Per odio, solo per odio

di Querthe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Una telefonata preoccupante... ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Camminare in Ami ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - I nuovi Soldiers ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Vita tra strane amiche ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Comitato di accoglienza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Un'amara scoperta ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Una nemica dal cuore d'oro ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - La morte di Haruka morta ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Una telefonata preoccupante... ***


Il cellulare della bionda squillò, riempiendo l’aria della stanza di una dolce melodia di musica classica del diciannovesimo secolo. Alcuni dei pazienti in attesa alzarono distrattamente la testa, osservarono la segretaria del cardiologo trafficare nella borsetta sulla scrivania accanto alla tastiera del computer e alla foto delle sue amiche, quindi tornarono a leggere annoiati le riviste sempre disponibili e che Minako si premurava di sostituire periodicamente.
- Signorina, il prossimo. - gracchiò l’interfono.
- Certo dottore. Mi scusi, posso chiederle se mi è possibile assentarmi? So che manca un’ora alla chiusura, ma non mi sento bene e…
- Nessun problema. Sarà un’occasione per muovermi avanti e indietro per lo studio. La vedo domani alla stessa ora?
- Glielo potrò dire solo stasera. Troverà comunque un messaggio in segreteria.
- Va bene. Buona serata, signorina Aino.
- Anche a lei, dottor Tomoe. - concluse la giovane, quindi alzò lo sguardo e incrociò quello di un’anziana signora dai capelli bianchi, leggermente fuori forma. - Signora Parapara, la accompagno.
Dopo aver richiuso la porta, la donna, che mostrava un po’ oltre i trent’anni, afferrò la sua borsa, il suo spolverino e si scaraventò fuori dal locale, osservando lo schermo del suo telefonino come spaventata. Poco prima di entrare nella stazione della metropolitana che l’avrebbe riportata a casa, schiacciò il tasto di richiamo automatico. Dovette aspettare solo uno squillo prima che qualcuno dall’altra parte rispondesse.
- Collegamento effettuato. Controllo sicurezza linea negativo. Reindirizzamento su linee fantasma criptate effettuato. Ciao Minako. - disse la voce leggermente metallica di Ami. - Grazie per aver risposto quasi subito.
- Alcuni di noi hanno un lavoro. - esclamò sarcastica la bionda imboccando il tunnel che portava ai tornelli d’entrata. - Cosa succede? La riunione annuale è ancora lontana.
- Affermativo. Ho delle importanti novità. Nessuna positiva.
- Tipo? - chiese curiosa.
- Di persona. Recupera le altre.
- Mi stai spaventando. - mormorò mostrando l’abbonamento al personale in guardiola. - Cosa può essere tanto grave?
- Setsuna. Yoma. Chibiusa è viva.
Il suo telefonino le cadde di mano, ma una sottile e luminosa scia si mosse fulminea avvolgendosi su di esso e ritraendosi sotto lo spolverino da cui proveniva. Lei recuperò il cellulare all’interno dell’abito e lo riportò al volto. Nessuno sembrava aver notato nulla.
- Dammi un giorno al massimo. Da te.
- Affermativo. Ventiquattro ore da adesso. Contatto chiuso.
La bionda infilò in tasca il cellulare, aspettò la prima fermata e scese, diretta ad una ben precisa stazione che era decisamente fuori strada rispetto alla sua originale destinazione. Tornò in superficie circa un’ora dopo, scoprendo che era iniziata una pioggia leggera, insistente e noiosa. Il ticchettare delle gocce sull’ombrello la accompagnò lungo le vie piene di gente fino ad un grattacielo in costruzione. Minako alzò lo sguardo verso il cartello che rappresentava l’edificio una volta finito.
- Multicielo “La scala al Paradiso”. – lesse. – Noi abbiamo faticato tanto per tornare sulla Terra, e ora una di noi sta realizzando una torre tecnologica alta oltre cinque chilometri. Sembra quasi ridicolo.
Si mosse verso l’entrata al cantiere, diretta al container da venti piedi che fungeva da ufficio. Un operaio la intercettò a pochi passi dalla porta in alluminio e formica bianca.
- Posso darle una mano?
- Cercavo un’amica. Lavora qui al cantiere.
- Dovrà avere molta fortuna. Siamo oltre cinquemila. – rise l’uomo, robusto e con una lunga barba sotto l’elmetto di sicurezza verde scuro.
- Normalmente lo sono. Cerco Makoto. Makoto Kino.
- Lo è. Fortunata intendo. Chiunque in questo cantiere la conosce dopo che ha salvato un suo collega alcuni giorni fa. Il caposquadra Kino è famosa, ormai. E’ al blocco quattro. Dovrebbe staccare tra dieci minuti. Ma non stia qui fuori al freddo. Dentro c’è del caffè e un po’ di tepore, se il termoventilatore è stato riparato.
- Grazie, come se avessi accettato, ma preferisco rimanere fuori.
- Si prenderà un accidente… - le disse preoccupato l’uomo.
- Oh, sono una dal fisico resistente. Saranno almeno un cinque anni che non ho un raffreddore… - gli sorrise la donna.
- Come vuole… - borbottò andandosene l’operaio, lasciando Minako sotto una pioggia sempre più insistente che aveva formato un’impalpabile nebbia mentre velocemente calava la sera. Gli operai turnisti iniziarono a sciamare fuori dal cantiere, correndo come per proteggersi dall’acqua. La donna scrutò la folla veloce, cercando di individuare l’amica, ma vide che non era necessario nel momento in cui la figura alta e tonica di Makoto apparve da una delle uscite. Camminava tranquilla, l’elmetto in mano, incurante della pioggia. I loro sguardi si incrociarono e il volto della bruna si illuminò in un sorriso che continuò fino a che non si trovarono una di fronte all’altra.
- Ciao infermierina… - la salutò la caposquadra scompigliandole i capelli con la massiccia mano. - Guarda che nessuno qui si fa male se ci sono io. Perdi il tuo tempo.
- Tranquilla. Non voglio certo mettermi a curare martellate e travi in testa.
- Cosa ti porta qui? Vedo dagli occhi che qualcosa non va. Ennesima delusione d’amore? Dai, offro io. Affoga i tuoi dispiaceri nella cioccolata e panna…
Minako fece una smorfia simile ad un sorriso.
- Due passi?
- Come vuoi, infermierina.
Uscirono dai confini del cantiere e si incamminarono verso un locale che spesso Makoto frequentava con i colleghi. Entrarono e si sedettero a colpo sicuro in un angolo appartato, il menù già sul tavolo.
- Mi ha chiamato Ami. - esordì Minako dopo un breve, ma quasi imbarazzante silenzio.
L’amica sollevò lo sguardo dall’elenco delle bevande calde.
- Come sta? - chiese con tono indifferente.
- Non gliel’ho chiesto. Quello che mi ha detto mi ha fatto passare la voglia di chiederglielo.
- Ha a che fare con quello che è successo sulla Luna, eh? Allora il mio non era solo un incubo. - sospirò chiamando con un gesto della mano il cameriere.
- Scusa?
- Dopo. - le disse sorridendo, quindi si rivolse al ragazzo con il taccuino in mano. - Due della casa, con troppa, e intendo troppa panna. Ah, una delle due con su del peperoncino.
- D’accordo, signora Kino. Me ne occuperò personalmente.
- Bravo Yaten. - la donna lo guardò allontanarsi. - Allora, come dicevo, è successo qualcosa di poco piacevole?
Minako annuì.
- Ami ha detto che Setsuna è tornata all’opera e che Chibiusa è viva.
La bruna mosse il capo sconsolata.
- Immaginavo. E’ successo tre giorni fa. Ho sognato Jupiter e mi sono svegliata con una fitta di tristezza.
- Capita anche a me con Venus.
- Ma non se senti la tristezza al sistema di trasmissione che ci legava ai Soldiers. Ha pulsato per alcuni minuti, poi si è spento. Ho provato a ristabilire il collegamento, ma…
- Ci eri affezionata?
- Tu no? - sorrise triste.
Il ragazzo dai capelli così biondi da sembrare candidi portò le fumanti tazze ripiene di cioccolata bianca e fondente ricoperte di panna montata e polvere di cannella o peperoncino.
- Grazie. Mi puoi preparare il conto? Saldo tutto. Per un po’ mi sposto in un’altra zona.
- Ma torna prima della fine del multicielo?
Lei rise.
- Certo. Mancano più di tre anni al completamento. Non ho intenzione di fuggire. Solo di prendermi una sorta di vacanza dal normale lavoro.
Minako mangiò un paio di cucchiai di panna, quindi pose il cucchiaino.
- Sai già quello che sto per chiederti, vero?
- Ho già avvertito mio marito l’altro ieri, a causa del sogno. Lui e i miei figli sono da mia suocera per un po’, al sicuro. Non ho acqua o luce o gas accesi, quindi possiamo anche andare a recuperare la nostra personale regina della foresta. - sorrise nuovamente, il sorriso di una madre che pensa ai suoi figli, caldo e protettivo. - Ma prima la cioccolata per il morale e le energie.
Contagiata dal suo sorriso, la bionda annuì. Quando la ebbe finita chiamò la segreteria del cardiologo, avvertendo che prendeva alcuni giorni di malattia, e uscì con Makoto.
- Ami penserà a sistemare permessi e tutta la parte burocratica. Anche se speravo di farmi queste ferie fuori programma per altri motivi.
- Già. Passiamo comunque da casa mia. Mi faccio una doccia e siamo pronte a partire.
- Anche io devo darmi una rinfrescata. E poi non credo che i tacchi vadano bene per la foresta…
- Certo le mie scarpe non sono della tua misura.
- Se ne hai un paio anche vecchio da prestarmi, le rimodello io.
- Scarponi ne ho quanti ne vuoi. - La rassicurò la bruna aprendo la macchina, una famigliare di media cilindrata color marrone. - Scusa il disordine, ma praticamente la uso come ufficio ambulante. Essendo spesso fuori casa…
- Già. Per caso stai lavorando nella mia stessa città.
- Anche se effettivamente, noi quattro comunque siamo relativamente vicine. Rei è nelle foreste a duecento chilometri da qui, e Ami poco oltre. Chissà se poi è riuscita a far crescere quelle piante tanto particolari.
- Io dico di sì. Non è certo un problema per lei costruire una serra sotterranea.
- Già…
Le luci delle vie e dei negozi corsero e sparirono veloci dietro la macchina, finché questa si fermò davanti a un piccolo stabile, un condomino di una decina di appartamenti.
- Te lo passa la compagnia?
- Sì. Un bilocale dignitoso. Certo l’edificio è un po’ rumoroso, tutto a uso foresteria, e la metà occupata da hostess e piloti. Sai il casino anche di notte… - le rispose aprendo la porta dell’appartamento, diretta convinta a un piccolo guardaroba da cui estrasse un paio di scarpe in pelle trattata per uso industriale molto rovinate. - Sono le più piccole che ho.
- Perfette. Per rimodellarle molecolarmente con i miei tentacoli ci impiegherò un po’.
- Vado in doccia intanto.
Makoto aprì l’acqua e iniziò a fischiettare mentre la bionda appoggiava lo spolverino e si slacciava la camicia, rimanendo in reggiseno. Dai sei fori scuri lungo la schiena altrettanti tentacoli di luce si fecero strada ondeggiando nell’aria. Minako chiuse gli occhi, osservano il mondo e in particolare le scarpe nelle sue mani con gli innumerevoli occhi dei naniti che erano la materia prima delle sue strane appendici. I sensori le diedero una situazione accurata di decine di parametri delle calzature, mostrandole la struttura molecolare delle stesse tramite una ricostruzione virtuale che arrivava direttamente sul suo nervo ottico. Lei si concentrò, iniziando a modificare la disposizione dei singoli atomi, spaccando e ricreando legami tramite le nanometriche pinze e gli altri strumenti che ricoprivano i tentacoli. Lavorò alacremente, finché non decise di ritirare le appendici. Aprì gli occhi, nelle mani due scarponi perfetti per il suo piede, nuovi e migliorati enormemente rispetto all’originale.
- Il colore non è perfetto, ma…
- Ti ho visto altre volte farlo, ma mi stupisci sempre! - rise la donna uscendo dal bagno con i capelli umidi, un enorme asciugamano avvolto attorno al suo corpo come un mantello. - Forza, ti do mezz’ora, poi con te o senza di te, io parto.
- Schiavista…
- Solo quando serve, e come caposquadra direi che serve sempre. - le sorrise l’altra.
Quando uscirono dal portone dell’edificio e risalirono in macchina era già buio, e ancora di più, oltre ad un vento gelido e tagliente che sferzava gli alberi, era diventato quando parcheggiarono alla base di uno scosceso dirupo.
- Anche stavolta ci tocca una scarpinata.
- Non dirmi che ti lamenterai per una camminata di un quarto d’ora? - ridacchiò Makoto. - Dai, che poi la parte faticosa tocca a me!
A una decina di chilometri di distanza, tre predatori cercavano ognuno una preda diversa.
- Dove sei bastardo? Dove sei finito? - mugugnò il cacciatore di frodo, controllando per l’ennesima volta che i colpi nel fucile fossero pronti a trapassare il lupo che era stato eletto a probabile preda dall’uomo.
Alle sue spalle sentì un fruscio, foglie spostate e unghie sulla pietra. Sparò nello stesso istante in cui si voltò, ma fece solo una sorta di buco nel cespuglio. Bestemmiò violentemente scaricando il bossolo fumante. Un ululato simile ad una beffarda risata gli fece scaricare un’altra serie di insulti alla luna. In lontananza la lupa rispose, emettendo un lungo lamento, la sua figura stagliata nel cielo, visibile al cacciatore, la lepre ai suoi piedi, pronta per essere la sua cena.
- Hai ancora un colpo. Ritentaci, sarai più fortunato. - ringhiò cattiva una voce solo vagamente femminile, apparentemente sopra la testa del cacciatore.
La sua torcia elettrica tagliò la notte, illuminando il verde cupo degli arbusti, le mille gradazioni di marrone dei tronchi e dei rami e un arto rosso scuro, lungo e nervoso, in tensione come pronto a scattare.
- Che cazzo… - mugugnò fermando il fascio di luce, per poi spostarlo per illuminare la figura accucciata sul robusto ramo a circa quattro metri dal suolo.
Era un corpo femminile, gli arti lunghi e affusolati, terminanti con robuste e affilate dita prensili. La pelle era coperta da ampie piastre apparentemente rigide e sovrapposte tra loro come un’avveniristica armatura. Tali piastre sembravano coprirle anche il volto, la superficie interrotta solo per due fessure diagonali dove gli occhi come braci ardevano e per la lunga coda di capelli neri che sbucava alla base del collo.
- Ciao. Ognuno ha trovato la sua preda. Peccato che tu ti sia fatto scappare la tua. - sibilò la creatura, saltando tanto velocemente da sparire agli occhi del cacciatore.
L’uomo si voltò, la luce ad illuminare a caso, il dito sul grilletto, pronto a sparare. L’indice tremava.
- Sono qui! - la torcia cercò la voce, ma non trovò nulla. - O qui. - la stessa voce, un’altra posizione. - O qui. - rise, posandogli un artiglio sulla spalla. Il cacciatore sparò, sicuro di averla colpita, ma nulla lo confermava. - Peccato. Hai finito i colpi. Ora tocca a me. - mormorò con cattiveria l’essere, saltando davanti a lui dalla cima dell’albero su cui era aggrappato con gli artigli.
Con la mano sinistra gli afferrò il fucile, facendo un rapido movimento con le dita della destra. Piccoli cilindri di metallo caddero a terra, una volta la parte terminale della canna.
- Cristo… Cosa sei tu?
- Solo una molto gelosa del suo territorio… - gli rispose sollevando la mano destra, pronta a tagliargli costole, polmoni e giù, fino allo stomaco. Sembrò esitare un istante, come annusando l’aria, quindi abbassò l’arto e lasciò l’arma ormai inutilizzabile. - Hai gli dei dalla tua, piccolo umano. Se risento il tuo odore in giro, sei morto. - ringhiò saltando nella notte, sparendo tra gli alberi, diretta al luogo dove le sue due amiche la stavano aspettando.
Minako stava scrutando la zona, cercando un segno di Rei, mentre Makoto stava colpendo ritmicamente la pietra ai suoi piedi con potenti pugni, il braccio destro dalla mano fino al gomito ricoperto da una spessa corazza nerastra con striature verde cupo.
- Arriverà?
- Ne sono certa. - rispose la bruna. - E’ sempre venuta, rispondendo al mio richiamo. Le vibrazioni che i miei pugni creano nel terreno viaggiano per chilometri anche oltre la foresta dove si è rifugiata la nostra testacalda.
- Certo che con un telefonino…
- E secondo te dove me lo metterei? Non ho tasche, e poi la batteria… - ridacchiò Rei apparendo di corsa, su quattro zampe, da un gruppo di alberi vicino allo spiazzo dove le due si trovavano.
L’essere si alzò sulle zampe posteriori e in pochi secondi il suo aspetto mutò in quello di una donna tra i trenta e i trentacinque anni, con lunghi capelli neri e lisci sulla pelle pallida come il chiaro di luna. Abbracciò sia Minako che Makoto, il braccio di quest’ultima tornato normale appena si era alzata dalla posizione genuflessa in cui si trovava.
- E’ sempre un piacere vederti, cucciola… - la baciò sulla fronte la bruna. - Vieni, ho dei vestiti per te. E stavolta vedi di non stracciarmeli.
- O io dovrò di nuovo darmi da fare… - sospirò la bionda alzando gli occhi al cielo in maniera comica.
- Capito. Capito… - borbottò lei. - A cosa devo la visita fuori programma?
- Glielo dici tu? Ami ha avvertito te.
- Sì ma tu sai dire le cose meglio di me. Diglielo tu…
- Dirmi cosa? Inizio ad innervosirmi.
- Ami vuole vederci. Sembrerebbe che Chibiusa sia viva. - disse Minako.
- Setsuna… Quella troia psicopatica c’è riuscita.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Camminare in Ami ***


- Siamo sicure che la strada sia quella giusta?
- Minako, per la centesima volta da quando siamo salite in macchina, la strada è quella giusta! - sbuffò spazientita la donna dai capelli corvini, quasi alzando gli occhi al cielo. La maglietta bianca troppo grossa per lei e i pantaloni jeans sdruciti quasi contrastavano con i lineamenti delicati del viso, sebbene dopo un istante anche un osservatore casuale avrebbe capito che in realtà nascondevano un animo duro come il ferro.
Makoto ridacchiò senza togliere gli occhi dalla strada.
- E tu non ridere. Voi siete abituate a orientarvi, io ho già i miei problemi a girare per le metro…
- Comunque non è difficile. Bisogna solo seguire la strada fino alla baia di New Ozuma e quindi proseguire lungo la costa finché non ci segnalerà lei dove andare.
- Più facile di così… Ecco, dovremmo essere nella zona giusta. L’ultima volta ci ha contattato più o meno qui.
- Speriamo che non vi siate sbagliate. Se non fosse la strada giusta…
- Minako! - ringhiò Rei mentre i suoi occhi diventavano piccoli e ardenti.
- Va bene, va bene, siamo sulla strada giusta…
Il telefonino della bionda squillò.
- E’ lei. - disse seria rispondendo. - Ciao.
- Ciao. - ripetè la voce metallica di Ami. - Siete già arrivate. Tutte e tre. Sono contenta. Proseguite lungo la strada fino al ponte.
- Che ponte?
- Ne vedo uno poco più avanti… - mormorò Rei. - Ad un paio di chilometri da qui.
- Io non vedo nulla…
- Quando avrai i miei occhi, Mako, lo vedrai anche tu.
- Dopo il ponte cosa facciamo?
- Parcheggiate nella casupola che vedrete vicino alla riva sulla sinistra. E’ un costrutto che ho creato appositamente. La macchina sarà al sicuro e nessuno noterà la sua presenza per giorni e giorni. Il resto lo sapete benissimo. Trasmissione chiusa. Il telefono mostrò che la conversazione era terminata.
- La odio quando crede di essere in un film di azione! - borbottò la bionda. - Adesso manca solo che il telefonino mi dica che si autodistruggerà in dieci secondi…
Le tre risero, tentando di non far trapelare che ognuna aveva dei pensieri cupi in testa. Makoto non poteva dimenticare la sensazione di gioia e assieme di profonda tristezza che le aveva provocato la trasmissione del segnale da Jupiter. Rei non aveva mai trovato simpatica Setsuna, ma anche l’ultimo annuncio che aveva mandato loro tempo prima era stato fin troppo chiaro, e ora c’era il forte rischio che la minaccia palesata si fosse trasformata in realtà. Un’orribile realtà che lei doveva eliminare dalla faccia della Terra. E della Luna. Minako era forse quella che soffriva di più. Aveva visto morire o disfarsi le persone e le cose a cui più teneva, e la sua mente di dottore odiava ricordare come Venus si fosse spento su sua richiesta e di come Mamoru e Usagi fossero morti davanti ai suoi occhi. Ora l’omicida che aveva provocato tutto quello era di nuovo viva. Si vergognava, come medico non doveva pensare una cosa del genere, ma in quel momento la voleva di nuovo morta. Possibilmente per sempre.
- Siamo arrivate. - annunciò la bruna spegnendo la macchina.
Erano in una sorta di piccolo garage di lamiere ondulate, abbastanza grande per permettere di aprire le portiere completamente da entrambe le parti della autovettura e profondo quello che bastava. A parte l’entrata che si stava richiudendo automaticamente alle loro spalle, non sembravano esserci altre vie di uscita.
- E ora?
- Come le altre volte, Rei. Aspettiamo.
- Io non sono paziente come te, Mako. E non amo gli spazi chiusi.
- Per quello nemmeno le scarpe. Guarda come hai conciato quelle da ginnastica che ti avevo dato. Erano le uniche sane che avevo… - le rispose lei, puntando il dito sulle calzature, da cui uscivano gli artigli acuminati della donna.
- Scusa… - mormorò imbarazzata Rei, ritrasformando i piedi. - Credo sia l’abitudine…
- Non ti preoccupare. Tanto Minako può aggiustarle, no?
- Nessun problema. Ma direi che prima dovremmo trovare la maniera di arrivare da Ami. Iniziamo a cercare se per caso c’è una leva da qualche parte come l’ultima v…
Non potè finire la frase, inghiottita come le amiche nel terreno, che si era trasformato in una melassa fredda e viscida.
- Nanomacchine! - Gridò Rei prima di finire sommersa come le altre due.
Il terreno si richiuse e riprese la densità e la durezza che aveva in precedenza, mentre le tre donne atterravano pochi metri sotto la superficie, in una stanza buia dal pavimento metallico. Un corridoio partiva davanti a loro, leggermente illuminato da tenui neon.
- Ami! Ami! Dove sei? - urlò Makoto, le mani vicino alla bocca per simulare un megafono.
Nessuna risposta.
- Ami! Se questo è uno scherzo, è di pessimo gusto…
- Rei… Ami non scherza mai. Non ne è capace. E’ diventata una macchina. Totalmente. Se non risponde c’è qualcosa che non va.
- Bene. Proprio quello che ci voleva. Siamo da qualche parte sottoterra e la nostra amica che doveva aiutarci non c’è.
- Zitte! - sibilò a bassa voce la bruna. - Non sentite nulla?
Rei alzò gli occhi e il naso nell’aria. Inspirò profondamente, abbassando le palpebre. Inspirò di nuovo.
- Tre cose in movimento. Non sento nessun battito. Non sono umani, o animali. Il rumore che hai sentito, Mako, è metallo contro metallo. Probabilmente cyborgs…
- Ancora. Setsuna non si è ancora stancata di tirarci addosso quei cadaveri rianimati con le sue schizoidi alterazioni cibernetiche?
- Sembrerebbe di no. Ma lo strano è che abbia il controllo sulle nanomacchine di Ami.
- Questo vuol dire solo una cosa… - borbottò Mako, mentre il suo corpo si ispessiva, distruggendo in vari punti i vestiti, la sua pelle sostituita da una corazza nera venata di viola e di verde cupo. Il suo volto si coprì con una sorta di elmo senza fessure, facendola assomigliare ad un essere uscito da un film di fantasia,
- Già. – annuì Rei, mentre anche lei si trasformava, stracciando in più punti la maglietta i pantaloni che aveva addosso. – Ami ha perso. E quindi quella che abbiamo sentito al telefono non era certo la nostra amica.
- Bene… - sospirò sconsolata Minako, le sei catene di energia dorata ad ondeggiare dietro di lei come strane ed affascinanti ali. – La vendicheremo. Dovrebbero quasi essere da noi.
Come in risposta all’affermazione, delle ombre deformi si fecero strada sulle pareti del corridoio, seguite dai proprietari.
- Cazzo! – ringhiò l’essere dall’esoscheletro rosso, arretrando involontariamente di un passo, lasciando deboli solchi nella lamiera, che subito si riparò, come il resto dell’ambiente formata da minuscoli robot chiamati naniti, gli stessi che avevano trasformato anni prima quattro soldatesse in altrettanti esseri straordinari, ognuno reso il suo desiderio più nascosto. – Ditemi che è uno scherzo.
- Non credo, o io ho perso il senso dell’umorismo. – tentò di essere spiritosa la bruna, ma la sua voce tradiva tutta l’emozione mista a paura che la vista dei nemici le aveva provocato, la stessa sensazione che anche l’altra donna stava provando, confermata dal debole tremolio delle catene sulla sua schiena.
I tre esseri meccanici, dalle dimensioni circa doppie rispetto ad un essere umano, si fermarono appena dopo essere entrati nella stanza. Un grosso toro verde, uno zampettante corvo nero e un aggraziato gatto bianco li stavano osservando con i loro occhi meccanici, freddi, ma allo stesso tempo ricchi di vita, come di emozioni. Erano realizzati interamente con acciaio, plastica e pezzi elettronici, senza presentare quell’oscena sovrapposizione e accostamento di membra organiche e arti artificiali che ben avevano imparato a conoscere da quando stavano combattendo contro la dottoressa che si era incaricata di essere madre e vendicatrice del loro comandante Chibiusa.
- Sembra che questa volta abbia voluto giocare pesante… Addirittura metterci contro dei robot che assomigliano in qualche modo ai nostri vecchi Soldiers. Peccato che non abbia ricordato esattamente le forme esatte.
- L’ho fatto di proposito, cara Rei. – disse la voce monotona della loro amica, mentre i tre animali meccanici si fermavano, spegnendosi come se qualcuno avesse scaricato loro le batterie.
- Ami?
- Affermativo, in metallo e silicio, se mi permettete di usare tale locuzione al posto dell’ormai poco consono “carne e ossa”. Non ci sono pericoli, e mi scuso per non aver risposto subito alla vostra richiesta di farmi sentire, ma il comandare tre costrutti nanitici multifunzione ha utilizzato la quasi totalità della mia potenza di calcolo. Ora che sono in posizione di stand-by posso parlare con voi.
- Costrutti… che? – chiese Minako, avvicinandosi alle macchine.
- Attenta, non sappiamo se Ami sia in sé o meno. Potrebbe essere sotto l’influsso di…
- Negativo. Il mio sistema operativo non è influenzato da nulla. I miei sistemi di diagnostica e di protezione in tempo reale sono perfettamente funzionanti. Il kernel è stabile e inviolato. Ma posso anche capire la titubanza che ti spinge a non fidarti di me, considerando di quanto può essere capace la nostra nemica. Se mi permettete, spostiamoci in una più comoda sala. Dopo tempo che non frequento nulla di anche vagamente umano tendo a dimenticare che necessitate ancora di certe comodità retaggio della nostra ormai defunta natura organica.
- Decisamente è Ami. Nessuno potrebbe dire con tanta disinvoltura cose così strane e assurde, prendendoci anche in giro poiché siamo rimaste umane…
- Solo esteriormente, Minako. Solo esteriormente, ti ricordo. - esclamò la voce di Ami, sempre proveniente dall’aria, come se la sua origine fossero vari altoparlanti disseminati nella stanza. - I vostri corpi non hanno più nulla di organico, essendo ormai solo costituiti da naniti. Lascio i tre costrutti qui, altrimenti non potrei parlare o agire finché non saranno legati a voi dal collegamento neurale ancora settato sui vecchi Soldiers.
- Scusa? Settato? Vecchi Soldiers?
- Esatto Makoto. Ognuna di noi controllava i Soldiers tramite un collegamento tra il sistema nervoso e i meccanismi dei Soldiers, un sistema a trasmissione neutrinica irrintracciabile, o quasi… Non più operativi i Soldiers, il sistema si è messo automaticamente in stand-by, ma esiste ancora, e tenta ad intervalli regolari di collegarsi. Sarà mio compito spostare il collegamento ormai inutilizzabile sui nuovi costrutti così come ho già fatto per me.
- Ma io ho sentito il mio Jupiter qualche giorno fa.
- Credo sia solo un riflesso. Un’interferenza dovuta a una tempesta tachionica proveniente da una lontana esplosione di alcuni miliardi di anni fa, probabilmente…
Qualcosa nella voce, seppure metallica e inespressiva dell’amica fece rabbrividire le tre mentre si spostavano lungo il corridoio, guidate da delle frecce luminose.
- Ami…
- Dimmi Rei?
- Dove sei tu esattamente? Intendo dire, fino all’ultima volta ci sei venuta ad accogliere personalmente, ma questa volta non ti abbiamo ancora visto.
- Sono cambiate alcune piccole cose da allora. Voi mi avete visto fin dall’inizio. Per l’esattezza state camminando sopra di me in questo momento.
- Sopra di te?
- Sì. Un mese fa mi sono fusa con il resto della base, ricostruendola secondo degli standard più sicuri. Io sono la base, e voi siete al mio interno.
- Molto rassicurante…
- Hai paura che ti possa fare del male, Minako?
- No, non era quello che intendevo, ma pensare di essere nello stomaco di una mia amica… Beh, non è la cosa più normale del mondo, no?
- Anche noi non lo siamo, ti rammento. Comunque ora siete arrivate. - disse lei, mentre una porta appariva come dal nulla nella parete di fronte a loro e si apriva. All’interno sembrava esserci un ultramoderno, eppure allo stesso tempo accogliente, salotto. - Entrate pure. Un mio simulacro vi raggiungerà entro dieci, nove, otto…
- Insomma in un attimo… - borbottò Rei annusando l’aria per abitudine mentre varcava la soglia. Si sedette su una confortevole poltrona di pelle sintetica nera, subito imitata dalle altre due.
- Come vi dicevo, eccomi, o meglio ecco un costrutto che mi rappresenterà durante questo colloquio e la vostra permanenza nella base. - disse la voce di Ami, questa volta proveniente dalla porta. La figura della loro amica era come se la ricordavano prima dell’incidente che aveva fatto di loro esseri oltre che umani. I capelli blu corti e dritti, lo sguardo attento, la figura minuta coperta solo da un ampio maglione e da dei jeans senza pretese. Ai piedi scarpe da ginnastica e sul naso dei piccoli occhialini da lettura. - Mi spiace avervi chiamato così d’urgenza, ma ho le prove che qualcosa di grosso sta accadendo.
- Setsuna e Chibiusa, hai detto…
- Esatto Mako. Se volete guardare questo filmato. Mi è arrivato ieri su una delle caselle di posta che in teoria non dovrebbero essere accessibili se non a voi.
Lo schermo del televisore a cristalli liquidi sul tavolino del salotto si accese e la faccia di Setsuna riempì lo schermo.
- Salve, Ami. Sono sicura che mentre guarderai questo filmato sarai già in caccia del server da cui è partito il tutto e tenterai di rintracciarmi. Ma ti dico già che è inutile. - Sorrise. - Da quando avete ucciso mia figlia, la mia adorata Chibiusa, vi odio più di quanto vi odiavo prima, e ora ho finalmente i mezzi per vendicarmi. Anzi, direi che ho i mezzi per far si che le vostre stesse vittime si vendichino. Avrete presto mie notizie, cari Desideri…
Lo schermo si spense.
- Cosa pensate volesse dire?
- Non ho dati a sufficienza, Minako. Aveva ragione, tentare di rintracciare l’origine del filmato è stato infruttuoso, ma ho analizzato il filmato, fotogramma per fotogramma, pixel per pixel, e forse ho un indizio.
- Ovvero? - mormorò Makoto
- So dove ha girato il filmato. - sorrise, uno dei rari sorrisi che si era permessa anche da umana.
- Dove? - chiese Rei.
- Dove tutto è iniziato…

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - I nuovi Soldiers ***


- La Luna!
- Affermativo, Makoto. – annuì la ragazza, sedendosi, sebbene tutte sapessero che lo faceva solo per mantenere una parvenza umana. – Da alcuni fotogrammi sono riuscita ad estrarre tramite filtri e miglioratori di immagine uno sfondo. Ha registrato il filmato nella sala di controllo da dove una volta noi partivamo per entrare nei Soldiers.
- Quasi comico…
- Scusa Rei?
- Quasi comico, Minako. Noi e i Soldiers siamo state le responsabili della morte di Chibiusa, del fallimento dell’esperimento Desideri e in definitiva anche della chiusura della base sulla Luna con la sconfitta degli Yoma. E lei sfrutta proprio quella costruzione ormai abbandonata per minacciarci. Ma stavolta, una volta per tutte, la facciamo smettere di giocare con noi e con i poveretti che ha sempre trasformato in mostri.
- Già… - disse cupa la bruna. – Ogni tanto mi vengono in mente i cadaveri martoriati dagli esperimenti di cibernetica millimetrica di quella pazza. Non è umana, anche se io lo sono meno di lei, biologicamente parlando. – mormorò alla fine osservandosi la mano nuda che si era colorata di scuro al solo pensiero di potersi stringere al collo della dottoressa dai capelli verdi.
- Vedo che inizi a ragionare come Ami. La cosa mi preoccupa… - tentò di scherzare Rei, ma nemmeno lei aveva voglia di ridere.
Tutte guardarono la donna che era la base.
- Cosa pensi possiamo fare?
- Due cose, Minako. Uno dovete riuscire a connettervi con il collegamento neutrinico ai nuovi Soldiers che ho creato, due andremo a fare una visita sulla Luna alla nostra amica Setsuna e ai cyborgs che ha con lei.
- Credi che ne abbia anche sulla Luna?
- Ne sono sicura. Nel filmato lei ha detto una cosa molto precisa, che può portare solo ad una spiegazione. Ha detto “ho i mezzi per far si che le vostre stesse vittime si vendichino”. E’ riuscita a riportare in vita chi abbiamo ucciso, e forse la stessa Chibiusa.
- Ma sono passati anni. Saranno ormai degli scheletri.
- Non è detto, Mako. Il freddo siderale della Luna e i mezzi di Setsuna possono aver conservato molto bene il corpo di Haruka, Michiru, Hotaru e Chibiusa, e le sue conoscenze di cibernetica millimetrica sono quasi al mio livello, sebbene io operi su scala molto più piccola. A meno che…
- Non mi piace che tu scopra qualcosa in questo momento…
- Solo una possibilità con un valore molto basso che però vede la sua credibilità aumentare esponenzialmente se messa in rapporto con quanto successo in questi anni. – Il suo volto si fece impassibile, gli occhi vacui, come se stesse pensando intensamente. – Attendere prego. Calcolo in corso. Raffronto dati precedenti e comparazione. Estrapolazione modello di crescita sul lungo periodo. Allineamento delle conclusioni. Risultati attendibili.
- La odio quando fa così. Mi ricorda troppo il mio vecchio computer. Quando si bloccava…
- Eventualmente la facciamo ripartire come facevamo con il tuo computer, Mako…
- Non credo che sia il caso di prenderla a pugni, Rei.
- Se continua a non essere presente, io lo faccio!
- Come ha detto lei, non sarà necessario. Ho estrapolato una conclusione che ha dell’incredibile, secondo gli standard umani. – disse Ami.
- Ovvero, somma calcolatrice scientifica?
- Credo che ci sia poco da scherzare, Rei… - mormorò Minako. – Cosa pensi di aver scoperto?
- Dai dati che avevo raccolto dai vari nemici che ci sono stati proposti, ho notato una lenta, ma costante, diminuzione delle dimensioni delle parti elementari degli innesti meccanici. – Osservò gli sguardi curiosi delle amiche. – In parole povere Setsuna stava avvicinandosi sempre di più alle dimensioni dei naniti che ci compongono.
- Non dirmi che…
- No. E’ impossibile per lei. Avrebbe dovuto superare troppi ostacoli, e non ha mezzi economici per farlo. Direi invece che molto probabilmente sia riuscita a creare microniti.
- Cioè? – si torturò le mani Makoto, guardandosi attorno come a cercare qualcosa. – Non hai dell’acqua? Mi è venuta la gola secca tutto all’improvviso.
- Anche a me… - dissero all’unisono le altre due.
Lei sorrise, un sorriso tirato, non finto ma nervoso, che subito nascose sotto la maschera di impassibilità, mentre da un frigorifero che nessuno aveva notato prima prendeva una bottiglia di acqua e tre bicchieri di sintoplastica.
- Prego, servitevi pure. Temo, e davvero sottolineo temo, che sia riuscita a sintetizzare macchine semisenzienti simili ai naniti ma dal diametro equivalente mille volte maggiore. Diciamo che ha creato dei robot grandi come cellule, quando noi siamo costituite di macchine grandi come dieci atomi circa…
- Dieci atomi? Come fanno ad operare se sono così piccole? – chiese Rei dopo aver ingollato tutto un bicchiere di liquido.
- In teoria non dovrebbero, ma a quelle dimensioni siamo alla soglia della meccanica quantistica, che si basa sul concetto che una cosa può essere bianca e nera contemporaneamente, solo con percentuali diverse. Per cui diciamo che, usando una terminologia poco professionale eppure perfettamente alla vostra portata, i naniti funzionano perché nessuno dice loro che non dovrebbero funzionare…
- Lasciamo perdere, o mi viene il mal di testa. Torniamo a cose che posso capire. Come ci arriviamo sulla Luna per pestare Setsuna e i suoi giocattoli? Ammetto che poter picchiare di nuovo Haruka mi diverte.
- Arrivarci non sarà un problema. Ho già tutto pronto per la partenza. In questi giorni ho potuto costruire una navetta che ci potrà agilmente trasportare da qui alla faccia nascosta della Luna e viceversa. Ho già trovato anche una seconda base operativa. La zona dove un tempo sorgeva il castello degli Yoma. Nella navetta con noi ci sarà anche quanto necessario per costruire quello che ci serve.
- Allora partiamo.
- No, Minako. Come ho già detto, dovete prima collegarvi con i nuovi Soldiers.
- A proposito. Tu non ne hai uno?
- Certo. – sorrise, mentre la porta si apriva nuovamente, e altre tre Ami, assolutamente identiche tra loro, entravano, seguite da una coppia di serpenti, apparentemente anaconda, meccanici e dai toni azzurrastri delle sottili squame che li ricoprivano. – Per assistervi meglio mi sono moltiplicata, creando delle copie fisiche controllate da piccole parti dei miei sottoprogrammi di gestione periferiche.
- Ma chi è la vera Ami? Tu?
- Non ha senso parlare di vera o falsa, Rei. Io sono la base. Anche la Ami con cui state parlando ora è solo una rappresentazione per facilitare l’interazione con voi, mostrandovi l’aspetto a cui eravate abituate. Ora comunque vi lascio, per seguire principalmente altri controlli e calcoli, ma una parte di me, nella figura delle altre me stesse, vi seguirà per permettervi il collegamento con i Soldiers.
- E il tuo? O dovrei dire i tuoi? – chiese incuriosita la bruna, osservando i due serpenti, che si erano avvicinati ad una delle Ami come due giocosi cuccioli.
- No. E’ uno solo, ma in modalità non combattiva è suddiviso in due parti.
- Non combattivo?
- Ogni nuovo Soldier ha una modalità combattiva e una non combattiva. Come sarà la modalità combattiva lo deciderete voi quando vi unirete a loro. Nel mio caso la forma combattiva l’ho definita Soldier Gorgon.
- Essendo serpenti… - sorrise Minako. Si alzò. – Va bene. Andiamo a trovare i nostri nuovi compagni e a collegarci con loro. Anche se… - si fece triste. – Anche se…
- Ti manca. Lo so. Manca anche a me. Come manca a tutte noi. Ma sono morti… correzione, sono stati disattivati definitivamente, e nessuno potrà rimpiazzarli. – I due serpenti si avvicinarono alla Ami che aveva parlato per ultima e si ersero fino all’altezza del suo viso, estroflettendo una lingua metallica e biforcuta, come a leccarle il volto. – Tranne voi, tranne voi. – ridacchiò, accarezzandoli. Si voltò a guardare le altre, visibilmente stupite. – Non dovete preoccuparvi. Quando i Soldiers saranno collegati con voi, capirete cosa provo io. Ora vi devo lasciare, ma rimarrò con voi.
Uscì, seguita dai suoi due serpenti, lasciando le tre ragazze con le sue tre copie.
- Allora, dove dobbiamo andare?
- Sempre diretta, una qualità che non si è assopita con la tua trasformazione in Desiderio, Rei. – dissero contemporaneamente le ragazze dai capelli blu. – Seguiteci, andiamo in una sala dove i tre costrutti ci aspettano.
Si mossero, guardandosi in giro come aspettandosi che da un momento all’altro strani esseri potessero comparire dai muri, come era successo nel castello di Mamoru.
- Non dovete preoccuparvi. – ridacchiarono le tre Ami. – A differenza di Mamoru, io ho pieno controllo delle mie facoltà, e quindi della base stessa.
- Sarà… - borbottò Rei. – Ma mi da comunque fastidio pensare di essere all’interno di una mia amica…
- Se tu decidessi, potresti fare altrettanto.
- No grazie. Preferisco saltare da un albero all’altro come una feroce predatrice.
- Direi più che altro una sorta di scimmia che spaventa altre scimmie…
- Ami! – risero le altre due, vedendo la rabbia montare in Rei, rossa in volto e dalle mani con le unghie estremamente lunghe. – Non stuzzicarla. Lo sai come è fatta.
- Lo so, lo so. Scusate. Uno dei programmi di controllo ha inavvertitamente inizializzato il programma di gestione dell’ironia. L’ho già spento. Siamo arrivati. I costrutti sono oltre quella porta.
La parete metallica davanti a loro scivolò velocemente all’interno del muro, mostrando un’enorme stanza di lucido acciaio dove al centro attendevano i tre animali che le donne avevano visto appena arrivate. I nuovi Soldiers voltarono la loro testa lentamente, ma non si mossero.
- S… Salve… - mormorò Makoto.
- Non ti possono sentire. Hanno solo un piccolo programma di salvaguardia individuale, per cui hanno solo controllato se siete dei potenziali pericoli.
- E non ci considerano tali?
- Certo che no, Minako. Ho inserito le vostre informazioni, per cui siete, assieme a me, le uniche che non attaccherebbero. Ora dovrete solo rilassarvi, mentre ogni copia di me si dedicherà a spiegarvi cosa fare per collegarvi con loro.
- Odio rilassarmi.
- Devi tentarci, Rei. Ne va della nostra sopravvivenza, e della morte di Setsuna.
Lei sorrise.
- Se è per uccidere Setsuna, sarò rilassata come nessuna di voi prima. Inizia da me.
- Inizierò da tutte e tre assieme.
Le tre Ami spostarono le amiche in tre punti separati della stanza, mentre ogni essere meccanico seguiva una sola donna con gli occhi e la testa. Makoto vide il toro fissarla, così come Minako sentì gli occhi azzurri e penetranti del gatto.
- Perché quell’uccellaccio mi fissa?
- Quell’uccellaccio come lo chiami tu sarà il tuo Soldier, Rei. Ora chiudi gli occhi e dimentica il costrutto. Visualizza il tuo vecchio Mars.
- Visualizzarlo?
- Pensa a lui, tenta di immaginarlo con tutte le tue forze. Più dettagli ricordi, meglio sarà.
Un piccolo sorriso increspò le sue labbra mentre ripensava al suo rosso lupo meccanico.
- Dalla tua espressione desumo che tu stia facendo quello che ti ho chiesto. Ora prova a chiamarlo con la mente, con tutte le tue forze, come se fosse una questione di vita o di morte. Fallo e continua a farlo finché non te lo dico io.
- Va bene… - mormorò, concentrandosi.
- Ricerca frequenza di risonanza del collegamento neutrinico in corso… - mormorò con gli occhi vitrei la Ami, così come stavano facendo le altre. I tre animali fremettero. – Frequenza di risonanza individuata. Tracciamento e della scia tachionica… Memorizzazione e decrittaggio dell’algoritmo in corso. Chiave di accesso recuperata. Contatto pilota del ricevitore. Riscontro positivo. Inizializzazione del ricevitore sui Soldiers. – ci fu una pausa. Gli occhi degli animali si accesero di un rosso sangue. – Inizializzazione completata. Modifica chiave di accesso e frequenza di emissione e ricevimento attuata. Salvataggio in corso.
- Ami… - Makoto disse ad alta voce. – Ami, cosa mi sta succedendo? Sento qualcosa alla base del collo… Perchè Jupiter sta scomparendo dalla mia mente? Ami? Perché sento questo vuoto?
- Tutto sarà completato nel giro di dieci secondi. Attendere prego. – rispose atona la voce di Ami, proveniente da tutte e tre le donne dai capelli azzurri. – Salvataggio completato. Riavvio sistemi dei Soldiers per rendere esecutive le modifiche. Ora.
I tre animali emisero un sordo ronzio per alcuni secondi, mentre gli occhi perdevano il colore brillante, per poi riprenderlo e acuirlo.
- Ami? Ho una strana sensazione al cuore.
- Aprite pure gli occhi. Ho spostato il collegamento dai vecchi Soldiers ormai disattivati ai nuovi, che ora prenderanno direttamente ordini da voi. Date loro il tempo di riavviare tutti i loro sistemi e di scaricare tramite il nuovo collegamento le informazioni necessarie per potersi fondere con voi.
- Fondere?
- Già. Ma come direbbe la vecchia Ami, “vi lascio nell’incertezza, e godetevi la scena.”
- Vi odio, sia la vecchia che la nuova… - brontolò la donna dai capelli neri, sentendo sempre più vicino a lei il corvo, come se fosse stato un vecchio amico. Un nome le venne alle labbra. – Deimos. – subito seguito da un altro. – Phobos…
Il grande animale nero sembrò tremolare, raggrinzirsi e ridursi come una mela lasciata troppo tempo al sole, finché non si ridusse alle dimensioni di un cane e si divise in due parti, ognuna delle quali si riformò nelle fattezze del corvo di partenza, sebbene di misura inferiore. Uno dei due animali aveva gli occhi rosso acceso, al contrario dell’altro che li mostrava gialli e penetranti. I due esseri sbatterono le ali e si alzarono in volo, compiendo alcune giravolte sopra Rei prima di posarsi sulle sue spalle e beccarla gentilmente sulle guance.
- Bravi, bravi i miei cuccioli… - sorrise lei, stupita dalla famigliarità con cui li stava trattando. - Ora so cosa intendi, Ami. E’ vero, sono miei vecchi amici. So che conoscono me meglio di chiunque altro, e che non mi tradiranno mai.
La donna sorrise annuendo.
- Attendiamo anche le altre, poi vedremo la tua forma da combattimento.
I due altri costrutti nanitici non cambiarono radicalmente come era successo a quello di Rei, ma semplicemente si avvicinarono alle nuove proprietarie muovendo la testa come ad accarezzar loro il fianco.
- Buono Artemis, buono… - rise Minako, grattando la testa bianca della pantera che aveva accanto. - Mi sbilanci…
- Non dirlo a me. Minosse ha una potenza incredibile! - esclamò Makoto, abbracciando il collo enorme del toro accanto a lei.
- Bene. - dissero le tre Ami, avvicinandosi tra loro e fondendosi sotto lo sguardo allibito delle tre amiche, finché non rimase che una figura, quella che loro si ricordavano, dalle fattezze robotiche, che immediatamente però creò su di sé una finta pelle per recuperare l’aspetto umano. Dalla porta di ingresso entrarono i due serpenti che erano il suo Soldier. - Adesso vedrete la mia forma in modalità di combattimento. Poi dovrete anche voi attivarla, per poter fissare anche i parametri di trasformazione nei vostri centri di controllo dei naniti.
- Tradotto?
- Al contrario dei vecchi Soldiers che o erano esoscheletri o erano esseri legati a noi, ma separati fisicamente, i nuovi Soldiers che ho creato sono fatti per potersi mischiare con i vostri corpi, se necessario, per cui diventerete una singola entità.
- Fa quasi paura…
- Per i nemici, forse… Cosa dobbiamo fare? - chiese Rei, attirata dall’idea di incrementare ancora di più la sua potenza contro Setsuna e la sua banda di pazze resuscitate.
- Dovrete solo pensarlo, ma prima permettetemi un piccolo vezzo, mostrandovi cosa posso diventare unendomi ai miei tesori…
- Ma tu sei la base ora.
- Vero, Makoto, ma ho legato il mio Soldier a uno specifico costrutto che mi rappresenta e che ora avete di fronte, e che sarà anche quello che vi seguirà. Egli, o meglio io da adesso, sono a tutti gli effetti Ami. Ora allontanatevi di alcuni passi, per favore. Tendo ad ingrandirmi.
I due serpenti si mossero all’unisono, arrotolandosi lungo le gambe della donna, per poi avvolgersi ed incrociarsi sul suo busto, dove iniziarono a sciogliersi, ricoprendo l’intero copro di uno strato metallico azzurrastro che si mosse di vita propria, gonfiandosi, modellandosi e modificando il suo colore e il suo aspetto. Dopo una decina di secondi la figura davanti a loro estese le braccia e sorrise, mostrando acuminati denti canini sotto due occhi gialli e dalle pupille verticali. Una massa di piccoli serpenti verdi dai riflessi ramati si muoveva senza posa dove avrebbero dovuto esserci i capelli, mentre una lunga coda squamata si era sostituita alle gambe, continuando con la sua colorazione azzurrastra a formare un body senza maniche che lasciava scoperta la schiena.
- Accidenti!
- Ecco la mia forma da combattimento, Sailor Gorgon. - tuonò la voce metallica di Ami, la sua lunga coda a frustare gentilmente l’aria emettendo un rumore simile a quello dei serpenti a sonagli.
- Impressionante!
- Figo! Anche la mia sarà così terrificante?
- Non ho le condizioni al contorno per poterti dare una risposta con sufficienti probabilità positive,o come direbbe la vecchia Ami, non saprei, Rei. Bisogna solo provare. Concentratevi e immaginate solo che i vostri Soldiers e voi diventiate una cosa sola, e lasciate che al resto ci pensino loro. Non vi faranno del male, non possono farvene…
Makoto sospirò e chiuse gli occhi, immaginando che Minosse e lei fossero la stessa cosa. Le due figure che lei si era immaginata con gli occhi della mente si sovrapposero, diventando una macchia più nera del buio dello sfondo, che lentamente prese forma e colore, mentre sentiva il suo corpo abbandonarsi ad una sensazione diversa, di potenza e di controllo che mai prima aveva provato, se non parzialmente mentre era vicina a Jupiter. Come spinta da qualcosa di segreto, aprì gli occhi, vedendo il mondo da una prospettiva diversa. Era più alta di Ami, a significare che superava tranquillamente i tre metri di altezza, e ogni sua fibra era pronta a tendersi e a sprigionare energia. Accanto a lei vide un essere incredibile, un incrocio tra Minako e qualcosa che poteva essere una pantera con dei lunghi tentacoli dorati sui fianchi, la testa del felino scomparsa per far posto al busto e al volto dell’amica, che comunque era variato, dotandola di occhi felini e di caratteristiche somatiche tipiche dei gatti, come il muso schiacciato e le vibrisse.
- Cosa ti è successo? - chiese la donna, rendendosi conto che la sua voce era altissima e rimbombante.
- Tu lo chiedi a me? - rise la bionda, quasi una serie di fusa mischiata nel tono languido, ma comunque potente. - Anche tu non scherzi come cambiamenti. Se solo ci fosse uno specchio…
- Basta chiedere. Costruzione superficie riflettente in corso. - disse Ami, mentre davanti ad ognuna di loro il pavimento si mosse per creare una superficie lucida e liscia di metallo così perfetto che mostrò loro come erano cambiate meglio del più fine degli specchi.
- Santa… - balbettò la bruna. - Sembro un minotauro. Un po’ strano, ma sembro un minotauro. Ho le corna ai lati della fronte, il volto scuro come il cuoio e simile a quello di un toro, le zampe a zoccolo e un paio di bicipiti che farebbero tremare chiunque. Mi sento fortissima, mi sento in grado di fare quello che voglio!
- Esattamente la sensazione che provo io. - sorrise la bionda, i cui capelli erano raccolti in una lunga treccia ornata di fili metallici, mentre le quattro zampe artigliate grattavano l’acciaio del pavimento. - Ma non ci stiamo dimenticando di qualcuno? Rei dov’è?
- Finalmente vi siete degnate di pensare a me! - esclamò stizzito l’essere che volteggiava sopra di loro.
- Rei!
- Non esattamente. Soldier Succubus mi piace di più. - ridacchiò lei, due enormi ali di lucide piume nere dietro la schiena e artigli da rapace al posto dei piedi. Tutto il suo corpo era nero, solcato da profonde striature rosso cupo che sembravano convergere al volto, rosso come nella sua normale forma da combattimento, ma modellato più verso forme femminili, per quanto spigolose. Due piccole corna ricurve, da muflone, le adornavano la testa, dove avrebbero dovuto esserci le orecchie, i capelli raccolti in trecce rasta a dondolarle sul capo e sulle spalle. - Vedo che sono l’unica che sa volare, di noi quattro. Certo sembriamo uscite da un videogioco fantasy. Gorgon, Succubus, tu Mako sembri un Minotauro e Minako un centauro strano… - sorrise mentre atterrava silenziosamente, le due ali a ripiegarsi dietro di lei.
- Soldier Minotaur. Aggiudicato. - esclamò la bruna. - E tu, infermierina?
- Mmmmm. Soldier Nightmare. Sento che posso davvero fare cose che provocherebbero gli incubi a chiunque…
- Basta la faccia…
- Rei! - risero le altre tre, mentre Minako la guardava falsamente abbacchiata.
- Comunque sia, ora siamo pronte. Prendiamo l’autobus per la Luna e andiamo a picchiare le nostre amichette.
- Affermativo. Sto già preparando quanto necessario. La navetta sarà operativa in ventitre ore, diciannove minuti e sedici, quindici, quattordici…
- Ok, ok. Un giorno e si parte. Bene, ho il tempo di divertirmi con i miei nuovi poteri… - sorrise maligna la donna, atterrando.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Vita tra strane amiche ***


- Posso chiederti una cosa, Ami, o ti disturbo?
- Figurati, Mako. Dimmi. – rispose la ragazza, smettendo di immettere dati in una tastiera che aveva fatto comparire dalla scrivania di fronte alla quale era seduta. Makoto era in piedi giusto dietro di lei, entrata da pochi secondi nella stanza, spoglia ma a suo modo adatta alla proprietaria. – E poi non mi disturbi mai. Come posso aiutarti?
- Niente di particolare, solo ero stufa di provare i nuovi poteri che ci hai fornito con i tuoi nuovi Soldier. Al contrario di Rei…
- Immagino… - si concesse un leggero sorriso.
- Cosa stai facendo?
- Nulla di particolare. Sto ricontrollando se tutto sulla navetta è a posto. Sai, le scorte di materiali, il cibo,e così via. Fortunatamente non abbiamo bisogno di aria e i nostri corpi sono decisamente resistenti agli sbalzi di gravità e pressione.
- Già… Ricontrollare? Tu che non sei sicura? – la prese in giro la bruna, sedendosi su una vicina poltrona di pelle sintetica nera.
- Beh, diciamo che odio stare con le mani in mano. Devo sempre avere qualcosa da registrare, catalogare, elaborare… - sembrò arrossire Ami. – Ma per adesso direi che ho ricontrollato abbastanza. – si stiracchiò. – Ti vada fare un po’ di movimento diverso da quello che propone la nostra focosa amica?
- Ovvero?
- Vieni. Ti faccio fare un giro per la base. Credo che alcune stanze ti potrebbero piacere.
- Ami?
- Dimmi Makoto.
- Non è necessario fingere così tanto con noi. Se per te va bene evitare di mostrare emozioni, o meglio, evitare di simularle, per me va bene, e credo anche per le altre…
- Si vede così tanto? – chiese quasi senza espressione.
Makoto rispose sorridendo.
- Un po’…
- Sai, quando ho iniziato a considerare me stessa come un’unità nanitica ad uso tattico e di elaborazione dati e non come l’entità Ami Mizuno, ho usato uno dei sentimenti che mi rimanevano ancora, la paura, per catalogare, immagazzinare o ricreare le varie emozioni che avevo ancora o che avevo perso, ma l’errore nella programmazione è che li devo richiamare consciamente, come subprogrammi di mimica superficiale o comportamentale, mentre nella realtà sono… spontanei. Ed era molto tempo che non usavo tali programmi, ma mi rendo anche conto che voi necessitate una compagna simile a voi, in aspetto e comportamento.
La donna la abbracciò all’improvviso, stringendola con forza e tenerezza allo stesso tempo, come faceva con i suoi due figli.
- Errore. Non logicità nelle azioni del soggetto Makoto. Sto calcolando le possibili cause. Nessuna ha una percentuale accettabile per essere probabile. Incertezza… - mormorò la ragazza.
- Questa è la vera Ami, non quella che tenti di creare, piccola. Se non ti senti di esprimere sentimenti, per noi va bene. – le sussurrò la bruna, lasciandola. – Allora, che cosa volevi mostrarmi?
- Sapendo la tua passione per la cucina, ho fatto creare all’interno della base una stazione perfettamente attrezzata con ogni cosa ti possa servire. Considera che da quando partiremo difficilmente faremo… errore… farete un pasto decente, per cui se vuoi approfittarne.
- Cibo? Io ci sono! – gridò Minako entrando, Artemis sulla porta a guardare le tre ragazze. Indossava come le altre un vestito che Ami aveva creato con altre nanomacchine, rendendolo perfetto per scomparire quando le donne si trasformavano ed esente da necessità come lavarlo, aggiustarlo o altro. Era inoltre legato alla volontà di chi lo aveva su, per cui ognuna poteva modificarlo a suo piacimento. Ami aveva optato per una versione molto simile alla sua vecchia tuta da combattimento, un indumento aderente nei toni dell’azzurro, comprensiva di guanti e stivali con un tacco basso e comodo. Makoto aveva preferito una gonna lunga plissettata con un motivo tartan nel verde marcio e nel marrone, coordinata con un maglione a collo alto in tinta unita verde e scarpe basse.
- Minako, scappi e mi lasci come una stupida nella sala di allenamento. Lo sai che non mi diverto con i droidi di Ami… - le raggiunse Rei, vestita con una canottiera bianca e con dei pantaloncini rossi e larghi che le lambivano le ginocchia, ai piedi delle scarpe da ginnastica slacciate. – Ah, ci siete anche voi. Mi pareva di aver riconosciuto i vostri odori.
- Io non odoro, io profumo! – la corresse la bionda, con un miniabito bianco ornato da dei decori arancioni e da una cintura dorata realizzata da anelli a forma di cuore, alta come Makoto grazie alle decolleté dal tacco alto e sottile coordinate al vestito.
- Quello che ti pare, ma hai un odore… A parte Ami. Lei sa solo di meccanico. Senza offesa.
- Senza offesa. Visto che siamo riunite, che ne dite di vedere le cucine, così credo che Makoto avrà da fare per alcune ore. Io devo effettivamente controllare l’estrazione dei materiali basilari. Ho appena ricevuto un messaggio dal programma di gestione delle trivelle che c’è un rallentamento che potrebbe portare un ritardo di circa due minuti nella partenza della navetta.
- Trivelle? – chiese Rei.
- Affermativo. Ma un’operazione alla volta. Non siete multitasking come me.
- Effettivamente non ho molte tasche nel mio vestito…
- Non credo intendesse quello, Minako. – la guardò divertita Mako.
- Ah, scusa… E tu non ridere, Rei, o ti faccio assaggiare da Artemis…
- Tentaci. Stasera si mangia coniglio. Tanto tra gatto e coniglio la differenza dopo cotti è poca.
Artemis soffiò verso di lei falsamente arrabbiato, i due corvi di Rei sulle sue spalle a guardare le quattro come se volessero prenderle in giro.
- Siete due bambine.
- E tu sei la mammina, Mako? Cosa vorresti fare? Sculacciarci?
- Pensavo più a non cucinare per voi. – sorrise cattiva lei.
- Ahi, questo è un colpo basso. Dai, andiamo a vedere questa famosa cucina, che poi voglio vedere le trivelle. Non starai mica rovinando il fondo marino, vero?
- Negativo. Ho costruito tubazioni appositamente realizzate per minimizzare l’impatto ecologico e estetico, estraendo quello che mi serve a grande profondità nella crosta terrestre o dall’atmosfera. – rispose la ragazza dai capelli azzurri. – I dati in mio possesso indicano che un recente terremoto ha mosso una vena lavica che utilizzavo per dare potenza alle trivelle, per cui ho un leggero rallentamento delle prestazioni prima non registrabile nell’estrazione del torio.
- E cosa ci fai con quel coso? E’ radioattivo!
- Affermativo, ma mi serve come combustibile per la navicella. Useremo un modello perfezionato di motore ionico teorizzato decenni fa da uno scienziato per viaggi intrasistemici. Al di fuori dell’atmosfera saremo in grado di raggiungere la nostra destinazione in meno di tre minuti. L’intero viaggio sarà terminato in quindici minuti.
- Quindi non serviranno nemmeno lo spuntino a bordo…
Le quattro risero all’ennesimo borbottamento della bionda, che si fermò con Makoto nell’enorme cucina, per darle una mano, mentre le altre due continuarono fino ad un ascensore, dove i due serpenti che erano il Soldier di Ami le stavano attendendo.
- Come li hai chiamati? – chiese mentre iniziavano a scendere.
- Domanda non completa. Chi?
- Loro, i tue due serpenti. Io ho Deimos e Phobos. E tu?
Lei sembrò pensarci.
- Non avevo dato loro un nome…
- E come li chiami?
- Semplicemente instrado le mie richieste tramite il collegamento neutrinico e loro eseguono, senza necessità di interfaccia vocale. E’ inutile. Quando voi parlate con i Sodiers in realtà ridondate il segnale, in quanto lo stesso concetto espresso dalla vostra voce è già trasportato dal flusso di dati criptato.
- Tecnoballe. – disse piatta la donna dai capelli neri. – Ami, tu avevi dato un nome anche al tuo mouse, figurati se non lo hai dato a loro.
- In senso astratto,direi di averli chiamati Ree e Ishi. Zero e Uno, come la totalità dei segnali possibili con il linguaggio binario.
- Molto sterile, ma a tuo modo appropriato… - sorrise Rei, quindi annusò di nuovo l’aria. – A che profondità siamo?
- Siamo alcune decine di metri sotto il livello marino, e la nostra meta è circa duecento metri sotto di noi. Le condizioni climatiche sono già tali da rendere impossibile la vita per un essere umano senza adeguati mezzi di sostentamento.
- Mentre noi non ne risentiamo. Come hai già detto tu, noi non siamo più umani. E non so se dire che mi dispiace.
- L’affermazione mi provoca confusione. Cosa intendi? Chiarire.
- Ho vissuto questi ultimi anni in una foresta, cacciando e sfogando la mia passione per la caccia e la legge del più forte, e francamente di tutto quello che ho visto l’unica crudeltà che ho visto proveniva dagli esseri umani. Tutti vogliono solo distruggere e uccidere per piacere o per loro comodità, non necessità. Ammetto di condividere alcuni aspetti della visione di Mamoru.
- Ma tu lo eri, e i Desideri in te hanno agito trasformandoti in ciò che sei. E quello che sei ti piace?
- Certo.
- Lo reputi positivo?
- Certo, che domande.
- Quindi hai appena negato la tua ipotesi, per cui la tua tesi è falsa. Se tutti gli esseri umani sono malvagi come tu hai postulato pocanzi, anche tu dovresti essere la rappresentazione del tuo desiderio più riposto, ma la tua natura di umana ti avrebbe portato a divenire qualcosa di ancora più malvagio.
- Ti ho perso, ma credo di aver capito il concetto. Ci sono i buoni come noi e i cattivi come Setsuna.
- Approssimativo, ma vero.
- E dopo?
- Dopo cosa, Rei?
- Dopo che abbiamo ucciso Setsuna e messo a riposare per sempre le altre sue amichette, che cosa faremo?
Ami si strinse nelle spalle.
- Saremo, semplicemente. Troveremo un nuovo scopo, come lo ha già trovato Makoto.
- Lei è fortunata. Ha una famiglia. Ma io? E Minako? E te? Certo, possiamo avere figli, e i naniti non si trasmettono, per cui i nostri figli sono normali, ma…
- La mi attuale condizione mi impedisce di procreare organicamente, e non ne ho intenzione. La nostra condizione ci rende virtualmente immortali, se non viene distrutta la quasi totalità degli elementi che ci compongono, e questo porta a una serie di quesiti a cui mi rifiuto di rispondere.
- Non puoi o non vuoi pensare al dopo? La tua vita come la mia sono focalizzate alla morte di Setsuna e delle sue creazioni, ma dopo?
- Ci penseremo, Rei, ci penseremo… - tagliò corto, tristemente, Minako.
Il silenzio scese nella piccola cabina finchè non arrivarono in fondo, e la porta si aprì vicino ad una piccola trivella che lentamente stava scavando e vagliando i minerali, che venivano instradati su differenti nastri trasportatori.
- Ecco come realizzo tutto. Recupero quello che mi serve dall’ambiente vagliandolo con le nanomacchine, quindi lo immagazzino compattato un apposite riserve pronto all’uso per creare quello che voglio, dai vestiti alla base alla navetta ai nostri Soldiers. Con lo stesso concetto sto stoccando materiale di base per le costruzioni vitali dopo che saremo arrivate sulla luna, poi sarà l’avamposto stesso a costruire se stesso.
- Mi fa impressione…
- Ho copiato l’idea dalla vita biologica. Da una cellula nasce tutto, per cui non capivo perché non fosse possibile fare lo stesso con l’adeguato programma. Ormai sono vicina a poter creare in linguaggio binario un programma autocosciente. Potrei definirlo un mio figlio, in qualche modo.
- Se sei così avanti, quindi credo che tu possa essere in grado anche di fare quello che fa Setsuna? Dimmi di no, ti prego?
- Certo che sono in grado. Lo ero pochi mesi dopo che siamo tornate sulla Terra. Un mero passatempo di cibernetica, considerando le potenzialità dei naniti. Motivare la domanda.
- Perché hai voluto studiare il modo di integrare meccanismi su parti umane o animali? E’ orribile.
- Negativo. L’applicazione è esecrabile, non lo studio di fattibilità. Un’arma non è colui che la usa. È solo uno strumento. Con le stesse tecniche utilizzate da Setsuna si potrebbero salvare vite umane. – rispose mentre toccava un pannello della trivella e chiudeva gli occhi per alcuni secondi. – Fatto, ora che ho impartito il nuovo programma, la trivella dovrebbe deviare alcuni flussi secondari al condotto principale, recuperando il tempo perduto. Stimo un ritardo di circa trecento settanta millisecondi.
- Non sarà un po’ tanto? – chiese ironica Rei.
- Attendere calcolo risposta probabile.
- Scherzavo… - sospirò lei.
Il resto del tempo prima della partenza trascorse tranquillo, allietato dai manicaretti di Makoto, alla cui degustazione si unì anche Ami, quindi tutte si riposarono prima di salire sulla nave, un semplice ellissoide di rotazione dotato di un piccolo condotto di scarico degli ioni e di una rampa di accesso che poi sarebbe scomparsa automaticamente.
- Fino alla fuoriuscita dall’atmosfera utilizzeremo un programma di mimesi simile a quello che avevo montato sul Mercury, per cui nessuno ci potrà rintracciare, quindi ci dirigeremo sul lato oscuro della luna, alle coordinate del… castello… di Mamoru. Arrivate faremo una ricognizione mentre la base si monterà almeno nelle sue unità principali. – spiegò la ragazza alle altre amiche. – C’è una probabilità dell’ottantadue e settantacinque percento che ci sarà un pesante scontro con delle unità di difesa di Setsuna prima di incontrare i veri nemici, ma non facciamoci trarre in inganno dall’eventuale facilità con cui le termineremo. Conta sulla quantità, oltre che sulla qualità, e probabilmente tenterà di sfinirci prima di mettere in campo Haruka e le altre.
- Va bene. – risposero all’unisono Rei, Makoto e Minako.
La navicella partì lentamente, con dolcezza, per tremolare appena uscita dall’accesso subacqueo della base, e scomparire alla vista. Si alzò in volo, diretta verso il satellite appena visibile nel buio che segue immediato il tramonto. Un pescatore sembrò osservarla, i suoi occhi due lenti rosse e luccicanti in un volto cadaverico dal ghigno congelato dalla morte.
- Stanno arrivando. – disse una voce femminile, migliaia di chilometri sopra di loro, decine di metri sotto il suolo lunare, osservando nello schermo quello che l’essere stava trasmettendo.
- Bhenhe. – gorgogliò in risposta un’altra, nel buio della stanza.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Comitato di accoglienza ***


La navetta atterrò leggera sul suolo lunare, i suoi campi di forza a spostare solo pochissime particelle ionizzate della polvere del satellite, evitando nuvole che avrebbero indicato ai possibili nemici la loro posizione nel raggio di centinaia di chilometri.
- Ora dobbiamo attendere alcune ore, in modo che la navicella abbia il tempo di trasformarsi nell’unità principale della nostra base.
- Poi da quella saremo in grado di costruire un’intera base?
- Affermativo, Rei. Non aspettarti la stessa comodità della vecchia base lunare…
- O della tua foresta.
- Molto spiritosa, Mako. Molto, molto spiritosa… - replicò la donna, come le altre scesa dalla navetta per sgranchirsi le gambe. Come le altre non aveva bisogno di respirare o di indossare particolari tute contro il freddo siderale, in quanto i naniti provvedevano al mantenimento di tutte le loro funzioni vitali. – Mi aspettavo un’accoglienza diversa. Un po’ più attiva…
- Credo che avrai tutta l’azione che desideri tra un paio di ore.
- Come mai lo dici?
- Manda in esplorazione il tuo Soldier, come ho fatto con il mio, anche se non è dotato di sensori di ricognizione e di mappatura del terreno. Vedrai molti giocattoli costosi e facili da rompere. – sorrise il volto per altri versi immobile di Ami.
Rei si concentrò un attimo, mentre Minosse e Artemis si strusciavano contro le loro proprietarie, quindi lasciò che i suoi due corvi si mossero nel vuoto del satellite, apparentemente senza curarsi dell’assenza di atmosfera che permetteva ai normali volatili di spiccare il volo. Ciò che i suoi occhi videro fu ciò che gli occhi di Deimos e Phobos videro.
- Però. Sembra che la nostra venuta non fosse poi così segreta, considerando quello che ci sta venendo addosso. Saranno almeno un centinaio, e sembrano Yoma.
- Livello? – chiese automaticamente Minako, mentre il suo gatto mostrava i denti e inarcava la schiena.
- Marmaglia. Credo dei cinque, ma non sono Yoma veri… Si muovono strani.
- Affermativo. Sono costrutti semisenzienti micronitici. – confermò Ami.
- Zombie meccanici, praticamente…
- Chiamali come ti pare, Mako, ma alla fine sono nemici. Quanto tempo ha bisogno la tua famosa navicella per essere in grado di difendersi da sola?
- Tre ore per il nucleo base, cinque per il sistema di autodifesa, quattro se dirotto il sistema di gestione delle comunicazioni con la base madre.
- Facciamo tre e mezza. Sono davvero tanti. Anche se siamo in quattro a combattere.
- Non credo che potrò essere di grande aiuto, Rei. Il mio Soldier Gorgon ha potenti capacità di autodifesa e di mimetica, ma ha scarse capacità di attacco. In qualche modo il mio vecchio Mercury era più armato.
- Pace… - sorrise la donna, mentre i due corvi ritornavano da lei e si fondevano nella sua tuta, trasformandola in Soldier Succubus e librandosi in volo. – Ci vediamo sul campo di battaglia, se ve ne lascio qualcuno!
- Sempre la solita. Vado a darle una mano. Mako, rimani con lei, la tua potenza dovrebbe essere sufficiente nel caso qualcuno dei mostriciattoli arrivi da queste parti.
- Come vuoi. – borbottò Soldier Minotaur, picchiando i massicci pugni uno contro l’altro, emettendo alcune scintille. – Era molto che non menavo le mani, a parte qualche discussione con gli operai i primi tempi…
Le quattro potenti zampe del Soldier Nightmare sollevarono piccoli sbuffi di polvere lunare mentre si allontanava dalla navetta, le sei fruste di energia dorata nell’aria, rivolte verso la battaglia, come a sondare il terreno o vogliose di poter colpire. In un paio di minuti, sfruttando la ridotta gravità lunare e la velocità della sua forma, raggiunse i margini di quello che la sua amica aveva definito un campo di battaglia, sebbene Minako avesse davanti agli occhi, che riuscivano a cogliere lo spettro degli infrarossi come quello dell’ultravioletto, più una sorta di parco giochi personale di Rei.
- Ti stai divertendo? – le chiese urlando, sebbene in realtà le comunicazioni avvenissero tramite trasmissioni radio.
- Tu che ne dici? – rispose lei ridendo, mentre con le zanne che si era fatta crescere in bocca dilaniava il collo di uno dei nemici, staccandogli la testa dal resto del corpo. – Non mi divertivo così da tempo. Anche se devo ammettere che iniziano ad essere tanti. Più ne ammazzi e più ne trovi.
Minako rise, iniziando a scendere il franoso versante del cratere in cui si stava svolgendo la battaglia. Uno degli esseri sembrò spuntare dalla sabbia, dando modo alla donna di osservarlo da vicino, aiutata anche dagli innumerevoli parametri che i suoi naniti le stavano mandando. Un nodo alla gola le impedì di maledire a gran voce Setsuna, vedendo quello che aveva fatto ai corpi di quelle persone.
- Sono solo esseri umani, sono solo persone che hai ucciso, hai sezionato, hai riunito e ricucito seguendo gli incubi del dottor Frankestein, persone che stanno non vivendo grazie ai tuoi giochi micrometrici. Ma non sono mostri. No. Il mostro sei tu, Setsuna. – pensò, mentre due dei suoi tentacoli si avvolgevano attorno al collo e smantellavano i legami molecolari uno alla volta, velocemente ed implacabilmente, staccando il volto, tumefatto e in parte segnato da cicatrici ancora aperte da cui spuntavano tubi e cavi colorati, dal corpo, che non era molto diverso dalla faccia, se non fosse stato per gli innesti animali per potenziare il cadavere ricomposto. – Riposa in pace.
- Ti sei decisa a darmi una mano?
- Direi anche qualcuna in più. Sebbene non credo che sia sufficiente il metodo che utilizzi tu…
- Perché?
- Guarda cosa succede alle ferite che infliggi.
- E come credi che possa guardarmi in giro se continuano ad attaccarmi?
- Quelle ali te le hanno date per bellezza?
- E come pensi che possa usarle, con tutta questa gente?
Minako sorrise. I tentacoli si ritirarono nel suo corpo, mentre alcuni fori neri si aprirono nella sua schiena. Piccoli oggetti scuri, quasi neri, in quantità innumerevole si riversarono fuori dal corpo di Soldier per dirigersi come dotati di vita propria verso tutti i mostri vicini a Rei, assaltandoli come se fossero vespe o altri insetti fastidiosi, provocando piccoli scoppi quando toccavano la pelle tesa e gonfia o il metallo lucido di cui erano composti quegli strani Yoma.
- Adesso puoi alzarti in volo. Afferrane uno e squarciagli la gola con i tuoi artigli, quindi portalo con te in alto, e osservalo. – le disse, mentre con una delle zampe posteriori schiacciava la testa del mostro che aveva ucciso prima, e che lentamente si stava riavvicinando al corpo per ritornare all’attacco. Uno dei tentacoli si riformò e si inserì nel tronco gonfio, immettendo dei naniti che velocemente bloccarono, distruggendo le funzioni basilari, i microniti atti all’autoriparazione.
- Cazzo, ecco perché mi pareva alcuni di averli già visti. Erano tornati in vita!
- Esattamente direi che non sono mai stati vivi. - arrivò direttamente nelle loro menti la voce di Ami.
- Ami! - gridarono entrambe, cercandola in giro, ma anche Rei non riuscì a vederla né nella sua forma normale né in quella di Gorgon. - Dove sei?
- Io sono vicino alla navetta con Makoto, ma sto trasmettendo con il collegamento a neutrini che ci unisce ai Soldiers. Ho esteso il concetto ad una rete locale di collegamento, molto più veloce e sicura di una radio. L’unico problema per adesso è che necessito del mio Soldier come ponte radio, per cui sto usando Ree e Ishi come ripetitori.
- Bello. Ora, a parte dover far toccare a Minako ogni singolo mostriciattolo esistente, altrimenti si rigenerano, cosa possiamo fare?
- Loro sono un effetto, la causa è da ricercarsi altrove.
- Parla chiaro, Nostradamus in gonnella. - brontolò Rei, distruggendo in piccoli pezzi il mostro che aveva tra gli artigli e scendendo in picchiata per tornare nella battaglia, mentre il Soldier Nightmare era impegnato a tenere lontani i nemici a pugni, zampate e frustate.
- Nessuno di loro, a parte alcuni programmi basilari di autosostentamento e protezione individuale, hanno una coscienza. Sono solo marionette, controllate da qualcuno.
- Setsuna?
- Potrebbe essere, Makoto, ma ne dubito. Se fossero state Haruka o altre, allora potevo pensare che loro erano legate alla loro creatrice, ma questi sono elementi di disturbo. Pesci piccoli, come direste voi. Chi li comanda non è lei.
- Quindi?
- Bisogna trovare la fonte che sta controllandoli ed eliminarla. Tutte le unità cadrebbero in stato di stand-by, rispondendo solo a precisi attacchi.
- Di fatto sarebbero innocui?
- Affermativo con una probabilità del novantanove e settantadue percento.
- E… - iniziò Minako. - Come facciamo a trovare la guida spirituale di queste cose?
- Voi tratteneteli come state facendo. Io ritiro il mio Soldier e mi unisco a lui. Con la mia velocità di calcolo e le sue possibilità di intercettazione e analisi in sinergia potrò trovare sicuramente la fonte del segnale in… analisi in corso… meno di tre minuti.
- Solo tre minuti? E io che speravo di divertirmi di più… - mormorò falsamente affranta la donna dai capelli neri, sputando un pezzo di metallo che le era rimasto incastrato nelle fauci. La sua ala destra divenne tagliente e dura come un rasoio mentre la usava per dividere di netto in due uno dei nemici. - Non puoi impiegarci qualche oretta?
Makoto e Minako risero.
- Vedrò cosa posso fare. Ree e Ishi in fase di rientro. ETA dieci minuti e dodici secondi. - rispose atona Ami, mentre i due serpenti iniziavano a ritornare da lei, solo delle leggere impronte nella fredda sabbia lunare ad indicare il loro passaggio, resi invisibili da un efficacissimo e avanzato sistema di mimesi ottica, che venne disabilitata solo quando entrarono in vista della navetta, che in quel tempo aveva già cambiato la sua forma in una sorta di semisfera metallica che si stava lentamente gonfiando ed emettendo altre quattro semisfere più piccole, come delle gemme.
- Eccoli di ritorno. Certo che sono veloci… - disse Makoto indicandoli con il dito.
- Devono essere dei perfetti ricognitori. La velocità è basilare. - spiegò Ami, mentre uno dei due le si attorcigliò attorno ad una gamba e poi su fino al volto, in qualche modo leccandola con la lingue metallica e biforcuta.
- Mi siete mancati anche voi, piccoli… - sospirò, mostrando un atteggiamento quasi contrario alle sue normali abitudini. - Ora dovremo lavorare assieme per un po’. Vi va? - chiese come se loro potessero negare.
Un battito di ciglia e Ami divenne Soldier Gorgon, la sua capigliatura di serpenti a muoversi continuamente nell’aria mentre la sua coda si rizzava dritta alle sue spalle, muovendosi impercettibilmente, come a saggiare infinitesime variazioni di qualche cosa che solo Ami poteva captare e gustare. Chiuse gli occhi, sorrise, un sorriso leggero, come rilassato, e si concentrò vagliando e scartando, confrontando e controllando tutte le frequenze possibili che riceveva, dal respiro del Sole alla debole musica proveniente dalle fasce di Van Allen, dalla grancassa del cuore pulsante di Makoto alla gioia delle vibrisse di Minako nel vedere Rei vittoriosa ogni secondo di più. Una piccola scia iniziò a farsi strada nella sua ricerca, una piccola traccia di particelle bosoniche sovraccellerate che sembrava ricoprire l’intera zona del campo di battaglia come mille altre frequenze, ma che stranamente convergeva verso un unico punto. Dopo pochi millisecondi di analisi Ami capì da dove proveniva, e riaprì gli occhi vittoriosa.
- Trovato qualche cosa?
- Affermativo. Conosco l’ubicazione, ma non chi li comanda. Capisco anche che potevo analizzare antecedentemente la situazione e giungere alla conclusione prima. Chi comanda questi costrutti tecnorganici si trova alla vecchia base lunare.
- La nostra?
- No Mako. Quella dove abbiamo trovato i Desideri. O meglio dove loro hanno trovato noi.
- E con loro come la mettiamo? Mica possiamo lasciarli qui a divertirsi per sempre con me o con Minako.
- Se con loro intendi i costrutti, non ti preoccupare. Ci seguiranno per un po’, quindi si dirigeranno verso la navicella, ma per allora i sistemi di autodifesa saranno attivi e più che sufficienti per tenere a bada il nemico fino alla disabilitazione della fonte del segnale di comando.
- Disabilitazione. Una maniera gentile per dire che li uccideremo.
- Per la seconda volta, Minako. Per quella definitiva, se mi consenti. - la corresse Makoto, mentre con la sua amica iniziavano a dirigersi verso il campo di battaglia e da lì alla base lunare, che distava, grazie ai loro potenti corpi, solo venti minuti dal luogo della lotta.
Come previsto da Ami, dopo alcuni minuti di inutile inseguimento, il gruppo di Yoma desistette e si diresse verso la loro navicella, che stava completando le ultime modifiche per la propria difesa prima di iniziare la costruzione di un sistema di ripetizione dei segnali radio, attingendo alle scorte stivate nella sua massa e estraendo il resto dal suolo lunare.
- Sei sicura che non ci saranno problemi con la navicella?
- Sì, assolutamente, Rei. Considerando la curva di sviluppo, la probabilità che il primo Yoma arrivi alla base prima che i sistemi di difesa siano attivi è infinitesimale. E comunque la struttura è in grado di reggere gli urti di tali esseri. – rispose Ami. I serpenti che erano la capigliatura si volsero tutti verso una precisa direzione. – Aspettate. Rilevo un’attività elettromagnetica dietro quella struttura calcarea. Nessuna traccia di attività ostile, troppa poca potenza. Probabilmente una telecamera.
- Ci stanno spiando?
- Molto probabile. Ma non da quella postazione. Troppo facile da individuare… - disse Ami, mentre alcuni dei serpenti si guardarono intorno, quindi fulminea la sua coda si allungò dietro di loro, leggermente sulla sua sinistra, colpendo sotto la sabbia, per poi tornare in superficie, un lungo pungiglione ad infilzare quello che sembrava un grosso animale metallico dotato di varie paia di zampe.
- Cosa diavolo…
- E’ totalmente composto da microniti… - borbottò Minako, osservandolo con i suoi occhi dalle pupille verticali e con gli occhi dei naniti delle sue fruste dorate. – Una sorta di telecamera molto sofisticata e semovente. Audio e video di prima qualità. Verso chi?
- Domanda interessante. Analisi costrutto in atto. Attendere prego. Analisi completata. La trasmissione è per distanze calcolabili in minuti luce senza perdita di chiarezza nel segnale. Si ritrovano alcune caratteristiche degli apparati di trasmissione dei Soldiers e delle navette di trasporto di seconda classe. Probabilità che la ricezione avvenga sulla luna prossima allo zero. Possibilità che la trasmissione sia diretta ad un pianeta vicino al satellite, novantadue e sette percento. Terra con una probabilità prossima alla certezza.
- Tradotto ci stavano guardando dalla Terra… Ma se erano sulla Luna, perché…
- Un passo alla volta, Makoto. Per adesso occupiamoci della padrona degli Yoma, poi vediamo chi si diverte a usarci come reality show.
- Concordo.
- Che tattica abbiamo intenzione di usare?
- Entriamo, spacchiamo tutto e ce ne andiamo?
- Pensavo a qualcosa di più fine…
- Oh, andiamo Minako, stiamo parlando di Setsuna. E’ inutile andare per il sottile.
- Al contrario, Rei. – la corresse Ami, tornando alla sua forma umana e mandando i suoi due serpenti in esplorazione. – Abbiamo necessità di sapere quanto possibile e di agire nel migliore dei modi. Setsuna può e deve essere fermata, ma non possiamo rischiare di rimanere intrappolate in qualche suo trucco solo per imprudenza.
- Abbiamo i Desideri…
- Sono potenti, non sono dei miracoli. Se rimanessimo intrappolate sul suolo lunare, o se subissimo danni troppo gravi, anche i Desideri si fermerebbero, cessando le loro funzioni. Sono comunque macchine, non dimenticarlo.
- Mi togliete tutto il divertimento… - mormorò come una bambina triste la donna, pur capendo che aveva ragione. – Quindi hai mandato i tuoi lombrichi a vedere se ci sono trappole.
- Errato. Sono due costrutti nanitici a sembianza animale, e hanno un nome. Non offenderli. Relativamente alla tua domanda, affermativo. Sono stati progettati per essere delle unità di ricognizione, per cui stanno facendo il loro lavoro, mandandomi tutti i dati, che sto raccogliendo, sistemando e interpolando per fornirvi una sorta di mappa che passerò direttamente al vostro cervello tramite il nostro sistema integrato di comunicazione.
- Meglio del navigatore satellitare… - scherzò Rei, aspettando come le altre che il Gorgon finisse il suo lavoro.
Solo quando tornarono indietro e si unirono nuovamente ad Ami, le quattro si mossero, arrivando fino ad una spessa porta in materiale rinforzato.
- E’ a prova di radiazioni, quindi nessuno dei miei scanner può oltrepassarla.
- Sembrerebbe l’accesso ad un hangar. Forse per una delle prime navette.
- Probabile. Da qualche parte dovrebbe esserci il sistema di apertura… - disse la bionda, cercando lungo i bordi della spessa e larga porta, finchè non trovò un pannello alfanumerico.
- E ora chi indovina il codice?
- Direi che potremmo provare senza… - sorrise Makoto, flettendo i potenti muscoli delle dita, stringendole poi a pugno. – In una maniera o nell’altra avete provato tutte il vostro Soldier. Vorrei far sgranchire un po’ anche Minosse.
- Come vuoi. La porta è tutta tua. – sorrise Rei, incrociando le braccia e appoggiando la schiena ad una delle rocce vicine.
- Grazie.
La bruna si avvicinò alla porta, cercando il punto in cui le due metà si univano a formare comunque una linea che appariva ancora integra e sigillata nonostante il tempo e le condizioni gravose. Tentò di infilare le grandi dita, ma il materiale non cedette. Quasi mugugnando Makoto colpì con un pugno che fece risuonare l’intera parete la porta, lasciando l’impronta delle sue nocche nel metallo, e liberando abbastanza spazio per poter infilare due polpastrelli. Iniziò a spingere, piegando lentamente altro metallo, infilando un altro dito, e un altro ancora, fino a poter poggiare tutte le dita e far leva, il portone a lamentarsi mentre i sistemi di chiusura iniziavano a cedere sotto la forza spaventosa del Soldier Minotaur. Appena potè anche l’altra mano fece da cuneo. I muscoli si tesero, si ingrandirono, sembrarono moltiplicarsi per reggere lo sforzo, finchè con un colpo secco i pistoni oleodinamici si spezzarono, e le due paratie corsero nelle loro sedi come impazzite, rimbalzarono contro l’intelaiatura e tornarono in parte indietro, richiudendo a metà il passaggio.
- Spaventoso. Mai visto una forza del genere. Se erano come l’accesso all’hangar che avevamo nella vecchia base, nemmeno una bomba atomica poteva farle cedere.
Makoto ansimava.
- Spero di non doverlo rifare. E’ stato divertente, ma spossante. Mi sembra di voler solo dormire.
- Hai dato fondo alle tue riserve di energia. Dai tempo ai naniti alcuni minuti per ripristinare i corretti livelli e tornerai come nuova. Comunque concordo nel non dover di nuovo usufruire in maniera così elevata delle capacità dei Desideri.
- Quindi abbiamo dei limiti.
- Come tutti, Rei, come tutti. Ora proseguiamo, e attenzione, non ci sono mappe qui. Tutte le informazioni le sto passando anche a voi in tempo reale. Minako?
- Ho già pronto un eventuale stormo di disturbo come quello usato con gli Yoma, oltre alle mie fruste di energia.
- Rei?
- Devi solo dirmi chi e dove colpire. Al resto ci penso io. – sorrise mentre gli occhi si infiammavano per un istante, dandole davvero un aspetto demoniaco e terrificante, sebbene stranamente affascinante.
Proseguirono, senza nessun problema, senza nessun disturbo se non alcune porte chiuse dall’interno o bloccate dalla vecchiaia e dai danni dovuti alla nascita dei primi due Desideri, Usagi e suo marito Mamoru. Stavano avvicinandosi alla fonte del segnale, nelle profondità della Luna, varie decine di metri sotto la superficie fredda del satellite.
- Sbaglio o fa caldo? - chiese Makoto.
- Affermativo. La fonte di tale calore sembrerebbero vari dispositivi meccanici ed elettronici rimessi in funzione tramite celle di emergenza, in quanto non è possibile ripristinare il nucleo principale di energia. Posso ipotizzare che Setsuna abbia utilizzato le sue conoscenze scientifiche per sistemare quanto possibile la vecchia base, sotto alcuni punti di vista più facile da controllare e gestire che quella in cui lavoravamo. E’ un tecnologia più vecchia, quindi più facilmente utilizzabile e riparabile, sebbene non performante quanto quella attuale.
- Cosa ha rimesso in funzione, che tu sappia?
- Sicuramente i sistemi di sopravvivenza e la climatizzazione, considerando che negli ultimi due locali attraversati c’era presenza di aria respirabile e di temperature moderate, attorno ai diciotto gradi centigradi. Ipotizzo che sia presente almeno un elemento vivente in questa base, altrimenti tali condizioni non sarebbero necessari ai soli costrutti micronitici.
- Potrebbe quindi essere Setsuna?
- Negativo Minako. Avremmo già incontrato resistenza di livello superiore ai semplici mostri con cui ti sei già battuta. Analizzando anche la presenza del trasmettitore da me scoperto, sto formulando un’ipotesi che non credo potrà piacervi.
- Ovvero?
- A tempo debito. Analisi ancora in corso. Troppe variabili al contorno per un risultato accettabile. - si bloccò, i suoi serpenti con gli occhi aperti e fischianti, come ad indicare un pericolo. - Attenzione, rilevo attività energetica ostile oltre la porta alla nostra destra.
- Quanto ostile? - chiese Minako.
Un laser violaceo perforò la porta in metallo rinforzato scontrandosi con la schiena di Makoto, che si era posta fra il raggio e la testa di Ami.
- Abbastanza direi. Mi ha fatto un po’ male… - ringhiò la bruna, mentre i suoi naniti iniziavano già a ricostruire la placca protettiva bruciata dal laser.
- Mai visto di quel colore… Bellino.
- Attenta Rei. E’ un nuovo laser. Il prototipo era presente negli archivi informatici della base. Se adeguatamente alimentato riesce a perforare ogni cosa, e se ha fatto un danno del genere al Minotaur, per te non ci sono speranze se vieni colpita in un punto vitale.
- Basta staccarlo da chi lo usa prima che lui possa usarlo. Niente di difficile. - rispose all’amica gettandosi verso la porta, che cedette in un attimo sotto il calcio ruotato di Succubus.
- Rei! - gridò Minako. - Sei impazzita?
- Stai con Ami. Io la seguo! - disse Makoto, infilandosi nel buio della stanza dove lampi improvvisi violacei e fiammate rossastre illuminavano a tratti esseri deformi. - E poi se sopravvive la ammazzo io… - brontolò.
- Vado anche io. Se si fanno male…
- No! - la interruppe l’altra. - Sono solo un diversivo quelli. Non hanno nemmeno capacità di rigenerazione. Il vero obbiettivo non è oltre loro. E’ molto vicino, è…
- Sono qui, Ami. E’ un piacere rivederti, piccola serpe… - disse la voce metallica di Setsuna, alle loro spalle.
Nightmare e Gorgon si voltarono, incapaci di parlare alla vista di ciò che stava loro davanti.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Un'amara scoperta ***


Rei e Makoto erano troppo occupate a combattere, proteggendosi a vicenda, tentando di evitare lo Yoma, se così si poteva chiamare quell’essere, che aveva tra le zampe il laser sperimentale, per accorgersi di quanto stava succedendo fuori, e le quattro non avevano ancora la dimestichezza di usare in automatico il sistema di radio neutriniche che prima aveva utilizzato Ami. Altrimenti avrebbero sentito le urla di orrore delle loro due amiche.
- Attenta! – gridò Succubus, spintonando l’amica per toglierla dalla traiettoria di un essere a quattro braccia che l’avrebbe di certo bloccata per poi permettere al laser di colpire a fondo e precisamente.
- Grazie. Sono fastidiosi, ma stiamo iniziando ad avere la meglio. Se solo riuscissimo a beccare quel maledetto con il neon violetto.
- Già. Spero che presto ci possano raggiungere anche le altre. Nonostante tutto, mi piace l’idea che anche Minako sia della partita. Il suo gattino è portentoso…
All’esterno, il Nightmare stava lentamente indietreggiando, a protezione di Ami, ancora incapace di reagire di fronte a quello che Setsuna aveva creato. Le fruste si muovevano lente, all’altezza del garrese, come intimorite, riflettendo i sentimenti della loro padrona.
- Non ci credo… - bisbigliò, disgustata.
- Credici, credici, è tutto vero. – le rispose ridacchiando la voce di Setsuna, proveniente da un piccolo altoparlante posizionato su quella che si poteva definire la spalla destra dell’essere davanti a loro. – Hai visto cosa posso già fare, se mi metto di impegno, vero?
Ami ricercò nella sua banca dati locale una preghiera e in una frazione di millisecondo ringraziò l’assenza all’interno del suo corpo di uno stomaco, altrimenti avrebbe vomitato. Di fronte a lei si ergeva un essere alto circa tre metri, composto quasi totalmente da parti organiche tenute assieme da pochi elementi meccanici e sicuramente da varie strutture micronitiche dove le sezioni appartenenti ad individui diversi si congiungevano. La struttura principale era quella di un bue, o di una mucca, massiccia e tozza, con quattro zampe dai grossi zoccoli rese ancora più resistenti dagli innesti cibernetici che entravano ed uscivano in vari punti dagli arti, una versione distorta di muscoli, lucida e stridente ogni qualvolta una delle zampe si muoveva. La testa era stata rimossa, una lunga cicatrice suturata in maniera quasi grezza a sottolinearne la mancanza. Alcuni tubi in cui circolava un liquido scuro, quasi marrone, fuoriuscivano dal collo, correndo ai lati del tronco per poi infilarsi all’altezza delle reni del busto vagamente femminile che era stato come incollato sulla schiena dell’animale. In quel punto erano visibili i segni di varie operazioni chirurgiche, alcune ancora relativamente fresche, sebbene in via di guarigione grazie sicuramente ai microniti addetti alla riparazione dei tessuti. Una piccola porzione dell’intestino tenue era visibile sotto una placca di plastica trasparente che aveva sostituito gli addominali, e sebbene potesse sembrare solo un’impressione, quel budello corrugato pareva muoversi con un ritmo che riprendeva quello con cui il liquido marrone nei tubi scorreva viscoso e pesante, oltre che caldo, a giudicare dai dati dei sensori del Gorgon e del Nightmare. Le costole di destra e parte di quelle di sinistra del busto umanoide erano state rimosse, per permettere ad almeno sei braccia di essere attaccate in vario modo. Solo un seno, bluastro e quasi sull’orlo dell’imputridimento, rimaneva ad indicare, oltre a quanto restava del volto, che una volta quel busto apparteneva ad una donna.
- Fisionomia non sconosciuta. Ricerca nel database. - disse Ami, senza distogliere lo sguardo dall’essere.
- E’ orripilante…
- Non che tu sia meglio, Minako. - gracchiò l’altoparlante, mentre la bocca del mostro, sottile e in qualche modo ancora aggraziata nonostante i vari cavi elettrici che entravano ed uscivano da essa, iniziava ad aprirsi, della bava biancastra e densa a colare ai lati.
Sopra gli occhi chiusi la fronte era tagliata di sbieco, eliminando l’orecchio sinistro per dare spazio a quello che pareva un grappolo di lobi di cervello umano. Parte di quello della testa era visibile, con due grossi cavi che curvavano e sparivano dietro al collo, mentre altri, apparentemente decine, erano uniti tra di loro da una rete di scuro metallo lucido e semifluido, certamente di natura micronitica, oltre che da un tubo in cui scorreva un fluido azzurrognolo, quasi trasparente, con alcune bolle di gas all’interno. Le varie braccia munite di mani, servivano a sostenere l’enorme massa di materia cerebrale, e con orrore le ragazze si accorsero che altre mani erano state impiantate sulla schiena di quella che Ami riconobbe finalmente come Luna.
- La tua assistente è servita anche da morta, sembrerebbe… - disse Gorgon, vibrando la coda come per manifestare un sentimento di rabbia o di dolore.
- Da morta? No. non lo è. Grazie ai miei studi, sono riuscita a tenerla ancora in vita, anche se leggermente modificata nell’aspetto. E’ lei che controlla i vari Neumani.
- Neumani? - sibilò Minako.
Alle loro spalle due porte si chiusero, mentre i rumori di lotta nella stanza dove stavano combattendo Rei e Makoto si affievolirono a causa dello spessore della parete scorrevole che era scivolata sull’entrata.
- Siete separate, ora. - Rise. - Sì, Neumani, gli esseri che ho creato, e che sono solo le prime tappe per una prossima generazione di esseri che sono oltre che umani, sono migliori, più forti e praticamente immortali. Se non sei esattamente quello che si dice vivo, non puoi morire del tutto, no?
- Tu sei pazza!
- Forse, gattina, forse, ma per adesso sono io quella che ha le carte migliori. Io sono sulla Terra, voi no. Io sono al caldo e con della buona aria, voi no. Io non ho nemici davanti a me, voi sì. E… - la sua voce rimase sospesa nell’aria per qualche secondo. - Io sono in compagnia di quattro carissime persone che una di voi ben conosce, voi no.
- Che cosa stai dicendo?
- Credevate davvero che non mi sarei accorta di voi in questi anni? Ho solo atteso il momento giusto. La nostra cara Ami sarà felice di scoprire che è rimasta sola. Nessuna base, nessuna copia di sicurezza. Una bomba ben piazzata appena voi siete atterrate sul nostro satellite ha fatto quanto doveva. - Uno dei cervelli sembrò pulsare leggermente, e una smorfia di dolore comparve per un istante sul volto tumefatto di Luna. - Ah, dai dati che ho davanti a me direi che le vostre amiche hanno appena disattivato totalmente il mio fido cuccioletto con il laser. Ha retto tanto, per essere il prototipo. Ottimo. Gli altri che sto costruendo in serie, qui sulla Terra dove materia organica ne ho quanta ne voglio, saranno decisamente più resistenti.
- Non credo che riuscirai nei tuoi intenti, pazza scatenata. Ci saremo sempre noi a contrastarti!
- Belle parole, gattina, ma che contano sono i fatti. Ora comunque vi lascio, ho due stupendi bambini e un maschietto aitante a cui attendere. Dite a Mako che a sua suocera ho pensato io. Non si dovrà più preoccupare di lei! E che non mi ringrazi, l’ho seviziata con immensa gioia. – rise, quindi ci fu una scarica statica nell’altoparlante ad indicare che il collegamento si era interrotto.
Da Luna provenne un rumore sordo, come un cupo brontolio proveniente dalle labbra violacee. Gli occhi chiusi si aprirono lentamente, mostrando due pupille biancastre e spente, lattiginose. La bocca si mosse in una sorta di muto urlo, a mostrare il moncherino scuro che una volta era la base della lingua, quindi l’orripilante creatura iniziò a muoversi verso di loro, mentre i cervelli ballonzolavano tenuti dalle mani che sembravano avere spasmi leggeri, come se non rispondessero totalmente ai nervi. Le due si spostarono agevolmente, evitandola, ma lei immediatamente si voltò e ricominciò a caricarle, mentre alle sue spalle la porta che si era chiusa, e da cui erano entrate le quattro, si aprì, facendo entrare una moltitudine di esseri simili in tutto e per tutto ai mostri che avevano già combattuto nella piana poco prima.
- Situazione. Esseri in numero potenzialmente pericoloso. Esigui danni tramite attacco dei singoli soggetti, probabilità di terminazione delle unità Desideri in caso di attacco in massa uguale al novantadue e quindici percento. Si consiglia fuga o rimozione dell’unità di controllo principale, identificata in soggetto Luna.
- Facile a dirsi. L’hanno circondata e la stanno difendendo con rabbia, anche se provo solo a far avvicinare un mio tentacolo… - brontolò Nightmare, schiacciando con una zampata uno degli esseri che si era avventurato verso di lei. – Non sarà una passeggiata ucciderla. Considerando che un po’ mi dispiace. Non ha certo voluto lei diventare così…
- Capisco i tuoi sentimenti, Minako, ma dobbiamo farlo. Lei è ciò che ci impedisce di uscire dalla base, e da quello che ha detto Setsuna, dobbiamo tornare sulla Terra al più presto.
Un rumore sordo e un tonfo che sollevò una piccola nuvola di polvere fece voltare le due donne, pronte a dover affrontare un nuovo nemico, trovandosi invece ad osservare Rei e Makoto, le loro armature leggermente rovinate, ma in via di riparazione. La donna dai capelli neri aveva un profondo taglio nel braccio sinistro, che si teneva con la mano, una smorfia di dolore sul volto grottesco.
- Sei ferita gravemente? - chiese la bionda.
- Nulla che non possa essere rimarginato nel giro di poco. Quel laser brucia come l’inferno, ma mi ha preso solo di striscio.
- Non dire cazzate, Rei! – Muggì quasi l’altra. – Ti ha passato il braccio da parte a parte, lasciandoci un bel buco prima che tu ti spostassi. Minako, dacci un’occhiata.
- Dopo. Credo che abbiamo un problema molto più urgente della mia ferita. Quella chi è?
- Luna, o ciò che rimane delle sue spoglie organiche. – rispose Ami. – E’ lei che controlla quelli che chiamiamo Yoma, ma che Setsuna ha ribattezzato Neumani.
- Siano quello che siano, sono schifezze. Se non altro, se c’è Luna, siamo vicine anche a Setsuna. La sua assistente non andava nemmeno di corpo se non glielo diceva la sua capa.
- Errato. Abbiamo avuto una comunicazione con Setsuna pochi minuti fa. E’ sulla Terra, e da quello che ha detto ha creato e creerà non pochi danni. – la corresse Ami trapassando con la sua coda uno dei Neumani. Un altro dei cervelli sembrò pulsare, per poi afflosciarsi come un palloncino scoppiato.
- Ha la tua famiglia, Makoto!
- Cosa? – esclamò sconcertata la donna, Era visibilmente sconvolta, anche arrabbiata, ma si contenne nel giro di un secondo. – Stai scherzando, vero Minako?
Lei non parlò, rispondendo alla sua domanda. Soldier Minotaur si portò le mani al volto come a coprire delle lacrime, quindi caricò come una furia inarrestabile i vari mostri che le si paravano davanti, cercando di arrivare a colpire Luna, o ciò che ne rimaneva. La quantità di Neumani che le si aggrapparono alle gambe e alle braccia fu tale da fermarla e farla cadere a terra, costringendo Rei a darle una mano, mentre uno dei tentacoli riuscì finalmente a colpire il fianco del corpo taurino di Luna, lasciando un profondo segno scuro e fumante, come se la pelle avesse toccato dell’acido bollente. Luna aprì di nuovo la bocca tentando di urlare, ma non si mosse. Il liquido che scorreva nei tubi si fece più veloce, le bolle a turbinare cozzando contro le pareti trasparenti, entrando ed uscendo dai vari cervelli. I vari mostri rimasti sembrarono diventare più cattivi, più veloci e precisi nel loro tentativo di colpire le quattro.
- Sembra che si sia incazzata.
- Sai cosa me ne frega, Rei… - rispose Minako. – L’unico problema è che di nuovo non riesco ad arrivare a lei.
- Bisogna eliminare i vari cervelli.
- Facile, Ami. Come? Chiedendoglielo?
La donna rimase in silenzio, come inebetita, mentre in realtà tutti i sensori di cui disponeva erano in azione cercando un punto debole e la sua capacità di elaborazione era impegnata a cercare una strategia.
- Necessitiamo di eliminare il fluido all’interno dei tubi. I cervelli non saranno ossigenati e moriranno. Problema. Non possiamo toccare i tubi, o il fluido distruggerà quello che toccherà.
- Come mai? – Chiese Rei, sputando un braccio tumefatto che aveva strappato con un morso e pulendosi la bocca con il braccio. – Schifo di sapore…
- Acido perfluorico. Ottimo ossigenatore per tessuti organici in assenza di aria.
- Ma non esiste! Sarebbe la cosa più vicina all’antimateria!
- Errato, Minako. Teorizzato alcuni anni prima del primo reattore ad antimateria ad uso industriale, è stato realizzato in piccole quantità e conservato tramite campo statico.
- E i tubi?
- Sintoceramica trasparente. Totalmente apolare, quindi inattaccabile dagli acidi o dagli ioni in generale.
- Quindi se tagliamo il tubo quello che c’è dentro ci distruggerà?
- Affermativo, Rei. Possibile soluzione. Necessito trecento secondi per recupero strumento a fotoni accelerati in grado di tagliare i tubi senza provocare danni primari o secondari alle nostre unità Desideri.
- Eh?
- Va a prendere il laser che è rimasto nella stanza e lo userà contro di lei.
- E parlasse come mangia… - borbottò Rei. – Ah, già, non mangia, quella. – La sua zampa afferrò un Neumano e lo lanciò contro il muro rinforzato, provocando un rumore secco e una macchia di sangue scuro. – Trecento secondi, eh? Conta, Ami, che il tempo passa. Dai!
Le tre fecero quanto era in loro potere per lasciare campo libero al Soldier Gorgon, che tremolò leggermente e scomparve, attivando la sua mimesi. Piccoli segni sul muro e poi sul soffitto indicarono il suo tragitto.
Tutto sembrò non finire mai. I mostri parevano infiniti, la loro capacità di riparazione e la loro tenacia nel difendere Luna erano quasi commoventi e sicuramente fastidiosi, mentre la stanchezza iniziava a farsi sentire nelle membra di Rei e di Makoto. I tentacoli di Minako avevano perso un po’ della loro brillantezza, e sicuramente molta della loro precisione. Ci fu un crepitio, una sorta di scarica statica che si diffuse in tutta la stanza, quindi un raggio violaceo squarciò l’aria, trapassando alcuni mostri per poi finire su uno dei tubi, che si arroventò e poi fuse, lasciando fuoriuscire il liquido azzurrognolo che a contatto con l’aria evaporò immediatamente, creando delle piccole bolle di fiamme biancastre che si espansero velocemente.
- Copritevi gli occhi e mettetevi al riparo! – gridò Ami, riparandosi nuovamente nella stanza da cui era uscita, mentre le altre due Soldier si chinarono e vennero protette dalla pesante corazza di Makoto.
Il fluido bruciò ogni cosa, dai mostri all’aria, risucchiandola, riscaldandola, sparendo in una serie di piccole esplosioni che si fecero una più forte dell’altra finché non raggiunsero il culmine e poi scemarono.
- E’ finito? – chiese Rei – Che cazzo è successo?
- Non lo so, ma fa male… Metà della mia corazza è sparita, e l’altra metà di certo non sta meglio. Ami?
- Presente e operativa. L’acido ha eliminato tutti i nemici, sebbene la fonte sia ancora viva. Apparentemente per poco… Calcolo tempo residuo in corso…
Il Minotaur si raddrizzò con un urlo soffocato, la schiena totalmente corrosa a mostrare una sorta di muscoli sfrigolanti e alcuni tratti di ossa scure e fumanti. I tentacoli del Nightmare si mossero leggeri, teneri verso le ferite profonde e ancora calde, iniziando a ripararle, rimuovendo i rimasugli dell’acido perfluorico ormai trasformato in vari sali dell’acido fluoridrico, meno pericoloso ma comunque aggressivo verso i tessuti e le strutture ossee di Makoto.
- Luna è ancora viva? – chiese Rei, ritirando le ali e ritornando alla sua forma umana, come aveva fatto Ami dopo aver assorbito nella coda il laser sperimentale, ormai parte integrante della sua serie di armamenti.
- Guarda tu stessa.
Ciò che rimaneva di Luna era ormai immobile, solo un piccolo movimento scosse una volta il cervello principale, quello che ancora riposava all’interno della scatola cranica scoperta. Di lei rimaneva il volto, parte della cassa toracica e un moncherino del braccio destro, il resto sparito, evaporato a causa dell’acido che l’aveva colpita.
- E’ viva?
- No. L’acido ha eliminato totalmente l’aria necessaria alla sua sopravvivenza, oltre ad aver bloccato tutti i sistemi di sopravvivenza. Sebbene noi non ne risentiamo, la temperatura e le condizioni di questo blocco di base sono ora simili a quelle della superficie lunare. In modo grossolano posso dire che è ibernata. Non viva, ma nemmeno morta.
- Non se lo meritava… Mi spiace.
- Concordo, Makoto.
- Cosa ne facciamo di lei? La sotterriamo?
- Negativo. Priorità è tornare sulla Terra. Necessito un controllo delle affermazioni di Setsuna.
- I miei figli…
- Li salveremo, Mako, li salveremo.
- Setsuna però è mia…
- No Rei. – rispose dura la donna abbandonando la sua forma taurina. – E’ mia. Morirà lentamente, molto lentamente…

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Una nemica dal cuore d'oro ***


Ami impiegò quasi due giorni a ritrasformare la base lunare semicompletata in una navetta in grado di riportarle sulla Terra, non avendo considerato l’eventualità di un attacco mirato ai depositi di carburante, sicuramente un diversivo creato appositamente da Setsuna così da rallentarle ancora di più e avere campo libero per il suo piano. La manipolazione molecolare di Minako aiutò non poco le ragazze nel recuperare il carburante, permettendo di creare il substrato adatto per immagazzinare il torio che si era disperso in una ampia superficie. Makoto e Rei non poterono essere di grande aiuto, e questo servì solo a farle diventare ancora più irascibili, tanto che l’ultima mezza giornata si erano spostate nella vecchia base e in quel limitato periodo di tempo erano riuscite a creare abbastanza danni da rendere quasi instabile la costruzione. Quando ritornarono alla base, ormai praticamente scomparsa, sembravano essersi calmate.
- E’ rimasto qualcosa? – chiese Minako, accarezzando Artemis sulla testa mentre lui si era accoccolato sulle sue ginocchia. Era seduta su una pietra nel nulla della Luna, a un centinaio di metri dalla navetta.
- Abbastanza, ma nulla che possa servire a nessuno. – rispose Rei atterrandole vicino e riprendendo la forma umana. – Qui come va?
- Circa due ore e siamo pronte a partire. – rispose nella loro testa la voce di Ami, che si trovava all’interno della navicella.
- Come mai così imprecisa? – tentò di ironizzare la donna dai capelli neri.
Makoto si sedette su una pietra vicino a Minako, ma mantenne la forma di combattimento. La bionda alzò le spalle come risposta.
- Mako?
- Sto bene, anche se starò meglio quando avrò strappato la testa di Setsuna dal suo corpo assieme alla sua spina dorsale. – mormorò l’essere, per poi coprirsi gli occhi con le enormi mani. – I miei bimbi...
- Stanno bene e staranno bene, li salveremo, come salveremo tuo marito.
- Lo so, ma mi mancano. L’idea che lei... che loro...
Minako le sfiorò la mano con la sua. La differenza di dimensioni era quasi comica, ricordò a Rei quel film sulla Bella e la Bestia, ma si astenne dal sorridere.
- Arriveremo sulla Terra, le troveremo e le spaccheremo il culo. E poi ci cucinerai una delle tue torte come ringraziamento. Anzi, se fai un pasticcio di carne mi piace anche di più.
- Ma tu non mangi solo crocchette per cani?
- Anche conigli che miagolano.
Artemis soffiò e saltò sul terreno lunare, per poi dirigersi mollemente verso la navicella.
- Lo hai spaventato.
Rei sorrise, mostrando denti lunghi e appuntiti, poi si avvicinò a Makoto e le accarezzò l’enorme braccio.
- Stai tranquilla, davvero, li salveremo.
- Me lo auguro, me lo auguro.
Rimasero in silenzio fino a quando non furono nuovamente sulla navicella e partirono. Il viaggio fu breve come all’andata, e con delicatezza l’ovoide, ancora sotto schermatura sia ottica che radio, atterrò poco lontano da dove era partito sulla Terra. Ami scese e si diresse, seguita mestamente dai suoi serpenti, all’enorme cratere dove una volta era la sua base, o meglio, dove una volta era lei.
- Svanito tutto, non sento nulla... – mormorò.
- Tu ci sei ancora, e come lo hai fatto una volta, lo rifarai, Ami.
- Lo so Minako, ma moltissime mie funzioni erano solo nella base, nella vera me stessa. Oltre al numero di informazioni che avevo raccolto, superiore alle centinaia di exabite. Ho perso quasi del tutto me stessa.
- No, non è vero. – intervenne Makoto. – Tu sei qui con noi e hai perso solo dati che potrai recuperare. Hai noi, e hai i tuoi piccoli.
- So che hai ragione, la tua logica è assoluta, ma non riesco a capire la sensazione che sento nel mio processore principale. – mormorò la ragazza dai capelli blu.
- Si chiama tristezza.
Lei annuì.
- Sì, hai ragione. Come individuo ora riesco a comprendere alcuni sentimenti, anche se so che sono solo subroutine semiautomatiche che simulano la mia esistenza come umana, più di quello che potevo fare prima.
- Beh, eri una massa di naniti e altro, li avevi persi nel casino.
- Non credo che funzioni così, Rei.
- Fa nulla, Minako, per me sembra semplice pensarla in quel modo.
Ami sembrò tirare su con il naso, poi si voltò e sorrise, sebbene gli occhi erano lucidi.
- Abbiamo del lavoro da fare e dei bambini da salvare, non perdiamo tempo. Questo è l’ultimo posto che sono sicura sia stato visitato da Setsuna o da una delle sue creature, dobbiamo trovare una traccia. Mettiamoci all’opera.
- Chosha hanno fascendo?
- Quello che ero sicura avrebbero fatto, piccola mia. – rispose Setsuna, osservando nello schermo le donne controllare e girare apparentemente senza meta dove una volta era Ami. – Sapevo che sarebbero tornate, e sapevo anche dove sarebbero andate. Dove volevo io, quando volevo io.
Rise, una risata folle e malvagia mentre accarezzava una mano quasi cerulea e sicuramente fredda, che si contrasse involontariamente al suo tocco.
- E ora cosha succederà?
- Una delle tue sorellone è pronta ad agire, devono solo attivarla.
- Fate finta di nulla. – disse Ami nelle menti delle altre ragazze tramite la comunicazione neutrinica. – Ci stanno osservando.
Makoto si irrigidì un attimo, prima di riprendere a cercare nel terreno vicino all’acqua.
- Chi?
- Non lo so, ma è vicino, e anche la comunicazione è adatta a una trasmissione entro l’orbita terrestre. Deve essere per forza Setsuna. Anche se non come Gorgon, sento dei disturbi nello spettro delle onde, e sto usando Ree e Ishi per triangolare la posizione dell’emissione. Poco distante, forse un chilometro o meno.
- Credi che sia direttamente lei?
- No Rei, assolutamente. Ma le probabilità che non ci stia solo seguendo, ma che stia aspettando qualcosa sono molto alte. State in guardia.
- E cosa dovremmo fare? Attendere che lei agisca?
- Al momento sì, non abbiamo altra scelta. Deve pensare di essere su un terreno sicuro, e solo allora potrà fare un passo falso. Triangolazione avvenuta, distanza dell’emettitore ottocentoventuno metri e dodici centimetri, rototraslazione assente, direzione ventuno gradi e dodici primi rispetto alla meridiana standard.
Ishi svanì come nel nulla, per poi tornare una decina di minuti dopo.
- Possiamo agire?
Ami annuì alla domanda di Rei.
- Segnale in jammer e duplicato, curva di sovrapposizione in sincrono tra tre, due, uno. Segnale duplicato. Hai in memoria le coordinate, rei, vai e fanne ciò che vuoi, Setsuna non sa che ora vede ciò che voglio io.
In un turbine nero Rei divenne Soldier Succubus e si diresse come un razzo, facendo fischiare l’aria sulle sue ali metalliche, verso l’emettitore, che si rivelò essere un altro di quelli che Setsuna aveva definito Neumani, in quel caso un insieme di almeno tre uomini diversi e vestito per sembrare un pescatore, i due occhi mancanti in quanto una telecamera dotata di un potente zoom era incassata nella parte superiore del volto. Le sue ali e i suoi artigli lo distrussero in pochi secondi, lasciandolo in una pozza di liquidi organici e artificiali, i circuiti a sfrigolare assieme alle membra che mandavano deboli spasmi, ancora parzialmente animate dalle batterie interne.
- Ciao ciao, spione. Sai che non è educato fare certe cose a delle signore.
- Neumano terminato?
- Sì Ami, fatto e finito. Eppure non mi sento tranquilla.
- Ami sta trasmettendo finte immagini, quindi Setsuna ci crede a cercare ancora, mentre noi potremo ispezionare quello che hai lasciato in cerca di tracce, oltre al fatto che possiamo tracciare il segnale e trovarla, lei e i miei figli.
- Non è così facile, ma posso tentarci.
- Ma vi siete accorte che Ami parla quasi come una persona normale?
- Io sono normale, Minako, per interagire meglio con voi ho semplicemente messo in background il mio programma di simulazione comportamentale.
- Insomma fingi emozioni?
- Parzialmente. Reagisco meglio a determinati stimoli che mi portano a interagire in modo per voi più semplice con me. – rispose nella loro mente la donna, ma dopo un secondo una sorta di stridula sirena di allarme entrò nelle loro menti come un coltello bollente. – Attenzione, registrata fonte di energia anomala a cinque punto tre metri da Rei. Attenzione, allontanarsi.
Soldier Succubus si alzò in volo oltre una decina di metri in altezza, un puntino nero visibile a malapena da dove erano le altre donne, ma immediatamente qualcosa di molto più grosso e pesante, apparentemente marrone o verde, emerse dall’acqua e si diresse lento a riva, appena sotto di lei.
Makoto aprì la bocca per parlare, ma nessun rumore uscì da essa. Gli occhi erano sbarrati, fissi su ciò che le si parava davanti, piccolo e quasi indistinto, ma inconfondibile. Lo conosceva troppo bene, avrebbe saputo dire a chiunque ogni singola caratteristica meccanica o ogni piccolo graffi che aveva ricevuto negli anni. Sotto Rei si ergeva, anche se parzialmente rovinato e modificato, lo Jupiter. La testa corazzata si mosse verso l’alto, ad osservare la donna più simile ad un demone che a una umana, quindi si voltò nella direzione delle altre tre, come se potesse osservarle.
- Cosa sta facendo? – chiese Rei, al sicuro nella sua posizione. – E chi c’è alla guida?
Makoto richiamò il suo Soldier, fondendosi con lui.
- Sensori a medio raggio, ci ha visti, e sta per saltare, riconosco la posizione. Via, via, via! – gridò spostandosi, subito imitata dalle altre due, mentre il vecchio soldier fletteva le gambe meccaniche e con una potentissima spinta coprì in meno di tre secondi lo spazio che lo divideva dalle tre, apparentemente incurante di Rei. Atterrò esattamente dove era stata Makoto pochi secondi prima, scaricando buona parte dell’inerzia tramite gli smorzatori di cui era dotato, che emisero gas sotto pressione ai lati delle gambe, al pari di una vecchia locomotiva. La schiena si aprì immediatamente, e una salva di proiettili a ricerca automatica e tragitto casuale, i cosiddetti grappoli, partì in tutte le direzioni, alcuni agganciando Rei che iniziò subito le manovre diversive che istintivamente sentiva di fare nella sua forma volante, altri mirando alle altre guerriere.
- Vediamo se riesci a esplodere se ti smonto… - borbottò Minako, i tentacoli del suo Soldier a sfiorare, avvolgendo e distruggendo a livello molecolare, i missili diretti su di lei.
- La fai complicata, conosco il potenziale distruttivo di questo modello, è poco oltre la puntura di zanzara per me. – commentò il Minotaur, proteggendosi il volto e il busto con le braccia serrate, aspettando che il gruppo che l’aveva agganciata la colpisse, nascondendola in una nuvola di fumo e fiamme, per poi emergere dalla stessa completamente illesa, i pochi segni sulla sua corazza a svanire velocemente, rigenerati dai suoi naniti.
- Siete brave, mi ricordavo che voi mostri eravate forti. – disse una voce dentro il Soldier, anche se stranamente metallica. – Anche se ora siete davvero più brutte di quello che mi ricordassi.
A Rei si gelò il sangue nelle vene. Anche se distorta, la sua voce era riconoscibilissima. L’avrebbe potuta individuare anche quando era solo una semplice umana, ma dopo tutto quel tempo, con le sue capacità uditive, la sua voce era simile ad acido nelle vene.
L’esoscheletro si voltò verso la donna sospesa ancora per aria a meno di un chilometro. Aveva evitato i missili con agilità, deviando i pochi che giungevano all’obbiettivo tramite colpi di ala, senza farli esplodere.
- Come mai te ne stai in disparte, Rei? Non sai più cosa sia l’educazione? Non si saluta più una vecchia amica e una collega di lavoro?
- Brutta...
- Su, su, pensavo che la mia morte ti avrebbe permesso di considerarmi sotto un altro aspetto. Dopotutto, sono morta per mano della tua amichetta felina. O già la cara Minako si è dimenticata come mi ha spezzato il cuore?
- Chi...
- Haruka, brutta troia psicopatica, nemmeno l’inferno ti ha voluto! – gridò Rei volando verso di lei, gli occhi rossi e furenti, le ali a fischiare e lasciare come una scia di fumo bianco ai bordi per la velocità con cui si avvicinava. Il bordo dell’ala colpì la base del collo del Soldier, trapassandola quasi come fosse burro, ma l’attrito fu comunque sufficiente a far deviare verso il basso e quindi a terra Rei, che rotolò sul terreno per assorbire l’impatto, per poi rialzarsi immediatamente, gli artigli a incidere pesantemente il terreno, mentre le ali si erano ripiegate a simulare una sorta di cupo mantello.
La risata che arrivò dall’interno del Soldier fece rabbrividire le quattro amiche, quasi quanto vedere il collo quasi del tutto staccato della macchina muoversi in modo quasi vivente per rimettersi al suo posto e piccoli fili, invisibili come capelli, iniziare a formarsi su entrambi i lati del danno, riparandolo.
- Microniti di riparazione. Tutto il corpo del Soldier è fatto di microniti, o almeno oltre la metà, dalle mie analisi.
- E brava la serpentella. Tu eri quella con quella blatta venuta male, quando eri ancora umana, no? Com’è che non sei rimasta sugli insetti, più facili da schiacciare che una biscia?
Minotaur stava osservando il Soldier, cercando di capire se era davvero il suo vecchio Jupiter o meno. Amava ancora, come aveva sempre amato, il suo mezzo da battaglia. Makoto era una guerriera, era inutile tentare di negarlo, e dopo suo marito e i suoi figli, Jupiter era il quarto nella lista. Quinto, ora che aveva il Minotaur, eppure l’idea che fosse stato usato come una cavia da esperimenti le dava fastidio.
- Anzi, direi che mi fa proprio arrabbiare. – pensò sbuffando e flettendo i muscoli delle mani, tutto il suo corpo ricoperto da una pesante corazza nanomerica ad alta densità, ottenuta usando anche parte del materiale dei missili che l’avevano colpita e del terreno circostante. – Haruka, come fai ad essere ancora viva?
- Ah, la mammina del gruppo... Come sta la famiglia? Tutto bene a casa?
- Non osare parlare di loro! – tuonò la donna, la sua forma taurina a muggire e schiumare di rabbia mentre i muscoli sembravano aumentare in misura.
- Ma se mi stanno così a cuore. Tuo marito in particolare. Devo dire che ha davvero un cuore d’oro. Beh, almeno alcune parti del sistema che mi collega ad esso lo sono.
Makoto sgranò gli occhi, ma non disse nulla, troppo spaventata e sconvolta dalla notizia.
- Sta scherzando, ti sta prendendo per i fondelli.
- Controlla tu stessa, gattina. No, forse credo sia meglio che controlli la biscia, sono certa che è più brava di te in queste cose.
Quasi tutti i serpenti sul capo di Gorgon sembrarono immobili a fissare lo Jupiter, quindi la voce quasi atona di Ami ruppe il silenzio che si era formato.
- Confermo la presenza di un corpo organico all’interno dell’abitacolo principale, e confermo la presenza di un cuore umano pulsante nella cavità toracica del cadavere rianimato di Haruka.
- Cadavere sarai tu, e presto... – ribattè malvagia il pilota del Soldier.
- Errato. Non essendo viva, non posso essere un cadavere. D’altro canto, tu sei stata morta, ho ancora in memoria i fotogrammi della tua uccisione da parte dei tentacoli del Venus, e la presenza nella tua parte organica di notevoli inserti cibernetici di complessità differenti mi fanno presuppore, con una probabilità dell’ottantatre e sette percento, che tu sia stata la prima cavia degli esperimenti di Setsuna per la rianimazione. Sei meno che un Neumano. Tu diresti... ricerca vocabolo nelle banche dati... ah, sì: carne da cannone.
- Ha davvero il cuore di mio marito nel petto? Quindi lui...
- Negativo. Non posso essere sicura dell’origine del cuore che ha all’interno del suo corpo, senza uno screening genetico ravvicinato.
- Tradotto dobbiamo estrarla dalla lattina, sezionarla con molto dolore e scoprire cosa hanno combinato?
- Una esposizione dei fatti molto cruda e suggestiva, ma corretta, Rei. – rispose Ami.
- Provateci. Questo non è la scatola di latta che usava Makoto. Questa come me è una versione migliorata. – ringhiò Haruka, mentre il Soldier estraeva dalle braccia pesanti mitragliatrici a canne rotanti e gli stabilizzatori dei piedi si ancoravano al terreno, assumendo un aspetto però diverso, come vivo e pulsante, simile a bocche di sanguisughe.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - La morte di Haruka morta ***


- Migliorata o meno, non credo che ci darai tanti problemi, Haruka. – ringhiò Rei facendo diminuire fino a quasi farle scomparire le ali, come assorbite dal suo stesso corpo, solo due protuberanze alle scapole a indicarne la presenza. Contemporaneamente le sue mani mutarono in qualcosa di molto simile a zampe allungate e dotate di letali artigli che luccicarono al sole.
- Sembri pericolosa… - la stuzzicò la donna dentro il Soldier, iniziando a far ruotare le canne della mitragliatrice e sparando centinaia di colpi di grosso calibro che andarono ad impattarsi sul terreno dove si trovavano un istante prima Ami e Minako, che si erano spostate a gran velocità, e sulla corazza parzialmente organica di Makoto. Pezzi dell’armatura volarono per aria come trucioli mentre viene lavorato il legno, ma sembrava che questo non la scalfisse minimamente, tanto era veloce la rigenerazione della armatura stessa da parte dei suoi naniti. – Sei dura a morire, eh? Ah, e non credere che mi sono dimenticata di te, piccola cagna. – disse girando in modo innaturale la testa della sua armatura così che potesse guardare, al pari di un gufo, la guerriera che si stava avvicinando alle sue spalle, gli artigli pronti a squarciare le lamiere del nemico.
Dall’interno del petto, dopo che le due piastre pettorali si erano aperte di scatto, un nugolo di mini missili, ognuno non più grande di una matita, partì nella sua direzione, con una traiettoria casuale, allargandosi a coprire un’area di alcuni metri.
- Merda… - borbottò Rei, capendo immediatamente che non poteva evitarli e essendo troppi, nemmeno deviarli. – Si preparò all’impatto, che avvenne sotto forma di una densa nuvola di fumo scuro quando decine dei missili la colpirono e la rimanenza esplose sul terreno vicino e dietro di lei.
- Rei!
- Calma Minako. I suoi parametri vitali sono stabili. Non è in forma, ma non è in pericolo.
- Sempre così protettiva, la dolce biondina, e così tranquilla invece la biscetta. Solo perché non posso vederti, non vuol dire che non possa colpirti. – disse Haruka, mentre i suoi proiettili continuavano a colpire, con un braccio Makoto, con l’altro il terreno dove sempre per pochissimi centimetri mancava il corpo o le zampe del Nightmare. – E tu stai ferma, schifezza felina.
- Quello che dici non ha senso, Haruka. Probabile effetto collaterale del risveglio dopo la morte. Come puoi colpire ciò che non sai dove è? Al contrario, io posso sferrare il mio attacco senza problemi.
L’aria tremolò appena mentre il Gorgon estrofletteva dalle braccia due piccoli laser simili in tutto e per tutto a quello che aveva assorbito sulla Luna da uno dei Neumani, e solo la luce del puntamento, rossa e quasi sanguigna, permise ad Haruka di intravedere da dove sarebbe arrivato il colpo, due getti di luce viola che la colpirono in pieno sul braccio sinistro, facendolo cadere a terra, tranciato e fumante all’altezza del gomito.
- Fortuna, solo fortuna, ma intanto ti ho visto. – rise l’altra, mentre dalla spalla destra, al pari di un missile dallo scafo di un sottomarino, una sfera metallica lucida e grande come un pallone da calcio venne lanciata ad alcune decine di metri sopra di lei, dove esplose senza quasi rumore, emettendo una polvere sottile e argentea.
- Cosa? – chiese Rei alzandosi e iniziando a rigenerare alcune parti colpite in maniera grave dai missili, come il petto e la mano sinistra, totalmente assente se non per radi cavi che sembravano vene e tendini.
Makoto era a un punto morto, nel frattempo. Non riusciva ad avanzare, tutta la sua forza impegnata a riparare i danni dei proiettili e a reggere l’urto continuo degli stessi, praticamente bloccandola dove era. Le altre sembravano essere in difficoltà, Rei almeno, e sebbene Ami avesse colpito un arto, sapeva che non era un grave danno, mentre Minako doveva agire a distanza quasi ravvicinata. Haruka era furba, o lo era diventata, sapeva come tenere a bada i pericoli. Ragionò sul laser inglobato dall’amica dai capelli azzurri, e capì che poiché era stato creato da Setsuna, anche la sua sottoposta quasi morta era evidentemente a conoscenza dei tempi di ricarica. Ecco perché Ami non aveva colpito ancora, eliminando l’altro braccio. Ora quella polvere. I suoi scan, sicuramente meno avanzati di quelli della compagna al momento invisibile, stavano tentando di capire cosa fossero. Non davano segni di attività elettrica, quindi non avrebbero dovuto essere microniti.
- Cosa sono?
- Nulla di cui ti devi preoccupare, piccola vacca. Non sono per te. – rispose quasi ridendo, il tono di voce esaltato, Haruka, sbilanciandosi leggermente così che il moncherino del braccio si avvicinasse quanto possibile a quello staccato per terra. Filamenti argentei iniziarono a formarsi da entrambi i capi per riallacciare le due metà. – Bel trucco, vero?
La polvere argentea, in realtà microscopici frammenti di plastica statica, si posarono sul terreno e su tutte loro, ricoprendole e trasformandole in una sorta di fantasmi argentei.
Rei sgranò gli occhi, vedendo apparire il Gorgon. Poteva usare tutti i dissimulatori di cui disponeva, ma non poteva svanire davvero. Quel semplice trucco aveva reso Ami la più vulnerabile. Con tutte le sue forze si lanciò sullo Jupiter, tentando di strappare con gli artigli i fili, già grossi come cavi, che stavano risaldando il braccio al moncherino rimasto.
- Scappa Ami!
- Bel tentativo. – rispose l’altra, smettendo di usare il braccio ancora funzionante come mitragliatrice e colpendo pesantemente alla base del collo il Succubus dopo averlo schivato quasi del tutto, il fianco vicino la braccio parzialmente distrutto inciso in profondità dalle affilate unghie di Rei, che cadde a terra con un urlo strozzato, il piede dello Jupiter su di lei, all’altezza delle reni, per impedirle di rialzarsi e di girarsi per contrattaccare. – Stai giù, verme che non sei altro. Meno uno, adesso…
Non potè finire la frase, colpita da una massa indistinta e pesantissima che la travolse, strappando letteralmente gli stabilizzatori dei piedi dal terreno e trascinandola per alcuni metri prima di buttarla a terra con una potenza tale da far deformare il terreno sotto di lei e gemere tutte le lamiere del soldier.
- Adesso mi diverto io. – ringhiò, un potente e basso muggito, Minotaur. Le braccia e parte del petto sembravano fumare, la ricostruzione della armatura e di parte dei muscoli sintetici ancora in atto. – Hai fatto la mossa sbagliata, Haruka, smettendo di colpirmi. Fa un male cane colpirti senza l’adeguata protezione, ma ora ti ho preso.
- Cosa pensi di fare, mostro? Ho tanta forza quanta ne hai tu, e non ho danni come i tuoi, anche se con un braccio solo che funziona al cento per cento. – sembrò ridere la donna all’interno, iniziando a colpire pesantemente con i pugni il dorso del Minotaur, ogni colpo un maglio che per forza nulla aveva ad invidiare a una piccola testata atomica.
Rei iniziò a sollevarsi carponi, subito raggiunta dal Nightmare che la sfiorò con i tentacoli in vari punti.
- Non sei messa bene, hai vari danni interni per il colpo. – le disse, la discussione spostata dalla voce alle radio neutriniche.
- Basta che lei non lo sappia e che tu possa fare qualcosa velocemente. Makoto è dura, ma quella cosa ha una forza spaventosa.
- Confermo. L’assenza dei blocchi di sicurezza creati per la gestione di un occupante umano, unita alla completa o quasi modifica dello Jupiter da costrutto meccanico a costrutto micronitico, ha reso lo stesso un mezzo di assalto pesante quasi senza uguali. Stimo con una ottima probabilità che solo Minotaur può reggere uno scontro ed avere delle speranze, se non passiamo a mezzi decisamente più performanti.
- Certo che posso fare qualcosa per te Rei, ma nulla di definitivo, e sicuramente se prendi un altro pugno come quello non so se potrò rimetterti in piedi. – sorrise il Nightmare mentre le sue fruste rilasciavano all’interno del corpo di Rei migliaia di fili più sottili che iniziarono a riparare i sistemi interni del Succubus, agendo come filo da sutura e rinforzi interni che sarebbero poi stati lentamente eliminati quando i naniti di Rei sarebbero intervenuti adeguatamente.
Ami non perse tempo a vedere quello che Minako stava facendo: i suoi serpenti stavano monitorando i risultati in tempo reale e le mostrarono in un angolo della mente la curva di guarigione prevista. I sui occhi erano focalizzati sullo Jupiter, mostrandole caratteristiche meccaniche, composizione chimica e altre informazioni che sperava potessero esserle utili per trovare un punto debole. I laser erano pronti ad agire, ma doveva avere un piano, e sapeva benissimo che il piano doveva portare allo scoperto le spoglie rianimate di Haruka, altrimenti la battaglia sarebbe potuta solo durare tropo a lungo. Certo erano quattro contro una, ma l’assenza di ogni tipo di blocco sia fisico che mentale aveva portato lo Jupiter a livelli che non aveva considerato. L’analisi le mostrò un punto debole, lo snodo della spalla, che per esigenze di movimento non poteva essere corazzato come la rimanenza delle altre giunture, essendo su tre gradi di libertà e non su uno come erano gli altri. Era l’occasione giusta, ma aveva bisogno di puntare contemporaneamente su due obbiettivi in movimento, e anche utilizzando tutti i suoi sensori, il collimatore di fuoco non era così preciso come avrebbe dovuto.
- Makoto... – la chiamò nella radio.
- Che c’è? – rispose lei dolorante, tentando di forzare con le mani le piastre pettorali e divellerle, non riuscendovi non tanto per mancanza di forza quanto per la presenza delle micromacchine che creavano una sorta di sigillo su cui le sue forti dita non avevano presa, scivolando come su una superficie continua.
- Devi bloccare Haruka, bloccale le braccia quando sei di schiena a lei. Devo colpirla.
- Non puoi colpirla e basta?
- Devo prenderle le giunzioni agli arti superiori.
- Mica facile, ma ci tento. Minako, tieni qualche medicina per me.
- Tranquilla, ne ho in abbondanza. – rispose quasi sovrappensiero la bionda, impegnata con ogni sua fibra a ricostruire pezzi sgretolatisi per i danni dello Jupiter.
Fortunatamente per loro, Haruka si era concentrata con tutte le sue forze solo si Makoto, tralasciando le altre ritenendole non pericolose in quel momento, ma allo stesso tempo permettendole di ricongiungere totalmente anche il braccio staccato in precedenza, perfettamente operativo. Dalle braccia, alloggiate probabilmente in appositi foderi tra il gomito e il polso, scivolarono fuori due lame monomolecolari iridescenti, che lo Jupiter afferrò automaticamente come se fossero coltelli, impugnandoli per trafiggere.
- Ora sei mia, vacca! – gridò, piantandoli nella schiena del Minotaur come un torero. Le lame entrarono come burro fuso nella spessa corazza del Desiderio, facendolo schiumare di dolore e di rabbia, mentre un fluido nero e scuro sembrò uscire dalle ferite. Lasciati i coltelli, con le mani unite la colpì alla schiena con una forza tale da farla cadere a terra completamente immobile. – E tanti saluti. Ora me ne rimangono solo tre... anzi, due e mezzo. Lo Jupiter si voltò, dando le spalle al corpo di Mako, e con una risata insana attivò nuovamente le mitragliatrici sulle braccia, che iniziarono a ruotare nella fase di preriscaldamento. – Dite le vostre preghiere, ma fate alla svelta, mancano solo quattro... tre... due... uno...
Le braccia vennero immobilizzate e portate ai lati del corpo come se fosse stata crocifissa, due morse verde scuro e marrone a serrare quelli che avrebbero dovuto essere i polsi, lo Jupiter sollevato dal terreno stesso, incornato all’altezza delle scapole da due lunghi spuntoni neri e cilindrici.
- Hai sbagliato a credermi morta. Certo fa male, ma mai quanto ne sta facendo a te... – ansimò Makoto, che si era rialzata e aveva infilzato con corna molto lunghe e acuminate l’armatura dello Jupiter, facendo forza sui muscoli del collo e delle gambe per sollevarlo, impedendogli di muoversi da dove era in quel momento. – Ami, prima che svenga con sta cosa addosso!
Il Gorgon puntò i suoi occhi e tutti quelli dei suoi serpenti sull’obbiettivo, mentre il i laser delle braccia miravano perfettamente i punti necessari. Lo Jupiter tentò con tutte le sue forze di muoversi, ma era bloccato, i pistoni delle braccia a stridere tentando inutilmente di fletterle. I raggi partirono e centrarono perfettamente l’obbiettivo, così che le gli arti superiori si staccarono, rimanendo in mano al Minotaur, che li lanciò lontano con le ultime forze che aveva per poi crollare di schiena, schiacciato in parte dalla carcassa dello Jupiter. Privato delle braccia, tentò di liberarsi dalle corna dei Makoto usando i piedi, ma senza risultato. Contempraneamente Minako afferrò con due dei suoi tentacoli le braccia, che iniziarono a sgretolarsi come ruggine, attaccate dai naniti che le smontarono molecola per molecola.
- Maledette...
- E... ora... come pensi... di fare? – chiese rantolando Makoto.
L’essere caduta sulla schiena aveva infilato ancora più profondamente i coltelli dentro di lei.
- Le do una mano io. – ringhiò Rei, avvicinandosi a loro quasi zoppicando, i sistemi di rigenerazione spinti al massimo per riparare gli ingenti danni ricevuti. – Anzi, tutte e due. - Allargò le braccia e iniziò a dare potenti unghiate all’armatura, rovinandola in vari punti. Il sistema di riparazione, già sotto sforzo per la mancanza delle braccia e per i fori provocati dalle corna del Minotaur, non riuscì a gestire anche i danni aggiuntivi, così che dopo alcuni secondi la piastra pettorale era stata divelta, e gli artigli stavano incidendo e penetrando in quella che sembrava una massa di cavi e materiali quasi viventi e viscidi. – Beccata. – ghignò estraendo la mano sinistra, mentre la destra rimaneva all’interno. – Esci con le buone?
- Muori.
- Già fatto, ma sembra che non mi vogliono laggiù. – rispose Rei, ritirando il braccio e con esso portando fuori dall’ammasso di cavi che sembrò divincolarsi in protesta un corpo apparentemente umano. – Ma vedo che anche te sei persona sgradita. E poi dici a me mostro...
Gorgon tagliò con dei normali laser alcuni cavi che ancora collegavano Haruka allo Jupiter, quindi lo sollevò e lo gettò di lato, sicura, grazie a i suoi scan, che con l’assenza del pilota, anche l’attività micronitica si era spenta. L’esoscheletro era solo una carcassa inanimata in quel momento. Immediatamente il Nightmare si precipitò su Makoto, tutti i tentacoli su di lei, sollevandola leggermente per poter operare sui coltelli, che estrasse lentamente e con attenzione, facendo però tossire di dolore la donna.
- Ci vorrà un po’, ma sopravviverà. – disse Minako
- Mi spiace davvero.
- Non sei nella posizione di fare battute. – ringhiò il Succubus.
Tra i suoi artigli aveva il corpo sfigurato di Haruka, vittima, cosciente o meno, degli esperimenti di Setsuna. Molte parti del corpo erano state sostituite con costrutti metallici o plastici, carne e plastica fuse assieme dai microniti. Tutto il busto da sotto i seni fino al cavallo era stato sostituito con l’equivalente di una armatura metallica, realizzata apparentemente da migliaia di piccole scaglie. In alcuni punti tubi e cavi uscivano per dirigersi alle gambe o alla testa, rasata completamente su un lato così da mettere in evidenza parte della calotta cranica, eliminata in favore di un guscio trasparente dove era possibile vedere il cervello, pulsante e annegato in un liquido verdastro. L’occhio destro non esisteva più, sostituito da un cavo rosso spesso quando un vero occhio che in quel momento ballonzolava liberamente emettendo deboli scintille, così come parte del volto era stato letteralmente scarnificato per fare spazio a apparecchi elettronici di cui non si riusciva a capire l’uso. Di tutto, però, quello che balzava più agli occhi era il foro perfettamente circolare all’altezza del petto, attraverso muscoli e costole, il foro provocato anni prima dal Venus nel momento in cui la uccise. Il foro era stato chiuso, due lastre di sintoplastica trasparente e una cornice di metallo a rendere ancora più evidente la ferita, dentro la quale batteva il cuore decisamente umano del marito di Makoto, a detta di Haruka stessa, collegato al resto del corpo tramite tubi plastici corrugati e connettori dorati per il trasporto dei segnali elettrici.
- Se avessi uno stomaco, vomiterei... – mormorò Rei.
- Affermativo. Analisi del soggetto in corso. Soggetto composto quasi interamente di parti metalliche e plastiche sinterizzate. Presenza importante di milliniti e strutture di ordine superiore. Cuore estraneo alla genetica residua del soggetto, sottoposto a intensa attività micronitica.
- Sarebbe?
- Sarebbe a dire, Rei, che la nostra Haruka è un vecchio esperimento di Setsuna, e che l’unica cosa seria che ha sono i pezzi che tengono in vita il cuore. – rispose Minako, comunque concentrata nella guarigione di Makoto. – Quindi anche il cuore non è più umano?
- Non ditemi che...
- Informazioni insufficienti. Devo analizzarlo meglio.
- Quindi mi dovrai tenere in vita, biscia, perché se io muoio, lui muore con me.
- Sei già tecnicamente morta da anni, non hai sangue, non hai tessuti vivi o altro. Effettivamente anche il cuore non è più totalmente organico, senza i microniti che lo sostengono sarebbe morto in pochi secondi.
- Non… non si può reimpiantare?
- No, Makoto. Impossibile. Senza un adeguato trattamento che non è possibile attuare, il cuore di tuo marito non può essere reimmesso nel suo corpo.
Haruka rise, una risata grezza e dura come della carta vetra.
- Avevi appena detto che non avevi informazioni sufficienti, biscia.
- Ho una buona velocità di calcolo, costrutto.
- Ho un nome.
- Errato. L’entità Haruka è morta sulla Luna anni fa, tu sei solo qualcosa che ha alcune parti di Haruka, il resto sono esperimenti di Setsuna. Esperimenti mancati, se posso permettermi.
A Minako sembrò quasi che il Gorgon stesse sorridendo malvagia.
- Io sono ancora Haruka.
- Rei?
- Dimmi Ami.
- Il soggetto non ci serve più. Ho tutte le informazioni.
- Vorreste uccidermi? Anche il cuore morirà con me.
- Minako?
- Capito, ho tutte le informazioni in memoria. Grazie per avermele passate. Vai pure Rei. Quello che rimane ci penso io a smontarlo. Sorridi Haruka, sarai nel giro di pochissimo solo compost e lattine.
Tutto finì in pochi secondi, senza nemmeno un urlo.
Ami, ritornata umana come Makoto, la aiutò a rialzarsi.
- E ora?
- Ora, Mako, si va a fare una passeggiata. – sorrise la donna dai capelli azzurri.

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