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NDA: i commenti
sono sempre apprezzati. Mi fa piacere sapere cosa ne pensate :)
Grazie a StillAnotherBrokenDream
per il continuo supporto <3
PROLOGO
Lisa Sullivan sospirò
raggiungendo la piccola finestra
che dava sulla cucina. Non avrebbe saputo dire quante volte il
campanellino sul marmo pregiato avesse suonato per avvertirla che
un'altra ordinazione era pronta, ma dal suo mal di testa avrebbe
detto tranquillamente un milione.
L' Elite era il lounge bar più
in voga della città da
quanto Jacob Mayer lo aveva preso in gestione dopo che il padre era
morto.
Il bar era salito di livello ma la paga
decisamente no.
Lisa sospirò prendendo il
vassoio. Un aperitivo
alcolico, uno analcolico e stuzzichini extra per alcuni clienti che
evidentemente erano decisamente importanti. Si guardò
intorno
prendendosi un attimo per alleviare il dolore che sentiva ai piedi e
si lisciò il grembiule.
Avvocati, medici, architetti e la creme de
la creme di
New York; tutti in quell'unico locale a parlottare tra loro di casi
impossibili, pazienti difficili e progetti ambiziosi. Nel
portadocumenti una serie di carte di credito gold, addosso completi
cuciti su misura e sul viso l'aria furba tipica degli uomini di
potere.
Cose parecchio lontane dalla sua vita.
«Lisa!»
la richiamò il capo «Ma che diavolo
stai facendo
inchiodata lì come una statua di sale?»
Lei scosse il capo ridestandosi dai suoi
pensieri e
abbozzò un sorriso «Scusi Jacob,» disse
«mi stavo solo riposando
un attimo. Serata piena.»
«Beh visto che vuoi venire qui a
riposare forse è
meglio che detragga dalla tua paga i tuoi attimi di riposo.
Che ne dici?»
«No signore.»
replicò lei passando dall'altra parte
del bancone «Non sarà necessario. Torno subito al
lavoro.»
«Bene!»
La donna si incamminò. Si
inumidì le labbra
stampandosi un sorriso sul viso e raggiunse il tavolo. Servì
i
clienti con gentilezza e poi si avvicinò ad un altro tavolo
appena
occupato.
Conosceva la donna che vi si era appena
seduta, si
chiamava Jessica Pearson ed era a capo dello studio legale
più
grande della città. L'aveva vista diverse volte, con alcuni
clienti,
con qualche uomo; sempre con persone molto distinte ed eleganti.
Ordinava sempre la stessa cosa; un Martini con doppia oliva e delle
tartine al salmone. Lasciava delle ottime mance, ed aveva un bel
sorriso anche se Lisa era certa che non fosse sempre del tutto
sincero. Aveva l'espressione di una cacciatrice sempre pronta a
trovare nuove prede e a non lasciarsi sfuggire quelle già
catturate.
Dopotutto, considerato che era una donna in una vasca piena di uomini
squalo e che era arrivata comunque in alto, non avrebbe potuto essere
altrimenti.
Quella sera era lì con un uomo
che Lisa non aveva mai
visto. Prese il blocchetto delle ordinazioni e sorrise ad entrambi
«Buonasera,» disse «sono Lisa e mi
occuperò di voi stasera. Cosa
posso portarvi?»
L'uomo, di cui Lisa non sapeva il nome, le
sorrise «Hai
l'aria stanca, Lisa.»
Lei abbozzò un sorriso
«Servire tutto il giorno ai
tavoli può essere molto stancante signore.»
«Chiamami Harvey,»
rispose lui «signore mi fa
sentire vecchio.»
Lisa abbassò per un attimo lo
sguardo, poi lo rialzò
su di lui «Se non le dispiace preferirei di no. Questo
è il mio
posto di lavoro e»
«Bene allora dimmi a che ora
stacchi. Faremo una
passeggiata e fuori da qui potremmo essere amici.»
La donna al tavolo con lui si
schiarì la voce
accennando un sorriso e Lisa rimandò indietro un ciuffo di
capelli
sfuggito all'elastico.
«Signore,»
iniziò «so che è facile cadere vittima
dei soliti cliché sulle cameriere ma a dispetto di quel che
crede,
io non lavoro qui perché amo l'idea di uomini ricchi e
ambigui che
provano a portarmi a letto. Quindi, la prego, mi dica cosa vuole bere
così che io possa tornare al lavoro. Il mio capo non ama che
si
perda tempo.»
Harvey sorrise volgendo lo sguardo a
Jessica Pearson, e
proprio lei prese la parola «Prenderemo due Martini con
doppia oliva
e delle tartine.»
Lisa annuì «Arrivano
subito.»
«Lisa,» le disse Harvey
«ho molto apprezzato la tua
sincerità. Credo davvero che io e te potremmo essere amici
se tu
volessi.»
«Signore,»
replicò lei sorridendo «non so molte cose
della vita, ma di una cosa sono certa; gli uomini come lei non
diventano amici delle donne come me. Con permesso.» si
allontanò
bloccando il vassoio sotto il braccio e li lasciò soli.
Jessica Pearson rise poggiando le mani
intrecciate sul
tavolo «A quanto pare esistono delle donne capaci di
resistere al
tuo fascino.»
Harvey piegò poco il capo
guardandola con aria beffarda
«Cederà.»
«Non ci conterei ma... buona
fortuna, signore.»
lo canzonò.
Harvey Specter rise lanciando un'occhiata a
Lisa dietro
il bancone. Sarebbe stata dura, Jessica aveva ragione. Ma Lisa era
bellissima e lui era Harvey Specter, il miglior mediatore di New
York. Aveva sempre ciò che voleva e riusciva ad ottenerlo
con
classe.
*****
«A domani Lisa.»
Lisa sorrise a Stacy, la sua collega e la
salutò con un
gesto della mano. Non riusciva a credere che quella giornata
infernale fosse finalmente finita. Non vedeva l'ora di tornare a casa
e anche se pagare un taxi per portarla fino a lì le sarebbe
costato
almeno metà delle sue mance, si sentiva troppo stanca per
prendere
l'autobus quella sera. In fondo, pensò, aveva lavorato duro
e presto
sarebbe stato il suo compleanno; si sarebbe fatta un regalo in
anticipo.
Sospirò riflettendo sul fatto
che, probabilmente il
giorno dopo se ne sarebbe pentita, ma non cambiò idea. Non
quella
sera. Ripiegò la divisa ordinatamente dentro il borsone e
sobbalzò
quando rialzando gli occhi si ritrovò Jacob davanti.
«Jacob!»
esclamò «Non l'avevo sentita arrivare. Mi
ha spaventata a morte.»
L'uomo non si mosse di un millimetro
«Mi hanno detto
che oggi hai rifiutato le avances di un cliente. E' vero?»
«Si.»
«E perché,»
disse lui facendo un inchino «di
grazia?»
«Non sono qui per assecondare le
avances dei clienti,
sono qui per fare la cameriera. Se avessi voluto essere preda di
uomini ricchi e potenti avrei fatto la spogliarellista, o la escort.
O magari entrambe.» disse con tono ironico.
Jacob alzò un sopracciglio
«Ti va di fare la spiritosa
forse?»
«Rispondevo semplicemente alla
sua domanda.»
«Beh la tua risposta ti
è appena costata le mance
della serata.»
Lisa strinse forte il borsone e gli si
avvicinò «Lei
non può togliermi le mance della serata per questo motivo.
Non è
corretto.»
L'uomo alzò le mani abbozzando
un sorriso «Uuh...»
mormorò «cosa vuoi fare? Dirlo al capo? Oh
aspetta. Sono io il
capo.»
«Signor Mayer, ho bisogno di
quelle mance.»
«Non è un mio
problema. E ora fuori prima che decida
di licenziarti.»
Lisa Sullivan avrebbe voluto rispondergli,
o magari
tirargli contro qualcosa. Ma se era vero che aveva bisogno di quelle
mance, era ancora più vero, e triste, che aveva bisogno di
quel
lavoro e l'unico modo per tenerselo era assecondare quello squallido
capo. Si mordicchiò il labbro sperando di riuscire a
trattenere le
lacrime ma qualcuna sfuggì al suo controllo mentre usciva
dalla
grande porta di vetro. «Addio taxi.»
mormorò con la voce
incrinata.
Mise le mani nelle tasche del cappotto e
corrugò la
fronte camminava verso la fermata dell'autobus. Non poteva credere
che lo avesse fatto davvero. «Come faceva a sapere quando
avrei
staccato?»
L'uomo rise fermandosi di fronte a lei
«Non lo sapevo.»
«Quindi vuole farmi credere che
ha aspettato qui fuori
per ore in attesa che il mio turno finisse.»
«Mi crederesti se ti dicessi che
è così?»
Lisa scosse il capo e si asciugò
il viso «No. Ma non
fa alcuna differenza. Mi dispiace, ma devo andare a casa ora.»
Harvey Specter corrugò la fronte
mentre lei lo superava
passandogli accanto. Di solito quello era il momento in cui le donne
iniziavano a cedere, ma non lei. «Ho un'auto. Posso
accompagnarti se
vuoi.»
Lisa si voltò a guardarlo
«Sono sicura che ha anche un
autista e i sedili riscaldabili e probabilmente lo stereo pieno di
canzoni blues, ma non sono interessata. E inizio a trovare la sua
insistenza piuttosto fastidiosa. Stasera mi è già
costata le mie
mance.»
«Le tue mance? Che
significa?»
La donna continuò a guardarlo
mentre faceva qualche
passo all'indietro «Significa che questa conversazione
finisce qui.
Buonanotte signore.» si voltò camminando a passo
più svelto ed
Harvey, confuso, pensò che era il caso di fare due
chiacchiere con
Jacob Mayer per capirne di più.
So
che è passato tanto tempo dall'ultima volta che ho
aggiornato questa storia ma l'ispirazione mi aveva abbandonata :( ora
è tornata :) Buona lettura, Roby.
CAPITOLO
1
Lisa
si rigirò un’altra volta nel letto.
Guardò la sveglia sul
comodino e sospirò; segnava le 4.45 e per quanto volesse
riuscire a
dormire almeno un’altra ora, decise che era giunto il momento
di
alzarsi.
Non
avrebbe comunque chiuso occhio, i pensieri che le frullavano in testa
erano troppi, quindi tanto valeva iniziare la sua giornata. Si
alzò
lentamente, e aprì poco gli infissi, più per
abitudine che per
altro. Si infilò velocemente sotto la doccia e
indossò la sua tuta
da ginnastica. Era vecchiotta, pensò ma
in fondo lei la
indossava raramente. Fermò i capelli in una disordinata coda
di
cavallo e si accertò di non aver svegliato Bruno.
Prese
il guinzaglio di Rufus, che scodinzolava felice guardandola come in
attesa, e lo agganciò al collare insieme alle chiavi di
casa. Uscì
richiudendosi lentamente la porta alle spalle e fece un grosso
respiro inalando l’aria gelida di New York. Il sole stava
lentamente sorgendo e lei si sentiva come in trappola.
«Andiamo
Rufus» disse al suo amico a quattro zampe. Il cane la
seguì giù
per i tre gradini che li separavano dalla strada e tenne il ritmo
come meglio poteva quando lei iniziò a correre.
*****
Harvey
Specter si fermò per bere un sorso d’acqua dalla
fontana al parco.
Roteò il collo per due volte, come per sciogliere la
tensione e si
fermò ad ammirare la città. Quell’ora
del mattino era l’ideale
per fare una corsetta; poca gente in giro, un relativo silenzio e
soprattutto nessuna fila al suo chiosco di caffè preferito.
Sorrise
arricciando poco la bocca, come era solito fare. Viveva una bella
vita; successo, donne, soldi e un lavoro che amava e che dopo tanti
anni era ancora capace di dargli quelle scariche di adrenalina che
lui riteneva fondamentali per sentirsi vivo.
Senza
che se ne rendesse conto il suo pensiero volò a quella donna
bella e
con gli occhi tristi che la sera prima gli aveva servito da bere e
gli aveva dato il ben servito. Non era mai successo e il fatto che
quella Lisa lo avesse respinto lo intrigava incredibilmente. Aveva
fatto quattro chiacchiere con quel Jacob Mayer alla fine, e, con i
suoi modi, la storia delle mance era stata risolta completamente. In
più Lisa avrebbe ricevuto una piccola sorpresa al suo
rientro al
lavoro. Una sorpresa che, Harvey sperava, le avrebbe fatto piacere.
Sospirò
guardando in basso e il sorriso si allargò sul suo volto.
«Ciao
amico» disse piegandosi sulle ginocchia e facendo scorrere la
sua
mano sul pelo dorato del cane. «Ti sei perso?»
«No,
è solo molto disubbidiente.» sentì dire.
L’uomo
alzò gli occhi e corrugò per un attimo la fronte
prima di
rimettersi in piedi. Lisa se ne stava di fronte a lui, il viso
arrossato, le labbra rosate dischiuse. Sembrava avesse corso per ore,
ma era comunque bella come la ricordava. «La vita
è proprio
strana…» sussurrò.
«Mi
dispiace per Rufus,» rispose lei prendendolo delicatamente
per il
collare «tecnicamente dovrebbe essere addestrato ad
ascoltarmi
quando gli dico di non fare una cosa. Ma temo che abbia passato
troppo tempo con Bruno. Dopotutto sta a casa con lui più di
quanto
ci stia con me, è normale che obbedisca più a lui
che a me oramai.»
Harvey
deglutì mettendo le mani nelle tasche dei suoi pantaloni
sportivi.
Bruno… ecco perchè aveva rifiutato le sue avance,
c’era già
qualcuno nella sua vita. «Bruno?» chiese. E non si
rese neppure
conto di aver parlato.
Lei
annuì distratta passandosi una mano sui capelli legati
«Si. Bruno è
mio zio. Vive con me e Rufus.»
Lui
annuì poco. «Lisa, Bruno… qualcosa mi
dice che tu non sei
propriamente americana.»
«Wow!»
esclamò Lisa riagganciando il guinzaglio al collare del cane
«Sei
davvero sveglio.» Il suo tono era sarcastico e Harvey non
poté fare
a meno di sorridere. «Devo andare ora.» aggiunse
lei «Ehm… mi
dispiace per ieri sera. Hai provato ad essere gentile con me ed io
sono stata scortese. Ma avevo avuto una brutta serata. Non che questo
giustifichi il mio comportamento, tu non c’entravi nulla
anche se
ti ho accusato del contrario. È solo che… Mi
dispiace. Ecco
tutto.» abbozzò un sorriso e sulle sue guance
spuntarono due
deliziose fossette. Harvey piegò poco il capo, trattenendo
la voglia
di alzare la mano e accarezzarle il viso.
Che
diavolo gli stava succedendo? «Non importa» le
disse «lo capisco»
Lisa
annuì e si schiarì la voce «Beh, ci
vediamo in giro allora. Anche
se dubito fortemente che, a parte questo parco forse, io e te
frequentiamo gli stessi posti.»
L’uomo
fece spallucce indietreggiando di qualche passo «Io invece
credo che
ci rivedremo molto presto.» le disse prima di voltarsi e
riprendere
la sua corsetta, stavolta verso casa.
*****
Lisa
entrò dentro il locale sicura che quello sarebbe stato un
giorno
infernale. I piedi le facevano male dentro quelle scomode scarpe che
Jacob costringeva tutte ad indossare e si sentiva talmente stanca da
riuscire a malapena a tenere gli occhi aperti. Sbadigliò
troppo
esausta per coprirsi la bocca con la mano, ma tanto non c’era
ancora nessuno, e raggiunse gli armadietti dalla parte opposta della
sala. Posò le sue cose ordinatamente e spense il cellulare
prima di
indossare il grembiule.
Si
voltò per tornare in sala e sobbalzò ritrovandosi
Jacob davanti.
«Cazzo!» esclamò. Si coprì la
bocca con la mano e scosse il capo
cercando di riprendere il controllo «Mi scusi, mi ha
spaventata.»
L’uomo
sospirò e allungò la mano verso di lei. Le porse
cinquecento
dollari e rimise il resto delle banconote in tasca prima di parlare
«Ecco le tue mance di ieri.» Le disse «E
congratulazioni, ho
appena deciso di darti un aumento. Avrai seicento dollari in
più a
partire dal prossimo stipendio.»
«Non
capisco» mormorò lei sorpresa «ieri non
voleva neppure darmi le
mance e ora mi sta persino dando un aumento. Si sente bene?»
«Sto
benissimo.» rispose l’uomo rude «E ora
inizia a lavorare.»
Lisa
lo guardò allontanarsi e sospirò guardando i
soldi stretti nella
sua mano. Non si sarebbe di certo lamentata, ma tutto sembrava fin
troppo strano. Decisamente sospetto. Mise le banconote in tasca
decidendo che ci avrebbe pensato dopo, in quel momento non ne aveva
il tempo. Raggiunse la sala, che come per magia si era riempita di
gente, e si avvicinò ad un tavolo per prendere la prima
ordinazione
della serata.
«Salve,
sono Lisa e mi occuperò di lei stasera. Cosa posso
portarle?»
La
donna, una mora con due occhi azzurri da gatta, guardò il
suo
riflesso nello specchietto da borsa e scosse il capo «Sto
aspettando
qualcuno. Non sono ancora pronta ad ordinare.»
«Okay
allora. Tornerò quando la persona che aspetta
sarà arrivata.»
«È
arrivata!» esclamò una voce dietro di lei.
Lisa
sobbalzò appena, guardò l’uomo prendere
posto e sorridere alla
donna di fronte e annuì impercettibilmente cercando di
ignorare
l’incontrollabile senso di disappunto che provava.
«Bene!»
esclamò «Cosa posso portarvi?»
Harvey
sorrise «Ci affidiamo a te, Lisa.» le disse.
«Ti avevo detto che
ci saremmo rivisti presto o no?»
«Si.»
mormorò lei «Vado a prendervi dei drink, signore.
Torno subito.»
L’uomo
la guardò allontanarsi, concentrandosi solo su di lei, su
quell’incedere sicuro ma stanco. Solo quando la sua compagnia
gli
toccò la mano si ricordò di non essere solo.
Sfoderò il suo
miglior sorriso e le disse quello che diceva quasi ad ogni donna.
«Sei molto bella stasera.»
*****
Lisa
si coprì un orecchio con la mano e poggiò la
cornetta sull’altro.
Non riuscì a capire benissimo quello che le stavano dicendo
ma una
cosa l’aveva capita chiaramente: NYC Central Hospital.
Lasciò
cadere la cornetta che penzolò fino a sfiorare il pavimento
e corse
fuori dal locale togliendosi il grembiule e lasciandolo cadere per
terra.
Harvey
stava ancora sorseggiando il suo drink quando la vide uscire fuori
dal bar con tanta fretta. Si guardò intorno cercando di
capire cosa
fosse successo ma tutto quello che vide furono una serie di occhi
perplessi che ben presto tornarono a concentrarsi sui bicchieri. Si
alzò, chiedendo scusa alla sua “amica” e
si avvicinò ad
un’altra cameriera che aveva appena rimesso a posto il
telefono
«Cos’è successo a Lisa?»
Lei
fece spallucce «Non lo so con precisione, ma pare che
qualcuno sia
finito in ospedale. Credo si tratti di suo zio.»
«Quale
ospedale?»
«Non
lo so davvero, mi dispiace.»
Harvey
sospirò e tirò fuori dalla tasca una banconota da
cento dollari. La
diede alla cameriera e sorrise «Ti dispiace recuperare la
roba di
Lisa per me? Il suo cellulare, la sua borsa, qualunque cosa abbia
dimenticato nella fretta.»
«Si,
certamente» rispose lei infilandosi la banconota in tasca.
«Torno
subito.»
Harvey
mise le mani in tasca e raggiunse il tavolo al quale la “sua
donna”
lo stava aspettando «Mi dispiace dolcezza. Ma dobbiamo
rimandare la
nostra serata. Ho una cosa molto importante di cui
occuparmi.» le
disse. Prese il cellulare dalla tasca e compose rapidamente un
numero. «Donna!» esclamò «Ho
bisogno che chiami tutti gli
ospedali della città. Voglio sapere dove si trova un uomo di
nome
Bruno.» riattaccò senza aspettare risposta e
sorrise al suo
“appuntamento” mentre usciva dal bar con le cose di
Lisa strette
tra le mani.
Lisa scosse il capo passandosi le mani tra i
capelli.
Tirò via l'elastico e li lasciò muoversi leggeri
lungo le spalle
stringendone qualche ciocca tra le dita. Chiuse gli occhi lasciando
che i pensieri le scivolassero via dalla mente e ripercorse
silenziosamente l'ultima ora trascorsa in quell'ospedale.
Fece un grosso respiro ignorando il mal di testa
martellante. Ricapitolando, suo zio aveva avuto un principio di
infarto, il suo capo aveva chiamato per urlarle che era licenziata e,
ciliegina sulla torta, il medico l'aveva avvertita che i documenti di
suo zio non risultavano in regola e che per questo l'ospedale si
trovava costretto a chiamare l'ufficio immigrazione.
«Mi scusi,» disse avvicinandosi
all'infermiera alla
reception «ehm io avrei bisogno di fare una telefonata ma
nella
fretta di venire qui ho dimenticato la mia borsa con tutto dentro al
lavoro.»
«Mi spiace,» le rispose
l'infermiera sorridendo «ma
il telefono dell'ospedale è solo per il personale. Ce
n'è uno a
gettoni proprio qui fuori però.»
Lisa annuì abbozzando un sorriso, mentre
tutto
quello che voleva fare era urlare.
Quando si era trasferita a New York, sei anni
prima,
era una ventiseienne speranzosa, piena di vita e desiderosa di vivere
il grande sogno americano. Suo zio stava benissimo, Rufus era un
cucciolo e tutto sembrava roseo.
Ma niente era andato secondo i piani e ora il mondo
sembrava crollarle addosso mentre indossava il grembiule di un
elegante bar dove non lavorava più e che di elegante aveva
solo
l'aspetto.
Scoppiò a piangere, inaspettatamente,
senza che
riuscisse a controllarsi e si passò la mano sul viso mentre
riprendeva il suo posto sul divanetto della sala d'attesa.
Velocemente i singhiozzi presero possesso del suo corpo. Tremava
senza riuscire a fermarsi e il mal di testa sembrava peggiorare di
minuto in minuto.
Era sola, si accorse. Completamente sola.
*****
Harvey scese dall'auto e richiuse la
portiera dietro di sé. Corrucciò la fronte quando
si ritrovò
davanti Mike e Donna e scosse impercettibilmente il capo avviandosi
verso l'entrata dell'ospedale.
«Che ci fate qui?» chiese
«Anzi no, non
voglio saperlo.»
Donna incrociò le braccia sul petto
mentre lo seguiva a passo svelto. «Mi hai chiamata nel cuore
della
notte per chiedermi di trovare un tizio di nome Bruno. Ho parlato con
tutti gli ospedali della città e finalmente, quando alla
fine l'ho
trovato, ero così stanca che la mia voce faticava ad uscire.
Non mi
avresti chiamata se non fosse qualcosa di importante e qualcosa di
importante nel magico mondo di Harvey significa solo due cose: un
cliente importante o una donna. E considerato che io conosco tutti i
nostri clienti e la loro storia familiare e nessuno di loro
è
collegato ad un uomo di nome Bruno, direi che ci troviamo di fronte
alla seconda opzione. Ed io voglio sapere se ne vale la
pena.» disse
tutto d'un fiato. «Voglio sapere se la donna per cui ho perso
il mio
sonno di bellezza ne vale la pena.»
Harvey scosse il capo abbozzando un
sorriso, ma la sua espressione rimase preoccupata mentre stringeva
tra le mani la borsa di Lisa. «E tu perchè sei
qui?» chiese a
Mike.
«Onestamente?» rispose lui
assonnato
«Non ne ho idea. Donna mi ha chiamato dicendo che era
urgente.»
«Potrebbe esserlo!»
precisò lei.
«Reparto di cardiologia, terzo piano.» aggiunse
mentre le porte
dell'ascensore si chiudevano davanti ai loro occhi.
Quando si riaprirono sul terzo piano,
Harvey avanzò lento e si guardò
intorno. Eccola lì Lisa
Sullivan. Piccola e fragile seduta su un divanetto mentre i
singhiozzi la scuotevano. Piegò poco il capo sospirando
piano e
diede una rapida occhiata a Donna e Mike «Prendete qualcosa
di caldo
da bere per favore.»
Donna ridusse gli occhi ad una fessura,
negli occhi del suo capo e amico c'era una luce diversa e non
riusciva bene a capire cosa fosse. Fece cenno a Mike e si
allontanò
con lui mente Harvey avanzava verso Lisa.
Lei alzò gli occhi quando vide una
figura
affiancarla e li spalancò perplessa quando lo riconobbe. Si
asciugò
velocemente il viso e sospirò «Che ci fa lei
qui?»
«Lei?» chiese Harvey sedendosi
accanto a
lei. «Credevo che fossimo andati oltre questa fase formale.
Che
fossimo amici oramai.»
Lisa abbozzò un sorriso triste
«Dubito
che tu voglia essere mio amico. Io sono una semplice cameriera, fra
qualche settimana non ti ricorderai neppure il mio nome. Quindi
risparmiamoci la fatica e teniamo le distanze sin da subito.»
«Tu credi di aver capito tutto di me non
è vero? Va bene, sarà più divertente
quando cambierai idea.»
La donna scosse il capo e allungò le
mani
per prendere la sua borsa «Grazie.»
mormorò tirando fuori il suo
cellulare «Ora scusami, ma devo fare una telefonata
importante.»
disse alzandosi.
Lui intrecciò le dita
«Aspetta. Come sta
tuo zio? C'è qualcosa che posso fare per aiutarti.»
«A meno che tu non faccia miracoli
no.»
«Sta così male?»
Lei si schiarì la voce mentre cercava un
numero «Starà bene. Ha avuto un principio di
infarto, ma per
fortuna si riprenderà. È tutto il resto che non
va.» fece cadere
la borsa per terra con fare nervoso e strinse i pugni
«Dio!»
esclamò. «Perchè non me ne va una
giusta?»
Donna le passò affianco, seguita da Mike
e le si fermò davanti. La osservò per alcuni
minuti, le labbra
rosate, la pelle di porcellana, gli occhi nocciola e brillanti.
Sembrava furiosa e stanca ma era comunque bella. Guardò
Harvey per
un attimo e sospirò poggiando di nuovo lo sguardo su di lei
«Eh
si!» esclamò. «Ne valeva la
pena.» mormorò porgendole un tè
caldo «Io sono Donna, sono l'assistente di Harvey.
È
tè, bevilo, ti farà bene.»
Lisa corrugò la fronte e
guardò la
donna. Il suo sguardo si posò poi sull'altro uomo e infine
su
Harvey. «Non so che razza di gioco tu stia giocando o quale
sia il
tuo scopo finale o se tu sia fuori di testa o meno.» gli
disse
avvicinandosi. «Ma
comincio davvero a stufarmi di averti intorno. E non provare a dire
che lo fai perchè vuoi essere mio amico. Lo fai
semplicemente perchè
vuoi infilarti nelle mie mutandine, perchè probabilmente mai
nessuna
donna è stata capace di resisterti ed io sono un'eccezione
che ti
manda fuori di testa. Il grande avvocato, chi potrebbe dirgli di no?»
disse alzando poco la voce. «Lascia che ti dica chiaramente
come
stanno le cose e lascia che lo faccia una volta per tutte; noi non
siamo amici. E non lo saremo mai. Apparteniamo a due mondi
completamente diversi e questo non cambierà. Quindi ti
ringrazio di
avermi portato le mie cose, ma» si fermò di colpo.
Le gambe le
tremarono, la stanza iniziò a girare sotto i suoi occhi e
l'ultima
cosa che vide prima che il buio la avvolgesse completamente, furono
le braccia dell'uomo in giacca e cravatta che la afferravano.
NA: Spero
che questa storia abbia ancora qualche fan e che magari ne guadagni di
nuovi. Lasciatemi un commento se vi va. Roby.
3.
Il bip delle macchine collegate al suo braccio la fece
svegliare. Lisa aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno per un momento.
Si sentiva disorientata e stanca e la giornata appena trascorsa le ripassò
velocemente davanti alle palpebre socchiuse. Il lavoro, l'aumento, lo strano
comportamento del suo capo e poi la telefonata che la avvisava che Bruno era
stato male. Una rapida successione di immagini che le fecero venire voglia di
chiudere di nuovo gli occhi ed abbandonarsi ad un sonno profondo.
"Sei sveglia finalmente."
Lisa si voltò in direzione della voce e piegò poco il
capo fissando il viso davanti a sé. Harvey Specter se
ne stava poggiato alla porta, le mani chiuse nel suo completo elegante, i
capelli in ordine, sul volto un'espressione che a lei sembrò preoccupata ma
che, pensò, non aveva motivo di essere; non erano così amici in fondo. Anzi,
non erano affatto amici.
"Che ci fai qui?" chiese sollevandosi poco
fino ad essere seduta.
Lui avanzò di qualche passo e trascinò una sedia fino
al lato del letto. Poi si mise a sedere. "Mi sei praticamente svenuta tra
le braccia. Il che mi capita molto spesso a dire il vero, quasi con tutte le
donne che incontro," scherzò. "ma mi sentivo in dovere di assicurarmi
che stessi bene."
"Rufus!" esclamò lei cercando con gli occhi
il suo cellulare. "Devo chiamare Stacie, la mia
vicina di casa e dirle di dar da mangiare a Rufus."
"Il mio associato ha già provveduto" le
disse Harvey. "Tuo zio si è svegliato, abbiamo fatto amicizia e gli ho
raccontato cosa è successo. Mi ha dato le chiavi del vostro appartamento e Mike
è andato a dar da mangiare a Rufus."
Lisa annuì distrattamente lasciando che qualche
lacrima le scendesse leggera sul viso. Doveva ammetterlo, forse si era
sbagliata su quell'uomo che, nonostante tutto, la stava trattando bene come mai
nessuno prima.
"Grazie," mormorò asciugandosi il viso.
"mi dispiace di essere stata scortese. È solo che"
"È stata una brutta giornata," finì Harvey
per lei. "lo capisco, davvero. Ora riposati, verrai dimessa tra qualche
ora. Starò qui fuori fin quando non sei pronta e poi ti accompagnerò a
casa."
"Perchè?" chiese
lei costringendolo a voltarsi prima di lasciare la stanza. "Perchè stai facendo tutto questo per noi. Mi conosci
appena."
"Te l'ho detto," replicò Harvey sorridendo.
"io e te siamo amici."
Lisa sorrise, con quel sorriso che già una volta aveva
ammaliato Harvey Specter. Quelle fossette sulle
guance, gli occhi lucidi.
"In questo caso," gli disse lei indicando la
sedia con una mano. "rimani seduto qui. Se ti va."
L'uomo annuì appena, si tolse la giacca e si mise a
sedere.
****
Lisa entrò in casa seguita da Harvey. L’accoglienza
che le riservò Rufus le fece dimenticare per un attimo quanto brutti fossero
stati gli ultimi due giorni. Per un attimo.
Mike, e questo era tutto quello che lei sapeva
dell’uomo in giacca e cravatta che si era preso cura del suo cane, si alzò
dalla sedia e li raggiunse a metà strada tra il piccolo salotto e la porta di
ingresso.
“Gli ho dato da mangiare e siamo anche usciti a fare
una passeggiata” raccontò infilandosi il cappotto. “È un cane molto educato.”
aggiunse dando a Rufus una lunga carezza.
La padrona di casa abbozzò un sorriso e guardò per un
attimo il cane prima di poggiare gli occhi sul ragazzo. “Grazie per esserti preso
cura di lui,” gli disse. “E credo che nessuno ci abbia ancora presentati come
si deve. Sono Lisa.”
Mike strinse la sua mano delicatamente. “Io sono Mike Ross,” si presentò. Poi volse lo sguardo ad Harvey che lo
fissava con un’espressione che lui conosceva fin troppo bene. “e sono in
ritardo per il lavoro. Quindi ora me ne andrò. È stato un piacere.”
L’uomo si avvicinò all’uscita e sospirò prima di
voltarsi a guardare Harvey ancora una volta. “Dirò a Donna di disdire i tuoi
appuntamenti per oggi.”
“Oh no,” si intromise Lisa. “voglio dire, non è
necessario. Sto bene, posso cavarmela da sola adesso.”
Harvey sorrise. “Non lo faccio per te, ho davvero
bisogno di un giorno di riposo.”
Lei annuì appena salutando Mike e sospirò. “Capisco,”
mormorò appendendo il suo cappotto all’appendiabiti laterale alla porta. “In
questo caso sarà meglio che prepari qualcosa per colazione, che ne dici di
pancake? O una omelette magari.”
“L’omelette mi sembra perfetta,” annunciò Harvey
mettendosi comodo, privandosi del soprabito e anche della giacca. Tutto
nell’intento di avere un aspetto meno formale e più rilassato. “il tuo
appartamento è molto carino.”
Lisa si guardò intorno. “Sono certa che sei abituato a
posti migliori, ma grazie. È un po’ piccolo ma ci si sta abbastanza comodi in
tre. Anche se probabilmente mi converrebbe iniziare subito a cercarmi un altro
lavoro se voglio continuare abitare qui. La padrona di casa ha un debole per
Bruno ma pretende comunque che l’affitto venga pagato puntualmente alle undici
di mattina diogni ventisette del mese.”
“Non vuoi tornare all’Elite?”
Harvey si mise a sedere osservandola attentamente. Si muoveva con grazia,
sicura di quello che faceva mentre armeggiava con barattolini pieni di spezie e
padelle bollenti.”
“Onestamente?” la donna si voltò a guardarlo per un
attimo, porgendogli due tovagliette che lui sistemò ai lati della piccola isola
in cucina. “No. Odio quel posto. E anche se volessi tornare dubito che il
signor Mayer mi permetterebbe di riprendere il mio posto. Non dopo che sono
fuggita via nel bel mezzo di un turno lasciando il bar pieno zeppo di gente.”
“Ma si trattava di un’emergenza familiare.”
“Ma a lui non importa,” replicò Lisa. Si fermò un
attimo come per rielaborare i pensieri, poi si passò una mano sul viso. “Non fa
niente. Troverò qualcos’altro, almeno spero.” Ho dei risparmi da parte,
abbastanza per coprire l’affitto e le spese per un altro mese. Me la caverò.”
“Ne sono certo.” sussurrò Harvey prendendo posto per
la colazione.
****
"Dimmi qualcosa di te." Harvey mangiò
l'ultimo boccone della sua omelette e sorrise passandosi il bicchiere di succo
d'arancia alla bocca.
"Solo se tu mi dici qualcosa di te."
"Stai negoziando con me per caso?" l'uomo
rise incrociando le mani sul rivestimento giallo chiaro dell'isola nella
piccola cucina.
"Forse" replicò lei abbozzando un sorriso.
"Forse c'è un pizzico di avvocato dentro di me."
L'uomo scosse lievemente il capo. "Okay, va bene.
Tu mi dici qualcosa di te ed io ti dico qualcosa di me. Facciamo che tu fai due
domande a me ed io ne faccio due a te."
"Affare fatto. Ma inizio io, prima le signore
giusto?"
"Corretto."
"Okay. Vediamo... dimmi qualcosa della tua
famiglia."
"Mio padre è morto parecchi anni fa. Eravamo
molto legati. Ho un fratello minore, Marcus ma non ci vediamo spesso. E questo
è tutto ciò che c'è da sapere sulla mia famiglia."
"E tua madre?" Lisa piegò poco il capo
guardandolo con un'espressione che lasciava trapelare una curiosità che però
non avrebbe comunque superato certi limiti.
Harvey abbassò lo sguardo per un attimo. Si perse nei
suoi pensieri per qualche secondo, poi fece spallucce. "Mia madre è
morta."
"Morta morta o morta per
te?"
"Non fa alcuna differenza," rispose
tranquillamente lui. "Comunque," aggiunse cercando di ridarsi un tono
"queste sono tre domande. Credo che ora sia il mio turno."
Lisa accarezzò con le dita il bordo del suo bicchiere.
"Sì, è vero. Tocca a te."
"Parlami un po' della tua di famiglia."
"Sono figlia unica. I miei genitori sono morti
quando ero molto piccola. Bruno mi ha fatto da padre e madre oltre che da zio.
Mi sono trasferita qui sei anni fa e da allora niente è andato come
speravo." raccontò lei.
"Hai un ragazzo?"
Lei rise muovendosi poco sulla sedia. "Sei
diretto," gli disse "ma non mi sorprende. No, non ho nessuno."
"È difficile crederlo. Una donna come te, senza
un amore. È strano."
"Una donna come me? E come sarei?"
"Intelligente, dolce, forte. Capace di cucinare
un'ottima omelette," replicò lui indicando il piatto con un dito. "e
bella da togliere il fiato."
Lisa sentì il viso avvampare. Sorrise imbarazzata e si
schiarì la voce. "Dillo a tutti i miei ex..." sussurrò.
"Dammi i loro nomi e lo farò."
La donna sospirò e si mise in piedi. Controllò
velocemente l'ora e gli rivolse un sorriso gentile. "Devo farmi una doccia
ora e poi tornare in ospedale e trovarmi un avvocato visto che, a quanto pare,
i documenti per la cittadinanza di Bruno non sono in regola. "
Harvey ne imitò i movimenti alzandosi a sua volta.
"Io sono un avvocato."
Lisa rise. "Io non posso permettermi un avvocato
del tuo livello. Dovrò accontentarmi di un pelato difensore d'ufficio."
"Esistono le cause pro bono."
"No, hai già fatto molto per me ed io
non..."
"Pensaci un po' okay? Promettimi solo che ci
penserai. Andiamo, non posso lasciarti nelle mani di un pelato difensore
d'ufficio, non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme."
Il suo viso smaliziato ma malizioso la fece quasi
ridere. "Va bene, ci penserò. Ti farò sapere."
"Bene, passo a prenderti domani alle otto."
le disse incamminandosi verso l'entrata.
"Domani alle otto per cosa?" domandò Lisa
seguendolo.
"Per la cena, e dopo il dessert mi dirai cosa hai
deciso. Non si possono prendere grosse decisioni a stomaco vuoto, non è
saggio."
Lisa scosse il capo energicamente. "Non posso
venire a cena con te."
"Perchè no?"
"Non sarei una buona compagnia, fidati."
L'uomo sorrise mettendo le mani nelle tasche del
cappotto. "Questo lascialo decidere a me. Ci vediamo domani." le
disse. E Lisa non aggiunse altro, semplicemente lo guardò uscire mentre pensava
che non aveva idea di cosa indossare per una cena con un affascinante avvocato
milionario.
Lisa
sistemò un’ultima volta la camicetta lilla e strinse la coda di cavallo come
faceva la sua mamma quando era bambina. Indossò le scarpe, scomode con quei
tacchi alti, ma necessarie al primo appuntamento. Gli orecchini, l’unica cosa di
valore che aveva, brillavano ben visibili sui lobi lasciati scoperti dai
capelli raccolti.
Prese
la borsa e si guardò allo specchio sorridendo timidamente al suo riflesso; chi
voleva prendere in giro? Anche se era riuscita a mettere insieme un outfit decente rimaneva sempre la cameriera che, per chissà
quale motivo, aveva attirato le attenzioni del brillante avvocato milionario.
In
realtà credeva di sapere quali fossero le motivazioni dietro quell’interesse.
Per quanto Harvey fosse affascinante e per quanto si fosse rivelato gentile,
Lisa era certa che una volta finiti a letto la magia sarebbe svanita e lei
sarebbe stata solo un altro nome da aggiungere alla lista di donne che non
avevano saputo resistere al fascino di Harvey Specter.
Lui
invece sarebbe stato un altro dei tristi ricordi che Lisa teneva relegati
nell’angolo più profondo e scuro della sua mente. Le sarebbe passata prima o
poi e guardando i vestiti che stava indossando in quella occasione si sarebbe
ricordata di una serata in cui si era sentita speciale, almeno per la durata
della cena.
Sobbalzò
quando sentì il campanello e si impose di calmarsi. Rufus la fissava come in
attesa, la lingua penzolante, la coda che scodinzolava lenta. Lisa si sentì una
pazza, ma per un attimo credette che lo sguardo del suo amico a quattro zampe
volesse dirle di stare tranquilla, di uscire e divertirsi, se lo meritava.
Raggiunse
la porta di ingresso accarezzandogli la testa mentre gli passava accanto e si
perse un attimo nella vista del suo appuntamento; un maglioncino blu sopra una
camicia bianca accompagnato da un paio di pantaloni beige ed un cappotto scuro.
Elegante ma allo stesso tempo casual e Lisa ebbe l’impressione di essere fuori
posto con i suoi tacchi altissimi, la sua gonna corta e la camicetta velata.
Harvey,
che fino ad allora aveva guardato dall’altra parte della strada, si voltò e sul
suo viso si formò un’espressione che era il perfetto misto di sorpresa e
piacere. Lisa non lo conosceva ancora benissimo ma ebbe l’impressione che non
sapesse cosa dire.
“Non
sapevo cosa indossare perché non so dove stiamo andando. Volevo indossare un
vestito ma poi ho pensato che tutti indossano un vestito al primo appuntamento
e mi è sembrato banale” Lisa parlò con l’intenzione di rompere il ghiaccio, ma
lo sguardo dell’uomo rimase fermo su di lei, gli occhi la accarezzavano
lentamente mentre stringeva in mano un mazzo di fiori.
“Vuoi
dire qualcosa o rimarrai muto per tutta la sera?” chiese ancora lei.
L’uomo
prese un grosso respiro. “Non so cosa dire.”
“Wow!”
esclamò lei ridendo appena. “Un avvocato di successo che rimane senza parole.
Direi che è… promettente. Se così possiamo dire.”
Harvey
abbozzò un sorriso porgendole i fiori. “Sei bellissima.”
“Anche
tu non sei niente male.”
Harvey
si spostò poco di lato per liberarle il passaggio e la seguì quando lei si
avviò verso l’auto scura che li aspettava.
****
Il
ristorante che Harvey aveva scelto non era affatto come Lisa lo aveva
immaginato. Era elegante sì, ma non lo era in modo talmente ostentato da
mettere soggezione. Si era sentita subito a suo agio quando era entrata e
quando un cameriere con dei baffi scurissimi rispetto ai capelli grigi si era
avvicinato per prendere le loro ordinazioni, ogni tensione si era sciolta nel
sorriso cordiale dell’uomo.
Harvey
non le aveva tolto gli occhi di dosso per l’intero viaggio in aiuto, sorridendo
divertito quando lei si era schiarita la voce imbarazzata voltandosi a guardare
la città luminosa fuori dal finestrino. Anche in quel momento la stava
fissando, con uno sguardo malizioso che un po’ le faceva avvampare le guance.
“Eri
mai stata qui?” le chiese di improvviso versandole del vino nel bicchiere.
Lei
scosse il capo. “No, mai. Non ho avuto molti veri appuntamenti da quando mi
sono trasferita qui. Ho frequentato qualcuno ma il massimo dell’eleganza e
della sofisticatezza per lui consisteva in una pizza mangiata seduti sul cofano
della sua berlina.”
“Non
sembra molto romantico” l’uomo rise bevendo un sorso dal suo bicchiere.
“Lo
sarebbe stato se fossi stata un’adolescente alla sua prima cotta. Ma non lo
ero. Anche se mi piace la pizza.”
“Piace
anche a me,” rispose lui. “Ma non seduto sul cofano di una berlina.”
“Esattamente!”
Lisa
sorrise al cameriere appena arrivato con la sua ordinazione e si poggiò il
tovagliolo di stoffa sulle gambe come aveva visto fare in moltissimi film. Poi
alzò lo sguardo su Harvey prima di prendere forchetta e coltello.
Si
chiese se le donne che frequentava di solito mangiassero bistecche ai primi
appuntamenti e per un attimo pensò che forse sarebbe stato meglio ordinare
un’insalata. Poco male, pensò mentre ingoiava il primo boccone, quella storia
sarebbe comunque finita una volta raggiunte le lenzuola e vista la tensione
sessuale e la scarica di adrenalina che entrambi sembravano percepire ogni
volta che si sfioravano, non ci sarebbe voluto molto tempo prima di arrivare a
quel punto.
Fissò
lo sguardo dentro il suo bevendo un sorso di vino mentre un piccolo quartetto
posizionato in fondo alla sala iniziava a suonare una melodia che Lisa
riconobbe come quella che sua nonna le suonava ogni tanto quando era bambina.
Intenerita dal ricordo sospirò e si sporse poco per essere certa che lui
potesse sentirla.
“Grazie
per questa serata,” gli disse. “Ne avevo bisogno.”
“Mai
quanto me” replicò lui piegando la bocca in un sorriso.
Le
strizzò l’occhio prima di tornare dritto sulla sedia e Lisa sentì lo stomaco
contrarsi in una morsa mai sentita prima ma di cui aveva sentito parlare tante
volte. Provò a scacciare il pensiero, ma la verità, e lo sapeva, era che si
stava innamorando di quell’uomo.
****
La
serata passò in fretta, troppo in fretta per i gusti di Harvey. La cena, le
risate, la bellezza disarmante della sua accompagnatrice gli fecero venire
voglia di ritardare il momento in cui avrebbe dovuto riaccompagnarla alla porta
di casa.
Chiese
a Ray, il suo autista, di prendersi il tempo
necessario a guidare e l’uomo annuì con un mezzo sorriso capendo perfettamente
quello che il suo capo gli stava dicendo. Così, una volta che furono saliti in
auto dopo una spettacolare torta al cioccolato come dessert, Ray prese tutte le strade secondarie possibili per
ritardare l’arrivo a casa della giovane donna che sembrava aver stregato il
mitico Harvey Specter.
Questo
piccolo trucco sommato al fatto che New York era sempre caotica, soprattutto a
quell’ora di sera, fecero guadagnare all’avvocato altri trenta minuti
abbondanti in compagnia della prima donna che gli piaceva davvero dopo che con Scottie non era andata come aveva sperato. Quei trenta
minuti extra servirono ad Harvey per capire due cose del suo appuntamento; il
caffè le piaceva solo se accompagnato da almeno tre zollette di zucchero e
quegli occhi naturalmente lucidi e pervasi di malinconia erano i più belli che
avesse mai visto.
Era
stato tentato almeno due volte, durante la cena, di alzarsi e baciarla. Ma
aveva resistito facendo appello a quel briciolo di auto controllo che gli era
rimasto da quando l’aveva vista elegante e sensuale sulla soglia della porta di
casa mentre lui le stava in piedi davanti, come una statua di sale senza
proferire parola.
Non
aveva mentito quando aveva detto che non sapeva cosa dire e lei aveva ragione
quando aveva detto che averlo lasciato senza parole era promettente… per quanto
provasse a razionalizzare le sensazioni che sentiva, Harvey era piuttosto
sicuro che avrebbe potuto tranquillamente innamorarsi di quella donna e che
forse un po’ lo era già.
Quando
Ray parcheggiò davanti la casa dove erano andati a
prenderla poche ore prima, Harvey la vide irrigidirsi e gli balenò in testa il
pensiero che nemmeno a lei facesse piacere l’idea che quella serata fosse
finita.
Aprì
la bocca per dire qualcosa ma lei lo precedette recuperando la sua borsa.
“Direi
che questa serata è stata un vero successo” gli disse. “Se posso essere sincera
meglio di quanto mi aspettassi.”
“Decisamente
un successo,” confermò lui sorridendo. “Esattamente come mi aspettavo che
sarebbe stata.”
Lisa
rise portandosi una mano davanti alla bocca. “Non so perché ma mi aspettavo una
risposta del genere da parte tua.”
Harvey
annuì sorridendo. “Forse sono più prevedibile di quanto credo” le disse aprendo
lo sportello. “Aspetta, ti accompagno alla porta.”
L’uomo
scese dall’auto e camminò a passo lento fino a raggiungere lo sportello
dall’altra parte. Mentre lo apriva poté sentire Lisa salutare e ringraziare Ray e per un motivo che non riusciva a capire sentì un moto
di grande tenerezza attraversarlo da capo a piedi.
A
pochi passi da lei, con una mano poggiata sulle sue spalle, Harvey la seguì su
per i pochi gradini che conducevano alla porta e sospirò quando lei si voltò a
guardarlo; il viso stanco… ma quelle dannate
fossette sulle guance.
“So
che non mi inviterai ad entrare, ma anche se lo facessi non accetterei. Questa
serata è stata perfetta, qualunque altra cosa la rovinerebbe” le disse mettendo
le mani nelle tasche del cappotto.
“Qualunque?”
chiese lei scendendo di un gradino per essere faccia a faccia con lui.
Lui
sorrise perdendosi negli occhi nocciola della donna, in uno sguardo che non
lasciava alcun dubbio.
“No,
non tutto” rispose mentre le loro labbra si incontravano.
“Grazie,
è stato molto gentile a dedicarmi un po’ del suo tempo,” Lisa sorrise gentile
all’anziano uomo dietro il bancone. “Ha il mio numero, se dovesse cambiare
qualcosa mi chiami.”
Uscì
dal negozio lasciando l’uomo sorridente e sospirò mentre si ritrovava di nuovo
nel gelo di New York. Aveva perso il conto di quanti negozi aveva visitato quel
giorno, alla disperata ricerca di un lavoro che le permettesse di pagare un
avvocato per suo zio Bruno. Un avvocato che mettesse in ordine i documenti
dell’uomo in modo da permettergli di rimanere a New York.
Riprese
il collare di Rufus, che se ne stava seduto tranquillo sulla soglia della porta,
e si piegò sulle ginocchia per dargli una carezza.
“Andiamo
a casa adesso,” gli disse. “Sono stanca e probabilmente anche tu.”
Il
cane guaì senza staccare gli occhi da lei e di nuovo Lisa ebbe la sensazione
che stesse cercando di dirle qualcosa.
Corrugò
la fronte perplessa quando il suo cellulare squillò e lo prese dalla tasca del
giubbotto.
“Pronto,”
rispose ricominciando a camminare.
“Salve, sono Donna Paulsen, la segretaria di Harvey Specter.”
“Ehm…
salve Donna. Cosa posso fare per lei?”
“Per me assolutamente
nulla tesoro,” rispose l’altra. “Ma Harvey vorrebbe vederti nel suo ufficio.”
“Adesso?”
“Adesso. Se mi dici
dove sei manderò un’auto a prenderti.”
“Non
è necessario,” Lisa si guardò intorno. “Stavo sbrigando delle commissioni
vicino allo studio, quindi posso venire a piedi.”
“Bene, a tra poco
allora.”
La
donna riattaccò e Lisa non potè fare a meno di
sorridere; per il caratterino di Donna e anche perché non le era mai capitato,
dopo un appuntamento, di essere contattata dalla segretaria del suo
accompagnatore.
Ripensò
alla cena con l’avvocato e fece un grosso respiro cercando di mettere in ordine
i pensieri. Non era il caso di affezionarsi troppo, ne era certa nonostante
quell’uscita fosse andata magnificamente. Non aveva idea del perché volesse
vederla ma il fatto che non fosse stato lui stesso a chiamarla le faceva
presupporre che questa volta non si trattava di un appuntamento di piacere.
Senza rendersene conto, quindici minuti dopo, si ritrovò di fronte al grande
palazzo che ospitava lo studio legale di Harvey.
Solo
mentre varcava la soglia accolta da un vociare e da una marea di gente realizzò
che probabilmente Rufus non sarebbe esattamente stato il benvenuto.
“Signora,
mi dispiace,” le disse infatti una guardia raggiungendola. “Ma gli animali non
sono ammessi.”
Lisa
annuì facendo cenno a Rufus che si mise a sedere immediatamente.
“Mi
dispiace molto,” rispose. “Eravamo in centro e sono stata chiamata qui per un
appuntamento con Harvey Specter. Non potevo andare
fino a casa e tornare qui, non avrei mai fatto in tempo.”
La
guardia le sorrise cordiale, poi si avvicinò ad un bancone e compose due
numeri. Parlò per alcuni secondi e poi si voltò a guardarla.
“Mi
assicura che il cane non farà alcun danno?”
“È
buonissimo ed è troppo pigro per creare problemi,” Lisa rise accarezzando la
testa di Rufus. “Mi creda, si sdraierà sul pavimento e rimarrà immobile per
tutto il tempo.”
“In
questo caso,” l’uomo le fece cenno di seguirlo fino agli ascensori e una volta
che lei vi entrò premette il tasto del piano giusto prima di salutala con un
sorriso. “Buona giornata.”
Lisa
lo salutò con un gesto della mano mentre la pigrizia di Rufus iniziava a farsi
vedere e il cane si sdraiava poggiando il muso sulla sua scarpa.
****
Harvey
la aspettava seduta sul divano del suo ufficio, piegato in avanti per guardare
alcuni documenti poggiati sul bel tavolino. Un bicchiere di whisky stretto
nella mano. Dietro di lui un’immensa libreria piena zeppa di dischi in vinile e
tutto intorno palline da baseball tenute come trofei.
Lisa
si prese un attimo per perdersi nella grandezza di quell’ufficio, nella mobilia
bella e moderna, nell’odore virile che regnava nella stanza. Gli si addiceva,
pensò guardando l’uomo seduto, concentrato come non lo aveva ancora visto. Le
vetrate offrivano una vista mozzafiato della città e lei fissò lo sguardo fuori
per un lungo minuto.
Quando
lo distolse, per poggiarlo su Harvey, lui la stava guardando con un sorriso
stampato sul viso.
“La
tua segretaria mi ha detto che potevo entrare,” gli disse sorridendo. “E mi
sono persa nella vista della città.”
“Succede
spesso anche a me.”
“Questo
ufficio è bellissimo, molto… molto da te.”
Lui
la raggiunse e diede una lunga carezza a Rufus prima di parlare di nuovo. “È il
posto dove passo la maggior parte del tempo. Volevo che fosse accogliente
quando ho deciso come arredarlo.”
“L’hai
deciso tu? Non sono tutti uguali?”
“Assolutamente
no!” replicò lui guardandola. “Ma non ne troverai uno migliore del mio”
scherzò.
Lisa
rise, con quella risata bella e contagiosa addolcita da quelle fossette sulle
guance. “Ne sono certa” disse. “Ma sono sicura che non mi hai chiamata per
parlare del tuo ufficio.”
Harvey
scosse il capo invitandola a sedersi e le si sedette accanto. “Ti ho convocata
per delle questioni che riguardano tuo zio Bruno. Ho fatto qualche telefonata,
in quanto suo avvocato e…”
“Aspetta,
aspetta” lo interruppe Lisa. “Tu non sei il suo avvocato.”
“Sì
lo sono.”
“Da
quando?”
“Da
quando mi hai conferito l’incarico a cena l’altra sera.”
Lisa
scosse il capo abbozzando un sorriso. “Ricordo tutto di quella sera, ma non
questo.”
“Ricordo
tutto anche io,” le disse lui malizioso.
“Harvey,”
sussurrò lei. “Non voglio che tu ti occupi del caso di Bruno.”
“Perché
no?” chiese lui. “Lisa, andiamo… sono un ottimo avvocato te lo assicuro.”
“Ne
sono certa. Ma non posso permettermi un avvocato del tuo livello, e non voglio
che tu lo faccia pro bono.”
“Perché
no?”
“Perché
hai già fatto molto per noi e non voglio chiederti altro.”
“In
realtà, se ci pensi bene, non ho fatto assolutamente nulla” disse lui. “E
comunque non me lo stai chiedendo. Sono io che mi sto offrendo.”
Lei
scosse il capo. “Non fa alcuna differenza.”
“Fa
una differenza enorme,” le disse lui. “ma riparliamone dopo, ora voglio
parlarti delle novità che ho.”
“Va
bene,” accettò lei. “Dimmi tutto.”
Harvey
diventò di colpo serio e Lisa capì che nonostante l’atmosfera scherzosa non si
trattava di buone notizie. “Ho fatto alcune telefonate all’ufficio
immigrazione.”
“Il
tono della tua voce non promette nulla di buono…” sussurrò Lisa.
“Non
sono buone notizie,” Harvey le prese delicatamente la mano. “Bruno dovrà
tornare in Italia, almeno fin quando non metteremo in ordine i suoi documenti
per permettergli di ritornare, seguendo la legge stavolta.”
“Cavolo”
mormorò Lisa. “Questa è… non me la aspettavo.”
Si
accorse che le lacrime le pizzicavano gli occhi e liberò la mano dalla presa di
Harvey per coprirsi il viso. L’uomo le diede un attimo per sfogarsi, poi le
accarezzò piano i capelli chiusi in una disordinata coda di cavallo.
“Metteremo
le cose a posto, te lo prometto” le disse.
Lei
si asciugò gli occhi e si prese un secondo, accarezzando Rufus che le si era
avvicinato. “Come?”
“Lo
rimandiamo in Italia con un comodissimo biglietto in prima classe. Lui rivede
la sua famiglia, si rilassa… come un viaggio. Nel frattempo io sistemo tutti i
documenti e poi lo riportiamo qui.”
“Sono
io la sua famiglia.” Lisa scoppiò a piangere. Una situazione davanti alla quale
Harvey, solitamente, non avrebbe saputo cosa fare.
Con
lei però, mentre la stringeva tra le braccia, sembrò quasi naturale.
“Pronto
a tornare a casa?” Lisa si fermò sulla soglia della porta e sospirò guardando
con un sorriso Bruno.
L’uomo
se ne stava seduto sul letto, indossando i suoi pantaloni color cachi e il suo
maglioncino azzurro sopra la camicia chiara; in pieno stile Bruno Rossetti. La
guardò regalandole un sorriso e Lisa pensò che somigliava molto a sua madre, o
almeno a sua madre da giovane. Ricordò, con un vago senso di tristezza, il
giorno in cui si erano seduti a terra, su un grande tappeto verde, e avevano
sfogliato un gigantesco album pieno zeppo di foto di ogni tipo.
Di
alcuni Bruno non aveva saputo dirle assolutamente nulla, con l’età che avanzava
la memoria sembrava dileguarsi lentamente ma gradualmente e purtroppo nessuno
poteva fare niente per impedirlo.
Di
altri invece le aveva raccontato storie straordinarie, come le avventure di sua
cugina Serafina che per anni aveva raccolto le olive nelle campagne dei ricchi
agricoltori siciliani e che aveva finito per sposarne uno.
Della
Sicilia e di quella sua cugina che lui chiamava amorevolmente Fina, aveva
parecchi ricordi e nessuno di loro sembrava volersi cancellare dalla memoria.
“Prima
è passato il tuo amico,” le disse alzandosi. “Quello con i capelli gellati e il completo italiano da almeno duemila dollari.”
Lisa
gli si avvicinò di qualche passo. “Intendi Harvey Specter?”
“Esatto,”
mormorò lui inforcando gli occhiali. Le lenti rotonde gli davano un aspetto
sbarazzino, persino un po’ stravagante. “Harvey… ha uno stile niente male, devo
dire. Mi ha portato un’ottima bottiglia di vino italiano. Ha detto che fa bene
al cuore, e mi ha detto alcune cose, in quanto mio avvocato…”
Bruno
lasciò la frase a mezz’aria, ma Lisa sapeva di quali cose stesse parlando. Si
prese un attimo per capire se quel bruciore che sentiva pungerle la bocca dello
stomaco era rabbia o gratitudine; spettava a lei parlare a Bruno di quelle cose ma forse Harvey sapeva che
non avrebbe mai trovato il coraggio necessario a farlo.
Ancora
una volta si fermò a riflettere sulla follia di tutta quella situazione, a
quanto la sua vita fosse cambiata in così poco tempo, a quanto Harvey Specter si stesse rivelando diverso da come lei lo aveva
immaginato.
Forse,
si disse mentre si metteva a sedere sul letto di suo zio, non sarebbe finita
dopo il sesso… forse lui avrebbe davvero potuto amarla. Il pensiero che presto
avrebbe dovuto lasciare New York per tornare in Italia con Bruno la riportò
alla realtà con una forza talmente brutale ed inaspettata che quasi le venne da
piangere. Ma si trattenne e si sforzò di mantenere il controllo; sarebbe finita
ancor prima del sesso, e quel sesso non sarebbe mai diventato amore.
Dubitava
che lui sarebbe rimasto ad aspettarla per chissà quanto tempo. E in fondo perché
avrebbe dovuto? Lei non sarebbe mai stata adatta ad uno come Harvey. Al massimo
sarebbe tornata a servire drink a quelli come lui in qualche bar e tutto
sarebbe finito com’era iniziato; con delle tartine al salmone, qualche
bicchiere di troppo, un sorriso e l’illusione di essere speciale per qualcuno
che di ordinario, nella propria vita, non aveva assolutamente nulla.
“Non
so se essere arrabbiata con lui perché te l’ha detto o se essergli grata… non
so se avrei saputo trovare il coraggio o le parole giuste” disse stringendo la
mano di suo zio che nel frattempo si era rimesso seduto.
“Immagino
che non debba essere stato facile per te sapere che… che ho fatto un bel
disastro” scherzò l’uomo. Ma nel suo tono c’era solo tanta amarezza.
Lisa
si strinse nelle spalle. “Ho sempre saputo che sei un pasticcione. Solo che non
avevo capito fino a che punto.”
“Mi
dispiace Lisa” sussurrò Bruno. “Non sapevo che ci fosse qualcosa che non andava
nei miei documenti… all’inizio. E quando l’ho scoperto, appurato che i tuoi
erano tutti in regola… beh ho pensato che se nessuno se ne era accorto fino ad
allora…”
“Già…”
Lisa annuì abbassando lo sguardo per un attimo, poi rialzandolo per fissare un
punto imprecisato della stanza. “Scommetto che non avevi pensato che se mai
avessi avuto un infarto sarebbe saltato fuori che qualcosa non andava vero?”
Bruno
scosse il capo accennando una risata. “Avrei dovuto pensarci. Beh… che vuoi
farci? È la vita. Ma dimmi… cosa c’è tra te e quell’avvocato?”
Lisa
si passò una mano tra i capelli. “A dire il vero non lo so. Ma non ha
importanza. Qualunque cosa sia finisce oggi. Se dobbiamo tornare in Italia…”
“Dobbiamo?”
la interruppe Bruno. “I tuoi documenti sono in ordine, sono solo io quello che
se ne deve andare.”
“Io
sono tutto quello che hai zio Bruno. Non ne discuteremo neppure, io torno in
Italia con te.”
****
Il
palazzo in cui viveva Harvey era esattamente come se lo era immaginato. Quando
era entrata e aveva visto quella specie di piccolo salottino nell’angolo
destro, Lisa si era chiesta quanto diavolo costasse vivere lì. Era stato un
pensiero istintivo, forse dettato dal fatto che aveva avuto la sensazione che
persino le maniglie delle porte in quel posto costassero quanto metà della sua
casa.
Ma
d’altronde uno come Harvey dove altro avrebbe potuto vivere? Un avvocato
brillante e di grande successo… non poteva certo abitare in una piccola casa di
periferia o in un fatiscente palazzo.
Era
stato piuttosto facile procurarsi il suo indirizzo. Quando aveva chiamato il
suo ufficio e Donna le aveva comunicato che era già andato a casa perché aveva
dei documenti da studiare per un caso molto importante, tutto quello che aveva
dovuto fare era stato chiedere se per caso l’avesse disturbato se fosse passata
a trovarlo. Donna le aveva assicurato che non sarebbe stato un disturbo e le
aveva detto di prendere carta e penna per appuntare l’indirizzo.
Le
aveva anche dato una piccola “dritta”, consigliandole di portare la cena, perché
difficilmente Harvey si sarebbe ricordato di mangiare altrimenti.
Così
Lisa aveva preparato una teglia di lasagne, anche se non aveva intenzione di
trattenersi a lungo.
Una
volta di fronte alla porta giusta, allungò la mano libera e bussò per tre
volte. Stava per bussare una quarta quando si aprì.
Harvey
la fissò con un’espressione sorpresa. Uno stupore talmente genuino che a Lisa
venne da ridere. Era vestito casual, con un paio di pantaloni scuri e una
maglietta grigia, i capelli leggermente spettinati e in mano un bicchiere di
vino rosato.
“Lisa,”
mormorò incredulo. “Cosa ci fai qui?”
Lei
fece un grosso respiro. “Avevo bisogno di parlarti, così ho chiamato il tuo
ufficio e Donna mi ha detto che ti avrei trovato qui.”
“E
quella?” l’uomo indicò la teglia stretta nelle sue mani.
“Donna
mi ha anche suggerito di portarti qualcosa per cena. Ha detto che lavori ad un
caso molto importante e che se non ci avessi pensato io probabilmente ti saresti
persino scordato di cenare. Così ho preparato le lasagne.”
Harvey
sorrise, e agli angoli dei suoi occhi si crearono quelle pieghette che gli
facevano lo sguardo furbo ma dolce. “Donna ha ragione. Vieni dentro, così
possiamo parlare mentre ceniamo.”
Lisa
annuì avanzando di qualche passo. Poi aspettò che lui richiudesse la porta e lo
seguì fino alla cucina. Mentre lui le prendeva le lasagne di mano e le metteva
a riscaldare nel forno a microonde, la donna si guardò intorno e notò che, come
il suo ufficio, anche il suo appartamento offriva una vista mozzafiato sulla
città. Era una casa bellissima, proprio come la casa che aveva sempre
immaginato lei quando si era spinta oltre e aveva sognato un futuro fatto di
indipendenza e tranquillità economica e non solo.
“Ti
piace la casa?”
La
voce di Harvey la riportò alla realtà e mentre lui la aiutava a togliersi il
cappotto, lei fece cenno di sì col capo fissando gli occhi sulla porta di una
stanza. Dal punto in cui si trovava poteva intravedere un grande letto e si
chiese quante donne ci avessero dormito sopra.
“Hai
una casa davvero stupenda,” mormorò voltandosi per sorridergli. “Ma prepara la
tavola solo per te, io non mi tratterrò a lungo.”
“Perché?
Hai da fare per caso?”
“Devo…”
farfugliò Lisa. Ma non c’era un modo buono per dirgli che era andata lì per
salutarlo. Un addio probabilmente. “Io…”
“Lisa,”
le disse Harvey avvicinandosi ancora di più a lei. “Stai bene?”
Lei
annuì aprendo e chiudendo i pugni un paio di volte, nella speranza che le mani
le smettessero di tremare. Ne alzò una e gliela poggiò sul viso, accarezzandogli
le labbra con il pollice.
“Pare
che questa volta tocchi a me” gli sussurrò.
Harvey
le baciò la punta del pollice prima di parlare. “Tocchi a te cosa?”
“Non
sapere cosa dire.”
Lui
abbozzò un sorriso ricordando quando al loro primo appuntamento aveva fatto
scena muta quando l’aveva vista bellissima sulla soglia di casa. Stava per
dirle qualcosa quando lei lo baciò. Un bacio delicato, ma deciso.
L’uomo
piegò poco il capo, con la punta della lingua le solleticò le labbra e quando
lei le dischiuse, rispondendo a quel tocco, tutto si fece più caldo. Lisa gli
circondò il collo con le braccia, poi affondò le mani nei suoi capelli mentre
lui se la stringeva al petto avvolgendola con entrambe le braccia. Con un gesto
veloce lui la sollevò da terra e la portò dritta in camera da letto senza
smettere di baciarla.
Solo
quando raggiunsero il letto si staccò da lei, il tempo necessario a farla
sdraiare. Lisa lo osservò mentre dolcemente le sbottonava la camicetta,
accompagnando la discesa verso l’ultimo bottone con dei baci leggeri sul collo,
tra i seni, sull’addome. Poi, dopo averle sorriso, Harvey si sfilò la maglietta
e si piegò fino a poggiare di nuovo la bocca sulla sua.
Lei
gemette contrò le sue labbra, appagata dal calore delle sue dita che le
stringevano prima le mani, poi i fianchi.
Quando
interruppero il bacio per respirare, Lisa gli prese il viso tra le mani e lo
guardò dritto negli occhi. Si accorse, mentre quello sguardo bello la osservava
in attesa, che lo amava e non le era più possibile negarlo. Per quanto assurdo
fosse, per quanto affrettato sembrasse… lei si era innamorata di lui. Del suo
modo di fare, del suo modo di essere, di quelle labbra che ora arrossate
sembravano affamate di lei.
“Vorrei
dirti una cosa, prima” gli sussurrò. “Ma ho paura che potrebbe rovinare questo
momento ed io voglio che sia perfetto.”
Harvey
scosse poco il capo, dandole un rapido bacio prima di guardarla di nuovo. “Non
c’è niente che potrebbe rovinare questo momento.”
“Promesso?”
“Promesso.”
“Io
ti amo,” confessò lei. “Non so quando sia successo, ma ti amo.”
Harvey
sembrò irrigidirsi per un attimo, poi Lisa lo sentì rilassarsi nuovamente.
Pensò che era un buon segno anche se non sapeva cosa le avrebbe risposto. Le
sarebbe andata bene qualunque parola, perché in fondo quello era un addio,
anche se lui non lo sapeva.
L’uomo
però non disse nulla, semplicemente poggiò le labbra sulle sue e in quel bacio
Lisa trovò la sua risposta.
NDA: Questo
capitolo lo dedico a Lucyvanplet93 affinchè
le faccia compagnia durante le sue notti insonni :) buona lettura a
tutti comunque :D Roby.
7.
Quando
Lisa si svegliò quella mattina, erano ancora le cinque e dieci minuti. Il
braccio di Harvey le stringeva la vita e lei poteva sentirne il respiro
regolare solleticarle il centro della schiena.
Pensò
che era il momento perfetto per alzarsi e andarsene via piano piano, più
silenziosamente che poteva per non svegliare lo splendido uomo che l’aveva
amata intensamente nella notte appena passata. Ma stare lì, con quel calore sulla
pelle, quel braccio forte che la teneva delicatamente stretta e quell’odore
virile era così bello che decise di chiudere di nuovo gli occhi, solo per un
altro po’.
Quando
li aprì di nuovo erano quasi le sette ed Harvey non la stava più stringendo.
Lisa sentì il rumore della doccia e pensò che ora era davvero il caso di
alzarsi. Si mise a sedere sul letto e mentre con una mano si strofinava
l’occhio destro con quello sinistro si guardava intorno alla ricerca dei suoi
vestiti. Quando li individuò poco lontano, vicino ad una sedia, si alzò
lasciando il lenzuolo che la copriva e li raggiunse.
Si
rivestì con calma, una parte di lei le urlava di accelerare perché presto
Harvey avrebbe finito di fare la doccia e sarebbe tornato in camera e salutarlo
fingendo che non fosse un addio sarebbe stato impossibile. Ma un’altra parte le
suggeriva di dirgli la verità, le suggeriva che avrebbe capito e che tutto
sarebbe andato per il meglio.
La
donna si mise a sedere sulla piccola sedia imbottita puntando gli occhi sul
letto e sospirò passandosi una mano sul viso. Riavviò indietro i capelli e si
mise in piedi pronta ad andarsene.
“Hey,”
la voce di Harvey arrivò come un sussurro e Lisa si rese conto che persa nei
suoi pensieri non si era accorta che il rumore della doccia era sparito. “Stai
andando via?”
Lei
fece un grosso respiro e si diede coraggio prima di essere faccia a faccia con
lui. “Sì,” disse infine sorridendo. “Oggi Bruno torna in Italia e il suo volo è
tra qualche ora. Vorrei andare a casa ed aiutarlo a sistemare i bagagli e tutto
il resto.”
“Oggi?”
chiese lui di rimando guardando qualcosa sul suo cellulare. “No, ti sbagli. Ho
messo in agenda di dire a Donna di prenotare un biglietto in prima classe per
la settimana prossima.”
“Sì…
ed io ne ho comprato uno, non in prima classe, per oggi.”
Harvey
piegò poco il capo. “Perché? È un uomo malato ed è un lungo viaggio, deve stare
comodo.”
Lisa
sorrise indossando le scarpe. “Starà bene,” gli disse. “Non preoccuparti.”
“Sei
testarda” le disse lui lanciando il cellulare sul letto. “Ma mi piace. Chiamo
Ray e dopo Donna per farle disdire i miei appuntamenti della mattina. Vengo con
te all’aeroporto.”
“No,”
la donna scosse il capo e si avvicinò a lui. L’odore di shampoo la colpì con
forza, inebriandola. “Tu andrai al lavoro e poi potremmo vederci per pranzo
magari.”
L’uomo
abbozzò un sorriso. “Mi stai dicendo cosa fare?”
Lei
gli avvolse il collo con un braccio, chiudendo gli occhi quando lui le poggiò
una mano sul fianco e lentamente la fece scendere sui glutei e poi risalire
fino alla vita incontrando l’altra in una stretta decisa. “Sì, è esattamente
quello che sto facendo.”
“Sei
fortunata Lisa Sullivan, perché mi piacciono le donne autoritarie.”
“Bene,
allora sta’ zitto e baciami, avvocato.”
Ed
Harvey lo fece.
****
“Buongiorno,
partner.”
Harvey
entrò nell’ufficio di Jessica e si mise a sedere sul divanetto bianco senza
aspettare neppure un invito. Gli occhi perplessi di Jessica Pearson lo
seguirono in tutti i suoi movimenti, poi con calma la donna poggiò la penna
sulla scrivania e sospirò.
“Partner?”
chiese alzandosi e raggiungendolo. Si mise a sedere accanto a lui e accavallò
le gambe senza staccare gli occhi dall’uomo che conosceva da anni e a cui aveva
fatto da mentore per tanto tempo. “Sembri di buon umore.”
“Io
sono sempre di buon umore,” replicò lui sbottonandosi la giacca. “Ma sì, oggi
lo sono di più.”
“E
perché? Se posso chiedere…”
“Credo
che tu possa arrivarci da sola,” Harvey si mosse sul divano e si girò poco per
guardarla meglio. “Sono venuto per dirti che mi prenderò il resto della
giornata, e anche domani, libero.”
“Sul
serio?” Jessica alzò un sopracciglio guardando l’uomo intensamente. C’era
qualcosa di diverso in lui e il fatto che si stesse prendendo un giorno libero
la diceva lunga. “Come si chiama?” chiese.
L’uomo
accennò un sorriso, poi si alzò e si riabbottonò la giacca. “Si chiama Lisa,”
disse. “Mike sarà a tua totale disposizione mentre sarò via.”
“Lo
spero, visto che sono il suo capo…” Jessica rise, ma Harvey era già fuori dal
suo ufficio e non poté vederla.
****
Lisa
si asciugò gli occhi prima di aprire la porta di casa; l’ultima cosa che voleva
era che Bruno la vedesse piangere, che si sentisse più in colpa di quanto già non
facesse. Si ridiede un tono facendo tanti piccoli respiri, poi aprì.
Rufus
le andò subito incontro, guaendo insistentemente, guardando verso l’esterno.
“Rufus,”
le disse lei dandogli una lunga carezza. “Bruno non ti ha portato fuori vero?
Lasciami sistemare una cosa veloce e ti ci porto io. Faremo una lunga
passeggiata mentre lui si prepara per il viaggio.”
Il
cane si mise a sedere sulla soglia della porta, alzò la testa verso Lisa e
davanti a quegli occhioni la donna non poté fare a meno di ridere. Prese il
guinzaglio dentro il cassetto all’entrata e si diresse verso la camera di
Bruno; la porta era aperta e lui non era a letto. Lisa corrugò la fronte
voltandosi verso il piccolo soggiorno.
Suo
zio era seduto su una poltrona, davanti al televisore accesso a basso volume.
Un comportamento strano, ma in fondo era tutto strano in quel periodo. Ripensò
per un attimo ad Harvey, ma scacciò il pensiero per non scoppiare di nuovo in
lacrime.
“Bruno,”
lo chiamò. “È tardissimo e Rufus non è ancora uscito per la sua passeggiata.”
L’uomo
non rispose e quando Lisa si spostò per guardarlo in viso si rese conto che non
avrebbe potuto farlo mai più.
“Oh
mio Dio” sussurrò indietreggiando. Tirò fuori il suo cellulare e compose il
nove uno uno mentre chiamava nuovamente il nome di suo zio. Anche se sapeva che
era inutile…
NDA: Buona lettura e
lasciatemi un commento per favore :) le vostre parole mi ispirano a
scrivere più in fretta :D
8.
Un’ambulanza
davanti casa non era mai un buon segno. Era risaputo ed Harvey lo aveva appreso
fino in fondo tanti anni prima, quando aveva avuto il suo primo grande cliente
dentro lo studio sulla cui porta ora c’era il suo nome.
Un
magnate dell’industria del petrolio che si era tolto la vita proprio la mattina
dell’udienza che lui non era riuscito ad evitare nonostante ci avesse provato
con tutte le sue forze.
Ovviamente,
da avvocato quale era, era un uomo razionale che sapeva che non era il caso di
fasciarsi la testa prima di rompersela. Come aveva detto tante volte a Mike
quando durante i primi anni insieme si lasciava sopraffare dalle emozioni e
smetteva di pensare lucidamente.
Eppure,
mentre si avvicinava alla piccola folla di fronte alla casa di Lisa, non poteva
fare a meno di sentire un senso di sconforto pesargli al centro del petto;
qualcosa di inspiegabile e di intenso che gli faceva venire voglia di correre e
fiondarsi dentro quel piccolo ma bello appartamento.
Qualcosa
in fondo al cuore che gli faceva pizzicare gli occhi.
“Cos’è
successo?” chiese ad una anziana donna ferma vicino alle scale, lo sguardo
fisso sulla porta di ingresso spalancata.
“Una
persona è morta” rispose la donna.
“Chi?”
“Non
lo so davvero. Chiunque sia, dicono si tratti di suicidio” replicò lei prima di
allontanarsi.
Harvey
rimase a guardarsi intorno per un lungo istante, quasi gli mancasse il coraggio
di salire su per i gradini e scoprire cosa fosse successo. Pensò che magari era
Lisa la persona morta, in fondo quella mattina gli era sembrata strana, quasi
malinconica mentre lo baciava prima di andare via.
Ripensò
a quelle labbra, alla morbidezza e al sapore di fragola che avevano sempre,
anche appena sveglia. Ripensò alla notte passata, al calore di quel corpo
stretto al suo, a quelle dita intrecciate alle sue dita, a quei gemiti, alla
passione, al senso di completezza che aveva sentito esplodergli dentro quando
aveva bloccato lo sguardo dentro il suo mentre il piacere li avvolgeva intensamente.
Ripensò
anche al ti amo che gli aveva detto…
al suo non rispondere. Alla possibilità che forse non avrebbe potuto farlo mai
più.
“Lisa”
mormorò di improvviso, quasi avesse ritrovato le forze, la lucidità. “Lisa!”
urlò più forte salendo veloce su per le scale, fino alla porta, entrando dentro
come se ne andasse della sua vita.
E
la vide; Lisa era seduta sul divano, il viso nascosto tra le mani, Rufus
sdraiato ai suoi piedi. Singhiozzava la sua bella Lisa… poteva vedere le sue spalle
scuotersi energicamente ad un ritmo serrato.
Zio
Bruno invece era inerme su una barella, pallido mentre i paramedici appuntavano alcune cose su
una cartelletta prima di coprirlo con un telo.
Pensò
che era un’indelicatezza tenerlo lì, sotto gli occhi della nipote sconvolta.
Era un’indelicatezza che nessuno fosse seduto accanto a lei a stringerle la
mano e a sussurrarle di calmarsi.
“Lisa,”
le disse avvicinandosi a lei, inginocchiandosi di fronte.
Lei
tolse le mani dal viso e gli rivolse uno sguardo colmo di lacrime. “Harvey”
mormorò incredula. “Che ci fai qui?”
“Volevo
vederti,” rispose lui dolcemente. “Cos’è successo?”
La
donna scosse il capo. “Non lo so. Quando sono ritornata lui era… non c’era più”
diede un’altra occhiata alla barella che ospitava il corpo di Bruno e i
singhiozzi si fecero più forti.
“Portatelo
via” disse Harvey ai paramedici. “È proprio necessario tenerlo qui?”
I
due giovani sospirarono annuendo piano e lasciarono la casa portando via il
corpo di Bruno.
Lisa
li guardò con gli occhi pieni di lacrime, piccoli come non mai, arrossati e
tristi, fin quando non li vide più. Poi si lasciò cadere per terra, dritta
nella braccia di Harvey.
****
Lisa
era sdraiata sul divano, coperta da uno scialle a quadrotti
quando Harvey le si avvicinò. Non singhiozzava più ma i suoi occhi erano ancora
lucidi di lacrime e il suo viso arrossato di pianto.
Sembrava
così fragile e delicata che Harvey pensò quasi che toccandola le avrebbe fatto
male, eppure non riuscì a fermare la mano che lentamente raggiunse la sua
guancia e la accarezzò dolcemente.
Lei
chiuse gli occhi per un attimo e lasciò andare un sospiro allietata dal fresco
delle dita dell’uomo.
Rabbrividì,
senza rendersene conto e con calma si alzò piano fino ad essere seduta.
Lo
scialle con cui era coperta scivolò scoprendole le spalle e creando un muro
soffice e caldo tra loro.
“Grazie
per avermi portata qui” disse all’uomo prendendogli una mano tra le sue. “Non
so se sarei riuscita a rimanere lì stanotte. So che dovrò tornarci prima o poi
ma…”
Lui
le poggiò un dito sulle labbra, le sorrise e si spostò per esserle più vicino. “Non
devi ringraziarmi. Puoi rimanere tutto il tempo che vuoi.”
Lisa
lo guardò per un attimo, poi gli prese il viso tra le mani e poggiò le labbra
sulle sue in un lungo, lento bacio. “Devo confessarti una cosa” gli sussurrò staccandosi
da lui. “Stamattina io sarei andata via con Bruno se non… se non fosse successo
ciò che è successo.”
Harvey
sgranò gli occhi, poi piegò poco il capo per cercare il suo sguardo. “Perché?”
le chiese.
“Perché
Bruno era la mia unica famiglia e non volevo lasciarlo andare da solo e perché…
io credevo che tu…”
“Che
una volta fatto l’amore non mi sarebbe importato più nulla di te?” finì Harvey
per lei. “Credevi questo?”
Lei
annuì e i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime. “Mi dispiace, è solo
che gli uomini come te non si interessano mai davvero alle donne come me. E la
mia vita sentimentale è da sempre un disastro. Ho imparato a non credere mai
fino in fondo alle cose, perché così farà meno male quando andranno a rotoli.”
L’uomo
le poggiò le mani sul viso, poi con una le accarezzò i capelli. “Mi dispiace
che tu abbia avuto così tanta sfortuna” le disse. “E anche se vorrei prometterti
che tutto andrà bene da oggi in poi non posso farlo, perché non so come
andranno le cose. Sarebbe mentire e non mi piace mentire, non alle persone che
amo.”
Lisa
sorrise mentre una lacrima rotolava giù dal suo occhio, lungo la guancia fino
alle labbra. “Lo capisco, ma ho perso quello che rimaneva della mia famiglia,
quindi puoi solo promettermi che non sarò sola?”
Il
viso di Harvey si aprì in un grande sorriso. Le baciò dolcemente le labbra e
poi la strinse forte. “Sì, questo posso farlo” le sussurrò. “Lo prometto.”
Lisa
sapeva che doveva aspettarselo, che poteva succedere, eppure quando entrò
dentro casa e si ritrovò Donna seduta sul divano, non potè fare a meno di
sobbalzare. Successe, più che altro, perchè non la riconobbe subito.
"Donna"
le disse sganciando il guinzaglio di Rufus che corse dalla donna e si prese
tutte le carezze che gli diede. "Mi hai spaventata. Come hai fatto ad
entrare?"
L'altra
sorrise. "Come hai fatto tu credo."
"Jacob
ti ha accompagnata?"
"Il
portiere?" domandò la rossa. "No, ho le chiavi." E non appena lo
disse si rese conto del perchè Jacob avesse preso parte a quella conversazione.
Non poteva credere che Harvey non avesse dato le chiavi alla donna che viveva
con lui oramai da due mesi; era assurdo e l'espressione sul viso di Lisa
suggeriva che era anche un tantino imbarazzante.
La
donna comunque sorrise e riavviò una ciocca di capelli castani che fermò dietro
l'orecchio. "Ho portato Rufus a fare una passeggiata e l'ho riportato qui
perchè ho un colloquio di lavoro fra un'ora e mi piacerebbe arrivare un po' in
anticipo. È un problema per te?"
"Certo
che no" Donna la raggiunse. "Io e Rufus ci divertiremo tantissimo in
attesa di Harvey. Dobbiamo lavorare, ma stanno ritinteggiando gli uffici e allo
studio legale c'è parecchia confusione, ecco perchè abbiamo pensato di farlo
qui. Harvey arriverà tra poco."
"Non
devi giustificare la tua presenza" sorrise Lisa. "È casa del tuo
amico e capo, hai più diritto di me di essere qui. Solo che non posso aspettare
che Harvey arrivi, puoi dirgli tu che tornerò nel pomeriggio?"
"Posso
farlo" annuì Donna. "Mi piace molto il tuo outfit, ma" abbassò
la zip della giacca e la guardò. "Tieni la giacca aperta. E spettinati un
po' i capelli."
"Perchè?"
"La
giacca aperta e i capelli spettinati ti daranno un tono sbarazzino, sarà come
dire potrei avere qualunque posto ma sono qui, quindi ritenetevi fortunati
ad avermi. Il tuo sorriso mozzafiato e le gambe faranno il resto."
Lisa
accennò una risata. "Quante responsabilità per una semplice giacca."
"Di
che lavoro si tratta?"
"È
in un hotel, uno di quelli extralusso, il Luxury. Visto che conosco l'italiano
potrei essere una buona candidata per la reception. Ma anche se mi assumessero
per fare le pulizie mi andrebbe bene."
"Ah-Ah"
Donna scosse il capo. "Sarai una receptionist, me lo sento. Ora vai e
stendili tutti."
L'altra
diede una carezza a Rufus, fece un cenno di assenso a Donna e uscì di casa.
Proprio mentre il suo taxi girava l'angolo, l'auto di Harvey si fermò sotto
casa e l'uomo salì fino al suo appartamento. "Hey Rufus" lo salutò
con una lunga carezza quando il cane gli andò incontro all'entrata.
"Seriamente?"
gli disse Donna senza neppure dirgli ciao. "Non hai ancora dato la chiave
di casa a Lisa?"
"Ciao
anche a te, Donna" lui corrugò la fronte togliendosi la giacca. "E
per rispondere alla tua domanda... non ci ho pensato. Non ha mai detto nulla al
riguardo e io non..."
"Seriamente?"
chiese di nuovo lei interrompendolo. "Cosa volevi, che te la chiedesse?
Avresti dovuto vedere la sua faccia quando le ho detto che io ne ho una
copia."
"Se
credevi che ci sarebbe rimasta male perchè glielo hai detto?" Harvey
allargò le braccia.
"Perchè
credevo che anche lei avesse le chiavi, visto che vive con te" precisò
Donna. "Ad ogni modo, è andata al Luxury per un colloquio di lavoro. Ha
detto che tornerà nel pomeriggio."
L'uomo
si versò un bicchiere di acqua. "L'hotel?"
"Sì,
si è candidata come possibile receptionist visto che conosce l'italiano. Lo
sapevi vero? Che sa parlare italiano intendo."
"Sì
lo so" mormorò Harvey con un sorriso. "È molto sexy quando lo
fa."
Donna
scosse il capo. "Uomini..." sentenziò andandosi a sedere sul divano.
Harvey invece fece una telefonata.
****
Il
pomeriggio passò, e la sera, quando Harvey tornò a casa dopo essere stato a
cena con un cliente, Lisa dormiva già. Il mattino dopo invece era già uscita
quando lui aveva aperto gli occhi, sul cuscino un bigliettino che lo avvisava
che sarebbe passata allo studio per pranzo.
Scusa se non ho aspettato che ti svegliassi, ma ho alcune
commissioni da sbrigare.
Passerò a trovarti in un ufficio a pranzo.
Lui
sorrise stringendo il pezzo di carta tra le dita, gli parve di ricordare una
sensazione di solletico sul viso e si disse che erano probabilmente stati i
capelli di Lisa quando si era piegata per baciargli la guancia, come faceva
ogni mattina.
Di
buon umore si vestì e raggiunse l'ufficio. Incontrò Kelly Moore, un petulante
uomo d'affari paranoico che di solito lo annoiava a morte, e si accorse che
quel giorno neppure quell'incontro era riuscito a metterlo di cattivo umore. Si
sentiva bene e per qualche strano motivo aveva la sensazione che fosse merito
di Lisa e di nessun altro. Anche le feste che Rufus gli faceva ogni mattina per
dargli il buongiorno avevano un effetto rilassante su di lui. Chissà perchè non
aveva mai preso un cane.
"Perchè
non sai neppure prenderti cura di te stesso a volte, figuriamoci di un
cane" gli disse Donna quando glielo chiese. "Ad ogni modo, Lisa sta
salendo. Vuoi che ti liberi l'agenda per un paio di ore?"
Harvey
annuì. "Dopo l'appuntamento delle dodici e trenta però."
"Come
vuoi" Donna tornò alla sua scrivania e sorrise a Lisa quando si fermò alla
sua postazione e fece cenno ad Harvey di raggiungerla.
"Hey"
la salutò lui con un bacio veloce. "È bello incontrarci dopo ventiquattro
ore."
Lisa
ridacchiò. "Scusa, ieri sera sono crollata prima che tornassi e stamattina
sono uscita molto presto. Ho pensato che non fosse il caso di svegliarti."
"Non
c'è problema. Dove sei andata così presto, comunque?"
"Immagino
che Donna ti abbia detto del mio colloquio di ieri" Harvey annuì, così lei
continuò. "Beh stamattina mi hanno richiamata e mi hanno chiesto di andare
lì. Lunga storia in breve: sono la nuova receptionist del Luxury."
"Lo
sapevo!" esclamò Donna prima di leggere qualcosa sul suo cellulare.
"Congratulazioni." si allontanò e Lisa e Harvey rimasero soli.
"Congratulazioni"
le disse lui prendendole una mano e baciandone il dorso. "Il Luxury è
fortunato ad averti."
La
donna fece un sorriso rilassato e respirò a fondo. "È strano devo dire.
L'uomo che mi ha fatto il colloquio ieri non sembrava per nulla intenzionato ad
assumermi" raccontò. "Ma stamattina ho incontrato il proprietario in
persona ed è stato molto gentile. Ha detto che gli ricordo sua figlia."
"Questa
è New York, le cose sono sempre un po' strane. Comunque l'importante è che tu
abbia avuto il lavoro e stasera dovremmo decisamente festeggiare."
"Ho
sentito la parola festeggiare?" domandò Donna tornando a posto. "Lo
dico a Mike e Rachel e prenoto un tavolo al Bellini, per le otto e
trenta."
Lisa
deglutì a vuoto. "Preferirei di no, se per voi va bene."
Harvey
la guardò. "Non ti piace il ristorante forse?"
"No...
il ristorante va benissimo, ma non ho voglia di festeggiare."
"Non
capisco" le disse lui guardandola, volgendo poi lo sguardo a Donna per un
istante. "Va tutto bene?"
"Benissimo"
lo tranquillizzò Lisa. "Ma devo andare ora. Rufus avrà probabilmente
bisogno di uscire. Ci vediamo dopo."
Si
voltò per andarsene ed Harvey fece cenno a Donna di seguirla.
La
rossa lo fece e salì sull'ascensore giusto in tempo, prima che le porte si
chiudessero. Attese che Josh McCallan, l'unico lì a parte lei e Lisa, scendesse
al suo piano prima di parlare. "Va tutto bene?" domandò alla donna
senza guardarla.
"Sì,
l'ho già detto. Va tutto bene."
"Se
non ti piace il ristorante posso davvero trovarne un altro."
Lisa
scosse il capo e chiuse gli occhi per un istante. "Il ristorante va
benissimo, ma non ho un vestito adatto, né delle scarpe adatte a quel posto.
Non ho capelli e trucco perfetti come te e Rachel e mi sentirei a mio agio
persino a sedermi su una delle loro costosissime sedie."
"Hey,
per lo shopping esiste la carta di credito di Harvey. Sono sicura che non gli
dispiacerà strisciarla un paio di volte per la donna con cui ha una
relazione." Donna le strizzò l'occhio.
L'altra
sorrise sarcastica. "Quale relazione? Vivo in casa sua da due mesi e non
ho ancora le chiavi, sono un caso umano probabilmente. Una di quei noiosissimi
lavori pro bono."
"Lisa"
Donna si voltò a guardala, fece cenno al tizio del quinto piano di non salire e
quando le porte si richiusero continuò. "Non devi prenderla in questo
modo. Harvey è fatto così, non si fida facilmente."
"Se
non si fida di me, la mia domanda rimane, Donna: quale relazione?" replicò
l’altra.
L'ascensore
si fermò al piano terra e mentre molte persone entravano, Lisa uscì e sparì,
fuori, tra la folla.
****
Lisa
era sul terrazzino quando Harvey rientrò a casa quella sera. Si accorse di lui
perché Rufus corse dentro e abbaiò due volte prima di tornare ad accomodarsi
accanto ai suoi piedi, nella tiepida sera Newyorkese. Non disse niente mentre
lui si avvicinava e con dolcezza le baciava la guancia.
“Ho
portato la pizza” le sussurrò spostandole i capelli dal viso e tenendoli fermi
con una presa delicata della mano. “Per festeggiare il tuo nuovo lavoro, tu ed
io.”
Lei
sorrise pensando che voleva dire tante cose. Non ne disse neppure una però.
Semplicemente lo baciò, quel viso bello stretto tra le sue mani.