Fronti opposti

di _armida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Famiglia ***
Capitolo 3: *** Stoccarda, parte I ***
Capitolo 4: *** Stoccarda, parte II ***
Capitolo 5: *** Thor ***
Capitolo 6: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 7: *** Sospetti ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Il Tesseract ***
Capitolo 10: *** Io e te ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

La sua lunga gonna di tulle frusciava, sul pavimento d'oro del palazzo di Asgard mentre, il ticchettio dei suo sandali produceva un suono cadenzato e regolare. 
In lontananza, si udivano ancora i rumori della festa che stava volgendo al termine: i musici stavano rilasciando nell'aria le ultime dolci note e le dame e i cavalieri, ballavano i loro ultimi balli.
Sorrise, nel vedere alla fine del corridoio che stava percorrendo, una massiccia porta anch'essa d'oro, con la superficie interamente coperta da complicati intagli e bassorilievi.
Bussò.
Dopo pochi secondi, i pesanti cardini si mossero ed essa si aprì di alcune spanne; due profondi occhi di un verde brillante si scontrarono con i suoi, colore del mare.
Si sorrisero a vicenda.
"Ce ne hai messo di tempo", disse il dio.
"Il tempo di un ultimo ballo", ribattè lei.
"Un ultimo ballo dura più di un'ora?"
"Si, se i tuoi cavalieri sono Thor e Fandral", rispose. Le sue labbra vermiglie si allargarono, trattenendo a stento una risata.
"Voglio sperare che mio fratello e il suo amichetto non ti abbiano importunata"
Lei rise e la sua risata cristallina riecheggiò per i corridoi silenziosi del palazzo. Ai lati del suo viso fecero la sua comparsa due fossette.
"Dovresti ridere di più", disse il dio, portando una mano al viso della ragazza e assaporando la piacevole sensazione del calore che la sua pelle liscia gli dava. "Mi piacciono quelle fossette"
Lei gli sorrise dolcemente, piegando la testa di lato per aumentare quel contatto.
"Pensi di lasciarmi ancora per molto qui fuori, dove chiunque potrebbe vedermi, o pensi di farmi entrare?", chiese dopo alcuni secondi fatti di silenzio e sguardi profondi.
Le labbra del dio assunsero una piega divertita. Si fece da parte, permettendole di attraversare la soglia. La ragazza entrò e richiuse delicatamente la porta alle sue spalle. Fece appena in tempo a girarsi verso l'ampia stanza, che il suo corpo fu schiacciato da quello di lui contro di essa. Le sue labbra impazienti, reclamare le sue.
Per la sorpresa, lei aprì gli occhi di scatto: non era quello, il motivo per cui si trovava lì, quella sera. Eppure... eppure quelle labbra, quel sapore... li richiuse lentamente, facendosi trasportare per l'ennesima volta in quel vortice di piacere. In fondo, quella sarebbe stata l'ultima. Inutile rovinare quel momento con delle parole.
Le loro labbra che si schiudevano l'una sull'altra, le loro lingue che si lambivano e sfioravano in una lenta danza e le loro mani, che percorrevano le une il corpo dell'altro. Si divisero solo quando rimasero entrambi senza fiato. Il dio aprì la bocca, per dire qualcosa, ma lei gli poggiò un dito sulle labbra, inoltrandogli una muta richiesta di silenzio.
Lui le sorrise, prendendo una mano fra le sue e portandosela alla bocca, per un lento e dolce baciamano. La tenne incollata alle proprie labbra per un tempo forse troppo lungo, assaporando nel frattempo il suo profumo.
Si staccò da lei a fatica e, cercando di mantenere il contatto visivo per più tempo possibile, le si dispose dietro, incominciando ad aprirle, lentamente, bottone dopo bottone, l'abito. Nel mentre, le sue labbra fredde, torturavano l'esile collo di lei, spostandole i lunghi boccoli biondi da una parte e dall'altra.
Dalle labbra della ragazza, affiorò un leggero gemito di piacere. Non poteva vedere il suo amante in viso, eppure era certa che le sue labbra si fossero incurvate in un ghigno ironico. Lui si divertiva sempre, a torturarla in quel modo.
Il suo abito le cadde ai piedi e lei lo scavalcò, girandosi nuovamente verso di lui. Le loro labbra quasi si sfioravano nuovamente. Si sporse oltre il viso del dio, sganciandogli il mantello verde dalle spalle, che ricadde anch'esso al suolo. Poco dopo fu la volta della sua armatura di cuoio nero, seguito da casacca e pantaloni. 
Le loro labbra si unirono di nuovo. Scavalcarono entrambi il piccolo mucchio di abiti che era venuto a crearsi sul pavimento dorato e incominciarono lentamente ad indietreggiare verso il grande letto a baldacchino, che troneggiava al centro della stanza. Ci caddero sopra insieme e, per un attimo i occhi si aprirono, guardandosi. Scoppiarono a ridere. E poi, come attirati da un invisibile magnete, i loro corpi tornarono ad unirsi. 
 
***

Lei si svegliò che cominciava ad albeggiare, stretta nelle sue braccia. Dovette metterci tutta la sua forza di volontà, per sciogliere l'abbraccio e la rassicurante sensazione che ne derivava. Lentamente, facendo molta attenzione a non svegliare il dio che dormiva placidamente al suo fianco, si alzò e si diresse a raccattare le proprie cose.
Quando sollevò da terra il lungo vestito color panna che aveva indossato la sera precedente al ballo, una busta cadde fuori da una tasca. La raccolse e, per alcuni momenti, la tenne ferma tra le proprie mani, osservandola con aria malinconica. Sospirò, rimettendosela nella tasca.
Indossò il proprio abito ed andò a guardarsi al grande specchio da parete, cercando di darsi un'aria un po' più presentabile.
Si diresse alla porta e, stava quasi per abbassare la maniglia, quando un rumore di carta stropicciata, le riportò alla mente perchè era andata lì, la sera precedente.
Si diresse alla scrivania dove il dio passava la maggior parte del suo tempo e ci posò sopra la busta.
Il suo sguardo passò involontariamente a lui, disteso tra le coperte sfatte, con il profilo perfetto e i capelli corvini arruffati. Lo osservò con la malinconia negli occhi: lo amava ma... ma doveva andare.
Andò nuovamente alla porta e, senza indugiare oltre, la aprì ed uscì. 
Ormai era fatta, non si poteva più tornare indietro.
 
***

Quando il dio si svegliò era ormai mattina inoltrata. Sbadigliò, ancora molto assonnato, e si stiracchiò. Con notevole fatica, si districò tra le lenzuola e riuscì finalmente a liberarsi da esse e ad alzarsi. Si diresse alla ricerca dei propri abiti, trovandoli sul pavimento, vicino alla porta. Stava andando verso di essi, quando la sua attenzione fu attirata da una busta bianca, sulla sua scrivania. Non c'era nessuna lettera lì, la sera precedente.
Sorrise, intuendo di chi fosse. Capitava spesso, che lei gli lasciasse un messaggio. 
La prese tra le mani e se la portò al viso, assaporandone il profumo. Sapeva di lei.
Curioso, l'aprì.
Era una lettera lunga.
Lesse le prime righe.
"Non... non può essere...", gli sfuggì dalle labbra, mentre la ricominciava da capo, sperando di aver interpretato male quelle parole.
Anche alla seconda lettura, il messaggio era lo stesso.
Si dovette sedere, per evitare che le gambe gli cedessero. I suo occhi verdi si riempirono di lacrime.
Lei se n'era andata. Per sempre.
Lo aveva lasciato solo.


Nda
Ultimissima follia. Spero di avere stuzzicato un po' la vostra attenzione.
Fatemi sapere cosa ne pensate ;)   

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Capitolo 2
*** Famiglia ***


Capitolo I: Famiglia
 
Italia, otto anni dopo...

"Mamma, mamma! Ci racconti un'altra storia?"
Cassandra guardò dolcemente le sue 'piccole pesti', come chiamava le sue due gemelline di sette anni, Celeste e Adele.
Sospirò, accarezzando i folti capelli corvini delle bambine. "Un'ultima storia e poi a nanna.Ok?"
Le bimbe annuirono, mostrando un sorriso a trentadue denti. Si strinsero ancora di più contro di lei. Era un miracolo come facessero a starci tutte e tre nel lettino a una piazza della piccola Adele. La prossima volta era meglio mettersi nel letto della camera padronale, almeno quello era a due piazze abbondanti.
"Bene, che ne dite se vi racconto della battaglia di Jotunheim?"
Celeste fece una smorfia. "Che palle! Non mi va di ascoltare le storie su Odino"
Cassandra la fulminò con lo sguardo. "Dove hai imparato certe parole?"
La bambina le sorrise. "Da te"
La donna dovette mordersi la lingua, per soffocare un imprecazione. Non era il caso fargliene sentire di nuove.
"Mamma, raccontaci di Loki e Thor", disse Adele.
"Dede ha ragione", ribattè Celeste, "Vogliamo una storia con Loki e Thor"
La guardarono entrambe con occhi imploranti.
Sospirò, portandosi una ciocca di capelli biondi, sfuggita dalla coda di cavallo, dietro l'orecchio. Solo in quel momento, notò di avere ancora qualche macchia di colore sulle mani. Aveva dipinto tutto il giorno, per completare l'ultimo quadro della sua prossima mostra. Era una pittrice di successo e tutte le gallerie d'arte del mondo, se la contendevano.
"Anche qui", disse Adele, toccandogli con il piccolo indice affusolato una guancia.
Cassandra prese la bambina in braccio, sistemandosela sulle ginocchia. "E tu quale storia vorresti sentire?" 
"Mamma, parlaci di Loki"
Per un attimo gli occhi di Cassandra divennero malinconici. Le sue labbra si allargarono in un sorriso. "Loki è il dio dell'inganno", disse, accarezzando dolcemente la testa della bambina. "Ed è anche un mago molto potente e..."
"Ma la magia esiste davvero?", chiese rapita Adele.
"Certo che no, stupida", rispose seccata la sua gemella. In realtà, sotto, sotto, ci credeva anche lei. Quello era solo un pretesto per farla smettere di parlare: voleva ascoltare quello che la mamma aveva da dire.
"Celeste, non trattare così male tua sorella", ribattè Cassandra. Ci voleva pazienza, molta pazienza, con le bambine. Osservò l'espressione delusa della piccola Adele. "Secondo me... sì, potrebbe esistere", disse, cercando di tirarle un po' su il morale. "Basta crederci"
"E tu ci credi?", chiese la bimba, piegando la testa all'indietro, per poter guardare la sua mamma negli occhi, dello stesso azzurro dei suoi.
"Certo, piccola mia. E anche tua sorella, sotto, sotto, sono convinta che ci creda"
Celeste sbuffò, cercando con tutte le sue forze di divincolarsi dalla stretta della gemella che, in gesto d'impeto, l'aveva abbracciata.
Cassandra ride, osservando il comportamento delle sue bambine: Adele era introversa e dolce, Celeste, invece, ribelle ed esuberante. Una adorava qualsiasi cosa fosse rosa, possibilmente con l'aggiunta di qualche principessa Disney o qualche Barbie, l'altra si vestiva da maschiaccio e, secondo lei, le Barbie erano buone solo per gli esprimenti in giardino. Anche se, in quanto gemelle omozigote, il Dna era identico, non potevano essere più agli antipodi. Avevano entrambe i capelli corvini e la frangetta ma, mentre Adele li teneva lunghi, Celeste aveva un caschetto, corto.
Celeste, anche se solo per pochi minuti, era la maggiore e, in quanto tale, era molto protettiva nei confronti della sorella. Adele, invece, per via del suo comportamento schivo, era un po' più fragile ed insicura, in continua ricerca di approvazione e contatto.
La porta della cameretta si aprì e la babysitter delle bambine fece il suo ingresso.
"Zita, tu credi nella magia?", le chiesero in coro le bambine.
La donna, proveniente dall'Africa centrale e quindi con la pelle molto scura, guardò con il terrore negli occhi Cassandra: cosa doveva rispondere? Era certa che, un semplice sì o no, non le avrebbe accontentate entrambe.
"Bambine, non dovete aggredire così Zita", disse Cassandra cercando di rimanere seria e di evitare, con tutte le sue forze, di ridere.
"Scusaci, Zita", dissero, correndo ad abbracciarla.
La donna guardò la bionda, mimando con le labbra un 'grazie': l'aveva salvata da una spiacevole sensazione.
"Come mai da queste parti?", le chiese Cassandra.
"E' tardi e le bambine devono andare a dormire. E tu", disse indicandola con il dito indice, "Tu devi ancora fare le valige per domani"
"Che palle", dissero all'unisono Cassandra e Celeste. 
"La mamma aveva appena iniziato a raccontarci di Loki", protestò la piccola.
"Zita ha ragione, per quanto riguarda voi due"
Celeste sbuffò, nuovamente. "Ma devi per forza andare a Stoccolma?", chiese.
"Stoccarda", la corresse dolcemente sua mamma.
"Si, vostra madre deve andarci per forza in quanto..."
"In quanto i nonni erano i principali benefattori del museo", ripeterono in coro le bimbe. Quante volte avevano sentito quella frase?
Anche Cassandra non era per niente entusiasta all'idea. Perchè quei genitori che non aveva mai conosciuto dovevano per forza essere due archeologi appassionati di mitologia norrena? C'erano volte in cui le loro responsabilità le pesavano come un macigno sul petto.
"Quanto starai via?", le chiese Adele. C'era paura, nelle sue iridi azzurre.
"Porto voi due a scuola domani mattina e parto. Tornerò dopodomani, giusto in tempo per venire a riprendervi a scuola". Guardò dolcemente la bambina. "Non farete neanche in tempo ad accorgervi che sono partita, che sarò già di ritorno", la rassicurò.
"Come faremo senza le tue storie ad addormentarci?", chiese Celeste.
"Vi racconterà qualcosa Zita"
"Ma Zita non le racconta bene come te", protestò.
"Troveremo un modo", disse, apparendo molto convincente. "Bene. E ora tutte a nanna"
Adele si mise sotto le coperte. "Buonanotte", disse soffocando uno sbadiglio con la manina affusolata.
"Buonanotte", ripeterono le altre tre.
Cassandra prese la gemella per mano, accompagnandola nella sua stanza, sul lato opposto a quella della sorella.
Anche Celeste si mise in fretta sotto le coperte. La mamma gliele rimboccò.
Stava per uscire, quando la bambina, a metà strada tra l'essere sveglia e il dormire, le parlò. "Mamma, tu credi che Loki esista davvero, vero?"
"Certo, piccola mia", rispose, tornando indietro e sedendosi sul letto, al suo fianco. Le accarezzò dolcemente i capelli.
"E' quello che ho detto anche io a Marco, ma lui ha cominciato a prendermi in giro"
"Non tutti possono capire"
"Allora ho fatto bene a tirargli un calcio in quel posto, vero?"
Cassandra sospirò. "Beh... diciamo che non sempre la violenza è la soluzione a tutto"
 
***

"Dovrai dirglielo, un giorno o l'altro", disse Zita, con un'espressione molto seria stampata in volto.
Cassandra sospirò.
Si trovavano in uno dei numerosi salotti della tenuta Della Rovere, la maestosa villa che gli antenati di Cassandra, una facoltosa e antica famiglia che, tra gli altri, annoverava almeno due papi, aveva fatto costruire verso la metà del millesettecento. 
"Quando saranno abbastanza grandi da capire, dirò loro la verità". 
Si lasciò cadere su una delle poltrone damascate, massaggiandosi il palmo della mano destra.
"Ti fa male?", chiese Zita, osservandola preoccupata.
C'era una specie di voglia, di un colore tendente al nero, sul palmo della mano di Cassandra. Le bambine l'avevano amichevolmente soprannominata 'neurone', per via della sua forma, tondeggiante al centro e con delle diramazioni, che ricoprivano l'intero palmo.
"Mi da un po' di fastidio", rispose. La balia delle sue figlie, nonchè sua più grande amica, era tra le pochissime persone a sapere cosa fosse in realtà quella macchia.
"Dovresti farla vedere a qualc..."
"No", la interruppe Cassandra, portandosi una mano sull'amuleto che portava al collo. Era certa che le due pietre, incastonate all'interno, avrebbero svolto il loro compito. Come, del resto, avrebbe svolto il suo lavoro il bracciale che portava al polso destro, con impresse quelle antiche rune celtiche.
"Vai a fare le valige. Domani parti per Stoccarda", disse Zita, dopo alcuni minuti di pesante silenzio.
"Già...", ribattè Cassandra, pensierosa. La sua testa, in quel momento, era da tutt'altra parte. In un altro regno.


Nda
Misteri che si aggiungono ad altri misteri...

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Capitolo 3
*** Stoccarda, parte I ***


Capitolo II: Stoccarda, parte I 

La Bmw nera dell'albergo presso qui era alloggiata si fermò esattamente davanti al museo cittadino. Cassandra sbuffò infastidita: pure il tappeto rosso, avevano messo! Manco fosse stata a Cannes o alla Mostra del Cinema di Venezia.
L'autista scese, aprendole in modo galante la portiera. Gli porse il braccio per aiutarla a scendere. 
Appena le sue Louboutin nere tacco dodici toccarono terra, i fotografi si scatenarono: avevano davanti all'obbiettivo Cassandra Della Rovere, l'artista più ricercata di tutto il globo, l'orfanella che tutti credevano scomparsa insieme ai genitori poco più che neonata, durante una misteriosa spedizione archeologica, la ragazzina che era magicamente ricomparsa otto anni prima. Una storia che sembrava essere stata scritta da Charles Dickens in persona. 
Cassandra sorrise, pensando a quanto fossero effimeri i concetti di verità e menzogna: aveva imparato che era sempre la migliore storia a vincere. Lei stessa ne era un esempio lampante.
 Sorrise, con le labbra rosso fuoco, merito del rossetto Chanel, dello stesso colore dell'abito Ralph Russo che indossava, con la forma leggermente a sirena, lo scollo a barchetta e la schiena scoperta. Portava una pochette di Bulgari nera, molto semplice, con un solo dettaglio: la chiusura gioiello a forma di testa di serpente. Portava i capelli raccolti in un morbido chignon laterale, che lasciava scoperti i lobi delle orecchie, ornati con un paio di orecchini pendenti di Cartier: una cascata di diamanti e rubini.
Fece un cenno di saluto con la mano ai fotografi, poi si diresse a passo spedito verso l'entrata.
Due uscieri le aprirono le due grandi porte di cristallo. Ad attenderla c'era l'assistente del curatore del museo, con un'aria parecchio infastidita; Cassandra l'aveva soprannominata la 'talpa', per via dei suoi spessi occhiali. E anche per il semplice fatto che aveva un grave problema per quanto riguardava il ricordarsi i nomi delle persone. Specialmente se essi erano di scorbutiche assistenti zitelle, la cui vita sociale si limitava al lavoro al museo e al proprio gatto. E nello stressare povere artiste/madri single perchè partecipassero alla presentazione di una vecchia statua appena restaurata.
L'assistente la squadrò molto attentamente, dall'alto al basso, con quella sua solita aria imbronciata. Cassandra non credeva che ce li avesse, i muscoli facciali.
La guardò, trovandola ben più ridicola del solito con quell'abito nero lungo fino a terra. Evidentemente, visto quanto lo portava male, era la prima volta che ne indossava uno. E, molto probabilmente, era la prima volta che si truccava. 'Truccarsi però è una parola grossa', pensò Cassandra, cercando di trattenere con tutte le sue forze una risata. Sembrava più un esperimento genetico andato male: un misto tra uno spaventapasseri e uno di quei clown dei film dell'orrore. Le mancava solo l'accetta in mano...
"Signorina Della Rovere", la salutò a denti stretti.
"Mia cara", disse Cassandra dandole i soliti due baci di circostanza sulle guance. Le sorrise molto falsamente, facendole capire quanto questo non rispecchiasse affatto quello che stava pensando. "Hai un aspetto fantastico, stasera. Era ora che ti togliessi gli scarponi e quegli abiti maschili perennemente infangati". 
In quel momento avrebbe tanto voluto che lì con lei ci fosse stato Tony Stark, si sarebbe fatti di quelle risate... Probabilmente, l'avrebbero presa in giro per tutta la notte.
Cassandra aveva conosciuto Tony cinque anni prima, alla sua prima mostra a New York. La sera dell'inaugurazione c'era stato un party e, ubriachi fradici entrambi, erano finiti a letto insieme. Da quel giorno erano diventati amici e compagni di bravate. Riuscivano persino a scherzare sulla loro notte insieme. Anche le bambine lo adoravano.
Mentre lei pensava a Stark, l'assistente la guardò con istinti omicidi. 
Ci pensò il curatore del museo, un arzillo vecchietto che, teoricamente, aveva passato da un bel pezzo l'età del pensionamento, ad alleggerire l'atmosfera. "Cassandra, bambina mia, come stai?"
"Signor Schmidt, salve", disse lei, con un largo sorriso, questa volta vero. "Tutto bene e lei?"
Il curatore del museo era stato un grandissimo amico e confidente, per i suoi genitori. O almeno, così le avevano detto. Lei lo aveva preso subito in simpatia e provava un sincero affetto nei suoi confronti.
"I soliti acciacchi dell'età", rispose massaggiandosi la schiena. Prese la ragazza a braccetto, portandola a fare un giro turistico per l'ampio salone dove i vari invitati, vestiti elegantemente, conversavano allegramente. Vi erano parecchi reperti appartenuti a diversi popoli nordici esposti. Ma il pezzo forte, era senz'altro la pesante statua di granito a forma di toro, che troneggiava al centro del salone. Era stata da poco restaurata grazie ad una generosa donazione della fondazione Della Rovere, creata qualche decennio prima dai genitori di Cassandra, per la conservazione di reperti e beni archeologici.
"Magnifico, vero?", le disse il signor Schmidt, con gli occhi lucidi dall'emozione.
Cassandra nascose una risatina mettendosi una mano davanti alla bocca: la sensibilità del curatore verso i reperti conservati nel proprio museo la faceva sempre sorridere. Si chiese se anche suo padre, o sua madre, si emozionassero così di fronte alle loro scoperte. Provava sempre un moto di malinconia a pensare a loro: tutto quello che le  era rimasto era il suo medaglione, le testimonianze di alcuni conoscenti e una manciata di foto.
"Il restauro è venuto molto bene", commentò. 
Mentre ammirava l'antica scultura, l'orchestra prese ad intonare la Cavalcata delle Valchirie, di Wagner. Non c'era niente di più azzeccato di quell'aria classica.
A Cassandra ricordava molto gli antichi canti norreni, quelli che i guerrieri intonavano sui campi di battaglia, per infondere coraggio, o dopo, durante i banchetti per festeggiare le vittorie. 
Fece un sorriso malinconico.
Si congedò dal curatore del museo, dirigendosi verso il piano bar. 
Ordinò un Long Island, il suo cocktail preferito.

***
 
Qualche ora più tardi...

Il Long Island era finito presto, troppo presto per i parametri di Cassandra. Non ne aveva ordinati altri: quello non era di certo un ambiente nel quale poter bere a volontà senza avere addosso gli occhi malevoli degli altri invitati. Era un evento ufficiale e c'erano troppi esponenti dell'alta società. Poi bere in solitudine era proprio triste. Avrebbe potuto trovarsi un accompagnatore, però. Pensarci prima no?
Chiacchierò un po' del più e del meno con altri invitati, sorseggiando un bicchiere di champagne. 
Stava parlando con un attraente rampollo di una qualche famiglia di banchieri svizzeri quando l'Iphone, ben nascosto dalla borsetta e quindi lontano il più possibile da eventuali tentazioni, si mise a squillare.
Cassandra soffocò un imprecazione mordendosi la lingua: perchè quell'aggeggio doveva mettersi a suonare proprio sul più bello?
Lo estrasse dalla pochette, osservando chi fosse a chiamarla a quell'ora. Si preoccupò quando lesse che era il numero di casa propria.
Si congedò a malincuore. 
"Zita, cosa succede?". La sua voce era parecchio preoccupata: era l'una di notte!
"Le bambine vogliono che tu le dia la buonanotte"
"Zita, cosa? Non riesco a sentire niente con l'orchestra che sta suonando a tutto volume la Sinfonia numero 40 di Mozart. Manco ad un concerto rock usano questo volume..."
La babysitter le ripetè nuovamente le stesse parole, ma il risultato fu comunque lo stesso.
Spazientita, Cassandra si mise a salire l'ampia scalinata in marmo, dirigendosi verso i bagni con la speranza di riuscire a sentire qualcosa.
Probabilmente sarebbe andata diversamente se, invece di prestare attenzione solamente a Zita dall'altro capo del telefono, avesse fatto caso all'elegante uomo con cappotto nero e sciarpa dorata che scendeva le scale. Lo urtò leggermente con una spalla, senza neanche fermarsi o fare un cenno di scusa. Probabilmente, non se n'era neanche accorta.
L'uomo di fermò un attimo, osservandola salire velocemente. Gli ricordava una persona che aveva conosciuto molto tempo prima... Scosse la testa, sorridendo impercettibilmente: non era lei. Non poteva essere lei. Tornò immediatamente serio, continuando a scendere la scalinata: aveva un compito da portare a termine.

"Zita, ora mi senti?". Dall'elegante bagno riservato solo al personale di servizio -e in cui Cassandra non si sarebbe dovuta trovare-, non si udiva quasi per niente l'orchestra suonare. Vi era solo una piacevole musica di sottofondo.
"Sì, ti sento"
"E' successo qualcosa?", chiese preoccupata.
"Le bambine volevano che le dessi la buonanotte", rispose Zita.
"Ma è l'una di notte!", sbottò Cassandra.
"Lo so, ma non la smettono di fare capricci: è dalle nove che sto provando a metterle a letto". La voce della babysitter appariva stanca: non era facile tenere a bada quelle due piccole pesti quando ci si mettevano. Erano quasi più testarde della madre...
"Passamele", disse Cassandra. Prese un bel respiro: non era giusto prendersela con Zita, o con le bambine, se lei non era lì con loro. La sua espressione, inizialmente tesa e severa, si rilassò.
"Ciao, mamma", le sentì dire all'unisono.
Sulle sue labbra si formò un dolce sorriso. "Non dovevate essere a dormire già da un bel pezzo, voi due?"
"Non riuscivamo a dormire senza che tu ci dessi la buonanotte", disse Adele.
Cassandra quasi si emozionò a sentire quanto fossero dolci le sue bambine.
"E poi Zita non è brava a dare la buonanotte", borbottò Celeste, facendo ridere sua mamma.
"Zita ha tante altre qualità", disse lei, in tono pacato. 
"Come sta andando la festa?". Ad Adele piaceva tanto ascoltare i resoconti di sua madre sulle sue serate. Una volta grande sarebbe andata anche lei a quei balli e avrebbe trovato il suo principe azzurro, proprio come nelle favole...
"Tutto bene, bambina mia. Poi domani ti racconto tutto nel dettaglio".
Sentì Celeste borbottare nuovamente qualcosa, ma non riuscì a capire cosa. 
"Ora è tardi, andate subito a dormire. Buonanott..."
Delle urla, provenienti dal salone del ricevimento, la fecero bloccare. Rumore di passi concitati e lamenti. Che cosa stava succedendo?
Istintivamente Cassandra portò una mano al proprio medaglione, nascosto sotto l'elegante abito da sera.
"Mamma, cosa succede?", chiese preoccupata Adele. Avevano sentito anche loro dall'altro capo del telefono.
"Niente, solo l'orchestra che si sta scatenando", mentì spudoratamente.
Nel frattempo, le urla aumentarono.
"Cosa sta succedendo?", disse Zita, con un tono quasi isterico. 
Cassandra alzò gli occhi al cielo: sperava che le reggesse il gioco, almeno fino a quando ci fossero state lì le bambine.
"Zita, togli il vivavoce. E manda immediatamente le bambine a letto"
Attese alcuni secondi mentre la babysitter chiamava una delle governanti perchè portasse a letto le gemelle.
"Si può sapere cosa sta succedendo?"
Le urla erano sempre più alte.
"Zita, io non lo so", disse  Cassandra, a metà tra il preoccupato e lo spaventato. "Devo andare a vedere"
"No, resta lì", urlò la balia. "Resta lì al sicuro"
"Non mi succederà niente. So difendermi.", ribattè, con un tono molto sicuro.
"E alle tue figlie non ci pensi? Hanno solo te"
Cassandra sbuffò. Perchè quando voleva fare qualcosa di stupido e pericoloso la gente andava sempre a parare sull'argomento 'gemelle'? 
"Ci sentiamo più tardi", disse alla fine. Schiacciò il tastino rosso, prima che Zita avesse il tempo di dire qualcos'altro.

Scese con la massima cautela la grande scalinata di marmo. Il salone, ora, sembrava essere immerso in un surreale silenzio. Le grida e la confusione di poco prima si erano spostate all'esterno del museo.
Cassandra cercava di fare meno rumore possibile, ma le Louboutin la tradivano ad ogni singolo passo.
Ed ogni passo era un imprecazione trattenuta.
Non sapeva cosa aspettarsi una volta arrivata in fondo. Doveva prestare cautela.
Dovette utilizzare tutta la sua forza di volontà per vincere l'impulso di togliersi il proprio ciondolo dal collo ed utilizzarlo.
Quando mise piede nel salone, dove fino a pochi attimi prima la gente conversava allegramente e l'orchestra intonava rilassanti note, esso era deserto. C'erano molti vetri a terra, probabilmente di bicchieri rotti, inoltre vi erano anche altri oggetti, lasciati cadere a terra nella foga di uscire e nel panico generale che si era creato.
Guardò in direzione della grande statua a forma di toro: con orrore notò che vi era un corpo riverso su di essa, in posizione supina. Gli mancava un occhio e, dall'orbita vuota, colava sangue misto a materia celebrale.
Il corpo era di uno degli invitati con cui aveva conversato durante la serata. Uno scienziato dello S.H.I.E.L.D, le pareva di ricordare. Le si era presentato ma, ovviamente, lei non ne rammentava il nome.
Una voce, seguita da un silenzio surreale, la fece voltare verso l'uscita. Le pareva di conoscere quella voce.
Contro ogni logica e buon senso, Cassandra si diresse verso il portone ed uscì.

Tutta la gente che c'era all'interno del museo si era riversata fuori. E ora se ne stava là, nel freddo piazzale, in ginocchio.
A Cassandra sembravano tanti piccoli schiavi, privi di volontà. Si guardò in giro, chiedendosi il perchè di quello strano atteggiamento.
Una voce, diretta e sicura, intimò ai pochi coraggiosi ancora in piedi di mettersi in ginocchio.
Cassandra conosceva molto bene quella voce.
Ne seguì la direzione: una decina di metri, davanti a lei vi era un uomo di spalle, aveva un mantello scuro e uno scettro in oro che emetteva una strana luce bluastra in mano. Portava uno strano elmo dorato, con due appariscenti corna, anch'esse dorate.
Dallo stupore, la pochette Bulgari le cadde di mano, cadendo al suolo e aprendosi. Il rossetto di Chanel uscì, cominciando a rotolare nella direzione dell'uomo di spalle.
Gli urtò il tacco dello stivale, portandolo a girarsi nella sua direzione.
Gli occhi verdi dell'uomo si scontrarono con quelli color del mare di Cassandra.
"Loki...", le sfuggì dalle labbra.


Nda
Bene, eccoci qua al punto di contatto tra la storia di Cassandra e il film The Avengers. Lentamente, tutti i misteri si sveleranno (forse).
Ps: Probabilmente questo è l'ultimo capitolo che pubblicherò prima di Natale, quindi volevo augurare a tutti i lettori buone feste :D

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Capitolo 4
*** Stoccarda, parte II ***


Capitolo II: Stoccarda, parte II

"In ginocchio"
La pochette le cadde di mano, aprendosi.
Il rossetto rosso fuoco di Chanel uscì, mettendosi a rotolare sul candido marmo della scalinata d'ingresso, coperta dal tappeto rosso.
Tum.
Tum.
Tum.
Tre gradini. E poi urtò qualcosa: il retro di uno stivale di pelle nera.
Il Dio degli inganni si voltò, osservando cosa avesse urtato contro il proprio piede. Era parecchio seccato che quello strano e piccolo cilindro nero gli avesse rovinato il suo momento di gloria.
Il suo sguardo percorse lentamente la possibile traiettoria dell'oggetto sconosciuto, gradino dopo gradino, fino alla figura con l'abito rosso, in cima.
Non poteva essere davvero lei, eppure...
I loro occhi si incrociarono, inevitabilmente. 
Cassandra osservò la scena come se fosse al rallentatore. In quel momento era come se si trovasse fuori dal proprio corpo, come se fosse una spettatrice passiva, intrappolata in una bolla d'aria a parte. Non poteva credere a quello che vedeva.
"Loki", le sfuggì dalle labbra. 
"Cassandra"
La ragazza assaporò ogni singola lettera del proprio nome: nessuno lo pronunciava come lui. Ma la piacevole sensazione di avere Lok lì, proprio davanti a lei, dopo tanto tempo, durò poco.
Cassandra sbattè velocemente le palpebre, cercando di tornare ad avere un briciolo di ragione per analizzare la situazione. Si guardò intorno, osservando ad una ad una le facce spaventate sotto di lei. "Loki, cosa stai facendo?"
"Mi sto solo prendendo ciò che è mio di diritto", rispose con un sorriso affilato, facendo qualche passo nella sua direzione.
Solo in quel momento, Cassandra notò quanto fosse cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto: ora aveva i capelli un po' più lunghi, il viso era molto più scavato, aveva due vistose occhiaie violacee e i suoi occhi, un tempo di un verde intenso, ora avevano un qualcosa di diverso, di più oscuro.
La ragazza ne fu spaventata ed arretrò di qualche passo. "Perchè tieni qui così queste persone?!", urlò, senza volerlo. Quello fu un gesto puramente dettato dalla paura che cresceva dentro di lei.
Il Dio degli inganni si fermò, aumentando la presa sul proprio scettro. La guardò per un attimo, prima di girarsi nuovamente in direzione della grande folla inginocchiata. "Osserva bene, Cassandra", disse, mentre camminava tra la folla. "Non vi sembra semplice? Non è questo il vostro stato naturale? È la verità taciuta dell'umanità: voi bramate l'asservimento".
Cassandra lo guardò sempre più spaventata: che cosa gli era successo? Quello non era il Loki che conosceva. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma tentò con tutte le sue forze di ricacciarle indietro. Si sentiva in dovere di fare qualcosa. E doveva farlo in fretta.
"Il luminoso richiamo della libertà riduce la gioia della vostra vita ad un folle combattimento per il potere, per un'identità. Voi siete nati per essere governati. Alla fine vi inginocchierete sempre" 
"Non davanti a uomini come te", ribattè un anziano signore, alzandosi in piedi.
"Non esistono uomini come me", rispose il dio, quasi ironico.
"Esistono sempre uomini come te"
"La voce saggia del popolo: che lui sia d'esempio", disse Loki, puntandogli addosso lo scettro, che si mise ad emettere una luce blu sempre più forte, segno che avrebbe rilasciato energia da un momento all'altro.
Cassandra non ebbe neanche il tempo di pensare a ciò che stava per compiere, che si ritrovò in mezzo tra l'anziano e l'affilato scettro luminoso.
"Cassandra, cosa stai facendo?". Loki appariva seccato e c'era anche una punta di rabbia nella sua voce.
"Non posso permetterti di fare del male a questa gente"
"Cassandra, spostati. O colpirò te"
Il Loki di un tempo non lo avrebbe mai fatto. Ma quello che aveva davanti non avrebbe esitato neanche per un momento. La ragazza, purtroppo, se ne rendeva perfettamente conto.
Con la mano ben più tremante di quanto si aspettasse, si tolse dal polso il proprio bracciale. 
"Bene", disse il Dio, con una punta di dispiacere. "Come vuoi tu"
Alzò lo scettro, puntandolo verso di lei.
Ma prima che il raggio blu colpisse Cassandra, dal palmo della sua mano uscì un fascio di luce violetta che colpì Loki in pieno petto, scaraventandolo diversi metri più in là.
Cassandra si lasciò cadere a bocconi, per terra, priva di forze. La sua testa girava, la vista le si appannava e sentiva quella macchia scura aumentare e farsi strada nella sua carne. Non si guardò la mano, per non agitarsi ancora di più, ma, dal dolore che provava, le diramazioni dovevano senz'altro aver superato il polso. Il colpo era stato ben più forte di quanto avesse pensato.
'La magia ha sempre un prezzo'
Non era mai stata in grado di controllarla completamente, neanche quando era ad Asgard, durante le lezioni. Figurarsi se ne fosse stata in grado in quel momento, dopo anni e anni di inattività. Vide Loki mettersi in piedi e, per un attimo, si sentì sollevata di non avergli fatto troppo male. Ma il sollievo lasciò nuovamente spazio alla paura: il Dio le puntò contro ancora lo scettro. 
Cassandra lo guardò negli occhi, consapevole di essere troppo debole per rispondere con un altro colpo. Sperò di vedere un minimo di pietà o dispiacere in quegli occhi verdi. Invece vide solo rabbia.
Osservò la luce dello scettro farsi sempre più forte. Chiuse gli occhi, maledicendosi per non aver ascoltato Zita quando la implorava di restare chiusa in quel bagno, al sicuro.
Chiuse gli occhi ed attese la fine.
Passarono diversi secondi e poi ci fu un rumore metallico, seguito da un tonfo, qualcosa di pesante, come un corpo umano che cade.
Solo in quel momento Cassandra aprì timorosamente un occhio e poi, quando si rese conto che il peggio era passato, decise di aprire anche l'altro.
C'era un uomo davanti a lei, di spalle; indossava un'attillata tutina a stelle e strisce e in mano aveva uno scudo con lo stesso motivo dipinto sul liscio metallo. Impossibile non riconoscere Capitan America.
Il suo sguardo passò prima a lui e poi a Loki, che cercava faticosamente di rialzarsi.
"Grazie", sussurrò con un filo di voce, mentre lottava con il forte senso di nausea e il giramento di testa.
Capitan America si girò verso di lei, rivolgendole un sorriso gentile. "Tutto bene?", le chiese, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
Cassandra annuì, accettando di buon grado l'aiuto offerto. Ma si rese presto conto che non era stata una buona idea alzarsi in piedi, con tutto il mondo che le girava vorticosamente attorno. Le gambe le cedettero e il Capitano la prese al volo. Lei appoggiò le mani sul suo petto per cercare di restare in piedi.
"E' certa di stare bene?"
"Si, credo di...Capitano!". Loki si era alzato. E stava per attaccare nuovamente.
Capitan America si staccò dalla ragazza stando attento che ce la facesse a restare in piedi da sola e si diresse verso il Dio degli inganni, per affrontarlo. "L'ultima volta che sono stato in Germania e ho visto un uomo innalzarsi su tutti gli altri abbiamo scelto il dissenso", disse.
"Il soldato", commentò Loki, lasciandosi andare ad una risata che aveva come unico intento quello di schernire Steve Rogers. "L'uomo senza tempo"
"A te ne è rimasto poco di tempo" ribattè l'altro, con tono serio.
Si sentì un rumore di pale e di aria che si spostava. 
Cassandra alzò gli occhi verso l'alto, osservando un velivolo nero. Su una fiancata vi era un'aquila stilizzata: il simbolo dello S.H.I.E.L.D. 
Strano come non le fosse venuto in mente prima, eppure fu proprio in quel momento che la ragazza pensò che, forse, non ci sarebbe stata il pomeriggio successivo a scuola ad aspettare che le sue bambine uscissero con quello zaino più grande di loro sulle spalle. Sospirò. 
"Loki, getta l'arma e arrenditi", disse una voce dall'altoparlante dello strano elicottero. Nel frattempo dalla pancia del velivolo uscì una mitragliatrice, carica e pronta per fare fuoco.
Loki provò a colpirlo con uno dei raggi blu del suo scettro, ma esso si spostò di lato, evitandolo. 
Capitan America approfittò di quel piccolo momento di distrazione del Dio per colpirlo con il suo scudo. Poi i due cominciarono ad azzuffarsi in mezzo alla folla terrorizzata  che scappava e sotto agli occhi atterriti di Cassandra che, ancora troppo debole, poteva solo limitarsi ad osservarli.
Dopo alcuni momenti Loki riuscì a colpire il Capitano all'addome, facendolo finire momentaneamente a terra. Steve Rogers si rialzò, lanciando nuovamente lo scudo, che però venne deviato da un colpo di scettro.
I due si riavvicinarono di nuovo, tornando a fronteggiarsi.
"In ginocchio", disse il Dio degli inganni, dopo aver fatto finire a terra per l'ennesima volta Capitan America. Gli puntò l'affilato scettro alla testa, bloccandolo.
"Non oggi", ribattè il Capitano, liberandosi dalla presa con un'improvvisa giravolta. Tornarono nuovamente ad azzuffarsi.
Ad un certo punto, dall'altoparlante del velivolo partì a tutto volume una canzone rock. I due combattenti si fermarono e, come tutti i pochi presenti rimasti, alzarono gli occhi al cielo, dove una scia luminosa, simile a quella di una stella cometa ma molto più corta, si stava dirigendo a grande velocità verso di loro. Ad un occhio più attento, si poteva notare che la luce era prodotta da un qualcosa di metallico, di colore rosso.
Mentre atterrava, Iron Man colpì Loki in pieno petto, facendolo finire a terra contro i gradini del museo.
"Fa la tua mossa, piccolo cervo", disse, mentre dalla sua armatura uscivano la maggior parte dei suoi trucchetti.
Il Dio degli inganni alzò le mani in segno di resa mentre i suoi paramenti militari scomparivano.
"Bella mossa", commentò Tony.
"Signor Stark", lo salutò Steve, ancora con il fiato corto per il combattimento.
"Capitano". 
Iron Man si girò, osservando l'ambiente intorno a sè: vi era solo un'altra persona, oltre a loro, con un lungo abito rosso. Era piegata sulle ginocchia e sembrava respirare a fatica. "Cas?", la chiamò, poco convinto che fosse davvero lei. 
La ragazza alzò la testa nella sua direzione, tentando un accenno di sorriso. 
"Cosa ci fai tu qui?", le chiese, avvicinandosi.
"La signorina Della Rovere ci deve parecchie spiegazioni", disse una donna dai capelli rossi, con una tutina nera attillata mentre scendeva dal velivolo, parcheggiato nel frattempo nell'ampia piazza deserta.
Cassandra fece per dire qualcosa ma la vista le si offuscò sempre di più e le parole le morirono in gola.
Poi fu tutto buio.


Nda
Ammettetelo, vi ho confuso ancora di più le idee ahahahahah


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Capitolo 5
*** Thor ***


Capitolo III: Thor

Cassandra sentiva delle voci in sottofondo. Erano lontane, eppure una di queste le sembrava famigliare...
Si sentiva stanca e le palpebre erano troppo pesanti per anche solo pensare di alzarle. Cercò di concentrarsi su quella voce così famigliare. 
Dopo alcuni secondi le venne in mente a chi potesse appartenere. 
“Tony...”, sussurrò in modo alquanto flebile, stentando quasi a riconoscere quella come la propria voce. Si sentiva davvero ridotta uno straccio: la testa le doleva, provava un gran senso di nausea, sentiva il corpo dolorante e uno strano senso di intorpidimento alla mano.
“La Bella Addormenta si è finalmente ridestata dal proprio sonno”, disse il miliardario, con il suo solito sarcasmo.
Cassandra sospirò. “Mi sento peggio di quella volta a Montecarlo...”, si lamentò.
“La volta in cui siamo finiti a letto insieme?”
“Quella era New York”
“Come fai ad esserne sicura? Io ricordo solo che la mattina dopo...”
“Perchè eravamo decisamente troppo ubriachi per fare qualsiasi cosa”. Lo interruppe lei, calcando volutamente quel ‘troppo’, sperando che così entrasse meglio nella testa di Tony.
“Ne sei davvero certa?”. Peccato che lui non avesse alcuna intenzione di lasciar cadere la questione.
“Preferisco essere lasciata con il mio dubbio”, tagliò corto alla fine.
Lo sentì sospirare: buon segno. Per una volta, forse, aveva avuto la meglio lei e non quel cocciuto di Iron Man.
“In questo momento sento quasi la mancanza delle nausee mattutine, da quanto male mi sento”, continuò Cassandra. “Si può sapere a che diamine di festa mi hai portata?”
Solo in quel momento si costrinse ad aprire finalmente gli occhi, osservando quello strano soffitto che pareva essere fatto di metallo nero e che le ricordava tanto la pancia di un aereo militare...Istintivamente voltò la testa di lato, trovando ad osservarla due grandi occhi verdi.
Improvvisamente le immagini di quello che era veramente successo quella notte le ritornarono alla mente: la festa al museo, la chiamata, le urla...Loki aveva preso in ostaggio degli innocenti, lei aveva usato la magia per proteggerli, era intervenuto Capitan America e lo S.H.I.E.L.D e poi...buio. Ricordava vagamente di aver visto Tony con indosso l’armatura, ma le immagini erano alquanto confuse.
Tentò di mettersi a sedere su quella che ormai aveva capito trattarsi di una panca di metallo, ma due braccia muscolose ricoperte da una tuta blu la costrinsero a stendersi nuovamente.
“Cavalier servente al vostro servizio, milady”, disse Stark, ironico come al solito, riferendosi all’uomo che l’aveva appena aiutata. 
Cassandra cercò di non far caso alle sue parole, osservando attentamente il volto di Capitan America, proprio di fronte a lei. Dalle iridi azzurre di Steve Rogers sembrava trasparire della preoccupazione.
La ragazza arrossì, rendendosi finalmente conto che più di una persona aveva ascoltato dei suoi trascorsi con Tony Stark; senza pensarci, girò la testa di lato, guardando Loki. Strano, eppure in quel momento si sentì in colpa per aver parlato proprio di quello con lui presente. Cercò di capire cosa passasse per la testa del Dio norreno, ma non riuscì a decifrare la sua espressione da sfinge.
“Tutto bene?”, le chiese il Capitano in tono gentile, distogliendola così dai propri pensieri.
“Io...credo di essere stata peggio”, rispose Cassandra.
L’uomo le sorrise nel tentativo di confortarla un po’; Natasha Romanoff gli aveva detto di prestare cautela con lei, visto quello che era stata in grado di fare a Stoccarda, eppure in quel momento a lui appariva così fragile e indifesa, con quel lungo abito da sera, i capelli in disordine e quei due grandi occhi azzurri che si guardavano in giro per il Quinjet smarriti.
Non poteva essere una minaccia, non in quel momento almeno.
“Ti porto un bicchiere d’acqua?”, le chiese dopo un po’.
Solo alla domando di Steve, Cassandra si rese conto di avere la gola secca. “Grazie mille, Capitano”, disse, cercando di rispondere al sorriso che l’uomo le aveva fatto poco prima. Si sforzò, ma esso apparve alquanto tirato e innaturale.
Lo guardò mentre si allontanava e poi, lentamente, cercò di mettersi a sedere: la sua schiena chiedeva pietà per l’essere stata costretta a restare a contatto con quella fredda e dura lastra di metallo. Nonostante il giramento di testa, riuscì nell’impresa. 
Si strinse ancora di più addosso la pesante coperta di lana, che probabilmente le avevano messo mentre era priva di sensi, nel tentativo di far passare i brividi di freddo che la scuotevano tutta: la sua temperatura corporea doveva essersi abbassata parecchio. Uno dei molti effetti collaterali che l’usare la magia le comportava.
Magia...’
Istintivamente il suo sguardo si posò sulla propria mano destra; la girò, in modo da poterne vedere il palmo: la macchia scura stava lentamente tornando alle sue dimensioni abituali, però i segni della sua temporanea espansione erano ancora ben visibili e le parti interessate apparivano arrossate. Provava anche un leggero intorpidimento a muovere la mano.
Ci poggiò sopra la sinistra, cominciando a massaggiare piano l’arto leso.
“Ha detto qualcosa?”. Una voce metallica e sconosciuta arrivò alle orecchie di Cassandra, facendola così voltare verso la cabina di pilotaggio, dove una donna dai capelli rossi se ne stava seduta davanti ai comandi.
“Non una parola”, rispose la sconosciuta. Quella voce le sembrava di averla già sentita; chiuse gli occhi, cercando di riportare alla mente gli avvenimenti di quella notte e alla fine la scorse alle spalle di Iron Man, un attimo prima di perdere i sensi. Molto probabilmente le aveva anche parlato, ma lei non ricordava.
“E l’artista?”, chiese nuovamente l’uomo dall’altro capo del telefono.
“Ha appena ripreso conoscenza” 
“Portali subito qui. Non c’è tanto tempo”. La chiamata si chiuse lì e Cassandra si mise ad osservare un punto non ben definito del pavimento, chiedendosi in che guaio si fosse andata a cacciare.

Nel frattempo, in un angolo del Quinjet, Steve e Tony discutevano su quello che era successo poco prima. Il Capitano era serio in volto e stringeva nervosamente in una mano la bottiglietta d’acqua per Cassandra.
“Non mi piace”, disse, guardando di sottecchi Loki.
“Chi? Il rockettaro molto arrendevole?”
“Non mi è sembrato così arrendevole”, ribattè Steve, cercando di non far trasparire tutta la sua irritazione per il modo poco professionale con cui Tony affrontava ogni cosa.  “Quello picchia molto forte”
“Anche tu sembravi alquanto brioso per essere un attempato. Qual è il segreto? Pilates?”
Il Capitano lo osservò per un po’ con aria stranita, cercando di fare mente locale su quella strana parola che aveva appena udito.
Pilates
Sbattè un paio di volte le palpebre prima di dire qualcosa. “Cosa?”, chiese alquanto confuso.
“Come la callistenia, ti sei perso delle cose mentre eri Capitan Ghiacciolo”
Ci fu un attimo di silenzio mentre Steve cercava in tutti i modi di passare sopra –ancora- all’ennesima presa in giro di Stark.
“Fury non mi aveva detto che saresti venuto”, disse, cambiando discorso.
“Sì, ci sono molte cose che Fury non ti dice”
Si udirono dei suoni provenire dall’esterno. Rumore di tuoni e saette. 
Cassandra si voltò verso il finestrino che le era più vicino, facendo appena in tempo a vedere il cielo illuminarsi a giorno, tale fu la quantità di fulmini. Riuscì anche a vedere che cosa stavano sorvolando, ovvero una grande foresta sterminata, probabilmente si trattava della Foresta Nera.
“E questo adesso?”, si chiese la donna sconosciuta, staccando gli occhi dalla strumentazione e guardandosi intorno.
Anche Tony e Capitan America sembravano pensierosi circa l’improvvisa tempesta in cui si erano ritrovati.
Lo sguardo di Steve alla fine si andò a posare su Loki, che si era fatto improvvisamente irrequieto. “Cosa c’è? Paura di un paio di fulmini?”, disse.
Anche Cassandra si voltò verso il Dio, pensando che da quando lo aveva rivisto, quella era la prima vera emozione che vedeva trasparire dal suo volto. 
“Io non apprezzo quello che ne seguirà”, rispose lui, guardando verso l’alto, sempre più preoccupato.
Si sentì un colpo improvviso provenire dal tetto del Quinjet, come se qualcosa di molto pesante vi si fosse appena adagiato sopra in modo tutt’altro che delicato. L’aeroplano tremò vistosamente, tanto che Cassandra finì per sbattere la testa contro la fusoliera alle sue spalle. Le sfuggì involontariamente un’imprecazione e,  mentre con una mano si massaggiava la nuca dolorante, con l’altra stringeva nervosamente la panca di metallo su cui era seduta, tanto da farsi sbiancare le nocche.
Chiuse per un attimo gli occhi, promettendosi che non si sarebbe mai più lamentata delle turbolenze in aereo in vita sua.
“Sarà meglio che indossi la cintura”, le consigliò Capitan America, avvicinandosi. “Sai come si fa?”
Cassandra annuì, cercando con lo sguardo le parti della cinghia. 
Un sonoro clic confermò la riuscita dell’aggancio, ma Steve le si avvicinò ancora un po’ per accertarsene. Gliele strinse ancora un po’. 
“Giusto per stare un più tranquilli”, disse a mo’ di scusante. “Credo che per stanotte te ne siano già successe abbastanza”
“Già”, mormorò lei.
Distolsero entrambi gli occhi dalla cintura di sicurezza, imbarazzati da quel contatto così ravvicinato.
Lo sguardo della ragazza, e poi anche quello del Capitano, si concentrarono su Tony, che nel frattempo aveva indossato il casco dell’armatura e  si stava dirigendo verso il portellone d’uscita.   Sotto gli occhi dei due, Stark premette il tasto d’apertura.
“Che fai?”, chiese Steve allibito.
La domando però restò senza risposta, dal momento che il portellone si aprì. Una nuova turbolenza, della stessa intensità di quella precedente fu l’avviso che ciò che prima si era adagiato sulla fusoliera ora si trovava sul portellone aperto del  Quinjet.
Cassandra lanciò prima una veloce occhiata agli altro occupanti del jet, poi il suo sguardo si spostò su ciò che aveva causato tutte quelle turbolenze: l’armatura argentata, i capelli biondi, il martello che teneva in mano...la ragazza non aveva dubbi: quello era il Dio del Tuono.
Spostò il viso nella direzione di Loki che, legato stretto alla panca di fronte a lei, si guardava in giro ad occhi sbarrati.
Thor, che era rimasto per alcuni secondi in ginocchio, si alzò, procedendo a grandi passi all’interno del Quinjet. Iron Man tentò di colpirlo con uno dei suoi raggi, ma prima ancora che potesse aprire il palmo della mano metallica dell’armatura, fu preso per il collo dal Dio e scaraventato come un pezzo di gommapiuma contro la fusoliera.
Nonostante Cassandra lo conoscesse da molto tempo, restò comunque impressionata dalla sua forza. Thor le passò affianco senza neanche notarla, riversando tutta la sua attenzione sul fratello. Prese Loki per il colletto della giacca con una tale forza da strappare via anche la cintura di sicurezza che lo teneva ancorato al sedile e, sempre con la propria mano stretta al colletto del Dio degli Inganni, così come era arrivato, se ne andò, gettandosi nel vuoto.
Tony si rialzò. “Pure lui adesso”, disse amareggiato. Era evidente che fosse molto infastidito da quel nuovo colpo di scena.
“Un altro asgardiano?”, chiese la donna dai capelli rossi.
“Quello sarebbe un alleato?”, le fece eco CapitanAmerica.
“Non importa, se libera Loki o lo uccide il Tesseract è perduto”, rispose Iron Man, dirigendosi ancora una volta verso il portellone d’uscita.
Tesseract
Cassandra aveva già sentito quella parola, molto tempo prima...
“Stark ci occorre un piano d’attacco”, ribattè Steve. Il suo tono di voce riportò la ragazza alla realtà, facendole concentrare il proprio sguardo su Tony.
L’uomo di metallo si voltò per un ultima volta verso di loro. “Io ho un piano: attacco”, disse prima di accendere i propulsori dei propri stivali e gettarsi anche lui nel vuoto.
Steve e Cassandra si guardarono negli occhi: sapevano perfettamente entrambi quale era la prossima mossa da fare.


Nda
Voglio scusarmi per il grandissimo ritardo con cui pubblico questo capitolo. Eravate ormai senza speranze, vero? Spero che questo capitolo, nonostante sia alquanto striminzito, vi piaccia. Mi raccomando, fatemi sentire i vostri pareri come al solito ;) 

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Capitolo 6
*** Chi non muore si rivede ***


Capitolo IV: Chi non muore si rivede
 
Steve si diresse a grandi passi verso il portellone ancora aperto del Quinjet, ma si fermò un po’ prima, raccogliendo un paracadute da uno dei vani portaoggetti. 
“Io lascerei stare, Capitano”, tentò di dissuaderlo la Vedova Nera, intuendo le sue intenzioni.
“Non vedo come sia possibile”, rispose lui.
“Loro provengono da leggende, sono praticamente degli dei”, continuò la spia.
“Esiste un Dio soltanto. E sono certo che non si veste in quel modo”, ribattè il Capitano.
Nel frattempo, Cassandra, che aveva ascoltato tutta la conversazione, staccò la propria cintura, muovendo alcuni passi ancora incerti in direzione di Steve.
“Cosa pensi di fare?”, le chiese lui, quando la vide prendere un paracadute.
“Vengo con te, ovviamente”. Doveva davvero apparire buffa, mentre indossava il paracadute, con quel lungo abito da sera rosso e i tacchi a spillo.
“Non ci pensare neanche”, ribattè l’altro, con  lo stesso tono che durante la guerra avrebbe usato per dare un ordine ai propri sottoposti.
Ma Cassandra, da testarda patologica quale era, non si lasciò minimamente intimidire o convincere a restare sull’aereo. Lo guardò dritto negli occhi con aria di sfida. “Ormai ho deciso”
Steve la osservò attentamente, dubbioso: un attimo prima le era apparsa come la classica dama in difficoltà, indifesa e debole, e ora, invece, stava ostentando una sicurezza invidiabile.
Nella sua mente riaffiorò un ricordo: era da un po’ che non pensava a Peggy, eppure non potè fare a meno di rivedere lei in quell’espressione decisa e quell’aria cocciuta.
“E poi una volta ad un party sullo yacht di Di Caprio sono arrivata in paracadute”, continuò Cassandra, questa volta utilizzando un tono ironico. “E non ero vestita molto diversamente da adesso”
“Te la senti davvero?”, volle accertarsi nuovamente Capitan America. “Insomma, fino a poco fa faticavi a stare anche solo in piedi...”, ci tenne a precisare.
“Ora è tutto a posto”, disse lei, con un sorriso che doveva apparire il più convincente possibile.
‘A parte il colorito cadaverico’, pensò Steve, ma tenne questa considerazione per sè. Seppur a malincuore, fu costretto ad annuire. “Hai un piano?”, le chiese, mentre si avvicinavano al bordo del portellone d’uscita; lui non era Tony Stark, non sarebbe andato allo sbaraglio.
“Conoscendo quelle due teste calde, sono certa che si stiano azzuffando, quindi propongo di aspettare che finiscano”. Cassandra prese un lungo respiro. “E intervenire solo se necessario”, disse, prima di buttarsi nel vuoto.
Il Capitano sospirò e poi la seguì nell’oscurità.
***

Cassandra e Steve atterrarono a pochi metri l’uno dall’altra, su di uno spiazzo erboso situato in posizione rialzata rispetto al resto della foresta. Una decina di metri sotto a loro si potevano intravvedere i tuono scaturiti dal martello di Thor e i raggio blu lanciati dall’armatura di Iron Man. L’unico modo per raggiungerli era uno stretto e ripido sentiero accidentato; decisamente inadatto da percorrere con un abito lungo e dei tacchi a spillo.
La giovane guardò verso il basso, dubbiosa: se avesse creduto in una qualche entità superiore, quello sarebbe stato il momento di incominciare a pregare.
“Sei ancora convinta di volerti buttare nella mischia?”, le chiese il Capitano, osservando titubante le Louboutin ai suoi piedi.
Quasi a volerlo fare apposta, in quell’esatto momento videro Thor colpire in pieno petto Iron Man, scagliandolo contro alcuni alberi, che caddero a terra come tanti birilli.
Cassandra osservò la scena con gli occhi spalancati: di certo avrebbe aspettato che si calmassero, prima di intervenire.
“Sarà meglio che tu resti qui”, disse Steve.
La ragazza lo ringraziò mentalmente: per il suo orgoglio dire una cosa del genere sarebbe probabilmente stato uno smacco insopportabile. Si limitò ad annuire.
Il Capitano si sistemò meglio lo scudo sulla schiena, poi prese a scendere velocemente verso i due combattenti.
Lei lo osservò attentamente fino a quando non scomparve alla sua vista. Sbuffò, rendendosi conto di essere assolutamente inutile in quel frangente.
Si guardò in giro, studiando il paesaggio che la circondava e sorrise, soddisfatta, quando vide una roccia abbastanza grande da potersi sedere in attesa che quelle teste calde finissero di litigare; si trovava proprio a ridosso dello strapiombo.
Aveva cercato di non darlo a vedere, eppure sentiva ancora un fastidioso senso di stordimento.
Camminò verso di essa, imprecando ad ogni singolo passo per via dei tacchi che affondavano con estrema facilità nel soffice terreno; per quanto un tacco dodici potesse permetterlo, tentò di proseguire in punta di piedi.
Si sedette, osservando rapita le rocce aguzze sottostanti. Un passo, un solo passo e sarebbe caduta di sotto. La storia dell’arte parlava spesso di artisti morti prematuramente in circostanze mai chiarite e le cui opere, per questo motivo, valevano un occhio della testa... Cassandra scosse la testa, divertita, cercando di scacciare quegli strani pensieri: la lasciavano da sola per due minuti e già si metteva a pensare a queste cose. E poi il numero delle leggende era il 27 e lei di anni ne aveva 28. Aveva già passato l’età.
Non sapendo bene cosa fare, si mise a fischiettare un motivetto che le aveva insegnato suo padre...no, non suo padre, si corresse mentalmente, ma l’uomo che l’aveva allevata come tale; lui la fischiettava sempre, prima di una battaglia, diceva che era di buon auspicio e calmava il nervosismo. Cassandra utilizzava spesso quel piccolo stratagemma, quando non poteva mettersi a fare qualche schizzo con la matita; anche quando le bambine –specialmente Adele- avevano degli incubi, quelle semplici note riuscivano a farle stare meglio.
Smise improvvisamente, quando alle sue orecchie arrivò un suono sospetto, simile ad un ramo che si spezza. Si alzò, guardandosi intorno con aria circospetta; individuò la fonte di tale rumore in un qualcosa nascosto nella boscaglia, ad una quindicina di metri da lei. ‘Ci sono i lupi nella Foresta Nera?’, pensò, associando il tutto a qualche animale selvatico di passaggio. Non conosceva le zone con presenza di lupi; sapeva solo che ogni tanto nei boschi vicino a casa qualcuno parlava dell’avvistamento di qualche esemplare, ma erano sempre voci infondate. C’era qualche branco, ma si teneva sempre all’interno della  riserva naturale, dall’altra parte delle montagne. 
Spesso, se viaggiava di notte, capitava che qualche cervo o cinghiale le tagliasse improvvisamente la strada, ma non si era mai trovata completamente sola come in quel momento.
La presenza di qualcosa –o di qualcuno- si fece più tangibile, quando sentì il rumore di foglie secche che venivano calpestate; capì che non si trattava di un lupo, ma bensì di un essere umano. ‘No, non di un essere umano’, si corresse nuovamente. ‘Ma di un Dio’
Prese un lungo respiro,  ben consapevole di chi avrebbe incontrato di lì a poco; portò una mano al proprio ciondolo e chiuse gli occhi. Sotto al proprio tocco, lo sentì mutare ed assumere una forma allungata e sottile. La forma di uno stiletto.
Fece alcuni passi avanti, allontanandosi un po’ dallo strapiombo.
Lo nascose dietro alla schiena poco prima che Loki facesse la sua comparsa dalla boscaglia; sulle sue labbra era stampato un sorriso beffardo. Fece alcuni passi verso di lei, studiandola attentamente con i suoi penetranti occhi verdi.
Cassandra resse quello sguardo alla perfezione, cercando di non far trasparire tutta la propria inquietudine: che avrebbe fatto di lei adesso? Avrebbe tentato di ucciderla come poco prima, oppure avrebbe preteso da lei delle risposte? Non le allettavano nessuna delle due, ma se proprio doveva scegliere, la seconda opzione era la più praticabile: in uno scontro diretto sapeva di non avere nessuna speranza contro Loki; non poteva neanche  usare la magia, non di nuovo, non a distanza di così poco tempo dall’ultima volta.
“Cosa ci fai qui tutta sola, Cassandra?”, le chiese.
Lei si guardò intorno, maledicendo sè stessa per aver scelto quella posizione, senza alcuna via di fuga. Era in trappola.
In gesto incondizionato, strinse ancora più forte il manico dello stiletto, tanto da sentire le proprie unghie affondare nel palmo della mano.
“Potrei farti la stessa domanda”, ribattè, cercando di non apparire irrequieta.
Peccato che non si può pensare di ingannare il Dio degli Inganni. Loki sorrise: quello che non traspariva dai lineamenti di quel viso perfetto, trovava sfogo nei suoi profondi occhi azzurri. Occhi che in quel momento esprimevano paura.
“Thor mi stava facendo un discorso poco prima che l’uomo di metallo lo portasse via, mi piacerebbe ascoltarne la fine”, disse, facendo qualche passo avanti.
Cassandra, istintivamente, fece alcuni passi indietro.
“Hai paura”, constatò Loki. C’era una punta di divertimento nel suono della sua voce.
“Io non ho paura”, ribatté lei, decisa.
“Cassandra, non puoi mentire al Dio della Menzogna”, le fece notare.
A quel punto l’espressione della ragazza mutò, tornando ad essere un po’ più espressiva. “Tu come staresti se ti trovassi solo con la persona che poche ore prima ha tentato di ucciderti?”
“Tu hai tentato di uccidermi, eppure eccomi qui”
“Io non ho tentato di ucciderti”. Cassandra non sarebbe mia stata capace di fare del male a qualcuno. Specialmente a lui.
Loki le si avvicinò, arrivando a meno di un metro da lei. “Quando togli quel bracciale il rischio che tu uccida qualcuno aumenta di molto”. I suoi brillanti occhi verde smeraldo erano fissi nelle iridi azzurre della giovane. “I miei timori sono più che fondati”, sussurrò, cercando di avvicinarsi a lei ancora di più.
Cassandra, vedendo ben presto svanire la distanza che si era creata tra loro, fece un passo indietro. “Stai indietro!”, gli urlò, lasciando che per un attimo la paura prendesse il sopravvento. 
Loki sorrise nuovamente in modo beffardo, fermandosi ed osservandola attentamente. “Che cos’hai dietro la schiena?”, chiese, apparentemente incuriosito. In realtà sapeva benissimo di cosa si trattasse.
“Stai indietro”, ripetè nuovamente lei.
“Suvvia, Cassandra, una volta non mi avresti mai parlato in questo modo”
“E tu non mi avresti puntato contro uno scettro o preso in ostaggio degli innocenti”
“Ho fatto anche di peggio, se ti fa piacere saperlo”
Lei lo osservò per un attimo spiazzata, incapace di fare a dire qualsiasi cosa; una sola domanda le passava per la testa: cosa era accaduto alla persona che per anni aveva creduto di amare?
Loki approfittò di quel suo momentaneo smarrimento per teletrasportarsi dietro di lei. Le afferrò con forza il polso della mano che teneva stretta lo stiletto, costringendola a lasciare la presa. 
Cassandra però tentò di reagire, riuscendo a girarsi per vederlo in faccia. Il Dio tentò di bloccarle anche l’altra mano, ma così facendo ottennero il risultato di avvicinarsi ancora di più al bordo dello strapiombo. 
Andarono avanti in quel modo ancora per parecchi secondi, con la giovane che cercava in tutti i modi di liberarsi e Loki che, divertito, per un po’ la lasciava fare, dandole l’illusione di potergli sfuggire, per poi ricordarle chi era il più forte. Arretravano, avanzavano e ruotavano.
Ad un certo punto il Dio degli Inganni mollò la presa dal suo polso e, senza pensare un attimo a quello che stava facendo –e a dove si trovava-, Cassandra fece un passo indietro. Peccato che dietro di lei ci fosse solo il vuoto.
Sarebbe senz’altro morta, se non fosse stato per la mano che all’ultimo le afferrò un braccio.
Loki la attirò a sè con fin troppa forza, facendola urtare contro il proprio petto. Cassandra strinse fra le proprie mani i lembi della sua armatura in cuoio, appoggiando la testa su di essa e serrando gli occhi, terrorizzata.
Pur cercando di trattenersi, non potè fare a meno di singhiozzare: quando non aveva sentito il terreno sotto ai propri piedi, era stata certa che sarebbe morta. C’era andata vicino, troppo vicino.
Lui la osservò perplesso, mentre piangeva sul suo petto e cercava il massimo contatto con il suo corpo.
Aveva passato anni ad odiarla per averlo lasciato solo, poi c'erano stati troppi accadimenti che l’avevano portato a pensare a tutt’altro che al suo ricordo. Credeva ormai di essere diventato indifferente a lei. O almeno lo aveva creduto fino a quando i loro occhi non si erano nuovamente scontrati, appena poche ore prima. C’era stato parecchio stupore –che però era riuscito a celare più che bene- e all’inizio rabbia, tanta rabbia. Rabbia che era aumentata esponenzialmente quando lei si era rifiutata di restare da parte e aveva protetto quell’umano. Poi c’era stata la delusione, delusione per quello che era uscito dalla bocca dell'uomo di metallo: cosa credeva, che in otto anni lei non si sarebbe rifatta una vita? Lui non aveva esitato a trovare altre donne...
Ed ora eccola lì, a piangere sul suo petto, tenendo stretto fra le dita il cuoio  della sua armatura, quasi a volergli dire di non lasciarla più sola.
Loki sospirò: di certo a lei era tutt’altro che indifferente. Probabilmente lo sarebbe stato sempre.
Poggiò una mano sulla sua schiena, lasciata scoperta dall’abito che indossava, cominciando ad accarezzarla lentamente, nel tentativo di calmarla. Non riuscì a fare a meno di portare il proprio naso vicino ai suoi capelli e respirò a pieni polmoni il suo profumo: era una fragranza a lui completamente sconosciuta –senz’altro midgardiana- ma estremamente piacevole.
“Non farmi mai più uno scherzo del genere”, le sussurrò ad un orecchio.
Fu in quel momento che Cassandra si staccò leggermente da lui ed alzò la testa, incontrando immediatamente i suoi occhi smeraldini. Li osservò mentre essi si focalizzavano poco più in basso, sulle sue labbra. Sapeva cosa sarebbe successo e, una parte di lei, lo desiderava. Desiderava sentire per un’ultima volta il suo sapore e sentirlo pronunciare ancora il proprio nome. Ma non era più la ragazzina impulsiva ed incosciente di otto anni prima. Era cresciuta ed era una donna ormai.
Fece un passo indietro, con l’intenzione di rimettere una certa distanza fra loro, la le sue gambe, ancora parecchio tremanti, non la ressero e, per non cadere a terra, dovette aggrapparsi agli avambracci di Loki.
Il Dio strinse prontamente le proprie mani intorno ai suoi gomiti, sorreggendola. La osservò con una punta di quella che poteva quasi essere definita preoccupazione. 
Si staccò da lei alcuni secondi più tardi, quando un inusuale luccichio fra l’erba gli rammentò dello stiletto caduto dalle mani di Cassandra mentre ancora stavano litigando.
Lei cominciò a trattenere il respiro, quando si rese conto del motivo per cui Loki si era allontanato. Non osò voltare le spalle verso di lui, non ne aveva il coraggio e, in fondo, non ne aveva neanche  bisogno: sapeva cosa sarebbe successo. E sapeva anche che tentare di scappare avrebbe solo prolungato la propria agonia. Sarebbe morta comunque. Sperò solo che Loki facesse in fretta.
Non potè fare a meno di irrigidirsi quando lo avvertì avvicinarsi nuovamente a lei. Istintivamente chiuse gli occhi ed aspettò l’inevitabile. 
Una lacrima le scese sulla guancia non appena sentì la fredda lama dell’arma premerle sulla gola. Ma dopo di essa avvertì solo il famigliare peso del proprio amuleto.
Portò immediatamente una mano al petto, sentendo sotto ai propri polpastrelli la sua superficie fredda e liscia.
Loki finì di allacciarle la collana. “Lo preferisco al tuo collo che a terra”, le disse ad un orecchio, a voce un po’ più bassa del solito.
Cassandra si voltò verso di lui, osservandolo confusa.
Il Dio portò una mano alla sua guancia, asciugandole la lacrima con il pollice.
“Gra-grazie”, mormorò lei, chiudendo per un attimo gli occhi e beandosi della piacevole sensazione di freschezza che derivava dal venire a contatto con la pelle di Loki.
Un forte spostamento d’aria, seguito da un rumore sordo, interruppe quello strano momento, inducendo entrambi ad alzare gli occhi al cielo dove, proprio sopra alle loro teste, si trovava il velivolo dello S.H.I.E.L.D. 
Si spostarono ai lati della radura, osservando il Quinjet assumere l’assetto da atterraggio e poi posarsi dolcemente sul prato. Pochi istanti dopo il portellone si aprì e l’agente dai capelli rossi uscì con la pistola in pugno. “Loki, mani ben in vista”, disse, dirigendosi verso di lui. Appese alla cintura portava un paio di manette.
In risposta il Dio alzò i polsi, osservandola infastidito e sbuffando.
Cassandra non potè fare a meno di alzare un sopracciglio, perplessa: poteva benissimo scappare, ma allora perchè si stava facendo portare via in modo relativamente docile? Non ci voleva un genio per capire che qualcosa bolliva nella pentola del Dio degli Inganni.
“Anche lei, Della Rovere, è pregata di salire a bordo”, si rivolse a lei, distraendola così dai propri pensieri.
“Suvvia Agente Romanoff, non puoi trattare la piccola Cassandra come se fosse una pericolosa criminale”, ironzzò Tony, facendo la sua comparsa da oltre lo strapiombo. Dietro di lui vi erano anche Steve e Thor. Nonostante la Germania avrebbe di sicuro intentato una causa contro lo S.H.I.E.L.D. per i gravi danni causati a flora e fauna all’interno della Foresta Nera, erano relativamente in forma: l’armatura di Iron Man risultava leggermente rigata in alcuni punti, Steve aveva qualche leggera escoriazione in volto e Thor aveva appena un po’ di polvere sul mantello.
Cassandra sorrise, sollevata, appena si rese conto che stavano tutti bene.
Capitan America e Tony si diressero immediatamente verso il portellone aperto del Quinjet mentre Thor, appena mise a fuoco la ragazza con il lungo abito rosso che gli sorrideva raggiante, si fermò di colpo, osservandola ad occhi spalancati. Non passò di certo inosservato il progressivo pallore che stava assumendo  la sua pelle. “Cassandra?”, la chiamò, quasi non fosse certo che fosse davvero lei.
“Ciao Thor”
Il Dio del Tuono fece alcuni passi titubanti verso di lei e, quasi temendo che fosse solo un’illusione, avvicinò una mano alla sua, lentamente. Parve tranquillizzarsi un po’, quando avvertì il calore emanato dalla mano della ragazza, così piccola in confronto alla sua.
“Tutto bene?”, gli chiese lei. Sembrava che avesse appena visto un fantasma...
Thor guardò prima la sua mano, poi alzò gradualmente il proprio sguardo sui suoi occhi: non riusciva ancora credere che lei fosse davvero lì, in carne ed ossa.
“Ti credevamo tutti morta”, mormorò.


Nda  
E rieccomi nuovamente qui dopo più di un mese con un nuovo capitolo. Non preoccupatevi, per il prossimo non vi farò aspettare così tanto ;)
A presto :D 

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Capitolo 7
*** Sospetti ***


Nda, parte I
Visto che le note solo a fine capitolo non mi bastano, oggi ho deciso di metterle anche all'inizio ;)
Vi rubo giusto giusto due minuti prima di iniziare la lettura per segnalarvi di passare da Il Salotto di una Blogger Principiante. Si tratta del blog di una delle autrici presenti su EFP e nel suo blog lei parla un po' di tutto, ci sono riflessioni personali, disavventure da universitaria (come la capisco ahahah) e sopratutto tanta Marvel :D
In particolare ho trovato molto interessante la sua rubrica Venerdì Fanfiction, dove ogni settimana consiglia e recensisce una storia presa dal sito (ce n'è anche una mia :D). Mi raccomando di dargli un'occhiata :D


Capitolo V: Sospetti

“Heimdall ti ha cercata per settimane e quando non ti ha trovata abbiamo pensato che ti fosse successo qualcosa e che...”
“Avete pensato che fossi morta”, mormorò Cassandra, emettendo un lungo sospiro.
Thor annuì mestamente.
Si trovavano sul Quinjet e avevano ripreso il volo da appena una manciata di minuti. 
Il Dio del Tuono si trovava seduto di fianco al fratello, tenuto fermo dalla cintura di sicurezza e da due pesanti manette in metallo; di fronte a loro vi erano invece Tony e Steve; la Vedova Nera era nella cabina di pilotaggio, intenta ad armeggiare con i comandi del velivolo, e Cassandra, invece, camminava nervosamente avanti e indietro per tutta la lunghezza della fusoliera.
“Quello che avevi scritto in quella lettera...abbiamo pensato tutti al peggio”, continuò Thor, “Sembravi sempre spaesata e inquieta e...”
“Credevate che mi fossi tolta la vita”, lo interruppe nuovamente la giovane.
“Sì, alcuni di noi lo hanno pensato”
Cassandra chiuse un attimo gli occhi e si passò entrambe le mani sul volto: la stanchezza cominciava a farsi sentire. “Tyr* e Fylla* come l’hanno presa?”. Pensava spesso a loro, più di quanto volesse; l’avevano allevata come una figlia e lei, per anni, aveva creduto di esserlo davvero. Si sentiva in colpa per averli lasciati così, ma in fondo sapeva di non poter fare altrimenti.
“Tua madre non ha mai creduto a questa storia; ha sperato di vederti tornare, l’ha sperato fino all’ultimo”
“Fi-fino all’ultimo?”. Ora Cassandra sentiva il bisogno di sedersi. Si mise sulla panca tra Tony e Steve, che nel frattempo la osserva preoccupato; non gli era passato inosservato l’improvviso tremolio delle sue mani e i passi diventati nuovamente incerti alle parole del Dio.
“Ci ha lasciato un paio di anni fa: un brutto male”, continuò il suo racconto Thor.
Gli occhi della giovane si fecero leggermente umidi, mentre il senso di colpa pesava sul suo petto come un macigno. “Se fossi stata al suo fianco magari...”
“Non avresti potuto fare niente, Eir* ha detto che non era curabile”, si affrettò ad interromperla. Il Dio del Tuono poteva  capirla: si era trovato in una situazione non molto differente appena un anno prima.
“Eir è diventata una guaritrice?”, chiese lei, ritrovando momentaneamente il sorriso. Erano state molto legate, entrambe avevano fatto da ancelle alla regina e nessuna delle due aveva mai accettato il destino che gli altri avevano scelto per loro. Lei era diventata ciò che aveva sempre voluto essere e si sentiva sollevata a sapere che anche l’amica ce l’avesse fatta. 
“Sì, poco dopo che tu te ne sei andata”
“E Tyr come se la cava da solo?”
“Dopo che tua madre ci ha lasciati è rientrato nella guardia reale, ora addestra le nuove reclute”. Sul volto di Thor si formò un ampio sorriso. “Nonostante l’età e la mano monca combatte ancora come un leone”
Cassandra sorrise al ricordo di quell’uomo burbero, dai modi rudi e l’animo temprato da innumerevoli battaglie. “Non vorrei essere in quei poveri novellini”, disse, cercando di essere ironica; peccato che in momento ironizzare era l’ultima cosa che le andasse di fare. Sospirò, assumendo un’espressione malinconica.
“Avrai parecchie cose da dirci a quanto pare”, commentò Tony. “Perchè non incominciamo subito?”
“Perchè il Direttore Fury ha stabilito così”, disse la Vedova Nera, uscendo improvvisamente dalla cabina di pilotaggio. “Non dirà una sola parola fino a quando non saremo atterrati”
“Ok, ok”, ribattè Iron Man, alzando le mani in segno di resa.
“E non cercare di fare il furbo, Stark”
“E quando mai l’ho fatto?”, chiese lui, sarcastico.
Per tutta risposta la Romanoff alzò gli occhi al cielo, per poi spostare tutta la sua attenzione su Cassandra. “C’è una videochiamata per lei”
La giovane la osservò stupita, chiedendosi chi mai la stesse cercando. “Posso sapere da parte di chi?”, chiese. Ma la domanda fu posta troppo tardi in quanto, una volta concluso quella comunicazione, la spia russa aveva girato immediatamente sui propri tacchi ed era tornata alla postazione di controllo. 
Cassandra lanciò un’occhiata perplessa a Tony, al suo fianco, che si limitò ad un’alzata di spalle. “Sarà in quel periodo dove voi donne siete più intrattabili del solito”, commentò.
“Stark”, tentò di riprenderlo Steve.
L’uomo si girò verso di lui con un ghigno stampato in faccia. “Anche tu, Capitano, sei in quel periodo?” 
Il diretto interessato alzò gli occhi al cielo, maledicendosi per non aver tenuto la bocca chiusa: avrebbe dovuto aspettarsi una battutina del genere...
Tony avrebbe voluto infierire ancora un po', ma venne distratto dal rumore prodotto da un sottile schermo al plasma, che scese lentamente dal soffitto fino a mettersi in posizione completamente verticale.
Poco dopo esso si accese, mostrando uno scorcio di un ambiente non molto dissimile da quello dove loro si trovavano. Ai margini dell’immagine vi erano due paia di gambe, troppo minute per essere di due adulti; il fatto che poi uno dei paia fosse coperto da una candida calzamaglia bianca e con delle ballerine rosa con tanto di perline colorate e brillantini ai piedi, fece intuire che si trattassero di due bambine.
Sul viso di Cassandra comparve subito un sorriso raggiante; si alzò in piedi, disponendosi immediatamente davanti allo schermo. Osservò le gemelline, in attesa che si girassero verso di lei.
Vide un uomo entrare nel campo visivo della telecamera: era leggermente stempiato ed indossava un rigido completo giacca e cravatta; probabilmente era un altro agente dello S.H.I.E.L.D.. Lo sconosciuto posò delicatamente un mano sulla spalla di Celeste, invitandola così a girarsi e a fare un paio di passi in avanti.
Il viso prima imbronciato della bambina si schiarì in un’espressione di pura sorpresa. Strattonò in modo brusco la gemella per una manica del golfino, costringendola a girarsi. Anche sul volto di Adele si formò la medesima espressione.
“Mamma!”, urlarono all’unisono.
“Bambine mie”, disse la donna.
Cassandra era troppo presa dalle proprie figlie, per prestare attenzione a ciò che succedeva a pochi metri da lei ma,  a differenza sua, Tony e Steve non poterono fare a meno di notare l’espressione stupita di Thor e quella delusa del fratello.
‘No’, pensò Tony, non era una faccia delusa quella, appariva più che altro imbronciata. Proprio come quella di Celeste poco prima...
“L’agente Coulson ha detto che ci porterà a fare un giro per l’Helicarrier!”, disse la bambina, dall’altra parte dello schermo, non riuscendo a trattenere l’emozione.
“Wow”, le fece eco Cassandra. “Mi raccomando di comportarvi bene, allora. E di non tartassare l’agente Coulson con troppe domande”
“Oh non preoccuparti, Cassandra: Phil adora i bambini”, si immischiò Tony, mettendosi al fianco della giovane. “E le violoncelliste”, aggiunse come provocazione, facendo l’occhiolino all’agente.
L’espressione di Coulson, sorridente, si rabbuiò. “Stark”, salutò a tenti stretti.
“Ciao, Tony”, dissero le bambine all’unisono.
Iron Man rivolse loro un sorriso, prima di mettersi ad osservarle attentamente, quasi come se le stesse studiando. “Queste piccole pesti hanno già messo a soqquadro il Quinjet?”, chiese ironico, cercando così di sviare il vero motivo per cui era intervenuto nella conversazione. “Ogni volta che se ne vanno da casa mia sembra che sia passato un uragano”, commentò mentre armeggiava con un paio di pulsanti dell’armatura.
“Mamma, vero che ci sarai anche tu sull’Helicarrier con noi?”, domandò Adele, con un’espressione supplichevole; delle due bambine, lei era quella che più risentiva delle assenze di Cassandra.
La donna guardò in faccia l’agente, quasi cercando una conferma.
Coulson annuì. “La vostra mamma ci raggiungerà lì. Se vi va potremo aspettarla sulla pista di atterraggio”
“Si!”, rispose immediatamente Celeste, non riuscendo a trattenere un gridolino di sorpresa; lei, invece, era la gemella più intraprendente.
Sentirono un rumore concitato di passi e, poco dopo, la balia delle bambine entrò nell’inquadratura: aveva l’aria molto preoccupata, ma si rilassò un po’ quando vide Cassandra.
“Grazie al cielo stai bene”, le disse. “Prova ancora a fare una cosa del genere e giuro che vengo lì e ti strozzo con le mie mani”
La bionda dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a riderle in faccia.
“Non c’è proprio niente da ridere! Se non fosse intervenuto Capitan America non oso neanche immaginare cosa ti sarebbe potuto succedere!”
Gli agenti dello S.H.I.E.L.D. che avevano fatto irruzione alla tenuta Della Rovere poche ore prima le avevano mostrato per intero il video di ciò che era successo a Stoccarda.  
“Capitan America?”. Celeste osservò perplessa prima la madre, poi la babysitter, curiosa: lei era la fan numero uno di Capitan America, se qualcuno lo nominava non poteva non intervenire nella conversazione per dire la propria.
Ovviamente Zita non aveva detto alle bambine tutta la verità sul perchè si trovassero su quel velivolo dello S.H.I.E.L.D..
Capendo di aver parlato troppo, la balia si portò una mano alla bocca, implorando con lo sguardo Cassandra di toglierla d’impiccio.
“Ho fatto amicizia con il Capitano a Stoccarda”, disse semplicemente lei.
“Che cosa?! Mamma, la prossima volta voglio venire con te”, ribattè la bambina, categorica.
“Se Celeste viene con te, allora devi portare anche me”, si affrettò a dire Adele.
Cassandra si lasciò andare ad una breve risata. “Il Capitano è qui con me ora”. Si voltò di lato, facendo cenno a Steve di avvicinarsi allo schermo.
“Ciao”, disse lui, evidentemente in imbarazzo, facendo un goffo cenno di saluto con la mano.
La faccia delle due bambine, in quel momento, era qualcosa di incomparabile: neanche la mattina di Natale, di fronte ai regali disposti intorno all’albero, avevano mai fatto un’espressione del genere.
Restarono ancora di più a bocca aperta quando il Capitano mostrò loro il proprio scudo.
“Possiamo provarlo?”, chiese Celeste, con aria supplichevole e due grandi occhi in stile Bambi.
“Ehm...sarebbe meglio di no”, si affrettò a dire Cassandra, ben consapevole di quanto fosse pericoloso nelle mani sbagliate. Specialmente in quelle di una bambina.
“Uffa!”, sbuffò la piccola, battendo un piede a terra.
“Però potrei darvi una piccola dimostrazione una volta atterrati”, tentò di rimediare Steve.
Il volto imbronciato di Celeste si illuminò subito, soddisfatta; al contrario della madre, che lanciò un’occhiataccia al Capitano.
“Non potevo deluderle così tanto”, le disse.
“Tu non hai idea in che grosso guaio ti sei cacciato”, intervenì nuovamente Tony, con il suo solito tono ironico. “Ora non sarai più in grado di scollarti di dosso quelle due arpie. Ti seguiranno anche in bagno, provare per credere”, aggiunse facendogli l’occhiolino. “A proposito, perchè nessuna delle due mi è sembrata sorpresa dal vedermi con l’armatura di Iron Man?”, si rivolse alle gemelle.
“Ormai non ci fanno neanche più caso, con tutte le volte che ti hanno visto così”, ribattè Cassandra. 
“Traditrici”, mormorò, fingendosi offeso e scomparendo di nuovo dal campo visivo delle bambine, che presero quella battuta sul ridere.
“Mamma, chi sono i due uomini seduti in fondo?”, chiese Adele.
Purtroppo l’inquadratura non riusciva a non mostrare in parte anche Thor e Loki.
Il viso di Cassandra si rabbuiò per alcuni istanti, mentre cercava le parole giuste da dire.
“Loro sono degli amici della mamma”, fu la prima cosa che le venne in mente.
Il Dio del Tuono sorrise alla telecamera.
“Assomigliano ai disegni che hai fatto di Thor e Loki”, ribattè la bambina.
Per una volta Cassandra si ritrovò a maledire il fatto che le gemelle fossero decisamente troppo sveglie per la loro età.
“Hai parlato alle tue figlie di noi?”. Thor appariva sorpreso, ma anche contento: almeno ora aveva la certezza che la giovane non avesse completamente rinnegato la sua vita ad Asgard, come la sua prima impressione invece lo aveva indotto a credere.
Cassandra tentò di fargli segno di non dire altro, ma ormai dall’altra parte dello schermo avevano già intuito tutto.
“Quelli sono veramente Thor e Loki! E tu non ci hai detto che li conoscevi già?”, disse Celeste, sconvolta alla notizia.
“Perchè Loki ha delle manette?”, chiese Adele, perplessa.
Cassandra era completamente ammutolita, incapace di dire anche solo una parola: non era assolutamente preparata ad affrontare quella questione. Anzi, ingenuamente aveva pensato che non sarebbe mai dovuta arrivare a quel punto. 
Fortunatamente, ci pensò la Vedova Nera a toglierla d’impiccio. “Il tempo è scaduto, salutate che devo chiudere il collegamento”, disse, con il suo solito modo di fare sbrigativo.
“Ma la mamma non ha ancora risposto alla mia domanda”, protestò Celeste, dall’altra parte dello schermo.
“Vostra madre vi spiegherà tutto una volta atterrati. E se non sarà in grado di farlo allo S.H.I.E.L.D. abbiamo degli psicologi”
Le bambine guardarono la loro mamma con occhi impauriti a causa delle parole dell’agente Romanoff. Anche Cassandra, nonostante cercasse di non mostrarlo, avevo uno sguardo preoccupato; nonostante tutto, però, cercò di sorridere alle gemelline in modo rassicurante. Prima che lo schermo diventasse nero, mandò un bacio ad entrambe. “Andrà tutto bene”, mormorò alla fine. La sua voce, però, era tutt’altro che convinta.
Così presa dalle proprie preoccupazioni, non si accorse neanche di quello che stava facendo Tony nel frattempo: Iron Man in quel momento aveva proiettato sulla parete, ai lati della testa del Dio dell’Inganno un paio di fotografie  raffiguranti le bambine. Le osservò per un po’ con aria pensierosa.
“Cassandra, credo che tu abbia parecchie cose da dirci”, concluse alla fine, sottolineando quel ‘parecchio’.
Sganciò la cintura che teneva fermo Loki, invitandolo ad alzarsi.
“Tu cosa ne pensi, piccolo cervo?”, gli chiese, riferito a ciò che c’era sulla parete.
Il Dio gli lanciò un’occhiataccia, prima di fare come gli era stato detto; osservò le facce sorridenti delle gemelle: le fossette ai lati delle guance e i grandi occhi azzurri li avevano senz’altro presi da Cassandra, ma i capelli corvini e l’aria più sveglia di quello che ci si aspetterebbe da due bambine di quell’età...
Deglutì rumorosamente, intuendo perfettamente ciò che l’uomo di metallo stesse pensando. Purtroppo, lui aveva tratto le stesse conclusioni. “N-non è possibile...”, mormorò.
Il suo incarnato già chiaro, si fece ancora più pallido.  

Nda 
Salve a tutti! Lo so, lo so che avevo promesso che avrei fatto decisamente più veloce di così, ma l'università ha la priorità (almeno in teoria...)
Ok, arriviamo al perchè ho messo quegli asterischi: i nomi non sono inventati ma arrivano direttamente dalla mitologia nordica. Fylla era una delle damigelle di Frigga, Tyr era il dio della guerra (anche se qui ho modificato un po' il tutto, parlando di lui più come un veterano di guerra); quella della mano monca non me la sono inventata, gli mancava davvero una mano: colpa del lupo Fenrir, che un bel giorno decise fare un 'assaggio'. Nella mitologia non si parla di eventuali mariti/mogli per questi due personaggi, quindi mi sono presa la libertà di metterli assieme. Per quanto riguarda Eir, era la dea della medicina, quindi ce la vedo come guaritrice ahahah
Bene, direi che per oggi è tutto. Alla prossima ;)

Ps. Allora, cosa ne pensate di questi ultimi avvenimenti? Nel prossimo capitolo Cassandra svelerà finalmente i propri segreti (almeno alcuni ahahah)      

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Capitolo 8
*** Rivelazioni ***


Capitolo VI: Rivelazioni

“Helicarrier in vista, prepararsi all’atterraggio” 
Cassandra alzò pigramente la testa dalle ginocchia di Tony. Fece una smorfia per nulla soddisfatta e si stropicciò gli occhi, ancora assonnati. 
“Allacciare le cinture di sicurezza”, ripetè l’agente Romanoff all’altoparlante.
Con uno sbuffo la donna si mise in posizione seduta, cercando poi la propria cintura.
Pochi minuti più tardi il Quinjet si adagiò delicatamente sulla pista d’atterraggio dell'Helicarrier, posizionando i propri rotori in posizione orizzontale e diminuendo gradualmente la rotazione delle due grandi pale.
Il portellone posteriore si aprì poco dopo, mentre due piccole figure sulla pista, tenute per mano da un uomo in giacca e cravatta, attendevano con crescente impazienza, stentando a rimanere ferme al proprio posto.
Tony scese per primo, lentamente, con passo trionfale, tipico del suo carattere esageratamente narcisista ed egocentrico. Avrebbe posato per primo piede sull'Helicarrier, se Cassandra non fosse corsa fuori, con il lungo abito rosso scarlatto leggermente alzato e i tacchi a spillo tenuti in mano.
Immediatamente Celeste e Adele corsero ad abbracciarla. La donna si chinò sulle ginocchia, stringendo forte a sè le figlie.
Stark osservò la scena cercando di apparire contrariato, nonostante gli occhi, decisamente addolciti, lo tradissero. “Immediatamente a nascondersi sotto alle gonnelle di mamma”, disse, ironico. “E al premuroso zio Tony nemmeno uno sguardo”
Le bimbe risero, staccandosi da Cassandra e dirigendosi ad abbracciare Iron Man. L’uomo di metallo prese una bambina per braccio, alzandole da terra in modo non molto dissimile da quello che avrebbe usato per alzare un sacco di patate, e fece fare loro alcuni giri in tondo.
“Posso portarle a fare un giro panoramico sopra New York?”, chiese in modo sarcastico a Cassandra.
“Tu provaci e questa volta ci resterai secco per davvero”, ribattè lei, con un’espressione innocua stampata in viso ma con un tono di voce tutt’altro che pacifico.
Tony assunse un’ari indispettita, mentre posava con estrema delicatezza le bambine a terra, tutt’altro che felice che il gioco fosse durato così poco.
Nel mentre, un piccolo contingente di agenti, armato fino ai denti, entrò nel Quinjet. Ne uscì poco dopo, con Loki ammanettato, tenuto sotto strettissima sorveglianza.
Quando passarono affianco a Cassandra e alle gemelle, lo sguardo di tutte e tre fu immediatamente catturato dalla figura del dio, sospettosamente troppo tranquilla. Lo seguirono con lo sguardo fino a quando non scomparve dietro ad una pesante porta di metallo.  
Celeste e Adele si voltarono verso la loro mamma, osservandola perplesse. Probabilmente avrebbero fatto delle domande, se la discesa dal Quinjet degli ultimi tre passeggeri a bordo non le avesse distratte. Strabuzzarono gli occhi alla vista di Capitan America e di Thor.
Cassandra fece l’occhiolino a Steve e al Dio del Tuono poi si coprì la bocca con una mano, nascondendo così una risata. Poggiò le mani sulle schiene delle bimbe e diede loro una leggerissima spinta, invitandole ad avvicinarsi di più ai due.
A lei, invece, le si affiancò la Vedova Nera. 
“Il Direttore Fury desidera parlare con lei al più presto”, disse.
La giovane donna annuì distrattamente, lo sguardo concentrato sulla gracile figura di Celeste, che cercava con tutte le proprie forze di sollevare da terra il martello di Thor. Le sue labbra non poterono fare a meno di piegarsi in un dolce sorriso, mentre alcuni pensieri le passavano per la testa.
“Prima è il caso di indossare qualcosa di un po’ meno scomodo di questo abito”, continuò Natasha, anche se a valutare il livello di attenzione della propria interlocutrice considerava le proprie parole fiato sprecato. “Mi segua prego”
Cassandra tornò ad osservarla, sbattendo più volte le palpebre nel tentativo di recuperare la parte che si era persa ma, nonostante la concentrazione, non le sovvenne alla mente nulla. Capì su cosa verteva l’argomento solo quando, dopo un sonoro sbuffo, la Romanoff le fece cenno con una mano di seguirla attraverso la massiccia porta attraverso cui era stato scortato Loki.
Guardò le proprie figliolette giocare allegramente, poi tornò a concentrare la propria attenzione sulla Vedova Nera. Lo sguardo fin troppo combattuto.
Tony lo notò e con il suo solito fare sfrontato si appoggiò con un braccio sulla spalla dell’agente Coulson. “Ci pensiamo io e Phil a quelle sue piccole pesti. E al vecchietto attempato. E al palestrato con il martello”, disse, facendole l’occhiolino.
Cassandra annuì appena, seguendo a passi incerti Natasha.

***
Poco dopo...

Cassandra guardò il proprio riflesso allo specchio. Si trovava in uno dei bagni di servizio dell’Helicarrier. Al suo fianco, su di un anonimo mobiletto bianco, vi era appallottolato il proprio abito, mentre i vertiginosi tacchi a spillo si trovavano riversi a terra.
Sollevò la zip della tuta che la Romanoff le aveva dato: si trattava di una delle divise d’ordinanza che indossavano gli agenti dello S.H.I.E.L.D.
All’esterno del bagno, la Vedova Nera picchiettava leggermente con un piede a terra, impaziente.
“Un attimo”, disse Cassandra, con la voce ridotta a poco più che un sussurro.
Tornò ad osservare la propria immagine sulla liscia superficie dello specchio: aveva un aspetto orribile con il trucco colato e i capelli arruffati che puntavano ovunque fuori da quello che qualche ora prima era stato un ricercato chignon, ma di qui ora rimaneva ben poco.
Sospirò e aprì il rubinetto dell’acqua fredda, raccolse un po’ d’acqua nelle mani messe a coppa e la buttò contro il viso; dopodichè lo insaponò, facendo scomparire ogni traccia di trucco. Infine si sciacquò e asciugò.
Alzò nuovamente il volto, incontrando immediatamente il proprio riflesso: appariva stanco, con due vistose occhiaie sotto agli occhi, ma era decisamente meglio di qualche minuto prima.
Si sciolse i capelli, lasciando così che i propri lunghi boccoli biondi le ricadessero sulla schiena.
Chiuse gli occhi, contando mentalmente fino a dieci, e si diresse verso la porta.
Le parve di vedere del sollievo negli occhi della Romanoff non appena la vide.
“IL Direttore Fury l’aspetta nella sala interrogatori”, disse, voltandole in fretta le spalle senza troppi complimenti.
Cassandra prese un lungo respiro, seguendola poi attraverso quel dedalo di corridoi che era l’Helicarrier.

***

Fury si trovava già nella sala interrogatori quando Cassandra arrivò. 
Su di un freddo tavolo di alluminio, unico complemento d’arredo, insieme con due sedie, vi erano poggiate due tazze calde fumanti e alcune cartelle ricolme di documenti.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. le fece cenno di accomodarsi e poco dopo lo fece anche lui, dalla parte opposta del tavolo. La Vedova Nera invece uscì, chiudendo alle proprie spalle la pesante porta blindata.
Cassandra osservò Fury, faticando a reggere il suo sguardo; distolse il proprio, fingendosi improvvisamente interessata alla stanza. La realtà era che quel solo occhio le incuteva non poco timore. Pensò che dovesse essere una caratteristica tipica di chi avesse subito quel genere di mutilazione.
Nella stanza aleggiava un pensante silenzio.
Dopo alcuno lunghi istanti Fury le passò una delle due tazze, tendendone invece una per sè.
La giovane la prese tra le mani, trovando non poco sollievo al contatto con la calda superficie di quell’oggetto. La strinse di più tra le mani, non potendo fare a meno di rabbrividire. Osservò il caffè all’interno, concedendosi poi un piccolo sorso.
“Andiamo dritti al punto: che cosa sei?”
Cassandra sbattè più volte le palpebre: ormai si era assuefatta a quel surreale silenzio e la voce le arrivò alle orecchie in modo inaspettato.
“Un essere umano”, mormorò.
Osservò Fury trattenere a stento una risata sarcastica poi, un sottile schermo, proprio sopra alle loro teste si accese, mostrando l’esatto momento in cui aveva messo al tappeto Loki.
“Non sapevo che un essere umano fosse in grado di fare queste cose”, ribattè lui con pungente sarcasmo. 
La porta della sala interrogatori si aprì nuovamente e un paio di uomini con un camice bianco entrarono nella sala.
“Abbiamo bisogno di sangue da analizzare”, le spiegò la spia, mentre uno degli scienziati prendeva un’avveniristica siringa tra e mani.
Cassandra annuì e alzò più che riuscì la manica destra della tuta, distendendo poi il braccio sul tavolo. Le scappò una smorfia dolorante quando l’ago entrò in vena, ma non distolse lo sguardo dall’ampolla dello strumento, che piano piano si riempiva di liquido rosso scarlatto.
Una vola piena, fu rimossa e al suo posto applicato uno batuffolo di cotone. Piegò il braccio verso l’interno, in modo da tenere premuto su quel punto.
In rigoroso silenzio, proprio come quando erano entrati, i due scienziati uscirono.
“Dovranno fare delle analisi anche alle bambine”, disse Fury.
Il volto di Cassandra si fece teso. “Preferirei di no. Gli aghi le terrorizzano, specialmente Adele”
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. la osservò: un tacito invito a proseguire con il proprio discorso.
“So cosa vi state chiedendo tutti”, continuò la donna. Prese un lungo respiro. “Sì, posso confermarvelo: Loki è il padre delle mie figlie”
Fury annuì, soddisfatto.
“C’è altro che vuole sapere?”, chiese Cassandra.
L’uomo le fece cenno con la mano di stare in silenzio, mentre premeva l’altra sopra all’orecchio, per ascoltare una conversazione all’auricolare.
“Sì, in effetti sarà una lunga conversazione”, disse, dopo alcuni secondi. “Le analisi confermano le tue parole, tuttavia è stato riscontrato un alto disaggio di una sostanza a noi sconosciuta. Di cosa si tratta?”
L’espressione sul volto di Cassandra si fece più cupa e scosse la testa. “Nessuno lo sa”, rispose. “So solo che è questa macchia a diffonderla per il mio corpo”, disse, indicando la zona scura sul palmo della mano destra.
“È quella macchia che ti permette di lanciare raggi viola?”, chiese nuovamente Fury.
“No, sono le pietre del mio medaglione. Senza di esso la macchia crescerebbe, uccidendomi”. Si vedeva che quelle parole erano costate molto alla giovane; lo si poteva intuire dal suo viso, contratto in quella che poteva dirsi preoccupazione.
Non c’era bisogno di aggiungere che ogni volta che utilizzava le due gemme incastonate nel medaglione la forza necessaria a contrastare la crescita della macchia diminuiva, portandola a diffondersi nel suo corpo, causandole tutta quella serie di effetti collaterali che si erano visti durante la notte passata. Fury quello lo aveva intuito da solo.
“E quel bracciale?”, domandò, indicandole il bracciale d’argento che teneva al polso, con impresse strane rune celtiche.
“Sulla superficie vi sono incisi degli antichi incantesimi che non mi permettono di utilizzare la magia se non per contrastare l’effetto della macchia. Se non lo indossassi non sarei in grado di controllare le pietre nell’amuleto”. A Cassandra appariva così strano parlare di magia, di incantesimi e di strani gioielli fatati; aveva perso quell’abitudine e ora le pareva di essere uscita da qualche fiaba, come quelle che spesso raccontava a Celeste e Adele prima di andare a dormire.
L’uomo davanti a lei restò in silenzio per alcuni secondi, probabilmente per immagazzinare le informazioni ricevute. Doveva accadere davvero di rado che qualcuno riuscisse ad ammutolire Nick Fury. Lo vide massaggiarsi lentamente le tempie.
“Cosa sei in grado di fare?”
“Non lo so, non con certezza almeno”
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. non parve soddisfatto della risposta, ma si tenne questa considerazione per sè. 
“Sei un pericolo per la sicurezza altrui?”
“Non quando indosso il bracciale”
“Sarà meglio per tutti quanti che tu non te lo tolga, allora”
Cassandra annuì, aspettando con pazienza l’ennesima domanda. Osservò Fury prendere una delle cartelletta sul tavolo e aprirla; vide il suo occhio spostarsi da una parte all’altra del documento mentre leggeva. Alla fine lo riappoggiò, lasciandolo scivolare verso di lei: oltre a varie annotazioni, su di esso spiccava una foto di un uomo, una donna e una neonata; pareva una foto di famiglia.
La giovane riconobbe quei due come i suoi genitori; la bambina invece doveva essere lei.
“Abbiamo ancora alcuni punti da chiarire”, le disse.
“Si prepari: sarà una lunga storia”
Fury si mise più comodo sulla propria seduta. “Abbiamo entrambi molto tempo”
Cassandra annuì. “I miei genitori...so che scomparvero durante una spedizione archeologica in Norvegia”
L’uomo davanti a lei non commentò, limitandosi a prendere dalla pigna di documenti un’altra cartelletta; l’aprì su di una pagina e la mise sotto il naso della giovane che, non appena mise a fuoco l’immagine su di essa, voltò velocemente la faccia, serrando di scatto gli occhi. 
“Per favore, la tolga”, mormorò.
Aveva visto i corpi riversi a terra e il troppo sangue intorno a loro; sapeva come erano morti i suoi genitori ma aveva preferito evitare di consultare i documenti sul caso. O ancora di vederne le foto. Stava male solo al pensiero di farlo.
Fury riprese in mano la cartella, chiudendola e mettendola da parte. “Ufficialmente si parlò di un qualche strano rito e di sette ignote e anche tu venni data per morta”, disse guardandola mentre cautamente rialzava lo sguardo su di lui. “Che cosa è accaduto realmente?”
Cassandra fece per aprire la bocca per parlare ma lui la interruppe di nuovo. 
“E non raccontare di qualche orfanotrofio sperduto e di documenti andati persi, quella copertura ormai è saltata”
La osservò mentre prendeva un lungo respiro per calmarsi. 
“Io...io non lo so”, mormorò nuovamente. “Venni...venni ritrovata ad Asgard da una coppia senza figli che mi allevò come loro”
Fury le indicò la mano. Una tacita domanda.
“L’avevo già: mi ritrovarono con indosso una tutina con ricamato il mio nome, quella e l’amuleto”
“E poi che accadde?”
“Rimasi all’oscuro di tutto, per anni”. Prese l’ennesimo lungo respiro. “Mio padre, quello adottivo, era un guerriero, uno dei migliori che Odino avesse; mia madre invece era stata dama di compagnia della regina. Nonostante la mia insofferenza per l’etichetta e le regole a diciotto anni fui mandata a Palazzo, come dama di compagnia anche io”, raccontò. Strinse inconsciamente le mani a pugno. “Odiavo quel ruolo e non appena ne avevo l’occasione mi rifugiavo in biblioteca a disegnare o a leggere, oppure spiavo i vari guerrieri mentre si allenavano. Fu così che in modi differenti entrai in contatto con Loki e Thor, anche se per il momento erano contatti occasionali”. Chiuse un attimo gli occhi, contando mentalmente fino a tre, per calmarsi, poi riprese il proprio racconto. “Allora non sapevo ancora cosa quest’amuleto fosse in grado di fare. Lo scoprii un giorno, quando alcuni malintenzionati tentarono di attentare alla vita della regina. Io quasi non mi resi nemmeno conto di quello che feci, ma Frigga e Loki, che avevano assistito a tutta la scena sì e non persero tempo: fecero forgiare dai Nani questo bracciale, da tenere fino a quando non avessi imparato a controllare la magia da sola e la regina diede ordine a Loki di istruirmi circa l’arte del...loro la chiamano Seiðr”. Fece una pausa, mentre un diffuso rossore prendeva pied sulle sue guance. “Diciamo...diciamo che non andò esattamente come aveva pensato Frigga”, disse imbarazzata. “Nel frattempo Thor mi insegnò ad usare spada ed arco”, aggiunse velocemente, cercando di cambiare discorso.
“Quando scopristi le tue vere origini?”
Cassandra sospiro: dentro di lei, ancora prima di averne prove certe lo aveva sempre saputo di essere diversa dal resto degli asgardiani. “Fu anche questo per puro caso...prima le avevo detto con cosa venni trovata, in realtà ho dimenticato di dirle che tra quegli oggetti vi era anche un vecchio quaderno degli appunti con scritte in codice, disegni e fotografie. Da lì è stato relativamente facile risalire ai miei veri genitori”
Quello era il succo della storia, in realtà il tutto aveva avuto molte fasi alterne, ma Cassandra non se la sentiva di rievocarle. Faceva già male così.
“Come sei tornata sulla Terra?”
Anche questa non era una risposta facile. “Io...l’amuleto mi permette anche di viaggiare tra i vari mondi, senza dover per forza utilizzare mezzi come il Bifrost”. Fece l’ennesima pausa per calmarsi. “Il Palazzo, Asgard...stava diventando tutto troppo stretto per me. Ogni volta che mi alzavo la mattina avevo la sensazione di soffocare...decisi che me ne dovevo andare al più presto”. Prese nuovamente un lungo respiro. “Fuggii, accertandomi di non lasciare tracce in giro”
“E le bambine?”
“Lo scoprii quando era già qui da un paio di mesi, ma decisi di non tornare indietro”
Il racconto era finito, ma Nick Fury non pareva completamente soddisfatto.
“È tutto qui, non c’è altro”, disse Cassandra.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. la osservò per alcuni istanti, poi prese un’altra cartelletta, l'ultima in fondo alla pigna. “C’è un’ultima cosa: i tuoi genitori collaborarono con lo S.H.I.E.L.D. nell’ambito degli studi sul Tesseract”, le rivelò. “Qui c’è tutta la documentazione”, aggiunse, passandole il documento.
Cassandra osservò prima lui poi la cartelletta, completamente spiazzata.
“Ora puoi andare”, la congedò Fury.
 

Nda
Ciao a tutti! Innanzitutto voglio scusarmi per la lunga assenza. Sono successe tante cose negli ultimi mesi...
Parlanodo del capitolo: come dice il titolo ci sono state parecchie rivelazioni e penso ci voglia un po' per assimilarle tutte. Lo so, questa parte era parecchio pensate, mi dispiace molto, ma estremamente necessaria visto che la maggior parte degli enigmi andava risolta. Piano piano tutti troveranno soluzione.
A presto, un bacio  

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Capitolo 9
*** Il Tesseract ***


Capitolo VII: Il Tesseract 

Alcune ore più tardi...

Cassandra sbuffò ed osservò la marea di fogli sparsi intorno a lei. Si trovava in una sala delle conferenze, sull’Helicarrier, completamente sola. Nick Fury le aveva concesso di restare lì, isolata, per leggere e studiare tutto il materiale che lo S.H.I.E.L.D. aveva raccolto sui suoi genitori.
Si era seduta a gambe incrociate al centro di un enorme tavolo rotondo, disponendo i fogli a cerchio intorno a lei. Scarabocchiò qualcosa sopra la margine di uno dei documenti, poi portò la matita alla bocca, mordicchiandone il fondo con non poco nervosismo. 
Per ora aveva scoperto che i suoi genitori erano stati interpellati dallo S.H.I.E.L.D. in quanto principali esperti di mitologia norrena in circolazione.
Si sporse per prendere una vecchia fotografia: si trattava sempre dei suoi genitori, con indosso un camice bianco da laboratorio; apparivano sorridenti mentre parlano con Howard Stark. Anche il padre di Tony era stato coinvolto nel progetto; dai documenti che aveva letto era stato lui a ritrovare il Tesseract, dopo che l’aereo con a bordo quell’oggetto era precipitato in mare. 
Il Tesseract...
Quel nome le era sembrato famigliare fin dal primo momento, ma solo nell’isolamento di quella stanza le era venuto alla mente dove e quando lo aveva udito nominare. Chiuse gli occhi,  riportando quel momento alla mente.

Nove anni prima...

“Loki, hai finito con quel libro?”, piagnucolò Cassandra, sedendosi in modo tutt’altro che delicato su uno dei numerosi tavoli della biblioteca del Palazzo reale di Asgard, proprio di fianco al pesante manoscritto che il dio stava leggendo. Quest’ultimo, probabilmente soprappensiero, sussultò, senza comunque nessuna intenzione ad alzare gli occhi nella sua direzione.
La giovane sbuffò, riprendendo tra le mani il proprio blocco da disegno e una matita, con ormai impressa tutta la sua arcata dentale. Si mise a disegnare, come se non avesse fatto altro durante tutto il resto del pomeriggio. 
Aveva appena iniziato ad abbozzare i lineamenti del volto del dio, quando la punta della matita si ruppe. Chiuse il blocco e poggiò il tutto da parte.
Prese un lungo respiro, prima di iniziare a guardarsi intorno con aria annoiata. 

Nel mentre, Loki appoggiò distrattamente una mano sul ginocchio della giovane, cominciando a massaggiarlo lentamente, risalendo alle volte l’interno coscia, per poi tornare a scendere.
Cassandra prese la mano del dio tra le sue e se la portò alla bocca, indugiando con le labbra più del dovuto sulla sua pelle diafana, piacevolmente e perennemente fredda.
Ottenne poco più di un veloce sorriso, prima che lui ritornasse con il naso sui libri.
Sbuffò per l’ennesima volta e si sdraiò su di un fianco, stando ben attenta a coprire il pesante manoscritto con il proprio corpo.
Il dio la osservò con le labbra piegate in un enigmatico sorriso; nei suoi occhi verdi traspariva invece una punta di malizia.

C’è qualcosa che posso fare per te, Cassandra?”, le chiese, con un tono di voce leggermente più basso del normale.
“Che cosa stai leggendo?”, domandò di rimando lei, allungando una mano verso il suo volto.
“Ora come ora assolutamente nulla”, ripose lui, ironico.
Cassandra ritrasse la mano, piegando poi il braccio sotto alla testa. Sbuffò: si dimenticava sempre quanto per il Dio della Menzogna le parole fossero importanti.
“Allora...che stavi leggendo?”, chiese nuovamente, utilizzando i verbi al passato e non al presente.
Le labbra del Dio si piegarono in un sorriso soddisfatto; portò lentamente una mano al fianco della giovane, coperto appena da una sottile veste color carne, molto semplice, senza maniche e dall’ampio scollo a v. Sfiorò appena la stoffa, mentre piano piano le sue dita scendevano fino alla gamba.
“Antichi manufatti”, rispose dopo alcuni secondi in cui l’unico rumore udibile erano i loro respiri e il frusciare della mano sulla veste.
“Che genere di antichi manufatti?”. Lo sguardo di Cassandra si illuminò, osservando Loki incuriosita, pregandolo di rivelarle di più. Gli sorrise, non potendo fare a meno di contagiarlo con il proprio entusiasmo.

Il Dio portò le mani sulle proprie gambe, invitandola così a sedersi sulle ginocchia, cosa che la giovane fece appena un istante più tardi. Le scostò la bionda treccia da un lato, in modo da avere il suo collo libero; nel farlo, le sue dita non poterono fare a meno di sfiorarle la pelle candida. 
Le lasciò un leggero bacio sul collo.
“Hai mai sentito parlare del Tesseract, Cassandra?”, le chiese a voce bassa ad un orecchio.
Lei scosse la testa.
Il pesante manoscritto su cui era rimasta sdraiata fino a poco tempo prima si librò in aria, disponendosi di fronte a loro. Le pagine presero a muoversi una dopo l’altra, come dotate di vita propria. Alla fine si fermarono su di un testo riccamente decorato, con alcune lettere ricoperte da finissime lamine d’oro. Ma non fu quello o le illustrazioni dai sgargianti colori a colpire tanto la giovane, ma il disegno di un piccolo cubo azzurro.
Il cubetto parve uscire dalla pagina e fluttuare nell’aria, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto. Provò a toccarlo, ma le sue dita passavano da parte a parte, incapaci di afferrare quella che era null’altro che un’illusione.
Rise davanti all’ennesimo gioco di magia del Dio degli Inganni e si voltò verso di lui, facendo sfoggio di uno dei suoi migliori sorrisi, di quelli che mostravano le fossette ai lati della bocca, che lui adorava tanto.
Per un periodo di tempo indefinibile gli sguardi di entrambi furono catturati l’uno dall’altro, poi Loki si chinò sulla spalla scoperta di Cassandra, indugiando su di essa con le sue labbra fredde; lei si voltò, tornando ad osservare interessata il manoscritto, attendendo in silenzio che lui riprendesse il suo racconto.

“Il Tesseract è un contenitore”, sussurrò il dio, lasciandole poi una scia di baci lungo il sottile collo di porcellana.
Cassandra chiuse gli occhi, reclinando la testa dal lato opposto, lasciandogli così più spazio di manovra.
“Contiene una fonte pressocchè illimitata di energia”, aggiunse tra un bacio e l’altro.
“E dove...dove si trova?”, domandò lei con il fiato corto.
Sentì Loki farsi più teso e scostare il volto dal suo collo. Si voltò verso di lui, osservando la sua espressione farsi improvvisamente seria. “Rubato”, disse in tono cupo. “Trafugato da Asgard secoli fa”
La giovane portò una mano al volto del dio, carezzandogli delicatamente una guancia.
“La sua attuale collocazione è sconosciuta”, aggiunse lui.
“Potremmo...”, disse Cassandra, mordendosi poi il labbro. “Potremmo andare a cercarlo”
Si mise a cavalcioni su di lui.
“Io e te. Solo noi due all’avventura”, aggiunse, sistemandosi meglio.
Loki le sorrise, poi il suo sguardo fu catturato dalle labbra della giovane. “Potremmo”, sussurrò con voce roca, prima di avventarsi su di esse.


Fu  il rumore della porta della sala conferenze che si richiudeva a riportare Cassandra con i piedi a terra.
“Cassandra, tutto...bene?”, chiese cauto Steve, muovendo alcuni passi all’interno della stanza. Non aveva potuto fare a meno di notare il sussulto delle spalle della donna quando era entrato. 
“Benissimo”, ribattè prontamente lei, voltandosi di tre quarti verso di lui e sorridendogli. “Ero solo soprappensiero”
Spostò alcune carte dall’ampio tavolo, per permettergli di sedersi affianco a lei. 
“A cosa stavi pensando?”, domandò il Capitano, poggiandosi a bordo del tavolo, nell’unico punto libero. Si guardò intorno, soffermandosi sul disordine che regnava sovrano in quel momento.
Cassandra parve tentennare sulla risposta. “Al Tesseract”, disse infine.
“Ne avevi sentito parlare prima di oggi?”, continuò lui.
La vide annuire.
“Ad Asgard?”
“Sì”
Dal tono di voce della giovane, Steve capì che sarebbe stato meglio non indagare oltre. “Anche io”, disse semplicemente. “Era meglio lasciarlo nell’oceano”, aggiunse in tono amaro. Lo sguardo basso, fisso su di un punto indefinito del pavimento mentre le immagini di quello che era successo poco prima dello schianto passavano velocemente davanti ai suoi occhi azzurri. Sospirò.
Cassandra lo osservò mentre le dava le spalle. Cercò delle parole adatte da dire ma non ne trovò; non sapendo bene come procedere si limitò a poggiargli una mano sulla spalla.
Steve tentennò un attimo, prima di poggiare a sua volta una mano su quella di lei; la strinse leggermente. 
“Come hai fatto ad abituarti a questo mondo?”. Nemmeno lui sapeva da dove quelle parole fossero uscite. Aveva capito che per lei quello era un argomento delicato, eppure esse avevano preso forma sulla sua lingua come se fossero state dotate di vita propria.
Si voltò verso di lei, osservandola dritta negli occhi. Azzurro che si specchiava in altro azzurro.
Cassandra appariva pensierosa mentre cercava il modo migliore per rispondergli; sapeva che non erano poi così dissimili, loro due: entrambi si trovavano in un mondo che non era quello che li aveva visti crescere. C’era solo una differenza.
“In realtà è stato...naturale”, disse semplicemente.
Steve intrecciò la sua mano alla propria, passando distrattamente il pollice sulle sue nocche.
“Mi sono sentita immediatamente a casa qui sulla Terra. Più di quanto lo sia mai stata ad Asgard”, aggiunse lei. Il suo sguardo non potè non finire sulle loro mani. Sorrise, mostrando le fossette.
Anche gli occhi del Capitano seguirono i suoi: il volto di Capitan America divenne paonazzo e ritrasse velocemente la mano, balbettando velocemente alcune scuse.
Cassandra non potè fare a meno di lasciarsi andare ad una risata alla vista di quel goffo comportamento. Risata che ben presto contagiò anche il Soldato.
Si concessero alcuni secondi di leggerezza, poi il volto della donna tornò serio.
“Ti stai abituando al ventunesimo secolo?”, gli chiese.
Steve sospirò. “Credo di essere senza speranze”
Ma c’era una punta di ironia nella sua voce, un residuo della spensieratezza di poco prima che stentava ad andarsene.
Lei gli tirò un amichevole pugno sul braccio. Un piccolo ammonimento. “Se ci sta riuscendo Thor, sono certa che puoi farcela perfettamente anche tu”
Quasi a volerlo fare apposta, in quel momento dei forti colpi alla porta fecero traballare l’intera stanza.
“Avanti”, disse prontamente Cassandra.
Il Dio del Tuono fece la sua comparsa. Nonostante un accenno di sorriso sulle labbra, non pareva essere di buon umore.
“Devo parlarti”, si rivolse alla giovane.
Un breve scambio di sguardi tra Cassandra e Steve, poi il Capitano scese dal tavolo, incamminandosi verso l’uscita. 
Lei lo osservò scomparire oltre la soglia, prima di prestare tutta la propria attenzione al dio. “Che devi dirmi, Thor?”
Il suo sguardo studiò attentamente il volto corrucciato di fronte a lei e non riuscì a reprimere una risata alla vista di una vistosa riga a pennarello blu che solcava per il lungo la sua guancia.
“Hai giocato con le tue nipotine, per caso?”
A Cassandra appariva così strano poterlo finalmente dire un modo così naturale. Ad osservare l’espressione del dio, anche lui doveva averla pensata allo stesso modo.
Dopo un attimo di iniziale smarrimento le sorrise, raggiante.
“Non riescono a stare ferme un istante. Quando pensi che ormai abbiano esaurito le idee, eccole uscire con qualcosa di nuovo”. La osservò dritta negli occhi. “Mi ricordano molto voi due, sono la vostra copia”
Cassandra abbassò lo sguardo, improvvisamente imbarazzata. “Già”, si limitò a dire.
Nella stanza cadde il silenzio, rotto soltanto dallo stivale di Thor che picchiettava sul pavimento.
“Perchè te ne sei andata?”
La domanda arrivò alle orecchie della donna inattesa. Prese un lungo respiro. “Io mi sentivo in gabbia, avevo come la sensazione che Asgard mi si stringesse addosso senza permettermi di respirare. Andarmene era l’unica soluzione”
Non era stato facile abbandonare tutto e tutti, eppure anche in quel momento era convinta che quella notte di diversi anni prima aveva preso la decisione giusta. 
“Perchè non sei tornata quanto hai scoperto di...di aspettare le bambine?”
Thor non avrebbe capito. Forse non lo avrebbe mai fatto.
“Tornare con la coda tra le gambe ad Asgard? Non lo avrei mai fatto”, ribattè prontamente lei.
“Non avresti dovuto tenerci all’oscuro di tutto”, la rimproverò lui. “Specialmente Loki”
Forse da questo punto di vista aveva ragione, ma che sarebbe successo in quel caso?
“Di fronte al fatto compiuto padre non avrebbe esitato a darvi il suo benestare per le nozze. Saresti potuta diventare una principessa”
Una gabbia dorata. Ecco quale sarebbe stata la sua fine in quel caso. Vivere in una gabbia dorata per il resto dei suoi giorni. 
Avrebbe così condannato anche le sue bambine a quella stessa vuota esistenza.
Cassandra scosse la testa, ma Thor continuò il suo racconto. “Forse...forse ciò che è successo a mio fratello non sarebbe mai accaduto”, disse con un filo di voce.
Già, forse in quel momento non si sarebbe trovato in una cella dell’Helicarier ma a giocare con le proprie bambine all’interno dei giardini del palazzo di Asgard. 
“Romanoff ha appena finito di interrogarlo”, rivelò il dio, quasi leggendole nel pensiero. “Forse dovresti provare a parlargli. Magari a te darebbe ascolto”

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Capitolo 10
*** Io e te ***


Capitolo VIII: Io e te 

Come Thor fosse riuscito a convincerla ad andare a parlare con Loki rimaneva un mistero. Eppure, in quel momento, Cassandra stava silenziosamente camminando verso la cella progettata diversi anni prima per ospitare Hulk, ma che di fatto era la prima volta che veniva utilizzata. E non di certo per il grande mostro verde. 
Tony era riuscito ad intrufolarsi nei sistemi informatici dello S.H.I.E.L.D. facendo in modo che lei non trovasse assolutamente nessun agente in giro: Fury non sarebbe stato di certo contento di sapere di quella chiacchierata non autorizzata. Non era il caso di farsi scoprire. 
Cassandra dovette ammettere di essere stata sorpresa quando il famoso miliardario si era volontariamente offerto di aiutarla. Non se lo sarebbe mai aspettata. 
Arrivò davanti alle pesanti porte d’acciaio che conducevano alla stanza dove era contenuta la cella in un tempo che considerò fin troppo breve. Prese un lungo respiro, poi inserì il codice numerico per permettere l’apertura: era a dieci cifre e Tony ci aveva messo meno di un secondo a scovarlo. Se lo era scritto a penna su una mano. Non una grande idea, ma non ce l’avrebbe mai fatta a tenerlo a mente. Non in quel momento, almeno. 
La sua mano tremava vistosamente mentre passava da un numero all’altro. L’agitazione si faceva sentire. 
Un sonoro beep confermò la correttezza del codice; un istante più tardi le due porte cominciarono a scorrere in versi opposti, scomparendo tra le pareti.  
Cassandra si accorse solo quando sentì i polmoni in fiamme che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo. Prese un altro lungo respiro prima di fare un passo nella stanza. 
Nonostante la tuta che le avevano dato fosse fatta di un materiale che riusciva a mantenere costante la temperatura corporea, la donna non potè fare a meno di rabbrividire e stringersi le braccia sotto al seno.  
Si guardò in giro: non appariva proprio come una stanza, più che altro sembrava un ambiente di mezzo, un collegamento tra l’interno dell’Helicarrier e l’esterno; aveva una forma circolare, con un camminatoio fatto di acciaio forato, simile a quello delle scale antincendio, che correva lungo tutto il perimetro. Vi era solo una passerella fatta dello stesso materiale a collegare il corpo principale alla cella; anche quest’ultima era di forma tonda, interamente trasparente. 
Fece un paio di passi verso la passerella. Dal basso proveniva una forte corrente d’aria che le scompigliava i capelli. Bruce le aveva parlato di come il pavimento sottostante poteva aprirsi se qualcuno avesse provato a forzare la cella. Essa sarebbe stata poi sganciata e lasciata cadere nel vuoto. Una misura estrema. 
“Ciao, Cassandra” 
La voce di Loki le giunse alle orecchie inaspettata, paralizzandola completamente. Il dio le dava le spalle e lei era stata molto silenziosa. Non si sarebbe mai aspettata di essere quella colta di sorpresa. 
“Ciao, Loki”; salutò di rimando. Sulle sue labbra aveva fatto la propria comparsa un sorriso nervoso. 
“Cosa ci fai qui?”. Il suono che uscì dalla bocca del dio era freddo, tagliente come la lama di un coltello appena affilato. 
“Credo...”, balbettò Cassandra, enormemente a disagio, “...credo che delle spiegazioni siano d’obbligo” 
“Non c’è niente da spiegare” 
La giovane donna prese l’ennesimo lungo respiro, poi fece ancora dei passi in avanti, fermandosi ad un soffio dallo spesso strato di vetro della cella. Poggiò la fronte contro ad esso e chiuse gli occhi, cercando di dare un ordine logico a tutti i pensieri che in quel momento le affollavano la mente. La piacevole sensazione di fresco della superficie parve esserle d’aiuto.  
“Da dove vuoi iniziare?”, chiese, sedendosi a terra a gambe incrociate di lato alla cella, in modo da poter poggiare il fianco contro di essa. 
Loki la osservò con aria severa, studiandola in silenzio. Giudicandola, forse. 
Lei distolse lo sguardo, osservando il freddo metallo del pavimento. Aprì e chiuse più volte la bocca, indecisa se parlare o meno.   
“Perché?” 
Quella domanda giunse alle sue orecchie inattesa, con un tono di voce gelido, di quelli che, Cassandra lo doveva ammettere, le facevano male. 
Ma forse se lo meritava.  
Alzò appena i suoi grandi occhi azzurri verso la figura del dio, in piedi di fronte a lei. A dividerli c’era solo uno strato di vetro.  
“Perché dopo tutto questo tempo, Cassandra?”. Non c’era la minima traccia di un’emozione o di un sentimento quando pronunciò il suo nome. “Perché proprio ora?”. Sbattè il pugno chiuso contro il vetro con una tale intensità da far vibrare l’intera struttura. 
Cassandra, istintivamente, scivolò più indietro, spaventata da quel comportamento. Prese diversi lunghi respiri per calmarsi, ma senza mai distogliere lo sguardo dalla fonte del pericolo.  
“Thor mi aveva detto che avevi bisogno di aiuto, pensavo che un chiarimento ti avrebbe fatto bene”, mormorò, lasciandosi andare ad un lungo sospiro. 
“Thor…”, ripetè Loki, piegando le labbra in un sorriso sarcastico. Un gesto di scherno, niente di più. “Un pentapalmo sarebbe più perspicace di lui” 
“Tuo fratello è cambiato molto”, disse Cassandra, tornando a mettersi in un posizione più rilassata, ma pur sempre restando in allerta. “Un tempo eri bravo a leggere nelle persone. Se solo ti soffermassi un istante su di lui lo capiresti da te”  
“Ti sembra adatto al trono?” 
Otto anni prima avrebbe scosso la testa, affermando poi che era lui quello più adatto a sedersi su di un trono, ma ora… Thor era cresciuto; non era più il giovane tutto battaglie e bagordi con gli amici. Aveva visto una persona responsabile, saggia. Profonda. Le difficoltà della vita lo avevano cambiato in meglio.  
Mentre in Loki vedeva null’altro che odio e invidia. Una serie di sentimenti negativi che lo stavano consumando, che lo stavano portando a fare gesti sconsiderati. Proprio come quello. 
No, il trono non era adatto a lui. Non più, almeno. 
“Penso sarebbe un buon re” 
“Io sarei un buon re, non lui!”, sbraitò il dio. I suoi occhi, fissi sulla figura della donna, in quel momento esprimevano solo odio, come se si trattasse di un tradimento. Forse di tradimento si trattava davvero, almeno, secondo la sua visione distorta. 
La donna si mise di scatto in piedi. 
“Ma ti senti quando parli? Solo un folle parlerebbe in quel modo. E sai che cosa è un folle con un potere illimitato? Un dittatore. Vuole essere questo il padre delle mie figlie? Un dittatore?” 
A quelle parole Loki si paralizzò, mentre Cassandra, ancora con il fiato corto per via del proprio tono di voce sostenuto, si portò entrambe le mani alla bocca, mortificata. Non era così che voleva dirglielo. Nella sua testa l’idea sarebbe stata quella di arrivare alla verità poco alla volta, non di getto come aveva appena fatto. 
Osservò il dio della menzogna con l’intento di intuire cosa gli passasse per la testa, ma la sua espressione era indecifrabile. Poco più tardi essa si indurì. 
“Due bastarde”, sussurrò. 
Cassandra abbassò il capo e scosse la testa: sapeva che ad Asgard era così che le figlie illegittime venivano chiamate, ma, nonostante ciò, le faceva male comunque. 
“Avrei risolto il problema immediatamente”, proseguì lui.  
La giovane donna sospirò, prima di piegare le labbra in un sorriso amaro: anche nelle sue iniziali intenzioni il “problema” si sarebbe dovuto risolvere presto… 


Otto anni prima…  


La porta dello studio medico si aprì il tanto da lasciare uscire nel corridoio una donna di mezza età con indosso gli abiti da infermiera e una cartella clinica aperta tra le mani. Non le servì chiamare la paziente per nome dal momento che conosceva già il suo volto. Era su tutti i giornali, ormai. 
La osservò per un istante con un’espressione di disappunto, poi distolse immediatamente lo sguardo.  
“Può entrare, è tutto pronto”, disse in tono piatto. 
Cassandra chiuse gli occhi e prese un lungo respiro. Lasciò la mano di Zita prima di alzarsi e seguire l’infermiera nello studio.  
La dottoressa era seduta alla propria scrivania ed alzò lo sguardo su di lei solo quando sentì lo scatto della porta che si chiudeva. Accennò un sorriso di incoraggiamento alla ragazzina in piedi poco lontano, che si guardava in giro per la stanza con aria impaurita.  
“Vuoi che ti ripeta la procedura?”, le chiese, gentilmente.  
La giovane osservò la propria pancia, leggermente accennata, prima di rialzare il viso su di lei. “No, non serve”, mormorò. 
La donna annuì, poi si alzò, dirigendosi verso un lettino con accanto tutta la strumentazione necessaria. “Devo farti un’ultima ecografia, prima di iniziare” 
Questa volta fu Cassandra a fare un cenno affermativo con il capo. Si tolse i pantaloni e si distese sul lettino, alzando poi la maglietta e scoprendo la pancia.  
Sussultò quando la dottoressa le cosparse il ventre con il gel per le ecografie e voltò lo sguardo altrove quando cominciò a muovere lo strumento avanti e indietro: non se la sentiva di guardare lo schermo… di vederli.  
“Ci sono altre opzioni, lo sai, vero?”, le chiese la donna. 
“Sì, ne sono consapevole”. Voltò il viso per osservarla negli occhi mentre parlava -un’abitudine di buone maniere che aveva appreso in quella che poteva considerare la sua vita passata-, senza considerare il fatto che lo schermo si trovasse proprio alle spalle della dottoressa.  
Restò immobile ad osservarlo: c’era qualcosa di molto piccolo che si muoveva a ritmo regolare. 
La sua interlocutrice seguì il suo sguardo e sorrise. “Quello è il cuore”. Spostò l’apparecchio sulla pancia di alcuni centimetri, inquadrando anche il secondo. “E qui c’è l’altro”, aggiunse.  
Poggiò lo strumento su di un tavolino e lo schermo divenne nero. “Possiamo proseguire, ora” 
Lo sguardo di Cassandra però non si spostò di un millimetro. Forse nemmeno l’aveva sentita parlare. Restò ferma, in silenzio, per un tempo che parve interminabile.  
“Aspetti”, mormorò alla fine. Si mise seduta, poggiando una mano sul ventre. “Io…”, chiuse gli occhi e prese un altro lungo respiro. “Non sono più sicura di volerlo fare” 


 “Stavo per abortire, ma all’ultimo mi sono tirata indietro. Non ce l’ho fatta”, disse Cassandra. Prese un lungo respiro. “E non mi pento della mia scelta” 
Loki la guardò in silenzio, con un’espressione che la donna aveva visto dipinta sul suo volto in più di un’occasione in passato, quando si trovava in disappunto su qualcosa ma preferiva tacere. Successivamente mutò, facendosi improvvisamente seria.  
“Ti avrei sposato, Cassandra. Avrei parlato con Madre e Odino della tua condizione e poi avrei chiesto la tua mano a tuo padre, non avrebbe mai potuto negarla ad un principe”. Distolse lo sguardo da quello di lei. “Saresti potuta diventare la mia regina”, aggiunse in un sussurro.  
“Lo so che prima o poi l’avresti fatto, incinta o meno”, disse lei, piegando le labbra in un sorriso dolce, di quelli che mostravano le fossette agli angoli della bocca. Un sorriso contagioso. 
Il Dio degli Inganni apparve per un istante combattuto, ma rimase immobile nel punto dove si trovava, il volto tremendamente serio. “Avrebbero potuto ricevere un’istruzione degna del loro rango, sarebbero state chiamate principesse” 
Cassandra scosse la testa. “E rinchiuderle così in una gabbia dorata? No, non lo avrei mai permesso” 
“Ed è per questo che te ne sei andata, perché TU disprezzavi la vita di corte?” 
Che cosa credeva Loki? Che fosse fuggita da Asgard con la coda tra le gambe perché incinta? Che lo avesse fatto perché impaurita da ciò che sarebbe successo una volta che la sua condizione fosse stata scoperta? No, non era assolutamente per quello. Certo, la notizia che un’ancella della regina aspettasse un figlio da uno dei principi di Asgard avrebbe fatto senz’altro scandalo, sarebbero piovute critiche e maldicenze da ogni dove, ma Cassandra non avrebbe dato loro troppo peso. 
La scelta di andarsene da Asgard era stata pensata a lungo, ben prima che le bambine venissero concepite. Non era stata una scelta avventata. 
La ragazzina impulsiva di un tempo probabilmente avrebbe risposto alle insinuazioni di Loki in modo velenoso, con il tono di voce decisamente troppo alto. Ma ora era una donna. E la sua pazienza con gli anni era decisamente aumentata. 
Prese un lungo respiro.  
“Ho scoperto di aspettare le bambine quando mi trovavo già sulla Terra”, disse con un tono che cercava di apparire calmo. 
“Quindi meglio farle vivere in mezzo ad esseri inferiori che in un Palazzo reale” 
Ancora altre conclusioni affrettate e sbagliate. 
Lo fulminò con uno sguardo. La calma e la pazienza in via di esaurimento. “Ci consideri esseri inferiori?”, domandò in tono ostico.  
Loki la osservò come se la sua interlocutrice avesse un qualche disturbo nell’apprendimento. O si trattasse di Thor. L’espressione quando si trattava di dover spiegare qualcosa al fratello era la stessa di quel momento: esseri dall’intelligenza limitata, per cui si doveva provare compassione. “Considero gli umani esseri inferiori. Tu sei un’asgardiana, nelle tue vene scorre il sangue di grandi guerrieri. Non comprendo questo tuo ostinato attaccamento per Midgard”, rispose con tono ovvio.  
Cassandra lo studiò in silenzio, indecisa sulle parole da usare, su quello che doveva fare: Loro sapevano la verità, possibile che nemmeno dopo la sua scomparsa non avessero detto come stavano veramente le cose? Scosse la testa: ancora una volta era stato il gioco delle apparenze a trionfare. “No, non è così”, ribattè dando un tono deciso alla propria voce. “Tyr e Fylla non sono i miei genitori biologici, loro mi hanno semplicemente trovata e allevata. I miei veri genitori erano umani” 
Ci furono diversi secondi di silenzio: seppur avesse cercato di trattenersi, la giovane donna aveva visto un bagliore di sorpresa passare velocemente nelle iridi dell’Ingannatore. Lui, per celarlo, aveva distolto lo sguardo, mettendosi a camminare avanti e indietro lungo il perimetro della cella.  
Un tempo quel comportamento avrebbe significato che qualcosa lo turbava e che, seguendo il filo di un qualche pensiero, cercasse un modo per venirne a capo.  
Si bloccò improvvisamente: era giunto ad una conclusione. 
O forse ad una scelta, Cassandra non poteva saperlo con certezza.  
Si voltò verso di lei.   
“E così le nostre…”. Il dio dovette fare una pausa, evidentemente in difficoltà sul termine sul termine che voleva utilizzare.  “…figlie…”, disse incerto. “…non hanno un briciolo di sangue asgardiano” 
Molto probabilmente si aspettava di vedere della confusione negli occhi azzurri della donna. O almeno un briciolo di perplessità. Fu disorientato dai gesti di lei. 
“No, non lo hanno”, gli fece eco Cassandra, scuotendo la testa.  
La studiò a lungo, nuovamente in silenzio. 
Lei doveva già conoscere il suo spinoso ormai-non-più-segreto.  
“Te lo ha detto Thor?”, le chiese con estrema serietà. 
La donna scosse la testa. “Tua madre, diversi anni fa”. Aveva mantenuto la promessa fatta alla Regina per tutti quegli anni, ora non aveva più senso continuare.  
Loki la osservò confuso.  
Cassandra decise che era il caso di spiegarsi meglio, di partire dal principio. “Ricordi quando stavamo ancora cercando di capire cosa fossi in grado di fare con i miei poteri e tu ebbi la grande idea di provare a teletrasportarci dalla biblioteca ai giardini del palazzo?”. Quello doveva essere un momento di serietà, eppure al ricordo di quell’avventura la sua voce assunse una piega ironica e le sue labbra si piegarono in un sorriso trattenuto a stento. 
“Finimmo a Jotunheim, se ricordo bene”, disse il dio, sforzandosi di non lasciarsi influenzare dal suo luminoso sorriso. Avrebbe tanto voluto farlo, però, perché a quel sorriso aveva sempre faticato a resistere.  
Cassandra annuì. “I Giganti di Ghiaccio ci accerchiarono ed uno ti colpì alla testa e tu perdesti i sensi” 
Quell’attimo di distrazione fatale era stato un duro colpo per l’ego dell’Ingannatore. Un colpo che, conoscendo il suo narcisismo, bruciava anche il quel momento.  
Il viso di Loki assunse un’espressione imbronciata.  
Sì, bruciava ancora. 
“Un Gigante di Ghiaccio toccò anche te”, le fece notare, piegando le labbra in un sorrisetto di scherno.  
“Sulla coscia”, ribattè all’istante Cassandra con le guance in fiamme. 
“Mi pareva che la bruciatura fosse più in alto”.  
Loki le lanciò un’occhiata maliziosa, a cui lei tentò di rispondere con uno sguardo di rimprovero, ma che sfociò ben presto in una risata. Sapeva quali grandi rischi avevano corso quel giorno, se ne rendeva perfettamente conto, eppure al pensiero della forma di mano di un Gigante di Ghiaccio stampata su di un gluteo, Cassandra non riusciva proprio a fare altro che ridere: era pur sempre una ferita di guerra di cui andare fieri! E, in quanto tale, andava festeggiata: i festeggiamenti nelle peggiori osterie di Asgard insieme a Thor e alla sua allegra combriccola erano durati giorni.  
Festeggiamenti che Loki aveva disapprovato.  
“Lo era, ma non è questo il punto”, confermò, prima che la sua espressione spensierata tornasse a farsi seria. “Ti vidi diventare blu”  
Osservò il dio degli inganni impallidire e, per la prima volta da quando lo aveva incontrato nuovamente, perdere la propria sicurezza.  
“Lo comunicai a Frigga e lei mi disse tutto” 
 

Molti anni prima… 


Cassandra osservò con aria incerta la bacinella contenente dei cubetti di ghiaccio poggiata su di un carrello, in mezzo a diverse garze ed altri medicamenti.  
Il suo sguardo passò poi al bel dio disteso sul letto a poca distanza. Si sedette sul bordo, portando una mano al suo viso e carezzandogli lentamente una guancia: Loki le appariva più pallido del solito con quel vistoso livido blu sulla tempia, dove il manico della mazza di quel Gigante di Ghiaccio lo aveva colpito. Probabilmente se ci avessero messo del ghiaccio, come i cerusici avevano consigliato, il punto non si sarebbe gonfiato, ma la regina si era fermamente opposta.  
Ora capiva il perché. 
Si alzò e zoppicò fino alla soglia della camera, dove tese l’orecchio per assicurarsi che non ci fosse nessun altro negli appartamenti del dio. 
Non le giunse nessun rumore. 
Chiuse con lentezza i battenti delle grandi porte dorate e tornò verso il letto, ma prima di avvicinarsi prese un paio di cubetti di ghiaccio.  
Osservò per qualche istante il suo petto alzarsi ed abbassarsi a ritmo regolare; con il potente sonnifero che i cerusici gli avevano somministrato, Loki non si sarebbe svegliato nemmeno se Thor avesse organizzato un festino nella sua camera da letto.  
Non avrebbe dovuto temere che il dio si svegliasse nel mezzo del suo esperimento, eppure  
Cassandra tentennava circa l’agire. 
Alla fine si decise e con gesti lenti alzò fin sopra al gomito la camicia color verde petrolio di Loki, scoprendo la pelle diafana sotto di essa; era piacevolmente fresca, come sempre. 
Ci poggiò sopra i cubetti di ghiaccio e, proprio come poche ore prima, quando il Gigante di Ghiaccio lo aveva toccato, il suo colorito divenne blu.  
La giovane fece istintivamente un passo indietro, spaventata. 
Fu proprio in quel momento che la porta della camera si aprì. 
“Cassandra cara, dovresti andare a riposare. Posso restare io con…”. La regina si bloccò dopo appena un paio di passi nella camera, lasciando la frase a metà. Il suo sguardo passò dal braccio blu del proprio figlio alla ragazza poco distante che la osservava a sua volta ad occhi sgranati. “Che cosa sta succedendo qui?", chiese, l’espressione di colpo incupita, così inconsueta sul suo viso solitamente solare.  
“Io…”, balbettò Cassandra. “Quelli… quei cosi… devono averlo maledetto. Deve essere così, mia regina”. Si affrettò a sbarazzarsi dei cubetti di ghiaccio e, non appena essi non furono più a contatto con il braccio di Loki, esso tornò al suo consueto colore.  
Frigga tentò di sorriderle, ma quel sorriso apparve troppo nervoso. 
“Quando… quando lo ha toccato è diventato blu”, mormorò di nuovo la giovane.  
“Lo hai detto a qualcuno?”, chiese la regina con estrema serietà. 
“No, vostra grazia. Volevo essere certa di ciò che avevo visto prima di creare falsi allarmismi”, disse a capo chino, troppo timorosa per alzare lo sguardo sulla dea.  
Frigga parve tentennare sulle parole da dire. Si poteva vedere l’indecisione trasparire dalle sue iridi chiare. Osservò a lungo la giovane al suo fianco. “Lo sai mantenere un segreto, Cassandra? Quello che sto per rivelarti non deve uscire da questa stanza”. Il suo sguardo andò al proprio figlio. “Loki non deve saperlo” 
La ragazza tentennò per alcuni istanti, poi annuì timidamente con il capo. 
La regina si sedette al fianco del dio degli inganni, prendendo una sua mano tra le proprie. Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro prima di parlare. 
“Al termine della battaglia su Jotunheim Odino andò nel tempio: era troppo minuto per essere il figlio di un gigante, solo, lasciato morire…di fame… Era soltanto un bambino innocente” 
Cassandra la osservò perplessa. “U-un bambino?”, domandò confusa. 
“Il figlio di Laufey” 
Sgranò nuovamente gli occhi ed osservò la regina con aria smarrita. “L-lo… il principe n-non è…” 
“È nostro figlio, lo è comunque”, la interruppe Frigga. Attese che la sorpresa svanisse dal viso della sua protetta, ma lei aveva lo sguardo fisso sul volto del dio addormentato. Con la mano libera prese quella della giovane, che sussultò a quel contatto inaspettato. 
“Cassandra, io mi fido di te e anche Loki si fida di te. Promettimi che non gli rivelerai niente di tutto questo” 


“Le promisi che non ti avrei detto nulla. Credevo che lo avrebbero fatto lei e Padre-Tutto quando saresti stato pronto, mi dispiace che tu lo abbia scoperto da solo”. Cassandra osservò Loki mortificata: lei per prima poteva sapere quanto i segreti potessero fare male. Specialmente se scoperti da soli. 
Il dio la guardò a sua volta: finalmente dopo molto tempo sentiva che ci fosse qualcuno di simile a lui, che aveva provato sulla propria pelle le stesse cose che aveva sentito lui. Forse, non era più solo. “E tu come hai scoperto le tue vere origini?”, le chiese con genuina curiosità. 
Cassandra parve tentennare per alcuni momenti: non aveva una vera e propria risposta da dargli. “Hai mai avuto la sensazione di sentirti fuori luogo?”, domandò lei a sua volta, ben consapevole di quale sarebbe stata la risposta del dio. Infatti non gli lasciò il tempo di rispondere, proseguendo con le proprie parole. “Io ho sempre provato ad ignorarla, a convincermi che non era così. Ad illudermi. Eppure dentro di me l’ho sempre saputo di essere diversa. La prima volta che ho messo piede sulla Terra l’ho capito, l’ho associata subito alla parola ‘casa’”. Gli sorrise. “E poi, con un po’ di fortuna, sono riuscita a trovare la mia vera famiglia” 
Avrebbe voluto continuare, parlargli fin nei minimi dettagli di come aveva esattamente fatto, di quello che era successo in quegli otto anni, chiedergli di lui, ma invece di tutto quello si limitò a guardare l’orologio che portava al polso: si sarebbe dovuta trattare di una breve chiacchierata, invece essa era durata fin troppo tempo.  
Osservò Loki dispiaciuta. 
“I dettagli mi vedo costretta a raccontarteli la prossima volta, ora devo andare” 
Anche il dio appariva dispiaciuto mentre lei gli rivolgeva un saluto con la mano. La vide dargli le spalle e dirigersi verso la porta.  
“Cassandra”, la chiamò, scandendo bene il suo nome. 
La donna si bloccò e si voltò verso di lui. 
“Le nostre… figlie… quando potrò incontrarle?” 
Cassandra distolse il proprio sguardo dal suo. “Non lo so”, mormorò.  
Si sarebbe aspettato una risposta differente, ma cercò di non dare troppo a vedere la propria delusione. “Il mio esercito sta arrivando, dovete mettervi al sicuro” 
La giovane scosse la testa. “Loki, sei ancora in tempo per fermarli. Ti prego”, lo supplicò. 
“Quando sarò re, voi sarete al mio fianco” 
Ancora con quegli assurdi vaneggiamenti. Come poteva, lei, permettergli di incontrare le loro figlie? No, lui non era nelle condizioni di vedere le bambine. Le labbra della donna si piegarono in un sorriso amaro. Osservò il dio con compassione. “Non ti permetterò di vederle, non fino a quando non metterai da parte i tuoi folli piano di conquista. Per il momento è meglio che non sappiano nemmeno che tu sei il loro padre”. Detto questo gli diede di nuovo le spalle, dirigendosi a lunghi passi fino all'uscita. Sapeva che quelle parole gli avrebbero fatto del male.  
E sapeva che se si fosse voltata e avesse visto l’espressione sofferente del suo volto, si sarebbe fatta del male anche lei. 


Nda
Ehilà! Dopo tutto questo tempo? Sempre.
Lo so (malfidenti!) che ormai non ci speravate più in questo aggiornamento visto che è un anno che ci sentiamo, ma rieccomi di nuovo qui. 
L'idea era quella di scrivere un capitolo breve, ma diciamo che mi è sfugguto a tal punto di mano che mi sono vista costretta a cambiare un po' la trama che avevo in testa e a spezzarlo in due capitoli distinti. Vabbè, per l'azione mi sbizzarrirò nel prossimo visto il ritmo molto lento di questo. Lento ma con qualche rivelazione in più. 
Spero di sentire presto le vostre opinioni e alla prossima (magari prima di un anno ahahah)
 

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