Metamorfosi

di Dark_Flame
(/viewuser.php?uid=820292)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I: Asia ***
Capitolo 2: *** Atto II: Converse Nere ***



Capitolo 1
*** Atto I: Asia ***


primo capitolo

Atto I: Asia


Asia era inginocchiata a terra, entrambe le braccia costrette dietro la schiena, gli occhi del colore dell'oceano fissavano terrorizzati la figura alta e slanciata della ragazza di fronte a sé. A tenerle le braccia era Roberta, la più robusta del gruppetto. Questa se la rideva, e lanciava continue occhiate alle due compagne, e, quelle poche volte in cui Asia cercava di divincolarsi dalla sua presa, le mollava un manrovescio sulla nuca per farle cambiare idea.

Flavia era lì accanto, contraeva i pugni di continuo, evitava il più possibile di concentrarsi sulle altre. Il suo sguardo restava incollato a terra, si sforzava di sollevarlo solo se interpellata. Trasaliva a ogni singhiozzo di Asia, come se potesse percepire il suo dolore sulla propria pelle, e chiudeva gli occhi per qualche secondo.

Jessica finse di non aver notato lo stato pietoso in cui era ridotta. Fin dall'inizio, Flavia aveva affermato di non voler contribuire, che stavano esagerando e che lei non voleva avere più niente a che fare con quella storia. Perciò, anche se alla fine Jessica era riuscita a convincerla, si aspettava comunque quel comportamento da codarda. Ma non le importava, era già abbastanza che avesse deciso di partecipare.

Toccò la punta del coltello che si rigirava fra le mani con l'indice. Era fredda e affilata. La perfetta arma per tagliare della carne fresca, era proprio per questo che aveva ordinato a Roberta di rubarlo a suo padre. Era una fortuna avere nel suo gruppo la figlia di un macellaio, altrimenti avrebbero dovuto utilizzare un normale coltello da cucina, ma gli effetti non sarebbero stati gli stessi.

Asia tremava, il volto nascosto da una cascata di capelli biondi appiccicati alle guance dalle lacrime. Scuoteva la testa, mugugnava parole che Jessica né le altre riuscivano a comprendere. Dalla sua pelle eburnea colavano delle grandi gocce di sudore.

Perfino in quello stato pietoso, con la paura che la consumava, era bellissima.

Jessica impugnò con più decisione l'elsa del coltello, i denti stretti. Era vero, quella maledetta puttanella era più bella di lei, molto più di quanto lei sarebbe mai potuta essere, ma non sarebbe stato così ancora a lungo. Lei e le sue compagne stavano per aggiustare tutto, avrebbero donato ad Asia l'aspetto che più le si addiceva. Lì, in quel boschetto buio, dove nessuno le avrebbe mai scoperte.

Si innalzò un venticello freddo, quasi congelante. Jessica chiuse le palpebre e si lasciò accarezzare. Inspirare a fondo, lasciare che quel gelo le entrasse nei polmoni servì a calmarla, almeno in parte. Quando si concentrò di nuovo su Asia, aveva messo a tacere, almeno in parte, l'odio che provava nei suoi confronti, ma le mani le tremavano. Chiuse con più forza le dita attorno al manico del coltello, per assicurarsi che non le sfuggisse.

Abbozzò un sorriso affettato, mentre si avvicinava, i tacchi non emettevano che un suono ovattato sulle foglie secche.

Il vento divenne più violento, scosse con forza i rami spogli e nudi degli alberi che le circondavano. In particolare, uno di questi, dalla forma affusolata, si spezzò e cadde a pochi passi da Roberta, la quale lanciò un'imprecazione al cielo. Per fortuna non la colpì, ma il soffio del vento continuò a spostarlo nella sua direzione. Se fosse stata una tipa particolarmente superstiziosa, Jessica avrebbe pensato che quello fosse un avvertimento.

Invece pensò solo che stesse arrivando l'inverno, e nel loro paesino il vento era sempre stata una bestia sfrenata. Non c'era niente di strano, nessun segno, nessuna autorità superiore che stesse cercando di fermarle.

“Ti prego...” mormorò Asia. Le lacrime che le scendevano lungo le guance erano sempre più numerose, e sempre più grandi. “Ti prego... farò tutto quello che vuoi... ma ti prego, lasciami andare...”

Roberta sghignazzò più forte di prima. Le sferrò uno schiaffo sulla nuca per zittirla, ma dalla luce che brillava nel suo sguardo Jessica capì quanto le piacessero i pianti della loro vittima. Non l'aveva mai creduta una ragazza sadica. Si disse che fosse una fortuna, se fosse stata come Flavia avrebbe rischiato di dover fare tutto da sola.

Ci fu un verso stridulo di qualche creatura nelle profondità del bosco. Jessica lanciò una veloce occhiata fra gli arbusti, in un punto dove il buio inghiottiva ogni cosa. Fu solo per un secondo, eppure le parve di scorgere una figura umana, appoggiata contro un busto d'albero con una mano, che la fissava. L'istante successivo era già scomparsa, perciò la ragazza dedusse fosse solo il frutto della propria immaginazione.

Si inginocchiò di fronte alla sua vittima. Le portò un dito sotto il mento e la costrinse a sollevare la testa per guardarla dritto negli occhi. Si sorprese di sentire quanto fosse calda, nonostante il tempo così freddo. Fu meno stupita, invece, dalla morbidezza della sua pelle.

“Vedi, ti lascerei volentieri andare, ma non posso. Il problema non è quello che fai, ma quello che sei.”

Gli occhi di Asia si spostarono di scatto per fissare un punto alle spalle di Jessica. Quest'ultima si girò ma, anche seguendo la direzione del suo sguardo, non vide altro che alberi immersi nella penombra. Una parte di lei si chiese se Asia non avesse avvistato quella stessa figura di poco prima.

Tornò a concentrarsi subito sulla propria vittima. Non doveva distrarsi, non doveva permettersi di nutrire dubbi su ciò che stava per fare.

“Ma perché? Non ti ho mai fatto niente...”, si lamentò Asia. Aveva smesso di fissare il bosco.

“Sta' zitta, puttanella! Non hai il diritto di parlare!”, abbaiò Roberta. Fu abbastanza per convincerla a chiudere il becco.

Peccato che non si potesse dire lo stesso per Flavia. “Dai, ragazze, stiamo esagerando. Lasciamola stare, non serve andare oltre...”

Jessica le lanciò un'occhiata glaciale che la zittì. Non ebbe bisogno di dirle niente, la vide fare un passo indietro e abbassare gli occhi al terreno umido. Non avrebbe messo in discussione la sua decisione un'altra volta, ne era certa, e solo per questo decise di non punirla.

Asia ormai non riusciva più ad articolare alcuna parola, le morivano in gola, sommersi dalle sue stesse lacrime.

Jessica fece una smorfia. Non era mai stata una sadica, al contrario di Roberta, non provava un particolare piacere nel vedere una persona scossa dalla paura. Anche a scuola, non aveva mai preso in giro tutti quegli sfigati perché le piacesse vederli soffrire. Il potere che ne derivava era ciò che la spingeva ad agire in quel modo. Quell'atteggiamento le donava un potere immenso. E gli insulti che lanciava agli altri mascheravano l'insicurezza che regnava dentro di lei.

Fece un lungo sospiro, prima di levare il coltello. Accarezzò la pelle candida di Asia con la lama, ne sentì la delicatezza. Aveva il potere di smorzare la sua bellezza mozzafiato, doveva solo trovare la forza di affondare quella lama nella carne.

Le mani non avevano smesso un solo attimo di tremare. Tuttavia, mantenne uno sguardo freddo e sicuro, per impedire che le altre si accorgessero della paura che provava in realtà.

“Non... ti prego... non uccidermi...”

Jessica non le rispose nemmeno. Le carezzò una guancia con il dorso della mano libera. Era perfetta, quasi come quella di una dea, non si stupiva che Alessandro l'avesse desiderata. Qualunque essere umano sarebbe rimasto affascinato da quello splendore.

Presto però sarebbe stato solo un ricordo.

La lama affilata del coltello tagliò di netto quella pelle morbida. Asia urlò, e uno schizzo di sangue imbrattò il sopracciglio di Jessica, ma la ragazza non vacillò né chiuse gli occhi. Tagliò ancora, questa volta andò più a fondo. E poi lo fece ancora, e ancora, e ancora.

Roberta rideva di gusto. Aveva affondato le dita nei capelli di Asia e li aveva racchiusi in una morsa di ferro, per tenerla ferma.

Flavia invece piangeva. I suoi lamenti si mischiavano con quelli di Asia, quasi come se ci fosse anche lei, sotto la lama del coltello.

Jessica trovò la forza di smettere solo quando l'intero volto della sua vittima fu inzuppato di sangue. Soltanto quando la perfezione della sua pelle fu coperta dal cremisi riuscì ad allontanare il coltello. Osservò i tagli profondi che aveva scavato: le percorrevano l'intero viso senza un senso preciso. Un giorno si sarebbero richiusi, pensò, ma le cicatrici sarebbero rimaste per sempre.

Si alzò in piedi, tirando un profondo sospiro. Guardò i propri vestiti, e scoprì che il sangue di quella stronza le aveva insudiciato il cappotto. Avrebbe dovuto trovare il modo di farlo sparire prima che sua madre lo vedesse, o avrebbe trovato delle serie difficoltà nell'inventare una spiegazione plausibile.

Fece un cenno a Roberta, e quella lasciò andare la vittima, anche se a malincuore.

Asia si coprì il viso con le mani, raggomitolandosi sul terreno. Urlava con quanto fiato aveva in gola, ma nessuno l'avrebbe mai sentita.

Jessica passò il coltello a Roberta. Sebbene il peggio fosse passato, l'operazione non era ancora giunta al termine. Restò qualche secondo ancora in silenzio, soppesando bene le parole da utilizzare. Se non fosse stata abbastanza convincente, sarebbe potuta finire nei guai.

“Ora ascoltami bene, figlia di puttana,” sibilò. Asia non alzò nemmeno lo sguardo su di lei. “Se oserai raccontare a qualcuno quello che è successo qui, metterò in circolazioni le foto di te che ti scopi l'insegnante di ginnastica.”

Questa volta, la ragazza sfregiata alzò gli occhi. Erano tutto ciò che il sangue non aveva coperto. Erano tutto ciò che le restava della sua bellezza, così profondi, così limpidi. “Co... come... come fai a sapere...?”

“Flavia ti ha seguita mentre andavi a casa sua. Vi ha fatto delle foto dalla finestra. Siete pure così stupidi da non chiudere le tende. Disgustoso.”

Flavia non s'intromise. Aveva smesso di piangere, ma non riusciva a trovare il coraggio di parlare.

“Data la sua bruttezza, non riesco davvero a capire perché te lo scopi,” continuò Jessica. Il suo tono era tagliente tanto quanto la lama con cui l'aveva sfregiata. Nessuno avrebbe mai immaginato il dolore allo stomaco che la stava consumando, il battito velocissimo del suo cuore, che sembrava voler risalire fino alla gola e uscirle dalla bocca. “O è particolarmente bravo, oppure ti paga. Dimmi, quale delle due?”

Asia scosse la testa, ma non disse niente.

Jessica emise un lungo sospiro. La minaccia era stata sufficiente, quella ragazza non avrebbe mai aperto bocca. Quello che avrebbe raccontato per giustificare il suo stato non erano affari suoi.

“Andiamocene,” disse alle altre.

Roberta annuì con un sorriso. Quando Jessica si incamminò verso il paese, la seguì senza indugiare. Lo stesso non si poteva dire di Flavia, invece, che si chinò accanto ad Asia. Le mormorò qualcosa, due sole parole, prima di seguire le altre.

Nonostante la distanza, Jessica riuscì a captare quelle parole, e strinse i pugni per la rabbia.

Mi dispiace.








Note Dell'Autrice:
Salve a tutti!
Come ho già scritto in descrizione, ho iniziato a pubblicare questa stessa storia qualche tempo fa.
Per motivi che non starò qui a dire non ho più avuto il tempo di continuare la mia "impresa" e ho dovuto lasciar stare.
Oggi mi sono messa a correggerla, dopo tanto tempo, e mi sono detta: "perché no? Proviamo a ripubblicarla!"
L'intera storia è composta in tutto da sei atti, quindi non è niente di eccessivamente lungo e, come già ho detto, è terminata e in fase di correzione.
Bene, detto questo, spero abbiato gradito quest'inizio!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Atto II: Converse Nere ***


capitolo due
Atto II: Converse nere

Jessica quel giorno indossava una graziosa gonna rosa, accompagnata da un paio di calze semplici e chiare. La maglia era scollata e, a causa dell'inverno sempre più vicino, anche troppo fredda. Tuttavia, la vista generosa che regalava aveva attirato in diverse occasioni lo sguardo di Alessandro, perciò si disse che valeva la pena soffrire un po'.

Era affacciata al davanzale della finestra, nel corridoio della scuola. Scorgeva le teste dei ragazzi che se ne stavano nel cortile senza prestare particolare interesse.

Erano trascorsi due giorni da quella fatidica notte. Ci aveva riflettuto a lungo, il pianto di Asia l'aveva tormentata in sogno. Una volta aveva ripensato a quella figura spettrale fra gli alberi. Si era ripetuta più volte di averla solo immaginata. Ma poi ripensava allo sguardo di Asia, fisso in un punto imprecisato alle sue spalle...

Se davvero c'era qualcuno, lì, e aveva visto quello che avevano fatto, sarebbero state in guai seri.

Dall'aula accanto a lei proveniva un vociare fastidioso. Molte delle sue compagne di classe preferivano restare dentro, durante la ricreazione, per poter spettegolare in tutta libertà degli affari altrui. Jessica amava i pettegolezzi, erano l'arma che le aveva permesso di diventare così potente, tuttavia non c'era nulla che quelle ragazze avrebbero potuto dirle che lei non sapesse già. Grazie alle abilità da fotografa di Flavia, lei era sempre la prima a conoscere i segreti più oscuri di tutti i suoi compagni di scuola.

Inspirò a fondo, chiedendosi che fine avessero fatto Roberta e Flavia. Si erano allontanate dicendo di voler prendere un caffé alla macchinetta. Jessica non era andata con loro, aveva preferito restare un po' per conto proprio.

La verità era che, dopo quella sera, cercava di evitare il più possibile la compagnia delle altre. Roberta ancora le parlava di quanto fosse stato divertente, mentre per Flavia ogni occasione era buona per farle notare quanto avessero esagerato.

Jessica voleva solo dimenticare quel momento.

“Jess? Posso parlarti un attimo?”

Alessandro le si era avvicinato tanto che Jessica percepiva il suo profumo. Non aveva un odore particolare, sapeva di bagnoschiuma misto a dopobarba, ma per lei era come un afrodisiaco. Ogni volta che lo annusava, le tornavano dei flash di quando suo padre la abbracciava, da piccola. Aveva lo stesso identico odore.

“Sì?”, chiese Jessica. Le uscì una voce fin troppo acuta. Si morse il labbro, sperando che lui non se ne fosse accorto.

Gli occhi di lui sostarono qualche secondo sull'ampia scollatura, prima di sollevarsi per incontrare quelli di lei. “Sei davvero carina, oggi.”

Jessica sentì un formicolio piacevole fra le gambe. Moriva dalla voglia di sentire il tocco delle sue dita sulla propria pelle. Se non fossero stati a scuola, non avrebbe saputo resistere alla tentazione di buttarsi fra le sue braccia e lasciarsi spogliare. “Grazie,” rispose, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Alessandro lanciò un'occhiata all'interno della classe. “Tu sei in classe con Asia, vero?”, chiese.

Il cuore le mandò una fitta lancinante nel petto. Lo sfiorò con una mano, la bocca, resa lucente dal lucidalabbra, dischiusa. “Sì,” mormorò.

“Ecco... sai per caso che fine ha fatto? Sono due giorni che non viene a scuola. Sta male?”

Chiuse gli occhi, ricacciando indietro ogni lacrima, ogni singhiozzo pieno di angoscia. Non doveva preoccuparsi, non avrebbe perso un'altra volta l'uomo della sua vita. Quando Asia avrebbe trovato il coraggio di uscire di nuovo di casa, lui avrebbe scoperto il suo nuovo aspetto e sarebbe corso dalle braccia di Jessica. Era solo questione di tempo...

Nonostante continuasse a ripetersi quelle parole, Jessica non riusciva ad attenuare in alcun modo la propria sofferenza.

Avrebbe dovuto rispondergli, ma non ne trovò la forza. Temeva che, se avesse aperto bocca, la voce l'avrebbe tradita. Per questo restò in silenzio ancora qualche secondo, nella speranza che qualcosa la salvasse da quella situazione orribile. Avrebbe tanto desiderato sprofondare sotto terra e morire soffocata.

Roberta e Flavia scelsero proprio quel momento per tornare. Per la prima volta dopo quel fatidico giorno, Jessica fu felice di vederle.

Non trattenne un sorriso, che tuttavia si smorzò non appena notò le loro espressioni. Flavia aveva gli occhi rossi e lucidi, se ancora non era scoppiata in un pianto, presto l'avrebbe fatto. Roberta era truce, aveva le sopracciglia abbassate e lo sguardo preoccupato. Jessica non ricordava di averla mai vista in quello stato.

“Jess, dobbiamo dirti una cosa,” disse Roberta.

“Ehi, ciao!”, le salutò Alessandro.

La figlia del macellaio lo guardò appena, ma non gli diede retta. “È importante.”

Jessica ebbe appena il tempo di salutare Alessandro agitando una mano, che Roberta le afferrò l'altra e la trascinò lungo il corridoio. Flavia le seguiva, in silenzio, il respiro spezzato.

Le tre ragazze entrarono in una classe piccola e abbandonata, dove la polvere era la sovrana dei banchi, ammassati gli uni sugli altri. La cattedra era addossata al muro, inutilizzata, e presentava alcune ragnatele. I bidelli pulivano una volta all'anno le stanze ancora in uso, perciò Jessica non fu sorpresa dello stato penoso in cui versava quella classe.

Roberta le lasciò finalmente andare la mano. Le si parò davanti, con il suo metro e settantasette di altezza. Non cercò i suoi occhi, aveva il capo chino.

Erano in arrivo brutte notizie, molto brutte. Jessica si tormentò il labbro inferiore con gli incisivi.

“Cos'è successo?”, chiese, quando ne trovò la forza.

“È Asia il problema...”, rispose Roberta. Parlava con una lentezza insolita da parte sua. “Abbiamo sentito dei professori che ne parlavano...”

“No, non dirmi che ha spifferato tutto! Quella troia, adesso gliela faccio vedere io...”

“N-no...”, la interruppe. Jessica corrugò la fronte. “Lei... è morta,” terminò Roberta.

“Co...?”

“L'hanno ritrovata morta sul letto,” spiegò Roberta.

“Si è suicidata! Si è uccisa, ed è tutta colpa nostra!”, urlò Flavia. La figlia del macellaio le fece cenno di abbassare la voce, ma l'altra si limitò a scuotere la testa.

Jessica non riusciva a crederci. Quello era un incubo divenuto realtà. Era a conoscenza, da sempre, della depressione di Asia, per un certo periodo era stato un argomento di moda a scuola. Sapeva che visitivava uno strizzacervelli, che le aveva prescritto delle medicine. Sapeva anche che lei aveva smesso di prenderle, da quando aveva cominciato a uscire di nascosto con il professore di ginnastica.

Nonostante tutto, Jessica non avrebbe mai immaginato che avrebbe mai trovato il coraggio di arrivare a tanto.

“Non è vero,” replicò Roberta. “Non è colpa nostra se era una debole e depressa.”

“Depressa?”, sbottò Flavia, paonazza in volto. “Noi le abbiamo rovinato la vita! Se non ha trovato più le forze di andare avanti, è solo colpa nostra, porca puttana!”

Asia era sempre stata sull'orlo del suicidio, ma non era mai riuscita a perdere completamente la speranza. Per questo aveva sempre fallito. Ma loro tre avevano distrutto anche quel piccolo filo di speranza che le restava...

Jessica digrignò i denti, li strinse tanto forte che le parve di sentirli incrinarsi. “Ha lasciato detto perché l'ha fatto?”

La vita di Asia faceva schifo ancor prima del loro intervento. Non era detto che fosse per forza colpa loro. E, anche se lo fosse stata, nessuno avrebbe mai dovuto scoprirlo. Avrebbero passato dei guai seri, e la loro reputazione sarebbe venuta a mancare.

“Ma perché, serve che te lo dica qualcuno?”, Flavia riusciva appena a tenere basso il tono di voce. Sembrava sull'orlo di una crisi isterica. “Siamo state noi a ucciderla!”

Jessica scosse la testa. A quanto sembrava, il disco di Flavia si era incastrato. “Io non ho ucciso proprio nessuno. E neanche voi.” Lo disse più a se stessa che alle altre. Non ci credette neanche una sola parte di lei, ma farsi prendere dal panico non l'avrebbe aiutata in alcun modo.

“Mi stai prendendo per il culo?”

“So che ha lasciato un biglietto,” intervenne Roberta. Almeno lei aveva un'aria più lucida e pacata. Jessica si aggrappò a quella freddezza, ne aveva bisogno, non voleva precipitare nel baratro della disperazione. “Ma non credo abbia detto niente su di noi.”

“Bene,” sibilò Jessica fra i denti. “Deve restare un segreto, altrimenti...”

“Altrimenti cosa? Come potrebbe andare peggio di così? Non... non riuscirò più nemmeno a guardarmi allo specchio...” Flavia si era presa la testa fra le mani e la agitava con troppa energia. I capelli neri tinti balzavano di qua e di là, accompagnati dai lamenti della ragazza.

“Non l'abbiamo uccisa noi!”, urlò Jessica. Il secondo dopo, si portò una mano davanti alla bocca. Ormai era troppo tardi, poteva solo sperare che non stesse passando nessuno in corridoio. Aveva perso la calma. Se non si sbrigava a ritrovarla avrebbe fatto la stessa fine di Flavia.

“Sì, invece! Ma non te ne rendi nemmeno conto? Hai rovinato tre vite e ne hai spenta una, solo perché vuoi farti quello stronzo di Alessandro!”

“No... io... come facevo a sapere che sarebbe successo?”

“Porca puttana, Jess! Abbiamo fatto una cosa orribile! Siamo dei mostri!”

“Non è vero, smettila di dire stronzate,” s'intromise Roberta. Aveva assunto un tono glaciale. Se provava ancora delle emozioni, le aveva nascoste dietro una barricata indistruttibile. Jessica desiderò essere come lei, desiderò riuscire a ricacciare indietro quella sensazione terribile che le attanagliava lo stomaco. “Come fai a sapere che è colpa nostra? Era depressa già da prima, probabilmente sarebbe successo comunque.”

Asia aveva provato a mettere fine alle proprie sofferenze già un mucchio di volte, prima di quel giorno. Ogni volta la madre l'aveva trovata, e lei si era risvegliata in ospedale, con le voci di tutti gli abitanti del paese che spettegolavano del suo tentato suicidio. Anche quando tornava a scuola, si ritrovava gli occhi dei ragazzi e perfino dei professori puntati addosso per giorni, finché la notizia non veniva eclissata da qualche altro pettegolezzo.

Tuttavia, era da più di sei mesi che non accadeva più niente del genere, e Jessica aveva finito per dimenticarsene.

“Siete due teste di cazzo,” continuò Flavia. “Non so se fate solo finta di non capire, ma non mi interessa. Non voglio avere mai più niente a che fare con voi. Vaffanculo.” Con queste parole, aprì la porta e uscì dalla classe senza neanche guardare le sue vecchie amiche in faccia.

“Aspetta, non azzardarti a dirlo a nessuno!”, le urlò dietro Roberta, ma non ottenne alcuna risposta.

Jessica guardò Flavia allontanarsi lungo il corridoio, fissò le sue spalle curve, la sua schiena arcuata. Fino a un giorno prima, camminava sempre a testa dritta. Una sola notizia e la sua intera vita era cambiata per sempre.

Con la coda dell'occhio, Jessica notò la punta di una scarpa, una converse nera con le borchie. La persona a cui appartenevano se ne stava attaccata contro la parete. Aveva appena origliato la loro conversazione...

Come se si fosse resa conto di essere stata individuata, la persona sconosciuta si allontanò.

“Non darle retta.” Roberta le aveva afferrato un braccio per tirarla verso di sé. Le due si guardarono negli occhi. In quelli dell'altra, Jessica non scorse alcuna esitazione, alcun dubbio. Ancora una volta, invidiò quella sua sicurezza. “Forse è vero che abbiamo esagerato, ma non credevamo che sarebbe mai arrivata a tanto. Non è colpa nostra.”

Quelle parole avrebbero dovuto rassicurarla. Invece, Jessica non avrebbe saputo dire se fosse a causa di Roberta o se fosse stata la consapevolezza che qualcuno le avesse sentite, ma ebbero l'effetto contrario. Lo stomaco, già in subbuglio da prima, le mandò una fitta lancinante. Il dolore fu simile a quello che lei aveva sempre immaginato derivasse da un calcio che ti prende in pieno.

Represse a stento un grido, ma non riuscì a trattenere una smorfia. Si premette la mano contro lo stomaco, mentre un sapore di bile le annacquava il palato. La sentì risalire, premere per uscire.

Spinse via Roberta senza troppa delicatezza. “Scusami, devo andare in bagno...”



Il vomito galleggiava nell'acqua del vater. Non era cibo, era una sostanza liquida e giallognola. Jessica quella mattina non aveva avuto tempo di fare colazione, eppure la cosa non le aveva impedito di rigettare.

Rimase a fissare quello spettacolo disgustoso ancora per qualche istante. Si reggeva i capelli dietro la nuca con una mano, per evitare che si sporcassero. L'ultima cosa che le mancava, quel giorno, era andarsene in giro con del vomito attaccato ai capelli. Respirò a fondo, sentendo l'aria entrarle nei polmoni e gonfiarli fino al limite. Aspettò ancora per dei secondi interi, per assicurarsi che il suo stomaco si fosse calmato, e finalmente lasciò andare i capelli. Le ricaddero scomposti sul viso e sugli occhi, ma non si preoccupò nemmeno di spostarli.

Le parole di Flavia continuavano a riecheggiarle nella testa. Avevano fatto qualcosa di orribile. Avevano spento la vita di una ragazza innocente.

Scacciò quei pensieri agitando la testa. Se possibile, ciò che le venne in mente dopo fu anche peggio.

Qualcuno aveva ascoltato tutta la loro conversazione. Qualcuno che lei non avrebbe mai potuto rintracciare.

Non aveva il tempo di andare in giro per tutta la scuola a cercare una ragazza con quelle stesse scarpe: l'intervallo era già terminato e, non appena ne avesse trovata la forza, sarebbe dovuta tornare in classe. Avrebbe dovuto fingere di seguire la lezione, aggrapparsi alle nozioni inutili che gli insegnanti avrebbero spiegato, per evitare di impazzire.

Ma non poteva lasciare che quel qualcuno se ne andasse in giro a raccontare quello che aveva sentito.

Tirò l'acqua, ma non guardò il vomito scivolare giù lungo lo scarico. Abbassò la tavoletta e ci si sedette sopra, le mani davanti agli occhi. I singhiozzi arrivarono e fu impossibile ricacciarli indietro.

Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì, quando trovò il coraggio di riaprire le palpebre e fissare la porta chiusa di fronte a sé. Le parve come se fossero trascorsi solo pochi minuti, ma per quanto ne sapeva poteva trattarsi anche di ore intere.

Udì un rumore di passi avvicinarsi. Trattenne il fiato.

Un paio di scarpe si fermò proprio di fronte alla sua porta. Erano delle converse nere con le borchie.

Jessica si coprì la bocca con una mano per evitare di cacciare uno strillo. Il corpo era scosso dai tremiti, la gola all'improvviso le era diventata secca, arida più della sabbia nel deserto. Inghiottì, ma la salivazione sembrava quasi essersi fermata del tutto.

La persona sconosciuta bussò con vigore.

Jessica affondò i denti nella lingua, indecisa se rispondere o far finta di niente.

“O... occupato,” mormorò dopo un po'. Si era resa conto che l'altra persona poteva vedere i suoi piedi da sotto la porta, proprio come Jessica vedeva i suoi. Fingere di non esserci sarebbe stato inutile.

Passarono secondi interi, eppure non giunse risposta.

Bussò di nuovo, più forte.

Jessica chiuse gli occhi. Prese un lembo di pelle del braccio fra il pollice e l'indice e lo pizzicò, sperando di risvegliarsi nel proprio letto e scoprire che era tutto un terribile incubo. Asia era ancora viva, si disse, nel mondo reale era viva e sarebbe tornata a scuola, prima o poi, con il volto sfregiato, ad affrontare il suo destino.

Ma non si svegliò.

Bussarono ancora.

“Vattene via!”, urlò allora. Si era afferrata i capelli, tirandoli indietro. Non notò nemmeno il dolore che questo gesto le provocò, così come non si rese conto di aver cominciato a raschiarsi la pelle del braccio con le unghie. “Cosa vuoi da me? Vattene!”

Il volto immerso nelle lacrime, il cuore che le martellava nel petto così forte da farle male, si gettò in avanti e aprì la porta.

Gli occhi si sbarrarono, le labbra secche si dischiusero, formando una 'o'.

Lì di fronte a lei non c'era nessuno.

Note dell'Autrice:
Ciao a tutti! Questo era il secondo capitolo, da qui in poi direi che comincerà la parte "soprannaturale"!
Ma non ho molto da dire, perciò vi ringrazio per aver letto e mi dileguo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3340813