Trip to Unknow

di Sajoko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Italy ***
Capitolo 2: *** Germany ***
Capitolo 3: *** UK ***
Capitolo 4: *** Canada ***
Capitolo 5: *** USA ***
Capitolo 6: *** Mexico ***
Capitolo 7: *** Chile ***
Capitolo 8: *** Japan ***
Capitolo 9: *** India ***
Capitolo 10: *** Thailand ***
Capitolo 11: *** New Zeland ***
Capitolo 12: *** Australia ***
Capitolo 13: *** TO DO LIST ***



Capitolo 1
*** Italy ***


Capitolo 1: Italy

 
13 Maggio 2015
Ore: 23.58
“Caro diario,
Fra due minuti sarà domani, quindi devo raccontarti tutto in soli 120 secondi… troppo pochi, come sempre. È incredibile come passa veloce il tempo.
Questa giornata è passata in fretta e onestamente era uguale come gli altri giorni. A scuola non succede mai niente di nuovo: le solite lezioni, le stesse facce, lo stesso posto da almeno 5 anni… niente è cambiato.
Nemmeno oggi che era il compleanno di una ragazza (non ricordavo che fosse una mia compagna di classe) e che aveva portato una torta.
Sembrava buona ma non sono riuscita ad assaggiare una fetta per confermare la mia ipotesi.
Erano tutti lì a festeggiare attorno alla cattedra con i loro bicchieri di plastica, le bibite gassate e le loro risate mentre io ero seduta al mio posto a leggere il mio libro.
Però io mi domando: che ci trovi di divertente in tutto ciò? Perché nonostante sia “il tuo giorno” tu debba offrire agli altri qualcosa? Perché devi offrire agli altri se poi non ti danno nulla in cambio? Io non capisco…
Non so per quale motivo ti racconto questo, ma non devi preoccuparti: tra un paio di mesi potrò finalmente dare il via al mio progetto. Sono così felice!
Ormai sono anni che aspetto… e finalmente potrò essere libera…”

 
Lily posò la penna sul tavolo e guardò l’orologio: mezzanotte e un minuto. Ormai era già domani. Lily chiuse il suo piccolo block notes, lo ripose nel cassetto del comodino e invece di andare a dormire, aprì la finestra, si sedette sul davanzale e rimase a guardare il cielo: la luna, ormai l’ultimo quarto, stava per scomparire e finire nella fase della nuova luna. Lily rimase incantata a guardare quella piccola falce bianca nel buio totale, aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Un miracolo, forse. Non lo sapeva nemmeno lei. Continuò a guardare quel piccolo sorriso splendente e nel mentre pensò:
 
Sembra che rida di me…Perché tu non sei qui in mezzo ai normali? Non sai quanto t’invidio…
 
Detto questo, fece un respiro profondo e passò tutta la notte sveglia.
 
***
 
“Alberi verdi, capienti di foglie appena nate
siate pronte a sfoggiare la vostra bellezza durante l’estate.
Quando la gemma di fiore è risorta,
i primi tepori il sole porta,
e voi, foglie, formando una grande chioma, dell’ombra create
mentre i raggi del sole sopportate.
Ma alla fine, quando arriva l’autunno, gli uomini si ricordano del vostro duro lavoro
e senza fiatare, vi raccolgono in grandi mucchi e siete voi a ringraziare loro… “
 
Lily stava scrivendo una poesia sulle stagioni, mentre il treno che l’avrebbe portata a scuola correva a tutta velocità sulle rotaie sobbalzando qua e là. Non era molto convinta delle rime, ma collegare l’estate, l’autunno, l’inverno e la primavera tra loro non è un compito affatto facile e la gente attorno a lei non la stava aiutando affatto. Lily cercò di concentrarsi e di non pensare ai coetanei attorno che sbraitavano già di prima mattina. Come facevano ad avere tanta vitalità? Lei sarebbe rimasta nel letto pur di non vedere la gente.
Quando arrivò alla stazione, Lily scese dal treno, si mise le cuffiette nelle orecchie e s’incamminò da sola verso scuola. Dopo alcuni minuti, mentre camminava sul marciapiede, con la coda dell’occhio notò due innamorati baciarsi davanti al viale principale. Lily guardò la coppia: lei era magra, con un fisico perfetto, il viso ovale e un make-up esagerato, leggins neri, una felpa grigia (probabilmente del ragazzo a giudicare dalla grandezza), capelli lunghi biondi lisci e vans bianche ai piedi; mentre lui aveva capelli color marrone sparati in aria coperti dal gigantesco cappello della marca LA nero e bianco, felpa bordò, jeans a cavallo (troppo) basso e vans nere.
Lily guardò la coppia a lungo finché lei, con sguardo provocante, lo salutò con un ultimo bacio per poi entrare a scuola.
A volte Lily invidiava le altre ragazze. Non lo dava a vedere, ma sotto sotto avrebbe voluto anche lei trovare il ragazzo dei suoi sogni.
Prima di entrare in classe, Lily andò al bagno e si guardò allo specchio: indossava un maglione color crema chiaro che le scopriva leggermente le spalle, una collana con un pendente in rame con dipinto sopra il mondo, jeans neri e all star grigie basse. A lei piaceva questo look ma la cosa che adorava di più in assoluto erano i suoi capelli e i suoi occhi: i primi erano color marrone e aveva alcuni rasta con delle perle nere attaccate mentre i secondi erano due occhi azzurri come l’acqua. Il suo fisico era normale ma non si riteneva una ragazza attraente. Mentre si guardava allo specchio, la campanella della prima ora suonò e Lily, come un fulmine, prese il suo zaino e corse più veloce che poté verso l’aula.
Arrivò davanti alla porta della classe, fece per aprire ma appena poggiò la mano sulla maniglia ebbe un brivido che le percorse tutta la schiena. Sapeva perfettamente cosa significava ma non riusciva a farsene una ragione: ogni volta che stava per entrare in classe, quel brivido, quella sensazione, riaffiorava sempre nel momento sbagliato. Lily fece appello a tutte le sue forze, fece un respiro profondo e pensò:
 
Avanti Lily: prima iniziamo, prima finisci questa stupida farsa!
 
Lily spinse la porta e la tensione che aveva nel cuore si moltiplicò a dismisura.
Quando incrociò lo sguardo dei compagni di classe, sentì lo stomaco ingarbugliarsi su sé stesso. Oggi non era proprio giornata e non aveva assolutamente voglia di vederli. Si avviò verso il suo banco in prima fila silenziosamente e mentre sistemava il suo zaino sulla sedia, il professore di storia, il prof. Jordan (detto “Occhio magico” dagli studenti per via del suo occhio leggermente strabico) iniziò l’appello:
 
- Allora… Tyler Anderson? –
 
- Presente. –
 
- … Courtney Adams? –
 
- Presente. –
 
- … Jimmy Barns? –
 
- E’ assente prof. –
 
- … Mya Brown? –
 
- Presente. –
 
- … Lily Clark? –
 
Lily stava ancora sistemando le sue cose e non sentì il professore chiamarla:
 
- Miss Clark, sarebbe così cortese da rispondere? –
 
Lily alzò lo sguardo verso il professore dopo alcuni secondi, lo guardò e disse:
 
- … Come scusi? –
 
- L’appello. È la seconda volta che la chiamo. Hai intenzione di rispondere o no? –
 
Lily guardò il professore leggermente infastidita dal suo atteggiamento e, con tutta la calma che possedeva, rispose gentilmente:
 
- … M-mi scusi prof; non l’avevo sentita… Presente. -
 
- Decisamente meglio. Veda di sturarsi bene le orecchie la mattina. –
 
Lily stava per perdere la pazienza, mentre alle sue spalle i compagni di classe ridevano divertiti. Senza dire nulla, Lily si sedette sulla sedia e quando il professore finì l’appello disse:
 
- Bene: oggi interroghiamo! Chi si offre al patibolo? –
 
Nessuno rispose. Evidentemente nessuno era preparato e a giudicare dalle faccia preoccupate era proprio così. Il professore guardò gli alunni per qualche secondo e alla fine disse:
 
- Nessuno? Allora scelgo io. –
 
Prese nuovamente il registro in mano e col dito scorse tutti i cognomi della classe:
 
- … Vediamo un po’… Signor Hill, prego venga alla cattedra insieme a… alla signorina Clark; che forse così si sveglia. –
 
David e Lily guardarono stupefatti il professore e, sbuffando leggermente, si avvicinarono alla cattedra davanti alla classe.
A Lily non piaceva guardare la classe durante l’interrogazione. Le dava fastidio e la turbava parecchio.
Il prof. Jordan prese il libro, lo aprì sull’argomento dell’ultima lezione e iniziò “l’interrogatorio”:
 
- Allora signor Hill, mi parli del periodo moderno. Le lascio carta bianca per iniziare. –
 
David non era preparato e per qualche secondo rimase in un silenzio di tomba. Il professore lo incitò a parlare:
 
- Avanti signor Hill, si butti. Non vorrà mica un 4 sul registro vero? –
 
David rimase in silenzio e, umiliato e imbarazzato, rispose:
 
- … Mi scusi prof, ma non so nulla… -
 
Il professor. Jordan rimase in silenzio per alcuni secondi, poi prese la penna nera e con un gesto quasi rassegnato, scrisse il numero 4 sul registro a David. Mentre poggiava la penna, il professore disse:
 
- Così però mi deludi… mi aspettavo che almeno dicessi qualcosa… -
 
David abbassò lo sguardo e non disse nulla. Era troppo frustrato per dire qualcosa.
Finito con David, il professore girò la stessa domanda a Lily:
 
- Spero che lei sappia fare meglio del signor Hill, Miss Clark. O devo alzare la voce per farmi capire? –
 
Lily lo avrebbe mandato a fanculo da un momento all’altro se non avesse smesso subito di fare battutine idiote, ma riuscì a trattenersi e iniziò a parlare:
 
- … Il periodo moderno è una fase successiva all'epoca medievale e precedente l'era contemporanea. Riguarda un arco temporale di circa tre secoli: dalla seconda metà del XV secolo, la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Questo periodo storico ebbe inizio con la scoperta delle Americhe nel 1492, ma tuttavia ci sono altri avvenimenti che segnarono ugualmente un punto di importante scoperta storica, quali la caduta di Costantinopoli e la fine dell'Impero bizantino per mano dei Turchi Ottomani guidati da Maometto II nel 1453; la fine della Guerra dei cent'anni tra Francia e Inghilterra, sempre nel 1453; l'inizio dell'Umanesimo e del Rinascimento alla metà del XV secolo; l'invenzione della stampa a caratteri mobili in Europa e l'inizio della Riforma protestante con la pubblicazione delle 95 tesi di Martin Lutero a Wittenberg nel 1517.
Le principali date che –
 
Lily venne interrotta bruscamente quando il professore disse:
 
- Va bene, va bene, va bene; abbiamo capito che sa l’argomento. Direi che può andare così… le do 9 questa volta. –
 
Lily abbozzò un mezzo sorriso, ma non per il voto, ma per il fatto che aveva dato pan per focaccia a quel demente. Lily si voltò verso David che la stava guardando con aria scazzata. Probabilmente era arrabbiato per quel voto, ma lei che ci doveva fare?
Il professore mandò al posto i due e Lily, mentre si stava per sedere, la ragazza dietro di lei disse:
 
- Che lecchina! Fa la carina coi prof solo per avere bei voti! –
 
Si sentì una seconda voce che disse:
 
- Io so che offre servizietti ai prof per avere quei voti alti… cosa credete? Che riesca ad essere brava semplicemente studiando? Ma per favore! –
 
Una terza voce si aggiunse al coro:
 
- E’ una zoccola! Zoccola e pure asociale! –
 
Lily mise tutta sé stessa per ignorare quelle voci, ma fu davvero complicato per lei. Ormai c’era abituata, ma non poteva resistere ancora per molto.
 
***
 
È l’ora di pranzo. L’unico momento dove Lily può rilassarsi e ricaricare le batterie dopo ore “a contatto” con le persone. La mensa non è delle migliori (ma quando mai lo sono state?), così prende sempre le stesse identiche tre cose che sembrano non essere avvelenate da chissà quale pesticida: un bel piatto di insalata con pomodori, cetrioli, carote, lattuga, fagioli e mais (con un goccio di olio d’oliva); una scodella di macedonia di frutta (molto colorata!) e un bel pezzo di focaccia al rosmarino.
Dopo aver preso il suo pranzo, Lily si siede sempre al solito tavolo, il n*4, leggermente nascosto e vicino alla finestra. Quand’è estate o primavera, Lily può godere dei raggi del sole e della tranquillità, mentre d’inverno o d’autunno può usufruire del caldo termosifone attaccato al muro. Un posto favoloso dove nessuno può disturbarla.
Mentre assaporava la sua fresca insalata, in lontananza sentì delle voce ridere sguaiatamente e quando alzò lo sguardo per vedere chi fossero, vide in lontananza delle ragazze guardarla e indicarla. Lei non capiva per quale motivo ce l’avessero con lei, ma le ignorò tornando a mangiare tranquillamente. Dopo aver finito il pranzo, prese il suo vassoio e fece per andarsene, ma nel momento in cui stava per farlo, le stesse ragazze di prima le si avvicinarono e disse:
 
- Ciao! Scusa il disturbo, ma volevamo chiederti una cosa… –
 
Lily le guardò in modo indifferente e sapeva che stava per succederle qualcosa. Ne era sicura. Le scrutò pe alcuni secondi e disse:
 
- … Va bene, vi ascolto. –
 
La ragazza in questione, si voltò verso le altre sue amiche che fecero una risatina fastidiosa, poi si votò verso di lei e disse:
 
- Com’è possibile che tu sia così solitaria? Cos’è? Ti stanno sulle palle le persone? E come riesci ad avere dei bei voti? Corrompi qualcuno? O hai qualche altro metodo? Perché sai, le voci circolano e sai cosa accade dopo… –
 
Ecco. È proprio questo quello che manda in bestia Lily: l’ignoranza. L’ignoranza delle persone quando si parla con esse. Dio, ma è mai possibile che siano così idiote e superficiali?
Lily guardò la ragazza con sguardo misto tra la rassegnazione e l’indignazione, sospirò e rispose:
 
- No, io non corrompo nessuno; e posso capire la tua perplessità data la differenza tra me e te di materia grigia: io mi do da fare per riuscire nel mio intento, mentre tu utilizzi un altro metodo, è ovvio. Ma non devi sentirti dispiaciuta per questo. Non tutti riescono alla fine, anche se si mettono in gioco… –
 
La ragazza guardò Lily confusa, si voltò verso le sue amiche, rise con il gruppetto, si voltò verso di lei e rispose:
 
- Eh eh eh… ma che cazzo stai tentando di dire? –
 
Lily la guardò, si avvicinò, le sorrise e disse
 
- … Ti sto dando dell’idiota, bella. Con sarcasmo, cosa che a quanto pare non puoi comprendere. –
 
La ragazza spalancò gli occhi mentre le ragazze dietro di lei risero sorprese dalla risposta di Lily. Quest’ultima, sistemò il vassoio che aveva in mano e disse:
 
- Adesso che abbiamo finito, ti dispiace lasciarmi passare? Dovrei mettere via ques –
 
Lily non riuscì a finire la frase perché in quell’esatto momento, la ragazza le fece cadere il vassoio per terra distruggendo tutti i piatti appoggiati. Fecero un rumore assordante e ovviamente, tutti si girarono per vedere cosa fosse successo. Lily rimase immobile e non disse niente, mentre la ragazza, che era su tutte le furie, le urlò contrò:
 
- MA CHI CAZZO TI CREDI DI ESSERE? SOLO PERCHE’ HAI VOTI PIU’ BELLI DEI NOSTRI HAI IL DIRITTO DI SPUTTANARCI COSI’? SEI SOLO UNA ZOCCOLA ASOCIALE! UNA PUTTANA! –
 
Lily guardò i piatti rotti per terra, si accovacciò per raccogliere i cocci e disse:
 
- Cavoli che paroloni! Se sparli di me davanti agli altri, evidentemente ho una vita più interessante della tua, cara… -
 
Mentre Lily raccoglieva i cocci, non si accorse che la ragazza stava per tirarle un calcio in pieno viso. Purtroppo Lily se ne accorse troppo tardi e venne colpita proprio sul naso.
Presa alla sprovvista, cadde all’indietro per terra e colpì con la schiena il pavimento in mattonelle freddo. La vista era annebbiata e non sentiva nulla tranne qualche voce flebile in lontananza. Sembravano solo echi lontani. Lily cercò di riprendersi, mentre alcuni spettatori tentavano di tenere ferma la ragazza furiosa; altri invece riprendevano la scena coi cellulari… ma nessuno aiutava Lily. Stava perdendo sangue ma nonostante tutto, nessuno le dava una mano.
Lily tentò di alzarsi in piedi ancora disorientata e mentre era poggiata al tavolo, mise la mano sul naso e vide una macchia enorme di sangue le si formò sul palmo. Con la mano insanguinata prese un fazzoletto di carta lì vicino e se lo mise attorno alle narici.
L’altra ragazza, mentre veniva bloccata dagli amici, urlò furiosa contro Lily:
 
- BRUTTA STRONZA! PROVA A RIDIRLO UN’ALTRA VOLTA! TI SPACCO IL CULO! –
 
Lily non la considerò neanche di striscio e rispose:
 
- Cavolo, mi sono sporcata il maglione… peccato, era il mio preferito. –
 
La ragazza andò su tutte le furie: si liberò dalla presa dei due amici e si lanciò contro Lily:
 
- IO TI AMMAZZO! –
 
Lily si spostò leggermente indietro, ma nel momento esatto prima che la ragazza le tirasse un pugno, qualcuno le bloccò il polso fermandola. Lily non riconobbe subito il suo salvatore, ma sentendo la sua voce, si tranquillizzò:
 
- Ora basta! Stai esagerando Dakota! Lo sai che per una cosa del genere potrebbero sospenderti? –
 
Lily sapeva chi era la persona che l’aveva salvata. L’unica persona intelligente che poteva ritenersi all’altezza di regolare questo schifoso posto: il prof. Robert.
Robert è un uomo sui 50 anni circa, ha i capelli neri leggermente spettinati, barba e pizzetto neri, un fisico ben allenato e due occhi verdi stupendi. Oggi indossava una camicia bianca, dei pantaloni marron chiaro e scarpe marrone scuro. È apprezzato da tutti: studenti, colleghi e capi; inoltre aveva un certo successo con le donne. Insomma, l’uomo ideale.
Lily continuò a tamponare il naso col fazzoletto ormai inutilizzabile e nel mentre, Robert lasciò andare il polso di Dakota e disse:
 
- Perché l’hai aggredita? –
 
Dakota, leggermente imbarazzata dal professore, rispose:
 
- Ecco… Io… P-perché… mi ha offesa davanti a tutti… -
 
- E per questo si meritava un pugno? –
 
- … No. –
 
- Bene! Almeno sai che è sbagliato; ma non pensare che la chiudiamo qui la faccenda, chiaro? Questa cosa il preside lo deve sapere. –
 
- … Si professore… -
 
- D’accordo. Ora andate. La pausa pranzo è finita. –
 
Dakota si allontanò e così fecero tutti i ragazzi presenti nella sala mensa. Il prof era incredibile: era riuscito a mettere la parola “fine” con una semplice frase.
Robert si voltò verso Lily, le prese dolcemente il viso e disse:
 
- Certo che però te le vai proprio a cercare. Ti ha conciata davvero male... –
 
- Mi ha tirato un calcio. –
 
- E come hai fatto a non vederla? –
 
- La ignoravo. Ignorare è la tattica migliore, lo hai detto pure tu, no? –
 
- Si è vero, ma bisogna anche stare attenti… *sigh*.... Potresti farti male sul serio un giorno. –
 
Lily abbozzò un mezzo sorriso e rise:
 
- Eh eh… non bisogna sprecare energie contro questioni del genere. E nemmeno per persone del genere. Lo sai benissimo… -
 
Robert guardò Lily con espressione preoccupata, poi la prese sotto braccio e disse:
 
- Forza, andiamo in infermeria. Devi farti medicare. –
 
- Ma perché mi prendi sotto braccio? Guarda che so camminare. –
 
- Perché sei ferita e non ti reggi in piedi! –
 
- E’ solo sangue da naso, non sto morendo! –
 
- Vedrai che quando farai i prossimi passi la tua lucidità andrà a farsi friggere. –
 
- Ma va, figurati! Posso cammina… -
 
Quando Lily si liberò dal braccio di Robert, esattamente due passi più avanti, la sua testa inizio a girare e la sua vista ad annebbiarsi. Stava per cadere a terra quando Robert la prese al volo e disse:
 
- Tutto ok? –
 
Lily si voltò verso di lui e disse:
 
- … Non dire una parola. –
 
- Non l’ho fatto. –
 
- Ma stavi per farlo… -
 
Lily si bloccò di colpo, batté gli occhi più e più volte e disse:
 
- … Ok, meglio se andiamo in infermeria. E in fretta. -
 
Robert abbozzò un sorriso divertito e disse:
 
- Va bene capo. –
 
Robert prese Lily sotto braccio e l’accompagnò all’uscita. Mentre uscivano dalla mensa, Lily pensò:
 
Questa giornata sta davvero migliorando…
 
***
 
Robert stava disinfettando il batuffolo di cotone, mentre Lily era seduta sul lettino e si tamponava il naso col dell’altra carta. Accanto a lei c’era una piccola montagnola di scottex sporchi di sangue e non accennava a fermarsi a quanto pare.
Robert prese il batuffolo bagnato e il disinfettante, si sedette vicino a Lily e iniziò a curarla. Quando fece per avvicinarsi col batuffolo, Lily disse:
 
- Tranquillo, posso fare anche io. –
 
- No, voglio fare io. Lascialo fare a me. –
 
Lily lo guardò con sguardo dolce e rispose:
 
- … Va bene. –
 
Robert si mise comodo e iniziò a pulirle la ferita. Quello che Robert stava facendo era un privilegio: nessuno era mai riuscito ad avere un contatto fisico con Lily, ma nonostante tutto, Robert aveva questo permesso. Lei si fida di lui e di nessun’altro.
Lily abbassò lo sguardo mentre Robert le disinfettava il naso, ma non per l’imbarazzo, semplicemente perché non le piaceva che la gente si preoccupasse per lei. E’ stupido preoccuparsi. Procura solo ansie, problemi e paranoie.
Quando Robert finì di disinfettare le ferite, prese dei cerotti e un pezzo di cotone e mentre gliene applicava uno disse:
 
- Meglio se oggi vai a casa. Ne hai viste davvero di tutte i colori… -
 
Mentre Robert applicava un cerotto sulla tempia sinistra di Lily, lei rispose:
 
- Sto bene, non preoccuparti. E poi, non posso saltare la lezione di oggi: ho la preparazione di una prova della prossima settimana. –
 
Robert prese un altro cerotto, lo aprì e disse:
 
- Per una volta penso che tu possa anche saltare la lezione. Non ti succederà nulla. –
 
Lily rise e rispose:
 
- Eh eh… ma davvero? –
 
Robert guardò Lily, poi rise pure lui:
 
- Eh eh… sì, forse dovrei starmene zitto… -
 
Lily sorrise. Robert è davvero un uomo saggio e come ogni uomo saggio, deve averne viste di tutti i colori nella vita.
Mentre Robert applicava l’ultimo cerotto, disse una cosa che dipinse un sorriso sul volto di Lily:
 
- Sai, ne ho trovato un altro… -
 
Lily si voltò verso Robert e disse:
 
- … Davvero? Nella soffitta? –
 
- Negli scatoloni dell’armadio per essere precisi. Quando vuoi puoi venire, così lo guardiamo e lo studiamo insieme. –
 
Lily sorrise e felice come una bambina rispose:
 
- Ommiodio, certo che verrò! Sono troppo curiosa! –
 
Robert sorrise a sua volta e quando finì di curare Lily disse:
 
- Voilà! Finito! Adesso puoi andare. Ci vediamo domani allora. –
 
- A domani professore. E grazie per il suo aiuto… -
 
- Non c’è di che Lily… -
 
Lily guardò Robert negli occhi per qualche secondo e lui, notandolo, disse:
 
- Mi stai guardando negli occhi… -
 
- Solo per questa volta. Consideralo un regalo. –
 
E detto questo, Lily saltò giù dal lettino, prese il suo zaino, fece un inchino al professore, si avvicinò verso la porta e mentre stava per uscire si rivolse verso di lui e disse:
 
- Arrivederci Robert. –
 
Detta questa frase, Lily uscì dall’infermeria lasciando Robert da solo sul lettino.
 
***
 
Prima di tornare a casa, Lily si fermò al bar dove preparavano il miglior caffè della città, il “Coffee World”. Appena entrò dentro al bar, il signore dietro al bancone salutò Lily:
 
- Ciao Lily, vecchia carogna! Che ti è successo? –
 
Lily si sedette al solito posto del bancone del bar e disse:
 
- Oh, nulla di che Roger. Una ragazza se l’è presa con me senza un apparente motivo… -
 
- Beh, dev’essere parecchio cazzuta per farti tutti quei lividi! Dai che ti preparo il tuo caffè preferito, così ti tiri su di morale! –
 
Lily lo ringraziò con un sorriso. Adorava Roger: è un uomo anziano, sui 70 anni, con occhi azzurri vispi, capelli bianchi (molti per la sua età, ma lui riteneva che era merito del suo caffè a renderlo così “giovane”), una pancia abbastanza sporgente sotto il grembiule azzurro e la pelle rovinata sulle mani. Raccontò che tempo fa, quando lavorava come barista nel ’58, sostituiva un suo collega al bancone e che quella volta, l’acqua calda del tè gli si rovesciò sulle mani causandogli un ustione di terzo grado. Riuscì a riprendere il controllo delle mani, ma la pelle attorno era totalmente rovinata; ma nonostante tutto, era rapido e veloce nel servire i clienti.
Lily si guardò attorno: il bar era lo stesso da quando aveva iniziato a frequentarlo 4 anni fa e da allora non era mai cambiato. Era adornato con pareti in legno chiaro, quadri di paesaggi realistici sulle pareti, dipinti per tutta la stanza e una cosa che Lily amò alla follia vedendolo la prima volta: un gigantesco mappamondo alto 1.50 metri circa. Era semplicemente stupendo.
Mentre si guardava attorno, Roger portò il caffè a Lily e disse:
 
- Ecco qua: caldo, ma non troppo; con il latte, ma non troppo; e ovviamente… -
 
- Preparato con tanto affetto! Adoro quando lo dici! –
 
Roger rise contento e Lily iniziò a gustare il suo caffè. Mentre beveva, Roger prese una pezza, asciugò un bicchiere appena uscito dalla lavastoviglie e domandò:
 
- E quindi? Non mi dici com’è successo? –
 
- Lascia perdere Roger. Non c’è modo di spiegare un comportamento del genere. È successo e basta. –
 
Roger guardò Lily perplesso e rispose:
 
- Sarà, ma non può passarla liscia, questo è sicuro. Probabilmente verrà sospesa o qualcos’altro. Ai miei tempi, se facevi una cosa del genere, ti espellevano e arrivederci. Eri letteralmente nella merda! E coi genitori? Che gli dicevi? “Ciao mamma, ciao papà! Sono stato espulso perché ho pestato a sangue un compagno di classe!”? Mah! ... Io i giovani d’oggi non li capisco proprio… -
 
- Nemmeno io Roger, nemmeno io… -
 
Lily posò la tazza di caffè fumante sul bancone, prese il suo zaino e disse:
 
- Guarda! Ho trovato un altro libro. S’intitola: “Australian Cargo”. –
 
Roger posò la pezza sul bancone, prese in mano il libro e domandò:
 
- Bello! Di cosa parla? –
 
- Parla dell’esperienza di questo scrittore, Alex, che viaggia per l’Asia e L’Europa proprio come fece allora suo nonno nel ’24. È una storia bellissima. È già la terza volta che lo leggo! –
 
Roger aprì il libro, sfogliò le pagine e si fermò su una in particolare:
 
- Bello, ma perché tutte le pagine sono sottolineate e alcune parole sono cerchiate? –
 
Lily si appoggiò sul bancone e rispose felice:
 
- Perché mi servono informazioni. –
 
- Informazioni riguardo a cosa? –
 
- Al mondo. Agli altri posti al di fuori di qui. C’è così tanto da vedere e noi nemmeno ce ne rendiamo conto! E io un giorno andrò a visitarli, vedrai! –
 
Roger guardò Lily, poi il libro e alla fine rise felice e disse:
 
- AH AH AH! Allora, quando riuscirai nel tuo intento, voglio che mi mandi una cartolina da ogni posto che visiterai! –
 
Lily sorrise e rispose:
 
- Va bene Roger. Lo prometto! –
 
Lily prese la tazza, bevve l’ultimo sorso e passò la giornata al bar a parlare. Mentre guardava il fondo del suo caffè pensò:
 
La giornata è stranamente migliorata oggi... Meglio così!

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Capitolo 2
*** Germany ***


Capitolo 2: Germany

 
“20 maggio 2015
Ore: 13.27
 
Caro diario,
Oggi ti ho portato a scuola perché dopo andrò a casa di Robert. Devo prendere appunti su alcune cose, ma non devi preoccuparti; non gli mostrerò quello che stiamo progettando. Non voglio che qualcuno lo veda… sono certa che mi prenderebbero per pazza…
In ogni caso: adesso sono in mensa e la ragazza dell’altra volta mi ha solo dato un’occhiataccia da lontano. Mi sa che il preside gliene ha dette quattro.
Questo pomeriggio ho due ore di lezione col prof. Robert: parleremo della psicologia “comportamentisma” di J. B. Watson. Sono curiosa di sapere di cosa si tratta.
Per il momento, mi accontento della pausa e della mia gustosissima focaccia al rosmarino. Puoi tardi ti racconterò tutto.”
 
Lily chiuse il suo block notes, si guardò attorno e osservò gli altri ragazzi mangiare: c’era un tavolo dove sedevano solo ragazzi con lo stesso tipo di felpa rossa (probabilmente una squadra di calcio), un tavolo con sole ragazze con l’abbigliamento molto simile tra loro, un altro con ragazzi/e di colore e molti altri gruppetti.
Lily non li aveva mai notati ma… quanti gruppetti c’erano in questa scuola? Le ragazze bianche con le bianche, i ragazzi di colore coi loro simili, ecc. … non c’era un gruppo misto. Non c’era una persona differente in un gruppo.
Lily continuò a guardare i gruppetti e pensò:
 
Non è possibile che ancora adesso, che sono in quarta superiore, esistano i gruppetti… non è proprio possibile…
 
***
 
Dopo pranzo, Lily andò al suo armadietto a prendere il necessario, ma mentre stava camminando nel corridoio per tornare in aula, la ragazza dell’alta volta le si avvicinò e le disse a bassa voce all’orecchio:
 
- … Sei strana… -
 
Lily rallentò mentre Dakota, seguita dal solito gruppetto di ochette, la superarono ridacchiando. Rimase immobile prima di poter entrare in aula. Non voleva entrarci. Era la prima volta che non riusciva a sopportare un dispetto di un compagno. Voleva alzare i tacchi e andarsene ma quando lo fece, dietro di lei apparve Robert che le disse:
 
- Hey Lily! Che ci fai qui nel corridoio? –
 
Lily lo guardò, ma non rispose alla domanda. Rimase semplicemente in silenzio.
Robert la guardò per qualche secondo finché non la incitò ad entrare:
 
- Dai, entriamo in aula. Oggi parliamo del Comportamentismo! Vedrai, sarà interessante! –
 
Robert si avviò verso la porta, l’apri e la tenne aperta per Lily. Lei, vedendo questo gesto di galanteria, sorrise leggermente e si avviò verso la porta. Quando Lily si sedette al suo posto, il professore iniziò la lezione:
 
- Buongiorno ragazzi! Vi vedo belli pimpanti oggi! Direi che possiamo tenere questo clima, ma se restate concentrati in silenzio per una mezz’oretta, dopo vi lascio 10 minuti di pausa. Va bene? –
 
Un coro si elevò dall’aula:
 
- Va bene Prof! –
 
- Perfetto! Allora, cominciamo: oggi parliamo di “Comportamentismo”, ovvero la psicologia scientifica che studia il comportamento dell’uomo col metodo sperimentale. Ebbe iniziò in Nord America nel 1913 grazie ad un articolo-manifesto di J. B Watson, dove parlava appunto dei comportamenti dell’uomo nella vita quotidiana. Questo simpatico signore… -
 
Lily rimase ipnotizzata dal modo di parlare di Robert. Era sempre così: lui parlava mentre lei finiva ipnotizzata dall’argomento. Era davvero bravo a parlare.
Dopo due ore, Robert finì la sua lezione e prima di andare disse:
 
- Siete stati davvero bravi ragazzi! Siete rimasti concentrati come vi avevo chiesto. La prossima volta, 20 minuti di pausa! –
 
La classe elevò un urlò di gioia e detto questo, Robert uscì dall’aula. Lily provò felicità in quelle due ore, ma appena Robert uscì dalla stanza, quella felicità svanì subito. Già gli mancava. Ma non si preoccupò più di tanto: quella sera sarebbe andata da lui.
 
Sono le 19.30 e Lily è arrivata davanti a casa di Robert. Il portone è in legno massiccio chiaro, molto elegante con due finestrelle in vetro colorato. Dopo aver suonato il campanello, Lily aspettò che venissero ad aprire. Dopo pochissimi secondi, dietro le due finestrelle vide un’ombra arrivare e aprire la porta: era Robert. Era vestito elegante: Camicia nera, jeans chiari e senza scarpe. Portava gli occhiali da vista mentre i capelli erano più arruffati del solito.
Robert, appena la vide, le sorrise e disse:
 
- Ciao Lily! Sei in anticipo. –
 
Lily abbozzò un sorriso e rispose:
 
- Sono molto curiosa. Lo sai. –
 
Robert sorrise e la fece entrare. La casa di Robert è in stile moderno con luci calde non troppo forti, pareti bianche con quadri, mobili moderni in legno d’acero bianco, vasi di fiori su ognuno di esso, finestre ampie con un balcone ampio piastrellato e ogni sala aveva qualcosa di speciale. La cucina aveva un tavolo ad isola in mezzo e i fornelli erano a piastra (Robert diceva che aveva paura di quelli a gas; “potrebbero esplodere!” affermava ogni volta.).
Ogni cosa in quella casa era fresco e nuovo. Era perfetta.
Lily poggiò la borsa sul divano in federa color crema e Robert, con fare galante, le disse:
 
- Prego, dammi la giacca. L’appendo io. –
 
Lily la tolse e la porse a Robert. Mentre lui andò nel corridoio principale per appenderla, Lily si guardò attorno e osservò una foto in particolare. Ritraeva Robert che abbracciava una bambina. Prese delicatamente la cornice e notò un’incisione sul retro:
 
<< Non dimenticherò mai i bei momenti passati assieme. Con affetto, la tua Catherine. >>
 
Lily guardò un'altra volta la foto e osservandola meglio, notò che la bambina portava gli stessi lineamenti di Robert. Doveva essere sua figlia.
Mentre Lily guardava la foto, Robert tornò dal corridoio e disse:
 
- Allora, hai fame? –
 
Lily poggiò la foto sul mobile e rispose:
 
- Si; ad essere onesta, sto morendo di fame. –
 
- Fantastico! Ho preparato dei ravioli al pomodoro. Spero siano di tuo gradimento. –
 
Lily sorrise, annuì felice e insieme si avviarono in cucina.
Mentre mangiavano, Lily e Robert parlavano spesso di argomenti divertenti, di cucina, di libri, filosofi, film e molto altro ancora. Si divertivano insieme.
Dopo aver cenato, Robert prese due torce elettriche, ne diede una a Lily e disse:
 
- E’ giunto il momento. Curiosa? –
 
- Moltissimo! –
 
Robert sorrise e guidò Lily davanti alla scaletta che portava in soffitta. Appena furono su, le luci illuminarono una grande quantità di scatoloni ammassati e impolverati negli angoli, vecchi giocattoli e libri, un armadio antico e, in fondo alla soffitta, un vecchio baule rovinato dagli anni. Robert si avvicinò, aprì l’enorme lucchetto che lo chiudeva, si voltò verso Lily e disse:
 
- L’ho trovato ieri sera mentre davo una sistemata. Non l’ho ancora aperto… -
 
Lily si accucciò vicino a lui e disse:
 
- Beh, apriamolo allora! –
 
Lily poggiò una mano sull’enorme baule e insieme a Robert lo aprirono. Insieme ad una gran quantità di polvere, dentro al baule trovarono molti libri, delle carte geografiche, degli album fotografici e dei quaderni con degli appunti scritti sopra. Lily prese l’album mentre Robert prese un quaderno. Lily iniziò a sfogliare le pagine e trovò delle foto in bianco e nero che ritraevano paesaggi esotici, fattorie in mezzo al deserto, animali e persone di ogni tipo. Lily continuò a sfogliare mentre Robert iniziò a leggere un dei quaderni:
 
“1 Aprile 1952
Porto di Genova
 
Sono le 13.25 e il transatlantico dove mi trovo ora partirà esattamente tra 5 minuti. Nessuno sa cosa c’è nella lontana terra dove siamo diretti, ma sappiamo soltanto che li troveremo fortuna, continuando a sperare di vivere come uomini degni.
Lasciare il mio paese per poi, forse, non tornarci mai più, mi rende triste e affranto… ma chi lo sa? Magari inizierà a piacermi quel posto così lontano. Quel grande continente che tutti chiamano Australia.”
 
Lily rimase senza parole: quelle foto, quei diari… parlavano del viaggio di un uomo diretto in Australia. Il padre di Robert per la precisione.
Lily, felice come una bambina, iniziò a gasarsi come non aveva mai fatto:
 
- … Ommiodio Robert… Ti rendi conto? Questo è la storia. Stiamo leggendo un pezzo di storia! È pazzesco! Non pensi che… Robert? –
 
Appena Lily si voltò verso Robert, si bloccò di colpo: anche lui aveva preso un album fotografico e quando iniziò a sfogliarlo, trovò una foto particolare che non aveva mai visto. Robert tirò fuori la foto, guardò il retro e iniziò a piangere. Lily, preoccupata dalla sua reazione, provò a chiamarlo:
 
- … Robert? … -
 
Lui si voltò, guardò Lily e con le lacrime agli occhi disse:
 
- … Sono io … -
 
Robert porse la foto a Lily, lei la prese e la osservò: ritraeva il padre di Robert seduto su una sedia e un bambino il braccio… era Robert. Sul retro c’era una scritta che diceva:
 
<< Ivo e Robert. Wollongong, ottobre 1960 >>
 
Lily guardò la scritta, poi Robert; sembrava fosse triste, ma allo stesso tempo felice di vedere quella foto. Lily poggiò una mano sulla spalla di Robert e disse:
 
- … Sono sicura che sarebbe felice di rivedere queste foto insieme a te… -
 
Robert tentò si sorridere con le lacrime che gli rigavano le guance, guardò Lily e disse:
 
- … Tu non sai quanto vorrei che fosse qui adesso… Da quando se né andato, mi manca più che mai… -
 
Lily gli sorrise e, in modo inaspettato, lo abbracciò per consolarlo. Robert rimase senza parole ma accettò quell’abbraccio. Strinse le braccia attorno a Lily e disse:
 
- Mi stai abbracciando… -
 
- Solo per questa volta… Consideralo un segno di affetto. –
 
Lily lo lasciò andare e insieme guardarono il resto rimasto nel baule.
 
***
 
Entrambi passarono tutta la serata a leggere gli appunti di Ivo e del suo incredibile viaggio verso l’Australia. Mentre studiava per filo e per segno ogni singolo passaggio del viaggio, Robert portò una tazza di the caldo a Lily. Appena poggiò la tazza sul tavolo, lei alzò lo sguardo dal quaderno e ringraziò Robert.
Mentre Robert si avvicinava alla poltrona, Lily prese la tazza, soffiò delicatamente sul liquido e bevve un piccolo sorso. Robert intanto si sedette sulla poltrona in federa color crema chiaro, bevve un sorso del suo the e disse:
 
- Ti vedo molto presa con quei racconti… ti piacciono così tanto i viaggi? –
 
Lily poggiò la tazza sul tavolo e riprese in mano il quaderno:
 
- Non solo mi piacciono, li amo. Sono il miglior modo per imparare. Dovrebbero proporre una materia del genere a scuola… -
 
- Esiste già: si chiamano “gite di classe”, solo che non le prendete seriamente. –
 
- Le gite di classe non sono lo stesso: parti da turista; non da viaggiatore… -
 
Robert guardò Lily e domandò confuso:
 
- Che vuoi dire con “parti da turista”? –
 
Lily alzò lo sguardo dal quaderno degli appunti, lo poggiò sul tavolo e rispose:
 
- Ci sono molte differenze tra un turista e un viaggiatore e in tanti non ci fanno caso perché è difficile notarle… –
 
Incuriosito, Robert poggiò la tazza che teneva in mano sul tavolino e domandò:
 
- Davvero? Elencamene alcune…  –
 
Lily si alzò dalla sedia, si sedette sul divano vicino a Robert e iniziò a parlare:
 
- La differenza sta proprio tra il turismo e il viaggio: il turismo vende un prodotto, mentre il viaggio è un’azione fatta per svariati motivi, come la necessità di spostarsi e di conoscere.
Il turista vede quello che gli altri gli raccontano, per esempio un amico che è già andato in quel determinato posto gli ha passato le informazioni e gli dà dei consigli; mentre il viaggiatore non sa quello che troverà perché non sa nulla. Quello che trova, trova. Il viaggiatore vede un paese con occhi diversi da un viaggio organizzato. Quando sei un turista non ci sono imprevisti o ostacoli da evitare, l’improvvisazione è assente e l’itinerario è già definito prima della partenza... –
 
Robert sembrava molto interessato a tutto ciò, così Lily continuò a raccontare:
 
- Il viaggio è un grande cambiamento personale perché ci costringe a interagire con persone, culture e spazi che non ci sono familiari. Ci costringe a essere stranieri, estranei, a vivere all’esterno delle nostre abitudini, ad adattarci. Quale cambiamento può esserci in un tour organizzato? Devi metterci il naso se vuoi davvero capire come va il mondo… -
 
Robert rimase senza parole. Non immaginava che Lily pensasse a questo.
Mentre riprendeva fiato, Lily bevve un sorso di the e continuò:
 
- Forse la vera differenza è che tutto questo ci tocca non solo nella nostra mente, ma anche nel nostro cuore, dimostrando che siamo esseri umani che sanno fare scelte intelligenti nella nostra vita… –
 
Robert continuò a non dire nulla. Era troppo interessato dal suo punto di vista per poter parlare.
Lily prese di nuovo fiato e finì dicendo:
 
- Io penso che “viaggiare” sia una di quelle pazzie che mi rende davvero felice nella vita… però non riesco a comprendere una cosa… –
 
Robert guardò Lily e domandò:
 
- Cosa non riesci a capire? –
 
Lei si guardò le mani, poi guardò Robert e disse:
 
- … Perché la gente va via e non torna più… -
 
Robert guardò Lily, poi la punta delle scarpe e rispose:
 
- … Forse un motivo c’è… -
 
- E qual è? –
 
- … Il fatto che a volte si parte per riflettere, mentre altre volte si parte perché si ha riflettuto… -
 
Lily guardò Robert e lui, leggermente malinconico, le sorrise.
Guardò la tazza sul tavolo e pensò:
 
… Ha ragione… devo ancora riflettere…
 
Mentre Lily era immersa nei suoi pensieri, Robert si alzò dalla sedia e disse:
 
- Beh, ammetto che non avevo mai visto un viaggio da questa prospettiva e devo dire che mi è piaciuto il tuo argomento. –
 
Lily era ancora immersa nei sui pensieri e non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva detto Robert:

“A volte si parte per riflettere, mentre altre volte si parte perché si ha riflettuto…”
 
Lily continuò a pensare e ripensare a quella frase, quando Robert la interruppe e disse:
 
- E’ già mezzanotte. Sicura che ci siano ancora degli autobus in giro? –
 
Lily tornò alla realtà e rispose:
 
- … Eh? Ah sì sì, tranquillo. Ce n’è uno proprio fra dieci minuti. Sarà meglio se vada. –
 
Lily prese la borsa, si avviò verso il corridoio e mentre si metteva il maglione, Robert le porse il quaderno degli appunti di Ivo e disse:
 
- Prendilo e finiscilo di leggere. Poi mi dirai cos’hai scoperto. –
 
Lily guardò il piccolo quaderno, poi Robert e domandò:
 
- … Davvero posso? Non ti dà fastidio se… -
 
- No tranquilla. Prendilo pure. So che ne farai buon uso e che lo terrai bene. –
 
Lily prese il quaderno, sorrise a Robert e prima di uscire disse:
 
- Buonanotte Robert. –
 
- Buonanotte Lily. –
 
Quando uscì di casa, Lily mise via il quaderno in borsa e si avviò verso la fermata. Mentre camminava sul marciapiede pensò:
 
Si parte perché si ha riflettuto… Chissà se io l’ho già fatto…
 
Detto questo, vide in lontananza la fermata e aspettò pazientemente il bus.

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Capitolo 3
*** UK ***


Capitolo 3: UK

 
Quando Lily tornò a casa ormai stanca morta, era già l’una di notte. Mentre i suoi genitori dormivano beatamente nella stanza a fianco, Lily entrò senza fare rumore e appena si sdraiò sul letto senza cambiarsi i vestiti, chiuse gli occhi e si addormentò.
Dopo qualche ora, Lily dormiva tranquillamente sul fianco destro, finché ad un certo punto non sentì il rumore di un treno che sembrava avvicinarsi sempre di più. All’iniziò le pareva strano: vicino a casa sua non c’erano binari, ne era sicura; ma continuò a non farci caso. Probabilmente era una macchina lontana in strada.
Si girò sull’altro fianco, ma appena si mise comoda, sentì qualcosa muoverle i capelli. Un po’ scocciata, aprì gli occhi e, incredibilmente, si ritrovò all’interno di un vagone di un treno che andava sulle rotaie. Non poteva credere ai suoi occhi. Notò che fuori dal treno non era notte, bensì giorno. C’era il sole alto e questo sorprese Lily ancora di più.
Si guardò attorno e notò che il vagone dove si trovava aveva i sedili di colore verde chiaro predisposti in lunghe file sui lati, mentre in fondo al vagone c’era qualcosa. Un albero colmo di foglie verdi di forma ovale, dell’erba verde attorno tanti bellissimi fiori di diversi colori quali coi petali rossi e bianchi, petali a punta viola, piccoli fiori bianchi formati in piccoli gruppi e tantissimi piccoli fiori sparsi per tutta l’erba di colore blu, fuxia e lillà.
Non aveva idea di quali fiori si trattassero, ma erano davvero incantevoli.
Sentì nuovamente qualcosa muoverle i capelli e, presa da un leggero brivido, guardò dietro di sé cosa fosse: era una piccola finestrella aperta che, con l’andare avanti del treno, faceva entrare aria all’interno del vagone.
Lily tornò a guardare il vagone e toccò il tessuto del sedile dov’era seduta. Con grande sorpresa, scoprì che era morbido e confortante. Profumava di erba appena tagliata.
Tornò a guardare l’albero: a causa del vento dentro il vagone, le foglie dei rami continuavano a volare qua e là come se fossero farfalle.
Lily si alzò e mentre guardava l’albero davanti a lei, si avvicinò per toccarlo. Si guardò attorno ma non vide nessuno. Era totalmente sola.
S’incamminò per qualche metro e appena fu a pochi centimetri dal tronco dell’albero, si fermò. Sentì lo stimolo di toccare quel bellissimo albero, ma non sapeva il perché. Era più forte di lei, non poteva farci nulla. Avvicinò la mano e appena lo sfiorò, sentì una sensazione di sicurezza e calma. Si accucciò alle radici dell’albero, si sedette e con la schiena si appoggiò al tronco. Improvvisamente sentì il bisogno di dormire. Stava per addormentarsi e mentre le palpebre diventavano sempre più pesanti, rimase ad ascoltare il rumore del vento, del treno sulle rotaie e la sensazione dei petali dei fiori che si muovevano leggiadri attorno a lei… Se quello era il paradiso, avrebbe voluto rimanerci per sempre.
Mentre riposava, aprì leggermente gli occhi e davanti a se vide qualcosa: una sagoma scura. Non capiva bene cosa fosse così focalizzò l’immagine e…
 
- Lily? Sveglia. Devi andare a scuola. –
 
Lily si svegliò e vide sua madre scuoterla delicatamente al bordo del letto. Li per lì, non capiva cosa fosse successo, ma quando si svegliò, capì che era solo un sogno. Un bellissimo sogno.
La madre di Lily la chiamò a bassa voce e le disse:
 
- Avanti tesoro. Alzati, che è tardi. –
 
Detto questo, la madre uscì dalla stanza e lasciò che si svegliasse con calma.
Dopo qualche minuto, Lily si alzò, si stropicciò gli occhi, si stiracchiò e scese dal letto. Era un po’ delusa perché avrebbe voluto continuare quel sogno meraviglioso. Sperava di sognarlo anche questa notte. Dopo essersi vestita, prese lo zaino e andò in cucina a fare colazione.
La madre le aveva preparato una ciotola di macedonia di frutta, un bicchiere d’acqua e qualche biscotto al cioccolato. Lily prese la ciotola e disse:
 
- Hai qualche impegno dopo il lavoro? -
 
- In effetti si: devo passare in alcuni posti e ti sarei grata se andassi tu a fare la spesa… -
 
- Va bene. Nessun problema. –
 
Lily finì la macedonia, bevve il suo bicchiere d’acqua, prese dei biscotti, diede un bacio sulla guancia della madre e disse:
 
- Grazie per la colazione. Vado a prepararmi. –
 
- Aspetta tesoro! –
 
Lily si fermò di colpò, si voltò verso di lei e disse:
 
- Cosa c’è mamma? –
 
Sua madre si avvicinò a lei, le mise una mano nei capelli e tirò fuori qualcosa:
 
- Ecco: avevi questi tra i capelli. –
 
Lily guardò cosa fosse e, con sua grande sorpresa, scoprì che era un petalo di un fiore. Lily rimase senza parole. Non poteva essere vero. La madre lo guardò e disse:
 
- E’ per colpa di quei capelli arruffati che c’hai in testa. Non so come fai a tenerli! -
 
Adesso Lily era davvero confusa: è stato un sogno, oppure no?
 
***
 
Appena arrivò in stazione, Lily pensò al sogno dell’altra sera: un treno con un albero di Acacia circondato di fiori e una tranquillità indescrivibile… cosa poteva significare?
Ci pensò per tutto il tempo mentre era al binario. Mentre il treno stava per arrivare pensò:
 
Chissà cosa voleva dire quel sogno… Cavoli, sono così confusa! Insieme agli appunti, sono davvero… gli appunti!
 
Lily si ricordò di avere ancora in borsa il quaderno degli appunti di Ivo, il padre di Robert. C’erano delle informazioni su cui doveva assolutamente approfondire delle ricerche. Mentre pensava a tutto ciò, il treno arrivò e si fermò al binario. Fece un rumore assordante, ma Lily continuò a pensare al petalo e agli appunti:
 
Troppe domande e poche risposte… forse dovrei fermarmi per un momento e riflettere… devo cercare le risposte…
 
Intanto, i passeggeri in attesa al binario, salirono sul treno. Il capostazione lasciò le porte aperte per qualche minuto aspettando i ritardatari, poi salì pure lui, chiuse le porte con un forte tonfo e partì puntuale come un orologio…
Quando il treno uscì dalla stazione, Lily era ancora li ferma al suo posto. Non era salita.
Aveva in mente un idea.
Come una saetta, mise via il quaderno nella borsa, scese la rampa di scale e uscì di corsa dalla stazione. Attraversò il grande viale di fronte all’edificio, poi la strada, rischiando di farsi investire, e si diresse per andare in un posto dove avrebbe trovato sicuramente le risposte che cercava.
Dopo 20 minuti, si fermò davanti all’edificio a cui stava pensando: la biblioteca.
Appena si fermò, riprese fiato, entrò e di diresse alla reception. La biblioteca aveva una struttura imponente, con pareti in legno massiccio e un soffitto pieno di lampadari luminosi e brillanti. Assomigliava quasi alla biblioteca del Trinity college di Dublino (non così bella, ma simile e piena di libri).
Arrivò davanti alla reception e la donna dietro alla scrivania, riconoscendola, la salutò:
 
- Ciao Lily! Che bello rivederti! Come stai? –
 
Lily conosceva bene la segretaria della biblioteca: si chiama Doris, ha 50 anni circa, è leggermente paffutella con dei capelli biondi legati sempre da un fermaglio con un fiore rosso e una personalità fuori dal comune. Lily la considerava l’amica che non aveva mai avuto a scuola: intelligente e colta, piena di vivacità e con tante di quelle informazioni nella biblioteca che manco la CIA e l’FBI sapeva di conoscere bene.
Lily poggiò la borsa sul bancone, salutò Doris e rispose:
 
-  Ciao Doris! Sto bene grazie. Mi servirebbe un favore… -
 
- Dimmi tutto carissima. -
 
- Mi servono dei libri che parlano delle migrazioni dei cittadini italiani negli anni passati. Hai qualcosa al riguardo? –
 
Doris, appoggiandosi sullo schienale della sedia, ci pensò su, poi si voltò verso Lily e disse:
 
- Mmmm… Si dovrei avere qualcosa… Quale periodo cerchi esattamente? –
 
- Tra il 1950 in poi. -
 
- Penso proprio di sì. Ti faccio vedere, vieni. –
 
Doris accompagnò Lily al secondo piano al reparto “Storia” dove c’erano dei volumi a dir poco mastodontici e molto antichi grandi quanto un’enciclopedia. Dopo qualche ricerca, Doris indicò la sezione che cercava e disse:
 
- Ecco qui. È tutto quello che ho sulle migrazioni e immigrazioni. Se hai bisogno, chiamami pure. –
 
- Grazie. Sei la migliore Doris. –
 
- Modestia a parte, ovviamente… -
 
Doris abbozzò un sorriso e si diresse alla rampa di scale per tornare al suo posto dietro la scrivania. Lily intanto, iniziò a cercare: trovò tre libri molto interessanti dal titolo “Industrializzazione e migrazioni interne (1950-1970)”, “L'Italia e le migrazioni” e un raccoglitore con dei ritagli di giornale datati 1950 e oltre.
Dopo aver impilato i libri, Lily tornò alla reception e Doris le chiese:
 
- Hai trovato quello che cercavi tesoro?
 
- Si, ma devo ancora prendere una cosa: posso affidarteli per un momento? -
 
Doris le strizzò l’occhiolino e Lily andò ancora a caccia di libri. Questa volta andò nel reparto “Botanica: piante & fiori di ogni tipo” e cercò un libro sui significati dei fiori/alberi. Rovistò tra gli scaffali e trovò un libro intitolato “Il grande libro del linguaggio dei fiori”. Lo sfogliò e trovò molte illustrazioni di alberi, piante e fiori con accanto ad ognuna di esse un piccolo riquadro con delle scritte. Lily pensò che andasse bene, tornò alla reception e disse:
 
- Prendo questi quattro libri Doris. Te li riporterò appena posso. –
 
Doris prese i libri uno ad uno, li catalogò sul computer e disse:
 
- Tranquilla tesoro. Tienili quanto vuoi. –
 
Lily le sorrise e prima di prendere i quattro volumi, Doris le domandò:
 
- Ma esattamente a cosa ti servono? Di solito prendi dei romanzi, non enciclopedie enormi. Stai facendo una ricerca? –
 
Lily mise i liberi in borsa, se la mise in spalla, fece spallucce e disse:
 
- … Più o meno. È per una ricerca, sì, ma di altro genere… -
 
Doris poggiò le braccia sul tavolo, le sorrise e disse:
 
- Allora buono studio! Ci vediamo presto. –
 
Lily prese i libri e disse:
 
- Certo… ci vediamo… -
 
***
 
Il bar “Coffee World” era poco affollato. Ci venivano, per la maggior parte, ragazzi e ragazze per studiare in pace e persone anziane a godersi un buon caffè durante la giornata. Lily arrivò verso le 11 e quando varcò la porta in vetro, Roger la vide e la salutò:
 
- Hey Lily! Piccola peste! Come mai sei qui? Non dovresti essere a scuola? –
 
Lily si sedette al bancone, poggiò la pesante borsa e rispose:
 
- Oggi no. Ho molte cose da studiare. Se non ti dispiace, vorrei rimanere qui a farlo… -
 
Roger prese una tazzina e mentre l’asciugava disse:
 
- Il bar è di tutti! Puoi rimanerci quanto vuoi. –
 
Lily lo ringraziò, prese i libri della biblioteca e aprì il grande volume sull’indice. Cercava il periodo quando Ivo partì col transatlantico verso l’Australia.
La ricerca ebbe inizio.
Ora Lily, non si sarebbe tirata indietro.
Trovò per lo più informazioni riguardanti resoconti fatti dai preti durante i missionari per verificare le condizioni di vita degli immigrati e quel che scoprì era sconcertante: le grandi aziende, che avevano promesso un terreno alle famiglie contadine, diedero loro dei terreni, ma del tutto inutilizzabili; essendo un’isola con climi differenti (quali temperati, tropicali, equatoriali ecc); l’agricoltura era fattibile solo in determinati posti. Alcuni abbandonarono subito quella terra tornando delusi in Italia, mentre altri decisero di rimboccarsi le maniche, vivere come uomini degni e rendere pan per focaccia le persone che li avevano truffati. Uno di questi uomini era Ivo: Si trasferì sulla costa Sud-Est nel Nuovo Galles del Sud a Wollongong, vicino Sydney, e per poter vivere in quell’ambiente arido e inospitale, diede inizio ad un’attività di allevamento di ovini producendo carne e lana per tutto il paese; non molto tempo dopo, diede inizio alla coltivazione di vigne per il pregiato vino australiano.
Riuscì ad accumulare un capitale molto alto e così a costruirsi una casa mettendo su famiglia.
Lily rimase ore a studiare quella storia e rimase affascinata da tutto ciò. Voleva saperne di più.
Dopo alcune ore di studio intenso, Lily trovò tutte le informazioni che cercava. Decise di prendersi una pausa e mentre si stropicciava gli occhi, Roger le porse un sacchetto di carta con dentro qualcosa. Lei lo guardò e disse:
 
- Che cos’è? –
 
Senza che lei se ne accorgesse, Roger era uscito un momento dal bar lasciandola studiare con calma. Mentre Lily lo guardava, si tolse il cappello che aveva in testa, lo appese sull’attaccapanni in legno e rispose:
 
- Il tuo pranzo. Sei qui da quasi 5 ore e non ti sei nemmeno mossa. Devi mettere qualcosa sotto i denti, quindi mangia! –
 
Lily guardò l’orologio: le 16. Era arrivata al bar verso la mattina; com’era possibile che fosse passato così tanto tempo? Lily cercò di non pensarci, prese il sacchetto, lo aprì e dentro ci trovò due tramezzini col l’uovo e il tonno. Lily ne addentò un morso e lo mangiò con gusto. Aveva decisamente troppa fame e mangiò il primo tramezzino in pochi secondi, dopodiché, iniziò subito col secondo.
Roger la guardava contento: finalmente mangiava qualcosa.
Lily finì il suo “pranzo” tutta felice e lo ringraziò:
 
- Fiu! Grazie Roger. Se non ci fossi tu, sarei morta di fame ancora prima di arrivare a casa. –
 
Roger le sorrise e disse:
 
- Non c’è di che! Ti va un caffè? –
 
- Più che volentieri! –
 
Roger si diresse verso la macchina del caffè, mentre Lily si lasciò cadere sul bancone coi gomiti aspettando pazientemente. Mentre aspettava, pensò a quello che aveva studiato durante quelle ore e non poteva credere a quello che aveva passato Ivo in Australia. Sistemò i libri delle migrazioni, quando vide il libro di botanica nascosto sotto di essi. Se ne era dimenticata: doveva cercare una definizione del sogno che aveva fatto.
Lo prese in mano, lo guardò e pensò:
 
Ero talmente presa a conoscere la verità su suo padre che mi sono dimenticata del sogno… sarà meglio dare un’occhiata a questi fiori…
 
Lily cercò i fiori che aveva visto in sogno. Non era sicura di ciò che aveva visto, ma la forma e il colore se li ricordava bene quindi non poteva sbagliarsi. Con l’aiuto delle immagini, cercò i fiori che più si avvicinavano a quello che aveva visto e quando riconobbe l’albero, lesse il piccolo paragrafo accanto:
 
Acacia Robinia (Robinia pseudoacacia)
Il legno di Acacia è noto per la sua resistenza e durezza. Vengono da sempre associati significati quali la forza, il vigore, la perennità e la vittoria della vita sulla morte.
Considerata nell'antichità come il simbolo del legame tra i mondo del visibile e quello dell'invisibile, l'Acacia era spesso simbolo di saggezza e rinascita.
Nella tradizione degli antichi egizi si narra della nascita di alcuni Dei sotto i rami di un'Acacia e l'albero simboleggiava il passaggio dall'ignoranza a uno stato di conoscenza.
Nella più moderna tradizione massonica, l'Acacia è vista come portatrice di positività e cambiamento. “
 
Lily finì di leggere, poi cercò gli altri fiori che aveva visto. Trovò il fiore rosso e bianco e lesse il paragrafo:
 
Garofano (rosso) – (Dianthus caryophyllus)
 Amore ardente e passionale. Simboleggia passione, ma anche l’inferno.”
 
Lily sfogliò ancora e cercò ancora. Più cercava, più notava che i fiori significavano qualcosa che lei sapeva da sempre. Doveva sapere.
Cercò ancora e trovò il fiore viola:
 
Mandragora (Mandragora autumnalis)
Furore, delirio, rarità.”
 
Lily non poteva credere a quello che leggeva. Cercò ancora, assetata più che mai dalla voglia di conoscere e capire. Non riusciva a fermarsi. Ormai era vicina alla soluzione.
Poche pagine più avanti, trovò i fiori bianchi in piccoli gruppetti:
 
Viburno (Viburnum)
Attestato dei propri sentimenti o della propria stima.”
 
L’ultimo. L’ultimo fiore poi tutto avrebbe avuto senso. Trovò i fiori piccoli di colore blu, fuxia e lilla:
 
 
Centonchio dei campi (Anagallis arvensis)
Cambiamento della vita. Può essere in senso negativo o positivo.”
 
Lily chiuse il libro con un tonfo. Tutti quei significati… tutti quei fiori… avevano un significato rivelatorio per Lily. Non poteva essere una coincidenza. Non poteva esserlo.
Si accorse che stava tremando. Non riusciva a fermarsi. Quel sogno… non poteva essere una coincidenza…
 
- Ecco il caffè! -
 
Il suo pensiero venne interrotto proprio quando Roger le portò il caffè. Lily si riprese con uno spavento e disse:
 
- Eh? Oh sì… grazie Roger… -
 
Mentre prendeva la tazzina, Lily tremava come una foglia e anche Roger lo notò:
 
- Hey Lily. Tutto bene? stai tremando… -
 
Lily bevve un sorso e rispose:
 
- … Tranquillo Roger. Va… va tutto bene… -
 
***
 
Mentre tornava verso casa, Lily pensò ancora al sogno. Pensò al treno, all’albero e ai fiori che aveva sognato. Tutte queste cose avevano qualcosa in comune che aveva a che fare col modo di vedere la vita Lily. Quando arrivò alla stazione, sentì dentro di sé il senso di angoscia che la distruggeva lentamente.  Non riusciva a tenersi tutto. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e sapeva con chi. Prese la sua decisione e si avviò.
Guardò sul tabellone il primo treno che fosse diretto verso la piccola cittadina dove abitava l’unica persona di cui potesse fidarsi: Robert. C’era un treno fra 5 minuti al binario 3. Perfetto e in orario.
Lily si diresse al binario 3 e aspettò che arrivasse e nel mentre pensò:
 
E’ sera tardi… spero di non disturbarlo mentre mangia…
 
Mentre aspettava, in lontananza vide i fari luminescenti del treno.
Il tragitto fu molto tranquillo per fortuna e durò quasi un’ora. Quando Lily arrivò in stazione, c’era un silenzio di tomba, così guardò che ore fossero: le 8 passate. Lily si guardò intorno e pensò:
 
Probabilmente avrà già finito di cenare… spero!
 
Mentre percorreva la strada principale del quartiere, Lily passò davanti a molte case graziose e ben curate: non ci aveva mai fatto caso, ma erano davvero eleganti. Dopo 10 minuti a piedi, arrivò davanti alla casa di Robert, si diresse nel viale principale, ma in quel momento si rese conto di una cosa: lui non era solo in casa.
Dalla finestra, Lily notò che c’era un’altra persona, ma la tenda bianca copriva la visuale e non permetteva a Lily di capire chi fosse. Non poteva vedere i volti, ma aveva intuito che uno dei due era una donna. Vide le due sagome parlarsi vicini, seduti sul divano, poi uno dei due abbracciò l’altro e… diede un bacio all’altro. Lily rimase immobile. Non fece nulla. Non sapeva perché ma provò un senso di rabbia e gelosia dentro di sé; ma perché provava tutto ciò?
Lily fece una cosa che non aveva mai fatto prima: tornò indietro verso la stazione ingelosita dalla scena.
Mentre s’incamminava a passo veloce, Lily pensò:
 
Ma che cazzo vado a pensare? Non è che per forza, visto che è l’unica persona di cui io mi fidi, non debba avere qualcuno di cui è innamorato! Andiamo… è solo un amico!
 
Attraversò il viale principale e quando arrivò alla fermata del bus, si sistemò la borsa in spalla e pensò:
 
*Sigh*… adesso faccio pure la gelosa? Sono ridicola…  Beh, peggio di così non poteva andare…
 
Mentre aspettava sotto il cartello della fermata, Lily sentì delle gocce caderle sulla testa. Guardò in alto e iniziò a piovere leggermente. In quell’esatto momento, quando abbassò lo sguardo pensò:
 
… Grandioso…ma che cazzo, perché succedono tutte a me?
 
Lily ormai si rassegnò: non era la giornata giusta per lei. Si mise il cappuccio sulla testa e aspettò il bus per tornare alla stazione.
Rimase ad aspettare sotto la pioggia per quasi 20 minuti e quando finalmente arrivò alla stazione, notò sui tabelloni di aver perso la coincidenza di soli 7 minuti. Il prossimo era tra mezz’ora. Lily andò nella sala d’attesa al caldo, ma ormai era troppo tardi: il raffreddore era assicurato.
Lily si coprì più che poté e mentre aspettava pensò:


Oggi non è stata proprio la mia giornata. Troppe sorprese indesiderate…

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Capitolo 4
*** Canada ***


Capitolo 4: Canada

 
2 Giugno 2015
 
Ore: 07.42
 
“Caro diario,
Probabilmente ti chiederai perché scrivo a quest’ora presto…
Non sono andata a scuola oggi. Per la precisione, non ci vado da almeno 10 giorni. I miei genitori non lo sanno. Non sanno che la mattina la passo al bar di Roger, il pomeriggio in biblioteca da Doris e infine in giro per la città a disegnare per poi tornare a casa come se nulla fosse.
Nessuno lo sa.
Non è il massimo del divertimento, lo so, ma non è questo ciò che sto cercando: io voglio solitudine, tranquillità, un posto dove riflettere con calma; cosa che a scuola non riesco mai a trovare.
All’aria aperta si sta meglio. Non capisco come facciano le persone a rimanere rinchiuse per 6 ore al giorno, se non più, dentro un edificio.
Io non ci riesco…
Impazzisco ogni volta che ci metto piede…
Cambiando discorso, questi giorni mi sono dedicata allo studio, ma diverso dal solito: grazie a Doris, ho trovato molti libri che parlavano dei continenti, dei loro vari stati, della cultura generale e molte altre cose interessanti. Ho trovato un’edizione di ben 5 volumi.
Il primo volume parlava dell’America del Nord. Dio, caro diario, tu non immagini nemmeno quante cose stupende ha quel posto incantevole!
Pensa che il Canada ha quasi il 60% di tutti i laghi del mondo. Solo in Canada! Ti rendi conto? È pazzesco! È una di quei paesi che una persona dovrebbe visitare almeno una volta nella vita.
E a proposito di visitare altri luoghi: sto ancora ancora organizzando il progetto… non manca molto… mi manca qualche informazione poi potremo finalmente partire.
Non vedo l’ora, amico mio…”

 

Mattino:

 
Sono le 11.30; Dopo una mattinata intensa di lavoro, Roger stava sistemando le tazzine pulite sullo scaffale in alto dietro al bancone. Quella mattina non era euforico come gli altri giorni. Sembrava piuttosto preoccupato. Alcuni clienti gli avevano domandato se andava tutto bene, ma nonostante tutto, lui annuiva tranquillamente.
Dopo aver posizionato le tazzine di forme particolari sullo scaffale, Roger chiuse la lavastoviglie, diede una pulita al bancone e soddisfatto, si tolse il grembiule azzurro.
Guardò il grande grembiule di stoffa, poi posò l’occhio sull’unico cliente rimasto al bar: Lily.
Era seduta sullo stesso posto da almeno le 7 di mattina; inoltre Roger si domandava perché avesse tutto quei libri sul bancone. Continuava a prendere appunti senza mai fermarsi.
Era preoccupato. Lo era perché Lily non era più sé stessa ultimamente.
Roger poggiò il grembiule sul bancone, si avvicinò a Lily e disse:
 
- … Lily… potresti fermarti per un secondo e ascoltarmi, per favore? –
 
Lily non alzò subito lo sguardo: finì di scrivere l’ultima frase, poi posò la penna, guardò Roger e disse:
 
- Dimmi pure Roger. –
 
Roger guardò i libri sul bancone, poi la ragazza. Sapeva che Lily era suscettibile, ma con un po’ di coraggio iniziò a parlare:
 
- … Ultimamente sei sempre al bar la mattina: arrivi qui, prendi il tuo caffè e non esci mai prima delle 12. Prendi sempre appunti su robe che non sono materiale scolastico e questa cosa mi sta preoccupando molto… non è che stai per abbandonare la scuola? –
 
Lily guardò il fogli sparsi ovunque, poi guardò i libri: parlavano dei continenti in generale e ormai il suo block notes, che serviva per prendere appunti a scuola, erano pieni di informazioni delle sue passioni.
Lei guardò i fogli, poi Roger e disse:
 
- … Non devi preoccuparti Roger: tutto questo mi servirà alla fine! –
 
- Lo so Lily, ma sapere quali tipi di piante troverai nella foresta pluviale tropicale del Perù, o i migliori parchi naturali da visitare in Oregon, non sono studio da scuola superiore! Ci sono cose molto più importanti! –
 
Lily guardò Roger con aria infastidita. Che ne sapeva lui? Va bene, si stava preoccupando, ma in fondo non erano affari suoi.
Lily guardò Roger e rispose:
 
- E cosa sono le cose più importanti da sapere allora? Ragionare sulle disequazioni di matematica? Ricordare quante guerre abbiamo creato in Europa negli anni passati? Quando sia importante sapere cosa provava Foscolo scrivendo “I sepolcri”? No, hai ragione: questo è veramente importante… -
 
Roger guardò Lily furioso. Si stava comportando come una bambina.
Tentò un’ultima volta di farla ragionare:
 
- Lily, tu non capisci! Tutte queste cose che tu ritieni “spazzatura”, sono fondamentali! –
 
- Oh davvero? E’ davvero così fondamentale riempirsi la testa di cazzate simili per poi scoprire che un giorno, nonostante tu abbia un’istruzione, la vita ti fotterà comunque? È questo che intendi dire? –
 
Roger rimase in silenzio. Non pensava che Lily potesse arrivare a pensare a tutto questo; inoltre, non riusciva a trovare le parole giuste per replicare quello che aveva appena detto. Roger guardò Lily negli occhi stupefatto, ma lei continuò il suo discorso:
 
- Roger, io non voglio scegliere questa vita! Non voglio ridurmi ad una macchina umana che si alza presto la mattina, va in un posto che non apprezza, lavorare, fare soldi per qualcun’altro e essere grata di tutto ciò! Non voglio finire così… -
 
 Roger rimase in silenzio. In tutto il bar c’era un silenzio inquietante. Lily sapeva che quelle cose avevano preoccupato ancora di più Roger, ma lei che ci poteva fare? In fondo, era proprio quello che pensava.
Lily chiuse gli occhi e sospirò profondamente. Roger tentò di calmarla e le disse:
 
- … Lily, io non so cosa ti sia successo, ma non è così che si ragiona. Devi capire che –
 
Roger non finì la frase perché Lily saltò giù dallo sgabello in legno, mise via i suoi libri e gli disse:
 
- Adesso devo andare. Ci vediamo Roger. –
 
Fece per uscire, ma Roger la chiamò fermandola di colpo:
 
- Lily, aspetta! –
 
Lei si fermò di colpo appoggiando la mano sulla maniglia della porta in vetro. Si voltò verso di lui e domandò:

- Che c’è Roger? –
 
- … Che ti è successo? Non ti riconosco più… -
 
Lily abbassò lo guardò sul pavimento, come se cercasse risposta tra le travi in legno d’acero lucido. Dopo qualche secondo di pausa, Lily alzò lo sguardo e rispose:
 
- … Sto riflettendo Roger. Sono le domande che mi hanno fatta diventare così… -
 
Lily aprì la porta prima che Roger potesse replicare e uscì lascando il vecchio uomo da solo.
 
***
 
Anche oggi non c’è. Da quanto tempo è che non si fa vedere? Una settimana o forse più? … Troppo tempo, troppo! Non è ammalata; dev’essere successo qualcos’altro…
 
Col bicchiere di plastica rovente in mano e la sua borsa bordò sull’altra spalla, Robert beveva il suo meritatissimo caffè durante ricreazione. Si trovava in corridoio a fare sorveglianza e questa era la parte più noiosa della giornata. Una noia mortale: non succedeva mai niente.
Anche oggi si preannunciavano 15 minuti tranquilli.
Mentre osservava i ragazzi passare per i corridoi, Robert continuò a pensare che fine avesse fatto Lily:
 
L’ultima volta mi sembrava tranquilla e in buona salute, ma non mi ha mai accennato di qualche problema… forse dovrei
 
- Hey Robert! Ti vedo pensieroso! Che ti piglia? –
 
I pensieri di Robert vennero subito interrotti bruscamente dal prof. Jordan, il professore di storia e italiano. Non gli andava tanto a genio quell’uomo, ma era un suo collega di lavoro e non poteva farci nulla: non lo faceva apposta, solo che era fatto così; come la maggior parte della gente in quel posto.
Jordan si avvicinò a Robert, gli diede una pacca sulla spalla e disse:
 
- Eddai, fammi un sorriso! –
 
A momenti Jordan non gli faceva cadere il caffè per terra.
Con una mossa da ninja, Robert tenne in equilibrio il bicchiere senza versare nemmeno una goccia, poi si sistemò la camicia e ripose:
 
- … Hai ragione. Sono solo un po’ preoccupato… -
 
- Fammi indovinare: degli alunni ti hanno fatto andare di matto! –
 
Ecco, era questo quello che Robert odiava degli altri professori: se qualcuno dei colleghi aveva un problema, la colpa era per forza degli alunni. Ma perché doveva essere così? Lo è per forza?
Robert fece finta di niente e rispose:
 
- … Sono preoccupato per una delle mie studentesse.  –
 
- Ti capisco: qualche giorno fa, per non fare nomi, un alunna mi ha risposto male con un energico “vaffanculo!”. Ma ti pare? Incredibile, non c’è più rispetto per noi insegnanti… questo è davvero preoccupante. -
 
A bassa voce, Robert replicò:
 
- Forse il rispetto te lo devi meritare… -
 
- Come? –
 
- Dicevo che è normale una cosa così: i ragazzi hanno bisogno di mettere in mostra la propria autorità e farsi sottomettere da qualcuno non gli piace. Anche io ero così a scuola. –
 
Robert bevve l’ultimo sorso del suo caffè ormai tiepido, buttò il bicchiere e finalmente suonò il campanello. Insieme a Jordan si avviò in aula insegnanti e mentre camminavano, quest’ultimo disse:
 
- Sarà che gli adolescenti hanno bisogno di difendere la propria autorità e il bisogno di mostrare il loro modo di essere, ma questo non gli permette di rispondere male a noi insegnanti! Insomma, siamo dei pubblici ufficiali! –
 
Robert alzò gli occhi al cielo. Pubblici ufficiali… manco fossero dei poliziotti in un riformatorio!
Si voltò verso Jordan e disse:
 
- Jordan, non è facile comprenderli, ma dobbiamo provarci. È nostro compito aiutarli ed educarli per il loro futuro. –
 
Appena entrarono in aula insegnanti, Robert prese i fascicoli con scritti le lezioni delle varie classi, nel mentre Jordan disse una cosa che mandò in bestia quest’ultimo:
 
- … Non lo so; gli adolescenti sono impulsivi e credimi che ne conosco alcuni che dovrebbero essere messi in riga come si deve; per esempio Lily Clark: è sempre zitta, non parla mai coi compagni, risponde male ad alcuni prof, ma i suoi voti sono ottimi! Quella ragazza è un mistero! –
 
Robert si bloccò di colpo, si voltò verso di lui e domandò:
 
- … Come scusa? –
 
Jordan ripeté con una naturalezza sfacciata quello che aveva appena detto:
 
- Dicevo che Lily Clark, la studentessa della IV E, quella sì che bisognerebbe metterla in riga! –
 
Robert era davvero furioso. Quando si trattava di Lily, andava in bestia. Gli veniva spontaneo e non sapeva il perché. Fece appello a tutte le sue forze per resistere alla tentazione di tirargli un cazzotto in pieno viso. Dio, che imbecille quest’uomo!
Fece un respiro profondo, guardò Jordan negli occhi e rispose:
 
- … Ora devo andare. Adesso ho lezione. –
 
Sorpassò Jordan velocemente e quest’ultimo gli disse:
 
- Va bene. Ne riparleremo quando vuoi! –
 
Mentre usciva dalla porta della sala insegnanti, Robert pensò:
 
Non ci penso nemmeno, Occhio magico.
 
***
 

Pomeriggio:

 Lily si trovava seduta su una poltrona blu della biblioteca nella sala per i ragazzi. Era arrivata alle 14 e da quel momento non aveva fatto altro che leggere. Stava leggendo libri presi a caso tra gli scaffali dei diversi generi, molti dei quali erano insignificanti per lei.
Stava finendo un libro intitolato “L’ombra dello scorpione” di Stephen King, ma proprio quando era arrivata alla penultima pagina, Doris si avvicinò a lei e le domandò:
 
- Tesoro, posso farti una domanda? –
 
Lily alzò lo sguardo verso Doris, ritornò alla pagine, alzò la mano col dito indice e disse:
 
- Dammi due secondi: mi mancano solo tre facciate… –
 
Doris accolse la richiesta di Lily e mentre aspettava guardò una cosa al quanto strana: accanto alla poltrona dov’era seduta, Lily aveva circa una quarantina di libri diversi sparpagliati sul pavimento, sul tavolo accanto e sul bracciolo della poltrona impilati malamente o semplicemente buttati lì a caso. La bibliotecaria non aveva mai visto una cosa del genere: Lily di solito prendeva un libro, lo leggeva e poi lo riponeva al suo posto facendo lo stesso col successivo, ma questa volta non era così…
Che cosa le stava succedendo?
Lily chiuse con un tonfo il libro di King e disse:
 
- Carino questo libro. Peccato che il finale sia un po’ deludente… -
 
Doris non aveva dubbi: Lily non stava bene.
Prese un bel respiro, guardò la ragazza e disse:
 
- Lily, ascolta tesoro, non fraintendere quello che sto per dirti, ma ultimamente ti vedo sempre qui il pomeriggio… è successo qualcosa a scuola? –
 
Lily appoggiò la testa all’indietro e prese un respiro profondo. Non è che fosse scocciata, semplicemente ne aveva le scatole piene di sentirsi chiedere le stesse domande. Erano preoccupati, ma non dovevano farlo. Lei odiava questo tipo di cose.
Doris guardò Lily in silenzio e non ottenendo una risposta fece un'altra domanda:
 
- Tesoro, so che a te dà fastidio, ma almeno dammi la certezza che stai bene: non ti hanno espulsa, vero? –
 
Lily si passò una mano sulla faccia, fece un altro respiro profondo e rispose:
 
- … No Doris, non mi hanno espulsa, stai tranquilla… -
 
- E allora cos’è successo? –
 
Lily non voleva rispondere alle sue domande; non adesso almeno. Guardò l’orologio: le 17. Doveva tornare a casa.
Prese la sua borsa, mise via alcuni libri e disse:
 
- Ti sistemo i libri e poi vado a casa. -  
 
Lily prese una decina di libri, superò Doris la quale non disse nulla e si diresse verso gli scaffali a riordinarli. Doris guardò la ragazza allontanarsi in fretta, poi prese alcuni libri che erano rimasti lì per terra e guardò i titoli di essi: “Robinson Crusoe”, “Wonder”, “Boy”, “Il codice Eternity” e molti altri. Doris diede un ultimo sguardo alle copertine, guardò Lily in lontananza sugli scaffali intenta a riordinare e pensò tra sé e sé:
 
Ma che le sta succedendo? Povera ragazza…
 
***
 
- “Come potete notare nel comportamento del bambino, crescendo tende man mano a diventare narcisista” … come scrisse Erickson… no scusate, Sigmund Freud, nel suo libro… “Totem e tabù”; “ma… nel tempo questo… questo sentimento verso il genitore del sesso opposto tenderà… tenderà a scomparire.” –
 
Robert stava facendo lezione in una delle sue classi come al solito, ma lo faceva diversamente dal solito: mancava di enfasi, continuava a fermarsi mentre parlava o non finiva quello che voleva dire. Gli alunni se ne accorsero praticamente subito e si preoccuparono:
 
- “Il bambino con… con… un peggioramento delle sue capacità… tenderà a” … scusate ho perso il segno, dov’eravamo rimasti? –
 
Arrivati al limite della preoccupazione, uno degli studenti domandò:
 
- Professore, mi scusi, ma si sente bene? E’ da un ora che dice cose a caso senza un filo logico… -
 
Robert guardò la classe distrattamente e non rispose. Un altro alunno lo chiamò preoccupato:
 
- Professore? Ha capito quello che le abbiamo detto? –
 
Robert si svegliò dalla sua trace dopo pochi secondi e rispose una frase senza senso e confusa:
 
- … Eh? Io… io… -
 
Robert guardò la classe confuso. Non riusciva a connettere. Era spaesato.
Mentre si voltò verso la lavagna, fece una cosa che non aveva mai fatto: appoggiò i fogli con gli appunti di Freud sulla cattedra e disse:
 
- Scusate ragazzi… esco per un momento… -
 
Robert uscì dalla classe senza chiudere la porta mentre gli alunni si guardarono preoccupati. Appena uscì, Robert appoggiò una mano sulla fronte e tirò qualche respiro profondo. Stava male, ma non fisicamente: erano ormai ore che continuava a pensare a Lily e al fatto che non si presentasse da almeno due settimane a scuola.
Che cosa le era successo? Perché non veniva più? Ma la vera domanda era: perché pensava a lei?
Robert cercò di riprendersi ma non riusciva a connettere la testa al lavoro. Stava sudando freddo e mentre si stropicciava gli occhi pensò:
 
Dio, non sono mai stato così… ok, adesso calmati: rilassati.
 
Robert si avviò alla macchinetta del caffè confuso e con la mente scombussolata. Appena inserì le monete nella fessura, digitò il pulsante del caffè macchiato e aspettò la sua dose di caffeina. Quando fu pronta, notò che la sua mano stava tremando. Non sapeva se preoccuparsi o far finta di nulla, ma decise di ignorare quel segnale e prese il bicchiere bollente. Ne bevve un sorso e inghiottì il liquido fumante che gli riscaldò la gola. Robert chiuse gli occhi, tentò di rilassarsi ma dietro di lui sentì una voce dire:
 
- Ma come sei ridotto? –
 
Robert si voltò di scatto e quando vide la persona, rimase senza parole: era Lily. Rimase a guardarla per qualche secondo confuso. Quando era arrivata? Da quanto tempo era lì?
Fece un passo in avanti verso di lei e disse:
 
- … Lily? Che-che ci fai qui? Dove sei stata? Sono settimane che –
 
- Lo sai che mi dà fastidio. –
 
Robert si fermò, guardò Lily e confuso domandò:
 
- … Cosa? –
 
Lily lo guardò scazzata e disse:
 
- Lo sai che mi dà fastidio quando la gente si preoccupa. Si creano delle paranoie per nulla. Guardati: sei pallido. Perché ti preoccupi? –
 
Robert guardò Lily con gli occhi sgranati poi, arrabbiato, rispose:
 
- … Mi sembra normale: sono due settimane che non ti vedo! Credevo che tu… -
 
Robert si fermò di colpo. Lily lo guardò con aria confusa e lo incitò a continuare:
 
- Credevi che io cosa? –
 
Robert rimase in silenzio, poi cambiò totalmente argomento:
 
- … Perché non sei venuta a scuola ultimamente? –
 
Lily non rispose. Si limitò a fissarlo. Poi si voltò, si diresse verso la rampa di scale e fece per andarsene. Robert, scocciato dal quell’atteggiamento, poggiò il bicchiere al tavolo accanto, la seguì e le gridò:
 
- LILY! RISPONDIRMI! DOVE STAI ANDANDO? –
 
Lily scese alcuni gradini, si fermò, si voltò verso di lui e rispose malamente:
 
- Ovunque… tranne che qui! –
 
Lily riprese la sua discesa, ma Robert, con tono arrabbiato, le gridò:
 
- LILY! TORNA SUBITO QUI! -
 
Quando l’eco della sua voce si disperse nella rampa di scale, sentì un’altra voce chiamarlo alle spalle:
 
- Professore? Cosa sta…? –
 
Robert si voltò: era una studentessa della classe dove stava facendo lezione prima. La guardò confuso, poi guardò nuovamente le scale: Lily era sparita. Per un attimo Robert pensò di averla immaginata e molto probabilmente era così.
Con un mal di testa micidiale che gli martellava le tempie, se le tamponò e pensò:
 
Cazzo! … adesso calmati, sii normale…
 
Robert si voltò verso la ragazza, le sorrise e disse:
 
- Adesso si: avevo un calo di zuccheri. –
 
- Sicuro di stare meglio? Vuole che chiami il bidello? –
 
- No no, grazie. Non ce né bisogno. Torna pure in classe. Vi raggiungo subito. –
 
La ragazza gli sorrise e tornò in classe tranquilla. Robert guardò il liquido amaro nel bicchiere a lungo. Notò che si era raffreddato e così, schifato e stufo della caffeina, lo buttò via nel cestino. Prima di tornare in classe, prese il cellulare e digitò un numero, lo mise all’orecchio e aspettò che la chiamata iniziasse. Dopo pochi secondi, si sentì una voce al di là del display:
 
- Pronto? Robert? –
 
- Ciao Amore. Scusa se ti disturbo, sei a casa? –
 
- Si sono a casa, perché? –
 
- Potresti tenermi la cena da parte? Anche oggi farò tardi. –
 
***
 

Sera:

 
Dopo essere stata in giro per la città per tutto il pomeriggio, Lily tornò verso casa. Attraversò la piazza ormai semi deserta e notò che la gente era poca: tutti stavano tornando a casa per cenare dopo una lunga giornata di lavoro. Le serrande dei negozi erano completamente abbassate e le luci dei lampioni, man mano che faceva sempre più buio, diventavano più luminose.
Lily imboccò il viale principale, arrivò davanti ad un edificio con immenso portone in legno, suonò il campanello e una voce dal citofono domandò:
 
- … Chi è? –
 
 - Sono io mamma. -
 
Si sentì scattare la serratura, Lily aprì la porta ed entrò in casa. Fece le tre rampe di scale, si tolse le scarpe, entrò e disse:
 
- Ciao mamma! Sto morendo di fame. Che c’è per cena? –
 
Lily buttò la borsa sul divano accanto alla finestra, appese la giacca sull’attaccapanni in legno e si diresse in cucina ad aiutare la madre. Mentre mescolava qualcosa nella pentola fumante, Lily si diresse verso il frigo, lo aprì e domandò:
 
- Minestra di legumi? –
 
- Si. Ne ho trovati alcuni in sconto al mercato e ho pensato che potesse venirne fuori qualcosa di buono. –
 
Lily rovistò in frigo, prese una bottiglia di birra per la madre, lo chiuse, si avvicinò ai fornelli e guardò l’interno della pentola: la minestra aveva un colore marroncino scuro con tanti pezzettini galleggianti arancioni, verdi, neri e beige. Lily inspirò il delizioso profumo e disse:
 
- *sniiiff*… si; decisamente un ottimo acquisto! –
 
La madre sorrise felice. Mentre aspettava che la minestra fosse pronta, Lily preparò il tavolo che si trovava nella sala da pranzo adiacente alla cucina.
La casa era un piccolo appartamento stile retrò a due piani: il primo con il bagno, il soggiorno, la sala da pranzo, la cucina e il balcone; mentre il secondo era collegato da una piccola rampa di scale bianche con due stanze da letto, un secondo bagno, uno sgabuzzino e una porta che conduceva alle scale anti-incendio esterne all’edificio a cinque piani.
Le piastrelle di entrambi i piani erano in legno scuro mentre le pareti in legno grigio chiaro.
Le travi che sostenevano il soffitto erano nere come la pece, ma il contrasto di questi colori era bellissimo. Quella casa affascinava Lily. Semplicemente, adorava quella casa.
Da quando il padre è morto, a causa di una malattia rara, Lily e la madre si arrangiavano come potevano: vanno d’accordo, anche se qualche volta bisticciano. Lily non le ha mai raccontato del suo progetto perché non voleva che si preoccupasse… odiava questo tipo di cose.
Dopo aver finito di preparare il tavolo, la madre arrivò con due piatti fumanti di minestra, li appoggiò sulle tovagliette, si sedettero e la madre disse:
 
- Beh, buon appetito! –
 
- Buon appetito! –
 
Le due ragazze iniziarono a mangiare con gusto, chiacchierando di come fosse andata la giornata: la madre, che lavora come cassiera al supermercato, raccontò le esperienze pazzesche vissute oggi. Ne trovava sempre una e riesce a far sorridere Lily.
La storia di oggi non era da meno:
 
- Allora; devi immaginarti questo tizio, alto più o meno un metro e un tappo, che arriva alla cassa incazzato nero, lamentandosi con me perché il commesso al bancone del pesce non gli ha fatto lo sconto. Ti giuro che è stata una scena a dir poco pazzesca! Tentavo di trattenermi ma più lui si arrabbiava, più io ridevo per la scena! È stato troppo divertente! –
 
Lily rise e mandò giù il boccone di minestra. Mentre finiva la sua storia, la madre venne interrotta dal campanello alla porta. Entrambe si voltarono verso l’entrata e guardarono la porta in metallo grigio lucido: chi poteva essere a quest’ora?
La madre si alzò, mentre Lily prese un'altra cucchiaiata di minestra, ci soffiò leggermente sopra e portò alla bocca il boccone. Lily sentì la madre rispondere al citofono con la frase: “Sì? Chi è?”; poi il silenzio assoluto. Lily si voltò verso la porta, vide la madre e domandò:
 
- Chi era? –
 
La madre guardò Lily con aria felice e le disse:
 
- … E’ per te. –
 
Lily guardò la madre, poi la porta. Chi diavolo poteva essere? Non aspettava nessuno.
Si alzò dalla sedia, si avviò all’entrata e nel mentre la madre domandò:
 
- Ma chi è che ti cerca di sera? Fai conquiste e non me lo dici? –
 
Lily si fermò, si voltò e domandò confusa:
 
- Conquiste? Che stai dicendo? –
 
La madre, sorridente, le diede una leggera gomitata:
 
- Perché la persona che mi ha risposto era un uomo; ha detto di essere un tuo amico e che frequentate la stessa scuola. Mi nascondi qualcosa? –
 
Lily rimase perplessa sentendo dire questo dalla madre: un amico? Della sua scuola? Si era persa qualcosa durante questi quattro anni? Lily non aveva fatto mai amicizia con un ragazzo, figuriamoci a scuola!
In ogni modo era curiosa, così si avviò alla porta, l’aprì e scese le rampe di scale fino ad arrivare al portone principale del piano terra. Era confusa ma voleva vedere chi fosse (magari era pure uno scherzo, chi lo sa). Appoggiò la mano sulla maniglia, la strinse e aprì il portone spingendo. Appena vide la persona che la stava cercando, non immaginava che si sarebbe fatta viva proprio qui: era Robert.
Adesso era ancora più confusa: che diavolo era venuto a fare? Non era mai venuto a casa sua (ma soprattutto, come sapeva dove abitava?).
Lei lo guardò e disse:
 
- … Robert? C-che diavolo ci fai qui? –
 
- Sono passato per aggiornarti sugli argomenti fatti in classe… e anche per venirti a trovare. Non ti fai vedere ultimamente… -
 
Lily uscì con lui, appoggiò il portone e disse:
 
- Perché sei qui? –
 
- Te l’ho detto: ultimamente non ti fai vedere e quindi… -
 
- Smettila di dire cazzate! Sei qui perché sei preoccupato, vero? –
 
Robert non disse nulla. Era palesemente ovvio che era così. Robert si guardò attorno e disse:
 
- … Si sono preoccupato, e allora? Mi sembra normale: sono due settimane che non ti presenti a scuola e stai accumulando assenze! –
 
- Ma che carino a venirmelo a comunicare… come se fregasse a qualcuno! –
 
Robert si portò una mano sulla faccia, si stropicciò gli occhi e rispose:
 
- Lily, tu non capisci: smettere di andare a scuola e perdere le lezioni è esattamente il modo sbagliato per affrontare quelle persone! Fai il loro gioco, lo capisci? –
 
Lily fece per tornare dentro casa e lasciar perdere la litigata, ma Robert la prese per un polso e disse:
 
- Lily, aspetta! Non lasciare che le cose peggiorino! Almeno tenta di affrontare i tuoi problemi e non ad aggirarli come se niente fosse! –
 
Lily si voltò verso Robert, si liberò dalla presa e disse:
 
- … E’ esattamente così che ho risolto molti dei miei problemi, quindi non credere che non sappia come risolvere anche questi! –
 
Fece per entrare una seconda volta, ma Robert fece una cosa che Lily non lo aveva mai sentito fare: gridare e urlare contro a qualcuno:
 
- LILY! CAZZO, POSSIBILE CHE TU NON VOGLIA CAPIRE? FACENDO COSI’ NON RISOLVI NULLA! –
 
Lily si fermò, si voltò di scatto verso Robert e gli gridò a sua volta:
 
- NEMMENO FACENDO COSI’ TU RISOLVI QUALCOSA, SAI? CHE COSA NE CREDI DI SAPERE SU DI ME? TU NON PROVI QUELLO CHE PROVO IO A SCUOLA! TU NON LITIGHI CON I COLLEGHI OGNI MOMENTO! TU CHE CAZZO NE SAI? –
 
Robert era furioso e alzò la voce ancora di più:
 
- IO SONO PIU’ VECCHIO DI TE, PERMETTERAI CHE POSSA AVERE QUALCHE ESPERIENZA AL RIGUARDO? E COMUNQUE, QUELLO CHE STAI FACENDO E’ UN GESTO DI VIGLIACCHERIA PURA! CREDI CHE STANDO A CASA POTRAI RISOLVERE QUALCOSA? BEH CARA MIA, TI SBAGLI DI GROSSO! –
 
Lily era esasperata e alla fine, lasciando Robert senza parole, disse una frase che non si sarebbe mai aspettato:
 
- SMETTILA DI DIRMI QUELLO CHE DEVO FARE! NON SEI MIO PADRE! MIO PADRE E’ MORTO ANNI FA! -
 
Da quel momento, tra Robert e Lily ci fu un silenzio assoluto. Lui la guardò in viso sbalordito e notò che il viso di lei era rosso e che delle goccioline di sudore scendevano dalla sua fronte.
Lei lo guardò a lungo; nei sui occhi vedeva molto, troppa rabbia. Forse era il caso di ascoltarlo. Fece un respiro profondo, lo guardò e disse:
 
- … Mi dispiace… C-ci penserò Robert. –
 
Lui la guardò con aria preoccupata: sembrava che si fosse pentito di averle urlato addosso.
Robert guardò per terra e con aria colma di tristezza rispose:
 
- … Ok... –
 
I due non si dissero più nulla. Robert le fece un cenno con la mano e le disse:
 
- … Spero di rivederti presto… e scusami per quello che ho detto… -
 
Lui si voltò per andarsene, ma prima che lui potesse andare, Lily gli disse un'altra cosa:
 
- Scusami anche tu per quello che ho detto… tu sei l’unica persona che riesce a capirmi qui… -
 
Robert la guardò e con espressione seria disse:
 
- … Grazie Lily. Mi fa piacere saperlo. –
 
I due si guardarono per qualche secondo, dopodiché, ognuno andò per la propria strada.
Lily tornò su nell’appartamento e quando rientrò, la madre le chiese:
 
- Ho sentito urlare; non avrai mica litigato col tuo “moroso”? –
 
Lily era triste. Non aveva voglia di parlarne con la madre; inoltre, doveva finire la cena, ma le era passata pure la fame. Lily si diresse verso le scale del secondo piano e disse:
 
- … Scusa mamma, ma non mi va proprio di finire la cena… ci vediamo domani mattina… -
 
Lily and al piano superiore e sparì. La madre la guardò preoccupata, poi guardò il piatto di minestra e sospirò profondamente.
Nell’esatto momento, Robert si stava dirigendo alla sua macchina e mentre entrava nel parcheggio pensò:
 
Dio… che diavolo mi è preso? Mi sembrava di fare una discussione con…
 
Robert si fermò di colpo e ricordò una persona a lui cara. Tentò di scacciare quel pensiero, aprì la macchina e pensò:
 
Smettila Robert: Lily non è “lei”!

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Capitolo 5
*** USA ***


Capitolo 5: USA

 Lily decise di non tornare a scuola. Rimase gli ultimi giorni a non fare nulla pur di non tronarci. Dopo l’incontro inaspettato di Robert a casa sua, non aveva più il coraggio di guardarlo in faccia come prima. Non capiva il motivo di così tanta preoccupazione da parte sua.
Quando arrivò l’ultimo giorno di scuola, il 10 giugno, Lily stava gironzolando a zonzo per la città come al solito. La campanella dell’ultima ora ormai era già suonata da un pezzo e infatti, si ritrovò dei ragazzi di varie scuole festeggiare per le strade lanciandosi gavettoni d’acqua fresca addosso. Faceva molto caldo (saranno stati quasi 37°C) e si sentiva l’afa torrida e pesante nell’aria.
Lily adorava questo momento: voleva dire che l’estate era finalmente iniziata.
Per lei, l’estate era come “Trovare il Nirvana”: è l’unico periodo dove possa permettersi di avere parecchio tempo libero per fare le cose che preferisce senza essere intralciata dai doveri della vita quotidiana. Per farla breve, si sente lo spirito più leggero ed è meno frustrata.
Passò un’altra settimana e un giorno, mentre Lily stava dipingendo sulla tela ascoltando i Guns n’ Roses - “Livin’ and die” con il volume a palla, successe qualcosa che la cambiò totalmente.
Con le finestre spalancate a causa del caldo e il ventilatore al massimo, stava dipingendo con gli acquarelli un bellissimo paesaggio sulla costa marina, quando la madre tornò dalla spesa e gridò:
 
- LILYYYYYYY! –
 
Per poco, l’artista in erba non fece cadere tutto per terra a causa dello spavento. Abbassò il volume del giradischi e disse:
 
- Mamma! Che cavolo urli? –
 
La madre era euforica e continuava ad urlare:
 
- OMMIODIO LILY! NON CI POSSO CREDERE! –
 
Lily poggiò i pennelli sul tavolo accanto e domandò:
 
- Ma insomma mamma: che è successo? –
 
La madre le posò un foglio del supermercato: era un volantino della lotteria dove si vincevano dei premi. Lily lo guardò e domandò ancora più confusa:
 
- Va bene… e quindi? Perché sei felice? -
 
- Fai le valigie! Andiamo a Lisbona, in Portogallo! –
 
Lily sgranò gli occhi. Guardò il volantino, poi sua madre e domandò:
 
- … Cosa? Stai scherzando? –
 
- Ti giuro Lily! Ho vinto il secondo premio! ANDIAMO A LISBONA! –
 
Lily iniziò a saltellare insieme alla madre. Era da una vita che non andavano in giro per l’Europa durante l’estate.
Mentre le parole di Axl Rose risuonavano nella casa, Lily pensò:
 
Finalmente una bella notizia! Finalmente un cambiamento!
 
Due giorni dopo, Lily e sua madre erano in viaggio verso l’aeroporto di Venezia per andare a Lisbona in aereo. Entrambe erano emozionate all’idea di andare in Portogallo: non ci erano mai andate e scoprire posti nuovi e intriganti, per loro, valeva più di una montagna di soldi.
Arrivarono all’aeroporto S. Marco con due ore di anticipo, lasciarono la macchina al parcheggio e con le loro valigie si avviarono verso la struttura. Appena entrate, vennero sommerse da gente che correvano a destra e a sinistra con valigie grandi quanto una casa, carelli colmi di scatoloni imballati, gente in coda per fare il check-in, altra addormentata sulle sedie scomodissime in metallo e addetti dello spazio aereo che andavano di qua e di là con quelle strane macchinine elettriche in mezzo alla gente.
Lily trovò subito la pace in quel luogo. Il frastuono al suo interno non era niente in confronto a quello che c’era a scuola. Sentiva ragazzini gridare, bestemmiare, dire parolacce, parlare di voti e compiti… qui invece non c’è niente di tutto ciò: gente che parlava in altre lingue, hostess che coi loro completini andavano al lavoro per chissà quale magico luogo, piloti che parlavano della loro prossima destinazione dei lavoro, gente che parlava di città e molto altro ancora… quell’eco continuo di voci non è fastidioso, anzi, è quasi piacevole fermarsi e ascoltarlo.
Lily e la madre si avviarono verso il tabellone delle partenze. Il loro volo era già segnato:

<< volo LsB704 – Lisboa Parque 5– 11.30 – gate 8 >>

Vedendo quella scritta, non poté fare a meno di sorridere. Vedere il proprio aereo segnato sul tabellone dei voli la rendeva felice.
Insieme alla madre, si avviarono verso il check-in, fecero i biglietti e si avviarono verso il loro gate. Lily continuava a guardarsi intorno in maniera euforica e la madre, conoscendola, la lasciò fare. Dopo un quarto d’ora di ricerca, le due ragazze arrivarono al gate n*8, salirono sull’aereo e finalmente partirono verso Lisbona.
Mentre erano in aria, Lily si mise le cuffiette e iniziò ad ascoltare una canzone di David Bowie – “Heros” e guardò fuori dal finestrino; il cielo era limpido, senza una nuvola, e vedere la terra dall’alto s’immaginava di volare. Guardò la terra e pensò:
 
Quassù non ci sono preoccupazioni, niente litigi o fraintendimenti… l’aereo è una casa magica che viaggia nel cielo… potrei diventare hostess… o anche un pilota… mi piacerebbe davvero…
 
Lily chiuse gli occhi, si rilassò e, dopo un esasperante permanenza in quel luogo, si sentì finalmente togliersi un peso dalle spalle.
 
***
 
Il viaggio durò più di 3 ore e Lily passò la maggior parte del tempo a scrivere poesie, leggere libri, ad ascoltare musica e guardare fuori dal piccolo oblò.
L’aereo atterrò a Lisbona alle 13.35, col fuso orario locale del Portogallo, e appena Lily uscì dalla porta dell’aeroporto, sentì l’aria entrarle nei polmoni ed espandersi in essi. Inspirò profondamente. Era da tanto che non respirava aria di un luogo lontano che non fosse l’Italia.
Insieme alla madre, prese una corriera che le portò verso il centro riuscendo a vedere quasi tutte le parti più significative della città: le metro, le case con le piastrelle decorate, le persone che passeggiavano per le strade e molto altro ancora.
Arrivarono al campeggio “Orbitur Guincho”, a ovest di Lisbona vicino all’oceano Atlantico, e appena videro il campeggio, capirono subito che sarebbe stata una vacanza da sogno.
Mentre l’addetto della reception le accompagnò al loro alloggio, che sarebbe stata la loro casa per tre settimane. Appena entrarono, le due ragazze si guardarono attorno: l’area era ricoperta da pini altissimi che facevano ombra per le giornate più afose, le zone delle roulotte erano ampie, lo stesso era per i bungalow, e le strade che lo percorrevano erano ampie e ben pulite. Arrivarono al loro bungalow: l’interno era luminoso, pulito, fresco e con tutto il necessario per una vacanza.
Dopo aver sistemato i bagagli, la madre domandò a Lily:
 
- Allora? Ti piace? A me da impazzire! –
 
Lily la guardò e rispose:
 
- E’ fantastico mamma! Lo adoro! –
 
La madre guardò la figlia entusiasta. Sapeva che le sarebbe piaciuto visitare i dintorni, così le propose:
 
- Perché non vai a vedere com’è il resto del campeggio mentre io finisco qui? Così poi mi dici com’è... –
 
Lily guardò la madre felice, poggiò lo zaino che aveva in spalla sul letto e disse:
 
- Vado subito! Ci vediamo dopo! –
 
Lily si avventurò verso il viale principale e nel mentre, si guardò attorno: gli alberi, mossi dal vento tiepido, muovevano i rami con fare sinuoso ed aggraziato; gli uccellini, che cinguettavano, svolazzavano di ramo in ramo e si sentiva solo il vento muoversi trai gli alberi. Niente voci, niente auto, nessun schiamazzo. Era tutto tranquillo.
Mentre Lily esplorava il campeggio, arrivò a pochi metri dall’entrata della spiaggia. Sentì il rumore delle onde infrangersi sulla sabbia della battigia e, presa dalla curiosità, accelerò il passo. Un brivido di piacere le percorse tutta la schiena e, nonostante l’alta temperatura, le venne la pelle d’oca. Corse veloce, poi, quando superò l’ultima duna di sabbia, vide l’oceano.
I suoi occhi s’illuminarono: la sabbia era color marroncina chiara che grazie ai raggi del sole, gli dava un effetto luminoso e luccicante. Le onde s’infrangevano e si ritiravano lentamente verso il mare. Quest’ultime accarezzavano le caviglie della gente che camminava a piedi nudi sulla sabbia bagnata che lasciavano impronte sul suolo. Un ricordo.
Il forte profumo di sale nell’aria pizzicava le narici, ma era piacevole da respirare.
Quando vide tutto ciò, Lily non si era immaginata tale splendore. Era la prima volta che vedeva una spiaggia così.
Scese la duna rovente coi piedi scalzi, ma lei non ci fece nemmeno caso: era talmente attratta da ciò che vedeva, da dimenticarsi completamente di tutto ciò che la circondava.
Mentre si avvicinava all’acqua, Lily notò dei sassi perfettamente lisci e ovali. Ne raccolse uno, lo tastò: era bagnato, ma al tatto sembrava velluto. I sassi venivano levigati dalle onde per anni, anni e anni, per poi scomparire e diventar parte di quella spiaggia.
Guardò a lungo il sasso, lo lasciò cadere a terra, poi guardò l’orizzonte: era opaco, come se ci fosse un vetro appannato che lo coprisse.
Lily guardò l’orizzonte per pochi minuti, finché sentì delle voci in lontananza: un gruppo di ragazzi portoghesi stava facendo surf sulle onde alte del freddo Oceano Atlantico.
Li osservò per qualche secondo, poi s’avvicinò curiosa. Le sarebbe piaciuto provare a cavalcare il mare, ma rimase a guardare quei tre ragazzi, incantata dalla loro bravura nell’accarezzare le onde con la tavola.
Uno in particolare l’aveva attratta parecchio: un ragazzo alto, con la pelle abbronzata dal sole cocente, con la barba e i baffi poco pronunciati, capelli corti ma folti che si muovevano sinuosi seguendo i movimenti del corpo che a sua volta era comandato dai cavalloni.
Lily era attratta da quel ragazzo e quando quest’ultimo tornò a riva, il ragazzo prese la sua tavola sotto braccio e si avviò verso l’uscita ridendo coi suoi amici.
Lily lo seguì con lo sguardo finché lui si voltò e la vide. I loro occhi s’incrociarono per qualche secondo, poi il ragazzo lasciò la tavola per terra, si avvicinò a lei e quando le fu abbastanza vicina disse:
 
- Ciao… -
 
Lily lo guardò colpita: la pelle era marroncina scura, il suo fisico era scolpito ma non troppo, aveva i capelli bagnati e scomposti con qualche goccia di acqua salata che cadeva da essi finendo poi sul suo corpo abbronzato, un costume rosso fuoco a bermuda fino a metà coscia e due occhi verde smeraldo da togliere il fiato.
Era semplicemente bellissimo.
Lily lo osservò per qualche secondo, poi allungò la mano verso di lui e rispose:
 
- … Ciao… -
 
Il ragazzo guardò Lily ancora per qualche secondo, come se fosse lui adesso ad esaminare lei; poi, la guardò negli occhi, allungò la mano, gliela strinse e aggiunse:
 
- … Mi chiamo Thomas. –
 
Lily guardò la mano di Thomas: era ben curata, affusolata, fine e forte a prima vista.
Guardò quest’ultima e, dopo averci pensato un secondo, la strinse a sua volta:
 
- … Lily… piacere di conoscerti Thomas… -
 
I due si fissarono per qualche secondo, tenendosi le mani. Era come se si stessero studiando a vicenda con solo gli occhi.
Lily notò che la mano di Thomas era fredda come il ghiaccio. Probabilmente era per il fatto che aveva nuotato nel Oceano, così non ci pensò più.
Thomas lasciò andare la mano di Lily e domandò:
 
-  Non ti ho mai vista da queste parti… sei arrivata oggi? –
 
- Si, con mia madre. Staremo qui per tre settimane. Tu sei qui da molto? –
 
- Da un mese. Ai miei piace molto questo posto. –
 
- Posso immaginare il perché… -
 
Thomas le sorrise e rispose:
 
- Già… anche a me piace molto qui, ma preferirei andare in qualche altro posto a volte… -
 
Lily gli sorrise e a sua volta rispose:
 
- La monotonia uccide facilmente. Bisogna stare attenti. –
 
Thomas la guardò negli occhi e rispose:
 
- … Meno male che ti ho incontrata allora… -
 
Lily e Thomas si guardarono negli occhi a lungo. Era come se avessero già creato un legame.
Thomas abbassò lo sguardo, si guardò i piedi ricoperti di granelli di sabbia e disse:
 
- Da dove vieni? –
 
Lily guardò Thomas leggermente infastidita: non le piaceva parlare dell’Italia e nemmeno della sua città, ma si fece forza e rispose:
 
- … Io… vengo dall’Italia… -
 
Lily sentì lo stomaco ingarbugliarsi su sé stesso e un forte fastidio al petto. Cercò di non farlo vedere, ma Thomas la guardò e disse:
 
- … Ho fatto la domanda sbagliata? –
 
Lily cercò di dimenticare il dolore e rispose:
 
- … No affatto… non hai chiesto nulla di azzardato… -
 
- Per un attimo mi è sembrato che tu… -
 
Lily lo guardò negli occhi con sguardo deciso, come se dicesse “Ti ho detto che va tutto bene! smettila di preoccuparti!”. Thomas non finì la frase, ma al contrario, cambiò discorso e disse:
 
- Fanno una festa qui in spiaggia stasera… visto che non conosci ancora nessuno mi permetto di invitarti a venire con me… -
 
Lily lo guardò sorpresa dalla richiesta, poi guardò gli occhi: quel colore verde scuro che, illuminato dal sole lo rendeva ancora più splendente, donavano a Thomas quel qualcosa di misterioso.
Ci fu una pausa di silenzio tra loro. Lily sentì il fastidio allo stomaco sparire, si voltò a guardare il mare, dopodiché, dopo averci pensato a lungo, rispose:
 
- … Sarebbe stupido rifiutare... –
 
- Decisamente. Non te ne pentirai, te lo garantisco. -
 
Lily rise e Thomas fece lo stesso. I denti bianchi del ragazzo splendevano come perle e con fare impacciato guardò Lily con occhi colmi di felicità disse:
 
- … Fantastico! Allora ci vediamo alla baracca dei surfisti verso le 21. A stasera Lily. –
 
Thomas fece un leggero inchino, si voltò verso i suoi amici che lo riempirono di domande e sparirono dietro alla duna di sabbia. Com’era apparso, Thomas sparì.
Lily rimase immobile a fissare la duna di sabbia che, a causa del forte vento, alzava i granelli; poi si voltò verso il mare e alla fine lo vide l’orizzonte. Prima sembrava offuscato, ma improvvisamente si liberò da qualsiasi alone e appariva limpido e nitido ai suoi occhi.
Lily percepiva qualcosa: forse le cose stavano finalmente per cambiare.
 
***
 
Quando arrivarono le 21, il sole doveva ancora tramontare. Il cielo, da turchese, si era trasformato in rosso fuoco mischiato all’arancione scuro e il giallo oro. I tramonti in Portogallo sono uno degli spettacoli più apprezzati dai turisti e solo ora, Lily ne capiva il motivo.
Mentre camminava verso la spiaggia assieme alla madre, Lily non riusciva a smettere di guardarsi attorno: anche se aveva visitato l’intero campeggio, per lei era come se lo vedesse per la prima volta.
Lei non ci fece caso, ma mentre camminava, molti ragazzi e uomini si voltavano a guardarla. Quella sera era decisamente bella: portava un abito leggero bianco semi trasparente e scollato, sandali a gladiatore marrone chiaro, un bracciale con delle conchiglie attaccato alla caviglia, bracciali d’oro ai polsi e i capelli erano sciolti e mentre camminava, si muovevano eleganti e leggiadri.
Quando superarono la duna di sabbia, Lily e la madre videro i vari falò sulla spiaggia, la gente ballare, gli stand dove vendevano cibo e bevande e un piccolo palco dove dei musicisti suonavano musica tipica portoghese.
La madre, tutta euforica, si buttò nella mischia a ordinare da bere e a parlare con la gente che si trovava lì, mentre Lily si guardava in giro cercando Thomas. C’era molta gente e non aveva idea di dove fosse.
Passò in mezzo alla folla e in lontananza vide una piccola baracca. Si avvicinò e quando fu lì, lo trovò appoggiato alla parete in legno, scalzo, con una camicia bianca aperta fino al terzo bottone, pantaloni leggeri verdi con le bretelle a penzoloni, un bracciale marrone e una collana con un pendente nero a forma di goccia mentre i capelli corti erano folti, mossi dal vento e sbarazzini. Sembrava quasi che avessero vita propria.
Si spostò dal muro, si avvicinò a lei e disse:
 
- Benarrivata! Come stai? –
 
Lily lo guardò per pochi secondi, poi, imbarazzata, abbassò lo sguardo e disse:
 
- … Bene, ti ringrazio. E tu? –
 
- Benissimo… sei molto bella con questo vestito… -
 
Lily sorrise, abbassò lo sguardo e disse:
 
- Grazie, sei molto gentile… -
 
- Però non riesco ancora a capire… -
 
Lily guardò Thomas e domandò:
 
- Cosa non capisci? –
 
- Questa mattina, quando ci siamo parlati, sono riuscito a capire qualcosa di te… non sei come le altre ragazze e men che meno come i comuni adolescenti… c’è qualcosa in te, che non riesco a capire… ma cos’è? –
 
Lily guardò Thomas e disse:
 
- … Anche tu lo sembri, ma non sono sicura che sia vero… -
 
Thomas abbassò lo sguardò, poi guardò Lily di nuovo, le porse la mano e disse:
 
- Vieni. Andiamo in un posto tranquillo dove possiamo parlare allora. –
 
Lily rimase titubante per un momento. E se si fosse sbagliata? E se Thomas non fosse diverso dagli altri? Se fosse come tutti gli altri?
Rimase ad osservare la mano di Thomas, ma poi, presa dalla curiosità, gli prese la mano e insieme si avviarono verso una zona tranquilla della spiaggia.
Mentre Thomas la trascinava dolcemente, Lily percepì che la mano di lui era fredda come la prima volta che si sono conosciuti, ma questa volta era leggermente umida per via del sudore.
Dopo aver notato quel dettaglio, Lily sentì il bisogno di scoprire di più riguardo quel misterioso ragazzo.
Andarono lungo la spiaggia, mentre le onde gli colpivano dolcemente i piedi scalzi. Arrivarono vicino a due sdraio con un ombrellone fatto con la paglia, si sedettero e Thomas disse:
 
- Visto che non sei ancora del tutto sicura, iniziò io, va bene? –
 
Lily accennò con la testa e si sistemò per ascoltare meglio. Thomas si sfregò le mani, si schiarì la voce e iniziò a parlare di sé:
 
- … Io non sono portoghese di nascita, ma inglese, da Brighton per essere precisi. Li il clima è diverso rispetto a qui. Anche io come te adoravo il mio paese e il paesaggio che mi circondava… Dio, sono perdutamente innamorato di Brighton tutt’ora. –
 
Lily rimase in silenzio mentre Thomas raccontava la sua storia. Era calmo quando parlava ma nella sua voce c’era qualcosa che sembrava non volesse dire… ma quello che Lily si domandava era: cos’è che ha reso Thomas il ragazzo che è oggi?
Thomas fece una pausa, poi un respiro profondo e riprese a raccontare:
 
- Ero un bambino tranquillo, che non si metteva mai nei casini e non alzava mai le mani contro qualcuno e i miei genitori erano felici per questo perché, sai com’è, noi maschietti siamo più violenti rispetto a voi femminucce... –
 
Lily rise leggermente. Thomas rise a sua volta e continuò a parlare:
 
- All’età di 11 anni, quando iniziai la Grammar school, i miei m’iscrissero nella scuola pubblica del mio paese. Non navigavamo nell’oro e men che meno eravamo poveri da miseria, ma andavamo avanti con quello che guadagnavano i miei genitori… -
 
Thomas fece una seconda pausa, ma più lunga rispetto a quella di prima. Questo voleva dire che la parte più difficile da raccontare per lui era questa.
Chiuse gli occhi, guardò il mare e continuò:
 
- Ricordo ancora il primo giorno, come se fosse ieri: entrai nella scuola, conobbi la mia classe, mi presentai… e fui preso di mira da chiunque lì dentro. Iniziarono con scherzi banali per esempio nasconderti l’astuccio, o rubandoti la merenda, ma poi, all’improvviso, iniziarono col essere più aggressivi; forse avevano capito che quel genere di scherzi non mi sfioravano minimamente.
Cominciarono con la violenza fisica: a tirarmi i capelli, poi a darmi pugni, calci e alla fine, come ciliegina sulla torta, iniziarono con la violenza verbale fino insultandomi fino ad isolarmi del tutto da tutti… -
 
Lily non disse una parola. Era troppo scioccata per dire qualcosa.
Thomas si passò una mano tra i capelli. Lily notò che stava tremando nonostante il gran caldo.
Il ragazzo strinse le mani come in preghiera e continuò il suo racconto:
 
- Passai un anno in quelle condizioni e alla fine successe l’evento che stravolse totalmente la mia vita: era appena finito il primo quadrimestre del secondo anno, i bulletti della mia classe erano stati promossi tutti e la cosa non mi piacque affatto… un giorno di febbraio, mentre camminavo in corridoio, mi ritrovai davanti il gruppetto di bulli che mi aspettava davanti alla porta. Mi voltai e corsi più in fretta che potessi nella direzione opposta. Non ci pensai due a scappare. Avevo capito benissimo quello che volevano farmi… ma non mi sarei mai aspettato che arrivassero fino a quel punto… -
 
Lily sentì un brivido lungo la schiena. Non osava nemmeno immaginare quello che potevano aver fatto quei ragazzi a Thomas.
Quest’ultimo guardò ancora una volta il mare. Le onde s’infrangevano sugli scogli con una tale potenza che coprivano perfino il rumore del vento.
Thomas si guardò le mani, si voltò verso Lily e con gli occhi lucidi continuò a parlare:
 
- Iniziai a correre, ma loro erano più veloci di me… mi presero, mi trascinarono nel bagno dei maschi e mi immobilizzarono al muro: uno per ogni arto del corpo. Ero letteralmente paralizzato. Il capobanda mi disse di dargli tutti i soldi che avevo con me, di non fare storie e tacere. Io gli dissi che non avevo nulla con me ma lui non mi credette. Iniziò a rovistare tra le mie tasche e tutto quello che ottenne furono una gomma da masticare, una graffetta e un bottone… -
 
Thomas si passò una mano sul viso, prese un respiro profondo e continuò:
 
- … Il ragazzo mi guardò con uno sguardo gelido, colmo di rabbia, come se si aspettasse di avere quello che otteneva. Buttò tutto in terra, mi prese alla gola e mi disse di non prenderlo in giro e di tirare fuori i soldi… io rimasi in silenzio, paralizzato dalla paura, finché lui non estrasse qualcosa che mi fece accapponare la pelle: tolse il cappuccio che copriva la piccola lama e mi puntò il bisturi alla gola; proprio sulla carotide… “sono morto!”, continuavo a ripetermi… -
 
Lily portò una mano davanti alla bocca. Era rimasta letteralmente allucinata da quello che stava raccontando. Thomas riprese a parlare ma dalla voce si capiva che faceva una fatica immensa a raccontare. Quasi come se stesse correndo una maratona:
 
- … Alla fine, in un momento di distrazione, tolse la lama dalla mia gola; gli sputai in faccia per liberarmi, caddi a terra e corsi verso l’uscita del bagno… non feci in tempo e quel maledetto bastardo mi bloccò mettendomi un braccio intorno alla gola… non so perché lo fece, ma decise di impiantarmi nella schiena la lama del bisturi, proprio sopra il rene destro… -
 
Lily sentì una lacrima scenderle dal viso. Non osava pensare cosa fosse successo dopo:
 
- Caddi a terra, ricoperto di sangue e afflitto dal dolore, mentre i ragazzi scapparono via lasciandomi lì, mezzo morto, sanguinante e privo di sensi… e tutto per una gomma, una graffetta e un bottone… -
 
Lily si lasciò in un pianto. Era davvero troppo da sopportare.
Thomas si asciugò le lacrime, offrì un secondo fazzoletto a Lily e finì il suo racconto:
 
- Rimasi per 25 minuti in quel bagno prima che mi trovassero. Mi portarono in ospedale e mi ricucirono la ferita. Ricordo solo lo svenimento nel bagno e il risveglio nel letto d’ospedale… insieme alla faccia che fecero i miei quando gli raccontai tutto quello che avevo passato…
Per 6 mesi rimasi a casa. Non volevo vedere nessuno se non i miei genitori. Diventai un solitario per scelta. Un anno dopo i miei genitori decisero di trasferirsi altrove per farmi dimenticare tutto quello che avevo passato, così decisero di trasferirsi qui a Lisbona… ricominciai a vivere, non c’è che dire, ma impiegai molto tempo prima di potermi fidare delle persone: imparai a distinguerle, a conoscerle al primo impatto e a capire quello che hanno passato… -
 
Lily si asciugò le lacrime, guardò Thomas e lui, con aria malinconica, le disse:
 
- Per questo mi fido di te... tu non sei come gli altri… tu sei diversa in tutti i sensi. –
 
Lily annuì con la testa e si voltò a guardare l’orizzonte. Il sole era ormai sparito e il buio iniziava ad impossessarsi del cielo.
Thomas si sistemò sulla sdraio, si sfregolò le mani per scaldarle e disse:
 
- Ho detto tutto. Ora è il tuo turno, ma se ancora non ti fidi di me… -
 
Lily guardò Thomas: ormai sapeva di potersi fidare ciecamente di lui. Si sistemò anche lei sulla sdraio e iniziò a raccontare la sua storia:
 
- … Sono nata in Italia e, purtroppo, tutt’oggi vivo ancora lì insieme a mia madre Clara.
Mio padre, Anthony, è morto quando avevo 6 anni a causa di un raro tumore al cuore; da allora, io e mia madre ci arrangiamo come possiamo.
Dopo anni di solitudine dovute alla perdita improvvisa di papà, mia madre decise di rifarsi una vita, così conobbe un uomo, Craig, e se ne innamorò perdutamente… penso sia il peggior errore che abbia mai fatto in tutta la sua vita: il peggior stronzo sulla faccia della terra doveva convivere insieme a me. Era costantemente ubriaco, tornava tardi la sera, non lavorava, urlava in faccia a mia madre e sperperava tutto i soldi in Vodka e Jack Daniel’s…  -
 
Thomas guardò Lily: era arrabbiata e nella sua voce si sentiva l’odio puro che provava verso quell’uomo. Le sopracciglia erano corrugate e la sua espressione era di fastidio, come se avesse mille aghi puntati addosso.
Si sistemò un ciuffo ribelle dietro all’orecchio e continuò a raccontare:
 
- Passammo un anno in quelle condizioni, finché mia madre, quando compì 13 anni, aprì gli occhi, mollò quel maiale e lo sbattè fuori casa… non fu facile, questo è certo: quell’idiota tornava pretendendo di restare insieme a noi. Chiamammo la polizia più e più volte la sera tardi e questo influiva sul mio modo di vedere il mondo all’epoca: ero sempre stanca, disorientata, confusa e poco attenta a scuola. Non provavo nemmeno a socializzare con gli altri bambini da quanto ero a terra col morale… -
 
Thomas guardava Lily con espressione di chi ha passato la stessa fase.
Lily giocherellò un po’ con un rasta e continuò a parlare:
 
- Alle medie la situazione non cambiò, ed essendoci i vecchi bambini della mia classe, misero in giro delle voci non vere. Tutti ovviamente ci credettero e iniziarono a considerarmi una “asociale”, un “emarginata” … alcuni dicevano che ero pazza, che ero solitaria perché avevo la rabbia, altri inventarono la storia che io fossi maledetta: “chiunque toccherà il mostro, finirà all’altro mondo all’istante!”; così recitavano durante la ricreazione… -
 
Thomas continuava a guardare Lily. Anche se non lo dava a vedere, era letteralmente scioccato da questa storia.
Lily lasciò andare il rasta, guardò l’orizzonte e finì la sua storia:
 
- Odiavo talmente tanto quei ragazzini che decisi di non farmi vedere per un bel po’, tanto per accontentarli: scappai di casa più volte, nella speranza che nessuno mi trovasse. Mi nascondevo in una baita abbandonata in montagna, nel bosco vicino casa mia o in qualunque posto ci fosse un po’ di tranquillità. Ogni volta che scappavo lo facevo mentre andavo a scuola, cosicché le maestre si rendessero conto troppo tardi della mia fuga dandomi la possibilità di andare il più lontano possibile… sfortunatamente, ogni volta, la polizia mi ritrovava e mi riportava a casa da mia madre che mi diceva sempre di essersi preoccupata, di averla spaventata e ogni volta le promettevo di non farlo mai più… ogni volta finiva così… ero talmente annoiata da questa routine che non avevo idea di cosa fare… -
 
Thomas guardò la sabbia sotto i suoi piedi. Ormai era fredda e il cielo era diventato completamente nero. Scavò una piccola buca col piede, fino a toccare la sabbia calda sottostante, prese un respiro profondo e disse:
 
- Ne hai passate di tutti i colori… ormai quello che hai non ti basta più… beh, sappi che non sei l’unica di tutto ciò. –
 
Lily si voltò verso Thomas:
 
- Davvero? –
 
Thomas annuì, si guardò attorno e a bassa voce le disse:
 
- Ho anche un piano, ma devi promettermi che non lo rivelerai a nessuno… -
 
Lily sorrise. Aveva trovato qualcuno con ci discutere dei suoi problemi, delle sue avventure e di chissà quali altre cose strabilianti avrebbero parlato.
S’avvicinò, fece la croce sul cuore e disse:
 
- Te lo giuro Thomas… -
 
Thomas si guardò attorno nell’oscurità, si voltò e nell’orecchio di Lily disse il segreto. Quando si spostò Lily lo guardò con occhi sgranati e illuminati allo stesso tempo:
 
- Thomas… è la stessa identica cosa che voglio fare io! –
 
Thomas sgranò gli occhi a sua volta e disse:
 
- Cosa? Sul serio? Non mi prendi in giro? –
 
Lily stava per piangere dalla gioia. Finalmente aveva trovato la persona giusta!
Thomas balzò in piedi, fece dei salti di gioia e disse:
 
- WOW! È incredibile! Allora dobbiamo metterci d’accordo per metterlo in atto insieme! Ma prima, festeggiamo questa grandissima scoperta! Vieni, ti porto a bere qualcosa. –
 
Thomas le tese la mano e lei, sorridendo, la prese e insieme corsero alla festa in spiaggia.
Rimasero per tutta la sera a ballare, a bere e a passeggiare sulla spiaggia parlando del loro progetto e di quando sarebbe stato meglio metterlo in atto.
Quel ragazzo, sarebbe stata la carta vincente per la sua rivincita.

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Capitolo 6
*** Mexico ***


Capitolo 6: Mexico

 
Dopo quella serata, i due ragazzi si vedevano spesso per passare le giornate assieme: andavano a passeggiare, a nuotare, a parlare del loro progetto e una volta andarono a Lisbona per visitarla. Thomas insegnò a Lily persino come surfare sulle onde dell’oceano. Fu una delle avventure più belle della sua vita.
Quando arrivò l’ultimo giorno di vacanza per Lily, i due decisero di andare a Porto, città portuale a nord del Portogallo, come ultima tappa assieme. Presero il treno e dopo 2 ore e mezza, arrivarono al centro. Visitarono posti mozzafiato che entrambi non avevano mai visto prima: il quartiere “Ribeira” (le case bellissime rivestite in piastrelle di ceramica dipinte a mano erano uniche nel suo genere), il ponte altissimo “Don Luis” che attraversa il fiume Douro, il “Museu de Arte Contemporanea de Serralves”, la “Sé catedral”, la “Torre dos Clérigos” e la “Libreria Lello e Irmão”, famosa per l’architettura incredibile e la raccolta fantastica di libri antichi (pari al Trinity College di Dublino).
Mentre camminavano sul ponte Don Luis, a 150 m di altezza, Thomas e Lily si fermarono ad ammirare la città illuminata dal sole. Da lassù vedevano tutto: le cantine dei vini, i negozi, i ristoranti, le case, le barche, il fiume e le persone piccole come formiche. Tutto era incredibilmente minuscolo. Era talmente magico lassù, che sembrava quasi di volare.
Rimasero ad osservare quel magnifico panorama per infiniti minuti, mentre la brezza fresca del pomeriggio rinfrescava il loro visi.
Rimasero lì, finché Thomas disse:
 
- Sarebbe bello vivere qui… Tu che ne pensi? –
 
Lily continuò ad osservare il panorama e senza staccare gli occhi da lì, rispose:
 
- Si, sarebbe magnifico. -
 
Thomas sorrise e tornò a guardare il panorama insieme a Lily.
Mentre osservava le barche passare sotto di loro, Thomas chiese:
 
- Ormai sono passate tre settimane… cosa farai adesso? Torni in Italia? –
 
- Sì, purtroppo. Devo tornare a casa con mia madre. -
 
- E che farai per il resto dell’estate? –
 
- Cercherò di racimolare un po’ di soldi. Ultimamente vanno molto di moda lavorare nei bar come cameriere o barman e dicono che diano uno stipendio niente male; così mi tengo impegnata per il prossimo mese. –
 
Thomas annuì, poi tornò a fissare il fiume: sembrava un enorme serpente argentato che attraversava la città. Lento e infinito.
Lily guardò in basso: era davvero alto; poi guardò Thomas e fece la stessa domanda:
 
- E tu invece? Cosa farai? –
 
- Resterò qui ancora per qualche settimana: i miei hanno prenotato per un mese, quindi dovrò trovare qualcosa da fare quando tu non ci sarai più… -
 
Lily lo guardò con sguardo divertito e scherzosamente replicò:
 
- Se sei sopravvissuto per tutto questo tempo senza di me, puoi benissimo farcela anche ora. –
 
Thomas rise. Si guardò le mani abbronzate, tirò fuori dalla tasca un pezzettino di carta piegato in quattro, lo porse a Lily e disse:
 
- Tieni. Potrebbe esserti utile in futuro… -
 
Lily prese il pezzettino di carta, lo aprì e lesse un nome: Thomas Wayne. Accanto c’era scritto un numero di cellulare.
Mentre Lily leggeva, Thomas le disse:
 
- Quello è il mio numero. Se mi cerchi su Facebook mi trovi subito: la foto profilo sono io mentre faccio surf. Così possiamo sentirci ancora. –
 
Lily sorrise, chiuse il foglietto e lo ringraziò:
 
- Grazie Thomas. Ti invierò una richiesta di amicizia appena potrò. –
 
Quando mise via il pezzo di carta in tasca, Thomas aggiunse un'altra cosa:
 
- Ci sarebbe un’altra cosa che vorrei darti… -
 
Si sfilò dal collo la collana col pendente nero, gliela mise al collo e disse:
 
- Questa è la promessa che ci rivedremo presto, amica mia. -
 
Lily lo guardò negli occhi: erano lucidi, ma si tratteneva nel piangere. Lei poteva capirlo: dopo quello che aveva passato, era plausibile che ci rimanesse male nel lasciarla andare, ma Lily non avrebbe mai immaginato di stargli così a cuore.
Guardò il pendente: era una pietra di occhio di tigre, la più bella che avesse mai visto. Senza pensarci due volte, Lily sfilò dal braccio sinistro uno dei suoi bracciali d’oro, lo mise al polso di Thomas e disse:
 
- Questa è la mia promessa invece: ci rivedremo e, quando accadrà, ci restituiremo i reciproci oggetti. –
 
Thomas guardò il bracciale d’oro: alla luce del sole sembrava ancora più splendente. Sorrise e l’abbracciò forte. Lily lo lasciò fare. Si fidava di lui e ricambiò l’abbraccio stringendolo forte.
Sentì una lacrima porsi sulla spalla scoperta dalla maglietta larga e Thomas, con voce rotta dal pianto trattenuto, disse:
 
- … Mi mancherai moltissimo. Sei la ragazza migliore che io abbia mai conosciuto. -
 
Lily chiuse gli occhi. Anche lei lo pensava ma si limitò ad abbracciarlo ancora più forte.
Mentre lo abbracciava, Lily sfiorò la schiena di Thomas. Sotto la camicia azzurra sentì qualcosa al tatto: era la cicatrice. Era lunga, marchiata e si estendeva per tutto il fianco… faceva quasi impressione.
Ora che aveva trovato un amico, Lily non voleva andarsene. Non voleva più tornare a casa.
 
***
 
Gli ultimi due mesi di vacanza passarono veloci e Lily, lavorando per quasi 4 settimane, è riuscita ad accumulare dei soldi (quasi 1550 euro) facendo la cameriera in un bar.
Non lavorò al “Coffee World” perché conosceva bene Roger: le avrebbe dato soldi in più mandando al lastrico il suo stesso locale. Lo avrebbe fatto per un’amica.
Il ritorno dal Portogallo non fu facile: Lily rimase per tutto il tempo ad ascoltare musica, sia nel viaggio in taxi, sia in aereo.
Per la prima volta, aveva trovato una persona che non voleva lasciare.
La prima cosa che fece arrivata a casa, fu cercare Thomas su Facebook e inviargli una richiesta di amicizia. Inutile dire che si scrivevano tutti i giorni su come era andata la giornata, su qual era il clima nei reciproci luoghi e del loro progetto… di quello ne parlavano sempre.
Arrivò la fine dell’estate e, pochi giorni prima dell’inizio della scuola, Lily si sentiva particolarmente contenta. Finalmente aveva trovato qualcuno che poteva cambiare le cose, che poteva capirla. Finalmente aveva qualcuno di cui potersi fidare.
Il 10 Settembre 2015 iniziò la scuola. Fu uguale a tutti gli altri giorni: i compagni non la salutarono nemmeno, nessuno le rivolse la parola e nessuno la considerava… ma a lei non importava.
Salì al primo piano, entrò in classe, si sedette al suo banco e, tanto per iniziare la giornata in bellezza, entrò il prof. Jordan:
 
- Bentornati ragazzi! Avete passato una fantastica estate? Si? Bene! allora iniziamo subito con le domande scomode: avete fatto i compiti delle vacanze estive? –
 
I ragazzi, borbottando, tirarono fuori il fascicolo dei compiti assegnato dal professore, lo appoggiarono sul banco e il prof disse:
 
- Coraggio, vediamo come sono andati… Sig.ina Clark; prego, mi dia il suo. –
 
Lily si alzò in silenzio. Il compito consisteva nello scrivere una relazione sulla rivoluzione francese, su Napoleone e descrivere i fatti avvenuti durante quegli anni.
Gli consegnò il fascicolo e aspettò in piedi il suo giudizio:
 
- … Mhm… si… va bene… ok, molto bene. Direi che un 6+ è più che meritato. -
 
Lily guardò il professore allucinata: solo 6 +? Una relazione di ben 40 pagine sulla rivoluzione francese e il ricompenso era solo un misero 6 +?
Lily guardò il professore con gli occhi sbarrati e reclamò:
 
- … 6+? –
 
Il prof. Jordan si voltò a guardare Lily e con voce odiosa confermò:
 
- Si, esatto Sig.ina Clark, le ho dato 6+. Non si è sturata le orecchie neanche questa mattina? –
 
Dalla classe si levò un risolino leggero. Lily si voltò verso di loro, poi guardò il professore incredula:
 
- … Mi scusi, non mi fraintenda, ma io penso di meritarmi più di un semplice 6+. Insomma, sono 40 pagine di relazione e l’ha valutata su due piedi. Pensa di dare una valutazione esatta dopo aver dato un’occhiata veloce? –
 
Il professore, con sguardo infastidito, guardò Lily ed esclamò:
 
- Mi sta dando dell’incapace, Sig.ina Clark? –
 
Lily guardò il professore incredula. Adesso stava facendo pure la vittima?
Prima di fare qualche cazzata, Lily prese un respiro profondo, guardò il professore e disse:
 
- … No, non sto dicendo questo; le sto chiedendo di riesaminare meglio il compito e valutare meglio il voto che mi ha assegnato. –
 
 Il professore, rimanendo impassibile, guardò Lily, poi la relazione e scarabocchiò qualcosa sulla pagina iniziale. Appena lo consegnò a Lily, lei rimase senza parole:
 
- … Come sarebbe “non classificato”? –
 
- Ha usato un atteggiamento scortese verso di me e per questo l’ho punita come si deve! Ora può tornare al posto Sig.ina Clark! –
 
Il professore si voltò verso la cattedra, si sedette e aprì il libro di storia, mentre Lily rimase lì, a fissarlo impietrita. Non poteva credere a quello che aveva fatto. Dio, quant’era stronzo quell’uomo!
Lily si voltò verso la classe: alcuni ridacchiavano, altri la indicavano divertiti, mentre altri si trattenevano inutilmente dalle risate.
Si guardò in giro. Iniziò ad offuscarle la vista e le voci diventavano pian piano un eco lontano. Stava male. Doveva andarsene da lì.
Uscì di corsa dalla classe, sbattendo la porta con violenza. Fece tre rampe di scale come un fulmine, uscì dalla porta anti-incendio e, quando fu sul tetto, iniziò a piangere.
Era stufa. Era solo il primo giorno di scuola e già era partita malissimo. Non ne poteva più di quella gente.
Si inginocchiò, mise il viso bagnato dalle lacrime tra le mani e si lasciò andare in uno sfogo mai provato prima.
Aveva la nausea, lo stomaco le si era ingarbugliato su sé stesso. La testa le faceva malissimo e sembrava che le stesse per scoppiare. Era stanca psicologicamente. Non riusciva più a sopportare tutto quello stress emotivo…
Alzò lo sguardo e vide la fine del tetto; si alzò, s’avvicinò al bordo e guardò giù. Per un attimo, pensò che un volo di 45 m avrebbe risolto tutti i suoi problemi, ma si ricordò di Thomas.
Era decisamente meglio parlare con lui che un salto nel vuoto.
Tirò fuori il cellulare, cercò una rete Wi-Fi e andò sulla chat di Facebook. Gli scrisse subito un messaggio, senza pensarci due volte:
 
<< Thomas ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego, aiutami a fermarmi.
Aiutami a non fare pazzie.>>
 
Aspettò alcuni secondi. Guardò ancora giù dal tetto. La tentazione era ancora forte, ma ricevette un messaggio. Aprì il cellulare, visualizzò e lesse:
 
<< Che è successo Lily? Ti hanno fatto ancora del male? >>
 
Quando finì di leggere il messaggio pensò:
 
Oh Thomas… perché non sei qui? Sarebbe tutto più semplice se tu fossi qui…
 
Scrisse un secondo messaggio:
 
<< Mi hanno fatta esasperare. Mi ridicolizzano tutti… Dio, Thomas… che ho fatto di male? Perché mi merito tutto questo? >>
 
Lily non si era spostata dal bordo del tetto. Non aveva pensato di allontanarsi da li.
Thomas rispose subito e Lily lesse il messaggio:
 
<< Nessuno lo merita Lily. Nemmeno io meritavo quello che mi è successo anni fa, ma devi fare una cosa per me: non devi mollare.
Pensa al nostro progetto. Pensa a quello che abbiamo architettato. Non abbandonare tutto adesso… non abbandonarmi. >>
 
Lily rimase a guardare il piccolo schermo luminoso con le lacrime agli occhi. Thomas credeva in lei. Sapeva che poteva farcela fino all’inizio del progetto.
Nel mentre, ricevette un altro messaggio che diceva:
 
<< Io non voglio perderti amica mia. >>
 
Lily iniziò a piangere. Thomas, il ragazzo incontrato quasi per caso che l’aveva salvata dalla solitudine, la stava salvando di nuovo…
Si mise le mani sul viso e si lasciò andare in un pianto liberatorio. Dopo essersi sfogata, scrisse un altro messaggio a Thomas:
 
<< Te lo prometto Thomas. Grazie. >>
 
Mentre inviava il messaggio, Lily sentì una voce alle sue spalle:
 
- LILY, NON FARLO! –
 
Si voltò: era Robert. Era ancora vicina al bordo del tetto e vedendola, credeva che si volesse buttare. Si avvicinò con cautela a Lily e disse:
 
- Lily, ti prego, vieni vi da lì… qualunque cosa sia successa, possiamo risolverla ma, ti scongiuro, vieni via da lì! –
 
Lily guardò Robert senza dire una parola. C’era qualcosa in lui che la spaventava: il tono della sua voce era diverso. Non sembrava il solito Robert che conosceva.
Avanzando a piccoli passi, arrivò a pochi metri da lei, le tese la mano e disse:
 
- Coraggio, dammi la mano… -
 
Lily l’afferrò e lui la prese in braccio stringendola a sé. Anche nell’abbraccio c’era qualcosa di diverso: era un abbraccio protettivo, quasi paterno.
Quando la lasciò andare, lui la prese per le spalle e disse:
 
- Ma che diavolo speravi di fare lì? Volevi buttarti di sotto? –
 
Lily lo guardò negli occhi e non rispose. Robert la scrollò ancora più forte e le urlò contro:
 
- LILY, PER L’AMOR DI DIO, VUOI RISPONDERE? –
 
Lei si liberò e arrabbiata rispose:
 
- MA CHE DIAVOLO VUOI? LASCIAMI IN –
 
Lily non finì la frase perché Robert, preso da un attacco di rabbia, le tirò uno schiaffo sulla guancia sinistra. Per poco non cadde a terra.
Si portò una mano sulla guancia arrossata e lo guardò con gli occhi sgranati e lucidi. Non si era mai permesso di mettere le mani addosso a qualcuno, figuriamoci su una studentessa.
Robert la guardò arrabbiata poi, rendendosi conto del gesto compiuto, si calmò e mentre l’aiutava ad alzarsi disse:
 
- … Ommiodio Lily, scusami… m-mi dispiace moltissimo… è-è stato un impulso… io non… -
 
Lily si alzò in piedi e Robert la strinse a sé nuovamente. Mentre lo abbracciava, senza dire una parola, Lily sentì impregnato sulla camicia bordò un forte odore di tabacco, ma non uno qualsiasi. Era completamente diverso dal comune tabacco delle sigarette ed era un odore molto, molto più forte e marchiato.
Mentre l’abbracciava, Robert le disse:
 
- … Ti prometto che non succederà mai più Lily. Te lo giuro… -
 
Mentre stava tra le braccia di Robert, Lily si sentiva tutta sottosopra.
 
***
 
Verso l’ora di pranzo, Lily andò da Roger. Erano mesi che non lo vedeva e doveva chiedergli scusa da un bel pezzo. Appena arrivò al locale, aprì la porta, fece tintinnare il campanello appeso sopra di essa e subito arrivò Roger:
 
- Benvenuto! Cosa posso offrir…! –
 
Vederla lì, in piedi e immobile vicino alla porta, fece rimanere Roger senza parole. Uscì da dietro il bancone, andò verso di lei e l’abbracciò forte. Lily fece lo stesso e quando la lasciò andare, lei gli porse un piccolo regalino come segno di perdono:
 
- Ti ho portato questo dal Portogallo. Mi dispiace molto per quello che ho fatto Roger… -
 
L’oggetto che aveva in mano Lily era una tazza da caffè in ceramica dipinta a mano, proprio come le piastrelle tipiche del Portogallo. Sapeva che lui faceva collezione di queste cose e che avrebbe apprezzato molto quel gesto.
Roger la guardò con occhi illuminati, prese in mano il fragile oggetto e la osservò da ogni angolazione: sembrava estasiato da ciò che vedeva. Appena finì di guardare la tazzina, guardò Lily, appoggiò l’oggetto fragile sul bancone e l’abbracciò di nuovo. Lily era confusa dalla sua reazione, ma Roger sembrava felice di abbracciarla. Quando la lasciò andare, le pizzicò il naso e disse:
 
- … Quindi tu te ne sei andata in Portogallo e non mi hai detto niente? Alla faccia dell’amica! –
 
Lily rise massaggiandosi la punta del naso. A quanto pare l’aveva perdonata.
Mentre mischiava i cubetti di ghiaccio con la cannuccia verde nel the al limone freddo, Lily raccontò a Roger del suo viaggio in Portogallo e delle bellissimi luoghi visitati.
Lo raccontava con un entusiasmo mai visto prima, ma si sapeva già che lei adorava parlare di viaggi attorno al mondo.
Rimase tutto il pomeriggio lì con Roger e lo aiutò anche col servire i clienti rimasti in città che sfuggivano dall’afa del caldo. Quell’estate era davvero rovente: quasi 38°C!
A fine giornata, Lily decise di tornare a casa, ma prima di andare Roger la fermò e disse:
 
- Sono contento che tu sia tornata. Sai, qui non veniva molta gente durante le vacanze estive. Erano tutti in giro e quindi rimanevo solo… mi mancava la tua presenza qui. Mi fa piacere avere qualcuno che mi aiuti. –
 
Lily sorrise e disse:
 
- E’ un vero piacere anche per me Roger. Sei un uomo fantastico. –
 
 E detto questo, uscì dalla porta facendo tintinnare la piccola campanella sopra di essa.
 
***
 
Il giorno dopo, Lily tornò a scuola malvolentieri. Voleva marinare, ma essendo solo all’inizio della scuola non poteva permetterselo. Per di più, era al quinto anno: l’anno degli esami di maturità.
Ultimamente non mangiava quasi più: era dimagrita molto e da quando era finita l’estate non mangiava più con lo stesso gusto di prima.
Mentre era seduta vicino al muro del corridoio, Lily annotava qualcosa sul suo diario:
 
11 Settembre 2015
 
Ore: 10.28
 
“Caro diario,
La fine dell’estate ha avuto il sopravvento sul mio umore.
Le giornate di sole, il mare, il vento tra i capelli… mi mancano queste sensazioni che adoro.
Questa metropoli casinista e rumorosa, questa città… queste cose non fanno per me.
Anche il mio corpo ne sta risentendo: non mangio niente, né a colazione, pranzo e cena. Ho perso l’appetito.
Mia madre si preoccupa, come sempre, ma lei non capisce. Vado avanti dicendole: “Va tutto bene. Non ti devi preoccupare.”
Ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa da quando sono tornata alla mia routine.
Voglio tornare a vivere l’ebbrezza della vita fuori da qui.
Voglio tornare a vivere… è chiedere troppo?”

 
Mentre scriveva, qualcuno si mise di fronte a lei; alzò lo sguardo e vide Dakota, la ragazza che tempo fa le aveva rotto il naso per un piccolo insulto di troppo. Dakota la guardò dall’alto in basso sorridente e disse:
 
- Ciao Sgorbietto, come va? -
 
Lily rimase impassibile ma nella sua mente pensò:
 
Oddio, ci risiamo… che diavolo vuole ancora questa?
 
Non rispose. Rimase a fissarla come se non capisse la sua lingua.
Dakota si sistemò una ciocca bionda fuori posto e continuò a parlare:
 
- Sai, durante questi giorni ho pensato a te: mi è venuto in mente quello che mi hai fatto prima della fine della scuola, ricordi? Quella cosa dell’insulto in mensa… -
 
Lily la guardò con aria menefreghista e pensò:
 
Oh sì che me lo ricordo… e chi se lo scorda?
 
Mentre le amichette dietro di lei ridacchiavano come corvi neri, Dakota fece una cosa che fece arrabbiare parecchio Lily:
 
- Siccome non ho avuto occasione di dirti quello che intendevo, voglio farlo ora… ma leggendo questo! –
 
Con scatto felino, Dakota strappò di mano il diario di Lily e corse via. Lily non fece in tempo a fermarla, si alzò in piedi e la inseguì:
 
- Hey! FERMATI! RIDAMMELO! –
 
Era ricreazione e siccome tutti gli studenti erano nei corridoi, assistirono alla scena.
Dakota ci giocò per un momento e Lily, infuriata, le disse:
 
- Ridammelo! Quella non è roba tua! –
 
- Perché mai dovrei dartelo? Continui a scrivere robe su robe su questo insulso pezzo di cuoio e pagine ammuffite… cosa mai avrai da dire di così tanto importante e segreto? … Beh, leggiamolo assiame… -
 
Lily sgranò gli occhi. Stava perdendo il controllo. Si avvicinò a lei:
 
- Hey! Non azzardarti a! –
 
Proprio mentre stava per avvicinarsi a lei, il gruppetto di amiche di Dakota la presero alle spalle e le immobilizzarono le braccia. Lily cercò di liberarsi, ma quattro contro uno non aveva possibilità di farcela.
Mentre Lily si dimenava, Dakota iniziò a leggere una pagina di diario:
 
- Oh, sentite qua; questa è bella:
 
“23 Dicembre 2014
 
Ore: 11.23
 
Caro diario,
Anche oggi nulla è cambiato: sempre gli stessi volti e le stesse cose. Comincio ad annoiarmi, ma destino ha voluto che qualcosa finalmente succedesse.”

 
Lily fece uno scatto veloce ma le ragazze la tenevano talmente salda che non riuscì a fare nulla.
Con la voce roca in gola, Lily le gridò una seconda volta:
 
- BASTA! SMETTILA DI LEGGERE! NON HAI IL DIRITTO DI FARLO! –
 
Come se non l’avesse sentita, Dakota continuò il suo monologo:
 
“Oggi un ragazzo mi ha aiutata: mi erano caduti i libri dall’armadietto e lui, con fare galante, mi ha aiutato a raccoglierli. Quando l’ho visto non ci credevo: era bellissimo, con gli occhi castano chiaro, i capelli neri e un sorriso stupendo… mi ha rallegrato la giornata. Che fosse un regalo di Natale in anticipo?”
 
Lily continuò a dimenarsi finché, stanca dal continuo muoversi, si fermò, ma senza distogliere lo sguardo da Dakota.
Tutti ridevano. Non aiutavano Lily, ma ridevano.
Dakota continuò a sfogliare le pagine finché non si fermò ad un punto cruciale del suo diario:
 
- … Pfff… AHAHAHAH! ODDIO, QUESTA E’ BELLA! SENTITE QUESTA:
 
“4 Febbraio 2015
 
Ore: 12.40
 
Caro diario,
Oggi è il mio compleanno. Nessuno dei miei compagni mi ha fatto gli auguri, ma una persona a cui tengo molto in particolare si: Robert.”

 
Lily si alzò di scatto e pensò:
 
No… no no no non quello! Non leggere quello!
 
Dakota continuò a leggere:
 
- “E’ stato qualcosa di inaspettato quello che ha fatto per me: è venuto chiamandomi per nome, mi ha chiesto di seguirlo e quando fummo abbastanza lontani, mi diede una scatolina impacchettata rossa; io lo aprì e dentro trovai una collana pendente con una pietra “occhio di tigre”.
Il momento più bello è stata quando mi ha appoggiato nel palmo della mano il regalo e mi ha sussurrato:

 
“Buon compleanno Lily…”
 
Sono davvero felice. Robert è come un padre per me… gli devo tutto!”
 
Lily si dimenò ancora, ma invano, e alla fine non riuscì a trattenere le lacrime.
Si vergognava più per il fatto di essersi mostrata debole davanti a loro che per le cose che aveva scritto sul suo diario. Si faceva schifo da sola.
Dakota chiuse il diario, si voltò verso gli studenti che stavano osservando la scena e disse:
 
- Lo vedete? È questo il tipo di persona che mi fa letteralmente schifo: un topo di fogna che cerca la solitudine in un luogo pieno di gente e fa di tutto per contraddistinguersi dagli altri! ... Un topo di fogna che, senza un padre, cerca di rimpiazzarlo con un professore… -
 
Quella frase fu la goccia che fece ribollire di rabbia la povera Lily. Era furiosa e nei suoi occhi si poteva vedere benissimo la sete di vendetta.
Con una scarica potente di adrenalina, Lily si liberò dalle quattro ragazze, si avventò verso Dakota e gridò:
 
- STAI ZITTAAAAA! –
 
Quando Dakota si voltò, Lily fece un placcaggio degno di un giocatore di rugby ed entrambe caddero a terra con un tonfo assordante.
Mentre Lily si rialzava, notò che del sangue scorreva dal naso di Dakota.
Si alzò e notò lo sguardo terrorizzato degli altri studenti attorno: si erano allontanati di qualche passo e la guardavano inorriditi e spaventati.
Lily sentì un leggero formicolio alla testa, poggiò una mano e quello che vide non le piacque affatto: aveva un taglio profondo sulla tempia dove sgorgava ancora sangue.
Lily guardò la mano, poi attorno a sé; era spaventata e non sapeva dove andare. All’improvviso, dietro di lei, qualcuno la colpì proprio sulla colonna vertebrale facendole un male indescrivibile. Cadde a terra dolorante seguita da un grido agghiacciante. Non riusciva a muoversi a causa del dolore, ma provò a voltarsi per vedere il suo aggressore: vide Dakota furiosa con una mano insanguinata appoggiata al naso.
Nessuno disse nulla. Erano tutti troppo sconvolti per dire qualcosa.
Dakota la colpì con un secondo calcio sul fianco destro e Lily, colpita da quel dolore lancinante, lanciò un secondo grido che non riuscì a trattenere.
In quel momento arrivò Robert che, facendosi strada tra la folla di studenti, riuscì a passare.
Quando vide le due ragazze rimase senza parole:
 
- Ommiodio… ma cosa? ... –
 
Spostò lo sguardo verso Lily e vide il sangue fresco per terra. Dakota venne fermata dalle quattro amiche che prima tenevano ferma Lily, mentre Robert andò in soccorso da quest’ultima.
Provò a voltarla, ma lei lanciò un grido per manifestare il dolore tremendo che provava.
Robert la lasciò com’era. Non voleva rischiare di farle ancora più male.
Attraverso i capelli sudati e insanguinati, Lily notò il terrore dipinto sulla faccia del suo insegnante. Era pallido e ansimava dalla paura. Non l’aveva mai visto così terrorizzato.
Robert si tolse la felpa nera che teneva addosso e la poggiò sulla ferita per tamponare il sangue. Mentre premeva, alcune gocce di sudore caddero dalla sua fronte.
Con la voce e le mani tremanti, Robert chiese:
 
- Mio dio Lily… ma che ti è successo? –
 
Non disse nulla. Rimase in silenzio.
Robert si voltò verso Dakota e fece la stessa domanda:
 
- Dakota, che cos’è successo? –
 
Nemmeno lei rispose e proprio in quel momento arrivò anche il professor Jordan sconvolto:
 
- Cristo! Che diavolo è successo? –
 
Robert alzò lo sguardo verso Jordan e disse:
 
- Non lo so, io … –
 
Appena distolse lo sguardo, Lily tentò di alzarsi. Robert la fermò prima che cadesse sulle proprie braccia, l’aiutò a stendersi e disse:
 
- No Lily, ferma! Non puoi muoverti in queste condizioni! -
 
Mentre si aggrappava debolmente al polso di Robert, Lily riuscì a voltarsi verso di lui e con voce flebile dire:
 
- Lasciami… andare Robert… -
 
Robert non diede retta a quello che disse e l’adagiò per terra dolcemente. Mentre il Prof Jordan chiamava un’ambulanza, il sangue cadeva dalla felpa di Robert lasciando gocce fresche sul pavimento e sulla mano di quest’ultimo.
Robert prese la felpa nera ormai inutilizzabile, la lasciò cadere per terra col tonfo di uno straccio bagnato e usò la sua maglietta bianca per tamponare il sangue. Mentre Robert teneva premuto, Lily lo vide in canottiera e gli disse:
 
- … Rischi di non… non utilizzare mai più quella maglietta Robert… non è il caso di rischiare… -
 
Robert premette ancora più forte e disse:
 
- Lily, fammi un favore: fa silenzio che quello che dici non ha più senso. Sto tentando di fermare il sangue. –
 
Lily appoggiò le dita tremanti sul dorso della mano del professore e disse:
 
- Lasciami Robert… va… va bene così… -
 
Robert la guardò negli occhi mentre con la mano premette forte sulla tempia. Non poteva credere a quello che aveva sentito.
Lily gli sorrise poi chiuse gli occhi; il suo viso era arrossato e una lacrima le scivolò giù dalla guancia.
Robert guardò Lily con sguardo malinconico. Era stanca di tutto e di tutti e Robert la capiva perfettamente.
Robert la strinse dolcemente a sé e disse:
 
- … E io come farò senza di te? … -
 
Mentre l’abbracciava, in lontananza si sentivano le sirene dell’ambulanza avvicinarsi.
 
***
 
- *sniff* e … c-com’è potuto accadere? –
 
- Non ne ho idea Sig.ra Clark. Nessuno parla per paura di finire in mezzo alla questione. Nonostante ci fossero molti studenti, negano di raccontare ciò che hanno visto e non sapendo cosa sia veramente accaduto, non possiamo fare nulla. Nemmeno una denuncia.  –
 
La madre di Lily era seduta nell’ufficio del preside mentre parlava con quest’ultimo dell’accaduto.
Clara stava piangendo. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere.
Il preside offrì un bicchiere d’acqua a Clara e lei lo accettò volentieri. Mentre sorseggiava, il preside disse:
 
- Deve sapere che Lily non ha mai creato nessun tipo di problema in questi 4 anni. E’ una studentessa molto capace e intelligente e qualche volta può capitare che qualcuno venga preso di mira. L’ho visto in quasi tutti le scuole in cui ho lavorato. –
 
Clara appoggiò il bicchiere sul tavolo, poi si passò il fazzoletto sotto gli occhi per asciugarsi le lacrime. Ancora non poteva credere a quello che era accaduto.
Mentre Clara sorseggiava un secondo sorso, il preside prese il centralino della sua scrivania, digitò un numero a tre cifre e disse:
 
- Jane, sono io; potresti far entrare il professor Robert Bennett? Grazie. -
 
Mise giù la cornetta e si rivolse alla madre di Lily con aria seria:
 
- Ora verrà il professor Bennett, l’insegnate di psicologia di Lily. Parleremo di una questione molto delicata, e avrò bisogno del suo consenso… -
 
Clara annuì e pochi minuti dopo entrò Robert. Era ancora scosso e si capiva perfettamente la sua preoccupazione per Lily: dopo l’accaduto, hanno chiamato un’ambulanza e Lily è stata ricoverata con urgenza al pronto soccorso. Pensavano che avesse un’emorragia interna dato che non riusciva ad alzarsi da terra.
Robert si sedette sulla sedia in velluto blu, guardò Clara, poi il preside:
 
- … Avete notizie di Lily? –
 
Il preside intrecciò le dita delle mani e si mise comodo, come se dovesse confessarsi:
 
- E’ ancora sotto osservazione. I medici dicono che la colonna vertebrale è stata danneggiata, ma non ci sono traumi di permanenti. Almeno non c’è il rischio che rimanga paralizzata. –
 
Robert lasciò andare un sospiro di sollievo. Gli sembrava che un macigno enorme gli si fosse tolto dalle spalle.
Ci fu un momento di silenzio, come se i due uomini e la donna non avessero nulla da dire; finché la madre di Lily lo ruppe con una domanda:
 
- Prima ha detto che avremmo parlato di qualcosa. Di cosa si tratta? –
 
Robert e Clara guardarono il preside, lui si appoggiò sullo schienale con un cigolio della sedia. Giocherellò con la penna che teneva nella mano destra, poi iniziò a parlare:
 
- Da qualche anno ormai, alcuni insegnanti hanno notato dei comportamenti strani in Lily. Per esempio il fatto che si isoli, che non parli mai, ma soprattutto che tiene a distanza le persone, eccezion fatta per alcuni… -
 
Iniziò a guardare Robert.
Clara tentò di capire meglio:
 
- … Ma… non è possibile: mia figlia torna a casa felice, mi racconta delle giornate passate assieme alla classe, alle lezioni, delle gite di gruppo! Com’è possibile che gli insegnanti dicano una cosa del genere? –
 
Il preside sospirò e si sistemò nuovamente sulla sedia. Era come se non riuscisse a trovare una posizione comoda; oppure doveva togliersi un peso di dosso.
Quest’ultimo guardò Clara dritta negli occhi:
 
- Gli adolescenti sono bravi a mentire, specialmente se sono affetti da qualche malattia che si scopre troppo tardi. Proprio per questo i suoi insegnanti… –
 
Robert interruppe il preside e lo guardò con espressione esterrefatta. Di che diavolo stava parlando?
 
- Mi scusi, cosa intende con “affetti da qualche malattia?” Non capisco… -
 
Il preside guardò Robert con espressione malinconica, poi Clara. Era arrivato il momento più delicato della faccenda e dalla sua espressione, non sarebbe piaciuta affatto.
Chiuse gli occhi, tirò un sospiro e disse quello che c’era da dire:
 
- … Pensiamo, io e gli altri insegnanti, che Lily… che soffra di depressione. –
 
Ci fu un momento di silenzio nell’ufficio del preside. Non si sentivano nemmeno i rumori esterni.
Robert trasalì dentro di sé, ma non lo diede a vedere a differenza di Clara che era scoppiata in lacrime pochi secondi dopo:
 
- … Ha detto… depressione? –
 
- Esatto. Non sembra così a primo impatto ma pensiamo che Lily, non avendo mai raccontato questi avvenimenti a nessuno, abbiamo “imparato” a nascondere le sue esperienze negative a tutti; ma più le accumula, più la sua mente deteriora. E dopo anni e anni passati a nascondere tutto, basta che accada qualcosa che le scombussoli la mente per cadere nell’oblio… è come se qualcosa, o qualcuno, abbatteste il suo castello di carte che, in questo caso, è il suo subconscio. -
 
Robert trasalì nuovamente. Era diventato pallido ma delle gocce di sudore scivolavano lente dalla sua fronte. Non poteva credere a quello che aveva sentito. Non voleva crederci. Lily non soffriva di depressione, ne era sicuro. Lo avrebbe notato. In fondo, conosce la psicologia e le malattie della mente… non era affatto possibile!
Robert si portò una mano sulla faccia pallida:
 
- … N-non è possibile! Davvero, non può dire certe cose senza una certezza! –
 
- Infatti non ne ho, ma è una supposizione. E questo mi ha fatto pensare alla proposta che vi sto per fare. –
 
I due guardarono il preside preoccupati: che cosa voleva fare?
 
- Nel periodo che Lily starà ricoverata in ospedale, dovrà fare delle sedute di terapia con uno psicologo specializzato, così vedremo se le nostre supposizioni sono sbagliate… in caso contrario, sapete benissimo cosa accadrà. –
 
Robert sentì il cuore battere all’impazzata. Era arrabbiato e allo stesso tempo preoccupato per la salute di Lily in futuro: se sarebbe risultata positiva al test della depressione, lo psicologo avrebbe avuto l’autorizzazione nel darle farmaci antidepressivi; inoltre la terrebbero sotto osservazione costante seguendo una terapia rigida e inflessibile… praticamente, una “terapia-imprigionamento” come la definiva Robert.
Conoscendo Lily, sicuramente non si sarebbe mai confidata con lo psicologo e men che meno gli avrebbe rivelato la sua passione di viaggiare il mondo. Non sarebbe sopravvissuta neanche tre mesi. Rischierebbe solo di peggiorare invece di guarire.
Robert si alzò di scatto e urlò contro il suo datore:
 
- LEI NON CAPISCE! NON PUO’ RINCHIUDERE QUELLA RAGAZZA IN UN OSPEDALE E SPERARE CHE LA DEPRESSIONE PASSI! QUEL TIPO DI TERAPIA E’ FOLLIA. NON HA SENSO! QUELLA RAGAZZA NON PARLERA’ MAI CON QUELL’IDIOTA! –
 
Il preside rimase al suo posto immobile e, con espressione impassibile, rispose:
 
- Questa terapia ha salvato milioni di vite sig. Bennett! L’hanno accertata come la miglior cura per questo tipo di situazioni, quindi non venga a fare il medico perché lei è solo un professore! –
 
- MA CONOSCO LILY DA ORMAI QUATTRO ANNI E SO CHE NON FUNZIONERA’! -
 
- Proprio per questo sarà lei ad aiutarci in caso Lily non dica qualcosa allo psicologo. –
 
Robert rimase zitto guardò il preside e sentì che il suo stomaco stava bruciando dalla rabbia:
 
- … Mi sta chiedendo di fare la spia al questa messa in scena? –
 
- Le sto chiedendo di collaborare sig. Bennett; e di contribuire a guarire una povera ragazza malata. –
 
Robert rimase in silenzio. Anche la gola gli stava bruciando a causa della rabbia.
Aveva chiamato Lily “ragazza malata”, manco fosse una fottutissima cavia da laboratorio.
In quel momento, Clara s’intromise alla discussione:
 
- Vi do il permesso di farlo. –
 
Robert si voltò verso Clara. Cosa aveva detto?
 
- … Come? –
 
- Voglio che mia figlia guarisca. Se questa terapia funziona, allora do il consenso di farle fare questa terapia in caso il test sia positivo. –
 
Robert si voltò verso Clara che, con gli occhi lucidi, guardava l’uomo avvicinarsi a lei:
 
- … Lei non sa niente di questa terapia. Non può dare il consenso se non ne conosce i pericoli! –
 
- Se lo psicologo dice che è la via migliore, allora darò il meglio per mia figlia! –
 
Robert si voltò verso il preside con una risatina falsa e ipocrita:
 
- Oh certo, e allora perché non gli racconta anche dei centinaia di casi dei ragazzi che si sono suicidati dopo? Non sono mai guariti e, per evidenziare, sono peggiorati proprio a causa di tutto ciò! –
 
Il preside si alzò di scatto dalla sedia e disse una cosa che mandò Robert su tutte le furie:
 
- Sig. Bennett! Se questa decisione non le va bene, può rifiutare di collaborare, ma non tollero questo atteggiamento nel mio ufficio! Se non vuole che la licenzi seduta stante, se ne vada! –
 
Robert fu felice di lasciare quella conversazione, si avviò verso la porta e uscì sbattendola violentemente.
Mentre s’avvicinava alla macchina parcheggiata sotto l’albero del parcheggio della scuola, Robert sentì una rabbia salirgli. Voleva sfogarsi, ma si trattenne. Fece un respiro profondo e prese le chiavi della macchina. Tentò d’infilarle nella serratura, ma tremava ancora dalla rabbia.
Tentò più volte finché non si trattene più: con un grido di sfogo, diede un pugno al vetro dell’auto spaccandolo in mille pezzi. Caddero per terra come una cascata scintillante ma Robert rimase immobile.
Il sangue gli scorreva dalle dita mentre dei cocci di vetro rimanevano incastrati nelle nocche.
S’inginocchiò sopra ai vetri in terra e scoppiò in lacrime. Non era riuscito a trattenersi.
Mentre piangeva pensava:
 
Dio Lily… non voglio perderti… non posso sopportare ancora questo peso…

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Capitolo 7
*** Chile ***


Capitolo 7: Chile

 
Lavanda. Era questo il profumo che sentiva Lily nell’aria. A primo impatto non era riuscita a riconoscerlo, ma poi aveva ricordato. Era lavanda. Un profumo intenso ma delicato.
Quando Lily aprì gli occhi, si ritrovò nello stesso treno del sogno. C’era tutto: l’erba verde, i fiori, i petali che volavano leggeri mossi dal vento che entrava impetuoso nella cabina e, infine, il tramonto fuori dai finestrini. Era tutto esattamente come l’aveva sognato la prima volta.
Lily alzò la testa lentamente, guardò il sedile e lo tastò: era morbidissimo, quasi come se fosse fatto di lana pregiata. Si sedette e ammirò la cabina felice. Dopo aver fatto quel sogno, aveva sperato con tutta sé stessa di rifarlo.
Si alzò dal sedile e lasciò che il vento trasportasse i petali nei suoi capelli arruffati. Era una sensazione bellissima. Guardò nella direzione in fondo della cabina e trovò lo stesso salice che in precedenza aveva utilizzato per farci un sonnellino. S’incamminò verso di esso, maestoso e verde, ma accanto alle sue radici, Lily vide qualcosa… anzi, qualcuno. Quel qualcuno stava leggendo un libro, ma non sapeva dire con certezza quale.
Che quella persona fosse ciò che aveva visto nel primo sogno?
Si avvicinò lentamente e ad ogni passo, era sempre più curiosa. Quando fu abbastanza vicina, lo riconobbe: era Thomas. Aveva la stessa camicia bianca scollata che mostrava il petto abbronzato, le braghe verde scuro fino al ginocchio e dei sandali vecchi in pelle marrone. Al braccio sinistro portava il bracciale d’oro di Lily.
Lui si voltò e le sorrise, pose il libro a terra, s’alzò e andò verso di lei. Lily sorrise a sua volta. Era felicissima di vedere Thomas.
Si abbracciarono a lungo, finché lui prese tra le dita la collana che gli aveva dato in custodia alla ragazza e disse:
 
- La mia collana… ce l’hai sempre con te? –
 
- Sempre Thomas. Ce l’ho sempre con me. –
 
Lily appoggiò l’orecchio sul petto di Thomas e sentì il suo cuore battere. Era una sensazione bellissima e il battito andava a ritmo del treno. Mentre si abbracciavano, Thomas chiese:
 
- Vorresti vedere una cosa? E’ un evento raro che accade solo qui e da nessun altra parte. –
 
La curiosità spinse Lily ad accettare, così lui le prese la mano e la trascinò dolcemente verso la fine della cabina. Attraversarono altre cabine simili alla prima con petali, sedili, il vento e i fiori; poi finalmente arrivarono davanti ad una porta in legno marron chiaro. Thomas l’aprì e si ritrovarono in testa al treno. Non c’era nessuno alla guida, ma questo non sembrava preoccupare i due ragazzi.
Thomas si sporse dalla porta laterale di destra e indicò qualcosa in lontananza:
 
- Laggiù Lily! La vedi laggiù? –
 
Si sporse pure lei, mentre Thomas le faceva spazio per guardare meglio:
 
- Che cosa Thomas? –
 
- La galleria in cui stiamo per entrare. –
 
Lily aguzzò la vista: in effetti, in lontananza, si vedeva un punto nero che, man mano che il treno si avvicinava, diventava sempre più grande. Era l’entrata della galleria, ma era molto strana: non c’erano montagne o colline all’orizzonte, ma solo immensi territori ricoperti da nuvole arancioni basse fino alla caviglia.
Lily si voltò verso Thomas e la curiosità la spinse a domandare:
 
- Che cos’ha di così tanto speciale questa galleria? –
 
- Adesso lo scoprirai amica mia. Lasciati guidare. –
 
Lily si voltò nuovamente verso la galleria. Ormai mancava poco.
Ad un centinaio di metri dall’entrata, Thomas prese Lily affianco a sé e disse:
 
- … Ora, lasciati stupire! –
 
Quando entrarono nella galleria, il vento cambiò. Anche il panorama cambiò: non c’erano più le lunghe distese ricoperte di nuvole arancioni al tramonto, ma al suo posto apparve l’universo coi suoi pianeti, le sue stelle e le sue nebulose colorate. Era uno spettacolo a dir poco stupendo.
Lily guardò a bocca aperta quel paesaggio. Non aveva mai visto una cosa del genere.
Si voltò verso Thomas e con gli occhi illuminati di stupore disse:
 
- Wow! Thomas, è lo spettacolo più bello che io abbia mai visto! –
 
Tornò a guardare quell’incredibile paesaggio con gli occhi pieni di gioia. Da lì riuscivano a vedere tutto: Giove e l’immensa Macchia rossa al suo interno, l’anello di Saturno era talmente vicino che sembrava di poterlo toccare con la mano, mentre Venere era di un colore verde acqua lucente facendolo sembrare una pietra preziosa.
Lily desiderava tanto che quel momento non finisse mai, ma come in ogni galleria, c’è sempre la luce in fondo…
Appena Thomas la notò, disse a Lily di fare attenzione:
 
- Ci stiamo avvicinando all’uscita adesso. Ci sarà un cambiamento di clima ad dir poco notevole. –
 
Lily guardò davanti a sé, ma l’unica cosa che vide fu il pianeta Terra.
Si voltò verso il ragazzo e chiese:
 
- Ma li c’è il nostro pianeta. Non vedo nessuna luce… sei sicuro che l’uscita sia vicina? –
 
Thomas guardò Lily negli occhi e rispose:
 
- Ma come, non hai capito? La fine della galleria è la Terra! –
 
La mente di Lily diventò confusa. Come poteva essere la Terra la fine della galleria?
Si rivolse nuovamente al ragazzo:
 
- Come fa la Terra ad essere l’uscita? Ci schianteremo! –
 
Thomas rise a quella frase. Prese il volto di Lily dolcemente con la mano e disse:
 
- … Sta un po’ a vedere amica mia. –
 
Le voltò leggermente il viso e quello che accadde fu impossibile: mentre il treno si avvicinava alla Terra, Lily notò che non era la Terra vera e propria, ma l’inizio di un rettilineo ferroviario in mezzo ad un bosco. Quando uscirono dalla galleria, magicamente, il treno arrivò in un bosco con alberi alti, verdi e foglie che volavano qua e là cadendo al suolo silenziose.
Quello che aveva visto Lily, era impossibile… ma era accaduto sul serio davanti a lei.
Tornò a guardare Thomas e con voce stupefatta disse:
 
- Thomas… ma questo è… –
 
- … E’ ciò che vede un viaggiatore libero, mia cara. Ciò che un viaggiatore vede con nuovi occhi, senza alcun pregiudizio o idea a cosa stia andando incontro. –
 
Thomas si avvicinò alla porta della cabina, prese la maniglia, poi si voltò verso di lei e disse:
 
- … Questo è un piccolo assaggio di ciò che vedrai Lily, ma il resto lo vedrai molto presto, te lo prometto… -
 
Aprì la porta e uscì verso una luce bianca. Le altre cabine sembravano essere sparite.
Lily aveva così tante domande da fargli e voleva vedere altro. Era troppo bello per fermarsi adesso.
Chiamò Thomas, che ormai aveva già passato la porta, e gli urlò:
 
- Aspetta Thomas! Fammi vedere altro! Ti prego! –
 
Thomas continuò a camminare. Non si voltò indietro. Sembrava che non la sentisse. Lily corse verso di lui e allungò la mano per fermarlo:
 
- THOMAS, ASPETTAAAAA! –
 
- … Lily? -
 
Quando Lily entrò dentro la luce bianca, tutto finì.
Era un sogno, come tutte le cose belle. Ma questo era un sogno ad occhi aperti.
Quando tornò alla vera realtà, Lily sentì una voce maschile chiamarla:
 
- Lily? Ci sei? -
 
La ragazza spostò lo sguardo e vide una persona ai piedi del letto che riconobbe subito: era Edward Connor: un uomo alto, senza barba, con gli occhi grigi, gli occhiali a montatura sottile e un’acconciatura perfetta coi capelli neri pettinati all’indietro. Questo ragazzo, che mostrava 10 anni in meno di quelli che aveva, era specializzato in psicologia applicata, aveva due Master ed era uscito col massimo dei voti da una delle più prestigiose università inglesi… il classico strizzacervelli laureato alle prime armi.
Un particolare di quell’uomo era che portava sempre un vestito elegante con la cravatta rossa e la giacchetta, anche se c’erano 40 gradi all’ombra. Sembrava un maggiordomo in frac.
Lily lo fissò per qualche secondo, come se tentasse di capire quello che avesse detto, poi si guardò attorno: era in ospedale e la stanza fredda, bianca e silenziosa le ricordava una rosa bianca appassita. C’era un forte odore di candeggina, il solito odore degli ospedali, e il profumo di lavanda che aveva sentito prima in sogno, ormai era solo un lontano ricordo.
Si alzò lentamente per sedersi, poi rispose alla domanda dell’uomo:
 
- … Si Sig. Connor; ci sono… -
 
- Possiamo continuare? –
 
Nella voce di quell’uomo, Lily sentì la stessa sensazione che provò la prima volta che lo aveva incontrato: menefreghismo e indifferenza. Stava palesemente fingendo di interessarsi a lei.
Quando lo aveva incontrato per la prima volta, lui si presentò davvero male: entrando nella stanza, col solito vestito elegante e un fascicolo di fogli in mano, s’era presentato dandole subito del “Tu” senza manco porgerle la mano da stringere.
Era la cosa che Lily odia di più delle persone: qualcuno si presenta, sa il tuo nome, ma tu non sai nulla riguardo a lui o lei… è una situazione frustrante e inquietante, no?
Lo psicologo sfogliò il fascicolo di fogli che aveva in mano, voltò alcune pagine velocemente e chiese:
 
- Allora… dov’eravamo rimasti? ... Ah sì: Vorresti parlarmi di tuo padre? –
 
Lily non rispose, ma lui, come tutti gli psicologi, rimase ad aspettare.
Passarono 5 minuti, poi l’uomo accavallò le gambe, appoggiò le mani sui braccioli in legno lucido e domandò:
 
- … Cos’hai pensato in questo lasso di tempo? –
 
Lily non rispose. Quello che aveva fatto era di squadralo dalla testa ai piedi per trovare tutti i difetti di quel damerino, ma ovviamente non glielo disse in faccia:
 
… Ha una ciocca fuori posto sulla parte destra della tempia… il sopracciglio sinistro è più alto rispetto a quello destro… ha un neo nascosto sotto al colletto e… si tinge i capelli? Oddio che orrore!…
 
Lo guardò una seconda volta e alla fine disse:
 
- Sig. Connor, vedo che non ha ancora mollato la presa… -
 
L’uomo distolse per un secondo lo sguardo e ridacchiando disse:
 
- Eh eh eh… Sono una persona molto competitiva Lily. Non mollo mai quello che ho iniziato. –
 
Lily alzò un sopracciglio e con la stessa aria indifferente di prima pensò:
 
Questo lo vedremo presto, bello…
 
Abbassò il sopracciglio, lo guardò e disse:
 
- … Allora? –
 
Connor si guardò nuovamente in giro e confuso domandò:
 
- … Scusami? –
 
Lily stava perdendo la pazienza. Questo tipo non era capace di fare una conversazione come si deve; inoltre lei voleva capire perché fosse lì con lei ogni giorno della settimana, ma ovviamente il damerino non voleva dirglielo… oppure non poteva. Fece un’altra pausa, poi chiese:
 
- Che cosa vuole da me? –
 
- Sono qui per parlare con te. Lo abbiamo detto anche durante le altre sedute. –
 
- Ma io non ho niente da dirle. –
 
- Allora vorrà dire che staremo in silenzio, come abbiamo fatto prima. –
 
- Durerà molto, sappiatelo… -
 
- Tanto mi pagano a ore, quindi non c’è problema. -
 
A parte un intenso senso omicida, Lily si domandava cosa facesse (di veramente utile) nella vita quell’uomo: era uno psicologo oppure un comico?
Dopo alcuni secondi di sguardi fulminanti, Lily chiese:
 
- … Perché l’hanno pagata per parlare con me? –
 
- Perché alcune persone vogliono aiutarti. –
 
- Come mia madre? –
 
Connor si zittì di colpo. Quando Lily scoprì che doveva parlare con uno psicologo durante la permanenza in ospedale, scoprì anche che la madre aveva architettato questa faccenda. Da quel momento aveva deciso di non volerle più parlare. Erano giorni che non la vedeva e ancora non era riuscita a perdonarla. Ovviamente nessuno voleva darle delle spiegazioni al riguardo di questa storia, così decise di far cedere prima lo psicologo per ottenere quello che voleva.
Connor si sistemò sulla sedia, si avvicinò al letto e disse:
 
- Lily, devi capire che tua madre lo ha fatto per il tuo bene. Non devi puntarle il dito contro per il fatto che ha pensato di fare la cosa giusta. –
 
- Lei crede che imbottire qualcuno con farmaci antidepressivi sia la cura migliore? Allora perché non mi fa l’elettroshock e risolviamo la questione? No, anzi, ho un’idea migliore: mi chiuda in un centro psichiatrico, così potrà aiutarmi meglio! –
 
Connor rimase in silenzio. Si lasciò cadere sullo schienale della sedia verde assieme ad un sospiro e guardò Lily con aria stufa. Il fastidio nella ragazza crebbe ancora di più vedendo quello sguardo.
Inoltre c’era qualcosa che non quadrava: stava architettando qualcosa che Lily non sapeva… ma cosa esattamente?
Connor tirò fuori dalla tasca un piccolo oggetto metallizzato, lo mostrò a Lily e disse:
 
- Ora registrerò questa seduta. Non l’ho fatto nelle sedute precedenti per non metterti in ansia, ma da adesso faremo così. Dopo aver registrato le nostre conversazioni potrò –
 
- Analizzare tutte le risposte che dico, così potrà capire dal mio comportamento che cos’ho che non va… La prego, si risparmi le spiegazioni. So come funzionano queste cose. –
 
Connor rimase immobile col registratore a mezz’aria. Fece una smorfia divertita e disse:
 
- Sei molto intelligente. Si vede che ti piace la psicologia. –
 
Lily non disse nulla. Non gli stava affatto simpatico e qualunque cosa uscisse dalla bocca di quel tipo le pareva una cavolata.
Connor premette il pulsante del registratore poi parlò attraverso il microfono:
 
- 21 Settembre 2015; Ore: 11.37; nome della paziente: Lily Clark. Quinta seduta. –
 
Poggiò il registratore lampeggiante sul fondo del letto e iniziò a parlare:
 
- Allora Lily, ti rifaccio la domanda che ti ho chiesto prima: vorresti parlarmi di tuo padre? –
 
Non rispose. Non aveva ancora ottenuto le risposte che aveva chiesto.
Si sistemò sullo schienale del letto, si mise comoda e disse:
 
-  Continua a fare domande, ma non risponde mai alle mie: prima mi dica perché è qui, poi forse risponderò alle sue domande... –
 
- Te l’ho già detto: sono qui per parlare con te. –
 
- Allora parliamo, ma di ciò che voglio sapere. –
 
- Queste sono informazioni che i pazienti non possono avere. –
 
- E’ per via di quello che è successo a scuola? È per questo che lei è qui, giusto? –
 
- Non sono abilitato a darti queste informazioni. –
 
Lo scrutò a fondo, ma quell’uomo non voleva mollare la presa. Aveva ragione: non lasciava mai quello che aveva iniziato.
Lily si sistemò nuovamente sul letto e con una leggera smorfia di dolore appoggiò la mano sulla parte lombare del corpo:
 
- … Lo prendo come un sì. D'altronde, per cos’altro poteva essere? –
 
Connor rimase in silenzio. Stava ormai per cedere, ne era sicura.
Guardò la ragazza con lo stesso sguardo di disinteressamento di prima, ma questa volta era più marcato in viso.
Connor si sistemò gli occhiali sul naso e continuò a parlare:
 
- Provi dell’odio per questa scelta che ha fatto tua madre? –
 
Lily si massaggiò la parte dolorante:
 
- … Dovrebbero proporlo anche all’altra ragazza, Dakota Campbell, che mi ha ridotta in questo stato. Lo scriva sui suoi appunti… -
 
Dopo alcuni minuti e tante domande senza risposta, Connor prese il registratore, lo spese, si alzò dalla sedia e disse:
 
- … Grazie per la piacevole chiacchierata Lily; sei stata bravissima. Ho le informazioni che mi servono. –
 
Connor fece per andarsene, ma Lily, poco prima che uscisse dalla soglia della porta, gli disse:
 
- I suoi capelli. -
 
Si fermò, si voltò e disse:
 
- Cosa? –
 
- I suoi capelli. Si vede che li tinge. Il riflesso non è naturale. Le consiglio di usare un’altra tinta. –
 
Connor guardò Lily, sorrise e disse:
 
- …Ne terrò conto Lily. Grazie. –
 
E detto questo, uscì dalla stanza.
Chiuse la porta, s’incamminò verso il corridoio ed entrò in un’altra piccola stanza dove lo attendevano quattro medici all’interno.
Uno del gruppo, un uomo sui 30 anni coi capelli arruffati e una barba molto folta, vedendo lo psicologo entrare domandò:
 
- Allora? Anche questa volta non ha parlato? –
 
Connor si sistemò gli occhiali, si sedette e con aria impassibile tirò fuori delle carte che porse sul tavolo:
 
- No, nemmeno stavolta. Devo ammettere che è uno delle pazienti più complicate che abbia mai avuto a che fare: è chiusa, indifferente, fredda, ma ha un intuito eccezionale, devo riconoscerlo. In poco tempo è riuscita a capire molte cose che non doveva sapere… è un genio, in poche parole. –
 
I medici si guardarono tra di loro e una donna di colore, anziana e leggermente grassottella, disse:
 
- Sarà anche un genio, ma è parecchio scorbutica: quando sono andata da lei per farle i prelievi del sangue diceva che non ero capace di mettere l’ago come si deve nella vena. A momenti prendeva l’attrezzatura e faceva tutto da sola! –
 
Un secondo uomo, sui 27 anni circa, con capelli biondi e due occhi azzurri da far innamorare chiunque ragazza, disse:
 
- Nemmeno io che sono “vicino alla sua età” sono riuscito ad avere un contatto… ma che cos’ha quella ragazza? -
 
Il quarto medico, un uomo pelato e con un’espressione severa dipinta in volto, aveva ascoltato la conversazione e s’intromise brutalmente:
 
- Non vogliamo sapere se quella ragazza sa fare un prelievo da sola, ma se le supposizioni fatte siano esatte. Allora? Cosa dice Dottor. Connor? –
 
Connor guardò le quattro persone schierate in fila davanti a lui, prese un foglio dal fascicolo che aveva prima e disse:
 
- Dalle mie analisi e dal suo comportamento posso dedurre che effettivamente quella ragazza soffre di depressione. Ha tutte i sintomi: si isola, non parla con nessuno e non parla praticamente mai di lei o della sua famiglia. Ho notato inoltre che, durante le rare volte che parla con qualcuno, cambia personalità: con alcuni è aperta e spensierata, mentre con altri è diffidente e aggressiva.
Riesce a mascherare tutto con un estrema facilità e il fatto che conosca molto sulla psicologia l’avvantaggia parecchio, riuscendo ad anticipare le mosse del suo interlocutore. Solo parlando con la madre sono riuscito a scoprire altre cose che lei non ha mai detto, e questo mi ha fatto luce sulla causa di queste malattie… -
 
I medici si guardarono perplessi e la donna disse:
 
- Pensa che soffra anche di personalità multipla? –
 
- Lieve. Non è evidente, ma sembra che dentro di lei ci siano altre personalità… -
 
I medici non dissero nulla. Nella piccola stanza calò un silenzio di tomba, quasi come se nessuno osasse replicare quello che aveva detto lo psicologo. L’unico suono che aleggiava in aria era la ventola del distributore di bevande, che a sentirlo pareva quasi inquietante.
Solo il medico dall’aria severa, dopo qualche secondo di quiete, interruppe il tutto e disse:
 
- Quindi possiamo affermare che il preside della scuola aveva ragione? Quella ragazza soffre di depressione e persino di personalità multipla? –
 
Connor si sistemò gli occhiali, prese il fascicolo di fogli, li riordinò sbattendoli leggermente sul tavolo e disse:
 
- … Si. Possiamo confermare che è così. Scriverò una mail da mandare al preside della scuola, dopodiché, vedremo il da farsi. –
 
Non tutti ne erano convinti, ma non osarono replicare. Uno alla volta, i medici uscirono dalla stanza, lasciando lo psicologo da solo. Connor fece un sospiro, prese il suo Iphone 6, cliccò sulla posta elettronica e iniziò a scrivere la mail da mandare al preside:
 
<< A: WiCb@hotmail.com
 
Oggetto: valutazione clinica studentessa L.C
 
 
Egregio Sig. William Campbell,
 
Le scrivo per confermare la sua ipotesi sulla malattia della studentessa Lily Clark.
Esaminando le sedute con un approfondita e rigida valutazione della personalità, del comportamento e della logica, posso affermare che la paziente soffre di depressione di livello lieve. Nel comportamento ho riscontrato anche un problema di personalità multipla anch’esso a livello lieve.
Pertanto, le chiedo il permesso di iniziare la terapia.
La aggiornerò su eventuali farmaci prescritti compresa la data stabilita per il rientro della studentessa nella struttura scolastica.
 
Cordiali saluti,
 
Dottor. Edward Connor >>

 
Dopo averla riletta attentamente, Connor premette il tastò invio e spedì la mail.
 
***
 
<< To all of you American girls
It's sad to imagine a world without you
American girls
I'd like to be part of the world around you
Driving a car by the sea side
Watching the world from the bright side
 
To all of you American girls in the movies
No one can tell where your heart is
American girls like dollies
Which shines and smiles in plastic body
 
I wish I had American girlfriend… >>

 
Lily aveva le cuffiette nelle orecchie e stava ascoltando “To all of You” dei Syd Matters.
Quando ascoltava questa canzone, s’immaginava di viaggiare per gli Stati Uniti su una decappottabile rossa sulla costa Ovest, fianco a fianco con l’Oceano Pacifico.
Riusciva ad immaginarsi tutto: il vento che le scompiglia i capelli, il rumore ruggente del motore, il viso scottato dal sole, il rumore delle onde che si scagliavano sugli scogli, la strada rovente completamente deserta e la felicità che provava facendole venire la pelle d’oca.
Quella sensazione di libertà, dove sai che niente e nessuno ti può fermare, per Lily, è quello che aveva desiderato essere sin dall’inizio: libera e felice.
Nel testo, il cantante parla delle ragazze americane: dice loro di vivere come vogliono la loro vita senza farsi mai influenzare da nessuno… Lily si sente una di quella “ragazze americane” ed è così che ha deciso di vivere.
Mentre s’immaginava di viaggiare sulla Pacific Coast Highway, superstrada situata sulla costa Ovest degli Stati Uniti diretta a Los Angeles, sentì all’improvviso la porta della camera aprirsi.
Si voltò di scatto ma quando vide la persona che era entrata gli sorriso: era Robert.
Lily si tolse le cuffiette mentre Robert le domandò:
 
- Ho interrotto qualcosa di bello? Ti ho vista sorridere. –
 
- Affatto! Sorridevo perché ho visto te. –
 
Scese dal letto e lentamente (per via del dolore alla schiena) si avvicinò a Robert per poi abbracciandolo forte:
 
- Ciao Robert. -
 
- Ciao Lily. Come ti senti? –
 
- Andrebbe tutto a meraviglia se i medici mi facessero uscire da qui, ma per ora non mi lasciano… non sai che noia rimanere rinchiusi qui dentro! –
 
Robert lasciò Lily dall’abbraccio e le porse dei fiori che teneva nascosti dietro la schiena:
 
- Magari qualcosa dall’esterno ti rallegrerà: questi sono per te. –
 
Lily prese il mazzo di fiori; erano gerbere arancioni, gialle e rosse. Bellissime!
Le annusò e tirò un sospiro di felicità. Era da parecchio che non sentiva il profumo dei fiori. Ormai era in ospedale da due settimane.
Prese con l’indice un petalo rosso e disse:
 
- Ti ringrazio per questo bellissimo regalo. Adesso mi sento felice! –
 
Robert sorrise. Probabilmente era da parecchio che Lily combatteva contro i medici e chiacchierare con qualcuno (che ritenesse intelligente) era quello che le mancava.
Dopo aver messo i fiori in un vaso pieno d’acqua fresca, I due decisero di lasciare la stanza e fare un giro per l’ospedale per parlare con tutta calma. Mentre camminava, Lily era ancora incerta su alcuni passi a causa della botta alla schiena, ma ammise che stava migliorando rispetto alla prima settimana che le sembrava di essere totalmente paralizzata.
Passeggiarono per i corridoi parlando di cosa era successo nelle settimane precedenti finché Robert disse:
 
- Ho parlato con tua madre qualche giorno fa: dice che non le parli da quando lo psicologo ha iniziato le sedute… -
 
Lily rimase in silenzio. Non voleva parlare di sua madre in quel momento. Continuò a camminare e con lo sguardo rivolto sempre dritto davanti a lei disse:
 
- … Abbiamo bisticciato, ma non devi preoccuparti: va tutto bene. Abbiamo già risolto. –
 
Robert guardò Lily; aveva un’espressione di fastidio sul volto e si stava mordendo il labbro inferiore per non darlo a vedere. Robert capì che stava mentendo.
Sospirò. Era preoccupato, ma sapeva che se l’avesse detto alla ragazza si sarebbe arrabbiata moltissimo.
Mentre camminavano, Lily notò che da quando erano usciti dalla stanza Robert continuava a guardarsi attorno, come se ci fosse qualcuno alle sue spalle. Quando passavano dei medici nel corridoio, lui abbassava lo sguardo e rimaneva stranamente in silenzio finché non si allontanavano. Lily gli domandò se stava bene, ma Robert rispose:
 
- … Tranquilla. Sto benissimo. Grazie per avermelo chiesto… -
 
Quest’ultimo si voltò ancora una volta ma Lily lasciò perdere. Non voleva insistere.
Continuarono a camminare per qualche metro finché, appena svoltarono l’angolo, Robert prese Lily per un braccio e la trascinò in una stanzetta vuota. Presa alla sprovvista, Lily gridò:
 
- Ma cosa?!... –
 
Robert chiuse la porta a chiave, si volto verso di lei e disse:
 
- Lily, devi ascoltarmi attentamente. Potrà sembrare strano, ma quegli stronzi dei medici non ti faranno uscire da qui fino a quando non sarai “guarita mentalmente”. Pensano che tu abbia qualche problema psicologico e per questo hanno intenzione di farti rimanere qui per seguire una terapia di guarigione inutile. –
 
Lily guardò Robert con aria spaventata. Che diavolo gli era preso all’improvviso? Si allontanò di due passi tenendolo sempre d’occhio e disse:
 
- … Cosa vuoi dire con “guarita mentalmente”? che cavolo stai dicendo Robert? Io non sono malata… –
 
Quest’ultimo doveva dire a Lily quello che aveva scoperto a scuola: mentre era al lavoro, Robert doveva consegnare un foglio importante al preside, ma appena arrivò a pochi metri dalla porta dell’ufficio, lo sentì parlare con lo psicologo che seguiva Lily all’ospedale.
Robert si mise accanto alla porta nascosto e ascoltò l’intera conversazione tra i due. Sapeva perfettamente che poteva essere scoperto e così facendo anche di perdere il posto di lavoro… ma per Lily lo avrebbe fatto.
Lo psicologo prese un fascicolo dalla borsa che teneva sulle gambe, la porse al preside e disse:
 
- Questi sono i risultati… e a quanto pare “aveva ragione”. –
 
Il preside Campbell prese il plico di fogli, le diede una rapida letta e disse:
 
- … “Depressione” e “personalità multipla”? –
 
- Esatto. La ragazza è affetta da queste patologie e siccome richiede tempo per la guarigione, le chiedo di iniziare la terapia immediatamente… -
 
L’uomo guardò il Sig. Connor, poi il fascicolo. Lo poggiò sul tavolo in legno lucido e disse:
 
- … Può procedere con la terapia. E grazie per non aver nulla su mia figlia… –
 
Il Sig. Connor ridacchiò e rispose:
 
- Nessun problema. Con le giuste quote si possono fare molte cose… -
 
Robert intanto, si era già allontanato. Dentro di sé, aveva una rabbia incontrollabile per quello che avevano fatto quegli stronzi. Robert andò in sala insegnanti, poggiò le mani sul tavolo con un tonfo fortissimo e pensò:
 
… Quello stronzo del preside ha pagato lo psicologo per mettere in terapia Lily anziché sua figlia Dakota? Quindi è Dakota quella malata? Ommiodio… Lily… che cosa ti hanno fatto?
 
Voleva tanto tornare lì da quei due, picchiarli a sangue e dire a tutti quello che avevano fatto.
Lo avrebbe fatto sicuramente, ma la ragione fermò l’istinto di Robert: doveva giocare per tempo. Aveva un piano, ma prima doveva avvertire Lily.
Dentro quella stanzetta non c’era niente. Era un piccolo sgabuzzino abbandonato dell’ospedale, ma per Lily era come essere in una scatola di fiammiferi. Il suo cuore iniziò ad andare in agitazione, il battito accelererò e sembrò che le pareti della stanzetta iniziavano a chiudersi su sé stessa. L’aria le mancava e la gola le si chiuse improvvisamente.
Robert cercò di farle riprendere fiato. Era pallida in viso e tremava. Robert non sapeva cosa fare: la spaventava. Non l’aveva mai vista così.
L’uomo si passò una mano tra i capelli neri spettinati, poi iniziò a parlare:
 
- … Lo psicologo che ti segue crede che tu abbia una malattia mentale e vuole sottoporti ad una terapia psichiatrica. È per questo che non sei mai uscita di qui! Ti terranno qui dentro finché non crederanno opportuno lasciarti andare. –
 
Lily guardò Robert con gli occhi sgranati. Una terapia? Ma stava scherzando? Ecco perché non la facevano uscire da qui nonostante i miglioramenti!
Lily si passò una mano sui capelli rasta e disse:
 
- … Oh cazzo… stai dicendo sul serio? –
 
- Sono serissimo Lily! Quegli stronzi non ti lasceranno andare finché non diranno loro che sei “guarita”! –
 
Lily rimase senza parole. Che poteva fare? Rimanere alle regole di quei deficienti per settimane? No, non poteva riuscirci. Lily iniziò a camminare avanti e indietro per lo sgabuzzino a causa dell’agitazione.
Nella sua mente continuava a pensare:
 
Cazzo! Non voglio restare al loro gioco! Non voglio! Non voglio!
 
 
Lily sentì Robert prenderla per la spalla, voltarla leggermente verso di lui e dire:
 
- Ascoltami Lily, devi fare una cosa per me: devi resistere per qualche settimana qui dentro poi, quando sarai fuori di qui, devi aiutarmi a risolvere questa situazione. Ho un piano per aiutarti, ma devi promettermi che resisterai... –
 
Il piano di Robert era quello di denunciare il preside e lo psicologo di falsa testimonianza, complicità, abuso di minore e corruzione… ma per farlo doveva avere Lily fuori dall’ospedale: altrimenti, chi mai avrebbe dato retta ad una ragazza sotto terapia psichiatrica?
Lily iniziò a piangere. Sapere che doveva passare tutto quel tempo rinchiusa in un edificio non era per niente facile. Robert l’abbracciò per rassicurarla e le disse:
 
- Lo so che per te non sarà affatto facile, ma se resiti, ti prometto che tutto si risolverà… promettimi che resisterai Lily… -
 
Lily chiuse gli occhi mentre una lacrima le sfiorò il viso arrossato dal dolore. Con la voce rotta dal pianto, riuscì a stento a parlare:
 
- … Io… resisterò Robert… te lo prometto… -
 
Robert l’abbracciò ancora più forte. Sapeva che per Lily sarebbe stata una tortura, ma doveva resistere. Poteva farcela, ne era sicuro. Niente e nessuno poteva fermarla…
 
***
 
Passarono altre tre settimane da quando Lily fu ricoverata in ospedale. Era un mese che non camminava per la strada all’aperto; un mese che non passeggiava per la città… un mese che resisteva a quella tortura che sembrava non avere mai fine.
Quel giorno che erano nello sgabuzzino, Robert promise a Lily che sarebbe venuta a trovarla ogni giorno per portarle qualcosa di nuovo dall’esterno. Quella promessa, che Robert manteneva, dava a Lily un po’ di forza nel resistere giorno dopo giorno. Per la maggior parte, le portava libri e fiori.
Oggi è il 26 ottobre 2015, sono solo le 13.47 e Lily se ne sta seduta sul davanzale della finestra a guardare fuori. È una giornata grigia, come ogni autunno, e sta guardando la pioggia fredda abbattersi sulla città. Il vetro è ricoperto di righe d’acqua imperfette e le gocce si schiantano su di esso facendo un piccolo rumore piacevole.
Lily s’immaginava di essere sotto la pioggia e di sentire la pelle bagnata a contatto di essa. S’immaginava di avere i vestiti inumiditi e provare il contatto di quest’ultimi sulla sua pelle magra. Immaginava la felicità che avrebbe provato se fosse stata fuori e dei brividi di piacere le percorrevano tutto il corpo…
Per un momento, le sembrò di sentire veramente qualcosa di liquido sul dorso della mano, ma stranamente era caldo. Quando guardò cos’era, notò che era una lacrima. La sua lacrima.
Stava piangendo.
Rivivere quelle belle sensazioni senza poterle provare davvero la rendevano triste e malinconica.
All’improvviso, qualcuno entrò nella stanza. Lily non si voltò nemmeno ma riconobbe la voce alle sue spalle:
 
- Ciao Lily. È ora di prendere la medicina. –
 
Era l’infermiere del terzo piano Michael: alto, coi capelli marrone scuro lunghi raccolti in un codino, sbarbato e con due occhi marrone chiaro grandi.
Portò dentro la stanza un enorme carrello pieno di farmaci, brocche d’acqua e bicchierini di plastica. Prese un barattolo con la scritta “Fluoxetina” (o più comunemente, l’antidepressivo per eccellenza detto “Prozac”), ne tirò fuori una piccola pasticca, riempì un bicchiere d’acqua e li servì a Lily:
 
- Coraggio. Vedrai che poi starai meglio. –
 
La ragazza si voltò. Non è che a Lily gli stesse antipatico Michael, anzi… gli stava proprio sul cazzo quando le diceva queste cose infantili.
Dopo aver guardato per un lungo momento i due oggetti infernali, Lily li prese entrambi, li guardò nuovamente, poi si rassegnò: mise in bocca la pasticca e bevve un sorso facendo una faccia schifata, poi riconsegnò il bicchiere vuoto a Michael:
 
- Brava ragazza. Ci vediamo stasera per il secondo dosaggio. –
 
Appena il ragazzo se ne andò, Lily tirò fuori dalla bocca la pasticca che aveva nascosto sotto la lingua, andò verso il gabinetto del bagno, la buttò e tirò lo sciacquone.
Mentre guardava la piccola pillola verde e bianca finire nelle fognature pensò:
 
Per quanto tempo dovrà andare avanti questa storia? … Quanto?
 
 
***
 
Oggi è il 23 Novembre 2015. Sono passati esattamente due mesi da quando Lily è in ospedale e nulla sembra essere cambiato. Ultimamente sta perdendo la voglia di fare qualsiasi cosa: mangiare, dormire, parlare e sfortunatamente collaborare. Da qualche settimana risponde alle provocazioni dei medici mandandoli a quel paese oppure si rifiuta di prendere quello che le danno. L’ultima volta che si è rifiutata, le hanno dato del Prozac liquido in via endovenosa.
Era al limite. Il suo stato mentale stava andando a pezzi.
Quello stesso giorno, dopo l’ennesimo rifiuto di obbedire agli ordini, Lily era stata lasciata chiusa in camera. Per calmarla le avevano messo un altro flebo.
Non aveva mai preso così tanti medicinali in vita sua e questo la faceva stare male: il cambiamento di umore la rendeva vulnerabile e agitata.
Per peggiorare le cose, la madre Clara, qualche giorno fa, venne senza preavviso all’ospedale per parlare con lei. Si ricorda perfettamente quello che era accaduto:
La ragazza era nella sala caffè per la sua “ora d’aria” (perchè “l’ora del facciamo-lo-stesso-dannato-giro-dell’ospedale” suonava male da dire ai pazienti) e stava gustando il suo caffè macchiato in santa pace. Era seduta ad un tavolo mentre leggeva un libro che Robert le aveva portato qualche giorno prima, quando all’improvviso sentì una voce dirle:
 
- … Ciao tesoro. –
 
La ragazza alzò lo sguardo. Quando vide la madre in piedi davanti a lei, provò un senso di rabbia mischiato al fastidio. La guardò per qualche secondo, poi chiuse il libro con un tonfo e fece per andarsene, senza dire una parola. La madre tentò di fermarla prendendola per un braccio:
 
- Aspetta tesoro! Voglio solo parlare! –
 
Lily si voltò verso di lei, la guardò negli occhi e con voce fredda e distaccata disse:
 
- … Questa conversazione è morta ancora prima di iniziare. –
 
Si liberò dalla morsa e si avviò verso la sua camera. Aveva ancora del tempo per rimanere “fuori”, ma la voglia le passò subito appena vide la madre. Arrivata davanti alla porta della sua stanza, spalancò la porta, si sdraiò sul letto ma nel mentre arrivò Clara furibonda:
 
- Lily! Non ti permetto di fare così! Sono tua madre e dovresti avere un po’ di rispetto! –
 
Lily si voltò dall’altra parte e mentre si sistemava comoda disse:
 
- Quando esci chiudi la porta per favore. Non voglio sentire le voci provenienti dal corridoio… -
 
Clara, infuriata, prese la ragazza per la spalla, la voltò e con le lacrime agli occhi disse:
 
- NON TRATTARMI COSI’! NON TE LO PERMETTO! –
 
Lily la guardò con sguardo severo e freddo. Voleva ribattere ma non voleva discutere con lei.
Rimase a fissarla negli occhi per diversi secondi. La odiava in quel momento. La donna con cui per anni si era confidata le aveva voltato le spalle senza nemmeno lasciarle dire la propria opinione sulla terapia.
È tua madre, come non puoi lasciar spiegare quello che ha da dire tua figlia prima di prendere una decisione?
Nonostante ciò, Lily decise di ascoltare quello che aveva da dire sua madre. Voleva capire cosa l’avesse spinta a prendere questa decisione senza averla consultata.
Si liberò dalla presa di Clara, si sistemò seduta sul letto a gambe incrociate e disse:
 
- … Se hai qualcosa da dire dillo ora, perché non ti darò una seconda possibilità… -
 
Clara guardò la figlia con aria severa, ma dentro moriva di preoccupazione. Sembrava che avesse un’altra persona davanti a lei.
Prese la sedia che c’era nell’angolo della stanza, si sistemò sullo schienale, poggiò la borsa nera accanto ai piedi e iniziò a parlare:
 
- … Ricordi quanto eri legata a Papà? Eravate migliori amici. Facevate tantissime cose insieme: giocavate, t’insegnava a cucinare, andavate spesso in giro in montagna o al parco… ti ha persino insegnato ad andare in bicicletta, ricordi? –
 
Lily si addolcì per un momento pensando a quei ricordi. Parlare del padre morto le faceva sempre uno strano effetto e lo aveva sempre tenuto nascosto.
Effettivamente, lei ed Anthony andavano molto d’accordo: spesso passeggiavano assieme in mezzo alla natura ed è proprio per merito del padre se Lily ha la passione di scoprire posti nuovi.
Anthony era un uomo alto, coi capelli biondo cenere, occhi verdi, un sorriso stupendo e due mani affusolate bellissime. Lily assomigliava parecchio al papà, tutti lo dicevano.
Nonostante lavorasse come operaio in una ditta che smantellava metallo e altri oggetti, aveva delle mani morbide e ben curate.
Quand’era assieme al padre, Lily sorrideva felice. Si sentiva al sicuro nelle sue braccia.
Già prima che nascesse Lily, il padre era malato di una forma rara di tumore al cuore detta “Angiosarcoma”, solo che lo ha tenuto ben nascosto alla figlia scoprendolo solo 7 anni dopo la sua morte.
Quando arrivò il giorno che Anthony se ne andò, all’età di 6 anni, Lily cambiò totalmente il suo modo di vedere il mondo: diventò malinconica e sorrideva meno rispetto a prima…
Era come se una parte di lei fosse morta assieme al padre…
Tentò di non pensare a quei ricordi anche se fu molto difficile. La madre continuava a parlare e spiegò il perché di questa scelta:
 
- Ho deciso di farti fare questa terapia proprio perché anni fa ho deciso di evitartela: pensavo che mandarti dallo psicologo dopo la morte di papà non fosse la migliore delle decisioni e quindi lasciai perdere… ora voglio rimediare a quella scelta: adesso puoi dimenticare e tornare quella che eri una volta… -
 
Lily guardò Clara con occhi sgranati dallo stupore. Ma che stava dicendo? Dimenticare tutto? Ora? Non parlava seriamente…
Lily rimase a guardare Clara stupita mentre lei si avvicinò per accarezzarle la testa:
 
- … Lily, mi dispiace di non aver chiesto la tua opinione, ma ora starai bene… -
 
Con scatto fulmineo, Lily diede una manata al braccio della madre per allontanalo. Clara, stupita da questo gesto, si prese il polso con l’altra mano e disse:
 
- LILY! Ma cosa? … -
 
- … Tu pensi che starò bene? E’ questo quello che credevi di fare? Farmi stare meglio? –
 
Clara rimase senza parole: gli occhi di Lily sembravano bruciare e la voce si era fatta più infuriata:
 
- Lily, io –
 
- Tu non hai idea di cosa ho provato dopo la morte di papà; non sai un bel niente di come mi sono sentita per tutti questi anni. Non sai niente di quello che pensavo riguardo a quel coglione di Craig quando ti malmenava, di quando i miei compagni di scuola mi prendevano in giro, di quando scappavo e finalmente trovavo la pace dentro di me…
Tu non sai nemmeno chi sono io veramente… -
 
- Tesoro, io –
 
- TU NON SAI NULLA! TU NON HAI NEMMENO PIANTO PER LA MORTE DI PAPA’; ANZI, SEMBRAVI SOLLEVATA! CHE RAZZA DI MOGLIE NON PIANGE PER SUO MARITO MORTO? MA CHE RAZZA DI MADRE E’ UNA CHE MANDA LA FIGLIA IN TERAPIA PSICHIATRICA SENZA SAPERE UN CAZZO DI CIO’ CHE HA PASSATO?
COME? –
 
Clara indietreggiò. Aveva paura di lei. Chi era quella ragazza che le stava urlando contro? Non era sua figlia… no, non poteva esserlo.
 Mentre Clara iniziava a singhiozzare, con la voce roca disse:
 
- … Lily, amore… ma che cosa ti è successo? –
 
Lily con sguardo gelido e una rabbia che ribolliva dentro la guardò fissa negli occhi e disse:
 
- … Succede che mi hai cambiata in peggio… di nuovo. Di nuovo, cazzo. Mi hai reso ancora una volta la persona peggiore di questo mondo per la seconda volta! –
 
Clara scoppiò in lacrime. Tutto quello stress emotivo e la figlia malata la facevano stare a pezzi.
Si accasciò a terra a piangere. Quel pianto disperato echeggiò per tutto il corridoio. Sembrava che la stessero torturando, ma questa era diversa da qualsiasi tortura fisica; molto più dolorosa di qualsiasi tortura inflitta ad un essere umano.
Clara pianse disperata quando all’improvviso sentì una mano poggiarsi sulla spalla. Alzò lo sguardo e vide Lily: se ne stava lì, inginocchiata e con gli occhi sbarrati. Aveva uno sguardo inquietante sul viso e questo spaventò ancora di più Clara.
La guardò per qualche secondo poi, con voce fredda Lily le disse:
 
- … Non venire mai più qui… non voglio vederti mai più… Io. Ti. Odio.
 
Quando Lily pronunciò quelle parole, il cuore di Clara si ruppe in mille pezzi, come se fosse di vetro. Presa dalla disperazione, Clara prese la borsa nera, uscì dalla stanza piangendo lasciando la figlia sola.
Lily rimase immobile, si alzò in piedi e mentre i medici entrarono per capire cosa fosse successo, pensò:
 
Addio Mamma. Non ci rivedremo mai più…
 
***
 
Arrivata la sera, a Lily era permesso di usare il cellulare. Potevano usarlo solo in determinati giorni e oggi era uno di quelli.
Mentre accendeva la connessione dati del suo telefono, una sfilza di notifiche e messaggi apparvero sullo schermo luminoso. La maggior parte erano notifiche di Facebook o notizie online, ma siccome non le interessavano le eliminò subito. Passò quindi ai messaggi di Whatsapp:
 

#ROBERT: << Ciao Lily. Come stai? Vo… >>   ①

#Mamma: << Tesoro, ti prego di rispon… >>   ⑳

#GruppoClassediMerdaIV*E: << Miriam: Che compiti ci… >>  


 Guardò prima i messaggi di Robert:
 
<< Ciao Lily. Come stai? Volevo dirti che ieri non sono potuto venire in ospedale a trovarti per una riunione improvvisa. È molto importante e sai quanto ci tengo a dire la mia idea al riguardo…
Comunque: mercoledì 25 sono libero e verrò a trovarti. Porterò qualcosa che ti piacerà sicuramente ;)
Stay strong mate!
Rob >>
 
Lily sorrise. Robert odiava le riunioni, ma se l’argomento della seduta lo interessava, faceva di tutto per esserci e dire la sua idea “anarchica e anticonformista” come la definiva lui.
Tornò indietro sulle conversazioni e, con leggero fastidio, lesse i messaggi di sua madre Clara:
 
<< Tesoro, ti prego di rispondere almeno ai messaggi! Non riesco proprio a capire cos’ho fatto di male per meritarmi questo tuo silenzio… mi sta facendo impazzire!
Ti prego, scrivimi; voglio parlare con te… >>
 
Lily guardò la data: 14 Novembre 2015. Aveva scritto quei messaggi molto prima della loro conversazione d’addio. Scorse tutti e venti i messaggi e lesse l’ultimo che diceva:
 
<< Ti voglio bene >>

Lily lesse quest’ultimo messaggio con malinconia. Non sapeva se fosse vero quello che aveva scritto; ormai dubitava di tutto.
Scacciò quei pensieri dalla testa e chiuse la conversazione. Non voleva più pensarci.
I messaggi del gruppo classe non li guardò nemmeno; li eliminò ancora prima di leggerli.
Non le interessava quello che avevano da dire i suoi compagni.
Stava per chiudere Whatsapp quando vide una conversazione con un nuovo messaggio. Scorse in basso e quando lesse il nome del mittente, sorrise: era Thomas.
Non aveva avuto occasione di sentilo in questi ultimi mesi proprio perché non era mai online.
Preoccupata del suo amico pensò:
 
Chissà perché mi ha scritto? Di solito lo fa quando succede qualcosa di sensazionale…
 
Infatti, aveva ragione. Quando lesse il messaggio, capì subito cos’era successo:
 
<< Lily, cara amica mia, come stai? Ti scrivo per darti una buona notizia: il momento è finalmente giunto! Il nostro progetto può avere inizio! >>
 
Lily lesse quelle due righe più e più volte. Aveva letto bene: il progetto di una vita poteva iniziare.
Continuò a leggere il resto del messaggio:
 
<< Devi sapere che ho deciso questa cosa all’improvviso per via di alcuni problemi che ho avuto a casa ultimamente: i miei genitori, dopo essere tornato a casa dalle vacanze a Lisbona, hanno iniziato a litigare tra di loro. Già da tempo lo facevano e sembravano non migliorare affatto. Qualche giorno fa, hanno fatto una cosa che non avrei mai immaginato accadesse: mamma è tornata con le carte del divorzio e papà è andato su tutte le furie. Come se non bastasse, i vicini hanno chiamato i GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) per il gran trambusto che hanno fatto… l’umiliazione più grande che abbia mai preso Lily...
Volevo che il tempo si fermasse; volevo tornare indietro nel tempo e dire loro “Fermi! State sbagliando tutto!”, ma ora come ora, che ci posso fare? Lo so, la colpa non è mia, lo hanno detto anche i miei genitori, ma io mi sento responsabile in ogni caso… per questo ho deciso di andare il via. >>
 
Lily lesse il testo con attenzione. Ogni parola era fondamentale in quel messaggio:
 
<< Ti ricordo quello che devi fare: non destare sospetti; non lasciare tracce e men che meno non dire nulla a nessuno! Niente cellulare, porta con te tutti i documenti necessari e l’essenziale per dare iniziò alla tua avventura. Io sono già lontano. Ci troveremo, ma non subito.
Ci troveremo quando sarà il momento, ma per ora, goditi la tua avventura amica mia!
 
Ci vedremo presto,
 
Thomas >>
 
Lily strinse forte il cellulare che aveva in mano e una lacrima cadde sullo schermo luminoso.
Finalmente… finalmente poteva andare. Poteva essere libera.
Tolse le coperte che l’avvolgevano, prese dei vestiti puliti dall’armadio, li indossò e prese il telefono con sé. Si dimenticò di una cosa fondamentale: per dare il via alla sua avventura, doveva passare a casa per prendere le sue cose. Essendo in ospedale, non era riuscita a prendere tutto.
Infuriata dall’intoppo, tentò di calmarsi e a pensare ad un piano per entrare nell’appartamento senza fare casino. Quando ebbe un piano d’azione, decise di scappare dall’ospedale.
Aprì la porta della camera lentamente, si assicurò che nessuno fosse nel corridoio e percorse con cautela il terzo piano. Doveva uscire senza farsi scoprire.
Arrivò vicino alla porta dell’ascensore in fondo al corridoio. Guardò a destra e a sinistra assicurandosi che nessuno la vedesse, poi uscì dalle scale d’emergenza. Era meno probabile che qualcuno la vedesse lì, dato che nessuno passava mai per le scale anti-incendio.
Arrivata al pian terreno, Lily trovò il guardiano che faceva il turno. Si nascose dietro un muro e osservò i movimenti della guardia: l’uscita era a pochi metri tra la guardia e la libertà, ma sembrava che l’omone non volesse schiodarsi da li.
Lily osservò la situazione con attenzione ma sembrava che non ci fossero altre vie d’uscita.
Mentre nella sua mentre imprecava, pensò:
 
Merda! Devo distrarlo in qualche modo…ma come?
 
Come una risposta dal cielo, Lily notò una secchio abbandonato in un angolo ed ebbe un idea: prese il secchio, lo lanciò lontano verso la direzione opposta e si nascose per non essere vista dalla guardia.
L’uomo, molto robusto, si voltò per vedere in quella direzione. Puntò la torcia elettrica e disse:
 
- Chi è là? –
 
Si avvicinò piano piano, mentre Lily pensava:
 
Avanti, forza… ancora qualche metro…
 
La guardia si allontanò abbastanza da permettere a Lily di raggiungere l’uscita finché, con scatto felino, uscì dal suo nascondiglio e corse fuori.
Arrivò al parcheggio e da quel momento non fece altro che correre più veloce che poteva.
Si fermò per voltarsi dopo un centinaio di metri e, con un euforia al di fuori dal comune, fece doppio dito medio all’ospedale e nella sua mente pensava solo ad una cosa:
 
Addio bastardi! A mai più rivederci!
 
Abbassò le dita e riprese la sua corsa verso la libertà.
 
 
***
 
Arrivata sotto casa, Lily prese la chiave di riserva nascosta sotto ad una roccia smossa lì vicino. Troppe volte la madre si era dimenticata la chiave, quindi per ovvi motivi ne aveva fatto un duplicato in caso d’emergenza. Quando arrivò alla porta del suo appartamento, prese un Passepartout e delle forcine e tentò di forzare la serratura. Dopo dieci minuti, finalmente la porta si aprì con un *click*. Lily sorrise felice. Entrò lentamente e controllò che sua madre fosse a letto. Passando vicino alla cucina, Lily notò che c’erano diverse confezioni di cibo preconfezionato aperte sul tavolo: gelati, cibo spazzatura, coca cola, caramelle… probabilmente Clara era depressa dopo la conversazione con Lily e per tirarsi su di morale, tentò di trovare conforto nel cibo.
Salì le scale e passando davanti la camera della madre, controllò se stesse dormendo: le luci erano spente e un mare di fazzoletti di carta usati invadeva il pavimento. Assieme al cibo, pure le lacrime erano un modo si sfogo.
Lily andò in camera sua e la guardò a lungo. Era l’ultima volta che l’avrebbe vista.
Prese un vecchio borsone marron chiaro, lo aprì e prese tutto il necessario per la sua avventura:
Vestiti, biancheria, oggetti per l’igiene, macchina fotografica reflex vintage, un diario in pelle bordò, cartine geografiche e documenti d’identità.
Quando controllò di avere tutto, chiuse la lampo del borsone, se lo mise in spalla e pensò tra sé e sé:
 
Bene! adesso sono pronta per partire!
 
Fece per uscire dalla stanza, ma un pensiero le passò per la testa. Rimase qualche secondo ferma immobile poi, quasi come se avesse avuto un lampo di genio, prese un indelebile nero, carta, penna e finalmente uscì dalla stanza. Diede un’ultima occhiata a quella camera che aveva visto tanti ricordi, sorrise e si chiuse la porta alle spalle.
Dopo aver preso dei soldi dal portafogli della madre (quasi 300 euro), uscì dall’appartamento per poi avviarsi per strada.
Erano le 02.47 del 23 Novembre 2015…
L’avventura di Lily era finalmente iniziata.

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Capitolo 8
*** Japan ***


Capitolo 8: Japan

 
Oggi è il 24 Novembre 2015. Sono le 11.30 e Robert è nell’ascensore dell’ospedale per salire al terzo piano e incontrare Lily. Ultimamente non era riuscito a trovare del tempo libero per la sua amica per via del lavoro ma oggi, visto che aveva la mattinata libera per lo sciopero degli insegnanti, ne ha approfittato. Mentre la grande scatola di metallo lo sollevava in alto, Robert guardò i fiori che aveva in mano: questa volta erano delle zinnie arancione-rosso; belle e ardenti come Lily. Robert sospirò e pensò:
 
Sono passati tre mesi dal primo ricovero… è incredibile quanto sia resistita quella ragazza…
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Robert sentì un gran vociare in fondo al corridoio. Appena svoltò l’angolo, notò un gruppo di persone presenti vicino alla porta di una camera.
Era quella di Lily.
Preso dalla preoccupazione, Robert s’avvicinò alla folla, si fece spazio per passare e quello che vide non gli piacque affatto: due poliziotti stavano tenendo a distanza la folla di medici e pazienti, mentre uno stava parlando con un altro medico e altri tre perlustravano la stanza.
Per un attimo Robert temette il peggio. Si fece strada tra le persone e quando arrivò vicino alla porta, un poliziotto lo fermò subito:
 
- Fermo signore; non può entrare qui dentro! –
 
- Ma qui c’era una mia amica! Che diavolo è successo? –
 
Il poliziotto guardò Robert. Sembrava non credergli. Lo prese in disparte lontano dalla folla con sé e gli domandò:
 
- Come si chiama questa sua amica? –
 
- Lily. Lily Clark. -
 
Il poliziotto cambiò espressione. Robert pensò:
 
Oddio… che le sia successo qualcosa?
 
L’uomo in borghese lo guardò per qualche istante finché, convinto della sincerità di Robert, gli disse:
 
- … Mi duole informarla che la sua amica è sparita. Ieri sera dev’essere scappata dall’ospedale. –
 
Il cuore di Robert si fermò di colpo: Lily era scappata? Cosa? No, non poteva essere…
Tentò di calmarsi ma il cuore batteva talmente veloce che faceva fatica a tenere il controllo delle sue emozioni. Deglutendo più e più volte per via l’agitazione, Robert domandò al poliziotto:
 
- … E… sapete che fine ha fatto? Avete già degli indizi? –
 
Il poliziotto si sistemò il cappello. Era leggermente sudato e nonostante la temperatura primaverile dentro l’ospedale, sembrava morire di caldo:
 
- Ancora no. Stiamo controllando se ci sono indizi che colleghino la fuga della ragazza, ma sembra non esserci nulla per ora. -
 
Robert sentì il cuore sobbalzargli in petto. Niente indizi… niente di niente. Come l’avrebbero trovata senza nulla in mano?
Il poliziotto si guardò la punta delle scarpe poi, con voce di comprensione, disse a Robert:
 
- Faremo il possibile per trovare la sua amica signore. Glielo prometto. Ora, se vuole scusarmi… -
 
Il poliziotto fece un cenno di saluto col cappello e si avviò verso la folla allontanandola.
Robert rimase fermo immobile dov’era. Era troppo scioccato per credere che Lily fosse veramente scappata. Mentre la folla ormai era stata allontanata, Robert si avvicinò alla porta per vedere cosa stessero facendo gli altri poliziotti: avevano ribaltato tutto sottosopra ma sembrava che non avessero trovato nulla…
Robert guardò i fiori di zinnie, li poggiò vicino al davanzale di una finestra e se ne andò via.
Mentre si avviava per andare all’ascensore pensò:
 
Lily… Dove sei andata?
 
 
***
 
 
A scuola non si parlava d’altro: tutti parlavano della fuga della “ragazza fantasma”. Gli studenti dell’istituto avevano creato una nuova leggenda su Lily, ovvero che se tu le hai mai fatto male in passato, lei sarebbe tornata per ucciderti. Le voci a scuola circolano alla velocità della luce e dopo neanche due ore, tutta la scuola sapeva della fuga di Lily.
Nessuno parlava d’altro… tranne Robert.
Da quando Lily era scappata, era cambiato completamente: era meno euforico di prima, sorrideva di meno e non parlava quasi più. Sembrava che una parte della sua personalità fosse scappata con Lily…
Oggi è il 2 Dicembre 2015. È passata una settimana da quando è scappata e nessuno sa ancora nulla. La polizia non ha trovato indizi che la conducano a lei e ormai il tempo restringe.
Le vacanze invernali inizieranno fra poco ma nessuno deli studenti sembra esserne interessato per via della notizia della ragazza.
Quello stesso giorno, mentre Robert camminava per i corridoi dell’edificio scolastico, sentì le voci dei suoi studenti dire:
 
- Avete sentito l’ultima? Pare che Lily Clark sia scappata dall’ospedale dov’era ricoverata in psichiatria… probabilmente starà mettendo in atto un piano per vendicarsi di coloro che l’hanno presa in giro… -
 
- Io ho sentito dire che si sia suicidata impiccandosi nella sua stanza d’ospedale… adesso il suo fantasma vagherà lì dentro in eterno… -
 
- A me è giunta voce che abbia fatto fuori il personale che ha tentato di fermarla con un coltello trovato da qualche parte… fa paura vero? –
 
Robert cercò di non ascoltare quelle conversazioni, ma era impossibile per lui.
Mentre si avvicinava verso la sala insegnanti, alla sua destra sentì Dakota parlare col suo gruppetto di amiche dello stesso argomento. Una delle amiche alla sua sinistra, Margot, le chiese:
 
- Hai sentito Dakota? Clark è fuggita dall’ospedale. Non hai paura che possa venire a casa tua? –
 
Dakota soffiò via una ciocca di capelli biondo finto dagli occhi e disse:
 
- *Uff* No, non ho paura di quella bambina; e se proprio vorrà vendicarsi, prima dovrà trovarmi e fare i conti con me. Onestamente, sono felice che sia scappata: sapevo che quella ragazzina non stava bene. Si capiva lontano un miglio… -
 
Il gruppetto di ragazze rise divertito. L’altra ragazza alla sua destra, Desiree, disse:
 
- Hai ragione Dakota: quella ragazzina era pazza. Completamente pazza! –
 
Risero di nuovo.
Sentendo quelle parole, Robert si fermò di colpo: come cazzo si potevano permettere di dire una cosa del genere quando in realtà era Dakota quella malata?
Robert fece appello a tutte le sue forze per frenare la sua ira, ma reagì comunque: si avvicinò al gruppetto e disse:
 
- E’ incredibile il fatto che voi proviate così tanto odio per una ragazza che nemmeno conoscete bene. Mi chiedo perché pensiate questo di Lily. -
 
Dakota, vedendo il professore, arrossì violentemente poi, con voce dura disse:
 
- … Beh, una ragazza così solitaria e asociale non può essere che una fuori di testa. È normale che sia finita in terapia psichiatrica: è lì che devono stare i malati di mente… –
 
Robert tentò di frenare la rabbia ed evitare di scaraventarla addosso a quella stupida ragazza, ma riuscì a trattenersi e con classe rispose:
 
- … Sai che le persone che provano un senso di autorità e potere sulle altre persone sono considerate malate mentalmente? –
 
Dakota guardò il professore, poi le sue amiche e alla fine disse:
 
- … E quindi? –
 
- … Forse Lily non è poi così malata come dici tu. A quanto pare c’è gente messa peggio di lei… -
 
Detto questo, si allontanò senza dire una parola.
 
 
***
 
Passò un’altra settimana ma la polizia ancora non aveva trovato nulla. Dopo due settimane dalla scomparsa di Lily, la polizia decise che non c’erano abbastanza indizi per dare una pista d’inizio, così archiviarono il caso per rinfrescarsi le idee. Robert era giù di morale: al lavoro aveva problemi a concentrarsi, a casa la sua amata lo rendeva nervoso per altri problemi e per peggiorare le cose, stava perdendo la voglia di fare qualunque cosa.
Oggi è venerdì 11 Dicembre 2015. Fra una settimana iniziano le vacanze invernali.
Robert era seduto lì, vicino alla poltrona della macchinetta del caffè mentre sorseggiava un cappuccino. Di solito lo prendeva nero, ma oggi ha voluto cambiare.
Era immerso nei suoi pensieri quando il professor Jordan gli si avvicinò e disse:
 
- Hey Robert, tutto bene? Sembri giù di morale. -
 
Robert non rispose. Si limitò ad alzare lo sguardo ed annuire falsamente. Jordan lo guardò per qualche istante, si sedette vicino a lui e disse:
 
- Ascolta Robert, non puoi rimanere col muso lungo per sempre! Devi reagire! -
 
Robert guardò il bicchiere in plastica ormai vuoto, lo buttò nel cestino e disse:
 
- … Sono preoccupato per una persona a cui tengo moltissimo, ecco tutto… Ora, se non ti dispiace, vorrei restare solo per un po’… -
 
Non aveva voglia di parlare oggi (come tutti gli altri giorni), quindi si alzò dalla poltrona, si diresse verso il tavolo centrale per prendere le sue cose, quando Jordan disse:
 
- Non dovresti preoccuparti per lei. –
 
Robert si fermò di colpo, si voltò e disse:
 
- … Cosa? –
 
- Ho detto che non dovresti preoccuparti di lei. Se n’è andata per sempre e non tornerà mai più, quindi cosa sprechi tempo a fare? –
 
Robert non era sicuro di quello che stesse dicendo Jordan: stava per caso parlando di Lily?
Confuso dalle parole che aveva pronunciato il collega, Robert si voltò e domandò:
 
- … Di chi stai parlando Jordan? –
 
- Di Lily Clark. La studentessa che è scappata dall’ospedale. Non dovresti preoccuparti per lei. In fondo, ha deciso lei di scappare via, no? Era quello che voleva fare da sempre. –
 
Robert sentì una rabbia incontrollabile ribolligli nelle vene. Aveva un foglio in mano. Lo stava spiegazzando tutto:
 
- … Sta zitto… -
 
- Senti, so quanto sei “amico” di quella ragazza, ma non era sana di mente. Devi fartene una ragione. Non c’è motivo che tu ti preoccupi di una pazza e –
 
Jordan finì a terra stecchito. Aveva ricevuto un pugno dritto in faccia. Robert non era riuscito a controllarsi. La vista gli si era annebbiata e la rabbia era esplosa come un vulcano in eruzione.
Jordan si portò una mano sul naso mentre gli altri insegnanti guardavano la scena spaventati. L’uomo a terra si guardò al mano sanguinante e urlò:
 
- MA CHE?? –
 
Neanche questa volta riuscì a finire la frase perché Robert si scaraventò sopra di lui e lo colpì con un secondo pugno, poi un terzo, e un quarto. Dopodiché, lo prese per il colletto della camicia e gli urlò in faccia:
 
 - TU NON SAI UN CAZZO DI LILY! NON DEVI PERMETTERTI DI DIRE QUESTE COSE SU DI LEI! E’ COLPA VOSTRA SE LEI E’ SCAPPATA DALL’OSPEDALE, SOLO VOSTRA! SE N’E’ ANDATA PER L’ESASPERAZIONE! NON RIUSCIVA PIU’ A STARE IN MEZZO AL MARE DI GENTE DI MERDA CHE SIETE! –
 
Robert lo colpì con un quinto pugno. Ora si era sfogato. Si alzò per spostarsi, quando all’improvviso entrò il preside Campbell:
 
- Ma che sta succedendo qui? … Ommiodio, professor Jordan! –
 
Il preside si avvicinò al professore a terra, mentre Robert rimase fermo immobile a guardare la scena. Non parlava, non si muoveva; si sentiva solo il suo respiro affannato.
Mentre il preside soccorreva Jordan, si voltò verso Robert e disse:
 
- IO E LEI FAREMO UN BEL DISCORSO, PROFESSORE! –
 
Robert lo guardò. Aveva gli occhi furiosi e il fiatone si faceva più intenso.
Dopo alcuni secondi, Robert si avvicinò al preside e quest’ultimo, preso dalla paura di essere pestato a sangue, chiuse gli occhi e aspettò di essere colpito. Ma non accadde: l’unica cosa che fece Robert fu quella di inginocchiarsi e sussurrare all’orecchio del preside:
 
- … Non dovrà più preoccuparsi di me: mi licenzio. –
 
Detto questo, prese le sue cose e con le mani ancora sporche di sangue e uscì dalla sala insegnanti.
 
 
***
 
Dopo quella “rissa”, ci furono non pochi problemi per Robert: la donna che amava, dopo l’ennesima cazzata che aveva fatto, lo lasciò definitivamente e si era licenziato dal lavoro, quindi era disoccupato e single.
L’unica nota positiva era che Jordan, nonostante essere stato pestato a sangue, non ha denunciato Robert per paura di essere pestato ancora.
Adesso era a casa, seduto su una poltrona a guardare un documentario sui canguri in Australia:
 
<< Il canguro ha un apparato digerente molto interessante: >>
 
Diceva la voce fuori campo dalla televisione:
 
 << Lo stomaco dei canguri è diviso in comparti, alcuni dei quali sono dotati di microrganismi utili alla digestione.
Sono pericolosi per i raccolti e per tal motivo il governo federale australiano consente ogni anno l'uccisione di un milione di capi. >>
 
Sentendo queste informazioni, Robert ricordò i giorni in cui viveva in Australia a Wollongong quand’era piccolo: il padre Ivo, grande agricoltore e allevatore, insegnò a suo figlio come fare questi due lavori da vero professionista; prima gli insegnò come riconoscere le piante, gli alberi e i fiori; poi gli insegnò ad allevare bovini, ovini e come cavalcare i cavalli. Gli insegnò anche a cacciare gli animali selvaggi come i canguri. Un giorno, che ricorda benissimo come se fosse ieri, Ivo portò Robert a caccia e per la prima volta nella sua vita sparò ad un canguro. Robert ricorda perfettamente l’esitazione che aveva all’inizio nel sparare al canguro, ma doveva farlo per sfamare lui e tuta la famiglia. Il padre, dopo averlo abbattuto, gli insegnò quali parti del canguro erano commestibili e quali non lo erano.
I canguri erano un grosso problema per le piantagioni, quindi Ivo li abbatteva e li mangiava. Diceva che sapevano di pollo.
Robert ricordava quei ricordi con affetto e nonostante gli mancasse l’Australia, aveva deciso di vivere in Italia per insegnare.
Sono iniziate le vacanze invernali. Oggi è il 21 Dicembre 2015 e Robert, mentre sorseggiava una tazza di the caldo, trovò la foto di lui e suo padre in Australia che aveva trovato in soffitta assieme a Lily tempo fa. La prese in mano, la guardò e pensò:
 
Papà… mi manchi moltissimo sai?
 
Mentre pensava al padre, gli venne in mente che Lily aveva ancora con sé il libro degli appunti del viaggio in Australia del 1952 di Ivo… e da lì gli venne in mente un idea geniale: se la polizia non ha trovato nulla nella stanza dell’ospedale è perché guardava nella stanza sbagliata.
Come un fulmine, poggiò la tazza sul tavolo, prese la giacca, la sciarpa e uscì fuori casa. Stava andando a casa di Lily. Forse sapeva come ritrovarla.
Dopo 40 minuti in macchina, Robert si fermò sotto la casa di Lily, scese dall’auto e andò a suonare il campanello. Vedere il suo appartamento lo faceva sentire malinconico. Dal citofono uscì una voce femminile che domandò:
 
- Lily? –

 
Robert capì che doveva trattarsi di Clara. Lo aveva chiesto con molta fretta e nella sua voce sentì la disperazione di quella donna. Robert prese un respiro profondo e con rammarico rispose:
 
- … Sig.ina Clark, sono il professor Robert Bennett, l’insegnante di psicologia di sua figlia… Posso parlarle? Ha un minuto per me? –
 
Per un momento non si sentì nulla. Forse Clara era rimasta delusa dal fatto che non fosse sua figlia la persona al piano terra, ma pochi secondi dopo si sentì un *beep* e la porta aprirsi con un *click*. Robert entrò, salì le rampe di scale e arrivò di fronte alla porta dell’appartamento. Bussò tre volte, poi la porta si aprì di pochi centimetri: Clara era nascosta dietro la porta e Robert notò che era ridotta piuttosto male: era ingrassata, i capelli erano spettinati e si sentiva un forte odore di alcool mischiato al fumo di tabacco nell’aria, ma nonostante tutto Robert si fece coraggio e domandò:
 
- … Sono venuto per parlare di sua figlia con lei. Ci sono delle domande che vorrei farle al riguardo. –
 
Clara rimase in silenzio per qualche secondo, poi rispose:
 
- … Ho già detto tutto quello che serviva alla polizia. Non c’è niente da dire su Lily… -
 
Robert ascoltò quella frase: era arrabbiata, piena di furia trattenuta ma allo stesso tempo di preoccupazione e tristezza. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, cosa che non riusciva a trovare nell’alcool o nel tabacco.
Rimase per alcuni secondi in silenzio, poi disse:
 
- Lo so Sig.ina Clark, ma io forse posso aiutarla a trovare sua figlia, però ho bisogno di chiederle alcune informazioni su di lei. –
 
Clara rimase in silenzio nuovamente. Pochi secondi dopo averci pensato, Clara chiuse la porta, tolse la sicura e aprì la porta invitandolo ad entrare:
 
- … Prego entri. E per favore non faccia caso al disordine… -
 
Robert sorrise leggermente a Clara e disse:
 
- Non sono qui per giudicarla su questo Sig.ina Clark. –
 
Robert entrò in casa e solo in quel momento capì le vere condizioni di quella donna: la casa era un disastro; ricoperta di immondizie, bottiglie vuote, pacchetti di sigarette stracciati finiti, carte di cibi preconfezionati, fast food e altre schifezze. Quando Clara lo invitò a prendere un caffè in cucina, Robert notò il disordine anche lì: piatti sporchi, il lavandino quasi intasato dal cibo, stoviglie sporche e sacchetti dell’immondizia sparsi per il pavimento. Robert guardò Clara dispiaciuto: non immaginava che la scomparsa di Lily l’avesse ridotta in questo stato.
Ricordava bene la prima volta che l’aveva incontrata ai colloqui coi docenti: bellissima donna con capelli marron chiaro lunghi piastrati, corpo snello, bei vestiti, pelle chiara e liscia e un sorriso stupendo… adesso era l’esatto opposto di questa descrizione.
Mentre metteva la polvere di caffè nella moka, Clara domandò:
 
- Perché pensa di riuscire a trovare mia figlia? Cos’ha lei di così speciale? –
 
Robert rimase per un attimo in silenzio per pensare alla risposta, poi rispose:
 
- … A scuola io e sua figlia ci parlavamo spesso. Eravamo più una relazione tra “amici” che “professore e studentessa”. -
 
Clara chiuse il barattolo dove teneva il caffè, chiuse la moka, accese il gas e ironicamente disse:
 
- Eh eh eh… allora lei conosce mia figlia meglio di me… -
 
Robert non disse nulla. Le faceva pena e sentire una madre dire queste cose di sua figlia lo faceva stare male.
Clara prese latte e zucchero e domandò:
 
- Lei come lo vuole? Con il latte, con lo zucchero o nero? –
 
Robert ci pensò per un attimo:
 
- … Con il latte grazie. –
 
Clara ridacchiò e disse:
 
- Proprio come Lily. Non mi stupisce che andavate così d’accordo… -
 
Mise via lo zucchero e prese il bricco del latte per Robert e una bottiglia di grappa per lei. Lì portò sul tavolo da pranzo, lo libero per fare un po’ di spazio e gli disse:
 
- Prego si accomodi: il caffè sarà pronto fra poco. –
 
Robert prese una sedia, mentre Clara tornò in cucina a prendere il caffè.
Mentre beveva il suo caffè macchiato, Robert pensava cosa avesse spinto quella donna a ridursi in quello stato: non immaginava che la mente umana potesse essere così estremamente fragile.
Mentre Clara aveva finito il suo caffè continuava a versarsi nella piccola tazzina di ceramica la grappa. Robert non disse nulla: era prossima alla depressione ed era troppo presto per farla ragionare. Finito il suo caffè, Robert poggiò la tazzina bianca sul tavolo e disse:
 
- Sono venuto qui per chiederle delle informazioni su sua figlia: che lei sappia, ha mai parlato di un piano di fuga, di andare da qualche parte o altro? –
 
Clara si scolò il terzo bicchierino di grappa, poi rispose:
 
- … Come le ho già detto, ho detto tutto alla polizia. Non c’è niente che possa aiutarla a trovare mia figlia… -
 
Robert guardò Clara dispiaciuto. Non voleva intrusioni, si dimostrava dura con tutti ma ciò di cui aveva veramente bisogno ora, era quello di parlare con qualcuno.
Robert si chinò col busto verso Clara e disse:
 
- La prego Sig.ina Clark; qualunque cosa che riguardi sua figlia potrebbe essere un fondamentale indizio per ritrovarla. –
 
Clara si versò un quarto bicchiere e in pochissimi secondi lo bevve tutto d’un fiato. Poggiò il bicchiere sul tavolo e disse:
 
- Non c’è niente da dire su mia figlia! Quel mostro, quando sono andata per chiarire la questione della terapia, mi ha sputato merda addosso dicendomi infine che mi odia e che non vuole più vedermi… come ha potuto dire questo a me? Come? –
 
Robert rimase in silenzio. Capì subito che non avrebbe potuto ricavare informazioni da lei. Si sistemò sulla sedia e domandò:
 
- … Però lei la rivorrebbe indietro, non è vero? –
 
Clara chiuse la bottiglia di grappa, guardò Robert e disse:
 
- … Certo che la rivoglio indietro. È pur sempre mia figlia… ma ho perso le speranze di rivederla di nuovo, quindi me ne faccio una ragione… -
 
Clara si alzò per andare in cucina a mettere via la bottiglia di grappa. Quando lasciò Robert da solo, lui pensò:
 
Povera donna. Posso capirla bene…
 
Quando Clara tornò al tavolo, Robert le chiese una cosa al quanto inappropriata:
 
- … Posso vedere la camera di Lily? Forse potrei trovare qualcosa di utile… -
 
Clara lo guardò malissimo: da quando Lily se n’era andata, la madre non aveva toccato nulla. Voleva che rimanesse così come l’aveva lasciata. Lo scrutò a lungo a poi, lo accontentò:
 
- … Va bene; ma se toccherà qualunque cosa, gliene farò pentire! –
 
Robert le sorrise. Lasciare entrare uno sconosciuto nella stanza della propria figlia non dev’essere affatto facile, ma per lui gli aveva dato il permesso.
Salirono al piano superiore e appena furono davanti alla porta della stanza di Lily, Robert notò lo sguardo malinconico della madre. Clara mise la chiave della serratura, la girò, poi la rimise nella tasca e disse a Robert:
 
- Cerchi solo di non uccidersi in quel disordine, per favore. Già quella stanza è un disastro figuriamoci se ci scappa il morto… -
 
Robert sorrise malinconicamente. Era ovvio che la madre non avrebbe mai riordinato quel “disastro”. Le ricordava sua figlia per com’era.
Le poggiò una mano sulla spalla e disse:
 
- Farò attenzione. -
 
Detto questo, Robert aprì la porta ed entrò.
Appena entrato nella stanza, gli sembrò di essere proiettato in un altro pianeta:
sulle pareti della camera per terra erano appoggiati degli schizzi e quadri colorati ad acquarello, a tempera e olio; un cavalletto per poggiare le tele era di fronte alla finestra senza tenda; le pareti erano ricoperte da poster di divinità indiane e animali con disegni Mehndi; un giradischi sul ripiano dell’armadio-mensola era ben posizionato con i vinile accanto; luci natalizie appese per tutta la camera, sulla spalliera del letto e persino sul soffitto; un tappetto africano colorato appeso al soffitto assomigliava ad una gigantesca vela di una barca e mensole erano piene di libri filosofici, thriller e molto altro.
Il letto, formato da due piani (sopra il materasso e sotto una scrivania tutto in legno) era disfatto con un motivo mandala mentre la scrivania; col pc portatile ricoperto di ditate temperate, era disordinata, piena di pennelli, fogli macchiati e una ciotola piena di cenere con degli incensi impiantati in verticale ed un accendino rosso dipinto accanto.
Dentro quella stanza sembrava di essere dentro un tempio indiano. Emanava pace e tranquillità e il profumo buonissimo, che sembrava the nero, ricopriva la stanza.
Robert guardò la camera di Lily con occhi sognanti. Appena entrato, se ne era innamorato.
Clara, che era appoggiata allo stipite della porta, gli disse:
 
- Gli lascio qualche minuto. Quando ha finito mi chiami che chiuderò la porta a chiave… -
 
Robert si voltò e ringraziò Clara per la disponibilità:
 
- Grazie mille. Starò attento. –
 
Gli fece un cenno di ringraziamento e tornò in cucina a bersi un altro bicchierino di grappa.
Mentre passeggiava in mezzo al disordine, Robert guardò i disegni che Lily aveva dipinto: il volto di un indiano d’America in acquarello, un lupo in stile Mehndi con la china nero, un acchiappasogni colorato sempre con gli acquarelli e tanti dipinti di paesaggi familiari.
Robert ne guardò molti ma uno in particolare lo aveva colpito: su una parete a parte, più fogli A5 erano messi vicini per formare il mondo con i suoi confini. Era fatto con tutte le tecniche possibili.
Robert rimase colpito dalla bravura di Lily e avrebbe voluto tanto averne uno.
Mentre perlustrava la stanza, notò che la parete vicino al letto era ricoperta di cartoline. Si avvicinò per vederle meglio e riconobbe diverse città tra cui Dresda, Berlino, Copenaghen, Porto, Lisbona, Barcellona, Firenze, Parigi e tante altre. Ne staccò una dal muro e con suo grande stupore scoprì che dietro c’era scritto:
 
<< Anthony, Clara e Lily. Estate 2001 >>
 
Probabilmente erano cartoline delle vacanze e Lily le aveva conservate con cura per anni.
Mise a posto la cartolina com’era prima, scese dal letto e notò, proprio sul ripiano del armadio-mensola di fronte a lui, un quaderno antico… era il libro degli appunti di Ivo.
Scese dalla scalinata che portava al letto, si avvicinò, lo prese in mano e guardò il piccolo quaderno: era ben curato, senza pieghe o graffi o sporcizia.
Appena lo vide, Robert pensò:
 
Oh Lily... te lo sei presa davvero a cuore questo diario.
 
Quando sfogliò le pagine, notò incastrate tra di esse, un biglietto dell’autobus e una tessera della biblioteca. Portava il nome di Lily Clark. Robert prese entrambe le tessere in mano e pensò:
 
Questo può essere utile. Magari riesco a scoprire qualcosa.
 
Mise nel diario solo la tessera della biblioteca, poi mise il diario nella tasca dei jeans e uscì dalla stanza. Quando arrivò in cucina, chiamò Clara e le disse:
 
- Ho finito. Se vuole può richiudere. –
 
Clara stava fumando una sigaretta. Si alzò a fatica dalla sedia vicino alla finestra aperta e andò al piano di sopra a chiudere a chiave la stanza.
Mentre Robert stava per uscire, lui si voltò verso di lei e disse:
 
- Grazie per avermi lasciato guardare la stanza di Lily. Gliene sono davvero riconoscente. –
 
Clara prese una boccata di fumo, lo inspirò e disse:
 
- Non deve ringraziarmi. Grazie a lei che s’interessa così tanto di mia figlia… -
 
Robert le sorrise, fece per andarsene ma a pochi centimetri dalla rampa di scale domandò:
 
- Per caso Lily prendeva molti libri da una biblioteca qui vicino? –
 
Clara si voltò verso Robert, ci pensò per un momento e rispose:
 
- Si. Lei ama moltissimo i libri. Andava spesso alla biblioteca della città. È a dieci minuti da qui. –
 
- Molto gentile Sig.ina Clark. Grazie ancora. –
 
Fece per scendere le scale, ma venne fermato da Clara:
 
- Professor Bennett! –
 
Robert si voltò:
 
- Sì? –
 
- … Se riuscirà a trovare mia figlia, le dica che le voglio bene e che resterà sempre la mia artista preferita.... –
 
Robert guardò Clara, le sorrise e disse:
 
- Glielo prometto Sig.ina Clark… -
 
 
***
 
 
Arrivato alla biblioteca, Robert capì del perché Lily adorasse così tanto quell’edificio: era in stile gotico e assomigliava parecchio ad una chiesa antica. In realtà, è l’università della città dove tutti gli universitari vanno per cercare informazioni per le loro tesi e progetti.
Insomma, una biblioteca coi fiocchi!
Appena entrato dal portone principale, Robert s’accorse di quanto fosse bella questa struttura: la prima cosa che notò della biblioteca fu la struttura imponente con pareti in legno massiccio e un soffitto pieno di lampadari luminosi e brillanti; i lampadari erano enormi e luminosi; i ripiani con sui libri erano colmi di sapienza di grandi filosofi come Aristotele, Nietzsche, Marx e tanti altri. Gli ricordava la biblioteca del Trinity college di Dublino. Andò alla reception e incontrò una Signora piuttosto robusta, con capelli raccolti in un chignon con attaccato un fiore giallo, un vestito blu a pois bianchi, occhiali a montatura nera, labbra rosse carnose e dita cicciottelle smaltate di rosso bordò.
Appena Robert si avvicinò, Doris lo guardò con occhi sognanti e disse:
 
- … Buongiorno splendore. Cosa posso fare per te? –
 
Robert sorrise, tirò fuori la tessera della biblioteca di Lily e disse:
 
- Sto cercando una persona: Lily Clark. Per caso la conosce? È passata qui recentemente? –
 
Doris guardò Robert con sguardo felice e disse:
 
- Lily? Ma certo che la conosco zuccherino! Viene qui ogni giorno per prendere dei libri nuovi. Quella ragazza li divora: ne prende uno, e il giorno dopo torna che l’ha già finito. Il mio cliente ideale per farla breve! –
 
Robert, sentendo quella affermazione pensò:
 
Finalmente! Allora avevo visto giusto!
 
Senza indugi, Robert le chiese:
 
- Per caso è passata qui ultimamente o l’ha vista qui in giro per la biblioteca? … -
 
Doris pensò a lungo, poi rispose:
 
- Mmm… ora che mi ci fai pensare, non vedo Lily da molto tempo… saranno all’incirca tre mesi che non viene più qui. –
 
Le speranze di Robert svanirono sentendo questa affermazione. Proprio quando stava pensando di avere una pista, le sue possibilità sono sfumate in un attimo.
Doris analizzò Robert con sguardo, come se lo stesse studiano a fondo; poi, dopo un accurata analisi domandò:
 
- Senti, ma non sei un po’ troppo vecchio per conoscere una ragazza così giovane? Sei per caso un suo parente? … o, visto le domande che mi hai fatto, sei un poliziotto? … Ommiodio… le è per caso successo qualcosa? -
 
Robert cercò di calmare Doris e disse:
 
- No no, non sono un poliziotto e nemmeno un parente di Lily. Sono… sono suo amico. –
 
Doris lo guardò un po’ male, ma gli credette.
Robert si guardò attorno; non aveva più una pista dove cercare. Doris notò l’espressione di tristezza in Robert e gli domandò:
 
- Perché stai cercando proprio Lily? È successo qualcosa? –
 
Robert giochicchiò con la tessera, guardò Doris e rispose:
 
- … Diciamo che è da parecchio che non la vedo e siccome non riesco a trovarla pensavo che questo fosse il posto giusto, ma mi sbagliavo. Adesso non so più dove cercare… -
 
Doris guardò Robert per qualche secondo, poi prese un pezzo di carta, una penna e scrisse qualcosa sul foglietto. Lo consegnò a Robert e gli disse:
 
- Tieni. Questo è un altro posto dove Lily va spesso. Il gestore si chiama Roger. Prova lì; magari riesci a trovarla. –
 
Robert prese il foglietto blu e lesse: “Bar Coffee World” – Via Nazionale 27
Piegò il foglietto a metà, lo mise in tasca e ringraziò Doris:
 
- Grazie mille Sig.ina. È stata davvero gentile. –
 
Doris lo salutò con la mano e disse:
 
- Il mio numero è sul retro del foglio che ti ho dato. Qualche volta chiamami, zuccherino! –
 
Robert si voltò verso di lei e quest’ultima gli fece l’occhiolino. Robert arrossì e uscì in fretta e furia dalla biblioteca. Che personaggio!
Appena uscito, prese il foglio, lo guardò attentamente e pensò:
 
Un'altra pista… speriamo che sia la volta buona.
 
Andò verso la macchina e partì verso l’indirizzo dato.
 
 
 
***
 
 
Arrivato al bar, Robert notò all’entrata un signore sui 70 anni circa intento a riparare la serratura del locale. Probabilmente doveva essere Roger.
Sceso dall’auto, si avvicinò verso l’uomo e chiese:
 
- Mi scusi, è lei Roger? –
 
Roger, impregnato di sudore, si asciugò la fronte con la mano occupata da cacciavite e disse:
 
- *Uff* … sì, sono io. E lei è? –
 
- Mi chiamo Robert e sono qui perché una persona mi ha dato il suo indirizzo. Vorrei chiederle delle informazioni riguardo ad una persona; una mia amica per essere precisi. –
 
Roger tentò di sistemare la serratura, ma senza riuscirci, così decise di lasciar perdere e di parlare con Robert. Si alzò in piedi, si sistemò il giaccone e disse:
 
- Venga dentro. Ne parleremo davanti ad una tazza calda di caffè. Offro io. –
 
Roger entrò per primo mentre Robert, felice dell’offerta dell’anziano, lo seguì. Appena entrò, Robert notò la bellezza di quel bar: era adornato con pareti in legno chiaro, quadri di paesaggi realistici sulle pareti, dipinti per tutta la stanza ma la cosa che colpì particolarmente Robert fu un gigantesco mappamondo alto 1.50 metri circa. Era stupendo.
Roger si levò il giaccone, lo appese all’attaccapanni lì accanto e appena andò dietro il bancone, iniziò a preparare la sua specialità per il nuovo ospite.
Robert si sedette su una delle seggiole in attesa del caffè, mentre Roger gli chiese:
 
- Prima ha detto che stava cercando una persona in particolare… di chi si tratta? –
 
Robert poggiò il diario di suo padre sul bancone e disse:
 
- Una ragazza. Si chiama Lily Clark. La persona che mi ha dato l’indirizzo ha detto che viene spesso qui. Speravo che lei potesse darmi qualche notizia su di lei. -
 
Roger si voltò verso Robert. Lo guardò a lungo, poi disse:
 
- … Non sei un po’ troppo vecchio per conoscere una ragazza così giovane? Sei un suo parente? –
 
Robert ridacchiò. Era la seconda volta che gli davano del vecchio oggi. E a distanza di poche ore:
 
- No, non sono suo parente. Sono un suo amico e ultimamente non l’ho vista in giro. Speravo che, essendo una cliente abituale, fosse passata qui… -
 
Roger prese una tazza da caffè, lo porse a Robert e disse:
 
- Mi dispiace deluderti amico, ma nemmeno io vedo Lily da parecchio tempo… -
 
Di nuovo un punto morto. Robert non sapeva dove altro cercare.
Roger s’appoggiò sul bancone e disse:
 
- Quel diario l’ho già visto: lo portava qui Lily per leggerlo tempo fa. Come mai lo hai tu? –
 
Mentre sorseggiava il caffè, Robert guardò il diario e rispose:
 
- Questo? È di mio padre: parla del suo viaggio in Australia nel 1952… Lily lo portava con sé qui al bar? –
 
- Ogni giorno! Non c’era giornata che non avesse quel diario tra le mani: lo sfogliava e rileggeva in continuazione. Era ossessionata dalla storia di quel viaggio! -
 
Robert guardò il diario di suo padre. Forse c’era un collegamento tra lei, il diario di suo padre e la sua fuga improvvisa? Chi lo sa…
Robert bevve un altro sorso fumante e chiese:
 
- Per caso, oltre a questo diario, portava con sé altro materiale? Non so, qualcosa che parlava di un viaggio o roba simile… -
 
Roger incrociò le braccia e pensieroso disse:
 
- … Ora che mi ci fai pensare si: tempo fa, io e Lily litigammo perché veniva troppe volte qui al bar invece di andare a scuola la mattina. Restava qui ore e ore a studiare dei libri riguardanti posti intorno al mondo e molto altro. Per fortuna abbiamo chiarito quando lei è tornata da un vacanza in Portogallo. –
 
Robert ricordò tutto: era verso Maggio, il periodo dove Lily marinava la scuola prima della fine dell’anno e anche l’occasione in cui Robert si era presentato a casa sua per la prima volta per parlarle a proposito delle continue marine.
Robert guardò la tazza quasi vuota e domandò:
 
- E… per caso ha parlato di viaggiare da qualche parte in particolare? Non so, ha citato una città in particolare? -
 
Roger pensò ancora, ma la risposta fu vana:
 
- … Non che io sappia: non si confrontava con me per le sue idee anarchiche. -
 
L’espressione di Robert cambiò all’improvviso. Era una via morta anche questa. Ormai era quasi convinto che non avrebbe trovato nessuna pista che la collegasse a Lily.
Rassegnato, Robert bevve l’ultimo sorso di caffè, poggiò la tazza ancora fumante e disse:
 
- Grazie lo stesso. E grazie anche per la sua disponibilità Roger. –
 
- Si figuri Robert! Può tornare quando vuole… sempre che non debba chiudere per riparare quella maledetta serratura! –
 
Roger si mise il giaccone, prese il cacciavite e tornò al lavoro di prima. Robert guardò la serratura: era stata forzata, come se qualcuno avesse voluto entrare a tutti i costi.
Robert guardò l’uomo intento a riparare la serratura e disse:
 
- Cos’è successo? L’hanno rapinata? –
 
Roger fece una smorfia di sforzo quando s’inginocchiò, poi rispose:
 
- No per fortuna. Anzi, qualcuno si è divertito solo a fare danni e lasciare tutto a posto all’interno… o quasi. –
 
Robert si guardò attorno al locale: non c’era niente di distrutto e tutto sembrava in ordine:
 
- Perché quasi? Non vedo niente di rotto qui dentro. -
 
Roger guardò Robert, poi col cacciavite indicò il mappamondo in fondo al salone e disse:
 
- Vede quel mappamondo laggiù? Io l’ho sempre tenuto voltato con la facciata dell’Oceania davanti, mentre adesso c’è la faccia con le Americhe. Deve averlo girato il tipo che ha scassinato la porta d’entrata. -
 
A Robert venne in mente un pensiero:
 
Perché mai un vandalo scassinerebbe una serratura per entrare in un bar, girare un mappamondo e lasciare i soldi nella cassa? Non ha senso…
 
Robert s’avvicinò al mappamondo. Da lontano sembrava enorme, ma in realtà arrivava all’altezza del bacino di Robert. Appena lo toccò, Robert notò che poteva effettivamente muoverlo, così lo girò e quello che vide lo lasciò senza parole: sopra il continente australiano, c’era una busta di carta attaccata con lo scotch con su la scritta: “Per Robert”.
Il cuore di Robert iniziò a battere velocissimo. Lo scassinatore era Lily! Era entrata per lasciare una lettera per lui.
Robert la staccò dal mappamondo, guardò la scritta “Per Robert” e capì che si trattava della calligrafia della ragazza.
Preso dalla curiosità mista all’agitazione aprì la busta, tirò fuori la lettera e tremante lesse il contenuto:
 
<< Martedì 24 Novembre 2015
 
Ore: 04.17
 
Caro Robert,
Se stai leggendo questa lettera, vuol dire che mi hai cercata a lungo e che mi conosci fin troppo beNe. So cosa ti stai chiedendo in questo momento: “Perché sei scappata Lily? Perché hai abbandonato tutto senza dire una parola a nessuno?” … La verità è che non ce la facevo più a stare in mezzo a quella gente ipocrita, falsa e bugiarda Robert… non ce la facevo più.
Avevo in mente già da moltissimo tempo di andarmene da qui e finalmente adesso ci sono riuscita.
L’idea era quella di aspettare il momento più adatto, far perdere le mie tracce e non tornare più indietro… ma poi mi sei venuto in mente tu.
Prima di scappareE, mi sono fermata un attimo a pensare se ci fosse veramente qualcuno disposta a fermarmi… e ho pensato a te (conoscendoti, mi avrai cercata in lungo e in largo).
Così, ho deciso di non mantenere la promessa che mi sono fatta e quindi scriverti questa lettera per poi portarla qui, al bar Coffee World, per poterla attaccare sul tuo continente d’origine… dove tutto è iniziato e tutto inizierà.
Ti svelo un segreto: ci sono altre lettere come queste in giro, ma non in questa città. Se vorrai trovarle per poi arrivare a me, dovrai fare un gioco Robert… un gioco chiamato “caccia all’uomo sognatore”.
Come in ogni gioco, dovrei rispettare delle regole: dovrai essere solo; non dovrai dire nulla a nessuno di questa lettera e dovrai muoverti parecchio per trovarmi.
Ti fornirò io gli indizi, ma dovrai capire il mio linguaggio. Solo quando avrai capito, potrai passare al livello successivo…
Il primo indizio si trova in questa lettera:
 
<< La città che sposò il mare. >>
 
Pensaci bene Robert e fa buon viaggio.
 
Lily >>

 
Robert iniziò a piangere mentre una lacrima cadde sulla carta da lettere bagnandola. Si mise una mano davanti al viso e pensò:
 
Allora è vero che tu ami le persone… ne ero certo!
 
Fece per asciugarsi le lacrime e, felice di aver trovato quella lettera, la strinse forte vicino al cuore. Roger, che stava ancora lavorando, sentì Robert singhiozzare:
 
- Hey Robert… tutto bene? –
 
L’uomo mise la lettera in tasca, si asciugò le lacrime e voltandosi disse:
 
- *sniff* … sto bene Roger. Grazie per l’interesse… Ora devo proprio andare; arrivederci. -
 
Robert si avviò verso l’uscita. Quando Robert uscì dal bar, stava nevicando. La prima nevicata di quest’inverno. Arrivato in macchina, si diresse subito verso casa sua e mentre guidava pensò:
 
Ti troverò Lily... ti troverò, te lo prometto!
 
 
***
 
 
Era da almeno quattro ore che Robert stava pensando a quella frase:
 
<< La città che sposò il mare. >>
 
Aveva preso tutti libri di cui disponeva, ma nessuna di queste città parlava di niente che riguardasse “un matrimonio col mare”.
Aveva consultato i libri che parlavano di Lisbona, Cape Town, Barcellona, Rio de Janeiro, Sydney, Los Angeles… ce ne erano talmente tante che Robert avrebbe impiegato giorni a trovare la soluzione e non aveva tutto questo tempo.
Dopo l’ennesimo caffè bevuto per rimanere sveglio, Robert cercò di focalizzarsi su quello che Lily aveva scritto nella lettera: non c’erano informazioni riguardante la città o altro, ma solo la frase e basta; e non era abbastanza per capire l’indovinello.
Robert si abbandonò sulla poltrona esausto e alzò la lettera per leggera di nuovo, poi gli venne in mente una cosa:
 
- Aspetta un attimo… Che idiota sono! Per andare lontano, Lily deve aver preso prima un treno, l’aereo o altro qui in Italia! Devo cercare nelle NOSTRE città! -
 
In fretta e furia, andò verso le mensole dove teneva le enciclopedie delle più grandi città italiane e iniziò a studiare le città marittime e la loro storia. Prima guardò Genova, poi Rimini e finalmente, dopo un’ora di ricerca, trovò la città che stava cercando:
 
- Eccolo! Trovato finalmente: << Nella Repubblica di Venezia, lo Sposalizio del Mare (celebrato in occasione della Festa dell'Ascensione) era una cerimonia che simboleggiava il dominio marittimo di Venezia. La cerimonia venne istituita intorno all'anno 1000 per commemorare la conquista della Dalmazia da parte del doge Pietro II Orseolo. >> … Venezia! Ecco la città! … ma dove devo andare esattamente? -
 
Prese la lettera e iniziò ad esaminarla a fondo. C’era scritto che l’indizio era nella lettera; quindi questo era solo una parte dell’indovinello. Robert doveva cercare meglio per trovare la seconda parte. Passò un’altra ora alla ricerca della seconda parte. Ormai era l’una di notte e Robert iniziava ad essere stanco fisicamente, ma mentalmente non voleva demordere: doveva scoprire l’altra parte dell’indizio.
Stremato, si sdraiò sul divano col foglio ancora in mano. Si portò una mano sugli occhi, poi guardò nuovamente il foglio:
 
Accidenti… quest’indovinello è veramente tos…?
 
Guardando il foglio in controluce, Robert notò qualcosa scritto in trasparente ai lati della lettera… erano dei numeri. Tra le righe, Robert notò un'altra anomalia: due lettere erano scritte in maiuscolo nel posto sbagliato: la lettera “N” nella parola << bene >> e la lettera “E” nella parola << scappare >>.
Robert prese un foglio e una matita e trascrisse il tutto:
 
 
N
45
30
17.8
 E
12
20
21.6

 
Quando li lesse attentamente, capì immediatamente cosa volevano dire quei numeri. Li trascrisse nel modo giusto e alla fine la risposta fu sotto i suoi occhi:
 
N 45° 30’ 17.8’’
E 12° 20’ 21.6’’

 
Li guardò e alla fine disse:
 
- … Sono coordinate geografiche! Sono coordinate geografiche! AH AH AH AH! LILY, SEI UN GENIO! –
 
Andò al suo computer portatile, trascrisse le coordinate geografiche e trovò:
 
<< Viale galileo Galilei, 30173 Venezia, Italia >>
 
Accanto alla via c’era la scritta “Aeroporto Marco Polo di Venezia”.
Ecco la destinazione!
Robert si passò una mano tra i capelli, rise felice e disse:
 
- Wow Lily… sei un piccolo genio! –
 
Senza perdere tempo, andò subito a preparare la valigia con tutto il necessario per partire verso Venezia. Mentre preparava il borsone, Robert pensò:
 
Aspettami Lily, sto per raggiungerti!

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Capitolo 9
*** India ***


Capitolo 9: India

 
Il viaggio in macchina sarebbe durato 3 ore, ma Robert decise di partire la notte stessa. Era davvero stanco, ma decise comunque di partire. Casomai avrebbe dormito in un Autogrill o all’aeroporto se avesse resistito abbastanza per guidare.
Sull’autostrada per Venezia, Robert sfrecciava veloce fra le altre auto della carreggiata come se volesse fare una gara di corsa. Mentre guidava, pensò a cosa gli sarebbe aspettato una volta arrivato all’aeroporto: Dove avrebbe nascosto la seconda lettera Lily? Quale sarebbe stata la sua destinazione? Ma soprattutto, la domanda che più lo tormentava…
Lily stava bene?
Deciso ad arrivare il prima possibile in aeroporto, accelerò ancora fino ad arrivare a 120 km/m. Dopo un’ora, i suoi occhi iniziarono a farsi pesanti, la vista annebbiata e il controllo della vettura si faceva sempre più incerto. Decise di fermarsi in un Autogrill; era davvero stanco. Andò prima in bagno, poi comprò qualcosa da mangiare e tornato in auto guardò l’ora: erano le 03.09 del mattino del 23 Dicembre 2015 e mancavano ancora due ore per arrivare a destinazione. Robert sbuffò. Voleva resistere ancora un po’ ma il suo fisico non voleva sentire ragioni. Non era più il ragazzino esaltato ed energico che era una volta.
Pensare a tutto questo, gli fece venire in mente le sue avventure da adolescente:
Ricordò che da ragazzo, quando aveva 18 anni, andò per la prima volta in vacanza con i suoi amici a Berlino. Era la prima volta che faceva un’esperienza del genere ed era esaltato più che mai. Arrivato nella capitale tedesca, ricordò di aver provato una sensazione da brividi nel vedere un nuovo ambiente che lo circondava e l’idea di dover parlare una lingua a lui sconosciuta lo faceva sentire forte e indipendente, anche di fronte alle difficoltà.
Inutile dire che questa fu solo l’inizio di molte altre avventure.
Mentre pensava ai vecchi ricordi, si addormentò felice sul sedile del guidatore.
 
***
 
Berlino: la città famosa per eccellenza, la sua divisione in “Berlino Ovest” e “Berlino Est”, e la magnifica storia della caduta del Muro nel Novembre del 1989.
Robert fece quella vacanza nel 1978 non proprio per andare a divertirsi, ma per andare a “combattere” contro il regime che vigeva in quel periodo in Germania.
Andò assieme a suoi due amici, Mark ed Esther, per aiutare i sostenitori del Berlino Est a liberare la Berlino Ovest e infine riconciliare la città.
Non raccontò ai genitori le sue idee politiche e, proprio per non farli preoccupare, mentì ad entrambi.
Decise di andare a “combattere” perché era un ragazzo anticonformista, con l’animo da battagliero giusto e che quindi il suo compito fosse quello di aggiustare questo mondo corrotto da bastardi infami… doveva tentare di ripulirlo.
Arrivato a Berlino, Robert apprezzò subito la bellezza di quella città e il suo primo pensiero fu:
 
Questa città così bella non merita tutto questo… dev’essere liberata a tutti i costi!
 
Fece tutti i controlli imposti dalla polizia tedesca alla dogana; poi, con i suoi due amici, andò nel distretto del Lichtenberg come ospite straniero. Laggiù li avrebbero ospitati dei ragazzi rivoluzionari della PSD (Partito Socialdemocratico della Germania) che avevano conosciuto tempo addietro tramite un gemellaggio in Italia.
Arrivati nella loro nuova casa, Robert, Mark ed Esther vennero invitati a partecipare ad una manifestazione pacifica il giorno seguente a Berlino.
Si ambientarono benone. Non parlavano molto bene il tedesco ma grazie all’inglese di Robert, riuscivano a farsi capire senza problemi.
Arrivato il giorno della manifestazione, Robert e i suoi due amici, vennero accompagnati alla Alexanderplatz per manifestare.
Era la prima volta che Robert vedeva la “Torre della televisione” dal vivo e tutto questo lo colpì profondamente. Se ne innamorò subito di quella città, ormai prossima al cambiamento. Per anni aveva desiderato andare in una città che non era la sua e riuscire a fare qualcosa di veramente utile nella sua vita. Era un sogno che si avverava.
Quando la manifestazione iniziò, un’orda di ragazzi giovani avanzava sicuro per le strade principali di Berlino. Passarono per diverse strade principali fino ad arrivare alla Friedrichstraße. Da lì, sarebbero andati verso la Porta di Brandeburgo a manifestare di fronte al muro. Dopo circa mezz’ora di marcia ininterrotta, la folla si fermò di fronte alla Porta, monumento alto circa 30 metri, e iniziò la vera e propria manifestazione. Nessuno s’immaginava quello che sarebbe successo dopo…
Qualcuno dei protestanti pacifisti fu aggredito verbalmente da dei manifestanti nazisti e da lì nacque una rissa involontaria. Robert ricordò solo che tentarono in tutti i modi di sedare la lotta, ma non ci fu verso. La polizia arrivò con le pompe d’acqua e spruzzò getti potentissimi sulla folla per disorientarli.
Nella confusione, Robert riuscì a mettersi in salvo ma perse i suoi due amici nella confusione.
Mentre cercava un posto dove nascondersi, un gruppo di sostenitori del nazismo trovarono Robert e scoprirono che non era tedesco… per questo, lo pestarono a sangue.
L’unica cosa che ricordava di quell’episodio, era il gruppo di ragazzi sopra di lui e…
Il potente clacson di un camion lo svegliò di soprassalto. Era ancora all’Autogrill dove si era fermato con la macchina. Stava semplicemente sognando. Quel ricordo era rimasto per tanto tempo sepolto nella sua mente ed ora era ritornato a galla.
Si passò una mano sul viso: era sudato e aveva il cuore che andava a mille. Dopo essersi calmato, pensò:
 
Cavolo, che sogno! Era da una vita che non…!
 
Improvvisamente, Robert si ricordò il motivo per cui era in Autogrill: doveva andare a Venezia. Guardò l’orologio attaccato al polso sinistro: le 12.37. E’ tardissimo! Aveva dormito più del dovuto. Imprecando silenziosamente, accese la macchina, partì e si diresse verso l’autostrada. Aveva ancora due ore di viaggio che lo aspettavano.
Arrivò a Venezia alle 14.15 e parcheggiò l’auto il più vicino possibile alla struttura. Appena trovò parcheggio, chiuse la macchina, si assicurò di avere tutto il necessario e si avviò verso l’interno dell’aeroporto. Appena entrato, Robert notò la gran confusione che c’era: gente che correva a destra e sinistra, montacarichi colmi di valigie mastodontiche, gente che dormiva sulle panchine d’attesa e tanta confusione. In effetti, c’era davvero molta gente che aspettava e questo non rassicurò per niente Robert.
Con un dubbio che lo tormentava, guardò il tabellone dei voli e con suo grande sconforto, notò che la maggior parte erano stati cancellati:
 
Ore 14.30 – destinazione: Monaco di Baviera – volo JKY8845 – Area: 14 – CANCELLATO
Ore 14.45 – destinazione Madrid – volo FRG3198 – Area: 20 – CANCELLATO
Ore 15.05 – destinazione: Londra LCY – volo AFP3491 – Area: 7 – CANCELLATO …
 
Su 20 voli mostrati sui tabelloni, almeno una decina o più erano stati tutti cancellati.
Robert si passò una mano tra i capelli spettinati e, preso dallo sconforto pensò:
 
Cazzo! Non sarà affatto facile…
 
Decise comunque di tentare: si sistemò il borsone che aveva in spalla e si avviò al primo check-in disponibile. In tutte c’erano code infinite che sembravano non terminare mai…
Rimase fermo. Non sapeva cosa fare e onestamente, con tutta quella gente in giro, non riusciva a ragionare… ma qualcosa in lui lo faceva sentire sicuro di sé, quasi come se sapesse perfettamente che ce l’avrebbe fatta in qualche modo.
Deciso a non mollare, andò in giro per l’aeroporto per cercare il banco delle informazioni: doveva sapere se c’era un reparto posta da qualche parte.
Dopo alcuni minuti passati a girare, trovò l’ufficio informazioni e andò a chiedere:
 
- Buongiorno! Per caso c’è un “banco della posta” qui? –
 
La ragazza dietro alla parete di vetro gli indicò un punto dove era ammassato parecchia gente e disse:
 
- Laggiù, dove c’è quel gruppo. Lì c’è un tabellone magnetico dove la gente lascia dei messaggi, altrimenti c’è il bancone della posta proprio alla sinistra. –
 
Robert ringraziò la signorina, s’avviò e andò al bancone a chiedere se c’era posta per lui. Il ragazzo addetto alla posta controllò e disse:
 
- Robert Bennett… mi dispiace ma non c’è nulla a questo nome. –
 
Robert non capiva. Com’era possibile che non c’era nulla?
Ringraziò il ragazzo e provò a vedere al tabellone magnetico. C’era moltissima gente, ma cercò di farsi spazio per arrivare abbastanza vicino per poter leggere qualcosa. C’erano moltissime scritte in lingue differenti, ma nessuna di queste assomigliava alla scrittura di Lily.
Dopo una lunga ricerca, non trovò nulla. Cominciava a perdere la speranza e pensò:
 
Neanche qui… Com’è possibile? Deve aver lasciato qualcosa che…?
 
Con la coda dell’occhio, notò una scritta piccolissima nell’angolo in basso che sembrava la scrittura di Lily:
 

<< Controlla la posta! → >>

 
Guardò in direzione della freccia e notò un piccolo chiosco dei giornali gestito da una vecchia signora. Robert si avvicinò subito e curiosò all’interno: la signora anziana stava leggendo una rivista di gossip e non si era accorta dell’arrivo dell’uomo. Robert la chiamò:
 
- Mi scusi… *ehm ehm* … posso chiederle un’informazione? –
 
L’anziana signora alzò gli occhi dalla rivista, guardò Robert e disse:
 
- … Oh cielo! Un cliente! Cosa posso fare per lei? ha bisogno di qualche rivista? Ne abbiamo molte sa? –
 
Robert guardò il piccolo chioschetto: era malandato e probabilmente nessuno comprava niente li. Erano tutte riviste di gossip, guide turistiche, libri e tante settimane enigmistiche. Robert guardò di nuovo la vecchia signora e disse:
 
- … Veramente sono qui per chiederle se per caso qualcuno, una ragazza, le ha lasciato una lettera per me. Si chiama –
 
- Che ne dici della rivista “Io Donna”? è molto richiesta ultimamente e contiene molti rimedi di bellezza al suo interno. Io l’ho appena letta e fidati che è una meraviglia! Devi sapere che parla anche di tinture per capelli naturali fatte in casa! -
 
Robert venne interrotto dalla signora. Voleva vendergli una rivista, ma a Robert questo non interessava affatto.
Cercò di spiegarsi:
 
- Ecco, io… mi dispiace non sono qui per comprare una rivista, ma per sapere se per caso una ragazza le ha –
 
- Non ti piacciono le riviste di moda? Scusami, hai ragione: essendo un uomo non t’interessano queste cose, che sciocca! Allora che ne dici di una settimana enigmistica? Questa settimana c’è Hugh Jackman in copertina e costa solo 1.50 euro. È un affare non credi? –
 
Robert non capiva se lo stesse prendendo in giro o cosa. Cercò di calmarsi e rispiegò alla signora (che evidentemente doveva essere dura d’orecchi) cosa faceva li veramente:
 
- No signora. Mi duole dirglielo ma io NON sono qui per comprare una rivista, ma per sapere se una ragazza le ha lasciato una –
 
- Nemmeno la settimana enigmistica ti piace? Certo che hai gusti difficili! Allora perché non prendi questa guida della Germania? È molto gettonata in questo periodo dell’anno e costa solo –
 
- SIGNORA, PER FAVORE, VUOLE ASCOLTARMI? NON SONO QUI PER COMPRARE! –
 
Robert si accorse solo dopo di aver urlato che tutti lo stavano guardando male. Si voltò verso le persone (che lo avevano sentito anche da una distanza di 500m), si scusò coi presenti e infine con la signora anziana:
 
- … Mi scusi signora. Non volevo urlarle addosso così. Ho avuto una settimana durissima e non riesco a *sigh*… -
 
Robert sospirò. Era davvero frustrante non riuscire nel proprio intento a volte.
La signora sorrise con i pochi denti che aveva e disse:
 
- Si figuri giovanotto. Tutti hanno le loro giornate “no”. –
 
Robert guardò la signora e le sorrise. Nonostante i continui e insistenti tentativi di vendergli qualcosa, gli stava simpatica.
Robert guardò la guida della Germania e, dopo averci pensato su, disse:
 
- … Quanto ha detto che costa la guida della Germania? –
 
La signora guardò il prezzo dietro e disse:
 
- Ecco… 5 euro. –
 
- … La prendo. –
 
Tirò fuori dalla tasca 10 euro e li porse alla vecchietta. Lei gli porse la guida e fece per dargli il resto, ma Robert intervenne e disse:
 
- No grazie. Tenga pure il resto. –
 
La signora sorrise di nuovo. Mise via la banconota nuova di zecca e disse:
 
- Prima dicevi che vorresti chiedermi qualcosa… di che si tratta? –
 
Per un momento, Robert si era dimenticato di quello che era venuto a fare esattamente lì, si riprese e disse:
 
- Oh sì, giusto: volevo sapere se per caso una ragazza le avesse lasciato qualcosa per me… -
 
La signora sospirò profondamente e disse:
 
- Mi dispiace giovanotto, ma nessuno mi ha lasciato niente qui. Ormai qui non viene nessuno, nemmeno per comprare qualcosa. È davvero straziante… -
 
Robert si sentiva perso e dispiaciuto. Allora quella scritta non era destinata per lui? Non c’erano altri indizi e adesso non sapeva dove cercare.
Robert si sistemò il borsone in spalla, sospirò e disse:
 
- Mi dispiace molto signora… -
 
- Elvira, ma per gli amici Elvy. Molto piacere signor… -
 
- Robert. Robert Bennett. –
 
Si strinsero la mano e la signora disse:
 
- Robert… è davvero un bel nome! –
 
Robert rise. Le era davvero simpatica. Guardò la guida che teneva in mano, la mise via nel borsone e disse:
 
- Davvero felice di aver fatto la sua conoscenza Elvy. Ci vediamo presto e grazie mille. –
 
- Aspetti! –
 
Prima che Robert potesse andarsene, Elvy frugò in un cassetto, prese un libro, lo porse a Robert e disse:
 
- Lo prenda con sé. Glielo regalo. È un libro molto interessante e durante il viaggio in aereo ci vuole sempre qualcosa per ingannare il tempo. –
 
Robert prese il libro vecchio e consumato in mano: s’intitolava “Sulla strada” di Jack Kerouac. Lo guardò e riguardò, poi spostò lo sguardo su Elvy e disse:
 
- Grazie mille Elvy. È un bellissimo regalo. –
 
- Si figuri. Spero di rivederla presto Robert. -
 
Robert le sorrise, poi si avviò verso una delle sale d’attesa.
Arrivato in una delle sale colme di gente, Robert stava pensando a cosa fare adesso: la scritta sul tabellone era una falsa pista e a quanto pare non c’erano altri indizi che conducessero alla seconda lettera. Si lasciò cadere sullo schienale in ferro freddo ormai esausto, si passò entrambe le mani sul viso, si stiracchiò e pensò:
 
Questa caccia all’uomo sta diventando sempre più difficile… devo calmarmi e schiarirmi le idee.
 
Prese il suo borsone e tirò fuori il libro di Kerouac. Robert pensò di rilassarsi per un po’, così lo iniziò a leggere: Il libro parlava dell’autore che, partito verso la fine degli anni quaranta, decise di intraprendere un viaggio nel territorio statunitense descrivendo in modo dettagliato tutto quello che ha passato in quell’avventura.
Sal Paradise (lo pseudonimo che ha usato Kerouac nel libro) è il protagonista e narratore di una serie di viaggi in autostop, in auto e in autobus per gli USA. Sal è uno studente cresciuto nell'Est che ha aspirazioni letterarie e, assieme al suo amico Dean, da inizio al suo lungo viaggio.
Letta la trama, Robert iniziò a leggere la storia ma poi notò, in una pagina, che l’angolo in alto a destra era piegato. Robert aprì proprio in quella pagina per sistemarla e, quello che trovò, gli fece battere il cuore a mille: c’era un foglietto piegato a metà con su la scritta “Per Robert” e una frase del libro sottolineata in matita:
 
<< Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.
Dove andiamo?
Non lo so, ma dobbiamo andare… >>
 
Robert sentì il cuore battere a mille: il secondo indizio di Lily! Allora Elvy sapeva di Lily? Ma perché aveva mentito?
Lasciando perdere alla domande senza risposta, prese in mano il foglietto, lo aprì e quello che lesse, creò ancora più confusione nella sua mente:
 
<< La città degli eroi. Per sempre o solo per un giorno. >>
 
Robert lesse di nuovo la frase: la città degli eroi… quale città poteva aver avuto degli eroi in passato? O ancora oggi c’è ne sono? E quali eroi possono essere?
Nella mente di Robert si materializzarono diverse città, ma in quel momento tutte potevano essere una potenziale risposta. Si sforzò di pensare, ma non riusciva proprio a pensare a nulla. Decise di calmarsi, prese le sue robe e tornò in un posto dove sicuramente avrebbe trovato delle risposte.
Mentre sfogliava la sua rivista “Gioia”, Elvy stava leggendo con interesse un articolo che parlava della prevenzione delle rughe, quando all’improvviso sentì qualcuno chiamarla di fronte a lei: era Robert.
Mise via la rivista e disse:
 
- Oh salve Robert! Da quanto tempo che non ci vediamo! È interessato a qualche altra rivista? –
 
- Tu sapevi, non è vero? –
 
Elvy lo guardò con aria confusa:
 
- … Come dici giovanotto? –
 
- Del biglietto. Della lettera che doveva consegnarmi quella mia amica… tu lo sapevi? –
 
Elvy guardò Robert con aria confusa. Si grattò un braccio e con tutta la calma che possedeva disse:
 
- … Io non so nulla di nessuna lettera, lo giuro. –
 
Robert si guardò in giro, si morse il labbro inferiore per frenare il suo senso omicida (anche se quella vecchietta gli era veramente simpatica), poi le disse:
 
- … Ho bisogno di alcune guide turistiche. Devo trovare un informazione importante. –
 
Elvy guardò Robert senza dire una parola, poi si avvicinò e disse:
 
- … Vuole comprare delle guide? –
 
Robert guardò Elvy in modo strano. Forse era talmente abituata a starsene sola nel suo chiosco senza che nessuno comprasse niente che sentire una frase del genere l’avesse resa nervosa.
Robert guardò Elvy e disse:
 
- … Sì, esatto: voglio comprare delle guide turistiche. –
 
Elvy si sedette con un tonfo sulla sedia girevole, poi rise leggermente. Robert non capiva: cosa c’era di così tanto divertente?
 
- Che cosa c’è? –
 
- … Niente, è solo che sono felice… -
 
Robert capiva quello che stava dicendo, ma gli servivano assolutamente quelle guide così cambiò discorso:
 
- Senta: mi servono le guide. In fretta. Posso averle subito? È per una cosa importante. –
 
Elvy si alzò dalla sedia ridacchiando. Doveva essere davvero felice.
Robert comprò la guida degli Stati Uniti e del Giappone. Elvy fece lo scontrino e disse:
 
- Sono 10 euro. –
 
Robert pagò in banconota, ma prima che potesse andare, Elvy gli restituì una banconota da 5 euro. Robert guardò il pezzo di carta verde e disse:
 
- Credo che abbia sbagliato Elvy: io le ho dato 10 euro giusti. -
 
- Questi sono il mio ringraziamento per aver reso la mia giornata bellissima. Sono i 5 euro che mi ha lasciato prima… li prenda, sono suoi. –
 
Robert guardò esitante la banconota, poi guardò Elvy e sorridendo disse:
 
- … La felicità non si compra: li tenga lei. Saranno più al sicuro nella sua cassa. –
 
Elvy sorrise a sua volta, mise via la banconota e disse:
 
- Lei è davvero un brav’uomo. Sono convinta che troverà la persona che sta cercando. –
 
Robert le sorrise, la salutò e tornò alla sala d’attesa di prima.
 
***
 
Sono le 21.18 del 23 Dicembre 2015. Robert è seduto in sala d’attesa da quasi tre ore e ancora non aveva trovato le informazioni che cercava: gli Stati Uniti erano famosi per i loro fumetti sui supereroi, l’esercito di militari, la marina e tanti altri eroi di guerra; mentre il Giappone è famoso per i suoi fumetti, cartoni animati e il suo esercito militare o eroi di guerra… ma niente sembrava fare riferimento ad una “città degli eroi” o robe simili.
Era stanco, affamato e stufo di stare in quell’aeroporto. Ogni ora che passava, era un passo indietro dal trovare Lily.
Dopo aver finito di leggere l’intera guida del Giappone, Robert la poggiò sulla sedia in metallo e si lasciò andare sullo schienale. Gli doleva moltissimo il fondoschiena (era rimasto seduto troppo tempo), inoltre il suo stomaco iniziò a brontolargli fortissimo. Nonostante tutto, Robert sentiva sempre dentro di sé quella sensazione di piacere nel fare tutto questo. Non riusciva a spiegarselo, ma era come se provasse piacere nel affrontare degli imprevisti.
Decise di alzarsi per andare a mangiare qualcosa, così prese le sue cose e si avviò al primo bar aperto. Trovò un bar chiamato “Polo” e decise di mangiare uno dei panini che esponevano nelle vetrine e un caffè caldo da 200ml (costava molto, ma era una bella dose di caffè!).
Mentre mangiava, pensò a quello che aveva scoperto finora:
 
E’ davvero strano che gli Stati Uniti e né il Giappone non facciano nessun riferimento riguardo una “Città di eroi” in particolare. Quale città potrà mai essere? Ci lo sa…
 
Quando finì il suo panino, iniziò a bere il suo caffè macchiato. Nel bar, come sottofondo, c’era musica degli anni ’60, ovvero il rock. Robert era praticamente nato con quella musica e riconobbe la canzone che stavano producendo in quel momento: era di David Bowie (cantante diventato famoso negli anni ’70) e la canzone era “Heros”.
Per un momento Robert pensò che il destino lo stesse prendendo in girò, ma poi, sentendo il testo della canzone, si accorse di una cosa alquanto strana: c’era una frase che Bowie cantava spesso nel ritornello che diceva:
 
<< We can be heroes, forever and ever… […] We can be heroes, just for one day… >>
 
Per un momento, Robert ascoltò bene la canzone, poi il lampo di genio: prese velocemente la guida della Germania comprata da Elvy, la sfoglio e quando arrivò al paragrafo di “Berlino ed eventi musicali” iniziò a leggere:
 
<< Tre degli album segnarono la carriera di Bowie e la storia della musica: “Low”, “Heroes” e “Lodger”, detta anche la “Trilogia berlinese”. Nel 1981 uscì il film “Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino”. Il film, che parla della storia dell’adolescenza travagliata di Christiane, il cantante partecipò sia con la colonna sonora (con la canzone “Heros”), sia comparendo durante la scena di un concerto. Memorabile fu anche il festeggiamento dei 750 anni di Berlino, in cui David Bowie si esibì dal vivo su un palco posto vicino al Muro, nei pressi del Reichstag interpretando la canzone “Heroes”. >>
 
In quel momento, Robert capì la sua prossima destinazione: Berlino.
Per un momento rimase senza parole, ma poi iniziò a ridere silenziosamente. Era felice e finalmente poteva partire.
Mentre ridacchiava tra sé e sé pensò:
 
Eh eh eh... Lily, mi stai facendo impazzire lentamente!
 

Ora che sapeva la destinazione, poteva andare a dormire tranquillo.
 
***
 
Sono le 08.25 del 24 Dicembre 2015, la Viglia di Natale. Quel giorno Robert si era svegliato presto per evitare la coda al check-in ma ha dimenticato una cosa fondamentale: molti aerei erano stati cancellati il giorno prima, quindi molti dei passeggeri che dovevano partire sono rimasti bloccati all’aeroporto… quello che vide Robert, lo fece stare malissimo: code infinite al check-in già di prima mattina. Probabilmente tutti avevano avuto la sua stessa idea.
Aveva sentito dire da una coppia americana (che era venuta in vacanza a Venezia) che i voli erano stati soppressi per via del maltempo e dello sciopero dei piloti (essendo la vigilia di Natale, molti hanno preferito passare quel giorno a casa piuttosto che passarlo in mezzo ad un banco di nubi cariche di neve).
Si mise in fila e dopo mezz’ora di coda, arrivò finalmente il suo turno. La signorina dietro al bancone, una ragazza asiatica con un sorriso a trentadue denti, disse:
 
- Buongiorno! Mi dica pure. –
 
Robert era esausto nonostante avesse dormito, ma cercò di essere il più normale possibile:
 
- Buongiorno. Vorrei prenotare un volo per Belino. –
 
- Certo signore. Per quando? –
 
- Il primo che c’è in lista. –
 
La signorina controllò la lista dei voli e dopo diversi minuti passati a cercare, gli riferì:
 
- Mi dispiace, ma voli diretti a Berlino non ce ne sono…Se vuole ce n’è uno alle 13.20 per Dresda, poi prendere un treno che va a Berlino. Ce ne sono molti sa? Le conviene molto di più. –
 
Robert preferiva prendere un diretto, ma si accontentò di quello che trovò. Comprò il biglietto del volo ad un prezzo stracciante e tornò nella sala d’attesa ad aspettare. Erano solo le 09 di mattina, ma a lui non importava: aveva il suo volo e niente l’avrebbe fermato.
Arrivarono le 13.05. Durante l’attesa aveva dormito e ingannato il tempo in tutti i modi. Dopo aver consegnato la valigia da caricare sull’aereo, si diresse al gate che lo avrebbe portato a Dresda.
Fece un veloce calcolo delle ore che avrebbe trascorso:
Il volo durava un’ora e quaranta minuti, mentre il viaggio in treno durava quasi quattro ore… un totale di sette ore di viaggio (inclusi imprevisti).
A Robert non importavano le ore di viaggio perché era spinto dal desiderio di ritrovare Lily.
Non sapeva perché la sua mente dicesse di andare avanti anche se era esausto; era qualcosa che nemmeno l’insegnante di psicologia che era in lui non trovava risposta… era molto strano.
Arrivato al tabellone dei voli, Robert trovò il suo volo scritto in giallo sulla seconda riga:
 
<< Ore: 13.20 – destinazione: Dresda – volo DRS4225 – Area: 6 >>
 
Non c’erano ritardi o cancellazioni quel giorno e Robert sentì il suo spirito più leggero. Si diresse al gate n.6 e notò una persona seduta ad un bar sorseggiare un caffè mentre leggeva il giornale di oggi: era Elvy.
Le si avvicinò, si sedette di fronte a lei e disse:
 
- Buongiorno Elvy. –
 
La signora abbassò il giornale e quando vide Robert, gli sorrise felice:
 
- Buongiorno a lei Robert. Ha trovato quello che cercava? –
 
- Si, finalmente. La risposta era nella guida della Germania che mi aveva dato. Ero talmente accecato dal trovare la risposta che non me ne sono accorto di averla già sotto il naso. –
 
Elvy rise. Anche Robert rise. Si sentiva stupido, ma alla fine, aveva le risposte che cercava.
La signora poggiò il giornale sul tavolo e mentre prendeva la tazza fumante tra le mani ossute disse:
 
- Quindi parte oggi… -
 
- Si, esatto. Vado a Berlino. –
 
- E cosa farà esattamente a Berlino? Ha già idea di dove trovare la sua amica? –
 
Robert rimase per un momento a pensare: che cosa avrebbe fatto se avesse trovato Lily a Berlino? Non ci aveva mai pensato.
L’uomo guardò l’anziana signora che gli sorrideva poi, mentre giocherellava con le dita, rispose:
 
- … In realtà non ne ho idea di quello che farò appena arrivato: non so nemmeno se troverò ancora lì la mia amica… -
 
Robert giocò ancora un po’ con le dita finché, dopo un respiro profondo, cambiò argomento:
 
- Sono felice di averla salutata prima di andare. –
 
Elvy bevve un sorso, poggiò la tazza sul tavolo e disse:
 
- Già… avrei voluto che Lily avesse fatto lo stesso con me… -
 
Robert rimase in silenzio. Elvy aveva conosciuto per davvero Lily.
Rimase ammutolito, senza parole; poi, confuso disse:
 
- … Co-come sarebbe a dire? Lei mi aveva detto che non conosceva –
 
- Mi ha chiesto lei di mentirti. Voleva che tu trovassi la risposta da solo. Mi disse che se ti avessi aiutato, avrei infranto una delle regole del vostro gioco. Onestamente non sapevo di cosa parlava. Quella ragazza era un vero mistero, però era simpaticissima. –
 
Robert rimase senza parole. In effetti, nella prima lettera aveva detto che avrebbe dovuto fare da solo per trovarla. Doveva arrangiarsi come poteva con la sua conoscenza e la sua esperienza.
Mentre scendeva dalla sedia del bar, Elvy prese il suo giornale, pulì il tavolo dalle briciole e disse:
 
- Credo che tu ora debba andare: il tuo volo parte tra pochi minuti… -
 
Robert si svegliò dalla sua trace e guardò l’ora: le 13.15.
Come una furia, prese il suo borsone e le sue cose, se le caricò in spalla e disse:
 
- Grazie mille di tutto Elvy! Non ti dimenticherò mai! Buon Natale in anticipo! –
 
Elvy lo guardò correre verso il gate e quando sparì dietro l’angolo disse:
 
- … Buon Natale anche a te Robert. –
 
Corse più veloce che poteva, raggiunse il gate n.6 fece il check-in e salì sull’aereo che lo avrebbe portato in Germania. Mentre sistemava i suoi bagagli a mano sul vano sopra di lui pensò:
 
Sono anni che non torno in Germania… Chissà quant’è cambiata dall’ultima volta.
 
Si sedette e aspettò che l’aereo prese il volo. Finalmente stava per raggiungere Lily!

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Capitolo 10
*** Thailand ***


Capitolo 10: Thailand

 
Domani è giorno di Natale e Robert è solo alla stazione dei treni di Dresda. È la prima volta che passa la vigilia di Natale da solo, senza qualcuno accanto…
Mentre aspetta il treno regionale, Robert prova ad ascoltare i suoni che lo circondano: la stazione non emette alcun rumore, eccetto la voce lontana che annuncia l’arrivo dei treni dai megafoni in tedesco.
Non c’è nessuno; è vuota, silenziosa come una tomba e questo mette molto in soggezione Robert.
Sono le 17.46 del 24 Dicembre 2015 e quella stazione dei treni gli ricordava qualcosa… gli sembrava stranamente familiare. Forse, durante la sua vacanza nel ’78, era passato in questa stazione, ma non ricordava bene il viaggio in treno. Era un ricordo molto sfocato e confuso…
Faceva un freddo incredibile e la temperatura sarebbe diminuita ancora verso sera: erano quasi 4°C ora, ma la notte arrivava anche a meno zero.
Mentre tremava per il freddo, Robert pensò al volo in aereo che aveva fatto per arrivare fino a qui: fu molto tranquillo; talmente tanto che dormì per tutto il viaggio. Lo svegliò una hostess appena tutti i passeggeri furono scesi. Il volo era durato due ore circa, ma per Robert era come se fossero passati 5 minuti…
Mentre emanava nuvole di fumo freddo bianche dalla bocca, Robert tentava di scaldarsi: aveva fatto qualche esercizio di ginnastica per tenersi al caldo e far circolare il sangue un po’ ovunque, ma sembravano non funzionare. Il suo treno sarebbe arrivato a momenti e non vedeva l’ora di salirci per stare un po’ al caldo.
Gli venne in mente un altro modo per scaldarsi: tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette Marlboro, ne mise una in bocca, tirò fuori l’accendino e, con le mani tremanti, l’accese per poi fumarla a pieni polmoni. Come per magia, la sensazione di freddo sparì subito. Robert non fumava da quasi due anni ormai e si era promesso di non fumare più, ma in quel momento era quello di cui aveva bisogno.
Mentalmente Robert si sentiva più forte, mentre il fisico pian piano si riprendeva grazie al potere della nicotina.
Mentre inspirava qualche boccata di fumo, Robert pensò a quello che gli sarebbe aspettato a Berlino: cosa avrebbe trovato? Ma soprattutto, chi avrebbe trovato?
In lontananza si sentì un forte fischio, si voltò a guardare e vide il suo treno arrivare al binario. Spense la sigaretta in un posacenere lì accanto, prese le valigie e aspetto che il treno si fermasse. L’interno del treno era molto confortevole: i sedili erano in velluto blu scuro e azzurro, il tavolino era spazioso e nel vagone dove si trovava era occupato solo da altri due passeggeri (uno addormentato e l’altro intento a leggere qualcosa). Sistemò le borse sopra di lui, mise le sue cose sul tavolino e si sedette vicino al finestrino. Mentre aspettavano di partire, iniziò a nevicare. Robert guardò fuori e mentre i fiocchi di neve cadevano lenti e leggeri sul suolo pensò:
 
Chissà se Lily sta guardando la stessa neve che sto guardando io? … Vorrei tanto sapere dov’è ora…
 
Lentamente il treno si mosse dal binario per poi andare a tutta velocità verso la capitale. Robert aveva tre ore di viaggio che lo attendevano, tante domande senza risposte e una stanchezza che gli pesava sulle spalle come un macigno. Lentamente, chiuse gli occhi, e si addormentò sereno cullato dal dondolio del vagone.
 
***
 
Gli doleva tutto. Quel male atroce che pulsava in ogni parte del suo corpo, assomigliava a tanti piccoli bisturi impiantati. Riusciva a malapena a muoversi…
Tentò di alzarsi, ma senza riuscirci. Riprovò di nuovo, lentamente, ma le braccia sembravano volerlo abbandonare. Ricadde a terra stremato. Il respiro si faceva affannato e piccole gocce di sudore cadevano dalla sua fronte… con grande raccapriccio, quando passò la mano per asciugarsi, si accorse non era sudore, ma sangue fresco, caldo, rosso.
Aveva una ferita alla fronte e stava sanguinando molto.
Robert cercò di ricordare:
 
Ch-che diavolo è successo? Ero alla manifestazione… poi…
 
La testa gli doleva anche solo a pensare. Era come se un grosso martello pneumatico gli stesse martellando l’interno del cervello.
Non riusciva a mettere a fuoco quello che lo circondava: vedeva tutto nero… poi si accorse che era già notte! Per quanto tempo era rimasto lì incosciente?
Tentò una terza volta di rialzarsi e ci riuscì appoggiandosi al muro lì vicino; riprese fiato e mise una mano all’altezza dello stomaco. Gli facevano malissimo i muscoli e un senso di nausea lo travolse. Tentò di trattenersi e quando passò tutto, si avviò per tornare a casa.
Berlino di notte era completamente diversa alla luce del sole: la Friedrichstraße illuminata dalle luci, la porta di Brandeburgo imponente all’orizzonte, i bar aperti pieni di gente… era tutto un altro mondo quando calava il buio.
Mentre camminava lento per le strade, Robert notò alcuni vetri di negozi distrutti. Probabilmente la rivolta si era spostata lontana prima di essere sedata.
Appena arrivò in stazione per prendere la “U-Bahn”, metropolitana tedesca, le poche persone che c’erano al suo interno (per la maggior parte barboni o ubriachi), lo guardavano in modo strano. La ferita alla testa era rimasta tale e quale per molto tempo e sicuramente aveva un aspetto orribile. Decise di andare nel bagno degli uomini per darsi una ripulita, ma appena si vide allo specchio, capì che era peggio di quello che s’immaginava: aveva un occhio nero, un tagli sul labbro inferiore, la ferita alla testa e la faccia ricoperta di sangue (compresi i vestiti). Probabilmente aveva anche qualche osso rotto ma non voleva saperlo; aprì il rubinetto dell’acqua fredda, si lavò per bene il viso, si curò le ferite e, strappando una manica del maglione, la usò come tampone per curare la ferita sulla testa.
Uscì dal bagno, sconvolto dal suo aspetto, quando all’improvviso un barbone gli si avvicinò e gli disse:
 
- Hey Junge, bist du ok? Was ist passiert du? (Hey ragazzo, stai bene? Che cosa ti è successo?) –
 
Robert guardò il vecchio signore con aria confusa. Non parlava una parola di tedesco e non capiva quello che gli avesse detto. Robert lo guardò in silenzio e disse:
 
- … Mi scusi non la capisco… parla inglese? –
 
Il vagabondo lo guardò con aria preoccupata e confusa allo stesso tempo.
Robert pensò:
 
A quanto pare no…
 
Il vagabondo prese qualcosa dalla tasca della giacca, tirò fuori una mini-bottiglia di Vodka Jägermeister, la offrì a Robert e disse:
 
- Hier. Diese Sie werden fühlen sich gut. (Tieni. Questo ti farà sentire meglio.) –
 
Robert prese in mano la bottiglietta e la bevve tutta d’un sorso. Lo stupì molto la generosità di quel vagabondo e si sentiva molto più tranquillo ora. Fece una smorfia di disgusto per il sapore molto forte di alcool e anice stellato. Il barbone sorrise, gli poggiò una mano sulla spalla delicatamente e disse:
 
- Ich kenne einen Freund, der Ihnen helfen kann: Hans! Kommt hier! (Conosco un amico che può aiutarti: Hans! Vieni qui!) –
 
Robert guardò in direzione indicata dall’uomo e vide arrivare un altro vagabondo che con fare calmo disse:
 
- Parli inglese? Capisci quello che dico? Cosa ti è successo? –
 
Appena sentì l’uomo parlare inglese, Robert pensò:
 
Oh grazie al cielo! Qualcuno che mi…
 
All’improvviso, Robert si sentì mancare.
Barcollò, poi cadde a terra come una bambola di pezza. I due uomini lo presero prima che battesse la testa violentemente sul pavimento, lo fecero stendere e provarono a chiamarlo:
 
- Hey ragazzo! Resta con noi! –
 
- HILFE! Rufen Sie ein Krankenwagen! (AIUTO! Chiamate un’ambulanza!) -
 
La mente iniziò a fargli vedere cose che non esistevano. La vista era presa da un tremito, come se fosse in balia delle onde del mare. Vedeva i suoi soccorritori sopra di lui, poi altra gente avvicinarsi che lo chiamavano, poi…
Un forte rumore di freni svegliò Robert soprassalto. Era sul treno. Erano fermi ad una stazione. Si alzò, si guardò attorno e si accorse di essere arrivato al capolinea.
Mentre prendeva tutte le sue cose, pensò a quel sogno. Continuava a perseguitarlo ed iniziava a dargli fastidio...
Col respiro affannato, si caricò di tutte le sue valigie e scese dal mezzo di metallo.
La stazione di Berlino era grandissima: è formato da 5 piani (tre piani superiori, un pian terreno e uno sotterraneo) tutti strutturati da travi in metallo pesantissime e gigantesche. Prese una delle scale mobili e sali lentamente verso l’uscita. Si guardò attorno: erano cambiate moltissime cose dall’ultima volta.
Arrivato in cima, cercò un’uscita e notò il grande orologio appeso: segnava le 21.15 precise. Anche se non era così tardi, lui era stanchissimo. Uscì dalla stazione, si guardò attorno e pensò:
 
Lily avrà preso sicuramente un aereo diretto per arrivare a Berlino, quindi l’indizio dev’essere all’aeroporto… adesso pensiamo dove passare la notte…
 
Cercò il primo cartello che indicasse un hotel e si addentrò nelle strade Berlinesi.
Le strade notturne le ricordava esattamente come le aveva viste anni fa: locali pieni di gente, le luci, le vie principali illuminati… c’era solo qualche grattacielo in più che sbucava verso alto.
Arrivò in un hotel lì vicino, il “Meininger Berlin Central Station”, prenotò una camera per una notte e quando ci entrò, lanciò le valigie dove capitarono e si buttò sul letto. Fece un respiro profondo: sprofondare nelle lenzuola pulite è una bellissima sensazione… tra l’altro erano appena lavate…
Scese al ristorante del hotel, cenò con un bel piatto di salsiccia e crauti, poi tornò su in camera. L’abbiocco post-cena iniziava a farsi sentire…
Accese la TV, la guardò per mezz’ora e, senza volerlo, si addormentò.
 
 
***
 
La mattina seguente si svegliò verso le 09.00; si fece una doccia, si cambiò i vestiti, fece colazione al bar del hotel, prenotò una seconda notte alla reception e si preparò per andare all’aeroporto. Non aveva idea di cosa avrebbe trovato arrivato all’aeroporto, ma si aspettava degli indizi simili a quelli trovati a Venezia.
Robert si diresse al primo InfoPoint che trovò e comprò una cartina della città. Il ragazzo dietro al bancone gli disse:
 
- Danke! Und Frohe Weihnachten Herr! (Grazie! E buon Natale signore!) –
 
Robert lo guardò per un momento perplesso: si era dimenticato che era oggi il giorno di Natale. A furia di viaggiare aveva perso la cognizione del tempo.
Robert ricambiò gli auguri e uscì dalla struttura. Fuori nevicava ma questo non sembrava dargli fastidio. Visto che era il giorno di Natale, Robert avrebbe voluto esprimere un desiderio: ritrovare Lily… ma questo dipendeva solo da lui.
Guardò al cartina e scoprì che l’aeroporto, prendendo il treno, distava neanche 20 minuti. Tornò alla stazione e prese il primo treno diretto.
Dopo mezz’ora, arrivò all’aeroporto di Berlino: la struttura assomigliava molto ad una gigantesca nave da guerra. Le torri di controllo assomigliavano a giganteschi alberi maestri, mentre le persone con enormi valige correvano di qua e di là come matti. Sembrava che i marinai di quella grande nave fossero comandati da un capitano inesistente che indicava ordini precisi e dettagliati.
Entrato nella Hall dell’aeroporto, Robert si guardò attorno: l’interno sembrava più grande rispetto all’esterno e la gente era il doppio che c’era fuori al parcheggio.
Mentre si guardava intorno pensò:
 
Devo cercare un banco della posta, così posso trovare il terzo indizio.
 
S’incamminò per i corrodi affollati alla ricerca della lettera.
Erano le 11.37 quando Robert si fermò per fare una pausa. Aveva girato in lungo e in largo per cercare l’indizio di Lily, ma ogni tentativo fu vano: camminava e ripassava per gli stesi piani più volte, tanto che gli agenti addetti alla sicurezza dell’aeroporto, lo fermarono diverse volte chiedendogli se avesse bisogno d’aiuto; ma come potevano se nemmeno lui sapeva dove cercare?
Controllò in tutti i banchi della posta esistenti all’aeroporto ma non trovò niente, nemmeno sui tabelloni magnetici.
Stanco e stremato dal lungo camminare, Robert si sedette su una sedia in metallo freddo di una delle sale d’attesa per riprendere fiato. Sospirò; sperava di trovare qualcosa, ma non trovò niente.
Mise la testa all’indietro poggiandola sullo schienale e pensò:
 
Miseria! Non c’è assolutamente nulla e ho controllato ogni posto possibile dell’aeroporto! Dove potrebbe essere…?
 
Mentre teneva la testa piegata all’indietro, Robert aveva la visuale riflessa del corridoio di fronte sul vetro dietro di lui. Era leggermente piegato in avanti e rifletteva il pavimento. C’erano diverse frecce che indicavano i vari gate per permettere alle persone di non perdersi, ma su una di quelle frecce c’era una scritta in nero.
Robert alzò la testa, si alzò dal suo posto e, quando uscì dalla sala d’attesa, si avvicinò ad una delle frecce. Mentre controllava, pensò:
 
Ma cosa…!
 
Robert notò che le indicazioni erano di vario colore (per distinguere i vari gate) mentre le scritte in bianco… su una delle frecce, quella rossa, c’era una piccola frase scritta in nero. Probabilmente indelebile.
Robert s’inginocchiò per leggere meglio e lesse:
 

<< Segui la freccia. >>

 
Robert segui la freccia rossa dipinta sul pavimento con lo sguardo e la vide diramarsi pochi metri più avanti. Con un sorrisino sulle labbra, Robert si alzò in piedi e iniziò a seguirla.
Mai avrebbe pensato che avrebbe dovuto seguire un indicazione così precisa. La prima cosa che pensò fu quella che era davvero lontano il posto dove voleva mandarlo Lily, e che quindi una semplice lettera non poteva direzionarlo bene come le frecce dell’aeroporto; ma a Robert l’idea piacque molto: semplice, sicura e dritta al punto.
Mentre camminava per i corridoi, notò che dalla folla di gente, era passato a neanche quattro persone in croce: c’era poca gente nel luogo dove stava andando e quasta cosa lo colpì molto. Perché non c’era nessuno qui?
Poi, arrivato a destinazione, capì: il gate dov’era diretto, era per soli voli interni (diretti a Dresda, Francoforte, Lipsia e altre città) e non c’era letteralmente nessuno. Era la “zona abbandonata” dell’aeroporto più affollato della capitale.
Robert seguì la freccia finché non terminò a pochi metri dal check-in, si guardò attorno e davanti a lui notò un cartello con un simbolo scritto col colore nero. S’avvicinò per vedere meglio:
 

<< ↑ >>

 
Robert capì che si trattava per forza di Lily. Alzò lo sguardo per guardare in direzione della freccia e notò sopra di lui uno striscione pubblicitario con scritto:
 
<< Besuchen Sie die Kunsthaus Tacheles! 22-30 Dezember Ausstellung mit Bildern von jungen Künstlern und talentierten geschaffen. Kommen Sie in vielen!
(Visitate la casa d'arte Tacheles! dal 22 al 30 Dicembre mostra di quadri creati da artisti giovani e dotati di talento. Venite in molti!) >>
 
Da quel momento, Robert capì: la Kunsthaus Tacheles era la sua prossima destinazione.
Robert continuò a guardare in alto e con un sorrisetto sulle labbra rise felice. Mentre rimaneva li immobile col naso all’in su, pensò:
 
Questa caccia inizia a piacermi da matti!
 
 
***
 
Erano le 12.49 quando Robert arrivò davanti alla Kunsthaus Tacheles nella Oranienburgerstraße nel distretto di Mitte. La Kunsthaus Tacheles (o detta semplicemente “Tacheles”) è un vecchio edificio abbandonato, fatiscente e parzialmente demolito pieno di graffiti e dipinti su tutte le pareti. Doveva essere abbattuto ma venne occupato nel 1990 e utilizzato come sede di collettivi di svariati artisti. Ora è un centro sociale di ritrovo per ragazzi giovani, pieni di talento e voglia di divertirsi. Robert non sapeva se entrare o no: poteva essere benissimo chiuso perché non c’era nessuno in giro. Tentò comunque e provò ad entrare.
Appena entrò nel cortile, sentì una presenza piacevole, come se qualcosa o qualcuno lo stesse invitando ad entrare, ma dentro di sé, la mente, gli dava segnali d’allarme.
Mentre guardava e ammirava le pareti, sentì delle voci in lontananza: erano voci di ragazzi e ragazze che ridevano e scherzavano. Si avvicinò vicino ad una porta a vetri per vedere chi fossero questi ragazzi e sopra notò un’insegna: “Cafè Zapata”.
Appena varcò una porta, si trovò di fronte un bar con gente che chiacchieravano attorno al bancone. Robert si guardò attorno. Lo stile del bar era uno stile improvvisato, tirato su al momento, ma unico nel suo genere: le sedie e i tavoli in legno lucido chiaro; le pareti ricoperte di graffiti e poster strapparti; il pavimento in mattonelle azzurro e giallo opache davano un tocco di antichità alla stanza come tante altre cose.
Mentre ammirava stupefatto il bar, una ragazza lo notò, gli si avvicinò e disse:
 
- Was möchten Sie tun? Wir haben geschlossen. Heute Abend zurückkomme, wenn er einen Drink will ... (Che vuoi? siamo chiusi. Torna questa sera se vuoi bere qualcosa...) –
 
Robert vide la ragazza davanti a sé: piena di piercing; tatuaggi sulle braccia e mani; capelli bianchi lunghi scalati fino alle spalle; rossetto nero; septum al naso; una maglietta con il logo dell’anarchia rosso; pantaloni neri strappati e anfibi neri sicuramente più grandi del suo numero attuale. Guardava Robert con espressione di sfida, come se stesse proteggendo il suo territorio.
Robert guardò la ragazza negli occhi: erano di un azzurro chiaro lunare. Avrebbe ipnotizzato chiunque.
La ragazza lo chiamò una seconda volta:
 
- So? Er hörte mich? Gehen Sie heute Abend, wenn Sie trinken wollen, aber jetzt geht es ...
(Allora? Mi ha sentita? Torna questa sera se vuoi bere, ma adesso vattene…) –

 
Robert la guardò confuso, ma era convinto che la ragazza lo avesse invitato ad andarsene:
 
- … Non capisco quello che dici: parli inglese? –
 
La ragazza, evidentemente scocciata, gli ripeté:
 
- Ho detto che siamo chiusi. Se vuoi qualcosa da bere vieni stasera. Ora scusa, ma devi proprio andartene: ho lo stinco di maiale in forno che mi aspetta… -
 
Si avviò verso una porta (probabilmente la cucina), ma prima che potesse sparire dietro al porta, Robert le disse:
 
- Sono qui perché sto cercando una persona. Forse tu puoi aiutarmi. –
 
La ragazza si fermò, si volse verso di lui (con sguardo di chi pensa “Cazzo-lasciami-andare-che-il-maiale-si-brucia!”) e disse:
 
- Dipende di chi si tratta… come si chiama? –
 
Robert si guardò attorno: gli altri ragazzi attorno al bancone si erano voltati a guardarlo. Convinto che lo avrebbero mandato fuori a calci, si sbrigò a rispondere:
 
- … Lily. Lily Clark… -
 
La ragazza, sentendo il nome, cambiò espressione e spalancò gli occhi. A quanto pare la conosceva eccome. All’improvviso, la ragazza si diresse verso di lui e disse:
 
- Sei qui per lei? –
 
Robert guardò la ragazza leggermente spiazzato. Cercò di tranquillizzarla:
 
- Sono un suo amico. Mi ha lasciato degli messaggi dicendomi di venire qui e –
 
- Sai dov’è? Sta bene? –
 
La ragazza sembrava seriamente preoccupata. Robert avrebbe voluto dirle che stava bene, ma nemmeno lui lo sapeva…
Con aria perplessa disse:
 
- … Non lo so nemmeno io. È stata qui con voi ultimamente? –
 
La ragazza si spostò una ciocca di capelli bianchi dal viso e disse:
 
- E’ sparita due giorni fa. Viveva qui con noi fino a poco tempo fa ma poi, come è arrivata, è sparita nel nulla. Era davvero gentile e dolce… -
 
Robert sospirò. Era già in un'altra città. Se fosse arrivato in tempo prima…
Gli fece un'altra domanda:
 
- E non sai dove sia andata? –
 
- Come le ho già detto, è sparita all’improvviso senza dire nulla a nessuno. Mi è dispiaciuto molto… mi ero davvero affezionata a lei… -
 
Robert sospirò di nuovo. Niente indizi. Doveva cercare ancora una volta da solo…
Senza perdere tempo, salutò il gruppo di ragazzi dicendo:
 
- Beh, grazie per le informazioni. Buon Natale a tutti. –
 
Fece per andarsene, ma la ragazza dai capelli bianchi disse:
 
- Hey! –
 
Robert si voltò e disse:
 
- Cosa? –
 
- … Noi stiamo facendo il pranzo di Natale tutti assieme… vuoi unirti anche tu? È il minimo che possa offrirti… -
 
Robert guardò la ragazza: all’improvviso si era addolcita in una maniera che non sapeva descrivere. Guardò il gruppo di ragazzi seduto al bancone e disse:
 
- Sicura? Non disturbo? –
 
- Nessuno disturbo. Gli amici di Lily sono anche miei amici. Vieni, accomodati vicino ad Axel, il ragazzo coi capelli verdi. Gli chiedo di prenderle una sedia: Axel! Nehmen Sie einen zusätzlichen Stuhl. Der Herr essen mit uns. (Axel! Prendi un’altra sedia: il signore mangia con noi.) –
 
Axel, un ragazzo alto, pieno di piercing, una cresta da punk verde, abiti gotici e un kilt a scacchi neri, rossi e bianchi; prese una sedia lì vicino e la porse a Robert. Si sedette, mentre la ragazza dai capelli bianchi disse:
 
- Adesso vado a prendere la portata principale. Mettiti pure comodo e conversa coi miei amici signor… -
 
- Robert. Molto piacere. E tu sei… -
 
- Dorothea. Dodo per gli amici. –
 
Robert le strinse la mano e disse:
 
- … Grazie per l’invito Dodo. –
 
Dodo gli sorrise, andò verso la cucina e sparì dietro le porte pieghevoli. Robert iniziò a conversare con tutti: esteticamente non si sarebbe mai messo a parlare con loro (data la differenza di età), ma in realtà, sono le persone più gentili e ospitali che lui abbai mai conosciuto: parlavano di politica, della società, di arte e molto altro. Erano ragazzi colti e molto informati sulla vita: molti di loro infatti, ne avevano viste di tutti i colori già dall’infanzia.
Quando Dodo arrivò con una grossa teglia da forno, tutti iniziarono ad esultare felici: mise la teglia in mezzo al bancone e disse:
 
- Jungs ... dienen Sie sich selbst! Es für jeden uns. (Ragazzi… Servitevi! Ce n’è per tutti.) –
 
I ragazzi iniziarono il cenone di Natale. Mentre mangiavano e bevevano, tutti ridevano, scherzavano e si facevano i dispetti a vicenda… erano come essere in una grande famiglia.
Mentre addentava un pezzo di carne, Robert pensò:
 
Questo Natale è decisamente il migliore a cui abbia mai partecipato!
 
Dopo molte portate e molti bicchieri di birra, Robert stava andando ancora in abbiocco. Lo stomaco era pieno e se avesse preso qualcos’altro sarebbe sicuramente scoppiato. Mentre gli altri aiutavano a sparecchiare, Dodo gli si avvicinò e gli disse:
 
- Spero che tu abbia gradito il pranzo… -
 
- Eccome se l’ho gradito! Non mangiavo così da anni… poi il maiale era fantastico! –
 
Dodo sorrise. Era la cuoca del gruppo e i suoi piatti erano amati da tutti.
Robert si passò una mano sullo stomaco e con profondo sospiro disse:
 
- … Ho mangiato decisamente troppo. Non è che ci sarebbe un divano o una poltrona? Mi farei una pausa per riprendermi… -
 
Dodo rise divertita. Anche gli altri ragazzi (tra cui Axel) ronfavano beatamente su una delle poltrone. Dodo indicò una porta coperta da una tenda bordò e disse:
 
- Dietro quella tenda c’è la zona fumatori. Ci sono cuscini in abbondanza. Vai pure lì a riposare. Noi mettiamo a posto qui. –
 
Alzandosi a fatica, Robert si mise in piedi, ringraziò Dodo e si avviò verso la porta. Appena entrò, capì di cosa ti trattava veramente: c’erano poster con raffiguranti Bob Marley, foglie di Marijuana, disegni ipnotici, luci fioche arancioni, cuscini, tende in stile indiano, narghilè e bong di ogni forma e colore adornavano il centro della stanza e gli innumerevoli scaffali. Era la zona fumatori sì, ma di fumatori “speciali” …
Robert sistemò dei cuscini, una coperta e si sdraiò. Mentre si metteva comodo, pensò alla prima volta che aveva fumato in tutta la sua vita: avrà avuto 14 -15 anni forse e lo aveva fatto perché voleva entrare a fare parte di un gruppo di ragazzi più grandi di lui… la cazzata più grande che avesse mai fatto a quei tempi.
Mentre ridacchiava per le sue idiozie fatte da adolescente, chiuse gli occhi e si addormentò come un sasso.
 
Non vedeva nulla. C’era solo il buio attorno a lui, ma sentiva delle voci, non vedeva nessuno, ma sentiva tutto; e la cosa lo spaventava parecchio. Le voci parlavano in tedesco e lui non ci capiva nulla:
 
- … Bringe Er sofort auf die Intensivstation! Schnell! (Portatelo in rianimazione! Svelti!) … –
 
Erano echi lontani, e rimbombavano nella sua mente come se fossero lontane chilometri e chilometri… provò ad aprire gli occhi, ma la sua vista era sfocata: è sdraiato e ci sono delle sagome opache sopra di lui, ma non riesce a riconoscerle. Una di quelle sagome si avvicinò al suo viso, gli poggiò delicatamente la mano sulla guancia destra per poi schiaffeggiarla piano:
 
- … Junge! Können Sie hören mich? Wie heißt Du? (Ragazzo! Puoi sentirmi? Come ti chiami?) –
 
Robert non capiva una sola parola di quello che dicevano e iniziava ad andare in agitazione. Il suo cuore andò a mille e le sagome, preoccupate, dissero:
 
- … Er geht in einen Schockzustand! Geben Sie ihm sofort Warfarin! Schnell! (E’ andato in Shock! Dategli del Warfarin! Svelti!) –
 
 Robert sentì il cuore andare veloce, come se fosse un treno in corsa. Iniziò ad ansimare, poi sentì perdere il controllo del suo corpo e…
Un odore strano aleggiava nella stanza. All’inizio sembrava plastica bruciata, ma poi sapeva di fieno bruciato. Robert aprì gli occhi lentamente e davanti a sé vide un alone di fumo aleggiare per la stanza. Pensando che fosse un incendio, si alzò di scatto, si guardò attorno e vide Marx (uno dei ragazzi che aveva pranzato con lui) intento a fumare da un narghilè verde scuro. Stava prendendo delle profonde boccate per trattenerle per qualche secondo e poi, buttare fuori il fumo a tutti polmoni. Robert guardò il ragazzo spaventato e poi pensò:
 
Vuoi vedere che quel sogno che ho fatto è per via dell’odore di Marijuana? Sicuramente mi avrà scombussolato la mente…
 
Robert si passò una mano sul viso, guardò di nuovo il ragazzo e, con non-calanche, Marx gli disse:
 
- … Wollst Du einen Schuss zu bekommen? Es ist gut ... (Vuoi farti un tiro? È roba buona…) –
 
 
***
 
Arrivò la sera e il bar iniziò ad animarsi: tutti i ragazzi di Berlino sembravano essersi riuniti qui per stare assieme tuta la notte. Robert li guardava da un angolo del bar con un sorriso sul viso: era da tempo che non vedeva scene così e gli piaceva molto. Mentre Axel lavorava dietro al bancone, Dodo gli si avvicinò per offrigli un Long Island:
 
- Tieni. Questo lo offro io. –
 
Robert prese in mano il cocktail, ne bevve un sorso e disse:
 
- … E’ buonissimo! –
 
- La ricetta originale prevede Vodka, Gin, Rum bianco, Tequila e Liquore “Triple sec”, ma io lo modifico col Chinotto o the alla pesca. Da molto più sapore. –
 
Robert bevve ancora un sorso: era davvero squisito! Si guardò attorno, poi si rivolse a Dodo:
 
- C’è sempre così tanta gente? –
 
- Di solito si, soprattutto il fine settimana: il venerdì sera è il delirio, perché tutti sono pronti per divertirsi e rilassarsi; sabato è la stessa cosa ma peggio, mentre la domenica si può respirare un pochino… -
 
Robert non immaginava cosa dovesse significare lavorare dietro un bancone di un bar, ma doveva essere stressante:
 
- E riuscite comunque a tenere tutto sotto controllo anche se siete solo voi 6? –
 
Il gruppo che gestiva il Cafè Zapata erano solo 6 ragazzi: Dodo, Axel, Marx, Hilda, Anja e Bjorn. Tutti e 6 lavoravano come una squadra per mandare avanti il locale e, nonostante alcuni debiti, riuscivano a mandare avanti il bar molto bene.
Mentre Dodo guardava Anja e Hilda servire gli ordini ai tavoli, rispose alla domanda di Robert:
 
- Si, anche se prima con l’aiuto di Lily era molto più semplice: era uno solo in più, ma lei ha fatto la differenza in questo locale… -
 
Robert finì di bere il suo terzo sorso. Era già arrivato a metà bicchiere. Guardò Dodo e notò che era pensierosa:
 
- Lily lavorava qui? –
 
Con espressione malinconica, Dodo raccontò qualcosa di Lily che Robert non aveva mai saputo:
 
- Per qualche settimana sì. Aveva iniziato come cameriera servendo ai tavoli: serviva sempre sorridendo con una gioia incredibile e tutti se ne innamoravano subito. Diventava amica delle ragazze e i ragazzi stavano con lei molto volentieri. Alcuni ospiti rimanevano addirittura fino all’orario di chiusura per invitarla a mangiare qualcosa fuori… era amata da tutti. -
 
Dodo riprese fiato quando Anja le portò un Cuba libre, bevve un lungo sorso e riprese a parlare:
 
- Per i soldi era sempre una battaglia persa: io le offrivo dei soldi per il lavoro che faceva, ma lei si rifiutava tutte le volte di prenderli: “Non voglio soldi” diceva, “Voglio solo aiutare. Lo faccio per una buona causa.” … dopo settimane che rifiutava i soldi, glieli ho nascosti in una busta di carta sopra il cuscino in camera sua, come regalo di Natale… il giorno dopo se n’è andata. -
 
Robert guardò Dodo senza parole: non immaginava che Lily avesse questo lato nascosto.
Lei l’aveva vista sempre con l’atteggiamento di chi combatte per sopravvivere a ciò che lo sta uccidendo a scuola… ma fuori… fuori era tutto un altro mondo per lei: non doveva proteggersi, non doveva avere paura di perdere…
Dodo bevve un altro sorso di Cuba libre, guardò il ghiaccio roteare e disse:
 
- Ha partecipato anche a molti concorsi di pittura, compreso quello che c’è qui in esposizione: ti va di andare a vedere? –
 
Robert bevve l’ultimo sorso del suo Long Island e disse:
 
- Certo! Però mi prendo volentieri un altro cocktail. -
 
Dopo aver preso un John Collins, Dodo fece strada a Robert su per una rampa di scale piena di gente. Mentre salivano, Robert notò le pareti rivestite di graffiti colorati e poster strappati, mentre le finestre opache lasciavano intravedere le luci esterne della città.
Dodo entrò in una sala a parte molto spaziosa e quando Robert la seguì, rimase senza parole: le pareti, compreso anche il soffitto, erano rivestiti da dipinti fatti con bombolette, pittura e altre tecniche. Era uno spettacolo a dir poco eccezionale.
Mentre ammirava col naso all’insù, Dodo spiegò a Robert cosa significasse quella mostra per loro:
 
- Questa sala prima era spoglia. La usavamo come magazzino per le robe da bere e da mangiare; poi abbiamo pensato di utilizzarla come mostra d’arte per i ragazzi e infatti vedemmo giusto: dopo aver annunciato che avremmo voluto ridipingere la sala, molti artisti si precipitarono per chiedere il loro contributo. Non ho mai visto così tanti ragazzi lavorare per un unico fine… il dipinto sulla parete di sinistra, nella fila centrale, è quello di Lily. –
 
Robert si avvicinò per vedere il dipinto e, con sua grande meraviglia, vide un disegno che lo lasciò senza parole: una ragazza, intenta a leggere un libro, stava seduta in un vagone del treno pieno di fiori, erba verde e tanti petali che volavano leggiadri. Il salice in fondo al vagone era maestoso, imponente, ma l’ambiente che lo circondava lo faceva sembrare un gigante gentile…
Robert rimase affascinato dal quel dipinto, dalla fantasia di colori che aveva usato Lily, ma soprattutto dalla bellissima idea che aveva prodotto. Semplicemente magnifico.
Robert e Dodo rimasero a guardarlo a lungo, come se si aspettassero che la ragazza si muovesse da un momento all’altro; poi, dopo qualche minuto passato a guardare, Dodo disse:
 
- Io torno giù dai ragazzi; avranno bisogno in questo momento… Tu che fai? –
 
Senza distogliere lo sguardo, Robert rispose:
 
- … Credo che rimarrò qui a guardare ancora un po’ il dipinto se non ti dispiace… -
 
Dodo sorrise. Sapeva cosa provava. Gli diede una leggera pacca sulla spalla e disse:
 
- Certo. Ci vediamo giù. –
 
Dodo si avviò e Robert tornò ad ammirare il dipinto di Lily. Era davvero magnifico e il suo primo pensiero fu:
 
E’ davvero magnifico questo dipinto! Sembra la rappresentazione di un sogno…
 
Guardò ancora una volta il dipinto e notò qualcosa di strano: sulla copertina del libro, quasi in maniera invisibile, c’era scritto qualcosa. Robert si avvicinò per vedere meglio.
Appena fu abbastanza vicino, lesse a mente:
 

Magic Bus
Cafè Pföntner
(Berlin)

 
Robert pensò a quel nome: lo aveva già sentito… ma dove lo aveva sentito?
Scese di corsa al pian terreno, cercò Dodo tra la folla e quando la trovò, lei gli disse:
 
- Ah, eccoti qui! Ti va di provare –
 
- Dodo, mi serve il tuo aiuto: devi dirmi dove si trova un certo posto. –
 
 
***
 
Arrivato alla Uferstraße nel distretto del Gesundbrunnen, Robert cercò il bar indicato da Lily nel dipinto. Dodo gli aveva fornito le indicazioni del bar affinché potesse trovarlo. Appena trovò il bar, Robert venne accolto da uno strano locale: un autobus abbandonato senza ruote ristrutturato dove la gente ci saliva per bersi un caffè in santa pace e una piccola struttura adiacente che faceva da secondo locale.
Robert entrò nel locale e chiese di Frie (Friederike, la proprietaria) dicendogli che lo mandava Dodo.
Si accomodarono in un tavolino del bus e spiegò a Frie (una ragazza bassa coi capelli pieni di treccine biondi, tatuaggi, septum al naso e diverse piume di pavone sulla testa) il motivo della visita.
Frie disse una cosa che preoccupò molto Robert:
 
- Lily? Si, mi ricordo di lei: veniva qui qualche volta per bere qualcosa. Mi ha anche lasciato una busta con dei soldi... non so per quale motivo l’abbia fatto: non aveva debiti con me. Pagava tutto anticipatamente… –
 
A Robert venne il batticuore sentendo quella frase: Lily aveva dato via tutti i suoi soldi? Per quale motivo?
Robert tentò di calmarsi, prese un respiro profondo e domandò:
 
- Per caso ha lasciato qui qualcosa? Che ne so, una lettera, un messaggio… -
 
Frie si abbandonò al sedile della sedia e, incrociando le braccia con aria perplessa disse:
 
- Mmmm… mi dispiace ma non ha lasciato nulla. Almeno che io sappia! Quella ragazza veniva qui a bere e basta. –
 
Robert strinse i pugni. Doveva esserci un motivo se l’aveva condotto fin qui.
Si guardò attorno e vide una coppia di innamorati parlare sorridenti, poi si voltò di nuovo verso Frie e disse:
 
- Sei davvero sicura che non abbia lasciato nulla qui? Qualunque cosa può essere d’aiuto… -
 
Frie ci pensò un attimo poi, con uno schiocco di dita disse:
 
- Si! Ci sono! Il libro delle recensioni! Torno subito! -
 
Frie si alzò di scatto e sparì dal bus. Robert non capì quello che intendeva dire, ma rimase fermo al tavolo ad aspettare. Forse aveva un indizio.
La ragazza bionda tornò poco dopo con un cocktail “Screwdriver” e un libro grande quanto un enciclopedia (grande più di lei!). Appena prese in mano il mastodontico libro, Robert chiese:
 
- Che cos’è? –
 
Spostandosi una chiocca di rasta dal viso, Frie rispose:
 
- Questo è il libro delle recensioni. Ogni persona passata qui, lascia un’impressione scritta sul nostro locale. È molto meglio il cartaceo che TripAdvaisor… -
 
Robert guardò Frie, poi il libro. In effetti, era un’idea carina. Aprì il libro, ringraziò Frie e iniziò a cercare qualche indizio.
Per alcune pagine non c’era nulla di interessante ma poi, arrivato a metà libro, trovò una busta sigillata con scritto:
 

<< Per Robert. Memorie di una cacciatrice di sogni >>

 
Robert sentì il cuore battere veloce. Quella era la scrittura di Lily.
Prese in mano la busta e sotto di essa, sul foglio del libro, notò una recensione scritta con la stessa calligrafia che diceva:
 

<< Molto carino e accogliente. Idea originale. Sembra di essere in un’astronave spaziale. Lo amo. Lo chiamerò “Magic Bus”. >>
L.C

 
Robert accarezzò la scritta in inchiostro nero, quasi come se volesse sentire il rilievo delle parole. Prese la busta in mano, l’apri delicatamente e dentro trovò qualcosa di insolito: al posto di una lettera scritta, c’erano cinque fotografie. Le prime quattro foto ritraevano dei monumenti molto famosi, ma la quinta foto era molto particolare: ritraeva Lily da piccola assieme ai suoi due genitori. Robert prese quest’ultima foto e la guardò con le lacrime agli occhi. Vedere il viso sorridente di quella bambina gli metteva tanta tristezza.
In fondo alla fotografia, sulla parte bianca, c’era una scritta con l’indelebile nero:
 
<< La famiglia più felice del mondo. Anthony, Clara e Lily. Febbraio 2000 >>
 
Robert si asciugò gli occhi. Quest’indizio gli aveva spezzato il cuore. Guardò le altre foto: ritraevano, in modo quasi sfocato, il “London Eye”, il “Tower Bridge”, “Piccadilly Circus” e un taxi tipicamente inglese. Non ci fu molto da pensare: la prossima meta era Londra.
Robert prese tutte e cinque le foto, ma prese da parte quella di famiglia; mentre finiva il suo cocktail, guardò ancora una volta la foto e pensò:
 
Una volta era così felice… perché ha smesso? Cos’avrà mai fatto contro il destino?
 
Accarezzò col pollice la foto, finì il suo drink, si alzò e mentre si alzava per uscire dal “Magic Bus”, mise via la foto nella tasca dei pantaloni.
 
Prima di tornare al Tacheles, Robert andò all’albergo per preparare le valigie. Il giorno seguente sarebbe partito per Londra. Dodo, sapendo della sua partenza, lo aveva invitato a dormire con gli altri ragazzi, così era più facile per lui prendere un autobus che lo portasse all’aeroporto.
Verso le 22.38, il locale era già pieno di gente. Essendo Sabato, tutti vanno a divertirsi (anche se è giorno di festa… s’incassa molto di più!).
Oggi è il 26 Dicembre 2015, il giorno di S. Stefano. Tutti i ragazzi (per la maggior parte universitari stranieri) stanno al bar a bere e a scherzare. L’unico che non si diverte molto è Robert: da quando ha trovato la foto, non riesce a fare a meno di pensare al perché Lily avesse dato la fotografia proprio a lui... non riusciva a darsi una risposta.
Mentre guardava la foto, alla sua destra si sedette qualcuno che riconobbe subito. Con i suoi capelli bianchi, Dodo era riconoscibile ovunque andassi nel locale.
Mentre teneva un “Sour” nella mano ed un “Long Island” nell’atra, Dodo gli chiese:
 
- Te l’ha lasciata Lily? –
 
Robert spostò lo sguardo sulla ragazza e rispose:
 
- Si, nella busta che stavo cercando. Solo che non capisco perché abbia scelto di darla proprio a me questa foto… -
 
Dodo porse il Long Island a Robert, lui prese il bicchiere e disse:
 
- Tu sapevi perché Lily andasse al Pföntner? –
 
Dodo sospirò, mentre una goccia di liquore scese lenta dal bordo del bicchiere:
 
- … Purtroppo si: andava per bere; a volte anche troppo. -
 
Robert guardò Dodo sconvolto:
 
- … Cosa? Per quale motivo? –
 
Mentre mescolava i cubetti di ghiaccio col lo stuzzicadenti e l’oliva verde incastrata in esso rispose:
 
- … Perché si sentiva impotente. Voleva annegare quella sensazione orribile anche solo per poche ore, ma sapeva che prima o poi sarebbe ritornata a galla. –
 
Robert rimase in silenzio, mentre Dodo bevve un sorso del suo “Sour”. Quando l’amaro del liquore attraversò al gola di Dodo, lei continuò a parlare:
 
-  Una sera, da ubriaca, mi ha raccontato quello che aveva vissuto nel passato: il padre morto, la scuola, i compagni di classe… penso che non lo avesse fatto apposta a dirmelo, ma aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno… -
 
Robert non aveva ancora bevuto niente. Era come se un groppo alla gola gli impedisse di berlo con gusto. Dodo mescolò una seconda volta il cocktail:
 
- Mi disse che non si era mai confidata con nessuno di noi qui. Anche se eravamo molto amici, non parlava mai del suo passato agli sconosciuti… credo che volesse trovare qualcuno che la capisse veramente… -
 
- … Quando ti ha raccontato tutto questo? –
 
- Due giorni prima di partire. Frie mi aveva chiamata perché Lily si era ubriacata molto e allora mi chiese di andare a prenderla. Quando arrivai, la trovai che rideva come una matta: scherzava, faceva battute e soprattutto sbraitava… era tutta un'altra persona. Quando la caricai in macchina, all’improvviso mi chiese:
 
- … Perché la gente non capisce? Perché Dodo? … -
 
E scoppiò in lacrime davanti a i miei occhi. Non l’avevo mai vista piangere così… -
 
Robert rimase senza parole. Nemmeno lui aveva mai visto Lily piangere, ma solo al pensiero, sentiva una sensazione di paura dentro.
Dodo bevve un altro sorso di “Sour” arrivando quasi a metà, poi finì:
 
- Mi raccontò tutto quanto. Non credo volesse farlo con me, ma non aveva la lucidità per fermarsi. Il giorno dopo venne da me ringraziandomi per quello che avevo fatto e mi chiese anche di dimenticare tutto quello che aveva detto… ma io non avrei dimenticato. Non dopo quella notte almeno. –
 
Mentre ascoltava attentamente, una goccia di condensa scese sulle dita di Robert mentre teneva stretto il bicchiere. Dodo si guardò attorno, come se cercasse qualcuno, poi disse:
 
- Credo che si sentisse stupida dopo aver fatto una cosa del genere e che quindi, pentendosi di aver fatto questo a sé stessa, abbia deciso di andarsene. Probabilmente è scappata via per questo… -
 
Robert lasciò lì il suo Long Island. Non riusciva a bere dopo il racconto di Dodo. Senza dire una parola, i due rimasero a guardare la folla di gente che c’era nel locale; poi, all’improvviso, Dodo domandò:
 
- Perché la stai cercando? –
 
Robert guardò Dodo. Non sapeva bene cosa rispondere:
 
- … Dentro di me, spero di riportarla indietro a casa, ma è proprio ciò da cui Lily sta scappando via... –
 
- E cosa farai allora una volta trovata? -
 
Robert rimase in silenzio per qualche secondo. Non aveva mai pensato a cosa avrebbe fatto quando avrebbe trovato Lily… era un punto troppo lontano per lui.
Quando guardo Dodo, lui rispose:
 
- … Sinceramente, non so come reagirò; e men che meno cosa farò. Sarà il destino a deciderlo. –
 
Dodo guardò Robert, gli poggiò una mano sulla spalla sinistra e disse:
 
- Lily è fortunata ad avere un amico come te. –
 
Robert sorrise, poi guardò la folla. Mentre l’osservava da vicino, il suo primo pensiero fu:
 
La cosa bella è che lei sia riuscita a trovarmi in mezzo a tutti gli altri…
 
 
***
 
Il mattino seguente, Robert si preparò per andare all’aeroporto. Tutti stavano ancora dormendo per via della serata impegnativa e quindi cercò di fare il meno rumore possibile.
Mentre caricava le ultime cose in valigia, Robert prese la fotografia dalla tasca dei pantaloni, la guardò e pensò a quello che Dodo gli aveva chiesto:
 
Cosa farai quando la troverai?
 
Ci aveva pensato per tutta la notte, passando quasi tutta la notte in bianco, ma non era riuscito a trovare una risposta comunque.
Mentre era immerso nei suoi pensieri, un rumore di una tenda spostata si sentì alle sue spalle; si voltò e vide Dodo in pigiama ancora mezza assonnata. Si stropicciò un occhi e sbadigliando chiese:
 
- *Yamn* … Stai andando via così presto? –
 
Robert le sorrise. Il pigiama che indossava era davvero carino (nonostante il carattere forte, le si addiceva molto): pantaloncini da sport neri fino a metà coscia larghi, maglietta a maniche lunghe leggermente scollata sulle spalle grigia con su una rosa rossa in mezzo ad un campo di rose bianche con la scritta “Be different” in basso e calzini corti (uno nero e uno grigio). I capelli erano raccolti in una piccola coda di cavallo e molte forcine erano sopra la sua testa.
Robert si avvicinò a lei e disse:
 
- Non volevo svegliarti; è solo che voglio andare da lei il prima possibile. –
 
Dodo, con gli occhi socchiusi, annuì con la testa. Era ancora mezza addormentata per capire quello che le dicevano. Mise via la fotografia, prese le sue cose, se le caricò in spalla e disse:
 
- Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me. Spero di rivederti ancora. –
 
Dodo sorrise. Aprì le braccia in segno di un abbraccio e disse:
 
- Lo spero anche io “Roo”. –
 
Robert si avvicinò e abbracciò la ragazza. Rimase senza parole per un momento, poi abbracciò la ragazza perplesso... Dodo aveva detto qualcosa che non sentiva da anni…
Lasciò andare la ragazza, gli diede il suo numero di telefono e fece per andare verso la porta. Poco prima di uscire, Dodo lo chiamò e disse:
 
- Hey Robert! Mi faresti un favore? –
 
Mentre teneva la porta, Robert si voltò verso di lei:
 
- Dimmi. –
 
- Non lasciare che Lily si faccia del male da sola. Non sopporterei il fatto che si senta triste in un mondo dove nessuno può capirla… -
 
Robert guardò Dodo, gli sorrise e rispose:
 
- … Non sarà sola, te lo prometto. –
 
Detta quella frase, uscì dalla porta del bar per avviarsi al bus che lo avrebbe portato all’aeroporto.

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Capitolo 11
*** New Zeland ***


Capitolo 11: New Zeland

 
Era tutto buio, ma attorno a sé sentiva molte voci. Alcune non riusciva a riconoscerle, ma due in particolare si: sembravano quella di Mark ed Esther. Tentò di aprire gli occhi ma la luce forte glieli fece richiudere subito. Era come se un grande faretto di luce fosse ben posizionato davanti ai suoi occhi.
Le voci si zittirono per un istante, poi una di loro disse:
 
- … Robert? Sei sveglio? Mi senti? Robert? –
 
Provò ad aprire gli occhi ancora una volta; li batté diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco le persone davanti a lui, poi li vide: Mark era ai piedi del letto, mentre Esther era al suo fianco che lo guardava preoccupata. Entrambi avevano un braccio fasciato, inoltre avevano qualche ematoma e graffio sul corpo. Erano stati pestati alla manifestazione.
Robert si guardò attorno e scoprì di essere in una stanza d’ospedale. Sdraiato sul letto, cercò di mettersi seduto e di ricordare l’ultima cosa che avesse fatto:
 
- … Come… Come ci sono arrivato qui? Ero alla stazione della Metro e poi… -
 
Esther intervenne subito:
 
- Ti hanno portato qui due barboni. Avevi perso tanto di quel sangue che credevamo che non ce l’avresti fatta… Eravamo qui ad aspettare di essere medicati, quando sono arrivati di corsa con te in barella…è allora ti abbiamo visto… –
 
Robert si passò una mano sulla testa: era fasciata da una benda. Il taglio era stato curato e cucito a dovere; il braccio destro era ingessato mentre il piede sinistro era fasciato e bloccato da un tutore. Fili di flebo scendevano dall’asta accanto a lui e cadevano nel suo braccio sinistro.
Si massaggiò le tempie e domandò:
 
- … Voi state bene? anche voi siete ridotti male… -
 
Mark si coprì con la mano il braccio fasciato e rispose:
 
- Stiamo bene. La polizia ha pensato bene di prenderci a manganellate, ma niente di serio. A te invece hanno ridotto proprio male quei bastardi… -
 
Robert rise:
 
- Eh eh eh… Non è stata la polizia a farmi questo; è stato un gruppo di imbecilli nazisti… -
 
I due ragazzi rimasero in silenzio. Si sentì un tonfo alle loro spalle. Tutti e tre si voltarono e Robert, per poco, non gli venne un infarto: suo padre, Ivo, era sulla soglia della camera d’ospedale e aveva fatto cadere la borsa che aveva in spalla.
Ivo, un uomo giovane, alto, con capelli sbarazzini corti tra il nero e il grigio, portava una camicia rosso fuoco dentro a dei pantaloni marrone chiaro mentre la cintura nera di pelle risplendeva alla luce del lampadario sul soffitto. Ivo, essendo vissuto in Australia per diversi anni, aveva la tipica carnagione scura di ogni australiano… ma in quel momento, in quella stanza d’ospedale, la sua pelle aveva cambiato colore per ben due volte: prima un pallido marrone per via dello spavento nel vedere suo figlio in quello stato, poi rosso come la sua camicia per il fatto che Robert gli abbia mentito rischiando così la vita.
Robert, col cuore a mille, si chiedeva:
 
Ch-che cosa ci fa lui qui?
 
Mark, come se gli avesse letto nel pensiero, rispose a Robert:
 
- … Ci dispiace Robert, abbiamo chiamato noi tuo padre. Pensavamo che fosse giusto così… -
 
Robert guardò Mark furioso. Se non fosse stato per il dolore che sentiva, si sarebbe alzato di scatto e gli sarebbe piombato addosso per pestarlo a sangue. Prima di partire per questo viaggio, tutti e tre avevano promesso di non dire niente a nessuno della loro “avventura in incognito”, ma Mark ed Esther avevano infranto la promessa. Se c’era una cosa che Robert non sopportava era il fatto che non si mantenessero le promesse.
Per qualche istante ci fu un silenzio di tomba, poi Ivo chiese:
 
- Mark, Esther… potreste uscire per un momento? Vorrei parlare con Robert in privato… -
 
I due si guardarono e lentamente uscirono dalla camera. Robert era spaventato a morte: chissà cosa gli avrebbe fatto!
Appena chiusero la porta, Ivo guardò Robert: era furioso, glielo si leggeva solo dallo sguardo. Robert sentì un groppo alla gola che tentò di mandare giù, ma per la tensione sembrava rimanere bloccato li. Ivo si avvicinò, si sedette a fianco del letto e disse:
 
- … Che cosa speravi di fare? –
 
Robert si sentì in colpa. Quelle pochissime parole lo avevano fatto pentire già da subito. Non disse nulla. Era troppo spaventato per rispondere. Guardò le lenzuola, sperando di trovare una risposta. Mentre guardava fuori dalla finestra di fronte a lui, Ivo fece una smorfia di rabbia e disse:
 
- Non importa. Almeno dimmi per cosa manifestavi… -
 
Robert continuò a guardare le lenzuola poi, chiudendo gli occhi, prese un respiro profondo e rispose:
 
- … V-volevo rendere Berlino una città libera… -
 
Ivo continuò a guardare fuori dalla finestra e dopo qualche secondo di silenzio disse:
 
- … Ti fa onore questo tuo gesto. Anche se sei stato un vero “Drongo”! Come ai vecchi tempi: testardo come un mulo! –
 
Robert alzò lo sguardo: era stupito nel vedere questa reazione da parte di suo padre.
Ivo si voltò verso di lui e gli sorrise, si sistemò per bene sul fianco del letto e disse:
 
- Robert, devi capire che certi gesti sono immaturi, è vero, ma questo che hai scelto di fare non lo è affatto: hai deciso di rischiare per seguire una via giusta… finché sarà la via esatta, io ti appoggerò sempre. –
 
Robert si commosse. In quel momento, decise che suo padre sarebbe stato il suo eroe. Per sempre.
Ivo lo guardò negli occhi, gli sorrise e disse:
 
- Sono contento che tu stia bene “Roo” -
 
Robert lasciò che il padre gli scompigliasse quei pochi capelli che spuntavano fuori dalla fasciatura, sorrise e pensò:
 
D’ora in poi ti prometto che sarai la persona che ammirerò sempre papà… te lo prometto!
 
***
 
- Ladies and Gentlemen, please fasten your seatbelt; now we’re arriving in: “London Gatwick Airport”. The local time is 09.35 am. Thank you for flying with British Airways. -
(Signore e Signori, per favore allacciate le cinture di sicurezza; siamo per atterrare a: Londra, aeroporto di Gatwick. Sono le 09.35, ora locale del Regno unito. Grazie per aver volato con British Airways.)
Non c’era molta gente quel giorno. Tutti erano a casa a godersi le vacanze natalizie e poche persone erano presenti sull’aereo diretto a Londra.
Robert sistemò con cura tutti gli indizi trovati nel diario di suo padre. Da quando aveva iniziato quest’avventura, Robert era cambiato totalmente: il suo modo di vedere, percepire, conoscere le cose che lo circondavano… tutto in lui era cambiato. Poi, dopo il sogno che aveva fatto durante quel viaggio… gli aveva portato molti ricordi alla mente.
Mentre volava a pochi metri dalla pista d’atterraggio, guardò le luci della città. Era uno spettacolo bellissimo. Mancava pochi muniti all’atterraggio e Robert poteva godere di una vista mozzafiato dal finestrino. Era da tanto tempo che non vedeva una vista del genere.
Appena atterrato, Robert si fermò sulla soglia dell’aeroplano a pochi passi dal gradino della scala; si guardò attorno: il cielo era completamente nuvoloso (come ci aspettava) e non permetteva nessuna vista mozzafiato dall’alto. Il vento si stava alzando forte, mentre in lontananza si videro dei lampi, poi si sentirono i tuoni. Si sarebbe preannunciata una serata di pioggia e vento. Robert si caricò la borsa in spalla e mentre s’incamminava per scendere pensò:
 
Londra è famosa per la pioggia e il brutto tempo… chissà cos’avrà spinto Lily a venire proprio qui?
 
***

La forza del vento era talmente potente che nessun londinese in giro per le strade pensò di aprire l’ombrello. Tutti correvano in tutte le direzioni per trovare riparo: nei tunnel che conducevano alla Underground, in qualche negozio aperto e sotto le tende di qualche bar. Mentre tutti correvano, una persona era ferma immobile sotto l’arcata di un’entrata in marmo. Una figura nera, imponente, incappucciata con un borsone verde militare accanto ai piedi. Teneva in mano una foto (di quelle stile polaroid) e la fissava, come se dovesse cercare qualcosa.
Quell’uomo era Robert e stava cercando di capire l’indizio di Lily. Era talmente preso che non si era accorto della pioggia. Mentre osservava la foto, piccole gocce d’acqua scendevano dal cappuccio per finire sopra quest’ultima.
Dietro una delle foto, c’era una scritta con l’inchiostro nero.
Mentre fissava la scritta pensò:
 
Questa scritta si è sbiadita molto. Lily deve averla voluta cancellare… che l’abbia scritta quand’era ancora sotto l’effetto dell’alcool?
 
Dopo qualche minuto, riuscì a capire cosa c’era scritto:
 
<< In the city Of “dusts”, there is a Wonderful painting. You will find it near the vilLage of artistic Shops.
(Nella città delle polveri, c’è un dipinto magnifico. Lo troverai nel villaggio dei negozi artistici) >>
 
Dopo aver letto la frase, Robert alzò lo guardo dalla foto: in lontananza si vedeva il cielo azzurro, mentre le nuvole venivano spazzate via dal vento. Mise via la foto, si appoggiò sul muro con la spalla e pensò:
 
“The city of dusts” … io l’avrei chiamata “La città della pioggia perenne”!
 
***
 
Dopo lunghe ricerche, Robert aveva trovato finalmente il posto che stava cercando sulla guida della Lonely Planet di Londra:
 
<< Camden Market ha un enorme numero di visite:10 milioni di visitatori ogni anno ed è una delle attrazioni più famose di Londra. Quello che era iniziato come una raccolta di interessanti bancarelle di artigianato di Camden Lock accanto al canale, si estende ora la maggior parte della strada dalla stazione della metropolitana di Camden Town a Chalk Farm stazione della metropolitana.
Ci sono quattro principali aree di mercato - Buck Market Street, Lock Market, Canal Market e Stables Market Troverete un po' di tutto: vestiti, profumi, borse, gioielli, artigianato, leccornie e opere artistiche (quali piccole mostre e murales). >>
 
Essendoci quattro zone tutte collegate da controllare, Robert si fece un itinerario per riuscire a vederle tutte in una sola giornata. Sarebbe stata una corsa contro il tempo, ma sarebbe riuscito a trovare quello che stava cercando… forse.
Arrivato alla stazione di Waterloo, Robert prese la sua mappa della Underground e verificò quale delle linee ferroviarie sotterrane doveva prendere: la linea “Northen” conduceva direttamente alla fermata di Camden Town.
Dopo aver fatto il biglietto, Robert si diresse verso il binario; c’era moltissima gente che aspettava e per un attimo pensò di non riuscire ad arrivare intero fino a destinazione.
Mentre aspettava il treno, Robert notò un’artista di strada che suonava uno strumento tipicamente australiano: un Didgeridoo. Bellissimo di color marrone scuro, aveva dei lineamenti in rosso fuoco che rappresentavano i tipici disegni australiani. Rimase incantato a sentire quel suono bellissimo, quando all’improvviso, il treno che lo avrebbe condotto a Camden arrivò con il solito suono frastornante. Quando Robert salì, con la calca di gente che saliva e scendeva, pensò:
 
Saranno anni che non sentivo il suono di un Didgeridoo. Mi è venuta la pelle d’oca… sono contento!
 
Le porte si chiusero con un suono forte e finalmente il treno partì a tutta velocità.
 
Robert arrivò a Camden alle 09.35 precise, scese dal treno e uscì dalla metropolitana sotterranea. Ciò che lo accolse fu molto pittoresco: negozi di vestiti, souvenir, cartelloni pubblicitari di ogni tipo e tanta, tantissima gente. Per un momento si sentì disorientato a causa della grande folla ma assieme alla sua fedele cartina, poteva andare ovunque. Da quel momento però, la cartina non era più di grande aiuto; il murales che stava cercando era lì da qualche parte, ne gigantesco mercato di Camden. Robert prese un respiro profondo e pensò:
 
Andiamo Robert! Cerca questo dipinto!
 
Si addentrò nel centro di Camden (affollato come non mai) alla ricerca di questo murales. I negozi erano qualcosa di incredibilmente artistico e moderno allo stesso tempo, quasi come se fossero stati degli artisti famosi a creare quei negozi. Rimase ad osservare in giro per una decina di minuti quando finalmente, fermandosi ad un incrocio tra la Jamestown Road e la Hawley Cres, Robert si fermò per prendere fiato:
 
Questo mercato è così particolare e etnico! Non avevo mai visto…!
 
Alla fine lo vide; il murales che stava cercando, era sopra i suoi occhi. Prese la foto di Lily e fece un veloce paragone: era proprio lui. Non c’era alcun dubbio. Attraversò la strada e si avvicinò abbastanza per vederlo bene: era fatto con bombolette spray e vernice per muri. Era fatto molto bene ed era particolare nel suo genere.
Mentre lo ammirava, Robert notò qualcosa di svolazzante sulla targhetta che indicava la Jamestown Road… era una busta. Capì subito che doveva trattarsi del prossimo indizio. Senza perdere tempo, Robert andò alla porta della casa, suonò più e più volte e quando un uomo in canottiera sudata e sigaretta alla bocca gli si porse davanti disse:
 
- Buongiorno. Non mi conosce ma ho bisogno di un favore: potrei entrare in casa sua per prendere una cosa fuori dalla sua finestra? È davvero importante… -
 
L’uomo lo fissò senza cambiare espressione: sembrava che si fosse fatto di Crack. Dopo aver preso una boccata di fumo, inspirò profondamente e disse:
 
- ماذا تريد ؟ ليس لدي أي شيء لتعطيك ... (Che cosa vuoi? Non ho nulla da darti…) –
 
Robert guardò l’uomo senza dire una parola e pensò:
 
… Ma cos’ha detto? Sta parlando arabo?
 
L’uomo lo guardò malissimo. Un rigolino di sudore scese dalla sua umida fronte fino a cadere sulla canotta bianca piena di macchie nere e sudore. Mentre le fissava come se avesse visto qualcosa di orribile, gli disse:
 
-   الاستماع، ليس لدي وقت نضيعه، لذلك لم يكن لديك أي شيء المهم أن تقول لي، إذا ذهبت الآن! (Senta non ho tempo da perdere, quindi a meno che non abbia niente di importante da dirmi, se ne vado subito!)
 
Robert tentò di farsi capire ma l’uomo sembrava non cogliere quello che diceva; finchè con uno sbuffo, chiuse al porta in faccia a Robert lasciandolo lì da solo. Si sentì molto frustrato da quell’atteggiamento e pensò:
 
Ma che caratterino! Poco importa: ora devo recuperare l’indizio…
 
Provò a suonare alla casa accanto dove aprì una donna in vestaglia sui quarant’anni circa. Le spiegò il perché fosse lì, ma anche la signora non lasciò entrare Robert per recuperare la busta (chi mai gli avrebbe creduto, ammettiamolo?); dopo che la signora gli sbattè la porta di casa in faccia, sbuffando, Robert si fermò a riflettere:
 
Ok. Devo calmarmi… e recuperare quella busta!
 
Mentre sembrava per perdere le staffe, Robert sentì una voce alle spalle chiamarlo:
 
- Mi scusi, ha per caso bisogno di una mano? –
 
Robert si voltò verso la voce e davanti a lui gli apparve un ragazzo giovane, probabilmente sui 30 anni, con capelli corti spettinati folti color biondo scuro, alto con una maglietta bianca casual con scritto “Home is everywhere”, pantaloni in tela marrone chiaro, barba e pizzetto poco pronunciata e una sigaretta fatta a mano in bocca già accesa. Si stava sistemando il cappotto mentre si avvicinò a Robert e con fare gentile gli disse:
 
- Ho visto che ha provato a suonare al campanello dei signori che abitano qui… mi duole dirglielo, ma queste persone sono davvero le più cocciute e testarde di tutta Londra: non lascerebbero entrare nemmeno l’idraulico. –
 
Robert rimase colpito dalla gentilezza di quel ragazzo: c’era qualcosa in lui che lo faceva sentire bene e nonostante fosse uno sconosciuto, gli dava una certa sicurezza e fiducia.
Il ragazzo tirò fuori la mano dalla tasca, la porse a Robert e disse:
 
- Mi chiamo Jack signore. Molto piacere. –
 
Robert strinse la mano al ragazzo: era calda e affusolata.
Quando gli strinse la mano per ricambiare il saluto, si presentò:
 
- Molto piacere Jack. Io sono Robert. –
 
Jack sorrise. Era davvero simpatico quel ragazzo. Quando i due si lasciarono andare le mani, Jack domandò:
 
- Esattamente, cosa cercava da quei due signori? –
 
Robert si voltò verso il muro, indicò la busta appesa al muro e disse:
 
- Potrà sembrare strano, ma devo recuperare quella busta appesa al muro lì in cima. Volevo evitare di assomigliare ad un ladro che tenta di entrare in un appartamento, perciò ho suonato ai proprietari della casa, ma nessuno di loro mi ha creduto… ma in fondo chi lo…? –
 
Mentre Robert stava per finire la frase, Jack si avvicinò al muro, si sistemò con le ginocchia leggermente piegate, incrociò le mani verso il basso e disse:
 
- Facciamo così: io la spingo lassù in cima e lei recupera la busta. Forza! –
 
Robert rimase senza parole: quel ragazzo non esitò neanche per un momento ad aiutarlo. Non gli aveva nemmeno chiesto il perché dovesse recuperare quella busta. Senza farselo ripetere due volte, Robert poggiò il piede sui palmi incrociati di Jack e tenendosi sulle spalle di quest’ultimo si diede una leggera spinta. Mentre era in bilico, Robert allungò la mano per raggiungere la busta ma era troppo lontana.
Jack smorfiò per lo sforzo e disse:
 
- *Ugh!* … E’ riuscito a prenderla? –
 
Robert tentò di allungare ancora un po’ la mano ma restava sempre troppo lontano:
 
- … *Ugh…* non ci arrivo… -
 
In quel momento, Jack ebbe un’idea:
 
- Aspetti! Proviamo così: io adesso la spingo, ma deve prenderla al volo… pronto? –
 
Robert si preparò per il balzo:
 
- 3… 2… 1… ORA! –
 
Jack spinse con tutta la forza che possedeva nelle braccia. Robert si sollevò abbastanza e riuscì a prenderla al volo:
 
- SI! Ce l’ho fa… AAAAH! –
 
Per colpa della spinta, Jack si sbilanciò in avanti ed entrambi caddero per terra.
Jack si alzò massaggiandosi la testa:
 
- Ahi… Sta bene? È riuscito a prendere la busta? –
 
Robert si alzò da terra mettendosi seduto e mostrò la busta di carta sigillata. Il volto di Robert si illuminò con un sorriso e così fece Jack:
 
- Wow! Ce l’ha fatta! Bella presa! –
 
- E’ anche merito tuo, quindi grazie. –
 
Jack sorrise, si alzò e aiutò Robert ad alzarsi. Mentre si sistemava la giacca, Jack chiese a Robert:
 
- Scusi se glielo chiedo, ma cosa c’è dentro la busta? Dev’essere qualcosa di veramente importante se doveva recuperarla a tutti i costi… -
 
Robert guardò Jack, poi la busta:
 
- … Beh, lo scoprirò adesso. –
 
Aprì la busta sul lato. Era più pesante rispetto le altre e questo lo incuriosì: cosa mai avrebbe voluto dargli? Quando tirò fuori il contenuto, rimase perplesso: dentro c’era un'altra foto che raffigurava l’insegna di un negozio con scritto:
 
The Oxford Arms”
 
Poi guardò il secondo oggetto: una chiave di grandezza media, color oro e nero in ottone con un motivo particolare sull’impugnatura.
Mentre osservava la chiave, Robert si rivolse a Jack:
 
- … Devo scoprire cosa apre questa chiave: sia dirmi dove si trova questo posto? –
 
Mentre gli fece la domanda, Robert si rese conto solo dopo dell’espressione del ragazzo: era rimasto attonito, quasi senza parole.
Robert lo guardò preoccupato:
 
- … Jack? Per caso sai dov’è questo posto? –
 
Il ragazzo stava guardando la foto leggermente confuso, poi si rivolse a Robert:
 
- … Certo che so dov’è: è proprio dietro di lei. –
 
Robert si voltò verso l’altro lato della strada e si ritrovò di fronte il negozio con la stessa identica scritta sull’insegna. Robert rimase senza parole poi, correndo, si avviò verso la porta d’entrata del locale: era in orario di chiusura.
Provò a guardare l’interno, poi bussò alcune volte:
 
- HEILA! C’E’ NESSUNO? –
 
Nessuna risposta. L’orario diceva che avrebbe aperto stasera alle 21. Non poteva aspettare tutto questo tempo. Robert tentò una seconda volta. Bussò più forte che poté e gridò:
 
- HEY! PER FAVORE, APRITE! –
 
Jack lo raggiunse e gli disse:
 
- E’ inutile: non c’è nessuno. -
 
 Robert rimase a bussare ancora una volta e senza voltarsi a guardarlo gli chiese:
 
- Come fai ad esserne sicuro? –
 
Jack si grattò la testa e ridacchiando disse:
 
- … Perché questo è il mio locale. –
 
Robert si fermò di colpo, si voltò verso Jack e lo guardò sbigottito: Perché non gliel’ha detto prima? Si allontanò dalla porta e domandò:
 
- … Tu sei… il proprietario di questo posto? –
 
- Si esatto! Aspetti, tiro fuori la chiave così le apro. –
 
Jack tirò fuori dalla tasca il mazzo di chiavi, ne prese una con un cappuccio rosso e la infilò nella serratura. La porta si aprì subito e mentre Robert, senza parole, lo guardava aprire la porta, Jack si voltò verso di lui e disse:
 
- Benvenuto al “The Oxford Arms” Mr. Robert. –
 
***
 
Mentre Jack si diresse verso il bancone del bar, Robert lo seguì lentamente guardandosi attorno: l’interno era ben illuminato da lampadari in cristallo non troppo eleganti (e pieni di polvere), pavimento in legno chiaro, tavoli tondi con sedie nere di plastica, un bancone in legno scuro e lucido con sedie vicine e un davanzale enorme per gli alcolici dietro a quest’ultimo.
Robert ancora non sapeva perché fosse li, ma un motivo doveva esserci. Iniziò a perlustrale il locale mentre Jack, con molta tranquillità, andò dietro al bancone del bar per prendersi la bottiglia di “Jim Beam Black”. Mentre se ne versava un goccio nel suo shot domandò:
 
- Nel vuole anche lei? è buono sa? –
 
Robert camminava avanti e indietro per il locale in cerca di qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa: un indizio, un oggetto, una qualche frase scritta sul locale che ricordasse Lily… ma sembrava non avere nulla. Jack poggiò la bottiglia sul bancone e con lo shot in mano, si diresse verso Robert:
 
- … Che cosa sta cercando? –
 
Robert pareva confuso; perché mai Lily gli avrebbe indicato questo locale se non c’era nulla di familiare? Non riusciva a capire cosa volesse dirle (e non poteva chiedere aiuto…)
Si fermò per un secondo, si voltò verso Jack e disse:
 
- Io… io… io non lo so cosa sto cercando, so solo che la persona che mi ha lasciato questa busta mi ha condotto qui… io davvero non… -
 
Era confuso, preoccupato, agitato. Magari Lily era ancora in città e lui per non aver capito la lettera in tempo sarebbe andata via. Di nuovo.
Jack gli poggiò una mano sulla spalla e disse:
 
- Chi le ha lasciato la lettera? Magari posso aiutarla. –
 
- … Lily. Si chiama Lily Clark… -
 
Jack si fermò di colpo, come se gli avesse detto qualcosa di inquietante. Sentendo quel nome, sembrava che Jack la conoscesse eccome. Vedendo al sua espressione, Robert gli chiese:
 
- La conosci per caso? –
 
- … Lavora qui… dovrebbe essere al piano superiore in questo momento. Ma perché –
 
Robert lo guardò con gli occhi spalancati dallo stupore. Quella frase che aveva appena detto… non poteva essere vero…
Robert prese per le spalle Jack che rovesciò il suo shot e gli disse:
 
- QUAL’E’ LA SUA STANZA? DIMMELO TI PREGO! –
 
Un po’ confuso e spaventato dalla reazione di Robert, Jack gli indicò una rampa di scale poco dietro al bancone del bar e disse:
 
- … L’ultima porta in fondo al corridoio, la n.18. Non puoi sbagliare… -
 
Sentendo quella frase, Robert corse verso di essa. Si accorse che era chiusa al pubblico con una semplice catena di plastica in bianco e rosso e per lui fu facile scavalcarla; bastò un semplice salto per superarla. Riprese al sua corsa per le scale inciampando diverse volte sui gradini, ma alla fine salì fino al secondo piano. Mentre si guardava attorno trafelato e agitato, cercò la stanza di Lily. Alla fine la trovò: in fondo al corridoio proprio come aveva detto Jack. Corse fino alla porta e appena fu davanti, batté più forte che poté. Se Lily era lì, l’avrebbe sentito di sicuro:
 
- LILY! SONO IO, ROBERT! APRI PER FAVORE! –
 
Non ci fu nessuna risposta. Solo il silenzio assoluto e il cuore di Robert che batteva a mille nel suo petto. Batté ancora una volta e gridò di nuovo:
 
- LILY! SO CHE SEI DENTRO! APRI TI PREGO! –
 
Neanche questa volta ci fu risposta. Nel frattempo Jack lo raggiunse e disse:
 
- … Forse è uscita. –
 
- O forse è ancora dentro e non vuole aprire… LILY! PRE FAVORE APRI! –
 
Robert si stava agitando troppo. Non capiva se fosse per il fatto di averla trovata o per il fatto che era riuscita a prenderla in tempo… non lo sapeva nemmeno lui.
Jack si avvicinò alla serratura con un mazzo pieno di chiavi e disse a Robert:
 
- Si sposti così le apro la porta. –
 
Jack infilò la chiave nella serratura e con soli due giri di chiave la porta si sbloccò. Robert entrò come un fulmine:
 
- LILY! … Ma che? –
 
Jack era rimasto sullo stipite della porta, ma la sua espressione di stupore era tale e quale a quella di Robert. Quello che videro, li lasciò senza parole.
 
***
 
La stanza era piccola e fredda: la finestra aperta faceva entrare tutto il freddo che si abbatteva nel periodo di Dicembre a Londra. Era in stile ottocentesco: il pavimento era fatto con il legno chiaro, il tetto scendeva in obliquo con delle travi in legno massiccio marron scuro e tra di esse un piccolo lampadario formato da una piccola lampadina calda; la finestra era grande con due tende bianche semitrasparenti che svolazzavano leggere a causa del vento; i mobili, la scrivania e il letto erano in legno antico ma c’era qualcosa di strano in quella stanza... era completamente vuota.
L’armadio era aperto senza vestiti dentro, il letto era sistemato alla perfezione e non c’era assolutamente nulla in giro. Sembrava che nessuno vivesse lì.
Robert si guardò attorno, poi guardò fuori dalla finestra per vedere la strada al di fuori: dava proprio di fronte al murales dei gufi dove aveva trovato la busta. Jack si guardò attorno con aria stupefatta e balbettando rispose:
 
- … I-io non capisco… Fino a stamattina lei era qui… –
 
Robert si guardò in giro: se n’era andata. Di nuovo. Guardò dentro l’armadio per cercare qualunque indizio e disse:
 
- Non ti aveva accennato al fatto che voleva andarsene? –
 
Jack guardò Robert con gli occhi sgranati e mentre quest’ultimo guardava poi sotto il letto disse:
 
- … No… ma… ma perché? Perché avrebbe dovuto farlo? –
 
Robert si alzò da terra e pensò:
 
Che sapesse del mio arrivo? Ma come avrebbe fatto a scoprirlo?
 
Jack si passò una mano tar i capelli biondi e con voce esasperata disse:
 
- Oddio… Che sia per causa mia? –
 
Robert si voltò verso Jack e domandò:
 
- Che vuoi dire scusa? –
 
Jack si passò una mano sul viso arrossato e disse:
 
- L’altra sera ho detto a Lily che… beh ecco… che io… -
 
Robert lo guardò confuso. Forse aveva detto o fatto qualcosa che l’aveva fatta cambiare idea? Rimase in silenzio e poi disse:
 
- Che cosa le hai detto Jack? –
 
- … Le ho detto che mi sono innamorato di lei… -
 
Robert rimase perplesso: perché Lily avrebbe dovuto andarsene per una cosa del genere? Non aveva senso… poi, all’improvviso, capì tutto: tutte queste fughe, le lettere lasciate, le persone incontrate… erano collegate fra loro. In quel momento a Robert vennero in mente le parole dette da tutti quelli che avevano incontrato Lily:
 
- Quella ragazza era un vero mistero, però era simpaticissima. –
 
- Non lasciare che Lily si faccia del male da sola. Non sopporterei il fatto che si senta triste… -
 
- … Le ho detto che mi sono innamorato di lei… -

 
Alla fine, Robert collegò tutto: Lily non scappava perché non si trovava bene nelle città ma scappava perché non voleva che la gente si affezionasse a lei.
Robert rimase a pensarci. Per tutto questo tempo credeva che l’unico scopo di Lily fosse quello di trovare un posto dove stare, dove poter riprendere in mano la sua vita senza che nessuno s’intromettesse. Ma aveva sbagliato. Di grosso.
Si passò una mano tra i capelli neri e pensò:
 
Dio… non ci avevo mai pensato! Per tutto questo tempo mi sono focalizzato solo sugli indizi… non voleva che pensassi a trovarla: voleva che capissi come si sentiva!
 
Robert rimase fermo in mezzo alla stanza, mentre Jack, ancora scioccato per l’accaduto disse:
 
- … Io… io non volevo che scappasse. Non mi ha lasciato neanche il tempo di spiegarmi… -
 
Mentre Jack si disperava, a Robert venne in mente una cosa: se Lily era appena partita, il prossimo indizio doveva trovarsi qui da qualche parte nella stanza.
Si guardò attorno ma i posti in cui aveva già controllato non aveva trovato nulla; guardò in direzione della scrivania e provò a guardare nei cassonetti. Tutti erano chiusi a chiave.
Robert si diresse verso Jack e disse:
 
- Hai le chiavi per aprire questi? Sai che cosa c’è dentro? –
 
Jack si asciugò una lacrima, si sedette sul letto e voltandosi verso di lui rispose:
 
- … Non c’è niente lì dentro. Li ho chiusi io personalmente per evitare che gli ospiti ci buttassero l’immondizia. –
 
- E le chiavi? –
 
- Le ho tutte io. Tutte e 6. –
 
Robert si avvicinò a Jack prese il mazzo di chiavi e vide che assomigliavano parecchio alla chiave dentro la busta; le contò: erano 5. Robert prese la chiave in tasca e disse:
 
- … Tutte e 5 volevi dire… -
 
Jack guardò la chiave in mano di Robert stupefatto e disse:
 
- … Aspetti, ma come –
 
Robert si diresse verso uno dei cassetti e provò ad infilare la chiave: non era quella giusta; provò un'altra volta, ma anche questa volta non entrava; provò una terza e finalmente trovò la serratura giusta. Quando girò al chiave, aprì il cassetto e dentro ci trovò qualcosa che lo lasciò senza parole: era un altro indizio con scritto “Per Robert”.
Prese la busta in mano con delicatezza e quando si voltò verso Jack, lui rimase stupito come non mai:
 
- Come… Perché c’era una busta lì dentro? –
 
- Perché ce l’ha messa Lily. –
 
Robert aprì lentamente la lettera e quando iniziò a leggerla non poteva crederci:
 
Sabato 26 Dicembre 2015
 
Ore: 9.24
 
Caro Robert,
Non pensi anche tu che la pioggia sia qualcosa di rilassante? Quella sensazione di freschezza dell’acqua sulla pelle, non credi che sia qualcosa di incredibilmente magico? Io penso che sia meraviglioso… allora per quale motivo la gente cerca in tutti i modi di evitarla?
Tutti qui a Londra hanno un ombrello per mandarla via, per farla scivolare di dosso facendo di tutto per non bagnarsi…
Io penso che sia qualcosa di più: un’amica, una spalla su cui piangere e qualcosa di essenziale per ognuno di noi… ma che tutti respingono.
Perché tutti evitano la pioggia Robert? Perché dicono che gli piace poi invece si riparano coi loro ombrelli giganti e colorati? ...
Per questo Londra mi ha colpito molto: per la pioggia. Ogni volta che la guardo, mi viene in mente qualcuno che piange. Io non penso “Sta piovendo”, ma “Sta piangendo” …
Lei mi capisce perché io stessa ho pianto tanto Robert. Tu non immagini quante lacrime ho versato in tutto questo tempo…
Ma non posso stare così per sempre, così ho deciso di cercare il mio posto nel mondo.
Ci vedremo un giorno. Domani o dopodomani, ma ci rivedremo nel paese degli Aceri…
 
Con affetto,
Lily

 
Robert lesse fino in fondo la lettera mentre Jack lo fissò con le lacrime agli occhi:
 
- … Che cosa dice? –
 
Robert alzò lo sguardo dalla lettera. Aveva lo sguardo perso e sembrava stupito da qualcosa che aveva letto. Ripose lo sguardo sulla lettera e disse:
 
- … La data… -
 
Jack lo guardò confuso:
 
- La data? Cos’ha di strano la data? –
 
Robert tornò a guardare il ragazzo biondo e disse:
 
- … E’ di oggi… è partita stamattina… -
 
Jack sgranò lo sguardo mentre Robert lesse l’ultima frase:
 
<< Ci vedremo un giorno. Domani o dopodomani, ma ci rivedremo nel paese degli Aceri… >>
 
Robert rimase a pensare a cosa potesse riferirsi. Iniziò a camminare avanti e indietro parlottando a bassa voce:
 
- … Il paese degli Aceri, il paese degli Aceri, il paese degli Aceri… dove possono trovarsi degli Aceri? ... –
 
All’improvviso si fermò di colpo in mezzo alla stanza ed esclamò:
 
- IL CANADA! ECCO LA DESTINAZIONE: IL CANADA! –
 
Robert esultò di gioia mentre Jack, confuso dalla reazione inaspettata di Robert, disse:
 
- Il Canada? Cosa c’entra adesso il Canada? –
 
Robert si voltò verso Jack ed esclamò:
 
- Il Canada è la prossima destinazione! Devo andare alla capitale del Canada; Ottawa! –
 
Mentre Jack era ancora più confuso, Robert guardò la lettera una terza volta il foglio, poi nuovamente il ragazzo ed esclamò:
 
- La lettera è stata scritta alle 9.24… quanto ci s’impiega per arrivare all’aeroporto? –
 
Jack guardò l’ora: le 10.40. Si fermò per pensare, poi rispose:
 
- Se non sbaglio un’ora in treno… la accompagno io con la macchina così ci metterà meno tempo! –
 
I due si precipitarono fuori dalla stanza e mentre scendevano per raggiungere l’auto, Robert pensò:
 
Se non la fermo adesso, non la fermerò mai più!

 
I due uscirono di corsa dal locale, andarono nel parcheggio accanto alla struttura e si precipitarono alla macchina: era una Morris Minor 1000 color bianco perlato, leggermente ammaccata sulla parete destra e con tantissimi oggetti sui sedili (casse di vino, cartacce, pezzi di plastica, ecc.) ma il profumo che emanava era di pino e menta (merito dell’arbre magique appeso al condotto di areazione dell’auto).
Jack si mise al volante mentre Robert sul posto del passeggero. Appena Jack accese il motore, si precipitò in retro sulla strada, senza guardare se ci fossero altre macchine, per poi frecciare a tutta velocità verso la A40. Jack sfrecciava a 120 km/h quando il limite era a 100 km/h. mentre guidava come un matto, Robert gli chiese:
 
- Se sicuro che sia andata all’aeroporto di Gatwick? –
 
Jack sorpasso diverse auto che gli suonarono il clacson arrabbiate:
 
- Più che sicuro: l’unico aeroporto internazionale è solo quello di Gatwick. Gli altri aeroporti fanno voli locali o europei. –
 
Robert si teneva fisso alla maniglia di plastica sopra di lui con la mano destra mentre fissava Jack guidare come una furia. Distolse lo sguardo e guardò davanti a sé: le auto sembravano tantissimi ostacoli in movimento tra lui e Lily. Continuava a chiedersi se ce l’avrebbe fatta a raggiungerla in tempo...
Non si sarebbe mai perdonato se avesse lasciato Lily andare via di nuovo.
Dopo 56 minuti, alle 11.36, i due arrivarono all’aeroporto. Trovarono parcheggio poco lontano dall’entrata e appena scese dalla vettura, Robert si diresse verso l’entrata. Jack fece per seguirlo, ma Robert lo fermò di colpo e disse:
 
- No! Resta qui! Devo andare da solo! Tu aspettami qui! –
 
Senza lasciargli il tempo di replicare, Robert partì di corsa verso l’entrata. Aveva il cuore che batteva a mille e l’adrenalina nel suo corpo fluiva ovunque: persino la testa era sotto l’effetto potente di quella sostanza.
Appena varcò al porta in vetro, Robert si precipitò al tabellone delle partenze e lesse tutti i voli presenti:
 
<< 11:30       Amsterdam   EZY8875      SCHEDULED          South         Gate: 48 >>
<< 11:35       Barcellona    BA2706         SCHEDULED          North         Gate: 15 >>
<< 11.35       Budapest       D82570         SCHEDULED          South         Gate: 24 >>
<< 11:35       Hong Kong   CX344           SCHEDULED          South         Gate: 3 >>
<< 11:35       Orlando         AA6206         SCHEDULED          North         Gate: 32 >>

 
Robert cercò velocemente il volo che portava a Ottawa, la capitale, ma non riusciva a trovarlo… che fosse già partito? Cercò ancora e ancora, ma non era presente sul tabellone. Robert sentiva l’adrenalina scomparire e al suo porto si sostituì l’agitazione e l’angoscia per aver fallito la sua missione… era così vicino dal raggiungerla…
Quando stava per perdere le speranze, accadde qualcosa che gliela riportò a galla: in cima al tabellone, apparve un nuovo volo:
 
<< 12:30      Ottawa(YOW) OTW4452     SCHEDULED        North       Gate: 18 >>
 
Robert sorrise. Ecco lì il suo miracolo dell’ultimo secondo.
Iniziò a correre il più veloce possibile facendo lo slalom tra gli altri viaggiatori presenti in aeroporto. Schivò diverse valigie, persone, carrelli e guardie di sicurezza senza mai inciampare tra loro. Era come se stesse correndo una corsa ad ostacoli.
Il gate n.18 si trovava in fondo all’aeroporto, collegato con un tunnel di vetro ad una struttura adiacente. Robert trovò molto traffico; c’era altra gente che doveva prendere un altro volo nel gate vicino e ostruiva il passaggio. Era un immenso mare mosso di persone.
Robert non si lasciò scoraggiare e con determinazione si fece largo tra la folla. Arrivò a pochi metri dal gate n.18 e cercò di aguzzare la vista per trovare Lily: sembrava non esserci. Si avvicinò ancora pronto sull’attenti, ma tra la marea di gente non riusciva a vedere bene. Intravide delle poltrone in ferro opaco e decise di salirci sopra per vedere meglio. Appena salì, si guardò attorno e in lontananza, vide qualcosa. Non era sicuro, ma doveva tentare.
Scese dalle sedie, si avvicinò nel luogo che aveva intravisto e quando fu abbastanza vicino, con suo grande stupore, la riconobbe.
Era lì, in piedi davanti a lui, mentre faceva la fila per fare il check-in al gate n.18.
Era diversa. Il suo aspetto era cambiato: i capelli, una volta con qualche rasta, erano tanti rasta con perle di legno incastonate, uniti da un elastico spesso; era dimagrita: aveva gambe snelle e forti, braccia fine e i lineamenti del viso (compresi gli zigomi) erano più marchiati di prima; aveva diversi orecchini al lobo destro e molti braccialetti ai polsi; i tatuaggi sulle braccia erano colorati o in bianco e nero, si capiva che erano nuovi; i pantaloni marron chiaro erano aderenti e scendevano stretti fino alle caviglie; gli scarponi larghi erano di qualche taglia superiore alla sua attuale e la felpa larga era di lana pesante rossa... era semplicemente stupenda.
Tutti questi piccole modifiche facevano capire che era cambiata.
Lily non aveva ancora notato Robert. Lui rimase fermo a fissarla per qualche istante. Sorrise. Era felice di averla trovata finalmente. Fece per avvicinarsi a lei, ma poi si fermò di colpo. In quel momento, la sua felicità venne sostituita da un dubbio: gli vennero in mente le parole dette da Dodo la sera prima di lasciare Berlino:
 
- Cosa farai una volta trovata? -
 
In quel momento, Robert si rese conto di non aver ancora pensato alla risposta:
Doveva fermarla? Riportarla indietro? O lasciarla andare facendo finta di non averla mai rivista?
Preso dall’angoscia, si rese conto di non saper cosa fare.
Sentì un nodo formarglisi alla gola e nel mentre pensò:
 
…Cosa dovrei fare adesso?
 
Lily era impegnata a caricare il borsone al check-in. Sorrideva alla ragazza dietro al bancone.
Non l’aveva mai fatto prima e non l’aveva mai visto fare prima d’ora.
Rimase quasi stupito da quel sorriso perché era sincero, dolce e gentile.
Nel mentre, Robert cercò di decidere cosa fare, ma non era facile. Non era un decisione da prendere così su due piedi.
Dopo averci pensato, alla fine si fece coraggio, prese un respiro profondo e si avvicinò a lei. Camminava lento, come se non volesse fare rumore. Si sentiva un cacciatore in un bosco intento ad avvicinarsi ad un cerbiatto sempre sull’attenti e pronto a scappare, che in questo caso era Lily.
Mancavano un centinaio di metri tra i due, quando Lily si voltò, incrociò lo sguardo con quello di Robert e si fermò di colpo. Anche lui fece lo stesso. Rimasero per qualche secondo immobili. L’espressione di Lily era di stupore, mentre quella di Robert di agitazione. La gente camminava frettolosamente, mentre loro se ne stavano fermi immobili a guardarsi da lontano.
Sembrava che il tempo si fosse fermato soltanto per loro due.
Robert aveva il cuore a mille. Adesso che lo aveva visto, come avrebbe reagito?
Decise di muoversi per primo: fece un piccolo passo in avanti e tentò di dire qualcosa ma che venne soffocato dall’agitazione.
In quel momento, Lily ne fece uno indietro, si voltò e scappò via veloce.
Robert vide quel momento come se fosse a rallentatore: lei che si volta e corre via.
Aveva sbagliato. Il cerbiatto si era dato alla fuga.
Preso dall’agitazione, lui disse a bassa voce:
 
- … Aspetta… -
 
Era troppo agitato per poterlo urlare. Sembrava che la sua voce si rifiutasse di farsi sentire.
Poi, d’istinto, lui la seguì.
Corse dietro di lei il più velocemente possibile. Si fece spazio fra la massa di gente che passava lenta e indisturbata. Cercò di raggiungerla ma era veloce. Molto veloce. Faceva slalom tra la folla con facilità e qualche volta Robert rischiò di perderla di vista.
Mentre correva verso il tunnel di vetro, Robert riuscì a trovare la forza per urlare:
 
- LILY! FERMATI! –
 
Non lo ascoltò. Continuò a correre veloce facendosi largo tra la folla. Robert non poteva perderla. Non poteva permetterselo.
Provò di accelerare ma era stanco. Aveva ancora il fiatone per prima e non aveva più energie. Cercò di riprendersi e accelerò di nuovo. Una scarica di adrenalina pura gli si scaricò in tutto il corpo. Si avvicinava sempre di più mentre Lily faceva sterzate forti che costringevano Robert a deviare all’ultimo secondo.
Per sbaglio, tra il bivio del gate n.4 – 10 e n.11 – 16, Lily sterzò bruscamente, mentre Robert perse l’equilibrio e scivolò sulle mattonelle fredde. La gente lo guardò, ma lui si rialzò e cercò di riprendere lo slanciò scivolando diverse volte. Riprese la sua pazza corsa. Aveva perso terreno, ma cercò in tutti i modi di raggiungerla.
Quando furono nella Hall centrale, Robert si diede un ultimo slancio e, dopo alcuni minuti passati a rincorrere Lily, fece una mossa azzardata: a pochi metri da lei, si lanciò per prenderla. Ci riuscì. Caddero a terra tutti e due.
Finalmente Robert aveva catturato il cerbiatto.
Mentre lui la teneva ferma per non farla scappare, lei urlava:
 
- LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI BASTARDO! –
 
Lily tentò di tirargli un manorovescio in piena faccia e per poco non prese in pieno viso il pover’uomo. Mancato il bersaglio, tentò di tiragli una gomitata. Ci riuscì, ma Robert gli fermò l’altro polso con facilità. Sentiva una fitta al petto ma non poteva distrarsi. Tentando di calmarla dicendole:
 
- LILY! CALMATI! SONO IO ROBERT! –
 
Lily continuava a dimenarsi. Forse non aveva capito:
 
- LILY! FERMATI! SONO IO, ROBERT! –
 
La ragazza si liberò un polso e riuscì ad alzarsi. Stranamente non scappò, ma si alzò in piedi e rimase a guardarlo con sguardo arrabbiato.
Robert si mise in ginocchio in fretta, poi lentamente si alzò in piedi. Non capiva perché Lily lo guardasse così. Percepiva il suo fiato persino dentro le orecchie; il sangue che gli scorreva impetuoso nelle vene gli colorava di rosso il viso, mettendo in risalto le guance.
Rimasero lì in piedi a fissarsi l’uno l’altro col fiatone. Lily continuava a fissarlo con sguardo arrabbiato, non era di odio ma più di fastidio.
Robert cercò di avvicinarsi lentamente:
 
- Lily io –
 
- Non voglio sentire scuse. Non mi riporterai indietro. –
 
Robert si fermò. Sentire quelle parole lo fecero sentire molto a disagio; aveva fatto tutta quella strada per sentirsi dire questo? E la possibilità che gli aveva dato che fine aveva fatto?
Tentò di avvicinarsi ancora un poco:
 
- Non mi sto inventando scuse Lily. Sono qui perché tu mi ci hai portato, ricordi? Attraverso le lettere che mi hai lasciato… mi hai dato una possibilità per farti cambiare idea. –
 
Lily rimase in silenzio ma continuò a fissarlo arrabbiata finché, dopo essersi sistemata un dread finito davanti agli occhi disse:
 
- Ho cambiato idea. Non tornerò indietro. Se vorrai farlo, mi ci dovrai portare contro la mia volontà. –
 
Robert era esasperato dalla corsa e la conversazione non lo stava aiutando affatto. Cercò di calmare Lily e si avvicinò di nuovo lentamente:
 
- E’ proprio quello che voglio evitare Lily; voglio solo che tu ragioni! Non ha alcun senso portarti indietro se tu non vuoi! –
 
Per un momento lei rimase in silenzio, come se ci stesse ragionando sulle parole di Robert. Lui si avvicinò ancora di qualche passo e continuò a parlarle:
 
- Ascolta Lily, sei una ragazza intelligente da capire che non posso, non voglio costringerti a fare quello che non vuoi; ma se davvero non vuoi cambiare idea, almeno dammi la possibilità per esprimermi. Poi sceglierai se prendere quell’aereo… -
 
Lily abbassò lo sguardo come per rifletterci e nel mentre, Robert arrivò abbastanza vicino da riuscire a poggiare le sue mani delicatamente sulle spalle di lei:
 
- Non ho fatto tutta questa strada solo per riportarti indietro… l’ho fatto perché tu mi hai concesso questo privilegio… -
 
Lily tenne lo sguardo basso, poi lo alzò verso di lui. Erano pieni di lacrime.
All’improvviso, Lily abbracciò forte Robert. Non dissero nulla. Rimasero così per minuti.
C’era riuscito. L’aveva finalmente trovata.

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Capitolo 12
*** Australia ***


Capitolo 12: Australia

 
La gente in aeroporto correva veloce; non si fermava mai. Qualche volta succedeva che si scontrassero tra di loro; forse per distrazione o forse per la troppa fretta, ma per la maggior parte delle volte si evitavano.
Assomigliavano a tante piccole formiche lavoratrici che correvano, correvano, e correvano…
È così che sono le persone adesso: lavoratori frettolosi, instancabili…
Tutte quelle persone non considerano quello che gli sta attorno per via della loro fretta ed è proprio per questo motivo che ci siamo ridotti così.
Ma Lily, una ragazza che sa, che ha visto, toccato con mano queste situazioni, non vede il mondo come lo vedono gli altri ma osserva la gente con occhi diversi.
Non ne hai mai parlato con nessuno. La gente non la capirebbe; ma ora ha la possibilità di farlo con Robert. Lui sì che avrebbe capito sicuramente.
Stavano seduti su una panchina dell’aeroporto. La finestra davanti a loro dava proprio sulla pista degli aerei. Ne vedevano molti atterrare o partire ogni 5/6 minuti circa: vedevano arrivare e partire aerei di compagnie, colori e forme diverse. Vedere con quale facilità quei giganti uccelli di metallo prendevano il volo, era qualcosa di inimmaginabile.
Quello sì che era il posto perfetto.
Il sole alto segnava l’una. La sua luce naturale illuminava tutto l’aeroporto e le finestre ampliavano ovunque quei riflessi di luce caldi e piacevoli.
Lily aveva lasciato andare quell’aereo solo per ascoltare Robert; infatti era seduta lì, con le gambe accavallate, le braccia appoggiate sulle cosce e la testa leggermente abbassata, mentre Robert era seduto col busto proteso in avanti, le mani incrociate come in preghiera e lo sguardo basso.
Rimasero in silenzio per quasi una decina di minuti, come se stessero pensando a cosa dirsi l’uno l’altro. Non si vedevano da molto tempo, e avevano tanto da raccontarsi, ma era come se non avessero nulla da dire.
Il loro silenzi venivano infranti dal continuo vociare delle persone frettolose, dai loro passi veloci, dai loro rumori forti…
Robert si stava sfregando le mani quando alzò lo sguardo per vedere un aereo decollare dalla pista di fronte a loro: partì con una leggiadria e leggerezza indescrivibile. Sembrava un aereo di carta mosso dal vento.
Mentre guardava l’aereo decollare, Lily ruppe il silenzio:
 
- Questa è la prima volta. –
 
Robert si voltò verso di lei e domandò:
 
- … Come? –
 
- … Questa è la prima volta che vengo a Londra. Ho sempre sognato di vederla almeno una volta nella vita; ed ora eccomi qui, all’aeroporto di Gatwick… pazzesco non trovi? –
 
Robert fece una smorfia divertita. Anche per lui era la prima volta a Londra e non aveva pensato a questo appena atterrato. Tornò a guardarsi le mani, poi guardò fuori dall’enorme finestra:
 
- Anche per me è la prima volta qui… -
 
Lily lo guardò con lo sguardo leggermente stupito:
 
- Non sei mai stato a Londra? –
 
Un aereo intanto, atterrò una pista più in là:
 
- No mai, e in un certo senso, sono felice di essere qui oggi. -
 
Lily sorrise. Tornarono nel loro silenzio per qualche istante finché Robert fece la domanda che avrebbe sempre voluto fare sin dall’inizio di quest’incredibile storia:
 
- … Perché Lily? Perché hai deciso di fare tutto questo? E perché hai deciso che proprio io dovevo avere una chance? Non riesco a –
 
Lily alzò dolcemente la mano per zittirlo e sorridendo disse:
 
- Una domanda alla volta Robert. Avrai tutte le risposte che cerchi, ma prima devi sapere tutto dal principio… -
 
Robert si sistemò comodo sulla sedia e con aria curiosa disse:
 
- Ti ascolto. –
 
Lily si sistemò un dread dietro l’orecchio e fece un respiro profondo. Non sembrava tesa, anzi, sembrava rilassata dal suo comportamento, ma Robert sapeva che dentro, in quel cuore grande che aveva, era un mare in burrasca di emozioni e sensazioni implacabili.
Iniziò a raccontare:
 
- Devi sapere che la mia decisione di partire è stata pensata e progettata per quasi 20 anni. Come tu ben saprai, ho passato situazioni difficili nel mio cammino e alcune di queste mi hanno cambiata… -
 
Robert sentì il cuore battere a mille. Non aveva motivo per essere agitato, ma conoscere la verità lo spaventava e lo confortava allo stesso tempo:
 
- La mia situazione familiare è stata la causa che ha susseguito altri problemi, soprattutto dopo la morte di mio padre. Non ero più la stessa di prima… è vero, crescendo si cambia, si matura, ma non come ho fatto io; non come è successo a me… -
 
Robert sentì tristezza nelle parole di Lily, ma non faceva fatica a pronunciarle. Sembrava che finalmente si stesse liberando di un enorme peso sorretto sulle spalle per anni:
 
- Sapevo che restando lì non sarei mai stata felice, quindi pensai che l’unico modo per poterlo essere era quello di andarmene da un'altra parte, cambiare completamente persone, posti e mentalità… avevo bisogno di cominciare tutto da capo per la seconda volta… –
 
Robert sentì un groppo alla gola: questa affermazione di Lily gli fece venire in mente che aveva già parlato di tutto questo con qualcuno, ma non ricordava chi…
Si sentì il rombo di un aereo arrivare leggero, poi sempre più forte fino a far vedere dalla finestra un aereo della Easy Jet atterrare sulla pista.
Lily continuò a parlare:
 
- Andando avanti con gli anni questo mio desiderio cresceva sempre più in me, fino a portarmi ad odiare coloro che mi stavano vicino… e da qui sei entrato in gioco tu. –
 
Robert sentì il cuore battere veloce. Era arrivato il momento della verità, quella che stava aspettando da tempo:
 
- Con i tuoi insegnamenti e il tuo comportamento verso gli altri, ho trovato in te qualcosa che mi stimolasse, che mi rendesse felice e viva, anche se solo per un paio d’ore al massimo. Non era abbastanza, ma riuscivi a rendermi le giornate più serene… –
 
Sentirsi dire queste parole, Robert provò un senso di commozione provenirgli da dentro. Sentì il petto che pian piano doleva per le lacrime di gioia trattenute.
Lily abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore che si arrossò appena lo lasciò andare. Continuò a raccontare:
 
- Tutte quelle piccole cose che facevi per me, rendevano il mio animo più leggero, ma non riuscivano a contrastare il carico che avevo accumulato negli anni passati… poi, quando mi hai prestato quel diario… Oh Robert, il mio mondo si è completamente capovolto sottosopra! -
 
Robert guardò la sua borsa, ci frugò dentro e tirò fuori il diario di suo padre Ivo:
 
- … Questo? È per aver letto questo che hai deciso di partire? –
 
Lily annuì leggermente con la testa. Aveva un sorriso leggero sulle labbra mentre annuiva:
 
- Proprio quello: la vicenda narrata da tuo padre mi ha aperto gli occhi su una nuova dimensione. Tutti quei racconti, quelle vicende avvenute… non sono fantasie! Sono accadute realmente! Dopo averle lette ho pensato che, in effetti, anche lui era scappato per trovare la felicità, per ricominciare tutto daccapo… e l’aveva trovata! –
 
Robert guardò il diario: era ben tenuto e nonostante avesse viaggiato per giorni in condizioni pessime dentro quel borsone sciupato, non aveva nemmeno una piega o un graffio.
Lily lo prese dolcemente in mano e accarezzò con il pollice la copertina ruvida in pelle:
 
- Il mio pensiero fu che se lui è riuscito a trovare la felicità, allora perché io non potevo? Perché non provarci? Perché non andare da qualche parte e ritrovare me stessa? –
 
Lily alzò lo sguardo verso Robert; i suoi occhi erano luminosi come gioielli e splendevano come non avevano mai fatto:
 
- Sono stati i racconti di tuo padre ad ispirarmi e a convincermi a partire! È merito suo se ora sono quella che sono! Senza volerlo, Ivo ha cambiato il mio mondo, senza nemmeno averlo conosciuto di persona! -
 
Robert guardò il diario, poi Lily: lei aveva gli occhi illuminati da un’energia inspiegabile e si capiva che era vero quello che diceva.
Si guardarono per qualche istante, quando Robert distolse lo sguardo sul pavimento: un riflesso di luce gli stava illuminando la scarpa. Mentre guardava il fascio di luce, Lily disse:
 
- … Lo stesso aveva fatto con Catherine, non è vero? –
 
Con scatto fulmineo, Robert si voltò verso Lily. Aveva un’espressione sconvolta in viso.
Quel nome non lo sentiva ormai da anni; lo aveva sepolto nel profondo, ma era sempre rimasto nel suo cuore. Ora il ricordo era tornato.
Catherine, la sua unica figlia, era scappata alla ricerca della felicità molti anni fa.
Lily aprì il diario, sfogliò alcune pagine:
 
- L’ho letto qui. Ivo aveva scritto tutto: di te, di Catherine, ma soprattutto dei tuoi problemi… scrisse anche di quello che ti accadde quando lei se ne andò per sempre… –
 
Lily si fermò su una pagina in particolare, diede il diario a Robert e lesse:
 
<< 26 Febbraio 1998
 
Ore: 13.04
 
Sono preoccupato: Robert è ancora affranto dalla scomparsa di Catherine e sta impazzendo. Non l’avevo mai visto in questo stato. Ha cominciato a fumare, per di più sigari, e anche a bere... non è un buon segno. Farò di tutto per risollevargli il morale. È mio figlio, ed è mio compito come padre, aiutarlo nelle situazioni difficili. Sarà dura, ma devo farcela. Per lui… >>

 
 Una lacrima cadde sulla pagina del diario mentre Robert leggeva le ultime due parole della riga. Si sentì triste, ma allo stesso tempo felice di leggere quelle poche righe scritte a mano da suo padre. Era come se le avesse dette ad alta voce in quel preciso istante…
Come un lampo, il ricordo tornò nella mente di Robert e si fece più nitido:
Catherine, l’unica figlia che Robert avesse, aveva 18 anni all’epoca. Per l’ennesima volta, i due avevano litigato riguardo al futuro della ragazza: lei voleva andare a studiare in Australia, ma Robert non voleva. Diceva che non poteva permetterselo, che era troppo costosa e che, chissà, forse un giorno lei se ne sarebbe pentita. Non volevano darsi ragione a vicenda e men che meno ascoltarsi, ma lui la costrinse a restare.
Purtroppo accadde il peggio: una mattina, Robert si svegliò come d’abituale e andò a svegliare Catherine per andare a scuola, ma con suo grande stupore, non la trovò.
Era scappata di casa. Nessuno biglietto, nessuna lettera… niente.
Robert iniziò a cercarla: fece denuncia di scomparsa alla polizia, chiese in tutto il vicinato se l’avessero visto e appese dei volantini di sparizione ovunque…ma non la trovò mai.
Quei giorni furono un inferno per Robert: iniziò a fumare, a bere e diventava sempre più agitato e aggressivo.
Ricordava i momenti in cui Ivo lo confortava rassicurandolo che l’avrebbero ritrovata di sicuro… ma era troppo arrabbiato con sé stesso per poterlo ascoltare.
Dopo quasi tre settimane, la polizia telefonò a Robert dicendo di aver ricevuto un indicazione da un anonimo: Catherine era stata vista all’aeroporto di Roma diretta verso Dubai.
Inutile dire che Robert andò di persona a cercarla.
Partì verso Dubai e arrivato a destinazione iniziò a cercarla domandando a chiunque se avessero visto quella ragazza dai capelli lunghi neri, col viso dolce e due occhi verdi splendenti… ma nessuno ricordava di averla vista.
Passò 3 giorni in quell’aeroporto, finché trovò l’indicazione che cercava: un addetto del reparto bagagli l’aveva vista salire su un aereo diretto a Perth, in Australia.
Partì il giorno stesso e dopo 10 ore di volo, atterrò. Era sfinito, stanco ma il suo corpo esultava e lo incoraggiava ad andare avanti. L’avrebbe trovata, ne era certo.
L’unica cosa che voleva era quello di rivedere Catherine.
Arrivò nella metropoli, cercò informazioni al dipartimento dell’immigrazione e riuscì a trovarla. Gli diedero il suo indirizzo: risiedeva in un College appena fuori città.
Trovata la struttura, andò per cercarla e la trovò.
La sua gioia fu immensa. Quando lei lo vide, lei non sembrava particolarmente contenta…
Fece per avvicinarsi e per abbracciarla ma lei reagì diversamente: gli disse che non sarebbe mai tornata indietro con lui, che non voleva mai più vederlo… le ostacolava il suo futuro.
Sentendosi dire quelle parole, Robert non poté che tornare a casa a malincuore e affranto.
Quando tornò a casa, preso dalla disperazione, decise di abbandonare tutto: lavoro, parenti, amici...
Voleva morire.
Ivo cercò di aiutarlo in tutti i modi, come ogni padre avrebbe fatto, ma ci volle molto tempo: fece di tutto per farlo uscire di casa, farlo incontrare coi suoi amici e colleghi… fece l’impossibile per suo figlio. E mantenne la promessa.
Dopo alcuni anni, Robert lasciò che Catherine seguisse il suo cammino da sola e finì col rassegnarsi per sempre: lei non sarebbe tornata…
Accettò il fatto che non avrebbe mai più rivisto sua figlia.
Ivo fu un appiglio molto solido per Robert, e non solo in quel periodo nero, ma per tutta la vita. Quando Ivo se ne andò per sempre, Robert si sentì perso, solo, abbandonato per la seconda volta nella sua vita. Era straziante dover passare di nuovo questo momento.
Nonostante la perdita, riuscì a riprendere la solita vita di sempre tenendo il ricordo di suo padre e sua figlia vivo nel suo cuore.
 
Sono passati quasi vent’anni da questa vicenda e il ritorno a galla improvviso, fece crescere un senso di dolore, tristezza, rabbia e rammarico in Robert.
Mentre un aereo passava alto in cielo, Robert non si rese conto che stava piangendo: lacrime di dolore che per anni erano rimaste rinchiuse nel suo cuore, finalmente erano libere di sfogarsi. Cadevano come una pioggia impetuosa sul foglio di carta del diario.
Lily gli poggiò una mano sulla spalla e disse:
 
- Quello che ho letto mi ha anche fatto pensare anche a te: io volevo trovare la felicità, una seconda occasione… ma non solo io… anche tu dovevi… meritavi una seconda chance con Catherine. -
 
Robert si voltò verso la ragazza con lacrime enormi agli occhi e Lily, poggiando la fronte sulla sua spalla, con voce roca disse:
 
- … Io non sono Catherine, ma ho pensato che io potevo… essere la tua seconda possibilità… Volevo renderti felice… Volevo che entrambi lo fossimo… -
 
Alla fine, Robert prese Lily in braccio, la strinse forte a sé e si lasciò andare in un pianto disperato.
Il diario cadde a terra ma non si percepì alcun suono. Si sentivano solo i pianti disperati di Robert.
Non aveva mai pianto così prima e Lily, sentendolo così, cercò di confortarlo. Proprio come avrebbe fatto Ivo.
Robert si lasciò cadere in ginocchio, sempre tenendo Lily fra le braccia, e continuò a piangere, e a piangere…
Ne aveva tremendamente bisogno.
Forse erano lacrime di gioia, di tristezza, di felicità o di dolore; non lo sapeva nemmeno Robert, ma era lacrime. Era questo ciò di cui Robert doveva sbarazzarsi.
Lily strinse forte a sé Robert. I palmi delle mani stringevano e stropicciavano la maglietta nera.
Quell’abbraccio sincero, puro e incredibile, era l’unione di due anime scombussolate dalla vita che finalmente, dopo tanto tempo, si riappacificavano.
Robert passò diversi minuti a piangere con la testa sulla spalla di Lily. Quel momento sembrò essere eterno. Quando la sua disperazione si calmò, lasciò andare Lily esausto e rimase in ginocchio ai piedi della panchina.
Si passò una mano sugli occhi affinché riuscisse ad asciugarli; poi, con voce roca e flebile disse:
 
- … Io volevo salvare Catherine. Non volevo costringerla a rimanere: avevo paura a dirle che mi spaventava l’idea di averla lontana da casa, ma non sono mai riuscito a dimostrarlo… nemmeno quello sono riuscito a fare… -
 
Lily s’inginocchiò vicino a lui, gli poggiò una mano sulla spalla e lui la guardò negli occhi: erano luminosi e bellissimi. Nonostante il colore diverso, Robert vedeva in Lily sua figlia Catherine. Due donne, completamente diverse, ma con lo stesso spirito battagliero.
Rimase a fissarla per qualche istante e per un momento, Robert immaginò di vedere Catherine al posto di Lily: lo stava confortando e gli sorrideva.
Sorridendo a sua volta disse:
 
- … Sono contento di averti conosciuta Lily. Sei la possibilità più magnifica che mi sia potuta mai capitare nella vita… -
 
Lily sorrise a sua volta e lo abbracciò.
Mentre si abbracciavano, un aereo della British Airways decollò dalla pista di fronte a loro.
Quel posto… quella panchina… era davvero il posto perfetto.
 
***
 
Davanti al gate n*7 c’era molta gente. Nonostante fosse inverno, molte persone decidevano come destinazione delle vacanze invernali Ottawa, la città più fredda del Canada in quel periodo.
Lily e Robert erano fermi lì in coda, aspettando che finalmente aprissero i cancelli per far salire i passeggeri sull’aereo della compagnia SkyService Airlines diretta propri ad Ottawa.
Dopo quella discussione, Robert e Lily avevano parlato del futuro della ragazza: lei era intenzionata a proseguire il suo viaggio e Robert la lasciò fare. Era la sua vita; decideva lei cosa farne. Robert fece lo stesso: le disse che quando sarebbe tornato, si sarebbe trasferito da qualche parte in giro per il mondo. Si sarebbe ricostruito una nuova vita per la seconda volta.
Mentre aspettavano che i cancelli si aprissero, Robert decise di parlare per un ultima volta con Lily:
 
- Che cosa c’è di così tanto interessante in Canada a parte gli aceri? –
 
- Beh, vediamo… le cascate del Niagara non sono tanto lontane da visitare, poi ci sono i vari monumenti della capitale e infine ci sono anche le riserve di Geyser poco più a Nord da vedere. Dicono che siano una delle tante cose da visitare prima di morire! –
 
- Se lo dici tu… -
 
Lily sorrise. Sapeva che anche Robert avrebbe voluto vedere quei magnifici posti, ma Lily doveva andarci da sola. Mentre aspettavano ancora, Lily fece una promessa a Robert:
 
- Facciamo così: in ogni posto del globo dove andrò, vedrò e visiterò, ti spedirò una cartolina! Ci stai? –
 
Lily tese la mano verso Robert e lui la guardò sorridendo. La strinse e guardandola negli occhi disse:
 
- Va bene. Se mi manderai una cartolina con allegata una foto tua in ogni posto dove andrai. –
 
Lily lo guardò sorridente e ridendo disse:
 
- Eheheh! Va bene, te lo prometto! –
 
 Risero felici, poi si guardarono negli occhi per qualche istante: sembrava che con lo sguardo si stessero dicendo addio…
Mentre un inserviente del check-in stava per aprire i cancelli del gate, Robert poggiò una mano delicatamente sul spalla di Lily e disse:
 
- … Mi mancherai moltissimo Lily. Abbi cura di te… -
 
Lily poggiò la mano su quella di Robert, le diede un bacio sul dorso e rispose:
 
- … Anche tu mi mancherai Robert. Prenditi cura di te stesso, mi raccomando… -
 
Il cancello si aprì e una massa di gente iniziò ad avviarsi verso il gate. Robert e Lily rimasero li fermi a guardarsi negli occhi. Quell’addio, era più difficile di quanto si aspettavano.
Robert sentì le lacrime salirgli e tentò di trattenerle battendo più volte gli occhi; distolse lo sguardo e con la mano tentò di asciugarsi. Lily lo prese in giro in modo scherzoso:
 
- Dai, non piangere! Sennò farai piangere anche me… -
 
Anche Lily iniziava ad avere le lacrime agli occhi. Robert se ne accorse e rispose:
 
- Ma se le hai già! Non prendermi in giro! Ahahah! –
 
Le diede un pizzicotto sul fianco e, per vendicarsi, Lily fece lo stesso:
 
- Hey! Così non vale! –
 
Si punzecchiarono dolcemente per qualche istante finché Robert, prese Lily tra le sue braccia, la sollevò da terra e l’abbracciò ridendo. Lei rise e strinse le sue braccia dolcemente al collo di Robert. Rimasero abbracciati in quella posizione per qualche istante e nel mentre Lily disse:
 
- … Sai perché non mi sono mai piaciuti gli abbracci? –
 
Robert smise di ridere gradualmente, mentre una lacrima gli solcò il viso barbuto.
La cullò dolcemente e disse:
 
- … No… perché? –
 
Lily si lasciò cullare da Robert. Le piaceva e la faceva sentire al sicuro.
Mentre la cullava a destra e a sinistra, Lily disse:
 
- … Perché non puoi vedere il volto della persona che stai abbracciando. Sembra un modo per nascondere le proprie emozioni e non metterle alla luce… -
 
Robert si fermò lentamente, l’adagiò a terra e la guardò negli occhi: stavano piangendo entrambi.
La verità faceva male, ma volevano dirsela a viso aperto.
Robert la guardò mentre si mordeva il labbro inferiore, poi le sorrise e disse:
 
- … Addio Lily… -
 
La ragazza lasciò che una lacrima cadde pesante sul suo viso arrossato e con fatica sorrise per poi dire:
 
- … Addio Robert… -
 
Prese il suo bagaglio a mano, se lo mise in spalla e si diresse verso il gate n*7.
Non si voltò. Andò sempre dritta verso il check-in.
Robert rimase fermo immobile. La seguì con lo sguardo mentre presentava il biglietto alla signorina dietro il bancone.
Era difficile lasciarla andare. Era molto difficile.
Quando la signorina le consegnò il biglietto e il passaporto, premette il pulsante che apriva il cancello del gate. Stava per andarsene per sempre.
Fece qualche passo in avanti, ma poi si fermò.
Si voltò un ultima volta: il suo viso arrossato e pieno di lacrime incrociò lo sguardo di Robert.
Lui la guardò, poi le sorrise. Le fece un cenno con la mano e disse:
 
- Ciao Lily! –
 
Lei lo guardò mentre lacrime e lacrime le rigavano il viso. Sorrise anche lei.
Lo salutò con un cenno della mano e disse:
 
- Ciao Robert! –
 
Infine si voltò, superò il cancello e se ne andò. Questa volta per sempre.
Robert abbassò la mano lentamente. Sospirò, si asciugò le lacrime con la manica della felpa e tra sé e sé pensò:
 
Va bene Robert… anche questa piccola avventura è fatta! Adesso tocca a te fare i bagagli!

 
Si sistemò per bene, guardò fuori dalla finestra gigante ancora una volta e notò il sole tramontare all’orizzonte. Era di un rosso acceso vivo. Il colore che piace a Lily.
Robert ammirò il tramonto, poi sorrise e si avvivò verso l’uscita dell’aeroporto.
Mentre s’incamminava verso le porte scorrevoli che portavano all’esterno, il gate intanto s’era svuotato completamente lasciando un silenzio piacevole e calmo.
Non c’era più la gente frettolosa, i rumori forti e i passi veloci delle persone, ma solo un ricordo silenzioso che vivrà per sempre in quel posto.
 
 

 
THE END

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Capitolo 13
*** TO DO LIST ***


 EPILOGO: TO DO LIST

 Le Canarie sono da sempre considerate il luogo della “Primavera perenne” per la temperatura sempre mite e perfetta. Quel posto così incredibile e magnifico, era la meta di tante persone: turisti, pensionati e gente che voleva cominciare una nuova vita.
In una piccola casa di legno, poco vicino alla spiaggia, c’era un uomo sdraiato su un’amaca intento a fare un pisolino. Dondolato dolcemente dal vento, l’uomo aveva un comodino accanto con su un bicchiere d’acqua fresca e un libro di Jon Krakauer intitolato “Nelle terre estreme”.
Il cappello che teneva davanti al viso gli permetteva di coprirsi dai raggi del sole alto e quindi riposare tranquillamente. Era la giornata perfetta per risposare dopo una settimana di lavoro.
Mentre sonnecchiava tranquillo, un ragazzo con la camicia bianca stava correndo sulla spiaggia in direzione della piccola casetta. Aveva qualcosa in mano e mentre correva gridò:
 
- Señor! Señor, despierto! (Signore! Signore, si svegli!) –
 
L’uomo si svegliò di soprassalto e nella fretta gli cadde il cappello in terra. Confuso dalle urla del ragazzo, cercò di riprendersi e stiracchiandosi disse:
 
- Piano Miguel, non urlare… *yawm!* … mi sono appena svegliato… -
 
Il ragazzo arrivò sotto il portico e disse:
 
- Discúlpeme Señor, ma c’è una lettera per lei! (Mi scusi) –
 
Il ragazzo gli porse una busta bianca. L’uomo la guardò ancora assonnato (forse non aveva capito di cosa si trattasse). Senza scendere dall’amaca, riprese il cappello da terra, se lo posizionò davanti agli occhi, si stiracchiò una seconda volta e sistemandosi sull’amaca disse:
 
- Va bene Chico, grazie mille. Lasciamela sul comodino qui accanto… -
 
Il ragazzo insistette nel volergliela dare di persona e disse:
 
- Ma Señor, è la lettera che stava aspettando da tanto! –
 
L’uomo alzò il cappello lentamente, lo guardò e disse:
 
- … Davvero? Ne sei sicuro? –
 
Il ragazzo annuì convinto:
 
- Si Señor! Niente mittente e firma: solo francobollo e timbro postale! –
 
L’uomo si sedette di lato sull’amaca, prese la lettera in mano e ringraziò il ragazzo:
 
- … Grazie Miguel… tieni questo come ricompensa. –
 
Gli diede una banconota da 5 euro e il ragazzo, quando la prese in mano, ringraziò e tornò da dov’era venuto. L’uomo guardò la busta sul fronte e sul retro: era ben sigillata, senza una piega e senza una scritta. Solo francobollo e timbro postale, come aveva detto il ragazzo.
Si alzò in piedi e guardò la lettera attraverso i raggi del sole: intravedeva dei fogli e qualcosa di quadrato, fine e nero. Non si capiva bene cosa potesse essere…
Senza indugi, apri la busta di lato, tirò fuori il contenuto e quello che vide lo fece sorridere: c’era una cartolina, una foto stile polaroid e un foglio piegato a metà con scritto in nero “Per Robert”.
Guardò prima la cartolina: c’era Bangkok, la capitale della Thailandia, come sfondo e sul retro c’era una scritta che diceva:
 
<< Un saluto dalla città più evoluta di tutto l’oriente.>>
 
Sorrise; poi guardò il foglio piegato, lo aprì e lesse ciò che c’era scritto:
 
<< 7 Agosto 2017
 
Ore: 02.47 (ora locale di Bangkok)
 
Caro Robert,
Mi trovo qui in questa magnifica città a contemplare la splendida luna piena, mentre ti scrivo seduta sul davanzale di una finestra del migliore ostello della città: le camere sono enormi e non costano niente a notte! Tutto qui non costa niente! È fantastico! Sarebbe un posto magnifico dove vivere… ma non credo che sia il mio.
Quando leggerai questa lettera, probabilmente sarai spaparanzato sulla tua fidatissima amaca rossa e arancione a sorseggiare una bevanda fresca, e a leggere qualche libro di qualche autore strampalato tanto quanto te, quindi reggiti forte perché devo farti un annuncio:
Sto per spostarmi di nuovo. Questa volta verso Sud-Est.
Immagino che tu sappia benissimo cosa c’è lì…
Comunque, non voglio preannunciarti nulla che non è ancora stato fatto, pertanto, mettiti bello comodo sulla tua amaca e aspetta la mia prossima lettera!
Spero che ti trovi bene e in salute.
 
Un bacio,
 
Lily >>

 
 
Robert sorrise. La lettera l’aveva scritta e mandata la sua viaggiatrice preferita. Guardò il foglio sorridendo, mentre il vento caldo delle Canarie si alzò leggermente. Proprio quando stava per mettere via il foglio, Robert s’accorse che sul retro c’era un Post Scriptum; lo girò e con stupore lesse:
 
<< P.S: Nel testo che leggerai, ho scritto una poesia che ho creato pensando a te…
Spero davvero che ti piaccia.
S’intitola così:
 
“ Viaggio verso l’ignoto”
 
Voglio iniziare un viaggio;
che sia in aereo o semplicemente chiedendo un passaggio.
Partendo dalla mia città natale, io so di voler raggiungere un luogo speciale.
Con un borsone pieno di ricordi, inizio il mio viaggio senza rimorsi.
Non so il giorno, il mese e nemmeno quando accadrà;
so solo che questo viaggio mi cambierà.
Voglio andare verso Monaco, per poi passare a Berlino;
salutare la Germania per poi andare verso Dublino.
E perché non andare a Londra? Che città incantata!
Li ho trovato un uomo che con poco mi ha cambiata…
E poi via, verso l’estero: in Canada, USA o Messico! (È una tappa in più per migliorare il mio lessico…).
Visitare l’America andando a Los Angeles, New York, Portland e San Francisco…
Quali tra queste città troverò qualcosa di cui io mi stupisco?
Resterei lì, solo per qualche mese;
e poi via, al sud di un altro paese.
Il Cile è un bel posto: caldo, col mare e il Natale a Ferragosto!
Poi, finalmente, arriva il grande passo.
Quello che aspettavo da tanto, tanto tempo.
Arriverò in aeroporto, salirò su un aereo;
e finalmente, dopo una vita intera passata in Italia, giungerò finalmente…
 
In Australia.
 
Con affetto, la tua adorata Lily ❤ >>
 

 
 Leggere quella poesia, riempì di gioia il cuore di Robert. Sentì una lacrima scendergli sulla guancia per poi cadere sulla camicia leggera.
Si asciugò le lacrime e guardò verso il mare: l’orizzonte era limpido e si vedevano i gabbiani volare lontano, alti e leggiadri.
Robert scese verso la spiaggia, arrivò coi piedi sulla battigia e lasciò che il mare gli accarezzasse i piedi. Guardò l’orizzonte per qualche istante e tra sé e sé pensò:
 
- … Grazie Lily. Spero che tu trova il tuo posto felice nella magica terra di Oz… -
 
********************************************************************************


 Sydney è la città d’eccellenza per gli avventurieri: le spiagge selvagge, il surf, i locali notturni e le feste epiche. È considerata la “città occidentale” per eccellenza. È una delle tante città da dover visitare prima di morire.
Era una giornata qualunque all’aeroporto di Sydney: la gente arrivava, partiva, aspettava o si fermava a prendere qualcosa da mangiare ai bar all’interno della struttura. Il sole splendeva alto e non c’era una nuvola che facesse ombra in quella giornata calda e afosa. La temperatura era di 32°C e, nonostante fossero in piena primavera, il caldo iniziava ad essere quasi persistente… ma in fondo, è così che è l’Australia: calda, selvaggia e stupenda.
Ma al gate n*16 era appena atterrato un volo nazionale proveniente da Darwin, a Nord dell’Australia, e molte persone erano venute qui per poter visitare la città. Per la maggior parte erano turisti con le loro macchine fotografiche, le guide turistiche e il necessario per vivere nel comfort più piacevole che potessero avere, ma c’era una persona che si differenziava tra la massa… Era molto “particolare”.
Mentre la massa di gente usciva dal tunnel del gate, questa personaggio incredibile andò al reparto del ritiro bagagli per prendere i suoi bagagli.
Era vestita in modo particolare, quasi stile da viaggiatore: scarponi polverosi (con un giro di nastro isolante sulla scarpa destra), pantaloncini corti marron chiaro semi larghi, canotta bianca, occhiali da sole, un cappello leggero di paglia chiaro e una camicia leggera azzurra legata ai fianchi. Sembrava provenire da chissà quale pianeta! (Almeno pensavano così gli altri dopo aver visto tutti quei dreads e tutti quei tatuaggi sulle braccia…)
Mentre si avviava al nastro trasportatore, vide alcune persone del suo stesso volo che ritrovavano amici, parenti e si riabbracciavano dopo tanto tempo. Vedere quella scena, le fece pensare a qualcuno a cui teneva molto…
Arrivò al reparto e aspettò il suo bagaglio: non era né troppo pesante, né troppo ingombrante e men che meno vistoso… semplicemente era comodo.
Dopo qualche minuto d’attesa, lo vide passare sul nastro trasportatore: un borsone marron chiaro sporco di polvere, con toppe qua e là e qualche schizzo fatto a mano su di esso.
Lo prese al volo quando fu abbastanza vicino poi, dopo averlo caricato in spalla, si diresse verso l’uscita. Arrivò al reparto controlli, la guardia indicò dove poggiare la borsa e disse:

- Prego, mi faccia vedere i suoi documenti. –

Tirò fuori il visto e il passaporto mentre una seconda guardia controllava l’interno del borsone. L’uomo che controllava i documenti, un uomo alto e giovane sui venticinque anni, disse:

- Nazionalità italiana… che cosa ti ha spinto a venire qui in Australia? –

Lei sorrise, si sistemò un dread dietro l’orecchio e rispose:

- … Penso per il clima: l’Australia è un paese caldo, e io amo il caldo. –

La guardia la guardò e sorrise a sua volta. Controllò il visto e disse:

- Le piace così tanto da rimanerci addirittura sei mesi? –

Lei fece spallucce e rispose:

- Beh, l’Australia è grande da visitare. Mi prendo il tempo necessario per visitarla per bene. –

Sorridendo, il venticinquenne disse:

- In molti, dopo averla vista “del tutto”, hanno rinnovano il visto… però poi non sono più tornati indietro… –

Lei sorrise. Si guardò i tatuaggi sulle braccia e rispose:

- … Beh, spero che mi piaccia davvero tanto allora… -

La guardia sorrise, le riconsegnò il passaporto e il visto e disse:
 
- Benvenuta in Australia Sig.ina Clark! –
 
***

Verso le 13.15 del 20 Agosto 2017, Lily stava passeggiando per le strade di Sydney. Il sole alto illuminava il paesaggio e l’aria, seppur afosa, era piacevole da respirare.
Stava attraversando Harbour Bridge quando a metà, si fermò per contemplare la vista mozzafiato di quel posto: la zona di Kirribilli sul lato sinistro e di The Rocks sul destro, erano divise dall’acqua. Sembrava un gigantesco serpente argentato che si muoveva lento e sinuoso. L’Opera House sulla destra ricordava una gigantesca macchina da scrivere con delle conchiglie bianche incastonate sopra. Era qualcosa di stupendo quel paesaggio.
Questa visione le ricordò il Portogallo… e Thomas.
Quell’avventura a Porto non l’aveva mai dimenticata. È sempre rimasta sempre nel suo cuore…
Mentre ammirava il paesaggio, Lily prese tra le dita la collana di pietra di Thomas che portava al collo. L’aveva tenuta con sé per anni, pronta ad essere restituita al suo padrone…
Dopo aver passato qualche istante a scattare foto e ad ammirare il paesaggio, Lily prese da una tasca del suo borsone una busta già aperta, tirò fuori una lettera e lesse nuovamente il contenuto:
 
<< 2 Agosto 2017
 
Cara Lily,
Come stai? Sicuramente bene ora che sei a Bangkok. Quella città è famosa per il suo stile di vita evoluto… ci sono stato, sai? Spero che anche tu l’abbia apprezzata come l’ho apprezzata io.
Ti scrivo questa lettera per darti un annuncio molto, molto importante:
Ho trovato il mio posto finalmente.
È un posto magnifico, quasi occidentale ma non si trova in Europa; bensì si trova in Oriente, in mezzo al mare… Per darti una definizione più esatta, è un continente che è anche un isola.
Se hai capito dove mi trovo, allora ti aspetto proprio li.
Seguì queste coordinate e non potrai sbagliare:
 
S 33° 52’ 04”
E 151° 12’ 26”
Ti aspetto mia adorata amica.
Con affetto,
 
Thomas >>

 
Ricevere quella lettera con quelle poche righe, fecero sentire Lily al settimo cielo.
Finalmente, dopo tanto tempo, poteva finalmente riabbracciare Thomas.
Mise via la lettera, guardò l’Opera House e pensò:

Aspettami Thomas… sto arrivando!

Mentre caricava in spalla il suo borsone, si diresse verso il lato opposto del ponte per raggiungere quel gigantesco monumento sotto il sole cocente.
Dopo alcuni minuti, arrivò al viale principale che conduceva al retro dell’Opera e s’incamminò verso la parte frontale. A vedere quella struttura da vicino, era davvero immensa, davvero maestosa; quasi faceva paura perché le pareti curve bianche che spuntavano sopra l’orchestra, sembravano tsunami pronti a schiantarsi addosso a lei.
Arrivò davanti all’Opera e si guardò in giro: non c’era molta gente e questo piacque molto a Lily. Cercò Thomas fra le poche persone ma non riuscì a trovarlo. Forse era troppo presto.
Si voltò verso la sparangola che dava al mare e lo vide lì, intento ad ammirare il paesaggio della riva Kirribilli e l’Harbour Bridge.
Il cuore di Lily iniziò a battere a mille e col sorriso sulle labbra, si diresse lentamente verso di lui.
Anche Thomas si voltò e quando la vide, il suo viso s’illuminò tra un misto di stupore e felicità.
L’aspetto del ragazzo non era cambiato nonostante gli anni: portava sempre dei sandali in pelle, pantaloncini a bermuda marron chiaro e una camicia bianca che faceva intravedere i pettorali del ragazzo abbronzato; aveva barba e baffi colti, capelli lunghi fino alle spalle e il bracciale di Lily al polso sinistro.
Quando la vide avvicinarsi a lui, le sorrise e s’incamminò nella stessa direzione.
Lily lasciò cadere il borsone e quando furono abbastanza vicini, si abbracciarono. Lui la sollevò da terra prendendola dolcemente per la vita, mentre lei gli mise le braccia al collo per sorreggersi e affondare la sua testa piena di dreads sulla sua spalla possente.
Si abbracciarono per interi minuti e non si dissero nulla, ma non avevano bisogno di parole per esprimere la loro felicità… quell’abbraccio bastava per capire tutto.
 

THE END

 


Nota dell’autrice:
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia fino alla fine!
Questo racconto significa molto per me e sapere che apprezzate questa piccola perla che ho scritto, mi riempie il cuore di gioia.
Anche se questa storia è finita, sappiate che questo viaggio è appena iniziato…
Grazie ancora,
Sajoko :)

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