Per aspera ad astra

di Janeisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Gienah ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Merak ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Algieba ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Caph ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Alphecca ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Eltanin ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Gienah ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. 
Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.
 
Buonasera a tutti. Non sono proprio una novella su efp, ma fino ad ora mi sono limitata a leggere e questa credo sarà la prima fanfiction che porterò a termine, o comunque sono determinata a portarla a termine. La scelta di utilizzare un personaggio famoso è abbastanza semplice: Chris Pine è un attore che adoro, oltre ad essere incredibilmente bello, ha sempre interpretato film che mi sono piaciuti molto e sinceramente mi piace "sognare" un po'. Questa non è una storia autobiografica, o derivante da un sogno, semplicemente ho iniziato a pensare a come mai non ci fosse un fanfiction in italiano su Chris Pine e ho deciso di recuperare. Certo alcuni aspetti della protagonista possono essere definiti autobiografici, ma solo un po' nella caratterizzazione.
Spero che vi piaccia, o comunque se volete fatemi sapere cosa c'è che non va.

 









 

Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 1


Capitolo 1 - Gienah
Gienah Cygni è una stella gigante appartenente alla costellazione del Cigno. Il suo nome proprio deriva dall'arabo جناح, janā, che significa "ala", essendo Gienah Cygni posizionata sull'ala orientale del Cigno; è la meno brillante del cielo notturno osservabile.
Quando tutta la tua carriera dipende dal tuo capo e lui ti chiede di saltare, l’unica cosa che puoi rispondere è quanto in alto? O almeno era così, solitamente. “Questo però è chiedere troppo” pensai mentre ascoltavo il professore che mi spiegava quello che voleva che io facessi.
«In pratica Rosaleen, siamo stati contattati dallo staff di produzione, a quanto pare qualcuno del cast ha richiesto un incontro per porre alcune domande. Sinceramente non ne vedo il senso visto che sono arrivati praticamente al terzo e credo ultimo film, sapere cosa è un buco nero ora ha sinceramente poco senso, ma comunque non spetta a noi chiederci perché. Lo staff di produzione ci ha chiesto questa consulenza, e non è una cosa da poco… »
“Questo è poco ma sicuro” avrei voluto dire mentre mi spostavo a disagio sulla poltroncina nello studio del professor Scott, nel dipartimento di Astrofisica alla Caltech. I benefici che ne avrebbe ricavato il suo dipartimento non erano piccola cosa. Inoltre la Caltech non era estranea al mondo dello spettacolo, aveva già collaborato con lo staff della serie tv TBBT, aggiungerci la collaborazione con la Paramount Pictures non avrebbe fatto altro che portare soldi e finanziamenti. E soprattutto tanta pubblicità.
«Comprendo assolutamente » risposi affabile increspando brevemente le labbra in un sorriso « Quello che non capisco è perché io. Professore, al momento sto concludendo il progetto nel dipartimento di Chimica che lei stesso mi ha consigliato e affidato. Non seguo il dipartimento di Astrofisica da un anno, quindi non capisco perché dovrei occuparmene io. Nel suo laboratorio c’è sicuramente qualcuno più preparato di me e…»
Non ebbi neanche modo di finire la frase davanti al cenno della mano del professore che mi zittiva. «Sciocchezze Rose, sei stata la migliore del tuo anno, la mia tesista più promettente e sono sicura che potrai fare grandi cose qui alla Caltech se ce ne sarà l’opportunità, inoltre hai tenuto diversi seminari e sai come parlare alle persone che non sono “dentro” alla materia. Ha bisogno di qualcuno che sappia spiegare in parole povere alcuni concetti fondamentali, non di un tesista che elenca a memoria definizioni e teoremi.»
Non mi era sfuggito l’uso del singolare, ma non volevo indagare, probabilmente sarebbe venuto solo un membro dello staff di produzione con una lista di domande e avrei risposto a tutto, forse mi avrebbero anche registrata. “Speriamo duri poco” pensai mentre alla fine prendevo la decisione di accettare quello strano incarico. Non potevo certo dire di non aver amor proprio, si trattava di un film di una saga che amavo, il cui cast era formato da attori che ammiravo e apprezzavo e sui quali quando era giovane aveva fatto fin troppi pensieri, non è che mi stavo sacrificando.
Alla fine dovevo solo rispondere alle domande di un anonimo esponente dello staff, mica incontrare alcuni tra gli attori più affascinanti di Hollywood. Ecco quello non avrei potuto farlo senza morire d’ansia. Non mi avvicinavo ad un ragazzo da quando avevo diciotto anni, e ora a distanza di dieci anni, le mie relazioni maschili si contavano sulla punta delle dita di UNA mano, ed erano tutti colleghi, gente che era affascinante solo per il cervello. «Va bene, dottor Scott. Accetto, mi faccia solo sapere quando vorrebbero passare, così che io possa organizzare i miei appuntamenti. Mancano solo tre mesi alla fine del progetto e poi dovrò preparare la
tesi e in tutto ciò i tesisti che decidono di unirsi al nostro gruppo aumentano ad ogni mese» spiegai con la mia solita precisione, qualcuno diceva che io fossi pignola, fatti loro. Calcando un po’ la voce, avevo lasciato intendere che avevo un’agenda piena e dopo quel periodo avrei dovuto cercare un lavoro, se non fosse stata l’università ad offrirmelo. «E vorrei guardarmi intorno. Sappiamo benissimo che non è certo che io rimanga qui.»
«Lo so questo Rosaleen, ma sono sicuro che non te ne pentirai» esclamò visibilmente sollevato l’anziano docente «Ti assicuro che non tutto ciò non farà altro che aiutarti. Una collaborazione del genere sul tuo curriculum spiccherà come una rosa in un campo d’erba»
Le metafore del professore erano sempre state strane ma quella era addirittura assurda. Tutto ciò che feci fu ridere, almeno quella era una risata sincera, visto che mi aveva realmente divertita.
«Se lo dice lei» asserii sollevando leggermente le spalle. «Le hanno già comunicato qualche data» domandai per sicurezza, sapevo come potevano essere stretti i tempi di produzione e probabilmente avevano già stabilito una data nella loro pienissima agenda. La risposta come mi aspettavo era affermativa, confermata dal lieve cenno del capo del dottore.
«Ovviamente. La questione si risolverà in un paio di incontri, avverranno nella sala riunioni affianco al mio studio. » spiegò indicando una porta che dava su una stanza non molto grande e molto privata «Il tuo ufficio è in questo stesso edificio quindi non dovresti avere problemi di tempistiche e abbiamo garantito loro la massima discrezione e privacy. Non vogliono fan urlanti e neanche il nostro dipartimento. La Caltech ha una reputazione ottima e non possiamo permetterci di veder violato il nostro Codice d’onore per delle bambinette*» aggiunse accompagnando il tutto con una serie di facce che mi esilararono. Ero abituata al vecchio professore. Era un uomo dalla vivida e incredibile intelligenza, non ci si annoiava mai ad ascoltarlo, e aveva anche uno strano senso dell’umorismo tenendo conto che era uno scienziato e di solito gli scienziati non hanno senso dell’umorismo. In tutto il suo discorso però c’era qualcosa che non mi quadrava. Se doveva venire qualcuno della squadra di produzione a che sarebbe servita tutta quella privacy. La mia perplessità doveva essere ben chiara in viso, ero sempre stata un libro aperto, mai che riuscissi a mentire su qualcosa, e il professore era sempre stato fin troppo bravo a leggermi la mente. «C’è qualche domanda che vorresti farmi. Ti vedo abbastanza perplessa, mia cara. Ti chiedo di domandarmi qualsiasi cosa» mi esortò gentile mentre si alzava dalla sua poltrona in pelle nera e si avvicinava al piccolo frigo che era nella stanza. Tirò fuori una bottiglia di scotch e due bicchieri di cristallo. Non parlò mentre pescava del ghiaccio dal congelatore e riempiva i due bicchieri con ghiaccio e liquore. Uno me lo vidi recapitare davanti. C'erano solo due motivi per cui io e Scott ci concedevano un bicchiere di liquore: un risultato accademico e se voleva prepararmi a qualcosa di sconvolgente.
«Bevi un sorso» fu quello che mi disse l'uomo mentre si riaccomodava.
Decisamente voleva prepararmi a qualcosa.
Scott mi conosceva da prima che mi iscrivessi alla Caltech, era stato una sorta di padrino. Conosceva mia madre e mi aveva aiutata molto, soprattutto durante il mio primo anno, quando ero stata quasi ostracizzata dai miei colleghi per una situazione decisamente spiacevole, qualcosa a cui cercavo di non pensare.
Anche se a casa vi era la prova che tutto fosse reale e non l'incubo di una notte.
Un lieve senso d’ansia mi colse, paralizzandomi la gola e non facendomi parlare. Il mio stesso respiro si era fatto leggermente più veloce e sul volto del professore stava comparendo un’espressione di preoccupazione, e per questo bevvi un lungo sorso di scotch e posai il bicchiere, mi concentrai sulla sensazione del liquore che scendeva attraverso la gola riscaldandomi e calmando la sensazione di ansia che mi aveva travolto. Una volta calmata guardai il professore, e decisi di lasciare stare tutti i formalismi, usando il tono più colloquiale che potevo permettermi andai dritta al punto.
«Andiamo Scott cosa non mi hai detto» domandai anche se da scienziata sapevo fare due più due e nella nostra precedente conversazione vi erano diversi indizi.
«Avrei dovuto dirtelo subito ma sinceramente dovevo assicurarmi che tu accettassi prima Rose, mi fido solo di te. Sei una persona in gamba, forte e sai farti ben volere dalla gente e c'era bisogno di qualcuno competente.» iniziò a dire Scott. Sapeva sempre come farmi complimenti e alle sue parole arrossii sorridendo. «Non indorarmi la pillola Scott » dissi allora incrociando le braccia e aspettando che il professore svuotasse il sacco. «Se dovessi parlare con uno della produzione a cosa servirebbe tutta questa discrezione. Quindi non parlerò con uno dello staff...ora dimmi chi viene realmente » mentre pronunciavo quelle parole mi tornò l'ansia. Avevo limitato ogni contatto maschile da quando era successo. Non potevo affrontare un uomo figuriamoci qualcuno che fosse minimamente affascinante. «Aspetta un attimo ancora prima di dirti chi, voglio aggiungere due cose. Si tratta di un’opportunità ottima per te Rose, sai che ti voglio bene come ad una figlia e sono sicura che affrontare qualcosa del genere ti aiuterà ad uscire dal guscio in cui ti sei chiusa e poi voglio chiederti scusa.» si stava scusando ancora e la cosa cominciava a diventare sospetta.
«Scott» lo richiamai indispettita «per l'amor di Dio dimmi con chi dovrei parlare».
«Promettimi che non molli l'incarico...Rose promettilo. Anzi dovrei farti firmare questo» supplicò mettendomi davanti un accordo di riservatezza. Per quanto mi desse fastidio non potevo ritirare la parola data. Presi una biro dal portapenne e firmai vicino la x. «Ora sputa il rospo» lo minacciai con un dito, poi tornai al mio liquore. «L'incontro è con un membro del cast.» disse guardandomi e rise della mia espressione che sembrava dire "andiamo bello puoi dirmi di più". «Questo l'avevo intuito. Dimmi che non è chi sto pensando» mormorai guardando il ghiaccio sul fondo del bicchiere. A Los Angeles era praticamente impossibile non sapere chi facesse parte di quel cast, vi erano alcuni dei miei attori preferiti a cominciare da Karl Urban per il quale avevo avuto una cotta stratosferica ai tempi di Èomer.
«Ok ok… ho capito, il primo incontro è oggi pomeriggio»
«Scott stai tergiversando» lo rimproverai bevendo l'ultimo sorso di liquore e posai il bicchiere. « Dimmi chi è e facciamola finita. Non capisco perché tu ci stia mettendo tanto…Non sarà mica essere Chris Pine?» sbottai di colpo piuttosto scettica, allargando le braccia.
Il giovane attore della A-list non poteva voler un incontro con un membro del Caltech, tra i suoi mille impegni quello sicuramente non figurava. Troppo impegnato, troppo ricercato.
“E troppo fico” aggiunse la mia coscienza ad onor di cronaca. “Grazie per la precisazione” pensai sempre più nervosa.
Se fosse stata la verità era un bello scherzo del destino, vista la mia palese ammirazione per i suoi film, nota a chiunque nel mio laboratorio e anche al qui presente Mister Scott. La sua non totale indifferenza alla cosa era anche il motivo per cui stavo accettando quel incarico: collaborare con la Paramount era una buona occasione, era un nome importante e ne avrei sicuramente tratto giovamento quello erano le ragioni pratiche ed economiche, ma i motivi personali erano altri, dato che si trattava di una saga che avevo visto almeno una quindicina di volte. Il silenzio assenso che seguì la mia esclamazione però mi colpì come un fulmine e guardai il viso colpevole di Scott.
«No io non lo faccio » esclamai alzandomi di botto facendo strisciare la poltrona.
«Andiamo Rose!»
«Scordatelo» fu la sola parola che si sentì mentre sbattevo la porta, comprendo anche il suono dell'esasperato e supplicante della voce di Scott che urlava «ROSE!» che mi seguiva a ruota per fermarmi.
Ovviamente sapevo che mi sarei fatta convincere. Quando Benjamin Montgomery Scott si metteva in testa qualcosa era difficile che mollasse, comportamento che poteva giustificare tante cose visto il successo e la fama che aveva raggiunto nel mondo scientifico.
“E’ solo una persona” mi stavo ripetendo tipo mantra mentre aspettavo seduta su un muretto l’arrivo della macchina di Mister Pine. Avrebbero usato un ingresso secondario per non attirare attenzione e poi l’avrei condotto al ufficio di Scott attraverso un corridoio e un ascensore poco utilizzato. L’appuntamento era per le tre e mezza e ero lì fuori ad aspettare da almeno venti minuti. Avevo bisogno di calmarmi, per colpa di quella situazione stavo fumando la mia prima sigaretta dopo mesi. Avevo smesso da parecchio e ora me ne concedevo forse un paio all'anno, in situazione di particolare stress. A volte non le finivo neanche, cercavo di mantenere una vita salutare. I miei avevano origini italiane e cercavano di mantenere viva la tradizione culinaria del loro paese di origine, quindi tanto pesce e verdure. Secondo mia madre era questo il segreto della lunga vita di sua madre e della loro proverbiale bellezza.
Io pensavo semplicemente che fosse una serie fortunata di fattori genetici che mi avevano resa così: non molto alta sfioravo appena il metro e sessantacinque, ero minuta e piuttosto snella, avevo lunghi capelli castani un po’ troppo mossi per i suoi gusti e strani occhi castani. Avevo sempre saputo di essere bella, ma l’avevo sempre visto come un fattore negativo: non volendo fare l’attrice, essere bella per me aveva significato solo problemi e pregiudizi sul mio aspetto e sulla mia intelligenza.
Anche in quel momento, mentre fumavo una sigaretta, era passato qualcuno dei miei colleghi che mi avevano guardata con sufficienza e chi anche con un po’ di invidia. Oramai avevo fatto il callo a quel comportamento e tendevo a fregarmene. Ero a metà sigaretta quando un SUV nero con vetri oscurati entrò dal cancello nord e si affiancò all'entrata vicino alla quale stavo aspettando. Dal muretto sul quale ero seduta vidi scendere dalla macchina un uomo in giacca e cravatta con occhiali e una giovane con una cartellina e lo smartphone praticamente incollato all'orecchio. L’uomo in nero, che doveva essere una guardia del corpo, aprì la portiera posteriore e a quel punto mi venne da pensare “Posso anche morire felice”.
Dal vivo era esattamente come l’avevo immaginato, forse anche meglio. Aveva cercato di vestirsi in maniera da non attirare attenzione, ma qualsiasi cosa addosso a quell’uomo lo avrebbe fatto: un’anonima t-shirt bianca, una giacca di pelle e occhiali Ray-ban non potevano certo mascherare chi era.
Presa com'ero dall'analisi non mi accorsi che la donna si stava guardando intorno brontolando «Dove si sono cacciati, mi avevano assicurato che avrebbero mandato qualcuno ad aspettarci» . A quel punto scesi dal muretto, spensi la sigaretta nel portacicche che avevo con me e mi infilai in bocca un chewingum per mascherare l’odore. Avrei preferito un buon caffè, ovviamente fatto in ufficio con la mia moka, ma dovevo accontentarmi. «Mi scusi» mi sentì chiamare dalla segretaria «Sa per caso dove possiamo trovare la dottoressa » lanciò uno sguardo alla cartellina «Marrazzo» lesse accentuando un po’ troppo la z, cosa che mi fece sorridere.
«Sono io, » dissi porgendo la mano destra alla donna, la quale la strinse un po’ scettica o forse solo sorpresa «Lei è la dottoressa Rosaleen Elizabeth Marrazzo?» chiese ancora per conferma.
“Sta scherzando vero? E’ sorda?” pensai mentre annuivo senza perdere il suo sorriso di circostanza «Esattamente. C’è qualche problema?» domandai inarcando un sopracciglio e fissando la giovane manager, la quale si affrettò a scuotere la testa. «No assolutamente, mi aspettavo solo qualcuno di più…grande e diverso! Io sono Anna, la segretaria di Chris» borbottò quasi inudibile mentre la seguivo e ci avvicinavamo a Mr Pine, che aspettava appoggiato al muro per niente interessato. «Oh se vuole vado a chiamare qualcun’altro » risposi un po’ piccata.
“Ma tua guarda questa” pensai. Come al solito la mia età e la mia figura facevano pensare che fosse o una ragazzina o peggio qualcuno alla ricerca di un pollo da spennare. « No si figuri dottoressa. Se l’ho offesa la prego di scusarmi. Comunque, Chris» disse avvicinandosi all’attore. «Questa è la dottoressa Marrazzo» .
Ecco era fatta. Stavo per conoscere uno dei miei attori preferiti di sempre e ora mi sentivo un’idiota, una bambina. Mi sarei potuta trasformare in una “pine nut” in un nanosecondo e cominciare ad urlare, cosa che volevo fare, ma dovevo mantenere un atteggiamento professionale e quindi niente gridolini da ragazzina. Non erano compresi nel pacchetto offerto dal mio status. Tesi la mano destra, la quale venne prontamente stretta dal giovane che mi gratificò con un sorriso.
“Ricordati di respirare” mi dissi mentre parlavo «Salve, sono la dottoressa Rosaleen Marrazzo, se preferisce può chiamarmi Rose» sorprendente stavo mantenendo un tono di voce calmo e oltremodo professionale. Sembrava sorpreso di trovarsi davanti una ragazza di neanche trent’anni.
«Piacere di conoscerti…Rose, se per te va bene preferisco chiamarti così…e detto tra noi non è così che avrei immaginato una dottoressa in Astrofisica. Io sono Chris e preferirei che tu mi dessi del tu»
La mia mascella stava per raggiungere il pavimento, ovviamente metaforicamente parlando, visto che non si era mossa di neanche un millimetro. Quando ero ai primi anni del college e sognavo di incontrarlo non avrei mai immaginato che sarebbe successo un giorno e non avrei neanche mai pensato che fosse una persona così semplice e con cui sentirsi a proprio agio.
«Vogliamo andare» dissi dopo qualche secondo di silenzio, recuperando la sua proverbiale sicurezza. Feci segno verso la porta di servizio. Non era utilizzabile da chiunque quindi presi il badge che avevo al collo e lo passai davanti al lettore ottico battendo velocemente il mio PIN. Un sonoro click confermò l’apertura. A quel punto Chris si voltò verso la sua segretaria. «Perfetto, ti lascio Chris. Ora vado a prendere la tua macchina, le tue chiavi le hai, io userò quelle di riserva. Potrai tornare tranquillamente da solo» parlò velocemente mentre Chris la ringraziava, intanto Anna sistemava la cartellina e il resto nella borsa che aveva al braccio. Era una delle borse che avevo sempre amato: la Neverfull di Vuitton. Certo che lavorare come segretaria di Chris Pine doveva essere piacevole, essere pagati per organizzare la vita dell’uomo perfetto o come sosteneva People Magazine, uno degli uomini più sexy della terra e supponeva anche essere pagati bene. A quel punto si voltò verso di me e mi tese brevemente la mano, andava di fretta evidentemente «E’ stato un piacere dottoressa, lo lascio a lei» e a quel punto risalì in auto.
«Vogliamo andare» mi richiamò la voce baritonale di Chris, al cui sentirla mi voltai a guardarlo come se mi fosse appena svegliata. Scossi appena la testa per uscire dalla trance in cui ero caduta. «Come…oh si certo» e aprì la porta, che venne tenuta aperta dall’attore che mi invitò ad entrare « Dopo di te» parlò indicando elegantemente l’interno del dipartimento. Entrai velocemente seguita dall’attore, la porta si chiuse dietro di loro con uno scatto. Mi era venuto naturale arrossire, nessuno mi aveva mai tenuto aperta la porta. Solitamente accadeva solo nei sogni o nei film, e quello non era né uno e né l’altro, quello era fortunatamente la vita reale.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Merak ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. 
Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.


Buonasera a tutti. Ecco a voi il secondo capitolo.
Qualora volesse correggermi in qualcosa ne sarei felicissima, fatemi sapere cosa ne pensate.
Il personaggio di Rose è molto strano, ha una profonda frattura dentro, poiché è in realtà una persona molto solare e socievole, ma si comporta in maniera diffidente e priva di emozioni per evitare che vecchi ricordi la avviliscano e la travolgano.
Noterete all'inizio di ogni capitolo il nome di una stella. Esse sono prese dalla Lista delle stelle più brillanti ad occhio nudo e ogni capitolo prende il nome da una di esse. Gienah è la stella che nella lista viene indicata come la meno brillante.
A volte i nomi stessi delle stelle vanno ad indicare qualcosa del capitolo stesso, come nel caso di Merak.
Ho dimenticato di dire cosa significa il titolo della fanfiction.
E' un vecchio proverbio in latino che significa "Attraverso le asperità (della vita) si giunge alle stelle" e credo che sia un titolo perfetto per la mia storia.
Spero vivamente che vi piaccia e commentate se volete.



Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 1


Capitolo 2 – Merak

Merak (deriva dall'arabo e dall'espressione al-marāq al-marʾa al-musalsala, cioè "il grembo della donna incatenata"), è la quinta stella più brillante della costellazione dell'Orsa Maggiore. 
È una stella bianca di magnitudine apparente 2,34 e la sua distanza è di 79,7 anni luce.

«Bene Chris, accomodati» lo invitai indicando la sala riunioni affianco allo studio di Scott. Al momento il dottore non era in ufficio, ma lo sapevo, aveva detto più volte che non voleva starmi tra i piedi.
Aspettai che si accomodasse per poi avvicinarmi al piccolo frigo prendendo dare bere: acqua, una minerale e l’altra naturale e un paio di bicchieri. «Preferisci altro da bere. Una diet?» domandai gentilmente mentre ispezionavo il contenuto del frigorifero.
Non era proprio una cosa spiacevole. Con il caldo che faceva avrei speso volentieri il mio tempo nel frigo. Ad un tratto mi accorsi che non era più sola nel frigo. Chris si era alzato e ora guardava nel frigo insieme a me, si era chinato e aveva poggiato una mano sullo sportello bianco. Sussultai vedendomelo così vicino, quel movimento però mi provocò un grosso bernoccolo in testa e una caduta in grande stile sul fondoschiena. «Ouch» fu l’unico suono che uscì dalle mie labbra.
«Oddio scusami ti sei fatta male.» aveva invece domandato ovvio Chris.
Sembrava realmente preoccupato per me e una volta prese le bottiglie e poggiatele sul tavolo si precipitò ad aiutarmi. Mi rialzai controllando velocemente che fosse tutto a posto e riordinando il vestito, mentre mi veniva da ridere. Quell’uomo era totalmente inconsapevole dell'effetto che aveva su di lei o su qualsiasi essere con doppio cromosoma X.
«Sto bene ehm...Chris. Solo non comparire più cosi...mi hai spaventato» mi schiarii la voce presa dalla sistemazione del vestito, non lo degnai di uno sguardo, fu solo quando alzai il volto che mi accorse dello sguardo dubbioso del ragazzo «cioè un colpo..ehm ehm» tossii imbarazzata «in senso buono».
Ovviamente arrossii facendolo sorridere compiaciuto. E ciò mi portò ad assumere un’espressione corrucciata che forse lo divertì ancora di più. Non c'era modo di essere arrabbiato o risentiti, era sostanzialmente impossibile. 
"Rose, rilassati e goditi quest'ora in compagnia di un attore che apprezzi" mi dissi cercando di assumere l'espressione più rilassata che poteva.
«Ma tu sei almeno lontanamente consapevole dell'effetto che hai sul popolo femminile?» scherzai facendolo ridere sonoramente. La sua risata era qualcosa che doveva essere dichiarato illegale, insieme ai suoi occhi, al viso, al corpo, all’altezza, alla sua fottuta voce.
“Se dichiariamo Chris Pine sostanza illegale”
Ecco di nuovo la mia coscienza.
“Oddio non sopravvivrò” pensai alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa. Stranamente era divertente quella situazione mi autoconvinsi andandomi a sedere. Intanto l’uomo dietro di me aveva preso due diet e chiuso il frigorifero e ora si stava riaccomodando. Accettai ben volentieri la bevanda ghiacciata da cui bevvi un grosso sorso prima di iniziare a parlare, mentre mi imponevo di stare rilassata e di affrontare quelle ore in serenità.
«Bene prima che io decida che Scott debba morire passiamo al motivo del nostro incontro» dissi come se minacciare di morte il mio capo fosse una cosa normalissima e strappando l’ennesimo sorriso a quel ragazzo. «Ok no ho cambiato idea. Poniamo qualche regola…potresti disattivare qualsiasi comportamento da seduttore tu abbia attivo? Non andremo da nessuna parte se tu continui a sorridere o a ridere alle mie battute. E’ già un miracolo che io abbia ancora un comportamento normale e non stia “fangirlando” alla grande e ti assicuro che sono brava anche in quello»
«Quando vuoi fangirlare…accomodati pure» commentò aprendo le braccia e assumendo un’aria parecchio innocente, l’azzurro intenso dei suoi occhi brillava di una luce gioiosa. «La tua simpatia è contagiosa ecco perché rido sempre.»
«Non nego di essere divertente Chris, ma mettiti nei miei panni. Questa mattina il mio caro amico e capo, l’esimio professore Scott mi ha comunicato di dover parlare con qualcuno del tuo staff, solo dopo molta persuasione mi ha detto chi. Vuoi sapere come si era conclusa la nostra chiacchierata? Con me che esclamavo “Scordatelo” e uscivo fuori da quella porta» rivelai con assoluta sincerità indicando la porta dello studio.
«E allora come mai sei qui?» domandò stranito.
«Scott è bravo a convincere la gente, punto primo. Punto secondo, non era il caso di affidarti ad una tesista, troppa poca discrezione e infine ho anche io il mio orgoglio: vuoi mettere raccontare ai miei figli quando guarderanno i tuoi film che io ti ho conosciuto» spiegai brevemente contando contemporaneamente i punti sulle dita della mano sinistra e facendolo ridere ancora una volta. Alla parola figli mi si era stretta la gola, ed ero stata costretta a bere un altro sorso di coca per rilassarmi e riprendere a parlare.
«Scott sa della mia palese ammirazione per te, ho costretto lui e mezzo laboratorio a guardare Star Trek nonostante il reboot, gli astrofisici non sai come possano essere fondamentalisti a volte» aggiunsi facendolo sorridere ancora una volta e mi concessi anche io un sorriso. «E' da stamattina che penso a come o se ucciderlo, ma se tu continui a sorridere non concluderemo niente perché io sarò processata per omicidio» ridacchiai alla fine.
«Ci proverò» rispose il giovane attore appoggiando la schiena alla poltroncina in pelle.  «Sono un po' confuso, non sei la persona che credevo mi avrebbero messo davanti. Pensavo a qualche vecchio luminare della scienza, non una donna di neanche trent'anni che sembra uscita dalla copertina di una rivista. Sono curioso di natura e sono figlio di una psicoterapista, spesso tendo ad analizzare chi mi sta davanti…spesso mi aiuta a capire con chi ho a che fare e di chi posso fidarmi» confessò infine finendo di bere la diet. 
«Di solito la gente fa la carina con me non solo per il mio aspetto ma soprattutto per ciò che potrei darle. Fama e notorietà. Tante persone mi avvicinano per potermi sfruttare. Prendi te per esempio, quando ti ho visto ho pensato che fossi l’ennesima ragazza che mi avvicinava per qualche spinta» continuò a parlare, ma quando vide l’espressione scettica della mia faccia sospirò quasi esasperato «Oh andiamo…hai l’aspetto e la bellezza per diventare un’attrice…ma sembra che tu veda in malo modo te stessa e il tuo stesso aspetto fisico. Altrimenti non saresti qui a ripetermi di non sorridere o fare il carino con te, una qualunque altra ragazza avrebbe invece civettato e sarebbe stata al gioco» spiegò rivelando una parte dei suoi pensieri e facendomi così capire che l’uomo che aveva davanti era decisamente pericoloso.
In neanche quindici minuti aveva capito qualcosa di me che tentavo di nascondere a tutti. Se avessero passato anche solo altre due ore assieme sarei stata un libro aperto. 
«Sei diversa Rosaleen Marrazzo, e questa cosa mi incuriosisce…a cominciare dal tuo nome…di che nazionalità sei? Spagnola? Latino-americana? Il tuo nome è inglese…credo, ma il tuo cognome non lo è»
Lo fissai qualche secondo, davvero voleva fare conversazione? Non era supermegaiper- impegnato? Pensavo che avrebbero subito affrontato il problema e lui sarebbe scappato per tornare ad Hollywood e la sua pienissima agenda.
«Vuoi parlare di me?» domandai scettica, ricredendomi al suo cenno affermativo piuttosto convinto. «Ehm…sinceramente non parlo spesso di me…ma suppongo non sia giusto che io sappia così tante cose di te e tu niente di me. Se può aiutarti a capire meglio se puoi fidarti di me e tranquillizzarti, ti dirò qualcosa. Tanto per la cronaca, non sono il tipo da riviste scandalistiche quindi non ho intenzione di scagliarti contro i paps. In ogni caos, non sono latino americana, ho origini italiane, ecco il perché del cognome. Posso dire di essere italo-americana, sia mia madre che mio padre hanno origini italiane. Entrambi dal sud Italia, anche se la loro vita è sempre stata qui.» spiegai brevemente sorridendo alla sua espressione sbalordita appena aveva inteso che ero italiana. «Ho studiato alla Caltech astrofisica e fisica e ora sto seguendo alcuni progetti in collaborazione con il dipartimento di chimica e scienza dei materiali. Ho un dottorato e sto facendo lavoro di ricerca come post-doc, ma tra tre mesi sarò senza lavoro» aggiunsi sorridendo. Non aveva problemi ad ammettere che dovevo cercare lavoro, fortunatamente non avevo problemi economici e potevo permettermi cose che altri sognavano, tipo una casa a Pasadena che condividevo con la mia migliore amica, la quale non era altrettanto fortunata. Avevo due genitori amorevoli e poi c’era Dominick, suo “fratello”.
«Non ti piace parlare di te, sei schiva, in corridoio ho visto come evitavi anche di salutare le persone, sei un po' asociale e da quanto sembrava prima non apprezzi il contatto maschile…inoltre studi fisica…» commentò Chris guardandola e ridendo divertito.
«Non sono così nerd» esclamai mentre l’attore davanti a me poggiava un gomito sul tavolo e mi guardava con attenzione dichiarando subito dopo «Sei la versione femminile di Sheldon Cooper!»
A quella parole decisi di mostrarmi fintamente offesa e sempre per finta feci il gesto di lanciare la mia lattina vuota, facendolo ridere ancora di più. «Ehi non scherzare…non sono così asociale…e poi è un grande. E’ uno dei personaggi preferiti e l’attore è grandioso. L’ho incontrato diverse volte, è davvero un tipo simpatico…mi ha anche regalato una sua maglietta da Trekker» rivelai assumendo un’espressione fintamente indignata.
Era sorprendente come fosse facile conversare con lui, sembrava così…normale e stranamente riuscivo ad essere a mio agio se non mi fossilizzavo sul pensiero che fosse una star del cinema, uno dei miei attori preferiti, che fosse incredibilmente per non dire fottutamente bello e aveva gli occhi più azzurri che avessi mai visto, erano geneticamente stupendi. Non come i miei anonimi occhi nocciola o castani, non sapeva bene che sfumatura era. Ci fu un attimo di disagio quando mi scoprii a fissarlo e lui mi stava fissando a sua volta. Forse stava ancora studiandomi e decidere se poteva fidarsi di me?
Tossicchiai leggermente schiarendomi la voce, mentre distoglievo lo sguardo da quello cristallino e indagatore di Chris Pine. «Ho capito…per tornare al discorso di prima, bhé ti assicuro che non ho intenzione di sfruttarti…ho già firmato un accordo quindi non temere sono la discrezione fatta persona. Quindi direi di andare sul pratico» conclusi mentre si allungava sul tavolo della sala riunioni per prendere un paio di fogli e una penna. «Cosa vorresti sapere?» chiesi tornando a guardare in volto Chris e aspettando che portassero avanti quella strana collaborazione. Chris mi fissò alcuni istanti, dapprima sorpreso, poi annuì e tornò ad appoggiarsi alla poltrona e cominciò a parlare.
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«Sentì vogliamo fare una pausa?» domandai alla fine di quasi due ore di chiacchiere da nerd e pazzi, chi avrebbe mai pensato che parlare di materia oscura, antimateria, reazioni controllate, annichilimento, di relatività e di tutta la fisica dietro Star Trek potesse essere divertente.
«Perché no» acconsentì alzandosi brevemente dalla sedia e stiracchiandosi amabilmente davanti ai miei occhi, uno spettacolo che molti avrebbero apprezzato e anche io lo stavo facendo ma al tempo stesso non potei evitare di guardarlo di sbieco per poi scuotere la testa e sorridere, intanto raccolsi le lattine e le bottiglie che sarebbero finite nella riciclata.
Il silenzio non era la mia situazione preferita, ma ci convivevo da un po' di anni, solitamente per mascherare il disagio tendevo a parlare a macchinetta, qualcuno poteva pensare che fossi estroversa, ma non lo ero più da dieci anni. E quella situazione non era un eccezione «Allora» esordii schiarendomi la voce mentre portavo sul tavolo altre due bottiglie d’acqua «dopo questo film hai altro in lavorazione?»
Volevo provare a fare conversazione, anche se non era il mio forte. Ero più un tipo che travolgeva le persone con la mia “diarrea acuta” come l’aveva soprannominata Leonora, la mia coinquilina, per non permettere ad altri di farmi domande. Ecco perché apparivo asociale, perché non davo molta possibilità di fare amicizia e di conoscermi, ti colpivo solo con la mia chiacchiera e poi sparivo, senza dare a nessuno la possibilità di avvicinarsi. O almeno a nessuno che avesse un cromosoma Y.
Chris si voltò a guardarmi, forse stranito dalla domanda, «Si…dovrei iniziare a breve le riprese di Wonder Woman» rispose tornando subito dopo al suo posto.
«Giusto…avevo dimenticato…sinceramente stavo aspettando l’uscita del nuovo Star Trek, ma credo che dovrò aspettare almeno il prossimo anno» risi di me stessa. Ero impaziente di vedere il proseguo, soprattutto visto il cast che avevano scelto.
«Sei una vera patita, eh?» ironizzò l’attore mentre si allungava per prendere una bottiglia d’acqua. Guardai velocemente l’orologio, erano quasi le cinque, la giornata era luminosa data la bella stagione. «Hai ancora altre domande» domandai senza rispondere all’ovvietà che aveva domandato.
L’attore che era rimasto semplicemente a guardarmi, si riscosse e schiarendosi la voce si affrettò a rispondere «Direi di si». Annuii e mi preparai a continuare la chiacchierata, ma Chris non aveva finito. «Ma sinceramente» mi ritrovai ad ascoltare «Preferirei continuare un altro giorno» si fermò un secondo per osservarmi attentamente in viso.
Riuscì a malapena ad evitare che la mia delusione fosse palese, mi aveva fatto piacere parlare con lui, avevo avuto quell’assurda cotta per anni e ora avevo avuto finalmente un’occasione per incontrarlo. «Oh si certo…sarai stanco» mi affrettai a dire.
«No, si…cioè anche, ma la verità è…che ho fame» confessò ridendo mentre la mano destra saliva a grattare la nuca, chiaro segno d’imbarazzo.
«Ah…oh.» fu tutto ciò che dissi, mentre il palese sollievo mi risollevava il morale e concedevo un sorriso. «Vorresti andare a mangiare…ehm potremo raggiungere la caffetteria…no meglio evitare il campus» Un cenno d’assenso mi confermò quello che pensava «Meglio di no, se si sapesse che sei qui e della collaborazione renderebbe difficile organizzare tutto. Sarebbe meglio uscire fuori dal campus. C’è uno Starbucks vicino a dove vivo, ti ci porto così puoi…ehm mangiare qualcosa»
«Perfetto» commentò semplicemente Pine alzandosi e prendendo la giacca di pelle nera.
«Aspetta qui» dissi io, mentre uscivo correndo dalla sala riunioni per poi tornare dopo qualche minuto trafelata ma con borsa e occhiali da sole.
«Andiamo» e indicai la porta di uscita dello studio. Chris aveva raccolto i fogli con le spiegazioni e i vari disegni che avevo fatto per spiegare alcune cose.
«Questi li prendo io» indicò la massa di fogli «Ora ho anche il tuo autografo» rise seguendomi fuori dalla porta.
«Dovrebbe essere il contrario » commentai mentre lo affiancava e camminavano per i corridoi meno affollati della struttura. Scelsi di prendere le scale, poco usate in quell'edificio.
«Ehi se vuoi un mio autografo basta chiedere» scherzò l’attore mentre teneva aperta una porta di sicurezza che dava sulle scale d'emergenza.
«Per quello c’è tempo. Rischieresti di dover firmare tutti e due i miei dvd e le maglie di Star Trek» confessai mentre scendevano le scale fino alla porta d’accesso secondario da dover eravamo entrati. «E non ti conviene…hai decisamente di meglio da fare» aggiunsi indossando gli occhiali da sole per ripararmi dalla luce abbastanza forte di quel pomeriggio di inizio luglio. Faceva caldo, ma quel giorno c’era fortunatamente anche un leggero vento che dava un po’ di sollievo rispetto alla calura.
«Lascia decidere a me se ho di meglio da fare, dottoressa. La mia macchina dovrebbe essere qua vicino»  rispose mentre si guardava intorno. Aveva indossato subito gli occhiali per mascherare almeno un po’ chi era, anche se con scarsi risultati.
«L’avrà parcheggiata di qua seguimi» mi incamminai lungo il vialetto uscendo subito in strada. Lì a pochi metri c’era parcheggiata una Chevrolet Camaro convertibile che sembrava gridare ai quattro venti. “Ehi io costo non toccarmi”. Affascinata dalla bellezza della macchina mi ero avvicinata quasi titubante accarezzando il cofano dell’auto decapottabile.
«Tu sei in macchina?» mi domandò Chris scuotendola dai miei pensieri.
«Eh…oh no. Solitamente vengo a piedi al campus. Abito ad un quarto d’ora da qui, sono in auto solo i giorni che vengo da Los Feliz dove vivono i miei.» risposi guardandolo brevemente in viso. Sembrava sorpreso.
«Sei nata a Los Feliz?» domandò il ragazzo sorpreso. «Già, i miei non se la passano male» tagliai corto. Non era un quartiere economico, Los Feliz, ma a LA c’era di peggio. Spesso mi avevano avvicinata per questo, la mia non era una famiglia famosa o miliardaria, ma i miei lavoravano da tutta una vita e i loro lavori pagavano bene.
«Ho capito» rispose Christopher senza indagare oltre «Salta su e fai strada. Potrei mangiare te se non metto qualcosa sotto i denti» rise mentre saliva a bordo della Chevrolet e io facevo altrettanto.
«Fai inversione di marcia e prendi la strada sulla sinistra, tieni la destra e poi ti dico quando girare» spiegai velocemente mentre allacciavo la cintura.
«Signorsi, Capitano Marrazzo»
«Scherza pure, ma senza di me non metterai mai i denti su qualcosa»
«Non è proprio esatto» scherzò Chris, «Potrei sempre mangiare te»
“Si mordimi tutta” pensava un punto remoto del mio cervello.
«Sarei un magro pranzo, Chris» risposi mentre mi rilassavo sul sedile apprezzando il fatto che il tettuccio fosse abbassato. «Se non vuoi parcheggiare davanti da Starbucks e attirare attenzione, come credo che tua voglia, accosta qui, c’è il parcheggio sotto casa mia, possiamo arrivare a piedi da Starbucks» indicai una strada sulla sinistra dove Chris parcheggiò la macchina e dal sedile posteriore prese un cappellino da baseball che indossò per camuffarsi un po'. 
Aveva un aspetto buffo ma non commentai anzi scesi dall’auto e lo attesi mentre lui finiva di prepararsi.
«Rose, ma sei sempre così…pedante» esclamò appena scese dall’auto e l’ebbe chiusa. Cominciarono subito a camminare uno di fianco all’altro. Chris con occhiali da sole e cappellino da baseball spiccava un po’, ma Pasadena era un po’ diversa da LA, quindi era ancora tranquilla la situazione.
«Non sono pedante»
«Si che lo sei»
«No. Sono solo organizzata»
«Ecco a chi hanno ispirato Sheldon Cooper»
«…»
«Allora? Non ti sarai offesa?»
«…»
«Perché questo silenzio?»
«Tu sostieni che io sia pedante e asociale, e cito testualmente, allora non parlo»
Quel teatrino di battute ci aveva accompagnati fino all’ingresso alla caffetteria. Era fortunatamente un orario non troppo affollato, altrimenti addio privacy. Eravamo fermi davanti all’ingresso mentre la conversazione non voleva rallentare.
«Non ho detto questo. Ammetti però di essere sempre troppo precisa, come se fossi sotto osservazione. Sono solo io, Chris Pine, prova a guardarmi in modo normale… non ti sto mettendo sotto esame. Non sei sotto esame»
«Si che lo sono»
«Cosa vai pensando...»
«Alla Caltech, tutti mi hanno sempre sottovalutato o giudicata. Sono successe cose che tu non puoi sapere»
«Allora dimmele, cosi posso finalmente capire chi sei Rose Marrazzo» esclamò il ragazzo allargando le braccia e attirando l’attenzione di qualche passante. Fortunatamente gli occhiali da sole funzionavano e nessuno si accorse che chi aveva una piacevole e animata conversazione con me era in realtà un attore milionario o forse era meglio dire miliardario.
«Oddio, sei impazzito. Entriamo dentro prima che ti scoprano» quasi urlai mentre stringevo l’avanbraccio del ragazzo e cercava di spingerlo in caffetteria. Ovviamente sortì poco effetto e fu solo quando Chris decise di muoversi che riuscì veramente a spingerlo. Sembravamo Davide e Golia, dato il fisico esile e minuto della qui presente.
“Ti sei accorta che l’hai toccato” pensai mentre mi avviavo lungo il corridoio. “Strano” mi dissi solamente, non ero una tipa da contatti fisici. Non dopo quello.
«Non cambiare discorso. Non mi distraggo così facilmente» mi disse appena furono entrati. A quelle parole alzai gli occhi al cielo e scossi la testa mentre ci avviavamo alla cassa per ordinare.
«Secondo te vengo a dirlo a te…a che titolo?»
«Bhè siamo amici no?»
«Io e te amici? Tu ti consideri un mio amico?»
«Considero…mmm forse è più corretto dire vorrei essere tuo amico» confessò l’uomo.
«Tu, Chris Pine, vuoi essere mio amico?»
“Rallenta il neurone Rose, appena si accorgerà dell’enorme cretinata che ha detto si rimangerà tutto” mi dissi, ma ovviamente il mio cervello pensava una cosa, il cuore e il resto del corpo un’altra.
«Si…cosa c’è di strano?»
Mentre nel mio petto il cuore sembrava voler ballare qualcosa con le sue arterie, con tanto di vocina interiore che scandiva il ritmo al sound di “Cuba. Quiero bailar la salsa” versione remix, tentai di rispondere in maniera normale. Ci provai.
«Oh niente…solo che tu sei una star A-list del cinema, ricercatissimo e ambitissimo. Affascinante, divertente, con una vita da sballo…cioè sei Chris Pine in due parole, e io sono Rosaleen altrimenti detta Rose, dottoressa in Fisica e Astrofisica, prossima alla disoccupazione.» riassunsi velocemente mentre arrossivo come una quindicenne, intanto gettai uno sguardo al menù sullo schermo. Poi senza neanche guardarlo e cambiando discorso «Io prendo un tè freddo al frutto della passione e un sandwich pomodori arrostiti e mozzarella…tu?» mi voltai a guardare il mio “accompagnatore” che mi fissava divertito sul punto di rispondere per le rime.
«Uhm…» si riscosse e fissò il tabellone e la ragazza che li fissava straniti, soprattutto perché Chris indossava gli occhiali da sole all’interno. La fame si fece sentire e Chris si affrettò ad ordinare «Prendo anche io i sandwich con pomodori e mozzarella e un tè freddo al limone » e infilò la mano in tasca tirando fuori il portafoglio. «Non pensare che il discorso sia finito qui» mi disse velocemente prima di porgere una carta di credito alla commessa alla quale disse i loro nomi: Chris e Rose.
«Chi ha detto che dovevi pagare tu?» domandai appena ci fummo allontanati alla ricerca di un posto più riservato e coperto. Chris si sedette spalle al muro e all’ingresso. Tolse gli occhiali e si massaggiò gli occhi. Sembrava stanco.
«Io ho proposto di andare fuori Rose» rispose sospirando.
«Io ho proposto Starbucks» ribattei.
«La prossima volta offrì tu» decise di accontentarmi.
«Certo, la prossima offro io.» risposi trionfante, sembravo una bambina a cui avevano fatto un bel regalo. “La prossima volta?!?!” intanto il mio cervello assimilava la cosa.
«Comunque tornando al discorso di prima, si vorrei essere tuo amico. Detto tra noi, è più divertente battibeccare con te che con molte altre ragazze. Almeno tu non passi il tuo tempo a fissarmi o a svenire ai miei piedi» disse il ragazzo rilassandosi sulla sedia «Almeno non ancora» aggiunse mentre un sorriso malizioso increspava le sue labbra
Quell’espressione mi paralizzò un’istante, poi dandomi della stupida scoppiai a ridere «Sbruffone» scherzai, forse avrebbe potuto rilassarsi un pochino. “Chris non è come lui” mi dissi.
«Ecco vedi quando ti rilassi e ti diverti sei più bella» affermò l’attore poggiando un gomito sul bracciolo della sedia e fissandomi.
«Ehm…dicevamo» cercai di cambiare discorso, mentre non potevo evitare di arrossire…ancora una volta.
«Mi stavi parlando del perché gli altri ti sottovalutano e di una cosa che ti è successa.»
«Oh…Chris non vuoi veramente saperlo» risposi. “Oh sei tu a non volerne parlare” pensai.
Chris non fece a tempo a rispondermi che venne chiamato il nostro nome al bancone. «Vado io» dissi approfittando della cosa per allontanarmi e pensare cosa fare.Nel tragitto fino al bancone, il mio cervello combatté una guerra tra ragione e sentimento e quando tornai alcuni attimi dopo con un vassoio con quanto ordinato, sapevo già chi avrebbe vinto.
Chris non si era mosso e la sua espressione rese chiaro che non avrebbe lasciato cadere il discorso.
«Tu vuoi veramente saperlo?» domandai titubante fissandolo. Non ero pronta a raccontarlo? I dottori dicevano di si. Avevo seguito un lungo periodo di analisi e anche se la vicenda mi provocava ancora ansia e paura, nonché una repulsione per il contatto fisico che andasse oltre la semplice stretta di mano, pensavo che potevo affrontare il discorso, mi dissi che se fossi riuscita a parlarne con qualcuno con cui non avevo molta confidenza, forse voleva dire che ero veramente guarita.
«Si» diretta e lapidaria fu la risposta di Chris..
«Va bene» mormorai prima di dare un morso al sandwich. Un sorso di tè e mi schiarii la voce «Sono nata e cresciuta a Los Feliz, non nella casa dove vivono ora i miei, un’altra. Avrai capito che la mia famiglia è sempre stata benestante. Mia madre insegna letteratura inglese alla UCLA, mentre al momento mio padre è nel consiglio di amministrazione della Disney Picture, prima era semplicemente uno dei tanti dirigenti. Sono sempre stata la classica bambina solare e simpatica, con una vita privilegiata non poteva essere diverso. Avevo tantissimi amici. Tutti volevano stare con me, tutti volevano venire a casa mia. E io ero felice di avere tanti amici, ero socievole e divertente. Questo fino al giorno in cui non ho capito che chiunque mi avvicinava era solo per avere qualcosa: ero alle scuole medie e man mano che crescevo ho continuato ad allontanarmi da tutti.»
Chris stava in silenzio e mi lasciava parlare e anche quando mi fermavo non diceva niente. Era chiaro che non affrontavo spesso una discussione del genere e da come stavo cominciando ad impallidire o tremare forse e dal modo in cui Chris mi guardava si era pentito quasi subito di avermelo chiesto, ma sembrava non voler fermarmi. All’inizio mi era trattenuta.
Non volevo dire troppo.
Non volevo vomitare tutto.
Non volevo rivelare tutto ciò ad uno sconosciuto.
Chris Pine aveva un dono davvero inusuale, faceva sentire a proprio agio, ti spingeva a parlare. Non sapevo se era la sua fama, se era semplicemente la sua vera natura, se erano quei dannatissimi occhi azzurri che sembravano leggermi come un libro aperto. O se semplicemente, a tre mesi dal mio futuro incerto, volevo parlare con qualcuno e Chris Pine si era trovato lì.
«Ho cominciato a diventare come hai detto tu asociale, non do confidenza e non la prendo. Al liceo sono stata in disparte, non volevo attirare attenzione. Non avevo una vita sociale, avevo smesso di accompagnare mio padre a qualsiasi apparizione pubblica della sua compagnia, stavo a casa e studiavo. Mi sono diplomata con un anno di anticipo. Non avevo amici e non volevo averne, fino a quando non è arrivata Leonora, era come me, silenziosa e amante della fisica e siamo diventate amiche. Era la mia unica amica e grazie a lei mi sono aperta un po’ all’ultimo anno del liceo. Allora ho conosciuto Lisa, anche lei all’ultimo anno, voleva diventare un’attrice e studiava teatro. Aveva tutte le carte per farcela: era bella e brava. Insieme ci siamo iscritte alla UCLA, io ero la più piccola e loro mi stavano aiutando a fidarmi di nuovo degli altri. Più il tempo passava e più tornavo ad essere un po’ di più la me stessa di un tempo. Sapevo che volevo tornare ad essere la persona solare che usavo essere da bambina, avevo più sicurezza e confidavo di più in me stessa. Iscriversi a diciassette anni al college. cambia tutto. La vita è così diversa, le situazioni sono più grandi e più mature. Non sono tanto convinta che diplomarmi in anticipo sia stata la cosa giusta. Non dopo…non dopo quello che è successo a-a…Lisa. »
Mi fermai all’improvviso, le parole erano bloccate nella mia gola.
Non volevo tornare a pensare di come la sua vita fosse cambiata di nuovo in una sola notte; di come la ragazza solare era tornata ad essere asociale.
Davanti ai miei occhi passarono immagini differenti.
Un appartamento vicino al mare. Un corpo abbandonato contro il muro, macchiato di sangue, ma non era il suo sangue…non era di mio. Era di Lisa. Lisa che giaceva immobile sulla sabbia. Incosciente e sul punto di non farcela.
Io che ripetevo sotto shock ai poliziotti “E’ tutta colpa mia. Non dovevamo andare via. Dovevamo restare alla festa”.
Io e che mi guardavo le mani sporche di sangue mentre davanti a me passava ammanettato un ragazzo con dei graffi sul viso. “Sono stata io, sono stata io” continuavo a ripetere, anche mentre i dottori la visitavano.
Qualche giorno dopo le diedero la notizia. 
Lisa non ce l’aveva fatta. L’abuso le aveva fatto perdere troppo sangue e le lesioni interne erano troppo gravi.
“Se solo avessero preso prima me” avevo pensato allora in quella camera d’ospedale. Poi le era arrivata un notizia ancora più incredibile.
Non era più sola.
«Rose?» mi richiamò Chris che aveva aspettato che continuassi.
«Io-io non posso continuare» sussurrai, era quasi inudibile, stavo fissando le miei mani, tremanti e le vedevo ancora una volta sporche di sangue, poggiate sul tavolo, aggrappate al bordo.
«Perché? Cosa è successo poi?»
«Co-cosa è successo?» balbettai riuscendo finalmente a sollevare lo sguardo. Chris annuì arrischiandosi a tendere una mano che batté affettuosamente sul dorso della mia, la ritrassi così velocemente da spaventarlo. Pensavo di aver superato la cosa, pensavo che gli anni di analisi fossero serviti, invece no, bastava che qualcuno mi domandasse cosa fosse successo e io non volevo parlarne.
«Tutto bene?» sussurrò Chris, quasi timoroso che anche parlare ad un tono di voce più alto potesse spaventarmi.
«Si…no, non so. Pe-pensavo di p-po-poterne parlare e invece…» balbettai ancora.
«Se non vuoi, non parliamo più» mi rassicurò il ragazzo e per farmi capire che voleva cambiare discorso, tornò a mangiare.
«Grazie» dissi solamente tornando a fissare il piatto. Non avevo più tanta fame e mi si era chiuso lo stomaco. Presi un altro sorso di tè freddo prima di decidere di finire almeno un sandwich, mentre l’altro l’offrii a Chris il quale lo accettò volentieri.
Ad un certo punto si sentì una vibrazione seguita dalla suoneria del mio cellulare, unaunica un po' imbarazzante in quel momento visto che era la colonna sonora di Star Trek. Velocemente lo cercai nella borsa e una volta guardato lo schermò sbiancai e mi affrettai a rispondere, anche se le mie mani tremavano visibilmente.
«Dottoressa Marrazzo» risposi senza riuscire a mascherare un tremolio nella voce. Chris aveva smesso di mangiare e mi guardava.
«Si si…ho capito. Sta bene?...No che io sappia no, ma potrebbe esserlo diventato»
Stralci di conversazioni e risposte lapidarie. «Arrivo subito» conclusi prima di chiudere la telefonata.
«Tutto bene?» domandò visibilmente preoccupato il ragazzo.
«No…cioè si, niente di preoccupante spero…mio fig..fratello Dominick ha avuto una reazione allergica» spiegai velocemente mentre raccoglievo la mia borsa e infilavo gli occhi sulla testa.
«Devo andare» aggiunsi solo salutandolo, riuscendo a strappare a me stessa un sorriso. Avevo appena imboccato l’uscita che venni afferrata per un braccio. Voltandomi vidi che Chris mi aveva seguita.
«Ti accompagno» disse soltanto e dal tono era chiaro che non ammetteva repliche.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Algieba ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. 
Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.


Buongiorno a tutti. Ecco a voi il terzo capitolo.
Noto che non ci sono ancora recensioni. Spero che qualcuno di quelli che la stanno leggendo, voglia scrivermi quello che pensa. I vostri commenti sono indispensabili per sapere come procede la storia. 
Noterete che ho deciso di cambiare registro, la storia è stata cambiata, non è in terza persona ma in prima. E' un registro più adatto, dato che la vera protagonista è Rose e il suo passato.
Spero non vi dispiaccia. Ovviamente non toglie che un giorno potrei scrivere un capitolo dal POV di Chris. Assolutamente.
Janeisa 


Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 1


Capitolo 3 - Algieba

Algieba è una stella doppia gigante appartenente alla costellazione del Leone. Il nome Algieba deriva dall'arabo الجبهة Al-Jabhah, che significa la fronte. Il sistema brilla alla magnitudine apparente di 1,98. Algieba dista dalla Terra circa 126 anni luce.
 
«Non dovevi» ripetei per la seconda o terza volta, mentre correvano lungo la 134 diretti alla scuola di Dominick: la Cheremoya Avenue Elementary School.
«Rose non ti sto accompagnando per sentirti brontolare» rispose tranquillamente mentre metteva la freccia per superare una serie di macchine avanti a loro.
«Lo so…è che avrei potuto prendere la mia auto…Tu avrai sicuramente molte altre cose da fare…cioè sicuramente sei impegnato» mormorai, mentre mi concedevo per un secondo di guardarlo.
Quando guidava Chris aveva un’aria terribilmente affascinante. Forse era il fatto che la macchina fosse una decapottabile e con il tettuccio abbassato il vento poteva scompigliargli i capelli, o che aveva la guida più rilassata che avesse mai sperimentato. Il braccio sinistro era appoggiato alla portiera e aiutava l’altro braccio a tenere il volante, la mano destra invece scendeva a cambiare le marce.
«Non avevo altro da fare e poi preferisco accompagnarti. Tu non hai visto la tua faccia quando hai risposto alla telefonata e né ascoltato la tua voce probabilmente. Eri troppo presa da quello che stava succedendo a tuo fratello» replicò il ragazzo mentre si avvicinavano all’uscita della 134 per Los Feliz Blv. Il ragazzo non aveva voluto investigare troppo su quel lapsus che mi aveva colto  quando avevo quasi chiamato Dominick “figlio”.

Sentivo chiaramente il suo sguardo su di me, sapevo che si stava domandando cosa nascondessi e cosa non avessi voluto raccontare, ma non sarei riuscita a reggere il suo sguardo. Quel azzurro così intenso da sembrare quasi irreale sembrava una calamita.
“Resta concentrata su quello che devi fare. non farti coinvolgere. Rose per queste cose tu non devi avere un cuore. C’è posto solo per Dominick e i tuoi” pensai stringendo i pugni. Tenni lo sguardo fisso verso le colline che sovrastavano LA, la scritta Hollywood spiccava bianca sul verde della collina mentre correvamo sulla Freeway.

«Hanno detto che ha avuto una reazione allergica» parlai all’improvviso rompendo il silenzio, destando l’attenzione di Chris. «Noccioline.» aggiunsi visto che lui non stava dicendo niente. «Non è mai stato allergico e niente e le noccioline sono un dramma» risi, sembravo isterica, voltai la testa e guardai il ragazzo alla guida, poggiai la guancia sulla pelle della testiera e aspettai che dicesse qualcosa.
«Perché?» rise di rimando senza staccare gli occhi dalla strada. Stavamo per uscire su Los Feliz Blv e avremo trovato traffico.
«Perché ama alla follia gli M&Ms con le noccioline » non aggiunsi altro, la questione si spiegava da sola.
«Ah» disse solamente l’attore. «Si dovrà abituare. Quando ero più piccolo avevo una forma di allergia ai pinoli…no non ridere, lo so che è divertente. Poi da un giorno all’altra è sparita. Puff. Forse se gliela poni così sarà più contento» suggerì trattenendo a stento un sorriso.
«Oddio davvero i pinoli?!» scoppiai a ridere così forte che dovetti mettermi a sedere per il dolore alla pancia. Qualche istante dopo mi calmai e mi accorsi di come quello scoppio di risata avesse portato via con sé parte della mia ansia e della mia paura, era stato merito suo dopotutto.
Dopo un bel respiro lo fissai e presi coraggio. Lo ringraziai «Grazie Chris. Se fossi arrivata alla scuola così agitata lo avrei spaventato soltanto.»

«Non c’è di che» sorrise mentre con nonchalance si infilava con la Camaro nel traffico cittadino. «la scuola dove si trova? Sulla Franklin?» chiese per conferma.
«Si proseguì dritto lungo la Los Feliz Boulevard e poi ti trovi sulla Franklin lì ti dirò dove girare» spiegai velocemente.
«Sei meglio di Chekov come navigatore…sai.» scherzò mentre si fermava ad un semaforo. «Allora parlami un po’ di Dominick. Quanti anni ha? Che ragazzino è?»

Non risposi subito, rimasi qualche secondo a guardarlo, come se stessi decidendo se potevo fidarmi o no del giovane attore. Alla fine la mia lotta interiore finì a favore di Chris.
«Dominick ha 10 anni, quasi 11. E’ meraviglioso, è curioso, intelligente, si fa mille domande. I miei genitori e io lo amiamo tanto. Ama ovviamente le scienze, ma credo che la sua passione sia la letteratura e il teatro, infatti legge molto più di me. Non sta mai fermo un attimo, era a scuola con un corso pomeridiano di pianoforte.» mi infiammai nel parlare di Dominick. L’amore e l’affetto che provavo nei confronti del ragazzino erano palesi, trasudavano da tutti i pori, i miei stessi occhi castani si erano illuminati di una luce calda e amorevole. Il calore e la passione con cui parlavo di lui sembravano più adatti ad un genitore che a una sorella, ma Chris comunque non mi disse nulla.
«Anche se ultimamente ha delle nuove amicizie» borbottai facendo sorridere ancora una volta Chris. «Ahia» rise Chris mentre si avvicinava alla scuola.
«Già Si è appassionato al football, al calcio, ad ogni tipo di sport, ma soprattutto ai videogiochi. Ultimamente sei tornato di moda tu» aggiunsi mentre senza guardarlo indicavo una strada sulla destra. «Siamo arrivati» aggiunsi subito dopo, mentre Chris parcheggiava davanti alla scuola.
«Che intendi sono tornato di moda io?» domandò spegnendo il motore della Chevrolet e scendendo dall’auto. Infilò la giacca e tolse gli occhiali da sole ora inutili. Dal sedile posteriore pescò il berretto da baseball. A quel punto fu pronto.

«Non è necessario che tu venga» lo informai osservandolo il giovane da sotto il berretto. «E detto sinceramente non è chissà che travestimento il tuo» aggiunsi squadrandolo da capo a piedi mentre mi ripetevo che non lo stava spogliando con gli occhi.
“Se vallo a dire a qualcun altro” intervenne la mia coscienza.
«Non ero attrezzato. Comunque meglio che venga anch’io…chissà sono d’aiuto e lo calmo. Sono pur sempre James T. Kirk» ammiccò Chris sorridendomi e tenne la porta aperta.
Dovetti dargli ragione e quindi annuì senza far nulla. Camminammo in silenzio fino all’infermeria, Chris attese fuori mentre ii entrai. Ad aspettarla trovai la preside e il maestro di piano visibilmente sollevati di vedermi. Stesso discorso per Nick.

«Mam…MamLee» esclamò vedendomi e quasi si lanciò giù dal lettino per abbracciarmi. Il volto era pallido e c’erano tracce di pianto.
«Tesoro, sono qui» parlai visibilmente sollevata mentre lo abbracciavo. Sempre tenendolo stretto poi mi voltai verso i due adulti.
«Scusate.» mi giustificai brevemente vista la mia mancanza di rispetto «Grazie mille per aver affrontato subito la situazione. E’ una cosa nuova e inaspettata.»
«Si figuri dottoressa Marrazzo. Nick è stato bravissimo e non ha dato problemi. Ci ha solo fatto prendere un grande spavento» rispose la preside mentre il professore si avvicinava alla scrivania dell’infermiera da dove prese i fogli di uscita da firmare.
«Immagino» replicai accarezzando la testa del bambino. «Devo firmare qualcosa» domandai e al gesto di assenso mi allontanai per qualche istante dal bambino per firmare il modulo d’uscita. L’infermiera mi diede un certificato, sarebbe servito per richiedere i medicinali.
«Grazie mille» ringraziai ancora e tornai dal bambino che mi strinse nuovamente con tanta forza.
Una volta soli, lo fissai e dissi «Aspetta un attimino. Ho una sorpresa per te» mi allontanai per chiamare Chris che era rimasto fuori.

«Chris vuoi venire un attimo. Ti presento una persona.» lo invitai ad entrare. L’infermiera si era allontanata lasciandoci un po’ di privacy.
Una volta dentro l’attore si avvicinò al bambino, afferrò uno sgabello e si sedette così da esser circa alla sua altezza.
«MamLee, chi è?» domandò incuriosito Nick.
«Lui è un mio amico, mi ha accompagnato qui, tesoro. Si chiama Chris» spiegai. Alla parola “amico” Chris mi aveva guardata e aveva sorriso.
«Ciao Chris, io sono Nick» si presentò educatamente il bambino «Lo sai assomigli a uno dei miei personaggi preferiti.» aggiunse fissandolo.
«Rose aveva ragione sei intelligente» affermò Chris, sembrava felice.
«Sì, mi ricordi…MamLee come si chiama il Capitano dell’Enterpise» domandò Nick.
«James Kirk, tesoro.» risposi dolcemente.
«Ti rivelo un segreto» sussurrò Chris avvicinandosi al bambino «Vuoi saperlo? Devi però saper mantenere un segreto»
Nick allora lo fissò apertamente con i suoi grandi occhi castani ed eseguì una specie di rituale facendo ridere noi adulti.
«Allora…il segreto è…» disse Chris «io sono davvero James Kirk» rivelò togliendosi il berretto, facendo spalancare gli occhi del bambino.
«Oddio…grazie MamLee, grazie.» urlò saltando al mio collo mentre io ridevo felice come Chris non mi aveva ancora visto fare in quelle ore.
«Tesoro ora andiamo. Chris ci riporta a casa e così possiamo passare una serata tu ed io.» dissi dolcemente mentre gli accarezzavo la testa, ma il bambino aveva occhi solo per Chris.
«Andiamo» disse il ragazzo tendendo la mano al bambino, che la afferrò con piacere facendosi portare fuori, sotto il mio sguardo sbalordito. «Ma tu guarda» borbottai prima di uscire e seguirli.

Quando furono nel parcheggio, Chris si avvicinò alla macchina che causò un altro grido da parte Nick. «È bellissima…MamLee….guarda è bellissima.»
Mi avvicinò al bambino affiancando i due e gli poggiai una mano sulla testa
«Lo so…è una bella macchina» confermai sorridente.
Con Nick diventavo tutt’altra persona, non potevo farne a meno e non mi importava che veniva notato come in quel momento. «Ora andiamo sennò facciamo fare tardi a Chris.» aggiunsi schiarendomi la voce e facendo salire in auto il bambino. Chris intanto mi guardò risentito «Perché ho l’impressione che tu mi voglia cacciare»
Sapevo che con quella frase avrebbe scatenato una guerra.
«No, MamLee perché…Chris può restare con noi per sempre» esclamò il bambino facendo comparire la sua testa tra i sedili anteriori e guadagnandosi un buffetto affettuoso da Chris.
«Io non sto cacciando nessuno…credevo solo che tu avessi da fare» dissi infine non vedendo altra via d’uscita rivolgendo l'ultima parte della frase all'uomo. Intanto Chris si era infilato di nuovo sulla Franklin. Guardando nello specchietto retrovisore parlò con Nick «Chi vuole partire per strani nuovi mondi?» domandò sorridendo al bambino che aveva cominciato a saltellare sul sedile urlando «Io io io io»
«Bene Guardia Marina Nick Marrazzo, partiamo» aggiunse, rendendo forse il bambino ancora più felice.
Intenta a guardarli, pensai che non avevo mai visto Nick così felice e non vi erano più traccia di paura o nervoso per via dell’allergia, tutto questo grazie a Chris Pine che ora stava seguendo le confusionarie ma giuste indicazioni del bambino per raggiungere casa dei nostri genitori.
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«Eccoci arrivati» disse Chris una volta parcheggiato davanti casa loro in Oxford Avenue. «Bella casa» aggiunse guardando l’abitazione in pietra bianca che aveva davanti.
«Grazie» rispose Nick sinceramente, sempre seduto al centro e con la testa nel mezzo.
«Ora saluta il signor Chris, Nick e ricorda di ringraziarlo» dissi sganciando la cintura e voltandomi verso il bambino, controllando che avesse tutto con sé.
«Grazie Signor Chris» eseguì diligente il bambino.
«Non c’è di che Nick.» rispose Chris guardandolo anche lui «Ti chiedo una cosa: vuoi un autografo?» domandò attendendo una risposta ovviamente positiva.
«Si!!!!!» urlò felice, poi si zittì corrugando la fronte liscia da bambino.
«Cosa c’è Nick?» domandai preoccupata.
«Posso avere l’autografo sul mio videogioco, sul mio poster…sulla maglietta» cominciò a elencare contando tutto sulle sue piccole mani.
«Tesoro…forse Chris…» cominciai a dire, però subito interrotta dal ragazzo al mio fianco.
«Niente forse Chris. Certo, campione» lo tranquillizzò l’attore.
«Forteeee» esclamò il bambino «vieni dentro con me a giocare a Star Trek?» lo supplicò sfruttando tutta le sue armi a disposizione.
Anche io non avrei potuto dire nulla, aveva avuto un brutto pomeriggio e volevo farlo tranquillizzare. Egoisticamente pensai che se Chris poteva essere d’aiuto non avrei avuto problemi a farlo rimanere anche a cena.
“Lo faresti solo per Nick…certo” pensò automaticamente la mia testa. La voce della verità era la mia coscienza.
«Visto che se parlo mi accusate di separarvi. Se per il signor Chris va bene, non obietterò, ma Nick prometti che farai il bravo e non insisterai quando Chris dovrà andarsene e soprattutto a letto in orario»

Ecco sembrava una mamma. In fondo lo era.
«Si si prometto tutto» acconsentì subito il bambino.
Promessa da marinaio.

Scesi dall’auto prendendo per mano Nick e feci segno a Chris di parcheggiare. Qualche istante dopo eravamo alla porta di ingresso, e Chris ci aveva raggiunti. Una volta dentro feci strada all’interno. La casa era ampia, molto luminosa grazie all’uso di colori chiari. Il pavimento era in legno chiaro e le pareti bianche, con numerose finestre e porta finestre che davano sul giardino sul retro dove sorgeva la piscina e il patio e l’aria relax.
Appena entrati sulla destra vi era la sala da pranzo e un soggiorno a vista, sulla sinistra vi erano le scale che portavano al piano superiore e fu dove scomparve per qualche secondo Nick. Tornò giù come un fulmine alcuni secondi dopo trascinandosi dietro joystick e videogioco. Nick a quel punto afferrò la mano dell’uomo e lo tirò verso il salottino che affiancava la cucina dove c’era il camino che era ovviamente spento. Lì nell’angolo c’era una LCD a muro dove il bambino voleva collegare il videogioco.
«Bene…accomodati pure Chris. Vuoi qualcosa da bere?» chiesi dispiaciuta per l’eccessiva confidenza che Nick stava dimostrando. Sembravo volermi scusare con lo sguardo.
«Si, volentieri.» accettò l’offerta con piacere.
«MamLee, anche io» esclamò con il suo incredibile entusiasmo il ragazzino.
«Certo . Ti va bene della spremuta d’arancia. E’ di giornata» chiesi rivolgendomi al loro inatteso e strano ospite.
«La spremuta va benissimo. Grazie.» rispose Chris. Per uno strano motivo sembrava a disagio anche lui. Dopotutto ci eravamo incontrati quel giorno e ora si trovava a casa dei miei genitori, con un bambino che voleva farlo giocare a Star Trek. Non era quello che avrebbe pensato stamattina
«Perfetto, voi rilassatevi e tu» dissi rivolgendomi al bambino «ricordati di non importunare troppo il signor Chris e hai solo un quarto d’ora, poi si mangia».
Nick annuì mesto facendo sporgere il labbro inferiore in un tentativo di persuasione.
«Inutile che mi guardi così » Non cascavo facilmente ai tentativi di persuasione. «Sono quasi le sette. Si cena e poi a letto»
«Vabbene» mormorò tristemente il bambino. Poi dovette ricordarsi che stava per giocare con il capitano Kirk e quindi tornò sorridente come al solito. Chris poggiò una mano sulla sua testa arruffandogli i capelli «Che personaggio vuoi?» domandò riferendosi a Spock e Kirk.
«Io faccio Spock…tu sei Kirk quindi fai Kirk» rispose con ovvietà Dominick. Una volta settato sul gioco le opzioni iniziali Chris si rivolse a Nick.
«Bene Comandante Spock pronto?»
«Siiiii»
«Andiamo.»
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Stavano giocando da una decina di minuti, intanto avevo portato loro la spremuta d’arancia e mi ero dedicata alla cena mia e di Dominick.
Avevo sollevato di tanto in tanto lo sguardo, sorridendo automaticamente alla vista dei due che si incitavano a vicenda mentre il gioco andava avanti.

Nick era sempre stato un ragazzino socievole e simpatico. Sapeva farsi voler bene, era educato e diligente. Era stata una sorpresa il suo arrivo ma la miafamiglia non avrebbe potuto volere di meglio.
Ogni volta che lo guardavo ringraziavo che da quella notte mi fosse stato fatto un regalo tanto meraviglioso. Nick aveva i miei stessi occhi scuri, un castano profondo e caldo, mentre i capelli erano di una nota appena più chiara, all’inizio davano sul biondo scuro ma con il tempo aveva perso quella tonalità dorata. Tipico della crescita. Solo la sua carnagione era un po’ più scura, quasi ispanica e solo questo faceva sorgere dubbi nella mente delle persone. A Los Angeles nessuno però parlava in faccia, i tuoi vicini potevano fingere di accettare le spiegazioni ma poi finivano sempre con il decidere da sé quale era la verità.

Presa dai miei pensieri non mi accorsi che i funghi erano pronti. Avevo preparato per Nick, cotoletta alla milanese con insalata mista e patate al forno, mentre per me avevo preferito una scaloppina di vitello con funghi trifolati.
«Nick a lavare le mani» dissi senza voltarmi e spegnando i fuochi, tranne quello della carne dove aveva aggiunto i funghi e stavo facendo tutto andare a fuoco lento.
«Non ora MamLee» supplicò il bambino.
«Cosa avevi promesso?» domandai voltandomi verso la penisola centrale e guardando Nick che stava seduto per terra a gambe incrociate con lo sguardo fisso sulla televisione.
«Che non avrei fatto storie» rispose sospirando sonoramente e mettendo in pausa.
«Se fai il bravo e mangi tutto dopo ti faccio fare un’altra partita» concessi mentre portavo a tavola la sua tovaglietta preferita, ovviamente di Star Trek. Quel bambino era cresciuto deviato con me e mio padre. Aggiunsi anche bicchiere, fazzoletto e posate. Dovevo apparecchiare per me, ma per qualche motivo non lo feci.

Apparecchiare per me, avrebbe significato dover cenare. E se cenavo, dovevo salutare il signor Pine. Era la cosa giusta da fare ma a me non andava. Era riuscito a donare a Nick un pomeriggio indimenticabile, anche se solo per un’ora e egoisticamente non volevo far scomparire dagli occhi del bambino quella luce gioiosa che lo stava animando.

“Purtroppo non può restare” pensai mentre aggiungeva una tovaglietta in tela marrone per lei.

«Può restare anche Chris a cena?» chiese Nick alzandosi e scuotendomi dai miei pensieri.
«Co…come?» balbettò la ragazza «Oh Nick, forse ora dovresti lasciare libero il signor Chris. Forse ha già qualche impegno. è venerdì sera.» constatò lei facendo sedere il bambino sullo sgabello.
«In realtà non ho niente da fare e qualsiasi cosa tu abbia cucinato sento un profumino» rispose il ragazzo che fino a quel momento non aveva fatto che osservare Nick e me e lo strano modo che avevamo di comportarsi. Nonostante Nick mi chiamasse MamLee, sembravo più che fossi io la madre che anziché la signora Marrazzo.
«Quindi se è valido l’invito di Nick, rimango volentieri…così poi potremo finire la partita» aggiunse avvicinandosi al bancone.
Mi trovai con le spalle al muro. Dire di no avrebbe significato vedere sparire la gioia dagli occhi di Dominick, accettare avrebbe significato prolungare quella strana giornata in compagnia di Chris Pine.

“Lo vuoi anche tu” ammisi nella mia testa mordendomi il labbro inferiore “inutile negare” mi dissi e per tutta risposta aprì il cassetto e porsi a Chris una tovaglietta.
Quello bastò per far gridare di felicità il bambino che quasi cadde dalla sedia.
«Non posso avere anche io una di Star Trek» giocò l’attore guardando quella di Nick, facendo gioire ancora di più il bambino.
«Si, MamLee usiamo le altre due. Io mi tengo Kirk però» esclamò incrociando le braccine sulla faccia stampata di Chris come a proteggerlo.
«Va bene va bene» accettai tirando fuori le altre due tovagliette: Spock e Uhura facevano ora compagnia a Kirk, mentre quelle di tela erano tornate nel cassetto.
«Bene Nick a lavare le mani e mostra il bagno al signor Chris» mi rivolsi al bambino e poi concessi loro un sorriso. «Intanto io finisco di preparare. Cotoletta o scaloppina?» domandai rivolgendomi all’uomo che seguiva, anzi veniva trascinato da Nick. «Se dico entrambe succede qualcosa» parlò Chris quando era già fuori dalla vista.
Non poté vedere quindi il sorriso vero e sincero che mi aveva colto, ma udì la mia risposta. «No niente non succede assolutamente niente!».
Quando tornarono dal bagno in tavolo c’erano un piatto con cotoletta, insalata e patate per Nick e un vassoio con scaloppina e funghi per me e Chris, in un altro piatto avevo posizionato altre due cotolette e il resto delle patate.

«Prego servitevi» dissi rivolgendomi ai due mentre si accomodavano e iniziava quella strana cena.
Se qualcuno ci avesse visti all’improvviso avrebbe pensato ad una famiglia felice.
“Niente di più lontano dalla verità.” pensai tagliando la carne. Se solo avessi rivelato la verità all’uomo che ora giocava e scherzava con Nick, probabilmente non saremo stati neanche più amici. Sarebbe successo esattamente quello che era successo quando avevo diciassette anni ed ero iscritta al primo anno della UCLA e poi quando l’anno dopo mi ero spostata alla Caltech. Tutti mi avevano additata, avevano preferito parlare alle spalle anziché scoprire la verità.

Quella notte di dieci anni prima, quando una diciottenne era stata trovata in una pozza di sangue e la vita di diciasettenne era stata spezzata nessuno era lì per sapere come era andata. Solo io. Lisa, purtroppo non c’era più.
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Dopo cena Chris e il bambino erano tornati alla partita, mentre io riordinavo e riempivo la lavastoviglie. I miei sarebbero ritornati da un momento all’altro. Avevo tenuto in caldo per loro i funghi e avrebbero aggiunto la carne in seguito così che non si raffreddasse.
Posai uno straccio sul ripiano bianco della cucina e guardai la strana scenetta che avveniva davanti ai miei occhi. Nick alzato sul divano raggiungeva a stento l’altezza di Chris, entrambi presi dal video gioco. Nick stava praticamente avendo il momento della sua vita e quella sera sarebbe stata duro mandarlo a letto.

La pendola nell’ingresso battè le otto e mezza. Era arrivato il momento che Nick andasse a dormire e che il principe seduto nel suo salotto tornasse alla sua vita scintillante.
«Nick» lo chiamai avvicinandosi al divano.
«Uhm» mugugnò il bambino senza staccare gli occhi dallo schermo.
«Sono le otto e mezza, devi iniziare a prepararti per andare a nanna» gli ricordai.
«MamLee…l’ultima partita»
Gli occhioni supplicanti di Nick avrebbero sciolto anche il cuore gelido del Grinch. E anche il mio, ma sapevo di dover fare la cattiva. Mi avvicinai al bambino e mi inginocchiai per essere alla sua altezza, una mano si mosse verso la testa per accarezzarlo.
«No, vai di sopra a prepararti. Hai detto di volere l’autografo di Chris, quindi vai di sopra lavati e metti il pigiama…e ricordanti i denti. Poi scendi con il poster da firmare.» parlai con dolcezza, convincendo alla fine il bambino.
«Vai Nick, io ti aspetto qui» furono le parole di Chris, che sorrideva amabilmente al ragazzino.
«Va bene torno subito» mormorò Nick fuggendo su per le scale.
Una volta soli ebbi un attimo di tentennamento, non sapevo cosa dire. «Ehm» mi schiarii la voce a disagio «Grazie per tutto Chris, non eri obbligato» lo ringraziai con un sorriso.
«Lo so, Rose. Mi ha fatto piacere passare del tempo con voi.» rispose Chris sistemandosi sul divano.
«No tu non capisci…hai reso la sua giornata indimenticabile…davvero. Grazie» spiegai meglio sedendomi anche lei sul divano a distanza di sicurezza da lui. Non che avessi paura, ma non era molto a mio agio con la vicinanza.
«Bhè non solo la sua spero» aggiunse facendomi arrossire ancora.
«Oh si certo…bhè sei pur sempre Chris Pine. Non sono una mentecatta» risi poggiando la schiena alla poltrona e chiudendo un istante gli occhi.
«Sembri molto stanca» constatò Chris avvicinandosi leggermente.
«Già…è stata una giornata pesante. Fortuna che domani è sabato»
«Non ti ho chiesto una cosa, ma se ti ho portato io qui, lunedì come ci torni a Pasadena» domandò tirando fuori dalla tasca il suo telefono. Doveva essere arrivata qualche email. Rimase a giocare con lo smartphone qualche minuto.
«Oh sinceramente non ci avevo pensato presa com’ero da Nick. Troverò un modo. Chiederò a mio padre di darmi uno strappo» risposi sollevando leggermente le spalle.
«Ah capisco…no lo chiedevo perché se vuoi io…» Non fece a tempo a finire la frase che si sentì una chiave che veniva infilata nella toppa e la voce di un uomo e di una donna.

«Di chi è quella Camaro nel viale?» si stava domandando l’uomo. Frank Marrazzo aveva circa cinquanta anni, capelli sale e pepe tagliati corti e profondi occhi verde mare. Era alto, molto, rispetto a sua moglie Margareth, che invece arrivava appena al metro e sessanta. La signora Marrazzo ricordava molto la figlia, nei colori e nel modo di fare. Tutti avevano quella tipica bellezza mediterranea che rendeva le persone del sud dell’Italia così interessanti.
«Rose sei in casa?» si sentì la voce di Margareth dall’atrio.
«Si mamma sono in cucina.» risposi alzandomi e facendo segno a Chris di seguirmi.
«Hai fatto mangiare Nick vero?» chiese ancora la donna. Era di spalle e non mi vide arrivare in compagnia di Chris «Come è and…» disse voltandosi, ma si bloccò di colpo vedendo che non ero da sola ma in compagnia di un uomo. Immediatamente le si aprì un sorriso sulle labbra e con pochi passi si avvicinò ai due.
«Rose chi il tuo amico?» domandò fissandolo qualche istante, poi prima che io potessi rispondere alla domanda si portò una mano perfettamente curata alla bocca. «Oh mio Dio…ma tu..tu sei» si incespicò con le parole, ma venne in aiuto suo marito che tornava dal soggiorno dove aveva poggiato la ventiquattrore.
Con il suo completo di sartoria, la camicia bianca leggermente sbottonata e i polsini slegati, Francesco “Frank” Marrazzo faceva ancora la sua bella figura.
«Con chi stai parlando Marge?» domandò l’uomo mentre sfilava i gemelli dai polsi e li infilava in tasca, quando guardò lo strano trio si bloccò un attimo.
Chris approfittò del silenzio per tendere la mano a mia madre e presentarsi «Salve signora, lieto di incontrarla. Io sono Chris. Chris…»
«Pine. Sei Chris Pine.» concluse Frank, raggiungendo la moglie. «Frank Marrazzo, felice di fare la tua conoscenza. In ufficio non si fa che parlare dell’ottimo lavoro che hai fatto con “The Finest Hours” e non vedo l’ora di vederlo.»
Chris sorrise imbarazzato mentre la mano sinistra stringeva la nuca.
«Io sono Margareth Marrazzo. Puoi chiamarmi Marge» si presentò la donna stringendo la mano del ragazzo.
«Allora» intervenni distogliendo l’attenzione da Chris. Mia madre sembrava avesse visto un angelo. Mio padre non si capiva. «Chris ha richiesto la collaborazione del mio dipartimento per alcune informazioni per il nuovo film. Pensavo venisse qualcuno della produzione e invece si è presentato di persona» spiegai indicando l’uomo al mio fianco. «Poi oggi Nick ha avuto una reazione allergica» aggiunsi scatenando la preoccupazione di sua madre.
«Oddio sta bene? Ora dov’è» domandò la donna visibilmente in ansia.
«Allergia a cosa?» chiese suo padre lievemente più pratico.
«Si sta benone mamma, solo una forte paura ma la presenza di Chris lo ha tranquillizzato, hanno passato tutto il tempo a giocare a Star Trek.» tranquillizzai velocemente mia madre poggiandole una mano sul braccio e poi mi rivolsi a mio padre. «Alle noccioline» aggiunsi. «Dicevo ero in compagnia di Chris quando mi hanno chiamato e dato che ero sconvolta ha insistito per accompagnarmi. Poi Nick non lo ha lasciato andare neanche per la cena» dissi infine.
«Oh ci scusi per il piccolo Nick. A volte non sa come contenersi» si scusò mia madre rivolgendo un sorriso all’uomo.
«Si figuri signora, è stato un piacere. Nick è una bambino meraviglioso e sua figlia cucina splendidamente. Sono stato io quello fortunato nell’aver passato la serata con loro»
Chris Pine era nato per essere affascinante, un po’ come il principe di Cenerentola. Sua madre praticamente pendeva dalle sue labbra. E probabilmente già stava pensando di rapirlo per me. Mio padre Frank decise di intervenire e salvare la situazione.
«Allora Chris, ti va di bere un bicchiere di vino con me o un liquore» chiese Frank poggiando un braccio sulle spalle del ragazzo. «Cosi Marge va di sopra a cambiarsi e...Rose potresti riscaldare qualcosa. Tu, Chris apposto? » parlò rivolgendosi ad entrambi i giovani.
«Si sto bene signor Marrazzo grazie» ringraziò Chris seguendolo «ma accetto volentieri un bicchiere di wisky» aggiunse sorridendo.
«Rose offri al signor Pine una fetta di dolce, è in frigo» disse mia madre mentre si avviava sopra.
«Dolce?» i sensi di Chris si allertarono.
«Si, è una torta al cioccolato, ne vuoi un po’?» domandai.
«Volentieri, grazie.»

Andai in cucina per prendere la torta dal frigo. Era una Sacher torte che mio padre doveva aver preso ieri sera. Era intatta fatta eccezione per una fetta. La lascia un po’ sul ripiano per farla ambientare e presi dalla credenza due piattini da dolce con forchettine. Sistemai tutto su un vassoio, poi mi concentrai sulla cena dei miei.
Misi a riscaldare i funghi e aggiunsi le fettine di carne già impanate. Lasciai andare tutto a fuoco vivo aggiungendo del vino rosso per allungare il sugo. La carne stava già cuocendo quando mia madre scese, in tenuta da casa, e mi affiancò.
«Vai di là, cara. Non vorrei che tuo padre facesse scappare via Chris. Sembra un così bravo ragazzo» disse prendendo il mestolo e ripassando i funghi, prese un po’ di sugo e assaggiò. «Mmm…molto buono, Rose. Hai seguito la ricetta della nonna sento» mormorò mia madre sorridendo. Ero felice che fosse come piaceva a lei.
«Si, esatto. » risposi prendendo la torta e tagliando due fette che sistemai nei piattini. «Vado, così Chris può mangiare la torta e andare. Ha già fatto troppo» dissi rivolta a mia madre.
«Perché mai lo vuoi cacciare» sussurrò mia madre facendomi fermare. Tutti mi accusavano di volerlo cacciare. Rimasi in silenzio e non mi voltai.
«Rose. Smettila di far scappare via tutti…o di cacciarli. Non sono tutti come…bhè sai lui» mi disse lasciando stare il mestolo e avvicinandosi per stringermi con fermezza la spalla, mentre io mi ricordavo di respirare.
«Lo so, mamma. Lo so. Non è giusto incasinare anche lui. Non credo che lui abbia un qualsiasi tipo di interesse, mamma. E anche se lo avesse…sarebbe un pazzo a dargli corso. Non può funzionare. Ha una carriera e un futuro radioso…io e…e Nick non possiamo rovinare tutto. Non merito di essere felice, non dopo ciò che è successo. E’ stata colpa mia, non saremo dovute andare…Lisa ora sarebbe qui e…Abbiamo già creato troppi problemi.»

Mentre parlavo avevo posato il vassoio sulla penisola e avevo risistemato la torta in frigo. Intanto dal piano inferiore era sceso correndo Nick, che aveva salutato mio padre con un «Papno».
Era una parola inventata, da lui. Nick sapeva che Frank Marrazzo non era il suo vero padre, ma suo nonno e aveva sempre pensato che fosse meglio chiamarlo così. Dopotutto legalmente era lui il suo tutore. Insieme a lei.
«Ascoltami bene» esclamò mia madre afferrandomi per le spalle «Tu e Dominick non avete creato nessun problema. Siete un dono, un magnifico dono. Quello che è successo quella sera non deve tormentarti, amore. Devi andare avanti. Lisa vorrebbe così. Ora hai Nick. Sta crescendo un modo meraviglioso.»
«Non grazie a me, mamma. Tu e papà siete magnifici ad aiutarmi.»
«Tu fa tutto il possibile. Stai cercando di fare il massimo, vuoi costruirti un futuro. Vuoi dargli un futuro che meritate entrambi. E non dire mai più di non meritare la felicità Rosaleen Elizabeth Marrazzo. Mai più. Ogni persona al mondo deve cercare la sua felicità. Chiunque lo meriti deve trovarla. E tu te lo meriti Rose, al 100%.»

Dopo quelle parole avevo gli occhi lucidi, sorrisi a stento, mentre con una mano asciugavo gli occhi umidi. «Grazie mamma.» mormorai prendendo il vassoio. Un respiro profondo e mi avviai verso la sala da pranzo, dove Chris aveva preso sulle gambe Nick e gli stava firmando qualsiasi cosa. Il poster dei due film, il suo videogioco, la maglia con la faccia di James Kirk. Ovviamente si fece firmare anche i due dvd e oltre a ciò una dedica personale.

«Nick. Non importunare troppo Chris» lo rimproverai sorridendo benevola. Non ero arrabbiata. Mi faceva sempre così piacere vedere Nick allegro.
«Hai finito?» domandai dopo aver poggiato il vassoio sul tavolo. Il bambino guardò prima Chris e poi sua madre. Alla fine annuì.
«Bene, allora augura la buonanotte al Signor Chris e poi vola a letto. Puoi leggere un po’ se vuoi. Io salirò sopra dopo aver salutato il signor Pine» gli dissi accarezzando per qualche secondo la sua testolina riccioluta.
«Va bene.» esclamò scendendo dalle gambe di Chris e raccogliendo i suoi preziosi averi. «Buona notte, signor Chris. Grazie mille per aver giocato con me» e sorrise.
«E’ stato un piacere Guardia Marina Nick Marrazzo. Possiamo giocare quando vuoi. » disse Chris facendo sorridere felicissimo Nick «Ora vai a letto, campione» aggiunse battendo la mano sulla spalla minuta del bambino, che poi volò di sopra.
 
«Bene questa torta» esclamò subito dopo Chris facendomi scoppiare a ridere e porsi lui il piattino con la fetta di Sacher.
«Che dolce è» domandò curioso mentre dava il primo morso
«E’ una Sachertorte. E’ un dolce austriaco. E’ sublime, provalo. E' difficile trovarlo, mio padre l'ha portata da Vienna quando è tornato ieri sera.» spiegai sedendomi al tavolo e iniziai a mangiare. Poco dopo si sentì mia madre che chiamava mio padre per la cena. «Vado a cena.» si alzò quest'ultimo e poggiò una mano sulla spalla di Chris. «E’ stato un piacere conoscerti…ci vedremo sicuramente. Penso di fare un salto al D23 quest’anno. So che tu ci sarai per “The Finest”.»
Chris si alzò per salutare mio padre «E’ esatto, signor Marrazzo. E’ stato un piacere incontrarla» disse mentre stringeva la mano dell’uomo e guadagnandosi una pacca sulla spalla. Poi tornò a sedersi e alla torta. Era calato il silenzio, un’imbarazzante silenzio.

«Allora…»

«Allora…»

Avevamo parlato insieme, risi leggermente imbarazzata e lo guardai, feci segno di parlare «Prima tu.»
«No no prima tu» rispose lui.
«Allora…» risi «Hai idea di quando richiedere il prossimo incontro?» chiesi tanto per dire.

«Oh…» sembrava deluso «Sinceramente almeno la settimana prossima. Ho delle cose da fare nei prossimi giorni. Ho delle riprese da fare agli studi Paramount e poi una breve pausa, dopodiché volo in Canada» spiegò velocemente mentre finiva il dolce e beveva l’ultimo goccio di liquore.

«Oh…» sembrai delusa «Capisco…cavolo un programma bello pieno. La mia settimana non è così variegata. Casa, Caltech, Nick e genitori se posso, Casa» spiegai ridendo.

«Perché non vive con te, Nick?» domandò Chris voltandosi. L’ultimo pezzo di torta quasi mi andò di traverso. Tossii.
«In…in ch-che senso?» domandai leggermente senza fiato e la paura negli occhi.
«Volevo dire…cioè…come mai vive con i tuoi e non con te? Sarebbe più comodo vederlo…» sembrava leggermente impacciato in quel momento. Non aveva più quel aria sicura di sé. Era come un adolescente che chiedeva alla ragazza che le piaceva se voleva uscire.
«E..e…non avrebbe senso no…Nick deve stare con i su-suoi genitori» parlai lentamente tentando di nascondere il tremolio nella voce.
«Rose…non devi preoccuparti...»
«Ecco, senti. Si è fatto tardi. E’ stata una lunga giornata…vorrei andare a letto.» mormorai velocemente alzandomi da tavola e raccogliendo i piatti e cominciando a riordinare. Chris mi bloccò il braccio e sembrava sul punto di parlare, quando guardandomi negli occhi si doveva essere accorto di quanto quel discorso doveva farmi stare male. Avevo il respiro corto e gli occhi lucidi, un grosso pugno mi bloccava la gola.
«Va bene Rose…ti aiuto» disse solamente portando lui il vassoio in cucina. Scambiò due parole con mia madre, li sentì salutarsi con un invito da parte della signora Marrazzo a passare a trovarli, poi tornò indietro.

«Rose…senti scusami…non volevo farti stare…male» mi disse leggermente impacciato.
Tentai di sorridere, senza molto successo «Tranquillo Chris. Tutto apposto.» risposi mordendomi le labbra, e avviandomi alla porta. Dall’attaccapanni prese la giacca di pelle e si voltò a guardarmi.
«Ascolta…volevo chiederti...Potrei avere il tuo numero…così...»
«Oh certo, ti do un mio biglietto così quando hai bisogno di un appuntamento in ufficio basta che fai un colpo di telefono» lo fermai andando a pescare dalla borsa appesa nell’entrata il mio portafoglio da cui tirai fuori un bigliettino da visita.
«Si certo…un appuntamento in ufficio» mormorò lui prendendo il pezzo di carta. «In realtà volevo sapere se potevo sentirti di tanto in tanto.» Sotto il mio sguardo dubbioso e leggermente sorpreso si affrettò ad aggiungere «Anche per Nick…sai ho promesso che avrei giocato ancora con lui.»
«Oh si certo…sono sicura che a Nick farà piacere» dissi in un tono appena deluso aprendo la porta. Lo accompagnai fino alla macchina. «Come preferisci…hai il mio numero…qualsiasi cosa ti serva, basta che mi fai uno squillo.» risi, leggermente sorpresa da quella cosa. Andava bene, cioè a me andava sicuramente bene. Avevo il cervello in panne.

«Oh…grande. Allora buona serata…anzi buona notte» mi salutò chinandosi a darmi un bacio sulla guancia.
«Bu-buona notte a te.» lo salutai di rimando. Mi allontanai avvicinandomi all’ingresso. Prima di entrare mi voltai a salutarlo con la mano, non era ancora partito. Solo dopo che fui entrata sentii il rumore del motore e la macchina che si allontanava.

Evitai con cura i miei, non volevo un terzo grado, quindi li salutai velocemente adducendo la stanchezza come scusa.
Salita di sopra passai a salutare Nick, il quale si era già addormentato con un libro sul petto e la luce accesa. Aveva passato una giornata strana, iniziata normalmente, poi peggiorata e infine era stata forse la giornata migliore della sua vita. Avevo un sorriso così grande mentre dormiva che quasi mi fece ridere. Lo sistemai meglio, togliendo il libro dalle mani e sistemando il lenzuolo, poi mi chinai a dargli un bacio.
«Sogni d’oro, piccolo mio» mormorai prima di spegnere la luce e uscire dalla stanza.

Mi preparai per andare a letto, come un automa. Quella giornata mi aveva stremato. Non tanto per la presenza di Chris, in quanto attore, ma per tutto ciò che era successo legato a Nick.
Nick era qualcosa che tenevo sempre e solo per me. Anche al laboratorio pochi sapevano chi fosse realmente. Leonora e Scott erano tra questi, gli altri pensavano che fosse mio fratello.
«Fratello!?» risi istericamente mentre mi mettevo a letto. Con Chris quella farsa non aveva retto a lungo. Era troppo palese che Nick non fosse mio fratello, ma mio figlio. Era stata una lunga giornata.
Mi misi a letto per leggere un po’, anche se gli occhi mi si chiudevano dal sonno, poco prima che mi addormentassi la vibrazione del mio cellulare mi risvegliò. Lo presi sbadigliando leggermente. Era un messaggio, quando lo aprì e lo lessi, mi sveglia di colpo.

213******: Spero di non averti svegliato…sono Chris. Volevo farti avere il mio numero e ringraziarti per la tua compagnia. Ho passato un bellissimo pomeriggio. Buona notte Rose. C

Anche se ancora leggermente assonnata, riuscii a rispondere in maniera normale. Un messaggio breve, non avevo molta dimestichezza con quelle cose.

Rose: Oh tranquillo, stavo leggendo. Dovrei ringraziarti io, non il contrario. Nick è caduto come una pera cotta e dorme con un sorrisone sul volto. Davvero dovrei ringraziarti io non il contrario. Comunque sono felice che anche se non era il pomeriggio che ti eri programmato, la cosa non ti abbia dato fastidio. Te ne sono grata. Buona notte Chris. R.

Forse non era il miglior messaggio del mondo, ma non ero più abituata alle relazioni sociali, soprattutto con l’altro sesso e con un qualcuno che fosse così importante. Passò qualche minuto, ma non ottenni risposta.
“Cosa ti aspettavi” pensai girandomi sul fianco e spegnendo la luce “La tua risposta era così fredda”.
Mi addormentai subito dopo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Caph ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. 
Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.


Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 1


Capitolo 4- Caph
Beta Cassiopeiae (β Cas, β Cassiopeiae), conosciuta anche con il nome tradizionale di Caph, è una stella nella costellazione di Cassiopea. Di norma Caph è la terza stella più brillante della costellazione, dista dalla Terra circa 55 anni luce. Il suo nome deriva dall'espressione araba الكف الخصيب, al-Kaff al-khaīb, cioè "La palma fertile".

 
«Cioè tu mi stai dicendo che hai messaggiato tutto il weekend con Chris Pine e non la trovi un’informazione da riferire alla tua migliore amica!»
Questo fu il saluto di Leonora, il lunedì mattina.
«Nora, per favore vorresti abbassare la voce. Non vorrei finire sulla bocca di tutti» la supplicai mettendole una mano davanti alla bocca. Lei e la sua cavolo di voce da soprano. Mugugnò una domanda incomprensibile. «Che hai detto?»
Alzando gli occhi al cielo, Leonora mi indicò la mano sulla bocca e io mi affrettai a toglierla.
«Ragione, scusa. Che hai detto? Ripeti.»
«Quindi quando vi vedrete…» mi chiese con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Sicuramente non lo vengo a dire a te.» risposi piccata, appoggiandomi alla scrivania del mio studio.
«E dai, Rose. Non puoi fare questo alla tua migliore amica» mormorò con la sua migliore faccia da cucciolo. Cosa a cui io non riuscivo a resistere.
«Oddio…non fare così…non è giusto» esclamai esasperata lanciando in aria le mani.
«Suvvia…non fare la preziosa. Oddio e pensare che potevo essere io…» borbottò senza vergogna. Mi voltai a fulminarla. «Ho ragione…sono più socievole di te…non fare quella faccia…e dai Rose sto scherzando»
«Non sei divertente»
In fondo sapevo che era vero. Io non ero molto divertente.
«Allora?!» chiese ancora. Era impossibile trattenerla.
«Allora, niente. L’ho incontrato venerdì, mi ha accompagnato a prendere Dominick che aveva avuto una crisi allergica…no tranquilla ora sta bene…poi sai com’è Nick, l’ha praticamente rapito. Hanno giocato a Star Trek…già non ridere…davanti alla televisione mentre preparavo la cena, ha mangiato con noi…non farti film ragazza… e non ti leggo il pensiero ma le tue facce sono esplicite. Ha, purtroppo, incontrato i miei…si purtroppo, mia madre voleva già rapirlo…e poi prima di andarsene mi ha chiesto il numero di telefono. Mi ha mandato un messaggio prima di coricarmi e basta…poi ci siamo sentiti un paio di volte. Nulla di più ed erano per lo più tutte domande su Dominick» spiegai velocemente mentre mi voltavo verso la scrivania e prendendo alcuni documenti. Dovevo andare a controllare una serie di progetti.
Leonora d’altra parte aveva un sorriso enorme e gli occhi luccicanti come se stesse guardando i negozi di Rodeo Dr. Era inquietante.
«Oddio, smettila. Mi fai paura. Sei inquietante» rabbrividii.
Se qualcuno mi avesse visto con Leonora e poi con gli altri, penserebbe che io sia bipolare. Una sorta di Dott. Jekyll e Mr. Hide.
«Perché che faccia ho?» domandò innocentemente la mia amica.
«Una faccia che non mi piace. Forza a lavorare. Hai i risultati dei test su quei materiali?» domandai spingendola fuori dall’ufficio e lungo il corridoio. Sbuffando Nora mi tese una cartellina.
«Si, i risultati sono buoni. Non eccellenti. Sembra che la matrice non riesca a resistere oltre un certo sforzo a quella temperatura. Dovremo provare a qualche altro processo di realizzazione. Forse la sinterizzazione. E pensiamo anche ad altri compositi.» mi riassunse mentre io leggevo i dati. Dovevo presentare due progetti quella mattina, tutti e due ai consulenti della Northop-Grumman, una società leader nell’industria aereospaziale e della difesa. Era un candidato eccellente per me, speravo di riuscire a lavorare con loro in seguito. Respirai a fondo, ero leggermente in ansia e Nora dovette accorgersene. Mi poggiò una mano sulla spalla e mi costrinse a fermarmi.
«Ascolta Rose. Non sono te e non ho il tuo cervello, ma sono abbastanza intelligente da dirti che se non ti assumono sono dei deficienti.»
«Nora, la loro azienda fattura miliardi. Non credo siano deficienti» puntualizzai per niente rassicurata.
«Si, lo sono se non ti offrono un contratto. Ora vai lì e falli secchi» mi disse indicando una sala riunioni dove potevo vedere già seduti in giacca e camicia tre uomini e una donna. Prima di entrare feci un respiro profondo e mi calmai.
“O al diavolo” pensai entrando con decisione nella stanza.

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«Bene, dottoressa Marrazzo. I suoi risultati sono interessanti.» disse uno degli uomini alla fine del secondo ciclo di domande, mentre sfogliava di nuovo il plico di presentazione. Gli altri attorno al tavolo annuirono.
«Ha seguito bene questi progetti nonostante combinasse aspetti non previsti dalla sua laurea. Una dottoressa in Astrofisica alle prese con la chimica dei materiali. Lei cosa ne pensa? Crede che sia stata un’esperienza utile? » mi domandò la donna guardandomi con attenzione e congiungendo le mani davanti al volto.
«Ehm» tossicchiai «Sinceramente…quando me lo hanno proposto ero molto scettica. Per le ragioni che ha già detto lei. “una dottoressa in Astrofisica alle prese con la chimica dei materiali”. Non mi sarei data un centesimo. Poi ho cominciato a comprendere quanto le connessioni tra le due materie possano essere profonde e utili per la scoperta di nuovi materiali da testare in condizioni critiche come quelle dello spazio. Sappiamo chiaramente che l’esplorazione dello spazio è solo all’inizio e siamo lontani anni luce dalla fantascienza che ci viene offerta in altre strade» dissi facendoli ridere. Navigare alla velocità della luce e superiore è un sogno per l’uomo e per l’umanità, un miraggio scientifico degno del miglior film di Star Trek.
«Sappiamo tutti come i progressi da fare in questi campi siano molti e soprattutto necessaria la completa interazione fra tutte le branchie della scienza. Non solo fisica e chimica, ma anche biologia e matematica. Sinceramente mi ha aiutato ad aprire molto i miei orizzonti…e se lo dice un’Astrofisica il cui argomento preferito è l’espansione dell’universo…» aggiunsi facendo sorridere tutti i presenti. Alcuni annuivano soddisfatti, solo uno non sembrava manifestare nessuna emozione. Io al contrario ero molto coinvolta nella faccenda. Lavorare con loro avrebbe significato poter finalmente pensare di costruire un futuro.
«Il suo lavoro qui quanto durerà?» mi chiese il primo uomo alla mia destra, quello meno convinto.
«Se i risultati di luglio si manterranno tutti come quelli di oggi, credo che per inizio settembre di poter concludere tutto, anche la pubblicazione.» spiegai velocemente. Sapevo quanto fossero importanti le risposte brevi e concise.
Era una buona cosa che mi domandassero quando avrei finito. Ovviamente non ci speravo, dovevano finire il giro di presentazioni per poter offrire un posto.
«Perfetto. Allora direi che è tutto» chiese lo stesso uomo ai colleghi i quali annuirono, alzatisi cominciarono a raccogliere il materiale che avevo portato loro.
«Si certo, vi faccio strada.» dissi cordiale.
«Ha con sé un curriculum dottoressa? » mi chiese la donna. Fu una domanda inaspettata ma ricevuta con piacere. «Certo» mi affrettai a dire, e dalla cartellina in pelle tirai fuori un plico di fogli con la dicitura “CURRICULUM VITAE – ROSALEEN E. MARRAZZO” e glielo porsi. «Ecco. Ora se volete seguirvi vi indico la strada.»
Quando scomparirono dietro il metallo dell’ascensore mi concessi un attimo. Un grido silenzioso mi scosse totalmente, mentre l’adrenalina scemava. Era fatta. Avevo decisamente un pensiero in meno. Tornai allora in laboratorio. Dovevo eseguire assolutamente altri test e poi volevo parlare con Leonora. La prima cosa che feci fu mandare un messaggio a mio padre con la notizia che forse di lì a tre mesi non avrei avuto più tanti pensieri.
Forse qualcosa stava andando bene finalmente, speravo solo che il mio passato non tornasse a tormentarvi.

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4 giorni dopo

«Mi stai dicendo che non si è fatto più sentire? E poi ti ha chiamato così all’improvviso» mi stava chiedendo Leonora per l’ennesima volta.
«Si, Nora. Esatto. Eviteresti di girare il coltello nella piaga» mormorai mentre indossavo la mia tenuta da casa. Un paio di pantaloncini di cotone con una canotta, ai piedi avevo le mie havaianas preferite. Mi arrampicai sul divano e accesi la televisione. «Non so neanche io perché non ho risposto alla chiamata. Alla fine potevo anche rispondere.» mormorai dispiaciuta. Da cosa poi?
In realtà dopo tutti quei messaggi, mi ero fatta un po’ di castelli per la testa. Quella settimana non poteva venire in ufficio, me l’aveva detto subito, già il lunedì mattina, ma non farsi sentire per quattro giorni quando mi aveva praticamente bombardato di messaggi nel fine settimana aveva ferito il mio amor proprio.
«Hai fatto bene a non rispondere» mi disse Nora mentre assaggiava qualcosa dal pentolino.
«Dici?» domandai insicura. Forse avevo sbagliato. Avrei dovuto rispondere. «Forse dovevo rispondere…forse è stato solo troppo impegnato Nora. Alla fine mi aveva detto che sarebbe andato in Canada per filmare.» lo giustificai prendendo tra le mani il telefono.
«Si ma un messaggio» disse ancora la mia coinquilina.
«Dai Nora, non è che posso pretendere chissà cosa. Forse non ha avuto tempo e basta e io chi sono per pretendere che lui mi contatti. Cioè hai capito di chi stiamo parlando? No sono stata stupida, avrei dovuto rispondere. Mi sono comportata da bambina.»
«Va bene, allora richiamalo»
Mi stava decisamente accontentando.
«Sei impazzita e cosa gli dico.» urlai lanciando quasi il telefono per aria.
«Oddio, Rose e cosa vuoi che ti dica. Lui non richiamerà, non dopo che gli hai chiuso il telefono in faccia, ragazza. Quindi hai due scelte: o ti stai zitta e non rompi più l’anima oppure alzi quelle belle chiappette che hai e lo chiami, anzi perché non lo inviti a cena, vi lascio la casa» mi disse sorridendo maliziosa.
«Ma smettila…lo sai che non posso» mormorai imbarazzata e anche leggermente terrorizzata all’idea. In realtà per la prima volta il pensiero non è che mi faceva ribrezzo, ma avevo comunque molte reticenze. Alla fine non stavo con un uomo praticamente da dieci anni. E quella non era stata l’esperienza migliore della mia vita.
«Lo so, tesoro…scusa non volevo fartici pensare…ma mi hija devi cominciare a vivere…tu non hai mai cominciato. So che quando hai iniziato a farlo hai subito quella violenza, ma non puoi vivere per sempre da sola, sai che dico il vero. Non sarà Chris, sarà un’altra persona…non so, ma sai anche tu che hai bisogno di qualcuno al tuo fianco. Non solo per te ma per Nick, che ha bisogno di un padre.»
«Nick ha un padre…mio padre lo sta crescendo come se fosse suo figlio» mormorai senza alzare lo sguardo.
«Sai cosa intendo…devi cominciare a costruirti una tua famiglia. Vuoi veramente vivere per sempre qui con me a Pasadena? Quando comincerai ad andare avanti. Ne hai bisogno.»
Leonora sapeva parlare, sapeva sempre cosa dirmi, come portarmi al limite. Avevo questo groppo nello stomaco da giorni, la non presenza di Chris Pine era stata semplicemente il pretesto, inutile. La verità era un’altra. A 28 anni non mi sentivo realizzata, non sapevo cosa fare. Avevo una carriera accademica alle spalle notevole, ma non potevo restare per sempre a Pasadena e alla Caltech, dovevo costruirmi un futuro, solido, così che io e Nick potessimo vivere insieme.
«Hai ragione» piansi stringendo le gambe al petto. «Io devo cominciare a pensare cosa fare. Comincerò a cercare una casa da domani, per me e Nick. Anche se dovrei prima avere la certezza di uno stipendio» a quel punto stavo ridendo. Ero un ormone vivente in quel periodo.
«Puoi sempre vendere questo» mi disse Nora venendo a sedersi vicino a me.
«No, Nora. E tu dove andresti? » le chiesi sconvolta a quella proposta.
«Troverei un altro posto.» mi disse lei tranquillamente. Sapevo che era un opzione che non era perfetta per lei. Da me non pagava affitto, dividevamo le spese della casa, spesso pagava lei le bollette per non sentirsi troppo un peso, ma sapeva che a me non importava.
«No, assolutamente. Affitterei, anzi troveresti tu qualcuno a cui affittare, così avrei qualcosa per coprire il mutuo.» disse senza accettare altre risposte. Al suo tentativo di parlare scossi la testa. «Non provarci nemmeno, non vendo e non ti faccio pagare.» e con quello per me il discorso era chiuso.
«Va bene.» disse soltanto ma lo vedevo dai suoi occhi che la sua gratitudine era così grande che per me superava qualsiasi pagamento. Senza Nora mi sarei persa, non sarei sopravvissuta dieci anni.
«Torno al sugo» disse poi alzandosi e tornando a cucinare. Io presi il cellulare e mi allontanai. Se dovevo fare quella chiamata volevo essere da sola.
Era ancora presto, erano appena le sei e mezza. Avevamo finito prima all’università e quindi non sapevo se lo avrei trovato. Stavo per comporre il numero quando il mio telefono squillò. Era un numero che non conoscevo, il prefisso mi sembrava di Burbank, ma non ne ero certa, mi sembrava lo stesso prefisso dell’ufficio di mio padre.
«Dottoressa Marrazzo» risposi con il mio tono più sicuro.
«Buonasera dottoressa, sono Carla Verderame, responsabile Risorse Umane della Northrop-Grumman. Abbiamo valutato il suo curriculum, e siamo interessati alla sua figura professionale, è disponibile per un colloquio?»
Il telefono mi era quasi caduto di mano e per un secondo quasi non emisi un fiato.
«Pronto? Dottoressa è ancora in linea?» mi chiese ancora la donna.
«Si scusi, la linea era disturbata e mi sono spostata per sentirla meglio» mentii per evitare figure.
«Bene, allora glielo ripeto, la chiamo da parte della Northrop-Grumman e saremo interessate a farle un colloquio. La settimana prossima sarebbe disponibile?»
«Assolutamente, si.»
«Ha qualche preferenza?»
«Assolutamente nessuna.» risposi, mentre un sorriso enorme mi compariva sul volto.
«Allora vorrei vederla Lunedì mattina alle dieci e trenta. Alla sede di Burbank.» mi disse la donna, segnai al volo l’informazione su un foglio che poi tenni in mano.
«Perfetto, alle 10.30 sarò lì.»
«Mi assicurerò di comunicare il suo nominativo all’ingresso, le chiederanno un documento di riconoscimento.» mi spiegò ancora la dottoressa Verderame.
«Nessun problema.» la rassicurai.
«Allora a lunedì. Buona serata, dottoressa Marrazzo.»
«Grazie mille e buona serata a lei.»
Chiusi la chiamata e non potei trattenermi. E urlando felici corsi in cucina per comunicare la notizia a Nora e poi ai miei. Le cose cominciavano a girare per il verso giusto.

_________________________________________

Avevo preso un appuntamento per sabato. Presi un giorno di congedo. Scott era stato oltremodo contento di sentire la notizia, sollevato che forse il mio futuro non era poi tanto oscuro e inoltre avrei potuto collaborare ancora con la Caltech. Avevo deciso di passare la giornata con Nick, ma soprattutto di fare qualcosa che desideravo fare da tempo ma che non avevo mai avuto il coraggio.
Contattai un agente immobiliare della zona di Los Feliz per chiedere informazioni su eventuali case visitabili nella zona. Risparmiavo per quel momento da sempre, avevo la fortuna di avere due genitori e una vita agiata e non mi ero mai preoccupata di non poter mettere da parte qualcosa. L’agente che contattai si dimostrò subito interessato, era molto noto nella zona e su diversi siti era recensito in modo ottimo. Spiegai lui le mie esigenze, volevo una casa con almeno due stanze, che fosse a Los Feliz o nelle vicinanze, che comunque contasse come scuola elementare di riferimento la Cherimoya, così che Nick potesse continuare a frequentare le stesse compagnie. La cifra che volevo spendere non poteva superare i due milioni, anche con l’aiuto dei miei avrei dovuto chiedere un mutuo che avrei pagato grazie all’affitto di Pasadena, anche se speravo di restare sotto uno e cinque per non dover prendere finanziamenti.
Avevo appuntamento alle 10.30 nel parcheggio della scuola. Avevo preso Nick e volevo portarlo con me. Quel giorno mi ero anche impegnata nel vestirmi, pescando alcuni capi dall’armadio di mia madre. Volevo che comunque l’agente avesse fiducia in me e mi mostrasse case che fossero interessanti.
In pratica non volevo essere presa sottogamba.
Avevo indossato un abito di mia madre estivo, era di Oscar de La Renta e mi veniva l’ansia solo a toccarlo, era di cotone a quadroni bianchi e celesti, ai piedi indossavo un paio di sandali con il tacco doppio, da giorno, avevano due fasce, una color celeste l’altra era color panna, che riprendeva tutti gli accessori: borsa, orologio e occhiali. Nick al mio fianco era impaziente, avevamo anticipato un po’ i tempi e ora aspettavamo l’arrivo dell’agente immobiliare.
Una BMV M4 cabrio entrò nel parcheggio all’orario prestabilito, alla guida un giovane sui trent’anni, aveva l’aria di uno affascinante, che sapeva come muoversi nell’ambiente e soprattutto abituato a trattare con grosse cifre.
Si accostò alla mia auto, avevo preso in prestito da mio padre la sua Opel Cabrio, che non usava mai. «La dottoressa Marrazzo?» domandò l’uomo senza spegnere il motore. Doveva essere di origine latino-americane, almeno questo deducevo dai suoi capelli e occhi scuri, la carnagione olivastra e il sorriso splendente.
«Si, è il signor Fontamilla*?» mi accertai e sorrisi al suo cenno d’assenso. Nick dal sedile del passeggero si sporse in avanti per essere notato. «Ciao, io sono Nick» si presentò, voleva essere parte della conversazione. Si era sentito messo in disparte.
«Hai ragione, Nick.» dissi rivolgendomi qualche istante a lui. «Lui è mio figlio, sarà parte integrante della cosa, visto che se non piace lui la faccenda mi sa che non andrei da nessuna parte» confessai ridendo. John fortunatamente sorrise anche lui. «Certo, Nick. Ti troverò una casa bellissima.» A quel punto si rivolse a me. «Ci muoviamo con due auto, signora. Dopo di lei ho un altro appuntamento.» mi spiegò rivolgendomi poi uno sorriso smagliante.
«Certo, io la seguo. Questo è un primo giro, non credo che prenderò la mia decisione oggi.»
«Ovviamente. Bene, la prima casa che vi voglio mostrare non è molto lontana da qui. Dire di andare.»
Annuì e misi in moto seguendolo sulla Franklin. Diceva il vero che era molto vicina, visto che si fermò in St Andrews. Davanti alla casa ci aspettava un uomo. Quando scesi dall’auto, presi per mano Dominick, chiusi la macchina e mi avvicinai al signor John, il quale mi presentò il collega. La casa non era affidata a lui, quindi per mostrarmela aveva dovuto contattare il suo amico e collega, rientrava nel mio budget e aveva le caratteristiche che mi servivano, con tre camera da letto, ma a Nick non piacque l’arredamento. Cosa che fece ridere tutti noi.
«Amore, quello lo cambiamo. Pensala vuota e poi la riempiamo. Ti piace come è fatta?» chiesi sul patio.
«Mmm…si, ma non so mamma, è strana.» borbottò per niente convinto. Annuì e passai una mano sui suoi capelli. Intervenne John.
«Ora Nick ne andiamo a vedere un’altra. Grazie Emmanuel…ti farò sapere.» e ci avviamo verso le auto. Questa volta salimmo verso le colline di Hollywood. Speravo che non sarebbe salito di troppo anche il prezzo. Ci fermammo davanti ad un’abitazione che era interessante.  Era ad un piano solo, ma sembrava abbastanza ampia e con molto verde.
I proprietari non erano in casa, ovviamente così io e Nick potemmo girare e fare tutte le domande. Soprattutto Nick. Non aveva la piscina, per suo disappunto, ma la casa era molto bella. L’interno era tutto sul bianco e colori chiari, c’era molto marmo e tutto era molto luminoso. Sul  retro un balcone in legno fungeva da terrazza e occupava tutta la lunghezza della casa. Mi diede una bella impressione. Era molto calma e c’era tranquillità.
Il prezzo era piccolo e rientravo abbondantemente nel budget.
Le altre due case, invece, erano più alte del mio budget iniziale, ma John insistette per farmele vedere, il prezzo sarebbe potuto scendere ed erano delle ottime occasioni. Sempre nella stessa zona.
Anche se da sopra ai due milioni, le case erano meravigliose. La prima aveva quattro camere da letto e spazio in abbondanza. Era immersa nel verde, si poteva vedere la città, non era molto lontana dal centro, ma vi era un’assoluta pace. A Nick piacque molto, e passò il tempo a passare da un piano all’altro dei tre di cui era composta la casa.
«E’ molto vivace» mi disse John mentre guardava Nick affacciarsi al balcone. Ancora.
«Non ne ha idea» commentai facendolo ridere. Sistemai la borsa a tracolla e lo andai a recuperare.
«Ora basta, non correre avanti e indietro, sudi solo e non ti godi niente.»
«Mamma, ma non ha la piscina!!»
«E’ così importante?»
«Si, tutti a scuola hanno la piscina! Anche Cory Carmichael.» mi disse nominando un amico con cui non andava molto d’accordo.
«O capisco.» risi mettendogli le mani sulle spalle. «Si ma Cory Carmichale non abiterebbe sulle Hollywood Hills. Tu invece si.» gli dissi sorridendo provando a convincerlo. Lui parve rifletterci un po’, poi rispose.
«Hai ragione, ma con la piscina è meglio.»
Era una testa dura lui.
«John, hai qualcosa con la piscina da farci vedere.?»
«E’ una vasca idromassaggio, ma saliamo un pochino.»
«Di quanto?»
«Sessantamila»
«Va bene, andiamo a vederla.»
«Non è molto lontano.»
Lo seguì e come aveva detto lui non era lontana. Nonostante fosse più piccolo e ben più moderna nell’arrendamento, costava ovviamente di più, il vicinato era silenzioso al momento, c’era veramente tanto verde, il terreno non mancava.
Ciò che mi colpì di più fu il soggiorno con la vetrata fin sopra al soffitto, si poteva ammirare il cielo da lì e non nascondevo che mi sarebbe piaciuto passare una serata di San Lorenzo a guardare le stelle cadenti. Il terrazzo era piccolo con la vasca idromassaggio di cui ci aveva parlato John. Dal balcone si poteva vedere anche l’insegna di Hollywood. Vi erano solo due stanze da letto, non era quindi molto grande. Di fatto avrei pagato molto solo per la zona in sé. La casa era meravigliosa, ma spendere tutto quel denaro per una casa che di fatto era un po’ piccola non rientrava nei miei piani. Forse potevo ottenere il permesso di costruzione di una vasca idromassaggio nella casa di prima. Ne parlai con John, mentre Nick contemplava il panorama.
La mia domanda lo sorprese, ma non avendone certezza promise di informarsi se fosse possibile, non volevo una vasca olimpionica dopotutto, ma una vasca circolare di un paio di metri.
Conclusa la visita, uscimmo dalla casa e ci avviamo alle macchine. Mi congedai dall’agente. «Bene signor Fontamilla, le sue proposte sono molto interessanti. Per quanto riguarda il suo ingaggio, potrei passare per il suo ufficio e firmare qualche documento.  Vorrei vagliare diverse cose, tra cui devo comunque considerare la richiesta di un finanziamento. Nel frattempo se avesse altro da mostrarmi mi tenga in considerazione. » dissi tenendo la mano e stringendo con forza quella dell’uomo.
«Possiamo vederci con calma la settimana prossima. Intanto potrò fare delle altre ricerche e anche verificare quello che mi ha chiesto.» annuì John sorridendole. «Posso contattare per lei alcuni istituti di credito e vedere che tasso possono offrirle. Lei ha idea di quanto avrebbe bisogno?»
«Al momento no. Devo parlare anche con i miei, si sono resi disponibili per un aiuto e per essere miei garanti. Dipende anche da che casa scelgo.» risi, facendo sorridere anche l’agente.
«Ovviamente. Se ho altro, la contatto. Arrivederci…e ciao Nick» sorrise salutando il bambino che giocava con l’erba vicino al cancello.
«Arrivederci signor Fontamilla…Oddio Nick alzati…ti sporcherai tutto. Andiamo» mi avvicinai facendo rialzare e spolverando con le mani i calzoncini. «Un giro in lavatrice e va via tranquillo» lo rassicurai sorridendo. Ci avviammo mano nella mano alla macchina. Una volta in moto utilizzai la rampa che portava alla casa che avevamo appena visitato per fare inversione di marcia.
«Mamma?»
«Si, tesoro?» chiesi senza guardarlo, intenta com’ero nella manovra.
«Possiamo fare un giro per le colline.»
«Si amore, perché no.»
Era una bella giornata. Ci saremo fatti un giro con la decapottabile, come due turisti. Non passavamo molto tempo assieme io e Nick e avevo intenzione di recuperare. Quella frase di Chris che mi chiedeva come mai non vivessi con lui mi aveva fatto salire il senso di colpa.
«Ora scendiamo e la prima strada che prendiamo vediamo dove porta, ok?» disse cominciando a seguire la strada, all’incrocio voltai a sinistra, era una manovra ad U ma presi bene la curva. A quello successivo feci scegliere a Nick
«Destra o sinistra?» chiesi.
«Destra!!» urlò felice, sembrava un’avventura per lui. Seguì quanto detto, andai a destra. La strada era un po’ più sterrata. Vi erano molti giardini e tanti alberi, era un posto completamente diverso, anche l’aria sembrava più pulita. Seguì la strada per un minuto scarso, quando ci trovammo davanti ad una strada privata. Era un vicolo cieco.
«E’ già finita?» chiese Nick facendo il gesto di scendere.
«Si amore, fermo che ora faccio manovra.» Tornai indietro e presi la strada sulla sinistra.
Dopo un centinaio di metri, successe qualcosa. Uno scoppio e improvvisamente la macchina sussultò inclinandosi verso sinistra. Strinsi gli occhi mentre capivo cosa avevo combinato.
«Mamma…Mamma, cosa è successo?» gridò Nick spaventato mentre si sporgeva per vedere.
«Mamma ha bucato» borbottai mentre sganciavo la cintura e scendevo dall’auto. «Nick scendi, ma non ti allontanare. Non ci metterò molto a cambiare una ruota» dissi mentre andavo ad aprire il bagagliaio. O meglio provavo, visto che ovviamente non avevo premuto il pulsante di apertura.
«Amore, vai vicino al sedile della mamma, c’è un pulsante giallo. Premilo. Non toccare altro» dissi guardando Nick, che ubbidiente si avvicinò allo sportello, lo aprì e guardò sotto il volante.
«Mamma quale ce ne sono tanti.»
«E’ giallo, amore» dissi senza muovermi. Era per Nick una specie di compito e doveva svolgerlo da solo. E anche se prima di trovare il pulsante giusto, azionò i tergicristalli e l’autoradio alla fine sentii un click segno che aveva trovato il pulsante giusto. Aprii il portabagagli e spostai il fondo, lì c’era la ruota di scorta e il crick.
Strumenti alla mano mi apprestai a sostituire la ruota. Intanto alle mie spalle sentii che stava arrivando una macchina, speravo non dovesse entrare proprio nel cancello davanti al quale mi ero fermata visto che io lo bloccavo. L’auto si fermò subito e scese qualcuno. Io ero troppo concentrata per preoccuparmene. E poi o guardavo la macchina appena arrivata o tenevo d’occhio Nick.
«Signora ha bisogno di una mano?» chiese una voce maschile…troppo familiare.
“Oddio, ti prego fa che non sia…” pensai alzando lo sguardo dal crick. «Chris» sussurrai sorpresa, rialzandomi. Nick si voltò subito e quando vide l’uomo, il suo viso si illuminò e quasi cadendo si affrettò ad uscire dall’auto.
«CHRIS!!» urlò correndo verso di lui, l’uomo si fece trovare in ginocchio a braccia aperte.
«Ehi campione.» esclamò Chris, abbracciando il bambino e poi andando a scompigliargli i capelli. Ero stata in silenzio per tutto il resto. Si rialzò e si avvicinò con Nick verso di me. Si fermò a poca distanza sporgendosi per guardare cosa stavo combinando. Poi mi guardò in viso.
«Tutto bene?» domandò preoccupato.
«Si…ho solo bucato…su non so cosa» borbottai grattandomi la testa e guardando il guaio.
«Non avete sbandato…non vi siete fatti male?» domandò ancora. Sembrava sinceramente preoccupato.
«No, tutto bene…Nick ha solo quasi premuto ogni pulsante della macchina nel frattempo…al massimo è la macchina in pericolo» risi leggermente imbarazzata. Non l’avevo più richiamato.
«Dai faccio io» mi disse poggiandomi le mani sulle spalle e spostandomi leggermente verso sinistra. Poi si chinò, tolse le lenti da sole e si mise a lavorare.
«Allora..»
«Allora…»
Avevamo parlato ancora contemporaneamente. Scoppiammo a ridere.
«Questa volta prima tu» dissi invitandolo a parlare, mentre mi appoggiavo con Nick tra le braccia al bagagliaio.
«Cosa ci fate da queste parti?» domandò curioso.
«Oh…già siamo qui perché abbiamo visto delle case in vendita.» risi. Volevo chiedere la stessa cosa.
«Ti trasferisci in zona?!?» domandò ancora molto sorpreso e anche uno strano tono che non seppi identificare.
«Si…forse, non sono proprio abbordabili. C’è qualcosa che ci piace, ma non tutte hanno la piscina e il nostro campione» dissi indicando mio figlio «Se non ha il piscina non è contento» esclamai ridendo.
«Ma, mam..Lee» esclamò Nick. Era tornato a chiamarmi in quello strano modo, aveva pensato che la concessione fosse finita.
«E’ la verità, amore.» risi guardandolo bene in faccia.
«E cosa avete visto…nella zona dico.» domandò mentre toglieva la ruota bucata e inseriva quella nuova.
«Una giù sulla Franklin, ma Nick non piace, anche se ha la piscina. E tre qui vicino, anche se le ultime sforano un po’ il mio budget.» confessai mentre lo guardavo finire l’operazione.
«Che agente hai scelto? Potevi chiamarmi, ti avrei consigliato qualcuno io se avessi saputo.» disse sfilando il crick da sotto l’auto e sistemando. Si rialzò e infilò ruota e strumento nel bagagliaio.
Mi morsi il labbro inferiore, ero ovviamente in fallo, perché non lo avevo chiamato. Anche se alla fine il mio cervello e la mia logica mi davano ragione. Non avrebbe avuto senso, quella cosa non aveva senso.
«Non ci ho pensato…scusami. Poi non ho neanche richiamato…quando mi hai chiamato non potevo..ehm,» tossii «rispondere. »
«Certo» mi disse leggermente dubbioso. Batté un paio di volte le mani per togliere la polvere. «Tu cosa stavi per chiedere…»
«Che tu ci creda o no…la tua stessa domanda» ridacchiai mentre chiudevo il bagagliaio.
«Vivo qui» disse indicando il cancello bloccato.
«Oh quindi ti sto impedendo di tornare a casa» dissi concedendo un sorriso. Nick stava in silenzio, anche se si era avvicinato a Chris, che gli aveva poggiato una mano sulla spalla.
«Si e no…» si schiarì la voce «senti…pensavo…così su due piedi…volete entrare da me, così ricambio l’ospitalità  dell’altra settimana» disse passandosi la mano destra sulla nuca e guardandomi intensamente. I suoi occhi azzurri erano brillanti e avevano una strana ma piacevole luce di speranza. Non feci a tempo a rispondere che sentì l’urlo di gioia di Nick.
«Si…andiamo…mamma ti prego» gridò il bambino. Preso dall’euforia non aveva fatto caso a cosa aveva detto. Però ci mise poco e uno sguardo preoccupato lo rattristò.
«Va tutto bene Nick…andiamo» lo rassicurai e guardai Chris. Non sembrava sorpreso.
“Lo avevi sempre saputo.” pensai sorridendo.
«Ehm..ok sposta la macchina e entra dopo di me» mi disse schiarendosi la voce e andando verso la sua auto.
Poco dopo mi stavo parcheggiando davanti alla sua abitazione. Quella di Chris era ad un solo piano e totalmente immersa nel verde. Pareti coperte di edera rampicante la nascondevano completamente, sembrava quasi di entrare in un modo magico. Il giardino sembrava uno dei giardini incantati e segreti che si vedevano nei film, era un posto magnifico. L’interno era un tripudio. Il legno era di un caldo coloro castano dorato, conferiva all’ambiente un’aria calda e accogliente. Lo stile era decisamente europeo, italiano avrei osato dire…o forse in generale mediterraneo.
«Mamma» mi tirò la manica Nick dato che io ero rimasta immobile a guardare l’ingresso. Era la casa dei miei sogni.
«Non è in vendita vero?» chiesi sognante muovendomi mentre Nick mi tirava. Chris rise, scuotendo la testa.
«No mi dispiace…mi fa piacere che ti piaccia così tanto»
«Oh peccato…se mai ci ripensi tienimi presente» aggiunsi mentre uscivo fuori sul giardino e mi avvicinai alla siepe. Se avevo trovato le altre case pacifiche e tranquille, quel posto era un paradiso, era il giardino segreto delle favole. Rimasi ad osservare qualche secondo il parco e mi parve di scorgere delle viti, l’odore dell’uva me lo confermò.
«Oddio…ma è un vigneto…» urlai voltandomi e indicandolo. Sembravo una bambina nel paese dei balocchi.
«Si è un vigneto Rose» rise Chris uscendo nel cortile. Lui e Nick portavano una brocca con del tè freddo e dei bicchieri.
«Vieni, fa un caldo» disse poi indicando una delle sedie colorate che circondavano il tavolo tondo. Nick era già seduto e beveva avidamente dal suo bicchiere.
«Grazie…sarei morta disidrata probabilmente…e senza accorgermene.»
Chris mi scostò la sedia e mi fece sedere. Non mi capacitavo delle sue maniere galanti. «Allora» iniziò a dire «come mai cercavi una casa?» domandò bevendo poi un sorso di tè.
«Oh…bhé lunedì ho un colloquio con la Northrop-Grumman e ho deciso che non potevo più stare a Pasadena se mi prendono. Altrimenti non avrei più molto tempo di stare con Nick…e poi la domanda di qualcuno mi ha perseguitato per l’intera settimana» risposi sinceramente, guardai mio figlio che avendo finito si era allontanato dal tavolo e scendendo le scale era scomparso. «Oddio dove va…» esclamai poggiando il bicchiere.
«Tranquilla...c’è solo la piscina di là»
«Ah…la piscina?!?!» urlai alzandomi. E se decideva di buttarcisi.
«Vieni…andiamo a parlare sulle scale» disse vedendomi preoccupata. Mi prese per mano e mi portò alle scale. La sensazione della mia mano piccola e sottile nella sua più grande lievemente mi strinse lo stomaco e un leggero brivido mi attraversò la schiena nonostante fosse metà luglio. Se Chris se n’era accorto non lo diede a vedere, ma mi parse di vedere l’ombra di un sorriso abilmente nascosto.
Quel giorno non aveva la barba, probabilmente visto che stava filmando Star Trek era per ragioni di copione.
Mi sedetti e osservai Nick che si era tolto le scarpe di ginnastica e ora giocava con i piedi nella piscina.
«Dicevamo...qualcuno mi ha fatto pensare sul fatto che io e lui non viviamo assieme e ho deciso di cambiare questa cosa…voglio passare più tempo possibile. Nell’ultimo anno e mezzo, da quando vivo fissa a Pasadena ho perso tanto tempo con lui» mormorai mentre un velo di tristezza mi copriva lo sguardo.
«Ehi…non è facile crescere un bambino e lavorare…da sola» mi disse poggiando una mano sulla mia. Qualche istante dopo però allontanai la mano, il contatto maschile mi procurava ancora qualche problema. Strinsi gli occhi cercando di allontanare la sensazione spiacevole che mi coglieva ogni volta. Il ricordo di altre mani sul mio corpo attraversava come un flash la mia mente, ogni volta che qualcuno mi toccava.
Ci fu un attimo di silenzio e poi Chris parlò. Non potei guardarlo in viso, avevo ancora gli occhi chiusi.
«Un giorno mi racconterai cosa ti è successo?» domandò dolcemente. C’era qualcosa nella sua voce che mi spingeva a parlare a confidarmi con lui, a finire quello che avevo cominciato a raccontare una settimana prima.
«Si, un giorno te lo racconterò» sospirai, mentre riaprivo lentamente gli occhi e mi voltai a guardarlo. Sembrava così preoccupato. Sorrisi, anche se non era un sorriso splendido e smagliante, era un sorriso.
«Mamma?» urlò Nick per attirare la mia attenzione. Ridemmo insieme, Nick si era sentito trascurato.
«Si amore?»
«Possiamo fare il bagno?»
Quasi mi affogai da sola con il tè.
«Amore non possiamo…un’altra volta. Gioca un altro po’ e poi andiamo.»
«Va beneeee» gridò di rimando continuando a giocare con l’acqua. Tanto il bagno se lo stava facendo comunque visto che oramai solo i capelli non erano bagnati.
«Mi chiedevo perché non restate a pranzo»
Questa volta mi affogai veramente. Tossicchiai un pochino.
«Ehm…veramente …noi…ecco…in realtà sto cercando una scusa per rifiutare» confessai nascondendo la faccia tra le ginocchia.
«Solo per ricambiare l’ospitalità…niente di impegnativo.»
«Solo per…niente di impegnativo…» sospirai ripetendo le sue parole e passandomi una mano sul volto. «Ascolta…lo dico ora per mettere le cose in chiaro. C’è un motivo se non do confidenza alla gente…io sono una bomba ad orologeria…potrei rovinare la tua carriera e la tua vita se solo si sapesse che mi conosci. Non vuoi vedere una persona come me. Perché non ci limitiamo agli incontri alla Caltech…»
«Smettila Rose…smettila di decidere per gli altri. Non credo che Scott e gli altri ti stiano intorno per compassione Rose. Tu non rovinerai un bel niente…smettila di pensare a ciò ti è successo, concentrati su ciò che è adesso.»
«Un adesso irrealizzabile.»
«E’ per questo che non hai risposto alla chiamata. Per tagliare i ponti?»
«Si e no»
«Il no sarebbe?»
Risi, arrossendo lievemente. Voltai la testa verso sinistra e guarda Nick.
«Orgoglio femminile»
«Eh?!?»
«Tu non ti eri fatto sentire per giorni…e io ho chiuso la chiamata» spiegai con semplicità.
«Ahhh» rise passandosi una mano sulla nuca. «Sono stato impegnato…» disse a mo’ di spiegazione.
«Non mi devi nessuna spiegazione» dissi scuotendo la testa.
«Ma io voglio dartela» ribatté Chris.
«Va bene…ma è tutto apposto…è stato un comportamento infantile da parte mia…non sono arrabbiata.»
«Sicura?»
«Sicura. Ora però devo andare veramente…non è che non voglia stare qui…ma ho promesso a Nick una giornata solo io e lui…e per quanto passarla in tua compagnia sia una gran cosa, vorrei stare un po’ da sola con lui…» mormorai alla fine alzandomi. Richiamai Nick che con i piedi gocciolanti e la maglia davanti tutta bagnata sembrava essersi divertito abbastanza.
«Tesoro, andiamo. Saluta Chris e ringrazia.»
«Grazie Chris…posso tornare a fare il bagno?»
«Certo campione…quando vuoi.» Poi guardò me «Cosa fate domani sera?»
«Domani sera?...vogliamo andare al cinema…a vedere i Minions» risposi subito presa in contropiede, guardai Nick per conferma. Il bambino annuì con solerzia.
«Dove andate?»
«Al Los Feliz cinema…perché…»
«No niente…ehm che spettacolo?»
«Chris!» lo richiamai.
«Posso venire anche io?» Ecco quale era il suo intento. Dalla sua faccia sembrava un bambino e Nick stava già per partire in quarta se avessi detto di no. Aveva messo su quell’espressione adorabile.
«Va bene va bene…andiamo a quello delle sette.» accettai, alzai le braccia in segno di resa, messa con le spalle al muro.
«Grande…stasera che fate?»
«Chris!!!»
«Era tanto così per fare due chiacchiere..» tossicchiò imbarazzato allargando le braccia.
“Se come no” pensai mentre decidevo per la verità, alla fine avevo Nick con me anche se avessi mentito lui avrebbe parlato.
«I miei escono» sospirai sconfitta da quello sguardo e da quella voce. «Resto a casa con Nick e boh fare la griglia credo…hamburger e wurstel…non è proprio dietetico, ma una volta al mese ce lo concediamo» sorrisi a Nick che stava già pensando al cinema dell’indomani. Chris annuì pensieroso, poi si riscosse e ci indicò la casa «Va bene…venite vi accompagno.»
Una volta alla porta, calò un attimo di silenzio, rotto da Nick che quasi saltò in braccio a Chris per salutarlo.
«Ci vediamo domani?» strepitò il bambino.
«Certo campione…ci vediamo domani…a meno un quarto fuori al cinema?» mi chiese mentre passava una mano sui capelli di Nick. Annuì.
«A domani» confermai e prendendo per mano Nick.
Mentre mettevo in moto e salutavo con un cenno della mano l’uomo che sulla porta ci guardava, pensai.
“Dovrei cercare casa altrove” 

 

Le case descritte sono veramente in vendita e il signor Fontamilla è ispirato a John Fontamillas, agente immobilare della zona.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Alphecca ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. 
Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.


Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 2

  
Capitolo 5- Alphecca
Gemma, o Alphecca è una stella binaria, è la stella più luminosa della costellazione della Corona Boreale.
Il nome Alphecca proviene dall'arabo al-na´ir al-fakkah, che significa "la (stella) brillante nell'anello rotto".

 
«Porta i piatti di là, tesoro» dissi a Nick porgendo piatti e bicchieri di plastica. Saremo stati nel patio dove avevo già preparato la griglia che ora si stava riscaldando.
In un piatto misi hamburger e wurstel da cuocere, ce n’erano in abbondanza. I panini erano già sul tavolo, mancavano le patatine che stavano friggendo e le bibite.
Guardai l’orologio ed erano quasi le otto di sera. I miei erano usciti da poco. Ad un tratto sentii suonare il campanello, non potendo lasciare il fuoco chiamai Nick. «Tesoro vai alla finestra e vedi chi è. non aprire» gli chiesi e lo sentii correre lungo il corridoio.
Dopo poco sentì lui che gridava e la porta che veniva aperta.
«Nick!!!» urlai girando la manopola del gas e correndo alla porta. Perché aveva aperto? Cosa era successo. Nella mia mente presero forma scenari orribili di rapimenti.
Tutto ciò in pochi istanti, perché poi sentii Nick ridacchiare e gridare. «Mangi con noi, Chris?»
“Chris?!?” pensai e mi avvicinai all’ingresso. Davanti alla porta affascinante come sempre c’era Chris Pine. Cosa diavolo ci faceva qui?
«Ciao…» mi salutò imbarazzato mentre Nick non voleva lasciare la sua gamba.
«Ciao…ehm come mai qui…»
«Ehm…la cosa che dovevo fare stasera è saltata e quindi ho pensato di passare qui a giocare con Nick…» rispose mentre si rigirava tra le mani un mazzo di fiori e una bottiglia di vino. «Questi sono per te» mi disse e per sbaglio porse la bottiglia di vino. «cioè questi» rise porgendo i fiori.
«Questa è per noi» indicò poi la bottiglia di vino rosso che aveva tra le mani.
«Io…non so…» borbottai senza sapere veramente cosa dire.
«Non è niente di che»
«Niente di che dice lui…» esclamai allargando le braccia. Inspirai a fondo. Alla fine dei conto ero su un terreno sicuro, quello di casa mia. Quindi mi feci da parte per farlo entrare. Mi ricordai poi del mazzo di fiori. Emanava un profumo incredibile data la presenza di gigli e gardenie, c’erano anche delle gerbene. Era un mazzo veramente bello e lo portai al naso odorandolo leggermente. «Grazie per i fiori…ehm Nick staccati dalla gamba del signor Chris.»
Il bambino a malincuore si staccò ma restò al fianco dell’uomo che quindi lo prese per mano e si fece portare in giardino. Io lì seguii.
«Metto i fiori nell’acqua e…la bottiglia…che temperatura?» dissi cercando di mantenere un tono calmo, anche se la mia voce non voleva. «E’ un rosso...quindi intorno ai 15°?»
«Si…vanno bene» mi confermò sorridendomi. Sembrava più imbarazzato di me di quella improvvisata.
«Bene…dato che sei qui…renditi utile…sei l’addetto alla griglia…»
E andai dentro per sistemare i fiori in un vaso di cristallo di mia madre e poi li poggiai su un tavolino nell’ingresso. A mia madre avrei detto qualcosa. In un secchiello misi del ghiaccio e presi un termometro. Dalla credenza presi due bicchieri da vino rosso e li portai in giardino. Chris in maniche di camicia e con Nick al fianco come fedele valletto si stava occupando della griglia.
Sistemato vino e bicchieri sul tavolo. Mi ricordai della patatine.
«Oddio le patatine» urlai attirando l’attenzione dei due e correndo come una pazza in cucina. Oramai erano fredde e untuose. Buttai tutto e ricominciai da capo. Alla fine non ci voleva poi molto a fare due patatine fritte. Anzi meno stavano nell’olio meglio era. Dopo una decina di minuti di cola e scola sentii la voce di Chris chiamarmi.
«Rose…l’hamburger…cotto o ben cotto? O al sangue.»
«Ben cotto» urlai di rimando mentre scolavo le ultime patatine. Prima di uscire mi fermai un attimo in cucina. Poggiai la fronte sul banco in marmo. Era freddo e mi aiutò a schiarire la mente.
Se volevo sopravvivere a quella serata e a qualsiasi altra cosa, doveva sotterrare tutto. Doveva smettere di pensare, di rimuginare. Non poteva analizzare ogni sua mossa, misurarla e avere paura costantemente. Non era niente di quello che stava succedendo. Quando sarebbe uscita allo scoperto, Chris sarebbe scomparso e lei già consapevole della possibilità sarebbe stata forte e preparata.
“E Nick”
Il pensiero del mio bambino mi colpì con una forza tale da farmi gemere, era stata una fitta dolorosa quella che mi aveva colto lo stomaco.
Nick era un bambino meraviglioso, un piccolo ragazzo che stava crescendo in maniera splendida. Era però molto timido, a scuola faceva amicizia, ma aveva sempre paura che tutti scomparissero e lo abbandonassero. Era un po’ insicuro e una cosa del genere lo avrebbe ucciso.
«Stasera…devo troncare qualsiasi contatto…per Nick»
“E per me” pensai. “Nora non sarebbe d’accordo.” rispose la mia coscienza.
Chissà come ma il mio telefono squillò. Sullo schermo lampeggiava il nome di Leonora.
“Oddio è una strega”
«Pronto?» tossii.
«Ehi chica cosa fai?»
«Ehm…niente io e Nick facciamo gli hamburger.»
«Ah...ok»
«Tutto bene?» domandai. Incastrai il telefono tra spalla e collo e andai in giardino a portare la patatine. Poi tornai dentro per prendere le salse.
«Si…non sono uscita e volevo sapere se ti andava…ma sei con Nick quindi tranquilla, passerò una serata di relax.»
«Vuoi venire qua» troppo tardi mi sarei morsa la lingua.
«Sicura? Non vorrei disturbare.»
«No...che disturbo…ehm in realtà mi aiuteresti» la voce mi tremò. Quasi piansi per l’ansia e la crisi che mi stava cogliendo.
«In cosa…Rose tutto bene?»
«Si…cioè no…si è presentato Chris…» gemetti, quasi disperata.
«Oddio…e lo dici con questo tono?»
«Si…Nora…questa cosa è più grande di me…lui scomparirà prima o poi e resteranno solo cocci…stasera volevo chiedergli di non sentirci più…ti occuperesti tu di lui alla Caltech…»
«Rose Marrazzo…non osare…sei impazzita. Cioè quel uomo sta provando a fartelo capire in ogni modo…è interessato a te…»
«Non dire sciocchezze» sospirai «Quando saprà…quando saprà…»
«Saprà cosa? Che splendida persona sei? Che amica generosa sei? Che madre affettuosa e amorevole? Che figlia modello? Cosa Rose…dimmi un motivo perché una persona meravigliosa come te non dovrebbe avere un po’ di cavolo di felicità.»
Alla prima frase ero già in lacrime. Mi ero adagiata al mobile in cucina ed ero lì immobile. Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance prima che potessi fare qualcosa.
Chiusi gli occhi per calmarmi ma davanti ai miei occhi non vedevo altro che Lisa.

Lisa stesa atterra, in una pozza di sangue, una ferita alla testa faceva bella mostra di sé. Ematomi sulle braccia. Incosciente e con il respiro quasi impercettibile. Io anche se a stento riuscivo a muovermi. Non avevo più il telefono, né borsa. Avevano preso tutto, qualsiasi cosa potessero. Non c’era rimasto niente. A Lisa neanche più la vita.
«Lisa! Lisa!» urlavo nella mia testa. Quando avevo ripreso coscienza, con le gambe indolenzite mi ero alzata e trascinata fino a lei. Lì con disperazione l’avevo scossa. Ma niente.

Un singhiozzo più forte mi scosse.
«Perché? Perché Lisa è morta e io sono viva» urlai incurante di tutto. «Lisa è morta…e io non ho potuto salvarla. Non merito di essere felice…non posso esserlo…solo Nick…solo lui lo merita…lui non ha colpa.» gridai quasi fino a strapparmi la gola.
Respirai a fatica e con affanno.
Non riuscivo a far entrare aria nei polmoni, la gola bruciava e mi raschiava. Cominciai a vedere nero, non respiravo, non ci riuscivo, ogni tentativo era come una pugnalata nei polmoni, ero in una situazione di shock, era un attacco d’ansia.
«Rose…Rose» urlò Nora da dentro il telefono. Mi sentiva ansimare e sapeva cosa stava succedendo. «Rilassati e respira…pensa a tuo figlio…lui non vorrebbe che tu stessi cosi male.»
“Solo Nick doveva essere felice. Solo lui.” mi ripetevo disperata nella mente. Avevo lasciato cadere il telefono e avevo infilato la testa tra le gambe. Prima sgombera la mente, poi rilassa i muscoli. Non pensare a niente. Solo cose felici.
“Nick…lui è il mio pensiero felice.” pensai mentre cominciavo a respirare…lentamente e a fatica. Intanto tutto quel frastuono non era passato inosservato. Chris seguito da Nick era corso in cucina e aveva quasi urlato vedendomi lì per terra con la testa china e scossa da singhiozzi.
Nora al telefono continuava a parlare.
Io non sentivo niente. Ad un certo punto sentii Chris parlare con lei, mentre una mano piccola e calda si appoggiò sul braccio.
“Nick!” pensai d’impulso. Alzai lo sguardo e li era il mio bambino che mi guardava con i suoi grandi occhi castani. Era terrorizzato, negli occhi la paura della perdita. La conoscevo bene e non volevo vederla nei suoi occhi.
«Mamma?» mi richiamo piangendo. «Mamma stai bene…?»
Lo guardai e lo strinsi con forza. Era lui il mio pensiero felice. «Si ora che ci sei tu» mormorai stringendolo in un abbraccio a cui rispose come poteva, con la sua forza di dieci anni.
Intanto sentii Chris parlare a telefono. «Capisco…bhé Leonora, grazie…no no non chiederò niente. No, non so se posso restare stanotte, non penso sia il caso…ma posso aspettare i suoi…Buona notte »,
Chiuse la telefonata. Lentamente si avvicinò a me e a Nick e si chinò a guardarmi. Leggevo paura nei suoi occhi, preoccupazione e anche il desiderio di aiutarmi, di sapere cosa potesse fare.
«Posso fare qualcosa?» mi chiese poggiando una mano sulla mia guancia. Mi copriva tutta la faccia ed era una sensazione piacevole. Sentivo un senso di pace e protezione e aiutò a calmarmi. L’abbraccio di Nick e la mano di Chris mi riportarono lì in quella casa.
«No…grazie…grazie di essere passato.» mormorai. La voce mi bruciava, avevo gridato e avevo la gola rossa. Dovevo bere.
Con lentezza mi alzai, Nick non mi lasciò andare mai e Chris mi sostenne con una mano sul braccio destro e una mano sulla schiena. Una volta alzata corse a prendere un bicchiere d’acqua che mi porse senza perdermi di vista. Chissà cosa stava pensando in quel momento. Dopo aver bevuto tutta l’acqua, cominciai a sentirmi meglio. Poggiato il bicchiere, asciugai le guance e la lacrime secche. Dovevo avere un aspetto orrendo e mi venne da ridere.
«Bhé se non scappi dopo questo…» risi osando alzare lo sguardo a guardarlo. I suoi occhi azzurri mi colpirono con un’intensità tale da farmi tremare. «Ti spiegherò» dissi leggendo quasi la sua testa «ma non ora». Lo vidi annuire.
«Si andiamo di là. Mangiamo qualcosa.» mi poggiò una mano sulla schiena e mi spinse verso il patio. Nick al mio fianco non mi mollava. Ora sembrava più tranquillo. Niente più lacrime da quando non piangevo io. Mi sorrise per mettermi allegria.
Era lui il mio pensiero felice. Avrei fatto tutto per lui. Superare tutto era tra questo. Parlare con Chris? Se fosse servito, avrei fatto anche quello.
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Alla fine Nick era crollato. Quando ci eravamo spostati sulle poltroncine grigie del giardino, aveva poggiato la testa sulle mie gambe e aveva per un po’ tenuto banco, poi si era addormentato. Chris e io avevamo sorseggiato in silenzio ciò che restava della bottiglia di Pinot e io mi ero rilassata.
Ciò che era successo prima era un ricordo, forse ancora vivido, ma un ricordo. Almeno per il momento, fino a che non avrei trovato il modo di superare tutto ciò.
«Ehm» Chris si si schiarì la voce. Ero un po’ presa dai miei pensieri e avevo lo sguardo fisso su Nick che dormiva beato tra le mie braccia. «Stai meglio…dico rispetto a prima…» mi chiese titubante. Aveva quasi paura che io mi potessi rompere da un momento all’altro? O forse temeva che mi venisse un’altra crisi.
«Si..ehm ehm…si sto bene ora…grazie…veramente» mormorai trovando il coraggio di guardarlo negli occhi. Per tutta la sera avevo evitato di fissarlo troppo a lungo. Uno per non metterlo a disagio. Io odio la gente che fissa, ma anche perché quella sera ai miei appariva particolarmente affascinante.
“Deve essere quella dannata camicia azzurra…fa apparire più blu i suoi occhi” mi dissi poggiando con cautela il bicchiere sul tavolino attenta a non svegliare Nick. «Non mi succedeva da un po’» mormorai. Era una grossa confessione da fare. Chris rimase in silenzio e attese che io parlassi.
«Non avevo una crisi così…da un po’» ridacchiai mentre mi veniva da piangere. Avevo sperato tanto di non averne più, ma evidentemente tutto quello che stava succedendo mi aveva resa un po’ troppo  emotiva. Mi passai una mano sotto gli occhi, mi macchiai leggermente con il mascara sciolto. «Oddio…devo avere un aspetto orrendo» risi ancora. Sembravo un po’ pazza, visto che neanche due ore prima mi aveva raccolto da un pavimento in lacrime.
«Non ti preoccupare…per quanto tu ti impegni…resterai sempre bellissima» mi consolò l’uomo che avevo davanti agli occhi.
Sorrisi, o almeno ci provai.
«Vuoi parlarmi di quello che successo?» mi chiese dolcemente. «Sai mia madre è una psicoterapista e mi ha sempre detto che parlare delle cose appena accadono aiuta molto…» mi spiegò difronte alla mia titubanza.
«Ecco…io…non so se sono pronta»
«Non devi dirmi tutto…dimmi solo quello che vuoi.»
Abbassai lo sguardo su Nick che dormiva placidamente. Aveva un’aria così tranquilla. Sembrava felice ora che era vicino a me e sapeva che io non stavo piangendo. La nostra era una specie di simbiosi, forse un rapporto troppo stretto per alcuni, ma era naturale quando non hai un padre e solo una madre. Certo i miei genitori lo crescevano come se fosse un figlio, ma era comunque diverso. Accarezzai per qualche istante il volto del mio bambino e poi respirai profondamente.
Non dissi niente. Non era una favola, non era un racconto. Non era la storia di un sogno. Era quella di incubo,
«Lisa aveva diciotto anni. Un anno più di me. Ci eravamo conosciute al liceo, dopo che Nora mi aveva convinto a lasciarmi un po’ andare e non nascondermi. Lisa era tutto ciò che sarei potuta essere io se non avessi deciso il contrario. Lisa era bella, di una bellezza divina. Era impossibile non notarla. Aveva i capelli color oro e gli occhi azzurro cielo. Voleva fare l’attrice…ma non nei film. Lei voleva fare teatro e voleva cantare. Voleva andare a Broadway e diventare una stella in un musical. Avevamo deciso di iscriverci alla UCLA. Nora e io avremo fatto fisica e astrofisica e lei avrebbe seguito Letteratura Inglese e Teatro. Io ero la più piccola delle tre, ero una diciasettenne catapultata nel mondo dei grandi. Loro mi proteggevano, ero la loro sorellina minore.
Ad ottobre del nostro primo anno andammo ad una festa. A Santa Monica, una festa in una casa sulla spiaggia. Qualcosa di tranquillo ci avevano detto. Che io non avessi neanche un’oncia dei vent’uno anni di quel documento falso che mi avevano procurato non importava a nessuno. Lisa era convincente quando voleva.
Alla festa, Nora scomparve con un ragazzo con cui si stava frequentando e io e Lisa restammo da sole. Per quanto sole potevamo essere in una casa con duecento persone all’interno. Tanta era la calca che qualcuno ci aveva dato il cambio di bicchieri e noi neanche ce ne eravamo accorte.
Che stupide!» ridacchia quasi piangendo mentre guardavo il volto di Nick. Ogni tanto guardavo Chris, ma il suo sguardo non era così facile da sostenere. «Solo dopo ho scoperto che il nostro drink era drogato…io sapevo solo che avevo voglia di fare il bagno nell’oceano. Lisa però mi trattenne e mi portò a fare un giro in spiaggia. Un po’ d’aria fresca ci avrebbe fatto bene, disse. Camminammo per un po’ sulla spiaggia, ma quando ci accorgemmo di esserci allontanate troppo era già troppo tardi. Loro erano lì, dietro li scogli. Forse stavano fumando qualcosa, o si stavano facendo…non so bene neanche io. Cominciarono a chiamarci. Io ero un po’ su di giri e volevo rispondere, ma Lisa mi tirò via e cominciò a camminare di nuovo verso la casa. Noi eravamo due, loro erano dieci forse…non li ho contati.
Quando ci bloccarono, sembravano gentili…ma alla fine volevano solo una cosa…i nostri soldi. E forse qualcos’altro avevano poi aggiunto. Lisa provò a spingermi da parte. Si sentiva responsabile per me, era più grande…io non…non ero neanche maggiorenne. » mi veniva da ridere…non ero maggiorenne, come se avere diciotto anni avrebbe potuto cambiare qualcosa. «Qualcuno però mi-mi af-ffer-rò e mi p-portò v-via…,so che ho perso i sensi dopo che bhè…puoi immaginare cosa sia successo…e Lisa…il-il re-resto lo…lo  so perché l’ho capito dalle urla…e dal resoconto della polizia. Hanno tentato di derubarla …e quando lei ha opposto resistenza per tornare da me…l’hanno picchiata…e violentata…pi-più volte…poi non ho sentito più niente…e io…io non ho fatto niente…non ho potuto fare niente…quando mi sono trascinata da lei…respirava a malapena e aveva una grossa ferita sulla testa, sanguinava copiosamente…e io non sapevo che fare…non avevamo niente...né telefono…né portafogli…sinceramente non so cosa sia successo dopo…ho urlato…ho urlato fino a che non ho perso i sensi…» mi bloccai. Espirai di colpo, e chiusi gli occhi…in pochi sapevano quella storia…non ero scesa nei dettagli come era accaduto nei rapporti di polizia o con la dottoressa. «Quando mi svegliai, mi dissero che Lisa non ce l’aveva fatta…mi tennero in ospedale per una settimana, volevano fare dei controlli. Non sapevano se i miei organi interni avevano subito dei danni. Avevo segni di percosse, avevo lottato e loro avevano risposto…ma dalla mia testimonianza e dall’epitelio sotto le mie unghie li presero e li buttarono in carcere…sono ancora lì…quasi tutti credo…quando mi dissero che ero incinta…volevo morire…la mia unica e prima volta…e-e-era  st-tata una vi-violenza» risi ancora forse con un tono troppo alto perché Nick si mosse. Lo calmai mormorando qualcosa sottovoce«Mi chiesero se volevo tenerlo…all’inizio ho pensato all’aborto…ma po…poi ho parlato con una dottoressa e con lei ho capito una cosa…quella creatura non aveva colpa, certo non sarebbe stato facile crescerlo e un giorno spiegarle da cosa era nata, ma non aveva colpa.» . Poi tornai a guardare Chris.
I suoi occhi…non so cosa avessero i suoi occhi. Vedevo tante emozioni diverse. Erano cupi ora, di blu intenso e forse pericoloso. Vidi passare tristezza, compassione, apprezzamento, comprensione e soprattutto ammirazione.
«Dopo nove mesi è nato Dominick…io ero ancora minorenne…il giudice dispose che la tutela venisse affidata ai miei genitori fino al compimento del mio ventunesimo anno di età. E ovviamente dovevo superare i controlli dallo psicologo…sennò addio custodia…» ridacchiai, mentre una lacrima solitaria mi solcò la guancia. «Alla fine dall’incubo mi era stato fatto un dono…il mio bambino…io ero viva e avevo Dominick. Lisa…Lisa no. Lisa che aveva tanti sogni. Lisa che voleva diventare attrice. Lisa che quando sorrideva o rideva non potevi fare a meno di amarla. Lisa era morta e io ne ero la ragione. Io…solo io avevo la colpa di tutto. Se non avessi bevuto quel cocktail. Se non fossi stata così piccola…coì ingenua che l’avevo spinta a proteggermi…o-ora le-lei sarebbe qui. Lei sarebbe qui» sussurrai.
Quella fu la goccia che fa traboccare il vaso. Cominciai a singhiozzare silenziosa, un pianto leggero. Le lacrime correvano veloci e continuamente lungo le mie guance. Chiusi gli occhi. Era normale. Era una reazione emotiva al racconto, all’aver rivelato tutto.
Sentì il calore del suo abbraccio immediatamente. Non lo rifiutai. L’abbraccio era ciò che volevo, era ciò di cui avevo bisogno.
«No Rose…non è colpa tua…non puoi darti la colpa per qualcosa che né tu e né lei avete voluto. Qualcosa che non doveva accadere. Né tu né Lisa avreste potuto fare qualcosa…. E’ vero Lisa non c’è.  Lisa era una persona solare e generosa…ti voleva bene e ti voleva difendere perché quando si ama qualcuno si cerca di difenderlo a costo della propria vita. Ora per lei, dovresti vivere…tutto…dovresti vivere la tua vita con Nick e quello che viene dopo…lei voleva che tu tornassi ad essere quella persona generosa e divertente che eri prima…so che quello che vi è successo è…io non ho parole…non credevo…non credevo che fosse qualcosa di cose terribile…scusami se ho insistito….non avrei dovuto.»
Contro la sua spalla scossi la testa. Non era colpa sua. Era solo col…
“No…smettila” urlò una voce dentro di me. “Non è colpa tua…smettila di colpevolizzarti…Lisa…non vorrebbe…lei vorrebbe che tu vivessi…senza flagellarti per una colpa non tua, vorrebbe che tu vivessi anche per lei.”
«Anche per lei…devo vivere anche per lei.» mugugnai contro la sua camicia. «Posso vivere anche per lei…» mormorai un po’ più sicura. Sollevai la testa e mi allontanai. Sulla sua camicia spiccava una grossa macchia d’acqua. «Oddio ti ho bagnato tutta la camicia…scusami…forse è la prima volta che una ragazza ti piange addosso.» ridacchiai leggermente a disagio. Sistemai Nick e guardai l’ora. Era tardi. «Bhè si…ma sinceramente puoi piangermi addosso tutte le volte che vuoi.» scherzò il ragazzo senza curarsi della sua camicia…che probabilmente era anche costosa.
Calò il silenzio, rotto solo dal mio respiro ancora leggermente accelerato e da una sua improvvisa carezza sulla guancia. «Io..ecco…si è fatto tardi…dovrei mettere a letto Nick…» mormorai indicando il ragazzino addormentato., così facendo allontanai senza volere la sua mano.
Chris parve svegliarsi da un sogno. Scosse la testa e mi guardò come se mi vedesse la prima volta. Subito dopo sorrise. «Avrei dovuto aspettare i tuoi...ho paura che Leonora mi possa uccidere se sa che ti ho lasciato sola...sicura che starai bene?»
« Certo…» ridacchia pensando a Nora. In effetti.
Alla mia unica parola, si alzò e con cautela si avvicinò a me. Io lo guardai leggermente sorpresa…non terrorizzata come sarebbe accaduto in passato. Cosa voleva fare.
«Dai a me Nick…è pesante lo porto io dentro…» mi disse passando le mani sotto il corpo di Nick. Lo prese in braccio e Nick vi si adagiò senza svegliarsi. La testa poggiava sulla sua spalla destra. Le braccia cadevano mollemente dalle spalle dell’uomo.
Mi faceva strano vedere Nick tra le braccia maschili di qualcuno che non fosse mio padre. Era qualcosa di diverso…strano forse. “Non ci pensare” mi dissi. Rimuginare sulle cose mi faceva male.
«Vieni ti mostro la sua camera.» dissi entrando in casa e guidandolo fino alla stanza di Nick. Lo sdraiò sul letto, avevo scostato il lenzuolo e coprì leggermente Nick. Faceva caldo e non volevo che sudasse. Mi chinai ad accarezzare il suo viso. Mentre mi allontanavo però, Nick aprì leggermente gli occhi. «Mamma?» mi chiamò dubbioso
«Si, amore…» risposi subito.
«Ho fatto un sogno bellissimo…avevo un papà…e giocavamo assieme…e ci divertivamo…eravamo tutti insieme…noi tre…e lui mi portava a letto e mi raccontava tante storie…mamma…»
Mi morsi disperata le labbra. «E’ vero….è un sogno bellissimo…se vuoi possiamo farle io e te queste cose…domani me le racconti…va bene amore? Ora dormi» mormorai senza sapere cosa dire. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi.
«Va bene mamma…notte»
E tornò nel suo sogno beato. Dove aveva un papà e giocavano assieme e poi lo portava in braccio in camera. Era un bel mondo quello di Nick.
Mi voltai per uscire e vidi Chris. Aveva un’espressione così strana. Tentò di sorridere…ci riuscì, ma non raggiunse gli occhi. Non disse niente. Quando lo riaccompagnai di sotto, da un lato non volevo che se ne andasse…dall’altro volevo che fuggisse via da me.
«Bhè…grazie della compagnia» dissi abbozzando un sorriso. «Non è proprio la serata che avevi mente credo…ma a me e a Nick ha fatto piacere passare la serata con te »
«Io…ehm…anche a me Rose…anche a me» mi disse respirando a fondo. La sua espressione era così seria. Aveva perso quella giovialità. Sembrava triste. Lo vidi aprire la bocca, ma prima che potesse parlare lo anticipai.
“So…già cosa sta per accadere” mi ero detta.
«Non c’è bisogno che ti spieghi...lo so cosa vuoi dire…io capisco davvero...Nick e io non vorremo mai danneggiarti…capisco perfettamente se dici che non possiamo continuare a incontrarci…parlerò con Nick e gli spiegherò…anche per domani…non preoc…»
Non ebbi modo di finire di parlare, perché Chris mi abbracciò. Mi paralizzai di colpo. Non ero neanche più capace di respirare figuriamoci di parlare.
«Smettila di pensare di sapere cosa voglio fare io…dopo stasera sono certo che Nick e tu siate meravigliosi…il vostro inizio…non è come immaginavo…ma non toglie chi siete…siete due persone stupende. Tu sei una madre affettuosa e generosa e non dovresti sminuirti. Non sei una minaccia…non sei una cosa cattiva…sei una persona buona e pura…e se il mondo questo non l’ha capito…glielo faremo capire. »
Detto questo sciolse l’abbraccio, mi lasciò un bacio sulla fronte e lo vidi andare via.
Quando andai a letto, non mi sentivo più l’anello rotto della catena. 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Eltanin ***


Disclaimers
"Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo"
Ovviamente non conosco in nessun modo Chris Pine, tutti gli eventi contenuti in questa storia sono frutto dell'immaginazione. Tutto il mio lavoro è rivolto a rendere quanto più veritiera possibile la caratterizzazione del personaggio e della sua situazione.


Salve a tutti, è da un bel po' che non aggiorno, ma una persona mi ha dato una grossa spinta. Avevo già in mente tante cose per Rose e Chris e quindi ho pensato di non abbandonarli. 
Sapete che quando scrivo un capitolo prima faccio delle ricerche per cercare di renderlo più reale possibile, ma spesso devo riempire i buchi con la fantasia, come in questo caso. Non conosco in alcun modo il planning di Chris Pine per il film di Star Trek Beyond, quindi sono andata a caso e anche per le mie necessità.
I nomi di assistenti di scena, agenti, segretaria e autista sono inventati ovviamente. I voli citati sono reali e collegano realmente YRV (aereoporto di Vancouver) con LAX (aereoporto di Los Angeles), la casa dove vive Rose è attualmente in vendita a Pasadena (che bella *_*). 
Voglio ringraziare la ragazza che mi ha recensito, perché mi ha davvero fatto piacere il suo commento, mi ha aiutato a migliorare i capitoli, che sono stati rivisti un attimo, e soprattutto mi ha davvero incoraggiato a continuare. Grazie :)
Bhè, godetivi il capitolo, che a sorpresa è dal POV di Chris, soprattutto perché la stella che intitola il capitolo è una stella decisamente MASCHILE e poi perché volevo dare spazio anche a lui. Non so come sia Chris Pine nella realtà e spero di non offenderlo decisamente, spero di aver fatto un buon lavoro.
Buona lettura.

 


Per aspera ad astra

Big Bang– Parte 2

 
 
Capitolo 6 - Eltanin
Eltanin è una stella della costellazione del Dragone, di cui è in realtà la stella più luminosa. Il suo nome deriva dall'arabo e significa "serpente" o "drago". È stata chiamata anche la Stella dello Zenit, in virtù del suo passaggio in prossimità dello zenit quando osservata dalla latitudine dell'Osservatorio Reale di Greenwich.
 

POV Chris



Lunedì 13 luglio 2015
«Simon ti ho detto di non preoccuparti» esclamai quasi un po' scocciato al telefono, forse per la quinta volta quella mattina mentre parlavo con il mio agente. Cominciava a diventare un po' pedante.
«Chris...ma sono ovunque....foto di te in compagnia di una non meglio identificata ragazza e di un bambino di dieci anni. Cosa stai combinando?» fu la sua replica, si stava scaldando e cominciava ad urlare nel telefono, allontanai un pochino il telefono dall'orecchio giusto per rilassarmi un secondo, Simon diventava davvero una mamma chioccia quando si metteva. «Se ti dico di non preoccuparti devi stare tranquillo, se ci sarà qualcosa da dirti lo farò» parlai prima ancora di rendermene conto, ma quel se fu come una bomba ad orologeria che Simon non tardò a far scoppiare. «Se? se? Hai detto se...quindi ci hai già pensato. Chris, io non so se è una cosa buona...cioè per la tua carriera.»
Probabilmente non lo feci neanche finire di parlare perché intervenni quasi subito. Permettevo tante interferenze nella mia vita, ma mai nella mia vita privata e soprattutto sentimentale.
"Non è successo ancora niente" mi dissi ovviamente mentalmente, ma non potevo negare che avevo fatto qualche pensiero. «Simon, mettiamo in chiaro una cosa...se anche ci fosse qualcosa non dovresti dire niente...ma per ora ti assicuro siamo SOLO amici, è la dottoressa che mi sta seguendo al Caltech»
«Ah...è la dottoressa del Caltech...io credevo fosse un'aspirante attrice che ti aveva abbordato» borbottò Simon, forse improvvisamente più tranquillo, l'idea che Rose fosse una persona per bene e non qualcuno che mi aveva avvicinato per un po' di notorietà riflessa doveva averlo tranquillizzato.
«Bene ora che sei più calmo, possiamo rivedere il mio programma di questa settimana » chiesi senza mascherare il sollievo percepibile dalla mia voce, l'ultima cosa che volevo era dover discutere e attirare l'attenzione su Rose e suo figlio Nick.

«Si...certo. Bene, stasera parti per Vancouver, per tornare venerdì pomeriggio, poi un giorno di riposo e domenica si parte per il Canada»
«Quindi sono di nuovo a LA venerdì 17 e sabato 18» appuntai sul tablet che usavo come agenda
«Esatto, poi resterai altri setti giorni in Canada e una pausa di cinque giorni»
«Wow, una pausa...cosa ci hai piazzato in quei giorni» domandai ridendo, sicuro che non avrei avuto tempo per grattarmi la testa.
«Te lo dico dopo. Poi il 31 parti per 10 giorni, torniamo di nuovo a Vancouver, a quel punto quando ritorniamo hai qualche impegno per "The finest"»
«Si ricordo, presenzio al D23»
«Esatto, il 15 agosto.»
«Avrò tempo per una vacanza?» ironizzai un po' mentre vedevo sfumare davanti ai miei occhi tutto il mese di luglio e metà agosto. «Si pensavo che potevi prendere una vacanza dopo il D23, ma una settimana massimo Chris, non vorrei far accumulare gli impegni»
«Si certo hai ragione. Quindi a che ora mi vengono a prendere. L'aereo è nel primo pomeriggio, giusto?»
«Il volo parte alle 13.50, saremo da te per le undici. Fatti trovare pronto»
«Ehi...io sono sempre pronto» risposi fintamente offeso.
«Si certo...e Chris?»
«Si?»
«Alzati dal letto altrimenti non sarai mai pronto. A dopo» e chiuse la telefonata, lasciandomi come un ebete, in boxer, effettivamente ancora a letto.
Simon mi conosceva praticamente come le sue tasche e sapeva bene come prendermi, come farmi fare qualcosa, quali progetti accettare e quali scartare, quelli per cui valeva la pena provarci. Era davvero bravo nel suo lavoro e a volte era più un amico che un agente.
Sbuffai leggermente lasciando andare il telefono sul letto e incrociando le braccia sotto la testa. Non avevo gran che voglia di alzarmi, volevo rilassarmi come avevo fatto durante il weekend.
Non potei non tornare indietro ai giorni appena trascorsi, prima la grigliata a casa dei genitori di Rose e poi il cinema. Dopo quella sua confessione avevo cominciato a comprenderla meglio e anche se in un primo momento ero rimasto così scioccato dalla cosa da aver avuto paura di avvicinarmi a lei...a loro, ma poi più lì guardavo, più conoscevo Rosaleen e suo figlio e più volevo sapere tutto di loro, provavo quella strana sensazione che mi diceva che far parte della loro vita non era sbagliato, che avvicinarmi a loro non era un pericolo come molti potevano credere. Era vero, Rose aveva alle spalle un grosso trauma: violentata appena diciassettenne aveva visto la sua amica morire, era diventata madre a neanche diciotto anni e quella era una cosa che non solo ti cambiava, ma cambiava tutto il resto che ti circondava.
"E' così di...diversa" pensai alzandomi finalmente dal letto, fortuna che ci pensava la donna delle pulizie a riordinare. La prima cosa che feci fu gettarmi sotto la doccia, così cacciai via ogni traccia di sonnolenza e di stanchezza repressa.
Sotto la doccia tornai a pensare a quello strano imprevisto in cui mi ero trovato, qualcosa che non avrei pensato potesse accadere, eppure da una settimana a quella parte la mia testa era sempre da una parte.
Era possibile che due persone in così poco tempo riuscissero a fare questo? Ripensai a quella che sarebbe stata la mia vita nei mesi successivi, era un periodo pieno e impossibile per conoscere persone, avrei viaggiato continuamente e a ritmi serrati, sarei riuscito a conciliare tutto ciò con la voglia che avevo di conoscere meglio quella ragazza.
Rose non sembrava il tipo a cui concedere poco tempo, probabilmente avrei impiegato un mese anche solo per convincerla ad accettare un mio invito a cena.
"Sono veramente così deciso a continuare?" pensai lasciando che l'acqua scorresse lungo il mio corpo, come se avesse il potere terapeutico di scacciare i pensieri più molesti e tutti i dubbi. "Sarebbe tutto così facile se lasciassi perdere" era questo il pensiero che mi trafisse quasi dolorosamente. Eppure se anche quello era ciò che pensavo, non potevo negare che nei giorni in cui ero stato in sua compagnia ero stato bene, avevo apprezzato il suo modo di fare, a volte un po' stravagante ma allo stesso tempo dolce. Rose era una madre adorabile, generosa e amorevole e suo figlio non era ad meno, non avrebbero rappresentato un peso per nessuno e chiunque avrebbe dovuto essere felice di poter considerarsi loro amico, non vedevo come il discorso potesse essere diverso da me.
Quando uscì dalla doccia ero deciso a cercare di conciliare quel mare di impegni che mi avrebbe tenuto inchiodato fuori dagli Stati Uniti per i mesi successivi con quella strana storia di qualsiasi cosa fosse.
"Come se non volessi che fosse una storia d'amore" mi dissi con una sincerità inaspettata. Era quando meno te lo aspettavi che la verità usciva fuori e in quel momento quel pensiero era così sincero.
Ero appena tornato in camera con un morbido asciugamano bianco avvolto in vita e uno più piccolo con cui stavo frizionando i capelli, quando sentì la suoneria del mio iphone. Sullo schermo lampeggiava il nome di Rose e quindi mi affrettai a rispondere.
«Ehi» dissi appena risposi alla chiamata.
«Ciao» il suo tono di voce non mi convinceva e sapevo anche perché fosse così. «Hai visto le foto?» domandò forse un po' retoricamente, avevo uno staff di persone che setacciava il web per me alla ricerca di foto e informazioni che i paps pubblicavano.
«Si ho visto.» dissi semplicemente sorridendo tra me. Alla fine per averle viste doveva aver cercato informazioni su di me.
«E...non ti hanno dato fastidio? Non sei preoccupato» domandò ansiosa, ora riuscivo a riconoscere come preoccupazione e paura quello strano tremolio della sua voce. «Lo sapevo sarebbe successo...te lo avevo detto, farci vedere assieme...io potrei danneggiarti e ora cominceranno a cercare informazioni su di me e quella maledetta storia tornerà a tormentarmi...ma io non voglio che parlino di Dominick»
Sapevo che Rose poteva diventare un fiume in piena, mi aveva detto che spesso parlava per non dimostrare le sue debolezze, eppure in quel momento stava parlando proprio di quelle, delle sue paure e debolezze, perché se avevo capito una cosa di lei era che avrebbe fatto qualsiasi cosa per il figlio.
«No, Rose non sono preoccupato per le foto o quello che potrebbero pensare vedendomi in tua compagnia» disse mentre mi sedevo sulla sponda del letto e continuavo a parlare «Quando ti ho abbracciato venerdì sera per farti capire che non mi importava di niente, non stavo fingendo»
Sembravo anche un po' offeso, ma in fondo potevo capire la sua paura.
«Sei sic-sicuro...io già so cosa diranno di me, ma anche se parlassero di me non mi importerebbe...ma Nick ha solo dieci anni e non voglio che parlino di lui...come...come di un ba ..»
Non finì di parlare, ma non ce n'era bisogno, quella prima sillaba era chiara, avevo capito cosa voleva dire, e quasi mi arrabbiai, non con lei, Rose aveva solo paura, ma con quei maledetti giornalisti che avrebbero mangiato con gioia davanti a quella storia, così come avevano fatto in passato. Avevo cercato qualcosa su internet ed era stata una tortura per una ragazza di appena diciassette anni.
«Devono solo provarci...Rose, non saresti da sola anche se ci provassero. Hai tante persone vicino, tuo padre, tua madre, Leonora, il professor Scott e...e me» mi ero aggiunto alla fine, anche se in cuor mio avrei voluto essere il primo di quella lista non potevo farlo.
«Non puoi farlo e io non posso chiederti niente»
«Cosa vai dicendo Rose, certo che puoi, dei commenti cattivi nuocerebbero anche a me»
«Appunto, se io non ci fossi, tu non saresti in questa situazione. Forse è meglio...» si zittì di colpo, mentre sentivo quello che sembrava un singhiozzo. Stava piangendo? Odiavo far piangere qualcuno, figuriamoci le donne, figuriamoci Rosaleen.
«Forse cosa?» mi strozzai quasi nel chiederle di continuare quella frase.
«Forse è meglio smettere di sentirci...tornare a come era prima.» lo sentivo dalla sua voce che quelle parole le costavano qualcosa, non sempre riuscivo a capirla, ma su una cosa ero certo: i passi che Rose faceva non erano mai ovvi o scontanti, se faceva qualcosa era perché si sentiva sicura e aveva fiducia.
«Come era prima?» quasi balbettai, non volendo neanche pensare a quell'opzione.
«Si quando non ci conoscevamo, quando non eri entrato nelle nostre vite»
Non riuscì a trattenermi dal farle quella domanda, perché sinceramente volevo che negasse con forza quanto detto prima.
«E' veramente questo quello che vuoi?»
«Si...»
La sua risposta mi colpì come un pugno nello stomaco, eppure nella sua voce c'era una grossa incertezza, rimasi in silenzio, mentre l'ansia mi stringeva lo stomaco. Non ero un ragazzino alle prese con la sua prima cotta, eppure mi sentivo così, come se non sapessi cosa dire, ma con il desiderio di farle cambiare idea. Ero in silenzio in attesa che dicesse altro, speravo dicesse altro, aveva lasciato una frase in sospeso. Infatti poco dopo la sentì sospirare e poi confessare «in realtà no, ma ho paura.»
Il sollievo che mi colse fu palese nel sorriso che mi comparve sul viso, e forse anche nel tono della voce con cui mi affrettai a rispondere «Rose...io...non sei sola » la rassicurai.
«Lo so» mi disse soltanto...erano poche parole, ma sentivo nel suo tono che andava un po' meglio, non immaginavo neanche la lotta interiore che stesse vivendo in quel momento e avrei voluto affrontare quella conversazione dal vivo e non per telefono, vicino a lei.

Sentii la porta di casa mia aprirsi e la voce della mia prima assistente chiamarmi dall'ingresso. Forse dovevo cominciare a dire ad Anna che non era il caso di presentarsi così a casa. Purtroppo per me dovevo chiudere la chiama, anche se non volevo, respirai a fondo passandomi in una mano nei capelli tagliati corti per poter interpretare il ruolo di James Kirk e mi affrettai a dire, il dispiacere ben udibile nella mia voce. «Ora devo andare è arrivata la mia assistente e sono praticamente mezzo nudo» confessai, ridendo poi dell'ultima parte. Chissà come avrebbe reagito Rose.
«Sei mezzo nudo!?!?» la sentì urlare nel telefono, mentre mi sembrava quasi di vederla arrossire davanti a me «Oddio copriti» aggiunse, la voce soffocata, era quasi come se si stesse comprendo il viso, come se potesse vedermi...o forse bhé stava immaginando, e quella cosa, da uomo, non poteva che farmi piacere.
«Sicura?» scherzai, il tono improvvisamente malizioso non mi sorprese, ero palesemente contento al pensiero che potessi piacergli sotto quell'aspetto, certo sapevo di piacere a tante persone, ma quando vuoi piacere a qualcuno in particolare, è tutto diverso.
«Chris...non è il momento di scherzare» urlò nel telefono, facendomi ridere e allontanare lo smartphone dall'orecchio.
«Ehi...ok, hai ragione, ora vado davvero...ci sentiamo...sarò fuori città fino a venerdì pomeriggio. Ci vediamo all'università» dissi così su due piedi. Non avevo pensato fino a quel momento a cosa volevo fare una volta tornata in città, ma andare da Rose e poi vedere Nick non mi sembrava un'idea tanto malvagia. Dovevo averla sorpresa parecchio visto che impiegò parecchio tempo a darmi una risposta.
«O-ok» fu tutto ciò che disse e non ne ero molto felice...speravo in qualcosa di più, poi la sentì ridere per telefono e quello mi rassicurò. «Buon lavoro...mi raccomando rendi bene il bellissimo Kirk»
Ah ecco, sapeva anche flirtare se voleva lei. Bhè se lei voleva giocare con me, io non mi sarei tirato indietro. Da seduto sul letto mi sdrai, palesemente divertito da quella situazione, il telefono nella mano sinistra e quella destra tra i capelli praticamente asciutti.
«Ah si...è Kirk ad essere bello...non io?» scherzai, il mio tono di voce si era fatto diverso, più seducente e accattivante, forse ero entrato in modalità seduttore? Bhè stava il fatto che la sentì ridere, e sembrava che la brutta chiacchierata di prima non ci fosse mai stata, perché si trattava di una risata felice e senza paure.
«Ovvio che sia il capitano, gli uomini in divisa hanno sempre un certo fascino sai» rise lei attraverso il telefono, e quando rideva mi mandava in pappa il cervello, e mi si accelerò un po' il respiro. Ci fu un attimo di silenzio, dove si sentiva solo lei respirare o sospirare e anche io, era qualcosa di diverso... Tossicchiai per cercare di rompere quel momento e risi ancora una volta «Ah si...buono a sapersi»
«Che vuol dire...ehi» scherzò lei, era brava a fare la finta offesa, avrei voluto continuare a scherzare con lei, ma non potevo permetterlo, quindi a malincuore dovevo chiudere «Ora devo andare davvero Rose...ci sentiamo stasera appena posso. Salutami il campione.»
«Oh...va bene, buona giornata Chris...ci sentiamo st-stasera.»

Chiusi la telefonata con uno strano sorriso sulle labbra, sembravo un po' rincoglionito, o forse avrei dovuto dire che sembravo fatto di qualche sostanza stupefacente, e quello che dovette pensare anche la mia assistente, Anna, che mi guardava dall'entrata della stanza ridendo, quasi sconcertata di quello che aveva sentito.
«Allora è vero» esordì Anna entrando nella stanza gettando la sua borsa su una poltroncina bassa. Era completamente immune alla mia quasi nudità, all'inizio l'avevo presa come offesa personale, poi mi sono semplicemente reso conto che Anna era innamorata e non provava attrazione per me. «Che stai dicendo» chiesi entrando nella stanza armadio per rivestirmi, lasciai cadere l'asciugamano e indossai boxer, jeans e maglia a maniche corte.
«Simon dice che ti sei fritto...io direi invece che ti sei cotto»
Anna era sempre stata di una sincerità disarmante e l'avevo sempre apprezzata per quello, ma quella volta mi lasciò leggermente basito, con la maglietta messa a metà uscii fuori dalla stanza e mugugnai mentre infilavo l'indumento «Cosa intendi» era una domanda ma già sapevo la risposta e lo sapeva anche il mio corpo, e il mio stomaco in cui avevo quella strana sensazione di avere le farfalle. «Sai cosa intendo...bhé comunque lei mi piace» aggiunse mentre tirava fuori un tablet dalla borsa e controllava gli impegni.
«Ti piace?!» tossicchiai mentre cercavo di capire la portata della sua affermazione.
«Si...se decidi di frequentarla....bhé conta pure su di me»
Ero voltato di spalle quindi non poté vedere il mio sorriso che finì con l'illuminare l'azzurro dei miei occhi. «Grazie Anna...davvero. Comunque ora dobbiamo affrettarci. I bagagli sono pronti, dobbiamo controllare altro?» chiesi mentre mi avvicinavo al mobile basso in legno scuro dove riponevo gli orologi e altri accessori maschili, indossai il mio rolex, il primo vero regalo che mio ero fatto, e una cintura.
«Non ti preoccupare, niente che non possa gestire da sola» mi disse indicandomi con la testa il telefono e il patio, forse potevo impiegare il tempo che restava a telefono. Non era una cattiva idea.



Giovedì 16 Luglio 2015 - primo pomeriggio
Quel venerdì sembrava non arrivare mai. Eppure non è che avessi avuto chissà quanto tempo libero, eppure ogni secondo che avevo avuto se non ero a telefono con la mia famiglia avevo parlato con Rosaleen o con Nick, quel bambino era così affettuoso, così amorevole e così bisognoso di una figura paterna. Mi accorgevo che spesso parlavo più con il bambino che con la madre in sé, ma la cosa non mi dava fastidio, sapevo che Rose non mi stava evitando, o almeno lo speravo.
Approfittando di un attimo di pausa mi ero rifugiato in un angolo del set più riservato, per mandare un messaggio a Rosaleen, sapevo che era a lavoro e non volevo disturbarla, quindi mi accontentai di un semplice sms su whatsapp.

Chris: Ehi come procede? Qui abbastanza bene, oggi è l'ultimo giorno prima del week end. Nick come sta? Domani ti trovo in laboratorio?

Sospirai un paio di volte prima di inviare il messaggio, e quando finalmente premetti invio, stavo sorridendo da ebete guardando la doppia spunta alla base del messaggio.
Sentì qualcuno vicino a me tossire e alzando lo sguardo vidi Karl che poggiato ad una roulotte mi guardava. Un sorriso beffardo era comparso sulle labbra dell'attore e amico neozelandese. «Allora con chi messaggi?» ridacchiò, in fondo già sapeva la risposta, visto che appena incontrati gli altri le domande su quelle foto erano sorte spontanee, avevo detto a tutti la stessa cosa, che Rosaleen era la dottoressa della Caltech che avevo incontrato e ci eravamo visti per caso al cinema, lei accompagnava suo fratello, non volevo mettere in mezzo la storia, anche se fosse uscita allo scoperto, ciò che mi importava era che io sapessi la verità e non che dovessi spiegare qualcosa agli altri.
Non risposi, lo lasciai avvicinare a me e sogghignai facendolo sorridere. «Bhè a chiunque tu abbia scritto se è questa la faccia che hai dopo, non smettere, amico.» mi disse Karl avvicinandosi e battendomi una mano sulla spalla, ammiccando leggermente.
«Oh se lo dice Bones...è come se lo dicesse il mio medico, no?» risi facendogli posto sul gradino della roulotte dietro alla quale mi ero nascosto.
Tornai a guardare il telefono che stringevo tra le mani, intanto Karl mi scrutò qualche istante prima di azzardarsi a dire qualcosa.
«Ne vuoi parlare?» mi chiese stringendo la mano sulla spalla in una stretta leggera. Era di otto anni più grande di me, ma sicuramente forse aveva più esperienza nelle questioni di cuore, visto che era anche stato sposato ed era padre.
Sospirai, prima di annuire brevemente. Non parlò fino a quando non iniziai a farlo io di mia iniziativa. «Mi piace» esordii semplicemente, volevo dirlo ad alta voce, come per metterlo in chiaro fin dall'inizio e non lasciar spazio a fraintendimenti. Karl ridacchiò ma non disse nulla, quindi continuai come se non lo avessi sentito.
«E' diversa da ogni altra ragazza che abbia mai incontrato. Non perché non faccia parte di questo mondo...perché per la sua bellezza potrebbe essere una modella, ma per com'è veramente lei, è una persona generosa, è semplice e poi non me la dai mai vinta, è sincera, ha ammesso in modo tranquillo di essere una mia fan sfegata, e in realtà sospetto anche tua...» mi voltai a guardarlo con un espressione da ridere, forse perché tentavo di dirgli con uno sguardo quello che invece dovevo dire a parole: cioè non provarci neppure.
Continuai a parlare, guardando avanti a me, il telefono sempre tra le mani in attesa che vibrasse. «è un po' stravagante, è pur sempre una dottoressa in Astrofisica, ma se la chiamo Nerd si arrabbia quindi direi che stravagante va bene. » ridacchiai, non me ne accorgevo, ma quando parlavo di qualcosa che mi piaceva tendevo ad infiammarmi, almeno in compagnia degli amici e di chi mi fidavo.
«La sua storia...è diversa da quello che ti aspetti» su quel punto non andai oltre, erano cose private, lei si era aperta con me, eppure era semplice scoprire cosa le fosse successo, bastava digitare il suo nome, ma non avrei mai tradito la sua fiducia, mai. « La sua famiglia è perfetta, amorevole e non le ha mai fatto mancare nulla, sarebbe potuta crescere come una bambina viziata, in un mondo come LA è facile, eppure sembra quasi che se ne vergogni» continuai senza fermarmi, mi piaceva parlare di lei.
«Bhè amico, allora non è come dice qualcuno...che rischi di innamorarti...tu questo rischio lo hai già superato» rise Bones, portando il braccio a circondarmi le braccia, come farebbe un fratello un maggiore con il fratellino alla prima cotta.
«Dai che vai dicendo» ridacchiai, non ero innamorato, lo sapevo per certo, non ero un tipo così facile, però una cosa potevo dirla con sicurezza, Rosaleen poteva essere una ragazza di cui mi sarei innamorare. «Non sono a quel punto....ma potrei arrivarci» mormorai alla fine, sentendo vibrare poi il telefono. Quasi mi volò di mano a causa della foga con cui cercai di guardare il messaggio.
Quella scenetta doveva aver divertito parecchio Karl, che se ne andò ridendo e mi parve che stesse mugugnando qualcosa tipo «Si lui è quello non coinvolto»
Non ci badai molto e mi affrettai a leggere il messaggio di risposta.

Rose: Ehi, scusa il ritardo. Tutto bene, le cose si sono calmate...credo che mio padre abbia sguinzagliato gli avvocati. Nick sta bene, ma non fa altro che parlare di Star Trek, è la prima volta che lo penso, ma quasi quasi te lo mando sul set, mi sta facendo impazzire. Domani pomeriggio sono in ufficio, come sempre fino a che la morte non mi porta...scherzo, dipende dagli esperimenti, ma credo di essere in ufficio almeno fino alle cinque. Tu tutto bene? Non stressarti troppo...James Kirk stressato non mi piace :) R.

Mi affrettai a rispondere proprio mentre spuntava Sarah, una delle assistenti del set che mi faceva segno di tornare quindi dovetti anche tagliare corto per mia sfortuna.

Chris: Stanco, ma felice di tornare. E nessuna morte che ti porta, sono pur sempre un principe azzurro, al massimo vengo a salvarti io...sai che sacrificio. Ora devo andare che mi richiamano sul set, salutami Nick e se vuoi me lo tengo volentieri quel campione ;) un bacio a dopo

Infilai il telefono nella borsa che stava vicino alla mia sedia e tornai indietro. Vidi un po' di gente confabulare, Simon che annuiva di tanto in tanto segnando qualcosa sul tablet, speravo vivamente di non dover girare anche domani, non avevo intenzione di perdere il mio volo alle dieci.
Presi il copione che avevo lasciato sul tavolo e diedi una scorta veloce alle successive scene che dovevamo girare, dovevo essere presente solo in una scena anche piuttosto piccola. Erano le due di pomeriggio e avevano ancora tempo, c'era ancora molta luce e sicuramente avremmo girato fino a tardi. Mi versai un bicchiere di acqua fredda che bevvi con piacere, intanto Simon aveva finito di discutere e si stava avvicinando a me palesemente soddisfatto.
«Tutto bene?» domandai fingendo disinteresse, in realtà morivo dalla voglia di sapere.
«Si si tutto apposta...buone notizie, la prossima scena è così piccola che potresti finire prima del previsto.» dichiarò ridacchiando, probabilmente già vagliando cosa farmi fare per coprire l'attesa, ma io avevo in mente altro. Il mio cervello stava già vagliando la possibilità di prendere un aereo e tornare a Los Angeles.
«Qual è il primo volo per LAX?» chiesi sporgendomi a prendere il telefono dalla borsa, ero già in procinto di chiamare Anna quando Simon rispose «Perché? Vuoi tornare a casa?»
Che domanda stupida.
«Ovvio, avrei due giorni pieni per riposare, posso cenare con i miei» a volte mi stupiva di quanto fosse tardo.
«Solo per quello?» indagò ridacchiando, mentre sul tablet notai stava cercando un volo che dall'aeroporto di Vancouver mi portasse a LAX. Senza distogliere lo sguardo dalla schermo aggiunse « vai a lavorare, ci penso io» e si allontanò.
Scossi la testa guardandolo andare via, poi mi voltai verso il resto dello staff, mancavo solo io all'appello quindi mi affrettai a raggiungere il regista Justin Lin per riprendere a filmare.

Qualche ora dopo

Quando riuscì a guardare nuovamente l'orologio, mancavano pochi minuti alle cinque e un quarto ed ero stremato. Mi lasciai andare sulla sedia in tela poggiando il copione aperto sulla faccia. Volevo solo andare in albergo e dormire dieci ore di fila. Stavo così rilassandomi quando arrivò un trafelato Simon che alzò il copione di scatto dalla mia faccia.
Quasi ringhiai all'improvviso fascio di luce che colpi le mie iridi azzurre piuttosto sensibili alla luce. «Simon!!» sbottai chiudendo di colpo gli occhi e alzandomi dalla mia posizione stravaccata.
«Ehi ehi, calma...se non vuoi più partire» sogghignò il mio agente. Ritirai subito quanto pensato prima. Quell'uomo non era stupido, era malvagio.
«Assolutamente....hai trovato un posto?» domandai improvvisamente più lucido, la stanchezza sostituita dall'adrenalina di tornare a LA quella sera stessa e non l'indomani.
«Si si » ridacchiò Simon alla mia reazione e mi porse il tablet «Hai un'ora per essere in aereoporto, quindi se non vuoi perdere l'aereo è il caso di andare» parlò mentre leggevo la carta di imbarco, secondo la quale sarei atterrato alle nove e mezza. Era poco tempo quello che avevo ma Simon era un tipo previdente «C'è anche un volo dopo, dura di meno e atterri solo mezz'ora dopo» mi sorrise e davanti a quell'impegno non potei ripagarlo se non con un sorriso, avrei pensato a qualcosa in seguito.
«Andiamo allora» dissi afferrando ciò che mi serviva e voltandomi a salutare lo staff, con un sorriso fin troppo compiaciuto quasi urlai «ci vediamo domenica»
Fui seguito da una serie di saluti e qualche insulto giocoso da parte di Karl o Zach, visto che li lasciavo in anticipo, ma capivano che se potevo tornare a casa prima era un'opportunità che anche loro avrebbero colto al volo.
L'ora successiva passò in un lampo, visto che ebbi appena il tempo di cambiarmi dagli abiti di scena e fare una brevissima doccia nel bagno della roulotte, poi una corsa all'aereoporto, fortuna che la prima classe offriva qualche piccolo vantaggio.
Prima di imbarcarmi mandai un messaggio alla mia famiglia e uno a Rosaleen.
A mia madre scrissi che sarei andato a pranzo da lei il venerdì o il sabato mattina, mentre a Rose ne inviai uno decisamente molto più vago, volevo solo accertarmi che stasera fosse a casa. Era giovedì sera, non sarebbe tornata a Los Feliz visto che l'indomani avrebbe lavorato sicuramente.

Chris: Allora gli esperimenti ti hanno sommersa? O sei ancora viva? Comunque forse Nick vuole solo passare più tempo con te ecco perché parla sempre di Star Trek, è qualcosa a cui tu lo hai appassionato, è come un segnale. Quando lo vedi, stasera? Noi abbiamo quasi finito, la mia testa non vede l'ora di incontrare il cuscino. ;)

Aspettai che venisse inviato e ci fosse la doppia spunta prima di impostare la modalità aereo. Il volo sarebbe durato tre ore, un po' lungo, ma sarei arrivato leggermente prima rispetto a quello successivo, anche se di poco. Una volta a bordo aspettai il decollo, poi guardando la mascherina per gli occhi che l'hostess mi aveva portato - forse su suggerimento di Simon? - pensai di dormire un pochino, almeno così quel volo sarebbe passato in fretta.

Si avvisano i signori passeggeri che il volo Delta 5742 è in attesa del proprio posto sulla pista di atterraggio, si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie per l'attenzione

Fu la voce del primo assistente di cabina a svegliarmi, e molto lentamente sollevai la mascherina e mi sistemai sulla mia poltroncina singola. Una delle hostess mi porse un bicchiere d'acqua con un sorriso seducente. Ero abituato a certe attenzioni sia per via della classe di viaggio che sceglievo e sia bhé per via della mia notorietà. La ringraziai con un sorriso e bevvi un grosso sorso d'acqua per sciacquare la bocca, anche se avrei preferito qualcosa di più forte. Forse come leggendomi nel pensiero, un'altra tra le assistenti di volo mi servì un'acqua tonica, mi portò anche una salvietta umidificata e poco dopo tornò con un foglio e una penna, che io guardai un po' scettico.
«Mi scusi signor Pine, io...e tutto lo staff ci chiedevamo se una volta atterrati volesse fare una foto con noi e se potesse farci un autografo» domandò la giovane senza perdere il sorriso elegante che erano "costrette" ad indossare tutto il giorno durante il loro lavoro. Non ero sorpreso dalla domanda, mi era successo più di qualche volta, quindi con tranquillità presi la penna e chiesi a chi dovevo dedicarlo e lei elencò alcuni nomi che mi affrettai a scrivere, poi aggiunsi una dedica ringraziandoli dell'ottimo servizio e la mia firma, alla fine porsi tutto alla più che entusiasta assistente.

Una volta in fase di atterraggio mi affrettai a tirare fuori il telefono, non potevo ancora disattivare la modalità aereo, ma potevo tenermi pronto per scendere. Simon aveva organizzato una piccola scorta, qualcuno mi avrebbe fatto uscire in maniera poco clamorosa e avrei trovato Tyron ad aspettarmi con un SUV, una corsa a casa e poi avrei provato a fare una sorpresa a Rose.
Lungo tutto il tragitto che mi separava dalla macchina, pensai se fosse giusto presentarmi così a casa sua, dopotutto da quanto ci conoscevamo? Mentre sbrigavo alcune formalità ai controlli, che furono però brevi e senza intoppi, cercavo di capire se era veramente quello che volevo fare. Non era un gesto avventato? Che idea avrei dato? Io avevo solo un grosso desiderio di conoscerla meglio, non sapevo se da quella cosa potesse nascere qualcosa di diverso, ma avrei preferito rimanere in eterno suo amico anziché rovinare quello che aveva le basi per essere anche solo un rapporto di amicizia.
Eppure c'era qualcosa che mi dava fastidio al pensiero che fosse solo un'amica, ma non era una scelta facile. Se avessi dovuto dare un'idea della mia donna ideale...bhé Rosaleen rispecchiava praticamente tutte le caratteristiche. Spesso mi veniva chiesto come doveva essere la mia donna ideale e dopo anni di relazioni fallite o finite per mancanza di interesse oramai mi conoscevo abbastanza per affermare che doveva essere intelligente, bella, simpatica e brava con le parole*, era una descrizione abbastanza fedele di Rosaleen.
Una volta fuori dall'aereoporto incontrai Ty che raccolse i miei bagagli e mi disse di salire in auto. Los Angeles luccicava delle mille luci della notte, era giovedì sera e nella città del cinema era sempre giorno per festeggiare.
Non avevo voglia di fare molte chiacchiere, quindi mi sdraiai sul sedile della macchina e tirai fuori il telefono, quando mi accorsi di non aver ancora impostato la modalità online, quasi sussultai, come potevo aspettarmi di ricevere un messaggio se non tornavo in linea. Mi affrettai a cambiare l'impostazione e non mi sorpresi di sentir vibrare continuamente il telefono nei minuti successivi mentre ricevevo le varie email e messaggi di cui uno di Simon che voleva accertarsi che fossi arrivato sano e salvo, la risposta di mia madre entusiasta all'idea di avermi a pranzo l'indomani e poi ovviamente il messaggio di Rose che risaliva a quasi due ore prima, maledetto aereo.
«Dannazione» imprecai mentre mi affrettavo a rassicurare subito Simon che altrimenti sarebbe diventato peggio di mamma chioccia e mi accordai con mia madre per il pranzo, infine mi concentrai sul messaggio di Rose.

Rose: Sono viva sono viva, ma il tuo messaggio mi ha quasi tramortito. Ci ho riflettuto un po'...e forse hai ragione. Spesso mi dimentico che alla fine nonostante sia sua madre riesco a vederlo solo tre giorni a settimana, anzi due e mezzo. Ho finito prima e sono andata a prenderlo, dorme da me, visto che domani non ha impegni a scuola. Tu invece domani a che ora torni?

Sorrisi leggendo il messaggio, quindi sarebbero stati a Pasadena. Cominciai a scrivere la risposta.

Chris: Non molto tardi. Quindi Nick è da te a Pasadena. Hai fatto bene, e Rose non ti tormentare, anche se non sei sempre con lui Nick è lo splendido bambino che è perché tu sei una madre splendida. Siete fuori a cena?

Se dovevo presentarmi da lei dovevo pur avere un'idea di cosa stesse facendo e dove si trovasse, e non era il caso di chiamarla. Poco minuti dopo sentì il telefono vibrare segno che un nuovo messaggio era arrivato.

Rose: Sei stato impegnato vedo. Comunque...grazie, direi che Nick è proprio un bel bambino, ma io sono di parte, sono la madre. Siamo al cinema, di nuovo, abbiamo visto Inside out, di nuovo, è la prima volta che resta alzato così tanto, ma va bene così visto che domani è libero. Poi penso che andremo a prenderci un gelato o qualcosa da Starbucks e poi a casa. Sempre se non crolla prima. 

Annuì soddisfatto, quelle informazioni erano decisamente utili, mentre Ty mi stava portando a casa.feci una rapida ricerca dei cinema di Pasadena e dei film in programmazione, dato che Inside Out durava un'ora e mezzo lo spettacolo più papabile era quello delle nove e dieci, quindi avevo a disposizione circa mezz'ora una volta arrivato a casa. «Ty?» richiamai l'attenzione dell'autista. «Si, Mr Pine?» rispose immediatamente senza distogliere lo sguardo dalla strada. «Puoi accelerare...avrei da fare»
Ty ridacchiò un attimo dal davanti e poi annuì «Certo Signore» e lo sentì scalare la marcia ed accelerare.

Chris: Anche io ho voglia di gelato ora. La prossima volta che ci incontriamo ricordalo. aggiunsi una faccina al messaggio e premetti invio.
Intanto Tyron stava posteggiando la macchina ed io ero già sceso al volo trascinandomi la borsa in pelle, il telefono sotto mano, anche se aveva bisogno di essere caricato.
«Queste le porto dentro Mr Pine?» mi chiese Tyron scendendo dall'auto e iniziando a prendere le varie borse.
«Si, Ty grazie, sistemale nell'ingresso, domani ci penserà Amanda» dissi senza neanche voltarmi, di solito non ero così poco collaborativo, ma avevo davvero poco tempo. Una volta dentro casa la prima cosa che feci fu poggiare il mio iphone sul caricabatterie wi-fi per farlo caricare, poi mi fiondai in bagno dove feci una seconda doccia, lavai velocemente i capelli e lasciai che si asciugassero da soli, tanto faceva un caldo di pazzi. Entrai praticamente nudo nella cabina armadio indossando boxer, jeans chiari e camicia, arrotolai le maniche e indossai di nuovo l'orologio che avevo tolto, come ultimo tocco un goccio di profumo Armani Code, di cui tra l'altro ero testimonial. Era incredibile ma l'intera faccenda non mi aveva impiegato più di dieci minuti. Se volevo ero anche io veloce. Tyron era ancora impegnato a portare le valige dentro casa quando io tornai in salotto.
«Già pronto Mr? La devo accompagnare?» mi domandò immediatamente il mio autista di fiducia
«No Ty, tranquillo, prendo la Camaro, quando vai via chiudi la porta e attiva l'allarme però» dissi passandogli accanto e battendo una mano sulla sua spalla. Il telefono si era caricato al 40%, non era sufficiente, ma non potevo tardare, potevo continuare a caricarlo in macchina.
Controllai di avere tutto con me, portafoglio, patente e chiavi della macchina oltre che quelle di casa ovviamente.
«Certo Mr Pine» mi rassicurò il ragazzo, quindi soddisfatto annuì e uscì di casa. Faceva davvero caldo, ma era anche meta luglio, speravo che usando la decapottabile avrei potuto beneficiare un po' del vento creato dalla guida. Appena in auto misi in moto e collegai l'iphone al caricabatteria da auto e mi avviai.
Il traffico sulla Freeway non era tanto, potei accelerare un pochino e godere della brezza serale che stava salendo dal Pacifico, guidai con tranquillità fino all'uscita di Pasadena, lì però dovetti attivare il navigatore satellitare, impostando la ricerca su Starbucks - Pasadena, individuando quello più vicino al Caltech, visto che ricordavo le parole di Rosaleen.
«Se non vuoi parcheggiare davanti da Starbucks e attirare attenzione, come credo che tua voglia, accosta qui, c’è il parcheggio sotto casa mia, possiamo arrivare a piedi da Starbucks» aveva detto la prima volta che ci eravamo visti, quindi accostai in un parcheggio e feci la mia ricerca, ringraziando mentalmente l'esistenza di google maps e dello street view. Lo riconobbi subito dalle immagini e così anche la strada con il parcheggio dove mi ero sistemato la prima volta. La strada in questione era E Green street e stando ai miei calcoli ero pienamente in orario, ma non volevo rischiare, quindi misi in moto velocemente e seguendo la vocina che mi diceva di andare dritto e poi di girare a destra e poi a sinistra, arrivai in poco tempo.

Quando mi parcheggiai davanti di casa di Rose, spensi il motore, sistemai i capelli guardandomi nello specchietto, era un grosso peccato doverli rovinare, ma non potevo aspettare Rosaleen senza neanche indossare un berretto, probabilmente sarei spiccato come un lupo in mezzo ai conigli. Ripescai il mio solito vecchio cappellino da sotto il sedile della macchina e me lo calcai con delicatezza sulla testa, forse non avrei rovinato di molto l'ordine della mia pettinatura, ma in fin dei conto non me ne importava più di tanto, più che altro ero deciso a giocare un po' con quel bambino e la sua mamma. Scesi dall'auto e feci il giro, andandomi ad appoggiare allo sportello del passeggero, incrociai le braccia al petto e diedi uno sguardo all'orario. Erano le dieci e quarantacinque ed ero già lì, non potevo aver tardato di molto, quindi attesi in silenzio qualche minuto. Come avevo previsto ad un tratto cominciai a sentire la voce squillante di un bambino e man mano che si avvicinava riuscì ad accettarmi che fosse la voce di Nick, era mano a mano con Rosaleen, tutti e due reggevano un cono gelato e stavano mangiando con gusto. Appena furono più vicini potei osservarli meglio. Chiunque li avesse visti assieme avrebbe avuto qualche dubbio sulla loro parentela, Rose e Nick condividevano un legame che era impercettibile, ma a volte si faceva così intenso da rendere impossibile non accorgersi che la loro non era una semplice somiglianza tra fratelli.
«Allora ti è piaciuto...lo hai visto meglio di quando sei andato alla premiere?» stava domando Rose, intervallando ogni tanto con un assaggio al gelato.
«Si questa volta si...ma sai lì fanno sempre un sacco di discorsi, ringraziamenti e il film non iniziava mai» si lamentò il ragazzino, il suo gelato decisamente più sciolto, ma anche lui si stava dando da fare per mangiarlo, di fatto la sua bocca era tutta bianca e nera, sporcata dal dolce.
Erano quasi arrivati alla mia altezza e sembravano intenzionati a superarmi senza neanche avermi visto, a quel punto non potevo lasciarli passare così. Mi schiarì la voce e dissi «Non ti avevo detto che appena ci incontravamo mi dovevi comprare un gelato...vorrà dire che mangerò il tuo». Certo che amavo rendermi simpatico o le entrate a sorpresa.
Sia Nick che Rose si fermarono leggermente sconvolti, o per meglio dire sorpresi. Era ovvio che non si aspettassero di incontrarmi, dopotutto sarei dovuto tornare l'indomani. Il primo a scuotersi da quella sorpresa fu il ragazzino che appena mi riconobbe, grazie anche al fatto che mi liberai del cappellino gettandolo sul sedile posteriore, mi corse incontro con un pericoloso gelato gocciolante. Io non amavo sporcarmi, e quindi stavo quasi per tirarmi indietro, ma venne in mio soccorso Rose che esclamò quasi terrorizzata all'idea di vedere una macchia di cioccolato sulla mia camicia bianca.
«Nick, fermati...sporcherai il signor Pine...» si precipitò ad afferrare il ragazzino prendendogli di mano il gelato e pescando una salviettina profumata dalla borsa. Tutto questo con due coni nella mano destra sollevata per non sporcare nessuno e bloccando un ragazzino.
«Il signor Pine?» domandai sconvolto.
La mia faccia sembrava dire "Guarda tu un po' questa che dice".
Rose arrossì imbarazzata, mormorando un «Scusa...mi è sfuggito» che mi fece sorridere. Mi staccai dalla macchina inginocchiandomi all'altezza del ragazzino, che ora pulito e molto meno pericoloso quasi mi saltò in braccio, non che fosse sto gran peso, visto che era piuttosto mingherlino. «Ehilà campione» esclamai salutandolo, una mano andò automaticamente a strofinarsi sulla sua testa facendolo ridere.
«Sei tornato prima Capitano?» domandò sorridente il bambino. Era proprio un gran appassionato...colpa della madre.
«Esatto» annuì aprendomi in un altro sorriso, intanto Rose si era alzata ed cercava di arginare i danni di due gelati gocciolanti. Non potevo lasciarla lì da sola a combattere contro due gelati malvagi no?
«Bisogno di una mano?» chiesi alzandomi, mentre Nick si agganciava automaticamente al mio braccio.
«No piuttosto di un bagno» replicò lei cercando con lo sguardo disperato quello che supponevo fosse un cestino. Sbuffò poco dopo sconfitta. A quel punto visti i due gelati gocciolanti e immangiabili, intravidi la mia occasione.
«Che dici ne andiamo a comprare un altro, così potrai offrirlo anche a me» ammiccai, già sentendo la voce del ragazzino salire di parecchi decibel, entusiasta all'idea.
«Chris...io non so...» ecco che tornava l'indecisione sul volto di Rosaleen.
«Non sai...o non vuoi» sospirai mentre allontanavo il braccio da Nick e lo poggiavo sulla spalla del ragazzino. «Scegli tu la gelateria, quella più nascosta...non mi farò notare, resterò in auto e poi torniamo qui...ti va?» domandai stirando leggermente le labbra in un sorriso.
La vide titubare un po', ma poi la supplica del figlio sortì il suo effetto e quindi la vidi annuire, ma sollevò un attimo la mano assumendo un espressione preoccupata. «Sulla tua macchina gocciolante cioccolato non ci salgo, arrivo in fondo alla strada e butto questi così, tu inizia pure a salire. Nick mi allontano un secondo...non ti allontanare da Chris» affermò Rosaleen guardando brevemente il figlio per farsi stare a sentire. Il bambino annuì serio e decisamente contento e io la rassicurai «Tranquilla vai pure...aspettiamo qui».
La vide allontanarsi nel suo vestitino a fiori rossi su base bianca, i capelli sciolti sulle spalle e i tacchi. Rosaleen non si accorgeva mai dell'effetto che poteva avere su un uomo, l'avevo capito subito, ma si imbarazzava tanto se qualcuno la fissava troppo, quindi approfittai di quegli attimi per osservarla facendo comparire un altro sorriso sul mio volto. Mi sentì tirare un braccio da Nick e abbassai lo sguardo, il bambino mi guardava contento e sembrava aver appena fatto una grossa scoperta.
«Ti piace la mia mamma?» domandò Dominick, i suoi occhi illuminati da una luce calda e piacevole di speranza, e forse amore. Rimasi leggermente interdetto da quella domanda, non volevo rispondere...avevo paura di rispondere, soprattutto perché non avevo idea di come sarebbe andata, ma in fondo a me Rose piaceva, lo avevo detto subito a Karl, quindi potevo essere sincero su quello.
«Si, Nick...mi piace la tua mamma» lo rassicurai abbassandomi alla sua altezza e guardandolo negli occhi. Quella risposta sembrò fargli piacere, ma ne aveva una nuova di domanda.
«E io...io ti piaccio?» su quella non ebbi neanche bisogno di riflettere, ero sicuro di adorare quel bambino, sollevai entrambe le braccia e andai a poggiare l mani sulle sue spalle minute. Sorrisi «Certo Dominick...tu sei un campione è impossibile che tu non piaccia.»
Anche quella risposta doveva avergli fatto piacere, ma lo vidi annuire quasi da adulto e poi mordersi le labbra, forse aveva un'altra domanda ma non sapeva se porla o meno. «Che c'è Nick dimmi» lo esortai, era un bambino adorabile e non c'era niente di male se voleva chiedere qualcosa, era curioso e intelligente come la madre, e soprattutto vedeva la mamma avvicinarsi per la prima volta ad un uomo.
Dapprima indeciso, lo vidi prendere coraggio, in lontananza riuscivo già a sentire i tacchi della madre che tornavano.
«E resterai amico della mamma, Chris? Lei aveva paura che tu non volessi più essere nostro amico» confessò il ragazzino. Lo avevo sempre detto, i bambini erano la bocca della verità e con questo mi spiegavo come si fosse fatta problemi Rose per un gelato, temeva ancora che una nostra foto potesse crearmi problemi. Quella ragazza era impossibile.
«Ovvio che si Nick...è stata la mamma che ti ha detto questo?» domandai sorridendo e scompigliando ancora una volta i capelli del ragazzino, facendolo ridere probabilmente per il solletico.
«Si...cioè lo ha detto ai nonni, io ho sentito tutto dalle scale...stava piangendo»
Stavo amando quel bambino, mi dava modo di sapere cose che altrimenti Rosaleen non avrebbe mai confessato e almeno potevo essere certo di una cosa: se Rose provava ad allontanarmi non era perché non provasse interesse in me, ma solo per paura di causare guai...quella ragazza era veramente impossibile. Visto che era quasi arrivata, mi affrettai semplicemente a rassicurarlo dicendo.
«Non ti preoccupare, saremo amici per sempre...» feci appena in tempo a dire prima che l'abito bianco a fiori di Rosaleen tornasse in vista. In effetti mi resi conto solo sotto quella luce quanto Rose apparisse stanca e quasi triste, mi sembrava di vedere tracce di pianto sul suo volto, ma non volevo interrogarmi o domandarle niente...forzarla non sarebbe servito a nulla.
Quando ci vide si dipinse in volto la sua espressione più allegra, poi si avvicinò dicendo «Allora...cosa confabulate...» domandò poggiando una mano sulla portiera della macchina.
«Niente» dicemmo in coro io e quel ragazzino. Cominciavamo ad assomigliarci troppo. Rose strinse le labbra, quasi per non ridere e ci guardò di spieco. «Non me la contate giusta...ma sono magnanima e quindi lascio correre» affermò arricciando le labbra in una smorfia adorabile. Alla vista del suo volto e di quel piccolo movimento, mi venne quasi uno strano impulso: quello di baciarla, ma non lo avrei mai fatto per tanti motivi, il primo era lì davanti a me, Rose dovevo conoscerla prima, il secondo era affianco a me e aveva dieci anni, il terzo era che non sapevo se sarei riuscito a fermarmi. Mi schiarì la voce, scuotendo la testa dai pensieri molesti e ridacchiai. «Segreti tra uomini, piuttosto salite...e fate strada» dissi allontanandomi da Nick e facendo il giro per salire a bordo, quando anche loro furono sistemati e con le cinture allacciate, misi in moto e poggiai la mano sul volante, l'altra sul cambio, mi voltai a guardarli e sorrisi. «Allora dove si va?» domandai facendo l'occhiolino al ragazzino che aveva ovviamente infilato la testa tra i due sediolini.
«Nick composto» cercò di riprenderlo Rosaleen facendoci ridere, sortì poco effetto.
«Allora...» incalzai inarcando un sopracciglio e fissai Rosaleen, la quale per tutta risposta sporse un labbro, imbronciandosi. La vidi inarcare anche lei un sopracciglio e confessare alla fine «Sinceramente non lo so...fai tu.»
Quella concessione quasi mi sconvolse...mi stava dando carta bianca su qualcosa. Era una cosa stupida, scegliere dove mangiare un gelato, ma non era una cosa da nulla per quella ragazza.
«Sicura?» domandai.
«Si...sicuramente conosci delle buone gelaterie....Nick composto ti ho detto» rispose mentre si voltava a guardare il figlio.
«Va bene va bene, vi porto a mangiare un ottimo gelato da...» ero tutto gasato, ma in realtà non avevo idea di dove andare. «In realtà mi trovi impreparato» confessai sconfitto. La vidi ridere all'improvviso, mentre le lacrime le salivano agli occhi, probabilmente era la prima risata che si faceva da giorni, perché non si calmò subito, e ancora tra le risate la sentì mormorare a stento «Vai dritto e gira a destra...poi ti dico»
Feci come mi disse, rimisi in moto e mi allontanai, con una Rosaleen Marrazzo finalmente sorridente sul sedile del passeggero.


*citazione intervista "Grazia.it" © 15 MAGGIO 2014
PV:
Chris Pine as himself
Nina Dobrev as Rose Marrazzo
Tyler Posey (piccolo) as Dominick Marrazzo

 

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