di Vaisey e dei suoi uomini, le quasi scontate
conseguenze di un abuso di potere e gli innumerevoli drammi e problemi
cui era necessario far fronte: che fine avrebbero fatto
tutti quei bambini? Chi avrebbe assicurato loro un futuro, una
famiglia, una vita serena? Chi avrebbe impedito che crescessero nella
stessa cattiveria che aveva tolto loro i genitori? Chi avrebbe
alleviato l'odio dei più grandi nei confronti della vita e
di
quelle persone che ancora camminavano liberamente per i villaggi e le
città, impuniti, dopo aver ucciso chissà quante
persone?
Le anime buone che si erano offerte di mandare avanti l'orfanotrofio
facevano del loro meglio per rieducare, istruire e confortare quelle
creature, ma da sole non avrebbero mai potuto sostenere tutte le spese
necessarie per il cibo, gli abiti e tutto l'occorrente, senza contare
che tra gli orfani c'era anche qualche testa calda difficile da tenere
a bada. Per questo e per la sua indole volta al prossimo, Little John
aveva subito abbracciato quella causa, finanziando la struttura come
poteva, aiutato anche dai suoi compagni d'armi, e cercando di prendere
con le buone i più irrequieti, che erano poi anche quelli
che
maggiormente coltivavano un desiderio di vendetta contro chi aveva
assassinato i loro parenti e amici.
A quest'ultimo gruppo apparteneva certamente Gisborne, il quale,
infatti, era in cima alla lista dei più detestati uomini di
Locksley e Nottingham, al punto che il volto di lui affollava gli
incubi di molti ospiti dell'orfanotrofio, tant'è che la
prima
volta che l'uomo
era andato a trovarli, – mosso dalle migliori intenzioni,
spronato da Tuck e accompagnato da Little John –
era stato un completo disastro:
i
bambini si erano messi a strillare e piangere, mentre i più
grandi avevano cercato di scagliarglisi contro, l'avevano ricoperto di
insulti esprimendo il loro odio nei suoi confronti e infine si erano
messi a lanciare piccoli sassi contro la sua figura inerme.
John riteneva che bambini e ragazzi non avessero tutti i torti, dal
momento che l'esecutore materiale di
molti omicidi era stato proprio il vecchio Sir Guy, e credeva che non
si potesse
pretendere che cuori e menti tanto giovani potessero capire dall'oggi
al domani che l'ex
braccio destro dello Sceriffo era cambiato completamente; sarebbe
occorso del
tempo, oltre alla buona volontà di Gisborne – il
quale si
era dichiarato disposto a fare ulteriori tentativi che avevano spinto
John a volergli dare una mano in quell'impresa, visto che i piccoli
ospiti si fidavano ciecamente di lui.
Li adorava quei bambini, senza distinzioni, senza preferenze, e anche
loro gli
volevano molto bene, mostrandosi sempre contenti ed entusiasti nel
vederlo arrivare. Uno
più di tutti gli altri: si trattava di un bambino dai
capelli
rossi, che John aveva salvato a
Nottingham e dal quale poi era stato a sua volta salvato. La donna che
aveva imbrogliato pure lui, sostenendo di togliere dalla strada i tanti
bambini che portava con sé, in verità li nutriva
e teneva
in salute soltanto per poi venderli e ricavarci un mucchio di denaro,
dopo averli usati per raccogliere scommesse su incontri che lei stessa
organizzava e pilotava; quando ne era venuto a conoscenza, John si era
così tanto arrabbiato
che
aveva portato tutti i bambini in quell'orfanotrofio vicino a Locksley,
anche perché la donna era stata poi condannata da Vaisey ad
impiccagione per ragioni che lui non era riuscito ad afferrare, pur
sospettando che quei due in passato avessero fatto comunella in qualche
losco affare; non che gli interessasse, comunque, visto che tutta la
sua attenzione era rivolta ai piccoli innocenti. Andava a trovarli
quasi tutti i giorni e trascorreva con loro almeno un
paio di ore chiacchierando, invitandoli a non litigare tra loro,
osservandoli in cerca delle potenzialità che sicuramente
ognuno di loro custodiva, così da poterli inserire, un
giorno,
nelle attività commerciali di Locksley oppure tra le fila
della
banda di Robin Hood; quando riusciva, portava anche piccoli doni ai
bambini e
del denaro alle donne che si prendevano cura di loro,
perciò, in
sostanza, era un po' come
se li avesse adottati tutti.
John stava tirandosi fuori dal sacchetto che portava alla vita una
graziosa biglia colorata da donare al bambino che gli si era ancorato
alla gamba nell'esatto momento in cui era arrivato, quando il suo
sguardo venne attirato da una figura in movimento, un uomo che stava
correndo nella sua direzione. Prima di
riconoscerlo, pensò
che potesse trattarsi di uno dei ragazzi più grandi che
l'orfanotrofio ospitava, in fuga a causa di chissà quale
nuova
marachella combinata in uno dei villaggi vicini, ma appena si rese
conto che si trattava di Archer, immediatamente si mise sull'attenti.
Quale motivo poteva aver spinto il fratello minore di Robin Hood a
raggiungerlo a piedi e di corsa, anziché a cavallo? Che
avesse
così tanta fretta di comunicargli qualcosa da dimenticare
che un
cavallo avrebbe ridotto notevolmente i tempi? Oppure era stato
aggredito durante una perlustrazione e si era diretto al primo luogo
utile, per mettersi in contatto con gli uomini della banda? Che
c'entrasse Rudyard?
«Archer!», esclamò dunque, rivestendo il
nome di lui
con tutta la preoccupazione che lo pervadeva da capo a piedi.
Quello, accaldato e affannato dopo la corsa, sollevò le mani
mostrando i palmi, come a voler assicurare che non era successo niente
di grave prima ancora di poterlo esprimere a parole, non avendo il
fiato necessario.
«È tutto a posto», asserì
qualche istante più tardi.
Eppure, nonostante Archer aggiunse che era atteso al Maniero, ma non
era niente di urgente e che avrebbe potuto raggiungere Robin quando
più gli veniva comodo, John non si sentì per
nulla
rassicurato da quella visita inattesa e così strana.
Perché Robin aveva mandato Archer e non uno degli allievi di
tiro con l'arco? Oppure, perché non era lui stesso andato
all'orfanotrofio visto che i bambini erano sempre contentissimi di
rivedere il loro eroe con arco e frecce?
«Non c'è alcuna fretta, John, dico davvero. So
quanto
tieni al tempo che trascorri qui, quindi ora torno al Maniero,
riferisco a Robin che ti ho trovato e poi tu vieni quando sei
libero», mormorò Archer poggiandogli una mano
sulla spalla
e stringendola in una presa leggera, accompagnata da un sorriso
comprensivo.
Non era un mistero per nessuno, infatti, che se aveva preso a cuore
tutti quei bambini era anche perché gli mancava suo figlio.
Sebbene Archer non fosse ancora parte della banda di Robin Hood quando
Little John aveva finalmente potuto conoscere il figlio che Alice aveva
partorito in sua assenza, – in quanto era già
stato
dichiarato fuorilegge e si era dato per morto affinché sua
moglie non rischiasse la vita cercandolo nella foresta –
conosceva bene la quella storia, perché gliel'aveva
raccontata
lui stesso su consiglio di Tuck.
In effetti, ora che John ci pensava, c'era spesso lo zampino di Tuck
nelle questioni intime e personali di ogni componente della banda: con
il suo essere gentile e spontaneo, quel frate stava rimettendo in sesto
tutti quanti; infatti, dopo aver condiviso le angosce e i
tormenti, in merito a suo figlio e a sua moglie, con una persona che ne
era completamente all'oscuro, John si era subito sentito più
leggero e aveva trovato in Archer un ottimo e comprensivo
ascoltatore.
Così, non senza aver
dedicato attenzioni ad ognuno dei presenti, seppur più
velocemente di quanto avesse programmato per quel giorno, John
lasciò
l'orfanotrofio prima del tempo e piuttosto in fretta nonostante le
raccomandazioni di Archer. Più correva verso il Maniero,
più si convinceva che dovesse
obbligatoriamente essere
accaduto qualcosa, altrimenti perché richiedere la sua
presenza senza fornire ulteriori dettagli?
"Se si tratta di Rudyard, giuro che gliele darò di santa
ragione", si disse. "Se ha provato a torcere anche solo un capello a
Kaelee, mi assicurerò personalmente che ne paghi le
conseguenze", decise, intravedendo già la meta.
Gli ospiti di Robin e Archer, dopo aver riposato le membra grazie ad un
profumato bagno caldo, erano seduti al tavolo, nella Sala Grande del
Maniero, e mentre il bambino
mangiava con gusto e appetito della frutta fresca e secca, la donna
spiegava che la voce che lo Sceriffo era morto, che Re
Riccardo era tornato e che tutti i villaggi, anche quelli
più
vicini a Nottingham, – sede di Vaisey e delle sue
scelleratezze – erano
finalmente liberi da ogni angheria, si era
diffusa in fretta e questo le aveva dato infine il coraggio di mettersi
in cammino verso il suo villaggio d'origine.
«Ho
pensato che, stando così le cose, Locksley potrebbe essere
davvero il posto giusto per
noi adesso. Per lui, soprattutto», mormorò la
donna
guardando il
proprio figlio, senza nascondere il velo di tristezza e manifestando
anche la preoccupazione che l'attanagliava fin da quando si era messa
in viaggio. Chi le assicurava che sarebbe stata accolta, dopo quanto
era accaduto? Dopo ciò che aveva detto all'uomo che aveva
amato
e che era il padre di suo figlio?
Robin annuì, sorridendole comprensivo.
«Avresti fatto meglio a venire subito
qui», la rimproverò affettuosamente.
«È arrivato!», si intromise Archer,
– che teneva
d'occhio la strada da una delle finestre, in attesa –
interrompendo la conversazione.
Vi fu un momento di completo silenzio in cui la donna poté
sentire esclusivamente il proprio cuore rimbombarle forte nelle
orecchie e martellarle violento contro il petto; dovette stringere le
mani l'una nell'altra per bloccarne il tremore causato dall'ansia,
mentre fissava lo sguardo su Robin, il quale posò una mano
sulle
sue e le sorrise ancora una volta.
«Vado ad accoglierlo», mormorò per poi
sparire dalla sua vista.
La donna si rese subito conto che la stanza in cui si trovava con suo
figlio e Archer non era così lontana dall'ingresso,
perciò tese le orecchie, ansiosa di sentire di nuovo, dopo
tanto
tempo, la voce che le aveva parlato in sogno di tanto in tanto.
Quando Robin comparve sull'ingresso, vide Little John sostenersi alla
parete esterna del Maniero, per riprendere fiato.
«Cosa non ti era chiaro di "fai con
calma"?», gli chiese, in un rimprovero colmo d'affetto,
virgolettando l'espressione con un gesto delle dita.
In cambio ricevette un'occhiataccia da parte del suo burbero amico, il
quale, qualche istante più tardi, gli rivolse la domanda cui
più di ogni altra cercava risposta.
«Cos'è successo?», chiese, senza perdere
tempo,
mentre ancora lottava per lasciar entrare quanta più aria
possibile nei polmoni.
Robin alzò gli occhi al cielo e sorrise divertito
dall'atteggiamento, tra il preoccupato e l'irritato, tenuto con
fierezza da John. Una delle caratteristiche che lo avevano sempre
salvato da quel tipo di
profondissima tristezza che, in certi casi estremi, portava perfino al
suicidio, era
il suo saper essere felice per gli altri pur non essendolo lui stesso
nella sua piccola realtà personale. Che Robin soffrisse per
la morte di Lady Marian era chiaro a tutti, – e nessuno osava
pensare il contrario, dandogli implicitamente del superficiale, come
nessuno credeva che fosse un dolore destinato a sparire in poco tempo
–
ma non per questo si poteva
dire che invidiasse i
suoi amici i quali, a differenza sua, avevano un amore da vivere, da
costruire e in cui sperare; anzi, nello scorgere serenità
negli
occhi dei suoi amici, trovava un'ottima ragione per andare avanti.
«La tua domanda mi conferma che Archer mi è
sinceramente
fedele», mormorò allegro, prendendo tempo,
perché
era necessario che Little John fosse perfettamente lucido
affinché la novità non lo sconvolgesse al punto
da fargli
perdere i sensi.
«Avresti dovuto imparare da tempo, ormai, la differenza tra
un
momento buono per far battute di spirito ed un pessimo momento per far
la stessa cosa», borbottò John.
«E tu, invece, avresti dovuto imparare da tempo, ormai, che
puoi
essere serio con leggerezza», ribatté Robin.
«Archer
ti ha forse detto che è accaduto qualcosa di
grave?».
«No», fece John con tono deciso. «Non
escludo che tu lo avrai minacciato per mentirmi,
però».
«Amico! Lasciami dire che sei parecchio ingiusto quest'oggi.
Ho
mai minacciato un compagno d'armi? Ho mai mentito su questioni
importanti?», rispose, senza perdere il sorriso.
«Minacciato e mentito no, ma ordinato di star in questo o in
quel
posto sì», lo provocò John, incrociando
le braccia
al petto ampio.
Robin assunse volutamente un'aria pensierosa. «Qualcuno deve
pur
prendere le decisioni scomode», affermò poi,
scoppiando a
ridere.
«Ah, Robin!», ringhiò quasi, irritato.
«Rilassati John! Riprendi fiato, perché non
c'è fretta!».
«Non fate che ripetermelo, tu e Archer, eppure mi hai mandato
a
chiamare! E se ho fiato per parlare con una zucca vuota come te, allora
ne ho anche per entrare nel Maniero».
A quel punto Robin sospirò e scosse il capo, ancora una
volta
divertito dalla situazione. Non voleva farsi beffe di John, solo il
modo burbero in cui sempre l'uomo si poneva e l'atteggiamento da
guerriero con cui affontava ogni situazione, lo rallegravano quando non
c'era ragione di sentirsi in pericolo.
«La ragazza», continuò Little John,
rivolgendogli uno sguardo sottile, affilato.
Robin sbuffò. «Kaelee sta bene!»,
esclamò.
«Stiamo tutti bene, quindi smettila di preoccuparti per
niente.
Ti ho mandato a chiamare, è vero, e una ragione
c'è, ma
non deve essere per forza una tragedia! Fai un bel respiro, rilassati e
seguimi», disse tutto d'un fiato, ma non si mosse
finché
non vide lo sguardo di John ammorbidirsi.
«Non potresti almeno dirmi...», fece, ma non
riuscì a finire.
«No! Devi vedere con i tuoi occhi», lo
zittì Robin facendogli strada.
La voce cavernosa di John le aveva smosso subito qualcosa nel cuore o
lì, nei dintorni, dove si diceva risiedesse il centro dei
sentimenti e delle emozioni umane, quasi che non fosse trascorsa che
una manciata di minuti da quando lo aveva sposato, molti anni prima.
Come per opera di un magico artifizio, la donna sentì
crescere
l'ansia man mano che il tempo passava e i passi dei due uomini si
avvicinavano alla sala; non riusciva a smettere di guardare quella
porta spalancata da cui, da un momento all'altro, sarebbe apparso colui
il quale avrebbe risolto l'enigma di un'intera vita, che avrebbe
sciolto i nodi delle molteplici eventualità che l'avevano
ricondotta a Locklsey, che le avrebbe chiarito se l'averlo creduto
morto, l'aver cresciuto da sola il loro bambino, l'essersi trasferita
altrove con il piccolo e con un altro uomo, fossero piccole tappe
necessarie a completare un disegno più grande e giusto che
contemplava serenità per tutti e tre. Ci sperava e lo faceva
con
tutta se stessa, mentre suo figlio tradiva impazienza dallo sguardo
sveglio, vispo, pur sembrando a proprio agio in quel contesto. Era
felice per lui, perché dopo diversi giorni di stenti era
riuscita, finalmente, a far sì che mangiasse come il fisico
di
un ragazzino della sua età richiedeva.
Da quando Archer aveva annunciato l'arrivo di Little John, lei
aveva dovuto intimare il silenzio a suo figlio, il quale aveva subito
cominciato a rivolgere una serie infinita di domande sia a lei che al
giovane uomo che era il fratello di Robin Hood.
"Non ricordavo ne avesse uno", pensò, osservandolo e
trattenendo ancora la vivacità di suo figlio.
«Non una parola», sussurrò pianissimo,
in un ultimo ammonimento, sentendo i passi farsi più vicini.
Alle orecchie della donna arrivò anche un borbottio
incomprensibile, insieme ai tonfi che ne annunciavano l'arrivo, e non
poté fare a meno di sorriderne nonostante l'ansia che la
pervadeva da capo a piedi. Smise di respirare appena la figura
imponente di Little John si stagliò sull'ingresso, appena
oltre
la soglia, seguita da una più piccola che certamente
apparteneva
a Robin Hood, anche se lei non vi si soffermò, concentrata
invece interamente sull'uomo che aveva sempre albergato nel suo cuore.
Con lo sguardo fisso su di lui, notò lo stupore in ogni
tratto del suo volto, in ogni muscolo contratto per
la tensione del momento, sostituirsi all'espressione burbera che doveva
averlo accompagnato fin lì;
riconobbe incredulità
negli occhi scuri e familiari che, da guardinghi quali sempre
erano, si colmarono infine di
un'immensa tenerezza e se riprese a respirare fu soltanto
perché, altrimenti, non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo
da
riconciliarsi con lui.
«Alice», mormorò,
riconoscendola all'istante. Non avrebbe mai potuto avere alcun dubbio
in merito; quello sguardo sempre attento, perfino nei momenti di grande
dolcezza, non aveva eguali per intensità e bellezza,
apparteneva
a lei soltanto. Semplicemente guardandola, ebbe conferma di non averla
mai dimenticata, nemmeno un
pizzico, perché il suo cuore stava battendo con una furia
tale
da non contemplare che il sentimento nei riguardi di lei fosse andato
scemando negli anni: il tempo non aveva avuto alcun effetto su
quell'amore e nemmeno sulla bellezza di lei, che appariva meravigliosa
nonostante le leggere occhiaie di stanchezza sotto lo sguardo
emozionato.
"Lo è davvero? È contenta di vedermi?", si
domandò
John, rammentando il giorno in cui l'aveva guardata, suo malgrado,
partire verso un nuovo futuro in compagnia di un uomo che non era lui;
così come aveva conservato integro il ricordo del volto di
lei, non aveva dimenticato la durezza e l'ostilità con cui
Alice gli si era rivolto quando si erano incontrati nelle prigioni del
Castello e non sapeva, quindi, come interpretare la sua presenza al
Maniero.
Poi una testolina curiosa fece capolino da
dietro la donna che amava alla follia e non poté non cedere
a
lacrime di gioia.
«Little Little John», aggiunse, con un
filo di
voce.
In un attimo la sua intera vita si era ribaltata e tutta la sofferenza
della
separazione dalla famiglia che non era mai riuscito ad avere per
davvero, si era come allontanata da lui per magia: aveva davanti a
sé la donna con la quale desiderava vivere, invecchiare,
morire,
ed il bambino che era suo figlio e che amava così tanto. Che
altro avrebbe potuto chiedere alla vita?
Per tutta risposta, il piccolo Little John mostrò una
medaglietta, precedentemente custodita sotto gli abiti che
indossava, che
John non faticò a riconoscere dal momento che era stato lui
a
donargliela, al momento della partenza.
«L'ho conservata»,
disse con il tono trionfante di chi era certo di aver compiuto
una grande impresa, di chi sapeva di non aver deluso le
aspettative dei propri cari. «Non l'ho mai tolta da quando me
l'avete donata, nemmeno di notte e neanche per fare il
bagno!»,
esclamò allegro, ma anche con serietà nel tono.
«E mai lo farò. Sono orgoglioso di
portare al collo la piastrina di fuorilegge appartenente al grande
Little John, mio padre, naturalmente; e portandola conservo vivo il
ricordo dell'uomo che insieme a mia madre mi ha dato la vita e me l'ha
poi anche salvata», concluse, dando a John la sensazione che
quel
ragazzetto fosse già più uomo che bambino.
Poi lo vide gettarsi tra le sue braccia e lo
sollevò da terra come fosse una piuma, stringendoselo al
petto come non aveva mai potuto fare. Era consapevole che quel bambino
aveva avuto ben poche occasioni
di conoscerlo, essendo nato e cresciuto esclusivamente con sua madre,
prima che lei si affidasse ad un altro uomo che aveva imparato ad amare
e che certamente l'amava, – altrimenti John si sarebbe
opposto
con tutte le sue forze alla partenza – eppure sentiva che
Little
Little John provava per lui un affetto incondizionato, che
prescindeva da come erano andate le cose. Oppure era soltanto una sua
fantasia, una sua speranza? Ma poteva quel calore provenire da lui
soltanto?
Lo trattenne ancora per un po', incapace di separarsene, nel timore di
essersi addormentato da qualche parte e che stesse solo sognando.
«Ho molte cose da dirti», intervenne infine Alice,
con delicatezza e interrompendo solo momentaneamente l'incantesimo, con
l'accenno di un
sorriso sulle belle labbra.
John scosse il capo e si avvicinò a lei, lasciando libero
suo
figlio, le prese le mani e la guardò negli occhi.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo,
Alice», le rispose, invitandola tra le proprie braccia.
Anche il piccolo John volle di nuovo aggiungersi, così gli
scompigiò
i capelli mentre baciava quelli della sua amata, accogliendolo ben
volentieri e godendosi l'incommensurabile calore dell'amore.
Robin ed Archer, a quel punto, uscirono silenziosamente dalla stanza.
Il tempo parve fermarsi in quell'abbraccio e nessuno dei tre, temendo
ognuno che fosse
tutto
un sogno destinato a dissolversi con le prime luci dell'alba,
riuscì a muoversi di un millimetro, non
trovando neanche un briciolo del
coraggio che sarebbe occorso per scostarsi da uno dei familiari; ragion
per cui trascorsero
diversi minuti prima che i componenti della famiglia Little –
cognome che aveva sempre suscitato il riso di chiunque, considerata la
mole di John, il quale era appunto chiamato per scherzo Little
John, anziché John Little – tornassero alla
realtà, al Maniero e a tutto
ciò di cui era necessario parlare.
Più di tutti, la voglia di chiacchierare si era impossessata
del
piccolo John, il quale voleva assolutamente raccontare tutto e subito a
suo padre, senza mettere ordine ai pensieri e senza, quindi,
preoccuparsi dell'incomprensibilità della sua narrazione. Il
ragazzino, per attirare l'attenzione su di sé, dato che i
coniugi non facevano altro che guardarsi come se non si fossero mai
visti prima di quel momento, dava dei leggeri strattoni alla casacca di
suo padre che infine, bonariamente esasperato da quell'atteggiamento,
lo investì con la sua risata tonante e gli strinse
delicatamente
la spalla, lasciando intendere che aveva priorità assoluta e
che, finalmente, poteva dar sfogo alla sua esuberanza.
Alice, però, che pure gli sorrideva amorevolmente, lo
anticipò.
«Ci lasceresti soli per un po'?», chiese, con voce
carica
di una tale tenerezza che fu impossibile per il piccolo John protestare
degnamente, come avrebbe voluto e nonostante desiderasse restare in
compagnia di entrambi i genitori più di qualsiasi altra cosa
al
mondo.
«Ma io...», tentò ugualmente, con
l'intento di
intenerire almeno suo padre – consapevole di quanto la madre
sapesse
essere ferma nelle sue posizioni – nella convinzione che
rivolgergli uno
sguardo smielato sarebbe andato a proprio vantaggio. Invece sua madre
lo ammonì senza rivolgergli neanche una parola, con la sola
inclinazione del capo ed un'occhiata moderatamente severa,
così
fu costretto a cedere il passo ad un'espressione imbronciata, seguita
da un sommesso sbuffare e dalla conseguente rinuncia a qualunque altro
tentativo di corrompere il genitore. «E va bene! Vado a
cercare
Robin e
Archer», disse, sconsolato e mogio.
«Grazie», mormorò sua madre
baciandogli la fronte.
Guardò per qualche
secondo ancora suo padre e poi corse via, come sua madre gli aveva
chiesto di
fare, sotto gli occhi attenti di John e Alice.
Rimasti soli, i due restarono per diversi minuti in silenzio a
guardarsi, con la stessa disperata intensità di chi sapeva
di star
riempiendo la propria mente con quello che sarebbe stato il suo ultimo
ricordo terreno. Non si vedevano da così tanto tempo che
soffermarsi
su ogni singolo dettaglio dell'altro era quasi di vitale importanza,
quasi come prendere una lunghissima boccata d'aria dopo un'immersione
forzata o una fuga senza speranza da un nemico troppo grande per essere
sconfitto. Faceva quasi male tanto era grande la potenza delle emozioni
che entrambi provavano.
Non mancava, comunque, un accenno di imbarazzo in quel ritrovarsi,
nonostante
fossero stati molto intimi in passato; c'era quella tipica paura dei
primi approcci, il timore che una
carezza troppo avventata avrebbe fatto fuggire l'altro, il terrore che
una parola detta
nel momento sbagliato avrebbe determinato il destino di entrambi, per
sempre. Occhi negli occhi, nessuno dei due sapeva quindi bene da dove
iniziare,
l'uno perso nelle proprie domande e l'altra immersa nei propri segreti,
entrambi desiderosi di condividere lo stato d'animo in cui si trovavano.
«Cos'è successo?», domandò
John, infine, per la seconda volta in
quella giornata, facendosi coraggio.
Alice inspirò profondamente, socchiudendo brevemente gli
occhi, consapevole che il
momento della verità era arrivato e che per portare a
termine
ciò che aveva iniziato intraprendendo quel viaggio di
ritorno a
Locklsey, avrebbe dovuto confidarsi con John. In virtù di
questo aveva preferito che Little Little John non assistesse
all'imminente conversazione.
In lei albergavano in pari misura il dolore di una perdita e la gioia
di una ricongiunzione, sentimenti difficili da tenere a bada, specie in
quel frangente; eppure riteneva che non fosse ancora il momento per
lasciarsi sopraffare da emozioni e sentimenti, in quanto nulla c'era
ancora di certo in tutta la situazione:
anche se
John era visibilmente e innegabilmente contento di rivedere lei e il
loro bambino, infatti, sarebbe stato sciocco da parte sua dare per
scontato che li rivolesse anche nella sua esistenza e
quotidianità. Per quel che ne
sapeva, come lei aveva provato a rifarsi una vita con Luke, la
stessa cosa poteva essere accaduta a John, il quale, quindi, forse
viveva con una bella donna di Locksley o Nottingham che gli avrebbe
dato un figlio a breve. Resasi conto di aver corso troppo con la
fantasia, cercò di riaversi – tanto più
perché John attendeva una risposta – facendo un
tuffo nei
ricordi fino al giorno in cui aveva scoperto che l'uomo che aveva
così tanto amato e pianto era ancora vivo ed era un
fuorilegge.
La menzogna in cui aveva vissuto e in cui aveva cresciuto il loro
bambino, che per così tanto tempo aveva atteso il ritorno di
suo
padre, le aveva fatto provare rabbia nei confronti di John anche dopo
che aveva saputo il reale motivo per cui aveva lasciato che lei lo
credesse morto: un marito e un padre fuorilegge sarebbero stati un
pericolo per lei e per il piccolo John, tale che avrebbero rischiato la
reclusione, la tortura e l'impiccagione qualora non avessero fornito
informazioni sul fuggitivo – e dal momento che il piccolo
John,
all'epoca dei fatti, era soltanto un neonato, sarebbe stato gettato
senza pietà in un fosso o annegato in qualche corso d'acqua.
Solo in un
secondo momento, quando con calma aveva rivissuto gli eventi, lontana
da Locksley e in compagnia dell'uomo che si sarebbe preso cura di lei e
del piccolo John, aveva compreso che John non aveva fatto altro che
proteggere la sua famiglia, sacrificando se stesso, e un altro
sentimento si era fatto strada nel suo
cuore: il sollievo. Sapere che Little John era vivo l'aveva rasserenata
e condotta verso un'ulteriore conclusione.
La consapevolezza di non poter vivere un'esistenza nella foresta di
Sherwood
insieme a dei fuorilegge, con la costante paura che il suo bambino
venisse preso dagli uomini dello Sceriffo e giustiziato, –
come era quasi
accaduto quando il piccolo era stato imprigionato insieme al padre
adottivo e poi a lei, che aveva invano tentato di salvarlo –
con la certezza di non essere pronta per far fronte alla
costante esigenza di spostarsi, difendersi e combattere per salvarsi la
pelle, la
rattristava moltissimo, ma l'amore incondizionato per il piccolo John e
la volontà che egli potesse vivere una vita lunga e migliore
della propria, l'aveva resa determinata
nella sua scelta di lasciare per sempre l'uomo che aveva amato
più di ogni altro e il
villaggio in cui era nata e a cui era legata, permettendole perfino di
essere felice per un po' di tempo, prima che, di
nuovo, la vita le imponesse un'infausta realtà che era poi
il fulcro del suo rientro a Locksley.
Quando riaprì gli occhi e incontrò lo sguardo
dell'uomo
che ancora considerava suo marito, era trascorsa non più di
quella manciata di secondi necessari a trovare le parole più
adatte da rivolgergli.
«Siamo rimasti soli, io e il piccolo
John», esordì, raccontando senza preamboli la fine
della storia,
prima di immergervisi.
Partì da lontano, mettendo John a conoscenza di quanto non
fosse stato facile
iniziare da zero in un nuovo villaggio e lì ambientarsi,
crearsi un proprio spazio, crescere un bambino che non parlava d'altro
che del
suo vero padre e del bene che faceva nella foresta di Sherwood.
«Ripeteva
sempre "Se non fosse stato per lui, saremmo morti da un pezzo" e
stringeva tra le dita la tua medaglietta di affiliato alla banda di
fuorilegge di Robin Hood, sognando di farne parte a sua
volta», disse, sorridendo appena.
Dal momento che la narrazione avrebbe richiesto tempi molto lunghi, si
sedettero l'uno di fronte all'altra, ma non abbastanza lontani
da impedire alle dita di John di raggiungere le sue per un leggero, ma
significativo, contatto.
Sebbene molto attento al racconto di Alice, John iniziò a
ricordare tutti i momenti in cui aveva percepito con più
forza
l'assenza della donna che amava e del bambino che avevano avuto; tra
gli altri, rammentò un episodio in particolare che un
giorno, forse, avrebbe condiviso con i suoi familiari: era il giorno
del compleanno di Robin, era il 1193, l'anno
in cui Lady Marian morì, e Much si era messo in testa di
organizzare una festa a sorpresa per il suo padrone, capo e amico,
così – nonostante fossero tutti ricercati dallo
Sceriffo e
dai suoi uomini – l'uomo aveva invitato tutti in un capanno
fuori
da Sherwood, in un villaggio che non era Locksley e che non era
neanche troppo vicino a Nottingham; certamente Much aveva agito in
buona fede, ma a loro insaputa qualcuno aveva fatto la spia e avvisato
lo Sceriffo, il quale aveva mandato dei mercenari a uccidere i
membri della banda presenti alla festicciola; avevano tutti creduto di
essere a pochi passi dalla morte e, per questo motivo, Djaq la Saracena
aveva invitato i suoi compagni d'armi a rispettare una sua usanza che
consisteva nel
confidare in totale libertà i propri pensieri e segreti,
prima di lasciare la vita terrena; in quel frangente, mentre Djaq e
Luke Scarlett si erano dichiarati amore a vicenda,
John aveva perso totalmente il controllo ed espresso ad alta voce il
desiderio di morire accanto alla sua
amata Alice, di averla con sé e poterla amare
come meritava, aveva pianto come un bambino, perché sarebbe
morto senza di
lei e aveva avuto conferma che quella donna non aveva mai smesso di
mancargli.
Alice proseguì parlandogli di come l'artigianato aveva
permesso loro di vivere una vita serena, sebbene anche nel nuovo
villaggio le
tasse da versare allo Sceriffo si facevano sentire non poco, e di come
pure il
piccolo John aveva infine accettato la situazione ed era diventato il
primo aiutante del suo padre acquisito.
«Con la mente, però, era sempre rivolto a Locksley
e
Sherwood e al ruolo che ti competeva nei panni di fuorilegge.
Raccontava senza filtri ciò che gli passava per la testa e,
sulle prime, questo ha costituito un problema per entrambi in quanto
non eravamo ben visti a causa del nostro passato»,
mormorò
scuotendo il capo e abbassando lo sguardo prima di proseguire con il
racconto di
quando, giocando con altri bambini, il piccolo John aveva dichiarato di
essere il valoroso fuorilegge Little John, che combatteva per
il
bene
al fianco di Robin Hood.
«Con fatica e sacrifici siamo riusciti a costruirci una
piccola
abitazione, di poche stanze e con poche
finestre, ma di tutto rispetto per una piccola famiglia composta di tre
membri. Per contribuire all'economia, mi sono inventata un mestiere
attraverso cui mi è stato possibile guadagnare qualche
preziosa
moneta», continuò, precisando che cuciva abiti
molto
semplici per gli abitanti del
villaggio, soprattutto per i bambini dal momento che aveva fatto molta
pratica con il piccolo John negli anni, dovendosi adattare ad
allargare, modificare e rattoppare gli indumenti che già
possedeva, al fine di risparmiare e potersi nutrire degnamente.
«Mi piaceva, mi ha consentito di socializzare con gli
abitanti e
farmi qualche amica. Ma poi tutto è andato
storto»,
aggiunse, rattristata al pensiero di ciò che era accaduto.
«Una mattina ero
uscita molto presto per comprare del pane e portarlo a casa ancora
caldo, per la colazione, lasciando il piccolo John ancora addormentato
nel suo letto, nella consapevolezza che Luke l'avrebbe svegliato,
ignara che di lì a poco l'intera situazione sarebbe
precipitata.
Quando ho fatto ritorno, il silenzio regnava ancora nella nostra
abitazione e mi sono subito accorta che qualcosa non andava,
perciò mi sono precipitata nella stanza di John e,
rincuorata
nel vederlo esattamente dove l'avevo lasciato, sono corsa da Luke
scoprendo che non stava affatto bene. Ho dato la colpa al freddo e l'ho
curato personalmente, senza interpellare un medico, ma il giorno
successivo le sue condizioni non hanno fatto altro che peggiorare e ho
dovuto consultare il dottore del villaggio, il quale non mi ha dato
alcuna speranza. Pochi giorni più tardi lui se
n'è
andato»,
raccontò, sforzandosi di non crollare proprio davanti a suo
marito. John avrebbe compreso che, sebbene non avesse mai smesso di
amare lui, si era inevitabilmente affezionata anche a Luke, il quale
con amore si era preso cura di lei e del piccolo? Non ne
aveva idea, ma sperava che con il tempo avrebbe compreso, l'avrebbe
perdonata o almeno non l'avrebbe
odiata. «È
stato quattro mesi fa», sussurrò.
«Alice», mormorò subito Little
John, stringendole le dita e con voce meno profonda del solito,
commossa forse dal racconto appena ascoltato.
«Perché tu e
Little Little John non mi avete
raggiunto
subito?», chiese.
Alice sospirò. Non le parve un rimprovero la domanda di
John,
anzi, le sembrò che li avrebbe accolti volentieri se si
fossero
presentati immediatamente a Locksley, e se davvero era così,
si
sarebbe presto sentita la donna più felice del mondo.
«Non è stato facile prendere la
decisione di mollare tutto, di nuovo, e partire. Nostro figlio ha
sempre avuto la ferma convinzione che non avresti cacciato
né
lui, né me se ci fossimo presentati alla tua porta e mi ha
così tante volte e con così tanto entusiasmo
riempito la
testa con Locksley e Sherwood, che venire qui e vederlo sorridere alla
sola idea mi è sembrata la cosa più opportuna da
fare,
sebbene non avessi alcuna certezza», proseguì
fermando poi
Little John con un cenno della mano, quando tentò di
intervenire. «Ho venduto la casa, la piccola area di lavoro
annessa, – che Luke aveva tirato su per le sue botti
– le stoffe che mi erano rimaste e anche i cavalli pur di
mettere
da parte qualcosa e poter ricominciare altrove nel caso in cui qui a
Locksley fosse andata male. Ecco perché Robin ci ha trovati
che
vagavamo a piedi per la foresta», concluse.
Little John si alzò in piedi, con un'espressione
indecifrabile
dipinta sul viso, e lei, istintivamente, lo
imitò; il cuore le batteva forte nel petto, mentre
constatava
che quello era il momento in cui il suo futuro avrebbe preso una nuova,
precisa, direzione che contemplava la permanenza a Locksley e dintorni
oppure una definitiva partenza, lontana dalle zone che avevano dato i
natali
sia a lei che a suo figlio, e tra l'istante in cui John aveva fissato
lo sguardo nel suo e quello in cui la strinse forte in un abbraccio le
parve
fosse trascorsa un'eternità.
«La mia casa è anche vostra. Il mio
denaro è vostro», mormorò l'uomo tra i
suoi capelli. «Non
ho mai smesso di amarti, Alice, mai. Ho sperato che tu riapparissi
prima o poi, ho immaginato me stesso al termine della mia vita,
infelice perché non avrei potuto dirti addio. Tutte le volte
che ho rischiato di morire, combattendo la mia causa, ho pensato che
avrei
lasciato questo mondo con il rimpianto di non aver mai vissuto in pace
con la mia famiglia, perché tu e John siete sempre stati
quanto di più caro io
abbia mai avuto e, se deciderete di restare, farò tutto
quanto
è in mio potere per rendervi felici».
Alice, che conosceva bene Little John, sapeva quanto fosse difficile
per lui esprimere
i
propri sentimenti a parole, apertamente, e comprendeva senza
difficoltà quanto profondi dovevano essere i suoi sentimenti
per
lei e il piccolo John se era disposto ad aprire così il
proprio
cuore; perciò si lasciò andare completamente in
quella
stretta, ricambiandola con tutto l'amore che nutriva per lui e
sperando che da quel punto in avanti le cose sarebbero andate meglio
per tutti.
Diversi secondi più tardi, l'abbraccio fu sciolto e Alice
incontrò di nuovo gli occhi espressivi dell'uomo.
«Vorresti ricominciare qui a Locksley? Con
me?», domandò, emozionato.
Gli sorrise, commossa per le parole che le aveva rivolto e felice per
la domanda appena formulata.
«Sì», disse semplicemente, finendo di
nuovo tra le
braccia di lui, che tirò un immenso sospiro di sollievo.
«Dio, ti ringrazio perché mi hai dato
una
seconda opportunità, perché ho finalmente modo di
apprezzare come merita questo dono che è la vita»,
sussurrò.
Entrambi con il cuore gonfio di gioia, scambiandosi sorrisi e sguardi
innamorati, uscirono insieme, tenendosi per mano, per cercare il loro
bambino e ascoltare
tutte le storie che il piccolo non vedeva l'ora di condividere.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 03/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Ormai avrete capito che, se mi sono permessa di mettere mano
al
finale di una storia creata da altri è perché
nella mia
mente si è srotolato un finale alternativo. Chi ha visto la
serie tv sa quanto Little John è legato a sua moglie Alice e
a
suo figlio Little Little John, perciò ho voluto sciogliere
anche
questo nodo: ormai il pericolo di un'impiccagione è
scampato,
quindi non avevo alcun motivo per non regalare un po' di
serenità al buon John. Certo, è stato necessario
sacrificare un personaggio e causare nuova sofferenza ad Alice, ma tra
i due mali ho scelto quello che per me era il minore, esattamente come
ha dovuto fare lei. Sono convinta che insieme, John, Alice e il loro
bambino, riusciranno a trovare la serenità che meritano.
È vero che ho scritto questa storia prevalentemente per
Gisborne, però questo non significa che debba ignorare tutti
gli
altri personaggi perdendo svariate dimensioni che, a mio vedere,
possono essere ugualmente piacevoli – quindi spero di aver
trasmesso
degnamente i miei intenti e che l'assenza di Guy e Kaelee non abbia
gravato troppo negativamente sulla storia.
In quanto a Much e i suoi ragionamenti su Little Little John, ad un
certo punto pensa che possa trattarsi del figlio di Gisborne e che
Kaelee potrebbe non reggere il colpo nell'apprendere la notizia,
perché, naturalmente, Much non sa nel dettaglio cosa Guy ha
rivelato a Kaelee del suo passato.
Veniamo a qualche precisazione per i lettori che trattano la storia
come un'originale.
Tutti i riferimenti ai trascorsi di Little John e di Robin sono
richiami diretti
alla serie tv, ad eccezione dell'episodio con l'abate invitato a pranzo
da Robin e i suoi che è un modus operandi raccontato da
Alexandre Dumas nel suo Robin Hood.
Riguardo al gioco dei tre bicchierini attuato da Allan, è un
altro riferimento al telefilm.
Soffermandomi di nuovo su Robin voglio precisare che la serie tv ha
inizio con l'arciere e Much che tornano dalla Terra Santa dove hanno
combattuto come Crociati per Re Riccardo. Nel corso della seconda
stagione, tutta la banda si reca in Terra Santa per avvertire Riccardo
che Vaisey sta tentando di ucciderlo (infatti anche Vaisey e Gisborne
sono in Terra Santa con Marian che è stata fatta prigioniera
dai
due) ed è in questa occasione che Gisborne uccide Marian.
Quindi
nella terza stagione Robin rientra in Inghilterra dalla Terra Santa
(dove ha lasciato, oltre al corpo di Marian, anche Will e Djaq,
componenti della
banda, che hanno deciso di fermarsi lì) ed è a
questo
momento cui faccio riferimento nel capitolo, quando dico che rientrato
in Inghilterra Robin voleva lasciarsi andare.
In quanto agli eventi vissuti da Alice e suo figlio durante il periodo
di assenza da Locksley, tranne per il fatto che è andata via
con
un altro uomo (Luke il Bottaio), me li sono completamente inventati
cercando di restare in linea con il contesto – ho creato, ad
esempio, un'abitazione con poche finestre perché all'epoca
c'era
perfino una tassa sulle finestre e dal momento che il nucleo familiare
non vive nell'agiatezza, ho pensato che il dettaglio potesse rendere
bene l'idea.
Come sempre, se dovesse esserci qualche domanda, sono a completa
disposizione.
Ringrazio chiunque abbia deciso di arrivare fino a qui, sia che abbia
scelto di passare in silenzio, sia che abbia deciso di recensire.
Alla prossima!
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Capitolo 15 *** Resta Con Me ***
Resta Con Me
Nota: Per
tutto il tempo che mi è occorso a scrivere e sistemare
quanto state per leggere ho ascoltato "Humility
and Love"
di Christopher Young, perciò, se
vi va, ascoltatela anche voi.
Resta
Con Me
Maniero di Robin, Locksley.
C'erano
talmente tanti motivi per cui festeggiare – il fidanzamento
di Much e
Kate, il
ritorno di Alice e del piccolo John a Locksley, la rinascita di
Nottingham – che, sebbene
tutti gli uomini di Robin
Hood dormissero con un occhio sempre aperto, si era deciso di riunirsi
al Maniero per cenare e brindare tutti insieme.
Kaelee non sapeva per esperienza diretta come fosse la vita da
fuorilegge nella foresta di Sherwood, ma, osservando il gruppo nel
tempo, si era
resta conto che ognuno di loro conservava nell'animo e nello sguardo un
piccolo frammento di
malinconia che derivava, probabilmente, dall'aver perso
quell'avventurosa
quotidianità
da
vivere insieme: continuamente in pericolo e senza alcuna
comodità, ma in compagnia di persone fidate, che avrebbero
rischiato la vita pur di riportare un compagno sano e salvo
all'accampamento. Quell'ideale comune di libertà e giustizia
aveva creato legami di amicizia e lealtà che continuavano ad
esistere anche alle nuove condizioni, ora che il villaggio non era
più
sottoposto ai soprusi di Vaisey, Isabella o chi per loro, ora che i
fuorilegge non erano più
considerati tali da nessuno e che le esistenze dei singoli membri della
banda si svolgevano in piena autonomia, senza il
bisogno di un rifugio ben nascosto dove passare la notte ed elaborare
piani; ora che ogni cosa, finalmente, sembrava essere esattamente dove
doveva, – salvo qualche piccolo e spesso gradito contrattempo
– gli
uomini di Robin Hood sentivano la necessità di riunirsi,
stare
insieme, coalizzarsi a favore della giustizia, sempre e per sempre.
La permanenza tra i giganti verdi di Sherwood, come Kaelee aveva avuto
modo di verificare, aveva segnato
profondamente tutti i fuorilegge che avevano lottato duramente in nome
di Re Riccardo e della libertà, dell'uguaglianza e della
felicità dei singoli e della comunità; tutti
avevano imparato che la vita, nella sua ineguagliabile bellezza, era
anche colma di nemici, non
necessariamente armati di tutto punto e ben visibili ad occhio nudo;
avevano tutti imparato che molto più spesso di quanto si
possa
credere, i nemici
più
duri da abbattere si manifestavano sotto forma di demoni interiori
– quali
la brama di potere, di denaro, oppure
violenza e cattiveria – e ogni volta che i demoni prendevano
il
sopravvento, un uomo diventava potenzialmente un assassino, un
manipolatore, un tiranno – ovvero un nemico giurato di quei
valori per
cui Robin Hood e i suoi fuorilegge si erano battuti, mettendo in gioco
tutto ciò che possedevano, affetti, amori, titoli nobiliari.
A testimonianza di quanto profondo fosse il segno lasciato, Kaelee
aveva visitato con meravigliata curiosità il luogo in cui
Robin
e Archer allevavano piccioni viaggiatori usati per scambiare
messaggi con Will e Djaq, dalla
Terra
Santa – non aveva avuto modo di conoscere personalmente la
coppia di ex fuorilegge dato che si era stabilita ad Acri prima del suo
arrivo a Locksley, ma aveva diverse volte sentito parlare di loro dagli
altri componenti della vecchia banda, gli stessi che avevano tentato di
spiegarle come funzionava quella faccenda dei piccioni viaggiatori,
sebbene non avesse ugualmente compreso molto bene i meccanismi che
governavano quel tipo di scambi aerei, capendo soltanto che bisognava
separare una coppia affinché il messaggio venisse recapitato
correttamente e il messaggero tornasse indietro, ragion per cui i
piccioni di Robin e Archer provenivano direttamente da un addestratore
di Acri. Il rientro in patria di Re
Riccardo, naturalmente, aveva reso molto più semplici le
comunicazioni tra quelli che una volta erano i fuorilegge
più
ricercati di
tutta Nottingham, forse dell'intera Inghilterra, e spesso i due, che
avevano convolato a nozze nel frattempo, ci scherzavano su ricordando
sinteticamente
le avventure vissute insieme – dando anche occasione a Kaelee
di
apprendere nuovi dettagli di quelle storie a lei tanto care –
e,
sebbene avessero tenuto a precisare che
la nuova vita di coppia nella terra natìa di Djaq rendeva
entrambi immensamente felici, capitava che entrambi manifestassero la
malinconia dell'assenza di
Sherwood e dei loro compagni, così come i due mancavano a
Robin
e compagnia.
Per Kaelee non era semplice comprendere davvero come potessero, dopo
aver conquistato autonomia lottando per anni, gli ex fuorilegge
sentire la mancanza di una situazione tanto ostica, eppure –
se
provava a immedesimarsi – percepiva sulla propria pelle
l'emozione dell'avventura, del dover correre via veloce, nascondersi
nei posti più impensabili e giocare uno scherzo
all'oppressore
di turno. Perciò, quando Robin aveva espresso la
volontà
di tornare in
Terra Santa un giorno, per salutare i suoi vecchi amici,
ma
soprattutto perché lì giaceva la sua Marian,
Kaelee non
si era scomposta, come era invece accaduto a Much o a Guy, e aveva,
anzi, intuito che forse
soltanto
visitare quel luogo avrebbe permesso a Robin di ricominciare a vivere.
L'arrivo di Rudyard comunque, in tal senso, aveva rianimato
istantaneamente lo spirito di
gruppo, incentivando le antiche abitudini, dando a tutti un valido
motivo per
lavorare di nuovo insieme, come un tempo, e offrendo a Kaelee
l'opportunità di essere parte di quella vita avventurosa.
Come sempre, era stato Much ad occuparsi del lato culinario della
faccenda.
La sua era una vera e propria vocazione, tant'è che riusciva
a
rendere digeribili persino le carni meno appetitose senza che nessuno,
eccezion fatta per i suoi apprendisti, riuscisse a capire come potesse
riuscirci e quali erbe aromatiche usasse di volta in volta, per
migliorare ed esaltare il sapore delle sue pietanze.
Da quando, poi, Archer e la sua conoscenza in fatto di spezie erano
entrati a far parte della banda, l'estro di Much aveva dato risultati
ancora migliori e non passava settimana in cui l'uomo non si recasse a
questo o a quel Mercato alla ricerca di ingredienti provenienti da
fuori.
Molte volte, durante la permanenza forzata nella foresta, si era
ritrovato a dover cuocere carni di piccoli animali, come ad esempio
scoiattoli, pur di non rimanere a digiuno, quindi aveva imparato ad
arrangiarsi, a fare di necessità virtù, a
sfruttare tutto
ciò che la Natura gli offriva e, a detta di tutti ormai, gli
riusciva
meravigliosamente bene.
Inoltre, senza la sua presenza, sebbene i fuorilegge lo avessero preso
spesso in giro, – in particolar modo Allan, che si divertiva
a
farlo passare per la donnina di casa – i pasti non avrebbero
facilmente
soddisfatto nessuno degli uomini di Robin.
Certo, ora che a Locksley le cose andavano molto meglio, un bel maiale
arrosto con tanto di mela non glielo toglieva proprio nessuno.
Né
da Nottingham, né da
Edwinstowe erano giunte notizie, valido motivo, questo, per lasciarsi
andare alla spensieratezza almeno per una sera. Inoltre Allan era
riuscito, con il suo contagiosissimo ottimismo, a convincere Robin che
il diffuso modo di dire "nessuna nuova, buona nuova" avesse una certa
attendibilità; senza poi contare che, se da una parte era
altamente improbabile che qualcuno di Locksley andasse a fare la spia a
Rudyard, dall'altra certamente a quest'ultimo non sarebbe convenuto
affatto attaccare proprio quando l'intero gruppo era riunito, a meno
che si fosse dotato di un esercito e dal momento che
così non era – Rudyard, infatti, era stato visto
sempre in
compagnia
di quei due uomini di Nettlestone – Robin e gli altri
ritennero
di
poter fare una meritata eccezione in memoria dei tempi andati.
La serata trascorse, quindi, nella più totale
serenità,
animata dall'allegria che gli uomini di Robin
sapevano manifestare quando si trovavano tutti insieme, arricchita da
aneddoti di ogni sorta e racconti del passato.
«Per essere due che neanche da bambini andavano d'accordo, ce
la
stiamo cavando bene, no?», fece Robin a Guy, dopo aver
raccontato qualche episodio della loro infanzia a Locklsey.
Guy fece spallucce, mantenendo un'espressione
seria mentre masticava un acino d'uva.
«Non si può andare
d'accordo con
un arrogantello che vuole fare sempre a modo suo», gli
rispose guardandolo
di sottecchi e rivolgendogli quel sorriso che gli sollevava soltanto un
angolo della bocca e che tutti i componenti della banda avevano visto
almeno una volta sul viso del vecchio Sir Guy.
«Parlavi di te stesso suppongo», ribatté
Robin scatenando le risate e l'entusiasmo dei presenti.
Gisborne, a quel punto, si alzò in piedi con il boccale in
mano
e dedicò al fratello un ironico inchino, volendo lasciare
intendere un brindisi in suo onore; invece, senza preavviso, glielo
svuotò sulla testa, senza fermare la corsa dei rivoli rivoli
violacei che colavano
sul
bel viso dell'arciere, e poi, come se non bastasse, si
appropriò
del vino di suo fratello e bevve alla sua salute tra gli applausi,
l'approvazione e le risate dei presenti – ai quali,
naturalmente,
era chiaro che i due stavano scherzando.
«Questo colore scarlatto ti dona, Locksley»,
commentò, rivolgendogli di nuovo quel mezzo sorriso.
«Molto divertente davvero», borbottò nel
tentativo di ripulirsi almeno gli occhi.
«Per una volta, mi trovi d'accordo con te», disse
infine Guy ridendo di gusto.
Tutti erano divertiti dall'ennesimo siparietto messo in scena dai due
fratelli, perfino Little John, che fino ad
un momento prima non aveva fatto altro che scuotere la testa,
contrariato, non riuscì a trattenersi nel
vedere
Robin messo a posto da Gisborne; in altri tempi, di certo, una simile
reazione da
parte dei fuorilegge non si sarebbe mai verificata, perciò
l'intera situazione aveva un che di surreale per tutti, pur risultando
anche normale e spontanea.
Forse nemmeno Robin e Guy si erano ancora realmente abituati
all'armonia del loro rapporto, così cambiato da quando
erano stati
nemici giurati per lungo tempo, eppure, per quanto lentamente,
tutto stava assumendo toni di assoluta normalità anche per i
più restii a considerare Gisborne parte del gruppo.
Diverse
ore più tardi, a festa terminata e quando tutti gli ospiti,
soddisfatti e felici, lasciarono in allegria il Maniero, Robin
e
Archer si
ritirarono
nelle proprie stanze – a suon di spintoni e allusioni a
questa o
quella donna o ragazza che aveva guardato con insistenza l'uno o
l'altro – così come anche Guy e Kaelee.
«Perché mi sono toccati in sorte fratelli
così
scemi?», chiese retorico Gisborne, sicuramente consapevole
che la
domanda non si sarebbe persa nel corridoio del secondo piano.
«Ti abbiamo sentito!», rispose Archer, infatti, per
entrambi.
«Disse il fratello che si fece chiudere nelle prigioni di
Nottingham da sua sorella e che sarebbe morto sotto la lama del boia se
non fosse stato per la mia freccia», fece eco Robin.
«Era anche vostra sorella e tu, Robin, stavi per finire tra
le sue braccia», precisò Guy.
«Uno stratega deve saper scegliere le sue spie e deve saper
rischiare», replicò Robin, con il tono di chi
stava
trattenendo una risata, ormai arrivato dinanzi alla porta della sua
stanza da letto.
«Megalomane».
«Chi disprezza compra».
«Così sostiene lo sciocco».
«Ora chi è quello che ha fratelli
imbecilli?», chiese Archer, ridendo.
«Oh, fossi in te non mi lamenterei! Pensa a me, che mi sono
innamorata di uno e ne devo sopportare altri due!»,
esclamò Kaelee, scuotendo il capo.
«Buonanotte!»,
aggiunse, tirando Guy per un braccio.
«Buonanotte, lei dice!», la sfotté Robin.
«E che buona sia! Ammesso che mio fratello si dia da
fare», aggiunse l'altro.
«Archer!», esclamarono in coro Guy e Kaelee.
Quest'ultima poté sentire il tipico rumore di una mano che
colpiva la nuca di un'altra persona e ipotizzò che Robin
dovesse
aver dato uno scappellotto a suo fratello; sebbene non potesse
ritenersi soddisfatta, in quanto lei lo avrebbe preso volentieri a
calci nel sedere per tutta la notte, si trattenne dall'innescare una
lite – anche perché non aveva poi
così tanta voglia di rincorrere Archer dal Maniero alla
foresta
e ritorno.
«Evidentemente le tue facoltà ti abbandonano,
fratellino.
È tempo, dunque, di lasciar spazio al dolce sonno e allora
buonanotte!», chiuse l'arciere.
«Buonanotte», risposero tutti, ritirandosi ognuno
nelle proprie stanze.
Ogni notte, quando arrivava il momento di condividere lo stesso letto,
Kaelee provava un'emozione incontenibile; era inesperta, sì,
nelle faccende d'amore, ma comprendeva bene l'intimo significato del
condividere un giaciglio, perciò tutte le
volte,
nessuna esclusa, il
cuore iniziava a batterle forte nel petto al pensiero che il suo corpo
avrebbe preso posto così vicino a quello di Gisborne; il
viso le
si colorava di
rosso per lo stesso motivo e a causa di tutti i dubbi e le domande che
l'assalivano, mettendo in discussione ogni singolo gesto, anche il
più innocente, ogni desiderio, ogni azione soltanto
ipotizzata e
mai portata a compimento nel timore che non fosse corretto, in quanto
lei e Gisborne non erano sposati e "Certe cose si fanno solo quando
l'uomo che ami diventa tuo marito in seguito ad un giuramento dinanzi a
Dio, giusto?", si chiedeva sempre più spesso; le mani le
tremavano mentre alla fine, non potendo restistere ai suoi stessi
istinti, giusti o sbagliati che fossero, sfiorava il petto dell'uomo
che amava, prima che
entrambi si addormentassero nella più totale
tranquillità.
Rudyard non aveva smesso di essere una preoccupazione per la banda,
– anzi, erano tutti più attenti che mai al minimo
movimento sospetto da parte di sconosciuti, quali potevano essere, ad
esempio, mercanti di passaggio o forestieri giunti a Nottingham per
concludere qualche affare – ma perfino lei si era ormai
convinta
che suo fratello non fosse
così stupido, superficiale o sconsiderato da commettere due
volte lo stesso errore, a maggior
ragione perché, trasferendosi al Maniero, lei e Gisborne
avevano
messo seriamente i bastoni tra le ruote a quel bruto, il quale si
sarebbe ritrovato a lottare contro tre avversari dalle
abilità
notoriamente notevoli cui si aggiungeva lei, la cui determinazione
sarebbe bastata,
da sola, a farlo correre via urlando come un codardo. Che ne avrebbe
ricavato, dunque, Rudyard tentando un'irruzione al Maniero? Certamente
una
freccia infilzata da qualche parte nel suo corpo, nonché
tutti
gli insulti che Kaelee gli avrebbe certamente rivolto, a costo di fare
la figura della maleducata e di svegliare l'intero villaggio;
perciò, ammesso che fosse un completo imbecille, gli sarebbe
stato
chiaro anche in quel caso che non era affatto conveniente un simile
azzardo.
Sia la quasi totale sicurezza che, almeno di notte, lei, Gisborne e
tutti i membri della banda, erano fuori pericolo, sia la costante
vicinanza dell'uomo che amava, avevano indotto Kaelee, con il passare
del tempo, a prendere con
più leggerezza il cambiamento cui aveva per forza dovuto
adattarsi.
Non era stato affatto semplice, infatti, ambientarsi al Maniero nella
consapevolezza che avrebbe dovuto dormire in un'abitazione insieme a
tre uomini, dopo aver condiviso per mesi e volentieri una camera con
Kate – che
le mancava molto, nonostante tutto, insieme ai suoi caratteristici
cambi d'umore; se era
vero che a Edwinstowe Kaelee aveva vissuto una situazione molto simile,
avendo
lei quattro fratelli, era pure vero che non era affatto la stessa cosa
dal momento che Aric, di certo, non aveva mai desiderato abbracciarla o
accarezzarle i capelli o il viso mentre dormiva, come lei non aveva mai
provato il bisogno di rannicchiarsi contro il petto di suo fratello
– cosa che, invece, accadeva spesso con Gisborne.
Dopo qualche tempo, però, entrambi avevano iniziato a
prendere
confidenza con le nuove abitudini e
avevano
imparato ad organizzarsi per arginare l'imbarazzo che una situazione
tanto intima inevitabilmente generava, almeno in lei;
perciò,
anche se si era vergognata come non mai nel dover confidare a Guy di
aver bisogno di alcune dritte che regolamentessero la loro convivenza e
anche se, sicuramente, doveva aver parlato a sproposito, considerato
che diverse volte aveva visto Guy portarsi la mano alla bocca per
coprirsela, quasi volesse celare un sorriso divertito, era riuscita a
raggiungere con lui un equilibrio che le consentiva di non sentirsi
continuamente fuori posto, inopportuna o indicibilmente sciocca e
ingenua. Amarlo con tutta se stessa, aveva appreso Kaelee, non faceva
affatto di lei una donna sicura di sé nel relazionarsi con
lui;
anzi, per assurdo, si sentiva più impacciata in quell'ultimo
periodo che quando lo aveva baciato per la prima volta e questo,
naturalmente, non faceva che aggiungere caos ad altro caos, permettendo
alla pioggia di cadere su un terreno già pregno d'acqua.
Uno dei tanti punti di quel regolamento mai scritto e assolutamente
segreto, riguardava il momento in cui ci si preprarava per dormire:
andava da sé che Kaelee non si sarebbe mai privata di tutti
gli
abiti dinanzi a Gisborne, in modo del tutto consapevole e manifestando
una sfacciataggine che non le apparteneva – anche se non
molto tempo dopo l'inizio della frequentazione con lui si era ritrovata
in sua compagnia, avvolta solo da una coperta – e che,
comunque, non riteneva
affatto opportuna. Cos'avevano condiviso, infatti, lei e Gisborne se
non qualche lieve effusione e il desiderio di andare oltre? Kaelee non
escludeva, naturalmente, che prima o poi sarebbe successo dell'altro
tra loro, ma non era necessario forzare la mano o, peggio, dare una
cattiva idea di sé all'uomo che amava. Se si fosse spogliata
davanti a lui, pur arrossendo, cos'avrebbe pensato Gisborne? Non
avrebbe forse detto di lei che era una donna facile? E se anche non lo
avesse pensato, cosa avrebbe pensato lei di se stessa qualora avesse
assunto atteggiamenti per nulla pudichi? Lei, che non si era mai
mostrata senza veli nemmeno a Kate, che pure era una donna? Se proprio
doveva condividere così presto un letto con l'uomo che
amava, ma
che non era detto sarebbe stato l'uomo della sua vita sebbene lei lo
volesse, allora era
necessario prendere accordi. Non che non si sentisse sciocca per
questo, ma lo preferiva ad una cattiva nomea. Si era quindi deciso, di
comune accordo, che il primo a
mettersi sotto le coperte sarebbe stato sempre Guy, il quale si sarebbe
preparato con comodo mentre Kaelee era
intenta a pettinarsi; poi, quando lui fosse stato comodamente steso nel
letto
che avrebbe condiviso con lei, Kaelee sarebbe sparita nella
stessa piccola
stanza che aveva ospitato Gisborne e che le avrebbe consentito di
spogliarsi senza che nessuno la vedesse, ma
non senza che l'ansia la assalisse.
Kaelee era certa che, se qualcuno si fosse messo a spiarli, li avrebbe
trovati
comicamente goffi, oppure teneramente pudichi; in ogni caso, ridicoli
al punto da rischiare seriamente di soffocare in un accesso di risa. Se
solo non fosse stata consapevole che tutti l'avrebbero ritenuta una
svitata, si sarebbe messa a urlare pur di arginare lo sciame di
fastidiosissimi pensieri che la tormentavano costantemente,
traducendosi in un'insicurezza senza fine. Aveva fatto bene a stipulare
un accordo con Guy? Avrebbe, invece, dovuto prendere le cose con ancor
più leggerezza? Avrebbe dovuto parlargli della lotta libera
che
si svolgeva tra la parte razionale di lei e quella emotiva, che mai
riuscivano ad accordarsi quando si parlava di lui? E se sì,
come
avrebbe dovuto impostare il discorso? Non poteva mica dire a Guy che lo
desiderava, ma che trovava quel sentimento scorretto e vergognoso,
perché si
sarebbe certamente offeso, fraintendendo il tutto e credendo che
l'amore che lei provava per lui si limitasse alla bellezza fisica.
Certo,
gli addominali scolpiti e le spalle larghe non la aiutavano a riaversi,
però il
cuore non mentiva quando le diceva che sarebbe stata disposta a
camminare sui carboni ardenti per lui.
Così, ogni sera, mentre si distraeva spazzolandosi i capelli
e
intanto che si infilava la camicia da notte, nella sua mente succedeva
il pandemonio senza che Gisborne ne fosse a conoscenza,
perciò,
una volta pronta, prendeva
posto accanto a lui, accoccolandosi immediatamente al suo petto, per
mascherare il rossore sulle guance e nella speranza che tutti i
pensieri tacessero simultaneamente; e lo avrebbero fatto, se solo a
Gisborne non fosse venuto in mente di scostarle una ciocca di capelli
per fissarla dietro l'orecchio o di portare l'indice sotto al suo
mento, costringendola delicatamente a sollevare il viso, rendendo
puntualmente inutile ogni suo sforzo.
Se c'era una cosa che Gisborne adorava più di ogni altra in
Kaelee, era il modo in cui le gote le si tingevano di rosso in sua
presenza. L'aveva capito in netto ritardo, ma quando ci era arrivato si
era sentito lusingato, importante e amato; sebbene fosse consapevole da
tempo del sentimento che la giovane donna provava per lui, non aveva
mai creduto che arrossisse esclusivamente quando lui la guardava, la
accarezzava, le parlava all'orecchio o le rivolgeva un complimento e
invece l'aveva osservata con attenzione, a cena, parlare con Archer in
totale tranquillità e senza che gli occhi iniziassero a
brillarle o il viso a colorarsi: era stata una piacevolissima
rivelazione, come, del resto, tutta la nuova situazione in cui entrambi
si erano venuti a trovare. Da quando si erano trasferiti al Maniero,
Kaelee si era rivelata essere il ritratto del pudore, – il
che
gli ricordava
cosa fosse l'amore e quanto imponente fosse il cambiamento
che aveva subìto e quanto importante; gli ricordava
che
niente
era più come un tempo e che era ora per lui di essere
felice – niente a che vedere con la malizia che aveva scorto
nello sguardo di lei il giorno della messinscena con Robin, sebbene
quel velo non fosse mai scomparso del tutto. Adorava il contrasto che il desiderio creava sul
viso
delicato di lei, in quegli occhi grandi e perennemente accesi di viva
curiosità.
A Guy
non era per nulla chiaro cosa potesse passare nella mente di Kaelee in
merito alla convivenza, perciò aveva deciso di assecondare
tutte
le piccole regole che lei gli aveva quasi imposto in quanto era
convinta che, grazie a quelle, condividere un letto le sarebbe
risultato più semplice. Quel che si domandava era in che
senso
Kaelee lo avrebbe trovato più semplice; ragionandoci
brevemente
su, era arrivato a concludere che lei non fosse ancora pronta per quel
passo e che, dovendosi adattare all'imprevedibilità degli
eventi, aveva voluto fargli capire che non era intenzionata a
concederglisi soltanto perché dormivano nello stesso letto.
Considerato che non intendeva forzarla in alcun modo, non era un gran
peso per lui tenere le mani a posto, se solo avesse fatto lo stesso
anche Kaelee. Accadeva quasi ogni notte, infatti, che le piccole mani
della ragazza gli accarezzassero il petto con tale dolcezza che non
poteva restare indifferente o mantenere la calma. La desiderava, su
questo non c'era alcun dubbio, e non se ne vergognava; eppure
non sapeva se condividere quel pensiero con lei fosse consono oppure
no, ignorando completamente la reazione che Kaelee avrebbe potuto avere.
In definitiva, aveva la sensazione che anche lei volesse vivere nuove
esperienze in tal senso, ma che qualcosa fungesse da freno e, mentre
sperava di non essere lui stesso la causa, aveva deciso di godersi
appieno i teneri, ma infuocati, momenti di lieve intimità,
senza
porsi troppe domande e sottostando al volere della ragazza.
Quella notte, dopo aver salutato Archer e Robin e aver spento la voglia
di prendere a calci il primo, Kaelee aveva tentato invano di rilassarsi
passando la spazzola più del dovuto tra i capelli soffici e
lunghi, prima di cedere al bisogno di affondare tra le braccia
dell'uomo che amava; quindi, senza troppi convenevoli, aveva avvolto un
braccio attorno alla vita di Guy e aveva appoggiato la guanca rovente
sul suo petto ampio. Puntualmente, Guy l'aveva invitata a incontrare i
suoi occhi e lei era avvampata.
«Non dovresti guardarmi così»,
sussurrò dopo un po', abbassando lo sguardo e mordendosi
le labbra, di nuovo in preda al caos.
«Così
come?», domandò Guy con la voce ancor
più
profonda del solito, forse per la necessità di bisbigliare e
non farsi
sentire dai fratelli o per non disturbare il loro riposo, oppure forse
solo per farla impazzire del tutto.
Non
aveva bisogno di soffermarsi ad osservarlo per descrivere
l'intensità che gli occhi di Guy trasmettevano se
incrociavano i
suoi; conosceva, ormai, fin troppo bene i tratti di quell'uomo, avendo
trascorso ore ed ore a contemplarli e a ripercorrerli mentalmente nei
momenti in cui le era impossibile incontrarlo, quindi si
ritrovò a
sorridere, sognante, non potendo fare altro che quello dinanzi a un
simile spettacolo.
«Come
se... Come se non esistesse nulla di più bello»,
mormorò, consapevole di non aver reso neanche lontanamente
l'idea.
C'era molto di più, lo sapeva, qualcosa che andava oltre
la semplice bellezza esteriore, qualcosa di più profondo e
imponente che non sapeva spiegare a parole, ma che percepiva
chiaramente nel più profondo del suo animo.
Il
modo in cui Guy rise scatenò una piacevole serie di brividi
in
lei, perché rise spontaneamente, lo fece come solo chi
è
davvero sereno sa fare, coinvolgendo tutti i muscoli del viso e del
corpo,
lasciando traboccare dallo sguardo quel sentimento, permettendo
alle labbra di disegnare un bellissimo sorriso su un volto di per
sé già meraviglioso.
Kaelee non poté resistere alla tentazione di guardarlo,
quasi con avidità.
«È così, piccola Kaelee»,
mormorò lui,
«sei esattamente quanto di più bello io abbia mai
visto e vissuto».
Glielo disse con un tale trasporto che era impossibile anche solo
pensare di dubitarne, trasmettendo una tale e disarmante
sincerità con gli occhi, da indurre Kaelee a
domandarsi se fosse davvero possibile che lo sguardo di un essere
umano riuscisse ad essere limpido più di un ruscello e
assolutamente puro, come quello di un grazioso gatto o di un fedele
cane. Iniziò poi ad immaginare, senza alcuna motivazione
logica, cosa si
dovesse provare nel guardare negli occhi il temibile Sir Guy di
Gisborne
e riuscì in parte a comprendere perché, anche a
distanza
di tempo, c'era ancora qualcuno nel villaggio che preferiva evitarlo:
se Guy risultava altrettanto trasparente quando ad animarlo era la
cattiveria, allora doveva essere davvero un'esperienza poco piacevole
– sebbene, ne era certa, ugualmente sconvolgente –
incrociarne lo sguardo; eppure, anziché allontanare quella
visione,
Kaelee ci si immerse più a fondo e si ritrovò
dinanzi ad
uno sguardo
tutt'altro che freddo ed impassibile, benché più
cupo e
ostile, chiaro e incredibilmente vivo, capace di travolgere
tutto ciò che l'uomo aveva attorno. Indubbiamente Gisborne
sapeva
parlare
senza
aprir bocca, sapeva comunicare tutto ciò che aveva da dire
semplicemente fissando gli occhi sull'interlocutore, così
Kaelee lo immaginò intenso e passionale pure nella
precedente
versione di se stesso, figurandoselo come una presenza imponente e
fiera di fianco ad uno Sceriffo che non gli avrebbe mai reso giustizia
e che, di certo, non era neanche paragonabile a lui per eleganza,
bellezza e profondità d'animo; perfino da
fermo comunicava talmente
tanto di sé, che era difficile non notarlo sia pur in mezzo
a
decine di altre persone, perché non era mai la posa che
assumeva, ma il modo in cui la interpretava; non ciò che
indossava, ma
come
lo indossava; non ciò che diceva, ma come lo diceva; non
quel
che faceva, ma il modo in cui lo faceva a renderlo terribilmente
attraente, affascinante e, per questo, pericoloso; quasi che si
portasse dietro una
sorta
di aura capace di farlo sembrare irresistibile agli occhi di chiunque,
che
stesse dando un ordine oppure chiacchierando amabilmente,
che avesse la spada rischiosamente puntata al tuo collo o che ti
stesse augurando di trascorrere una buona giornata.
«Guy...», sussurrò, di nuovo in
imbarazzo e con l'aggravante di essersi persa in pensieri tutt'altro
che spiacevoli. «Non
dire sciocchezze. Io non sono altro che una ragazzina di campagna,
cresciuta coltivando terra e senza alcuna istruzione. Tu hai un titolo
nobiliare, tanto per cominciare, e poi...».
Gisborne le posò l'indice sulle labbra, accendendole a sua
insaputa, evidentemente per impedirle di
terminare
la frase; poi scosse il capo mentre la pregava con dolcezza di tacere,
indugiando sulla sua bocca con le dita.
«Sicuramente
la tua posizione sociale sarebbe stata di fondamentale importanza per
il vecchio Sir Guy, ma non lo è per
me», rispose
senza staccare gli occhi dalle sue labbra.
«Tutto ciò di cui ho bisogno è qui,
accanto a me.
Altro non mi serve per essere un uomo felice. Tu, con la tua sola
presenza, mi regali la vita ogni singolo giorno, da quando ti ho
conosciuta».
Lui
stesso si stupì della naturalezza con cui aveva confidato a
Kaelee ciò che pensava e provava, perché non era
mai
accaduto prima che si esprimesse con così tanta dolcezza e
pacatezza nei confronti di qualcuno; del resto non si era mai sentito
che il braccio destro di uno Sceriffo, nonché esattore delle
tasse per conto di quest'ultimo, si rivolgesse con gentilezza al popolo
che il più delle volte non rispettava regole e
volontà
del padrone e
anche
quando aveva confidato a Marian ciò che sentiva
per lei, o l'aveva messa a conoscenza della volontà
di sposarla, c'erano sempre stati
istintività e un fare brusco a sminuire
l'intensità del
gesto, fino a renderlo perfino sgradevole agli occhi della diretta
interessata. Sebbene il suo cuore avesse palpitato diverse volte anche
prima di
conoscere la giovane Kaelee, mai si era sentito così
libero
di amare qualcuno da comprendere appieno tutto ciò che aveva
dentro ed esprimerlo senza timore, senza rabbia, senza barriere. La
paura si era infine arresa e ritirata dal suo cuore,
alleggerendolo, lasciando che scintillasse nell'esplosione di
sentimenti considerati perduti e che, invece, erano rimasti dormienti
per molti anni, lì, in qualche angolo di lui, senza che se
ne
rendesse conto; era libero da quel se stesso messo in catene da Vaisey
e poteva voltare definitivamente pagina, chiudere una volta
per tutte i conti con il passato, dare un giro di chiave ai
cassetti colmi dei tristi ricordi di Marian, Vaisey, Isabella, Meg e di
tutta la
crudeltà di cui si era reso protagonista; si sentiva
così
in pace con il mondo, così in pace mentre il caramello degli
occhi di Kaelee lo avvolgeva morbidamente, che zittì tutti i
campanelli d'allarme e parlò senza filtri e seguendo
esclusivamente l'istinto che premeva per guidarlo verso un nuovo passo
in quella vita ancora tutta da scoprire, da vivere.
«Mi
vuoi sposare, Kaelee?», domandò in
un sussurro, pretendendo l'attenzione della donna che amava, rendendosi
conto di quanto aveva detto soltanto nel momento in cui la sua stessa
voce gli era arrivata alle orecchie e da lì alla mente. Se
fosse
o meno il caso di pentirsi e ritirare quelle parole, a Guy non
interessava minimamente, perché sposarla era ciò
che
desiderava più di ogni altra cosa al mondo e, forse, era
arrivato il momento di ricominciare a camminare sulle sue gambe, senza
più attendere che fosse Kaelee a muovere i primi passi
mentre
lui si lasciava attanagliare dal terrore. Era ora che lei sapesse fino
in fondo la verità dei suoi sentimenti; era ora che vedesse
anche lei quel bellissimo scenario di vita condivisa, che riempiva la
sua mente da diverso tempo ormai.
Non l'avrebbe obbligata, costretta con l'inganno o con la promessa di
un patrimonio di non indifferente valore, non avrebbe commesso lo
stesso errore fatto con Lady Marian, anche se avrebbe subito voluto
avere la certezza che lei intendeva muoversi nella sua stessa
direzione; avrebbe atteso anche qualche anno, se lei glielo avesse
chiesto, purché non gli spezzasse il cuore come Marian, in
passato, era riuscita a fare.
Kaelee lo stava guardando con evidente sconcerto e Gisborne avrebbe
potuto giurare di aver sentito la terra tremare sotto ai suoi piedi.
Kaelee doveva ancora riprendersi da ciò che aveva sentito
poco
prima, quando
quella proposta arrivò alle sue orecchie, alla mente e poi
al
cuore. Quest'ultimo prese a battere così veloce che
credette di poterne
morire; le faceva quasi male mentre tentava, questa era l'impressione
ormai perfino familiare,
di sfondarle il petto, così, in un riflesso involontario,
si portò
una mano sopra al punto che le doleva di quel dolore immaginario, pur
nella consapevolezza che se il cuore avesse deciso di esploderle non
avrebbe potuto
farci proprio nulla. Però, almeno
sarebbe morta
tra le braccia dell'uomo che amava, che le aveva appena chiesto di
sposarlo, e tanto basava a non spaventarla e a tenerla in vita. Era
certa che tra tutte le
emozioni che aveva provato da quando aveva scoperto l'amore, non ne
avrebbe trovata una più forte di quella che in quel momento
le
toglieva il respiro, spezzava il cuore dalla gioia, confondeva i
pensieri, serrava le labbra, bloccava i muscoli; lei, che poco o nulla
sapeva della vita, ebbe l'assoluta certezza che ciò che
sentiva per Gisborne
era vero amore; lei, che troppo presto aveva conosciuto la sofferenza e
che aveva visto come un uomo e una donna, pur avendo messo su famiglia,
potevano arrivare ad ignorarsi, non ebbe alcun dubbio in merito
alla volontà assoluta di condividere l'esistenza
con
quell'uomo, quasi che fosse un provvidenziale istinto quello di volersi
affidare a lui per il resto dei suoi giorni, anche se era
più
grande
di lei di sedici anni, anche se era più elegante e colto di
lei,
con un
passato tutt'altro che semplice alle spalle ed un presente colmo di
tormento, con
un titolo nobiliare e altre donne nel cuore prima di lei. Proprio per
tutto ciò che Guy rappresentava, era ed aveva avuto il
coraggio
di diventare, Kaelee si sentiva sicura dei propri sentimenti nei suoi
riguardi; proprio in virtù di quel cuore dolorante, che
tutte le volte impazziva appena lei lo incontrava, sfiorava,
abbracciava, baciava, sapeva che Guy era l'unico uomo che
avrebbe voluto al proprio fianco, tant'è che niente di
ciò che lui le aveva
raccontato dell'essere immondo che era stato Sir Guy era riuscita a
farle cambiare
idea e niente mai avrebbe sortito quell'effetto in futuro.
Eppure non riusciva a trovare le parole adatte da rivolgergli, pur
consapevole che lui non attendeva altro che una risposta, mentre lui
ancora la guardava.
«Ti chiedo
perdono. Sono stato uno sciocco. Non è così che
si
chiede la mano della donna che si ama. Non ho neanche un anello da
donarti», mormorò, sorridendole con infinita
dolcezza nel chiaro tentativo di alleggerire il momento di tensione
venutosi a creare.
Evidentemente
Guy aveva frainteso il suo silenzio, interpretandolo, forse, come il
segno di un rifiuto che non riusciva a manifestare a parole, quindi
Kaelee, per provare a porre rimedio e a rassicurarlo,
sollevò una mano sul suo viso, che accarezzò
teneramente prima di parlare.
«No, per favore, no», soffiò. «Non
chiedermi di perdonarti, perché non posso
proprio farlo e la ragione è molto semplice»,
aggiunse con
gli occhi nei suoi, la bocca fin troppo vicina alla sua, il corpo a
contatto con il suo. «Se ti perdonassi»,
continuò, senza riuscire a fermare il tremolio della voce,
«non potremmo sposarci. E io voglio sposarti, Guy. Voglio
sposarti», confidò immaginando di avere le guance
color
porpora mentre gli occhi minacciavano di sciogliersi in lacrime di
gioia.
Aveva appena accettato quell'inusuale proposta di matrimonio senza
nemmeno essere certa che non fosse tutto un sogno, senza accertarsi che
non fosse un pessimo scherzo della sua mente, – come quella
volta
in cui aveva sognato di correre con lui attraverso una radura
bellissima al centro della quale luceva, come un grande specchio, un
lago di forma quasi circolare in cui si era immersa con Guy senza dare
ascolto al pudore e a ciò che era o non era convenzionale
e opportuno, tant'è che quando si era poi svegliata c'era
rimasta talmente male nel realizzare che nulla di quanto aveva vissuto
nel sogno era realmente successo, da trascorrere le successive quattro
ore a rimuginarci su – ma nonostante l'innegabile
stravolgimento,
era certa di aver appena fatto la scelta più giusta di tutta
una
vita, dopo aver deciso di partire da Edwinstowe alla volta di Locksley.
Non osava più neanche immaginare come sarebbe proseguita la
sua
esistenza se non si fosse messa in viaggio.
Ciò che più
del suo stesso caos la sconvolse fu l'inaspettata reazione di
Guy: quasi come se qualcosa nel suo cuore si fosse spezzata in modo
irrimediabile, causandogli un enorme dolore, l'uomo che le aveva appena
chiesto di sposarla scoppiò in un pianto che sembrava
disperato,
ma che Kaelee pensò e sperò scaturisse, invece,
da un
sentimento nettamente più positivo quale poteva essere, per
esempio, la gioia.
Per nulla preparata a sentirlo singhiozzare a quel modo, non si
lasciò comunque prendere dal panico e subito se lo
strinse al petto,
carezzandogli i capelli e le spalle ampie con fare materno mentre
pensava che se Guy non si fosse sentito a suo agio in quella
situazione, l'avrebbe condiviso con lei che si sarebbe scostata senza
offendersi perché, del resto, era tutto nuovo per entrambi e
sarebbe stato necessario venirsi incontro. Chiuse gli occhi, come se
volesse concentrarsi per riuscire a contenere tutta la sua figura tra
le braccia esili e fin troppo corte perché le dita si
unissero
tra loro sulla schiena di lui, mentre si rifugiava nei propri pensieri
per evitare di aggiungere l'eco dei suoi singhiozzi a quelli di Guy.
Nessuno, guardandolo, avrebbe immaginato che un uomo grande e grosso
come Sir Guy di Gisborne potesse mettersi a piangere; nessuno lo
avrebbe creduto possibile, un po' perché, in quanto uomo in
sé,
abbandonarsi a simili manifestazioni sentimentali era ritenuto segno di
debolezza da molti, e un po' perché da un assassino non ci
si aspetterebbe mai un crollo emotivo di
tale
portata. Era questo, forse, – pensò Kaelee
– uno dei più grandi controsensi
dell'esistenza umana: perché ad un Crociato, tra gli altri
possibili esempi, che
pure aveva sparso sangue, assistito a barbarie di ogni sorta e
affondato la lama senza indugio fino alle ossa del proprio nemico, era
concesso soffrire e redimersi e impazzire a causa delle
brutalità viste e vissute, mentre non si riusciva ad essere
ugualmente comprensivi nei confronti della controparte?
Perché
di fronte al pentimento da parte di un uomo un tempo spietato la gente
non sapeva commuoversi? Perché tanta differenza verso chi,
come
Guy, aveva dimostrato ampiamente di avere un animo volto al bene
sebbene in passato avesse accettato la guida del male?
La risposta a queste domande Kaelee credeva di averla trovata nel
pregiudizio che le persone sapevano provare con tanta
facilità
nei confronti del diverso.
Lei, invece, che conosceva esclusivamente il
lato più umano dell'uomo, riteneva che non ci fosse niente
di assurdo in quella reazione e che, anzi, Guy avrebbe dovuto
abbandonarsi più spesso ad un bel pianto liberatorio
anziché tormentarsi ore intere con il proprio passato, con i
propri demoni, e versare poche lacrime nella più totale
solitudine.
Anche se lo aveva incontrato a cambiamento per buona parte
già
avvenuto, non significava affatto che Kaelee non avesse dovuto
faticare per comprendere appieno l'animo complicato, tormentato e
ferito di Gisborne; molto spesso, infatti, era accaduto che lei non
riuscisse a
capirlo, che non sapesse come porsi con lui, che non riuscisse ad
abbattere certi suoi muri ancora in piedi a far barriera tra l'amore
che provava e
il punto più caldo del cuore di lui. C'erano volute tanta
pazienza e tanta determinazione
per
poter conoscere la parte più intima di Guy, per arrivare fin
dentro i suoi pensieri più remoti, fino alle sue paure
più recondite e avevano sofferto entrambi quando lei lo
aveva
spronato a buttar fuori tutto ciò che dal passato lo
torturava, impedendogli di andare avanti, ma alla fine c'era riuscita
ed era un po' come se avesse portato a
termine ciò che Lady Marian prima e Meg poi avevano
inconsciamente iniziato
tempo
addietro: aveva portato alla luce la parte migliore di Sir Guy di
Gisborne, semplicemente amandolo come nessuno aveva potuto o voluto
fare in precedenza.
Come Kaelee ebbe modo di accorgersi spostando lo sguardo in direzione
della porta, i singhiozzi di Guy avevano attirato l'attenzione di
Robin, il quale aveva fatto capolino dalla porta socchiusa,
probabilmente per accertarsi che né lei, né Guy,
avessero
bisogno del suo sostegno. "Magari si è pure preso uno
spavento
sentendo piangere così suo fratello", pensò
Kaelee, che
quindi si sentì in dovere di rassicurarlo immediatamente con
un gesto della mano ed un
sorriso che dicevano "Va tutto bene, grazie", perché sapeva
quanto poco pettegolo e impiccione fosse Robin – quasi al
pari di
Little John, che lo era meno di tutti gli altri della banda –
e
quindi non pensava affatto che l'arciere si fosse presentato sulla
soglia della stanza che lei condivideva con Gisborne per farsi gli
affari loro; infatti, a conferma delle sue intuizioni, lo vide annuire
e sparire silenziosamente come era apparso, senza cercare spiegazioni
di alcun genere e chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle.
In tutto ciò, Guy non sembrò accorgersi della
breve
intrusione di Robin, così Kaelee continuò ad
accarezzarlo
e rassicurarlo.
Per una volta aveva scelto di non vergognarsi delle lacrime che
sgorgavano spontanee dai
suoi
occhi, iniziando la corsa dal cuore; per una volta aveva deciso di
mettere da parte la convinzione che un uomo non dovesse mai mostrare
apertamente le proprie debolezze e aveva preferito restare al
sicuro tra le braccia della donna che amava, aveva scelto di farsi
proteggere senza nascondere la sua vulnerabilità, aveva
deciso
di
affidarsi – e di fidarsi – completamente a lei, che
aveva
appena
accettato di sposarlo.
All'improvviso, come se una pesante tenda si fosse scostata
spontaneamente, Guy ricordò di essere sempre stato una
persona
sensibile, un giovane ragazzo governato dalle emozioni, e non quel
mostro senza cuore che Vaisey aveva creato a suon di rimproveri,
manrovesci e cinghiate. Per tanto tempo aveva negato a se stesso quanto
quei modi lo avessero ferito, più nell'animo che nel corpo,
ripetendosi che era giusto così e che la spietatezza era la
via
per il potere, per il denaro, per una posizione sociale che lo avrebbe
reso invincibile, temibile e un ottimo partito per donne belle e di
buona famiglia. Persi entrambi i genitori, infatti, Guy non aveva avuto
altra guida che Vaisey di Nottingham, il quale aveva accolto lui e sua
sorella sotto la sua ala protettiva, inducendolo poi, qualche anno
più tardi, a liberarsi di Isabella vendendola al miglior
offerente. Per quanto avesse provato a negarsi anche quello, Guy
dovette finalmente ammettere a se stesso che lo Sceriffo aveva avuto un
ruolo determinante in quella vicenda e che, forse, senza le di lui
macchinazioni, non avrebbe mai fatto un simile torto all'unico
parente
in vita che gli era rimasto dopo la morte dei genitori. Forse, senza
l'intervento di Vaisey, lui e Isabella non si sarebbero mai trovati
l'uno contro l'altra e a lui non sarebbe toccato toglierle la vita per
salvarsi. Tutto ciò che provò in quel frangente,
dopo
un'iniziale sciltilla di rabbia, fu dolore e poi quiete mentre un altro
insanguinato tassello del suo passato veniva lavato dal pentimento.
Con quei pensieri in mente, Guy decise che era arrivato il momento di
chiudere definitivamente con il
proprio passato e aprirsi esclusivamente al futuro.
Ogni lacrima custodiva un addio. Addio a ciò che era
stato, alla malvagità che gli aveva congelato i sentimenti;
addio all'odio nei confronti degli esseri umani; addio al denaro e al
potere, agli atti mossi da mera cattiveria, al piacere nel provocare ed
osservare l'altrui sofferenza; addio al rancore e addio alla
solitudine; addio a Vaisey e al Principe Giovanni; addio a Isabella e a
ciò che era diventata per colpa di una scelta che lui aveva
fatto per lei; addio ad Annie e Seth, un figlio che non avrebbe
mai avuto il coraggio di crescere; addio a Marian, con la speranza che
ovunque si trovasse l'avesse perdonato per l'orrendo crimine di cui si
era macchiato; addio a Meg, prima, fievole luce di una speranza ora
pienamente esplosa; e addio per sempre a Sir Guy di Gisborne, che mai
più avrebbe terrorizzato popoli, ucciso innocenti e svolto
attività dalla parte del male.
Lentamente, senza fretta, i singhiozzi diminuirono fino a placarsi e
quando si
scostò da Kaelee trovò un meraviglioso sorriso ad
accoglierlo.
Guy aveva gli occhi arrossati e il volto stropicciato dopo tutto quel
piangere, ma Kaelee vedeva ugualmente in lui una
bellezza capace di spiazzarla.
Quando le sorrise di rimando, seppe che il peggio era passato e che
poteva permettersi di scherzarci su.
«Devo
aver necessariamente capito male, se questa è la tua
reazione», sussurrò senza trattenere un ampio
sorriso.
Guy rise di quella sua risata profonda che riusciva sempre a farla
vibrare d'emozione; poi la baciò, senza preavviso, a lungo e
con dolcezza, sfiorandole appena le labbra, come se
temesse di poterle in qualche modo sciupare mentre la coinvolgeva in
una calda e piacevole effusione.
«Avrai il tuo anello, promesso», soffiò
senza staccarsi da lei, che rise divertita.
«Smettila», gli rispose. «Ho già te, non potrei
desiderare di più. Anche se qualche gioiello o abito elegante non
guasterebbe...»,
aggiunse soltanto per vederlo ancora sorridere in quel modo che la
faceva sentire importante, che la appagava più di qualsiasi
altra cosa al mondo.
«Potrebbe rivelarsi un problema», fece lui.
«Al momento tutto ciò che posso offrirti sono io
stesso».
Era certa che con quelle parole lui volesse essere romantico, ma non
era altrettanto sicura che Guy avesse idea di quale effetto avrebbero
sortito se, come stava accadendo, la sua mente l'avesse indotta a
prendere in considerazione il lato malizioso della faccenda. Si sentiva
una sciocca ragazzina per il desiderio che la consumava, tanto
più perché Kate le aveva confidato che lei e Much
non
erano ancora andati oltre il bacio e qualche innocente carezza, senza
mai oltrepassare il confine di stoffa, e che non intendevano entrare in
maggiore intimità prima del matrimonio; Kaelee sapeva che
Kate
aveva più esperienza di lei, perciò aveva cercato
di
convincersi che il comportamento più corretto e dignitoso da
tenere doveva essere il suo, eppure non aveva idea di come fare ad
arginare quel calore che nasceva dal cuore e si diffondeva in ogni
altra parte del suo corpo con tale intensità da sembrarle
reale,
da riuscire a scuoterla e a farla sragionare. Se Dwight o Aric avessero
saputo, forse l'avrebbero disconosciuta come sorella e avrebbero
concordato con sua madre sulla necessità di mandarla al rogo
a
causa dei suoi peccati, quindi, probabilmente, era il caso di parlarne
con Tuck: ma come arrivare al mattino successivo senza cadere in
tentazione? Poteva essere così superficiale ed egoista da
affidarsi esclusivamente all'onestà di Gisborne che, di
sicuro,
l'avrebbe frenata come tutte le altre volte? Era evidente che pure lui,
come Kate, riteneva che quel grado di intimità dovesse
essere
raggiunto esclusivamente dopo il matrimonio, anche se lui aveva avuto
un figlio da una donna che non aveva sposato.
Si morse invano il labbro nel tentativo di riaversi, perché
inevitabilmente la vicinanza tra i loro corpi, il bacio da
poco
terminato, la proposta di matrimonio
e ciò che Guy aveva appena detto, dirottarono i suoi
pensieri
verso destinazioni ben più roventi del romanticismo in
sé
e di tutte le convenzioni di quel mondo, molto invitanti e
piacevoli, nonché ricorrenti da un po' di tempo a quella
parte.
Era dal giorno in cui lei a Guy avevano duellato davvero per la prima
volta, da quando lui aveva quasi perso il controllo, da quando aveva
sentito quelle mani grandi su di sé e le aveva immaginate
salire
ancora e ancora, era da quel giorno che invisibili fiamme si erano
impadronite dei suoi sensi, incendiandoli alla prima occasione utile;
quindi Kaelee decise che avrebbe infranto l'ennesima regola,
perché come lo amava in quel momento, allo stesso modo lo
avrebbe amato dopo il matrimonio, ragion per cui prima o dopo non
faceva alcuna differenza per lei.
«Bene»,
sussurrò quindi, cercandolo per un nuovo bacio nient'affatto
delicato come il precedente; un bacio che esprimeva
tutto il suo desiderio e che avrebbe potuto essere il preludio di
un'emozionante esperienza.
La sua soddisfazione fu grande nel verificare che Guy non intendeva
farsi pregare per ricambiare; ormai si era quasi abituata a quella
parte di lui che teneva saldamente le redini ogni sera, ogni notte,
ogni volta che il corpo voleva una cosa e la mente quella opposta, ma
non le era certo sfuggito come, ultimamente, Guy tendesse ad essere
molto meno
controllato dei primi tempi, come si abbandonasse sempre più
spesso e
molto volentieri ai suoi slanci, assecondandola e permettendole
di prendersi molte più libertà, ponendo,
però, pur
sempre
un
freno quando sentiva che la situazione, secondo lui, stava per
oltrepassare il limite. Se fosse stata lei ad avere pieno controllo
della corsa, non avrebbe fermato affatto i cavalli. Col senno di poi,
riusciva sempre a dirsi che senza Gisborne avrebbe combinato un bel
pasticcio già da un po', lasciandosi trasportare da emozioni
e
sensazioni e abbandonando completamente la razionalità;
riusciva
a rendersi conto di quanto dannosa avrebbe potuto essere la sua
impulsività, la sua impazienza; riusciva ad accorgersi di
quanto
fosse ancora una bambina sotto svariati aspetti e di quanto, per
questo, avesse bisogno di Gisborne non soltanto in qualità
di
partner, ma anche come guida, consigliere, amico, confidente;
probabilmente non sarebbe stata comunque capace di pentirsene,
–
come non si era mai pentita sul serio di tutte le volte in cui aveva
cercato di privare Guy dei suoi vestiti con la fretta, tipica delle
bambine, di togliere il panno sopra un cestino colmo di frutta fresca e
succosa – però, forse, se si fosse concessa a lui
nel bel
mezzo della campagna circostante Locksley, ci avrebbe poi ripensato su
e si sarebbe data dell'imbecille per aver avuto fretta di raggiungere
una tappa tanto importante e significativa.
Gli
era grata, anche se preferiva molto più quando le metteva
una
mano sulla nuca, come in quel momento, che fosse per trattenerla oppure
per ancorarsi alla realtà e trattenere se stesso.
Vestita
della parte più maliziosa di sé, scatenata poco
prima da
Gisborne, e ignorando le riflessioni che la sua mente aveva cercato di
rammentarle, senza alcun preavviso, gli
sollevò la leggera blusa che indossava per dormire, con il
chiaro intento di togliergliela di dosso. Non le importava minimamente
ciò che sarebbe accaduto di lì a mezz'ora, un'ora
o
all'alba, non le interessava se e come Guy sarebbe intervenuto,
perché voleva semplicemente godersi il momento e provare a
convincere lui a fare altrettanto per una volta, e inizialmente
andò bene, perché lui continuò a
ricambiare il bacio e
a premerle le dita contro la nuca fino a sollevare, poi, perfino le
braccia per facilitarle il compito; ma d'un tratto Kaelee
poté
quasi sentire la campana allarmata rimbombare nella testa di lui per
avvertirlo che se non l'avesse fermata sarebbe successo. Successo cosa?
L'irreparabile?
Lo spazio che Guy mise tra loro le parve incredibilmente e
fastidiosamente ingombrante, tanto che, se non fosse stato per la
delicatezza di lui, avrebbe di certo messo il broncio, si sarebbe
alzata, avrebbe bussato alla porta di Robin e avrebbe chiesto che le
venisse data un'altra stanza o che le fosse concesso di trascorrere la
notte da Kate solo per indispettire Gisborne. Si rendeva conto da sola
di quanto, alle volte, sapesse essere esagerata nelle sue reazioni, ma
l'istinto era sempre stato la parte predominante in lei e, sebbene ci
stesse lavorando su, era davvero difficile contrastarlo degnamente;
così, prima che Guy iniziasse ad affrontare di nuovo
l'argomento
con calma, facendosi portatore di tutte le buone ragioni del mondo,
Kaelee diede voce ai suoi desideri.
«Ti prego», mormorò riavvicinandosi alle
sue
labbra, trattenendolo con tutta la forza di cui era capace.
«Ti prego, non opporti».
Chiuse gli occhi e cercò con insistenza la sua bocca,
volendo semplicemente che si abbandonasse una volta per tutte, che non
tenesse sempre sveglia una parte razionale che sarebbe intervenuta sul
più bello. Fino a quella sera, Kaelee lo aveva sempre
ammesso a
se stessa e a lui, tutte le ragioni sollevate da
Guy
l'avevano convinta davvero che non fosse ancora il momento giusto,
ma, dopo che le aveva chiesto, d'istinto, di sposarlo e che lei aveva
accettato,
quale altro motivo avrebbe potuto trovare per rimandare
ciò che da tempo era ad un passo dall'accadere? Se in
precedenza
Kaelee aveva nutrito il dubbio che lui potesse non volere la stessa
cosa, in quel frangente non aveva più alcun motivo di
pensarlo
perché, se veramente Guy voleva condividere il resto della
sua
vita con lei, non era possibile che non la desiderasse anche sul piano
puramente fisico, perciò si convinse che dovesse esserci
un'altra ragione, – oltre le buone maniere, oltre il buon
costume
– si
sentì in dovere di rasserenare Guy e scoprire cosa lo
tratteneva. Quindi prese un profondo respiro e riordinò i
pensieri.
«Guardami...
Kaelee, guardami», fece lui, anticipandola, in tono serio e
scuotendola
leggermente per le spalle, mandando inconsapevolmente a monte la
domanda che stava per raggiungerle la lingua.
Dinanzi a tanta urgenza e preoccupazione – forse perfino
paura
– Kaelee non poté che obbedire: smise di provare a
baciarlo, abbandonò il suo petto e
lasciò che la blusa tornasse a coprirgli per intero il
torace e
la vita, senza spazientirsi per quell'ormai consueta interruzione visto che
aveva deciso di scendere ancora una volta nel
profondo
dei tormenti di Gisborne.
«Di cosa hai paura, Guy?», gli domandò
andando dritta a quello che riteneva il punto della situazione, senza
attendere il solito discorso che le avrebbe fatto di
lì
a qualche attimo.
Con
gli occhi fissi in quelli di lui, si accorse di averlo spiazzato prima
ancora che Guy abbassasse lo sguardo sulle coperte – neanche
si
fosse macchiato del peggiore dei crimini. Kaelee comprese, dunque, che
era davvero la paura il fulcro della questione, ovvero quel freddo
fantasma costantemente attaccato alla sua schiena, capace di
raggelargli ogni
muscolo.
Allora gli cinse il viso con entrambe le mani, per accarezzarlo
dolcemente, in cerca del coraggio che sarebbe servito a entrambi per
affrontare quella situazione, perché sapeva quanto fosse
doloroso scendere nei meandri del passato di Guy e non aveva
dimenticato
le volte in cui ne era uscita a pezzi, seppur felice di averlo aiutato.
«Parlane
con me, per favore. Cos'è che ti spaventa così
tanto
tutte le
volte?», domandò con un tono che non era
né
pedante, né stizzito e che testimoniava la sincera
volontà di capire, di abbattere quell'ultimo
brandello di muro.
Lo vide e sentì prendere un profondo respiro prima che
tornasse a
guardarla e parlare, lasciandola con il fiato sospeso nel tempo
trascorso tra l'una e l'altra azione.
«Temo di distruggere ogni cosa», ammise,
accarezzandole le spalle.
Dovette
lasciar passare diverse decine di secondi perché le fosse
realmente chiaro il senso di quelle parole; secondi che le occorsero
per fare mente locale e un tuffo nel passato di Guy alla ricerca del
motore di
quel tarlo. Ripensò a tutto ciò che, giorno dopo
giorno, le aveva raccontato e si rese conto di quanto Guy si stesse
colpevolizzando per avvenimenti che non erano totalmente dipesi da lui;
conosceva bene la sua storia, ormai, e poteva facilmente intuire che
Guy
stesse andando avanti nella convinzione di essere esclusivamente lui
stesso la causa del
proprio e dell'altrui male, in quanto aveva fatto dei torti a Lady
Marian, pur sostenendo di amarla; ce l'aveva sempre messa tutta per
evitare di esprimere giudizi su una persona che non aveva neanche
conosciuto, ma era difficile per lei tenere per sé l'idea
che si
era fatta di quella donna, dopo averne ascoltato la storia e le vicende
di cui si era resa protagonista: per quel che ne sapeva lei, infatti,
Marian non aveva mai avuto le idee chiare su cosa volesse esattamente,
come se fosse attratta tanto da Robin, quanto da Guy – a
differenza sua – perciò, anche se Gisborne aveva
commesso
un grave errore togliendole la vita, non era giusto che continuasse a
tormentarsi a quel modo, pregiudicando anche il rapporto che aveva con
lei. Quindi scosse il capo, contrariata.
«Come puoi pensarlo?», gli chiese, aggrottando
istintivamente le sopracciglia. «Guy... Nulla di orribile
potrà mai accaderci», soffiò,
addolcendo di nuovo i tratti
«perché ti amo e tu ami me, non è
così?».
«È così», le rispose senza
esitare.
«Ma ho paura. Ho paura che un giorno tu possa cambiare idea,
che tu possa odiarmi, che tu possa abbandonarmi».
Kaelee sospirò mentre rifletteva su quella confidenza. Si
pose
le mani in grembo, come a volersi concentrare, e quando Guy
spostò le proprie dalle sue spalle, le
intercettò per poterle stringere e trovare ispirazione per
le
parole
più adatte da dirgli. Non quelle che Guy avrebbe voluto
sentirsi
dire,
ma
quelle più vicine alla verità, le più
realistiche; non quelle che lo avrebbero convinto a lasciarsi andare
per soddisfare la voglia che Kaelee aveva di affrontare il passo
successivo e appartenersi completamente, ma quelle che avrebbero
allontanato per sempre la paura dal cuore di lui.
«Io
non so cos'abbia in serbo per noi il futuro. So che siamo arrivati fin
qui, percorrendo strade molto diverse, e che ci siamo incontrati. So
che uno dei miei fratelli ci vuole morti, ma
ho ancora la speranza di poter vivere un'esistenza felice. Non so
quanto lunga sarà e proprio per questo sento di dover vivere
appieno ogni istante con te e con Kate e con tutti voi che mi avete
accolta con tanta ospitalità, qui a Locksley. Questo non
significa che bisogna correre o avere fretta, né vuol dire
che
dobbiamo cedere troppo presto agli istinti anche quando non sono
totalmente fuori luogo. Però, Guy, tu sei l'uomo migliore
che
potessi incontrare nel mio percorso di vita e sei l'unico con il quale
io voglia condividere ogni cosa, perciò se non
sarà con
te non sarà con nessun altro. Sono consapevole di quanto la
tua
condizione sia diversa dalla mia, so che per te non è la
prima
volta, ma non mi importa. Sarà la prima volta con me,
perciò non avere paura di niente, non più del
necessario,
non di perdermi, perché ho ragione di credere fermamente che
non
mi perderai mai per mia libera iniziativa e scelta. Eppure comprendo
anche
che domani Rudyard potrebbe colpirci e che potremmo... che
potresti...», non riuscì a dirlo, ma Guy
capì
ugualmente e le strinse le mani.
«E mi hai chiesto di sposarti ed io ti ho detto che voglio
farlo,
che lo farò se tutto andrà come deve e come spero
che
vada. Quindi lasciati andare, sentiti libero di farlo».
«Sei così giovane eppure così
profonda», commentò Guy, stringendola poi in un
abbraccio,
«così saggia nella tua spontaneità, che
a volte mi chiedo chi sia l'adulto tra noi due».
La pausa che seguì mandò quasi in tilt il cuore e
la mente di Kaelee, che non riusciva a intuire la direzione dei
pensieri dell'uomo.
«Una cosa mi è chiara come la luce del
giorno», riprese. «Senza
te non mi sarebbe stato possibile essere ciò che sono oggi,
né avrei potuto provare tutte queste emozioni che tanto
generosamente mi regali. Non posso prometterti che non avrò
paura, posso però assicurarti che proverò a non
averne»,
mormorò infine.
Kaelee non ebbe tempo né modo di chiedersi se ci sarebbe
stato un "ma"
da abbattere affinché Guy si decidesse a fidarsi ciecamente
di
lei, – che lo amava incondizionatamente, che lo amava per
ciò
che
era e che nonostante fosse al corrente del passato di lui continuava a
non considerarlo un assassino, un uomo malvagio, una persona da evitare
– perché quando ancora nella sua mente risuonava
l'eco di
quelle parole, Guy iniziò a spogliarla senza distogliere gli
occhi dai suoi.
«Fermami se cambi idea», sussurrò.
«In qualsiasi momento. Prometti».
Kaelee
deglutì senza riuscire a distogliere lo sguardo mentre
il
nastro che teneva uniti i due lembi della veste si scioglieva sulla sua
schiena, lasciandone libera una porzione.
«Te
lo prometto», disse in un soffio quasi inudibile a causa dei
respiri
che si spezzavano così presto da non lasciarle il tempo di
riempire di ossigeno i polmoni.
Le parole che Kaelee gli aveva rivolto si erano presto rivelate
un'ulteriore porta aperta verso la pace interiore cui stava cercando di
arrivare. La donna non lo aveva del tutto convinto che fare l'amore con
lei prima di sposarla e per di più al Maniero, con Robin e
Archer nelle vicinanze, fosse la cosa più saggia da fare, ma
era
riuscita a portare in superficie con estrema facilità quella
voglia che aveva di farla sua. Con se stesso aveva sbagliato tutto e la
sua prima volta era stata con una donna che sapeva di non amare, una
donna che aveva posseduto per puro divertimento e svago personale, su
suggerimento di Vaisey il quale gliel'aveva procurata come premio per
un compito che aveva portato correttamente a termine; ciononostante
riusciva a dare il giusto valore a quell'atto d'amore che si apprestava
a compiere per la prima volta con Kaelee, perciò voleva,
almeno
con lei, evitare di commettere errori. Ma non sarebbe stato uno sbaglio
continuare a intralciare quello che pareva essere il percorso naturale
delle cose? Non rischiava forse di deludere e allontanare Kaelee
ostinandosi a rifiutarla, pur non volendo davvero farlo? Forse era
davvero tempo di lasciarsi andare, quindi spostò una mano
sul
viso di Kaelee,
così
piccolo da stargli interamente nel palmo, fissandola forse
con
aria fin troppo seria, tanto che gli fu impossibile rilassarsi
finché
non
fu abbagliato dal suo sorriso. Socchiuse gli occhi per pochi
attimi ed ebbe la sensazione che ogni cosa vissuta fino a quel momento
acquistasse significato, culminando in quell'atto d'amore che era forse
il primo di tutta una vita. La morte dei suoi genitori, i meccanismi di
difesa, il pesante segreto della relazione di sua madre con il padre di
Robin, l'aver letteralmente venduto Isabella al miglior offerente,
l'alleanza con Vaisey, il viaggio in Terra Santa, la scoperta di avere
un fratellastro, ogni singola ferita inferta e subìta, tutte
le
umiliazioni provocate e subìte, i maltrattamenti perpetrati
e
subìti, le notti al Maniero per indispettire Robin e le
notti in
cella per aver fatto del male a sua sorella, tutto il tempo trascorso
dietro al desiderio di potere e denaro, quando invece gli sarebbe
bastato un pizzico d'amore per renderlo felice in eterno, tutto divenne
più leggero sollevato da quel sentimento potente e
devastante.
Trentasei anni di vita si erano appena tuffati in un lago di caramello
trovando, finalmente, un senso.
Persa nella delicatezza dei suoi gesti, Kaelee quasi non riusciva a
credere che Guy avesse davvero scelto di tagliare la corda a quella
benedetta campana che aveva in testa e, quando le accarezzò
la
guancia, travolgendola con un sorriso dolcissimo, per un attimo venne
sfiorata dal dubbio che Gisborne avesse ragione. Le pareva che fino a
quel momento fosse stata certa di voler intraprendere quella strada
perché aveva l'intima sicurezza che Gisborne avrebbe posto
rimedio per entrambi, se necessario; ma ora che Guy si manifestava
disposto a lasciarsi andare completamente, ecco che tutte quelle
campanelle che non si erano mai mosse fin lì, avevano
iniziato a
suonare tutte insieme. Cosa ne sapeva lei, in fondo,
della vita e dell'amore se non quelle poche nozioni imparate sul campo
negli ultimi mesi? Aveva abbastanza consapevolezza da poter affrontare
le conseguenze della voluta intimità? E se non fosse stata
pronta a vivere quanto stava
per accaderle, come avrebbe gestito la situazione dal momento che
per prima aveva fatto capire a Guy di essere sicura di ciò
che
voleva?
Mentre Gisborne la invitava dolcemente a stendersi, fu aggredita con
prepotenza
da tutti i timori che aveva evitato di considerare fino a
quell'istante e che, forse, erano proprio quelli che avevano frenato
Guy
in precedenza: iniziò a chiedersi cosa ne sarebbe stato di
loro
dopo, se sarebbe stata all'altezza di lui, che direzione avrebbero
preso i suoi stessi pensieri l'indomani mattina, cosa avrebbe detto a
Kate; iniziò a valutare l'ipotesi di attendere il
matrimonio e improvvisamente si rese persino conto che Robin e Archer
erano a
distanza molto ravvicinata e che non era poi così
improbabile
che si
accorgessero di quanto avveniva nella stanza del fratello; si chiese se
avrebbe provato dolore e quanto; fu assalita, poi, da una serie
infinita di
dubbi in merito all'atteggiamento che Guy avrebbe assunto in quel
frangente; sarebbe stato gentile fino alla fine? L'avrebbe rispettata
anche dopo? Sarebbe stato prudente?
Kaelee ebbe la conferma che non ne aveva parlato abbastanza con Guy
nonostante ne avessero parlato moltissimo e,
per la prima volta, si sentì fuori posto tra le sue braccia.
Fu
per lei una sensazione così orribile che sentì le
lacrime
pungerle gli occhi, perché non aveva mai ritenuto possibile
sentirsi così con lui.
Gisborne, che – come Kaelee aveva notato – non
aveva mai smesso di osservarla con attenzione,
riuscì a capire subito che qualcosa in lei non andava,
quindi si concentrò esclusivamente sul suo viso, facendola
arrossire, facendola sentire una stupida
ragazzina incapace di prendere una decisione.
«Mi hai
fatto una promessa», sussurò sminuendo il lieve
rimprovero con un sorriso.
Sospirò, arrabbiata con se stessa, delusa da se stessa, in
conflitto con se stessa, mentre gli scostava una ciocca di capelli dal
viso
incredibilmente bello, constatando – sebbene non c'entrasse
nulla
con la situazione in corso – che l'età non aveva
quasi per
nulla
inciso su
di lui, – e ne era convinta anche se non aveva avuto il
piacere di
conoscerlo prima – fatta eccezione per qualche piccola ruga
attorno agli
occhi e
sulla fronte. La realtà dei fatti era che Kaelee non sapeva
da
dove iniziare, non aveva idea di come fare a
esprimergli le proprie paure senza rischiare di offenderlo.
Fu lui, ancora una volta, a incoraggiarla, a rimetterla su quella
carreggiata che lei stessa gli aveva mostrato non molti minuti prima.
«Voi donne, e tu in modo particolare, siete per me un
mistero.
Complesse e affascinanti, incomprensibili e irresistibili. Ho spesso
tirato a indovinare la direzione dei vostri pensieri, condizionando il
tentativo con i miei desideri personali, e ho sempre sbagliato,
perciò non commetterò lo stesso errore con te.
Poco fa mi
hai chiesto di parlarti delle mie paure, ti sei messa a mia completa
disposizione senza che io ti abbia chiesto nulla, spontaneamente, ed
è stato incredibilmente semplice mettermi a nudo. Non mi hai
mai
giudicato, neanche quando avevi tutto il diritto di farlo, non hai mai
inveito contro di me e, anzi, con amore e pazienza sei riuscita ad
abbattere tutte le barriere che, involontariamente, ho innalzato negli
anni e nei confronti di chiunque, perfino dinanzi a chi voleva solo
aiutarmi, come te, convinto che così mi sarei difeso dal
mondo
intero. Sbagliavo di nuovo, Kaelee, perché se è
vero che
non risentivo dell'intensità delle emozioni, è
altrettanto vero che non vivevo. Quindi non prendermi come esempio, non
innalzare anche tu barriere con me, perché non sono certo di
avere la forza necessaria a riuscire in questa enorme impresa che tu,
piccola e determinata creatura, hai portato a compimento. Parlamene, ti
prometto di ascoltarti e di provare a comprenderti e aiutarti sebbene
questo ruolo sia a me poco congeniale, ma ti amo e in virtù
di
questo so che farei qualunque cosa per te, sarei qualunque
cosa»,
disse con voce quieta, che ebbe l'immediato effetto di rilassarla.
«Se non ti senti pronta, dimmelo e ti terrò
stretta a me
per tutta la notte. Se ci hai ripensato, dimmelo e ne parleremo
insieme. Sappi, però, che se vuoi, domattina saremo gli
stessi
di adesso, sappi che ti guarderò come ti guardo adesso,
avrò sempre timore di sfiorarti, avvertirò sempre
la
tempesta ad ogni bacio e vorrò sempre tenerti per
mano»,
aggiunse.
Quel
tono di voce, pacato e rassicurante, colmo d'amore e di
sincerità, ebbe un effetto benefico sui suoi nervi tesi.
Senza
neanche saperlo, Guy aveva indovinato con esattezza le domande che
l'avevano stretta in una morsa tutt'altro che piacevole e, sebbene
sostenesse di non essere un buon ascoltatore, si era rivelato un
osservatore eccellente e aveva manifestato un'empatia che la
colpì molto, facendo virare di nuovo i suoi pensieri. Se Guy
era
così in sintonia con lei, poteva voler dire soltanto che si
appartenevano – pensava guardandolo e sospirando per
l'ennesima volta.
Si convinse che non avrebbe mai raggiunto un equilibrio con se stessa e
sperò che questo non avrebbe inciso negativamente sulla sua
relazione con Guy, in futuro, quindi si ritrovò a
rispondergli tutt'altro
rispetto a ciò che aveva sconvolto la sua mente.
«Prima
o poi ti stancherai della mia volubilità»,
mormorò,
scherzandoci su e facendo poi una sintesi di ciò che l'aveva
tanto spaventata. «Stavolta,
però, non ho cambiato idea», concluse.
«Non
voglio che tu te ne penta domattina», rispose Gisborne,
nuovamente serio.
Annuì. «Lo so e ti ringrazio per l'infinita
pazienza che
hai con me. Sono sicura che questo non accadrà, a meno
che...», soffiò per poi avvampare. "Ed ora? Se gli
dico
che non voglio essere madre adesso, si offenderà?
Penserà
di me che sono una di quelle donne lì?", si chiese cercando
aiuto e conforto negli occhi di Guy.
«Cosa stavi per dire?», chiese con un sorriso.
«Non
devi avere mai timore di dirmi qualcosa. A meno che tu stia per
confidarmi un tradimento», scherzò, facendola
ridere.
«Questo è impossibile»,
assicurò, per poi
prendere un profondo respiro. «Conosco le possibili
conseguenze
di ciò che stiamo per fare, eppure non sono pronta a... a...
ad
essere...», disse, esitando e non riuscendo, di nuovo, a
terminare la frase.
«Ogni cosa a suo tempo, te lo
prometto»,
rispose, comprendendo evidentemente il senso di quella frase
sconclusionata, cercandola per un bacio che lei ricambiò
volentieri e che le fece battere forte il cuore.
Mentre pensava a cosa sarebbe quindi accaduto di lì a
qualche
istante, mentre rifletteva a come poter raggiungere di nuovo l'armonia
che aveva spezzato facendosi assalire dai dubbi, sentì le
mani
di Guy scivolare con dolcezza sul suo corpo, riprendendo esattamente da
dove erano rimaste.
Non
avrebbe mai immaginato di potersi sentire così a proprio
agio in tale intimità e nella consapevolezza che niente e
nessuno avrebbe impedito loro, quella volta, di unirsi. Con una
sicurezza di cui Kaelee non
era
per nulla convinta gli sfilò senza intoppo la blusa, sebbene
le
mani
le
tremassero, lasciandosi invadere dal calore della pelle di Guy
a contatto con i propri palmi: non sarebbe mai riuscita a resistere
alla tentazione di sfiorare quella pelle chiara e liscia.
Seguì
quindi una lunga serie di
leggere
carezze che condussero per la prima volta le sue dita al di
sotto della vita di Guy. Benché avesse una vaga idea di come
fosse fatto un uomo, avvampò nell'incontrare la sua
intimità e fu tentata di ritirare le dita nel timore di
essere
stata troppo azzardata con quel gesto, perciò fu colta da un
brivido che la scosse da capo a piedi costringendola a cercare un
contatto visivo con Guy.
«Va tutto bene», la rassicurò in un
sussurro.
Pur vivendo pienamente ogni gesto di
lei, Guy era molto attento a ciò che traspariva dallo
sguardo di
Kaelee. Si era ripromesso di tenersi pronto a sostenerla in qualsiasi
momento, perciò non smise mai di osservarne il volto. Mentre
si
lasciava privare da lei di ogni indumento, vide passare dagli
occhi della donna che amava una quantità indefinita di
emozioni
che andavano dall'ammirazione al desiderio, passando per l'amore e
l'imbarazzo; la trovò adorabile nella timidezza che
trasmetteva quando, sfiorandolo, scostava le dita e contraeva le labbra
temendo, probabilmente, di poter sbagliare.
Il contrasto in cui Kaelee viveva era sempre stato fonte di grande
curiosità e attrazione in lui, – sebbene mostrasse
istantaneamente un carattere determinato e forte, difficile da
sopraffare e domare, era al contempo molto timida e delicata nel
relazionarsi con gli altri – perfino in quel
momento; Kaelee, infatti, non aveva smarrito la propria
determinazione, – altrimenti non avrebbe potuto accarezzarlo
a
quel modo – ma in quel
frangente era così sopraffatta dall'intera situazione da
apparire incerta, quasi spaesata, bisognosa di continue rassicurazioni
che lui era pronto ad offrirle.
Quando fu completamente nudo la vide serrare gli occhi e
avvampare più di prima, così le
accarezzò il viso
con il respiro già alterato e il cuore in corsa, immaginando
che
anche lei fosse preda delle stesse sensazioni.
«Sono così brutto?», scherzò
per alleggerire l'intensità delle emozioni.
Spalancando gli occhi e socchiudendo le labbra in un modo
incredibilmente tenero e infantile, Guy la vide negare con vigore
mentre premeva le dita sottili sui suoi glutei come non aveva mai fatto
prima, pelle contro pelle, fuoco su fuoco.
«Sei bellissimo», soffiò con voce
tremante.
Allora le sorrise e iniziò a sollevarle la veste, lunga
fin
quasi alle caviglie e già slacciata sulla schiena, con
lentezza
calcolata, senza alcuna fretta sebbene non desiderasse altro che poter
sentire pienamente la sua pelle contro il proprio corpo. Dopo Annie,
Guy non era più entrato in intimità con una donna
dal
momento che il suo cuore batteva per Lady Marian, la quale non aveva
mai voluto neanche sposarlo, figurarsi andare oltre un bacio rubato,
perciò
– nonostante l'indubbia esperienza – era in piccola
parte
incerto, temendo di poter risultare rude o brutale. In effetti con
nessuna delle altre donne con le quali era stato aveva dovuto
preoccuparsi di essere gentile, delicato e dolce, considerandole sua
proprietà e niente di più, non provando alcun
sentimento
che non fosse il mero desiderio di possederle, ma con Kaelee era tutto
completamente diverso perché l'amava. Da quando l'aveva
incontrata aveva provato sulla pelle una moltitudine di sensazioni
diverse, una quantità infinita di sfumature per ogni singola
emozione conosciuta, talmente tante da non essere neanche in grado di
attribuire un nome specifico ad ognuna, e, in questa scala immaginaria,
il desiderio occupava un posto del tutto marginale, sul fondo. Sarebbe
stato scorretto negare a se stesso, ai suoi fratelli o a Kaelee, di
sentirlo pulsare nel basso ventre ad ogni bacio, ad ogni carezza, ma
Guy aveva la certezza che il desiderio non costituisse per lui un
bisogno di vitale importanza, da soddisfare nell'immediato, non
più, e ne era felice.
In sincrono perfetto con la stoffa che si
arrotolava salendo lungo le gambe di Kaelee, Guy allungava le dita
sempre
più su lungo il corpo di lei con tocchi voluti,
cercati, desiderati, a tratti stringendole
attorno al polpaccio, sul ginocchio, sulla coscia e ancora sulle
natiche quando fu necessario che Kaelee si sollevasse,
affinché riuscisse a toglierle definitivamente l'indumento.
Indugiò,
quindi, sui fianchi e sull'addome liscio, che si contraeva ad ogni
passaggio, apprezzandone la compattezza e la morbidezza.
Guy realizzò che Kaelee aveva avuto più ragione
di quanto
forse lei stessa si fosse resa conto di avere nel momento in cui gli
aveva detto
che anche se non era la prima esperienza per lui, lo sarebbe stata con
lei; infatti si sentiva come se stesse amando per la prima volta una
donna, forse proprio perché non aveva mai amato nessuno
prima di
allora.
Il continuo mordersi il labbro inferiore da parte di Kaelee, lo
convinse a baciarla per porre rimedio ad una stretta che stava
diventanto
fin troppo forte per i suoi gusti; inoltre non gli dispiaceva affatto
baciarla, perciò si dedicò a lei in tal senso con
molto
piacere.
Reggendosi sui gomiti fece poi scivolare le mani dai fianchi
alla schiena, che poté finalmente sfiorare senza alcun
impedimento, rendendosi conto che Kaelee pareva essere ancora
più
minuta e delicata mentre con le dita riusciva a sentirne le scapole e
parte della colonna vertebrale. Possibile che una creatura tanto
piccola fosse riuscita ad esercitare una forza tanto straordinaria su
di lui da far crollare definitivamente quei brandelli di passato che
ancora si ergevano sul suo cuore quando lei ci aveva messo
delicatamente piede? E dove aveva trovato, lui, il coraggio di duellare
con lei senza trattenersi? Come aveva potuto convincersi che lei non
corresse alcun pericolo? Eppure, per quanto esile lei potesse apparire,
appena Guy si soffermò nuovamente sulle braccia, sull'addome
e
sulle gambe, si accorse di quanto allenati fossero i muscoli di lei
mentre spingeva le braccia lungo le sue fino a raggiungere la nuca e
poi i capelli, che tirò con passione mentre si abbandonava
al
bacio. Lo costrinse perfino ad una leggera smorfia di disapprovazione
mista a dolore quando lo strattonò, solo perché
opponeva
resistenza alla sua lingua. Guy non faticò a comprendere,
pur
non ammettendo giustificazioni, perché la madre di Kaelee
avesse
cercato di metterla in catene: una donna tanto intraprendente,
autonoma, forte, decisa e ingovernabile era senz'altro un pericolo per
una società in cui
la figura femminile non veniva presa in considerazione come parte
integrante del sistema; fu certo che se Kaelee avesse sposato l'uomo
che sua madre aveva scelto per lei, avrebbe tentato la fuga il giorno
stesso del matrimonio e, qualora non vi fosse riuscita, sarebbe stata
capace di togliersi la vita pur di non sottostare a regole che riteneva
ingiuste.
A corto d'ossigeno, dalle labbra si spostò sulla guancia,
– che assaporò con lentezza – poi sul
collo, –
che leccò sensualmente con la punta della lingua per il solo
gusto di sentirla sospirare e tremare tra le sue braccia –
sulla
spalla – che si azzardò a mordere piano
– e sul
petto – che baciò dolcemente – per
risalire a
ritroso, infine, passando anche per la gola e
per il mento prima di raggiungere nuovamente la bocca.
Completamente immerso nelle proprie emozioni, fu certo di non
commettere niente di malvagio o di sbagliato amando quella ragazza che,
fin da subito, lo aveva colpito e conquistato, che gli aveva rimesso in
moto il cuore grazie alla notevole dose di entusiasmo che sempre si
portava dietro. Negli occhi quasi dorati con cui lei lo
guardava, Guy aveva infine trovato la pace tanto agognata, l'amica
sincera che
non era mai riuscito ad avere, l'amore da cui fino a quel momento era
soltanto stato sfiorato; in una giovane donna, così minuta
da
sembrare
fragile, così diversa da come aveva immaginato la
persona
con la quale avrebbe condiviso tutta una vita, aveva scoperto
una forza d'animo che faceva di lei tutto ciò che lui non
era
stato capace di essere, una determinazione che le aveva impedito di
crescere infelice, una positività che aveva mantenuto
intatta
l'inclinazione al bene e che lo aveva guidato in quella stessa
direzione, tenendolo dolcemente per mano; nell'ostinazione di lei,
negli occhi grandi
sempre colmi di emozione, sempre sinceri e trasparenti nel
loro
muto
parlare, nella delicatezza che gli riservava e nella risolutezza con
cui impugnava la spada, nell'intensità con cui lei viveva
ogni
cosa, Guy aveva conosciuto l'amore vero – quello stesso amore
che
teneva Robin ancora legato a Marian nonostante lei non fosse
più
su quella Terra. Nel giro di un tempo brevissimo, Guy si era
reso conto di provare qualcosa di veramente forte e puro per lei e da
quel momento in poi non gli
era stato in alcun modo possibile nascondere quel sentimento, nemmeno
di
fronte ad una considerevole differenza di età, neanche
dinanzi
alla prospettiva di metterla a conoscenza del proprio disastroso
passato, neppure davanti ad una famiglia che non avrebbe mai accettato
la loro relazione.
Kaelee aveva ormai la costante sensazione di poter prendere fuoco da un
momento
all'altro, perché il contatto diretto della pelle con
quella di lui
era qualcosa di così intenso che, se anche ci avesse provato
impegnandosi, non sarebbe riuscita a descrivere nel dettaglio e
degnamente; per non parlare di quelle dita che tastavano sapientemente
il suo corpo, – come nessuno aveva mai fatto prima e come
nessun'altro avrebbe fatto da quel momento in avanti – o dei
baci, che l'avevano spinta a cercare per prima la lingua di lui. Era
certa di essere ad un passo dal perdere il controllo di ogni freno
possibile e l'unica cosa che le era davvero chiara era quanto
fosse oltremodo piacevole condividere quel momento con Guy,
così come sapeva che presto non avrebbe potuto
più farne a meno, come già accaduto con i baci
d'altronde.
Si sentì sovrastata dall'imponenza di Gisborne, ma anche
protetta in quell'abbraccio che la avvolgeva completamente, cancellando
ogni timore e facendola sentire totalmente amata. Per quanto potesse
sembrarle incredibile, Guy pareva davvero convinto che proprio lei
fosse
destinata a renderlo un uomo felice e questo, per Kaelee, era di
fondamentale importanza. Da quando aveva compreso che l'uomo provava
sentimenti molto profondi per lei, non aveva fatto altro che amarlo
apertamente con
tutta se stessa, desiderando solo di vederlo sorridere sempre, volendo
semplicemente che fosse sereno e che vivesse un'esistenza in pace con
se stesso, con i suoi amici e con gli abitanti di Locksley.
Kaelee aveva appoggiato delicatamente le labbra al di sotto della sua
clavicola, quando, con una naturalezza e semplicità
disarmanti, il corpo di lui si fece spazio in lei.
Ebbe la sensazione di fluttuare o galleggiare, mentre percepiva se
stessa più che mai in quell'incastro perfetto, quasi che in
precedenza non si fosse mai davvero accorta di quella parte del suo
corpo che, in quel frangente, le donava un calore quasi insostenibile
ed un piacere sconosciuto, ma altrettanto intenso; tanto che tutte le
domande che si era posta svanirono dinanzi alla consapevolezza che fare
l'amore con la persona amata era quanto di più
naturale e
bello potesse accadere tra un uomo ed una donna.
Se Guy non avesse sussurrato il suo nome, mentre lei faceva i conti con
un armonioso disordine di pensieri, probabilmente avrebbe
finito per perdersi in tutta quella luce, in quel benessere che
invadeva ogni singola fibra del suo corpo. Si domandò se
fosse
quella la definizione più corretta di felicità,
ma non si
soffermò a cercare la risposta, tanta era la voglia di
vivere
totalmente quel momento insieme a Guy. Nel sentire la voce dolce e
profonda dell'uomo, vibrò sotto di lui prima di
baciargli
il collo con amore.
«Sono
qui», mormorò senza temere di risultare banale,
ovvia o addirittura sciocca.
«Resta con
me», soffiò lui, con voce rotta dall'emozione.
«Per
sempre», gli rispose.
Kaelee
non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando
Guy l'aveva stretta tra le braccia e accolta sul petto,
né aveva tenuto il conto di tutte le volte che l'uomo aveva
sussurrato il suo nome dichiarandole i propri sentimenti, coprendola
con milioni di tenere carezze e rassicurandola in ogni modo possibile.
L'unica certezza che aveva era di essere più felice che mai.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 12/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
A sorpresa, questa è stata una delle scene
emotivamente
più
difficili
da scrivere e descrivere senza rischiare di perdere la magia del
momento
così come
io
lo avevo immaginato. Ammetto di aver incontrato non poche
difficoltà, stavolta, a scendere nell'introspezione di Guy
che
sembrava proprio non volersi aprire con me, come invece ha fatto con
Kaelee.
Ancora adesso, quindi, (perfino dopo la revisione) non sono pienamente
convinta di aver
reso onore al legame dei due protagonisti, ma lo ritengo comunque un
buon compromesso tra un pessimo risultato ed un ottimo risultato.
Veniamo dunque alle precisazioni per chi tratta la storia come
un'originale – e ringrazio sentitamente tutti quanti si
stanno
impegnando in tal senso.
Quando Gisborne attribuisce l'appellativo "arrogantello" a Robin,
aggiungendo che vuole fare sempre di testa sua, vuole fare un
velato riferimento ad un episodio particolare della loro infanzia
– a Locksley si stava festeggiando e c'era da issare una
ruota,
cui erano precedentemente stati fissati dei giochi pirotecnici; tanto a
Robin quanto a Guy, entrambi ragazzini, era stato impedito di usare
arco e frecce per incendiare i fuochi, quindi quando Robin si impunta,
Guy gli strappa la freccia di mano, ma Robin gliene ruba una, ne
accende la punta e la scocca verso i fuochi pirotecnici, incendiandoli
prima del tempo e dando luogo ad una piccola tragedia: chi stava
issando la ruota, ustionato dalle scintille, la lascia cadere e questa
finisce addosso al parroco, che rimane gravemente ferito; la colpa
viene attribuita a Guy, perché l'impennaggio della freccia
scoccata appartiene inequivocabilmente a lui, e qualcuno ne propone
l'uccisione
immediata, evitata grazie al salvataggio del parroco per mano della
madre di Guy. Per i curiosi, l'episodio di riferimento è il
3x10:
"Bad Blood - Sangue Cattivo".
Tutto ciò che riguarda il passato di Guy è tratto
direttamente dalla serie tv, oppure liberamente dedotto da piccoli
dettagli; ciò che mi sono completamente inventata
è,
invece, l'intervento dello Sceriffo nel matrimonio combinato per
Isabella. Ciò che mi ha condotta verso questa
possibilità
è stata la presentazione di Guy nel flashback riguardante il
passato suo e di Robin: Gisborne era tutt'altro che un adolescente
maligno, perciò ho dovuto cercare la causa del suo mutamento
– che è poi il perno attorno cui ruota la
successiva
redenzione – e l'ho trovato in Vaisey. La serie tv non dice
nulla
in merito al destino di Guy ed Isabella dopo la morte di entrambi i
genitori e la conseguente fuga da Locksley, perciò ho
immaginato
che a furia di girovagare Guy abbia incontrato Vaisey (che nella serie
tv sostiene che Guy è stato come un figlio per lui) e che
lui, per
qualche ragione, abbia voluto accoglierlo insieme a sua sorella a
Nottingham.
Attendo con curiosità il vostro parere, ringraziandovi
sempre
per il tempo che mi dedicate.
Alla prossima!
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Capitolo 16 *** Una Questione di Dettagli ***
Una Questione Di Dettagli
Una Questione di Dettagli
Nottingham.
Quando
si svegliò, per un attimo convinta che fosse l'alba, aveva
la
vista offuscata e la
testa dolorante sebbene fosse certa di non aver esagerato con il vino
la notte precedente. Anzi, se si sforzava di andare oltre a quel mal di
testa insopportabile, riusciva a ricordare che l'allenamento del
pomeriggio precedente era stato molto duro, tanto che a cena aveva
mangiato poco per poter andare immediatamente a letto. Che avesse
dormito troppo?
Provò a sbattere le palpebre e la vista parve migliorare a
differenza del dolore lancinante al capo, tanto intenso che perfino gli
occhi sembravano pulsarle mentre scopriva di avere anche uno stretto
bavaglio sulla bocca, che a
stento
le consentiva di respirare, delle corde attorno ai polsi e un aguzzino
dalla faccia familiare a tenerla d'occhio. Per essere un incubo era fin
troppo realistico e qualora non lo fosse, Kaelee proprio non capiva
come avesse potuto finire in quella situazione. Strinse le palpebre
tentando di
mettere a fuoco, ma non le riuscì di abbinare a quel volto
un nome.
Che fosse l'ennesimo scherzo di quella banda di pazzi? Sarebbero
arrivati perfino a legarla pur di dimostrarle qualcosa?
Arrendendosi a tenere chiusi gli occhi, nella speranza di potersi
sentire meglio, comprese che qualcosa doveva essere successo tra la
notte di sonno al Maniero e quel preciso momento, eppure, per quanto ci
provasse, il tentativo di ricordare ciò che le
era
accaduto e mettere a fuoco ciò che le stava accadendo si
rivelava costantemente un inutile sforzo, che incideva
negativamente sul già martellante male alle tempie.
Né le riuscì di capire dove avesse visto il
carceriere prima di quel momento, avendo la sola certezza che non si
trattava di uno degli uomini della cerchia ristretta di Robin Hood.
Poteva essere un suo allievo, però, ammesso che l'ipotesi di
un
rapimento da parte di Robin potesse davvero essere presa in
considerazione, perché, viste le condizioni in cui si
trovava, la situazione pareva rispecchiare un sequestro di persona in
piena regola. Che si trattasse di un piano per smascherare Rudyard?
Ma perché non metterla al corrente prima, se Robin o chi per
lui
intendeva usarla come esca? E Guy, che aveva fatto un mucchio storie
quando lei
aveva voluto recarsi a Nottingham per raccogliere informazioni, lo
avrebbe mai permesso?
"La testa. La testa mi sta scoppiando", si disse mentre tentava di
liberarsi delle corde, scoprendo invece che ogni movimento era una
nuova fitta
ai polsi e una dose in meno di aria
per i suoi polmoni, così come ogni pensiero si rivelava un
chiodo immaginario nella testa già messa
duramente alla prova.
Fu quindi più semplice lasciarsi andare che lottare, senza
alcuna
arma, contro uno spietato nemico senza identità.
Piazza del Mercato,
Locksley.
Non era ancora ora di pranzo quando Allan, prendendosi una pausa dal
raccolto, si recò al pozzo per una rinfrescata.
Il Sole splendeva su Locksley quel giorno, il raccolto prometteva molto
bene, da Edwinstowe erano giunte ottime notizie in merito all'operato
di Dwight e dei suoi alleati, perciò Allan ebbe davvero
l'impressione che sarebbe stata una giornata meravigliosa,
finché si accorse di un dettaglio inequivocabile che lo
indusse ad una
corsa sfrenata fino a Robin Hood.
Robin, infatti, anche se di fatto non esisteva più una banda
di
fuorilegge,
aveva mantenuto il ruolo di leader: ovvero era quell'uomo sul quale
fare
affidamento per quasiasi cosa e al quale riferire tutto ciò
che
appariva fuori dal normale, costituiva il punto di riferimento non
soltanto
per quelli che erano stati, ed erano ancora, i suoi uomini, ma anche
per
l'intero villaggio. Perciò se un artigiano decideva di
aprire
una bottega,
chiedeva consiglio a Robin; se una donna aveva intenzione di maritare
la propria figlia, chiedeva consiglio a Robin; se un giovanotto
desiderava imparare un mestiere, chiedeva consiglio a Robin.
Perché era molto più che un semplice eroe, lui
era una
leggenda vivente e aveva la fiducia di chiunque lo conoscesse,
direttamente o indirettamente.
L'unica differenza rispetto ai tempi in cui
la banda viveva nella foresta di Sherwood, era la presenza di Guy e
Archer, che lo affiancavano e sostenevano nelle decisioni e
nell'amministrazione, senza provare per lui invidia o gelosia; sebbene
Robin non fosse il maggiore dei Tre, – e quindi, secondo usi
comuni in diverse parti del mondo, colui al quale di diritto spettava
il comando – la fiducia che la popolazione e gli uomini a lui
vicini nutrivano nei
suoi confronti faceva di lui la miglior guida che si potesse desiderare.
Ragion per cui Allan non avrebbe potuto recarsi da altri per discutere
di quanto aveva appena rinvenuto in prossimità del pozzo e
che
gli aveva fatto rizzare i capelli sulla testa, quindi, scoperto che
l'arciere non era al Maniero e saputo dove si trovava da uno degli
uomini che si occupavano di mantenere in ordine l'abitazione,
schizzò via a tutta velocità.
Radura del Cavaliere,
Sherwood.
Robin e Archer si trovavano in una delle radure, generoso regalo della
foresta, per esercitarsi al tiro con l'arco insieme ai quattro ragazzi
che
si erano dimostrati più abili in quella disciplina da quando
i
due fratelli avevano dato il via alle lezioni. L'intento
era di fare di loro degli arcieri scelti, in grado di difendere il
villaggio e la città meglio di chiunque altro, ma anche
capaci
di insegnare a loro volta quell'arte ad altre persone, così
da estendere la rete.
Sostanzialmente i due fratelli avevano fondato una scuola a tutti gli
effetti e ne erano più orgogliosi che mai, soprattutto
perché grazie a questa attività comune Robin e
Archer
avevano familiarizzato molto più in fretta di quanto
entrambi
avrebbero mai potuto credere, anche se, con ogni
probabilità,
avrebbero socializzato ugualmente visto che Archer aveva legato anche
con Guy, sebbene lui non si dedicasse ad impartire quel tipo di lezioni.
In particolare Robin era felice di aver trovato qualcuno che lo facesse
sentire parte di una famiglia. Aveva perso sua madre che era molto
piccolo e aveva creduto morto suo padre per moltissimi anni prima che
tornasse ad informare lui e Gisborne dell'esistenza di Archer,
perciò era cresciuto tra gli abitanti di Locksley senza
avere
una famiglia tutta sua; tuttavia era stato capace di intravedere una
possibilità in Lady Marian, prima che venisse uccisa
togliendogli quasi ogni speranza. Aver saputo dell'esistenza di Archer
aveva cambiato moltissime cose a partire dall'alleanza con Guy, grazie
alla cui collaborazione era stato possibile distruggere lo Sceriffo e
il suo macabro regno di sofferenza e morte.
Proprio l'ultima battaglia contro Vaisey aveva aperto gli occhi a Robin
e ai
suoi su quanto importante fosse, per un piccolo villaggio, essere
dotato di un
gruppo di uomini istruiti all'arte della guerra. Che fosse con una
spada o con arco e frecce era di relativa importanza: fondamentale era
che sapessero difendersi, oltre che essere esperti nella coltivazione
di
un terreno e nella gestione di un maniero o di una bottega di
artigianato. Questa era la ragione che aveva spinto Robin in direzione
di un addestramento collettivo; che poi disponesse anche di uno dei
migliori spadaccini che avesse mai incontrato in vita sua, era un gran
bel colpo di fortuna per lui e per la popolazione di Locksley e
Nottingham ed era andato da sé coinvolgere Gisborne in un
progetto simile e parallelo – Guy infatti, sebbene si
occupasse
con la massima priorità di
Kaelee e avesse iniziato proprio con lei, aveva poi organizzato,
proprio con la ragazza, un primo gruppo di
volontari che non amavano particolarmente l'arco e le frecce
– e se le
cose fossero andate come Robin immaginava, ben presto si sarebbe
parlato di Locksley e di Nottingham in tutta l'Inghilterra non soltanto
per il gruppo di fuorilegge che aveva lottato con coraggio contro il
Principe Giovanni e in favore della giustizia e del Re, ma anche per
l'impeccabile organizzazione di un piccolo grande popolo, che avrebbe
costituito un esempio per tutti. Robin ci sperava, desiderando
un'Inghilterra sempre libera e forte.
Fu nel bel mezzo dell'esercitazione che apparve Allan, affaticato
quanto preoccupato, rischiando perfino di essere colpito da una freccia
già scagliata da un giovane arciere che per poco non svenne
all'idea di poter anche solo ferire un uomo della cerchia ristretta di
Robin, il quale fu quindi costretto a rassicurarlo, con la mente
già rivolta al possibile evento scatenante. Non fu difficile
pensare subito a Rudyard.
«Sono io! Fermi! Fermi!», urlò Allan,
senza
però smettere di correre verso Robin. «Abbiamo
un problema», ansimò, consegnando infine nelle
mani
di Robin un brandello di pergamena.
«Perché dovremmo essere spaventati da quella pezza
vecchia?», chiese Archer con ironia.
«Non per fare lo spiritoso, ma faresti meglio a
leggere»,
ribatté Allan. «L'ho trovato vicino al pozzo e
chissà da quanto tempo era lì»,
precisò.
«Aspettava solo di essere trovato da te,
naturalmente», lo prese in giro Archer.
Prima che Allan potesse rispondere innescando un battibecco senza fine,
Robin riprese suo fratello e gli chiese di occuparsi dei quattro
giovani arcieri mentre lui si dedicava ad Allan, zittendo
così
entrambi e potendosi dedicare alla lettura.
Il messaggio si rivelò composto di poche parole scritte in
bella grafia, che nulla di buono lasciavano sperare, perciò
Robin comprese e giustificò senza indugio la fretta che
Allan
aveva manifestato nel volergli parlare immediatamente. Ritenne
che fosse stato un bene – e forse anche non propriamente un
caso
– che, tra tutti, Allan avesse notato quella traccia, che non
lasciava molti dubbi in merito al relativo mittente. Benché
avesse commesso diversi errori, Robin non riteneva Rudyard uno
sprovveduto, quindi non gli riuscì difficile ipotizzare che
la
collocazione della pergamena non fosse affatto casuale, come chiaro
era, ai suoi occhi, l'intento del mittente di attirare esclusivamente
l'attenzione di chi era avvezzo ad osservare i dettagli di ogni
situazione, tanto più se strana o inusuale –
categoria di
persone, questa, in cui tutti gli uomini della banda rientravano
perfettamente, a
maggior ragione da quando si erano messi a dare la caccia al fratello
di Kaelee. Inoltre erano di dominio pubblico i trascorsi degli uomini
appartenenti al vecchio gruppo di fuorilegge e a Rudyard, dando per
certo che il messaggio partisse da lui, sarebbe bastato prestare
orecchio ad un paio di storie per individuare l'elemento migliore, tra
gli uomini di Robin, che potesse servire al suo scopo di recapitare un
messaggio senza esporsi personalmente. E chi, meglio di Allan, avrebbe
potuto scovare con estrema facilità una traccia nascosta
agli
occhi dell'intero villaggio? L'uomo, infatti, com'era noto ai
più, aveva lavorato per Gisborne mentre ancora
viveva con i fuorilegge e questa collaborazione lo aveva reso ancor
più sveglio di
quanto già non fosse: Robin sapeva che, con l'ex braccio
destro
dello Sceriffo, Allan
aveva all'epoca deciso di lasciare segni sulle travi all'esterno di una
taverna di Nottingham, precedentemente concordata, – segni di
cui, naturalmente, solo lui e Gisborne conoscevano il reale significato
– quando c'era la
necessità di incontrarsi per uno scambio retribuito di
informazioni, e il fatto che nessuno della banda avesse sospettato di
lui per diverso tempo dall'inizio dell'infelice alleanza con il nemico,
stava a significare quanto scaltro fosse Allan, perciò Robin
immaginò subito che il suo compagno d'armi non avesse dovuto
nemmeno pensarci su per
comprendere che quel pezzo di pergamena non era lì a caso e
che non a caso nessuno l'aveva notato prima di lui.
La sua espressione, quando terminò di leggere,
attirò
l'attenzione di Archer, – che aveva continuato fino a quel
momento ad occuparsi dei
quattro giovani, come lui gli aveva chiesto di fare – il
quale gli si avvicinò per
chiedere
spiegazioni che lui
preferì non offrirgli in presenza dei ragazzi di Locksley.
Fu
proprio a loro che si rivolse subito dopo.
«Basta
così per oggi. Tornate pure al villaggio e date qualche
lezione ai
più giovani, se non avete altri impegni. Avete tutta la mia
fiducia», disse, congedandoli con un sorriso, come se nulla
di
grave fosse accaduto o stesse per accadere.
I quattro lo ringraziarono sentitamente e
sparirono veloci nella foresta in direzione del villaggio, senza fare
alcuna domanda in merito all'incursione di Allan, sicuramente
orgogliosi di essere
entrati nelle grazie di Robin Hood, che sempre riusciva a entusiasmare
l'animo dei più giovani e guadagnarsi la loro ammirazione.
«Allan, cerca Tuck e John. Archer, tu va' da Much e Kate e
fai in
modo che si liberino da qualsiasi impegno abbiano. Io
devo trovare Guy.
Vediamoci al Maniero», organizzò velocemente,
appena fu
solo con i suoi uomini, con la razionalità che un
pianificatore
doveva sempre avere, ma
con l'anima in subbuglio per la notizia che avrebbe dovuto condividere
con suo fratello maggiore qualora non avesse trovato Kaelee insieme a
lui.
«Fratello, si può sapere che succede?»,
chiese Archer.
«Sospetto che Kaelee non si trovi a Locksley»,
tagliò corto, ribadendo poi a entrambi di correre veloce
come il
vento.
Nottingham.
«Svegliati!»,
ringhiò una voce che Kaelee scoprì non
corrispondere alla
faccia familiare che aveva visto precedentemente, anche se non aveva
ben chiaro a cosa corrispondesse, esattamente, il termine
"precedentemente". Aveva, infatti, perso il senso del tempo e dello
spazio, per nulla aiutata dall'ambiente buio in cui si trovava suo
malgrado; in compenso, però percepì chiaramente
che
il dolore ai polsi sarebbe aumentato con lo scorrere dei minuti anche
se fosse rimasta immobile di lì alla fine della giornata,
nottata o quel che era; la
testa,
invece, andava meglio e questo le consentì di provare a
mettere
a
fuoco la situazione.
Quella che, a rigor di logica, doveva essere la stessa mattina,
ricordò, si era svegliata tra le braccia
di Guy, aveva
fatto colazione al Maniero con lui, Archer e Robin, poi li aveva
salutati ed era uscita per le quotidiane mansioni che prevedevano una
visita a Tuck e al suo orto, – per informarsi in merito alla
coltivazione della rapa, che proprio non voleva crescere nel piccolo
giardino del fabbro – un salto dal fornaio e una visita
all'orfanotrofio dove avrebbe certamente incontrato John e il piccolo
John, che le stava tanto simpatico.
Non riuscì, però, nemmeno a stabilire se fosse
mai
arrivata da
Tuck,
perciò non
capì come si fosse trovata legata e imbavagliata,
né per
mano di chi anche se, in effetti, non era poi così difficile
da indovinare, dato che era abbastanza improbabile, ormai, che si
trattasse di uno scherzo ad opera di Archer – che lei
riteneva una sorta di giullare di corte. Guardandosi intorno
realizzò, inoltre, di essere molto più in basso
rispetto agli uomini messi a guardia, quindi
arrivò facilmente alla
conclusione di essere parzialmente distesa per terra – il che
spiegava
l'indolenzimento generale che la infastidiva.
Dovette sbattere più volte le palpebre, contrarle e
risollevarle lentamente prima di poter riconoscere il volto abbinato
alla voce poco
gentile che l'aveva scossa da una sgradita perdita di coscienza e
quando la consapevolezza arrivò, tornò anche la
voglia di combattere, ribellarsi, opporsi. Poco importava il male ai
polsi e ancor
meno la fastidiosa pulsazione nelle tempie. Persino la nausea che
l'assalì quando provò a tirarsi su, seguendo un
moto di istintiva conservazione,
non arginò la rabbia che provava in quel momento e che le
impediva di chiedersi come diamine avesse fatto quell'essere immondo a
mettere a segno un colpo del genere e con chi si fosse coalizzato per
ottenere un risultato così vincente.
Non potendo rivolgere all'uomo tutti gli insulti che conosceva, si
limitò a minacciarlo con uno sguardo carico di un odio che
non aveva mai provato per nessun essere vivente prima di quel
frangente, neanche per sua madre, quando le aveva detto che presto
avrebbe sposato un uomo molto conveniente per tutta la famiglia;
nemmeno quando Robin, Guy e Kate le avevano giocato quello scherzo di
pessimo gusto; nemmeno quando Rudyard si era presentato a Locksley con
Willard e nemmeno quando suo fratello aveva provato a uccidere Guy.
Ciò che animava il suo cuore mentre guardava l'uomo che
aveva davanti era quel tipo di odio misto a rabbia, preludio di un
cieco istinto omicida che nessuno, o forse una sola persona al mondo,
avrebbe potuto fermare. Se solo avesse avuto i polsi liberi, Kaelee gli
avrebbe già rotto il naso.
«Siamo debolucce eh?! Ah, Kaelee... L'ho detto, io, a nostra
madre che non sei buona a dare un figlio al tuo futuro marito! Niente
fianchi! Niente seno! Che razza di donna sei, mh? Sei così
inutile!», esordì, scuotendo il capo.
Fu tanto il disgusto che provò per quell'uomo che
abbassò lo sguardo.
«Ehi! Non è il momento di dormire, stupida
ragazzina.
Voglio che tu
sia lucida quando trapasserò il cuore di Gisborne con la tua
spada. Voglio che tu lo veda morire», disse con una
cattiveria che, forse, riuscì a intimorire chiunque altro
fosse nella stanza insieme a loro, ma non lei che invece di tremare di
paura come probabilmente quel bruto si aspettava, gettò lo
sguardo in cerca di altre figure umane attorno a lei. Stando a quanto
aveva scoperto insieme alla banda, Rudyard doveva avere due uomini
dalla sua parte, ma in quel momento poté vederne soltanto
uno che, considerata la posa rigida, sembrava se la stesse facendo
sotto; tanto bastò a
rimetterle in moto il cervello: perché il complice di un
rapimento dovrebbe manifestare confusione dinanzi ad una situazione
come quella in atto? Si aspettava forse che avrebbero bevuto vino tutti
insieme decidendo la cifra del riscatto? Non c'era alcuna ragione
logica ad un simile atteggiamento, eppure
ciò che Kaelee vide sul volto dell'uomo, – lo
stesso che era presente
quando si era svegliata la prima volta – era senza dubbio
incertezza.
«Potrei
perfino decidere di costringerti ad infilzarlo tu stessa e sarebbe
così teatralmente perfetto! Ma
prevedo una rivoltante scenetta d'amore», commentò
con un tono a dir poco
irritante e degno di un folle. «Poi, in ogni caso,
farò lo stesso con
te. Non dispiacerà a nessuno se tornerai cadavere a
Edwinstowe», aggiunse
ridendo di gusto, come se qualcuno avesse appena detto qualcosa di
molto
divertente, e pareva non importargli affatto essere l'unico tra i
presenti a
trovare la situazione tanto esilarante.
Più Rudyard parlava, più lei desiderava
ucciderlo e più sul viso del complice a lei visibile
aumentava lo
sconcerto. Che avesse mentito alle persone di cui si era
circondato, raccontando qualcosa di completamente falso, e che loro gli
avessero creduto e si trovassero ora in una posizione decisamente
scomoda? A questi interrogativi Kaelee non poteva avere risposta
nell'immediato e non erano certo la sua preoccupazione più
grande dal momento che suo fratello aveva chiamato in causa Gisborne,
includendo nella stessa frase termini come "spada" e "infilzare": se
non avesse trovato in fretta il modo di evadere dalla sua prigione,
avrebbe innescato una carneficina, perché non le
passò nemmeno per l'anticamera del cervello che Rudyard
intendesse lasciare in vita i suoi complici.
Maniero di Robin, Locksley.
Trovato Guy, accertatosi che nessuno avesse visto Kaelee quella mattina
e che non si trovasse neanche con Gisborne, Robin non riuscì
a mascherare il peso che lo
affliggeva da quando Allan gli aveva portato quella pergamena. Ebbe
soltanto la forza di invitare suo fratello a seguirlo fino alla Collina
delle Croci – un luogo lontano da occhi e orecchi indiscreti,
tranquillo e ideale per qualunque tipo di intima confidenza o dramma
esistenziale, ma soprattutto congruo a qualunque fosse stata la
reazione di Gisborne dal momento che quest'ultimo era notoriamente
istintivo e razionale quando era sentimentalmente o emotivamente
coinvolto in qualcosa – dove, evitando troppi giri di parole,
rivelò a suo fratello il motivo per cui di lì a
poco
avrebbero raggiunto gli altri al Maniero e avrebbero organizzato un
piano che per nessuna ragione al mondo contemplava un fallimento.
L'assoluto silenzio che per mezzo minuto era seguito alla sua
rivelazione appena sussurrata, perché spezzare consciamente
il cuore ad un uomo cui aveva imparato a voler bene non gli piaceva
affatto, fu rotto
dal feroce urlo di Gisborne, il quale sarebbe andato da solo e perfino
disarmato a Nottingham se lui non l'avesse trattenuto
nella
stretta più salda di cui era capace, anche se non fu
semplice vista l'enorme forza dei muscoli dello spadaccino.
A Robin non faceva piacere assistere alla sofferenza di Guy,
– sebbene per diverso tempo non avesse desiderato altro che
vederlo in preda alla disperazione più atroce –
non gli faceva piacere sentire il dolore nella sua voce e vedere quello
stesso sentimento
negli
occhi limpidi di lui; Robin era abituato ad un Guy fiero anche nella
sconfitta, ad un uomo che non si fermava davanti a niente e nessuno, ad
un uomo che lo aveva pregato di ucciderlo per aver tolto la vita a
Marian quando lui aveva, invece, deciso di regalargli una nuova
cicatrice sulla guancia, costringendolo ad espiare in vita le sue colpe
e a tormentarsi nei rimorsi, dato che quell'assassino pareva avere un
cuore (*);
doverlo vedere tanto fragile, quel giorno, gli riportò alla
mente quando
erano rimasti feriti a Nottingham, il giorno di quell'ultima battaglia
che aveva rischiato di ucciderli entrambi. Quel giorno Robin aveva
creduto di aver perso Gisborne quando lo aveva visto abbattersi a
terra,
dopo essere stato colpito da Vaisey, così
si era avvicinato a lui, appena
possibile, e lo aveva sollevato con una delicatezza che non aveva mai
pensato di poter destinare ad un uomo come Sir Guy di Gisborne, che lo
aveva distrutto in tutti i modi possibili, sostenendogli la
schiena e la testa, scostandogli i capelli dal volto sporco di sangue e
terra per scoprire, così, che era vivo. Era stata
la prima volta in cui aveva scorto negli occhi del suo vecchio
nemico qualcosa di completamente nuovo: l'umanità, la
riconoscenza, la fiducia.
Robin non aveva mai dimenticato quello sguardo colmo di lacrime e
quella voce, non più di un sussurro, che lo aveva
ringraziato, né quella mano che aveva cercato la sua in un
gesto di definitiva riappacificazione, perché in quei pochi
istanti aveva finalmente visto ciò che Marian diverse volte
aveva provato a raccontargli; aveva finalmente ricordato che Sir Guy di
Gisborne era il giovane adolescente che non aveva fatto la spia
quando lui aveva combinato quel disastro durante la festa, a Locksley,
uccidendo quasi il parroco e lasciando che Guy venisse quasi impiccato
davanti ai suoi occhi. Ricambiando la stretta di Gisborne, Robin aveva
ricordato che erano amici, un tempo, e che poi Gisborne si era perso
senza che lui potesse far nulla per ricondurlo sulla strada giusta; e
quando Guy gli aveva detto che grazie a lui poteva andarsene in pace,
Robin aveva quasi voluto prenderlo a schiaffi e, con quanta
determinazione aveva in corpo, gli aveva risposto che non l'avrebbe
permesso (**).
«Risolveremo la questione», mormorò
facendoglisi vicino, senza forzare un contatto che non era certo Guy
desiderasse da lui; invece, un istante più tardi, lo vide
cadere sulle ginocchia e non poté fare a meno di chinarsi
per stringerlo in un abbraccio silenzioso.
«È tutta colpa mia. Non dovevo lasciarla uscire da
sola», disse Gisborne diversi minuti più tardi.
«Non ha importanza di chi sia la colpa. Ciò che
conta, adesso, è riportarla a casa», gli rispose,
risoluto, obbligandolo a rialzarsi per raggiungere Locksley.
Quando lui e Guy arrivarono al Maniero, il secondo aveva ormai almeno
in apparenza superato la prima,
disastrosa, fase di quella situazione.
Gli altri del gruppo erano già lì in attesa del
loro
arrivo e perfino Alice, la moglie di John, aveva chiesto di poter
essere presente, perché non voler bene a Kaelee era
impossibile
e tutti erano davvero disposti a dimostrarsi solidali nei confronti di
Gisborne, dando anche disponibilità nel caso in cui si
arrivasse
ad uno scontro fisico con Rudyard, che aveva osato spingersi
così oltre, sfidarli così apertamente.
Come Robin poté constatare a discussione avviata,
ciò che
faceva infuriare molti dei suoi uomini – Kate, Allan e
naturalmente Guy più di chiunque altro – era che,
nonostante tutte le precauzioni prese, il fratello
di Kaelee era comunque riuscito, almeno in parte, nel suo intento e
aveva, di fatto, rapito la ragazza sotto ai loro occhi e nasi per farne
chissà cosa, perché, come aveva fatto giustamente
notare
Kate, nessuno di loro sapeva quando esattamente Rudyard aveva agito e
dove si trovasse insieme a sua sorella.
Ciò che invece preoccupava lui e John era lo stato di
totale incertezza in cui l'intero gruppo si trova in quel frangente;
oltre a non sapere nulla in merito al piano architettato ad arte,
evidentemente, da Rudyard, oltre a non avere idea di dove lui e Kaelee
fossero mentre al Maniero si provava a decidere il da farsi,
–
anche se, con ogni probabilità, Rudyard era ancora fermo a
Nottingham dato che era appena trascorsa l'ora di pranzo –
pendeva sulle loro teste una pericolosissima spada di Damocle
attorniata da un numero indefinito di punti interrogativi.
La pergamena che Rudyard aveva fatto in modo che uno dei fuorilegge
trovasse, – e anche se non si era firmato era ovvio pensare a
lui
– infatti, era una sfida in piena regola, se non un
tranello; l'uomo aveva mandato a
dire che se nessuno avesse trovato Kaelee entro il tramonto, Robin Hood
e i suoi uomini non avrebbero più saputo niente di lei e se
invece qualcuno di loro, cercandola, avesse avuto la fortuna di
scoprire dove era tenuta nascosta, allora ci sarebbe stato un duello
che
non prevedeva la sopravvivenza del più debole.
Robin sapeva che, se fosse dipeso da Gisborne, appena terminata
nuovamente la lettura
necessaria ad informare tutto il gruppo, lo spadaccino si sarebbe
fiondato a Nottingham per fare a pezzi Rudyard. Ancora una volta,
però, cercò di farlo ragionare ed evitare,
così, di peggiorare le già critiche condizioni.
L'arciere comprendeva alla perfezione lo stato d'animo di Guy e per
primo si incolpava per quanto stava accadendo, dovendo ammettere che,
nonostante avesse pianificato per bene e con astuzia la difesa di
Locksley e del Maniero, c'era stata una falla nel sistema e che questa
mancanza stava rischiando di risultare letale; eppure, proprio per
questo, era il momento meno opportuno per perdere la testa e agire
mossi da rabbia e violenza, perciò era necessario ricavare
qualcosa di buono da quella disgrazia, così da poterla poi
far
pagare a Rudyard, una volta preso. Robin aveva perso già
troppe
persone lungo la via verso la libertà e non intendeva
sacrificare altri amici, tanto più perché la
sensazione,
sia sua che di Tuck, era che Rudyard avesse architettato
una trappola per uccidere tanto Kaelee quanto Gisborne, sicuramente
certo del fatto che,
tra tutti gli uomini di Robin Hood, fosse proprio Guy il più
motivato
a ritrovare la ragazza – e aveva ragione, perché
se Guy
non
avesse avuto attorno a sé persone che tenevano alla sua
incolumità sarebbe già caduto nelle mani di
Rudyard.
«L'ultima cosa che devi fare è andare a
Nottingham. Penseremo noi a trovarla», intervenne Robin
quando Guy diede segno di essere di nuovo al limite.
«Ti aspetti davvero che me ne resti qui?!»,
urlò Gisborne,
fuori di sé al punto che a tutti i presenti, stando ai loro
sguardi sconcertati, sembrò di avere
di nuovo a
che fare con il vecchio Sir Guy a causa della voce profonda e roca,
dello sguardo
affilato, delle mani strette a pugno e delle labbra contratte, che lo
facevano
sembrare l'uomo malvagio di un tempo. Negli occhi, però, al
posto della cattiveria c'erano sofferenza e preoccupazione, tormento e
paura di perdere la persona amata, ed era così evidente che
Robin
vide Alice commuoversi mentre Kate stringeva il braccio di Much, nel
tentativo di trattenere le lacrime, certamente preoccupata per la sua
migliore amica e dispiaciuta per Guy.
Robin stava per rispondergli a tono quando Archer lo
anticipò
posando entrambe le mani sulle spalle di Gisborne, forse per sostenerlo
in quel momento difficile o forse per tentare di placarlo, e si
sentì orgoglioso di avere Guy come compagno d'armi e
fratello
acquisito nel momento in cui quello, anziché dare in
escandescenze e aggredire il giovane Archer, prese a
camminare, per smaltire la furia e non
impazzire.
«Devo le mie scuse a tutti quanti voi»,
scandì poco
più tardi, sforzandosi di arginare la rabbia perfino nel
tono di
voce. «Mi sento in colpa perché le ho promesso che
l'avrei
protetta ad ogni costo e invece ho fallito miseramente e questo mi fa
infuriare», continuò soffiando come un gatto
l'ultima
parola. Poi, dopo una pausa, si rivolse ad Archer. «E me la
prendo con chi non mi ha fatto nulla di male, come al mio solito.
Perdonami,
fratello», concluse, emozionando Robin che aveva una vaga
idea di
quanto costasse a Gisborne esporre i propri sentimenti così
apertamente.
Archer gli sorrise comprensivo e gli diede una pacca leggera sulle
spalle.
Per quanto tendenzialmente Robin fosse uno per nulla impiccione, aveva
ben chiara la situazione dei singoli componenti del suo gruppo,
perciò rivolse parte dell'attenzione vero Allan, il quale,
per
quanto si sforzasse, tradiva
ugualmente una forte preoccupazione dagli occhi grandi fissi in uno
stesso punto
da diversi minuti, quasi che non si fosse neanche accorto di quanto era
appena accaduto nella Sala Grande; perciò Robin comprese che
l'infatuazione dell'uomo per Kaelee era più
presente che mai in quel momento e pungeva più di una
sottile lama puntata contro la schiena nuda, aggiungendo tensione al
clima già teso, perché se Gisborne si fosse reso
conto
che i sentimenti di Allan per la giovane donna non erano mutati di una
virgola, non sarebbe riuscito a mantenere la calma come aveva fatto,
invece, in precedenza.
Dunque Robin prese un lungo respiro e pregò
affinché almeno la banda restasse saldamente unita e
collaborasse.
«Non posso lasciarti andare a morire come un
idiota»,
rispose infine a Guy,
con il tono fermo di chi non intendeva scendere a compromessi.
Si guardarono negli occhi per pochi istanti che
sembrarono ore, tanto fu intenso lo scambio: con un solo
sguardo si dissero tutto ciò che a parole l'orgoglio
impediva loro di esprimere, ovvero che il passato non contava
più
nulla e che si consideravano ormai fratelli a tutti gli effetti, pur
non
essendolo, che si volevano bene dopo tutto e che nessuno di loro era
disposto a perdere un'altra sola persona cara, perché ne
avevano abbastanza di
vedere morire amici e parenti.
«Qual è il tuo piano?»,
domandò allora Gisborne che,
pur avendo la mente offuscata dal terrore di poter perdere per sempre
la donna che
amava,
sapeva quanto Robin fosse abile nel pianificare le cose, osservando
semplicemente la realtà dei fatti. Non lo aveva fregato un
mucchio di volte pur essendo sempre in minoranza numerica? Certo le
guardie dello Sceriffo non avevano mai brillato per intelligenza,
eppure in venti contro uno Robin era riuscito ugualmente a scamparla.
Quante volte lo aveva stordito e legato al tronco di un albero, nel bel
mezzo di Sherwood? Aveva perso il conto ormai. Inoltre era stato lui,
in fin dei
conti, a partorire l'idea che aveva permesso loro di tirare Archer
fuori dai guai a York; ed era stato ancora lui a svuotare
più
volte le casse dello
Sceriffo, a rubare la corona che avrebbe consentito al Principe
Giovanni di diventare Re con l'inganno; era stato lui a scappare
più di una volta dal Castello senza essere visto dalle
molteplici guardie dello Sceriffo ed era stato lui a liberare
Nottingham dall'oppressione di Vaisey.
Nottingham.
Man mano che riacquistava lucidità, la sua preoccupazione
per
Gisborne – più che per se stessa –
saliva, si
ingigantiva e la tormentava con ipotesi di scenari davvero poco
rassicuranti.
Se Kaelee conosceva bene l'uomo che amava, non le risultava molto
difficile credere che Guy sarebbe impazzito appena avesse saputo cosa
aveva combinato Rudyard, così come sapeva che, se
nessuno l'avesse fermato, sarebbe corso a cercarla senza pensarci su
neanche un attimo, andando
così incontro a morte certa; con questa conclusione Kaelee
non
pensava che Guy non fosse in grado di vincere in duello contro Rudyard,
anzi, se un duello regolare tra loro fosse avvenuto, certamente suo
fratello ne sarebbe uscito perdente, ma la situazione era del tutto
differente da quello scontro ideale e senza imbrogli: Guy, infatti,
probabilmente, nel caos di pensieri e nella fretta di liberare lei, non
avrebbe riflettuto sulle reali intenzioni di Rudyard, il quale
intendeva uccidere anche lui; o se pure lo avesse sospettato,
considerata
l'aggressione notturna subìta, avrebbe ugualmente perso la
testa prima di riuscire a ragiornarci sopra.
Kaelee nulla sapeva del modus operandi di suo fratello – non
aveva idea di come avesse fatto a rapirla, introducendosi a Locksley
senza essere visto oppure delegando uno dei suoi due uomini o, ancora,
reclutando qualcuno di completamente sconosciuto alla banda;
né
sapeva se avesse lasciato un indizio di ciò che aveva
combinato,
egocentrico com'era, oppure se avesse preferito restare nell'ombra e
attendere che gli uomini di Robin Hood arrivassero da soli a scoprire
la verità – e questo la rendeva
incredibilmente nervosa, al punto che ogni minuto che passava era un
granello di pazienza in meno e ben presto Kaelee iniziò a
scalciare e dimenarsi.
Tentò di urlare e muoversi sebbene fosse saldamente ancorata
a
quella
che le sembrava una
trave in legno, di quelle tipiche che si trovavano in ogni abitazione
con la funzione di sostenere e rinforzare l'intera struttura; non
poteva esserne certa, a causa del buio, ma era molto propensa a credere
di trovarsi all'interno di una casa, anche perché da quando
si
era svegliata non aveva avvertito alcuna corrente d'aria, il che
lasciava presupporre un ambiente chiuso. Che fosse a Nottingham, un
villaggio nei dintorni o Edwinstowe, Kaelee non riuscì a
determinarlo, ma era sicura di non essere a
Locksley, perché Locksley non era davvero il luogo
più
sicuro per suo fratello. Oggettivamente parlando, e per i contorni che
riusciva a vedere, il locale in cui si
trovava non aveva qualcosa di particolarmente riconoscibile,
identificabile,
associabile ad un edificio specifico quale poteva essere il Maniero di
Robin o il Castello di Nottingham, quindi era piuttosto una
sensazione a pelle la sua, un invisibile
dettaglio nella poca aria che a fatica trascinava nei polmoni, una
sfumatura nella scarsa luce che filtrava dall'esterno, lo
spiacevole presentimento di non essere a casa, ovvero nel villaggio che
l'aveva adottata.
A suggerirle di non trovarsi a Edwinstowe era più il cuore
che
un razionale ragionamento logico, era la volontà di non
essere
stata condotta in quel villaggio da cui era sfuggita; ma quando si era
soffermata a riflettere, aveva ricordato le parole che Rudyard le aveva
rivolto in merito al voler uccidere Gisborne, probabilmente, quindi, si
trovava a Nottingham
dal momento che Rudyard si era stabilito lì ed era
più
probabile che fosse quella città la prima meta che Guy
avrebbe
visitato – e se era
arrivata lei a quella
conclusione, con tanto di malessere generale, certamente anche Guy ci
sarebbe arrivato in fretta, ammesso che non avesse già
tirato le somme e stesse in quel momento correndo un rischio a pochi
passi da lei.
Se da una parte desiderava vedere Gisborne più di ogni
altra cosa al mondo, d'altra parte preferiva che non la cercasse
affatto,
che non si esponesse ad un così grande pericolo.
«Finiscila di agitarti o ti taglio la lingua, così
non
potrai più baciare quel bell'imbusto di Sir Guy di Gisborne.
Chissà con quali servizi lo hai convinto ad amare il manico
di scopa che sei! Pensi pure che ti vorrà anche se non avrai
più una lingua con
cui soddisfare i suoi vizi?»,
minacciò
Rudyard, platealmente divertito dalle oscenità che aveva
appena
finito di dire e che avevano scatenato in lei un senso di enorme
disgusto.
Inoltre, qualcosa nello sguardo freddo di lui le lasciò
intendere che non
erano parole
dette per spaventarla, ma che sarebbe stato veramente capace di una
simile azione ai suoi danni. Non poteva credere di avere un fratello
così malvagio e, mentre si chiedeva la ragione che lo
spingesse a
vivere di cattiveria, un ringhio le salì spontaneo dalla
gola
nonostante il bavaglio le impedisse di manifestarlo appieno. Avrebbe
voluto sputargli dritto in faccia e, sì, avrebbe voluto
tagliarla lei a lui qualla lurida lingua che si ritrovava,
così
almeno avrebbe smesso di rivolgersi in quel modo a lei e a
chissà chi altri; avrebbe voluto prenderlo a schiaffi fino a
farlo piangere, fino a vedergli le gote talmente rosse da farlo
sembrare una fragola matura; avrebbe voluto schiacciarlo, annullarlo,
cancellarlo dalla faccia della terra e non rivederlo mai
più,
perciò, riuscendo a distendere faticosamente e dolorosamente
la gamba, provò a tirargli
un calcio alla caviglia o, meglio ancora, sullo stinco.
Il palmo della mano di Rudyard si abbattè con una tale
velocità e violenza sul suo volto che non
se ne accorse nemmeno
finché la guancia iniziò a pulsarle per il
dolore.
Era stato un colpo secco, di quelli che anche alcuni giorni
più tardi si poteva sentire un qualche muscolo indolenzito;
era
stato
uno di quegli
schiaffi che l'uomo raramente era riuscito a portare a segno su di lei,
perché era Aric, di solito, a prenderseli al suo posto, ma
in
quel momento Aric non c'era. Come non c'era Gisborne. E a peggiorare il
tutto c'era la totale impossibilità di reagire.
Davvero pochi altri eventi avrebbero potuto rendere quella situazione
ancora peggiore di quel che era, – la morte di Guy per mano
di
Rudyard, ad esempio – dato che era legata, imbavagliata e
pure
disarmata e, quindi, le possibilità di poter ingaggiare uno
scontro con suo fratello erano inesistenti.
Sebbene non volesse darla vinta a Rudyard, gli occhi le
si riempirono di lacrime, più per un riflesso involontario
che
per il reale desiderio di mettersi a piangere, scatenando la risata
sguaiata e sgradevole di lui, che in breve riempì lo spazio
in
cui entrambi si trovarono.
Da come il suono rimbalzò attorno a lei, Kaelee
intuì che
doveva trattarsi di un locale piuttosto piccolo, quindi,
istintivamente, provò a guardarsi intorno incrociando lo
sguardo,
ancora sconvolto, del complice di Rudyard. Concluse che non
doveva saperne davvero nulla di come erano andate davvero le cose e
provò pietà per lui, che si era venuto a trovare
in
una situazione tutt'altro che piacevole.
Maniero di Robin, Locksley.
Come già avevano ipotizzato osservando i movimenti di
Rudyard, Robin e i suoi uomini decisero che il posto più
probabile
dove nascondere Kaelee doveva essere, in realtà, quello meno
probabile, ovvero la dimora stessa di Rudyard e quindi l'abitazione, a
Nottingham, dove spesso l'uomo era stato avvistato in compagnia dei
suoi due fedeli. Era un ragionamento forse contorto e forse perfino
completamente errato, ma se Robin e i suoi avevano trascorso tutto il
loro tempo ad osservare quell'uomo e non si erano imbattuti in niente
che non fosse quella casa, per quanto improbabile doveva essere quella
struttura il fulcro della situazione. Era un dato di fatto che Rudyard
non avesse trovato amici all'infuori dei due complici noti ed era una
certezza assoluta che Willard non stava affatto collaborando con lui
all'organizzazione del rapimento di Kaelee, perciò la
conclusione più logica era che tenesse prigioniera la
ragazza in
quel di Nottingham, in attesa.
Anche se Little John riteneva che fosse fin troppo ovvio e temeva un
ulteriore
inganno, – ipotesi che Robin aveva messo in conto e condiviso
con
i presenti – si dichiarò disposto a seguire il
gruppo,
rasserenando subito l'arciere. Per quanto fosse da tempo il leader
indiscusso di quella banda di fuorilegge, avere spontaneamente la
fiducia dei suoi uomini gli dava la forza per andare avanti e lo
differenziava definitivamente da un tiranno come Vaisey.
«Robin, abbiamo bisogno di più tempo! Le tue sono
soltanto
possibilità, non certezze! E se non funzionasse? Se non
funzionasse e Kaelee ci rimettesse la vita?»,
obiettò Kate
quasi con rabbia in un tono d'accusa, mentre Much cercava prontamente
di calmarla.
«Hai ragione, occorrerebbe più tempo, ma non ne
abbiamo e bisogna prenderne atto», le rispose con calma.
«Se restiamo qui a girarci i pollici, Kaelee ce la
rimetterà comunque la vita», sbottò
Allan,
attirando su di sé lo sguardo di Gisborne, carico di odio
per
quanto aveva appena detto.
Eppure Robin dovette ammettere che Allan, quella volta, non aveva tutti
i torti.
«Più in fretta agiremo, prima potremo riportare
Kaelee a Locksley. Siete con me?», domandò infine.
Quando tutti diedero il loro assenso, Robin tese una mano invitando gli
altri ad aggiungere le proprie, Gisborne compreso, perché
gli
era evidente che non avrebbe mai potuto chiedergli di restarsene
nascosto a Locklsey mentre il resto del gruppo andava a salvare Kaelee,
perciò avrebbe fatto in modo di coinvolgerlo senza rischiare
di
perderlo per sempre.
«Noi siamo Robin Hood!», esclamarono insieme.
Guy era pensieroso nella sua preoccupazione, sebbene non riuscisse
davvero ad elaborare pensieri logici e razionali visto lo stato emotivo
in cui si trovava, e stringeva tra le mani un
paio di guanti troppo piccoli per appartenergli. Non riusciva a darsi
pace per ciò che era accaduto a Kaelee e faticava a
contenere
quella voglia di uccidere che, in passato, avrebbe manifestato senza
indugio contro chiunque avesse incontrato sulla strada verso il suo
reale nemico, eppure non era certo di voler uccidere veramente Rudyard,
consapevole del torto che rischiava di fare alla donna che diceva di
amare. Ma se Rudyard voleva solo la morte di Kaelee, non era giusto
ucciderlo sebbene non fosse mai giusto togliere la vita ad un essere
umano? Sarebbe stato più corretto, da un punto di vista
morale,
lasciare che l'uomo fuggisse e provasse a rifarsi una vita altrove; ma
se avesse continuato a costituire un problema ed un pericolo per la
serenità di tutti, bisognava comunque dar retta alla morale?
Quel flusso di domande, probabilmente sconclusionate, fu interrotto da
Archer, che gli si fece vicino e gli posò una mano sulla
spalla.
«Sono per lei questi?», domandò in un
sussurro.
Annuì senza sollevare lo sguardo dalle proprie mani.
«Le
piaceranno solo perché sarai tu a darglieli»,
continuò il giovane uomo, provando ad alleggerire la
tensione.
Gisborne sospirò senza dire nulla,
memore delle tante volte in cui le aveva promesso quei guanti.
Dopo una lunga serie di ragionamenti condivisi ad alta voce, Robin
concluse che la tattica
migliore restava quella di dividersi in piccoli gruppi, come tante
altre volte avevano fatto in passato, così da poter avere
sempre
una via di fuga, una speranza nel momento in cui due o tre di loro
fossero stati messi nel sacco.
L'esperienza gli insegnava, infatti, che se essere tutti insieme era un
vantaggio
non indifferente in uno scontro armato, non essere tutti concentrati
nello stesso punto lasciava sempre accesa la possibilità di
salvezza nel caso in cui qualcuno venisse fatto prigioniero o si
trovasse in pericolo. Quante volte un provvidenziale allontanamento di
Much dall'accampamento
si era rivelato di vitale importanza? Quante volte, mentre alcuni
fuorilegge venivano incastrati dagli uomini di Gisborne, altri,
riuscendo a fuggire, avevano la possibilità di introdursi
nel Castello per liberare i prigionieri? Non sarebbero forse Robin e
Guy stati
impiccati
a York se la banda di fuorilegge non fosse arrivata in città
solo in un secondo momento?
Nell'elaborare una strategia adeguata alla situazione, l'arciere
ripensò al giorno in cui Rudyard era apparso a
Locksley e gli tornò in mente che era stato il giorno
dell'inaugurazione della nuova Nottingham, ragion per cui alcuni dei
suoi uomini non erano presenti mentre due tra i fratelli di Kaelee
facevano un primo tentativo di riportarla a Edwinstowe.
Con ogni probabilità Rudyard aveva più o meno
presente
tutti i
componenti della banda di Robin, tanto più perché
tante volte Kaelee aveva parlato dei racconti dei suoi fratelli
riguardo alle
imprese di Robin Hood e dei suoi uomini, ma poteva davvero essere certo
Robin che il suo nemico potesse veramente individuare ogni singolo
elemento? Oppure non era forse vero che Rudyard non aveva visto tutti
quanti in faccia quella mattina?
«Ragazzi, ho un'idea. Allan, Tuck, John», disse
quindi, dopo aver fatto mente
locale, richiamando l'attenzione degli uomini. «Rudyard
non conosce il vostro reale aspetto dal momento che non eravate
presenti a Locklsey quando è arrivato e non andate a
Nottingham nei panni di voi stessi da un bel po' ormai, quindi forse
abbiamo di nuovo un vantaggio su di lui».
Mentre esponeva il ragionamento che si
srotolava nella sua mente, Robin prendeva lunghe pause, per valutare
ogni
possibilità ed essere certo di non dire sciocchezze.
Seguendo e comprendendo la linea di pensiero di Robin, Little John
arricciò le labbra e
grugnì qualcosa di incomprensibile, consapevole che Rudyard
avrebbe potuto
riconoscerlo per la stazza e che, quindi, non sarebbe stato lui a
scendere in prima linea per salvare Kaelee. Era infatti davvero molto
preoccupato per il
destino della giovane donna che, pur non essendo piombata propriamente
in silenzio nella vita di ognuno di loro, era arrivata a Locksley con
grande umiltà e voglia di rendersi utile, perciò
avrebbe
voluto fare tutto il possibile per riportarla a casa sana e salva, e
non
poter dare una bastonata in testa a quell'imbecille lo
innervosì
tanto che, se non ci fosse stata Alice al suo fianco, probabilmente
avrebbe sbottato in malo modo.
«Lo stesso vale per te, Tuck», continuò
Robin,
rivolgendosi
all'uomo che gli aveva salvato la vita in ogni modo possibile dopo la
morte di
Marian.
John vide il frate concordare immediatamente e non era difficile
intuirne l'evidente motivazione che aveva spinto i ragionamenti di
Robin in quella direzione: essendo la pelle di Tuck di un colore
molto scuro, per nulla tipico degli inglesi, era comunque piuttosto
semplice individuarlo anche se avesse indossato
panni diversi dai soliti.
Quindi John e gli altri concentrarono l'attenzione sull'unico rimasto
dei tre uomini che Robin aveva
nominato.
Lo sguardo di Gisborne lampeggiò di un'ira che non credeva
avrebbe provato nuovamente in quella vita. Tra tutti proprio Allan, che
per Kaelee provava un sentimento fin troppo vicino al confine tra
amicizia e amore; proprio Allan, che aveva preferito salvarsi la pelle
e tradire i suoi amici fornendogli informazioni utili a mandare a monte
tutti i piani dei fuorilegge; proprio Allan, che poi aveva tradito
anche lui e che non aveva, in fondo, mai smesso di svolgere
quel ruolo di doppiogiochista, infiltrato ora in una fazione e ora
nell'altra.
Dovette fare metaforicamente violenza su se stesso per non spezzargli
il collo davanti a tutti.
«Hai trovato tu la pergamena e, a quanto pare, sarai tu la
chiave
per salvare Kaelee. Noi faremo in modo che tu non fallisca»,
disse Robin.
«Cosa vuoi che faccia?», chiese Allan, con la voce
colma di determinazione.
«Che ti introduca nell'abitazione di Rudyard con una scusa
qualunque e metta in salvo Kaelee», rispose Robin.
Nottingham.
Ognuno nei panni di un'altra persona, gli uomini di Robin Hood
–
eccezion fatta per Alice ed il piccolo John, che rimasero a Locksley
– si
recarono quindi a Nottingham, certi che Kaelee si trovasse in
città
e non a Locksley o nel bel mezzo della foresta: nel primo caso,
infatti, qualcuno degli abitanti si sarebbe
già accorto di movimenti sospetti e avrebbe avvisato la
banda;
nel secondo, invece, era così scontato che nessuno avrebbe
trovato Kaelee da rendere inutili le minacce di Rudyard,
perché
se
quest'ultimo l'avesse tenuta prigioniera nella foresta, volendo
rispettare le regole che lui stesso aveva dettato, sarebbe stato
costretto a riportare Kaelee a Edwinstowe da sua madre e lì
avrebbe trovato Dwight e Aric pronti ad ostacolarlo, qualunque fossero
i
suoi piani. L'ipotesi che la
uccidesse anziché riportarla a Edwinstowe era da prendere in
considerazione, ma non troppo seriamente
perché ormai era ben chiaro che Rudyard cercava lo scontro
diretto
con Gisborne: altrimenti perché attaccarlo di notte nella
sua
camera da letto? Non avrebbe ucciso Kaelee senza prima far fuori
Gisborne, questa era stata la conclusione cui tutta la banda era
arrivata al Maniero, quindi l'unica soluzione possibile era che la
ragazza fosse a
Nottingham e che Rudyard volesse provocare Guy e scatenare l'inferno in
terra.
Gisborne, per nulla d'accordo che fosse Allan a salvare la
ragazza, cercò per tutto il tragitto dal villaggio alla
città una soluzione diversa, senza però riuscire
nel proprio intento perché Robin fu irremovibile e lo
minacciò di rispedirlo a Locksley a suon di calci nel sedere
se
avesse provato a fare diversamente dai piani, assicurandogli che
sarebbe rimasto a sorvegliarlo al Maniero lasciando che il resto del
gruppo agisse senza di loro.
«Ti detesto, Locksley, perché mi fai un
torto», ringhiò Guy.
«Se farti questo torto ti salverà quella tua
pellaccia,
sarò ben lieto del tuo odio», gli rispose prima di
riepilogare il piano.
«Archer, Guy voi vi assicurerete che l'abitazione di Rudyard
non sia
sorvegliata dall'esterno e vi nasconderete nelle vicinanze,
così da poter andare in
aiuto ad Allan appena riuscirà ad entrare in casa. Archer,
tieni buono tuo fratello e tramortiscilo, se è il
caso», raccomandò.
«Guarda che non sono un bambino»,
replicò Guy.
«Oh no, certo che no, i bambini non sanno maneggiare una
spada
come te infatti», tagliò corto per poi proseguire.
«Io, Much e John ci apposteremo all'ingresso della strada che
porta alla dimora, terremo sotto controllo ogni movimento e ci terremo
pronti
ad intervenire. Tuck e Kate, voi perlustrerete un'area
più ampia con la scusa di essere arrivati da Locksley per
ascoltare le confessioni di chiunque voglia cercare il perdono o
la pace. Tutti conoscono Fratello Tuck, perciò
non dubiteranno di una tua visita agli abitanti di Nottingham che fino
a poco tempo fa hanno frequentato la Chiesa di Locksley. Comunicheremo
tra noi alla solita maniera. Possa la Vergine avere un occhio di
riguardo per tutti noi», concluse stringendo la mano ad
ognuno
dei suoi compagni.
Grazie ad uno sfacciato colpo di fortuna, introdursi nel cuore del covo
nemico si rivelò
più semplice del previsto.
Uno degli uomini di Rudyard, proprio mentre Allan attendeva il momento
più opportuno per bussare e inscenare quella che riteneva
l'idea migliore, uscì dall'abitazione con il compito di fare
qualcosa che, senza averne piena coscienza, non sarebbe mai riuscito a
portare a termine perché venne aggredito alle spalle. Con
una
rapidità che
era il frutto di anni ed anni passati a nascondersi, Allan gli
tappò la bocca con una mano mentre con l'altra lo
immobilizzava, sussurrandogli all'orecchio parole poco rassicuranti che
avevano a che fare con un ipotetico tentativo di strillare o
intralciarlo. Prontamente, dopo averlo spaventato a dovere, Allan
consegnò quel giovane a Gisborne e Archer, senza farsi
notare da
altri, e si appropriò degli abiti di lui, pronto ad entrare
in
scena.
Mentre Allan spariva oltre l'ingresso, Archer mandò Gisborne
ad avvisare
Robin che il piano era avviato e che avevano preso in ostaggio uno dei
due
uomini del fratello di Kaelee.
A sua volta, come in una sorta di staffetta, Robin mandò
Much ad avvisare Tuck e Kate, in modo tale che, anche se gli ex
fuorilegge erano dislocati in diverse aree della
città, di fatto era come se fossero insieme.
Kaelee iniziò a sentirsi nuovamente male: aveva sete e le
mancava
l'aria, lo zigomo e il labbro, nonostante il bavaglio avesse in parte
attutito il colpo, pulsavano ancora a causa dello schiaffo ricevuto e
aveva la sensazione che lembi di pelle le si
stessero
staccando dai polsi mentre le gambe si facevano sempre più
rigide, aveva la nausea ed era costretta a tenere gli
occhi chiusi per arginarla, tanto più perché la
testa
cominciava a girarle, probabilmente per via del colpo
subìto.
Scoraggiata, cominciò a credere che, forse, sarebbe
stato meglio morire di lì a qualche minuto
anziché
continuare a lottare in quelle condizioni per qualcosa che quasi non
aveva la possibilità di riavere, ma proprio mentre pensava
di
lasciarsi andare e di darla vinta a suo fratello, di chiedergli di
riportarla a Edwinstowe senza causare altri problemi a Robin Hood, le
tornò in mente Gisborne, con il suo sorriso e quegli occhi
chiari e
intensi, e
immaginò che anche lui l'avrebbe presa a schiaffi se le
avesse
sentito dire qualcosa del genere. Ad occhi chiusi lo vide avvicinarsi a
lei, prenderla per le spalle e scuoterla affinché si
riavesse e
tornasse a focalizzarsi sulla libertà che aveva avuto il
coraggio di conquistare affidandosi quasi esclusivamente a se stessa;
sentì la sua mano calda accarezzarle il viso con dolcezza e
le
labbra sottili posarsi sulle sue per sussurrarle di farsi forza e che
l'avrebbe presto stretta tra le braccia.
Sapeva che era tutto frutto della sua immaginazione, eppure all'idea di
condividere un letto con lui, come ogni sera da quando vivevano al
Maniero, si
sentì subito più motivata, di nuovo determinata,
avvertì ancora quel desiderio di combattere per se stessa
e per l'uomo che amava, così sorrise d'istinto e
cominciò
a vagliare le poche possibilità di fuggire,
benché
fossero davvero remote, perché nulla era impossibile fin
quando
non si fosse accertata che lo era veramente.
«Già di ritorno?», domandò
con poca gentilezza Rudyard
al ragazzo incaricato poco prima di rilevare la presenza di uomini di
Robin Hood nei dintorni. «Gisborne deve essere più
stupido di quanto
pensassi se non ha ancora capito dove cercarmi»,
commentò, abbandonandosi alla solita risata sguaiata.
Kaelee riaprì gli occhi, – mentre l'idea che suo
fratello stesse semplicemente aspettando Gisborne si faceva
strada nella sua
mente, confermandole che non poteva essere in altro posto che non fosse
Nottingham – perché le era necessario
riuscire a vedere qualcosa per poter organizzare una fuga degna di
essere definita tale, e poté così assistere ad
uno strano
scambio tra Rudyard e il suo complice, come se qualcosa fosse cambiato
quando era uscito da quella stanza e non volesse rendere Rudyard
partecipe delle novità. Che avesse incontrato Gisborne o
Robin e
questi lo avessero convinto ad aiutarli raccontandogli la
verità? Possibile che fosse così fortunata?
Finalmente Allan aveva davanti a sé quella faccia da
furfante e,
potendo guardarlo da vicino, trovò che non aveva proprio
nulla
da condividere con il bel viso di Kaelee. Non solo, quindi, fratello e
sorella non si somigliavano dal punto di vista caratteriale, ma anche
fisicamente avevano pochi tratti che potevano essere davvero messi a
confronto; qualcosa tra il mento e le labbra, forse, oppure i capelli
ondulati, ma nulla di più. In risposta alla domanda
che gli
era appena stata rivolta, Allan si esibì in un'alzata
di spalle nel timore che parlando si sarebbe smascherato troppo in
fretta. Mentre Rudyard, che faceva avanti e indietro nel piccolo
ambiente bofonchiando qualcosa e bestemmiando contro Gisborne, non lo
guardava, Allan
cercò un'intesa con Kaelee che era a terra, poco lontano
dalla
sua posizione. La penombra, però, gli impediva di verificare
se
avesse o meno gli occhi aperti, perciò rischiò di
andare
nel panico dal momento che la ragazza non si muoveva o, se accadeva,
doveva essere in modo impercettibile; iniziò, quindi, a
temere il peggio
finché si accorse che respirava ancora, perché
emise
un suono simile ad un piccolo ringhio spazientito. Forse,
pensò
Allan, stava provando a liberarsi delle corde che la tenevano legata
alla trave in legno. Per poco non guardò Rudyard in cagnesco
mentre la rabbia si faceva spazio in lui al pensiero di ciò
che
l'uomo poteva aver fatto a Kaelee.
Senza perdere altro tempo, si mise a prendere in considerazione tutte
le opzioni,, contando che all'esterno della casa aveva due validi
compagni pronti ad aiutarlo; fatti due conti, Allan dovette,
però, rendersi conto che da solo non sarebbe mai riuscito a
mettere fuori gioco
Rudyard e il suo complice, né poteva nascondersi dietro al
mutismo per troppo tempo se voleva evitare che l'intera missione di
salvataggio saltasse miseramente rendendolo, anziché l'eroe
di
turno, la barzelletta o, peggio, il responsabile di una disgrazia.
Ancora una volta, però, la fortuna
sembrò essere dalla sua parte quel giorno.
«Tenetela d'occhio», ordinò l'uomo
sparendo nel buio di quel locale e lasciandolo in compagnia di un
giovane uomo che sembrava più spaventato che realmente
convinto
di dover fare la guardia a Kaelee.
Il cuore iniziò a martellargli forte nel petto mentre si
preparava ad agire.
Da quando Allan era entrato nell'abitazione dove tutti avevano
immaginato che si trovasse Kaelee, – e il fatto che l'uomo
non
fosse ancora uscito lasciava presupporre che ci avevano visto bene e
che Allan stava cercando un modo per tirare fuori Kaelee da quel posto
– Archer e Gisborne non avevano mai staccato gli occhi
dall'ingresso
della costruzione mentre costringevano al silenzio l'uomo che aveva
consentito, suo malgrado, ad Allan di infiltrarsi nella tana del lupo.
Nessuno dei due ritenne opportuno spiegare a quel tipo come stavano
realmente le cose o chidergli cosa Rudyard avesse raccontato a lui e
all'altro complice, perché dovevano tenersi pronti a
scattare
immediatamente in caso Allan si fosse manifestato con Kaelee.
Infatti, quando videro la porta aprirsi, subito credettero che ne
sarebbe uscito Allan per comunicare un'informazione, – forse
che
Kaelee non si trovava lì o che gli serviva più
tempo e la
presenza di un altro della banda per portarla via di lì
–
ma si accorsero in fretta che non si trattava del loro compagno d'armi.
«Archer», mormorò Guy,
«guarda»,
disse indicando la figura maschile che si spostava con lentezza
calcolata, con circospezione, guardandosi continuamente attorno.
Non era necessario essere particolarmente arguto per capire che si
trattava proprio dell'avversario che molti tra gli uomini di Robin Hood
volevano morto, Gisborne compreso, tanto più
perché
l'ostaggio prese a scalciare e tentò di urlare per indicare
la
propria presenza a quello che, evidentemente, era l'uomo in cui aveva
riposto fiducia.
Il tempo stringeva e Archer comprese che lui e Guy avrebbero dovuto
sfruttare immediatamente l'occasione che il destino aveva loro offerto
su un piatto d'argento: se il suo ragionamento era giusto, Allan doveva
aver convinto in qualche modo Rudyard a prendere un po' d'aria e in
quel momento stava mettendo fuori gioco il secondo complice
così
da poter salvare Kaelee senza alcun rischio. Non c'era tempo nemmeno
per provare ad organizzare qualcosa di realmente sensato insieme a suo
fratello, così mentre Gisborne si assicurava che l'ostaggio
non
scappasse, decise di uscire allo scoperto – nascondendo,
naturalmente, la propria identità – per distrarre
Rudyard
e tenerlo lontano
quanto
più possibile dall'abitazione, favorendo Allan in ogni modo
possibile.
Allan si costrinse a non perdere la calma, si avvicinò al
secondo uomo di Rudyard e, con uno scatto repentino, gli
puntò il coltello alla gola.
«Emetti anche soltanto un fiato e sei un uomo morto. Hai
capito?»,
disse con la fermezza di uno che era abituato a svolgere quel mestiere.
Sebbene non fosse propriamente vero –
perché non era mai stato un assassino di professione, un
sicario
– era comunque un dato di
fatto che diverse volte si era ritrovato a minacciare qualcuno per
ottenere qualcosa o per salvarsi la vita,
perciò
gli riusciva piuttosto bene e sapeva come risultare alquanto
convincente e terrorizzare vittime come quel giovanotto, che gli dava
proprio l'impressione di essere lì per volontà di
un
destino infausto e non per una decisione presa con coscienza.
Che poi, tra tutti gli abitanti di Locksley e Nottingham, fosse proprio
Kaelee la persona da salvare, lo rendeva un uomo ancor più
motivato a portare a termine il proprio compito senza margine di errore.
Il complice di Rudyard annuì spaventato, tremando come se
fosse
stato nudo in mezzo alla neve, quindi Allan cercò e
trovò
corda sufficiente a immobilizzarlo velocemente per potersi
così
dedicare alla ragazza, che pareva non rendersi conto di cosa
stesse succedendo attorno a lei – ragion per cui era molto
preoccupato per la sua salute e iniziava a credere che Rudyard le
avesse somministrato un veleno o qualcosa del genere.
Stordita dalla nausea che minacciava di farle perdere i sensi, Kaelee
riuscì soltanto a intuire che qualcosa era cambiato in
quella
stanza. Quando aveva sentito Rudyard uscire, aveva cercato con tutte le
sue forze di alzarsi, per liberarsi e fuggire via da una finestra
–
ammesso che ce ne fossero – o dalla porta d'ingresso,
sfidando il
destino, ma non era riuscita a muovere neanche un muscolo. Si stava
dando di nuovo per vinta quando si accorse che uno dei due scagnozzi di
Rudyard stava aggredendo l'altro.
"Ma che cosa sta succedendo?", si chiese. "Che siano tutti impazziti?".
«Buongiorno a voi, buongiorno!», salutò
un uomo, cogliendolo di sorpresa e
piazzandoglisi davanti senza alcun criterio.
Rudyard pensò che dovesse essere uno di quei detestabili
quanto
inutili abitanti della
città, perditempo desiderosi soltanto di fare quattro
chiacchiere in compagnia pur di non rincasare in orario o di non
tornare al lavoro come era richiesto. Se una cosa simile gli fosse
accaduta a Edwinstowe, non avrebbe esitato a mozzare la testa a
quell'impertinente d'un barbone, ma a Nottingham aveva una maschera da
indossare ad arte ed era necessario risultare sempre credibile nel
ruolo che si era attribuito
stabilendosi in città, perciò non poté
permettersi
di mostrarsi
irritato da quella sgradita intrusione.
Sulle prime provò ad annuire freddamente, sperando che il
ficcanaso si levasse di torno con la stessa velocità di cui
aveva usufruito per apparire, e continuò a guardarsi attorno
per
verificare la presenza di uomini di Robin Hood camuffati da artigiani,
mercanti o chissà chi altri: sapeva, infatti, quanto abile
fosse
sempre stato quel montato di un fruorilegge ad imbrogliare perfino i
suoi stessi, sciocchi, compagni con un travestimento. Eppure gli parve
tutto normale nei dintorni della sua abitazione e dato che lo
sconosciuto non demordeva e intendeva importunarlo ancora, Rudyard fu
costretto ad intrattenere quel minimo di
conversazione che non avrebbe fatto di lui un uomo scortese e degno di
sospetti.
Ben presto Much si rese conto di aver ottenuto il ruolo di staffetta o
messaggero, tant'è che dovette prima raggiungere la
postazione
di Guy e Archer per sapere se c'era stato qualche cambiamento nella
situazione, poi correre di nuovo da Tuck e Kate, per dir loro di
tenersi pronti ad ogni eventualità, e ancora dovette tornare
da
Robin insieme alla sua futura sposa e al frate, – i quali
decisero di avvicinarsi alla postazione di Robin, Much
e
John, certi che non sarebbero stati ormai di alcuna utilità
lì dove si trovavano – per raggiungere, infine,
nuovamente
la postazione di Gisborne e Archer.
Stava giusto pensando di lamentarsi per tutta quella fatica mentre gli
altri se ne stavano fermi a non far nulla o a pensare, come aveva
sostenuto Robin poc'anzi, quando notò che Gisborne era
rimasto
solo con il complice di Rudyard.
«Ma dov'è Archer?», domandò
con il fiatone.
Anziché ottenere una risposta concreta, fu costretto a
guardare, su indicazione di Gisborne, il
punto preciso in cui Rudyard e Archer stavano parlando; poi l'uomo lo
mise a conoscenza della rischiosa decisione presa repentinamente dal
giovane arciere nel vedere Rudyard uscire dall'abitazione e Much
capì
che Archer l'aveva fatto per dare tempo ad Allan di
sbrogliare la situazione all'interno dell'abitazione.
«Lo sapevo! Lo sapevo che qualcuno avrebbe infranto le
regole.
Certo ero più portato a credere che saresti stato tu a
disobbedire a Robin, visto come hai reagito al Maniero e considerato
che
non ti va molto a genio che sia Allan a liberare Kaelee, quando
vorresti e dovresti essere tu a farlo. Ma Archer... Oh, Robin si
arrabbierà moltissimo e vi farà una tale sfuriata
che...», cominciò, quasi mangiandosi le parole
preso
com'era dall'ansia, senza, però, riuscire a terminare il
discorso.
«Basta adesso!», lo rimproverò Gisborne.
«Va' da Robin e digli come stanno le cose qui!».
«Lo sapevo», concluse, sconfortato, mentre si
preparava mentalmente a correre ancora da una parte all'altra.
Durante il tragitto provò a riordinare i pensieri,
così
da non far confusione nel riportare a Robin, Kate, John e Tuck
ciò che Guy gli aveva detto, perciò quando
arrivò
alla sua postazione originaria portò entrambe le mani alle
tempie e si concentrò.
«Guy pensa che Kaelee sia dentro quella casa,
perché Allan
non è ancora uscito, perciò lo stanno aspettando.
Però, mentre aspettavano che qualcosa accadesse, Rudyard
è uscito in strada e il suo complice, quello che Guy e
Archer
hanno rapito, voleva avvisarlo, quindi Guy lo ha minacciato e Archer
ora sta parlando con Rudyard», spiegò in fretta.
«Che cosa?!», esclamò Kate.
«Che intendi dire
che Archer sta parlando con Rudyard?», precisò.
Much prese un lungo respiro e ci riprovò.
«Rudyard è uscito in strada, no? E allora Archer
ha
pensato che, se nessuno lo avesse trattenuto, quello sarebbe rientrato
– anche io ci avrei pensato al posto suo, naturalmente
– e
quindi ha fatto finta di essere un abitante di Nottingham che vuole
parlare con Rudyard del più e del meno», disse,
convinto
di essere stato chiaro quella volta anche se Kate continuava a
guardarlo confusa.
«Sta prendendo tempo, è chiaro»,
intervenne Tuck.
«In modo tale che Allan possa agire con più
calma», concluse Robin.
«Bravo ragazzo!», esclamò Little John.
«È quel che ho detto!», si difese Much.
«Se
Rudyard resta fuori, Allan può salvare più
facilmente
Kaelee. Ovvio!», aggiunse, orgoglioso come se avesse fatto
una
scoperta di enorme rilevanza per l'intera umanità.
Quando vide Kate scuotere la testa, stava per chiederle cos'avesse che
non andava, ma Robin diede nuove disposizioni, cambiando le carte in
tavola e disordinandogli di nuovo i pensieri.
«Kate, Tuck e Much, restate qui a tenere d'occhio la
situazione e
se qualcuno degli abitanti della città dovesse chiedervi
qualcosa o se doveste accorgervi che sospettano qualcosa, fate in modo
che tutto fili liscio come l'olio, sminuite, mentite e intrattenete.
Guy e Archer potrebbero avere bisogno di aiuto mentre Allan porta in
salvo Kaelee, perciò io e John andiamo alla loro postazione.
Farò io da staffetta, se necessario. È tutto
chiaro?», chiese Robin, con lo sguardo serio e attento di chi
è abituato a veloci cambi di programma.
«Ma padrone, voi non potete lasciarmi qui!»,
protestò Much.
«È tutto chiaro?», ripeté
Robin, lasciando intendere di non essere disposto ad accettare
obiezioni.
Much sospirò e annuì insieme agli altri.
«Lo sapevo che sarebbe finita così, lo
sapevo»,
brontolò a bassa voce quando fu certo che Robin non avrebbe
potuto più sentirlo.
In compenso si guadagnò una tirata d'orecchi da parte di
Kate,
la quale lo rimproverò perché tutte le volte che
c'era da
separarsi da Robin lui perdeva la testa.
«No... Ti sbagli», tentò, cercando un
ottimo argomento per replicare.
«Ah no, non credo proprio! Forse avresti dovuto chiedere a
lui di
sposarti, ma di questo discuteremo a casa, quando Kaelee
sarà di
nuovo con noi», decise Kate, con una fermezza che piacque
molto a
Much e che gli ricordò di che pasta era fatta la donna che
aveva
scelto come compagna di vita.
La risata sommessa di Tuck chiuse quel siparietto.
Per prima cosa Allan liberò Kaelee da quello che gli
sembrava un
asfissiante
bavaglio, permettendole di respirare a pieni
polmoni e riprendersi almeno un po' prima farla alzare e condurla
fuori. Perfino nella penombra il colorito di Kaelee appariva pessimo,
tant'è che Allan fu sul punto di fiondarsi all'esterno e
chiedere l'intervento di Archer o Tuck, che ne capivano più
di
ogni altro di medicamenti, erbe e pratiche mediche, ma si rese conto
immediatamente di non avere tutto quel tempo a disposizione
perché Rudyard avrebbe potuto riapparire da un momento
all'altro. Anche ammesso che Guy o Archer stessero facendo in modo di
trattenerlo, Allan era consapevole di dover fare quanto più
in
fretta possibile, quindi si chinò su Kaelee.
«Va tutto bene. Andrà tutto bene», le
mormorò mentre, con dita tremanti, scioglieva i nodi sui
polsi
della ragazza. Non gli servì molta immaginazione per
realizzare
che, a causa di quella corda tanto stretta, la pelle di Kaelee avrebbe
presentato screpolature e tagli per diversi giorni. «Ti porto
fuori di qui», aggiunse.
Spalancò gli occhi – provocandosi una terribile
vertigine
– appena quella voce, così familiare, giunse alle
sue
orecchie lasciandole credere di essere svenuta di nuovo e di star,
quindi, solo sognando. Si sentiva estremamente confusa mentre cercava
di capire perché un complice di suo fratello la stava
liberando
da tutti gli impedimenti imposti da Rudyard. Possibile che ci fosse lo
zampino di Robin e i suoi? Ma allora dov'era Guy? Che Robin avesse
escogitato un piano che non prevedeva il diretto intervento dei suoi
uomini, ma mirava a corrompere gli scagnozzi di Rudyard? Se
così
fosse stato, c'erano riusciti con uno soltanto visto che l'altro era
stato immobilizzato e minacciato. Ma allora perché aveva la
sensazione di conoscere bene il proprietario di quella voce?
Inoltre, man mano che il suo salvatore scioglieva le corde,
paradossalmente il dolore aumentava: nel momento stesso in cui l'uomo
l'aveva privata del bavaglio, l'aria, finalmente libera di circolare
nei polmoni, iniziò a bruciare come fosse stata
fuoco,
scatenando contemporaneamente tutta una serie di
lancinati fitte ai muscoli tesi; il labbro tirò
più di
quanto avesse fatto prima e la guancia prese a pulsarle
ancora più intensamente, a ritmo con il cuore in corsa; la
nausea, però, iniziò a placarsi, ragion per cui
Kaelee
poté guardare in faccia l'uomo che le stava facendo quella
gentilezza, restando piacevolmente stupida da ciò che vide.
«Allan?», domandò incredula, con la gola
secca e la
voce roca, come se fosse gravemente malata.
«Allan!»,
ripeté mentre la gioia le
rianimava il cuore.
Era indubbiamente felice di vedere un volto amico e di sapere che la
banda aveva intuito le intenzioni di suoi fratello, felice
di non aver sperato invano, felice di avere una via d'uscita e degli
amici che le volevano bene; ma era anche felice, in fondo, che Guy non
fosse
lì a rischiare la vita per lei, sebbene in quel momento
fosse proprio lui l'unica persona che voleva vedere. Avrebbe mille
volte
preferito le braccia di Gisborne a quelle di Allan; altre mille volte
avrebbe voluto che fosse lui a sorriderle con tanta dolcezza. Eppure il
solo pensiero che l'uomo che amava abboccasse al perfido amo teso da
Rudyard la feriva a tal punto che vedere Allan l'aveva riempita di
gioia istantaneamente.
«Sì, sono io», rispose l'uomo
sorridendole spontaneamente. «Dobbiamo fare in fretta,
vieni».
La felicità che Allan provò nel sentire
l'entusiasmo nella voce di lei fu devastante, tanto che
dimenticò perfino che lei amava Gisborne, che aveva sempre
scelto Gisborne, che gli aveva detto apertamente di provare solo un
profondo affetto per lui e non attrazione o amore; dimenticò
che
portandola fuori da quell'abitazione l'avrebbe restituita alle braccia
del suo rivale in amore, perché la sensazione di poter
diventare
il suo eroe era totalizzante e si stese su qualsiasi altro pensiero
razionale, rimpiazzandolo subito. In fin dei conti cosa aveva fatto
Gisborne per lei? Le aveva offerto protezione, ma anche lui l'aveva
fatto nella medesima occasione ed ora le stava anche salvando la vita
mentre lui era costretto a restare in disparte per non farsi ammazzare
come un fesso. Se Gisborne le era stato vicino era perché
lei
glielo aveva permesso, negando invece a lui il medesimo privilegio.
Perciò quali e quanti diritti poteva vantare quell'uomo su
Kaelee? Certamente quell'occasione gli avrebbe dato modo di competere
davvero con il suo rivale, gli avrebbe permesso di sperare davvero che
Kaelee scegliesse lui e lasciasse perdere uno come Gisborne, che era
pure fin troppo vecchio per lei.
Benché roca e gracchiante, quasi irriconoscibile,
la voce di Kaelee che pronunciava il suo nome fu per lui una scossa
di
pura adrenalina. Forse ne avrebbe pagato le conseguenze,
forse avrebbe fatto i
conti con la solita realtà – quella in cui Kaelee
avrebbe
continuato a scegliere Gisborne – una volta tornato a
Locksley,
ma in quel
momento nulla gli interessava, se non la ragazza che si strinse al
petto in un goffo abbraccio prima di rendersi conto che avrebbe dovuto
portarla fuori di peso.
Appena tentò di aiutarla ad alzarsi, infatti, vide Kaelee
barcollare pericolosamente minacciando di ricadere a terra se non
l'avesse sostenuta, quindi, senza rifletterci oltre e con il cuore in
gola per l'emozione, Allan si sentì libero di prenderla in
braccio e condurla in fretta fuori da quello che, certamente, doveva
essere stato per lei un incubo.
«Credetemi, mio buon signore, se vi dico che la vita in
città
è tutt'altra
cosa! I villaggi? Sono fin troppo tranquilli per i miei
gusti»,
disse
Archer con
finta noncuranza, accompagnando le parole con un gesto della mano e
rubando
ulteriori minuti determinanti per la riuscita del piano.
«Quando Nottingham è stata distrutta ho creduto
d'esser un uomo finito. Finito vi dico! E invece... Guardate!
Guardatela! Nottingham
risplende
più di prima!», aggiunse con convinzione,
recitando per
l'ennesima volta nella sua vita un ruolo né troppo vicino,
né troppo lontano dalla realtà delle cose;
infatti Archer
aveva davvero creduto che la sua vita sarebbe giunta al termine nel
corso dell'ultimo scontro con Vaisey, a causa del quale aveva rischiato
seriamente di perdere entrambi i suoi fratelli appena conosciuti.
Nel frattempo osservava tanto Rudyard quanto eventuali movimenti in
direzione dell'abitazione, sperando che Allan si sbrigasse e non lo
costringesse a forzare troppo la mano con l'avversario; l'uomo,
infatti, aveva già dato segno di volersi sottrarre alle
chiacchiere con cui lui cercava di stordirlo, riuscendo, fino a quel
momento, nel suo intento; ma per quanto ancora gli sarebbe stato
possibile prenderlo in giro?
Sebbene Rudyard avesse dimostrato di non essere un completo idiota
rapendo Kaelee sotto al naso dell'intera banda, in quel frangente non
sembrò essersi accorto che chi aveva davanti non era un
comune
cittadino di Nottingham, ma il diversivo che avrebbe fatto saltare in
aria tutti i suoi sogni di gloria e che lo avrebbe costretto a lasciare
la città, dal momento che d'ora in avanti Rudyard avrebbe
avuto
la certezza che Robin e i suoi conoscevano il suo nascondiglio. Eppure
poteva Archer esserne davvero certo? Stando a quanto il gruppo aveva
scoperto di lui osservandone i movimenti, Rudyard non aveva che due
complici, – di cui uno era tenuto sotto stretta sorveglianza
da
Gisborne e l'altro, con ogni probabilità, stava per essere
messo
fuorigioco da Allan – perciò Archer, almeno in
teoria,
poteva considerarsi fuori pericolo, ma aveva imparato a sue spese che
la prudenza non era mai troppa quando si aveva a che fare direttamente
con il proprio avversario, perciò avrebbe preferito non
dover
mettere a dura prova l'autocontrollo che Rudyard stava manifestando di
avere.
Senza dubbio Archer si stava esponendo ad un grosso rischio stando
così a
diretto contatto con un uomo senza pietà quale era Rudyard,
ma voleva così bene a Guy e Kaelee da non subire
negativamente il peso
dello
sforzo; inoltre doveva la vita a suo fratello che, senza neanche
conoscerlo, era quasi stato impiccato a York per salvarlo, ed era quasi
morto soffocato
dalla trappola che lui stesso aveva architettato per ottenere denaro
da Isabella, era rimasto disarmato nel tunnel segreto del Casello di
Nottingham per offrire a lui la propria spada e consentirgli di
difendersi. Sarebbe stato, quindi, meschino da parte sua tirarsi
indietro per paura.
Con la dovuta cautela, Allan sbirciò oltre l'ingresso per
assicurarsi di avere via libera. Vide
Rudyard di spalle, lontano una decina di metri da dove si trovavano lui
e Kaelee, intento a parlare con un uomo:
impiegò solo
qualche istante a riconoscere gli abiti indossati da Archer per
l'occasione e un sorriso di compiaciuta approvazione si
disegnò sul suo
volto mentre gratitudine e riconoscenza si facevano largo nel suo cuore.
Accettare Archer come parte integrante del gruppo non era stato
semplice per lui, non tanto perché si era rivelato essere un
fratello comune a Robin e Gisborne, – cosa che,
inevitabilmente,
gli aveva comunque ricordato che anche lui, un tempo, aveva un fratello
che Vaisey aveva fatto impiccare prima che la banda potesse intervenire
a salvargli la vita – ma più per una quesione
caratteriale. Ai suoi occhi, infatti, quel
giovane uomo appariva sempre troppo spavaldo e saccente, strafottente
quasi quanto Gisborne pur avendo lo sguardo mite simile a quello di
Robin e un'indiscutibile abilità nel maneggiare arco e
frecce; era, inoltre, innegabilmente di bell'aspetto e intelligente,
conosceva piccoli
trucchi
capaci di tenere viva l'attenzione del pubblico e altri in grado di
mandare fuori di testa le donne, giovanissime e non, caratteristiche
queste che lo avevano reso un pericoloso rivale nella corsa alla
conquista della fetta femminile di Locksley.
Volendo scendere più a fondo, però, Allan sapeva
bene che
la
sua iniziale antipatia nei riguardi di Archer non dipendeva
strettamente dall'arciere, ma da quanto l'esperienza da fuorilegge lo
aveva segnato, rendendolo
più diffidente verso chiunque tentasse di rapportarsi con
lui. Si era reso complice di Gisborne quando Gisborne non era una brava
persona, non poteva negarlo, e averlo
fatto per salvarsi la pelle forse non faceva di lui un uomo onesto,
eppure in
cuor suo era sempre rimasto fedele a Robin e ai suoi, sperando a lungo
che Robin lo perdonasse e gli desse una seconda occasione
anziché bandirlo dal gruppo di fuorilegge, costringendolo a
cercare ospitalità a Gisborne – il quale lo prese
con
sé nonostante non potesse più fornirgli
informazioni in
tempo reale in merito ai piani della banda; non c'era stato un momento
in cui non avesse sentito la
loro mancanza durante il soggiorno al Castello ed era rimasto molto
amareggiato quando tutti erano caduti nella trappola tesa da Isabella,
qualche giorno prima dello scontro finale,
la quale aveva mirato unicamente a mettere in disaccordo i membri della
banda; il fatto che quella donna fosse riuscita a farlo passare di
nuovo per il traditore di turno, era ciò che lo feriva
maggiormente, perché voleva dire che i suoi compagni d'armi,
anche se lo avevano poi riaccolto nella banda quando aveva liberato
tutti dai mercenari assoldati da Vaisey, non avevano mai riacquistato
totale fiducia in lui (***).
Non portava rancore, di questo ne era certo, – altrimenti non
sarebbe rimasto al fianco di Robin e compagnia – ma tendeva a
difendersi spesso, anche quando non ce
n'era realmente bisogno. Capitava, infatti, pur senza che lui lo
volesse razionalmente, che ripensasse alla facilità con cui
i
suoi amici
avevano creduto alle infamanti parole di Isabella, alla
facilità
con cui era stato legato e costretto a restare all'accampamento dei
fuorilegge mentre tutti gli altri si recavano a Nottingham, in vista
di quella che sarebbe diventata l'ultima battaglia, alla rabbia che gli
aveva permesso di liberarsi
e correre via, lontano; gli veniva in mente il volto di Vaisey,
tornato dal regno dei morti (****) per uccidere Robin Hood e forse
anche Guy
di Gisborne, e la sorpresa, che quasi lo aveva ancorato al suolo, che
gli avrebbe impedito di sfuggire alle molteplici frecce che sarebbero
state
scagliate contro di lui, se non avesse tentato la fuga come invece gli
era riuscito di fare – e nonostante questo, era comunque
stato
colpito da diverse punte, sebbene da nessuna in maniera grave (*****).
Ferito e
sofferente, aveva lo stesso
tentato di raggiungere Nottingham per avvertire Robin e gli altri,
senza riuscirci; tutte le volte che il suo pensiero correva a quegli
istanti si sentiva
inutile e impotente, perché non era mai riuscito ad arrivare
in città, si era arreso prima, sconfitto dalle molte ferite
che
gli avevano fatto perdere sangue e forze, inducendolo a nascondersi e a
sperare che tutto potesse andar bene per i suoi amici, anche se non si
erano fidati di lui, anche se lo avevano creduto di nuovo un traditore.
Soltanto diversi giorni dopo che Nottingham era saltata in aria gli era
stato possibile ricongiungersi con Robin e scoprire che erano tutti
vivi,
anche se mal ridotti, e, a scanso di equivoci, aveva preferito
non
perdere tempo e raccontar loro la verità.
Mandò via la distrazione che erano quei ricordi e,
silenziosamente, uscì con Kaelee in braccio costeggiando le
pareti dell'abitazione fino a raggiungere Gisborne, il quale appena li
vide saltò in piedi. Ad Allan non sfiorò neanche
il
dubbio che Gisborne volesse attaccarli, credendoli nemici, e, anzi,
pensò subito che fosse sollievo quell'emozione che gli lesse
negli occhi, perché sicuramente tutta
la tensione e
l'angoscia che aveva provato si erano dissolte alla sola vista di
Kaelee, esattamente come era accaduto a lui stesso poco prima.
Da quando Robin e Little John lo avevano raggiunto, cambiando
postazione per essergli di supporto, Gisborne aveva fissato lo sguardo
sul punto esatto in cui si aspettava che Allan sarebbe sbucato,
–
ovvero dal
lato dell'abitazione opposto al punto
in cui Archer stava trattenendo Rudyard – in attesa
dell'istante in cui avrebbe rivisto la sua Kaelee.
Non dovendosi preoccupare più di tenere a bada il
prigioniero,
perché Robin e John lo stavano interrogando in merito a
Rudyard,
– per scoprire cosa quell'uomo avesse
raccontato a lui e
all'altro complice che era ancora in casa, chi avesse detto loro di
essere e
cosa avesse detto riguardo Kaelee, che intenzioni avesse sostenuto di
avere e quali intenzioni avesse invece dimostrato dopo il rapimento di
sua sorella, come avesse organizzato il sequestro e quante altre
persone
stessero dalla sua parte, quante lo avessero aiutato in quell'impresa
folle, per poi informarlo, infine, su come
stavano realmente le cose – Guy non pensava ad altri che a
Kaelee, ponendosi una serie infinita di domande su come quel bruto che
lei si ritrovava per fratello l'avesse trattata dopo averla rapita,
cosapevole che se Rudyard avesse solo provato a torcerle un capello
l'avrbbe pagata prima o poi, fosse anche non direttamente ad opera sua;
perciò ascoltava solo con un orecchio quanto Robin stava
dicendo
al prigioniero.
«Non so se posso fidarmi di te, anche se mi sembri onesto nel
tuo
essere sconvolto. Chi mi dice che non imbrogli raccontandomi che non
sapevi nulla delle reali intenzioni di Rudyard e che nulla sai di come
abbia rapito un'innocente? Perciò non sarai
slegato quando ce ne andremo», disse l'arciere con un tono
che,
quasi certamente, – pensò Gisborne – era
accompagnato dal solito sorrisetto vagamente strafottente.
«Non
pretendo che collabori con noi, ma bada! Se verrò a sapere
che
collabori ancora con Rudyard ai danni di Robin Hood e della sua banda o
se tenterai di fare del male a Kaelee o a chiunque altri tra i miei
uomini, non te la caverai altrettanto facilmente come
adesso»,
concluse severamente.
«Voi siete il celebre Robin Hood, signore?»,
domandò quello, con un filo di voce.
«Chi altri pensavi che fossi? Un mendicante
forse?»,
domandò Robin, il quale, manco a farlo apposta, aveva
addosso
quattro stracci sgualciti.
Perfino Guy, concentrato com'era sull'arrivo di Allan, scosse il capo e
alzò gli occhi al cielo a quella pessima battuta.
«Oh, Robin! Possibile che tu debba scherzare pure in un
simile momento?», lo rimproverò John.
«Perciò non mi ucciderete, signore? Mi
risparmierete per
davvero la vita, come si dice che voi facciate anche con chi vi manca
di rispetto?», chiese il prigioniero, qualche momento
più
tardi.
«Ti ho offerto una scelta, ragazzo. Sfrutta al meglio questa
seconda occasione e scegli meglio i tuoi compagni
d'avventura»,
rispose Robin, chiudendo il discorso tra i molti ringraziamenti del
giovane complice di Rudyard.
«Intendi riservare lo stesso trattamento anche a
Rudyard?»,
domandò allora Guy, sempre più convinto che la
soluzione
migliore fosse catturarlo e dargli una lezione prima di rispedirlo a
Edwinstowe e alle poco amorevoli cure di Dwight e Aric.
«Pensiamo a Kaelee prima», ribatté Robin.
«Gli hai già dato una seconda
opportunità il giorno
dell'inaugurazione della nuova Nottingham ed ecco come lui l'ha usata.
Ne merita forse un'altra?», continuò con sarcasmo,
cercando lo sguardo dell'arciere.
«Non sarò io a dargli la morte, se è
questo che
vuoi sapere, e non lo farai neanche tu. Avrà la sua
punizione», gli rispose senza vacillare.
Quella discussione sarebbe potuta andare avanti per ore intere, ma
appena Kaelee apparve oltre l'angolo Gisborne sentì la
propria
mente svuotarsi di ogni pensiero e riempirsi soltanto di lei, dei suoi
occhi, del viso bellissimo anche se molto pallido. Non
riuscì
neanche ad arrabbiarsi per il modo in cui Allan la stringeva a
sé, né badò al sorriso soddisfatto
sulle labbra di
lui, perché la contentezza che provava nel rivedere Kaelee
sana
e salva era incontenibile.
L'andatura ondeggiante di Allan rischiò di farle tornare la
nausea, così come la luce improvvisa, che le aveva colpito
gli
occhi appena era uscita con il suo salvatore, le provocò un
fastidiosissimo giramento di testa, che la costrinse ad aggrapparsi con
forza ad Allan nel timore di poter cadere. Dal momento che Allan e non
Gisborne era entrato in quell'abitazione per trarla in salvo, Kaelee
ritenne che, in qualche modo, – probabilmente dandogli un
colpo
sulla nuca, legandolo o facendogli respirare un infuso dal potere
estremamente calmante – Robin era riuscito a trattenere Guy
al
Maniero, perciò non si aspettava certo di trovarselo
davanti,
quando azzardò a riaprire gli occhi sperando che la
vertigine
non tornasse. Appena scorse il volto dell'uomo che amava e quegli occhi
intensi, colmi di lacrime e d'amore, subito si agitò tra le
braccia di Allan volendo soltanto sprofondare tra le braccia forti di
Guy.
Con un movimento tanto fluido che non ne risentì
minimamente, qualche istante più tardi scivolò
dalle
braccia di Allan a quelle di Gisborne e si sentì a casa come
mai
le era capitato in vent'anni di vita.
«Tu non dovresti essere qui», lo
rimproverò in un sussurro roco.
«Nemmeno tu», rispose Guy baciandole la fronte e
restituendole, così, tutto il calore umano di cui
necessitava
per dimenticare quell'orrenda disavventura.
Sapeva che non avrebbe accantonato in fretta quell'esperienza e sapeva
che ci avrebbe fatto i conti molto presto, ma in quel momento non c'era
altro che Gisborne con le sue mani grandi, con il suo petto ampio e con
la sua voce profonda a sussurrarle parole d'amore e conforto.
La gioia lasciò presto il posto alla
preoccupazione nel suo animo. Finché Kaelee era stata tra le
braccia di Allan, Guy aveva notato soltanto quanto il suo colorito
fosse più vicino al bianco che al rosa, ma avendola ora
così vicina si rese conto che il pallore rischiava di essere
il
minore dei problemi: la ragazza, infatti, si mostrava debole al punto
da non riuscire a reggersi in piedi,
aveva occhi stanchi e
lievemente cerchiati di
nero, un sorriso tirato sulle labbra secche, screpolate tanto da recare
perfino un taglio – preferì non considerare
l'ipotesi che
Rudyard le avesse
messo le mani addosso, altrimenti sarebbe stato capace di affidare
Kaelee a Robin per uccidere istantaneamente Rudyard – e dei
brutti segni ai polsi. Dovette focalizzarsi esclusivamente sulla
serenità che stringere al petto la donna che amava gli
trasmetteva, per evitare di perdere la calma e bombardare Kaelee di
tutte le domande che gli rimbalzavano in testa e per bloccare sul
nascere gli inaccettabili scenari che gli si srotolavano nella mente
– scenari in cui Kaelee veniva maltrattata fisicamente e
verbalmente da suo fratello.
Quasi che Kaelee fosse un confortevole camino
acceso, nel
momento
in cui Allan se ne separò ne risentì fisicamente:
se fino
a poco prima
la gioia era il sentimento predominante nel suo animo e un caldo
sorriso ne era lo specchio sul suo volto, quando la ragazza era finita
in braccio a
Gisborne fu come se il placido fuoco si fosse spento e Allan
cominciò a sentire tutto il peso dell'illusione che si era
creato.
La consapevolezza che lei non aveva affatto cambiato idea e che vedeva
ancora in Gisborne l'unico uomo meritevole del suo amore, fece di Allan
un uomo improvvisamente triste mentre lo sconforto si abbatteva su di
lui come una tempesta di neve e se un accenno di sorriso
tornò
ad animargli il volto e il cuore fu soltanto perché Kaelee
lo
guardò dritto negli occhi per ringraziarlo sentitamente di
averla salvata.
Si ritrovò ad annuire svogliatamente, accompagnando il gesto
con un'alzata di spalle.
«Chiunque di noi lo avrebbe fatto», rispose
soltanto, come se
averla salvata non
avesse per lui un valore diverso, come se non provasse per lei
sentimenti differenti da quelli di Archer, Much e tutti gli altri e
più simili, invece, a quelli di Gisborne.
«Ma sei stato tu a farlo e per questo ti
ringrazio», gli rispose in poco più che un
sussurro.
Era palese, nella voce di lei, l'affetto che provava nei suoi
confronti, ma questo non alleggerì affatto il suo cuore,
anzi,
quella riconoscenza e quel sorriso stanco, ma sincero, furono per lui
come uno schiaffo in pieno viso, perché era l'ulteriore e
chiara
conferma che non era lui l'uomo
che Kaelee amava, era la testimonianza che comunque fossero andate
le cose lei non lo avrebbe mai amato. Rassegnarsi, quindi, era la cosa
giusta da
fare, l'inevitabile conclusione da dare a quella faccenda di cuore, ma
la speranza sapeva essere davvero dura a morire e combatteva con
ferocia nel suo
cuore, piantando quella sottile radice pronta a crescere al minimo
raggio di sole.
Allan avrebbe mille volte preferito soffrire vedendola
sorridere
tra le braccia di un altro che averla e renderla infelice a vita,
perciò le sorrise ancora una volta.
Maniero di Robin, Locksley.
Era sera quando Kaelee si svegliò, nel letto che
condivideva con Guy, senza ricordare di essersi addormentata.
Istintivamente allungò la mano alla sua destra e
scoprì, con un pizzico di delusione, che lui non c'era.
Man mano che le nebbie del sonno si diradavano, riuscì a
fare mente locale con la sensazione che non fosse la prima volta che ci
provava nel corso di quella giornata. Era indubbiamente molto confusa e
impiegò qualche minuto per rammentare che aveva affrontato
lo
stesso sforzo mentale a Nottingham, quando aveva dovuto razionalizzare
di essere stata rapita da suo fratello. Constatato che non si era
trattato di un incubo, Kaelee preferì non soffermarsi oltre
su
quella brutta esperienza e, in tal proposito, iniziò a
ricordare
di essere tornata a Locksley insieme a Gisborne, che l'aveva tenuta
stretta perfino durante la cavalcata da Nottingham al
villaggio.
Nel caos generale che pulsava insieme ai muscoli doloranti,
scoprì di avere anche qualche ricordo confuso degli svariati
risvegli di soprassalto
che avevano preceduto il sonno profondo in cui era piombata, restandovi
fino al tramonto di quel giorno orrendo; ricordava vagamente anche le
braccia di Gisborne attorno a sé tutte le volte che si era
svegliata
in malo
modo e quello era l'unico dettaglio che riuscisse a rasserenarla mentre
si metteva a sedere senza nessuna voglia di alzarsi o fare qualunque
cosa.
Gli incubi, invece, li rammentava benissimo, con una chiarezza tale da
farli sembrare reali, e avevano tutti il volto maligno di suo fratello.
In effetti, a pensarci meglio, Kaelee si rese conto che i brutti sogni
che l'avevano spaventata tanto da farla saltare su dal letto,
somigliavano tremendamente agli eventi di quella mattina
perché
altro non
erano che la rielaborazione di quanto le era realmente accaduto.
Senza il mal di
testa che aveva caratterizzato la disavventura era più
semplice mettere in ordine i fatti: era stata rapita
da Rudyard, anche se non aveva ancora capito come gli fosse riuscita
l'impresa, era stata rinchiusa da qualche parte a Nottingham,
–
quasi certamente in quell'abitazione che lei e la banda avevano tenuto
d'occhio – legata e
privata di
acqua e cibo, schiaffeggiata, derisa e
minacciata; il tutto per neanche mezza giornata che, però, a
lei
era parsa corrispondere a giorni
interi.
Poi, dal nulla, era arrivato Allan.
Si coprì il volto con entrambe le mani e scoprì
che la
guancia ancora le doleva fastidiosamente, se vi premeva sopra le dita,
così si nascose di nuovo sotto le coperte per un tempo
indefinito.
Stufa di restarsene immobile, infine si alzò dal letto,
raggiunse la piccola bacinella a sua disposizione e si
ritrovò a
contemplare il riflesso di se stessa nell'acqua
pulita e fresca, senza avere ben chiaro cosa dovesse o volesse fare.
Ciò che vide non le piacque affatto ed era questa l'unica
certezza che aveva in quel momento.
Un volto imbronciato, sopracciglia corrucciate, labbra serrate,
strette in una linea inespressiva, screpolate, sguardo vuoto la
rendevano così diversa da chi era solita essere stata anche
nei
momenti peggiori della sua esistenza, che non riusciva nemmeno a
riconoscersi davvero. Chi era la ragazza del riflesso, allora?
Possibile che in una sola mattina Rudyard fosse riuscito a cambiarla
più di quanto non fosse riuscita a fare sua madre in tanti
anni?
La solita ciocca ribelle le cadde davanti agli occhi e la
innervosì
più delle altre volte, così, con uno scatto
repentino
delle dita, se la cacciò dietro l'orecchio desiderando
strapparla via, più che intrecciarla al resto della chioma
sperando che stesse ferma. Il riflesso dentro la bacinella, intanto, le
mostrò un piccolo taglio all'angolo delle labbra lievemente
gonfie, eredità dello schiaffo ricevuto da suo fratello e
mentre
i capelli di nuovo le ricadevano sul volto, Kaelee seppe finalmente
cosa voleva e doveva fare.
Quando raggiunse i Tre, nella Sala Grande del Maniero, la conversazione
in corso morì istantaneamente e nessuno ebbe il coraggio di
fiatare. In quanto al perché si sconvolsero tanto nel
rivederla,
Kaelee decise che non le interessava, perché ormai la
decisione
era stata non soltanto presa, ma anche portata a compimento,
perciò qualsiasi cosa Guy, Robin e Archer avessero detto, le
carte in tavola non sarebbero cambiate, quindi era giusto che non
dessero voce ai loro inutili e non richiesti commenti; in fin dei conti
tutti, a Locksley, avevano lavorato per renderla definitivamente libera
e consapevole di sé, ragion per cui non avrebbero avuto
alcun
diritto di protestare nel momento in cui lei avesse scelto per se
stessa in modo del tutto autonomo.
Inevitabilmente, il suo sguardo finì su Gisborne, il quale
la
fissava più sconvolto che mai, incredulo, tanto che Kaelee
si
domandò perfino se l'avesse o meno riconosciuta: ci sarebbe
stato da ridere se, istintivamente, lui le avesse chiesto quale fosse
il suo nome.
Come se niente fosse, perché in fin dei conti nulla di
tragico
era accaduto mentre lei dormiva, prese posto al tavolo con una
sicurezza che non si era mai sognata di ostentare al Maniero,
né
in nessun altro posto, – ma che le era necessaria a
testimoniare
con chi avrebbero avuto a che fare Gisborne e compagnia da quel momento
in avanti – spostando senza convenevoli l'attenzione dei
presenti
su un argomento ben preciso.
«Dov'è Rudyard?», chiese, a pugni
stretti,
nel tentativo di apparire
calma quando invece voleva soltanto prendere a calci quello che, per il
pessimo senso dell'umorismo di un destino avverso, era suo fratello; un
fratello il cui unico scopo nella
vita era infelicitarla e che, per tale motivazione, sarebbe stato
eliminato dalla faccia della terra, perché lei ne aveva
abbastanza di vedere uomini che, continuamente e perfino in modi
creativi, si divertivano a sottomettere e umiliare le donne.
"Mi mandino pure al rogo, se credono. Vorrà dire che
lancerò contro di loro una tale maledizione che se ne
pentiranno
finché saranno in vita e anche oltre", pensò
incollerita,
sapendo che stava esagerando con quei pensieri che, tuttavia, non
tentò di fermare.
Dal momento che Robin e Archer sembravano non essere intenzionati a
risponderle, essendosi voltati entrambi verso Gisborne, Kaelee
tornò a guardare il maggiore dei Tre.
Appena distolse lo sguardo dagli altri due, ebbe quasi la sensazione
fisica dei loro occhi su di sé e questo non la aiutava certo
a
mantenere la calma, ma dato che mettersi a discutere sulla loro
maleducazione l'avrebbe allontanata dalla ragione principale per cui
era scesa al pianterreno, preferì tacere e attendere che
Gisborne si decidesse a risponderle; nell'attesa provò a
fantasticare sulla direzione che i pensieri di Robin e Archer potevano
aver preso dopo averla vista in quelle sue nuove vesti –
sebbene
non avesse badato troppo a svolgere un lavoro preciso, il risultato
mostratole dal riflesso nell'acqua non le era dispiaciuto,
perciò nessuno avrebbe potuto dire di lei che fosse meno
bella
di prima – e, prendendo in considerazione le informazioni che
possedeva sul passato di ognuno, concluse che Robin, se avesse avuto
occasione di esprimere la propria opinione, avrebbe detto di lei che
quel mutamento era il risultato di un'immediata reazione allo
sconvolgimento per ciò che le era accaduto, avrebbe detto
che
lei si era convinta di poter allontanare tutto ciò che di
spiacevole aveva vissuto semplicemente alterando lo stile di vita;
mentre il secondo avrebbe sostenuto che si trattava più di
una
presa di posizione, ovvero solo l'inizio di un cambiamento
più
profondo e duraturo, magari pure definitivo, quasi che vivere una
brutta esperienza avesse tirato fuori un'altra parte di lei con cui
indendeva affrontare il futuro alle porte.
Se Kaelee si fosse trovata a dover ragionare su una situazione simile,
avrebbe guardato all'insieme attraverso le sue esperienze di vita,
perciò immaginò che Robin e Archer stessero
facendo
altrettanto mentre la fissavano senza criterio; probabilmente, quindi,
Robin, che di ritorno dalla Terra Santa dopo la morte di Marian aveva
pensato per un momento di mandare al diavolo il mito che si era creato
attorno alla sua figura e che era poi tornato sui propri passi,
credeva che Kaelee avesse solo bisogno di sfogare quanto aveva dentro,
nel modo da lei ritenuto più opportuno; Archer, invece, che
mille
volte era stato costretto a reinventarsi per sopravvivere, vestendo
così tanti panni non suoi da rischiare di perdere se stesso,
probabilmente pensava che lei avesse solo esposto alla luce un altro
strato
della sua personalità.
Forse avevano ragione entrambi, forse nessuno dei due, ma comunque
stessero le cose, Kaelee non intendeva giustificarsi, né
aveva
intenzione di perdere altro tempo con inutili elucubrazioni.
«Qualcuno di voi vuole rispondermi, oppure avete tutti perso
la
lingua?», domandò quindi, spazientita dal silenzio
generale.
Gisborne, che prima dell'arrivo di Kaelee stava discutendo con i suoi
fratelli proprio del destino di Rudyard, non riusciva a trovare le
giuste parole da mettere in fila per comporre una frase di senso
compiuto, destabilizzato dal mutamento fisico di lei prima ancora che
dal tono con cui si stava rivolgendo a tutti loro. Se non fosse stato
per gli occhi grandi di caramello e per la
corporatura minuta, avrebbe stentato a riconoscerla tanto appariva
diversa.
«Kaelee... Che cosa hai fatto?», mormorò
appena quando lei insisté, con gli occhi fissi sul suo volto
perché le lunghe onde scure della giovane donna avevano
lasciato
il
posto ad un taglio corto e disordinato – non quanto quello di
Djaq e
più simile ai suoi stessi capelli – che,
evidentemente, si
era fatta da sola
subito dopo essersi svegliata.
Inoltre aveva le mani fasciate dai corti guanti che finalmente le aveva
dato, quando entrambi erano rientrati nel villaggio, nel
tentativo di risollevarle il morale e anziché uno dei
soliti,
adorabili,
abiti leggeri che le lasciavano fuori le spalle coprendole invece le
caviglie, aveva indosso una blusa dalle maniche ampie, stretta attorno
al busto grazie ad un corpetto che le metteva in risalto il seno e la
vita sottile, e accompagnata da un paio di pantaloni tutt'altro che
femminili, raccolti dal ginocchio in giù in aderenti stivali
che la facevano somigliare più a Robin Hood che a una donna
di
Locksley o di un qualsiasi altro villaggio o città.
Ma, come aveva già avuto sentore dal tono che Kaelee aveva
usato, non era solo una questione estetica. Il sorriso che Kaelee gli
rivolse in risposta alla domanda che le aveva posto, lo
inquietò
al punto
da indurlo ad alzarsi in piedi, come se sentisse il bisogno di
difendersi dalla persona che aveva davanti e che non somigliava per
niente alla Kaelee di cui si era innamorato. Il modo in cui quelle
labbra si erano
piegate all'insù aveva un che di malvagio, qualcosa che
sapeva
di rabbia e
vendetta, di furia cieca – sentimenti, questi, che non
sopportava
collegare a lei – e anche se l'istintività di
Kaelee non
era una novità per
nessuno, c'era qualcosa di realmente diverso in lei.
L'esperienza di quella mattina aveva evidentemente toccato determinate
corde della sua anima, quali esattamente e con quali conseguenze Guy
ancora non lo sapeva; del resto era stata una giornata difficile per
tutti, una di quelle giornate i cui strascichi sapevano condizionare
anche per
settimane il comportamento dei malcapitati, perciò, forse,
si
trattava solo di un momento, passato il quale Kaelee sarebbe tornata a
sorridere come sempre.
«Ricresceranno», commentò semplicemente
la ragazza,
«e, converrai certamente con me, gli abiti da donna non sono
il
massimo in
duello», aggiunse
poggiando un gomito sul tavolo e abbandonando una metà del
viso nel palmo della mano, ancora evidentemente in attesa di una
risposta – e
determinata ad averla.
Di nuovo, Gisborne fu spiazzato dal suo atteggiamento
perché, dovette ammettere a se stesso, avere
a che fare con lei in quel momento lo intimoriva. La forza nel suo
sguardo lo metteva in soggezione, facendogli credere di non
essere assolutamente in grado di proteggerla, semplicemente
perché lei non ne aveva bisogno; per un attimo, guardandola,
si convinse che Kaelee non avesse più bisogno di lui, si
convinse di non avere nulla da offrirle e le spire di paura tornarono a
stritolargli i polmoni e il cuore e la mente, impedendogli di
respirare,
amare, pensare.
Ciò che Gisborne vedeva era una donna piena di coraggio,
fiera
nel suo essere minuta ed esile, ferma nelle sue convinzioni,
invincibile per il solo fatto che credeva fermamente in quel che
pensava e faceva. Si sentì piccolo dinanzi a lei, in
confronto a lei, e non fu in grado di dir nulla.
Era un dato di fatto inattaccabile che Kaelee avesse scelto
consciamente di allontanarsi
dalla propria casa, dal villaggio in cui era nata e cresciuta,
dall'unico essere umano che le aveva mai dimostrato di tenere a lei
– suo
fratello Aric – in nome di un sogno, di una speranza, di
un'idea.
La
fermezza che le aveva consentito di ambientarsi in mezzo a completi
estranei, di costruire un rapporto di amicizia con Kate, – la
quale l'aveva
gentilmente ospitata nella propria abitazione – di imparare a
svolgere
mestieri con cui non aveva mai avuto a che fare, che le aveva permesso
di imparare a leggere e a maneggiare una spada senza perdersi d'animo
solo perché con arco e frecce era andata male; quella stessa
risolutezza che l'aveva salvata dalle pesanti giornate vissute a
Edwinstowe in compagnia di sua madre, che l'aveva fatta montare in
sella al cavallo di suo fratello pure dopo una brutta caduta, che
l'aveva indotta a sognare e valutare la possibilità di una
vita migliore altrove, che le aveva impedito di mettere in discussione
ciò in cui credeva e i sentimenti che provava per Guy nel
momento in cui lui le aveva aperto le porte del proprio passato; quella
caratteristica che prima tra tutte emergeva sopra ogni lato del suo
carattere, non era un'invenzione o un sottile muro di protezione. Era
reale, solida e insita in profondità in lei come parte
integrante della sua personalità, tanto che, anche se la
vita
serena che le sembrava di
aver
trovato a Locksley aveva posto in evidenza altre sfaccettature di lei,
–
l'altruismo, la solarità, la dolcezza –
l'intolleranza nei
confronti delle ingiustizie di ogni tipo restava un punto fermo del suo
essere.
Non era abituata a sottomettersi a nessuno, tanto meno ad un
fratello deciso a distruggere lei e le persone a cui voleva bene,
né ad amici che preferivano avere a che fare esclusivamente
con
una parte di lei non accettandone il lato combattivo e desideroso di
indipendenza, seppur bisognoso di affetti.
L'amore che nutriva per Gisborne, infatti, l'aveva per molti versi
cambiata,
facendo certamente di lei una donna più matura e
responsabile,
consapevole di avere metaforicamente in mano il cuore di un'altra
persona e di doverne aver cura; l'aveva posta dinanzi a scelte
importanti e decisive, ma le aveva, contemporaneamente, anche permesso
di rilassarsi e
accantonare per un po' quel desiderio di essere totalmente libera,
consentendole di
comprendere che essere la donna di qualcuno non significava per forza
essere chiusa in gabbia.
Sebbene lei non avesse mai perso di vista la sua vera natura, iniziava
a pensare che forse il sentimento che provava per Gisborne aveva finito
per distrarre lui, allontanandolo dalla
vera essenza di lei, lasciandolo di sasso ora che la ragazza
partita di nascosto da Edwinstowe alla volta di Locksley era tornata a
manifestarsi con forza.
Visto che, ancora una volta, Gisborne sembrava così stordito
da
aver perso la parola, le toccò catturare per l'ennesima
volta la
sua attenzione, provocandolo.
«Che c'è? Non ti piaccio più
forse?», domandò quindi, senza troppa delicatezza
nel tono, ottenendo infine il confronto che desiderava.
Dopo aver ascoltato il racconto dettagliato di quanto era
successo quella mattina, delle ipotesi in merito a come Rudyard
l'avesse prelevata da Locksley senza essere visto, –
perché nessuno della banda era ancora riuscito ad avere
certezze
al riguardo – e dell'attuale situazione di suo fratello,
–
che la banda non aveva fermato quando aveva tentato la fuga e che era,
quindi, ancora libero di circolare nei dintorni –
Kaelee si era concessa una boccata d'aria fresca, per mettere da parte
la disapprovazione, in compagnia di
Gisborne. Sia lui che Robin e Archer le avevano spiegato di aver messo
la sua incolumità dinanzi a tutto il resto e che era questa,
quindi, la ragione per cui avevano permesso a Rudyard di svignarsela e,
sebbene Kaelee non fosse ottusa al punto da non comprendere che avrebbe
dovuto ringraziarli anziché fare polemica, non riusciva a
non
provare rabbia sapendo che suo fratello l'aveva scampata anche quella
volta, come al solito.
Rifletteva su ciò che sarebbe stato meglio fare di
lì in
avanti quando Gisborne, senza preavviso e senza tenerezza, le strinse
il mento con pollice e indice e la baciò, così
rudemente
che le parve di essere baciata da qualcuno che non fosse lui.
Provò a protestare e a lamentarsi per la guancia e per il
labbro
doloranti, ma Guy la ignorò completamente, forzandola
perfino a
concedergli la lingua per un bacio più profondo e quasi
violento,
o forse disperato, e solo quando fu pienamente soddisfatto
– emozione che espresse con un inequivocabile
sospiro – si
separò da lei per bloccarla con uno sguardo di fuoco.
«Prima mi hai chiesto se mi piaci ancora.Ti basta come
risposta o
preferiresti che ti inchiodassi
alla parete e
ripetessi l'operazione fino a toglierti il fiato e la
ragione?», le chiese
senza sorridere, con voce bassa e pericolosamente suadente che la
costrinse a deglutire, perché per quanto fosse furiosa con
Rudyard, l'attrazione che provava per Gisborne non era calata
minimamente.
Dovette fare mente locale per esprimere al meglio ciò che
pensava.
«Il sentimento che provo per te non mi ha resa e non deve
rendermi debole, perciò quanto
è
successo stamattina non può più accadere. A me, a
te o a
uno
qualsiasi tra noi», disse dopo qualche secondo di silenzio
trascorso a galleggiare negli occhi di Guy.
«Quindi ti sei tagliata i capelli e ti sei vestita da uomo
per dimostrarmi che
sei forte?», chiese Gisborne, con ironia tagliente.
Con una punta di fastidio e disapprovazione per come Guy aveva
malamente sintetizzato il senso della decisione che lei aveva preso,
Kaelee riacquistò, almeno in parte,
quell'obiettività che
le era venuta meno nel momento stesso in cui si era lasciata guidare
dalla rabbia, anziché dalla ragione, e capì che
Gisborne
– prima attraverso il bacio preso con la forza, poi con quel
tono
di voce – voleva rammentarle che lei non era l'unica ad aver
accantonato
un lato del proprio carattere per amore e voleva anche testimoniarle,
forse, che amare non significava necessariamente sacrificarsi lasciando
morire una
parte di sé, tramutarsi in esseri deboli e privi di ogni
difesa.
«Non devo dimostrarti proprio niente», rispose
stizzita, pronta a voltargli le spalle per rientrare nel Maniero,
perché non era ancora pronta ad affrontare un confronto
pacato e
razionale, anche se andarsene avrebbe fatto di lei una bambina
capricciosa.
Prima che potesse farlo, però, si sentì afferrare
per le
spalle e fu costretta a restare esattamente dov'era, senza distogliere
lo sguardo da lui.
«Hai ragione. So perfettamente che tipo di donna sei ed
è per
questo che ti amo», disse con pacatezza e determinazione.
«Non sceglierei mai per me una donna diversa da te, meno
forte di te, meno intelligente di te, meno bella di te»,
aggiunse,
prendendole delicatamente il viso tra le mani.
Kaelee chiuse gli occhi e sospirò, come sempre in pace con
se stessa e con il mondo quando era insieme a Gisborne.
Di nuovo senza preavviso, ricevette un secondo bacio
da Guy, leggero e dolce stavolta,
più simile a quelli che ben conosceva.
«Questo», mormorò Guy sulle sue labbra,
«ciò che siamo noi due
insieme»,
sussurrò cingendole la vita, «non ha niente a
che fare con la debolezza».
La convinzione nella voce di Gisborne, la pressione delle
dita sulla sua schiena, – in contrapposizione con la
delicatezza
dei baci – il calore del corpo di lui così vicino
al
proprio, indussero nuovamente Kaelee a riflettere. Ciò che
la
tormentava, infatti, era la possibilità che a
causa sua
e dei guai che si era portata appresso da Edwinstowe, Guy dovesse
rimetterci la felicità o la vita ed era una sensazione,
questa,
che si era insinuata in lei quando l'amico di suo fratello Aric era
giunto a Locklsey con la pergamena che aveva rotto l'equilibrio appena
raggiunto; pertanto, la stabilità del rapporto con Guy,
l'amore
che
lui
nutriva per lei e che lei ricambiava, nulla sembravano poter fare
contro quel tarlo
che di tanto in tanto contaminava i suoi pensieri.
«E cosa siamo io e te insieme?»,
domandò, tenendo lo
sguardo fisso sul petto di Gisborne mentre con le dita glielo sfiorava
dolcemente.
Gisborne lasciò che quella domanda gli galleggiasse per
qualche decina di istanti nella testa, volendone
comprendere ogni singola sfaccettatura. Cosa gli stava chiedendo
davvero Kaelee? Era ironica, oppure aveva bisogno di sentirsi dire che
niente era perduto? Gli stava manifestando dubbio e incertezza? Voleva
lasciargli intendere che ciò che aveva detto di provare per
lui
non era così forte come entrambi avevano creduto? Voleva che
lui
la proteggesse e le desse la forza per superare quel momento?
Ovunque stesse la verità assoluta, Guy
scelse di lasciarla dov'era e rispondere alla donna che amava secondo
quanto lui sentiva nel proprio cuore.
«L'antidoto ad ogni veleno. Il tetto di una casa. Lo scudo
del guerriero. Oppure,
se preferisci, soltanto un testardo intreccio di dita, un inarrestabile
sfiorarsi di labbra. Due piccole isole che il destino ha
coraggiosamente unito con un ponte», disse senza
fretta, senza voler essere convincente. «Non so esattamente
cosa siamo io e te
insieme, Kaelee, ma so cosa sono senza di te», aggiunse,
prendendo poi una pausa.
Kaelee, che aveva intanto sollevato lo sguardo deliziandolo con quei
suoi occhi bellissimi, sembrò colpita dalle sue parole e gli
parve restare in attesa, come sospesa a
mezz'aria, non desiderando altro che lui riprendesse a parlare.
«Niente», sussurrò quindi, infine.
N.B.
Il capitolo è stato rieditato in
data 20/01/2016.
Il lavoro non ha comportato modifiche a livello di trama ed
è invece consistito nella revisione della forma e
nell'aggiunta di qualche dettaglio e informazione.
N.d.A.
Chiedo scusa in anticipo se ad un certo punto ho iniziato a
saltare
da una parte all'altra, ma, come al mio solito, ho provato a dare una
visione globale della situazione, – anche per provare a
rendere
l'idea di gruppo – pur concentrandomi prevalentemente
sull'interno dell'abitazione e sul ruolo di Guy e Archer nella vicenda.
In tal proposito, tengo a precisare che quando ho lasciato due righe
non
ho solo cambiato punto di vista, ma anche il luogo d'azione,
dall'interno all'esterno e viceversa. Spero che il risultato non sia il
caos più totale.
In quanto a Rudyard e Kaelee, se fisicamente e caratterialmente
sembrano non avere nulla in comune, a quanto pare un punto d'incontro
tra loro esiste ed è identificabile con la
determinazione. Tanto lei non vuole darsi per vinta, quanto lui vuole
infelicitarla e compiacere sua madre.
Veniamo alle precisazioni per chi tratta la storia come un'originale
– e che, comunque, sono informazioni utili a tutti.
Ad un certo punto (*) Robin fa riferimento ad un momento realmente
accaduto
nella serie tv: nella terza stagione, ovvero dopo l'assassinio di
Marian, Robin e Guy hanno uno scontro molto ravvicinato durante il
quale il secondo chiede all'arciere di ucciderlo, ma quest'ultimo gli
fa solo un taglio sul volto – la conseguente cicatrice
è quella che Kaelee di tanto in tanto chiama in causa.
Restando ancora su Robin, naturalmente l'ultimo scontro cui si
riferisce (**) è quello che, nella serie tv, ha ucciso
entrambi;
anche se ho modificato il destino di Robin e Guy, le cose sono andate
in modo molto simile anche sullo schermo: Guy ha ceduto la spada ad
Archer e, volendo salvare Robin da un affondo dello Sceriffo, si
è trovato lui stesso colpito da Vaisey e da Isabella (che
nella
serie tv è ancora viva, mentre nella mia versione a questo
punto
della storia è già morta); una
volta a terra, Robin se l'è preso sulle ginocchia e i due
hanno avuto un breve dialogo in cui Guy gli dice che grazie a lui
può morire libero anche se ad attenderlo dall'altra parte
non ci sarà nessuno. (Se volete vedere il video originale
–
a rischio della vostra emotività, io ho le lacrime agli
occhi tutte le volte che lo guardo – vi basterà
cliccare qui
).
In quanto ad Allan, tutti gli elementi su cui ho fatto (e
farò
anche nei prossimi capitoli) leva appartengono alla serie tv. Come mi
è già capitato di precisare (credo e spero,
altrimenti
devo prendere atto di avere la testa tra le nuvole), per un certo
periodo Allan ha accettato di vendere informazioni a Gisborne prima di
essere cacciato da Robin; Guy lo ha davvero accolto anche se non poteva
più essergli utile come prima – il che mi ha
sempre fatto
riflettere sulla reale cattiveria del personaggio: Vaisey, ad esempio,
lo avrebbe cacciato a calci nel sedere – e Allan, per non
farsi
ammazzare ha dovuto rivelargli alcuni dei posti segreti che facevano da
magazzino per le scorte della banda, però non ha mai
rivelato la
posizione degli accampamenti. In particolare, ad un certo punto (***)
faccio
riferimento alla riannessione di Allan al gruppo di fuorilegge: ho
già parlato di questo episodio (il penultimo della seconda
stagione, per i curiosi) in riferimento alla volontà di Much
di
festeggiare il compleanno di Robin non nella foresta, ma in un
villaggio che aveva ritenuto sicuro; Allan è ancora alleato
con
Gisborne, ma sapendo che un gruppo di mercenari vuole uccidere gli
uomini della banda, scappa e libera i suoi amici riappacificandosi con
loro e partendo alla volta della Terra Santa, dove Gisborne e Vaisey
sono diretti.
Ancora, Allan dice di Vaisey che è "tornato dal
regno dei morti" (****), perché, in effetti, Gisborne era
convinto di
averlo ucciso qualche tempo prima; essendo solo stato gravemente
ferito, invece, Vaisey ha poi avuto il tempo di riorganizzarsi ad
insaputa di
tutti, tranne qualche uomo fidatissimo.
Infine ho descritto la scena
della morte di Allan (*****) (accusato da Isabella di aver collaborato
con lei
tradendo i compagni, è stato costretto a restare
all'accampamento; riuscendo a liberarsi intende fuggire, ma incontra
Vaisey il quale lo fa uccidere prima che possa avvisare gli altri della
banda del ritorno dello Sceriffo e poi, da buon perfido quale
è,
fa recapitare il corpo senza vita davanti all'ingresso di Nottingham,
dove Robin, Guy e la popolazione si preparano a spodestare chiunque
voglia diventare nuovo Sceriffo della città) cambiando gli
eventi in modo tale da farlo sopravvivere nella mia versione dei fatti.
Chiedo scusa se mi dilungo così tanto, ma ogni personaggio
ha un
suo bagaglio personale noto a chi ha seguito la serie tv e da cui io ho
attinto per dar vita a nuove vicende, perciò mi sembra
giusto
parlarne, tanto più perché c'è chi mi
fa la
grandissima gentilezza di seguire e apprezzare questa storia nonostante
appartenga ad un fandom specifico.
Se qualcuno di voi mi dovesse chiedere come andrà a finire
questa storia, non vi nasconderei che non ne ho la più
pallida idea. Perciò toccherà anche a me
attendere la volontà dei personaggi.
Intanto lascio a voi la parola ringraziandovi per il tempo che mi avete
dedicato leggendo il capitolo ed eventualmente scegliendo di lasciarmi
una recensione.
Alla prossima!
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Capitolo 17 *** Un'Offerta ***
Diciassette
Un'Offerta
Locksley.
Erano diversi giorni che gli abitanti del villaggio non vedevano Allan
in un posto diverso dalla taverna. Giorni che non svolgeva le proprie
mansioni. Giorni che ignorava gli amici.
E quando l'oste si rifiutava di servirgli altro vino temendo
un malore o che desse in escandescenze, il giovane si alzava
brontolando e si trascinava fino a
Nottingham per soddisfare la propria sete alcolica. Lì
restava fino a sera.
Fondamentalmente rientrava in quella tipologia di persone che da
sbronze
non causano volontariamente alcun danno, che non si lasciano
coinvolgere
in baruffe se non li si provoca. Proprio questo era uno dei motivi che
aveva indotto i suoi
amici a tenerlo d'occhio da lontano: di tanto in tanto facevano una
capatina nella taverna, lo scortavano fino a Nottingham e si
assicuravano che raggiungesse infine casa incolume. Vista la situazione
avevano
infatti ritenuto opportuno lasciargli la libertà di
metabolizzare gli
eventi e se il modo migliore per lui era
ubriacarsi, dormire dodici ore filate o non riuscire affatto a chiudere
occhio e convivere con un mal di testa
atroce, non l'avrebbero ostacolato. Non subito almeno.
Dopo la preoccupazione iniziale dovuta al non aver ben chiaro il motivo
che aveva spinto Allan tra le braccia del vino e del gioco d'azzardo,
Robin e i suoi si erano solo assicurati che non esagerasse, che non
facesse nulla di sconsiderato, nulla che potesse minare la sua salute.
In fin dei conti si trattava di Allan, ovvero un tipo notoriamente
positivo, sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronto ad una
battuta, sempre pronto ad affrontare ogni cosa con sarcasmo ed ironia.
Quasi ogni cosa.
Perché ora la
situazione iniziava a farsi complicata.
A detta di tutti quelli che si imbattevano in lui, Allan era sempre
più scontroso, aveva perso il sorriso e a
nessuna ora del giorno o della notte si poteva sperare di avere con lui
un sobrio
confronto, un normale dialogo. Aveva cominciato ad evitare gli amici
perché in quella sua nuova ottica avvinazzata gli davano
più noia che
reale sostegno. Si era convinto che tenendo davvero a
lui avrebbero parlato con Kaelee per illuminarla sulle alternative che
si
stava negando per stare con Gisborne e invece nessuno l'aveva fatto.
Sosteneva in ogni caso di essere
adulto abbastanza da poter scegliere liberamente il proprio stile di
vita e non gradiva i consigli di chi gli voleva bene giudicandoli
invece inutili critiche mirate ad infelicitarlo ulteriormente.
Nessuno, forse neanche lui stesso, sapeva con esattezza cosa gli
passasse
per
la mente, ma tutti gli uomini di Robin avevano presto capito che
quell'atteggiamento era il risultato di una forte delusione che sarebbe
sfociata inevitabilmente in qualcosa di molto distruttivo se nessuno
avesse posto
rimedio.
La facilmente intuibile causa era Kaelee.
Non era certo una novità la relazione che la giovane Kaelee
aveva con Guy di Gisborne, eppure aver vissuto sulla propria pelle
l'intensità del sentimento che
legava la ragazza a quell'uomo - quel sentimento così
istintivo da
tendere i muscoli di lei in direzione di lui appena i loro occhi si
erano incontrati - era stato devastante per Allan.
Consapevole di non essere del tutto indifferente a Kaelee non si
capacitava dell'abisso che lo separava dal cuore della donna. Sempre la
ragazza gli aveva sorriso e sempre i suoi occhi grandi e attenti mentre
le insegnava a leggere avevano manifestato profondo affetto. Sempre si
era illuminata nel vederlo arrivare carico di pergamene tutte da
scoprire. Ma non era
abbastanza. Non era neanche lontanamente paragonabile alla delicata
dolcezza con cui le labbra di Kaelee si piegavano all'insù
se
anche solo vedeva
Guy passare in lontananza; neanche lontanamente paragonabile alla gioia
di cui i suoi occhi si accendevano quando lui le rivolgeva la parola,
fosse anche solo un breve saluto.
Non si può dire che fino a quel momento Allan non si fosse
reso
conto delle evidenze che ora gli apparivano chiare e lo ferivano a tal
punto da dover annegarle in taverna. Si deve invece
precisare che il giorno in cui aveva portato in salvo Kaelee si era
concesso erroneamente di sperare in qualcosa di oggettivamente
improbabile - così platealmente inverosimile che Allan stesso
si era consapevolmente messo da parte, in attesa - e questo
lo stava lentamente conducendo alla rovina.
Non riusciva a smettere di pensare, con un filo di risentimento, a come
si erano svolte le cose e alla sincera determinazione con cui si era
messo in gioco soltanto per poter ancora
sentir risuonare la risata di Kaelee a Locklsey temendo di perderla per
sempre. Solo per poter avere
quella piccola dose di lei che gli migliorava le giornate.
Lui che per primo, per un colpo di fortuna o forse per volere
di
un destino favorevole, - o beffardo date le attuali circostanze - aveva
trovato la traccia volutamente lasciata da
Rudyard; lui che
si
era infilato nell'abitazione dell'uomo rischiando la vita e soprattutto
caricandosi il peso della responsabilità di quella di lei;
proprio lui che l'aveva portata
in salvo si era infine guadagnato un misero "Grazie" da parte di Kaelee
la
quale,
come se non bastasse, si era abbandonata ben volentieri alle braccia
muscolose di quel bell'imbusto di Gisborne appena ne aveva avuto
l'occasione, lasciando irrimediabilmente vuote quelle di Allan.
"Sedici anni più vecchio di lei", pensò
rabbiosamente mentre scolava con avidità, quasi per
dispetto,
l'ennesimo boccale di vino rosso. "Da non crederci. Cosa ci
trovi in lui resta un mistero. Con tutte le colpe che si porta
dietro...". E intanto l'immagine di lei che si accoccolava al petto di
Gisborne si abbatteva in ondate violente nella sua testa, alterandogli
i pensieri forse più del vino ormai ampiamente in circolo.
Nemmeno le rivalità amorose erano una novità per
gli uomini di Robin Hood - Robin e Guy entrambi innamorati di Marian;
Will e lo stesso Allan che avevano manifestato una simpatia per Djaq la
Saracena; e ancora l'interesse di Robin e Much rivolto a Kate.
Quando Kate aveva confidato a Much di provare qualcosa per Robin Hood
chiedendogli di considerare il loro un semplice rapporto di amicizia,
il fuorilegge aveva optato per la fuga in segreto. Che poi non avesse
portato a
termine l'idea per cause di forza maggiore - e per la fortuna di tutti
dal momento che aveva salvato l'intera banda da un inganno di Isabella
- era un altro paio di maniche. Ma Allan non era come Much. Ah, no.
Allan non sarebbe mai fuggito soltanto perché Kaelee
preferiva
Gisborne a lui. Sarebbe rimasto e avrebbe lottato per lei, per
dimostrarle che Gisborne non era l'unico buon partito a Locksley.
Il tutto rigorosamente dopo una bella bevuta.
L'ennesima.
Certo l'idea di sé che stava dando da sei giorni a quella
parte
non era delle migliori se l'intento era quello di far cambiare opinione a
Kaelee.
Ma cosa poteva fare contro l'intima convizione che il vino fosse l'unico
amico in grado di lenire
il dolore e impedire ai cocci di andare irrimediabilmente alla deriva?
La proposta di matrimonio che Gisborne aveva fatto alla donna la notte
in
cui si erano uniti per la prima volta era rimasta un segreto che
entrambi custodivano gelosamente anche a causa di Rudyard e della sua
sadica inclinazione a perseguitare gli altri.
Un segreto che consentiva ad Allan di sperare ancora che la ragazza
potesse allontanarsi una volta per
tutte da Gisborne. Perché Allan si fosse convinto che Kaelee
sarebbe corsa
senza alcun dubbio da lui una volta rotto il legame con Guy non era
chiaro a nessuno, neanche ad Allan
stesso probabilmente.
Ma l'amore, si sa, rende ciechi oltre ogni limite.
Fu in tarda mattinata che Allan venne cacciato dalla taverna del
villaggio per aver attaccato inappropriatamente briga con uno degli
artigiani del posto il quale lo aveva stuzzicato per primo,
è vero, ma non in maniera così grave. Non era da
lui.
Allan stava perdendo se stesso.
Urlando bestemmie suggerite dal vino assunto dall'alba a quel
momento se ne andò barcollando in direzione di
Sherwood lasciando che fossero i suoi piedi a decidere la destinazione
del suo oscillante vagabondare.
"Di sicuro non sono più sbronzi del mio cervello",
pensò per nulla certo dell'effettivo senso di quella frase.
Foresta di Sherwood.
Ad un segnale ben preciso da parte dei suoi compagni nascosti, Archer
aveva concesso a Rudyard ciò che lui bramava da quando la
loro
conversazione era iniziata: la libertà di proseguire per la
propria strada. Così l'uomo aveva creduto di avere
nuovamente la
situazione in mano e di potersi finalmente dedicare alla ricerca degli
uomini di Robin Hood - di uno in particolare - senza rendersi conto che
per tutto quel tempo aveva interagito con uno di loro mentre gli altri
mandavano in fumo i suoi sogni di gloria.
Da circa una settimana il fratello di Kaelee non faceva altro che
ripensarci.
Più rimuginava su quanto facilmente si era lasciato trarre
in
inganno da una banda di sciocchi analfabeti - questa la sua opinione -
più la ferita al suo orgoglio pulsava e si incancreniva. In
concomitanza, il desiderio di vendetta cresceva a dismisura. E
più tempo passava, più feroci e sanguinolenti
divenivano
i dettagli delle future imprese.
Di nuovo solo a causa di Robin Hood che doveva aver dato troppa aria
alla sua lurida bocca di fuorilegge inducendo i due cagnolini fedeli a
fuggire il più lontano possibile da Nottingham e dall'uomo
che
li aveva ingannati in modo tanto meschino, Rudyard fu costretto a
lasciar perdere la copertura che si era creato in città e a
trovare una diversa sistemazione. Suo malgrado dovette rinunciare alla
comodità di un tetto sulla testa che lo riparasse dalle
intemperie e da tutti i pericoli e gli imprevisti del caso, ritenendo
poco sicuro continuare a
risiedere a Nottingham o in uno qualunque dei villaggi circostanti. Si
trasferì quindi nella foresta con la speranza, seppur lieve,
di
essere creduto molto più lontano di quanto in
realtà non
fosse.
Trascorse giorni alla ricerca di un rifugio che potesse vagamente
somigliare ad una tana e che non fosse troppo all'interno di quella
grande, misteriosa e popolata vegetazione.
Poco avvezzo alla vita senza le comodità di un'abitazione,
per
quanto misera, dormiva poco e male temendo perennemente l'agguato da
parte di una qualche belva feroce.
Queste condizioni non facevano altro che incattivirlo maggiormente
rendendolo una spietata macchina da guerra.
Rintanato tra gli arbusti, benché sofferente per la fame, la
sete e il mancato sonno, più simile ad un fuorilegge
trasandato che
all'uomo
presentatosi a Locksley non molto tempo addietro, Rudyard lavorava al
nuovo piano d'attacco che non contemplava un fallimento né
un vincitore che non fosse lui stesso. Sul serio questa volta.
"Se solo Willard non fosse il codardo che è...", pensava
costantemente maledicendo suo fratello.
Allan perse molto in fretta il senso dell'orientamento apparendogli
quegli arbusti tutti assolutamente identici tra loro.
«Ma che avete da oscillare così
tanto?!», sbraitò senza controllo, «Vi
sembra che ci sia vento? Niente vento! I miei abiti non si muovono
affatto! Non un alito vi dico!»,
continuò nella convinzione che le piante si facessero beffe
di lui, e che potessero non solo sentire le sue parole ma anche
comprenderle, senza accorgersi che con ogni probabilità
l'unico a
muoversi nel raggio di miglia era
lui stesso.
Oltre all'orientamento, l'uomo sembrava aver perso anche il senno.
Proprio lui che dell'amore non aveva mai fatto
una gran
malattia, lui che aveva preso con molta filosofia ogni rifiuto
ricevuto,
proprio lui che aveva ritenuto Robin e Guy due sciocchi a darsele di
santa ragione per una donna, ora vagava nell'oblio di un sentimento non
ricambiato. E non aveva la più pallida idea di come
affrontare
sobriamente la cosa. L'unica via attraverso cui incanalava le proprie
sensazioni, una volta ubriaco, era quella della rabbia. Rabbia nei
confronti di Gisborne
che in quel momento era ai suoi occhi l'essere più immondo
di
tutta la Terra, una persona che con perfidia aveva astutamente corrotto
e sedotto una ragazzina di vent'anni che meritava un uomo molto
migliore di lui. Il suo piccolo mondo interiore girava così
al
contrario che i pensieri dell'uomo finivano per rassomigliare
alla
bugia di Rudyard, il fratello arrivato da lontano per salvare la dolce
Kaelee dalla prepotenza di un essere viscido. Se il tasso alcolico nel
suo sangue e la follia derivante dal rifiuto della giovane donna
avessero indotto Allan a credere in quelle assurde convinzioni, gli
eventi sarebbero velocemente precipitati.
Vinto da un inspiegabile - per lui - senso di nausea, si
lasciò
cadere contro un tronco e lì continuò a
straparlare.
Maniero di Robin,
Locksley.
Approfittando di un momento di solitudine, Kaelee aveva deciso di
regalarsi un bagno rilassante nella tondeggiante e alta vasca in legno
di cui disponeva
liberamente lì al maniero.
Con indosso una leggerissima tunica bianca che utilizzava soltanto in
occasioni come quella, si era immersa ben volentieri nell'acqua
aromatizzata con deliziosi petali di fiori, ideali per quello scopo.
L'essenza floreale la condusse in fretta in posti lontani che non aveva
mai visitato ma che immaginava esistessero da qualche parte nel mondo.
Sospiro dopo sospiro aveva infine abbassato dolcemente le palpebre
lasciando che tutti i muscoli del suo corpo si distendessero
completamente.
Era al corrente del pessimo momento che Allan stava attraversando ma
dopo averci pensato e ripensato era arrivata alla conclusione di non
poterci fare nulla, credendo anzi di essere la peggiore
persona che potesse occuparsi della situazione. Proprio
perché
era certa che ad Allan avrebbe fatto piacere averla attorno, sapeva
anche che tentare di aiutarlo personalmente non avrebbe fatto altro che
gettarlo ancor di più in fondo a quel baratro in cui
già
cadeva giorno dopo giorno a velocità record.
Perché in
nessuna cellula del corpo
di lei era presente la volontà di ricambiare ciò
che
Allan provava nei suoi confronti. Lo stesso sentimento che lei
rivolgeva ogni istante a Gisborne.
Se sia possibile o no amare due persone contemporaneamente, di certo
non era il caso di Kaelee.
Già tempo addietro la giovane donna aveva affrontato con
Allan
questo stesso
argomento e la pacatezza con cui l'uomo aveva reagito alle parole
di lei l'aveva indotta a credere che con il tempo le cose sarebbero
migliorate per lui, che avrebbe accantonato quell'infatuazione a
favore della donna giusta; ma
evidentemente qualcosa era andato come non doveva. Seppur sicura di non
aver dato modo all'uomo di sperare in un cambiamento di rotta, si
sentiva
ugualmente in colpa per ogni goccio di vino bevuto da quello che lei
riteneva un amico a tutti gli effetti.
Credette di aver solo immaginato il leggerissimo colpo alla porta
socchiusa, ma
quando sentì il frusciare di abiti accompagnato da passi dal
ritmo inconfondibile seppe che Guy era entrato nella stanza e che si
stava
avvicinando alle spalle di lei, ancora immersa nella vasca.
Sorrise immaginando l'istante in cui avrebbe sentito la voce dell'uomo
che amava o una sua carezza.
Gisborne aveva bussato con delicatezza più per non
spaventarla che per educazione.
La visione di lei immersa nell'acqua che profumava di fiori lo aveva
subito riscaldato di un calore misto d'amore e desiderio. Dalla sua
posizione riusciva a vedere soltanto la testa deliziosamente riccioluta
di Kaelee, ma più avanzava più dettagli scorgeva.
Intravide le ginocchia sollevate coperte da un sottile e
trasparente strato di tessuto; le dita ancorate con delicatezza al
bordo in legno; il profilo del piccolo naso leggermente rivolto
all'insù essendo il capo appoggiato alla vasca; infine le
labbra
piegate in un sorriso irresistibile e ancora le spalle anch'esse
parzialmente immerse e
coperte dalla tunica trasparente che galleggiava tra i petali attorno
alla figura
della ragazza.
Si chinò senza fretta e le baciò la fronte
trattenendosi più del dovuto.
«Disturbo?»,
domandò piano, per non rompere la tranquillità di
lei le
cui labbra e sopracciglia avevano finalmente smesso di essere contratte
in
un'espressione corrucciata.
«Affatto. Sono felice che tu sia qui», rispose lei
riaprendo gli occhi per guardare quelli di lui e perdervisi.
Il sorriso di Guy parve illuminare l'intera
stanza.
L'uomo constatò con curiosità che le morbide onde
di
Kaelee avevano assunto, grazie al nuovo taglio di capelli, la forma di
ampi ricci che la facevano sembrare ancor più giovane. Nei
suoi scoppi
di gioia sembrava davvero una bambina e nonostante Guy non fosse
pienamente d'accordo con la scarsa lunghezza della capigliatura, non
riusciva a non trovare Kaelee più bella che mai. Fu proprio
in
quei capelli che Gisborne intrecciò le dita restando alle
spalle
della ragazza.
Con tutta la delicatezza di cui era capace l'uomo passò al
collo prima
e alle spalle poi strappando a Kaelee un sospiro soddisfatto. Si
trattenne diversi minuti sulla pelle della ragazza prima di
allontanarsi per recuperare una sorta di basso sgabello e sedersi di
fianco alla vasca con il solo intento di restarsene in contemplazione.
Un sorriso sbocciò sulle labbra di Kaelee quando i suoi
occhi incontrarono di nuovo quelli di Guy.
«Ti va di
raccontarmi una storia? Una bella, la più bella che
conosci?».
Uno dei loro passatempi preferiti quando non
erano impegnati a duellare o a scambiarsi effusioni.
Foresta di Sherwood.
Guardingo come forse mai era stato, Rudyard udì una voce in
lontananza e istintivamente si appiattì sul terreno
nascondendosi tra la fitta vegetazione. Per quanto trovasse disgustoso
starsene faccia a faccia con insetti e invertebrati di ogni sorta, era
costretto a non fare troppo lo schizzinoso se voleva salvarsi la pelle.
Restò in ascolto e ben presto riuscì a concludere
che
chiunque fosse a parlare e ovunque si trovasse non si stava spostando,
il che faceva di Rudyard un uomo libero di andarsene a zonzo per
Sherwood sperando di agguantare almeno uno scoiattolo da arrostire per
cena dato che a pranzo si era accontentato di certe bacche trovate per
caso lungo la strada che l'aveva condotto esattamente lì
dov'era.
Stando all'angolazione dei raggi che filtravano attraverso gli
altissimi alberi della foresta doveva essere pomeriggio presto quando
Rudyard decise di rischiare e incamminarsi silenziosamente verso la
misteriosa voce. Per quel che ne sapeva poteva trattarsi di qualcuno
che si era perso. Magari con una bella pagnotta al seguito.
Locksley.
L'incontenibile gioia che la pergamena appena ricevuta aveva scatenato
in Much sovrastava di gran lunga la preoccupazione per Allan. A sua
discolpa va detto che il contenuto della missiva riguardava un titolo
che attendeva da diverso tempo e nel quale quasi non sperava
più. Pur tenendo molto a quell'amico che si stava perdendo
allontanandosi dalla retta via, come si suol dire, Much non
riuscì a non correre a tutta birra per Locksley urlando a
squarciagola la bella novità.
Una volta soltanto, e con il solo scopo di ricavarne un utile, lo
Sceriffo Vaisey di Nottingham lo aveva pregiato del titolo di Lord
lasciandogli credere che la bella tenuta a Bonchurch sarebbe stata sua
per sempre. Ben presto però l'uomo si era reso conto
dell'inganno ed era tornato ad essere il fedele servitore di Robin e
della sua causa. Ma ora era tutto diverso.
Il sigillo in ceralacca di Re Riccardo in persona era posto su quella
pergamena a lui indirizzata e tanto bastava renderlo l'uomo
più
felice del mondo. Semplice, ingenuo, fedele e felice signore di
Bonchurch. Un sogno che si avverava e che doveva assolutamente
condividere con Kate e Robin. Con la velocità di una saetta,
al
pensiero di quel nome Much venne sfiorato dall'idea che fosse stato
proprio il suo amico Robin ad intervenire in suo favore mantenendo
così un'antica promessa.
Il successivo anello della catena fu Eve, la serva che gli aveva tenuto
compagnia durante la sua prima permanenza a Bonchurch:
ricordò
di aver fatto anche lui una promessa e si domandò se avrebbe
trovato ancora la donna lì. Il velo di preoccupazione non
riuscì comunque a distoglierlo dall'enorme e disordinata
contentezza che provava.
L'inarrestabile sorriso dipinto sulle labbra di Much mandò
in
confusione Kate quando l'uomo la raggiunse cingendole i fianchi con
delicatezza. La donna si rendeva conto ogni giorno di più
quanto
il suo futuro marito fosse bello e prezioso per le sue doti
caratteriali.
«Bonchurch», esordì quasi sulle labbra
di lei. «Verresti a vivere lì insieme a
me?».
Ma la donna non ebbe il tempo di replicare trovandosi la bocca di Much
sulla propria.
Foresta
di Sherwood.
I discorsi insensati dell'uomo sconosciuto fecero credere a Rudyard di
avere a che fare con un alterato, un malato di mente. Parlava di un
vento invisibile e tanto forte da fargli girare la testa, chiedeva
pietà e una tregua giurando di sentirsi molto male. Nel
mentre
malediceva cose e persone senza che Rudyard riuscisse a capirci
qualcosa probabilmente perché era ancora troppo distante
dall'uomo. Quindi, più silenziosamente che poté,
raggiunse un cespuglio più vicino alla stramba figura seduta
per
terra e lì si nascose.
Allan si prese la testa tra le mani e iniziò a lamentarsi
senza
più usare parole. Di tanto in tanto borbottava qualcosa,
lanciava un gemito più acuto, si dondolava ritmicamente
nella
speranza che la testa smettesse così di girare per proprio
conto, si sventolava le mani davanti alla faccia come per scacciare via
qualcosa. A guardarlo si sarebbe detto di lui che era davvero un pazzo.
Invece era quella la sommatoria di tutte le bevute del giorno e di
quelli precedenti.
D'un tratto parve infine placarsi, ma non durò
più di un
paio di minuti. Battendo i pugni contro il terreno e sollevando il capo
di scatto si mise a urlare un nome.
Rudyard era sul punto di andarsene quando finalmente l'uomo misterioso
gli fornì un interessante indizio.
«Kaelee!», gridò con quanto fiato aveva
in gola in un tono che sembrava colmo di disperazione e dolore.
Pur non conoscendone il nome Rudyard ebbe la certezza che, chiunque
fosse, quell'uomo aveva a che fare con sua sorella e con Robin Hood.
Uno dopo
l'altro gli anelli iniziarono ad incastrarsi nella mente dell'abitante
di
Edwinstowe.
Un'evidente certezza suggeriva che quell'uomo non era Gisborne sebbene
avesse invocato il nome di Kaelee - Rudyard conosceva Gisborne di
persona e quel relitto umano non somigliava neanche un po' a Sir Guy.
Questo lasciava intendere che doveva
essere qualcuno a lei molto legato e quindi con ogni
probabilità
un uomo di Robin Hood, magari un pretendente. E magari uno
di quelli disposti a tutto pur di avere una donna.
L'idea gli balenò con forza nella mente: quell'uomo era
sì pazzo, ma di un dolore che aveva annegato nell'alcool e
Kaelee ne era, volutamente oppure no, la causa. Il che significava che
quell'ex fuorilegge aveva un avversario di nome Gisborne, dettaglio che
faceva di lui un potenziale alleato di Rudyard.
Se fosse riuscito a corromperlo avrebbe avuto un aiuto molto
più
valido dei due idioti che erano corsi via a gambe levate alla prima
occasione e senza dubbio più valido di suo fratello Willard.
Ritenendo che non rappresentasse un pericolo nelle condizioni in cui si
trovava, Rudyard decise di venire
allo scoperto.
«Siamo
ridotti maluccio», disse restando in piedi ad un paio di
metri da
Allan il quale alzò la testa più per istinto che
per
difendersi da un eventuale pericolo.
Il suo sguardo era vuoto, spento, come di chi non
riesce a comprendere bene la realtà che ha attorno non
essendosi ancora completamente risvegliato dopo un sonno profondo. Non
soltanto Allan non riconobbe Rudyard, ma non si interrogò
neanche sulle intenzioni di quello sconosciuto. Un po' per la
confusione che gli impediva di ragionare e un po' perché non
gli
importava.
Non gli importava più di niente e nessuno, nemmeno di se
stesso.
Locksley.
Much aveva più o meno portato a termine il racconto
dietro all'improvvisa e inarrestabile
voglia di trasferirsi a Bonchurch. Un'incredula Kate lo
tempestava di domande facendosi ripetere più e
più volte
alcuni passaggi di quella storia quasi surreale.
Kate aveva già sbagliato una volta con Much credendo di
conoscerlo abbastanza da poter dire che non era il tipo di persona
adatto a lei. E ancora aveva continuato a sbagliare ritenendolo un uomo
troppo buono, sincero e pacato per aver davvero combattuto in Terra
Santa al fianco
di Robin Hood, nella Guardia Privata di Re Riccardo. Sottovalutandolo
Kate non aveva prestato orecchio alle tante storie raccontate nelle
notti troppo buie per dormire sereni, non aveva ritenuto utile fermarsi
ad ascoltare attentamente.
«Lord
Much», ripetè a se stessa. In
prima battuta in tono scettico. Poi come se lo stesse domandando a
qualcuno. Con sorpresa. Meraviglia.
Eppure nel breve periodo trascorso nei panni della fuorilegge Kate era
stata spettatrice del coraggio di Much, lo aveva visto mettersi in
gioco per i suoi compagni e amici. Che preferisse occuparsi di
questioni più pacifiche era un dato di fatto, ma non faceva
di
lui un codardo o un incapace. Uno che non meritava stima al pari di
tutti gli altri.
Infine Kate ripeté quelle due parole con l'entusiasmo di chi
realizza qualcosa, di chi fa una scoperta.
«Lord Much!», esclamò ancora.
«È
così, mia cara», le rispose lui dandosi arie da
nobile:
mento all'insù, lo sguardo frivolo di chi finge di non
considerare importante quel titolo, un sorrisetto compiaciuto, la mano
sventolata con leggerezza come a scacciar via una mosca.
Kate scoppiò a ridere e gli gettò le braccia al
collo.
Foresta di Sherwood.
Prima di dare il via al piano di corruzione, Rudyard volle assicurarsi
che non si trattasse di una trappola. Per quel che ne sapeva, Robin
Hood e i suoi potevano aver capito che viveva nascosto nella foresta e
aver quindi messo a punto un contorto tranello per attirarlo verso di
loro e
farlo prigioniero o ucciderlo. Allan però sembrava essere
davvero solo e anche davvero ubriaco, perciò Rudyard decise
di
stuzzicarlo chiamando in causa proprio sua sorella.
«Ehi,
amico. Prima ti ho sentito urlare un nome... Un nome di
donna»,
disse contando sul fatto che ubriaco com'era non si sarebbe posto
domande troppo intelligenti.
«No»,
rispose Allan con gli occhi mezzi chiusi, ancora malamente seduto a
terra e con l'indice alzato ad annunciare una puntualizzazione.
«Non è una donna», continuò
marcando l'articolo.
«È Kaelee ed è la donna che
amo», concluse
lasciando che la mano ricadesse tra l'erba, spinta verso il basso dalla
forza di gravità.
Senza saperlo Allan aveva confermato le ipotesi di Rudyard, gli aveva
fornito una nuova speranza di spuntarla in quella vicenda e gli aveva
regalato la carta vincente su cui fare leva.
L'uomo di Edwinstowe, certo ormai di non essere stato riconosciuto, -
complici forse l'incolta barba e i capelli spettinati e sporchi, forse
lo stato alterato del suo interlocutore - si vestì di
un'espressione sinceramente preoccupata prima di rivolgere nuovamente
la parola ad Allan.
«Se
l'ami cosa ti rende così infelice? Le è forse
accaduto
qualcosa di brutto?», domandò in tono calmo,
muovendo
qualche passo in direzione dell'uomo.
Allan, istintivamente, scosse la testa e capì troppo tardi
che
quella era stata una pessima scelta. La nausea minacciò di
sconvolgergli il corpo prima di ritirarsi nel punto esatto da cui era
partita. Solo un paio di minuti più tardi l'uomo
riuscì a
rispondergli.
«No, no davvero», disse di
getto per poi ripensarci. «Anzi sì. Appartiene ad
un uomo che non sono
io!». La furia nel suo tono di voce era palpabile.
Con calma, pazienza e astuzia Rudyard spronò Allan a
confidarsi.
Ottenne informazioni in merito alla sua identità e
lasciò
che gli raccontasse tutta una serie di particolari che non gli
sarebbero stati utili se non a guadagnarsi la fiducia dell'uomo che
infine, stanco, si addormentò.
Anziché sparire, Rudyard gli rimase accanto. Non certo per
pietà o solidarietà: era fermamente intenzionato
a
portarlo dalla propria parte.
Consapevole che Allan si sarebbe svegliato sobrio prese le distanze da
lui, temendo che l'ormai smaltita confusione mentale avrebbe consentito
all'uomo di riconoscerlo ma pensando con una certa convinzione e non a
torto che ciò non accadesse; in tal caso sperò
inoltre
che al risveglio Allan non ricordasse alcunché della
conversazione avuta cosa che gli avrebbe permesso di spacciarsi per un
conoscente, qualcuno mosso dalle migliori intenzioni.
La mente di Rudyard era un cavallo in corsa. Durante le due ore in cui
Allan rimase privo di coscienza, Rudyard pensò a mille modi
diversi per incastrarlo e non sapendo sceglierne uno, il migliore,
decise che avrebbe agito in base all'atteggiamento e alle reazioni
dell'affiliato a
Robin Hood. Non dimenticò di mettere in conto che
più
tempo passava, più era probabile che l'arciere e i suoi si
accorgessero della scomparsa di uno di loro e si mettessero a cercarlo,
né si permise di abbassare la guardia tenendo presente anche
la
possibilità di un'imboscata pianificata.
Al suo risveglio Allan fu costretto a fare i conti con un gran mal di
testa e un enorme vuoto di memoria che gli impediva di ricordare come
fosse arrivato nel bel mezzo della foresta e perché. Non
scorse
subito la figura accovacciata a qualche metro da lui, perciò
si
spaventò quando una voce gli domandò come si
sentisse. Le parole arrivarono chiassose alla mente stordita di Allan e
rimbalzarono sulle tempie martoriate dipingendo un'espressione
addolorata e infastidita sul volto dell'uomo.
Rudyard riuscì a non sembrare teso e pronto a darsi alla
fuga, come invece era,
mentre attendeva tanto una risposta quanto un responso: Allan avrebbe o
no capito chi era il suo interlocutore?
L'ex fuorilegge rimase spaesato dall'inaspettata presenza e dalla sua
domanda.
Riconobbe a se stesso che aveva qualcosa di vagamente familiare ma, non
riuscendo ad individuare cosa e attribuendo il disordine mentale
all'ennesima bevuta, ritenne che doveva essere un abitante di Locksley
o Nottingham
che lo aveva trovato per caso lì nella foresta.
«Allan? Va meglio?», domandò di nuovo.
Chiamandolo per nome Rudyard era convinto di guadagnare un punto a
proprio favore
dimostrando di conoscere bene l'uomo e di avere con lui una certa
confidenza.
Allan infatti non sembrava essere sulla difensiva. L'uomo arrivato da
Edwinstowe non aveva ancora ben chiaro nella mente come avrebbe esposto
la propria offerta, ma sapeva di doverlo fare esattamente nel momento
giusto. Né un attimo prima, né un secondo
più
tardi. Restava da definire il concetto di "momento giusto".
L'ex
fuorilegge espirò probabilmente tutta l'aria che aveva nei
polmoni, lasciando che le spalle si afflosciassero in segno di resa
dinanzi ad un'enorme evidenza. No, non andava meglio. Non andava meglio
perché aveva smaltito tutto il vino. Non andava meglio
perché i postumi della bevuta erano orribili. E non andava
meglio perché era tornata anche la consapevolezza di ogni
cosa.
Il tono di quei pensieri era sarcastico e sgarbato, perciò
inspirò ed espirò ancora prima di rispondere
all'uomo che
aveva manifestato gentilezza e preoccupazione nei suoi riguardi.
«Non esattamente, ma grazie per aver chiesto»,
disse infine accompagnando con un accenno di sorriso.
Anche Rudyard sorrise tendendo una mano ad
Allan che si alzò malfermo.
I due camminarono lentamente e per molto tempo verso una meta che non
era Locklsey, senza che Allan dubitasse minimamente della direzione
presa.
La calcolata cordialità dell'uomo impediva che il sospetto
si
insinuasse nel cuore dell'affiliato a Robin Hood; e anche se il
percorso iniziava ad apparirgli troppo lungo, Allan non se la
sentì di contraddire la persona che gli era stata accanto
mentre
era privo di coscienza.
Dialogarono senza sosta del più e del meno
finché,
arrivati ad un piccolo spiazzo erboso, Rudyard si fermò.
L'espressione sul suo viso mutò repentinamente.
Allan si bloccò a metà di una risposta, colto
alla sprovvista.
Entrambi restarono in attesa l'uno di una mossa dell'altro, ognuno
immerso nei propri ragionamenti e quesiti.
Mentre Allan cercava di capirci qualcosa senza lasciarsi prendere dal
panico, Rudyard si preparava a
cogliere l'attimo consapevole che non avrebbe avuto un'altra occasione
come quella.
«Ehi, amico...», esordì l'ex fuorilegge
ostentando una calma che iniziava a svanire, «Che
succede?».
Il sorriso maligno di Rudyard fu l'eloquente e
immediata risposta a tutti i dubbi di Allan che finalmente comprese il
motivo per cui quel volto gli era noto.
«Rudyard... Ma come ho fatto a non capir...», Allan
non riuscì a terminare.
«È
ciò che accade quando si va a zonzo sbronzi».
Rudyard
parlò senza fretta, a bassa voce e senza alcun cenno di
minaccia
nella voce.
L'uomo di Robin Hood cercò di arginare la sorpresa e di
azionare
il cervello mettendo da parte pure il mal di testa persistente. Non gli
fu semplice considerato che aveva dovuto fare molto in fretta, ma
tirò ugualmente con provvidenziale
rapidità le somme:
doveva scappare, far ritorno a Locksley e avvisare Robin e gli altri
della presenza del fratello di Kaelee nella foresta. La parte
riguardante il rientro a Locksley era una delle più
complesse
dal momento che Allan non aveva la più pallida idea di dove
si
trovasse. Quindi
iniziò a guardarsi freneticamente attorno, in cerca della
direzione più conveniente in cui scattare per sottrarsi
all'uomo e in cerca un indizio - un tronco dalla forma particolare,
rami segnati. Non era ancora propriamente nel pieno delle proprie
facoltà fisiche e mentali, ma era sicuro che restare
lì
con
Rudyard non
era una scelta vincente.
Il fratello di Kaelee lesse chiaramente nelle movenze di Allan la
volontà di andarsene e non potendo permettere che
ciò
accadesse, sollevò lentamente entrambe le mani in un segno
di
pacifica intesa. «Aspetta, Allan A Dale. Ho un'offerta per
te»,
mormorò Rudyard.
«Spiacente.
Non sono interessato. Quindi ora, se non ti spiace, me ne torno al
villaggio e ti mando alle calcagna i migliori segugi della
banda», rispose Allan con uno dei
suoi migliori sorrisi sarcastici, per nulla intenzionato a venire a
patti con un individuo quale Rudyard.
Rudyard rise in modo composto, a bassa voce, apparendo davvero
divertito prima di giocare la propria carta.
«È un vero peccato. Saremmo andati molto d'accordo
io e te, a Edwinstowe... Con Kaelee», ammiccò.
Maniero di Robin,
Locksley.
Gisborne aveva appena chiesto una tregua a Kaelee affermando di non
avere più storie degne della sua curiosità in
repertorio, quindi si era
allontanato per aggiungere dell'acqua calda alla tonda vasca che la
ragazza ancora occupava.
Che fosse lo scorrere di un piccolo rivo, la placida
immobilità
di un lago o la semplice immersione in una vasca, il contatto
con
l'acqua aiutava da sempre Kaelee a rilassarsi. Dopo una dura giornata
di lavoro. Dopo l'ennesimo scontro con sua madre. Per mitigare i brutti
pensieri. Quando non poteva correre libera con il suo cavallo, a
Edwinstowe, raggiungeva in solitudine il limpido ruscello che
scorreva poco lontano da casa sua e lì si chinava per
sfiorarne
la superficie cristallina con il palmo; quindi chiudeva gli occhi e
ascoltava i suoni del mondo.
Da quando era a Locksley raramente si affidava a quella vecchia
abitudine per calmare i nervi: le bastava stare insieme a Gisborne.
Si era voltata d'istinto per seguirlo con lo sguardo. Kaelee aveva in
questo modo potuto apprezzare la lunga linea della schiena che
terminava in un'ipnotica curva perfetta. Aveva potuto soffermarsi
inoltre sulle spalle ampie e sulle gambe muscolose e al contempo
eleganti.
Fu estremamente facile ripensare all'ultima volta che aveva affondato
le dita sulla pelle di lui.
Nella mente della ragazza presero in fretta a vorticare immagini di
loro due impegnati in dolci, lente, stuzzicanti e irresistibili
effusioni.
E fu altrettanto semplice attendere il ritorno di Guy volutamente in
piedi, lasciando che le trasparenze e l'aderenza della veste bagnata
accendessero
l'uomo e lo spingessero tra le braccia di lei. Come di consueto
arrossì dinanzi a quella parte che costantemente
desiderava Gisborne più del lecito, una parte che negli
ultimi
tempi aveva imparato a prendere il sopravvento, ma anziché
lasciarsi frenare da quel pudore che l'uomo adorava Kaelee aveva
iniziato a sfruttarlo a proprio vantaggio, come arma di seduzione.
Così quando Guy mise nuovamente piede nella stanza
sgranò
gli occhi per una frazione di secondo prima che il suo corpo
rispondesse alle provocazioni di lei.
Quelle soavi pennellate di timidezza in netto contrasto con il fuoco di
caramello, quel giovane corpo dalle forme soltanto accennate ma
evidenti sotto il fine e trasparente velo, la vita esile ma non per
questo priva di sensualità mentre spostando il peso su una
gamba
Kaelee inclinava impercettibilmente il bacino originando una morbida
curva, le braccia sottili lasciate cadere con leggerezza lungo i
fianchi; quella donna, la sua donna, che gli si offriva
così;
tutto di Kaelee lo attraeva: ogni respiro che le sollevava le spalle,
ogni tremolio delle labbra piene e delle palpebre chiare, ogni singolo
movimento di lei per quanto minimo.
Il mutamento si innescò in un attimo.
Poco prima Guy era entrato con innocenza in quello spazio portando con
sé un sorriso totalmente privo di malizia. Subito dopo il
suo
incedere si era fatto sensuale, il mento si era sollevato con un
pizzico di sfrontatezza scoprendo il
collo generosamente lungo, lo sguardo era divenuto intrigante mentre
tutti i muscoli si tendevano verso un'unica direzione.
Con ricercata calma aggiunse l'acqua calda a quella già
presente
nella vasca senza mai staccare gli occhi da quelli di Kaelee.
Il calore che raggiunse le gambe della ragazza accrebbe la voglia di
lui causandole un brivido di puro piacere.
Fu in un battito di ciglia che i capelli di Gisborne da ordinati quali
erano risultarono
meravigliosamente scompigliati agli occhi della giovane donna. Guy si
era privato della casacca scura e mostrava senza alcun pudore un corpo
glabro, tonico, scolpito.
Kaelee lasciò lo sguardo terso di lui per posare
avidamente
gli occhi su quel delizioso punto di congiunzione tra le clavicole e la
linea del petto; e da lì iniziare una pericolosa discesa
verso
il piacevole peccato. Si morse il labbro inferiore preda di
quell'impazienza
che alimenta all'infinito un fuoco senza mai lasciarlo
divampare né spegnere, in una crudele ma sensuale tortura. E
scesero, quegli occhi, in sincrono
con le
mani dell'uomo il quale si privò della cintura che
scagliò senza cura a terra; e indugiarono con loro sul
bottone
che univa i lembi di tessuto nero; e si posarono sull'unico indumento
rimasto bramandone la caduta.
Non una parola. Solo respiri sempre più veloci e sempre
più spezzati.
Prima con un piede, poi con l'altro Gisborne infranse definitivamente
la quiete cristallina che,
svergognata, aveva osato lambire il corpo sotto la bianca veste.
Senza indugio Kaelee si appropriò dei fianchi dell'uomo
ripercorrendo al contrario il percorso intrapreso dallo sguardo,
soffermandosi di tanto in tanto e arrivando infine al volto irsuto e
bellissimo. Guardandolo le tornò in mente il giorno in cui
si era svegliata
per il pranzo dopo una notte trascorsa al forno del vecchio Tyrik e
aveva trovato Guy seduto a tavola nella casa che condivideva con Kate.
Ricordò le emozioni in tumulto e lo scombussolamento creato
dagli ultimi arrivati in materia di sentimenti. Rammentò la
gentilezza con cui l'uomo aveva posto la mano sotto quella di lei per
poterla
sollevare fin quasi all'altezza delle labbra in un simbolico bacio.
Riecheggiò nella
sua mente la voce profonda e allora sconosciuta che interagiva e
rideva. Si rivide avanzare dalla scala alla cucina con i pensieri
già in disordine; già inconsapevolmente
innamorata di
quell'uomo così complesso, così tormentato,
così
maturo e misterioso eppure anche così fragile nella preziosa
profodità del suo essere. Fece un passo indietro nei ricordi
tornando all'alba di quella stessa mattina, al momento in cui si era
voltata per rientrare a casa e l'aveva visto: alto, quasi solenne
nell'immobilità della posa assunta, come in attesa di
qualcosa
di più di un nuovo giorno soltanto.
Kaelee non riuscì a non sorridere mentre come in una visione
riviveva anche la notte in cui aveva preso coscienza dei propri
sentimenti
per Guy.
E proprio come aveva fatto quella notte appoggiò una
guancia al petto dell'uomo, in cerca di un tenero abbraccio.
Era così tra loro. Un attimo andavano a fuoco e poco dopo si
fasciavano di immensa dolcezza.
Gisborne, che non si era ancora abituato davvero ai repentini cambi di
direzione di entrambi, impiegò qualche secondo a
sintonizzarsi
con lei. Difficile scollegarsi dai pensieri indecenti che gli
affollavano la mente e concentrarsi sull'improvvisa delicatezza di
Kaelee. Quando ricambiò l'abbraccio, però, Guy
aveva la
testa occupata esclusivamente dal suono del respiro di lei e dal
gradevole tepore che si espandeva dal punto esatto in cui la loro pelle
si era incontrata.
Le accarezzò il viso indugiando sulla fronte e sulla tempia,
soffermandosi tra i capelli soffici e proprio a loro
indirizzò il sospiro che sentì nascere spontaneo.
Se non fosse stato per la tenera comicità dell'episodio, Guy
si
sarebbe lanciato in una delle sue scenate scoprendo Kaelee da sola
nella foresta ad esercitarsi con un arco che non collaborava. Che
sciocco era stato a non
rendersi conto di quanto fosse eloquente la preoccupazione che sempre
insisteva in lui quando si trattava della giovane ragazza arrivata da
Edwinstowe. Che cieco era stato nel notare l'aspetto minuto di lei -
caratteristica che la faceva apparire perennemente indifesa ai suoi
occhi - senza soffermarsi sul proprio bisogno di proteggerla da
qualunque cosa o persona lei incontrasse quasi che pure un soffio di
vento potesse portarla via.
Portargliela via.
Come la minaccia contenuta in
una breve ma tagliente pergamena che aveva suscitato in Guy una tale
rabbia da fargli quasi perdere il controllo, tale che si era esposto
completamente offrendo a Kaelee la propria protezione, mettendola
dinanzi alla porta oscura del proprio passato. Porta che lei aveva
aperto con coraggio e rispetto. Porta che non li aveva affatto
allontanati. Porta che li aveva infine condotti entrambi esattamente
lì dov'erano.
Guy sentì la necessità di amplificare le
piacevoli sensazioni di
quell'abbraccio, quindi si immerse finalmente nella vasca trascinando
Kaelee con sé.
«Non
erano esattamente queste le mie intenzioni, ma devo ammettere che anche
così si sta benissimo», sussurrò la
ragazza sulle
labbra di lui prima di baciarlo con una lentezza tale da far credere a
entrambi di avere l'eternità a disposizione.
N.d.A.
Mi tocca ammettere che gli eventi hanno stupito anche me mentre
scrivevo. E mi rendo conto di quanto sia scontato associare proprio
Allan alla figura del traditore. Eppure la trama si è
letteralmente stesa da sola a partire da quando tra tutti proprio Allan
ha preteso di avere una preferenza per Kaelee, fino ad arrivare al
viaggio che ha portato Rudyard e gli altri a Locksley. Quindi non mi
resta che arrendermi alla volontà dei personaggi e stare a
vedere dove ci condurrà.
Grazie per il tempo dedicatomi.
Alla prossima!
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Capitolo 18 *** A Fil di Lama ***
Diciotto
A
Fil di Lama
Foresta di Sherwood.
"È
un
vero peccato. Saremmo andati molto d'accordo
io e te, a Edwinstowe... Con Kaelee".
Le parole di Rudyard continuavano a riecheggiare nell'ancora dolorante
testa di Allan mentre lui cercava una risposta intelligente. O anche
soltanto una risposta.
Quando credette di averla trovata tentò di indossare
un'espressione pacatamente divertita sperando di darla a bere all'uomo
che aveva di fronte.
«Perché dovrebbe interessarmi?», chiese.
A sorpresa la risata di Rudyard riempì in uno scoppio l'aria
attorno a entrambi.
Il sorrisetto dell'ex fuorilegge si spense istantaneamente rivelando la
valanga di domande.
Allan non ricordava nulla di ciò che gli era accaduto da
quando
era
stato sbattuto fuori dalla taverna di Locksley a quando si era
svegliato nella foresta in compagnia di Rudyard, perciò non
sapeva di aver rivelato all'uomo la motivazione delle sue
bevute, del suo soffrire e del suo vagare a vuoto fuori dai confini del
villaggio. Tuttavia non era uno sciocco e comprese che qualcosa doveva
essergli sfuggito. Il proprio nome ad esempio. Rammentava infatti di
aver imprecato e sbraitato a lungo e la gola riarsa ne era una lampante
testimonianza.
Inoltre sebbene fosse
consapevole che in tutta l'Inghilterra non si parlava d'altro che di
Robin Hood e dei suoi uomini, era altrettanto convinto che non tutti in
Inghilterra abbinassero un volto ad ogni nome, ragion per cui Rudyard
poteva pur conoscere Allan A Dale il fuorilegge ma non poteva essere
certo
che il nome corrispondesse proprio alla persona che aveva trovato nella
foresta. A maggior ragione perché quando Rudyard e suo
fratello
erano arrivati a Locksley il giorno del primo mercato nella nuova
Nottingham lui non era presente perciò, se anche c'erano
state
delle presentazioni e se anche Rudyard ci aveva poi ragionato sopra
facendosi due conti ed escludendo i membri noti, non era giustificabile
tanta sicurezza.
Invece ne sembrava proprio sicuro.
A meno che non stesse bluffando.
Ma se invece Rudyard non bluffava, se le sue convinzioni erano fondate,
allora poteva voler dire soltanto che l'uomo aveva ottenuto le proprie
informazioni direttamente dalla fonte. E in tal caso Allan non aveva
che due vie davanti a sé.
Maniero di Robin,
Locklsey.
Era passata più di un'ora da quando Much aveva fermato
Robin, appena prima che rincasasse, chiamandolo a gran voce.
Probabilmente perfino un sordo avrebbe capito dal suo atteggiamento
smanioso che aveva qualcosa di importante da comunicare all'arciere.
Stava infatti creando un così gran baccano che pure Guy e
Kaelee
- che si erano da poco rivestiti dopo il bagno rilassante - avevano
deciso di affacciarsi, preoccupati, per sapere cosa stesse accadendo.
Come era solito fare Robin accolse l'uomo con gentilezza, senza
più sconvolgersi dinanzi al carattere di quello che era per
lui
il miglior amico che avesse mai avuto. Lo invitò quindi a
entrare mentre ancora lui gli saltellava intorno incapace di contenere
la gioia che lo animava e incapace anche di esprimere pacatamente la
ragione che lo aveva condotto al Maniero.
Robin sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che Much lo mettesse
a conoscenza di ciò che già aveva intuito.
Come Much aveva pensato quando aveva informato Kate, era stato proprio
Robin a fargli avere titolo e tenuta a Bonchurch.
Dopo una lunga serie di ringraziamenti e la promessa di non lasciare
Locksley prima di aver chiuso i conti con Rudyard, Much si disse che
era
ora di tornare a casa, ma Robin invitò sia lui che Kate a
fermarsi per cena
così da condividere anche con Archer, Guy e Kaelee la bella
notizia.
Foresta di Sherwood.
«Non
per fare lo spiritoso, ma questo posto non è per
niente sicuro», commentò Allan una volta raggiunto
il
precario e provvisorio rifugio di Rudyard insieme a quest'ultimo.
Delle due alternative che aveva, Allan aveva scelto quella
più conveniente.
«Dici
davvero?», gli rispose Rudyard con voce pregna di sarcasmo ed
un'occhiataccia ancor più eloquente.
Un'alzata di spalle da parte dell'ex fuorilegge indusse l'uomo arrivato
da Edwinstowe a non lasciar cadere la conversazione: aveva fame, sapeva
perfettamente che il nascondiglio lasciava molto a desiderare ed era
consapevole di avere accanto a sé una persona che aveva
vissuto
per molto tempo in quella stessa foresta. Aveva quindi deciso di
mettere da parte l'orgoglio e la supponenza - soltanto un pochino e
soltanto perché era un'emergenza - per sfruttare la
situazione a proprio
vantaggio. O per meglio dire al fine di sfruttare Allan fino in fondo.
I grandi occhi chiari che lo scrutavano simboleggiavano la soluzione a
tutti i suoi problemi. Con il supporto di Allan - corrotto dalla
promessa di un matrimonio con la bella Kaelee - una volta messo di
nuovo piede a Edwinstowe Rudyard avrebbe accontentato sua madre
guadagnandosi certamente un premio, magari un bel titolo nobiliare
ottenuto chissà come e grazie ai favori di chi a quale
potente della zona;
avrebbe portato con sé l'ex fuorilegge e, per indurlo a
restare
nonostante il mancato sposalizio, avrebbe fatto di lui il proprio
braccio destro ricoprendolo di onori e denaro; avrebbe soppiantato
definitivamente quel buono a nulla di Willard; e tornando all'attuale
situazione aveva la concreta possibilità di trovare una
sistemazione se non più dignitosa almeno più
sicura,
nonché un pasto decente a base di carne cotta su fuoco vivo.
Rudyard aveva avuto modo di conoscere diversi particolari della vita di
Allan, ma c'era ancora un importante dettaglio di cui non sapeva
assolutamente niente: come alleato aveva scelto proprio l'uomo che
aveva materialmente mandato a monte il rapimento di Kaelee, ovvero
l'uomo che già una volta lo aveva fregato.
«Hai un'idea migliore?», chiese cercando il
più
possibile di tenere a bada la voglia di annientare una volta per tutte
il sorrisetto beffardo di Allan.
«A
dire il vero sì», mormorò l'ex
fuorilegge invitando
l'uomo a seguirlo mentre si dirigeva verso uno dei tanti luoghi che
avevano ospitato i vecchi accampamenti della banda.
Delle due alternative che aveva Allan aveva scelto quella che gli era
parsa la migliore.
Nel momento stesso in cui Rudyard aveva lasciato intendere di essere al
corrente dei sentimenti che legavano Allan a Kaelee, si era convinto di
aver aperto all'uomo di Robin Hood due vie opposte tra loro. Unirsi a
lui oppure schierarglisi contro e tentare la fuga.
Quando Allan aveva realizzato di essere in trappola si era imposto di
trovare una via d'uscita che non prevedesse una coalizione con Rudyard
né un'incerta ritirata. Nel poco tempo che aveva passato a
pensare sul da farsi aveva mentalmente maledetto quell'odiosa sfortuna
che continuava a metterlo dinanzi ad un potenziale tradimento nei
confronti dei suoi unici amici. Una volta soltanto aveva tradito e per
salvarsi la vita; quell'esperienza gli era bastata a fargli capire non
soltanto che allearsi con gente come il vecchio Gisborne e Rudyard non
gli avrebbe recato alcun guadagno, ma anche che non valeva la pena
barattare un sentimento come l'amicizia per sacchi di monetine sonanti
o una donna che non l'avrebbe mai amato. Così aveva trovato
una
terza soluzione che immediatamente rimpiazzò l'ipotesi di un
accordo con Rudyard.
Allan aveva quindi davvero due alternative.
Darsela a gambe senza avere la certezza di riuscire nell'impresa non
essendo ancora nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali;
oppure lasciar credere al proprio avversario di avere in pugno la
situazione e prendersi così il tempo necessario per mettere
in
atto la sua disfatta.
Delle due opzioni Allan aveva scelto la seconda.
Da sempre era Robin lo stratega della banda, era lui che pensava,
valutava ed elaborava le imprese minimizzando la percentuale di non
riuscita, quindi l'idea di essere solo contro Rudyard e all'insaputa
dei propri amici non entusiasmava affatto Allan. Se solo fosse riuscito
ad avvertire qualcuno della banda sarebbe stato molto più
facile, ma non poteva semplicemente chiedere al suo compagno di
disavventure di far sosta a Locksley.
Mentre i due avanzavano nel folto della foresta, Allan prendeva in
considerazione tutte le ipotesi possibili ed immaginabili. Si chiedeva,
ad esempio, come i suoi amici avrebbero reagito trovandolo in compagnia
del fratello di Kaelee: qualcuno di loro sarebbe stato sfiorato dal
dubbio che Allan potesse aver fatto il doppio gioco per consegnare
Rudyard direttamente nelle mani di Robin o Guy? Oppure avrebbero
immediatamente gridato al tradimento?
Conscio che dubitare dei propri compagni non era il miglior modo di
affrontare la situazione decise di spostare il problema e fare in modo
che la propria posizione risultasse inequivocabile.
«Se non arriviamo prima di sera verremo sbranati dagli
orsi»,
borbottò Rudyard dopo una buona mezz'ora di cammino.
«Non ci sono orsi», rispose Allan.
«Dai lupi allora», ribatté l'altro.
«Ti
pare di sentire ululati?», chiese ironico Allan
scuotendo il capo e indicandogli un punto non molto lontano da dove si
trovavano.
Anche se nessuno della banda abitava più i vecchi rifugi,
settimanalmente qualcuno del gruppo vi si recava per occuparsi della
manutenzione. Nessuno di loro si augurava di vivere un altro periodo
come quello in cui lo Sceriffo di Nottigham e il Principe Giovanni
detenevano ingiustamente il potere, ma tutti si erano trovati d'accordo
sulla volontà di non farsi cogliere impreparati nel caso in
cui
tutto ciò che Robin e i suoi stavano tentando di fare per
l'Inghilterra fosse andato in malora.
«Se ti aspettavi una tavola imbandita sei fuori strada,
amico. Ma almeno dormirai, non dico sul morbido, ma quasi».
Allan ce la stava
mettendo tutta per non lasciar trasparire la tensione che lo
attanagliava all'idea di non avere un piano d'azione.
«Dì
un po', Allan A Dale, il tuo passato di fuorilegge non potrebbe
procurarci anche una cena?», domandò Rudyard
provando a
non essere velenoso. Se avesse potuto comportarsi come desiderava, non
avrebbe di certo usato un tono tanto pacato e così vagamente
amichevole.
«Ti
accompagnerò a caccia soltanto perché stanotte
voglio
dormire e se non ti riempi lo stomaco mi sarà
impossibile», gli rispose l'uomo di Robin Hood sfoggiando
l'aria
da saputello che diverse volte aveva irritato alcuni componenti della
banda. L'intento era quello di dare all'uomo la sensazione di essere
ritenuto molto più che un amico con il quale è
permesso
assumere atteggiamenti confidenziali; più un salvatore,
colui che
può e vuole cambiare radicalmente in meglio la vita di un
altro
essere umano.
Il giorno successivo.
Chiesa, Locksley.
Come ogni mattina, appena dopo l'alba, Fra Tuck aveva celebrato una
Messa per dare il benvenuto al nuovo giorno e augurare alla
comunità che il sudore della fronte di ognuno potesse dare i
meritati frutti. Tuck non era semplicemente un frate che imponeva le
regole di Dio, che desiderava unire popolazioni sotto il nome del suo
Dio. Tuck era un uomo prima ancora di essere un uomo di fede e in
quanto tale aveva a cuore tanto le faccende umane quanto quelle
spirituali delle persone con cui si rapportava. Era sua grande dote
parlare alla gente come pochi altri potevano, arrivando
dritto al cuore e ai problemi di chi con lui si confidava e a lui si
affidava. Nelle sue Messe non lo si sentiva mai soltanto predicare
insegnamenti,
fede, religiosità; né lo si sentiva rivolgere
severi rimproveri a chi non seguiva la giusta via per la salvezza;
nelle Messe che celebrava Tuck parlava
dell'importanza di essere onesti, leali, sinceri e uniti,
dell'importanza di collaborare al fine di poter
cogliere i frutti migliori, quelli dati dai semi che non il singolo ha
piantato ma la comunità intera.
Tuck era fermamente convinto che nessun'arma era in grado di eguagliare
la forza di una folla determinata a conseguire un obiettivo
senza ricorrere alla violenza e lo aveva dimostrato in occasione
dell'ultima battaglia contro Vaisey quando, insieme e Little John e ai
male organizzati e non adatti al combattimento abitanti di Locklsey, si
era seduto dinanzi ad uno degli ingressi che davano accesso a
Nottingham e da lì non si era mosso neanche sotto la
minaccia di
frecce puntute e spade scintillanti.
Prima che lasciasse l'altare per cambiarsi d'abito e dedicarsi all'orto
della Chiesa, il proprietario della taverna del villaggio l'aveva
fermato per dirgli che Allan non si era fatto vedere quella mattina e
per chiedergli se per caso lui e Robin Hood fossero infine riusciti a
ricondurlo alla ragione.
Neanche venti minuti dopo che Tuck aveva chiesto a Robin di
raggiungerlo in Chiesa quanto prima, i due si erano ritrovati a parlare
di Allan.
Il frate condivise la propria preoccupazione con l'arciere e i due
convennero sulla necessità di organizzarsi in piccoli gruppi
per
cercare l'amico di cui non si avevano più notizie dal giorno
precedente.
Robin Hood non riteneva Allan capace di rendersi protagonista di atti
moralmente discutibili, non lo credeva neanche così
sconsiderato
da pensare che potesse scegliere di allontanarsi definitivamente da
Locklsey o togliersi la vita per amore. Robin era certo che se anche
per assurdo Allan avesse deciso di lasciare il villaggio sia pur per
una settimana o un mese non lo avrebbe fatto senza dir nulla, non
sarebbe sparito e basta.
«Allan
non è uno che si nasconde», commentò
con lo sguardo
fisso sulla parete ma in realtà molto lontano dalla Chiesa
del
villaggio.
Tuck sospirò e annuì.
«Pensi che potrebbe essergli accaduto qualcosa?»,
chiese.
I due si guardarono
e decisero che era arrivato il momento di intervenire.
Foresta di Sherwood.
Allan e Rudyard avevano trascorso entrambi la notte con un occhio
aperto. Nessuno dei due si fidava dell'altro e ognuno di loro era
costretto a fingere al fine di ottenere ciò che voleva.
Il buio e le silenziose ore notturne in concomitanza con la completa
eliminazione di tracce alcoliche nel corpo di Allan avevano portato
quest'ultimo a ragionare freneticamente sulla situazione in corso. Per
uno scherzo del destino non soltanto Kaelee aveva scelto come compagno
un uomo che non era lui, non solo questo aveva spinto Allan alla
frequentazione assidua di ambienti non esattamente tranquilli, ma alla
fine il fato avverso aveva anche fatto sì che l'uomo si
trovasse
dinanzi ad una pericolosa quanto decisiva scelta: servire un pessimo
soggetto quale era Rudyard e rendere per sempre infelice per mero
egoismo la donna che amava nella speranza che prima o poi potesse
ricambiarlo, oppure salvarla e accompagnarla verso la
felicità
per un tratto di quella lunga strada immaginaria che aveva davanti.
Per quanto Allan amasse Kaelee e per questo desiderasse averla accanto
per tutta la vita che gli restava da vivere, proprio perché
l'amava non sarebbe mai riuscito a sopportare di veder scomparire il
suo
sorriso giorno dopo giorno ed esserne pure la causa. Diverso sarebbe
stato se tra lei e Gisborne le cose non avessero funzionato: allora lui
le sarebbe stato vicino e avrebbe asciugato le sue lacrime, l'avrebbe
consolata e avrebbe cercato di restituirle la gioia. Perciò
anche a costo di camminare sui carboni ardenti a piedi nudi pur di
spianarle la strada Allan avrebbe impedito a Rudyard di realizzare i
propri piani.
Tanto Rudyard quanto Allan sapevano che prima o poi Robin Hood e i suoi
uomini avrebbero iniziato a cercare il componente mancante della loro
banda,
perciò l'ex fuorilegge si concentrò su tale
certezza: come poteva trarne profitto?
Per tutta la notte si interrogò su quale fosse la via giusta
da
intraprendere affinché i suoi amici non dubitassero
immediatamente di lui vedendolo in compagnia di Rudyard. Dando per
scontato che la banda si sarebbe divisa in piccoli gruppi si chiese
anche chi tra loro lo avrebbe trovato per primo e come avrebbe reagito.
Sapeva che Tuck si sarebbe fermato a pensare, che si sarebbe lasciato
sfiorare dal dubbio e che non lo avrebbe accusato a priori. Altro paio
di maniche se a trovarlo fosse stato l'impulsivo Little John. Peggio
ancora probabilmente se si fosse trattato di Gisborne. O di Kaelee.
Allan si rese presto conto che c'erano troppe variabili da prendere in
considerazione e che il margine di errore era troppo ampio, quindi si
sforzò di pensare come Robin Hood e partorire idee
brillanti, elaborare un piano
funzionante.
Quando stava per gettare la spugna gli si accese la celebre lampadina.
La rivelazione fu così semplice ed ovvia da indurlo a
domandarsi quanto dovesse essere idiota se non ci aveva pensato prima.
Senza attendere oltre e in completo silenzio iniziò a
mettere in
atto la strategia che sperava avrebbe salvato tutti quanti.
Limitare della foresta,
Locklsey.
Tutti gli ex fuorilegge, Kaelee, Alice e qualche fidato amico di Robin
Hood erano in attesa di Archer il quale aveva dovuto sbrigare un
impegno non rimandabile prima di poter raggiungere il resto del gruppo
fuori dai confini del villaggio. Quando si palesò fu chiaro
che
il suo impegno aveva sembianze femminili e portava il nome di Nettie,
la giovanissima quindicenne che aveva insistito per andare con lui.
Tutta la fermezza del fratello minore di Robin e Guy aveva ceduto
dinanzi all'ipotesi largamente realizzabile che Nettie lo seguisse
ugualmente di nascosto, così Archer aveva deciso di portarla
con
sé raccomandandole di non allontanarsi più di
dieci
centimetri da lui.
Nonostante il clima di preoccupazione, molti sorrisero nel vedere il
giovane arciere tanto premuroso nei riguardi della ragazza.
Nulla infine ostacolava l'inizio alle ricerche tranne il disaccordo in
merito alla separazione in gruppi. La domanda
che tutti si ponevano era: come fare a tenersi in contatto durante la
ricerca dal momento che l'area era troppo grande per prendere in
considerazione una staffetta?
«Io dico che dovremmo andare tutti insieme», disse
tra gli altri Little John.
Le voci di molti si sovrapposero le une alle altre mentre si cercava un
compromesso.
«Si rischia di vagare a vuoto mentre Allan magari
è già in salvo a Locksley», convenne
Kate.
«Ma che senso ha cercarlo in così tanti se non ci
dividiamo?», chiese Archer.
Come spesso accadeva fu poi Tuck a risolvere la questione con
diplomazia.
«Avviamoci tutti insieme», propose.
«Vediamo cosa succede e decidiamo strada facendo».
Foresta di Sherwood.
Gisborne era più vigile che mai e sovente nella
concentrazione
finiva per stringere con troppa forza il polso di Kaelee. Da quando si
erano addentrati nel bosco Guy era tormentato da uno spiacevole
presentimento e mentre una parte di lui era attenta a cercare tracce di
Allan, un'altra pensava esclusivamente alla donna che gli camminava al
fianco. Donna che faceva di tutto per rassicurarlo senza riuscirci
veramente. Donna che era lei stessa tormentata dai sensi di colpa.
Da un punto di vista puramente razionale Kaelee sapeva di essere
sì la causa della sofferenza di Allan, ma anche di non
esserlo intenzionalmente - cosa che alleviava almeno un poco la
preoccupazione per le
sorti dell'amico. Sul piano emozionale invece era distrutta. Si
era chiesta mille volte se le cose avrebbero potuto prendere una piega
diversa partendo anche da un piccolissimo gesto o particolare come
poteva essere un cenno del capo o un sorriso. Aveva cercato senza sosta
il momento esatto in cui aveva spezzato il cuore di Allan, aveva
rivissuto il tempo trascorso da prigioniera e si era costretta a
provare di nuovo la sensazione di sollievo nel rendersi conto che
proprio lui stava per salvarla dalla malvagità di un
fratello
senza cuore. Era stato quello l'errore? Aver provato gioia nel vedere
Allan? Oppure era stato quando i suoi occhi avevano incontrato quelli
di Guy? Quando ogni cellula del suo corpo aveva desiderato lasciare le
braccia di Allan a favore di quelle forti e conosciute di Gisborne? Era
perfino arrivata a parlarne con quest'ultimo come sarebbe accaduto se
lui fosse stato il suo migliore amico; e Guy aveva avuto la pazienza e
la forza di ascoltarla e di ragionare con lei vestendo ben volentieri,
per amore, quei panni che soltanto per un breve periodo aveva indossato
in presenza di lei. Il fatto che Kaelee si stesse dando tanta pena per
Allan, che si colpevolizzasse per ogni azione di lui, era un'enorme
fonte di timore per Guy il quale benché, non intendesse
lasciarsi prendere dalla gelosia o dalla paura che la donna potesse
separarsi da lui preferendogli Allan, era terrorizzato dalle
conseguenze psicologiche dell'intera situazione.
Kaelee era indubbiamente una donna molto forte, ma anche molto
sensibile e per questo in grado di sentire sulla propria pelle ogni
singola emozione pur non appartenendole direttamente. Era capitato, ad
esempio, quando Gisborne le aveva parlato della sofferenza che lo aveva
travolto nel momento della resa dei conti: egli aveva potuto vedere la
pena negli occhi della donna e le lacrime che avevano rigato il suo bel
viso.
Sarebbe accaduto lo stesso con Allan? Kaelee si sarebbe fatta carico
del dolore dell'uomo facendo contemporaneamente fronte al proprio e a
quello di Gisborne? Ci sarebbe riuscita oppure sarebbe infine crollata?
Di tanto in tanto la donna scuoteva impercettibilmente il capo nel
tentativo di scacciare o schiacciare un pensiero riuscendoci
però di rado.
Allan intanto aveva giustificato la propria assenza con la
necessità di
raccogliere bacche e foglie commestibili da mettere sotto i denti al
risveglio per non rischiare di perdere le forze in un momento
così importante.
«Dormivi così bene che non ho voluto
svegliarti», disse all'uomo di Edwinstowe con falsa premura e
comportandosi sostanzialmente da servo per guadagnarsi totale fiducia.
Non gli era stato possibile allontanarsi più di tanto, ma
aveva
ragione di credere che la sua idea potesse davvero funzionare.
Da parte sua, essendo a conoscenza dei sentimenti dell'uomo per Kaelee,
Rudyard era convinto che l'offerta fatta ad Allan gli assicurasse
assoluta fedeltà da parte di lui perciò il dubbio
che
l'uomo potesse imbrogliarlo non lo sfiorò minimamente. Pieno
di
sé com'era non riusciva a mettere in discussione mai la
genialità delle proprie azioni, la fattibilità
delle
proprie idee.
Per contro Allan era assediato da moltissimi "se" e altrettanti "ma"
accompagnati da insostenibili punti di domanda che minacciavano
pericolosamente i suoi nervi già pronti a cedere.
Si ha sempre a che fare con confini molto sottili quando si
è
costretti a reggere un doppio gioco e cadere oltre quella linea fine
è un pericolo reale e costante.
Allan stava camminando sulla parte non tagliente della lama di una
spada, ma da un momento all'altro la situazione avrebbe potuto
ribaltarsi senza preavviso determinandone la fine.
Nessuno sapeva esattamente che tipo di tracce cercare,
perciò si soffermavano su qualsiasi cosa apparisse loro
fuori
luogo. Era un po' come cercare un ago in un pagliaio in effetti, ma
perdere la speranza non si trovava nell'elenco delle azioni da compiere
ragion per cui nemmeno i più pessimisti della banda si
diedero per vinti.
Tra rami spezzati, interi ciuffi d'erba piegati sotto il peso di quello
che poteva essere tanto un uomo quanto un animale, resti di piccoli
animali in decomposizione e brandelli di tessuto che si erano
impigliati nei rovi chissà quanto tempo prima, dovettero
raggiungere un punto piuttosto lontano da Locksley prima di trovare un
segno degno di essere definito tale.
«Ragazzi! Guardate qui!», esclamò Kate
indicando il tronco di un albero.
Le dita di Gisborne si intrecciarono a quelle di Kaelee, come se il
cavaliere volesse essere certo dell'effettiva presenza - non
esclusivamente fisica ma anche mentale - della donna che amava, mentre
entrambi
si muovevano in direazione di Kate, subito affiancata da Much e Robin.
Aveva tutta l'aria di essere un momento di svolta.
Ad una prima occhiata i due uomini non scorsero nulla di
particolare sulla corteccia se non dei segni che sembravano in tutto e
per tutto graffi fatti dagli artigli di un qualche animale, ma quando
si
avvicinò anche Guy fu tutto subito molto più
chiaro.
Lo spadaccino rivolse per prima cosa sinceri complimenti alla donna per
non essersi lasciata ingannare dalle apparenze e la
ringraziò perché era solo grazie alla sua vista
acuta se ora disponevano di dati reali su cui basare le ricerche
dell'amico.
«Nel
periodo in cui Allan lavorava per me pur vivendo con i fuorilegge
usavamo un codice in segni per comunicare», spiegò
poi
rivolgendosi ai presenti senza lasciare la mano dell'amata volendo
infonderle sicurezza e speranza di ritrovare l'ex fuorilegge sano e
salvo. «Ho ragione di credere che Allan voglia dirci
qualcosa».
«Ma cosa?», domandò Archer avvicinandosi
ulteriormente per guardare più da vicino. Nettie, al suo
fianco, appariva curiosa e sveglia nel suo essere taciturna.
«Di lasciarlo in pace? Di non cercarlo?».
«Uno che non vuole farsi trovare non lascia dei
segni»,
fece Little John.
«E
se fosse caduto? Se si fosse slogato un piede e non riuscisse a tornare
da solo al villaggio?», ipotizzò Kate subito
smentita da Kaelee
che si domandò per quale motivo una persona con un piede
fuori
uso dovesse sforzarsi per graffiare alberi ad altezza uomo non
preferendo invece usare le medesime forze per zoppicare fino al
villaggio più vicino e lì chiedere aiuto.
Robin e Guy
meditavano silenziosamente ognuno per se stesso provando a calarsi nei
panni dell'amico.
«Temo sia in pericolo», mormorò Alice
con ansietà nella voce.
Robin
sospirò mentre Guy si voltava a guardare la moglie di Little
John. «Abbastanza da doverci avvisare in qualche modo, ma non
abbastanza da lasciare segni troppo evidenti. Abbastanza da chiedere
aiuto, ma non abbastanza da urlarlo ai quattro venti», le
rispose. «C'è accuratezza nel metodo, cosa che non
si
accorda bene con la fretta di chi ha la vita legata ad un
filo», aggiunse. Per un minuto
la sua voce profonda zittì l'intero gruppo.
«Pensate che potrebbe essere un depistaggio?»,
chiese infine Tuck spiazzandone molti.
«Allan non lo farebbe mai», rispose velocemente e
con fermezza Much, appena capì l'antifona, guadagnandosi una
serie di occhiate perplesse.
Sebbene avessero perdonato ad Allan la temporanea alleanza con Gisborne
e sebbene avessero imparato a non dare per scontato che avendo tradito
una volta era largamente probabile una replica, la serpe del dubbio si
insinuava ancora
facilmente in ognuno di loro. Tranne in Much che, «Non lo
farebbe», ribadì convinto.
«A
che pro?». Robin si rivolse a Tuck il quale espose un
contorto
ragionamento per il quale uno che non vuole farsi trovare semina falsi
indizi lasciando credere il contrario di quello che desidera e
guadagnando così tempo, scoraggiando contemporaneamente le
ricerche da parte di
persone avvezze a interpretare tracce, osservare e cercare, sfinendole
a suon di false piste.
Un ragionamento che di per sé non era errato ma che poco
corrispondeva forse alla personalità di Allan, ubriaco o
meno
che fosse.
Vi fu un altro momento di silenzio prima che Robin riprendesse la
parola facendo luce su nuove possibilità.
«Potrebbe volerci mettere in guardia da
qualcosa... O da qualcuno».
Guy e Kaelee parlarono con un'unica voce.
«Rudyard».
A quel punto trovare Allan era un gioco da ragazzi: sarebbe bastato
seguire gli scarabocchi sui tronchi senza fare troppo rumore.
«Se davvero è insieme a Rudyard
occorrerà prepararsi», sussurrò Robin.
«Intendi combattere?», ribatté Archer.
«Non sarà necessario. È solo contro
tutti noi».
«Dobbiamo prenderlo e portarlo a Locksley», fece
Gisborne.
«Rispedirlo
a Edwinstowe sarebbe l'ideale. Dwight sarà ben contento di
metterlo a posto», rispose Kaelee con una punta di
acidità
nella voce.
«Di questo parleremo con calma», disse Robin
riportando la questione al punto di origine. «Sicuramente
Allan ha lasciato gli indizi in gran segreto aspettandosi che non
vedendolo lo avremmo cercato», continuò,
«questo significa che ha puntato tutto sull'effetto
sorpresa», concluse.
Capire esattamente le dinamiche che avevano portato Allan e Rudyard a
percorrere lo stesso cammino richiedeva una concentrazione che gli
uomini di Robin Hood non potevano permettersi di dedicare a quella
parte della vicenda, quindi semplicemente evitarono di chiederselo
prendendo invece in considerazione il fatto che comunque fossero andate
le cose Allan si era adoperato affinché i suoi amici non
fraintendessero la sua posizione. Chi aveva imbrogliato chi e come
aveva fatto lo avrebbero saputo una volta catturato definitivamente
Rudyard.
«Robin, questa strada conduce ad uno dei nostri vecchi
accampamenti», mormorò Much.
«Almeno adesso conosco due dei posti in cui vi
nascondevate», scherzò Guy per alleggerire la
tensione.
Una serie di
sommesse risate fece da preludio alla serietà con cui venne
pianificata l'imboscata.
Rudyard e Allan avevano ultimato la colazione già da un
pezzo e
il secondo frenava con ogni mezzo l'impazienza del primo. Fosse dipeso
da Rudyard i due sarebbero già stati in viaggio verso
Locksley
per rapire Kaelee con l'inganno basato sulla fiducia
della ragazza nei confronti di Allan. Quest'ultimo però,
consapevole che per la riuscita della propria idea era necessario non
muoversi da lì, sosteneva con decisione la
necessità di
un piano ben pensato in quanto Kaelee non era stupida e trascorreva
gran parte del suo tempo in compagnia di Gisborne, anch'egli tutt'altro
che stupido.
Tra lo sbuffare e lo scalpitare dell'uomo di Edwinstowe Allan inventava
sul momento diverse possibili strategie da poter utilizzare per
incastrare la ragazza senza che nessuno si rendesse conto della
trappola.
«Ma
tu la ami davvero mia sorella?», chiese all'improvviso
Rudyard
fissando Allan con sguardo severo, sottile e attento quasi che davvero
gli importasse del destino di Kaelee.
«Certo. Sì, certamente», rispose l'altro.
«E
sei disposto proprio a tutto per averla?»,
continuò
rivelando ad Allan il punto a cui voleva arrivare. Voleva accertarsi
che l'uomo non avrebbe avuto ripensamenti al momento della messa in
atto del sequestro della ragazza. Voleva essere certo che dinanzi alla
possibilità di ferire o uccidere un suo vecchio compagno
Allan non si sarebbe fatto prendere dal rimorso o dall'incertezza.
«Non sto già forse tradendo senza ritegno la
fiducia dei miei amici per lei?», rispose con tutta la
convinzione di cui era capace.
Intanto, giunti al rifugio, gli uomini di Robin Hood avevano ascoltato
l'ultima parte della conversazione trovando conferma alle loro
ipotesi
e ritenendo astuta la mossa di Allan: se l'avessero sorpreso in
compagnia di Rudyard senza che avesse fatto in modo di avvisarli,
avrebbero quasi sicuramente creduto ad una combutta ai danni di Kaelee
e in ogni caso, trovandosi in disaccordo, avrebbero sprecato tempo
prezioso in inutili discussioni rischiando perfino di farsi scoprire
come degli sciocchi principianti.
Ancora riuniti in un unico punto, gli ex fuorilegge e chi li aveva
accompagnati analizzarono velocemente, ma non senza preoccuparsi dei
dettagli, tutte le possibilità: mandarne un paio e fingersi
sorpresi, inscenare un litigio con Allan e infine attaccare; mandare
Robin e
lasciar credere a Rudyard che fosse solo; assediare il posto senza
indugio manifestandosi istantaneamente; provocare l'uomo e attirarlo
fuori dal nascondiglio al fine di accerchiarlo e farlo prigioniero;
irrompere tutti insieme; dare a Rudyard esattamente quel che voleva e
mandare quindi direttamente Kaelee.
La maggioranza andò infine alla proposta di schierare in
prima linea Gisborne per molteplici ragioni.
Se da una parte era un'ottima esca visto l'odio e il desiderio omicida
che Rudyard provava nei
suoi confronti, dall'altra avrebbe rassicurato Allan
considerato il fatto che proprio tra loro era avvenuto uno scambio di
informazioni in passato usufruendo dello stesso metodo che aveva
condotto tutti al vecchio rifugio.
Kaelee non era propriamente d'accordo, ma Tuck cercò di
convincerla avvolgendola nell'aura carismatica che lo accompagnava.
L'esperienza di
Guy, le fece notare Tuck, era nota a tutti e molti tra i presenti lo
avevano temuto quando si
erano trovati in schieramenti opposti. Del resto, inoltre, l'uomo era
sopravvissuto alla lunaticità di Vaisey e del Principe
Giovanni nonché ai tanti scontri diretti con Robin Hood.
Infine non era solo, non questa volta, e aveva un'ottima ragione per
sopravvivere a quella missione.
Senza
indugiare oltre, escluso Gisborne, si acquattarono tutti nella
vegetazione attorno al nascondiglio di Allan e Rudyard. Guy invece si
allontanò quanto bastava per far sì che il suo
"casuale"
arrivo all'alloggio dei due fosse ben udibile.
Fu molto abile nel non eccedere con fruscii e scricchiolii, colpi di
tosse e borbottii, facendo in definitiva sembrare molto realistico il
suo camminare. Affacciandosi sull'ingresso del covo domandò
ad
alta voce se ci fosse qualcuno, dicendo che gli era sembrato di sentire
dei rumori provenire da lì.
Il sollievo di Allan nel sentire la voce di Gisborne fu immediato:
capì subito che lui e gli altri avevano interpretato i segni
sui
tronchi e comprese anche che la scelta di esporre Guy non era
stata affatto
casuale. In cuor suo Allan aveva puntato su di lui, sulla sua presenza
nel gruppo di ricerca, sulla sua capacità di collegare i
fatti
perché inevitabilmente tra loro si era venuta a creare una
certa
complicità nel periodo in cui avevano collaborato. Era quasi
comico come proprio la persona che una parte di lui più
detestava a causa dei sentimenti che entrambi provavano per Kaelee e
che lei provava per uno solo di loro, si rivelava
infine l'infallibile arma che lo avrebbe aiutato ad incastrare Rudyard
e rimediare forse in parte al modo in cui aveva trattato i suoi amici
nell'ultimo periodo.
Il fratello di Kaelee gongolò non poco appena riconobbe la
voce dello
straniero che si era avvicinato così tanto. Credendo ancora
una
volta di avere la vittoria in mano lanciò un'occhiata
d'intesa
ad Allan il quale annuì e lo invitò a spostarsi
affinché Gisborne non lo vedesse prima di essere a portata
di spada. A Rudyard parve un'intelligente osservazione, così
accettò il consiglio e più silenzioso che mai si
fuse con
la zona d'ombra alle proprie spalle.
«C'è nessuno?» ripeté Guy con
il coltello nascosto nella manica, pronto all'azione.
La spada custodita nel fodero alimentò la convinzione di
Rudyard che quasi non riusciva a trattenersi dal ridere.
Quando fu dentro abbastanza da non aver immediato accesso all'unica via
di fuga, Gisborne fu colto alla sprovvista da Allan il quale si
vestì di assoluta serietà e un pizzico di
cattiveria
recitando alla perfezione un ruolo che non gli era mai appartenuto
davvero.
«Ma che ti salta in mente?». Il tono di Guy era
severo e arrabbiato dopo il simulato spavento. «Hai
seminato ansia e preoccupazione in tutta Locksley. Non che io ti abbia
a cuore per motivi molto ovvi, ma mi secca vedere Kaelee tanto triste a
causa tua»,
aggiunse sapendo che il miglior modo di inscenare una lite era tirare
in ballo argomenti sensibili esattamente come era successo con Robin
tempo addietro.
«Se
è così triste perché non ti fai un po'
di domande,
Gisborne?», rispose prontamente Allan con un malefico
sorrisetto afferrando perfettamente il gioco del complice.
Lo
sguardo infuriato di Guy divertì Rudyard tanto che fu sul
punto
di uscire allo scoperto salvo poi ripensarci all'ultimo momento per
potersi godere ancora un po' la scena.
L'ambiente non era ben illuminato il che consentiva ad Allan e Guy di
scambiarsi gesti d'intesa e occhiate eloquenti come ad esempio quella
con cui Allan indicò il punto esatto in cui era celato
Rudyard
in modo che Gisborne sapesse esattamente da che lato difendersi.
I due continuarono a battibeccare ancora per diversi minuti
finché decisero di venire alle mani. Fu a quel punto che
Rudyard
li onorò della propria presenza.
Mentre Guy e Allan, trasferitisi all'esterno, fingevano di darsele di
santa ragione sbraitando in merito a chi fosse il miglior partito per
Kaelee - la quale intanto era in ascolto con il viso nascosto tra le
mani, cosciente che non tutto in quella vicenda era inventato - Rudyard
comparve dinanzi all'ingresso del nascondiglio e scoppiò in
una
fragorosa risata attirando l'attenzione di un più che mai
sconvolto Gisborne. Lo sguardo di quest'ultimo saltò
velocemente
dall'uno all'altro come se cercasse risposte che invece già
aveva.
«Tu!
Avrei dovuto aspettarmelo da uno come te!», urlò
rivolgendo la prima esclamazione a Rudyard e la seconda ad Allan.
«Già... Ma non sei abbastanza sveglio»,
commentò l'ex fuorilegge dando luogo ad un'altra azzuffata.
«Canaglia!».
Per
quanto cercassero di non esagerare con pugni e calci, finì
che
entrambi accusarono diversi colpi. Allan aveva il labbro inferiore
arrossato e leggermente gonfio mentre a Guy sanguinava un sopracciglio
quando Rudyard camminò verso di loro allontanandosi dal
rifugio
e dando inconsapevolmente libertà di azione a Robin e ai
suoi.
«Sembra
che stavolta vi sia andata male, Sir Guy», lo
canzonò
invitando poi Allan ad alzarsi lasciandogli Gisborne. Estratta la spada
gliela puntò sotto al mento impedendogli di tirarsi su e
sottrarsi alla minaccia. Si scambiarono uno sguardo di puro odio - ed
era reale stavolta - e rimasero perfettamente immobili nel silenzio che
improvvisamente era calato dopo il chiasso provocato dalla lite con
Allan.
Concentrato com'era sulla preda, Rudyard non si rese conto che ancora
una volta stava per essere messo nel sacco, non si accorse dei cenni di
Allan ai suoi amici, non vide questi ultimi avvicinarsi sempre di
più e non attribuì il giusto significato alla
nuova luce
nello sguardo del proprio avversario.
In men che non si dica fu disarmato e immobilizzato sotto gli occhi
furenti di Kaelee che se avesse dato retta al proprio istinto gli
avrebbe mozzato la testa senza rifletterci due volte. Invece si
sforzò di trattenersi puntandogli la lama contro,
esattamente come
aveva appena fatto lui con Guy.
«A chi è andata male fratellino?»,
ruggì la giovane donna tra i denti.
Rudyard
faticò a riconoscerla a causa dei capelli cortissimi e
dell'abbigliamento davvero poco femminile, ma capì
ugualmente di
aver perso non la battaglia stavolta, ma l'intera guerra.
Tenuto
fermo da Little John, Archer e Tuck, Rudyard fissò gli occhi
in
quelli di Kaelee conservando la propria supponenza e impertinenza
perfino in quel frangente. Non fu necessario dire nulla per istigare
ulteriormente la furia della ragazza.
Fu Gisborne a salvare entrambi, l'uno da morte certa e l'altra da una
vita di tormenti. Si portò lentamente alle spalle della
donna
che amava e, come già era accaduto una volta, la
invitò
ad abbassare l'arma.
«Tu
sei diversa da tutti noi, Kaelee. Non conosci l'espressione di un uomo
che muore per mano tua», sussurrò,
«Possa tu non vederla mai», aggiunse stringendole
le dita e
chinandosi a posare un bacio sul capo di lei che sospirò,
arrendendosi alle richieste di Gisborne.
«Ringrazia
quest'uomo e portagli rispetto finché campi
perché ti ha
appena salvato la pelle», commentò con freddezza
prima di voltargli le spalle.
Mentre Allan condivideva i particolari con i suoi amici, Guy e
Kaelee si concessero un momento tutto per loro.
Poco lontano dal punto in cui la banda era riunita insieme a Rudyard
saldamente ancorato ad un tronco e controllato a vista da Little John e
Tuck, Kaelee si occupava del sopracciglio dell'uomo che amava e lo
ringraziava per aver sedato ancora una volta quella sua
istintività di ragazzina.
Medicato alla meglio il piccolo taglio che si aggiungeva alle
molteplici cicatrici sul corpo di Guy, Kaelee non desiderò
altro che perdere la ragione e il respiro in un interminabile bacio.
N.d.A.
Con un deciso ritardo rispetto ai precedenti aggiornamenti, finalmente
riesco a pubblicare questo nuovo capitolo.
Come sempre spero di non aver deluso le aspettative di chi continua a
seguirmi in questo percorso e ringrazio tutti per la pazienza e il
tempo messo a disposizione della storia.
Alla prossima!
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Capitolo 19 *** Il Grande Albero delle Promesse ***
Diciannove
Il
Grande Albero delle Promesse
Strada per Edwinstowe.
La mente di Kaelee era sovraffollata di ricordi.
Non era passato poi così tanto tempo da quando era fuggita
alla
volta di Locksley con addosso la volontà di cambiare le
sorti
della sua stessa esistenza, ma a pensarci bene sembrava fossero
trascorsi anni se non decenni tanti e tali erano i cambiamenti
avvenuti da allora.
In groppa al cavallo che aveva reso veloce, silenzioso e meno solitario
l'allontanamento dalla prorpria casa, lo stesso destriero che adesso la
riportava indietro, aveva
all'epoca beneficiato senza timore e per la prima volta davvero del
vento fresco sul volto e tra i capelli, del senso di leggerezza e
libertà dati dall'essersi lasciata alle spalle corde e
catene,
della forza interiore che si era sprigionata di colpo in seguito alla
sua presa di posizione.
Non era stato difficile immaginare la fuga. Non era stato difficile
volerla. E nemmeno prendere la decisione era stato poi così
complicato. La parte meno facile di tutta quella vicenda aveva
riguardato la presa di coscienza di tutte le conseguenze. Ugualmente
poco semplice era stato non far trapelare niente di niente se non in
presenza del solo Aric, suo amato fratello e complice.
Radunare pochi averi per esser leggera e poter correre veloce;
procurarsi le provviste necessarie a coprire la distanza da Edwinstowe
a Locksley; prepararsi ad affrontare intemperie, eventuali aggressori,
notti all'aperto e tutti i potenziali pericoli che la Natura cela
dietro il fascino delle sue selve; abbandonare un tetto sulla testa, un
letto tutto sommato comodo, due pasti caldi assicurati e l'unica
persona a cui teneva più di ogni altra cosa al mondo e per
cosa
poi? Per un futuro incerto. Per un'idea. Per l'ipotesi, dettata dai
tanti racconti su Robin Hood, di una vita migliore.
Eppure i molti interrogativi in cui si era imbattuta e che aveva dovuto
mettere sul piatto della bilancia non l'avevano scoraggiata. Anzi,
tirando le somme Kaelee era giunta alla conclusione che per quanto
ignota fosse la strada che aveva scelto di percorrere era di gran lunga
preferibile a quella già ampiamente tracciata e la cui meta
era
ben visibile e poco invitante.
Era quindi partita nelle vesti di una ragazzina con tanta voglia di
scoprire, imparare, vivere e tornava, anche se solo temporaneamente,
nei panni di una donna nuova. Simile, naturalmente, alla vecchia Kaelee
ma anche diversa da lei.
Si era allontanata da quella casa amata e al contempo odiata per
scappare da un matrimonio che non voleva e che sapeva l'avrebbe resa
infelice per il tempo che le rimaneva da vivere e vi tornava portando
con sé la candida promessa d'amore fatta senza costrizioni a
Gisborne perché, sì, lui le avrebbe regalato
indimenticabili momenti di gioia che se anche fosse spirata un attimo
dopo sarebbe di certo morta senza alcun rimpianto e in completa pace.
Aveva rifiutato con determinazione di sottostare alla
volontà di
un uomo - quello che sua madre aveva scelto per lei e di cui lei non
conosceva sostanzialmente nulla se non la disponibilità
economica che sarebbe andata a favore più della famiglia di
Kaelee che a Kaelee stessa - per trovare infine un uomo capace di
camminarle di fianco, un uomo che mai e poi mai, per nessuna ragione al
mondo, avrebbe osato calpestarla, umiliarla, usarla a proprio
piacimento.
Ancora vivo nella sua memoria era l'arrivo a Locklsey e l'incontro con
Robin Hood, quell'eroe diventato leggenda che inconsapevolmente le
aveva infuso il coraggio di prendere in mano le redini del proprio
destino. Se i suoi fratelli non le avessero raccontato le avventure
dell'arciere, degli uomini che lo circondavano e la determinazione
con cui essi si opponevano alle imposizioni dei potenti facendo del
bene e impedendo così il diffondersi della diffidenza tra la
gente e la scomparsa della speranza, con ogni probabilità
Kaelee
avrebbe fatto la fine di tante donne che come lei erano vittime degli
altrui capricci e desideri. Sottomesse, infelici e senza amore. Non
sarebbe certo stata la prima volta a
Edwinstowe che una giovane ragazza veniva offerta, o più
precisamente venduta, ad un uomo molto più grande di lei e
con
succulente disponibilità economiche. Esistevano al mondo
uomini
abbienti ancora capaci di innamorarsi e godere della compagnia di una
donna per le sue qualità morali e intellettuali, ma era
innegabile che i più erano invece interessati a comprare
letteralmente una ragazzina - spesso anche più piccola di
Kaelee
- per il solo gusto di soddisfare i propri bisogni puramente fisici,
avere degli eredi - possibilmente maschi - e scaricare le frustrazioni
della giornata.
Tante volte Kaelee aveva provato ad immaginare come sarebbe andata se
non fosse mai partita e sempre si era ritratta con un brivido dagli
scenari che le si erano dipinti nella mente. Così, sebbene
Aric
le mancasse molto e benché sentisse che il suo rapporto con
Dwight era come sospeso e in attesa di essere vissuto, non si era mai
pentita di aver intrapreso il viaggio alla volta di Locksley e non
aveva mai preso in considerazione l'ipotesi di tornare a Edwinstowe con
Gisborne.
Alcuni giorni prima.
Locksley.
La cattura di Rudyard aveva restituito agli uomini di Robin Hood, in
particolar modo a Guy e Kaelee, quella normalità che aveva
caratterizzato la loro nuova esistenza in qualità di liberi
abitanti
di Locksley.
Con la rinnovata quiete, Gisborne era tornato ad abitare la piccola
tenuta costruita sullo stesso terreno che aveva visto sorgere e
crollare la
vecchia casa appartenuta ai suoi genitori. Se in passato si era
indebitamente appropriato del Maniero appartenente a Robin Hood, il
quale però a causa della sua condizione di fuorilegge aveva
perso ogni diritto sull'immobile, dopo la morte di Isabella e la
distruzione di Nottingham Guy aveva espresso il desiderio di poter
rimettere in piedi l'abitazione in cui aveva vissuto la propria
infanzia restituendo così il Maniero al legittimo
proprietario.
Chi non conosceva i dettagli delle vicende continuava a credere che
Gisborne avesse agito mosso da prepotenza e avidità nel
derubare
Robin dei suoi averi, ma l'affermazione era vera solo in parte. Come
Robin Hood stesso era da poco venuto a sapere, Sir Malcolm - suo padre
- era stato protagonista insieme a Lady Ghislaine - madre di Guy - di
una relazione clandestina di cui Gisborne era venuto a conoscenza e che
non aveva però rivelato mai a nessuno, neanche a Isabella.
Relazione il cui frutto era Archer, elemento d'unione tra i due uomini
apparentemente troppo diversi tra loro per avere qualcosa in comune. Il
peso di questa verità e i successivi eventi che avevano
caratterizzato l'adolescenza di Gisborne avevano fatto di lui lo
spietato Sir Guy di Gisborne che aveva occupato il Maniero di Robin
Hood più per dispetto che per il reale desiderio di
appropriarsene.
Il passato non giustificava nessuna delle crudeltà da lui
commesse negli anni, ma induceva a guardare con occhi diversi alla sua
persona e aiutava a prendere in considerazione l'ipotesi di un
cambiamento radicale.
Con sé Guy aveva
naturalmente portato anche Kaelee e di lei si era occupato con molta
cura e pazienza, ponendo il sentimento provato nei suoi confronti al di
sopra di ogni altra cosa. Pur non essendo Gisborne il tipo di uomo
capace di gettarsi senza pensarci tra fiamme altissime su richiesta
dell'amata, era disposto a lottare non solo con se stesso ove
necessario, ma perfino con lei pur di non perderla per sempre,
attribuendo così alla perdita un significato tutt'altro che
egoistico. Il
che stava a significare che Guy avrebbe accettato anche di separarsi da
lei purché continuasse a vivere e che non si sarebbe arreso
dinanzi ad una difficoltà, di qualunque portata fosse.
La ragazza, infatti, da quando Rudyard era stato preso in ostaggio
diverse volte aveva desiderato vendetta per i
molti trambusti che suo fratello aveva volutamente causato a Locksley e
Nottingham. Senza contare che non aveva mai digerito l'irruzione
notturna nella camera da letto di Gisborne con tanto di tentato
omicidio.
Spesso Kaelee si arrabbiava anche per piccole cose, ma quasi mai
l'arrabbiatura durava più di qualche ora. A volte l'orgoglio
la
spingeva a tenere il muso per alcuni giorni anche quando in cuor suo
sapeva di aver già dimenticato l'accaduto. Quelle rare volte
in
cui però si infuriava sul serio, Kaelee non si dava pace.
Non
faceva altro che rimuginare sulla causa scatenante chiedendosi il
perché di ogni cosa, interrogandosi sui motivi che spingono
alcuni esseri umani ad essere tanto cattivi verso i loro simili;
pensava e rifletteva e si isolava, diventava scontrosa con tutti e si
rifiutava di ragionare ad alta voce con qualcuno che avesse voglia di
ascoltarla.
Stavolta però aveva Gisborne al proprio fianco e
anziché
tormentarsi in solitudine aveva scelto di coinvolgerlo. Se da una parte
questa era la più giusta delle idee, dall'altra poteva
rivelarsi
persino la più inopportuna considerata la
facilità con
cui pure Gisborne si infiammava.
I due innamorati avevano affrontato, tra le altre cose, anche una
discussione molto
animata che aveva visto Gisborne obbligato a tirare nuovamente in
ballo il proprio passato, con il solo scopo di convincere Kaelee che
vendicarsi con le maniere forti avrebbe aperto ferite che non si
sarebbero cicatrizzate neanche a distanza di anni ed anni, prima che le
acque si calmassero definitivamente e la tempesta nell'animo di Kaelee
lasciasse spazio ad una serenità permanente seppur ancora
molto velata.
Kaelee era consapevole dell'impulsività che troppo spesso la
guidava e aveva imparato a controllarla anni addietro, quando aveva
capito che rispondere male ai suoi fratelli le sarebbe valsa una
punizione mentre piazzare una ventina di formiche tra le loro coperte
le
avrebbe assicurato una silenziosa rivincita senza prove evidenti della
sua colpevolezza. Soltanto Aric, come sempre, veniva messo al corrente
e
anche se non condivideva appieno le scelte rischiose di sua sorella
puntualmente le reggeva il gioco.
Quello stesso controllo esercitato
sull'impulso di correre via dalla sua famiglia le aveva consentito di
pianificare una fuga senza ritorno.
Dinanzi all'ipotesi, però, che a Guy potesse accadere
qualcosa
Kaelee aveva dimenticato tutto ciò che aveva imparato
sull'autocontrollo e rischiava di mutare in una donna furiosa e
violenta,
desiderosa soltanto di infliggere la medesima sofferenza imposta a lei
stessa. Se non ci fosse stato Gisborne a fermarla probabilmente Rudyard
sarebbe stato in pericolo di vita appena dopo la cattura.
Dopo qualche giorno trascorso adempiendo pienamente a quelle mansioni
che rendevano Locksley un villaggio ormai fiorente, Robin e i suoi si
erano riuniti al Maniero per decidere il da farsi in merito a Rudyard
il quale alloggiava anch'egli al Maniero, incatenato ma non privato
totalmente della possibilità di muoversi nello spazio
attorno,
controllato a vista e nutrito a sufficienza. Erano occorsi due giorni
per trovare un accordo che non causasse il malcontento di qualcuno:
benché nessuno desiderasse macchiarsi del sangue di Rudyard,
ognuno aveva pensato a punizioni degne del suo atteggiamento malevolo
nei riguardi degli ex fuorilegge, del villaggio di Locksley e della
città di Nottingham.
Tra le varie idee si era presa perfino in considerazione quella di
bendarlo, condurlo nel bel mezzo di Sherwood e lì lasciarlo
così che fosse il Fato a decidere per la sua vita o per la
sua
morte. Kaelee sarebbe stata ben felice di abbandonarlo disarmato e
disorientato, ma il tono accorato con cui Gisborne le si era
ripetutamente rivolto l'aveva profondamente colpita e, anche se non
avrebbe mai perdonato suo fratello, albergava in lei la
volontà
di essere migliore di lui ovvero abbandonare definitivamente il
desiderio di fargli del male nella convinzione che si sarebbe
così sentita meglio. Anche questa certezza Gisborne aveva
smontato aprendole ancora una volta lo scrigno del proprio cuore
contenente l'esperienza di anni trascorsi a uccidere persone. Le aveva
ricordato che perfino un essere spietato come Guy di Gisborne era
infine cambiato e questo, forse, poteva voler dire che anche Rudyard
meritava una seconda occasione. Kaelee aveva riflettuto molto trovando
conferma di quanto fortunata fosse ad avere Gisborne e sebbene fosse
convinta che mai suo fratello sarebbe riuscito a intraprendere il
medesimo percorso di Guy si rese conto che non spettava a lei decidere
della vita di Rudyard.
Alla fine tutti avevano convenuto sulla necessità di
ricondurlo a Edwinstowe da sua madre, ma soprattutto da Dwight che
certamente si sarebbe occupato di lui impedendogli di mettere
nuovamente i bastoni
tra le ruote a Kaelee e alla sua storia d'amore con Gisborne.
Quindi, con l'aiuto di Guy, Kaelee scrisse una lettera indirizzata ad
Aric in cui informava lui e il fratello maggiore riguardo l'esito delle
ultime vicende e la partenza sua, di Guy e di Fra Tuck alla volta del
villaggio d'origine.
Ricevuta la risposta, i quattro - Guy, Kaelee, Tuck e Rudyard - avevano
intrapreso il viaggio verso Edwinstowe.
Edwinstowe.
La scelta di Tuck come compagno di viaggio si era rivelata molto
più che giusta. Il frate era infatti il giusto mix di forza,
saggezza, pazienza e carisma necessario per tenere a bada le continue
schermaglie tra Rudyard e Kaelee.
Nonostante infatti Rudyard avesse platealmente perso la guerra che lui
stesso aveva dichiarato, non aveva perduto la voglia di provocare sua
sorella. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che muovere
insinuazioni sul conto di Gisborne raccontando a Kaelee tutti quei
particolari che i fratelli avevano omesso in passato nel raccontare le
imprese di
Robin Hood in presenza di lei. Neanche quando la ragazza era scoppiata
a ridere e gli aveva assicurato di essere al corrente di ogni cosa
riguardasse Guy Rudyard si era scoraggiato.
Appena Tuck si rendeva conto che Kaelee era sul punto di sguainare la
spada e Gisborne sull'orlo di una reazione violenta interveniva
prontamente mettendo a tacere Rudyard con quel modo di fare tutto suo
che sarebbe stato in grado di piegare anche il più ostinato
e
sciocco degli uomini. Quando si fermavano per una sosta andava anche
peggio perché le mani di Kaelee, non più
impegnate a
governare il cavallo, prudevano con maggior facilità e sia a
Tuck che a Gisborne sembrava che Rudyard non aspettasse altro. Del
resto non aveva più nulla da perdere ormai.
Solo quando finalmente intravidero il villaggio d'origine di fratello e
sorella entrambi si chiusero in un silenzio che tradiva l'enorme
confusione emozionale che provavano.
Rudyard era consapevole che sua madre non sarebbe stata contenta della
mancata riuscita dei piani; sapeva che la donna avrebbe incolpato lui
anche del mancato matrimonio con quel proprietario terriero ed era
consapevole che sarebbe toccato proprio a lui spiegargli
perché
l'accordo sarebbe saltato; immaginava che, venendo meno la fonte di
terreno e denaro, si sarebbe dovuto infine piegare al lavoro nei campi;
avrebbe dovuto affrontare anche Dwight il quale di sicuro lo avrebbe
tenuto strettamente d'occhio dal momento del ritorno a Edwinstowe fino
al passaggio a miglior vita; inoltre c'era Willard ad attenderlo
insieme a tutte le faccende che aveva lasciato in sospeso al villaggio.
Insieme a tanti pensieri negativi, però, c'era un pizzico di
contentezza nell'essere tornato a casa perché - anche se
è difficile da credere - Rudyard avrebbe rivisto la donna
della quale era invaghito.
Kaelee era preda di un feroce contrasto. Una parte di lei riusciva a
provare un briciolo di emozione nel rivedere i luoghi in cui era nata,
nel rimettere piede nella casa che l'aveva vista crescere, nella
possibilità di interagire con la propria famiglia da donna
libera. La parte restante invece era angosciata dal pensiero di
incontrare quella madre che troppe volte l'aveva ostacolata,
ingabbiata, condizionata, punita, trattata da stupida; quella stessa
donna che era quasi riuscita a venderla ad un uomo pur di ricavare del
denaro per sé.
Mentre ci rifletteva su le tornò in mente la storia di
Isabella,
sorella minore di Gisborne, venduta da suo fratello con le stesse
modalità adottate dalla madre di Kaelee. Chiuse gli occhi
per un
momento e provò a convincersi che anche sua madre aveva una
speranza di migliorare, ma più tentava di trovare una
giustificazione alle azioni di lei e più l'ipotesi di
perdonarla
si allontanava.
Una parte di lei era senza dubbio felice di rivedere Aric, fratello,
amico, complice e protettore; era contenta di poter salutare nuovamente
Dwight. Quella stessa parte prendeva in considerazione la
possibilità di visitare il villaggio insieme a Gisborne,
presentarlo a quelle poche amiche che aveva lì, presentargli
il
miglior amico di Aric - il giovane che aveva fatto da messaggero - e
magari portarlo nei luoghi per lei più significativi.
L'altra parte era preoccupata per la reazione dei genitori al momento
delle presentazioni. Non che le importasse davvero il loro parere: se
anche avessero sostenuto che una simile relazione era un'enorme
vergogna, Kaelee non avrebbe rinunciato a Gisborne. Però
l'ennesima disapprovazione, aggiunta a tutte le altre, sarebbe stata
un'ulteriore ferita da curare.
Nonostante fosse immersa a fondo nel caos di riflessioni non
poté non accorgersi di Gisborne al proprio fianco. Cavalcava
con
una tale grazia che guardarlo faceva quasi male, risultava
così
elegante vestito di nero da capo a piedi in sella al suo cavallo dal
candido manto che Kaelee, in confronto, si sentiva goffa e impacciata.
Quando le labbra di lui si distesero in un sorriso tutte le ansie della
ragazza impallidirono.
Ad attendere il loro arrivo dinanzi la porta d'ingresso c'era un
impaziente Aric. Da quando i fratelli di Kaelee avevano ricevuto la
missiva che annunciava una visita da parte di lei, Guy e Tuck, in casa
non c'era più stato un momento di pace. Lo sbraitare della
madre
che subito aveva messo in moto le rotelle maligne del suo ingegno era
stato troncato sul nascere così come le sue intenzioni di
trattenere con la forza la ragazza. La forza di chi poi? Willard ormai
si era arreso alla collaborazione con i fratelli e gli altri giovani
uomini che avevano abbracciato la causa di Dwight, precedentemente
appartenuta a Robin Hood in quel di Locksley; il padre invece era
sempre stato in cuor suo contento della fuga di sua figlia dalla vipera
che la donna era diventata nel tempo - l'uomo l'aveva sposata, infatti,
in parte anche per le buone qualità di moglie e donna di
casa
che aveva dimostrato di avere, ma poi qualcosa doveva essere andato
storto, un qualche evento doveva aver fatto esplodere quella vena di
cattiveria in lei mutandola radicalmente e inevitabilmente in un mostro
avido di denaro e senza più un briciolo di cuore -
perciò
non si sarebbe mai messo contro Kaelee ed era anzi sollevato
perché aveva la possibilità di
parlarle un'ultima volta separandosi così da lei in completa
pace.
Appena quattro cavalli furono ben visibili ai suoi occhi, Aric non ebbe
più alcun dubbio: Kaelee era tornata a casa.
Il ragazzo non si aspettava che lei si stabilisse infine proprio nel
luogo da
cui era scappata, ma sperava che avrebbe sostato a Edwinstowe per un
tempo non troppo breve. Nella peggiore delle sue ipotesi Aric aveva
voluto credere che sua sorella sarebbe rimasta per una settimana
perché la voglia di parlare con lei, condividere tutto
ciò che gli era accaduto nel frattempo e ritagliarsi quei
momenti che da sempre appartenevano solo a loro era troppa. Sapeva che
forse si era soltanto illuso, sapeva che con lei sarebbe arrivato
anche Gisborne - l'uomo di cui si era innamorata - e immaginava che i
due non si sarebbero separati facilmente dal momento che l'uomo non
conosceva nessuno nel villaggio a parte i familiari di Kaelee. Eppure
Aric sperava di avere sua sorella tutta per sé prima che
partisse di nuovo e definitivamente.
L'unica persona in quella casa che non aveva più alcuna
voglia
di rivedere Kaelee era sua madre che infatti non presenziò
all'arrivo del gruppo rinunciando anche ad accogliere il figlio
prediletto che aveva però fallito il compito assegnatogli
tradendo così la fiduca della donna.
Nonostante tutte le ansie e preoccupazioni, l'incontro con i parenti
andò bene e anche Gisborne e Fratello Tuck furono accolti
con
piacere.
Rudyard, invece, fu preso in custodia da Dwight e da quel momento in
poi Kaelee non lo vide più.
Il giorno seguente, mentre il maggiore dei fratelli informava i
presenti riguardo i
risultati ottenuti da quando Dwight e gli uomini del suo gruppo avevano
iniziato ad agire mossi dagli stessi ideali di Robin Hood, Aric non
riusciva a smettere di guardare sua sorella.
Pur trovandosi tutti nella medesima stanza, Aric e Kaelee erano
già alle prese con uno dei momenti tutti loro. Dopo tanti
anni trascorsi a sostenersi vicendevolmente, condividendo ogni
riflessione, paura, desiderio, esperienza, i due sapevano comunicare
anche senza il bisogno di esprimere ad alta voce un pensiero. Bastava
uno sguardo e tutto era chiaro come se fosse stato scritto nero su
bianco in bella grafia. Quel giorno, però, Aric era
particolarmente distratto.
Il cambiamento fisico di Kaelee - più evidente, in una prima
analisi, di quello
interiore - aveva subito colpito i familiari tant'è che suo
padre le aveva confidato in un sussurro che non l'avrebbe riconosciuta
se l'avesse incontrata per caso al Mercato. Anche Willard aveva
lasciato intendere di trovarsi sulla stessa linea di pensiero del padre
dichiarando che certamente se si fosse imbattuto in lei nella foresta
avrebbe preferito darsela a gambe ancor prima di tentare di
infastidirla nuovamente. Era un goffo modo per chiederle scusa.
Per quanto riguarda Dwight, invece, quando aveva visto arrivare Kaelee
si era sentito più che mai orgoglioso di avere una sorella
come lei. Non gliel'aveva detto, ma sapeva che in qualche modo lei
sarebbe riuscita a leggerglielo nello sguardo. Inoltre, nonostante il
radicale cambiamento estetico, apparve affascinante agli occhi del
fratello maggiore.
Kaelee, infatti, se da un lato mostrava muscoli sodi e scolpiti sotto
gli
abiti leggeri tutt'altro che femminili che indossava e aveva scelto di
portare
una capigliatura dall'aria mascolina che aveva trasformato le sue
morbide
onde in ampi ricci, dall'altro aveva acquisito una nuova luce capace di
incendiare il caramello dei suoi occhi rendendola più
femminile che mai, più donna e meno ragazzina. Senza che
Kaelee raccontasse nulla, Dwight comprese che qualcosa di molto intimo
doveva essere accaduto tra lei e Gisborne.
Tra un pensiero
inespresso e l'altro, mosso da pressante curiosità, Aric non
riuscì più a trattenersi
e
«Ma che hai combinato?», mormorò a voce
molto bassa per non
interrompere il resoconto di Dwight.
Kaelee lo guardò senza afferrare il senso della sua domanda,
concentrata invece sulla muta conversazione che con lui stava tenendo
più o meno a insaputa di tutti. Anche se Dwight e Willard
erano a conoscenza del particolare e intenso legame venutosi a creare
nel tempo tra Aric e Kaelee non era semplice per loro assistere agli
scambi intraducibili senza restarne un minimo sconvolti. Lo stesso
valeva per Gisborne il quale molto spesso gettava un'occhiata curiosa e
affascinata in direzione di fratello e sorella.
Perciò solo quando Aric indicò esplicitamente un
punto al di sopra
degli occhi di lei Kaelee trovò il nesso ricordando di
essersi accorciata i
capelli dopo essere stata rapita da Rudyard. Si era così
tanto abituata al nuovo taglio da non badare più alle
reazioni delle persone con le quali interagiva a Locksley o a
Nottingham. Sulle prime molti avevano creduto che avesse perduto il
senno per via della brutta esperienza, ma quando Kaelee aveva
dimostrato di essere la stessa persona che gli abitanti del villaggio
avevano conosciuto al suo arrivo si erano infine abituati alla
novità ed erano tornati a comportarsi come sempre.
Le più profonde ragioni che stavano dietro al cambio di look
Kaelee non le aveva condivise quasi con nessuno e pur ritenendo Aric
degno di conoscere tutta la verità in merito a quella
faccenda decise di
divertirsi un po' prima di confidarsi con lui come in passato.
«Questi?», domandò quindi arrotolandosi
un
corto boccolo attorno all'indice. «È stato
lui», sussurrò
indicando Gisborne con un'occhiata furtiva, «In
un duello-esercitazione», aggiunse con una serietà
che non
consentì ad Aric di mettere in dubbio le parole di sua
sorella.
Il giovane uomo sbiancò pensando alla lama che affondava
nella
gola di Kaelee anziché rovinarle soltanto la bella
capigliatura, la immaginò priva di un braccio o costretta
per un lungo periodo a non muoversi a causa di taglio quasi mortale.
Quando le apparve pallida ed esanime, immobile e con le palpebre
ostinatamente chiuse Aric preferì mettere un freno ai propri
pensieri.
Fissò lo sguardo sgranato in quello serio ma tranquillo -
come se non attribuisse il giusto peso all'accaduto -
della
ragazza prima di spostarlo su Gisborne e permettere alla rabbia di
accendergli gli occhi. Pur essendo immensamente grato a Gisborne per
aver insegnato a Kaelee l'arte della spada, non era disposto a
tollerare
che lei si facesse del male durante gli allenamenti. Ciò che
Aric non sapeva - o non prendeva in considerazione in quel particolare
momento - era che Gisborne stesso non si sarebbe mai perdonato se
avesse accidentalmente ferito Kaelee in modo grave nel corso di
un'esercitazione.
Aric strinse i pugni e fu ad un passo dal saltare in piedi e aggredire
verbalmente il possente uomo che gli stava quasi di fronte - assalirlo
fisicamente non sarebbe stata una buona idea neanche se Aric fosse
stato animato da furia cieca e omicida e Gisborne fosse stato ancora mezzo addormentato - quando si sentì
avvolgere le nocche dalle dita candide e sottili di sua sorella.
«Cosa vorresti fare?», gli domandò
aggrottando le sopracciglia.
Lui
quasi la incenerì. «Cosa ti aspetti che faccia?
Avrebbe
potuto decapitarti!», rispose tentando di mantenere un tono
di
voce basso sebbene avesse coomunque intenzione ormai di mandare a monte
il racconto di suo
fratello Dwight.
A quel punto tutti i presenti - Gisborne, Tuck, Dwight, Willard, il
giovane messaggero e il padre di Kaelee - si voltarono verso Aric con
occhi colmi di interrogativi mentre Kaelee tratteneva a stento l'aria
divertita che iniziava a dipingersi sul suo volto.
Gisborne, che ormai la conosceva abbastanza da ipotizzare che la
ragazza avesse messo al corrente suo fratello, senza mezzi termini, del
desiderio di vendetta di
cui era stata preda nell'ultimo periodo a causa di Rudyard e che avesse
condiviso con Aric anche i particolari del rapimento, sentì
di dover intervenire per rassicurare il minore tra i fratelli di
Kaelee. Non sarebbe mai riuscito a immaginare cosa era invece accaduto.
«Che succede?», domandò gentile,
accorgendosi in
ritardo dello sguardo iroso di Aric a lui rivolto.
«Che
le hai tranciato i capelli e non la gola per nostra grande
fortuna», borbottò il giovane abbassando lo
sguardo e
anticipando l'eventuale intervento Kaelee. Gli occhi troppo limpidi e
sinceri di Gisborne avevano destabilizzato perfino lui: era davvero
possibile che Gisborne - disposto a proteggere Kaelee da tutto e tutti
prima ancora del faccia a faccia con Rudyard - non provasse un minimo
di rimorso tutte le volte che guardava i capelli della ragazza?
«Cosa?», esclamò Gisborne con grande
sorpresa
e confusione.
Kaelee non fu più in grado di reggere la farsa e
scoppiò in
una sonora risata. Una di quelle risate che si infilano nei ripostigli
e nei cassetti, che rimbalzano sulle pareti e si intrecciano alla trama
delle tende. Una di quelle risate che di rado avevano animato quella
casa e deliziato quella famiglia.
Aric si sentì un idiota quando Kaelee rivelò lo
scherzo e
raccontò di esserseli tagliati da sola i capelli senza alcun
rischio per la sua stessa incolumità.
Dopo alcuni giorni che Kaelee, Gisborne e Tuck si trovavano a
Edwinstowe il frate chiese che gli venisse indicata la Chiesa
più vicina sentendo lui l'esigenza di pregare e ringraziare
Dio
per averli condotti sani e salvi a destinazione. Kaelee colse quindi
l'occasione per accompagnare Tuck, insieme a Guy, nella Chiesa del
villaggio e di mostrare poi all'uomo che amava alcuni dei piccoli posti
che l'avevano ospitata nei momenti più intimi della
propria esistenza.
Fianco a fianco, accompagnati da chiacchiere leggere come l'aria, Guy e
Kaelee fecero il giro del villaggio prima di imboccare un sentiero che
conduceva al di fuori dello stesso, verso luoghi non abitati dall'uomo.
Tra i percorsi che molte volte aveva intrapreso a cavallo, le
piccole radure sparse qua e là nei dintorni, il vecchio
capanno
abbandonato in cui si rifugiava con Aric quando era bambina e a casa
scoppiava l'inferno, il Grande Albero delle
Promesse sotto i cui rami i giovani amanti si giuravano amore eterno e
il ruscello che tante volte le aveva dato sollievo dalle angosce che
pativa, Kaelee scelse di portare Gisborne là dove tante
volte
aveva lei stessa sognato di trovarsi insieme all'uomo con cui avrebbe
condiviso la vita intera.
Null'altro che lo scricchiolare delle foglie sotto i loro passi
accompagnava ora l'incedere lento e sereno. Nessuno dei due aveva la
necessità di parlare sentendosi a proprio agio nel
rilassato silenzio di chi sa godere dell'altrui compagnia anche in
assenza di un dialogo.
Lontani da occhi indiscreti, Kaelee intrecciò
timidamente le
dita a quelle di Gisborne il quale ricambiò con gioia,
sorridendo deliziosamente. La curiosità non gli mancava, ma
preferì non chiedere a Kaelee dove stessero andando
ritenendo
che forse lei voleva sorprenderlo o rivelarglielo al momento
più
opportuno.
Come sempre accadeva quando Kaelee era con lui il cuore le danzava
sfrenato nel petto aumentando il ritmo ad ogni contatto, anche
casuale. Fu improvvisamente assalita dal dubbio che la destinazione
scelta fosse troppo scontata o sciocca vista la situazione: del resto
erano a Edwinstowe per via di Rudyard e non per una piacevole visita.
Però era anche vero che in parte il soggiorno al villaggio
era
un modo per riconciliarsi con il proprio passato e abbracciare il
futuro; un futuro che coincideva esattamente con il nome di Guy di
Gisborne. Al solito il caos di pensieri rischiava di mettere sottosopra
mente e cuore di Kaelee che senza rendersene conto rallentò
il
passo fin quasi a fermarsi.
Gisborne intanto si godeva il paesaggio e la meravigliosa sensazione
della mano di lei nella propria pensando a quanto gli erano mancate le
piccole ma preziose effusioni che quotidianamente scambiava
con
Kaelee e a cui aveva dovuto forzatamente rinunciare durante il viaggio
da Locksley a Edwinstowe a causa sia della necessità di
tenere
alta l'attenzione su Rudyard e sia della presenza costante di
quest'ultimo e di Tuck. Anche se chi l'aveva conosciuto prima che si
affiliasse al clan di Robin non avrebbe mai creduto che in
Gisborne albergasse pudore, restava il fatto che il più
delle
volte evitava di sbilanciarsi troppo in pubblico con Kaelee preferendo
l'intimità di un luogo appartato o di un'abitazione sicura.
Con
le piacevoli sensazioni del ritrovato contatto a popolargli i pensieri
Gisborne interpretò il rallentare della ragazza come il
preambolo di una sosta o forse del raggiungimento della meta, qualunque
essa fosse. Guardandosi attorno non vide altro che alberi tutti simili
tra loro, ma anziché chiedere spiegazioni a Kaelee l'uomo la
costrinse delicatamente contro uno dei tronchi e premette d'istinto le
labbra su
quelle di lei.
L'inatteso bacio soffiò via la confusione dalla mente di
Kaelee,
così che per qualche istante la voce dei pensieri tacesse
lasciando spazio esclusivamente a quelle emozioni che le svelarono la
semplice verità: se aveva scelto il Grande Albero delle
Promesse
era perché Gisborne, indipendentemente dalle sciocche
tradizioni
popolari di un villaggio inglese, era l'uomo che nei suoi sogni di
ragazzina la guardava con amore e le si dichiarava con dolcezza, l'uomo
che prendendola per mano la conduceva verso un'abitazione piccola e
bellissima. Nel
profondo del suo cuore Kaelee lo sapeva e voleva condividere quella
consapevolezza con lui. Ricambiò quindi il bacio ammettendo
finalmente a se stessa che il persistente nervosismo durante il viaggio
di andata era anche in parte dovuto all'impossibilità di
accoccolarsi tra le braccia di Guy e lì trovare la cura ad
ogni
malessere. Ora che poteva concedersi un momento di intimità
avrebbe voluto affondare le dita in ogni centimetro di pelle,
attorcigliarle ad ogni ciocca dei capelli corvini, usarle per privarlo
di ogni indumento.
Ma non lo fece. Non ancora.
«Guy...»,
sussurrò richiamando la sua attenzione mentre lui riprendeva
fiato spostandosi dalle labbra al collo di lei.
«Mh?», fu la sintetica risposta
dell'uomo per nulla intenzionato a fermarsi.
Con dolcezza, intenerita e al contempo eccitata dall'atteggiamento di
Gisborne, Kaelee posò una mano sul viso di lui esercitando
una
leggera pressione che
lo convinse ad ascoltarla.
«Non
è mia intenzione interromperti»,
mormorò
accompagnando le parole con un sorriso vagamente malizioso.
«Ma vorrei che vedessi una cosa prima».
Con
ogni probabilità il vecchio Gisborne non avrebbe approvato
quell'interruzione prendendo in men che non si dica provvedimenti
affatto delicati. Il nuovo Gisborne, invece, aveva lo sguardo acceso
di viva curiosità quando Kaelee terminò di
parlare. Un
tempo, se al posto di Kaelee ci fosse stata un'altra donna, Gisborne
avrebbe
preso il gesto come un rifiuto e si sarebbe infuriato al punto da
costringere la malcapitata ad assecondare i propri desideri. Ma era un
momento della sua vita che appariva così sfocato ormai,
tanto
era lontano, da dare all'uomo la sensazione che simili reazioni non
potessero essergli mai appartenute. Invece negli angolini
più
remoti della sua coscienza albergava la consapevolezza di
tutte le
paure che, sommate, avevano innalzato la facciata da duro, spietato e
senza cuore. Quella paura di essere respinto, di non essere tenuto in
considerazione, di essere solo, di non avere i mezzi necessari a farsi
largo tra la gente e sopravvivere ad una vita che gli aveva tolto la
famiglia e lasciato una sorella poco più piccola della quale
occuparsi, la paura di essere per sempre il figlio del lebbroso e della
donna che aveva avuto una relazione clandestina con il padre di Robin
Hood. Per troppo tempo si era lasciato governare da un così
subdolo sentimento, così da quando in lui era scattata la
molla
del cambiamento aveva scelto di abbandonarlo. Davanti
a lui, adesso, ancora tra le sue braccia, non c'era una donna che lo
avrebbe allontanato provando disgusto per i suoi modi di fare, ma la
donna che aveva accettato di
sposarlo nonostante non le avesse ancora regalato un anello, la
donna che lo amava a prescindere dai fantasmi del suo passato e dalle
cicatrici visibili e non.
Rubò un ultimo bacio a Kaelee prima di prenderle nuovamente
la
mano e condividere con lei la voglia di scoprire cosa lo aspettasse.
La giovane donna lo ringraziò per la pazienza e gli disse di
portarne ancora per un po'. Quindi si incamminò guidandolo
nell'ultima parte di tragitto.
L'atmosfera e i colori ricordavano la Sherwood di Locksley, ma la
Natura che si estendeva oltre i confini di Edwinstowe non possedeva la
stessa magia. Agli occhi di Kaelee alberi e cespugli, muschio e piccoli
animali erano come spenti in confronto alla meravigliosa luce che
illuminava Sherwood. Soffermandosi a riflettere Kaelee era riuscita ad
arrivare alla conclusione che la sua visione d'insieme dipendesse molto
dal
vissuto e dai ricordi che la legavano all'uno e all'altro luogo. In
effetti nel villaggio di Edwinstowe e nei dintorni Kaelee aveva
maturato sostanzialmente esperienze negative, di costrizione e
violenza, di privazioni e tristezza mentre a Locksley e Sherwood erano
legati la svolta, la crescita personale, l'indipendenza e l'amore -
tutte sensazioni positive. Pensò che magari più
tardi
avrebbe potuto confrontarsi con Gisborne in merito. Quando
però
i due raggiunsero il Grande Albero delle Promesse, Kaelee dovette
ritrattare le proprie convinzioni: quel piccolo angolo di mondo
risplendeva e rassicurava quasi irradiasse serenità da ogni
singola foglia, radice, bacca.
Il Grande Albero delle Promesse sorgeva immenso e immutato al centro di
una radura circolare che descriveva un perimetro quasi pari
all'ampiezza dei rami più lunghi di quell'albero.
Kaelee non aveva idea di che tipo di albero si trattasse, né
sapeva quanto antica fosse l'abitudine degli innamorati di recarsi
proprio in quel punto, ma le piaceva credere in quella che forse era
soltanto una leggenda o l'augurio scaramantico per un'esistenza felice.
Prendendo un lungo e profondo respiro la ragazza si fermò a
una
decina di passi dall'albero e guardò Gisborne dritto negli
occhi
con espressione seria e decisa. La consueta confusione che
caratterizzava sempre momenti di grande importanza emotiva era del
tutto assente, rimpiazzata da una chiarezza disarmante. Se fino a pochi
attimi prima Kaelee non aveva idea di cosa avrebbe detto e come, appena
il Grande Albero era entrato nel suo campo visivo non aveva avuto
più alcun dubbio.
Con delicatezza pretese entrambe le mani dell'uomo per stringerle nelle
proprie.
«Se
vorrai ascoltarmi intendo raccontarti una storia»,
sussurrò. La voce era ferma ma non priva di emozione; gli
occhi
già lievemente lucidi.
Gisborne
rimase colpito tanto dall'enorme esemplare che si erigeva imponente a
pochi passi da lui, quanto da come Kaelee appariva diversa in quel
frangente. Più donna.
«Volentieri», le rispose rivolgendole un timido
sorriso.
Alcuni secondi si
interposero tra le due voci, come una veloce pausa tra due atti di
un'opera.
«Avevo
dodici anni quando sono capitata in questo posto per la prima volta.
Resa cieca dalle lacrime, risultato dell'ultima strigliata di una lunga
serie, non avevo badato al sentiero da seguire, affidandomi
esclusivamente all'istinto di fuggire il più lontano
possibile
da mia madre». Kaelee iniziò a raccontare con
calma,
fermandosi e lasciando a Gisborne il tempo di assorbire le
informazioni, di calarsi nella storia.
Kaelee non aveva mai condiviso con nessuno quel ricordo, neanche con
suo fratello Aric, perché un po' si sentiva sciocca a
sognare il
grande amore dichiarato all'ombra di un gigantesco albero. Eppure otto
anni più tardi era proprio lì in compagnia
dell'uomo che
amava, pronta ad augurare eterna vita a quell'unione.
«Mi
fermai più o meno laggiù, mezza nascosta tra i
cespugli.
Non sono alta adesso, immagina com'ero otto anni fa»,
ironizzò indicando con la propria mano e quella di Guy un
punto
non lontano da loro. «Al nostro posto c'era una giovane
coppia. Le mani giunte e
gli
sguardi incatenati. Non riuscii a sentire cosa si dicevano ma dovevano
di certo essere parole pregne di sentimento. Ricordo che i due si
abbracciarono a lungo prima di scambiarsi un bacio commosso».
Kaelee proseguì raccontando della sua confusione in merito a
gesti che non era riuscita a comprendere appieno; rivelò di
essersi chiesta se era stato un caso che l'incontro fosse avvenuto
proprio sotto quel grande albero e infine condivise la storia di quel
luogo così come le era stata raccontata qualche tempo dopo
la scoperta. «Tradizione vuole che un uomo e
una donna si incontrarono qui
per
caso un giorno di un'epoca senza tempo. Ognuno in cerca di qualcosa che
desse il giusto valore
all'esistenza toccatagli in sorte, aveva infine scelto di
abbandonare tutto andando così in contro al proprio destino,
qualunque esso fosse. Si narra che i loro occhi non riuscirono
più a smettere di cercarsi da quel primo incontro e fu
così che decisero di condividere lo spazio sottostante
questo prezioso
dono di Madre Terra. All'interno e nei dintorni della piccola radura
avevano tutto ciò di cui necessitavano: bacche per nutrirsi,
foglie e cespugli per un giaciglio, una piccola fonte da cui attingere
acqua per dissetarsi e rinfrescarsi, un posto all'ombra durante le ore
più calde e una buona compagnia per condividere riflessioni
di
ogni sorta. Nessuno seppe di loro finché un giorno la donna
si
ammalò gravemente. L'uomo tentò di applicare le
proprie
conoscenze di guaritore, ma la donna non migliorava.
Così, disperato, decise di correre in cerca di una
comunità di persone che potesse aiutarlo e si
congedò
dalla donna pregandola di attendere il suo ritorno. In cambio le
promise che l'avrebbe seguita anche se avessero dovuto abbandonare
quell'oasi di pace. Quando l'uomo giunse nel villaggio più
vicino aveva l'aspetto di un rozzo selvaggio avendo vissuto parte della
propria esistenza a curare l'anima anziché l'aspetto
esteriore e
per questo motivo molte porte gli vennero sbattute in faccia. Soltanto
dopo un lungo vagare egli riuscì a trovare una persona buona
disposta ad ascoltarlo. Era però troppo tardi ormai. Si
racconta che il dolore della perdita fu
così insopportabile che l'uomo non poté far altro
che
urlarlo alla Natura per ore intere stringendo al petto il corpo esanime
della donna. Poi, quando non ebbe più lacrime da versare
volse
gli occhi ai folti rami di questo albero, rinnovò e mantenne
la
promessa fatta prima di recarsi al villaggio: sotto gli occhi increduli
del buon soccorritore quell'uomo si privò della vita tornata
ad
essere inutile senza la donna che capì di aver amato dal
primo
momento. Da quel giorno, come sostiene la leggenda, questo ampio tronco
viene chiamato Grande Albero delle Promesse», concluse Kaelee
con
un lieve sospiro.
Nello sguardo terso di Gisborne fluttuavano meraviglia e tristezza
mentre stringeva tra le proprie le mani della giovane donna, incapace
di dire alcunché.
Dopo una breve pausa Kaelee riprese a parlare.
«Molte volte ho sognato questo momento trovando spesso
conforto
in questa immagine, trovandovi la ragione per andare avanti nonostante
le difficoltà e la sofferenza»,
sussurrò. La voce
adesso vacillava a tratti. Si morse il labbro inferiore e si costrinse
a non distogliere lo sguardo da quello di Gisborne.
Gli occhi di lui si fecero più luminosi.
«E adesso... Eccomi qui», disse sorridendo,
«In
compagnia dell'uomo che amo, al cospetto del Grande Albero. Il mio
cuore ti appartiene, Guy, e ho già accettato di unirmi a te
in
matrimonio davanti a Dio, ma voglio ugualmente farti una promessa. Qui
non ti prometterò di esserci se verrai privato della tua
salute
o se perderai i tuoi averi, non ti prometterò di lottare
sempre
affinché il nostro sentimento si perpetui nel tempo in
virtù di un'unione voluta da Dio. Ti prometto invece di
lasciarti
libero di andare se questo sarà ciò che vorrai,
perché ti amo così tanto da aver perso l'egoismo
insito
in ognuno di noi. Ti amo così tanto che pur di vederti
felice mi
farei da parte se necessario. E c'è un'altra cosa che voglio
prometterti qui e ora», soffiò con la voce rotta
dall'intensità dell'emozione.
«Kaelee...», mormorò Gisborne intuendo
la direzione dei pensieri di lei. «No...». Fu un
sussurro leggero.
«Prometto di seguirti sempre, ovunque, comunque
vada».
Sebbene potesse sembrare una contraddizione non lo era affatto.
Gisborne
scosse con decisione il capo e la cercò per un bacio che
sapeva
di disperazione, di rifiuto verso una promessa così assurda.
Non sarebbe mai riuscito a convivere con quella consapevolezza, non
avrebbe mai accettato neanche l'ipotesi che Kaelee si uccidesse dopo la
propria morte per cause naturali o accidentali. Non avrebbe mai
desiderato nulla di simile per lei.
Al contempo, però, un altro pensiero in controtendenza si
affacciò alla sua mente
e Guy capì che non poteva avercela con Kaelee per quanto
aveva
detto: lui stesso non avrebbe avuto la forza di sopravviverle.
Kaelee non lo allontanò. Si sollevò sulle punte e
gli avvolse braccia attorno al collo, lasciò che i loro
corpi
entrassero in contatto e si accendessero di conseguenza, non
ostacolò la lingua di Gisborne che chiedeva accesso alla
propria e non si scompose quando le sue mani scesero pericolosamente
oltre la schiena.
«Mi
impegno nel tentativo perpetuo di dissuaderti»,
ansimò Gisborne sulle labbra di lei senza interrompere quel
bacio. «E mi impegno in una promessa identica alla
tua»,
aggiunse.
L'invadenza della
lingua di lui impedì a Kaelee non solo di rispondere ma
perfino di pensare a qualsiasi cosa non fosse la stretta di Gisborne
sulle sue natiche, il suo respiro sul volto, lo strusciare dei loro
abiti più ingombranti che mai in quel momento, il lieve
tintinnio metallico delle armi che si scontravano insieme a loro.
Di nuovo intrappolata tra l'imponenza di Gisborne e un tronco
altrettanto maestoso, stavolta non si oppose all'incendio che a breve
sarebbe divampato. La mancanza di lui che aveva provato durante i
giorni dedicati al viaggio cedeva il passo alla sensazione di interezza
di cui Kaelee si permeava ad ogni bacio, carezza, unione. Dopo la prima
ce
n'erano state altre di pari intensità e più volte
accadeva, più la giovane donna si rendeva conto che - come
per tutte le altre effusioni- non se ne sarebbe mai stancata. Era
più che certa di poter trascorrere un decennio intero in
costante compagnia di Gisborne senza provare noia, senza perdere il
sorriso, senza avere l'imbarazzo di non sapere come riempire una
giornata. Gisborne era un uomo intelligente, stimolante, un ottimo
combattente, un uomo ormai aperto al confronto e incline al dialogo,
paziente e coinvolgente oltre che bello in un modo assurdo e attraente
come nessun altro al mondo. La sua sola presenza bastava a disordinarle
i pensieri, a far sbocciare spudorati desideri in lei. Appetiti che
sempre più spesso venivano soddisfatti.
Kaelee abbandonò le spalle di Gisborne soltanto per
slacciarsi il corpetto e privarsi della sottostante blusa chiara.
«Adesso?»,
le domandò Gisborne in un soffio appena udibile.
«Adesso»,
confermò lei.
Privarsi degli abiti
sembrava loro sempre un'impresa più complicata di quanto non
fosse in realtà, trasportati com'erano dalla voglia di
appartenersi immediatamente e senza alcuna barriera.
Gisborne aveva quasi completamente perso l'abitudine di tenere vigile
una parte della propria mente affidandole il compito di campanello
d'allarme: non c'era più nulla da temere. Sapeva bene che
Kaelee non nutriva alcun dubbio sul sentimento che li legava l'uno
all'altra, sapeva che se anche un giorno l'avesse rifiutato
non sarebbe mai stato per mancanza d'amore o ripugnanza nei suoi
confronti. Sapeva anche che un giorno avrebbe costruito una famiglia
con quella donna, ma non subito.
«Adesso»,
ripeté.
Nella mente di
Kaelee quella voce profonda diede vita a scenari caldissimi che le
sembrava di aver già vissuto o forse soltanto immaginato.
Mentre il corpetto finalmente si arrendeva, la donna si rese conto che
Gisborne si era già privato della blusa. Con un gesto svelto
ma non privo di sensualità aggiunse l'indumento di lei al
proprio ed entrambi finirono a terra, uno vicino all'altro. Lo stesso
accadde per il resto degli abiti che fecero da sottile giaciglio per il
loro amore sugellando così il voto fatto dinanzi al Grande
Albero delle Promesse.
N.d.A.
La stesura dei singoli capitoli sta richiedendo più tempo
del
previsto e sono costretta ad aggiornare con notevole ritardo rispetto
ai precedenti, come chi mi legge da tempo si sarà certamente
accorto. Non intendo però sospendere la storia in attesa di
avere momenti più lunghi da dedicarle, perciò
anche se a
rilento aggiornerò fino alla conclusione.
Vi ringrazio con molto affetto per la pazienza che avete dimostrato e
spero di ricompensarla presto con un nuovo capitolo.
Alla prossima!
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Capitolo 20 *** Lord Much il Difensore ***
Venti
Lord
Much il Difensore
Bonchurch.
Come
si era ripromesso di fare, risolta la questione con Rudyard Much aveva
deciso di recarsi nella tenuta a lui destinata insieme al titolo di
Lord.
Nella mente i ricordi del giorno in cui il suo amico e padrone Robin lo
aveva messo a conoscenza della sua situazione con Lady Marian. Mentre
l'intera banda collaborava con Gisborne al fine di ritrovare lo
Sceriffo di Nottingham prima che il funzionario del Principe Giovanni
mettesse a ferro e fuoco l'intera Contea, Robin aveva raccontato a Much
della proposta di matrimonio fatta a Marian e di come lei avesse
accettato a patto che prima il Re tornasse in patria e sistemasse ogni
cosa.
Much ricordava di essersi sentito come spaesato, perso per via di
quella novità che se da una parte lo rendeva felice
assicurando
a Robin una vita serena al Maniero, dall'altra lo destabilizzava tanto
da indurlo a preoccuparsi per se stesso: che fine avrebbe fatto lui,
servo fedele, nel momento in cui Robin avesse messo su famiglia e si
fosse riappropriato del Maniero? Dove sarebbe andato? E con chi?
A distanza di tempo quelle paure si erano rivelate del tutto infondate
e Much aveva capito il reale valore dell'affetto che lo legava a Robin.
Poteva sorriderne adesso.
Aveva preferito visitare la tenuta da solo la prima volta da
quell'unica
in cui ci aveva abitato e per convincere Kate che sarebbe stato meglio
se
lei fosse rimasta a Locklsey si era giustificato nascondendosi dietro
l'incertezza riguardo le condizioni dell'abitazione. In
parte era vero che Much nulla sapeva dell'eventuale manutenzione da
fare alla struttura, ma di certo non se ne sarebbe preoccupato se a
metterlo in agitazione non ci fosse stata la reale
possibilità di
incontrare Eve. Pur essendo più che mai sicuro dei
sentimenti
che provava nei confronti di Kate e non volendo per nessuna ragione al
mondo rischiare di perderla, Much non aveva dimenticato la promessa
fatta tempo prima alla donna che si era spacciata per una semplice
domestica e che invece aveva inizialmente fatto la spia per conto di
Vaisey
salvo poi capire di non essere disposta a lavorare per un uomo
spregevole come lui; la donna per la quale Much aveva provato un
sentimento che andava oltre l'affetto e che forse, se coltivato, si
sarebbe tramutato in vero amore.
Probabilmente Much non l'avrebbe mai ammesso a se stesso, ma tutti i
suoi traguardi in quella vita avevano a che fare con l'amore. Suo
desiderio di sempre era avere qualcuno al proprio fianco che lo
apprezzasse per ciò che
era e che volesse costruire con lui una famiglia, che gli desse dei
figli. Sin da ragazzino si immaginava nei panni di rispettato
capofamiglia proprietario di una modesta ma bella abitazione con
annesso un piccolo fazzoletto di terra, lavoratore onesto, marito
fedele e modello di dignità per i suoi bambini. Poco
importava
che non sapesse leggere: con il sudore della propria fronte avrebbe
garantito un futuro diverso alla prole. La vita aveva
preso una piega diversa nel corso del tempo allontanandolo bruscamente
da quei
sogni di fanciullo, ma non tutto era perduto. Era un po' come se
anziché seguire la strada maestra o imboccare un'astuta
scorciatoia Much fosse incappato in un percorso colmo di pericoli,
tortuoso, che lo avrebbe ricondotto sulla via principale solo in
seguito ad un lungo periodo di incerto vagare.
Il Much che la vita aveva restituito dopo l'esperienza maturata al
fianco di Robin Hood era di certo diverso dal giovane uomo che aveva
sognato un'esistenza dorata nella sua semplicità; diverso,
sì, ma non più superficiale né meno
buono.
Much aveva promesso ad Eve che sarebbe tornato a Bonchurch quando anche
la giustizia fosse tornata a regnare nella Contea di Nottingham.
Quel sogno di libertà che aveva animato lo spirito di Robin
Hood
e dei suoi affiliati si era infine realizzato con la morte dello
Sceriffo e dei suoi scagnozzi, con il ritorno di Re Riccardo e con il
freno imposto al Principe Giovanni restituendo a Nottingham e dintorni
una luce che si credeva ormai perduta per sempre. Conseguenza
più o meno diretta di questi eventi era la tanto agognata
svolta
nella vita di Much il quale infine, come promesso, stava per tornare
proprio a Bonchurch per insediarsi esattamente lì dove aveva
conosciuto Eve.
Da quando aveva ricevuto la notizia l'uomo non riusciva a smettere di
pensarci non sapendo bene come affrontare al meglio la situazione, in
che modo porsi con Kate e con Eve.
Ricordava di aver baciato quest'ultima nell'assicurarle che si
sarebbero rivisti in circostanze molto migliori.
E anche questa non era una bugia se non per il fatto che non avrebbe
più potuto riservarle quel gesto perché il suo
cuore,
adesso, batteva esclusivamente per Kate.
Ormai fin troppo vicino al villaggio che avrebbe ospitato lui e Kate
fino alla fine dei loro giorni, Much scese da cavallo e si
avviò verso la tenuta a
passo veloce e nervoso ma con un incontenibile sorriso che gli
illuminava il volto.
Foresta di Sherwood.
L'assenza di Rudyard nella vita di Guy e Kaelee non aveva indotto i due
a cullarsi nel rinnovato clima di serenità che aleggiava non
solo sulla coppia, ma anche su Locksley e Nottingham.
Tutti i componenti della vecchia banda, pur tornando alle rispettive
attività che contribuivano al sostentamento del piccolo
villaggio e ad un personale senso di soddisfazione ed equilibrio, non
avevano smesso
di pianificare, organizzarsi e allenarsi, in linea con la
necessità - espressa diverse volte e in svariate occasioni
da
Robin - di non farsi cogliere impreparati nel caso in cui
malauguratamente qualcosa fosse nuovamente andato storto. Little John,
ad esempio, si
era infine convinto a prendere sotto la propria ala tutti i giovani -
molti dei quali provenienti dall'orfanotrofio di cui l'uomo si occupava
ora insieme anche ad una felicissima Alice - che fallivano con l'arco e
con la spada;
John non era certo della reale incapacità dei ragazzi e
sospettava che sbagliassero di proposito per passare più
tempo
in sua compagnia e a lui, tutto sommato, andava più che
bene.
Inoltre, da qualche tempo, anche alcune vecchie conoscenze della banda
avevano chiesto ed ottenuto il permesso di prendere parte alle lezioni.
Si trattava dei ragazzini che, giocando a "Robin Hood", erano stati
rapiti da Gisborne, salvati dai veri fuorilegge ed elevati alla carica
di membri onorari della banda. Tuck - che come principale impiego aveva
la vocazione di curare anime -
era tornato a condividere e ottimizzare le tecniche agricole ideali per
il tipo di terreno con cui lui e gli abitanti di Locksley avevano a che
fare. Archer, oltre ad insegnare i segreti che aveva appreso durante i
suoi spostamenti, era maestro di seduzione per i più
giovani;
continuava ad essere il braccio destro di suo fratello Robin e non
mancava mai di ritagliarsi del tempo da trascorrere in compagnia di
Nettie. I due sembravano fare davvero sul serio. Allan, invece, dopo le
ultime vicende aveva deciso di portare
in circolazione i manufatti di Locksley nei Mercati della Contea - cosa
che lo distraeva da Kaelee, dai suoi sentimenti per lei e da Gisborne
con il quale avrebbe fatto volentieri a pugni vista
l'instabilità
emotiva in cui viveva; diverse volte aveva immaginato un ipotetico
duello decisivo in cui il meritevole vincitore avrebbe definitivamente
ottenuto l'ambito premio: Kaelee; quando tornava lucido,
però,
si rendeva conto che a Kaelee non avrebbe fatto per nulla piacere
essere considerata un "premio" e che probabilmente sarebbe stata lei
stessa a dargli una lezione prima ancora di dare inizio al duello. In
tutto ciò, per nulla solo ma molto
spesso travolto da ondate di malinconia, Robin faceva il possibile per
apprezzare
il dono che la Natura e Dio gli avevano fatto e che aveva perso gran
parte del suo senso con la scomparsa di Lady Marian. L'unica ragione
che gli permetteva davvero di andare avanti era la causa per cui aveva
combattuto e combatteva ancora: la presenza di Riccardo Cuor
di
Leone sul trono d'Inghilterra non bastava, da sola, a garantire la pace
in ogni Contea. A sostenerlo
c'erano, come sempre, gli amici e tutte le persone a cui lui negli anni
aveva fatto del bene e che gli portavano gran rispetto. Tra questi uno
in particolare aveva deciso di tornare a Locksley dopo aver smaltito il
dolore per la perdita di suo padre, fatto uccidere dallo Sceriffo. Si
trattava di Luke Scarlett, fratello di Will, il quale rimasto ormai
solo si era recato presso le uniche persone di cui sapeva di potersi
fidare ricevendo infatti il più caloroso dei benvenuti.
Anche Kaelee e Gisborne avevano lentamente ripreso le vecchie abitudini
tornando ad esercitarsi nell'accogliente Foresta di Sherwood. Come
accadeva già da un po' di tempo, i due inscenavano duelli in
piena regola alla cui base c'era fiducia reciproca: la lama spesso
sfiorava la
pelle dell'avversario minacciando gli organi vitali, ma mai la lacerava
affondando nella carne, ferendo, mordendo come sarebbe
accaduto in presenza di un vero nemico. Non per niente l'impresa
risultava tutt'altro che semplice. Nessuno dei due infatti dosava più forza
e
abilità, così spesso Guy e Kaelee si trovavano
impegnati
in duelli estenuanti che si protraevano per un arco di tempo piuttosto
ampio.
Lui, capace di scatti incredibilmente veloci, osservava e studiava ogni
minuscolo movimento dell'avversario basando gran parte della propria
tecnica sulla concentrazione e il resto sulla forza fisica che lo
rendeva una macchina da guerra quasi inarrestabile. Nella banda di
Robin esisteva un uomo soltanto in grado di atterrare Gisborne in uno
scontro corpo a corpo ed era una rara eccezione, il che stava a
significare che Gisborne era per la maggioranza dei suoi nemici una
minaccia concreta tanto se armato di spada quanto se disarmato. Se non
era coinvolto in una lotta
improvvisa Guy difficilmente attaccava in tempi brevi - in parte per la
necessità di trovare i punti deboli del nemico e in parte
per
indurlo a stancarsi - ma quando
decideva di farlo non c'era scampo per la controparte. I suoi affondi
erano micidiali e andavano sempre a segno con l'enorme forza consentita
dai muscoli allenati.
Lei, che alla pratica aveva ormai aggiunto molte nozioni teoriche e
aveva imparato a conoscere il proprio corpo,
poneva invece al centro dello scontro leggerezza e resistenza. La
seconda
l'aveva acquisita nel corso degli allenamenti con Gisborne e, combinata
alla prima caratteristica, si rivelava letale per ogni avversario. La
fisicità di Kaelee era l'arma a doppio taglio che le offriva
un
generosissimo vantaggio su un nemico superficiale il quale, vedendola
così minuta, tendeva a prenderla sottogamba. Il fatto, poi,
che
fosse una donna la rendeva ancor più vulnerabile agli occhi
di
quegli sciocchi uomini che non sapevano affatto chi avevano davanti.
Più Gisborne la guardava, più gli sembrava di
vederla
volare a pochi centimetri dal morbido pavimento della foresta.
Conoscevano alla perfezione punti deboli e di forza l'uno dell'altra,
eppure ogni duello era un capitolo a sé stante. Niente era
mai
scontato se entrambi mettevano tutte le loro risorse in gioco lasciando
da parte il sentimento che li legava.
Per Kaelee non era affatto semplice separarsi dalla parte di lei che
amava quell'uomo armato di spada. L'uomo al quale era promessa, al
quale aveva donato cuore e anima. Uomo che era anche un combattente, un
ex affiliato ai terribili Cavalieri Neri del Principe Giovanni. Un uomo
che aveva ucciso in passato e che avrebbe ancora ucciso se si fosse
rivelato necessario. Quella parte di lei anziché temere il
lato
oscuro di Gisborne lo trovava perfino affascinante ed era questa la
principale ragione per cui le risultava difficoltoso estraniarsi da se
stessa e calarsi nei panni della spadaccina. Sapeva, però,
che
per rendere funzionali ed efficaci le esercitazioni era necessario
compiere quello sforzo.
Lo sguardo di lui appariva glaciale in quei duelli simulati.
Quello di Kaelee si discostava nettamente dal caramello fuso a cui
Gisborne era avvezzo, divenendo più simile ad un'ipnotica
pietra
dura difficile da ignorare.
Solo a quel punto la danza poteva iniziare.
Occhi negli occhi, presa ferrea attorno all'elsa.
Chiunque avesse avuto il piacere di osservarli sarebbe rimasto colpito
dalla magia del duello che grazie all'atmosfera e ai colori di
Sherwoord assumeva toni surreali.
Quel giorno Kaelee decise di non dare tempo al proprio avversario di
anticipare le sue mosse e senza preavviso sorprese Gisborne con un
velocissimo fendente. D'istinto lui contrattaccò senza
andare a
segno: Kaelee si era già spostata lateralmente.
La parte di Gisborne affettivamente coinvolta si compiaceva tutte le
volte che Kaelee riusciva a spiazzarlo o a sfuggirgli.
Ruotando su se stesso con la spada tesa Gisborne avrebbe tagliato la
testa a Kaelee se lei non si fosse prontamente piegata sulle ginocchia.
Così come la ferita inferta al polpaccio di Gisborne, se non
avesse cambiato posizione per tempo, gli avrebbe impedito di restare in
piedi e difendersi.
Per quanto fosse oggettivamente pericoloso, più pericoloso
che
tirare con l'arco contro uno spaventapasseri, Guy e Kaelee facevano sul
serio.
Bonchurch.
Quando Lord Much si avvicinò alla tenuta che gli era stata
destinata non ebbe neanche il tempo di lasciar esplodere
definitivamente la gioia per il conquistato futuro che venne accolto
con festosità dagli abitanti del piccolo villaggio. Sembrava
proprio che la voce si fosse sparsa a gran velocità e che
tutti
non aspettassero altro di conoscere il nobile uomo che si sarebbe
trasferito nella bella tenuta, sperando probabilmente che fosse anche
un buon uomo.
Sebbene non lo avessero mai visto prima - anche se molti avevano
comunque
ipotizzato che potesse trattarsi di Much il fuorilegge, servo fedele di
Robin di Locksley - gli abitanti del villaggio non ebbero alcun dubbio.
Un gruppo di bambini, vedendolo avanzare, gli corse incontro
accompagnato da gioiose urla di benvenuto.
Fu infine il fabbro del villaggio a riportare un po' d'ordine tendendo
la mano al nuovo venuto.
«I
miei ossequi Lord Much e quelli del villaggio tutto. Perdonate
l'eccessivo entusiasmo dei nostri bambini. Era loro intenzione soltanto
darvi il benvenuto», disse con tono pacato.
Much fu spiazzato da quell'inattesa situazione, ma strinse ugualmente
la mano del suo interlocutore e ringraziò con la timidezza e
quel pizzico di goffaggine che lo contraddistinguevano. Sorrise a
tutti, compiaciuto ma mai sicuro di sé come lo sarebbe stato
un
vero Lord. Del resto non era semplice abituarsi all'idea dopo essere
stato per anni il servo di Robin Hood, il fuorilegge che aveva
combattuto al fianco degli eroi nel nome di Re Riccardo divenendo egli
stesso eroe senza rendersene conto. Much era uno con la testa sulle
spalle e benché sognasse una vita migliore e una bella casa,
difficilmente si montava la testa nel senso dispregiativo del termine.
Sognava, progettava, ma mai pretendeva, mai credeva che qualcosa gli
fosse dovuto. Non era sciocco, né superficiale, come
qualcuno
che non lo conoscesse bene poteva pensare. Aveva invece conservato
l'ingenuità dei ragazzini mantenendo integri i suoi valori
morali.
Altri, forse, avrebbero dubitato di quella calorosa accoglienza; si
sarebbero insospettiti temendo che quegli umili potessero in seguito
pretendere qualcosa. Ma non Much. Lui ne fu felice e si
comportò
come se i suoi amici gli avessero organizzato una grande festa di
compleanno: ringraziò, ringraziò e ancora
ringraziò.
Andò avanti così finché, tra i tanti
occhi che lo
scrutavano curiosi, Much non scorse il volto di Eve. Gli sorrideva,
come tutti gli altri, e quando si accorse che lui la guardava
sollevò timidamente la mano in un cenno di saluto.
Da quando era ufficialmente tornato ad essere un uomo libero Much non
portava più lo strambo copricapo chiaro, suo segno
distintivo
all'interno della banda; non si era invece sbarazzato dello scudo
finemente decorato che gli sarebbe valso, a Boncurch, il soprannome di
Lord Much il difensore.
Il momento che aveva reso inquieto quell'uomo era infine arrivato. Eve
si avvicinò e si offrì di accompagnarlo fino alla
tenuta.
Attorno a loro i bambini ancora saltavano e ridevano.
«Siete
tornato davvero», mormorò la donna quando furono all'ingresso.
Much si grattò nervosamente il capo mostrando tutto il suo
imbarazzo. Doveva assolutamente informare Eve della svolta che la sua
vita aveva preso da quando era partito di nuovo per la Terra Santa con
l'intento di salvare il Re ed era tornato in Inghilterra con il compito
di confortare un amico che aveva perduto la sua unica ragione di vita.
Si accomodò lo scudo e fece per schiarirsi la gola quando
una
voce maschile chiamò Eve per nome. Il sorriso di lei fu
inequivocabile: era lo scintillante sorriso dell'amore.
"Dunque anche per lei qualcosa è cambiato?", si chiese Much
voltandosi insieme alla donna.
Con
le presentazioni, Much venne a sapere che Eve si era innamorata e
sposata e che non aveva nascosto a suo marito le vicende accadute
proprio in quella tenuta. Gli fu rivelato che se le cose fossero andate
diversamente - ovvero se Eve non avesse incontrato il suo compagno di
vita - al suo ritorno a Bonchurch Much avrebbe trovato una donna pronta
ad amarlo con tutta se stessa e a condividere con lui la sorte loro
destinata. Fu quindi più semplice, a quel punto, raccontare
a
Eve di Kate e dell'amore che lo legava a lei.
Ciò che più stupì Much fu la
naturalezza con cui
raccontò alla donna ciò che si era persa da
quando si
erano salutati. L'ex fuorilegge che aveva salvato l'Inghilterra insieme
ai suoi compagni d'armi seppe in quel momento di avere al proprio
fianco un'amica che in un modo o nell'altro avrebbe continuato a far
parte della sua vita.
Foresta di Sherwood.
È sempre questione di attimi.
Prima di un bacio. Prima di una grande decisione. Prima di una svolta.
Sono piccoli attimi carichi di elettricità ad annunciare una
tempesta. Brevi attimi a scombussolare un cuore.
Basta un attimo a decretare la tua sorte in battaglia. Un attimo
sentenzierà la tua vittoria o la tua sconfitta, ti
regalerà la vita o ti darà la morte.
E in un attimo la spada di Gisborne fu ad un millimetro dalla gola di
Kaelee.
Immobilità assoluta.
In un attimo la spada di Kaelee fu ad un soffio dal fianco di Gisborne.
Silenzio assordante.
Occhi negli occhi a scambiarsi l'irrefrenabile voglia di vivere. Occhi
negli occhi come se il Sole potesse per magia farsi liquido e gettarsi
nel mare.
Uno spettacolo mai visto prima tradotto nell'universale lingua
dell'amore.
Quel misterioso giudice senza volto né nome che decide
deliberatamente e sfacciatamente l'esatta durata di un attimo sembra
non avere criterio mentre, quasi come in una scena al rallentatore,
Gisborne si protende impercettibilmente verso Kaelee inclinando
soltanto il collo. Odioso giudice tutt'altro che imparziale desideroso
di assistere allo scoppio di quei cuori ancora troppo giovani per
fermarsi. Giudice che
torturi nel prolungare l'attimo prima di un bacio soltanto per lanciare
poi il tempo in una folle corsa di respiri mozzati e cuori instabili.
Fu un semplice ma intenso attimo quello che intercorse tra l'incastro
di sguardi e l'incontro di labbra.
Nessuno dei due spostò la lama.
Entrambi chiusero gli occhi.
E quando le labbra si sfiorarono fu come se la Terra
riprendesse a
girare, come se tutte le stelle esplodessero contemporaneamente nel
cielo, come se tutte le onde del mondo si infrangessero in sincrono
contro i fianchi della Natura.
Spuntò un sorriso sulla bocca di Kaelee al piacevolissimo
contatto.
«Finalmente»,
commentò in un sussurro.
Anche Gisborne sorrise.
«Mi
hai dato filo da torcere. Te lo sei guadagnata questo bacio»,
le
rispose scostandosi da lei quel tanto che bastava ad ostacolare
ulteriori effusioni di quel tipo.
A Kaelee non sfuggì la provocazione nel tono di Guy,
così
con un movimento fluido fece scivolare il braccio attorno alla vita
dell'uomo - la spada a premere contro la schiena - prima di
rispondergli.
«Baciatemi,
Sir Guy, o sarete un uomo morto», soffiò con
malizia.
Neanche a lei fu chiaro il motivo per cui avesse usato il voi e
l'avesse chiamato attribuendogli il titolo. Molto più
evidente
fu invece l'effetto che quella scelta ebbe su entrambi.
Il
sorriso sghembo alla Sir Guy di Gisborne si dipinse sul volto dell'uomo
mentre annuiva inclinando la testa compiaciuto. Ripose la spada nel
fodero con snervante lentezza. Si sfilò un guanto e
portò
la mano nuda sul volto di Kaelee. Con il pollice le
accarezzò la
guancia, tracciando una linea immediatamente sotto l'occhio prima di
scivolare sulla nuca.
«Potrebbe
essere pericoloso», soffiò all'orecchio della
ragazza.
«Non temo
il pericolo», rispose prontamente lei inspirando a lungo il
profumo della pelle di lui.
Si sentiva come se dovesse perdere i sensi da un momento all'altro.
Strinse la presa attorno all'elsa della spada che infine
scagliò
lontano da loro, lasciando che si piantasse nel terreno morbido di
Sherwood.
Lui rise sommessamente, divertito e compiaciuto, con un pizzico di
eccitazione mentre l'eco della voce di Kaelee che lo chiamava "Sir Guy" gli
scombinava le idee.
"Baciatemi,
Sir Guy, o sarete un uomo morto".
"Baciatemi, Sir Guy".
"Sir Guy".
Il passato che tanto aveva cercato di allontanare prima e metabolizzare
poi, tornava in una forma nuova e incredibilmente ricca di fascino. Mai
Gisborne avrebbe pensato che essere Sir Guy potesse risultargli
addirittura piacevole. Non c'era più violenza in quel
titolo,
né la cattiveria alimentata dallo Sceriffo. Sebbene fosse
pienamente consapevole del proprio cambiamento e del percorso che lo
aveva condotto verso un nuovo io più incline alla giustizia
e ad
una vita fatta di valori semplici anziché di potere e
denaro, la
nuova sfumatura appena scoperta riuscì a sconvolgerlo.
Convinto
che l'intera sua storia personale al fianco dello Sceriffo fosse legata
al titolo di Sir aveva iniziato a farsi chiamare semplicemente Guy e,
superato l'iniziale imbarazzo da parte degli abitanti di Locksley,
quella decisione era valsa all'uomo l'accenno di un equilibrio
interiore destinato a trovare sempre più
stabilità.
Essere semplicemente Guy di Gisborne non lo esonerava dal tormento di
tutto il male esercitato negli anni, ma lo aveva aiutato a inserirsi
meglio nella nuova comunità e nell'ottica di una vita senza
troppi agi. Restava pur sempre Sir Guy di Gisborne ma, come Robin Hood,
- che pur essendo Signore di Locksley era per tutti semplicemente Robin
- privandosi dell'appellativo si era lentamente guadagnato la fiducia
delle persone. Difficilmente capitava ora che qualcuno lo guardasse
male o che gli rinfacciasse qualcosa, che lo incolpasse per il modo in
cui aveva vissuto una buona parte della propria esistenza. Persino la
figura imponente e gli abiti categoricamente neri avevano smesso di
intimidire la gente.
Guy di Gisborne, che pochi avevano visto sorridere di gioia ai
tempi in cui era il braccio destro dello Sceriffo di Nottingham, - e
tra queste certamente Marian e Meg - rivolgeva quotidianamente un
sorriso gentile a chiunque incontrasse, salutava con cortesia e si
fermava a chiacchierare con il fabbro e gli artigiani del villaggio.
Ma ora Kaelee lo aveva chiamato "Sir
Guy"
- la malizia nel tono, quasi che lei fosse inspiegabilmente attratta
dalla parte oscura di lui - e tutto era mutato in un baleno, come una
bandierina voltata di netto da una folata di vento. La prospettiva di
poter essere Sir Guy di Gisborne senza essere servo di Vaisey gli si
schiuse dinanzi agli occhi come un fiore a primavera e per un attimo
Guy vide il proprio futuro prendere una piega lievemente diversa da
come aveva immaginato fino a quel momento. Avrebbe ugualmente sposato
Kaelee la quale, si rese conto, avrebbe preso il titolo di Lady. Lady
Gisborne. Suonò così dolce quel pensiero nella
mente di
Guy da fargli desiderare che il matrimonio avvenisse in quello stesso
istante. E seguendo l'impeto di quell'ondata l'uomo baciò
Kaelee
con trasporto.
Nessuno dei due osò portare a termine il contatto prima di
essere davvero a corto di ossigeno.
«Non
so perché ti ho chiamato... in quel modo», ammise
Kaelee
dopo un po', lo sguardo timidamente rivolto verso il basso.
Lui la avvolse tra le braccia avvertendo il senso di colpa nella voce
incerta della giovane donna.
Kaelee più di ogni altro conosceva gli angoli più
bui
dell'anima di Gisborne e credeva che, in fin dei conti, riportare a
galla quella parte del suo passato non fosse stata poi una
così
gran bella idea.
«Non mi
è affatto dispiaciuto», sussurrò.
Il
viso di Kaelee, ben volentieri nascosto sul petto di Guy, prese
letteralmente fuoco mentre una valanga di pensieri e domande la
travolgeva. Che non si sarebbe mai abituata a Guy Kaelee l'aveva messo
in conto tempo addietro, ma non credeva che dopo ciò che
avevano
vissuto insieme si sarebbe trovata ancora a tenere a bada il caos
mentale che lui - volontariamente o meno - le provocava anche con uno
sguardo fugace. Non era il gesto, ma il modo in cui lui la guardava:
con una tale intensità da metterla in soggezione.
E mentre lei si interrogava sui misteri dell'impulsività e
dell'amore, su quanto dipendesse dalla sua mente e quanto dall'istinto,
Gisborne la prese in braccio e si incamminò in silenzio
verso
uno dei tanti tronchi della foresta. Trovata una comoda sistemazione
tra due grandi radici che affioravano in superficie, baciò
la
fronte di Kaelee.
«A che
punto della discussione siete tu e i tuoi pensieri?», le domandò prendendola
dolcemente in giro.
Lei,
che aveva temporaneamente accantonato il suddetto trambusto in favore
del vortice emozionale causato dalla nuova situazione,
ridacchiò
con aria serena.
«Non ne ho
idea, ma non ha importanza», rispose. «Sono con te e questo è tutto
ciò che conta»,
aggiunse allungando le dita verso la ciocca nera che da sempre - o
meglio da quando lei lo conosceva - gli incorniciava il viso.
A volte Kaelee aggiungeva alla storia della propria vita tutti quei se
e quei ma che se inizi a considerarli rischi di diventar matto nel giro
di pochi minuti. Un se in particolare riaffiorava spesso tra i suoi
pensieri. "E se Gisborne anziché sopravvivere alla grave
ferita
che lo aveva costretto a letto avesse ceduto e si fosse addormentato
per sempre?".
Come sarebbe stata la permanenza di Kaelee a Locksley senza Guy?
Avrebbe assecondato i sentimenti di Allan? Si sarebbe invaghita del
fratello minore di Robin e Guy?
A ognuna delle domande Kaelee si rispondeva tutte le volte allo stesso
modo pur cercando di intraprendere percorsi ragionativi differenti.
"Meno intensa, ma ugualmente definitiva". "No". "No".
Gisborne sospirò e Kaelee approfittò per parlare
ancora
andando contro all'istinto di tacere per paura di sbagliare.
«Credo
che sarebbe stato complicato interagire con Sir Guy di Gisborne, il
braccio destro dello Sceriffo di Nottingham intendo, ma sono quasi
certa che ci
avrei provato lo stesso», mormorò.
Incredulità
e turbamento furono due lampi evidenti nel cielo dei suoi occhi.
«Avresti
pagato a caro prezzo la tua scelta», disse velocemente, a
bassa voce,
distogliendo lo sguardo; le labbra ridotte ad una sottile linea dritta.
«Scelta?
Di quale scelta parli? Hai forse deciso consapevolmente di amare Lady
Marian tu?», domandò lei in risposta.
«Kaelee...».
«No
Guy. Kaelee un bel niente», fece la donna lasciando
trasparire
l'irritazione che provava. Non le importava quante donne Guy avesse
amato prima di lei, quante ne avesse possedute, a quante avesse
promesso gli agi di una vita da nobile. Non le importava neanche che
lui avesse un figlio ed era disposta perfino a prendere quest'ultimo in
considerazione come parte integrante della propria vita se solo Guy le
avesse manifestato il desiderio di cercarlo e incontrarlo. Kaelee era
giovane, sì,
ma non sciocca e sapeva bene che i sentimenti di Gisborne per lei erano
sinceri. A infastidirla era stata l'affermazione di lui.
L'amore, infatti, è tutt'altro che una scelta. È
qualcosa
di incontrollabile, qualcosa che ha poco a che fare con logica e
razionalità. È istinto. Quando si ama
difficilmente si
pensa e anche a volerci provare il più delle volte non ci si
riesce.
Definire
quindi l'amore di Kaelee come una scelta - ovvero qualcosa di calcolato
in base ai propri bisogni, alle necessità e a obiettivi ben
precisi - le aveva fatto saltare i nervi.
Senza pensarci su due volte Gisborne tornò a guardare Kaelee
negli occhi. Vi trovò una vena di dispiacere tra le colorite
striature del disappunto e si dispiacque a sua volta.
«Hai
ragione e per questo ti chiedo scusa. Non ho deciso di innamorarmi di
te», mormorò accompagnando le parole con un
sorriso appena
accennato. «I
miei occhi ti hanno incrociata e il cuore ha fatto il resto battendo
come un folle nel mio petto», aggiunse.
«Così
va molto meglio», rispose Kaelee sorridendogli con dolcezza,
incapace di arrabbiarsi con lui. «Comunque
sia sono felice di come sono andate le cose. Non so se sarei stata in
grado di intrufolarmi nel Castello senza essere scoperta e messa alla
forca al primo tentativo».
La risata di Gisborne riempì e traboccò dal cuore
di Kaelee diffondendosi nello spazio attorno a entrambi.
«Non hai
tenuto conto della mia complicità»,
mormorò lasciando Kaelee a bocca aperta.
«Sir
Guy di Gisborne mi avrebbe protetta dalle grinfie dello
Sceriffo?», chiese incredula. Dopo tutti i racconti che aveva
sentito sullo spietato Sir Guy, Kaelee non avrebbe mai immaginato che
proprio lui potesse mettersi a difendere una donna soltanto
perché di lui invaghita.
Qualcosa
nel profondo della sua anima aveva convinto Gisborne che se avesse
conosciuto Kaelee prima di unirsi a Robin Hood e alla sua banda di
fuorilegge, non sarebbe riuscito ad ignorarla pur amando Lady Marian.
Non sapeva come sarebbero andate le cose, non sapeva se Kaelee sarebbe
riuscita a conquistare il suo cuore sciogliendolo dalla morsa
dell'amore che lui provava per Marian, non aveva idea di come avrebbe
gestito la situazione e non era in grado di determinare se la giovane
donna sarebbe stata capace di allontanarlo dallo Sceriffo evitando
così la morte di Lady Marian, di Meg e forse perfino di
Isabella.
Entrambi si domandarono intimamente che piega avrebbero assunto le
vicende se una donna avesse amato Sir Guy di Gisborne quando la sua
parte migliore era sepolta sotto strati di cattiveria e cinismo.
Kaelee si rendeva conto di essere stata molto fortunata a conoscere
Gisborne in quel particolare frangente della vita di lui ed era
consapevole anche che amarlo, dopo il cambiamento, era stato
incredibilmente semplice. Ma se lui l'avesse respinta e derisa? La
fermezza che la caratterizzava avrebbe retto l'offesa?
I due si guardarono a lungo negli occhi prima che un «Sì» appena
sussurrato rompesse il silenzio. «Sai
cosa mi ha detto una volta Vaisey?», le domandò
retorico,
consapevole che Kaelee non poteva affatto saperlo.
Infatti lei scosse
il capo.
«Che la
pietà è sempre stata il mio punto
debole», soffiò. «Per
molti non ne ho avuta, questo è vero, ma non sono mai stato
immune all'affetto e all'amore. Credo di aver cercato l'affetto delle
persone per una vita intera senza nemmeno rendermene conto, covinto di
desiderare esclusivamente potere, denaro e gloria. Perciò
sì, avrei cercato una scappatoia per te. Forse poi ti avrei
cacciata in malo modo intimandoti di non farti mai più
vedere al
mio cospetto, ma non ti avrei consegnata a lui», concluse
distogliendo lo sguardo, puntandolo nel folto di Sherwood.
Kaelee rimase in silenzio e si perse a guardare il profilo del viso di
lui. Il naso spiccava inevitabilmente, ma anziché rovinare
la
bellezza di Gisborne gli attribuiva un fascino particolare ed unico. Le
sopracciglia lievemente contratte gli donavano un'aria tormentata e
misteriosa richiamando al presente quello che doveva essere stato il
tenebroso Sir Guy. Per quanto tentasse di restare lucida, Kaelee non
poteva ignorare le pulsioni del proprio corpo che immediatamente e
costantemente reagiva alla presenza di Gisborne.
«Grazie»,
mormorò infine.
Gisborne
sospirò e chiuse gli occhi. Kaelee lo stava ringraziando per
qualcosa che non aveva neanche fatto. Lo ringraziava con una
sincerità tale da chiudergli lo stomaco. L'uomo si chiedeva
come
fosse possibile che lei, pur sapendo di aver a che fare con uno che non
ne aveva combinata una giusta, con un assassino, con un opportunista,
un arrivista, lo amasse così tanto ed incondizionatamente.
«Guy»,
lo chiamò lei senza ottenere alcuna reazione.
Lui
che aveva smesso di esaminare la propria coscienza quando i suoi
genitori erano morti; lui che aveva successivamente spalancato con
violenza le porte del proprio io; lui che credeva di aver fatto i conti
definitivamente con i suoi demoni; l'uomo che aveva servito Vaisey di
Notthingam schierandosi con il male del mondo ora si interrogava sul
perché Kaelee fosse arrivata in dono proprio a lui. Una
donna
come lei, buona e altruista, cosa poteva mai avere in comune con lui?
«Sir Guy
di Gisborne», riprovò Kaelee con maggior decisione.
Gisborne contrasse le sopracciglia, ancora una volta colpito da come
quel nome suonava sulle labbra della dolce donna che amava.
«Ascoltatemi»,
sussurrò la donna immaginando di parlare proprio a quel
nobile
che tanti avevano odiato desiderandone anche la morte.
Immaginò di
trovarsi a Notthingam, a due passi dallo Sceriffo, con il pericolo di
essere vista e accusata di un qualsivoglia crimine. «L'uomo
cattivo che il popolo descrive è lo stesso che,
anziché
uccidere un gruppo di bambini che lo aveva visto sperimentare nella
foresta un'armatura invincibile, li ha soltanto imprigionati. E magari
nella speranza che Robin Hood li liberasse evitando così di
dover togliere loro la vita su richiesta dello Sceriffo», gli
disse con ferma dolcezza.
Non era stato Gisborne a parlarle di quell'episodio, ma Little John.
L'uomo ebbe un sussulto per la sopresa, ma non si mosse ulteriormente.
Né parlò.
«In
voi risiede una parte buona che le sofferenze della vostra vita hanno
tentato invano di seppellire. Io giudico solo ciò che vedo,
Sir
Guy, e davanti a me ho un uomo che senz'altro merita il mio amore
più di ogni altro al mondo, un uomo perfettamente in grado
di ricambiare degnamente il mio sentimento»,
terminò avvicinandosi
in cerca delle labbra di lui.
Gisborne non si sottrasse al bacio che anzi ricambiò mentre
alcune lacrime scendevano calde sul suo viso.
«Ti amo
Guy», soffiò Kaelee. Il suo cuore correva come se si stesse
dichiarando a lui per la prima volta.
Gisborne la strinse di più a sé e la
ringraziò per le belle parole che gli aveva rivolto. «Se solo fossi arrivata prima nella mia
vita...», mormorò infine.
«Ssssssh.
Non pensarci amore mio», rispose lei in tono rassicurante. «Sai,
tante volte quando abitavo a Edwinstowe ho immaginato che un cavaliere
arrivasse a portarmi via dall'inferno della mia casa. Era bello e forte
e valoroso. Pareva un principe in sella al suo destriero»,
gli
confidò con un sorriso.
Lui
sorrise a sua volta ritrovando il buon umore grazie a lei. «E
invece sei
stata tu a tirar fuori me dal mio inferno personale»,
commentò.
Entrambi risero e ripresero a baciarsi.
N.d.A.
Complice il caldo e le giornate intere trascorse in spiaggia con gli
amici, aggiorno la storia con la lentezza degna di un bradipo. Ma, come
si suol dire, la speranza è l'ultima a morire ed infatti
ecco infine anche questo ventesimo capitolo!
Ringrazio in anticipo chi segue la storia da tempo e anche chi i nuovi
lettori, augurandomi di essere stata credibile nella narrazione e di
aver regalato una lettura piacevole.
Non mi resta che darvi appuntamento alla prossima (sperando di poter
limitare i tempi d'attesa)!
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Capitolo 21 *** Il Torneo ***
Ventuno
Il
Torneo
Locksley.
Il trascorrere di diverse settimane nella totale
assenza di un qualsivoglia contatto non
aveva per nulla migliorato il non-rapporto tra Allan e Kaelee.
L'uomo, che si era impegnato anima e corpo presentando in ogni mercato
della Contea i prodotti di Locksley, era infine tornato a casa nella
convinzione di aver ritrovato almeno in parte un personale equilibrio.
E invece il suo cuore aveva perso un battito incrociando per caso gli
occhi caramellati di lei.
Allan comprese presto e con cupa rassegnazione di essersi soltanto
illuso per tutto quel tempo. Si era detto che il sentimento per Kaelee
altro non era che la sciocchezza di un momento. Si era creduto capace
di tornare a interagire con lei come se nulla fosse accaduto, come
prima, come quando insieme leggevano storie condividendo istanti di
vita che appartenevano esclusivamente a loro. Persino Gisborne, la
persona più importante su quella Terra per Kaelee, non aveva accesso alle loro letture.
L'uomo capì che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in
quel sentimento sebbene molti, durante il suo vagare, gli avevano detto
con convinzione che non c'è errore nell'amare una donna
anche quando il cuore di quest'ultima appartiene ad altri. Eppure
tutte le volte che Allan guardava Gisborne pensava a Marian e a come
era finita: una vita era stata spezzata ingiustamente e due cuori con
essa. Ancora oggi Allan vedeva il dolore negli occhi di Robin
così come lo aveva visto in quelli di Guy prima dell'arrivo
di
Kaelee e si chiedeva dove il sentimento per quella giovane donna lo
avrebbe condotto. Quanto oltre si sarebbe spinto per lei, pur di averla?
Gisborne aveva ucciso dinanzi alla crudele e definitiva conferma che
Marian lo
aveva sempre ingannato, troppo confusa forse per fare chiarezza nel
proprio cuore o ancora troppo giovane per essere ciò che
credeva
di essere, troppo giovane per gestire senza danni collaterali la
situazione in cui lei stessa si era volontariamente cacciata rifiutando
un posto nella Foresta di Sherwood pure dopo la morte di suo padre.
Gisborne, con il cuore in frantumi, aveva fatto a
pezzi la vita di lei e originato un uomo-fantasma di nome Robin Hood.
Pentirsene amaramente non
molto più tardi non aveva cambiato le sorti di nessuna delle
tre
parti.
Allan non voleva arrivare a quel punto, ma non era disposto a lasciare
Locksley e gli amici che aveva in quel luogo. Per andare dove poi? E
con chi?
Chi interpretava la scelta come il risultato di una punta di vivo
orgoglio sbagliava: in
verità Allan non riusciva ad accettare l'idea di non poter
vedere mai
più Kaelee neanche di sfuggita, nemmeno di nascosto, sebbene
anche solo saperla nei dintorni gli causava una fitta al cuore.
Così era rimasto. E con lui i suoi tormenti.
Il senso di colpa feriva Kaelee nei suoi momenti di
fragilità.
Il volto di Allan popolava la mente di lei prima che potesse
addormentarsi. Il subconscio le propinava tutta una serie di domande
che la costringevano ad alzarsi dal proprio letto per prendere un po'
d'aria. Per qualche tempo era riuscita a nascondere a Gisborne la
natura di quei tormenti, ma poi lui aveva capito e i due ne avevano
parlato senza però arrivare ad una conclusione
soddisfacente.
Kaelee aveva paura. Paura di cercare Allan, paura di fargli ancora del
male. Paura di ferire Gisborne, paura che lui potesse sentirsi di nuovo
come con Marian. Tutto ciò che Kaelee non desiderava era
essere causa dall'altrui sofferenza.
Quando i suoi occhi avevano per caso incrociato quelli grandi di Allan
le si era stretto il cuore. Sebbene la giovane donna non nutrisse alcun
dubbio in merito ai sentimenti provati per Gisborne si era resa conto
che le lezioni di lettura in compagnia di Allan le mancavano molto. Le
mancava la risata di lui, il modo in cui la prendeva in giro quando non
riusciva a scandire correttamente un vocabolo, lo sguardo che si
accendeva ogni volta che gli poneva una domanda. Pensieri come
questi, però, mettevano in moto un disastroso meccanismo di
autoanalisi: Kaelee si sentiva egoista, ingiusta, una sorta di bambina
viziata che non sapendosi accontentare del grande amore pretendeva pure
la presenza del migliore amico nella propria vita.
Come sempre, Kaelee sapeva con esattezza ciò che voleva solo
non
sapeva con la stessa precisione come gestire la situazione in cui si
era inconsapevolmente cacciata. Del resto non aveva mai desiderato che
Allan si innamorasse di lei né incolpava quest'ultimo per
qualcosa che non era dipeso dalla sua volontà. Kaelee non
voleva
altro dalla vita che poter stare al fianco di Gisborne per quanto
più tempo possibile; possibilmente fino alla propria morte.
Sarebbe andata fino in capo al mondo per lui e con lui, eppure non
voleva davvero separarsi da quel villaggio che le aveva restituito una
vita, da quelle persone che l'avevano accolta con tanta
disponibilità, non voleva dover dire addio a Kate, amica e
sorella in quella sua nuova esistenza. Né ad Allan in fondo.
Così anche lei era rimasta. E con lei le sue angosce.
Era stata necessaria un'ulteriore settimana prima che qualcosa
cambiasse.
Ciò che Allan non si sarebbe mai aspettato era una visita da
parte di Gisborne, giunto per offrirgli amicizia.
I due non si erano mai considerati nemici a vicenda e neanche rivali
dal momento che non aveva alcun senso alimentare astio e odio in nome
di un sentimento puro come l'amore, un sentimento che non conosce
regole, né ordini, né controllo. Un sentimento
che nasce
dal nulla perfino nei cuori più aridi o in quelli privi di
speranza. Muovere guerra per amore sarebbe stato lo stesso che
sterminare un'intera popolazione innocente. Inoltre tra Allan e Guy
esisteva un legame particolare che aveva visto la luce in un momento
drammatico per la vita dell'ex fuorilegge e che aveva portato con
sé conseguenze non indifferenti. Anche se dopo una breve
allenaza basata su una serie di menzogne e piccoli tradimenti i due
erano tornati a combattere su fronti opposti si erano infine
ricongiunti in seguito alla distruzione di Nottingham. Così
come
non erano mai stati amici nel periodo della collaborazione, allo stesso
modo nessuno dei due aveva minato direttamente alla vita dell'altro
dopo la separazione. Del resto, per quel che ne sapeva Allan, Gisborne
avrebbe potuto senza difficoltà dargli la caccia e ucciderlo.
Invece aveva bussato alla sua porta e aveva chiesto di poter entrare,
di potergli parlare.
Fu grazie a Gisborne che qualche giorno più tardi Allan e
Kaelee
si erano incontrati; fu grazie all'amore di Gisborne per Kaelee che
quest'ultima allontanò da sé l'angoscia e
riuscì a
condividere spazio e tempo con il suo vecchio amico che le aveva
insegnato a leggere. Non erano certo mancati momenti di imbarazzo,
attimi di assoluto silenzio pieno di mille quesiti, secondi di gesti
goffi, ma poi tutto aveva riacquistato un senso e l'equilibrio era
stato ripristinato.
Allan provava ancora dei sentimenti nei confronti di Kaelee e
quest'ultima temeva ancora di poterlo ferire anche soltanto respirando,
però entrambi avevano ripreso a interagire tra loro
mitigando
infine la tensione.
Qualche tempo dopo.
Nottingham.
Il lavoro di Robin, Archer, Guy e Little John sui giovani di Locksley e
dintorni aveva iniziato a dare preziosi frutti, tant'è che
si
era deciso insieme agli abitanti di Nottingham di indire un
torneo i cui partecipanti si sarebbero misurati ognuno nella
propria
specialità - arco, spada o bastone - con altri validi
esponenti.
Lo scopo della gara non era semplicemente decretare un vincitore per
ogni categoria, ma testimoniare al popolo - lo stesso popolo che aveva
dimostrato coraggio, bloccando insieme a Tuck e John una delle uscite
della città di Nottingham quando ancora era in piedi e sotto
il
governo dello Sceriffo, pur non avendo idea di come si maneggiasse
un'arma - che insieme è possibile raggiungere traguardi ben
più
grandi che in solitudine. Del resto a voler scavare nel passato di ciascun abitante di
Locksley,
Nottingham, Bonchurch, Nettlestone e Clun non si sarebbe trovato un
solo uomo che ce l'avesse fatta sempre da solo in tutto e per tutto. Il
pastore e i suoi fedeli, l'artigiano e i suoi garzoni, il proprietario
terriero e i suoi agricoltori, Robin Hood e la sua banda di fuorilegge
senza il cui aiuto l'uomo non sarebbe mai riuscito a
contrastare Vaisey così come senza Gisborne non avrebbe
salvato
Archer esaudendo così l'ultimo desiderio di suo padre.
Anche Kaelee era un bell'esempio di collaborazione ben riuscita,
infatti senza il
contributo di suo fratello Aric non sarebbe andata molto lontano,
forse non avrebbe nemmeno mai raggiunto Locksley e probabilmente non
avrebbe avuto scampo contro suo fratello Rudyard.
Lo stesso tipo di cooperazione applicato ad un contesto più
grande aveva portato prima alla ricostruzione di Nottingham ed ora alla
preparazione per il Torneo. La città appariva radiosa con le
sue
innumerevoli bandierine colorate fissate in ogni dove e incredibilmente
viva grazie ai bambini che correvano in totale libertà per
le
sue strade, gli artigiani che ne animavano gli angoli e le famiglie che
l'abitavano con gioia. Era un vero piacere visitarla.
In occasione del Torneo moltissime famiglie erano giunte dai villaggi
vicini per offrire supporto morale ai partecipanti o anche soltanto per
assistere allo spettacolo e trascorrere una giornata in compagnia.
Sembrava quasi un sogno dopo anni ed anni trascorsi nell'angoscia del
dover pagare tasse sempre più alte ad uno Sceriffo ingiusto.
Tra
i presenti, naturalmente, c'era la banda di Robin Hood al completo con
il doppio ruolo di graditi ospiti, in quanto era grazie a loro se il
Torneo si era potuto realizzare, e di tifosi dal momento che uno dei
loro membri era stato iscritto come partecipante.
Non è
difficile capire di chi si tratti.
Gisborne aveva insistito così tanto e aveva con tale
entusiasmo
tessuto le lodi della sua preferita che alla fine Kaelee aveva aggiunto
il proprio nome alla lista più per sfinimento che per la
reale
volontà di mettersi in gioco con gli altri allievi di
Gisborne.
Kaelee non metteva in dubbio l'obiettività di Guy quando si
complimentava con lei per la sua bravura, ma aveva
assistito agli allenamenti degli altri ragazzi fin da quando Gisborne
aveva accettato di occuparsene e sapeva che tra loro c'erano alcuni
giovani molto validi e di sicuro più forti di lei dal punto
di
vista fisico; però era pure consapevole di aver duellato
diverse
volte con uno degli uomini più forti che avesse mai
incontrato e
di averlo messo in seria difficoltà durante i recenti
allenamenti.
Vinta dall'orgoglio con cui Gisborne la guardava tutte le volte che si
faceva cenno alle sue doti di spadaccina, la mattina del Torneo aveva
indossato i suoi abiti migliori e il paio di guanti regalatole da Guy
pur non sentendosi per niente pronta a quel tipo di prova. Era poco
più dell'alba quando fu sorpresa da Gisborne a guardare con
preoccupazione un punto indefinito oltre la finestra della loro
abitazione, a Locksley.
«Già
pronta?», le
domandò, con il tono di chi sta sorridendo, avvolgendola in
un caldo abbraccio.
Kaelee sospirò e rilassò le spalle contro l'ampio
petto di Gisborne.
«Manca
ancora un po' prima del Torneo», soffiò, «È un gran peccato che ti sia
già vestita», aggiunse in un sussurro carico di
malizia.
Kaelee
ebbe un sussulto e avvampò. «Non credo davvero sia
il caso
di... Non è proprio il caso, no», concluse con un
pizzico di
decisione in più.
Mentre Kaelee tentava di mettere a tacere la parte di lei incapace di
credere che Guy volesse dedicarsi ad intime effusioni a poche ore dalla
competizione e quella più spinta che avrebbe ceduto
volentieri alla
voce suadente e profonda di lui e ai suoi muscoli scolpiti, la risata
di Gisborne riempì la stanza riscuotendo la giovane donna
dai
propri pensieri in contrasto.
L'uomo esercitò una leggera pressione sulle spalle di
Kaelee,
spingendola a voltarsi, per poter godere del suo sguardo di caramello
che era più confuso che mai in quel momento.
«Sarei
un disonesto se ti dicessi che mi dispiacerebbe averti nuda tra le
braccia...», mormorò spudorato senza smettere di
sorridere in quel
suo modo disarmante.
«Guy!»,
lo riprese lei arrosendo di nuovo.
Gisborne
sollevò l'indice sulle labbra deliziose di lei prima di
continuare. «Ma non era a questo che mi riferivo poco
fa»,
spiegò.
Kaelee
si rese conto di aver frainteso tutto e si sentì
così
sciocca da voler sprofondare. Provò a sfuggire alle braccia
dell'uomo il quale la strinse maggiormente a sé,
trattenendola e
accarezzandole con cura i capelli corti perché Gisborne
adorava
la timidezza e il pudore che ancora sapevano affioravare negli occhi e
sulle gote della donna
che amava.
«L'hai
fatto apposta», si lamentò lei con già
l'ombra di
un sorriso sulle labbra ricambiando l'abbraccio.
Lui rise e poi le sussurrò all'orecchio quanto amasse
prenderla
dolcemente in giro, quanto gli piacesse vedere gli occhi di lei
illuminarsi e le guance colorarsi di rosso. Infine le chiese di
raggiungere nuovamente la camera da letto insieme a lui
perché
voleva mostrarle una cosa.
«Sir Guy di Gisborne», lo
apostrofò lei, «Se
è un altro dei tuoi scherzi giuro che ti prendo a calci
là dove non batte il sole!». E Gisborne le avrebbe
anche
creduto se lei non fosse scoppiata in una scampanellante risata
immediatamente dopo.
Una volta raggiunto il piano superiore Gisborne respirò
profondamente. Il fatto che fosse un uomo ormai adulto non lo esonerava
dal provare le emozioni sconvolgenti tipiche della giovane
età.
Si sentì come un giovanotto ai primi approcci con il
corteggiamento sebbene avesse già condiviso diversi doni con
la
donna che amava. Chiuse gli occhi e di nuovo prese un lungo respiro
prima di mostrare a Kaelee quella che sarebbe stata la sua tenuta da
spadaccina se lo avesse desiderato.
«Nulla
di eccezionale», commentò lui stesso porgendole un
completo in pelle nera in pieno stile Guy di Gisborne che gli valse uno
degli slanci più intensi che Kaelee gli avesse mai riservato.
Fasciata da corpetto e pantaloni che Gisborne aveva fatto confezionare
appositamente per lei e per quell'occasione, Kaelee affrontò
e
batté diversi avversari animando torneo e folla.
Nonostante molti fossero suoi allievi, Gisborne non vedeva altri che la
sua Kaelee provando un brivido ad ogni affondo che la ragazza mandava a
segno. Non era una lotta all'ultimo sangue, ovvero non era previsto che
qualcuno riportasse gravi ferite affinché il duello venisse
dichiarato concluso,
quindi le lame delle spade erano state rese innocue attraverso una
speciale guaina protettiva che non influiva in alcun modo sul corretto
maneggiamento dell'arma. La decisione era stata presa
all'unanimità - e lo stesso era accaduto alle frecce che
erano state spuntate e ai bastoni cui erano stati applicati morbidi
cuscini atti ad ammortizzare i colpi - onde evitare spiacevoli
incidenti e questo rendeva
più tranquillo Gisborne il quale certamente non avrebbe
insistito così tanto per la partecipazione di Kaelee se ci
fosse
stato il rischio che restasse ferita. Ma Kaelee non correva rischi e
Gisborne appariva agli occhi dei suoi fratelli come un bambino al quale
fosse stato fatto dono di un sacco colmo dei più golosi
dolciumi: la guardava e non vedeva altro che bellezza ed eleganza.
Trovò i suoi muscoli, evidenziati dagli abiti che
indossava
come una seconda pelle tanto erano aderenti, pericolosamente
affascinanti mentre si tendevano per colpire o si contraevano per
difendersi. Le mani minute ma intelligentemente guantate le
permettavano una presa decisa
sull'elsa, così che nessun movimento della spada potesse
risultarle scomodo o difficile da eseguire.
I duelli erano alternati da gare di tiro con l'arco e da round di lotta
con
bastone in modo tale che i partecipanti a ciascuna categoria potessero
riposarsi prima di affrontare un nuovo avversario. Dopo il quinto
Kaelee era già fisicamente piuttosto provata: stancare
il contendente per poterlo attaccare a colpo sicuro era senza dubbio
una
tattica efficace, ma alla lunga si rivelava un'arma a doppio taglio che
rischiava di metterla in fretta fuori gioco. La giovane donna,
però, tenne duro e finché si misurò
con uomini
fisicamente massicci tutto andò bene nonostante qualche
difficoltà. Fu quando le si presentò dinanzi un
giovanotto dall'aria smilza che Kaelee fece diversi passi falsi. Per
nulla avvezza a duellare con persone della sua stessa stazza venne
spiazzata dalla velocità con cui il giovane si spostava
danzando
letteralmente di fronte e attorno a lei; sembravano due meravigliose
libellule intente a corteggiarsi. L'abilità con cui lui
scansava i
colpi di lei era impressionante e così come nei precedenti
duelli Kaelee aveva lasciato senza parole la folla, era ora il giovane
ragazzo di Nottingham a stupire tutti.
Gisborne seguì rapito quello che si rivelò essere
l'ultimo duello della sua amata nel primo torneo della città
e la accolse rassicurandola e rivolgendole molti complimenti nonostante
la ragazza non fosse riuscita ad evitare un rapido ed inatteso affondo
che aveva assicurato infine la vittoria al suo avversario.
Kaelee aveva subito mostrato molta sportività non
prendendosela per la sconfitta e anzi elogiando l'abilità
del giovane e augurandogli buona fortuna per i successivi duelli,
perciò tornò da Gisborne con il sorriso sulle
labbra perché in fin dei conti aveva comunque vinto il suo
personale duello con la vita. Dopo aver indossato abiti più
femminili e comodi iniziò quindi a godersi pienamente la
festa in compagnia di Nettie e di Kate che fu molto felice di avere
Kaelee tutta per sé. L'ormai imminente matrimonio con Much,
infatti, ed il definitivo trasferimento a Bonchurch l'avevano
scombussolata a tal punto che sempre più spesso sentiva il
bisogno di avere la giovane donna al proprio fianco. Il rapporto tra le
due, infatti, non era per nulla mutato nonostante entrambe portassero
avanti una relazione molto seria con l'uomo che amavano: l'amicizia che
le aveva legate fin dall'arrivo di Kaelee a Locksley era qualcosa di
indissolubile e le due si erano ripromesse di non perdersi di vista mai
pur abitando in due villaggi diversi.
Al contempo c'era un'ulteriore novità, per Kaelee, che
coincideva con la presenza di Nettie.
Dopo aver sequestrato per giorni interi Robin e Guy, Archer aveva
infine finalmente capito che Nettie era la donna giusta per lui, quella
con cui avrebbe condiviso il resto dei propri giorni. Così
la nuova famiglia di Kaelee si era arricchita di un membro, una giovane
quindicenne che sarebbe andata prima o poi in sposa al ventenne
Archer acquisendo così anche il ruolo di cognata
per Kaelee. A quest'ultima capitava, ogni tanto, di pensare a quanto
scombinati fossero i sentieri della vita; l'eventualità
più logica, per un fattore anagrafico, si sarebbe verificata
infatti qualora tra i Tre Kaelee si fosse legata al più
piccolo - suo coetaneo - o al massimo a Robin, di undici anni
più grande; senza contare che attorno ai tre fratelli
orbitavano molti altri uomini di non indifferente fascino, primo tra
tutti il trentenne Allan. E invece il cuore della ragazza era andato al
trentaseienne Guy di Gisborne che aveva immediatamente e
irrimediabilmente risvegliato in lei l'amore.
«Potrebbe
cambiare idea e allora io sarei una donna finita!»,
sbottò Kate risvegliando Kaelee dal flusso di pensieri.
«Non
accadrà di certo!», la rassicurò Nettie
sorridendole comprensiva.
«Vorrei
sapere perché hai deciso di comportarti da
sciocca», rispose invece Kaelee trattenendo un sorriso.
«Sciocca
io?! Oh, ma certo! Dall'alto della tua relazione perfetta sembriamo
tutte assai sciocche ai tuoi occhi, giusto?»,
domandò la prima con voce lievemente isterica e sicuramente
indispettita dalla mancanza di sensibilità dell'amica.
Nettie si zittì di colpo e sbiancò, per nulla
abituata alle crisi di Kate. Kaelee, che invece la conosceva meglio,
scoppiò a ridere e l'abbracciò forte.
«Sei
sciocca perché permetti alla paura di offuscarti la vista.
Non credo esista una relazione perfetta, ma di sicuro Much ti
ama», soffiò con dolcezza tra i capelli biondi e
profumati di Kate. «Ogni
tuo dubbio è un torto nei suoi confronti»,
aggiunse rassicurandola definitivamente.
Per tutta risposta Kate ricambiò con decisione la stretta e
invitò poi Nettie ad aggiungersi all'abbraccio.
Nel cuore di una Nottingham in festa, ricca di banchi con ogni ben di
Dio, nasceva quel giorno un secondo Trio, parallelo al primo, tutto al
femminile.
Da qualche parte in
Francia.
Per tanto tempo Giovanni aveva più volte tentato di portare
via il titolo di Re a suo fratello, partito per lottare al fianco dei
suoi Crociati, mettendosi perfino contro la Regina Madre e istituendo
un'armata nota con il nome di Cavalieri Neri, ovvero guerrieri
che combattevano animati dall'unico scopo di veder regnare Giovanni,
uccidere Re Riccardo e ottenere la prestigiosa ricompensa promessa dal
Principe. Essere semplicemente un principe non soddisfaceva affatto la
sete di potere che gli avvelenava il cuore, né le terre che
possedeva erano per lui abbastanza affinché potesse sentirsi
davvero Signore di un regno. Era avido e maligno, ma non completamente
stupido e sapeva come corrompere ricchi e potenti che sarebbero potuti
tornargli utili al momento più opportuno. Gente come Vaisey
di Nottingham ad esempio, o Sir Guy di Gisborne, pedina tra le sue mani.
In seguito all'ultima fallimentare missione in Terra Santa guidata
proprio dallo Sceriffo di Nottingham e da Gisborne, - la stessa in cui
Lady Marian aveva perso la vita - l'Ordine dei Cavalieri Neri era stato
ufficialmente sciolto e il Principe si era recato personalmente a
Nottingham per vendicarsi dei due incapaci con il doppio obiettivo di
tentare nuovamente l'ascesa al trono inscenando la morte di suo
fratello, e liberarsi di Vaisey e Gisborne mettendoli l'uno contro
l'altro e istigandoli ad eliminarsi a vicenda. Lasciò in
seguito Nottingham in mano alla sorella di Gisborne e
pianificò il rapimento di Re Riccardo avvalendosi dell'aiuto
degli ultimi nobili disposti a sporcarsi le mani per
lui. Resosi però ben presto conto di aver
nuovamente e definitivamente fallito, il Principe Giovanni decise di
rifugiarsi in gran segreto alla corte di Francia ancor prima che suo
fratello Re Riccardo facesse ritorno in Inghilterra per rimettere in
piedi il regno e diseredarlo ufficialmente.
Ma può un uomo così meschino arrendersi e
rinunciare per sempre all'ambito titolo di Re?
Confinato in Francia, Giovanni non si lasciò demoralizzare e
decise di cercare prudentemente un contatto con quelli che erano stati
i suoi Cavalieri Neri mettendo così in moto temibili
ingranaggi. Non trascorse molto tempo dalla sua decisione che venne
informato della situazione di uno dei più validi combattenti
che avesse mai avuto tra le proprie fila e ne rimase profondamente
indignato. Tanto da desiderarne e ordinarne la morte.
Fu così che un folto gruppo di abili guerrieri
partì alla volta di Nottingham con il compito di stanare e
uccidere Sir Guy di Gisborne.
N.d.A.
Dopo una lunghissima pausa ho finalmente ripreso con gli aggiornamenti.
Non ho mai seriamente pensato di lasciare questa storia in sospeso, -
men che meno ora che siamo più che mai vicini alla fine -
perciò conto di pubblicare i prossimi capitoli in un tempo
certamente ridotto rispetto a quello intercorso tra il ventesimo e
quest'ultimo. Non voglio fornire indicazioni perché temo di
non poter rispettare una scadenza fissa, ma sono sicura che non dovrete
attendere a lungo.
Ringrazio voi che siete arrivati fin qui, voi che avete gentilmente
pazientato, voi che leggete silenziosamente e voi che invece decidete
di lasciare un segno del vostro passaggio. Grazie, grazie di cuore.
A presto!
|
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Capitolo 22 *** Lo Voglio ***
Ventidue
Lo
voglio
Locksley.
Nelle settimane precedenti l'evento tanto atteso,
Kaelee
aveva impedito più o meno a mezzo villaggio di svolgere le
normali attività quotidiane. Si era
presa la briga di assegnare,
con la dolcezza e la gentilezza di cui era capace, un mucchio di
compiti ad un consistente numero di persone affinché tutto
fosse
quanto più possibile assimilabile a oggettiva perfezione.
Del
resto aveva ormai molta familiarità con gli abitanti di
Locksley
ed era quindi in grado di determinare chi avrebbe potuto svolgere
meglio cosa e sapeva, inoltre, quanto fosse difficile resistere alla
sua esuberanza negandole qualcosa. Naturalmente aveva lei stessa preso
parte ai preparativi - dettare ordini e sedersi su un alto seggio non
era proprio nelle sue corde -
sebbene per farlo avesse dovuto trascurare per un po' di tempo Gisborne
il quale, dal canto suo, aveva approfittato della momentanea
distrazione di lei per portare a termine ciò che
sentiva e sapeva di dover fare.
Infine, dopo una notte agitata dall'insonnia di molti, il
gallo aveva cantato sancendo sonoramente l'arrivo di un nuovo giorno.
Quello in questione, però, quello che il sole aveva da
qualche
ora inaugurato con i suoi raggi d'oro, era tutt'altro che uno dei
tanti. Era il
giorno delle nozze di Kate e Much, il momento esatto in cui i due si
sarebbero giurati amore eterno dinanzi a Dio, parenti ed amici.
«Sono
orribile! E guarda i miei capelli!», sbottò Kate
evidenziando l'isteria che la pervadeva da capo a piedi. «Non
sono mai stati tanto ingovernabili! Verrò abbandonata
all'altare,
altroché! Robin ringrazierà il giorno in cui ha
deciso di
lasciarmi», concluse battendo le mani sull'abito in segno di
stizza e resa per poi strapparsi letteralmente le forcine che
sua madre le aveva pazientemente sistemato con l'unico intento di dar
forma all'acconciatura concordata settimane
addietro.
L'esclamazione finale della donna aveva freddato i
presenti, ad eccezione di Nettie che poco o nulla conosceva dei
trascorsi amorosi tra Kate e Robin e che, pertanto, lasciava trasparire
soltanto una lieve sorpresa dallo sguardo allungato.
Gli occhi già grandi di Kaelee, invece, si spalancarono
completamente
mentre li fissava in quelli chiari e allagati della donna che in poco
tempo era diventata una sorella per lei. Ciò che aveva
stupito la giovane non era il modo in cui Kate stava affrontando uno
dei giorni più importanti di tutta la sua vita, quello che
sicuramente segnava una svolta decisiva per lei e Much, ma il fatto che
proprio quel giorno pensasse a Robin Hood, ovvero all'uomo che pur
ricevendo da lei amore incondizionato si era infine dichiarato incapace
di
ricambiarla. Nessuno gliene aveva fatto una colpa, nemmeno Kate, ma non
si poteva
negare l'evidenza. Perciò perché la donna, che
ormai aveva
superato il trambusto dovuto al naufragio della relazione, stava
tirando in ballo quella ferita che Much aveva con tanta pazienza
cercato di curare? Questo Kaelee si domandava.
Dopo lo sconcerto iniziale, lo sguardo della giovane donna si fece
serio e severo:
voleva bene all'amica, la comprendeva e ne tollerava i tracolli
emozionali, ma non
sarebbe stata mai capace di assecondarla sapendola in errore,
soltanto per compiacerla. Anzi, proprio in nome dell'amicizia che le
legava,
Kaelee si sentiva in dovere di farla ragionare e di difendere Much,
anch'egli suo amico.
«Cosa
c'entra Robin adesso?», domandò con calma
fermezza, le braccia incrociate.
Kate
abbassò lo sguardo sui propri piedi, consapevole. «Niente», mormorò, «L'ho
detto così per dire. Lo sai che quando sono nervosa parlo a
sproposito!». La sua voce crebbe di pari passo con il numero
di
parole pronunciate mentre sbatteva i piedi come una bambina
capricciosa. «Tra
poche ore mi sposo! Ho il diritto di essere isterica, non
trovi?»,
strillò con le lacrime agli occhi e una voglia irrefrenabile
di
sfuggire allo sguardo color caramello della sua amica. Così,
in un
impeto di rabbia - per aver nominato Robin, per aver mancato di
rispetto a Much e per aver deluso Kaelee - voltò le spalle
ai
presenti e si chiuse nella stanza adiacente accompagnata dal sospiro di
Kaelee.
Entrambe
sapevano che quest'ultima
sarebbe riuscita a restituire sorriso e sicurezza a Kate. Entrambe
sapevano che tutto sarebbe andato bene.
Entrambe sapevano inoltre che nessuna delle due sarebbe riuscita ad
affrontare i drammi dell'esistenza umana in totale assenza dell'altra.
"Padrone... Robin, amico... fratello, io ecco, ciò che sto
cercando di
dirvi in questo giorno speciale... speciale per noi, cioè
per me e... No! No!
No! Così non va! Much, sei uno stupido!", si disse.
Much non aveva quasi chiuso occhio, complice la presenza del suo
migliore amico fermatosi da lui dopo una serata trascorsa
a mangiare, bere e raccontare aneddoti, - lo stesso Robin Hood che in
quel momento gli stava offrendo un
bicchiere contenente qualcosa che Much non si preoccupò di
identificare prima di berne - e tentava di trovare un filo logico ai
propri pensieri, confusi più o meno da una vita.
Il compito gli risultò particolarmente difficile per un
insieme
di concause quali l'agitazione prematrimoniale, il mancato sonno e un
mucchio di inutili preoccupazioni molto somiglianti a quelle che
attanagliavano Kate qualche abitazione più in là.
Ciò che Much voleva e non riusciva a fare era mettere Robin
a
conoscenza, ancora una volta, dell'intenso sentimento di amicizia che
lo legava a
lui, quasi sentisse il bisogno di rassicurarlo in qualche modo per
l'imminente separazione. E di
rassicurare se stesso, in fondo. Dall'ultima volta che i due avevano
vissuto una vera avventura,
una di quelle che ti costringono a nasconderti schiena contro schiena,
camuffarti e agire in
fretta e in sincrono se non vuoi perdere la vita in un attimo, era
trascorso diverso
tempo e un po' Much rimpiangeva il periodo passato in Terra Santa,
perché in quel frangente temporale lui e Robin erano stati
più
che mai affiatati, più che mai legati l'un l'altro.
Già con il rientro in Inghilterra, a Locksley, qualcosa era
cambiato nel loro rapporto e ancor prima che Much rimettesse piede in
terra inglese preoccupazione e tristezza avevano conquistato gran parte
del suo cuore. Ciò che più gli aveva causato
dispiacere,
e lo confondeva un po' tutt'ora quando ci rifletteva su, era
l'inevitabile separazione da Robin il quale come signore
di Locksley non avrebbe più avuto tempo per lui, un semplice
servitore destinato - grazie all'innegabile bontà del suo
padrone - al titolo di Lord e a divenire proprietario di una tenuta in
quel di Bonchurch. Nonostante non desiderasse altro che migliorare la
propria condizione sociale, la paura di perdere ogni contatto con Robin
Hood lo
aveva reso malinconico oltre ogni dire e sebbene la presenza di Vaisey
a Nottingham in qualità di nuovo Sceriffo avesse arrecato
ingenti danni a tutta la popolazione della Contea, Much aveva scoperto
una punta di inusuale - e forse fuori luogo - contentezza dentro di
sé quando aveva capito che l'avventura con Robin non era
ancora
giunta al termine.
A poche ore dal matrimonio con Kate, la donna di cui si era innamorato
nell'ultimo periodo trascorso nei panni di fuorilegge e a cui aveva
rinunciato per amore della stessa e del suo amico arciere per poi
riconquistarla successivamente, i pensieri
dell'uomo non erano molto diversi da quelli di qualche anno prima. Alla
fine si sarebbe trasferito a Bonchurch, avrebbe messo su famiglia e
grazie al nuovo titolo nobiliare avrebbe assicurato ai suoi cari una
vita serena mentre Robin sarebbe rimasto a Locksley con i suoi
fratelli. Certo, si sarebbero visti spesso dal momento che Kate aveva
promesso a Kaelee che non si sarebbero mai separate sul serio,
però Much sapeva quanto Robin gli sarebbe mancato e quanto
difficile sarebbe stato gestire quella gelosia che sempre lo
attanagliava quando l'arciere dedicava attenzioni ad altri membri della
vecchia banda. Aveva sempre pensato di essere speciale per lui, ma
spesso aveva temuto di esserselo soltanto immaginato.
Invece Robin lo riteneva davvero un amico di inestimabile valore, gli
voleva bene anche se non si era accorto per molto tempo di aver
trattato Much come suo subordinato pur avendolo reso a tutti gli
effetti un uomo libero nel momento stesso in cui entrambi erano tornati
in patria.
Robin Hood era una brava persona, ma non era perfetto e, come molti
uomini in questo mondo, gli capitava di sbagliare o di non interpretare
correttamente la realtà che aveva stotto al naso. Oppure di
ferire involontariamente i suoi cari.
«Sai,
Much»,
esordì sorseggiando la sua bevanda con aria
pensierosa, un
accenno di sorriso sulle labbra e lo sguardo molto lontano da Locksley
e dall'Inghilterra, «Penso che mi recherò ad
Acri».
Per
Much fu come ricevere un calcio in pieno stomaco. Le dita strette
attorno al bicchiere. Le labbra contratte.
«Mi
piacerebbe rivedere Will e Djaq», aggiunse dopo una breve
pausa accompagnata da un altro sorso.
Robin
non lo stava neanche
guardando, quasi non gli importasse dell'identità del suo
interlocutore. Much dimenticò tutto. Kate,
il matrimonio, Bonchurch. Tutto scomparve dinanzi alla prospettiva che
Robin partisse senza di lui e la paura che lo aggredì fu
talmente violenta da impedirgli di arginare e dissimulare le proprie
emozioni come molte volte in passato si era costretto a fare,
riuscendoci.
«Ma, padrone!», strillò con voce acuta.
Le mani che gli tremavano mentre posava il bicchiere sul tavolo.
Robin si accorse in ritardo di aver sbagliato completamente i tempi:
quella rivelazione rischiava di mandare a monte l'intera cerimonia.
«Voi!
Proprio voi che non
riuscite neanche a parlarne ora volete tornarci! In Terra
Santa!», esclamò, sbiancando soltanto per
avvampare un
momento più tardi. Terrore, incredulità e dolore
nei suoi
occhi. «Che sciocchezze mi
raccontate! Oh... Ma deve essere uno scherzo!»,
affermò
poi abbandonandosi ad una leggera risata isterica. «Voi
mi prendete in giro ed io ci casco sempre, non è
così?», concluse dando una pacca sulla spalla ad
un
interdetto Robin Hood.
L'incapacità di accettare una simile eventualità
aveva
spinto Much a considerare l'idea che il suo amico avesse voluto
spaventarlo per scherzo, ancora una burla da ragazzini prima che lui
divenisse ufficialmente un uomo sposato.
Robin, che realizzò l'entità delle conseguenze di
quella
confidenza, scoppiò a ridere e riservò all'amico
un
buffetto affettuoso sul capo decidendo di stare al gioco.
«E da quando sei
così perspicace?»,
esclamò facendo il possibile per essere credibile.
Much tirò un sospiro di sollievo, ingenuamente felice che la
sua disperata
intuizione si fosse rivelata giusta, e rise insieme a Robin
rilassandosi un po'.
«Lo sapevo», mormorò come al suo
solito, ricordando a entrambi le molteplici avventure nella Foresta di
Sherwood. Poi lo
abbracciò.
La chiesa di Locksley era in fermento.
Lo sposo, impaziente dinanzi all'altare, continuava a voltarsi
verso l'ingresso nonostante tutti gli suggerissero di non agitarsi in
quel modo se voleva evitare di farsi trovare lungo disteso all'arrivo
della sposa.
Perfino i tentativi da parte di Robin, scherzosi e non, si rivelarono
pressocché
inutili. E mentre la maggior parte degli ex fuorilegge se la rideva
prendendo in giro "il maritino" più o meno a bassa voce, -
Little John borbottava qualcosa in merito all'esagerato atteggiamento
dell'uomo, in concomitanza con le parole intrise di tenerezza che sua
moglie Alice gli rivolgeva per ammorbidirlo, e un po' offeso
perché Much aveva osato riprendere il suo motto, «Oggi
è un buon giorno per morire»,
applicandolo a quella situazione da lui ritenuta del tutto
inappropriata alla citazione;
la giovanissima Nettie si torturava il labbro inferiore con i denti e
si stritolava l'abito tra le dita, tesa forse più dello
sposo,
sebbene le battute di Archer la divertissero almeno quanto le gomitate
che lui riceveva da parte di Guy - Much si domandava
perché Kate ci mettesse così tanto.
Gisborne, invece, era piuttosto serio, sentiva un fastidioso nodo allo
stomaco cui non riuscì
ad attribuire un nome preciso. Sapeva solo di essere ansioso, ma per
cosa esattamente non poteva determinarlo perché troppi erano
i
pensieri che gli affollavano la mente e improvvisamente pesante
ciò che custodiva in tasca. Se questa era la sua reazione al
matrimonio di un amico, cos'avrebbe provato quando sarebbe toccato a
lui? A dirla tutta Guy era stato ad un soffio dalle nozze con Lady
Marian e rammentava la tensione che gli aveva quasi immobilizzato tutti
i muscoli, ma era piuttosto certo che con Kaelee sarebbe stato diverso.
Perché lei lo amava e non avrebbe mai potuto lasciarlo dopo
avergli assestato un pugno in pieno viso.
Quest'ultima aveva appena preso posto accanto a lui, solo dopo un
lunghissimo e lacrimoso abbraccio con Kate ed una veloce chiacchierata
con Fra Tuck per gli ultimi accordi, e gli sorrideva felice sebbene nel
caramello dei suoi occhi albergasse una sfumatura malinconica. Kate era
pur sempre la prima persona con la quale Kaelee aveva legato al suo
arrivo a Locksley, quella che l'aveva accolta nella propria casa e
aiutata ad ambientarsi.
«Cavalcheremo fino a
Bonchurch tutte le volte che vorrai»,
le sussurrò sfiorandole dolcemente le dita, certo di migliorarle l'umore: sapeva quanto le
piacesse cavalcare.
Poi tutti si voltarono verso il portone principale.
«Fratelli e sorelle,
siamo oggi qui riuniti per celebrare...»,
iniziò qualche minuto più tardi Fra Tuck,
incapace di
trattenere un sorriso essendo i due promessi suoi grandi amici oltre
che fedeli.
Kaelee non era riuscita a staccare gli occhi di dosso a Kate quando era
entrata in chiesa accompagnata da sua madre. La donna, nel suo incedere
aggraziato, aveva guardato con
emozione il suo futuro sposo come se non esistesse altro al mondo,
incurante di tutti gli sguardi dei presenti alla cerimonia. La
leggerezza con cui
aveva percorso lo spazio che la separava da Much era parsa surreale a
Kaelee, la quale trovò Kate più radiosa che mai
nel suo
abito chiaro e con i capelli raccolti adornati da fiori setosi. Fu
completamente rapita da quell'immagine che la sua mente
associò
al concetto più puro di felicità; non poteva
trattarsi di
nient'altro del resto, perché cosa avrebbe potuto desiderare
Kate ormai letteralmente ad un passo dal coronare il suo sogno d'amore?
Much rappresentava per la donna un futuro sereno e insieme a lei
costituiva le solide basi di una bella famiglia numerosa.
Immersa nei propri pensieri, Kaelee non prestò alcuna
attenzione
alle parole di Tuck che certamente erano state le migliori che si
potessero pronunciare in una simile occasione semplicemente
perché Tuck era ineguagliabile quando si trattava di
arrivare al
cuore delle persone. Fu solo quando i presenti esplosero in un applauso
gioioso che Kaelee si ridestò accanto ad un Guy dall'aria
vagamente pensierosa, forse perfino preoccupata.
Seguirono abbracci, strette di mano, congratulazioni e molte pacche
sulle spalle di Much da parte dei suoi amici più cari.
Certo un banchetto non curato personalmente dal cuoco più
celebre di Locksley era un po' un azzardo, ma andò tutto per
il
meglio dal momento che Much aveva condiviso i suoi segreti con qualche
appassionato, così gli invitati mangiarono ogni cosa con
gusto
accompagnando le
pietanze con dell'ottimo vino consigliato e procurato da Gisborne in
persona, il quale pur non esagerando mai ne capiva abbastanza da saper
distinguere con esattezza una qualità dall'altra. Vivere nel
Castello di Nottingham insieme a Vaisey e al suo stile di vita da
nobile aveva lasciato in eredità qualcosa di
positivo in fin dei conti.
Tra canti allegri a tratti irriverenti, aneddoti imbarazzanti e
sfottò di ogni tipo,
la giornata si rivelò una delle più belle e
divertenti di
sempre a Locksley, in particolare per il gruppo di ex fuorilegge. Il
periodo vissuto all'ombra di Sherwood sicuramente non era stato uno dei
migliori per Robin e la sua banda, ma le innegabili
avversità e
difficoltà di sorta non avevano scoraggiato la banda che era
spesso riuscita a trovare un motivo per rendere omaggio ad una piccola
vittoria sullo Sceriffo. Niente a che vedere con il ricco banchetto di
quel giorno, eppure i piccoli animali arrostiti su un fuoco di
fortuna e condivisi con i compagni di mille avventure avevano spesso
rallegrato e dato forza alla banda di fuorilegge. Era anche in simili
occasioni che andava cercato l'invisibile legame capace di unire i
componenti del gruppo come fossero perle di un'unica collana.
Non mancarono anche attimi di grande commozione, soprattutto quando
Rebecca volle
ringraziare Kate pubblicamente per la meravigliosa figlia che era
elogiandola per il coraggio che in diverse occasioni aveva manifestato;
o quando Robin dedicò un discorso semiserio al suo amico
Much;
ma proprio nel momento in cui tutti credettero che l'apice emozionale
era ormai stato
raggiunto, Gisborne chiese l'attenzione dei presenti annunciando di
avere qualcosa di molto importante da dire.
«Non sono tanto bravo con
le parole, perciò prenderò spunto da quelle
che Tuck ci ha riservato in chiesa durante la cerimonia», esordì dopo essersi
alzato in piedi, i
palmi poggiati sulla morbida stoffa della lunga tovaglia dalle
sfumature pastello, lo sguardo fisso davanti a sé. «"L'amore,
cari fratelli e care sorelle, è un delizioso bambino facile
agli
sbalzi d'umore, bisognoso di stimoli, capriccioso alle volte e
incline agli sbagli di tanto in tanto, ma dotato di un cuore puro. Non
si preoccupa del colore della pelle, della classe sociale o
dell'età. Trasforma l'imperfezione in
originalità. E non stupitevi se quest'oggi vi dico che
nessuno
di noi è immune all'amore"».
Gisborne
ripeté ad occhi chiusi, con assoluta precisione quanto Fra
Tuck
aveva detto poche ore prima e sorrise nel ricordare l'intervento del
piccolo John - figlio di Little John e Alice - il quale aveva chiesto a
Tuck, interrompendolo, se anche lui fosse quindi innamorato di
qualcuno. "Di Dio", era stata la gentile e sincera risposta del frate. «Ho
provato sulla pelle che Tuck non ha mentito:
perfino uno come me è stato raggiunto dall'amore»
e nel dirlo
guardò inevitabilmente Kaelee, seduta di fianco a lui con il
viso rivolto verso l'alto per poterlo osservare mentre parlava.
Lei arrossì vistosamente, incredula e lusingata, e lui
sorrise beato.
«In questo giorno
dedicato all'amore, chiedo scusa se rubo spazio ai novelli sposi», continuò sorridendo a
Much e Kate che sedevano l'uno accanto all'altra, mano nella mano, «Voglio
farmi carico del testimone e
muovere un passo verso l'ufficializzazione del mio sentimento per la
donna che mi ha rimesso al mondo. Una donna bellissima
di nome Kaelee. Kaelee di Edwinstowe». L'ultima parte la
sussurrò con la voce che gli tremava lievemente e lo stomaco
in
subbuglio.
Kaelee si sentì venir meno. Si domandava come e quando fosse
venuto in mente a Guy di prendere una simile iniziativa alla festa per
il matrimonio dei loro amici, così, davanti a tutti e con
Allan
presente. Non gli aveva già promesso amore eterno in
privato?
Era davvero necessario esporsi in quel modo, senza rifletterci?
Improvvisamente iniziò a valutare l'ipotesi che non fosse lo
slancio di un momento.
Gisborne
tese una mano verso la sua
amata, invitandola ad alzarsi in piedi, e lei non ebbe più
occasione, né voglia, di porsi domande.
La maggior parte degli invitati aveva capito le intenzioni di Gisborne
e aveva gli occhi puntati sulla curiosa coppia. Curiosa
perché
Kaelee era una giovane donna piena di vita, minuta ed esuberante,
dotata di un'elevata determinazione e anche piuttosto bella
esteticamente parlando, era una persona piacevole da frequentare, molto
socievole e gentile; Guy invece riusciva ancora a mettere in soggezione
molti abitanti del villaggio semplicemente con uno sguardo, se la
prendeva con facilità e tendeva a cedere a scatti irosi
seppure si sforzasse molto per evitare che accadesse, aveva sviluppato
un notevole autocontrollo e interagiva molto di più con
l'intera
popolazione, ma non si poteva dire di lui che fosse un tipo brioso o
che sorridesse spesso, era anche lui fisicamente attraente, solo era
molto più alto, forte e maturo di Kaelee. Curiosa
perché
da quando si erano conosciuti entrambi avevano subìto un
cambiamento: lei era maturata molto e lui sembrava più vivo
di
quanto non fosse mai stato prima. Curiosa perché, nonostante
tutte le differenze, vedendoli insieme non si poteva pensare che non
fossero fatti per starsi accanto.
Tra le mani di Gisborne comparve quasi magicamente - questa la
sensazione di Kaelee - un minuscolo
cofanetto che aveva tutta l'aria di contenere al suo interno qualcosa
di molto prezioso, svelato qualche attimo più tardi.
«Accettando questo anello
scegli di regalarmi il tuo cuore ottenendo in cambio il mio»,
mormorò non senza imbarazzo e non senza l'immotivata, ma
incontrollabile, punta di
terrore che lei potesse rifiutarlo.
Kate si portò entrambe le mani alla bocca, commossa.
Much
si impose di non imitarla, ma nulla poté contro il velo che
gli appannò la vista.
Nettie trattenne prima il respiro e poi Archer che stava per lasciarsi
andare ad una delle sue solite considerazioni divertenti, ma fuori
luogo in quel
frangente.
Little John scosse per l'ennesima volta il capo borbottando che tutto
quel romanticismo gli avrebbe fatto andare di traverso il pranzo appena
consumato. Alice e il piccolo John lo amavano troppo per rimproverarlo,
così sorrisero.
Tuck espresse la sua gioia ringraziando Dio a bassa voce
perché presto avrebbe unito altre due anime in nome di Lui.
Allan sentì la parte di sé che ancora amava
Kaelee perdersi in
un altrove immaginario da cui non sarebbe più tornata, come
se
una porzione del suo cuore avesse smesso di battere spontaneamente e
continuasse a farlo soltanto perché spinta dalle restanti
parti.
Nonostante questo si mostrò felice perché se
Kaelee lo
era, non poteva non esserlo anche lui.
Robin apparve estremamente serio per la prima volta in quel
giorno perché, all'improvviso, tutto gli fu definitivamente
chiaro e
capì che il suo destino era tornare in Terra Santa, sulla
tomba
della sua amata, a cercare e forse trovare la pace che Locksley non era
riuscita a donargli. Ora che suo fratello Guy si era lasciato il
passato alle spalle era tempo anche per lui di intraprendere la propria
strada e risolvere i conti che aveva ancora in sospeso con la vita,
tanto più perché anche Archer sarebbe stato bene.
Poco lontano da Robin sedeva Luke, Luke Scarlett, a lui molto
affezionato e riconoscente. Essendo vissuto a Locksley prima di essere
costretto a scappare con suo padre in seguito alla cattura sua e di suo
fratello per ordine dello Sceriffo e alla successiva fuga grazie
all'aiuto di Robin, il ragazzo
conosceva abbastanza bene tutti i componenti della vecchia banda e
aveva facilmente stretto amicizia con i nuovi quali Archer e Kaelee ad
esempio. Eppure soffriva terribilmente la mancaza di suo fratello Will,
trasferitosi in Terra Santa insieme alla sua amata Djaq che aveva poi
sposato. Era stato lui
a proporre a Robin un viaggio in quei luoghi per poter rivedere Will e
da allora la mente di entrambi era davvero molto lontana dal piccolo
villaggio inglese.
Ciò che Gisborne mostrò a Kaelee non era un
semplice
anello. La sua particolarità stava nella scelta delle due
pietre
che ne impreziosivano l'intreccio: ambra e topazio la cui sfumatura era
un evidente
richiamo al colore degli occhi di entrambi.
Alla giovane donna non
sfuggì quel dettaglio e capì che tutte le volte
in cui Gisborne si era scusato per non averle ancora regalato un anello
stava soltanto prendendo il tempo necessario alla realizzazione del
gioiello. Kaelee si sentì amata e importante come non le era
mai accaduto prima.
«Lo voglio»,
soffiò la giovane donna in preda all'emozione, scatenando
sonori applausi da parte dei presenti.
Da qualche parte, nei
pressi della costa inglese.
«Muovetevi! Razza di
perditempo!»,
tuonò un uomo in nero dalla sella del proprio cavallo. Lui e
i
suoi erano sbarcati due settimane prima e in quell'arco di tempo i
più anziani si erano dedicati alla parte organizzativa della
faccenda mentre i più giovani avevano preferito abbandonarsi
all'ozio e a piaceri effimeri. «Non
siete qui per trascinare tra le vostre sudicie lenzuola le
giovani figlie dei pescatori locali!»,
aggiunse agitando la spada dinanzi a sé per richiamare
all'ordine i cavalieri che il Principe Giovanni in persona aveva
affidato al suo comando. "Sia maledetto il giorno", pensò.
Se
qualcosa fosse andato storto avrebbe perso la testa, letteralmente, ma
non prima di aver ricevuto il perverso e raccapricciante invito per
assistere
allo
sterminio di tutti i suoi cari. Non poteva e non doveva permettersi di
commettere neanche il più piccolo degli errori. «Siete
i Cavalieri Neri! Lo rammentate o il
vostro cervello è troppo piccolo per questo?». La
sua voce era potente e decisa.
«Sissignore! Nossignore!», risposero quelli in un cupo coro ad
entrambe le domande.
Uno di loro aveva dipinto un sorriso beffardo sul suo giovane viso
mentre chiedeva: «Invidioso,
mio signore?».
L'uomo sentì la rabbia
montare, ma non cedette
alla provocazione, consapevole che sarebbe stata la fine.
«Ebbene, meritate più di qualche puzzolente
sgualdrina di
periferia! O siete caduti così
in basso da aver già dimenticato quanto sanno essere
eccitanti e perverse certe
nobildonne tra liscia seta e velati pizzi a coprir le loro
grazie?», continuò sfumando di malizia la voce.
"Autorità. Governa il più ribelle e li governerai
tutti",
si disse. «Siete o no
rispettabili nobili meritevoli della fiducia del Principe Giovanni e
della mia?»,
domandò punzecchiandoli nell'orgoglio e spegnendo il
sorrisetto
del cavaliere che aveva osato interromperlo poco prima.
«Sissignore!».
Le loro voci in coro, stavolta, si levarono alte e decise.
«A Nottingham dunque!», terminò l'uomo brandendo
nuovamente l'arma e puntandola verso l'alto.
«A Nottingham!», risposero. «Lunga
vita al Principe Giovanni!»,
esclamarono infine prima di intraprendere la cavalcata alla volta della
città da poco ricostruita.
N.d.A.
La splendida notizia è che Rai4 ha deciso di trasmettere di
nuovo la serie tv, ogni giorno intorno alle 17:00 (sabato e domenica
esclusi). Come si può non gioirne?
Tornando a noi, essere arrivata a ultimare questo ventiduesimo capitolo
equivale per me ad aver vinto un'altra piccola battaglia personale.
Vincerò la guerra quando avrò pubblicato l'ultimo
capitolo della storia, ma già essere riuscita ad arrivare
fin
qui - per una come me che si distrae facilmente e che si scoraggia
altrettanto facilmente - è motivo di contentezza. Mi sento
di
dirvi che siamo molto vicini alla fine ormai e che la cosa un po' mi
rattrista. D'altro canto, però, è necessario
portarla a
termine perciò spero di aggiornare molto presto.
Ringrazio chiunque di voi abbia scelto di soffermarsi su queste
vicende, silenziosamente oppure no.
A presto!
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Capitolo 23 *** I Cavalieri Neri ***
Ventitre
I
Cavalieri Neri
Nottingham.
Un gruppetto di giovani arcieri era di ritorno da
Sherwood dopo un'esercitazione guidata da Robin Hood.
L'allegra compagnia, composta da quattro uomini e due donne, scherzava
e rideva spensierata nel corso del consueto tragitto che li avrebbe
ricondotti nella nuova Nottingham. Il periodo di stenti che aveva
caratterizzato gran parte della loro vita ancora agli albori era
soltanto un vecchio ricordo, sebbene non fosse trascorso poi
così tanto tempo, e se questo era possibile era solo grazie
alla
spensieratezza tipica della loro età e alla fortuna di aver
avuto Robin di Locksley come maestro di vita.
I giovani di tutte le contee dell'Inghilterra erano la speranza
concreta di un futuro migliore, di una vita più giusta,
erano
quel filtro che permetteva a tutti di guardare al mondo con una
positività che per molto tempo si era creduta persa e che
invece
era soltanto rimasta nascosta in fondo al cuore dei più
piccoli.
Mentre uno dei ragazzi intonava una canzonetta leggera e una delle
ragazze gli rivolgeva lo sguardo smielato di chi è ad un
passo
dall'innamorarsi, gli altri li prendevano affettuosamente in giro ad
eccezione di uno. Il più adulto tra loro, ed anche il
più guardingo, a poche decine di metri dall'ingresso alla
città
Nottingham notò che qualcosa di strano stava accadendo e
chiese
il silenzio dei suoi compagni. Sulle prime il gruppo non gli
badò, ritenendolo il solito rompiscatole, ma poi anche
l'altra
ragazza presente si accorse degli uomini in nero che sostavano dinanzi
alla porta principale come se stessero facendo la guardia. A quel punto
tutti si zittirono ed ebbero la sensazione di essere tornati indietro
nel tempo a quando lo Sceriffo Vaisey governava nel terrore.
Il giovane adulto si rivolse alla ragazza che per prima gli aveva dato
retta e che aveva la fama di essere molto veloce nella corsa.
«Va'
a Locksley. Cerca Archer o Guy, informali e torna insieme alla
banda», le disse ponendole una mano sulla spalla.
La ragazza abbassò per un attimo lo sguardo, intimidita
dalla
determinazione di lui e in imbarazzo per quell'inatteso contatto.
«Voi
che farete?», domandò con un filo di voce.
«Osserveremo.
Attenderemo», rispose sintetico, deciso. Aveva la stoffa del
leader.
Lei annuì e lasciò la sua sacca all'amica per
poter raggiungere il vicino villaggio nel minor tempo possibile.
«Non
azzardarti a tornare da sola», le intimò
guandandola dritto negli occhi. «Va'! Corri più del vento!», concluse lasciandola libera.
Chiunque avesse informato il Principe Giovanni in merito alla
condizione di Sir Guy di Gisborne doveva essere un tipo assai sbadato -
e anche poco furbo dal momento che, una volta scoperto, il denaro
ottenuto gli sarebbe servito a poco - perché nel vendere le
sue
conoscenze aveva dimenticato di dire che l'uomo non viveva
più a
Nottingham nonostante questa fosse stata ricostruita dopo il fatale
scontro tra gli uomini di Robin Hood e il vecchio Sceriffo della
contea, prima che Re Riccardo sfuggisse al rapimento orchestrato da suo
fratello Giovanni, già al sicuro in Francia.
Perciò il
Principe aveva inviato i suoi Cavalieri Neri - sei potenti nobili
accompagnati da una rappresentanza di cinque giovani cavalieri ciascuno
- in città, certo
di
trovarvi l'ambita preda da eliminare definitivamente poiché
aveva osato tradire la sua lealtà a colui il quale era
destinato
ad essere Re - questo ciò di cui era ancora convinto
Giovanni
pur essendo stato diseredato e privato delle sue terre dal fratello
Riccardo. Né i
Cavalieri Neri si erano premurati di raccogliere testimonianze in giro,
non volendo contraddire in alcun modo gli ordini del Principe, quindi
raggiungere Nottingham convinti di poter catturare,
torturare e umiliare un uomo e non riuscire invece a scovare Gisborne
da nessuna parte aveva presto scaldato gli animi degli uomini di
Giovanni i quali avevano in fretta iniziato a discutere animatamente
tra loro sul da
farsi, incriminando il Primo Cavaliere - ovvero colui il quale era
stato incaricato di gestire e guidare non soltanto i propri cinque, ma
anche gli altri nobili e i rispettivi uomini - di tutte le scelte
sbagliate, ma in
precedenza approvate, che aveva preso, considerandolo l'unico
responsabile del reale rischio di aver fatto un lungo e sfiancante
viaggio a vuoto. In più alcuni di loro stavano meditando di
usare violenza gratuita sulla popolazione di propria iniziativa al fine
di farsi dire
dove quel tale Gisborne si nascondesse, così da catturarlo,
ucciderlo e divenire i favoriti del Principe. Creare il panico tra la
gente di Nottingham, però, non era tra i piani di Lord Wyatt
il
quale era perfettamente conscio della presenza di Robin Hood e dei suoi
nei dintorni della città e, memore dell'ultima volta che lo
aveva incontrato, preferiva evitare di scontrarsi con lui, cosa che di
certo sarebbe accaduta se i cavalieri avessero messo a soqquadro la
città.
Questa era la situazione quando Lord Wyatt ordinò di
setacciare fino all'osso ogni abitazione, ogni osteria e ogni bottega
evitando di essere violenti senza motivo
mentre diversi uomini venivano messi a guardia dell'ingresso principale
cosicché nessuno potesse uscire o entrare senza che i suoi
uomini ne fossero a conoscenza. Se da una parte questo aumentava il
rischio che la notizia del loro arrivo raggiungesse Robin, dall'altra
arginava la possibilità che gli abitanti di Nottingham
corressero a cercarlo.
Questa era la situazione quando il gruppo di giovani arcieri
inviò la celere compagna a Locksley nella speranza che tutto
filasse liscio.
Locksley.
Mentre correva, la ragazza pensava esclusivamente al compito che le era
stato assegnato e faceva leva sul proprio coraggio per non fallire, per
non lasciarsi intimidire da Archer o Guy. Soprattutto il secondo non le
andava propriamente a genio. Tutti sostenevano che fosse cambiato e in
effetti si comportava in modo gentile con l'intera popolazione, che si
trattasse di umili artigiani, donne anziane o bambini; aveva anche
trovato l'amore in quella giovane donna carina ma troppo bassa per i
gusti di Rose - così si chiamava - e accompagnava Little
John
all'orfanotrofio a volte, eppure lei non riusciva proprio a fidarsi di
lui. Il sollievo che aveva provato quando finalmente la ricostruzione
di
Nottingham era stata completata, era paragonabile soltanto al momento
in cui lo Sceriffo Vaisey era morto. Finché aveva abitato a
Locksley con la sua famiglia, infatti, Rose era stata costretta a fare
i salti mortali per evitare di incontrare Gisborne per strada,
così come era stato necessario ripiegare su arco e frecce
perché le lezioni con la spada erano impartite proprio da
lui.
Era un ragionamento sciocco il suo, infantile, e Rose se ne rendeva
conto nei momenti di lucidità, ma il suo istinto le
suggeriva di
stare alla larga da quell'uomo e lei raramente andava contro le sue
stesse intuizioni.
Quando raggiunse il villaggio era ormai senza fiato e correva mossa
soltanto dalle parole che l'arciere suo amico le aveva rivolto. Non
fermò le proprie gambe finché non vide Allan che
parlava
con il bottaio. Avrebbe preferito incontrare direttamente Archer o
qualsiasi altro affiliato di Robin Hood visto
che da qualche mese aveva scoperto di avere una simpatia per il
divertente ex fuorilegge dai grandi occhi blu, - il quale
però
si era preso una sbandata per la piccoletta tuttofare arrivata da
Edwinstowe portando nient'altro che scompiglio - ma non era il momento
di
farsi venire un
attacco di timidezza o gelosia, così salutò
entrambi gli
uomini
cercando di non sembrare allarmata, per evitare che
caos e panico si diffondessero a macchia d'olio. Oltre ad istruire i
giovani all'uso di un'arma, Archer, Robin, Guy e John, insegnavano loro
il più corretto comportamento da tenere in caso di pericolo
e
Rose sapeva che la prima regola in circostanze come quella che si era
verificata a Nottingham non contemplava l'andarsene in giro gridando
alla tragedia.
«Ehi
Rose!», esclamò con la consueta allegria Allan. «So di essere un tipo affascinante, ma davvero non
è il caso di rischiare il collasso per me».
La
ferita inferta dall'amore per
Kaelee era ancora in via di guarigione e non sanguinava
più come prima, così Allan stava tornando ad
essere quello di
sempre, quindi non c'era da stupirsi se l'innata simpatia e una
buona dose di narcisismo lo avevano reso, a sua insaputa, il
protagonista di
una situazione davvero imbarazzante.
Rose, infatti, perse il filo logico di ogni cosa e avvampò
dimenticando perfino il motivo per cui aveva corso così
tanto e
così in fretta.
Il collasso, a dirla tutta, lo stava rischiando proprio mentre lui le
rivolgeva quel sorriso accecante, ma sentiva che dirlo ad Allan non era
la cosa migliore
che potesse fare, così si sforzò di fare mente
locale e
cercò di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
«Sì...
Non vorrei
offenderti, ma sto cercando Archer», gli rispose portando
avanti
il compito affidatole e, contemporaneamente, tentando di apparire
sicura di sé e per nulla interessata all'uomo che aveva
davanti.
La sua voce aveva traballato un po', ma Rose sperò che Allan
non
se ne accorgesse.
«Eppure
sei arrossita», la provocò lui.
La sua reazione fu un misto tra lo sbuffare ed il sospirare mentre
alzava gli occhi al cielo. «Vuoi
dirmi che tu non hai caldo dopo una corsa? E poi, sul serio, ho bisogno
di Archer», concluse rivolgendogli una fugace occhiata
preoccupata.
Il sorriso di Allan si affievolì appena percepì
che c'era
una nota d'allarme nel tono che la ragazza aveva usato nell'ultima
frase e sentì l'immediata esigenza di congedarsi dal bottaio.
Neanche mezz'ora più tardi, la banda di ex fuorilegge era
venuta
a conoscenza degli strani movimenti osservati in quel di Nottingham e
si era deciso di rimandare indietro Rose insieme ad Allan in modo da
tranquillizzare i ragazzi che la attendevano e fornir loro alcune
istruzioni. Intanto, Robin e i suoi,
in riunione al Maniero, discutevano sul da farsi.
«E
se fosse di nuovo
Rudyard?», domandò Kaelee disgustata al solo
pensiero, ma
si convinse subito che quell'eventualità era molto
improbabile
dal momento che gli scambi con i suoi fratelli dipingevano un Rudyard
costretto a rigare dritto e sorvegliato a vista per gran parte delle
sue giornate. Come aveva potuto organizzarsi meglio della prima volta
nelle condizioni in cui si era venuto a trovare?
«Rose
ha parlato di uomini in nero», fece John meditabondo.
«Guardie
vestite di nero che
controllano la città di Nottigham... Ho paura che lo
Sceriffo
sia tornato dal mondo dei morti per tormentarci. Noi che ne sappiamo di
come vanno le cose laggiù? Lassù... Insomma,
dall'altra
parte», intervenne Much il quale, ovviamente, si trovava a
Locksley insieme a Kate non potendo entrambi stare lontani l'uno da
Robin e l'altra da Kaelee.
«Much!»,
esclamarono in coro Archer, Kate e Luke.
«Che
ho detto?», rispose lui sinceramente stupito dal rimprovero
ricevuto.
Robin si mordeva l'indice, lateralmente, come era solito fare
quando si trovava in difficoltà, quando non sapeva come
comportarsi. Per quel che ne sapeva, né Nottingham,
né la
banda di ex fuorilegge avevano nemici dichiarati. Certo il Principe
Giovanni non aveva accettato di buon grado le decisioni prese dal Re
suo fratello, ma cosa mai poteva volere Giovanni proprio da Nottingham?
Cosa sperava di trovarci, ammesso che ci fosse il suo zampino? Un nuovo
Sceriffo forse?
Scosse il capo nel tentativo di mandare via quei pensieri che egli
stesso reputò assurdi in quanto privi di un fondamento
logico.
Anche Gisborne era piuttosto silenzioso mentre ripensava al racconto
fornito da Rose la quale aveva parlato, più precisamente, di
guardie a
cavallo poste a sorveglianza dell'ingresso principale alla
città. Il chiacchiericcio dei compagni divenne un borbottio
lontano, un sottofondo ai suoi pensieri che, come quelli di
Robin, rischiavano di rasentare l'assurdo. Eppure c'era un filo,
benché Gisborne stesse volutamente evitando di prenderlo in
considerazione, capace di legare tutti gli indizi portando ad
un'intuizione che appariva verosimile se si prendevano in
considerazione alcune vicende del passato.
«È
sicuramente opera
del Principe Giovanni. Ha già provato ad insediarsi a
Nottingham, l'avete dimenticato?», intervenne Kate, convinta
che
l'Inghilterra non avesse altro nemico che lui, Giovanni il diseredato,
Giovanni Senzaterra.
Il Principe Giovanni. Nottingham. La corona. Lo Sceriffo. Re Riccardo.
Cavalieri.
Mentre qualcuno scuoteva il capo in segno di dissenso, Gisborne
obbligò se stesso ad accettare l'idea che, ancora una volta,
fosse lui la causa del trambusto.
«Credo
che Kate abbia ragione», mormorò, «E
se è davvero così, allora dobbiamo raggiungere in
fretta
la città perché i Cavalieri Neri l'assedieranno
nella
convinzione che io ne sia a capo».
Intorno a lui calò il silenzio.
Che Gisborne avesse ragione oppure no - e tutti speravano che si
sbagliasse - era necessario recarsi a Nottingham per verificare.
Sebbene fosse chiaro a tutti che qualcuno dovesse rimanere a Locksley,
ognuno di loro aveva una ragione per seguire gli altri fino in
città.
Archer non avrebbe permesso ai fratelli di rischiare la vita senza che
ci fosse anche lui a difenderli.
Much sarebbe stato l'ombra di Robin e Kate non sarebbe rimasta a
guardare.
Luke non se la sentiva di gestire da solo la sicurezza dell'intero
villaggio, perciò sarebbe rimasto soltanto se qualcuno lo
avesse
affiancato.
Little John sapeva di poter essere utile al gruppo, ma non aveva
intenzione di permettere ad Alice o John di seguirlo, quindi era nel
bel mezzo di una discussione animata, così come anche Kaelee
che
stava nuovamente ricordando a Gisborne i motivi per cui non le sarebbe
riuscito di starsene con le mani in mano.
Tuck cercava di mettere pace nel gruppo, ma si rendeva conto che i
sentimenti in gioco non erano compatibili con un vero e proprio accordo.
Naturalmente, e come sempre, fu Robin a decidere per tutti: Tuck, Luke,
il piccolo John, Alice, Nettie e Archer sarebbero rimasti a Locksley,
pronti però ad intervenire se necessario. Questa scelta fece
andare fuori di testa Archer che inveì contro Robin
accusandolo
di avere la presunzione di saper sempre gestire ogni cosa e di poter
comandare tutti a bacchetta.
Robin premette con forza le proprie dita contro la nuca di suo
fratello, costringendolo ad una tale vicinanza che la fronte di Archer
sfiorò la sua.
«Chi
credi che ci
tirerà fuori dai guai se dovessimo avere la
peggio?»,
disse più serio che mai prima di allentare la presa. «E poi gli devi un favore», aggiunse
indicando Gisborne - che gli aveva salvato
la vita proprio a Nottingham nell'ultimo scontro con Vaisey - e
regalandogli la tipica risata alla Robin Hood, colma di ottimismo,
speranza e un po' di strafottenza.
«A
maggior ragione devo venire con voi», ribatté
prendendolo per un braccio.
Robin scosse il capo. «A Locksley serve qualcuno che possa mettere gli
abitanti in salvo», replicò.
«Tuck
è un'ottima guida», fece lui, testardo.
«È
vero. Lo è anche più di te, ma non può
farcela da solo», rispose Robin guardandolo tanto
intensamente da costringere Archer a mollare la presa.
«Perché
non resti tu allora visto che ti piace così tanto impartire
ordini?», ma mentre parlava si era già avviato
fuori dal Maniero, consapevole che non sarebbe mai riuscito a far
cambiare idea a suo fratello.
Nottingham.
La ricerca non aveva prodotto alcun risultato positivo - sembrava che
Gisborne avesse un tale ascendente sulla popolazione di Nottingham che
nessuno avrebbe mai osato tradirlo in alcun modo - e il Primo Cavaliere
Lord Wyatt di Rochford sentiva già un sinistro
brivido lungo la schiena al solo pensiero di poter deludere il Principe
Giovanni. Gli altri cavalieri avevano già iniziato di nuovo
a
mormorare in merito alla sua incapacità e infelici battute
erano
dietro l'angolo quando accadde qualcosa di nuovo, finalmente. Uno degli
uomini messo a guardia dell'ingresso alla città aveva
abbandonato la propria postazione per riferire un'anomalia. Sosteneva,
infatti, di aver notato strani movimenti nella vegetazione attorno e
non avendo istruzioni su come comportarsi in tale situazione, era
tornato indietro per chiederne a chi di dovere. Non trovando Lord Wyatt
aveva pensato bene di rivolgersi al Cavaliere Nero che serviva
fedelmente da tre anni.
I presenti - giovani sotto il comando degli altri Cavalieri Neri -
avevano riso di gusto dandogli dell'idiota.
«I
cespugli si muovono! Che sarà mai?», lo
canzonò uno.
«Non
hai mai sentito parlare
degli spiriti che si aggirano per questa città?»,
disse un
altro tentando di apparire serio.
«L'ha
detto anche il Principe,
ma tu forse dormivi: "Non lasciatevi trarre in inganno dagli echi dei
fantasmi. Sono i defunti che cercano giustizia"!», fece un
terzo
imitando malamente la voce del sovrano.
Sarebbero andati avanti così per ore se nessuno avesse
imposto loro un limite.
«Silenzio!
Siete più inutili di una spada senza lama nel vostro
incessante
squittio da topi!», tuonò il veterano, giunto in
quel momento.
La banda di Robin Hood si era aggregata al gruppo di giovani arcieri
con
a capo Allan e insieme erano pronti a mettere in atto un piano. Tanto
per cominciare, alcuni di loro avrebbero creato scompiglio tra la
vegetazione così da attirare l'attenzione delle guardie.
Successivamente il più adulto degli arcieri, un secondo
giovanotto suo amico, Allan e Little John si sarebbero avvicinati alle
guardie con fare
pacifico e con l'intento di entrare in città per raggiungere
il
resto dei Cavalieri Neri e offrire loro, casualmente, le informazioni
che desideravano avere, venendo invece così a conoscenza
delle
loro intenzioni. Un segnale precedentemente concordato avrebbe fatto
capire alla banda rimasta nascosta se le intuizioni di Gisborne erano
esatte oppure no.
Raggiunta la piazza principale, dove di solito si teneva il Mercato,
situata non molto lontano dalla Chiesa e quindi dal campanile che
sarebbe stato il mezzo per comunicare con Robin Hood e i suoi, i due
ragazzi diedero vita alla messinscena mentre Allan e John si
nascondevano nei dintorni, pronti a dare l'allarme e organizzare il
resto.
Il più giovane dei due, nel bel mezzo di una conversazione
improvvisata si lasciò prendere da repentino entusiasmo e si
rivolse direttamente ai cavalieri.
«Voi
siete quelli delle storie che racconta mio fratello!»,
esclamò facendoli voltare tutti.
«Sta'
zitto!», lo
rimproverò l'altro, complice, strattonandolo come se avesse
voluto portarlo via timoroso delle conseguenze per entrambi a causa
della sua sfacciataggine.
«Ma
sì, è sicuro! Siete i Cavalieri Neri!»,
continuò il ragazzo, come se l'altro non esistesse.
A
quel punto uno dei nobili si
avvicinò rivolgendogli la parola per confermare la propria
identità e informarsi su quella di lui.
«Oh,
io sono un semplice
apprendista. Non sono neanche di Nottingham, ma mio fratello c'era
quando
voi siete arrivati in città prima che saltasse in aria.
Parla
sempre di voi. Mi ha detto che vestite rigorosamente di nero, ma solo i
più importanti portano un grande anello... Proprio come voi,
signore!
Non gli ho mai creduto, ma per
la miseria, aveva ragione!». E mentre parlava, l'altro
arciere si
guardava attorno, contava i nemici, valutava le vie di fuga.
Il
cavaliere rise di gusto e richiamò i suoi.
«Venite un po' qui! Abbiamo un seguace... Ed
è lui tuo fratello?», chiese indicando l'altro
arciere.
Il
ragazzo sfoggiò un sorriso soddisfatto, come se quelle
attenzioni lo rendessero davvero felice anziché nervoso.
«Lui?
No, lui è un
apprendista come me. Mi ha accompagnato in città
perché
non potevo
presentarmi da solo da Sir Guy per ritirare l'ordine»,
spiegò con calcolata naturalezza sebbene il cuore stesse per
esplodergli nel petto. Sapeva di essere stato incaricato di un compito
importante e, impersonando Robin Hood il suo concetto di eroe, non
voleva in alcun modo sbagliare e deluderlo, tanto più
perché si era fatto avanti spontaneamente quando Robin aveva
chiesto chi se la sentisse di svolgere quel ruolo.
I cavalieri si guardarono tra loro.
«Senti,
senti... Dovete essere
proprio dei bravi ragazzi se il vostro padrone vi affida un servizio
presso un nobile. Come hai detto che si chiama?»,
continuò
il cavaliere per avere l'assoluta certezza che quello era davvero il
colpo di fortuna che gli avrebbe fruttato una bella ricompensa.
I due
giovani si scambiarono una veloce occhiata d'intesa: i Cavalieri Neri
avevano abboccato all'amo.
Per sembrare credibile il ragazzo
pensò a
quanto sarebbe rimasto soddisfatto Robin nel constatare la sua bravura
e gonfiò il petto mostrando tutto il suo orgoglio.
«Sir Guy di Gisborne»,
scandì per bene, «Ha
commissionato al nostro padrone certi tendaggi da fare con stoffe
particolari che arrivano da... Uhm... Non me lo ricordo più!
E
il padrone ha bisogno di alcuni dettagli, ma non poteva venire qui di
persona perché ha tanto lavoro da svolgere e...»,
raccontò, improvvisando.
«Sì,
sì, va bene», tagliò corto un cavaliere
cercando lo sguardo degli altri.
«Abbiamo qualcosa in
comune tu ed io», intervenne il
nobile di prima, quello che indossava l'anello e che era a tutti gli
effetti un Cavaliere Nero, «Siamo
qui per la stessa persona e abbiamo entrambi dimenticato
qualcosa», disse spiegando poi che lui e i suoi amici
cavalieri
erano stati invitati da Sir Guy, ma avevano dimenticato dove
esattamente risiedesse ora che Nottingham era stata ricostruita e
trovando il vecchio Castello inaccessibile ed evidentemente disabitato,
non erano stati capaci di orientarsi e trovarlo.
Allan e John, che avevano ascoltato lo scambio, seppero che era il
momento di intervenire e mentre John restava fermo alla sua postazione
per offrire eventuali indicazioni ai giovani e tenere sotto controllo
la
situazione, Allan correva senza farsi vedere verso il campanile della
Chiesa. Una volta entrato si scontrò con il campanaro e non
potendo convincerlo a fargli suonare le campane dovette tirargli un
pugno in pieno volto affinché non gli fosse d'intralcio. A
sua
discolpa va detto che, lasciandolo a terra privo di sensi si
scusò con lui prima di riprendere la corsa. Giunto a
destinazione tirò con forza le corde dando vita ad una
sgraziata
melodia composta di cinque rintocchi.
Il
più grande tra i giovani
arcieri fu percorso da un brivido e pregò
perché tutto andasse per il meglio.
Intanto i fuorilegge e i giovani arcieri rimasti fuori dalle
mura
della città formulavano ipotesi e pianificavano un eventuale
scontro con quei misteriosi cavalieri.
Gisborne, pur avendoli visti soltanto da lontano, si era
definitivamente convinto che
si trattasse proprio dei Cavalieri Neri di cui tempo prima aveva fatto
parte anche lui e aveva condiviso le proprie impressioni con la banda
che aveva convenuto con lui, ma sperava ancora che si sbagliasse. Era
chiaro che, qualora quelli fossero davvero i Cavalieri Neri, il
Principe Giovanni era tornato all'attacco con l'unico intento di
appropriarsi di nuovo della Corona, ma la sensazione di Gisborne era
che non fosse questo l'unico motivo per cui i cavalieri si trovavano a
Nottingham, tanto più perché il Re non si trovava
lì. Se il Principe aveva riunito di nuovo i Cavalieri Neri,
aveva di certo cercato anche Gisborne e sapendolo ora
dalla parte di Riccardo era possibile che avesse inviato i cavalieri
per corromperlo o, peggio, punirlo. Questa intuizione lo preoccupava
più di quanto non
avesse dato a vedere a Kaelee, ma Robin sapeva bene che se Guy aveva
ragione, la situazione era potenzialmente molto pericolosa.
«Un
rintocco se non c'è
pericolo. Tre rintocchi se si tratta dei Cavalieri Neri. Cinque
rintocchi se i Cavalieri Neri sono qui per Gisborne»,
ripeté Much a bassa voce come un mantra, dondolandosi avanti
e
indietro nella sua posizione accovacciata, assunta per non essere visto.
Quando i cinque rintocchi arrivarono forti e chiari alle orecchie dei
fuorilegge, Robin e Guy si fissarono intensamente.
«Mi
dispiace», mormorò il secondo.
«Non
dirlo nemmeno per scherzo. Ne verremo fuori», lo
rassicurò suo fratello.
Tutti i presenti si avvicinarono a Gisborne per offrire il proprio
sostegno, tranne Rose, che se ne rimase in disparte con l'altra ragazza
ed il cantastorie loro amico mentre l'altro arciere del gruppo
si era unito ai fuorilegge come già gli altri due che si
trovavano in città.
Sebbene Rose non intendesse rischiare la vita per uno come Gisborne,
una parte di lei era in ansia per Allan il quale, invece, la rischiava
eccome la propria vita per Gisborne. Per la ragazza era inconcepibile
che l'ex fuorilegge mettesse in gioco così tanto proprio per
lui.
«Ho
sperato e pregato
affinché potessimo far ritorno a Locksley in pace, ma
ahimé sono costretto a imbracciare di nuovo l'arco per
difendere
il mio popolo», disse Robin chiarendo poi che nessuno di loro
aveva l'obbligo di prendere parte alla battaglia imminente e necessaria.
«Ma
noi siamo Robin Hood», obiettò Much a bassa voce,
timidamente.
«Noi
siamo Robin Hood!», fecero eco Kate e Kaelee con
più vigore coinvolgendo anche gli altri.
Little John attese il ritorno di Allan e, mentre i due arcieri
discutevano tra loro perché il più grande, come
condordato, non era d'accordo sulla decisione di condurre quegli
sconosciuti da Sir Guy, insieme a lui diede il via alla messa in
sicurezza degli abitanti di Nottingham.
Questi ultimi si erano assai insospettiti nel vedere tutti quei
cavalieri abbigliati in nero e molti tra loro - atterriti dal pulsare
delle vecchie ferite non ancora completamente guarite - avevano
pensato di dover
richiedere l'intervento di Robin Hood e dei suoi uomini, ma non sapendo
come raggiungerlo senza destare sospetti ed essere seguiti dagli uomini
messi a guardia dell'ingresso, avevano confidato nel suo arrivo
spontaneo consci che un gruppo di giovanotti era fuori città
prima del loro arrivo e Tuck era solito visitare spesso Nottingham,
trovandosi infine tutti d'accordo nel non fornire alcuna informazione a
quei loschi figuri.
Perciò furono tutti lieti e sollevati nell'imbattersi in
John e
Allan e ne
seguirono ben volentieri le indicazioni. Il vecchio Castello, infatti,
adibito a fortezza atta ad ospitare la popolazione della
città e dei villaggi a ridosso di essa in caso di pericolo,
consentì ai due uomini di Robin Hood di indirizzarvi le
categorie più a rischio in piccoli gruppi per non dare
nell'occhio.
Il Cavaliere Nero, intanto, aveva fatto rapporto, tramite uno dei suoi
uomini, a Lord Wyatt il
quale aveva deciso di richiamare i cavalieri a guardia dell'ingresso
per riunire tutti in piazza ed organizzarsi. Mentre si attendeva
l'arrivo del Primo Cavaliere, degli altri Cavalieri Neri e dei
cavalieri sottoposti, quelli presenti avevano accerchiato i due giovani
affinché non fuggissero portandosi dietro le informazioni su
Gisborne. I due sbiancarono, ma non persero la calma neanche vedendosi
puntare contro le spade e neanche scorgendo il sospetto negli sguardi
dei cavalieri quando dal campanile della
Chiesa si diffuse un suono non previsto, improvviso e tutt'altro che
piacevole.
«Ma
che diavolo...?», ringhiò uno degli uomini.
«Deve
essere il campanaro», disse con calma l'arciere
più adulto. «Ha l'abitudine di bere un po' troppo»,
spiegò.
«Sarà
meglio per te, ragazzino, se dici il vero», minacciò.
Avendo via libera, gli ex fuorilegge si introdussero a Nottingham
correndo e pronti allo scontro perché sapevano che avere un
dialogo con gli alleati del Principe Giovanni era piuttosto inutile.
Questo non significa che Robin non ci avrebbe provato, ma voleva che
quegli uomini sapessero con chi avevano a che fare.
Robin vide Allan scortare alcuni anziani verso il vecchio
Castello, annuì compiaciuto e dal momento che alla fine
anche
Rose e gli altri giovani si erano uniti, diede loro il compito fino ad
ora svolto da John e Allan che sarebbero stati più utili sul
campo, senza contare che in quattro i ragazzi avrebbero sveltito le
manovre di messa in salvo.
Rose rivolse un'intensa occhiata ad Allan, il quale le sorrise prima di
sparire dalla vista di lei.
A ridosso della piazza principale ci furono le ultime
raccomandazioni e una sorta di saluti che nessuno volle accettare
davvero perché ognuno sperava ardentemente che tutti
sarebbero
tornati a Locklsey sani e salvi e perché «Gli uomini di Nottingham sono dalla
nostra», aveva detto John.
Gisborne pregò ancora una volta Kaelee di non prendere parte
allo scontro, perché sapeva che la giovane donna avrebbe
dovuto
ferire o uccidere per salvarsi la vita e lui non voleva che accadesse,
non voleva che lei assistesse alla morte di un uomo, non voleva che ne
fosse responsabile, ma non ci fu verso. Ci fu un bacio prima che Kaelee
si ritrovasse tra le braccia di Kate, sua migliore amica, sorella che
non aveva mai avuto. Anche gli altri si abbracciarono velocemente tra
loro, consapevoli del rischio che correvano, e in questo clima Robin e
Guy si strinsero la mano.
«Sono
lieto di averti al mio fianco, anche se attiri un mucchio di
guai», mormorò Robin scherzandoci su.
«È
per me un grande onore, anche se resti un odioso ragazzino»,
rispose Gisborne rivolgendogli un mezzo sorriso.
E con un «Noi siamo Robin Hood!», urlato a gran
voce, il gruppo fece il suo ingresso.
Come Robin aveva previsto, fu inutile cercare un confronto pacifico,
tanto più perché i Cavalieri Neri tenevano
minacciosamente sotto tiro i due arcieri che avevano collaborato con
lui.
L'effetto sorpresa fu però la carta vincente che
consentì
loro di sfuggire alla presa e nascondersi nei dintorni.
«Canaglie!
Siamo stati
giocati! Ecco dunque Guy di Gisborne che sputa nel piatto in cui ha
mangiato», gridò con rabbia uno dei Cavalieri
Neri,
mancando volutamente di rispetto a Gisborne nel privarlo del suo titolo
nobiliare, mentre il Primo Cavaliere
vedeva manifestarsi dinanzi ai propri occhi tutte le sue paure.
In men che non si dica la piazza mutò in un campo di
battaglia
come tante altre volte era accaduto in passato, ma mai dalla
ricostruzione della città.
Gli uomini in nero erano in tutto trentasei contro i sette della banda
di Robin Hood, ma le leggi dei grandi numeri raramente avevano avuto
ragione in quel di Locksley e Nottingham se si parlava della banda di
fuorilegge che aveva fatto parlare di sé in tutta
l'Inghilterra.
Molte volte era accaduto che Robin da solo eludesse le guardie dello
Sceriffo facendogliela sotto al naso e altrettante in tre o quattro
avevano tenuto testa alla scorta di Sir Guy, perciò non
c'era da
biasimarlo se Lord Wyatt si riteneva un condannato a morte.
Kaelee
impose a se stessa di non
lasciarsi distrarre dalla preoccupazione per l'uomo che amava
ripetendosi che non era necessario darsi pena per lui dal momento che
era tra i migliori cavalieri che Robin Hood avesse mai incontrato,
come spesso raccontava, e se lo diceva Robin in persona c'era
da
credergli dopo tutte le avventure di cui era stato protagonista negli
ultimi anni. Inoltre, la distrazione rischiava di esserle fatale in un
contesto come quello. Era infatti la prima volta per lei e sebbene
l'enorme forza che la animava le aveva fatto sguainare la spada in un
gesto fluido e sicuro, in cuor suo era terrorizzata dai cavalieri che
aveva attorno. Ripensò a Guy e considerò che se
era stato
un Cavaliere Nero in precedenza, gli uomini contro cui stava per
duellare dovevano essere abili almeno quanto lui. Questo non fece altro
che spaventarla maggiormente, ma non intendeva darsi per vinta o alla
fuga. Del resto Guy stesso aveva sostenuto dinanzi agli altri membri
della banda che lei gli aveva dato filo da torcere durante le ultime
esercitazioni e questo poteva voler dire soltanto che aveva una reale
chance di farcela.
Mentre la sua spada cozzava con quella di un cavaliere, Kaelee con la
coda dell'occhio vide Kate duellare coraggiosamente con due uomini.
Kate era più abile con l'arco, ma se la cavava bene anche
con la
spada e aveva più esperienza di lei sul campo essendo stata
una
fuorilegge insieme alla banda ai tempi dello Sceriffo,
perciò Kaelee si convinse che
sarebbe andato tutto bene nonostante fossero in evidente
inferiorità numerica.
Little John aveva appena messo fuori combattimento il suo avversario e
Kaelee non volle domandarsi se l'avesse ucciso oppure soltanto
stordito. Non voleva sapere, perché se avesse iniziato a
porsi
domande avrebbe inevitabilmente dovuto interrogarsi in merito a se
stessa: era pronta a ferire un uomo e guardarlo morire?
Il campo di battaglia riecheggiava delle urla dei partecipanti, del
vociare degli abitanti di Nottingham che se ne stavano a sorvegliare le
vie adiacenti, decisi ad impedire una fuga da parte dei Cavalieri Neri,
e del sibilo delle frecce scoccate da Robin, Much e Allan.
Locksley.
La consueta tranquillità regnava nel piccolo villaggio, ma
non
si può dire altrettanto dell'animo di coloro i quali erano a
conoscenza della situazione a Nottingham.
Era trascorso ormai diverso tempo da quando Robin e gli altri si erano
allontanati e Acher iniziava a dare segni di nervosismo e impazienza.
«Non
resterò qui un
minuto di più», asserì l'arciere.
Scattò in
piedi e recuperò arco e frecce, deciso a cavalcare fino alla
città nonostante il divieto di suo fratello e i tentativi di
Nettie di fermarlo.
Tuck lo osservò e capì che sarebbe stato inutile
cercare
di trattenerlo: il ragazzo, per sua fortuna, aveva uno spirito ribelle
davvero difficile da domare, qualità che gli aveva garantito
la
sopravvivenza nei difficili e tumultuosi anni vissuti in solitudine.
Nonostante Archer fosse un uomo forte e sapesse il fatto suo, Tuck non
poteva mandarlo a Nottingham da solo, così gli si
avvicinò per preparare anche il proprio cavallo.
«Che
stai facendo?», gli domandò Archer aggrottando le
sopracciglia.
«Non
lascerò che tu vada lì da solo,
ragazzo», rispose il frate, «Nettie, Alice e il piccolo John se la caveranno
bene qui», concluse salendo in groppa allo scuro destriero.
Archer sospirò e annuì, salutò Nettie
con un bacio
non propriamente casto e infine partì a tutta
velocità
verso Nottingham.
Nottingham.
Da quando la città era stata ricostruita, la grande porta
che ne
dava l'accesso veniva chiusa di rado, perciò Tuck e Archer
non
si scomposero nel vederla spalancata. Ciò che invece
attirò la loro attenzione furono il silenzio tombale che
sembrava regnare come non mai e l'assenza della banda nei dintorni. Non
fu difficile a quel punto comprendere che l'azione doveva essersi
spostata altrove e a tendere bene l'orecchio entrambi conclusero che
era necessario raggiungere il centro della città quanto
prima.
I due arrivarono in piazza nel bel mezzo dello scontro e vi presero
immediatamente parte.
«Che
accidenti ci fai
qui?», ringhiò Gisborne, contrariato, a suo
fratello il
quale aveva appena ucciso uno dei tre cavalieri che si erano accaniti
contro di lui.
«Ti
salvo le chiappe, fratello!», esclamò Archer
scontrandosi insieme a Gisborne con i due cavalieri rimasti.
Tuck arrivò appena in tempo in soccorso di Much che,
concentrato
sul proprio obiettivo, non si era accorto dell'uomo che gli avrebbe
facilmente tolto la vita a tradimento colpendolo alle spalle. La
freccia del fuorilegge andò a segno e quest'ultimo
esultò
brevemente dando una pacca sulla spalla al frate.
«Sono
contento che tu sia qui! E grazie!», esclamò prima
di rendersi conto della situazione. «Ehi, aspetta,
ma non dovevi essere a Locksley?!», urlò
difendendosi da
un colpo di spada con il suo caratteristico scudo tondo e colorato.
«Abbiamo
cambiato idea», rispose il frate colpendone uno.
«Abbiamo?»,
domandò Much senza capire. «Guarda che se hai portato qui Alice, Little John
ti ucciderà!», aggiunse.
Tuck rise intenerito dalla
spontanea ingenuità di quell'uomo e gli spiegò
concisamente come stavano le cose.
«Lo
sapevo», rispose lui, come al suo solito.
Quando anche i sei giovani arcieri che avevano avvisato Robin Hood
della presenza dei Cavalieri Neri a Nottingham decisero di unirsi alla
battaglia dopo aver messo in salvo donne e bambini nella fortezza,
molti cavalieri erano feriti e alcuni già morti,
così
Robin fece loro segno di sistemarsi ai piani superiori delle abitazioni
attorno alla piazza, in modo da poter essere di aiuto senza rischiare
la vita. Anche alcuni della banda avevano riportato ferite, seppure non
gravi, ma avrebbero continuato comunque a lottare fino alla fine.
«Tanto
per chiedere... Oggi
è un buon giorno per morire, John?»,
domandò Allan
al suo amico, con un sorrisetto sulle labbra, consapevole che quello
era stato per anni il motto di Little John.
Per tutta risposta l'uomo borbottò un insulto. «Oggi non è un buon giorno per morire,
Allan. Non per noi!», rispose infine abbattendo un altro uomo.
Kaelee
si ritrovò a
trattenere un gemito quando il cavaliere suo avversario
riuscì a
ferirla di striscio al braccio, ma non riuscì pensare di
rendere
il favore che a gran velocità una freccia tagliò
l'aria
all'altezza del suo orecchio per trovare posto infine nella spalla
dell'uomo.
«Archer!»,
esclamò sorpresa la ragazza, voltandosi.
«Per
servirti»,
rispose lui esibendosi in un breve inchino e abbagliandola con uno di
quei sorrisi che stavano tra
quello "alla Robin Hood" - ampio e luminoso - e quello "alla Guy di
Gisborne" - sghembo e un po' strafottente.
Kaelee alzò gli occhi al cielo e fece in tempo a sorridergli
prima che Archer riprendesse a scagliare frecce a destra e a manca
cercando di non uccidere finché gli era possibile,
così
da rendere onore agli ideali della banda. Eppure, come Kaelee ebbe modo
di notare, del sangue era stato versato quel giorno e la piazza di
Nottingham era stata teatro di orrore e morte nonostante il Re e gli
uomini di Robin Hood vegliassero su di essa e sui suoi abitanti.
Perciò qualcuno doveva aver necessariamente ucciso quel
giorno e
contro ogni logica Kaelee si ritrovò a chiedersi chi.
John? Archer? Kate?
Gisborne?
Intanto che quegli infelici pensieri le riempivano la mente, il
cavaliere che Archer credeva di aver abbattuto, si rialzò
con
l'intento di cogliere di sorpresa la ragazza. Per lui era inaccettabile
che nessuno di quegli insulsi fuorilegge fosse a terra mentre parecchi
suoi compagni d'armi giacevano immobili, perciò voleva
vendetta.
A guardarla, anche se era di spalle, gli sembrò poco
più
che una quindicenne e pensò che Robin Hood dovesse aver
perso
qualche rotella se credeva di poter avere la meglio sui Cavalieri Neri
con elementi come lei nella sua banda, ma si rese conto ben presto che
aveva sottovalutato la giovane spadaccina.
Qualcosa, sesto senso o istinto di sopravvivenza, riportò
Kaelee
alla realtà prima che accadesse l'irrimediabile. La ragazza
si
voltò, la spada ancora in pugno, e vedendo l'avversario in
atteggiamento ostile ne anticipò le mosse e
affondò la
lama nel suo stomaco prima che lui potesse fare altrettanto con lei.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Poi lui cadde a terra
agonizzante e infine si spense.
Kaelee aveva appena ucciso un uomo.
Nel momento esatto in cui Gisborne si trovò faccia a faccia
con
Lord Wyatt, tutti gli uomini di quest'ultimo si erano arresi mentre
quelli di Robin Hood facevano la conta dei danni e si prendevano cura
gli uni degli altri, ad esclusione dei sei giovani arcieri che rimasero
in posizione, attenti e pronti ad intervenire.
«È
me che volevate», esordì, «Ebbene, parlate». La sua voce era bassa
e roca nel suo essere calma, fredda e ferma.
A sorpresa, il Primo Cavaliere depose l'arma e cadde in ginocchio
dinanzi a Gisborne.
«Parlerò
soltanto per
pregarvi, per supplicarvi di uccidermi. Sono comunque un uomo morto, ma
preferisco morire per mano di un cavaliere onesto che di un Principe
ingiusto», mormorò a capo chino.
A quel punto l'attenzione di tutti i presenti era puntata su Lord Wyatt
il quale, su richiesta di Gisborne, raccontò nel dettaglio
l'intera vicenda non omettendo il prezzo che lui e i suoi uomini
avrebbero pagato se fossero tornati dal Principe Giovanni recando
notizia di un fallimento, perciò chiese sepoltura per i
caduti e
libertà per i sopravvissuti, mentre per se stesso
ribadì
di desiderare nient'altro che una morte veloce.
Gisborne cercò lo sguardo dei suoi fratelli anche se aveva
in
cuor suo già deciso il da farsi e negli occhi chiari di
entrambi
trovò la forza per parlare.
«I
vostri defunti avranno
degna sepoltura e i vostri cavalieri sono liberi di andare via quanto
prima, ma non intendo macchiarmi con il vostro sangue»,
disse Gisborne tendendo la mano a Lord Wyatt che si alzò e
per
la prima volta davvero ne sostenne lo sguardo. Si erano incontrati
quando Gisborne aveva ricevuto l'investitura, eppure il Primo Cavaliere
non riusciva a riconoscere lo spietato Sir Guy di Gisborne nell'uomo
compassionevole, seppur altero, che aveva davanti in quel momento.
«Non
sarete mai più un Cavaliere Nero, fuggirete da Nottingham e,
senza incontrare ostacolo alcuno, raggiungerete la vostra famiglia e
con essa scapperete lontano dall'Inghilterra, dal Principe Giovanni e
da questa vita. Cambierete nome e vivrete una vita tranquilla fino alla
fine dei vostri giorni», aggiunse stringendogli la mano. «Questo è quanto posso e voglio
concedervi».
Lord Wyatt ricambiò la stetta, commosso, e
ringraziò lui
e Robin Hood per l'opportunità offerta. Infine
radunò i
sopravvissuti e con loro lasciò per sempre la bella
Inghilterra.
Gli abitanti di Nottingham che sorvegliavano le strade attorno non
reagirono al passaggio dei Cavalieri Neri, ma appena questi si furono
allontanati il campanaro, che si era presto ripreso dal colpo inferto
da Allan, suonò a festa le campane della Chiesa
richiamando fuori dalla fortezza anche chi vi aveva trovato rifugio.
Lo sguardo di Guy si fermò su Kaelee che aveva trovato un
primo
conforto in Kate. L'uomo notò che era ferita e in prima
battuta
pensò che lo sconvolgimento sul suo volto fosse da
attribuire a
quello, ma poi notò che la ragazza non aveva ancora riposto
l'arma, reggendola invece più per un riflesso involontario
delle dita che per la reale intenzione di farlo, e mentre rifletteva su
quale potesse essere la ragione che
l'aveva indotta a restare sulla difensiva nonostante gli avversari
avessero lasciato la città, si accorse che la lama era
sporca di
sangue in tale misura da non lasciare alcun dubbio su ciò
che
poteva essere accaduto. Lentamente si mosse in direzione di lei e ad
ogni suo passo la piazza era sempre più gremita di persone
che
gridavano il suo nome. Quando la raggiunse la strinse a sé
senza
dire nulla, perché non c'erano parole in quel momento che
potessero esserle d'aiuto e perché le voci dei presenti
erano
troppo forti per essere sovrastate da una sola.
«Che
tu sia benedetto!»,
dicevano in molti rivolgendosi proprio a colui il quale era stato per
anni l'incubo di quella città insieme allo Sceriffo.
«Evviva
Sir Guy!», fecero altri.
La folla lo stava acclamando e
per la prima volta
nella sua vita Gisborne seppe di avere sì ucciso, ma
soltanto
per salvare centinaia di vite innocenti e in questa nuova
consapevolezza Guy trovò la forza per affrontare insieme a
Kaelee le conseguenze di quell'impresa.
N.d.A.
Se non mi fossi lasciata prendere dal panico questo capitolo avrebbe
visto la luce un po' prima, ma quando mi sono ritrovata a parlare di
Rose ho temuto il peggio perché lei non era in programma e
ha
letteralmente preteso un nome e un ruolo nelle vicende. Ma per fortuna
la mia amica Amalia - che non riuscirò mai a ringraziare
abbastanza - mi ha restituito il lume della ragione ed eccoci qui!
Ringrazio anche la cara ArwenDurin che non ha trovato assurda la mia
idea di richiamare in causa i Cavalieri Neri.
E infine ringrazio voi. Sia che preferiate un passaggio silenzioso, sia
che decidiate di condividere il vostro parere.
A presto!
|
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Capitolo 24 *** Lady Gisborne ***
Ventiquattro
Lady
Gisborne
Nottingham.
La
gioia che era esplosa tra i cittadini in seguito alla dipartita dei
Cavalieri Neri grazie alla decisione diplomatica e non
violenta
presa da Gisborne dopo lo scontro,
aveva fatto sentire Kaelee terribilmente fuori posto. Sebbene fosse
innegabilmente felice di aver contribuito
alla libertà della città e alla salvezza di
Gisborne, la ragazza si sentiva anche profondamente triste
perché per la prima
volta da quando aveva iniziato a maneggiarla
la sua spada aveva conosciuto il sangue di un essere umano e di
quest'ultimo aveva preso la vita crudelmente, senza pentirsi del gesto
poiché una lama fa esattamente ciò per cui
è stata
creata: ferisce e uccide guidata sapientemente dalla mano del
possessore.
La stretta in cui Gisborne l'aveva infine avvolta dopo averla invitata
a
riporre l'arma nel fodero, l'aveva inizialmente rassicurata facendole
perfino dimenticare il bruciore al braccio, ma nel giro di qualche
minuto
Kaelee aveva sentito di nuovo la forte esigenza di allontanarsi da
quella piazza
e dal giubilo dei cittadini espresso in convinti «Sir
Guy di Gisborne signore di Nottingham!», che rimbalzavano
sulle
abitazioni e si infilavano in ogni via di Nottingham. La ragazza era
così mentalmente confusa da non riuscire neanche a cogliere
davvero il senso di quell'acclamazione e, consapevole di non essere in
grado in quel momento di pensare ad altro che al suo bisogno impellente
di fuga, sciolse con delicatezza
l'abbraccio, sorrise all'uomo che amava invitandolo a godersi quel
momento a lui dedicato e se ne andò con la scusa di voler
parlare con Kate la
quale,
nel frattempo, si era spostata, probabilmente in cerca di Much.
La
verità, però, era
ben lontana dal volersi confidare davvero con qualcuno,
perciò, trovata l'amica tra la folla, Kaelee si
fermò in sua compagnia soltanto per un breve scambio.
«Ehi!
Siamo tutti sani e salvi!», esclamò la bionda, su
di giri come il resto dei presenti. «I
nostri hanno riportato solo ferite facilmente curabili. Ce l'abbiamo
fatta, Kaelee! Abbiamo vinto sui Cavalieri Neri del Principe
Giovanni!». La sua euforia era incontenibile, così
Kaelee
non poté fare a meno di sorriderle.
«Sì,
sono sollevata
anche io, ma ho bisogno che tu mi faccia un favore», disse
tradendo il tormento che arrivò ai suoi occhi.
«Kaelee,
va tutto bene?», domandò l'amica, improvvisamente
preoccupata.
Lei
annuì. «Non dire a Guy che ho lasciato Nottingham se
dovesse chiederti di me. Ho bisogno di stare sola»,
confidò infine.
«Non
intendi fare sciocchezze,
come lasciare Locksley o nasconderti nella foresta, vero? Non puoi
mentirmi, Kaelee, non puoi tradire la nostra amicizia. Sono la tua
migliore amica! Non è così?». Le mani
di Kate
avevano fatto presa su quelle della giovane donna nel tentativo di
scuoterla e capirne le intenzioni.
Kaelee le rivolse un sorriso stanco, tirato. «Sei
come una sorella per me, Kate. Il mio futuro è qui, dove
è Gisborne e dove sei tu. Devo solo riflettere, trovare un
senso
a ciò che è successo se possibile, fare pace con
me stessa», le
rispose
con sincerità.
«E
non vuoi neanche me
intorno», concluse Kate, un po' offesa per via di quella
scelta
che le appariva alquanto sospetta visto che tra loro non c'erano mai
stati segreti.
«Niente
di personale. Credo
che pregherò, tutto qui», tagliò corto
Kaelee non
sopportando più le urla festose, così
in
contrasto con le grida di dolore che riecheggiavano nella sua testa.
Lasciò un bacio sulla guancia dell'amica e si
mescolò
velocemente alla folla.
Inizialmente aveva creduto che la Chiesa di
Locksley le avrebbe dato la pace di cui necessitava per meditare, ma si
rese conto durante il tragitto che certamente anche il villaggio doveva
essere in fermento per l'accaduto, perché voci come quella
si
spargevano piuttosto in fretta di solito. Fu così che, quasi
inconsciamente,
Kaelee cambiò direzione e raggiunse la Collina delle Croci,
il
piccolo cimitero di
Locksley dove riposavano, tra gli altri, i genitori di Luke Scarlett e
la madre di Robin. Era stato Much a dirglielo diverso tempo prima
raccontando di una volta in cui aveva trovato Robin a contemplare
silenziosamente la croce della donna che lo aveva dato alla luce.
Si
sedette tra i fili d'erba, lasciandosi sfuggire un sospiro,
nonostante il terreno fosse ancora umido per la pioggia dei giorni
precedenti. Per diversi minuti rimase ferma a guardare il
villaggio ai piedi della collina su cui di trovava: una serie di
piccole case dal grande tetto triangolare, recinti in legno
continuamente riparati per trattenere piccoli animali da cortile,
deliziosi orti colorati, una piazza che era il centro delle
attività commerciali e politiche, il grande Maniero di Robin
Hood, un pozzo che assicurava
l'acqua alle famiglie e la verde Sherwood alle spalle - questo era
Locksley, il luogo in cui Kaelee, ne era certa, avrebbe vissuto tutti i
giorni a venire
insieme a Gisborne, sfornando pane, infornando vasi, coltivando
insalata, pregando con la guida di Tuck, esercitandosi con la spada,
allevando dei figli forse. In cuor suo sapeva di non desiderare altro,
eppure una parte di lei in quel preciso istante avrebbe preferito
fuggire via e nascondersi nel cuore di Sherwood perché
quel giorno la sua mano aveva deliberatamente scelto il destino di un
uomo, che non
avrebbe fatto ritorno a casa, e della famiglia che lo avrebbe atteso
invano per chissà quanto tempo prima di ricevere notizia da
uno
dei sopravvissuti a quello scontro. Per quanto si ripetesse che il
Principe Giovanni avrebbe comunque fatto uccidere quel cavaliere e
tutti gli altri se non fossero caduti in battaglia,
Kaelee non riusciva a non incolpare se stessa. Il suo sguardo si
allontanò da Locksley tornando a Nottingham solo per
rivivere
decine di volte l'istante in cui aveva incrociato gli occhi attoniti
dell'uomo, puntati nei suoi, più vicino alla morte che alla
vita dopo che la lama lo aveva trafitto senza lasciargli scampo. Kaelee
sapeva che mai avrebbe dimenticato quegli occhi mentre un
altro paio le tornava alla mente facendola sentire maggiormente in
colpa: due grandi occhi castani incastonati su un viso spigoloso
dall'incarnato chiaro. Cosa avrebbe pensato di lei Aric, il mite Aric,
se
avesse saputo la verità? Che cosa le avrebbe detto? Cosa
avrebbe
trovato Kaelee sul fondo di quel marrone mentre suo fratello realizzava
che
lei aveva ucciso un uomo? Delusione? Orrore?
Si strinse le ginocchia al petto, non senza sentire una fitta al
braccio per via della ferita riportata, nel tentativo di
ripararsi dallo sguardo improvvisamente fastidioso della Natura e di
Dio. Si sentiva giudicata perfino dal più piccolo granello
di
terra, dall'aria invisibile attorno a lei, da quell'immensa presenza
verdeggiante che era la foresta di Sherwood e si domandava se avrebbe
mai trovato salvezza la sua anima. Se l'avrebbe meritata prima o poi.
Kaelee ripensò alla regola principale che vigeva tra i
membri
della banda di Robin Hood, quella che imponeva di non uccidere se non
strettamente necessario, se non in caso di reale pericolo, trovandola
una soluzione giusta e in linea con la figura dell'eroe che aveva
animato i pomeriggi della sua casa a Edwinstowe e che l'aveva ispirata
a partire alla volta di Locksley. Eppure quella dei fuorilegge non
doveva essere stata una vita che non contemplasse almeno una situazione
pericolosa al giorno. Nel periodo trascorso al Maniero, quando Rudyard
si era stabilito a Nottingham, aveva ascoltato spesso i racconti delle
varie incursioni al Castello o di quando Robin era stato catturato,
Allan quasi impiccato e Much torturato con un ferro rovente che gli
aveva lasciato un brutto segno sul fianco destro, perciò si
convinse che doveva esserci una ragione più profonda del
nobile
gesto di risparmiare una vita e della volontà di dare
l'esempio
portandosi in una posizione diametralmente opposta a quella dei cattivi
di turno che uccidevano in maniera sconsiderata e violenta. Kaelee
ritenne che
dovesse esserci una causa scatenante e si
domandò in seguito a quale evento Robin avesse iniziato a
deviare la traiettoria delle proprie frecce. L'uomo, infatti,
con l'arco e l'infallibile mira che lo contraddistinguevano avrebbe
potuto uccidere facilmente a distanza di sicurezza da lame,
bastoni, accette e altre armi che richiedessero uno scontro diretto,
eppure sceglieva di non macchiarsi col sangue di chi aveva provato a
fare del male a lui o ai suoi amici, decideva di non aggiungere altra
violenza alla violenza. La morte di Lady Marian, pensava
Kaelee, era collocata temporalmente in un momento in cui la banda di
Robin agiva già da diverso tempo, quindi non poteva essere
quella la ragione che cercava. Ma allora cosa? Una sera, sempre al
Maniero, Archer aveva chiesto a suo fratello Robin di raccontare
dell'esperienza in Terra Santa nella Guardia personale del Re e Kaelee
aveva visto nettamente lo sguardo limpido dell'arciere rannuvolarsi di
colpo nello stesso istante in cui Gisborne si era
irrigidito accanto a lei. Cos'era dunque accaduto di così
terribile in quei posti lontani da indurre Robin Hood ad essere un
ladro che rubava ai ricchi per sfamare i poveri senza mai versare una
goccia di sangue durante le sue imprese? Kaelee si perse in fretta in
argomenti che non
conosceva abbastanza a fondo per poter comprendere davvero la
situazione, perciò tornò a ciò che la
tormentava.
Collina delle Croci,
Locksley.
Gisborne non aveva impiegato molto a capire che quella di Kaelee era
una scusa per allontanarsi da
Nottingham senza dargli spiegazioni, così, dopo aver pregato
i
suoi fratelli di fare le sue veci con il popolo che lo voleva signore
della città e dopo aver parlato con le persone giuste,
cavalcò fino a Locksley perché niente per lui era
più importante della donna che amava. Rise di se stesso
mentre
ripensava a quanto era stato sciocco, in passato, per aver messo al
primo posto denaro e potere anziché i sentimenti che aveva
invece cercato sempre di seppellire. Non aveva capito l'importanza
dell'amore finché non lo aveva provato sulla propria pelle,
ovvero finché non aveva conosciuto una donna che lo amasse
incondizionatamente, per ciò che era e non per il titolo che
aveva ereditato. Kaelee non aveva conosciuto il Gisborne esattore delle
tasse per conto dello Sceriffo di Nottingham, non aveva conosciuto
l'uomo che custodiva gelosamente un forziere contenente i propri averi
per poi vantarsene con la donna che desiderava sposare appellandosi
alla ricchezza nel sostenere di essere un ottimo partito, non aveva
conosciuto il Cavaliere Nero che aveva tradito il Re e tentato di
uccidere Robin Hood. No. Kaelee aveva conosciuto Guy, un semplice
abitante di Locksley e di lui si era innamorata prima ancora di essere
messa al corrente di tutta la situazione. Perfino quando le aveva
rivelato di essere un assassino lei non aveva smesso di amarlo.
Kaelee, forse senza nemmeno rendersene conto, aveva insegnato
così tante cose a Guy che lui non si sarebbe mai perdonato
se
l'avesse persa, perciò i cittadini di Nottingham avrebbero
aspettato.
Dopo aver perlustrato ogni angolo del piccolo villaggio senza trovare
traccia della sua Kaelee, Gisborne
sentì la preoccupazione crescere con prepotenza, ma si
costrinse a
riflettere. Se la donna avesse deciso di partire, pensò
Gisborne, non lo avrebbe fatto senza portare con sé
l'essenziale
e l'aver constatato che dalla loro dimora non mancava nulla permise
all'uomo di rilassarsi. Quindi provò a mettersi nei panni
dell'amata e si chiese dove sarebbe andato lui al posto di Kaelee,
così decise di fare un nuovo tentativo.
Kaelee finì con il chiedersi cosa mai potesse averci visto
Guy
in lei, che a stento sapeva leggere e che nulla sapeva di come si
amministrasse un villaggio o una città, figurarsi una
contea. Si
domandò se una relazione con così tante
disparità
- non soltanto culturali, ma anche sociali dal momento che
Gisborne era un Cavaliere, un nobile a tutti gli effetti - avrebbe
davvero potuto funzionare; si chiese se sarebbe mai potuta essere la
moglie ideale per Guy e se potesse davvero competere con Lady Marian.
Kaelee non aveva idea di che aspetto avesse la donna che aveva fatto
palpitare il cuore di due uomini contemporaneamente, ma aveva un'unica
inconfutabile certezza: quella donna apparteneva alla
nobiltà al
pari di Robin e Guy. Lei invece cos'era? Una contadina scappata via da
una famiglia problematica, una giovane donna che aveva creduto di poter
prendere davvero in mano le redini del proprio destino, una ragazzina
che aveva voluto imparare ad usare la spada trasformandosi infine in
un'assassina.
Soltanto pensare a quella parola la faceva tremare da capo a piedi.
Sapeva, inoltre, che
Gisborne aveva conosciuto il Principe Giovanni in persona e perfino Re
Riccardo, mentre lei non aveva la più pallida idea di che
aspetto avessero.
Una cosa, però, forse le era tutt'altro che chiara: la sua
inclinazione ad essere estremamente severa nei confronti di se stessa.
Sospirò prendendosi la testa tra le mani
quando passi leggeri annunciarono l'arrivo di qualcuno che le si
sedette accanto qualche minuto più tardi.
La ragazza non dovette girarsi a guardarlo per capire che si trattava
di Guy. Avrebbe saputo riconoscerne il respiro ed il profumo anche se
bendata.
«Come
facevi a sapere che ero qui?», chiese tranquilla, con un
sorriso accennato sulle labbra nascoste.
«Kate
è una pessima bugiarda», gli rispose lui prendendo
la mano di Kaelee nella propria con delicatezza.
«Non
si può fare
affidamento su nessuno», borbottò la ragazza,
rasserenata
dal contatto con le dita calde di Gisborne.
«Ho
dovuto insistere molto
prima che parlasse, non avercela con lei. E poi mi ha ingannato:
credevo fossi in Chiesa», sussurrò osservandola.
La ferita
al braccio attirò subito la sua attenzione, ma Guy si rese
conto
che non era grave sebbene avesse un brutto aspetto e necessitasse per
questo di un intervento immediato.
Kaelee sbuffò. «Non sapeva che sarei venuta qui. L'ho deciso
strada facendo», spiegò.
«Ti
va di parlarne?»,
domandò Gisborne senza lasciarle la mano.
Finalmente Kaelee decise di
sollevare il viso anche se preferì non incontrare lo sguardo
del suo amato.
«Non
conoscevo quell'uomo,
Guy. Sto bene. Non è come quando volevo uccidere Rudyard e
tu
hai fatto di tutto per impedirmelo», mormorò
tenendo fisso
lo sguardo su Locksley. «Questo era uno scontro vero»,
terminò dopo una breve pausa.
«Se
non lo avessi ucciso lo avrebbe fatto lui con te»,
sussurrò l'uomo, senza usare mezzi termini.
La
giovane donna si voltò a
guardarlo, le sopracciglia aggrottate, stupita dalla disarmante
verità di quelle parole.
«Ti
conosco abbastanza da
sapere che ti stai incolpando», la anticipò Guy
parlando
pacatamente, usando un tono gentile, «e non voglio che tu lo faccia. Non sei la persona
orribile che credi di essere. Non sei un'assassina».
«Ho
ucciso un uomo, lo sono
eccome Guy», rispose lei stizzita. Quando tentò di
porre
fine all'intreccio delle loro dita Guy glielo impedì con
decisione e lei si arrese senza opporre troppa resistenza.
«Allora
anche io lo sono e finiremo entrambi all'Inferno per questo».
Di nuovo Kaelee rimase interdetta. Guy non le aveva mai parlato con
tanta schiettezza e pur non essendoci rabbia o freddezza nel suo tono,
Kaelee percepiva che quella conversazione non sarebbe stata come le
precedenti perché Guy la stava trattando come suo pari. Per
età, per maturità, per classe sociale, per
abilità
con la spada, per esperienze vissute. La giovane donna
impiegò
diverse decine di secondi prima di riuscire a rispondergli con un filo
di voce.
«Tu
ti sei pentito, hai scontato la tua pena in Terra».
«E
tu no? Non sei pentita?», domandò Gisborne.
«Sì,
ma...», esitò, «Non è la stessa cosa».
«Non
ti è concesso
tenere due pesi e due misure. Se entrambi siamo assassini ed entrambi
ci siamo pentiti, il nostro destino è comune»,
mormorò.
Kaelee scosse vigorosamente il capo. «Tu non capisci», soffiò sul
punto di piangere.
«Ascoltami,
Kaelee, io so chi
sei perciò fidati se ti dico che non hai colpe»,
sussurrò accorato, sollevando le dita intrecciate per poter
baciare quelle di lei. «Sei
circondata da persone che ti vogliono bene, che ti amano»,
continuò sorridendole dolcemente. Non poté
aggiungere
altro perché la donna si tuffò sul suo petto e
tra le
lacrime gli confidò ogni suo più intimo pensiero.
Qualche ora più
tardi, Locksley.
«Non
ho bisogno di un dottore», piagnucolò Kaelee
ritirandosi in un angolo della stanza da letto, a casa di Guy.
Gisborne
trattenne a stento le
risate perché era evidente che la donna aveva paura di farsi
curare la ferita, probabilmente perché era arrivata da sola
alla
conclusione che era necessario ricucirne i lembi.
«Lascia
che lo faccia io allora», propose rivolgendole un sorriso.
«Tu?!»,
esclamò in un acuto. «Tu non sai... Non puoi saperlo fare sul
serio», aggiunse sgranando gli occhi.
Guy trovò la situazione
comica più che
tragica o problematica, perché il modo in cui Kaelee cercava
inutilmente di sfuggirgli, il tono quasi isterico della sua voce e gli
occhi spalancati che lo fissavano con terrore, avevano un che di
divertente. In fondo al caramello fuso l'uomo era riuscito a cogliere
la vena di fiducia che la ragazza da sempre nutriva nei suoi confronti,
perciò era abbastanza sicuro che il timore di Kaelee non era
così grande e grave da richiedere un atteggiamento troppo
serio
e melodrammatico. Inoltre Guy ritenne che sarebbe stato inutile
aggredire la
giovane donna con un tono severo o preoccupato, tanto più
perché il danno era tutt'altro che grave per fortuna,
perciò
preferì scherzarci sopra e alleggerire la tensione.
«Non ti facevo così
fifona»,
constatò aprendo il cassetto di un basso mobile e tirandone
fuori un ago ricurvo, adatto a suturare.
«Non ho paura!»,
asserì abbassando lo sguardo e avvampando, a testimonianza
del fatto che tanto più la sua
mente provava a fare il possibile per non lasciar trasparire la
verità, quanto più il suo corpo la tradiva
lavorando in direzione
contraria e manifestando invece i reali sentimenti che albergavano in
lei. «Dove
hai imparato?», chiese, forse nel tentativo di spostare
l'attenzione di Gisborne.
«Siediti,
farò il possibile per non farti troppo male»,
mormorò lui indicandole una sedia.
«Non
mi sei di alcun aiuto, sai?», fece lei con un pizzico di
sarcasmo, guardando con orrore l'ago tra le dita di Gisborne.
«Mi
crederesti se ti dicessi che non sentirai nulla?».
«No».
«Allora
siediti e lasciami
fare. O, se preferisci, ti accompagno da Lord Basil», le
rispose
Gisborne riferendosi al dottore che abitava ed esercitava al villaggio.
Per tutta risposta vide Kaelee avvicinarsi lentamente e con riluttanza
alla sedia.
«È
proprio necessario?», chiese con un filo di voce.
«Fifona»,
sussurrò Gisborne, divertito. Ormai
certo di averla convinta la invitò a mostrargli il braccio
per
poterle pulire il taglio prima di ricucire. Come già aveva
avuto
modo di vedere, la ferita appariva più brutta di quel che
era,
così con l'aiuto di una spugna morbida e di acqua riscaldata
precedentemente al fuoco del camino acceso al piano inferiore, rimosse
qualche
residuo di tessuto e le incrostazioni create tutto intorno dal sagnue
fuoriuscito ore prima.
«Non
mi hai detto dove hai imparato», insisté Kaelee
quando Guy ebbe finito con la spugna.
«Sono rimasto coinvolto
in molti scontri e le
prime volte era facile che restassi ferito. A furia di guardarlo fare,
ho imparato»,
spiegò. «Brucerà
un pochino, ma tu tieni premuto», aggiunse porgendo alla
ragazza
del tessuto pulito imbevuto di un liquido dall'odore molto forte,
mentre riscaldava l'ago sulla fiamma di una candela.
«E
questo lo definiresti un
pochino?! Bugiardo!», esclamò a voce piuttosto
alta la
ragazza, allontanando immediatamente il panno dal braccio e attirando l'attenzione di Gisborne che in quel
momento le dava le spalle.
«Non
costringermi»,
minacciò Guy senza negarle un sorriso paziente, comprensivo
e
rilassato. Non aveva la certezza che quello fosse il modo migliore per
affrontare
la situazione, ma riteneva che Kaelee avesse un carico emotivo
già abbastanza pesante di per sé
perché certamente
un pianto liberatorio non aveva risolto definitivamente la questione.
Se conosceva la donna come credeva, nei giorni a venire avrebbe
ripreso l'argomento, avrebbe sofferto ancora per quello che lei
definiva un crimine e si sarebbe messa severamente in discussione.
Kaelee colse l'antifona e si sforzò di resistere a quello
che le sembrava fuoco vivo sulla pelle martoriata.
«Mi
racconti qualcosa mentre...?», implorò la ragazza,
guardando Gisborne con i suoi grandi occhi di caramello.
«Possibile
che tu abbia
più paura di un ago che di una spada?»,
domandò
retorico l'uomo, scuotendo il capo mentre si avvicinava a lei con l'ago
reso sterile dalla fiamma.
«Perché
Guy di Gisborne
se sei di Locksley?», chiese allora lei ignorando le parole
di
Guy che le avevano causato non poco imbarazzo testimoniato dal rossore
diffuso sul bel viso.
Senza fretta, Guy le si portò di fianco e le
baciò amorevolmente il capo nel tentativo di
tranquillizzarla. «Mia
madre aveva origini francesi, mentre mio padre era originario del
villaggio di Gisburn», iniziò con voce pacata.
«Gisburn?
Non ne ho mai
sentito parlare», soffiò Kaelee interrompendolo e
cercando
lo sguardo di lui, che le sorrise immediatamente.
«I
miei genitori si sono
conosciuti in questo villaggio, di cui mio padre era Signore, e
lì hanno vissuto per alcuni anni prima di unirsi in
matrimonio.
Mia madre, quando alla sera non volevo proprio addormentarmi, mi
raccontava del grande Maniero in cui aveva vissuto insieme a mio padre
e dei progetti che avevano fatto per il futuro. Il suo nome era
Ghislaine e aveva morbidi capelli scuri che portava lunghi e quasi
sempre liberi da acconciature». Mentre raccontava, Guy punse
Kaelee a tradimento una prima volta facendola sobbalzare.
«Ahi!»,
strillò lei d'istinto, colta di sorpresa dal gesto di
Gisborne il quale ridacchiò. «Va' avanti», borbottò ad
occhi chiusi.
«Era una donna dal
carattere forte, era in
grado di maneggiare una spada e sapeva prendersi cura della sua
famiglia. Quando lo scorso anno ho rivisto Isabella, lei mi ha
ricordato molto Ghislaine».
Guy fece una breve pausa per concentrarsi sul proprio operato. «Era
già incinta quando il villaggio di Gisburn
venne messo a ferro e fuoco per ordine dello Sceriffo. Pare che gli
abitanti fossero restii a pagare le tasse, quindi lo Sceriffo
pensò bene di offrire un esempio a tutta la Contea
distruggendo
il villaggio, che non venne più ricostruito. I miei
genitori
si salvarono per miracolo e si stabilirono a Locksley non senza
difficoltà. Qui siamo nati sia io che mia sorella».
«È
molto triste»,
sussurrò Kaelee con un tono che tradiva dispiacere e
compassione, sfiorando con la mano libera il braccio di Guy.
Gisborne annuì.
«Il resto della storia lo conosci e sai anche che il mio
presente è molto migliore»,
mormorò chinandosi a sfiorare le labbra della donna che
amava in
un bacio delicato. Senza che Kaelee se ne fosse davvero resa conto, Guy
aveva ultimato il lavoro sulla ferita di lei e la stava premiando con
attenzioni ben più piacevoli.
L'espressione che l'uomo scorse sul viso di Kaelee quando lei comprese
che il taglio era stato completamente ricucito fu di sincera sorpresa.
«Com'è
possibile che
non abbia sentito niente dopo il primo passaggio?», gli
chiese,
convinta che dovesse esserci un trucco.
«Eri
distratta», spiegò lui accompagnando le parole ad
un'alzata di spalle.
Kaelee gli rivolse un tenero
sorriso prima di
pretendere nuovamente le labbra di lui. «Mai distrazione fu
più attraente»,
soffiò.
Nei mesi successivi accaddero molte cose in quel di Locksley e dintorni.
La riconoscenza manifestata dai cittadini di Nottingham a Gisborne per
aver mandato via i Cavalieri Neri risparmiando la vita ai sopravvissuti
allo scontro non si era limitata al giorno della vittoria. Per
settimane Gisborne aveva ricevuto visite da parte di nobili e non i
quali l'avevano pregato di accettare la
nomina a Signore di Nottingham, e sebbene per l'uomo fosse
inconcepibile che una richiesta del genere fosse fatta proprio a lui
dopo tutto ciò che aveva combinato in quella
città
insieme allo Sceriffo Vaisey, si era ritrovato coinvolto in una serie
di iniziative che avevano fatto arrivare all'orecchio di Re Riccardo
l'acquisita fama di uomo giusto.
Guy non riuscì mai ad escludere che in quella faccenda ci
fosse
anche lo zampino di suo fratello Robin, notoriamente amico del Re, e
anche se non si sentiva pronto per un incarico del genere non
impedì agli eventi di fare il proprio corso.
Inoltre la mente di Gisborne era stata occupata per diverso tempo dalla
necessità di mettere al corrente la famiglia di Kaelee
dell'ormai imminente matrimonio. Se Gisborne si era sentito libero di
chiedere la mano di Kaelee direttamente a lei, senza coinvolgere suo
padre o suo fratello maggiore era sostanzialmente perché
Dwight
non si era opposto alla relazione quando si era trovato a Locksley
insieme ad Aric per fermare Rudyard, ma voleva che per Kaelee quel
giorno fosse perfetto. Conscio che non era possibile chiedere
a Dwight ed Aric di spostarsi lasciando Rudyard a Edwinstowe
con il resto della famiglia o, peggio ancora, con la madre, si era
impegnato in un lungo e fitto
scambio di missive con il maggiore dei fratelli della sua futura sposa
ottendendone la benedizione oltre che una soluzione al problema.
Sia Gisborne che Dwight, infatti, sapevano bene che Kaelee avrebbe
sofferto per l'assenza di Aric al matrimonio ed erano intenzionati a
impedire alla tristezza di trovare un posto a sedere alla festa.
Kate e Much, ormai stabilitisi definitivamente a Bonchurch, avevano
annunciato di aspettare un bambino, scatenando tra
gli ex fuorilegge non soltanto gioia immensa ma anche una serie di
battute e discorsi vagamente piccanti - la maggior parte pensati da
Allan ed
Archer che quando si mettevano d'impegno riuscivano a far arrossire
perfino l'essere umano meno pudico di tutta l'Inghilterra - che avevano
animato le cene dei compari per diverso tempo e imbarazzato gli sposini.
Rose aveva tentato invano di non balbettare ed arrossire in presenza di
Allan,
così quest'ultimo aveva infine compreso che un tenero
sentimento
era sbocciato nel cuore di lei e, dopo averla invitata a fare una
passeggiata nella foresta e condotta in una deliziosa valletta fiorita,
con un bacio a fior di labbra - seguito da altri
molto meno casti - l'ex fuori legge dai grandi occhi blu aveva sancito
la nuova unione.
Inoltre, frequentando spesso Allan, Rose aveva iniziato a cambiare idea
su Guy e Kaelee intravedendo nel primo parte di quel mutamento in
meglio che gli si attribuiva e nella seconda la determinazione che le
aveva permesso, tra le altre cose, di affiancare Gisborne
nell'addestramento con la spada. Timidamente, la ragazza, aveva perfino
chiesto e ottenuto di poter seguire le lezioni senza abbandonare arco e
frecce.
Il giorno antecedente
alle nozze, Bonchurch.
La felicità che Kate aveva provato quando Gisborne le aveva
chiesto se lei e Much avessero potuto ospitare Kaelee per qualche
giorno prima della cerimonia era stata così grande che la
donna
aveva gettato letteralmente le braccia al collo dell'uomo che un tempo
aveva odiato. Se qualcuno le
avesse detto, un anno addietro, che sarebbe diventata amica di Guy di
Gisborne, Kate lo avrebbe mandato senza dubbio al diavolo considerando
assurde sciocchezze quelle previsioni. La vita, aveva imparato la
bionda donna di Locksley, riservava più sorprese di quanto
ci si
potesse aspettare. Del resto, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe
andata in sposa ad un ex fuorilegge di nome Much, figlio di un mugnaio
e servitore fedele di Robin di Locksley, da qualche tempo conosciuto
come Lord
Much il Difensore?
Kate era di umili origini e sin da bambina aveva dato una mano a sua
madre a sfornare e decorare vasi, facendo di questa attività
la
sua massima ambizione finché nella sua esistenza non erano
piombati Robin Hood e la sua banda. Col tempo si era resa conto che il
sentimento per il capo dell'allegra combriccola era stato sì
importante e grande, ma ciò che la legava ora a Much era
qualcosa di ancor più profondo, di indissolubile. La leggera
curva del suo abito all'altezza dell'addome ne era la testimonianza.
Kate aveva accolto con un caloroso abbraccio l'amica quando Guy l'aveva
accompagnata fino a Bonchurch con la scusa di doversi trasferire a
Nottingham per poter predisporre al meglio ogni cosa dal momento che si
sarebbero sposati non a Locksley ma in città.
Kaelee ci stava capendo poco e niente di tutta quella situazione. Tra
le forti emozioni per il matrimonio e gli strani impegni in cui
Gisborne sosteneva di essere coinvolto era arrivata a Bonchurch senza
ben comprendere il perché di quella necessità. Le
uniche
cose davvero chiare erano che lei e Guy si sarebbero sposati a
Nottingham
per conciliare il matrimonio con qualcosa d'altro - a lei
completamente oscuro - e che al matrimonio sarebbe stata presente la
sua
famiglia al completo - cosa che la preoccupava non poco.
Aveva dovuto far fronte a così tanti pensieri negli ultimi
giorni che era arrivata a credere che la testa le sarebbe scoppiata e
sapeva che senza il supporto dei suoi amici non sarebbe mai riuscita ad
uscirne senza perdere qualche rotella. Durante i giorni di permanenza a
Bonchurch, infatti, tanto Kate quanto Much l'avevano rassicurata in
merito al passo che stava per compiere e alle conseguenze che questo
comportava.
A guardare Kate e Much, Kaelee era rimasta diverse volte stordita
dall'amore che diveniva palpabile nelle stanze della tenuta grazie agli
sguardi ricchi di quel sentimento, alle leggere carezze che l'uomo
riservava alla sua sposa, ai dolcissimi baci sparsi sul viso prima di
raggiungere le labbra. A Kaelee parve che i due fossero avvolti da una
meravigliosa luce che sentì irradiarsi intorno fino a
toccare
anche lei, rilassandola e tranquillizzandola.
Il giorno prima del matrimonio, Kate e Kaelee si ritrovarono sole ed in
vena di confidenze.
«Ci
siamo quasi! A cosa stai
pensando?», domandò Kate stringendo le mani
dell'amica
nelle proprie e investendola con un sorriso radioso.
Kaelee si domandò se quello fosse un effetto della
gravidanza
oltre che del matrimonio e non poté fare a meno di pensare a
se
stessa nella medesima situazione che, lo sapeva, prima o poi si sarebbe
verificata.
«Mi risulterebbe
più semplice dirti a cosa non sto pensando, mia dolce Kate», sospirò la giovane donna.
«Ti
ascolto, affrontiamo una questione per volta, d'accordo?»,
propose l'altra, paziente.
Kaelee non poté fare a meno di sorriderle di rimando in un
muto
ringraziamento. Soltanto qualche mese prima si era ritrovata lei a
placare la crisi isterica di Kate.
«Sono
felice», mormorò con aria sognante, «e
impaziente. Sono arrivata a Locksley con l'intento di lavorare sodo e
mantenermi da sola, di non dipendere da nessuno. Non avevo messo in
conto l'amore», continuò. Il suo sorriso si fece
più ampio mentre pensava a Guy. «Domani
è davvero un grande giorno per me. Sono ansiosa di
riabbracciare
Aric e di rivedere Guy perché sebbene io stia molto bene con
te
e Much, perdonami, ma ho bisogno che lui mi stringa», ammise
Kaelee facendo ridere Kate e ridendo lei stessa di gusto. «Ma c'è una cosa che mi
preoccupa...».
«Racconta,
non tenermi sulle spine», la invitò Kate.
«La
scorsa settimana ho
origliato una conversazione», confessò e nel
vedere Kate
spalancare gli occhi sentì l'esigenza di giustificarsi
immediatamente. «Lo so, lo
so! Non è educato e non è corretto, ma stavano
parlando
nella stanza di fianco a quella in cui mi trovavo io e...»,
spiegò velocemente.
«Stavano
parlando chi?», intervenne Kate.
«I
Tre».
«Naturalmente...
E cosa si sono detti?», chiese curiosa la bionda.
«Kate!»,
esclamò l'altra fingendosi sconvolta da una domanda
così sfacciata.
«Me
l'avresti raccontato ugualmente. E poi sei stata tu a origliare, non
dimenticarlo!», rispose Kate divertita.
«E
va bene, se insisti... Parlavano di Nottingham e di Re
Riccardo», soffiò per poi aggrottare le
sopracciglia. «Perché il Re dovrebbe venire a
Nottingham, Kate?».
Nottingham.
Gisborne, con il prezioso contributo dei suoi fratelli, dopo aver
sistemato Kaelee a Bonchurch affinché affrontasse ogni
attacco
d'ansia con la sua migliore amica e non si preoccupasse di
ciò
che lui stava organizzando, accolse
nel migliore dei modi la famiglia di Kaelee offrendo un comodo alloggio
e non sottraendosi ad un
pacato confronto verbale con Rudyard e sua madre in presenza di Dwight.
Indubbiamente l'uomo che aveva creato scompiglio a Locksley e
Nottingham si era ridimensionato e non sembrava avere intenti omicidi
verso Guy o Kaelee, ma era ancora ben lontano dall'essere un uomo
pacifico. Se non altro sfogava gli scatti d'ira lavorando la terra di
famiglia e aveva perso in parte il ghigno malefico.
Rudyard si dichiarò contrario a quel matrimonio e Guy non si
aspettava di certo una posizione diversa da quella, ma diede parola che
né lui
né sua madre si sarebbero opposti il giorno delle nozze
perché «Non abbiamo alcuna speranza di
spuntarla», aveva affermato ridendo di cuore, senza
cattiveria. «Le
voci del vostro scontro con i Cavalieri Neri sono giunte fino a
Edwinstowe e so che Kaelee era presente. Ha saputo guadagnarsi la
felicità».
I due conclusero lo scambio con una stretta di mano.
Ma i familiari di Kaelee non erano gli unici ospiti attesi a Nottingham.
Gli uomini di Robin Hood erano in gran fermento per
l'arrivo di Re Riccardo in persona il quale aveva fatto sapere, qualche
settimana addietro e tramite una rappresentanza di cavalieri, che
avrebbe condiviso con piacere del tempo in compagnia dei vecchi amici e
avrebbe assolto volentieri ad un compito che Dio, l'Inghilterra e il
suo popolo gli avevano destinato. Popolo che era stato informato da
Robin dell'importante visita soltanto con tre giorni d'anticipo.
Il giorno precedente alla cerimonia, il Re giunse in città
accompagnato dai più valorosi Cavalieri di tutta
l'Inghilterra e
immediatamente si insediò nel vecchio Castello di Nottingham
che, per l'occasione, era stato allestito come si conviene per un Re
del calibro di Riccardo Cuor di Leone. Non passarono molte ore che
Robin Hood e i suoi erano già nella fortezza a chiacchierare
amabilmente con Sua Maestà.
Bonchurch.
«Il
Re? Sei certa di non aver capito male?», chiese Kate tenendo
ancora le mani della giovane donna tra le proprie.
In quel mentre Much rientrò nella tenuta e bussò
gentilmente alla porta della stanza in cui si trovavano le due donne,
interrompendo la loro conversazione per effettuare una consegna molto
importante.
Dopo essere stato invitato ad
entrare, Much
dedicò un primo sguardo a sua moglie e così le
comunicò ancora una volta l'intensità del
sentimento che
lo legava a lei, poi si rivolse a Kaelee porgendole quello che pareva
un fascio di stoffa.
«Torno
da Nottingham e una persona speciale mi ha pregato di portarti
questo», disse l'uomo sorridendo alla giovane donna. «Perdonatemi
se non mi trattengo, ma ho certe questioni da sbrigare»,
aggiunse
con fare leggermente nervoso. Se c'era una cosa che Much non sapeva
fare era mentire, ragion per cui si era opposto con determinazione a
quel ruolo che Robin e i fratelli di Kaelee avevano deciso di
affidargli, senza successo.
Quando vide Kaelee aggrottare le sopracciglia e guardarlo con occhi
colmi di dubbio e sospetto, Much seppe che era necessario dileguarsi
alla svelta se non voleva che lei e Kate si mettessero a fargli domande
scomode che avrebbero certamente smascherato tutti i piani.
«Questioni?»,
chiese Kaelee.
«Che
tipo di questioni?», le fece eco Kate.
Much deglutì ripetendosi le parole di Robin - "Much", gli
aveva
detto, "Soprattutto Kaelee non deve sapere nulla della presenza del Re
e dell'abito che Dwight e Aric hanno fatto cucire appositamente per
lei, non prima di aver letto il loro messaggio, mi hai capito bene? Non
sono riuscito a nascondere a Gisborne di Riccardo,
almeno proviamoci con la futura sposa!" - mentre cercava una risposta
consona. Di capire aveva capito benissimo, ma la pratica era sempre
stata tutt'altra cosa rispetto alla teoria.
«Da
uomini. Questioni da uomini!», esclamò pensando di
avere così guadagnato il tempo necessario alla fuga. «Buon proseguimento!», aggiunse in
fretta. Baciò Kate sulla fronte e lasciò la
stanza e la tenuta.
Le due donne si scambiarono un'occhiata colma di interrogativi.
«Ma
che gli è preso?», chiese Kaelee tastando la
stoffa che avvolgeva qualcosa di decisamente morbido.
«Much
è strano di suo,
ma oggi lo è più del solito»,
rifletté Kate
scatenando la risata di entrambe. «Non sei curiosa di scoprire di cosa si
tratta?», aggiunse.
Kaelee si fece di nuovo pensierosa nel tentativo di mettere insieme i
pezzi. Nel giro di qualche settimana era successo l'impossibile: i
preparativi per le nozze avevano preso il via ufficialmente, Guy aveva
iniziato a comportarsi in modo strano assentandosi spesso senza fornire
spiegazioni esaurienti, il popolo sembrava essere su di giri da quando
Nottingham era stata liberata ancora una volta dalla prepotenza del
Principe Giovanni e dei suoi Cavalieri Neri, i Tre si erano riuniti
più volte e durante uno di questi incontri avevano fatto il
nome
del Re, si era deciso che lei trascorresse i giorni precedenti alla
cerimonia a Bonchurch anziché a Locksley o Nottingham con
Guy e
infine Much aveva recapitato uno strano dono proveniente da Nottingham.
La giovane donna si sentì più confusa di prima e
nella
consapevolezza di non poter in alcun modo arrivare alla
verità
senza muoversi di nascosto da Bonchurch - cosa che Kate non avrebbe mai
approvato - si arrese al corso degli eventi e sospirò.
«Dici
che è da parte di Guy?», chiese Kaelee senza
rispondere alla domanda postale da Kate.
«È
probabile. Credo di sapere cosa sia... Avanti aprilo!»,
esclamò l'altra animata da improvviso entusiasmo.
Kaelee era titubante, ma presto cedette all'insistenza di Kate e quando
portò alla luce ciò che le era stato donato per
poco non
perse i sensi. Ma come aveva fatto a non arrivarci subito? Come aveva
potuto dimenticarsene?
«Oh
cielo...», soffiò ad occhi sgranati.
Avvolto
in una guaina di velluto scuro c'era un delizioso abito da sposa
accompagnato da un biglietto.
Kaelee sapeva che il vestito che avrebbe indossato sarebbe stato una
sorpresa e che l'avrebbe ricevuto all'ultimo momento perché
Gisborne l'aveva pregata di lasciare che fosse lui ad occuparsene e lei
non aveva saputo resistere. Ancora senza fiato, la futura sposa
passò la piccola pergamena a Kate chiedendole se poteva
leggergliene il contenuto.
«Dice
così: "È
solo grazie al sentimento che Sir Guy nutre nei tuoi confronti se
abbiamo avuto l'onore di elogiarti con questo dono. Possa la vita
sorriderti sempre. Tuoi amatissimi, Dwight e Aric"». La voce
di
Kate si affievolì sul finale per la commozione che la invase.
«Questa
me la pagano», singhiozzò felice Kaelee tra le
lacrime.
Il giorno delle nozze,
Nottingham.
Il panico che aveva stretto Kaelee in una morsa quando una carrozza
messale a disposizione per l'occasione era giunta a Bonchurch per
condurla a Nottingham di primo mattino non l'aveva lasciata un attimo
neanche durante il tragitto. La giovane donna non avrebbe mai voluto
affrontare quel breve viaggio da sola, senza la sua confidente e amica
Kate la quale si era occupata di lei come sua madre non aveva mai fatto
in tutta la vita e che l'avrebbe raggiunta in città
più
tardi con Much, perché sapeva che in quel frangente la bella
Sherwood non sarebbe riuscita a consolarla con i suoi giochi di luce
sulle foglie cangianti.
L'atteggiamento di Kaelee verso i preparativi alla
cerimonia era stato ben diverso dall'isteria di Kate, ma in cuor suo la
ragazza aveva sepolto un urlo che premeva costantemente per uscire. Non
aveva paura di sposare Gisborne - il quale rappresentava la chiave del
suo personale riscatto, della felicità conquistata - ma
temeva
di non essere all'altezza della situazione e del suo futuro marito.
Più che altro Kaelee non riusciva a togliersi dalla testa il
titolo nobiliare di
Gisborne e anziché gioirne, come forse una qualsiasi donna
avrebbe fatto nel ricevere le attenzioni di un Cavaliere, ne faceva un
problema. Si sentiva inferiore e inadatta sebbene mai Gisborne l'avesse
trattata come una semplice contadina, facendola anzi sentire spesso una
principessa, e i ragionamenti in cui si era impelagata la condussero
presto a domandarsi cosa avrebbero pensato di quel matrimonio i
genitori di Guy se fossero stati ancora vivi. L'avrebbero approvato
oppure avrebbero considerato folle una simile scelta, un disonore per
la famiglia?
Kaelee non possedeva nulla, pertanto nulla poteva offrire a Gisborne se
non se stessa e questo la faceva impazzire più degli
incessanti
sobbalzi della carrozza che le facevano venire nausea e mal di testa -
oppure era uno scherzo della mente? - perché era convinta
che
tra i due a
guadagnarci sarebbe stata soltanto lei. Eppure era certa che Guy non
l'avrebbe lasciata né all'altare né
più avanti nel
tempo. A sostegno di quella tesi era lo sguardo sempre limpido di
Gisborne tutte le volte che l'aveva guardata, perciò Kaelee
comprese che quando le era
capitato di vacillare era stato a causa sua e non dell'uomo che amava,
capì che ciò che più doveva temere in
quel momento
era se stessa e quegli assurdi pensieri che cercavano da giorni di
confonderla. Prese quindi un profondo respiro e si lasciò
sfuggire un sorriso mentre l'occhio scivolava sulle proprie dita e su
quell'anello che Gisborne le aveva donata il giorno del matrimonio di
Kate e Much. Un anello che rispecchiava inequivocabilmente la loro
relazione. Un anello che lui aveva commissionato esclusivamente per lei
come pegno del suo amore.
La carrozza non si fermò finché non raggiunse
l'ingresso
al vecchio Castello di Nottingham dove ad attendere Kaelee c'erano la
sua famiglia al completo e i componenti della vecchia banda di Robin
Hood con l'aggiunta di alcuni nuovi amici tra i quali spiccava la
solare Nettie che Kaelee vide saltellare sul posto, euforica. Pur non
potendo dire che la conosceva bene, Kaelee era quasi del tutto certa
che Nettie fosse quel raro tipo di persona capace di gioire
sinceramente per gli altri e questo faceva di lei un'amica preziosa.
La sposa provò una punta di immensa delusione nel non
scorgere
non soltanto Gisborne ma anche nessuno dei suoi due fratelli. Che
sciocca, pensò di se stessa, era del tutto normale che Guy
non
fosse lì ad attenderne l'arrivo dal momento che si sarebbero
incontrati in Chiesa, al cospetto di Dio e di Fratello Tuck. In
compenso aveva molte altre persone da salutare, Aric su tutti.
L'incontro con i
fratelli fu in linea di massima piuttosto impacciato e se con Dwight e
Aric Kaelee chiacchierò in modo del tutto naturale, si
chiuse in
un silenzio imbarazzante dinanzi a sua madre, - la quale non
riuscì neanche a guardarla negli occhi per più di
qualche
secondo - Willard e soprattutto Rudyard. Kaelee fu sul punto di
chiedergli cosa ci facesse proprio lui al suo matrimonio, con quale
coraggio avesse osato presenziare all'unione di due persone che aveva
tentato di uccidere in più di un'occasione, ma
riuscì a
tenere a freno la lingua non volendo mettersi a litigare in un
giorno come quello. Sapeva che se si fosse scatenata una discussione
non soltanto Dwight sarebbe immediatamente intervenuto, ma anche gli ex
fuorilegge, che l'avevano tutti accolta con gran baccano e non senza
esprimersi in complimenti sfacciati per via dell'abito aderente,
avrebbero fatto altrettanto. Con
suo padre, invece, Kaelee si scambiò uno sguardo d'intesa e
seppe che sarebbe stato sempre dalla sua parte, che lo era stato anche
prima e dopo la sua partenza sebbene non si fosse mai esposto.
Tornando all'abito che Dwight e Aric le avevano regalato si
può
dire che fosse semplice per il taglio, ma per nulla anonimo grazie alle
deliziose rifiniture. Si trattava di una lunga veste aderente di colore
bianco - non quel tipo di bianco candido e brillante, ma un bianco che
si collocava, a seconda della luce che lo colpiva, tra beige, celeste e
verde chiarissimi - caratterizzata da una fitta trama floreale tono su
tono che si arrampicava per tutto l'abito dall'orlo fino alla
scollatura generosa ma non volgare. Ad arricchire e decorare
quest'ultima una leggera frangia arricciata in tessuto trasparente
lambiva la pelle chiara della donna e nel contempo richiamava le
maniche dell'abito, anch'esse lievi e trasparenti quasi fossero fatte
di vapore, fermate sopra al gomito da un fiocco delicato. Una ghirlanda
di candidi fiori e verdissime foglie - atta a sostenere un morbido velo
- abilmente sistemata sui capelli della sposa completava l'opera.
Kaelee era certa di non aver mai indossato abito più bello
in
vita sua.
Kaelee ebbe conferma che qualcosa di strano era successo o stava ancora
succedendo a Nottingham, quando invece di condurla verso la Chiesa
della città, gli uomini di Robin la invitarono a raggiungere
insieme ai suoi familiari la cappella della Fortezza. Solo quando
osservò davvero il vecchio Castello notò le
insegne di
Riccardo Cuor di Leone esposte alle alte finestre e da ambo i lati
dell'enorme ingresso. Incontrando lo sguardo di Kate - la quale nel
frattempo, come promesso, l'aveva raggiunta insieme a Much - Kaelee
ebbe la sicurezza che entrambe stavano ripensando alla conversazione
avuta il giorno precedente: dunque le conclusioni cui era arrivata dopo
aver involontariamente origliato i Tre erano giuste e il Re si trovava
davvero a pochi passi da lei. Kaelee percorse corridoi e sale senza
guardare dove metteva i piedi, gettando solo uno sguardo fugace alle
decorazioni per la cerimonia e agli stendardi dai disegni geometrici
neri e gialli che non aveva mai visto prima, ma che sapeva non
appartenessero a Re Riccardo, perché nella sua testa si era
scatenato di nuovo il caos più totale. Vestire quell'abito
fin
troppo appariscente in confronto alla sua tenuta quotidiana, inoltre,
la rendeva ancora più nervosa dandole la sensazione di avere
tutti gli occhi dei presenti puntati su di sé.
Giunti dinanzi alla porta chiusa di quella che un tempo era stata la
cappella privata dello Sceriffo di Nottingham, il gruppo costituito da
familiari e amici si fermò per dividersi definitivamente in
quanto Kaelee avrebbe fatto il suo ingresso soltanto accompagnata da
suo fratello Dwight come lei stessa aveva deciso quella mattina. Le era
costato un mal di pancia insostenibile dover compiere quella scelta
necessaria, ma in cuor suo sentiva di dover offrire una seconda
opportunità al rapporto con suo fratello maggiore e ritenne
che
non le sarebbe mai più capitata un'occasione migliore di
quella.
Perciò mentre anche Kate spariva oltre la massiccia porta in
legno scuro, Kaelee rimase immobile in compagnia di suo fratello, con
le gambe malferme a causa dell'agitazione che provava al pensiero di
ciò che stava per accadere.
Dall'interno della cappella proveniva un chiacchiericcio diffuso e
Kaelee immaginò tutti gli abitanti di Locksley e la banda al
completo in attesa soltanto che lei entrasse, così come
Gisborne
che in quel momento doveva trovarsi davanti all'altare, probabilmente
con il cuore in gola anche lui.
Appena Dwight le porse il braccio Kaelee sentì le lacrime
minacciare di sfuggirle, ma si fece coraggio e si aggrappò a
suo
fratello con tutta la forza che le era rimasta.
«Sta'
tranquilla, sei perfetta», le sussurrò prima di
varcare la soglia.
Stavolta
Gisborne non aveva infranto
le regole andando incontro alla sposa prima dell'inizio ufficiale della
cerimonia e anzi, per essere più precisi, non vedeva Kaelee
da
diversi giorni e ne sentiva la mancanza come mai prima di quel giorno.
Per certi versi si sentiva in colpa per non aver placato personalmente
dubbi e paure che certamente avevano attanagliato la giovane donna
nelle ore precedenti al matrimonio, ma forse era stato meglio
così dato che lui per primo non era stato capace di
affrontare i
propri spettri.
Sebbene non dubitasse affatto dell'amore che Kaelee provava per lui,
l'immagine di Marian che cambiava posto all'anello solo per assestargli
un pugno in pieno volto e fuggire via a gambe levate lasciando attonito
il prete era tornata a torturarlo e lui aveva scaricato la tensione su
Robin e Archer, entrambi felicissimi che il fatidico giorno fosse
infine arrivato. Gisborne pensò che avrebbe dovuto chiedere
loro
scusa una volta finiti i festeggiamenti.
Il suo cuore batteva all'impazzata, tanto che l'uomo non avrebbe mai
creduto che potesse correre più veloce di così,
ma appena
la vide risplendere quasi di luce propria, perfettamente fasciata nel
suo abito bianco, si rese conto di aver avuto torto per tutto il tempo
e gli parve che il cuore gli stesse fluttuando nel petto, in attesa di
uscire e volare verso Kaelee.
Una piccola parte di lei aveva sperato che per una volta Guy avrebbe
indossato un colore diverso dal nero e invece, quando l'uomo
entrò nel suo campo visivo le sue speranze si infransero
quasi
completamente. Quasi, perché Gisborne indossava uno dei suoi
completi
migliori, uno di quelli tenuti insieme da decine di lacci e fibbie
intrecciati
ad arte,
ma dalle spalle una lunga ed ampia stoffa nera con ricami
dorati scivolava
fino a terra in un regale mantello che Kaelee associò, per i
colori, a quelle insegne gialle e nere che aveva visto in tutta la
Fortezza. Non l'aveva mai visto
abbigliato in quel modo, né con i capelli perfettamente in
ordine, e lo
trovò bellissimo.
I pochi metri che la separavano da lui sembravano moltiplicarsi ad ogni
passo e
la donna era così concentrata sullo sposo da non accorgersi
che
dietro l'altare si ergeva un'alta e imponente figura, che niente aveva
a
che fare con Fra Tuck, finché questa non parlò
con voce
profonda e imperiosa, causando un brivido di timore in Kaelee, la quale
aveva infine raggiunto la posizione che quel giorno le spettava:
davanti all'altare e di fianco all'uomo che amava.
«È
con il favore di Dio
e dell'Inghilterra che mi trovo qui ad assolvere al gradito compito di
unire sotto la bandiera dell'amore due anime coraggiose e colme di
luce. Ed è per lo stesso insindacabile volere che mi impegno
quest'oggi a nominare il nuovo e giusto Signore di
Nottingham»,
esordì quell'uomo che Kaelee comprese essere Re Riccardo in
persona.
La sposa lo guardò
per la prima volta e si sentì venir meno, per l'ennesima
volta, per l'emozione. Tutta
quella faccenda appariva surreale ai suoi occhi, gli occhi di una
fanciulla del popolo la cui ambizione più grande avrebbe
dovuto
essere dare figli ad un uomo che l'avrebbe presa sotto la sua
protezione. Kaelee aveva già dimostrato a se stessa e a chi
l'aveva conosciuta di non essere una donna avvezza alle regole
ingiuste, ma un incontro con il Sovrano d'Inghilterra era oltre ogni
sua più rosea previsione. Sebbene Kaelee non avesse alcuna
nozione politica o militare e poco conoscesse di ciò che
veniva
deciso a Londra dagli uomini più potenti, sapeva che
Riccardo
Cuor di Leone non regnava contro il popolo perché, in tal
caso,
non avrebbe avuto la stima di Robin Hood il quale invece lo aveva
orgogliosamente servito in Terra Santa - di questo Kaelee era certa
perché aveva sentito raccontare quella storia più
di una
volta. A guardarlo bene la donna pensò che il soprannome con
cui
era conosciuto Riccardo I non derivasse soltanto dal coraggio che lo
aveva portato a combattere in prima linea insieme ai suoi Cavalieri
Crociati, ma fosse stato ispirato anche dal suo aspetto. Il Re,
infatti, aveva voluminosi capelli ricci dal colore indefinibile che si
collocava tra il biondo ed il rosso, così simili alla
criniera
di un leone che l'associazione era quasi impossibile da evitare;
inoltre anche il suo volto ricordava in qualche modo, nei lineamenti,
il regale felino. Kaelee pensò che mai epiteto fu
più
azzeccato per quell'uomo alto e massiccio, elegantemente vestito,
simbolo stesso dell'Inghilterra e del popolo inglese.
«Ma
procediamo con ordine e
anteponendo, senza dubitare, un sentimento intenso quale è
l'amore all'ambizione per un titolo che senza un animo nobile a
rappresentarlo è inutile quanto pericoloso. È
dunque
a voi che mi rivolgo», affermò con convinzione il
Re
guardando Guy e Kaelee con quei suoi occhi chiari e incredibilmente
vivi. «Guy Crispin di
Gisborne, ti impegni dinanzi a Dio ad onorare e rispettare il sacro
vincolo del matrimonio finché la luce di Nostro Signore lo
riscalderà e a maggior ragione quando l'ombra si
proietterà su di esso?», domandò in
tono solenne il
Re.
«Mi impegno». La voce di Guy arrivò
decisa ed emozionata alle orecchie di Kaelee.
«Kaelee
Lilas di Edwinstowe,
vuoi tu al cospetto di Dio consacrare la tua vita ed il tuo cuore
all'indissolubile legame di cui lo sposalizio necessita tanto nelle
gioie quanto nelle avversità?», chiese ancora Re
Riccardo
rivolgendosi stavolta direttamente a lei.
Kaelee dovette mandar giù con forza il fastidioso nodo alla
gola che le avrebbe impedito di rispondere come voleva.
«Lo
voglio»,
riuscì a dire con voce ferma, manifestando ancora una volta
quella determinazione che la caratterizzava.
Il Re sorrise gentile, quasi che fosse anche lui coinvolto nelle
emozioni che animavano il cuore di Kaelee in quel momento, prima di
invitare Gisborne a baciare la sposa. Kaelee si voltò
istintivamente verso l'uomo al suo fianco e lo vide chinarsi,
sentì il suo braccio cingerle un fianco e la mano premere
sulla
schiena, vide il sorriso sulle labbra sottili ed una luce accecante
negli occhi limpidi prima di avvertire il calore del bacio, primo atto
di una nuova vita da vivere in due. Non poté non ricambiare
avvolta dagli applausi dei presenti e dalla risata baritonale del Re.
Non poté non avvampare e non poté non sorridere
sulla
bocca di Guy mentre portava entrambe le mani sulla sua schiena, sotto
al mantello.
«Va
bene, va bene», li interruppe Cuor di Leone. «Credo
sia chiaro a tutti noi quanto ardenti siano i vostri sentimenti, ma non
posso ancora concludere la cerimonia e dare il via ai
festeggiamenti».
L'euforia
degli invitati
sfumò lentamente insieme al bacio ripristinando il solenne
silenzio che la situazione
pretendeva e il Re si spostò ponendosi davanti all'altare e
di
fronte a Gisborne, così vicino a Kaelee che lei
poté
sentire il profumo fresco delle sue vesti. Quando il sovrano estrasse
la spada dal fodero Kaelee si irrigidì non comprendendo il
perché di quel gesto, troppo distratta per aver ascoltato
davvero le parole che avevano dato inizio alla cerimonia.
«Sir
Guy di Gisborne,
Cavaliere d'Inghilterra, servo fedele della Patria e di Dio, io ti
nomino Signore di Nottingham. Possa tu deciderne le sorti migliori e
governarla sempre in pace». Nel pronunciare quelle parole, il
Re
toccò le spalle di Gisborne con la lama mentre lui, a capo
chino
ed in ginocchio, rimase immobile fin quando l'arma si
accomodò
nuovamente nel prezioso fodero.
Kaelee osservò la scena a
pochi centimetri dai due uomini, spostando lo sguardo ora sul Re, ora
su Guy il quale ai suoi occhi appariva maestoso mentre veniva
proclamato Signore di Nottingham. L'aveva compreso, finalmente. Pian
piano i pezzi del mosaico, che si erano sparsi qua e là in
modo
confuso negli ultimi mesi, erano diligentemente finiti ognuno al
proprio posto offrendo a Kaelee un quadro molto chiaro della situazione
che stava vivendo: evidentemente i cittadini di Nottingham erano
rimasti molto colpiti dalle parole che Gisborne aveva rivolto
a Lord
Wyatt di Rochford, con ogni probabilità la voce si era
sparsa e
forse qualcuno aveva chiesto a Robin Hood di intercedere
affinché la città avesse una degna guida dal
momento che
ne aveva innegabilmente bisogno; le richieste del popolo erano in
qualche modo arrivate al Re - quasi certamente attraverso Robin - il
quale si era reso disponibile comunicando la data esatta in cui si
sarebbe trovato a Nottingham; a quel punto era stata decisa anche la
data del matrimonio e non era un caso che le due coincidessero di modo
che il Re presiedesse entrambe le cerimonie.
Una
serie di applausi e grida
gioiose riecheggiarono nella cappella scomponendo i pensieri di Kaelee
che puntò gli occhi in quelli di Guy in cerca di tutto
ciò di cui aveva bisogno.
Di nuovo venne travolta dal sorriso radioso di suo marito il quale le
tese la mano in cerca di un contatto e di un nuovo bacio.
«Lady Gisborne», soffiò
l'uomo sulle sue labbra. «Posso avere l'onore di mostrare al mondo intero
mia moglie?», chiese poi indicando l'uscita.
Lei rise ritenendo che Guy stesse esagerando, ma
non lo contraddisse. «Con molto piacere», sussurrò.
Con le dita intrecciate, gli occhi lucidi e un sorriso davvero
difficile da spegnere, gli sposi si inchinarono dinanzi a Re Riccardo e
percorsero a ritroso, festeggiati da amici e parenti, il tragitto che
li aveva condotti a quella cappella.
N.d.A.
Questo capitolo è veramente corposo, chiedo scusa. Ormai
siamo quasi arrivati
al termine dell'avventura e mi sembra di avere ancora così
tante
cose da raccontare! La verità, forse, è che non
vorrei
lasciare questi personaggi. Oppure semplicemente sento la
necessità di sistemarli tutti in modo che possano essere
felici.
Ci tengo a fare qualche precisazione. In un episodio della prima
stagione Gisborne dice che il luogo da cui ha preso il nome non esiste
più, da qui lo spunto di usare il villaggio di Gisburn (che
esiste davvero); Ghislaine è davvero il nome della madre di
Guy e Isabella; nella serie tv non è specificato nulla in
merito alla famiglia di Much, perciò ho preso l'informazione
da Alexandre Dumas; il secondo nome di Guy - Crispin
- viene utilizzato nella serie tv al momento del (quasi) matrimonio con
Marian, mentre il secondo nome di Kaelee - Lilas - l'ho "rubato" ad
Alexandre Dumas (Lilas è un personaggio del suo Robin Hood);
gli
stendardi gialli e neri che vede Kaelee appartengono a Gisborne e
compaiono nella serie tv.
Ringrazio chiunque di voi sia arrivato fino a qui, silenziosamente o
lasciando traccia del proprio passaggio.
A presto!
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Capitolo 25 *** Tempo di Partenze ***
Venticinque
Tempo
di Partenze
Nottingham.
Erano
occorse alcune settimane a Guy e Kaelee per trasferirsi definitivamente
in città e lasciare la casa a Locksley in mano agli amici
della
banda di Robin Hood che l'avrebbero tenuta in perfetto ordine per ogni
necessità, come ad esempio la scelta, non unanime,
della famiglia di Kaelee di trattenersi dopo il matrimonio. Tra tutti,
sicuramente Rudyard e sua madre erano i meno contenti, ma non essendo
loro concesso di spostarsi autonomamente dal nucleo familiare erano
stati costretti a cedere e adeguarsi alla volontà degli
altri
componenti per la felicità soprattutto di Aric e Kaelee.
Un'abitazione priva di giardino e di un orto da coltivare, situata
all'interno di alte mura grigie
e dalle cui finestre era impossibile vedere Sherwood non era
ciò
che Kaelee aveva immaginato per se stessa, soprattutto dopo aver
vissuto un anno a Locksley. Eppure comprendeva
l'esigenza di suo marito di risiedere a Nottingham per poter adempiere
ai suoi doveri di Signore della città, perciò non
gliene
faceva una colpa - tanto più perché aveva
convenuto con
lei che abitare nella Fortezza come aveva fatto il vecchio Sceriffo
quando quell'edificio era Castello della città sarebbe stato
ancora peggio e
terribilmente triste - preferendo invece godersi il suo nuovo inizio
nei panni di Lady Gisborne. Ancora non si era abituata ad essere
chiamata così, tant'è ch'era accaduto diverse
volte che,
uscendo per
andare in Piazza in occasione del Mercato settimanale, qualcuno la
salutasse a vuoto appellandola con il titolo che aveva ereditato
sposando Guy perché soltanto dopo diversi minuti, quando il
suo
cervello aveva infine registrato e assimilato, riusciva a voltarsi per
ricambiare anche se era sempre categoricamente troppo tardi.
Perciò aveva chiesto a tutti di essere chiamata
semplicemente
Kaelee, non ottendendo però che la sua richiesta venisse
esaudita in quanto come sposa del Signore di Nottingham era necessario
portarle il rispetto che meritava. Era una delle tante regole della
nobiltà che fino a quel momento Kaelee aveva ignorato ed
evitato, ma alle quali non più poteva sfuggire.
Quando per l'ennesima volta il macellaio la ossequiò e lei
rischiò di non curarsene assumendo involontariamente un
atteggiamento altezzoso se non maleducato,
Kaelee ricordò tra sé e sé la
conversazione avuta con Guy la prima
volta che non aveva risposto ad un saluto e ne
sorrise passeggiando per le strade di Nottingham verso la nuova dimora
insieme al più giovane dei suoi fratelli.
Svoltato l'angolo e
imboccata una via
secondaria, Kaelee si mise a correre così veloce che fu solo
per
miracolo se non perse metà del contenuto della sua cesta,
colma
degli acquisti della giornata. Si vergognava moltissimo
perché
aveva completamente ignorato l'Abate di Kirklees finché il
fabbro, suo amico, non le aveva fatto notare il guaio che aveva
combinato. Quasi
sfondò la porta di casa e quasi travolse Gisborne
che, seduto al tavolo in mezzo alle scartoffie che il suo nuovo ruolo
contemplava, la guardò stralunato, preoccupato e confuso.
Le servì una
buona mezz'ora
per calmarsi e questo accadde soprattutto grazie al paziente intervento
di Guy il quale
le assicurò che avrebbe parlato personalmente con l'Abate
per
chiarire il malinteso e la rassicurò ritenendo che sarebbe
stato
necessario far trascorrere del tempo prima che si abituasse a quella
novità.
«Lady
Gisborne», sussurrò infine lui con quel tono che
la faceva
impazzire, quello colmo di malizia e sottintesi, quello che le
incendiava il viso e non solo.
«Non
migliori la situazione, Guy», soffiò lei provando
a
risultare seria per smentirsi subito dopo cercando le labbra di lui
per un bacio appassionato.
«Lady
Kaelee Lilas di Gisborne», continuò lui, senza
pietà, come se l'unico scopo nella sua vita fosse stordirla,
confonderla, mandarla fuori di testa. «Sul
serio ti chiami Lilas?»,
le domandò con un pizzico d'ironia mentre prendeva fiato
dopo
l'ennesimo bacio che prometteva di farli finire entrambi tra le
lenzuola.
«Proprio
tu parli, Lord... Crispin?», lo canzonò lei
scoppiando
a ridere.
Per tutta risposta lui
la sollevò di peso e la portò difilato in camera
da letto per una punizione esemplare.
Quel
giorno la donna rientrò, quindi,
a casa in compagnia di Aric, recando con sé alcune
stoffe che voleva assolutamente mostrare a Guy. Non
trovandolo all'interno dell'abitazione decise di ammazzare il tempo
dedicandosi al pranzo e alle chiacchiere. Kaelee non era mai stata una
cuoca provetta, ma grazie al periodo trascorso accanto a Kate, ai
suggerimenti di Much e alle ricette che lui aveva fatto trascrivere
appositamente per cedergliele in una sorta di regalo di nozze, Lady
Gisborne faceva progressi giorno dopo giorno. Pian piano stava
imparando ad utilizzare al meglio tutte le spezie di cui disponeva e
iniziava a non confonderle più una con l'altra scambiandole
durante la cottura degli arrosti o delle minestre, rendendoli
così quasi immangiabili anche se Guy insisteva nel dire che
tutto ciò che lei cucinava era ottimo. Il pensiero
più
ricorrente nelle ultime settimane, per Kaelee, era "Che adorabile
bugiardo".
Mentre un aroma di salvia e timo si diffondeva per tutta la stanza,
Kaelee notò che Aric era particolarmente silenzioso e si
torceva
le mani con lo sguardo abbassato sul tavolo, evidentemente a disagio.
La donna aggrottò le sopracciglia manifestando apertamente
la
propria confusione in quanto un atteggiamento simile da parte di suo
fratello le risultava piuttosto strano. A pensarci meglio, in effetti,
per tutto il giro del Mercato non aveva parlato granché
intanto
che lei acquistava.
«Aric...
Sei ancora tra noi?», mormorò con un sorriso dolce
sulle labbra.
«Mh?
Sì, sì. Vuoi dirmi qualcosa?», chiese
lui, sulla difensiva,
guardandola soltanto per un attimo e voltandosi poi verso una delle
finestre.
A quel punto Kaelee fu certa che
suo fratello le
stava nascondendo qualcosa, che qualcosa lo preoccupava tanto da
zittirlo a quel modo. «Solitamente
non cerco un dialogo con i muri», lo provocò per
testarne la reazione.
«Quindi
adesso sono un muro. Fortuna che me l'hai fatto notare!», le
rispose Aric sarcastico.
«Tu
come chiameresti una
persona che si comporta come te? Sono pur sempre una donna di poca
cultura: illuminami!», fece lei imitando il tono di suo
fratello.
A Kaelee non piaceva affatto litigare, anzi, ogni volta che le capitava
di essere coinvolta in un litigio poi ci pensava e ripensava per ore
intere senza darsi pace, cercando il motivo della lite e lo sbaglio che
aveva condotto lei e l'altro interessato al punto di rottura, ma non
sopportava essere trattata con sufficienza o arroganza per ragioni a
lei ignote. Quindi
non era per niente contenta della situazione che si stava venendo a
creare, tuttavia non poteva lasciare che Aric tornasse a Edwinstowe con
quell'aria triste, pensierosa, preoccupata, e per quanto cercasse di
controllarsi non le riusciva di essere diplomatica con lui.
Aric la guardò
finalmente in faccia, colpito dalle parole di lei. «Ti ho mai dato dell'ignorante?», le
chiese mantenendo la calma.
«No,
ma non è merito
tuo se oggi me la cavo sia a leggere che a scrivere». Questa
era
cattiva e Kaelee se ne rese conto un secondo più tardi. «Scusami. Non era mia intenzione
dir...», aggiunse immediatamente senza però
riuscire a concludere la frase.
«No,
non scusarti. Hai detto
solo la verità! Io non conto niente per te!»,
esclamò battendo i palmi sul tavolo in legno mentre si
alzava di
scatto.
La donna ebbe la sensazione di essere arrivata al dunque,
perciò
decise di non lasciar cadere la discussione - opzione che avrebbe preso
in considerazione se non si fosse trattato del parente ed amico
più caro che aveva.
«È
davvero di questo
che stiamo parlando, Aric?», gli domandò dando una
mescolata alla minestra che cuoceva lenta sul fuoco del camino.
Lui sbuffò l'aria dalle
narici in un profondo
sospiro. «Non lo so di cosa stiamo parlando, non lo so
davvero,
ma forse so di cosa dovremmo parlare»,
ammise infine. «Tu
te ne sei andata. Sei partita per Locksley e se non fosse stato per
l'insensata caccia all'uomo da parte di Rudyard chissà
quando ti avrei
rivista», si sfogò scuotendo il capo.
«Hai
dimenticato che
affinché la fuga avesse un risultato concreto era necessario
il
tuo silenzio? Che potevo fare? Restare e sposare quel bruto? Oppure
invitarti a Locksley come se niente
fosse con il pericolo che qualcuno ti seguisse insospettito da un
comportamento poco affine alla tua personalità?»,
gli
domandò controllando il tono, cercando di scegliere le
parole
per evitare di offenderlo. Aric si era sempre rifiutato di imparare a
maneggiare una qualsiasi arma prima che Dwight lo coinvolgesse nella
sua impresa contro le ingiustizie dei potenti, cavalcava solo se
strettamente
necessario, si difendeva soltanto verbalmente e attraverso l'ingegno,
tutte scelte che non gli avrebbero concesso di giustificare in maniera
credibile un temporaneo allontanamento da Edwinstowe, tanto
più
perché
non era neanche un mercante, né un artigiano. Kaelee aveva
tenuto conto di tutto questo quando aveva lasciato Edwinstowe e aveva
sofferto molto la mancanza di Aric, per questo si sentì
profondamente ferita dalle parole di lui: se portarlo a Locksley con
sé non fosse stato pericoloso per entrambi, la donna non ci
avrebbe pensato su neanche un attimo.
«La
verità è che non ci saremmo più
rivisti se non fosse stato per lui».
Kaelee arricciò le labbra, disgustata da quella
verità che non condivideva affatto. «Non la metterei su questo piano. Avresti saputo
del mio matrimonio».
«Ah,
già, il matrimonio. Ora per tutti sei Lady Gisborne e il tuo
futuro sarà roseo! Congratulazioni», sputò con una tale dose di sarcasmo
da lasciare intendere che fosse quasi infastidito, risentito.
«Qual
è il problema?
Forse non sei felice per il mio matrimonio con Guy? Oppure ti sei
offeso
perché ho chiesto a Dwight di accompagnarmi all'altare?
Dimmi,
perché proprio non ci arrivo!», sbottò.
Sentì le lacrime ondeggiare negli occhi e decise di voltare
le
spalle a suo fratello con la scusa di dover badare al pranzo.
«No...»,
soffiò Aric, ridimensionandosi immediatamente.
«Cosa
no? Sii più
preciso. È tutta la mattina che cerco di conversare con te
senza
successo e tra qualche giorno tornerai a Edwinstowe con il resto della
mia famiglia. Lasciami almeno capire cosa sto sbagliando!»,
esclamò esasperata. Nello sguardo di suo fratello le parve
di
scorgere imbarazzo insieme al nervosismo, ma per quanto si sforzasse di
trovare una ragione a quello strano comportamento di Aric non c'era
verso di riuscirci.
«Non
sono offeso in alcun modo», spiegò a voce e
sguardo bassi.
«Ma?»,
lo invogliò lei.
«Ma
l'unica persona con cui
condividerai il tuo tempo d'ora in poi è lui!»,
sbottò sputando finalmente la verità.
Kaelee impiegò qualche secondo per realizzare il senso di
quelle parole.
«Tu
sei geloso»,
sussurrò dolcemente. Si assicurò che il pranzo
non
prendesse fuoco - il che non era da escludersi - e si
avvicinò a
suo fratello per abbracciarlo con affetto.
«Sono
uno sciocco»,
mormorò lui con voce tremante tra i capelli di Kaelee,
più lunghi rispetto all'ultima volta che l'aveva vista prima
del
matrimonio, quando lei aveva riportato Rudyard a Edwinstowe in
compagnia di Gisborne e Fra Tuck.
«Hai
ragione. Avresti dovuto parlarmene liberamente», lo
rimproverò bonariamente. «Ti
vorrò sempre bene, Aric, per sempre. Potrai venire a
trovarmi
tutte le volte che vorrai. Puoi perfino trasferirti se lo
desideri!», gli disse con trasporto, senza sciogliere
l'abbraccio. «La casa a Locksley resterà vuota e
puoi abitarla tu. Cosa ne pensi?».
Sentì suo fratello sospirare e stringerla di più.
«Un
giorno, forse. Ho un
compito da portare a termine a Edwinstowe insieme a Dwight e gli altri
della nostra banda», mormorò.
Kaelee si allontanò da lui quel tanto che bastava per
sorridergli luminosa. «Sono orgogliosa di te»,
soffiò. «Sapevo
che avresti fatto grandi cose con la tua intelligenza. Lasciami
indovinare: sei lo stratega del gruppo!», gli disse per poi
veder
spuntare un enorme sorriso sulle labbra di lui mentre annuiva deciso.
I due, ritrovato un equilibrio, ripresero a chiacchierare come un tempo
e a cucinare fino al rientro di Gisborne.
Quest'ultimo aveva trascorso la mattinata a discutere con i suoi
fratelli alcuni dettagli per la gestione della città nel
rispetto delle
leggi e degli intenti di Re Riccardo e una volta messo piede fuori
dalla Fortezza non
aveva desiderato altro che raggiungere Kaelee per dedicarle il tempo
che meritava. Arrivato a ridosso dall'abitazione l'uomo
sentì
distintamente due voci provenire dal suo interno e comprese che Kaelee
doveva essere in compagnia di uno degli uomini della banda o uno dei
suoi fratelli.
Aprendo la porta fu subito travolto dalla felicità di sua
moglie che
lo guardò con occhi tanto intensi da metterlo quasi in
soggezione: poteva uno sguardo causargli un tale turbamento sebbene lo
incontrasse più volte nel corso della stessa giornata da
ormai
molti mesi? Guy non poté far altro che rispondere
positivamente
a sé stesso, dando credito all'evidenza che gli aveva
riscaldato le guance.
«Guy!»,
esclamò gioiosa e a lui parve che la sua voce fosse musica. «Sei
tornato finalmente. Ho una cosa da farti vedere!», aggiunse
la
donna con l'entusiamo e la meraviglia di un bambino che ha scoperto un
bruco farsi
farfalla.
Ricambiò il meraviglioso sorriso che lei gli aveva rivolto e
salutò cordialmente anche Aric invitandolo subito a fermarsi
per
il pranzo. Sebbene fosse sicuro che Kaelee gli avesse già
rivolto lo stesso invito, volle mostrarsi ben disposto verso il giovane
uomo il
quale gli aveva dato l'impressione, in quei giorni, di essere non
soltanto piuttosto timido ma anche non esattamente a proprio agio in
sua presenza. Quindi, chiusosi la porta alle spalle, si
avvicinò
a
Kaelee per baciarle la fronte con tutto l'amore che nutriva per lei.
Per tutta risposta sentì le braccia di lei avvolgerglisi
sulle
spalle in un breve, ma caldo e rassicurante abbraccio. Da quando Guy
aveva una relazione con Kaelee aveva scoperto il significato del
tornare a casa e trovare qualcuno che lo stesse aspettando non per
dargli un ordine oppure offenderlo, ma per accoglierlo con affetto e
con il reale desiderio di averlo attorno. Qualche istante più tardi l'uomo
gettò un'occhiata alla stanza e il suo sguardo cadde su una
pila di stoffe scure.
«Non
vuoi che ti aiuti a
scegliere il tessuto migliore per tendaggi e coperte, vero?»,
domandò a sua moglie, con un sopracciglio sollevato mentre
indicava il punto esatto in cui Kaelee aveva adagiato i suoi ultimi
acquisti.
«Ti
sembra stoffa per tende
quella?», gli chiese lei di rimando scuotendo il capo con
rassegnazione, ma rivolgendogli un ampio sorriso. «È evidente che ne sai ben poco di
queste cose», lo prese in giro.
Lui rise incrociando le braccia al petto. «Allora vuoi farti confezionare un nuovo
abito?», azzardò.
«Ci
sei quasi», mormorò lei avvicinandosi di nuovo e
facendogli così battere forte il cuore. «È
tempo che ti liberi di tutto questo nero, Guy»,
sussurrò.
Quando Gisborne sentì le dita di lei sfiorargli il petto
faticò a tenere alta la concentrazione sebbene uno spesso
strato
si frapponesse tra il calore di Kaelee e il proprio corpo desideroso di
un contatto più intimo. Gisborne dovette costringersi a
tenere
presente che nella stanza, insieme a lui e Kaelee, c'era anche Aric,
dettaglio questo che impediva a entrambi di lasciarsi andare ad
effusioni troppo spinte. Immerso nella confusione mentale causata da
Kaelee, Gisborne guardò quest'ultima, che si spostava verso
le stoffe, con aria interrogativa.
«Che
ne dici di questo bel blu
zaffiro? Io lo trovo perfetto!», scampanellò lei
sollevando un lembo di stoffa blu, piroettando poi su se stessa e
illuminando l'intera casa, l'intera esistenza di Gisborne.
Maniero di Robin,
Locksley.
Da diverse settimane Robin Hood e Luke Scarlett organizzavano il
viaggio verso la Terra Santa. Ormai non era più un segreto
per
nessuno della banda, né per gli abitanti di Locksley e
Nottingham, ma pochi erano davvero quelli che condividevano la scelta
di Robin sebbene tutti la rispettassero e nessuno, tranne Much, avesse
avuto l'ardire di chiedergli di restare.
Ora che Gisborne aveva trovato la propria strada e che Archer si era
legato
alla dolce Nettie, Robin sentiva di poter passare il testimone ai suoi
fratelli congedandosi in pace e serenità dai suoi compagni
di
avventura. Nemmeno lui sapeva come sarebbe andato a finire quel viaggio
che sarebbe durato mesi, neanche lui sapeva quanto si sarebbe fermato
ad Acri e se e quando avrebbe mai fatto ritorno nella sua amata
Inghilterra, né voleva pensarci. Tutto ciò che
gli era
chiaro da ormai diverso tempo era la necessità di doversi
ricongiungere a Marian. Aveva provato ad accantonare il dolore della
perdita, aveva provato ad innamorarsi ancora, aveva tentato un
approccio sereno alla vita e al rapporto con altre donne, aveva lottato
affinché i ricordi non lo assalissero
rendendogli la vita impossibile, aveva trovato un senso a se stesso
nella battaglia contro le ingiustizie perpertrate dallo Sceriffo di
Nottingham e dal Principe Giovanni, aveva perdonato Gisborne
accettandolo come alleato e fratello, aveva provato a ricostruirsi una
vita vera, nuova, priva di incubi dal passato, ma lei, Marian, era
sempre tornata ad affacciarsi alla sua mente per riscaldarlo con quel
sorriso ampio e incredibilmente bello, per rassicurarlo con quei suoi
occhi chiari e grandissimi, espressivi, indescrivibilmente unici,
inducendolo, di fatto, a porsi una serie di quesiti cui era impossibile
trovare risposta.
Quante volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se Marian
gli
avesse dato retta restando con lui a Sherwood anziché
tornare ad
abitare al Castello con lo Sceriffo e Gisborne? Quante altre si era
ritrovato a pensare a come sarebbero andate le cose se Marian avesse
davvero rinunciato ad essere il Guardiano Notturno perché
troppe
volte aveva rischiato di farsi scoprire e perfino uccidere da Guy?
Robin non era mai riuscito veramente a perdonarsi per non aver saputo
stare vicino a Marian come avrebbe voluto e dovuto, per non essere
riuscito a fermarla, a parlarle con calma e nella maniera giusta, per
non aver compreso il suo bisogno di essere libera e indipendente e di
sentirsi protetta dall'amore che nutriva per lui senza dover essere
rinchiusa in una gabbia.
Quando Robin aveva ascoltato la storia di Kaelee per la prima volta,
subito dopo il suo arrivo a Locksley, la giovane donna gli aveva
ricordato molto Marian per via del carattere indomabile che
contraddistingueva entrambe. Era evidente che una ventenne senza alcuna
familiarità con le armi e con l'unica abilità di
saper
cavalcare veloce e senza indugio doveva possedere una determinazione
incrollabile se era riuscita a raggiungere da sola Locksley incolume,
così come era chiaro che la ragazza sapeva il fatto suo se
incontrando Allan aveva letteralmente preteso di poter parlare con
Robin Hood in persona. L'arciere aveva rivolto un sorriso estasiato a
quella minuta straniera arrivata da Edwinstowe rincorrendo un mito,
come lei stessa aveva definito la figura di Robin Hood, e se l'aveva
accolta senza alcuna difficoltà né resistenza era
dovuto
in parte proprio all'animo ribelle di lei: il capo della banda aveva
intimamente scommesso su quella giovane donna dal primo momento in cui
l'aveva vista.
Ripensandoci ora, a distanza di molti mesi, Robin si rese conto che una
lezione dal passato l'aveva imparata. Ai tempi in cui Marian si
impuntava per essere il Guardiano Notturno e fare la spia al Castello
per i fuorilegge - così come Kaelee aveva messo tutta se
stessa
per poter essere utile al villaggio imparando alcuni mestieri, a
leggere e a maneggiare la spada come pochi altri -
l'arciere non aveva fatto altro che provare a dissuaderla da quelle
attività tutt'altro che femminili e sicuramente molto
più
rischiose del semplice dedicarsi al fare la maglia dinanzi ad un camino
acceso. Almeno verso Kaelee il suo atteggiamento era stato
completamente diverso sebbene questo non avesse comunque riportato in
vita Marian.
L'arciere era al Maniero quando, il giorno prima della partenza, un
uomo irruppe nella stanza in
cui si trovava, mettendolo in allarme. Appena si rese conto che si
trattava di Much tirò un sospiro di sollievo.
«Amico
mio, siedi, riprendi fiato e bevi il mio buon vino senza fare
complimenti», lo invitò Robin accogliendolo con il
suo solito sorriso amichevole.
L'uomo vide Much scuotere con vigore il capo e puntare nei suoi un paio
di occhi estremamente vivi e, in quel momento, disperati.
«Sono
venuto qui a dirvi che non potete partire», ansimò
accettando infine di sedersi.
«Much...»,
sospirò Robin.
«No,
padrone. Ascoltatemi.
L'Inghilterra ha bisogno di voi, Locksley ha bisogno di voi che ne
siete il Signore!», affermò con convinzione. «Con che coraggio abbandonate il vostro popolo
senza assicurare che farete ritorno? Vedete? Non potete
partire», concluse.
«Grazie
per aver tentato... di
nuovo. Ho già lasciato tutto nelle mani di Archer. E
smettila di
chiamarmi padrone: non lo sono più da molti anni», lo rimproverò allegramente
scompigliandogli i capelli e facendolo sorridere per qualche istante.
«Se
è così posso
accompagnarti. Avrai sicuramente bisogno di compagnia durante il
viaggio e io conosco ballate molto belle e so cucinare
bene!»,
continuò non volendosi proprio arrendere.
«E lasceresti Kate e il
vostro bambino in arrivo da soli?», obiettò subito Robin.
«Luke
verrà con me e ce la caveremo. Una volta lì Will
e Djaq,
o per meglio dire Safiya, ci ospiteranno e trascorrerò del
tempo
con loro. Sarò al sicuro, Much».
Robin vide gli occhi del suo amico farsi più lucidi, il
labbro
tremargli leggermente mentre di sicuro cercava una soluzione che non
contemplasse la sua partenza.
«Non
puoi...», mormorò tristemente.
Robin gli strinse una spalla volendolo confortare e non smise mai di
sorridergli.
«Non
puoi lasciarmi. Io non sono niente senza di te!»,
esclamò ormai in lacrime.
L'arciere
sospirò pensando di
non meritare tutto l'affetto e la devozione che quell'uomo gli
riservava da sempre. Molte volte Robin lo aveva preso in giro per il
suo essere troppo ingenuo e buono, troppe volte ne aveva sottovalutato
le qualità e capacità, tante volte non aveva
apprezzato
il legame che Much sentiva nei suoi confronti arrivando perfino ad
offenderlo davanti agli altri membri della banda, trattandolo come un
servo ignorante pur consapevole che il gruppo di fuorilegge non poteva
fare a meno di uno come lui. Much era sempre stato un uomo dalla lingua
più veloce del pensiero, un uomo sincero e leale, uno di
quegli
uomini buoni che si innamorano in fretta della prima donna che gli
concede una minima attenzione, un uomo ancora capace di commuoversi
dinanzi all'incontro con un vecchio amico o alla nascita di un bambino
o anche ad un pericolo scampato. Solo dopo anni trascorsi al fianco di
Much Robin si era reso conto di quanto fondamentale e prezioso fosse
quell'uomo ed ora salutarlo forse per sempre gli risultava
così
difficile che non riuscì a mandare giù il nodo
alla gola
causato dalle lacrime dell'amico.
«Io
e te siamo amici, Much, non è così?»,
chiese con un tremolio nella voce che non gli era mai appartenuto.
«È
così», fece Much tirando su col naso.
«E
allora, amico e compagno di
mille avventure, cerca di comprendere la mia decisione e non causarmi
dolore con il tuo pianto», confidò guardandolo
dritto
negli occhi sebbene la vista gli si stesse appannando man mano che le
lacrime salivano minacciando di scivolare via.
Much
si alzò e lo
abbracciò forte, affondando la testa sulla sua spalla e
singhiozzando come... "Come un bambino", pensò Robin
ricambiando
la stretta.
«Non
chiedermi questo. Io... Io non sono abbastanza forte».
«Non
essere sciocco adesso.
Come potresti essere il mio migliore amico se non fossi forte e
coraggioso e fedele?», soffiò Robin, anche lui in
lacrime.
Much scosse il capo senza mollare
la presa sulla schiena dell'arciere. «Non
ho la forza di dirti addio. Non posso. Perdonami, ti prego, perdonami,
non ci riesco».
Robin non sapeva più cosa dirgli; vederlo soffrire a quel
modo
lo devastava, eppure sapeva di non poter tornare indietro, sapeva che
non sarebbe mai riuscito a trovar pace a Locksley se prima non fosse
tornato sulla tomba dell'unica donna che aveva amato davvero.
Accarezzò con affetto le spalle contratte del suo amico
attendendo che lui si calmasse, sperando che smettesse di piangere
così tanto e tanto intensamente.
«Non
ti basta avere al tuo
fianco Little John, Allan, Tuck, Archer, Gisborne, Kate, Kaelee? Non ti
basta avere me?», chiese Much, implorante, dopo un po'.
«Basta
adesso», mormorò con dolcezza, discostando
lentamente l'amico da sé. «Tengo
molto a tutti i miei amici e a te in modo particolare, ma non
cambierò idea. Ho bisogno di rivederla, Much», si
confidò.
Much
aggrottò le sopracciglia. «La Terra Santa?», chiese, confuso.
«Marian!
E ora non dire "Lo sapevo"!», esclamò Robin
tornando a sorridere. Il
buonumore era ciò che più identificava Robin Hood
insieme
al suo infallibile arco, perciò anche in una situazione come
quella non era strano che riuscisse a scherzare e regalare un sorriso
al sensibile Much, risolvendo almeno momentaneamente la questione.
Robin sapeva che Much avrebbe pianto ancora e si sarebbe lasciato
prendere dallo sconforto per settimane assillando tutti con la
necessità di imbarcarsi per riportare a casa quella che lui
riteneva essere la loro guida; e sapeva anche che qualcuno gliele
avrebbe cantate per questo, qualcuno di nome Little John per la
precisione; e sapeva che Fra Tuck sarebbe poi dovuto intervenire per
dividerli e avrebbe dovuto tenere un discorso accorato per convincerli
che nella vita ci sono avventimenti che vanno accettati per come
arrivano, scelte che meritano di essere rispettate,
eventualità
che non si possono ostacolare. Robin li conosceva tutti con la stessa
sicurezza che gli avrebbe consentito di distinguere ad occhi chiusi una
freccia della propria faretra tra tante appartenenti ad altri, quasi
che negli anni una
piccola parte dei suoi compagni di avventura gli fosse rimasta nel
cuore. Era cosciente che prima o poi si sarebbero rassegnati alla sua
assenza e sarebbero andati avanti, ognuno con la propria vita e tutti
insieme per il bene comune. Forse, un giorno, qualcuno dei suoi vecchi
compagni e amici avrebbe raccontato la storia dei fuorilegge ai propri
figli e avrebbe rivisto nei loro occhi incantati quelli riconoscenti
dei poveri che avevano ricevuto pane e ortaggi grazie alla banda di
Robin Hood. Forse si sarebbe parlato per anni, magari decenni, di
ciò che lui e i fuorilegge avevano fatto per l'Inghilterra e
per
il Re.
«Potrò
venire a trovarti?», domandò Much dopo un po'.
Robin alzò gli occhi al cielo e abbracciò ancora
una volta l'amico.
Il resto della giornata fu un susseguirsi di amici che da Locksley,
Nottingham, Clun, Scarborough, Wadlow, Nettlestone, Huntingdon, York,
Knighton e Bonchurch raggiunsero il Maniero per augurare fortuna e pace
a quell'uomo che tanto aveva fatto per gli abitanti dei villaggi. Robin
li ricevette tutti indistintamente offrendo loro vino e frutta,
accogliendoli come se tra lui e i vari artigiani, contadini, fabbri e
mugnai non ci fosse alcuna differenza, scherzando, sorridendo e
spazzando via la malinconia e la commozione che tanto affetto gli
causavano. Non mancarono i piccoli amici per i quali Robin costituiva
un coraggioso eroe da imitare, come i giovanotti più
grandi avevano già iniziato a fare seguendo le lezioni di
tiro
con l'arco impartite dall'arciere e da suo fratello minore. Quando i
bambini,
con un pizzico di delusione, gli chiesero chi avrebbe insegnato loro ad
usare arco e frecce, assicurò che Archer era perfino
più bravo di lui e li convinse che da suo fratello avrebbero
imparato
anche moltissime altre cose interessanti e magiche.
Con sua grande sorpresa, trattenere l'emozione quando arrivò
il
momento di congedarsi dai componenti della banda, vecchi e nuovi, gli
risultò molto più difficile e, tra un abbraccio e
l'altro, Robin si lasciò andare perché in fondo
con loro
non era necessario fingere allegria. Indubbiamente lasciare Locksley lo
rattristava ed era giusto che i suoi amici ne fossero al corrente: non
voleva che pensassero di contare poco o nulla per lui quando invece non
gli sarebbe stato possibile, senza di loro, sfuggire per anni allo
Sceriffo e vivere
nella Foresta per far del bene.
A conferma che quando si desidera fermare il tempo questo si mette a
correre a perdifiato, dispettoso e implacabile, in quella che parve una
manciata di attimi il Sole lasciò il posto alla Luna e la
sera
calò sul Maniero e su tutta l'Inghilterra. Eppure i compagni
d'armi di Robin Hood erano restii ad andar via, così come lo
erano i suoi due fratelli che gli si erano seduti l'uno ad un fianco e
l'altro all'altro senza che nessuno riuscisse più a farli
spostare. Tanto Archer quanto Guy tentavano di mascherare la tristezza
dietro a racconti divertenti di avventure passate e aneddoti che fecero
arrossire Robin con grande soddisfazione di tutti i presenti, ma nello
sguardo di entrambi gli uomini era visibile un velo di malinconia per
l'imminente addio. L'unico veramente felice in quel frangente era Luke
Scarlett il quale si sarebbe ricongiunto con suo fratello Will.
«Gisborne,
devo ricordarti
quanto fossi ridicolo nella tua scintillante armatura prima che ti
dessi fuoco?», rispose a tono Robin dopo l'ennesima battuta
da
parte di suo fratello. Quanti avevano anni addietro assistito
alla scena scoppiarono a ridere di gusto e quasi si azzuffarono in un
"tutti contro tutti" a suon di sfottò e spallate.
«Io
almeno non sono mai fuggito passando attraverso le latrine!»,
disse Gisborne arricciando il naso. «Non
credevo che poteste puzzare ancora di più voi fuorilegge, ma
mi
sono divuto ricredere», aggiunse guadagnandosi un bel calcio
nel
sedere da parte di Robin.
«Nobili...
Che razza infelice», commentò ironico il capo
della banda.
«Senti
chi parla!», esclamò Allan, divertito. «Signore di Locksley, Conte di Huntingdon e
cos'altro?».
«Hai
dimenticato di dire che faceva parte della Guardia Privata del
Re», aggiunse Much con orgoglio. «Insieme a me», precisò.
Un sonoro «Much!», riempì la sala grande del
Maniero.
È così che si sarebbero detti addio: mangiando,
bevendo, ricordando, divertendosi in armonia.
Dopo l'ennesimo battibecco scherzoso tra Archer e Robin vi fu un
momento di silenzio in cui ognuno pensò a come sarebbe stato
l'indomani svegliarsi senza l'eroe che aveva dato vita al mito. Kate e
Kaelee furono sul punto di commuoversi quando Little John si
alzò in piedi e mostrò la piastrina di fuorilegge
con
inciso il simbolo della banda.
«Noi
siamo e saremo sempre Robin Hood», disse. La voce gli
tremò e Much cominciò a piangere.
«Noi
siamo Robin Hood!»,
esclamarono tutti a gran voce una, due, tre volte sentendosi parte di
una grande e indistruttibile famiglia.
Il giorno seguente,
Nottingham.
L'alba abbracciava le vie della città con la sua luce
soffusa e
calda
mentre Kaelee combatteva con il rimorso per non essere riuscita a dire
a
Robin tutto ciò che aveva in mente. Aveva a lungo pensato
alle
parole che gli avrebbe rivolto, ma al momento dei saluti era riuscita
soltanto ad abbracciarlo ringraziandolo, commossa, per averle
donato un futuro inaspettatamente ricco e bello. Non era mai stata
tanto brava con le parole quando si trattava di esprimere i suoi stessi
sentimenti.
Neanche le braccia di
Guy, in quella notte appena trascorsa senza che nessuno chiudesse
davvero occhio, le erano state di conforto dal
momento che lui per primo aveva avuto bisogno del sostegno di lei per
non crollare, per non sentirsi completamente perso.
Entrambi, in effetti, dovevano tutto a Robin Hood e per entrambi
quest'ultimo era una presenza importante, fondamentale
affinché
ogni giorno diventasse il dono meraviglioso che Dio faceva loro.
Kaelee ravviò il fuoco per distrarsi con la preparazione di
una
profumata tisana. "Ormai è fatta", pensò, "Robin
sarà già partito da un pezzo", si disse per nulla
rassicurata da quella constatazione. Kaelee non era affatto quel tipo
di donna che si rassegna agli eventi che le capitano e li accetta senza
fiatare, senza provare a cercare una soluzione, senza lottare per
cambiare le proprie sorti. Non era il tipo di donna che, rendendosi
conto di aver sbagliato qualcosa, lascia correre senza provare rimorso,
senza torturarsi, senza cercare di porre rimedio.
Prima che Gisborne, il quale intanto l'aveva raggiunta, potesse dire
qualsiasi cosa Kaelee lo guardò dritto negli occhi.
«Devo
parlargli», gli disse manifestando tutta l'urgenza di quella
necessità.
«Prendi
il mio cavallo,
è più veloce. Ti raggiungerò con il
tuo», le
rispose lui dandole la sensazione di aver compreso ogni cosa, che
l'avrebbe sostenuta sempre, ricordandole perché aveva
sposato proprio lui tra gli altri.
Kaelee non se lo fece ripetere, vestita soltanto dell'abito
leggero che era solita indossare quando era in casa, corse verso la
scuderia di loro proprietà e salì in groppa al
maestoso
destriero bianco partendo immediatamente al galoppo. Nonostante fosse
ancora molto presto la città era già sveglia e i
primi
commercianti iniziavano a preparare i loro banchi, tenendo
così
compagnia a chi per tutta la notte aveva lavorato ai
forni per garantire pane fresco a tutti i cittadini e ai proprietari
delle locande rimaste aperte nelle ore più buie per ospitare
viaggiatori e offrire divertimento a forestieri e non. Kaelee
sfilò loro accanto a tutta velocità, senza
soffermarsi
troppo sulle loro figure, impaziente di
superare le porte di Nottingham e fiondarsi tra gli alberi di Sherwood
alla ricerca di quell'eroe che la donna aveva ammirato prima di
conoscerlo personalmente e aveva continuato ad ammirare anche dopo. La
donna non sapeva quale via esattamente Robin avesse preso, ma
conosceva la strada che l'avrebbe condotta sulla costa al porto
più vicino ed era determinata a cavalcare fin lì
nel caso
in cui non si fosse imbattuta prima nel fuorilegge.
In sella al cavallo di suo marito Kaelee entrò in fretta
nella
Foresta di Sherwood, accompagnata dal suono degli zoccoli che battevano
il terreno con tutta la forza dei muscoli tesi ed eleganti e dal
fruscio delle foglie secche che si sollevavano al loro passaggio. Le
sue
narici furono subito punte dalla fragranza fresca del muschio,
dall'odore
tipico della terra bagnata e da una caratteristica profumazione che,
non sapendo definirla diversamente né attribuirla a qualcosa
di
preciso, Kaelee aveva ribattezzato come "profumo di sole"
perché poteva sentirla
quando i raggi solari riscaldavano le cime più alte
liberando
quell'aroma inconfondibile. Anche la prima volta che il profumo di
sole era arrivato al suo naso Kaelee stava cavalcando più
veloce
che poteva e se in quel momento sapeva esattamente chi stava cercando
nutrendo invece qualche dubbio sulla strada da prendere, all'epoca, al
contrario, la meta le era stata ben chiara senza che potesse
però immaginare neanche
lontanamente chi avrebbe davvero incontrato una volta giunta a
Locksley. Era come se un cerchio si stesse chiudendo.
Sfrecciò davanti ad uno dei luoghi preferiti da lei e
Gisborne
per le esercitazioni, poi raggiunse uno dei tanti vecchi e invisibili -
ad occhi che non erano quelli della banda - nascondigli
dei fuorilegge, costeggiò una deliziosa radura ricca di
minuscoli fiori colorati e attraversata da un rivolo d'acqua che
riluceva baciato dal sole, ma di Robin ancora nessuna traccia.
«Corri,
mio caro amico, corri
e trova Robin Hood», sussurrò all'animale che
sembrava ben
lontano dal volersi arrestare.
Kaelee constatò che Guy aveva ragione: il suo cavallo era
davvero più veloce di quello che lei si era portata da
Edwinstowe. Probabilmente
era una questione di razza dal momento che di sicuro il destriero di
Gisbone era uno di quegli esemplari selezionati per supportare i
Cavalieri in battaglia, uno di quegli animali che venivano venduti per
cifre che Kaelee non riusciva forse neanche a pensare, figurarsi
pagarle. Il suo, invece, era soltanto un cavallo come moltissimi altri.
Fu con questi pensieri che la donna passò nei
pressi dell'albero che i fuorilegge chiamavano "degli incontri"
poiché spesso il gruppo di riuniva sotto la sua grande ombra
per
discutere di piani, imboscate, informazioni rubate allo Sceriffo e
riguardo l'esistenza che tutti i membri erano costretti a vivere,
nascosti nel cuore della meravigliosa
Sherwood. Convinta di aver visto una figura vicino al grande
tronco, voltò il capo all'indietro per potersene accertare e
subito tirò le
briglie per frenare il cavallo e indurlo a mutare direzione.
Albero degli incontri,
Sherwood.
Robin Hood aveva chiesto a Luke di portare pazienza e concedergli di
congedarsi dalla sua Sherwood come la grande Foresta meritava. Del
resto se Robin e la sua banda avevano potuto permettersi di lottare
contro i piani malvagi e le tasse imposte dallo Sceriffo di Nottingham
era grazie alle alte betulle dai tronchi sottili e alle immense querce
che costituivano un riparo sicuro in caso di emergenza, alle ridenti
vallate, ai dolci declivi e ai nascondigli naturali che la Foresta
aveva offerto loro senza pretendere nulla in cambio se non il rispetto
che sempre gli uomini di Robin le avevano rivolto. In particolare, l'ex
fuorilegge aveva sentito l'esigenza di sostare un'ultima volta prima
della partenza sotto gli ampi rami dell'albero degli incontri che tante
ne aveva viste e sentite negli anni.
Avendo Luke preferito restare sul carro a badare ai cavalli, in
silenziosa attesa del suo compagno di viaggio, Robin aveva a
disposizione un momento tutto suo da dedicare all'amata Sherwood. Con
la dolcezza che si riserva alla donna del proprio cuore,
posò una mano sulla
ruvida corteccia a lui familiare e prese ad accarezzarla rivolgendo un
sorriso alla Natura circostante. I suoi pensieri vagavano tra i ricordi
delle tante avventure e disavventure vissute insieme ai suoi fedeli
compagni e la mente non poté soffermarsi sul giorno in cui
aveva
rimesso piede in terra inglese insieme a Much il quale non desiderava
altro che potersi riempire lo stomaco e dormire, ma che non era
riuscito a fare davvero
né l'una, né l'altra cosa. I due, infatti,
avevano trovato una
situazione tutt'altro che piacevole e decisamente diversa rispetto a
quando erano partiti per la Terra Santa cinque anni prima: Sir Edward
di Knighton, padre di Marian e fedelissimo di Re Riccardo, non era
più Sceriffo di Nottingham
e il nuovo che gli era subentrato simpatizzava per il Principe Giovanni
e non faceva altro che imporre tasse e diffondere terrore e violenza
affiancato dall'esattore delle tasse, nonché vecchia
conoscenza
di Robin, Sir Guy di Gisborne. Queste novità avevano spinto
Robin, in quanto nobile, a incontrare lo Sceriffo Vaisey e a prendere
parte alle riunioni che si tenevano regolarmente al Castello per
mettere in luce la cattiva amministrazione che aveva ridotto in miseria
Locksley. La poco calorosa accoglienza che gli era stata riservata non
era bastata a scoraggiarlo e lo aveva, anzi, convinto di poter davvero
cambiare le cose con la sua sola volontà e la collaborazione
dei
vecchi amici che aveva al villaggio e dintorni. Questi ultimi,
però, si rivelarono restii a rivolgergli parola - Sir Edward
compreso - mostrandosi completamente succubi del potere di Vaisey.
Neppure questo, però, aveva gettato Robin nello sconforto
né lo aveva convinto a ribellarsi immediatamente con forza e
decisione allo
Sceriffo. L'evento scatenante che gli era valso il titolo di fuorilegge
era consistito in un'importante e determinante scelta: Allan A Dale
insieme a Luke e Will Scarlett erano stati condannati ad impiccagione
per reati diversi e Robin non era intenzionato ad assistere senza
muovere un dito, perciò aveva cercato di convincere lo
Sceriffo
a evitare l'esecuzione - appellandosi a un diritto che era stato valido
finché la Contea di Nottingham era stata guidata da uomini
fedeli al Re - senza successo e anzi ottenendo lo sgradito
compito di proclamarla e autorizzarla pubblicamente. Consultarsi con
Marian e Sir
Edward, il quale aveva infine accettato di parlare con lui di nascosto,
era stato tutt'altro che costruttivo. Padre e figlia, infatti, gli
avevano consigliato di sacrificare i tre uomini per ingraziarsi lo
Sceriffo e contrastarlo poi dall'interno, ma Robin che a tante
uccisioni inutili aveva assistito in Terra Santa non si era trovato per
nulla in accordo con il suo vecchio amico e la giovane donna che amava.
Inoltre si trattava dei due figli di Dan Scarlett, un uomo cui Robin
doveva davvero tanto, quindi giunto il giorno dell'esecusione si era
ribellato allo Sceriffo dinanzi alla popolazione, aveva liberato i
prigionieri ed era fuggito insieme a Much, Allan e Will nella Foresta
di Sherwood. Tutti erano stati dichiarati fuorilegge e la grande
avventura della banda di Robin Hood aveva avuto inizio. Un'avventura
che neanche con il ritorno di Re Riccardo e la ricostruzione di
Nottingham aveva davvero avuto fine e che, in effetti, non si sarebbe
mai conclusa finché qualcuno avesse lottato contro le
ingiustizie dei potenti.
Mentre contemplava ancora l'albero degli incontri, Robin
sentì
un cavallo al galoppo che si faceva più vicino ma non si
voltò ritenendo che se si fosse trattato di un aggressore
Luke
sarebbe prontamente intervenuto in suo soccorso. Dal momento che il
ragazzo non reagì alla presenza estranea, che a Robin
sembrò aver legato il proprio destriero ad un tronco non
lontano
prima di avvicinarsi, l'arciere tornò a concentrarsi sui
ricordi.
«Salve
a voi, straniero», disse una profonda voce femminile alle sue
spalle. «Se mi dimostrerete di essere un uomo onesto vi
lascerò passare liberamente attraverso questa
foresta».
Robin sorrise divertito da quella strana situazione. «In caso contrario?», domandò
senza ancora voltarsi.
«Dovrete
risponderne a Robin
Hood, Signore di questa Foresta», fece la donna con un tono
completamente diverso rispetto a qualche attimo prima, un tono che
Robin conosceva bene e che riconobbe subito.
Voltandosi
l'arciere ebbe conferma
alle sue supposizioni e rivolse un ampio sorriso alla donna prima di
scoppiare a ridere scatenando anche la risata di lei.
«Che
ci fai qui?», le chiese poi.
«Proteggo
Sherwood dai
forestieri. Qualcuno deve pur farlo in tua assenza», fece con
un'alzata di spalle mentre Robin scuoteva
il capo.
«Sono
serio. Perché hai
cavalcato fin qui di prima mattina e con tanta fretta? E con il
cavallo di Gisborne», constatò notando il bianco
manto
dell'esemplare assicurato al tronco di una betulla.
La
vide sospirare e sospirò di rimando.
«Ti
stavo cercando», confessò distogliendo lo sguardo
dal suo.
«Dì
un po', vuoi davvero mettermi nei guai?», domandò
Robin, improvvisamente severo. «Sei
una donna sposata ormai! Se intendevi dichiararmi i tuoi sentimenti
avresti dovuto pensarci prima di concederti a Gisborne!»,
scherzò poi, com'era solito fare in ogni occasione.
Kaelee, che aveva puntato i suoi
occhi di caramello
in quelli del fuorilegge nel sentire quel tono quasi di rimprovero, lo
colpì al braccio. «Che
idiota», mormorò. «Con tutto il rispetto, preferisco i
mori», aggiunse abbagliandolo con un sorriso.
Robin non era rimasto indifferente alla dolcezza che regnava nei tratti
di Kaelee, nei suoi occhi luminosi e in quel corpo minuto ma avvezzo
alla fatica, però più che provare attrazione per
lei,
aveva da subito sentito un forte bisogno di integrarla al gruppo per
proteggerla da qualsiasi cosa stesse allontanando da sé.
Quella mattina,
all'ombra dell'albero degli incontri, Kaelee appariva molto diversa,
cresciuta e maturata nel fisico e nel carattere sfoggiando,
sì,
tutta la sua femminilità.
«È
accaduto qualcosa
con Guy? Oppure è Much a mandarti?»,
azzardò
riprendendo il discorso di poco prima.
La vide scuotere vigorosamente il capo. «Prima che tu vada ho bisogno di dirti una
cosa».
Gli occhi di caramello fuso stordirono Robin per un attimo e in quel
momento capì cosa suo fratello Guy avesse visto in lei: vita
nella sua forma più pura e sconvolgente. Kaelee era
più
viva che mai e affrontava ogni cosa tanto intensamente da travolgere
chi le stava attorno. Robin non poté fare a meno di
sorriderle
invitandola a proseguire.
«I
miei fratelli mi raccontavano di te come se fossi un eroe»,
esordì dopo un po'.
«E
ora che mi hai conosciuto
pensi che io non lo sia», si intromise l'ex fuorilegge
accompagnando le parole con una leggera risata.
«Hai
lasciato a Locksley l'educazione, Robin Hood?», lo riprese
Kaelee, divertita.
L'intento di Robin era alleggerire quanto più possibile
l'atmosfera. Nello sguardo della donna aveva infatti notato una vena di
tristezza quando aveva iniziato a parlare e immaginò che
Kaelee
lo avesse raggiunto per salutarlo come non era riuscita a fare il
giorno precedente. Sollevò i palmi in segno di scuse e le
chiese
di continuare.
«Mi
hanno riempito la testa
con le buone azioni di questo eroe volto al bene del popolo e di tutte
le persone in difficoltà, mi hanno fatto credere che il bene
può e deve vincere sempre ed è con queste
convinzioni che
ti ho cercato un anno fa. Sentivo di avere bisogno del tuo aiuto, ma
sapevo che non saresti venuto fino a Edwinstowe, così ho
lasciato tutto e sono partita, come sai. Ciò che
più mi
ha stupita e mi ha fatto riflettere in questo tempo che ho avuto
l'onore di trascorrere con te non è l'eroe che tutti amano,
rispettano
e onorano come merita, ma l'uomo che c'è dietro, dentro e
intorno. L'uomo che conforta i suoi amici, che si emoziona con loro,
che cade preda dei dubbi e che affronta situazioni emotivamente
difficili. L'uomo che si arrabbia e che alle volte sbaglia, l'uomo che
non si è mai arreso e infine ha vinto».
Robin notò che la voce le tremava e avvertì
l'esigenza di
stringerla a sé temendo che emozioni troppo intense
potessero
distruggere il corpo snello di Kaelee, perciò si
avvicinò
e la attirò a sé con delicatezza. La
sentì
irrigidirsi per un attimo e poi rilassarsi e sospirare.
«Lo
devo a te se oggi sono qui
e sono sposata con Guy e ho amici leali e sempre disponibili per
qualunque cosa. Lo devo a te se oggi sono felice», mormorò infine sul petto
dell'arciere.
«Lo
devi a te stessa», sussurrò lui. «Io
non ho fatto niente. Tu, invece, ci hai messo forza e determinazione e
anche nei momenti più cupi non hai ceduto».
«Non
sarei mai riuscita a fare
ciò che tu hai fatto per l'Inghilterra. Non avrei provato a
cambiare il corso degli eventi se tu non fossi esistito o se non avessi
fatto ciò che tutti sanno», gli rispose.
Vi furono diversi minuti di silenzio prima che Robin sciogliesse
l'abbraccio e tornasse a parlare. «È stato un onore averti nella mia
banda», le disse sinceramente.
La commozione di Kaelee fu evidente e Robin notò che
faticava a trattenere le lacrime.
«Non
tornerai, è
così?», gli chiese a mezza voce e con le spalle
scosse da
fremiti che annunciavano l'imminente pianto.
«Io
non lo so, ma so che devo andare e che ve la caverete anche senza di
me».
Kaelee annuì e spazzò via velocemente le lacrime
manifestando un carattere forte.
«Non
ti dimenticherò mai, Robin di Locksley».
«Neanch'io,
Lady Gisborne.
Abbi cura dei miei fratelli e dei miei adorati Much e Kate. Abbi cura
di te», disse, la strinse ancora una volta e poi si diresse
verso
il carro dove Luke era rimasto immobile ad osservare la scena.
Quando Kaelee si voltò vide Luke Scarlett salutarla con la
mano
mentre ripartiva insieme a Robin, ricambiò la cortesia e
solo
quando i due furono inghiottiti dal verde della foresta, la donna si
permise di dar sfogo alla tristezza.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando si era messa
con le spalle contro il tronco a quando aveva sentito la presenza di
Guy
accanto a sé.
«Va
tutto bene?», le domandò, preoccupato.
«Ci
siamo salutati»,
mormorò lei accoccolandosi al petto ampio di suo marito,
conforto ad ogni dolore, rimedio ad ogni male.
Diversi mesi
più tardi, Acri, Israele.
Una bambina dalla carnagione scura e con grandissimi occhi
espressivi osservava Robin Hood con una curiosità
innarrestabile e lo rallegrava con immensi sorrisi.
Aveva all'incirca due anni ed emetteva una serie infinita di adorabili
versi a cui mescolava brevi parole che Robin non sempre comprendeva pur
conoscendo la lingua,
ma non assecondarla gli era impossibile, perciò trascorreva
gran
parte del suo tempo con lei, la figlia di Safiya e Will.
Lei, Safiya - un tempo Djaq - aveva guardato Robin con quei suoi
caratteristici occhi scuri e comunicativi quando l'aveva visto arrivare
insieme a Luke. Era esattamente come Robin la ricordava, eccezion fatta
per i capelli che ora portava lunghi sotto un velo leggero che le
ricopriva delicatamente il capo e le fasciava collo e spalle. Era in
tutto e per tutto la cara,
intelligente, pratica e coraggiosa Djaq, ma il matrimonio e la
maternità ne avevano addolcito il sorriso e le movenze.
Vedendola cullare con amore la tenera bambina Robin era stato travolto
dall'emozione e aveva compreso che intraprendere quel viaggio era stata
una
decisione appropriata: doveva sapere che i nodi nella vita di tutti i
suoi amici si erano sciolti prima di occuparsi dei propri.
Will era sempre il ragazzo allegro che Robin aveva conosciuto molti
anni prima, l'abilissimo artigiano che aveva intagliato nel legno di
Sherwood i tratti del volto di suo padre - dopo che lo
Sceriffo l'aveva fatto uccidere - in modo che, colpito dai raggi del
sole, il ciocco potesse proiettarne
l'immagine contro una roccia e ricordargli quanto importante era
stato per lui e Luke quell'uomo che si era sacrificato per i suoi due
figli
facendosi tagliare una mano, prendendosi l'assurda punizione al posto
loro. Anche con addosso abiti che poco avevano a
che fare con la lontana Inghilterra, Will appariva allegro e ottimista
come sempre.
L'abbraccio che il giovanotto aveva riservato a suo fratello Luke aveva
ricordato a Robin quanto importante fosse la famiglia, che si trattasse
di legami di sangue come era per i fratelli Scarlett oppure di legami
acquisiti come per tutti i membri della banda di Sherwood era chiaro
che una vita vissuta in solitudine non era una vita vissuta al meglio.
Per questo Robin aveva maturato la certezza che prima o poi avrebbe
fatto ritorno a
Locksley per riabbracciare i suoi amici prima di lasciare per sempre
quel mondo per un'avventura più grande ed eterna.
«Sei troppo vecchio per aspirare alla mano di mia figlia»,
disse Will distraendo Robin dalla contemplazione di un paesaggio
familiare sebbene completamente diverso da Sherwood, familiare
perché in quelle terre Robin aveva combattuto per cinque
lunghi anni al
fianco di Riccardo Cuor di Leone. L'arciere rise di gusto dando una
pacca sul braccio del suo amico.
«Aspetta
che cresca e lo vedremo», scherzò. «Non ti ho neppure chiesto come l'avete
chiamata».
«Inaya
Marian Scarlett è il suo nome»,
mormorò l'altro con una tale dolcezza nel tono da far girare
la
testa a Robin. Oppure forse era per il secondo nome che Will aveva
pronunciato?
Robin lo vide annuire, quasi che Will avesse intuito i suoi pensieri e
gli stesse rispondendo che avevano chiamato Marian la bambina in
memoria della Lady Marian che aveva lottato al fianco della banda, che
aveva rischiato per loro e per le loro idee, che si era sacrificata,
che aveva detto addio alla vita proprio in Terra Santa dove riposava
ormai da due anni, in pace e forse in attesa di ricongiungersi con
l'uomo che l'aveva amata.
«Sono
pronto», soffiò Robin. «Accompagnami sulla sua tomba. È troppo
tempo che non le parlo come vorrei», aggiunse sorridendo
malinconico.
N.d.A.
Questo capitolo è colmo di riferimenti alla serie
tv, che
voglio provare a chiarire qui per coloro i quali hanno deciso di
leggere la storia pur non avendo familiarità con il fandom.
È la prima volta che mi appello ad un flashback in questa
storia per raccontare un evento che altrimenti andrebbe perso o
richiederebbe almeno un capitolo in più. Anche questa scelta
è, come molti altri elementi di Locksley Tales, un richiamo
alla
serie tv - la storia della nascita di Archer, infatti, viene raccontata
attraverso questa tecnica. Spero non sia stato un elemento di disturbo
alla narrazione.
Forse vi siete chiesti perché dopo aver scritto per
ventiquattro
capitoli di "Sir Guy" in questo l'ho chiamato Lord. Essendo stato
nominato Signore di Nottingham da Re Riccardo, ha ottenuto questo nuovo
titolo così come Kaelee ha ereditato il diritto di essere
conosciuta come Lady Gisborne (non Lady Kaelee come era per Lady
Marian, in quanto Marian era nobile di nascita e poteva accompagnare il
titolo con il nome proprio mentre Kaelee ha origini umili ed ereditando
il titolo da suo marito deve accompagnarlo con il cognome di lui).
È anche la prima volta che mi intrufolo nella mente del
fuorilegge per eccellenza e spero di non averlo storpiato. Scrivere
l'addio di Robin a Much è stato terribile. Se avessi
immaginato quanto doloroso sarebbe stato, forse avrei cambiato il
corso degli eventi anche se credo che questa partenza sia necessaria.
L'albero degli incontri l'ho preso in prestito da Dumas, mentre il
racconto di come Robin è diventato un fuorilegge
è tratto
dalla serie tv, così come i riferimenti a Marian nei panni
di Guardiano Notturno e quelli riguardanti Will e la sua famiglia.
Safiya sarebbe Djaq che nella serie tv ha preso il nome di suo fratello
gemello (Djaq appunto) dopo la morte di lui unendosi ai fuorilegge
proprio con questo nome e fingendosi un uomo. Lei e Will hanno lasciato
la serie tv alla fine della seconda stagione, trattenendosi ad Acri,
luogo di nascita di lei.
Spero di non avervi annoiati con tutte queste precisazioni.
Alla prossima con il capitolo conclusivo!
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