Echi di lontani ricordi

di manueos85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 Questa storia partecipa al Contest "The journey that opened his eyes - Quel viaggio che gli aprì gli occhi - Naruto Contest" indetto da Nede 


Capitolo 1

 

L'acqua nel secchio era già diventata completamente rossa, ma di lavoro da fare ce n'era ancora parecchio. Il ragazzino si stava davvero pentendo di quella bravata. In fondo, quando aveva deciso di impiastricciare di vernice le facce di pietra degli Hokage con quelle scritte irriverenti, aveva pensato soltanto che sarebbe stato uno scherzo divertente, il modo migliore per far sapere a suo padre e a tutto il villaggio quanto lo aveva deluso per l'ennesima volta, ma non aveva messo in conto il fatto che il doverle ripulire sotto il sole cocente non lo sarebbe stato altrettanto.

 

***

 

Alla sua età, il suo curriculum di irriducibile peste era già notevole e comprendeva una lunga serie di monellerie varie, frutto di una sfrenata fantasia e una grande inventiva. Quando veniva scoperto, di solito il peggio che gli capitava era una ramanzina con i controfiocchi prima di essere costretto a chiedere scusa con espressione contrita e rispedito a casa dalla madre con uno scappellotto sulla nuca.

Gli anziani pretendevano ogni volta una punizione esemplare, ma suo padre liquidava sempre la questione con un gesto della mano e una risatina, chiamandole bambinate senza importanza. Non se l'era presa nemmeno quando aveva fatto i baffi a tutti i volti di pietra dei Kage, annerito loro gli occhi e disegnato cicatrici.

Ma non quella volta.

Aveva iniziato a pensare che le cose si stavano mettendo male quando il padre aveva fissato per diversi minuti in silenzio le parole che aveva scritto sulle fronti dei Kage, rabbuiandosi sempre di più. Non gli aveva mai visto un simile sguardo prima e, ripensandoci, gli aveva fatto anche un po' paura.

“Puzzone?” gli aveva chiesto incredulo, indicando la fronte del Primo. “Rincitrullito? Babbione? Scorreggione?” aveva proseguito, con gli occhi che si spostavano da una scritta all'altra sotto le sopracciglia corrugate. “Befana? Svalvolato?”

Lui aveva abbassato lo sguardo a terra. Il padre aveva evitato di menzionare il “bugiardo” scritto a caratteri cubitali sulla scultura raffigurante il proprio volto, ma il fatto che non gli stesse ancora urlando contro come al solito quando lo sgridava era davvero preoccupante.

“Boruto, vergognati. Questo tuo comportamento non è degno di uno studente dell'Accademia. Non mi importa che tu scriva insulti sulla mia faccia, ma gli altri Kage non meritano un simile trattamento. Non osare mai più mancare loro di rispetto, sono stato chiaro?”

Quel tono rigidamente controllato lo aveva ferito più profondamente di qualsiasi altra sgridata ricevuta in passato, al punto che una lacrima aveva tremolato tra le sue palpebre, minacciando di cadere.

“Ti importa solo di loro!” gli aveva quindi urlato in faccia. “È tutta colpa tua perchè non mantieni mai le tue promesse! Io ti odio!”

Il padre non aveva replicato. Aveva continuato a guardarlo con quell'espressione scura fino a che Boruto non aveva abbassato la testa. Soltanto allora aveva ripreso a parlare, con un tono di voce talmente severo che, per un momento, il ragazzino aveva fatto fatica a ricordare che l'Hokage era anche l'uomo che chiamava papà.

“Ripulirai tutto questo. Da solo. Non cenerai finché non avrai finito e, finché non mi dimostrerai di aver imparato qualcosa ed esserne degno, non affronterai l'esame per diventare genin.”

 

***

 

Boruto smise per un attimo di sfregare la faccia di pietra del Quarto Kage. La scritta “scorreggione” era ancora visibile per metà e sospirò stancamente. Quanto gli sarebbe piaciuto bere almeno un sorso d'acqua! Purtroppo, l'Hokage era stato molto chiaro. Nessuno avrebbe dovuto dargli niente finché non avesse finito.

“Stupido vecchio!” sbottò, sbattendo lo straccio nel secchio. “E stupido cane da guardia!”

Si asciugò la fronte sudata, lanciando un'occhiata verso l'alto.

Il suo carceriere era ancora lì, seduto a gambe incrociate sulla sommità della testa della Quinta, impassibile sotto il sole.

Da quando aveva iniziato a ripulire quel disastro, non aveva detto una sola parola e il ragazzino cominciava a trovare un po' inquietante l'essere osservato in continuazione da quegli occhi scuri. L'Hokage non avrebbe potuto scegliere persona peggiore per tenerlo sotto sorveglianza e stava davvero iniziando ad odiare quell'uomo.

All'improvviso, una risatina divertita lo spinse ad alzare gli occhi ad incontrare il volto sorridente di Iruka-sensei, appollaiato sulla testa del Quarto poco più sopra di lui.

“Ma tu guarda! Questa volta il piccolo Boruto l'ha combinata davvero grossa.”

“Iruka-sensei” lo salutò il suo sorvegliante, con un piccolo cenno della testa.

“Sasuke.” Iruka-sensei ricambiò il saluto. “Naruto ti ha chiesto di prevenire fughe? Lui era un maestro, quando si trattava di svignarsela dalle punizioni.”

L'anziano maestro ridacchiò ancora. Pareva trovare la situazione alquanto divertente.

“Non ho bisogno di un mastino che mi sorvegli!” insorse Boruto, piccato. “Non ho intenzione di svignarmela da nessuna parte!”

“Sì, sì! Ma a quanto pare tuo padre sembra pensarla diversamente!” replicò lui. “Dopotutto, l'esperienza insegna. Anzi, mi pare proprio di ricordare una scena molto simile! Allora toccava a me sorvegliarlo per non farlo scappare, ma c'erano volte in cui riusciva a farmela comunque! Dico bene, Sasuke-kun?”

L'altro si limitò ad un cenno affermativo con la testa.

Ma Boruto emise un verso stizzito. “Non credo proprio che il mio perfetto padre Hokage abbia mai fatto una cosa del genere. Da come ama i vecchi Kage, e fare il Kage, e comportarsi da Kage, e riunirsi con gli altri Kage, non mi stupirebbe se venisse scoperto a sbaciucchiarseli, i Kage!”

“Credo che anche tu capisca che, questa volta, una punizione severa tu te la sia proprio meritata. Tuo padre non poteva fare altrimenti. Gli anziani potrebbero mettere in dubbio la sua autorità, se non riesce a farsi rispettare nemmeno da suo figlio. Il tuo scherzo di oggi non si può paragonare alle altre bambinate che hai fatto in passato.”

Il tono di Iruka-sensei, nonostante il suo sorriso, si era fatto molto più serio. In cuor suo, Boruto capiva, ma la delusione era ancora troppo bruciante.

“Non mi importa!” ribatté quindi, cocciuto. “Così impara a mantenere le sue promesse!”

“Essere Hokage comporta molte responsabilità” gli fece notare Iruka-sensei. “Lui cerca soltanto di fare del suo meglio per Konoha e per tutti noi.”

Il ragazzino ridacchiò sprezzante, poi riprese in mano lo straccio e si rimise a pulire con un'espressione scontrosa in viso. “Sarà, ma a lui non importa niente di me” borbottò tra sè.

Nonostante avesse tenuto la voce bassa, i due uomini sentirono ugualmente le sue parole e si scambiarono uno sguardo. Le sopracciglia di Sasuke si aggrottarono leggermente nel riprendere a fissare Boruto, intento nel suo lavoro, e Iruka sospirò.

“Ora sei ancora troppo immaturo, ma un giorno capirai” disse l'anziano maestro. Poi, silenziosamente com'era apparso, scomparve.

 

***

 

Il tramonto era già passato da un pezzo e la notte era calata su Konoha quando Boruto terminò di ripulire tutte le facce dei Kage. Era assetato, affamato e stanco morto. Di sicuro, non era dell'umore giusto per architettare, e tanto meno mettere in atto, qualche altra trovata delle sue. Nonostante ciò, il suo carceriere del pomeriggio ancora non lo mollava.

Camminava dietro di lui a qualche passo di distanza e Boruto continuava a sentirsi i suoi occhi scuri puntati sulla schiena mentre non lo perdeva di vista come se avesse potuto sparirgli da sotto il naso da un momento all'altro. Era silenzioso come un'ombra, ma non faceva alcuno sforzo per celargli la sua presenza. Se solo avesse voluto, Boruto era certo che non avrebbe potuto individuarlo neanche se gli avesse camminato sopra. Non c'era alcun dubbio che fosse uno dei migliori shinobi di Konoha e non sorprendeva che occupasse uno dei posti di più alto rango tra i ninja più fedeli all'Hokage, ma questo indispettiva il ragazzino ancora di più.

Il padre gli aveva messo alle costole uno degli shinobi migliori in assoluto come se fosse stato il peggior criminale in circolazione.

“Conosco la strada di casa” sbottò alla fine, irritato. “Non ho bisogno dell'accompagnatore! Non seguirmi più!”

Lui non rispose. Si limitò a fermarsi quando lo fece anche Boruto, che si girò per fronteggiarlo.

“A differenza di mio padre, io mantengo la mia parola e ho promesso che sarei tornato a casa appena finito! Lasciami in pace!”

“E io faccio il mio dovere. Mi è stato chiesto di tenerti d'occhio fino a casa, ed è proprio quello che farò.”

“Non ho bisogno del cane da guardia, men che meno di uno fedele a mio padre! Se voleva tenermi d'occhio, perché non l'ha fatto lui?”

L'espressione impassibile di Sasuke non mutò nemmeno quando fissò il ragazzino negli occhi. “L'Hokage è troppo impegnato per occuparsi di tutto. È per questo che ha persone di cui si fida ad aiutarlo. Ma un ragazzino come te questo non può capirlo. Sei un dobe quanto lo era lui.”

“Allora perché fai quello che ti dice se pensi che sia un dobe?”

Non era stata sua intenzione difenderlo, ma le parole gli erano uscite di bocca di getto. Solo lui poteva dare del bugiardo, o del dobe, a suo padre.

“Quello che penso dell'Hokage non sono cose che ti riguardano.”

“Se sei suo amico, perché continui a chiamarlo Hokage e non con il suo nome?”

“Come chiamo l'Hokage non è cosa che ti riguardi.”

Boruto gli lanciò un ultimo sguardo di sfida, poi si voltò e percorse correndo gli ultimi metri che lo separavano da casa. Spalancò la porta, trovandosi davanti proprio il padre, e fu un miracolo se non lo travolse nella sua fretta di correre a barricarsi nella sua stanza, ignorando perfino il richiamo della madre e le proteste del suo stomaco desolatamente vuoto.

 

***

 

Quando si svegliò, il mattino dopo, l'umore di Boruto non era migliorato. Nonostante fosse ancora molto presto, suo padre era già uscito e in cucina c'era solo la madre, intenta a preparargli la colazione.

Lo stomaco di Boruto gorgogliò rumorosamente, ricordandogli che era da quasi 24 ore che non toccava cibo.

Si gettò sulla sua ciotola di riso con voracità e la terminò in pochi, grandi bocconi.

“'azie, ma'!” bofonchiò a bocca piena, quando lei gli allungò una seconda porzione regalandogli uno dei suoi soliti dolci sorrisi.

“Per quanto tu possa essere arrabbiato con papà, cerca di scusarti e far pace con lui. Non sei il solo a soffrire in questa situazione” fu il suo saggio consiglio.

Boruto si rabbuiò, abbassando lo sguardo sulla ciotola mezza vuota. Ma se pensava che la sua giornata non poteva essere peggiore della precedente, si era sbagliato di grosso. Quando uscì di casa con l'intenzione di andare all'accademia, si trovò davanti Sasuke-sensei. Lo shinobi se ne stava in piedi lì ad aspettarlo esattamente nello stesso punto in cui lo aveva lasciato, come se non se ne fosse mai andato via dalla sera precedente.

“Vieni con me” si limitò a dirgli, prima di voltargli le spalle e incamminarsi.

“So andare all'accademia da solo! Non ho bisogno che mi accompagni anche lì!”

“Ma io non ti devo portare all'accademia.”

“Ah, no?” Boruto era spiazzato, ma si riprese in fretta. “Mio padre ha qualche altra punizione per me?”

“Ho una missione per te. L'Hokage ne è all'oscuro perciò stai zitto e sbrigati a seguirmi.”

Suo malgrado, cominciava ad essere incuriosito.




Angolo autrice:
Benvenuti a tutti quelli che hanno deciso di leggere il primo capitolo di questa fic! Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito abbastanza da farvi venire voglia di leggere anche il seguito!
Ringrazio in anticipo tutti quelli che vorranno recensire perchè la vostra opinione per me è preziosa e ringrazio soprattutto Nede, che ha indetto questo contest. E' stata una bella sfida scrivere di questo personaggio!
Sperando di ritrovarvi di nuovo tutti al termine del secondo capitolo, 
Ciao
manueos85

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Lo shinobi non aveva più detto una parola e aveva continuato a camminare senza nemmeno voltarsi a controllare se lui lo stesse seguendo oppure no. Boruto scrutava la sua schiena come se volesse perforargliela mentre camminava svogliatamente. Diede un calcio a un sassolino, sbuffando.

Ma dove accidenti lo stava portando? E per fare cosa?

Se si fosse trattato di Iruka-sensei, non avrebbe esitato a tempestarlo di domande, ma quell'uomo taciturno metteva soggezione solo a guardarlo e il ragazzino preferì limitarsi a incenerirlo un'altra volta con gli occhi. Chissà cosa avrebbe fatto se si fosse dato alla fuga. Forse non se ne sarebbe nemmeno accorto.

Boruto si fermò, considerando seriamente quel pensiero. Sfruttando il balconcino della casa proprio lì accanto, sarebbe stato un gioco da ragazzi scalare l'edificio ed eclissarsi fra i tetti.

“Non ci pensare nemmeno.” Sasuke-sensei si era fermato qualche metro più avanti e aveva parlato senza neanche guardarlo. “E sbrigati.”

Boruto sbuffò.

“Non ci stavo pensando” mentì, incrociando le braccia dietro la testa e ostentando indifferenza.

Lo shinobi non replicò, ma, del resto, Boruto stava imparando a non aspettarselo nemmeno più.

“Si può sapere dove mi stai portando?” chiese infine, vinto dalla curiosità.

Si erano lasciati alle spalle le porte del villaggio già da diversi minuti e, anche se i chunin di guardia al cancello erano sembrati sorpresi di vederli insieme, si erano limitati ad un educato saluto nei confronti del jonin.

“Tra poco lo vedrai” fu la laconica risposta.

“Che barba! Non capisco perché mi hai trascinato qui. Andare a lezione all'accademia e sorbirmi le chiacchiere di Iruka-sensei sarebbe stato molto più divertente che fare questa scampagnata insieme all'amichetto del cuore di papà.” Quando gli rispose il silenzio, Boruto continuò: “Perché voi siete sempre stati amici, vero? Avete fatto l'accademia insieme e siete stati anche nello stesso team. E adesso lui è Hokage e a te tocca fare da guardiano a suo figlio. Che grande missione, per uno shinobi di così alto livello!”

Non fece in tempo a pronunciare quelle ultime parole che una mano lo afferrò per la spalla e, prima che se ne rendesse conto, si trovò con la schiena contro il tronco di un albero e un kunai puntato alla gola. Il volto del maestro era a pochi centimetri dal suo e Boruto inghiottì a vuoto.

“L'Hokage e io non siamo sempre stati amici” gli rispose alla fine, in tono glaciale. “Lui è stato il mio più acerrimo rivale, ma è stato anche l'unico a guadagnarsi il mio rispetto.”

Lo lasciò andare e un momento dopo fece un gesto con il kunai come a mostrargli la valle che si apriva davanti a loro. Boruto si avvicinò cauto al bordo dello strapiombo e guardò giù. Sul fondo, un fiume originava dalle acque di una cascata e scorreva tranquillo attorno ai resti di quelle che dovevano essere state delle enormi statue. Si distinguevano ancora i blocchi scolpiti a forma di mani.

“Sai che posto è questo?”

Alla domanda dello shinobi, Boruto scosse la testa.

“Si chiama Valle della Fine. Ed è stato proprio qui che ho deciso di essergli leale.”

“Perché?”

Non era riuscito a bloccare le parole e quella domanda gli era uscita di getto. In fondo, era sinceramente incuriosito. Aveva sempre pensato che il padre e Sasuke-sensei fossero amici praticamente dalla culla, ma quello che aveva appena detto lo shinobi dava ad intendere che qualcosa fosse accaduto in passato. Qualcosa che lui ancora non conosceva.

“Sei così sicuro di voler proprio sapere?”

Lo sguardo di Sasuke-sensei era ancora più serio del solito e Boruto prese un profondo respiro prima di annuire.

 

***

 

Sasuke usò il kunai per disegnare un sigillo sul terreno prima di evocare il jutsu. All'improvviso si alzò un forte vento, che fece stormire le cime degli alberi, ma si quietò quasi subito. Nulla pareva essere cambiato e Boruto guardò dubbioso lo shinobi accanto a lui.

“Per cosa dovrebbe servire il tuo jutsu?” gli chiese, il tono leggermente sprezzante.

“Fai silenzio e osserva” fu la replica.

E in quell'esatto momento, il silenzio della vallata fu spezzato da una violenta esplosione. Quando la polvere tornò a depositarsi, Boruto poté scorgere le figure di due ninja ritti uno di fronte all'altro sulle colossali statue ritte ai lati della cascata, ma erano troppo distanti per poterli vedere in viso.

“Ehi!” esclamò. “Quelle statue prima non c'erano!”

“Ti sbagli.”

“Ma se fino a un momento fa erano a pezzi sul fondo del fiume! Come hanno fatto a tornare intere?”

“Non l'hanno fatto.”

“Eh? Ma se stanno proprio lì?” E Boruto indicò con il dito i due colossi. “Non dirmi che si sono riparate da sole! E chi sono quei due?”

“Non dire cretinate. È ovvio che non si sono aggiustate per miracolo.”

“E allora come...” Il ragazzino tacque un momento, folgorato da un pensiero, poi emise un grido. “Il tuo jutsu! È stato quello! Non dirmi che questo che sto vedendo è il passato?”

“Sono colpito. Non sei così stupido come sembri. Significa che non sei del tutto senza speranza. Ma devo correggerti. Non stai solo vedendo il passato. Ci sei dentro.”

“Ma... ma...”

“Adesso vorresti farmi il piacere di chiudere il becco? Volevi sapere, no? E allora stai zitto e guarda.”

Intanto, i due ninja si stavano affrontando senza esclusione di colpi. La potenza dei due attacchi era tale che, anche a quella distanza, avvertivano lo spostamento d'aria causato dai colpi e il rombo delle statue che si spezzavano, franando a terra. Il crollo sollevò una nuova nuvola di polvere, ma nemmeno quello fermò i duellanti. Poi, uno dei due evocò dei cloni e creò una sfera di chakra di dimensioni incredibili. Boruto aveva visto soltanto una persona creare un rasengan simile e in quel momento capì.

“Ehi! Ma... quello è mio padre!”

Il suo avversario rispose con un colpo simile. Si equivalevano, nessuno dei due riusciva a prevalere sull'altro. Boruto era impressionato. Non aveva mai visto nessuno combattere ad un tale livello. Si voltò all'improvviso verso lo shinobi. Lui sembrava osservare lo scontro, ma per la prima volta aveva un'espressione diversa. Pareva assorto, come perso nei suoi pensieri.

“Quello che sta combattendo contro mio padre... Sei tu, non è vero?”

Sasuke annuì.

“Ma state combattendo come se voleste davvero uccidervi! Vi odiavate così tanto?”

Ci fu un'esplosione più grande delle altre, poi il silenzio tornò a regnare nella valle. Pareva che il combattimento fosse infine terminato. Tra i resti delle statue, due figure giacevano l'una vicina all'altra.

“Non ci odiavamo” rispose alla fine lo shinobi, pronunciando le parole lentamente. Distolse lo sguardo da quel se stesso più giovane e dal suo vecchio avversario, poi si voltò e si avviò per tornare al villaggio.

Boruto lanciò un ultimo sguardo ai due prima di seguirlo. Le domande avevano cominciato ad affollarsi nella sua mente.

“E allora perché avete combattuto così duramente? Vi siete conciati proprio male. Come avete fatto a sopravvivere a una battaglia simile?”

“Fortunatamente Kakashi-sensei e Sakura ci hanno trovati poco dopo, altrimenti non saremmo stati in grado di tornare indietro, coperti di ferite com'eravamo. Tuo padre non ti ha mai raccontato di aver perso così il braccio?”

Boruto scosse la testa.

“Io persi il sinistro, lui il destro. Tsunade-sama riuscì a crearne uno artificiale per entrambi, anche se il suo ha sempre funzionato peggio del mio. Sono convinto che siamo arrivati a combattere così perché, quando eravamo più giovani, ci facevamo dominare troppo dalle nostre emozioni. Io sono quello che sono, ma tuo padre è il testardo più cocciuto che mi sia mai capitato di incontrare e non c'era verso di fargli cambiare un'idea, una volta che se l'era messa in testa. Ma adesso non posso dire che ci odiavamo. Avevamo solo una visione molto diversa su quello che deve essere il compito dell'Hokage.”

“Allora adesso gli sei leale solo perché ti ha battuto?”

“No. Gli sono leale perché mi sono reso conto che la sua visione è migliore della mia.”

Boruto sbuffò. “La sua visione non è per niente la migliore, visto che non mantiene mai le sue promesse. Come può essere l'Hokage migliore se non rispetta nemmeno la parola data?”

“Un ragazzino come te non può capire tutto. Sei ancora troppo immaturo.”

“Smettetela di dire tutti che sono immaturo!” sbottò Boruto, inalberandosi. “E non mi dire che anche tu lo difendi!”

“Non difendo nessuno. So solo cose che tu non sai.”

“Allora ditele anche a me, così posso capire!”

“Non sono cose che ti si deve dire, ma che tu devi comprendere da solo, altrimenti non serve a niente.”

“Uffa!”

Boruto camminò in silenzio per qualche altro minuto, le braccia conserte.

“Però...”

Sasuke non si fermò, ma girò leggermente la testa verso di lui, come se lo stesse ascoltando.

“Quando eravate nel team 7 insieme, tu e papà eravate amici.”

“Sì.”

“E cosa è successo? Perché poi siete diventati nemici?”

“È una lunga storia.”

“Ti prego, dimmelo! Lui non mi ha mai raccontato niente!”

“Forse aveva le sue buone ragioni.”

“Ma se non mi dite mai niente, come posso capire?”

“Sei noioso.”

Boruto mise il broncio e, suo malgrado, Sasuke non poté fare a meno di fare un sorrisetto obliquo.

“Quell'espressione è identica a quella che faceva lui quando qualcosa non andava come voleva.”

“Eh?”
“Te l'avranno detto in tanti, ma tu gli somigli davvero molto.”

“Sì, me lo dicono tutti. È una rottura!”

“A me dicevano che somigliavo molto a mio fratello, ed è stata quella la causa di tutto.”

“Perché?”

“Perché avevo deciso di seguire un cammino di vendetta, accecato dall'odio che nutrivo per lui. Tuo padre tentò di impedirmelo e combattemmo l'uno contro l'altro in quella stessa valle. Alla fine, io lo sconfissi e lasciai Konoha. Fu in quello scontro che graffiò il mio coprifronte.” Indicò la placca metallica con il simbolo della Foglia che indossava. “Sembra quasi la riga che si incide sui coprifronte degli shinobi rinnegati e in un certo senso ero proprio quello. Ma tuo padre è davvero un gran testardo. Non smise mai di cercare di convincermi a tornare e me lo chiese di nuovo al termine della battaglia che hai appena visto.”

“E perché quella volta hai accettato? Perché ti ha sconfitto?”

“No.”

“E allora perché?”

“Perché mi mostrò una visione migliore.”

“Uffa! Che noia! Ancora questa storia della visione!” Boruto stirò le braccia verso l'alto, poi intrecciò le mani dietro la nuca. Diede un calcio a un rametto prima di lanciare un'occhiata a Sasuke. “Comunque, questo non cambia niente! Mio padre mi ha fatto troppe promesse che non ha mantenuto e non lo perdono!”

Com'era prevedibile, lo shinobi continuò a camminare senza rispondere e a Boruto non restò altro da fare che seguirlo sbuffando.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Erano ormai tornati al villaggio, ma Boruto era perso nei suoi pensieri e non si accorse subito che qualcosa era cambiato. Se ne rese conto soltanto quando notò che alcune botteghe non erano più al loro posto abituale. Allora si girò verso Sasuke.

L'occhio destro dello shinobi era diverso. L'iride scura era diventata rossa e riconobbe lo sharingan che Kakashi-sensei gli aveva mostrato una volta, quando gli aveva spiegato in cosa consisteva la celebre arte oculare degli Uchiha. Rimase di stucco quando lanciò per caso un'occhiata ad una finestra. Il vetro scuro rifletteva la sua immagine come uno specchio, ma, se non avesse saputo che era proprio lui quel ragazzino, non si sarebbe riconosciuto. Infatti, il monello che restituiva il suo sguardo aveva comunissimi capelli castani e altrettanto comunissimi occhi castani. Non c'era più alcuna traccia né delle ciocche bionde, né delle iridi azzurre tanto simili a quelle di suo padre, così uniche e così rivelatrici della sua ascendenza.

L'illusione avvolgeva anche Sasuke, perché il riflesso del vetro mostrava un uomo avanti con l'età accanto a lui, nel posto che invece era occupato dallo shinobi.

“Cosa mi hai fatto?” gridò, toccandosi la faccia.

“Non urlare. Ci guarderanno tutti.”

“E tu spiegami cos'hai fatto! Perché mi hai cambiato?” Boruto era veramente arrabbiato. “E perché il tuo jutsu è ancora attivo? Perché siamo ancora nel pass...”

La mano di Sasuke gli tappò la bocca e il maestro lo prese per un braccio, trascinandolo in un vicoletto lì accanto.

“Smettila di gridare” gli intimò, severo. “Il jutsu è ancora attivo perché la tua lezione non è ancora terminata. Finirà quando riterrò che avrai imparato qualcosa da tutto questo, non prima.”

Boruto si divincolò dalla presa dello shinobi. “Potevi almeno dirmelo che cambiavi il mio aspetto!”

“Calmati. È solo un'illusione.”

“Ma perché l'hai fatto?”

“Fai troppe domande. Sei noioso.”

“Ma tu non mi spieghi niente!”

Sasuke lo guardò per un lungo momento, ma Boruto tenne duro e sostenne il suo sguardo, con i pugni stretti e l'espressione più arrabbiata che gli riuscì di esibire. Alla fine, l'ombra di un sorrisetto attraversò per un istante il volto dello shinobi.

“Prova ad usare un attimo il cervello” gli disse. “Non ti ho forse già detto che sei praticamente identico a tuo padre?”

“E allora?” sbottò Boruto. Quanto lo irritava sentirselo dire!

“Come pensi reagirebbe la gente se vedesse a zonzo per le strade di Konoha qualcuno che gli somiglia così tanto, quando tutti sanno che lui è l'ultimo rimasto sia del clan Uzumaki, sia del clan Namikaze, da cui hai ereditato tutti i tuoi tratti?”

Vista da quella prospettiva, la questione aveva un senso e Boruto dovette riconoscerlo.

“E tu, allora? Perché hai cambiato anche il tuo aspetto?”

“Anche io sono l'ultimo del mio clan, e anche gli Uchiha hanno un aspetto piuttosto caratteristico. Verrei riconosciuto ovunque, senza contare che, in quest'epoca, ero ancora un rinnegato. Noi siamo qui perché tu hai detto che vuoi capire, ma non possiamo interferire con il corso degli eventi. Ti dico fin d'ora una cosa e tienila bene a mente perchè non ho alcuna intenzione di ripetermi. L'unico controllo che ho su questo jutsu è di poter decidere quando interromperlo. Non ho nemmeno il potere di decidere cosa mostrarti, perciò non so cosa vedremo e l'ordine temporale si altererà di conseguenza in base al momento in cui è avvenuto un dato evento.”

“Ordine temporale?” Boruto non ci aveva capito molto e la sua espressione perplessa ne era la prova.

Il maestro sospirò esasperato.

“In parole povere, potremmo passare dal mattino alla notte, dal tramonto all'alba, da un momento all'altro e senza alcuna logica, quindi non metterti ad urlare cose stupide in mezzo alla strada come hai fatto poco fa. Mi sono spiegato?”

“Sissignore.”

“Ricordati che dobbiamo passare inosservati. Fai finta di essere un viandante qualsiasi e cerca di non attirare troppo l'attenzione. Adesso seguimi.”

Lo shinobi si avviò lungo la strada con passo tranquillo. Pareva in tutto e per tutto l'anziano viandante che pretendeva di essere e Boruto sbuffò sonoramente prima di seguirlo. In lontananza era perfettamente visibile l'alta rupe con le teste degli Hokage scolpite nella pietra e al ragazzino parve strano quel nuovo paesaggio perché era sempre stato abituato a vedere anche i volti del Sesto e del Settimo insieme agli altri.

Stava ancora brontolando tra sé all'indirizzo dello shinobi quando notò un piccolo gruppo di chunin che stava camminando nella loro direzione. Sasuke lo afferrò per un braccio e si fece di lato per farli passare. Solitamente sarebbe dovuto accadere l'inverso perché i chunin dovevano mostrare il dovuto rispetto ai jonin, ma Boruto si era completamente dimenticato del loro travestimento perché li aveva riconosciuti.

Infatti, non appena questi furono alle loro spalle e poterono riprendere a camminare, afferrò Sasuke-sensei per la manica e indicò il gruppetto senza farsi notare.

“Ma quelli non erano Shikamaru-san, Ino-sensei e Choji-sensei?”

“Sì” gli rispose, senza degnarli nemmeno di un'altra occhiata.

“Stavano parlando di mio padre.”

“Davvero?”

Il suo tono era indifferente.

“Li ho sentiti chiaramente!”

“Allora non ti dispiacerà seguirli.”

Boruto non ebbe nemmeno il tempo di replicare. Lo shinobi tornò sui suoi passi e si mise a seguire il trio di chunin come se stesse andando nella loro stessa direzione solo per una bizzarra coincidenza. Del resto, il gruppetto non prestava la minima attenzione agli altri passanti perché erano impegnati a parlare tra di loro.

 

***

 

“Tutto questo allenamento mi ha messo un super appetito” stava commentando il più robusto dei tre. “Ma, senza Naruto, anche il ramen non è più buono come prima.”

“Smettila di lamentarti. Quando tornerà, potrete strafogarvi insieme quanto vorrete” replicò Shikamaru.

La versione più giovane dello shinobi non era per niente diversa dall'uomo che Boruto conosceva bene, visto che accompagnava suo padre quasi ovunque.

“Spero che si sbrighi a terminare quel suo addestramento con quel tale maestro Jiraya. Lui è l'unico degno di essere il mio compagno di scorpacciate. Se non torna presto, diventerò troppo magro” disse ancora Choji.

“Non c'è proprio pericolo!” ridacchiò Ino. “Ma prima che torni dovremo rendere perfetta la combinazione Shika-Ino-Cho!” La ragazza alzò il pugno, infervorata dal suo stesso discorso, ma i suoi compagni di team non sembravano ugualmente entusiasti.

Choji sospirò. “Voglio del ramen, ma andare da solo è troppo triste.”

“Smettila di brontolare. Anche se non siamo Naruto e non abbiamo il suo stesso appetito, possiamo sempre venire io e Shika con te. Non è vero?”

L'interpellato annuì, poi affondò le mani nelle tasche. “Quel Naruto... Non so come faccia, ma riesce a tirare fuori il meglio delle persone. Solo perché ha deciso di andare ad addestrarsi per tre anni con Jiraya-sensei, tutti gli altri sono stati presi dalla stessa smania di migliorarsi per non sfigurare in confronto a lui.”

“Non è il mio caso. Io mi sto allenando per non farmi superare da Sakura” rettificò Ino.

“Ma lei lo sta facendo per non restare indietro rispetto al suo compagno di team, quindi si può dire che è un effetto indiretto. Anche Neji si sta impegnando duramente per non farsi più battere come all'esame dei chunin.”

“Shikamaru, sei troppo intelligente” bofonchiò Choji, masticando un dolcetto che aveva pescato da una tasca.

Ino, invece, rimase in silenzio per qualche istante. “È vero” commentò poi. “Anche Hinata non sembra più la stessa. Da quando Naruto l'ha incoraggiata, non fa altro che allenarsi. Non so come faccia quell'enorme stupido a non accorgersi che è innamorata persa di lui.”

“Naruto non è intelligente come Shikamaru” bofonchiò ancora Choji. “Però è un bravo ragazzo. Mi manca.”

Shikamaru diede una pacca consolatrice sulla spalla del compagno. “Lo so, Choji. Manca a tutti.”

 

***

 

Il gruppetto di chunin svoltò un angolo e sparì alla vista, ma Boruto non aveva più voglia di seguirli. Si fermò e, qualche passo avanti a lui, Sasuke-sensei fece lo stesso, voltandosi a guardarlo.

“Ne hai già abbastanza?” gli chiese.

“Non mi interessa sentire quanto mio padre mancava ai suoi amici per uno stupido addestramento che è andato a fare con quel Jira-qualcosa-sensei!”

“Jiraya-sensei” lo corresse lo shinobi.

“Quello che sia! Questo non mi servirà a niente! Non mi importa sapere quanto Shikamaru-san e gli altri siano suoi amici!”

“Be', è un po' difficile imbattersi in qualcuno che non sia suo amico perché tuo padre è sempre stato straordinariamente bravo a stringere legami. Anche troppo, se devo essere sincero.”

“Ma questo non mi aiuta a capire! Non è quello che mi interessa!”

“Ti sbagli. Tutto ha un senso. Ma adesso è ancora troppo presto perché tu lo capisca.”

“Come no! Mi sono stancato! Non voglio più stare qui! Spezza subito questo jutsu e fammi andare a casa!” urlò Boruto, stringendo i pugni.

Ma Sasuke-sensei incrociò le braccia sul petto e lo guardò freddamente. “Ti arrendi già?” gli chiese.

Il ragazzino non rispose e abbassò lo sguardo.

“Evidentemente, mi sbagliavo su di te. Se proprio vuoi tornare indietro, d'accordo. Andiamo, spezzerò il jutsu.”

Forse se l'era immaginato, ma a Boruto parve di percepire una nota di delusione nella voce dello shinobi. Ma, rifletté, che cosa si era aspettato da quel tuffo nel passato di suo padre? Era ovvio che fosse sempre stato circondato da amici, la cosa non doveva stupirlo più di tanto. Perché non credeva che gli altri potessero riporre così tanta stima e ammirazione in lui? In fondo, se era diventato Hokage, qualcosa di buono doveva pur averla fatta.

Sasuke-sensei continuava a guardarlo, in attesa che facesse lui la prima mossa. Ma, se si fosse arreso davvero, non avrebbe dimostrato altro che di essere davvero un moccioso immaturo.

Così strinse i denti. “No” disse.

“Come, scusa?” Lo shinobi pareva sorpreso e alzò un sopracciglio.

“Non voglio ancora tornare indietro.”

Il silenzio che accolse la sua dichiarazione si protrasse per qualche secondo, ma alla fine lo shinobi sospirò. “Ti avverto, questa è l'ultima volta che te lo permetto, ragazzino. E adesso sbrigati. Abbiamo tanto da fare e poco tempo a disposizione.”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

I tetti dell'accademia diventarono visibili all'improvviso, subito dopo aver svoltato l'angolo. Boruto riconobbe immediatamente l'edificio, nonostante apparisse diverso dal solito.

“È stato ricostruito dopo che Pain l'ha raso al suolo” lo informò Sasuke, come se gli avesse letto nella mente.

Un gran numero di ragazzini vocianti era raccolto al di fuori del portone e un Iruka-sensei di diversi anni più giovane era impegnato a distribuire dei rotoli.

“Ma che succede?” chiese Boruto, incuriosito suo malgrado.

“Avvicinati e lo scoprirai.”

Guardò di sbieco il maestro, ma lui si limitò a indicargli la folla con la mano, come invitandolo ad andare avanti.

“Non dovevamo passare inosservati?” chiese allora, in tono irriverente.

“Sei il nipote un po' stupido di un comune viandante, no? Devi solo ricordarti questo per non combinare disastri. Che cosa stai aspettando? Vai.”

Boruto non era del tutto convinto, ma fece come gli era stato detto, avvicinandosi quasi timidamente alla folla. I ragazzini erano festanti e mostravano ai genitori i rotoli che il giovane Iruka-sensei aveva consegnato loro, ricevendone in cambio degli elogi.

“Ehi! Che succede?” osò chiedere ad uno di loro.

“Eh? E tu chi sei?” ribatté il ragazzino, squadrandolo. “Non sei uno di qui.”

“No” rispose Boruto. Non dovette fingere di balbettare perché aveva appena riconosciuto in lui Kiba-sensei in versione bambino. “Il nonno e io siamo solo di passaggio in questo villaggio, ma sembrava una festa e...”

“Be', sì che è una festa!” esclamò l'altro, regalandogli un sorriso enorme. “Non è vero, Akamaru?”

“E cosa festeggiate?”

“Festeggiamo il fatto che siamo stati promossi all'esame per diventare genin! Questa, amico mio, è l'Accademia Ninja di Konoha! D'ora in poi potremo addestrarci per diventare i migliori shinobi del mondo! D'altra parte, è risaputo che gli shinobi di Konoha sono i più forti! Vero, Akamaru?”

Il cagnolino bianco appollaiato sulla testa di Kiba abbaiò e scodinzolò come fosse perfettamente d'accordo con le parole del suo padrone e Boruto si chiese se fosse davvero lo stesso Akamaru che conosceva lui, il cagnone gigante che non si separava mai da Kiba-sensei.

“Be', dev'essere un esame piuttosto facile, allora. Siete stati promossi tutti e avete la mia stessa età” commentò.

“Proprio per niente! Non era un esame facile!” interloquì una Ino ancora più piccola di quella che aveva visto poco prima. “E non è vero che siamo stati tutti promossi. Lui non ha superato l'esame!”

La piccola Ino-sensei indicò verso il giardino.

“Quello lì è una calamità! È solo una fortuna che non abbia superato l'esame!” rise Kiba.

“Già. Pensa che cosa potrebbe combinare se dovesse diventare ninja.” brontolò un adulto alle sue spalle. “Potrebbe radere al suolo l'intero villaggio.”

“Non dire altro. Sai che l'Hokage non vuole che se ne parli!” lo redarguì subito un altro.

Boruto era sconcertato. Ma di chi stavano parlando quelle persone? Si voltò nella direzione che gli aveva indicato Ino e scorse un ragazzino seduto in disparte sull'altalena.

I suoi stessi capelli biondi e ribelli. I suoi stessi occhi azzurri.

Papà.

Si rese conto solo in un secondo momento che c'era qualcosa che non andava. Quegli occhi azzurri erano inondati di lacrime e il ragazzino stringeva i pugni sulle corde dell'altalena, osservandoli da lontano. Sul suo viso era chiaramente leggibile la rabbia, oltre al dolore.

Fu un moto istintivo quello di muovere un passo nella sua direzione prima ancora di capire quello che i suoi occhi stavano realmente vedendo, ma una mano gli afferrò il braccio e lo trattenne.

“Non andare là.”

Boruto si girò di scatto a guardare il ragazzino che gli aveva parlato, notando immediatamente gli occhi perlacei che denotavano la sua appartenenza allo stesso clan di sua madre, gli Hyuga.

“Perché?” gli chiese, sconcertato.

Non capiva. Suo padre aveva tanti amici. Perché lo stavano trattando in quel modo?

“Gli adulti non vogliono che parliamo con quel ragazzino, né che giochiamo con lui, né che ci avviciniamo in nessun altro modo” gli spiegò quello.

“Neji-nii-san” lo supplicò la bambina che era accanto a lui, torcendosi le mani angustiata e con un filo di voce a stento udibile. Gli occhi erano gli stessi. Un'altra appartenente al clan Hyuga. “Non dovresti parlare così di Naruto-kun. Lui non ha fatto nie...”

“Hinata-sama!” la interruppe immediatamente lui, in tono duro. “Devo ricordarti quello che ti hanno detto i tuoi genitori al riguardo?”

Neji. Hinata-sama.

Quindi quella era la sua cara mamma, la mamma dolce e gentile che amava tanto suo padre. Come poteva essere? E quello era lo zio Neji, l'uomo che non aveva mai conosciuto, ma di cui suo padre parlava sempre con tanta stima e a cui la madre portava sempre fiori freschi al cimitero. Era impossibile.

Ma la piccola Hinata abbassò il capo remissiva e mormorò un flebile: “No, Neji-nii-san. Mi dispiace.”

“Andiamo via.”

I due Hyuga si allontanarono e Boruto si girò di nuovo a guardare in direzione dell'altalena, ma di suo padre non c'era più alcuna traccia.

 

***

 

Era ancora parecchio scombussolato da quell'incontro quando tornò ad affiancarsi a Sasuke-sensei, ma lo shinobi non disse nulla. Si limitò ad avviarsi lungo la strada e Boruto gli andò dietro.

La rupe con i volti degli Hokage era proprio davanti a loro, rosata nella luce del pomeriggio che andava calando.

“Guarda un po' e dimmi se non ti ricorda qualcosa” disse all'improvviso Sasuke.

“Ma... ma... com'è possibile!” Boruto sgranò gli occhi, incredulo. “Io ho ripulito tutto!”

“Ma sei proprio stupido!” Il maestro sospirò sconsolato. “Sai che il jutsu è ancora attivo, ma stai tranquillo, questa volta il colpevole è un altro.”

 

***

 

Suo padre era impegnato a ripulire, esattamente come aveva fatto lui proprio il giorno prima mentre Iruka-sensei lo teneva d'occhio.

“Non tornerai a casa finché non avrai pulito tutto per bene” disse il sensei, severamente.

Ma suo padre non parve considerare le parole del maestro, anzi, sbuffò sonoramente. “Che mi importa!” sbottò, sprezzante. Abbassò lo sguardo e, a bassa voce, aggiunse: “Tanto a casa non c'è nessuno.”

Il ragazzino continuò a pulire a testa china, ma si vedeva che quelle parole bisbigliate erano state sentite da Iruka-sensei e lo avevano scosso. Infatti lo shinobi si grattò pensierosamente la fronte mentre studiava il suo allievo, ma poi sorrise.

“Ehi, Naruto...”

“E adesso che c'è?”

“Niente. Volevo dirti che, quando avrai finito di pulire, ti offrirò del ramen per cena.”

Un enorme sorriso si aprì sul volto del ragazzino.

“Evviva! Allora mi metto d'impegno!” esclamò, riprendendo a sfregare con vigore.

 

***

 

Sasuke-sensei seguì Iruka-sensei quando il maestro condusse la versione più giovane di suo padre al chiosco di ramen e Boruto non poté far altro che seguirli a sua volta.

Iruka-sensei mise un'enorme ciotola fumante sotto il naso del ragazzino e quello iniziò a mangiare con voracità.

“Che buono!” esclamò, a bocca piena.

“Naruto, senti...” iniziò il maestro, “perché hai fatto quegli scarabocchi? Tu sai chi sono gli Hokage, vero?”

“Eh? Certo che lo so!” gli rispose. “Prendono il titolo di Hokage i ninja migliori del villaggio. Il Quarto Hokage è l'eroe che ha protetto Konoha dalla Volpe a Nove Code.”

“E allora perché li hai derisi?” volle sapere Iruka.

“Perché un giorno conquisterò anch'io il titolo di Hokage e supererò in forza tutti gli Hokage che ci sono mai stati!” esclamò suo padre, impugnando le bacchette come un trofeo. “Così tutto il villaggio sarà costretto a riconoscere la mia bravura!”

Anche Boruto aveva una ciotola di ramen davanti, ma per una volta non aveva molta voglia di mangiare. Suo padre e Iruka-sensei stavano ancora parlando tra di loro quando guardò Sasuke-sensei. Lo shinobi stava sorseggiando tranquillamente una tazza di tè dopo aver mangiato una piccola porzione di riso al vapore.

Notando che il suo reticente allievo aveva appoggiato le bacchette, Sasuke gli lanciò un'occhiata sorpresa.

“Non è da te non avere fame.”

“Io credevo...”

“Cosa?”

“Credevo che avesse sempre avuto tanti amici. Perché allora pomeriggio all'accademia l'hanno trattato in quel modo?”

“Perché è il Jinchuuriki della Volpe a Nove Code.”

“Cosa c'entra?” Boruto era stupito.

Certo, Kurama poteva essere spaventosa a volte e il suo chakra era mostruoso, ma quella vecchia volpe gli stava simpatica.

“Kurama non è sempre stata quella che conosci” disse Sasuke, come leggendogli nel pensiero. “Tuo padre ci ha messo anni ad addomesticarla e la gente ne ha sempre avuto paura, considerato quanto è successo con il Quarto. Guarda.”

Gli indicò fuori dalla finestra e Boruto scattò in piedi, rovesciando lo sgabello. Corse a schiacciare il naso contro il vetro, osservando incredulo quanto stava accadendo al di fuori del piccolo ristorantino.

Il cielo era trapunto di stelle, ma Konoha non riposava. La popolazione correva per le strade in preda al terrore, cercando disperatamente di mettersi in salvo dalle fiamme che divampavano per il villaggio. Gli shinobi cercavano di aiutare quanto più potevano la gente a scappare da quell'inferno e, mentre i chunin coordinavano l'evacuazione, i jonin tentavano di arginare gli incendi e di proteggere quello che restava del villaggio.

Un potente ruggito fece tremare i vetri della finestra, attirando lo sguardo di Boruto verso le colline a ovest di Konoha.

“Quella è Kurama?” chiese, scioccato.

L'enorme demone rosso stava devastando la foresta sferzando gli alberi con gli artigli e le code e tra le sue fauci si formavano in continuazione palle di fuoco che sputava tutt'attorno, spiegando così l'origine degli incendi. Sembrava combattere contro qualcuno perchè di tanto in tanto Boruto poteva scorgere l'ombra di uno shinobi saltare tra le cime degli alberi, ben visibile contro il bagliore delle fiamme.

“Sì, quella è Kurama” confermò Sasuke. “E quello che sta cercando di fermarla è il Quarto Hokage.”

Corde di chakra si avvolsero attorno al corpo della Volpe a Nove Code che, con un ultimo ruggito rabbioso, svanì all'improvviso e tutto tornò silenzio.

Boruto si girò verso Sasuke, che non si era mosso dal tavolo e aveva continuato a bere il suo tè.

“Il Quarto era mio nonno, vero?” gli chiese. “Era il padre di mio padre?”

“Sì.”

“Papà ha detto che è stato lui a sigillare Kurama nel suo corpo il giorno che è nato. Mi ha fatto vedere il sigillo. Ma perché Kurama faceva così?”

Il maestro non rispose subito e, quando lo fece, era evidente che stava scegliendo con cura le sue parole.

“Tua nonna era la precedente Jinchuuriki” disse. “Quella notte, l'Akatsuki aveva complottato per estrarre la Volpe da lei con la forza e catturarla, ma tuo nonno riuscì a sigillarla in tuo padre prima che loro potessero prenderla. Prima che tuo padre riuscisse a placarla, Kurama era un demone feroce. Tua nonna riusciva a controllarla a stento e, una volta liberata dal suo sigillo, ha potuto causare la distruzione che hai appena visto. Il Quarto, tuo nonno, e la precedente Jinchuuriki, tua nonna, persero la vita in quella battaglia, salvando il villaggio e tuo padre neonato dopo aver sigillato in lui il demone e facendone il nuovo Jinchuuriki. Ma dopo quegli eventi, la gente ne aveva troppa paura.”

“Sì, ma perché trattavano così papà? Lui è il Jinchuuriki, è vero, ma non ha fatto niente di male!”

“Qualcun altro risponderà a questa tua domanda. Se hai finito di mangiare, andiamo.”

Boruto lanciò un ultimo sguardo alla finestra prima di seguire lo shinobi fuori dal chiosco, ma tutto quello che vide fu la solita quieta Konoha di sempre.




Angolino dell'autrice:
Il viaggio di Boruto nel passato di suo padre prosegue e le cose cominciano a farsi più complicate perchè scopre cose che non avrebbe mai sospettato...
Grazie a tutti coloro che hanno letto questa storia finora, soprattutto a chi ha recensito! 
Spero che continui a piacervi!
Un abbraccio!
manueos85

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Il palazzo dell'Hokage era l'edificio più alto di Konoha e, dalla sua terrazza, l'Hokage poteva spaziare con lo sguardo su tutto il villaggio che si stendeva ai suoi piedi. Era una vista spettacolare e Boruto aveva spesso avuto modo di ammirarla quando andava a trovare suo padre nel suo ufficio insieme alla mamma e alla sorellina.

Seduti sulla testa del Primo, Sasuke-sensei gli fece segno di tacere e gli indicò la terrazza pochi metri sotto di loro.

Il Terzo Hokage era appena uscito lì a passeggiare, mordicchiando pensosamente il cannello della sua pipa. Espirò una boccata di fumo mentre sembrava aspettare qualcuno.

Un momento dopo, un ninja balzò silenzioso sulla ringhiera della terrazza e andò ad inginocchiarglisi davanti.

“Perdoni il ritardo, Hokage-sama.”

“Iruka.” Il Terzo espirò un'altra boccata di fumo, lasciando vagare lo sguardo sul villaggio. “Come si sta comportando Naruto?”

“Ieri sera, al chiosco di ramen, l'ho promosso al grado di genin” rispose lo shinobi. “Era contentissimo di essere diventato un vero ninja. Ha detto che finalmente il villaggio l'avrebbe apprezzato. Sogna di diventare Hokage.”

“Naruto coltiva un sogno molto difficile da realizzare” sospirò il Terzo. “Come sai, Iruka, gli unici a sapere che Naruto è il Jinchuuriki della Volpe a Nove Code sono gli adulti che dodici anni fa combatterono quel demone. Da allora, per proteggere il segreto, ho assegnato severe punizioni a chiunque infrangesse la regola del silenzio. In questo modo, la nuova generazione ne è all'oscuro e questo avrebbe dovuto aiutare Naruto. Ma a quanto pare mi sbagliavo perché i miei ordini hanno avuto l'effetto contrario. Gli adulti ne hanno paura e, inconsciamente, hanno trasmesso ai loro figli questo sentimento di ostilità nei suoi confronti.”

“Hokage-sama...”

“Iruka, devi sapere che, quando gli uomini disprezzano una persona, i loro occhi si fanno freddi e pungenti come ghiaccio.”

Quelle parole fecero sussultare Iruka-sensei, che abbassò la testa con fare colpevole.

“Sai perché ho assegnato Naruto proprio a te, Iruka-sensei?” chiese il Terzo.

Lo shinobi scosse la testa e l'Hokage gli sorrise gentilmente.

“Naruto non può far altro che combinare dispetti per attirare su di sé l'attenzione della gente. Il ragazzo desidera che, in qualche modo, qualcuno riconosca il suo valore e, anche se fa il duro, in realtà dentro soffre perché è solo. Tu, più di tutti gli altri, dovresti capirlo, Iruka-sensei.”

“Sì, Hokage-sama. Lo capisco bene.”

“Allora te lo chiedo, per rimediare al mio errore, di stargli vicino.”

Il Terzo capovolse la pipa, facendo cadere a terra la brace, poi si avviò verso il suo ufficio mentre Iruka-sensei, silenzioso com'era arrivato, saltò giù dalla terrazza balzando da un tetto all'altro.

Quando nessuno dei due fu più in vista, Sasuke si voltò verso Boruto.

“Ecco la tua risposta. Ecco perché in passato tuo padre era malvisto ed evitato da tutti.”

“Non sapevo che da bambino fosse stato così infelice” mormorò Boruto. Si odiò perché nel dire quello la sua voce tremolò. Non voleva piangere, eppure si sentiva un grumo di lacrime premere dolorosamente nella gola. “Non me ne ha mai parlato.”

“A nessun padre piace ammettere davanti al proprio figlio le sue debolezze e parlare dei suoi momenti peggiori.”

“Come ha fatto a sopportare?”

“Anche se era un dobe di proporzioni epiche, tuo padre aveva anche una grande forza e un grande pregio. Non si è mai fatto fermare da niente e da nessuno, nemmeno da me.”

 

***

 

Il tramonto inondava il parco con la sua morbida luce dorata. Sasuke lo aveva fatto sedere su una panchina e avevano guardato in silenzio i giochi dei ragazzini che lo affollavano. Parevano esserci proprio tutti: Sakura-sensei con Ino-sensei, Shikamaru-san, Kiba-sensei, Shino-sensei, Choji-sensei, Ten Ten-sensei, Rock Lee-sensei, lo zio Neji-san.

Sasuke-sensei. Sua mamma Hinata.

E suo padre.

Come sempre solo. Come sempre isolato dagli altri.

Uno dopo l'altro, i genitori cominciarono a venire a recuperare i loro figli per riportarli a casa e il parco risuonò di un coro di saluti insieme alle promesse di ritrovarsi di nuovo lì il giorno seguente. Alla fine, rimasero solo in due ad attendere ancora.

Suo padre e Sasuke-sensei.

Erano seduti entrambi sulle altalene, entrambi senza dire una parola, e si studiavano di sottecchi l'un l'altro. Ma, proprio nel momento in cui suo padre sembrava aver trovato il coraggio di fare la prima mossa, un ragazzo che assomigliava in maniera impressionante a Sasuke comparve nel parco. Sembrava essersi materializzato dal nulla, ma in realtà il giovane shinobi era appena balzato giù dai tetti di una casa vicina.

“Ototo” chiamò. Fratello.

Il piccolo Sasuke si era già alzato dall'altalena e gli si era avvicinato, sorridendo e con uno sguardo di pura adorazione ad accendergli gli occhi scuri. “Itachi-nii-san!”

“Mi dispiace. Sono in ritardo.”

Il maggiore mise una mano sulla spalla del fratellino e si voltò per andare, ma lui gli afferrò un lembo della sua divisa da jonin per attirare la sua attenzione sull'altro bambino.

“I suoi genitori non vengono a prenderlo?” chiese.

La domanda era stata fatta a bassa voce e di sicuro suo padre non poteva aver sentito perché aveva abbassato lo sguardo a terra e aveva preso a calciare dei sassolini, ma, seduto su quella panchina, Boruto era abbastanza vicino da cogliere la risposta del giovane shinobi.

“Quel bambino li ha persi molto tempo fa, ma non provare pietà per lui perché è solo. Piuttosto, ammira il suo coraggio.”

I due se ne andarono e Boruto osò lanciare un'occhiata al maestro. Lo shinobi aveva voltato la testa e il suo sguardo era puntato sulla coppia di fratelli che camminavano insieme, vicinissimi l'uno all'altro e con la mano del più grande sulle spalle del minore.

“Sasuke-sensei?”

“Avevo dimenticato questo ricordo” mormorò lui. Pareva profondamente perso nei suoi pensieri.

Ma, prima che potesse dire altro, suo padre balzò in piedi e, puntando i pugni verso l'alto, urlò: “Io sono il grande Naruto Uzumaki e vi farò vedere di cosa sono capace! Diventerò l'Hokage migliore di tutti!”

“Naruto! Ancora a zonzo a quest'ora?” Iruka-sensei uscì dalle ombre degli alberi e ridacchiò, andando incontro al piccolo Naruto. “Sai, mi è venuta una gran voglia di mangiare del ramen. Ti andrebbe di farmi compagnia?”

Un enorme sorriso si aprì sul viso di suo padre, scacciando in un momento l'ombra di malinconia che l'aveva attraversato.

“Certo che sì! Iruka-sensei, sei il sensei migliore del mondo!” urlò, stritolando lo shinobi in un abbraccio. “Ramen! Stiamo arrivando!”

 

***

 

Sasuke-sensei era particolarmente taciturno dopo quell'ultimo incontro e Boruto non poteva fare a meno di chiedersi se fosse a causa del fratello. Da quanto aveva potuto vedere, da piccolo il sensei gli era molto legato, ma, a parte lui, non aveva mai conosciuto nessun altro che portasse il nome degli Uchiha, quindi doveva essere morto da tempo.

Avrebbe voluto fargli delle domande, ma l'espressione assente sul volto dello shinobi gli tolse il coraggio di spezzare il silenzio che era sceso tra di loro.

Nel jutsu era ancora il tramonto, ma quel passare in continuazione da un momento all'altro della giornata gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Da quanto si trovavano nel passato? Quando avevano mangiato il ramen mentre parlavano di Kurama, il suo stomaco aveva brontolato davvero per la fame e Boruto aveva pensato potesse essere mezzogiorno, anche se il jutsu mostrava il cielo stellato.

Stava ancora cercando di capire quanto tempo potevano aver passato seduti sulla panchina del parco quando il loro gironzolare li condusse nei pressi delle porte del villaggio. Due chunin erano impegnati a sorvegliare l'ingresso come al solito, ma appena fuori dal massiccio portone c'era una ragazza.

Se ne stava lì, in silenzio, ad osservare la strada che si allontanava da Konoha.

A Boruto bastò uno sguardo per riconoscere in lei una giovane Sakura-sensei. In quel passato i suoi capelli erano più corti, ma avevano la stessa curiosa tonalità che li avevano sempre contraddistinti e che gli permettevano di riconoscerla ovunque.

Sasuke-sensei si fermò e finse di esaminare le spezie esposte su una bancarella al margine della strada mentre una donna più grande si avvicinava a Sakura. Anche quel viso era ben conosciuto da Boruto e il ragazzino rimase a guardare mentre Tsunade-sama raggiungeva la ragazza e le si metteva al fianco.

“Restare qui in piedi ad aspettare non li farà tornare indietro prima” le fece notare la Quinta.

“Non sto aspettando il ritorno di Naruto. Sono passati solo due giorni e so bene che il suo addestramento durerà tre anni” ribatté lei.

“Quello di Sasuke, allora.”

“La speranza che lui ritorni... l'ho persa da tanto, ormai.”

“E allora perché sei qui, Sakura?”

La ragazza sospirò.

“Quei due... mi hanno sempre lasciata indietro. Fin dall'inizio, fin dalle prime missioni del team 7 con Kakashi-sensei, loro due si sono sempre impegnati a migliorare e lo facevano così tanto che, in poco tempo, tutto quello che vedevo erano le loro spalle che si allontanavano, sempre più avanti, sempre più lontano...”

La Quinta non disse niente. Si limitò ad incrociare le braccia sul seno e si appoggiò ad un battente del portone.

“Mi chiedo se mi sono mai impegnata abbastanza.”

“Kakashi-sensei non ha mai detto il contrario.”

“Ma non mi sono mai sforzata oltre le mie possibilità come invece ha sempre fatto Naruto. Lui non si fermava mai, continuava sempre, ancora e ancora, senza arrendersi nonostante i fallimenti, testardo come un mulo, sordo alla fame e alla fatica, fino a che non ci riusciva.”

“Lo stesso sistema non vale per tutti, Sakura. Quel modo andava bene per Naruto e per Sasuke, ma non per te. Kakashi mi ha raccontato di quando vi ha insegnato a salire sugli alberi dosando il chakra sotto i piedi. Ricordi cosa ti disse in quell'occasione?”

“Lo ricordo” annuì la ragazza.

“Allora dovresti anche capire cosa ti sto dicendo io adesso” commentò la Quinta.

“Lo capisco, Tsunade-sama. Ma questo non cambia il fatto che mi sento... inutile e lenta e...”

“Vuoi davvero essere all'altezza dei tuoi vecchi compagni di team, Sakura?”

“Sì.”

“Allora non c'è altro modo. Dovrai impegnarti con tutte le tue forze per essere il miglior ninja medico di Konoha. Dopo di me, ovviamente.”

“Mi può addestrare, Tsunade-sama?”

La Quinta guardò attentamente in faccia Sakura con uno sguardo tale che Boruto pensò lo avrebbe fatto tremare da capo a piedi se ne fosse stato lui il destinatario, ma Sakura-sensei non batté ciglio e ciò parve piacere all'Hokage perché piegò le labbra in un sorriso.

“Molto bene” disse. “Cominceremo domani mattina all'alba. Ma devi promettermi una cosa.”

“Qualunque cosa!” esclamò Sakura, stringendo i pugni entusiasta.

“Non voglio più vederti qui a guardare quella strada con quello sguardo perso di poco fa. Sono stata chiara?”

“Sì, sensei.”

La quinta se ne andò e Sakura-sensei la seguì dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla strada polverosa.

 

***

 

Quando la kunoichi non fu più in vista, Sasuke riprese a camminare fino a condurlo davanti ad un grande edificio proprio accanto all'Accademia.

"Sono in corso gli scontri per l'esame dei chunin" lo informò lo shinobi. "Tecnicamente non potremmo entrare, ma penso che questa volta faremo un'eccezione."

"Cheeee?" esclamò Boruto, sconcertato.

Il maestro non perse tempo e balzò agilmente da una grondaia ad un cornicione ad un davanzale, dando la scalata all'edificio con la stessa tranquillità che aveva mostrato nel passeggiare lungo la strada e con lo stesso portamento elegante di sempre. Quando raggiunse una terrazza molto più in alto, guardò in basso verso di lui con un sopracciglio inarcato.

"Perché sei ancora laggiù?" chiese. "Muoviti a salire, prima che qualcuno ti veda con il naso per aria e quell'espressione ebete sulla faccia."

"Sasuke-sensei, te l'ho già detto che mi stai veramente antipatico?" sbottò Boruto, facendogli la linguaccia.

"Dubito che questo mi spezzerà il cuore."

"Anzi, ti odio proprio."

"Mi sento davvero sollevato. Ma se mi costringi a venire a prenderti sarà solo a tuo rischio e pericolo."

"Uffa!"

La sua scalata non fu minimamente paragonabile a quella dello shinobi perché saltellò con poca grazia da una sporgenza all'altra e più volte fu sul punto di perdere l'equilibrio. In più, quando raggiunse il maestro era completamente sudato e ansante, ma ce l'aveva pur sempre fatta con le sue sole forze e non poté fare a meno di sentirsi un pochino orgoglioso di se stesso.

"Non perdere tempo a montarti la testa, ragazzino. Piuttosto, guarda là cosa sta succedendo."

Boruto si affacciò prudentemente alla finestra aperta, dalla quale godevano di una perfetta vista dall'alto dell'arena di combattimento. Nessuno lo notò perché l'attenzione di ogni jonin e di ogni aspirante chunin era concentrata sul combattimento in corso e fortunatamente nessuno sentì l'esclamazione che gli sfuggì nonostante le mani premute sulla bocca nel riconoscere la versione più giovane di sua mamma in uno dei duellanti.

Aveva il viso, le mani e i vestiti impolverati come se fosse già caduta a terra diverse volte mentre stava in piedi davanti allo stesso ragazzo che l'aveva duramente rimproverata quando li aveva incontrati davanti all'Accademia il giorno della loro promozione a genin. Sua madre stava combattendo contro lo zio Neji-san, ma anche da quella distanza Boruto poteva vedere che ne era impaurita.

Anche lo zio se n'era accorto perché la guardò con disprezzo. "Non vorresti essere qui. L'hai fatto solo per i tuoi compagni di team, ma nel profondo del tuo cuore vuoi solo scappare."

"Non è vero!" si difese sua madre, ma la sua voce tremante non suonò per niente convincente.

"Non puoi mentire ai miei occhi. Io vedo quello che provi" replicò lo zio. Il byakugan disegnò un reticolo di vene attorno ai suoi occhi, rendendo ancora più duro il suo sguardo. "Alla fine, sai anche tu che non puoi cambiare. Non puoi cambiare te stes..."

"Tu puoi!"

Un urlo interruppe lo zio e Boruto riconobbe all'istante quella voce. Sotto di lui, suo padre si era aggrappato alla ringhiera degli spalti e si era messo ad urlare con tutta la sua forza, incurante dello sguardo omicida che gli rivolse Neji.

"Smettila di decidere per le altre persone, brutto idiota! Hinata, prendi a calci in culo quel bastardo!"

Hinata guardò verso di lui per un momento, stupefatta, mentre le sue labbra si muovevano nel mormorare qualcosa tra sé. Ma, quando tornò a spostare lo sguardo dei suoi occhi chiari su Neji, tutto il suo atteggiamento era cambiato. Ogni tremore era scomparso. L'espressione era decisa, la postura perfetta. Il byakugan si attivò.

"Non scapperò mai più" disse la giovane Hinata, prima di partire all'attacco.

Lo scambio di colpi che seguì fu impressionante e Boruto non poté far altro che assistere a bocca aperta alla velocità con cui si susseguivano attacchi e contromosse. Sussultava ogni volta che sua madre riceveva un colpo e stringeva i pugni ogni volta che lei riusciva ad andare a segno, esattamente come faceva suo padre sugli spalti, anche se era chiaro che lo zio Neji aveva una tecnica superiore a quella di sua madre.

Alla fine, lo zio riuscì a piazzare un altro colpo in pieno petto alla giovane Hinata, che cadde a terra.

"Hinata-sama, la differenza tra noi non può cambiare. Nel momento in cui hai detto di non voler scappare hai segnato la tua sconfitta. Arrenditi" le consigliò lui.

Ma sua madre, testardamente, caparbiamente, si rimise in piedi.

"Io non mi rimangio la parola data" disse, con un coraggio e una convinzione che Boruto le invidiò. "Questo è anche il mio credo ninja."

Non mi rimangio la parola data.

Le stesse parole che più di una volta Boruto aveva sentito pronunciate da suo padre e che più di tutto lo facevano andare in bestia perché si ostinava a ripetergliele nonostante sapesse bene che non era altro che una schifosissima bugia. Suo padre non la manteneva mai, la sua parola.

È anche il mio credo ninja.

Non voleva più vedere. Non voleva sapere se sua mamma era riuscita a battere lo zio Neji. Boruto spiccò un balzo e atterrò in strada, ma perse l'equilibrio e finì a terra, sbucciandosi le ginocchia e il palmo delle mani. Eppure, nonostante il male, si rialzò e si mise a correre più forte che poteva, senza aspettare Sasuke-sensei e senza nemmeno guardare se lo stesse seguendo oppure no.

Mi dispiace, mamma, ma non è vero.





Angolino dell'autrice:
Boruto si è appena scontrato con un altro ricordo del passato di suo padre, ma per lui è davvero difficile da accettare...
Cosa succederà adesso? Be', per saperlo, amici miei, non dovete far altro che aspettare il prossimo capitolo!
Un grazie enorme a chi mi legge e un grandissimo abbraccio a chi ha la pazienza di recensire! 
Ciao!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Quella Konoha era troppo estranea. Ovunque si girasse, c'era qualcosa che gli ricordava inevitabilmente che era ancora imprigionato nel jutsu di Sasuke-sensei, ma Boruto non aveva nessunissima voglia di andarlo a cercare. Non lo voleva vedere.

Anche se gli aveva spiegato che non era lui a scegliere cosa avrebbero visto in quel viaggio nel passato, non poteva fare a meno di chiedersi se anche lui non gli avesse mentito, proprio come faceva sempre suo padre. Dopotutto, cosa glielo impediva?

Ed era proprio vero che suo padre non ne sapeva niente? In fondo, erano amici. Potevano aver organizzato quella messinscena per punirlo della bravata alle teste degli Hokage.

Le sue ginocchia bruciavano da matti e si sentiva scoppiare i polmoni per la fatica, ma non rallentò la corsa finché non fu nel bosco fuori Konoha. Solo allora si fermò e si asciugò con stizza le due lacrime che erano riuscite a scivolargli lungo le guance. Si appoggiò al tronco di un albero e, dopo aver ripreso fiato, guardò nella direzione da cui era venuto, ma di Sasuke-sensei non c'era traccia.

"Stupido idiota di un sensei!" sbottò, ma tenne la voce bassa per paura che lui, sbucando fuori dal nulla come suo solito, potesse sentirlo.

Però i minuti passarono e nessuno stupido sensei compariva. Il suo stomaco brontolò affamato e Boruto sospirò. Forse aveva dimostrato ancora una volta di essere più stupido dello stupido sensei correndo via come aveva fatto.

Si ripulì le ginocchia alla meno peggio con la manica emettendo un grosso sospiro.

Forse era meglio tornare indietro, ma non avrebbe chiesto scusa lo stesso.

Si tirò in piedi e si incamminò nella direzione da cui era venuto, ma dopo qualche passo gli alberi cominciarono a diradarsi fino a sbucare in una radura inondata di luce. Il sole era abbastanza basso sull'orizzonte come se fosse sorto da poco, ma già splendeva radioso nel cielo limpido.

Un mormorio di voci lo spinse a nascondersi tra i cespugli, da cui si affacciò con cautela a sbirciare. Si era forse imbattuto nell'accampamento di una carovana? Ma poi capì di essere finito in un altro ricordo quando scorse l'inconfondibile zazzera bionda e spettinata di suo padre. Sia lui che Sakura-sensei, inginocchiata al suo fianco, sembravano un po' più piccoli rispetto al ricordo da cui era appena scappato, quindi doveva trattarsi di un evento precedente. Kakashi-sensei, però, appariva lo stesso di sempre e, con quel coprifronte calato sull'occhio sinistro, era inconfondibile.

Sakura depositò un mazzolino di piccoli fiori bianchi e una ciotola di dango su uno due tumuli davanti cui erano inginocchiati. Alla testa di uno dei due era stata conficcata una spada enorme, mentre l'altro, più piccolo, era decorato da una semplice croce cui era stata appesa una maschera e una collana di fiori.

"Kakashi-sensei, questi due avevano davvero ragione sui ninja?" chiese all'improvviso la ragazza, spezzando il silenzio.

"Gli shinobi non dovrebbero perseguire i loro scopi personali" le rispose lui, lentamente. "È più importante addestrarsi e diventare un'arma al servizio del proprio paese. È lo stesso anche per noi della Foglia, che seguiamo la guida dell'Hokage."

Sakura tornò a fissare i due tumuli davanti a sé e Sasuke aggrottò le sopracciglia in uno sguardo corrucciato, ma non disse niente.

"Se è davvero ciò che significa diventare ninja, allora non mi piace!" sbottò invece suo padre, incrociando le braccia.

"Ci credi davvero in questo, Kakashi-sensei?" domandò Sasuke.

"Be', ogni shinobi deve vivere mentre combatte con quel problema" fu l'evasiva risposta del maestro. "Proprio come Zabuza... e quel ragazzo..."

"Secondo me, essere ninja significa diventare forte per proteggere quelli a cui si vuole bene." Suo padre appoggiò una mano sulla croce più piccola. "Proprio come ha detto Haku."

Poi si voltò verso Kakashi-sensei con un'espressione decisa. "Ho deciso. Sarò ninja a modo mio."

 

***

 

Una mano si appoggiò all'improvviso sulla sua spalla, facendolo sussultare. Gli sarebbe anche scappato un grido se, nello stesso momento, una seconda mano non gli avesse tappato la bocca. Si divincolò per liberarsi, ma la voce di Sasuke-sensei bisbigliò nel suo orecchio un avvertimento.

"Stai zitto o ci scopriranno."

Annuì e lo shinobi lo lasciò, rimanendo immobile alle sue spalle finché Kakashi-sensei non condusse via i suoi genin. Solo allora Boruto osò voltarsi per guardarlo in viso, ma Sasuke-sensei non appariva per niente arrabbiato. La sua espressione era la solita di sempre mentre indugiava per un momento con lo sguardo sulle due tombe nella radura.

"Chi sono?" chiese Boruto.

Non ebbe bisogno di specificare a cosa si riferisse perché anche il suo sguardo era tornato sui due tumuli.

"Zabuza e Haku" gli rispose il maestro. "Due mercenari in cui ci siamo imbattuti durante una missione. Avevamo iniziato da poco l'addestramento genin."

"Cos'è accaduto? Perché sono morti?"

"Le tue ginocchia stanno sanguinando."

Lo shinobi estrasse una fiala e una striscia di garza dal kit di emergenza che ogni jonin portava sempre con sé in una piccola sacca legata in vita e, ignorando le smorfie di dolore del ragazzino, prese a pulirgli le sbucciature dallo sporco e dal sangue che si stava ormai rapprendendo.

"Sensei?"

Boruto non intendeva demordere e Sasuke sospirò. "Haku è morto proteggendo Zabusa con il proprio corpo. Era un ninja straordinario, per essere un ragazzino della nostra stessa età. Zabuza, invece, era un mercenario senza alcun principio morale, un assassino spietato che si curava soltanto di una persona al mondo."

"Haku?"

"Morì affrontando da solo e con entrambe le braccia paralizzate un'orda di mercenari assoldati per far saltare un ponte nella Terra delle Nebbie."

"Eravate diventati amici anche di loro due?"

"Per niente."

"Allora perché..."

"Non ha importanza. È accaduto tanto tempo fa."

"Ma se ho visto questo ricordo, è perché deve essere importante!"

"Lo era anche quello da cui sei scappato."

Boruto abbassò lo sguardo. La frecciata del maestro aveva colpito perfettamente il bersaglio e il ragazzino si sentì in colpa.

“La mamma...”

“È stata sconfitta. Neji era decisamente superiore a lei per capacità, tecnica e forza.” Lo shinobi scoccò un'occhiata al viso del ragazzino, sul quale era calata un'espressione delusa, e sorrise, addolcendo la durezza di quella frase. “Ma ti posso assicurare che non gli è stato così facile batterla. Tua madre poteva essere una ragazzina timida e insicura, ma in quell'occasione ha dimostrato una forza d'animo inaspettata, a dimostrazione che anche il più innocuo dei topolini può diventare una tigre quando occorre.”

“E tu pensi che sia stato grazie all'incoraggiamento di papà?”

Boruto era dubbioso, ma aveva visto con i suoi occhi il cambiamento nello sguardo della giovane Hinata nel sentire le grida di supporto che le aveva rivolto.

“Tu cosa ne pensi?” fu la domanda retorica del maestro.

“Forse” ammise lui, scontrosamente.

“Ti avrebbe fatto bene vedere il coraggio di tua madre, se solo non fossi corso via come uno stupido.”

Quelle parole ebbero il potere di farlo sentire ancora più in colpa di prima e Boruto chinò la testa, ma la rialzò di scatto quando si udì un'esplosione lontana. Una nuvola di fumo si alzò quasi con pigrizia al di sopra delle cime degli alberi, ma la foresta aveva preso a risuonare degli inconfondibili rumori di una grande battaglia.

“Cosa succede?”

Ignorando il bruciore alle ginocchia, Boruto saltò in piedi mentre Sasuke-sensei chiudeva per un momento l'occhio sinistro. Quando lo riaprì, l'iride scura aveva lasciato il posto al rinnegan e lo shinobi puntò lo sguardo di quell'occhio in direzione del fumo.

“Questo chakra...” mormorò, come ricordando qualcosa. “Sì, non mi sbaglio. È lui.”

“Di chi stai parlando?”

“Di Pain.” Sasuke-sensei disattivò la tecnica oculare prima di guardarlo. “A quanto pare sei un ragazzino fortunato. Avrai una seconda occasione. Questa volta vedi di non sprecarla.”

 

***

 

Il combattimento aveva prodotto un enorme cratere. Pain era davvero un avversario durissimo e gli shinobi di Konoha erano ricoperti di ferite che nemmeno Katsuyu, la lumaca evocata da Tsunade, riusciva a sanare. Persino Gamabunta e i suoi figli, gli enormi rospi del Monte Myoboku, erano stati sbaragliati e i loro corpi erano svaniti in grandi sbuffi di fumo.

Ora, tutto quello che i ninja potevano fare era assistere quasi impotenti mentre l'unico ancora in grado di combattere sembrava proprio suo padre.

Era stato lui stesso a chiedere che nessuno interferisse e aveva affrontato Pain da solo, ma ora anche lui si trovava nei guai. Pain era riuscito a bloccare il suo chakra con dei paletti di un sinistro metallo nero, inchiodandolo a terra.

Boruto aveva sussultato quando l'ultimo paletto aveva trafitto entrambe le mani di suo padre.

Era la fine.

Come poteva liberarsi quando non poteva neanche controllare il proprio chakra?

Fu in quel momento che un ninja balzò accanto a suo padre, sferrando un tremendo pugno a terra, tanto potente da scavare un altro cratere nel terreno già martoriato, e costringendo Pain ad arretrare. E quando la polvere si diradò, si rivelò la figura eretta di sua madre Hinata.

Quella ragazza era cresciuta moltissimo rispetto alla ragazzina di poco prima alle prese con l'esame per diventare chunin. Adesso era molto più simile alla mamma che conosceva e non soltanto per i suoi capelli neri, che si erano allungati e le ricadevano sulle spalle rendendola mille volte più bella di quel caschetto in cui erano acconciati quando era più piccola.

La Hinata di quel giorno teneva le spalle dritte, fieramente, e non incurvate per il timore.

Uno shinobi del clan Hyuga gridò angosciato il suo nome, ma lei lo ignorò e mantenne gli occhi fissi su Pain.

“Non ti permetterò più di toccare Naruto nemmeno con un dito!” affermò.

“No! Hinata!” gridò suo padre, con una nota di paura nella voce. “Perché sei venuta qui?! Vattene via! Tu non puoi affrontare...”

“Lo so” lo interruppe lei “Sono solo... egoista.”

“Che stai dicendo?! Non metterti in pericolo così!”

“Sono esattamente dove voglio essere. Questa volta, sarò io a salvarti, Naruto!”

Suo padre sgranò gli occhi, fissando sua madre come inebetito, e lei prese un respiro profondo prima di continuare a parlare.

“Io... piangevo sempre, e mi arrendevo prima ancora di provare. Tante volte sono stata sul punto di prendere la strada sbagliata, ma tu mi hai aiutato a scegliere quella giusta. Non facevo altro che seguirti, aspettando di poterti raggiungere per camminarti accanto. Volevo stare insieme a te. Tu mi hai cambiata, Naruto. È stato il tuo sorriso quello che mi ha salvata, per questo non mi spaventa l'idea di morire se significa che posso proteggerti! Perché... io ti amo, Naruto!”

Boruto era scioccato da quelle parole, ma prima che potesse digerire il fatto che fosse stata sua madre la prima a dichiarare il suo amore a suo padre, soprattutto in una situazione come quella, Hinata assunse la stessa postura con cui aveva affrontato lo zio Neji il giorno dell'esame dei chunin. Intendeva combattere.

Fissò dritto davanti a sé Pain e attivò il byakugan, ma quando si mosse non lo fece per attaccare lui. Velocissima, ruotò su se stessa e sferrò un potente calcio ad uno dei paletti che bloccavano le gambe di suo padre, spezzandolo e facendolo volare lontano. Era quasi riuscita a spezzarne un altro quando Pain reagì.

Hinata si trovò ad essere sbalzata via e rotolò per qualche metro, ma questo non le impedì di tornare all'attacco. Il suo intento era palesemente quello di liberare Naruto piuttosto che attaccare Pain direttamente, ma il nukenin non intendeva lasciarglielo fare tanto facilmente. Riusciva sempre a bloccare ogni tentativo della kunoichi, che finì a terra diverse volte colpita dai suo contrattacchi.

“Hinata!” gridò suo padre, impotente, mentre l'ennesimo colpo di Pain si abbatteva su di lei.

Sua madre si rialzò, senza preoccuparsi del rigolo di sangue che le scendeva dalla tempia e le rigava la guancia, colando da una ferita alla testa. Ricompose la sua postura con le braccia strette ai fianchi, la schiena dritta e i piedi ben piantati a terra. Il chakra divampò attorno alle sue mani strette a pugno e a Boruto bastò un istante per riconoscere la tecnica del Pugno Gentile, un'altra delle famose arti Hyuga.

Questa volta cambiò strategia. Attaccò Pain e lo impegnò in un rapidissimo scambio di colpi, tanto che gli occhi faticavano a seguire il movimento delle mani di entrambi. Ma, all'improvviso, qualcosa distrasse il nukenin, che si mosse con un istante di ritardo, un istante di troppo. Hinata riuscì a sferrargli un potente pugno in faccia, poi fu rapidissima a cogliere l'opportunità che le si era presentata. In un attimo fu accanto a suo padre e riuscì a spezzare altri due paletti con un unico pugno ben piazzato.

Purtroppo la reazione di Pain fu altrettanto fulminea e Hinata fu sbalzata via ancora una volta, finendo a terra a parecchi metri di distanza.

Rimase immobile talmente a lungo che Boruto si sarebbe precipitato accanto a lei se Sasuke-sensei non l'avesse trattenuto afferrandolo per un braccio mentre suo padre urlava più volte il suo nome con angoscia, strattonando inutilmente i paletti che lo tenevano bloccato contro il terreno. Quando infine la vide muoversi, l'espressione di suo padre rivelò tutto il suo sollievo, ma fu di breve durata.

Hinata si rimise lentamente in piedi. Sanguinava copiosamente da una ferita alla tempia, si teneva il braccio sinistro premuto sull'addome e tremava per lo sforzo di reggersi sulle gambe, ma iniziò pian piano a camminare verso suo padre. Zoppicava vistosamente e inciampava. Cadde anche, ma si rialzò e si rifiutò di fermarsi.

“Fermati, ti prego! Hinata, non venire qui!” la supplicò lui, la voce tremante e la fronte appoggiata a terra per nascondere le lacrime.

Pain osservò con volto inespressivo i testardi sforzi di sua madre e, come intuendo che non sarebbe riuscita a fare niente altro, la lasciò avvicinare a suo padre finché la kunoichi non crollò in ginocchio proprio davanti a lui, le mani serrate sul paletto che bloccavano quelle di lui.

“Non capisco. Perché qualcuno debole come te tenta ancora di resistere? Perché mi combatti, sapendo che morirai?”

La domanda di Pain spezzò il silenzio surreale che era calato sul campo di battaglia.

Hinata guardò negli occhi suo padre e, malgrado le lacrime che le rigavano le guance sporche di sangue e polvere, gli sorrise dolcemente.

“Io non mi rimangio la parola data” mormorò. “Perché questo è anche il mio credo ninja."

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Quello che accadde dopo fu tutto troppo veloce.

Suo padre fissò sua madre completamente sbalordito per quelle parole pronunciate in un soffio.

Sua madre serrò la presa sul paletto di metallo nero che gli teneva le mani inchiodate a terra.

Pain alzò il braccio contro di lei.

Boruto si sentì afferrare e caricare sulla spalla di Sasuke-sensei come un sacco di patate, poi lo shinobi si mise subito a correre per allontanarsi dal quel luogo il più in fretta possibile. In un momento, gli alberi si erano richiusi alle loro spalle, impedendogli di vedere cosa stava accadendo, ma nelle sue orecchie era risuonato ugualmente il grido di suo padre che invocava il nome di sua madre appena prima di percepire lo sprigionarsi dell'immenso e spaventoso chakra di Kurama.

Stava succedendo qualcosa di terribile e doveva sapere cosa fosse capitato a sua madre.

Gridò anche lui, agitandosi, ma lo shinobi era molto più forte e bloccò tutti i suoi tentativi di liberarsi.

“Lasciami!” urlò come un ossesso, tempestandogli di pugni la schiena. “Lasciami andare!”

Se avesse gridato al vento, questo gli avrebbe dato più ascolto. Invece Sasuke-sensei smise di correre solo quando furono di nuovo in vista di Konoha e soltanto allora gli permise di rimettere i piedi per terra.

Boruto ne approfittò immediatamente per cercare di colpire il maestro con un pugno all'addome, ma era ovvio che il suo sarebbe stato un tentativo inutile. Lui non dovette fare nemmeno troppo sforzo per bloccargli entrambi i polsi. In un battito di ciglia, scivolò alle sue spalle e gli torse le braccia dietro la schiena in una morsa che, pur non facendo male, lo bloccava completamente. Tentò allora di sferrare un calcio all'indietro, ma Sasuke-sensei si limitò a spostarsi appena al di fuori della sua portata prima di costringerlo in ginocchio.

Così immobilizzato, non gli restò altro da fare che urlare e lo fece con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ricoprendo lo shinobi con tutti gli insulti più coloriti che riuscivano a farsi strada fino alla sua bocca.

Alla fine, però, dovette interrompersi per riprendere fiato e il respiro gli si spezzò in un singhiozzo proprio mentre le prime due lacrime gli sfuggivano dalle palpebre serrate. Tutta la rabbia che aveva in corpo defluì da lui, lasciandolo svuotato.

“Calmati adesso” gli disse Sasuke.

La voce dello shinobi era quasi dolce mentre scioglieva la presa che lo teneva fermo, ma, invece di lasciarlo andare, un suo braccio gli circondò le spalle, protettivo e confortante allo stesso tempo. Se non avesse saputo che si trattava di Sasuke-sensei, Boruto avrebbe potuto giurare di trovarsi stritolato nell'abbraccio di suo padre tanto era simile la sensazione che gli procurava, ma quello ebbe l'effetto di farlo piangere ancora più forte, singhiozzando sulla spalla del maestro come un bambino piccolo. Si odiò, ma non ci poteva fare niente. Più cercava di trattenere le lacrime, più queste sgorgavano copiose.

Il maestro non disse altro. Lo spinse solo a nascondere la faccia contro il suo petto mentre piangeva e si aggrappava alla sua divisa da jonin, lasciandolo sfogare finché i singhiozzi non iniziarono lentamente a diminuire.

Alla fine, fu Boruto a scostarsi. Tirò su col naso e si asciugò gli occhi, guardando ovunque tranne che il volto del sensei.

“Va meglio?”

Il ragazzino annuì. Si sentiva la voce ancora troppo incerta per parlare.

“Kami, è incredibile quanto somigli a quel dobe di tuo padre! Oltre a mangiare, fare disastri ed essere rumoroso come lui, piangi anche nello stesso identico modo! Mi sembra davvero di rivedere lui marmocchio ai tempi dell'Accademia” ridacchiò lo shinobi. “Non c'è proprio alcun dubbio che sei suo figlio.”

Boruto sospettava di avere gli occhi rossi e gonfi per il pianto che si era appena fatto, quindi sapeva che un'occhiataccia al sensei non avrebbe avuto lo stesso effetto di quelle dei suoi momenti migliori. Tuttavia, non riuscì a evitare di guardare Sasuke e ne fu stupito perché, per la prima volta, il maestro pareva sorridere genuinamente. Quello era un vero e proprio sorriso, non uno dei suoi soliti ghigni obliqui tanto irritanti.

“Sensei...”

“Sì?”

Quel raro sorriso svanì altrettanto rapidamente di com'era arrivato e lo shinobi tornò lo stesso uomo serio di sempre.

“Questa volta non sono stato io a scappare.”

“Lo so.”

“Perché mi hai portato via?”

“Non ti sarebbe servito a niente vedere cos'è accaduto dopo e quella parte di foresta stava per essere distrutta da tuo padre. Hai sentito che stava liberando il chakra di Kurama.”

“Sì, ma...”

“Il fatto che siamo nel passato non ci mette automaticamente al sicuro dai pericoli” spiegò il maestro. Se fossimo rimasti ancora lì, saremmo morti.”

“Ma io voglio sapere cos'è successo a mamma.”

Sasuke-sensei, ancora una volta, sembrò ponderare la risposta.

“Dal momento che sei nato, non dovresti avere dubbi sul fatto che è sopravvissuta. Ma il colpo di Pain è stato tanto forte che le ha fatto perdere coscienza e in quel momento tuo padre ha creduto davvero che fosse morta. La rabbia e il dolore che ha provato gli hanno permesso di scatenare il chakra di Kurama, di liberarsi e sconfiggere Pain.”

“Mamma è stata davvero coraggiosa.”

“È vero.”

“Ed era davvero disposta a morire pur di proteggere papà.”

“Tuo padre l'aveva capito molto prima di me che l'amore è una forza molto più potente dell'odio.”

“Ma lui avrebbe sul serio permesso a mamma a morire per salvarlo!”

“No. Mai.”

“Ma...”

“Pain era un avversario davvero duro. In un campo di battaglia e in una situazione difficile come quella, alcune morti sono inevitabili. Tua madre lo sapeva bene e nonostante questo ha deciso di combattere di sua spontanea volontà per difendere ciò in cui credeva, mettendo a rischio la sua stessa vita. Ma tuo padre non avrebbe mai volutamente permesso a nessuno di sacrificarsi per lui. Va contro ogni suo principio di ninja e contro la sua visione dell'essere Hokage.”

“Perché tutto gira sempre attorno a questa cosa della visione?”

Questa volta, il sorrisetto che Sasuke-sensei gli rivolse era quello irritante di sempre.

“Rimettiti in piedi, ragazzino. Manca ancora qualcosa prima che la tua lezione finisca.”

 

***

 

La Konoha a cui fecero ritorno era molto più simile a quella cui era abituato. L'Accademia Ninja aveva l'aspetto di sempre e, insieme ai volti di pietra dei suoi predecessori, spiccava anche quello del Sesto.

Sasuke-sensei camminò in silenzio per le strade affollate e Boruto lo seguì, chiedendosi un po' incuriosito in quale ricordo sarebbero incappati quella volta. La gente era impegnata nelle faccende quotidiane e sembrava tranquilla. Qua e là, il ragazzino colse alcuni stralci di conversazione che gli fecero intendere che, dopo la grande guerra, i clan erano in pace e ognuno era impegnato nella ricostruzione di ciò che era andato distrutto durante la battaglia contro Madara.

Anche il vecchio quartiere Uchiha stava lentamente tornando alla vita. Iruka-sensei gli aveva raccontato che per tanti anni quel quartiere era stato abbandonato e che solo dietro insistenza del Sesto Hokage e di suo padre le cose avevano iniziato a cambiare. Quando lo aveva interrogato in merito, il vecchio sensei gli aveva spiegato che la gente di Konoha aveva sempre evitato le case abbandonate perché tanti anni prima erano state teatro della grande strage che aveva sterminato l'intero clan Uchiha ad eccezione di Sasuke-sensei, unico sopravvissuto.

Ora le case venivano rimesse a nuovo e l'intero quartiere risuonava di colpi di martello e grida di operai.

Boruto si guardò attorno, cercando di cogliere tutti i cambiamenti che c'erano stati, ma presto cominciò a capire dov'erano diretti.

Ne ebbe la conferma quando giunsero in vista del quartiere degli Hyuga. E lì, un po' separata dalle altre, vide la familiare casa vecchio stile con i muri verniciati di un caldo color albicocca, che balzava all'occhio contro le altre intonacate di colori più chiari.

Il ciliegio nel giardino sul retro era più basso, ma non c'era alcun dubbio.

Quella era casa sua.

Un gruppetto di jonin aveva appena bussato alla porta e, dopo qualche istante, sua madre aprì.

Si notava che aveva qualche anno in più rispetto alla ragazza che aveva appena visto combattere contro Pain, ma Boruto pensò che la sua mamma non era mai stata tanto bella come in quel momento. Il kimono verde acqua che indossava le donava moltissimo, mettendo in risalto tanto gli occhi chiari quanto i lunghi capelli neri.

Rivolse un sorriso gentile ai visitatori prima di fare un lieve inchino.

“Hokage-sama” disse. “Sasuke-san. Shikamaru-san.”

Era stato tanto preso dall'osservare lei che Boruto non aveva fatto minimamente attenzione ai tre shinobi. Tuttavia, anche se sua madre non li avesse chiamati per nome, avrebbe riconosciuto le loro figure ovunque, anche di spalle com'erano in quel momento. In fondo, era pur sempre cresciuto circondato da loro e ricordò con un po' di imbarazzo di aver spesso giocato sulle ginocchia del vecchio Hokage quando questo si fermava a cena da loro, per nulla turbato dalla benda che gli nascondeva l'occhio con lo sharingan. Anzi! Per anni il suo obiettivo era stato quello di sbirciarci al di sotto per svelare quel mistero.

“Kakashi è sufficiente” replicò il Sesto. Nonostante la bocca e l'occhio sinistro fossero coperti come al solito, non era difficile intuire che stesse sorridendo. Si tolse il cappello simbolo della sua carica. “Dov'è Naruto?”

Hinata si fece da parte, invitandoli a entrare. “È in giardino.”

“Immagino che sia in compagnia di Gaara” disse Shikamaru.

“Sì.”

“Shikamaru?”

L'Hokage rivolse all'interpellato un'occhiata interrogativa, inarcando appena il sopracciglio visibile. Se lo conosceva bene, Boruto poteva immaginare che lo shinobi non fosse contento di non essere stato messo al corrente di quel dettaglio prima di quel momento.

“Temari” si limitò a rispondere il più giovane. “Suo fratello ha approfittato dell'incontro con i Kage per farle visita e proprio ieri mi ha detto che gli sarebbe piaciuto passare un po' di tempo con Naruto. Dato che ripartirà domani per Suna, oggi era la sua unica possibilità.”

L'espressione impassibile di Sasuke non cambiò mentre Kakashi sospirava.

“La prossima volta avvertimi prima.”

“A Gaara non importerà. Anzi, può aiutarci a convincerlo” ribatté Shikamaru, per nulla turbato dal blando rimprovero dell'Hokage.

I tre entrarono in casa e sua madre chiuse la porta alle loro spalle, tagliandoli fuori dalla loro conversazione.

“Convincerlo?” chiese Boruto, guardando Sasuke-sensei accanto a lui.

“Già.”

“Convincerlo di cosa?”

“Adesso lo vedrai. Vieni con me e, mi raccomando, fai piano.”

Sasuke-sensei prese la rincorsa e balzò agilmente sul tetto, atterrando sulle tegole rossicce più silenziosamente di un gatto.

Boruto lo imitò, anche se il suo atterraggio non fu altrettanto elegante e silenzioso. Fortunatamente, il rumore che produsse fu mascherato dal passaggio di un carro in strada e il ragazzino raggiunse il maestro, sdraiandosi come lui a pancia in giù sulle tegole riscaldate dal sole. Quando sbirciò oltre il colmo del tetto, poté vedere il gruppetto di uomini riunirsi nel giardino.

Suo padre era appena scattato in piedi per accogliere gli amici e Gaara-sama lo aveva imitato più lentamente. I due Kage si scambiarono un cenno in rispettoso saluto, poi sia lui che Kakashi sedettero sui cuscini che sua madre aveva portato in veranda. Shikamaru-san allungò una tazza di tè freddo al cognato Kazekage, facendo gli onori di casa come se si trovasse nella propria mentre suo padre era distratto da una domanda di Kakashi-sama.

Esauriti i saluti e i primi convenevoli, dopo che tutti si furono di nuovo accomodati, suo padre rivolse uno sguardo incuriosito al suo vecchio sensei e agli amici. Era evidente che non si aspettava quella visita.

“Bene, Naruto. Veniamo subito al dunque, così non porterò via troppo tempo a te e a Gaara-sama” esordì Kakashi, sorridendo come suo solito.

“Non andrò in missione, Kakashi-sensei” affermò subito lui. “E ho già spiegato a Iruka-sensei che non intendo assumermi la responsabilità di un gruppo di genin in addestramento.”

“Con Iruka ho già parlato io e siamo giunti alla conclusione che ha già abbastanza jonin per quello. Non voglio che tutti i miei shinobi migliori siano impegnati in missioni di basso livello. E non devo nemmeno chiederti di partire.”

“Allora qual'è lo scopo della tua visita di oggi, sensei?” fu la domanda di suo padre.

“Schietto e diretto come sempre, vedo.”

“Non ha senso perdere tempo attorno a giri di parole, sensei.”

“Capisco. Hai ragione.”

“Quindi?”

“Ho deciso di lasciare la mia carica” disse allora Kakashi, altrettanto schiettamente. “Voglio che tu diventi Hokage al mio posto.”

Suo padre accolse quell'affermazione con un silenzio attonito che si protrasse per diversi secondi mentre fissava il sensei come se gli fosse improvvisamente cresciuta una seconda testa.

“Non fare quella faccia!” ridacchiò allora Kakashi. “Non ti ho chiesto di liberare Kurama per radere al suolo Konoha!”

“Se devo essere sincero, mi avrebbe stupito molto meno” borbottò suo padre, prima di notare che i suoi amici non erano rimasti per niente sorpresi da quell'annuncio. “Voi due lo sapevate già, non è vero?”

“L'Hokage ci aveva già informato delle sue intenzioni, sì” confermò Shikamaru, mentre Sasuke si limitò ad un rapido cenno d'assenso.

“E siete d'accordo con lui?” si stupì suo padre.

“Mi sembra evidente” replicò Shikamaru.

“Anche tu, Sas'ke?”

L'Uchiha annuì di nuovo.

“Gaara? Lo sapevi anche tu?”

“Kakashi-sama me lo ha accennato ieri al termine del summit e, prima che tu me lo chieda, Naruto, sono anch'io d'accordo con lui, anche se è una decisione che riguarda solo la Foglia.”

Suo padre guardò i suoi amici uno dopo l'altro. Alla fine sospirò, abbassò lo sguardo e scosse la testa.

“No” mormorò a bassa voce.

“Naruto...” provò a dire Kakashi, ma il suo ex allievo lo interruppe subito alzando una mano.

“No. Mi dispiace, ma non posso” affermò deciso.

“Non posso crederci. Non detto dal ragazzino che urlava a tutta Konoha che un giorno sarebbe stato il migliore Hokage mai visto” replicò Kakashi.

“Quel ragazzino non esiste più, sensei” rispose allora suo padre. Pareva quasi triste nel pronunciare quelle parole.

“Naruto, mi meraviglio di te” insistette Kakashi. “Non credevo che avresti rinunciato al tuo sogno tanto facilmente.”

Ma suo padre scosse ancora la testa, lentamente.

“Quello di diventare Hokage è sempre stato il mio sogno, fin da quando posso ricordare...”

“Allora cosa ti trattiene, adesso?”

“Non sono la persona più adatta. Shikamaru e Sas'ke sono tutti e due migliori di me per ricoprire questo ruolo.”

“E cosa te lo fa pensare?” domandò allora Shikamaru.

Suo padre guardò l'amico come se non fosse già del tutto ovvio. “Sia tu che Sas'ke siete più intelligenti di me e strateghi più abili. Io non ho nessuna speciale particolarità.”
“Soltanto quella di guadagnarti la fiducia di chiunque, di tirare fuori il meglio di chi ti sta attorno e di farti seguire nonostante tutto” replicò Shikamaru. “Proprio una cosa da poco!”

“Per essere Hokage non basta solo quello!” si infiammò allora suo padre. “Non è così semplice!”

“E se invece fosse l'unica cosa che la gente vuole realmente?” domandò Kakashi. Il sensei appoggiò i gomiti sulle ginocchia, incrociò le mani sotto il mento e guardò intensamente il suo ex allievo. “Qualcuno in cui riporre una fiducia incondizionata?”

“Sas'ke, digli anche tu che è una follia...” tentò allora, appellandosi all'amico che ancora non aveva aperto bocca. “Digli che tu riusciresti meglio...”

“Dobe” lo interruppe lui con un piccolo sospiro esasperato. “Devo davvero ricordarti che sono un ex nukenin? Chi mai vorrebbe proprio me come Hokage?”

“Ma perché vuoi lasciare la carica, sensei? Non puoi semplicemente continuare tu?”

Kakashi sospirò a sua volta.

“Cerca di capire, Naruto. Io sono stato un sostituto fin dall'inizio. La gente ha accettato me come Hokage solo in attesa che tu fossi pronto.”

“E cosa gli fa credere che ora lo sia?”

“Lo sei. Lo sanno loro e lo sai anche tu.”

“Perché io?”

“Perché sei l'eroe di Konoha” rispose Kakashi, serio. “Sei quello che li ha guidati alla vittoria contro Pain e nell'ultima grande guerra. Sei il figlio del Quarto che si è guadagnato lottando il loro rispetto. Sei l'esempio a cui guardano le nuove generazioni di genin e chunin. Sei il compagno che è sceso sul campo di battaglia gomito a gomito con gli altri shinobi, condividendo i loro dolori e le loro ferite. Sei l'unico Jinchuuriki che sia mai riuscito ad andare d'accordo con Kurama e a farsi accettare dagli altri Cercoteri. Devo continuare ancora?”

Suo padre scosse ancora la testa. “No.”

“Davvero non capisco perché, Naruto” insistette l'Hokage. “Dammi una valida motivazione.”

“Boruto.”

 

***

 

Il suo nome era l'ultima parola che si era aspettata di sentir lasciare le labbra di suo padre e il ragazzino sgranò gli occhi, trattenendo bruscamente il respiro.

Sasuke-sensei gli strinse il braccio per ammonirlo di rimanere in silenzio e lui tornò a seguire con apprensione la conversazione che si stava svolgendo nel giardino.

Kakashi-sensei era ugualmente perplesso dalla risposta ricevuta. “Non capisco” ammise con sincerità.

“So che la guerra è stata dura per tutti, ma tutto quello che desidero adesso è stare con la mia famiglia.” Suo padre abbassò la testa a fissarsi le mani, strette a pugno sulle ginocchia. “Sono ingrato ed egoista. So che sono circondato da tanti amici, ma per la prima volta nella mia vita ho finalmente anch'io una famiglia, una famiglia vera, e l'unica cosa che voglio è passare il mio tempo con le persone che amo.”

Kakashi non replicò. Si limitò ad appoggiare una mano sulla spalla del suo ex allievo e attese finché lui non sollevò di nuovo lo sguardo.

“Capisco come ti senti, Naruto” gli disse allora. “Ma ti assicuro che non ti lasceremo solo in tutto questo. Il passaggio sarà graduale e ti insegnerò tutto quello che ti servirà sapere prima di affidare completamente l’incarico a te. Sasuke ha già accettato l'incarico di capo della squadra ambu, ti informerà in ogni momento di ogni singolo movimento di ogni singolo topolino che si aggirerà dentro e fuori Konoha, e Shikamaru sarà il tuo braccio destro, alleggerendoti di molte delle incombenze burocratiche che la carica di Hokage comporta.”

“Ne avrai bisogno, visto che quello lì ha ancora qualche difettuccio” si intromise lo shinobi appena nominato, indicando con il mento l'arto artificiale avvolto nelle bende dell'amico. “Ma per il ramen dovrai arrangiarti da solo. Non chiedermi di imboccarti!”

L’umorismo pungente servì a stemperare la tensione e suo padre ridacchiò alla battuta dell'amico.

“Si tratterà solo di avere qualche migliaio di figli in più di cui occuparsi” aggiunse Shikamaru, con il suo solito ghigno sardonico.

“Una passeggiata” commentò Gaara, inserendosi nel discorso per la prima volta. “Niente che l'eroe di Konoha non possa affrontare.”

“Tante grazie, Kazekage-sama!” brontolò suo padre all'indirizzo dell'amico con una piccola smorfia, rifilandogli un cameratesco pugno alla spalla.

“Allora, Naruto? Se ti rifacessi la domanda, mi risponderesti ancora di no?” chiese Kakashi.

“Sensei…” Il sorriso abbandonò all’istante il volto di suo padre. “Non lo so.”

“Davvero non ti capisco nemmeno io” intervenne Shikamaru. “Perché ti tiri indietro proprio adesso dopo esserti impegnato per tutta la vita a raggiungere questo obiettivo?”

“Ho già detto che lo faccio per Boruto. Solo per lui.”

“Come se il fatto che tu sia diventato padre cambiasse davvero qualcosa. Non venirmi a raccontare queste cavolate perché lo sono anche io e questo non mi impedisce di fare il mio dovere” replicò Shikamaru, irritato.

“Attento, Nara” interloquì allora Sasuke. “Non esagerare.”

Il suo tono era stato neutro, ma anche Boruto percepì la lieve nota di minaccia insita in quell’avvertimento, unita al fatto che l’iride destra dello shinobi aveva mostrato lo sharingan per un fugace momento.

“Scusa, Naruto.”

Lui annuì leggermente, accogliendo le scuse dell’amico.

“Ricordi cosa ti dissi tanti anni fa, sulle tombe di Zabuza e Haku?” domandò allora Kakashi. “Parlammo proprio di questo, ovvero del fatto che essere ninja significa servire la propria gente anche a costo del sacrificio personale. Fosti proprio tu a dire che essere ninja, secondo te, significa accettare di sacrificarsi per il bene delle persone che si amano e questo vale soprattutto per l’Hokage.”

“Lo so fin troppo bene!” ribatté suo padre. Innervosito, si alzò e camminò a grandi passi per il giardino come una bestia in gabbia, i pugni serrati, la mascella contratta, le sopracciglia aggrottate e le spalle rigide. Solo dopo aver fatto avanti e indietro diverse volte tornò ad affrontare lo shinobi più anziano. “Mio padre non ha esitato un solo istante a sacrificarsi per Konoha. Dovresti saperlo anche tu, visto che il Quarto era il tuo sensei. Il risultato è che io sono cresciuto senza di lui, completamente solo, ma non ho intenzione di permettere che questo accada al mio, di figlio!”

“Sei irrazionale. Stai proiettando su tuo figlio lo spettro delle tue stesse paure. Lui non è te e non vivrà le tue stesse dolorose esperienze.”

“Ma se io diventassi Hokage, dovrei essere sempre in prima linea ad ogni minimo pericolo e minaccia contro Konoha! Tu lo sai, non permetterei mai a nessun altro di morire per me!”

“Ma sei anche lo shinobi più potente, sei il Jinchuuriki e non saresti mai solo a combattere. Hai tanti potenti amici in tutti i clan ninja e la lealtà incondizionata di Sasuke. E se anche non fossi l’Hokage, so che non saresti comunque mai capace di rimanere in disparte a guardare. Saresti in prima linea in ogni caso, davanti a tutti gli altri per proteggere ogni singolo uomo, donna e bambino di Konoha perché tu non ti rimangi mai la parola data, perché questo è sempre stato e sempre sarà il tuo credo ninja.”

“Non usare le mie stesse parole contro di me!”

“Ma sai che sarebbe così! E allora perché non dare alla gente della Foglia l’Hokage che desidera?”

Suo padre non rispose né reagì quando Kakashi si alzò in piedi a sua volta, strinse entrambe le spalle del suo ex allievo e lo guardò in viso.

“Se dovesse mai succederti qualcosa in battaglia, Boruto non sarebbe mai solo come lo sei stato tu. Ci sarebbe Hinata con lui. E se per qualche tragico evento dovesse accadere qualcosa anche a lei, hai tanti amici che se ne prenderebbero cura come fosse figlio loro, Sakura per prima. E tutta Konoha ti vuole bene e ti rispetta. Tra tutte, la cosa peggiore che potrebbe capitare a quel bambino è di crescere fin troppo coccolato e viziato!”

Hinata scelse quel momento per alzarsi. Era stata talmente quieta e silenziosa che Boruto non si era nemmeno reso conto che avesse assistito a tutta la conversazione, cullando tra le braccia un neonato. Il ragazzino si sentì attraversare da un brivido quando realizzò che quello scricciolo doveva essere stato proprio lui. Sua madre raggiunse suo padre, ancora fermo in mezzo al giardino, e gli posò delicatamente una mano sul braccio. Si guardarono per un lungo momento negli occhi e, sotto il suo tocco leggero, lui sembrò cedere.

“Naruto…” mormorò lei.

Suo padre tese le braccia e si strinse al petto il neonato, nascondendo per qualche istante il volto nella copertina leggera in cui era avvolto come in un bozzolo.

“Se accettassi, dovrò trascurarlo. Mi perderò tante cose, non potrò esserci sempre per lui anche quando avrà bisogno di me e per questo mi odierà” disse poi, non sapendo che quelle parole si sarebbero rivelate profetiche.

Kakashi-sama ebbe il buon senso di non dire altro e di lasciare che fosse Hinata a restargli accanto. Sua madre mosse la mano che gli teneva ancora sul braccio in una lenta carezza, attirando così la sua attenzione su di sé.

“Boruto capirà” gli disse allora, con convinzione. “Non ti odierà.”

“Hinata...”

“Accetta l'incarico, Naruto. Mantieni la tua parola e diventa Hokage.”

I suoi genitori si guardarono per un altro lungo momento, poi suo padre si girò verso la rupe dei Kage, ben visibile anche dal loro giardino, e i suoi occhi si soffermarono su ciascun volto di pietra. Alla fine, rilassò le spalle, prese un profondo respiro e si voltò a fronteggiare Kakashi-sensei e i suoi amici.

“D'accordo” disse. “Accetto.”





Angolino dell'autrice:
Auguri di Buon Anno a tutti!
Ormai ci avviciniamo alla fine di questa storia, amici miei, e in questo capitolo Boruto ha ricevuto un'altra bella scossa alle sue convinzioni...
Come la prenderà? Per saperlo, non vi resta che aspettare domani per il prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

Boruto non riusciva a crederci. Suo padre sarebbe stato disposto a rinunciare a diventare Hokage soltanto per lui, per il suo bene.

Ma non ebbe nemmeno il tempo di digerire quella nuova consapevolezza che il ricordo improvvisamente cambiò e il primo pomeriggio virò all'improvviso in una incantevole serata trapunta di stelle.

“Conosco la strada di casa! Non c'è bisogno che tu mi segua ancora.”

Il grido irritato che sentì provenire dalla strada attirò il suo sguardo sul se stesso che, soltanto la sera prima, aveva inveito contro Sasuke-sensei quando questi l'aveva seguito fino a casa.

Il breve scambio di battute con lo shinobi si concluse con lui che correva verso la porta di casa, spalancandola con irruenza, e si precipitava dentro.

Ma la sera prima non aveva affatto notato il gesto di bentornato che suo padre stava per rivolgergli nel trovarselo di fronte perché non lo aveva degnato di un'occhiata nemmeno quando gli era quasi finito contro.

Il rumore di una porta sbattuta sottolineò il fatto che aveva raggiunto la sua stanza mentre i due shinobi si guardavano l'un l'altro.

Sasuke-sensei si strinse nelle spalle mentre suo padre sospirò sconsolato, passandosi una mano sul viso.

“Ha finito di ripulire tutto?” domandò stancamente.

“Sì, altrimenti non te l'avrei riportato a casa. Sarebbe ancora là a strofinare.”

“L'ho punito troppo duramente, secondo te?”

Boruto si stupì nel cogliere una nota di insicurezza nella domanda di suo padre.

“Sinceramente no” rispose Sasuke-sensei. “Ha passato il segno con tutte queste bravate, anche se sappiamo tutti e due che le fa solo per attirare la tua attenzione. Avresti dovuto rimetterlo in riga molto tempo fa. Al ragazzo può solo far bene un po' di sana disciplina.”

“Diresti lo stesso se si trattasse di Sarada?” ironizzò suo padre.

“Quella bambina è più simile a me di quanto avrei voluto” replicò Sasuke-sensei e per la prima volta Boruto lo vide sospirare di frustrazione. “Sembra che i nostri figli abbiano preso i nostri difetti e siano perfino riusciti a peggiorarli.”

“Già.” Anche suo padre sospirò. “L'avevo detto che mi avrebbe odiato.”

“È un ragazzino, dobe. Non ti odia. Soltanto, ancora non capisce.”

“Cosa posso fare?”

“Lascialo stare. Capirà, e quando lo farà, gli passerà. Non asfissiarlo.”

“Vorrei parlargli, spiegargli... Ma in questo momento non mi ascolterebbe per niente.”

“Ci sono cose che deve capire per conto suo, Naruto. Non forzarlo.”

“Sì, forse hai ragione, Sas'ke.”

“Smettila di tormentarti, dobe. Sei noioso quando fai così.”

“Teme, non te l'ha mai detto nessuno che sei di un'antipatia unica?”

“Sì, tu, tante volte.”

I due shinobi si guardarono in cagnesco per qualche secondo l'un l'altro, ma poi suo padre emise una risatina e Sasuke-sensei sorrise, mostrando la stessa sincera espressione che aveva tanto stupito Boruto quando l'aveva vista poco prima nella foresta.

“Vai a dormire, razza di dobe Hokage. Domani dovrai preoccuparti per qualche altro migliaio di figli, non solo per questo.”

“E tu fila subito a casa, teme capo ambu, prima che Sakura-chan si arrabbi davvero. Non vorrei che se la prendesse anche con me per averti tenuto fuori fino alle ore piccole!”

 

***

 

Sasuke-sensei aspettò che suo padre entrasse in casa e che l'altro se stesso si fosse allontanato, scomparendo dietro un angolo della strada, prima di saltare a terra. Ma quando il suo reticente allievo mancò di fare altrettanto, si voltò a guardarlo con un sopracciglio inarcato.

“Non vieni? Hai intenzione di restare appollaiato lassù ancora per molto?”

Boruto scosse la testa e lo raggiunse.

Si sentiva più scombussolato che mai. Quegli ultimi due ricordi avevano frantumato ogni sua precedente convinzione e adesso non sapeva bene come fare a mettere insieme i pezzi di quel nuovo stato di cose.

Camminarono in silenzio fino al parco e lo shinobi lo fece sedere sulla stessa panchina di qualche tempo prima.

“Sei silenzioso” commentò alla fine.

Boruto annuì.

“Non è sempre facile accettare quello che si scopre del passato e mutare le proprie convinzioni.”

“Avevi già fatto un viaggio del genere, sensei?”

“Sì, due volte. È stato molto... istruttivo, anche se durante la mia prima esperienza i ricordi erano stati manipolati da Orochimaru allo scopo di convincermi di alcune cose.”

“Avevi detto che i ricordi non si possono scegliere!”

“Infatti. Non si può scegliere cosa vedere, ma si può alterare il ricordo stesso, mostrandolo in maniera distorta da quello reale.”

“Di chi hai visto il passato?”

“Di mio fratello Itachi.”

“E la seconda volta?”

“Entrambe le volte i ricordi erano legati a lui, ma la seconda volta ho visto finalmente la verità, ho compreso le ragioni che l'avevano spinto a compiere alcune scelte e questo mi ha reso capace di superare l'odio che provavo. E tu? Hai capito qualcosa da questo viaggio?”

“Ci sono così tante cose che non conoscevo di papà...” sospirò Boruto, alzando lo sguardo al cielo stellato sopra di sé. “Credevo di conoscerlo, ma non sapevo nemmeno che avesse avuto un passato tanto difficile.”

“Tuo padre è stato capace di conviverci e di andare avanti. Tu, invece, cosa pensi di fare?”

“Non lo so. Sono così confuso...”

“Sei ancora arrabbiato con lui?”

“No!” La risposta gli uscì di getto e Boruto si rese conto di esserne davvero convinto. “No, non lo sono.”

“Lo odi?”

“Certo che no!”

“Pensi ancora che sia un bugiardo?” insistette Sasuke-sensei.

Boruto esitò prima di rispondere. “È vero che mi ha fatto delle promesse che non ha mantenuto, ma...”

“Ma?”

“Lo so che essere Hokage lo impegna tanto. Mi dispiace di essermi arrabbiato così con lui. Ho proprio fatto la figura del ragazzino immaturo, non è vero?”

“Direi che qualcosa hai imparato” commentò allora Sasuke-sensei. “Forse adesso non sei più un marmocchio così tanto immaturo e possiamo anche finire qui questa lezione.”

“Sensei?”

In un gesto istintivo, Boruto afferrò la manica dello shinobi e la tirò leggermente per richiamare la sua attenzione.

“Sì?”

“Cosa posso fare adesso?”

Questa volta fu il turno del maestro di esitare di fronte alla domanda del ragazzino, riflettendo sulla risposta migliore.

“Dimostra quello che hai imparato da questo viaggio. E adesso andiamo, ti riporto a casa.”

 

***

 

Sasuke-sensei aveva spezzato il jutsu, ma il cielo notturno non era cambiato.

Boruto era in ansia. Era tardissimo e poteva solo immaginare la lavata di testa che gli avrebbe fatto suo padre una volta a casa. Ma, come intuendo i suoi pensieri, Sasuke-sensei gli mise una mano sulla spalla in un gesto rassicurante.

Fu una fortuna perché il ragazzino fu seriamente tentato di darsela a gambe quando vide suo padre ritto in mezzo alla strada con le braccia conserte e l'espressione severa che preannunciava un rimprovero di quelli con la r maiuscola. Lo stava aspettando e, nel momento in cui lo vide, le sopracciglia gli si aggrottarono ancora di più.

“Uzumaki Boruto!” lo apostrofò. “Dove sei stato finora? Hai fatto stare in pena tua madre!”

Se gli avesse rivolto quelle parole soltanto la sera prima, Boruto avrebbe replicato che, al contrario di lui, almeno lei si preoccupava per suo figlio. Ma, dopo ciò che aveva visto, trattenne la lingua. Ad un secondo sguardo, poi, si rese conto che l'irritazione era solo un modo per nascondere il sollievo. Non se ne sarebbe mai accorto se non lo avesse guardato negli occhi come invece stava facendo in quel momento, diversamente dal solito. Anche suo padre era stato in pensiero per lui.

Abbassò la testa senza replicare.

“Non sgridarlo perché è colpa mia” intervenne in quel momento Sasuke-sensei, sorprendendo tanto il padre quanto il figlio.

“Eh?”

“L'ho tenuto impegnato tutta la giornata per evitare che ne combinasse qualcun'altra delle sue.”

“Ecco perché oggi ho parlato solo i tuoi cloni ombra” bofonchiò suo padre, massaggiandosi la fronte. “Potevi dirmelo.”

“Sai che io faccio sempre di testa mia, ma il ragazzino mi piace. Potrei anche pensare di prenderlo come allievo quando inizierà l'addestramento genin.”

Due identiche paia di occhi azzurri lo fissarono con la stessa identica espressione stupefatta e lo shinobi piegò le labbra nel suo usuale sorrisetto, poi diede uno scappellotto leggero sulla testa del ragazzino.

“Fila a casa, usuratonkachi!”

“Ma non è detto che io voglia te come maestro, teme-sensei!” ribatté Boruto irriverente, facendogli una linguaccia. Ma poi bisbigliò un rapido “Grazie, sensei!” prima di correre a raggiungere suo padre.

D'impulso, gli si buttò contro e lo stritolò in un abbraccio.

“Scusa, papà” bofonchiò, con la faccia nascosta contro il suo petto.

Le lacrime presero a bruciargli negli occhi e Boruto tirò su col naso nella speranza di arginarle. Non voleva piangere, ma quando sentì le braccia di suo padre serrarsi attorno alle sue spalle per ricambiare l'abbraccio, non riuscì più a trattenere i singhiozzi.

“Va tutto bene” lo sentì mormorare.

“Mi dispiace tanto! Prometto che d'ora in avanti mi comporterò bene! Non farò mai più scherzi!”

“Mi basta che tu abbia capito il perché, Boruto. Doverti rimproverare fa male anche a me.”

“Non volevo darti del bugiardo, ma ero arrabbiato!”

“Lo so. Be', un po' me lo ero meritato perché è vero che non ho mantenuto la mia promessa e ti chiedo scusa” disse suo padre.

Boruto scosse appena la testa.

“Papà?”

“Sì?”

“Ti voglio bene.”

“Anche io, Boruto. Te ne voglio tantissimo.”




Angolino dell'autrice:
Capitolo corto, ma decisamente pieno d'emozioni! Che dite?!? Davvero troppo corto?!? Niente paura! E' in arrivo l'epilogo!
 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo

 

L'Hokage era impegnato ad esaminare uno dopo l'altro la grande pila di rotoli che il capo della squadra ambu gli aveva scaricato sulla scrivania con un ghigno quasi sadico sulla faccia. Prima che avesse potuto anche solo provare a dire qualcosa, il suo uomo di fiducia, il suo braccio destro, si era eclissato senza neanche affannarsi ad inventare una scusa e il poveretto aveva passato le ultime due ore a cercare di fare ordine in quel caos di rapporti.

Non c'era da stupirsi quindi che, impegnato com'era a borbottare tra sé improperi contro i due amici traditori, non avesse sentito il lievissimo scricchiolio che produsse la finestra nell'aprirsi, ma il suo sesto senso era allenato e colse ugualmente la presenza che scivolò alle sue spalle, nascondendosi rapida tra le tende.

Nel momento esatto in cui questa spiccò il balzo per assalirlo, Naruto scattò dalla sedia e fu pronto ad afferrare l'aggressore.

“Uffa, papà!” esclamò una voce ben nota. “Per una volta, non potresti fare anche soltanto finta di non accorgerti di me?”

Boruto si divincolò, ribellandosi, quando suo padre lo agguantò e gli scompigliò i capelli.

“Fa tutto parte del tuo addestramento, mio giovane genin” lo prese in giro lui. “Devi cogliermi impreparato per davvero.”

“Ma tu hai Kurama che ti avverte!”

“Giuro, Kurama si diverte troppo a vedere i tuoi tentativi per avvisarmi dei tuoi agguati!”

Naruto ridacchiò nel guardare l'espressione scocciata sulla faccia del figlio, impegnato a risistemarsi il coprifronte con il simbolo della Foglia.

“Sarà... Ma, come missione, quella di portare il pranzo all'Hokage fa schifo ed è ridicola perfino per il genin più incapace!”

“Non è colpa mia se me lo sono dimenticato a casa...”

“Non prendermi in giro! Lo so che l'hai fatto apposta, papà!”

“Be', allora considera anche questo un allenamento, visto che hai dovuto scalare l'edificio usando le tue doti ninja... E poi, è un modo come un altro per passare un po' di tempo insieme! Non sei contento?”

Boruto sbuffò, ma non riuscì a rimanere imbronciato a lungo davanti all'espressione felice di suo padre. In fondo, anche lui lo era. Non solo gli aveva lasciato affrontare l'esame per diventare genin con un anno d'anticipo, ma aveva anche escogitato quel sistema per trascorrere del tempo con lui nonostante gli impegni imposti dalla sua carica e, appena poteva, gli insegnava nuove tecniche. Lo aveva perfino portato al chiosco di ramen, raccontando a chiunque volesse ascoltarlo e con palese orgoglio di come suo figlio si fosse già impadronito della Tecnica Superiore della Moltiplicazione che era anche una delle sue specialità.

“Il tuo pranzo...” brontolò, fintamente seccato, porgendogli il bento prima di avviarsi verso la terrazza.

“Ma come? Te ne vai di già?” si stupì suo padre.

“Sì! Sasuke-sensei mi deve insegnare a scalare gli alberi usando il chakra sotto i piedi!”

L'espressione di Naruto si allungò per la delusione, poi incrociò le braccia, gonfiando le guance nell'identica espressione irritata che aveva mostrato suo figlio poco prima.

“Quel teme!” brontolò. “Non mi rimarrà più niente da insegnarti se ti mostra tutto Sas'ke!”

Quella volta, fu il turno di Boruto di ridacchiare sotto i baffi, prima di avventarsi su suo padre, gettandogli le braccia al collo.

“Non preoccuparti! Tu sei l'unico che può insegnarmi la Dislocazione Istantanea di nonno Minato!”

“Ci puoi giurare!”

“Allora io vado! Tu vedi di lavorare sodo! E non ti dimenticare la tua promessa!”

Boruto scappò via e suo padre uscì sulla terrazza giusto in tempo per vederlo balzare giù, saltando come una cavalletta da un tetto all'altro mentre gridava: “Preparatevi, gente! Sta arrivando il grande Boruto Uzumaki!”

“Non me ne dimenticherò. Io mantengo la parola data perché questo è il mio credo ninja. Non è vero, papà?” chiese il Settimo Hokage di Konoha, sorridendo in direzione del volto di pietra del Quarto.




Angolino dell'autrice:
E siamo giunti infine all'epilogo di questa mini-long! Spero che vi sia piaciuta fino alla fine!
Da parte mia, mi sono divertita molto a scriverla, anche se a volte è stato un po' difficile superare alcuni scogli negli snodi principali della trama, ma tutto è bene quel che finisce bene, no?!?!
Ringrazio ancora Nede che ha fatto prendere il volo alla mia fantasia con il suo contest, a cui ho partecipato volentierissimo! Spero che in futuro accenda ancora la miccia dell'ispirazione con un altro contest!
Grazie anche a voi tutti, da chi mi ha letto silenziosamente a chi mi ha recensito! Siete sempre un grande stimolo a scrivere e a farlo sempre meglio!
Davvero, grazie di cuore!
un abbraccio!
manueos85

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