Venti di Guerra

di violaserena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Bran ***
Capitolo 3: *** Victarion ***
Capitolo 4: *** Jaime ***
Capitolo 5: *** Barristan ***
Capitolo 6: *** Il Capitano delle Guardie ***
Capitolo 7: *** Aeron ***
Capitolo 8: *** Catelyn ***
Capitolo 9: *** Jon ***
Capitolo 10: *** Davos ***
Capitolo 11: *** Tyrion ***
Capitolo 12: *** Arya ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NOTA DELL'AUTRICE: anche chi non avesse letto "La Rivincita dei Lupi", in linea generale può tranquillamente seguire questa storia. Consiglio magari di leggere gli ultimi capitoli per capire il ruolo di alcuni personaggi che, comunque, io riprenderò in questa storia. Se qualcosa non fosse chiaro, chiedetemi pure! :)

 

PROLOGO

 

Il sole brillava alto nel cielo del Continente Orientale.
I suoi raggi illuminavano le colline che attorniavano la bella città di Norvos, un tempo colonia di Valyria.
Situata tra Pentos e Qohor, Norvos era diventata un importante centro di passaggio per i viaggiatori e le carovane dirette da est a ovest e viceversa lungo le antiche strade valyriane.
Quel giorno la città era particolarmente affollata. Difatti si teneva un famoso festival annuale che attirava visitatori da tutta Westeros.
I rintocchi delle tre campane – Noom, Narrah e Nyel – risuonavano per le vie.
L’ordine militare dei Preti Barbuti pattugliava le strade controllando che tutto fosse in ordine.
Una imponente folla si era fermata ad osservare lo spettacolo degli orsi, i quali venivano fatti ballare lungo la Scalinata dei Peccatori.
Un uomo, approfittando del trambusto, salì una piccola scalinata e aprì una porta.
Sorrise compiaciuto.
C’erano tutti.
«Sei arrivato finalmente» disse uno.
L’uomo non rispose. Fece un passo avanti e gettò sul tavolo un sacco pieno di monete d’oro.
«Allora?» domandò con tono freddo.
«Spiegami ancora una volta perché dovremmo imbarcarci in questa rischiosa impresa» chiese un uomo dalla folta barba.
«Per vendicare la regina. La sola e vera erede del Trono di Spade. Per realizzare il mondo che sognava».
«Lei è morta. Chi regnerà al suo posto? Tu? E poi, i nuovi sovrani del Continente Occidentale non sono…».
«Basta! Siete stati pagati per combattere, non per porre interrogativi. Comunque, comprendo le vostre preoccupazioni, ma non temete: una volta annientati tutti gli usurpatori, sarete ricompensati a dovere».
«Molto bene».
L’uomo sconosciuto estrasse la spada e gridò: «Per la regina!».
Tutti gli altri lo imitarono.
Egli sorrise e dopo aver dato istruzioni si allontanò e si mischiò tra la folla.
Quelli rimasti nella stanza stettero a lungo in silenzio, poi uno disse: «È così, dunque?».
«È così. Quell’uomo, quel prode cavaliere, è stato esiliato due volte e non c’è da stupirsi. Lo manderei in esilio anch’io se potessi. È freddo, cupo, astioso, senza senso dell’umorismo. È un folle, un folle legato a un miraggio» rispose l’uomo dalla folta barba.
«Lo uccidiamo?».
«No, non è ancora arrivato il momento. Abbiamo bisogno di lui per conquistare i Sette Regni».
I presenti risero.
La pace, dopo soli due anni, stava per finire.
Una nuova guerra sarebbe presto iniziata.





Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Sono tornata con il seguito de “La Rivincita dei Lupi”.
Spero che questa storia possa piacervi e interessarvi!
Venendo a questo capitolo introduttivo, che ne pensate?
Avete capito chi è il misterioso uomo che vuole vendicare la regina?
E gli altri chi sono?
Che cosa succederà.
Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Alla prossima! :)
Saluti,
Violaserena.

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Capitolo 2
*** Bran ***


BRAN
 

Vento freddo soffiava nelle vaste lande del Nord.
Un leggero nevischio scendeva e ricopriva ogni cosa.
L’inverno sta arrivando era il motto degli Stark e l’inverno era effettivamente arrivato ormai da più di due anni.
Non poteva esserci cosa migliore.
Grande Inverno era in fermento.
Quel giorno si sarebbe celebrata la cerimonia di fidanzamento tra Sansa e Brandon Tallhart, primogenito di ser Leobald Tallhart – ucciso dai Bolton durante la guerra dei Cinque Re – e di Berena Hornwood.
I Tallhart erano tra le case più importanti e fedeli a Grande Inverno. Il loro stemma rappresentava tre abeti sentinella verdi su sfondo marrone e il loro seggio era a Piazza di Torrhen.
Sansa si sarebbe trovata bene.
Almeno Bran lo sperava. Sua sorella era piuttosto difficile da accontentare. Lo era sempre stata, ma lo era diventata molto di più in seguito agli ultimi avvenimenti.
Sospirò.
Guardò la Sala Grande addobbata per l’occasione.
Avrebbe voluto che suo padre e Robb fossero stati presenti. Avrebbe voluto averli accanto.
Essere re era impegnativo.
Qualche volta avrebbe voluto scappare dai suoi doveri e andare a scalare qualche torre. Ma non poteva. Non era ancora in grado di scalare di nuovo nonostante Qyburn avesse realizzato per lui due protesi che gli permettevano di camminare e di spostarsi liberamente senza che qualcuno lo dovesse portare.
Era grato al mezzo maestro per tutto quello che aveva fatto per lui.
Il corvo con tre occhi gli aveva insegnato a volare, Qyburn gli aveva restituito qualcosa di elementare, ma per lui fondamentale: la mobilità.
Non poteva scalare, non poteva correre, non poteva essere un guerriero, ma poteva di nuovo camminare.
Forse, un giorno, avrebbe potuto fare tutto ciò che faceva prima. Sarebbe stato bello.
Sorrise.
Si alzò dal trono e in compagnia di Estate, il suo inseparabile meta-lupo, si diresse verso il cortile.
Lì vi trovò sua madre, suo zio Edmure e Thoros di Myr.
Quest’ultimo stava dicendo a lady Catelyn: «…ricordo che aveva un buon sapore la giustizia. Essa era quello di cui la Fratellanza Senza Vessilli si occupava quando Beric era alla nostra guida. Eravamo uomini del re, cavalieri ed eroi. E lo siamo tuttora. Tuttavia alcuni cavalieri sono oscuri e pieni di terrore, mia signora. La guerra ha trasformato molti di noi in mostri…».
«Quanto sei melodrammatico, Thoros» lo schernì Tom Settecorde, seduto su un carro ricolmo di fieno.
Il sacerdote rosso lo guardò corrucciato.
L’uomo per tutta risposta iniziò a suonare l’arpa e a cantare:

Profondo e soffice è il mio letto di piume,
ed è là che io giacere ti farò.
Di seta gialla ti vestirò,
e in capo una corona ti porrò.

Perché tu la signora del mio amore sarai,
e il tuo lord io diverrò.
Al caldo e al sicuro io ti terrò,
e con la mia spada ti proteggerò.

E come rideva, come sorrideva,
la fanciulla dell’albero.
Si ritirò da lui e gli disse,
niente letto di piume per me.

Indosserò una gonna di foglie dorate,
e legherò i miei capelli con fili d’erba.
Ma tu potrai essere il mio amore della foresta,
e io nella foresta la tua fanciulla
.

Bran sorrise. Si chiese perché tra tutte le canzoni che conosceva, Tom cantasse quasi sempre solo quella. Ma, in fondo, che importanza aveva?
I suoi pensieri furono interrotti da uno squillo di trombe.
Erano tornati dalla caccia.
Il rumore si fece sempre più vicino e ben presto comparvero all’orizzonte i cavalli con i rispettivi cavalieri.
Arya guidava il gruppo insieme a re Gendry e a Nymeria. Seguivano Stannis, Brienne, Davos, Jaime, Izembaro, Rickon e Cagnaccio. Poco più indietro vi erano Grande Jon, Brynden Tully, Jon Flagello delle Puttane, Brandon e Beren Tallhart, Tytos Blackwood, Ramsay Snow e molti altri uomini del Nord.
Una volta arrivati, Bran e gli altri andarono loro incontro.
«Fatto buona caccia?» domandò Edmure.
«Puoi guardare tu stesso» gli sorrise Gendry indicando tre cinghiali, due cervi e quattro uri più un notevole numero di uccelli.
«Ce ne sarebbero stati anche di più se Nymeria e Cagnaccio non avessero deciso che era ora di pranzo» osservò ironicamente Jaime.
I presenti risero divertiti.
Arya e Rickon, un po’ imbarazzati, accarezzarono i loro meta-lupi.
Bran non poté non sorridere.
Nonostante tutto, lui e i suoi fratelli erano rimasti sempre gli stessi.
«Comunque per la cena siamo a posto. Non vedo l’ora di gustare queste squisitezze prima che lo faccia lord Manderly!» esclamò Jon Umber ridendo.
«Non temere, abbiamo cibo a sufficienza per cento e più Manderly» gli strizzò l’occhio Catelyn.
Mentre gli uomini entravano nel palazzo, i cavalli furono portati nelle stalle e le prede di caccia in cucina pronte per essere trasformate in succulenti manicaretti.
«Bran» lo chiamò Arya – in corridoio – avvicinandoglisi insieme a Rickon. «Jon e Tyrion non sono ancora arrivati?».
«No, non ancora. In verità non ho più ricevuto loro notizie da un po’».
«Non lo trovi un po’ strano?».
«Si, ed è per questo che cinque giorni fa ho mandato un messaggero alla Barriera e uno a Padelle Salate. Nessuno dei due, però, è ancora tornato».
«Non sarà successo qualcosa, vero?» domandò preoccupato il più piccolo degli Stark.
Arya gli fece una carezza per rassicurarlo.
«Non lo so, ma lo scopriremo presto».
Il re del Nord e sua sorella si guardarono per lunghi istanti, poi Bran sospirò: «Sansa si arrabbierà».
Arya sorrise: «E quando mai non lo fa?».
I tre fratelli, nonostante tutto, non poterono non scoppiare a ridere.
«Questa volta lo sarà molto di più» continuò il giovane sovrano.
«Aspettate… Credo di essermi perso» affermò confuso il piccolo Rickon.
«La festa di fidanzamento è annullata» gli spiegò Arya.
«Annullata? Annullata?» urlò una voce alle loro spalle.
Era Sansa.
«Come sarebbe a dire?».
«Calmati» disse Bran.
«No che non mi calmo. È da mesi che stiamo organizzando questa festa di fidanzamento e non vedo il motivo per cui dovremmo sospendere tutto!».
«Non abbiamo notizie di Jon e Tyrion, per cui…».
«Arriveranno. E se non dovessero arrivare oggi, pazienza! Non vi importa nulla della mia felicità?».
Arya le diede uno schiaffo.
«Ma ti senti quando parli? Se ora tu sei qui, a casa, lontana dai tormenti è anche merito di Jon e di Tyrion. Senza il loro aiuto ci sarebbe ancora la guerra e tu saresti ancora la schiavetta di Ditocorto!» le urlò.
Sansa si imbronciò: «Io non ero la schiavetta di nessuno!».
«Per favore, non litigate. Non è questo il momento!» cercò di fare da paciere Bran. «E comunque, senza di loro la festa non si fa» concluse.
La giovane sbuffò.
«Sansa… Davvero non ti importa che loro siano presenti?» domandò a un certo punto Rickon.
«Non è che non mi importa. È solo che ho aspettato questo giorno da così tanto tempo che…».
Non riuscì a concludere la frase.
Le lacrime cominciarono a bagnare il suo viso.
«Sono orribile, vero?» disse portandosi le mani al volto.
Arya le si avvicinò.
«No, non lo sei. Sei solo semplicemente Sansa» le sussurrò.
Le due sorelle si guardarono e sorrisero.
Bran e Rickon si avvicinarono piano piano e le abbracciarono.
«Abbraccio di gruppo!» esclamò felice il più piccolo degli Stark.
Nonostante i battibecchi, le incomprensioni loro si volevano bene. Molto bene.
Perché loro erano una famiglia e niente e nessuno avrebbe mai più potuto dividerli.
Proprio in quel momento arrivò tutto trafelato un uomo.
«Vostra maestà! Vostra maestà!» urlò.
I giovani Stark si sciolsero dall’abbraccio e Bran riconobbe l’uomo come il messaggero che aveva inviato cinque giorni prima alla Barriera.
«Che succede?» domandò preoccupato vedendo la faccia del messaggero.
«La nave su cui viaggiava vostro fratello è stata affondata!».
«Che cosa? Chi è stato?».
«Sono stati gli uomini di ferro, altezza!».
«Non è possibile, loro sono nostri alleati».
«Gli uomini sulla nave sono vivi, vero?» chiese Arya, pallidissima.
Il messaggero chinò la testa sconsolato.
«C’è solo un sopravvissuto… Ma non è vostro fratello».
A Bran sembrò che il mondo gli fosse crollato addosso.
Non poteva essere vero.
Non poteva.
Guardò i suoi fratelli: erano sconvolti tanto quanto lui, soprattutto Arya.
Serrò i pugni.
Guardò Estate, Nymeria e Cagnaccio.
No, Jon Snow non era morto. E nemmeno Spettro. Non potevano esserlo.
L’avrebbe sentito.
I meta-lupi l’avrebbero sentito.
Jon doveva essere vivo.
Doveva credere che fosse così.
Voleva crederlo.
Si, Jon era vivo e lui, insieme ai suoi fratelli, l’avrebbe trovato.
A qualunque costo.
La neve cominciò a cadere più fitta su Grande Inverno.
Il vento aumentò facendo agitare le bandiere degli Stark e diffondendo un cupo monito: l’ululato dei meta-lupi.
L’inverno era decisamente arrivato.
Era arrivato nei loro cuori.

 

 

Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Innanzitutto sono successe un po’ di cose in due anni: Bran può finalmente camminare e Sansa si sta per fidanzare.
La festa però non viene celebrata a causa della misteriosa assenza di Jon Snow e di Tyrion.
Dove sarà quest’ultimo? E Jon è effettivamente morto come sembra affermare il messaggero?
Perché gli uomini di ferro hanno assaltato una nave dei guardiani della notte? Sono stati veramente loro?
Con questi interrogativi, vi saluto.
Al prossimo capitolo! :)
Violaserena.

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Capitolo 3
*** Victarion ***


VICTARION

 

Tradimento.
Una sola e unica parola.
Tradimento.
Coloro i quali avevano osato tanto, sarebbero stati puniti con la morte.
Questo pensava Victarion mentre ascoltava il re del Nord.
Euron e Aeron erano furiosi tanto quanto lui.
La Sala Grande era stata spogliata di tutti gli addobbi per la festa di fidanzamento, la quale era stata rimandata a data da destinarsi.
Tutti i re e i consiglieri dei Sette Regni erano stati convocati lì per discutere di una spiacevole situazione: secondo le notizie riportate, una nave degli uomini di ferro aveva affondato la nave dei guardiani della notte uccidendo tutto l’equipaggio.
Così almeno narrava l’unico sopravvissuto, il quale – neanche a dirlo – non era presente.
Erano menzogne. Sporche menzogne.
«Non siamo stati noi!» gridò adirato Occhio di Corvo.
«Altezza» disse in modo più pacato Victarion a Bran «se fossimo stati noi, non avremmo avuto problemi a rivendicare tale azione. Noi non agiamo nell’ombra e soprattutto non attacchiamo senza uno scopo. E quale avrebbe dovuto essere il nostro scopo affondando una nave dei guardiani della notte?».
«Magari rapire il fratello del re per poi ricattarlo?» suggerì Arianne Martell.
«Questo è un piano da dorniani, non da uomini di ferro».
«Che cosa stai insinuando?».
«Niente, mia signora».
«La verità giace nelle nostre ossa, perché la carne imputridisce mentre le ossa permangono» sentenziò Capelli Bagnati.
I presenti lo guardarono.
«Aeron ha ragione» concordò Gendry.
«Quindi dobbiamo spolparci tutti?» ironizzò Jon Umber.
«No. Semplicemente siamo portati a credere a ciò che vediamo, senza interrogarci se sia corretto o meno».
«Che intendi dire?» domandò Arianne confusa.
«Intende dire che è stato qualcun altro ad affondare la nave di mio fratello. Qualcuno che vuole dividerci, qualcuno che vuole spezzare la nostra alleanza» rispose Bran.
«Qualcuno che vuole indurci a combattere l’uno contro l’altro» concluse Arya.
«Chi potrebbe volere una cosa simile?» domandò lady Catelyn.
«Uno stolto» mormorò cupo Stannis.
«Qualcuno che vuole infangare gli uomini di ferro» grugnì Euron.
«Qualcuno che vuole il Trono di Spade» affermò seria Arya.
Cadde il silenzio nella stanza.
Chi poteva essere così sciocco da rischiare tanto?
Chi poteva essere disposto a causare un’altra guerra?
Nient’altro che un folle.
Ma chi era questo folle?
Victarion lo avrebbe scoperto. Nessuno poteva infangare il buon nome degli uomini di ferro e sperare di rimanere impunito.
«Propongo un sopralluogo a Punta del Drago Marino per esaminare i resti della nave e interrogare il presunto sopravvissuto» disse.
«Si, è una buona idea» concordò suo fratello Euron.
«Molto bene. Allora verrà organizzata subito una spedizione. Non dubito che Galbart Glover possa mettere a vostra disposizione Deepwood Motte in caso di necessità» affermò Bran.
Detto ciò lo fece andare a chiamare e l’uomo si dimostrò disponibile così come aveva pronosticato.
«Ora non ci resta che decidere chi farà parte di questa spedizione» osservò lady Catelyn.
«Io, mia signora, mi propongo» sorrise Victarion.
«Anche io» si fece avanti Davos Seaworth.
«Vorrei andare anch’io» disse Brynden Tully.
«Così sia. Voi tre sarete i comandati di questa spedizione. Siete tutti d’accordo?» domandò il re del Nord.
I presenti annuirono.
«Scegliete gli uomini migliori da portare con voi e partite immediatamente».
«Suggerirei di portare con voi lord Trebor Jordayne» asserì Arianne.
«In rappresentanza di Dorne?» commentò sarcastico Occhio di Corvo.
«E anche se fosse, quale sarebbe il problema?».
«Niente discussioni» tagliò corto Stannis. «Abbiamo un’altra faccenda di cui occuparci».
«È vero. Mio fratello è sparito. Non abbiamo più sue notizie da un po’ di tempo» asserì Jaime.
«Si sarà perso in qualche bordello».
«Potrebbe essere, lord Bracken. Tuttavia è piuttosto raro che Tyrion non trovi un’uscita».
«Purtroppo nemmeno Izembaro ha informazioni precise. L’ultima volta che è stato visto era a Tyrosh» disse Gendry.
«Partiremo da lì, allora. Penso che la corte potrà fare a meno per qualche tempo del Maestro del Conio, dico bene?» affermò il Primo Cavaliere del Re.
«Certamente. Partirò immediatamente per il Continente Orientale» fece un inchino Tycho Nestoris.
«Se le vostre altezze me lo permettono, gradirei andare anch’io. Ho degli amici a Tyrosh che forse possono darci qualche informazione utile» mormorò Aeron.
«Permesso accordato» acconsentirono i sovrani all’unanimità.
«Aegon dovrebbe trovarsi lì, magari lui sa qualcosa» notò Arya.
«Certo, sempre che non sia stato lui a organizzare tutto questo» suggerì malevolo Stannis.
«No, non credo. Ha rinunciato al Trono di Spade. Non ha nessun motivo per farci guerra».
«Di motivazioni se ne possono sempre trovare».
Terminata la discussione, furono effettuati tutti i preparativi necessari.
Per organizzare tutto ci volle più del previsto e gli uomini poterono partire solo il giorno successivo.
Victarion si chiese come mai nessuno degli Stark si era proposto di venire con lui. In fondo, sulla nave c’era loro fratello. Dovevano avere in mente qualcos’altro. Questa era l’unica spiegazione.
Cavalcarono tutto il giorno, fermandosi di tanto in tanto per rifocillarsi e far riposare i cavalli.
Giunta la notte decisero di non proseguire: avrebbero ripreso il cammino alle prime luci dell’alba.
«Mi chiedo se questo periodo di pace stia per finire» disse Meera Reed a nessuno in particolare.
La giovane era seduta davanti al fuoco ed era intenta ad affilare la sua lancia.
Era stato Brynden Tully a volerla nella spedizione.
In fondo non aveva tutti i torti: i crannogmen avevano una certa dimestichezza con gli acquitrini e le paludi.
«Dolce è la pace, ma in quali termini? A che serve trasformare le spade in aratri se poi si è costretti a trasformarle di nuovo in spade?» osservò il Pesce Nero.
«Non deve per forza andare così» affermò serio ser Davos.
«Lo spero, ma temo che sia molto difficile».
«Lo scopriremo presto» concluse Victarion.
Il giorno seguente, come previsto, si alzarono di buon’ora e cavalcarono fino a Deepwood Motte dove si fermarono per riposare.
Ripreso il cammino, non senza qualche difficoltà, raggiunsero Punta del Drago Marino.
Osservarono colpiti le rovine delle antiche fortezze dei Primi Uomini e gli alberi-diga lasciati dai Figli della Foresta.
Il messaggero li condusse sulla spiaggia dove si trovavano i resti della nave dei guardiani della notte.
Victarion e Davos esaminarono con attenzione ogni resto.
«È stata speronata più volte» notò cupo Davos.
«La nave che li ha attaccati doveva essere molto grande e robusta a giudicare da questi segni» proseguì Victarion.
«Guardate qui!» li chiamò Meera.
C’era un elmo a forma di uccello in argento.
«Questo sicuramente non appartiene ai guardiani della notte» si rabbuiò ser Brynden.
Il Maestro delle Navi di Gendry e il Lord Comandante della Flotta di Ferro si guardarono.
«Tyrosh!» esclamò quest’ultimo.
Davos annuì e poi spiegò ai presenti che i tyroshi erano famosi per la fabbricazione di meravigliosi elmi a forma di animali e di uccelli con metalli preziosi.
«Questo significa che sono stati loro ad attaccare Jon e gli altri!» affermò sorpreso il Pesce Nero.
«È molto probabile, però non ne capisco il motivo».
Qualcuno urlò.
Gli uomini si girarono di scatto.
Meera stava puntando la sua lancia contro un ragazzo tarchiato tutto vestito di nero.
«È lui! È lui l’unico sopravvissuto!» lo indicò il messaggero.
Indubbiamente indossava i tipici abiti da guardiano della notte, ma c’era qualcosa che non tornava.
«Vi prego, non fatemi del male» piagnucolò.
«Vedremo e ora parla. Dicci tutto quello che sai» gli intimò la giovane Reed.
Il ragazzo raccontò esattamente quello che aveva raccontato al messaggero.
«Sei un bugiardo! Gli uomini di ferro non farebbero mai una cosa simile!» gridò arrabbiato Victarion.
Brynden cercò di trattenerlo per impedirgli di malmenare il testimone.
Si levò un leggero venticello che portò via le nubi.
Il sole con i suoi raggi illuminò la spiaggia e i volti di coloro che si trovavano in quel luogo.
Davos si allontanò verso la riva. Riempì una fiaschetta con l’acqua di mare e poi, tornato dagli altri, la gettò in testa al guardiano della notte.
Quest’ultimo imprecò e cercò di fuggire, ma il Pesce Nero e Victarion lo fermarono prontamente.
Piano piano i suoi capelli da castani divennero verdi.
Meera gli avvicinò la lancia alla gola.
«Non è un guardiano della notte, è un tyroshi!» esclamò Trebor Jordayne che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Gli abitanti di Tyrosh solevano tingersi barba e capelli di colori improbabili.
«Pagherai per aver infangato il nome degli uomini di ferro» ruggì Greyjoy.
«Calmati, dobbiamo prima strappargli dalla bocca più informazioni possibili» lo ammonì Brynden che subito domandò al giovane: «Perché? Perché i tyroshi hanno attaccato i guardiani della notte? Che fine hanno fatto questi ultimi? Che fine ha fatto mio nipote?».
«Posso solo dirvi che sono tutti morti. Da me non saprete nient’altro! Per l’Ordine!».
Detto questo il ragazzo dai capelli verdi estrasse un pugnale e si tagliò la gola.
«No!» gridarono i presenti.
«Maledizione!» sputò Victarion.
«Se non altro abbiamo una traccia» mormorò Davos.
«E la conferma che Jon è morto» chinò la testa Brynden.
«Non è detto. Potrebbe averci mentito» disse mettendogli una mano sulla spalla per confortarlo.
Il cavaliere lo guardò stancamente, ma poi annuì.
«Dobbiamo informare i sovrani e soprattutto Aeron» concluse Victarion. «Non sono per niente tranquillo. Tyrosh potrebbe rivelarsi una trappola mortale».
«Forse la scomparsa di Tyrion potrebbe aver a che fare con tutto questo e la presenza di Aegon lì potrebbe non essere un caso» notò Trebor.
«Lo scopriremo, ma ora torniamo a Grande Inverno».
Mentre gli uomini si allontanavano in groppa ai loro cavalli, un corvo si avvicinò al corpo esanime del finto guardiano della notte.
Un uomo deve saper guardare prima di sperare di vedere.
Gracchiò e poi col becco strappò via un lembo della maglia del giovane.
Un’ascia era tatuata sul suo petto.

 




Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
In questo capitolo gli uomini di ferro giurano di non essere i responsabili dell’attacco contro i guardiani della notte e le loro parole sembrano veritiere.
Qualcuno ha voluto ingannarli tutti. I veri responsabili sono i tyroshi come conferma l’elmo ritrovato in spiaggia.
Però, perché Tyrosh dovrebbe attaccare i Sette Regni? Se ha veramente questa intenzione, che cosa è successo a Tyrion? Aeron è quindi in pericolo come pensa sua fratello? Aegon è invischiato in tutto ciò?
Il finto guardiano della notte conferma il fatto che non ci siano sopravvissuti: Jon è quindi morto?
Infine un corvo scopre un particolare che Victarion e gli altri non hanno notato: che cosa significa?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Alla prossima! :)
Saluti,
Violaserena.

 

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Capitolo 4
*** Jaime ***


JAIME

 

Era notte fonda a Grande Inverno.
La luna rischiarava il cielo stellato delle terre del Nord e trasmetteva calma e tranquillità.
Tuttavia, c’era qualcuno che si aggirava frenetico per i corridoi del palazzo. Quel qualcuno era Jaime Lannister.
Da quando aveva sentito il resoconto della spedizione di Victarion non era riuscito a mantenersi calmo. Temeva che Tyrion potesse essere in pericolo e per quanto ne sapeva temeva che potessero esserlo anche Tommen e Myrcella benché a Castel Granito avrebbero dovuto trovarsi al sicuro.
A un certo punto intravide delle ombre avvicinarsi.
Senza sapere bene perché portò la mano buona sull’elsa della spada.
Quando furono a distanza ravvicinata si rilassò.
Era Benjen Stark insieme ad altri due guardiani della notte.
Però che cosa ci facevano a Grande Inverno? Erano forse venuti per Jon o c’era dell’altro?
Il Primo Ranger gli si avvicinò e, dopo averlo salutato, gli disse di dover parlare urgentemente con i sovrani dei Sette Regni.
«Che cos’è successo?» domandò preoccupato Jaime.
«È quello che vorrei sapere».
Insieme si diressero in fretta verso la Sala Grande dove trovarono già Brandon e Arya Stark con i loro meta-lupi, Gendry, Stannis, Brienne, lady Catelyn, Brynden Tully e Jon Umber.
Bran e Arya corsero ad abbracciare lo zio. Era evidente che avevano cercato di trattenersi, ma non ce l’avevano fatta: in fondo era da un po’ di tempo che non lo vedevano.
Poco dopo arrivarono Euron e Victarion Greyjoy, Davos, Arianne Martell e Trebor Jordayne.
«Prevedo guai» mormorò la figlia del re di Dorne.
«Jon? È davvero morto come ho sentito dire?» domandò Benjen.
«No, non lo è» rispose convinta Arya. «Se lo fosse, lo sentirei».
Il re del Nord annuì.
«Se è come dici tu, allora perché non usa la sua abilità di metamorfo per comunicare con voi?» chiese Stannis.
«Non è così facile come pensi! Io e i miei fratelli abbiamo provato a metterci in contatto con lui e a cercarlo attraverso piante e animali, ma senza alcun risultato».
«Allora è morto!».
Arya lo guardò truce.
Gendry fece un cenno allo zio per farlo smettere.
«Non possiamo osservare tutta Westeros, è troppo grande! Sono sicuro però, indipendentemente da quello che pensi, anzi indipendentemente da quello che pensa la maggior parte di voi, che Jon sia vivo e noi lo troveremo anche se dovessimo impiegarci tutta la vita» disse risoluto Bran.
I meta-lupi ulularono come per approvare le sue parole.
Jaime non poté non sorridere: sapeva che gli Stark lo avrebbero fatto veramente. Solo per affetto, non per un tornaconto politico o economico. Il defunto lord suo padre invece, pensò con amarezza, sarebbe stato mosso esattamente da queste ultime motivazioni.
«Le cose o le persone che amiamo finiscono sempre con il distruggerci» mormorò cupo Stannis.
Tutti i presenti sentirono le sue parole, ma nessuno commentò.
«Perché siete qui?» domandò dopo un po’ Gendry ai guardiani della notte.
«Qualcuno è entrato di notte al Castello Nero senza il nostro permesso. All’inizio pensavamo si trattasse di qualche contadino o ladruncolo, ma poi abbiamo trovato questo» spiegò Benjen mostrando un elmo a forma di orso.
«Non c’è alcun dubbio, è stato fabbricato a Tyrosh» osservò ser Davos.
«E non è tutto» continuò il Primo Ranger. «È stato rubato l’annale dei Lord Comandanti dei guardiani della notte e il vecchio corvo di Jeor Mormont. E Lungo Artiglio che Jon aveva lasciato al Castello Nero è sparita».
«Che cosa significa tutto questo?» chiese Arianne.
«Significa che dobbiamo tenere gli occhi aperti» rispose Occhio di Corvo. «Tutto quello che sta accadendo non mi piace e sono preoccupato per quello che potrebbe succedere in futuro».
«Che cosa dobbiamo fare allora?».
«Aspettare. Aspettare che Aeron e Tycho Nestoris ritornino da Tyrosh e sperare che abbiamo delle informazioni» suggerì Gendry.
«E se non dovessero tornare?».
«Ci penseremo. Non è questo il momento di disperare. Nel frattempo propongo di mettere in guardia tutti i lord e di rimanere a Grande Inverno ancora per qualche tempo».
I presenti annuirono.
«C’è una cosa che non capisco» disse a un certo punto lady Catelyn «Perché sono stati attaccati proprio i guardiani della notte? Se vogliono conquistare il Trono di Spade perché non attaccare direttamente uno dei regni?».
«Domanda interessante» osservò Jon Umber.
«Ci deve essere un qualche collegamento, ma non capisco quale».
«Le cose che hanno rubato al Castello Nero sono state rubate prima o dopo la partenza di Jon?» domandò Arya a Benjen.
«Dopo».
La giovane Stark rimase qualche secondo in silenzio, poi disse: «È evidente che questo qualcuno stava cercando qualcosa e pensava che mio fratello l’avesse con sé, per questo ha attaccato la sua nave. Scoprendo poi che non era così si è orientato verso la Barriera e lì ha effettivamente trovato ciò che stava cercando».
«Il libro, il corvo o la spada?» domandò Brienne.
«Prima bisogna capire chi è stato».
«Ma così siamo di nuovo al punto di partenza».
«Forse no. Chi è entrato nel Castello Nero doveva sapere, almeno in generale, dove si trovassero gli oggetti che cercava a meno che non si supponga che qualche guardiano della notte l’abbia aiutato».
«Nessuno farebbe una cosa simile!» esclamò indignato un ragazzo che se Jaime non ricordava male si chiamava Grenn.
«Lo escluderei anch’io» concordò il Primo Ranger.
«Bene. Io credo che lo sconosciuto avesse intenzione di rubare una cosa sola, ma poi, non so per quale motivo, ha deciso di prendere anche le altre cose».
«Quello che intendi dire è che chi ha attaccato Jon e si è introdotto nella Barriera cercava la sua spada?» chiese pensieroso Bran.
«Esatto. Se pensava che Jon l’avesse con sé, non poteva che cercare Lungo Artiglio. E c’è una sola persona che potrebbe volerla».
I presenti rimasero in silenzio qualche minuto, poi Benjen disse tutto d’un fiato un nome.
Arya annuì.
Bran spiegò brevemente a coloro che non la conoscevano la storia di quella persona.
«E quindi si sarebbe alleato con i tyroshi solo per rubare una spada?» quasi rise Euron.
«Jon Snow è sparito. In guardiani della notte che erano con lui pure. Per di più si sono perse le tracce di Tyrion. No, non può essersi alleato con loro solo per quello. C’è di più. Però non capisco se miri al Trono di Spade o ad altro» intervenne Jaime.
«Aspettiamo il resoconto di Aeron come ha suggerito re Gendry, poi forse tutto sarà più chiaro» convenne Victarion.
«Si, è la cosa migliore. Nel frattempo io vorrei andare a Castel Granito se me lo permettete. Dopo le cose che sono successe non mi sento tranquillo».
«Permesso accordato. Però devi tornare qui il prima possibile, a meno che non ci siano svolte impreviste» asserì re Gendry.
Jaime fece un inchino e uscì dalla Sala Grande proprio mentre un messaggero entrava.
Non tornò indietro perché pensò che se avesse avuto notizie importanti glielo avrebbero fatto sapere.
Si fermò a salutare Hodor e Osha e poi si diresse nelle stalle e fece sellare il suo cavallo.
Stava per partire al trotto quando Brienne gli si parò davanti.
«La strada per Castel Granito è lunga, potresti avere bisogno di aiuto» gli disse.
«Vuoi accompagnarmi tu?».
«Il mio compito è proteggere il re, ma Podrick può venire con te».
«Non ho bisogno di lui».
Brienne guardò la sua mano d’oro e questo lo fece arrabbiare. Tutti davano per scontato che non fosse in grado di affrontare dei nemici da solo. Era vero che non era più il guerriero forte di una volta, però aveva dimostrato tutto il suo valore combattendo contro l’esercito dei Targaryen due anni prima. Ed era stato lui ad avere la meglio, non i suoi avversari. Aveva poi continuato ad allenarsi ed era migliorato parecchio. Allora perché tutti lo consideravano ancora uno storpio?
«Lo so, però un aiuto non fa mai male. Podrick si imbroglierà anche nel parlare, ma è tutt'altro che stupido e sa combattere».
«E va bene».
La donna gli sorrise e poi fece un cenno a qualcuno dietro di lui.
Jaime si girò e vide il giovane ex scudiero di Tyrion pronto a partire.
«Avevi già predisposto tutto?».
«Chi può dirlo» alzò le spalle Brienne con finta indifferenza.
Lui mosse la testa sorridendo e poi spronò il cavallo.
«Torna presto Jaime!» gli urlò lei.
«Certo! Non ti libererai tanto facilmente di me!».
I due uomini cavalcarono instancabilmente per quasi due settimane: Jaime voleva arrivare a destinazione il prima possibile. Podrick lo seguiva senza mai lamentarsi, ma era evidente che era piuttosto stanco.
Finalmente, la mattina del quattordicesimo giorno di viaggio giunsero a Castel Granito.
La fortezza era scavata in una collina rocciosa e alle sue difese naturali si aggiungevano mura e alte strutture.
Il castello non era mai caduto. Secondo la leggenda Castel Granito doveva il suo nome alla famiglia che lo aveva abitato durante l’Età degli Eroi, i Casterly. Lann l’Astuto, capostipite dei Lannister, ingannò i Casterly attirandoli fuori dal castello per poi impossessarsene. Questa vicenda era diventata protagonista di molte canzoni, le quali asserivano che Lann – armato solo delle sua astuzia – avesse espulso i Casterly da Castel Granito servendosi di un trucco mirabolante e che per far diventare biondi i suoi capelli ricci avesse rubato la luce del sole.
Persone interessanti i cantastorie! Non a caso Wat Biancosorriso aveva trovato un posto fisso al castello.
Podrick osservava meravigliato il paesaggio circostante e dopo un po’ chiese a Jaime se era vero che c’erano ancora miniere d’oro attive nella collina dove si trovava la fortezza.
«Chissà» rispose quest’ultimo sorridendo.
Arrivati al castello due servitori vennero a prendere i loro cavalli.
«Ser Jaime!» lo chiamò una voce. Era maestro Creylen, guaritore e consigliere.
«Dove sono Tommen e Myrcella?» domandò subito, forse in tono un po’ brusco.
Il maestro fece un passo indietro e assunse una strana espressione.
«Dove sono Tommen e Myrcella?» ripeté ancora più bruscamente.
«Ecco…».
Creylen tacque. Ciò fece infuriare Jaime che lo prese per la collottola.
«Avanti parla se non vuoi fare una brutta fine!» lo apostrofò lasciandolo poi andare.
Il maestro si toccò la gola e ansimando disse: «Tre giorni fa sono andati a una battuta di caccia insieme a ser Benedict Broom e a vostro zio Gerion Lannister. Non li abbiamo più visti da allora. Ho mandato una squadra a cercarli, ma di loro non c’è traccia».
Jaime rimase impietrito. Aveva già perso un figlio, non poteva permettersi di perdere anche gli altri due: erano l’unica cosa buona che era nata dalla relazione con Cersei.
Strinse il pugno della mano sinistra. Se fosse arrivato prima, Tommen e Myrcella sarebbero stati lì con lui.
«Se Gerion li avesse rapiti?» ipotizzò timidamente Podrick.
Jaime si voltò lentamente verso l’ex scudiero di Tyrion.
«Insomma… Ho sentito dire che ha sempre cercato di ritagliarsi un suo spazio, ma non è mai riuscito a essere all’altezza di suo fratello Tywin e questo, con il passare degli anni, potrebbe aver alimentato la sua rabbia. E poi, considerando il suo fallimento nell'esplorare il Mare Fumante, potrebbe avere un motivo per…».
«No» lo interruppe Jaime «Non lo farebbe mai. E poi non tutti i Lannister sono assetati di gloria come lo era mio padre. No, non è stato lui».
Guardò maestro Creylen, poi continuò: «La loro scomparsa deve essere legata a questi ultimi avvenimenti. Prima Jon Snow e Tyrion, ora i miei figli… Che cosa sta succedendo? Perché tutti questi nemici? Non siamo forse tutti in pace ora?».
«I Lannister sono molto bravi a farsi dei nemici, ma sembrano trovare più difficile conservare gli amici» sussurrò maestro Creylen.
Jaime fece finta di non averlo udito ed entrò nel castello dirigendosi nella stanza di Tommen.
Doveva trovare i suoi figli ad ogni costo.
L’indomani sarebbe ripartito per Grande Inverno: l’unica speranza risiedeva lì e nel ritorno di Aeron Greyjoy.
Una volta trovati i colpevoli ci avrebbe pensato lui a sistemarli. Nessuno poteva mettersi contro la sua famiglia e pensare di restare impunito.
Uscì risoluto e più agguerrito che mai dalla stanza di suo figlio.
Lo spostamento d’aria provocato dallo sbattere della porta fece sollevare leggermente da terra una lettera. Una lettera con il sigillo dei Lannister.



 

Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
In questo capitolo, dopo tanto tempo, fa la sua comparsa Benjen Stark! La sua venuta non è però foriera di buone nuove. Tuttavia grazie al suo racconto Arya sembra comprendere chi possa essere il misterioso uomo, autore degli ultimi sfortunati avvenimenti. Avete capito anche voi di chi si tratta?
Infine Jaime parte per Castel Granito e quando finalmente vi giunge scopre che i suoi figli sono scomparsi. Che fine hanno fatto? La loro scomparsa è opera dei tyroshi o di Gerion o ancora di qualcun altro?
Che significa la lettera con il sigillo dei Lannister?
Spero di avervi incuriosito.
Al prossimo capitolo! :)
Saluti,
Violaserena.

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Capitolo 5
*** Barristan ***


BARRISTAN
 

Un sole opaco si levava nel cielo sopra Approdo del Re.
Gli stendardi con disegnato il cervo incoronato dei Baratheon sventolavano accompagnati dal sibilo di un fresco venticello.
Il Grande Tempio di Baelor, situato in cima alla collina di Visenya, si ergeva con tutta la sua imponenza. Il tempio era circondato da immensi giardini e da una piazza in marmo bianco nella quale si trovava la famosa statua di Baelor.
L’edificio possedeva sette torri di cristallo – ciascuna dotata di una campana – e vari ingressi.
Barristan Selmy aspettava seduto insieme al Gran Maestro Pylos che l’Alto Septon finisse di leggere la lettera che gli aveva portato. L’aveva ricevuta quella mattina stessa e le notizie non erano delle migliori.
«Quindi potrebbe presto scoppiare una nuova guerra» osservò l’Alto Passero posando la lettera.
«Potrebbe» sospirò il cavaliere.
«Prego i Sette Dei che non sia così».
«Li preghiamo tutti. Dopo tutto quello che è successo negli anni passati, una guerra è l’ultima cosa che ci vuole».
«Che cosa sapete di questo uomo?» gli domandò indicandogli un nome scritto in bella calligrafia sulla lettera giunta da Grande Inverno.
Barristan rimase qualche secondo in silenzio e poi disse: «Non lo conosco bene, però posso dire che era sinceramente devoto alla regina. E questa sua devozione andava oltre il rispetto e l’ammirazione».
«L’amava?» si informò Pylos.
Il cavaliere annuì.
«È accecato da qualcosa che non esiste più. Che non è mai esistito».
«Può scoppiare una guerra per un motivo tanto banale?».
«Siete Gran Maestro, dovreste saperlo. Il principe Rhaegar amava la sua lady Lyanna e migliaia di uomini morirono per questo. Daemon Blackfyre amava la prima Daenerys e, quando gli fu negata, iniziò una ribellione. Acreacciaio e Corvo di Sangue amavano entrambi Shiera Stella marina e i Sette Regni sanguinarono. Il principe delle Libellule amava così tanto Jenny di Vecchie Pietre da rinunciare alla corona e l'Occidente pagò la sposa in cadaveri. Tutti e tre i figli del quinto Aegon si erano sposati per amore sfidando i desideri del padre. E per avere a sua volta seguito il cuore nello scegliere la sua regina, quell'improbabile monarca permise alla progenie di fare a modo loro, facendosi acerrimi nemici laddove avrebbe potuto avere validi amici. Erano seguiti tradimenti e sommosse, così come la notte segue il giorno, il tutto per concludersi a Sala dell'Estate con stregonerie, fiamme e lutti».
Pylos arrossì per non averci pensato subito.
«Preghiamo la Vecchia perché ci indichi la giusta via» congiunse le mani e si inginocchiò davanti all’altare l’Alto Septon.
Barristan e il Gran Maestro lo imitarono.
Questi ultimi uscirono poi dal tempio e, percorrendo la Strada delle Sorelle, si diressero verso il luogo in cui si trovava l’Ordine degli Alchimisti.
«Siete proprio sicuro di volerlo fare?» domandò Pylos.
«È per la sicurezza della città. Stannis stesso lo ha suggerito» gli rispose mostrandogli un’altra lettera che prima non aveva tirato fuori.
«Re Gendry cosa ne pensa?».
«È d’accordo con suo zio».
«E voi cosa ne pensate?».
«La stessa cosa. È una precauzione necessaria».
Arrivati a destinazione ser Barristan non perse tempo e ordinò agli alchimisti di produrre una grande quantità di altofuoco.
«L'altofuoco è solamente uno dei molti, minacciosi segreti custoditi dal nostro antico ordine. Numerose e mutevoli meraviglie noi potremmo mostrarvi» sorrise furbamente lord Hallyne.
«Ne sono consapevole, ma la corona non desidera altro».
«Come volete».
Adempiuto questo incarico, i due uomini si diressero dal mastro fabbro Tobho Mott il cui negozio si trovava al culmine della Strada dell’Acciaio. Esso era un’enorme struttura di legno e gesso i cui piani superiori incombevano sulla stretta via sottostante. La doppia porta era istoriata con un bassorilievo in ebano e legno-ferro che mostrava una scena di caccia. Due cavalieri di pietra stavano di sentinella ai lati dell’ingresso. Indossavano elaborate armature d’acciaio rosso lucidato che li trasformavano in un grifone e in un cervo.
Una volta entrati venne subito ad accoglierli il mastro fabbro.
«Prego accomodatevi» disse loro indicandogli un sofà.
Mott indossava una casacca di velluto nero sulle cui maniche c’erano dei martelli ricamati con filo d’argento. Al collo portava una pesante catena in argento che reggeva uno zaffiro grosso quanto un uovo di piccione.
«Cosa posso fare per voi?» domandò sorridendo e porgendo loro due calici di buon vino rosso.
«Vorremmo che fabbricassi quelle macchine a forma di lupo che ti abbiamo fatto vedere tempo fa» rispose ser Barristan.
«Quelle degli Assassini Senza Volto che gli Stark hanno usato contro gli Estranei?».
«Esatto».
«Non ci sono problemi. Devo solo ridare loro un’occhiata. Sono un maestro con l’acciaio. Ho imparato a lavorarlo nelle fucine della città libera di Qohor».
«Non perdiamo tempo allora. Vieni a vederle».
Dopo aver sistemato anche questa faccenda e aver dato incarichi precisi a Tobho Mott, Selmy si diresse nella Sala Grande.
La luce del sole morente entrava dalle alte finestre tracciando lame oblique, purpuree sul pavimento e sulle pareti della cavernosa sala del trono della Fortezza Rossa. I teschi dei draghi e gli arazzi rappresentanti scene di caccia erano scomparsi da molto tempo dalle pareti e ora la pietra era coperta con scene della guerra di due anni prima.
Lì c’era il Trono di Spade, una mostruosità di metallo, un groviglio di rostri, bordi taglienti, pezzi d’acciaio e causa di tante sventure. Re Gendry voleva sostituirlo con un altro trono, ma suo zio Stannis si era opposto. Barristan ricordava ancora bene quella discussione.
Sospirò. Era stanco. Desiderava vivere gli ultimi anni della sua vita in pace.
“Basta guerre. Basta”.
Poi si voltò per uscire dalla sala del trono, ma si bloccò all’improvviso.
Un uomo con una maschera si trovava proprio di fronte a lui.
Come aveva fatto a entrare senza che se ne accorgesse?
Forse stava diventando più vecchio di quanto pensasse o forse l’uomo era troppo abile per lui.
Sorrise.
«Ne è passato di tempo» disse.

 

 


Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
In questo capitolo Barristan, per ordine del re e del Primo Cavaliere, prende tutti i provvedimenti necessari in preparazione a una eventuale guerra…
Alla fine compare un personaggio mascherato: chi è? Che cosa vuole? Perché ser Barristan sembra conoscerlo? Voi chi pensate possa essere?
Con queste domande, vi saluto!
Alla prossima! :)
Baci,
Violaserena.

 

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Capitolo 6
*** Il Capitano delle Guardie ***


IL CAPITANO DELLE GUARDIE

 

Era una limpida e serena giornata a Lancia del Sole.
La calma e la tranquillità erano interrotte solo dalle grida di combattimento delle Serpi delle Sabbie che si stavano allenando.
Areo Hotah e il re Doran Martell stavano assistendo a quella solita tenzone.
Obara agitò nell’aria la sua frusta cercando di colpire Nymeria e Tyene, ma queste ultime si spostarono in tempo.
«Diventano sempre più agili e forti» sorrise il capitano delle guardie.
«Temo che presto avranno la possibilità di mostrare il loro valore in battaglia» sussurrò cupo il sovrano di Dorne.
«Non è detto. Nonostante la lettera che avete ricevuto da vostra figlia non porti le migliori notizie, una guerra può sempre essere scongiurata».
«No. Tutto quello che sta accadendo, sta succedendo per un unico motivo: per il dominio dei Sette Regni. I nostri nuovi nemici vogliono la guerra e non dubito che l’avranno».
«Non possono vincere contro tutti noi».
«Normalmente no, ma hanno degli ostaggi importanti. E poi, per quanto ne sappiamo, potrebbero avere un esercito più forte e numeroso del nostro».
Doran sospirò.
«Sono stanco Areo, stanco. Ho passato la mia vita a progettare la vendetta per Elia. Tutti mi hanno sempre considerato debole, spaventato, fragile. Mio fratello Oberyn era una vipera in tutto e per tutto: letale, pericoloso, imprevedibile. Nessuno osava calpestarlo. Io ero l'erba: piacevole, compiacente, odorosa, ondeggiante a ogni soffio di vento. Chi mai ha timore di camminare sull'erba? Mentre è l'erba che nasconde la vipera ai suoi nemici e le offre rifugio fino al momento di colpire. E io ho colpito. Mi sono alleato con gli Stark, ho ottenuto il trono di Dorne e la morte del carnefice di mia sorella. Desidero vivere i miei ultimi anni in pace. Sono stanco di guerre e massacri».
Il capitano delle guardie rimase in silenzio.
Per un momento si udì solo il rumore prodotto dallo scontro delle lance delle Serpi delle Sabbie.
«Ciononostante farò il mio dovere. Se ci sarà una guerra, manderò i miei uomini a combattere» concluse il re.
«Sono sicuro che agirete in modo giusto» disse Areo Hotah.
Doran Martell si sfregò il mento e poi gli ordinò: «Riunisci l’esercito e di’ loro di tenersi pronti. La guerra potrebbe iniziare da un momento all’altro».
«Il re ordina, Hotah obbedisce».
Fece un inchino e poi si inoltrò nelle vie di Lancia del Sole per adempiere al suo compito.
“Servire. Obbedire. Proteggere”. Era quello che aveva sempre fatto da quando era arrivato a Dorne ed era quello che avrebbe continuato a fare.
Delle urla attirarono la sua attenzione.
Areo seguì la folla per capire quello che stava succedendo.
Nonostante la calca, riuscì a scorgere un uomo a terra gemente accanto a una bancarella di tessuti.
«Che cosa è successo?» gli domandò.
«Due uomini hanno rubato alcuni miei tessuti! Ho tentato di fermarli, ma mi hanno tirato un pugno e spinto a terra».
«Da che parte sono andati?».
«Da quella parte» gli spiegò il mercante indicandogli una stretta via sulla destra.
Hotah cominciò a correre sperando di raggiungere i criminali.
Si guardò intorno con la speranza di individuare qualcuno di sospetto, ma non vide nulla di strano.
Si ritrovò in un vicolo senza uscita e si domandò se l’uomo derubato non gli avesse indicato la strada sbagliata.
Stava per tornare indietro quando sentì un rumore alle sue spalle.
Si voltò e vide due uomini con i baffi tinti e in mano dei tessuti pregiati.
Non c’era dubbio, erano loro i ladri. Ma come avevano fatto a comparire all’improvviso considerando che un attimo prima non c’era nessuno? E poi quello era un vicolo cieco, per cui non potevano essere arrivati da un’altra via. Dovevano essere lì già da prima. Allora perché non li aveva notati?
Uno degli uomini parlò.
Areo Hotah impallidì. Istintivamente si portò la mano sul petto.
I due individui annuirono sorridendo.
Avevano commesso un errore. Un grosso errore.
Il capitano della guardia sarebbe voluto correre ad avvertire Doran Martell, ma non ne ebbe il tempo.
I due uomini lo assalirono all’improvviso e lo colpirono alla testa.
Areo cadde per terra. Il suo sangue cominciò a scendere sul suo volto.
Cercò di rialzarsi, ma non ci riuscì.
Le forze lo stavano abbandonando.
Prima di perdere i sensi udì dei passi in avvicinamento e una voce.
Una voce che non conosceva.

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Prima di tutto mi scuso se questo capitolo non è particolarmente lungo, ma mi serviva per inquadrare la situazione e per introdurre un nuovo “scenario”.
Venendo alla storia, chi sono gli uomini che incontra Areo Hotah? Perché si porta la mano sul petto? Che cosa vorrebbe correre a dire al re di Dorne?
Con queste domande vi saluto.
Alla prossima! :)
Violaserena.

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Capitolo 7
*** Aeron ***


AERON

 

Era stata un’alba chiara e fredda quando il giorno prima – dopo lunghi giorni di navigazione sulla Aquilone del capitano Manfryd Merlyn – Aeron, Tycho Nestoris e il resto della flotta erano giunti a Tyrosh.
La città era affollata come sempre. Uomini con barbe e capelli colorati si muovevano indaffarati.
Capelli Bagnati avrebbe voluto trovare una locanda e riposare un po’, tuttavia dopo aver letto la lettera di Victarion qualcosa gli diceva di non perdere tempo e affrettarsi. Fu così che si diresse, accompagnato dal Maestro del Conio e da Pello – meglio noto come Barbaverde – verso la casa dei suoi amici.
Pello era un membro della Fratellanza Senza Vessilli ed era originario di Tyrosh e proprio per quest’ultimo motivo, su consiglio di Thoros di Myr, aveva deciso di portarlo con sé.
Arrivarono dinanzi a un imponente edificio di colore ocra.
La porta era sormontata da un altorilievo raffigurante due serpenti di mare con le fauci spalancate.
«Aeron, non posso crederci! Sei proprio tu!» esclamò una voce alle loro spalle.
«Quill!» sorrise Capelli Bagnati.
I due uomini si strinsero cordialmente la mano e cominciarono a parlare dei vecchi tempi.
«Sei ancora uno scrittore di farse?» gli domandò il fratello del re delle Isole di Ferro.
«Non potrei mai cambiare mestiere, lo sai! Tu invece sei diventato un altro. Ricordo ancora le tue esibizioni nelle taverne. Com’era già? Nessun uomo può pisciare più a lungo e più lontano di te».
«Ero giovane in quei giorni. Giovane e fatuo. È stato il mare a portarsi via le mie follie e la mia fatuità. L'uomo che tu ricordi è annegato, Quill. I suoi polmoni si sono riempiti d'acqua salata e i pesci hanno divorato le squame che oscuravano i suoi occhi. Quando tornai a risorgere, potevo vedere con chiarezza».
Lo scrittore di farse lo guardò come a volersi sincerare della veridicità delle sue parole, poi gli batté una pacca sulla spalla e invitò lui e i suoi accompagnatori a entrare.
«Scusaci il disturbo» fece un lieve inchino Tycho Nestoris.
Quest’ultimo era alto e scheletrico, con le gambe lunghe e la barba sottile come una corda che gli arrivava quasi fino alla vita. Aveva il viso stretto. Indossava uno stravagante cappello di feltro viola con tre punte e delle vesti di un viola sobrio decorate con pelliccia d’ermellino e con un colletto alto e rigido. Era veramente un personaggio stravagante e Quill cercò di contenersi e di non scoppiargli a ridere in faccia.
«Nessun disturbo» si affrettò a rispondere.
«Cossomo il Prestigiatore non vive qui con te?» si informò subito Capelli Bagnati.
«Normalmente si, ma è partito due giorni fa per Braavos. Se non ricordo male l’hanno chiamato per uno spettacolo al Porto Felice, un bordello vicino al Porto degli Stracci».
«Capisco».
Dopo un attimo di silenzio, lo scrittore di farse si sedette e disse: «Immagino che non siate qui solo per una visita di cortesia. C’è qualcosa che posso fare per voi?».
«In effetti, ora che lo chiedi…» incominciò Barbaverde.
Aeron però lo interruppe. Guardò per un lungo momento il suo vecchio amico e poi gli raccontò quello che era successo nel Continente Occidentale e quello che Victarion aveva scoperto.
Quill, dopo aver ascoltato con attenzione tutta la storia, si portò una mano al mento pensieroso.
«Non so di nessun attacco programmato dai tyroshi contro di voi. L’arconte non ne ha mai fatto menzione e in giro non ho mai sentito parlare di nulla di simile. Per quanto riguarda il nano, se non ricordo male, ce n’era uno che corrisponde alla tua descrizione e che si aggirava per la città chiedendo di una certa Tosha o Tasha».
«Tysha» lo corresse Pello.
«Si insomma, una donna. Però è stato più di un mese fa».
«Non l’hai più visto da allora?».
«No, ne sono sicuro. Un nano senza naso non si scorda facilmente».
«Non sai dove potrebbe essere andato?».
«Perché dovrei sapere una cosa simile?».
«Già, perché dovresti?» domandò enigmatico Tycho.
Quill squadrò il Maestro del Conio imbronciato.
«Non sto mentendo» sputò offeso.
«Ti credo. Scusa se ti abbiamo disturbato» sorrise Aeron lanciando di nascosto un’occhiataccia a Nestoris.
Lo scrittore di farse sembrò aver riacquistato il buon umore e invitò i tre uomini a fermarsi per il pranzo, ma essi declinarono il generoso invito.
Camminarono a lungo tra le vie di Tyrosh sperando di scovare qualche indizio, ma non trovarono nulla.
«Comincio a pensare che sia stata fatica sprecata venire qui» brontolò Capelli Bagnati.
«È anche vero che se è in atto qualche piano contro il Continente Occidentale di certo non vanno a spiattellarlo in giro» notò Barbaverde.
«Qui però sembra che nessuno sappia niente».
«Ci rimane un’ultima cosa da fare» disse Tycho Nestoris guardando serio i suoi due compagni.
«Pregare il Dio Abissale affinché ci indichi la giusta via».
«Trovare Aegon Targaryen. Arya Stark ha detto che si trova qui, giusto?».
«E come speri di trovarlo in mezzo a tutta questa gente?» domandò ironico Pello.
Il Maestro del Conio sorrise. «È un mercante no? E dove potrebbe mai trovarsi un mercante?».
Barbaverde si voltò di scatto e cominciò a camminare a passo spedito. «Seguitemi!» quasi urlò.
Arrivarono in una grande piazza al centro della quale vi era una fontana rappresentante il Dio Ebbro. Numerose bancarelle erano collocate lungo tutto il perimetro della piazza e numerosi venditori cercavano di attirare l’attenzione dei passanti descrivendo la qualità della loro merce.
Si vendevano schiavi, elmi, strumenti di tortura, tessuti, tinte per capelli e un’altra grande quantità di prodotti.
«Non ci resta che trovare un ragazzo dai capelli argentei ora».
«Blu, vorrai dire. Aegon se li tinge di quel colore» osservò Aeron.
I tre uomini si addentrarono nel caotico mondo del mercato.
Rischiarono più volte di cadere a causa della foga delle persone che spingevano per poter passare.
A un certo punto la loro attenzione fu attratta da un singolare trio: un guerriero, una septa e un ragazzo dai capelli blu.
«Ma certo! Quelli sono ser Rolly Duckfield, Lemore e Aegon!» sorrise vittorioso Capelli Bagnati dirigendosi come un fulmine verso di loro.
Superò come una furia la folla che li separava e raggiunse i tre mercanti.
«Aeron Greyjoy!» esclamò Papero, ovvero ser Duckfield.
«Vi trovo bene! E direi che i vostri affari vanno alla grande» disse vedendo la bancarella quasi vuota.
«Non possiamo lamentarci» sorrise Aegon.
Tycho Nestoris e Pello, bloccati dalla calca, riuscirono a raggiungerli nel momento in cui il fratello di Euron stava finendo di raccontare la storia di quello che era accaduto negli ultimi tempi nei Sette Regni.
Papero, Lemore e il giovane Targaryen si guardarono.
«Allora? Sapete qualcosa?» chiese spazientito Barbaverde.
«Come sapete sono a capo di una gilda di mercanti a Braavos. Sono partito da lì qualche mese fa per ampliare il mio mercato e viaggiando nelle varie Città Libere mi è capitato di sentire delle strane voci. Secondo queste voci i mercenari delle varie Compagnie si sarebbero riuniti per realizzare un grande quanto ambizioso e rischioso progetto. Di più però non so» spiegò Aegon.
«Perché le varie Compagnie dovrebbero unirsi?».
«I mercenari lavorano solo dietro compenso, quindi qualcuno deve averli pagati per farlo» constatò Tycho Nestoris.
Papero – essendo stato un membro della Compagnia Dorata e conoscendo molto bene il modo di agire e di pensare dei mercenari – annuì convinto.
«Quindi, stando a quello che ci hai appena detto, sembrerebbe che i tyroshi non siano i responsabili degli ultimi avvenimenti» disse Capelli Bagnati a Aegon. «In effetti, non ho mai pensato veramente che potessero esserlo. In fondo quale motivo avrebbero avuto per attaccarci? L’arconte mi sembra già abbastanza impegnato a mantenere l’armonia in città e buoni rapporti con Myr e Lys. Una guerra contro i Sette Regni è l’ultima cosa di cui ha bisogno».
I presenti assentirono.
«Comunque, non so quanto valore possa avere questa scoperta» continuò. «I mercenari non agiscono se non per ordine di qualcuno e noi questo qualcuno non sappiamo chi sia. Non sappiamo nemmeno se si tratti di un singolo individuo o di più persone».
«Lo posso scoprire io» sorrise il giovane Targaryen. «Dopodomani, per motivi commerciali, devo andare a Qohor e non dubito che sulla strada incontrerò qualche mercenario».
«Non dovrebbe essere difficile ottenere delle informazioni. Basterà dire che Papero vuole schierarsi con loro e il gioco è fatto» osservò Lemure.
«La fai troppo facile tu» grugnì ser Duckfield.
«Può darsi. Tuttavia è l’unica cosa che possiamo fare».
Capelli Bagnati guardò dapprima i suoi compagni, poi i tre mercanti incerto se fidarsi. Constatando di non avere alternative decise di dare loro una possibilità.
Stannis non sarebbe stato contento. Però Stannis non era il suo re per cui, al massimo, se la sarebbe dovuta vedere con lui il Maestro del Conio.
Si avvicinò poi a Aegon e gli sussurrò: «Sei stato forgiato per governare prima ancora che cominciassi a camminare. Sei stato addestrato all'uso delle armi come si confà a un futuro cavaliere, ma questa non è stata la fine della tua educazione. Sai leggere e scrivere, parli diverse lingue, hai studiato storia, legge e poesia. Una septa ti ha istruito ai misteri del Credo da quando sei stato abbastanza grande per comprenderli. Sei vissuto tra i pescatori, hai lavorato con le mani, hai nuotato nei fiumi, cucito le reti e imparato a lavarti i vestiti se necessario. Sai pescare e cucinare, e suturare una ferita, sai che cosa significa avere fame, essere braccato, avere paura. Ti è stato detto che essere re era un tuo dovere. Allora perché hai rinunciato al trono?».
Il giovane parve un po’ sorpreso per quella domanda, però rispose con convinzione: «Quando sono giunto ad Approdo del Re mi aspettavo che il popolo gioisse per la mia venuta, invece non è stato così. Mi hanno guardato con diffidenza e persino con una punta di odio. Questo mi ha fatto capire che il tempo dei Targaryen era finito e che non potevo essere il sovrano di un popolo che non mi amava. Jon Connington mi voleva re, ma quella non era la strada giusta per me. Non sono pentito di aver rinunciato al trono, anzi sono sempre più convinto di aver preso la decisione migliore».
Aeron non sapeva se le sue parole erano vere, ma ciononostante decise di credergli.
«Aspetterò tue notizie» gli disse.
«Certo. Posso chiederti un favore? Quando arriverai a Grande Inverno potresti dire ad Arya che la ringrazio? Lei capirà».
Greyjoy annuì.
Dopo essersi accomiatato dai tre mercanti, insieme a Tycho e Barbaverde, lasciò la piazza del mercato e si diresse verso la Torre che Sanguina dove si trovava il porto.
Il Continente Occidentale aspettava il loro ritorno.
Una volta sull’Aquilone il capitano Manfryd Merlyn ordinò di salpare.
Aeron osservò per un momento il mare e poi si recò sottocoperta.
Si sedette e poi sospirò. Si chiese se le poche informazioni che aveva sarebbero potute andare bene ai sovrani dei Sette Regni.
Tirò fuori la lettera di Victarion e la rilesse per tre volte.
Corrucciò la fronte e poi la sua attenzione fu attratto da un particolare: suo fratello aveva scritto che il finto guardiano della notte, prima di togliersi la vita, aveva pronunciato strane parole e fatto riferimento a un Ordine.
“Per l’Ordine” ripeté mentalmente.
Fu proprio in quel momento che si udì un boato e un forte scossone.
Aeron cadde violentemente a terra, scorticandosi i palmi delle mani.
Si rialzò a fatica e sentì gli uomini in coperta urlare.
Un altro violento scossone rischiò nuovamente di farlo cadere.
Lentamente, attaccato alla parete, riuscì a salire.
«Che succede?» urlò preoccupato.
Nessuno però gli rispose perché gli uomini erano troppo preoccupati a correre da una parte all’altra della nave per eseguire gli ordini del capitano.
Vide Tycho Nestoris immobile e pallido come un cadavere.
Seguì il suo sguardo e trasalì: una grande nave da guerra li stava attaccando.
Scorse alcuni dei loro assalitori. Indossavano tutti una maschera a forma di uccello.
Istintivamente guardò in alto e vide sventolare una bandiera con disegnata un’ascia.
“Per l’Ordine… Un’ascia…”.
«Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima!» esclamò.
Non ebbe tempo di esultare perché la nave nemica assestò un altro colpo all’Aquilone spezzandola in due.
Capelli Bagnati cercò di aggrapparsi da qualche parte, ma non ci riuscì e cadde in acqua insieme a molti altri uomini di ferro.
Sentì delle urla, poi delle risate.
Ripensò alla bandiera e cercò di nuotare verso l’alto.
Mentre tentava di risalire, però, qualcosa lo colpì alla testa.
Non riuscì più a trattenere il respiro. Aprì la bocca e l’acqua gli riempì i polmoni.
La luce si allontanava sempre di più mentre lui sprofondava nell’oscurità.
Notò qualcosa muoversi, poi più nulla.
Ciò che è morto non muoia mai” pensò.
Una risata riecheggiò. Era il Dio Abissale.

 




Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Finalmente in questo capitolo seguiamo le vicende di Aeron a Tyrosh!
Ciò che scopre non è molto, ma sicuramente è qualcosa di diverso rispetto ai sospetti nutriti dai sovrani dei Sette Regni.
Sarà vero che i responsabili non sono i tyroshi, ma le compagnie mercenarie? Aegon ha detto la verità o ha mentito?
Che cosa capisce Capelli Bagnati prima di cadere in mare? Sopravvivrà al naufragio o scomparirà per sempre nelle profondità marine?
Voi che cosa ne pensate?
Poche domande, lo so! E tutto molto lineare! xD Ma se tutto fosse semplice, non sarebbe divertente! :P
Per quanto riguarda i personaggi “secondari” (come per esempio Quill o Pello) esistono veramente nel libro di Martin. Io li ho solo adattati alla mia storia!
Detto questo vi saluto.
A presto! :)
Violaserena.

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Capitolo 8
*** Catelyn ***


CATELYN

 

Il vento aveva cessato di soffiare e nel cielo il sole splendeva alto, eppure a Grande Inverno il freddo pareva essere aumentato.
Catelyn camminava avanti e indietro nel parco degli dei. In passato quel luogo non lo aveva mai amato più di tanto. Lei veniva dalla Casa Tully, nel profondo sud di Delta delle Acque, sulla Forca Rossa del Tridente. Là il parco degli dei era un giardino pieno di aria e di luce. Rosse sequoie proiettavano le loro ombre su ruscelli mormoranti, uccelli cantavano da nidi invisibili, l’aria era intrisa dei profumi dei fiori.
Gli dei di Grande Inverno abitavano un diverso tipo di parco, un luogo primordiale invaso dall’oscurità. L’atmosfera sapeva di lichene morente, di cose che si decompongono. Tre acri di bosco ancestrale attorno ai quali era sorta la cupa struttura del maniero. Tre acri che non venivano toccati da diecimila anni. Querce e alberi-ferro sembravano più vecchi del tempo stesso, i loro neri tronchi ammucchiati gli uni contro gli altri. Ostili e ostinate sentinelle immobili, armate di aghi di un verde dalla sfumatura quasi metallica, le cui ramificazioni più alte andavano a intrecciarsi in una cupola tenebrosa. Il terreno era un altro labirinto, fatto di radici sporgenti, distorte, aggrovigliate come tentacoli sotterranei. Quel parco era un luogo di silenzi profondi, di ombre impenetrabili, abitato da dei senza nome. Quel parco ora lei lo amava. Non c’era giorno che non si recasse lì.
Si fermò di fronte al vecchio albero diga.
“L’albero del cuore” lo chiamava Ned. Suo marito era solito sedersi vicino ad esso e così aveva incominciato a fare anche lei.
Chiuse gli occhi. Ripensò al passato, ai momenti felici.
Lentamente li riaprì. Era sciocco da parte sua, ma ogni volta sperava che tutto potesse tornare com’era. Sapeva che non era possibile, eppure non poteva fare a meno di sognarlo.
Si alzò e riprese a camminare.
Era passato un mese dagli ultimi avvenimenti e di Jon Snow e di Tyrion non si avevano ancora notizie. Doran Martell aveva fatto sapere che Areo Hotah era scomparso. Aeron e coloro che erano con lui non erano tornati. Victarion era partito meno di sei giorni prima per cercare suo fratello e gli altri uomini.
Tutte queste sparizioni erano segno che qualcosa era in atto. Non voleva pensare a una possibile guerra, non dopo tutto quello che aveva passato. Non dopo tutto quello che tutti loro avevano passato.
Sospirò e con passo lento uscì dal parco degli dei.
Notò Jaime chino dietro un carro intento a spiare qualcosa. O meglio qualcuno.
Sorrise suo malgrado. Non dubitava di sapere di chi si trattasse.
Gli si avvicinò e gli disse: «È strano, non è vero?».
Jaime sobbalzò non avendola sentita arrivare, poi annuì.
«Quando me l’ha detto ho pensato che mi stesse prendendo in giro. Senza contare lo spavento per la sua scomparsa e per quella di Myrcella. Credevo che qualcuno li avesse catturati o peggio uccisi».
«È comprensibile, anche se ser Benedict Broom e tuo zio Gerion non mi sembrano tanto facili da sconfiggere».
«Già. Però non pensavo nemmeno che fossero tanto facili da convincere».
«Qualcosa Tommen avrà pur imparato quando era re».
Catelyn si accorse di quello che aveva appena detto e si affrettò a scusarsi.
Jaime le sorrise e le disse di non preoccuparsi.
«Secondo te mio figlio ha qualche possibilità?» continuò poi il fratello della defunta Cersei Lannister.
Questa volta fu lady Stark a sorridere.
“Sansa si prende quello alto e bello, io quello bassotto e grassottello! Ovvio no?” aveva affermato Arya anni addietro quando era stata promessa in sposa a Tommen Baratheon, o meglio Lannister.
“E poi non sa nemmeno combattere” aveva proseguito.
In effetti Catelyn ricordava ancora con un certo divertimento l’allenamento tra Bran e il fratello di Joffrey: Il principe Tommen, finito nella polvere, cercava di rialzarsi, ma senza molto successo. Tutta l’imbottitura che aveva addosso lo faceva sembrare una tartaruga rovesciata sul dorso. Bran incombeva su di lui, spada di legno levata, pronto a colpirlo di nuovo nel momento in cui si fosse rimesso in piedi.
Rispetto a quel tempo, Tommen era migliorato sia nell’uso della spada sia di aspetto.
Lady Catelyn non sapeva che cosa pensare del fatto che il giovane Lannister si fosse innamorato di Arya. Di certo con lei non avrebbe avuto vita facile. E nemmeno con Gendry in questo momento.
Rise notando quest’ultimo nascosto dietro una finestra intento ad osservare come loro la tenzone tra Arya e Tommen.
«Ora come ora nessuna. Ma, in futuro, chi può dirlo?» rispose sorridendo alla domanda di Jaime.
«Già, chi può dirlo» le fece l’occhiolino. Poi continuò dicendo: «Tu ne saresti felice?».
Catelyn si fece seria, rimase qualche secondo in silenzio e poi rispose: «Non puoi farmi questa domanda. Ti ho perdonato Jaime, ma non posso dimenticare quello che tu e la tua famiglia ci avete fatto. Io non dimentico. Il Nord non dimentica».
«Non credo di avertelo mai detto ma, per quanto possa valere, mi dispiace».
Jaime Lannister si stava scusando. Lo Sterminatore di re. Il falso cavaliere che aveva profanato la sua lama con il sangue del re che aveva giurato di proteggere. L’uomo che aveva spinto Bran giù dalla torre. Questo non se lo sarebbe mai aspettata. Lui era cambiato molto rispetto al passato, però non avrebbe mai creduto che potesse pronunciare simili parole.
«Ho perduto un padre, un figlio, una sorella e un'amante. Forse ho perduto anche un fratello. Non ho più la mano destra e non sono più il guerriero di una volta. Probabilmente tutto ciò mi ha rammollito. Un tempo non avrei mai…» aveva incominciato a concionare Jaime prima che Catelyn scoppiasse a ridere.
«Mia signora, potrei offendermi».
Lady Stark si ricompose e poi sussurrò: «Non sei mai stato forte tanto quanto lo sei ora».
Jaime stava per dire qualcosa, ma la loro conversazione fu interrotta dall’urlo vittorioso di Arya e dall’arrivo di Stannis.
«Non dovrebbe dargli false speranze» affermò impassibile quest’ultimo.
Catelyn seguì il suo sguardo: indubbiamente si riferiva ad Arya e a Tommen.
In quello stesso momento si sentì uno schianto.
Tutti corsero verso il luogo da cui proveniva il tonfo e trovarono Gendry steso per terra.
Il Primo Cavaliere lo guardò truce e scosse severamente la testa.
«Che cosa ti è successo?» gli domandò Arya.
Il giovane arrossì e chinò la testa. «N-niente! I-io… Io stavo… Stavo… Mi stavo lucidando le scarpe e poi sono inciampato!».
Catelyn e Jaime si guardarono divertiti. Tommen e Arya scoppiarono a ridere. Stannis grugnì qualcosa e Gendry guardò di traverso il biondo ragazzo.
«Ridi, ridi. Almeno io non mi faccio battere da una ragazza» bisbigliò arrabbiato.
Probabilmente Tommen l’aveva sentito visto come lo stava guardando.
«Ehi, ehi!» arrivò Rickon tutto trafelato. «Dovete venire tutti nella Sala Grande. È urgente».
I presenti lo seguirono di corsa.
Catelyn sperò che ci fossero buone notizie. Lo sperò con tutta se stessa.
Quando arrivarono gli altri sovrani erano già tutti lì. Non le sfuggì la nota di disappunto che Stannis lanciò a suo nipote.
«Che succede?» chiese preoccupata Arya.
«È arrivato un corvo» le rispose serio Bran.
«Ali oscure, oscure parole» disse Jaime.
«Si tratta di una lettera di Victarion» spiegò Euron mostrando un foglio con il sigillo dei Greyjoy. «Ha trovato Aeron».
«Vivo?» domandò speranzosa Catelyn. La sua sopravvivenza era l’unica possibilità che avevano per ottenere qualche risposta.
«Affogato».
Silenzio.
Il gelo si impossessò dei loro cuori e così pure delle loro speranze.

 


 

Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
In questo capitolo si scopre che fine hanno fatto Tommen e Myrcella: sono a Grande Inverno! Non sono stati catturati da nessuno, ma sono partiti spontaneamente perché il giovane Lannister si è innamorato di Arya Stark (non so come sia potuta venirmi in mente una cosa del genere! xD) e pertanto desidera rivederla e dimostrarle di essere diventato più forte. Nel POV di Catelyn non l’ho detto, però la lettera citata nel capitolo di Jaime è stata scritta da Tommen per spiegare al padre il motivo della sua partenza. Spero sia tutto più chiaro ora.
Neanche a dirlo Gendry è geloso e Stannis non tollera il suo comportamento.
Jaime e Catelyn sembrano andare d’accordo e così pure i loro figli.
Chi sceglierà Arya? Gli Stark e i Lannister consolideranno ulteriormente la loro alleanza?
Infine giunge un corvo con un messaggio di Victarion: Aeron è affogato e le speranze di tutti sembrano affievolirsi. Sarà davvero così?
Lo scoprirete presto!
Un piccolo spoiler: nel prossimo capitolo – se non cambio idea – ci saranno alcuni personaggi che fino ad ora non sono comparsi… Avete capito di chi si tratta? ;)
Alla prossima! :)
Saluti,
Violaserena.

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Capitolo 9
*** Jon ***


JON

 

Una cella buia. Questo era tutto ciò che sapeva. Lui non gli aveva detto dove lo aveva rinchiuso. Nemmeno Tyrion lo sapeva: pensava solo si trattasse di qualche posto nel Continente Orientale.
Il Folletto era stato catturato a Tyrosh ed era stato portato in quel luogo sconosciuto alcune settimane prima di lui.
Erano stati picchiati molte volte. Il viso di Tyrion era ricoperto da tagli e grumi di sangue. Jon non era messo molto meglio. L’avevano legato ad un palo e poi gli avevano inferto le peggiori torture. Il suo volto era tumefatto e una parte della sua gamba sinistra era stata scuoiata. Il fetore prodotto attirava numerosi insetti, in particolar modo i vermi. Inizialmente Jon aveva cercato ci scacciarli, ma poi ci aveva rinunciato cosicché la sua gamba ferita era divenuta la dimora preferita da millepiedi e larve.
Grossi topi venivano poi a fare loro visita e lasciavano loro morsi e nuovi tagli sulle mani e sul resto del corpo.
Molto presto sarebbero morti. Lo aveva sentito dire da lui, ma anche se non lo avesse udito sapeva che sarebbe stato così.
Jon non aveva paura della morte, ma non era quella la morte che voleva, in catene, decapitato come un brigante da strada. Voleva morire con la spada in pugno, lottando contro coloro che l’avevano catturato. Non era del tutto un vero Stark anche se, in cuor suo, aveva sempre sentito di esserlo. Tuttavia poteva morire come uno Stark, in modo che poi dicessero che lord Eddard di figli ne aveva avuti non tre, bensì quattro. Avrebbe voluto avere Lungo Artiglio con sé. Avrebbe voluto rivedere la sua famiglia, Arya più di tutto. Avrebbe voluto tante cose.
Si udì un sinistro cigolio. La porta delle segrete si aprì e tre ombre si materializzarono dinanzi a loro.
«Domani partiremo per il Continente Occidentale. Ormai è tutto pronto» disse Jorah Mormont, ovvero colui che aveva ideato l’assurdo piano di conquista dei Sette Regni.
«Non vincerai mai, vecchio pazzo!» sputò arrabbiato Tyrion.
«Io vincerò. Realizzerò il sogno della mia regina».
«Lei è morta! Morta! Fattene una ragione!».
«Taci Folletto se non vuoi che ti renda ancora più storpio!».
Gli altri due uomini che erano con Mormont sorrisero malevoli.
«Sei venuto qui solo per dirci questo?» domandò stanco Jon.
«No. Voglio solo che collaboriate. Se farete ciò che vi dico, andrà tutto bene».
Tyrion scoppiò a ridere sguaiatamente.
Ser Jorah estrasse Lungo Artiglio e la puntò contro la bocca del nano.
«Se ti tagliassi la lingua molti mi sarebbero grati». Detto ciò lo guardò fisso per un lungo momento, poi rinfoderò la spada e si avviò verso l’uscita.
«Collaborate» ripeté e poi sparì dalla loro vista.
«È soltanto un guscio vuoto quell’uomo. Cerca la sua argentea regina pur sapendo che non la ritroverà mai» scosse la testa il figlio di Tywin Lannister.
«Ognuno è vittima dei propri sogni» sorrise Ben Plumm il Marrone, capitano dei Secondi Figli.
Plumm aveva un aspetto simpatico, soprattutto quando sorrideva. Poteva essere considerato quasi come lo zio preferito da chiunque, tutto sorrisi accattivanti, vecchi proverbi e semplice saggezza. Tuttavia era solo una finzione. Quei sorrisi accattivanti non arrivavano mai fino agli occhi di Ben Plumm, nei quali l’avidità era nascosta dietro a un filo di prudenza.
In passato era stato al servizio di Daenerys, poi degli Yunkai e poi di nuovo di Daenerys. Ora seguiva quel vecchio pazzo. Non ci si poteva fidare di lui. In generale non ci si poteva fidare di un mercenario e basta. Quale fosse il suo scopo Jon non lo sapeva, però intuiva fosse qualcosa di ambizioso.
«Un sorriso caldo, amichevole. Ma, per gli dei, i tuoi occhi sono gelidi» rabbrividì Tyrion.
«Gli occhi di un mercenario devono essere così» gli rispose quello.
L’altro uomo rise.
Era Barba Insanguinata, comandante della Compagnia del Gatto, famoso per la sua ferocia e per la sua sete di sangue. In lui non c'era onore, solo fame di oro, di gloria, di sangue. Difatti, se c’era una persona che detestava la pace e amava le guerre, quella era proprio lui.
Era un uomo grande e grosso con una folta barba e un’ascia tatuata sul petto. Incuteva timore solo a guardarlo.
«In questo mondo, bisogna imparare a soppesare tutti i doni che gli dèi scelgono di concederci. È una lezione che ho appreso a duro prezzo. Imparatela anche voi e forse, chissà, magari avrete salva la vita» disse.
«Ricordatevi questo per il futuro: ci sono mercenari vecchi e mercenari coraggiosi. Ma non ci sono mercenari vecchi e coraggiosi. Nulla è lasciato al caso, tutto avviene per un fine. Sempre» continuò Ben Plumm il Marrone.
Le loro parole dovevano avere un qualche significato, ma in quel momento Jon non lo capì.
Una volta usciti i due mercenari, Tyrion imprecò. «Siamo fregati, accidenti!».
«Non lo siamo già da un pezzo?» domandò ironicamente Jon.
Il Folletto lo guardò come se avesse detto la cosa più sciocca del mondo.
«Ti prego, se fosse solo per ser Jorah a quest’ora saremmo liberi già da un pezzo. Sarà anche un forte cavaliere, ma è vecchio ed è un imbecille!».
«Stai forse insinuando che…».
«Esatto! Le compagnie mercenarie sono estremamente diverse tra loro. Credimi, io lo so bene. Se si sono unite non è certo per seguire i progetti di quel vecchio pazzo. Uomini come Barba Insanguinata e Ben Plumm il Marrone non prendono ordini, li danno. Mormont è solo un burattino. Lo è sempre stato e sempre lo sarà benché lui creda il contrario».
Jon rimase in silenzio, pensieroso. Anche se non ne portava il nome, il suo volto era quello degli Stark: lungo, solenne, guardingo. Era un volto che non lasciava trasparire nulla.
«Dobbiamo trovare un modo per scappare!» esclamò a un certo punto Tyrion.
Sapeva che lo avrebbe detto.
«Non sarà facile viste le nostre condizioni. Per quanto mi riguarda non è mai facile. Ho le gambe troppo corte rispetto al corpo e la testa è troppo grossa. Anche se io preferisco pensare che sia appena sufficiente per il mio cervello» continuò ridendo. «La mia unica arma è la mente e credimi se ti dico che in questo momento è affilata tanto quanto una spada».
«È tardi ormai. Non ce la faremo mai a scappare».
Il Folletto sospirò. «Forse. Ma finché c’è un briciolo di speranza, allora non dobbiamo mollare».
Jon rise amaramente. «Dove la vedi la speranza, dove?».
«Io credo che tu trovi la vita così problematica perché pensi che ci siano le persone buone e le persone cattive. Ovviamente ciò è sbagliato. Ci sono sempre e solo le persone cattive, ma alcune di esse si trovano su sponde opposte. Un grande mare ruggente di male, più basso in alcuni punti, più profondo in altri. Molti, come te, mettono insieme piccole zattere di regole e confuse buone intenzioni e dicono “questo trionferà, questo è sbagliato”». Rimase un attimo in silenzio, poi proseguì: «In ogni luogo ci sono persone che seguiranno qualsiasi drago, venereranno qualsiasi dio, tollereranno ogni iniquità. Tutto a causa di una specie di monotona cattiveria quotidiana. Non, beninteso, la malvagità veramente alta e creativa dei grandi peccatori come il Re Folle, ma una specie di oscurità dell’anima massificata. Lo si potrebbe quasi definire come un peccato senza alcuna traccia di originalità, questo perché gli individui accettano il male non perché dicono ma perché non dicono no».
Jon lo guardò senza parlare.
«L’unica cosa che la gente buona sa fare bene è rovesciare quella cattiva. Un giorno si suonano le campane e si abbatte il malefico tiranno e il giorno dopo tutti si ritrovano seduti in cerchio a lamentarsi del fatto che da quando il tiranno è stato eliminato non c’è nessuno che porta via la spazzatura. Le persone cattive sanno come pianificare, quelle buone no».
«Forse. Ma è solo perché la gente ha paura ed è sola…». Jon si interruppe. La scusante sembrava piuttosto vuota. Alzò le spalle. «Sono soltanto persone. Fanno solo quello che fanno le persone».
«Non lo credi davvero neanche tu, però vuoi e forse devi crederlo per forza. Forse dobbiamo crederlo tutti altrimenti diventeremmo pazzi. Penseremmo di trovarci su un ponte sottile come una piuma sopra un profondo abisso. L’esistenza non sarebbe che un’oscura agonia e l’unica speranza sarebbe la non esistenza della vita dopo la morte» guardò l’oscurità e poi sospirò di nuovo. «Dobbiamo scappare, dobbiamo almeno tentare. Finché c’è speranza c’è vita».
Anche se non lo voleva ammettere, le parole di Tyrion lo avevano colpito. Forse aveva ragione. Non poteva arrendersi così, doveva alzarsi e combattere anche solo per rivedere un’ultima volta la sua famiglia. Sentì un ululato in lontananza. Era Spettro. Sorrise.
«Fuggiamo» disse.
Il nano assentì con la testa. «Ora dobbiamo solo capire come».
«Io lo so» affermò una voce nell’oscurità.
Areo Hotah si era svegliato.

 

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
In questo capitolo finalmente si scopre che fine hanno fatto Jon Snow e Tyrion e chi è il misterioso uomo che li ha rapiti (e ovviamente che si è intrufolato al Castello Nero per rubare Lungo Artiglio, la spada che apparteneva a suo padre).
Tutto andrà secondo i piani di Mormont oppure egli è solo un burattino nelle mani di un potere più grande come crede il Folletto?
Dopo le parole di quest’ultimo, Jon è pronto a rischiare tutto e a fuggire: ci riuscirà?
Sorpresa finale: compare Areo Hotah! Lui sembra sapere cosa fare. Sarà davvero così?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli! :)
Saluti,
Violaserena.

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Capitolo 10
*** Davos ***


DAVOS

 

L’aria del crepuscolo era un caleidoscopio di lucciole. L’accampamento dei quattro re si dilatava per miglia, tra il fiume Ramo Spezzato e il castello Porta dell’Ariete, territorio dei Manderly e dei Flint. Era stato eretto uno sbarramento di pali acuminati e a sorvegliarlo c’erano arcieri e soldati armati di picche. Esili dita di fumo si levavano da centinaia di focolari, uomini in cotta di maglia di ferro sedevano sotto gli alberi e affilavano le spade, vessilli familiari sventolavano da aste conficcate nel terreno. In quel labirinto fatto di tende, cavalli e alberi era facile perdersi. Ma Davos sapeva come muoversi. Superò una dozzina di ampi padiglioni e almeno un centinaio di fuochi. Lucciole svolazzavano tra le tende, simili a stelle vagabonde. Mentre camminava gli arrivò l’odore di salsicce all’aglio, un odore saporito, speziato, così invitante da fargli brontolare lo stomaco vuoto. In distanza, udì le rime di una canzone oscena cantata in coro: neanche a dirsi, tra i cantori era presente Tom Settecorde. Una donna – nuda sotto un mantello nero – lo superò di corsa, ridacchiando. Quello che la inseguiva, un soldato Lannister almeno all’apparenza, era ubriaco fradicio e incespicava sulle radici degli alberi. Più oltre, lungo la sponda di un piccolo torrente, due lancieri si stavano addestrando con parate e affondi, finte e attacchi, il petto nudo lucido di sudore.
Poco lontano era stata eretta una forca. Dal nodo scorsoio penzolava un cadavere ricoperto di corvi. Al suo avvicinarsi, questi si levarono in volo gracchiando e battendo le ali nere. Del corpo non restava molto: gli uccelli avevano portato via le labbra, gli occhi e la maggior parte delle guance mettendo a nudo in un orrido sorriso denti macchiati di rosso. Per il resto ci aveva pensato Ramsay.
Proseguì spedito. Nessuno gli prestò attenzione. Era circondato da un enorme esercito forte di cinquantamila uomini, eppure sembrava che nessuno lo vedesse.
Finalmente arrivò dove doveva arrivare. Il vessillo con il cervo incoronato dei Baratheon sventolava quietamente. Entrò nella tenda. Un lungo tavolo a cavalletti di pino grezzo, coperto da una tovaglia di tessuto nero e oro, era stato sistemato nel centro. Era là che il Primo Cavaliere del Re e suo nipote stavano cenando.
«È arrivata qualche altra lettera?» gli domandò subito Stannis.
«No, quella di Aegon è stata l’ultima».
«Non so se sia un bene o un male. Ad ogni modo conferma quanto Aeron sospettava. A proposito, è ancora a colloquio con gli Stark?».
«No, è tornato nella sua tenda insieme a Victarion».
Capelli Bagnati non era morto, era semplicemente affogato per la seconda volta: questo perché, almeno secondo le credenze degli uomini di ferro, il Dio Abissale aveva bisogno di lui. Victarion l’aveva trovato – in mare – svenuto, aggrappato a un pezzo di legno. Del resto dell’equipaggio invece non c’era traccia: probabilmente erano morti tutti. Quando Aeron si era ripreso, con più devozione del solito, aveva esclamato “ciò che è morto, non muoia mai” e poi aveva raccontato prima a suo fratello poi ai re dei Sette Regni ciò che aveva scoperto. Pochi giorni dopo, era arrivata a Grande Inverno una lettera di Aegon che confermava le sue parole e avvertiva che i mercenari erano partiti da Norvos alla volta di Capo della Vedova per conquistare il Continente Occidentale.
Già pronti da un pezzo, i re avevano organizzato gli eserciti, inviato una serie di corvi messaggeri ed erano partiti alla volta del territorio dei Manderly e dei Flint per dare battaglia e fermare così i mercenari e Jorah Mormont.
Ci sarebbe stata un’altra guerra. Davos aveva sperato che non si arrivasse a tanto, ma forse le cose dovevano andare in quel modo.
Sospirò. Almeno la sua famiglia era al sicuro ad Approdo del Re: ser Barristan e Jaqen H’ghar [*] avevano già predisposto tutto per resistere a un eventuale attacco.
«Cena con noi» lo invitò Gendry.
«Accetto con piacere, sire».
Si sedette e iniziò a mangiare con gusto ciò che i servitori gli avevano messo nel piatto.
«Dobbiamo nominare un nuovo Maestro del Conio» disse Stannis mentre versava del vino in una coppa. «Hai dei suggerimenti?».
«Ser Lomas Estermont è sempre rimasto fedele alla vostra casa. È un ottimo combattente e possiede un certo acume per le questioni finanziarie. Potrebbe essere una buona scelta».
Il Primo Cavaliere annuì. «Tu che ne pensi?» domandò rivolto a suo nipote.
«Credo che possa sostituire degnamente Tycho Nestoris» sorrise re Gendry.
«Molto bene. La decisione è presa, allora. Mando subito uno dei servitori a chiamarlo. È opportuno che sia investito di tale incarico il prima possibile».
Finita la cena, Davos si accomiatò. Proprio mentre usciva dalla tenda, ser Lomas vi entrava.
Lo salutò e poi proseguì per la sua strada.
Aveva deciso di fare un giro per l’accampamento prima di andare a coricarsi.
Migliaia di fuochi riempivano l’aria di fumo livido. Lungo il bordo erboso di una piccola strada erano state allineate le macchine da guerra: mangani e trabocchi, catapulte e arieti, tutti montati su ruote più alte di un uomo a cavallo. C’erano poi le terribili macchine a forma di lupo degli Assassini Senza Volto che gli Stark avevano usato contro gli Estranei.
Davos osservò ogni singolo uomo che incontrava, in particolare i ragazzi che sventolavano daghe e pugnali. Erano molto giovani e in quanto tali non avevano ancora provato il sapore acre del sangue.
«Per molti di loro è tutto ancora come un gioco, un torneo, solo più grande degli altri. Vedono solamente la gloria, gli onori, il bottino. Ragazzi ubriachi di sogni e di canzoni, uguali a tutti gli altri ragazzi che credono di essere invincibili e immortali» affermò una voce dietro di lui. Era lady Catelyn.
«Sarà la guerra a farli diventare vecchi» le rispose. «Nello stesso modo in cui ha fatto diventare vecchi noi».
«Provo pietà per loro».
«So cosa intendi. La guerra ha distrutto tutti noi. I tuoi figli, in particolare, sono dovuti crescere in fretta. E così sarà pure per questi ragazzi. Ma, per il momento, la loro gioia di vita e le loro risate sono l’unica cosa che conta».
«Non durerà, lo sai anche tu» la voce di Catelyn era piena di tristezza. «L’inverno è arrivato e presto raggiungerà anche i loro cuori. L’inverno arriva per tutti noi. Per me è arrivato molto tempo fa, con la morte di Ned prima e di Robb poi».
«Mia signora…». Fu interrotto da un tonfo.
Si voltò e notò, a pochi passi di distanza, Tommen steso per terra con tutta l’armatura e Arya che gli puntava la spada alla gola.
Stava per raggiungerli, ma lady Stark lo fermò.
«Non sarò mai un forte guerriero! Per quanto mi impegni, non riesco a batterti. Sono un incapace!» sentì dire al figlio di Jaime.
«Il talento definisce soltanto quello che fai, non definisce quello che sei. Quando sai quello che sei, puoi fare qualsiasi cosa» vide sorridere Arya. «È questo che ci rende potenti. La cosa importante è sapere quello che si è realmente. Quando lo capirai, diventerai forte anche tu».
Non riuscì a sentire il resto del discorso a causa degli schiamazzi di un gruppo di soldati che passava di lì.
Guardò il cielo stellato e chiuse gli occhi. Rimase così per qualche tempo, poi salutò lady Catelyn e si diresse verso la sua tenda. Il sonno lo colse subito.
Un forte e noto rumore lo svegliò all’alba. Si vestì rapidamente e prese la sua spada.
Si fece largo tra gli uomini che correvano da una parte all’altra per essere pronti alla battaglia.
Raggiunse rapidamente i sovrani dei Sette Regni. I loro volti erano impassibili.
«Alla fine è giunta l’ora» affermò serio il re del Nord.
La guerra stava per iniziare.

 

[*] L'uomo mascherato che compare all'improvviso nella sala del trono nel capitolo POV di Barristan non è altri che Jaqen H'ghar.

 






Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Allora, in questo capitolo si scopre che Aeron è vivo! In realtà vi avevo dato un indizio nel capitolo POV di Catelyn dicendo che era “affogato” (e per gli uomini di ferro non equivale al morire), ma ammetto che non era semplice da capire.
Ho voluto poi descrivere ciò che vedeva Davos dell’accampamento e le sue impressioni sui soldati, in particolare quelle sui più giovani.
La guerra, infine, sta per cominciare. Chi avrà la meglio? Che cosa faranno i mercenari? Jon, Tyrion e Areo saranno riusciti a fuggire?
Lo scoprirete presto.
Alla prossima! :)
Saluti,
Violaserena.

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Capitolo 11
*** Tyrion ***


TYRION

 

Leggeri fiocchi di neve cadevano nel territorio dei Manderly e dei Flint.
Un carro trainato da un nero cavallo percorreva a tutta velocità una piccola strada.
«Più in fretta! Più in fretta!» urlò con tono disperato Jon Snow.
Tyrion guardò il paesaggio circostante passargli celermente davanti agli occhi.
Ripensò alla cella buia in cui si erano trovati fino a poco tempo prima. Erano riusciti a scappare solo grazie ad Areo Hotah. Lui conosceva bene quel posto in quanto, quando era giovane, era stato un membro dell’Ordine dei Preti Barbuti. L’ascia tatuata sul suo petto lo dimostrava. Era quell’ordine il responsabile di tutto ciò che era successo, era a quell’ordine che rispondevano i mercenari, non a Jorah Mormont. Era quell’ordine che voleva la guerra solo per il gusto di uccidere e che voleva creare un regno dove i mercenari avessero il potere e potessero fare tutto ciò che volevano. Era questo ciò che auspicavano da quando Barba Insanguinata era diventato il loro capo: nient’altro che massacri e dolore.
Il Folletto sospirò. Erano fuggiti dalla loro prigione, ma erano arrivati tardi. La guerra era già cominciata. E loro si stavano dirigendo proprio verso di essa.
Nelle condizioni in cui erano non avrebbero potuto fare molto, ma questo non significava che avrebbero dovuto tirarsi indietro.
A un certo punto, Areo tirò bruscamente le redini del cavallo rischiando di far cadere Tyrion e Jon.
«Perché ti sei fermato?» domandò quest’ultimo.
L’uomo indicò qualcosa davanti a loro.
Si irrigidirono all’istante. Il nano si voltò per non vomitare.
Cadaveri di contadini sventrati e col cranio fracassato erano disseminati un po’ dappertutto. I corvi svolazzavano da un corpo all’altro e per ogni corvo c’erano cento mosche ronzanti. Ma a banchettare era passato anche qualche altro animale, qualcosa di più grosso: la gola e il torace erano squarciati, grovigli di intestini verdastri e filamenti di muscoli lacerati fuoriuscivano dalla voragine scavata nel ventre. In molti casi un intero braccio era stato sradicato dalla spalla. Almeno Tyrion sperava che fossero stati gli animali a fare una cosa simile.
«Vermi! Sono dei vermi!» esclamò adirato il giovane figlio di Ned Stark.
Erano morti, tutti morti.
Deglutì. Cosa diceva sempre Arya? “La paura uccide più della spada”.
Era vero. I morti non potevano fargli del male, ma chi li aveva uccisi sì e loro si stavano dirigendo proprio… Scosse la testa. Gli Stark lo avevano aiutato in passato, lo avevano fatto sentire normale. Non poteva abbandonarli ora. Non poteva abbandonare Jaime. No. Doveva andare ad aiutarli, in fondo era il lord di Castel Granito. Per quanto potesse servire l’aiuto di un nano deforme, doveva e voleva esserci.
«Sapevo sarebbe finita così» affermò Areo scuotendo la testa e indicando un uomo.
Era Jorah Mormont. Il suo cadavere, rispetto a quello degli altri, era abbastanza riconoscibile.
I tre uomini gli si avvicinarono.
«Sciocco! Credevi davvero che i mercenari avrebbero seguito i tuoi ordini?» bisbigliò il Folletto chiudendogli gli occhi. «Potevi vivere in pace gli ultimi anni della tua vita e invece per uno stupido sogno, anzi per una donna morta sei andato incontro alla rovina e forse alla nostra».
«La persona che non è in pace con se stessa sarà in guerra con il mondo intero» continuò Hotah mesto.
Jon tastò il corpo del defunto e con l’aiuto di Spettro riuscì a trovare ciò che cercava: Lungo Artiglio. «Non sei degno di portare questa spada» disse. «Spero che tu possa capire ciò che hai fatto, ma spero anche che tu… Che tu possa trovare la pace. Lord Mormont l’avrebbe voluto».
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi risalirono sul carro e partirono alla volta del luogo in cui si stava svolgendo la battaglia.
 

*
 

Quando giunsero vicino al campo di battaglia, lo scontro era ancora in corso. La neve cadeva più fitta e ricopriva i corpi esanimi dei numerosi caduti. Non sembrava affatto il genere di neve che scende sussurrando lentamente nell’oscura notte e che, il mattino seguente, trasforma il paesaggio in un magnifico luogo incantato luccicante di insolita ed eterea bellezza. Sembrava il tipo di neve che intende rendere il mondo il più maledettamente freddo possibile.
Spettro annusò il terreno e incominciò a correre ululando.
Altri ululati gli risposero in lontananza.
Jon sospirò sollevato. Tyrion fece lo stesso. Se i meta-lupi erano vivi, questo significava che lo erano anche i loro padroni.
«Siete pronti?» domandò serio Areo.
«Non sono mai stato più pronto di così» deglutì il Folletto stringendo forte un’ascia.
Hotah annuì e poi guardò il giovane Snow. Era messo male, molto male. Molto peggio di loro due. Le torture che aveva subito non erano state leggere.
«So cosa pensi, ma non starò a guardare. Questa è la mia terra. Ogni persona a cui tengo si trova qui. Combatterò, fosse l’ultima cosa che faccio» disse battendo i pugni il figlio di Ned Stark.
«Lo sarà» sussurrò pianissimo il capitano delle guardie di Doran Martell, ma Tyrion riuscì a sentirlo. Automaticamente pensò ad Arya e al resto della sua famiglia. Se Jon fosse morto loro… Arya… No, non doveva pensarci. Non sarebbe accaduto. Non lo avrebbe permesso. Lo giurò sul suo onore.
Pensandoci bene l’onore non andava bene: era pur sempre un Lannister. Giurò allora sul denaro, ma in quel momento le finanze della sua casa avevano qualche problemino.
Mentre rifletteva su che cosa potesse giurare, dei mercenari li attaccarono.
Una volta tanto la sua bassa statura gli tornò utile. Riuscì infatti a passare sotto le gambe del suo nemico per poi colpirlo con un unico secco fendente alla schiena. Il mercenario imprecò e poi cadde esanime ricoprendo il terreno di sangue.
Tyrion ansimò e poi si toccò il petto. Il suo cuore batteva all’impazzata. Sembrava quasi che stesse per uscirgli dal petto.
“Non sono tagliato per queste cose” pensò.
Una cupa risata attirò la sua attenzione. Ramsay Snow stava crudelmente ghignando mentre faceva letteralmente a pezzi i suoi avversari. Quel ragazzo era veramente inquietante e senza pietà.
Brandelli di carne si trovavano tutto intorno alla sua figura e di tanto in tanto il giovane se ne portava qualche pezzo alla bocca sorridendo malevolmente.
Il Folletto fu quasi rincuorato nel venire attaccato da un altro mercenario pur di non vedere quell’orrore.
Il suo nemico, però, era molto forte. Con un poderoso calcio lo fece cadere per terra e poi gli piantò la spada nella scapola sinistra.
Tyrion lasciò andare l’ascia e urlò per il dolore.
Il sangue cominciò a fuoriuscire copioso dalla sua ferita annebbiandogli la vista.
L’uomo spinse ancora più in profondità la sua arma, quasi provando piacere nel sentire le sue grida di sofferenza.
Fortunatamente la sua agonia fu interrotta dall’arrivo di un meta-lupo nero e dagli occhi verdi. Esso si avventò come una furia sul mercenario squarciandogli la gola. Non contento, gli aprì anche il ventre e gli divorò le budella. La sua attenzione poi si spostò su Tyrion che nel frattempo, con molta fatica, era riuscito ad alzarsi.
«Cagnaccio, grazie. Il tuo intervento mi ha salvato la vita!» disse facendo poi un passo indietro. «Ehm… Mi riconosci, non è vero? Non vorrai forse…».
Il meta-lupo digrignò i denti e fece un passo avanti.
«Da bravo…».
Cagnaccio lo guardò ancora per qualche istante e poi corse ad aiutare Rickon che stava combattendo con un omone dai capelli ramati.
Tyrion si rese conto che stava trattenendo il fiato. Si rilassò leggermente. Sentì qualcosa di bagnato e guardò in basso.
“Oh fantastico” alzò gli occhi al cielo imbarazzato e arrabbiato allo stesso tempo.
«Fai finta che sia stata la neve» gli disse Jon arrivando zoppicando dietro di lui e con Lungo Artiglio e i vestiti tinti di rosso.
Areo Hotah – che aveva appena messo al tappeto un nemico – sorrise divertito.
«Non è divertente!» strillò il Folletto.
«No, certo che no».
«Credi che…» si interruppe notando ciò che stava accadendo poco più in là.
Areo e Jon guardarono nella sua stessa direzione e si irrigidirono all’istante.
Barba Insanguinata aveva appena atterrato Arya facendole perdere Inverno e Ago, e ora le stava puntando la spada alla gola pronto a squarciargliela.
«Arya!!» si udirono le voci preoccupate di Bran, Rickon e Gendry.
Era la fine. Non potevano aiutarla. Tutti erano impegnati a combattere contro qualcuno.
Persino Nymeria non poteva accorrere in suo aiuto.
Tyrion strinse forte i pugni. “No, non può morire. Non lei”.
«Fermati!» sentì dire ad Hotah.
Alzò la testa e vide Jon correre in direzione di Arya. Nonostante le sue ferite, nonostante la sua gamba scuoiata, lui stava correndo.
Iniziò a muoversi velocemente anche lui. Ignorò le dolorose fitte alla scapola sinistra, ignorò i mercenari che gli si paravano di fronte. L’unica cosa che doveva fare era correre, correre e correre. E poi… Poi si fermò paralizzato.
«Snow, snow» gracchiò un corvo dall’alto di un albero. Era il corvo del vecchio Mormont.
“Snow…”.
La neve cadeva sempre più fitta quasi a voler mostrare la sua rabbia per tutto il rosso che aveva tinto e impregnato la terra. Il bianco era il colore del Nord. Il bianco e nessun altro.
«Grano, grano».
La spada di Barba Insanguinata spuntava dal ventre di Jon. Questi, all’ultimo momento, si era gettato in avanti per proteggere sua sorella e l’uomo l’aveva trafitto. Cadde in ginocchio. Arya lo sorresse per non farlo cadere. Il mercenario rise.
«Jon, Jon! Perché… Tu non…» disse tra le lacrime e i singhiozzi la giovane Stark.
Il ragazzo le sorrise. «Sei la mia sorellina, nessuno può farti del male davanti ai miei occhi» tossì sputando sangue.
Nymeria e Spettro piombarono all’improvviso su Barba Insanguinata ferendolo al collo e alle spalle.
Ben Plumm arrivò in suo soccorso e cercò di colpire i due meta-lupi infuriati. Accorsero però anche Bran e Rickon con Estate e Cagnaccio per fermarlo.
«Un maestro! Un maestro!» urlò disperata Arya.
«È troppo tardi…» bisbigliò Jon.
«No, non lo è. Non lo è, non…».
Lui le accarezzò il viso e con le ultime forze rimaste affermò: «Colpisci con la parte appuntita».
«Jon… Jon!!» lo scosse Arya, ma lui non si mosse più.
La sua vita si era spenta nelle braccia della sua adorata sorellina.
«Snow, snow» gracchiò il corvo.
I meta-lupi ulularono. Gli Stark gridarono.
Tyrion cadde a terra. Guardò prima Arya e poi il corpo esanime di Jon. Sentì tutto il dolore e la sofferenza impossessarsi di lui. Copiose lacrime rigarono il suo viso.
Vide senza guardare e capì su che cosa avrebbe dovuto giurare.

 

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
La guerra è iniziata: si scopre che il responsabile di tutto è Barba Insanguinata, capo dell’Ordine dei Preti Barbuti (ora capite perché precedentemente alcuni personaggi hanno fatto riferimento a un Ordine)! Tutte le atrocità della guerra sembrano ripetersi.
Infine, Jon muore per salvare Arya. Ci ho pensato bene prima di farlo morire, ma alla fine sono giunta alla conclusione che  le cose dovessero andare in questo modo: cadere sul campo di battaglia difendendo la propria famiglia.
La guerra è causa di dolore e sofferenza e le persone amate possono non essere più fisicamente con noi da un giorno all’altro e questo gli Stark lo sanno bene.
Penso che abbiate intuito su che cosa avrebbe dovuto giurare Tyrion.
Detto questo vi saluto.
Al prossimo capitolo! :)
Violaserena.

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Capitolo 12
*** Arya ***


ARYA

 

Una lanterna illuminava il viso sorridente di Jon.
Arya lo guardava in silenzio, seria in volto. Un vecchio detto del Nord diceva che durante l’inverno faceva così freddo che la risata di un uomo gli si congelava in gola, soffocandolo sino alla morte.
Lei non aveva più riso dal giorno della battaglia.
Il gelo dominava nella cripta, ma lei non sentiva freddo. Non sentiva niente.
Guardò i lineamenti di pietra di Jon, poi di Robb e di suo padre. Sfiorò i loro volti, toccandoli con delicatezza come se potessero rompersi tra le sue mani da un momento all’altro.
Sentì Rickon singhiozzare e i meta-lupi guaire.
«Smettila di frignare. Non torneranno in vita» disse forse in maniera troppo acida.
Il suo fratellino cercò di asciugarsi le lacrime che ricadevano copiose sul suo bel viso.
«Ognuno manifesta il dolore come preferisce» affermò Bran con sguardo triste.
«Forse, se piangessi anche tu riusciresti…» cominciò a dire Sansa.
«Taci. Non ho voglia di sentire le tue stupide parole» le rispose.
Spettro le si avvicinò e le leccò una mano.
Lo guardò. Il meta-lupo albino, da quando Jon era morto, seguiva lei e Nymeria dappertutto. Non la lasciava mai sola. Mai. Forse, in un certo senso, era un modo che suo fratello aveva per starle vicino.
In fondo lo sapeva, lo sentiva: una parte di Jon era in Spettro. Così come una parte di lei era in Nymeria, di Bran in Estate e di Rickon in Cagnaccio.
«Credo sia meglio risalire» sussurrò sua madre.
Annuì. Incominciarono ad avviarsi verso l’uscita.
Benjen Stark – che era arrivato a Grande Inverno per il funerale dei caduti, in particolare del nipote – si accostò ad Arya e senza farsi sentire dagli altri disse: «Non smettere di vivere, non farlo mai».
«Non ho intenzione di…».
«Lo so. Interiormente intendevo. Non dimenticare è importante, ma andare avanti lo è altrettanto».
Lei rimase in silenzio.
Usciti dalla cripta, si separarono.
Un corvo – dall’alto di una torre – osservò attentamente la giovane Stark, mentre un altro gracchiava: «Snow, snow».
Accanto a lui un uomo con una maschera a forma di lupo sussurrò: «La morte non è la cosa peggiore. È un dono che il Dio dai Mille Volti ci fa, la fine alle nostre miserie e tribolazioni».
Jaqen H’ghar rimase immobile per qualche secondo, poi si tolse la maschera e si passò una mano sul volto, dalla fronte scivolando fino al mento. E dove quella mano passò, ogni cosa subì un mutamento. Il viso si fece più allungato, gli occhi divennero grigio scuro e la sua corporatura più snella. Quando scosse il capo i suoi lunghi capelli lisci, metà rossi e metà bianchi, si dissolsero. Al loro posto comparvero capelli castano scuro.
«Snow, snow» gracchiò di nuovo il volatile del vecchio Mormont.
Il corvo con tre occhi fissò l’assassino e poi disse: «Un tempo avevo un fratello che amavo, un fratello che odiavo, una donna che desideravo. Attraverso gli alberi li vedo ancora, ma nessuna delle mie parole li ha mai raggiunti. Il passato resta passato. Possiamo trarne un insegnamento, ma non lo possiamo modificare».
Jaqen sorrise e si passò nuovamente una mano sul volto riassumendo il suo precedente aspetto. Si rimise la maschera e affermò: «No, ma possiamo continuare a vederlo».
«Gli uomini dimenticano. Solo gli alberi ricordano».
«Non Arya, non gli Stark. Loro ricorderanno sempre. Il Nord non dimentica, dovresti saperlo».
Brynden Rivers abbozzò quello che avrebbe potuto sembrare un sorriso, poi sbatté le ali e volò via.
L’assassino rimase per un po’ a osservare l’orizzonte, poi scomparve.
«Grano, grano» si udì solo il gracchiare del corvo dei guardiani della notte.
Qualche metro più in basso, Arya entrò nella sua stanza insieme a Nymeria e Spettro.
Si coricò sul letto e chiuse gli occhi.
Della battaglia non ricordava quasi niente. Sapeva solo che l’esercito dei sovrani dei Sette Regni aveva vinto. Ricordava poi di aver ucciso Barba Insanguinata: l’aveva fatto a pezzi. Se lo meritava dopo quello che aveva fatto.
Ramsay le aveva espresso più volte i suoi complimenti. Doveva essere stata davvero crudele con il mercenario, ma non le importava.
Sangue di lupo scorreva in lei. Forse più che nei suoi fratelli.
I caduti erano stati molti da entrambe le parti: lord Bracken, Tytos Blackwood, Gerion Lannister, Obara e Nymeria Sand erano solo alcuni dei morti dell’esercito del Continente Occidentale.
Numerosi erano poi i feriti.
Sentì bussare alla porta.
Non andò ad aprire.
La porta si aprì lo stesso e Tyrion entrò.
Il nano avanzò lentamente. I meta-lupi non si mossero e lei nemmeno.
«Mi dispiace» le disse fermandosi al centro della stanza. «Non sono riuscito a proteggere tuo fratello».
Arya lo guardò per un lungo attimo e poi scoppiò a ridere. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, eppure quella fu l’unica cosa che fece.
Il Folletto sospirò. «Vorrei che ridessi per la gioia, non per schernire qualcuno».
«Devi ammettere, però, che quello che hai detto è molto divertente. Tu proteggere Jon?».
«Pensi che non sia in grado di proteggere qualcuno?».
«Guardando la fine che ha fatto mio fratello direi di no. Tu sei bravo a usare le parole e il denaro, ma in un combattimento tutto ciò non serve a niente».
«Già, non servono… Sono inutile, vero?».
«Tyrion… I-io… Sai che non lo penso. I-io sono solo…».
«…Una stupida ragazzina che non riesce ad accettare ciò che è successo!» esclamò Tommen entrando nella stanza.
«Ma come ti permetti?» rispose stizzita scendendo dal letto.
«Ho detto la verità, se poi tu non vuoi accettarla è un altro discorso».
«Taci!».
«Tommen, credo che…» cercò di fare da paciere il nano.
«Jon è morto, Arya. È morto! Fattene una ragione!».
«Stai zitto!» urlò lei stringendo forte i pugni.
Spettro e Nymeria fissarono il giovane Lannister.
«Non comportarti da stupida. Alzati e cammina. Continua a vivere!». Detto ciò le si avvicinò, le prese il volto tra le mani e la baciò.
Arya rimase immobile, sorpresa. Poi, ripresasi da quel gesto inaspettato, gli tirò un pugno.
Tommen indietreggiò, si toccò la guancia e sorrise: «Allora, dopotutto, sei ancora tu».
Lei girò la testa dall’altra parte, imbronciata e imbarazzata allo stesso tempo.
«Io so che cosa provi. Gerion è morto per salvarmi. Se solo fossi stato più forte, lui sarebbe ancora qui».
Arya chinò la testa mesta. Tutti avevano perso qualcuno di caro in guerra. Tutti. Eppure lei aveva pensato solo a se stessa e si era rinchiusa nel suo dolore respingendo coloro che le si avvicinavano. Aveva respinto i suoi fratelli, i suoi amici, le persone che più amava.
«Si dice che, qualunque cosa succeda, sia bene non piangere. Sia bene essere forti. Io credo che non sia vero. Perché quando si vuole piangere bisogna avere la forza per farlo» affermò serio Tyrion.
I meta-lupi si avvicinarono alla giovane Stark.
Lei li accarezzò dolcemente e poi diede un bacio sulla guancia prima a Tommen e poi al Folletto.
«Grazie» sorrise sinceramente.
Il figlio di Jaime divenne rosso come un peperone.
«Non svenire, ragazzo» lo prese in giro Tyrion.
Arya rise e poi si avviò verso la porta seguita da Nymeria e Spettro.
«Esci?».
Annuì. «C’è una cosa che avrei già dovuto fare da diversi giorni».
Si incamminò lungo i corridoi del palazzo di Grande Inverno. Sorrise e salutò tutti coloro che incontrava.
Uscì in cortile e, persa nei suoi pensieri, andò a sbattere contro qualcuno.
Era Gendry. Il giovane teneva in mano un elmo a forma di toro. Probabilmente era stato nelle fucine per ripararlo dalle ammaccature che aveva subito durante la battaglia contro i mercenari.
Nonostante fosse diventato re da più di due anni, Gendry non aveva perso l’abitudine di frequentare le fucine e di forgiare da sé tutto ciò che gli occorreva.
«Una lady dovrebbe sempre guardare dove cammina» la punzecchiò.
«Un sovrano dovrebbe sempre essere in ordine e pulito, non sporco di fuliggine o quant’altro».
«Sono un sovrano particolare».
«E io una lady particolare».
Sorrisero. Poi Gendry la abbracciò. Rimasero così per qualche tempo, in silenzio. Non c’era bisogno di parole.
«Grazie» gli sussurrò.
«Lo sai che se hai bisogno di me io ci sono».
«Lo so».
Restarono a parlare ancora per un po’, poi Arya si recò nel parco degli dei. Camminò lentamente osservando con nuovi occhi quel luogo. Si fermò davanti all’albero del cuore. Usò la sua abilità di metamorfo per entrare dentro di esso e viaggiò nel passato. Rivide lei e i suoi fratelli bambini correre nel parco e fare il bagno nelle pozze di fango, vide sua madre ridere e suo padre pregare. Vide un tempo che non c’era più, ma che poteva essere ricreato. Ritornò nel suo corpo e si girò sorridendo. Bran, Rickon, Sansa, sua madre, Estate e Cagnaccio erano lì. Ed erano lì anche suo padre, Robb e Jon, Vento Grigio e Lady. Lo sarebbero sempre stati.
Guardò Spettro e lo accarezzò dolcemente.
«Valar Morghulis» sussurrò.
Il meta-lupo leccò le lacrime che rigavano il suo volto. Così fecero anche Nymeria, Estate e Cagnaccio. I suo fratelli e sua madre si chinarono e la abbracciarono.
Era un abbraccio insolito, che comprendeva uomini e lupi. Insomma, era un abbraccio da Stark.
«Tutti gli uomini devono morire».
Jon era morto, ma sarebbe vissuto per sempre nel suo cuore.

 

 

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Siamo quasi giunti alla fine di questa storia: il prossimo capitolo sarà l’ultimo infatti!
In questa parte Arya è scossa per la morte di suo fratello, ma grazie alle parole dei suoi amici e della sua famiglia ritrova il sorriso. Il passato non può tornare, ma può essere sempre impresso nella memoria e nei nostri cuori.
Inaspettatamente poi Tommen bacia la giovane Stark (dove ha tirato fuori tutto questo coraggio? xD) e Jaqen, per un momento, assume l’aspetto di qualcuno di importante.
Che cosa succederà ora? Che cosa faranno i protagonisti?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo! :)
A presto,
Violaserena.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

In una bella e innevata città del Nord si udivano voci e canzoni gioiose.
Erano ormai passati tre mesi dalla battaglia contro i mercenari e a Westeros regnava di nuovo l’armonia.
I sovrani dei Sette Regni, con le rispettive corti, si erano riuniti a Grande Inverno per celebrare la festa di fidanzamento tra Sansa Stark e Brandon Tallhart. Secondo quanto si diceva, però, il matrimonio non sarebbe avvenuto prima del passare di sei o sette anni.
Sansa, infatti, intendeva rimanere ancora a Grande Inverno insieme alla sua famiglia.
Le alte pareti di pietra grigia della Sala Grande erano adornate di stendardi, non solo dei re, ma anche di molti loro alfieri.
La festa andava avanti ormai da tre ore. I fratelli, le sorelle e i parenti più prossimi dei monarchi sedevano assieme, appena al disotto della piattaforma sopraelevata sulla quale si trovavano i sovrani dei Sette Regni e i due promessi sposi.
Arya sentì qualcosa strusciarsi contro le sue gambe. Sorrise vedendo quattro paia di occhi, due dorati e due rossi.
«Ancora fame?» domandò piano a Nymeria e Spettro.
Al centro del tavolo era rimasto mezzo pollo marinato al miele. Allungò una mano per strapparne una coscia, poi ci ripensò. Aspettò il momento giusto e, quando nessuno la guardava, conficcò Ago nel volatile e lo lasciò cadere a terra tutto intero.
In un silenzio sinistro, quasi selvaggio, Spettro e Nymeria iniziarono a divorarlo.
Rickon si voltò verso di lei e sorrise divertito.
Le indicò poi Cagnaccio e Estate. Anche loro erano sotto il tavolo e anche loro stavano mangiando con gusto quello che i loro padroni avevano gentilmente sottratto dal banchetto.
Sansa gettò loro un’occhiataccia, mentre Bran guardò il soffitto, facendo finta di niente.
A quanto pareva non erano passati del tutto inosservati.
Sentirono poi Stannis dire alla loro madre: «Davvero, è impossibile non notarli».
Arya e Rickon arrossirono.
No, decisamente non erano passati inosservati.
Si guardarono, sorrisero e si protesero sotto il tavolo e scompigliarono la pelliccia dei loro meta-lupi. Essi li guardarono, diedero un piccolo colpo alla loro mano con il naso e ripresero a mangiare.
Lo sguardo della giovane Stark si spostò poi su Ago. Era stato Jon a regalargliela. Non avrebbe mai potuto separarsi da essa, mai. Inverno era una spada migliore, ma Ago… Ago era Robb, Bran, Rickon, sua madre, suo padre e anche Sansa. Ago erano le pareti grigie di Grande Inverno e le risate della sua gente. Ago erano le nevicate estive, le storie della vecchia Nan, era l'albero-cuore con le sue foglie rosse e il terribile volto scolpito nel legno, era l'odore caldo di terra dei giardini coperti, il vento del Nord che faceva sbattere le imposte della sua stanza. Ago era il sorriso di Jon Snow.
Finito il banchetto, i presenti uscirono nel cortile per assistere a uno spettacolo organizzato dai menestrelli e dai cantastorie. Neanche a dirlo Tom Sette dominava la scena.
«È bello vedere di nuovo tutti felici» disse Tyrion avvicinandosi ad Arya.
«Già. Guerre e sofferenze ci saranno sempre, ora l’ho capito. Ma non per questo dobbiamo smettere di vivere. Dobbiamo combattere per ciò che crediamo, per chi amiamo».
«Per un mondo migliore, eh?».
«Per tutto» sorrise. «Che cosa farai ora? Tornerai a cercare Tysha?».
«No, tornerò a Castel Granito. L’ho cercata per due anni e non l’ho trovata. Tuttavia non per questo ho perso la speranza. Io so che lei è viva, lo sento. Questa volta, però, sarà lei a dovermi venire a cercare».
«Un giorno vi rivedrete, ne sono certo» affermò Jaime con tono convinto.
«E quando quel giorno verrà, sarò il nano più felice e fortunato di tutti».
«Più fortunato di te non so davvero chi possa esserci».
Risero.
In fondo era questo ciò che era mancato negli ultimi tempi: un sorriso, una allegra risata. Semplicemente un momento felice.
«A proposito Arya, chi sceglierai?» le chiese Jaime indicando Tommen e Gendry.
Lei arrossì lievemente.
«Un giorno lo saprai».
Sansa e Brandon Tallhart alzarono al cielo le coppe e brindarono per un futuro sereno per tutti.
Cominciò a scendere un leggero e delicato nevischio su Grande Inverno.
La battaglia contro i mercenari sembrava un lontano ricordo. Ma non era realmente così: il tempo passa, i ricordi restano. Possono sbiadirsi, ma rimangono per sempre.
«Non sarebbe bello se fosse sempre così?» domandò Bran, osservando gli invitati scherzare, ballare, cantare.
«Si, ma si può sempre fare di meglio» gli strizzò l’occhio Arya.
«Che intendi?».
La giovane Stark si chinò, raccolse della neve, la appallottolò e la lanciò contro suo fratello.
«È così? Bene, allora vedrai!» sorrise lui chinandosi a sua volta.
Nel giro di poco tempo, tutti si stavano tirando addosso palle di neve.
Persino Sansa non si era tirata indietro. E nemmeno Stannis, i Greyjoy, Arianne, Samwell.
Era una guerra di tutti contro tutti.
In fondo, chi aveva mai detto che una guerra dovesse per forza prevedere il cozzare di spade e finire con un bagno di sangue?
Tra infinite risate e fiocchi di neve si stava svolgendo la battaglia più divertente di tutte.
Un corvo volò sulle loro teste.
«Snow, snow» gracchiò.
Snow, neve.
I meta-lupi ulularono.
Brynden Rivers, dall’alto della torre spezzata, sorrise.
Chiuse gli occhi e la sua anima svanì piano piano mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine su tutti i vivi e i morti.
Il vento era cambiato.
I venti erano cambiati.
Erano venti di guerra.
Ma era una guerra diversa da tutte le altre.

 

 



Angolo Autrice.
Ciao a tutti! :)
Anche questa storia, infine, è giunta al termine.
Spero vi sia piaciuta.
Ringrazio tutti coloro che l’hanno letta, messa tra le preferite/seguite, lasciato una recensione o inviato un messaggio privato. Insomma, GRAZIE A TUTTI!! :)
Un bacio,
Violaserena.

P.S. Scusate se alla fine non vi ho svelato chi ha scelto Arya tra Gendry e Tommen. Certe cose devono rimanere nell’ombra! xD

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