Korea mon amour

di phantophobia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La rinascita ***
Capitolo 2: *** l'incontro/scontro ***
Capitolo 3: *** Smarrita ***
Capitolo 4: *** Crepe e cioccolata ***
Capitolo 5: *** Ho rimorchiato Taeyang dei Big Bang! ***



Capitolo 1
*** La rinascita ***


"Cavolo, sei pure riuscita a laurearti, ma allora c'e speranza per chiunque!".
L'ironia sprezzante della mia migliore amica Francesca mi aveva preso completamente alla sprovvista.
"Senti un pò, simpaticona, invece di fare dell'umorismo, sarebbe il caso che decidessi un benedetto argomento per la tua tesi, vorrei sentirci chiamare entrambe Dottore un giorno".
"Sei sempre così di buon umore alla mattina Ali?".
Aveva colto nel segno. Ero nervosa da morire. Non avevo chiuso occhio, non mangiavo un pasto decente da una settimana e le mie relazioni con il mondo esterno si erano ridotte ad un saluto caustico al vicino di casa.
"Scusami Frà, domani mi laureo e sono talmente nervosa e ansiosa che sto mandando a sfacello la mia vita e la mia salute. Dopodomani sarò rinata".
In quello stesso istante, entrarono i miei genitori, tenevano nelle mani una busta e sul volto avevano stampato un sorriso a 32 denti.
"Mi venga un colpo se non assomigliate a Jocker e all'altro nemico di Batman. Cosa avete da sorridere tanto?" la mia ironia delle nove del mattino spaventa pure me.
"Ti abbiamo portato il tuo regalo di laurea, e siccome ha una scadenza a breve termine vorremo che lo aprissi ora, anche perchè tuo padre ha scommesso 10 euro che scoppi in lacrime".
'oh cielo, mi hanno regalato una ricotta fresca? O magari della cipolla, si spiegherebbero i lacrimoni.' 
A dirla tutta, non sarebbe la prima volta che i miei si cimentano in regali "originali", amano considerarsi degli innovatori della sorpresa, se così si può dire. Per il mio decimo compleanno mi regalarono un libro in lingua spagnola, per invogliarmi ad imparare qualcosa di nuovo (quale bambina a 10 anni non desidera la versione integrale del Don Quijote in lingua originale? Vade retro barbie veterinaria!).
Sta di fatto che mi aspettavo di tutto e di più, ma mai avrei creduto che si sarebbero spinti a tanto.                                                    
"Ti abbiamo prenotato un viaggio di due settimane per la Korea! Così potrai goderti tutti i cinesi delle tue sitcom preferite! Tutto per la nostra laureata".
"Veramente mi laureo domani, quindi non sono ancora tecnicamente laureata, ma apprezzo tantissimo il regalo. E sono koreani, non cinesi mamma, e si chiamano drama, non sitcom".
 In ogni caso mio papà ci guadagnò 10 euro. Avevo le lacrime agli occhi, ma non sapevo più se erano per la felicità o se per l'ansia pre-laurea.                                                                      Il giorno successivo passò rapidamente, avevo perso 5 kg ed erano caduti per la causa una generosa quantità di capelli (tutto per un esame della durata di 20 minuti in cui mi ero dimostrata più che preparata).

"Spero ti renda conto che ora abbiamo soltanto una cosa da preparare Ali, la valigiaaa! Korea arriviamoooo!".
"Frà, queste due settimane sono di rinascita, tornerò irriconoscibile, da nerd sfigata e in stato di devastazione, a nerd sfigata che è stata in Korea! Non ci credo che stiamo per partire!".
"E chissà che magari non ci scappi anche qualche flirt, ti farebbe bene, il gatto dei vicini fa più sesso di te"
"Io e te siamo arenate sulla stessa barca mia cara, la mia situazione sarà anche arida, ma nemmeno dalle tue parti si sono più viste oasi all'orizzonte".
E fu così che l'indomani partimmo per il nostro viaggio in Korea, dove ci attendevano epiche avventure.

Durante il volo in aereo:
"Ali, ma tu il koreano lo sai no?!"
"..."
Eloquente silenzio imbarazzato.

Ecco qui il primo capitolo, breve e soltanto introduttivo di questa nuova e frizzante storia..spero continuerete a seguire le avventure di queste due ragazze e che possiate vivere con loro questo esotico viaggio.
Il bello deve ancora venire:)

phan

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Capitolo 2
*** l'incontro/scontro ***


Dopo la bellezza di 17 ore di volo e uno scalo a Istanbul, finalmente, io e Francesca arrivammo a Seul.
“Sarà che sto già percependo il fuso orario, ma mi sento mezza morta”. Con una frase Francesca aveva descritto il nostro stato attuale.
“No, io mi sento fresca come una rosa, 17 ore di volo per me sono una..”
“sei sfinita”
“Si…andiamo in albergo che sennò mi addormento qui”.
Il nostro hotel aveva tutto: economico, vicino ad un mini market, pulito, a pochi passi da una fermata del bus e con un personale giovane ed attraente... ehm, volevo dire cordiale e poliglotta.
“Senti, io mi rilasso 5 minuti, se tu nel frattempo vuoi disfare le valigie.. max 10 minuti e poi mi sveglio e iniziamo il tour!”
Conoscevo Frà da abbastanza tempo da sapere che i suoi 5 minuti equivalevano a 4 ore (quando non era stanca). Considerando lo stress del volo, il fuso orario e il viaggio in aereo in super economica (la classe appena dopo il viaggio con galline in cabina), Francesca avrebbe dormito tutto il giorno, e siccome non mi sentivo così stanca, svuotai le valigie e mi riposai un’oretta.
Quando mi svegliai, la mia migliore amica stava russando beatamente. Morfeo l’aveva rapita, e sarebbe stato del tutto inutile tentare di svegliarla. L’unica cosa che potevo fare era passeggiare per conto mio, con le cuffie alle orecchie.
Salutai il cordiale addetto alla reception (un ragazzo asiatico sui 26 anni che poteva benissimo essere un idol, bello da far spavento e del tutto non interessato ad una scialba ragazza italiana).
Misi le cuffie alle orecchie, accesi l’ mp3 sulla cartella k-pop e partì alla volta dell’avventura.
“Non credevo che la Korea fosse così, mi sembra di camminare negli stessi luoghi dei miei drama preferiti… quella potrebbe essere la fermata della metro dove Healer scappa ad inizio drama! E quello sembra il cancello dove Ki Young-gyu attende Saet-byul nel mio drama preferito God’s gift…ok, basta. Rischio di non uscire nemmeno dall’albergo!”
Era come se guardassi me stessa camminare dall’alto. Non ero lì, ero altrove, non ero conscia di quello che facevo o vedevo. Avevo la mia Nikon al collo, ma non avevo la forza di scattare, temevo che nel momento in cui avessi staccato gli occhi dal paesaggio, qualche dettaglio fondamentale mi sarebbe sfuggito. Sembravo allucinata, i passanti mi guardavano con timore, alcuni ridevano. Ma io ero troppo distante per rendermene conto. Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato a cantare. Non canticchiare sommessamente. No. Stavo sbraitando parole a caso, il mio coreano non era esattamente “pronunciabile o capibile”. Mi svegliai dal mio torpore solo quando una signora molto cortese mi fece cadere vicino al piede una moneta da 50 won. Era sicuramente una supplica per zittire il mio sfogo artistico.
In un primo momento mi sentii incredibilmente mortificata, poi umiliata, poi autoironica e infine furiosa.
Mi incamminai per tornare in albergo, ero fuori di me, come avevo potuto umiliarmi in quel modo?
“perché devo sempre fare delle figure di merda galattiche? Non bastava che mi succedesse in Italia, devo sputtanarmi pure in Corea”.
Affrettai il passo, decisa a nascondermi in albergo e non uscirci più per tutta la durata del viaggio quando mi scontrai con qualcuno. “Uno scontro tra due furie”, io mi ritrovai schiacciata al muro e lui/lei era scivolato per terra, portandosi appresso una innocente anziana che si trovava tra noi nel momento sbagliato.
“oh cazzo, ecco che continuo a mostrare quanto imbranata sono!”
“Mi scusi! Sono dispiaciutissima! Ero di fretta e non l’ho vista! Certo, anche Lei poteva andare con più calma, evitando di investire prima me e poi la signora che, a proposito, si è fatta male? Devo chiamare un’ambulanza?”
La signora, che non capiva assolutamente una parola del mio inglese masticato, fuggì via subito dopo avermi sorriso e fatto un inchino.
Mi inchinai anch’io e me ne uscì con un “senpai”… un termine giapponese. Me ne esco con un termine giapponese che solo Dio sa cosa significa, in Corea. Parlo il giapponese a cazzo in Corea. Mi sembra corretto.
La signora fuggì più imbarazzata di me. Invece, la persona con cui mi ero scontrata stava tremando. Sono sicura che ridesse. “Oddio! Ride di me! Ancora con questa storia! Il mio pagliaccio interiore esce sempre nei momenti più inopportuni e mi mette in imbarazzo”.
Sono sconvolta, sento di avere un accenno di lacrime agli occhi, per la timidezza abbasso la faccia, intenta a guardare l’asfalto.
Ma poi sento un fremito. La persona con cui ho avuto l’incidente si gira, indossa un cappuccio, mi è difficile vederla in faccia. Ma so che ride. Lo sento.
Porta un vistosissimo paio di occhiali da sole stile anni ’60, “perché diavolo li porta?!? Non c’è poi così tanto sole oggi!”, e una mascherina che gli copre la bocca, contro lo smog credo, “o magari nasconde il risultato fallimentare di una chirurgia plastica probabilmente non necessaria”. Il mio pensiero mi fa partire una risatina, nemmeno troppo soffocata, e per questo attiro la sua attenzione.
Mi fissa, si abbassa il cappuccio della felpa sempre senza mai togliere lo sguardo dal mio. Mi sento un po’ intimidita, è come se ci conoscessimo ma al contempo fossimo degli estranei collegati da un oscuro segreto. Rido nuovamente del mio pensare e questo lo incuriosisce ulteriormente.
Ora so per certo di avere di fronte un uomo, o meglio, un giovane ragazzo sulla trentina, non molto alto (standard asiatici permettendo) ma estremamente ben fatto (intravedo l’addominale sotto la sua felpa, anzi, lo immagino e il pensiero mi fa prima arrossire e poi vergognare, provocandomi la perdita di sangue dal naso). Porta dei vestiti troppo larghi per la sua taglia e indossa molti gioielli vistosi che mi fanno pensare ad un 50 cent coreano. “ahahahaha oh mio Dio, ho incontrato un gangster asiatico! Oddio, trattieniti, non posso ridergli in faccia, non di nuovo”.
“Cos’è che ti fa tanto ridere?” la sua voce interrompe il mio flusso di pensieri.
Parla un inglese perfetto, molto più del mio. “ma è coreano o inglese sto tizio? Parla come un impeccabile cittadino londinese!”
“No, scusa, stavo pensando a niente. Lascia perdere, rido sempre per nulla” mi affrettai a controbattere balbettando.
“Quindi non ridi di me, vero?”
“Affatto” mento. “Rido della mia incapacità di parlare coreano”
“..O giapponese”, mi interrompe lui, “devo ammettere che non mi era mai capitato di sentir chiamare Senpai una signora anziana”, lo sconosciuto trattiene appena una risata.
“A quanto pare sei tu a ridere di me. Ok, non parlo coreano e nemmeno giapponese, ma cavolo, almeno ci provo!”
“Certo, e ti faccio i complimenti per questo. Hai coraggio, non molti ne avrebbero per cantare una canzone degli B1A4 a squarciagola camminando per strada”.
Divento paonazza. “Oh cavolo, mi ha sentita cantare”. Riabbasso lo sguardo e mi sotterro mentalmente 10 km sottoterra.
 “Ehm…mi hai sentito cantare? Oddio, mi dispiace! Non me ne ero nemmeno resa conto! Mi sono persa a guardare in giro e… ho cantato! Senza accorgermene”, mentre parlo mi accorgo di essere diventata rossa ovunque, a brave prevedo che anche i miei vestiti cambieranno colore.
Lo sento ridere, ma di gusto questa volta, il che mi fa abbattere.
“Non scusarti, so cosa si prova. Ogni tanto hai solo bisogno di cantare. Sta tutto lì. E ti sfoghi, elimini tutto. Butti via ogni turbamento e ogni stress. Ti capisco davvero e non te ne devi vergognare. La tua voce non è male”.
Ok, ora so che mi prende anche in giro. Alzo gli occhi e lo guardo, quasi lo fulmino e gli dico: “ci sta che tu non voglia offendermi, ma davvero, so di cantare come un’anatra sgozzata. Una signora mi ha offerto 50 won per smettere. È abbastanza indicativo, non trovi?”
Una risata gustosa, allegra gli esce dal petto, e mi fa sussultare. È una risata bellissima e molto dolce. Di quelle risate che ricordano i bambini mentre giocano, e finalmente mi rilasso. Non sono più tesa, sono curiosa. Curiosa di scoprire chi si nasconde dietro quel travestimento. E così mi faccio forza e gli chiedo: “è una moda personale o tutti andate in giro vestiti come se foste dei fuggitivi della legge? Perché se è così devo andare a fare shopping, i miei vestiti colorati potrebbero attirare l’attenzione”.
Stavolta ridiamo tutti e due, ma non mi risponde, e poi, con un gesto appena accennato, quasi tremante, lo vedo togliersi la mascherina dalla bocca “wow, niente chirurgia”, toglie gli occhialoni che lo hanno fino a prima schermato, ma continua a tenere un cappellino sportivo spalmato sulla fronte.
Sembra improvvisamente timido perché lo vedo abbassare lo sguardo, quasi si richiudendo a riccio, arrossato leggermente sulle guance.
Lo guardo un po’ stranita ma gli dico con tranquillità, per calmarlo: “ehi, facciamo così, ci togliamo qualcosa a vicenda, così non dobbiamo sentirci imbarazzati!” e appena lo dico mi rendo conto della puttanata, e cerco di salvarmi balbettando qualche scusa senza senso.
Lui ride, e sembro averlo convinto. “ok, allora magari ci mettiamo d’accordo su cosa ti devi togliere tu” mi dice sorridendo.
Sono multicolor, sto toccando tonalità di rosso mai percepite sulla terra. Sono l’unica persona a fare delle gaffe così clamorose senza rendersene conto? “sono proprio un’idiota, un’imbecille!” penso tra me e me, ma poi mi blocco.
Il più bel paio di occhi chiari che abbia mai visto mi stanno fissando. Sono profondi e temo di annegarci dentro, quindi abbasso lo sguardo, sulla sua bocca, perfetta, delineata e rosea, ricorda qualcosa di divino, troppo bello per essere umano. Sento di essere impallidita, allucinata, e continuo a fissarlo ammaliata da tanta bellezza. Sono estasiata da quello che sto vedendo. Un Giasone coreano, bellissimo e simpatico mi sta fissando, e io come una ebete sembro in trance. “Chiudi quella bocca imbecille, prima di cominciare a sbavare come una lumaca. Non fargli vedere quanto sei disperata, quanto lo vorresti…sii misteriosa”, me lo dico ma nemmeno io ci credo e allora, considerato che saranno passati tre minuti di imbarazzantissimo silenzio in cui io ho fatto la mia figura da pervertita, lui prende l’iniziativa e timidamente mi dice: “Ciao, io mi chiamo Dong Young-bae, ma puoi chiamarmi Taeyang”.
Io continuo a fissarlo e l’unica cosa che esce dalla mia bocca è: “oh cielo, mi sono innamorata!”.
 
 
Ecco il secondo capitolo di questa serie! Spero possa piacervi e mi scuso anticipatamente per la lunghezza esagerata. È solo che sono partita a scrivere e non sono più riuscita a fermarmi. È stato svelato anche il paladino della storia, e chissà che la relazione AliceXTaeyang non possa diventare Amore… continuate a stare sintonizzati se volete conoscere il resto! A bientôt (pure il francese adesso?!?)
 
Phanto

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Capitolo 3
*** Smarrita ***


“Non posso averlo detto veramente.
Forse, anzi spero, di averlo solo pensato. È tutto un brutto sogno.”
Alzo lo sguardo verso il mio interlocutore per trovare una conferma al mio flusso di pensieri, ma lui mi guarda con un sorrisetto malizioso che sottolinea la mia enorme stupidità.
Abbasso sommessamente lo sguardo, mi fisso le scarpe (e noto che sono le scarpe più brutte che avrei potuto comprare, “dovrei forse bruciarle appena rientro in Italia”). Non so cosa dire, nel giro di quindici minuti sono riuscita a imbastire la più imbarazzante e umiliante conversazione della mia vita. E oltretutto con un manzo coreano (“che sono certa di aver già visto da qualche parte”).
“C’e solo una cosa che puoi fare Alice, e cioè scappare a gambe levate e sperare di non incontrarlo di nuovo e magari potrai dimenticare tutto e fingere che non sia successo nulla”, la mia vocina interiore cerca di persuadermi, ma anche lei sembra poco convinta. Decido in ogni caso di seguire l’istinto, mi volto e come una furia corro verso la salvezza, sentendomi leggera. Forse troppo leggera.
È circa dopo un chilometro di corsa affannosa che mi accorgo di essere fuggita senza la borsa. Quindi oltre ad essere una buffona sono pure un’idiota.
“E se pensasse che l’ho fatto di proposito per poterlo rivedere?”, scalcio l’idea malsana e perversa della mia mente stalker e cerco di orientarmi e ritrovare la strada per recuperare la borsa ma perdere l’ultimo briciolo di dignità.
Ci metto un’ora per capire dove sono ed assicurarmi che Taeyang non sia ancora lì fermo a ridere di me e compatirmi, mi guardo furiosamente intorno ma della mia borsa e del bel ragazzo nemmeno l’ombra.
 “Vuoi vedere che si era organizzato tutto per borseggiarmi? Gli ho anche reso facile e divertente il lavoro.”
Sono una completa stupida, merito di aver perso ogni centesimo, eccetto quei maledetti 50 won che la signora mi ha lanciato per chiudermi la bocca. Santo cielo! Mi ha anche sentito cantare! Forse è davvero un incubo, adesso mi sveglio e sono in albergo accanto a Francesca!
Mi procuro dei forti dolori a suon di pizzicotti, ma la realtà non accenna a svelarsi. Il sogno non è sogno. È concretezza, e fa un male cane.
Ripercorro la strada in silenzio, lentamente, con lo sguardo rivolto al suolo (come il mio umore), senza musica perché il cellulare era nella borsa, insieme a portafoglio, passaporto e quattro barrette ipercaloriche al cioccolato. “Oh cazzo! Penserà che sono una divoratrice di grassi! E dire che ora mi farebbe proprio comodo qualcosa di fritto o grondante caramello e cioccolato”.
Arrivo in albergo e l’idol della hall mi squadra preoccupato, come se avesse letto nei miei capelli stravolti e nel mio volto devastato quello che mi era capitato.
In camera risuonava il profondo russare di Francesca, completamente presa dalla sua pennichella, ignara delle mie sventure. “Ho davvero bisogno di parlarle e sfogarmi, ma conoscendola so bene che svegliarla  potrebbe essere un problema.”
Tento inizialmente di chiamarla e smuoverla con delicatezza, ma vedendo i miei tentativi fallire miseramente sono obbligata a passare alle maniere forti: mi metto a gridare a squarciagola “un serpente, un serpente” finché non la vedo alzarsi e sfrecciare contro il muro della stanza per poi crollare al suolo in un lamento sordo.
Le vado incontro per assicurarmi che stia bene e per scusarmi di aver usato la sua fobia dei serpenti per svegliarla (sarà mai possibile essere così incredibili?!) ma sto ridendo come una pazza e perciò non riesco a farmi capire . Contemporaneamente  suona il telefono e dall’altra parte della cornetta sento lo stupendo ragazzo della hall chiedermi se fosse tutto in ordine e se stessimo bene poiché gli erano giunte delle lamentele dagli altri ospiti a proposito di urla e lamenti. Ho cercato di farmi capire e spiegargli che stavamo bene, ma continuavo a ridere come un ossesso finché non mi sono addormentata accanto ad una sconvolta Francesca.
Ci siamo svegliate un paio di orette dopo, io completamente priva di voce e la mia amica, come uno stupendo unicorno, sfoggiava un bernoccolo degno di lode.
“Ho preso una sbronza colossale? Non mi ricordo nemmeno di aver bevuto, ma sento la testa che mi rimbomba e la fronte è tutta informicolata”, Francesca si era svegliata ed era riuscita subito a farmi ridere e dimenticare le mie assurde peripezie. Ecco perché è la mia migliore amica: sa farmi ridere anche se il mondo è in procinto di crollare. Sa essere la persona più seria sulla faccia della Terra e dopo dieci secondi la puoi vedere ballare sul bancone di un bar cantando YMCA talmente ubriaca da doverle ricordare chi è e da dove vive.
“Sembri un attaccapanni, potrei anche appenderti il cappotto in fronte. E il dolore che senti stranamente non è conseguenza di una delle tue celebri sbronze. Hai solo sbattuto la testa”, biascicai cercando di far uscire la voce che sembrava ancora addormentata.
“Perché hai detto che c’erano dei serpenti? Sai che ho fifa di quelle bestiacce. Per fortuna non mi sono lanciata dalla finestra. Ora potresti essere sul ciglio della strada a piangermi”; Francesca sapeva essere veramente melodrammatica quando voleva farmi sentire in colpa, ma ero ancora troppo divertita da quella scena per commiserarla.
“Mi dispiace di averti ferita” le dissi canzonandola, “ma sei riuscita a farmi dimenticare la peggiore figura di merda della mia vita. E ci ho rimesso anche i soldi, la borsa e il cioccolato”.
“No! Il cioccolato no!”. Francesca sì che sapeva quali erano le priorità.
 
 
 
 
Dopo mesi e mesi e mesi e mesi di silenzio ho portato un nuovo capitolo (YEEEEH!) della storia di queste due strampalate amiche che, solo al primo giorno del loro viaggio sono riuscite a combinarne di tutti i colori e a farmi/ci( spero!) divertire.
Attendo come sempre dei vostri riscontri (positivi o negativi che siano!) e spero che questa piccola storiella possa appassionarvi tanto quanto appassiona me nello scriverla.
Io come sempre rileggo tutto, ma se per caso trovate degli errori fatemelo presente così la prossima volta (forse) non li ripeterò.
Un grosso bacione
 
Phanto
 

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Capitolo 4
*** Crepe e cioccolata ***


Evidentemente le mie disavventure dovevano essere spassose giacché Francesca riusciva a malapena a trattenere le lacrime. Già, le lacrime, perché le risate erano fuoriuscite come un fiume in piena.

“E’ davvero così divertente?! Io ti racconto di come ho mandato in vacca la possibilità di rimorchiare un gran bel ragazzo e tu non fai altro che ridere?” sono indignata e spazientita.

“Scherzi?! Sembra l’inizio di una barzelletta. Se questo è solo l’inizio non vedo l’ora di sentire il finale”, mi dice asciugandosi una lacrima che le era scivolata sulla guancia.

“Pensandoci bene una figura di merda è tale solo quando le controparti si conoscono, e io, tecnicamente non gli ho nemmeno detto come mi chiamo!”, mi dico orgogliosa puntando un barlume di speranza per la mia onorabilità perduta come farebbe un cane da caccia con la preda.

“Avrà letto chi sei dal passaporto che tenevi in borsa. E secondo la teoria per cui al peggio non c’è mai fine, è possibile che ci fosse qualcosa di super imbarazzante tra quelle cianfrusaglie che tieni nella borsetta” (ed ecco che la speranza si dissolve come fumo).

“Cosa potrebbe mai esserci di peggio? Rifiutata e derubata nel giro di 15 minuti è, oltre ad un record personale, un guinness dei primati! Sarò posizionata tra la donna barbuta e l’uomo con quattro chiappe!”.

Ma nel momento stesso in cui lo dissi ripensai istintivamente a cosa tenevo accanto alle barrette ipercaloriche: preservativi. Li avevo orgogliosamente ricevuti durante la festa di laurea da alcuni amici burloni che, a quanto pare, non ritenevano l’avermi cosparsa di farina e uova una punizione sufficiente.

“Preservativo…” biascicai timidamente, arrossendo e fissando il nucleo della terra.

Francesca pareva divertita più che mai, ridacchiava ma cercava di trattenersi, sapeva che la pazienza non rientrava nelle mie qualità. “Beh, apprezzerà il fatto che sei una ragazza ricca di iniziativa, gli uomini amano le donne previdenti che si portano il preservativo per evitare spiacevoli incidenti…Direi che è un punto a tuo favore”, mi disse saggiamente, come se leggesse la risposta da una sfera di cristallo.

“Non è solo UN maledettissimo preservativo, sono una scatola da 30, e oltretutto sono extra-large…” dissi auto-sotterrandomi in una bara di cemento immaginaria.

“Non ti facevo così determinata Ali! Addirittura extra-large! E ben 30! Speravi proprio di spassartela a Seul, tra un idol e un altro..”

La disperazione si dipinse nel mio volto. Il panico aveva preso il posto dell’ansia e aveva accelerato il battito cardiaco, “merda, ci manca solo un infarto”. Non avevo mai fatto una figura peggiore in tutta la mia vita, l’unica nota positiva era che peggio di così non sarebbe potuta andare. Avevo già fatto del mio meglio per rendermi lo zimbello della Corea.

“A mia discolpa, non li ho comprati io, è stato quel cretino di Matte che se ne esce con i suoi scherzi perversi!” ammisi per cercare di salvarmi e darmi un contegno che non avevo.

“Se davvero fosse come dici tu, perché li hai conservati? E perché li hai addirittura portati con te in vacanza? Grandi speranze vecchia mia, grandi aspettative. Ma non si diceva in giro che gli orientali sono famosi per le ridotte dimensioni del loro microfono?”, Francesca si stava intrattenendo con le mie sontuose figure di merda, stava riscrivendo la mia vita come uno spettacolo di cabaret da quattro soldi, ma io non ci stavo, non stavolta, non dopo tutto quello che mi era capitato.

“Non mi interessa cercare di convincerti che quei preservativi non li ho acquistati io, e giuro che non li ho comprati, ma, premesso questo, resta il fatto che sono senza documenti e soldi”.

“Hai dimenticato la cioccolata. Facevo affidamento su quella scorta nel caso il cibo da queste parti fosse come quello della mensa universitaria…Ho bisogno di cioccolata, sai che ho dei cali di zuccheri improvvisi. Tu mi vuoi morta, Al!”

 

Fu in quel momento che squillò nuovamente il telefono, facendo rimbombare l’ambiente con un fastidioso rumore metallico.

“Rispondi a quel cavolo di telefono prima che mi scoppi la testa”, disse Francesca reggendosi con una mano l’enorme bernoccolo che troneggiava sulla sua fronte. Per non parlare della crepa formatasi sulla parete dopo l’increscioso incidente tra il muro e la faccia della mia amica. Una scena assolutamente epica, ma dannatamente costosa a giudicare dalla dimensione della spaccatura nel tramezzo .

“Pronto, sì, qui camera 502, ancora rumori molesti? Le giuro che non stiamo combinando nulla, e garantisco che non ci sono assolutamente delle spaccature nella parete” mentì spudoratamente come solo un idiota sa fare.

“Veramente la chiamavo perché c’è qui un ragazzo che dice di avere la sua borsa”.

Non è possibile. Dopo aver tentato la fuga per evitare le conseguenze della mia colossale figura da imbecille ed aver conseguentemente smarrito la mia borsa, ecco che si ripresenta l’origine dei miei guai. E se avesse sbirciato nella borsa? E se avesse adocchiato la cioccolata? O peggio, i preservativi? Come aveva fatto a rintracciarmi? Non avevo accennato al mio nome e tantomeno all’albergo dove alloggiavo. Che fosse davvero uno stalker maniaco? Magari si aspettava una ricompensa per il plateale gesto di recupero e salvataggio del mio zaino. Bè, avrebbe aspettato invano. Non sono certo venuta in Corea per rimorchiare maniaci, sexy e arrapanti, ma pur sempre maniaci!

“Cosa devo riferire al nostro ospite?” mi disse la vocina del belloccio alla reception, interrompendo il mio flusso di pensieri.

“Scendo subito”, e così, con un groppo sullo stomaco partì alla volta dell’ennesima figuraccia.

 

Arrivata alla reception mi guardai intorno per cercare di capire dove si fosse nascosto Taeyang e quanto grave fosse la mia situazione, ma del bel ragazzo non vidi nemmeno l’ombra. “Forse sono stata fortunata, avrà capito che se lo avessi rivisto mi sarei sentita a disagio e così se n’è andato senza farsi vedere”, pensai compiaciuta, ma fu proprio in quell’istante che sentì una presenza alle mie spalle. Temevo sapendo cosa avrei visto voltandomi, ma la mia borsa (e ciò che conteneva) valeva più della mia perduta dignità.

Taeyang mi guardava con un sorrisetto stampato in faccia. Doveva aver fatto le cose con calma perché si era cambiato d’abiti, ma portava sempre quello strano cappellino sportivo, gli occhialoni da sole e la mascherina per lo smog. Teneva la mia borsa su una mano, e sembrava assolutamente determinato a non lasciarla per alcun motivo.

“Grazie per la borsa e scusa se ti ho procurato tanti fastidi” dissi con un coraggio che non sapevo di avere.

“Non ti preoccupare, amo aiutare le donzelle in difficoltà” e quando lo disse capì che era in vena di spiritosaggini.

“Quindi io sarei una donzella che necessita di aiuto? Credo tu abbia sbagliato persona, sono assolutamente in grado di badare a me stessa, magari non alle mie cose, ma alla mia persona di sicuro”.

L’ attraente ragazzo mi fissava, sentivo il suo sguardo penetrante attraverso le spesse lenti scure che gli schermavano la vista, sembrava incuriosito da qualcosa che avevo detto o fatto. “Sono certo che sei in grado di badare a te stessa, che hai, come dici tu, cura della tua persona. Non ho mai incontrato una ragazza che avesse bisogno di così tanta, ehm, protezione”.

Non capì subito a cosa stava alludendo, tant’è che mi stampai una faccia da pesce lesso in volto. Ma poi la realtà mi colpì come una saetta in un giorno di sole. “I PRESERVATIVI” dissi ad alta voce. E sfortunatamente non fu l’unico a sentirmi perché vidi un paio di sguardi allucinati rivolti verso di me.

“Cielo, hai guardato nella mia borsa?”

“Era necessario per ritrovarti”.

Quella frase fu ancora più spiazzante della precedente. Mi stava cercando, voleva ritrovarmi! Ma allora qualche speranza ancora c’era! Non avevo mandato tutto a farsi benedire! Potevo rimediare ai miei errori e forse potevo recuperare anche una rimorchiata.

“Mi fa piacere che tu mi abbia trovata. V-Voglio dire, per la borsa. Ci tengo tutto il necessario, non potrei viverci senza” dissi nuovamente senza pensare.

“Lieto di sapere che la cioccolata sia indispensabile nella tua vita. Amo la cioccolata, la mangerei a tutte le ore”.

“Non ti credo, non con un fisico come il tuo. Non avrai nemmeno mai assaggiato della cioccolata con quegli addominali!” rivelai dimostrandomi sempre più interessata. “Il tuo è un fisico da pane e acqua direi. Fa molto antico testamento”.

Una risata spontanea, come quella che avevo sentito nel pomeriggio, risuonò attraverso la mascherina. Lo stavo evidentemente divertendo molto.

“Sì, diciamo che il lavoro che faccio non mi consente grosse abbuffate ipercaloriche, ma mi ritengo piuttosto goloso, mangio di tutto, a qualsiasi ora e ovunque”, mi squadrò malizioso.

Dovevo essermi persa qualche passaggio del discorso. Magari il mio “appena decente” inglese mi aveva tratto in inganno. Di cosa stavamo parlando? Non di cibo. Ma allora di cosa? Di sesso forse? O era solo la mia mente che, desiderandolo ardentemente, si era immaginata tutto?

“Anche io sono piuttosto affamata in questo momento” dissi tentando il tutto per tutto.

Taeyang mi si avvicinò, mi porse la borsa e, gettandovi una mano dentro, evitando le milioni di cianfrusaglie sparse, raccolse una barretta al cioccolato, la aprì e ne fece un intenso e sensuale morso, poi, dopo aver ingollato il pezzo, mi  offrì ciò che restava dello snack, aspettando che facessi lo stesso.

Ma io mi ero bloccata. Fissavo a bocca spalancata prima lui e poi la cioccolata e poi di nuovo lui. Dovevo sembrare patetica perché, trascorsi due minuti, decise di fare un altro morso della mia merenda e, osservandomi con attenzione, mi si avvicinò, si scostò la mascherina con un dito e accostandosi al mio orecchio, con un sussurro che sembrava pieno di desiderio mi disse: “Grazie per la cioccolata, è la mia passione” e, allontanandosi mi strinse la mano e si diresse verso l’uscita, smaterializzandosi poco dopo.

Le ginocchia cedettero sotto il peso dell’emozione, avevo il fiatone e dovevo essere diventata color tramonto. Ero elettrizzata, c’era stato sicuramente un contatto, un legame, qualcosa era successa e, se avessi giocato bene le mie carte, sarebbe successa. Ma in che modo? Come rintracciarlo?

E lì, mentre cercavo di rimettermi in piedi ed ordinavo alle mie gambe di reggermi mi accorsi che stringevo qualcosa nella mano: era un bigliettino. Era il numero di cellulare di Taeyang.

 

 

 

 

Ennesimo capitolo, ma stavolta si entra nel passionale. Si parla di uno scambio di battute alquanto “HHOT”, ma pur sempre velate (v.m. 12 anni) xD

Le cose si stanno evolvendo e pare che la goffaggine di Alice abbia trovato un estimatore sincero… sarà amore? Vedremo.

E l’unicorno Francesca che ruolo rivestirà nella storia? Rimanete sintonizzati J

 

Phanto

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Capitolo 5
*** Ho rimorchiato Taeyang dei Big Bang! ***


“Chiamami pazza ma per me lo dovresti chiamare”.
Francesca aveva colto nel segno un’altra volta. Quella ragazza sapeva proprio leggermi nel pensiero, era sempre riuscita a capire cosa mi frullava in testa e a metterci ordine nei momenti più incasinati.
“Se solo fosse semplice” pensai.
“E’ semplice” rispose Francesca d’impulso.
Mi ritrovai a fissarla perplessa, con un velo di sudore che mi copriva la fronte. “Mi ha davvero letto nella mente? Ci mancava solo la svolta fantasy per rendere questa storia ancora più assurda”.
“Non ti leggo nella mente, stupida! Siamo amiche ormai da 12 anni, conosco tutto quello che ti passa per la testa soltanto guardandoti negli occhi qualche secondo”.
Rimasi interdetta e leggermente spaventata. Possibile che mi conoscesse così bene da scansionarmi la mente? Eravamo amiche, d’accordo, ma avere la presunzione di leggere tutto sembrava a dir poco borioso anche per l’umile Francesca”.
“E va bene, mettiamoti alla prova. A cosa sto pensando ora?”
“Cetriolini”.
“Come diavolo hai fatto? Francesca, mi stai spaventando!”
“Sei sempre la solita, quando sei nervosa o hai visto un film horror mangi sempre dei cetriolini sott’aceto. Quindi, considerando che ti senti un tantino sconquassata dai recenti avvenimenti, facendo 2 + 2 mi è sembrato ovvio che stessi pensando ad un anti-stress… i cetriolini”.
“Miseriaccia. Questa ragazza mi conosce davvero troppo bene.” “D’accordo, era facile, facciamo un altro tentativo e se la indov…”
“Adesso basta Al, smettila di cambiare argomento! Lo vuoi chiamare sì o no questo ragazzo?”
“Non lo so, dico davvero. Lui mi piace ma ci sono troppi fattori da considerare”.
“E cioè?” chiese Francesca alquanto spazientita.
“Beh, prima fra tutti l’enorme figuraccia che ho fatto, secondo la mia scarsa autostima, il mio continuo insuccesso relazionale con l’altro sesso e il mio aspetto sgradevole. I nostri figli nascerebbero complessati: padre affascinante e famoso e madre bruttona e sconosciuta. Davvero non potrei mai causare tanti guai ai miei bambini. Meglio stoppare tutto in partenza, finché non sono ancora emotivamente coinvolta” sputai tutto d’un fiato, come se quel discorso fosse frutto di un attento ed elaborato ragionamento precedentemente progettato.
“Ma ti sei sentita?!? Figli? Scompensi? Aspetto sgradevole? A volte credo che ci avrei guadagnato di più facendo amicizia con un mucchio di sassi”.
Come darle torto? Inventavo scuse insulse per proteggere la mia mente da un ennesimo rifiuto. Ma stavolta non era successo. Anzi, un bel ragazzo aveva cercato di flirtare con me e, non ottenendo input da parte mia mi aveva lasciato il suo numero per contattarlo. Tutto questo sembra presagire qualcosa di positivo. E allora perché non rischiare? Perché non buttarmi a bomba nella piscina dell’amore e delle opportunità?
“Passami il telefono Francesca, devo scrivere un messaggio a Taeyang”
“Era ora che tirassi fuori gli attributi! Ora ci mettiamo comode a sedere e cerchiamo di farti rimorchiare Taey…”
Francesca si interruppe di scatto. Sembrava che qualcosa di importante le fosse tornato in mente. Un dettaglio ma che era di notevole importanza.
Si girò di scatto verso di me e cominciò a fissarmi ad occhi sbarrati, quasi in trance. “Lui si chiama Taeyang? E magari è bello, non molto alto, fisico decisamente oltre lo standard coreano e indossa cappelli e/o occhialoni da sole?”
“Direi che lo hai descritto alla perfezione. Se vogliamo essere pignoli, hai scordato soltanto una mascherina per coprire naso e bocca” le dissi in totale tranquillità, non cogliendo il suo sguardo ormai simile a quello di Jack Nicholson in “Shining”.
“Porco cazzo” si lasciò sfuggire Francesca con rassegnazione.
“Cosa ho combinato adesso?”
“Ti sei rimorchiata Taeyang dei Big Bang” ammise sconcertata infine, mentre cercava spasmodicamente qualcosa nel suo cellulare. Mi passò il suo telefono e quello che vidi mi fece sobbalzare. Eccolo là, il ragazzo che avevo conosciuto qualche ora prima, in posa insieme ad altri quattro ragazzi.
“SANTO DIO HO RIMORCHIATO TAEYANG DEI BIG BANG! Come diavolo ho fatto a non riconoscerlo? Cioè, so di non avere una buona vista ma ero convinta che se mi fossi trovata davanti una celebrità me ne sarei accorta!”
Ma Francesca non sembrava avermi sentita. Si era buttata sul letto in posizione fetale e aveva uno strano bagliore sinistro riflesso negli occhi. Ero terrorizzata.
Si alzò in piedi sul letto con uno scatto felino. Sembrava determinata e leggermente psicopatica. Mi passò il telefono e mi incitò a scrivere. “Milioni di ragazze ucciderebbero per questo, e tu hai la possibilità di farlo. Prendi questo maledettissimo cellulare e scrivi a Taeyang. SUBITO.”
Non me lo feci ripetere due volte. Il destino aveva bussato, e questa volta avevo tutta l’intenzione di aprirgli le porte della mia vita.
Digitai almeno 125 messaggi in dieci minuti, cancellando o modificando quanto avevo scritto in precedenza. Volevo inviargli un messaggio conciso, chiaro, non troppo lungo, flirtante ma non troppo, voglioso ma celato e magari divertente.
Una passeggiata insomma.
Alla fine optai per qualcosa di semplice.
 
“Ciao, sono la ragazza strana di questa mattina.
Quella che ha cantato per strada e ha perso la
borsa con dentro cioccolata e preservativi…
volevo solo farti sapere che sono rinvenuta e
sto bene. E grazie ancora per la borsa e per non
avermi rapinato :)”
 
Lo inviai perplessa senza chiedere consenso a Francesca che sembrava in overdose: era sudata, le pupille dilatate e un filo di moccio le scendeva dal naso. Era un’immagine davvero raccapricciante.
“Beh, io gli ho scritto un messaggio. Non conto di avere risposta. Insomma, lui è un’idol famoso e bello, perché mai dovrebbe rispondermi?!?”
E in quell’istante il mio telefono squillò.
 
 
 
 
Eccomi di ritorno! Dopo Pasqua e Pasquetta era giunto il momento di continuare questa storia elettrizzante. Sì, lo ammetto, ho fatto la cafonata, ma volevo chiudere e lasciare un po' di suspense. Quindi saprete la risposta nella prossima puntata (anche perché non ho ancora pensato ad una risposta adeguata).
Mi scuso se il capitolo è un po' breve e meno divertente del solito, ma era ora di entrare nel vivo dell’azione.
 
Stay tuned
 
Phanto  
 
 
 
 

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