Sulla collina rosa

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi vuoi sposare? ***
Capitolo 2: *** Metamorfosi ***
Capitolo 3: *** Quando la neve si scioglie ***
Capitolo 4: *** Lacrime di pioggia ***
Capitolo 5: *** Detective Becker ***
Capitolo 6: *** Parole di ghiaccio ***
Capitolo 7: *** Hermes ***
Capitolo 8: *** L'aquila del Nord ***
Capitolo 9: *** Freddezza scandinava ***
Capitolo 10: *** You'll never walk alone ***
Capitolo 11: *** Senza difese ***
Capitolo 12: *** Linea Sapporo- Tokyo ***
Capitolo 13: *** Uomini soli ***
Capitolo 14: *** Donna a metà ***
Capitolo 15: *** Il futuro nelle tue mani ***
Capitolo 16: *** Giorno zero ***
Capitolo 17: *** Fuubutsushi ***
Capitolo 18: *** On the road ***
Capitolo 19: *** Sei petali ***
Capitolo 20: *** Gate 21 ***
Capitolo 21: *** Come aquila in alto volo ***
Capitolo 22: *** Ola ***
Capitolo 23: *** Io ci sarò ***



Capitolo 1
*** Mi vuoi sposare? ***


Che bella combriccola che erano! Tony Brunor, un ragazzo che pareva tutto sorrisi e allegria tanto erano bianchi i suoi denti e felice e solare il suo aspetto, Peter Shake, l’eclettico con cui si poteva parlare di tutto senza pericolo di rimanere senza parole e Philip Callaghan, un’indomita creatura, testarda, umile e di gran cuore.

Proprio per seguire quel cuore da inguaribile romantico il trio, un vero inno alla gioventù, si era ritrovato nella mattina silenziosa con i suoni attutiti dalla neve, a scandagliare ogni centimetro degli espositori delle uniche due gioiellerie di Furano.

Non era stato un singolo istante ma una serie di piccole cose avevano portato Philip la sera precedente a inoltrare quella telefonata intercontinentale, imbarazzata ma decisa, al signor Fujisawa all’altro capo del mondo.

Per chiarire che non era un passo che prendeva alla leggera. Perché quando Peter gli aveva chiesto: Perché non la sposi ? Il Capitano non era riuscito a trovare una sola ragione per non farlo.


La risata paterna e contagiosa e, soprattutto, la benedizione del padre della futura sposa gli avevano alleggerito il cuore ma la ricerca dell'anello perfetto per Jenny si stava rivelando una vera caccia al tesoro.

"Oh sposi novelli meritate i doni più belli!"

Andava cantilenando Tony, per cui faceva lo stesso sia che il Capitano avesse scelto un anello Tiffany tempestato di diamanti sia che si fosse accontentato di un anello di bigiotteria.

Peter, più sensibile allo scoramento dell'amico in crisi, aveva invece trovato le parole giuste per incoraggiarlo.

"Il vostro amore non ha bisogno di nome. E non ha bisogno di un anello con un diamante!"

Allora, come se fosse in attesa di lui, Philip aveva trovato quello giusto: un cerchietto in oro bianco con il simbolo dell'infinito.


Intanto Jenny si sentiva una principessa, con tanto di fata madrina, mentre Grace, con la grazia di migliore amica, l'aiutava ad acconciarsi per la serata.

Un appuntamento con Philip. Farfalle nello stomaco e testa tra le nuvole.

"Oh Grace sono così felice che mi metterei a ballare!"

Si era lasciata sfuggire infine, facendo una giravolta davanti allo specchio mentre la gonna compiva una mezza ruota sulla sua figura longilinea. L'amica le aveva preso le mani, commossa.

"E fai bene perché Philip è pazzo di te!"


Aveva iniziato a nevicare dopo il tramonto e questa atmosfera elfica rendeva ancor più confortevole l'interno del ristornante rustico e accogliente scelto da Philip.

Anche lui si era messo in ghingheri per la serata ma aveva finito per combinarne una dietro l'altra: aveva quasi pestato il piede di Jenny quando, cavallerescamente, aveva tirato indietro la sedia per farla accomodare, aveva rischiato di rovinarle il vestito elegante con il vino che tremolava nel suo bicchiere e, dulcis in fundo, aveva maldestramente rovesciato il vaso con i fiori freschi che decorava il loro tavolo.

"Sei inqueto. Cos'è che ti preoccupa?"

Aveva chiesto Jenny, le guance rosse come ciliegie. Poi aveva ripiegato il tovagliolo con le piccole mani bianche come un giglio e aveva increspato le labbra in un sorriso.

"Vuoi lasciarmi?"


Era il momento! Philip aveva tirato indietro la sedia con foga e un momento dopo si trovava inginocchiato davanti a Jenny con un anello in mano che era la dichiarazione d'amore più bella di sempre.

A lei sembrava di essere diventata la protagonista di un film romantico.

"Lo so che lo aspetti da tanto quel ragazzo che ti prende per mano ed è fiero di te, che non si stanca mai di baciarti sulla fronte quando ti sveglia e la sera prima di addormentarti. Quel ragazzo che ti fa ridere, ma ti fa ridere davvero tanto anche quando la battuta è passata. Quel ragazzo che ti prende per mano ed è fiero di te, quel ragazzo che mantiene sempre la sua parola, che parla del futuro senza dubbi, perché nel futuro ci sei sempre tu. Sono io quel ragazzo, Jenny?"

Jenny si era commossa tanto che le tremavano le labbra.

"Sì Philip sei tu il ragazzo che è valsa la pena aspettare!"

Allora lui le aveva infilato l'anello al dito.

"In questo caso signorina Jennifer Fujisawa mi vuoi sposare?"

Jenny aveva baciato l'anello che sfavillava al suo anulare, poi aveva poggiato la mano sul cuore di Philip.

"Si, certo che ti sposo! Sarò la signora Callaghan!"

La voce rotta dall'emozione e l'effetto strano di quel sogno che stava diventando realtà erano stati coperti dagli applausi scoscianti degli astanti mentre i due innamorati suggellavano la promessa con un bacio a fior di labbra.

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Capitolo 2
*** Metamorfosi ***


Ai calciatori della Flynet, nelle ultime due settimane, sembrava di essere diventati spettatori e attori insieme di un teatro dell'assurdo.

Era scoppiato un vero e proprio caso Philip Callaghan: proprio lui sempre grinta, classe e abnegazione per la squadra adesso si comportava come quelle prime donne che brontolano per il mal di pancia fino ad arrivare ai ferri corti con tutti.

Peter e Tony, in particolare, non riuscivano a sgarbugliare quell'astruso canovaccio ed erano decisi ad indagare fino in fondo l'improvvisa e drastica trasformazione dell'amico.


Non avevano voluto aspettare oltre e, nonostante il cielo grigio saturo di acqua e i tuoni che rimbombavano minacciosi da far tremare, avevano sfidato la tempesta per ritrovarsi fradici come pulcini davanti a Philip.

Erano rabbrividiti non tanto per l'acqua ghiacciata che gli gocciolava lungo la schiena quanto per la maschera tragica che era venuta alla porta.

Philip, gli occhi lucidi per la febbre o forse perché aveva pianto e uno sguardo ostile dal quale si era eclissata tutta la sua solarità, un'espressione dura e severa nel viso, era l'ombra del ragazzo gioviale e pieno di energia di appena quindici giorni addietro.

Con la sua solita leggerezza, Tony era entrato per tentare di riscaldarsi senza aspettare l'invito di Philip e sfregandosi le mani di ghiaccio sulle braccia aveva sorriso ironico.

"Capisco che sei innamorato e Jenny è per te una dipendenza ma, anche se Cupido ha tirato la sua freccia in tempi un po' sbagliati non disperare così: la tua bella newyorkesina tornerà presto. Intanto ho studiato un paio di segreti per guarire dal mal d'amore!"

"C'è una soluzione sola: il distacco totale!"

Lo aveva interrotto Philip con voce dura e spietata e, senza perdere quei modi rigidi, con passo severo si era andato a sedere quasi dall'altro lato della stanza tenendo sempre le sopracciglia aggrottate.

Era una frase così enigmatica che Tony e Peter temevano di non aver capito bene.

"È così: non c'è nessun matrimonio all'orizzonte. Io e Jenny anime gemelle? Lei l'amore della mia vita? Bla, bla, bla...Sciocchezze da omikuji. Io, però, non ho bisogno di nessuna lotteria sacra. Non sposerò Jenny e questo è quanto!"


Quando un uomo è innamorato è praticamente impossibile capire cosa gli passi per la testa ma quelle parole dure come pietre sembravano essere state vomitate dal gemello cattivo di Philip.

Peter gli si era avvicinato ma, appena l'altro si era irrigidito sulla sedia, aveva rinunciato a posargli la mano sulla spalla in una rodata gestualità amichevole.

"Mi sembra di non averti mai conosciuto per davvero!"


Cinque minuti dopo Peter e Tony si trovavano a camminare per le strade di Furano, pulite dal temporale, con il forte ed evocativo profumo di terriccio che purificava anche i loro cuori confusi.

All'improvviso Shake aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

C'era un'ultima carta da giocare per far rinsavire Philip.

"Vuoi chiamare Jenny?"

Aveva timidamente azzardato ad indovinare il portiere.

"No! C'è solo una persona che può far recuperare il senno a quel citrullo!"

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Capitolo 3
*** Quando la neve si scioglie ***


Philip Callaghan e Tom Becker si conoscevano da quando avevano sette anni, una finestrella nel sorriso e se ne andavano sempre in giro con i pantaloni corti.

Già da allora sapevano che la loro sarebbe stata una grande amicizia per sempre, infischiandosene del tempo che passava e della distanza che li avrebbe separati.

Si erano incontrati da piccoli e, perciò, erano i migliori amici che si potessero trovare.

Il buon Tom aveva preso subito il treno da Sendai, dove viveva temporaneamente con la nuova famiglia di sua madre Yumiko, e si era precipitato a Furano.


Il cuore di Sarita era stato riscaldato da quel sorriso da ragazzino, mite e dolce come miele, nonostante il filo di barba, le spalle robuste e le braccia muscolose.

"Sei diventato un uomo!"

Tom, ancora acerbo e poco avvezzo alle premure di una mamma, era arrossito al complimento commosso della signora Callaghan ed era venuto al sodo, forse in maniera un po' brusca, per togliersi d'impiccio.

"Dov'è Philip?"

Sarita aveva un bel carattere: canticchiava ed era sempre allegra anche quando la famiglia le succhiava tutte le energie. Adesso era avvenuto un grande cambiamento e, per la prima volta, Tom la vedeva come una mamma triste.

"Vieni caro. Tu sei il solo che può spronarlo e fargli tornare la ragione!"


Era vero! Philip era un Orlando che ha perso il senno e a Tom spettava l'ingrato compito del paladino Astolfo.

La sera precedente Philip aveva esagerato un po' e, adesso, nell'aria c'era un tanfo pesante e un forte e sgradevole odore di alcool.

Sarita, come una furia, si era affrettata ad arieggiare la stanza ed era uscita senza dir parola ma lanciando soltanto un'occhiata critica al figlio. Lui, nel post- sbornia era particolarmente sensibile alla luce e ai suoni così aveva serrato gli occhi e si era schermato con una mano dai pallidi raggi del sole.


"È la mattina dopo di una festa selvaggia a cui sei stato? Il tuo stomaco sembra ballare proprio come hai fatto tu ieri sera e la tua testa è sul punto di esplodere da un momento all'altro?"

Tom Becker era un ragazzo calmo e pacifico ma non significava che mancasse di grinta, tutt'altro!

Philip si era rizzato a sedere sul letto di scatto appena riconosciuta quella voce inattesa e aveva esibito un riso sardonico.

"Tom Becker! Accidenti! Ti credevo in qualche Café sui boulevard parigini a mangiare baguette e invece mi fai la sorpresa e vieni a fare lo yeti tra i ghiacci dell'Hokkaido!"

Si era alzato, barcollando ancora mezzo ubriaco, e l'amico gli aveva lanciato una bibita per lo sport che Philip teneva sempre a portata di mano. Aveva riso ancora più forte.

"Guarda che non ho mica corso la maratona o giocato una partita intera...Anche se il mio fisico si sente provato come se lo avessi fatto!"

Era il momento di rinsaldare quel legame, di essere quell'amico da ti dico tutto , quello a cui non si nasconde nulla.

"Cosa stai combinando Phil?"

Tom si era ammorbidito ma Philip si era chiuso a riccio, mettendosi sulla difensiva.

"Capisco: le due pettegole di Furano hanno chiamato i rinforzi!"

"Sono dei veri amici. Gli importa di te, si preoccupano per te."

"Non sono affari loro!"

Aveva sibilato Philip a denti stretti, risiedendosi. Tom si era abbassato alla sua altezza e gli aveva appoggiato le mani sulle cosce costringendolo a non sfuggirne lo sguardo.

"Philip ci conosciamo da quando avevamo sette o otto anni. Abbiamo imparato insieme a leggere, a scrivere e a contare. E ti ricordi della fifa nera che abbiamo avuto quando, di sera, eravamo rimasti da soli a spalare la neve pur di poter giocare il giorno dopo? Ci siamo sbucciati le ginocchia mentre imparavamo il calcio e ci siamo scottati i cuori con le prime ragazze! Sai che una grande amicizia è un po' come un grande amore? E allora dimmi: perché stai calpestando così il tuo unico, vero amore?"

"Amore è una parola abusata! La famiglia è soltanto l'insieme di un uomo, una donna e dei bambini che vivono sotto lo stesso tetto. Una volta che ne hai una non te ne puoi più liberare. Ho fatto un passo affrettato cercando di far felice Jenny ma ho capito che il matrimonio non fa per me. Non voglio mettermi al collo questa corda e strozzarmi!"

Era un'analisi fredda, disincantata e distaccata che non si confaceva per nulla al temperamento passionale e romantico di Philip.

Tom non aveva creduto ad una sola di quelle sillabe tuttavia, sapendo che non avrebbe cavato un ragno dal buco, si era avvicinato alla porta per congedarsi.

"Sei un bugiardo e la cosa peggiore è che menti a te stesso! Ma io non ti mollo così, Phil! Sappi che ti marcherò stretto finché non scoprirò cosa nascondi! Ricordati che quando la neve si scioglie si vede la ramaglia!"


Se n'era andato senza dare a Philip la possibilità di replicare ma permettendogli, finalmente, di lasciare l'impronta della fronte sul vetro freddo che affacciava sul giardino di brune frasche che spuntavano in mezzo alla neve.

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Capitolo 4
*** Lacrime di pioggia ***


Si sentiva ancora un po' frastornata e con la schiena a pezzi quando, infine, aveva deciso di alzarsi. Quando era scesa dall'aereo, Jenny aveva un forte mal di testa e si sentiva svuotata come se il viaggio New York-Sapporo avesse risucchiato tutte le sue energie.

Aveva preso fiato con un respiro profondo che le aveva riempito le narici e tutto il corpo di quelle sferzate gelide che promettevano burrasca.

Solo chi era cresciuto nella fredda e nevosa isola di Hokkaido, nell'inverno dagli occhi a mandorla, poteva essere abituato a quel vento sferzante che pareva un alito di morte e procedere a piccoli passi striscianti sul ghiaccio puro del lungo tramonto.


Non c'era Philip ad aspettarla all'aeroporto di Shin-Chitose ma Grace. Nonostante le orecchie che ancora le fischiavano, una cosa che le accadeva sempre quando l'aereo decollava o atterrava, a Jenny aveva fatto piacere trovare l'amica.

Si erano avvicinate al nastro trasportatore in silenzio e, soltanto dopo aver recuperato le valigie, l'indignazione di Jenny era esplosa.

"Crede di potermi mollare così? Dopo sei anni e mezzo, una mattina mi chiama e mi dice che ha dei dubbi? Dubbi che, dopo cinque minuti al telefono, si sono rivelati certezze. Incompatibilità di carattere: ha tagliato corto quanto ho preteso spiegazioni. Forse non vuole dirmi che ha un'altra!"

Grace non sapeva cosa dire per calmare l'amica gelosa e furiosa e sapeva di dover essere cauta per non farle rovinare quella relazione da favola.

"Sono certa che è soltanto un malinteso. Vedrai che Philip avrà una spiegazione!"

Era meglio che il suo futuro marito si riscattasse con un gesto di sincero coraggio perché lei di un codardo non sapeva che farsene!


Si erano dati appuntamento in una sera che profumava di lavanda del nord, tra le case basse e rade in fondo alle strade larghe e perpendicolari, da dove si poteva ammirare il profilo di splendide montagne.

C'era qualcosa di selvaggio nell'aria.

Philip aveva i capelli un po' lunghi e arruffati che, insieme alla barba incolta da due settimane, gli davano un'aria trasandata; lo sguardo era duro e piuttosto spento.

Un'immagine raccapricciante per lui che era sempre stato così impeccabile.

Si era voltato a guardare Jenny con deliberata noncuranza e quando lei aveva allungato una mano per sfiorarlo con una carezza, lui le aveva bloccato il polso a mezz'aria.

"Risparmia queste leziosità da innamorata per qualcun altro! Scordati cene romantiche e coccole: noi due non vivremo per sempre felici e contenti!"

Cos'era successo a questo Philip sfuggente come un'anguilla e pungente come un cespuglio di rose?

"Philip amore mio, ma cosa vai farneticando? Mi lasci così, senza una vera spiegazione?"

"Non conosco nessun galateo dell'amore su come ci si lascia. Ti lascio e basta! E lo sai che non sono tipo da amore mio o tesoro mio"

Il suo tono era così aspro e sprezzante che Jenny era arrossita dalla collera.

Ma non era ancora abbastanza.

Finalmente aveva notato l'anello che ancora sfavillava all'anulare di Jenny: oggetto non più da contemplare ma da deplorare con un sorriso sinistro. Come un cobra incollerito si era avventato su quel cerchietto e glielo aveva sfilato.

"Un diamante al dito non ha ormai più alcun senso!"


L'aveva lasciata da sola, sedotta e abbandonata mentre si alzava un vento caldo simile al Foehn mangia neve, senza che si accorgesse se fossero le sue lacrime o gocce di pioggia a lavarle il viso.

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Capitolo 5
*** Detective Becker ***


Gli occhi di Grace, con un'insolita scintilla d'ironia, erano bellissimi dietro gli occhiali e Tom aveva avvertito un leggero brivido quando si erano posati su di lui.

"Ho portato dei vol-au-vent!"

Aveva mostrato un involucro, sforzandosi di esibire un galateo da ospite perfetto. Grace aveva tentato di rispondere con uno dei suoi sorrisi timidi ma si era bloccata a metà del movimento.

Da sopra una spalla della ragazza, Tom aveva potuto osservare un raggio di sguardo spento che incarnava dolore, spuntare tra i capelli spettinati di Jenny.


Nell'atmosfera da chalet della casa di Grace, in legno e con doghe a vista, si era consolidato un vero e proprio patto d'amicizia. Ma lì, dove appena un mese addietro lo avrebbero accolto a festa, nessuno aveva voglia di sorridere.

In quell'insostenibile tristezza, Peter e Tony erano stati i primi ad andare incontro all'ex compagno e ad accoglierlo con un saluto pugno contro pugno.

Tom finalmente era entrato in quel mondo battuto dal vento e per non farsi sopraffare da quell'atmosfera lugubre si era seduto accanto a Jenny prendendole una mano e la voce di lui che la chiamava per nome l'aveva riscossa dalla dimensione da notte pesta in cui era sprofondata.

Nonostante tutto, la ragazza aveva fatto ricorso a tutta la sua forza di volontà per rispondere con un sorriso debole e appena abbozzato.

"Rimetteremo le cose a posto, va bene?"

Tom era così caparbio e frizzante, dolce e persuasivo, che Jenny aveva annuito in automatico.


Improvvisarsi detective non era stato affatto facile!

Per capire Philip doveva adeguarsi ai suoi ritmi, adeguarsi ai suoi cambiamenti, seguirlo come in una danza. Tom era stato così agitato nel timore di essere scoperto o nel perdere contatto con il suo pedinato.

Ogni indagine ha bisogno di punti fermi e il maldestro detective aveva cominciato con un viaggio a ritroso nel tempo, nei luoghi e nei ricordi della sua infanzia.

Una finta a destra, una a sinistra, le panchine in ferro, i ragazzini a parlare nella zona centrale del campo e l'allenatore fuori, a bordocampo...Una nostalgia così mite nel sentire che quei luoghi gli appartenevano ancora anche se non li viveva più.

Il signor Taylor era un organizzatore di gioco e un educatore. Un bravo allenatore che aveva avuto il difficile compito di prendere il posto dell'indimenticato preside che aveva fatto amare il calcio sia a Tom che a Philip.

Avevano fatto una lunga chiacchierata, come due vecchi amici che si rincontrano dopo tanto tempo, ma il signor Taylor non aveva saputo aggiungere nessun particolare che Tom già non conoscesse.


Era tornato a casa scoraggiato ma deciso a non darsi per vinto. Non poteva di certo prevedere quel colpo di fortuna: dieci minuti più tardi Philip era alla sua porta.

Infuriato come un demonio, sospettoso come un Otello, il viso paonazzo che era rabbia allo stato puro.

"Cos'è questa storia della setta segreta a casa di Grace? Una congiura del silenzio contro di me?"

Che adesso si atteggiasse a vittima immolata era davvero troppo! Tom aveva perso la pazienza.

"Sei tu che hai alzato questo polverone! Non è divertente, amico, ti stai comportando come un pazzo!"

Di colpo Philip aveva perduto la sua espressione di dura fierezza, colpito da quell'idea.

Aveva passato una mano sugli occhi stanchi, che bruciavano, e si era lasciato cadere su una sedia accanto al fuoco. A Tom gli attimi prima che l'amico parlasse erano sembrati eterni, il tempo di aprire quella voragine in cui l'avrebbe sprofondato.

"Non hai idea di quello che sto passando. Non sono io ad essere impazzito, Tom. Sono impazziti i miei globuli bianchi!"

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Capitolo 6
*** Parole di ghiaccio ***


Quelle parole, dure come la lama di un katana e sibilanti come un serpente, avevano raggelato Tom.

Aveva avvertito un formicolio alla gamba infortunata e, istintivamente, si era abbassato a massaggiarsela mentre i ricordi si affastellavano e si confondevano: i fari alti e il rumore sordo del motore del camion dal telaio lucente, l'urlo spaventato e primordiale di Yoshiko, la ruota che schiacciava sulla sua gamba producendo un tintinnio talmente secco da fargli girare la testa...

Intanto che riviveva l'episodio che aveva quasi spezzato cinicamente i suoi sogni, Philip risvoltava una gamba dei suoi pantaloni tirandoli fin sopra il ginocchio.

All'altezza della coscia si osservavano delle petecchie tonde, piccole e arrossate.

"Pensavo fosse un livido da gioco. Prendiamo tante botte in campo che, alla fine, ci familiarizziamo con queste macchie bluastre sulla pelle, al punto da portarli come se fossero medaglie!"


Si vergognava a farsi vedere con gli occhi lucidi e le parole erano uscite strascicate e sussurrate. Il soliloquio era andato avanti a fatica.

"Mi hanno tratto in inganno anche altri sintomi simili all'influenza e che, in un primo tempo, ho scambiato per stanchezza post febbrile. Sono andato a fare un prelievo di sangue e..."

Tom era sbiancato. Aveva incrociato le braccia al petto ed era strisciato vicino all'amico.

Il fuoco vivace crepitante nel caminetto scioglieva la mano di ghiaccio che, nelle ultime settimane, aveva avvolto il cuore di Philip.

"Vuol dire che..."

Tom si era messo a fissare le punte delle scarpe: probabilmente l'amico si aspettava una parola di supporto e lui riusciva soltanto a guardare per terra.

"Se non sai che malattia hai non è che non ce l'hai lo stesso! Ho la leucemia!"

L'aveva detto come se soffiasse per spegnere una candela. Ed era la prima volta che la nominava a voce alta.


" È da questo che vuoi proteggere Jenny? In un altruistico gesto d'amore hai scelto di essere un soldato che lotta da solo. Hai deciso da solo, per te, per la ragazza che ti ama e per i tuoi amici!"

Tom aveva paura e, per qualche secondo, non aveva respirato bene. Finalmente era riuscito a gestire le sue emozioni: sapeva bene che non si guarisce da soli e, nella sua riabilitazione, suo padre Ichiro e la nuova famiglia di sua madre Yumiko erano stati fondamentali.

"Tu sei un guerriero Phil ma ogni battaglia è persa se non c'è almeno un altro folle che combatte al nostro fianco!"

Chiedere aiuto per un tipo orgoglioso come Philip era una vera odissea ma, alla fine, aveva ceduto a quell'atto di coraggio.

"Domani il medico vuole sottopormi ad altri esami per avere un'ulteriore conferma! Ti va di accompagnarmi?"

Tom non aveva avuto bisogno di rispondere. Semplicemente si era ritrovato cinto in quel dramma e nell'abbraccio riconciliante con Philip.

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Capitolo 7
*** Hermes ***


Era stato Tom a slacciargli le mani serrate in due pugni stizziti e ad asciugargli le lacrime, ferme nella sua anima incrostata, e che non si era nemmeno accorto di aver iniziato a versare.

Raddrizzando la schiena dolorante, con i muscoli del viso tesi fino a formare degli angoli severi, Philip aveva cercato di recuperare le chiavi di casa finché le mani gli erano scivolate lungo i fianchi.

"Aspetta. Ci penso io!"

L'amico gli era venuto subito in aiuto, accompagnandolo nella minka aperta sulla natura ed estremamente silenziosa dal momento che i signori Callaghan trascorrevano il weekend fuori.

"Grazie!"

Era una riconoscenza che sottendeva qualcosa di più complesso ma, anche, di molto più semplice.


Tom l'aveva marcato stretto fin da quando lo aveva accompagnato in ospedale, fin da quando si era sdraiato in posizione fetale con una faccia patibolare, aveva sentito una cosa fredda che era il disinfettante e poi un pizzicotto che era la puntura dell'anestetico.

E mentre un dottore giovane gli bucava il fondoschiena e carotava un campioncino della sua cresta iliaca, Tom gli aveva stretto la mano e gli aveva parlato in maniera così rassicurante che Philip si era convinto fosse stato lui ad anestetizzarlo a suon di chiacchere!

Adesso veniva fuori l'infaticabile spirito da massaia di Tom Becker, cresciuto nel disordine maschile creato dall'estro di suo padre e che, presto, aveva imparato a tenere a bada.

Aveva tassativamente imposto a Philip di mettersi a letto ed era andato in cucina per sfuggire, qualche minuto, al batticuore del ragazzo malato che cercava di governare la situazione con la maggior dignità possibile.

Dopo un quarto d'ora era tornato con una zuppiera contenente una minestra di funghi e legumi saporita e nutriente. Un profumo rustico e profumato con cui tentare Philip.

Lui si era sollevato a fatica con una smorfia che non era sfuggita a Tom.

"Vado a prepararti una borsa del ghiaccio. E, per le medicazioni non ti preoccupare, ti cambierò io le garze! A meno che tu non sia troppo pudico da non volermi mostrare il tuo fondoschiena!"

"Grazie mammina!"

Philip aveva afferrato il cucchiaio, burlandolo un poco per quella diligenza zelante e aveva sorriso per la prima volta nella giornata.


Per il centrocampista del Paris Saint Germain era stato un sollievo quando l'amico sofferente si era abbandonato al sonno come un bambino.

Immaginava che notti insonni e tremende dovessero essere state le ultime e perciò, dopo aver oscurato la stanza dove Philip riposava, si era allontanato in punta di piedi.

Ma, proprio come il postino suona sempre due volte quando tuo figlio dorme, una mano dispettosa sembrava voler vanificare tutti gli sforzi di Tom dopo appena venti minuti.

Infuriato era corso alla porta, come quelle mamme che vorrebbero rimbeccare l'inatteso scocciatore con un " Non suonare il campanello altrimenti mi svegli il pupo!"

La collera si era immediatamente mitigata in un imbarazzo nervoso quando i suoi occhi ferini avevano ammonito Grace, rimasta pietrificata con il dito sollevato a mezz'aria.

"Ho l'impressione che io e te continuiamo a rincorrerci...E a ritrovarci!"

Sebbene il cuore della ragazza aveva preso a battere velocissimo sotto la leggera seta della camicia, lei non aveva scordato neppure per un secondo il suo delicato compito di Hermes. Vestita da messaggera scaltra e veloce, aveva puntato i piedi.

"Devo dare una cosa a Philip e non me ne andrò da qui finché non si farà vedere!"

Tom non sapeva proprio come mantenere il suo aplomb da gentiluomo, mandare via quella determinata ragazzina senza apparire scortese.

"Eccomi! Cosa vuoi Grace?"


Avanzando a schiena d'asino, pallido come un cencio nella sua felpa larga, Philip era stato costretto ad appoggiarsi al mobile in arte povera dell'ingresso.

Troppo arrabbiata con lui per soffermarsi ad analizzare il suo aspetto, Grace aveva quasi cercato un modo per offenderlo: alla fine gli aveva semplicemente sbattuto sotto il naso una busta da lettera bianca.

Philip era sbiancato ancor di più nel riconoscere le linee curve e le lettere ad uncinetto.

Vacillando, si era lasciato cadere sul divano, estraendo i fogli con una certa frenesia mentre i due amici attendevano come in apnea.

Dopo aver letto veloce due volte, Philip era balzato in piedi.

"Devi accompagnarmi alla stazione, Grace!"

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Capitolo 8
*** L'aquila del Nord ***


È più difficile restare o partire?

Quel dubbio amletico aveva dilaniato Jenny che soffocava in una gabbia sempre più arida. Alla fine aveva ceduto: voleva scappare da tutto e da tutti, almeno per un po'.

Si sentiva un po' uno di quegli squinternati personaggi dei romanzi di Jules Verne che partono verso l'ignoto: arrivata in stazione avrebbe preso il primo treno.

Ed ora eccola lì in mezzo al villaggio ainu ammantato di bianco che sembrava uscito da una stampa antica, tra l'aroma duro e gradevole di uba e di soba, ad invidiare i turisti felici infagottati nelle loro tute da sci mentre lei sprofondava in una solitudine abissale.


Intanto Grace accelerava e frenava ogni due minuti sulla strada dai cigli innevati, lanciando di tanto in tano occhiate indagatorie nello specchietto retrovisore.

Il viaggio sembrava lunghissimo e non si sarebbe meravigliata se Philip le avesse intimato di andare a tutto gas!

Philip, con l'hachimaki di tante battaglie stretto nel pugno, sedeva sul sedile posteriore con tutti i muscoli del corpo contratti dalla voglia di correre. Il suo mal di testa riaffiorava così come il dolore dei lividi ma era , soprattutto, il vuoto allo stomaco e la secchezza alla bocca a fargli prendere consapevolezza di ciò che rischiava di perdere.

Anche Tom era troppo nervoso per rilassarsi completamente ma, accanto a Grace, parte della tensione si era allentata.


Hokkaido: via per il mare settentrionale.

Quanti film erano venuti in mente a Jenny, inguaribile romantica, mentre attraversava i binari! Quella corsa disperata di Philip per dichiararsi in tempo prima che lei partisse la prima volta per New York! L'economia di baci sfuggiti agli occhi attenti dei genitori di lei, tutte le volte che avevano imitato scene viste al cinema!

Aveva già un piede sul predellino quando una mano, che per lei parlava, l'aveva afferrata per il polso tirandola indietro.

"Che ci fai qui?"

Nonostante il cuore le galoppasse per la gioia, era rimasta scettica e distaccata: non si sarebbe gettata subito tra le braccia di lui!

"Pensavo fossi su quel treno che è già partito. Voglio impedirti di andartene!"

Jenny si era commossa: questo era il suo Philip. Essenziale e un po' aspro, capace di grandi gesti d'amore.


Dal binario opposto Tom e Grace osservavano le scene consequenziali di quel film muto. Philip aveva l'aria da cane bastonato mentre portava una mano di Jenny alle labbra. Lei si era appoggiata contro il suo petto. Poi si era staccata impietrita e si era portata le mani alla bocca, incredula e incapace di dire una sola parola.

Sapeva.


Un giovane esemplare del mare di Steller, dall'enorme becco giallo limone, era volato sopra di loro come un presagio.

Philip, invece, in quel momento era un aquila dalle ali impaniate.

Si sentiva più leggero adesso: bombardato da quell'amore che sarebbe stato la sua vera cura.

Jenny infatti non aveva esitato nemmeno un secondo per strappare il biglietto di sola andata e fare la sua scelta.

"La vita sa essere dura nei suoi dettagli ma io non ti lascio da solo! Non ti lascerò precipitare nel burrone, aquila del Nord!"

Philip si era afflosciato per la rabbia in quel mondo di emozioni e allora era toccato a lei chiedergli se si sentisse bene e cingerlo per la vita in un gesto che, per un momento, lo aveva fatto vergognare.

"Andiamo a casa adesso. Non devi stare in luoghi così affollati!"

Jenny avrebbe voluto abbandonarsi al pianto e alle carezze senza dir nulla, invece, aveva preso Philip per mano confrontandosi, per la prima volta, con la malattia.

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Capitolo 9
*** Freddezza scandinava ***


Soltanto quando aveva tirato fuori il borsone da viaggio, che usualmente accompagnava Philip nelle trasferte, Jenny si era resa conto che quel male era diventato una creatura vivente, dotata di respiro. Un'entità che, in quella casa, aveva sottratto tutto lo spazio.

Lui, invece, voleva vivere quell'ultima domenica come una vacanza dalla malattia. Una giornata intera senza parlare dei suoi problemi di salute.

Si erano ritrovati nella stanza di Philip a fare insieme la valigia per il viaggio più tortuoso: con Jenny che ripiegava le t-shirt e faceva un rapido elenco delle cose da spuntare e Philip che arrossiva ogni volta che le loro mani si sfioravano.

"Era più divertente preparare le tue di valigie quando ripartivi per New York!"

Non ce l'aveva fatta. Troppi ricordi rubati dal presente incerto, spazzati via in un attimo e si era allontanato per accendere la Tv e spaparacchiarsi sul divano. Era come se il mondo intorno continuasse a scorrere alla velocità di una cascata mentre i suoi pensieri gocciolavano al ritmo di un rubinetto rotto.


Lì lo avevano trovato Sarita ed Erik. Sintonizzato sulla partita delle tre pomeridiane come ad un'ancora di salvezza, ad un respiro a pieni polmoni.

Jenny si era presentata stampandosi in faccia un bel sorriso, il più naturale che poteva. La solare mamma di Philip, credendo che il vero campo di battaglia del figlio negli ultimi tempi fosse stato il suo cuore, era stata ben felice di trovare la ragazza in casa loro. L'aveva abbracciata felice e con una sottintesa curiosità di conoscere i particolari della riconciliazione.

Erik, invece, uomo schivo e riservato quanto generoso e amico di tutti, un po' geloso della sua vita, aveva preso il telecomando e si era seduto accanto al figlio.


"Domani mi ricovero. Ho la leucemia!"

Philip gli aveva buttato in faccia la verità all'improvviso, senza tanti preamboli. Efficace e sintetico come un avvocato. La sua voce ferma che contrastava con quella piena, da tenore romantico, del telecronista che stava gracchiando il vantaggio del Consadole.

Per i due genitori era stato un colpo tremendo. E il boato dei ventimila tifosi entusiasti del Sapporo Dome era come quello che precede il terremoto.

Angoscia, paura, rabbia e voglia d'urlare tutte insieme si agitavano nel cuore di Sarita.

Erik, invece, rimaneva tranquillo e nemmeno parlava sebbene il mondo gli fosse appena crollato addosso.


"E ce lo dici così? Con la stessa leggerezza con cui ci comunicasti di essere il protagonista della recita alle elementari? Nel bel mezzo di una partita di calcio?"

Non era facile scendere a patti con una notizia così sconvolgente, accettarla. E Sarita non riusciva ancora a crederci.

Philip si era infuriato.

"E come diavolo vuoi che te lo dica? Con l'accompagnamento musicale?"

Si era sentito il naso pieno di aria calda e, un secondo dopo, due dita di Jenny erano poggiate sull'arco di Cupido a tamponare quell'emorragia improvvisa.

"Vado a prendere una salvietta!"


Anche se il suo mondo aveva cominciato a tremare, l'efficiente ragazza si era diretta in bagno a passo sicuro.

Aveva esitato quando, nel bovindo, aveva scorto il tacitiano Erik, di solito glaciale come un freezer, ansimare e cedere alle emozioni.

Allora gli si era avvicinata e i loro dolori si erano incrociati.

"Anche i papà hanno il diritto di piangere alla luce del sole ogni tanto!"

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Capitolo 10
*** You'll never walk alone ***


Nessuno aveva un manuale che insegnasse cosa fare quando, improvvisamente, un tumore aveva colpito le loro vite.

Alle sette del mattino di un lunedì di gennaio assolato e freddo, Philip aveva salutato i suoi genitori. Sarita gli aveva ispezionato i polsini della camicia e la piega del colletto bianca di bucato e lui si era lasciato accarezzare i capelli come quando era bambino. Erik con la sua faccia da duro, da uomo tutto d'un pezzo, ma con il cuore tenero da scalfirsi con un niente, era stato conquistato dagli occhi umidi di Philip tanto che dietro la barba un po' più lunga del solito, il ragazzo aveva visto un abbozzo di sorriso.

Lo aveva abbracciato senza dir niente. Per il loro sangue montanaro non avevano mai avuto troppe parole per riempire i silenzi.


Mano nella mano con Jenny era scivolato nella livida mattina livida di Furano spaventato da quel nemico che aveva dentro. Quell'alieno che aveva invaso il suo corpo e il suo futuro.

Philip aveva chiuso gli occhi mentre il taxi si lasciava dietro Furano, l'ombelico dell'Hokkaido, mentre sorpassava il lago dai riflessi cangianti nei vari toni dell'indaco, mentre la pioggia tamburellava sul suolo di quella che sembrava una ricca campagna tedesca. Li aveva riaperti di colpo quando un raggio di sole era filtrato attraverso il finestrino illuminando un futuro che gli passava davanti velocemente: proprio in quell'istante stavano attraversando la zona con la graziosa casetta dalla grande vetrata arricchita da un mosaico.

Se quella casa vuota avrebbe potuto raccontare avrebbe detto di essere il nido d'amore in attesa proprio di quei due ragazzi innamorati in balia degli eventi.

Per Philip era stato come sale sulle ferite e non era riuscito più a trattenersi. Le lacrime gli rigavano le gote lente, senza far rumore, come un fiume limaccioso.

Aveva paura. Non soltanto della prima chemio ma soprattutto del tempo; di quel tempo di cui aveva consumato troppo poco, di quel tempo di cui aveva ancora bisogno.

Toccava a lei asciugargli il viso e parlare.

"Lo so che hai paura e ne ho anche io così tanta da non poter respirare. Ma ti amo e ci guarderemo, sempre, allo specchio insieme. Lo so che è difficile, ma combattiamo insieme, ok?"


Quando era sceso dall'auto era ancora un po' frastornato, rintontito, con la sensazione di sbandare da un momento all'altro.

Non erano ancora le nove quando davanti a quell'incrocio di dolori e speranze, all'ingresso dell'ospedale c'erano tutti i suoi amici ad aspettarlo.

La Flynet al completo.

È molto difficile salutare un amico quando si teme possa essere l'ultima volta ma Tom Becker era uscito dal gruppo con il suo solito sorriso pacato e con le fossette di contorno che attivavano un nervo che Philip non aveva mai notato fino ad allora.

"Ci teniamo a te Philip Callaghan e, anche se le parole lasciano il tempo che trovano, a te Capitano vogliamo fare un grande in bocca al lupo!"

Philip si era commosso e, per qualche secondo, aveva nascosto il viso nell'incavo del collo di Jenny. Poi tra gli applausi dei compagni era riuscito a farfugliare con voce rotta :

"Le mie cheerleader!"

Allora era stato l'allegro Tony a prendere la parola.

"Anche se non sculettiamo come modelle e non agitiamo in aria i pompon, siamo i tuoi più accaniti tifosi. Siamo la tua motivazione!"

Peter si era fatto avanti con la maglietta numero dieci, quella del trascinatore e del fuoriclasse. La maglia di Philip.

"Sterilizzata al cento per cento: così potrai tenerla con te nei momenti più duri e ricordarti che tu non sei quel capitano che dice ai compagni cosa fare o li lascia fare ciò che vogliono. Tu ci hai aiutato a scoprire cosa dobbiamo fare e, adesso, non ti lasceremo da solo nella partita più difficile!"

Adesso si sentiva davvero invincibile mentre varcava la soglia del suo personalissimo inferno senza più voltarsi verso gli amici che gli intonavano un coro da stadio.

Philip era avanzato a testa alta, sostenendosi al suo cigno che lo rassicurava come solo lei sapeva fare.

"Ricorda che quando infuria la tempesta l'aquila spiega le ali e si alza in volo!"

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Capitolo 11
*** Senza difese ***


"È come scendere su un terreno di gioco disastrato: si è più esposti agli infortuni, si è penalizzati. Un manto erboso non curato può far saltare tutto il sistema!"

Il dottor Wright, l'oncologo, dietro i suoi occhiali costosi aveva mantenuto il contatto dello sguardo per tutta la visita. Aveva scandito le parole con un tono di voce cordiale: per lui i malati erano molto di più che semplici macchine da riparare.

"Il tuo midollo, in questo momento, non è folto e rigoglioso come un prato all'inglese ma vi si è insediata un'erba gramigna clandestina. Useremo ogni tipo di diserbante per estirparla e, una volta ottenuta una scatola vuota, faremo attecchire di nuovo un perfetto manto erboso da campo da golf!"


L'inconfondibile odore di pulito e disinfettante, intanto, aveva fatto tornare in mente a Philip la prima volta che era dovuto andare in ospedale insieme ai suoi genitori per una vaccinazione obbligatoria. Era stata una visita piena di pianti e resistenza appena aveva visto l'infermiera riempire la siringa e dirigersi verso di lui ma tutto si era risolto in un attimo.

Adesso, però, la questione era molto più complicata di una stupida puntura.

Era uno di quei momenti che non si potevano misurare con l'orologio ma soltanto con i battiti sincronizzati del cuore suo e di Jenny.

"Non dubiti dottore, Philip è capace di movimenti precisi e puntuali, da attaccante vero, con la palla sempre attaccata ai piedi anche su un terreno di gioco disastrato!"

Come tante volte, Jenny gli aveva preso la mano: la sua stretta era decisa e la pelle calda mentre quella di Philip era fredda come il ghiaccio.

"Sono pronto!"

Erano state le uniche due parole decisive di Philip, scandite con la foga bellicosa di chi è pronto a combattere per vincere la malattia.


Lui e Jenny avevano raggiunto il reparto insieme.

Filiera di cura, luogo alieno dove si perde la propria identità, dove la sofferenza intima e i dolori nascosti si sommano ai dolori cinici dovuti alle terapie.

Quel reparto di ematologia era vissuto da Philip come un luogo di lutto: di perdita della salute, perdita delle amicizie e del futuro.


Era il momento. Il momento più difficile.

Lasciare andare Jenny significava restare da solo per davvero. E tanto più si sentiva solo tanto più era angosciato e depresso.

Paura di andare, voglia di restare.

Paura di essere solo, voglia di lei.

"Verrò domani!"

Aveva detto lei con il tono incoraggiante con cui ci si rivolge ad un neonato. Ed era come se il sole, l'arcobaleno uscissero da quella stanza bianca e fredda come l'acciaio.


Philip, con molto tempo adesso per pensare, si era seduto sul letto di quella camera anonima e gli occhi offuscati da un velo si erano fermati sul grosso borsone posato su una sedia.

Qualcosa simile ad una corrente elettrica gli percorse il corpo e si avvicinò alla finestra: tutto era calmo e sembrava che il tempo si fosse fermato.

Tra l'arancio del giorno e l'azimut della luna aveva seguito la figura di Jenny allontanarsi.

Era completamente vulnerabile: un difensore senza difese. Si era coperto il viso con le mani, lasciandosi sfuggire un gemito ma proprio allora che si sentiva abbattuto come un bicchiere di carta schiacciato da una mano aveva sorriso: Jenny si era fermata sotto la finestra e gli stava soffiando un bacio sulla punta delle dita.

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Capitolo 12
*** Linea Sapporo- Tokyo ***


La storia di Philip aveva commosso tutto il calcio giapponese, e non solo. Gli avevano scritto in tanti: compagni e tifosi (anche di altre squadre), tanti amici.

Messaggi simpatici per strappargli un sorriso, messaggi affettuosi e pieni di conforto. E poi le testimonianze di chi c'era già passato, di chi ne aveva paura, di chi pensava che la sofferenza lo avrebbe convinto che la vita è bella e va apprezzata.

Parole che lo avvolgevano come una corazza e lo convincevano a far di tutto perché quel forse guarirò si trasformasse in un sicuramente.


L'inizio era stato da incubo. In una mattina d'inverno con il sole che picchiava dietro i vetri della finestra e sembrava farsi beffa di lui, Philip si era ritrovato disteso sul suo letto d'ospedale mentre l'infermiera, irreprensibile nella sua divisa bianca, gli lavorava alacremente intorno come un ape laboriosa, trafiggendogli le vene e cercando di farlo rilassare.

C'era il sole ma faceva freddo. Dentro e fuori!

Philip non riusciva a concentrarsi su nulla se non su quel diserbante , sulla linfa vitale che goccia a goccia gli penetrava dentro per annientarlo e per salvargli la vita.

Nessun pensiero gli attraversava la mente, accettare era difficile. Si era imposto di rilassarsi.

Il sole continuava a penetrare, a ferirgli gli occhi, a brillare sulle macerie del passato. Aveva gli occhi lucidi quando si era accorto di star pensando alla sua infanzia, alle sgambettate sul campo imbiancato che si trasformavano presto in vere e proprie battaglie a palle di neve.

Uno sguardo ancora al liquido che gli entrava dentro, che gli avrebbe tolto molto di quel ragazzo che era e che era stato.

Gli faceva paura e, per non piangere, si era infilato gli auricolari.


Ore dopo, la vibrazione del suo telefono gli solletica la gamba come in un sogno.

Quel giorno non aveva voluto nessuno attorno, non aveva voluto parlare con nessuno ma, adesso, il numero che compariva sul display interrompeva il suo desiderio di silenzio interiore. Anzi aveva un bisogno disperato di un attimo di pace e normalità, di sfogarsi, di qualcuno che capisse davvero come si sentisse.

"Ehi Sir!"

Aveva esclamato con voce squillante, falsamente allegra e disinvolta.

"Ciao aquila di Catskill!"

Una parola sola. Una soltanto perché Philip chiudesse gli occhi e viaggiasse fino alla terra dei Moicani, fino alle cascate dal getto impetuoso e alle montagne aspre che circondavano New York.

Finché non diventasse l'aquila capace di gettarsi nelle gole più profonde e sparire oltre il sole.

Era il lato più bello del poliedrico Julian: l'inventa- storie!


Il la-la-la che interferiva dall'altro lato del Giappone, il linguaggio misterioso di una bambina era stato il pretesto perché Philip sfuggisse ancora un po' alla sua realtà.

"Come sta Summer?"

"La solita, incantevole, monella!"

Philip chiuse gli occhi e si ritrovò nel soggiorno di una casa di Tokyo, tra tomi di medicina sparsi qua e la, a godersi la scena tenerissima tra un giovanissimo e attento papà e la sua bambina, graziosa e vanitosa paperella con la gonnellina fru fru.

Julian si era adesso trasformato in un comico e faceva le boccacce per far ridere la sua Summer. E in nessun'altra casa del Giappone quelle risate erano così meritate.

Perché c'era una volta un bambino grande, ma non soltanto quando giocava a pallone o imparava a scuola. Era un bambino adulto che aveva avuto il coraggio di sfidare una brutta malattia. E una bambina timida e gentile, delicata come un fiore e forte come una roccia, gli era sempre rimasta accanto in questo viaggio difficile.

Si erano innamorati e il loro raggio di sole era arrivato come un miracolo.

Julian, parlava con la pancia di Amy in una maniera buffa e, tra di loro, dicevano spesso: "quando la nostra principessa arriverà..."

Lo avevano detto tante di quelle volte che quella bambina somigliava davvero ad una principessa egiziana.

"La chiameremo Summer perché sarà l'estate della vita mia e di Amy. Perché è così bella che sarà il nostro centro e tutto il resto le ruoterà attorno!"

Philip lo ricordava bene il suo amico, neo-papà appoggiato al vetro della nursery , in un clima gioioso, in un vociare sommesso di congratulazioni, in quel profumo di fiori che copriva il tipico odore di disinfettante.

E voleva farcela anche per questo Philip: per veder crescere quella creaturina misteriosa, per godersi dei figli suoi...

Voleva ancora tempo!


"Philip!"

La voce di Julian adesso era seria e preoccupata, con quell'inflessione greve di un amico vero e di chi lotta contro gli spettri del suo passato.

"Mi sento in un'altra dimensione, Julian! Guardo il paesaggio fuori dalla finestra e tutto ha un altro aspetto. Ho paura di diventare come quei ragazzi dei film sul cancro. Piango e so che non dovrei. Anzi non voglio farlo!"

Adesso, a Tokyo, Julian aveva stretto al petto la sua Summer per resistere alla vertigine che quelle parole così schiette gli avevano dato. E poi aveva sorriso, sapendo cosa dire.

"La parte più difficile non è avere la forza di andare avanti, Phil! La parte più difficile è andare avanti quando non se ne ha più la forza!"

Aveva ragione lui: doveva avere una meta e anche il deserto sarebbe diventato strada.


Quella sera, dopo essere andato in tilt, con lo stomaco sottosopra e con il water come suo compagno di giochi, Philip si era avvicinato al cabinet e aveva tirato fuori l'astuccio che custodiva il futuro sfumato: tre marmocchi da viziare e l'anello che aveva sfilato a Jenny.

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Capitolo 13
*** Uomini soli ***


Philip aveva vissuto di corsa per anni: la scuola, il calcio, la vita sociale da portare avanti in ogni momento libero.

All'improvviso più niente.

Passava ore intere a leggere, fantasticava sulla squadra dei suoi sogni o semplicemente restava sdraiato a pensare al passato e ad immaginarsi il futuro. Le telefonate a parenti e amici, invece, si esaurivano presto.

Più spesso restava, per lunghissimi periodi ,a fissare il soffitto da solo con i suoi pensieri.

Arrivando, Tom aveva scorto proprio questa falla in quel suo amico lottatore che rasentava lo stoicismo.

Già da quando gli avevano fatto indossare soprascarpe e mascherina sterile e aveva disinfettato le mani, Tom si era imposto di trattare Philip il più normalmente possibile: non sarebbe entrato con un'espressione da funeral party e lo avrebbe coinvolto in discorsi leggeri che non vertessero sulla malattia.


"Dai il benvenuto all'eroe mascherato con la M maiuscola! Quello capace di gesta memorabili..."

Non c'era pietismo, falsa commiserazione o sollecitudine estrema in quell'entrata spiritosa e Philip, poggiandosi ai cuscini, era scoppiato a ridere.

"Mi sembra un buon inizio per la storia di un eroe mancato!"

Era iniziato il silenzio: gli ospedali e le cliniche possono essere spaventosi ed andare a trovare un malato non è una cosa semplice.

Tom era nervoso: non sapeva adesso quali fossero le parole giuste da dire e quelle da evitare. Come dare speranza all'amico senza apparire superficiale.

Philip aveva indovinato queste insicurezze e, sospirando, aveva deciso di avere la sincerità e il coraggio di vivere fino in fondo le proprie emozioni.

"Guarda che anche se sto uno schifo per via della chemio mi fa piacere che i miei amici mi vengano a trovare! Raccontami un po' quello che succede fuori agli altri, magari condito da qualche risata. Dopotutto, anche quando si ha il cancro, si può riuscire a ridere ogni tanto..."


Era stato diretto e Tom non aveva più l'aria cupa mentre raccontava di Julian che un'intervista aveva asserito tutto serio di non aver mai perso ad Otaru, anche perché non ci aveva mai giocato. Dell'esultanza stramba di Holly al gol in Champions al novantesimo che aveva scatenato l'ironia dei tifosi. Di Tony e Peter che stavano progettando un'improponibile scultura di ghiaccio per partecipare al prossimo Sapporo Yuki- matsuri.

Gli occhi ilari di Philip avevano indugiato sull'indice solcato dalla cicatrice di uno scalpello dentato quando, tempo addietro, anche lui aveva provato a scolpire il viso di una fanciulla nel ghiaccio. Era in uno stato emotivo che non riusciva a controllare tanto da essere preso da un attacco di riso e di pianto contemporaneamente.

"Sai, potendo scegliere, prepararsi al dolore che il corpo sta per affrontare lo rende più sopportabile!"


Tom avrebbe voluto placare quella tristezza, fargli capire che tutto sarebbe andato bene.

"Io posso solo immaginare il dolore che provi ma dimmi come posso aiutarti e io lo farò. Dimmi quando hai bisogno di tranquillità e quando vuoi compagnia. Se hai voglia di parlare io sono qui!"

Philip pareva non aver ascoltato nemmeno una sillaba quando, di punto in bianco, aveva ricordato che quel pomeriggio il Paris Saint Gemain giocava l'anticipo.

"Dovresti tornare il Francia. La tua gamba ormai è guarita e non puoi rischiare di perdere il posto da titolare."

L'attaccante era imbarazzato e il compagno lo aveva incalzato.

"Lo sai benissimo che la carriera di un calciatore è breve e non possiamo permetterci di sciupare nessun momento."

"Io voglio restare con te!"

"Adesso non c'è niente che tu possa fare per me. Avevamo un sogno da bambini, te lo ricordi? Io voglio, anzi io pretendo che tu lo porti avanti, che continui a vivere la tua vita senza che io monopolizzi i tuoi pensieri!"

Era una promessa difficile ma oltremodo seria: una forza che Tom aveva voluto suggellare con il primo contatto tra le loro mani.

"Domani andrò ad informarmi sugli orari dei voli. Io farò la mia parte ma tu devi fare la tua: la prossima volta che ci rivedremo voglio che sia sotto il portico di casa tua, con un pallone sotto i piedi e una birra in mano, con la volta stellata sopra di noi. Non vorrò sentirti addosso questo lezzo di formalina ma quel dopobarba che sa di neve!"

Avevano entrambi la voce rotta dal pianto quando Philip aveva annuito deciso.

"Farò di tutto per esserci. Ci sarò!"

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Capitolo 14
*** Donna a metà ***


Come un sistema di Murphy, Jenny si era preparata a sopportare la peggiore combinazione possibile di circostanze.

La leucemia stava logorando sia Philip che lei: ormai non dormiva più con la mente affollata dai perché e il cuore pieno di paura. Erano entrambi indifesi ma finché la speranza alimentava il desiderio di guarire andava avanti con un sorriso; il difficile era venuto quando a Philip erano iniziate a mancare le forze.

La febbre alta degli ultimi giorni, la mancanza d'appetito, il calo dei globuli bianchi che lo rendeva suscettibile alle infezioni: tutto insieme era stato troppo per i due ragazzi.


La più grande fonte d'ansia in quei giorni erano state proprio le visite di Jenny. Come avrebbe reagito nel vederlo in quello stato di confusione, distaccato, vulnerabile e dipendente?

Avrebbe sicuramente pianto e Philip non sarebbe riuscito a confortarla come avrebbe voluto.

Invece appena era arrivata e lo aveva trovato sfebbrato non era riuscita a contenere un'improvvisa ventata di euforia liberatoria ed era quasi saltata sul letto per abbracciarlo e baciarlo.

Era stata interrotta da un'infermiera che si era precipitata nella stanza ricordandole che per ragioni di sicurezza non poteva nemmeno toccarlo il letto. Il contatto fisico era limitato: non potevano fare una passeggiata e nemmeno condividere un pasto. Era uno scherzo crudele che serviva solo a ricordargli quanto si mancassero.

Si era seduta su una sedia e aveva iniziato a giocherellare con l'anello di bigiotteria che sostituiva al dito quello di fidanzamento.


"Non ti ridarò l'anello!"

Quelle parole erano state una doccia fredda. Aveva indugiato, con lo sguardo scavato dalla stanchezza, sul tubicino sottile della flebo poi il suo sorriso indulgente si era posato sulle rughe di dolore che raggrinzavano quel bellissimo viso di fanciulla.

"Sono certo di avere un aspetto ripugnante anche se, nelle ultime settimane, mi sono guardato bene dallo specchiarmi. Cosa puoi pensare di me dal momento che non ce la faccio nemmeno ad alzarmi in piedi o a sostenere una conversazione dopo tutte le ore passate da solo?"

Jenny aveva serrato la mascella e stretto le nocche così forte fino a farle sbiancare, poi aveva incrociato le mani in grembo ingoiando quella negatività. Philip aveva continuato.

"Io non posso essere tuo marito. Ti amo sì...Ma se poi devo dirti addio: questo è uno dei dolori più grandi! Io devo rinunciare al mio ruolo di padre, a veder crescere i miei figli ma non posso sottrarre questo anche a te. Non posso essere così egoista da costringerti ad essere donna a metà!"

Dapprima lei era arrossita violentemente, poi sul suo viso non c'era ombra di colore. Solo le sue labbra bianche tremavano.

"Me li ricordo bene i discorsi tuoi e di Grace qualche anno fa, quei sogni un po' infantili di contenere l'universo dentro di te. Io non sarò mai padre ma tu sarai una mamma fantastica Jenny!"


La fidanzata gli aveva puntato addosso i suoi occhi sbarrati e impauriti, eppure sdegnati.

Come fare una colpa a Philip se si sentiva inerme difronte ad una malattia che lo stava consumando e che rischiava di farlo rinunciare, definitivamente, ai loro sogni?

"I figli non sono fondamentali! Io ho una paura maledetta di perderti. Ho paura che ogni giorno sia l'ultimo per il nostro amore, che il nostro noi si sgretoli. Io sono come un orologio che ha bisogno del bilanciere per muovere le lancette. Io non posso funzionare senza di te!"

Si era pentito di essere stato così schietto a fronte della limpida trasparenza dei sentimenti di Jenny: il suo era stato un piccolo tradimento e adesso sapeva che un tradimento è peggio di un cancro.

Aveva allungato la mano formicolante e cercato di raggiungere le dita tremanti di lei. Quella sincerità tra innamorati era servita a dargli una scossa e a risvegliare in lui il desiderio di tornare alla vita fuori dalle mura di quell'ospedale.

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Capitolo 15
*** Il futuro nelle tue mani ***


Era stato difficile trovare il giusto equilibrio tra non essere invadente o scortese e non creare imbarazzi. Al loro primo appuntamento Tom e Grace erano come due filugelli che escono dal bozzolo e si concedono una breve fuga in una bolla di felicità, durante quel periodo difficile per tutti.

Grace, preoccupandosi solo del presente, anche se sapeva che non sarebbe stata la spina dorsale di quel sentimento in divenire aveva curato con attenzione capelli, trucco e abbigliamento.

Tom aveva deciso di parlare del più e del meno ma aveva trovato sconveniente parlare del clima. Era arrivato al Kaitaku no Mura nervoso. Gli sudavano le mani e il cuore gli andava a mille. Quando aveva iniziato a mangiarsi le parole, invece di sprofondare nell'imbarazzo, aveva sorriso con una battuta.

"Wow! Sembra proprio che io non riesca a parlare davanti ad una bella ragazza!"

Entrambi erano a proprio agio mentre passeggiavano in quel museo a cielo aperto fatto di villaggi di pescatori.

Tom, inoltre, aveva anche spento il cellulare.

"Potrei tenerlo acceso soltanto se fossi un dottore!"

Aveva asserito e l'ennesima battuta aveva creato quel giusto mix tra impegno e divertimento.

I due ragazzi avevano deciso di concludere l'appuntamento raggiungendo il Monte Moiwa sulla funivia: un aiuto chimico che era stata una distrazione per un momento di vuoto della conversazione. Un po' di eccitazione che aveva creato i presupposti magici per la prima regola non scritta.


"Ci siamo baciati!"

Grace era ancora in quel magnifico momento di testa tra le nuvole, pensieri che fuggivano al viso dell'amato e desiderio delle sue labbra soffici.

Come un vero muzhik russo avrebbe resistito anche senza cappotto ai dieci gradi sotto zero che creavano un campo di ghiaccio sopra l'erba sintetica di Furano. Una fredda magia bianca sulle ferite di Jenny che, da vera amica, ascoltava, trepidava e si commuoveva per Grace e Tom.

Entrambe avevano alzato il naso verso il silenzioso cielo stellato seguendo la scia lasciata da un aereo disegnare una linea di un bianco vaporoso.

"Adesso so quanta forza doveva avere Philip nel sorridere mentre tu lo salutavi dalla scaletta dell'aereo!"

Grace all'improvviso si era fatta malinconica nell'immaginare Tom in un altro mondo, a guardare un altro cielo.

Jenny invece si era fatta rigida come un pezzo di legno.

"Ho ottenuto una supplenza a Takinoue. Non l'accetterò! Metto Philip davanti al lavoro, davanti a tutti gli altri sogni. No, l'amore non mi sta stretto!"


Per non rallentare la circolazione nelle gambe, Philip si era imposto di non passare tutta la giornata a letto. E anche se due passi per la corsia gli costavano un'indicibile fatica non si era dato per vinto.

Quando stava per crollare, erano state quelle braccia che conosceva così bene a raggiungerlo da dietro e ad avvolgergli la vita come ali di farfalla.

"Torniamo in camera!"

A lungo aveva guardato Jenny taciturno e accigliato, facendola sentire fuori posto. Poi era esploso.

"Vorrei la primavera in questo mio mondo che ha perso la sua rotta. Vorrei starmene sdraiato su quel tappeto rosa brillante di fiori Phlox e aspettare che la bella stagione riporti l'armonia anche in me. Ma, soprattutto, vorrei avere una fidanzata che afferri i suoi sogni e se li viva. Non rinunciare a te per me!"

Jenny era così emozionata da temere di non poter spiegare ciò che provava e aveva finito per incespicare tra le parole.

"Io metto noi prima di tutto!"


Aveva voltato brusca il capo per nascondere le lacrime ma Philip, ammorbidendosi, le aveva accarezzato la guancia.

"Il nostro noi non deve essere egoistico! Non ti sto chiedendo di rinunciare a me ma, semplicemente, di prenderti del tempo anche per te. Siamo noi a creare il nostro destino, Tayou . Il futuro è nelle tue mani!"

Quel vezzeggiativo affettuoso dei giorni felici le aveva scaldato il cuore come una carezza morbida tornata dal passato. Aveva cercato la mano di Philip e l'aveva stretta tra le sue.

"Ti amo!"

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Capitolo 16
*** Giorno zero ***


"Io l'ho messo al mondo e questa volta lo aiuto a restarci!"

Sarita, con il suo sesto senso da mamma, aveva capito da subito che il suo aiuto sarebbe stato fondamentale a suo figlio per sconfiggere la malattia: era lei la donatrice compatibile.

E aveva affrontato la nuova sfida con lo stesso sorriso di quando Philip le aveva chiesto di rasargli i capelli e lei aveva intonato un improbabile "Largo al factotum", un'aria del Figaro del Barbiere di Siviglia.

Quelle settimane di preparazione al trapianto, tra numerosi esami medici e incertezza su cosa aspettarsi, avevano molto cambiato Philip.

L'ottimista e caparbio capitano, solare anche nelle bufere di neve dell'Hokkaido, si era trasformato in un ragazzo introverso, cupo e malinconico.


Anche durante quel giorno zero, mentre il nuovo midollo penetrava nel suo corpo goccia a goccia, e Jenny e i suoi genitori incrociavano le dita perché iniziasse a sentirsi a casa , lui non riusciva a vedere oltre quel sentimento di tristezza che avvolgeva la sua stanza sterile.

Era un semplice paziente. Un paziente oncologico stremato da esami lunghi ed invasivi, da lacrime represse ed ipocrisia.

Proprio per sfuggire a frasi che lo facessero sentire oggetto di pietà e compassione aveva ridotto i contatti al minimo, diventando prigioniero di quella stanza che gli regalava soltanto uno spicchio di cielo indistinto.

Si distraeva soltanto con i libri che gli aveva consigliato Tom, con la musica raccomandata da Peter e Tony e con i lavoretti di decoupage creati dai bambini della classe di Jenny, che rendevano un po' più colorata quella prigione.


Era tornata la nausea ed Erik si era ritrovato dinnanzi ad un ragazzo dal viso stanco, stanco mentalmente, con gli occhi bassi e spenti.

Non era facile far trasparire un cenno d'incoraggiamento dietro la mascherina protettiva che lo rendeva ancora più impacciato.

Philip si era tirato su, mettendosi mezzo seduto sui cuscini.

Non ne poteva più delle frasi smozzicate, di parole lasciate a metà. Aveva bisogno di quello sfogo e, alla fine, era sbottato.

"Non ci riesco ad accettare di aver perso la mia identità, di essere diventato soltanto i dati schedati su questo braccialetto. Voglio uscire di qui, sentire sotto i piedi l'erba del campetto e correre sulla collina fiorita di phlox perenni. Invece non riesco a fare nemmeno due passi e devo essere accompagnato ovunque in carrozzina, incamiciato e con calzari e mascherina..."

IL viso stanco era solcato da lacrime di emozione che non avevano spiazzato Erik. Gli avevano fatto capire che suo figlio non era Superman, che non bastava stringere i pugni e i denti e vestire un'espressione da duro perché le cose andassero a posto.

Nemmeno lui questa volta se ne era rimasto immobile come una statua e arido come una roccia. Contravvenendo a qualche divieto, si era attirato al petto il suo fragile ragazzo che, con parole rotte dai singhiozzi, cercava di chiedergli scusa per quel momento di debolezza.

"Me ne frego se ci si aspetta che un maschio non debba piangere mai. Tu adesso piangi, puoi piangere finché non ti resta più nemmeno una lacrima...Poi ci rialzeremo insieme, affronteremo i continui controlli dei medici e tutto il resto. Il mondo non diventa un posto migliore se non siamo noi a fare il primo passo, Phil!"

Dopo quel pianto liberatorio, Philip non si vergognava più di suo padre: si era lasciato andare e gli aveva fatto bene.

Tirando su col naso, si era intravisto un mezzo sorriso sul viso pallido come un arcobaleno dopo un temporale.

"Resti ancora un po' con me? Questo pomeriggio il Consadole gioca contro la capoclassifica!"

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Capitolo 17
*** Fuubutsushi ***


Quelle mattine spese tra pastelli dalle tinte vivaci e bimbi chiassosi con i polpastrelli perennemente imbrattati di curiosità erano il suo toccasana.

Jenny aveva capito, fin dal primo giorno, che una maestra senza bambini non è una maestra. Era insofferente per quei cinque minuti in cui era costretta a sedere alla cattedra per l'appello poi, il resto delle ore, scorreva tra i banchi, tra le scatole dei giochi e i libri impregnati di favole e filastrocche. Si avvicinava, si abbassava sulle ginocchia e guardava i suoi bambini. Li ascoltava, li annusava in modo buffo, cercava di capirli e di conoscerli.

Come un fiume che scorre e che da ogni riva prende qualcosa, un rametto, un sassolino o un granello di sabbia, allo stesso modo lei prendeva e portava con sé un po' di tutto quello che aveva attorno.


Il pomeriggio era dedicato completamente a Philip. A Jenny quella doppia vita non pesava nemmeno per un attimo.

Sentiva la fatica solo quando uno dei suoi allievi si soffiava il moccio dal naso e lei si ritrovava a temere di potersi prendere e di poter attaccare un banale raffreddore. Quando, in quei giorni di marzo, si ritrovava a passeggiare per il parco di Takinoue con il sole che splendeva caldo e il vento che soffiava freddo.

Un'estate nella luce e un inverno nell'ombra.

Si avviliva nel veder soffrire la persona che amava e non poter far niente per alleviare il suo dolore se non con un sorriso o con poco altro e questo la abbatteva più che sorreggere quel corpo provato e mutato.


Philip era tornato a casa, in una gabbia d'oro

La prima volta che aveva incrociato il suo riflesso allo specchio aveva fatto fatica a riconoscersi. Sebbene Jenny facesse l'impossibile per tenerlo allegro, in quell'altalena di alti e bassi, ormai anche tra loro il silenzio aveva preso il sopravvento.

Quel pomeriggio, la giovane maestra era arrivata a casa Callaghan con le braccia colme di disegni e temi dalle calligrafie infantili: aveva dei compiti da correggere per l'indomani e sperava che, condividere le immagini e i pensieri di quegli esserini fantasiosi, distraesse Philip.

Lo aveva trovato più taciturno e scontroso del solito. Se n'era rimasto disteso sul divano, gli occhi che vagavano sul sole che brilla sulla pioggia e sulla pioggia che scende sotto il sole, oltre quella finestra serrata che gli precludeva di annusare, di vivere, davvero la metamorfosi della natura.

"C'è aria di primavera..."

Aveva meditato a voce alta, un pensiero condiviso più con sé stesso che con Jenny.

Lei non aveva fatto in tempo a ribattere nessun incoraggiamento. Lo sfogo di Philip era arrivato repentino, come un fiume in piena che rompe gli argini.

"Sono stanco di brancolare nella paura. Ho fatto questo salto nel vuoto, mi sento ogni giorno meglio...Eppure devo stare attento a quel che mangio, devo lavarmi le mani prima e dopo aver toccato qualsiasi cosa, devo prendere un sacco di medicine, devo temere un raffreddore...Non resisto più, Jenny! Non posso accontentarmi dei fiori di carta..."

Non era un capriccio superficiale e Jenny aveva agito d'impulso senza fermarsi a riflettere che, forse, era una pazzia il suo azzardo.

"Cosa stai facendo?"

Aveva indagato, confuso, Philip mentre la ragazza tornava dalla sua camera con giaccone, sciarpa e guanti e lo aiutava ad annodarsi la mascherina.

"Faccio quello che la primavera fa con i ciliegi!"


****

Fuubutsushi: tutte quelle cose che rievocano ricordi o sensazioni di una stagione

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Capitolo 18
*** On the road ***


Jenny aveva svoltato sicura per l'autostrada in direzione di quella città tentacolare che era diventata metà del suo essere. Philip era rimasto in silenzio fino a quel momento, la guancia schiacciata contro il vetro lastrato come se anche quel contatto ghiacciato riuscisse a farlo sentire vivo.

Lentamente i suoi occhi si riempivano di montagne verdi e svettanti, della strada grigia e dritta su cui quel carosello di auto sfrecciava come in una giostra variopinta.

Si era sporto in avanti e la sua mano si era allungata, quasi automatica, sul tasto di accensione dell'autoradio che compensava i mattutini e solitari viaggi di Jenny. La ragazza aveva distolto, per un secondo, gli occhi dalla strada, compiaciuta.

"La prima canzone sarà la nostra canzone!"

Aveva proposto in quella frazione di tempo aspettando che le frequenze si sintonizzassero. Philip si era stretto nelle spalle ma, alla fine, l'aveva provocata.

"Caschi male se ci propinano un Yukar degli Ainu. Ti costringerò a impararne uno e a ricantarmelo!"


Quella giocosità che li aveva fatti risentire spensierati si era trasformata in un'emozione intrisa di languore e destino quando i primi accordi di chitarra avevano fatto percepire ad entrambi in genere rock che avrebbe fatto da sottofondo al loro viaggio on the road.

Erano parole in un certo senso profetiche come se quella band canadese fosse riuscita ad estrapolare e sviscerare la lontananza, la nostalgia, tutte quelle emozioni alle quali non erano riusciti a dar voce negli anni in cui un oceano li aveva divisi.

On my kness , I'll ask

Last chance for one last dance

'Cause with you, I'd withstand

All of hell to hold your hand

I'd give it all, I'd give for us

Give anything but I wont't give up

Cause you know, you know

Era su questa strofa che il cuore di Jenny aveva accelerato mentre la voce di Philip, dapprima in uno squittio e poi più limpida e sonora, si era unita a quelle radiofoniche.

Senza preoccuparsi di pensare, di essere ascoltato. Non era soltanto il primo, vero, tentativo, di svernare da quell'impasse di grigiore e lacerazione ma in quelle parole c'era molto di più.

Non a caso Phil aveva intonato proprio quelle strofe, quell'inno a resistere.

Perché con Jenny al suo fianco avrebbe potuto attraversare l'inferno intero ma non si sarebbe arreso.

Glielo stava promettendo, imprevedibile ed originale: in perfetto stile Callaghan. Gli occhi di Jenny erano colmi di lacrime nuove, belle ed esagerate. Attese.

Le dita fredde di Philip si erano posate, gentili, sulla pelle nivea a spazzar via quei residui di dolore mentre anche la voce della ragazza si univa alla sua nel ritornello:

That I love you

I have loved you all along

And I miss You

Been far away for far too long

I keep dreaming you'll be with me

And you'll never go

Stop breathing if I don't see you anymore...

Cantavano a squarciagola per sfogo, per liberazione, per essere davvero felici. Erano stati lontani troppo a lungo, non soltanto fisicamente, e finalmente si stavano ritrovando mentre l'auto sorpassava il cartello di benvenuto di Takinoue.


*******

Yukar: è una forma di poema epico musicato dagli Ainu, una minoranza etnica che vive nel Nord del Giappone.

La canzone di riferimento è Far Away dei Nickelback

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Capitolo 19
*** Sei petali ***


La testa baciata dal sole, il cuore vicino alla natura, le mani immerse nello sporco.

I cinque sensi di Philip si erano risvegliati in quei cento mila metri quadri di collina rinverdita dai fiori marzolini: gli occhi si erano riempiti del mix di colori di tulipani, fresie e Shibazakura, le mani si erano chinate come a voler plasmare un pezzetto di terra, la bocca si era riempita di sapori delicati e non più metallici, il naso e le orecchie avevano catturato appieno gli odori e i suoni della primavera.

Jenny era rimasta un passo indietro e non aveva protestato quando lui aveva slacciato la mascherina e si era immerso completamente in quella giornata tutta loro, tra i fiori che sembravano sorridergli.


"Lo sapevi che giardino deriva da una parola persiana che significa paradiso?"

Lei aveva notato uno scintillio negli occhi languidi di Philip e si era avvicinata senza esitazioni.

"Sull'isola di Honshu i fiori sbocciano a seconda della stagione ma qui, nell'Hokkaido, sembrano fiorire tutti nello stesso tempo!"

L'osservazione di Jenny aveva rafforzato la convinzione che quella giornata fosse davvero stata fatta apposta per loro e che, forse, la primavera avrebbe tardato di proposito quell'anno.

Philip pensava al Festival del muschio rosa che si sarebbe tenuto a maggio, al tappeto di ottocento mila fiori all'ombra del monte Fuji, alla delicata crema di gelato dal gusto insolito che una volta aveva diviso con Jenny, alla fatina verde e rosa che accoglieva i visitatori all'ingresso del parco.

Era così taciturno che la ragazza aveva manifestato una sorta di compassione verso quella possibilità concreta di perdersi uno spettacolo tradizionale da lì a qualche mese.

"Per fortuna qui al Nord la fioritura fa sempre la preziosa e fa schiudere i boccioli con un po' di ritardo!"


Philip aveva sorriso mesto, poi si era abbassato sugli Shibizakura dai cinque petali e aveva iniziato ad ispezionarli e a scartarli come un esperto botanico. Quella minuziosa e certosina ricerca era durata per un po' ma quando si era voltato verso Jenny aveva dipinta sul viso pallido un'espressione a metà tra il superstizioso ed il soddisfatto. Aveva esibito verso la fidanzata un germoglio con sei petali.

Un fiore fortunato.

Jenny si era intenerita nel vederlo così ingenuo, scoperto, giocoso come un bambino e gli aveva parlato con dolcezza.

"Che aspetti? Devi esprimere un desiderio!"

Philip aveva avvicinato quel portafortuna al petto e, con piglio marziale, si era concentrato sulla sua richiesta segreta. Non aveva svelato nulla a Jenny ma l'aveva colta di sorpresa quando aveva sentenziato deciso:

"Adesso è il tuo turno!"


Il caschetto corto di Jenny si era colorato di un castano luminoso tra quelle eleganze primitive e le sue labbra sottili si erano inclinate in un estrinsecazione poco convinta.

Sarebbe stato troppo bello e troppo facile sfregare quei fiori come una lampada di Aladino!

"C'è posto solo per un desiderio!"

Senza demordere, Philip aveva insistito ostinato.

"Tu chiudi gli occhi e provaci comunque! Magari qualcosa succede!"

Jenny non voleva mettersi a discutere per un motivo tanto futile e, senza opporre resistenza, lo aveva accontentato.

Si era affidata completamente ai suoi sensi quando aveva sentito la mano di lui sfilargli l'anello di bigiotteria dall'anulare, baciare quell'alone ormai scurito e infilare al quarto dito di nuovo quel pegno.

I suoi occhi avevano impiegato più di un secondo ad abituarsi al brillantare di quel cerchietto. Dell'anello Tiffany con cui Philip l'aveva chiesta in sposa.

Aveva rimirato la sua mano incredula poi si era voltata verso Philip che sorrideva tranquillo. Sicuro.

"Che significa?"

"Mi hai dimostrato che non riuscirò mai a sbarazzarmi di te..."

Aveva cercato di buttarla sull'ironia ma gli occhi tempestati di lacrime e di amore della sua donna avevano commosso anche lui.

"E non tenterò di farlo mai più!"

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Capitolo 20
*** Gate 21 ***


Era stato un viaggio importante ma anche breve rispetto alle trasferte del passato. Mai Tom Becker era stato così entusiasta di rispondere ad una convocazione della Nazionale per disputare una partita amichevole.

Avrebbero giocato nella città portuale di Otaru, antica dimora degli Ainu, ad un tiro di schioppo da Sapporo. Tom, d'accordo con il Paris Saint Germain, aveva preso l'aereo con un po' di anticipo per passare qualche giorno da Philip, per rivedere Grace.

Mai come quella volta aveva atteso più il ritorno della partenza.


Una trepidante Grace studiava i volti di quei viaggiatori intrisi di scienza, libertà, bellezza ed avventura. Lei e Jenny erano ormai al varco del gate 21 da un bel pezzo ma l'attesa sembrava non pesare su nessuna delle due donne.

La fidanzata riabilitata rimirava il solitario che brillava al suo anulare mentre l'altra formulava e riformulava il discorso di bentornato con cui avrebbe accolto Tom.

"Restavo sempre senza parole quando scendevo dalla scaletta dell'aereo e trovavo Phil ad aspettarmi!"

Aveva confidato all'improvviso Jenny con incommensurabile dolcezza, indovinando i pensieri che albergavano nella mente dell'amica.

"Quando vi sposate?"

La domanda di Grace, così spontanea e logica, non aveva però trovato una risposta definita. Philip aveva rifatto quell'importante passo ma la situazione era ancora così ballerina e volubile che nessuno dei due se l'era sentita di prefissare una data o stabilire un termine.

"Quando saremo pronti!"


Era sempre strano tornare a casa: gli stessi odori, le stesse cose, le stesse sensazioni...La parola più misteriosa da dire in tre secondi e cento modi per dirla.

Tom era sceso dal Boenig 777 della Japan Airlines un po' stordito dal viaggio, dal fuso orario, da quella dichiarazione che avrebbe detto in tre secondi, spiegato in tre ore ed intenzionato a scoprire per tutta una vita.

Aveva scorto quasi subito le ragazze che si sbracciavano verso di lui e aveva scordato tutta la stanchezza ripagato dal sorriso sereno di Jenny e dalle gote imporporate di Grace.

Aveva estratto una cover di Il n'y a plus d'après...(à Saint-Germain) dal bagaglio a mano ed era corso verso Grace con il cuore che gli batteva a mille.

Jenny aveva sorriso memore quando i due novelli innamorati si erano ritrovati uno di fronte all'altra imbambolati, poi aveva sciolto le braccia rigide di Grace e le aveva passate attorno al collo di Tom, facendo un passo indietro.

"Com'è andato il volo?"

Aveva chiesto la seconda manager della Flynet pressando gli occhiali sull'orbita oculare. Tom glieli aveva levati e l'aveva fissata intensamente.

"Vieni qui che te lo spiego. Sai quando fai un viaggio, anche breve, per un esame universitario, per una partita, un colloquio di lavoro e pensi sempre al momento in cui ritornerai a casa?"

"Sì, credo di sì!"

Tom aveva guidato le braccia della ragazza sulla circonferenza del suo torace.

"Ecco stare tra le tue braccia, quando tutto è ok, è il viaggio di ritorno!"

L'aveva baciata e lei lo aveva assecondato finché, con la coda dell'occhio, avevano scorto la figura di Jenny messasi, pudicamente, in disparte.

Tom Becker, finalmente, aveva abbracciato anche l'amica: si era accorto che le cose si erano appianate e questo gli aveva concesso di rimandare la domanda che premeva, urgente, sulla sua lingua.

"Come sta Philip?"

"Sarebbe voluto venire anche lui in aeroporto ma i dottori gli hanno vietato di frequentare luoghi affollati!"

Sì qualcosa era decisamente cambiata e ritornata agli antichi fasti nell'indole fiera e caparbia del suo migliore amico.

Tom aveva preso per mano entrambe le ragazze e si era avviato verso l'uscita.

"Portatemi da lui!"

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Capitolo 21
*** Come aquila in alto volo ***


Tom si era emozionato dinnanzi alla visione che lo attendeva sotto il portico di casa Callaghan: Philip, stravolto e sformato nel corpo, lo aspettava con due bottiglie di birra e un pallone sotto i piedi. Quando si era avvicinato ad abbracciarlo aveva distinto, nitida, l'essenza di un dopobarba da uomo sulla guancia glabra.

"Manca soltanto il cielo stellato!"

Aveva osservato commosso Philip, stringendo l'amico in quella promessa che aveva mantenuto ad ogni costo.

Non erano servite altre parole, con i veri amici si può stare anche in silenzio, e anche Grace e Jenny erano rimaste sullo sfondo di quel momento delicato.


Di fronte ad una tazza fumante di thè mathca la conversazione era scivolata, fluida, su Parigi, sulla League one, sulle prossime mostre del papà di Tom.

Era allora che il figlio del pittore giramondo lo aveva tolto fuori dalla borsa: uno schizzo a carboncini e sanguigna.

L'uccello degli dei con il suo becco robusto e ricurvo, il piumaggio bruno scuro e le penne dorate sul capo a ricordare una corona, gli arti lunghi e affilati. Al quarto dito, munito di una unghia più lunga per trafiggere le prede, l'artista aveva legato il kanji della vittoria.

"È bellissimo!"

Aveva ringraziato, frettolosamente, l'aquila del nord sapendo quanto una vittoria fosse breve e quanto le sue conquiste fossero incomplete come una Nike di Samotracia.

Jenny, abituata alla sua fragilità e alle sue paure, non si era stupita più di tanto quando Philip s'era alzato per andare a nascondersi al piano di sopra e non si era scomposta nemmeno dinnanzi alle occhiate indagatorie e preoccupate di Grace.

"Va tu!"

Aveva detto soltanto, sapendo che soltanto un amico fedele e sincero sarebbe riuscito a smuovere il suo uomo in quel momento.

Tom era salito senza esitazioni e aveva trovato l'amico con la fronte contro la lastra fredda di quella finestra da cui, l'inverno prima aveva osservato la neve sciogliersi, e che ora rimandava lo sbocciare dei primi sakura.

"La federazione mi ha mandato una lettera d'invito alla prossima amichevole. Sarebbero felici di avermi in tribuna o persino in panchina!"

Philip l'aveva rivelato senza voltarsi e Tom aveva potuto leggere in quel tono a metà tra il desiderio e l'ironico tutte le paure di uscire allo scoperto. Di rimettersi in gioco.

"Gli occhi dell'aquila sostengono la luce del sole senza restarne abbagliati. Lottano contro i più violenti uragani e scalano intere catene di monti con una preda tra gli artigli. Costruiscono i loro nidi su rocce inaccessibili o sui margini dei precipizi...Alzano la testa e riprendono a volare. Sempre!"

Philip aveva serrato le mani in due pugni rabbiosi e poi si era voltato verso Tom con un certo sdegno.

"Tu non capisci. Non puoi capire!"

Invece l'altra metà della Golden combi lo capiva benissimo quel senso di esclusione, di incompletezza, di fine.

"Lo so cosa significa dover rinunciare al calcio: quando ho avuto l'incidente e ho rischiato di compromettere tutti i miei sogni..."

"Non è questo a frenarmi..."

Era qualcosa di più profondo, annichilente: una partita molto più difficile. Tra vita e morte.

" È vero Tom non sa cosa significhi vivere in bilico ma io lo ricordo. Lo ricordo bene com'è ingiusto dover scegliere tra il tuo sogno e la tua vita e non poterli avere entrambi!"

Si erano voltanti entrambi verso quella confidenza così intima, poi Tom aveva sorriso al nuovo alleato.

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Capitolo 22
*** Ola ***


Si era sentito come i prigionieri della caverna platonica quando aveva varcato i cancelli del piccolo stadio di Otaru, con Jenny al suo fianco: l'impatto con le tribune coreografiche era stato immediato.

Dopo un po' tutto gli si era mescolato nella testa ed aveva capito: il calcio aveva significato troppo per lui e continuava a significare tutto.

I compagni lo avevano voluto con loro, in panchina, per preservarlo e per integrarlo e Philip era rimasto un momento frastornato da tutta quella calorosa empatia.

"Vincete anche per me!"

Li aveva spronati battendo il cinque, uno dopo l'altro, agli undici che sarebbero partiti titolari.


Sebbene si trattasse di una semplice amichevole, il Giappone divertiva con il suo calcio champagne, vivace e frizzante, con giocate che entusiasmavano i tifosi rumorosi.

Julian aveva eseguito un affondo e si era involato, palla al piede, verso l'area avversaria con sicurezza. Nel vederlo esultare con disinvoltura, attorniato dall'intera squadra, e ringraziare gli ultras che inneggiavano il suo nome anche Philip si era alzato ad applaudire. Aveva ricordato le parole, una confidenza, che gli aveva sviscerato la sera prima a Sapporo.

"Nei tre anni di inattività, quando venivo a vedervi giocare allo stadio, mi tornava quella pazzia. Insomma...quando dentro senti il boato dello stadio, tutti i ragazzi che ti chiamano per far esplodere la tua rabbia, allora ci pensi a ritornare. Fai di tutto per ritornare!"

Il secondo centro era stato messo a segno da Becker e il match si era concluso con un poker in scioltezza per i nipponici e sulle gradinate i tifosi si erano alzati, uno dopo l'altro, in un'onda coordinata e festosa.

Erano certi che gli asiatici avrebbero ben figurato ai prossimi mondiali.


Philip si era tenuto in disparte mentre, negli spogliatoi, Kirk Pearson teneva il consueto discorso post-gara alla squadra.

"Siete stati tutti degni di lode oggi ma due su tutti hanno spiccato: è a loro che va la palla della vittoria oggi!"

Tutti avevano concordato mentre Bruce aveva alleggerito con una delle sue osservazioni ironiche: se i migliori in campo erano due allora bisognava tagliare la sfera a metà.

Ross aveva ceduto il pallone a Backer e, con un gesto d'assenso, aveva convenuto perché Tom ne facesse quello che, entrambi, reputavano più giusto.

"Il mister ha ragione: siamo stati tutti bravi oggi ma c'è qualcun altro che deve prendere questa palla. Qualcuno che, con la sua forza e il suo coraggio, ci è stato di esempio in questi mesi difficili: il nostro vice capitano!"

Le lacrime ballavano negli occhi di Philip mentre avvicinava al petto il cuoio insozzato e si risentiva parte integrante del gruppo.


Jenny era rimasta seduta sulla gradinata a lungo, finché lo stadio si era quasi spopolato e le luci si erano spente. Aveva fatto passare il tempo, si era fatta rassicurare da Tom ed Holly che erano andati a parlarle prima di raggiungere il pullman, aveva fissato quel puntino lontano sulla panchina.

Al momento giusto aveva raggiunto il campo. Philip era rimasto in quella posizione di stallo: il pallone sotto il piede, le mani sulla plastica del seggiolino rosso. La ragazza gli si era seduta affianco e aveva lasciato che fosse lui ad iniziare, lentamente.

"Sai qual è la cosa più bella del calcio? Quando in una finale stai sul 2 a 1 a tre minuti dalla fine. Ti guardi intorno e vedi tutte quelle facce, migliaia di facce, stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione. Senza nient'altro in testa. E poi il fischio dell'arbitro e tutti che impazziscono e nei minuti che seguono tu sei al centro del mondo. E sei stato decisivo..."

Jenny gli aveva passato una mano lungo il braccio: capiva cosa Philip stesse dicendo.

"Non rinunciare a questa bellezza!"

Lo sguardo dell'aquila del nord era dardeggiante, fiero, deciso.

"Voglio riprendermi il centro: il centro del campo, il centro del gioco. Voglio essere di nuovo il centro!"

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Capitolo 23
*** Io ci sarò ***


Alla fine era arrivata: la stagione in cui le acque si liberano e gli umani si risvegliano. L'estate così bella che, come aveva detto Julian, tutte le altre stagioni le danzavano intorno.

Anche quell'ultimo giorno di scuola Jenny era arrivata con le braccia colme di libri colorati e di regalini per i suoi piccoli monelli: faceva un certo effetto vedere i banchi vuoti e risentire lo stridere del gesso sull'ardesia, il battere nervoso del suo piede a terra, il respiro trattenuto di qualche scolaretto impreparato che cercava di nascondersi in un angolo del banco per sfuggire all'interrogazione.

Con dolce e mitigata malinconia aveva riversato tutto il suo affetto su quei cuccioli d'uomo che si erano rubati un po' della sua vita.

Adesso, però, si chiedeva quale ultimo buffo scherzo le avessero preparato perché la campanella era suonata da un pezzo e l'aula restava deserta. Spazientita, dopo aver completato il registro, la maestrina si era diretta verso il corridoio decisa ad usare il pugno duro con quegli indisciplinati.


C'era un silenzio spettrale e, al contempo, una strana eccitazione nell'aria e quando Jenny aveva spalancato la porta che dava sul cortile fiorito e profumato aveva vacillato un momento innanzi alla variopinta fiumana di bimbetti allegri ma composti che avevano spazzato via la vaghezza nera degli ultimi tempi, trasformando il buio e le ombre in onde.

I piccoli si erano disposti in una strana schiera a formare il Kanji che compitava il carattere sposa e che aveva lasciato Jenny letteralmente senza parole.

"Che significa?"

Era allora che si era fatto avanti: con l'hachimaki legato in fronte e lo sguardo imponente dell'aquila destinata a salire in alto e a fissare il sole senza arretrare di un passo. Dell'aquila alla quale non si addice il riposo ma il volo incessante.

Jenny si era emozionata mentre proprio quel Philip che più le era mancato stava riempendo il vuoto di quell'ultimo anno.

Le aveva sfilato, con la delicatezza di una farfalla, l'anello dall'anulare causandole una sorta di deliquio.

"Ti prometto che è l'ultima volta che te lo tolgo!"

Le aveva sussurrato con un sorriso ed una strizzata d'occhio prima di inginocchiarsi tendendole la mano.


Alla maestra Fujisawa era girata la testa in una girandola di emozioni senza fine mentre il Capitano s'apprestava a farle quella promessa solenne con voce ferma e netta.

"So che ci saranno ancora dei giorni grigi, tanti ostacoli che non potremmo deviare e tante partite dalle quali non potremmo ritirarci ma possiamo rendere quei giorni splendidi, aggirare gli ostacoli e giocare insieme. Non posso prometterti solo giorni belli tayou ma posso giurarti che mi impegnerò con tutto me stesso per essere il principe che meriti! Il mio midollo, finalmente, si sente a casa e adesso è il nostro turno. Vuoi vivere insieme a me, Jenny? Vuoi essere la mia casa? Ti prego dimmi che, se il destino tornerà a far danni, combatterai insieme a me!"

Le aveva rinfilato il cerchietto Tiffany e la ragazza lo aveva avvicinato al cuore prima di riallungare la mano a strofinare via le lacrime commosse del suo promesso.

Aveva dato uno sguardo d'insieme ai suoi bambini che, seppur avessero capitò metà del discorso, facevano un tifo spudorato per il lieto fine.

"Maestra di sì. Dici si maestra!"


Lei era sempre stata certa di quella risposta. Aveva aiutato Philip a rimettersi in piedi e gli aveva levato l'hachimaki che lei stessa aveva ricamato.

"Sarò con te nelle gioie e nelle difficoltà. Se tu ci sarai, io ci sarò!"

Il lungo bacio che era seguito era stato accompagnato da un applauso entusiasta sullo sfondo di quella collina rosa che, passata la burrasca, disegnava ora un arcobaleno fiorito come un arco di trionfo.


******* *********

Un grazie speciale a:

Queen_V_Introspective che ho fatto penare molto con i miei momenti "sadici". Grazie cara per non avermi preso a badilate e per aver apprezzato la storia. (Almeno andremo insieme al prossimo concerto dei Nickelback!!!)

tamarinda : sempre così disponibile, sensibile e attenta anche alle più sottili sfumature.

Golden-combi : per le recensioni così piene di poesia, pathos e coinvolgimento. (Grazie per il vostro: you'll never walk alone e...Adesso dobbiamo prenotare davvero per andare a Takinoue a goderci l'incredibile spettacolo)

gratia : un'amica speciale, gentile, accurata. Lontana ma vicina allo stesso tempo! (Grazie delle recensioni dettagliate!)

Susieprice: per aver trepidato per le sorti di questo Ettore dell'Hokkaido e per aver esultato allo sbocciare dell'amore tra l'inedita coppia Tom/Grace.

Krys: così appassionata e volitiva da tuffarsi in una full-immersion di lettura per rimettersi al passo e così paziente da lasciarmi le recensioni su ogni capitolo.

Un grazia anche a maria1973, Blue13, AmilyRoss, matildesx8 e a tutti coloro che hanno avuto voglia e desiderio di accompagnarmi fin qui.

Questo finale è tutto per voi. A prestissimo.

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